Gli inconvenienti del successo

di paige95
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il peso dell'eredità ***
Capitolo 2: *** Come attirare l'attenzione ***
Capitolo 3: *** Una reputazione scomoda ***
Capitolo 4: *** Tempo tiranno ***
Capitolo 5: *** Tra passato, cadute e scelte ***
Capitolo 6: *** Aria di cambiamenti ***
Capitolo 7: *** Il Boccino della concordia ***
Capitolo 8: *** Superficiali crepe nelle rivalità ***
Capitolo 9: *** Prove di fiducia ***
Capitolo 10: *** Inimicizie che scoppiano ***
Capitolo 11: *** Sotto il riflesso di Sé ***
Capitolo 12: *** Il custode dell'anima ***



Capitolo 1
*** Il peso dell'eredità ***


Il peso dell'eredità


 
A Magia Oscura,
che con (im)pazienza ha atteso che io pubblicassi.
E alle mie care ragazze 
HarryPotter394, 
Shanley e 
Longriffiths. 


 
Stazione di King’s Cross, Binario 9 ¾; 1 settembre 2017 ore 10:59 a.m.
 
Il fumo denso e il fischio del treno accompagnavano gli ultimi saluti riservati ai genitori, i quali commossi scrutavano i volti raggianti dei figli scomparire lungo la strada per la Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts. 
Fare ritorno in quella stazione infondeva sempre uno strano effetto: un misto tra l'incanto fanciullesco e la certezza di assistere ad una nuova partenza in serenità. Nulla poteva essere cancellato, il passato aveva lasciato strascichi indelebili; ogni inizio era sintomo della speranza che le gioie future potessero soppiantare la sofferenza.
Gli eroi della Seconda Guerra Magica avevano un motivo valido per essere riuniti al binario 9 ¾, diciannove anni dopo la fine di tutto. Aveva un gusto dolce quel ritrovo non programmato, come se stessero festeggiando una nuova alba già da qualche anno ormai; era una gioia condivisa, nessuno ne parlava, ma tutti scorgevano nel volto dell’altro sollievo e una nota dolente che il tempo aveva solo cicatrizzato, mai del tutto guarito. Aveva anche un gusto amaro, quindi: l’assenza era un’arma con la quale avevano cominciato a fare i conti troppo presto.
Assistere alla partenza di figli che scambiavano con le proprie famiglie un arrivederci di diversi mesi non lasciava indifferenti. Non importava che si apprestassero ad intraprendere un soggiorno così lungo per la prima volta o se si trattasse di una regolare abitudine annuale, sulla piattaforma tutti erano tristi in egual misura.
Gli eroi non piangevano, ma nei loro occhi si intravedeva un velo di commozione. Conoscevano il sapore delle lacrime, lo ricordavano fin troppo nitido. Al binario 9¾ stavano vivendo gioia e orgoglio per il futuro conquistato con grande sacrificio; nel volto dei ragazzi che salivano la scaletta del treno leggevano la più grande vittoria della loro vita: la serenità che erano riusciti a donare ai loro figli. 
Nelle vene di Rose scorreva l'impazienza, il trepidante gusto della novità, già sperimentato fra le mura domestiche. Si sentiva a suo agio nell'uniforme scura; la stoffa calzava fino alle caviglie ed era lucente, un dettaglio che papà Ron non perdeva occasione di ricordare: I miei figli avranno tutto l'occorrente per i loro anni ad Hogwarts e rigorosamente di prima mano. L'undicenne di sangue Granger-Weasley era già una strega degna di nota, ma soprattutto una giovane a cui era stato insegnato il rispetto e l'accettazione. Purosangue, Mezzosangue, Nati Babbani e Babbani erano solo inutili etichette per lei; dimostrava sulla sua pelle quanto fosse insensato misurare il valore di un mago dalla quantità di geni magici che si trovavano nella sua dinastia. Dimenticava spesso di essere una Mezzosangue, era una caratteristica che la riguardava relativamente nella vita di ogni giorno. 
Suo padre era sempre stato per lei un ottimo esempio. Sposando la figlia di due rispettabili Babbani, erano decaduti i presupposti per continuare ad essere membro delle Sacre Ventotto; non se ne dispiacque e a Rose aveva offerto una motivazione più che valida: senza quella decisione i suoi figli non sarebbero esistiti. Ron era orgoglioso di ogni singola loro goccia di sangue; avevano un cuore nobile, si augurava da quando avevano emesso i loro primi vagiti che diventassero valorosi Grifondoro, al pari dei genitori. 
Albus Severus. Un nome che non sarebbe passato inosservato fra i corridoi del Castello e che si aggirava ancora fra gli scompartimenti dell'Hogwarts Express con aria confusa circa ciò che lo avrebbe atteso una volta giunto a destinazione. Era la sua prima corsa verso la Scuola di Magia più rinomata fra le famiglie di maghi. Era un privilegio conseguire il diploma in quelle aule, godere degli insegnamenti dei suoi professori e sottostare alla ferrea disciplina della Preside Minerva MacGranitt. Suo padre aveva fiducia nelle capacità del figlio dal primo momento in cui era riuscito a  scorgere i suoi vispi occhi di smeraldo. Mai prima di allora Harry aveva avuto modo di riflettersi in occhi non suoi, ma così simili. Gli ricordavano Lily, non aveva immagini nitide di lei: attraverso gli occhi di Albus fu come vivere per la prima volta la madre.
Ai due cugini, legati dall'inizio di un'avventura comune, mancava solo all'altezza del cuore lo stemma della Casa che avrebbe accolto le loro potenzialità. Rose non temeva lo Smistamento, Albus ne era terrorizzato. Era una tappa imprescindibile per la loro permanenza nel Castello. Harry non temeva di raccontare al secondogenito quanto si fosse sentito vulnerabile in attesa del verdetto; lo comprendeva ed era piuttosto sereno, confidando sul fatto che i suoi figli fossero nati in un contesto di pace che non richiedesse grandi addestramenti contro forze oscure.
In quella fresca mattina di inizio settembre, la trepidazione era palpabile. La commozione delle famiglie viaggiava su un doppio binario. Erano trascorsi venticinque anni da quando uno sperduto ragazzino vissuto fra i Babbani si aggirava confuso per King's Cross, alla ricerca di un binario all'apparenza inesistente. Era una giornata soleggiata, ma i ricordi cadevano a pioggia su loro. Quello stesso treno aveva rappresentato una nuova casa per Harry. Se avesse dovuto descrivere a parole cosa provava ogni volta che un suo discendente solcava i cancelli di Hogwarts, non ci sarebbe riuscito. A suo tempo aveva trasmesso a James tutta la serenità possibile, con Albus riuscì ad essere meno convincente, ma non smise di infondergli fra i timori quanta fiducia riponesse in lui. Un amorevole abbraccio del padre sciolse l'ansia in una lacrima che nascondeva le sue fragilità. Con un sorriso Harry lo aveva accompagnato alle porte della locomotiva; anch'egli era commosso. Ad aspettare Albus sul vagone, vi era Rose. La giovane attese lo scoccare del sessantesimo secondo con lo sguardo rivolto al finestrino. Ron e Hermione la incoraggiavano con sorrisi ricolmi di orgoglio. Quando avvertirono una leggera scossa sotto le loro suole, compresero che era giunto il momento degli ultimi saluti. Entrambi i cugini ebbero un sussulto di pura emozione, mentre le sagome dei genitori diventavano sempre più impercettibili avvolte nel fumo del motore e dalla lontananza.
 
Rose sentiva già la mancanza della grande famiglia Weasley, ad Hogwarts ne avrebbe ritrovato solo un'esigua parte. Portava con sé insieme ai bagagli l'affetto di Hermione e i premurosi consigli del padre che continuavano a rimbombarle nella mente. Divideva lo scompartimento con i fratelli Potter. Si trovavano ancora a pochi metri dalla stazione. L'atmosfera era impregnata delle loro emozioni. James, il primogenito, era accompagnato dalla consuetudine; per lui era il terzo anno, la Scuola di Magia era un luogo familiare al pari di Grimmauld Place. L'ansia di Albus, invece, non si era placata; era intento a scartare con vigore le Cioccorane che lo zio George gli aveva regalato per affrontare il viaggio fino in Scozia - così risparmi gli zellini che ti ha dato papà per fare contenta qualche ragazza -. Ignorò la rana di cioccolato che era balzata sul finestrino; recuperò la figurina dei maghi e scorse un sorriso familiare accompagnato da grandi occhi castani e boccoli scomposti. Era affezionato ad Hermione, ma fu irritante per lui ricordare il peso dell'eredità che pendeva sulle loro spalle proprio quando era in procinto di abbracciare il suo destino ad Hogwarts. Il silenzio venne spezzato dalle imprecazioni di Albus. Con un gesto stizzoso lanciò la figurina in direzione della cugina. 
«Dannazione! Ho trovato ancora la zia.»
Rose si spaventò per la sua irruenza; fece appena in tempo a voltarsi e ad afferrare l'oggetto al volo, prima che precipitasse sul pavimento. La ragazza ignorò il tono sprezzante dell'altro; sorrise all'immagine della madre, aveva sempre trovato il suo portamento molto elegante, degno di un onorevole Ministro della Magia. Riscontrare quanto Hermione godesse di fama insieme al padre e allo zio Harry le provocava sempre un brivido. Conviveva con l'idea e non aveva mai reagito come il cugino, quando trovava una figurina doppia. Rose alzò gli occhi su Albus: ammirava imbronciato e a braccia conserte il panorama che sfrecciava fuori dal finestrino, quando invece la sua mente era solo affollata dalla rabbia. La giovane si protese verso di lui, ridusse la sua voce ad un suono pacato e debole.
«Al, si può sapere qual è il tuo problema?»
«Quale problema ho, dici? Tranquilla, nessuno.»
Le rispose con strafottenza, tornando a concentrarsi sul susseguirsi del paesaggio alla sua sinistra. Lo infastidiva il fatto che lei non condividesse il suo stesso disagio. Rose si voltò perplessa verso James in cerca di una spiegazione, sperando che il primogenito dei Potter potesse saperne di più.
«Ha solo paura di essere Smistato nei Serpeverde e se la prende con qualunque cosa gli capiti a tiro.»
«Io non ho paura di essere Smistato nei Serpeverde! Fatti gli affaracci tuoi, ficcanaso.»
«Ho sentito che ne parlavi con papà ed eravate in un luogo pubblico. Nessun segreto, quindi.»
«Senti un po’, Jam…»
Rose intervenne decisa nel battibecco tra i due fratelli. Si sentì esclusa da una discussione di cui non era al corrente. Sfoderò un tono perentorio, degno di sua madre. Non le importava che tra i due fratelli corresse sempre meno buon sangue, esigeva di sapere cosa stesse infastidendo Albus nell'ultimo periodo, cosa non gradisse della sua famiglia. 
«Basta! Cosa vi prende?? Albus, si può sapere cos’hai contro mia madre?»
I due si zittirono, intimoriti dalle silenziose minacce della cugina.
«Sono solo stanco di trovare ogni due per tre le facce di papà e degli zii in quelle maledette Cioccorane.»
«Non capisco che fastidio possano darti, anzi, dovresti esserne orgoglioso. Papà è il mago più famoso del secolo.»
Il maggiore non manifestò alcuna evidente emozione, la sua voce era piatta. Essere figlio di Harry Potter era pura abitudine per lui; portava un cognome come tanti ragazzi discendenti da coloro che avevano combattuto l'Oscuro Signore. 
«Orgoglioso?? Tu non capisci, James, e non so nemmeno per quale ragione io provi a parlarne ancora con te.»
Albus rivolse al fratello un sorriso carico di delusione. Si alzò dandosi una spinta contro il sedile per riscoprire motivazione. Non erano rare le occhiate di sfida che rivolgeva a James. Rose impedì al cugino di oltrepassare le porte scorrevoli dello scompartimento; Albus fu costretto a fermarsi e a lasciare che esse si richiudessero. Era dolce Rose; quando si trattava di confortare era la migliore amica che chiunque potesse desiderare.
«Al, io ti capisco, ma solo se provi a spiegarmi cosa ti turba tanto.»
Fissò gli occhi azzurri della cugina. Rose non provava nemmeno in minima parte i suoi timori, era serena, dalle sue iridi proveniva un luccichio di eccitazione che l'avrebbe accompagnata fino al diploma, Albus ne era convinto. Nel rivolgersi alla cugina si placò, il tono era tornato calmo, la voglia di urlare era svanita.
«Siamo iscritti ad Hogwarts da quando siamo nati, Rose. Hanno aspettative alte su di noi. E se non riuscissimo a soddisfarle? La loro fama ci precede e non so se sia un bene. Ci credono già valorosi Grifondoro. E se non lo fossimo? Se il Cappello Parlante avesse altri progetti per noi?»
«James ha ragione, dovremmo essere orgogliosi di loro, non temere ciò che abbiamo ereditato. Nessuno pretende che dobbiamo essere come loro o addirittura migliori. Ma insomma, sarei ipocrita se non ti dicessi che mi piacerebbe seguire le orme di mamma o di papà. Forse ad Hogwarts sarebbe meglio prendere l'esempio di mamma, in effetti.»
Rose era ingenua, Albus non trovava i presupposti, le voci che negli anni scorsi lo avevano raggiunto attraverso i racconti del fratello maggiore facevano presagire un soggiorno diverso per loro ad Hogwarts. La cugina era un'idealista, la testimonianza di James portava una ventata di scetticismo.
«Siamo già tali e quali a loro, su questo posso rasserenarti. Jamie, come vieni trattato ad Hogwarts dai Serpeverde?»
La ragazza si intromise, ritenendo la domanda fuori tema e anacronistica. Tentò di liquidare la provocazione del cugino con ovvietà, eppure, dai meandri nascosti della mente, si rendeva conto che egli stesse muovendo accuse con prove alla mano.
«Al, Hogwarts è cambiata da quando veniva frequentata dai nostri genitori.»
La ignorò e incitò il fratello a fare altrettanto. James indugiò qualche istante prima di riferire alla cugina ciò che sapeva; non si trattava di notizie gradevoli e per chi le viveva ogni anno a scuola ferivano anche un po', era innegabile.
«Per loro sono il figlio di Potter e…»
«E?»
«…dicono che papà gode di ottima fortuna, secondo loro un Mezzosangue non avrebbe mai dovuto diventare il Capo dell’Ufficio Applicazione della Legge sulla Magia. Dicono anche che…»
Ora anche Rose iniziava ad essere curiosa e si voltò verso il cugino in impaziente attesa che proseguisse il racconto. Ruotò il busto nella direzione del maggiore accanto a lei, infondendogli qualche istante di soggezione per le insistenti attenzioni riposte su di lui.
«…che mio padre e tua madre hanno sporcato il sangue dei Weasley.»
«Vedi, Rose? Siamo già sulla bocca di tutti e questo mi mette a disagio.»
«Al, non è vero niente. Chi è ancora così stupido da credere nel ventunesimo secolo che i Mezzosangue siano esseri inferiori?! Ma soprattutto chi è così coraggioso da ritenere Harry Potter un mago inferiore ad altri dopo aver sconfitto un mago oscuro del calibro di Lord Voldemort?!»
Stavolta James si intromise tra i due; con quelle nuove argomentazioni, era sempre più convinto che il fratello avesse ragione. Albus lo stava aiutando a riflettere su una situazione che viveva personalmente da un paio d'anni e che forse, sfiorandola così da vicino, non gli aveva mai stimolato davvero il pensiero.
«Tecnicamente le cose stanno esattamente così, noi non saremmo dei Mezzosangue se mio padre e la zia Hermione non lo fossero.»
Rose lo fulminò all’istante. Poteva combattere con un cugino testone, ma con due le parve un po’ troppo; non era il risvolto che si sarebbe aspettata dalla loro conversazione e lei era ben lontana dal far cadere la discussione nell'oblio. 
«Jamie, non mi stai aiutando a tranquillizzare tuo fratello.»
«Rosie, non ho bisogno di essere tranquillizzato, non sono un bambino. Persino tuo padre ha detto di guardarti le spalle dai Malfoy.»
Rose sorrise per sdrammatizzare, lei non lo aveva affatto ascoltato e alla fine ci aveva pensato sua madre a zittirlo, sottolineando quanto fosse controproducente dare un simile consiglio alla figlia. 
«Papà scherza sempre.»
«Stavolta sembrava essere molto serio.»
Non sapeva più come rassicurarlo, quando lei desiderava solo riscoprire un po’ di ottimismo. In verità la goliardia di suo padre era sempre motivo di serenità, suo cugino però era riuscito a porla in discussione.
«Per favore, Albus, cerchiamo di iniziare bene l’anno e di ignorare gli altri. Ci sarà Neville ad insegnarci Erbologia e ho intenzione di non perdermi nemmeno una lezione.»
«Rosie, non ti saresti persa ugualmente alcuna lezione, con o senza il professor Paciock.»
James non tardò a provocarla con un sorriso sincero e spensierato, risvegliò così l’entusiasmo della cugina che sembrava essere messo a serio rischio. Rose colse l'attimo, la magia era sempre motivo di distrazione per lei.
«Esatto…A proposito, ragazzi, proviamo qualche incantesimo?»
«Oh no, miseriaccia, ci risiamo.»
Albus alzò infastidito gli occhi verso il soffitto, era convinto che in lei fosse scattata una molla difficile da disinnescare. Il ragazzo non poté fare più nulla per contrastarla, la magia la affascinava a tal punto da dimenticare la conversazione che i tre cugini stavano portando avanti.
«Al, siediti.»
Rose raddrizzò la schiena sul sedile, scandendo bene con la voce l'ordine rivolto al giovane. Non ammise repliche, si impossessò della bacchetta recuperandola dalla toga già indossata e si schiarì la voce, puntandola contro il cugino coetaneo. Quando padroneggiava con una tale risolutezza la magia, faceva seria concorrenza alla madre, nelle vesti del Ministro o in abiti civili.
«Ferma, Rose, pensavo stessi scherzando. N-non sei ancora autorizzata a fare magie fuori dal Castello.»
Albus alzò le mani in segno di resa, non temeva gli errori della cugina, si fidava delle sue doti, a spaventarlo fu l'uso che avrebbe fatto della bacchetta su di lui. Dalle iridi celesti di Rose non trapelò perfidia, esse si illuminarono di un sorriso.
«Preferisci i capelli verdi o le orecchie da asino?»
«Io sceglierei i capelli verdi, sono in tinta con gli occhi.»
James, che si stava palesemente divertendo, si prese gioco del fratello e Albus lo pregò con lo sguardo di non assecondare la follia di Rose.
«Coraggio, Al, arrivati al Castello spediamo un gufo a zia Ginny.»
«Rose, dacci un taglio, anzi piantatela tutti e due. Non sono dell’umore per scherzare.»
La ragazza ripose la bacchetta rassegnata all’ansia del cugino e pensò a come occupare il tempo durante il tragitto che li separava da Hogwarts. Cercò un argomento di conversazione, ma ne scelse, purtroppo per lei, uno sbagliato. Probabilmente in quel momento qualunque tematica non sarebbe riuscita a distendere la tensione.
«Mamma dice sempre che ad Hogwarts non succede mai qualcosa che il Ministero non sappia l’istante successivo.»
«Davvero? E allora per quale ragione insultano Potter e Weasley senza che qualcuno se ne accorga? Sai rispondere anche a questo quesito?»
La provocò con delusione. Si stava accanendo sui ruoli che i loro genitori ricoprivano. Avrebbe dovuto rassegnarsi al fatto che non fossero comuni impiegati del Ministero della Magia londinese e ciò metteva in discussione molto più delle loro funzioni e delle loro capacità dirigenziali.
«Albus, ora stai esagerando. Tuo fratello non intendeva nulla di simile.»
«Ah, no?»
Chiese d’impulso conferma a James, il quale però cercò di astenersi dal rispondere per non alimentare ulteriormente quella discussione.
«I nostri genitori non sanno nulla. James sta per iniziare il terzo anno e il Ministero è all’oscuro di tutto. Pare che la zia Hermione non stia facendo un grande lavoro e mio padre la segue…o forse sono semplicemente troppo impegnati per pensare ai loro figli.»
«Albus! Ma che ti prende?!»
«Dico la verità…dico solo la verità.»
Stavolta si alzò, deciso davvero ad andarsene; forse per fuggire, ma il treno rappresentava per lui una strada obbligata, una meta a cui era destinato dalla nascita. Sapeva di aver mosso accuse molto pesanti, ma erano partite dal cuore, dove da troppo tempo albergavano. Non si fermò nemmeno a notare la delusione che si era dipinta nelle iridi azzurre della cugina, aveva preferito non lasciarsi catturare dai rimorsi per quelle parole così pungenti.
«Non ha tutti i torti. Che io sia ad Hogwarts o a casa cambia poco, vedo ugualmente papà una volta alla settimana e gli zii una volta al mese, quando va bene.»
Rose mostrò il suo disappunto verso James in modo silenzioso e tentò di raggiungere Albus. Non appena uscita dallo scompartimento, trovò il cugino in compagnia di colui a cui il padre non aveva raccomandato altro di stare alla larga. Il modo trafelato con cui la ragazza involontariamente annunciò la sua presenza attirò l’attenzione di Scorpius su di sé.
«Ma bene…la vostra fama vi precede, sapete? Capelli rossi e una vecchia toga che ormai è un tantino fuori moda. Di chi era, del tuo trisavolo?»
Il giovane dovette resistere dal non scoppiare a ridere davanti all’espressione perplessa di Rose, la quale cercava di capire cosa avesse la sua uniforme di così strano; la sua perspicacia la aiutò a rendersi presto conto che non era lei ad essere sbagliata, era lui ad avere la lingua biforcuta e dispensava insulti in modo del tutto gratuito.
«Malfoy. Mi dispiace contraddirti, ma la mia uniforme è uscita da pochi giorni dal negozio di Madama McClan. Pare che tu non sia aggiornato sulla moda del momento, è molto strano. Puzzi di arroganza, lo sai?»
«Vuoi che ti dica di cosa puzzi tu, Weasley?”
«Granger-Weasley, prego. Sono la figlia del Ministro della Magia.»
Incrociò orgogliosa le braccia al petto, lei non gli avrebbe concesso di vincere quel battibecco per alcuna ragione. Iniziava a comprendere le raccomandazioni di suo padre nei confronti di quella gente, ma non si era lasciata trovare impreparata. 
Scorpius si rivolse ad Albus; non era impressionato dalla reazione di Rose, ne rimase alquanto indifferente. Piuttosto, era curioso di scoprire il nome del ragazzo accanto alla giovane Weasley e sperava che l’apparenza fosse differente dalla realtà.
«Notevole. A logica, deduco tu sia un Potter.»
«Sì, e quindi?»
«Un altro mezzosangue.»
«Mi dispiace che tu sia deluso, Malfoy. Ora, se vuoi scusarmi, avrei bisogno di un po’ di pace.»
Albus, fra i tre giovani, fu il meno coinvolto in quell’incontro, il suo unico desiderio era la solitudine; passò accanto a Scorpius senza degnarlo di alcun tipo di considerazione. L’unica ad interessarsi dell’umore del fratello fu Rose, la quale accantonò qualsiasi screzio creato con l’erede dei Malfoy per seguire il cugino, qualunque fosse la sua meta e qualsiasi intenzione avesse. Il loro legame non si sarebbe potuto spezzare per un assurdo motivo, in un giorno in cui la gioia avrebbe dovuto trionfare per entrambi; così si erano ripromessi fantasticando da bambini su quei momenti e invece qualcosa - a cui la giovane Weasley non riusciva ancora a dare un nome - stava incrinando i loro sogni.
«Al! Ti fermi un attimo, per favore?»
Lo raggiunse trafelata, lo afferrò per un braccio per invitarlo ad aspettare. Desiderava troncare una volta per tutte quell’assurda fuga e quell’altrettanto insensato litigio.
«Albus, ti prego, non iniziamo l’anno in questo modo. Affrontiamo qualsiasi difficoltà insieme.»
«Perché, Rose? Perché non possiamo passare inosservati come tutti gli altri studenti che si trovano su questo treno? Non potrebbe non importare a nessuno in quale Casa saremo Smistati o chi siano i nostri genitori? Ecco, vorrei davvero che non fossero loro la nostra famiglia o che almeno fossero diversi.»
La ragazza non seppe rispondere a quelle domande, anche se era consapevole fossero solo atte a sfogare un disagio e non necessitassero di una reale soluzione. Era certa fossero pensieri di un certo peso, sicuramente la sua famiglia non avrebbe apprezzato, non tanto per il poco valore che stava attribuendo all’affetto che i genitori provavano nei loro confronti, quanto piuttosto per le imprese affrontate e i successi ottenuti in passato, di cui andavano fieri.
La tensione tra i due cugini era salita troppo velocemente in poco tempo, Rose si prodigò a scioglierla. Nei giorni precedenti alla partenza avevano avuto diverse occasioni di parlare del loro viaggio, ma mai Albus aveva affrontato l’argomento; la ragazza provò qualche rimorso per non aver compreso prima i reali timori del giovane Potter, qualche segnale doveva esserci stato.
«Perché i nostri genitori non sono chiunque. Non possiamo fare finta di nulla, sono la nostra famiglia e ci vogliono molto bene.»
In cuor suo Albus sperava in una risposta diversa, anche se la ragione continuava a ripetergli quanto la cugina avesse ragione. Frugò nelle tasche dei pantaloni, rivelò le figurine dei maghi e delle streghe più famose di sempre. Qualsiasi giovane studente sarebbe stato orgoglioso della propria ragguardevole collezione, avrebbe approfittato del lungo viaggio in treno per confrontarla con i compagni e scambiare i doppioni, ma ad Albus non importava più, aveva perso interesse da tempo. Porse il piccolo tesoro a Rose, che indugiò qualche istante, ma alla fine non poté fare altro che assecondarlo.
«Tieni, non le voglio. Mi ricordano solo quanto siamo diversi dai nostri coetanei e quanto noi non potremo mai avere pace in quella Scuola.»
Albus lanciò uno sguardo allusivo in direzione dello scompartimento dentro cui era scomparso Malfoy, per lasciarle intendere che ciò che serbava nel cuore non era del tutto infondato.
 
 
Casa Granger/Weasley- 1 settembre 2017 ore 9:30 p.m.
 
Ron si accomodò sul proprio divano, intenzionato ad ignorare qualunque altro avvenimento che non riguardasse le ultime novità dal Mondo Magico. Afferrò soddisfatto la sua copia della Gazzetta del Profeta; aveva dedicato l’intera giornata alla famiglia per onorare la partenza della primogenita per Hogwarts, nessuno gli avrebbe riconosciuto il diritto alla pace che si stava arrogando e così decise di pretenderlo.
 «Che stanchezza!»
Sbuffò la pesantezza delle ore trascorse tra viaggi in auto per gli ultimi preparativi e la corsa a King’s Cross per evitare che il treno partisse senza una studentessa. Sbrigare quelle faccende accanto alla consorte non era stata affatto impresa facile: erano quelle le occasioni in cui le differenze tra i due emergevano di più e l’organizzazione non era mai stata fra le migliori virtù di Ron.
Si arrotolò le maniche della camicia per essere più comodo e si apprestò a sfogliare le pagine del quotidiano. Si era premurato di evitare qualsiasi notizia frivola, ossigeno per una giornalista come Rita Skeeter, e si risparmiò le novità dalla cronaca, a quell’ora della sera non aveva alcuna voglia di venire a conoscenza di avvenimenti poco gradevoli, alle tragedie avrebbe trovato modo e tempo di interessarsi. Giunse soddisfatto alla sezione dedicata al Quidditch per scoprire quali novità giungessero dagli spalti dei Cannoni di Chudley. Non gli fu offerta l’opportunità nemmeno di leggere la prima riga. La chiave fece scattare la serratura della porta principale; Ron immaginò di chi potesse trattarsi, avrebbe preferito qualche attimo in più di solitudine, ma non gli venne concesso.
«Stanchezza? Per quale ragione dovresti essere stanco? Oggi hai saltato il lavoro ai Tiri Vispi per accompagnare tua figlia in stazione.»
«L’automobile. Mi devasta.»
Hermione era tornata con il suo solito piglio polemico che non ispirò al marito alcuna amorevole accoglienza, anzi provò ad ignorare la sua comparsa improvvisa all’ingresso di casa sperando così di guadagnare qualche minuto per far scorrere gli occhi sulle pagine del giornale, almeno per aggiornarsi sulle notizie in evidenza.
La strega non era affatto soddisfatta delle poche attenzioni che lui le stava riservando, così non cessò di provocarlo, convinta avrebbe staccato lo sguardo dalla Gazzetta.
«Ma se in stazione stamattina non facevi altro che vantare le tue doti davanti ad Harry per l’ottimo parcheggio.»
«Non mi vantavo! E poi se ci sono riuscito è perché ho sudato sette camicie, considerando anche il fatto che tu non smettevi di distrarmi con appunti inutili: Attento al marciapiede, Ron oppure Guarda nello specchietto prima di fare retromarcia. Non vorrei sottolinearlo, ma mi costringi a farlo: tra me e te chi è che ha la patente di guida?»
«Purtroppo tu, ma tu per primo hai ammesso di aver Confuso l’esaminatore durante l’esame.»
«Vero, cara, ma … non eri tu quella che aveva assoluta fiducia in me?»
Hermione si era accomodata accanto a lui. Ron attese la risposta rivolgendole un sorriso scherzoso che riusciva a stento a reprimere. Lei fu molto più seria e sbrigativa nella risposta.
«Infatti ce l’ho.»
Era stanca, le giornate al Ministero della Magia non erano mai rilassanti, ma quella appena trascorsa le aveva quasi tolto il respiro. Aveva perso il conto delle volte in cui era salita sull’ascensore, non ricordava quanti piani avesse percorso e nemmeno quale fosse l’ultima persona con cui aveva parlato prima di rincasare, aveva incontrato così tante persone da confondere i loro volti. Tornare a casa e trovare un volto amico che era certa non le avrebbe chiesto alcunché di lavoro la rasserenava. Sciolse i capelli sudati sulle spalle e fece scivolare la giacca di tailleur lungo le braccia; compì pacata i movimenti, scrutò la stessa pagina che sembrava catturare l’attenzione del marito, ma siccome il Quidditch non si trovava fra le sue principali passioni la mente iniziò a viaggiare altrove, in particolare oltre le alte vette scozzesi.
«Se la caverà, vero, Ron?»
«Chi?»
Non era pronto ad accogliere le parole della moglie, una notizia aveva catturato la sua attenzione; era distratto, ma ad un riferimento più preciso si dedicò alla loro conversazione.
«Rose.»
«Per quale ragione non dovrebbe cavarsela?»
«Perché è un’esperienza nuova per lei. Voglio dire, potrebbe sentirsi disorientata.»
Ron notò i lineamenti tesi sul volto della consorte, era davvero in pensiero per la figlia. Non avevano ancora ricevuto sue notizie. Attribuì lo stato d’animo di Hermione in parte alla stanchezza dovuta al lavoro in ufficio. Quando il peso della giornata premeva sulla mente e sugli occhi era molto difficile strapparle un pensiero felice.
«Tu eri disorientata il primo giorno ad Hogwarts?»
«No, non credo di esserlo stata, ero molto emozionata, ero impaziente di iniziare le lezioni.»
«Allora non hai nulla da temere, nostra figlia è tale e quale a te.»
Le regalò un sorriso rassicurante ed una carezza, proprio dove le pieghe del viso erano più accentuate, il punto in cui il disagio era più manifesto. Ron tornò a concentrarsi sulla sua pagina lasciata a metà e sulla notizia che stava catturando sempre maggiore interesse. Era convinto di essere stato convincente, ma la fretta di concludere il discorso lo aveva reso ingenuo.
«E se invece incontrasse due amici squilibrati, com'è successo a me? Amici totalmente irrispettosi delle regole che possano farle correre qualche grave pericolo»
«Come, scusa??»
Ron non comprese subito qualche emozione fosse preponderante nel suo cuore: si sentì offeso per l’opinione poco lusinghiera della moglie, ma era anche parecchio confuso, lei non si era mai mostrata tanto apprensiva nei confronti dei figli, sapeva bene quanto Rose fosse una ragazza coscienziosa. La fissò stranito, richiuse il quotidiano con uno scatto, dimenticando persino la sua esistenza.
«Dicevo, se Rose incontrasse due amici squil…»
«Io ed Harry non siamo squilibrati e non lo siamo mai stati, eri tu ad essere troppo rispettosa delle regole. Se Harry lo fosse stato, puoi star certa che non si sarebbe nemmeno avvicinato a mia sorella e non credo che tu mi avresti sposato. O sbaglio?»
La voce squillante del secondogenito giunse dal piano superiore e impedì ad Hermione di rispondere al marito. Ron non fu affatto lieto dell’interruzione, Hugo pretendeva le attenzioni della madre e lo infastidì non poter più godere della compagnia della consorte; era tornata da pochi minuti, non lo ammise, ma gli era mancata e non solo a lui. Lanciò un'occhiata rassegnata alle scale, non avrebbe potuto competere con il figlioletto.
«Salvata da nostro figlio, ma prima o poi anche lui inizierà a frequentare Hogwarts e nessuno più ti salverà.»
Sorrise alla minaccia di Ron e gli porse un leggero bacio sulle labbra. Hermione non percorse molti passi, fu costretta a scendere dai primi gradini, perché un gufo aveva iniziato a sbattere con forza le sue ali contro i vetri della finestra. Il ministro anticipò il marito di qualche secondo, si fiondò a prendere la lettera che il rapace aveva portato con sé; era impaziente di conoscere l’identità del mittente, anche il suo cuore fremeva di leggere un solo nome. Da ore ormai i coniugi Weasley attendevano impazienti notizie della figlia, quest’ultima fu il primo pensiero che sfiorò la mente di entrambi.
L’impazienza di Ron era palpabile, tanto che Hermione poteva percepire il respiro affannato dell’uomo che sfiorava il suo collo, mentre cercava in tutti i modi di sbirciare le parole contenute nella missiva.
«Allora? È di Rose? Ti prego, Hermione, non farmi stare sulle spine!»
Era curioso e non riusciva ad attendere che la leggesse prima lei per poi informare anche lui; avrebbe volentieri strappato il foglio di pergamena dalle mani della moglie, anche a rischio di subìre una sua sfuriata.
«Cosa scrive? La mia bambina è una Grifondoro, vero? Non potrebbe essere altrimenti.»
Ron cercava di avanzare ipotesi in quell'attesa snervante e provava ad autoconvincersi che lo Smistamento di sua figlia potesse aver avuto solo quell'epilogo. Hermione terminò di leggere il primo paragrafo e gli sorrise orgogliosa, senza alzare gli occhi dalle righe d’inchiostro.
«Sì.»
«Non avevo alcun dubbio, la mia Rosie non ci delude mai. Cos’altro dice?»
Stava per ribattere a suo marito quanto non li avrebbe ugualmente delusi se fosse stata Smistata in un'altra casa, ma il prosieguo poco rincuorante della lettera la fece desistere dai rimproveri.
Ron intravide sullo sguardo basso della moglie il sorriso sereno spegnersi lentamente, ebbe subito una pessima impressione. 
«Tesoro, cosa c'è scritto? Brutte notizie?»
«Albus…è un Serpeverde.»
«Cosa?? Albus Severus Potter, mio nipote??»
Era incredulo, ebbe l'istinto di strapparle con la forza la pergamena dalle mani, nutriva ancora la speranza che fosse uno scherzo di cattivo gusto. Hermione bloccò la sua frenesia sul nascere, si allontanò da lui di qualche passo.
«Ma il problema non è questo, Ronald.»
«Ah no?? E cosa può accadere di altrettanto grave?»
Il ministro provò ad ignorare i commenti del tutto inopportuni del marito e proseguì con il riassunto del racconto della figlia.
«Dice anche che Albus non sta affrontando bene Hogwarts.»
«Non fatico a crederlo, è un Serpeverde! Non lo affronterei bene neppure io, sapendo di aver deluso la mia famiglia.»
Hermione non si limitò stavolta a fulminarlo, colpì la testa del consorte con il foglio impiegando tutta la forza che poteva, stando però ben attenta a non stropicciarlo.
«Considerati pure fuori dalla famiglia, se la pensi così.»
Riprese la lettura silenziosa, dopo le battute infelici del marito valutò la possibilità di tenere per sé quelle informazioni. Alla fine, decise di citare testualmente le parole della figlia, desiderava confrontarsi con qualcuno, sperava in qualche modo di aver frainteso il contenuto della missiva.
«Ha paura di non essere all'altezza del cognome che porta e…per quanto lo zio Harry abbia cercato di tranquillizzarlo, dicendogli che non sarebbe importato in quale Casa fosse stato Smistato, lui vorrebbe tanto non essere se stesso, vorrebbe indossare quei colori senza essere giudicato e lui è il primo giudice di se stesso. Odia persino quelle figurine dove siete raffigurati voi e lo zio. Odia qualsiasi cosa gli ricordi che proviene da una famiglia di eroi. Non riesco a fargli cambiare idea, non riesco a confortarlo. Oggi sul treno abbiamo avuto un piccolo diverbio con Scorpius Malfoy…»
Ron non la fece proseguire oltre, quel nome lo mise istintivamente in allarme.
«Guai a Draco, se non tiene a bada suo figlio.»
«Ron, calmati, non è successo qualcosa di irreparabile o qualcosa che non avremmo potuto prevedere. Piuttosto, mi preoccupa Albus e non credo, da come scrive Rose, che Harry ne sia già a conoscenza. Domani al Ministero provo a parlargli in privato, spero di trovare qualche minuto di quiete. Innanzitutto ritiriamo quelle assurde figurine, sinceramente non mi sono mai piaciute e se possiamo offrire un po' di sollievo a nostro nipote, ben venga.»
«Cosa?? Ma no, dai, non può questa soluzione risolvere il problema, sono delle innocue figurine dentro le Cioccorane. Il problema è chiaramente legato a qualcosa che va oltre delle semplici figurine dei maghi.»
Hermione alzò gli occhi pesanti verso il soffitto. Era sfinita, sconvolta dopo un'intensa giornata di lavoro, preoccupata per il malessere di Albus e non le rimaneva più nemmeno un alito di respiro per sopportare i capricci di un uomo di quasi quarant'anni che pestava i piedi per un'inezia simile. Cercò di mantenere la calma, giunto il tramonto non possedeva più le energie psicofisiche per ribattere; la pazienza era meno dispendiosa di forza vitale, dunque si limitò a rispondere comprensiva. 
«Ron, so perfettamente quanto ti piaccia essere lodato e venerato da ogni giovane mago come un eroe, ma ora cerca di non comportarti da ragazzino e di porre davanti ai tuoi desideri i bisogni di tuo nipote. Domani al Ministero penso anche a questa questione. Non voglio discuterne nuovamente con te, la decisione è già stata presa. Ora raggiungo tuo figlio, che a nove anni può vantare più maturità di te. Per esempio non ha iniziato a sbraitare, appena non mi ha vista salire nell'arco di cinque minuti.»
Ron incassò in silenzio la predica della moglie, si concentrò sulla pergamena che Hermione gli aveva posato sul petto passandogli accanto e la afferrò prima che cadesse sul pavimento. Rimasto solo, rilesse in silenzio ogni singola parola della figlia. Passato lo stupore iniziare, iniziò ad essere più consapevole dei sentimenti di Albus, si sentì vicino a lui, provò il desiderio di aiutarlo donargli serenità fra le mura del Castello. Sorrise quando giunse alle ultime righe; un post scriptum conclusivo rese chiaro il motivo per il quale Hermione gli avesse lasciato la lettera fra le mani, prima di raggiungere Hugo al piano superiore.
 
Mamma, so già che stai leggendo tu la lettera, quindi salutami papà. Riferiscigli che ho provato a chiedere al Cappello Parlante di essere Smistata in un'altra Casa, ma non mi ha voluta ascoltare. Sai, per caso, se papà gli ha promesso in cambio qualcosa? Perché in tal caso inizierei ad essere d'accordo con Albus, la vostra influenza su cose e persone mi spaventa.
Vi voglio bene,
Rose
 
Sorrise per l'evidente provocazione della figlia. Non si offese, anzi si accorse quanto quella missiva fosse troppo breve, sperava di ricevere più notizie da parte di Rose. Gli mancava già tanto, nei mesi futuri avrebbe sentito la profonda mancanza della totalità della sua persona, compresi gli aspetti del suo carattere meno gradevoli.
«Piccola insolente, sei tutta tua madre.»
 
 
Buongiorno, cari lettori e care lettrici!
 
Prima di concludere questa long, mi sto dedicando alla revisione, soprattutto dal punto di vista stilistico e lessicale. Questo è il principale motivo che mi sta costringendo ad impiegare anni per concluderla.
Concedetemi una piccola spiegazione per rendere più chiara la trama che svilupperò. Come già accennato nell’introduzione, la storia inizia esattamente come è finito il settimo libro della saga ed ogni riferimento, specie in questo capitolo, è stato recuperato dai 19 anni dopo. Per quanto riguarda invece il Trio, come avrete capito, Harry ed Hermione lavorano entrambi al Ministero della Magia in ruoli differenti, mentre Ron invece aiuta suo fratello al negozio Tiri Vispi Weasley. Compariranno altri personaggi come Neville e ovviamente Ginny, ma anche per loro resterò nell'ambito del canon: lui è professore di Erbologia ad Hogwarts, mentre Ginny è la Cercatrice delle Holyhead Harpies. Resto sul classico, aprendo però le porte ai cambiamenti, a partire dal fatto che almeno un paio di personaggi nel corso del tempo prenderanno strade differenti. 
Conflitti generazionali e tra famiglie saranno alla base della trama, ma non saranno gli unici temi trattati.

Ringrazio di cuore chiunque sia giunto fin qui. ♡
Un abbraccio 
Vale
 

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Capitolo 2
*** Come attirare l'attenzione ***


Come attirare l'attenzione

 


 

  Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts, Sotterranei; 2 settembre 2017 ore 8 a.m.

 
«Al, no!»
In vista delle prime lezioni dell’anno, Rose aveva cercato il cugino ovunque. Non si erano incrociati in Sala Grande, ciò la convinse che non avesse nemmeno trovato il tempo per una colazione veloce - e fu un vero peccato non approfittare delle tavolate imbandite che gli elfi avevano allestito per loro. Pareti e quadri del Castello scozzese non possedevano traccia di Albus, così scese sicura verso i sotterranei, varcò il passaggio segreto e raggiunse l’ingresso della Sala Comune dei Serpeverde, da cui sperò di vederlo uscire presto; ipotizzò si trovasse ancora in dormitorio a prepararsi oppure si fosse appisolato, non ancora abituato agli orari mattinieri della Scuola.
Ciò che la giovane Weasley non si sarebbe mai aspettata era di trovare il coetaneo impegnato in qualche missione segreta e poco onesta. La comparsa della ragazza fu profetica e tempestiva, riuscì a fermare la mano di Albus che stava alzando la bacchetta proprio davanti a sé.
«Lasciami, Rose! Voglio farla pagare a Malfoy! Così forse papà si degnerà di capire che esistono anche i suoi figli. Se al Ministero non sono in grado di fare un po’ di giustizia, ci penserò io.»
Alla ragazza era stato insegnato a non rispondere alle provocazioni senza la giusta riflessione; Hermione le ripeteva spesso di non prendere esempio dal padre, l’impulsività non era mai una buona consigliera. La razionalità di Rose non poteva giustificare i pensieri del cugino, la reazione spropositata di quest’ultimo era fuori dai canoni del buonsenso; la giovane iniziò quasi a credere che il Cappello Parlante fosse stato saggio nella sua scelta. In ansia, cercò di catturare lo sguardo di Albus nel suo per provare a dissuaderlo.
«Guarda che lo sa già. Così ti fai solo espellere e mi lasci in balìa sua. Se vuoi davvero dimostrare di essere diverso da Scorpius, ignoralo. E scrivi agli zii, per Godric, non c’è alcun bisogno di vergognarsi.»
«Se dovessero espellermi, ti sapresti difendere benissimo da sola, Rose. Dammi la soddisfazione di levargli quel sorrisetto ebete dalla faccia, ci guarda come se avessimo il vaiolo di drago. E poi cosa dovrei dire ai miei? Che sono un Serpeverde della stessa casa di quell’idiota di Scorpius?»
La sofferenza che suo cugino palesava negli occhi smorti era evidente e lei non sapeva come confortarlo. La ragazza aveva avvertito i genitori, aveva in un certo senso chiesto a loro di intervenire. Non aveva però ricevuto ancora alcuna notizia da parte di Ron e Hermione; si rifiutava di credere che l’avessero ignorata, Albus aveva torto, i loro genitori non li avevano dimenticati. Era trascorso un singolo giorno dalla loro partenza e anche dopo mesi di lontananza era difficile credere che avrebbero trascorso le giornate nell’indifferenza.
«Albus, non so più come spiegarti che i nostri genitori non ci ignorano e fanno di tutto per starci accanto. Sono certa che loro saprebbero tranquillizzarti, se fossero qui con noi. Ad esempio ho chiesto a papà di accompagnarmi ad una partita di Quidditch, tu sai quanto ci tengo, e mi ha promesso che lo farà. Questo non vuol dire dimenticare la propria figlia.»
«Persino lo zio, il meno impegnato di tutti, si fa gli affaracci suoi appena può.»
Non conosceva altre argomentazioni con cui convincere la cugina che la realtà era ben diversa da quella che credeva; la punzecchiò con naturalezza, non era sua intenzione ferirla, lo scopo era più innocente e onorevole. Da quando era salita sull'Espresso per Hogwarts non era mai rimasta così perplessa, le affermazioni di Albus non l'avevano ancora sorpresa così tanto. Lei si fidava del giovane Potter, la sua spontaneità non era maliziosa, le sue accuse dovevano essere fondate su indizi realistici; ebbe la triste impressione che le fosse sfuggito qualcosa e non era una sua consuetudine.
«Di cosa stai parlando?»
«Rose, non dirmi che non te ne sei accorta. Sai essere molto più perspicace di così.»
«D-di cosa mi sarei dovuta accorgere?»
«Non hai visto i biglietti del Quidditch? Alle partite assiste, ma senza di te.»
Il ragazzo le annunciò quella scomoda verità con una tale delusione nel timbro di voce da colpire dritta al petto anche la cugina. Rose si rifiutava di credergli, l’unica realtà era quella che riusciva a scorgere con i suoi sensi; lei non aveva trovato alcun indizio che potesse confermare quelle assurde illazioni, suo padre non le avrebbe mai mosso un torto simile, non avrebbe mai infranto una loro promessa in un modo così infimo. Mai.
«Non è vero, Albus, mi stai mentendo. Papà non lo farebbe mai, lui non racconta menzogne, in caso contrario mamma si sarebbe arrabbiata.»
«Eppure lo ha fatto più di una volta. Rose, non essere ingenua, è evidente che la zia non sappia nulla.»
In quel luogo rischiavano che le intenzioni di Albus venissero smascherate da qualche serpeverde impiccione. Per preservare il cugino dai guai, Rose lo invitò a nascondersi con una spinta leggera dietro la parete più vicina a loro. La giovane trasformò la sua voce in un sussurro, sia per mantenere riservatezza sia per i pensieri sul padre che frullando nella mente facevano più rumore di qualunque parola avesse potuto pronunciare. Rose poteva comprendere quanto non fosse semplice per Albus affrontare Hogwarts vinto da sentimenti così invalidanti, lei per prima aveva cercato di correre in suo soccorso, ma stava iniziando ad esagerare, provava un astio insensato.
«No, ti sei sbagliato. I biglietti sono per me e per lui, vorrà farmi una sorpresa.»
«Se ne sei convinta tu.»
«Certo che ne sono convinta!»
Sperava davvero di non commettere un errore di valutazione, ma ad ogni minuto trascorso nel dubbio era sempre più insicura. Cercò nei ricordi la minima prova che potesse scagionarlo dalle accuse di Albus, invece non avrebbe potuto scommettere su quei momenti in cui Ron non era in sua compagnia. Riemerse dai pensieri alla ricerca di prove che potessero rendere innocente suo padre, ma il cugino era concentrato su altro, la loro conversazione era scivolata in secondo piano. Il giovane Potter era uscito con uno scatto dalla scaffa e si era diretto a passo di carica verso il compagno serpeverde. 
«Malfoy.»
La reazione inaspettata di Albus confuse Scorpius; avvertì la punta di una bacchetta ignota nel mezzo del petto senza riuscire a comprendere cosa avesse scatenato una simile reazione. Il sangue freddo di Rose non bastò, lasciò che il panico la catturasse, convinta che suo cugino non si sarebbe fermato; provare a dissuaderlo fu un ultimo disperato tentativo di riportarlo nei confini imposti dalle regole della Scuola.
«Albus, non farlo, è disarmato. Ti prego, la McGranitt ti espellerà senza pensarci due volte.»
Il giovane Malfoy impiegò pochi secondi per capire la situazione; una volta compreso di poter volgerla a proprio vantaggio, lo divertì persino assistere ai contrasti tra i due cugini mezzosangue. Il ragazzo alzò le mani in segno di resa, solo per accentuare il fatto di essere la vittima e non certo il responsabile di un eventuale duello, in effetti lui non aveva nemmeno pensato di sfiorare l’impugnatura di un’arma.
«Prendi la bacchetta, Malfoy, non ho tutto il giorno e risolviamo subito la questione. Non voglio che ti trasformi in un ulteriore problema per me.»
«Non ho alcuna intenzione di difendermi, Potter. I duelli sono vietati ad Hogwarts. Dovresti saperlo, tuo padre non lavora al Ministero?»
«Non nominare mio padre!»
Rose si ritrovò, suo malgrado, complice di Scorpius, quando lo rimproverò con lo sguardo di scegliere argomentazioni migliori se desiderava quanto lei calmare Albus. Potter, per rispondere alle provocazioni del rivale, scelse di aumentare la pressione della punta della bacchetta contro il petto di Malfoy; lo provocò non per istigarlo, non era dotato di una tale malizia, il suo fu un evidente sfogo di frustrazione. La giovane Weasley era in preda alla disperazione, era convinta che in quel modo il cugino avrebbe solo dato un pretesto a quell’arrogante di cacciarlo nei guai.
«Al, non fare sciocchezze. Ma che ti prende?! Non conosci alcun incantesimo.»
«Posso lanciare uno Schiantesimo, me l'hai insegnato tu, Rose, ricordi?»
«Se avessi saputo come l’avresti usato, non te l’avrei mai insegnato.»
Pur catturato dalla rabbia cieca, il ragazzo aveva colto il tono deluso della cugina; non esitò a voltarsi verso di lei per giustificare il suo stato alterato.
«Rose, io non ho mai usato lo Stupeficium, non»
Albus non ebbe il tempo di terminare la frase, scintille rosse ebbero origine dalla sua bacchetta. Scorpius venne aggredito e scaraventato contro la parete più vicina tra l’incredulità generale, compreso l’artefice dello sventurato incantesimo. 
«Albus!»
«N-non credevo di riuscirci.»
«Se volevi attirare l’attenzione, pare tu ci sia riuscito.»

 
 

Casa Weasley/Potter; 2 settembre 2017 ore 8 a.m.

 

I passi celeri di Harry sulle scale non stupirono Ginny. Qualunque altra donna avrebbe avuto l’impressione che il marito fosse euforico per qualche ragione a lei ancora oscura; la signora Potter, invece, non ebbe dubbi sul fatto che lui stesse correndo come ogni mattina da vent’anni per raggiungere in orario il Ministero della Magia. Quando Harry si avvicinò alla moglie, Ginny sperò almeno che le avrebbe dedicato un bacio prima di iniziare una nuova caotica giornata e invece la deluse. Riuscì a infastidirla ancor più del previsto, quando, senza nemmeno averle rivolto un misero buongiorno, le strappò la caffettiera ancora vuota dalle mani per riporla nella credenza. Mosse un gesto sconsiderato nei confronti della consorte, tant’è che lei rimase incredula e irritata, a quel punto non poté proprio evitare di esternare il suo fastidio. 
«Harry, ti senti bene stamattina? Io avrei bisogno di almeno un paio di tazze di caffè per iniziare al meglio la giornata o hai per caso deciso di farmi addormentare sulla scopa? Per la cronaca, oggi avrei gli allenamenti con le Holyhead Harpies.»
La reazione concitata della moglie lo divertì, ma cercò di contenere la risata che stava scoppiando di cuore dal suo petto.
«Mi sembri sufficientemente nervosa e ti sconsiglio la caffeina stamattina.»
«Prima mi presenti il caffè babbano e poi me ne privi?? Che razza di uomo farebbe una cosa simile a sua moglie?!»
Incrociò le braccia al petto offesa, non stava affatto fingendo, lo era davvero. Dopo diversi anni di matrimonio Harry si preoccupò relativamente.
«Ginny, dai, non prendertela. Volevo proporti di fare colazione insieme al Paiolo Magico. Ho necessità di passare al Ghirigoro per lavoro, così ho pensato che tu e Lily avreste potuto accompagnarmi. Cosa ne pensi?»
La moglie lo fissò sorpresa; quella richiesta, per quanto fosse gradita, non la convinse del tutto ed Harry colse subito diffidenza da parte sua.
«Cosa c’è, tesoro? Voglio solo trascorrere un po’ di tempo con voi.»
«Tra un’ora devi essere al Ministero.»
«Lo so, è per questo che dobbiamo sbrigarci. Sveglio Lily, intanto preparati, sono sempre più veloce di te.»

 

◦•●◉✿✿◉●•◦

 

Impiegarono poco tempo a raggiungere Diagon Alley con la Metropolvere; da Harry e Ginny era considerato un mezzo di trasporto rapido e sicuro anche per la piccola di casa Potter, la quale si mostrò entusiasta all’idea del padre: era molto raro poter trascorrere qualche minuto con lui, così colse ben volentieri l’opportunità che le veniva offerta. La bambina non si staccò dai pantaloni di Harry nemmeno quando entrarono al Ghirigoro e Ginny attese entrambi oltre la porta in legno colorata; strinse la mano del padre e si allontanò di qualche metro all’interno del negozio solo per esaminare i gli scomparti con i nuovi arrivi: i libri attiravano l’attenzione di Lily da quando iniziò a leggere le sue prime frasi. Il Ghirigoro era rifornito di qualsiasi genere di volume: Incantesimi, Pozioni, Trasfigurazioni, ma la bambina non ricordava di aver mai notato quei titoli quando era entrata per acquistare insieme ai genitori i libri scolastici che sarebbero serviti ai fratelli maggiori. Era rimasta affascinata e incantata dalla copertina di un libro in particolare; non fece però in tempo ad allungarsi per appropriarsi di una copia e poterlo sfogliare carica di entusiasmo.
«Lily!»
Fra le mura di un negozio semivuoto, Lily avvertì chiara la voce di Harry e i suoi passi che si stavano avvicinando alle sue spalle. Harry aveva percepito la mano della figlia scivolare dalla sua sua; benché in quel periodo dell’anno appena dopo l’inizio delle lezioni ad Hogwarts Diagon Alley non fosse presa d’assalto dalla folla, si era subito allarmato per averla persa di vista.
«Tesoro, stammi vicino. Fra poco raggiungiamo la mamma.»
«Papà, posso prendere questo libro?»
La bambina afferrò il volume, accesa da vivo interesse. Harry la assecondò leggendo il titolo impresso a caratteri grandi e dorati sulla copertina rigida.
«Storia della Magia? A cosa ti serve quel libro? Non frequenterai Hogwarts prima di un paio d’anni.»
«Mi incuriosisce, mi porto un po’ avanti con lo studio. Posso?»
L’uomo mi mostrò diffidente, la giustificazione non era credibile, il tono gli fu piuttosto familiare, lo stesso che aveva imparato a riconoscere da più di vent’anni.
«Certo che puoi, ma tu trascorri troppo tempo con tua zia.»
«Con la zia Hermione? Papà, non la vedo mai, è sempre al Ministero. La vedi più tu di me.»
L’Auror invitò Lily a seguirlo; troncò la conversazione per ottimizzare i pochi minuti che avrebbe potuto trascorrere in compagnia della famiglia. Padre e figlia pagarono i loro acquisti e si diressero verso Ginny che, impaziente, si era spostata all’ingresso del Paiolo Magico. Harry si guadagnò uno sguardo di rimprovero da parte della moglie, riuscì a giustificarsi incolpando la pila di libri che reggeva tra le braccia; con fatica aprì la porta a Ginny e la invitò a precederlo. La signora Potter non gradiva la scarsità di tempo che Harry riusciva a dedicare ai suoi cari, si riduceva sempre ad una manciata di momenti consumati in fretta e furia. La bambina placò ogni eventuale polemica passata per la mente della donna, scelse un tavolo spazioso e anticipò i passi dei genitori; si accomodò entusiasta e aprì il suo ultimo acquisto sulla prima pagina. Lily sfogliò il libro con pacatezza, almeno fino a che l'attenzione non cadde sul cognome Potter; non riusciva a comprendere per quale ragione il suo nome fosse citato su un volume di Storia della Magia, poi le fu tutto più chiaro: proseguì la lettura e si accorse che quelle pagine non erano dedicate a lei o a qualche parente stretto, il tema era suo padre e le imprese che lo avevano accompagnato nel corso degli anni. Harry era seduto accanto alla figlia, quest'ultima iniziò a strattonarlo tirandolo per la manica della divisa, mentre lui era intento a sfogliare il catalogo delle torte.
«Papà.»
«Cosa c'è?»
«Qui parlano di te. C’è scritto: Harry James Potter, nato a Godric's Hollow il 31 luglio 1980, è un mago Mezzosangue che ha sconfitto il più malvagio Mago Oscuro di tutti i tempi, Lord Voldemort, il 2 maggio 1998. Lavora attualmente al Ministero della Magia londinese presso l'Uff …»
L'auror strappò con foga il libro dalle mani della bambina e lo richiuse accatastandolo in cima agli altri acquisti del Ghirigoro.
«Lily, non si leggono libri a tavola. Credo di dover fare un lungo discorso alla zia Hermione, prima che ti trasformi davvero in un topo da biblioteca. Piuttosto, qui ci sono un sacco di torte buonissime, scegline una, anche se io ti consiglio la torta di melassa, è la mia preferita.»
Harry sorrise alla figlia porgendole il menù dei dolci; nonostante il tripudio di pietanze squisite, la piccola pensava solo al volume che le era stato tolto bruscamente. Ginny assistette in silenzio allo scambio tra padre e figlia; era pronta ad intervenire per chiedere qualche informazione al marito circa il suo strano comportamento, ma qualcuno alle spalle dell'uomo attirò la sua attenzione. 
«Harry, dietro di te. Non girarti, però!»
Aveva fermato il consorte appena in tempo, la prima tentazione dell’uomo fu proprio quella di vedere con i suoi occhi ciò che lei aveva notato.
«Chi c’è? Ti prego, non dirmi Hermione, se mi trova al Paiolo invece che al Ministero posso considerarmi un Auror morto.»
«No, niente Ministro nei paraggi. Ci sono Draco e Astoria Malfoy, seduti ad un paio di tavoli più in là.»
La notizia non rasserenò l'uomo, anzi lo pose in uno stato di soggezione; il succo di zucca portato dal cameriere, essendo Harry un cliente abituale, addolcì i palati. Rimase la curiosità di sapere come la vita dei Malfoy scorresse; non avevano molte informazioni, li avevano intravisti a King's Cross il giorno precedente. Harry non si rivolgeva a Draco da quando aveva testimoniato in favore del Ministero ed era stato scagionato per i crimini commessi durante la Seconda Guerra Magica.
«Ci hanno visti?»
«Non credo, sono troppo concentrati…sulla loro discussione.»
«Stanno discutendo?? Chissà qual è l'argomento di discussione…ma da Draco mi aspetterei qualunque cosa.»
Ginny accennò un sorriso, interrotto dal movimento repentino dei Malfoy. Quando Astoria si alzò irritata dalla sedia, la signora Potter si premurò di alzare il menù dei dolci per nascondere lo sguardo impiccione puntato su di loro. Harry non riuscì a decifrare la reazione della consorte; la ignorò per accogliere con un cordiale sorriso il professor Paciock che si stava dirigendo verso loro.
«Neville!»
«Cosa fate qui?»
«Potremmo rivolgerti la stessa domanda. Le lezioni non sono iniziate ad Hogwarts?»
«Sì, ma sono fuggito per qualche ora. Ciao, piccola.»
L'amico porse una carezza tra i capelli rossi della bambina e si accomodò sulla sedia libera accanto a Ginny. Tentò di sminuire il suo comportamento, mostrando interesse per le ultime novità; diede per scontato fossero giunte anche a Londra.
«Allora. Quest'anno è stato strano lo Smistamento, non trovate?»
«Per quale ragione è stato strano?»
«Per tuo figlio, Ginny»
I coniugi si scambiarono un'occhiata perplessa; lei in particolare cercava nel marito risposte che però non possedeva. 
«Albus?»
«Ragazzi, non si vede tutti i giorni un Weasley-Potter diventare un Serpeverde, Converrete con me.»
Harry, che stava bevendo il succo di zucca per ricevere nel migliore dei modi la notizia, per poco non affogò. L’amico non si aspettava una simile reazione, non gli parve di aver detto qualcosa di sbagliato e tantomeno di avere comunicato una notizia inedita.
«Ma non lo sapevate?»
«No, Neville. Al non ci ha ancora avvisati.»
Ginny aveva notato la reazione del marito, fu però più brava a nascondere la sorpresa; tentò di placare la mortificazione del professore di Erbologia.
«Mi dispiace, non volevo anticiparlo.»
«Non c’è alcun problema, tanto prima o poi lo avremmo scoperto.»
«Ci vediamo, allora. Torno ad Hogwarts, prima che la McGranitt mi riprenda con un richiamo disciplinare»
Neville si congedò con un sorriso, come se non avesse seminato tempesta al suo passaggio. L'entusiasmo di Lily ruppe il muro di silenzio che era sceso sul tavolo della famiglia Potter.
«Forte, papà. Albus è un Serpeverde!»
«Sì, tesoro, forte.»
Ginny colse la preoccupazione del marito, ma lui non alzò lo sguardo finché non si sentì osservato; comprese non fosse arrabbiato, solo in pensiero, tanto quanto lei, per i sentimenti del figlio. Gli occhi di Harry si abbassarono sull'orologio da polso, una via di uscita dignitosa per riordinare i pensieri.
«Devo andare, altrimenti Hermione mi invia sul serio una Strillettera.»
L'Auror dissimulò le emozioni, non voleva trasmettere alla moglie l'impressione sbagliata; recuperò dalle tasche dei pantaloni una manciata di galeoni che pose sul tavola.
«Harry, non è necessario.»
«Vi ho invitate io, ordinate quello che volete. Io purtroppo non posso fermarmi oltre. Ci vediamo stasera.»
Lasciò un tenero bacio tra i capelli a Lily e si rivolse alla consorte.
«Ciao, amore.»
 

 

Ministero della Magia londinese, primo piano; 2 settembre 2017 ore 9:13 a.m.

 

Harry attese con impazienza che le porte dell’ascensore si aprissero per raggiungere il suo ufficio. Lo chiamò più volte con impazienza; l'ultima notizia ricevuta non lo aveva posto in uno stato di grazia, ma si impose di concentrarsi sul lavoro. L'Auror si rivolse a tutti e quattro i fondatori di Hogwarts, affinché riuscisse a percorrere il tragitto verso la sua scrivania senza incrociare i passi del capo. Tentava in preda alla disperazione di nascondersi da occhi indiscreti e celare il suo ritardo nel vano dell'ascensore. Il tempo si arrestò, quando la cancellata si spalancò e i suoi desideri vennero disattesi. Hermione era nei paraggi, proprio davanti a lui; il cuore di Harry ebbe un sussulto. 
«M-Ministro. Buongiorno.»
«Buongiorno a lei, signor Potter. Sale?»
Harry non osò contraddirla, così si convinse a muovere qualche incerto e coraggioso passo nel vano dell’ascensore. Il tono formale della cognata non ammetta alcuna contraddizione e emanava aria di rimprovero. 
«Tu non scendi?»
«Risalgo, i miei impegni possono attendere qualche minuto. Grazie per l’interessamento.»
Il tentativo di dialogo da parte del mago fu mirato a placare l'ira nascente dell'amica; la sentiva aleggiare sopra di lui come una spada di Damocle. Hermione aveva evitato di incrociare il suo sguardo, aveva atteso che prendesse posto accanto a lei.
«Scusami, sono in ritardo. Ero a Diagon Alley con Ginny e Lily, il tempo mi è sfuggito di mano. Non ricapiterà più, te lo prometto.»
La strega selezionò il piano con un colpo di bacchetta; non appena le porte si richiusero, si voltò verso suo cognato con un sorriso che rasentava il divertimento.
«Di certo non ti rimprovero per aver passato un po’ di tempo con tua moglie e tua figlia, Harry, ma converrai con me che non posso mostrarmi così comprensiva davanti a tutti solo perché siamo parenti. Ho una reputazione da difendere.»
«Certamente, Ministro.»
L'Auror ricambiò con sollievo il sorriso dell'amica; nel suo cuore, però, era una mattinata carica di tensione, le parole di Neville ritornarono con prepotenza nella mente, offuscando quei secondi di spensieratezza. Si era precipitato fuori dal Paiolo Magico per raggiungere il posto di lavoro, non aveva avuto il tempo materiale per confrontarsi con sua moglie ed esternare a lei tutte le emozioni che quella notizia gli aveva provocato. A pochi passi da lui, però, c'era la migliore confidente che potesse desiderare e ne approfittò senza pensarci troppo. Hermione non perse il portamento formale che esibiva fra le mura del Ministero, guardava il cognato con la coda dell’occhio; ciò non infuse alcuna soggezione ad Harry.
«Hermione, tu sapevi che Albus è diventato un Serpeverde?»
La strega percepì ansia nella voce dell'amico. Trovò inappropriato affrontare in breve tempo una situazione delicata, stavano per raggiungere la destinazione, il secondo piano non era distante; fuori dal luogo appartato dell'ascensore chiunque poteva avere l'udito abbastanza fine e l'interesse di cogliere qualche parola sulla loro vita privata. 
«Alla fine Albus vi ha scritto.»
«Scritto? Non credo che a mio figlio venga in mente di spedire un gufo a Londra per informare anche me circa l'esito dello Smistamento, certo non dopo che il suo peggiore incubo si è realizzato. In fondo posso capirlo. Quindi lo sapevi e non ti è passato per la mente di dirmi qualcosa? Ho dovuto incontrare per caso Neville al Paiolo Magico, ma credo che la notizia sia già fresca di stampa sulla Gazzetta del Profeta, vero?»
I segreti che si stavano scambiando erano ancora protetti dal vano dell'ascensore, erano soli. Hermione era tesa, come se, una volta usciti, gli sguardi di chiunque si posassero su di loro diventando nemici. Non seppe come ribattere alla frustrazione di Harry, non si aspettava una reazione simile da parte sua. L'Auror aveva consegnato all'amica i suoi timori in un unico fiato, era chiaro non avesse ancora avuto modo di esprimere a voce le emozioni causa di un certo malessere. Hermione ignorò le provocazioni, rispose con animo comprensivo e pacato. Non voleva rimandare la conversazione, chiarire le perplessità del cognato era fra le sue priorità, ma in quel frangente era stata presa in contropiede. Avrebbe desiderato informare il cognato con tatto, ma il professore aveva preceduto e sfumato ogni buon proposito di addolcire quell'amara pillola.
«Harry, lo Smistamento è avvenuto solo ieri e Rose ci ha inviato un gufo non prima di sera.»
«E tu e Ron non mi avvertite??»
«Era tardi, come facevo ad avvisarti? Con un gufo a quell’ora ti avrei solo spaventato. Harry, stai reagendo male e questo clamore a causa di uno Smistamento non ti appartiene. Prova a calmarti, non è grave come può sembrare a te.»
Non era affatto facile riuscire a contrastare con tranquillità l’ansia di un genitore in piena crisi di nervi. L'Auror prese un profondo respiro, si era accorto troppo tardi di aver sbagliato ad inveire contro di lei. Voleva rimediare, ma le porte dell’ascensore  si aprirono al secondo piano; un segno che lo invitava ad interrompere la discussione,  era troppo alterato. Harry uscì dal vano mortificato; si avviò in silenzio verso il suo ufficio con evidenti segni di imbarazzo sul viso. Hermione lo rincorse, non voleva che affrontasse in solitudine un evento che percepiva al pari di una delusione; soprattutto desiderava ricordargli quanto potesse sfogarsi senza che lei si ponesse alcun problema. Il senso di vergogna che lo aveva pervaso non poteva riguardare le sorti del figlio. Il Ministro tagliò la via dell'amico per costringerlo a fermarsi; puntò le iridi dritte nelle sue. Lei non ebbe alcuna premura, ma lui si costrinse a sussurrare; non desiderava far circolare la scomoda notizia se vi era ancora una piccola speranza che qualcuno al Ministero non ne fosse a conoscenza, aveva testato sulla propria pelle quanto potessero essere malvagie le dicerie e proteggere Albus era fra le sue priorità. 
«Hermione, non sto reagendo male perché è un Serpeverde, qualsiasi Casa a me sarebbe andata più che bene. Sono solo preoccupato per lui, ci teneva ed io da qui posso fare ben poco per rincuorarlo.»
Ricordava i timori di suo figlio. Gli rimbombarono ancora nella mente le ultime parole che aveva scambiato con Albus prima che l’Hogwarts Espress partisse e che stesse male già in quell’occasione era purtroppo un dato di fatto. Non riusciva ad immaginare cosa potesse provare in quelle ore, lontano dal conforto della sua famiglia e probabilmente con la tipica ansia di un preadolescente in piena crisi identitaria, che con gli ultimi eventi poteva solo essere più drammatica.
«Al non sta bene, ma credo che la causa siamo anche noi. La reputazione della sua famiglia lo sta destabilizzando. Sente il costante peso del cognome che porta, ma io sono sicura che mia figlia non lo abbandonerà. Rose troverà il modo di risollevare il suo morale e di fargli capire quanto non debba sentirsi a disagio. Harry, hai fatto tutto il possibile per donare a quei ragazzi una vita serena, non hai nulla da rimproverarti. Ho provveduto a rimuovere le nostre figurine dalle Cioccorane, ma di più non posso fare, neppure io sono ad Hogwarts con lui.»
Sapeva che parlare con lei avrebbe risollevato in parte il suo umore. Il senso di colpa, come lei aveva abilmente colto, non aveva tardato a bussare al suo cuore. Non era la prima volta che sorgevano i dubbi di aver preso le scelte sbagliate, ma se quelle decisioni stavano iniziando a far soffrire la sua famiglia, il bene più prezioso che  avesse, si trasformavano in un peso difficile da sopportare. Se solo Albus non fosse stato suo figlio, a quell’ora non si sarebbe posto alcun problema sulla sua Casa di appartenenza e invece quel ragazzo era convinto che un discendente del Capo dell’Ufficio Applicazione della Legge sulla Magia non potesse permettersi di uscire dai binari già prestabiliti. Per quanto poi loro si fossero sforzati di cambiare molto nella mentalità delle famiglie più estremiste, c’era ancora qualcuno convinto che Mezzosangue e Purosangue non potessero stringere qualunque tipo di amicizia, anzi non avessero qualcosa di buono da spartire. Quell’anno anche il figlio di Draco Malfoy aveva iniziato a frequentare Hogwarts e lui sperava con tutto il cuore di non dover rivivere un astio che non avrebbe portato alcun beneficio, anzi avrebbe reso più complessa la situazione.
«Hai fatto tantissimo, Hermione, ti ringrazio. Ron non deve aver preso bene lo Smistamento di suo nipote.»
«Conosci Ron. È ottuso, ma non cattivo, se ne farà una ragione. E se non se la farà, saprò come fargli cambiare idea.»
Harry ricambiò il cordiale sorriso dell’amica, anche se era ben lontano da provare serenità.
«Cosa dovrei fare, secondo te? Hermione, tu hai sempre una soluzione per tutto. Non so come aiutarlo e neppure Ginny mi ha dato l'impressione di saperlo, è evidente non si voglia confidare con noi.»
Stava riponendo in lei troppa fiducia, aveva già fatto ciò che era in suo potere; per prima sentiva di essere responsabile per il ruolo che ricopriva e che influiva anche sulla sua famiglia.
«Harry, io»
Attendeva impaziente che sua cognata gli offrisse un consiglio spendibile, ma si trovavano al Ministero e qualcuno la richiamò presto a doveri ai quali non poteva tirarsi indietro.
«Ministro, mi dispiace disturbarla. Fra qualche minuto inizierà l’udienza e il Sottosegretario chiede di lei.»
«Arrivo subito, digli di attendere un paio di minuti.»
Si voltò mortificata verso l’amico e cercò di scusarsi. Avrebbero avuto il tempo per riflettere con più calma sulla questione.
«Hermione, vai tranquilla, non fare aspettare il Sottosegretario. Hai del lavoro importante da sbrigare e lo capisco»
Le sorrise per sollevarla di un peso, di cui, senza accorgersene, l'aveva gravata. Superò la strega per dirigersi verso il suo ufficio e liberarla dall’onere di dover scegliere tra la famiglia e gli impegni da svolgere per conto del mondo magico. La salutò sfiorandole il braccio lungo il suo passaggio, in segno di confidenza. A Hermione non rimase che raggiungere pensierosa l’Aula del Ministero.

 


Buongiorno, cari lettori e care lettrici!

Per la stesura di questo capitolo mi sono lasciata guidare dall’idea che mi sono fatta di Albus: è un undicenne, inesperto di magia. I timori, però, che nutre nei riguardi della sua famiglia non sono del tutto infondati (Harry e Hermione sono i primi ad ammetterli) e ho l’impressione che questa eredità non sia scritta solo sui libri di storia della magia, ma sia intrinseca dei geni della famiglia Potter; da qui derivano le abilità di Albus che rischiano di metterlo nei guai già dopo poche ore ad Hogwarts.
Ho immaginato che, nel complesso, questa storia potesse rientrare nella casistica della commedia, anche se le tematiche che prevedono più riflessività non mancheranno, motivo per il quale ho preferito aggiungere nelle caratteristiche la dicitura “tematiche delicate”.

Ringrazio di cuore i vecchi lettori che non hanno mai smesso di credere che sarei tornata a dedicarmi a questa storia. Ringrazio di cuore i nuovi lettori che hanno iniziato a seguire questa versione revisionata. ♡
Un abbraccio
Vale

 

 

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Capitolo 3
*** Una reputazione scomoda ***


Una reputazione scomoda

 



[2 settembre 2017 ore 11 a.m – Villa Malfoy]

 
Astoria aprì la porta della Villa e dalla rabbia con una spinta stava rischiando di richiuderla dritta in faccia a Draco. Lui riuscì ad intercettarla in tempo, prima di rimanere chiuso fuori casa. Anche quando il grande portone si richiuse, la luce del tiepido solo di settembre non smise di filtrare attraverso le imponenti imposte. Erano cambiate molte cose, da quando Astoria Greengrass aveva messo piede tra quelle antiche mura. L’atmosfera che si respirava era forse tra le novità più rilevanti, la signora Malfoy non aveva indugiato a portare una ventata di aria fresca. Quella mattina però il delicatissimo profumo di camelia non sembrava sortire l’effetto sperato tra i due coniugi, in quel momento quei fiori con il loro candido colore riuscirono solo ad illuminare l’immenso salone. Il padrone di casa ebbe la malsana idea di fiatare, perché si guadagnò soltanto uno sguardo minaccioso da parte della moglie, la quale si voltò con uno scatto verso di lui, bloccandogli il cammino.
 
“Astoria”
 
“No, Draco, non hai ragione”
 
“E cosa avrei dovuto fare, secondo te??”
 
Gli venne spontaneo alzare di qualche decibel il tono della voce, gesto che non fu affatto gradito da lei. Attese una risposta da Astoria – anche se la domanda era evidentemente retorica -, appoggiandosi sfinito al grande tavolo proprio al centro della stanza, un tocco di stile voluto da sua moglie per impreziosire l’arredamento. Quella discussione, che era iniziata ventiquattro ore prima, cominciava a non reggerla più, sua moglie invece sembrava avere sufficiente energia ancora per rimproverarlo. A dividerli c’era pericolosamente solo quel tavolo.
 
“Non quello che hai fatto, ovviamente!”
 
Probabilmente non sarebbe mai riuscito a farle cambiare idea, era impossibile che lei riuscisse a provare i suoi stessi sentimenti. Per quanto sua moglie fosse sensibile e comprensiva riguardo al suo passato, chiederle anche di immedesimarsi in lui sarebbe stato esagerato.
 
“Intendi che non avrei dovuto dire a mio figlio di guardarsi bene dal parlare con i Potter o con i Weasley?”
 
“Per esempio. Draco, non capisco quale sia il problema”
 
“Non consentirò a Scorpius di umiliarsi così, Astoria, scordatelo”
 
Lo fissò confusa, ma non mancò certo anche tanto sarcasmo nel suo sguardo.
 
“Umiliarsi? Ma di cosa stai parlando?”
 
“Senti, ho un evidente debito con quella famiglia. Ti posso ricordare che senza la loro clemenza sarei rinchiuso in una cella di Azkaban da parecchi anni ormai?”
 
“E quindi? Draco, non vedo il problema che per te sembra essere così rilevante. Se oggi non sei ad Azkaban non è certo solo per merito loro. Ti hanno concesso una seconda possibilità, perché tu hai saputo coglierla”
 
“Forse tu non ci vedi nulla di male, ma non voglio che gli siano amici per pietà, solo perché è mio figlio e vogliono evitare che si senta un fallito come suo padre. Sono degli impiccioni, farebbero qualsiasi cosa pur di fare giustizia
 
Non fu facile per Astoria ascoltarlo, mentre si dava del fallito davanti a lei. Si allontanò mordendosi la lingua, ma per quanto stesse cercando di controllarsi per non urlargli in faccia quanto fosse stupido avere un giudizio simile di se stesso, si voltò nuovamente e stavolta il suo tono fu decisamente nervoso.
 
“Stai totalmente delirando, Draco! E quindi preferisci che si tenga alla larga da loro, trasmettendogli il messaggio che siano pessime persone?!”
 
“Io non gli ho mai detto che sono pessime persone”
 
Rispose in modo sarcastico alla confusione del marito, lui non ricordava di aver usato simili parole davanti a Scorpius.
 
“E tu cosa pensi abbia capito? Draco, se è orgoglioso come te, preferirà trattarli male, piuttosto che essere gentile e nostro figlio non è un cattivo ragazzo, tu lo sai”
 
“Nostro figlio è anche abbastanza intelligente da capire e da comportarsi di conseguenza”
 
“Non può capire senza che tu glielo spieghi e poi è normale si fidi di te a prescindere da tutto. Sei suo padre, quindi inizia a comportarti come tale e cerca di essere esplicito con lui”
 
Un battito d’ali contro il grande finestrone gli impedì di rispondere alla moglie e Draco ringraziò per quell’interruzione. Iniziava a credere di aver sbagliato e non era facile ammetterlo davanti ad Astoria. Fu il più vicino a quel gufo e rapidamente andò ad accoglierlo. Poteva percepire lo sguardo preoccupato della donna su di sé, ma nulla batteva il suo non appena si ebbe posato sul sigillo di Hogwarts. Aprì quella busta velocemente, non gli importò nemmeno di strapparla, ma terminato di leggere, la sua espressione, dopo quella discussione con la moglie, si indurì ancora. Non si prese il disturbo di informare anche lei, si limitò semplicemente a lanciare irritato quella missiva sul tavolo.
 
“Cosa dicevi a proposito del fatto che avessi sbagliato con Scorpius, Astoria? Pare che il mio debito sia appena stato saldato. Mi ero sbagliato su di loro, su questo ti do ragione”
 
Lei afferrò la pergamena confusa e la lesse rapidamente, mentre il marito si decise finalmente a metterla al corrente delle ultime novità.
 
“La McGranitt ci chiede un colloquio urgente. È passato un solo giorno dalla partenza di Scorpius ed è già nei guai. Secondo te perché?”
 
“Forse perché gli hai detto di comportarsi come non doveva?”
 
“Se li avesse ignorati, non avrei ricevuto alcuna convocazione dalla preside. È chiaro che il problema non sia di mio figlio”
 
“Hai ragione, il problema sei tu”
 
Lo prese totalmente in contropiede, tanto che preferì imboccare nuovamente la porta, pur di non rimanere ad ascoltare le sue assurde accuse.
 
“Draco, aspetta, non …”
 
Astoria si pentì l’istante successivo di avergli rivolto quelle parole, ma quando tentò di recuperare, lui si era già Smaterializzato altrove.

 
 

[2 settembre 2017 ore 8 p.m – Casa Weasley/Potter]

 
Harry tornò a casa stanco dal Ministero e come ogni giorno non vedeva l’ora che arrivasse quel tanto desiderato momento di pace. Da quando era diventato capo dell’Ufficio Applicazione della Legge sulla Magia non aveva più un secondo di respiro. Si era pentito più volte di aver accettato quell’enorme responsabilità, lui non era decisamente la persona più adatta per aspirare ad un ruolo di così alto rilievo, eppure come sempre si era trovato coinvolto senza che avesse potuto impedirlo.
 
“Ginny! Lily!”
 
Chiamò sua moglie e sua figlia, sperando di udire qualche rassicurante voce dopo il caos del Ministero, invece non ricevette alcuna risposta. Iniziò a pensare che non fossero in casa, ma lui non ricordava avessero qualche impegno o perlomeno non lo avevano informato. Approfittò della solitudine e del silenzio per farsi guidare dall’invitante profumo dei caldi biscotti che proveniva dalla cucina. Quando entrò nella stanza e accese la luce, l’acquolina in bocca non gli permise di resistere a lungo e si avventò su quel vassoio di dolci. Dal sapore riconobbe subito l’impeccabile mano di cuoca provetta della suocera, ma non lo avrebbe mai ammesso davanti a sua moglie, altrimenti quasi sicuramente si sarebbe offesa per la poca fiducia che riponeva nelle sue doti culinarie. Con il suo biscotto tra le mani, venne sorpreso da un familiare rumore contro i vetri delle finestre. Alzò gli occhi al cielo sfinito, sembrava che l’ora del riposo non fosse ancora giunta e le sue responsabilità al Ministero non volessero concedergli nemmeno un istante di respiro. Afferrò rassegnato la lettera, ma si sorprese nel vedere il sigillo di Hogwarts e non quello del Ministero. Aprì confuso quel foglio e ne lesse il contenuto. Per un istante lo aveva temuto, la McGranitt aveva richiesto la presenza dei genitori di Albus per un colloquio.

         


[3 settembre 2017 ore 9 a.m – Tiri Vispi Weasley]

 
Hermione passò ai Tiri Vispi, prima di iniziare una nuova giornata di lavoro, che, come sempre prevedeva, sarebbe stata lunga e complessa. Appena mise piede dentro il negozio, subito una ventata di allegria la invase. Ogni volta che entrava tra quelle quattro mura, anche se ormai non accadeva da tempo, capiva la grande dedizione di suo marito per quel lavoro. Per Ron non era un semplice impiego, per lui era una passione che svolgeva con devozione. Iniziava a chiedersi per quale ragione si trovasse lì, con quei presupposti non le sarebbe dovuto venire nemmeno per l’anticamera del cervello il più piccolo dubbio a riguardo. Stava cambiando idea, non avrebbe dovuto avere alcuna indecisione sulla felicità di suo marito. I suoi pensieri non le diedero nemmeno il tempo di entrare e richiudere la porta alle spalle, perché ormai aveva già deciso di andarsene. Si stava voltando per avviarsi verso il Ministero, ma George non le consentì di ritornare sui suoi passi.
 
“Ehi! Quale onore porta la mia cognata preferita da queste parti?”
 
L’uomo la accolse con un cordiale sorriso ed Hermione capì subito che lui non doveva essersi accorto del suo indugio. Lo interpretò come un segno, chiuse la porta e ricambiò serena quel saluto.
 
“Ciao, George. Come va?”
 
“Non c’è male. Avevi bisogno di qualcosa? Forse un filtro d’amore?”
 
Hermione rimase confusa a quella richiesta, ma dal soggetto in questione si sarebbe dovuta aspettare qualunque cosa.
 
“Un filtro d’amore? Cosa me ne faccio, se sono sposata?”
 
“Ho sperato volessi liberarti di mio fratello”
 
La donna ricambiò divertita il sorriso del cognato, con un leggero rossore sul volto. Aveva proprio bisogno di qualche battuta per distendere la tensione e affrontare al meglio quella conversazione con il marito.
 
“Veramente cercavo proprio lui”
 
“Immaginavo, visto che non ti vedo quasi mai da queste parti. È sul retro”
 
Fece finta di essere rimasto deluso, Hermione se ne accorse e tornò di rimediare alle sue mancanze.
 
