Goldfish Syndrome

di fool_dynosaur
(/viewuser.php?uid=1144079)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***






P r o l o g u e




Kontrol

 

 

 

Sindrome [sìn-dro-me] s.f.

med. Insieme dei segni e dei sintomi che compongono una situazione clinica particolare in un individuo; è anche usato come sinonimo di malattia le cui caratteristiche sono poco chiare.

Con l’espressione sindrome del pesce rosso si intende un particolare atteggiamento di colpa e compassione in seguito ad un evento che traumatizza il soggetto. I segni e i sintomi variano di fronte al tipo di trauma e di psiche della persona; i più comuni sono la commiserazione di se stessi e l’attaccamento alla specie dei pesci rossi, in quanto vengono visti dai soggetti affetti come un talismano di fronte alla situazione. In genere, dai sviluppi scientifici e medici, questa sindrome si ha dalla nascita, sviluppandosi soltanto dopo il trauma sùbito. La maggior parte delle persone affette da questa sindrome sono di genere femminile, anche se i casi più gravi sono avvenuti da parte di uomini. Attacchi di panico e isolamento sono spesso frequenti. Al momento non è stata riscontrata nessuna cura medica per la sindrome del pesce rosso a parte il superamento del trauma. Inoltre, la condizione è associabile anche ad alti livelli di alessitimia, che consiste nella difficoltà a identificare e descrivere le proprie emozioni e quelle altrui. Un corretto trattamento può aiutare il soggetto ad alleviare i sintomi. L’assistenza psicologica è spesso necessaria ai problemi della sindrome.

Essa prende il nome, come già citato, dal noto pesce rosso in quanto la sindrome sia stata collegata all’antica favola del pesciolino d’oro considerando che i sintomi e le motivazioni del soggetto sembrino rispecchiarla. Scoperta da Eugen Bleuler, a metà del novecento, fu classificata come sindrome solo a fine secolo, a causa del fatto che si credesse fosse un disturbo post-traumatico da stress.

Sintomi e caratteristiche:

1. Difficoltà nelle relazioni con persone post-trauma;

2. Persistente senso di colpa in qualsiasi azione il soggetto compi;

3. Frequenti attacchi di panico;

4. Commiserazione nei propri confronti;

5. Eccessivo interesse per i pesci rossi;

6. Mancanza di ricerca spontanea di divertimenti, interessi, o obiettivi;

7. Difficoltà nell’affrontare o parlare del trauma;

8. Difficoltà del soggetto nell’ammettere la sindrome.
 

Dati gli accertamenti medici e psicologici possiamo affermare che suo figlio, Felix Allen, nato il 28 aprile 1995 a Savannah, Georgia, abbia subito un trauma in seguito alla mancanza della madre e della sorella nell’incidente di Arcadia.

Pertanto, è richiesta la partecipazione forzata del malato ai gruppi di sostegno e incontri individuali con i psicologi.

01/05/2015

Dott. Christian Blake.

Il signor Allen richiuse la cartella, sospirando. Forse era la quarta volta che rileggeva quei fogli, non riuscendo a crederci ancora, pur essendo passati due anni. Fissò il vuoto davanti a sé, pensando a quanto avesse sbagliato nella sua vita. In quel momento il figlio aprì la porta di casa. Il padre alzò lo sguardo, nascondendo la cartella sotto le sue gambe sedute al tavolo del soggiorno. Felix guardò il padre senza mostrare nessuna espressione, poi salì in camera sua.

Ben lo guardò finché non scomparve dalla sua vistapoi riprese il dossier, osservando il nome del figlio scritto sull’etichetta bianca. Sentì una stretta al cuore nel ricordare il suo sorriso il giorno prima che le due donne di casa partissero, senza più tornare. Forse Felix era troppo legato a loro, ma come biasimarlo?

Anche a lui mancavano; ogni mattina svegliarsi e notare che l’altro lato del letto era vuoto e freddo, che non doveva più accompagnare nessuno fino alla scuola, che non avrebbe mai saputo com’era provare gelosia nei confronti del fidanzato o accompagnarla all’altare. Gli sfuggì una lacrima, che con un sorriso asciugò. Di certo a Lisa e Adele non sarebbe piaciuto vederlo debole in quella situazione, nonostante fossero passati due anni.

Due lunghi anni in cui ci aveva provato ad aiutare il figlio, ma sembrava rifiutare tutto. Si era ritirato dall’università, rifiutava di andare a pesca con il padre o parlare con chiunque. Ben inizialmente pensava di aver dimenticato il suo vero figlio sul porto di Road Sixty-six, poi si dava dello stupido. Felix c’era ancora e lo sapeva, solo che si era nascosto. Sì, come faceva da piccolo quando rubava i trucchi della madre usandoli per disegnare e sentendo le sue sfuriate, si infilava in qualsiasi angolo cupo della casa. Non aveva mai avuto paura del buio o delle storie dell’orrore, era impassibile a quelle cose; provava più terrore nel sentire le sgridate di sua madre quando qualcosa non andava. Succedeva di raro, ma quei momenti facevano ridere fino alle lacrime il padre, perché il viso spaventato del figlio era una delle cose più dolci che avesse mai visto. Ringraziò il cielo quando ebbe Felix, e lo fece anche con Lisa.

Ma in quel momento cosa aveva fatto? Aveva pregato come quelle volte, null’altro era rimasto per un vecchio padre di una famiglia sgretolata. Poteva solo pregare affinché accadesse un miracolo e qualcuno lassù gli restituisse suo figlio, e il suo sorriso di cui tutti rimanevano colpiti.

La porta che sbatté lo aveva risvegliato dai suoi ricordi, rendendosi conto che il figlio aveva appena lasciato la casa di nuovo, quella volta per andare al canale di Savannah.

 

Odiava il caldo, dal momento che la distraeva dai suoi studi. Odiava anche il fatto che la sua porta finestra fosse bloccata dai suoi libri scolastici. Aveva sempre saputo che la sua camera fosse piccola ma piena di roba inutile, come per esempio la collezione di carte Yu-Gi-Oh che occupava tutta la mensola da quando era piccola. Sbuffò, fissando con odio il paesaggio che c’era fuori, poi decise di alzarsi e provarci. Si sgranchì le dita prima di impugnare la maniglia e girarla.

“A noi due.”

Tirò poggiando il piede sull’altra porta, aprendola di qualche centimetro. Sudò ma riuscì ad uscire grazie a quel spiraglio, sentendo il vento fresco di fine marzo.

Le strade del quartiere erano calme e poco affollate al mattino, soprattutto durante la settimana. Per quello Molly amava la sua città, nel suo quartiere c’era tranquillità quasi tutta l’estate nonostante la folla di turisti che visitavano Savannah. Le solite vicine chiacchieravano dal balcone, spettegolando sulle solite persone che sembrava poco raccomandabili. Qualcosa però attirò la sua attenzione. Un ragazzo snello dai capelli castani chiari arruffati, con un giubbotto senza maniche verde prato sopra ad una camicia a quadri viola e blu e una maglietta nera con un jeans scuro. Stringeva tra le mani una boccia piena d’acqua ed un pesce rosso che nuotava in cerchi lentamente; Molly lo fissò incuriosita da quel particolare. In quel momento l’osservato alzò lo sguardo e guardò la ragazza. Lei sgranò gli occhi e per un attimo sentì il cuore in gola, poi si riprese e sorrise alzando la mano per salutare lo sconosciuto. Il ragazzo tenne il suo sguardo neutrale, poi lo riabbassò come se nulla fosse successo.

La castana mise il broncio.

“Maleducato.” - sussurrò continuando a guardare la figura del ragazzo allontanarsi lungo la salita.

Un vento più forte fece socchiudere gli occhi alla ragazza, poi sentì un tonfo. Girandosi notò la portafinestra chiusa. Spalancò la bocca spaventata dall’idea di essere rimasta chiusa fuori e iniziò a spingere, rendendosi conto di essere rimasta bloccata. Batté sulla finestra con forza, iniziando a chiamare la madre a gran voce.

Giovedì Molly pulì finalmente la camera, mentre la madre filmava il tutto.

“La vuoi smettere?” - chiese indicandola con una gamba di bambola nella mano.

La madre rise.

“Ma è un miracolo! Dio ha ascoltato le mie preghiere; era da quattro anni che lo aspettavo.”

La figlia alzò gli occhi al cielo, buttando anche la gamba nel sacco della spazzatura. Crystal bloccò il cellulare e batté le mani felice.

“Vado al mercato del porto, oggi si mangia pesce. Tu finisci qui?”

Annuì, spostando con un braccio tutte le penne finite e i fogli accartocciati verso il margine della scrivania per poi cadere nel sacco. Guardò verso la portafinestra, e spinta dalla curiosità, uscì nel balcone iniziando a cercare tra le persone qualcosa di colorato. Dopo diversi minuti storse la bocca rientrando in camera. Non riusciva a capire perché fosse uscita a cercare proprio un qualcosa che non conosceva. Scosse la testa per non pensarci.

Venerdì portò il pc sul balcone, dando qualche occhiata ogni tanto sulla strada, senza notare particolari. Sospirò, e verso l’ora di pranzo rientrò in casa.

Sedendosi a tavola si morse il labbro, guardando poi la madre.

“Mamma, hai mai avuto la sensazione di… essere attratta da qualcosa che non consoci? E’ normale?”

La signora Davis sorrise, posando il piatto davanti alla figlia.

“Certo che è normale, è l’ignoto che attira di più.”

La ragazza annuì, lasciando perdere l’argomento.

Sabato uscì, andando al solito caffè bar, il Bubble Bar, assieme a Loreen. Domenica segnò il solstizio di primavera, sospirando per la noia. Molly già sapeva che quella sarebbe stata l’ennesima primavera noiosa e monotona. Anche se a lei piaceva l’avventura e la incuriosiva un po’ tutto, non poteva far nulla in un paese poco attrezzato per i suoi gusti. Non c’erano montagne da scalare, posti da esplorare, film che le interessassero per andare al cinema ( se l’avessero mai avuto ). Lei era fatta per la scoperta e l’avventura, non amava fare le stesse cose due volte di seguito o stare in casa. Ma purtroppo il caldo strano di quell’anno e la noia la sconfissero. Non poteva far altro che aspettare che la sua mente partorisse un’idea geniale, anche se per il momento era bloccata sulla misteriosa figura dello sconosciuto. Deglutì, posando la penna sulla scrivania ormai libera. Camera sua sembrava un’altra cosa da pulita, più luminosa e spaziosa; le tre mensole sopra il letto semi vuote, la scrivania di fronte libera, la porta finestra tra il letto e il tavolo che poteva finalmente aprirsi. L’armadio ad angolo posto tra il letto e la porta d’entrata rimaneva l’unico tabù. L’ultima volta che l’aveva aperto per tirare fuori una maglietta era crollato tutto. Solitamente i vestiti che preferiva e usava più spesso erano tutti posati sulla sedia della scrivania o sul letto, dandole fastidio quando dormiva.

Lunedì Loreen la invitò a dormire a casa sua, restando fino a martedì sera. Per la castana i giorni stavano passando lenti e monotoni; mercoledì mattina uscì in balcone sbadigliando dopo la lunga dormita fatta. Si strofinò gli occhi e posò le mani sulla sbarra della ringhiera arrugginita del balcone per non fare qualche brutta figura dato che a malapena si reggeva in piedi, guardando le vicine. Le salutò, pensando a che aspetto penoso dovessero avere i suoi capelli, buttando dopo un occhio anche per strada, dove lo vide. Smise di respirare, e assottigliò lo sguardo sul ragazzo. Stesso giubbotto, camicia rossa fuoco a quadri, jeans chiari, la solita boccia con un pesce rosso al suo interno. Ne fu convinta che fosse lui quando alzò lo sguardo sul suo balcone. Molly si risvegliò all’improvviso come se fosse stata scossa e colse l’occasione, sporgendosi un po’ troppo. Felix rimase indifferente di fronte all’azione quasi suicida della ragazza, che lo indicò.

“Hey tu! Fermati lì.”

Parve non ascoltarla, tanto che tornò a guardare la strada. Strinse le labbra, poi tornò in casa, infilandosi velocemente le scarpe, incurante del fatto che indossasse il pigiama. Saltò alcuni gradini, correndo fino all’uscita di casa dove aprì la porta e guardò in strada. Il ragazzo era scomparso nel nulla. La castana sbatté un piede per terra, uscendo comunque di casa. Camminò sulla stessa strada che fece il ragazzo, guardando in ogni vincolo e incrocio, senza notare nessuno dal giubbotto verde. Aggrottò la fronte, confusa su ciò che fosse appena successo.

Il giorno successivo ne parlò con l’amica.

“Te lo giuro. Appena sono uscita fuori non c’era più. Sparito, evaporato, poof.”

L’amica rise dall’altra parte del telefono.

“Sicura di non esserti inventata nulla?”

Molly rimase per un attimo spiazzata. E se fosse davvero stato cosi? Se si fosse immaginata tutto? Strinse gli occhi per un attimo. Non poteva essere, non ricordava di assumere droghe. Scosse la testa scombinandosi i capelli.

“Senti! Non farmi passare per pazza; l’ho visto e mi ha guardata… ha anche dei bei occhi. ” - borbottò all’ultimo, nascondendo il viso dentro il cuscino.

La mora si mise a testa ingiù sul letto, guardandosi i piedi.

“Non saprei che dirti Molly, parlaci.”

L’interpellata rotolò per terra con una smorfia.

“Non so nemmeno come si chiama.”

“Ma tu non sei così? Parli con tutti senza problemi, che te ne fai ora?”

La ragazza guardò la portafinestra di fronte a sé, poi sorrise.

“Hai ragione, ma… sento che è diverso, ho una sensazione strana. Quando mi ha guardata mi sono sentita quasi male.”

L’amica rimase confusa, alzandosi dal letto. Conosceva     Molly da quando erano alle elementari e le era servito forse troppo tempo per imparare il carattere della ragazza. Loreen Quinn era una normale ragazza, ascoltava Beyoncé mentre cucinava, faceva yoga nel tempo in cui l’università non la stressava e non si arrabbiava mai. Aveva un carattere mite e tranquillo, socializzava con tutti. Lei era tutta nella norma rispetto alla compagna.

Molly per i sconosciuti poteva risultare quasi pazza. Parlava e salutava tutti; in città era molto conosciuta per la sua vivacità. Rimaneva ore davanti alle gioiellerie, lamentandosi per il fatto che non potesse indossare anelli se non per bambini a causa delle sue mani piccole. Non la terrorizzava nulla, amava l’avventura e giocare nonostante avesse vent’anni, tingersi i capelli o spaventare gli amici, oltre l’ossessione per la pizza - e se non fosse per la madre, l’avrebbe mangiata ogni giorno. Si affezionava subito alle persone e donava molto amore e coccole a tutti. Guardava sempre i soliti film classici e amava parlare della sua famiglia. Loreen era sicura che i suoi occhi si illuminassero quando ne parlava; Molly era proprio uno spirito libero e affettuoso, nessuno avrebbe resistito di fronte a quella ragazza espansiva e un po’ strana dal solito.

Eppure era la prima volta che la sentiva agitata. Sospirò, uscendo dalla sua camera per andare al frigo.

“Non lo so, finché non ci provi non so che dire. Non sono il tipo da consigli.”

La castana annuì, facendo sfuggire dalla sua coda la ciocca bionda che si era tinta quasi un mese fa.

“Sapessi com’è Lò. Aveva un aspetto misterioso e portava una boccia con un pesce rosso al suo interno.”

L’amica affogò, posando il cellulare e il bicchiere sul tavolo.

“Aveva un giubbotto verde senza maniche?”

Molly aggrottò la fronte, sorpresa dall’intuito dell’amica.

“Sì Hudini, come fai a saperlo?”

La mora strinse le labbra.

“Come fai tu a non conoscerlo!? Tutta la città lo sa.”

“Oh, è un attore? Un cantante? E’ una città piccola questa, l’avrei saputo.”

“E’ affetto dalla sindrome del pesce rosso. Si chiama Felix Allen.”

La castana ascoltò con attenzione, ripetendosi più volte in mente il nome del ragazzo per memorizzarlo.

“La sindrome del pesce rosso? Quella che abbiamo studiato per il tema del primo anno?”

“Sì, quella del trauma.”

Crystal entrò dopo aver bussato, vedendo la figlia sdraiata per terra.

“La cena è pronta, oggi pizza.”

Molly risse per la felicità, salutando l’amica prima di lanciare il cellulare e scendere a tavola.

Ben guardò nuovamente le scale, aspettando il figlio che scendesse per cenare. Poco dopo sentì la porta aprirsi e Felix scese in pigiama nella sala, sedendosi a tavola. Guardò il piatto fumante davanti a sé.

“Come stai oggi, figliolo?”

L’interpellato alzò le spalle, impugnando la forchetta. I suoi capelli umidi da poco lavati caddero sulla fronte pallida, dandogli un po’ di fastidio.

“Ho visto una ragazza stramba.”

Il padre alzò lo sguardo speranzoso, chiedendo perché l’avesse nominata in quella maniera. Era la prima volta dopo due anni che Felix parlava di una persona che non fosse la madre o la sorella.

“Mi ha urlato contro, ma non è che mi sia importato granché. Penso che non passerò più di là per andare alla Sixty-six.”

Ben scrollò le spalle sconsolato, mentre il figlio guardava la tv appena accesa.

“E perché ti avrebbe urlato contro?”

Il castano guardò il padre con la bocca piena, poi inclinò.

“Non so, ma mi ha incuriosito. Ti ricordi? Mi urlava dietro anche la mamma.” - parlò, continuando ad osservare la tv.

Il signor Allen batté la forchetta sulla mano del ragazzo.

“Non parlare con la bocca piena Felix. Comunque sono felice, magari potresti fare amicizia e-”

Storse la bocca a quella affermazione, sbattendo le posate sul tavolo.

“No.”

La mano del ragazzo tremò, e si alzò dal posto correndo in camera sua. Perché ogni volta che tentava di farlo socializzare andava in panico? Perché doveva essere tutto così difficile? Ben sapeva cosa avrebbe fatto e sentì diversi rumori di sopra. Lentamente si alzò e andò nella camera del figlio.

Felix trovava difficoltà nel comunicare con le persone, anche con suo padre diventava davvero difficile ogni giorno che passava. Non voleva semplicemente averci nulla a che fare, nonostante dentro di sé qualcosa lo stesse spingendo a farlo. Una parte di lui forse tentava di guarire, magari era a conoscenza del suo stato e la sua sindrome; ma la parte che soffriva era più grande di se stesso. Non poteva, non riusciva a pensare a qualsiasi cosa che non fosse Lisa o Adele. Il suo cuore iniziò ad accelerare, sentendo il respiro mancargli. Ogni qualvolta pensava a sua sorella e ai vecchi ricordi lo assalivano gli attacchi di panico. Gliel’avevano portata via, senza che lui avesse fatto qualcosa di male. O sì?

Non ne era certo, ma sapeva bene che per salvarle non aveva fatto nulla, e ora si sentiva debole, quasi soffocato da quella mancanza. Iniziò a provare un forte senso di vertigini mentre sudava, tanto che si lasciò cadere a terra e si strinse le ginocchia al petto. Da piccolo quando piangeva sua madre gli accarezzava i capelli, incoraggiandolo a trovare ciò che lo rasserenava. Non sarebbe più successo. Iniziò a compatire se stesso dato che piangeva come un bambino a ventuno anni. Suo padre entrò in camera, provando ad avvicinarsi al figlio.

“Vattene via!” - urlò in modo aggressivo, lanciando subito dopo la sveglia decorata con piccoli pesciolini rossi.

Il signor Allen evitò l’oggetto, lasciando che si rompesse contro la parete della camera. Avrebbe tanto rivoluto indietro il suo bambino, quello che mostrava affetto a tutti, quello emotivo che sorrideva per le cose più cretine. Sapeva che c’era una cura, che poteva alleviare il dolore di Felix; ma come se egli stesso si rifiutava di far qualsiasi seduta o prendere una qualsiasi pillola?

Non sono pazzo.” - aveva detto la prima, la seconda, la decima e la trentasettesima volta che il padre glielo chiese.

Ben non poteva fare nulla se il figlio non voleva, era maggiorenne e poteva solo guardare, continuando a nutrire speranza così come aveva fatto ai margini del porto, senza nessun successo. Si inginocchiò di fronte al ragazzo per cercare di abbracciarlo, ma rifiutò allontanandosi ulteriormente.

“Buonanotte Felix, cerca di dormire.” - sussurrò il padre, dopo aver preso i resti della lampada e spento la luce.

Quella notte il ragazzo fece un incubo diverso dal solito. La Arcadia non appariva, la madre non lo salutava, Lisa non gli prometteva di tornare con un regalo, e la nave non affondava. Nessuno chiedeva scusa per un errore così banale che ha tolto così tante vite; il porto era vuoto e silenzioso come dopo un funerale e l’acqua del mare era più calma del solito. Stranamente riusciva a sentire l’odore salmastro del mare e si sentiva più… libero, quasi normale, come non si sentiva da tempo. Si guardò in giro e sgranò gli occhi appena notò sul ponte del porto una persona. La ragazza che quella mattina gli aveva urlato contro guardava l’acqua come incantata, con i piedi sui bordi del ponte. Il ragazzo non sembrò preoccuparsene.

Felix, guarda! C’è un pesce gigantesco.”

Come faceva a conoscere il suo nome? Perché gli stava parlando?

La ragazza si mosse per allontanarsi, ma poggiò male il piede e perse l’equilibrio, cadendo in acqua. Il ragazzo si svegliò alzandosi a sedere; il cuore batteva come se stesse per avere un infarto ed era più sudato di quando faceva i soliti incubi. Ebbe un brivido appena ripensò alla scena, e si alzò dal letto.
 

Molly guardò fuori dalla finestra, aspettando il momento giusto. Portava le sue scarpe da tennis preferite nonostante fossero di una taglia più grande e ci inciampasse spesso. Crystal la guardò dalla cucina un po’ preoccupata non sapendo cosa la figlia stesse aspettando. Quando veniva Loreen, lei era sempre in camera sua. La castana sorrise, salutando poi la madre con un urlo. Aprì la porta e si precipitò fuori, dove a pochi metri il ragazzo dal giubbotto verde prato stava stringendo la boccia con il pesce rosso, camminando a testa bassa. La ragazza si spostò la ciocca bionda dietro l’orecchio.

“Hey ragazzo!”

Felix alzò lo sguardo e sussultò nel vederla, quasi ne fosse spaventato. Molly si avvicinò sorridendo mentre teneva le mani dietro la schiena. 


 

____________________________________________________

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***






C a p i t o l o
U n o

 


Don’t Go
 

 


 

Felix rimase spiazzato.

Sapeva che non avrebbe dovuto scegliere di nuovo quella strada, eppure in due anni non era successo mai nulla. Guardò la ragazza davanti a sé restando a sguardo serio e tranquillo. Molly d’altro canto sorrideva, perché era riuscita finalmente a fermarlo e perché no, parlargli. Il ragazzo indietreggiò di un passo.

“No, aspetta. - supplicò avvicinandosi per prendergli il braccio, ma il castano si allontanò di un altro passo, quasi spaventato. - Okay, ho capito. Non vuoi essere toccato. So che può anche essere strano, ma, ehm, piacere io sono Molly Davis. Mi hai incuriosita la scorsa settimana e voglio conoscerti. Ti giuro che non ho cattive intenzioni.”

Il modo in cui arrossì non scosse per niente il cuore del ragazzo ma osservò la mano che aveva teso verso di sé, guardandola come se stesse pensando a cosa fare. Non la accettò, ma sospirò.

“Felix.” - sussurrò, spostando lo sguardo .

Non lo sapeva, o forse non voleva saperlo perché ma aveva parlato con qualcuno che non fosse suo padre. Lo aveva detto, era incuriosito da lei così come Molly da lui, ma nessuno dei due riusciva a capire il perché. La differenza era che la castana voleva sapere la risposta a quella curiosità, Felix voleva evitarlo; evitava tutto ciò che riguardava il mondo sociale. Almeno fino a quel momento.

“Dove vai di bello?”

“Da nessuna parte.” - rispose subito, con tono tranquillo nonostante il suo viso lo tradisse.

Lei fece una faccia triste, iniziando a seguire il ragazzo. Felix le diede qualche occhiata, un po’ infastidito dal suo atteggiamento espansivo, ma non disse nulla. Perché lo stava seguendo? Infondo, oltre il nome non si conoscevano affatto. Strinse a sé la boccia, facendo spaventare il piccolo pesce rosso che nuotò più velocemente. Non trovava piacevole l'atteggiamento di quella tipa. Molly gli sorrise di nuovo, cercando motivazioni per aprire un discorso prima di cadere in un imbarazzante silenzio. Svoltarono verso il mare.

“Ah! Andiamo al porto? E’ un posto bellissimo.”

Il castano fece una smorfia, bloccandosi. Molly aveva studiato la sindrome del pesce rosso, ma non aveva mai visto dal vero uno che ne soffriva. Nella sua università di psicologia aveva imparato molte cose che mai aveva visto dal vero. Felix sembrava un ragazzo normalissimo, a parte la boccia del pesce rosso, eppure era affetto da una delle più rari sindromi.

“Posso sapere perché mi stai seguendo?”

Alzò le spalle, non sapendo che dire.

“Te l’ho detto, mi hai incuriosita e voglio conoscerti.”

“Per conoscerle le pedini?”

Molly avrebbe esultato ma rimase ferma a sorridere, scuotendo la testa.

“No, solitamente no. Ma mi adatto alle situazioni.”

Far parlare un tipo come quello era un impresa, e la ragazza se ne rendeva conto. Il castano la fissò, poi tornò sulla sua strada, iniziando a sudare freddo. Non aveva mai portato nessuno al porto del Road Sixty-six dalla morte di Lisa e Adele. Non lo trovava adatta o opportuna, e Molly stava sconvolgendo tutto. Per un tipo diventato chiuso e silenzioso – fino a quella mattina almeno – come Felix, lei era fastidiosa, ficcanaso e irritante; eppure lasciava che la seguisse. Come la sera prima, dentro il ragazzo iniziò una specie di conflitto con se stesso: la sua parte tormentata e ansiosa stava cercando di reprimere il bambino affettuoso che c’era in lui. Scosse la testa, facendo ondeggiare l’acqua dentro il vetro. Deglutì, guardando il pesce che nuotava un po’ agitato per la scossa appena sùbita. Il castano, nel guardarlo si sentì più rilassato e inspirò profondamente.

