Fast Car

di Sheep01
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Parte Uno ***
Capitolo 2: *** Parte Due ***
Capitolo 3: *** Parte Tre ***



Capitolo 1
*** Parte Uno ***


Parte uno

 

Derry, Maine, 1994

 

Verso la fine di aprile, Richie aveva ricevuto in regalo una macchina.

Aveva raccontato che suo padre si era presentato in camera sua una domenica mattina e lo aveva svegliato bruscamente, sganciandogli addosso un paio di chiavi.

«Una volta mi hai detto che il rosso è uno dei tuoi colori preferiti.»

Suo padre non aveva immaginato i motivi di quella preferenza, ma aveva fatto la scelta giusta.

Una vecchia Ford Sierra di seconda mano, rosso fuoco, antiquata e senza servosterzo. I finestrini a manovella.

Quando Eddie lo aveva visto imboccare la via di casa, a bordo di quell'auto per la prima volta, gli era sembrata la cosa più bella su cui avesse mai posato gli occhi.

«Una volta finito il liceo, Spaghetti, con questa macchina ce ne andremo via, il più lontano possibile da Derry», Richie lo diceva spesso, lo diceva ogni volta che lo scarrozzava in giro per la città.

Si erano quasi spinti a Bangor, una volta, ma erano rientrati prima di arrivarci perché Sonia, la madre di Eddie, aveva minacciato solide ripercussioni se fosse tornato dopo il tramonto. E già si sentiva sufficientemente in colpa per non averle detto di essere fuggito a bordo di un'auto per una gita fuori porta con quel disgraziato di Tozier.

L'idea di spingersi tanto lontano era stata stimolante, per una buona mezz'ora: con i finestrini abbassati e la musica gonfiata ad alto volume dalle casse dell'autoradio, Eddie aveva fantasticato di essere davvero in fuga da Derry, assieme ad uno dei migliori amici che avesse mai avuto. Se ci pensava per qualche istante la prospettiva lo allettava più di quanto concesso. L'importante era non dilungarsi troppo sul pensiero fino a farlo diventare spaventoso. La fuga e il distacco erano spaventosi.

Spaventoso come il vuoto incolmabile che avevano lasciato i Perdenti.

La prima ad andarsene era stata Beverly, un pomeriggio di quattro anni prima, alle porte di una nuova entusiasmante estate, priva di incubi. Con il suo congedo aveva inconsapevolmente dato via a un esodo senza tregua. Nel giro di due anni Eddie aveva dovuto dire addio a tutti gli altri.

E ora non gli restavano che Richie e Mike.

Mike, troppo preso con le lezioni private e il lavoro alla fattoria. E Richie... Richie che solo all'idea di veder sparire così come era successo a tutti gli altri si sentiva mancare il respiro, come quando era convinto che suoi attacchi di panico fossero asma.

Richie che non faceva che promettergli che un giorno lo avrebbe portato via con sé. Richie che aveva grandi sogni e ambizioni ma che non dimenticava mai di ritagliare a Eddie un angolo del suo futuro.

«Che mi dici della California?» gli chiese un tardo pomeriggio primaverile. Aspettavano il tramonto, sdraiati sul cofano della macchina che ormai era diventata molto di più di una vettura, ma lo stupido sogno, l'ideale di un avvenire meno deprimente.

«Che è uno Stato dal clima piuttosto caldo.»

«Oh, questa sì è divertente, aspetta che me la segno mentalmente per quando dovrò trovare una battuta appropriata sulla California.»

«Me lo hai chiesto tu...»

«Intendevo...» si voltò su un lato, il gomito piegato a sorreggergli la testa. Eddie dovette voltarsi appena, per guardarlo, sdraiato com'era al suo fianco, «che ne dici di un viaggio verso la California, una volta preso il diploma?»

«Penso che a mia madre verrebbe un colpo se solo le accennassi all'idea, Richie.»

«A tua madre verrebbe un colpo se ti sapesse sdraiato sul cofano della mia macchina, sotto al sole, a bruciare la tua delicata epidermide spettrale.»

«Non infondermi false speranze.»

«Eddie Spaghetti!» rispose con voce scandalizzata e una parte di lui si pentì rapidamente di una battuta tanto infelice. Sonia non meritava certo tanta ingratitudine. Forse giusto un po', data la natura dei suoi comportamenti abusivi ma non sotto forma di un augurio simile.

«Non credo che mi permetterà mai di andare da nessuna parte. Sai perfettamente quale università dovrò frequentare una volta preso il diploma.»

«Lo so, lo so, Bangor. Ringrazia il cielo che Derry non abbia università o ti toccherebbe tornare a casa per pranzo ogni giorno.»

«Appunto. Sperare che mi permetta di partire con te per un viaggio simile è come sperare che la tua boccaccia si inaridisca.»

«Sei sempre così romantico, Eds... quasi quasi mi commuovo.»

Eddie sorrise a mezza bocca, schermandosi il viso con una mano. Il sole non era così caldo ancora, ma sufficiente a rendergli la visuale poco agile. A malapena riusciva a guardarlo per bene. Gli piaceva guardare Richie, ma questo non lo avrebbe ammesso mai.

«Io non sono sicuro di volerci andare all'università», gli confessò lui tornano a sdraiarsi sul cofano, allungando le braccia fino a sfiorargli la testa. Ogni scusa sembrava buona per poterlo toccare. Era stato così sin da ragazzini, non glielo avrebbe impedito ora. Come gli piaceva guardare Richie, gli piaceva anche essere toccato da Richie. Un altro di quei pensieri che avrebbe conservato gelosamente per se stesso, perché non sapeva, ancora, dove volessero andare a parare.

«Lo avevo immaginato. Non ne hai mai parlato seriamente.»

«Sì, voglio dire... ho mandato qualche domanda, per non insospettire i miei ma per quello che voglio fare io non credo sia necessario continuare con questa buffonata dello studio.»

«Lo studio non è una buffonata, Richie...»

«Sai che cosa voglio dire.»

Eddie lo sapeva perfettamente. Da bambino Richie aveva confessato loro di voler diventare ventriloquo. Le sue leggendarie Voci, le imitazioni che somigliavano sempre e solo alla voce di Richie Tozier. Un futuro disastro, a detta di tutti. Con il passare degli anni le sue ambizioni si erano trasformate. L'iscrizione al club scolastico di teatro aveva probabilmente messo le basi a quello che si augurava sarebbe stato il suo futuro. Durante lo spettacolo di fine anno di due primavere precedenti, la sua improvvisazione teatrale era divenuta leggendaria. Un po' sopra le righe, così come aveva sottolineato il preside vagamente infastidito dalle troppe imprecazioni, ma avvincente e divertente, come non ci si sarebbe atteso da un ragazzo di soli quindici anni. Non erano necessari gli studi per un talento naturale. Forse sarebbe stata sufficiente la sua intraprendenza per costruirci attorno una carriera, e una buona dose di fortuna.

Ma Eddie sapeva che nonostante la sua riluttanza ad ammetterlo, Richie era un tipo sveglio che non aveva mai avuto particolari problemi a scuola. Uno studente brillante, malgrado la sua scarsa propensione allo studio. Aveva del potenziale così elevato che se solo avesse voluto eccellere avrebbe potuto farlo con uno schiocco di dita. Un dono che Eddie gli invidiava. Quella e quella sua capacità esplosiva di esprimersi liberamente su qualsiasi argomento. Una capacità che spesso lo aveva messo nei guai, ma che mai gli aveva impedito di essere se stesso.

O questo era quello che aveva creduto a lungo. Fino a quando la sua coodipendenza con Richie non era diventata essenziale, una volta slacciati i legami con il resto del gruppo. In quegli ultimi anni aveva imparato a comprenderne le sfumature. Richie continuava a parlare tanto, troppo, spesso a sproposito, ma era capace di straordinari momenti di tranquillità. Diveniva spesso quieto e riflessivo, quando erano assieme. Erano i momenti in cui Eddie aveva cominciato a comprendere meglio la sua vera natura. Riempire i silenzi per Richie era una necessità per impedirsi di pensare. O per impedire agli altri di capire cosa gli passasse davvero per la testa. Una maschera dissacrante e rumorosa che sovente non rifletteva quello che sentiva. Il più delle volte, ora, con Eddie quella maschera cadeva. E lui ne riconosceva il privilegio, la fiducia che Richie riponeva nei suoi confronti; a volte se ne sentiva sopraffatto, tanto da riconoscere con difficoltà i suoi sentimenti a riguardo.

«Sono sicuro che qualsiasi decisione prenderai, sarà quella giusta», si ritrovò a dire, seguendo il flusso dei suoi pensieri.

«Dio, no, sei inquietante quando parli così, Spaghetti.»

«Preferisci che ti insulti?»

«Sempre.»

Gli tirò una sberla sullo stomaco, che Richie incassò con un eccesso di smorfie e proteste.

«Quelle tue mani ossute sono veramente mortali.»

«Non ho le mani ossute.»

«Sì che ce le hai. Sei il ragazzino più ossuto che abbia mai conosciuto. Quelle tue gambette secche sotto ai pantaloncini che metti a educazione fisica, sono così imbarazzanti», disse imitando malissimo la voce di quella che doveva sembrare una vecchia signora di fine secolo.

«Ma la pianti?! Non sono un ragazzino. E non ho le gambe secche! Sono arrivato primo nella gara di atletica la scorsa settimana!»

Gli sganciò un pugno sul fianco, strappandogli un singhiozzo decisamente più realistico. Ma si guardò bene dallo scusarsi.

«Va bene, va bene, ma tu piantala di prendermi a pugni. Se mi riempio di lividi i miei penseranno che che la mia ragazza sia una specie di infoiata.»

Eddie alzò gli occhi al cielo.

«Non ce l'hai una ragazza.»

«Come no?»

«No...» si voltò a guardarlo, cercando di scovare la menzogna nel suo sguardo.

«E tua madre, allora?» gli rispose, prima di ritrarsi per evitare ulteriori ripercussioni e mettersi a ridere come avesse fatto la battuta più divertente del secolo.

Avrebbe dovuto sentirla arrivare a un chilometro di distanza. Eppure sapeva che Richie flirtava un po' con tutte, in modo più o meno esplicito, ma anche questo suo modo di fare Eddie lo aveva sempre interpretato come l'ennesima esagerazione, solo per mantenere ad un certo livello, l'immagine che voleva dare di sé. Di fatto non era mai arrivato a concretizzare qualcuno di questi interessi. Anche se Eddie ricordava con una certa riluttanza quella ragazza che recitava con lui nel club di teatro e con la quale aveva preso a spendere molto tempo l'anno precedente. Con la scusa del ripasso forzato di alcune scene della commedia che avrebbero dovuto portare in scena assieme, Richie aveva preso a dedicarle più tempo del necessario, sottraendone di fatto a quello che aveva sempre dedicato alla loro amicizia. Inutile negare quando Eddie ne avesse sofferto. Nonostante la preziosa amicizia di Mike. Nonostante Richie, in seguito alla benedetta rottura, gli avesse confessato che non gli era poi piaciuto così tanto baciarla, ammettendo, di fatto, che quella della recitazione non era stata altro che una scusa. L'episodio si era risolto rapidamente, senza troppi drammi, ma ancora una volta, Eddie aveva dovuto affrontare il rimestio della propria coscienza, il disordine dei propri sentimenti.

Si chiedeva spesso se non fosse il caso di mollare un po' la presa. Se cominciare ad allentare la corda non fosse una buona idea, in previsione di un futuro che li avrebbe probabilmente separati.

Sua madre non faceva che ricordargli quanto malsana fosse quella sua amicizia con il ragazzo dei Tozier. Di quanto fosse deleteria la sua influenza.

Non concordava certo sulla seconda affermazione, ma era poi così sicuro che non avesse sviluppato un nocivo attaccamento a Richie? Che non si fosse aggrappato alla sua amicizia in modo del tutto inappropriato, dopo che Bill (che si era guadagnato la palma di migliore amico per tutto l'arco della sua infanzia) se n'era andato?

Voleva bene a Richie. Voleva davvero bene a Richie. Ma odiava come lo faceva sentire, a volte. Odiava se stesso per permettersi di sentirsi a quella maniera. Lo trovava ingiusto, anche nei suoi confronti.

«A proposito di atletica... hai parlato alla mia ragazza della proposta del professore di ginnastica?»

Eddie fu di nuovo costretto a destarsi dalle sue elucubrazioni mentali e fissarlo un po' perplesso alla menzione di sua madre.

«Uhm...» borbottò, rimettendosi finalmente seduto, raccogliendo le gambe per incrociarle sul cofano. A vederle così sembravano davvero ossute come diceva Richie.