“Grazie. Prima di correre al Ministero, do un’occhiata in giro”
 
Attraversò velocemente e un po’ nervosa la porticina che conduceva al magazzino. Era raro che si sentisse così agitata, erano state sicuramente le circostanze a provocare in lei quello stato d’animo, era dalla notte appena trascorsa che i pensieri la tormentavano. Entrò, ma non lo vide subito. Fece vagare lo sguardo ovunque, continuando a non scorgerlo.

“Ron? Ci sei?”
 
La scala appena dietro la porta la prese totalmente alla sprovvista, facendola sussultare. Il marito invece la accolse con un sorriso preoccupato.
 
“Ehi. E tu che ci fai qui? Non dovresti essere al lavoro?”
 
“Ci stavo andando. Sono passata un momento dentro, perché avevo bisogno di parlarti. Stamattina sei scappato via e non ne ho avuto modo”
 
“Ti ascolto, dimmi”
 
Proseguì nel suo lavoro, probabilmente era stata talmente brava da non fargli percepire la sua agitazione. Non desiderava che si allarmasse, infondo non c’era alcuna emergenza, aveva solo colto una breve occasione tra i suoi mille impegni. Forse però aveva avuto una pessima idea a raggiungerlo in negozio, non era facile parlare così, avrebbe senza dubbio preferito potersi ritagliare qualche minuto di serenità. L’argomento, se pur non drammatico, era comunque delicato e lui non la stava nemmeno guardando negli occhi. Si sedette accanto ad un tavolo pieno di ogni genere di articoli, per provare almeno a riscoprire un po’ di pace interiore, e cercò le parole migliori.
 
“Ecco … in questi giorni le difficoltà di Albus mi hanno fatta riflettere. Stanotte non sono riuscita a riposare un granché, ho cercato un modo per aiutare Harry, ma mi sono ritrovata a pensare a me e … Ron, se non fossi stata abbastanza presente per i nostri figli? Vedo Harry in difficoltà, si rimprovera di aver trascurato Albus, di non essere riuscito a cogliere prima il suo disagio. Se avessi commesso lo stesso errore con Hugo e Rose?”
 
Ron, nonostante le circostanze, l’aveva ascoltata attentamente e si voltò confuso verso di lei. Non sapeva chiaramente cosa risponderle. La moglie colse la sua difficoltà, lo giustificò e lo comprese, così proseguì. Lo sorprese nuovamente, c’era dell’altro?
 
“E poi mi sento in colpa anche verso di te, ma questo lo sento da tempo”
 
“V-verso me? Per quale ragione?”
 
“Ti sei preso cura di loro tutte le innumerevoli volte che io non c’ero ed anche ora continui a farlo, sacrificandoti. Hai sacrificato i tuoi sogni, i tuoi desideri, per consentire a me di perseguire i miei”
 
Lo imbarazzò quel commento e non riuscì nemmeno a comprendere per quale ragione all’improvviso gli stesse facendo quel discorso.
 
"Abbiamo solo preso strade differenti, Hermione, in questo non c’è niente di male"
 
“Già. Credo però sia ora che inizi a pensare anche a te”
 
Non era più in grado di seguirla, non capiva come fossero passati da Albus a parlare di lui. Scese dalla scala e vi si appoggiò curioso in attesa che lei proseguisse.
 
“In che senso dovrei pensare a me?”
 
“Ron, tu sognavi di diventare un Auror, sognavi di poter viaggiare fino in Romania da tuo fratello Charlie e invece ti sei chiuso qui dentro. So che ti piace questo lavoro, lo dimostri tutti i giorni ed io non ho alcun dubbio riguardo a questo, ma … tu hai messo da parte le tue aspirazioni per la famiglia, ti sei sacrificato per anni e questo non è giusto”
 
Non la voleva nemmeno ascoltare e ricominciò a riordinare scocciato. Capì subito la reazione del marito, ma lei non si arrese a quella prima sconfitta. Era convinta che quella fosse la decisione migliore e desiderava lo capisse anche lui.
 
“Prova almeno. I ragazzi sono grandi, Rose ha iniziato Hogwarts e Hugo sta crescendo velocemente. Ora hai più tempo per te. Non ti sto dicendo di cancellare le responsabilità che abbiamo, solo di non annullarti … non l’ho mai voluto”
 
Era risalito velocemente sulla scala e provò, come meglio riusciva, ad ignorarla.
 
“Hermione, gentilmente, mi passeresti quella scatola laggiù?”
 
Indugiò delusa, ma con quel gesto ebbe almeno la scusa di avvicinarsi a lui. Si appoggiò alla scala ed iniziò a squadrarlo dal basso verso l'alto in attesa di una risposta.
 
“Ron, mi hai sentita?”
 
“Sì e vorrei non averlo fatto, visto che non c’è nulla di cui discutere”
 
“Non ti costa nulla tentare. E poi, non sei più un ragazzino, sei un uomo che ha mille risorse, saresti un ottimo Auror, se solo lo volessi. Sarebbe un orgoglio per me poterti nominare Auror e ci potremmo vedere tutti i giorni al Ministero”
 
Era entusiasta, ma lui non ebbe alcun timore di smontare l’euforia della moglie, anzi le mise davanti i reali motivi di quell’ostinato rifiuto. Stavolta la ammirò dall’alto per provare ad essere più convincente.
 
"No, Hermione, mi costa invece, perché sono sicuro di saper fare il padre, ma non l'Auror e non mi va di rischiare di fallire. Ti prego, lascia perdere, sto bene così, quindi non insistere"
 
Non si aspettava quella motivazione, l’aveva disarmata, ma che lui fosse insicuro ne era già perfettamente consapevole, per questo trovò opportuno incentivarlo.
 
"Hai paura di non riuscire? Per quale ragione non dovresti? Ron, te lo meriti. Ti sei sempre dedicato alla famiglia, voglio solo che tu sia felice"
 
"Ti ho mai dato l'impressione di essere infelice?"
 
"Temo tu sia insoddisfatto e dia a me la responsabilità di capirlo"
 
"Anni fa forse mi sarebbe piaciuto, mi sarei sentito utile, ma poi qualche tempo dopo ci siamo sposati e ho capito che potevo essere utile in un altro modo"
 
Era sceso dalla scala e stavolta le comunicò quel pensiero con convinzione, fissandola dritta negli occhi. Forse qualsiasi altra donna sarebbe stata orgogliosa, ma lei non riusciva ad esserlo, sapendo che la sua presenza era stata così decisiva nella sua vita. Se lui non l’avesse sposata, avrebbe avuto sicuramente altre priorità, invece aveva preferito essere generoso con lei. Non metteva in dubbio l’amore che provava per la sua famiglia o per lei, ma anche Hermione teneva a lui e voleva dimostrarglielo.
 
"E come, facendo fare carriera a me?"
 
"Prendendomi cura dei miei figli. Hermione, si può sapere cosa ti prende stamattina? Sei sempre impegnata al Ministero, oggi hai tempo da perdere con me? Pensa piuttosto a Rose e a Hugo, ritagliati qualche ora da trascorrere con loro, non per parlare con me. Lo hai detto tu, li stai trascurando"
 
Non le stava dicendo nulla di nuovo ed era esattamente ciò che stava iniziando a rimproverarsi in quei giorni e che forse avrebbe dovuto capire da anni ormai. Il lavoro non le aveva nemmeno dato l’opportunità di fermarsi un momento e riflettere.
 
“Non sto perdendo tempo, Ron, ed anche i nostri figli sono al centro dei miei pensieri … sia tu che loro ci siete. Sto facendo tutto ciò che è in mio potere per non trascurarvi e me ne rendo conto anche io di non riuscirci come vorrei, quindi dammi l’occasione di rimediare. Accetta la mia proposta, sarebbe importante per me se riuscissi a realizzare un tuo desiderio”
 
“Ora devo lavorare, quindi, mi dispiace, non ho tempo da dedicarti. Pensa prima ai ragazzi, Hermione, loro hanno la precedenza. Chiedi a Rose e a Hugo cosa desidererebbero”
 
Le passò deciso davanti per dirigersi verso il tavolo e proseguire il suo inventario.
 
“Ron, dimmelo tu cosa desiderano, passi più tempo con loro”
 
“E questo ti sembra normale?!”
 
Lo aveva chiaramente innervosito, ma lei non poteva fare altro che concordare con lui.
 
“No, infatti, non lo è. Ora lo so”
 
“Bene, ora che lo sai, vedi di rimediare, perché quando ti ho consigliato di diventare il Ministro della Magia, nessuno ti ha autorizzata ad ignorare di avere due figli. Sei stata presa e lo capisco, perché non è da te farti sfuggire qualcosa. Non ho bisogno io di cambiare lavoro, ma quei ragazzi della loro madre. Quindi, Ministro, spero di essere stato chiaro e di essere riuscito a farti capire quali sono le reali priorità. È vero, sono grandi e probabilmente non hanno più così bisogno di noi, ma manchi ugualmente a loro”
 
“Sei stato chiarissimo, mi dispiace, proverò a rimediare. A stasera, allora, non ti disturbo oltre”
 
Sua moglie uscì delusa di se stessa senza aggiungere altro. Ron si rese conto troppo tardi di aver avuto una reazione esagerata e come al solito poco sensibile nei confronti del suo dolore. Hermione infondo era passata ai Tiri Vispi quella mattina proprio con l’intenzione di trovare una soluzione alle mancanze nei confronti della sua famiglia e lui era riuscito solo a peggiorare il suo umore, invece di confortarla.



 
[3 settembre 2017 ore 10:30 a.m – Hogwarts/Ufficio della Preside]

 
Prese solo un respiro, prima di entrare nell’ufficio della Preside. Era preoccupato, ma ciò che lo spaventava di più era sentirsi dire di aver sbagliato in qualcosa e che di conseguenza tutti i suoi timori di non essere stato un buon padre per i suoi figli si materializzassero. Poteva presupporre quale fosse il problema che riguardava Albus, non riusciva a pensare ad altro da quando Neville gli aveva dato la notizia. Ora era lì e avrebbe forse potuto dare una svolta alla situazione, avrebbe potuto aiutare suo figlio, eppure, nonostante gli fosse così vicino, avrebbe desiderato essere altrove, pur di non affrontare ciò che aveva provocato quel malessere nel ragazzo. Harry entrò discretamente, lo stava sicuramente aspettando, anzi aveva indugiato fin troppo, ragion per cui non si prese nemmeno il disturbo di bussare.  Ogni volta quel luogo gli infondeva una quantità innumerevole di emozioni, in particolare il quadro di Silente dormiente, che spiccava proprio oltre la poltrona della McGranitt, attirò la sua attenzione. Solo lui poteva sapere quanto avrebbe desiderato ricevere dall’ex Preside di Hogwarts un consiglio, una parola utile a sbrogliare la matassa che con le sue mani Harry aveva contribuito ad imbrogliare. Tornò con i piedi per terra, era inutile fantasticare, Silente purtroppo non gli avrebbe potuto dare alcun suggerimento. Per quanto si sforzasse di non ricercare aiuto da chi non poteva per ovvie ragioni darne, il suo sguardo cadde su un altro dipinto proprio lì accanto. Anche in quell’occasione Piton non sembrava propenso a grandi confidenze, probabilmente non gliene avrebbe concesse nemmeno se fosse stato in vita. Ricordò le ultime parole che rivolse a suo figlio prima che le porte dell’Hogwarts Express si chiudessero e non se ne pentiva affatto, anzi aveva sperato fossero sufficienti per quietare i tormenti del ragazzo.
 

«Tu porti il nome di due Presidi di Hogwarts. Uno di loro era un Serpeverde e probabilmente l'uomo più coraggioso che io abbia mai conosciuto»

 
Quel ragazzo portava davvero i nomi di due stimati Presidi di Hogwarts, avrebbe dovuto esserne fiero, avrebbe dovuto accettare l’eredità che i suoi genitori gli avevano trasmesso. Albus invece era tutto tranne che orgoglioso. Forse perché non aveva vissuto direttamente quello stesso passato? O forse semplicemente perché quel passato continuava a tormentarlo, anche se era così lontano da lui e non era nemmeno in grado di offrirgli la pace e le attenzioni che si meritava da parte della sua famiglia. Aveva indugiato troppo sulla porta, così cercò di allontanare quei pensieri e lasciare che la McGranitt lo informasse, prima di fare qualsiasi altra congettura.
 
“Professoressa?”
 
“Entra, Harry”
 
Si avvicinò agitato alla scrivania e quei due quadri più da vicino parvero dominare su di lui come macigni. Era stato davvero lui a posare sulle spalle di suo figlio quel peso. S’intende, non aveva impiegato un minimo di malizia o di malafede, anzi aveva voluto onorare quei due uomini, ma non aveva contato l’ònore che avrebbe attribuito ad Albus per la vita. Alla Preside non sfuggì affatto l’umore di Harry. E come avrebbe potuto non notare l’espressione frustrata di quell’uomo che aveva conosciuto fin dalla sua più tenera età?
 
“Non ti accomodi?”
 
Seguì il suo gentile invito, ma si sentiva palesemente a disagio per le notizie che avrebbe presto ricevuto. Conoscere già l’opinione del figlio non lo stava avvantaggiando, anzi provava solo una grande vergogna per non essere stato capace di capire prima il malessere di Albus. Non si era mai accorto della sua sofferenza, era stato troppo occupato e lo aveva trascurato senza volerlo realmente. Se solo fosse stato più attento era certo che non ci sarebbe stata la necessità di quel colloquio. La McGranitt finì di sistemare serena dei documenti, prima di dedicarsi al suo ospite e ad Harry, in attesa, non restò che seguire con ansia i suoi movimenti.
 
“Tua moglie?”
 
“Non ha potuto assentarsi dagli allenamenti. Professoressa, cos’ha combinato mio figlio? La prego, sono preoccupato, non mi tenga sulle spine
 
Dedicò totalmente la sua attenzione ad Harry e si preparò a dargli quella notizia. Poteva presupporre non l’avrebbe presa bene, ma lei tentò in tutti i modi di non aggravarla con le sue parole.
 
“Ha Schiantato Scorpius Malfoy”
 
“Cosa??”
 
Non era chiaramente riuscita a comunicare con lui nel migliore dei modi, perché un certo pallore non aveva tardato a dipingersi sul suo volto.
 
“Potter, respira, non ho alcuna intenzione di espellerlo. È evidente che l’anno non sia iniziato nel migliore dei modi per loro due”
 
“C-come sta Scorpius? Avevo espressamente detto ad Albus di non alzare la bacchetta contro qualcuno. Non so come abbia fatto ad imparare quell’incantesimo, mi dispiace, ma le assicuro che in famiglia nessuno avrebbe avuto la malsana idea di insegnarglielo”
 
La preside non aveva richiesto alcuna spiegazione, eppure lui si sentì in dovere di dargliene.
 
“Scorpius sta bene. Ad un mago inesperto può succedere di farsi sfuggire la situazione di mano, quindi è stato solo un incidente. Ciò che mi preoccupa sono i suoi sentimenti, era chiaramente infastidito per qualcosa, quando è successo. Sta affrontando una situazione che è più grande di lui e tu sai a cosa mi riferisco. Il suo cognome non è per nulla comune e temo che ne stia sentendo il peso. La Storia precede quei due ragazzi, Harry, e da soli non riescono a superarla”
 
“Lo so … ma non so come aiutarlo”
 
Dopo le parole della Preside c’erano ancora poche opportunità che lui si sentisse rincuorato in qualche modo, anzi sentì maggiore la responsabilità verso suo figlio.
 
“L’ho fatto chiamare, ti sta aspettando al secondo piano, ai piedi della scala”
 
Harry si voltò verso la porta quasi spaventato di affrontare quell’argomento nell’immediato. Per quanto la situazione andasse risolta velocemente lui non si sentì per nulla pronto, anzi, tutto il contrario, non aveva preparato alcun discorso.
 
“Andrà tutto bene, fagli solo capire che non deve per forza tenere fede alle aspettative degli altri e alla reputazione della sua famiglia”
 
Harry prese coraggio, guidato dalle rincuoranti parole dell’anziana Preside e scese il lunghissimo scalone che lo avrebbe guidato direttamente da suo figlio. Mai in quel momento desiderava davvero che quei gradini non terminassero e la presenza di Ginny gli avrebbe senz’altro fatto comodo. Non appena ebbe superato l’ultimo gradito e fosse giunto a destinazione lo vide sconsolato, mentre seduto sul freddo pavimento attendeva il padre. Lo sguardo del giovane Serpeverde era rivolto verso il basso e dall’atteggiamento Harry comprese subito quanto quell’incontro fosse temuto anche dal figlio. Prese il coraggio che probabilmente un padre avrebbe dovuto riscoprire presto o tardi, così si accomodò al suo fianco e si appoggiò con la schiena al muro. Albus aveva chiaramente avvertito la presenza di Harry, ma non aveva il coraggio di parlare o di chiedere, tanto poteva facilmente presupporre che lui fosse stato messo al corrente di ciò che aveva combinato. L’Auror provò a rompere il ghiaccio che sembrava incombere su di loro e con un sorriso fece una breccia nel silenzio che era sceso.
 
“Allora, hai cambiato idea alla fine? Non hai chiesto al Cappello Parlante di essere Smistato nei Grifondoro? Prima di partire mi avevi confessato che ti sarebbe piaciuto”
 
Albus negò con la testa, ma rimase sorpreso, si aspettava sicuramente un altro tipo di reazione, dopo quello che aveva fatto a Scorpius. Harry proseguì con quel sereno registro, sperando di metterlo a suo agio.
 
“Comunque il verde ti dona, è in tinta con gli occhi”
 
“Sì, è quello che continua a ripetermi James. Non so però se lo dica per prendermi in giro o se sia veramente sincero”
 
Non riuscì a stare al gioco del padre, era troppo demoralizzato e aver affrontato Scorpius aveva solo peggiorato il suo umore. Si era pentito di aver avuto quella pessima idea, era esausto, ma più arrabbiato con sé, piuttosto che con gli altri e di mezzo era andato quel Malfoy, più per fama che per un reale motivo concreto. Probabilmente se avesse ascoltato sua cugina, il suo umore sarebbe stato comunque pessimo, ma sicuramente migliore. Scorpius era stato arrogante con loro, ostentava supremazia, ma infondo aveva anche il buonsenso di ignorarli, quando non capitavano espressamente sulla sua strada.
 
“Eh dai, Al, fammi un sorriso”
 
“Ma tu non dovresti essere arrabbiato?”
 
“Preferivi che fossi arrabbiato?”
 
“No, ma …”
 
“Se la McGranitt non vuole espellerti, non sarò certo io a punirti. Anche perché quale autorità ho ad Hogwarts? Qui siamo fuori dalla mia giurisdizione, per tua fortuna”
 
Non lo aveva affatto minacciato, anzi continuava a mantenere quell’aria giocosa. A tratti parve ad Albus di rivedere in lui lo zio Ron, con l’unica differenza che suo zio era molto più spontaneo e meno impacciato in quei momenti. Il ragazzo stava quasi rimpiangendo la sua serietà, ma non dovette invocarla a lungo, perché Harry si voltò presto verso di lui e stavolta sembrava essere particolarmente serio.
 
“Però, Albus, cosa c’è che non va? Preferisco capire il motivo del tuo malessere e ciò che ti ha spinto a quel gesto”
 
Il padre gli puntò addosso quegli occhi così simili ai suoi e per lui fu pressoché impossibile mentire o fuorviare l’argomento.
 
“Mi sento a disagio, papà, con questa uniforme”
 
Albus stropicciò con disprezzo in un pugno una parte della stoffa della divisa dei Serpeverde. Ad Harry non sfuggì affatto la reazione del figlio e non era certo un bene percepire la propria Casa, quella a cui avrebbe appartenuto per sette lunghi anni, come una prigione. Anche lui non si era sentito parte dei Grifondoro ai tempi del suo Smistamento, ma quella era tutt’altra storia.
 
“Perché dovresti sentirti a disagio? Forse perché i tuoi genitori e i tuoi zii erano Grifondoro? Davvero solo per questo? Abbiamo tutto il tempo che desideri, ma prova a spiegarmi”
 
Lo vide inaspettatamente crollare davanti a lui, non gli era parso di aver alzato la voce, eppure suo figlio era scoppiato all’improvviso in lacrime.
 
“Al, cos’hai?”
 
Non gli rispose, si limitò solo a coprirsi il volto con le mani per la vergogna di essersi lasciato guidare da quella frustrazione. Harry non indugiò oltre, lo attirò a sé e lo abbracciò, ma il figlio non gradì affatto quella dimostrazione di affetto, anzi si divincolò deciso da lui.
 
“Papà, che fai?? Se i miei compagni mi vedessero piangere, mi prenderebbero in giro ancora di più”
 
“Prenderti in giro?”
 
Rimase chiaramente male per la reazione del figlio, ma ciò che lo sconvolse di più fu quella nuova notizia.
 
“I Potter e i Weasley non sono ben visti dai Serpeverde. Sono diventato uno di loro, ho disonorato la mia famiglia e ho solo alimentato i loro pettegolezzi”
 
“E questo da quando? Al, non hai disonorato nessuno. Tesoro, per quanto possa valere, io sono orgoglioso di te e se non importa alla tua famiglia in che Casa sei stato Smistato, non deve importare a nessuno”
 
“I Serpeverde non ci lasciano in pace da sempre! Ma forse tu eri troppo impegnato per accorgertene”
 
Se prima era solo un’ipotesi, ora ne ebbe la certezza. Non usò cattiveria, stavolta sembrò quasi giustificarlo, eppure quelle parole pesarono come macigni sul suo cuore. Non servì a nulla confortarlo, Albus non sembrava tranquillizzarsi ed era stato piuttosto chiaro circa il motivo.
 
“Hai ragione, ti ho trascurato. Ho sempre pensato di farvi del bene, è ovvio che per voi non è stato così. Come posso rimediare?”
 
Lo guardò, sperando che lui avesse la risposta. Era il primo a riconoscere quanto fosse sbagliato chiedere ad un ragazzino di undici anni la risoluzione a tutti i problemi che c’erano nel loro rapporto e che lui non era stato in grado di risolvere prima.
 
“E’ tardi, papà, ormai sono ad Hogwarts e non abbiamo più l’occasione di recuperare il tempo perduto. E non puoi nemmeno cancellare il passato. Sono il figlio del famoso Harry Potter e devo prendermi per forza tutte le conseguenze”
 
“Non ho mai voluto essere riconosciuto per strada, Albus. Non sai quanto vorrei che la mia reputazione non pesasse sui miei figli”
 
“Però avresti potuto scegliere se lavorare al Ministero, nessuno ti ha obbligato. Lo hai scelto tu e sembri essere felice di comandare
 
Aveva ragione. Suo figlio continuava tristemente ad avere ragione, ma quegli errori non erano stati intenzionali e non sapeva come spiegarlo anche a lui.
 
“Davvero la pensi così?”
 
“Come dovrei pensarla diversamente? Avresti potuto cadere nell’oblio, se solo avessi voluto … ma tu non hai voluto, giusto?”
 
Non sapeva come difendersi, ma probabilmente era indifendibile.
 
“Già. Al, se sei un Serpeverde è tutta colpa di tua madre, l'unica ambiziosa è lei ... ma non dirle che te l'ho detto, altrimenti ci ritroviamo entrambi fuori di casa”
 
Cercava di sdrammatizzare e stavolta fu Albus ad andare in suo soccorso.
 
"Papà, tu pensi sia davvero questo il motivo? Non perché non sono all'altezza del cognome che porto?"
 
“Di quale cognome stai parlando? Il tuo è un nome come un altro”
 
“Non tutti la pensano così e hanno i loro motivi”
 
“Figliolo, prova ad ignorarli. Senti, loro non ti conoscono e nemmeno sanno che se il Cappello Parlante ti ha Smistato nei Serpeverde è perché te lo meriti, non è un castigo, non siamo tutti uguali. Ti ricordo ancora una volta che sono orgoglioso di te e lo sarò sempre, ma non lo sono di me, non possono esserlo se vedo mio figlio soffrire a causa mia”
 
L’orologio rintoccò inaspettatamente per entrambi le undici in punto. Se prima desiderava che quella conversazione con il figlio non avesse mai luogo per paura di affrontarlo, in quel momento voleva solo che quel tempo a disposizione non terminasse. Albus lo richiamò a malincuore ai suoi doveri, ma anche lui necessitava di conforto dal padre.
 
“Devi andare, papà”
 
“Posso restare ancora qualche minuto”
 
“Ho la prima lezione di volo, non posso comunque rimanere qui con te”
 
Quella notizia entusiasmò Harry, riportandolo indietro nel tempo di parecchi anni.
 
“Davvero? Sei emozionato?”
 
“Più che altro ho paura. Rischio di fare brutta figura anche lì con i trascorsi tuoi e di mamma nella squadra di Quidditch”
 
“Albus, non prendere sempre come riferimento noi, abbi solo più fiducia in te stesso e sono certo che, se ti andasse, avresti tutte le possibilità di entrare nella squadra”
 
James sbucò proprio in quel momento dal fondo del corridoio, impedendo ad Harry di scambiare con il secondogenito quelle ultime parole, prima di lasciarlo andare a lezione. Il primogenito sembrava essere di fretta e interruppe senza troppi convenevoli la loro conversazione.
 
“Ciao, papà. Al, la mia lezione di Pozioni sta per iniziare, avevi detto che avremmo fatto la strada insieme”
 
“Ciao, Jamie. Non fate aspettare gli insegnanti”
 
Albus si alzò velocemente per raggiungere il fratello, ma Harry richiamò indietro i figli.
 
“Ragazzi. Spero di rivedervi non prima di Natale, significa che va tutto”
 
I due giovani maghi stavano riprendendo il loro cammino, ma Harry non aveva ancora terminato.
 
“Albus. Magari ci vediamo anche prima, a qualche tua partita”
 
“Partita?”
 
Il figlio rimase dubbioso, non riuscì subito a capire a cosa il padre si stesse riferendo.
 
“Ricorda, sei ambizioso come la mamma”
 
Harry gli sorrise e vide scomparire poco dopo Albus, trascinato per l'uniforme da un impaziente James. Rimasto solo, non si alzò subito per riprendere la sua routine, preferì godersi quell'attimo di pace e, perché no, guardarsi intorno e rivivere in un modo o nell'altro la sua adolescenza. I ricordi gli consentirono ancora di udire voci e passi ormai trascorsi, risalenti ai suoi anni di scuola. Preferì rivivere solo i ricordi positivi, ma anche lui, proprio come Albus, aveva vissuto delle difficoltà. I suoi più nobili tentativi di rendere la vita dei figli più serena non sembravano aver sortito l'effetto sperato, anzi era evidente che qualcosa gli fosse sfuggito. Il rumore di passi reali, che non si trovavano nella sua mente, attirarono la sua attenzione. Si voltò confuso verso quel rumore e intravide Draco, ma quest'ultimo non sembrava molto entusiasta di vederlo. Provò ad ignorare Harry e a raggiungere la Preside nel suo ufficio, ma purtroppo per lui l'altro era alla ricerca di un dialogo. Harry si alzò e sperò di fermarlo.
 
“Ti chiedo scusa a nome di Albus. Non so cosa sia successo tra loro, ma mio figlio ha esagerato e non è questo che gli ho insegnato”
 
“Mi sarei stupito del contrario”
 
Fu estremamente sarcastico, ma non aveva voglia di approfondire la questione con lui. Aveva indugiato ad accettare quel colloquio e aveva incessantemente litigato con Astoria, persino per evitare di farsi accompagnare ad Hogwarts. Sua moglie non riusciva a capire le sue ragioni e l'ultima persona con cui voleva parlare in quel momento era proprio Harry. Tentò nuovamente di imboccare le scale, ma la voce dell'altro glielo impedì nuovamente.
 
“Draco, i ragazzi non stanno bene. Dobbiamo aiutarli”
 
“Grazie per il consiglio, Potter, ma a mio figlio posso pensare anche da solo. Mia moglie è più che sufficiente”
 


 
[ 3 settembre 2017 ore 11:30 a.m – Campo di allenamento]

 
La professoressa di volo aveva fatto loro una rapida lezione teorica ed era arrivato il momento tanto temuto di alzare la scopa. Albus e Rose stesero titubanti la mano destra ed iniziarono a chiamarla. La ragazza si stava facendo prendere dall’esasperazione, quel manico non voleva ascoltarla, la Comet prendeva tutte le direzioni tranne che quella giusta.
 
“Su! Ti prego, vieni su”
 
Mentre la cugina sembrava essere sull’orlo di una crisi di nervi, tanto da non avere minimamente la percezione di quel venticello fresco, ad Albus bastarono semplicemente un paio di tentativi per ottenere il controllo della sua Nimbus. Rose si voltò sorpresa, infastidita e tutta sudata verso di lui.
 
“Come hai fatto?”
 
“Non lo so, ho fatto solo quello che hai fatto tu, nulla di più”
 
Albus con audacia montò la sua scopa, ma la professoressa non gradì tutta quella determinazione.
 
“Ehi, signor Potter, giù da quella scopa. Sali quando lo dico io”
 
Aveva tutte le intenzioni di obbedire, ma la Nimbus non era dello stesso avviso, si alzò da terra senza che lui potesse controllarla.
 
“Signor Potter!”
 
“Albus. Possibile che tu sia sempre un passo avanti a me?”
 
“Mi dispiace, non so come si scenda”
 
Guadagnò parecchi metri e in poco tempo si ritrovò sospeso per aria. Non riuscendo ancora a destreggiarsi perfettamente in volo, cercò almeno di non cadere, ma non passò molto tempo prima che il ragazzo riuscisse a recuperare l’equilibrio e a governare la scopa. Si stupì persino lui e, sentendosi più sicuro, pensò bene di non far arrabbiare ulteriormente la professoressa, così un po’ timoroso rimise i piedi a terra. Era mortificato sotto lo sguardo sconvolto dell’insegnante, che lo fissava senza trovare le parole giuste. Scorpius, che aveva assistito alla scena, era certo che per Albus stesse finalmente arrivando una meritata punizione.
 
 

 
Ciao ragazzi!
 
In questo capitolo ho iniziato ad intrecciare più questioni, ma in realtà hanno tutte una radice comune, spero di essere stata in grado di trasmettere il tema principale della storia 😊
 
Ringrazio di cuore tutti coloro che mi seguono e vi do appuntamento al prossimo capitolo! <3
 
Baci
-Vale

PS. La seconda parte è in corsivo e non so il perché, scusate :(

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Capitolo 4
*** Tempo tiranno ***


Tempo tiranno

 

 
[ 3 settembre 2017 ore 3:45 p.m – Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts/settimo piano ]

I giorni ad Hogwarts, per sfortuna di Albus, non passavano così velocemente. Se pensava poi che lo avrebbero atteso altri sei lunghi anni, si sentiva solo peggio. Tra i dubbi e le frustrazioni però poteva godere della vicinanza di Rose. La cugina aveva sempre la forza di risollevare il suo morale, tentava di distrarlo da chi lo circondava e gli donava un'accogliente sensazione familiare, facendogli percepire un'aria di casa, quella di sangue. Quando lei era al suo fianco, poco importavano i colori delle loro divise. Rose portava con orgoglio lo stemma dei Grifondoro. Avrebbe tanto voluto provare altrettanta fierezza per la sua Casa, invece si ritrovava solo ad odiarla e a vergognarsi per essere entrato a farne parte. A nulla servirono le parole di Harry, il conforto da parte del padre non sortì l'effetto sperato. Forse avrebbe preferito un abbraccio da parte di sua madre? No. Gli avrebbe senz'altro dato una punizione, suo padre era sicuramente più comprensivo e accondiscendente. Eppure, nonostante la vicinanza di Harry, non riusciva a vivere serenamente quella nuova esperienza. Sua cugina, fin da piccola, aveva sempre manifestato tanto entusiasmo nell'attesa di frequentare Hogwarts. Lui, invece, fin da piccolo, voleva solo il suo papà, gli importava ben poco della magia, anzi la odiava perché era la stessa che ogni giorno non consentiva ad Harry di trascorrere un po' più di tempo con la sua famiglia. Non avrebbe potuto avere una bella famiglia Babbana? Per quanto fosse orgoglioso dei suoi genitori, la mancanza di Harry vinceva sul resto, persino sulla sua stessa natura. Si maledisse, come poteva rinnegare in quel modo la sua famiglia e le sue origini? I suoi nonni materni erano Purosangue, ma anche le persone migliori che lui avesse mai conosciuto. Grazie a Molly e Arthur aveva percepito meno la mancanza di suo padre, ma allo stesso tempo gli avevano mostrato solo la faccia più rosea di quel mondo, perché ora che si trovava ad Hogwarts, dove non tutti erano tolleranti come la sua famiglia, non poteva che provare un forte disagio. Non voleva la responsabilità di tenere alto il nome della sua famiglia, non aveva la forza di dimostrare a dei ragazzini superficiali che non era meno di loro solo perché mezzosangue e se non era un Grifondoro non aveva affatto disonorato lo stimato nome dei suoi genitori. Albus allentò il nodo della sua cravatta dai sfavillanti colori lucidi verde e aregento, non ancora sbiaditi dopo solo pochi giorni di permanenza. Si sentiva soffocare, sebbene l’estate stesse dando gli ultimi sussulti della sua presenza. Hogwarts avrebbe dovuto aiutarlo a sentire meno la mancanza dei suoi genitori, infondo per una volta la lontananza era dovuta alle circostanze e non alla scelta di Harry e Ginny, invece la distanza pesava maggiormente sul cuore del ragazzo. Si sentiva catapultato in un mondo che aveva imparato a conoscere dai racconti di James e dei cugini più grandi, ma, proprio per la prospettiva che questi ultimi gli avevano dato, non lo affascinava affatto.                                                          
"Al, per carità, sistema quella cravatta. Se ti vedesse la McGranitt non so dove ti farebbe volare … e, puoi stare certo, senza scopa. Vuoi farti davvero espellere? Ne se proprio sicuro? Perché con il tuo comportamento totalmente disinteressato e menefreghista delle regole, sei sulla buona strada"
 
Era esattamente il suo desiderio, da quando aveva messo piede oltre i cancelli di quella Scuola. Era una trappola per lui. Doveva stare obbligatoriamente chiuso per mesi tra quelle mura a subire una situazione che non gradiva. Rose tentò di sistemargli la cravatta, ma lui le allontanò con disprezzo le mani, prima che lei potesse terminare. Lo infastidì persino il perfezionismo della cugina. Avevano un’opinione diversa su quell’esperienza, le loro aspettative fin dall’inizio erano differenti. Se per lei le rosee aspettative avevano trovato piena soddisfazione, lui avrebbe preferito che James gli avesse descritto Hogwarts peggio di quanto non fosse in realtà per non offrirgli nemmeno la più piccola speranza.
 
"Rose, finiscila, non mi importa nulla di ciò che potrebbe pensare la McGranitt!"
 
"Di cosa non le importa, signor Potter?"
 
Albus, udendo alle spalle la domanda palesemente retorica della McGranitt, iniziò subito a tremare e la furia verso la cugina venne bruscamente interrotta. Sentì poco dopo i passi della Preside diventare sempre più nitidi. Nonostante fosse molto anziana, aveva ancora un passo scaltro e pesante che non ammetteva alcuna replica. L’anno era appena iniziato e lui aveva già inaugurato l’Ufficio della saggia professoressa. Non era così smanioso di tornare in presidenza e di far convocare di nuovo suo padre. Poteva presupporre che un secondo colloquio avrebbe innervosito Harry. Quando finalmente ebbe il coraggio di girarsi, il volto della McGranitt era serio, ma disteso e ciò gli offrì un piccolo barlume di speranza. Rose vicino a lui sfiorò la mano del cugino nel tentativo di tranquillizzarlo, sapeva perfettamente quanto i suoi nervi fossero già tesi. La Preside fissò severa Albus in attesa di una spiegazione.
 
"Nulla, signora Preside"
 
La McGranitt fece scivolare il discorso, dopotutto la comprensione che aveva mostrato davanti ad Harry per i sentimenti di quel ragazzo era stata sincera. L’ultima cosa che voleva era peggiorare la posizione di Albus all’interno della Scuola e con essa il suo umore.
 
“Sapevo che ti avrei trovato qui in compagnia della signorina Weasley. È un po’ inusuale che un Serpeverde frequenti quest’ala del Castello, ma sono fiduciosa che voi possiate essere per gli altri studenti un buon esempio”
 
“Grazie, professoressa, lo speriamo anche noi”
 
Rose gradì gli apprezzamenti della Preside e le rivolse un grande e soddisfatto sorriso.
 
“Molto bene, signorina Weasley, allora mi sento in dovere di assegnare a ciascuno di voi dieci punti. Signor Potter, ti stavo però cercando per un motivo preciso. Hai qualche impegno tra mezz’ora?”
 
L’orgoglioso sorriso della giovane Grifondoro non fu l’unico, perché, per quanto la McGranitt si sforzasse di nasconderlo, la notizia che stava per comunicare ad Albus la riempiva di grande entusiasmo.
 
“N-no, professoressa”
 
Il ragazzo non riuscì a cogliere l’umore della Preside, anzi fu seriamente preoccupato di aver fatto, involontariamente – ma poi neanche troppo – qualcosa di sconveniente. Pensò intensamente alle sue azioni nelle ultime ore e non ricordò nulla di particolare rilevanza che avrebbe potuto attirare l’attenzione della massima autorità della Scuola.
 
“Splendido. Il Capitano della squadra di Quidditch dei Serpeverde ti aspetta per quell’ora al Campo di Allenamento”
 
Il timore di Albus svanì all’improvviso dal suo volto e la titubanza prese il suo posto. Era stata una notizia totalmente inaspettata, talmente inattesa che non riuscì a cogliere le evidenti conseguenze che ciò comportasse.
 
“Mi scusi, professoressa, ma io non faccio parte della squadra. Quando sarei entrato nella squadra di Quidditch? Non ne sapevo nulla”
 
“Esattamente da ora e proprio adesso te lo sto comunicando. Mi sono confrontata con la tua professoressa di Volo e troviamo entrambe che le tue potenzialità possano essere sfruttate al meglio sul campo oltre le lezioni ed inoltre potresti essere un’ottima risorsa per la tua squadra. Qualcosa in contrario, signor Potter?”
 
Che ci fosse lo zampino di suo padre? Non era escluso. Per quanto lui lo negasse, la sua opinione valeva anche ad Hogwarts ed anche molto, almeno tanto quanto quella della Preside o addirittura del Ministro in persona. Harry desiderava che lui entrasse nella squadra, glielo aveva detto esplicitamente, probabilmente credeva che ciò avrebbe fatto piacere a suo figlio, ma in quel modo non lo aiutava e suo padre continuava a non capire quali fossero le sue reali esigenze.
 
“No, professoressa. La ringrazio, non mancherò senza alcun dubbio all’appuntamento”
 
Dopo l’approvazione di Albus, il suo compito era ormai concluso, ora spettava al suo Capitano motivarlo ed era sicura che, alla sola idea di avere un Potter in squadra, lo avrebbe fatto con piacere. Girò i tacchi per dirigersi verso il suo ufficio, ma non fece molti passi.
 
“Ah, signorina Weasley, fossi in te tenterei le selezioni domani. C’è un posto vacante da Cacciatore nella squadra dei Grifondoro. Pare che nessuno sia all’altezza per ricoprire quel ruolo. Ti va di accettare la sfida?”
 
“C-certo, professoressa”
 
Stavolta la McGranitt non si trattenne e rivolse un leggero sorriso compiaciuto ad entrambi i ragazzi. Rimasti soli, Rose non tardò a mostrare l’entusiasmo che quel breve incontro le aveva suscitato, ma l’emozione era dovuta soprattutto all’ingresso assicurato del cugino nella squadra di Quidditch.
 
“Oh, Al, non ci posso credere, sei nella squadra! Non sei felice? Significa che sei un portento sulla scopa e alla professoressa non è passato inosservato”
 
Si trattenne dall’abbracciarlo solo perché notò quanto il ragazzo non provasse lo stesso suo entusiasmo.
 
“Veramente non ci credo neppure io. Di male in peggio, Rose”
 
“Per quale ragione?”
 
“Papà giocava nella squadra ai tempi della Scuola e mamma è una Cercatrice professionista. Secondo te perché sono nella squadra?”
 
“Pensi davvero che la McGranitt ti abbia messo in squadra solo per la fama degli zii? Credi si stia basando sulla fiducia? Al, non penserai davvero che è opera dello zio Harry?!”
 
“Sei proprio perspicace come la zia Hermione”
 
Rose alzò gli occhi al cielo, odiava non essere compresa quando non parlava seriamente.
 
“E tu per nulla, ero sarcastica”
 
Lo afferrò con convinzione per l’uniforme e lo trascinò senza che lui potesse opporre resistenza. Lo guidò nei pressi dell’espositore dei trofei, dove veniva conservata una vasta raccolta dei più importanti successi della squadra di Quidditch dei Grifondoro e dove venivano ricordati i migliori giocatori. Subito il proficuo titolo di Cercatore di suo padre risaltò agli occhi del giovane Potter. Harry era stato il più giovane Cercatore che Hogwarts avesse mai avuto.
 
 - Strano, mio padre non è mai al centro dell’attenzione -
 
Non seppe nemmeno lui spiegare come quella considerazione sarcastica rimase solo nella sua mente e non ebbe l’istinto di condividerla con la cugina. Iniziava seriamente a credere che lei non avrebbe potuto comprenderlo, per quanto sentisse in egual misura la mancanza della madre, perennemente occupata nel suo impegnativo lavoro. Albus non accennò a risollevarsi dallo sconforto.
 
“Almeno lui era un Grifondoro”
 
“Albus! Vuoi finirla?! I Serpeverde dovrebbero essere orgogliosi di aver acquistato un giovane giocatore del tuo calibro”
 
“Che ne sai di che calibro sono, Rose. Ho fatto mezza lezione di Volo e ho passato tutto il tempo a farmi sgridare dalla professoressa”
 
Rose gli sorrise quasi divertita. Il suo scopo non era certo quello di canzonarlo, il suo umore e tutti i suoi timori erano perfettamente comprensibili. Era chiaro che suo cugino si ostinasse a non vedere l’evidenza e scappare dal suo destino era pressoché impossibile.
 
“C’è un motivo se la scopa ti risponde così prontamente, tu hai il talento nel sangue, devi solo imparare a controllare ed affinare le tue doti. Siamo cresciuti insieme, Al. Sei per me un fratello al pari di Hugo e se ti dico che vali per quel ruolo è perché lo penso davvero, hai capito?”
 
Albus continuava a guardare l’espositore, dove il nome di suo padre brillava su una targa d’oro lucido. Davvero anche lui aspirava a guadagnarsi quel posto? Non ci aveva mai pensato, desiderava essere tutto tranne che al centro dell’attenzione e se, per disgrazia, lo era stato non voleva riprovare l’esperienza. Suo padre gli aveva insegnato quanto essere qualcuno facesse solo soffrire le persone a lui care.
 
“Anche papà credeva che sarei entrato in squadra … ma io non so se voglio, Rose”
 
Si voltò finalmente verso la ragazza. Da un giorno all’altro aveva iniziato a sentirsi così diverso da lei. Rose riusciva con estrema facilità a soddisfare le aspettative della loro famiglia e di ogni mago o strega che si trovasse all’interno delle mura di quel Castello. Lui invece, oltre ad essere finito nella Casa sbagliata per un disgraziato errore del destino, continuava a sentire tutto il peso dell’eredità che il nome dei Potter aveva lasciato ad Hogwarts. Non fallire per lui doveva essere la priorità, ma aveva iniziato male … decisamente molto male.
 
“Lo zio crede in te, Albus. Non devi dubitare del suo affetto”
 
In cosa credeva suo padre esattamente? Forse credeva che sarebbe diventato un fuoriclasse come lui nel Quidditch. Era stanco di dover per forza eguagliare i suoi genitori, suo padre gli diceva che non era necessario e allora perché le speranze di Harry sembravano essere tali? Gli aveva dato appuntamento alla sua partita. Non seppe infondo se ogni padre aspirasse a tanto per suo figlio. Se prendeva come spunto la sua famiglia, l’unico esempio che potesse avere, persino suo zio Ron non si era risparmiato sulle raccomandazioni con Rose. Era arrivato alla triste conclusione: era semplicemente un traditore e se aveva fallito una volta, grazie a quel vecchio straccio del Cappello Parlante, non vedeva per quale ragione non potesse succedere ancora. Non sarebbe mai riuscito a distinguersi nella squadra di Quidditch, dove tutti lo guardavano dall’alto verso il basso come se fosse uno sporco traditore del suo sangue. Cosa diceva Malfoy? Ah, già, lui era uno sporco mezzosangue. L’orologio rintoccò le quattro del pomeriggio. Non seppe dire per quanto tempo fosse stato immerso nei pensieri e per quanto avesse fatto attendere sua cugina. La prima cosa che la mente di Albus riuscì a mettere a fuoco fu proprio l’espressione mortificata di Rose.
 
“Devo andare, Al, Neville mi aspetta nelle serre”
 
“Per fare cosa?”
 
“Una lezione supplementare. Ho approfittato della nostra amicizia per avere qualche nozione in più. Dici che mamma e papà si arrabbieranno?”
 
Attendeva titubante una risposta da parte sua, ma cosa poteva saperne lui? Ultimamente faceva fatica a sentirsi parte di quella famiglia, si sentiva ancora più distante del solito dai suoi familiare e probabilmente stava perdendo dimestichezza anche con il loro modo di pensare … ammesso e non concesso che fosse mai stato in grado di pensare come loro. Continuava a non capire cosa ci fosse di più importante dei loro figli, quando i loro genitori persistevano nel professare amore per loro, ma nella vita di tutti i giorni non si facevano alcuno scrupolo a lasciarli alle cure di loro stessi. I suoi zii avevano lo stesso identico comportamento dei suoi genitori, in particolar modo Hermione, e così non sapeva più prevedere nemmeno la loro reazione. Con logica tentò di rispondere a quella domanda e arrivò alla conclusione più scontata, a cui probabilmente chiunque al mondo sarebbe giunto.
 
“Immagino che soprattutto la zia sarebbe orgogliosa di te”
 
Avrebbe anche voluto dirle di stare tranquilla, lei era esattamente come loro si aspettavano che fosse, ma si morse la lingua, non voleva rattristarla e infonderle i mille dubbi che in quei giorni attanagliavano lui sull’affetto dei loro genitori.
 
“Rosie, ricordati però le selezioni dei Grifondoro domani”
 
“Non mancherò, ma promettimi che ci sarai, ho bisogno del tuo sostegno. Deluderei mio padre, se non le passassi”                        
 
Non attese nemmeno la rassicurazione del cugino ed entusiasta lo sfiorò appena per raggiungere l’Aula di Erbologia. Non fece nemmeno un metro, quando la vide voltarsi nuovamente nella sua direzione.
 
“Al. A proposito di papà, prima o poi dovrai dirmi cosa intendevi l’altro giorno. Mi parlavi di partite di Quidditch, ma poi hai Schiantato Malfoy e non abbiamo più avuto modo di parlarne”
 
“Nulla di importante, Rose, ero solo arrabbiato e me la sono presa con lo zio. Ci sarò alle selezioni, non preoccuparti. Non potrei mai perdermi un tuo successo e non gioire insieme a te”
 
Sforzò un sorriso, sperando che lei non facesse ulteriori domande, ma ovviamente non riuscì a rasserenarla del tutto. La vide tentennare, indecisa se raggiungere il professor Paciock e proseguire in un altro momento quel discorso oppure approfondire meglio la questione. Per fortuna di Albus optò per la sua lezione straordinaria.
 
“Rose”
 
Ma che gli era preso? Richiamarla indietro non era stata proprio un’idea brillante.
 
“Tu sei consapevole del fatto che, se entrerai nella squadra anche tu, dovremo competere sul campo, vero?”
 
“Sì e ti straccerò, Potter”
 
“La tua competitività mi rende ancora più nervoso”
 
Rubò un allegro sorriso alla cugina, prima di vederla scomparire lungo l’immenso corridoio. Rimasto solo, tornò a concentrarsi sul nome di suo padre. Secondo la sua famiglia aveva una promettente carriera davanti, ma per il momento vedeva solo il suo giovane riflesso in quel vetro.
 
 
[ 4 settembre 2017 ore 8:00 a.m – Casa Granger/Weasley ]
 
Il sole era appena sorto, ma riscoprire un po’ di motivazione quella mattina non fu facile per Ron. Si era come ogni giorno svegliato all’alba, si era preparato per raggiungere il negozio ed ora si apprestava a consumare la sua colazione. Non che avesse, stranamente, un granché fame quella mattina, ma almeno il caffè per tenerlo sveglio era d’obbligo. Quella bevanda era senza dubbio la più grande scoperta che Hermione gli avesse mai fatto fare nel corso degli innumerevoli anni che si conoscevano e per lui era diventato irrinunciabile. Come sempre però aveva imparato anche a pensare alla sua famiglia e con un colpo di bacchetta, o forse due o tre, aveva apparecchiato anche per Hermione e Hugo. Sua moglie era sempre di corsa, si illudeva sempre in quel modo di trattenerla qualche minuto in più, invece si limitava ogni mattina a prendere un paio di biscotti e a raggiungere velocemente il Ministero. Il peso più grande però non era provvedere ai suoi cari, ma l’assenza di sua figlia. Il posto a tavola di Rose era vuoto da tre giorni e lui non avrebbe mai creduto che le sarebbe mancata così tanto. Gli mancava principalmente non potersi prendere cura di lei, l’assenza che la ragazza aveva lasciato nelle sue giornate era incolmabile.
Era agitato quella mattina, era molto più pensieroso del solito. La sua mente aveva iniziato a lavorare nell’esatto istante in cui aveva aperto gli occhi e da quel momento in poi non aveva più smesso di farlo. La causa di tanto pensiero erano state, oltre all’evidente nostalgia per la figlia, le parole di sua moglie. Da quando gli aveva parlato il giorno prima, aveva notato la sua irrequietezza notturna ed ora sapeva anche dare una spiegazione a tanta ansia. Ad Hermione mancava Rose almeno tanto quanto a lui, ma lei non si limitava solo a quello, sentiva forti sensi di colpa, a cui lui aveva ribadito in modo inopportuno. Erano almeno ventiquattr’ore che non sfioravano l’argomento, ma non riusciva a capire se non avessero avuto l’occasione per mancanza di tempo o di voglia. Si era convinto nelle ultime ore che fosse colpa degli impegni di sua moglie, in quel momento però non ne era più così sicuro.
 
“Miseriaccia!”
 
Si era perso un po’ troppo intensamente nei pensieri e non si era nemmeno accorto di aver versato il caffè oltre l’orlo della tazza.
 
“Tutto bene?”
 
Hermione fu testimone della sua distrazione, perché proprio in quel momento era entrata come d’abitudine di corsa in cucina. Anch’essa era vestita di tutto punto e come sempre senza un’asola fuori posto o un capello svolazzante che sfuggisse dalla sua impeccabile acconciatura. Gli aveva rivolto solo un fugace sguardo e lo aveva poi posato con una certa espressione intenerita sulla tavola imbandita di almeno tre qualità di dolci. Era grata a lui per prendersi cura di loro, ma non riusciva proprio a non sentirsi in difetto. Non gli disse nulla e lui per tutta risposta preferì non rincarare la dose sottolineando quanto uno di quei giorni avrebbe gradito fare colazione con sua moglie. Ron si limitò ad osservare in silenzio i gesti di Hermione e lei titubante temeva di offenderlo declinando nuovamente quell’implicito invito.
 
“Alla grande”
 
Perché, non si vedeva che andava tutto bene? Aveva forse bisogno di esplicitarlo?
 
 - Stai calmo, hai già dato il peggio di te con lei ieri -
 
Ron prese scocciato una spugna per pulire il tavolo, cercando di tenere a freno la propria impulsività. Alla moglie, intenta a gustare il suo biscotto, l’unica razione di colazione che il tempo le consentisse, non sfuggì affatto il gesto.
 
“Strano, non usi la magia come al solito per pulire? Non credo di averti mai visto prendere in mano una spugna per occuparti dei lavori domestici … a meno che tu non lo faccia quando io non ci sono”
 
Si era accomodata con la schiena alla credenza e seguiva perplessa le azioni di Ron, gustando il suo dolce. Ogni parola di Hermione era un buon pretesto per replicare, ma lui continuava a mordersi la lingua, sperando di non esternare i propri pensieri.
 
 - … non ci sei mai, ma cosa ne sai di cosa faccio io -
 
“Ho lasciato la bacchetta in camera”
 
Aveva un tono decisamente nervoso, ma non abbastanza da intimorirla, anzi si avvicinò coraggiosamente a lui. Aveva sempre pensato che Hermione avesse trascurato la famiglia, da quando era diventata Ministro della Magia e la sua mancanza si faceva spesso sentire. Non desiderava che si sentisse ancora peggio, quando lei per prima aveva confidato i suoi sensi di colpa, ma non fu facile per lui sedare la spontaneità di cui era dotato per non ferirla ulteriormente.
 
“Si può sapere cos’hai stamattina?”
 
“Hermione, finiscila!”
 
“Per fortuna non hai ancora bevuto il caffè, non immagino come potresti essere dopo. Sei già intrattabile così”
 
Sbuffò alla considerazione calma della moglie, ma la provocazione da parte sua non gli sfuggì.
 
“Hermione, è prima mattina, mi sono svegliato da neanche un’ora e ho preparato la colazione, ti dispiacerebbe darmi un po’ di respiro?”
 
Ebbe la prova che suo marito avesse bisogno di staccare la spina da quella casa, se voleva recuperare un po’ di serenità e per quella ragione gli aveva proposto di seguire le sue antiche aspirazioni. Per quanto il suo carattere non fosse dei migliori e fossero davvero le prime luci dell’alba, stava inesorabilmente peggiorando e non era solo questione di età.
 
“Ti do tutta la pace che vuoi, vado al lavoro”
 
Si stava allontanando da lui, mantenendo quella pacatezza. Non aveva alcuna intenzione di assecondare il nervosismo del marito, anche se, il fatto che avesse sottolineato i suoi doveri, poteva solo che darle conferma di quanto lo stesse oberando di responsabilità. Era stato piuttosto chiaro però, a suo parere il ruolo di Auror non gli si addiceva.
 
“Hermione, aspetta un istante”
 
La fermò gettando con energia la spugna sul tavolo e appoggiandovi mortificato. Prese un respiro per recuperare tranquillità e lei gli concesse del tempo per riprendersi.
 
“Ultimamente sono un completo idiota”
 
“Sì, lo sei”
 
“Non sono arrabbiato con te. È solo che … la nostra conversazione di …”
 
“Stai pensando di accogliere il mio invito a diventare Auror?”
 
La fissò spaventato e spostò, stavolta con più grazia, la sedia per accomodarsi.
 
“No, no e assolutamente no”
 
“E allora cos’hai?”
 
“Sto pensando a quello che ti ho detto. Ho esagerato, ti sentivi in colpa e probabilmente da me cercavi solo conforto, non altre accuse. Mi dispiace”
 
“Mi hai detto solo la verità, tesoro”
 
Il fatto che lei fosse così comprensiva paradossalmente lo mise a disagio. Era sicuramente abituato ad un altro genere di atteggiamento da parte di sua moglie, quando tra loro la tensione era alta.
 
“Non ti ha dato fastidio quello che ti ho detto?”
 
“Ron, so già che non eccelli in delicatezza, quindi se dovessi prendermela per ogni volta che mi rispondi male, io e te ci lasceremmo domani. Avrai avuto poca grazia, ma ciò che hai detto è vero. Ho trascurato Rose ed Hugo, su questa questione sono indifendibile. Se cercavo conforto da te? Sì, ci speravo, ma so anche che con te non arriva subito”
 
“Perdonami, mi sono innervosito quando mi hai proposto di diventare Auror”
 
“Pensavo ti facesse piacere”
 
“No, Hermione, per nulla”
 
Era sinceramente spaventato alla sola idea di varcare le soglie del Ministero in veste di Auror. Non voleva costringerlo, ma nemmeno assegnare a lui ogni responsabilità di quella casa. Quella mattina però aveva pensato di fare un’eccezione, accantonando le colpe nei confronti di Ron, per provare a risollevare l’umore di Hugo a causa della mancanza costante della madre. Quel bambino non le aveva mai comunicato esplicito disagio, ma forse una giornata in compagnia del padre ai Tiri Vispi gli avrebbe fatto sentire meno la sua assenza.
 
“Ron, evita il caffè stamattina, sei già abbastanza nervoso. Ti vorrei chiedere, se te la senti, di portare Hugo in negozio con te oggi”
 
“Per quale ragione?”
 
“Per sollevare i nostri genitori da questo impegno ogni tanto. Hugo è abbastanza silenzioso e se occupa il tempo, magari aiutandoti, la giornata passa più velocemente”
 
“Non ho alcun problema a trascorrere la giornata con mio figlio, Hermione, lo faccio da anni ormai. Lo tengo occupato io, non preoccuparti”
 
 - Già. Tu non hai sprecato tempo come me -
 
Gli rivolse un sorriso poco convinto. Stava diventando invidiosa del rapporto che c’era tra suo marito e suo figlio? La colpa era solo ed esclusivamente sua, era logico che il loro rapporto si fosse rafforzato. Di cosa si lamentava ora?
 
“Sveglio Hugo allora e gli do la bella notizia”
 
Le scale con quel peso sul cuore furono a dir poco infinite. Quando finalmente raggiunse la stanza di Hugo ancora avvolta nelle tenebre, spostò con energia le tende. Subito la nitida luce del sole delle prime ore del giorno sommerse il letto ed anche il volto del ragazzino, che comodamente si beava del confortevole calore delle lenzuola.
 
“Non la luce, papà”
 
Si lamentò senza nemmeno alzare le palpebre. Fece tutto tranne che accogliere l'esplicito invito a svegliarsi, così affondò la faccia nel cuscino per allontanare quella forte luce dagli occhi.
 
“Sono la mamma, amore”
 
Era talmente assonnato che non aveva nemmeno riconosciuto i leggeri passi di Hermione. Eppure non gli era parso che fosse lei, la sua andatura era strana, forse nervosa. Il bambino aprì gli occhi a fatica e finalmente la intravide.
 
“Mamma. Perché sei ancora a casa? Non dovresti essere già al lavoro? Quando mi sveglio, tu non ci sei mai”
 
Hermione si sedette sul bordo del letto accanto a lui, ma il fatto che fosse già vestita e pettinata, pronta per uscire, non fece ben sperare Hugo. Probabilmente stava solo ritardando di qualche minuto.
 
“Stavo per uscire, ma volevo prima salutarti e dirti che oggi stai con papà in negozio, sei felice?”
 
Hugo spalancò incredulo gli occhi sul dolce sorriso della madre. Non riusciva a credere a ciò che lei gli aveva appena detto.
 
“Se posso andare in negozio con papà, significa che posso venire anche al Ministero con te. Quindi voglio stare con te, mamma”
 
La confuse quella reazione. Qualunque ragazzino della sua età avrebbe fatto i salti di gioia a quella notizia. Lui ovviamente non era uno qualunque, era suo figlio ed era più testardo e orgoglioso di un folletto, ma, senza andare troppo lontano, era tale e quale a suo padre. Il fatto che volesse trascorrere del tempo con lei la lusingava e allo stesso tempo le dava la triste certezza che Hugo stesse esternando la mancanza che lei continuava solo ad ipotizzare.
 
“Tesoro non puoi venire al Ministero con me, lo sai, è vietato”
 
Il bambino si rattristò, ma non sembrava affatto intenzionato a cedere dopo un primo rifiuto. Hermione si alzò con il sorriso sulle labbra e aprì l’armadio per invitarlo a prepararsi velocemente.
 
“Vedrai, Hugo, ti divertirai un sacco con lo zio George e potrai aiutare papà. È felicissimo all'idea di avere un aiutante così speciale”
 
“Non voglio, non ha bisogno di me, se la cavano benissimo lui e lo zio”
 
Lo sentì ricoricarsi pesantemente sul letto. Aveva appena nove anni, ma a livello di disobbedienza era già in piena adolescenza. Ron era esattamente come lui, avevano entrambi una totale noncuranza delle regole, altra ragione per cui si intendevano benissimo. Non riusciva a capire, con suo padre si sarebbe solo divertito, con lei molto probabilmente si sarebbe annoiato. Le stava chiaramente facendo pagare tutte le assenze che aveva inferto alla sua famiglia.
 
“Hugo, non fare i capricci, lo sai che non li sopporto”
 
Lanciò con autorità e fermezza i vestiti del giovane sopra le lenzuola disfatte. Non gradiva disubbidienze da parte dei suoi figli.
 
 - Non che a Ron non debba ricordare ogni tanto qualche semplice regola … ma tutto sommato si impegna senza di me -
 
Come non gradiva che suo marito non dettasse troppe regole in quella casa. Si occupava di Rose e Hugo, ma ciò non lo autorizzava a non educarli a dovere. Proprio per quelle ragioni, Ron sarebbe dovuto essere il genitore più gradito, invece Hugo quella mattina non faceva che rimarcare la mancanza di una figura materna nella sua quotidianità.
 
“Vestiti subito, papà deve essere in negozio tra poco, ti sta aspettando”
 
“No. Io non vado in negozio con papà, voglio venire con te”
 
“Te lo scordi”
 
“Ti odio, mamma!”
 
Stava uscendo dalla stanza, intenzionata a non assecondarlo, quando sentì chiaramente suo figlio pronunciare quelle parole. Appena fuori dalla porta si ritrovò faccia a faccia con suo marito, probabilmente salito per capire la ragione di quella discussione. Ron la guardò mortificato per ciò che aveva appena urlato Hugo, come se si sentisse in parte responsabile, come se quelle parole fossero scaturite dal rimprovero del giorno prima, invece non era così, il ragazzino non aveva sentito il padre mentre la rimproverava ai Tiri Vispi. Era perciò dovuto ad una frustrazione che lui si portava dentro chissà da quanto tempo ormai e che proprio quando Hermione sentiva di aver sbagliato tutto nella sua vita, aveva deciso di esternarla. Siccome però Ron credeva poco al caso, doveva quasi sicuramente aver trovato la lettera che Rose aveva spedito ai genitori qualche giorno prima, dove riportava quanto Albus fosse insoddisfatto della sua famiglia e anche lui doveva aver trovato legittimo finalmente far sentire la sua voce a proposito. Ron forse era l'ultimo a poter fare la predica al figlio per come aveva risposto alla madre, ma in quel modo non la aiutavano. Gli sfuggiva persino il luogo doveva aveva lasciato quella lettera, seppure fosse stata una dimenticanza meno grave rispetto a molte che era solito avere, aveva permesso che la curiosità di Hugo agisse. Sotto quell'aspetto suo figlio era tale e qualche ad Hermione. Tentò di addolcire in qualche modo la durezza di Hugo.
 
“Vai al lavoro tranquilla, a lui penso io”
 
Hermione però non riuscì ad ascoltare il marito e si voltò in direzione del figlio. Non riusciva ad andarsene così. Hugo si era girato dall’altra parte, probabilmente stava piangendo silenziosamente. Ma era ancora così ingenua da credere che suo figlio, ormai cresciuto, sfogasse tristezza e frustrazione in pianto? Stava diventando grande e lei stava perdendo inesorabilmente i migliori anni della sua vita. Ron provò una seconda volta ad attirare l’attenzione della moglie.
 
“Hermione, vai, altrimenti arrivi in ritardo”
 
La superò, fece il giro del letto e cercò di catturare l’attenzione di Hugo, abbassandosi alla sua altezza.
 
“Ehi, figliolo, ti va di aiutarmi oggi in negozio? Dai, ho un sacco di cose da sbrigare. Come faccio da solo?”
 
“Voglio la mamma oggi … voglio stare un po' con lei, non la vedo mai”
 
“Lo so, Hugo, la mamma manca anche a me, ma se stiamo insieme sono sicuro che il tempo passerà più velocemente. Ti fidi di me?”
 
Il bambino si voltò verso la porta, dove incontrò lo sguardo mortificato di Hermione. Non era riuscita ad andare via, anzi aveva silenziosamente incassato la sofferenza nel marito che triste ora la fissava in attesa di una sua mossa. Hermione non fiatò, così spettò nuovamente a Ron l'onere di riempire il silenzio.
 
“Dai, Hugo, vestiti, altrimenti lo zio George si arrabbia”
 
Fece una carezza affettuosa sulla schiena del figlio sperando di incentivarlo, ma lui per tutta risposta corse incontro ad Hermione e la abbracciò forte. La prese alla sprovvista, ma non per questa ragione non la rasserenò. Non sarebbe mai riuscita ad andare al lavoro, sapendo che lui era così arrabbiato con lei.
 
“Voglio venire con te, mamma, ti prego. Ti prometto che non farò troppa confusione”
 
Gli sorrise quasi commossa, avrebbe probabilmente fatto qualunque cosa pur di trascorrere qualche ora serenamente con sua madre. Si accorse che la malinconia era assolutamente reciproca, ma quel lavoro la richiamava spesso e volentieri ad un grande dovere, forse addirittura più grande di lei, se non riusciva a conciliare come avrebbe voluto ogni aspetto della sua vita.
 
“Non si può, amore mio. Stasera ti porto un regalo, cosa ti piacerebbe? Ma se non mi lasci andare, non riesco a passare a Diagon Alley, prima di raggiungere il Ministero”
 
“Mamma, non voglio nulla, solo trascorrere un po' di tempo con te”
 
 - Anche io, amore mio, non sai quanto -
 
“Guarda che se continui così, papà si offende. Vero, Ron?”
 
Cercò la complicità del marito, prima di abbandonarsi lei per prima a quel momento di tristezza e raggiungere il suo ufficio con gli occhi rossi di pianto.
 
“Certo che mi offendo”
 
Hermione fece schioccare sulla guancia del bambino un bacione, pienamente consapevole del fatto che Ron sarebbe stato in grado di risollevare il morale di quel ragazzino. Sperò addirittura che in via eccezionale soddisfacesse qualche piccolo vizio, era certa lo avrebbe fatto senza alcuna raccomandazione.
 
“Ci vediamo stasera, tesoro. Torno il prima possibile, promesso”
 
Imboccò le scale, lanciando una fugace occhiata a suo marito per salutarlo e per dargli le ultime silenziose raccomandazioni.
 
“Vieni, Hugo, stare fermo lì aspettando che la mamma torni non è la scelta migliore. Preparati velocemente, passiamo al Paiolo Magico a prendere una Ciocconocciola. Ti va?”
 
Rivolse al padre un incerto sorriso, ma Ron si ritenne fortunato con poco. Poteva solo immaginare come si sentisse Hermione dopo la reazione di Hugo e comprendeva chiaramente suo figlio, anche lui provava una mancanza molto simile alla sua. Non si offese per essere diventato un rimpiazzo ad una giornata che nella mente di Hugo sarebbe dovuta essere diversa, forse addirittura più gioiosa per quanto il lavoro al Ministero fosse decisamente più noioso.
 
“Bravo il mio bambino. Ora preparati, ti aspetto giù”
 
 
[ 4 settembre 2017 ore 7:50 a.m – Casa Weasley/Potter ]
 
Harry quella mattina trovò stranamente la moglie seduta a tavola, con la colazione davanti intonsa e un foglio tra le mani. Si avvicinò silenziosamente e perplesso a lei. Non aveva alcuna intenzione di spaventarla, i suoi lenti passi non racchiudevano l’esplicita intenzione di non fare rumore, era semplicemente assonnato e non aveva ancora carburato le sue energie, specie senza aver ancora consumato la sua colazione. Ginny non lo sentì assolutamente arrivare, motivo in più se quel pezzo di carta stava attirando tutta la sua attenzione. Percepì la presenza del marito solo dopo averlo sentito pronunciare qualche roca sillaba.
 
“Buongiorno, tesoro. Sbaglio o stamattina ti sei svegliata prima del solito?”
 
Alzò spaventata gli occhi su di lui e accantonò quella lettera in modo che l’ultimo arrivato non potesse leggerla. Constatò che si era davvero appena alzato dal letto, perché indossava ancora il pigiama, era particolarmente scompigliato – anche se quello non era un dettaglio del tutto eccezionale -, continuava a sbadigliare insonnolito e i suoi occhiali erano leggermente storti verso sinistra. Forse, date le condizioni di suo marito e i riflessi non ancora pienamente pronti, aveva qualche possibilità che non si fosse accorto della sua reazione intimorita alla sua comparsa improvvisa.
 
“Ciao, Harry. Ti puoi fermare due minuti per fare colazione, prima di prepararti o devi scappare subito?”
 
“Ho qualche minuto”
 
La informò con il sorriso, ma, benché la sua vista fosse ancor meno efficace dopo una lunga dormita, non riusciva proprio a togliere gli occhi dal foglio che Ginny aveva velocemente accantonato, stando ben attenta a coprire le scritte, un dettaglio che ad Harry non era affatto fuggito. Si tolse gli occhiali e pulì dubbioso le lenti sull’orlo del pigiama. Non potevano averlo tradito i suoi riflessi, insomma, era un Auror, cogliere prontamente i dettagli faceva parte della sua professione. Si accertò che le lenti fossero ben pulite, prima di rinforcare gli occhiali e accomodarsi alla sedia che, oltre il tavolo, si trovava proprio difronte a lei. Stavolta Harry incuriosito scrutò quel pezzo di carta più da vicino. Il compiacimento per essere riuscito a scorgere prontamente la stizza con cui sua moglie lo aveva voltato verso il legno dal lato delle scritte, lasciò subito il posto alla preoccupazione. Se Ginny aveva reagito in quel modo, significava che su quel foglio c’erano riportate informazioni poco piacevoli che preferiva chiaramente non condividere con lui. Non gli sembrava di essere tanto spaventoso da infonderle timore, anzi era pronto a comprendere qualsiasi ragione vi fosse sottesa. Lei, lungimirante e abile a comprendere le espressioni del marito, richiamò prudentemente la sua attenzione su di sé.
 
“Non mi hai più detto com’è andato il colloquio con la McGranitt. Sei tornato dal Ministero ieri sera tardi ed io sono crollata prima del tuo arrivo. È successo qualcosa di grave?”
 
Cercò di mantenere il tono più pacato possibile, ma in effetti anche quell’argomento di conversazione la metteva a disagio. La Preside li aveva convocati per Albus ed era preoccupata per lui, specie da quando era venuta a conoscenza dello stato d’animo del figlio dalla cognata. Avrebbe voluto confrontarsi direttamente con la McGranitt, ma purtroppo era rimasta bloccata, come spesso accadeva, agli allenamenti. Lo sguardo di una madre preoccupata stavolta non sfuggì ad Harry.
 
“Ma no, tranquilla. La Preside non mi ha detto nulla che non sapessimo già. Ho parlato con Albus e spero si sia un po’ tranquillizzato. Cos’è?”
 
Nemmeno lui sapeva spiegarsi se la lettera fosse il pretesto per non rivelarle il gesto che il figlio aveva fatto nei confronti di Scorpius o se avesse di proposito affrettato le spiegazioni circa quel colloquio per concentrare l’attenzione su quel foglio di carta, che lo fissava con una certa attrattiva.
 
“Nulla di importante. Ti ha convocato solo per dirti che Albus non sta bene?”
 
“In un certo senso”
 
Harry si versò nervoso il caffè nella tazza vuota che Ginny aveva amorevolmente preparato sul tavolo, sperando che lui almeno quella mattina si sarebbe fermato per fare colazione insieme a lei. La donna seguì i gesti del marito pensierosa, in quel momento desiderava solo approfondire la questione, visto che capiva lontano chilometri quando le mentiva, per il semplice fatto che non ne era mai stato in grado. Si sporse leggermente oltre il tavolo e con aria inquisitoria si avvicinò a lui. Harry prese velocemente la tazza e la trangugiò, era l’unico buon pretesto che avesse per prendere tempo.
 
“Sicuro?”
 
A quell’ulteriore domanda gli venne voglia di versarsi altro caffè, quella bevanda stava diventando un efficace antistress per lui, ma Ginny stavolta con fermezza glielo impedì, posando una mano sul bordo della tazza.
 
“Non esagerare”
 
“Ho una lunga giornata davanti, Ginny”
 
“Troppa caffeina ti alza solo la pressione”
 
“Pressione? Non credi sia un po’ troppo giovane per preoccuparmi di certe cose?”
 
“Meglio non trascurare la salute nemmeno ora”
 
“Agli ordini. A casa mi comandi tu e al Ministero Hermione, c’è un posto dove posso essere libero di fare ciò che voglio?”
 
Scocciato, abbandonò la voglia di caffeina e si lasciò crollare con le spalle contro lo schienale della sedia.
 
“Direi di no, amore. Ora mi dici cos’ha combinato Albus? Harry, conosco mio figlio e non credo che la McGranitt ti abbia scomodato solo per lo sconforto di Albus. O sbaglio?”
 
Lo aveva messo efficacemente spalle al muro. Dal momento in cui era entrato in cucina chiunque avrebbe pensato che a vuotare il sacco sarebbe stata lei su quella benedetta lettera e invece sua moglie aveva ribaltato la situazione a suo favore, senza nemmeno che lui si potesse accorgere quale mossa sbagliata avesse commesso nel giro di pochi minuti per giungere rapidamente a quel risultato che lo vedeva nettamente in svantaggio. Come sempre … nessuna novità quindi. Harry prese un respiro e in parte gli sembrò di tradire la fiducia di suo figlio, rivelando ciò che gli aveva confidato.
 
“Ha Schiantato il figlio di Draco”
 
“Che cosa ha fatto??”
 
“Stai calma, non è successo nulla di grave. Non è stato espulso e non avrà alcuna punizione”
 
Ginny lo fissava sbalordita, talmente tanto che persino le sue labbra si erano leggermente socchiuse. Passò qualche secondo e Harry notò che sul viso della moglie si dipinse un leggero sorriso di soddisfazione.
 
“Mio figlio è un genio. Meriterebbe un premio, altroché punizione”
 
Harry rimase perplesso, quella reazione fu del tutto inaspettata. Si voltò verso la caffettiera, la prese in mano e sbirciò con aria inquisitoria al suo interno, analizzando gli ultimi millilitri di caffè che erano rimasti sul fondo.  
 
“Ginny? Sicura di stare bene? Che cosa c’era nel caffè stamattina?”
 
La moglie, ancora più divertita, gli strappò quell’utensile dalle mani e lo appoggiò sul tavolo.
 
“Sto benissimo, ma non puoi negare che saper Schiantare ad undici anni sia così diffuso”
 
“No e per fortuna. Da quando lo vogliamo trasformare in un delinquente?”
 
“Eh dai, Harry, cerca di essere meno Auror, almeno quando sei a casa”
 
“Continuo a sostenere che non ti senti molto bene stamattina. È per caso quella lettera la causa di tanto delirio?”
 
Bastò citare quel foglio per spegnere il sorriso dalle labbra di Ginny. Harry, al quale non era ancora sfuggito mezzo sorriso, con convinzione si allungò per tentare di afferrarla, facendo valere, anche solo apparentemente, un minimo dell’autorità che deteneva in quella famiglia, ma lei ovviamente bloccò la mano del marito senza porsi alcun problema.
 
“Hai ragione, nostro figlio ha un po’ esagerato, ma hai almeno cercato di capire cosa Scorpius possa avergli fatto per reagire così?”
 
“Dice che i Serpeverde lo provocano. Non mi stupisce l’astio di Scorpius verso di lui, ma …”
 
“Ma?”
 
Abbandonò per l’ennesima volta il proposito di scoprire ciò che Ginny cercava con tutte le sue forze di nascondergli e tornò sconsolato al suo posto.
 
“Dice che è colpa mia. Sostiene che io non sia stato sufficientemente presente per i miei figli e che abbia voluto continuare ad essere qualcuno influenzando anche la loro reputazione”
 
Recuperò fulmineo quella misteriosa carta, prendendo la moglie totalmente alla sprovvista, approfittando della concentrazione di Ginny sulle sue parole. Era già abbastanza triste, nulla avrebbe potuto peggiorare il suo umore. Fu inutile per lei provare a rimediare, Harry leggeva e le impediva di fermarlo. Quando vide che la guerra era ormai persa, tentò di supplicarlo con la voce.
 
“Harry, ti prego”
 
Terminò la lettura, riuscendo a non essere disturbato. Arrivato al punto finale, si voltò spaventato verso di lei. Iniziò finalmente a capire cosa avesse scosso la moglie in quel modo di prima mattina. Si sbagliava, c’era qualcosa che avrebbe potuto aggravare la loro situazione.
 
“Una settimana?? Starai via una settimana?”
 
“Le Holyhead Harpies giocheranno una partita fuori dal paese e non posso mancare. Te lo avrei detto … non sapevo né quando né come però”
 
“Ginny, non è questo il momento di lasciarmi da solo. Io non sono mai a casa, Lily rischia di rimanere sola per una settimana. Dall’altro giorno che abbiamo fatto colazione insieme al Paiolo Magico, non l’ho più vista neppure per sbaglio … sono ore che non vedo mia figlia, probabilmente ha fatto persino in tempo a crescere di qualche centimetro”
 
“Non posso fare diversamente, Harry. Non sai quanto mi dispiace”
 
Era sinceramente mortificata per la notizia che, volontariamente o involontariamente, gli aveva dato. Il timore che Ginny ebbe a quella comunicazione fu proprio rivolto alla sua famiglia.
 
“Albus mi accusa di non essere stato presente per i miei figli, non fare il mio stesso errore”
 
Ginny vedendo la sofferenza del marito, gli afferrò con grinta la mano, sperando di infonderla anche a lui. In quei giorni percepiva il totale svilimento di Harry ed ogni ora, completamente soggiogato agli ultimi eventi, sembrava peggiorare. Strinse più forte la mano della moglie nella sua e finalmente dopo quell'incentivo si sentì di ricambiarla con una dolce e sincera carezza sulle falangi.
 
“Harry, non è vero, tu ci sei stato per noi. Anche se a modo tuo, hai fatto tutto per il nostro bene. Non devi rimproverarti di nulla”
 
“E come spieghi il malessere di Albus? Ginny, era sincero e arrabbiato … con me. Non penso tu possa capire, finché non sentirai sulla tua pelle il dolore e le mancanze di tuo figlio. Ti auguro davvero di non provarlo mai”
 
Non sapeva cosa rispondergli, non aveva una soluzione, anzi sembrava essere prossima a peggiorare quella situazione con un viaggio di lavoro inatteso e inopportuno.
 
“Nostro figlio ha ragione, Ginny. Finita la guerra, avrei potuto scegliere un lavoro più tranquillo, ma non l’ho fatto. Perché?”
 
“Harry, tu non hai scelto questo lavoro perché volevi un ruolo importante, non ti è mai importato nulla della fama, anzi ti ha sempre infastidito. Ti conosco e mi giocherei la bacchetta che il tuo cuore possa aver avuto sempre e solo una forte propensione alla giustizia. I nostri figli dovrebbero essere orgogliosi del loro papà, esattamente come lo sono io dell'uomo che ho sposato”
 
Le rivolse un sorriso grato, ma quelle parole, benché fosse un'emozione indescrivibile sentirsele ripetere ogni qualvolta sua moglie tentava di rincuorarlo, in quel preciso momento non sortivano l’effetto sperato. Fallire nel suo ruolo di padre sarebbe stato un peso troppo grande da sopportare, eppure era davvero molto vicino a quell’eventualità.
 
“Giustizia che mi fa comunque sacrificare la mia famiglia. È carino da parte tua non farmelo pesare, ma non cambia nulla. Se non te ne fossi accorta ho sacrificato anche te. Ed io che credevo solo di proteggervi, che stupido che sono stato!”
 
L’aveva lasciata nuovamente senza parole. Non riusciva a spiegargli quanto nessuno fosse perfetto e che se tutti gli uomini del mondo avessero avuto tali imperfezioni, probabilmente ogni donna avrebbe vissuto una vita più che soddisfacente.
 
“Non sei un pessimo marito, tesoro. Non lo sei mai stato”
 
“Scusami, sto riversando su di te i miei errori, tu sei libera di andare, non voglio trattenerti qui con me. È giusto che tu vada e non certo per una piccola assenza in anni diventerai una pessima madre. Non è colpa tua se sono stato assente, al contrario di me tu sei sempre stata presente, anzi dovrei solo ringraziarti per aver fatto anche la mia parte. Ma se Al si sente così è solo colpa mia, non tua. Mi fa essere spaesato il fatto che tu vada via proprio ora che non so come gestire Albus … tutto qui"
 
“Per la verità pensavo di lasciare i ragazzi in buone mani. Mi fido di te e so che riuscirai a cavartela senza di me per qualche giorno. So che è un grosso sacrificio con i tuoi turni al Ministero, ma Lily sarà comprensiva, sa già che potrai dedicarle poco tempo e i miei ti aiuteranno sicuramente nei giorni in cui sarai più impegnato”
 
“Buone mani?? Credo tu abbia un'idea distorta di me. Il fatto che tu te ne vada equivale a lasciare una bambina di nove anni in balìa totalmente di se stessa. E, no, non dimentico che è estremamente giudiziosa per la sua età, ma è pur sempre una bambina e non posso gravare le cure di mia figlia sui miei suoceri, che, per quanto mi rincresca ammetterlo, stanno invecchiando e hanno solo bisogno di un po' di pace, non di bambini che scorrazzano per la Tana ad ogni ora del giorno e della notte. Non voglio però chiederti di restare qui con noi per questo motivo e non mi sto nemmeno lamentando, sto solo riflettendo ad alta voce su quello che mi aspetterà”
 
“Per la verità, restare qui con te e i ragazzi è dove vorrei essere di più al mondo, Harry. Dispiace anche a me dovermi allontanare da casa, ma magari in questi giorni, con qualche sacrificio - non nego che questo ci sarà - riuscirai a ritagliarti qualche minuto in più per Lily. Per quanto riguarda Albus invece, io sinceramente non credo abbia voglia di protestare per suo padre facendo saltare per aria Hogwarts. Quel ragazzo è irrequieto, ma ripongo anche piena fiducia negli insegnamenti che gli abbiamo trasmesso in questi anni”
 
Riuscì finalmente in quella mattina così tormentata a vedere il sorriso di suo marito. Non replicò alle considerazioni di Ginny, ma un pensiero gli venne spontaneo.
 
 - È irrequieto come te, amore. Siete due uragani ed è questo che mi preoccupa maggiormente -
 
Le lasciò un piccolo bacio sulla mano prima di sciogliere il loro contatto e dirigersi al piano superiore. Si voltò un’ultima volta, aveva ancora una domanda lasciata in sospeso che cercava una risposta.
 
“Quando parti?”
 
“Tra un paio di giorni, a inizio settimana dobbiamo aver già raggiunto la nostra destinazione. Ma, amore, la tua colazione è già finita? Non mangi nulla?”
 
“Ho solo il tempo di prepararmi, sono però sicuro che Lily gradirà gustarsi anche la mia parte. In fatto di appetito nostra figlia ha ereditato tutto da Ron. Poteva prendere qualunque aspetto da Ron ed Hermione, invece ha ereditato proprio i peggiori: golosa e secchiona
 
La lasciò da sola in cucina con uno spensierato sorriso sulle labbra. Harry non aggiunse altro, le aveva già regalato un raro momento di gioia, quello che il tempo a disposizione gli consentiva. Infondo era stato proprio il suo obiettivo al termine di quella conversazione, cercare ottimismo e serenità nel meraviglioso sorriso di Ginny.
 
 
[ 4 settembre 2017 ore 11:00 a.m – Ministero della Magia londinese/Ufficio Ministro della Magia ]
 
Harry entrò nell'ufficio del Ministro con un'alta pila, composta da una vasta varietà di documentazione. Fece comprensibilmente fatica ad aprire la porta. Hermione, presa alla sprovvista, non ebbe nemmeno l’impulso di aiutarlo, ma solo di pensare a cosa diavolo stesse facendo suo cognato. Quando, seguendo attentamente i passi e i gesti di Harry, vide che si sta avvicinando pericolosamente alla sua scrivania, gli fece velocemente spazio spaventata, sgombrando il ripiano da altri suoi lavori, onde evitare che si stropicciassero. Quando finalmente riuscì a scorgere il volto dell’amico oltre quel marasma di carta, lo fissò perplessa alla evidente ricerca di spiegazioni.
 
“E questa roba cosa sarebbe?”
 
“Dunque … fascicoli, verbali e qualche udienza. Tutto lavoro che spetta a te, mi dispiace”
 
Sava uscendo senza aggiungere altro, anche se Hermione poté scorgere dalla sua espressione l'ombra di una reale mortificazione. Le parve comunque un po' strana ed esagerata quella reazione, infondo che lei fosse oberata di lavoro non era certo una novità e di norma qualche battuta da parte del cognato avrebbe contribuito ad alleggerire il peso della fatica.
 
“Harry, tutto bene?”
 