Avrebbe fatto quello che l’istinto gli diceva, se poi avrebbe sentito fastidio nella presenza della ragazza, l’avrebbe cacciata. Poteva farlo, aveva la forza per farlo, doveva solo reprimere la voglia di solitudine. Lo aveva fatto con suo padre, poteva farlo anche con una sconosciuta ficcanaso e stramba.

Il mare era tranquillo, e il caldo rendeva l’aria più salmastra che piacque a tutt’e due. Il posto era più calmo del solito, i pochi pescatori presenti stavano sistemando le reti prima di andarsene dato che era ormai tarda mattinata e pescare non avrebbe più fruttato nulla. Molly camminò velocemente sul ponte, ammirando la bellezza del mare più blu del solito; Felix la raggiunse a passi lenti, e dopo essersi inginocchiato alla fine del ponte, rovesciò la boccia e fece cadere il pesce in mare. La castana ne rimase stupita. Sapeva che i soggetti affetti da quella sindrome erano attaccati in modo malsano ai pesci rossi, non che se ne liberassero così. Il ragazzo guardò la creatura scomparire tra le onde, libero di nuotare in un posto grande e popolato, stringendo poi il vetro della boccia vuota in grembo.

“Duecentoquarantasette.” - disse semplicemente, rialzandosi.

La ragazza rimase sul ponte, guardando Felix dirigersi verso le panchine poco distanti, ai confini con il parco. Fu in quel momento che il castano ebbe un deja vù. Fissò la ragazza che si stava sporgendo per guardare i pesci che qualche volta mettevano la testa fuori dall’acqua. Improvvisamente ricordò e in sé scattò un allarme.

“Vattene da là.” - urlò d’istinto il ragazzo, tanto che fece sussultare Molly e perse l’equilibrio.

Fu un attimo, uno splash rumoroso che spaventò tutti i pesci. Un rumore che attirò i pochi pescatori e Felix corse sul ponte. Non era che la ragazza non sapesse nuotare, il momento l’aveva un po’ sconvolta e presa alla sprovvista mosse le mani e i piedi in modo scoordinato. Così come il ragazzo, che non sapeva che fare, e allungava il braccio per cercare di aiutarla. Uno dei pescatori si avvicinò appena vide la scena e riuscì ad afferrare la mano della vittima, tirandola fuori. Tossì, seduta sul bordo del ponte mentre i capelli e i vestiti gocciolavano. Il ragazzo guardò la scena a occhi sgranati, quasi come se stesse rivivendo qualcosa.

 

La terza mattina di ricerche Felix era sul ponte di Road Sixty-six nonostante le autorità avessero provato ad allontanarlo.

Lasciatelo stare, aspetta la madre e la sorella.”

La risposta di una dei vicini, che aspettava notizie di suo marito, fermò i poliziotti, lasciando che il ragazzo guardasse l’orizzonte, aspettando un segno. Quando uno dei barconi arrivò, Felix guardò i due subacquei aiutare a scendere alcune persone. Tutte tossivano, tremavano, i loro sguardi erano persi in ricordi che non avrebbero mai dimenticato mentre le gocce d’acqua correvano lungo il loro corpo infreddolito. Gli occhi della vicina si illuminarono nel riconoscere suo marito, correndogli con una coperta incontro. Il castano rimase fermo a fissare quelle persone, non sapendo se essere felice per loro o triste perché di Lisa o sua sorella non c’era ancora traccia.

 

Molly scosse la testa e poi si strizzò i capelli ringraziando il pescatore per l’aiuto. Il leggero vento dava un po’ di fastidio alla ragazza, ma si girò comunque, preoccupandosi per Felix. Il suo viso sembrava perso, aveva gli occhi sgranati mentre si fissava le mani bagnate. Cosa aveva fatto? Nulla. Neanche quella volta aveva fatto qualcosa. Se non fosse stato per l’aiuto di quel signore, la sconosciuta sarebbe morta davanti ai suoi occhi? Non poteva saperlo con certezza. Aveva sulla coscienza la morte di troppe persone, avrebbe potuto reggere anche quella di Molly, che gli stava schiaffeggiando la guancia delicatamente per risvegliarlo. Quante paranoie che si creava. Lei aveva la mano fredda e umida, tanto che gli lasciò una sensazione di bagnato sulla guancia anche dopo che la allontanò. La castana gli sorrise come se nulla fosse successo, alzandosi poi per offrirgli la mano. Guardò di sottecchi la mano che gocciolava leggermente.

“Era da tanto che non facevo un bagno in mare.- Il ragazzo sollevò lo sguardo confuso. - Ma forse è stato troppo presto, sto sentendo freddo.”

Felix si alzò senza accettare l’aiuto, poi si mise le mani in tasca ed iniziò a camminare. Molly si tolse la felpa bagnata, strizzando anche quella mentre raggiungeva il ragazzo, standogli dietro come prima.

“Sulla strada del ritorno possiamo passare da casa mia? Vorrei cambiarmi questi vestiti bagnati.”

Senza dire nulla camminarono facendo la strada al contrario, finché non arrivarono davanti la casa della ragazza. Molly suonò il campanello, poi bussò ma non accadde nulla. Era anche inutile che provasse a cercare le chiavi perché non le aveva; in preda alla foga e l’euforia le aveva dimenticate sul mobile dell’entrata che si intravedeva dalla finestra accanto alla porta. La ragazza strinse le labbra socchiudendo gli occhi. Sua madre sicuramente se ne era andata al mercato in centro o dai Peterson.

“Perfetto. Dovrei andare da Loreen, se c’è.”

“Casa mia è più vicina. Abito a due isolati.”

Ne rimase quasi stupita, ma non disse nulla

 

Persistente senso di colpa in qualsiasi azione il soggetto compi […] Opportunità di riscattarsi agli occhi delle altre persone.”

 

La ragazza lo sapeva. L’incidente di poco deve aver risvegliato in Felix un brutto ricordo, facendolo sentire in colpa per l’accaduto. Non poteva di certo rifiutare, avrebbe solo aumentato il malessere del ragazzo. Doveva solo lasciare che si discolpasse, anche se sapeva benissimo che non avesse fatto nulla. Era colpa sua, si era sporta un po’ troppo come faceva sempre; però non poteva farci nulla, amava i limiti e il pericolo.

Purtroppo però, per uno come Felix non potevi fare questi sbagli. Anche se potesse non avere nessuna colpa, la sindrome del pesce rosso gliele faceva addossare tutte. Se Molly fosse caduta, non era colpa del ragazzo; se a lei piacesse spingersi verso i limiti affrontando conseguenze senza piangere, lui non doveva sentirsene in colpa.

La castana odiava quella sindrome, più di quella del Pinocchio o della farfalla. La prima non ti faceva mentire neanche a scopo di bene, mentre la seconda ti rendeva troppo fragile di fronte a tutto; ma per Molly la peggiore restava la sindrome del pesce rosso. A dirla tutta, la ragazza odiava i pesci rossi anche se fossero carini. Se lo avesse detto a voce alta, Felix sicuramente avrebbe cancellato la sua esistenza dalla sua vita. Fu allora che le tornò in mente il perché di quella sua curiosità nei suoi confronti. Magari il fatto che fosse affetto da quella sindrome l’aveva spinta a voler scoprire la sua storia, ma la teoria non reggeva; ne era incuriosita ancor prima di scoprirlo.

La casa del ragazzo era strana, l’entrata era ad angolo acuto, proprio perché si trovava tra due incroci. I muri erano di un azzurro chiaro che ricordava il cielo e il numero civico pareva cadere da un momento all’altro. Quando il ragazzo prese le chiavi e fece scattare la porta, la prima cosa che si vide furono scale. Una rampa di scale angusta e piccola, senza sapere dove portassero dato il soffitto un po’ basso. Il castano iniziò a salire le scale, piegando un po’ la testa a causa del soffitto. Ciò che fece anche Molly dopo aver chiuso la porta d’entrata, bagnando un po’ le scale a causa delle scarpe e starnutendo quando arrivarono in cima. Felix alzò gli occhi al cielo entrando in casa, aprendo anche la seconda porta. Ben si sporse dalla cucina, notando il figlio. Sorrise intento a salutarlo, ma non lo fece appena notò la ragazza dietro. Rimase stranito, Felix non portava qualcuno a casa da tantissimo tempo, ancor meno una ragazza.

“Buongiorno signore! Mi scusi per il disturbo.” - Molly scosse la mano per salutarlo.

Il signor Allen rimase un po’ sovrappensiero, poi sorrise chiudendo lo sportello del forno. Felix salì le scale come ogni volta, mentre Molly per l’imbarazzo rimase all’entrata.

“Scusaci, è che… Felix non portava un amico a casa da tantissimo tempo. Sono preso un po’ alla sprovvista.”

Fece una piccola risata, asciugandosi le mani su uno straccio prima di uscire dalla cucina e notare l’aspetto della ragazza. Inclinò un po’ la testa. Il ragazzo scese, lanciando a Molly un asciugamano. Ben sospirò.

“Felix, perché non vai a prendere dei vestiti asciutti dalla camera… oh, dal ripostiglio.”

Il figlio lo guardò, capendo cosa avesse provato a dire. Si girò e tornò al piano di sopra senza dire nulla. La ragazza si sentì a disagio e in colpa, perché stava creando fin troppo disturbo. Il signore le sorrise, invitandola a sedersi al tavolo in salotto.

Usò l’asciugamano per non bagnare anche la sedia del salotto e strinse le mani sulle braccia incrociate.

“Mi dispiace per il disturbo. Sono per sbaglio caduta in acqua e dato che mia madre non c’era a casa Felix si è offerto di aiutarmi.”

Il padre sorrise stupito.

“So cosa sta pensando: è strano che un sindrome del pesce rosso abbia portato una sconosciuta a casa. Mi scusi ancora.”

“Come fa...”

“Studio all’università di psicologia e… suo figlio è molto conosciuto.”

Il signore non disse più nulla, continuando a sorridere.

“Allora puoi capire benissimo gli atteggiamenti del mio ragazzo.”

“In realtà no. - Scosse la testa ed alcune ciocche di capelli si attaccarono alla faccia, dandole un aspetto quasi da pazza. - Cambia da persona a persona, ma non ne ho mai visto un caso dal vero. Sono caduta in acqua per disattenzione mia, eppure Felix anche se non l’ha detto si è sentito in colpa. Non mi avrebbe portata qui sennò, vero signore?”

Annuì, sedendosi anche lui al tavolo dopo aver posato due tazze di the caldo. Guardò le scale per un attimo e tornò con lo sguardo sul tavolo.

“Prima che arrivi passeranno secoli.”

Molly rimase un po’ confusa, poggiando le mani sulla tazzina per riscaldarsi.

“Felix ha un po’ di difficoltà nel toccare le cose di sua madre o sua sorella. Si trova a disagio, ma il dottore dice che così può superare meglio il trauma. Conosci la sindrome del pesce rosso no?”

La castana annuì poco convinta.

“Ne abbiamo studiato le caratteristiche, e i sintomi, ma null’altro perché non ci sono molte fonti.”

Il padre annuì, accarezzandosi con il pollice e indice il contorno del mento.

“Hai presente la storia del pesciolino d'oro? Quella in cui il povero pescatore prende nella sua rette un pesce d'oro che lo scongiura di liberarlo, ed egli, pieno di compassione da ciò lo libera pur sapendo che potrebbe morire di fame? Successivamente la moglie lo scopre e per dargli una lezione inizia a chiedere sempre più favori e lussi dal pesce, finché egli, stanco, non se ne va, facendo tornare i due vecchi alla loro vita. Così capirono l'opportunità sprecata.”

Lei annuì, ricordando quando alle elementari la maestra gliel'aveva letta decine di volte.

“Beh, così sono le persone affette da questa sindrome. Nutrono un grande senso di compassione e colpa, così come il vecchio pescatore della storia. Di fronte ad uno shock psicologico, questa sindrome fa credere che sia colpa loro, di non essere riusciti ad essere forti di fronte alla loro visione della vecchia. Nel caso di Felix, è la Arcadia’s Marine Company e l'equipaggio sopravvissuto. Il vecchio, alla fine riprova a pescare il pesce d'oro per avere un'altra opportunità. Mio figlio ogni mercoledì mattina, giorno della tragedia, butta in un canale della Road un pesce rosso, in memoria di ogni vittima, pensando così di poter riavere la sua opportunità… rivedere Lisa e Adele.”

Molly capì allora le azioni che Felix aveva fatto quella mattina e sorrise al pensiero. Stava cercando nel suo piccolo e ossessionato modo di dare un omaggio a quei defunti.

"Ma... perché proprio un pesce rosso? Ne capisco l’attaccamento ma, i pesci rossi in mare, soprattutto se soli, resistono poco."

L'uomo sorrise, facendo socchiudere i suoi piccoli occhi al ricordo.

"Era il pesce preferito di Lisa e la sorella. Quando Felix era un bambino, la madre gliene ha regalato uno, poi con l'arrivo della piccola di casa, ha diffuso questo amore anche a lei. I due si sono sempre voluti bene; Felix amava giocare con lei e la proteggeva da tutto ciò che gli sembrava brutto anche se fosse quasi maggiorenne. Per Adele era come un eroe. Più attaccato era a loro, più il fatto di averle perse lo traumatizzò. Era abituato a svegliarsi e vedere la madre in cucina, la sorella prepararsi per andare a scuola. Salutarle, sorriderle, comunicare.”

Lei rimase ad ascoltare, bevendo qualche sorso di the ogni tanto.

“Sembra quasi un miracolo che non ti abbia cacciato. L’altro giorno ha detto che l’hai incuriosito.”

La ragazza alzò lo sguardo un po’ sorpresa.

“Davvero?”

Ben non ebbe il tempo di rispondere che il figlio entrò in salotto, portando dei vestiti asciutti e un altro asciugamano. Senza dire nulla si inginocchiò dietro Molly e posò l’asciugamano sui suoi capelli, sfregandoli con poca cura. Teneva una specie di smorfia sul viso, mentre la ragazza si lamentava per la poca delicatezza. Il padre guardò la scena, avendo un flashback di quando Adele tornava da scuola sotto la pioggia e il fratello le asciugava i capelli con rudezza, facendola spesso piangere. Rise al ricordo, notando che almeno in alcuni casi non era del tutto cambiato. Le lanciò i vestiti puliti addosso, alzandosi per poi andare a sedersi accanto al padre, prendendo la sua tazza di the ormai fredda. Molly lo guardò con una smorfia e gli occhi assottigliati, facendo ridere il più anziano. I suoi capelli castani erano più arruffati e alzati di prima, facendoli sembrare un nido per uccelli. Il figlio guardò prima il padre e poi lei. Ben non rideva per davvero davanti a lui da molto tempo; le volte che lo faceva sembrava sforzarsi e Felix se ne rendeva conto, ma quella volta era reale. La ragazza non riuscì a trattenersi e rise anche lei. Il ragazzo abbassò il capo come se fosse imbarazzato dai due. Più infastidito che altro, perché non riusciva a capacitarsi perché i due ridessero così per una cosa stupidata. Sbuffò alzandosi dal tavolo senza finire il the, poi si incamminò verso camera sua, camminando a passi pesanti. Sia la ragazza che il padre smisero di ridere, guardando il figlio andarsene.

“Quanto vorrei che fosse come prima.”

Molly strinse i vestiti e poi sorrise.

“Lo sarà. Signore, gli prometto che Felix supererà questo trauma.”

Ben fece un mezzo sorriso amaro.

“Sai in quante persone ho riposto fiducia, eppure Felix è peggiorato? Ha lasciato l’università, ha abbandonato gli amici, si è licenziato dal lavoro e si è chiuso qui. Esce rare volte e evita tutti.”

La ragazza sospirò, decidendo di alzarsi.

 

Dopo che Molly si cambiò, aiutò il signore a lavare le tazzine da the e la teiera.

“La ringrazio tantissimo per l’ospitalità, i vestiti e il the signor Allen. Appena torno a casa li laverò e domani li porto indietro.”

“Oh, stai tranquilla, non c’è bisogno.”

Felix, seduto sulle scale verso il secondo piano strinse i pugni, senza obiettare la scelta del padre, anche se avesse voluto. Quando la porta si chiuse, il ragazzo rimase in quella posizione, guardando con sguardo felino i movimenti del padre. Che avrebbe fatto ancora? Avrebbe buttato gli oggetti della mamma? Avrebbe trovato un’altra donna, avuto un’altra figlia? Sbuffò al pensiero che suo padre si fosse dimenticato così presto di due delle persone più importanti della sua vita. Ma il ragazzo non poteva sapere che in realtà il padre voleva tirarlo fuori da quell’incubo che era diventata la sua vita. Da quando non dormiva decentemente? Da quando non pensava a qualcosa che non fosse la sua famiglia o i pesci rossi? Neanche su quello, come altre mille domande, aveva una risposta certa. Si alzò dai gradini e camminando scalzo sulla moquette di casa andò nella sua camera.

 

Crystal ricordava la figlia con una maglietta nera e felpa blu; e neanche si era mai accorta che la ragazza avesse una maglietta con dei pony o dei leggings rosa chiari tra i suoi vestiti ma le donavano bene. Molly chiuse la porta senza nemmeno salutare e salì le scale andando in camera sua dopo aver svuotato il sacchetto con i vestiti bagnati nel bagno. La madre inclinò la testa un po’ confusa ma decise di lasciar perdere.

“Non ci sono più i figli di un tempo. Mamma, ti aiuto con la tavola? Mamma, sei stanca? Hey ciao mamma, come stai? Grazie per avermi aperto la porta dato che io sono stupida e ho dimenticato le chiavi a casa… di nuovo.

La signora sbuffò, buttando le verdure nella padella.

La mattina successiva Loreen bussò a casa Davis e uscì assieme a Molly per la fiera primaverile. Essendo uno dei pochi eventi di Savannah, era spesso affollato e pieno di attrazioni. La castana si fermò in mezzo alla strada, sorridendo all’amica.

“Possiamo fare una sosta prima? Dobbiamo prendere qualcun altro.”

La faccia dell’amica era un po’ confusa e poco convinta ma annuì lo stesso, seguendo Molly verso i quartieri antichi della città.

Nemmeno quella sera Felix chiuse occhio. O meglio, quando lo fece, ebbe i soliti incubi. Pensò che il sogno della caduta di quella ragazza fosse un preannuncio, ma perché? A lui non importava nulla di lei, e nemmeno voleva avere a che farci. Inoltre aveva deciso di non passare più su quella strada, comunque per il porto c’erano tante vie. Poteva liberarsi facilmente di lei e ne era convinto. Spostò lo sguardo sulla finestra, fissando le persone per strada. Felix odiava le folle. Tantissime persone insieme gli creavano attacchi di panico e ansia che difficilmente controllava. E quello stava diventando il periodo più critico dato che la fiera di paese era iniziata. Poco dopo suo padre bussò alla porta ed entrò con un grande sorriso.

“C’è qualcuno per te.”

Per un attimo il cuore del ragazzo accelerò. In mente li balenò l’idea che all’entrata ci fossero Lisa e Adele, correndo su quelle scale anguste di cui si lamentavano spesso per abbracciarlo e dirgli che tutto era uno scherzo. Uno scherzo stupido durato due anni, ma a lui non importava, bastava rivederle. Ben vide gli occhi del figlio illuminarsi e pensò che Molly stesse facendo un reale miracolo. Di certo, non poteva sapere quello che veramente il figlio pensasse. Il castano fece le scale di corsa e guardò dalla porta, notando quella tipa. Quasi ebbe un attacco di tosse. Sentì il suo cuore spezzarsi di nuovo, ed ebbe quasi voglia di piangere. Cosa ci faceva di nuovo a casa sua? Non le era bastato aver preso alcuni vestiti di sua sorella? Ovviamente, non erano una cosa talmente importante, ma Felix se ne fregava di cosa lo fosse o di come potessero reagire le altre persone. Fece una smorfia nel vederla e quasi non le ringhiò contro.

“Vattene da qua.” - disse con voce roca, voltandosi per tornarsene in camera.

Molly deglutì, senza prendersela. Sapeva che avrebbe reagito in una maniera brutta nel rivederla.

“Ho riportato i vestiti.”

Indicò il sacchetto al signor Allen, porgendoglielo subito dopo con un piccolo inchino. A quella frase il ragazzo girò la testa, bloccandosi sulle scale. Il sorriso cordiale della ragazza, quel suo modo di accettare tutto senza dire nulla. Dannazione, pensò il ragazzo. Non c’era davvero nulla che la facesse soffrire e allontanare? Perché non voleva andarsene, lasciandolo da solo per le sue colpe?

“Inoltre, sono venuta per chiede a Felix di uscire con noi e venire alla fiera della primavera, penso lo possa svagare e distrarre un po’.”

Il nominato strinse i pugni, voltandosi verso suo padre.

“E tu che ne sai?! - urlò facendo sussultare i due. - Non capisci nulla ma vieni qui per cosa? Vuoi fare l’eroina? Allora trovati un’altra cavia. Come se non avessi sentito ciò di cui parlavate ieri. Io non sono malato!

Di lì a poco, avrebbe avuto un’altra crisi, il padre ne era certo, ma in quel momento i suoi pensieri si fermarono all’ultima domanda del figlio. Molly non voleva fare l’eroina, bastava guardare i suoi occhi scuri e dispiaciuti in quel momento. Forse la ragazza era la più motivata a stargli accanto: sapeva cosa significasse perdere qualcuno di importante.

“Mi scusi un attimo, può dire alla mia amica giù che scendo tra poco?”

Ben rimase un po’ stupito, ma annuì mentre lei salì le scale a due a due raggiungendo il ragazzo. Bussò alla porta per educazione ed entrò, vedendo Felix seduto sul suo letto a guardare fuori dalla finestra. Quando si girò attirato dal suono della porta, fece una smorfia. La sua stanza era molto diversa da come lei si immaginava la stanza di uno ossessionato dai pesci rossi. Era semplice, con qualche foto alle pareti, i mobili chiari e i muri azzurri. La cosa che attirava però – e quasi inquietavano – erano tutti i posteri, volantini e articoli di giornali che riguardavano la tragedia di Arcadia, attaccati al muro di fronte al letto con degli adesivi di Nemo e vari pesci di colore o sfumature rosse. Quasi rabbrividì, ed allora capì veramente la sua irritazione. Si avvicinò lentamente verso il letto del ragazzo.

“Ti sbagli. - disse guardando per terra, quasi intimorita di vedere un’altra sua sfuriata. - Anche io ho perso qualcuno a cui tenevo. Ma capisco le tue difficoltà, lo affronti in modo diverso e sbagliato Felix.”

Il ragazzo fece un mezzo sorriso beffardo.

“A sì? E chi hai perso, fammi indovinare: il cane, il criceto o il pesciolino? Non farmi ridere.”

“Sarebbe una bella cosa vederti ridere, ma non sarebbe il momento adatto. Ho perso mio padre, all’incirca sei anni fa. - il ragazzo si strinse le ginocchia al petto, continuando a guardare le proprie coperte. - Ne ero devastata perché quel giorno ci avevo litigato, urlandogli dietro che lo odiavo, e non ho più avuto la possibilità di chiedere scusa.”

Riuscì a sedersi sul letto del ragazzo senza scatenare la sua ira. Pensava che forse, parlandogli del suo passato, lo avrebbe un po’ scosso a parlargli del suo. Per quello voleva aiutarlo, per quello la sua curiosità era sempre più cresciuta, per quello cercava di tirarlo su: sapeva cosa significasse soffrire. E lo aveva capito per davvero il motivo? Era per quello che si era incuriosita tanto la prima volta? Lo sguardo di Felix, ogni singola volta che lo guardava, era il suo stesso sguardo di sei anni fa. Uno sguardo triste, vuoto, come se vivere non avesse più nessun significato dato che accanto non aveva più quello con cui era vissuto.

Non nel modo in cui era il suo, certo, lui tormentava se stesso con colpe che non aveva, ma era a causa della sua sindrome, non lo faceva apposta. Molly voleva distrarlo così come Loreen aveva fatto con lei tempo fa, voleva sorridergli come i vicini di casa e incoraggiarlo come sua madre, finché non avrebbe avuto il coraggio di parlare di quel dolore e magari sfogarsi. Sarebbe stato un primo passo grandissimo per uno affetto dalla sindrome del pesce rosso. Il ragazzo non disse nulla ma il suo sguardo lo tradì, sembrava stesse ascoltando. Dentro si sé, Felix si stava sentendo un po’ male per le parole urlategliele prima. L’aveva giudicata senza conoscerla; era una sconosciuta ai suoi occhi oltretutto.

“Non so se hai sentito parlare della sparatoria al Hildelton Bar, non è stata tratta in maniera approfondita secondo me; ma mio padre ci lavorava come cassiere. Ne era felice, e quella mattina gli avevo chiesto di portarmi con lui ma aveva rifiutato e io stupida che ero mi sono arrabbiata. Abbiamo litigato e l’ultima frase che mi ha detto è stata: Ne parleremo più tardi. Non successe mai. Semplicemente in serata si presentarono i poliziotti a casa nostra, dicendo che papà era morto; e il modo in cui lo dissero mi fece così male. Avevano una sguardo serio e professionale, nonostante stessero parlando di un morto. L’ultima persona con cui parlò fu il proprietario del locale poco prima di morire tra le sue braccia, a cui disse qualcosa ma non capì nulla. Rimpiango spesso quel giorno, e sono stata male per molto tempo.”

Felix spostò lo sguardo sul profilo della ragazza, notando i suoi occhi lucidi. Ne era certo che da un momento all’altro avrebbe pianto come una bambina, abbandonandosi al dolore. Molly, come se avesse sentito i suoi pensieri si girò ma sorrise.