«Non glielo hai detto...» lo sentì aggiungere con una nota esasperata nella voce.

«Sto cercando il momento giusto», specificò con una certa stizza, «Non voleva nemmeno partecipassi agli allenamenti. Figuriamoci se acconsentirebbe a farmi partecipare a una competizione».

«Magari non farebbe tante storie ora, dopo tutti i progressi che hai fatto. Insomma, non hai mai avuto crisi respiratorie da dramma vittoriano. Non hai mai avuto bisogno del tuo stupido respiratore sparacanfora: sei sano come un pesce.»

«Non secondo mia madre...»

«Secondo i dottori, sì, però. E a meno che la laurea non l'abbiano comprata al mercatino delle pulci della domenica mattina...»

«Lei se ne sbatte di quello che dicono i dottori, lo sai meglio di me», lo interruppe bruscamente.

«È perché mamma Kappa si preoccupa per tutto quello che pensa e fa il suo Eddie Pisellino», Richie si era rimesso seduto a sua volta. La voce seria, in uno di quei rari momenti in cui scherzare non era la sua priorità, «Non è il caso che il suo Eddie caro faccia l'università troppo lontano da casa, e figuriamoci se con i suoi inesistenti problemi di salute possa permettersi di frequentare i corsi di atletica, per non parlare poi del suo pessimo gusto in fatto di amicizie, con quel ragazzo di colore che nemmeno va a scuola e quel disadattato del figlio del dentista... non è importante come il suo bimbo si senta davvero, mamma Kaspbrak sa di cosa ha bisogno il piccolo Eddie.»
Eddie serrò le labbra, colpito sul vivo. Non era un discorso che affrontavano per la prima volta e purtroppo non conduceva mai a niente di buono.

«Non ho voglia di discuterne, Richie».

«Ignorare l'argomento non farà sparire il problema, sai?»

Eddie gli puntò addosso uno sguardo infastidito.

«E questa da dove salta fuori, dai biscotti della fortuna cinesi?»

«Ma come si pelmette di fale queste affelmazioni, signole?»

«Non è divertente, Richie.»

«Non lo è nemmeno il fatto che tu non riesca a fare quello che desideri».

Eddie cercò qualcosa con cui controbattere ma tutta la foga battagliera si era esaurita rapidamente. Sapeva che Richie aveva ragione, ma non era pronto ad ammetterlo e in ogni caso che sarebbe cambiato anche se lo avesse fatto? Non sarebbe mai riuscito a contrapporsi al volere di sua madre. Ci era riuscito solo una volta, in diciassette anni. Quando voleva impedirgli di rivedere i suoi amici dopo essersi rotto un braccio. L'aveva affrontata, aveva vinto la sfida. Rincorreva da allora, quella spinta di coraggio mai più ritrovata.

«Le faccio ugualmente alcune delle cose che desidero. Solo, non sempre è necessario che lei lo venga a sapere.»

«Tipo farti scarrozzare in giro dal mio bolide?»

«Fra le altre cose, sì.»

«Non insisto solo perché non hai ribattuto sul fatto che la mia auto sia un bolide. Finalmente ho avuto la conferma che la apprezzi», gli si avventò addosso, per strizzarlo in un abbraccio improvviso e del tutto inaspettato.

«Dai, Richie! Apprezzo la tua macchina, ma non te!»

«Dovresti dirlo con un po' più di convinzione per farmelo credere, Eds.»

«Non chiamarmi, Eds! Lo odio! Odio quando fai così!»

Richie lo lasciò andare, regalandogli una smorfia a cui Eddie rispose con un gestaccio.

«Dai, Spaghetti, ti riaccompagno a casa. Prima che mamma Kappa metta al bando anche le tue finte scappatelle in farmacia.»

Eddie lo fissò con disappunto, ben consapevole di aver mentito a sua madre per l'ennesima volta, sulle motivazioni della sua uscita pomeridiana, senza che lui dovesse ricordarglielo ogni santo momento. Lo guardò scendere dal cofano della macchina e si sistemarsi addosso quella sua t shirt lisa e ingombrante dei Guns 'n' Roses.

Accettò la mano che gli porse per aiutarlo a scendere e quando gli permise persino di scegliere la stazione radio, Eddie seppe che Richie, in qualche modo, si sentiva in colpa per aver sollevato di nuovo la spinosa questione.

 

Fu con quella stessa macchina che Richie passò a prenderlo la sera del ballo di fine anno.

Ma non davanti alla porta di casa, no.

L'aveva parcheggiata in una delle vie laterali, era sceso dall'auto e poi aveva aspettato che Eddie lo raggiungesse.

Eddie non gli aveva spiegato come era riuscito a convincere Sonia a partecipare a quello stupido ballo. Nemmeno ci voleva andare. Ma poi Richie aveva insistito, rassicurandolo del fatto che tutto avrebbero fatto fuorché presentarsi a scuola per il ballo. Corpi danzanti di adolescenti arrapati che si sarebbero battuti per un sorso di schifoso punch. La maggior parte dei quali costretti a far da tappezzeria, a osservare coppiette felici che si scambiavano fluidi per via orale. Non avrebbero fatto quella fine, oh no. Sarebbero passati a prendere Mike e si sarebbero fatti un giro celebrativo di Derry, per chiudere a gloria la fine dell'anno scolastico e della tortura degli anni del liceo. In compagnia delle uniche persone che avevano contato davvero durante gli anni scolastici.

Eddie aveva pensato che fosse una bella idea e aveva intessuto una scusa abbastanza convincente per Sonia, concedendole l'assurdo coprifuoco delle undici.

Richie lo aveva aspettato con un sorriso spavaldo e l'aria di chi non aveva proprio niente da perdere: «Il vostro cocchiere per la serata, messere».

Indossava un paio di jeans troppo corti per le sue gambe diventate lunghissime durante gli anni dell'adolescenza. (Richie sarebbe diventato un vero e proprio gigante, in pochi anni) e una camicia dai colori sgargianti ai quali aveva abbinato un paio di assurde bretelle rosa.

«Hai intenzione di attirare l'attenzione di tutti i bulli di Derry?»

«Siamo troppo grandi per avere dei bulli, Eds, adesso siamo noi che dettiamo le regole.»

Gli aveva persino aperto la portiera dell'auto con un mezzo inchino. Eddie, che aveva dovuto fingere di andarci davvero al ballo e indossava un paio di pantaloni eleganti e una camicia azzurra da chierichetto, si sentì un po' fuori posto.

 

«Derry fa schifo al cazzo anche vista dal punto panoramico», commentò Richie che già si era acceso una sigaretta, seduto sull'erba bagnata di quella strana serata di inizio estate. Sembrava non gli importasse mai di sporcarsi, di imbrattarsi i vestiti. A volte sembrava non gli importasse dell'apparenza che dava di sé a chicchessia.

Mike gli era seduto accanto e respirava a pieni polmoni l'aria fresca della sera. Doveva essere stato più grato di Eddie, per quel gradito diversivo. Mike non si era mai fatto molti amici. Lavoro e studio da casa erano deterrenti piuttosto rilevanti a quella sua condizione. Come tutti, sperava un giorno di poter scappare da quella città maledetta, sebbene le occasioni per realizzare quel suo desiderio segreto di andarsene in Florida, sembrassero piuttosto misere.

«Sembra che ti osservi con mille occhietti malefici», disse solo, confermando la sensazione comune.

Derry aveva rischiato di trasformarsi nella loro tomba, nella lontana estate dell'89. La maggior parte di loro adesso era al sicuro. Uno alla volta erano riusciti a fuggire dai suoi artigli. La promessa di tornare, sancita col sangue, solo se IT fosse tornato in futuro. Una cosa che sembrava così lontana, così nebulosa, ormai. Tanto da aver impedito a chi era rimasto di farsi troppe domande sul perché nessuno del resto del gruppo avesse più tentato di mettersi in contatto con loro, una volta trasferiti altrove. A Mike, Richie e Eddie non sembrava più così importante ormai.

Ma era importante il legame che erano riusciti a conservare fra loro tre. Come gli ultimi strascichi della fine di un'era.

Eddie aveva arrotolato fino al ginocchio i pantaloni per evitare si bagnassero (se sua madre se ne fosse accorta sarebbe stata la fine delle sue scorribande serali), e stringeva fra le mani una lattina di birra che non si decideva ad assaggiare. Ma sapeva che nessuno lo avrebbe giudicato o deriso per questo. Era al sicuro con i suoi amici.

L'autoradio della macchina di Richie, rimasta accesa a pochi passi da loro, mandava le note di una canzone che ricordava vagamente.

Eddie non voleva approfondire sulle motivazioni che lo avevano portato a quella conclusione, ma la serata gli era sembrata, da subito, permeata di una malinconia imprevista. La celebrazione più triste e patetica della storia.

«Secondo voi per quale motivo i nostri genitori hanno deciso di restare in questo posto per così tanto tempo?», domandò Richie a un certo punto, la voce un po' arrochita, forse per via del fumo, forse per via dell'umidità, «voglio dire, cosa può aver fatto scattare loro nel cervello l'idea: Sì, questo è il posto in cui vogliamo far crescere i nostri figli. Insomma... lo capirebbe anche un deficiente che questa città è una trappola.»

«Personalmente non credo di fare testo, Richie. La mia famiglia vive qui da generazioni, per via della fattoria e... tutto il resto», rispose Mike, stringendosi nelle spalle. Un modo bizzarro per chiedere scusa per la banalità delle sue motivazioni.

«D'accordo, riformulo: cosa può aver fatto scattare nel cervello l'idea di tutti gli altri genitori che non siano quelli di Mike?»

Eddie alzò lo sguardo, intercettando quello di Richie dalla parte opposta.

Non gli sembrò il caso di cucire spiegazioni su una donna rimasta vedova troppo presto, da aver trovato in Derry una soluzione di comodo. Inoltre aveva come l'impressione che la domanda di Richie fosse più retorica che altro.

Lo guardava però in modo strano, da tutta la serata. E la cosa non riusciva a trasmettergli alcuna tranquillità.

E i suoi dubbi, le sue paure, e le sensazioni a cui non aveva voluto prestare sufficiente attenzione, furono confermate da quello che Richie aggiunse poco dopo.

«Probabilmente è la domanda che si sono fatti anche i miei genitori: perché restare a Derry, dopotutto?», esordì dopo essersi preso tutto il tempo di finire la sua sigaretta, «perché... ci trasferiremo in California, prima della fine dell'estate.»

Il tono di Richie era così serio e privo di qualsiasi allusione che Eddie non faticò a credere che fosse vero. E non riuscì nemmeno a impedire al suo cuore di battere improvvisamente più rapido di quando non gli fosse concesso, quando non correva su una pista di atletica.

«Sul serio, Rich?» fu Mike a interrompere lo scioccato ma arreso silenzio dopo lo sgancio della bomba.

Eddie aveva sempre temuto che Richie sarebbe stato il prossimo. Ma era una di quelle prospettive che non aveva voluto affrontare. Per non lasciare che il panico si prendesse la libertà di viaggiare indisturbato nella sua testa, nei suoi polmoni.

Perciò non si era preparato a sufficienza per una simile evenienza. Per una simile confessione.

Cercò con la mano qualcosa nelle tasche. Quel suo inalatore fantasma a cui aveva imparato a fare a meno, dopo aver scoperto che si trattava di un imbarazzante placebo. Lo stupido inganno di una madre che preferiva tenere al sicuro il proprio figlio, facendogli credere di essere un delicato fiore da proteggere, un trucco mentale per tenerlo inchiodato alla paura.

Quando si rese conto che ciò che cercava non era lì, l'attacco di panico divenne dirompente e inarrestabile.

A malapena sentì la conferma di Richie alla domanda di Mike. Si issò sulle gambe, scivolando quasi sul terreno umido e si allontanò barcollando verso la macchina.

Il respiro.

Gli mancava il respiro. Il mondo era diventato improvvisamente un posto oscuro e irriconoscibile. Le luci malefiche delle abitazioni di Derry adesso invisibili ai suoi occhi.

«Eddie! Eddie...» la voce di Mike? La voce di Richie? Lontane, ovattate, su un altro pianeta.

«Eddie guardami, respira. Respira...»

Ma non riusciva a respirare. A che serviva respirare? Se la fine di quell'estate si sarebbe portata via anche Richie? E poi che sarebbe successo? Se ne sarebbe andato anche Mike? E lui sarebbe rimasto a marcire, per sempre in quella cittadina del Maine. Da solo. A ingrigire e veder calpestate le opportunità di una vita migliore un pezzo alla volta, anno dopo anno.