Lo bloccò, quando ormai si trovava sulla soglia della porta, in procinto di riprende i suoi numerosi doveri.
 
“Sì … perché?”
 
“Sei stranamente scostante”
 
“Scusa, è solo che stamattina non ho molta voglia di conversare”
 
“È successo qualcosa?”
 
Avrebbe dovuto prevederlo, Hermione era particolarmente empatica ed inoltre riusciva facilmente ad interpretare i suoi silenzi. Non sapeva però se inondarla con i suoi problemi, accogliendo volentieri il conforto da parte di un'amica, o se stare zitto. La titubanza di Harry peggiorò solo i sospetti della donna. Gli sorrise e con un cortese gesto lo invitò ad accomodarsi sulla sedia proprio davanti a lei.
 
“Signor Potter, chiuda la porta e si segga”
 
“Non ti voglio disturbare, hai tanto lavoro da sbrigare”
 
Spostò prontamente e faticosamente i documenti che Harry le aveva consegnato su un lato della scrivania, sottolineando così le sue sincere intenzioni.
 
“Questi possono aspettare qualche minuto, ma non il tuo sconforto. Su coraggio, vieni”
 
Harry diede retta al Ministro, anche perché il suo tono non sembrava ammettere alcuna replica. In quanto suo capo, Hermione aveva senza dubbio la facoltà indiscussa di farsi ascoltare ad ogni occasione tra le mura di quell'edificio. Lui non sapeva da dove iniziare, ma a colmare quel vuoto ci pensò proprio la prontezza della cognata.
 
“Allora, racconta e non omettere nulla. Nuovi problemi con Albus?”
 
“Non solo, Hermione. Ginny parte una settimana con la squadra. Non era questo il momento di lasciarmi solo con una bambina di nove anni che ha il costante bisogno di un adulto accanto e Albus che … insomma … lo sai, no? La McGranitt ti avrà accennato di quell'episodio”
 
Sapeva perfettamente a cosa si stesse riferendo, ma trovò opportuno non sottolineare la gravità del gesto del nipote.
 
“Ha accennato vagamente a qualcosa, ma sinceramente, Harry, ho questioni più importanti a cui pensare che al colpo di testa di un adolescente. Se lo ha fatto, avrà avuto le sue ragioni, mi fido della coscienziosità di mio nipote visto che tu e Ginny siete i suoi genitori e lo avete educato nel modo migliore. Quindi non mi preoccupo più del necessario di quell'evento, la McGranitt ha agito bene e Albus non ripeterà più nulla di simile, puoi starne certo, anzi riscoprirà presto i lati positivi di Hogwarts e si sentirà presto come un bambino al campogiochi. Per quanto riguarda la partenza di tua moglie invece, Harry, è solo una settimana. Non preoccuparti. Ti posso concedere una settimana di ferie, così resti tranquillo a casa con Lily e puoi occuparti più serenamente di lei”
 
Era rincuorante la fiducia che riponeva in lui. Senza nemmeno la necessità che lui riportasse il pensiero del figlio, la sua migliore amica era riuscita a valorizzare il suo ruolo di padre.
 
“No, Hermione, non te lo posso chiedere, dovresti fare tu il doppio del lavoro e Ron mi ammazzerebbe, non ti vedrebbe praticamente più”
 
“Ron capirà, ne sono sicura”
 
Non voleva sentire discussioni e prese un foglio da compilare all’istante, pronta a concedergli quei giorni liberi. Harry tentò di fermarla, posando una mano sulla sua, ma non sembrava sortire l'effetto sperato.
 
“No, davvero, Hermione, non è necessario. Me la caverò comunque, dopotutto è solo una settimana, lo hai detto anche tu ed hai ragione, come sempre. Avevo solo bisogno di Ginny, mi sentivo meglio psicologicamente, ma su questo non puoi farci proprio nulla”
 
“Harry, è sua sorella e anche tu sei la sua famiglia, Ron non avrà nulla di cui lamentarsi, vedrai. Fidati, lo conosco, per la sua famiglia si butterebbe direttamente e di sua spontanea volontà nell'Ardemonio”
 
Finì di compilare, non smettendo di tranquillizzare il perenne timore di Harry di fare torto a qualcuno facendosi aiutare. Gli passò il foglio, roteandolo a centottanta gradi nella direzione di Harry e gli porse la sua penna con un convincente sorriso.
 
“Hai tutta la prossima settimana libera. Su, coraggio, Harry, firma. Che c’è? Non è la prossima settimana? Ci metto un secondo a cambiare la data”
 
Il capo delle guardie del Ministero non accolse con altrettanto entusiasmo quella concessione, anzi era piuttosto sconsolato.
 
“No, Hermione, non è quello”
 
“E allora cosa? Non concedo spesso ferie e tu lo sai, se lo faccio è perché lo ritengo opportuno”
 
“Non voglio che ti sacrifichi per me”
 
“Nessun sacrificio, Harry”
 
Gli porse nuovamente la penna, stavolta con più veemenza. Gliel’ avrebbe anche messa tra le mani con la forza, se fosse stato necessario, sperò però che avrebbe ceduto prima di arrivare a tanto.
 
“Se non posso farlo per te, consentimi almeno di farlo per mia nipote. Regalo a Lily qualche giorno con il suo papà, in questo non ci trovo nulla di male e non dovresti trovarcelo nemmeno tu”
 
Gli sorrise incentivandolo. In pochi giorni aveva già fatto tantissimo per lui. Era perfettamente consapevole di quanto fosse ligia al dovere e alle regole, quindi il fatto che avesse giustificato il comportamento di Albus e autorizzato la sua assenza dal lavoro poteva solo significare un grande affetto per la sua famiglia. Harry, per la gioia di Hermione, si decise ad afferrare la penna, ma fu solo un piccolo passo verso la decisione definitiva, perché indugiò ancora qualche minuto, prima di apporre nome e cognome infondo a quel documento.
 
“Harry, forza, non ti sto regalando niente. Lasciati aiutare. Indipendentemente dalla partenza di tua moglie, hai bisogno di riposo. Stai facendo turni improponibili pur di portare a termine tutto. Senza ovviamente contare le ronde per compensare i turni vacanti degli Auror. Una settimana è anche poca, ti dovrei concedere almeno un mese”
 
“E tu quando ti riposi?”
 
“Io sono il Ministro della Magia, non credo sia previsto riposo per me. Firma, se lo farai e ti saprò a casa con Lily, mi sentirò già molto meglio”
 
Si rattristò al pensiero delle parole di Albus, per lui non si era mai preoccupato di ritagliarsi più tempo del dovuto. Almeno Lily non gli avrebbe rinfacciato un giorno, in un futuro forse non troppo lontano, quei sette giorni totalmente dedicati a lei. Harry, spinto da quei pensieri, si decise a firmare. Hermione ripose velocemente il foglio in uno dei suoi cassetti della scrivania, prima che Harry cambiasse idea e ciò non poteva essere dato per scontato dopo la fatica che aveva fatto per convincerlo. Fu proprio in quel momento che Harry, alzando gli occhi dal foglio e accantonando i pensieri, vide l'espressione triste di Hermione, a cui non aveva ancora fatto caso. Lei l'aveva brillantemente camuffata fino a quel momento, ma come aveva fatto a non notare che la luce negli occhi nocciola dell'amica era totalmente spenta quella mattina?
 
“Hermione, qualcosa non va?”
 
“Va tutto alla grande”
 
Sforzò un sorriso, molto meno sincero di tutti quelli che gli aveva rivolto nel tentativo di convincerlo a lasciarsi aiutare.
 
“Non sembra tanto dalla tua espressione. Hai ricevuto qualche brutta notizia?”
 
Da quello che Hermione capì, Harry si stava sicuramente riferendo a qualche affare del Ministero. Magari fosse stato quello il problema, in quel caso non avrebbe avvertito alcun macigno sul cuore. Prese un respiro ed esternò i pensieri che da qualche ora ormai la stavano tormentando, convinta che lui avrebbe potuto capirla.
 
“Hugo … mio figlio ha detto che mi odia, perché non mi vede mai. Oggi voleva venire al lavoro con me, ma io ovviamente non ho voluto”
 
Se avesse saputo prima una cosa del genere, di certo non avrebbe accettato quelle ferie, togliendo ad Hermione ancora più tempo alla famiglia. Aveva percepito tutta la mortificazione di quella donna, quasi come se si fosse pentita di non aver assecondato un desiderio legittimo del figlio.
 
“Non lo pensa, Hermione, quel bambino ti adora”
 
“Adora Ron, che non lo abbandonerebbe mai, non me. Harry, non fraintendermi, io sono felicissima del rapporto che Ron ha con i nostri figli, è un bravissimo papà, ma non posso fare a meno di sentirmi in colpa, dopo stamattina soprattutto”
 
Omise il fatto che anche suo marito avesse contribuito ad incrementare quei sensi di colpa e che fu proprio l’esperienza di Harry ad averla fatta giungere a quella triste consapevolezza, ancor prima delle dure parole di Hugo, che ebbero solo il potere di confermarla.
 
“Forse dovresti concederti anche tu un po’ di ferie e dedicarti di più alla famiglia”
 
Hermione sorrise sarcastica davanti alla proposta del cognato.
 
“Sono anni che non mi dedico alla famiglia. Non ricordo nemmeno più l'ultimo pranzo in compagnia di Ron e dei nostri figli”
 
“Dovresti … anzi dovremmo”
 
Harry ne era convito più che mai: Albus aveva ragione.
 
 
 
 
Ciao ragazzi!
 
Vi avevo promesso un confronto tra Scorpius e Draco, ci sarà, ma essendo già il capitolo piuttosto denso di eventi, ho preferito rimandarlo. Ci sarà spazio anche per i Malfoy, li ho lasciati solo per il momento da parte, ma sto solo aspettando il tempo favorevole per inserirli nella trama 😊
 
Ho voluto lasciare spazio anche a Lily e Hugo in questo capitolo, attraverso i pensieri dei loro genitori e i loro stessi comportamenti. Ho disseminato qualche indizio sulla loro personalità, spero si sia colto 😊
 
Scusate come sempre per l’immenso ritardo, ma i nostri eroi non sono gli unici ad avere poco tempo a disposizione ☹ Grazie mille per continuare a seguirmi nonostante tutto e per il vostro costante supporto! <3
 
Alla prossima 😊
Baci
-Vale

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Capitolo 5
*** Tra passato, cadute e scelte ***


Tra passato, cadute e scelte

 


[ 3 settembre 2017 ore 4:00 p.m. – Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts/Serra di Erbologia ]
 
Rose era ancora molto perplessa e fissava con diffidenza il vaso che il professor Paciock le aveva posizionato davanti. Era rimasta immobile sullo sgabello su cui l’aveva fatta accomodare per assistere a quella lezione personale. Sicuramente era riuscito a stupirla, ma non seppe dire se fosse un bene. Neville aveva usato degli accorgimenti per prendere in mano quella pianta e trasportarla, ma, nonostante ciò, non sembrava essere affatto teso. Rose invece aveva allontanato di qualche centimetro la sedia dal bancone della serra, il fatto che fosse una Grifondoro non le faceva venir voglia di immolarsi durante una lezione supplementare. Non ne aveva mai vista una dal vivo, ma conosceva molto bene le sue caratteristiche e sembrava ancora meno innocua rispetto a come veniva descritta sui libri di Erbologia. Le immagini che aveva potuto ammirare tra le pagine non le rendevano affatto onore. Si voltò verso il docente intimorita e confusa in cerca di spiegazioni, ma, quando lo fece, incontrò un’espressione quasi divertita per la reazione della ragazza.
 
«N-Neville, questa è …»
 
«La riconosci, signorina Weasley?»
 
La coscienziosità della sua studentessa gli era ben nota anche fuori dalla Scuola, si sarebbe forse stupito se la sua sete di sapere avesse superato la prudenza. Afferrò a sua volta uno sgabello e si sedette accanto a Rose con un sorriso. Neville non vedeva la necessità di prendere le distanze dal bancone su cui aveva appoggiato il vaso, ma l’assecondò ugualmente e si allontanò anche lui. Impugnò la bacchetta e immobilizzò gli aculei che si muovevano in tutte le direzioni, facendo cessare anche quel fastidiosissimo ticchettio che emettevano continuamente. La tranquillizzò in parte il fatto che il professore l’avesse resa indifesa, dimostrandole quanto quella che stavano intraprendendo fosse pura accademia in un’aula di Hogwarts e che non ci potesse essere alcun pericolo.
 
«È una Tentacula Velenosa, ma mi spieghi cosa dovrei farci io? Il Ministero l’ha classificata come “sostanza non commerciabile di classe C”, quindi, a meno che mia madre non abbia cambiato le leggi, non capisco per quale ragione ne abbia un esemplare davanti»
 
«Sbaglio o mi avevi espressamente chiesto una lezione di livello avanzato? E sei anche molto preparata, complimenti, dieci punti a Grifondoro»
 
«Sì, ma non volevo rischiare la vita»
 
Fissò Neville come se avesse tutte le intenzioni di rimproverarlo, nonostante il premio che le aveva concesso per le sue ineccepibili conoscenze. Non le importava nulla se si stesse rivolgendo ad un suo professore o se avesse più del triplo dei suoi anni, prima di ogni altra cosa Neville era un amico di famiglia e senza troppe difficoltà gli faceva notare un errore.
 
«Che esagerazione, è sufficiente essere prudenti»
 
«La Preside sa che tieni questa roba nell’Aula di Erbologia?»
 
«Ovvio che lo sa. Come farei ad ingannare la McGranitt? Tornando a te, Rose, rilassati, non metterei mai a rischio la tua incolumità, ho tutto sotto controllo»
 
In effetti non aveva alcuna ragione di mettere in dubbio la professionalità del suo docente, almeno fino a quando non lo vide infilare la mano destra in uno dei suoi guanti e avvicinarsi al vaso con disinvoltura, come se tutti i giorni si occupasse di simili piante. Era sicuramente esperto in materia, ma proprio per quel motivo avrebbe dovuto avere qualche scrupolo maggiore.
 
«Ehi, aspetta un attimo, cosa stai facendo?»
 
«Visto che sai già cos’è, dovremo studiarla in modo più approfondito»
 
Provò a giustificare le sue azioni con entusiasmo ed iniziò ad esaminare il terriccio che si trovava alla base del vaso. Nonostante Rose fosse diventata da qualche giorno una sua studentessa, e non fosse più solo la figlia dei suoi più cari amici, era gratificante confrontarsi con qualcuno che avesse le sue stesse conoscenze e avesse un così grande amore per il sapere di qualunque disciplina si trattasse. La ragazza si stava autoconvincendo a stare tranquilla, infondo si fidava di lui da quando era nata, e per farlo provò a cambiare argomento.
 
«Neville, tu conosci bene papà?»
 
«Conosco tuo padre da quando avevamo la tua età. Perché me lo chiedi?»
 
Le rispose distrattamente, esaminava attentamente la Tentacula Velenosa in cerca di qualche dettaglio che potesse attirare l’attenzione di Rose. Lei, nonostante fosse presa dalla conversazione, non distoglieva neppure per sbaglio lo sguardo dalla pianta per paura di ciò che Neville avesse in mente, ma soprattutto che l’incantesimo immobilizzante finisse precocemente.
 
«Perché Albus mi ha insinuato dei dubbi a cui non ha ancora dato risposta, ma forse è meglio se ora ti concentri su quello che stai facendo e termini velocemente»
 
«Rose, non è la prima volta che me la vedo con questo tipo specie, stai tranquilla. Dimmi piuttosto cosa vuoi sapere, se posso risponderti, lo faccio volentieri»
 
Alzò lo sguardo sulla ragazza in cerca di una spiegazione e ignorò le sue premurose raccomandazioni. Rose si stava preoccupando troppo per il suo professore o forse no, lei continuava ad intravedere una minaccia, ma proseguì comunque incentivata da lui.
 
«Sappiamo entrambi che a papà piace molto il Quidditch, tu sai se recentemente è andato a vedere qualche partita? Non è per la partita in sé, anche se ammetto che assistere alle partite con papà mi entusiasmi sempre tanto, ma me lo aveva promesso e forse preferisce andare da solo oppure si è dimenticato di me»
 
«Rose, non vedo tuo padre da un po’, ma trovo difficile che possa essersi dimenticato di sua figlia, non mi sembra nel suo stile. Penso piuttosto sia stato distratto da altro, è solo un po’ smemorato, se dimentica non ci mette malizia. Lascia un po’ di respiro a quel pover’uomo, avrà mille questioni a cui pensare durante la giornata, non deve essere semplice essere sposati con il Ministro della Magia e dover pensare al lavoro e alla famiglia dalla mattina alla sera. Se si ritaglia qualche ora per sé non significa che non ti voglia bene, anzi a me dà tutt’altra impressione»
 
Era ciò che lei continuava a ripetere ad Albus, eppure ora i dubbi che il cugino avesse realmente ragione sorgevano a lei. Nonostante Neville le avesse fornito una spiegazione plausibile circa il comportamento del padre, la situazione della sua famiglia iniziava a non convincerla più così tanto. Era come se qualcosa le avesse squarciato un velo davanti agli occhi e le avesse mostrato una verità che lei da sola fino a quel momento non era riuscita a cogliere.
 
«E questo lo ha detto lui a te? Si è lamentato con te sul fatto che la mamma lavori tanto e lasci a lui l’incombenza della famiglia? Ti ha detto che sente la necessità di tempo per sé? Se va alle partite, lo fa di nascosto, nemmeno la mamma lo sa, altrimenti avrei sicuramente sentito delle urla a tal proposito»
 
«Questo potrebbe essere potenzialmente un problema, non so quanto Hermione possa essere comprensiva. Rose, è apprezzabile che ti preoccupi per tuo padre e per tua madre, ma credo che queste siano questioni che debbano risolvere i tuoi genitori, magari non lo sai e in realtà ne hanno già discusso. Ti posso solo tranquillizzare sul fatto che non si sono dimenticati dei loro figli»
 
Dopo aver esaminato la pianta, afferrò le sue forbici da lavoro e le manovrò attentamente verso le radici, sempre sotto lo sguardo pensieroso della giovane studentessa.
 
«So, Neville, che ho solo undici anni e che queste sono questioni da adulti, ma non voglio che litighino, se posso evitarlo. Lo hai detto anche tu, se la mamma dovesse venire a scoprire che papà le ha mentito, non so che reazione potrebbe avere, come faccio ad aiutarlo?»
 
«Sa badare a se stesso, se non è ancora morto in questi anni, sono certo che sappia difendersi da lei. E sono anche sicuro ti stia riservando qualche sorpresa, sbaglio o l’anno prossimo si disputa la Coppa del Mondo di Quidditch*
 
Riuscì a strapparle un piccolo speranzoso sorriso, nonostante dubitasse che sua madre la facesse partecipare ad un simile evento e che suo padre la accompagnasse. Quel flebile barlume di serenità si spense quasi subito, quando tornò da lei e tra le mani aveva una parte di quella pianta velenosa, ma lei era fiduciosa sul fatto che non dovesse toccarla. Il professore si risedette a fianco di Rose e si apprestò ad iniziare la sua spiegazione, sperando di stupirla con informazioni a lei sconosciute, purtroppo però l’aveva sottovalutata ancora una volta.
 
«Neville, una volta staccati gli aculei non possono più muoversi e strangolarci, vero? E ho anche un’altra domanda: negli aculei non c’è la sostanza che la rende velenosa, ma tu l’hai tagliata dalla radice, quindi immagino che ora tu tenga in mano una sostanza tossica. Consentimi anche di dirti che sei un barbaro, la Tentacula Velenosa è semi-senziente, ciò significa che l’hai torturata»
 
«Ricordami per quale ragione ho accettato di dare lezioni private e avanzate ad una so-tutto-io
 
«Perché mi vuoi bene, suppongo, e mi fa piacere ascoltare i tuoi consigli. Saresti stato un bravo papà, sai, Neville?»
 
Glielo disse distrattamente, ma con grande sincerità. Lo prese alla sprovvista e riuscì quasi a commuoverlo, visto che era ancora particolarmente provato da un passato che faticava a lasciarsi alle spalle. Non era sua intenzione riaprire alcuna ferita, anzi credeva di fargli un complimento, eppure l’espressione dell’uomo era tutt’altro che rilassata.
 
«S-scusami, non volevo …»
 
«Tranquilla, Rose. Ti ringrazio, ma il destino non ha voluto rendermi padre»
 
«Volevo solo dire che saresti stato portato per essere padre, sai sempre come tranquillizzare, so però che non hai potuto e non è stata una scelta tua. Se ti può consolare, per me sei al pari dello zio Harry e per Al sei addirittura il suo padrino, quindi sei molto importante per entrambi»
 
Neville si alzò nuovamente, infastidito e imbarazzato per quell’argomento, talmente tanto da non riuscire ad apprezzare nemmeno quella dimostrazione d’affetto da parte della ragazza. Posò l’aculeo che aveva staccato, si tolse il guanto e si dedicò alla cura delle piante più innocue che custodiva nella serra. Rose lo comprese, era un po’ più piccola quando era avvenuta quella disgrazia, ma successivamente sua madre gliel’aveva spiegata meglio e non riusciva nemmeno lontanamente ad immaginare che emozioni avesse potuto provare Neville.
 
«A proposito di tuo cugino, come sta? So che il suo umore era pessimo in questi giorni, specie dopo quella disavventura con Scorpius»
 
«Sono certa che se gli parlassi anche tu, si sentirebbe meglio. Ora è in crisi, perché è entrato nella squadra di Quidditch ed ha paura di disattendere ancora una volta la reputazione della sua famiglia, immagino che stavolta abbia paura di non essere un Cercatore all’altezza degli zii. È diventata per lui un’ossessione e non so come aiutarlo»
 
«Gli parlerò sicuramente, Rose, sperando che ciò possa fargli trascorrere più serenamente questo anno ad Hogwarts»
 
«Grazie. Hannah come sta? In questi giorni non l’ho ancora vista, ma credo che sia positivo, visto che lavora in Infermeria»
 
«Bene … o almeno credo, con l’inizio delle lezioni ci vediamo sempre pochissimo, nonostante tre anni fa abbia iniziato qui ad Hogwarts il suo nuovo lavoro»
 
Riprese ad annaffiare le piante e ad esaminarle con malinconia. Rose non sapeva cos’altro aggiungere, a Neville non sembrava particolarmente gradito parlare di sua moglie, ma siccome non riusciva ad ignorare l’umore pessimo che aveva suscitato nel suo docente, cercò di approfondire.
 
«Va tutto bene con lei? Insomma, dovreste vedervi praticamente tutti i giorni. Mi immagino se mamma e papà dovessero lavorare entrambi al Ministero e suppongo che … no, anzi, credo che litigherebbero di più, avrebbero nuove ragioni per discutere, ma tu ed Hannah non avete alcun motivo per evitarvi»
 
«Va alla grande tra noi, siamo solo impegnati, tutto qui»
 
«Sai, se simuli un incidente non troppo grave con quella Tentacula Velenosa, vai subito in Infermeria e hai la scusa per vedere tua moglie»
 
«Ti ringrazio, Rose, per l’interessamento, ma non credo sia opportuno che un insegnante si confidi con uno studente e nemmeno che io tratti certi temi con una ragazzina di undici anni, per quanto tu possa essere saggia»
 
Rose iniziava ad intuire che qualcosa tra loro non andasse e probabilmente ciò andava ben oltre le normali liti dei suoi genitori, al termine delle quali si rappacificavano, almeno escludendo eventuali nuovi problemi. Cercò di notare la fede che Neville aveva sempre portato al dito in quei cinque anni e constatò con sollievo che c’era ancora.
 
«Tra te ed Hannah le cose non vanno più bene da quando …»
 
«Rose, dobbiamo per forza parlarne?! È già abbastanza difficile vederla tutti i giorni e non sapere cosa dirle»
 
«Scusami, ho sbagliato io a tornare sull’argomento. Anche perché credo che i miei genitori e gli zii ti abbiano già sommerso con mille attenzioni da quando è accaduto»
 
Erano entrambi molto a disagio. La ragazza non sapeva come aiutarlo, perché, come giustamente lui aveva sottolineato, lei non aveva l’esperienza necessaria, mentre Neville si pentì l’istante successivo di aver alzato la voce e di essersi innervosito davanti all’apprensione di Rose. Per come quella lezione era evoluta, l’ultima cosa che entrambi desideravano era incrociare l’uno lo sguardo dell’altra e Neville in quello era avvantaggiato, visto che poteva impegnarsi in altre attività nella serra.
 
«Sì, è da due anni che le cose tra me ed Hannah non vanno come dovrebbero»
 
«Mi dispiace, non deve essere stato facile per voi»
 
«Dai, Rose, non rattristiamoci, tanto non possiamo cambiare il passato e nemmeno allora ho potuto fare qualcosa per evitarlo. Cosa volevi che ti insegnassi ancora oggi? Anche se, sinceramente, sembra che ne sappia più tu di me, dopo soli tre giorni di lezione sei già pronta per i G.U.F.O del quinto anno. Non so, vuoi aiutarmi a curare le piante?»
 
Riuscì con quei complimenti a strapparle un sorriso, dissipando in parte l’imbarazzo che era calato tra i due. Rose ne era convinta, Neville avrebbe avuto davvero le doti per formare una famiglia tutta sua.
 
«I libri della mamma mi sono tornati utili durante l’estate»
 
«Immaginavo. So dalla McGranitt che anche tu rischi di finire nella squadra di Quidditch»
 
Non riuscì però a risparmiarle un ulteriore rossore in volto per tutte quelle aspettative riposte in lei. Rose per prima avrebbe desiderato far parte della squadra, ma temeva anche di non riuscire ora che le si presentava finalmente l’occasione. Quel sogno era troppo grande e da troppo tempo tenuto in un cassetto, forse dalla nascita, da quando suo padre le aveva trasmesso la passione per quello sport.
 
«Ci proverò, non so come andranno le selezioni, ma probabilmente in Infermeria ci finirò presto io, se vuoi ti saluto Hannah. Desideri che le riferisca qualcosa?»
 
«Non molli mai, sei tale e quale a tua madre, Ron me lo ripete sempre. Se hai eredito le doti di tuo padre e tua zia, hai molte possibilità di passarle. Domani mi troverai sugli spalti. So che non sarà corretto nei confronti degli altri studenti, ma io tiferò per te»
 
«Grazie per il sostegno, Neville»
 
«Dovere, piccola»
 
 
[ 3 settembre 2017 ore 4:15 p.m. – Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts/Campo di Allenamento ]
 
Albus era stato puntualissimo, non aveva alcuna voglia di deludere nuovamente la Preside, la quale sembrava essere piuttosto entusiasta riguardo al suo ingresso in squadra. Il Capitano dei Serpeverde Alex Flint, degno erede dell’ex Capitano Marcus Flint, lo stava aspettando intransigente al centro del campo. Si stava pentendo di aver accettato, quando notò che qualcun altro era presente sotto il pallido sole di settembre. Strinse più forte la sua Nimbus tra le mani, quando iniziò a provare una certa ansia per un nuovo eventuale confronto.
 
«Potter. Qual buon vento ti porta qui?»
 
Albus fissò Scorpius perplesso, si sforzava di essergli indifferente e di non accogliere le sue provocazioni. Il suo compagno non avrebbe ottenuto alcuna vendetta per l’aggressione che aveva subìto, voleva solo scoprire il motivo che lo aveva spinto sul Campo quel pomeriggio.
 
«Immagino per le selezioni, esattamente come te»
 
«Nessuna selezione. Siete entrambi in squadra. Fatemi vedere cosa sapete fare, voglio testare il vostro livello»
 
Flint freddo ricordò ai due i programmi di quell’allenamento speciale, ma Scorpius doveva aver frainteso, perché con atteggiamento battagliero aveva montato la sua Firebolt di ultimissima generazione.
 
«Con piacere. Abbiamo un conto in sospeso, Potter»
 
«Non vogliamo infortuni, dovete solo catturare il Boccino»
 
Il Capitano mise severo le cose in chiaro e si preparò a liberare la loro preda.
 
«Malfoy, non ho voglia di alcuna resa di conti. Sono qui solo perché me lo ha chiesto la McGranitt»
 
«Paura, Potter?»
 
«Di uno sbruffone come te?»
 
Salì sulla scopa a sua volta, non poteva impedire al suo sangue di ribollire ogni volta che percepiva arroganza nel tono di qualcuno. Quando entrambi furono in posizione, Flint liberò il Boccino. Scorpius partì senza pensarci, mentre Albus cercò prima di individuare la direzione in cui quel piccolo oggetto era sparito, confondendosi con l’abbagliante luce. Non riuscì a guardare troppo a lungo nella direzione del sole, rischiava che la sua vista venisse compromessa per alcuni secondi e in quel modo avrebbe concesso troppo vantaggio a Scorpius. Si tolse determinato la lunga divisa per essere più comodo e la posò a terra, dopodiché si decise a decollare e a raggiungere il suo avversario. Il compagno si era lanciato all’inseguimento del Boccino e non aveva alcuna intenzione di perderlo di vista prima della mossa decisiva. Albus lo aveva ormai raggiunto, ma lui non poteva permettersi di perdere contro il suo rivale. Scorpius cercò di tagliargli la strada per fargli perdere di vista il Boccino, ma Albus aumentò la velocità, evitando così lo scontro fisico.
 
«Non voglio alcuna rissa, Malfoy, dacci un taglio»
 
«Neanche io volevo essere Schiantato, ma non mi pare che tu mi abbia dato scelta»
 
L’unico obiettivo di Albus era il Boccino e non voleva alcuna distrazione. Aveva recuperato qualche metro in linea d’aria e Scorpius era rimasto vicino alla coda della Nimbus, nonostante stesse volando con la scopa più potente che esistesse. Albus era molto vicino al suo traguardo, aveva già allungato la mano per afferrare l’oggetto che avrebbe segnato la sua vittoria, ma una sensazione gli impedì di compiere lo sforzo finale. Si voltò indietro e vide il compagno che in difficoltà cercava in tutti i modi di reggersi al legno di betulla per non cadere rovinosamente sull’erba del Campo. L’erede dei Potter non ci pensò nemmeno un istante, fece dietrofront e allungò a Scorpius la mano che avrebbe dovuto afferrare il Boccino. L’altro invece non accolse subito di buon grado quell’aiuto, ma non era nella posizione giusta per rifiutarlo. Grazie ad Albus riuscì a risollevarsi e a riacquistare il controllo della sua scopa. Per entrambi la caccia al Boccino passò in secondo piano, Scorpius in particolare era talmente rimasto sorpreso da quel gesto che non aveva nemmeno il coraggio di alzare lo sguardo su di lui, ma ci pensò Albus a rompere quell’imbarazzante silenzio.
 
«Stai bene? Cos’è successo?»
 
«All’improvviso la scopa non ha risposto più ai miei comandi e sono scivolato giù. G-grazie, Potter, mi hai risparmiato un giro in Infermeria. Hai preferito aiutare me, piuttosto che prendere il Boccino»
 
Albus sorrise per la gratitudine che gli aveva riservato. Era evidente la vergogna che Scorpius provava per il suo impaccio sulla scopa, ma almeno con la disavventura del suo compagno era riuscito a saldare un debito. Non appena i due giovani Serpeverde ebbero posato i piedi al suolo, Flint li raggiunse con calma, non sembrava affatto preoccupato per quell’incidente.
 
«Tutto bene, Malfoy? Avete superato la prova, complimenti»
 
«Prova?»
 
«Malfoy non ha perso il controllo della scopa, l’ho sabotata io. Ho bisogno che i miei giocatori collaborino e voi non mi sembravate i più indicati per questo tipo di compito, considerando i vostri trascorsi. Ho esposto i miei dubbi alla Preside e lei mi ha permesso di testare le vostre capacità collaborative»
 
Quella notizia non fu affatto gradita a Scorpius, anzi si rese conto di essere stato sfruttato per un esperimento del quale era del tutto all’oscuro.
 
«Rischiando la mia vita?!»
 
«Era tutto sotto controllo, non poteva succederti nulla. Bene, direi che per oggi può bastare, ci rivediamo tra un paio di giorni per gli allenamenti»
 
Si stava allontanando, quando Albus lo richiamò indietro, per lui quella conversazione non era ancora terminata.
 
«Capitano. Non riesco a capire, se fossimo stati in partita avrei rinunciato alla vittoria della mia squadra per aiutare un mio compagno»
 
«Sì, esatto. Potter, ma pensi davvero che i Serpeverde siano senza cuore? Pensavo avessi la capacità di distinguere chi ti disprezza da chi invece non lo ha mai fatto. Come pensi di vincere una partita, se non collaborando con gli altri giocatori. Non lascio indietro alcun componente della mia squadra, o vinciamo insieme o perdiamo insieme, questo voglio che sia chiaro, ma non credo per te ci siano problemi, lo hai appena dimostrato»
 
«Vincere insieme … dobbiamo fare un gioco di squadra, quindi?»
 
«Esatto. Ah, Potter, non ho più dubbi, tu ricoprirai il ruolo del Battitore, difenderai splendidamente i tuoi compagni dai Bolidi e Malfoy, te la senti di essere un Cercatore? Se non fosse stato per la mia intromissione, saresti riuscito a prendere il Boccino, la tua Firebolt corre veloce»
 
Rimasero entrambi senza fiato per i ruoli inaspettati che il Capitano aveva assegnato loro. Albus aveva particolarmente apprezzato quella decisione, sarebbe in quel modo riuscito a prendere più facilmente le distanze dalla reputazione del padre e a non restare perennemente alla sua ombra, era così un passo più lontano dalle aspettative che pendevano sulla sua testa. Non aveva soltanto ricevuto una notizia che avrebbe rasserenato la sua permanenza ad Hogwarts, aveva acquisito anche una nuova consapevolezza: aveva totalmente sottovalutato i Serpeverde, infondo avevano un buon cuore anche loro.
 
 
[ 4 settembre 2017 ore 6:40 p.m. – Casa Granger/Weasley ]
 
Hermione non vedeva l’ora di condividere con suo marito la gioia per la splendida notizia appena ricevuta, che aveva avuto il potere di modificare il tenore della sua giornata. L’orgoglio che provava era pari a pochi altri momenti che aveva vissuto ed era convinta che Ron avrebbe provato il doppio della felicità. Era talmente euforica che entrata dalla porta di casa si era persino dimenticata di annunciare il suo ritorno ed aveva raggiunto d’istinto le scale convinta di trovarlo al piano superiore. Suo marito non era in alcuna stanza, ma in compenso si era imbattuta in Hugo, contento di rivederla dopo una lunga giornata di assenza da casa.
 
«Mamma!»
 
«Tesoro mio»
 
Le corse incontro, donandole la dolce certezza che non fosse arrabbiato con lei per aver rifiutato quella stessa mattina la sua compagnia al Ministero. Lo strinse forte, era ciò di cui aveva più bisogno per rigenerare in breve tempo tutte le energie perse a causa dei numerosi impegni di lavoro. Hermione sciolse a malincuore il loro abbraccio, desiderava da diverse ore ormai consegnare al figlio il regalo che gli aveva promesso, così iniziò a rovistare frettolosamente nella sua grande borsa.
 
«Sono passata al Ghirigoro stamattina e ti ho preso qualcosa che sono sicura ti piacerà tanto. Dammi solo un secondo, deve essere qui da qualche parte, sono certa di averlo messo in borsa appena uscita dal negozio»
 
Hugo la fissava curioso in attesa che sua madre lo trovasse. Dopo svariati minuti di ricerca, durante i quali nemmeno il bambino riponeva più alcun tipo di speranza, Hermione mostrò finalmente un pacchetto rivestito da una carta azzurra decorata da un fiocco blu. Gli occhi celesti di Hugo iniziarono a brillare, di solito i suoi genitori avevano quelle premure soprattutto in occasione del suo compleanno, ma non era quello il caso.
 
«Scusa, tesoro, sono piena di documenti e il tuo regalo era rimasto sepolto sotto. Su coraggio, aprilo»
 
Lo afferrò velocemente dalle mani della madre, senza farselo ripetere di nuovo ed iniziò a scartarlo con foga. Non ebbe alcuna premura di distruggere la carta o di rompere il nastro. La forma di quel pacco era familiare, ma mai, nemmeno nei suoi sogni migliori, si sarebbe aspettato di leggere proprio quel titolo a caratteri cubitali e dorati su quella copertina color porpora. Accarezzò con la punta dell’indice la raffigurazione in rilievo del Boccino, ancora incredulo sul fatto che quella copia fosse effettivamente tra le sue mani.
 
«Mamma, ma questo è …»
 
«… Il Quidditch attraverso i secoli. Lo hai sempre desiderato, te lo abbiamo promesso prima degli undici anni ed è inutile negarlo, tu e Rose avete la stessa passione di vostro padre, non mi resta che rassegnarmi»
 
Hugo continuava a non crederci, gli sembrava di vivere in un bellissimo sogno, lo desiderava da mesi e ormai la sua ultima speranza era quella di trovarlo sotto l’Albero di Natale. La voce della madre lo riportò alla realtà, dandogli la certezza che non stesse ancora dormendo nel suo letto.
 
«È arrivato al Ministero anche un gufo di Rose questa mattina e mi ha pregata di darti un bacio da parte sua. Le manchi tanto e non vede l’ora di riabbracciarti»
 
Era ancora frastornato dalla gioia per quella sorpresa, ma Hermione non diede al figlio il tempo di realizzare cosa gli avesse detto e gli porse un bacio sulla guancia per conto della sorella.
 
«Sai dov’è papà? È per caso uscito? Non ho molto tempo a disposizione, ma vorrei parlargli qualche minuto»
 
«È in cucina, mi ha detto che voleva farti una sorpresa stasera. Ma, mamma, esci ancora?»
 
Si limitò a sorridergli per tranquillizzarlo, quando notò che l’euforia stava presto svanendo dagli occhi del bambino. Era convinta che avrebbe fatto lei una bellissima sorpresa a Ron e non certo viceversa.
 
«Quando torno voglio un riassunto completo di quel libro, quindi fossi in te andrei in camera e mi metterei subito al lavoro. Ti avverto, non sono afferrata in materia, dovrai insegnarmi quasi tutto ed io ti ascolterò volentieri … più tardi però»
 
Hugo fece appena in tempo ad abbassare lo sguardo sul libro, perché quando lo rialzò, Hermione era già sparita oltre le scale. Lo aveva lasciato solo in mezzo al corridoio, privandolo bruscamente della sua presenza e a lui non restò che consolarsi nell’unico modo che conosceva e che ora stringeva al petto come il più raro e prezioso dei tesori. Sperava davvero che quel regalo lo avrebbe distratto e il fatto che fosse stata proprio sua madre a regalarglielo, gli avrebbe fatto sentire meno la sua assenza.
Hermione riscese velocemente le scale, senza curarsi di prestare alcuna attenzione, si affidò all’abitudine e alla conoscenza di quei gradini. Trovò Ron al limite della pazienza, mentre trafficava concentrato tra i fornelli in cerca di quello giusto. Ogni accessorio babbano risultava per lui un mistero anche quando avrebbe ormai dopo anni dovuto conoscerlo nei minimi dettagli. Si avvicinò a lui con l’intenzione di sorprenderlo alle spalle, sfruttando la sua distrazione. Trattenne un sorriso notando la sua difficoltà, aveva provato quasi tutte le manopole e ne restava soltanto una. Hermione decise di rivelare la sua presenza proprio in quel momento, anticipandolo di qualche secondo e girandola al posto del marito. Alzò sorpreso gli occhi su di lei in cerca del suo sguardo, non aveva realizzato subito dalla mano chi fosse a causa dei suoi mille pensieri, ma il profumo fu per lui inconfondibile e impossibile da ignorare.
 
«E tu quando sei tornata? Non ti ho sentita»
 
«Proprio ora»
 
Gli era bastato vederla mezzo secondo per riacquistare serenità ed allontanare il fastidio per la cucina. Avrebbe sicuramente distrutto presto la spensieratezza che leggeva negli occhi di Ron, il tempo scorreva e lei non aveva la facoltà di fermarlo in alcun modo.
 
«Non mi ricordo mai la posizione dei fornelli e delle rispettive manopole, probabilmente sto invecchiando, altrimenti non si spiega»
 
«Può capitare a tutti di dimenticare qualcosa, ciò non significa che tu stia perdendo la memoria, e te la cavi come sempre benissimo, amore»
 
Le sorrise leggermente imbarazzato per quelle rassicurazioni. Era incerto sul fatto che fossero così sincere da parte della donna che lo amava, credeva piuttosto facesse di tutto per incoraggiarlo in un ambito in cui si impegnava, ma dove combinava anche molti disastri e questo era innegabile.
 
«Dai, cambiati, non impiego molto a preparare la cena»
 
Hermione non riuscì a sorridere al pensiero della delusione che gli avrebbe provocato, ma si sentì in dovere almeno di simulare la serenità che lei per prima faticava a provare. Aveva ricominciato a trafficare con le pentole ignorandola, sperando probabilmente che lei ascoltasse il suo consiglio e corresse in camera a togliersi quei vestiti.
 
«Consentimi di dubitarne, hai appena acceso i fornelli, Ron. Stasera però non possiamo cenare insieme, purtroppo tra una ventina di minuti devo tornare al Ministero»
 
Alzò con uno scatto lo sguardo incredulo su di lei. Evidentemente la voglia di trascorrere la serata in compagnia di sua moglie e suo figlio gli aveva lasciato sfuggire un dettaglio non irrilevante: indossava ancora la giacca con appuntato sul petto lo stemma del Ministero, calzava le scarpe con l’usuale mezzo tacco e non aveva ancora posato la borsetta, gesto che compiva appena entrata dalla porta di casa.
 
«Hermione, sei tornata ora, è da stamattina che non ti vediamo. Non saluti nemmeno Hugo?»
 
«Lo so. Ho già salutato nostro figlio e gli ho consegnato un regalo che ho acquistato oggi al Ghirigoro. Ricordi che desiderava tanto Il Quidditch attraverso i secoli? È stato ubbidiente e se lo è meritato»
 
Era deluso davvero, aveva infranto le aspettative di una serena cena in famiglia. Più lei parlava, più riusciva a peggiore il già precario umore di Ron, ma Hermione, anche se aveva una voce triste, tentava solo di risollevargli il morale. Non sapeva cos’altro aggiungere e non le rimase che seguire i gesti sconsolati di quell’uomo, mentre spegnava il fornello appena accesso, estinguendo sul nascere anche tutte le sue illusioni. Si sedette al contrario sulla sedia voltando verso di lei lo schienale, ma era talmente frustrato che teneva lo sguardo rivolto al pavimento e le braccia appoggiate al legno con l’evidente intenzione di non fare nulla, nemmeno preparare la cena per sé e il figlio, tanto non aveva alcun senso impegnarsi se lei non fosse stata con loro.
 
«Un’altra sera senza di te, mi domando quando avrai un po’ di tregua»
 
Il tono profondo e demoralizzato del marito non le passò inosservato. Prese una sedia e si sedette davanti a lui, posando la sua borsetta sulle gambe, segno di voler intraprendere un’attenta conversazione con lui, benché il tempo che aveva a disposizione fosse poco.
 
«Perché tu ed Hugo non uscite? Un po’ di svago vi farebbe bene, così le ore passano più velocemente»
 
La fissò come se lo stesse prendendo in giro. Il tono comprensivo e sereno – o almeno così sembrava - di sua moglie non gli era affatto gradito, visto che gli aveva appena comunicato che la sua assenza sarebbe stata prolungata.
 
«Ron, sono seria, non ha senso rimanere chiusi in questa casa ad aspettarmi tutta sera. Il cielo è sereno e …»
 
«Non ho voglia di andare da nessuna parte. E poi dove dovrei andare, secondo te? A vedere giocare i Cannoni di Chudley?»
 
«Perché, stasera giocano? Come mai lo sapevi?»
 
«E-e chi è che non lo sa!?»
 
«Io non lo sapevo, ad esempio, ma forse perché me ne importa ben poco»
 
«Molto probabile, sì»
 
Ron abbassò nuovamente lo sguardo, stavolta temette che Hermione riuscisse a scorgere una scomoda verità nei suoi occhi. Lei però non era sufficientemente concentrata su ciò che lui potesse nasconderle, l’umore del marito le aveva fatto dimenticare persino la lettera che conservava nella borsetta tra le mille carte che non avevano lo stesso valore delle parole di sua figlia. Aprì velocemente la cerniera e afferrò il foglio.
 
«Ah, oggi mi ha scritto Rose. Non so per quale ragione il gufo sia arrivato al Ministero, non c’è alcun segreto che tu non possa leggere»
 
Il volto di Ron finalmente si illuminò e persino la sua schiena si raddrizzò, rialzandosi da quella posizione sconsolata. Hermione, soddisfatta per la sua reazione, proseguì.
 
«È nella squadra di Quidditch, è diventata una Cacciatrice, ha superato proprio oggi le selezioni. Immagino tu sia orgoglioso di nostra figlia. Mi ha anche chiesto se possiamo aiutare Neville in qualche modo, le sembra triste. Potremmo parlargli in occasione della prima partita di Rose, cosa dici?»
 
Era immensamente orgoglioso di Rose, ma non riuscì a gioire come avrebbe voluto, quando sentì il nome dell’amico.
 
«Ancora per quella storia?»
 
«Temo di sì, anche perché ha lasciato conseguenze notevoli nella sua vita»
 
«Lui ed Hannah si devono rassegnare, purtroppo non c’è più nulla che possano fare per rimediare»
 
«Tu ti rassegneresti?»
 
«Probabilmente sì, Hermione, continuare a pensarci mi farebbe solo altro male»
 
«Non capisco se la tua insensibilità impedisca di metterti nei loro panni o se tu sia entrato nei tuoi cinque minuti da idiota. In ogni caso vado al Ministero, sono stanca, mi aspetta altro lavoro e non ho voglia di litigare anche con te»
 
Porse irritata la lettera di Rose al marito invitandolo con poca grazia ad afferrarla, chiuse la cerniera della borsetta e si alzò, ma non riuscì a muovere nemmeno un passo, perché le parole di Ron le impedirono di raggiungere la porta d'ingresso.
 
«Se è per questo, neppure io ho voglia di litigare per Neville, ti ho solo esposto la mia opinione, sei tu ad essere nervosa»
 
Ron dispiegò la lettera della figlia e iniziò a leggerla. Udì chiaramente la risata sarcastica di Hermione, ma aveva poca voglia di ascoltarla, voleva solo godersi la splendida notizia della ragazza riguardo al Quidditch. Si era immerso nelle righe scritte da Rose, quando le polemiche di sua moglie gli rimbombarono nelle orecchie.
 
«Certo, la tua inopportuna opinione. Solo perché sei stato più fortunato di lui, questo non ti dà il diritto di ignorare la sua sofferenza» 
 
«Non l’ho mai ignorata, ma sono passati due anni»
 
«È evidente che loro non riescano a buttarsi il passato alle spalle così facilmente come pensi tu e a ricominciare una nuova vita insieme con il pensiero costante che non diventeranno mai genitori, ci tenevano entrambi molto. Solo io ricordo il loro entusiasmo quando Hannah seppe di aspettare quel bambino? E quanto lo avessero programmato per riuscire a conciliarlo con gli impegni ad Hogwarts?»
 
Con uno scatto mise da parte la lettera della figlia, irritato dalle continue provocazioni della moglie. Non voleva lasciarlo proprio stare, mentre si godeva soddisfatto i successi di sua figlia. In quel momento avrebbe davvero preferito che lei avesse imboccato l’uscio di casa, piuttosto che sentire un secondo di più quella voce squillante.
 
«Ho mille altri problemi, non riesco a pensare anche a quelli degli altri. E a me, Hermione, si propone il problema opposto, ho una famiglia che mi soffoca!»
 
L'aveva lasciata totalmente senza fiato, il rimprovero era rivolto a lei in quell’occasione, lo aveva chiaramente scocciato con quei discorsi. Ron si era pentito l’istante successivo di quell’ultima infelice battuta, ma era evidentemente troppo tardi per rimediare.
 
«Uno dei tuoi problemi è l’insensibilità, Ronald, e non è causata da me o dai ragazzi. Ti auguro una buona serata, senza di me sarà sicuramente più tranquilla»
 
«Hermione, dai, non volevo dire che …»
 
Se andò senza che lui potesse impedirlo, sapeva benissimo che non era così semplice placare la sua ira una volta scatenata. Non c’era bisogno che lo insultasse lei, lui per primo si sentiva un idiota. Si portò persino le mani in volto per la mortificazione e udì dopo qualche secondo la porta sbattere violentemente. Sperò solo che Hugo fosse troppo impegnato a leggere il libro che la madre gli aveva regalato per sentire le conseguenze di quella lite.
 
 - Volevo solo dire che mi piacerebbe ce ne occupassimo insieme -
 
 
[ 4 settembre 2017 ore 8:06 p.m. – Ministero della Magia londinese/Sala riunioni ]
 
Aveva necessità di ritagliarsi un angolo di tempo per riflettere e in teoria anche per cenare, ma, come aveva previsto, non riusciva a mandare giù niente. Avrebbe senza dubbio preferito la cena preparata da suo marito, non era un cuoco eccezionale, ma si impegnava e soprattutto metteva tutto l’amore possibile in tutto ciò che faceva per la sua famiglia, non sapeva perciò spiegarsi le parole che aveva pronunciato prima che lei uscisse di casa, ma probabilmente era solo nervoso, come spesso accadeva soprattutto dopo la partenza di Rose. Infondo era stata proprio lei con le sue parole a scatenare quella infinita discussione. Gradiva però il silenzio di quella stanza, il suo ufficio sarebbe stato troppo scontato per non farsi trovare subito e lei non aveva voglia di vedere nessuno per i prossimi minuti, pochi o tanti che fossero stati, se li sarebbe goduti. I suoi pensieri seguivano il ritmo del ticchettio dei rebbi della forchetta contro il piatto, ma, proprio come il metallo, anche ciò che le tornava in mente era fastidioso. Abbandonò con un colpo secco la posata nel piatto e si portò esausta fisicamente e moralmente le mani sul volto, cercando nel tavolo un fedele sostegno. Non aveva sentito la porta aprirsi e neppure dei passi avvicinarsi, eppure una voce che lei apprezzava particolarmente, soprattutto quando non era irrequieta, si intromise nei suoi angoscianti pensieri.
 
«Posso farti compagnia?»
 
Intravide tra un dito e l’altro Ron che in piedi la fissava in attesa di un suo consenso. Godric solo sapeva come aveva fatto a trovarla e lei non era così sicura di voler ricominciare la loro discussione.
 
«Dovrei rifiutarla, te lo meriteresti per come ti sei comportato prima»
 
La ignorò e si sedette comunque con determinazione all’altro capo del tavolo. Gettò un occhio al piatto intonso della moglie e non poté proprio fare a meno di preoccuparsi per la sua salute.
 
«Hermione, senti, so bene quanto Neville e Hannah desiderassero quel bambino, so quanto hanno sofferto quando Hannah lo ha perso e sono cosciente del dolore che hanno provato quando hanno scoperto di non poterne avere altri»
 
«Tua figlia è più sensibile di te, hai consapevolezza di ciò che hanno provato e provano ancora in questi anni e non te ne frega niente. Ron, un dolore così grande, specie se non rimediabile, non si cancella da un giorno all'altro»
 
«Come se non lo sapessi già, ma ora ti sto dicendo che è la nostra famiglia a dover essere salvata, una famiglia che noi abbiamo il dono di avere. Mettere sempre da parte i nostri problemi per dare la precedenza agli altri non ci porta a nulla»
 
I toni di suo marito erano più pacati rispetto a qualche ora prima ed aveva ragione, anche per loro non era tutto rose e fiori.
 
«Dov’è Hugo? L’hai lasciato a casa da solo?»
 
«È qui fuori che ti aspetta. Volevamo invitarti fuori a cena, non ho voglia di cucinare e vorremmo che venissi con noi, così accetto anche il tuo consiglio di uscire. Puoi ritagliarti un’oretta da trascorrere in nostra compagnia?»
 
Si alzò persino per incentivarla ad accettare quell’invito e le allungò la mano sperando che lei la stringesse senza esitare. La tentazione di accettare da parte di Hermione era forte, ma lei non aveva voglia di alcun invito a cena dopo quello che lui le aveva detto. Era forse troppo orgogliosa, ma avrebbe potuto risparmiarsi certe espressioni, nessuno lo aveva costretto a fare simili dichiarazioni e lei non riusciva ad ignorarlo a sole poche ore di distanza.
 
«Hai detto che la tua famiglia ti soffoca, sei stato piuttosto chiaro, non vorrei mai che tua moglie ti soffocasse proprio stasera che potresti essere libero da me»
 
«È vero, l’ho detto, ma il problema è l’esatto contrario, come potresti soffocarmi se non ti vedo mai?! Hermione, sfiderei qualunque uomo ad occuparsi ogni giorno da mattina a sera dei figli e del lavoro senza un attimo di respiro e questo prosegue da anni, lo sai meglio di me, esattamente da quando sei diventata Ministro della Magia prendendo il posto di Kingsley e i bambini erano molto piccoli, Rose aveva appena compiuto quattro anni. Se fossimo in due ad occuparcene non mi peserebbe nulla, ma ora inizio ad essere veramente sfinito. Non usare come scusa del tuo rifiuto una mia frase discutibile, che non voleva affatto significare quello che pensi. Ti ho incentivata a diventare Ministro e non me ne pentirei mai, credevo solo riuscissi a conciliare tutto, non che ti dimenticassi completamente di noi»
 
«Mi pareva di aver già sottolineato i sacrifici che fai per noi ed ora Rose è ad Hogwarts e, a prescindere da questo, non ti devi più occupare di bambini piccoli, sono cresciuti e ti lasciano più respiro»
 
Da come gli aveva risposto, Ron aveva intuito che lei sapesse qualcosa circa le sue partite segrete e ciò lo spaventò. Non aveva la più pallida idea di come avrebbe potuto reagire se avesse scoperto le sue bugie, innocue, per carità, ma pur sempre menzogne.
 
«S-sì, ma tu mi hai proposto di cambiare lavoro e non è così che risolveremo i nostri problemi, perché questo porterebbe anche me più lontano da casa»
 
Era scioccata da ciò che aveva appena sentito, stava cercando in tutti i modi di giustificare quella discussione, che stavolta aveva innescato lui con nuove argomentazioni, eppure rischiava solo di peggiorare l’umore di sua moglie.
 
«Ron, mi stai chiedendo … non può essere che tu me lo stia chiedendo davvero. Mi hai detto qualche giorno fa che ti ha sempre fatto piacere occuparti di Rose e Hugo, che non ti aveva pesato rinunciare a te e alle tue aspirazioni»
 
«Infatti è così, ero sincero. Hermione, ti sto solo esponendo un mio disagio che ora non reggo più. Mi hai lasciato troppe responsabilità, non riesco a prendere anche il tuo posto, per quanto io mi stia impegnando e lo sai bene quanto io stia tentando l’impossibile per i miei figli, ma la reazione di Hugo ti dimostra che ho degli evidenti limiti. Ci manchi e non è solo una questione materiale come pensi, i ragazzi possono anche avere meno necessità, ma come faccio a sopperire alla mancanza della loro madre? L'ho fatto fin troppo in questi anni e evidentemente senza molto successo. A me fa male vedere Hugo piangere e non sapere come aiutarlo, e a te?»
 
«Ho delle responsabilità nei confronti del Ministero, Ron, come faccio ad ignorarlo, me lo spieghi?»
 
«Le hai anche nei confronti dei tuoi figli e verso tuo marito, se non te ne fossi accorta ne hai uno da quasi quindici anni o ti sono stato utile solo per badare ai tuoi figli, mentre ti occupavi del resto del mondo?!»
 
Si era alzata sconcertata per ciò che aveva sentito e per l’arroganza con cui lui le aveva sputato addosso quella verità. Aveva persino fatto tremare il tavolo con una forte manata per avvalorare la sua opinione. Non la intimorì affatto, non era certo quello il modo per dimostrarle quanto stesse sbagliando, ma il tintinnio del piatto messo in disparte ricordò a Ron che aveva fallito nella promessa fatta ad Hugo, non era riuscito a convincerla a trascorrere con loro la serata.
 
«Credevo ingenuamente che fossi venuto per chiedermi scusa, non per chiedermi di scegliere o ancora di più per … accusarmi di fare pena come madre e come moglie»
 
«Scusarmi per cosa? Perché ho bisogno di te? Perché i ragazzi hanno bisogno di te? Hermione, io ti sto chiedendo di scegliere il benessere dei ragazzi, non mi sembra una richiesta così strana. Hugo sta male senza di te e stanotte non so nemmeno io cosa mi inventerò per farlo addormentare. Ero venuto per invitarti fuori a cena, ma non mi sembra tu abbia apprezzato, quindi ora spiegami cosa dovrei pensare»
 
«Hannah sarebbe stata una madre migliore di me, lei non avrebbe mai accettato di diventare Ministro, trascurando la sua famiglia, vero, Ron? So che lo pensi. Il destino si è sbagliato, avrebbe dovuto donare a lei dei figli, non a me, io non li merito e a quanto pare non merito nemmeno un marito come te e tutti gli sforzi che fai per me»
 
«Io non l’ho mai …»
 
Non fece in tempo a terminare la frase, purtroppo qualcuno aveva fatto irruzione nella stanza rivendicando la presenza di Hermione. L’intruso ignorò totalmente la presenza di Ron.
 
«Ministro, so che è in pausa, ma avremmo bisogno di lei, ci potrebbe raggiungere al quarto piano?»
 
Ron alzò gli occhi al cielo esausto, non si poteva nemmeno litigare in pace, non riuscivano più a trovare il tempo neppure per quello e lui iniziava a rimpiangere persino quei momenti, almeno avrebbe guadagnato l’attenzione di sua moglie più spesso. Hermione si asciugò le lacrime che minacciavano di scendere dalle ciglia e cercò di riacquistare in parte l’abituale compostezza che teneva sul posto di lavoro.     
 
«Non chiedermi di scegliere tra la famiglia e le responsabilità verso la Comunità Magica, ti prego, non farlo»
 
«Hai già preso la tua decisione, Hermione, e non siamo noi»
 
La donna si stava avviando triste verso la porta, ma il suo passo era talmente indeciso che non riuscì nemmeno ad allontanarsi dal tavolo. 
 
«Ron, stasera tornerò a casa tardi»
 
«Per quale ragione? Se non sono indiscreto, Ministro»
 
Era sarcastico e per la seconda volta in poche ore si risedette, sfinito da una situazione per la quale lui non vedeva alcuna soluzione.
 
«La prossima settimana devo sostituire Harry e … »
 
Non la fece nemmeno finire, tanto sapeva già che non avrebbe gradito quella nuova informazione che sicuramente contemplava un’immensità di ore lontana da casa. Alzò le mani in segno di resa ed Hermione riuscì finalmente a cogliere sul volto di Ron le conseguenze della situazione che lui aveva cercato di delinearle.
 
«Non mi importa più quello che devi fare, come a te non importa quello che devo fare io o quanto stia male Hugo. Se ci volessi fare la grazia di tornare a casa stanotte sarebbe gradito, altrimenti ce la caviamo come sempre anche senza di te»
 
Non riusciva ad uscire dalla stanza e a seguire quel suo dipendente, lasciando Ron in un evidente stato di sconforto. Si appoggiò alla scrivania e, cercando di farsi sentire solo dal marito, si avvicinò a lui.
 
«Leggi ad Hugo le Fiabe di Beda il Bardo, gli piace molto La fonte della buona sorte**, questo lo ricordo. M-mi dispiace, scusami, troverò una soluzione, mi farò perdonare, ma non odiarmi … il tuo disprezzo mi uccide, esattamente come le lacrime di Hugo. Non è mai stata mia intenzione ferirvi»
 
Gli sfiorò appena la mano, lui avrebbe voluto catturarla, ma, per quanto se ne fossero dimenticati, in quella stanza non erano più soli.
 
«Io non ti disprezzo, mi manchi solo. Ad Hugo piace quella fiaba, perché spera che un giorno la Buona Sorte ti faccia riavvicinare alla famiglia e cambi anche la sua vita come quella dei protagonisti. In sostanza quel bambino spera in un miracolo e non accetta che quella sia solo una fiaba … tutta finzione»
 
«N-Non tutte le fiabe di quel libro sono inventate, noi lo sappiamo bene»
 
L’aveva nuovamente commossa, ma Ron riuscì solo a provare imbarazzo al pensiero di aver reso quella conversazione pubblica, benché si fossero sforzati di mantenere un tono di voce basso. Sapeva bene a quale racconto sua moglie si stesse riferendo ed era pienamente consapevole che non avesse altro modo per rincuorarlo.
 
«Ora vai, hai del lavoro da sbrigare e non voglio che ritardi per colpa mia, con Hugo me la caverò come sempre, tranquilla è in buone mani»
 
«Lo so»
 
Stavolta gli strinse forte la mano, prima di dirigersi verso la porta. Cercò di dimostrargli quanto non fosse orgogliosa solo di Rose, ma da parecchi anni lo fosse anche di lui.
 
«Ministro, desidera un paio di minuti? Se vuole posso aspettare fuori»
 
Si voltò verso Ron, non le aveva dato la possibilità di vederlo in volto, ma era chiaro non volesse palesare a lei i segni dello sconforto. Era rimasto rivolto verso il muro, si stropicciava stanco e triste gli occhi e aspettava solo che lei uscisse.
 
«No, ci sono, io e mio marito abbiamo terminato. Di cosa avete bisogno con tanta urgenza?»
 
 
 
 
 
 
 
*La Coppa del Mondo di Quidditch si disputa ogni quattro anni, l’ultima partita è stata giocata nel 2014 con la vittoria della Bulgaria.
 
** Fiaba appartenente al libro Le Fiabe di Beda il Bardo (per chi non la conoscesse, riprendo la trama nei prossimi capitoli).

 
 

 

Ciao ragazzi!
 
Oggi ho un po’ di precisazioni da fare riguardo al capitolo, ma inizio scusandomi per l’immenso ritardo, che stavolta mi sembra essere addirittura maggiore del solito ☹
 
Come avrete notato leggendo il capitolo, ma anche dalle coppie che ho segnalato, ne ho aggiunta una nuova. Potrei sembrare impazzita del tutto, perché probabilmente alcuni si staranno domandando cosa possano c’entrare in questa storia Neville e Hannah. Ho inserito questa coppia per due motivi principalmente. Il primo riguarda strettamente la narrazione e io mi auguro tanto si sia colto: uno dei temi che sto trattando è sicuramente quello del grande impegno lavorativo per Harry e Hermione che non consente loro di dedicare tempo alla famiglia, dall’altra parte invece ci sono Neville e Hannah che non hanno figli ma che li desidererebbero. Ho cercato di fare un paragone per consentire a Harry ed Hermione di riflettere sulla loro situazione, spero di esserci riuscita a partire già da questo capitolo, perché nell’arco della storia continuerò ad intrecciare le vite dei personaggi, ma tentando di non perdere mai di vista il tema principale. Il secondo motivo invece è più generale e riguarda il mio modo di narrare: non riesco a coinvolgere personaggi senza raccontare la loro vita o un aspetto della loro vita facendoli diventare semplici comparse, per alcuni questa operazione l’ho trovata fattibile all’interno di questa trama e mi sono permessa di inserire questa nuova coppia, spero non abbia infastidito. Inoltre vorrei sottolineare il fatto che anche per Neville e Hannah sono rimasta canonica: sono sposati, non hanno figli, Hannah dal 2014 lavora come Guaritrice presso l’Infermeria di Hogwarts e Neville è il padrino di Albus, ho solo sfruttato a mio vantaggio queste informazioni 😊
 
Per chiarezza, anche se ci sono le date, preciso che le prime due scene riguardano il giorno precedente rispetto al termine del quarto capitolo, dovevo ancora recuperarle. In questo capitolo mi sono soffermata per ragioni di trama di più su Ron&Hermione, ma dal prossimo ci sarà spazio anche per tutti gli altri personaggi della storia 😊
 
Vi ringrazio di cuore per continuare a seguirmi, scusate se mi sono dilungata e spero di riuscire ad aggiornare presto, sicuramente il prima possibile <3
 
Baci
-Vale

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Capitolo 6
*** Aria di cambiamenti ***


Aria di cambiamenti

 



[ 6 settembre 2017 ore 10:00 p.m. – Casa Granger/Weasley ]

 

Ron si sedette sul letto della cameretta del suo bambino, impugnando il libro di Beda il Bardo, una delle tante copie tradotte dalle rune antiche proprio da sua moglie. Si accomodò contro la spalliera e lo stesso fece Hugo, impaziente di ascoltare la fiaba della buonanotte. Cercò la Fonte della Buona Sorte, proprio come Hermione gli aveva suggerito, ed iniziò a leggere quella storia per l’ennesima volta in compagnia del figlio, il quale si era accomodato con la guancia contro il suo braccio. Conoscevano entrambi quella fiaba a memoria, Ron la narrava a Hugo dall’età di quattro anni e con il tempo aveva imparato persino a recitarla, motivo per il quale il piccolo non si era mai stancato di sentirla.

 

«Allora, pronto?»

 

La risposta era per lui scontata, così iniziò il racconto alla luce soffusa della stanza. Erano soli nel piccolo appartamento a Grimmauld Place 11. Sarebbe stato sicuramente il momento della giornata preferito da entrambi, se tra quelle mura non ci fosse stato tanto silenzio. Non molti metri li separavano dal numero 12, dove sicuramente Harry e Lily stavano riposando, anche loro rimasti soli dopo la partenza di Ginny con le Holyhead Harpies, eppure la lontananza che divideva Ron ed Hugo da Hermione era ben maggiore e soprattutto costante. Padre e figlio cercavano di riscoprire un po’ di serenità, benché ad entrambi mancasse a livelli diversi la presenza di quella donna che evidentemente, sommersa com’era sempre dal lavoro, non era ancora riuscita a rincasare.

 

«In un giardino incantato chiuso da alte mura e protetto da potenti magie, in cima a un colle scorreva la Fonte della Buona Sorte. Una volta all’anno, tra l’alba e il tramonto del giorno più lungo, un solo infelice aveva il privilegio di intraprendere il viaggio alla Fonte, bagnarvisi e ricevere Buona Sorte per il resto della vita. In quel giorno …»*

 

«Papà?»

 

Bloccò all’istante la lettura e ascoltò il figlio. La spensieratezza di Hugo era evidentemente solo apparente, era chiaro fosse distratto da qualche intuibile pensiero. Era un problema che lui però non sapeva risolvere, aveva le mani legate, non avrebbe potuto fare nulla più che far presente la situazione a sua moglie. Ora però era Ron in compagnia di quel bambino e delle mille domande che suo figlio gli avrebbe fatto, al quale non sarebbe riuscito a trovare risposta. Chissà se la mente eccelsa di Hermione era giunta anche a quella conclusione … ma ne dubitava, erano anni infondo che si destreggiava in simili circostanze, esattamente da quando Hermione diventò Ministro e come sempre la distrazione e l’evitamento erano le soluzioni più efficaci che conoscesse. Si preparò quindi, sulla base di anni d’esperienza, a qualsiasi richiesta provenisse dalla vocina triste del bambino.

 

«Dimmi, tesoro»

 

«A che ora torna la mamma? Mi aveva promesso che avremmo parlato del libro sul Quidditch che mi ha regalato»

 

 - Ecco, fantastico. Hai una domanda di riserva? Purtroppo non sono ancora un Legilimens e la mente di tua madre mi è totalmente oscura -

 

Pronto o meno, quella domanda lo rabbuiò e non vagava solo nella mente di Hugo. Diede una rapida occhiata all’orologio da polso e fece una certa fatica ad ignorare che fossero già le dieci di sera, un orario totalmente anomalo per saperla fuori casa. Si trattenne, come d’altronde faceva sempre, a spedirle qualche gufo per ricordarle che aveva una famiglia che l’attendeva a casa, esattamente al numero 11 di Grimmauld Place, nel caso si fosse persino dimenticata la strada per tornare, dal momento che la percorreva sempre più di rado. In quel momento però, all’udire contro il suo braccio il tono sconsolato del figlio e a percepire a contatto con la sua pelle le espressioni tristi del viso di Hugo, le avrebbe volentieri spedito una Strillettera con poche semplice ma molto suggestive parole: Che diavolo stai combinato?! Molla tutto e vieni a casa, tuo figlio ha bisogno di te, se non te ne fossi accorta.

 

«Ne vuoi parlare con me? Sai, sono molto più preparato della mamma su questo tema»

 

Il bambino indugiò, non voleva offenderlo rifiutando la proposta del padre. Sapeva bene che Ron fosse l’esperto della famiglia per tutto ciò che riguardava Boccini, Pluffe e Bolidi, ma lui voleva trascorrere del tempo con Hermione, quel tempo che da anni ormai era contato al secondo e non eccedeva mai. Era sempre lui a dover rispettare gli impegni della madre, mai una volta che il Ministero potesse attenderla qualche minuto in più. La proposta di Ron non lo entusiasmava troppo, benché trascorrere del tempo con lui gli fosse di immenso conforto.

 

«No, papà, leggiamo la fiaba»

 

Si accoccolò meglio contro la spalla del padre per cercare una posizione più comoda e puntò gli occhi sul libro, in attesa che lui riprendesse la lettura. Ron spese qualche secondo per pensare a come far tornare il sorriso al figlio, avrebbe affrontato qualsiasi impresa pur di renderlo felice, eppure in quel momento l’unica arma a cui potesse ambire era fatta di carta e scritte. Sfogliò all’improvviso le pagine e ne saltò almeno un paio, alzando leggermente la voce, incurante del fatto che quella storia avrebbe dovuto favorire il sonno di Hugo e non certo esaltarlo.

 

«Ora, Messer Senzafortuna, come il cavaliere era conosciuto nelle terre fuori dalle mura, si avvide che quelle erano streghe, e poiché egli non possedeva alcun potere magico, né particolare abilità a giostrare o a tirar di scherma, né alcunché che lo distinguesse, era certo di non aver speranza di battere le tre donne nella corsa alla Fontana. Dichiarò pertanto la propria intenzione di tornare fuori dalle mura. Questa volta fu Amata ad arrabbiarsi. “Cuore pavido!” lo rimbeccò “Sfodera la tua spada, Cavaliere, e aiutaci a raggiungere la meta!”»*

 

Ron lesse con sentimento e sfoderò, incitato dalla lettura, la bacchetta per interpretare le parole che pronunciava. Si voltò verso il bambino con un sorriso, sperando di averlo fatto riacquistare anche a lui, invece Hugo ricambiò con una smorfia triste. Apprezzava i tentativi del padre, ma non era sufficiente il suo spirito burlesco per risollevare il morale del figlio. Ron non si arrese però e proseguì come meglio poté nei suoi tentativi di dare una svolta più gioia a quella serata.

 

«Secondo te, Messer Senzafortuna, se fosse stato un mago, sarebbe stato un Grifondoro?»

 
«Credo di no, papà»

 
«Lo penso anche io. E secondo te, figliolo, quando tu inizierai a frequentare Hogwarts, diventerai un Grifondoro?»

 
«Non lo so, papà»


«Non lo sai??» Ron gli rivolse un gigantesco sorriso orgoglioso «Bhe, so io che diventerai un valoroso Grifondoro. E come potrebbe non esserlo il nipote di Harry Potter?!»


Non riusciva in alcun modo a fargli riscoprire il sorriso e la malinconia che cercava in tutti i modi di scacciare si stava impossessando anche di lui. Iniziava quasi ad essere invidioso di sua moglie, a lei sarebbero bastati cinque minuti del suo tempo per rasserenarlo, mentre lui con tutto lo sforzo possibile non riusciva. Era assurdo poi che fosse proprio lei al contempo la causa e la soluzione di tanta tristezza. Chiuse con rassegnazione il libro nonostante la disapprovazione di Hugo, ma non aveva alcun senso provare a vincere una guerra persa in partenza, oltretutto con strumenti inappropriati e deboli. Forse non eccelleva in sensibilità, ma sapeva riconoscere che la sua presenza non era affatto sufficiente a compensare l’importante assenza di Hermione, ciò che, forse con modi poco aggraziati, aveva fatto notare a lei.


«No, papà, perché hai chiuso?»

 
«Senti, tesoro, la mamma manca anche a me, però dobbiamo cercare di capire che sta lavorando e lei ha un ruolo molto rilevante, ha responsabilità e impegni che noi possiamo soltanto immaginare. Senza di lei niente andrebbe avanti al Ministero»

 
«Ma lei è la mia mamma ed io ho bisogno di lei!»

 
Aveva alzato frustrato la voce e i suoi occhi celesti avevano iniziato a brillare alla luce della lampada. Gli porse una carezza sulla mano, come poteva non comprenderlo se Ron per primo necessitava della presenza di sua moglie. La giustificava agli occhi dei loro figli, aveva ancora piena fiducia dell’amore che lei provasse per la sua famiglia, ma non era facile percepire un peso così grande e cercare di alleviare quello di Hugo.

 
«Lo so, Hugo, ma c'è il tuo papà che resta qui e non se ne va da nessuna parte»

 
Ron fece passare il braccio intorno alle spalle del figlio e il piccolo si strinse a lui senza indugiare. Lo cullò un po', fino a che Hugo non chiuse gli occhi, godendosi quella dolce sensazione di protezione. Sentì il peso del bambino farsi più grave addosso a lui e proseguì la lettura, accostando la sua guancia alla testa di Hugo, ma non prima di aver lasciato un bacio tra i suoi capelli fulvi e ricci. Si stava palesemente addormentando, così riaprì il libro sull’ultima pagina per accompagnare dolcemente il suo ingresso nel mondo dei sogni.

 
«Quando il sole scese oltre l’orizzonte, Messer Senzafortuna uscì dall’acqua della Fonte rivestito della gloria del suo trionfo e, con la sua armatura arrugginita, si gettò ai piedi di Amata, che era la donna più gentile e più bella su cui avesse mai posato gli occhi. Fulgido di successo, le chiese la mano e il cuore e amata, non meno felice di lui, capì di aver trovato l’uomo che li meritava»*

 
Si bloccò a poche righe dalla fine del racconto. Suo figlio ormai, oltre che da lui, si stava già facendo coccolare serenamente dalle braccia di Morfeo. Ciò che desiderava più di tutto era quello, di cosa si stava lamentando Ron? I loro figli riuscivano in parte a compensare la mancanza di sua moglie. O si stava forse solo consolando? Chiuse il libro e stavolta si ripromise di non aprirlo fino all’indomani. Abbassò le palpebre con le ultime parole della fiaba nella mente, un pensiero volò direttamente alla sua amata, si chiese cosa stesse facendo proprio in quell’istante. Strinse più forte a sé Hugo e si abbandonò alla stanchezza della giornata appena trascorsa.

 

 

[ 6 settembre 2017 ore 11:30 p.m. – Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts/Sala Comune dei Grifondoro/Dormitorio femminile ]

 

Era tardi, quando un gufo bussò inaspettatamente alla finestra della Torre di Grifondoro. Rose si era già infilata sotto le coperte, ma il battito delle ali contro il vetro la ridestò infastidita. Si voltò assonnata verso quel rumore e quando vide di quale gufo si trattava, capì il motivo per il quale aveva preferito evitare la strada per la Torre Est, dove si trovava la Guferia.

 

 - Papà! Ho lezione domani, perché hai sempre questo pessimo tempismo?-

 

Si alzò controvoglia, strusciando le calze contro il pavimento. Ridestandosi lentamente dal sonno, iniziò ad insinuarsi nella sua mente il dubbio che potesse trattarsi di un’emergenza, così velocizzò il passo e aprì la finestra, ignorando persino la brezza fresca che sferzava l’aria.

 
«Leotordo, calmati, altrimenti sveglierai tutto il dormitorio»

 
Gli prese la lettera dal becco e con urgenza la dispiegò.

 

Ciao tesoro,

p
robabilmente il gufo arriverà molto più tardi rispetto ad ora e starai dormendo, scusami, non sono riuscito a risponderti prima, la mamma è dovuta tornare al Ministero ed io mi sono dovuto occupare di tutto, come sempre.
Ci tenevo però a rispondere alla tua meravigliosa notizia! Ho letto bene, la mia bambina è una Cacciatrice? Sono molto fiero di te, piccola, ed anche la mamma la è. Se fossi qui con me ti abbraccerei, ma fai conto che lo abbia fatto.
Mi manchi tanto, non vedo l’ora che arrivi il giorno della tua prima partita, mi troverai sugli spalti a fare il tifo per te e sono certo che nemmeno la mamma si perderebbe mai il tuo debutto nella squadra.
Ci hai scritto di Neville, non preoccuparti, appena abbiamo l’occasione proviamo a parlargli, sono sicuro sia solo un momento, è comprensibile dopo quello che lui ed Hannah hanno vissuto.
Buonanotte tesoro e a presto
Papà

 

Alla ragazza sfuggì un commosso sorriso dopo quelle parole. Non poteva essere arrabbiata con lui per averla svegliata, anzi, era reciproco, mancava anche a lei la costante presenza di Ron nella sua vita. Quella notte però si era guadagnata in via eccezionale la buonanotte da parte del padre, dopo quasi una settimana in cui non la riceveva.

 

 

[ 7 settembre 2017 ore 2:00 a.m. – Casa Weasley/Potter ]

 

Harry posò gli occhiali sul comodino e si infilò finalmente sotto le coperte, calde al punto giusto per quella mezza stagione che ormai era alle porte e iniziava già ad annunciare il suo imminente arrivo. La pioggia e l’umidità a Londra non si facevano mai desiderare più del dovuto. Il sonno non voleva ancora catturarlo e portarlo lontano dal pensiero che accanto a lui non ci fosse nessuno e che così sarebbe stato per almeno una settimana. Iniziava a comprendere sua moglie quando lui si assentava per notti intere, per lavorare, nella maggior parte dei casi, fino all’alba. La stessa sensazione di vuoto e di silenzio che ora provava probabilmente era la stessa che attanagliava Ginny in quelle occasioni. Provò a chiudere gli occhi, sperando che ciò bastasse, infondo la notte scorsa aveva lavorato prima di quel piccolo stacco e non aveva ancora avuto un istante di riposo. Gli dispiacque per Hermione che avrebbe dovuto lavorare al suo posto. Non riusciva a togliersi dalla mente le parole di Albus ed ora con quella scelta stava rovinando la vita anche a sua cognata. Era al corrente dei problemi che anche Hermione avesse con la sua famiglia e lui gliene stava causando altri con Ron e i suoi figli.

 
«Papà?»

 
Si levò spaventato all’udire la voce della figlia. La vide un po’ sfocata senza occhiali, mentre era ancora in piedi sulla porta della camera, con un piede dentro e uno fuori in attesa del permesso per entrare. Harry aveva lasciato la porta aperta nel caso la bambina avesse avuto bisogno di lui nel corso della notte e sembrava essere proprio quello il caso. Ricordava ore prima di essere stato accanto a lei, almeno fino a che non avesse percepito il suo respiro farsi pesante, segno che era scivolata ormai nel mondo dei sogni. Cosa faceva ora davanti a lui con quell’espressione frustrata? Gli era parsa spensierata quella sera.

 
«Tesoro, perché non sei a letto, non stai bene?»

 
«Non riesco a dormire, posso stare qui con te?»

 
«Vieni»

 
Non le rifiutò quella richiesta, infondo accanto a lui c’era un posto libero. La bambina non se lo fece ripetere, corse incontro al padre e, benché dalla parte opposta del letto non ci fosse alcun ostacolo, decise di salire scavalcandolo, anche se con qualche difficoltà. Harry la aiutò e subito dopo si coricò nuovamente, alla disperata ricerca del sonno di cui aveva bisogno, ma che sembrava ignorarlo. Lily non collaborò affatto alla difficoltosa impresa di Harry.

 
«La casa è troppo vuota senza la mamma, mi manca»

 
«Ti mancano anche tutte le volte che ti sgrida?»

 
Le rispose tenendo le palpebre ben serrate, ma udì perfettamente il sorriso che strappò a Lily e che contagiò anche lui. Qualche ora prima avevano salutato Ginny in procinto di partire, ma non ricordava grande malinconia da parte della bambina, solo tanto entusiasmo per tutto il tempo che avrebbe potuto godere in compagnia di Harry. Ora, nel silenzio della notte però, iniziava chiaramente a percepire la rara assenza della madre.

 
«No»

 
«Sogni d’oro, tesoro»

 
Lily non aveva alcuna intenzione di dormire e non soddisfatta per come si stava concludendo quella giornata, si sporse oltre il padre per prendere gli occhiali di Harry dal comodino. Fu inevitabile per lui accorgersene, visto che gli era salita sullo stomaco senza alcun ritegno. Intravide i gesti della bambina e capì subito quale fosse il suo obiettivo.

 
«Ahia, Lily! Cosa stai facendo? Lascia stare i miei occhiali»

 
«Mettili, papà, così parliamo un po’ prima di dormire. Tu sei praticamente cieco, non mi vedi altrimenti»

 
Scorse la figlia, mentre con determinazione gli allungava gli occhiali, ma lui non si decise ad afferrarli, era totalmente fuori discussione che lui avrebbe accettato la proposta di un dialogo a quell’ora della notte. L'entusiasmo della bambina però non avrebbe concesso qualche ora di riposo a nessuno dei due, prestarle attenzione per convincerla ad addormentarsi era l'unica soluzione che avesse.

 
«Ma so come sei fatta, non ho bisogno di vederti bene per saperlo»

 
«Davvero?»

 
«Conosco bene il tuo nasino e i tuoi occhi … hai gli occhi della mamma»

 
Le sfiorò dolcemente il viso con l’indice per avvalorare le parole, sperando che qualche carezza calmasse la sua irrequietezza. La toccò con tale delicatezza da farle il solletico. Lily però non si lasciò convincere da quei gesti d’affetto, così tentò di infilargli gli occhiali con la forza. Harry provò a difendersi come meglio poté, ma la bambina non sembrava voler demordere, nemmeno quando nella concitazione rischiò di ficcargli un'asta direttamente nell'occhio.

 
«Lily, sono stanco, dai, la scorsa notte ho lavorato e da allora non sono riuscito a dormire nemmeno un’ora. Se vuoi che passiamo una settimana piacevole insieme io e te dovrai lasciarmi dormire almeno qualche ora stanotte»

 
«Ma io non riesco a dormire»

 
«Allora coricati qui vicino a me e proviamo ad addormentarci insieme. Se non tenti, non lo saprai mai»

 
Harry chiuse gli occhi, fiducioso che finalmente la figlia lo ascoltasse, ma era evidentemente troppo emozionata per la sua rara presenza. Si tolse gli occhiali, tenendo le palpebre ben serrate, e se li accostò al petto stringendoli nel palmo della mano, prima che a lei venisse nuovamente l’idea di impossessarsene. La vocina della bambina era purtroppo per lui ancora molto vispa, nonostante l’ora tarda, e non accennava a mostrarsi assonnata.

 
«Come vi siete conosciuti tu e mamma?»

 
Sbuffò esasperato e le voltò le spalle, sperando che ciò bastasse per zittirla. Si limitò ad allungare una mano verso il comodino, auspicando di riuscire a memoria a riporre gli occhiali sul ripiano senza romperli. Cercò di liquidarla velocemente, non aveva alcuna intenzione di affrontare discorsi complessi in quel momento.

 
«Non me lo ricordo, Lily. Dormi»

 
«Come fai a non ricordarlo? Mamma mi ha raccontato tutto»

 
Le ultime parole della figlia lo incuriosirono, tanto che dimenticò i suoi propositi. Si girò con uno scatto verso la figlia in cerca di risposte e la trovò seduta in evidente posizione di ascolto.

 
«Mi ha raccontato quando l’hai salvata ed anche quando vi siete lasciati»

 
«E-e cosa ti ha detto di quel periodo?»

 
«Nulla, mi ha detto solo che poi vi siete ritrovati, perché il vostro amore era più forte, ma non mi ha raccontato quando sono nata io, tu lo ricordi?»

 
Ebbe una strana sensazione di sollievo nel sapere che Ginny non aveva approfondito quella questione, Lily era troppo giovane, non avevano alcuna fretta di traumatizzarla con il racconto del passato. Gradì inaspettatamente la domanda della bambina, purché fosse un ottimo pretesto per non doverle parlare di morte e distruzione.

 
«La tua mamma è bellissima, come avrei potuto non innamorarmene? Anche lei ricorda molto bene il giorno in cui sei nata, tesoro, anzi forse più di me. Era notte, circa quest’ora. Ero appena tornato a casa dal Ministero, ero sfinito, ma non ho fatto nemmeno in tempo a togliermi la divisa che tua madre iniziò a chiamarmi non appena sentì la porta aprirsi. Tu nascesti alle prime luci dell’alba. Quel giorno tua madre riuscì a strapparmi una promessa, sai?»