“Non potevo farlo per sempre, perché a papà è sempre piaciuto vedermi sorridere. Diceva che mentre piangevo ero brutta e facevo strani versi. Così mi sono tirata sù e ho iniziato a fare quello che a lui piaceva, da potermi vedere come aveva sempre sperato, sorridere. Secondo te, a tua madre piaceva vederti piangere?”

Il ragazzo non rispose, si domandò solo perché lei fosse ancora lì, seduta sul suo letto per giunta. Nonostante quei pensieri, provò qualcosa che non riuscì a spiegarsi. Aveva un’angoscia orribile, che quasi lo bloccava dal parlare o deglutire correttamente. Aprì la bocca e sentì la gola secca.

“No.” - sussurrò, quasi più a se stesso che a lei.

Ricordò i pochi momenti che pianse di fronte alla madre. Ogni volta, la donna si rattristava a sua volta e abbracciava il figlio come se volesse fargli dimenticare il dolore. Era quello di cui aveva bisogno da tempo: un abbraccio di sua madre. Quel calore e affetto che lei li dava senza nulla in cambio.

“Felix… vieni alla fiera con noi?” - chiese nuovamente la ragazza, guardando la fotografia di un piccolo bambino abbracciato al peluche di un pesce rosso.

“Okay.”

La risposta sconvolse la ragazza, che si aspettava tutto tranne che un consenso. Ebbe l’impulso di abbracciarlo, ma si trattene dato che poteva fargli cambiare idea.

Poco dopo Molly scese tutta raggiante, seguita da Felix che a testa bassa camminava stringendo nella tasca della giacca verde il suo porta chiavi a forma di pesce. Ben quando ricevette la notizia quasi svenne dalla felicità ma non lo mostrò. Poco prima di uscire il ragazzo si voltò verso casa, poi chiuse la porta. Aveva la testa un po’ confusa, si susseguivano pensieri e frasi, un po’ di ricordi di quel periodo in cui vide al telegiornale il luogo della sparatoria. Perché Molly ne aveva parlato con tanta facilità, e perché a lui? Più passava tempo con quella ragazza e più rimaneva confuso. Non gli piaceva quella cosa; a dir la verità a lui non piaceva proprio Molly. Era convinto di quello che provava nei suoi confronti: irritazione mista a confusione. O almeno quello sapeva. Scosse la testa, stando a debita distanza dalle due amiche. La castana qualche volta dava occhiate dietro di sé per essere sicura di non perderlo, mentre Loreen le faceva tutte le domande possibili su Felix.

“Insomma, perché l’hai portato con noi? Non sai che i sindrome del pesce rosso odiano i posti affollati? E poi guardalo come ti osserva, sembra che stia per divorarti viva.”

La mora si girò verso Felix e gli sorrise, ma egli alzò un sopracciglio come se chiedesse se lo avesse fatto per davvero, così tornò a guardare l’amica con sguardo un po’ terrorizzato.

“Penso che potrebbe distrarlo un po’. Anche se odia le folle di persone, si concentrerà su quello e non sulla morte di sua sorella e sua madre. E poi prende una boccata d’aria così.”

Annuì poco convinta, iniziando a guardare le attrazioni della fiera. Ogni primavera diventava sempre più grande e piena di novità. L’anno prima non c’era tutte quelle bancarelle o giochi, e nemmeno tutti quei bambini. A Loreen piacevano le fiere e le feste, amava i momenti pieni di persone che capitava poche volte a Savannah.

Dall’altra canto Felix si sentì traumatizzato. Era stato portato fuori con l’inganno, lo sapeva, eppure aveva accettato. Perché, infondo rifiutare gli sarebbe venuto molto più facile e in quel momento sarebbe stato sotto le coperte a dormire, senza dover camminare tra quella folla. Fissò tutte le persone, tutte le bancarelle, ma niente lo attirava. Il contrario di Molly che vide un qualcosa. I suoi occhi si sgranarono e presa dall’euforia afferrò la mano di Felix e iniziò a tirarlo correndo. Il ragazzo cercò di opporre resistenza e quando si fermarono tirò la mano per liberarsi. Minacciò con lo sguardo, ma la ragazza poco importava e indicò l’attrazione; così seguì il dito e rimase incantato. Molly per un attimo ebbe l’impressione che le pupille del ragazzo si fossero dilatate di fronte alla vista della vaschetta con i pesci rossi, e chiese cosa si dovesse fare. Il proprietario le indicò il canestro.

“Cinque dollari, tre tiri. Se fai canestro con tutt’e tre vinci un pesce rosso.”

Felix la guardò controllarsi le tasche, posando tutti i soldi che aveva sul bancone. I signore sorrise.

“Vanno comunque bene quattro dollari.”

La castana sorrise, spostandosi la ciocca bionda dal viso per avere una visuale migliore. In tutto quello Loreen era perplessa. La ragazza sapeva che a Molly non andavano tanto a genio i pesci rossi, eppure aveva spesso tutti i suoi soldi per quello; scosse la testa sconsolata, perché la sua amica sarebbe per sempre rimasta un mistero. Il primo tiro andò a segno e Molly saltò, alzando la mano verso Felix. Il ragazzo la osservò rimanendo con le mani in tasca, poi si voltò a guardare le persone passare. Lei sbuffò, tornando alla partita; il secondo tirò andò a vuoto, il terzo riuscì. La castana fece il broncio guardandolo.

“Mi dispiace.” - disse con voce dolce, stupendo il ragazzo.

Perché gli stava chiedendo scusa per una cosa che a lui poco importava? Non voleva un pesce rosso da lei, anche se la tentazione era grande. Il signore, alla vista del viso triste e dispiaciuto della castana si smosse un po’ e sorrise. Le diede un’altra pallina e le fece l’occhiolino.

“Non sprecare quest’opportunità.” - le disse prima di allontanarsi per farla lanciare.

Il sorriso ritornò sul viso della ragazza, ringraziando. Aveva un’altra opportunità, e non voleva perderla. Così come con Felix, stava avendo la sua prima opportunità e non voleva di certo sprecarla. Lanciò la pallina da tennis con forza, facendola rimbalzare sul soffitto per poi atterrare dentro il canestro. Loreen se ne stupì e il proprietario batté le mani, prendendo la piccola rete da pesca per pescare uno dei fortunati pesci. Beh, di fortunati non avevano molto ma Molly sapeva che il ragazzo si sarebbe preso cura di lui. Nella sua camera aveva notato soltanto le coperte e qualche foto ritagliata e attaccata alle pareti di pesci rossi, ma null'altro. Sui suoi jeans scuri c’era una spilla con un pesce rosso ora che se ne rendeva conto. Il signore mise il pesciolino in una busta per metà piena d’acqua e la chiuse. Lo diede nelle mani della castana che ringrazio con un piccolo inchino prima di salutare. Spostò lo sguardo su Felix con occhi vittoriosi, avvicinandogli il pesce.

“Non ne ho visto uno in camera o in salotto. Potresti tenero; o se vuoi puoi liberarlo al Sixty-six la settimana prossima.”

Il ragazzo fissò il pesce e poi lei, togliendo lentamente le mani dalle tasche. Era ancora molto diffidente nei suoi confronti, non sapeva nemmeno se avesse vinto per poterlo poi usare come ricatto o tanto per. Prese la busta dalle mani della ragazza, sfiorandole. Notò che, come ieri, aveva le mani ghiacciate in confronto alle sue. Rabbrividì, non capendo il perché e si allontanò di qualche passò con la busta. Vide come Felix si avvicinò la busta al viso e guardò il pesce, per poi picchiettare il dito qualche volta sulla busta per spaventarlo. Il castano alzò leggermente l’angolo della bocca, in un sorriso poco percettibile, ma che Molly notò.

Poco più tardi Loreen comprò le mele caramellate per tutti e tre, passando il pomeriggio passeggiando tra le strade della fiera. Felix non sembrava più molto preoccupato delle persone dato che guardava spesso il pesce nella busta. Almeno, finché la mela non si incollò ai capelli di Molly. La mora scoppiò a ridere notandola mentre provava a staccarla dai capelli, rendendoli appiccicosi.

“Non ridere tu! Piuttosto aiutami.”

Più cercava di scollarsi i capelli e più sembravano attaccarsi. Infine mangiò tutto quello che riuscì del dolce e riaccompagnò prima l’amica a casa.

Usa acqua e sale, funziona sempre.” - consigliò la mora prima di salire le scale verso casa sua.

 

 

Quando il ragazzo aprì la porta di casa, Ben lo accolse appena tornato dal lavoro. Sorrise nel notare anche la presenza di Molly.

“E’ un pezzo di mela quello?” - chiese il signor Allen, guardando come la ragazza stesse tenendo un bastoncino con un pezzo di mela incollato tra i capelli, poco sotto l’orecchio.

Lei annuì e Felix la guardò prima di andare in cucina e prendere una delle ciotole da insalata del padre.

“Domani ti comprerò un acquario, mh?” - chiese al pesce, liberandolo dalla busta.

Il padre notò solo allora il pesce rosso e rimase perplesso.

“E’ quello per mercoledì prossimo?”

Il figlio scosse la testa, prendendo la ciotola tra le mani.

“Questo starà in camera mia.”

Molly ne rimase contenta; era come se avesse vinto una prima e grande battaglia. Anche se era un po’ scontato che Felix, essendo legato molto ai pesci rossi, avrebbe accettato quel regalo nonostante la poca fiducia, ma lei decise di non pensarci. Il signor Allen fissò il figlio salire le scale fino in camera sua, poi si voltò verso la castana.

“Si è divertito? E’ successo qualcosa?”

“Penso… forse sì.”

A casa sua Molly più che preoccupata per i suoi capelli e le urla di sua madre, pensava alla giornata.

“Insomma: hai quasi vent’anni, un lavoro invernale e sei un’universitaria, eppure ti vai a combinare i capelli così come se fossi una bambina di tre anni.”

Crystal buttò un’altra bacinella d’acqua salata e calda nella vasca, sopra i capelli della figlia.

“Non posso farci nulla! Non me ne sono accorta.”

La madre sbuffò, alzando gli occhi al cielo.

“Guarda tu che figlia mi è capitata.”

“Hey, ti sento.”

A quella frase la signora strofinò con più forza a spugna sul capelli della figlia.

 

Il pesciolino nuotava nella ciotola con tranquillità, facendo dei lenti giri intorno mentre Felix lo guardava dal letto. Ricordò quando da piccolo sua madre gli regalò il suo primo pesce rosso. Ebbe un po’ le stesse sensazioni di quando glielo diede Molly, solo che lei aveva le mani ghiacciate. Era una tipa molto strana per i gusti del ragazzo, anche se un po’ si sentiva in colpa. Per cosa? Sapeva di avere un’angoscia strana da quando gli aveva raccontato la storia di suo padre. Morire così, all’improvviso per mano di un’altra persona che nemmeno conosceva era brutto. Ancor più orribile, per Felix, era il modo in cui le aveva urlato contro. Certo, aveva iniziato a capire: Molly lo poteva aiutare? Non sapeva cosa significasse perdere una madre e una sorella, ma anche lei sentiva la mancanza di qualcuno. Scosse la testa. Lui era diverso, Molly aveva perso il padre ma non era colpa sua; Felix aveva perso metà della sua famiglia a causa sua. Quanto si compativa... se solo fosse riuscito a fermarle prima di partire, magari non si sarebbe mai trovato in quella situazione.

Ma avrebbe incontrato Molly se nulla fosse successo?

Sbuffò infastidito, non capendo perché si facesse una domanda tanto stupida. Lui non la voleva incontrare nemmeno ora, perché avrebbe dovuto se tutto fosse stato diverso. Si girò dall’altra parte del letto e provò a dormire, ma ogni dannatissima volta vedeva la sua famiglia prima della tragedia, o il viso dispiaciuto della ragazza quando sbagliò il lancio.
 

 

_____________________________________________________

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


 



C a p i t o l o
D u e

 

 

Come Back Home

 

 

 

Se ne pentì subito. Felix fece un passo indietro, intento a correre via e andarsene da lì. Ma quella mattina Crystal, pulendo i mobili dell’entrata dalla polvere aveva avuto i riflessi pronti e aprì subito la porta. Notò un ragazzo, di profilo, con una gamba in aria pronto a correre via. Felix girò il viso, con lo stesso sguardo stranito della signora. Lei lo riconobbe, lo aveva già visto da qualche parte, poi ricordò: al mercato sul porto, il mercoledì mattina. Il suo giubbotto senza maniche verde si riconosceva anche da lontano. Forse la voleva accompagnare al mercato. Il suo viso si illuminò al pensiero, un ragazzo così carino che chiedeva a una vedova sola di accompagnarla al mercato del pesce mattutino.

“C’è Molly?”

La signora Davis strinse le labbra un po’ delusa. Almeno sua figlia una caratteristica da lei l’aveva presa. Annuì, facendosi da parte per far entrare il ragazzo. Lo guardò osservando la boccia con il pesce rosso che teneva sotto il braccio. Alzò un sopracciglio un po’ confusa, poi chiuse la porta e urlò alla figlia di scendere. Felix sussultò per lo spavento. Molly scese velocemente giù, inciampando sull’ultimo scalino senza cadere quando vide il ragazzo. Ne rimase sorpresa, perché era l’ultima persona che si aspettava. Da quel giovedì della fiera non aveva avuto il coraggio di andare da lui, e Felix era uscito solo per comprare l’essenziale per il pesce. La castana non riuscì a parlargli e lui ad alzare lo sguardo, tanto che si creò un imbarazzo strano.

Molly riacquistò un po’ della sua fiducia e sorrise.

“Andiamo al Road?”

Il castano sembrò risvegliarsi e annuì, arrossendo leggermente. Se qualcuno gli avesse chiesto perché quella mattina si era svegliato con l’idea di far venire anche lei, avrebbe risposto che era il suo senso di colpa o gratitudine, non riusciva ancora a spiegarselo. Ma in realtà non lo sapeva. Che cosa l’aveva spinto a dare così tanta fiducia a quella ragazza? Già la prima volta era caduta in acqua, spaventandolo a morte. Dall’altro lato Molly era estasiata, pensando di aver un po’ conquistato la fiducia di Felix. Milioni di domande iniziarono ad accenderle la curiosità: Era la prima volta che portava di sua iniziativa qualcuno? Ci era sempre andato da solo? Cercava solo di sdebitarsi per il pesce della scorsa settimana?

La ragazza non glielo avrebbe permesso; per una cosa così misera poi. Si infilò le scarpe velocemente, uscendo di casa assieme, mentre Felix ogni attimo che passava si pentiva della sua scelta. Era sempre andato da solo al porto, odiava persino quando c’erano pescatori nei dintorni. Molly camminava quasi saltellando, Felix stringeva la boccia guardando il pesce come se cercasse consiglio. Ma egli non fece altro che qualche bolla d’aria in quell’acqua trasparente, facendo sbuffare il ragazzo. La ragazza lo sentì e si avvicinò a lui, un po’ preoccupata, ma non disse nulla. Quando arrivarono al porto, quella volta, Felix spinse con il gomito la ragazza verso le panchine che in risposta alzò gli occhi al cielo comunque felice. Se l’aveva fatto era per prevenire problemi, no?

“Duecentoquarantanove.”

Molly lo guardò da lontano, facendo ondeggiare le gambe per la noia. Felix era il più complicato e strano che avesse mai incontrato; mostrava il suo affetto in un modo strano, se lo mostrava. Inoltre comunicava spesso e solo a gesti o sguardi, era scontroso e spesso maleducato. Il ritorno era più silenzioso dell’andata.

“E’ un po’ strano che sia venuto da me. Forse è l’ultima cosa che mi aspettavo.”

“Bubble Tea.”

Si girò verso di lui con un sorriso sulle labbra, divertita dalla risposta.

“Cosa?”

“Ho voglia di Bubble Tea.”

La ragazza annuì, iniziando a parlargli del miglior bar dove andare. Felix le rivolse un piccolo sguardo mentre lei parlava gesticolando; Molly sembrò notarlo e si voltò verso di lui. Strinse la boccia tra le dita, deviando subito lo sguardo sulla strada. Arrivarono al Bubble Bar verso l’ora di pranzo. Lo stomaco di Molly - che non aveva fatto colazione per ripassare fisica – brontolava rumorosamente, tanto che Felix e alcuni clienti in fila lo sentì. La ragazza arrossì, incrociando le braccia sopra lo stomaco come se provasse a zittirlo. Sorrise mostrando i denti per deviare l’attenzione della persone, ma il ragazzo infastidito le diede una piccola spinta.

“Cerca un tavolo.”

Mise il broncio ma si allontanò dalla fila alla ricerca di un tavolo. A mezzo giorno i pub erano pieni, ma Molly trovò un tavolo piccolo all’angolo del locale, occupandolo subito. Sospirò, concentrata sul dolore allo stomaco per rendersi conto che non aveva un soldo. Quando se ne accorse sgranò gli occhi sapendo che non avrebbe potuto mangiare nulla.

“Perfetto.” - sussurrò sbattendosi la mano destra che poggiava sul tavolo in faccia.

Molly era una ragazza con la testa un po’ tra le nuvole, si faceva trasportare dalle sensazioni e spesso si rendeva conto di aver dimenticato qualcosa, rimproverandosi. Come suo padre; al ricordo ne sorrise. Felix posò sul tavolo i piattini, stringendo la boccia sotto braccio. La ragazza lo guardò sedersi al tavolo, notando quanto fosse stato bravo ed equilibrato a portare tutta quella roba sul tavolo con tanta gente nel locale. Che provenisse da un circo? Scosse la testa subito dopo, capendo che c’era tanta roba sul tavolo e lei non aveva nemmeno un dollaro. Fece un sorriso imbarazzato verso Felix che poggiò la vuota casa del pesce sul tavolo e impugnò la forchetta per mangiare la sua fetta di torta. Quando alzò lo sguardo vide Molly ferma a girarsi i pollici.

“Non posso, mi dispiace. Non ho un soldo con me, e non voglio approfittarne. Grazie.”

Si inchinò leggermente, nascondendo il viso dietro la ciocca bionda sfuggita alle trecce. Il ragazzo per un attimo sembrò perso.

 

Ah! Fratellone.”

Adele tirò la camicia del fratello per avere la sua attenzione. L’interessato arricciò il naso, pulendo l’ultimo bicchiere prima di girarsi verso la sorella.

Sono di turno al bar Adì, che c’è?”

La ragazza fece gli occhi grandi che addolcivano sempre suo fratello e indicò i dolcetti nella vetrina poco distante.

Ho fame ma non posso mangiare perché non ho più soldi. - Felix fece un piccolo sorriso, scompigliando i capelli della sorella. - Non vorrei approfittarne… ma per favore.”

Guardò la vetrina e poi la sorella, decidendo di trasgredire alle regole per una volta.

 

“Offro io.” - rispose, guardando in un punto impreciso del tavolo.

Molly rimase stupita e felice.

“Grazie mille! Buon appetito.”

Divise la fetta in due parti, divorandole subito a causa della fame. Si leccò le labbra come una bambina e prese tra le mani la tazza di bubble the.

“Era così buona. Grazie Felix!”

 

Sai fratellone, la mangerei sempre. E’ così buona, grazie!”

 

Il ragazzo deglutì, stringendo gli occhi per cercare di scacciare via quelle immagini. La castana sembrò accorgersene e avvicinò di più il viso verso il tavolo.

“Tutto okay, sembra che tu abbia visto un fantasma.”

E se Felix si fosse visto in uno specchio, lo avrebbe confermato anche lui. Stava sudando freddo ed era diventato più pallido assurdo. Mentì annuendo leggermente.

 

A causa delle mani bagnate gli scivolò il piattino, e nel provare a raccoglierlo si tagliò il dito. Fece la sua solita smorfia, che a tutti più che una faccia schifata, sembrava il viso di un bambino tenero. Adele si avvicinò preoccupata e si inginocchiò accanto al fratello, guardando la ferita.

Tutto okay fratellone? Ti fa male?”

Soffiò sulla ferita del più grande e si alzò per prendere qualche fazzoletto per fermare il sangue.

 

Felix respirò profondamente, mettendo le braccia sul tavolo e spaventando Molly che poggiò la mano sulla sua. Il castano si tirò indietro con la sedia, guardando la ragazza come se non la conoscesse. Beh, un po’ era vero. Lei tornò al suo posto senza dire nulla. Il sindrome del pesce rosso sospirò, per poi alzarsi per andare a pagare. Si poggiò una mano sulla fronte, come se provasse a placare il mal di testa che aveva. Al ritorno nessuno parlò; Molly per l’imbarazzo a causa di quello che prima era successo, Felix per il mal di testa. Ben aprì la porta, e appena vide i due ragazzi il suo sorriso cambiò. Il figlio entrò senza dire nulla, andando nella sua camera. Molly abbassò lo sguardo.

“Signore.”

Il signor Allen si voltò verso la ragazza. Lei si strofinò le mani contro le braccia coperte dalla felpa.

“Penso che Felix non si senta molto bene, solo questo.”

Il signore alzò le sopracciglia stupito, ma annuì. La castana sorrise e tornò a casa.

  

C’erano forse più di due motivi per cui era uscito in mezzo alla notte. Rispetto al giorno faceva un freddo assurdo.

Si ricordava la strada nonostante fossero passati mesi e mesi, due anni e mezzo in tutto. Spinse leggermente la mano sulla porta rovinata, aprendola con uno scricchiolio. La casa era più tetra di quanto se la ricordasse, forse perché Adele non c’era più a stringerli la mano. Strizzò gli occhi facendo un primo passo all’interno. L’aria di chiuso lo fece tossire.

Fu la prima volta che tornò in quel posto dalla tragedia. Ci era sempre andato con la sorella, d’altronde era stata lei a scoprire quella casa abbandonata quando la sua bici aveva bucato. Si trovava in mezzo ai campi di grano fuori il quartiere vecchio, a dividerlo dalla parte nuova e ristrutturata della città. Nessuno sapeva di chi fosse stata quella piccola casetta a due piani. Le teorie dicevano che il proprietario fosse morto senza figli, e dato che nessuno volesse comprarla per la posizione e l’interno, fu abbandonata.

Su tutti i mobili c’era più polvere di come l’avevano trovata, i muri sembravano avere più crepe e disegni stupidi fatti dai teppisti ma stranamente, quel posto lo rilassava. Tutti i ricordi con la sorella in quel posto vennero a galla; quelle volte che prendeva un brutto voto e si nascondeva, spaventando tutta la famiglia mentre Felix la cercava per le strade della città in bicicletta. Ci sapeva andare, ma non aveva più fatto pratica da molto tempo. Era legato a lei anche se non lo aveva mai mostrato molto, e i suoi genitori un po’ ne erano felici. Si ricordavano più i momenti in cui erano uniti che in guerra.

Girò per la casa, cercando un qualche ricordo o qualcosa che Adele avesse dimenticato, ma non trovò nulla. Era come se non fossero mai venuti là, eppure lui lo ricordava perfettamente. Aprendo la porta del bagno notò gli adesivi sul piccolo rettangolare specchio messo all’angolo della stanzetta. Ebbe un capogiro improvviso che lo fece appoggiare al muro. Felix non si era mai sentito così scombussolato e strano; pensava che la sua stanchezza fosse a causa della camminata, o il freddo che sentiva dato la sola felpa che portava. Era stato un po’ sciocco a uscire vestito in modo così leggero e lo ammetteva, ma quella notte anche il solo stare in casa lo stava soffocando.

Poggiò le mani sul classico lavandino in ceramica, sentendo l’aria mancargli. Tossì nuovamente, sedendosi sullo sgabello dietro. Si guardò in giro, aprendo poi il rubinetto. Con sua sorpresa vide che il pozzo d’acqua funzionava ancora dato che iniziò a correre. Posò una mano sotto il getto, lanciandosi un po’ d’acqua in faccia. La sua vista subito dopo si annebbiò e poggiò la testa contro il lavandino cercando di fermare quel senso di frastornamento che aveva. Nel frattempo, il cellulare che aveva in tasca iniziò a vibrare.

 

Molly sgranò gli occhi, rimanendo confusa.

“Come sarebbe a dire scomparso?”

Ben scosse la testa, provando di nuovo a chiamare il figlio.

“Ieri sera si è chiuso in camera, non l’ho visto uscire. Stamattina però non c’era, e nemmeno il suo telefono.”

“Felix ha un telefono?” - chiese ancora più scioccata.

Molly non usava mai il suo telefono, semplicemente perché non aveva che farci se non chiamare Loreen e parlarci; le chiamate di sua madre le ignorava quasi sempre. Deglutì, guardandosi in giro.

“Dove pensa che sia andato?”

Alzò le spalle, scuotendo la testa. Ben in quel momento era troppo preoccupato anche per solo parlare. Non era la prima che Felix spariva, ma non l’aveva mai fatto di sera, ed era sempre tornato presto. Da quando i dottori gli consegnarono quella cartella, la sua vita era cambiata in una maniera quasi anormale. Ogni mattina si svegliava e doveva controllare se Felix ci fosse ancora; era un’ansia perenne, quella di perdere anche l’ultima speranza che gli era rimasta. E in quel momento si stava realizzando, era sparito in piena notte, in pigiama con una felpa e il cellulare. Prese un respiro profondo e fece accomodare la ragazza.

Molly però rimase all’entrata e prendendo il cellulare, compose il numero di Loreen. Quando l’amica gli rispose, prese un profondo respiro.

 

“Mi scusi, ha visto per caso un ragazzo con un pigiama semplice azzurro, i capelli castani e una felpa verde?”

Il fruttivendolo sembrò confuso, e sbatté le palpebre un paio di volte prima di negare. Loreen ringraziò e continuò la ricerca. Molly, dall’altra parte della città era appena uscita dal parco giochi dopo essere andata al porto. Si appoggiò al muro di un negozio per riprendere fiato, sentendo una fitta di dolore al fianco. Riprese a camminare dopo un po’, entrando nel Bubble Bar per fare l’ennesima domanda.

Bea quella mattina era più stanca del solito. La sera prima aveva lavorato fino a tardi e sentiva gli occhi chiudersi da soli, finché non sentì il campanello del bar e trasalì pensando fosse il padre venuto per un'ispezione a sorpresa. Ethan cercò di trattenersi dal ridere finendo di asciugare i bicchieri. La collega gli diede un’occhiataccia voltandosi poi verso il cliente, riconoscendo la ragazza di ieri con Felix.