«Eddie, respira...»

Un tantra.

Respira.

La voce di Richie. Ora ne era certo. La mano di Mike che gli accarezzava la schiena.

Respira.

Senza fretta.

Respira.

Il mondo riprese lentamente colore, la musica dell'autoradio tornò ad essere nitida. Il rumore del proprio cuore, ancora accelerato ma non fatale.

«Eccolo qui, mister Spaghetti. Bentornato», Richie gli sorrideva, tenendogli le mani, ma dietro le lenti di quei suoi occhiali a fondo di bottiglia Eddie gli riconobbe tutto lo sgomento di essere stato costretto ad assistere a una di quelle sue crisi improvvise, dopo tanto tempo.

«È tutto okay?», gli chiese ancora, per sicurezza. Eddie si limitò ad annuire, una due, tre volte, per accertarsene lui stesso.

«Scusatemi...» sibilò, la voce che probabilmente ci avrebbe messo un bel pezzo per tornare a livelli ottimali.

Ma Mike scuoteva la testa e Richie gli tirò una ciocca di capelli.

Sorridevano, ma entrambi sapevano di avere nel cuore lo stesso identico dolore.

 

Richie lo aveva accompagnato a casa alle undici meno un quarto. Senza spingere la macchina fino al vialetto della sua abitazione, convinto che Sonia stesse aspettando il figlio in piedi, sulla porta di casa, vigile come una sentinella.

«Il venerdì sera c'è il suo programma preferito sulla ristrutturazione delle case. Non mi aspetterà sulla porta di casa.»

«Non si può mai sapere. Potrebbe avere un lungo binocolo. Con un occhio al televisore e l'altro al vialetto di casa.»

«Che cosa pensi che sia, mia madre, una specie di camaleonte?»

Richie sbuffò una risata divertita.

«Eddie, amore mio, non credo che tu voglia sapere a quale animale io paragoni tua madre.»

Eddie gli lanciò uno sguardo d'ammonimento.

«No, infatti, non lo voglio sapere. Sarebbe una battuta sgradevole e scontata».

Rilasciò piano il fiato, arreso al fatto che la serata si fosse conclusa con quell'aura malinconica. Avevano continuato a tenersi compagnia dopo la crisi di panico di Eddie ma l'atmosfera era irrimediabilmente cambiata, nonostante Richie avesse cercato in tutti i modi di mantenere alti gli animi, con quel suo modo assurdo e rumoroso che aveva di alleggerire la tensione. Ma Eddie non vedeva come sarebbe stato possibile, anche al più abile degli intrattenitori, di rallegrare lo spirito di chicchessia dopo aver sganciato la notizia che il gruppo si sarebbe assottigliato ulteriormente, prima della fine dell'estate. Sarebbe successo comunque, questo poteva dirlo con estrema facilità, ma avrebbe avuto la certezza, quantomeno, che Richie, qualsiasi fosse la meta che si era prefissato di raggiungere per ottenere quel successo da cabaret a cui aspirava, avrebbe comunque avuto un posto a cui tornare. Un porto sicuro, come la casa dei suoi genitori. Per le feste comandate. Per alcuni stupidi anniversari famigliari.

Ma un trasloco, un vero trasloco, dall'altra parte degli Stati Uniti niente meno. Ironico come i loro fantasiosi piani di fuga per l'estate si fossero fusi con la meta definitiva della famiglia Tozier.

Ironico e crudele.

«Grazie per il passaggio, Richie», disse allora, nessun motivo per restarsene lì, in silenzio, affatto propenso ad aggiungere altro a tutte le parole che erano già state dette. Si slacciò la cintura di sicurezza e aveva già la mano alla portiera, quando Richie lo afferrò per un braccio.

«Eddie, aspetta», disse e quando Eddie si voltò concedendogli la sua attenzione, si rese conto che Richie, per la prima volta dacché lo conosceva, sembrava in difficoltà a proseguire.

Ancora una volta si impedì di scostare la mano. Le dita di Richie erano calde sulla sua pelle, la sensazione piacevole, l'atmosfera sospesa. E quello no, non era sicuro gli piacesse poi così tanto.

Sentì il calore risalirgli su per il collo, ignaro che presto avrebbe raggiunto il suo viso.

«Sto bene», rispose a intuito a una domanda che Richie non aveva posto.

«No, cioè, sì... lo so che stai bene, ora», lo ascoltò borbottare, e sentì allentare la presa al suo braccio, titubante. Eddie gli impedì di scostarsi trattenendo la sua mano con la propria. Non voleva lasciarlo andare. Una metafora o meno di quello che sarebbe successo da lì a poche settimane; non avrebbe potuto trattenerlo per sempre, ma fintanto che erano insieme, poteva continuare a convincersi di poterlo fare.

«È stata una bella serata, meglio del ballo di fine anno», sentì il bisogno di dirgli.

Richie sorrise appena.

«Sì, a che serve andare ai balli di fine anno se non si trasformano in intrattenimento da tragedia splatter come quella di Chamberlain?»*

«Questa era grottesca, Richie.»

«Nah...»

Eddie scosse la testa, ben consapevole di doversene andare davvero adesso. Nemmeno seppe perché lo fece, ma si chinò su di lui per posargli un bacio sulla guancia. Gratitudine per aver di nuovo alleggerito l'atmosfera, condivisione di un istante che avrebbe potuto ricordare a lungo, un congedo affettuoso e grato.

Sentì Richie sussultare appena e solo in quel momento si rese conto di aver fatto un passo più lungo della gamba. Indeciso se scusarsi o meno e rendere ancora più imbarazzante l'accaduto si ritrovò a guardarlo negli occhi, i visi ancora troppo vicini, le mani ancora intrecciate fra loro.

Un istante rinchiuso in un limbo che Eddie adesso aveva il terrore di spezzare.

E Richie sembrò essere dello stesso avviso perché non fece nulla, non disse nulla a lungo o così parve a Eddie, si limitava a guardarlo negli occhi, alla ricerca di una risposta che Eddie non era certo di potergli dare.

Ma quando Richie si avvicinò di più non si scostò di un millimetro, quando sentì il suo respiro sul viso non trasalì affatto. I suoi occhi si chiusero, in un riflesso incondizionato e quando avvertì la pressione delle sue labbra sulle proprie, le accolse con sollievo. Come se non avesse atteso che quello per tanto tempo.

Il suo primo bacio.

Con Richie.

Lo lasciò fare finché non sentì il bisogno di ricambiare, di fargli capire che non sembrava sbagliato. Che forse non ci aveva mai pensato davvero ma che forse lo aveva sempre sperato.

Non poteva essere sbagliato quello sfarfallio nello stomaco. Non ci aveva mai creduto alle dicerie sulle farfalle e le gambe molli ma la sensazione sembrava proprio quella. Come se qualcosa gli si agitasse dentro, accendendolo di un calore che stavolta non era indignazione, rabbia o paura. Una sensazione tutt'altro che sgradevole.

Quando gli occhiali di Richie gli scivolarono giù dal naso e andarono a cozzare su quello di Eddie, sembrò il momento adatto per interrompere flusso di pensieri e smancerie.

Risero entrambi, imbarazzati, confusi, felici.

Ci avrebbero riprovato senza occhiali non fosse stato così tardi.

Eddie non aveva mai odiato tanto un coprifuoco.

 

Questo non impedì loro di rifarlo, nei giorni a venire, nelle settimane a venire.

Senza mai parlarne troppo, come un segreto che non aveva necessità di essere definito. Al sicuro da occhi indiscreti, nell'abitacolo di quell'auto che ormai era diventato il loro posto sicuro.

Non era cambiato molto fra loro: non il carattere gioviale e rumoroso di Richie, non i battibecchi insensati e sopra le righe. Non le risate, non le canzoni cantate a squarciagola con Mike, giù ai barren. Ma nemmeno quelle brevi fitte d'ansia al ricordo che presto o tardi l'estate sarebbe finita e avrebbe accompagnato Richie lontano.

Avevano tacitamente deciso di far sì che quelle settimane importassero.

Di far sì che sarebbero rimaste uno splendido ricordo.

Poco importava se a volte Eddie si chiedeva che ne sarebbe stato di tutto quanto una volta finito. Poco importava della paura che si portava dietro la scoperta di aver finalmente dato un nome a quei sentimenti repressi che provava nei confronti del suo migliore amico, del fatto che agli occhi di molti sarebbe sembrato sbagliato, disgustoso, anomalo.

Non c'era stato mai niente che sembrasse tanto giusto nella sua vita. Aveva deciso di goderselo, fintanto che sarebbe durato. Tragicamente sicuro (come solo un adolescente può esserlo, nell'innocenza della sua gioventù) che non ci sarebbe mai stato niente altro di simile nel suo prossimo futuro.

«Dovresti venire con me in California», gli disse un giorno Richie, guardandolo negli occhi, le labbra ancora squisitamente arrossate dai suoi baci.

«Avevamo deciso di non parlarne, Boccaccia...»

«Lo so ma non riesco a non pensarci», ribadì con urgenza, riconoscendo la sua riluttanza, trattenendolo con una mano per impedirgli di allontanarsi, per non creare una distanza anche fisica fra loro. «Dovresti. Puoi partire con noi. I miei genitori non avrebbero nulla da ridire.»

«I tuoi... ?»

«Sì, potrebbero parlare con tua madre, magari convincerla ad affidarti a noi per qualche tempo.»

«Richie...»

«Potresti vedere come ti trovi, potremmo frequentare lì insieme l'università.»

«Credevo che non volessi andare all'università.»

«Ma se ci fossi tu, sarebbe diverso.»
«Richie, no.»

«Eddie, sì. Non posso pensarti qui solo questo autunno. A frequentare corsi barbosi di una facoltà che nemmeno ti sei scelto da solo.»

«Non sarei da solo, ci sarà Mike... Mike non andrà da nessuna parte.»

«Quindi ti basta questo? Avere Mike?» nella voce di Richie uno sconforto e un impeto che non sapeva riconoscergli.

«No, non mi basta Mike. Vorrei avervi tutti qui con me, come quattro anni fa. E vorrei che non te ne andassi affatto. Ma Mike e Derry è tutto quello che mi resta.»

«Non se verrai con me... torneremo a prendere anche Mike, potremmo...»

«Richie...» era certo che qualsiasi giustificazione avrebbe discusso, Richie si sarebbe intestardito a proseguire e ribattere con argomenti altrettanto convincenti.

Per quello Eddie lo guardò dritto negli occhi e decise di dargli una risposta definitiva, a scanso di equivoci.

«Non verrò in California con te adesso», disse duramente.

Probabilmente Richie avrebbe preferito ricevere un cazzotto in faccia. Perché un'espressione tanto delusa e addolorata non gliel'aveva vista mai.

«Sei proprio uno stronzo, sai, Richie? Avevamo deciso di non parlarne», aggiunse, fissando fuori dal finestrino della macchina, parcheggiata ai limiti della città, poco distante dal ponte dei baci. Non voleva guardarlo in faccia, non sentirsi costretto a ritrattare tutto e dirgli che scappare in California con lui, con una famiglia splendida come la sua sarebbe stata la prospettiva migliore mai immaginata.

Alimentare una simile speranza, concedersi di fantasticarci su, avrebbe potuto essere estremamente pericoloso. Sapeva che i prossimi anni sarebbero stati duri, forse anche peggio. Ma sapeva anche di doversela cavare da solo. Di dover ritrovare quel coraggio che da ragazzino lo aveva visto issarsi come un colosso contro quella madre che gli stava impedendo di vedere i suoi amici nel momento del bisogno. Sarebbe stato un lavoro lungo e doloroso. Per questo non poteva permettere a Richie di forzare la mano.

«Ci verrò in California, un giorno. Ma devi concedermi del tempo.»

Un giorno avrebbe parlato con sua madre. Le avrebbe detto delle competizioni di atletica, le avrebbe detto di aver superato con successo i check-up medici, di non essere il ragazzo fragile che gli aveva sempre fatto credere di essere, le avrebbe confessato di voler frequentare l'università a New York magari, che andarsene da Derry non avrebbe significato abbandonare lei o amarla di meno, le avrebbe detto di aver baciato un ragazzo senza vergogna. Le avrebbe confessato di essere innamorato di lui.

Richie rilasciò quello che aveva l'aria di essere un singhiozzo. Eddie dovette ignorare la stretta allo stomaco, l'allarmante senso di colpa, ancora una volta, per non tornare sui propri passi, dopo aver preso una decisione tanto importante. Dopo esserselo ripromesso solennemente.

Ma si voltò per guardarlo e gli prese la mano.