 
Incuriosì Lily a tal punto da non favorire il suo sonno, eppure era così contento - nonostante la stanchezza - di vivere quei momenti con la sua bambina. Si accorse veramente di quanto le fosse mancata e quante occasioni, anche piccole, avesse sottovalutato … come quella che stavano vivendo in quel momento, non serviva nulla di particolare per trascorrere con spensieratezza del tempo insieme e lui non aveva molti ricordi di quel tipo con nessuno dei suoi figli. Era davvero sufficiente scambiare qualche parola per rinsaldare il loro rapporto ed essere più presente per la sua famiglia, ma non aveva evidentemente sfruttato nel migliore dei modi la poca libertà che il lavoro gli concedeva. Sperò che quella settimana gli servisse da lezione e che quello fosse solo l’inizio di una nuova sfida per lui che sperò con tutto il cuore di vincere, ma non sarebbe stato facile impegnarsi di più a conciliare lavoro e famiglia, senza far pesare più del necessario ai suoi cari le numerose assenze.

 
«Quale?»

 
«Che non vi avremmo mai dato un altro fratellino o una sorellina. La mamma soffrì tanto per farti nascere, è comprensibile che non volesse vivere una quarta volta una simile esperienza. E poi che me ne faccio di un’altra principessa, quando io ho te?»

 
Vedeva che la bambina si stava rabbuiando, il pensiero della decisione dei suoi genitori la rattristò, si sentì in parte responsabile per quella scelta, così Harry iniziò a farle solletico sul collo per strapparle un sorriso. Ci riuscì, tornò la spensieratezza di Lily, ma ciò non era un presupposto valido per passare quella notte in bianco.

 
«Ed ora la mia bambina dorme, vero?»

 
Ancora una volta Harry sperò che lei lo ascoltasse, invece la sua assenza aveva accumulato troppa voglia di conversare con lui e lei non desiderava perdere nemmeno una singola occasione.

 
«Papà? Non mi hai mai parlato dei nonni»

 
«Cosa dovrei dirti su nonna Molly e nonno Arthur, sai tutto di loro, non fanno altro che raccontarti aneddoti sulla loro vita»

 
«Intendo nonna Lily e nonno James»

 
Rimase per un istante spiazzato a quella richiesta, non se la sarebbe mai immaginata. La notte sortiva proprio un brutto effetto su sua figlia ed era quasi certo che con sua madre fosse molto più quieta in quelle ore della giornata.

 
«Tesoro, avevo solo un anno quando sono morti, ne so tanto quanto te e ho già mostrato a te e ai tuoi fratelli tutti i pochi ricordi che ho di loro. Tu porti il nome della nonna, lo sai»

 
Notò la tristezza del padre. Le avevano raccontato a grandi linee come erano morti, non era nelle intenzioni della piccola ferire Harry, desiderava solo conversare un po’ con lui, sfruttando quei pochi giorni insieme. Presa dai sensi di colpa, tentò di rimediare.

 
«… e di Luna. Il mio nome è Lily Luna Potter»

 
«Sì, tesoro mio, dovresti proprio riposare ora»

 
Le alzò leggermente le coperte per invitarla a sdraiarsi e la incitò con un mezzo sorriso a seguire l’amorevole consiglio di suo padre.

 
«Su, forza, coraggio»

 
La piccola notò l’espressione stanca di Harry, così decise di assecondarlo senza ribattere ulteriormente. Le sistemò attentamente le lenzuola e le lasciò un piccolo bacio sulla fronte, anche se le aveva già dato il bacio della buonanotte quando credeva che si sarebbe facilmente addormentata nella sua cameretta. Era quasi scontato per Harry il paragone con suo padre, dopo che Lily lo aveva richiamato alla loro memoria. Magari James, se avesse avuto la possibilità, si sarebbe comportato meglio con la sua famiglia, sarebbe stato più presente. Gli mancava non aver potuto vivere quei momenti della sua infanzia con i suoi genitori, come sentiva forte l’impossibilità di chiedere loro consigli per evitare che anche i suoi figli avvertissero quella mancanza in futuro. C’erano in compenso però i suoi suoceri che non lo lasciavano mai solo, Harry aveva iniziato a far parte della famiglia Weasley molto prima che diventasse il marito di Ginny e da allora era solo diventato un membro ufficiale.

 

 

[ 7 settembre 2017 ore 2:00 a.m. – Casa Granger/Weasley ]

 

Hermione passò nel corridoio e intravide la luce ancora accesa nella camera di Hugo. Con una mano sullo stipite si bloccò e ritornò sui suoi passi, pensando che Ron l’avesse dimenticata e fosse andato a dormire. Si affacciò e sorrise davanti alla scena inaspettata che le si parò davanti. I due uomini più importanti della sua vita erano crollati in un sonno profondo l’uno tra le braccia dell’altro, probabilmente, da quello che poté appurare, mentre leggevano insieme le Fiabe di Beda il Bardo. Non le fu difficile comprendere la stanchezza del marito, l’aveva chiaramente espressa a lei qualche ora prima. Non si prese nemmeno il disturbo di posare la borsa o di sfilarsi la giacca, si avvicinò a loro lentamente e tolse delicatamente il libro dalle mani di Ron per riporlo sul comodino. Nonostante la prudenza impiegata, non riuscì a non svegliare il marito di soprassalto, gli aveva probabilmente involontariamente sfiorato le mani, spaventandolo.

 
«Hermione!»

 
«Sshh, Ron, calmati, hai Hugo addosso, così lo svegli»

 
Era un fascio di nervi, si era addormentato con un martellante peso sul cuore che lo aveva accompagnato lungo quell’apparente riposo. Impiegò qualche istante prima di capire a cosa sua moglie si stesse riferendo e soprattutto a placare l’ansia che gli aveva provocato l’assenza di quella donna. Si voltò con uno scatto verso il figlio, ricordandosi in quale attività fosse impegnato prima di addormentarsi. La sua mano era scivolata dal braccio del figlio, ma il bambino continuava serenamente a stringersi a lui. Non credeva di addormentarsi durante la lettura, contava di favorire il sonno di Hugo, dopodiché adagiarlo sotto le coperte, invece lo aveva lasciato scoperto dalla vita in su e probabilmente aveva freddo. Si concentrò nuovamente su Hermione, che aveva atteso con pazienza che lui si riprendesse dal torpore del sonno e chiese qualche chiarimento.

 
«Ma che ore sono?»

 
Hermione si rabbuiò, quando Ron cercò di capire l’ora dal suo orologio da polso, nonostante il sonno gli impedisse di compiere rapidamente quell’azione. Lei era conscia del fatto che fosse tornata a casa davvero troppo tardi, ma si era persa nelle mille questioni del Ministero e le era sfuggito di mano il tempo. Era però una giustificazione alquanto debole che non osò rivolgere a lui. Cercò di anticiparlo, affinché si spaventasse meno una volta intercettate le lancette.

 
«È molto tardi, Ron»

 
«Cos’hai fatto fino ad ora al Ministero?»

 
«Harry è in ferie dalla partenza di Ginny e mi devo occupare anche dei suoi compiti, gli Auror hanno bisogno di una guida»

 
«Praticamente dormi al Ministero fino al ritorno di mia sorella»

 
Incassò quella provocazione in silenzio, non aveva alcuna voglia di litigare nuovamente a quell’ora. Ron comprese di aver superato nuovamente il limite con quelle parole, così si concentrò su altro per evitare di dire qualcosa di sconveniente e cercò di alzarsi senza svegliare il figlio.

 
«Aspetta, ti aiuto»

 
Hermione, avvicinandosi, evitò prontamente al bambino, che aveva quasi subito sciolto la presa su Ron, di ricadere di peso sul letto senza più il sostegno del padre. Coricò Hugo sul letto in modo che fosse comodo e proprio mentre compiva quei gesti, il piccolo aprì leggermente gli occhi assonnati. Hugo riconobbe le mani della madre, non poteva che appartenere a lei la dolcezza con cui lo sfiorava.

 
«Mamma»

 
«Ciao, amore. Dormi tranquillo»

 
Gli porse con un sorriso una carezza sulla fronte e gli rimboccò le coperte sotto lo sguardo di Ron che attendeva che la moglie terminasse di occuparsi del figlio. Si sentiva quasi fuori luogo, come se quel raro momento tra madre e figlio necessitasse di riservatezza.

 
«Ho letto il libro, mamma»

 
«Domani me lo racconti»

 
Gli diede un bacio sulla tempia e affievolì la luce per favorire il suo riposo. Ron, per quanto gli fossero gradite le attenzioni di Hermione e sperasse che potessero bastare a riscoprire la serenità del bambino, non riuscì proprio a trattenersi. Non era propenso alla delicatezza, per quanto potesse credere che in quei casi ce ne fosse bisogno.

 
«Domani? Ne sei sicura?»

 
Fu estremamente sarcastico e scettico. Proprio per il tono inopportuno in quel luogo, Hermione lo spinse fuori dalla porta e la richiuse alle spalle, prima che gli venisse la malsana idea di alzare troppo la voce nella camera dove stava dormendo il figlio.

 
«Ronald, sono stanca e non ho alcuna voglia di litigare ancora con te. Se mi devi dire qualcosa, ti sarei grata se aspettassi almeno l’alba»

 
Si avviò verso la camera, ma quando non sentì i passi del marito seguirla, si voltò confusa.

 
«Che fai? Non vieni? Non mi sembra di aver detto che non avrei gradito la tua presenza, anzi, mi sei mancato. Tranquillo, troverò il tempo di ascoltarti»

 
«Ora vengo, comincia ad andare»


Le rivolse sovrappensiero un mezzo sorriso, appoggiandosi con la schiena alla parete accanto alla porta della cameretta di Hugo. Hermione si sentì in colpa, credeva di aver causato lei quello stato nel marito, così non accolse la sua richiesta e lo aspettò.

 
«Ron»

 
«Aspetta, Hermione, sto cercando di trovare una soluzione»

 
«Ti do io la soluzione. Non avrei mai dovuto accettare la proposta di diventare Ministro con due figli così piccoli, non pensando inoltre che avrei gravato su di te. Sto pensando di dimettermi, è tutta notte che ci penso e …»

 
«Che cosa??»

 
Non aveva parole per commentare la decisione della moglie e lei non riusciva a capire la sua sorpresa. Dopo quella notizia era finalmente riuscita ad attirare la sua completa attenzione e persino la stanchezza sul volto di Ron sembrava essere svanita all’improvviso.

 
«Che c’è, Ron? Non sei felice? Mi hai chiesto tu di scegliere ed io l’ho fatto. Avevi così poca fiducia in me da credere che vi avrei abbandonato? Di nuovo? Non risolveremo nulla se io continuo a stare dietro a quella scrivania, anzi peggiorerà sempre tutto tra noi ed io non voglio. Tu hai fatto dei sacrifici per la nostra famiglia, non vedo perché io non debba farne. Insomma, abbiamo deciso insieme di costruirne una»

 
«Tecnicamente ...»

 
«Sì, so che non abbiamo programmato Rose e Hugo, ma eravamo consapevoli che potessero arrivare»

 
«Sono la mia più grande gioia, Hermione. Se ti ho dato l'impressione di pentirmi di qualcosa in questi giorni, scusami, non è così. Anzi, ho trascorso anni meravigliosi al loro fianco. Non so se diventando Auror avrei vissuto le stesse emozioni di vederli crescere, sapendo di aver contribuito»

 
Sul volto della moglie si dipinse un grande sorriso soddisfatto e non era affatto solo dovuto all’importante impegno che Ron aveva portato avanti. Era estremamente orgogliosa di lui, dell’uomo e del padre che era diventato in quegli anni, ma non lo avrebbe ammesso tanto facilmente.

 
«Mi hai appena chiesto scusa, Ronald?»

 
«Potrei averlo accidentalmente fatto, sì, ma non farci l'abitudine»

 
«Assolutamente no, anche perché dovrei essere io a doverti delle scuse»

 
Si guardarono pensierosi per un istante nel silenzio della casa, avvolta nella penombra con l’unico sottofondo del respiro pesante del loro secondogenito. A Ron parve di cogliere dispiacere negli occhi di sua moglie, gli comunicò quanto fosse mortificata o almeno a lui sembrò così, non era mai stato bravo a cogliere le emozioni, specie quelle implicite. Eppure con Hermione era diverso, se non proprio un libro aperto, quantomeno l’amore che provava per lei lo rendeva più suscettibile ai particolari che la riguardavano e con gli anni questa dote si era affinata.

 
«Hermione, non esiste nessuno che sappia ricoprire quella carica meglio di te, non è un caso che tu sia amata da tutti per il modo in cui svolgi il tuo lavoro»

 
«C'è un'infinità di gente che saprebbe ricoprire quella carica meglio di me e non mi importa degli altri o di quel ruolo, se perdo la mia famiglia. Amore, grazie per la fiducia, ma vorrei anche sentirmi dire da te che sono una buona mamma e non solo un buon Ministro. Vorrei poter dire di aver contribuito alla crescita dei nostri figli, invece il merito è tutto tuo, io ho fatto ben poco in questi anni»

 
«La sei! Non ho mai detto il contrario. Hermione, per quanto potessi, ci sei stata, non quanto me, ma è stata solo un'assurdità da parte mia credere che un Ministro potesse essere più presente. Infondo chi mi ha dato delle dritte, quando ero in crisi?»

 
«Tua madre, forse? Come posso esserlo, se sono assente? Ron, non insistere, tranquillo non me ne pentirò e nemmeno ho intenzione di accusare te per avermi spinta a farlo. Ho perso fin troppo dell’infanzia dei miei bambini, tu hai di loro mille ricordi più di me … e sì, un po’ sono invidiosa, ma non per colpa tua»

 
Glielo disse con il sorriso, eppure lui non riusciva a riscoprire serenità, non dopo che sua moglie aveva preso una decisione sicuramente influenzata da lui. Ron cercò di accantonare la sua impulsività e di guadagnare un po’ di tempo per riflettere meglio su quella scelta così importante nella vita di entrambi.

 
«Hermione, sono le due di notte, non potremmo prendere questa decisione quando siamo entrambi meno stanchi e più lucidi. Non me la sento di decidere del tuo futuro con tanta leggerezza»

 
«Ho già preso la mia decisone e non voglio tornare indietro, ci ho riflettuto abbastanza e voglio tornare al mio vecchio Dipartimento, gli orari sono decisamente più appropriati per una donna sposata. Ron, avevi ogni singola ragione su tutto e mi dispiace, davvero, sono mortificata. Mi sto rendendo conto solo ora che ti ho lasciato affrontare una grande sfida e non so per quale motivo tu non ti sia ribellato prima, forse incoscienza? Ma in realtà l'incoscienza è stata solo mia, ti ho affidato un compito che non spettava solo a te, ognuno avrebbe dovuto fare la sua parte e non sostituire l’altro. Non è giusto che tu abbia dovuto chiedere aiuto a tua madre e a tua sorella perché tua moglie, la madre dei tuoi figli, era sporadicamente presente. Però voglio anche che tu sappia che mi siete mancati tanto, che solo la vostra compagnia mi faceva e mi fa sentire bene, purtroppo quando non posso goderne sto male senza di voi»

 
«Non sempre mi piace avere ragione, lo sai? Questo è uno di quei casi»

 
Gli diede con un sorriso un bacio sulla guancia, sperando con quella soluzione di aver portato un po’ di pace tra loro, nonostante suo marito ne fosse ancora poco convinto. Hermione gli sfiorò una mano invitandolo a seguirla e a smetterla di pensare, infondo gli si addiceva poco riflettere così intensamente.

 
«Vieni a dormire, Ron, sono stanca e penso anche tu»

 

 

[ 7 settembre 2017 ore 9:00 a.m. – Villa Malfoy ]

 

Astoria non riusciva ad ignorare suo marito che con tutta l’arroganza e la violenza possibile sfogliava le pagine della Gazzetta del Profeta. Lo fissava ormai da qualche minuto, mentre lei tentava invano di leggere un libro. Era impossibile per la padrona di casa sorvolare sul rumore della carta che ogni volta sembrava strapparsi per colpa della poca grazia di Draco.

 
«Ehi, piano, si può sapere cos’hai? È più di mezz’ora che te la prendi con quel giornale»

 
«Nulla … sto cercando una notizia e non la trovo»

 
Non accolse quell’ammonimento e riprese con stizza a leggere il giornale, o almeno era quello che sembrava fare. Era chiaramente arrabbiato e la sua irascibilità non avrebbe aiutato a placare il fastidio per i recenti avvenimenti che avevano visto coinvolto il figlio. Era certa non fosse scostante per una notizia non trovata o per una sgradevole già letta. Astoria sapeva di non avere alcuna possibilità di farsi ascoltare da lui, così cercò di calmarlo con una notizia che sapeva per certo sarebbe stata lieta per entrambi.

 
«Se lo strappi prima, non la troverai mai. Comunque, hai letto il gufo di Scorpius? Tra quelle righe trovi di sicuro una bella notizia»

 
«Sì … è incantevole»

 
«Non sembri così entusiasta. È un Cercatore, proprio come lo eri tu. Prima di Natale si terrà la sua prima partita, non sei emozionato?»

 
Per tutta risposta, chiuse sovrappensiero la Gazzetta, stavolta con più tranquillità, e passò accanto alla poltrona dove Astoria era seduta. Quella reazione la spiazzò, non le dava la possibilità di un dialogo, anche il più lieto, lo stesso che stava cercando da diversi giorni. Desiderava solo condividere con lui l’orgoglio e la gioia per i successi del figlio, ma lui non le offriva nemmeno quella opportunità. Astoria stavolta però non si fece sfuggire un’ennesima occasione e lo bloccò afferrando la sua mano libera dal giornale. Lei cercò persino i suoi occhi, ma erano perennemente sfuggenti.

 
«Cos’hai? E non ripetermi che è per una notizia inesistente, è solo una scusa e lo sappiamo entrambi»

 
«Niente, Astoria. Non ho niente, lasciami stare»

 
Si sciolse con poca delicatezza dalla presa della moglie per proseguire la sua strada, lasciandola più perplessa che offesa. Astoria non aveva alcuna intenzione di perdere quel confronto, così si alzò con determinazione, abbandonando la sua lettura senza preoccuparsi troppo di perdere il segno.

 
«Draco! È per qualcosa che ti ha riferito la McGranitt qualche giorno fa? È dovuto a questo il tuo malumore?»

 
«No … la Preside è una donna di poche parole»

 
Nonostante l’ansia di Astoria, lui continuava imperterrito a muovere i suoi passi verso la porta della Villa, ignorandola del tutto e accampando scuse per non affrontarla. Desiderava solo riscoprire un po’ di silenzio e di solitudine, non gli sembrava di chiedere l’impossibile, non aveva voglia di affrontare alcun tipo di argomento.

 
«Draco, aspetta»

 
«Astoria, dai, lasciami andare, faccio solo un giro»

 
«Sei strano, cos’hai? Mi preoccupo solo per te, nulla di più»


Non si voltava neanche per risponderle, si tratteneva per non darsi il pretesto di sfogarsi e non gli sembrava opportuno inveire contro le premure di Astoria, ma quell’ultima domanda fece involontariamente esplodere la rabbia che serbava nel cuore. Si girò con uno scatto verso di lei con una foga tale da farla trasalire.

 
«Sai che c’è? Avrei dovuto insegnare a Scorpius a difendersi, io invece non l’ho fatto ed ora guarda com’è finita, è stato umiliato da un insulso mezzosangue! Ma ovviamente come faccio ad insegnare a nostro figlio a difendersi, se tu continui a farmi i tuoi soliti discorsi di pace e a dirmi quanto sia inopportuno per un bambino imparare simili incantesimi di attacco e di difesa. Mi sono affidato agli insegnamenti di Hogwarts come volevi tu, mi dicevi che ci sarebbe stato tempo per imparare tutto, peccato che a Scorpius non sia stato dato il tempo di impararli nel tempo opportuno, lui avrebbe dovuto conoscerli prima di entrare in quella Scuola! Come vedi Potter non si è fatto alcuno scrupolo a preparare suo figlio ad un eventuale scontro»

 
«Tesoro, non è grave quello che è successo, calmati, sono certa sia stato solo un incidente, nessuno ha addestrato Albus ad attaccare nostro figlio, perché mai avrebbe dovuto farlo?!»

 
«Non è grave?! Quel Potter lo ha Schiantato! E sono stato io a consentire che lui si permettesse! Mai mostrarsi deboli e accondiscendenti, Astoria, ho commesso un grave errore. Per cosa poi, solo per il fatto che mi ha risparmiato Azkaban, sai che grande fatica ha fatto il signor Potter, all’eroe è bastato uno schiocco di dita per convincerli che ero innocente»

 
Era arrabbiato, anzi infuriato, gesticolava persino sbattendo con violenza il quotidiano, ma non riusciva a comprendere nemmeno lui con esattezza a chi fosse rivolta tanta ira. Gli era evidente il tentativo della moglie di calmarlo, quella donna comprendeva il suo malessere, perché in caso contrario avrebbe già messo a tacere con polso quegli spropositi.

 
«Draco»

 
Provò ad avvicinarsi a lui per consolarlo, aveva abilmente intuito che quella furia fosse dovuta a frustrazione e alimentare un’ulteriore lite sarebbe stata una pessima idea per entrambi. Tentò di abbracciarlo, ma lui allontanò con freddezza le mani di sua moglie, afferrandola per i polsi, non era chiaramente del suo stesso avviso.

 
«Lascia stare, non ho bisogno di compassione»

 
Astoria non gradì affatto quel gesto, anzi, se prima era ben disposta a comprenderlo con pazienza, ora si stava spazientendo davanti a tanta sfacciataggine.

 
«Passi giorni a non parlarmi ed ora mi urli contro. Ti vuoi calmare? Se hai qualche problema, possiamo risolverlo insieme come sempre. Draco, mi stai attribuendo colpe che non ho e non le hai nemmeno tu»

 
Non ascoltò nemmeno quel rimprovero e riprese la sua strada, per lui non c’era più nulla dire, un atteggiamento che peggiorò il fastidio di sua moglie. I propositi di Astoria erano quelli di essere paziente, ma suo marito stava esagerando a tal punto che chiunque non sarebbe riuscito a stare calmo, specie dopo diversi giorni in cui l’umore di Draco continuava a peggiore invece che migliorare. Non le offrì la più piccola opportunità di parlarne con lui, insieme forse sarebbero riusciti ad affrontare nel migliore dei modi quella situazione, invece suo marito chiudeva inesorabilmente tutte le porte, lanciando accuse insensate.

 
«Draco, dove stai andando?»

 
«A sistemare quel Potter»

 
«È solo un ragazzo. Draco!»

 
Era esattamente ciò che temeva, aveva davvero paura che suo marito potesse avere la malsana idea di affrontare direttamente quella famiglia, infondo quella rabbia, se non a parole, in qualche altro modo sarebbe dovuta esplosa prima o poi. Gli si parò davanti spaventata per ciò che avrebbe potuto causare la sua impulsività.

 
«Sei forse impazzito??»

 
«Ha Schiantato mio figlio e il pazzo sarei io!»

 
«E quindi? Scorpius sta bene, non è successo nulla di grave, nessuno si è fatto male … a parte il tuo orgoglio, vero?»

 
«Ti levi, per favore?»

 
Non avrebbe staccato la schiena da quella porta fino a che a lui non sarebbe tornato un briciolo di cognizione e sperava che a Draco, nonostante la rabbia, non venisse anche la malsana idea di forzare quel blocco. Non avrebbe mai ammesso di essere stato ferito nell’orgoglio, si limitò solo a fissarla negli occhi sovrappensiero, senza sapeva cosa risponderle.

 
«Certo che no, non ti farò commettere alcuna sciocchezza. Non ho voglia di dichiarare alcuna guerra ai Potter e così metti in mezzo anche me, senza neppure avermi chiesto se fossi d’accordo»

 
Si appoggiò sconsolato alla parete accanto alla porta, sfiorando appena la stoffa del vestito di sua moglie. Rivolse lo sguardo al pavimento, abbassò la guardia ed anche il tono della voce andò scemando.

 
«La McGranitt mi ha detto che è stata colpa anche di Scorpius, ha provocato quel ragazzo»

 
«La storia si ripete?»

 
«Io spero tanto di no. Ma probabilmente, come sostieni tu, è solo colpa mia, gli sto dando un pessimo insegnamento»

 
Si sentiva colpevole, Astoria ora poteva avvertirlo chiaramente, e finalmente dopo giorni da quell’episodio era riuscito ad esternare le sue emozioni a riguardo.

 

 

[ 7 settembre 2017 ore 8:45 a.m. – Diagon Alley ]

 

Lily era riuscita a convincere il padre ad uscire velocemente di casa ed ora si ritrovavano a percorrere insieme le vie di Diagon Alley addobbate dalle decine di vetrine luminose e ricche di oggetti vari messi in vendita. Harry era particolarmente assonnato e non aveva la forza di ribellarsi all’impazienza della figlia che lo tirava entusiasta per quel primo giorno vissuto in compagnia del suo papà. La bambina non era riuscita a chiudere occhio nemmeno dopo che Harry l’aveva esplicitamente invitata a provarci, l'emozione per quella settimana appena all'inizio era troppo grande per lei e non faceva altro che immaginare quante cose belle avrebbero potuto fare insieme. L'assenza di Ginny passò presto in secondo piano, la rara presenza di Harry riuscì a compensare efficacemente la lontananza della madre. Solo quando Lily si bloccò di soprassalto, Harry si levò dal suo torpore e spalancò gli occhi socchiusi - fino a poco prima si era totalmente affidato alla guida della figlia -, non capendo cosa la potesse aver spaventata. La sentì scivolare dalle sue mani e l’istinto gli dettò di bloccarla, ma i suoi riflessi non furono abbastanza pronti per proteggerla. Si tranquillizzò non appena vide a chi la bambina era corsa incontro. Anche Ron sembrava particolarmente assonnato e pensieroso, solo le braccia della nipote che lo avvolgevano all'altezza della vita sembravano averlo riportato con i piedi per terra. Era distratto, non era concentrato sulla strada che stava percorrendo, ma la prudenza gli consigliò ugualmente di riporre i biglietti che aveva appena acquistato in tasca, prima che la nipote, curiosa almeno tanto quanto sua moglie, li vedesse.

 
«Ehi. Ciao, tesoro, che bella sorpresa. Sei sola?»

 
«Ciao, zio. Ma secondo te?! Sono qui con papà. Dov’è Hugo?»

 
«L’ho accompagnato dai nonni un’oretta fa, io tra non molto devo essere al lavoro»

 
Lily ci rimase un po’ male, avrebbe gradito la compagnia del cugino. Harry li raggiunse poco dopo, era quasi imbarazzando per i compiti a cui aveva obbligato Hermione in quei giorni e temeva di leggere delusione sul volto del cognato. La bambina però distrasse entrambi, prima ancora che quelle questioni potessero emergere.

 
«Zio, vai a vedere la partita di Quidditch della mamma?»

 
«N-no, perché? Ora devo pensare al lavoro, non ho tempo per alcuna partita»

 
«Hai messo i biglietti in tasca non appena mi hai vista … ma non intendevo ora»

 
Se lo era immaginato, peccato che la sua prudenza fosse stata del tutto inutile contro gli occhi da falco di Lily.

 
«G-già … la partita della mamma … v-vado a vedere quella tra qualche giorno … sì. Ma non dirlo alla zia! Sai, lei non capirebbe, Hermione direbbe che ...»

 
«… che è una perdita di tempo, lo so. Papà, possiamo andare anche noi, prima che i biglietti finiscano? Dai, ti prego!»

 
La bambina si voltò verso il padre con aria supplichevole in attesa di una sua risposta, ma incontrò solo la sua espressione diffidente rivolta a Ron.

 
«Lei non lo sa? Ma ne sei sicuro? È difficile che ad Hermione sfugga qualcosa»

 
«Tranquillo, Harry, nulla di strano, a lei ultimamente sfugge tutto»

 
Nonostante la conversazione che Ron aveva avuto con sua moglie quella notte non riusciva a riscoprire serenità, anzi era del parere che la situazione in qualche modo sarebbe peggiorata. Lily fu presto distratta dalla vetrina del Ghirigoro, ricca di tanti nuovi volumi che non avrebbero potuto non attirare la sua attenzione. Mentre la piccola si avviava entusiasta verso il negozio, Harry non smise di fissare perplesso l’evidente demoralizzazione di Ron.

 
«Amico, va tutto bene? Sicuro che quei biglietti siano per la partita di tua sorella, perché mi viene difficile credere che tu abbia necessità di nasconderlo ad Hermione, anzi, sono certo che se avesse qualche ora libera farebbe piacere anche a lei essere presente e tifare per Ginny»

 
«A proposito di tifare, tu e Lily non eravate intenzionati ad assistere a quella partita? Sono sicuro che a Ginny farebbe molto piacere vedere la sua famiglia sugli spalti. Ginny potrebbe procurarvi i biglietti»

 
Ron cercò abilmente di spostare l’attenzione su altro, ma dall’espressione del cognato capì di non essere così efficace, ma forse anche i suoi occhi lo stavano tradendo davanti ad Harry che infondo lo conosceva da più di vent'anni.

 
«Quindi quei biglietti li ha procurati mia moglie per te, Hugo ed Hermione? Ron, parli di Hermione come se fosse assente e sono quasi sicuro che quei biglietti riguardino altre partite, non quella di Ginny»

 
Harry sapeva benissimo che era molto impegnata ed ora poté appurare quanto ciò facesse soffrire il cognato. Non aveva avuto il sospetto che Hermione però non fosse al corrente degli spostamenti di Ron, ciò implicava che tra loro andasse peggio di quanto pensasse, che tra loro ci fossero segreti e lei non fosse particolarmente attenta come era sempre stata a ciò che le succedeva intorno. Era inutile negare per Ron quelle accuse e non aveva nemmeno alcuna giustificazione per le bugie che aveva raccontato a lui e ad Hermione.

 
«Sì, ma me la cavo comunque, come sempre. Cosa vuoi che importi ad Hermione di dove vado? L’importante è che non trascuro i miei doveri, no? O devo anche chiederle il permesso per qualche partita di Quidditch? Mi aiuta solo a distrarmi e lei non approverebbe queste mie distrazioni, mi direbbe solo che sono infantile a rifugiarmi tra gli spalti. Harry, saranno una o due ore a settimana, non trascuro Hugo, in quei giorni lo vado a prendere dai miei qualche minuto più tardi. Non dirlo ad Hermione, ci fai solo litigare inutilmente e in questi giorni discutiamo già abbastanza»

 
«Non dubito del fatto che tu abbia bisogno di qualche ora di svago, ma nascondere la verità non è mai un bene ed ora spiegami per quale ragione litigate di continuo»

 
«Harry, guarda tua figlia, è entrata al Ghirigoro da sola»

 
Per quanto Harry temesse di essere in parte causa di quei litigi, si sentì in dovere di non ignorare la tensione che si era creata tra i suoi migliori amici. Ron però colse l’occasione per distrarre l’attenzione del cognato, visto che non era facile per lui affrontare la sua frustrazione e gli era parso di averla espressa a sufficienza.

 
«Lily!»

 
Harry la raggiunse di corsa senza pensarci a lungo, seguito da Ron che, a differenza sua, aveva un passo più tranquillo. La intravide intenta a recuperare un libro dallo scaffale che era un po' troppo in alto per lei. Lily stava con uno sforzo allungando il braccio e ci era quasi riuscita, se Harry non avesse afferrato severo il libro e lo avesse rimesso al suo posto con uno scatto stizzito.

 
«Lily, no. Abbiamo la casa infestata di libri, ormai non sappiamo più dove metterli. Se ora porti a casa altri libri, sai come finisce, vero?»

 
«Mamma fa uscire di casa me?»

 
«No, semmai sbatte fuori di casa me per non averti fermata, quindi, ti prego, se mi vuoi bene, dammi retta e lascia perdere i libri oggi»

 
Ron, assistendo a quella scena, scoppiò a ridere appena dietro di loro.

 
«Sei tale e quale ad Hermione, piccola»

 
«Sì e questo non è un bene. Vieni, Lily, fermiamoci qualche minuto al Paiolo Magico, così parlo un po’ con lo zio»

 
«Non abbiamo nulla di più da dirci, Harry»

 
Ron si fece serio all’improvviso, quando l'attenzione dell’amico tornò a posarsi su di lui.

 
«Io invece credo proprio di sì»

 
A nulla valsero le proteste di Ron e persino la scusa che George lo stesse attendendo ai Tiri Vispi sortì l'effetto sperato. Venne ugualmente spinto oltre la porta del Paiolo, le sue repliche non vennero accolte dal cognato e nemmeno la nipote corse in suo soccorso. Harry era intenzionato a spendere due parole in privato con lui, così trovò una scusa fondata per allontanare la figlia qualche minuto da loro.

 
«Lily, tesoro, vai a scegliere qualcosa che ti piace dalla lista vicino al bancone»

 
L’attenzione della bambina, mentre il padre le rivolgeva quel suggerimento, fu spostata su altro. Una giovane signora bionda stava lavorando proprio dietro il bancone che Harry le aveva indicato e Lily entusiasta gli fece notare la sua inaspettata presenza.

 
«Guarda, papà, c’è Hannah!»

 
«Vai a salutarla, poi veniamo anche noi»

 
Harry approfittò dell’entusiasmo della figlia e Lily lo ascoltò senza troppe difficoltà, avviandosi verso quell'amica sempre dolce e cordiale con lei. Quando finalmente i due uomini furono rimasti soli, Ron, seguendo i passi della nipote, ricordò i timori che Rose aveva esplicitato verso il suo professore di Erbologia nell’ultimo gufo che aveva spedito a casa.

 
«Povero, Neville, non se la sta passando molto bene, chissà se Hannah lo sa oppure se è proprio lei la causa di tanto malessere»

 
«Sempre per …»

 
Ron affermò con un lieve cenno del capo, ma era scontato che la frustrazione del loro amico comune fosse dovuta a quel tragico e drastico episodio.

 
«Ora però parliamo di te, a Neville pensiamo dopo»

 
Harry afferrò la manica della giacca del cognato con impazienza, obbligandolo a seguirlo e a sedersi con lui ad un tavolo poco distante. Diede a Ron solo il tempo di togliersi la giacca, ma quest'ultimo non aveva altrettanta fretta di parlare dei problemi che aveva con sua moglie.

 
«Allora, mi dici cosa non va con Hermione? A parte le bugie sulle partite e mi auguro davvero non lo venga mai a scoprire»

 
«Quello è il meno, Harry, perché ultimamente non va bene nulla con lei»

 
Harry lo fissò incredulo, si sarebbe aspettato qualcosa di più circoscritto, non un problema così generalizzato e quindi che aveva l’aria di essere grave. Non riusciva proprio a non pensare di essere in parte colpevole.

 
«Harry, non guardarmi come se ti avessi detto che io ed Hermione stiamo divorziando»

 
A quella notizia il cognato prese un sospiro di sollievo.

 
«Mi era parso così»

 
«Per fartela breve: lei non è mai a casa a causa del lavoro, gliel’ho fatto notare ed ora vuole dare le sue dimissioni»

 
«Stai scherzando, vero?»

 
Fu breve per Harry il sollievo, anzi quella notizia lo sconvolse.

 
«Se hai una soluzione migliore, l’accettiamo volentieri»

 
«Ron, questa settimana è colpa mia se Hermione è più assente. Se la sua decisione è stata presa proprio in questo momento, probabilmente sta influendo la mia assenza al Ministero»

 
«Harry, sono anni, non sarà questa settimana a destabilizzarmi più del solito»

 
«Mi dispiace, Ron, non sai quanto. Non esiste qualcuno che possa svolgere quel lavoro meglio di lei, lo ricopre con grande attenzione e dedizione»

 
«Ne sono consapevole e temo che dimettersi possa comportare la sua infelicità, ma non mi vuole ascoltare. Stamattina ho provato a parlarle, nonostante io sia pessimo con le parole, mi sono impegnato per quanto mi fosse possibile, ma ha cominciato a ricordarmi quanto fosse tardi per raggiungere il Ministero. A differenza di tutti gli altri giorni però era solare, come se fosse impaziente di vivere le conseguenze della sua scelta. Per quanto stanca fosse, visto che è tornata a casa tardissimo stanotte, mi ha dato un bacio ed è uscita di casa»

 
Harry non fece in tempo a confermare o a disconfermare le ipotesi del cognato, perché Hannah li interruppe per prendere le ordinazioni insieme a Lily. La bambina si accomodò accanto al padre, mentre la padrona del locale si rivolse gioiosa ai suoi clienti.

 
«Ciao, ragazzi»

 
«Ciao, Hannah. Come mai sei qui?»

 
«Oggi è il mio giorno di riposo in Infermeria ed ho pensato di cambiare un po’ aria»

 
Tentò di camuffare con un sorriso, ma fu inutile, ad Harry non sfuggì la sua velata malinconia. Ron però lo anticipò, spiazzando entrambi con una spontanea indelicatezza.

 
«Problemi con Neville?»

 
«N-no … ma mio marito sta preparando gli studenti ai M.A.G.O ed è molto impegnato. Allora, cosa vi porto?»

 
Dopo l'occhiataccia che il cognato gli aveva lanciato, non osò chiedere ulteriori chiarimenti e preferì limitarsi a rispondere a quella domanda.

 
«Per me una Burrobirra … anche se ripensandoci mi ci vorrebbe del Whisky Incendiario»

 
«Io mi limito alla Burrobirra»

 
«Arrivano subito. E per te, Lily? Sei ancora indecisa? Credo di avere qualcosa che ti potrebbe piacere»

 
Si allontanò dai suoi amici con il sorriso e Ron poté finalmente esternare i propri dubbi senza il timore di risultare inappropriato.

 
«Ha chiaramente problemi con Neville, hai visto come mi ha risposto? È stata molto evasiva»

 
«E chi non ha problemi in questo periodo. Ron, potevi anche essere più delicato però»

 
«Che problemi hai tu? Ancora Albus?»

 
«Circa gli stessi di Hermione»

 
Hannah portò loro in breve tempo ciò che avevano ordinato e nuovamente interruppe la conversazione di Harry e Ron.

 
«Ecco a voi. Per te, piccola, ho una buonissima torta al cioccolato appena sfornata»

 
«Grazie, Hannah»

 
Lily aveva già l'acquolina in bocca al solo pensiero di quel dolce squisito, sapeva bene quanto Hannah fosse brava a cucinare prelibatezze. Harry fece per pagare, ma lei gli sfiorò il braccio con un sorriso per fermarlo.

 
«Lascia stare, oggi offro io»

 
«D'accordo, grazie allora»

 
«Grazie, Hannah»

 
«Buona giornata, ragazzi»

 
La guardano allontanarsi perplessi e soprattutto Ron, dopo averla ringraziata per quel gesto così gentile, venne sommerso da mille dubbi.

 
«Io non capisco, è sufficiente non nominarle Neville ed è felice»

 
«Oppure la sua felicità è falsa, lei è cordiale per natura»

 
«Hannah ha ragione, questa torta è buonissima!»

 
Si voltarono entrambi ridendo verso Lily, quando videro che la sua bocca era per buona parte sporca di cioccolato. Harry prese divertito un tovagliolino e glielo passò delicatamente sulle labbra.

 
«Sei una pasticciona, proprio come lo zio»

 
«Io??»

 
«Vedi altri zii qui?»

 
«Ma se non ho alcun dolce davanti»

 
«... che sarebbe stato molto meglio del Whisky»

 
«Necessito di dimenticare e di non pensare al futuro che mi aspetta»

 
Bastò un secondo per far ripiombare quel tavolo nello sconforto ed Harry iniziava a comprenderlo. Il futuro non era il terreno preferito da Ron, lui prediligeva sempre il presente, ma se proprio lui iniziava ad averne paura poteva solo significare quanto fosse scomoda quella situazione.

 
«Temi che Hermione ti rinfacci le sue dimissioni?»

 
«È la stessa cosa che mi ha detto lei ... Sono così prevedibile?»

 
«Per me e lei sicuramente sì»

 
«E poi mi chiedi anche il motivo per il quale ordino il Whisky Incendiario»

 
Ne trangugiò un grande sorso per sottolineare il suo disappunto sul rimprovero di Harry. Sperò davvero funzionasse, invece gli provocò solo fastidio.

 
«Fidati di Hermione, Ron, lei sa quello che fa e se ritiene che sia più opportuno dimettersi, sarà sicuramente così. Anche se mi mancherà non poter ricevere i suoi consigli»

 
«Mi fido di lei, ma ho l'impressione che stavolta stia commettendo un grave errore»

 
«Bhe potreste fare cambio, lei si dimette e tu prendi il suo posto, così Hermione potrebbe comunque avere influenza sul Ministero»

 
Ron lo guardò scettico, non riuscì a capire se ciò che aveva appena sentito fosse reale oppure se il whisky avesse già iniziato a fare effetto, compromettendogli l’udito.

 
«Harry, non sei simpatico. Stai scherzando, vero?»

 
«Ovvio che sì, ma vedere te alle prese con gli affari del Ministero sarebbe stato molto divertente»

 
Bevve la sua Burrobirra per trattenere un sorriso.

 
«Mia moglie è talmente folle in questo periodo che potrebbe anche arrivare a propormelo. Pensa che mi ha proposto di reclutarmi come Auror»

 
«Forte, zio! Lavorerai con papà?»

 
«Lily ha ragione, è una bella idea. Hai accettato?»

 
«Ma certo che no! Mi ci vedi a correre dietro ai Maghi Oscuri?»

 
«Perché no? Io lo faccio tutti i giorni»

 
Non aveva alcuna voglia di rimanere lì ad ascoltare nuove assurdità, sembrava proprio che suo cognato e sua nipote non fossero intenzionati a mettersi nei suoi panni e dalla sua parte, infondo era meglio non finire quel Whisky Incendiario prima di raggiungere il negozio.

 
«Sarà meglio che io vada al lavoro, prima che senta qualche altra castroneria»

 
«Abbiamo davvero bisogno di Auror al Ministero. Se ci dovessi ripensare, saresti il benvenuto» abbassò prudentemente la voce per non farsi sentire dalla figlia «Magari con te riuscirei ad essere un po' più a casa, ci divideremmo il lavoro. Con Hermione poi che vuole dimettersi, mi troverei spaesato»

 
Si era alzato velocemente e mentre ascoltava scettico l’invito di Harry, aveva già iniziato ad infilarsi la giacca.

 
«Mi stai proponendo di diventare il tuo vice? Hermione non sparisce, torna solo al suo vecchio Dipartimento, l’Ufficio Regolazione e Controllo delle Creature Magiche, potrai chiederle consiglio ogni volta che vorrai. Se diventassi Auror però sparirei anche io da casa e chi si occuperebbe dei ragazzi?»

 
«Ron, non spariresti. Pensaci, per me saresti già assunto»

 
«E il diploma? Il corso? Non ho alcuna qualifica»

 
«Neppure io ho il diploma e il corso per te è inutile, lo sappiamo entrambi»

 
«No, non lo so, tu sei Harry Potter e sono anni che la mia bacchetta non vede altri incantesimi se non quelli per spolverare»

 
«Ciò non mette in dubbio le tue capacità, ti chiedo solo di pensarci, nessuno ti obbliga. Ti lasciamo andare al lavoro, più tardi passiamo in negozio»

 
Non sapeva come esprimere ad Harry le sue innumerevoli insicurezze, ma il tempo non gli lasciava molto spazio per parlarne, così salutò Lily e preferì distrarsi dai problemi grazie al suo lavoro.

 
«Ciao, zio»

 
«Ciao, tesoro»

 

 

[ 7 settembre 2017 ore 4:00 p.m. – Tana ]

 

Harry aveva preferito occuparsi personalmente della sua bambina, anche per non gravare continuamente sulle spalle dei suoi suoceri, ma si accorse ben presto, in quella giornata così pensierosa, di necessitare di una loro confortante parola. Si ritrovava ora a sorridere appoggiato allo stipite della porta che volgeva sul salone, mentre Molly e Lily giocavano e si divertivano insieme. Colse quei momenti di distrazione di sua figlia per raggiungere il suocero, che si trovava come sempre impegnato nel suo hobby principale dopo i nipoti, quello di occuparsi di qualsivoglia affascinante oggetto babbano. Harry provò a distrarlo dal suo lavoro senza spaventarlo.

 
«Ehi»

 
«Harry, ragazzo mio»

 
«La disturbo?»

 
«Non è nella tua natura disturbare, entra»

 
Harry si avvicinò osservando il grande orologio babbano che Arthur aveva smontato per esaminarne i pezzi.

 
«Affascinante»

 
Il suocero gli sorrise e si concentrò poco dopo serio e curioso su di lui.

 
«Come mai da queste parti? Avevo capito da mia figlia che avresti avuto una settimana libera da dedicare alla piccola Lily»

 
«È così, sto trascorrendo dei bei momenti con Lily grazie a queste ferie concesse da Hermione, ma …»

 
Arthur colse l’espressione affranta del genero, si tolse gli occhiali e temette fosse successo qualcosa.

 
«Cosa ti turba, Harry?»

 
«L’infelicità della mia famiglia»

 
Harry non riuscì a tenersi tutto dentro e con la sua naturale sincerità lo esplicitò.

 
«Infelicità?? Di che infelicità stai parlando? Non credo di aver mai visto Ginny più felice»

 
Harry sorrise sarcastico, era consapevole del fatto che Arthur e Molly fossero dalla sua parte e che forse non avrebbero nemmeno notato quanto il suo comportamento verso la famiglia fosse inopportuno. Si fidavano di lui, lo trattavano come un ennesimo figlio e vedevano sempre del buono nelle sue azioni.

 
«Ne è proprio sicuro? Ginny non vuole essere sincera nemmeno quando le mostro io per primo le mie rimostranze sul lavoro che svolgo, probabilmente non vuole lasciarmi sensi di colpa, ma io li sento comunque, soprattutto da quando devo sopportare le accuse di Albus»

 
Capì tardi di essere stato un po’ duro, forse esagerato davanti al suocero, ma le preoccupazioni che sentiva vive nel suo cuore lo stavano tormentando giorno e notte. Non sapeva neppure se Arthur fosse a conoscenza del malessere del nipote e quello era decisamente il modo più inopportuno per informarlo.

 
«Mi scusi, davvero»

 
Si stropicciò gli occhi nel tentativo di calmarsi e proprio in quel momento sentì il tocco rincuorante di Arthur sulla spalla. Non seppe mai spiegarsi come il destino avesse concesso al suo fianco quella figura paterna, ma l’unica cosa che seppe era quanto ne avesse un estremo bisogno in quei momenti.

 
«Non hai bisogno di scusarti. Sai, Harry, ogni giorno che passa io mi dico che non avrei potuto desiderare compagno migliore per mia figlia. Ginny è molto fortunata»

 
«Ma io … la trascuro, anzi trascuro lei e i nostri figli»

 
«Non stai trascurando nessuno, sei impegnato come lo è qualunque padre di famiglia, nulla di più»

 
«Ma, ecco, forse dovrei cercare anche di ritagliarmi più spazio, mio figlio ha ragione, ho perso così tanto della loro infanzia»

 
Arthur non fece in tempo a rispondergli, Lily aveva colto Harry di sorpresa alle spalle con un abbraccio inaspettato.

 
«Scusa, nonno, ma questa è la nostra settimana e non me lo puoi rubare così»

 
Harry abbassò lo sguardo su di lei e le porse una carezza sulla testa, tra quei fulvi capelli. Dopodiché alzò lo sguardo sul sorriso intenerito del suocero. Gli parve che Arthur volesse sfruttare l’evidente dimostrazione di affetto di Lily per avvalorare l’opinione che aveva su di lui.

 
«Nessuno ruba il tuo papà, tesoro. Allora, cosa avete in programma ancora oggi?»

 
Harry attese una risposta da parte della figlia, sperando dicesse che era finalmente ora di tornare a casa.

 
«Il parco divertimenti!»

 
Harry non sorrise affatto all’entusiasmo di Lily e si voltò di nuovo perplesso verso Arthur, forse in cerca del suo sempre disponibile aiuto.

 
«La sto viziando troppo, vero? Lei cosa dice? È sicuramente più esperto di me»

 
«Il giusto, Harry … solo il giusto»

 

 

 

*Le Fiabe di Beda il Bardo, La Fonte della Buona Sorte
 

 



Ciao ragazzi!

 
Sono in procinto di prendere la mia laurea magistrale e come potete ben immaginare sono incasinatissima con tutto … è il motivo del mio mega ritardo, perdonatemi tanto ☹

 
Nonostante ciò però, non avrei potuto esimermi dallo scrivere un capitolo infinito ricco di notizie e cambiamenti (?) … chi lo sa se ci saranno e quando 😉

 
Non posso fare altro che ringraziarvi di cuore per la vostra pazienza, siete fantastici! <3

 

Alla prossima!

Baci

-Vale

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Capitolo 7
*** Il Boccino della concordia ***


Il Boccino della concordia

 

[10 settembre 2017 ore 3:00 p.m. – in viaggio verso Edimburgo]
 
A metà della settimana di ferie concessa ad Harry si sarebbe tenuta l’amichevole tra le Holyhead Harpies e le Pride of Portree a Edimburgo, proprio nel cuore della fredda Scozia. Harry e Lily avevano deciso di seguire il consiglio di Ron, avrebbero raggiunto Ginny, ma preferirono non avvertirla del loro arrivo, una sorpresa le avrebbe senza dubbio fatto più piacere. Per giorni interi Harry come un disperato aveva cercato i biglietti per lui e la figlia, era forse riuscito a recuperare gli ultimi rimasti in circolazione per pura fortuna nei vicoli di Diagon Alley da qualche conoscente che aveva particolare ammirazione per il lavoro che svolgeva al Ministero. Era il primo viaggio che Lily intraprendeva fuori da Londra e ne era elettrizzata. La più giovane della famiglia Potter era un’avventuriera e quella era la sua occasione per conoscere l’affascinante territorio scozzese, prima ancora di iniziare la sua carriera scolastica. Da quando aveva imparato a leggere, si era cimentata varie volte in letture che riguardassero quelle terre, ma non aveva ancora avuto il piacere di visitarle in prima persona.
Erano giunti finalmente all’Aeroporto di Heathrow a Londra e la piccola Lily, da quando avevano messo piede in quel grande edificio, non aveva smesso di stringere il braccio di Harry. I grandi aerei bianchi spiccavano oltre le vetrate come se volessero investirla da un momento all’altro e ciò non faceva stare serena la bambina. Non aveva messo in conto quel piccolo inconveniente, non aveva mai visto un aereo da quella vicinanza e ciò attraverso gli occhi innocenti della sua età era spaventoso. Richiamò l’attenzione del padre, strattonandolo leggermente per il braccio che teneva stretto al petto per restare il più possibile vicino a lui ed evitare così di perdersi tra la fitta folla.
 
«Papà? Non possiamo Smaterializzarci per raggiungere la mamma oppure usare una Passaporta? O ancora meglio, che ne dici se prendiamo un treno?»
 
Harry la fissò interdetto, fermandosi nel mezzo dell’aeroporto con centinaia di viaggiatori che passavano loro accanto. Non avrebbe nemmeno potuto fare ulteriori passi, la figlia lo costrinse a non proseguire bloccandolo per il braccio, come se volesse in qualche modo ritardare il loro primo volo insieme.
 
«Leggi davvero troppi libri sul Mondo Magico, Lily. Comunque ti sfugge un dettaglio, tu non puoi Smaterializzarti, sei troppo piccola e inesperta, e ti sconsiglio le Passaporte, almeno per il momento. Se prendiamo ora un treno da King’s Cross, non arriveremo mai in tempo per la partita della mamma»
 
«C’è l’Hogwarts Express»
 
«Quello è un trasporto eccezionale, scorta gli studenti ad Hogwarts il primo settembre e li riporta a Londra al termine delle lezioni, non fa alcun servizio pubblico in città»
 
«La Metropolvere?»
 
«In effetti quella potrebbe essere una valida alternativa, ma non sono pratico di Edimburgo, non vorrei finire nel camino sbagliato»
 
Quelle notizie spaventarono la bambina, che tornò a guardare quei grandi mostri di metallo che la minacciavano con il loro enorme muso proprio rivolto verso di lei. Lily si stava rassegnando, se voleva raggiungere quella città non aveva altra scelta che salire su un aereo. Si strinse più forte ad Harry, invitandolo inconsciamente a proteggerla. Stavolta fu molto più chiaro al padre a cosa fosse dovuta quella reazione, avendo notato l’espressione crucciata della piccola rivolta alle vetrate. Accolse quella richiesta di protezione, la abbracciò, anche se riteneva non ci fosse alcun pericolo.
 
«Cosa c’è, tesoro, hai paura?»
 
«Non sono mai salita su un aereo, papà»
 
Harry le sorrise con dolcezza e si abbassò alla sua altezza, lasciandosi alle spalle le vetrate, la cui vista si estendeva sulle piste di decollo. Lily era la sua unica bambina e ultimogenita, nei suoi confronti il desiderio di protezione era più accentuato rispetto a quanto ne provasse per Albus e James. Le strinse la mano e accarezzandola con il pollice sperò di allontanare tutte le sue paure.
 
«Lo so, Lily, ma ti sono accanto, in poco tempo saremo arrivati a destinazione, non hai nulla da temere. Ho dovuto prendere anche io l’aereo un paio di volte: la prima volta ero con la mamma e siamo partiti per il nostro viaggio di nozze, mentre la seconda per lav …»
 
«E dove siete andati tu e la mamma?»
 
Harry la fissò diffidente per un secondo, dopodiché si alzò, tenendo stretta nella sua mano quella della piccola.
 
«Eh no, signorina, questa scusa non è buona per ritardare il volo»
 
Le sistemò la mollettina, con la quale evitava alla lunga frangia di coprirle gli occhi ed iniziò a tirarla verso il bancone per l’imbarco.
 
«Coraggio, vieni»
 
La bambina, un po’ più convinta dopo il rassicurante tono del padre, gli strinse più forte la mano. Insieme raggiunsero il banco del check-in ed Harry fu costretto a lasciare libera la mano di Lily per poter fornire i documenti e pagare i due biglietti. La piccola seguì attentamente e con impazienza tutti i gesti del padre. Aveva recuperato il portafogli dalla tasca dei pantaloni, un gesto che non era solito fare, lui non si prendeva mai il disturbo di riporre i Galeoni, le Falci e gli Zellini ordinatamente in un portamonete, ma li conservava direttamente in qualsiasi tasca avesse a disposizione, che fosse della divisa, dei pantaloni o della camicia. La incuriosì particolarmente quel gesto. Stava estraendo con naturalezza da una fenditura del portafogli due tessere che lei non aveva mai visto, eppure su di esse aveva riconosciuto chiaramente le loro foto.
 
«Papà, cosa sono?»
 
Harry non aveva tempo di risponderle, la signorina dall’altra parte del bancone aveva comunicato a lui una cifra che Rose suppose riguardasse la spesa per i biglietti. Poco dopo Lily aveva notato che quelle strane tessere erano rimaste incustodite sul bancone e prima che Harry potesse riporle, la bambina le recuperò per analizzarle. Non perse però di vista le azioni del padre e strabuzzò gli occhi quando notò nelle sue mani dei fogli di carta colorati che lei non aveva mai visto in vita sua. Nell’attesa di ricevere le carte d’imbarco, Harry rivolse un sorriso all’espressione curiosa e allo stesso tempo ansiosa della figlia.
 
«Papà, qui ci sono scritti i nostri nomi, le foto sono strane e non dice che tu sei un Auror e lavori al Ministero, mentre sul tuo distintivo è scritto»
 
Sperò che la ragazza dall’altra parte del banco non avesse sentito sua figlia, non poteva rispondere liberamente a Lily davanti ad una Babbana, così recuperò i due biglietti aerei e si congedò con cortesia. Nonostante avesse catturato nuovamente la mano della bambina e si stessero allontanando dalla folla dell’open space per avvicinarsi alle piste di decollo, dove il rumore dei motori avrebbe camuffato le sue parole, Harry preferì comunque abbassare il tono della voce e quasi sussurrò per colmare la sua curiosità.
 
«Tesoro, noi siamo cittadini inglesi e quelle carte d’identità lo dimostrano. Non è scritto che sono un Auror, perché i Babbani non sanno nemmeno cosa siano. Le foto non si muovono per ovvie ragioni, non vorremmo certo che la signorina di prima si insospettisca e scopra il nostro Mondo»
 
«So che i Babbani non conoscono il nostro Mondo, ma … non hai pagato con dei soldi normali»
 
«Ho pagato con le Sterline. Te le farò vedere un giorno»
 
Recuperò dalle mani della figlia le tessere e le ripose nel portafogli. Fece cenno alla bambina di seguirlo porgendole una carezza sui capelli, ormai non mancava molto prima del decollo. Dopo le disavventure con il metal detector, mandato in tilt per pura casualità dalla bacchetta di Harry - si era totalmente dimenticato dalle esperienze passate di quell’eventualità - e il conseguente scampato intervento di Scotland Yard, riuscirono ad arrivare finalmente al gate che li avrebbe fatti imbarcare sull’aereo con destinazione Edimburgo. Avevano mostrato le loro carte d’imbarco, si trovavano già nel tunnel che li avrebbe guidati direttamente sul loro aereo, ma Lily si bloccò a pochi passi ed Harry si accorse di non averla accanto solo qualche metro più avanti.
 
«Lily. Tesoro, così perdiamo il volo»
 
Si avvicinò a lei quando vide che era ancora spaventata. Cercò di avere pazienza e di convincerla a seguirlo con tutte le argomentazioni che conosceva.
 
«Non vuoi più raggiungere la mamma?»
 
«Sì, voglio»
 
«E allora qual è il problema? Guarda, i nostri posti sono vicini sull’aereo»
 
«Ho paura del decollo»
 
Harry le aveva appena mostrato i biglietti come prova che non le stesse mentendo, ma non aveva altro tempo, l’ultima chiamata rimbombava nel tunnel, così la afferrò delicatamente per il polso e la condusse verso le porte dell’aereo. Lily non ebbe altra scelta se non quella di seguire il padre. Harry cercò, una volta saliti, di aiutarla ad allacciare le cinture, ma la bambina seduta accanto al finestrino, non riusciva a smettere di guardare la pista e la grande ala dell’aereo la spaventava ancora di più.
 
«Voglio la mamma»
 
«Ora la raggiugiamo»
 
L’areo iniziò a muoversi pochi istanti dopo che anche Harry ebbe allacciato la sua cintura. I sobbalzi della fase di decollo fecero sussultare la piccola che si strinse contro il fianco del padre.
 
«Tesoro, non è successo niente, l’aereo si è solo mosso, ma non stiamo ancora volando»
 
Quando l’aereo ebbe iniziato a staccarsi dal suolo, Harry credette di poter emozionare la figlia sulla fase di volo e le consigliò di guardare il panorama che si stava aprendo sotto di loro, invece la piccola nascose il viso contro il fianco di Harry, invitandolo ad abbracciarla sollevandogli un braccio, per non vedere ciò che le stava succedendo intorno.
 
«Va bene, ho capito. Lily, ora stai esagerando. Come fai ad avere paura delle altezze? Non ti piacerebbe diventare una Cercatrice come la mamma un giorno?»
 
«No, io voglio essere una professoressa, come Neville»
 
Harry riuscì a cogliere appena la voce ovattata della figlia contro la stoffa della sua giacca, ma comprese molto bene le sue parole e riuscì a strappargli un sorriso.
 
«Neville sarà felice di saperlo»
 
 
[10 settembre 2017 ore 4:30 p.m. – Campo di Quidditch, parte magica di Edimburgo]
 
Ginny era pronta, ma come ad ogni partita l’ansia da prestazione non tardò a farsi sentire. Attendeva impaziente l’ingresso delle squadre in campo in compagnia della sua Firebolt. Aveva una responsabilità davvero molto grande, aveva assunto, poco dopo il suo ingresso in squadra, il ruolo di Cercatrice e la vittoria era come sempre tutta nelle sue mani. Nella sua divisa di Quidditch custodiva il miglior portafortuna che potesse avere, che ora rigirava agitata tra le dita. Era un piccolo ciondolino che Ginny era solita portare durante la gravidanza e con Lily non aveva cambiato abitudini. Era ancora immersa nei suoi pensieri, quando la sua compagna di squadra, nonché cognata, l’aveva raggiunta, anche lei vestita di tutto punto. Angelina si diresse verso di lei con un grande sorriso stampato in volto.
 
«Stai pensando a quando lo userai di nuovo?»
 
Ginny sussultò alla voce del Capitano e ripose quella collana con un lieve rossore in volto.
 
«Io ed Harry non ci pensiamo nemmeno. Credo sarà più facile per te e George»
 
«Qualcosa non va con Harry?»
 
«Angelina, mi hai fraintesa, non c’è nulla che non vada, ci siamo solo dati un limite dopo la nascita di Lily»
 
«Bene, perché in caso contrario mi sarebbe sembrato strano aver visto mio cognato e mia nipote tra il pubblico»
 
Ad un tratto l’espressione della Cercatrice mutò, le sue pupille si dilatarono e la sorpresa la colse insieme alla perplessità.
 
«Mi trovi impreparata, io non sapevo nulla»
 
Si alzò con uno scatto, l’impulso le suggerì di raggiungerli, ma Angelina non fu indulgente.
 
«Ehi, Weasley, abbiamo una partita da vincere, non è il momento ora per abbandonarsi ai saluti»
 
Concordava con il suo Capitano, anche se le mancavano entrambi tantissimo e un bacio portafortuna le sarebbe servito. Ascoltò Angelina, non ebbe altra scelta ed entrò in campo con la squadra. Non appena si fu alzata in volo, in attesa che la pluffa venisse lanciata tra i giocatori, il suo sguardo si infilò tra gli spalti alla ricerca concitata della sua famiglia. Non fu nemmeno quella la volta buona, il contatto visivo si interruppe proprio quando la pluffa le passò davanti agli occhi. Era talmente deconcentrata che l’istinto le dettò di prenderla o comunque recuperarla, quando invece il suo obiettivo era un altro: catturare il Boccino. Lo cercò tra Cacciatori, Battitori e Portieri e quando vide la sua controparte avversaria lanciarsi all’inseguimento di un oggetto piccolo e luccicante, non indugiò ad accelerare. Anche se lei non era riuscita ad individuarli tra la folla, Harry e Lily erano concentrati sulla sua traiettoria di volo.
 
«Papà, la mamma è bravissima!»
 
La bambina si era alzata per seguire meglio la partita e fare il tifo per Ginny, con la speranza che lei potesse sentire le grida orgogliose di sua figlia.
 
«Sì, tesoro, è davvero molto brava … lo è sempre stata»
 
Harry seguiva ammirato il gioco di Ginny e quando la sua Firebolt sfrecciò proprio sopra le loro teste, gli venne l’istinto di invitare con poca grazia Lily a sedersi. Bastarono quei pochi secondi di vicinanza e il gesto inaspettato di Harry per attirare l’attenzione della giocatrice. Si era voltata indietro e aveva sorriso a loro, nonostante stesse cercando di non perdere di vista il Boccino. La bambina la salutò con la mano, ricambiando il sorriso, mentre Harry, che conosceva molto bene le regole del gioco, le indicò la sua preda, invitandola a non deconcentrarsi. Trovati marito e figlia, con la certezza che loro fossero davvero lì per lei, diede un’accelerata alla Firebolt, sforzandosi di allungare la mano verso il Boccino.
 
«Forza, mamma, ci sei quasi»
 
La bambina sussurrava dagli spalti, senza la pretesa che potesse sentirla. Lily non era l’unica con il fiato sospeso in quei momenti, Harry seguiva nervoso quei secondi che sapeva sarebbero stati gli ultimi della partita. Solo quando la moglie riuscì ad afferrare il Boccino, mantenendo con qualche difficoltà l’equilibrio sulla scopa, Harry tirò un sospiro di sollievo e poté iniziare a gioire per le Holyhead Harpies che avevano vinto quella partita lampo grazie a Ginny.
Non riuscì ad aspettare di cambiarsi e nemmeno di passare negli spogliatoi per posare la scopa. Ora che sapeva dove erano situati sugli spalti suo marito e sua figlia, corse proprio in quella direzione. Eluse i festeggiamenti con la squadra, Angelina dopo una vittoria simile le poté concedere qualche ora di svago, e finalmente li raggiunse con il fiato corto e il sudore che colava sulla tempia. Urlò nella speranza che non dovessero ripartire presto, non sapeva con che mezzo l’avessero raggiunta.
 
«Harry!»
 
Si fece largo tra gli spettatori, che per sua fortuna non le bloccarono la via per esaltare la sua prestazione. Quando finalmente li raggiunse, sfidando il tempo per non rischiare di perderli, rimase totalmente incredula per il fatto che loro fossero davvero davanti ai suoi occhi. Harry le rivolse un grande ed orgoglioso sorriso, ma prima che lui potesse salutare sua moglie, Lily le era già corsa incontro. Ginny lasciò cadere rovinosamente la scopa per terra per poter essere libera di stringere a sé la sua bambina. Senza troppe cerimonie, nonostante l’età della piccola, la giocatrice sollevò Lily e la tenne tra le sue braccia, quasi commossa di vederla.
 
«Tesoro mio, ma cosa ci fate qui? Come siete arrivati?»
 
«Volevamo farti una sorpresa. Abbiamo preso l’aereo, mamma, ma io ho avuto tanta paura. Sei stata fenomenale!»
 
Lily senza troppi problemi aveva svelato a Ginny tutti i loro spostamenti ed Harry, nel dubbio che si potesse arrabbiare per l’iniziativa avuta, si avvicinò alla moglie non perdendo il sorriso e schioccandole un bacio sulle labbra per salutarla.
 
«Amore, è una meravigliosa sorpresa, ma Lily non è mai salita su un aereo in vita sua»
 
«Lo so, ma, tranquilla, avevo tutto sotto controllo»
 
Un po’ incerta sull’idea repentina che suo marito aveva avuto, decise di lasciar cadere quel discorso, dopotutto stavano entrambi bene e la paura della bambina sembrava essere passata grazie ad Harry. Si rivolse così a Lily per informarsi sui suoi giorni di assenza e come stesse proseguendo la settimana di ferie di Harry, per la prima volta esclusivamente dedicata alla famiglia. Fece alla piccola una leggera carezza sul naso per attirare la sua attenzione.
 
«E tu, signorina, ti stai comportando bene con papà? O lo stai facendo impazzire?»
 
«È un angelo, Ginny. A parte la sua maniacale collezione di ogni sorta di libro, stiamo trascorrendo una settimana molto piacevole insieme. Vero, tesoro?»
 
Lily confermò con un lieve cenno del capo e con un sorriso talmente luminoso da descrivere in pochi istanti l’immensa gioia e il meraviglioso regalo che aveva ricevuto a poter passare quei giorni con il suo papà.
 
«Quindi, Ginny, torna pure quando vuoi, noi non ti mettiamo alcuna fretta»
 
«Devi tornare al lavoro, Harry, suppongo che Hermione abbia bisogno di te e poi pare che voi mi manchiate più di quanto io manchi a voi»
 
Si mostrò fintamente offesa per la conclusione inaspettata a cui era giunta.
 
«Per dimostrarti che ci manchi, ti invitiamo a fare un giro con noi. Né io né Lily siamo mai stati ad Edimburgo, ci fai da guida?»
 
Ginny accettò di buon grado, dal suo punto di vista avrebbe gradito qualunque proposta pur di trascorrere del tempo con loro. Si prese solo qualche minuto per potersi togliere la divisa e indossare abiti più comodi, ma quando lo fece non ebbe alcun dubbio sull’attrazione che avrebbe mostrato loro in quelle poche ore che avevano a disposizione. In quelle fredde giornate di settembre in cui il tramonto giungeva rapidamente, guardare l’orizzonte sul fiume oltre il ponte in compagnia diventava la soluzione migliore in qualunque città si trovassero. Ginny li aveva accompagnati proprio in quella parte della città babbana, dove il rossiccio del tramonto filtrava l’infrastruttura del ponte, fino ad adagiarsi sulla superficie del fiume. Si erano seduti tutti e tre su una panchina e ammiravano insieme quello spettacolo. La piccola Lily però aveva trovato talmente conforto e sollievo tra le braccia della mamma che si era addormentata prima di riuscire ad assistere a quel fenomeno. Ginny se ne accorse quando iniziò a sentire il suo peso addosso farsi maggiore e il suo respiro diventare più profondo. Sussurrò per farsi sentire solo dal marito, spezzando quel momento di magico silenzio che era sceso tra loro.
 
«Harry, nostra figlia si è addormentata, forse è il caso che cominci ad avviarti verso casa»
 
L’uomo fissò sorpreso la bambina e il suo volto sereno lo lasciò perplesso.
 
«Mi ci vogliono ore per farla addormentare, mentre con te ci impiega un secondo»
 
«Allora non è vero che è stata un angelo»
 
«È il mio angelo preferito, è la mia bambina»
 
Harry conosceva le sue colpe senza che lei gliele ricordasse, sapeva bene la ragione per la quale Lily preferiva la madre a lui. Non era abituata a stare sola con lui, ma avrebbe potuto fargliene una colpa? Harry rimase per un istante ad ammirarla. Si era perso davvero tanto dell’infanzia di sua figlia e prima che potesse accorgersene, lei avrebbe dovuto iniziare Hogwarts e lui avrebbe perso anche con Lily l’opportunità di essere più presente. Ginny lo riscosse dai pensieri, quando la vide posare un bacio tra i capelli della bambina e invitarlo a prenderla in braccio. Harry le fece segno di attendere, si tolse la giacca e la usò per coprire la schiena della figlia, dopodiché fu finalmente pronto per accogliere la piccola tra le sue braccia. Ginny non aveva alcun dubbio di lasciare Lily in buone mani, ma la separazione fu comunque sofferta.
 
«Ti direi di mandarmi un gufo quando arrivi a Grimmauld Place, ma temo sia troppo stanco anche tu per scrivere»
 
«Non mi servono ore e nemmeno molte energie per farti sapere che stiamo bene»
 
Sorrise al marito, grata per la sua comprensione, ma subito dopo tornò seria.
 
«Hai notizie di Jamie e Al?»
 
Harry capì che l’interesse di Ginny era rivolto soprattutto al minore dei due fratelli.
 
«Sembra vada tutto bene, Albus non ha avuto più problemi con Scorpius»
 
«Salutamelo. Mi dispiace tantissimo dover rinunciare alla sua prima partita»
 
«Capirà, tranquilla, infondo il papà cattivo sono io, non tu»
 
«Harry, finiscila, non è così e lo sai»
 
«Vado, altrimenti Lily prende freddo e poi lascio andare a dormire anche te»
 
Glielo disse con un velo di malinconia negli occhi e nella voce, ma per evitare di subire parole di conforto da parte della moglie preferì alzarsi dalla panchina. Ginny si alzò a sua volta e approfittò del riposo della figlia per lasciargli sulle labbra un bacio più profondo. Senza allontanarsi di molti centimetri dal suo viso sussurrò sotto il chiarore del sole al tramonto che stava ormai lasciando spazio alla luna.
 
«Mi manchi»
 
«Anche tu, amore»
 
Aveva entrambe le mani impegnate per poterla abbracciare o anche solo sfiorare, ma ci pensò lei a compensare quella mancanza accarezzandogli il viso con la promessa silenziosa che si sarebbero rivisti presto. Si strinse nelle spalle, mentre osservava parte della sua famiglia allontanarsi nuovamente da lei. Ma era davvero a quello che desiderava continuare ad assistere? Si ripromise di parlare con Hermione alla fine di quella settimana di trasferta, lei non voleva più sprecare nemmeno un secondo lontano dalla sua famiglia.
 
 
[10 settembre 2017 ore 6:30 p.m. – Casa Granger/Weasley]
 
Nella modesta abitazione al numero 11 di Grimmauld Place, Hermione era rincasata qualche ora prima rispetto all’orario usuale – che in funzione delle ferie del cognato stava diventando davvero ingestibile per la sua famiglia e per le sue energie, che stavano lentamente esaurendo -, riuscendo a tornare persino in tempo per la cena. Aveva aperto la porta sfinita, aveva posato il suo soprabito sull’appendiabiti e solo dopo aveva annunciato la sua presenza al marito e al figlio. Aveva chiamato Ron e Hugo un paio di volte, ma le era ritornato sempre e solo silenzio. Si convinse che non ci fossero e che probabilmente fossero usciti. Ma infondo di cosa si lamentava? Era stata lei per prima a proporre a Ron un po’ di svago insieme al figlio per sopportare meglio e accorciare le sue lunghe assenze. Li avrebbe aspettati sul divano, necessitava di coricarsi qualche minuto prima di cenare, aveva bisogno di riprendere le forze perse, altrimenti non sarebbe stata in grado neppure di alzare la forchetta e di portarla alla bocca. Aveva spedito dall’ufficio un gufo a casa per avvertirli del suo arrivo, questo lo ricordava nonostante la forte stanchezza mentale, ma probabilmente non lo avevano ricevuto, anzi, quasi sicuramente, se non si trovavano tra quelle mura ad attenderla.
Quando Ron ed Hugo ritornarono a casa, la trovarono con loro grande sorpresa addormentata. Si tolsero entrambi la giacca e la riposero a loro volta ordinatamente sull’appendiabiti. Il piccolo non stette più nella pelle, corse incontro alla madre senza porsi il minimo scrupolo che potesse essere stanca.
 
«Piano, Hugo, la mamma …»
 
L’entusiasmo del bambino fu talmente grande che non fece in tempo a fermarlo, il piccolo si era già catapultato addosso ad Hermione, incurante degli avvertimenti di Ron. L’aveva svegliata l’energia di suo figlio e quando aprì gli occhi, trovò il viso di Hugo a pochi centimetri dal suo, anche se impiegò qualche istante per metterlo pienamente a fuoco.
 
«Ehi, tesoro, sei tornato»
 
Sorrise al bambino, mentre assonnata si risedeva sul divano, sollevandosi dalla comoda posizione coricata che aveva assunto. In quel gesto incrociò l’espressione imbarazzata del marito.
 
«Dove siete stati? Credevo di trovarvi a casa»
 
Hermione lo chiese con assoluta naturalezza come se quella domanda fosse semplice routine, complice anche il sonno che ancora incombeva su di lei. Fu nuovamente Hugo a parlare e ad anticipare il padre.
 
«Io sono stato dai nonni e poco fa è arrivato anche papà»
 
«Poco fa? Tu non avresti dovuto finire di lavorare un’ora fa?»
 
Hermione si rivolse direttamente a Ron e stavolta, per sua sfortuna, sembrava aver riacquistato in breve tempo la sua solita lucidità.
 
«T-tu come mai sei a casa così presto? A cosa dobbiamo il miracolo?»
 
Prima di rispondere a quelle lecite domande, lo fissò diffidente, non le era affatto sfuggito il tentativo del marito di fuorviare i suoi quesiti.
 
«Vi ho spedito un gufo, ma non credo lo abbiate letto, non essendo a casa. Inizialmente ho pensato di farvi una sorpresa, ma sembra io ve l’abbia fatta comunque. Non hai risposto alla mia domanda, cosa avevi di così urgente da fare in un’ora?»
 
«Hugo … vai a prendere in camera il libro che ti ha regalato la mamma e cambiati, stasera usciamo. Non so cosa tu abbia fatto oggi dai nonni, ma sei tutto sporco di cioccolata»
 
«Io e la nonna abbiamo cucinato»
 
Aspettò che il figlio gli ubbidisse e scomparisse oltre le scale, dopodiché si sedette pesantemente nello spazio del divano lasciato libero, seguito dallo sguardo interdetto della moglie. Intuì dall’atteggiamento e dall’umore di Ron che avesse allontanato il figlio con una scusa, benché tutte le ragioni fossero fondate, aveva solo colto l’occasione per non farlo assistere alla loro conversazione.
 
«Hermione, non ho voglia di litigare ancora, ci tengo a dirti questo, sono davvero sfinito dalle nostre continue discussioni»
 
«Perché dovremmo litigare? Per quale ragione metti le mani avanti? Non è da te prevedere che mi arrabbierò»
 
Ron indugiò e si perse nei suoi terrificanti pensieri e pronostici.
 
 - Che brutta parola arrabbiarsi. Che bisogno c’è di arrabbiarsi … lei come minimo si infurierà, non prenderà nemmeno in considerazione l’idea di arrabbiarsi -
 
Estrasse dalla tasca dei pantaloni un biglietto piegato in due, il biglietto del Quidditch che aveva usato proprio quella sera per assistere alla partita della sua squadra del cuore, e lo passò ad Hermione con un leggero tremore alla mano. Hermione lo afferrò con grande diffidenza e, benché non fosse una grande amante di quello sport, impiegò davvero poco a capire di cosa si trattasse.
 
«Sei stato ad una partita? Perché tanto mistero per una partita di Quidditch?»
 
«Perché non è la prima volta che lascio Hugo dai miei per una partita … sono mesi»
 
L’imbarazzo mise Ron in notevole difficoltà, non avrebbe mai pensato quella sera di sentirsi così vulnerabile sotto lo sguardo di sua moglie che faceva una gran fatica a reggere. Aveva però imparato da quella situazione che le bugie avevano vita breve e il destino aveva fatto in modo che quella menzogna venisse a galla senza che lui potesse impedirlo.
 
«E perché non me lo hai detto prima? Non mi sono accorta di nulla»
 
 - Bellissima domanda, amore mio. Forse perché sono un idiota? -
 
«Bhe, non è una novità che tu non ti accorga di ciò che ti accade intorno, non credo di essere io un bravo bugiardo. Non te l’ho detto, perché ciò avrebbe implicato dirti che mi sento soffocare dalle responsabilità e non volevo confessartelo, lo sai bene, se sono stato zitto per tutti questi anni un motivo c’era … infondo me la sono sempre cavata con i bambini, senza grossi problemi»
 
Aveva un pizzico di fastidio nella voce ed Hermione lo colse subito.
 
«Va bene, senti, mi assumo la colpa anche di questo, ma aiutami a sistemare questo casino. Non voglio essere la causa di un tuo disagio o ancora peggio di un tuo allontanamento»
 
 - Dopo queste tue parole mi sento ancora più idiota, sai? -
 
Ron si voltò incredulo per ciò che aveva appena sentito, non si sarebbe mai aspettato che potesse essere così comprensiva. La fissò negli occhi al limite del commosso e del preoccupato. Non gli era affatto sfuggito che lei gli stesse chiedendo aiuto e il cielo solo sapeva cosa potesse avere ancora in serbo per lui.
 
«Cosa posso fare più di quello che faccio già?»
 
«In questi giorni sto iniziando a preparare le mie dimissioni e mi sono resa conto di non avere un sostituto. Senza un sostituto però non ho la possibilità di essere più presente per voi»
 
«Ed io in cosa posso aiutarti? Devo cercarti un sostituto? Hermione, non saprei con quale criterio sceglierlo»
 
«Veramente pensavo potessi aiutarmi tu»
 
Glielo disse a bassa voce, dimostrando lei stessa di aver avanzato una proposta paradossale. Per Ron non ci fu lo spazio per il fraintendimento, l’espressione del Ministro in carica fu molto eloquente. Ora Ron comprese l’indulgenza della moglie sulle sue bugie, infondo lei per prima avrebbe dovuto vergognarsi per aver avanzato una proposta del genere.
 
 - Come dicevo, sono un grandissimo idiota … un idiota troppo innamorato di sua moglie -
 
«Hermione, ma tu esattamente chi pensi di aver sposato? Pare tu abbia aspettative troppo elevate nei miei confronti. Senza contare che non posso sdoppiarmi, le mie giornate sono formate esattamente come le tue da ventiquattro ore. A parte quel paio di ore che dedico al Quidditch, non ho un secondo libero»
 
«Ho pensato che potremmo dividerci il lavoro, finché non trovo un sostituto definitivo, che senso avrebbe chiedere a te di essere il nuovo Ministro?! Certo dovrai forse diminuire le tue ore al negozio per un periodo limitato … e comunque penso di aver sposato l'uomo migliore che esista»
 
Ron alzò gli occhi al cielo per quelle evidenti sviolinate, ma Hermione proseguì comunque, sempre con quel velo di imbarazzo e titubanza in volto. La diffidenza e la freddezza del marito nell’accogliere quella proposta non la aiutarono ad affrontare quel discorso serenamente. Ron non era propriamente l’uomo più comprensivo che esistesse, ma sperò nel suo buon cuore e nel fatto che il suo contributo avrebbe portato beneficio alla loro famiglia.
 
«Poi chi lo sa, ti dispiacerà talmente tanto lasciare il Ministero che penserai di entrare nel Quartier Generale degli Auror»
 
Glielo disse con un sorriso, il primo da quando quella conversazione aveva preso avvio, ma lui la fulminò subito, voltandosi verso di lei con uno scatto e spegnendo così quella battuta sul nascere. Hermione comprese di averlo infastidito ancora di più e non le parve il caso di innervosirlo proprio quando avrebbe dovuto accettare una proposta tanto delicata, cercò così di rimediare come poté a quella che per suo marito sembrava essere una battuta infelice.
 
«Era solo per dire, non sei obbligato»
 
«E ci mancherebbe»
 
«Comunque non ti vedo particolarmente entusiasta della mia proposta»
 
«Ah, perché secondo te è una proposta vantaggiosa?»
 
Hermione abbassò lo sguardo triste. No, non lo era, doveva ammetterlo. Stava mettendo sulle spalle di quell’uomo troppe responsabilità, quando lui invece le aveva espressamente comunicato di essere arrivato al limite della sopportazione. Percepiva gli occhi di Ron puntati su di lei e sicuramente senza pronunciarsi ad alta voce la stava riempendo delle peggiori parole. Come faceva a biasimarlo? Aveva in mente di sfruttare un uomo che negli ultimi anni non aveva fatto altro che prodigarsi per lei e i loro figli. Era necessario fare sacrifici per la propria famiglia, ma lei non aveva mai sentito la necessità di ricordarlo a Ron ed ora iniziava a chiedergli di affrontare un’impresa che andava ben oltre le sue reali capacità.
 
«È l'unico modo che ho per essere più presente, ne trarrebbe vantaggio la nostra famiglia. Amore, scusami, non so cos’altro fare. Sto solo cercando di aiutarti»
 
«Aiutarmi?! Tu mi vuoi vedere morto»
 
«Certo che no!»
 
Ron si alzò incredulo per quella proposta e rivolse persino lo sguardo al soffitto in cerca di una risposta o semplicemente di un aiuto divino per non andare in escandescenza. Con la mano sul fianco si stropicciò gli occhi. Aveva tutta l’aria di essere un uomo sfinito dagli eventi, questo era quello che stava osservando sua moglie. Rifletté sulla fattibilità di quella proposta, ma fu difficile persino per lui immaginarsi in quel ruolo, figuriamoci doverlo vivere, non era sicuro di essere un aiuto per lei o di diventare piuttosto solo un intralcio.
 
«Hermione, non so nemmeno da che parte iniziare. Perché non ti affidi ad Harry? Lui è molto più esperto di me negli affari del Ministero. Io non ho un diploma e non ho esperienza, parto svantaggiato. Tu necessiti di qualcuno che ti dia una mano nel migliore dei modi, non che arranchi nella speranza di non aver fatto qualche cavolata. Il Ministero nelle mie mani è una responsabilità enorme, non riesco nemmeno a capire come abbia fatto a venirti in mente, visto che sono un gran pasticcione nella maggior parte delle cose che faccio, figurati in quello in cui non ho una minima preparazione»
 
«Ron, ma ti rendi conto del periodo che sta attraversando tuo cognato? Non ha bisogno di altro lavoro. Mi fido semplicemente di te e so che nonostante tutto metti cognizione in tutto ciò che fai. Tesoro, i bambini sono stati nelle tue mani per sette anni, se sono stata serena per la loro incolumità, come potrei non esserlo affidandoti il Ministero»
 
«Sei tu a non renderti conto del periodo che sto attraversando io! E quando sembrava che lo avessi capito, pare proprio che non sia così. Hermione, tra i bambini e il Ministero c’è un’enorme differenza! Loro sono i miei figli, ho un minimo di istinto paterno, ma che istinto vuoi avere tra quelle decine di questioni ministeriali?!»
 
Non riusciva più a litigare con lui, iniziava ad infastidirla il tono elevato del marito e la cosa peggiore era che aveva innescato lei quell’ennesima discussione. Abbassò disperata le palpebre, avrebbe tanto voluto ritornare al maledetto giorno in cui era diventata Ministro della Magia, avrebbe svenduto qualsiasi cosa pur di non vedere l’espressione delusa di suo marito. Eppure ricordava che quel giorno Ron era così orgoglioso di lei, le continuava a ripetere quanto fosse fiero di essere suo marito e quanto lo sarebbero stati Rose e Hugo della loro mamma non appena fossero stati abbastanza grandi da capire l’importante lavoro che svolgeva per l’intera Comunità Magica. Ora non rivedeva più nulla di tutto ciò negli occhi cristallini di Ron, traspariva solo tanta delusione e rabbia.
 