Come faceva a non riconoscere il suo collega di lavoro più dolce e gentile nonostante fossero passati quasi due anni. Se qualcuno l’avesse vista da un occhio esterno, avrebbero detto che Bea avesse una cotta per lui, ma lei sapeva che non fosse così. Per lei era come un fratello più grande, una figura da seguire, soprattutto sul lavoro. Dopo il ritrovamento dei corpi di Lisa e sua sorella, Felix si era licenziato lasciando senza parole tutto lo staff del bar. Forse il più colpito fu Ethan dato che erano amici. Improvvisamente Felix rifiutava tutte le loro chiamate, aveva bloccato tutti, non si era più fatto vedere nelle vicinanze e quando andavano a casa sua, il signor Allen provava a spiegar loro la situazione. Non si sarebbero mai immaginati che Felix, un tipo così dolce e comprensivo come pochi, soffrisse della sindrome del pesce rosso. Ciò l’aveva reso una figura quasi irriconoscibile agli occhi di Bea ed Ethan.

Quel mercoledì, quando fu il turno di Felix, la cassiera alzò lo sguardo e nel vederlo quasi si strozzò con la sua stessa saliva, rimanendo paralizzata sul posto. Il collega nonché barista le diede una gomitata per risvegliarla, ma Bea poggiò la mano sul suo braccio come per richiamare la sua attenzione. Fece la sua stessa reazione, e la gente dietro il cliente iniziò a lamentarsi. La cassiera boccheggiò non sapendo che dire; per due anni aveva accumulato tante accuse e rimproveri da fargli, ma in quel momento tutti i suoi pensieri si erano svuotati e aveva soltanto balbettato qualche parola. L’ex cameriere spostò lo sguardo sul bancone, ordinando. Lo guardò un’ultima volta, pregando interiormente che il ragazzo di fronte facesse qualcosa dato che lei era paralizzata dallo stupore. Nonostante ciò riuscì a digitare sul monitor l’ordine, staccando lo scontrino che apparse poco dopo. Lo poggiò sul piattino e gli disse di aspettare. Ethan gli rivolse uno sguardo triste cercando di attirare l’attenzione del suo amico, senza riuscirci. Infine sospirò e posò il bicchiere nella cime della piramide di bicchieri puliti che stava creando. Dentro di sé Felix si sentì in colpa, pensando pure di andare a salutargli, ma qualcosa lo bloccò. Quel qualcosa che gli impediva anche di essere più dolce nei confronti di Molly così come lo era anni prima con gli altri, più sorridente o spensierato. Scosse la testa, sentendo il mal di testa più forte. Come poteva lui essere felice se sua madre non lo sarebbe stata più? Se sua sorella non avrebbe più sorriso come lo avrebbe fatto lui?

Molly la distrasse dai ricordi battendo una mano sul bancone in marmo.

“Mi scusi. - disse stringendo la presa sul bancone, guardando anche Ethan. - Avete per caso visto un ragazzo con i capelli castani spettinati, un pigiama azzurro e una felpa verde? Sapete, siamo passati di cui ieri.”

“Felix?” - chiese il barista intromettendosi nel discorso.

Annuì con un sorriso, pensando che l’avessero visto, ma Bea infranse le sue speranze.

“Mi dispiace, ma l’ultima volta l’abbiamo visto era ieri con te.”

L’ultima parte sembrò detta un po’ con disprezzo, o almeno era quello che capì Molly. Deglutì prima di allontanarsi leggermente.

“Voi come fate a conoscerlo?”

“Lavorava qui.”

Le parole del moro la sconvolsero. Si chiese se fosse per quello che ieri era un po’ più strano del solito. Alla fine annuì prima di uscire dal locale. Si avviò verso casa Allen quasi correndo, bussando alla porta. Ben l’aprì subito la prima porta pensando che fosse il figlio. Molly gli aveva consigliato di rimanere a casa in caso Felix fosse tornato.

“Signore, penso lei debba sapere una cosa.”

Fece le scale velocemente raggiungendo il signore, senza entrare lo guardò negli occhi e incoraggiò se stessa.

“Ieri siamo andati al Bubble Bar. Felix si è comportato per tutto il tempo in maniera insolita, più di quanto già lo fosse. Ho saputo che lavorava lì. Pensa abbia influenzato la sua fuga?”

Ben sembrò illuminarsi, mentre il tramonto stava quasi per finire. Poco dopo Molly corse a perdifiato sulle strade di Savannah verso l’uscita del quartiere. Molte persone la guardarono in modo strano, quasi spaventate dal vederla correre così.

 

Adele dopo la scuola era sempre lì. Penso che si sia ricordato delle cose. Dovresti vedere una cosa... ma per ora penso sia meglio trovare Felix.”

Molly abbassò lo sguardo, stringendo le mani nelle tasche della felpa.

Vado io. Loreen si trova dalla parte del Road Sixty-Six e lei non penso possa correre dato che la macchina ha una ruota bucata. Può chiamarla e raggiungermi?”

Il signor Allen prese subito il telefono di casa e iniziò a comporre il numero sul foglio che la ragazza aveva scritto prima.

 

 

Si bloccò un attimo. Poggiò una mano sul ginocchio per riprendere fiato mentre l’altra stava sul fianco. Sentiva diverse fitte di dolore e gli occhi bruciare. Deglutì a vuoto sfregando il braccio contro gli occhi.

“Ah, davvero? Sto morendo.”

Posò entrambe le mani sul fianco destro, camminando passo per passo. La strada sembrava quasi deserta se non fosse per le cornacchie che si aggiravano per i campi e le poche macchine che passavano. Molly intravide il tetto della casa e sospirò per il sollievo. Riprese a correre nonostante il dolore al fianco e raggiunse la stradina verso la casa. Ormai il posto era buio, gli ultimi raggi di sole se ne erano andati ed iniziava a fare freddo per chi indossasse vestiti leggeri come lei. Entrò in casa sussultando per lo scricchiolo inquietante della porta. All’interno era un po’ difficile distinguere i spazi dato il buio; prese il cellulare e accese la torcia per guidarsi. Le finestre erano serrate, i mobili coperti da teli trasparenti e impolverati e i muri pieni di disegni strani o frasi poco significative. Era difficile respirare a causa dell’odore di chiuso e muffa, e a lei respirare in quel momento serviva tanto. Tossì, muovendosi un po’ per la stanza finché non calpestò qualcosa e abbassò la luce del cellulare, notando una pozzanghera d’acqua ingrandirsi. Corrucciò la fronte e alzò il telefono seguendo la scia d’acqua. Spalancò gli occhi e urlò appena vide Felix per terra mentre l’acqua traboccava dal lavandino. Fece cadere il cellulare per lo spavento, correndo subito dal ragazzo.

“Felix?!” - urlò scuotendogli le spalle.

Si inginocchiò di fronte al ragazzo, chiudendo il rubinetto dell’acqua. Gli prese il volto fra le mani e lo schiaffeggiò leggermente, chiamandolo un paio di volte per svegliarlo. Ma il ragazzo non dava segni di vita.

“E se…?”

Aprì la bocca per il terrore e la sua vista si annebbiò a causa delle lacrime. Molly aveva il grande difetto di affezionarsi alle persone troppo in fretta; con Felix soprattutto, essendo uno strano ragazzo scorbutico che aveva bisogno di dimenticare il dolore. Per essersi soltanto immaginata che fosse morto, si era rimproverata da sola, ma lo aveva fatto perché non voleva crederci.

“Felix non fare il cretino. Apri gli occhi dai.”

Fu come un richiamo, perché il ragazzo lo fece. Strinse gli occhi per un attimo, poi gli aprì lentamente come se si fosse svegliato dopo una lunga dormita. Molly non lo notò subito data la scarsa luce che arrivava dal cellulare poco più in là, ma quando Felix mosse la testa per allontanarsi dalla sua stretta quasi smise di respirare. Scoppiò a piangere più forte, forse per il sollievo di sapere che stesse bene.

Ben parcheggiò la macchina appena uscita dal meccanico sulla stradina fuori dal quartiere mentre Loreen scendeva iniziando a correre verso la porta aperta dell’edificio. Il signor Allen la raggiunse subito ma si bloccarono all’entrata. Il cellulare di Molly era per terra mentre una pozza d’acqua si muoveva lentamente verso i due nuovi arrivati. La castana era inginocchiata per terra, con il viso coperto dalle mani mentre piangeva. Felix era un po’ stordito, si sentiva come se fosse appena caduto dal cielo a causa del mal di testa e la vista annebbiata.

“Sei un coglione o cosa? Ci hai spaventati tutti.”

L’urlo della ragazza sorprese tutti. Loreen non l’aveva mai sentita dire parolacce, e Ben era un po’ spaventato per la reazione che avrebbe potuto avere il figlio. Eppure successe tutto il contrario da quello che l’anziano si sarebbe aspettato. Felix allungò una mano fino a posarla sulla spalla di Molly, poi fece lo stesso con l’altra quasi insicuro. Non lo faceva da così tanto tempo che quasi si era dimenticato come si abbracciasse una persona. Lo faceva spesso quando qualcuno era arrabbiato con lui, soprattutto quando Adele piangeva. Deglutì quando tirò a sé la ragazza, senza che ella ponesse resistenza. Molly piangeva per molti motivi, più per sfogo. Loreen provò a fare un passo verso di loro ma l’anziano la fermò, continuando a guardare la scena. Quasi gli vennero le lacrime agli occhi anche a lui; pensava fosse un miracolo, o meglio, Molly era il loro miracolo.

 

Solo Loreen sapeva che la sua amica dormiva a bocca aperta. O che russasse. Felix sbuffò, cercando di scrollarsela di dosso, ma in qualsiasi modo facesse, prontamente Molly rimetteva la testa sulla sua spalla. Il ragazzo strinse le labbra con faccia seccata e si arrese. In macchina la strada sembrava un quarto rispetto a quella che Felix aveva fatto a piedi o Molly correndo.

“Accompagniamo prima Loreen dato che è quella che abita più lontano.”

La macchina si fermò poco dopo e la ragazza scese dando la buonanotte a tutti. Quando la macchina si allontanò alzò le braccia in aria sbadigliando, poi si diresse verso la porta di casa e prese le chiavi.

Ben guardò il figlio dallo specchietto retrovisore.

“Felix.”

Il ragazzo alzò lo sguardo a quel richiamo.

“Ora che siamo soli… - Molly fece un verso strano con il naso, muovendo leggermente la testa per stare più comoda. Il signor Allen sorrise. - … mi dici che ti è presso?”

“Ho mal di testa.” - ripose semplicemente, guardando fuori dalla finestra.

Il padre annuì senza chiedere più nulla. Sapeva che cercare di chiedergli perché fosse tornato lì era inutile; suo figlio non parlava più come un tempo.

In seguito si fermarono a casa Davis, e Ben scese per suonare il campanello mentre Felix provò a prenderla in braccio. Molly scalciò, in preda ad un incubo in cui il ragazzo non si risvegliava così com’era successo. L’interessato sbuffò di nuovo, tirandola per le caviglie cercando di svegliarla anche se non successe nulla. Alzò gli occhi al cielo e infine la issò sulla schiena, mettendo le braccia sotto le ginocchia della ragazza. Lei mormorò qualche parola poco comprensibile ma non si mosse. Crystal quando aprì la porta rimase un po’ confusa.

“Buonasera signora Davis. Sua figlia è rimasta fino a tardi da noi e si è addormentata.”

Sbatte un paio di volte le palpebre, spostando lo sguardo sull’altro ragazzo che riconobbe.

“Oh tu sei… Ehm, grazie. Mia figlia certe volte è davvero sbadata.”

I due concordarono in pieno e la signora fece passare Felix. Molly finì sul divano, abbracciandosi subito uno dei cuscini posati lì.

“Felì” - sussurrò la castana.

Il ragazzo si girò di scatto, vedendo che lei non si mosse, con gli occhi chiusi come prima. Deglutì arrossendo leggermente e poi girò i taloni. Crystal e Ben si salutarono prima che la signora Davis chiudesse la porta. Poco dopo la figlia starnutì, facendo spaventare la madre.

“Cristo! Dormire e basta no?” - esclamò guardando la figlia con il viso rilassato e semi affondato nel cuscino.

Arrivati a casa, Felix si levò la felpa e la posò sull’attaccapanni. Poggiò una mano sul tavolo dell’entrata per reggersi mentre si toglieva le scarpe e notò il piccolo foglio sotto il telefono fisso. Ben gli chiese se volesse qualcosa da mangiare ma rifiutò. Strinse il foglietto in mano e si tolse le scarpe, dirigendosi verso camera sua.

 

Il suono dello starnuto fu così forte che il ragazzo ebbe l’impressione che fosse davanti a sé. Allontanò il cellulare un po’ schifato.

“Disinfetta il telefono più tardi.” - le suggerì cambiando posizione sul letto.

Molly alzò gli occhi al cielo ma sorrise, prendendo l’ennesimo fazzoletto.

“Non è colpa mia se ho preso la febbre. Bastava che tu non facessi il pazzoide e io stavo bene.”

La ragazza si diede uno schiaffo sulla guancia subito dopo.

“Già, hai ragione.” - sussurrò chiudendo gli occhi con l’intenzione di addormentarsi.

“Felix, sai che non intendevo quello. Ero preoccupata per te; così come tuo padre.”

“Mh.”

Starnutì di nuovo ma il ragazzo non disse nulla dato che si addormentò.

“Ascolta, penso di potermi riprendere entro mercoledì. Passo io?”

Aspettò qualche attimo, ma dall’altra parte non ci fu nessun segno. Corrucciò la fronte e guardò lo schermo del cellulare pensando che la chiamata si fosse interrotta.

“Felix? Hey, non te la prendere!”

Si sentì un respiro più forte che confuse la ragazza, poi sorrise.

“Buonanotte.”


 

______________________________________________




 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


 



C a p i t o l o
T r e



 

Killing Me



 

Felix aspettò che il padre arrivasse, rimanendo a testa bassa. La cartella che fu posata sul tavolo poco dopo lo risvegliò dai suoi pensieri. Sull’etichetta c’era il suo nome, e ciò lo fece diventare dubbioso. Suo padre lo incoraggiò ad aprirla e così fece. Ben aveva sempre pensato che suo figlio non sarebbe mai stato pronto ad accettare la realtà. Forse nessuno sarebbe mai stato pronto ad accettare consciamente di soffrire di una sindrome. Il figlio smise di respirare appena lesse le prime righe.

Con l’espressione sindrome del pesce rosso si intende un particolare atteggiamento di colpa e compassione in seguito ad un evento che traumatizza il soggetto.

Deglutì, guardando suo padre davanti a sé come se cercasse qualche indizio.

“Pensi io sia malato?!”

La voce ferita di Felix fece stringere gli occhi al padre.

“Leggi prima.”

Fece uno sbuffò con il naso ma lo ascoltò, tornando con lo sguardo sul foglio. Felix sapeva; non era malato. Non lo era mai stato, quello che gli altri dicevano erano cavolate e si sentiva ferito dal fatto che suo padre credesse a loro.
 

Difficoltà nelle relazioni con persone dopo il trauma;
 

Bea entrò nella stanza quasi buttando giù la porta nonostante Ethan avesse provato a fermarla.

Ti licenzi?” - chiese con gli occhi umidi.

Felix non la guardò nemmeno, firmando in fretta la rottura del contratto di lavoro. La mora spalancò la bocca, avvicinandosi al collega e scuotendolo per le spalle.

Ma sei pazzo?! Ci avevi detto che amavi questo lavoro, che avevi lottato per poter lavorare in uno dei migliori bar di Savannah e ora te ne vai? Adele non avrebbe voluto; mi prendi per il culo?”

Felix la spinse via poco delicato, iniziando a tremare subito dopo. Il soltanto sentirla nominare sentiva un groppo in gola e le immagini nell’obitorio gli tornarono in mente. Scosse la testa con violenza, guardando la ragazza con odio. Fu la prima volta che Bea lo vide in modo diverso, come se fosse un’altra persone. Era anche l’ultima volta che lo vide. Ethan provò a fermarlo prima che lasciasse la stanza; l’amico si bloccò davanti al suo braccio teso che impediva il suo proseguimento e lo guardò.

Vorremo tutti che rimanessi.”

Ma Felix non lo fece. Furono le ultime parole che Ethan gli rivolse, l’ultimo sguardo che si scambiarono prima che il castano si isolasse. Da allora, le giornate al Bubble Bar erano diventate monotone, stancanti e tristi. Felix era quello che serviva i clienti in modo rapido ed efficace, giocava con i bimbi regalandogli qualche caramella, interagiva con le persone e faceva battute al momento giusto, dando quell’allegria che un bar doveva avere. Ma quando quel raggio di sole dagli occhi piccoli se ne andò, i clienti abituali iniziarono a chiedersi dove fosse finito, il locale era caduto in momenti di imbarazzo o silenzio totale quando dovevano pulire e chiudere. Se in qualsiasi momento Felix avesse deciso di tornare, sicuramente Mario lo avrebbe accolto a braccia aperte.

 

Strinse il foglio nelle mani, continuando a leggere ciò che diceva. Non poteva essere vero; non era affetto da nulla soltanto perché aveva lasciato il lavoro.

 

Persistente senso di colpa in qualsiasi azione il soggetto compi;

 

Appena Molly scivolò Felix si alzò dalla panchina correndo sul ponte. Il panico iniziò a salirgli e confondergli le idee. Aveva provato a tendergli una mano ma si spaventò e la ritrasse subito. Lisa e sua sorella erano morte in quella maniera? Affogate senza che nessuno tendesse loro una mano per salvarle? Lui si stava comportando come quei altri, non stava dando l’aiuto che avrebbe voluto. Maledì se stesso nonostante non stesse muovendo un muscolo, paralizzato com’era. Quando il pescatore aiutò la ragazza e la tirò su, Felix sentì un’altra fitta di angoscia. Era colpa sua se era caduta in acqua e non aveva provato a salvarla. Quanto era stupito? Quanto doveva far pena a Molly in quel momento.

 

Commiserazione nei propri confronti;

 

Provava vera compassione nei suoi stessi confronti. Eppure non aveva mai pensato al suicidio. Perché, infondo non serve a nulla no? Nonostante tutte le volte che se lo chiedeva, ogni volta che ci provava davvero falliva. Spesso si tirava da solo dei schiaffi insultandosi. Non riusciva a compiere nemmeno un gesto così semplice a detta sua. Se non aveva più nessuno, e nessuno che volesse un essere come lui, come poteva respirare ancora?

 

Frequenti attacchi di panico;

 

Eccessivo interesse per i pesci rossi;

 

Mancanza di ricerca spontanea di divertimenti, interessi, o obiettivi;

 

Difficoltà del soggetto nell’ammettere la sindrome.

 

Felix lanciò il foglio con un ringhiò, per poi alzarsi e calciare via la lampada poco distante.

“Non sono malato!” - urlò senza fiato.

Il suo viso divenne rosso, stringendo i pugni. Ben ammise a se stesso di aver fatto un passo falso.

“Nessuno ha detto ciò figliolo.”

“Ah no?! - raccolse il foglio da terra e lo sbatte con forza sul tavolo, facendolo tremare. - E quello che c’è scritto qua? Dati gli accertamenti medici e psicologici possiamo affermare che suo figlio, Felix Allen, nato il 28 aprile 1995 a Savannah, Georgia, abbia subito un trauma in seguito alla mancanza della madre e della sorella nell’incidente di Arcadia. 

“Felix...”

“No, è tutta colpa vostra! Me lo avevi promesso. - Si strozzò con la propria saliva e tossì, sfregandosi il viso bagnato dalle lacrime con la manica del maglione - Ti ricordi, mh?! Mi dicesti che sarebbero tornate! Felix figliolo, andrà tutto bene. Mi dicevi che erano a casa, che stavano bene solo per farmi tornare. Non sono malato!”

Il signor Ben provò ad avvicinarsi al figlio, ma si allontanò minacciandolo.

“Chiamo Molly?”

Per un attimo il ragazzo si bloccò, guardando il padre da dietro la manica del maglione, poi fece una smorfia disgustata.

“Che dovrebbe importarmene?!”

Sbuffò stanco della situazione, prese il giubbotto e uscì di casa. L’anziano sospirò e raccolse il foglio da terra, stirandolo un poco.
 

Molly prese un altro popcorn dal sacchetto nel cappuccio della felpa indossata al contrario, camminando lentamente verso il soggiorno di casa sua. La signora Davis era da poco uscita per andare dai vicini.

“Grande mamma, ho la febbre e tu vai dai Stevens...”

Alzò il pugno in aria con sguardo annoiata, sedendosi sul divano. Il campanello suonò poco dopo, e la ragazza smosse la testa verso la porta facendogli cadere la ciocca bionda davanti agli occhi.

“Aspetti un attimo, sto morendo.” - urlò in modo nasale.

Il campanello riprese a suonare in modo più isterico, accompagnato da continui pugni sulla porta. Molly quasi scattò in piedi, avendo un capogiro. Pensò che fosse sua madre e avesse dimenticato le chiavi. Tossì arrivata alla porta, aprendola subito. Felix posò le mani sulle guance della ragazza guardandola da ogni angolazione possibile, facendole aumentare il mal di testa. Fece dei versi di disapprovazione, mettendo le sue mani fredde sopra quelle del ragazzo.

“Stai bene? Ti sei fatta male? Passiamo al pronto soccorso?”

Sentì tutto in modo un po’ ovattato come se avesse i tappi alle orecchie, ma sorrise.

“Eh? Perché?”

Molly lo guardò negli occhi, notando che fossero rossi e irritati, ma non pensò molto al perché. A causa della febbre si sentiva debole e la sua mente collaborava poco.

“Hai appena detto che stai morendo.”

“Ti stai preoccupando per me?”

Felix le lasciò il viso facendo una smorfia.

“No.”

Lei fece una piccola risata alzando gli occhi al cielo.

“Va bene, ti credo.”

La ragazza si fece da parte per farlo entrare ma il castano scosse la testa. Arrossì prima di parlare.

“Stavo passando di qua quindi ho bussato. Vado a fare una passeggiata.”

“Vengo anche io.” - disse subito, alzando la mano come se fosse a scuola.

Felix le prese la mano e poggiò l’altra sulla fronte, negando con la testa.

“Hai la febbre.”

Sbuffò allontanandosi di qualche passo.

“Va bene, sto a casa se mi dici perché hai pianto.”

Il ragazzo sgranò gli occhi, toccandosi il viso bollente. Sospirò come se si stesse liberando di un problema.
 

Difficoltà nell’affrontare o parlare del trauma;
 

“Va bene, vestiti.”

Molly annuì un po’ triste, salendo le scale. Amava uscire fuori ma per quella volta avrebbe preferito rimanere dentro non per la febbre, ma per sentire ciò che affliggeva l’amico. Sapeva che non avrebbe detto nulla, il suo carattere chiuso aveva la meglio. Nonostante ci fosse il sole si mise un maglione leggero e la felpa blu, abbinata ai suoi jeans neri preferiti e le sneakers bianche.

 

Ben aprì lentamente la porta, facendo segno a Molly di fare piano; la ragazza annuì entrando in casa e togliendosi le scarpe in fretta, ma uno starnuto la tradì.

“Come mai mi ha chiamata signor Allen?” - sussurrò seguendolo verso il salone.

L’anziano si sedette, stringendo la cartella nelle mani.

“Felix sta dormendo, e oggi ho provato a parlargli del suo problema, ma… non l’ha presa molto bene.”

Provò a sorridere ma gli venne quasi da piangere. Aveva fatto un passo errato di cui se ne sarebbe pentito per sempre. Felix aveva pianto di nuovo davanti a suo padre, gli aveva urlato contro alcuni dei suoi errori più imperdonabili. Per se stesso almeno.

“Questa è la sua cartella clinica. Qualche giorno dopo il riconoscimento dei corpi, ho mentito dicendogli che dovevamo fare una visita nel vecchio ospedale per parlare della tragedia. Ha perso la fiducia in me dopo di quello, e ha smesso di parlarmi come un tempo. Per una parte ne sono ferito, dall’altra un po’ meno perché sono riuscito a sapere cosa aveva mio figlio. Essendo che era una persona molto solare e vivace si è notato subito che qualcosa non andava.”

“Non capisco perché abbia chiamato me.”

“Nemmeno io ne sono certo; ho già fatto molti passi falsi, ma prova a capirmi Molly. Sono un padre, ho perso due delle persone più importanti della mia vita, e quella che mi è rimasta è appeso ad un filo. Penso, anche se non ne sono sicuro, che tu possa aiutarlo. Non so cosa tu gli abbia detto il giorno della fiera, ma lo vedo cambiare. Lentamente, con qualche difficoltà o negazione, ma vedo qualcosa di diverso.”

La castana strinse i pugni, nascondendo il viso dietro i capelli. Sapeva di essere un tipo di persona molto sensibile, piangeva anche agli annunci di soccorso per gli animali quando gli vedeva in televisione, ma aveva come l’impressione che chiunque di fronte ad una persona sofferente per un figlio si sarebbe commossa. Alzò una mano passandola in mezzo ai capelli per allontanarli dal viso. Sorrise al signor Ben, annuendo con la testa.

“La dottoressa tempo fa mi aveva detto di convincerlo ad andare da uno psicologo di fiducia, ma non ne ha voluto sentir parlare. Nemmeno del gruppo di sostegno.”

Molly lesse i fogli un po’ stropicciati, sorridendo qualche volta.

“Signor Allen. l’ho detto a me stessa, a Loreen e lo dirò adesso a lei: le prometto che cercherò con tutte le mie forze di far tornare Felix com’era un tempo.”

“Ti chiederei perché, ma in questo momento mi sono stancato delle domande.”

Già, anche lei si chiedeva perché. Alzò le spalle posando la cartella sul tavolo.

“Istinto.”


 

“Com’era Adele?”

Felix alzò gli occhi al cielo senza farsi vedere dalla ragazza, continuando a guardare fuori dalla finestra.

“Era una ragazzina appena maggiorenne dai capelli biondi tinti e le ciocche arancioni. Aveva una voce bassa rispetto alle sue amiche ed era molto calma, quando voleva.”