«Sei proprio un pappamolla», si accanì, sperando di scuoterlo abbastanza, con dinamiche che sperò non si fossero esaurite per uno screzio.

«... disse Scrooge che odiava il Natale», rispose Richie dopo un istante, tirando su con il naso e spingendo con veemenza gli occhiali al suo posto.

«La scorsa settimana ero il Grinch, non capisco se questa sia un'evoluzione o meno.»

«Ne ho in serbo altre per te... Spaghetti, se credi che abbia finito ti sbagli di grosso.»

Non ci fu nessun altro bacio quel giorno, ma quando Richie poggiò la testa sulla sua spalla, Eddie segnò anche quello come uno dei momenti più significativi di quella strana, deprimente estate.

 

Eddie aveva salutato Richie per l'ultima volta il 20 agosto del 1994.

Lo aveva abbracciato tanto stretto che quasi si convinse di aver sentito lo scricchiolio delle sue ossa. Sua madre li aveva visti, sbirciando il loro congedo da dietro le tende della finestra del soggiorno. Lo sguardo di disapprovazione per quella pubblica e inappropriata manifestazione d'affetto, ma segretamente lieta che quel Tozier fosse finalmente fuori dalla vita di suo figlio una volta per tutte.

«Ci sentiamo presto, Spaghetti.»

Furono le ultime parole che gli rivolse.

Lo guardò montare in macchina. Quella macchina che suo padre gli aveva concesso di guidare un'ultima volta, prima di spedirla in California con tutto il resto dei loro averi.

Lo salutò con un cenno della mano.

Richie probabilmente stava piangendo di nuovo, le sue spalle scosse da un sussulto inconsolabile. Eddie non piangeva, ma lo strazio senza sfogo del dolore che si portava nel petto forse era peggio, molto peggio.

Il rumore del rombo del motore, lo scarico che rilasciava una nuvola oscura e mefitica nell'aria.

Lo guardò allontanarsi, sopraffatto da una sensazione che lo avrebbe accompagnato a lungo, nei mesi a venire.

Ma solo uno sguardo verso casa, alla finestra dove sua madre lo osservava soddisfatta e fiera lo spronò a rivolgerle la prima vera sfida del lungo percorso che gli avrebbe permesso la libertà.

Le lanciò uno sguardo determinato, ignorando il suo richiamo di rientrare in casa e senza pensarci un solo istante di più, puntò lo sguardo sulla macchina di Richie che ormai era in fondo al vialetto e scattò in corsa al suo inseguimento. Ben conscio che non avrebbe potuto raggiungerlo mai.

Un piede davanti all'altro, un respiro dietro l'altro. Il cuore che pompava ossigeno i polmoni che reclamavano aria.

Posso correre, mamma.

Lasciò che le sue emozioni si fondessero con la fatica, che il suo sudore si amalgamasse con l'angoscia e la paura. Che le annientasse.

Corse fino a quando la macchina di Richie non fu che un puntino in fondo alla strada. Corse ancora, anche quando non c'era più niente da vedere.

La sensazione che avrebbe potuto correre all'infinito, inseguire Richie per sempre, se solo avesse voluto.

La certezza che lo avrebbe rivisto... se solo ci avesse creduto abbastanza. Se si fosse concesso di provarci abbastanza.

 

**

 

Los Angeles, California, 2001

 

Eddie aveva sempre considerato affascinanti le macchine d'epoca, ma non disdegnava mai un secondo sguardo a quelle autovetture un po' datate di qualche decennio. Gli ricordavano, in qualche modo, gli anni della sua infanzia. Per qualche strana ragione non riusciva mai a rammentare con chiarezza gli anni passati a Derry, ma la Station Wagon color sabbia che possedeva sua madre, quando ancora abitavano in quella sinistra cittadina del Maine, la ricordava eccome.

Per quel motivo, adesso era fermo ad osservare quella Ford Sierra, color rosso sbiadito, parcheggiata sul ciglio della strada. Non doveva stare poi così a cuore al suo proprietario considerata l'usura della scocca e il disordine che regnava sovrano, al suo interno.

Eppure, in una certa misura, quel disordine gli sembrò improvvisamente familiare. E il ricordo di Derry tornò a far capolino nella sua memoria in un assolato pomeriggio californiano.

 

 

Fine prima parte.

 

 

Note:

*Chamberlain è la fittizia cittadina del Maine in cui è ambientato il romanzo Carrie, di Stephen King. La tragedia a cui Richie si riferisce è quella del ballo di fine anno descritto alla fine del libro.

 

Presa dal sacro fuoco dell'ispirazione ho assecondato un'idea e mi sono ritrovata a scrivere una storia breve. Concepita all'inizio come One Shot, credo di averla inavvertitamente trasformata in una long, che comunque non credo prevederà più di tre capitoli. Ripercorrerà tre precisi momenti nella vita di Eddie e Richie. Filo conduttore: un'automobile (che pur trattandosi di qualcosa ispirato a King, no, non sarà posseduta dal demonio).

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Capitolo 2
*** Parte Due ***


Parte due

 

Los Angeles, California, 2001

 

Qualcuno avrebbe dovuto avvisare Eddie sul clima della California. Non che non avesse fatto le sue ricerche il giorno in cui la sua superiore gli aveva comunicato che lo avrebbe spedito a Los Angeles, per un seminario formativo di lavoro, al quale non poteva rifiutare di partecipare.

Lavorava per una compagnia di New York da qualche mese, e ancora non era riuscito a godersi il nuovo appartamento in affitto o a disfare gli scatoloni che aveva impacchettato direttamente dal campus universitario.

Fortuna o merito, Eddie non aveva mai voluto indagare sulle congiunzioni astrali che gli avevano permesso di trovare lavoro come giovane consulente finanziario, fresco fresco di laurea.

Si era guadagnano un'indipendenza del tutto inaspettata nel giro di poche settimane. Solo l'idea di dover tornare a vivere con sua madre dopo la laurea, con la speranza di trovare un lavoro sufficiente a mantenerlo, era stato motivo di ansia ancor più di quello dell'idea di dover discutere la sua tesi.

Quando, dopo i primi due colloqui, la compagnia a cui l'università lo aveva indirizzato, gli aveva telefonato per comunicargli che avrebbe cominciato a lavorare per loro la settimana successiva, era quasi svenuto dalla gioia. Aveva dovuto lottare con se stesso per non correre al pronto soccorso, lamentando l'avvento di qualche rara malattia.

Sonia non l'aveva presa bene come avrebbe dovuto. Non gli aveva detto di essere fiera di lui. Si era limitata ad allarmarlo con gli scenari peggiori, nel caso avesse fallito con questo suo patetico tentativo di indipendenza. Una città grande e pericolosa come New York, che lo avrebbe distrutto alla prima difficoltà finanziaria, con i suoi affitti stellari; per non parlare di quanto fosse pericoloso aggirarsi per le strade della grande mela, senza incappare in qualche personaggio debosciato, pronto a scaricarti addosso i proiettili della sua pistola.

La trattativa era stata lunga ed estenuante, ma Eddie era riuscito a sfangarla solo quando le aveva presentato la prima sostanziosa busta paga.

Eddie amava New York, la nevrotica, caotica, multietnica New York, si era sempre chiesto a che servisse viaggiare per il mondo quando il mondo intero sembrava affollarsi già nella città dove aveva deciso di vivere. Ma l'inaspettata proposta di un viaggio a Los Angeles gli aveva scatenato addosso un'emozione strana ed euforica.

Il primo vero viaggio lontano da casa. Forse la prima volta che si spingeva tanto lontano, dall'altra parte degli Stati Uniti, niente meno.

Per quello aveva fatto le sue ricerche, sì. Sapeva che in primavera il clima californiano era molto diverso da quello di New York, che avrebbe fatto più caldo. Ma così caldo, Eddie non lo avrebbe immaginato mai.

 

Era appena emerso da una lunga mattinata di corsi sui rischi finanziari e ancora indossava quel completo elegante da perfetto newyorkese in carriera. Un buon completo: blu scuro, di sartoria, impacchettato appositamente per l'occasione. Se qualcuno gli avesse detto che sarebbero bastati un paio di jeans e una t-shirt, come la maggior parte dei corsisti che aveva incontrato durante la giornata, avrebbe evitato di fare la figura del coglione rileccato e probabilmente avrebbe sopportato meglio la botta di caldo non prevista.

Una volta libero dagli impegni aveva deciso di concedersi una passeggiata per le vie della città, senza tornare subito in albergo. Si era allentato la cravatta, slacciandosi i primi bottoni della camicia, cercando di assorbire un po' di quella vitamina D che il suo medico si assicurava di fargli assumere con degli integratori. Si era sfilato la giacca e soffermato di fronte alla vetrina che prometteva sensazionali gusti di gelato. E improvvisamente aveva realizzato che un gelato era ciò di cui aveva bisogno, che nessuno si sarebbe preoccupato di vietarglielo, per una volta tanto.

Perciò adesso camminava lungo uno di quegli enormi marciapiedi della città, gustando il suo gelato senza lattosio (a Los Angeles sembravano propensi alle alternative salutari), godendosi il resto della giornata, libero da impegni.

 

Fu in quell'occasione che Eddie vide una Ford Sierra dell'82, parcheggiata di fronte a un negozio di articoli musicali. Color rosso sbiadito, consumato dal sole.

Non era un'automobile particolarmente bella o ricercata, datata e in pessime condizioni, senza ombra di dubbio. Si era fermato a sbirciare dentro l'abitacolo, le condizioni dei finestrini non meno disastrose dell'igiene e il caos che regnavano al suo interno. Eppure c'era qualcosa in quell'auto che aveva inspiegabilmente catturato la sua attenzione. Che lo aveva riportato indietro di anni. A Derry, la città in cui era nato e cresciuto, per la maggior parte della sua infanzia.

Non ricordava molto degli anni trascorsi a Derry. A volte non ricordava affatto Derry. Un vuoto di memoria talmente incomprensibile che quando il pensiero veniva catapultato in quel periodo, per qualche assurdo motivo, Eddie si soffermava a chiedersi come mai continuasse sistematicamente a dimenticarsene.

Che a questo giro la memoria fosse stata riportata a galla da una vecchia automobile in pessimo stato, era ancora più indecifrabile.

Infastidito dalla polvere accumulata sul finestrino del retro, se non fosse stato per il disagio di insozzarsi le dita, sarebbe stato tentato di allungare la mano e scrivere a caratteri cubitali un ammonimento per il proprietario.

Lavami!

Una richiesta di aiuto da parte di quella povera macchina che quel disgraziato non avrebbe potuto fare a meno di notare.

«Posso sentire da qui la disperazione di quel cono gelato.»

Una voce alle sue spalle lo fece trasalire e il gelato, che già si stava mestamente sciogliendo lungo la sua mano, a sgocciolare sul marciapiede, accanto alle sue scarpe lucide, gli scappò di mano rovinando al suolo con un suono appiccicoso.

«Merda!», imprecò nemmeno troppo velatamente, agitando la mano per sbarazzarsi delle gocce di crema rimaste intrappolate fra le sue dita. Dovette combattere con se stesso per non portarsele alle labbra e ripulirle con un metodo tutt'altro che igienico.

«Fantastico, guarda che cazzo mi hai fatto fare!», sbottò, un po' per lo spavento di essere stato sorpreso durante una riflessione profonda, un po' perché realmente infastidito di aver sprecato a quella maniera una merenda più che meritata.

«Io? Guarda che hai fatto tutto da solo», una risata mal trattenuta nella voce dell'uomo lo spronò ad alzare su di lui uno sguardo furente.

«Se non avessi deciso di sorprendermi alle spalle e rischiare di farmi venire un maledetto infarto!»

Lo accusò prima ancora di prendersi del tempo per esaminare chi si trovasse di fronte: un uomo alto, dalle spalle massicce, il viso aperto e canzonatorio. Indossava un paio di occhiali dalla montatura importante e la peggior combinazione di vestiti su cui avesse mai posato lo sguardo. Che diavolo di problema avevano i californiani con quelle maledette camicie floreali?

«Stai per avere un infarto?» gli chiese, inarcando un sopracciglio, un po' perplesso.

«No, non credo», gli rispose, vagamente preso in contropiede dalla domanda e da un'improvvisa sensazione di déjà-vu, «ma questo non ti dà il diritto di sbucare alle spalle della gente in questo modo».

«È una nuova legge della California di cui non sono a conoscenza, agente?»

«Agente?»

«Non so, mi parli di diritti e sei vestito in questo modo», lo squadrò in modo esplicito, «o sei un agente dell'FBI in libera uscita oppure sei uno di quei fighetti di New York».