«Ron, io non faccio miracoli, non posso andarmene senza aver lasciato un sostituto fidato, lo sto cercando, ma non è semplice. Ci sarò io con te, ti farò da mentore per quel breve periodo. Sarà un periodo breve, te lo posso garantire»
 
«Neppure io faccio miracoli per poter essere il tuo sostituto»
 
Ron sussurrò quelle ultime parole, non appena sentì i passi di Hugo accanto alle scale, si era reso conto tardi di aver alzato la voce e non desiderava che suo figlio dovesse assistere anche alle loro liti, l’assenza della madre era una sofferenza sufficiente. Si limitò così a lanciare un’occhiata seria e allusiva ad Hermione. L’entusiasmo con cui il bambino li raggiunse lasciava intendere quanto fosse felice della proposta di quella cena in famiglia e quanto l’avesse presa sul serio dalla bocca del padre.
 
«Mamma. Papà. Andiamo? Ho fame!»
 
Hermione ci rifletté un secondo, seguendo i movimenti euforici del figlio. Il piccolo le sorrideva, non sembrava aver sentito la loro discussione, desiderava solo godere della compagnia dei suoi genitori. Fu proprio Hugo ad ispirarla.
 
«Che ne dite se invece rimaniamo a casa e cucino io?»
 
Entrambi, padre e figlio, la fissarono pensierosi ed Hermione temette di aver mosso un’ennesima proposta discutibile.
 
«È un'idea così brutta? Non vi fidate più delle mie doti culinarie? Hugo, sbaglio o dovevi raccontarmi tutto sul Quidditch? Eh dai, ragazzi, ho solo bisogno di trascorrere una serata tranquilla con la mia famiglia»
 
«Sì, ma stasera non cucini, usciamo. Andiamo, Hugo, vieni, iniziamo a salire in auto, mamma ci raggiunge, deve prima cambiarsi. Hermione, mi raccomando sbrigati, inizio ad avere una certa fame anche io»
 
Hermione lo vide recuperare la giacca dall'appendiabiti e passarla anche al figlio, aiutandolo ad allacciarla. Decise di accogliere l’invito del marito, ma prima di salire il primo gradino, si rivolse nuovamente curiosa a loro.
 
«Dove mi portate?»
 
«Papà, dove la portiamo?»
 
Rimase per un istante incantata ad osservare Ron, mentre stava ancora allacciando i bottoni della giacca del figlio. Le rispose lanciandole qualche occhiata tra un bottone e l’altro. Ad Hermione non sfuggì la dolcezza e la dedizione con cui si occupava di suo figlio. Si sentì una stupida, le proteste di suo marito non erano infondate, il ruolo di padre gli calzava a pennello.
 
«La signora dove vuole andare?»
 
«Qualunque posto andrà più che bene … purché con voi»
 
 
[10 settembre 2017 ore 8:05 p.m. – Tottenham Court Road, Londra babbana]
 
Ron aveva portato Hermione e Hugo nei pochi luoghi di Londra non dominati dalla magia che conoscesse. Era stata Hermione a mostrargli ai tempi del loro fidanzamento quel grazioso locale, in cui avrebbero potuto cenare in tranquillità, nonostante il ruolo rilevante di Hermione nel Mondo Magico. Forse Ron avrebbe sperato in una serata più serena, le sue intenzioni erano buone, invece la tensione tra lui e la moglie era palpabile. Non tornarono sul discorso in presenza del bambino, ma le conseguenze di quella conversazione erano ancora visibili. Lei gradì che suo marito si fosse ricordato di quel grazioso luogo quella sera, ma ciò poteva solo che contribuire a farla sentire una moglie orribile, lui le mostrava attenzioni e premure che non era più sicura di meritare. Tra quelle mura le tornarono in mente più ricordi di quanti credeva di averne in memoria. Suo marito nel tentativo di non incrociare il suo sguardo preferiva aiutare Hugo a non sporcarsi. L’unico a tenere vivo l’umore fu proprio quel bambino con i suoi racconti sul Quidditch.
 
«Quindi, Hugo, mi stai dicendo che a Quidditch non è concesso neanche il più piccolo fallo, altrimenti si rischia l’espulsione?»
 
Hermione si mostrò interessata, benché fosse a conoscenza suo malgrado delle regole base e non fosse nemmeno così appassionata di quello sport. In realtà ciò che desiderava più di ogni altra cosa era trascorrere un po’ di tempo in compagnia del suo bambino. Ron seduto al tavolo con loro intervenne d’impulso e si inserì nella conversazione, lui, a differenza della moglie, era un grande esperto o almeno così diceva.
 
«Ma non è vero! V-voglio dire, non ricordo di essere mai stato espulso»
 
«Forse perché non baravi, papà»
 
«No, tesoro, forse perché ero il portiere»
 
Hermione sorrise divertita per quel piccolo scambio di battute, si era dimenticata quanto fosse piacevole vedere l’uno alle prese con l’altro, visto che il piccolo Hugo aveva ereditato lo spirito spensierato e gioioso del padre. Ron venne subito contagiato da sua moglie. Ad entrambi fece piacere quell’attimo di spensieratezza dopo tanti pensieri. Ron non riuscì a scollare gli occhi da Hermione, si era accorto solo osservando il suo sorriso quanto fosse bella quella sera, a partire dal suo vestiario e quel rossetto così accuratamente messo sulle labbra senza ostentarne troppo, come solo lei sapeva fare e che la rendeva graziosa, mai esagerata. Hermione ricambiò lo sguardo del marito, ma invece di smettere di ridere l’osservarlo con più attenzione le fece stranamente notare particolari che prima le erano sfuggiti, come accadeva la maggior parte delle giornate, immersa da mille questioni ministeriali.
 
«Cosa c’è di così divertente?»
 
«Ron, me ne sono accorta ora … ma come sei vestito oggi?»
 
Si guardò stranito senza capire quale fosse il problema.  A lui non venne affatto da ridere, anzi quella considerazione lo lasciò perplesso, così Hermione, vedendolo vagare nel nulla, decise di dargli un suggerimento.
 
«I colori, Ron»
 
«Cos’hanno che non va?»
 
«Verde e blu insieme? Lo Statuto Internazionale di Segretezza ti farebbe radiare dalle Sacre Ventotto»
 
«Peccato che io non vi faccia più parte da quando ti ho sposata»
 
La prese in contropiede, non si aspettava una simile considerazione. Non c’era stata alcuna sorta di cattiveria in quelle parole, era semplicemente una delle solite battute pungenti di suo marito, eppure si sentì chiamata direttamente in causa. Come era solita fare, conoscendolo, la interpretò come tale e la prese con leggerezza, senza dare a vedere quanto l’avesse fatta riflettere, complice quel difficile e lungo periodo che la sua famiglia stava attraversando. Lui aveva perso privilegi a causa sua, aveva scelto lei nonostante tutto - benché lui infondo  non avesse mai sentito il peso di quella scelta - e lei lo ricambiava con mille assenze. Non era quello il comportamento consono ad una moglie, questo lo aveva capito.
 
«Giusto, amore»
 
«Mamma, cosa sono lo Statuto Internazionale di Segretezza e le Sacre Ventotto?»
 
Ron ed Hermione non dovettero indugiare per molto tempo a parlarne, terminata la cena il piccolo di casa era crollato tra le braccia della mamma quando erano ancora a tavola. Usciti dal ristorante, dovettero percorrere un breve tratto di strada a piedi per raggiungere l’auto. Anche quel tragitto sarebbe trascorso nel pieno silenzio, se Ron non avesse esternato ad alta voce un pensiero.
 
«È strano si sia addormentato così presto, di solito devo faticare per fargli prendere sonno. Saranno gli effetti benefici della sua mamma, è evidente che gli manchi, Hermione, questo lo dimostra»
 
Notò subito di averla rattristata, infondo gli era ben noto quanto in quei giorni si stesse sentendo in colpa nei confronti della sua famiglia, così tentò di rimediare.
 
«E poi finisce che diventi più ricercata perché stai fuori casa più tempo, mentre io sono il solito papà guastafeste. Mi hai lasciato decisamente la parte peggiore dell’essere genitore, sai?»
 
Raggiunsero proprio in quel momento l’auto, ma Ron non era riuscito a stemperare la tensione, forse perché aveva un umore pessimo e a lui per primo quella donna mancava.  Fece per aprire la portiera posteriore per poter adagiare Hugo sul sedile, ma Hermione lo fermò, obbligandolo a lasciare il pomello, benché l’avesse già aperta di uno spiffero.
 
«Ron»
 
Strinse più forte a sé il figlio comodamente adagiato con la guancia sulla sua spalla e rivolse uno sguardo al cielo sovrappensiero. Ron attese e a bassa voce la incitò a parlare.
 
«Che c'è? Ho fatto qualcosa che non dovevo?»
 
«Non è stata la serata piacevole che avrei voluto. Non abbiamo detto molte parole a tavola e la maggior parte grazie ad Hugo … ma cosa ci sta succedendo? È colpa mia, vero?»
 
Ron diede sospirando un leggero colpo allo sportello per richiuderlo.
 
«Hermione, senti, non sono la persona più adatta per gestire insieme a te gli affari del Ministero. Se mi chiedi di stare un'ora in più con i ragazzi lo so fare, ma quello non è nelle mie corde. Mi dispiace che tu non sappia cosa fare ora, ma mi stai chiedendo troppo. Sono sempre io e non cambieranno le mie doti per necessità. E poi mi vesto pure male, lo hai detto tu, non vorrai mostrarmi in pubblico presumo»
 
«Ron, tu hai un sacco di doti che non sfrutti e non è vero che ti vesti male, dai, cercavo solo di fare conversazione, non puoi offenderti davvero per una simile cretinata»
 
Riaprì la portiera con convinzione, udendo alle sue spalle le leggere e incredule risate della moglie. Hermione provò a proseguire con la speranza di convincerlo, sapeva di chiedergli tanto in aggiunta a quel tanto che aveva sempre fatto e sapeva anche che per ogni scelta che prendeva nel bene e nel male non poteva fare altro che coinvolgere suo malgrado il marito. Erano sposati certo, ma lei gli chiedeva costantemente grossi sacrifici.
 
«Sei l'unica persona di cui io mi fidi per quel ruolo, tanto da affidarti le chiavi del mio ufficio e dei luoghi più sensibili del Ministero»
 
«Grazie, tesoro, mi fa piacere sapere che ti fidi di me»
 
Si voltò solo per prendere Hugo dalle braccia della moglie e farlo coricare sul sedile posteriore, non era certo intenzionato ad invitarla a proseguire con quegli inutili tentativi. Hermione però non demorse e fece un tentativo persino quando lui fu a pochi centimetri da lei e intrecciò le braccia alle sue intorno al corpo del bambino. Ron si stava concentrando per non svegliare il figlio e lei era indecisa se parlare o limitarsi ad osservarlo mentre svolgeva il ruolo che sapeva ricoprire meglio, così decise di sussurrare.
 
«Ron, sono seria»
 
«Seriamente, Hugo necessita di un letto, quindi sali»
 
Le diede quel suggerimento con una certa ruvidezza nella voce e senza degnarla di uno sguardo. In auto lungo il tragitto verso casa calò ancora quel muro di silenzio. Come Hermione gli aveva fatto notare, era stata la vivacità di quel bambino a mantenere viva la serata. Alla luce dei lampioni londinesi si voltò verso il marito cogliendo in penombra la sua espressione seria concentrata sulla strada.
 
«Ron ...»
 
«Hermione, sono stanco, non ho più voglia di parlare, specie di argomenti simili. Ho solo voglia di seguire l'esempio di nostro figlio e andarmene a dormire»
 
«Perché mi hai mentito sulle partite?»
 
Ron era davvero fisicamente e moralmente sfinito, così cercò di concentrarsi il più possibile sulla guida, senza pensare ad altro. Hermione non accolse la sua richiesta, voleva tentare di vincere il fastidio del marito.
 
«Senti, ho capito il motivo che ti ha spinto ad avere necessità di qualche ora di svago, ma per quale ragione non me lo hai detto? Io per prima te l’ho proposto. Mi conosci, voglio solo che tu stia bene e non sei un bambino, sei in grado di gestire la tua vita e le tue responsabilità in autonomia. Avrei solo preferito fossi sincero, credevo non ci fossero segreti tra noi, almeno su quello ero convinta»
 
«Ti interessava davvero il mio benessere? A me sembra di no, visto che ora vuoi mettermi sulle spalle anche il Ministero!»
 
Le aveva lanciato una mezza occhiata allusiva e aveva alzato il tono nervoso.
 
«Ron, abbassa la voce, così svegli Hugo»
 
«Allora non stuzzicarmi, ti avevo detto di non voler parlare, quindi tantomeno discutere»
 
«Volevo solo ci fosse dialogo tra me e te»
 
Ron rise con sarcasmo continuando a percorrere le trafficate vie di Londra, sperando di arrivare a casa il prima possibile per troncare quella scomoda conversazione.
 
«Dialogo, Hermione?? E con chi avrei dovuto avere il dialogo negli ultimi anni? Con le pareti di casa? Quindi capirai il motivo che mi ha spinto a mentirti»
 
«C'è per caso altro che non so e che non mi hai detto perché io non avevo il tempo di ascoltarti? Anche due parole in piena notte mi sarebbero bastate, mi avrebbero fatto capire che, nonostante tutto, avevo un marito a casa ad aspettarmi e, nonostante tutto, avresti potuto contare su di me»
 
«Bhe, Hermione, dopo tutto quello che faccio durante il giorno, se me lo consenti, crollo prima che arrivi notte»
 
Era delusa di se stessa per la piega che aveva assunto la sua vita e non sapeva più come rimediare senza peggiorare la loro situazione, perché se ne rendeva perfettamente conto anche lei, le sue idee erano controproducenti per suo marito.
 
«Certo ... Grazie per la cena, sei stato molto gentile»
 
Ron vide di sfuggita l'espressione demoralizzata di Hermione e l’ultima cosa che desiderava era trascorrere la notte con quell’umore. Cercò di avere pazienza e con un ennesimo sospiro le andò incontro.
 
«No, Hermione, non ti nascondo altro»
 
«Sicuro? Non ci sarà il rischio che poi io scopra qualche tua relazione clandestina, vero? Non è per quello che mi hai mentito, giusto?»
 
«Relazione clandestina? Hermione, ora mi vuoi fare il terzo grado anche per un tradimento inesistente? Ho capito, vuoi dialogo, ma hai anche una fervida immaginazione»
 
«Sei tu che continui a sottolineare quanto io sia assente»
 
«Godric me ne scampi, una donna, assente o no, mi è più che sufficiente. Un briciolo di amor proprio mi è rimasto, su questo ci puoi contare»
 
Hermione scoppiò a ridere senza che ne avesse la reale voglia, ma non poté evitare di riscoprire un po’ di serenità dopo quella notizia.
 
«È così divertente quello che ho detto?»
 
«Immensamente, amore»
 
«Possiamo dichiarare definitivamente chiusa questa lunga ed estenuante conversazione? E posso guidare per i chilometri che mi restano in pace fino a casa?»
 
Hermione si voltò verso il sedile posteriore per appurare che il bambino avesse ancora gli occhi chiusi. Hugo stava riposando tranquillamente, nonostante la voce dei suoi genitori rimbombasse nell’abitacolo.
 
«A patto che guidi bene, povero Hugo, per fortuna sta dormendo, altrimenti avrebbe già vomitato»
 
«Sai, Hermione, ripensandoci, rimanere celibe non mi sarebbe dispiaciuto»
 
Gli arrivò un manrovescio dritto sul braccio ed Hermione non prestò molta attenzione alla forza impiegata.
 
«Hermione, ti ricordo che sto guidando e Hugo è in macchina con noi»
 
«Allora evita simili battute totalmente fuori luogo per due il cui matrimonio è appeso ad un filo, abbi almeno un po’ di rispetto per il periodo che stiamo attraversando»
 
Stavolta fu lui a sorridere all'espressione offesa della moglie. Si era girata a guardare il panorama fuori dal finestrino, ma in realtà i suoi occhi non notavano i grandi edifici che sfrecciavano alla sua sinistra. Ron tenendo gli occhi sulla strada e sugli specchietti retrovisori le aveva allungato una mano in segno di pace.
 
«Eh dai, Hermione, stavo scherzando. Da chi pensi di divorziare senza il mio consenso?»
 
Hermione non gli afferrò la mano e non colse nemmeno quell’ulteriore evidente battuta, visto che Ron non perdeva il sorriso sulle labbra. Non poté costringerla dalla sua posizione delicata, dovette limitarsi ad usare la mano per cambiare la marcia. Cercò di tornare serio, sapeva da solo che il loro matrimonio non andava a gonfie vele, sapeva anche che era colpa di sua moglie, ma preferì tenerlo per sé. Ciò di cui era certo però era che nessuno dei due aveva intenzione di divorziare, era forse tra le certezze più importanti, il resto si sarebbe sistemato. Hermione quella sera non aveva proprio alcuna intenzione di scherzare.
 
«Ho passato comunque una bella serata in tua compagnia. È bastata la tua presenza per renderla migliore di tante altre e sono certo sia stato così anche per nostro figlio»
 
Senza alcun preavviso sentì la mano di Hermione su quella che era rimasta sul cambio. Ron le sorrise e senza voltarsi verso di lei, la catturò per posare un bacio sul dorso.
 
«Bhe, pare che delle tue bugie tu debba rendere conto a tua figlia»
 
«Che c'entra Rose, scusa?»
 
Hermione lo guardò di sottecchi per qualche istante e giunse senza troppe difficoltà al suo verdetto.
 
«Appunto»
 
«Hermione, appunto cosa?!»
 
Si stava innervosendo nuovamente e quando era così enigmatica non la sopportava. Lasciò la mano della moglie e tornò a tenere il volante saldamente con entrambe le mani.  
 
«Appunto che hai la memoria corta, nessuna novità»
 
«Hermione, o parli chiaro o ti giuro che fermo l'automobile e non ripartiamo finché non mi avrai spiegato. È questo che vuoi?»
 
«Innanzitutto l'unica che può minacciare a casa nostra sono io»
 
«No, se mi fai innervosire»
 
«Tu sei già nervoso senza che io faccia la mia parte, Ronald ... deve essere l'età»
 
Gli lanciò quella frecciatina talmente all’improvviso che Ron, impegnato sulla guida, impiegò qualche istante a cogliere le parole della moglie.
 
«Appunto ... Cosa?? Scusa, puoi ripetere? Mi hai appena detto che sono vecchio?»
 
«Precisamente»
 
«Fai poco la furba, ti ricordo che sei più vecchia di me»
 
«Peccato che io porti meglio i miei anni»
 
Ron trattenne un sorriso e scalò la marcia in prossimità di Grimmauld Place con fare di chi la sapeva più lunga di lei, ma non osava esporsi più del necessario per paura delle conseguenze.
 
«Ed ora cosa vorresti insinuare?»
 
«Niente»
 
«Pensa piuttosto a tua figlia che ti ha chiesto una partita di Quidditch da almeno sei mesi, ma non ti sei degnato di accompagnarla una sola volta. Eh sì, Ronald, ho qualche ruga e qualche capello bianco, ma ti devo ringraziare, perché parti di essi me li sono procurati dando due figli a te»
 
Non appena l’auto fu totalmente ferma e costeggiò il marciapiede, Hermione scese arrabbiata, sbattendo la portiera dietro di sé e non degnandolo di uno sguardo.
 
«E la portiera che colpa ha per le tue smagliature?»
 
Gli rispose dal sedile posteriore, mentre si prodigava con attenzione a prendere in braccio Hugo senza svegliarlo.
 
«Ho evitato di inveire violentemente contro di te»
 
Hermione era finalmente riuscita con delicatezza ad appoggiare nuovamente il figlio sulla sua spalla, quando voltandosi per poco non si scontrò con il marito che trafelato l’aveva raggiunta e si era appoggiato al tettuccio della macchina ostacolandole il passaggio.
 
«Quindi dici che Rose è arrabbiata con me?»
 
«Questo non lo so, ma ha certamente la memoria più lunga della tua. Rimbocco le coperte a Hugo, se mi lasci passare»
 
«Ti aspetto in camera, non riesco più a tenere gli occhi aperti»
 
Hermione si diresse verso la stanza del bambino senza fare il minimo rumore e lo adagiò sul letto, ma prima cercò con la massima attenzione di sfilargli la giacca. Decise di non fargli indossare il pigiama per non svegliarlo, così si limitò a togliergli le scarpe e a rimboccargli le coperte. Stava per dirigersi verso la porta, quando si accorse, velocizzando il passo senza più il bambino tra le braccia, di produrre troppo rumore con il mezzo tacco che aveva sotto le scarpe, così le tolse e percorse tutto il corridoio a passo felpato, fino a raggiungere la sua camera. Trovò opportuno non accendere la luce e nella penombra intravide appena il marito coricato e voltato su un fianco verso il muro. Appoggiò le scarpe e iniziò a spogliarsi sfinita. Era convinta che Ron fosse ancora sveglio, così si rivolse proprio a lui.
 
«Sono stanca anche io, il Quartier Generale degli Auror è nel caos senza Harry. Pensa che oggi ho dovuto persino reimpostare un percorso per una ronda, pare ci fosse più urgenza altrove. Ah, Harry mi ha scritto, dicendomi che ti ha proposto di lavorare a stretto contatto con lui. Vedi? Se ci fossi stato tu oggi non avrei sfiorato la pazzia. Hai intenzione di rifiutare sempre tutte le mie proposte?»
 
Attese qualche istante, convinta che lui le avrebbe risposto con il suo solito tono scocciato, invece ricevette solo silenzio.
 
«Ron?»
 
Sentì il respiro del marito più pesante, così entrò sotto le coperte e si sporse per vederlo in volto. Appurò solo in quel momento che aveva gli occhi chiusi e stava anche iniziando a russare come al suo solito. Sorrise accorgendosi di aver parlato da sola, non si era neppure cambiato, solo tolto le scarpe, ma infondo gliel'aveva detto che era stanco. Gli diede un leggero bacio sulla guancia, lasciandogli per sbaglio un sottilissimo segno del rossetto che aveva indossato in occasione della loro cena. Vi passò delicatamente sopra un dito per toglierlo.
 
«Era proprio questo che intendevo prima ... non abbiamo più il tempo né la forza per noi, amore. Scusa, ma stasera sono davvero molto stanca e non riesco a riposare al tuo fianco se russi in questo modo»
 
Decise che il divano in quella notte così chiassosa sarebbe stata per lei la soluzione migliore, così riscese le scale, lasciando Ron a dormire tranquillo, tanto era perfettamente consapevole del fatto che svegliarlo sarebbe stato del tutto inutile. Per Hermione però non fu ancora tempo di riposo, per raggiungere il soggiorno era dovuta passare nuovamente davanti alla cameretta del figlio, il quale era rimasto in allerta su ogni singolo rumore. Non appena Hugo vide passare la madre, si precipitò giù dal letto e la seguì.
 
«Mamma! Vai via?»
 
«Certo che no, tesoro, raggiungo solo il divano, papà fa troppa confusione e non riesco a riposare»
 
«Posso stare con te sul divano?»
 
Non riuscì a negargli quella richiesta, così fece un po’ di spazio anche per lui accanto a sé. Attese prima che il bambino si riaddormentassi, così tenendo su la sua testa con un braccio, gli accarezzava il viso, facendo passare dolcemente e lentamente le dita tra i fulvi capelli del piccolo. Era talmente concentrata su suo figlio che non si era nemmeno accorta dei passi trafelati di Ron che scendevano le scale. Si stupì e rimase senza parole, quando la trovò sul divano impegnata a far addormentare Hugo con qualche carezza.
 
«Fammi indovinare. Avevi anche tu paura che me ne fossi andata? Russi solo troppo»
 
Ron assonnato non le rispose, ma diede in quel modo una risposta affermativa.
 
«Ah, Ronald, hai pensato a quello che ti ho proposto prima?»
 
La fissò stavolta con aria infastidita e quasi assente, cercando di eludere la domanda.
 
«Buonanotte, Hermione»
 
Fece per salire le scale, fingendo di non averla sentita. Lei fu piuttosto comprensiva e non insistette.
 
«Sogni d’oro, tesoro»
 
Si affacciò però poco dopo dalla ringhiera della scala con un dubbio che desiderava colmare prima di ripiombare in un sonno profondo.
 
«Quindi non sei più arrabbiata con me per le piccole omissioni delle partite, giusto?»
 
«Non direi, domani il divano è tutto tuo»
 
«Ma, Hermione ….»
 
«Sshh, Ronald. Hugo sta cercando di dormire»
 
«Sarà meglio che io me ne torni a dormire, prima che rischi di finire sullo zerbino della porta»
 
«Sono d’accordo con te»
 
La guardò dall’alto male e spaventato, ma sul volto di Hermione si dipinse solo un sorriso.
 
 
[15 settembre 2017 ore 9:10 a.m. – Villa Malfoy]
 
La notizia che spiccò in prima pagina quella mattina sulla Gazzetta del Profeta lasciò Draco senza parole, fu per lui totalmente inaspettata.
 
«Astoria!»
 
Si alzò con uno scatto dalla sua poltrona e andò alla ricerca della moglie. Ovunque lei si trovasse evidentemente non lo aveva sentito e lui aveva una gran voglia di condividere con qualcuno la gioia per quella novità. Dopo aver esaminato mezza Villa, finalmente la intravide in giardino attraverso i grandi finestroni del soggiorno. La raggiunse senza alcun indugio ed era talmente concitato che il suo passo rapido e improvviso a fianco di Astoria la fece trasalire. In un momento in cui la moglie aveva terminato di annaffiare una pianta e si apprestava a raggiungerne un’altra, Draco colse l’occasione, prima che l’acqua uscisse nuovamente dall’innaffiatoio, per metterle sotto gli occhi il giornale. La donna lesse velocemente la notizia su cui il marito le aveva chiesto di posare la sua attenzione.
 
«Hermione vuole dimettersi??»
 
«Già»
 
Al contrario del ghigno soddisfatto di Draco, Astoria era esterrefatta, non si sarebbe mai aspettata un cambio al vertice in quel periodo, visto che Hermione aveva ancora una brillante carriera davanti a sé.
 
«Quale ragione può averla spinta ad un gesto simile?»
 
«Ma chi se ne importa, Astoria!»
 
Aveva il sospetto che a suo marito potesse solo che far piacere quella notizia, ma ora dopo le sue parole ne ebbe la certezza e questo non le piacque. Lo rimproverò con il tono della voce.
 
«Immagino tu sia contento»
 
«Di certo non mi è mai andato a genio che una Mezzosangue ricoprisse quel ruolo»
 
«E chi pensavi dovesse ricoprirlo? Tu?»
 
«Fai poco la spiritosa»
 
Astoria riprese infastidita ad annaffiare le sue piante per provare a distrarsi e a rilassarsi. Non aveva alcuna voglia di litigare con suo marito, ma quando esternava quel suo pensiero così ottuso e retrogrado lo avrebbe Schiantato.
 
«Odio la Gazzetta del Profeta, Draco. Butta fango su chiunque in modo totalmente gratuito e ti consiglio di stare attento, un giorno potresti finirci tu in prima pagina»
 
«Se ci finirò, sarà solo per elogiarmi, sono un Malfoy, ricordi?»
 
Le sorrise come se volesse stuzzicarla. Sapeva di aver osato un po’ troppo davanti a sua moglie, lei non sopportava simili considerazioni, così decise di togliere il disturbo lui e la Gazzetta. Con tono allegro si voltò solo un istante verso di lei.
 
«Ci sono gli elfi domestici per innaffiare le piante, non è necessario che la signora Malfoy si sporchi le mani di terra»
 
Quando Draco fu scomparso oltre i ciliegi spogli, Astoria non riuscì più a trattenere un pensiero.
 
«Odio essere la signora Malfoy, quando ragioni così»
 
Si era agitata e aveva versato sbadatamente un po’ troppa acqua sui girasoli.
 
 
[5 ottobre 2017 ore 3:15 p.m. – Hogwarts/Infermeria/qualche minuto prima della prima partita della stagione di Quidditch, GrifondoroVSSerpeverde]
 
Neville, prima di assistere a quella partita tanto attesa, decise di seguire il consiglio di Rose e raggiungere Hannah in Infermeria. Non entrò subito, la intravide però lavorare e si appoggiò allo stipite della porta aperta osservandola. Madama Abbott - così veniva chiamata da quando aveva ricoperto quel ruolo a Hogwarts - non percepì la presenza del marito, ma nella sua candida tenuta da Guaritrice cambiava le lenzuola ai letti vuoti, pronti ad accogliere qualche sventurato giocatore che quel pomeriggio si sarebbe ferito durante la dura partita che stava per iniziare. Non mancava però di occuparsi con delicatezza, attenzione e dedizione dei malati già ricoverati e dei medicinali che li avrebbero potuti aiutare. Hannah aveva sempre avuto una grande propensione ad aiutare gli altri, era una degna Tassorosso e ciò aveva contribuito ad amarla. Si avvicinò a lei proprio mentre nei suoi frettolosi movimenti si stava voltando e allontanando da un letto appena rifatto. Riuscirono ad evitare l’impatto tra loro per un soffio. La prese in contropiede la presenza del marito, si soffermò qualche istante ad ammirare i suoi occhi e lo stesso fece lui, da troppo tempo lo sguardo della sua consorte era sfuggente. Con un filo di voce Hannah riuscì a rivolgersi a lui e non mancò d’istinto di appurare le sue condizioni fisiche per paura del motivo che lo aveva spinto fin lì.
 
«Neville, cosa ci fai qui? Hai bisogno di cure?»
 
Lui impiegò qualche secondo in più senza riuscire a parlare, ma continuava a fissarla con la grande voglia di porgerle un bacio anche leggero, un gesto che non compiva da diverso tempo ormai. Sapeva però di doversi trattenere, non era né il luogo né il momento per simili effusioni.
 
«Neville, ti senti bene?»
 
«S-sì, scusa. Ero passato per chiederti se ti andava di assistere insieme a me alla partita che si gioca oggi»
 
Stando ben attenta a non sfiorarlo, lo superò per riprendere il suo lavoro da dove si era interrotta.
 
«Mi piacerebbe, ma i Grifondoro sono contro i Serpeverde e prevedo una carneficina»
 
«Non puoi farti sostituire? Hannah, non ti fermi mai»
 
In realtà quando non era indaffarata ad Hogwarts trovava comunque un modo per tenere la mente impegnata altrove, ma il suo diversivo non era mai lui, semmai era il suo costante tormento.
 
«Oggi è proprio il giorno peggiore per prendersi una pausa. Ti consiglio di andare, se non vuoi perderti il fischio di inizio. Per chi tiferai, visto che Rose e Albus sono in due squadre differenti?»
 
Cercava di sviare l’attenzione da lui e dal loro rapporto, a Neville non fu difficile capirlo, ma decise di assecondarla, infondo non era facile nemmeno per lui affrontare determinati argomenti e senza una minima intenzione da parte di Hannah non riusciva a riscoprire il coraggio necessario.
 
«Suppongo entrambe»
 
«Sei affezionato a quei ragazzi»
 
«È come se fossero figli miei»
 
Si accorse dopo di ciò che aveva detto senza alcuna malizia, anzi con un grande orgoglio nello sguardo, ma si sentì in imbarazzo, lei era l’ultima persona a cui esternare quei sentimenti.
 
«C-cioè volevo dire …»
 
«Neville, non c’è niente di male … dopotutto io non sono riuscita a darti alcun figlio, è normale cercare di compensare questa mancanza. Anzi, sono felice che tu sia riuscito a superarlo, quei ragazzi sono molto fortunati ad avere il tuo affetto e a poter contare su di te»
 
Lei proseguì il suo lavoro apatica, come se quell’argomento fosse di poco conto e gli passò accanto per raggiungere l’armadio dei medicinali. Sua moglie non riusciva a capire quanto la ferita fosse ancora aperta anche nel suo cuore e quanto avrebbe desiderato dare tutto quell’affetto al loro bambino, se il destino fosse stato favorevole. La loro lontananza lo faceva sentire tutt’altro che bene e il fatto che lei non stesse meglio non gli poteva infondere certo serenità. Prima che lui potesse replicare, Hannah aveva già cambiato discorso.
 
«Neville, avresti ancora qualche fiore di Valeriana?»
 
Non rispose subito, il comportamento chiuso e inusuale della moglie lo prese alla sprovvista.
 
«Sì, dovrei averne nella Serra. Nei prossimi giorni te li porto»
 
«Non è necessario, posso passare io»
 
Lei riprese ad esaminare l’armadio con professionalità, come se Neville, il marito con il quale stava vivendo una grossa crisi, non fosse più a pochi passi da lei, ma lui non demorse e cercò di trovare il coraggio di parlarle, in caso contrario la situazione non si sarebbe mai sbloccata.
 
«Hannah?»
 
Annuì continuando nel suo lavoro. Quando lui vide che non si decideva a voltarsi, si avvicinò sfiorandole appena il braccio per attirare la sua attenzione. Solo allora si degnò di rivolgergli uno sguardo. Sorse un lieve imbarazzo tra i due a quel contatto, Neville se ne accorse e ritirò subito la mano.
 
«Senti, Hannah, non so per quanto riuscirò a reggere questa situazione»
 
Hannah riprese il suo lavoro in un ultimo disperato tentativo di non ascoltarlo e evitare di affrontare l’argomento, ma stavolta era più pensierosa. Si interruppe poco dopo triste e Neville, oltre a seguire con pazienza i suoi gesti, colse anche il suo stato d’animo.
 
«Hai ragione, tu meriti di meglio»
 
«Non ho detto questo, sono solo stanco di trattarti come se fossi un’estranea, nessuno vedendoci direbbe che siamo sposati»
 
«Forse sarebbe meglio se lo fossi, non ci guadagni nulla ad essere mio marito»
 
Tentò invano di mantenere fermezza nella voce, ma non fu facile mentire a lui e continuare a trafficare in quell’armadio come se nulla stesse succedendo nel suo cuore.
 
«Hannah, puoi smettere un attimo e guardarmi? Se dimentichi per un minuto il lavoro, i tuoi pazienti non moriranno»
 
Non lo ascoltava, così le tolse con la forza dalle mani quello che stava esaminando - Godric solo sapeva cosa fosse, lui non si prese il disturbo di capirlo, era troppo arrabbiato - e la afferrò di nuovo per un braccio, stavolta con più energia senza alcuna sorta di delicatezza, costringendola così a voltarsi verso di lui. Non era sua intenzione farle male, aveva usato forse un po’ troppa veemenza, ma si era comprensibilmente spazientito davanti alla testardaggine di Hannah di nascondere i suoi sentimenti e il suo malessere.
 
«Ma cosa ci sta succedendo?!»
 
Hannah non riusciva nemmeno ad incrociare i loro sguardi, ma da quel tocco percepiva tanta rabbia da parte del marito.
 
«V-vai alla partita, Neville, il professore di Erbologia non può mancare»
 
«Hannah, non è semplice neppure per me»
 
«Sono stata io a perdere questo bambino, non tu e sono sempre io a non poterne più avere altri»
 
«Quindi secondo te a me non importerebbe nulla, giusto? Dove avresti sentito una simile sciocchezza? È una tua ipotesi, vero?»
 
Stava tornando verso i malati, intenzionata a troncare quella scomoda conversazione, non aveva alcuna voglia di litigare e agitarsi, ma lui le bloccò prontamente la via.
 
«No, Hannah, sono due anni che mi eviti, ora basta»
 
«Cosa vuoi che ti dica?!»
 
«Cosa ti tormenta, suppongo. Aiutami a recuperare quello che c’era tra noi, da solo non riesco, ho bisogno della tua collaborazione»
 
«Sai benissimo perché non riesco ad essere la moglie che ero prima, è stata una delusione troppo grande, Neville! Se tu riesci a rimpiazzare nostro figlio con i figli dei nostri amici, io non ci riesco e non riesco neppure a consolarmi di avere te al mio fianco, scusami, ma è più forte di me. Nessuno più potrà ridarmi quel futuro che abbiamo perso e nemmeno tu purtroppo, per quanto lo vorrei»
 
«Hannah, sono passati due anni da quel giorno. Per quanto possa risultare difficile, dobbiamo provare ad andare avanti insieme. A me fa più male la tua lontananza»
 
«Mi manchi anche tu … ma non riesco a fare finta di niente»
 
Le voci provenienti dall’esterno delle mura del Castello attirarono la loro attenzione, ricordando loro la partita e i loro doveri. Hannah gli porse una carezza sul viso per tranquillizzarlo, si rese conto tardi di essere stata esageratamente severa nei confronti di quell’uomo che desiderava mostrarle solo il suo amore e che lei nonostante tutto continuava ad amare.
 
«È ora che tu vada, non deludere i ragazzi»           
 
Neville indugiò qualche secondo, non poteva pensare che una partita di Quidditch fosse più importante del loro rapporto.
 
«Ne riparliamo? Hannah, se mi dici di no, resto ora. Vedrai, lo supereremo. Non perderò la speranza, finché dirai di amarmi ancora»
 
«Certo che ne riparliamo e certo che ti amo. Ora vai, io mi preparo nel caso qualche giocatore per qualche sventurato caso dovesse farsi male»
 
Le sorrise e per l’ennesima volta dovette trattenersi dal porgerle un bacio. Stavolta però la speranza che lei gli aveva donato lo incoraggiò a schioccarle un bacio sulla guancia, prima di raggiungere gli spalti. Quel contatto per troppo tempo mancato le fece bene all’anima.
 
 
[5 ottobre 2017 ore 3:15 p.m. – Hogwarts/Campo di Quidditch/qualche minuto prima della prima partita della stagione di Quidditch, GrifondoroVSSerpeverde]
 
Quando Ron ed Hermione arrivarono nei pressi di Hogwarts, il loro primo incontro non fu dei più piacevoli. Proprio in quel momento anche Draco aveva raggiunto i territori del Castello e li aveva incrociati per puro caso in prossimità del cancello di ingresso, mentre raggiungeva Astoria che lo aveva anticipato di qualche minuto prendendo posto sugli spalti senza di lui. Il tono sarcastico di Draco li colpì direttamente al suo passaggio, ma l’uomo non li degnò nemmeno di uno sguardo.
 
«Buongiorno, Ministro. È un piacere trovarla qui, visto che le sue dimissioni sono ormai scritte ovunque»
 
«Dacci un taglio, Malfoy»
 
Solo dopo l’evidente fastidio di Ron si decise a voltarsi verso di loro, bloccando il suo cammino.
 
«Che c’è? Sei nervoso perché a breve non potrai più godere dei privilegi del Ministero e tornerai ad essere il solito poveraccio di sempre? Non che tu abbia mai smesso di esserlo, sia chiaro»
 
Ron fece per inveire contro Draco, era esattamente ciò che lui si sarebbe aspettato, conosceva molto bene il poco contegno di quella famiglia, peccato che Hermione si intromise per fermarlo, frapponendo un braccio tra i due e invitando il marito a restare al suo posto. Draco ci rimase male, non aspettava altro che sfoderare la bacchetta e metterlo a tacere con l’eleganza che lo contraddistingueva da quelli che per lui erano solo degli zotici.
 
«Ron, non vale la pena, è solo Malfoy. Abbiamo problemi più importanti a cui pensare. Non dargli alcuna soddisfazione»
 
Grazie alla moglie che aveva lucidamente capito il gioco di Draco, si placò prima di compiere qualche gesto inconsulto. Ron si limitò così a minacciarlo con le parole.
 
«Dì a tuo figlio di stare lontano da mia figlia, guai a lui se osa anche solo rivolgerle la parola»
 
«Difficile che possa farlo, a breve si sfideranno in campo. Non lo sapevi? Mio figlio è il nuovo Cercatore dei Serpeverde. Però stai tranquillo, non ho alcun piacere a sapere mio figlio trascorrere del tempo, nel bene o nel male, con quella sporca mezzosangue della tua prole»
 
«Questa me la paghi! Sei solo uno schifoso …»
 
Stava sfoderando la bacchetta con rabbia e convinzione, quando Hermione dovette nuovamente fermarlo con la forza, bloccandogli stavolta la mano.
 
«Ron, calmati, lo fa apposta, vuole darti un pretesto per infuriarti. Non ascoltarlo, dai»
 
Glielo disse a bassa voce sfiorandolo con dolcezza, ma non era sicura che ciò fosse sufficiente, al tatto lo sentiva tremare, impaziente di attaccarlo.
 
«Questi sono i ringraziamenti per averlo tolto dai guai anni fa»
 
Ron rimase scioccato dalla notizia sulle squadre e Draco una volta lanciata quella bomba raggiunse con un sorriso soddisfatto la moglie, lasciando i coniugi Weasley sbollire da soli il nervoso che aveva fatto loro prendere.
 
«Hermione, perché sento odore di guai?»
 
Pensieroso non si accorse delle braccia della figlia che all’improvviso lo avevano cinto in vita. Rose era corsa ad abbracciarlo e lui ci mise quale istante a realizzare chi avesse tra le braccia, complice l'infausto incontro che avevano avuto e che aveva turbato i suoi nervi. Quando Ron la riconobbe, non indugiò a ricambiare.
 
«Papà!»
 
«Ehi, tesoro, ciao»
 
Quando sciolsero l’abbraccio, Ron si preoccupò subito per quella partita che Draco aveva annunciato non essere semplice.
 
«Pronta per la partita? Ho appena saputo che ci sarà Malfoy, cerca di essere prudente»
 
Rose gli sorrise per tranquillizzarlo e si rivolse ad Hermione.
 
«Ciao, mamma»
 
Le sorrise veramente felice di vederla, ma non si gettò tra le sue braccia ed Hermione ci rimase male, avrebbe sicuramente gradito un altro tipo di accoglienza da parte della figlia che non vedeva da più di un mese. Ricambiò comunque il sorriso della ragazza nonostante la delusione. Ron capì quell’evidente reazione, così provò ad aiutarla.
 
«Rose, hai visto che oggi la mamma è riuscita venire? E non sai la novità! Ha deciso di dimettersi, non appena troverà un sostituto. Per il momento l’aiuto io, così potrà comunque trascorrere del tempo con te e Hugo»
 
«Cosa??»
 
Rose ed Hermione risposero in coro, una più scioccata dell’altra. Dopo un primo istante di sorpresa, la ragazza si rivolse arrabbiata alla madre.
 
«Ora ci vuoi portare via anche papà??»
 
«No, Rose, non è così»
 
«Ah, no? E com’è?»
 
Ron tentò nuovamente di rimediare, ma la figlia rispose male anche a lui rivolgendosi infuriata alla madre, la quale non sapeva cosa dire per difendersi. Rose senza indugiare andò a prepararsi per la partita, mentre i genitori la guardarono allontanarsi senza sapere come fermarla e tranquillizzarla prima di quello scontro in campo.
 
«Avevo capito non fossi intenzionato ad accettare la mia proposta»
 
«Pensavo di rendere felice Rose»
 
«Difficile che le mie idee possano renderla felice»
 
 
[5 ottobre 2017 ore 4:24 p.m. – Hogwarts/Campo di Quidditch/prima partita della stagione di Quidditch, GrifondoroVSSerpeverde]
 
Dopo quasi un’ora di partita, i Grifondoro si mostrarono sottotono. Uno dei loro migliori Cacciatori non riusciva a concentrarsi sul suo compito, le parole del padre continuavano a frullare nella mente della primogenita di casa Granger/Weasley. Non vedeva nemmeno la pluffa che le sfrecciava davanti, avrebbe avuto bisogno di una pausa, in quel modo non riusciva ad essere utile alla sua squadra. In quella sorta di oblio in cui vagava, sentì la voce di suo cugino urlare spaventato.
 
«Rose, attenta!»
 
Capì solo una manciata di istanti dopo cosa Albus intendesse. Un bolide la stava per centrare, Rose abbassò le palpebre stringendole forte in attesa di un impatto che non arrivò mai. Quando riaprì gli occhi, il cugino era proprio davanti a lei, si era frapposto tra lei e la minaccia e l’aveva difesa con la sua mazza. Si voltò subito dopo verso la ragazza per appurare che non fosse ferita.
 
«Ehi, tutto bene?»
 
«Sì … grazie, ero distratta»
 
«Cerca di rimanere concentrata»
 
Albus seguì lo sguardo della cugina e vide che per una frazione di secondo era puntato verso i suoi zii, intuì così che riguardasse loro la sua distrazione. Rose comprese la preoccupazione del ragazzo e ciò non consentiva neanche a lui di giocare serenamente.
 
«Sto bene, Al, gioca»
 
Quella disavventura aveva fatto perdere diversi battiti al cuore di Hermione, Ron ed Harry, i quali si tranquillizzarono solo dopo l’intervento tempestivo di Albus. Nonostante il ragazzo, capito l’umore di Rose, stesse giocando su entrambi i fronti per aiutarla, non riuscì a difenderla da quei suoi compagni Serpeverde che non aspettavano altro di sfruttare la vulnerabilità della loro avversaria, la quale girava voce si fosse mostrata molto forte durante gli allenamenti con la sua squadra. La fecero cadere dalla scopa senza troppe difficoltà e la fortuna volle che lei non si trovasse a molti metri da terra. Albus dovette assistere alla scena inerme, non poté abbandonare il campo, a soccorrerla ci pensarono i suoi genitori e lo zio insieme al professor Paciock.
La prima immagine che si parò davanti a Rose quando si riprese in Infermeria fu suo padre seduto sul letto accanto a lei e un rumore che per lei era assordante. Appurò subito da dove provenisse e vide Hannah trafficare con alcune medicine sul suo comodino. L’amica le sorrise rincuorandola e se ne andò lasciando soli padre e figlia e smettendo di importunarla con il tintinnio delle boccette di vetro.
 
«Tesoro, come stai?»
 
Si voltò dall’altra parte, non appena suo padre iniziò quella conversazione. Non era intenzionata a parlare con lui, visto che difendeva le assurde intenzioni della madre.
 
«Vattene, papà, lasciami sola»
 
 «Da quando mi mandi via?»
 
 «Da quando mi menti»
 
Reduce dal dialogo con Hermione sulle sue partite di Quidditch clandestine, comprese subito a cosa la figlia si stesse riferendo.
 
«Intendi … Rosie, mi dispiace, non l’ho fatto con malizia. Scusa, ma a te chi lo ha detto, se alla mamma non parli?»
 
«Poco importa. Vattene»
 
Qualcosa non quadrava a Ron, quando l’aveva visto si era gettata tra le sue braccia, quindi quello delle partite doveva essere solo un pretesto e arrabbiata per la notizia ricevuta prima della partita, gli stava attribuendo ogni possibile colpa. Indugiò qualche istante, ma non era pronto ad affrontare quella discussione e nemmeno quella ragazza dopo l’incidente, Hannah non gli aveva raccomandato altro di riposare. Si diresse rassegnato verso la porta, ma quando fece per aprirla, la voce di Rose, molto più accondiscendente, raggiunse le sue orecchie.
 
«Mi mancherai papà»
 
«Tesoro, ma io non sparisco. Diamo alla mamma il tempo di trovare un sostituto, nel frattempo le do una mano, ma ti garantisco che saremo entrambi presenti»
 
«Tu ci credi veramente, vero?»
 
«Certo che ci credo ... per quale ragione non dovrei credere a tua madre?»
 
«Forse perché non è così semplice quello che vuole fare»
 
Lo stupì la razionalità della figlia, ma infondo, nonostante l’età, aveva sempre dimostrato una certa maturità.
 
«Ma tu hai ancora undici anni, vero? Poco più di un mese lontano da casa e sei diventata una signorina»
 
«Papà, sono seria»
 
«Anche io, tesoro, e non ho alcun motivo di non fidarmi della mamma»
 
«Io non sto dicendo che non devi fidarti di lei, ma non è detto che risolverete il problema così. Papà, Albus mi ha aiutata a capire quanto tu abbia fatto per me e Hugo in questi anni, l'ho dato per scontato. Non risolverai alcun problema con la mamma, se ti lascerai coinvolgere al Ministero, ma anzi peggiorerà tutto con noi e con lei»
 
Ron rifletté sulle parole della figlia, per giorni non aveva fatto altro che pensarci e valutare pro e contro, forse come mai aveva fatto nella sua vita.
 
«Sai, Rose, se dovessimo avere bisogno di una consulenza matrimoniale, sarai la prima che interpelleremo»
 
Ritornò indietro appositamente per porgere con un sorriso un bacio sulla fronte della ragazza.
 
«Ora riposa, piccola»
 
Stava uscendo stavolta più convinto, ma Rose glielo impedì nuovamente.
 
«Papà. Chi ha vinto?»
 
«Serpeverde»
 
Rose sorrise, nonostante il padre non sembrasse altrettanto entusiasta per come quella partita si era conclusa. La vittoria però dal punto di vista di Rose avrebbe senza dubbio aiutato Albus a sentirsi più a casa e ciò era molto più importante di qualsiasi coppa.
 
«Sei felice di aver perso?»
 
«Albus ha vinto e poi se lo meritava dopo avermi aiutata»
 
«Giusto, dimenticavo, tu e tuo cugino siete inseparabili. Rose, so che ti sei distratta per colpa mia, avrei dovuto parlarti del mio lavoro al Ministero dopo la partita, mi dispiace, per fortuna non ti sei fatta troppo male, altrimenti la mamma mi avrebbe sicuramente ucciso per aver parlato senza un accordo con lei. La prossima volta non avrai motivo di deconcentrarti e potrai giocare nel pieno delle tue capacità, sono sicuro che sarai bravissima. Ti va di dare un saluto veloce alla mamma prima di riposare un po’?»
 
«Non mi va di vederla»
 
Non insistette, l'espressione della figlia non lasciava spazio ad alcuna replica, così uscì dalla stanza triste e appena fuori, proprio in prossimità della porta, trovò Hermione.
 
«Come sta?»
 
«Sta bene, ma …»
 
«… non vuole parlarmi, ho sentito. Non ha tutti i torti, infondo la sto privando di un papà che l’ha cresciuta»
 
Una lacrima scese lungo la guancia di Hermione, ma il fatto che si fosse voltata verso il corridoio lasciò Ron perplesso sul motivo di quella reazione. Lei tentò quasi subito di colmare i dubbi del marito.
 
«Ricordi … quando sono stata pietrificata? Era il nostro secondo anno ad Hogwarts»
 
«Hermione, non capisco cosa c’entri»
 
«L’erede di Serpeverde aveva aperto la Camera dei Segreti»
 
«Tesoro, era stato Voldemort … anzi mia sorella sotto la sua influenza»
 
«Come abbiamo fatto a non accorgerci dell’astio che c’è tra Grifondoro e Serpeverde? È ancora presente ad Hogwarts, insieme a quelle assurde idee sulla purezza del sangue. E la cosa peggiore è che ora questa Scuola viene frequentata da nostra figlia e dai figli di quei compagni che avrebbero solo voluto vedere morta una mezzosangue come me. Oggi Rose è finita in Infermeria per questa ragione»
 
Lo prese in contropiede, anche lui aveva capito che quel problema fosse presente e stava coinvolgendo sua figlia, ma iniziava ad essere in seria difficoltà, era circondato da problemi che lo riguardavano in prima persona.
 
«O-ok, frena, una questione per volta. A questo penseremo. Innanzitutto Rose si è distratta per colpa mia e, consentimi, i Battitori dei Grifondoro non hanno svolto il loro lavoro. Fossi nella McGranitt darei una punizione anche a loro e non solo ai Serpeverde che l'hanno attaccata»
 
«Non c’è più tempo di aspettare, con che spirito pensi che lascerò mia figlia in questa scuola? In balìa di chi la vuole vedere morta? Scorpius e i ragazzi si sono scontrati per divergenze passate, hai sentito Malfoy, uno che parla ancora così cosa può aver insegnato a suo figlio?»
 
«Se per divergenze intendi che ho una gran voglia di rompere i denti a Malfoy»
 
«Ron!»
 
Alzò le mani in segno di resa e innocenza.
 
«Ma non lo farò, tranquilla. Purché lui non infastidisca me e la mia famiglia, io non infastidirò lui»
 
«No, Ronald, tu non risponderai alle sue provocazioni, a prescindere da tutto. Voglio che questo assurdo astio finisca e se dobbiamo essere noi a muovere un passo verso loro affinché ciò accada, lo faremo senza alcuna condizione»
 
L’arrivo di Albus e Scorpius, ancora con indosso le loro divise di Quidditch, li interruppe senza dare modo a Ron di opporsi. Il nipote sembrava essere piuttosto preoccupato.
 
«Zia! Come sta Rose?»
 
«Meglio»
 
«Mi dispiace, ho provato a proteggerla»
 
«Non spetta a te difendere un componente della squadra avversaria, tranquillo, tesoro»
 
Hermione notò solo in quel momento che Albus era arrivato in compagnia.
 
«Ciao, Scorpius. Siete diventati amici?»
 
«Ora non esageriamo, zia»
 
Scorpius non rispose e non ricambiò nemmeno il saluto, si limitò ad andarsene confermando i timori di Hermione circa il conflitto tra le loro famiglie. Non riuscirono a capire quali parole, se quella di Hermione o di Albus, potessero averlo infastidito.
 
«È strano quel ragazzo, sai, Al?»
 
«È un Malfoy, che cosa ti aspetti?»
 
 
 
 


Ciao ragazzi!
 
Il ritardo è colossale ed anche la lunghezza di questo capitolo, perdonatemi per entrambe le cose, non sono riuscita ad aggiornare prima questa storia e nemmeno a spezzare il capitolo, tenere insieme le due parti era l’unico modo che aveva per dare un filo logico alla narrazione.
 
Ringrazio in modo particolare la mia carissima amica HarryPotter394 che mi ha dato delle preziose dritte sulla questione arei e aeroporti, un terreno parecchio ignoto per me XD
 
In questo capitolo credo di aver affrontato ogni sorta di problema e aver narrato, poco o tanto, di tutte le coppie/famiglie coinvolte, spero di non aver fatto troppa confusione e di non avervi annoiato.
 
Vi ringrazio come sempre di cuore per la pazienza con cui mi seguite <3
 
Alla prossima!
Baci
-Vale

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Capitolo 8
*** Superficiali crepe nelle rivalità ***


Superficiali crepe nelle rivalità


 
[5 ottobre 2017 ore 5:00 p.m. – Hogwarts/Piano Terra/poco dopo la vittoria dei Serpeverde]

Scorpius aveva ancora il fiato corto per la partita appena terminata, che aveva visto la sua squadra trionfare sui Grifondoro. Era sceso in Infermeria per raggiungere il suo compagno di squadra, ma capì presto dalle sue parole quanto la sua presenza non fosse necessaria, oltre che sgradita. Non aveva alcuna voglia di festeggiare con i Serpeverde, non dopo ciò che era avvenuto in campo quel pomeriggio. Aveva afferrato il Boccino approfittando della confusione tra i giocatori per l’incidente doloso che Rose aveva subìto. L’arbitro, la docente di Volo, non aveva interrotto la partita, ma aveva comunque consentito i soccorsi alla ragazza infortunata. Non sapeva quale ragione lo avesse spinto verso l’infermeria subito dopo il fischio di fine che proprio lui aveva causato con la cattura del Boccino, eppure i passi lo avevano condotto dove non avrebbero mai dovuto portarlo, testimoni le parole del suo compagno di squadra. Non era rimasto indifferente alla mossa scorretta dei suoi compagni e quella sensazione di essere dalla parte del torto, benché non fosse la mano di quel gesto, lo aveva spinto ad accertarsi dello stato di salute della ragazza, peccato che il suo sincero interessamento non fosse stato colto.
Nonostante avesse notato i suoi genitori sugli spalti, si sorprese nei pressi della scalinata principale, in direzione del dormitorio – non aveva alcuna intenzione di fermarsi in Sala Comune a sorbirsi le grida di giubilo dei Serpeverde -, di imbattersi in suo padre, probabilmente in attesa della moglie per uscire insieme a lei dai territori del Castello. Il primo pensiero di Scorpius riguardò proprio la fretta dei suoi genitori, intuì che se ne stessero andando senza nemmeno salutarlo. 
 
«Papà»
 
Anche Draco doveva essere immerso nei pensieri, non si era accorto dei passi di suo figlio che rimbombavano sulle scale. La maggior parte degli studenti si trovava nei pressi delle Sale Comuni a festeggiare o a risposare demoralizzata per la sconfitta o semplicemente per immergersi nelle attività di studio pomeridiane. Quella zona del Castello, proprio per le ragioni sopracitate, era deserta, c’erano solo Draco e Scorpius a fissarsi senza sapere cosa dire. Quasi sicuramente l’inaspettato imbarazzo che scese tra i due fu dovuto all’episodio recente per il quale Draco era stato convocato dalla Preside. In quell’occasione non avevano avuto modo di confrontarsi. Dopo aver gettato un'occhiata alle spalle del figlio, forse con la speranza che proprio in quell'istante comparisse Astoria, si arrese all'inevitabile dialogo.
 
«Sei stato discreto per essere la tua prima partita»
 
«Ho preso il Boccino, cosa avrei dovuto fare d'altro?»
 
«Sì, bhe, hai avuto parecchia fortuna, erano tutti distratti dall'incidente di quella Grifondoro»
 
«Si chiama Rose e non è stato un incidente, l’hanno buttata giù dalla scopa di proposito, con l’intento di farle male»
 
Draco lo guardò quasi spaventato. Aveva pronunciato il nome di quella ragazza con naturalezza, come se tra loro non ci fosse la dovuta distanza. Quel ragazzino, così simile a lui per aspetto, non aveva la più pallida idea dei guai in cui si stava cacciando. Draco era profondamente a disagio in quel luogo e le rivelazioni del figlio non lo aiutavano affatto.
 
«Ora siete amici? Mi stai per caso dicendo che sei diventato amico di una Weasley? Scorpius, non osare!»
 
«No, certo che no, n-non ho detto questo»
 
Al ragazzo non poté sfuggire la diffidenza e la rabbia nella voce del padre, ragion per cui si sentì di assecondare i suoi timori e di non sbilanciarsi troppo con le parole. Non gli disse che in quel primo mese di lezioni non si erano verificati altri battibecchi, anzi gli allenamenti con Albus erano sempre più piacevoli e loro erano diventati molto complici in campo, escogitando insieme nuove mosse per distrarre gli avversari. 
 

Flint aveva concesso a Rose di sostare sugli spalti solo in via eccezionale, Albus desiderava tanto che la cugina potesse assistere agli allenamenti, nonostante facesse parte di una squadra avversaria. Per fortuna il Capitano aveva ereditato ben poco dal padre e fu favorevole, a patto che non avesse sfruttato le tecniche ideate dai Serpeverde contro di loro. La ragazza se ne stava in silenzio sugli spalti incoraggiando con qualche sorriso il cugino durante quelle amichevoli inter-squadra. L’unico che sembrava essere a disagio fu Scorpius, sapere che lo sguardo attento di Rose fosse puntato su di loro gli mise una certa ansia da prestazione. Durante una delle tante partite di allenamento, il giovane Malfoy si trovava ad un paio di metri da terra, quando la voce del suo compagno lo avvertiva del passaggio della pluffa, peccato che lui fosse distratto dagli occhi azzurri di Rose fissi su di loro.
 
«Scorpius, non deconcentrarti!»
 
Sentì appena in tempo l’avvertimento del compagno. Afferrò la pluffa con la punta delle dita, prendendo per un istante e per necessità le parti del portiere.
 
«So che mia cugina è carina, però resta concentrato»
 
«Affatto!»
 
Albus rise davanti all'espressione spaventata e imbarazzata di Scorpius.
 
«N-non voglio dire che tua cugina sia brutta, solo che il problema sia la soggezione che mi mette il suo sguardo perennemente addosso a noi mentre giochiamo»
 
«Ha lo sguardo investigativo come quello della zia Hermione. Sì, lo so, spesso mette in soggezione anche me. Che dici, la sfidiamo?»
 
«Come, prego?»
 
«Allenarci contro il membro di una squadra avversaria sarà un allenamento più stimolante, non credi?»
 
Scorpius lanciò uno sguardo perplesso in direzione della ragazza in questione. Rose aveva un che di poco raccomandabile, era davvero così temerario da sfidare la figlia del Ministro della Magia e pensare di uscirne indenne? Era risaputo quanto non convenisse sfidare il tenace Ministro, perché per la figlia sarebbe dovuto essere diverso?
 
«Hai paura?»
 
«Certo che no! Io paura di una Weasley??»
 
«Ti consiglio di non sottovalutarla, lei è una Granger-Weasley»
 
I capelli fiammeggianti di Rose in effetti non promettevano nulla di buono per i suoi avversari, Scorpius era ben consapevole di dover essere prudente.
 
«Dici che ha dalla sua la tenacia del Ministro?»
 
«Sì, e due generazioni di giocatori di Quidditch alle spalle. Mia madre ha giocato come Cacciatrice e Cercatrice ai tempi di Hogwarts e lei è solo un esempio da cui Rose potrebbe aver ereditato l’abilità sulla scopa»
 
Scorpius deglutì a disagio, avrebbe desiderato essere ovunque tranne che in campo in quel momento.
 
«Tua madre è la punta di diamante delle Holyhead Harpies. Tua cugina mi distrugge»
 
«Accetti la sfida, Malfoy?»
 
«Qui ne va del mio orgoglio o della mia incolumità»
 
«A te la scelta, cosa preferisci salvaguardare?»
 
Era già affannato per l'allenamento appena avvenuto, non era certo di riuscire a resistere ai colpi sferrati da quella ragazza, eppure quella mezzosangue non poteva essere tanto diversa da Albus, in lui infondo aveva riscoperto una piacevole compagnia in campo.

 
«Bene, perché i Malfoy non possono essere amici di Weasley e Potter»
 
«Per quale ragione? V-voglio dire, è così grave?»
 
Draco non fece nemmeno in tempo a rispondergli, accertandosi che suo figlio non si mischiasse a dei mezzosangue, perché delle braccia familiari e affettuose avvolsero il ragazzo, afferrandolo da dietro all’altezza delle spalle. L’uomo alla vista della moglie non osò più dire nulla contro quelle famiglie, non desiderava subire il terzo grado da parte di Astoria. Scorpius riconobbe subito il delicato tocco della madre, la quale gli fece riscoprire il sorriso dopo la tensione con cui invece Draco aveva impregnato l’atmosfera.
 
«Mamma, dai, sono sudato e poi non farmi fare figure davanti a tutti»
 
Astoria non lo ascoltò e gli schioccò orgogliosa un grande bacio sulla guancia. Non c’era alcun motivo di mantenere tanta discrezione, infondo intorno a loro non vi era anima viva. Sembrava proprio che il suo bambino stesse crescendo e non gradisse più come prima le dimostrazioni di affetto in pubblico.
 
«Sei stato bravissimo, tesoro. Vero, Draco?»
 
La donna cercò una conferma quasi scontata da parte del marito. Anche Scorpius attese un commento del padre, ma quest’ultimo non sembrava essere molto entusiasta. Il ragazzo intuì il motivo del suo umore e temette di essere stato proprio lui con le sue parole ad infastidirlo.
 
«Sì, molto bravo. Astoria, conviene iniziare ad avviarci, il tempo promette pioggia e l’imbrunire sta scendendo velocemente. Mi piacerebbe essere a casa prima che arrivi una tempesta. Figliolo, ci rivediamo a Natale»
 
Draco non attese neppure la risposta della moglie o un saluto del figlio, iniziò semplicemente ad avviarsi verso il grande portone del Castello. Scorpius rimase perplesso e cercò subito una rassicurazione da parte della madre.
 
«Mamma, ho fatto o detto qualcosa di male? Papà è ancora arrabbiato per quell’episodio?»
 
«No, tesoro, papà non è arrabbiato con te, non devi preoccuparti. È solo un po’ triste, tornare in questa Scuola lo riempie di ricordi e non sempre piacevoli»
 
Astoria non era sicura fosse quello il motivo dell’umore del marito, ma certamente angustiare suo figlio sarebbe stata una pessima idea.

 
[6 ottobre 2017 ore 11:00 a.m. – Casa Weasley/Potter]
 
Per l’ennesima volta in quella mattina la piccola Lily aveva lanciato con forza la pluffa in direzione del padre ed Harry solo per un soffio, anche stavolta, dovette bloccare quella palla prima che rompesse un altro quadro di famiglia, posto ad un’altezza media sulla parete e quindi a portata di mano della piccola di casa Potter. Fu inutile per lui placare l’euforia della figlia, per quanto le ripetesse di non voler diventare una futura giocatrice, il Quidditch sembrava essere il suo miglior passatempo. Dal canto di Harry ciò non lo disturbava affatto, anzi trascorrere del tempo con la sua bambina era il miglior modo per placare i sensi di colpa per aver trascurato i propri cari negli ultimi anni. Fissò sua figlia con l’intenzione di infonderle dubbi su quel lancio così pericoloso, ma il suo sguardo severo celava un sorriso trattenuto. Si avvicinò a lei con espressione seria. Lily riconobbe facilmente le intenzioni del padre, ma quel nuovo gioco divertiva solo lui, benché salvaguardasse l’integrità del numero 12 di Grimmauld Place. La bambina provò a recuperare la pluffa dalle mani del padre, ma lui glielo impedì alzandola leggermente.
 
«Papà, dai!»
 
Harry le sorrideva, negando con la testa. Lily si arrese, pur saltando non avrebbe mai raggiunto la sua altezza per strappargli la palla. La bambina capì subito cosa il padre cercasse di farle comprendere, era un velato rimprovero, uno di quelli che solo lui, con appena un cenno dello sguardo, sapeva impartire.
 
«Starò più attenta, te lo prometto, ma ora giochiamo»
 
Il campanello rintoccò nel soggiorno appena prima che Harry potesse rispondere alla figlia. Il viso ingenuo della bambina lo aveva quasi conquistato e convinto, era impossibile per lui prolungare la severità, non era nella sua indole e di certo non desiderava trascorrere quel poco tempo in compagnia di Lily a suon di prediche.
 
«Tesoro, un attimo, riposati intanto. Se la mamma scopre che giochiamo con la pluffa in casa, ci sfratta»
 
«Cosa fa?»
 
Harry la ignorò ed andò ad aprire la porta, senza far attendere troppo il suo ospite. Il giovane ragazzo sulla soglia di casa poteva avere non più di vent’anni, era slanciato e con un’inconfondibile chioma che una semplice variazione dello stato d’animo infondeva un cambiamento radicale della tinta.
 
«Teddy! Ragazzo, che bella sorpresa»
 
Harry rivolse al giovane figlio di Ninfadora e Remus Lupin un grande sorriso di benvenuto. Ogni volta che Ted metteva piede tra quelle spaziose mura, che infondo poteva chiamare casa da quando era appena un neonato, era una gioia per ogni componente di quella famiglia, perciò la reazione del padrino non gli fu affatto nuova. Lui però non sembrava avere altrettanto entusiasmo, anzi era stranamente a disagio davanti ad Harry, con cui nel corso degli anni aveva maturato una certa confidenza.
 
«Ciao, zio. Ti disturbo?»
 
«Assolutamente no, entra»
 
Con una certa reticenza, che al padrone di casa non sfuggì, il suo figlioccio diede prima un’occhiata alle pareti e poi si decise a superare lo zerbino. Harry fu subito sul punto di chiedergli spiegazioni, un simile imbarazzo era insolito da parte del ragazzo, ma Lily non si fece affatto sfuggire l’occasione di salutare colui che per lei era un terzo fratello. La bambina si gettò senza troppe cerimonie tra le sue braccia e la stretta della piccola che circondava la sua vita gli fece riacquistare il sorriso.
 
«Teddy!»
 
«Ciao, principessa»
 
Il ragazzo le porse una carezza tra i fulvi capelli, ma Harry concesse solo qualche secondo ai due, aveva capito che qualcosa non andasse e non voleva tardare un inevitabile dialogo. Pose così una mano sulla spalla di Teddy invitandolo a seguirlo in cucina.
 
«Vieni, preparo il thè»
 
«Zio, non è necessario, non disturbarti»
 
«Non ti vedo da tanto, sono sempre incasinato, concedimi qualche minuto davanti ad una tazza di thè caldo, direi che la giornata lo richiede. Lily, vai a riordinare la stanza e nascondi la pluffa, mamma non la deve vedere»
 
Fece scivolare la palla in mano alla figlia e la invitò ad ubbidirgli, stavolta più seriamente, non voleva certo sfigurare davanti agli ospiti. Anche quel ragazzo era pienamente consapevole dei metodi educativi che impartiva il padrino, li aveva sperimentati in prima persona e si era anche divertito spesso e volentieri in sua compagnia, perciò non gli fu difficile comprendere la tristezza della bambina a cui veniva chiesto di interrompere il loro gioco.
 
«Uffi, anche io volevo bere il thè con Teddy»
 
Solo dopo che la piccola di casa ebbe svoltato l’angolo e raggiunto le scale un po’ triste, Harry decise di porre a Teddy la fatidica domanda.
 
«Allora, qual buon vento ti porta a Grimmauld Place?»
 
Non attese la risposta e si avviò verso il piano cottura. Aveva intuito già da qualche minuto, esattamente da quando i loro sguardi quella mattina si erano incontrati, che potesse essere una questione delicata, infatti a conferma delle sue ipotesi Teddy rimase perplesso e si limitò a fissarlo confuso.
 
«Sì, ho allontanato Lily perché immagino tu debba parlarmi o è solo una visita di cortesia?»
 
Teddy non rispose, il sorriso perspicace di Harry aveva l'aria di aver compreso da solo la risposta. Mise il bollitore pieno d'acqua sul fornello, dando al giovane il tempo di organizzare i pensieri. Fu un momento difficile per il ragazzo, si guardava intorno senza riuscire a riconoscere davvero quelle pareti, era un chiaro momento di crisi interiore per lui, ciò che era successo aveva messo in discussione la sua persona e le sue origini. Gli mancava persino il fiato per ciò che stava per comunicare ad Harry. Gli venne spontaneo appurare che fossero soli, non che ciò fosse un segreto, ma parlarne con una persona era per lui una maggiorazione sufficiente sul cuore.
 
«Ginny non è a casa?»
 
«È al lavoro»
 
«Tu come mai non sei al Ministero? Credevo di non trovarti»
 
«Inizio più tardi. Coraggio, accomodati, la sedia posso garantirti che non scotta»
 
Teddy lo ascoltò, infondo necessitava proprio di un supporto per affrontare con il suo padrino quell’argomento. Non poteva negare di aver sperato per un istante di trovare vuota quella casa, perché era proprio il coraggio a mancargli. Il tavolo e la sedia diventarono il miglior appoggio che potesse trovare e sperò anche che Harry si dimostrasse come sempre il confidente più indicato. Quest’ultimo rimase vicino ai fornelli per controllare l'ebollizione dell'acqua ed evitare così di combinare pasticci sulla cucina. Si appoggiò con la schiena e le mani al mobile e con fare paterno gli sorrise.
 
«Allora, ragazzo, ci sono novità? Non parliamo da un po’ io e te»
 
Il giovane Lupin indugiò, la notizia appena ricevuta lo aveva destabilizzato e reso particolarmente insicuro. Non aveva ancora compiuto diciannove anni, si era diplomato a Hogwarts da poco più di un anno e già gli stavano affidando responsabilità immense.
 
«L-la McGranitt ...»
 
L'acqua iniziò a bollire alle spalle di Harry e distrasse entrambi. L’uomo si accorse tardi di aver alzato un po’ troppo la fiamma, era rammaricato di aver interrotto Teddy in un discorso che sembrava essere particolarmente delicato.
 
«Scusami un istante»
 
Dovette interrompere la loro conversazione per terminare la preparazione del thè, non aveva molte alternative. Teddy lo osservava mentre riempiva la teiera di acqua calda e ci immergeva dentro una bustina di thè. La portò in tavola insieme ad un vasetto di zucchero e due tazze pulite, stando ben attento a posare soprattutto il thè bollente lontano dal ragazzo. Quelle accortezze fecero sorridere Teddy, lo trattava ancora come un bambino, si prendeva cura della sua incolumità come se fosse, né più né meno, uno dei suoi figli. Le attenzioni del padrino distesero la tensione che stava salendo in Teddy, Harry sapeva sempre come, anche involontariamente, rassicurarlo, come se gli volesse dire “non preoccuparti, ci sono io con te e andrà tutto bene”, era stato ed era tutt’ora a tutti gli effetti un padre per lui. L’uomo si sedette a sua volta dall’altro capo del tavolo, ignaro dei sentimenti di protezione che infondeva al giovane, e nell’attesa che il thè fosse pronto, si mise in posizione di ascolto.
 
«Ora hai la mia completa attenzione, dimmi»
 
Lo sguardo di Harry era puntato su di lui, non si era mai sentito così tanto in soggezione davanti a quell’uomo, ma probabilmente tutto dipendeva dal tema di cui avrebbero dovuto discutere, delicato e per quel ragazzo molto toccante. Discostò gli occhi da quelli di Harry e li posò distrattamente sulla teiera da cui sperava di prendere l’ispirazione. Con voce malinconica, un po’ in contrasto con la notizia, si decise a rendere partecipe anche Harry, infondo non aveva nulla da temere, ma solo da guadagnare condividendo una parte del peso che portava sul cuore con lui.
 
«La Preside mi ha offerto un lavoro ad Hogwarts come insegnante»
 
All’istante il viso di Harry si illuminò di orgoglio, gli allungò una mano per sfiorargli il braccio e stringerlo in un gesto affettuoso e di congratulazioni, per poi prendere gioioso la teiera e versare nella tazza dell’ospite un po’ di thè.
 
«Teddy, è meraviglioso!»
 
Il ragazzo non si mostrò altrettanto entusiasta, fissava il liquido marroncino con ansia, demoralizzazione e timore. Non lo aveva informato di tutto, aveva omesso la notizia più importante, quella che infondeva così tanta agitazione e titubanza.
 
«No, non lo è ... la cattedra libera è quella di Difesa contro le Arti Oscure»
 
Harry iniziò a comprendere il suo disagio, il nome di quella materia lo bloccò, mentre era intento a riempire anche la sua tazza. Rimase a fissare quel giovane intimorito nell’attesa che esprimesse il suo stato d’animo e smettesse di specchiarsi pensieroso nel thè che aveva sotto gli occhi. Non occorsero parole, il colore dei capelli del giovane mutò, probabilmente senza che lui se ne accorgesse, immerso com’era nei pensieri. Harry, che lo conosceva molto bene, comprese il problema prima ancora di qualsiasi spiegazione.
 
«Come faccio a prendere il posto di mio padre senza sentirmi in difetto?»
 
«Non hai alcun motivo per sentirti in difetto»
 
«Zio»
 
Il tono di voce del ragazzo disapprovava le parole del padrino, Harry non era affatto convincente, gli avrebbe detto qualsiasi cosa pur di rincuorarlo e spronarlo a non intimorirsi davanti ad una nuova esperienza, anche probabilmente una menzogna. Allo stesso tempo però il giovane lanciava ad Harry una evidente richiesta di aiuto che quest’ultimo accolse senza troppe difficoltà.
 
«Teddy, non hai nulla da invidiare a tuo padre»
 
«Ma io come posso essere alla sua altezza, se non l'ho mai conosciuto. Io non so che insegnante fosse»
 
«Lo rivedo in te, sei suo figlio, non può essere altrimenti»
 
«Sono un inutile Tassorosso invece»
 
«Ehi! E questo chi lo avrebbe detto?! Un Caposcuola non parla così. Piuttosto, ne hai parlato con Victoire?»
 
Teddy lo fissò ad occhi sbarrati e rosso in volto, il nome di quella ragazza lo paralizzò, impossibilitato a gestire contemporaneamente due temi di quella portata. La proposta della Preside non era l’unico argomento scottante che avrebbero potuto sfiorare quella mattina e lui a questo non aveva ingenuamente pensato.
 
«Eh dai, Teddy, ce ne siamo accorti tutti. Se volevi discrezione, non avresti dovuto baciarla in stazione, non credi?»
 
«N-non lo sa ancora»
 
«Dovresti chiederle un parere, infondo immagino abbiate dei progetti per il futuro e tu dovrai allontanarti da lei durante le lezioni»
 
Harry si era alzato con naturalezza per recuperare i cucchiaini che aveva dimenticato, concentrato com’era sulle parole del figlioccio. Non c’era la più piccola ombra di imbarazzo sul suo viso, mentre Teddy stava divampando, eppure la disinvoltura del padrino non lo mise del tutto a suo agio.
 
«Harry, per favore!»
 
Non era sua intenzione aumentare il disagio di Teddy, ma ebbe la certezza di averlo purtroppo fatto, quando passò a lui il cucchiaino e non lo afferrò subito, si limitava solo a fissarlo come un cucciolo di uomo sorpreso con le mani nella marmellata.
 
«Che c'è?»
 
«Dobbiamo per forza parlare di Victoire?»
 
Harry, rimasto in piedi vicino al tavolo, sorrise alla reazione del ragazzo, arrivando alla conclusione più logica.
 
«Figliolo, sei proprio innamorato»
 
Teddy afferrò tra le mani la tazza di thè ed iniziò a sorseggiarlo solo per distrarre l'attenzione, senza nemmeno prendersi il disturbo di aggiungervi qualche cucchiaino di zucchero.
 
«Sei il primo con cui ne parlo»
 
«Di Victoire??»
 
«Della proposta della McGranitt! Zio, ti prego, è una questione imbarazzante … anzi, per la verità, lo sono entrambe ed io non so cosa fare»
 
«Scusa. Nemmeno la nonna lo sa?»
 
«No, ma lei è il primo dei miei pensieri, sta invecchiando ed io non voglio abbandonarla»
 
Era diventato particolarmente serio. Harry conosceva bene il legame che correva tra il ragazzo e quella donna, lo aveva cresciuto come se fosse suo figlio ed era comprensibile che ora lui non si sentisse di voltarle le spalle nel momento del bisogno.
 
«Teddy, devi pensare al tuo futuro, Andromeda non resterà sola, non lo è mai stata»
 
«Posso continuare ad aiutare Charlie con le ricerche sui draghi, a me non pesa»
 
«Teddy, con tutto il rispetto per mio cognato e i draghi, sprechi le potenzialità che la McGranitt ha visto in te così»
 
Forse Harry aveva ragione o forse stava diventando egoista, disonorando i valori della Casa dai colori giallo e nero. Il suo padrino lo stava incitando a seguire la sua strada, a farlo con serenità, eppure quel passo gli procurava troppe preoccupazioni. Andromeda stava invecchiando, aveva bisogno di suo nipote, con che cuore lasciava casa per mesi rimanendo in contatto con lei solo attraverso qualche gufo, senza poter essere presente nel caso avesse avuto necessità di qualcuno fisicamente accanto. Ciò non era nemmeno la sua unica preoccupazione a ricordargli quanto fosse inopportuno accettare quella proposta di lavoro.
 
«Com'era papà come insegnante? Tu lo hai conosciuto in quei panni»
 
«Affabile, il migliore insegnante di Difesa che Hogwarts abbia mai visto … almeno fino a te»
 
«Harry, mi ...»
 
«Non sopravvaluto nessuno»
 
Harry gli allungò un affettuoso buffetto sulla guancia. Le guance di quel ragazzo erano ancora morbide, nonostante fosse ormai un uomo. Forse era Harry che, esattamente come con i suoi figli naturali, non accettava di vederlo crescere così velocemente, rivedendo in lui il bambino che aveva contribuito insieme ad Andromeda a crescere.
 
«Sarà meglio che io vada»
 
«Già?»
 
Harry rimase deluso, si aspettava forse di poterlo invitare a pranzo, trascorrere qualche ora in sua compagnia e magari convincerlo quanto fosse sbagliato rifiutare quella proposta, invece Teddy troncò sul nascere tutti i suoi buoni propositi, alzandosi pensieroso.
 
«Grazie per il thè, zio, e salutami Li ...»
 
Non fece in tempo a terminare la frase che la piccola li raggiunse velocemente scendendo le scale. Teddy si fece nuovamente coinvolgere dal suo entusiasmo. Stavolta la salutò porgendole un bacio sulla tempia, si vedevano così di rado che dispiacque anche a lui andare. Se fosse diventato insegnante però avrebbero senz’altro avuto più occasioni di incontrarsi non appena Lily avesse intrapreso il suo percorso scolastico. Aveva trovato senza troppe difficoltà una ragione valida per accettare che lo rasserenò, ma non riuscì a placare tutti gli innumerevoli dubbi.
 
«Vai già?»
 
«Sì, tesoro, Teddy ha un impegno importante»
 
Harry gli strizzò l'occhio in segno d’intesa e gli rivolse un ennesimo sorriso orgoglioso. Teddy stava per uscire dalla porta, aveva già girato la maniglia, quando si voltò verso il padrino che nel frattempo lo aveva seguito in soggiorno.
 
«La amo tanto ... dici che dovrei parlare con Bill?»
 
«Hai intenzioni serie con Victoire?»
 
«Sì, ma con il lavoro ad Hogwarts non so quando ci consentirà di concretizzarle»
 
«Il lavoro non è un ostacolo. Bill invece ... non saprei»
 
«Sei rincuorante, sai?»
 
«Buona fortuna, ragazzo»
 
«Ed io che pensavo di non coinvolgerti per salvarti dalle sue grinfie»
 
Sapeva di poter contare sull’appoggio di Harry e almeno in parte forse avrebbe dovuto seguire di buon grado i suoi consigli.

 
[6 ottobre 2017 ore 12:30 a.m. – Hogwarts/Sala Grande]
 
La Sala Grande all’ora di pranzo era un tripudio di colori. I tavoli erano gremiti di studenti e i professori erano ai loro posti, che come sempre sovrastavano e vigilavano i componenti delle quattro Case, ordinatamente suddivise. I banchetti erano pane per i denti degli ingordi, ma beavano il palato anche di chi, come Rose, non era altrettanto goloso, ma al contrario ella sempre molto misurata. La ragazza in questione era in compagnia di James e Albus, il quale, specie dopo quello che era successo alla cugina, aveva deciso di evitare il più possibile il tavolo dei Serpeverde, ovviamente non senza incassare occhiate che invocavano l’alto tradimento. Ad Albus però importò ben poco, persino dello sguardo più enigmatico di Scorpius che aveva visto il suo compagno di Casa e di squadra allontanarsi senza che lui fosse complice dell’attacco mosso a Rose. Scorpius credeva davvero che tra loro non ci fossero più dissidi, così almeno sperava, ed invece si ritrovò lui per primo ad assecondare quella presa di distanza senza prendersi il disturbo di domandare ad Albus quale fosse il problema. Possibile che non capisse da solo che non tutti i Serpeverde erano loro nemici? Non poté ammettere di esserne stato indifferente, ma infondo si continuava a ripetere che quella amicizia lo avrebbe solo messo nei guai davanti alla sua famiglia e soprattutto con suo padre, i cui occhi diventavano fiammeggianti al solo sospetto di una complicità tra le loro famiglie.
Nel frattempo al tavolo dei Grifondoro James sembrava piuttosto sollevato nel rivedere la cugina in Sala Grande con loro, non ci avrebbe giurato dopo l’incidente che aveva subìto in campo. Anzi il ragazzo sembrava aver riacquistato anche un certo appetito.
 
«Rosie, mi hai fatto prendere una paura tremenda su quella scopa ieri»
 
«Per fortuna c'era il mio eroe a salvarmi»
 
La ragazza fissò così orgogliosamente Albus che quest’ultimo le rivolse un sorriso imbarazzato. Il fratello però, decisamente più grezzo di Rose, gli scompigliò i capelli, ignorando di avere probabilmente le mani unte dal pollo.
 
«E bravo il mio fratellino, mamma e papà saranno orgogliosi di te»
 
«Jamie, finiscila, mi stai sporcando e non trattarmi come un bambino davanti a tutta la Scuola. Rose era in difficoltà con quel bolide ed io avevo a disposizione una mazza, tutto qui. Mi dispiace solo di non essere riuscito ad impedire l’attacco successivo. Lascia che capitino sulla mia strada e puoi star certa che …»
 
«No, Al, io non cerco alcuna vendetta e spero che a nessuno di voi due venga la malsana idea di farla pagare a loro»
 
Il rimprovero che i due fratelli incassarono li zittì, non osarono ribellarsi, Rose sembrava piuttosto ferma sulla sua idea e non aveva alcuna voglia di innescare nuovi contrasti. James riprese a divorare in silenzio la sua coscia di pollo, lanciando un’occhiata complice ad Albus per comunicargli quanto fosse poco conveniente ribattere.
Poco lontano da loro, ma sul tavolo dei docenti, Neville si era perso ad osservare ogni singolo dettaglio demoralizzato, coglieva persino il più piccolo tintinnio della forchetta sul bicchiere nell’angolo a nord-ovest della sala. Non aveva molto appetito, avrebbe volentieri saltato il pranzo se la sua assenza non avesse rischiato di insospettire qualcuno. Per evitare qualunque tipo di pettegolezzo o addirittura, nelle migliori delle probabilità, di far preoccupare sua moglie, decise di presenziare. Il suo piatto era ancora intonso, nonostante fossero a tavola ormai da diversi minuti, il suo sguardo scivolava spesso e volentieri su Hannah che era seduta al posto diametralmente opposto al suo. Dopo il loro ultimo dialogo, il primo dopo diverso tempo che non si limitasse alla circostanza, sperava che il loro rapporto fosse migliorato, invece per lei lui continuava ad essere invisibile, il migliore compagno di Hannah era sempre il dolore. La voce della McGranitt colorò leggermente il suo volto di porpora, si sentì sorpreso nei suoi pensieri, benché lei non potesse sentirli, ma il suo sguardo tradiva molto più di quanto desiderasse rivelare.
 