Bea si intromise, posando sul tavolo i the e i muffin. Molly le sorrise ringraziando, e la cassiera fece un piccolo inchino ricambiando. Per un attimo Felix la guardò, sospirando per la frustrazione.

“So cosa cerchi di fare. - disse poco dopo. La castana alzò lo sguardo con la bocca piena, sgranando leggermente gli occhi. Pensò se fosse possibile che Felix avesse capito che voleva rubargli un pezzo di torta. - Ti ho sentito ieri parlare con mio padre. Non ho nulla, io sono normale.”

Spostò la ciocca bionda dietro l’orecchio, ingoiando la metà di torta che aveva mangiato in un boccone.

“Ah quello. Quanto sei scemo Fè? Sappiamo tutti che sei normale.”

Il castano sbatté leggermente la mano sul tavolo, facendo spostare la visuale di Molly su di essa. Fece un sorriso imbarazzo, alzando una spalla per intenerirlo.

“Non chiamarmi in quella maniera. E se sapete che sono normale, allora smettetela di parlare di quella stupida sindrome!”

Bea gli guardò da dietro il bancone, non sapendo se intervenire o meno. Se Ethan non avesse avuto il giorno libero forse la risposta l’avrebbe avuta. La castana si voltò e le fece cenno con la mano.

“Vuoi unirti a noi?”

La mora sgranò gli occhi, abbandonando la spugna per i bicchieri nel lavandino. Il ragazzo soffocò con il the, iniziando a tossire e battersi la mano sul petto. Bea si morse il labbro, scuotendo la testa.

“No, qui ho un cas-”

“Va bene.” - rispose Felix.

Martedì sera, di un fine aprile poco caloroso dal solito, Molly sedeva a tavolo con una cassiera ferita dal comportamento di un ex amico e un ragazzo affetto dalla sindrome del pesce rosso, ridendo dei vecchi ricordi che la mora raccontava. Felix rimaneva in silenzio, ascoltando le parole della ragazza ricordando gli anni scorsi.
 

Vieni ad un gruppo di sostegno Felix. Ti aiuterà.”
 

Alzò gli occhi al cielo continuando a tagliare in pezzettini piccoli il muffin.

“Ah, e ricordo ancora come se fosse ieri il giorno che Adele è venuta per festeggiare i diciotto anni.”

Felix si morse la lingua, prendendo un respiro profondo.

“Sua madre gli aveva permesso di tingersi i capelli ed era così felice. Era una ragazza bellissima.”

“Lisa era una brava madre...”

Il ragazzo si alzò dal tavolo posando delle banconote accanto a Bea. Uscì dal locale senza dire nulla, mentre Molly lo seguiva con lo sguardo. Si alzò anche lei, ringraziando la mora prima di correre fuori dal locale. Raggiunse il ragazzo cercando di stargli a passo.

“Felix, che ti è preso?”

I passi del ragazzo aumentarono e Molly dovette quasi correre.

“E’ per quello di cui parlavamo? Forse siamo state un po’ inopportune ma io volevo sol-”

“Cosa? Non ti è già bastato entrare in casa mia? Nella mia vita?!”

La ragazza si bloccò, guardandolo in maniera un po’ spaventata. Aprì la bocca per rispondere, ma l’amico fece un ghignò incrociando le braccia al petto.

“Tu cosa vuoi da me?”

“Voglio aiutarti! Sicuramente Adele o Lis-”

“Non le conosci! - urlò poco distante da lei, terrorizzandola. - Non le hai nemmeno mai viste! Non puoi giudicare qualcuno che non conosci. Hai mai visto gli occhi azzurri di Adele? O il sorriso di mia madre? Sei come mio padre, un’egoista del cazzo.”

“Sarà pure che non le conoscevo, che sono egoista e tutto quello che vuoi; ma Felix, se tu non ci dici nulla come pretendi che io le conosca? Dici di essere normale, di non avere quella sindrome. Allora rispondi: cosa ti blocca dal parlarne, eh?”

“Tu dicevi di aver perso il padre, d’aver sofferto. Eppure non mi comprendi, perché reagisci come tutti gli altri: dimentichi! Pensi che tuo padre sia felice di sapere che tu l’abbia dimenticato?”

Molly inclinò leggermente la testa da un lato e poi l’altro, stringendosi i gomiti nelle mani. In pochi attimi erano saltate fuori troppe domande che la stavano confondendo. Felix davvero credeva che fosse un’egoista? O che non lo capisse?

“Tu non hai mai visto mio padre. Non puoi dire che io l’abbia dimenticato solo perché non ne parlo in modo ossessivo come te. Fè, ci tengo a te, quindi per favore, vieni-”

“Ad un gruppo di sostegno, eh? - fece una risata quasi da maniaco, scombinandosi i capelli più di quanto già non lo fossero. - Vedi? Non capisci. Vuoi solo buttarmi nella fosse dei leoni come mio padre e aspettare che guarisca da una cosa che nemmeno ho. Ti odio Molly Davis, così come tutte le persone che mi credono malato e che hanno ucciso la mia famiglia.”

La ragazza deglutì, sentendosi colpita al cuore. Fece un sorriso amaro e guardò per terra.

“Okay. - sussurrò facendo un passo indietro per arrendersi. - Non ha senso stare accanto a qualcuno se ti odia no? Mi dispiace.”

Si girò e a passi veloci si allontanò. Felix la guardò, non capendo bene cosa fosse successo.

“Hai fatto bene. La odi, no?”

Si voltò e iniziò a camminare verso casa sua. Sbatté la porta e fece a passi pesanti le scale. Sbuffò entrando in casa e andò in camera sua senza salutare. Suo padre pensò fosse per l’affronto di quella mattina, e fu per quello che rimase in silenzio, continuando a lavare i piatti. Si sedette per terra appena chiuse la porta e ci si appoggiò stringendosi le gambe.

“Che dovrei fare mamma?”

Si cambiò lanciando i vestiti sulla sedia della scrivania, buttandosi sul letto dopo e spostando la testa verso la finestra.

Quella notte era come se fosse tornato a quel periodo. Non riusciva a chiudere occhio senza pensare ai suoi sbagli. Rivedeva lo sguardo triste di Molly, quello deluso di sua madre e non faceva altro che pentirsi di quello che aveva detto. Avrebbe voluto chiamarla per chiedere scusa e poter finalmente addormentarsi. Trovava rilassante parlarle la sera, era come se non si sentisse solo. Non si rendeva conto più nemmeno che era al buio, come se non ne avesse più la paura di un tempo. Forse si annoiava a parlare con Molly perciò riusciva ad addormentarsi. Scosse la testa; sapeva che non era per quello. E allora per cosa? Si girò tra le coperte, per poi scalciarle via. Non aveva il coraggio di chiamarla, sentiva che qualcosa lo bloccasse dal prendere il cellulare.

 

Non aveva mai vissuto un mercoledì primaverile più noioso di quello. Loreen si rotolò nel letto. A Philadelphia stranamente faceva più caldo.

“Starai ancora per molto lì, sorellona?”

“Mh, fino a settembre Molly. La nonna sta molto male rispetto a quello che pensavamo.”

Il suo sospirò si sentì e l’umore di Molly precipitò ancor di più.

“Mi dispiace tanto.”

Loreen alzò le spalle con un mezzo sorriso.

“Tranquilla. Lì come va? Aspetta, non dovevi andare al porto?”

Molly si morse il labbro superiore come ogni volta che si sentiva sotto pressione, asciugandosi una lacrima sfuggita al suo controllo.

“Tutto okay, è solo che mia madre ancora non mi lascia uscire perché sono raffreddata.”

“Riprenditi presto, non voglio iniziare il penultimo anno senza di te come l’anno scorso.”

“L’anno scorso è stato un incidente.”

“Mh. Per prendere un gatto da un albero sei caduta e ti sei rotto un braccio. Se non fossi salita lì sù saresti rimasta intera.”

“Ma… - la ragazza boccheggiò per un attimo, sapendo che l’amica avesse ragione. - Stava piangendo, era spaventato!”

“Miagolava Molly, come tutti i gatti.”

La più piccola sbuffò sorridendo, appoggiando la schiena contro la ringhiera del balcone. Con la coda dell’occhio notò qualcosa di famiglia.

Felix alzò lo sguardo nello stesso momento. Il respirò di lei si bloccò, soprattutto nel vedere che tra le mani aveva la boccia con il pesce rosso che aveva presso due settimane prima. Era molto distinguibile dato che era di un colore arancione chiaro ed una pinna mancante. Per un attimo le sue pupille si dilatarono, sentendo un vuoto doloroso allo stomaco. Voleva davvero buttare anche l’unica cosa che poteva fargli ricordare? Si alzò subito in piedi.

“Scusa Loreen, ti richiamo.”

L’amica guardò il cellulare che segnava la chiamata interrotta. Alzò un sopracciglio un po’ sconvolta dal modo di fare dell’amica.

“Felix!” - urlò incurante dei vicini o dei passanti.

Il ragazzo la ignorò, continuando la sua solita strada. Il dolore insolito di Molly aumentò, facendola sospirare. Mise una mano all’altezza del cuore, come se stesse provando a lenire il dolore che sentiva. Lasciò la sua camera e scese di fretta le scale. Tossì infilandosi la felpa. La signora Davis apparì dalla cucina, facendole prendere uno spavento.

“Hey, ragazzina. Non esci vestita così.”

Molly si girò guardandola strano.

“Hai solo una maglietta leggera e la felpa; sei seria? Vuoi di nuovo avere la febbre?”

“Mamma per favore...”

Crystal le indicò le scale senza parlare.

“Ho vent’anni mamma!”

“Sei in casa mia, corri.”

“Sapevo di dover accettare la proposta di Loreen e vivere al dormitorio.”

Crystal alzò gli occhi al cielo. Risalì in camera prendendo un maglione sopra la maglietta, indossando la felpa sulle scale. Salutò la madre poco prima di uscire, iniziando a correre verso il porto. A causa del maglione e il raffreddore rallentò un po’, fermandosi per tossire. Il suo cuore accelerò appena superò i cancelli del porto. Felix guardò le onde calme e l’acqua cristallina del mare, poi il piccolo pesce. Fece una smorfia. Non era molto sicuro di quello che stava facendo, non voleva davvero buttare Adelisa nel mare. Pensava che liberandosi di lui, magari, si sarebbe liberato anche del ricordo di Molly. Ma era convinto di quella teoria?

“Felix!” - gridò la ragazza, bloccandosi per riprendere fiato.

Tossì nuovamente, sentendo i polmoni bruciare. Il ragazzo si girò a guardarla, mentre la ragazza scoppiò a piangere. Aumentò la presa sulla boccia del pesciolino, sentendo una strana fitta al cuore.

“Mi dispiace, okay? Perdonami. Sono entrata nella tua vita senza un perché, ho preteso troppo e ti ho fatto soffrire più di quando eri solo. - Chinò leggermente la testa, cercando di asciugarsi le lacrime - Perdonami; non buttare quel pesciolino. Se davvero ti fa schifo, dallo a me e ti prometto che non ti disturberò mai più.”

Le lacrime della ragazza erano state il secondo colpo.

“Sono uno stupido.” - sussurrò, ma non riuscì a muoversi di un passo.

Era come se fosse congelato sul posto, aveva le idee confuse e si sentiva molto strano. Strizzò gli occhi un attimo, poi cadde a terra. Molly alzò il viso appena sentì il vetro della boccia rompersi. Spalancò la bocca e si avvicinò al ragazzo appena svenuto, inginocchiandosi di fronte a lui.

“Felix?!”

Il pesciolino rosso saltellava accanto ai cocci della boccia rotta disperato. La ragazza lo prese tra le mani e lo buttò in mare.

“Duecentocinquanta.” - disse in fretta, posando le mani sulle spalle del ragazzo per scuoterlo.

Si guardò in giro sperando di trovare qualcuno, poi prese il telefono e compose il numero del signor Ben.

“Ah, signore, mi aiuti. - pianse di nuovo, accarezzando la guancia del ragazzo mentre una lacrima finì sulla sua fronte. - Felix è svenuto e non so che fare.”

Ben sbatté le palpebre più volte, capendo solo dopo quello che Molly aveva detto.

“Eh?”

 

“E’ normale signore. - Il dottore fece un piccolo sorriso, rimettendo la penna nella tasca del camice. - E’ un sindrome del pesce rosso, no? E’ normale che affrontando ricordi passati o emozioni forti svenga.”

Ben sospirò per il sollievo, guardando la figura addormentata del figlio sul lettino.

“Non si preoccupi. Partecipando ad un gruppo di sostegno o ad uno psicologo privato, entro un paio di mesi dovrebbe sentirsi meglio. Sicuramente quando le hanno diagnosticato questa sindrome le avranno consigliato di rinchiuderlo nell’ospedale psichiatrico vero?”

“Il fatto è che mio figlio non lo accetta, perciò non vuole fare nulla. Non volevo lasciarlo in quel posto. Lui non è veramente malato.”

“E’ per il suo bene signor Allen. Provi a convincerlo, Felix ha davvero un problema che va affrontato prima che diventi pericoloso.”

“P-pericoloso? Come può essere pericoloso?”

L’uomo in camice sospirò.

“E’ mai scappato di casa? Ha mai aggredito verbalmente qualcuno? E’ stato aggressivo durante gli attacchi di panico?”

Ben si sentì un po’ perso di fronte a quelle domande.

“Ehm… non fino ad un punto pericoloso.” - mentì.

“Significa che è ancora in tempo. I problemi meglio prevenirli che curarli.”

Dopo che il dottore lasciò la camera il signor Allen spostò una delle sedie posate al muro di fronte la porta e la portò accanto al letto. Si sedette scuotendo la testa.

“Cosa devo fare con te Felix?”

Incrociò le braccia al petto e rimase in silenzio, finché il ragazzo non strizzò gli occhi, aprendoli poco dopo. Mosse lentamente le mani, sentendosi perso. Si ricordava di essere al porto, non in una stanza di ospedale. Si allarmò subito, alzandosi a sedere. Ben si svegliò dal sonno e lo guardò subito.

“Hey, figliolo.”

Si girò verso il padre, mettendosi una mano sulla fronte. Notò il giubbotto posato ai piedi del letto; e ricordò quello che era successo.

“Devo… devo andare.”

Si alzò dal letto e prese il suo giubbotto verde di fretta, indossando le convers senza nemmeno allacciarle. Ben si mise in piedi chiamando Felix un paio di volte, rinunciando quando ormai era lontano dalla sua vista. Rimase sbalordito dal suo atteggiamento, ricordando le parole del dottore.

Dall’altro canto Felix correva sulle strade della città sentendo le gambe far male. Era da tantissimo tempo che non correva in quella maniera. L’ospedale centrale di Savannah era quasi fuori città, e non aveva nemmeno un soldo per prendere un taxi. Arrivato davanti la porta ci si poggiò contro riprendendo fiato. Deglutì appena, iniziando a suonare il campanello come un forsennato.

Dentro la casa, Crystal grugnì, spostando la testa dall’altro lato del cuscino.

“Vacci tu!” - urlò, facendosi sentire da Molly che sbuffò.

Si alzò dal letto sbadigliando e si mosse lentamente verso le scale. Il campanello le fece salire i nervi.

“Sì sì, arrivo.”

Nonostante le sue parole il campanello continuò.

“Ah, smettila prima che ti… oh.”

Aprendo la porta riconobbe subito Felix. Le vene un colpo al cuore e si fermò guardando per terra.

“Mi dispiace Molly. - Si morse il labbro non sapendo come continuare la frase. La ragazza rimase a testa bassa per nascondere il suo sorriso. - Ho sbagliato nel dirti quelle cose, sono stato uno scemo. Perdonami.”

“Mi hai letteralmente detto di odiarmi, come faccio a credere ora a quello che dici?”

“Andrò al gruppo di sostegno.”

Molly alzò la testa di scatto, guardandolo come se ciò che avesse detto fosse quasi una cosa impossibile.

“Davvero?”

Felix sospirò annuendo subito dopo. La ragazza batté le mani sorridendo e l’abbraccio d’istinto, stringendolo a sé con forza. Per un attimo il ragazzo rimase senza parole, impietrito dal gesto.

“Ho pensato di non sentirti mai più.”

Infossò il viso nell’incavo del collo del ragazzo e quasi pianse per la felicità. Non sapeva se fosse per il fatto che stesse bene o che avesse accettato la sua proposta.

“Verrò con te. Ti accompagnerò le prime volte, mh?”

Gli strinse la mano con occhi speranzosi, ed il suo sorriso fece quasi intenerire Felix. Prese un respiro profondo e fece un sorriso anche lui. Molly rise dato che sembrava più una smorfia che un sorriso. Gli diede uno schiaffo leggero sulla guancia.

“A proposito, non eri all’ospedale?”

 

 

 

______________________________________

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***




 

C a p i t o l o
Q u a t t r o

 

 

Blood, Sweat & Tears

 


 

 

Fissò in modo minaccioso una crepa sul muro accanto al disegno di un bambino. Aveva vent’uno anni, stringeva nel palmo della mano il portachiavi a forma di pesce e si sentiva totalmente fuori posto.

Non era malato, lui era sanissimo.

Pensava con la sua testa, riusciva a camminare e parlare, ci vedeva benissimo. Cosa aveva di così sbagliato da trovarsi lì? Alzò gli occhi al cielo di nuovo, forse per la decima volta quella mattina. Molly lo guardò senza dire nulla, era un po’ spaventata dal fatto che se avesse detto qualcosa Felix le avrebbe abbaiato contro come un cane. Provò a trattenersi dal ridere nel pensarci. Tossì per riprendersi, tornando a guardare le crepe sul muro mentre aspettavano.

Era stato un miracolo – l’ennesimo per Ben – appena sentì che il figlio sarebbe andato di volontà propria ad un gruppo di sostegno.

Andrò a quel gruppo di sostegno, ma scordati lo psicologo.”

Felix già odiava quel posto. Si chiese perché non fosse stato chiuso per pericolo di crollo date tutte quelle crepe coperte da disegni stupidi. Sbatteva il piede per terra nervoso e spazientito. Quel venerdì mattina erano arrivati per primi, la sala era vuota e le sedie impolverate come se qualcuno non ci avesse messo piede lì da mesi. In America, le malattie mentali non erano un grande tabù, ed avere aperto un gruppo di sostegno per i bisognosi a Savannah aveva fatto tirare un sospiro di sollievo agli abitanti.

Il secondo ad arrivare fu un ragazzo dalla carnagione chiarissima e i capelli castani chiari. La cosa che lo distingueva erano le sue occhiaie e lo sguardo stanco; Molly lo conosceva di vista, l’aveva spesso visto al supermercato in centro, lavorava come cassiere. Non si sarebbe mai aspettata di vederlo lì. Sorrise notando i due.

“Siete nuovi, eh?” - chiese nascondendo le mani nelle tasche della felpa rossa.

Felix non disse nulla, rimanendo a fissarlo a braccia incrociate. Lei sorrise leggermente.

“Sì, io sono Molly Davis, e lui Felix Allen.”

Il castano poggiò il viso stanco sul palmo della mano, lasciando che il braccio fosse retto dal ginocchio.

“Ciao, io sono Will. Perché siete qui?”

“Fatti miei.” - rispose Felix, spostando lo sguardo sull’unica finestra del posto.

L’amica gli diede una gomitata, rivolgendogli un broncio prima di riportare l’attenzione al ragazzo seduto di fronte a loro.

“Beh, per aiutarlo. E’ l’unico gruppo di sostegno della città; tu?”

Will annuì.

“Anche.” - sussurrò chiudendo per un attimo gli occhi, riaprendoli subito dopo con sguardo spaventato.

Poco dopo arrivò una ragazza, guardando chi ci fosse dentro la camera rimanendo sulla porta. Prese un respiro profondo ed entrò, sedendosi accanto al cassiere. Notò i visi nuovi e sorrise un po’ timida.

“Siete nuovi vero? Non si vedono quasi mai facce nuove. Piacere, sono Abbey Silver.”

Molly sorrise presentandosi. La stanza iniziò a riempirsi di persone che guardarono i due nuovi arrivati con facce stranite. Il cerchio si riempì presto, formato da sei ragazzi e dieci ragazze. La castana si sentì quasi fuori posto, non aveva nulla a che fare con loro o il gruppo, eppure era seduta lì per sostenere l’amico. Fece una smorfia; non era sicura del fatto che fossero amici. Qualche volta Felix aveva degli strani atteggiamenti o reazioni aggressive, ma le andava bene finché ammetteva la colpa e si scusava. Lo psicologo Park entrò nella stanza richiudendo la porta dietro di sé, salutando tutti. Guardò i presenti e vide due facce nuove. Sorrise facendo un gesto loro per alzarsi. Molly lo fece subito sorridendo in maniera quasi innaturale.

“Mi chiamo Molly Davis, ho vent’anni e sono qui per accompagnare Felix, il mio amico.”

Il nominato rimase seduto, fulminando con lo sguardo lo psicologo del gruppo.

“Felix mh? Vuoi presentarti al gruppo?”

Rimase impassibile, e non mosse un solo muscolo. Per lui, era già uno sforzo enorme essere lì. Non si sentiva come loro, non era malato come tutti gli dicevano.

“Vede lui-” - il professore fermò la castana con un gesto della mano.

Lei sospirò risedendosi mentre Will quasi se la rise. D’altro canto per Hanna era una cosa nuova, era sempre stata circondata da persone solari ed educate. Felix si alzò non appena vide il viso triste dell’amica e sospirò.

“Sono Felix Allen, ho vent’uno anni e non so cosa ci faccio qui.”

Park annuì.

“Da cosa dicono che sei affetto Allen?”

“Sindrome del pesce rosso.”

Ci furono alcuni sospiri sorpresi, Park semplicemente alzò le sopracciglia.

“Tranquillo ragazzo, non sempre quello che dicono è vero.”

Molly aprì la bocca per parlare ma Abbey mosse le mani per farle capire di rimanere in silenzio.

“Adesso ragazzi, come in ogni seduta, presentatevi voi.”

La prima in ordine, Abbey, si alzò mantenendo lo sguardo un po’ basso.

“Mi chiamo Abbey Silver, ho sedici anni e sono thanatofobica. Ho paura di morire. Oggi mi sento molto meglio rispetto alla settimana scorsa.”

Fece una risatina imbarazzata, risedendosi quando tutti la salutarono. Will sbuffò con un occhio chiuso e si alzò. Si chinò leggermente, sbadigliando dopo.

“Will Anderson, diciotto anni, clinofobico. Ho paura di dormire in poche parole… sono molto stanco. Non ho ancora preso le pillole perché la fobia è stata più forte di me.”

Hanna guardò il compagno sedersi e spostò lo sguardo sullo psicologo Park. Trovava sempre difficoltà nell’esprimere il suo problema perché non aveva nessuno che la capisse. Per un attimo i suoi occhi si puntarono su Felix, intento a giocherellare con le dita di Molly. Aggrottò leggermente la fronte, alzandosi dalla sedia.

“Sono Lee Hana, ho ventitré anni e soffro della sindrome di Pinocchio. Non riesco a mentire. Oggi sto così così.”

Dopo di lei Leo si alzò lentamente, mettendo un piede verso il centro del cerchio e l’altro verso sinistra, formando una strana L.

“Salve, sono Leo Crue, L per gli amici perché soffro del disturbo ossessivo compulsivo. Sono ossessionato dalla lettera L.”

 

“Liu, posso parlarti un attimo?”

La ragazza rassicurò Felix, tornando nella stanza. Gli sorrise, portando le mani dietro la schiena.

“Mi dica signor Park.”

“Penso che lei debba non venire più agli incontri.”

Arrossì per l’imbarazzo, sentendosi colpevole.

“Mi dispiace, ma per convincerlo a venire ho dovuto. Felix è un tipo difficile.”

“Infatti, per aiutarlo è forse meglio se la strada la facesse da solo. Al massimo puoi accompagnarlo fino all’entrata, va bene?”

La ragazza annuì poco convinta, tornando sui suoi passi. Felix non disse nulla, iniziando a incamminarsi verso casa. Sulla strada passarono accanto alla macchinette dell’edifico, da cui Hanna, Will e Leo avevano presso il caffè. La ragazza era poggiata alla macchinetta, mentre il clinofobico socchiudeva lentamente gli occhi girando il cucchiaino di plastica nel bicchiere e L sussurrava qualcosa che nessuno riusciva a sentire. Molly li salutò con la mano, sorridendo felice di avergli incontrati. I due ragazzi ricambiarono il saluto, mentre la bionda rimase in silenzio, abbassando lo sguardo sul suo caffè. Felix la fissò per qualche attimo, uscendo subito dopo dall’edificio.

Hanna si sentiva messa in soggezione di fronte allo sguardo sottile e pungente di quel ragazzo. Sentì un brivido freddo lungo la schiena, e si allontanò dalla macchinetta per dare spazio ad Abbey, che a mano tremante mise la banconota nel foro apposito e aspettò.

“A me il nuovo arrivato piace.” - iniziò Will, buttando il bicchiere vuoto nel cestino accanto alla porta.

“Felix Allen? - la più piccola annuì sorridendo leggermente. - Anche a me. L’ultimo, Lucas, dopo un mese si è trasferito.”

Hanna sospirò. A lei Lucas era piaciuto tantissimo, era simpatico e comprendeva i suoi problemi essendo uguale a lei; Felix invece sembrava antipatico da come si era atteggiato. Ma non poteva mai saperlo, il professor Park diceva di non giudicare nessuno. Non voleva giudicare, ma era più forte di lei.

Ben sorrise appena vide i due uscire dal cancello del vecchio ospedale. Molly nascose il uso disappunto di poco fa dietro un sorriso.

“Com’è andato il primo giorno?”

Felix alzò le spalle.

“Sono tutti strani.”

“Ma gentili e simpatici.” - aggiunse la ragazza, dandogli una gomitata leggera.

Il ragazzo alzò gli occhi al cielo.

“Come vuoi tu.”

Anche se avesse avuto l’opportunità di andare indietro nel tempo, forse il castano non avrebbe modificato nulla. Non capiva ancora come la ragazza fosse entrata nella sua vita o perché trovasse qualcosa in lui da stargli accanto. La guardò per un attimo, mentre si toccava la testa appena sbattuta contro il tettuccio della macchina.