Centro.

Eddie si sentì inondare di imbarazzo.

«Ci ho preso, vero? Sei di New York», l'uomo sembrò talmente soddisfatto della sua intuizione che Eddie cominciò a fumare di rabbia.

«Ma levati di mezzo...» tronfiò a mezza bocca, deciso a mettere fine a quella sgradevole conversazione.

«Lo farei anche, ma si dà il caso che quella sia la mia macchina e che tu ti ci sia piazzato proprio di fronte.»

Eddie si voltò allarmato, rendendosi conto di essere praticamente a pochi centimetri dalla portiera. La macchina di quell'uomo che era stato sorpreso a sbirciare.

«Oh, io... sì, bè... al d-diavolo...» si scostò con un passo malfermo, improvvisando un ridicolo balletto con lo sconosciuto per capire da che parte rifarsi per scansarlo.

«Richie! Ehi, Richie!» un ragazzo era appena uscito dal negozio di articoli musicali con un sacchetto fra le mani, attirando l'attenzione dello sconosciuto. Eddie sgattaiolò di lato, finalmente fuori dalla sua ombra.

«Hai dimenticato i tuoi CD sul bancone. Li hai pagati e te li sei dimenticati, che testa che hai.»

«Che vuoi farci, sono un uomo generoso: pago e non riscatto la merce», risero entrambi ma Eddie si trovò a scrutare lo sconosciuto dai vestiti sgargianti con occhi diversi.

Richie.

Il nome aveva fatto scattare un nuovo campanello d'allarme. Ad alimentare di nuovo quella straordinaria sensazione di déjà vu. Accesa da quella Ford Sierra dell'82 e poi spronata dall'irriverenza di quel...

«Richie...» mormorò, lasciando che quella parola gli carezzasse la lingua, attivando le ultime sinapsi.

L'uomo si volse nella sua direzione, fra le mani una busta con i CD che gli erano appena stati restituiti.

«Sì? È il mio nome, ma attento a non sciuparlo...» gli rispose, ma nel suo tono c'era adesso qualcosa di incerto.

«Richie... Tozier. Sei Richie Tozier?» domandò Eddie, mentre l'immagine di un ragazzino poco più che tredicenne si sovrapponeva a quella dell'uomo che aveva di fronte.

«Eddie... ?» anche i suoi occhi che sembravano avidamente cercare qualcosa, dietro le lenti dei suoi occhiali, «Eddie Spaghetti!»

«Kaspbrak, il mio cognome è Kaspbrak!»

La protesta però non fu che un altro di quei riflessi incondizionati, il soprannome più familiare di quanto riuscisse ad ammettere.

«Eddie Kaspbrak, ma certo! Sarà un secolo che non ci vediamo, ma sei rimasto tale e quale, come ho fatto a non riconoscerti?», esclamò Richie, in un eccesso di entusiasmo. Aveva abbandonato quell'aria canzonatoria, a un terzo testimone sarebbe sembrato assolutamente estatico dell'incontro, «Non sei cresciuto di mezzo centimetro».

«Ma vaffanculo», lo apostrofò Eddie e poi si morse la lingua, affatto sicuro che rivedere dopo anni un vecchio amico di infanzia gli permettesse di recuperare tanto facilmente certe dinamiche infantili.

Ma Richie aveva cominciato a ridere e gli era andato incontro per un abbraccio che a Eddie sembrò di attendere da una vita intera.

Richie era enorme. Molto più di quanto ricordasse. Non che rammentasse molto degli anni della loro infanzia, ma abbastanza da ricevere quella confortante sensazione di ritorno a casa.

Il suo odore poi. Era sempre lo stesso? Come faceva a ricordare così bene il suo odore?

«Che diamine ci fai a Los Angeles? Chiaramente sei appena arrivato, non esiste che tu sia agghindato in questa maniera e viva da queste parti, senza essere stato brutalizzato da chiunque.»

Eddie si scostò frettolosamente, impacciato.

«Sono qui per lavoro. Una settimana di convegni formativi», gli spiegò senza entrare nello specifico. Confuso dalla sua presenza, non riusciva a smettere di guardarlo, per poi scostare lo sguardo, a disagio, e passarsi la giacca da una mano all'altra.

«Dio, il piccolo Eddie è cresciuto. Lavoro, convegni formativi, un vestito da pinguino... dove sono finiti i pantaloncini corti e il marsupio?»

«Chiaramente non più articoli per un adulto», ribatté vagamente infastidito.

«Non per un adulto di New York, ma qui...» fece cenno a un uomo di straordinaria stazza, che stava passando loro accanto: sfoggiava un paio di imbarazzanti shorts azzurri e un marsupio a tracolla sulle spalle.

Eddie si passò una mano sul viso, camuffando un sorriso con un verso seccato.

«Bè, chiaramente non più articoli per me.»

«Aw, che peccato, me le ricordo ancora quelle tue gambette secche.»

Eddie gli scoccò un'occhiata di fuoco.

«Tu invece non sei cambiato per niente. Stesso gusto per i vestiti ripescati a casaccio dall'armadio e battute di pessimo gusto, Boccaccia.»

«Te lo ricordi ancora! Sapevo che prima o poi qualcuno mi avrebbe ricordato da dove diavolo arrivasse il mio nome d'arte.»

Eddie gli rivolse uno sguardo perplesso. Boccaccia era stato il nomignolo con cui lo avevano sempre chiamato dacché si conoscevano. Eppure gli parve di averlo ricordato davvero solo in quell'istante.

Si passò una mano fra i capelli.

«Non te lo ricordavi?» gli chiese, cercando la sua approvazione, una sorta di riconoscimento.

Richie scosse la testa. «Non proprio», gli confessò perdendo quel sorriso un po' sghembo, «Non te la prendere a male, amico ma devo essere sincero con te: fino a dieci minuti fa non ricordavo nemmeno di averti mai...»

«Conosciuto», concluse per lui la frase.

Ci fu uno scambio di sguardi che dissero a Eddie più di quanto avrebbero potuto fare le parole. Era successo qualcosa a Derry, qualcosa di grosso. Qualcosa che, per qualche motivo, aveva portato loro a dimenticare.

A dimenticarsi l'uno dell'altro, a dimenticare... come si chiamava quel ragazzo con la balbuzie? Wallace? William. Bill. E gli altri. Diversi... altri.

«Per quanto resterai a Los Angeles?», una domanda che permise a Eddie di tornare al presente, più che concentrarsi su quel passato nebuloso.

«Una settimana».

«Un'intera settimana nella città delle celebrità», disse Richie con un mezzo inchino, «senti, se mai avessi del tempo libero...»

«Non ho mai impegni la sera», rispose così rapidamente che non ebbe il tempo di riflettere su quanto potesse sembrare patetico, «voglio dire...»

Richie sbuffò una risata. «È okay Spaghetti, stavo proprio per chiederti se ti andasse di uscire a bere qualcosa, una sera di queste. Rivangare i bei tempi andati, aggiornarci sulle nostre straordinarie esistenze da uomini adulti e responsabili, eccetera eccetera eccetera...»

«Richie e responsabilità nella stessa frase non si può proprio sentire.»

«Ouch, come osa, signor Kaspbrak».

Eddie scosse la testa e recuperò il proprio cellulare.

«Dammi il tuo numero», gli chiese con aria pratica.

«Autoritario...» commentò Richie con un sorriso impressionato. Poi cominciò a dettarglielo.

 

Si diedero appuntamento quella sera stessa.

Un locale che Richie sembrava conoscere piuttosto bene, data la confidenza che mostrava con il personale.

«Ogni tanto mi esibisco qui, con alcuni pezzi di stand-up comedy, sai...» gli aveva risolto il dubbio dopo l'ennesima manifestazione d'apprezzamento da parte di un gruppetto di ragazzi seduti al bancone.

Gli raccontò di come, una volta trasferito in California con i suoi genitori, avesse frequentato l'università per un intero semestre prima di trasferirsi a Los Angeles e darsi al teatro. Di aver ottenuto un lavoro per una radio locale che gli permetteva almeno un paio d'ore al giorno in totale libertà di parola, mentre il resto della settimana si destreggiava fra esibizioni sui palchi di alcuni locali e provini che, per il momento, non gli avevano portato grossi successi; eccetto quella volta che era riuscito a ottenere un ruolo come guest star in una sit-com che gli aveva permesso di pagare l'affitto del suo monolocale di periferia per almeno cinque mesi in un'unica soluzione. Una vita piuttosto frenetica, piuttosto disordinata. Una vita che non avrebbe visto diversa per un tipo come Richie.

Non gli sembrava particolarmente felice, però. O quantomeno, non soddisfatto come si aspettava che fosse.

«È che quella dello spettacolo è una via tortuosa da intraprendere, sai? Spesso non basta il talento, ci vogliono le botte di culo. O dare via il... culo, se capisci che intendo.»

Eddie si era ritrovato ad alzare gli occhi al cielo e poi ad annuire come se ci potesse davvero capire qualcosa. La sua vita si era svolta con una linearità così banale che quasi si vergognava di dovergliela raccontare. Aveva ottenuto una sottospecie di indipendenza che non avrebbe scambiato con niente altro al mondo, ma non riusciva a dirsi del tutto soddisfatto di quello che aveva ottenuto. Non ancora almeno. Liberarsi delle sue paure e delle sue ipocondrie era la priorità, ma la strada era ancora piuttosto lunga. Non riusciva a vederne la fine.

Aveva sempre vissuto con quell'assurda sensazione che gli mancasse qualcosa di fondamentale. Un tassello che aveva smarrito in qualche luogo oscuro.

E solo parlando con Richie, lentamente si era reso conto che quel tassello doveva essere rimasto intrappolato nelle pieghe del tempo. In quel passato che, per qualche ragione, ancora non riusciva del tutto a mettere a fuoco.

Aveva ricordato con Richie della loro infanzia a Derry, delle estati alla cava, ai barren. Erano riusciti a dare un nome a tutti i ragazzini che avevano frequentato durante quegli anni. Erano persino riusciti a riportare alla memoria anche alcuni degli episodi più stupidi che li avevano visti protagonisti, durante quegli anni. Eppure la sensazione che ci fosse ancora qualcosa nascosto dietro i ricordi della fitta vegetazione dei barren, restava. La cosa cominciava a diventare frustrante. Oltre che spaventosa, per certi versi.

Ma stare con Richie gli piaceva. Aveva dimenticato come si sentisse a suo agio in sua presenza.

Dopo i primi strani, imbarazzanti scambi di battute ormai riuscivano a chiacchierare come se non si fossero separati mai. Ritrovando dinamiche che, realizzava solo in quel momento, gli erano mancate come l'aria. Amici come Richie, come Bill, come Mike, Ben, Beverly e Stan, non li aveva ritrovati mai più. E questo era un fatto. Patetico, ma un fatto. Era convinto di riuscire a esprimere sempre la parte migliore di sé, in compagnia dei suoi amici.

«Chissà che fine hanno fatto tutti gli altri...», domandò Richie, sorseggiando quello che restava del suo bourbon. Un alcolico sofisticato per un ragazzo che Eddie ricordava ancora sporco di gelato al cioccolato e che sfidava gli altri a mangiare insetti.

«Se non ricordo male Mike viveva ancora a Derry, quando mia madre ed io ci siamo trasferiti.»

«Sonia! Come ho fatto a dimenticare la mia signora Kappa del cuore.»
«Non cominciare, Richie.»

«Non posso cominciare un bel niente, se in realtà non ho mai smesso di amarla, inconsciamente, per tutti questi anni.»

Eddie alzò gli occhi al cielo, decidendosi a recuperare la sua birra per un sorso rapido, nelle speranza che Richie abbandonasse quella stupidissima linea di condotta, se non gli avesse dato corda.

«Come sta? Chiede ancora di me?», evidentemente ci voleva ben altro per fermarlo.

«Come no? Ogni mattina. Mi chiama apposta per chiedermi come sta quel caro ragazzo dei Tozier.»

«Lo sapevo», rispose con occhi sognanti, fingendo di asciugarsi una lacrima, «questo significa che sei riuscito ad abbandonare il nido materno? A spiccare il volo?»

La domanda era più seria di quanto Richie volesse far trasparire. Si chiese quando e quante volte avessero già affrontato un argomento simile, in passato.

«Da quando ho iniziato l'università. Non è stato facile», si rigirò fra le mani il boccale di birra, lanciandogli uno sguardo intimidito. Ma Richie sembrava così soddisfatto della risposta che l'imbarazzo dell'argomento sfumò via molto rapidamente. Un'altra di quelle sensazioni famigliari. Cominciavano a essere diverse, tanto che prese a sentirsi a disagio per qualcosa che era certo di non ricordare ancora a dovere.