«Neville, stai bene?»
 
«C-certo, perché?»
 
«Non togli gli occhi da Hannah, le devi forse parlare?»
 
«Mi scusi un istante, Preside»
 
Si alzò da tavolo, andando contro ogni convenevole, superò i suoi colleghi e si avvicinò quatto a sua moglie. Flesse le ginocchia accanto alla sedia di Hannah, in modo che solo lei ed eventualmente l’anziana Madam Pomfrey accanto a lei potessero vederlo, rimanendo nascosto per buona parte dal tavolo. La fece sussultare la sua improvvisa comparsa.
 
«Merlino, Neville! Si può sapere cosa stai facendo accovacciato?»
 
«Scusa, non volevo spaventarti, ma non so a chi altro chiedere senza fare la figura del tonto. La Preside ha dato anche a voi quei registri da compilare con il nome degli studenti e ciò che fate durante il giorno?»
 
Hannah lo fissò dall’alto verso il basso con scetticismo. Suo marito sembrava nervoso e dubitava che fossero quei semplicissimi registri a generare tanta ansia. Non gli rispose subito, forse in attesa che lui confessasse il vero motivo per il quale aveva interrotto il pranzo ad entrambi.
 
«Vuoi che ci ritagliamo qualche ora e ti faccio vedere?»
 
«Sarebbe fantastico. Se non ti disturbo, ovvio»
 
Aveva capito perfettamente che era solo una scusa banale per trascorrere del tempo con lei. Non era forse stata abbastanza chiara quando gli aveva chiesto altro tempo dal duro colpo che la vita aveva riservato loro? A quanto pare il messaggio non era giunto a destinazione.
 
«Neville, si può sapere cosa stai cercando di fare?»
 
«Voglio solo parlare un po’ con te, tutto qui»
 
«Per dirmi cosa? Credevo ci fossimo già chiariti»
 
Si alzò e appoggiò al tavolo, incurante degli sguardi di tutti i presenti. Le sorrise e con un dolce filo di voce si voltò verso di lei.
 
«Non possiamo esserci chiariti se nulla è cambiato tra di noi ... e se ci risposassimo?»
 
La lasciò senza fiato quella proposta. Capì dallo sguardo di suo marito quanto fosse convinto e determinato a restarle accanto probabilmente per il resto della vita.
 
«Pessima idea, Neville, una delle tue idee peggiori. N-non mi sembra nemmeno il luogo migliore per dire simili assurdità. Ora, scusami, ma non mi sento tanto bene. Tu torna al tuo posto, abbiamo attirato fin troppo l’attenzione»
 
Si alzò, cercando di essere il più discreta possibile, ma gli occhi di tutti, studenti e professori, avevano notato i loro spostamenti. Prese la via dei sotterranei, imboccando una porticina ed entrando in un corridoio buio, benché fuori dal Castello il sole fosse alto in cielo. Indugiò con la schiena accanto a quell’ingresso solo qualche istante. Era quasi convinta che Neville dall’altra parte si fosse fermato ad udire i suoi sofferti sospiri, doveva essere quello il motivo per cui non si era ancora deciso ad inseguirla. Lei era sicura che presto l’avrebbe raggiunta. Fu esattamente ciò che lui fece, non appena Hannah si decise a proseguire la sua via, ma non fece molti passi.
 
«Hannah!»
 
Sentì rimbombare sulle pareti dei sotterranei alle spalle la voce arrabbiata di suo marito. Non ebbe paura, ma la colpì quel tono infuriato. Temeva di voltarsi verso di lui e incontrare la sua espressione delusa e amareggiata.
 
«Hannah, hai intenzione anche di lasciarmi? Come se infondo non lo avessi già fatto, vero?»
 
Non riuscì ad accettare quelle insinuazioni, non era assolutamente vero, lei non avrebbe mai potuto lasciare l’uomo che amava, ma il problema era proprio quello, l’aveva tenuto legato a lei buttando via quegli anni della loro vita insieme.
 
«Io non ti ho lasciato due anni fa! Ma quando mai ti avrei detto una cosa simile?!»
 
«Ah no? E ignorarmi tu come lo chiami? Forse hai ragione, hai fatto di peggio, hai lasciato che il nostro rapporto si logorasse»
 
«Io non sono nessuno per rovinarti la vita, tu con me non puoi essere felice, non più»
 
«Ed ora chi parla, la Tassorosso che è in te? Eccesso di altruismo?»
 
«Parla la donna che ti ama tanto e che non può rinnovare quelle promesse con la consapevolezza di non poterti mai dare una famiglia. Neville, ti prego, cerca di capire»
 
«Hannah, non voglio una famiglia, io voglio te!»
 
«Parli come un adolescente, sembri uno dei tuoi studenti»
 
Quel commento lo offese particolarmente, eppure gli era parso di aver parlato con il cuore in mano, ma come sempre con lei, da due anni a quella parte, fu tutto inutile.
 
«Va bene, Hannah, se è ciò che vuoi, se il tuo scopo è allontanarmi da te, è ciò che avrai. Tanto è ciò che hai iniziato a fare tempo fa, non capisco per quale ragione io mi stia sforzando a convincerti del contrario»
 
Stava tornando rassegnato in Sala Grande per continuare a fingere davanti ai colleghi, alla Preside e agli studenti che andasse tutto bene. Avrebbe continuato a non toccare cibo, la voragine allo stomaco che si era aperta per il dolore non era rimarginabile senza di lei. Sua moglie non riusciva proprio a capire quanto si stessero causando solamente altro male in aggiunta alla perdita che entrambi avevano subìto. La voce pacata di Hannah gli impedì di riaprire la porticina.
 
«Perché mi ami, Neville, e lo apprezzo. Nonostante tutto, l'amore è reciproco»
 
«Però non mi dai alcuna possibilità di dimostrarti che insieme noi possiamo farcela»
 
«Proprio perché ti amo, io non riesco a costringerti al mio fianco così. Neville, qui l'unico Grifondoro sei tu»
 
«Non pensavo servisse coraggio per stare insieme»
 
«Da due anni a questa parte sì, ma non per colpa tua»
 
«Hannah, non è nemmeno colpa tua»
 
«Sono io in difetto, non tu»
 
«Non l'ho mai vista così, per me non era cambiato nulla. Cambiare i nostri progetti non era stato un peso, purché insieme»
 
Capirono che il pranzo doveva essere finito, quando sentirono passi e voci nei sotterranei, segno che i Serpeverde e i Tassorosso stavano facendo ritorno alle loro Sale Comuni. Non se la sentirono di proseguire, paradossalmente le giornate senza rivolgersi la parola piuttosto che discutere scorrevano più serenamente.
 
«Neville, in giornata posso passare in Serra a prendere la Valeriana, o ti disturbo? Mi serve per alcune pozioni»
 
«Basta che non esageri»
 
«Com ...»
 
«Come ho fatto a capire che era per uso personale? Ti conosco, sei particolarmente emotiva, quindi ho immaginato ti servisse qualcosa per riposare»
 
«C-certo che non esagero»
 
«Non sei brava a mentire»
 
 
[6 ottobre 2017 ore 15:00 p.m. – Casa Weasley/Potter]
 
Il rientro a casa per Ginny dopo un lungo allenamento con le Holyhead Harpies fu un grande sollievo per il fisico e l’anima. Tra le mura del numero 12 di Grimmauld Place poteva riposare, ma non sempre ritrovava la compagnia della sua famiglia. Quel giorno però era diverso, era certa di trovare a casa suo marito che aspettava il suo rientro prima di raggiungere il Ministero. Sapeva già dove lo avrebbe trovato, purtroppo si stava quasi sicuramente preparando per le lunghe ore di lavoro che lo aspettavano. Anche Ginny raggiunse la loro stanza per togliersi la sua divisa di Quidditch e indossare qualcosa di più comodo. Rimase qualche minuto sulla porta, mentre lui si infilava la divisa allacciando con attenzione ogni bottone. Sembrava quasi che suo marito indugiasse, non aveva alcuna fretta, forse la stava attendendo.
 
«Harry, è già ora che tu vada?»
 
«Ehy, ciao. Sì, tesoro, ci vediamo domattina»
 
«È il giorno del turno infinito?»
 
«Sì, è proprio quel giorno»
 
Ginny si sedette sconsolata e sovrappensiero sul letto che quella mattina aveva rifatto proprio lei prima di uscire di casa. Sovrappensiero iniziò a togliersi le ginocchiere, i paragomiti, i guanti e le scarpe slacciando i lacci con affaticamento mentale. Messi da parte gli scarponi di Quidditch rimase a fissare tutto ciò che aveva tolto, ripensando alle numerose partite in cui l’avevano accompagnata, alle decine di vittorie con quella divisa e alle emozioni che quello sport le infondeva ogni volta che gareggiava o semplicemente durante gli allenamenti che svolgeva. Si era per un istante dimenticata di non essere sola nella camera, eppure Harry era proprio di fronte a lei, mentre indugiava sul colletto della divisa davanti allo specchio. Poteva però Ginny incontrare il suo sguardo proprio attraverso i loro riflessi. Il coraggio di parlare al marito dei suoi dubbi le sorse grazie ai suoi occhi verdi che incrociando di tanto in tanto i suoi, quando li scollava dalla divisa, le sorridevano.
 
«Non hai nemmeno qualche minuto per parlare?»
 
«Ma certo, dimmi»
 
La disponibilità dell’uomo la mise in ansia per l’argomento che pensava di trattare con lui. Prese un profondo respiro, era convinta che parlarne con lui l’avrebbe aiutata a prendere la decisione migliore per sé e la sua famiglia, non era però certa che il tempismo fosse corretto.
 
«Harry, non sono più sicura vada tutto bene»
 
Ginny mise con uno scatto ciò che si era tolta sul letto, lui seguì in silenzio quei gesti e temette per un istante di essere lui la causa di tanta ansia.
 
«Cosa ti turba?»
 
Gli occhi verdi di Harry erano puntati su di lei, stavolta senza la mediazione dello specchio, lui si era voltato verso la moglie. La rasserenò lo sguardo dolce e comprensivo di suo marito, ma non seppe spiegare ciò che Harry tenne per sé.
 
«Ho una gran voglia di mandare al diavolo la squadra e tutta la mia carriera. Ho già chiesto un consiglio ad Hermione, ma senza dirmelo mi ha dato della pazza. Tu invece cosa ne pensi? Credi anche tu che io sia pazza a mollare tutto?»
 
Harry non sapeva cosa dire. I dubbi di essere il colpevole principale di quella decisione si fecero più pressanti. Ciò che gli confessò fu del tutto inaspettato per lui.
 
«Sono stato io a …»
 
«Harry, no … sento solo che è giusto così per la mia famiglia. Sai, stavo pensando che potrei entrare a far parte della redazione della Gazzetta del Profeta, magari potrei continuare ad interessarmi di Quidditch. Ron sarebbe contento, non credi?»
 
Glielo stava dicendo proprio nel momento in cui lui aveva poco tempo a disposizione, mentre ciò che gli stava domandando richiedeva molta più attenzione.
 
«Sai, Ginny, sei molto più virtuosa di me. A me non è mai venuto in mente di cercare un compromesso per la mia famiglia»
 
«Harry, non è questione di virtù, tu sei il capo degli Auror e non puoi …»
 
«E tu la Cercatrice delle Holyhead Harpies. Stai facendo vincere non poche partite alla squadra, non credo che Angelina ne sarà entusiasta»
 
«E l’entusiasmo dei miei figli? Harry, credevo fosse una bella notizia per te»
 
«Non te l’avrei mai chiesto»
 
«Infatti non me lo hai chiesto … o il problema è che ti senti in difetto?»
 
Harry deviò la domanda dando un’occhiata all’orologio da polso, scostando leggermente il polsino della divisa. L’ora temuta, quella che avrebbe interrotto quella delicata conversazione era ormai sopraggiunta.
 
«Devo andare. Lily ha pranzato con me ed ora sta riposando nella sua camera»
 
Si voltò verso la porta, intenzionato a raggiungere il Ministero e forse a prendere tempo, per pensare alla risposta migliore da dare a sua moglie.
 
«Harry. Non ci rivedremo fino a domattina, ti va di non lasciare la conversazione in sospeso?»
 
«Ginny, sono in difficoltà, non so cosa dirti. Senti, al Ministero è un casino, Hermione vuole dimettersi, Ron nel limite del possibile la sostituirà, ma prevedo già che mi chiederà aiuto … troppi cambiamenti in poco tempo»
 
«Certo … ed io che pensavo di renderti felice»
 
«Amore, lo sono … scusa»
 
«Vai, Harry, non tardare per colpa mia»
 
«Ti sei offesa?»
 
Lo lasciò in sospeso, convinto di averla infastidita, ma in effetti la sua leggerezza non la entusiasmò. Ginny si tolse il corpetto della sua divisa quasi stanca del peso del ruolo importante che ricopriva nella squadra. Il marito seguì ogni singolo gesto sperando di non aver acceso involontariamente una discussione, non desiderava litigare prima del lavoro. L’espressione severa di Ginny però che si avvicinava a lui non prometteva nulla di buono.
 
«Vado a dare un bacio a mia figlia, non la vedo dall’alba»
 
Harry le bloccò d’istinto la via, posando una mano sullo stipite della porta.
 
«Ehi, non farmi andare al lavoro così, lo hai detto tu, fino a domattina non sono a casa»
 
«Meglio, così magari avrai il tempo di pensare e saprai alla fine farmi sapere con più chiarezza la tua opinione. È anche probabile che scopriamo non ti importi nulla di me e pensi solo a lavarti tu la coscienza. Ma certo, Harry, il problema più grande ora è la tua serenità, immagino, troppo casino al Ministero per dedicarmi attenzione. E no, se lo stai pensando, continuo a non accusarti di nulla, mi infastidisce solo il tuo comportamento menefreghista nei confronti della mia decisione, visto che questo mi fa star male … avrei voluto solo un po’ più di interesse da parte tua a tal proposito»
 
Gli spostò con risentimento il braccio e si avviò verso la cameretta di Lily. Harry uscì dalla stanza e non seppe se imboccare l’uscita o seguire la moglie. Alla fine mandò al diavolo la puntualità, sfruttando per una volta la sua posizione di superiorità, in gioco, dopo le parole di lei, c’era molto di più che un turno di ronda con i colleghi per le vie di Notturn Alley e lui purtroppo non gli aveva dato il giusto peso, ma solo per difficoltà ad affrontare la situazione, non certo per disinteresse.
 
«Ginny!»
 
Lei continuò imperterrita la sua strada a passo sostenuto, era chiaramente arrabbiata.
 
«Ginevra, ti vuoi fermare un attimo?»
 
Il tono di voce era basso e serio. A quel richiamo così insolito da parte di suo marito, si fermò, ma ciò che vide appena prima di posarvi sopra i piedi scalzi non le piacque affatto. 
 
«E questo?»
 
Ginny gli mise sotto gli occhi un pezzo di vetro recuperato con attenzione da terra. Harry era diventato bordeaux, non appena comprese che il gioco di quella mattina con Lily gli doveva essere sfuggito di mano, senza che lui se ne fosse accorto.
 
«Dimmi che non avete giocato di nuovo con la pluffa in casa, ho frainteso, vero?»
 
«Ecco, posso spiegarti …»
 
«Stiamo avendo proprio una cattiva influenza su nostra figlia»
 
Appoggiò quella delicata parte di quadro su un tavolino lì accanto e riprese la sua via.
 
«Ginny, dai, scusa. Tranquilla che Lily non vuole giocare a Quidditch, mi ha detto che vuole insegnare ad Hogwarts»
 
«Sì e nel frattempo distrugge la casa»
 
«Vabbè, ma a te che importa, non è nemmeno tua»
 
Benché ormai i due coniugi stessero discutendo, venne spontaneo ad Harry un sorriso forse fuori luogo per le circostanze, ma credeva solo di fare una battuta per stemperare la tensione, nulla di più, eppure Ginny non gradì affatto. Si voltò verso di lui ancora più arrabbiata di prima.
 
«Questa mi mancava, Potter, è così che vuoi rappacificarti con me?»
 
«Ma no … Ginny, sai cosa intendevo. Ti prego, dai. Sono felice della tua decisione, potrai essere a casa nostra più tempo»
 
«Hai paura di essere messo ancora più in cattiva luce agli occhi di Albus, non è difficile da capire»
 
«Non ho paura di nulla, perché dovrei essere invidioso del rapporto che c’è tra te e i nostri figli?!»
 
Iniziò lui per primo ad alzare la voce, stufo delle illazioni della moglie, ma quando se ne accorse la abbassò subito quasi mortificato, visto che le sue erano intenzioni di pace.
 
«Ma che motivo avrei. Le tue scelte sono libere, tra me e te non c’è alcuna competizione, anzi i ragazzi saranno più contenti se potranno godere maggiormente della tua presenza, visto che io sono sempre molto impegnato»
 
«Vai al lavoro, Harry, non perdere tempo prezioso e finiamo qui questa assurda discussione»
 
Si diresse verso la camera di sua figlia ed Harry rimase lì, immobile, seguendo con lo sguardo i passi della moglie, che avendo i piedi nudi, avanzava con attenzione reduce dal pericolo che aveva poco prima sfiorato con quella scheggia di vetro. Dopo qualche istante sovrappensiero, entrasse la bacchetta e sistemò il quadro rotto dalla pluffa di Lily, conscio del fatto che ciò non sarebbe bastato a far tornare l’armonia in quella casa. La seguì perciò in camera della figlia, aprì la porta e trovò la moglie mentre riponeva il bucato, che quella mattina aveva trascurato per la fretta di raggiungere gli allenamenti, nei cassetti. Harry lanciò un dolce sguardo a Lily, intenerito dal riposo della bambina, per poi dirigersi a passo felpato verso la moglie. Impiegò il tono più basso che riuscisse per non disturbare la piccola.
 
«Ginny»
 
«Sei in ritardo, Harry. E se voglio proprio essere puntigliosa, visto che stamattina non hai lavorato, avresti potuto fare una breve ricognizione per la casa e riporre il nostro bucato e quello di Lily, invece di assecondare i giochi distruttori di nostra figlia»
 
«Eh dai, tesoro, non ho proprio pensato ai lavori domestici a parte al pranzo. Ho trascorso qualche ora con Lily, lo sai che si lamenta sempre che la trascuro, poi è venuto a trovarci Teddy e la mattinata è trascorsa così. A proposito, mi conviene andare prima che si svegli e inizi a piangere mentre esco di casa»
 
Stava per porgerle un bacio sulla guancia per salutarla, ma Ginny si scostò risentita, riservandogli poca importanza e continuando con il suo lavoro. Quel gesto di affronto lo infastidì parecchio.
 
«Senti un po’, Ginny, hai intenzione di …»
 
Stavolta aveva alzato un po’ la voce, stufo della testardaggine della moglie e rammaricato dovette accettare che la bambina si fosse svegliata per causa sua.
 
«Papà»
 
Ginny lo fulminò per aver spaventato la figlia, stavolta non si fece alcun problema a degnarlo di attenzione. Ricambiò dispiaciuto lo sguardo di rimprovero della moglie, ma Harry si avvicinò al letto di Lily per fuggire dalla sua furia.
 
«Sto andando al lavoro, tesoro»
 
Si sedette sul lenzuolo accanto alla piccola con un sorriso, rassegnato ormai al fatto che avrebbe tardato e che non avrebbe potuto avanzare come scusa quella degli occhi tristi della sua bambina.
 
«Di già, papà?»
 
«Sì, piccola, ma ora c'è la mamma con te, non ti lascio sola, per qualsiasi cosa rivolgiti a lei»
 
Harry le scostò con il dito i capelli dalla fronte e vi porse un bacio per salutarla. Si stava alzando, iniziava lui per primo a sentire i morsi della malinconia all’altezza del petto, ma Lily non gli rese facile quell’impresa, afferrandolo velocemente per il polsino della divisa.
 
«Papà, aspetta»
 
Recuperò dal cassetto del suo comodino un braccialetto e tenendo ben saldo tra le mani il braccio per il quale lo aveva trattenuto, gli legò una piccola cordicella colorata al polso, proprio sotto la divisa.
 
«Così sono con te, anche quando sei lontano da me»
 
«Amore mio, mi manchi tanto anche tu quando non sei con me»
 
Le rinnovò un bacio tra i capelli un po’ spettinati, appoggiandosi al materasso con la mano e inclinandosi leggermente in avanti per raggiungere la bambina.
 
«Vai, papà, non fare aspettare la zia Hermione»

 
[7 ottobre 2017 ore 3:45 a.m. – Casa Granger/Weasley]
 
Le notti di ottobre erano sempre state un tormento per Hermione, non riusciva mai a capire se in quella stanza ci fosse caldo o freddo. Quella particolare notte però il microclima della loro camera era ancora più particolare, perché l’indomani l’impresa che lei e suo marito avrebbero dovuto affrontare era alquanto difficile. Proprio per quella ragione non riusciva a comprendere il riposo sereno di Ron. Giusto per peggiorare la sua indecisione sulla sensazione di freddo e di caldo, suo marito aveva pensato bene di voltarsi verso di lei e cingerla con un braccio con poca grazia. Se non fosse stato immerso in un sonno profondo e non avesse fatto crollare il braccio a peso morto direttamente sul suo stomaco, avrebbe anche potuto apprezzare il gesto, infondo ora la stava abbracciando, nonostante i loro mille litigi degli ultimi giorni. Gli accarezzava sovrappensiero il braccio, infondo era lui che avrebbe dovuto iniziare un lavoro per il quale si sentiva totalmente negato, facendo a lei un immenso favore e provando a rimediare probabilmente ad anni di trascuratezze.
 
«Ron?»
 
Suo marito annuì, benché Hermione avesse impiegato appena un filo di voce, convinta che lui non le rispondesse. Fu molto strano, credeva stesse dormendo tranquillo. Ritentò, magari anche lui era nervoso, il suo era solo un dormiveglia e quell’abbraccio era sincero e non casuale.
 
«Non sei agitato per domani? Lo sono io per te, quindi posso immaginare quanto lo sia tu»
 
Stavolta non diede segni. In effetti il respiro di suo marito era pesante, infondo di cosa si stava sorprendendo.
 
«Ron, hai qualche ripensamento? Ti capirei se così fosse, davvero»
 
Non aprì gli occhi, ma inaspettatamente per lei la strinse più forte, quella era probabilmente la sua risposta e per lei fu molto rincuorante. Hermione gli porse nuovamente qualche carezza sul braccio per ricambiare il gesto di affetto.
 
«Sono consapevole di star chiedendo a te tanto e ti ringrazio per il tuo aiuto … significa tanto per me»
 
Sussurrò, non era certa che lui la sentisse, era solo speranzosa. Sentì all’improvviso il respiro caldo di Ron accanto al viso e solo tre parole un po’ impastate dal sonno.
 
«Ti amo, Hermione»
 
Sorrise, non sapeva se avesse parlato nel sonno o fosse sveglio, eppure era riuscito ad infonderle serenità.
 
«Anche io … tanto. Nel sonno diventi davvero molto dolce»
 
«Non sto dormendo»
 
Hermione fece appena in tempo ad udire le parole assonnate di Ron, quando Hugo comparve sulla porta con passo felpato e si avvicinò al letto. La madre lo intravide proprio in quel momento nella penombra della stanza, rischiarata appena dalla luce della luna che filtrava attraverso la persiana. Gli fece cenno con un sorriso di non fare confusione.
 
«Sshh, amore, papà sta dormendo. Hai bisogno di qualcosa?»
 
«Non riesco a dormire»
 
Hermione non avrebbe potuto invitarlo nel letto con loro, Ron occupava la parte destinata al bambino, così dovette trovare una soluzione alternativa.
 
«Vengo nella cameretta con te e ci addormentiamo insieme. Dammi solo un secondo, mi libero da papà»
 
Scostò delicatamente il braccio del marito appoggiandolo sulle lenzuola, ma nonostante la prudenza, lui si svegliò comunque, confuso anche di vedere il figlio in piedi vicino al letto.
 
«Hermione, dove stai andando?»
 
«Torno subito, aiuto Hugo ad addormentarsi»
 
«Hugo, stai qui con noi»
 
Si scostò ed invitò il bambino a stendersi accanto a loro. Ovviamente quest’ultimo colse al volo l’occasione. Anche Hermione sembrò essere particolarmente contenta di quella proposta e si dedicò a porgere qualche carezza al piccolo per favorire il suo sonno. Probabilmente in quella notte non sarebbe riuscita a riposare, come invece sembravano aver già fatto il marito e il figlio, ma almeno aveva la certezza di poter beneficiare della loro compagnia e insieme a quella rassicurazione avrebbe potuto attendere l’alba.
La mattina sopraggiunse con la forte luce dell’aurora che li inondava. Hermione alla fine doveva essere riuscita a dormire qualche ora, perché si sentiva intorpidita. La prima scena che le si parò davanti al risveglio fu quella del figlio rannicchiato accanto al fianco del padre e Ron che lo stringeva a sé. Stava ancora pensando a quella dolce immagine, quando scese le scale per raggiungere la cucina, intenzionata a preparare la colazione. Ebbe una triste sorpresa però, suo marito era già impegnato ad imbandire la tavola di tazze e piatti. Nonostante avesse ormai fatto il grosso del lavoro, si propose comunque di fare la sua parte, soprattutto quando vide che stava consumando la sua colazione in piedi.
 
«Amore, ti aiuto? Non è necessario che mangi in piedi. Siediti, al resto penso io»
 
«La forza dell'abitudine»
 
Si sedette per finire il suo succo di zucca e seguire sovrappensiero i movimenti della moglie. Ad Hermione, particolarmente in tensione, non sfuggì lo sguardo pensieroso di Ron.
 
«Sei agitato?»
 
«Ma no, tanto ci sarai tu ad aiutarmi, finché non avrò imparato, no? So già che non mi abbandonerai»
 
«Certo che non ti abbandono»
 
«Bene»
 
Le sorrise, fiducioso sul fatto che quella mattina lei gli avrebbe impartito qualche lezione su ciò che avrebbe potuto svolgere. Si alzò quando stava ancora masticando la sua fetta di pane.
 
«Vado a controllare Hugo»
 
«Vado io, Ron, resta seduto e finisci di fare colazione tranquillo»
 
Lo stupì talmente tanto che si bloccò a mezz’aria dalla sedia, con le mani appoggiate ai braccioli e la fetta di pane tra i denti. Quando lei tornò con il bambino, Ron stava iniziando a sparecchiare, lasciando solo la colazione del figlio e della moglie in tavola. Hermione gli si avvicinò con determinazione.
 
«Che fai?»
 
«Sparecchio?»
 
La donna gli tolse dalle mani la tazza e il piatto che stava portando nel lavello, prendendo il suo posto. Ron iniziava seriamente ad essere confuso.
 
«Hermione, ti senti bene? Saranno quasi dieci anni che penso io alla colazione, mentre tu voli al lavoro»
 
«Oggi andiamo insieme al lavoro, ricordi?»
 
Non si allontanò dal lavello, anzi vi si appoggiò provata. Ron poté facilmente capire il suo stato d’animo, quando lei abbassò lo sguardo verso il pavimento e capì che erano state quasi sicuramente le sue parole a sortire quell’effetto. Le aveva involontariamente per l’ennesima volta ricordato le sue mancanze. Stavolta era davvero mortificato, era stato poco delicato, così per rimediare si avvicinò a lei per non farsi sentire dal bambino intento ad addentare la sua colazione. Quando le fu abbastanza vicino, le fece passare le dita sotto il mento per invitarla ad alzare lo sguardo su di lui.
 
«Hermione, mi guardi?»
 
Notò subito gli occhi lucidi di Hermione e comprese la sua disperazione. Nonostante Hermione stesse esplodendo dal dolore di ciò che aveva combinato, anche lei ebbe l’accortezza di non farsi udire dal figlio per non spaventarlo, infondo suo marito era a pochi centimetri da lei e l’avrebbe ugualmente udita.
 
«Ho rovinato tutto, Ron!»
 
«Non hai rovinato niente»
 
«Ho buttato via gli anni migliori della vita dei nostri figli e tu mi dici che non ho rovinato niente?!»
 
Non riuscì a moderare il tono come avrebbe voluto, benché la presenza del bambino, al quale riservò uno sguardo sofferto. Hugo aveva già espresso il suo disagio per l’assenza della madre ed in coscienza Hermione non poteva certo sentirsi a posto.
 
«Hermione, li recuperiamo, stai tranquilla. Oggi ti aiuto e cerchi di essere a casa prima, così trascorri qualche ora in più con nostro figlio»
 
«E come?»
 
Gli sorrise sarcastica, lei non riusciva ad essere altrettanto ottimista.
 
«Gli anni non si recuperano, Ron, quelli si perdono e basta. A te piaceva il lavoro al negozio ed ora per colpa mia l’hai dovuto lasciare»
 
Più i giorni passavano, più si rendeva conto di aver sconvolto con quelle scelte la vita alla sua famiglia. Era disperata.
 
«Tesoro, solo provvisoriamente»
 
Udirono la sedia del figlio strusciare con poca grazia sul pavimento per consentire al piccolo di alzarsi al termine della sua colazione e correre in camera a prepararsi. Non dovettero rivolgergli alcuna raccomandazione, sapeva già di dover essere pronto a breve per raggiungere la Tana. Ron attese solo qualche istante per lasciare che il bambino si allontanasse e si rivolse alla moglie.
 
«Senti ... per le vacanze di Natale ti va una partita insieme ai ragazzi? Staresti in loro compagnia e faremmo felice Rose»
 
«E tu pensi che sia sufficiente?»
 
«No di certo, è solo un inizio»
 
«Ron, non c’è nulla che mi rincuori ora»
 
La attirò a sé per abbracciarla, era forse troppo che non la stringeva, visto che per la maggior parte del tempo che trascorrevano insieme non facevano altro che discutere. La invitò afferrandole le braccia a circondargli il collo, era talmente demoralizzata che forse nemmeno l’abbraccio di suo marito avrebbe potuto rasserenarla, un tentativo però andava fatto, visto che anche lei era stanca dei loro litigi. Non appena Ron avvertì la presa di lei alla base del suo collo, affondò il viso tra i capelli di Hermione e la strinse più forte, sussurrando accanto all’orecchio.
 
«Andrà tutto bene, amore»
 
Chiuse gli occhi per godere del calore di quell’abbraccio, ma nonostante fosse tra le braccia di Ron continuava a fremere in ansia. A lui non sfuggì il suo stato.
 
«Hermione, calmati»
 
«Rose sta crescendo ed è arrabbiata con me»
 
«Quella ragazza non ce l'ha con te»
 
«Mi manca. Mi manca trascorrere qualche ora con la mia bambina e adesso è ad Hogwarts»
 
Lo sentì sbuffare contro la sua spalla, stanco di ripeterle che insieme sarebbero riusciti a sistemare tutto e a dedicare entrambi più tempo alla famiglia, eppure lei continuava a sentire il peso dei sensi di colpa. Stavolta era sicuro di non avere sbagliato nulla, la stava aiutando come meglio poteva, serviva solo pazienza per vivere giorni migliori. Sciolse il loro abbraccio solo per poter catturare i suoi occhi.
 
«Rimediamo»
 
«Ron ...»
 
Le posò delicatamente una mano sulla bocca per invitarla a stare zitta.
 
«Per carità, Hermione, ora devo sentire le tue lamentele finché non trovi un valido sostituto che voglia ricoprire il ruolo di Ministro al tuo posto?»
 
«Ron ... cosa mi sono persa in questi sette anni?»
 
Lo vide alzare gli occhi al cielo, stava chiaramente mettendo a dura prova la pazienza di suo marito, pazienza che lui non sapeva più dove recuperare per sopportare le paranoie e le idee di sua moglie.
 
«Ron? Dai, sii sincero e dimmi la verità, anche se fa male. Quanti momenti ho sprecato lontana da voi?»
 
«Nessuno, perché i migliori dovranno ancora arrivare»

 
[7 ottobre 2017 ore 8:00 a.m. – Ministero della Magia londinese/Ufficio del Ministro della Magia]
 
Non appena arrivarono al Ministero, Hermione condusse Ron verso il suo ufficio. Suo marito non era per nulla a suo agio tra quelle mura, non disse nulla nemmeno quando rimasero soli sull’ascensore per raggiungere il primo piano. Era sempre più convinta che le sue rincuoranti parole non rispecchiassero ciò che lui realmente provava e pensava. Aveva ceduto solo per accontentarla e aiutarla, ma la verità era la sua prima reazione alla proposta e non era stata per nulla entusiastica. Il primo piano si raggiungeva velocemente, l’impresa più ardua era stata farlo entrare nel Ministero, visto che lui, benché parente del Ministro, non era autorizzato all’ingresso se non come semplice visitatore. Percepì chiaramente l’agitazione di Ron fin in prossimità della porta. Hermione la aprì e fece strada a Ron che la richiuse alle spalle. Dopo diversi minuti di silenzio, fu Hermione a romperlo senza troppo entusiasmo.
 
«Questo è il mio ufficio»
 
«Lo so, Hermione, non è la prima volta che ci entro»
 
«Siediti»
 
«Dove?»
 
«Alla scrivania»
 
«Io non sono il Ministro»
 
«Ma è qui che lavorerai nei prossimi giorni»
 
La ascoltò a disagio, ogni passo che faceva tra quelle pareti era misurato. Si accomodò sulla sedia di Hermione e fece vagare lo sguardo sulla scrivania. Non lo stupì affatto l’ordine, motivo per il quale non osò toccare nulla, almeno fino a che lei non gli desse qualche indicazione. Hermione tornò poco dopo con un insieme di fascicoli recuperati da un armadio e li pose davanti a lui, ignorando i fogli rimasti sopra la scrivania probabilmente dal giorno prima. Aprì uno dei fascicoli restando in piedi al suo fianco e si appoggiò alla scrivania per dargli qualche lezione base sul lavoro che avrebbe dovuto svolgere. La stava ascoltando, peccato che fosse anche altrettanto distratto dal profumo e dalla vicinanza di Hermione.
 
«Ron, ti vuoi concentrare?! Per fortuna sono tua moglie»
 
«Ma infatti ho questa reazione perché sei tu»
 
«Oh, Merlino, che pazienza devo avere con te. Ron, tra un'ora devo essere in aula interrogatori per un'udienza, non distrarti»
 
Stavolta non si chinò più e si appoggiò alla spalliera della sedia, rimase alzata per favorire la concentrazione di entrambi. Afferrò una penna ed iniziò ad indicare sul foglio per spiegare meglio a Ron. Venne interrotta però ancor prima di cominciare, quando qualcuno bussò alla porta. Con uno sbuffo acconsentì a chiunque fosse di entrare.
 
«Avanti»
 
«Minist … mi dispiace, non volevo disturbare»
 
Era un Auror, Ron lo capì subito dalla divisa particolarmente simile a quella che indossava Harry. Si distrasse dai fascicoli e prestò attenzione insieme a sua moglie a ciò che doveva comunicarle. Il ragazzo era mortificato per aver interrotto il Ministro e quello che sapeva essere suo marito.
 
«Non disturbi, dimmi»
 
«Volevo informarla che la sua udienza è stata anticipata»
 
«Quando è?»
 
«Tra mezz'ora»
 
«Va bene, grazie»
 
Il giovane Auror non si decideva ad andarsene, benché Hermione avesse nuovamente abbassato lo sguardo sui fogli. Fu Ron ad accorgersene e schiarendosi la voce, cercò di attirare l’attenzione di Hermione su quel ragazzo.
 
«Che altro c'è?»
 
«L'accusato desidera parlare prima con lei ora»
 
«D'accordo, tra qualche minuto sarò in sala interrogatori»
 
Il portavoce era a disagio, non era certo che ciò che stava per dirle fosse consono, ma lui e i suoi colleghi non sapevano in che altro modo gestire la situazione.
 
«Vuole vederla qui, desidera un incontro privato»
 
«E non sai di cosa voglia parlarmi?»
 
«Continua a proclamarsi innocente, immagino desideri domandarle compassione, teme Azkaban»
 
Aveva notato l’agitazione di quell’Auror appena uscito dall’Accademia e non era sua intenzione metterlo in difficoltà. Hermione gli sorrise, la sua esperienza l’avrebbe senza dubbio aiutata a gestire la situazione senza troppe difficoltà.
 
«Non preoccuparti, ci penso io, accompagnatelo qui»
 
Il giovane fu grato al suo Ministro per la comprensione. Chi invece non sembrava affatto sereno fu Ron. Fissava sua moglie sbalordito dal coraggio che stava dimostrando e continuò a scrutarla anche quando lei con non chalance aveva continuato ad esaminare il fascicolo per poterlo spiegare anche a lui. La mente di Ron iniziò a pensare e a riflettere sul fatto che probabilmente in quei sette anni di carriera Hermione, a stretto contatto con i più svariati criminali, avesse messo più volte a repentaglio la vita, totalmente incurante del pericolo.
 
«Allora, Ron, qui …»
 
«Tu parli con gli accusati da sola nel tuo ufficio con la porta chiusa?»
 
«Se c'è la necessità sì»
 
«No, scusami??»
 
«Non faccio nulla di male, perché mi guardi come se fossi impazzita?»
 
«Ma loro potrebbero farne a te. Kingsley lo faceva?»
 
«Credo di no»
 
«A maggior ragione, tu sei una donna»
 
Lo fissò offesa, in quel periodo le mancava proprio il pensiero maschilista di suo marito per completare la serie di problemi che avevano e le conseguenti discussioni che innescavano. Possibile che si fosse già dimenticato che niente e nessuno l’aveva mai spaventata?
 
«Che c'è? Mi preoccupo solo per te»
 
«Non è necessario, davvero. E poi ci sono già gli Auror a proteggermi. Vorresti essere un Auror?»
 
«Assolutamente no. Nemmeno Harry sarà presente?»
 
Ma la verità era che a costo di proteggerla avrebbe anche intrapreso quella strada che tanto lo spaventava e che riteneva per lui una montagna invalicabile.
 
«Hai sentito il mio Auror, vuole incontrarmi da sola. Tranquillo, non mi accadrà nulla, è disperato e vuole la grazia, ma non ho intenzione di farmi impietosire. Ron, tu tra un paio di minuti devi essere fuori dall'ufficio. Ti interessa qualche dritta sì o no? Ti avviso che nei prossimi giorni dovrai cavartela da solo»
 
«Dimmi, ti ascolto»
 
La rassegnazione di Ron a lasciarla in quell’ufficio in compagnia di un criminale durò una frazione di secondo.
 
«Sarà questione di poco, vero? Poi lo porti in tribunale dove non sei sola»
 
Hermione sbuffò, stanca di doverlo pregare di prestarle attenzione.
 
«Mi arrendo, arrangiati»
 
Lo prese per un braccio invitandolo ad alzarsi ad aspettare fuori. Lui non ebbe altra scelta, dovette assecondarla, ma prima di lasciare la stanza non mancò di lasciarle altre raccomandazioni.
 
«Hermione, cerca di essere prudente»
 
Prese con urgenza qualche fascicolo e glielo sbatté contro il petto senza nemmeno accertarsi che lo afferrasse.
 
«Inizia a sfogliare questi, quando ho finito ne riparliamo»
 
Iniziò a spingerlo verso la porta, Ron oppose un po’ di resistenza, ma era certo che avrebbe vinto lei.
 
«Hai la bacchetta? Senti, e se mentre ti sostituisco mi dovesse capitare di dover interrogare qualcuno? Non è il caso che io assista?»
 
«Ho sempre con me la bacchetta, Ron. Quello che se potesse dimenticherebbe anche la testa sei tu, non io»
 
«Spero che a lui la bacchetta sia stata requisita»
 
«Ovvio che sì»
 
Si voltò verso di lei, fissandola negli occhi supplicandola.
 
«Non posso restare davvero qui con te?»
 
«No»
 
Stavolta glielo disse in tono più dolce, grata a lui dell’affetto che le stava dimostrando.
 
«Resto qui fuori?»
 
«Ron»
 
«Va bene, resto appena qui fuori dalla porta, se hai bisogno chiamami»
 
«Ro ...»
 
Non le diede il tempo di ribattere, uscì, lasciandola con quella che suonava tanto come una promessa.


 

Ciao ragazzi!
 
Giusto per rendermi tutto più semplice aggiungo personaggi ^^’ Scusate per il ritardo infinito, tra lavoro, qualche lettura in più sul sito e la lunghezza del capitolo sono rimasta indietro ☹
 
Spero come sempre di essere stata all’altezza delle vostre aspettative, o quantomeno le novità di questo capitolo siano state gradite. Vi ringrazio per continuare a seguirmi con pazienza, ormai sapete che sono un disastro con gli aggiornamenti, ma anche che non lascerei incompleta questa storia 😊 <3
 
Alla prossima!
Baci
-Vale

 

 

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Capitolo 9
*** Prove di fiducia ***


Prove di fiducia

 

 
[10 ottobre 2017 ore 11:30 a.m. – Ministero della Magia londinese/Ufficio del Ministro della Magia]
 
Il lavoro intellettuale non aveva mai fatto parte delle aspirazioni di Ron. Hermione lo aveva obbligato tra le quattro mura di quell’ufficio a districarsi tra decine di documenti di cui lui faceva fatica a capire persino l’argomento. Dopo ore piuttosto intense ed impegnative gli bruciavano persino gli occhi, l’unica sua consolazione era il tempo che sua moglie avrebbe potuto trascorrere con il loro bambino. Nonostante il fatto di contribuire alla serenità di Hugo lo facesse stare bene, non riuscì a non assecondare la stanchezza; si era alzato all’alba, i turni al Ministero erano ben più serrati rispetto ai Tiri Vispi e lui dopo tre giorni di lavoro d’ufficio avrebbe volentieri rivendicato tre mesi consecutivi di ferie. Si era appisolato sull’ennesima sentenza di scarcerazione, certo non era suo compito prendere una decisione così delicata, ma chiunque, specie lui, di cui Hermione si fidava, avrebbe potuto compilare quei documenti, prima che il Ministro apponesse la sua firma definitiva. Stava lavorando da qualche ora quella mattina, aveva già svolto più della metà del lavoro, ma le palpebre erano troppo affaticate per riuscire a reggere. La posizione non era tra le più comode, ma infondo a Ron erano più che sufficienti una sedia e un ripiano, in questo caso la scrivania, su cui appoggiarsi. Doveva essersi lasciato catturare davvero dalle braccia di Morfeo, perché un ticchettio contro la porta, che aveva tutta l’aria di insistere da qualche minuto, lo riscosse prepotentemente dal suo tepore. Non ebbe altra scelta, con svogliatezza si stropicciò il viso con entrambe le mani, si passò le dita tra i capelli per dare una vaga parvenza di compostezza, infondo stava facendo pur sempre le veci del Ministro, e andò ad aprire la porta leggermente scocciato per l’insistenza che veniva esercitata dall’altra parte della soglia.
«Arrivo, non c’è bisogno di …»
Gli venne lanciata dritta contro il petto una busta di carta bianca; si spaventò persino per l’irruenza, in un primo istante pensò fosse opera di Hermione - l’impulsività sarebbe potuta appartenere a lei -, ma quando recuperò l’oggetto prima che rovinasse a terra e alzò lo sguardo sul soggetto in questione, si accorse di aver preso un granchio enorme. L’ospite era un anziano dipendente che con prepotenza e fastidio non si era fatto alcuno scrupolo ad usare il bastone per bussare. Ron era sicuro che se ci fosse stata Hermione non si sarebbe mai permesso un simile atteggiamento, ma era ormai risaputo che a quel signore lui non andasse molto a genio; non lo credeva all’altezza di quel compito, era un uomo leale al Ministero e rispettoso dell’autorità, ragion per cui riponeva la propria fedeltà solo nel Ministro e non in qualche sostituto improvvisato e, a parer suo, anche incapace. Ron era a conoscenza dell’opinione che aveva su di lui, non osò ribattere a quel gesto di stizza, data la differenza di età e la sua poca autostima in quel compito preferì rispettare qualcuno che sicuramente poteva vantare una maggiore esperienza. Hermione avrebbe dovuto scegliere lui come aiutante, sarebbe stato in grado e Ron non avrebbe fatto la figura dell’incompetente e del raccomandato, infondo non aveva chiesto lui di ricoprire quel ruolo.
«Dica a sua figlia che questa non è una guferia e che non voglio essere coinvolto nei vostri segreti»
Le parole che quell’uomo gli rivolse, prima di allontanarsi zoppicando con l’aiuto del suo bastone, lo lasciarono interdetto, non aveva la più pallida idea a quali segreti si stesse riferendo. Abbassò gli occhi sulla busta e si accorse che era sigillata, quindi nessuno aveva ancora letto il suo contenuto. La voltò sul retro e da lì ebbe la conferma del mittente.

 
Per Ronald Weasley (non deve finire nel modo più assoluto nelle mani del Ministro)
Rose Granger-Weasley
 
 -
Ma cosa accidenti sta tramando? –

Stava per aprirla perplesso, quando una voce più rassicurante, ma altrettanto anziana, lo interruppe. Un uomo vicino alla settantina si avvicinò a lui con un sorriso. L’ultimo arrivato, benché l’età ormai stesse diventando avanzata, non portava alcun supporto per muoversi, anzi dava l’impressione di vantare qualche anno in meno; si sistemò sul naso la montatura dei suoi occhiali con un gesto istintivo.
«Ignoralo, figliolo, non ha mai brillato per gentilezza»
«Papà, ciao. Cosa ci fai qui? Dovresti essere a casa a goderti la pensione con la mamma»
«Più invecchia tua madre e più diventa una direttrice, sono certo che al Ministero alle dipendenze di Hermione starei meglio»
Arthur abbassò la voce, rendendola un sussurro, e gettò un’occhiata nei dintorni, forse per la remota possibilità che Molly potesse averlo seguito e potesse ascoltarlo mentre la criticava.
«Non puoi mettere una buona parola con mia nuora? Mi basterebbe anche un piccolo incarico per stare qualche ora lontano dalla Tana, è troppo trascorrere tutto il giorno in sua compagnia, l’avanzare dell’età peggiora il suo carattere»
Quella richiesta fece sorridere suo figlio; aveva proprio bisogno delle battute insensate di suo padre per alleggerire l’incombenza di lavoro che sua moglie gli aveva lasciato. Ron poteva comprenderlo, conosceva molto bene la personalità di Molly, infondo era cresciuto con una madre casalinga che riponeva corpo e anima nella famiglia dall’alba fino al tramonto. Ciò che invece stupì Ron, o forse nemmeno così tanto, fu il motivo per il quale Arthur, dopo anni di lavoro svolto al Ministero in qualunque ora del giorno e della notte, non desiderasse recuperare il tempo perduto con sua moglie, infondo l’aveva sposata per amore nonostante il carattere piuttosto turbolento, o almeno questo Arthur gli aveva sempre confessato. Ricordava bene gli anni della sua infanzia, gli infiniti giorni lontani da suo padre, impegnato negli affari del Ministero, era stato forse quel vissuto passato ad averlo reso intransigente nei confronti delle mancanze di sua moglie? Si stava immedesimando nelle sofferenze dei figli, da quando era in grado di provare un così alto livello di empatia? Lo sguardo di Ron si era perso tra i caratteri di Rose incisi sulla busta bianca che teneva ancora stretta tra le dita; comprendeva le ragioni di sua figlia e il rancore che verso sua madre non si era ancora dissolto, da figlio non aveva trascorso un’infanzia molto diversa ed Hermione non si stava comportando diversamente da Arthur, anzi lei stava privando i loro figli anche della vicinanza del padre nel tentativo di rimediare ai suoi errori.

 

La guancia del piccolo Ron era calda, da qualche ora ormai la mamma gli aveva rimboccato amorevolmente le coperte. Ciò che svegliò il bambino fu un contatto gelido; riconobbe le grandi dita di suo padre che lo stavano sfiorando dolcemente, era appena rincasato e lo stava salutando. Ricordava che quel pomeriggio sua madre gli aveva mostrato insieme a Bill il giardino imbiancato, era quasi Natale e lui aveva desiderato proprio che Arthur tornasse presto nella loro modesta casa, riscaldata dal calore del camino, il cui fuoco Molly si prodigava di tenere sempre vivo. Quando Ron dischiuse le palpebre, vide suo padre accovacciato all’altezza del letto e stava fissando suo figlio con un sorriso.
«Papà, hai freddo»
«Ora vado a bere il the che la mamma mi ha preparato. Oggi sono passato a Diagon Alley e ti ho preso un regalino, domani lo apri insieme a quello della mamma. Risposa, tesoro»
Gli aveva scostato i capelli dalla tempia per porgere in quel punto un bacio al suo bambino. Ron, assonnato, non aveva mostrato particolare entusiasmo per l’annuncio del regalo, si era limitato ad abbassare le palpebre, cullato dalle coccole del padre. Gli parve di sentire dei sussurri sulla porta della sua camera, forse la voce di Molly si stava rivolgendo ad Arthur; il piccolo poteva abbandonarsi serenamente tra le braccia di Morfeo, suo padre ora era in buone mani.

 
Quei ricordi in un attimo erano sopraggiunti e in una frazione di secondo si erano dissolti, lasciando davanti agli occhi di Ron il viso stanco e scarnito del padre.
«Credimi, Hermione non è migliore di mamma in quanto a intransigenza. Entra, dai, ho bisogno di staccare la spina senza la tentazione di addormentarmi»
Lasciò la porta aperta al padre e si diresse verso la poltrona dietro la scrivania, era curioso di scoprire cosa sua figlia gli potesse aver comunicato, ma allo stesso tempo spaventato visto che, a quanto sembrava, sua moglie doveva essere assolutamente tenuta all’oscuro, o forse riguardava ancora l’astio di Rose verso la madre; chi poteva dirlo, Ron sapeva solo di trovarsi tra due fuochi molto pericolosi e trattava quella lettera quasi come fosse stata una bomba. Attese che suo padre si accomodasse sulla sedia davanti alla scrivania e nel frattempo non discostò lo sguardo da quella busta.
«Posso offrirti un bicchiere d’acqua? Purtroppo Hermione non tiene altro in ufficio»
«Non disturbarti, Ron, sono passato al Ministero solo per occuparmi di qualche questione lasciata in sospeso all’Ufficio Intercettazioni e Confisca di Incantesimi Difensivi e Oggetti Protettivi Contraffatti, ma nulla di cui preoccuparsi. Ho dato qualche dritta al nuovo direttore, Hermione me lo ha chiesto»
Ron non ne sapeva nulla, difficilmente sua moglie lo rendeva partecipe delle decisioni che prendeva al Ministero; se avesse saputo che suo padre sarebbe in quei giorni passato al Ministero, si sarebbe sentito meno in balìa dei suoi nuovi compiti amministrativi. Ora però Arthur era davanti a lui e avrebbe potuto approfittare della sua presenza. Posò per un’istante la lettera della figlia, convinto di dover affrontare qualche guaio combinato dalla ragazza, e afferrò un plico di documenti, posizionandolo sotto gli occhi del padre.
«Papà, senti, intanto che sei qui, hai idea di cosa io debba fare con queste carte d’identità? Le ho trovate stamattina sulla scrivania. Mi rincresce disturbare sempre Hermione, è a casa con Hugo»
Aveva chiesto sicuramente alla persona giusta, Arthur si intendeva meglio di chiunque altro di oggetti falsi e per lui era piuttosto facile riconoscerli dagli originali; le esaminò nei minimi dettagli con attenzione, sistemandosi meglio gli occhiali sul naso e sporgendosi di più sulla scrivania.
«Sono carte d’identità contraffatte. Dovresti fare un verbale e aprire un fascicolo sul caso, credo che il Ministro farebbe questo»
Mostrò a Ron i dettagli per fargli comprendere che erano semplicemente oggetti trasfigurati e non carte d’identità; fece intendere al figlio che il suo compito in quel momento era cercare di svelare chi stesse trasgredendo la legge, forse coinvolgendo anche il Dipartimento degli Auror, ma non voleva fargli alcuna pressione, gli sembrava già abbastanza disorientato e agitato sul compito che la moglie gli aveva affidato. Gli aveva indirettamente proposto l’aiuto di Harry, benché sapesse quanto anche quest’ultimo stesse attraversando un periodo complicato al lavoro e in famiglia, ma era suo padre e non poteva restare indifferente alla difficoltà del figlio; la tentazione di affiancarsi per aiutarlo fu per Arthur estremamente forte, ma preferì in quel momento non farlo sentire a disagio, così gli ricordò della busta che gli era stata consegnata poco prima con poca grazia, senza sapere che probabilmente anche quella non portava buone notizie.
«È di Rose la lettera? Si trova bene ad Hogwarts? Immagino di sì, visto che è figlia di Hermione»
Tra tutti i pensieri che affollavano la mente di Ron, suo padre gli riportò alla mente la lettera della figlia; si fece coraggio e la prese tra le mani insieme ad un taglierino posato sulla scrivania. Era ben sigillata, per quale altra ragione quella ragazza avrebbe dovuto premurarsi di chiuderla così bene se non vi erano al suo interno notizie scoraggianti? Raggiunse per sua sfortuna presto il foglio bianco contenuto al suo interno; riconobbe subito la calligrafia di Rose e la paura emerse prepotentemente; si premurò di analizzarla con diffidenza prima di mostrarla ad Arthur.

 
Ciao papà,
spero davvero che tu sia riuscito ad anticipare la mamma e ad impossessarti prima tu del mio gufo. È sorto un problema per James e non sappiamo a chi altro chiedere aiuto. Gli zii non gli hanno firmato il permesso per Hogsmead e, da quello che ho capito, la zia Ginny lo ha fatto per punizione, mentre lo zio Harry, lo sai meglio di me, è sempre distratto dal lavoro e non credo andrebbe contro una decisione della zia. Solo tu puoi evitare che la gita di James venga rovinata. Ti mando il permesso di James, potresti falsificare la firma dello zio? Tu la conosci molto meglio di noi e nessuno si insospettirà oppure puoi fare un piccolo incantesimo, purtroppo non essendo un suo tutore dubito tu possa fare una tua firma originale. La gita sarebbe domani, riesci ad inviarcela entro stasera?
Mi prendo la responsabilità, James non voleva chiedertelo, ho insistito io. Ti prego, papà, sei in debito con me, ricordi?
La tua adorata figlia

Non c’era alcuna novità, era quasi scontato che ogni volta per compiere qualche scorrettezza invocasse la complicità del padre; si portò sfinito una mano sugli occhi, forse sua figlia non aveva ben chiaro il periodo che stava vivendo con il lavoro e con sua moglie, non aveva alcun bisogno che complicasse soprattutto il precario equilibrio nel rapporto con Hermione e una simile iniziativa avrebbe sicuramente scatenato un ennesimo e acceso litigio, quello che probabilmente Harry era riuscito ad evitare con Ginny dandole ragione con quella punizione; infondo chi era Ron per dubitare dei metodi educativi di sua sorella? Non ricordava il momento esatto in cui aveva deciso di avere figli, forse perché non aveva mai veramente preso quella decisione, era stato il destino a prenderla per lui; non aveva dubbi sul fatto che li adorasse, infondo li aveva cresciuti con amore, ma ovviamente crescendo erano diventati fonte di problemi sempre più grandi. Rose forse non si rendeva conto che con un incantesimo di rilevazione la preside avrebbe scoperto l’imbroglio. Sua figlia si riferiva forse alle partite di Quidditch ed ora cercava di strappargli così qualche favore, facendolo passare per dovuto, viste le mancanze del padre?
Ad Arthur non era sfuggita la reazione del figlio e credeva fosse successo qualcosa di grave; si fece serio, accantonò gli oggetti contraffatti sequestrati e si concentrò su Ron.
«Ronald, qualcosa non va?»
Si era accorto tardi di aver insospettito il padre e non era proprio il caso che anche lui venisse coinvolto nel piano losco di Rose.
«N-nulla di grave, tranquillo, solo qualche ragazzata. Le rispondo subito, così non si preoccupa»
Prese una penna, ignorando lo sguardo perplesso di Arthur puntato su di lui e decise di scrivere alla figlia su quello stesso foglio per evitare di lasciare prove di quell’accordo; avrebbe firmato il permesso una volta rimasto solo. Si fidava forse troppo di Rose, ma non aveva nemmeno motivo per non farlo, infondo era solo una gita ad Hogsmead e di certo James non avrebbe detto a Ginny di esserci stato. Era poi risaputo che Ron non si facesse alcun scrupolo a trasgredire le regole, era senza dubbio un candidato poco indicato a sostituire il Ministro, eppure Hermione non lo aveva considerato. Scrisse a Rose poche parole, cercando di riscoprire tutta la propria autorità paterna.
 
Se tua madre mi scopre, finisci nei guai, signorina

Arthur non ebbe la possibilità di approfondire la questione – conoscendo suo figlio, capì che stava omettendo qualcosa -, perché la porta dell’ufficio, precedentemente chiusa da lui, venne riaperta; era Hermione e non appena Ron la vide, il suo istinto fu quello di piegare la lettera di Rose e accantonarla, in modo che lei non la scorgesse incuriosendosi; a suo padre non sfuggirono nemmeno quel gesto e la paura negli occhi di Ron.
«Ehi, tesoro, ciao, cosa fai qui? Non dovresti essere a casa con nostro figlio?»
«Ciao, Arthur, sei passato per istruire il tuo sostituto?»
Hermione aveva notato la confusione insolita sulla sua scrivania, ma non glielo fece notare, l'impresa che suo marito stava affrontando era già piuttosto ardua per un profano come lui in materia di amministrazione. L’aveva ignorato e il primo pensiero di Ron fu terrificante.

 
 - Lo sa, non so come, ma lo sa già –
 
«Ciao, Hermione. Sì, ma non ne ha bisogno, lo hai scelto molto bene, come sempre il tuo intuito è infallibile»
«Hai scelto velocemente il sostituto di mio padre, ma non il tuo. George mi continua a chiedere quando tornerò al negozio. Ti posso far riflettere sul fatto che non è con un lavoro in due che manterremo la nostra famiglia?»
Si inserì nella conversazione con una certa enfasi, lasciandola perplessa; Hermione posò una mano sulla spalliera della sedia su cui si era accomodato il suocero e si rivolse proprio a lui.
«Arthur, ma che fine ha fatto il mio marito irresponsabile? Sono anni che non lo vedo»
«Non ne ho la più pallida idea, mia cara, ma fossi in te mi godrei l’evento»
«Non siete divertenti»
Ron si sentì offeso dalla complicità tra suo padre e sua moglie, i quali, nonostante stesse vivendo momenti non molto felici e semplici in quell’ufficio, lo stavano schernendo con un sorriso beffardo; si alzò dalla poltrona, trascinandosi dietro la lettera della figlia e infilandola velocemente in tasca. Quando Hermione vide che suo marito si stava avviando verso la porta, cercò di tornare seria.
«Hugo è da tua madre, ti sta aspettando. Molly ci ha invitati a pranzo, ero passata credendo che avremmo raggiunto insieme la Tana o preferisci lavorare tutto il giorno? Se così fosse, rischi che io ti faccia internare al San Mungo»
Li tenne in sospeso, avviandosi verso la porta e lasciando che loro seguissero perplessi i suoi passi. Hermione ebbe la percezione che si fosse offeso davvero, quando lo vide abbassare la maniglia e uscire. Si riaffacciò poco dopo con grande sorpresa dei presenti e rivolse un dolce sorriso alla moglie.
«Amore, aspettami alla Tana, arrivo tra poco, mi è rimasta una commissione oggi da sbrigare, nel pomeriggio termino e domani mattina l'ufficio è tutto tuo. Ah, Hermione, per evitare di doverne parlare a pranzo, sono pronti i documenti di scarcerazione da firmare, ricordali domani quando arrivi»
Se ne andò senza aspettare la risposta, sembrava di corsa ma Hermione non riuscì a decifrare la sua fretta, forse voleva semplicemente trascorrere del tempo con la sua famiglia dopo una lunga mattinata di lavoro, comprendeva la sensazione e il desiderio, era quello che aveva provato lei per anni, esattamente da quando era diventata Ministro della Magia.
«Arthur, Ron ti ha detto che qualcosa non va, sta avendo problemi con qualche questione qui al Ministero?»
«Ha solo difficoltà comprensibili, si è trovato catapultato a svolgere un ruolo complesso da un giorno all’altro. Capisco anche te, Hermione, non è semplice trovare qualcuno disposto a sobbarcarsi una carica simile. Senti, se vuoi passo più spesso e gli do una mano, non ho molto altro da fare in questo periodo. Solo una cosa, è arrivata poco fa a Ron una lettera di Rose, non mi ha detto di cosa si trattasse, però sembrava preoccupato»
«Mio suocero è un angelo»
Gli accennò preoccupata un sorriso, porgendogli una carezza sulla spalla; Ron le stava nascondendo qualcosa, questo non le era affatto sfuggito.

 
[10 ottobre 2017 ore 4:15 p.m. – Casa Black/Tonks]
 
Teddy tornò a casa dal lavoro o quello che all’incirca poteva definire tale; Charlie era stato davvero molto gentile ad assumerlo come aiutante, era diventato per lui un perfetto zio acquisito, come d’altronde la maggior parte dei membri della famiglia Weasley. Non era però ciò che aveva immaginato per il suo futuro appena conseguito il diploma alla Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts … ma sapeva davvero cosa desiderasse nel corso dei suoi anni di studio?
Respirò fin dalla porta d’ingresso aria di storia antica, quella casa era stata abitata da diverse generazioni prima di lui, Teddy era solo l’ultimo arrivato di un lungo susseguirmi di antenati. Ogni giorno il suo ritorno era accompagnato da una foto, posta accanto all’ingresso, che ritraeva uno dei momenti più felici della sua vita o almeno così gli avevano raccontato; avrebbe voluto tanto essere nei panni di quel neonato in braccio a sua madre con la manina stretta in quella del padre, avrebbe voluto avere la facoltà di ricordare quello scorcio della sua infanzia, invidiava lui stesso nei suoi primi giorni di vita per essere riuscito a godere di pochi attimi di affetto da parte dei suoi genitori. Avrebbe voluto che suo padre continuasse a stringergli la mano e a guidarlo; certi giorni gli capitava di pensare quanto il loro sacrificio fosse stato utile solo ad allontanarli per sempre. Gli mancavano senza averli mai conosciuti, sentiva l’assenza di quella conoscenza mancata e non più possibile. Dallo sguardo orgoglioso e pieno di affetto che traspariva dagli occhi di Remus e Ninfadora in quella foto poteva presupporre che lo avrebbero senza dubbio spronato ad accettare la proposta della preside. Qualche metro più a sinistra una foto rappresentava il suo presente, la sua bellissima Victoire sorrideva al suo fianco; il suo padrino aveva ragione, doveva prendere coraggio e parlare con la fidanzata del suo futuro, anche lei ne faceva parte e desiderava che così fosse per sempre.
«Assomigli tanto a tua madre»
Non si era accorto della presenza di Andromeda alle spalle e Tosca solo sapeva da quanto tempo sua nonna si trovasse lì accanto a lui. Teddy si era voltato leggermente verso di lei, ma quando aveva notato sul volto dell’anziana donna occhi lucidi che portavano il nome della figlia, non osò proferire parola. Fu Andromeda la prima a sciogliere la tristezza con un commosso sorriso; accarezzò i capelli del nipote alla base della nuca per lasciare intendere a Teddy in cosa fosse così simile a Ninfadora.
«Sai, tesoro, quando mia figlia mi disse di aspettarti, ebbi paura. Conoscevo tua madre e mio genero, dubitavo che avrebbero preservato la loro vita per non renderti orfano. Q-quando seppi della tua nascita, sapevo che avresti sofferto. Speravo che tua madre te lo risparmiasse, infondo aveva già vissuto l’esperienza con mio marito»
«Nonno Ted?»
«Tu porti il suo nome, è l’uomo più coraggioso che io abbia mai conosciuto»
Le parole di Andromeda offrirono a Teddy la forza di parlarle, non poteva più rimandare; si voltò verso di lei per poter incrociare meglio i suoi occhi.
«Nonna, ascolta, io devo …»
«Ragazzo mio, lo so già ed io voglio che tu segua il tuo cuore»
Gli posò dolcemente una mano sul lato sinistro del petto, lasciandolo per la seconda volta nel giro di pochi secondi senza fiato.
«Teddy, se quel lavoro ti potrà far sentire più vicino a lui, se potrà aiutarti a conoscere che uomo fosse tuo padre, non sarò certo io ad impedirlo»
Stavolta fu il giovane Lupin a farsi sfuggire una lacrima, persino i suoi capelli assunsero i colori della malinconia, facendo sorridere la nonna. Andromeda fece passare il pollice sulla guancia del nipote, non smettendo di sorridergli dolcemente.
«N-non voglio abbandonarti»
«So che non lo farai, mi scriverai praticamente tutti i giorni. Hai la prospettiva di una vita bellissima insieme alla tua amata. Ho dimenticato di dirti che, per quanto mi rincresca che tu sia nato nel pieno di una guerra e abbia sofferto per questo, sei stato un regalo meraviglioso per me, mia figlia non se ne è mai veramente andata»
Imbarazzò Teddy l’allusione alla sua ormai pubblica relazione con una Weasley, si voltò verso quelle foto per allontanare con un pretesto lo sguardo da Andromeda. Amava quella ragazza come nessun’altra al mondo, come probabilmente per intuito suo padre amava sua madre; doveva affrontare l’argomento con Bill, non poteva più rimandare.
«Nonna, la McGranitt mi ha chiesto di iniziare subito dopo aver preso la decisione, è una separazione improvvisa, me ne vado da un giorno all’altro»
«Raggiungi Hogwarts, tesoro, ma prima di qualsiasi cosa, ti vanno i biscotti appena sfornati? Immagino tu debba avere il tempo di passare a Villa Conchiglia prima di diventare il nuovo professore di Difesa Contro le Arti Oscure»
Non sapeva come Andromeda avesse fatto a scoprirlo, era però intenzionato a seguire il suo consiglio, si fidava dei suoi saggi suggerimenti.

 
[11 ottobre 2017 ore 11:15 a.m. – Casa Granger/Weasley]
 
Quando il campanello rintoccò due colpi, Hermione era totalmente immersa nei lavori casalinghi e per la precisione l’improvviso rumore nel silenzio della casa fece tremare la scala su cui si trovava; scese dal gradino più alto dopo qualche istante per riprendere fiato dallo spavento. Iniziava a non invidiare più così tanto suo marito, infondo a parte il tempo trascorso con i loro figli, aveva anche notevoli incombenze poco gradite e lei con gli anni aveva finito per dimenticarle. Posò gli stracci che teneva in mano sul tavolo della cucina e si avviò a passo celere verso la porta, non aspettava alcun ospite, eppure sembrava avere l’ospitalità nel sangue. Aprire e trovare davanti a lei una persona gradita influì positivamente sull’umore non troppo alto di quei giorni: Rose si ostinava a non rivolgersi a lei per la soluzione poco conveniente che aveva trovato, così ogni gufo recapitato a casa o al Ministero era indirizzato a Ron. Nonostante tristi pensieri invadessero spesso e volentieri la sua mente, sorrise alla nuova arrivata.
«Ginny, ehi, cosa fai qui?»
Notò quasi subito che sua cognata aveva il fiato corto, come se per raggiungerla rapidamente avesse corso, ma si accorse presto di essere caduta in errore, la sua migliore amica aveva gli occhi lucidi. Dopo aver appurato che aveva recentemente smesso di piangere, iniziò a preoccuparsi.
«Hermione, ti ho disturbata?»
«Certo che no, entra, ho bisogno di una pausa»
Si scostò spalancando la porta e la fece passare pensierosa nel proprio soggiorno. Notò l’espressione demoralizzata con cui Ginny si era accomodata sullo scomodissimo divano a due posti - come ripeteva sempre Ron ad Hermione, troppo piccolo per una famiglia composta da quattro persone – e con lo sguardo rivolto verso il pavimento si era portata le mani sul volto. Hermione ebbe subito conferma dei suoi timori, si sedette al suo fianco e le circondò le spalle con un rincuorante abbraccio.
«Ginny, cosa c’è che non va?»
Aveva provato a chiederle spiegazioni sussurrandole accanto all’orecchio per non disturbare il suo turbamento, ma non era del tutto convinta che la cognata le avrebbe risposto, era troppo intenta a sfogare la sua frustrazione.
«Ginny, è successo qualcosa ai ragazzi o a Harry?»
Il nome del marito la riscosse, si scoprì il volto e si girò con espressione quasi assente verso Hermione, come se avesse smascherato l’origine del suo malessere.
«I-io ed Harry non parliamo più da giorni, non ci rivolgiamo la parola nemmeno in quei pochi attimi in cui ci incrociamo a casa. È colpa mia, Hermione, abbiamo litigato perché voglio cambiare lavoro. Mi manca, ancora più di prima, c’è tensione tra noi e questo rende più pesanti i sacrifici che facciamo con il lavoro»
«Mi sembra strano sentire che avete litigato, erano anni che non succedeva una lite simile tra voi. Per quanto io sia contraria con quello che vuoi fare, Harry dovrebbe essere felice, cosa non gli piace di questa tua scelta?»
«Credo tema di sentirsi in difetto con i ragazzi, mi ha ripetuto diverse volte di sentirsi un pessimo padre quando è successo quell’episodio con Albus. Gli ho urlato contro, l’ho respinto, se lo rifiuto continuerà a pensare di essere in errore con la sua famiglia. Non mi sono sentita compresa e lui aveva solo bisogno di sua moglie che gli infondesse autostima, ho sbagliato, Hermione»
Quando Ginny le aveva rivelato le sue intenzioni infondo non si era troppo stupita, perché la vera stupida era stata lei ad accettare l’occasione forse irripetibile di un lavoro che l’avrebbe portata lontana dalla famiglia che con gioia aveva contribuito a costruire. Forse riusciva a comprendere anche il suo migliore amico, non aveva mai eccelso in autostima e lui non aveva il coraggio di accantonare anni di carriera come sua moglie avrebbe invece fatto senza troppe difficoltà. Hermione era a corto di consigli ed era raro che lei non riuscisse a trovare un compromesso, infondo le sue doti diplomatiche l’avevano elevata alla carica di Ministro.
«Ginny, innanzitutto tu ed Harry dovete ricominciare a parlare, il silenzio non risolverà nulla. Hai detto di avergli urlato contro, ma non è solito portare rancore, figuriamoci con la donna che ama»
Ascoltò Hermione sovrappensiero, sua cognata aveva senza alcun dubbio ragione, ma aveva lasciato che i giorni passassero ed ora non sapeva più come esordire. Hermione dal canto suo comprendeva Ginny, era pressappoco ciò che stava succedendo con sua figlia, si sentiva in difetto e non aveva il coraggio di prendere carta e penna e scriverle lei per prima rompendo quel silenzio assordante, le mancava ancora di più senza nemmeno poter tessere con lei uno scambio epistolare.
«Tu non lo hai visto in questi giorni, Lily sta subendo il nostro malumore e vorrei solo dare a mia figlia un po’ di serenità. C’è la possibilità secondo te che io possa entrare a far parte della redazione della Gazzetta del Profeta?»
«Ginny, non spetta a me decidere, la Gazzetta è una questione separata rispetto agli affari del Ministero, non per niente finisco spesso in prima pagina e non lo fanno certo per elogiarmi»
«Certo, comprendo, sarà meglio che vada, non voglio rubare tempo ad Hugo, altrimenti gli sforzi di mio fratello potrebbero diventare inutili»
Si alzò dal divano pronta a ritornare a casa, forse ancora più demoralizzata di prima e proprio il suo pessimo umore la portò a condividere un ultimo pensiero con la cognata.
«Sai, Hermione, ti sembrerà strano sentirmelo dire, ma a volte ti invidio, mio fratello anche con qualche contestazione ti appoggia e presta sempre attenzione per il bene della vostra famiglia»
Hermione l’aveva ascoltata con dispiacere, soprattutto quando si accorse di Harry alle spalle di Ginny che quasi sicuramente aveva ascoltato le parole della moglie, la sua espressione ne era la prova.
«Scusate, la porta era aperta, non volevo interrompervi»
Anche Ginny capì tardi di aver parlato troppo.
«Harry, mi …»
«Tranquilla, hai ragione. Hermione, ho bisogno di parlarti»
La cognata fu restia ad accogliere subito la sua richiesta, avrebbe preferito che i suoi amici parlassero e chiarissero subito, ma se lui era lì poteva solo significare che la questione da affrontare era urgente. Si alzò convinta che Harry non volesse condividere gli affari del Ministero con la moglie, la sua espressione seria e severa lo dimostrava. Quando Hermione si fu avvicinata a lui sull’uscio della porta, dove lui le aveva chiesto implicitamente di seguirla, fece un debole tentativo.
«Harry, devi parlare con Ginny, è distrutta»
«Non preoccuparti, troverò il tempo anche di sentir dire da mia moglie quanto sia delusa da me, ma questo non è il momento. Ascolta, Ron non può presiedere una seduta con il Wizengamot, ne ho convocata una straordinaria per domani, ma abbiamo bisogno di te»
«Che necessità avevi di una riunione straordinaria?»
«Dobbiamo discutere di Hogwarts, dobbiamo prendere misure severe in quella scuola, non riesco a stare tranquillo sapendo i miei figli lì dentro. Ho intenzione di accogliere la richiesta di aiuto dei nostri ragazzi. Ricordi l’incidente di Rose? Ci serve un infiltrato speciale del Ministero che controlli la situazione, la monitori e ci faccia avere un resoconto della gravità»
«Quindi è per questo motivo che sei così serio e silenzioso in questi giorni a casa? Non sei arrabbiato, sei pensieroso»
Vide i suoi più intimi pensieri svelati dalla cognata, ciò lo imbarazzò, nonostante il tono di Hermione fosse piuttosto comprensivo e quasi intenerito.
«Ma cosa ti ha detto esattamente Ginny? No, lasciami indovinare, quanto io sia pessimo e non la comprenda. Hermione, ho già in mente il nome del nostro infiltrato, mi fido ciecamente di lui. Un’ultima cosa, domani lascia partecipare anche Ron alla riunione, infondo riguarda anche lui»
«E tu parla con Ginny, per carità, Harry, ha frainteso e anche tu, lei è orgogliosa di te»

 
[11 ottobre 2017 ore 4:45 p.m. – Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts]
 
Ricevere una convocazione urgente da parte della Preside innervosì Neville. Non ricordava di aver trasgredito a qualche regola, era sempre molto preciso nel suo lavoro, o almeno era ciò che provava a fare. Lasciò la Serra di Erbologia qualche minuto prima per potersi avviare senza fretta verso l’ufficio della McGranitt. Percorse gli immensi corridoi del Castello, lasciandosi alle spalle decine di ritratti più o meno apprezzabili con l’aria pensierosa del vecchio professore che durante una delle sue ore buche occupa il tempo facendo una passeggiata; lui però non era né vecchio né tanto meno sereno, anzi sentiva sul cuore un macigno, a causa di svariati motivi e nello specifico, in quel momento, fremeva di sapere la ragione di quella convocazione.
Quando svoltò l’ennesimo angolo, perso ad ammirare i ritratti per distrarsi dall’ansia, non aveva tenuto in considerazione il fatto che presto o tardi si sarebbe imbattuto per quella strada anche nel memoriale della guerra, fatto allestire dall’attuale preside. Raffigurava tutte quelle persone, che, a detta della maggior parte del mondo magico, venivano definite gli eroi. Conosceva quell’angolo del castello molto bene, come anche i nomi che venivano citati; erano ricordati vecchi e nuovi eroi della Prima e della Seconda Guerra Magica, si passava da James e Lily Potter, considerati tra le prime vittime del Signore Oscuro, fino a coloro che erano ancora in vita, tra cui, contro ogni suo volere, Neville; non provava alcun piacere nel vedere scritto il suo nome tra coloro che erano destinati all’immortalità per aver avuto il coraggio di affrontare l’Oscurità senza esitazione, avrebbe preferito minore notorietà e una famiglia insieme alla sua compagna: una cosa non escludeva l’altra, ma gli mancava ciò che più desiderava. Tra le foto e i nomi di coloro che erano drammaticamente caduti e coloro che invece erano sopravvissuti, spiccavano quelli dei suoi genitori; gli mancavano più che mai in quei difficili momenti in cui una loro parola avrebbe reso tutto meno doloroso, sapeva che sarebbe stato così, anche se in effetti non aveva mai avuto l’occasione di conoscerli davvero, ricordava le loro fattezze solo grazie alle numerose foto che aveva visto.
 