“Mi scusi signor Allen, ma ha la macchina davvero bassa.”

“Ma se sei tu. Hai sbattuto contro il tettuccio cinque volte in una settimana e sei più bassa di me di quasi venti centimetri, mentre a me non è mai capitato in vent’uno anni.”

Il signore rise, scuotendo la testa. Anche l’amica lo fece, e ciò fece sgranare leggermente gli occhi di Felix. Perché sentiva una stretta quasi dolorosa al cuore? Scosse la testa, provando a pensare a qualcos’altro. Sul cruscotto c’era ancora un elastico per capelli di Adele, dimenticato lì da tempo. Lo prese e lo rigirò tra le dita, notando la polvere che lo ricopriva. Dopo l’incidente suo padre non aveva più guidato molto come una volta, perché non c’erano più le occasioni.

“Papà, puoi lasciarci al Bubble Bar?”

Ben rimase un po’ sorpreso ma annuì; suo figlio stava cambiando in meglio, in poche aspettative ma lo stava facendo. Non si rintanava più in casa come prima, stava pian piano superando la paura delle folle di persone e la sua insicurezza in se stesso pareva un ricordo sempre più lontano. Così come i pensieri e ricordi di Lisa e Adele nella sua testa. Certo, non se le sarebbe mai dimenticate, ma iniziava a capire le parole di Molly. Non doveva pensare costantemente a loro per tenere il ricordo vivo.
 

Lanciò anche i libri per terra, asciugandosi le lacrime con i pugni serrati. Ben aveva quasi paura di suo figlio in quel momento.

A che tieni tutta questa roba se non torneranno più, mh?”

Per un attimo al padre tornarono in mente le parole del dottore. Era vero che Felix stesse diventando pericoloso? Sospirò quando sentì il vecchio salvadanaio di Adele in pezzi. Non poteva fare nulla non perché non voleva, ma perché non se la sentiva in nome di padre. Non aveva mai affrontato situazioni del genere. Chi mai avrebbe potuto sapere se non Dio, che suo figlio fosse così… diverso. Per Ben non era malato come dicevano gli altri. Non lo sarebbe mai stato, nemmeno quando in preda ai singhiozzi e le crisi avrebbe potuto fare un passo falso. Forse troppo falso per rimediare. Chi meglio di lui non poteva capirlo? Aveva perso una moglie fantastica e fedele, una figlia solare e dolce; qualcosa che chiunque avrebbe chiesto nella vita. Sentiva che se avesse fermato suo figlio, sarebbe stato come fermare se stesso. Era un pessimo genitore, si sarebbe rimproverato fino al giorno del proprio funerale per certo. Voleva lasciare suo figlio, darlo in mani che potevano davvero aiutarlo ad affrontare quella maledetta sindrome. Fece un mezzo sorriso quasi malinconico al pensarci; la sindrome del pesce rosso, che cavolo di malattia era se non auto distruttiva? E se Lisa e Adele non fossero morte? Felix sarebbe mai rimasta traumatizzato, avrebbero mai scoperto quella malattia?

Il campanello di casa suonò e si affrettò ad andare a rispondere per cacciare chiunque fosse venuto. Sicuramente sarebbero stati i vicini di nuovo a lamentarsi, ma non di certo poteva aspettarsi Molly che non riuscì nemmeno a salutare. Un botto più forte degli altri fece sussultare le due persone. Felix non aveva di certo intenzione di lanciare contro di loro quella statuetta raffigurante la statua della libertà. Si ruppe in mille pezzi anche l’ultimo ricordo della gita a New York, così come il cuore del ragazzo. Aveva realizzato per la millesima volta che nessuna delle due sarebbe tornata a casa nonostante i suoi lamenti, ma che erano soltanto seppellite in un comune cimitero della città. Ogni volta faceva più male, come se la stretta attorno al collo che sentiva da due anni si stesse stringendo sempre di più. Sapeva che fosse il suo senso di commiserazione. Si sarebbe ucciso con le sue stesse mani così come quella malattia stava facendo con la su anima, ma Felix non aveva tutto quel coraggio. Era un po’ codardo, e si derideva anche per quello. Quanta pena a se stesso poteva fare? Non era sicuro di poterlo descrivere in parole o emozioni.

Molly si avvicinò, salendo lentamente le scale finché non si trovò davanti al ragazzo rannicchiato su stesso. Sembrava più un bambino che cercava di difendersi da una creatura invisibile; almeno per gli occhi di lei lo era, ma non il sangue sulla mano. Si inginocchiò di fronte al ragazzo e provò a toccarlo ma la spinse via nonostante il dolore. La maglia della castana si sporcò di rosso scuro.

Vattene! Andatevene tutti.” - urlò con voce strozzata.

Tossì coprendosi la bocca con la mano sporca. Molly sospirò e d’impulso gli diede uno schiaffo di cui si pentì subito dopo.

Qualunque cosa tu abbai ricordato smettila di tormentarti! Vorrai mai capirlo che non hai colpe Fì!”

A Ben sfuggì una lacrima, ma non la asciugò. Il ragazzo mosse lentamente gli occhi verso la ragazza, sentendo il bruciore sulla guancia diventare più forte di quello della mano. Era quasi buio se non fosse per la luce accesa nella vecchia camera di Adele, eppure gli occhi della castana brillavano come se vivessero di luce propria. Felix era un po’ invidioso dal modo in cui lei prendeva gli avvenimenti della vita; in modo troppo leggero e sorridente per i suoi gusti. Anche Bea l’aveva detto un tempo. Se lo ricordava bene, come si lamentava del fatto che lui fosse sempre così solare e energico anche di prima mattina mentre gli altri appena rimanevano in piedi dalla stanchezza. Sarebbe mai tornato in quella maniera? Avrebbe mai ritrovato quella luce negli occhi che aveva anche Molly? Felix rimase fermo con il palmo ferito poggiato sulla guancia, lasciando che la ragazza lo abbracciasse così come un tempo aveva fatto lui.

Dicevano che gli abbracci regalavo sensazioni mai provate, benessere e conforto. Adele amava gli abbracci, ci era quasi cresciuta con loro. Qualsiasi cosa accadesse, buona o meno, pretendeva sempre un abbraccio. Forse l’avevano cresciuta un po’ viziata, ma a lui poco importava in quel momento, perché era come se stesse rivivendo quei momenti di gioia in un solo abbraccio. Si sentì meglio e protetto che mai, e quello era grazia a Molly. Infondo, non la odiava per davvero, non quanto le sensazioni che la sua presenza provocavano.

Si allontanò leggermente asciugandoli le guance bagnate. Felix socchiuse gli occhi spostando lo sguardo sulla mano ferita, quasi imbarazzato e mortificato dalla situazione. Il padre arrivò con la cassetta del pronto soccorso.

Scusami.” - sussurrò.

 

Felix ha davvero un problema che va affrontato prima che diventi pericoloso. E’ mai scappato di casa? Ha mai aggredito verbalmente qualcuno? E’ stato aggressivo durante gli attacchi di panico?”

 

“Duecentocinquantacinque.”

Molly continuò ad ondeggiare le gambe finché Felix non si sedette accanto a lei. Scosse la testa un po’ sconsolato.

“Non posso credere che tu abbia buttato il pesciolino in mare.”

Il senso di colpa della ragazza aumentò.

“Ah, quando finirai di farmi sentire in colpa? Sai che l’ho fatto per salvarlo.”

“Mh, come vuoi.”

Rimasero in silenzio per un po’, mentre il vento mattutino batteva leggero e il sole da poco sorto si innalzava lentamente.

“Quando sei scappato, ho temuto di non vederti più.” - confessò poco convinta di dirlo.

Felix guardò per terra, togliendo dalla tasca la piccola sfera che teneva da quando l’aveva raccolta da terra nella camera di Adele, quasi due settimane fa. La tenne nella mano destra, tra loro due, e Molly la osservò con curiosità.

Il ragazzo non agiva d’istinto da molto. Da quel passo falso che Dio aveva fatto, togliendogli Lisa e Adele, il ragazzo era diventato quasi fin troppo riflessivo. Non si muoveva di casa se non ci rifletteva sù venti volte, eppure in quel momento il suo cuore aveva agito da solo, e lui non aveva fatto nulla per fermarlo. Perché sapeva che fosse giusto.

La ragazza non parlò per non rovinare il momento anche se aveva un milione di domande da fare. Perché quell’oggetto? Cosa poteva significare per lui da mostrarla?

“E’ la sfera che si è staccata alla palla di neve che hanno regalato a mia sorella da piccola. Era una delle cose che custodiva gelosamente.”

Molly strinse il legno del ponte tra le dita, osservando prima il ragazzo e poi la sfera. Aveva una tenera e piccola cassetta delle montagne in legno dal tetto grande e coperto da neve candida. Felix la scosse leggermente, facendo muovere i fiocchi bianchi intorno alla casa come se fosse in piena tempesta. La ragazza ne rimase affascinata; gli oggetti di quel genere costavano tantissimo a Savannah. Si chiese se la famiglia di Felix fosse ricca, la sua di certo non lo era e non poteva nemmeno sapere che sì, la famiglia del ragazzo stava bene economicamente, ma al ragazzo poco importava e nemmeno piaceva parlarne.

“So che ti stai chiedendo. Non vorrei darla se fosse davvero per me… ma Adele disse che se avessi mai trovato qualcuno degno di quel bene e protezione, avrei dovuto darla. Tieni.”

Molly non capì bene a causa dell’emozione ma allungò il braccio destro, sfiorando con le dita della sua mano fredda quelle calde di Felix. Arrossì e prese la sfera in mano, mettendola di fronte alla luce del sole grazie alla quale si illuminò il vetro, riflettendola. Il ragazzo guardò la sfera senza pentimenti.

Il cuore di Molly perse un battito rendendosi conto di ciò che era appena successo: Felix aveva detto che le voleva bene?

Non riusciva più a capirlo, aveva un milione di domande in testa e voleva assolutamente risposte. Ma valeva la pena soddisfare la sua curiosità a costo di far star male ancora un suo amico?

Lei fece una piccola smorfia. Non ne era sicura se fosse veramente un amico. Loreen lo era, Bea lo stava diventando, ma mai aveva provato le stesse cose che provava vicino a lui. Deglutì e sorrise di nuovo decidendo di non pensarci.

“Ah, grazie.” - squittì stringendola al petto.

Pensava di metterla sulla scrivania accanto al pc, almeno avrebbe avuto un suo ricordo anche mentre studiava. Sgranò gli occhi, inclinando la testa verso la spalla destra. Perché mai avrebbe voluto avere un suo ricordo allora? O meglio, anche allora. Felix non si chiese cosa stesse pensando, semplicemente si voltò verso il mare calmo e mattutino di quella giornata, continuando ad ondeggiare le gambe a qualche centimetro dalle onde.

 

La situazione era di una calma quasi inverosimile. Il ragazzo andava al gruppo di sostegno, mentre Molly aspettava fuori seduta sulle scalinate del vecchio ospedale. Guardava ogni volta quella sfera, scuotendola per vedere la casa sommersa da quella finta neve che la faceva sorridere. Il sindrome del pesce rosso era diventato meno pungente nei confronti dei ragazzi, e a Hanna piaceva. Il modo in cui si stava atteggiando era meno scontroso, qualche volta addirittura le sembrava che gli stesse sorridendo. Si sentiva lusingata; che forse gli piacesse? Hanna non aveva mai incontrato qualcuno che si fosse infatuato di lei, ciò le dava una scarica che non aveva mai provato. Si voltò lentamente per non farsi vedere, osservando il ragazzo di sottecchi. I suoi occhi semi chiusi erano concentrati sul dottore Park che spiegava quanto il proprio cuore prendesse spesso le decisioni. Felix avrebbe voluto alzare la mano, e aspettare che l’anziano gli desse la parola per chiedergli una semplice, a dire, domanda: E se, il proprio cuore fosse ferito, farebbe scelte giuste?

Felix aveva fatto tanti sbagli di cuore anche se non fosse ferito. Che qualcosa in lui non andasse? Mise il broncio corrucciando la fronte, sembrando così tenero agli occhi di Hanna che perse un battito e il suo respiro si bloccò a quella vista. Alla fine della seduta Will propose al nuovo arrivato di uscire qualche volta per conoscersi meglio. Sembrò diffidente, e lo guardò un po’ contrariato. Ma il pensiero del viso di Molly felice nel dirgli che sarebbe uscito con qualcuno per amicizia, lo fece accettare. Hanna si intromise nella conversazione dei due.

“Io… Posso unirmi?”

Il moro le sorrise scombinandole i capelli biondi tinti e corti con una mano.

“Ma certo Hanna!”

Felix ne rimase indifferente, mentre il clinofobico tornò a guardarlo.

“Facciamo dopo la prossima seduta, al Bubble Bar?”

Annuì assieme alla ragazza, lasciando la stanza subito dopo.

Molly si alzò dai gradini nascondendo la sfera nella tasca della sua felpa. Felix era sempre il primo ad uscire da quel posto quasi cadente. Come ogni settimana, da più di un mese, facevano la stessa strada fino a casa della ragazza.

“Oggi il sole tramonta prima. - La ragazza annuì di fronte a quella affermazione, guardando il cielo imbrunirsi. - Quando finisci il penultimo anno?”

“Tra quasi due mesi. Ma faccio le lezioni mattutine solo fino alle undici, poi di pomeriggio. Quindi, ehm, pensavo...”

Felix si voltò verso il profilo della ragazza che camminava in equilibrio sul bordo del marciapiede alto. Il suo peso andò troppo sulla sinistra, rischiando di cadere. Il ragazzo le afferrò d’istinto la mano, impedendole di fare qualche altra figuraccia quel giorno. Molly gli rivolse un sorriso, continuando a camminare un po’ squilibrata.

“Ti aspetterò.”

Mancò il bordo totalmente, sbattendo il piede sull’asfalto della strada. Rimase un po’ scombussolata dalla frase del ragazzo che dal dolore al piede. Annuì guardando per terra, poi si rese conto di star ancora stringendo la mano di Felix e arrossì allontanandosi.

“E-eh?”

Lui alzò le spalle.

“Ti aspetterò all’uscita e poi andremo al porto assieme.”

“Oh… - si guardò un po’ attorno e poi sorrise, annuendo alla sua risposta. - Va bene, grazie!”

Molly bussò alla porta di casa, salutando il ragazzo prima di entrare. Il Bubble Bar, dopo le cinque del pomeriggio d’autunno era semi deserto. Ethan appena lo vide fece un sospiro di sollievo.

“Ah, Felix, meno male che sei venuto.”

Scavalcò il bancone con un salto e si avvicinò al ragazzo che mise le mani nelle tasche del giubbotto per riscaldarsi un pochino.

“Sediamoci.”

A passi svelti andò verso la porta del locale e cambiò il cartellino dell’apertura, negando l’acceso a nuovi clienti. Spense anche le luci dell’entrata e si sedette al tavolo di fronte l’amico. Il ragazzo poggiò un braccio sul tavolo da poco pulito, guardandosi in giro.

“Bea?”

Ethan chiuse per un attimo gli occhi, mettendo i gomiti sul tavolo.

“Aveva il giorno libero e sono rimasto solo io a pulire perché Cloud aveva un appuntamento e mi ha pregato di andarsene prima. Però ascolta, il punto è un altro. Ho bisogno del tuo aiuto.”

Felix alzò le sopracciglia un po’ preoccupato.

“Cris, mio cugino, te lo ricordi no? Verrà qui per una settimana. Ha detto che vorrebbe trasferirsi qui se trova un lavoro, e da cretino che sono ho detto che al bar in cui lavoro ci sarebbe un posto. L’ho detto d’istinto e adesso non so che fare. Sai che l’ultima volta che è venuto, qualche anno fa, ci ha provato con Bea ed ha una cotta per lei. E poi è un pessimo cameriere, non ha equilibrio. Aiutaci.”

Unì le mani in preghiera e fece scivolare i gomiti verso il ragazzo.

“Che cosa c’entro io scusa?”

“Fingi di lavorare di nuovo qui, per favore.”

Il castano spalancò la bocca, guardando male l’amico.

“Sei pazzo? Non se ne parla.”

“Perché? Ci hai già lavorato, hai esperienza, ti amano tutti, Bea ha detto che quando vuoi sei il benvenuto. Felix, per favore, fino a quando non se ne va Cris, dopo puoi decidere. Fallo per la nostra amicizia.”

Ethan sporse il labbro provando ad allargare gli occhi per fare il dolce. Felix fece una smorfia, poi sospirò arrendendosi.

“Andata, ma voglio i dolci gratis.”

Il moro alzò le braccia al soffitto urlando. Si buttò addosso all’amico da sopra il tavolo, provando a stringerlo nonostante l’altro si dimenasse.

“Fino a quando tuo cugino non se ne va. Non di più.”

“E non di meno.” - aggiunse il barista con un occhiolino.

La mattina dopo Felix era già sul posto, seduto sul bancone a dondolare le gambe mentre Bea lo guardava sorridendo in modo quasi inquietante. Ethan sbadigliò entrando nella sala dalla porta della cucina.

“Mi ero dimenticato… - fece una pausa per un altro sbadiglio, sistemandosi poi i capelli ancora non pettinati per il risveglio improvviso. - Che con Felix il locale si apriva alle sei.”

Gli rivolse un’occhiataccia che l’altro ignorò.

“Tu mi hai voluto qui.”

Il barista posò la testa contro uno dei tavoli del locale, buttandosi a peso morto su una sedia.

“Oh, qualcuno mi dica perché sbaglio così tanto ultimamente.”

Bea gli sorrise accarezzandogli la schiena, capendo a cosa si riferisse.

“Nulla Ethannie, ma adesso alza quel culo e vai ad aiutare Cloud in cucina.”

I primi clienti arrivarono quasi un’ora dopo. Una dei loro clienti più abituali e frequenti era la signora Clark, che appena vide il cameriere quasi ebbe un colpo.

“Oh, per tutti i santi! Che cosa vedono i miei occhi? Allen Felix?”

Il nominato rimase indifferente, continuando a pulire dietro il bancone dove Cloud aveva fatto cadere il latte. La signora si sedette su uno degli sgabelli lì di fronte e sorrise come un tempo faceva quando entrava lì per ordinare il solito mattutino bubble the alla pesca con crepe. Ed il ricordo era rimasto anche nella memoria del ragazzo, tanto che iniziò subito a preparare il the senza nemmeno che la cliente glielo chiedesse. Fece un piccolo sorriso; un po’ quelle abitudini gli erano mancate. La signora poggiò i gomiti sul tavolo, aspettando il suo ordine. Da lì a mezzora metà del vecchio quartiere sapeva che Felix fosse tornato al lavoro; era una cosa assurda ma il locale quella mattina era più pieno di quanto se lo ricordasse Bea. E Felix si sentiva già male e irritato. Alcune persone gli chiesero perché fosse tornato, altre come stesse suo padre. Alcuni addirittura si erano permessi di parlare della tragedia dell’Arcadia, nominando Lisa ed Adele. Prese il vassoio con i muffin e le bibite del tavolo sette e si incamminò strisciando i piedi per terra verso la destinazione. Quasi buttò il vassoio sul tavolo, spaventando le studentesse. Il ragazzo alzò un sopracciglio con sguardo sottile, senza guardare nemmeno una delle ragazze negli occhi. Le tre studentesse lo guardarono con occhietti dolci mentre posava i piattini sul tavolo. Una delle tre gli sorrise e prese coraggio.

“Fì, sei tornato per sempre?”

Felix guardò la ragazza, che ebbe un brivido di paura appena incrociò lo sguardo con quello del cameriere. Deglutì spaventata, così come le altre, prendendo il suo piattino senza più fiatare. Il ragazzo era tornato anche se per poco tempo, ma sembrava tutt’altra persona. Prima sarebbe rimasto al gioco, avrebbe sorriso alla ragazza, gli avrebbe scombinato i capelli con giocosità per poi offrire qualche dolcetto.

Prese il blocchetto e si avvicinò al nuovo tavolo.

“Felix!” - canticchiò la ragazza.

Il cameriere alzò lo sguardo e notò Molly sorridergli. Deglutì per l’improvviso caldo che sentiva, muovendo il peso da una gamba all’altra. La ragazza si guardò in giro, un po’ sorpresa di tutta quella confusione.

“Cosa prendi?” - chiese inclinando la testa.

La castana guardò per un attimo il menù, soffiando poi sulla ciocca bionda.

“Non so, scegli tu. Hai gusti nettamente migliori dei miei.”

Molly lo guardò dal basso con un mezzo sorriso, e Felix si ritrovò a sbuffare a causa del cuore accelerato. Non capiva cosa gli fosse presso tutto d’un colpo. Che stesse per avere un infarto? Poco probabile, era molto giovane per un infarto, no?

“Fì, tutto okay? Sei diventato rosso.”

Si passò la mano un po’ sudata sulla guancia, alzando gli occhi al cielo.

“Fatti gli affari tuoi.”

Si allontano dal tavolo, scrivendo sul blocchetto.

 

Si massaggiò le gambe dolenti, con un sospiro di sollievo per aver da poco finito di sparecchiare l’ultimo tavolo. Fuori pioveva a dirotto, accompagnato dal suono dei tuoni che ogni volta facevano sussultare Bea dallo spavento. Sembrava che da un momento all’altro il cielo si sarebbe aperto in due. Non era la prima tempesta di quell’anno, ma teneva comunque in allerta tutti gli abitanti del vecchio quartiere. Ethan guardò fuori dalla vetrina, allontanandosi di un passo quando un fulmine illuminò tutto il cielo come se fosse giorno.

“Purtroppo mio padre è in riunione, stasera non verrà a prenderci.”

Felix alzò lo sguardo sulla cassiera, poco preoccupato dalla situazione. Aveva corso sotto piogge peggiori, sperando ogni volta che su quella barca di sopravvissuti ci fossero anche sua madre e sua sorella. Un ombrello color lilla passò a gran velocità, cercando di entrare nel locale senza notare la porta chiusa. Molly sbatté contro la porta di vetro del bar, cadendo sul marciapiede bagnato subito dopo. Starnutì rabbrividendo per il freddo, dandosi subito della stupida. Felix sgranò i suoi occhi sottili appena la riconobbe, e corse verso la porta d’entrata, precipitandosi fuori. Ethan e Bea rimasero a guardare da dentro un po’ stupiti. Il cameriere si inginocchiò di fronte a lei sotto l’ombrello che stringeva ancora tra le mani. Le diede uno schiaffo sulla testa, facendo arrabbiare la ragazza.

“E questo perché?!”

“Sei una scema, cosa ci fai qui con questa tempesta?”

“Sono venuta a prenderti no? Sapevo che non avessi l’ombrello o con chi tornare.”

Il ragazzo inclinò leggermente la testa, sentendo le stesse sensazioni di qualche ora prima. Perché il suo cuore aveva ripreso a battere forte? Perché aveva il respiro corto come se avesse appena finito una maratona. Sbuffò prendendole l’ombrello dalla mano.

“Muoviti ed entra dentro.”

Obbedì alzandosi per poi iniziare a sfregare le mani sul sedere dove c’era la macchia d’acqua. Felix sorrise scuotendo la testa. Entrò dentro seguita poco dopo dal ragazzo che chiuse l’ombrello. Gli diede un colpo leggero in testa anche con quello. Molly sbuffò dal naso, voltandosi.

“Hey! Smettila.”

Ethan fece un passo verso Bea, avvicinando il viso.

“Ma quei due?” - sussurrò con un cenno della testa.

La mora alzò le spalle con un piccolo sorriso, decidendo di non parlare. A lei, sembrava che per Felix, la ragazza imbranata fosse molto più importante di quanto lo desse a vedere. Dalla sua comparsa nel locale, il suo umore sembrava migliorato, senza spargere più sguardi omicidi ovunque. Quando Molly era intorno, sembrava un po’ il ragazzo che Bea aveva conosciuto, e ciò non poteva far altro che garbarle. Forse nessuno dei due si accorgeva dell'elettricità che si creava tra di loro ma andava comunque bene.

“L’ultima volta era stata la studentessa del tavolo dodici, ricordi?” - chiese sotto voce la mora, sorridendo al ricordo di quel Felix da poco diciannovenne e innamorato di una sconosciuta.

Da quando quel pomeriggio di primavera, che una ragazza dai lunghi capelli castani intrecciati e i libri pesanti era entrata lì sedendo sempre al solito tavolo davanti alla vetrata, Felix sembrava quasi perso e tra le nuvole. La guardava spesso sospirando, le offriva il caffè e le sorrideva quando ringraziava. Sembrava un bimbo alla prima cotta, ma non riusciva a chiederle nemmeno il nome per quanto si sentisse in imbarazzo. Alla fine, dopo quasi due mesi, non venne più e scoprì da Cloud che era una studentessa europea, arrivata lì grazie ai scambi interculturali. Mise il broncio per un mese, ma non disse nulla. Eppure Bea ed Ethan se ne erano accorti, così come in quel momento, quando Felix fece un mezzo sorriso di fronte al discorso senza senso di Molly sulle piogge. Non era semplice che qualcuno piacesse a un tipo come Felix. Doveva essere qualcuno di speciale, fuori dal comune, che avesse quel particolare che lui notava subito, ma gli altri no.

“Vedi? Si è fermata un po’. Possiamo andare adesso?” - chiese prendendogli la mano.

Il ragazzo arrossì di colpo, scostandosi per allontanarsi.

“No. Devo finire di pulire qui.”

Le parole quasi glaciali del ragazzo fecero inclinare la testa ai due colleghi. Non capivano perché il cambio repentino del ragazzo. Che la sindrome comprendesse la bipolarità? Non potevano saperlo, loro non ne sapevano quanto Molly o Ben.

“Ma-”

La ragazza si fermò quando vide lo sguardo che Felix le fece.

“Posso almeno aiutare?”

Ethan le sorrise tornando al bancone.

“Stai tranquilla, finiamo subito ora che c’è il broncione.”

Prese il ragazzo per le spalle, abbracciandolo stretto come una volta. Ma rispetto a prima, Felix non ricambiava facendo urlare Bea che fossero gay fino al midollo. Non se la ridevano insieme insultandosi a vicenda. Il ragazzo provò ad allontanarsi, spingendo l’amico dalle spalle. Tossì a causa della stretta del collega che gli mozzò il respiro, poi sbuffò.