«Quindi ora vivi a New York? Un appartamento a Manhattan nell'Upper East Side?»

«Certo che no, ho dimora fissa all'Hotel Hilton a Midtown», gli lanciò addosso una nocciolina, «vivo in un appartamento a Brooklyn, per il momento».

«Ah! Per il momento. Conti di fare i big money nella finanza, mh?»

«Come se tu non ti fossi già preparato il discorso per gli Oscar».

Richie lo guardò impressionato, prima di portarsi una mano al cuore: «non so che diavolo vi siate fumati all'Academy per aver preso questa decisione di merda, ma ora che Richie Tozier ha ricevuto un Oscar dovrete convivere con il fatto che lo rinfaccerò a chiunque per il resto dei vostri giorni. Peace.»

Eddie, si ritrovò a ridacchiare: «Questo discorso fa schifo.»

«L'alternativa è quella di non presentarsi a ritirare l'Oscar ma chiedere a un Muppet di farlo per me. Momenti di altissima televisione.»

«Marlon Brando manda un nativo americano, Richie Tozier un Muppet. Memorabile.»

Richie annuì, finendo tutto d'un fiato il suo drink.

«E ci vivi tutto solo a New York? Coinquilini?», tamburellò le dita sulla superficie del tavolo, «... fidanzate?»

Eddie rialzò lo sguardo, intercettando quello di Richie. Non sembrava voler alludere a niente di specifico ma la domanda ebbe il potere di scatenargli un brivido lungo la schiena.

«Uhm... no. Vivo da solo», rispose stringato, in un modo nell'altro non era sicuro di voler davvero approfondire l'argomento. Nè dover spiegare a Richie che razza di disastro fosse la sua situazione sentimentale. Sapeva per certo di essere ancora esageratamente confuso a riguardo.

«Già, è più pratico, vero?», si sentì rispondere, in modo rumoroso e gioviale, come se Richie, intuendo i suoi pensieri cupi, avesse voluto spazzarli via con un'affermazione del tutto fuori registro, «ho avuto una quantità di coinquilini immonda da quando mi sono trasferito a Los Angeles, quando uno di loro ha fritto il mio lettore CD nel forno a microonde, mi sono detto: Richard, forse è il caso che trovi un posto dove friggerteli da solo i tuoi lettori CD. E quindi... mi sono trovato un monolocale. Piccolo e stipato di roba, ma non è che ci passi poi così tanto tempo in casa, quindi.»

Eddie sorrise appena, e se l'immaginò fin troppo nitidamente Richie nel suo monolocale, pieno di libri, dischi e scatoloni non ancora del tutto sistemati. Ricordava la sua camera da letto a Derry, il caos regnava sovrano. Eppure anche quello era così da Richie. Anche quello era Richie. Come lo era quella Ford Sierra con la quale gli aveva promesso di riaccompagnarlo in albergo, più tardi.

 

«Non posso crederci che tu abbia ancora questa macchina», si ritrovò a dirgli un paio di ore dopo, seduto a bordo del sedile del passeggero. Erano le undici passate e Eddie aveva a malincuore dovuto chiedere a Richie di rimandare a un altro giorno il resto delle conversazioni. La mattina successiva avrebbe dovuto affrontare un'altra sessione di corsi sulla finanza e non poteva permettersi di arrivarci con la mente ottenebrata dall'alcool o peggio, dalla mancanza di sonno.

Anche l'auto aveva l'odore di Richie. Odore di sigarette e di un'economica acqua di colonia.

Aveva dovuto scansare un paio di scarpe e dei giornali a terra, prima di potersi sedere comodamente.

«Potrei anche permettermene una nuova, a dire il vero, ma non sono sicuro di volermi sbarazzare ancora di questa anziana signora. Non mi ha mai lasciato a piedi...» disse con un sorriso sulle labbra.

«Ci scarrozzavi ovunque in giro, a Mike e me. Sei stato il primo ad avere la macchina», rammentò Eddie. Man mano che le ore passavano, i ricordi sembravano tornare sempre più rapidamente, sempre più chiari. C'era sempre qualcosa che gli sfuggiva. Qualcosa che, se si intestardiva a forzare la mano, lo ricacciava indietro con violenza.

«Già... me lo ricordo. E ricordo anche che dovevo sempre parcheggiare all'angolo per impedire che tua madre ti vedesse salirci. Non ti avrebbe mai permesso di farlo.»

«Puoi scommetterci la tua camicia a fiori. Mi avrebbe rinchiuso in camera fino alla maggiore età, se solo avesse saputo.»

Richie scoppiò a ridere, parcheggiando la macchina a pochi isolati dall'hotel in cui soggiornava Eddie.

«Per non parlare di quello che avrebbe fatto se solo avesse saputo che al ballo di fine anno non ci sei andato mai.»

Eddie sgranò gli occhi.

«Cristo Santo, me l'ero scordata la serata del ballo di fine anno.»

«Sì, fino a ieri ero convinto di essere rimasto a casa a guardare qualche filmaccio horror in seconda serata e ingozzarmi di patatine al formaggio. Invece ero fuori a scarrozzare i miei amici, con un sacco di lattine di birra nel bagagliaio.»

Eddie si ritrovò ad annuire: «Non credo nemmeno di averla assaggiata quella birra.»

«Sei sempre stato morigerato, mio caro Spaghetti, ma ci siamo divertiti lo stesso. Abbiamo insultato Derry e poi è stata la sera in cui vi ho detto che...»

«... te ne saresti andato alla fine dell'estate», concluse Eddie per lui. Anche questo cominciava ad accadere un po' troppo spesso. Le parole di un Richie diciottenne che gli riecheggiavano nelle orecchie, in un'eco lontana ma limpida. Rammentò tutto d'un tratto il terremoto che quella notizia aveva portato nella sua vita. Ne provò dolore fisico, come una ferita ancora aperta che veniva improvvisamente stuzzicata.

I ricordi cominciarono ad affastellarsi uno sopra l'altro, a srotolarsi in modo confuso e sbalorditivo. L'attacco di panico, Richie e Mike che cercavano di tranquillizzarlo, Richie che lo riaccompagnava a casa.

Un bacio.

Persino Richie si era zittito, le mani ancora posate sul volante che ora sembravano aggrapparcisi come per non precipitare in qualche turbine oscuro.

Si volse a guardarlo e si rese conto che Richie lo stava fissando. Non gli ci volle molto per capire che un simile flusso di ricordi doveva aver colpito anche a lui. Gli occhi sgranati dietro le lenti di quei suoi grossi occhiali che cercavano una spiegazione, una risposta, una confessione.

Come aveva potuto dimenticarlo? Lo aveva rimosso anche Richie? Nessuno sarebbe stato tanto bravo da nasconderlo per tutta la serata. Sarebbe emerso dall'imbarazzo latente, da qualcosa che Eddie non aveva davvero colto in quelle due ultime spensierate ore.

Sapeva di voler bene a Richie, di avergliene sempre voluto. Aveva ricostruito mentalmente il legame che avevano intrecciato, durante tutto il corso della serata. Ma adesso ricordava cos'era quella sensazione a cui non era riuscito a dare un nome. Adesso ricordava di essere stato, in una qualche misura, innamorato di lui. Di aver sofferto il distacco, come un doloroso strappo, il giorno in cui Richie se n'era andato da Derry. E di averne subito le conseguenze per giorni e giorni... di non essere mai riuscito a spiegarsi perché Richie non avesse mai più cercato di contattarlo, dopo.

Per un istante gli sembrò che Richie fosse sul punto di dire qualcosa, e improvvisamente ebbe il terrore di quello che avrebbe potuto uscirgli dalle labbra. Una scusa? Una patetica scusa? Oppure si stava solo immaginando tutto quanto e Richie non ricordava un accidenti di niente delle ultime settimane a Derry? Non ebbe la forza di indagare quale delle due soluzioni l'avrebbe abbattuto con più ferocia.

«Grazie per il passaggio, Richie, ma ora devo proprio andare», si sentì rispondere, come se la tua testa e le sua labbra avessero preso direzioni diverse. Come se il suo corpo avesse deciso di risparmiargli un'umiliazione o l'ennesima sofferenza.

Vide Richie ritrarsi, divenire piccolo, minuscolo, per quanto fosse possibile per un uomo della sua stazza.

«Nessun problema, Eddie», lo sentì ribattere mentre Eddie apriva la portiera e scendeva dall'auto senza quasi avere la forza di guardarlo di nuovo.

«Ci sentiamo, presto d'accordo? Buonanotte Richie», disse, indugiando con un piede sulla strada e l'altro sul marciapiede.

«'notte Eds...».

Senza voltarsi indietro Eddie aveva preso a camminare verso l'hotel. Il cuore che batteva così forte che quasi non riusciva a sentire il rumore dei propri passi sull'asfalto.

 

Seguire i corsi, il giorno successivo non fu affatto semplice. La sua capacità di concentrazione andava a farsi benedire ogni cinque minuti, ogniqualvolta il pensiero tornava inevitabilmente alla serata precedente. A Richie.

Non era nemmeno riuscito a chiudere occhio, quella notte, al pensiero che forse non avrebbe dovuto scappare a quella maniera. Indagare se anche per lui i ricordi erano tornati alla stesso modo.

Era vero, dopo la sua partenza Richie non si era fatto più sentire, ma non era forse anche vero che il giorno in cui lui e sua madre se ne erano andati per sempre da Derry, i ricordi di quel posto erano diventati nebulosi nel giro di pochissimo tempo? Si era ripromesso di sentire Mike, una volta che avesse messo piede nella casa nuova, ma poteva dire di averlo contattato davvero?

Più ci pensava, più gli sembrava pazzesco. Più cercava di rammentare l'esatto momento in cui aveva cominciato a dimenticare, più quel velo nebuloso di ricordi ancora gelosamente custoditi là dietro, lo intimava di starsene alla larga.

Doveva essere successo qualcosa a Derry. Aveva sentito parlare di memoria selettiva, di amnesie repentine a seguito di un fatto traumatico. Ma possibile che questa cosa avesse coinvolto tutti gli amici che aveva avuto nell'arco dell'infanzia? Forse avrebbe potuto chiedere a sua madre. Gli sembrò una pessima idea l'istante successivo in cui aveva formulato il pensiero.

Forse avrebbe solo dovuto parlare con Richie.

Forse avrebbe dovuto farlo già la sera precedente, invece di abbandonarlo senza alcuna spiegazione.

Vigliacco. Era stato un vigliacco.

Che importava se Richie non si sentiva più a quella maniera nei suoi confronti? Che quello che era successo fra loro fosse un ricordo che doveva starsene relegato a quelle straordinarie settimane estive della loro adolescenza? Non aveva bisogno di una riconferma di quegli stessi sentimenti. Già l'aver compreso dove stava il segreto della sua confusione nei confronti del sesso, delle donne, gli sembrava un passo avanti piuttosto consistente.

Era stato innamorato di Richie. E poteva dire con una certa sicurezza che non avesse niente a che fare con la sperimentazione, con la solitudine. Era sempre... stato innamorato di Richie. Ma era anche il suo migliore amico. Uno dei migliori che avesse mai avuto. E il pensiero gli dava una sensazione di conforto. Non era quello l'importante? Più di ogni altra cosa? L'aver ritrovato Richie. A prescindere da tutto.

Perciò, quella stessa sera, una volta precipitato fuori dalla sessione di corsi pomeridiani, dei quali non aveva capito un accidenti di niente, Eddie aveva recuperato il suo cellulare e chiamato Richie.

«Eddie, ciao...» gli rispose questi con voce incerta, dall'altro capo della cornetta. Come non si aspettasse una telefonata simile, dopo la brusca conclusione della serata precedente.

Eddie cercò di non farsi intimidire dal suo tono. Non aveva alcuna intenzione, questa volta, di scappare.

«Ehi, Richie. Mi chiedevo se fossi libero questa sera.»

Una pausa un po' più lunga del previsto che per un istante gli fece pensare il peggio.

«Per te sempre, mio caro Eds», un sorriso; poteva sentire il sorriso, nella sua voce, ora. E il sollievo nel proprio cuore.

«Non chiamarmi Eds, lo sai che lo odio», lo rimproverò bonariamente. Un'altra delle cose che aveva dimenticato.

«D'accordo, Spaghetti. Preferisci vederci da qualche parte o... ? Ho noleggiato un dvd e stavo decidendo se ordinarmi una pizza ma...»

«Una pizza. Sì, mi andrebbe una pizza», gli rispose, «mandami un messaggio con il tuo indirizzo di casa.»