Non era la prima volta che Teddy si trovava al cospetto di quel memoriale, ma, nonostante ciò, veniva sempre assalito da un moto di tristezza leggendo il nome dei suoi genitori; per il suo amico James invece, di qualche anno più giovane, era la prima volta in cui poteva ammirare quell’enorme riquadro magico appeso al muro che ospitava i volti sconosciuti e conosciuti di amici e parenti. I nomi e le foto più familiari furono quelle del padre e degli zii, anche se in quei ritratti erano molto più giovani rispetto a come li aveva conosciuti, per poi accorgersi che era presente anche il suo professore di Erbologia che in quel momento era proprio accanto a lui.
«Neville. Ci sei anche tu»
«Sì, bhe, non ho fatto nulla di speciale, tuo padre Lo ha sconfitto, i libri di Storia della Magia sono pieni delle sue gesta»
«Lui continua a ripetermi che senza di te non avrebbe mai vinto»
James lo fissava dal basso verso l’altro con convinzione, lo sguardo del ragazzo era orgoglioso, come se davvero davanti a lui ci fosse un eroe.
«Eravamo tutti coinvolti e rimanere inermi significava approvare l’Oscurità, l’avresti fatto anche tu, Jamie, non per niente sei un Grifondoro e anche tu, Teddy, possiedi la stessa determinazione dei tuoi genitori»
Il giovane Teddy, ormai prossimo al diploma ma ancora immerso nella più profonda fase adolescenziale, non sapeva se essere d’accordo con il suo professore, non riusciva a riscoprirsi in chi non aveva mai avuto occasione di conoscere; era certo però che Neville avrebbe potuto comprenderlo, lui per primo aveva vissuto la mancanza dei genitori, ma nonostante ciò era riuscito comunque a ripercorrere le loro orme, non per niente lui e loro venivano ricordati in egual misura per il loro coraggio.
«Spero di possedere lo stesso animo di mamma e papà, ma vorrei tanto non ci fosse più una guerra, faccio volentieri a meno di testare quanta determinazione ho ereditato da loro in simili occasioni»
«Sono d’accordo con te, ti consiglierei di andare a studiare per i M.A.G.O, mi è sufficiente che non copi all’esame per dimostrarmi la tua onestà, tuo padre e tua madre sarebbero orgogliosi di te se li passassi con i tuoi sforzi. La stessa cosa vale per te, James»
Iniziò a spingerli per le spalle, incitandoli ad avviarsi solerti verso la Sala Grande, dove li avrebbero attesi i loro libri. I due ragazzi, un po’ scocciati, ubbidirono al loro docente.
«Professore, in sette anni non ho mai copiato, perché dovrei iniziare ora?»
«Insegnalo anche a James, allora»

 
«Professor Paciock, pensavo non volessi accettare il mio invito, ti stavo venendo a cercare»
La voce della preside lo riscosse dai ricordi e dai pensieri tristi, ma dall’espressione dell’anziana signora comprese che la loro conversazione non sarebbe stata molto felice.
«Desideravo offrirti una tazza di the con qualche biscotto, sono quasi le cinque. Ti ho disturbato?»
Lo sguardo di Neville era quasi assente, non voleva affrontare alcun dialogo, non aveva voglia di alcuna ramanzina. Con pacatezza tornò a posare gli occhi sul memoriale e si rivolse alla sua interlocutrice.
«Ho fatto qualcosa che non dovevo? Professoressa, se è per quei registri, ho chiesto ad Hannah un piccolo aiuto, non sono molto afferrato, ma non ci siamo ancora …»
«È proprio di lei che voglio parlarti»
«Vuole parlarmi di mia moglie? Credevo di sapere tutto di lei … forse ha ragione, mi sta sfuggendo qualcosa su Hannah. Preside, ho terminato le lezioni, ma ho lasciato parecchia confusione in aula, prima di cena devo tornare in serra»
Le risposte di Neville confermarono alla McGranitt la necessità di parlare con il suo ex studente.
«Lavori troppo Neville»
«Lavorare mi aiuta a non pensare, professoressa, quando smetto mi tornano in mente tutti i problemi»
Le confidenze che quell’uomo le stava facendo lasciarono la preside senza parole, non ricordava di averlo mai sentito confessare il suo stato d’animo, anche se lei era già consapevole di ciò che potesse provare.
«Non devi affrontarlo da solo. Tu ed Hannah avete bisogno di una pausa, avrei dovuto darvela anni fa. Tornate a Londra, qui ad Hogwarts trovo un modo per sostituirvi»


[12 ottobre 2017 ore 6:00 p.m. – Ministero della Magia/Tribunale magico]
 
Hermione non ebbe altra scelta se non quella di assecondare la decisione di Harry; suo cognato aveva convocato l’intero Wizengamot infondo per risolvere uno dei tanti problemi che prima o poi la loro famiglia avrebbe dovuto affrontare. Il Ministro aveva indossato la sua toga, che con il fresco autunnale le donava un caldo piacevole, e si era avviata con professionalità verso il tribunale dove tutti la stavano attendendo; a passo celere si avvicinò alla porta, sistemando il colletto per darsi anche nella fretta una parvenza di compostezza e vide suo marito proprio sulla soglia, dandole l’idea che la stesse aspettando. Hermione non poté non essere lieta della sua presenza.
«Ciao, tesoro»
«Ciao. Mi dispiace, Harry dice che il tuo intervento è indispensabile, altrimenti me la sarei cavata anche da solo senza disturbarti»
Gli sorrise con tenerezza, allungando una mano per porgergli una carezza sulla guancia, era felice di vederlo e sapere di averlo accanto anche sul lavoro, in particolare nell'affrontare un argomento caro ad entrambi, visto che riguardava la figlia. Ron era dispiaciuto davvero di aver dovuto rubare la mamma ad Hugo per qualche ora in più, era infondo ciò che lui con i suoi sforzi stava cercando di evitare.
«Ginny ha ragione, sono fortunata ad avere te»
«C-cosa ha detto mia sorella?»
Il delicato suono della campanella che annunciava l'ingresso dell'autorità attirò l'attenzione di entrambi, infrangendo l'atmosfera che i loro sguardi avevano creato. Hermione tornò seria senza rispondere alla domanda incredula del marito, il quale si schiarì la voce per concentrarsi sulla riunione.
«Ci siamo, Ron, devo andare»
Concordò con il capo e le spalancò con una mano la porta a mo' di usciere, per poi seguirla, anche se lui avrebbe preso una posizione tra l’assemblea quasi deserta, non certo la stessa del Ministro; Ron si sedette accanto alla professoressa McGranitt, forse solo un paio di posti più in là per non essere irriverente nei confronti dell'anziana. La Preside era stata anch'essa convocata per discutere della situazione attuale che Hogwarts stava vivendo tra gli studenti. Erano tutti in piedi per Hermione, compresa la sua vecchia professoressa di Trasfigurazione e questo le infuse una strana sensazione, così fece quasi subito cenno a tutti di accomodarsi, compresi i maghi e le streghe che insieme formavano il Wizengamot e a cui si rivolse.
«Membri del Wizengamot, siete stati convocati qui oggi per affrontare una questione importante e delicata che riguarda la nostra Scuola di Magia e Stregoneria. Per questo la Preside Minerva McGranitt ha accettato il nostro invito. Ora lascio la parola al signor Potter, lui vi spiegherà le intenzioni del Ministero a riguardo»
«Grazie, Ministro»
Hermione non anticipò altro, lasciò il compito al suo fidato collaboratore di presentare in aula l’intervento del Ministero e udì solo qualche flash del monologo del cognato. Si accomodò sulla sedia che per anni l’aveva sostenuta in centinaia di udienze e ripensò a ciò che l’aveva spinta a prendere una decisione simile; non voleva successo, non voleva nemmeno il potere, forse era stato lo spirito di dovere verso il mondo magico a far slittare la sua famiglia infondo alle priorità. Suo marito stava attentamente ascoltando le parole di Harry, lo sguardo di Ron e quello di Hermione si erano incrociati quando la Preside asserì quanto Albus e Rose si fossero avvicinati nell’ultimo periodo al giovane Malfoy, il Ministro si preoccupò per la reazione del marito, così cercò di dirgli con gli occhi di placare il suo fastidio, nonostante la McGranitt avesse elogiato la figlia e il nipote per il comportamento responsabile e gli ottimi modelli che erano diventati per l’intera scuola.
«… perciò io, con l’accordo della professoressa McGranitt, proporrei il nuovo professore di Difesa Contro le Arti Oscure, Ted Lupin, come inquisitore speciale del Ministero, avrà il compito di riferire e monitorare la situazione, ma cosa più importante, quel ragazzo ha la piena fiducia di tutti. Temiamo che l’astio cresciuto all’interno di quelle mura possa alimentare una nuova guerra sull’esempio del passato, vogliamo solo scongiurarlo, anche con l’aiuto di quei ragazzi che invece hanno ricevuto in famiglia un buon esempio»
Hermione capì che Harry si stava riferendo alla loro famiglia, non fece nomi, ma l’ammirazione della Preside per i giovani Weasley e Potter esplicitata pochi minuti prima era piuttosto allusiva. Ora spettava al Wizengamot votare, il Ministro davanti a quella schiera di maghi e streghe aveva le mani legati, lei rappresentava solo poco più di un voto. La massima autorità si rivolse stavolta direttamente al presidente, al quale non era sua intenzione fare pressione, ma lei era pur sempre una madre e quella decisione avrebbe inficiato anche sul benessere fisico e morale di sua figlia.
«Presidente, come lei ben sa, gli ultimi avvenimenti accaduti ad Hogwarts sono andati a discapito di una ragazza del primo anno. Poco importa che sia mia figlia, quello che è accaduto a lei sarebbe potuto succedere a qualunque giovane mago o strega nato nella famiglia di coloro che hanno combattuto la Magia Oscura. Come sostiene il signor Potter e con cui io concordo, c’è il rischio che una nuova generazione di Maghi Oscuri insorga sulla farsa riga di Lord Voldermort, mettiamo pace nel cuore di questi ragazzi, insegniamo loro ad essere diversi dalle loro famiglie. I serpeverde non sono malvagi se non viene insegnato loro ad esserlo»
«Ministro, lei si rende conto vero che la maggior parte degli aristocratici di Londra apparteneva e appartiene a quella Casa? Nessun Serpeverde che si rispetti iscriverà più il proprio figlio a quella scuola se imponiamo ideali diversi dai loro»
«Poco importa, Hogwarts si è sempre distinta per la sua lealtà e non permetterò a nessuno di cambiare i suoi connotati»
Harry non ebbe alcun bisogno di intervenire contro lo scetticismo e la diffidenza del presidente, Hermione sembrava riuscirci benissimo; anzi era presto passata dalle parole ai fatti: si era alzata come a lasciare intendere a tutti, compreso l’interessato, che la discussione si era appena conclusa, al Ministro non rimaneva altro da fare se non passare alla votazione.
«Chi è favorevole che alla Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts venga consentito ad un inquisitore speciale di stilare leggi a favore dell’amicizia tra Purosangue e Mezzosangue, agevolando il loro riavvicinamento?»
Aveva appena terminato di porre la domanda, aspettandosi che i membri del Wizengamot iniziassero a votare, ma la voce profonda di un mago in platea attirò l’attenzione di tutti, rimandando quell’operazione.
«Chiedo scusa, Ministro, come può pensare di assegnare un compito simile ad un discendente della Casata dei Black, è risaputo quanto quella famiglia fosse profondamente sostenitrice della purezza del sangue?»
Nessuno sapeva spiegarsi chi avesse invitato Draco Malfoy a quella riunione, forse semplicemente perché i Mafoy rimanevano una delle famiglie più influenti sul panorama londinese e quella doveva essere stata opera del Wizengamot.
«E tu, Draco? Anche tu sei discendente di quella famiglia, come anche tuo figlio, eppure Scorpius non sembra del tuo stesso avviso»
Sapeva di averlo provocato, ciò che Hermione non riusciva a prevedere fu la reazione di quell’uomo così enigmatico, era sicura però che avrebbe potuto contare sulla protezione di suo marito, già pronto ad inveire contro la sua irriverenza.
«Mio figlio non diventerà mai amico di coloro che hanno disonorato le loro origini, sporcando il sangue puro dei maghi. Nulla di personale, Ministro, ma in tutto questo ha contribuito lei per prima»
«Ora basta!»
Ron non riuscì più ad ascoltarlo in silenzio, fece per muovere un passo ed estrasse la sua bacchetta, ma non ricevette l’approvazione della moglie, anzi l’esatto contrario, lo invitò a fermarsi alzando una mano verso di lui.
«No, fermo. Il signor Malfoy è libero di esprimere la propria opinione in questa sede. Deduco sia un no rispetto alla nostra proposta. Vedi, Draco, a differenza di chi la pensa come te, noi vi consideriamo come persone degne di essere ascoltate. Membri del Wizengamot, la vostra decisione?»
Fu stavolta il presidente a dover a malincuore approvare a nome del consiglio il tempestivo intervento ad Hogwarts.
«Bene, l’udienza è conclusa»
Con un leggero e sfinito colpo di martelletto, Hermione sciolse quella riunione e lasciò con rapidità la sua postazione, come se quella postazione tra gli alti ranghi la scottasse. Ron comprese subito lo stato d’animo della moglie, così si affrettò ad anticiparla sulla porta d’ingresso per poter invitarla a fermarsi sfiorandole appena il ventre con un grande sorriso.
«Che c’è?»
Quel sorriso contagiò anche lei che nel mentre si tolse la toga insieme ai mille pesi del suo lavoro. Lo vide guardarsi intorno per appurare che non passasse nessuno in quel momento, per poi schioccarle un bacio sulle labbra che lei approfondì ben volentieri, lasciando la toga a metà sulle sue spalle, un po’ interdetta forse gli porse una carezza sul petto quando lui si allontanò.
«E questo perché?»
«Sostanzialmente per tre motivi. Il primo e il più scontato perché ti amo, poi perché sono orgoglioso di ciò che fai e come lo fai, quindi non dimetterti, ti aiuto ancora un po’, almeno fino a Natale, così passi del tempo con Hugo, ma poi torna, il tuo posto è al vertice. Hai zittito Malfoy meglio rispetto a come sarei riuscito io ed è lodevole che stavolta tu non lo abbia picchiato, chiunque sarebbe stato tentato»
Era divertita ma soprattutto commossa per quelle parole e per il tono dolce di Ron.
«Tuo padre vuole aiutarti … e il terzo?»
«È ben accetto un suo aiuto. Avevi ragione, devo trovare il coraggio di seguire i miei sogni come hai fatto tu ed ho deciso di frequentare l’Accademia, rimando però a gennaio l’inizio del corso. Voglio essere al tuo fianco, Hermione, voglio proteggerti e tranquilla dirò a Rose che è stata una mia idea. Troveremo il modo di trascorrere del tempo con i ragazzi. Allora, non mi dici nulla?»
Le fece una carezza col pollice sul viso non smettendo di sorridere, trovava graziosa la sua espressione sorpresa.
«Prometti di fare attenzione?»
«Te lo prometto. Sono sempre prudente»
Fece per abbracciarla per tranquillizzarla ed evitare che lei iniziasse con un elenco infinito di raccomandazioni, infondo lo aveva incentivato lei ad intraprendere quella strada in salita, ma lei si scostò diffidente.
«Hermione, ho cresciuto due figli ed hanno ancora tutti gli arti e poi ho voglia di arrestare Scorpius, così non si avvicinerà più a mia figlia e a mio nipote»
«Ronald, non hai capito nulla di questa riunione»
Hermione si portò una mano sul viso disperata, sentire quella considerazione non la stupì del tutto, ma la deluse comunque.
«Certo che ho capito, tranquilla, non riceverà nemmeno il bacio dei Dissenatori, è fortunato infondo»
La battuta, forse un po’ infelice, provocò un sorriso anche a lei. La attirò a sé schioccandole un nuovo bacio per farle intendere i baci che invece avrebbe sempre e solo ricevuto lei.
«Ron, ora basta, siamo al Ministero, è davvero poco professionale scambiarsi effusioni al lavoro»
Hermione provò a ricomporsi imbarazzata nei confronti di qualunque persona passasse loro accanto e rivolgesse ai due un cordiale saluto. Ron però non aveva ancora terminato di elogiarla.
«Forse non ti ho detto abbastanza che ti trovo bellissima»
Iniziò a guardarlo perplessa, non poteva però non esserne lusingata.
«Io e te dovremmo uscire più spesso, intendo da soli»
Gli posò una mano sulla fronte, complimenti e inviti a cena non erano da suo marito, soprattutto nell’arco di pochi secondi.
«Ti sei preso il Vaiolo di Drago? Sicuro di stare bene, vero?»
«Sto benissimo»
Ron capì l’allusione di lei e le sorrise. Gli lanciò piano sul viso la toga che finalmente era riuscita a togliersi e lui se la tolse dalla faccia divertito.
«Tu e Rose cosa mi state nascondendo? So che non mi vuole parlare, ma almeno tu cerca di essere sincero»
Hermione non diede a vedere quanto fosse preoccupata per la decisione del marito, Ginny avrebbe voluto che Harry avesse lasciato quel lavoro per la famiglia e lei lo stava spingendo ad abbracciare quella causa, ma ormai il danno era stato fatto e non avrebbe più potuto tornare indietro senza deludere i sogni di Ron una seconda volta nell’arco di una vita che si conoscevano. Ciò che in quel momento sembrava preoccupare di più quell’uomo invece era quell’ultima domanda della moglie ed Hermione a quella reazione si stava seriamente spazientendo.

 
[12 ottobre 2017 ore 6:30 p.m. – Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts/Serra di Erbologia]

Hannah aveva annunciato a suo marito che sarebbe passata nell’Aula di Erbologia, credeva che a quell’ora tarda non avrebbe interrotto alcuna lezione, ma non era sicura che lui fosse disposto a rivederla dopo i suoi numerosi rifiuti e ciò era forse comprensibile. Il graduale avvicinarsi alla porta chiusa della serra donava alla signora Paciock la sensazione che Neville non volesse ricevere visite, quando all’improvviso vide uscire Rose, immaginando avesse fatto tardare il suo professore per qualche lezione privata. Iniziava ad invidiarlo, suo marito aveva trovato il modo per compensare le mancanze che la vita aveva riservato loro, impresa che a lei non riusciva mai, il pensiero del dolore che avevano provato e che stavano continuando a provare era indelebile. Hannah andò incontro a quella ragazza, mostrandole un dolce sorriso.
«Ciao, Rose»
«Ciao, Hannah, non ti ho ancora ringraziata per avermi soccorsa dopo la partita di Quidditch»
«È il mio lavoro, cara, non devi ringraziarmi. Sono felice tu stia bene»
«E tu come stai? Stai raggiungendo Neville? Tarderà un po’ per cena, mi ha detto che doveva occuparsi della burocrazia, ma non so a cosa si riferisse»
Non aveva avvertito nemmeno la moglie della sua assenza in Sala Grande, iniziava a credere che le incombenze burocratiche fossero solo una scusa per riscoprire un po’ di raccoglimento.
«Sto bene, Rose, grazie. Ho bisogno di fare scorta di erbe per le pozioni, su questo mio marito è imbattibile»
«Sono d’accordo con te. Hannah, non ho intenzione di entrare nei vostri affari, ma Neville è triste senza di te, è tanto che non lo vedo sorridere»
Il fatto che glielo stesse facendo notare una ragazzina non la aiutò di certo, non aveva altra scelta che sforzarsi di mettere al confino il suo malessere per restare accanto a lui, che restava, a differenza di quanto si potesse pensare, l’uomo di cui era innamorata.
«Tranquilla, tesoro, ora gli parlo. Raggiungi i tuoi compagni, noi arriviamo»
La lasciò con un mezzo sorriso, sperando di rasserenarla. Attese qualche secondo prima di entrare, il tempo che Rose fosse abbastanza lontana per poi ritornare seria e ansiosa, uno stato che non era il caso di mostrare davanti ad una ragazzina. Quando varcò la soglia e lo vide concentrato sul bancone con una mano tra i capelli in segno di disperazione e l’altra impegnata a sorreggere una penna ferma sempre sullo stesso punto, si preoccupò. Si avvicinò rapida a suo marito e gli posò d’istinto una mano sulla spalla per attirare la sua attenzione, ma in realtà lo riscosse troppo violentemente e lo spaventò.
«Hannah! È successo qualcosa?»
Stava ben attenta a sfiorarlo di nuovo, comprese il sospetto negli occhi di Neville, così tentò di mostrarsi serena.
«Nulla … nulla di nuovo, tu cosa fai? Non ceni stasera in Sala Grande?»
«Devo terminare questi registri, ma non ci capisco niente»
«Mi avevi chiesto aiuto per compilarli, lo vuoi ancora?»
«Certo»
Gli rispose con un filo di voce incredulo e seguì i movimenti ipnotici della moglie, mentre si accomodava al suo fianco su uno dei tanti sgabelli messi a disposizione degli studenti. Hannah iniziò ad indicare i punti sul registro da compilare, afferrandogli distrattamente la mano e con essa la penna che lui teneva stretta tra le dita; stava adottando lo stesso approccio di un’insegnante, guidò la mano e la penna tra le varie diciture di quel modulo, cercando di essere più comprensibile possibile.
«Allora, qui trovi l’elenco dei tuoi alunni, la votazione degli esami, eventuali aggiunte o sottrazioni di punti ed infine le attività giornaliere che svolgi in classe»
«E tu come fai a sapere tutti questi dettagli? Non sei una docente»
Riuscì a capire poco e niente di quello che gli stava insegnando, forse stava prestando poca attenzione alla spiegazione di Hannah, era troppo concentrato dal fatto che lei con naturalezza lo stesse sfiorando e il suo viso fosse a pochi centimetri da quello di Neville; era impossibile per lui non distrarsi, dopo anni in cui sua moglie si impegnava a mantenere una certa distanza tra loro, Hannah per qualche strana ragione aveva cercato un contatto con lui quella sera.
«Però ho frequentato Hogwarts e sono sposata con un professore. Neville, mi stai ascoltando?»
Quando la guaritrice alzò lo sguardo dai registri e li posò sul marito, incrociò gli occhi incantati di Neville. Tentò di posare la penna per poter catturare dolcemente la mano di Hannah, ma lei la allontanò desolata. Aveva forse inteso male le intenzioni della moglie?
«Neville, non mi sembra il momento. Se è uno dei tuoi piani per riavvicinarmi a te …»
Le scostò i lunghi e biondi capelli che coprivano gli occhi castani, se avessero avuto una bambina avrebbe sicuramente desiderato rivedere sul suo viso quelle stesse iridi; le sistemò i capelli insolitamente sciolti dietro le orecchie porgendole una carezza sulla guancia, cercando di ignorare la sua debole resistenza, infondo avrebbe potuto alzarsi dalla sedia e andarsene senza alcuna resistenza da parte di lui, se non avesse voluto da parte sua un simile approccio. Neville provò ad avvicinarsi lentamente al suo viso per baciarla, le aveva lasciato forse troppo margine per tirarsi indietro e lei lo aveva fatto tornando a concentrarsi sui registri, scoraggiandolo, infatti stavolta fu lui a desistere infastidito.
«Prendo la Valeriana, così ti lascio libera»
Si alzò con uno scatto irritato e quando tornò con il ramoscello, glielo posò proprio davanti sul bancone; non degnò più nemmeno uno sguardo a lei, si limitò ad impugnare di nuovo la penna e a riprendere il suo lavoro con i registri da solo.
«Ora hai quello che volevi, vai a cenare»
«Tu non vieni? Neville, sei arrabbiato?»
«Hannah, ti ostini a credere che l'unica a soffrire sia tu, quando io ho perso lui e te, perché un bambino che non abbiamo nemmeno avuto modo di conoscere è diventato più importante del nostro rapporto. Eppure siamo noi qui, non lui»
«N-Neville»
«No, Hannah, ora credo anche io sia il tempo di ...»
«Neville, sul serio, aiutami»
Non riuscì a capire subito cosa lei intendesse, ma la vide appoggiarsi al bancone con i gomiti nel tentativo di reggersi la testa con entrambe le mani. Era impallidita all’improvviso e capì che non stava scherzando.
«H-Hannah»
La resse avvolgendole le spalle per paura che svenisse e cadesse dal bancone o ancor peggio dalla sedia.
«Cos’hai? Hannah, per carità, rispondimi, mi stai facendo preoccupare»
«Non lo so, mi sento debole»
«Ti accompagno al San Mungo»
Gli parve di rivivere un momento drammatico della sua vita, uno di quelli che non augurerebbe a nessuno di vivere.
[Era un tranquillo pomeriggio, uno dei primi delle vacanze natalizie, Neville e Hannah avevano deciso di passarlo a Londra, lontani dai maestosi preparativi di Hogwarts. Avevano infondo tutte le ragioni per voler trascorrere qualche giorno da soli, quello era un anno speciale per loro, diventare finalmente genitori li emozionava, nonostante mancassero ancora parecchi mesi. Proprio quel pomeriggio Neville era rincasato, dopo qualche ora di assenza, con il suo solito sorriso che riservava ogni volta che vedeva la consorte; sapeva di trovarla in cucina, gli aveva annunciato che desiderava fare qualche prova per i dolci di Natale e l’uomo si diresse proprio in quell’ala della casa, speranzoso di poter assaggiare qualche biscotto al cioccolato. Neville non si sarebbe mai aspettato di trovare, nemmeno nei suoi incubi peggiori, sua moglie in sofferenza seduta sul pavimento freddo e come unico sostegno il mobile del piano cottura; le si avvicinò spaventato, cercando di capire cosa fosse accaduto, nella fretta non calpestò il sangue ai piedi di Hannah per un soffio.
«Hannah, amore, cos’è successo?»
In un primo momento ebbe il sospetto che fosse caduta, ma non vi era alcuna ferita visibile che avesse potuto causare quell’emorragia. La donna non riusciva a muoversi, la paura e il dolore la bloccavano nella stessa posizione da qualche ora ormai; le forze le venivano meno, tentava solo di regolare il respiro per non soffocare, ma il pensiero costante era per suo figlio, della sua salute le importava relativamente. Con un filo di voce invocò l’aiuto di suo marito.
«Il nostro bambino, ti prego, aiutalo»
La vide piangere tra le suppliche, le sue erano lacrime consapevoli di non poter fare più nulla per il piccolo; non se ne intendevano, ma c’era troppo sangue affinché il bambino stesse bene. Cercò di comunicarlo anche a lei per essere sicuro che fosse vigile e il dolore non offuscasse la sua mente, lui per primo faceva fatica a non dare retta alla sofferenza e alla speranza che qualcosa ancora si potesse fare per il bambino. Si sedette accanto alla moglie, appoggiandosi anch’egli al mobile e lasciò che lei si sfogasse sulla sua spalla.
«Hannah, non fare così, avremo altre opportunità per diventare genitori»
«Era il nostro bambino, Neville»
«Lo so. Avremo altri bambini, stai tranquilla, ora però devi andare in ospedale»
Non riusciva a capire cosa avesse potuto provocare quell’aborto, la sua mente doveva ancora rielaborare l’accaduto, era troppo presto per cercare responsabilità. Forse Hannah non ci stava pensando in quel momento, lui si augurava che fosse così, ma al piano superiore era quasi tutto pronto per accogliere il loro primogenito.]
Neville si sentì a lungo in colpa per non essere stato con lei in quei momenti, pensò spesso di essere stato il vero responsabile, se ci fosse stato e le avesse offerto un intervento tempestivo, il loro destino avrebbe potuto prendere una piega diversa.
«È troppo lontana Londra da qui»
«Usiamo la Metropolvere. Hannah, così perdiamo solo tempo»
Si stava agitando più di lei, memore delle esperienze trascorse e lei lo colse subito. A loro non mancava certo complicità, inoltre le capacità empatiche di Hannah erano notevoli e un minimo tremore di lui le era facilmente decifrabile.
«Non è come l’ultima volta, stai tranquillo, non c’è alcun bambino stavolta da salvare»
Glielo disse con rammarico, Neville si passò una mano sugli occhi disperato, cosa aveva stavolta da perdere, cosa c’era ancora in gioco? Cos’altro il destino aveva deciso di portargli via, sua moglie forse? Era l’unica persona cara che gli era ancora rimasta accanto, non aveva più nessuno, il destino aveva ben pensato di sterminare la sua famiglia e tutte le famiglie che avrebbe voluto creare nel futuro.
«Non aspettarmi per cena, vado a riposare nella mia stanza, non ho appetito»
«Non sei nelle condizioni per essere lasciata sola»
Provò ad alzarsi da sola, non cogliendo le raccomandazioni del marito, ma ogni tentativo le faceva cedere le gambe, facendola ricadere pesantemente sulla sedia; fu inutile persino reggersi al braccio di Neville per darsi lo slancio, anche se non avrebbe voluto averne bisogno. Nonostante il malessere fosse preponderante le venne spontaneo il sarcasmo, ma si accorse solo dopo dall’espressione del marito di essere stata scortese.
«E cos’hai intenzione di fare, passare la notte con me? Scusami, non volevo insinuare che approfittassi … Si congela qui, non trovi?»
Le era accanto, mettendosi a sua completa disposizione e monitorando il suo malessere per poterla soccorrere con tempismo, quindi non pensò nemmeno un secondo prima di togliersi la giacca e coprirle le spalle. Gli porse grata un mezzo sorriso, sapeva di essere solo lei a tremare, era il suo stato di salute a provocarle i brividi, ma era pur sempre ottobre e il caldo estivo aveva già da tempo abbandonato l’atmosfera. Subito il profumo di Neville che proveniva dalla stoffa calda e accogliente di quella giacca le invase le narici, le era mancato più di quanto credesse razionalmente.
«Hannah, ti serve un medico»
Era estremamente serio, quasi autoritario, era categorico che lei dovesse essere visitata da qualche Medimago esperto; al San Mungo lavoravano amici, le avrebbero fatto nell’immediato una diagnosi.
«No, io ho bisogno che tu mi sia accanto, non necessito di nessun altro. Ti prego, dammi quel bacio che volevi darmi prima, ne ho bisogno … da due anni»
Lo stupì, doveva stare davvero male per affermare simili intenzioni. Gli si avvicinò di sua spontanea volontà o almeno così sembrava; Neville però fu un po’ restio ad assecondarla, era convinto non fosse completamente in sé in quel momento. Rimase immobile nell’attesa di accertarsi delle intenzioni della moglie, gli era a pochi centimetri, quando il cuore di Neville perse un colpo, perché appena prima di sfiorargli le labbra, si accasciò sulla sua spalla. La strinse forte a sé, quando iniziò a sentirla singhiozzare, lasciandole subito dopo un bacio tra i capelli, aveva compreso la situazione.
«Amore, stai tranquilla, ti accompagno al San Mungo, con la Metropolvere siamo lì in poco tempo»
«Neville, come farei senza di te?»
«Quindi niente divorzio?»
La fece sorridere tra le lacrime, non la sentiva sorridere da troppo tempo, forse insieme avrebbero superato il dolore, sarebbero stati più forti, fisicamente e psicologicamente.
 

 

Ciao ragazzi!
Le vacanze mi hanno aiutata a terminare questo capitolo che da troppo tempo sto scrivendo, mi dispiace davvero se ha tardato così tanto questo aggiornamento ad arrivare ☹
Grazie come sempre per la pazienza che avete ad attendere i nuovi capitoli, le idee ci sono, il problema è metterle nero su bianco ^^’ <3
Vi auguro un sereno Natale e uno splendido 2020! <3
 
Alla prossima!
Baci
-Vale

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Capitolo 10
*** Inimicizie che scoppiano ***


 

Inimicizie che scoppiano

 


 
 
[12 ottobre 2017 ore 8 p.m. – Ospedale magico San Mungo]
 
A quell’ora della sera il reparto dedicato alle nuove nascite non smetteva di funzionare, anzi sembrava essere più attivo del solito. Hannah si era opposta fermamente alla proposta del marito, non voleva essere sottoposta ad alcuna visita, necessitava solo di qualche ora di riposo, Neville però l’aveva trascinata fin lì preoccupato, saltando la cena e richiedendo al personale medico se fosse stato possibile un controllo. Erano in attesa che il loro medimago di fiducia si liberasse dagli impegni più urgenti, nel frattempo li avevano fatti accomodare su un paio di sedie a bordo corridoio e da quella postazione era un susseguirsi di donne felici in attesa o con in braccio il proprio neonato, era proprio ciò che si era fermamente ripromessa di non rivivere mai più tra quelle quattro mura; Hannah abbassò lo sguardo provata quando un conato di vomito la prese alla sprovvista, tentando di camuffare la reazione a suo marito. Neville però era seduto a pochi centimetri da lei, allungò una mano verso la moglie per posarla sulla sua gamba, ma lei la scostò sgarbatamente prima che riuscisse a sfiorarla.
«Ti avevo detto che non volevo tornare qui dentro. Cosa non ti è stato chiaro?!»
Incassò il rimprovero della moglie, non aveva alzato il tono e nemmeno lo sguardo su di lui, eppure la profondità con cui si era rivolta a quell’uomo lo lasciò per qualche secondo in silenzio. Aveva esplicitato di gradire la sua vicinanza, credeva davvero di aver accettato un aiuto da parte sua e invece aveva già ricominciato ad opporsi.
«Mi dispiace, Hannah, so che ti fa male, ma è necessaria la diagnosi di un medimago ed io non conosco altri posti dove riceverla»
«Sono una guaritrice, mi hai preso per una dilettante da non riuscire a capire che ho solo bisogno di un po’ di riposo? Tu non sai un bel niente, Neville, di come mi sento qui dentro. Stammi accanto se vuoi, ma portami via»
Si passò stanco indice e pollice sulle palpebre, quell’ennesima lite aveva preso avvio nell’esatto istante in cui le aveva impedito di raggiungere la sua stanza, ma infondo non erano nuove quelle parole da parte di sua moglie, gli aveva già in passato impedito di occuparsi di lei e suo suocero aveva rincarato la dose accusandolo di essere la causa principale del dramma della figlia.
«Hannah, senti, se …»
Un’altra felice famigliola era passata sotto il loro naso, facendole perdere la sua rinomata pazienza da tassorosso, si era alzata recuperando la sua giacca dallo schienale e si sarebbe avviata verso l’uscita se il marito non si fosse sovrapposto tra lei e la sua meta.
«Tesoro, puoi farmi contento per una volta? Ho bisogno di sapere che stai bene, se ci verrà detto che dipende dalla stanchezza allora accoglierò ben volentieri la proposta della McGranitt, ci ha concesso qualche giorno di ferie, ti porto lontano da Hogwarts, da Londra e dal San Mungo, ovunque tu voglia andare, ma ora ti chiedo questo sforzo, anche se doloroso»
Non poté fare a meno di gettare uno sguardo oltre il marito, benché avesse colto le sue suppliche e le sue promesse, e abbandonarsi alla malinconia che quel luogo le infondeva.
«Lo sogno spesso, sai?»
«Il nostro bambino?»
«Sì, ma non riesco mai a capire se sia moro o biondo, non riesco ad immaginare i suoi tratti fisici, è sempre avvolto dalla luce, ma, nonostante ciò, so per certo che si tratta di lui»
Continuava ad incastonare lo sguardo nei passi del bambino biondo che sgambettava alle spalle di Neville, non c’era desiderio più grande nel suo cuore che vedere la vita scorrere anche nelle vene del figlio perduto.
«E se fosse stato castano?»
Quella considerazione riportò l’attenzione di Hannah sul marito, stavolta sussurrò incrociando i suoi occhi.
«Nei miei sogni gioca con mia madre, non so dove si trovino, ma sembrano felici, sono ignari del dolore che hanno lasciato quaggiù»
«Amore, so come ti senti … anzi, no, non lo so, è da quando avevo un anno che non ho avuto i miei genitori accanto, ma nonostante non avessi alcun modello da cui prendere spunto, mi sarebbe piaciuto diventare padre con te al mio fianco. Ciò non toglie però che tu sia sufficiente per rendermi felice. Hannah, io capisco tuo padre, gli sei rimasta solo tu, ma l’ultima cosa che voglio è vederti soffrire di nuovo, quindi se ti ho portata qui stasera con la forza …»
«Neville, lascia perdere mio padre, non è stata la sua opinione a tenermi lontana da te»
Accolse con piacere la dolcezza con cui quell’uomo, il suo uomo – per troppo tempo se ne era dimenticata – si era rivolto a lei. Lasciò persino che Neville recuperasse la sua giaccia piegata contro il petto appesa agli avambracci e intrecciasse le dita alle sue invitandola a seguirlo, ma stavolta non fece alcuna pressione, lasciò a lei la decisione. Si limitò per qualche istante ad accarezzargli il dorso della mano con il pollice incontrando a tratti la sua fede; Neville seguì i suoi gesti, godendosi quelle rare attenzioni. Ad interrompere Hannah e quel momento fu il medimago che stavano aspettando.
«Hannah, Neville. Come mai siete da queste parti? Coraggio, venite, scusate, ho cercato di liberarmi il prima possibile»
Il medico aprì con una chiave singolare una stanza poco distante da loro, li invitò ad entrare e accostò la porta alle loro spalle. Il medimago in questione era Seamus Finnigan, amico della coppia; terminato Hogwarts aveva iniziato a lavorare per la redazione della Gazzetta del Profeta, per poi diventarne infine il direttore, ma aveva lasciato ormai da anni quel posto per dedicarsi agli altri, piuttosto che scrivere di loro. Prese posto dietro la scrivania e invitò loro ad accomodarsi davanti a lui.
«Ragazzi, avete richiesto un controllo, qualcosa non va?»
Notò la loro espressione perplessa, in particolare quella di lei, ma alla fine fu proprio Hannah a prendere un lungo respiro, a fulminare suo marito per averla trascinata fin lì e a rivolgersi all’amico.
«Seamus, non mi sento bene, ho mancamenti improvvisi. Pensi che possa dipendere da quello che mi è successo?»
«Non saprei, Hannah, dovrei prima visitarti. So che vi avevo dato speranze praticamente nulle, ma potrebbe anche essere una semplice gravidanza. Preparati sul lettino, torno subito»
Bastò che Seamus voltasse l’angolo con un sorriso e l’ultimo pezzo di stoffa bianca del suo camice scomparisse oltre la porta interna della stanza, per incontrare lo sguardo penetrante e serio del marito che poche volte aveva visto sul suo viso.
«E ovviamente non posso essere io il padre»
«Neville, cosa staresti insinuando? Seamus non sa che ci siamo allontanati e nemmeno che io non posso essere incinta, visto che non ho fatto alcun tentativo negli ultimi anni, né con te né con qualcun altro»
Rimase estremamente scettico, l’amico gli aveva insinuato evidenti dubbi, ma lei non ci fece caso, visto che aveva ben poco da nascondere a suo marito, non si era di certo allontanata da lui per nascondere una qualche relazione extraconiugale, anzi aveva sempre auspicato per lui una compagna migliore. Nell’attesa che il medimago rientrasse nella stanza, Hannah si sedette come le era stato suggerito da lui, quando tornò però non parve molto soddisfatto.
«Allora, Hannah devi stenderti»
Indugiò, erano in una confidenza tale da poter mettere in dubbio l’ipotesi del medico.
«Seamus, non può esserci alcuna gravidanza in corso, fidati»
«So cosa vi avevo detto sulle possibilità che vi erano rimaste di diventare genitori, ma non escludo nulla prima di un controllo»
A lui sembrava di offrire qualche piccola speranza a quella coppia così sfortunata, ma forse aveva male interpretato persino il loro pessimismo, almeno finché Neville non gli desse qualche indizio.
«Se ci fosse un bambino, non sarebbe comunque mio»
«E di nessun altro. Seamus, puoi escluderlo tranquillamente, non ho frequentato nessuno negli ultimi anni, nemmeno mio marito»
L’amico rimase per un momento interdetto, soprattutto sul rapporto che emergeva tra Neville e Hannah.
«Ma vi siete lasciati?»
Smise per un momento le vesti del medico, il suo ruolo di testimone di nozze prevalse, anzi il fatto che non lo avessero messo al corrente di una svolta così triste lo infastidì e ferì. Nessuno dei due aveva intenzione di confessare che quella situazione proseguiva da due anni a colui che avrebbe dovuto garantire e vegliare sul loro amore e sulla loro unione, preferivano di gran lunga deviare il loro sguardo su qualsiasi cosa che non fossero gli occhi indagatori dell’amico.
«Sentite, siete venuti qui per chiedermi aiuto, ma se non mi dite la verità, io non posso aiutarvi»
«L’unica verità è che non sto bene e speravamo potessi dirci tu la causa»
Seamus sospirò davanti a tanto mistero; figlio di un babbano non poté proprio escludere quel mondo dall’esercizio della sua professione.
«Sdraiati, Hannah, provo a farti un’ecografia»
Gli diede retta, tanto ora aveva sicuramente capito che non vi erano i presupposti per scorgere un’altra vita; lei spostò la maglietta quanto bastava, quello, dalle felici visite in cui aveva sentito il battito del suo bambino, lo ricordava; mentre Seamus esaminava attentamente lo schermo, Hannah non poté evitare di lanciare qualche sguardo complice al marito che però non ricambiò e lei non domandò se quella reazione fosse dovuta ad un dolore simile al suo o ai sospetti di poco prima.
«Le tue condizioni non sono cambiate dall’ultima volta che ti ho visitata. Hannah, posso farti ulteriori esami, ma temo sia un fattore psicologico e lasciati anche dire che la situazione che si è creata tra di voi non ti aiuta a stare meglio»
Stavolta fu Neville a tradirsi sfinito, passandosi i palmi delle mani sul volto.
«È quello che continuo a ripeterle io»
«Prendi già qualcosa per rilassarti?»
«Valeriana, in abbondanza, lo so perché sta esaurendo le mie scorte ad Hogwarts»
Fu di nuovo lui a rispondere al medico e a rimproverarla con ovvietà attraverso una semplice occhiata, ad Hannah non rimase che provare a giustificarsi.
«Non è invasiva!»
«Hannah, lo sai meglio di me, ogni cosa in eccesso rischia di fare danni, cerchiamo di non renderli irreparabili, visto che ce ne sono già altri a cui non possiamo porre rimedio»
«Seamus, non riposo più come dovrei»
Glielo rivelò in un sussurro, sperando che suo marito fosse troppo distratto dai pensieri per udirla.
«Allora ti consiglio di ricominciare a riposare con la persona giusta»

 
[13 ottobre 2017 ore 2:13 p.m. – Londra Babbana – Casa Granger]
 
Hermione nel primo pomeriggio, grazie all’aiuto del marito, era riuscita ad essere davanti alla porta dei genitori, delegando a lui il resto del lavoro. Non avrebbe saputo come fare senza quell’uomo, senza la sua comprensione, forse non glielo diceva abbastanza e forse avrebbe dovuto dedicare qualche minuto in più anche a lui; invece neanche un’ora prima aveva ricevuto un gufo direttamente dalla sede del Ministero della Magia americano per le sue ‘grandi doti magiche e amministrative’ dicevano e da quel momento il precario equilibrio emotivo e psicologico che era riuscita a ritrovare aveva guadagnato qualche crepa ed era inevitabile che la notizia avrebbe provocato una rottura irreversibile anche nel suo matrimonio. Non aveva ancora avuto modo di digerire quella novità, al lavoro aveva preferito affogare i pensieri nelle questioni ministeriali, del “suo” Ministero inglese, che, ora, visto lo stato delle cose, diventava la prospettiva migliore ed era certa che persino Ron, in piena crisi di autostima, avrebbe rivalutato quelle giornate così stracolme di doveri e responsabilità, purché dopo il tramonto l’attenzione fosse tornata sulla loro famiglia all’interno del calore della loro casa. Era quindi comprensibile che Hermione non avesse trovato il coraggio quel pomeriggio di spegnere il sorriso di suo marito, quando le aveva dato il cambio in ufficio; si era limitata a stampargli sulle labbra un bacio più carico del solito, lasciandolo interdetto sul luogo in cui si trovassero, ma solo lei poteva sapere quanto in quei giorni sarebbe stato importante colmare le mancanze che presto avrebbero accompagnato le loro vite.
Aveva il fiato corto per aver sceso le scale del Ministero rapidamente, a quell’ora l’ascensore era sovraffollato, e solo in prossimità dei camini riuscì a Smaterializzarsi e a Materializzarsi poi rigorosamente in presenza di maghi, quindi dovette raggiungere a piedi la Londra Babbana, alzando il passo, affinché i suoi genitori non la dichiarassero dispersa. Era fuggita dalle mura del Ministero con la scusa di sollevare i genitori ormai anziani da un oneroso impegno, benché sapesse perfettamente  quanto nonni e nipote trascorressero volentieri le ore insieme; temeva solo che Ron cogliesse la verità nei suoi occhi e desiderava allontanare il prima possibile la tentazione di essere sincera con lui, non ricordava nemmeno più l’ultima menzogna che gli aveva raccontato … ah già, non era lei la più bugiarda della coppia, suo marito era ben più abile a celare a lei aspetti importanti della sua vita.
Indugiò qualche istante sulla porta di ingresso, cercò di regolare il respiro, non desiderava infondere quell’inquietudine al suo bambino, cercava di evitare che, non appena si fossero abbracciati, Hugo avvertisse palpitare un po’ più velocemente nel petto il suo cuore. Si decise infine a bussare delicatamente per distogliere la mente dai suoi pensieri, non aveva né la forza né l’indole di mostrare irruenza e sperò che qualcuno in casa la sentisse al più presto. Fu sua madre ad accoglierla con un grande e rincuorante sorriso, indossava un paio di guanti umidi, visto che si stava ancora occupando delle stoviglie che erano state sporcate a pranzo.
«Hermione, ciao! Ti stavamo aspettando. Entra qualche minuto, dai»
Le spalancò la porta con enfasi, sfiorando la maniglia con il polso per non bagnarla o sporcarla di detersivo, pensò Hermione a richiuderla alle spalle viste le difficoltà della madre. Non era solo Ron a sentire i morsi della mancanza di sua moglie, allo stesso modo i genitori di Hermione, anche se non lo esplicitavano per evitare di pressarla più del necessario, avrebbero desiderato trascorrere qualche minuto in compagnia della loro unica figlia; nonostante i numerosi impegni del Ministro in carica però, i signori Granger non si sentivano affatto abbandonati da lei, sapevano in caso di bisogno di poter contare l’uno sull’altro. Quel giorno in particolare fu Hermione a richiedere l’intervento dei genitori per occuparsi qualche ora del piccolo Hugo, l’entusiasmo dei nonni non mancò, ma, dopo tutte le liti e le accuse che Ron le aveva rivolto, anche un piccolo aiuto da parte loro le sembrava scorretto. Per quanto non avesse mai negato la sua presenza ai genitori, Hermione decise di non attendere sulla soglia di casa che il figlio la raggiungesse ed entrò per chiedere quantomeno a loro come stessero e se ci fossero novità degne di nota; doveva ammettere che, per quanto potessero rivolgersi a lei ogniqualvolta ne avessero avuto bisogno, la sua mente era stata spesso altrove ultimamente, forse più del consueto. Decise di non confidare alla madre i suoi turbamenti, anzi preferì deviare l’oggetto dei suoi pensieri almeno per il momento e mostrarle come poteva gratitudine.
«Scusami, ho tardato qualche minuto, Ron mi ha trattenuta in ufficio per una questione urgente di lavoro, altrimenti non avrebbe potuto proseguire da solo. Ora però sono qui, quindi se hai bisogno di aiuto per riordinare la cucina, visto il disturbo che vi ho portato con Hugo, non indugiare a chiedere»
«Ma certo che no, tesoro, hai appena terminato il lavoro. Chiamo subito tuo figlio, così puoi tornare a casa e riposarti. Al momento si trova nello studio con tuo padre, gli sta mostrando come al solito tutti gli strumenti del mestiere del dentista, non hanno nemmeno voluto fare un riposino dopo pranzo»
La signora Granger stava per avviarsi verso l’altra ala dell’abitazione, interrompendo per qualche minuto il suo lavoro in cucina, ma, benché avesse appena iniziato a rassettare, non voleva nel modo più assoluto che sua figlia già stanca e provata si mettesse a riordinare insieme a lei. Riuscì però a muovere solo un mezzo passo, a catturare la sua attenzione fu l’espressione triste e pensierosa della figlia rivolta al pavimento, non era da lei cedere così facilmente al volere di qualcuno, aveva accettato il consiglio della madre senza provare a far valere le sue ragioni.
«Hermione, tutto bene?»
Avvertì tardi di essersi tradita proprio davanti alla persona che meglio sapeva interpretare ciò che le frullava nella mente e nel cuore, così tentò di camuffare con un mezzo sorriso e un debole tentativo di ribellione.
«Dai, mamma, lasciati aiutare, voi ci siete sempre per noi. Tanto so già che Hugo vorrà restare qualche minuto in più con il nonno per vedere pinze, specchietti e trapani. E finché li guarda solo, senza averne necessità, io sono felice»
«Difficile che possa averne bisogno, Hermione, io e tuo padre gli facciamo un controllo costante, quindi, anche se tuo marito dovesse esagerare con i dolci per il bambino, puoi stare tranquilla»
Sorrise sinceramente alla chiara allusione della madre alla golosità di Ron, ma, nonostante la padrona di casa fosse riuscita a stemperare la tensione, Hermione non ammise repliche e si sbottonò con determinazione la giacca appoggiando la borsa accanto all’attaccapanni. Quando fece per avviarsi verso la cucina, la madre la fermò dolcemente sfiorandole il braccio con la punta delle dita.
«Siamo felici di occuparci di nostro nipote, sono certa di poter parlare anche per tuo padre, ma c’è qualcosa che ti turba, vero?»
«Aspetta, mamma, prima mi occupo dei piatti e poi ci sediamo a …»
Aveva appena terminato di piegare le maniche della camicia fino ai gomiti, quando si arrese all’inevitabile discorso e non riuscì a concludere la frase, le parole affievolirono in gola fino a dissolversi del tutto, un magro tentativo di ignorare la realtà era a quel punto inutile. Le pupille di Hermione brillarono alla luce del sole battente che filtrava oltre i vetri delle finestre, infrangendo tutti i suoi tentativi di distrarre la mente dall’ultima pessima notizia ricevuta.
«Tesoro, cos’è successo?»
«D-devo partire … mi è stato affidato un incarico al Ministero di New York, a loro manca del personale, così hanno deciso di chiedere a me e non ho potuto sottrarmi, è un ordine che arriva dalla Confederazione internazionale dei maghi, sono i miei diretti superiori e per quanto ci abbia provato, la mia opinione non conta nulla, decidono loro la mia posizione lavorativa. Sanno che Ron mi sta aiutando, ho dovuto informarli e per quanto lui mi abbia sconsigliato di dimettermi, loro hanno deciso di considerarlo un mio sostituto fisso per tutto il periodo della mia trasferta»
Si sedette sul divano a pochi metri da lei, provata da un periodo per cui non vedeva una fine o se anche ci fosse stata non sarebbe stata molto lieta. La madre ebbe bisogno di qualche minuto per assimilare la notizia nel migliore dei modi, forse Hermione non aveva preso in considerazione quanto avrebbe toccato anche lei sapere che sua figlia sarebbe presto partita per lavoro.
«Per quanto tempo starai via?»
«Non ne ho idea, so solo che nei weekend potrò tornare a Londra. Mamma, non ho il coraggio di dirlo a Ron, non dopo tutto l’aiuto e l’impegno che sta donando al Ministero per me. Nei suoi progetti futuri ci sono l’Accademia degli Auror e tornare a lavorare al fianco di George, mi avrebbe aiutata solo fino a Natale e per me era già un regalo immenso, ora però scombino tutti i suoi piani. Oggi quando mi ha raggiunta al lavoro con un grande sorriso, felice di vedermi dopo ore, non ho avuto il cuore di accennargli la decisione che è stata presa ai piani alti. L’ho messo io in questo guaio, se solo non gli avessi chiesto di aiutarmi, ero sicura si sarebbe distinto con un piccolo aiuto da parte di suo padre e avrebbe conquistato la fiducia della Confederazione, l’unico ad avere poca fiducia in se stesso è lui, glielo ripeto sempre»
«Tesoro, so che è difficile, ma prima glielo dirai e prima gli darai modo di accettarlo»
Alla signora Granger non rimase che infonderle forza, quella che di norma non le veniva meno, ma stavolta Hermione sembrava piuttosto abbattuta e stanca.
«Non so come spiegargli ... che mi mancherà e se potessi restare al suo fianco lo farei. Lui però non lo capirà, almeno non subito, si arrabbierà e litigheremo per la decima volta a causa del mio lavoro»
«Hermione, mi stai dicendo che il rapporto con tuo marito non è idilliaco?»
«Non è mai stato idilliaco il nostro rapporto, mamma. In realtà credevo avessimo trovato un equilibrio negli ultimi giorni, ma poi è arrivata questa notizia e, credimi, rovinerà tutto, è troppo irascibile per essere comprensivo. Non ho sposato un uomo, ma una bomba ad orologeria»
Quel paragone, enfatizzato dal nervosismo della figlia, spaventò la signora Granger, anche se l’intenzione di Hermione non era certo quella di portare ad un fraintendimento.
«Hermione, quanto è irascibile Ron?»
«Mamma, no, a qualsiasi cosa tu stia pensando. Ho detto che è irascibile, probabilmente da quando è nato, non violento, al contrario mi ha sempre protetta. Io non voglio lasciarlo settimane intere da solo a casa, a lavorare inoltre al posto mio, so quanto sia in gamba e se la cavi benissimo anche senza di me, ma …»
Stavolta ad interromperla non fu il peso sul cuore, ma l’arrivo di suo figlio che, appena dopo aver gridato “mamma” con un certo entusiasmo, si era accomodato sulle sue gambe e si era buttato tra le sue braccia. Hermione lo strinse forte cercando di scacciare le preoccupazioni, nell’enfasi con cui le era venuto incontro non si era accorta che portava attaccata con un elastico all’orecchio sinistro una mascherina chirurgica da dentista; riuscì a strapparle un sorriso, al quale rispose suo padre che raggiunse la figlia e la moglie poco dopo in soggiorno.
«Papà, vuoi reclutare in studio un nuovo dentista? Ti serve qualcuno per sterilizzare gli strumenti?»
«Dubito che con tutti gli esempi allettanti intorno a mio nipote, voglia seguire le orme dei nonni in uno studio dentistico, o sbaglio, piccolo?»
Hugo era troppo impegnato a lasciarsi coccolare dalla mamma, la quale lo teneva stretto al petto e lo riempiva di baci e carezze, quelli che per settimane avrebbe dovuto negargli.
«Sì, invece, nonno! Voglio lavorare insieme a te»
L’uomo si sorprese, non si sarebbe mai aspettato di sentire uno dei suoi nipoti maghi confessare il desiderio di seguire le sue orme e quelle di sua moglie; dal canto suo Hermione non poté evitare di sorridere, non vedeva l’ora di informare il marito e il suocero di quella novità, chi più chi meno, ne sarebbero stati entusiasti e sarebbe quasi sicuramente arrivato Ron a chiedere per l’ennesima volta di cosa si occupasse nella fattispecie un dentista, visto che non era mai riuscito veramente a capirlo.
«Hai mangiato tutto quello che ti ha preparato la nonna o hai fatto i capricci?»
Hermione lanciò un’occhiata alla madre per essere aggiornata, non del tutto convinta che il figlio le avrebbe detto la completa verità.
«Ha fatto un pranzo sostanzioso, tesoro»
«Bene, bravo il mio bambino»
 
 
[14 ottobre 2017 ore 8:15 p.m. – Paiolo Magico]
 
Dal bancone del Paiolo Magico Hannah, in un momento di tranquillità dalla solita incessante clientela, appoggiata, fissava l’uomo che in solitudine sfogliava ormai da un’ora abbondante distrattamente il menù. Non era tipico di Ron essere indeciso sull’ordinazione, stava sicuramente aspettando qualcuno di importante; stava seguendo con attenzione da qualche minuto i suoi gesti e l’amico non faceva altro che rigirarsi nervosamente tra le dita la fede che portava all’anulare, non essendo più però un giovane in attesa della fidanzata, la sua agitazione poteva solo essere dovuta al fatto che il rapporto con sua moglie non funzionasse nel migliore dei modi. Abbandonò la sua postazione di lavoro che aveva assunto quel giorno in via eccezionale e si avvicinò all’amico per approfondire cosa gli stesse passando per la mente. Svariati minuti prima gli aveva chiesto cosa preferisse per cena, ma lui le aveva chiesto ancora un po’ di tempo e lei aveva preferito non sbilanciarsi. Ora però aveva deciso di varcare il muro del silenzio che Ron aveva innalzato intorno a sé, appoggiando con familiarità gli avambracci al tavolo a cui lui era seduto, sperando che la vicinanza e il clima raccolto che lei era riuscita a creare lo invogliasse a confidarsi; si rivolse a lui con un flebile sussurro per non rendere partecipe qualche estraneo del loro dialogo.
«Ron, ti posso portare qualcosa da bere nell’attesa?»
«Hannah, non tentarmi, dovrei ordinare del whisky incendiario, solo così starei meglio»
Le aveva risposto con uno sbuffo rassegnato e senza alzare gli occhi dalla lista delle pietanze; l’amica era rimasta qualche secondo interdetta, non sapeva come aiutarlo di più, ma poi lasciandogli una carezza sulla spalla prese la decisione più saggia.
«Ti porto un bicchiere d’acqua, vorrei che Hermione ti trovasse sobrio»
Aveva intuito da sola chi stesse aspettando e quando Ron udì il nome della moglie, alzò finalmente lo sguardo su di lei, catturandole la mano e impedendole così di allontanarsi.
«Hai per caso un foglio e una penna?»
La donna iniziò a rovistare nelle tasche del suo grembiule e trovò dopo qualche istante una matita e un taccuino che utilizzava per annotare le ordinazioni; quando glieli porse non mancò di essere più esplicita, quella richiesta la lasciò palesemente diffidente, era preoccupata per il futuro dei suoi amici e con un semplice sguardo cercò di placare il suo animo. Benché Hannah fosse ancora al suo fianco e lui ne percepisse l’ombra e il respiro, iniziò a scrivere un promemoria per sua moglie, infondo la rabbia nei confronti di quella donna per l’indifferenza che quella sera gli aveva riservato non era un mistero.

 
Ti avevo dato un appuntamento, affinché tu mi raggiungessi dopo il lavoro all’ora stabilita, non che mi lasciassi al tavolo come un idiota ad aspettarti per ore. Se non gradisci la mia compagnia, basta dirlo, torno a prendere Hugo dai miei, a cui lo avevo affidato per passare una serata tranquilla insieme a te. Almeno fammi sapere se ti importa ancora di recuperare il tempo perso, senza la tua collaborazione non posso farcela.
 
Staccò con stizza il pezzo di carta scritto e lo porse all’amica, che aveva letto con rammarico quelle parole cariche di dolore mentre lui le incideva nero su bianco.
«Hannah, per favore, riesci a spedire un gufo al Ministero?»
Indugiò ad afferrare quel foglio, non aveva alcuna intenzione di essere la responsabile di un litigio tra loro e non era esagerata a definirsi tale, perché lei sentiva il dovere di farlo riflettere.
«Ron, forse dovresti …»
«Sono stanco, Hannah, di comprenderla. Mi manca, ma se non sono mai in cima alle sue priorità, che senso ha stare insieme? Credevo che aiutarla avrebbe migliorato la situazione, ho messo in mezzo persino mio padre per riuscire ad imparare in fretta un lavoro che non sento mio, ma è stato comunque tutto inutile, non ho saputo fare di meglio»
Non riuscì a dargli del tutto torto, non si sentiva nemmeno nella posizione migliore, visto che lei aveva ignorato per anni il supporto di suo marito, intaccando quel rapporto. Afferrò con risolutezza la missiva che Ron desiderava tanto in preda alla rabbia spedire ad Hermione e la strappò, trasformandola in mille coriandoli sparsi sul tavolo.
«Hannah!»
«Sei troppo arrabbiato e potresti presto pentirti di queste parole, quindi ora mi fai la cortesia di pensare a quanto la ami, perché io sono certa che sia così, metti ora da parte l’orgoglio e la passi a prendere al Ministero. State mettendo così i presupposti per perdervi e non credo sia ciò che vuoi, o sbaglio? Ron, non arrenderti, non dichiarare sconfitta, è tua moglie e se lei si allontana per il lavoro, tu stringila più forte. Se lei si dimentica di te, compensa le sue mancanze, cercala più di prima. Non fare il mio errore, non lasciare che un problema, per quanto grave sia, insinui dubbi nel vostro legame. Tu sai cosa prova per te, non dubitarne»
Prese dal tavolo accanto una piccola rosellina bianca ed invitò l’amico ad afferrarla; lui però non sembrò molto entusiasta di quell’idea, alzò persino gli occhi al cielo in segno di disappunto, ma lei non demorse e lo obbligò con la forza.
«Hannah, seriamente, non sono mai stato un uomo romantico, Hermione lo sa bene, non sarebbe da me presentarmi al Ministero con una rosa tra le mani. Il suo carattere è molto più forte del mio, io creo più pasticci di quanti non ne risolva, anche nei suoi confronti, quindi come posso far valere la mia opinione se lei continua a sfuggirmi? Se manca impegno da parte sua, io ho le mani legate»
Adagiò quel fiore sul tavolo tra i rimasugli di quella lettera che forse sarebbe stato meglio spedire e tagliare la testa al toro.
«Ron, da quanto siete sposati? Non credi sia ora di provare ad essere un po’ romantico per lei? Dimostrale che ci tieni, so che l’avevi invitata a cena, ma se questo non basta, tu allora sorprendila. Credimi, è questo il momento giusto per insistere, non lasciare passare il tempo, vi allontanerete senza nemmeno accorgervene»
Prestò davvero attenzione alle parole dell’amica e rimase per qualche istante sovrappensiero, aveva letteralmente in tasca il modo di sorprenderla, ma se lei non si fosse presentata sarebbe stato tutto inutile.
«Aspetta, Hannah, mi stai chiedendo da quanto tempo siamo sposati o era solo un modo per dire che siamo sposati da tanto?»
«Oh, Ron, quante cose devi ancora imparare sulle donne»
Volse in quel momento lo sguardo verso la porta del locale quando si aprì e notò che un’intimidita Hermione stava facendo il suo ingresso alla ricerca disperata del marito, accortasi del ritardo.
«Ecco la tua signora. Scegliete con calma l’ordinazione, passo più tardi»
Infilò la rosa nel contenitore davanti a lui, raccolse velocemente i pezzi di carta sparsi e si dileguò per lasciare spazio ai due di chiarirsi. I passi di Hannah attirarono l’attenzione di Hermione e le consentirono di individuare la posizione del marito; non ebbe alcuna fretta di avere un confronto con lui, sicuramente non sarebbe stato felice, quando poi intravide quella rosa bianca al centro del tavolo, subito i sensi di colpa la attanagliarono. Anche Ron l’aveva vista, indossava ancora la sua elegante divisa da lavoro, solo i capelli erano leggermente spettinati, reduci da ore di stress; appena lei fu ad un paio di metri, poté anche notare la sua espressione mortificata e le sue guance imporporate. Non le diede modo di giustificarsi, memore dei consigli dell’amica, si alzò con uno scatto per accogliere il suo arrivo, ma la sedia non collaborò e oscillò pericolosamente, fu come sempre Hermione a salvarlo da quella figuraccia estraendo rapida la bacchetta.
«Arresto Momentum»
Dopo aver scongiurato l’impatto al suolo e aver consentito a lui di recuperare la sedia, si rivolse al marito con un sorriso, sminuendo il suo impaccio, come solo lei sapeva fare.
«Ma cosa combini? Per fortuna è stato il pericolo più grande che ho dovuto affrontare oggi»
«Grazie … non sono tagliato per …»
«… organizzare una cena romantica? Non credo di averla mai pretesa e puoi stare tranquillo, non intendo iniziare ora. Anzi, temevo di non trovarti nemmeno più ad aspettarmi, ero in ufficio con Harry, stavamo lavorando e mi sono persa via»
«Interessante come mio cognato favorisca più di me della tua compagnia. Godric, quanto sono idiota»
Si portò subito le mani sul volto sospirando, aveva appena mandato al diavolo tutti i suoi buoni propositi di fare pace. La sentì strusciare i piedi della sedia contro il pavimento per potersi accomodare a sua volta.
«Ronald, tutto bene?»
Si scoprì il viso rassegnato e rammaricato.
«Non peggio del solito. Tu?»
Il fatto che lui fosse già provato la mise in seria difficoltà.
«Ti devo parlare, Ron»
«Hermione, aspetta, ordino una decina di bicchieri di whisky e poi possiamo parlare di tutto quello che vuoi»
Stava davvero per alzarsi e raggiungere il bancone, ma sua moglie lo afferrò prontamente per il polso, invitandolo a restare seduto.
«Ho bisogno che tu sia lucido»
«Inizio a fare ipotesi allora?»
Hermione estrasse dalla borsa un foglio, ironia della sorte poco prima stava spedendo lui a lei una lettera mai giunta a destinazione per volere di Hannah; gliela porse titubante e con altrettanto timore lui la ricevette.
«Non riesco a dirtelo, preferisco tu lo legga direttamente dalle parole dei miei superiori»
Aveva notato il timbro della Confederazione internazionale dei maghi prima che lei lo informasse sul destinatario; non appena ebbe terminato la lettura si coprì gli occhi per la disperazione ed impiegò qualche secondo a rielaborare la notizia.
«Hanno saputo che mi stai aiutando qui a Londra e pensano tu possa continuare a farlo fino al mio ritorno. Anche con l’Accademia credono che potresti trovare il tempo»
Non c’era davvero più niente che ora potesse tenere a freno la sua impulsività, fece volare con disprezzo la lettera dispiegata sul tavolo ed alzò il tono della voce, ignorando che fossero in un luogo pubblico e tantomeno che Hannah potesse sentirli.
«Voglio tornare al negozio, Hermione, mentre frequento l’Accademia, voglio tornare alla mia vita!»
«Intendi alla vita senza di me? È un modo carino per dirmi che ti soffoco?»
Tentò di regolare la rabbia con uno sforzo immane, accantonò a bordo tavola persino il vaso con la rosa, gli parve fuori luogo.
«Per quanto tempo starai via?»
«Non lo so, ma ogni fine settimana tornerò a Londra da voi»
«Forse io e te, Hermione, dovremmo iniziare a prenderci una pausa, saresti molto più libera di proseguire per la tua strada e non avresti un marito a cui rendere conto di ciò che fai e di dove vai»
Le mancò persino il fiato per la prospettiva che lui aveva delineato, sapeva già di chiedere a lui più di qualsiasi sacrificio sopportabile, ma davanti ad un ordine dei suoi superiori non sapeva come ribellarsi.
«Sono stanca di litigare, Ron, non c’è più armonia tra noi. Mi avevi detto che non avrei dovuto lasciare il mio lavoro al Ministero, mi avevi garantito che non ci avrebbe allontanati»
«Sei tu ad allontanarti a chilometri di distanza da me! E non mi dai nemmeno modo di recuperare il rapporto che avevamo prima che iniziassi a crederti la paladina della giustizia. È cominciato tutto con quel dannato CREPA e la tua famiglia è finita lentamente nel dimenticatoio. A cosa ti serve un marito se hai già il tuo lavoro?»
Si abbandonò triste e rassegnato contro lo schienale a braccia conserte.
«Deduco quindi che non mi aspetterai»
«Ho la vaga percezione che il nostro matrimonio abbia perso le basi su cui lo avevamo costruito. Mi dispiace, avevo pensato ad una serata diversa e nei miei pensieri non è mai passata l’idea di lasciarci, anzi, tutto il contrario, ti avevo portato un pensiero»
Non aveva più molto da perdere e quella sembrava essere l’ultima spiaggia per provare a non perderla, così recuperò una scatolina dalla tasca dei pantaloni e la posò esattamente davanti a lei.
«Ero sincero, quando ti dicevo che non c’era nessuno meglio di te a ricoprire quel ruolo, ma prova a metterti nei miei panni, sto solo cercando di vivere una vita normale insieme a te»
Hermione alzò con titubanza il piccolo coperchio, temeva ciò che avrebbe potuto trovare al suo interno, era terrorizzata che suo marito trovasse proprio quell’occasione per provare il tutto per tutto per evitare di perderla, dimostrando anche una sensibilità che non gli apparteneva.
«Harry mi ha detto che non era una decisione da prendere così alla leggera, credevo che avremmo potuto recuperare tutto ciò che insieme abbiamo perso … lo desideravo davvero, ma date le circostanze non credo sussistano più i presupposti. Tu partirai o ci lasceremo o comunque tornerai ad essere il Ministro della Magia, quindi è tutto inutile»
Aveva scoperto il contenuto di quella scatolina con il sottofondo del chiarimento di Ron, non aveva atteso il consenso e lui non aveva opposto alcuna resistenza, benché avesse dichiarato con delusione la sua inutilità. Hermione si portò colpita una mano sulla bocca per nascondere la reazione che le aveva provocato e per qualche istante non riuscì a scostare lo sguardo da quell’oggetto.
«Un richiamo degli angeli … Ron»
Era incredula e delusa in primis da se stessa per dover rinunciare ad una delle più belle proposte che Ron le avesse mai fatto. Nonostante sua moglie fosse rimasta palesemente provata, continuò a svelare cosa custodiva nel cuore e lo aveva spinto così in là rispetto ai suoi standard consueti.
«Non abbiamo riflettuto veramente se volessimo diventare genitori. Ci ho pensato e lo avrei scelto anche se non ci fossero stati donati Rose e Hugo. Ora avrei voluto decidere insieme a te, ma rischierei soltanto di crescere un altro bambino da solo»
Hermione rifletté puntando gli occhi in quel gioiello, lo aveva riconosciuto subito, non era nuovo, Ron doveva averlo ritrovato tra i loro ricordi di famiglia, era stato sicuramente un modo originale per esprimere il suo desiderio di paternità, doveva ammetterlo. Non avevano più vent’anni però, benché comprendesse il punto di vista di suo marito che forse andava ben oltre un semplice istinto paterno, riflettendoci infondo non erano solo i suoi impegni lavorativi a frenarla.
«Ron. La mia risposta sarebbe comunque stata negativa, anche se avessi smesso di essere Ministro e non fossi dovuta partire. Non me la sento di mettere al mondo un altro figlio, Harry ti ha consigliato bene, non è una decisione semplice»
Richiuse la scatolina con dolcezza, era sempre stato un ricordo legato a Rose e Hugo e desiderava rimanesse tale.
«Ciò non toglie però che tu sia stato molto tenero»
«Ero convinto che fossi stata felice, forse una parte di me sperava addirittura che mandassi al diavolo in un secondo Ministero e Macusa, che ciò ci avrebbe uniti … per me, che stupido, vero? Ma chi mi credo di essere?!»
Gli sfiorò d’intinto la mano in un debole tentativo di infondergli conforto, ma lui la scostò negando quel contatto; Hermione non si offese, anzi tentò di fargli capire quanto tenesse a lui e non riuscisse nemmeno a concepire l’idea di perderlo.
«Un figlio non serve a tenere in piedi un matrimonio, noi non abbiamo bisogno di questo per stare insieme. Se ti fosse sfuggito ed io abbia dimenticato di ricordartelo, ti amo ed anche molto. Quindi non voglio un altro figlio, io voglio te e lasciarti mi spezzerebbe il cuore. Tornare a casa da New York e sapere che non mi stai aspettando, che non troverò un tuo abbraccio dopo una settimana in cui non ci vedremo, mi fa male»
«Quindi parti, hai ormai deciso, io non ho voce in capitolo»
«Mi aspetterai?»
«Non dovrei»
«Ron!»
«Come hai intenzione di dirlo ai ragazzi?»
Non ci aveva ancora pensato, Rose era ancora arrabbiata con lei e quella trasferta avrebbe definitivamente affossato il loro rapporto.
«Hermione, se lasci l’onore a me, ti giuro che divorzio sul serio»
«Dovrei io voler divorziare da te, Ronald, per le bugie che mi racconti. Pare inoltre che ultimamente con la scusa del mio lavoro sia diventata una tua pessima abitudine»
Aveva incrociato improvvisamente le braccia al petto con aria di sfida e Ron aveva iniziato a non capire più l’oggetto della discussione.
«Prego?»
«Tu e Rose mi state nascondendo qualcosa e deve essere grave se non osate dirmelo»
Ron non poté fare altro che scoppiare a ridere e a rivolgersi a lei con ovvietà.
«Tu sei solo invidiosa che nostra figlia abbia chiesto aiuto a me e non a te. Non ti parla da giorni, buona fortuna per la notizia su New York, ti servirà»
«Sai, Ron, quando sei così stronzo ho anche io seri dubbi sul motivo per il quale abbia deciso di vivere il resto dei miei giorni al tuo fianco»
Hermione si alzò con risolutezza, fece per prendere quella scatolina per tirargliela addosso, ma il valore affettivo la fermò appena in tempo.
«Dove vai? Torni al Ministero?»
«Vado a farmi gli affari miei, qualcosa in contrario?»
Aveva infine optato per quella rosa come segno simbolico della sua rabbia e gliela stava lanciando dritta sul petto prima di voltare i tacchi e andarsene, ma Ron riuscì ad intercettare appena in tempo la sua mano, facendogli cenno di voltarsi alla sua sinistra.
«Hugo»
«Mamma, papà!»
«Tesoro, cosa fai qui? Sei da solo?»
«No, mamma, i nonni sono laggiù, abbiamo cenato e mi hanno dato il permesso di raggiungervi, posso stare qui con voi?»
Ron gli fece segno di accomodarsi sulle sue gambe con un sorriso, mentre Hermione riprendeva il suo posto, lieta che il marito l’avesse fermata prima di dare spettacolo davanti ai suoceri. Il bambino si sistemò meglio contro il petto del padre e lei non poté evitare di accertarsi che il piccolo avesse detto la verità, stavolta per la sicurezza del figlio.
«Tranquilla, Hermione, ci sono i miei, li vedo da qui»
«Papà, cosa stavate facendo?»
Diede un’inevitabile occhiata alla moglie, prima di rispondergli con sincerità.
«Stavamo litigando»
«Ma voi litigate sempre?»
Dovettero riscoprire entrambi un grande controllo per non scoppiare a ridere sonoramente.
«Quasi sempre, tesoro, è importante puntualizzarlo. Hai preso il senso dell’umorismo del tuo papà, bravo, piccolo. Adesso prendiamo un succo di zucca senza ghiaccio però, cosa dici?»
Lo strinse forte tra le braccia e gli schioccò un bacio grande sulla guancia. Quella scena intenerì Hermione, come anche le premure di Ron verso il bambino, e in quel clima raccolto, benché fossero in un luogo pubblico, che riuscivano insieme a creare, decise di dire la verità al figlio.
«Hugo, tra qualche giorno devo partire»
«Dove vai, mamma?»
«In una grande città, un giorno ci torniamo tutti insieme»
Dall’espressione triste del piccolo, capì che non osava confessare quanto avrebbe desiderato seguirla, ma, memore dei rifiuti della madre, rinunciò.
«Quando parti?»
«Tra un paio di giorni»
Sgattaiolò via dalle braccia di Ron, il quale era rimasto talmente male per quell’ultima notizia che non oppose alcuna resistenza, e si avvicinò alla madre, afferrandole le mani per invitarla ad abbracciarlo. Hermione lo tenne tra le gambe e lo strinse così forte da dubitare che stesse ancora respirando. Non si accorse di suo marito in piedi, almeno fino a che non attirò l’attenzione di moglie e figlio su di sé.
«Dico ad Hannah se ci porta un succo di zucca e qualcosa da mettere sotto i denti per noi. Hai qualche preferenza, Hermione?»
«Quello che ordini tu andrà più che bene»
«Ah, Hermione, Rose mi ha fatto falsificare la firma per l’autorizzazione di James per la gita ad Hogsmeade. Era quello il grande segreto tra me e nostra figlia»
«Non la passi liscia, Ron, per aver dato retta alla follia di una ragazzina»
«Immaginavo»
Avevano osato imbrogliare la Preside, per giunta davanti al Ministro della Magia, ma a pagarla sarebbe stato lui, era lui a dover negare a Rose un gesto simile, invece di aiutarla.
 
 
[31 ottobre 2017 ore 4 p.m. – Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts – Sotterranei – Aula di Pozioni]
 
Erano passati così tanti anni da quando il suo buon vecchio amico, Albus Silente, gli aveva proposto di tornare ad insegnare Pozioni tra quelle mura e da allora, tranne per un breve intermezzo utile a rimettere in sesto la scuola, non aveva più smesso in memoria di quell’amicizia. Aveva ormai un’età non trascurabile, rivendicava ormai da qualche mese la pensione alla Preside, ma ogni volta la McGranitt lo supplicava di non abbandonare la sua cattedra, in quanto non sarebbe riuscita a trovare un sostituto degno di quel ruolo e così il venerando professore si faceva puntualmente abbindolare da quelle lusinghe e procedeva a pieno regime la sua attività didattica. La fatica più grande per Horace Lumacorno restava senza ombra di dubbio la gestione della classe, composta per la maggior parte dai figli dei suoi ex studenti.
Quel pomeriggio si sarebbe svolta nell’aula dei Sotterranei una lezione straordinaria di approfondimento che il docente, come era solito fare, aveva pensato solo per i più meritevoli; avendo perciò composto la classe in quell’occasione dagli aspiranti pozionisti – e non – più abili, decise di accomodarsi su uno dei tanti sgabelli e di vigilare su un’attività gestita in autonomia dai ragazzi. Per sfortuna del professore aveva previsto di radunare esclusivamente gli studenti del primo anno e in due mesi di lezione non avevano ancora raggiunto abilità avanzate con fiamma e calderone, eppure qualcuno tra loro avrebbe potuto, se ben ricordava, sopperire a quella mancanza e dare qualche dritta ai suoi compagni.
«Signorina Granger, mi faresti la cortesia di avvicinarti?»
Non aveva neppure consentito a tutti gli studenti di prendere posto davanti al loro rispettivo calderone, quando Rose si sentì invocare improvvisamente dal suo docente. Ovviamente la ragazza era sufficientemente rispettosa da non farsi chiamare una seconda volta, benché fosse rimasta perplessa.
«Signore, mi scusi, si deve essere confuso con mia madre, io sono Granger-Weasley»
Una risata divertita provenne dall’ala ovest della stanza, dall’esatto punto in cui si trovava Scorpius, il quale si guadagnò un’occhiata da parte di Rose e una manata in pieno petto da Albus che era proprio accanto a lui. Anche Lumacorno venne attirato dalla reazione del ragazzo, ma la curiosità verso le parole della studentessa fu maggiore.
«Chi è tuo padre?»
«Ronald Weasley, signore, attualmente sta aiutando mia madre al Ministero della Magia»
Comunicò quell’informazione al docente con un certo orgoglio per il ruolo che ricoprivano entrambi i genitori; non si stupì troppo invece per la domanda del professore, le era sembrato che suo padre, nei giorni precedenti alla partenza, le avesse accennato qualcosa riguardo alla sua avversione per pozioni e alla totale indifferenza di Lumacorno verso di lui. Certo, Rose non era d’accordo con la decisione di sua madre, non mancava di puntualizzarlo e ciò la allontanava ogni giorno da lei, più di quanto non facesse la distanza fisica, ma non aveva alcun dubbio che suo padre se la stesse cavando al meglio e che sua madre fosse il miglior Ministro della Magia a cui il mondo magico potesse aspirare.
«Sì, ho sentito, pare che il Ministro debba assentarsi per un periodo piuttosto lungo, ma non sapevo che il sostituto ufficiale fosse tuo padre»
Non era lei ad aver dato una notizia a Lumacorno, anzi quell’uomo aveva travisato le sue parole comunicandole un’ennesima decisione discutibile della madre. Il docente non fece caso all’espressione della ragazza, si alzò con pacatezza e lentezza.
«Bene, signorina Granger, potresti ricordare a tutti gli ingredienti della Pozione Erbicida? Ne abbiamo parlato a lungo la scorsa settimana e il professor Paciock ne avrebbe necessità per la serra»
Con tutta la buona volontà, Rose non si sentiva nelle condizioni psicologiche per dare direttive ai suoi compagni.
«P-professore, posso un momento … andare in bagno?»
Le diede il suo consenso con un semplice cenno del capo, gli unici che sembravano aver intuito lo stato d’animo della ragazza furono Albus e Scorpius, quindi quando passò loro accanto lasciando una folata di vento con il suo mantello, capirono che a turbarla furono le parole di Lumacorno. Il cugino si alzò, non era intenzionato a chiedere il permesso per uscire, fu il compagno di Casa a placare in parte la sua frenesia, afferrandolo per un braccio prima che si lanciasse in soccorso di Rose.
«È uscito l’articolo sulla Gazzetta del Profeta, Al, me lo ha comunicato mio padre una settimana fa»
«Di cosa stai parlando?»
Il giovane Potter cadde dalle nuvole, non aveva sentito nulla che potesse arrivare al punto di sconvolgere la sua famiglia e l’animo di Rose.
«Il Ministro della Magia partirà nei prossimi giorni e non si sa quando potrà riprendere il suo lavoro qui a Londra. Tuo zio è il sostituto ufficiale, ovviamente ti risparmio i commenti poco simpatici di mio padre a …»
«E tu me lo dici solo ora??»
«Pensavo lo sapessi»
Non gli diede modo di giustificarsi o di aggiungere ulteriori dettagli, prese la porta dell’aula, tanto il professore aveva già iniziato la sua lezione sulla Pozione Erbicida, ricordando le quantità degli ingredienti e puntualizzando l’ora di consegna, di certo non si sarebbe accorto di lui e gli avrebbe poco importato se Albus fosse uscito.
«Rose!»
Non gli servì cercarla ovunque, gli bastò intravederla mentre saliva le scale per raggiungere i piani alti e imboccare un ritratto, uno dei tanti passaggi segreti sparsi per il Castello. Mosse i medesimi passi, ma quando finalmente anch’egli ebbe raggiunto il settimo piano, Rose ignorò il fatto che a pochi metri da lei il cugino le stesse disperatamente chiedendo di aspettarlo, così entrò nella Sala Comune dei Grifondoro legandogli le mani e vanificando i suoi sforzi.
«Rose!»
Aveva forse alzato un po’ troppo la voce, perché ciò irritò la Signora Grassa, guardiana della Sala Comune.
«Ehi, ragazzo, non ti hanno insegnato l’educazione?»
«C’è mia cugina lì dentro e ha bisogno di conforto»
«Niente giustifica l’ingresso di un Serpeverde qui dentro, si entra solo se invitati da un Grifondoro, questa è la regola del professor Lupin»
Sapeva già che non sarebbe servito a niente insistere con quel ritratto, il suo compito era quello di tenere lontani gli intrusi – benché lui non fosse un “intruso” qualunque -, così accolse rimproveri e avvertenze e moderò i toni con diplomazia.
«Rosie, per favore, esci, non serve a niente chiudersi lì dentro, le cose non cambieranno in questo modo»
Restò in ascolto con la speranza che lei avvertisse la sua preoccupazione e non si fosse rifugiata nel dormitorio, dove la sua voce non sarebbe potuta giungere.
«So che è difficile per te accettarlo, nessuno meglio di me può capirti, ma io sono certo che gli zii troveranno il modo di non far mancare nulla a te e a Hugo»
Stavolta temette davvero che lei non lo stesse sentendo; dopo aver buttato un’occhiata delusa alla Signora Grassa, si voltò per andarsene, confidando nel fatto che avrebbe avuto modo di incontrarla all’ora di cena; Rose sbucò dall’ingresso, appena prima che Albus rientrasse nel ritratto del settimo piano.
«Non mi chiedono mai se sono d’accordo. Ora mamma partirà, non so nemmeno quando la rivedrò e papà sarà oberato di lavoro come la era mamma prima di lui, ciò significa che io e Hugo possiamo iniziare fin da ora a trasferirci dai nonni, per noi non ci sarà più spazio nelle loro giornate»
«Ora non pensarci, Rose, sei qui e non sai come si sarà evoluta la situazione per quando tornerai a Londra. Meglio? Peggio? Lascia che te lo dica il tempo, ma non permettere che questo rovini la tua permanenza ad Hogwarts prima di allora»
«Avevi ragione, Al, a inizio anno, stiamo passando tristemente in secondo piano. Mamma non considera nemmeno più di avere dei figli da diverso tempo ormai e papà è messo come sempre spalle al muro da lei. Non hanno avuto nemmeno il coraggio di dirmelo, hanno lasciato che lo scoprissi»
Albus non desiderava avere ragione, non così perlomeno.
«Hanno accolto però il nostro disagio da quando hai avuto quell’incidente a Quidditch. Rosie, prova a scrivere allo zio, sono sicuro che ti ascolteranno e prenderanno di certo in considerazione …»
«Vuoi sapere cosa ascolta mia madre? Regole, regole e regole. Mi ha ripresa stamattina con una Strillettera per aver chiesto a papà quel piccolo favore»
«Rose, avevi …»
«Cosa? Chiesto aiuto a papà, pensando di avere ancora due genitori pronti a sostenermi nel bisogno?»
«No, ti sei intromessa in una punizione di mia madre, credimi, James non si meritava davvero quella gita ad Hogsmeade. Per giunta ti sei lasciata coinvolgere da mio fratello, quando sappiamo entrambi che non è rinomato per la sua diligenza e pacatezza»
Era quasi delusa per il modo in cui si riferiva al fratello maggiore, per giunta in sua assenza.
«Mi dici sempre che ti manca la presenza della famiglia, però alla prima occasione non sei solidale con i parenti»
«Rose …»
Stava per varcare nuovamente il ritratto della Signora Grassa un po’ più tesa, ma prima che Albus potesse afferrarle il polso, la voce di Scorpius distrasse entrambi.
«Rose, aspetta»
Si bloccò solo perché era insolito che lui pronunciasse il suo nome, non perché avesse perdonato la palese derisione che le aveva riservato in aula davanti a tutti. Il giovane Malfoy non si aspettava che lo avrebbe ascoltato, proprio per i medesimi motivi di lei, ebbe quindi un attimo di incertezza.
«Vi va stasera una partita in campo? Solo noi tre, così regoliamo i conti, Granger-Weasley»


 
Ciao ragazzi!
 