“E se fosse per te, non finiremmo mai.”

Gli occhi del barista brillarono.

“Vedi quanto mi conosce?” - chiese voltandosi verso la castana che sorrise alla vista di quella scena.

Alla fine Bea chiuse a chiave la porta del locale un po’ con difficoltà dato che sotto l’ombrello lilla di Molly erano in cinque. Si girò verso gli altri quattro cercando di non bagnarsi troppo.

“Bene, chi accompagniamo per primo?”

“Sei seria?” - chiese l’altra un po’ scioccata.

Tutti guardarono la mora un po’ stanchi. Cloud sospirò.

“Provo a chiamare mio zio, forse rimediamo un passaggio nonostante l’ora.”

 

Uno starnuto fece sussultare Ben, ma quella volta non era Molly dato che se la stava ridendo. Felix tirò su con il naso, sentendo un gran mal di testa. Fece dei versi di dolore finché il padre non gli portò il the caldo. La ragazza scosse la testa, continuando a strofinare l’asciugamano tra i capelli umidi del raffreddato.

“Mi dispiace, non l’ho fatta apposta-”

Un tuonò seguì subito dopo, bloccando Molly dal discorso di scuse. Ben guardò fuori dalla finestra, sistemando la tenda subito dopo.

“Molly, puoi telefonare a tua madre e chiederle se puoi fermarti qui? Fuori la tempesta impedisce di uscire di casa.”

La ragazza annuì provando ad allontanarsi ma Felix le prese il braccio, tirandola al posto di prima.

“Usa il mio.” - rispose guardando per terra, tirando fuori il cellulare.

“Ma-”

Le soffiò sul viso, distraendola da quello che stava per dire. Balbettò sbloccando il cellulare. Quando vide lo sfondo non riuscì a non sorridere.

“Era il tuo diploma, vero? Eri molto carino.”

Forse era la prima volta che Molly vedeva Adele e Lisa in viso, anche se nella foto, ed erano davvero carine come il ragazzo le aveva descritte. Il sorriso della sorella sembrava davvero contagioso, contornato da quel biondo tinto e le ciocche arancioni. Gli occhi di Lisa erano molto grandi e belli, quasi fossero sorpresi della telecamera. Strinse in mano il telefono, componendo il numero di sua madre. Per la ragazza la situazione si stava trasformando in qualcosa di davvero imbarazzante dato che non sapeva che dire o fare.

“Pronto?” - rispose la signora Davis, sbadigliando subito dopo.

“Mamma, sono io. Ascolta, ti ho chiamato per avvisarti che stasera dormo fuori.”

“Eh?! Dove?”

La figlia arrossì alzando gli occhi al cielo.

“Da Felix” - sussurrò come se fosse qualcosa che non potesse dire.

Crystal sembrò pensarci su, anche perché di quel ragazzo poco e nulla sapeva. Sospirò poco convinta.

“Hai vent’anni figlia mia, puoi fare quello che vuoi. Basta che avvisi.”

Sorrise facendo un piccolo inchino nonostante la madre non la potesse vedere.

“Grazie mami. A domani.”

Restituì il cellulare al proprietario, rimanendo a sguardo basso. Era la prima volta che si sentiva così a disagio e fuori posto in quel modo. Si alzò di scatto, prendendosi anche l’asciugamano e allontanandosi dalla sala, mentre Felix rimase un po’ confuso dal suo allontanamento.

 

“Se hai bisogno, anche se lo sai, il bagno è sopra, prima porta. Spero dormirai bene.”

Molly sorrise portandosi la ciocca chiara dietro l’orecchio.

“Grazie signor Allen, non si preoccupi.”

Allungò le mani per distendersi e diede la buonanotte. Il pigiama di Adele le stava un po’ lungo, forse perché la ragazzina era più alta di Molly nonostante fosse più piccola d’età, ma le andava comunque bene ed il divano-letto era altrettanto morbido.

Eppure non riusciva a chiudere occhio; non capiva se fosse per il fatto che fosse in una casa che poco conosceva o l’abitudine di dormire nel suo letto scomodo. Si rigirò un paio di volte, poi allontanò le coperte per il caldo. Rimase a pancia all’aria per un po’, contando le pecore. Alla centoventitreesima sentì un rumore; ma a causa del buio non capiva da dove fosse. Si spaventò e rotolò fin sotto le coperte, mostrando di poco il viso; per un attimo pensò che fossero i ladri, anche se era davvero poco probabile vista la tranquillità del vecchio quartiere. Felix si fermò davanti al divano, alzando un sopracciglio appena vide il groviglio di coperte.

“Chi va là?” - chiese in un sussurrò la ragazza, stringendo la presa sulle morbide coperte.

Il castano fece qualche passo indietro, accendendo poi la luce della sala. L’impatto con essa fece mugolare Molly per il dolore agli occhi.

“Non riesco a dormire.”

Alzò le coperte appena riconobbe la sua voce e lo guardò con un occhio chiuso.

“Parliamo come tutte le sere?”

Felix annuì cercando di nascondere l’imbarazzo. Aveva sempre parlato con lei attraverso un cellulare, e per lui era risultato quasi più semplice. Si sedette sul divano-letto e aspettò qualche attimo. Molly arrossì, facendo una finta tosse.

“E’ casa tua, puoi stenderti se vuoi.”

“Mi è sempre piaciuto questo divano. - iniziò come se non avesse ascoltato il consiglio della ragazza. - L’ho rotto tre volte.”

Molly posò velocemente una mano sulla bocca per non ridere. Aveva capito perché scricchiolava così tanto nonostante sembrasse nuovo e mai usato. Per lei Felix aveva diverse sfumature, che pian piano le mostrava quasi senza farla apposta. Aveva visto il suo lato indifferente, quello arrabbiato, dispiaciuto, nostalgico, stanco, ansioso e quello bambino. Nulla di tutto quello l’aveva resa molto felice, erano sfumature piuttosto negative rispetto a come tutti raccontavano il vecchio Felix. Bea spesso le raccontava le giornate di lavoro prima di quella tragedia, e pareva quasi un universo parallelo. Lo aveva detto prima e lo avrebbe confermato, odiava la sindrome del pesce rosso e chiunque l’avrebbe odiata se avessero visto le conseguenze. Di cosa stava vivendo Felix se non rimorsi e pentimenti infondati?

“Ma l’ho fatto apposta solo la terza volta per evitare il test di chimica. Mio padre portava tutta la famiglia a Philadelphia per ripararlo dato che lì c’era un vecchio amico di scuola di cui si fidava. Tutte quelle ore di viaggio, i lamenti di Adele, i panini fatti dalla mamma. Gli ho vomitati quasi sempre; soffro molto i viaggi lunghi in macchina.”

“Io non ho mai fatto viaggi molto lunghi, i miei lavoravano molto.”

“Forse un giorno dovremmo farlo.”

“Mh?”

Felix si sdraiò accanto a lei, guardando il soffitto con disinteresse.

“Un viaggio. Un giorno potremmo farlo.”

“Oh, vedi, io e mia madre d’inverno lavoriamo molto. Per noi fare un viaggio è quasi impossibile, magari per te e tuo padre è più semplice, anche se-”

“Intendevo noi due Molly.”

  

 

 

____________________________________________________

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***






C a p i t o l o 
C i n q u e

 

 

Black Pearl

 

 

 

Sora tirò ancora, quasi soffocandosi per arrivare alla quercia del parco.  Molly lo seguì fermandosi appena il cane trovò la sua toilette, girandosi per dargli un po’ di intimità. Sentì lo sbuffò di Felix dal telefono.

“Sei morta di nuovo?”

“Hey, non è colpa mia, Sora ha da fare anche i suoi bisogni.”

“Ma che razza di lavoro ti sei scelta?!”

Il telefono della ragazza scivolò dalle dita finendo per sbattere sul marciapiede, creando una crepa leggera sullo schermo touch.

“Oh. - si lamentò la ragazza riprendendo l’oggetto in mano per controllarlo. - Ci sei ancora Fì?”

“Cristo, cos’era quel rumore?” - domandò pulendo il bancone del bar.

“Mi è caduto il telefono. - Il piccolo yorkshire si allontanò dall’albero iniziando a camminare lungo il viale più affollato del solito. - Comunque, com’è andata ieri al gruppo?”

Il ragazzo alzò le spalle posando la pezza accanto al lavandino, guardando Ethan provare a toccarsi il naso con la lingua.

“Poteva andare meglio. - Si allontanò verso la porta della cucina, mettendo una mano sopra il cellulare per non farsi sentire. - Ma Hanna è stramba.”

Chris aprì la porta verso la sala per portare i nuovi cornetti, senza rendersi conto della presenza del collega dietro la porta. Molly sentì solo un tonfo prima che la chiamata fosse interrotta. Guardò il telefono non capendo cosa fosse successo e Sora non aiutava dato che stava tirando fin troppo il guinzaglio per la forza della ragazza.

Molly Davis adorava gli animali, a parte i pesci rossi e i ragni. Rabbrividì al ricordo del primo incontro con quell’essere dagli otto piedini. Il lavoro da dogsitter lo aveva trovato quasi per fortunata, dopo che per più di quattro mesi aveva cercato uno qualsiasi. Trovare lavoro al vecchio quartiere era difficile soprattutto se eri ancora una ventenne, ma quando la signora Cloud appese al muro degli annunci una richiesta di dogsitter, Molly fu la prima ( e l’unica ) a rispondere. La paga era misera, Sora e gli altri cani spesso avevano più forza di lei nonostante fossero piccoli ma lo trovava rilassante. Certo, sarebbe stato sempre più difficile stare con Felix dato i sempre più caricati impegni. Molly tra due giorni avrebbe finito il suo penultimo anno d’università, Felix aveva accettato il contratto indeterminato al Bubble Bar, lei studiava e lavorava, lui andava al gruppo di sostegno. Contando tutto, si rese conto che l’unico momento certo in cui si sarebbero visti sarebbe stato il mercoledì mattina. Per lei era diventato un momento importante di un luogo importante. La prima volta si erano incontrati così – okay, forse senza che Felix lo volesse poi così tanto – e pian piano era diventato un qualcosa simile ad un rituale. Era una cosa molto importante per lei, la legava molto al ragazzo. Strinse la sfera di Adele che aveva nella tasca sinistra, immaginando il giorno in cui tutto sarebbe finito. La sua amicizia con il sindrome del pesce rosso non sarebbe finita, no? Deglutì, guardando Sora fissare una cagnolina da loro poco distanti. Sospirò prendendo il cagnolino in braccio, iniziando a camminare verso la casa della signora Cloud.

Quella sera tornò al Bubble Bar, aspettando che chiudessero per passare un po’ di tempo con l’amico. Non riusciva a capire perché sentisse il bisogno di passare più tempo possibile con lui, ma gli andava bene, perché stargli accanto la faceva sentire meglio.

“Ho pensato ad una cosa.”

Felix si voltò verso di lei per un attimo, tornando con lo sguardo sulla strada verso la casa di Molly.

“Mh.” - disse per mostrarsi interessato.

“Che da adesso abbiamo pochissimo tempo da passare assieme. Lunedì ho le ultime lezioni, non sarò più in grado di visitarti di mattina al bar, e poi avrò gli esami.”

Il ragazzo sentì un strano senso di tristezza, venendo investito da un colpo al cuore quasi doloroso. Sospirò, allontanandosi di un passo da Molly. Quasi non ne poteva più di quelle sensazioni.

“Ci rimane il mercoledì mattina, e quelle volte che vorrà la fortuna.”

Alzò le spalle quasi indifferente, anche se avrebbe voluto dire che gli dispiaceva. Ma perché se non trovava una risposta? Iniziò a sentire un leggero mal di testa a causa delle pressioni che si creava da solo.

Hanna si morse le unghie, aspettando davanti al vecchio ospedale che arrivasse Felix. Quando lo vide in lontananza sorrise, portando le mani dietro la schiena dopo che si sistemò i capelli. Inizialmente trovava il ragazza strano, antipatico e facilmente irascibile; ma ogni volta il suo pensiero cambiava. Soprattutto dopo l’incontro al Bubble Bar, per lei era così carino con quel grembiule da cameriere. Al pensiero arrossì, nascondendo il viso dietro le mani. Non era possibile che Felix le piacesse; perché dovrebbe? Non era il genere che lei cercava o che le era sempre piaciuto. Scosse la testa convinta.

“Giusto, a me quello lì non piace.”

Subito dopo quella frase singhiozzò, strabuzzando gli occhi.

“Okay, forse un pochino.”

Un altro singhiozzo la fece confondere, sbattendo il piede per terra.

“Mi piace Felix?”

“Eh?” - chiese il ragazzo, inclinando la testa.

Hanna alzò lo sguardo sul viso corrucciato del castano, andando in confusione. Fece un sorriso tirato, arrossendo più di prima.

“Nulla, mi chiedevo se ti piacesse lavorare al Bubble Bar. Sembra un bel posto.”

Singhiozzò nuovamente. Sunggyu alzò le sopracciglia sorpreso.

“Era la prima volta che ci venivi?”

La bionda annuì, seguendolo verso l’interno dell’edificio.

“Sì. Abito al vecchio quartiere da solo un anno, e mia madre non mi lascia andare in giro senza qualcuno che conosca il posto. Ma non riesco a fare amicizia, perciò resto a casa.”

Fece una smorfia, entrando nella solita sala quasi cadente. Ogni volta, i primi che entravano lì dentro, sentivano una puzza di chiuso quasi asfissiante, costringendoli ad aprire subito le finestre.

“Odio questo, ogni volta che ci entro ho la sensazione che il tetto mi cadrà addosso.” - confessò la ragazza, spolverando la sedia sulla quale di solito sedeva.

Il castano le diede ragione, annuendo.

“Alcune volte non seguo più il professor Park per guardare se le crepe sono ancora le stesse.”

Hanna rise.

“Anche io qualche volta lo faccio.”

Fu la prima cosa che trovarono in comune, oltre ai Mikado.

Felix inserì le monete, selezionando l’ultimo pacchetto di Mikado della macchinetta.

Non è giusto!”

Sussultò sbattendo la mano contro il vetro della macchinetta, girandosi pochi secondi dopo. Hanna lo guardò con disappunto, stringendo nella mano sinistra i pochi spiccioli che aveva.

Volevo prenderli io, sono i miei preferiti.”

Il ragazzo sospirò, prendendo il pacchetto ed aprendolo. Le indicò la scatoletta e Hanna, non molto convinta, ne prese uno. Sorrise ringraziandolo, nonostante gli avesse “rubato” il pacchetto.

Parlando del più e del meno scoprirono diverse cose in comune o stessi punti di vista. Nessuno dei due era religioso, ma credevano in Dio, odiavano le giornate di temporale e trovavano le orchidee i fiori più belli mai visti. Felix quasi ne rimase sconvolto, non pareva così sciolto con tutti. Nemmeno con Molly si era mai aperto in quella maniera.

“Tu… come mai sei affetto da quella sindrome?”

Hanna sapeva che chiedergli quel tipo di cose era doloroso o azzardato, lei stessa non avrebbe risposto se qualcuno le avesse chiesto perché fosse affetta da quella sindrome. Nemmeno lei lo sapeva, ci era nata e nessuno della sua famiglia ne era affetta o aveva qualche collegamento.

“Ho subìto un trauma due anni fa.” - rispose, tenendo lo sguardo su una delle crepe del muro. La bionda non riuscì a chiedere null’altro perché Will aprì la porta sbadigliando, entrando dentro quasi strisciando i piedi. Si sedette accanto a Felix e alzò la testa al soffitto chiudendo gli occhi per qualche secondo, sussultando subito dopo.

“Buongiorno.” - disse qualche minuto dopo, rompendo il silenzio.
 

Felix scese le scale del vecchio ospedale assieme a L e Hanna. Lo stomaco di quest’ultima borbottò, attirando l’attenzione dei due ragazzi. Arrossì imbarazzata per quel suono.

“Scusate, non ho né pranzato né fatto colazione.”

“Devo fare il turno al bar tra non molto, vieni con me?”

La proposta del castano le fece battere il cuore e annuì con troppa foga. Si grattò la testa poco dopo, abbassando lo sguardo sulle scarpe.

Insieme salutarono Leo e Will, dirigendosi verso il Bubble Bar. Nel frattempo, Molly aveva appena finito i corsi mattutini e aspettava Loreen all’uscita, giocando sul cellulare. Appena perse tutte le vite sbuffò, rimettendolo dentro la borsa della scuola. L’amica alzò il braccio in aria, sventolandolo per farsi vedere; la castana sorrise e si avvicinò.

“Hey Lore, perché così tardi?”

“Il prof di filosofia ci ha lasciato un saggio di prova. Per questo ho ritardato, ci ha dato degli appunti.”

“Che?! Di già? Ma siete all’ultima settimana! Il signor Kim dovrebbe calmarsi, è così da quando la moglie l’ha lasciato.”

La mora sorrise al ricordo dell’anno scorso, iniziando a incamminarsi assieme a lei verso il Bubble Bar.

“Prendiamo qualcosa da portare via e andiamo a casa mia? I corsi pomeridiani iniziano verso le quattro.”

La castana alzò il pollice con un sorriso, sistemandosi la tracolla sulla spalla sinistra. Per lei era stata una giornata più facile e leggera rispetto all’amica. Fu per quello che quando videro il locale dalle vetrate, notarono quanto fosse affollato e Loreen sospirò per la stanchezza.

“Entri tu e prendi qualcosa?”

“Ovvio, aspettami qui.”

Il campanello non attirava più l’attenzione dei camerieri come al solito, quel venerdì era davvero molto affollato. Bea toccava i tasti della cassiera con una velocità quasi assurda e incredibile che non stesse sbagliando i calcoli mentre Ethan maneggiava la macchinetta del caffè e del the, spostando in continuazione tazzine dalla macchina al bancone. Per Molly era la prima volta che vedeva il posto così pieno e in lavoro. Cercò con lo sguardo Felix, ma forse a causa delle persone non riusciva a vederlo bene, l’ultima volta che si erano visti era il giorno prima che iniziasse la scuola, quando erano andati al porto per liberare l’ennesimo pesce rosso in mare.

Molly mostrò la sfera che Felix le aveva dato, sorridendo appena i raggi del sole colpirono il vetro di quella piccola palla. Anche il ragazzo sorrise inclinando la testa, tenendo lo sguardo sul profilo della castana.

Felì...”

Dimmi.” - sussurrò socchiudendo gli occhi.

Il porto del Road Sixty-six creava nel ragazzo sensazioni contrastanti, soprattutto perché in quel momento accanto a sé sedeva Molly, con il sorriso sulle labbra mentre il vento giocava con i suoi lunghi capelli. Pensandoci, Felix non le aveva mai toccato i capelli, ma quando l’aveva abbracciata aveva capito che fossero molto morbidi al tatto. Ebbe l’impulso di toccarli, ma scosse la testa e si girò dall’altra parte, fissando il mare. La ragazza pensò si fosse offeso a causa del ricordo di Adele, e dandosi della stupida rimise la sfera nella tasca, lasciando che il silenzio gli avvolgesse.

Era così il tempo che passavano al porto: Felix non voleva parlare per paura di dire troppo e superare i suoi limiti; dall’altro canto Molly non sapeva che dire senza farlo sentire a disagio. Quelle situazioni diventavano le più imbarazzanti tra i due. Alla fine si fece coraggio e si alzò. Si piegò leggermente verso il ragazzo, finché i suoi capelli color nocciola non entrarono nella visuale dell’amico.

Felì, potrà essere questo il nostro posto?”

Il ragazzo alzò di poco la testa, guardandola con un sopracciglio alzato.

In che senso?”

Non ci veniamo ogni mercoledì? Perché questo non potrebbe essere il nostro posto e di nessun altro? Io non ci porterò nessuno oltre te, e tu nessuno oltre me; che ne dici?”

La ragazza alzò la mano mostrandogli il mignolo. Felix fece un semi sorriso, accettando l’offerta. Prima di allora aveva trovato quel posto quasi deprimente e pieno di ricordi sbagliati, ma da quando Molly lo accompagnava sembrava tutto più semplice. Era strano come tutte le cose e i luoghi che gli ricordavano la sua famiglia fossero tornati di nuovo a farlo sorridere grazie a quella ragazza stramba. In quasi tutti i luoghi che aveva passato con Adele, lasciandoli un vuoto, l’aveva colmato con un ricordo di Molly che lo faceva sorridere. Come il Bubble Bar, o addirittura casa sua.

Ben aveva iniziato a vedere il figlio più socievole. Quando entrava in casa, anche se con un po’ di difficoltà lo salutava. Qualche volta addirittura, poteva giurare di averlo visto sorridere. E lui ne era più che contento, perché quel spiraglio di speranza che aveva visto all’inizio si era trasformato in una porta spalancata.
 

Fece la fila per la cassa e aspettò il suo turno, sentendo lo stomaco brontolare diverse volte quasi da far male. Non ne voleva affatto approfittare, ma se avesse visto Felix e glielo avesse chiesto, l’avrebbe aiutata a passare la fila? L’ennesima fitta di fame la distrasse dai suoi pensieri. Quando fu il suo turno mise una mano sul bancone con viso un po’ sofferente. Bea le chiese se fosse tutto okay. L’amica scosse la mano per non farla preoccupare.

“Ho solo molta fame. Due confezioni di latte alle fragole, e due fette di torta ai frutti di bosco e yogurt da portare via.”

Sospirò di sollievo quando Bea le diede lo scontrino e pagò, aspettando al bancone il suo ordine mentre Felix a pochi metri da lei aveva appena posato il vassoio con l’ordine di Hanna. Fu allora che lo vide dato che era in piedi e la sua capigliatura disordinata ormai era facilmente riconoscibile per lei. E vide anche Hanna seduta ad uno dei tavoli del locale, da sola, a guardare il cameriere con sguardo pieno di riconoscimento e dolcezza. Molly capì quello sguardo al volo, perché era lo stesso che lei aveva quando lo guardava. Sentì uno strano tic al piede, come se volesse correre da loro per separarli prima che la situazione diventasse troppo, eppure sapeva che non poteva. Il perché non se lo spiegava, ma rimase poggiata al bancone, stringendo il marmo tra le sue dita sottili.

La bionda sorrise ancor di più, aggrappandosi al braccio di Felix. Il ragazzo ne rimase indifferente, sistemando con l’altra mano i piattini sul tavolo.

“Ah, ho avuto una idea. - disse senza lasciare il braccio del ragazzo, nonostante dovesse andare a servire altri tavoli. - Pensavo che magari un giorno potremmo fare una passeggiata fino al porto Fì! Non l’ho mai visto ma amo il mare.”

Molly non riusciva a capire quello che si dicevano a causa della confusione ma le bastavano gli sguardi e i sorrisi che Hanna rivolgeva a Felix stringendoli il braccio come se fosse un’ancora di salvezza, e il suo consenso senza nemmeno uno sguardo irritato o una mossa di distacco come di solito faceva con lei.

Felix annuì pensando altrove, dimenticandosi per un attimo la promessa con l’amica a causa della fretta che aveva. La bionda si accorse di Molly subito dopo, quando provò a scostare una ciocca bionda dal viso. Fu allora che la castana si chiese cosa avesse lei in più. Hanna aveva sì un viso più furbo e a parere di Molly i suoi occhi assomigliavano a quelli di un felino. Non la conosceva di carattere ma se Felix la trattava in quella maniera, doveva essere importante. Sentì una stretta al cuore.

“Hey Davis!” - esclamò la ragazza, alzando la mano per farsi vedere.

Il cameriere sussultò leggermente a quel nome e si voltò, notando lo strano sguardo ferito di Molly. La ragazza sembrò risvegliarsi dai suoi pensieri e si avvicinò sorridendo, eppure Felix notò quanto fosse finto. Fece un saluto con la mano.

“Come va?” - chiese stringendo i denti.

Hanna sorrise senza staccarsi dal braccio del cameriere. Quel gesto snervò ulteriormente la ragazza, e sapeva che mai l’aveva irritata quel tipo di gesti affettivi. Lei ci aveva messo giorni e giorni per potergli soltanto parlare senza che la trattasse male o allontanare, rispetto a Hanna. Era sempre più convinta che lei fosse migliore, ci aveva messo così poco per diventare amica di Felix. Sospirò, troppo immersa nei suoi pensieri per sentire la risposta alla domanda fatta prima.

“Va tutto benissimo! Fì mi porterà al porto.”

Molly deglutì, tenendo lo sguardo sul tavolo mentre dentro di sé dimostrava tutto il suo disappunto. Avrebbe voluto urlare tutte le male parole che conosceva contro quei due; perché Hanna le stava portando via qualcuno a cui teneva molto, e quel qualcuno aveva da poco spezzato la loro promessa. Ma forse per lei, tutto era molto più importante di quanto lo era per lui. Fino ad allora le era andata bene così, amava dare amore più che riceverne no? Perché allora si sentiva ferita dal fatto che per Felix nulla che era importante per lei lo era per lui? Le sarebbe piaciuto abbracciarlo con la disinvoltura che lo faceva Hanna in quel momento, senza che venisse respinta. Il ragazzo si morse il labbro, apprendo la bocca per parlare, però fu bloccato dalla velocità della delusione della castana.

“Ah, bene. Divertitevi, io devo andare a studiare.”

Il cameriere abbassò lo sguardo, insultandosi a bassa voce. Perché non aveva reagito? Perché non stava correndo per fermarla e spiegarle cosa era veramente successo? Non era colpa sua se non riusciva a capire perché provasse quelle sensazioni con lei. Non le piacevano. Perché sentiva caldo, perché il cuore batteva così forte anche se era a dieci metri di distanza? Perché ogni sera si ritrovava a pensarla? Per lui erano solo punti negativi, perciò perché non allontanarsene? Scosse la testa, troppe domande lo stavano confondendo. Solo con Molly erano capitate, e per quello era certo che fosse colpa sua. Ma quelle situazioni così complicate solo lui avrebbe potuto risolverle; lei era quasi certa di ciò che provava, ma Felix? Corrucciò la fronte pensandoci. Cos'era per lui Molly? Fin dal primo momento non l'aveva vista come un'amica, e su quel fatto poteva giurarci Adelisa nonostante fosse in mare - o morto? Dal primo momento, quando aveva alzato gli occhi su quel balcone e ne aveva parlato con suo padre, l'aveva vista come una ragazza pazza ma bella. Poteva essere amico di un quel genere?