«Autoritario», rispose Richie. E come la volta precedente, cedette alla sua richiesta.

 

L'appartamento di Richie era esattamente come Eddie se l'era immaginato: piccolo, senza stile e stipato di roba. Quello che non aveva previsto però, era la cura con cui sembrava aver riposto su vari scaffali una quantità inverosimile di libri, dvd, dischi in vinile e CD. Non ammassati senza una vaga collocazione logica, ma ordinatamente disposti secondo categorie precise.

Richie lo aveva accolto sulla porta di casa con un paio di bermuda rosa acceso e una consunta maglietta di Whitney Houston che doveva aver visto giorni migliori.

«Benvenuto... in mia dimora...», esordì, con un inchino, un pessimo accento dell'Europa dell'est e un vago accenno a canini vampireschi.

«Non ho mai visto un vampiro con i segni dell'abbronzatura, ma potresti lanciare una moda», gli rispose con una battuta, per nascondere l'agitazione.

Appena sceso dal taxi che lo aveva accompagnato lì era sicuro di essere in procinto di vomitare, tanta era la nausea per l'ansia. Ma ora che ce lo aveva di fronte, la tensione sembrava essere lentamente scemata.

«Perché la concezione che avete dei vampiri è del tutto retrograda e fondata su leggende metropolitane.»

Eddie scosse la testa e si infilò le mani nelle tasche dei pantaloni, per poi sfilarle di nuovo e intrecciare le braccia al petto, come non sapesse che farsene di quelle due appendici inutili.

«Non scherzavi quando dicevi che il monolocale era piccolo», commentò, guardandosi attorno.

«È più pratico da tenere in ordine. Mangiare, dormire e lavorare senza doversi nemmeno spostare. Avesse avuto il cesso accanto al divano sarebbe stato l'appartamento dei sogni.»

«Sei disgustoso, Richie...» disse, trattenendo però a malapena una risata.

«Modestamente», sorrise, «Prendi qualcosa da bere? Non ho molto in casa ma possiamo ordinare delle birre, assieme alla pizza», lo guardò andare dritto al frigorifero e tirare fuori un paio di lattine di Coca Cola, «queste vanno bene? Ricordo male o avevi un sacco di allergie, da ragazzino?»

«Molte delle quali del tutto fasulle...» lo corresse, andandogli incontro. La cucina era minuscola come tutto il resto. E il tavolo accanto ai fornelli era così piccolo da essere occupato quasi del tutto dal laptop di Richie. Era ancora acceso e Eddie immaginò che lo stesse usando poco prima che arrivasse. Gli aveva detto di lavorare spesso ai pezzi che presentava ai suoi spettacoli di stand-up. Si chiese che tipo di comicità dovesse aspettarsi da uno come Richie. Irriverente e piena di imitazioni poco politically correct, su questo poteva contarci.

«Oh, giusto...» lo sentì dire, versando la bibita in un bicchiere pulito, «quindi suppongo non avrai più nemmeno con te quel tuo ''polmoncino'' per l'asma».

Il polmoncino, da quanto tempo Eddie non sentiva più chiamare a quella maniera il suo vecchio inalatore?

Alzò lo sguardo su Richie.

«Ci avevi fatto l'abbonamento alla farmacia dei Keene. Oddio, te lo ricordi il signor Keene? Quel vecchio bavoso. Se ci ripenso adesso sono sicuro che gli piacessero i ragazzini a quello schifoso», si rese conto che Richie continuava a parlare. A parlare per impedirsi di pensare. A parlare per impedire a Eddie di capire che diavolo gli passasse per la testa.

Un tratto di Richie che non aveva dimenticato. E che gli dimostrava quanto dovesse essere nervoso.

E se Richie era nervoso... era perché...

Probabilmente aveva ricordato anche lui quello che era successo la sera del ballo di fine anno.

E se aveva ricordato ma non aveva rifiutato di vederlo e non aveva imbastito scuse per non invitarlo a casa sua...

Questo gli diede una spinta di inaspettato coraggio.

«Richie», cercò di interromperlo durante un colorito monologo che raccontava le sue recenti disavventure farmaceutiche con un tizio di Los Angeles. «Possiamo parlare un momento?»

Richie posò sul tavolo i bicchieri colmi di Coca Cola con uno sguardo un po' confuso.

«Non stiamo già... parlando?»

Eddie sospirò con forza.

«Intendo dire... possiamo parlare di quello che è successo ieri sera?»

«Che cosa è successo... ieri sera?»

Si umettò le labbra, innervosito. Richie non sembrava propenso a rendergliela semplice.

«Ti prego, Richie. Non dirmi che non te ne sei ricordato anche tu», disse, guardandolo direttamente in viso. Le gambe un po' gli tremavano e la sensazione di nausea che aveva represso non appena sceso dal taxi era tornata, «a quello che è successo la sera che ci hai detto che tu e la tua famiglia vi sareste trasferiti in California, a quello che è successo quando mi hai riaccompagnato a casa. A quello che è successo i giorni successivi», concluse, per evitare di lasciare spazio a dubbi. Non voleva arrivare ad essere più esplicito di così, non era sicuro di poterci riuscire senza sprofondare d'imbarazzo o umiliazione se solo si fosse sbagliato sulla memoria di Richie.

Ma quando lo vide stringersi nelle spalle e arretrare fino a colpire con la schiena il bancone della cucina, come non si aspettasse di trovarci una barriera lì, tornando a farsi piccolo, minuscolo, come aveva fatto la sera precedente, Eddie ebbe la conferma che anche lui ricordava. Come si sentisse a riguardo però, era ancora troppo difficile fa capire.

«Eddie, perdonami», disse e le sue scuse arrivarono inaspettate e vagamente allarmanti, «non so come abbia potuto dimenticarlo per così tanto tempo. Ti giuro che... non so che è successo.»

E finalmente capì che quello che Richie cercava di nascondere era un latente, mostruoso senso di colpa. Come se fosse stato l'unico ad aver dimenticato, per tutti quegli anni.

«Ti giuro che mi ero ripromesso di chiamarti. Di scriverti. Non so come mai non l'abbia fatto. È che quando me ne sono andato da Derry è come se... non ci avessi mai vissuto. La città, i miei amici... persino tu, siete spariti inspiegabilmente dalla mia memoria per tutti questi anni.»

La sua spiegazione più familiare di quanto gli piacesse ammettere.

«Io... mi dispiace Eddie, mi dispiace davvero...»

«No...», lo interruppe Eddie, andandogli incontro di nuovo, ma non si fermò quando lo vide irrigidirsi, «Richie, non sono venuto qui per fartene una colpa... la cosa assurda è che non ricordavo nulla nemmeno io. Che... non me ne sono ricordato fino a ieri sera», lo guardò dritto negli occhi. Come aveva potuto dimenticare qualcuno che gli risultava così familiare? I suoi occhi, così rassicuranti, la sua presenza così confortante.

«Com'è possibile?» lo sentì pronunciare a mezza voce.

Eddie scosse la testa: «Non lo so. Ho sempre pensato di non aver avuto un'infanzia che valesse la pena ricordare.»

Guardò Richie annuire, concordando sulla stessa identica considerazione.

«Devi aver pensato di essere stato sedotto e abbandonato...» commentò Richie, il tono che cercava disperatamente di essere leggero ma che tradiva una fortissima emozione.

«In realtà ero convinto tu avessi cercato di spezzarmi il cuore, Boccaccia.»

Non gli era decisamente uscita stupida come si aspettava. Si chiede solo in seguito come avrebbe potuto uscirgli ironica, quando in parte era vero che il silenzio di Richie in California gli aveva spezzato il cuore.

Ma fu solo quando il sorriso forzato di Richie si spense e le sue spalle presero a tremare di un'emozione tutt'altro che felice che si rese conto di avergli appena sganciato addosso un micidiale knock down.

A Eddie furono sufficienti due passi per raggiungerlo e avvolgerlo in un abbraccio impetuoso che non riusciva nemmeno a raccoglierlo tutto, tanto era grosso. Ma non fu certo un dettaglio simile a impedirgli di stringerlo con forza, per fargli capire quanto gli fosse mancato e di quanto poco lo incolpasse per ciò che era successo.

Si rasserenò solo quando le braccia di Richie gli furono attorno e il suo calore lo avvolse in modo così totalizzante che tutti i pezzi del puzzle finalmente sembrarono tornare al loro posto.

E quando sollevò la testa per poterlo guardare negli occhi e raggiunse le sue labbra per poterle baciare ancora... e ancora, seppe di essere davvero tornato a casa.

 

Eddie non aveva mai pensato al sesso come qualcosa di particolarmente divertente. Le poche, disastrose relazioni che aveva intrapreso durante gli anni del college avevano saldato questa sua convinzione, tanto da portarlo a credere che ci fosse qualcosa che non andava in lui. Se solo si fosse soffermato più a lungo a pensare che non c'era proprio niente di sbagliato o immorale a non sentirsi particolarmente attratto dalle donne e avesse fatto più attenzione ai segnali contrari che gli dava la sua coscienza, forse si sarebbe risparmiato un sacco di domande, a riguardo. Avrebbe scacciato con violenta rapidità tutti quegli anni di dissennati pregiudizi che gli avevano spinto in gola a forza quanto potesse essere sbagliata l'omosessualità.

Andare a letto con Richie gli aveva di colpo spalancato le porte della conoscenza. Il sesso poteva essere divertente, e piacevole. E assolutamente annichilente. Solo un paio di ore con Richie gli avevano insegnato più di se stesso di quanto non aveva mai saputo fare la vita in venticinque anni.

Aveva dimenticato cosa si provasse a baciare Richie, a toccare Richie.

Era sempre stato Richie a risvegliarlo da quel suo stato di incoscienza sessuale.

Dio solo sapeva se avrebbe trovato attraenti altri uomini, quando Richie gli sembrava tutto ciò di cui avesse sempre e solo avuto bisogno.

Forse c'era un nome specifico per quel tipo di sentimento. Ne aveva già individuato l'origine, in realtà, quando aveva ammesso con se stesso di essere stato innamorato di lui - come un ragazzo di diciassette anni può esserlo della sua prima cotta - ma non voleva azzardarsi troppo a pensarci, per il timore di insozzare quella parola, ora che tutte le sue attenzioni erano rivolte al corpo nudo di Richie al suo fianco. E tutto ciò che anelava al momento era averlo addosso, di nuovo. Di sentire il suo peso addosso, di sentire il suo odore addosso. Di permettere alle sue mani di accarezzarlo come nessuno aveva fatto mai. La sua bocca accoglierlo così come nessun uomo, aveva fatto mai.

«Perché mi guardi in quel modo, Spaghetti?», gli chiese lui all'improvviso, voltandosi nella sua direzione. Allungò un braccio per attirarlo a sé. Il suo corpo ancora così dolorosamente caldo, umido di sudore.

Eddie non era sicuro di poterlo gestire ancora a lungo, senza sentirsi sopraffatto in modo irreversibile.

«Mi fa strano vederti senza occhiali», imbastì una scusa, la prima che gli venne in mente. Anche se in parte era vero: raramente aveva visto Richie senza occhiali. Il più delle volte succedeva perché si stavano baciando. Ma aveva sempre gli occhi chiusi, quando lo facevano.

«Sarebbe un po' strano tenerli addosso mentre ti scopo.»

«Richie, ma che cazzo...» si trovò ad alzare gli occhi al cielo e arrossire senza averlo preventivato.

«Cosa?», lo sentì ridere. Era patetico sentirsi sciogliere al suono della sua stupida risata? Due ore e si era trasformato in un pappamolla da romanticismo ottocentesco, «ho avuto il tuo cazzo in bocca fino a cinque minuti fa e arrossisci alla parola: scopare?»

«Beep Beep, Richie», si allungo per tirare quei quattro peli che gli erano cresciuti sul petto, soddisfatto nel sentirlo trasalire. «Sei un coglione. Preferivo quando non riuscivi nemmeno a guardarmi in faccia per la vergogna.»

«Crudele questa, Kaspbrak», lo apostrofò, allungandosi giusto per posargli un bacio sulla testa, «è che vederti nudo ha sbloccato il livello successivo: quello poetico.»

«In effetti è un talento questo, hai mai pensato di darti alle tragedie Shakesperiane? Fottere o non fottere, questo è il problema.».

Richie rise di nuovo: «dovresti scriverli tu i testi dei miei spettacoli. Avevo dimenticato il tuo umorismo.»

Eddie si sentì stringere il cuore a quella constatazione.

Quante cose Richie aveva dimenticato di lui?