Il mio ritardo è come sempre vergognoso, questo è il mio primo aggiornamento del 2020 ☹️. Però se non mollo e cerco di portare avanti le mie storie, è anche per merito vostro che continuate a seguirmi con pazienza, grazie infinite❤
 
Alla prossima!
Baci*
-Vale

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Capitolo 11
*** Sotto il riflesso di Sé ***


 
Sotto il riflesso di Sé
 



 
[31 ottobre 2017 ore 9:08 p.m. – Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts – Campo di Allenamento]
 
Era una serata gelida, impregnata di un’atmosfera tetra tipica della ricorrenza più spaventosa dell’anno, eppure in quella notte non si avvertiva la più piccola presenza dei soliti spiriti che vagavano per il Castello; i palati degli studenti di Hogwarts erano stati deliziati durante la cena dei più svariati dolci, perlopiù a base di zucca, immersi in una Sala Grande addobbata a festa e inedita per molti studenti che avevano appena iniziato il loro primo anno. I riflessi argentei della luna piena irradiavano i territori limitrofi alle mura della Scuola, creando uno scenario sovrannaturale, di cui purtroppo pochi erano spettatori a quell’ora. In quel panorama suggestivo tre studenti erano in procinto di violare il severo coprifuoco che era sempre esistito nei corridoi di quella Scuola.
Rose non era solita trasgredire alle regole e quella effettivamente era una trasgressione in piena regola; la giovane Weasley aveva indugiato ad accettare la sfida da parte di Scorpius, era stato Albus a convincerla sul fatto che alcun prefetto si sarebbe preso il disturbo di denunciare il loro comportamento ai direttori delle loro rispettive Case nella notte di Halloween. Non aveva ancora capito cosa quel Malfoy volesse dimostrarle con una partita immersi nelle tenebre, per quanto la luce del satellite fosse particolarmente intensa, quel ragazzo per primo, che ricopriva per i Serpeverde il ruolo di Cercatore, avrebbe dovuto sapere la difficoltà in quelle condizioni ad individuare e a catturare il Boccino; per quanto da Londra avessero in parte provveduto a garantire loro un soggiorno più sereno e lei insieme al cugino avesse portato un buon esempio positivo tra gli studenti, non si riteneva così tanto in confidenza con Scorpius, al punto di condividere la punizione che senza alcun dubbio avrebbe subìto. La ragazza aveva indossato uno dei maglioni più caldi che nonna Molly aveva confezionato per lei in vista dell’inizio delle lezioni, era uno dei pochi modi che aveva per riscoprire, ogni qualvolta ne avesse avuto bisogno, il calore della sua famiglia; aveva deciso di non portare con sé la sua scopa personale, avrebbe dato troppo nell’occhio e i sorveglianti l’avrebbero scoperta nel tempo di un battito di ciglia, così decise di recuperare una delle tante messe a disposizione degli studenti per gli esercizi nel Campo di Allenamento. Da lontano Rose intravide l’ingresso del Campo da Quidditch; i Cerchi, attraverso i quali lei, in quanto Cacciatrice, aveva il compito di segnare i punti per la sua squadra, scintillavano come se fossero stati ricoperti di diamanti; avvertì un brivido al pensiero della sua ultima partita, non era la competizione a spaventarla, ma quell’incidente aveva senz’altro inibito la sua determinazione, faticava a riscoprirsi all’altezza di quel ruolo ed era quasi sicura di aver ereditato quei sentimenti di inferiorità da suo padre. Afferrò una Nimbus vecchia di un anno e fece passare sovrappensiero il polpastrello sopra l’intarsio sulla punta del manico. Aveva davvero paura a montare di nuovo su una scopa, faceva fatica ad accettarlo, ma era proprio così; la competizione in cui aveva miseramente fallito era stata la sua prima partita importante e suo padre stava riponendo in lei una fiducia che non meritava, se lasciava che qualche bolide in campo la disarcionasse con estrema facilità. Ripose la scopa accanto al muro di pietra cercando di evitare che cadesse, nel silenzio della sera avrebbe causato un rumore udibile fin sulla Torre di Astronomia. Decise di attendere il cugino per comunicargli la sua decisione, lei non avrebbe partecipato a quell’amichevole notturna, necessitava di tempo prima di riprendere gli allenamenti e giocare una nuova partita, la quale fortunatamente non era dietro l’angolo; Albus aveva raccomandato puntualità a lei, mentre lui stava tardando, rendendo la loro posizione in quel luogo sempre più scomoda, ma non se la sentì di lasciare quel ragazzo in balìa della sua incoscienza, voleva esserci se avesse potuto evitare con la sua presenza che lui combinasse guai irreparabili.
«Ehi, signorina, è a conoscenza del coprifuoco o le devo rinfrescare la memoria?»
Il sangue nelle vene di Rose si raggelò, la voce profonda che aveva udito alle sue spalle era molto simile a quella di un professore o di un prefetto del quinto anno, a meno che qualcuno diverso dai sopracitati non si fosse premurato di camuffare il proprio timbro; nel dubbio si voltò perciò con un’espressione mortificata, sperando di non ricevere una punizione troppo severa. Il suo umore però cambiò pochissimi istanti dopo, quando davanti a sé vide un suo coetaneo che faceva una certa fatica a non scoppiare a riderle in faccia. Rose afferrò offesa uno strofinaccio con cui erano soliti lucidare i manici e lo lanciò in pieno petto a Scorpius, furiosa per averle scosso ancora più i nervi.
«Idiota! Accidenti, mi hai fatto prendere un colpo. A mio padre non serve anche una convocazione ad Hogwarts, solo perché tu e Albus mi avete trascinata fin qui»
«Ehi, Rose, datti una calmata, nessuno ti ha obbligata a venire, il mio era solo un invito»
Il ragazzo aveva raccolto quella pezza bianca che si era posata sull’erba e l’aveva rimessa al suo posto con pacatezza; non l’aveva lasciato indifferente la reazione stizzita della giovane Grifondoro, a suo parere non c’era nulla di cui preoccuparsi, era una tranquilla serata di autunno, forse un po’ fredda, ma libera dalla minaccia di eventuali rovesci. Scorpius la vide incrociare le braccia al petto a disagio; in altre circostanze avrebbe sfoderato una delle sue solite battute sui maglioncini colorati firmati Weasley che la maggior parte dei membri di quella famiglia sfoggiava con orgoglio ad Hogwarts, ma anche un provocatorio come lui conosceva i limiti oltre i quali era meglio non spingersi.
«Non ho voglia di giocare a Quidditch stasera, volevo solo evitare che mio cugino si cacciasse nei guai, visto che di te mi fido poco»
«Quindi, ricapitolando, sei qui per Albus e mi vuoi far credere di non aver voglia di farmela pagare per averti presa in giro a lezione? Avresti potuto darmele a suon di pluffe, fossi stato in te avrei colto al volo l’occasione»
Rose indugiò a rispondergli, non aveva alcuna intenzione di confidare a lui le sue incertezze, si limitò a mordicchiarsi il labbro inferiore cercando di trattenere le sue più intime sensazioni; per quanto negli ultimi mesi suo cugino si fosse avvicinato al compagno e avesse imparato a conviverci, viste e considerate le numerose ore trascorse insieme sul Campo da Quidditch e in Sala Comune, la ragazza nutriva ancora una buona dose di diffidenza nei suoi confronti; Rose faticava a dimenticare i suoi numerosi sgarbi, per quanto essi appartenessero ad un passato prossimo – ma pur sempre passato era -, e non le sembrò conveniente mostrare a lui le sue debolezze, nessuno era in grado di garantirle che non ne avrebbe approfittato per divertirsi alle sue spalle.
«Weasley, Albus non uscirà dal Dormitorio stasera, è crollato sul suo letto con divisa e scarpe davanti ai miei occhi, quindi siamo solo io e te. Decidi tu, se vorrai andartene ti capirò, ma se resti dovrai dirmi a cosa sia dovuto il tuo malumore, a furia di vedere te con quell’espressione stai spegnendo il sorriso anche a me. Cercavo solo un po’ di divertimento stasera, infondo è Halloween»
Si era rivolto a lei con dolcezza e discrezione, avendo premura di avvicinarsi alla parete solo per allontanarsi dalla traiettoria delle finestre dei docenti; agli occhi della ragazza sembrava essere piuttosto pratico in materia di trasgressioni, si premurava di non lasciare nulla di intentato. Rose, per tutta risposta, si spostò di qualche passo lontana da lui, per lei era più importante mantenere le distanze da un mezzo sconosciuto.
«Hai paura di me? Il problema sono io?»
«Certo che non ho paura di te, Malfoy. È solo una serata in cui non mi va molto di parlare. Tutto qui»
Scorpius si accomodò con la spalla contro la parete e alzò lo sguardo al cielo, incontrando la Signora del Cielo in tutto il suo splendore; sperava che almeno fosse chiaro il fatto che non avrebbe approfittato di quella circostanza per muoverle qualche sgarbo, così per tranquillizzarla cercò di instaurare un dialogo con lei.
«Toglimi una curiosità, Weasley, il professor Lupin si trasforma come il padre nelle notti di luna piena?»
Rose lo fissò incredula e sospettosa, non riusciva a capacitarsi che glielo avesse davvero chiesto.
«Weasley, cosa c’è? Mi guardi come se fossi impazzito, era solo una domanda innocente, non avevo alcuna intenzione di prendere in giro anche lui»
«Mi chiamo Granger-Weasley, possibile che a nessuno entri in testa?!»
Scorpius sorrise di cuore per quella puntualizzazione, ma stavolta, a differenza di ciò che era successo a lezione appena qualche ora prima, non aveva alcuna intenzione maliziosa, aveva capito da solo di averla offesa.
«Forse è solo troppo lungo, dai, non prendertela. Sanno tutti come ti chiami e chi sono i tuoi genitori, per me è solo un pochino più semplice identificarti come una Weasley: hai i capelli rossi, gli occhi chiari e le lentiggini, tratti tipici di quella famiglia»
La ragazza si arricciò intorno all’indice una ciocca di capelli che le ricadeva sulla spalla, era imbarazzata, non perché si vergognasse delle sue origini, ma odiava essere etichettata solo con uno sguardo, senza nemmeno prendersi la briga di conoscerla e scoprire che lei non era “solo una Weasley”, oltre ciascun componente della sua famiglia c’era molto più da scoprire per chi aveva voglia di non fermarsi ai meri tratti fisici.
«E questo chi te lo avrebbe detto?»
«Mio padre. Per la verità il mio vecchio mi ha anche detto che siete soliti vivere ammassati come topi, disdegnate l’igiene e non avete uno zellino alla Gringott»
«Ma non è assolutamente vero!»
Le guance di Rose avevano assunto un colore cremisi particolarmente acceso, ma la sua rabbia non era rivolta al ragazzo, quanto piuttosto al pregiudizio di quella famiglia nel quale lui era cresciuto. Rose sapeva di non doversi giustificare davanti a lui, ma Scorpius, dopo quella serata, così peculiare per molti versi, in cui sembrava ben disposto al dialogo, non gli dava l’idea di una persona che si saziava delle apparenze.
«Immagino che mio padre avesse enfatizzato, non sembra mostrare molta simpatia per voi»
«Credimi sulla parola, a casa mia l’insofferenza è reciproca, specie da parte di papà. Comunque è tutto frutto della Seconda Guerra Magica»
A Scorpius dava l’idea che Rose stesse per iniziare un’attenta e puntuale spiegazione storica, così si concentrò con interesse su di lei, accostandosi meglio contro la parete e incrociando anch’egli le braccia al petto.
«Mia madre, essendo il Ministro della Magia, conserva nella sua libreria infiniti scaffali di volumi, molti dei quali trattano di Storia della Magia e prima di iniziare il mio primo anno ad Hogwarts, ho trovato conveniente sfogliarli. Tra il novero dei Mangiamorte, l’esercito di Lord Voldemort, vengono elencati alcuni componenti della tua famiglia, mentre la mia famiglia è ricordata tra i vincitori e gli eroi di quella guerra. Le nostre famiglie erano l’una contro l’altra, è semplicemente rimasto dell’astio che ad oggi è pressocché infondato»
La razionalità della ragazza lo sorprese, eppure dubitava che alla base del rancore ci fossero solo problematiche legate al passato, anzi ciò che li aveva separati in due schieramenti opposti permaneva nel presente, era ciò che era stato in grado di captare dalle parole di Draco.
«Mi dispiace deluderti, Rose, forse questo è ciò che viene dichiarato nei libri di storia, ma altro porta le nostre famiglie a considerarsi nemiche. Io sono un Purosangue e tu una Mezzosangue. I Weasley vengono considerati dai Malfoy come traditori del loro stesso sangue. Non è un caso se in occasione dell’ultima partita i miei compagni ti abbiano sparato contro un bolide con l’intenzione di farti male, non era solo per disarcionarti, ma mi sembri abbastanza sveglia per capirlo da sola»
Il viso di Rose si incupì, non le stava dicendo nulla di nuovo, anzi era convinta che la presenza di Teddy al Castello avrebbe migliorato di poco l’opinione che i Serpeverde avevano di loro e di tutti coloro che avevano osato nascere con il “sangue marcio”. Rivolse anche lei uno sguardo alla luna, si trovavano in una posizione privilegiata, non ricordava di averla mai ammirata così da vicino, nemmeno con il telescopio di nonno Arthur era riuscita ad ottenere quell’effetto di luce.
«No. Il professor Lupin non è un lupo mannaro, Malfoy, è solo un’ennesima diceria falsa. Inoltre, i Weasley non vivono ammassati, ognuno di noi ha la propria stanza, possediamo un bagno e una Camera Blindata alla Gringott, dove mio padre e mia madre si premurano ogni mese di rifocillare i risparmi miei e di Hugo. Sì, sono una Mezzosangue, ma ciò non ha mai frenato il mio desiderio di diventare un’abile strega. Grazie per esserti preoccupato per me dopo l’incidente, Albus mi ha detto che dopo la partita lo hai raggiunto in Infermeria»
Stavolta fu il viso di Scorpius a divampare e la luce della luna insieme alla carnagione pallida non lo aiutarono a camuffare.
«Malfoy, ascoltami bene, non credo tu sia un arrogante solo per il tuo cognome e per il lusso nel quale vive la tua famiglia. Credo anche che non mi prenderai in giro se ti dirò che ultimamente fatico a riprendere in mano la scopa dopo l’incidente e che sono stanca e preoccupata perché mamma è partita e papà e mio fratello sono rimasti a Londra a sbrigarsela da soli. Credo solo tu sia arrivato a conclusioni troppo affrettate sulla base delle poche informazioni fornite da tuo padre, ma che tu sia dotato di abbastanza materia grigia per assimilarne di nuove e attraverso un pensiero critico crearti una tua personale opinione su noi»
Lo aveva ammutolito, a Rose sfuggì un sorriso, non ricordava in quel paio di mesi di averlo visto così tanto silenzioso; le poche parole che Scorpius riuscì a pronunciare furono emesse dalle sue corde vocali con un sussurro.
«Mi dispiace … per le tue preoccupazioni. Non avevo idea che stessi attraversando un periodo simile. Non nel senso che non sapessi del Ministro, ma non mi ero soffermato sulle conseguenze della sua partenza sulla tua famiglia. Per quanto riguarda il Quidditch, sono sicuro tu abbia bisogno solo di un po’ di riposo … e di qualcosa sulle spalle, starai congelando»
Scorpius senza indugiare sbottonò il mantello della sua divisa e si permise di posarlo sulle spalle della ragazza. Rose si rese conto che anche nella sua famiglia erano all’oscuro di molti lati della famiglia Malfoy, uno di questi era senza dubbio la galanteria, che ad esempio a suo padre era sempre mancata, sua madre avrebbe potuto testimoniarlo, anzi forse chiunque tra i suoi parenti.
«Se papà dovesse vedermi indossare la divisa dei Serpeverde, avrebbe un attacco di cuore fulminante»
Il giovane Malfoy non ebbe il tempo di replicare, si era limitato ad un ingenuo sorriso, quando dai corridoi del Castello li raggiunse Albus, quasi afono; il nuovo arrivato annaspava per riacquistare disperatamente il fiato che aveva perso nella folle corsa.
«R-Rose, perdonami, mi sono addormentato, non mi sono dimenticato del nostro appuntamento. Ragazzi, scusatemi entrambi»
«Al, calmati, non è successo niente»
«Lo verificheremo con più calma se non sia davvero successo qualcosa, signor Malfoy. Voglio tutti e tre subito nel mio ufficio. Signorina Weasley, restituisci quella divisa, non ti appartiene»
Esattamente come la Preside, vestita della sua tenuta da sera, era comparsa, si era nuovamente dissolta, lasciando demoralizzazione sul volto dei ragazzi. Rose tolse la divisa dalle spalle e la porse grata a Scorpius, sotto lo sguardo colpevole di Albus, il quale non poté evitare di sentirsi in debito verso la cugina, era stato lui a convincerla con troppa leggerezza a violare il coprifuoco.
«Granger-Weasley, qualunque sarà il nostro destino in questa Scuola, mi ha fatto piacere stasera chiacchierare con te»
 
 
[Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts – Ufficio del Preside]
 
«Quando intendevo che Serpeverde e Grifondoro dovessero andare d’accordo, non mi riferivo certo a scorribande notturne e fuori dal Castello. Ho accettato i provvedimenti del Ministero, affinché il vostro soggiorno ad Hogwarts fosse sereno!»
La McGranitt diede una violenta manata contro il ripiano della scrivania e fissò il volto remissivo di ogni singolo studente posizionato con disciplina davanti a lei. Non ne poteva più, erano solo trascorsi due mesi dall’inizio dell’anno scolastico e i loro cognomi erano già diventati una persecuzione per lei; iniziava a credere che l’assunzione del nuovo docente di Difesa Contro le Arti Oscure avesse fornito agli studenti implicite autorizzazioni. L’anziana Preside si accomodò sfinita sulla sua poltrona, la mente e il fisico erano stanchi in egual misura, lo sguardo di quei ragazzi puntato su di lei e in attesa di un verdetto ebbe un certo peso su colei che conosceva molto bene gli ambienti familiari in cui erano cresciuti. Minerva sapeva di non poter chiudere un occhio e fare finta che loro a quell’ora si trovassero tranquilli nei loro dormitori insieme ai compagni, in quel modo avrebbe favorito una rivolta studentesca e lei non poteva proprio permetterselo; iniziò a credere di aver sottovalutato i sentimenti di quei giovani, avrebbe dovuto aspettarsi che una volta messo piede in quella Scuola si sarebbero distinti in qualche modo, forse involontariamente, ma era inutile negare fossero figli di quel passato e di genitori che non erano mai stati particolarmente quieti. Al suo cospetto c’era un giovanissimo Malfoy, all’apparenza tale e quale a suo padre, eppure nello sguardo giurava di leggere una sottomissione a lei sconosciuta; accanto a lui, a pochi centimetri, un Potter con i vestiti sgualciti e la folta chioma corvina disordinata attendeva rassegnato la sentenza della docente; la McGranitt iniziava a credere di dover affidare le sorti di quei due ragazzi al Direttore della loro Casa, Horace avrebbe preso una decisione molto meno drastica della sua, avrebbe giocato la carta del cognomi e almeno Albus ne sarebbe uscito senza conseguenze. Minerva però non operava come il suo collega, lei non possedeva nel suo ufficio un elenco medio-corto di studenti prediletti, quella donna decideva sulla base di ciò che aveva sotto gli occhi, indipendentemente dalle abilità accademiche dei suoi alunni o dei loro genitori. Aveva percepito già dal principio di quell’anno il disagio di Albus e Scorpius, aveva perciò lasciato che si avvicinassero, credeva che ciò potesse essere positivo, erano in fondo compagni, frequentavano gli stessi luoghi e un’amicizia tra loro avrebbe giovato al loro benessere e all’armonia dell’intera Scuola. Dalla parte opposta c’era l’ultima Grifondoro che si sarebbe aspettata di dover punire, non perché i suoi genitori fossero stati così rispettosi delle regole durante i loro anni scolastici, anzi tutto il contrario, ma quella ragazza aveva dimostrato di essere molto razionale e timorata delle regole. La Preside si fece forza con un nuovo sospiro, si trovava in difficoltà con ognuno di loro, non desiderava infierire, ma allo stesso tempo avrebbe dovuto prevenire ulteriori trasgressioni simili a quella. Si rivolse proprio all’unica ragazza di quel nuovo e inusuale trio, confidando nel fatto che non fosse altrettanto esplosivo come quello formato dai genitori di Albus e Rose, e che lei, come successe in passato, fosse la più ragionevole.
«Signorina Granger-Weasley, cos’hai da dire in tua difesa?»
«Nulla, signora Preside, sono colpevole tanto quanto i miei compagni»
Scorpius non riuscì a tacere davanti a quell’ammissione di colpa, non era in grado, dopo le confidenze che si erano scambiati, di non ammettere le sue uniche responsabilità. Purtroppo per la McGranitt quei tre ragazzi stavano dimostrando di essere tutt’altro che codardi; se quell’interrogatorio fosse proseguito tutta la notte, molto probabilmente si sarebbero assunti la colpa a turno, onorevole per certi punti di vista, ma non d’aiuto per lei, la cui testa stava scoppiando.
«È colpa mia, professoressa, l’idea è stata mia, non punisca anche Rose e Albus»
Il ragazzo non si prese il disturbo di accertarsi della reazione di lei, era quasi certo però che la giovane Grifondoro si fosse voltata incredula verso lui, ignorando la presenza del cugino, ancora piuttosto assonnato, tra loro. Quando finalmente Scorpius incrociò gli occhi azzurri di Rose, vi lesse anche tanta gratitudine e non solo per essersi addossato ogni responsabilità di quella bravata, anche per essersi sforzato di ascoltarla con mente aperta e sguardo libero da pregiudizi.
«Questa mi giunge nuova, un Malfoy che protegge una Granger-Weasley e un Potter, il mondo sta davvero cambiando e credo che dovremo accettare sia le conseguenze positive che quelle meno piacevoli. Considerato il luogo in cui vi ho trovati, deduco aveste in programma una partita a Quidditch non autorizzata. Ma, ripeto, posso solo dedurre, io non posso sapere quali fossero le vostre reali intenzioni, quindi non vi butterò fuori dalle vostre squadre esattamente come vi ci ho fatti entrare, però vi sospendo temporaneamente dagli allenamenti con la speranza che riusciate a capire l’importanza delle regole di questa Scuola fin dal primo anno. Ora voglio che torniate nei vostri rispettivi dormitori e che ci restiate fino alle prime lezioni di domattina»
Si voltarono verso l’uscita senza osare ribattere, tutti e tre erano pienamente consapevoli di essere stati graziati, o almeno così speravano; saltare qualche ora di allenamento non avrebbe compromesso per Albus e Scorpius la loro posizione nella squadra, mentre a Rose quella pausa forzata sarebbe servita per mettere ordine fra ciò che serbava nel cuore; venne spontaneo alla ragazza dare voce ai suoi pensieri proprio quando ebbero rimesso piede nel corridoio, lei tra i tre era senz’altro la più turbata, gli altri due, benché avessero qualche attrito in famiglia da gestire, necessitavano solo di affogare sul cuscino le ultime ore di quella giornata, che, per certi versi, era stata in linea con quella festa autunnale.
«Poco male, avrò il tempo per trovare il coraggio di rimontare su una scopa»
Scorpius comprese facilmente il significato delle parole di Rose, per Albus invece furono più criptiche, come se si fosse perso qualcosa, ma non escluse che la sua confusione potesse essere dovuta al sonno.
 
 
[1 novembre 2017 ore 10:02 a.m. – Ministero della Magia inglese – Redazione Gazzetta del Profeta]
 
Ginny Weasley in Potter aveva guadagnato un ufficio spazioso, dotato di ogni comfort, un angolo del Ministero in cui occuparsi del suo adorato Quidditch … seduta ad una scrivania, impegnata a raccontare le gesta in campo dei suoi colleghi. Era stato quello il destino dell’abile Cercatrice delle Holyhead Harpies che ella stessa aveva scelto, dando la priorità alla sua famiglia, a differenza del passo che suo marito non era mai riuscito a compiere, benché non fosse indifferente alla sofferenza dei suoi figli. Non era pratica di materia giornalistica, ma dopo aver sentito decine di radiocronache nell’arco della sua carriera, quel mondo non aveva più segreti per lei, né in campo né dietro gli spalti; era senza dubbio tra le più qualificate per riscoprire quel ruolo vacante, in suo soccorso erano giunti anni di esperienza. Non era riuscita particolarmente a riposare la notte appena passata, non era certa del motivo principale, forse le ansie accumulate per quel nuovo lavoro oppure il fatto di aver trascorso per l’ennesima volta quelle ore di riposo in solitudine; avrebbe tante volte voluto che ci fosse stata l’occasione di condividere con Harry le sue preoccupazioni, probabilmente quell’uomo l’avrebbe solo rimproverata di nuovo per aver essersi ritirata dalla squadra, non aveva dubbi di aver preso la strada giusta per il benessere della sua famiglia, ma lei era davvero mortificata per aver lasciato Angelina in difficoltà nella ricerca di una sostituta. Dopo tante discussioni con suo marito, iniziava a credere che Harry potesse aver ragione, aveva preso una decisione troppo affrettata, lasciando inevitabili strascichi dietro sé, l’unico pensiero che riuscita ad infonderle forza in quell’ufficio era quello dei suoi figli; forse non lo avrebbe mai ammesso davanti a lui, ma le mancava la squadra, sentiva la mancanza di sfrecciare sulla sua scopa e del vento tra i capelli.
Quando quella mattina le vennero consegnate due lettere, una delle quali spedita direttamente dalla Grande Mela, si ricordò il vero motivo ed anche il più importante che l’aveva spinta a prendere quella decisione sofferta che Harry continuava a comprendere solo in parte. Sollevò la penna dalla stesura dei suoi articoli e decise di dedicare qualche minuto a quelle missive; iniziò dalle parole della sua migliore amica, di cui sentiva già la mancanza, anche se l’aveva vista qualche giorno prima in occasione del weekend. Sperava tanto che leggere quella lettera l’avrebbe fatta sentire più vicina a lei, anche a chilometri di distanza. Quando Hermione le aveva comunicato la partenza, si era sentita spaesata, stava lasciando Londra proprio in un periodo in cui il cambiamento faceva da padrone nella vita di Ginny con tutti gli effetti collaterali sul suo rapporto di coppia; la cognata era tra le sue poche certezze, anche solo un thè in sua compagnia nei pochi secondi di pausa avrebbe giovato al suo umore. L’ultimogenita di casa Weasley non era però priva di empatia, almeno non tanto quanto il fratello più giovane, ed era consapevole che quell’impiego Oltre Oceano era tutto tranne un viaggio di piacere. Hermione aveva sigillato la busta con il timbro del Macusa, l’aveva probabilmente spedita dal suo nuovo ufficio e in mancanza di altro aveva usato quello, ricordando alla cognata quanto fossero lontane, come se lei non ci pensasse già ogni santissimo giorno; era paradossale, proprio in quel periodo che avrebbero potuto vedersi di più all’interno del Ministero, lei veniva trasferita per mettere le sue competenze al servizio di un’altra istituzione. Estrasse il foglio bianco e prima di iniziare a leggerne il contenuto, gettò un’occhiata alla porta chiusa per essere certa di poter contare sulla privacy del suo ufficio.
 

 

Ciao, cognata preferita.

Come stai? Non dirmi che ti sta ancora stretto quell’ufficio, pagherei non so quanti galeoni per tornare nel mio ufficio londinese. Mi manca tutto di Londra.

Qui sempre il solito, stanno sfruttando la mia presenza nei modi più svariati, sia per l’esperienza che ho sui diritti delle creature magiche sia per le mie conoscenze sulla Legge Magica.

Non voglio però tediarti oltre, avrai la giornata piena di impegni, quindi arrivo subito al dunque. Da quando sono partita, faccio una certa fatica a comunicare con Ron, alle lettere non risponde nemmeno per sbaglio e il telefono di casa suona sempre a vuoto. Mi sai dire cosa sta combinando mio marito? So che l’ho visto pochi giorni fa, ma non mi dà la possibilità di chiedergli come stia e come stiano i nostri figli, soprattutto Rose, era l’unico canale per avere notizie di quella ragazza, visto che persiste nel suo silenzio; immagino che la mia partenza non abbia favorito il rapporto tra me e mia figlia, o almeno questo è ciò che mi ha riferito Ron quando ci siamo visti. Mi fido di lui, so che al Ministero sta svolgendo un lavoro encomiabile, mi piacerebbe solo sentire la sua voce durante la settimana o veder arrivare qualche sua lettera di risposta. Sono certa sia a casa quando chiamo e non sia impegnato in altro, sto bene attenta a rispettare il fuso orario. Ricordagli, se puoi, di preferire la posta babbana, qui non amano particolarmente i gufi (sono riuscita a dare uno strappo alla regola per oggi), gli ho già scritto l’indirizzo dell’appartamento in cui alloggio, spero non lo abbia perso.

Ginny, sento che si sta allontanando, non ci siamo lasciati benissimo l’altro giorno e da qui non so come comunicare in altro modo con lui.

Abito al numero 501 della Lexinghton Avenue, per qualsiasi cosa scrivi a questo indirizzo. Mi mancate tanto, per favore, ricordalo anche a Ron. Ti sarei grata se riuscissi a mediare per me. Aspetto tue notizie.

Sempre a te vicina,

Hermione

 
 

La donna rimase frastornata dalle notizie ricevute, dall’ultimo dialogo che le due avevano avuto di persona le era parso di avvertire tensione tra Hermione e Ron, ma non credeva certo fossero arrivati al punto di non rivolgersi più nemmeno la parola. Ginny non aveva alcun dubbio sul fatto che l’astio di Ron verso la moglie fosse esagerato e fuori luogo.
«Ho un fratello del tutto idiota»
Si dedicò subito dopo alla seconda lettera che le era sopraggiunta da Hogwarts, allontanando per qualche minuto dalla mente i problemi che si erano insinuati tra il fratello e la cognata; stavolta tra le sue mani passò una pergamena ingiallita incisa da un inchiostro scuro e spesso; Ginny passò l’indice su quelle righe asciutte, capì subito da dove fossero state spedite, prima ancora di iniziare la lettura; benché fossero entrati da tempo nel ventunesimo secolo, l’anziana docente non era mai stata pronta ad abbandonare le vecchie abitudini per lasciare spazio al progresso. La commozione per il passato lasciò presto il posto all’esasperazione, non appena ebbe iniziato a leggere le parole della McGranitt: era una convocazione, un’ennesima convocazione per il secondogenito. Appoggiandosi con i gomiti alla scrivania, si portò le mani sul volto; era disperata, non sapeva più come aiutare suo figlio ed era evidente quanto la conversazione di qualche settimana prima con il padre non avesse giovato all’umore di quel ragazzo. La Preside non aveva mancato di sottolineare in quella lettera che Albus non era in grado di rispettare le semplici regole della Scuola e si faceva trascinare con troppa facilità in scorribande notturne.
 - Provi ad indovinare da chi può aver preso –
Aveva inoltre raccomandato la sua ex studentessa di avvertire il fratello, perché, a quanto sembrava dalla breve ricostruzione dei fatti, anche la nipote era stata coinvolta. Ginny, non avendo molti dettagli, decise, in compagnia di quella pergamena e della lettera di Hermione, di cercare Ron ed Harry per il Ministero, avrebbe dovuto dare loro più di una notizia.
 
 
[Ministero della Magia londinese - Campo di allenamento]
 
«Harry, piano!»
Ron era stato trascinato dal cognato – che fino a quel momento credeva fosse anche il suo migliore amico – nel cortile adibito all’esercitazione degli Auror che lavoravano per il Ministero. Erano lì da più di un’ora, perché Harry sosteneva che la bacchetta dell’amico fosse arrugginita ed effettivamente era la verità, non eseguiva uno Schiantesimo ormai da svariati anni; non avrebbe quindi potuto, sempre secondo l’opinione del capo delle guardie, affrontare quella inflessibile Accademia senza prima un ripasso dei principali incantesimi di difesa e di attacco. A nulla valsero i tentativi di Ron di ricordargli quanto lavoro avesse da sbrigare in ufficio, i plichi sulla sua scrivania continuavano a lievitare ed Harry non gli stava dando un istante di tregua nemmeno per elaborare un piano di difesa dai suoi ripetuti attacchi. Il malcapitato ringraziò il cielo per i diversi ripari di cui era dotato il campo; si slacciò la giacca che era tutto tranne indicata per un duello e cercò di riprendere fiato, a furia di fuggire dagli attacchi di Harry aveva la fronte imperlata di sudore freddo, complice anche l’aria fresca di inizio novembre. Non aveva tempo di stare a lungo al gioco del cognato, avrebbe iniziato il corso a gennaio e, per come erano iniziate quelle lezioni di ripasso non richieste, Ron sarebbe arrivato nell’anno nuovo già sfinito. Si era sporto, sperando che Harry avesse finito di giocare e di divertirsi alle sue spalle, ma non appena Ron uscì allo scoperto, l’Auror tornò immediatamente alla carica.
«Bombarda»
Il cognato aveva indirizzato contro il povero Ron un incantesimo che avrebbe avuto su di lui conseguenze devastanti, se non fosse riuscito con un timido Protego a respingerlo e a difendersi appena in tempo.
«Ehi, sei impazzito? Mi piacerebbe tornare a casa vivo da mio figlio»
Harry si bloccò per un’istante a quella ingenua considerazione, lo aveva intenerito; aveva anch’egli il fiato corto, si stava impegnando per provocare nell’amico una contro offensiva.
«Ron, gli Auror non lavorano solo in ufficio, ma spesso e volentieri agiscono sul campo. Io sarei felice di lavorare con te, ma tu sai a cosa stai andando incontro frequentando quell’Accademia, vero?»
«Lo so, ne sono consapevole, ma non voglio che mi uccida prima tu e Hugo rimanga solo, visto che su Hermione non posso contare»
Ogni parola che uscita dalla bocca di Ron era percepita da Harry l’una più triste dell’altra. Hermione era davvero partita lasciando un vuoto immenso nel cuore dei suoi cari; il Ministero e lo scorrere delle loro giornate non erano gli stessi senza di lei. Harry per allontanare la tristezza che si era impossessata di entrambi, tornò ad attaccarlo con i più svariati incantesimi, premurandosi ovviamente di evitare i più letali.
«Harry, per la miseria! Non sono più così abile, sono fuori allenamento. Ho dimenticato la maggior parte dei tuoi insegnamenti»
Il cognato afferrò subito il riferimento al periodo in cui aveva infuso buona parte delle sue conoscenze agli amici, quando insieme avevano creato la loro organizzazione segreta, soprannominandola Esercito di Silente. Allo stato attuale esisteva un unico Albus ed era suo figlio; ogni volta che Harry pensava a quell’uomo non poteva evitare di lasciarsi prendere da una velata malinconia e provava la stessa identica sensazione quando pronunciava a voce alta il nome di quel ragazzo, in pratica si era condannato da solo per il resto della vita. Le ammissioni di Ron però lo spaventarono anche, l’amico non poteva essere sprovvisto delle basi di quegli incantesimi, lui ne avrebbe necessitato per difendersi e ciò avrebbe fatto la notevole differenza tra la vita e la morte. Se Ron pensava di colmare quelle grosse lacune durante quel corso, si sbagliava di grosso, quelle conoscenze venivano date per scontate e assodate, ciò che veniva impartito era ad un livello superiore di un semplice Schiantesimo; gli avrebbe chiesto di evocare un Patronus, se ne fosse stato ancora in grado, ma preferì continuare a testare le sue abilità nel duello diretto, alla fine avrebbe ceduto e tentato un qualsiasi attacco gli fosse venuto in mente.
«Depulso!»
Harry iniziò a pronunciare quelle formule con una certa impazienza e all’ennesimo tentativo riuscì persino a sfiorarlo.
«Harry! Racconti tu che fine mi hai fatto fare oggi?»
«Ron, devi reagire»
«Non voglio attaccarti, di grazia, perché dovrei!»
«Temo piuttosto tu non sappia attaccarmi»
Harry fece un ultimo tentativo provocandolo e colpendolo nell’orgoglio con il colpo più basso che gli avesse inferto quella mattina. Quando finalmente Ron era in procinto di riscoprire le sue doti di duellante, la voce della sorella fermò le sue intenzioni a mezz’aria.
«Tieni giù quella bacchetta da mio marito, Ron, e inizia a vergognarti per come ti comporti»
Era convinto che la causa del rimprovero di Ginny andasse attribuita a quel duello insensato e per una volta si scoprì totalmente d’accordo con la sorella.
«Guarda che è stato Harry a provocarmi, io sarei rimasto tranquillo nel mio ufficio, il lavoro non mi manca di certo»
«Ed Harry ti ha anche suggerito di essere cafone con tua moglie?»
Entrambi gli uomini puntarono lo sguardo su di lei, il più spaesato sembrava essere Harry, Ron era già arrivato alle sue conclusioni.
«Si è lamentata con te?»
«È preoccupata, razza di idiota»
«Le sue preoccupazioni svanirebbero se fosse a Londra e non avrebbe necessità di avere nostre notizie, vedrebbe con i suoi occhi come stiamo, quindi non è un problema mio, ha fatto le sue scelte, come di consueto senza consultarmi. Non mi meraviglia che sua figlia dalla Scozia non le voglia più parlare neanche via carteggio, se l’è voluta»
Ginny si stava avvicinando di qualche passo a lui forse per fargli tornare il buon senso a suon di vergate, ma Harry glielo impedì frapponendo dolcemente tra loro un braccio, suggerendole così di calmarsi; nonostante il saggio suggerimento del marito, non poté proprio esimersi dall’insultarlo.
«La mia migliore amica ha sposato un deficiente e mi dispiace che lo sconsiderato sia anche mio fratello»
«Peccato che ora lo stesso deficiente si sia messo sulle proprie spalle le sorti del Ministero e della famiglia. Hai ragione sono proprio un cretino, nessuno al mio posto lo avrebbe fatto. Dille che non me ne faccio nulla delle sue lettere, proprio un beato cavolo, se le può anche tenere e non le risponderò finché non avrà riacquistato quel senno che tanto amavo. Immagino abbia mancato di dirti che ho fatto l'impossibile pur di trattenerla a Londra, ho fatto un ultimo tentativo persino in aeroporto. Ginny, mi lasci esterrefatto, tu hai fatto scelte diverse, come puoi comprenderla?»
La donna indugiò a rispondergli, non sapeva farlo, ciò che però le era piuttosto chiaro era che il comportamento vendicativo di Ron avrebbe presto causato uno squarcio insanabile nel loro rapporto ed era certa che non era ciò che suo fratello desiderava.
«Ron, lei può avere le sue colpe, ma così facendo la perdi»
«Tranquilla, se vuole, conosce la strada di casa, peccato non voglia prenderla, giusto?»
«Siete solo due testoni»
«Sì, certo, torno al mio lavoro, tuo marito mi ha fatto perdere fin troppo tempo»
Ron ripose la bacchetta demoralizzato e sarcastico, ma Ginny gli sfiorò appena quell’insolita giacca elegante all’altezza del petto per invitarlo ad attendere prima di tornare in ufficio; a lei faceva un certo effetto vedere il fratello in quelle vesti e in quel ruolo, non avrebbe mai scommesso un singolo zellino di percepire un giorno in lui un’aria così distinta, i loro genitori dovevano essere senz’altro molto orgogliosi. Ginny gli allungò la lettera di Hermione con pacatezza, non aveva alcun senso inveirgli contro, almeno non in quel momento, se ne accorse tardi, le parole sofferte di sua moglie sarebbero state molto più efficaci di qualsiasi rimprovero.
«Leggila, non mi dà l'idea di una donna che voglia abbandonare la sua famiglia»
Attese una risposta dal fratello che non arrivò, era certa stesse riflettendo sul da farsi e nei suoi occhi chiari, così simili ai suoi, iniziò ad intravedere anche una punta di dispiacere oltre il rancore.
«Non puoi tornare al lavoro ora, anzi nessuno di noi può, dobbiamo raggiungere Hogwarts»
Stavolta Ginny passò risoluta la lettera della Preside al marito e lui non indugiò a leggerla sotto lo sguardo curioso di Ron; fu questione di una frazione di secondo, il tempo per Harry di arrivare fino al punto e l’Auror sbottò furioso, mandando al diavolo l’invidiabile calma che aveva mostrato negli ultimi minuti.
«Ginny, io stavolta metto Albus sottochiave, giuro che lo faccio!»
«Cos'è successo di così grave?»
Fu Ginny a fare chiarezza tra i dubbi del fratello, Harry non sembrava nelle condizioni di formulare un discorso di senso compiuto.
«Albus e Rose sono finiti nei guai e la Preside ci ha convocati nel suo ufficio»
«Adesso basta, la scusa che non sono presente non regge più e non lo giustifica per tutto ciò che combina»
Harry si avviò verso l’uscita che si affacciava sull’atrio del Ministero, ma Ginny non si preoccupò di fermarlo, conosceva la sua destinazione e sperò che all’arrivo fosse meno infuriato; la donna rimase piuttosto a scrutare lo sguardo demoralizzato e perso del fratello dopo le notizie ricevute, temeva quasi di essere stata troppo dura nei suoi confronti.
«Ron. A cosa stai pensando? Perché fissi il vuoto?»
«Rose sta accusando l'assenza di Hermione e da solo non riesco a farla stare meglio»
 
 
[Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts – Torre di Grifondoro – Ingresso Sala Comune di Grifondoro]
 
Ron raggiunse Hogwarts insieme al cognato e alla sorella, non aveva altra scelta, la Preside stessa aveva richiesto un colloquio con i genitori di quei ragazzi. Peccato Rose potesse fare affidamento solo sulla presenza del padre, il quale però non era indistruttibile davanti alle numerose responsabilità. Avvertire Hermione sarebbe stato inutile e controproducente, avrebbe inventato la sua solita impossibilità ad essere presente e lui non aveva alcuna voglia di prendere altro nervoso per colpa della moglie.
Prima di incontrare la McGranitt però necessitava di vedere sua figlia; non voleva sgridarla, in fondo non sapeva ancora con precisione cosa fosse successo, sospettava infatti di essere lui ad avere bisogno di lei. L’aveva cercata in ogni luogo in cui credeva possibile la ragazza potesse trovarsi, comprese biblioteca e Sala Grande. Ron intuì non fosse una buona idea girovagare per il Castello, era consapevole che nelle ultime settimane la notizia della sua temporanea delega a Ministro fosse rimbalzata sulla Gazzetta del Profeta e quindi anche tra quelle mura; se solo quei professori e quegli studenti, specie i più grandi, fossero stati a conoscenza dell’insofferenza che provava in quelle vesti, non si sarebbero rivolti a lui con tale formalità al suo passaggio; dell’uomo che amava la notorietà in quell’occasione era rimasto ben poco, non aveva l’umore giusto per pensarci. La Torre di Grifondoro fu l’ultimo posto a venirgli in mente ed anche l’unico a non avere ancora controllato; si era diretto proprio lì, alzando il passo e percorrendo lo stesso tragitto che aveva seguito lungo i sei anni di permanenza nel Castello; aveva una gran voglia di rivederla, forse andare in suo soccorso, poteva solo presupporre avesse scoperto della partenza della madre da fonti terze, lui certo non aveva trovato il coraggio di informarla. A Ron bastò superare le scale magiche per iniziare a sentire delicati singhiozzi provenire dall’ala più interna del settimo piano. Il fiato dell’uomo era diventato corto nel tentativo di trovare più velocemente la figlia, perciò non ebbe altra scelta che coprire più lentamente gli ultimi metri che gli restavano per raggiungerla, ammesso che il pianto soffocato davvero provenisse da lei. Quando si trovò abbastanza vicino al quadro della Signora Grassa, intravide una figura accovacciata ai piedi dell’ingresso della Sala Comune dei Grifondoro, appoggiata con la schiena contro la parete e il viso - nascosto dai lunghi capelli – immerso tra le ginocchia, strette forte dalle braccia contro il petto. Ron si accovacciò a sua volta davanti a lei e le porse una carezza sulla testa, sperando di infonderle conforto, contava sul fatto che lo riconoscesse al tatto e non si spaventasse. Rose alzò istantaneamente lo sguardo sul padre, ma la sua presenza, piuttosto che cessare quel pianto, la commosse ancora di più.
«Papà, che bello che tu sia qui»
La ragazza non si interrogò sul motivo della sua presenza, gli gettò le braccia al collo con una certa veemenza, rischiando di fargli perdere l’equilibrio da quella posizione precaria; Rose non si era nemmeno accorta di averlo travolto e lui, riuscendo a non cadere per un soffio, le accarezzò la schiena cercando di tranquillizzarla.
«Non piangere, Rose, ci sono io, non sei sola»
Si sfogava sulla spalla del padre, ignorando del tutto che potesse essere arrabbiato con lei per la trasgressione della sera precedente e per la punizione. Vedere la figlia in quelle condizioni non faceva altro che aumentare la rabbia nei confronti della moglie. Rose era cresciuta negli ultimi anni e faceva una certa fatica a sostenere il suo peso troppo a lungo in quella posizione, così la invitò con dolcezza a sollevarsi; non appena gli occhi arrossati della ragazza incrociarono quelli di Ron, quest’ultimo si premurò di scostarle qualche ciocca di capelli dalle guance umide. Furono quelle carezze a rinsavirla e a consentirle di ricordare il motivo reale della presenza del padre.
«M-mi dispiace, papà, non volevo disturbarti, sarai stato impegnato. Non sono stata espulsa, ho solo ricevuto una piccola punizione ... tanto non me la sento di giocare in questo periodo»
Non aveva alcun dubbio sul fatto che sua figlia non fosse stata cacciata da quella Scuola, la conosceva abbastanza bene da credere che non avesse fatto nulla di così irreparabile; lo lasciarono perplesso però le sue parole, era palesemente demoralizzata e demotivata.
«Intendi giocare a Quidditch? Eri così contenta quando sei entrata nella squadra. Tesoro, cos'è cambiato? È per la partenza della mamma? Ultimamente sono il primo a non aver voglia di parlarle, ma …»
Si rese conto tardi di aver parlato troppo davanti alla figlia, si morse la lingua, ma ormai il danno era stato fatto.
«Nemmeno tu le parli?»
«Raramente … ma solo perché a New York ha tanto lavoro da sbrigare, sai, in America tutto scorre più veloce»
Tentò di rimediare al suo errore come meglio poté, ma non era facile imbrogliarla, non lo era mai stato fin dalla più tenera età, aveva ereditato la perspicacia di Hermione.
«Papà, non sono più una bambina. Non potete o non volete sentirvi? C’è una grande differenza»
Ron si passò le dita tra i capelli a disagio, riflettendo sulle parole che fossero più convenienti come risposta; paradossalmente avrebbe gradito un suggerimento dalla stessa donna che lo aveva messo in difficoltà, lei sarebbe stata molto più abile in simili circostanze, lui era troppo schietto e avrebbe rischiato di ferire la figlia con un’amara verità.
«Eh va bene, Rose, tanto poi lo scopri ugualmente. Sono io a non rispondere, ma posso garantirti che lei chiede spesso di te e di Hugo. Le piacerebbe poterti scrivere, ma a New York la posta via gufo è poco apprezzata. Se ti andasse di scriverle, posso spedire io la lettera, mi ha lasciato il suo indirizzo»
Lo aveva ascoltato con attenzione, eppure le sfuggiva il motivo per il quale lui per primo non desiderasse scriverle.
«Papà, sei arrabbiato molto con la mamma, vero?»
«Abbastanza … anzi, nella lettera, se gliela dovessi scrivere, puoi anche dirle che tuo fratello sta bene e manca tanto a lui? Mi faresti un grande favore»
«Siamo arrivati a questo punto? Devo farti da messaggera?»
Ron si alzò, quella conversazione stava prendendo una piega che non gli piaceva per niente. Aveva però riflettuto sulle parole della sorella, vedere sua figlia gli aveva aperto gli occhi e si era reso conto di sbagliare nei confronti di Rose, era giusto che favorisse un riavvicinamento tra lei e la madre.
«Papà, chiamala»
Anche lei aveva abbandonato la sua posizione accovacciata intenzionata a convincerlo.
«Rose … smettila subito, non sono affari tuoi e non lo diventeranno perché siamo i tuoi genitori. Il rapporto che abbiamo con te ed Hugo è su tutt’altro livello rispetto a quello che abbiamo tra noi, quindi non intrometterti. Non accetto consigli da mia figlia su come io debba gestire la relazione con sua madre. È abbastanza chiaro così?»
«Proprio perché siete i miei genitori, sono anche affari miei. Papà, ma chi vuoi prendere in giro, tu sei poco più di scarso con le donne, hai bisogno di aiuto ed io te lo sto offrendo»
Ron reagì nell’unico modo possibile davanti a quelle insistenze, iniziò ad avviarsi verso l’ufficio della Preside cercando di ignorarla, ma era impossibile se lei continuava a frapporsi sul suo cammino; si stava sforzando di mantenere fin troppa calma, in altre circostanze forse le avrebbe urlato contro, ma non gli parve il caso dopo aver assistito alla disperazione di quella ragazza.
«Rose, ora basta, stai esagerando, stai superando un limite che non è di tua competenza, se sono abile oppure no a rapportarmi con mia moglie non ti deve interessare»
«Dammi una spiegazione, allora. Avete smesso di parlavi da un giorno all’altro senza un valido motivo? Io non credo, deve essere successo qualcosa, forse la partenza della mamma e tu sai qualcosa che io non so. Papà, non voglio che tu e la mamma vi lasciate, è già abbastanza difficile così, lei lontana e tu sempre impegnato al lavoro. Ho il diritto di sapere perché sei così infuriato con lei tanto da toglierle la parola, non tenermi all’oscuro, ti prego»
«Nemmeno tu mi hai detto perché non ti va più di giocare a Quidditch, quindi siamo pari. Ora, se vuoi scusarmi, avrei grazie a te un appuntamento poco piacevole con la McGranitt»
L’aveva lasciata sola nel mezzo del corridoio senza una risposta. Era arrabbiata lei per prima con la madre, lo era da diverso tempo, ma non riusciva ad accettare che i suoi genitori discutessero, qualunque fosse il motivo e di chiunque fosse la colpa.
 
 
[Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts – Ufficio del professore di Erbologia]
 
Ginny aveva previsto male, Harry non si era affatto tranquillizzato giungendo ad Hogwarts, anzi il tragitto – anche se breve con la Materializzazione – lo aveva reso ancora più irrequieto. Necessitava di confrontarsi con qualcuno che conoscesse Albus fin dalla più tenera età; parlarne con sua moglie, ritagliandosi qualche secondo dalla frenetica routine, avrebbe significato cadere nei soliti discorsi, di cui portavano gli strascichi ormai da settimane, non era decisamente la candidata perfetta per riscoprire un po’ di serenità e provare ad infonderla al figlio. Aveva perciò deciso di bussare alla porta di un caro amico, che, in quanto padrino di Albus e ora suo docente, avrebbe potuto aiutarlo a comprendere i tormenti di quel ragazzo. Quando il professore concesse ad Harry il permesso di entrare, senza nemmeno domandare chi fosse, lo trovò seduto sulla scrivania, intento nella lettura di qualche foglio, che l’ospite non riusciva a decifrare, mentre gustava biscotti al cioccolato. Neville accolse l’amico con un grande sorriso, sorpreso e felice di vederlo, non ricordava di avere in programma qualche appuntamento con lui.
«Harry, ciao. Ti va un biscotto? Li ha preparati Hannah, sono buoni»
Neville gli allungò con entusiasmo un sacchetto pieno di quei dolci; involontariamente quel gesto aveva favorito un ricordo ancora vivido nella mente di Harry che riguarda proprio la donna con cui avrebbe a breve dovuto trattare della situazione del figlio.
«Adesso Hannah ti cucina biscotti? Va un po’ meglio tra voi?»
Le guance del docente si imporporarono, non era sua intenzione incentivare quella conversazione, la sua offerta era stata semplice cortesia.
«Non saprei, ultimamente sembriamo più amici che sposati, ma almeno mi rivolge la parola e questa credo sia una grande conquista per noi. Seamus le ha detto che riavvicinarsi a me avrebbe potuto giovare alla sua salute, credo abbia preso alla lettera i consigli del suo medimago di fiducia. Poco male, mi piacciono queste prescrizioni mediche, almeno guadagno le sue prelibatezze. Dai, fammi compagnia, prendi un paio di biscotti»
Harry aveva lo stomaco chiuso a causa della tensione, ma non voleva offenderlo rifiutando la sua offerta, Neville gli stava rivolgendo un sorriso imbarazzato, così alla fine si arrese e afferrò un biscotto a caso.
«Tu perché sei qui? Non penso per parlare di Hannah, anche perché non avrei molto altro da dirti»
Rifletté un istante sulla domanda dell’amico, non sapeva da dove iniziare; si era reso conto in quel momento che quell’incursione nel suo ufficio avrebbe potuto disturbarlo, Harry non sapeva di cosa lui si stesse occupando prima che lo interrompesse e nemmeno si era premurato di chiederglielo prima di entrare.
«Ti ho disturbato, stavi lavorando»
Neville posò rapidamente sul ripiano della cattedra quei fogli, si passò subito dopo una mano sul petto e sui pantaloni per eliminare le briciole di cioccolato, di cui era sicuro essersi riempito con distrazione, e si diede infine una scrollata alle mani pronto per prestare ad Harry la massima attenzione.
«Le esercitazioni dei miei studenti possono aspettare. Sono in pausa, ho appena terminato una lezione, quindi sono a tua completa disposizione»
«Dovrei parlarti di Albus»
«Allora ti serve un colloquio formale? Vuoi sapere il suo rendimento scolastico?»
Non gli sarebbe dispiaciuto saperlo, ma era consapevole di dover prendere un appuntamento per quello e non approfittare del legame che aveva con il docente di suo figlio; Harry trovava raramente il tempo per spedire un gufo e domandargli come se la stesse cavando con le discipline, si rese conto in quel periodo che la frenetica routine di lavoro non gli desse nemmeno modo di soffermarsi a pensare ai suoi figli; non aveva avuto nemmeno occasione di chiedere a Ginny qualche informazione a riguardo, ultimamente con lei scambiava solo frasi di circostanza, non aveva la più pallida idea se sua moglie ne sapesse di più.
«No, Neville … Lui ti parla? Ti dice come sta? Perché io non so più come stia mio figlio, continuo solo a ricevere convocazioni da parte della McGranitt e credo che andremo avanti così almeno fino alla fine dell’anno, finché non capisco cosa lo faccia stare così male e come poter rimediare. Mi sembrava di aver aiutato i ragazzi con la presenza di Teddy, invece ho risolto poco»
Neville lo vide sospirare sofferente, Harry aveva ragione, quello era molto più di un colloquio tra genitore e docente, era una confidenza, cercava la spalla di un amico su cui sfogare le sue frustrazioni. Il professore di Erbologia allontanò dalla scrivania – da cui non si alzò – la sedia per invitarlo ad accomodarsi. Harry indugiò pochi secondi prima di dargli retta, anzi gli aveva dato l’occasione di un appoggio, l’agitazione che provava gli faceva tremare le gambe.
«Neville, sono un disastro e Albus lo sa»
«Harry, non credo di essere la persona più indicata per dispensare consigli a riguardo, ma ho la sensazione che tuo figlio ti stimi e non avrebbe alcun motivo per non farlo»
I motivi invece c’erano eccome, aveva la percezione di aver perso di vista le sue priorità; proprio Harry che non aveva potuto godere di una famiglia, sentiva solo in quel momento di trascurare quella che insieme a Ginny aveva costruito e che amava così tanto. Non riusciva a capire come fosse riuscito ad arrivare a quel punto, non era in grado di mettere a fuoco il percorso che negli anni scorsi aveva fatto, nella sua mente era tutto sfocato. Dove aveva sbagliato?
«Neville, non mi stimerei nemmeno io. Sto facendo mancare a mio figlio tutto ciò che ho sempre desiderato. Non ho mai potuto, per ovvie ragioni, instaurare un rapporto con mio padre ed Albus ha un padre stupido, con il quale comunque non riesce ad instaurare un rapporto normale»
«Harry, adesso basta piangersi addosso, Albus ha un padre ed è ciò che conta di più, io e te sappiamo molto bene quanto possa mancare la presenza di una figura paterna. Non sei assente, quel ragazzo ha portato con sé ad Hogwarts insieme ai bagagli anche tutti i tuoi valori. Ti somiglia, Harry, ti somiglia davvero tanto, sei l’unico a non vederlo. Se tu non fossi stato al suo fianco, Albus sarebbe totalmente diverso. Stai solo accusando i colpi del passato, ti capisco, se avessi avuto figli probabilmente mi sarei posto i tuoi stessi problemi, senza un esempio non è semplice. Harry, continua a seguire il tuo cuore, non ti farà sbagliare»
Gli aveva posato una mano sulla spalla per infondergli coraggio; Harry era stato talmente concentrato su di sè da non capire che Neville aveva vissuto un passato simile al suo, lui meglio di chiunque altro avrebbe potuto comprendere ciò che provava; il professore era in grado, più facilmente di altri, di restituirgli un’immagine veritiera, come se gli avesse dato modo di vedere il suo riflesso che, a detta dell’amico, aveva infuso sul figlio.
 
 
[Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts – Cancello d’ingresso]
 
Draco Malfoy era bloccato al confine con i territori di Hogwarts, non era sicuro di voler entrare di nuovo in quel Castello. Cosa gli avrebbe detto stavolta la Preside? Scorpius era diventato ufficialmente amico di quel Potter e la McGranitt voleva comunicarglielo con gioia? Non lo poteva accettare, non lo avrebbe mai accettato, come d’altronde era sempre stato contrario all’idea di favorire l’amicizia tra Purosangue e Mezzosangue, ma ovviamente a nessuno importava della sua opinione. La pressione della mano della moglie sulla sua lo fece riemergere dai pensieri e in parte lo rasserenò, gli diede la percezione che le sue certezze e il suo orgoglio non sarebbero crollati tutti insieme quella mattina.
 


 
Ciao ragazzi!
 
Ho avuto l’impressione di aver trascurato un po’ i ragazzi ad Hogwarts nei capitoli precedenti, spero di aver recuperato in questa occasione, non perdendo di vista la trama generale della storia 😊
 
Spero di cuore che stiate tutti bene (di salute e d’umore). Vi ringrazio sempre tanto per continuare a leggere questa storia. So che non sarà facile, ma vi auguro comunque di trascorrere una Pasqua serena, almeno il più serena possibile <3
 
Alla prossima!
Un abbraccio grande
-Vale

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Capitolo 12
*** Il custode dell'anima ***


Il custode dell'anima



 
[ 1 novembre 2017 ore 12 a.m. – Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts – Capanna di Hagrid ]
 
Due mesi di scuola erano stati sufficienti per trasformare la casetta del Guardiacaccia in un rifugio per Rose e Albus. I due novelli studenti erano soliti cercare Hagrid, quando il malumore prendeva il sopravvento; era un’abitudine ereditata dai genitori ed era sorta nel loro cuore con spontaneità. Il Custode offriva sempre a loro la più calorosa accoglienza nella sua umile dimora; per lui era un piacevole tuffo nel passato, avrebbe trascorso ore a conversare con i figli dei suoi amici; i temi che affrontavano erano i più disparati e variavano dalle creature magiche agli aneddoti di famiglia.
Il mezzogigante aveva offerto ai ragazzi thè e biscotti, anche se su questi ultimi i loro palati avevano indugiato; Rose e Albus non avevano esternato il loro disappunto, non desideravano spegnere l’entusiasmo con cui Hagrid offriva loro quello spuntino prima di pranzo. I volti sconsolati degli ospiti erano evidenti e si nascondevano dietro il bordo delle tazze dalla circonferenza troppo larga.
«Allora, ragazzi, qual buon vento vi ha portati qui oggi?»
Hagrid sfoggiò uno dei suoi più grandi e avvolgenti sorrisi, ma non riuscì a contagiare i due ospiti; forse non erano usciti dalle mura del Castello solo per una conversazione amichevole, anche la poca perspicacia del Custode era sufficiente per capirlo.
«Mamma e papà sono a colloquio dalla McGranitt»
Albus affogò ansia e parole in un sorso di thè ormai tiepido; rivolse lo sguardo oltre la finestrella, la cui vista si protendeva verso il Castello. Il ragazzo scorse l’ufficio della Preside, figure indistinte si stavano muovendo al suo interno, ma non riusciva a distinguerne i volti, gli abbaglianti raggi del sole offuscavano la visuale.
«Anche papà è stato convocato»
Rose era intervenuta dopo aver perso lo sguardo anch’essa oltre l’orizzonte; una lieve malinconia l’aveva catturata, la Preside aveva convocato i suoi genitori, ma non vi era nemmeno l’ombra della madre. Hermione non era disponibile nemmeno per rimproverarla, avrebbe gradito la voce squillante del Ministro persino nelle circostanze peggiori per lei.
«Siete preoccupati?»
La domanda del custode risuonò scontata, era evidente che lo fossero. L’apprensione della giovane Granger-Weasley fu palpabile agli occhi di Hagrid; nelle iridi azzurre della ragazza coglieva il rigore della madre ed era una sensazione strana, era la combinazione esatta dei suoi genitori – nel corpo e nell’anima; quasi dimenticava a volte che nelle sue vene scorreva il sangue di due famiglie. Da un lato, nel cuore di Rose era presente la disinvoltura di Ron, che la conduceva a compiere azioni opinabili, e dall’altro, il pudore di Hermione che portava con sé sensi di colpa. Qualunque passo falso la studentessa avesse mosso era dispiaciuta, una nota disciplinare remava contro la sua morale.
«Hagrid, i nostri genitori hanno altro a cui pensare. Stiamo dando loro nuove preoccupazioni»
«Tua madre sta lavorando ancora in America?»
«Sì. E ci resterà per parecchio»
Il tono di Rose era risentito nei confronti di Hermione, non tirava una buona aria tra le due; ad Hagrid dispiacque, non era piacevole assistere a contrasti famigliari, specie all’interno di una famiglia unita.
«E tu, Albus? Anche i tuoi genitori stanno attraversando un periodo buio?»
«Da quando mamma ha cambiato lavoro, nelle lettere di papà leggo risentimento verso di lei. Senti, Hagrid, che tu sappia, papà potrebbe essere maschilista? Mi sembra quasi che mamma non sia libera di decidere senza urtarlo»
Si aggiudicò subito un’occhiataccia da parte della cugina. Il Guardiacaccia rimase assorto nei suoi pensieri, ma non fece scivolare lo sguardo dal ragazzo; Albus somigliava ad Harry, specie nelle insicurezze che la sua Casa gli infondeva. Le pareti in legno della capanna vennero inondate dal vocione del mezzogigante, il quale cercò di sdrammatizzare con una sonora risata.
«Certo che no, Al. E poi cosa vorrebbe dire maschilista? Per me è solo un po’ orgoglioso. Sai, tuo padre era una stella nascente del Quidditch, tuo madre era diventata una giocatrice professionista ed ha preferito interrompere la sua carriera. Per Harry è solo inconcepibile. Ora mi dite cosa avete combinato per guadagnarvi la convocazione dei vostri genitori?»
«Solo qualche scorribanda notturna, Hagrid, nulla di più»
Rose non aveva sminuito, le conseguenze per la sua carriera nella squadra di Quidditch non erano davvero state gravi; l’unico pensiero era rivolto alla famiglia e in particolar modo a suo padre. Il Guardiacaccia ricordava le scorribande notturne dei loro genitori e non portavano mai qualcosa di buono.
«Cosa state combinando voi due?»
«Nulla. Cosa dovremmo combinare insieme a Malfoy? Siamo solo stati sospesi per un breve periodo dagli allenamenti di Quidditch»
«Il giovane Malfoy era con voi??»
Il Custode si agitò; la promiscuità con Scorpius era pericolosa, Rose e Albus non avevano gli elementi per capire quanto. Hagrid era presente tra le macerie del Castello nel giorno della Battaglia finale, anzi aveva rischiato la vita e ricordava che i Malfoy fossero implicati, ciò era sufficiente per mantenere alta la prudenza.
«Sì, ma, Hagrid, calmati, non è successo nulla»
«Non mi va che giriate con il figlio di un Mangiamorte, potrebbe avere cattive intenzioni»
«Draco Malfoy era un Mangiamorte?»
Rose si voltò complice verso Albus e si rese conto di poter godere già dell’attenzione del cugino; un velo di delusione si dipinse negli occhi dei due giovani, non ne erano al corrente.
«Non dovevo dirvelo, non mi fate più domande. Rose, se tuo padre sa che te l’ho detto mi dà in pasto alle Sirene del Lago Nero»
«Perché dovrebbe? E per quale ragione non è stato lui a dirmelo? Anzi, mi ha sempre raccomandato di tenermi lontana dai Malfoy, immagino sia questo il motivo. Tra i Mangiamorte però non compare il nome di Draco Malfoy, ma solo quello di Lucius Malfoy e di un altro avo di cui ora non ricordo il nome»
«Fu Harry ad impedire che comparisse»
Albus e Rose erano confusi, nessuno li aveva mai informati, nessuno aveva mai parlato loro della guerra e fino a quel momento non avevano nemmeno avvertito la necessità di conoscere il passato dei loro genitori. Bastò un dettaglio per animare in loro la voglia di approfondire, l’unico impedimento era la lontananza dalle persone che avrebbero potuto aiutarli.
«Mio padre? Perché lo avrebbe dovuto fare?»
Fu una domanda che Albus rivolse a se stesso, ma da solo, con le poche e nulle informazioni che possedeva a riguardo, non riuscì a trovare una risposta convincente.
«Non avrei dovuto dirvelo»
Hagrid si alzò mortificato, immaginò le conseguenze del suo errore, i visi dubbiosi e pensierosi dei due studenti erano suggestivi. Albus e Rose non mossero alcun giudizio verso i Malfoy; se Harry aveva compiuto un simile gesto e non lo aveva arrestato, in fin dei conti la bontà in qualche modo aveva sfiorato anche quella famiglia.
 

[ 1 novembre 2017 ore 12:00 a.m. – Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts – Ufficio del Preside ]
 
«Malfoy, se tuo figlio si avvicina ancora a Rose, lo strozzo con le mie mani. Te lo giuro!»
Ron aveva esordito scegliendo fin da subito un atteggiamento offensivo, senza che la controparte avesse ancora mostrato ostilità. Harry e Ginny si prodigavano per bloccare fisicamente l’uomo; non era difficile intuire che stesse sfogando sul malcapitato – che fosse una vittima però era tutto da costatare – mesi di frustrazione che stava subendo in famiglia. La sorella in particolare cercava di stimolare in lui un pensiero razionale, l’impulsività di Ron non aveva mai giocato a suo favore.
«Ron, calmati, sei nell’ufficio della Preside e non puoi di certo iniziare una rissa qui»
L’aspirante Auror non aveva affatto escluso di prendere a ceffoni la faccia di bronzo di quell’uomo; Rose – la sua adorata bambina – si era lasciata fuorviare dal figlio di un Mangiamorte, non poteva accettarlo. Ginny lo stava forse legittimando a picchiarlo fuori dal Castello? Di sicuro sarebbe stata cosa gradita anche alla sorella fargli saltare qualche dente.
«Datti una calmata, Weasley. Cerca almeno di non ostentare la tua cafonaggine davanti alla McGranitt»
Minerva, nonostante venisse più volte invocata, non si scomodò dalla sua poltrona; rimase in silenzio, ammutolita dalla scena a cui stava assistendo; non era però sorpresa, iniziò perciò a pentirsi di aver organizzato un colloquio di gruppo, sarebbe stato molto più proficuo convocarli singolarmente e magari omettere l’amicizia nascente tra i tre giovani. I genitori di Rose, Albus e Scorpius non erano più da anni suoi studenti, non poteva quindi sgridarli o punirli per la rabbia che stavano manifestando davanti a lei; solo Merlino sapeva quanto avrebbe voluto chiedere un consulto ai quadri dei presidi suoi predecessori, specie a Silente e a Piton, i quali seguivano l’increscioso battibecco mortificati.
Harry tolse la McGranitt dall’impiccio; l’uomo non riusciva più a contenere la furia del cognato e nemmeno a sopportare l’espressione compiaciuta di Draco, mentre Ron dava di matto, stuzzicato da parole pacate ma cariche di cattiveria. L’Auror aveva afferrato l’amico per un braccio e lo aveva trascinato fuori dalla porta della stanza, era il caso di affrontare un discorso a quattr’occhi.
«Usa questa intraprendenza quando ti chiedo di duellare con me, non contro Malfoy nell’Ufficio della Preside. Mi spieghi cosa ti prende?»
«Harry, non ti devi intromettere. Stiamo parlando di mia figlia»
«No, non stiamo parlando solo di tua figlia, che peraltro è mia nipote, ma anche di mio figlio»
Aveva alzato leggermente la voce per farsi ascoltare e contrastare l’impulsività, un marchio di fabbrica Weasley. Ron accostò la schiena alla parete lì accanto e si coprì il volto con una mano; stava per proferire pesanti accuse all’amico, ma con un tono pacato e arrendevole.
«Hai lasciato che quel Mangiamorte procreasse»
«E cosa avrei dovuto fare, secondo te? Ucciderlo?»
«Ora capisco il motivo per il quale non sono mai diventato un Auror. Essendo privo della tua clemenza, ogni giorno sarebbe una carneficina ad Azkaban»
Harry non avvertì malvagità, anzi comprese ciò che aveva scatenato nell’amico quel profondo stato di disagio.
«Non hai davvero sentito Hermione negli ultimi giorni?»
«Perché, tu sì?»
«Ron, sei tu a non risponderle. Io la sento regolarmente per lavoro e forse farebbe bene anche a te ricevere qualche suo consiglio, visto che la stai sostituendo. Ginny ha ragione, lei sente la tua mancanza. E se Hermione fosse qui, non sarebbe affatto lieta del comportamento di oggi»
Si accorgeva sempre troppo tardi di essere duro con sua moglie, solo quando lei stessa o qualcun altro a loro vicino glielo faceva notare.
«Non voglio che Rose sia amica di un Malfoy, quella famiglia porta solo guai»
«Rose è abbastanza intelligente da saper discernere il buono dal cattivo, così come Albus. Chi siamo noi per mettere in discussione le loro scelte? Ci fidiamo di loro e questo è sufficiente, o no?»
 
~
 
Draco non si era sentito affatto in colpa per aver alimentato l’ira di Ron; anzi, si era levato di torno troppo presto, facendogli perdere l’occasione di dirgli in faccia ciò che pensava di lui e della sua famiglia, ma proprio tutto, senza censure. Lo avrebbe riferito alla sorella di quel fallito, se la moglie non avesse provveduto a fulminarlo e a scuotere il capo delusa.
«Astoria, si può sapere cosa vuoi? Ha iniziato lui, eri presente»
«Quando ti comporti così, ti tirerei una sberla. Non hai fatto nulla per favorire un dialogo pacifico»
L’unico pentimento nella stanza proveniva da Ginny; la donna si vergognava per colpe non sue, era sinceramente costernata per il comportamento indecente del fratello.
«Preside, domando scusa a nome di Ron. Non sta attraversando un buon periodo»
«E quindi ha deciso di prendersela con me e mio figlio? Tenetelo in gabbia se non conosce le buone maniere»
Stavolta Astoria tirò un manrovescio sullo stomaco del marito; non si era posta il problema che ci fosse un pubblico, era solo stufa di sentirlo parlare a sproposito. Ginny trattenne un risolino soddisfatto, non era elegante impicciarsi in questioni che riguardavano due coniugi, così preferì rivolgersi alla McGranitt.
«Professoressa, spero che i ragazzi non abbiano subìto ripercussioni troppo severe»
«Per il momento no, Ginevra, comprendo le difficoltà dei vostri figli e delle vostre famiglie. In realtà quei tre giovani hanno capito molto più di voi, cercate di imparare da loro»

 
[ 1 novembre 2017 ore 13:00 a.m. – Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts – Aula di Difesa Contro le Arti Oscure ]
 
Teddy era tornato tra le mura del Catello di Hogwarts in altre vesti, decisamente più scomode. La McGranitt aveva riposto grande fiducia in lui, affidandogli una cattedra che per fortuna da diversi anni non era più maledetta, ma restava comunque tra gli insegnamenti più astrusi per studenti e docenti. Persino Victoire, la sua fidanzata, aveva mostrato sincero orgoglio nei suoi confronti. L’unico ad essere poco convinto delle poche capacità sembrava essere solo lui.
All’ex Tassorosso era stata affidata la direzione della sua Casa, succedendo all’amata professoressa Sprite, ormai stanca e prossima alla pensione. La Preside lo aveva informato della trasgressione dei ragazzi, ma lui non aveva visto nulla di sbagliato nella loro amicizia; per il compito che gli era stato affidato a Scuola – uno dei tanti – poteva solo essere lieto dell’armonia che si era instaurata tra loro. Harry aveva scelto il candidato perfetto, era un giovane di buon cuore, avrebbe favorito la pace tra due mondi contrapposti, senza lasciare che le perdite subìte in passato incidessero sulla sua prospettiva. Attualmente però il suo intervento non si era ancora reso necessario, soprattutto negli ultimi avvenimenti; spettava solo alla Preside punire le loro semplici scorribande, in fondo non appartenevano alla sua Casa.
Teddy venne interrotto, mentre svolgeva i suoi compiti accademici e preparava la sua prossima lezione di Difesa Contro le Arti Oscure; era concentrato e l’indelicatezza con cui la porta dell’aula venne spalancata lo fece sobbalzare. Era il Custode delle Chiavi e dei Luoghi ad Hogwarts e puntava dritto verso la cattedra; aveva raggiunto il giovane con grandi falcate e aveva fatto tremare il bancone a cui si era appoggiato.
«Teddy. Devi fermare la McGranitt, lei li espellerà!»
«Hagrid»
«Mi devi ascoltare, riceveranno una punizione e non la meritano»
«Lo so e non riceveranno alcuna ripercussione pesante»
«Teddy …»
Si bloccò nell’esatto istante in cui comprese le parole del ragazzo; gli aveva riferito quella spiegazione con dolcezza. Hagrid ebbe la percezione di essere rincuorato dalla stessa affabilità che caratterizzava ai suoi tempi il buon professor Remus Lupin.
«Ah, ok. Allora posso stare tranquillo? Mi dispiacerebbe se venissero espulsi»
«Certo che no, Hagrid. Nessuno ha intenzione di espellere Rose e Albus»
Il Custode si sentì quasi in colpa per averlo disturbato; si accorse tardi che era occupato e davanti a lui aveva un marasma di libri, fogli e penne.
«Allora torno nella Foresta Proibita, devo terminare un lavoro»
Teddy gli sorrise, ma il suo sguardo cadde su una busta posata sulla scrivania.
«D’accordo. Hagrid, un’ultima cosa. Riusciresti a passare in Guferia per spedire una lettera a Villa Conchiglia? Ho una lezione tra poco e non riesco»
«Ma sicuro! Ci penso io»
 
 
[ 1 novembre 2017 ore 8:45 p.m. – Ottery St. Catchpole – Tana ]
 
Aveva giovato all’anima di Ron rifugiarsi tra le mura della casa della propria infanzia. Era stata una giornata impegnativa tra Hogwarts, il Ministero e tutti i problemi che lo avevano travolto, trasformandosi ogni giorno di più in uno tsunami. Si era ritirato in solitudine nella stanza che aveva occupato da ragazzo; dal piano inferiore giungeva la voce gioiosa e divertita di suo figlio, trascorrere una serata in compagnia dei nonni aveva beneficiato anche all’umore di Hugo.
L’uomo aveva trovato una foto posata sul comodino; la madre non aveva riposto nel cassetto quella vecchia istantanea. La scena immortalata rappresentava un momento felice, uno dei pochi vissuti nel corso dei loro anni da studenti; Ron, Harry ed Hermione erano in posa sorridenti, ma l’attenzione dell’uomo si soffermò solo sulla ragazzina. Dal sorriso di Hermione emergevano i suoi grandi denti da coniglio, la sua espressione beffarda e i lucenti occhi castani che lo avevano sempre ammaliato. La mente di Ron era ferma ai loro undici anni; erano passati venticinque anni, era cambiato tutto da allora, ma i ricordi erano ancora nitidi, per certi versi malinconici; gli mancava vivere il periodo in cui i loro unici battibecchi riguardavano la boriosità di Hermione e la sua negligenza che infastidiva la ragazza. All’uomo sfuggì un sorriso; all’epoca si mal sopportavano, all’inizio del loro primo anno respiravano la stessa aria per obbligo e non per piacere. Venticinque anni dopo non avrebbe mai immaginato – e nemmeno desiderato, lo Specchio delle Brame gli era stato testimone – che avrebbe portato una fede all’anulare infilata proprio da lei. Avrebbe preferito il genere di litigi che affrontavano da ragazzi, erano rimediabili; dopo più di dieci anni di matrimonio e due figli a carico non vi era nulla di semplice, ogni lite pesava come un macigno e la spiccata predisposizione di Hermione al successo alimentava le incomprensioni. Per quanto concerneva il loro rapporto, avrebbe volentieri fatto un salto nel passato, si sarebbe goduto i loro litigi e ancor più le riappacificazioni; era paradossale, il loro attuale coinvolgimento emotivo non era abbastanza potente, anzi non era sufficientemente forte da legare Hermione alla sua famiglia. Ron avrebbe dovuto imporsi, ricordarle che l’abbandono del tetto coniugale senza un valido motivo equivaleva al tradimento del loro vincolo; peccato non sapesse con quali altre parole – diverse da quelle che aveva già impiegato – rammentarle i suoi recenti errori, ma in fondo Rose era già molto brava nell’impresa.
Ron ripose la foto impolverata nel cassetto del comodino, ma non si alzò da letto. Era quasi certo che Molly avesse lasciato il ricordo in bella vista per lui; era difficile che sfuggisse qualcosa a quella donna, aveva intuito da tempo la tensione tra i due coniugi e aveva sperato di stimolare nel figlio una riflessione.
«Ron?»
Aveva appena accostato il cassetto, quando la madre comparve presso la porta aperta per metà. Molly lesse la sconsolazione sul volto del figlio, la interpretò abilmente, ma preferì fosse lui ad esplicitare i suoi turbamenti.
«Tesoro, tutto bene?»
La risposta era scontata per entrambi, essersi chiuso e immerso nella solitudine della sua vecchia stanza era una risposta più che soddisfacente.
«Mamma, il problema sono io, vero? Lei non è qui con noi per causa mia»
«Ma certo che no, Ron, non è colpa tua e nemmeno di Hermione. Non vi state allontanando e ti fa onore consentirle di coltivare le sue doti. Tua moglie è una donna fortunata»
L’uomo liberò un ghigno sarcastico; la madre parlava di una fortuna che lui non scorgeva, la sua famiglia era divisa tra Londra e New York, Rose inoltre soffriva da sola ad Hogwarts. Ron non vedeva spiragli di luce, la serenità girava lontano dai loro cuori.
«Mia moglie si trova a chilometri di distanza e non riesco a far capire a mia figlia che deve stare lontana dai Malfoy. Ti interesserà inoltre sapere che Rose è ai ferri corti con sua madre da quando è partita, lasciando a me l’incombenza del Ministero. La mia famiglia si sta sfasciando ed io sono impotente, non so come evitarlo»
Ron si alzò e iniziò a passeggiare per la stanza. Molly si accomodò al suo posto e seguì i passi frenetici del figlio; aveva l’aria di un uomo in trappola in una situazione che gli stava stretta.
«Hai parlato a Hermione del tuo disagio?»
«Parlare, dici? Difficile che io riesca a scambiare qualche parola con mia moglie. Sa solo imporre e secondo te io riesco a contraddirla? Ma certo che no! Da quando è diventata Ministro della Magia fatico a riconoscerla. Ora lei pensa che un paio di lettere e una chiamata possano colmare le sue mancanze. Ma non è così»
Ron si abbandonò sul materasso, dove affondò sconfitto; lo sguardo rivolto al pavimento trafisse il cuore della madre. Prima che Molly provasse a consolarlo, la voce flebile del figlio espresse sofferenza.
«Le avevo persino proposto … ah, lascia perdere, sono solo uno stupido»
Molly allungò una mano verso quella di Ron e la strinse per incoraggiarlo; la sua anima percepiva la sofferenza dell’uomo, era emotivamente sfinito, succube di una situazione che lo stava schiacciando.
«Cosa le hai proposto?»
Ron fece trascorrere qualche secondo colmo di dolore e chiuse le falangi per rendere più avvolgente la stretta della madre.
«Un figlio. Le avevo proposto un altro figlio»
L’anziana signora Weasley fece fatica a riconoscerlo; non riusciva nemmeno ad immaginare Ron che, nel disperato tentativo di salvare il suo matrimonio, si accollava persino la responsabilità di un’altra creatura. Fino a qualche anno prima non esisteva concetto più distante dalla concezione di Ron; era diventato responsabile grazie ad Hermione, lei si era fidata di lui, gli aveva affidato Rose e Hugo, trasformandolo nell’uomo che Molly aveva davanti. Sua madre e sua moglie erano fiere di lui, la situazione che Ron stava vivendo era faticosa, ma importante per la sua crescita, come uomo e padre.
«Mi ha risposto di non volerlo. Credevo mi amasse. Credevo che la nostra famiglia fosse importante per lei. Per me è molto importante»
«Lo so. Ron, prova a chiamarla, l’orgoglio non aiuterà il vostro matrimonio e nemmeno la vostra famiglia»
«Non voglio perderla, ma lei non si sta sforzando affinché ciò non accada. Non c’era alcuna necessità di partire per New York, è stato un suo capriccio. Il fatto è che Hermione ha bisogno di sentirsi qualcuno, non le basta essere una madre e una moglie. Avrei preferito che seguisse il tuo esempio, persino Ginny alla fine ha capito che la famiglia è più importante di una stupida carriera in una squadra di Quidditch»
Molly lo fissò esterrefatta, Ron stava sminuendo il suo sport preferito, come se fino a poco tempo prima non fosse stato la sua unica ragione di vita; era sufficiente tornare alla sua adolescenza o poco più per ricordare il suo tifo sfegatato, i poster e gli oggetti ancora presenti nella camera ne erano la prova.
«Mamma, ti sei prodigata per i tuoi figli, non avresti mai ricevuto le accuse che Rose sta muovendo a sua madre. A gennaio inizierò l’Accademia, se Merlino vuole diventerò un Auror, ma non sono assolutamente sereno sapendo che saremo entrambi meno presenti»
«Ron, sono nata in un’altra epoca, avevo sette figli e non abbiamo mai navigato nell’oro. Voi avete sofferto di questo»
«Mamma, ciò che ricordo con più piacere della mia infanzia è la tua presenza. Non ero io a soffrire per l’indigenza, ma Rose per l’assenza della madre. Sei così ingenua da credere che Hermione abbia iniziato quella carriera per offrire un futuro più roseo alla sua famiglia? Lo ha fatto solo per se stessa, forse per la Giustizia, ma non per noi. Me ne sono accorto tardi, il tempo passa e la situazione peggiora. Hermione è imprevedibile, non mi ascolta, prende la porta ed esce senza rivolgere un pensiero alle persone che lascia a casa. Temo si stia comportando come Percy»
Il doloroso passato della famiglia Weasley riemerse nella mente di entrambi e procurò a Molly una stilettata in pieno petto.
«M-ma certo che no, Ron. Devi parlarle dei tuoi timori»
«Li conosce»
Molly ringraziò Godric, quando il nipote comparve sulla porta; la conversazione si stava addentrando in argomenti delicati che non era in grado di affrontare senza la giusta preparazione mentale.
«Papà, sono stanco»
«Accompagna a casa Hugo, Ronald, e chiama tua moglie»
Le sue parole suonarono come un ordine, invece era solo un consiglio da parte di chi aveva vissuto buona parte della vita e poteva permettersi di insegnarla ai posteri.
 
 
[ 1 novembre 2017 ore 10 p.m. – Casa Granger-Weasley ]
 
I consigli di Molly erano stati influenti; rimasto solo Ron, in compagnia del figlio, accolse i consigli della madre, della sorella e del cognato; era stato sincero, non desiderava perderla e lasciare che si allontanasse per colpa del suo orgoglio. I telefoni babbani non gli erano simpatici, Hermione con pazienza gli aveva insegnato ad alzare la cornetta e a comporre il numero, ma era nervoso e la sua presa non era salda. Non ricordava a memoria nemmeno il numero che Hermione gli aveva fornito, così aprì il cassetto del suo comodino e iniziò a rovistare in cerca delle ultime lettere spedite dalla moglie; era un’impresa ardua in mezzo al marasma di ogni genere di oggetti recuperare qualcosa in particolare, in aggiunta, in preda alla rabbia, aveva incassato i fogli giunti da New York in fondo al cassetto come se fossero carta da riciclo. Riuscì a recuperare una lettera ancora integra, forse un po’ sgualcita, ma distendendola con cura il numero era ancora visibile; lo compose, eseguendo con attenzione la procedura e attese lasciando che la sua mente venisse inondata dai rintocchi degli squilli.
«Pronto»
La voce della moglie comparve al quarto segnale acustico, era assonnata. Non le rispose, non si annunciò, ma si accorse che gli era mancata la voce di quella donna, non era casa senza di lei; la percepiva distante, ovattata dall’apparecchio telefonico, ma sentirla era un refrigerio per il cuore.
«Pronto? Chi parla? Ron, sei tu?»
L’aveva riconosciuto dal respiro affannato o dal battito accelerato? Non sapeva che ore fossero a New York, ma l’aveva svegliata. Il suo solito pessimo tempismo.
«Ciao, Hermione»
Il suo saluto era stato freddo come il ghiaccio; non era sua intenzione risultare troppo severo, ma la sua anima soffriva ed era lei ad interagire al suo posto prendendo il sopravvento sulla volontà.
«Ciao. Amore, come stai?»
Era commossa, la sua voce si era incrinata; era felice di sentirlo, aveva perso le speranze conoscendo il grado di orgoglio e permalosità del marito.
«Sei ancora lì?»
«Sì, ci sono»
«State tutti bene?»
«Alla grande, sì»
«Ron, mi manchi, te l’ho scritto centinaia di volte nelle lettere. Se hai il mio numero, significa che le hai lette»
Era perspicace, ma a lui serviva poco la sua perspicacia, ne godevano più al Macusa ultimamente. Hermione non lo stava rimproverando per il comportamento che aveva tenuto negli ultimi giorni, comprendeva la rabbia del marito, era legittima.
«Sì, le ho lette. Grazie del pensiero»
«Ron, ti sento distante»
«Forse la linea non funziona bene»
«Magari fosse solo una questione di linea, vero?»
«Già»
Una parola fu sufficiente per colpire Hermione dritta nello stomaco, il veleno di Acromantula in confronto sarebbe stato succo di zucca.
«Ron, se mi hai chiamato solo per fare un favore a qualcuno …»
«In effetti avrei potuto evitare. Hermione, mi manchi anche tu, da morire e non so per quanto riuscirò a resistere senza di te. Ma sono anche infuriato con te, avevamo la nostra famiglia, eravamo felici, o almeno io lo ero»
«No, Ron, non lo eravamo. Sappiamo entrambi che non eravamo felici nemmeno prima»
«Ora invece lo siamo, certo»
Tacere davanti al sarcasmo del marito sembrò ad Hermione la scelta più saggia; non si sentivano da diversi giorni ed era da sciocchi trascorrere quel tempo litigando.
«Hermione, hai riattaccato?»
«Non lo farei mai dopo che mi hai richiamata. Tra qualche giorno torno a casa per il fine settimana, mi piacerebbe cercare i regali di Natale. Mi accompagni?»
«Sì, dai, poi vediamo»
«Con lo stesso entusiasmo che hai ora?»
Era sarcastica, ma si mostrò comunque divertita.
«Esatto, proprio con lo stesso entusiasmo, sai che non amo fare compere»
«Sono i regali di Natale, non sono compere qualsiasi, o quest’anno non ti va di festeggiare?»
«Ho poco da festeggiare»
«Ron, per carità, mi manca il tuo umorismo, mi dava la carica giusta per affrontare la giornata»
Ogni discorso che affrontavano era motivo di discussione, cambiare argomento avrebbe consentito alla chiamata di protrarsi qualche minuto in più.
«È notte da te, Hermione?»
«Sono le cinque del mattino e sono ancora sotto le coperte»
«Come sei lontana. Sei da qualche parte del mondo senza di me»
Il Ministro cercò di riscoprire il sorriso per entrambi; desiderava scongiurare che le poche ore di riposo restanti fossero accompagnate dalle lacrime, oltre che dall’assenza del marito.
«Sai, Ron, ogni tanto mi torna in mente una canzoncina, non so se la ricordi: “perché Weasley è il nostro re, ogni due ne para tre; Weasley è il nostro salvatore col suo gioco pieno d’ardore …”»
«“… Vinceremo noi perché, perché Weasley è il nostro re”[1]. Sì, la ricordo, uno dei miei pochi trionfi nella vita»
«No, tesoro, solo uno dei primi. Tu sei un vincitore per me e la tua famiglia, non dubitarne mai»
La voce assonnata di Hermione era sempre più fioca, Ron sentì che a stento la moglie riuscì a contenere uno sbadiglio, eppure la dolce sensazione di sicurezza lo aveva per l’ennesima volta attanagliato, sarebbe stato ore a bearsi di quel dolce suono.
«Hermione, ti stai addormentando?»
«Perdonami, sono solo stanca, non mi stai annoiando, non potresti mai»
«Ti lascio riposare allora»
«No, aspetta! Mi prometti che da oggi in poi risponderai alle mie lettere e alle mie chiamate?»
«Dipende dall’umore che avrò. Non è cambiato niente stasera, tu sei lì ed io sono qui»
«Resti sempre nel mio cuore, Ron»
«In questo momento credo di essere solo nel tuo ufficio. Dormi bene, Hermione»
Suo marito era rancoroso, era impossibile da lontano placare i sentimenti astiosi che provava. Hermione invece provava solo una grande mancanza nei confronti della famiglia; i suoi figli – specie Rose – occupavano buona parte dei suoi pensieri a qualunque ora del giorno e della notte, in qualunque attività fosse impegnata.
«Concedimi ancora qualche minuto, ti prego. Mi passeresti Hugo? Ho una gran voglia di sentire mio figlio»
«Abbiamo cenato dai miei, si sta cambiando. Appena finisce te lo passo»
«Mi mancano le ricette deliziose di tua madre»
«Allora torna presto. Anche tu manchi a lei»
 
 


Ciao ragazzi!
Ritardo colossale ^^”.  Non riuscivo a trovare il tempo di scrivere un paio di scene, scusate!
Mi mancava Hagrid, credo che senza di lui non sia Hogwarts **.
Dopo un anno e mezzo che scrivo questa storia continuate a seguirmi e crescete di numero, siete fantastici, davvero, grazie di cuore <3
Alla prossima!
Un grande abbraccio
-Vale
 

[1] Tratto da Harry Potter e l’ordine della fenice.

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