“Felix! Che stai facendo?” - chiese Ethan.

Il cameriere si staccò dalla stretta della bionda, posando il vassoio sotto braccia. Alzò il pollice in sù verso il barista, andando al tavolo che aspettava di ordinare.
 

Se qualcuno avesse mai detto a Molly che per quasi due mesi aveva infastidito Felix, ne sarebbe rimasta molto ferita. E sapeva che se lo avesse chiesto lei, da masochista che stava diventando, Felix non le avrebbe mai risposto. Sbatté la testa contro la scrivania, lamentandosi per il dolore subito dopo. Poi ebbe una idea, forse un po’ troppo azzardata, ma si alzò dalla sedia e prese lo zaino di scuola, svuotando tutto il contenuto sul letto. Prese dall’armadio qualche maglietta e un paio di jeans, lanciandoli dentro lo zaino. Sotto il letto teneva ancora il salvadanaio di quando era piccola, e per fortuna c’erano ancora dei soldi. Indossò la giacca, senza prendere nemmeno le chiavi. Altro errore che fece fu lasciare il cellulare sul letto.

Quel mercoledì mattina faceva più freddo, segno che il tempo stava già cambiando. Un po’ le stava mancando l’estate e quel sole caldo. Quella mattina, differente dagli altri mercoledì, non aveva lezioni ed era decisa a sorprendere Felix. Eppure lui l’aveva sorpresa ancora di più; ma non nel modo positivo in cui stava cercando di abituarsi. Il pesciolino rosso finì in mare con un suono sordo a causa dell’altezza da cui il ragazzo lo aveva liberato. Hanna guardò il pesciolino con occhi un po’ tristi. Perché aveva buttato un così bello pesce rosso in quel mare agitato e freddo? Rabbrividì stringendosi nella giacchetta viola. Quello che fece anche Molly quando la vide.

Avevi promesso… che sarebbe stato il nostro posto.”

Fece un sorriso amaro, scuotendo la testa. Aveva pensato che Felix non lo avrebbe fatto, o se sì, mai di mercoledì. Si schiaffeggiò la fronte con forza per non piangere.

“Stupida, stupida, stupida.” - ripeté colpendosi sempre più forte.

Felix attirato dal suono si voltò, riconoscendo il viso di Molly nonostante fosse per metà coperto da una sciarpa. La ragazza strizzò gli occhi per farsi forza e prese la sfera di Adele che aveva nella tasca e che sempre si portava dietro, avvicinandosi a passi veloci verso i due. Il castano si sarebbe aspettato di tutto, lei aveva carattere, ma quando prese con forza la mano di Hanna e ci buttò dentro la palla di natale che Felix le aveva regalato, sgranò gli occhi. La finta neve si mosse intorno alla cassetta di legno, lasciando Hanna senza parole per la sua bellezza.

“Ne ha più bisogno tu di me.” - sussurrò poco convinta, allontanandosi di qualche passo.

“Molly...”

La ragazza mise una mano tra di loro, scuotendola prima di girarsi e andarsene. Aveva sempre detto di essere forte, ma forse perché non era mai arrivata ad una situazione del genere. La morte di suo padre l’aveva resa forte su certi punti, ma Felix le procurava altre debolezze. Lui stesso lo era per lei. Molly per lui era una persona irritante, se ne era resa conto troppo tardi e si dispiaceva.

Camminò velocemente verso la stazione. Nessuno a parte quell’assassino l’aveva messa in ginocchio in quel modo, e aveva pensato che non l’avrebbe permesso più a nessuno; eppure da quel giorno quando aveva urlato contro Felix dal balcone, l’aveva fatta piangere tantissime volte. Anche suo padre la faceva piangere molte volte. Quella situazione però, non riguardava più quanto fosse forte per non piangere o meno. Aveva capito com’era sentirsi tradita; i suoi amici non l’avevano mai fatto.

Al bancone la signora chiese la carta d’identità.

“Fino a Philadelphia, trecentoquarantuno chilometri, una fermata sola.”

Molly annuì prendendo il biglietto e lo scontrino, sedendosi su una delle panchine poste al muro davanti alla ferrovia. Lesse il biglietto per distrarsi, notando che ci avrebbe messo quasi quattro ore. Sospirò, cercando il cellulare per controllare l’orario. Sgranò gli occhi, iniziando a guardare in tutte le tasche che aveva, comprese quelle dello zaino. Sbatté la mano sulla fronte, ricordandosi di averlo lasciato sicuramente sul letto quando aveva svuotato lo zaino di scuola.

“Oh, e ora che faccio? Mia madre nemmeno lo sa.”

Fu tentata di usare il telefono pubblico ma la stazione annunciò l’arrivo del suo treno e sospirò, posizionandosi dietro la linea gialla. Avrebbe usato un telefono quando sarebbe arrivata. Il treno si fermò con un suono stridulo, facendo allontanare la ragazza di qualche passo.

Ma non era di certo colpa sua se la sua memoria aveva immagazzinato quella promemoria tra le cose meno importanti.

Alle sei del pomeriggio la signora Davis stava ancora seduta nel soggiorno, ad aspettare sua figlia. Sapeva che Molly era solita tornare verso le sei dato che passeggiava con Loreen sulla via lunga. Era sicura che aveva solo avuto un piccolo contrattempo, le avrebbe telefonata sennò. Lo faceva sempre, Crystal sapeva che non doveva preoccuparsi. Prese un respiro profondo e aspettò ancora, finché la noia non la fece addormentare.

Quando si svegliò, tutto sembrava come l’aveva lasciato. Un po’ stordita si alzò dal divano e controllò il piano, poi fece le scale e si decise ad entrare in camera della figlia, trovandola come quella mattina, i libri buttati sul letto e l’armadio aperto. Si avviò in camera sua e prese il telefono, cercando il numero per chiamarla. Dopo pochi squilli sentì un suono famigliare, e tornando in camera della figlia allontanò qualche quaderno trovando il cellulare.

Sgranò gli occhi ed iniziò a preoccuparsi maggiormente. Molly aveva dimenticato poche volte il telefono a casa, e quelle poche volte aveva chiamato con il telefono di qualcun altro o era tornata subito indietro. Deglutì, pronta a chiamare la polizia, poi scosse la testa. Erano passate solo delle ore, non avrebbe potuto fare la denuncia prima di un giorno dalla scomparsa. Inspirò per calmarsi, pensando a cosa fare, poi cercò nel telefono della ragazza il numero di Loreen.

“Pronto?” - rispose una voce assonata, posando il gomito sul cuscino.

“Loreen, sono la mamma di Molly.”

“Mh. È successo qualcosa?”

“Molly è sparita.”

 

 

__________________________________________

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Capitolo 6 ***







C a p i t o l o
S e i

 

 

Forever Young

 

 

 

“Eh?” - chiese aprendo gli occhi di scatto, come se le avessero buttato un secchio d’acqua ghiacciata addosso.

“Ne sai qualcosa? L’ho aspettata tutto il pomeriggio, sono le due del mattino e non è casa. Non ha nemmeno avvisato. Pensi di sapere dove possa essere?”

Loreen si alzò dal letto iniziando a togliersi il pigiama con una mano per cambiarsi.

“No signora Davis. Oggi non aveva lezioni perché il signor Clark era in una riunione quindi non l’ho vista. Chieda a Felix, si saranno visti al porto perché oggi era mercoledì. Io arrivo subito.”

Crystal annuì chiudendo la telefonata e cercando anche il numero del ragazzo.

Felix quella sera non si era ancora addormentato, aspettando una telefonata di Molly. Sapeva che se volesse, gli bastava premere la cornetta per chiamarla, ma si sentiva nel torto e non avrebbe saputo che dire. Si sentì un po’ fifone. Ammetteva la colpa, era stato un cretino e non sapeva cosa gli fosse preso. Il “tradimento” aveva ferito Molly, e il suo sguardo triste aveva ferito Felix. Sentiva i sensi di colpa mordergli il cuore, e quella sensazione non gli piaceva per nulla. Continuò a fissare il telefono, posato poco lontano da lui sul letto, mentre stava disteso su un fianco con le mani lungo il materasso. Quando il telefono si illuminò, mostrando sullo schermo la foto di Molly che gli aveva scattato al bar tempo fa senza che lei lo sapesse, quasi smise di respirare. Afferrò il cellulare e si mise seduto.

“Pronto?” - chiese con il fiatone.

“Sono sua madre. - Si bloccò per un attimo e corrucciò la fronte, non capendo perché la madre avesse il suo telefono. - Ti volevo chiedere se avessi visto mia figlia.”

“P-perché?”

“E’ sparita, da stamattina.”

Il ragazzo spalancò la bocca, avendo la stessa reazione di Loreen poco prima. Sarebbe stato più strano non rimanerne sorpresi, perché Molly era il tipo di ragazza che avvisava sempre raccontando tutto per non far preoccupare nessuno di se stessa. Il suo senso di colpa aumentò, facendolo sentire quasi male. Era come se fosse tornato indietro nel tempo, in quel periodo in cui cercava disperatamente sua madre e sua sorella, finendo con un sapore di amaro in gola. Sarebbe finito così anche per Molly? Sarebbe stata colpa sua, così come per sua madre. Sapeva di essere un fallimento in tutto, e aveva sbagliato di nuovo. Si alzò dal letto in fretta, dicendo che sarebbe presto arrivato da lei.



Loreen si inginocchiò per terra, controllando sotto il letto.

“Bingo.”

Tirò fuori il salvadanaio, scuotendolo varie volte. Crystal sospirò sconsolata.

“Quindi è scappata? Mia figlia è scappata di casa?!”

La ragazza provò a dire qualcosa per rassicurare la donna, ma Felix la precedete.

“Non ne è il tipo, si sarà addormentata da qualche parte. La troveremo. Qualcuno l’avrà vista.”

La signora Davis annuì per darsi qualche speranza. Molly non aveva motivo di scappare di casa senza lasciar nessun indizio; tra di loro i litigi erano più rari dei dolci alla frutta in casa dato che la signora non sapeva cucinarli bene. Tra di loro c’era affetto, erano unite, perché avrebbe dovuto lasciare tutto così, con qualche soldo e vestito. Il ragazzo sbatté il piede con forza per terra, allontanandosi da quella camera. Uscì di casa quasi correndo e prese con foga il cellulare dalla tasca, facendolo quasi cadere a causa delle mani tremanti. Compose il numero di Bea mentre correva verso il porto.

“Bea! Vai da Ethan e sveglialo. Vi raggiungo subito.”

“Eh?” - chiese la ragazza alzandosi dal divano su cui si era addormentata.

“Sono al Road sixty-six ma qui non c’è. Fai presto.”

Bea si alzò un po’ stordita, tenendo il telefono sulla spalla mentre apriva la porta d’entrata per andare da quella di fronte alla sua. Batté il pugno così forte che Felix lo sentì nettamente. Ethan aveva il sonno molto profondo, ed odiava essere svegliato senza validi motivi; ecco per cui trovava orrendo abitare nello stesso condominio della collega. Lei lo svegliava quasi sempre in piena notte per cose banali.
 

Ethannie! Penso di aver visto un UFO!”
 


Hai del zucchero? Ho dimenticato di comprarlo.”

Ma ti serve proprio ora?”

No. Che domande fai?”



Ethan...”

Mh.”

La ragazza si morse il labbro, schiaffeggiandosi subito dopo la fronte.

Ai! Ho dimenticato quello che dovevo chiederti. Fa niente. Buona notte.”

La ragazza sorrise ma il moro gli chiuse la porta in faccia.

Mi trasferirò un giorno.” - sussurrò tornando in camera.



“Aspetta Felix, ma che succede?”

Il ragazzo aprì la porta pronto a cacciare la vicina una volta per tutte, ma appena sentì il nome del collega si bloccò. Bea mise il viva voce.

“Io… io…”

Felix si fermò un attimo per riprendere aria, poggiando il braccio ad una staccionata che lo divideva dal parco giochi dell’asilo.

“Non volevo, e non torna! Non pensavo si sarebbe sentita così e avrebbe fatto la stupida. La signora Davis è preoccupata ed è tutta colpa mia.”

“Chi? Felix non ti capisco. Di cosa parli?”

Sentirono dei rumori sulle scale e poco dopo Felix si fermò davanti a loro per riprendere aria di nuovo. Chiuse la telefonata, mentre i due amici lo guardavano quasi terrorizzati. Era la prima volta che sentivano e vedevano Felix così preoccupato. Quand’era stata l’ultima volta? Dopo l’affondo dell’Arcadia. Bea gli si avvicinò e gli accarezzò la schiena per confortarlo, qualsiasi cosa fosse successa. Ethan si avvicinò sbadigliando.

“Che è successo?”

Deglutì sedendosi subito dopo per terra.

“Molly è scomparsa.”

Dopo quella frase, Felix sentì come se la palla di neve che aveva nella tasca del giubbotto pesasse ancor di più. Fece una smorfia pettinandosi i capelli peggio di prima. I due colleghi rimasero senza parole, con lo sguardo fisso sul pavimento in piastrelle nere.

“Andiamo a cercarla, mh?”

E mentre da un lato il castano si stava commiserando per i sbagli fatti, dall’altra parte Molly sbatteva il polso contro l’ennesimo telefono pubblico.

“Ah, perché a me?”

Nessuna delle cabine di Ansan accettava la sua carta essendo della provincia di Georgia e non Pennsylvania, perciò con numeri di identificazione diversi per poter accedere. Alla fine ci rinunciò, anche perché si era fatto troppo tardi. L’indomani avrebbe chiesto come fare. Rientrò nella pensione e salutò la signora alla reception. Di certo, il posto che aveva scelto non era un hotel o qualcosa di comodo, ma per il tempo che doveva spenderci e i soldi che aveva, andava benissimo. In più i proprietari erano davvero gentili e le avevano offerto la cena per quella sera. Molly stava bene, e per un attimo si era anche dimenticata perché fosse triste, ma quelli a Savannah non potevano saperlo. Per quello la notte non riuscì a dormire quasi per niente, pensando a quanto sua madre potesse essere preoccupata. Non era da lei andarsene senza avvisare, ma aveva pensato di avere il cellulare con sé. La prima cosa che avrebbe fatto l’indomani sarebbe stata telefonare.


Ben finì il proprio the, posandolo sul tavolino del soggiorno, Crystal invece strinse la tazza in mano nonostante fosse vuota.

“Vedrà signora Davis, Molly sarà solo andata fino a Charleston ora che c’è la fiera della scienza.”

“Senza avvisi o cellulare?”

L’uomo abbassò lo sguardo, sospirando sconfortato.

“Tornerà, è una ragazza sveglia e tranquilla.”

"Io lo spero signor Allen. Molly è l'unica cosa che mi è rimasta.”

In quel momento Ben ebbe l'impressione di guardarsi allo specchio. Ogni volta che Felix scappava, il padre aveva quella paura di non rivederlo mai più, che quella cena la sera o il saluto quella mattina fosse l'ultimo senza saperlo. Ma se da un lato ci si stava abituando nonostante fosse già passato molto tempo, per Crystal era una cosa nuova. Sua figlia, anche se un po' pazza e strana, era sempre stata obbediente e serena. Le aveva sempre chiesto permessi su quasi tutto, ascoltava i suoi consigli, e dalla morte del padre era diventata più matura e comprensiva, di certo non avrebbe fatto pazzie del genere. Nel frattempo gli amici cercavano ovunque, spingendosi anche fuori dalla città. All’università nessuno aveva visto Molly dall’altro ieri dopo le lezioni, e rimasero un po’ sorpresi nel sentire la sua scomparsa, ma promisero di riferire aggiornamenti, così Loreen si era spostata verso il nuovo quartiere, ma non c’erano ancora risultati positivi. Bea aveva chiesto al padre di chiudere il bar per un giorno dati gli impegni e stava da poco mangiando per riposarsi. Accanto a lei il barista mangiava i spaghetti, facendo schizzare il sugo ovunque, dando anche qualche occhiata in giro in caso vedesse qualcosa di riconoscibile.

“Bah, il cibo del FlyEat fa schifo.” - si lamentò la ragazza, posando la forchetta nel piatto.

Felix muoveva il piede quasi in modo isterico, aspettando che gli amici finissero di mangiare per continuare a cercare.

“Sicuro non vuoi nulla? Non hai toccato cibo da ieri.”

Scosse la testa, restando a fissare fuori dalla vetrina del ristorante.

“Dai Fì, non può essere successa una cosa peggiore. Sicuramente Molly sta benissimo e si è dimenticata di avvisare. Non pensarci troppo, si va avanti se tutto va bene.” - confessò il moro, guardandolo come se si aspettasse una sua reazione negativa.

“Tu andresti avanti se “la cosa peggiore” è già capitata una volta?”

“Quanto è importante per te?” - chiese di colpo la cassiera.

Felix diventò più pallido, sentendo il cuore accelerare.

“Pf, che cosa c’entra questo ora?”

“Sei più preoccupato, o almeno a me sembra così, di sua madre.”

Ethan annuì con la bocca piena, facendo schizzare qualche goccia. Bea fece una smorfia di disgusto dandogli una schiaffo tra i capelli. Il castano mise una mano sul proprio collo, inclinando la testa da un lato.

“Non è vero! Non sono preoccupato più di sua madre.”

“Smettila di negare, sia io che Ethan abbia notato come ti comporti in sua presenza. - Felix alzò un sopracciglio un po’ irritato, ma non fermò la ragazza. - E posso affermare che come minimo ti piace. Si nota da un chilometro.”

“Ethan, per favore, dille che questa è la cretinata più grande che io abbia mai sentito.”

“Ma ha ragione. Nemmeno quando Bea si era rotta il braccio cadendo dal dirupo di Villeloyal ti eri preoccupato così tanto. Conosci Molly da soli tre mesi no? Eppure quando c’è stata la tempesta ed è caduta di fronte alla porta del bar ti sei precipitato da lei.”

Abbassò lo sguardo, assorbendo tutte quelle parole che l’amico gli stava dicendo. Non ci aveva mai pensato a quel genere di sentimenti. Era per quello che in sua presenza si sentiva in quella maniera? Sospirò, massaggiandosi le tempie con una mano.

“Va bene, diciamo che sia così come dite voi; cosa c’entrerebbe con la scomparsa?”

Bea alzò le spalle.

“Nulla, ma forse ti aprirà gli occhi. - si avvicinò all’amico portando una mano davanti alla bocca. - A me Hanna non sta simpatica, sembra che gli manchi qualche rotella.”

“E poi rispetto a lei tratti un po’ male Molly certe volte.”

Il ragazzo alzò gli occhi al cielo e si alzò dal tavolo stanco di quelle bugie.

“Vi aspetto fuori.”

Non era vero che la trattasse male; lui si era sempre comportato in modo gentile con lei. Anche se gli aveva detto di odiarla qualche volta, o l’averla respinta quando aveva provato ad abbracciarlo la seconda volta, o l’averla insultata mentre giocavano a tennis, o basket, o per il suo modo di fare gli occhi dolci, o per la sua camminata a papera, o per aver riso di fronte alla sua faccia imbronciata...

Socchiuse leggermente gli occhi iniziando a notare che forse così bene non l’aveva tratta, ma Molly era rimasta comunque accanto a lui, ridendo di fronte a ogni suo insulto come se fosse una barzelletta, perciò nulla di tutto quello l’aveva mai colpita no? Cercò di convincere se stesso che fino in quel momento non era stato un amico orribile, e che Molly non le piacesse. Ma se non fosse così, come potrebbe spiegare tutte quelle sensazioni. Mugolò calpestando un paio di volte una foglia secca portata dal vento.

Trovava ingiusto che non riuscisse a capire cosa accadeva dentro di sé. Perché Bea e Ethan, a un occhio esterno l’avevano intuito mentre lui non ci avrebbe mai pensato se non fino a quel momento?

“Molly… dove sei finita?” - sussurrò poggiando la testa contro il muro.

 

La ragazza starnutì, scusandosi con i Junny.

“Qualcuno starà parlando di te.” - scherzò il signore, battendo una mano sul proprio ginocchio.

La ragazza sorrise dopo aver mandato giù un altro boccone di patate.

“Non ne sarei sorpresa, mia madre è sicuramente preoccupata.”

“Ci dispiace, ma finché non ripristinano le reti telefoniche, dovresti andare nel centro per poter telefonare.”

Molly annuì sconsolata, posando la ciotola vuota sul tavolo. Fece un piccolo inchino subito dopo, ringraziando per il pranzo.

“Penso di tornare tardi, devo sbrigare alcune cose.”

La signora della pensione annuì prendendo tutte le ciotole per lavarle.

“Stai attenta e non fare troppo tardi, ieri è stato un miracolo trovarmi sveglia.”

La castana sorrise, salendo in camera per prendere dei soldi appreso prima di incamminarsi sulle vie della periferie di Philadelphia. Seguì tutte le segnaletiche finché non arrivò al punto a cui fin dalla partenza si era programmata di andare. Il santuario dedicato all’affondo dell’Arcadia era molto più grande e bello di quanto pensasse. Nella sua breve vita ne aveva visti di santuari, ma nessuno era grande quanto quello. Deglutì salendo i due gradini prima di entrare dentro, stringendo le due rose bianche che aveva comprato per strada. Quasi subito riuscì a vedere la foto di Lisa dato che era all’inizio della terza fila sulla sinistra dell’entrata. Sembrava la stessa foto della laurea di Felix data l’espressione. Molly ci rimase un po’ male di non trovare Adele accanto a lei. Prese il girasole ormai secco e ci posò una delle rose, sorridendo a quella foto.

“Signora Allen, non ho mai avuto l’onore di conoscerla, e Felix quello di parlarmene… ma soltanto a guardarla mi sento tranquilla e protetta come se fosse mia madre. - fece un mezzo sorriso accarezzando il viso nella foto. - Qui manca molto, ma spero lassù stia meglio.”


“La quota dei deceduti nella tragedia di Arcadia sale a 295. Oggi nell’ultimo giorno di ricerche sono stati ritrovati altri due cadaveri in mattinata, una apparente signora e una ragazzina dentro la cabina numero trentanove. A quanto pare la porta rimase bloccata, ma non si sa ancora se fosse un malfunzionamento della porta o una chiusura bloccata accidentalmente dalle vittime. Linea sul posto, a te Lilly.”

Crystal chiuse la televisione con disappunto della figlia.

Meglio non guardare questo tipo di notizie Molly, ne ho abbastanza di morti e incidenti.”

La ragazzina non obbiettò, rivolgendo lo sguardo alla foto di matrimonio dei suoi genitori appesa sul muro poco distante dalla tv.



Se solo allora avessi dato più attenzione... Sarebbe cambiato qualcosa?

Sospirò, amareggiata pur sapendo che non avrebbe ricevuto risposta. Trovare Adele era stato più difficile, la sua foto era al secondo piano quasi infondo in un angolo. La foto ritraeva il viso a trequarti di una appena diciottenne con un cappellino da baseball e i capelli biondi dalle ciocche arancioni al vento. Si notava subito il sorriso largo e felice della ragazza, mentre gli occhi erano semi chiusi. Era strano quanto assomigliasse a Felix, avevano lo stesso sorriso. Tolse il girasole secco e posò anche lì l’altra rosa bianca, cercando di sorridere così come lei faceva nella foto.

“Grazie per la fiducia.” - sussurrò, alzandosi da quel posto per lasciarlo.

Quando uscì dal santuario si voltò per guardarlo di nuovo, posando poi gli indici agli angoli della bocca, tirandoli verso gli occhi per mimare un sorriso. Cercò in tutti i modi di non piangere, anche perché non sarebbe stato degno di lei. Tornò alla pensione facendola la strada pian piano. Osservò le strutture, fece finta di mettersi in posa per le foto, comprò da mangiare e qualche souvenir, incurante di quello che stava succedendo nella sua città, ove Crystal piangeva alla polizia, descrivendo quello che era successo.

Molly cercò di telefonare in centro, usando una cabina poco distante dalla stazione, ma si rese conto che il numero di sua madre non se lo ricordava bene come se l’aspettava.

“Questa avventura è piena di problemi.”

Si ricordò le parole della sera in cui dormì a casa di Felix, quando parlarono di un ipotetico viaggio assieme. Erano ricordi lontani, a cui lei non doveva pensare più. Felix non era suo, e tutti i piani fatti assieme erano semplicemente parole al vento. Smise di cercare di chiamare e tornò alla pensione, più triste di prima. Quella seconda notte di viaggio dormì poco e pianse tanto, ripensando al ragazzo e ai sentimenti non corrisposti che provava. La mattina dopo fece lo zaino, si sistemò la camera e salutò gli anziani proprietari, ringraziandoli per tutto. Comprò il biglietto con gli ultimi soldi rimasti e si sedette all’ombra su una della panchine in ferro. Fischiò aspettando che il treno arrivasse in stazione. Appena esso si fermò, aprendo le porte automatiche, Molly salì cercando un posto libero e per tutto il viaggio guardò fuori dalla grande finestra un po’ intimorita da ciò che la madre le avrebbe fatto. Non aveva paura di sua madre, ma in certe occasioni sapeva mostrarsi davvero come un demone. Sospirò quando il treno fermò alla sua fermata, quattro ore dopo.

L’aria di Savannah stranamente le sembrava diversa e pulita. Si massaggiò la spalla incamminandosi verso il Bubble Bar per bere qualcosa. Nel locale quel giorno c’era solo Chris. Molly strizzò gli occhi e perlustrò tutto il perimetro del locale; ebbe una strana sensazione alla bocca dello stomaco. Il pasticciere appena la vide ebbe quasi ebbe un colpo al cuore, si avvicinò alla ragazza per accertarsi che fosse lei e le pizzicò la mano. Molly la ritrasse non capendo cosa stesse facendo. Il ragazzo prese il proprio cellulare dal taschino del grembiule e digitò il numero della collega.

“Bibi… Molly è al bar.”

 

 

___________________________________________

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3908074