Quante invece a lui ne sarebbero tornate in mente di Richie, se solo si fosse concesso di frequentarlo sufficientemente a lungo?

Il pensiero che da lì a meno di una settimana avrebbe dovuto tornare a New York gli diede una fitta di malessere improvviso. Si strinse addosso a Richie con più forza.

«Ehi, tutto bene, Eds?»

«Smettila di chiamarmi così...» protestò in modo poco convincente, il viso affondato nel calore del suo petto. Richie era morbido, oltre che immenso. Aveva come la sensazione che avrebbe potuto perdersi nel suo abbraccio, per sempre. «Non sono mai stato meglio in vita mia», si ritrovò a confessare.

«Allora è servito davvero a qualcosa tutto l'allenamento che ho fatto in questi anni.»

Eddie alzò la testa, vagamente contrariato. La sua straordinaria capacità di smorzare il momento, affatto mutata nel corso degli anni.

«Oh, certo, parlami di tutti gli uomini che hai avuto, Tozier.»

«Dai, Spaghetti, non intendevo in quel modo.»

Eddie si scostò appena, posando un gomito sullo stomaco di Richie, per sorreggersi la testa e guardarlo, finalmente da una posizione privilegiata.

«Ma io lo voglio sapere davvero», gli chiese, adesso curioso. Non era certo tanto ingenuo da pensare di essere stato il primo uomo che si fosse mai portato a letto. Anche solo per il modo in cui si era comportato con lui. Come lo aveva guidato, come si era preoccupato di farlo stare bene.

«Sei serio?», la domanda arrivò un po' incerta, come se Richie stesse cercando di rivelare un qualche tipo di inganno. Ma Eddie si limitò ad annuire, l'espressione che non tradiva nessun tipo di stupida gelosia retroattiva, solo sincera curiosità.

«Bè, non così tanti come forse immagini», gli rispose, passandogli una mano dietro la schiena, in una lenta, rassicurante carezza, «che tu ci creda o meno, non riesco ancora a sbandierare in giro di essere gay.»

Eddie non faticava a credergli. Lui stesso, ora che aveva chiarito in modo piuttosto evidente i dubbi sulle proprie preferenze, era sicuro che il percorso a renderlo pubblico sarebbe stato piuttosto lungo. A partire dal terrore di doverne parlare a sua madre. Dio, sua madre. Non voleva pensare a sua madre.

«Ho avuto anche una fidanzata, un paio di anni fa, sai?» annuì in accompagnamento, invogliato dall'espressione sorpresa di Eddie, «Sandy. Le ero veramente affezionato. Tanto da aver scambiato la nostra affinità per qualcosa di più. Forse era solo un modo come un altro per cercare di provare qualcosa a me stesso. Ma... la natura prima o poi ti si rivolta contro e ti riporta alla realtà in modo anche piuttosto brusco. Sarebbe stata la donna della mia vita, se solo avesse avuto il pisello.»

Eddie gli sganciò una sberla sul petto.

«Ahia, ma è vero!», rise Richie, ma si era capito, dal modo in cui aveva raccontato di quella storia, dell'impatto che aveva avuto su di lui, «la prima volta che sono stato con un uomo ho dovuto ubriacarmi per superare la paura di quello che stavo facendo. Poi... è andata decisamente meglio. Sono felice che per te non sia stato lo stesso».

«Per forza, avevi solo della Coca Cola in casa», dichiarò Eddie con finto disappunto.

Lo vide sgranare gli occhi e poi scoppiare a ridere.

«Eds ne ha sganciata una buona, signori e signori!»

Eddie si unì alla sua risata, sebbene avrebbe voluto dirgli che nessun alcolico lo avrebbe ottenebrato tanto quanto la sua sola presenza. Di quanto Richie e solo Richie fosse sufficiente a dargli coraggio.

«Mi sei mancato così tanto...» non riuscì a trattenersi dal dirgli. Gli era mancato davvero il modo in cui lo faceva sentire. Il modo in cui lo faceva ridere.

«Mi sei mancato anche tu», la voce di Richie solo un quieto sussurro. Come sempre in difficoltà a esprimere a voce i suoi sentimenti, «pensi... insomma, pensi che dovremmo cercare di rintracciare anche gli altri, ora che ci siamo ritrovati?»

«I Perdenti?»

Richie annuì. «Hai detto che Mike era ancora a Derry, quando ti sei trasferito. Credi sia così assurdo pensare che abiti ancora lì? Non faceva che blaterare della sua fattoria, delle sue responsabilità nei confronti dell'impresa di famiglia...»

«Può darsi. Non ne sarei così sorpreso.»

«Dovremmo cominciare da lui.»

«Certo.»

«Cercare il suo numero con una rapida ricerca su internet, sono sicuro che gli elenchi telefonici di Derry non abbiano poi così tanti Hanlon, dopotutto.»

«Mh, mh...»

«Dovremmo proprio cercarlo.»

Eddie sorrise al buonumore che traspariva alla sola idea di riunire il gruppo, al suo tempestivo entusiasmo. «Pensi che potremmo cominciare la ricerca domani?»

«Bè, sì certo, Eds, perché?»

«Perché adesso voglio che mi baci.»

«Autoritario», disse Richie. Si issò appena per unire le labbra alle sue e mettere a tacere, per il momento, qualsiasi programma per il futuro.

 

I due giorni successivi trascorsero più velocemente di quanto Eddie avrebbe desiderato. La mattina e parte del pomeriggio frequentando i barbosi corsi di finanza; le sue serate, le sue notti, dedicate a Richie.

Durante la pausa pranzo si isolava da qualche parte per poter ascoltare il programma radiofonico a cui Richie lavorava, la stupida illusione, la parvenza di essere in sua compagnia. Era divertente, più di quanto volesse ammettere. E la sue sue conoscenze musicali sconfinate. Ora si spiegava il perché di tutti quei dischi nel suo appartamento. Della maniacale cura con cui erano sistemati sugli scaffali. Una passione che avrebbe dovuto intuire anche dalla spropositata quantità di magliette di cantanti o gruppi musicali che aveva nell'armadio. La prima notte, a casa sua, aveva dormito con una maglietta deforme dei Bon Jovi. Un reperto storico di qualche concerto a cui Richie aveva assistito verso la fine degli anni novanta. Un concerto al quale l'avrebbe accompagnato volentieri, se solo si fossero tenuti in contatto, gli anni della loro brusca, inspiegabile separazione. Quante delle cose che Richie gli raccontava avrebbe voluto affrontare in sua compagnia. Si poteva provare malinconia per qualcosa che non avevi vissuto?

Eddie provava malinconia per tutte le cose che non aveva potuto fare con Richie. La speranza di poterle fare in futuro. Una volta capito come fare per cancellare tutti i chilometri che lo separavano da lui.

 

La penultima sera, prima del suo rientro a New York, Richie gli aveva detto di avere una sorpresa per lui. E sorpreso lo fu davvero quando, una volta accompagnato al tavolo che aveva prenotato per la serata (nello stesso locale in cui si erano ritrovati la prima sera), lo vide sparire con una scusa qualunque e poi ricomparire sul palco. Sentirlo esibirsi dal vivo con uno di quei pezzi comici che probabilmente scriveva la notte, su quel suo laptop adornato di adesivi colorati. Una volta, svegliandosi nel bel mezzo della notte, sdraiato su quel divano letto scomodo e deformato, Eddie si era ritrovato a sbirciarlo, seduto al tavolo della cucina mentre le sue dita si muovevano rapide sulla tastiera. Il suo volto, illuminato dalla luce artificiale dello schermo del computer. Si era sempre chiesto di che temi trattassero i suoi spettacoli, ma niente lo aveva davvero preparato alla messa in scena.

Richie era divertente, estremamente divertente nelle sue descrizioni che raccontavano le disavventure di un giovane uomo di provincia alle prese con la follia californiana. Ma alcuni degli sketch che aveva selezionato per il finale che raccontavano di fidanzate fittizie e avventure sessuali declinate al femminile, non erano esattamente in linea con l'idea che Eddie si era fatto di lui.

Gli sembrava di assistere allo spettacolo di qualcuno che gestisce un dialogo con il freno a mano tirato. Dopo ciò che aveva visto di lui, quello che sapeva di lui, il clown che si esibiva sul palco sembrava solo una maschera per schermare, ancora una volta, al mondo, quello che Richie era davvero. Un potenziale frenato dalla paura di dimostrare chi desiderava davvero di essere. Il patetico tentativo di forzare la mano per rendersi più appetibile a un mondo omologato.

Eddie era consapevole di essere ingiusto. Sapeva che il mondo non era ancora pronto a quel tipo di comicità, che Richie stesso ancora non era pronto a donare la parte più vera di sé alle persone. Di darla in pasto a chi non avrebbe saputo che farsene.

Applaudì come tutti gli altri alla fine dello spettacolo, però, ululò il suo nome come tutti gli altri, felice del suo successo, fiero della sua intraprendenza, indeciso se parlargliene mai.

Lo baciò con più foga quella sera, di ritorno al suo appartamento, lo supplicò di non trattarlo con i guanti. Lo implorò di non risparmiargli nulla di ciò che poteva dargli. E Richie fece del suo meglio per accontentarlo, regalandogli tutto quello che sul palco non aveva avuto modo di esprimere.

Dimostrando a Eddie e solo a Eddie il suo coraggio.

 

L'ultima sera a Los Angeles fu anche quella più quieta.

L'atmosfera era simile a quella che precede una gara, si ritrovò a pensare Eddie, che di gare, all'università, ne aveva affrontate diverse sui campi di atletica. La quiete prima della tempesta. La necessità di risparmiare le energie, in previsione di una competizione difficile.

La separazione sarebbe stata difficile. Dirsi addio, sarebbe stato difficile.

Richie gli aveva tenuto la mano per tutta la sera, anche mentre spingeva quella sua Ford Sierra lungo la costa, per portarlo ad assistere allo spettacolo della luna piena sull'oceano.

Gli teneva la mano ora che se ne stavano seduti sulla sabbia, avvolti attorno a una coperta, ad osservare le onde che si infrangevano oscure e pacifiche sulla riva della spiaggia deserta. Poco distanti alcuni ragazzi stavano facendo baccano attorno a un falò. Ma le loro voci erano così distanti da non essere fastidiose.

Eddie pensò che sarebbe stato disposto a restare lì per tutta la vita, in silenzio ad osservare le onde, se solo avesse avuto la possibilità di restare per sempre accanto a Richie.

Un pensiero tanto sdolcinato che quasi si sorprese di averlo formulato lui stesso. Lui che di romanticismo non ci aveva mai capito nulla, che non ci aveva mai creduto davvero.

Richie che era in grado di farlo scattare come una molla per una battuta mal piazzata, ma che riusciva a renderlo morbido, come creta, nelle sue mani.

«Ricordami a che ora hai il volo domani...» Era la quinta volta che Richie gli faceva quella domanda.

«Nel primo pomeriggio. E no, non potrai accompagnarmi all'aeroporto perché a quell'ora sarai in onda alla radio.»

«Chi ti dice che non abbia già telefonato per chiedere una sostituzione, per domani?»

«Non sarai così stupido, perché mi sembra di essere stato piuttosto esplicito su quello che i miei piedi faranno al tuo culo se solo vedrò anche solo la tua ombra, all'aeroporto, domani.»

«Non dovevi metterla in questi termini, Spaghetti. Sai che adoro le cose che fai al mio culo...»

Gli diede un pugno sulla spalla, strappandogli un singhiozzo indignato.

Aveva dovuto praticamente implorarlo di non accompagnarlo in aeroporto. Non era sicuro di poter reggere lo stress emotivo di un ultimo saluto, proprio lì, al confine della loro separazione.

«Ti telefonerò non appena sarò atterrato a New York.»

«Mentre io sognerò il giorno in cui potrò nuovamente ricongiungermi al mio dolce Spaghetti», gli si strinse addosso in modo volutamente, esageratamente goffo.

«Stai scherzando, spero, ero sicuro fosse chiaro che questa settimana ti ho sfruttato solo per il sesso», lo provocò, cercando di slegarsi dalla sua morsa con alcuni movimenti esagitati.

«Direi di no, ci ho investito parecchio in questa storia.»

«Sì? Tipo quanto?»

«Ho già cominciato a risparmiare per il soldi del biglietto per venire a trovarti a New York.»

«Che cosa?»

«Non tutti hanno un lavoro che regala biglietti aerei e una settimana pagata in alberghi di lusso che puoi permetterti di non frequentare, perché così sfrontato da occupare il divano letto di un aspirante comico squattrinato.»

Eddie si volse a guardarlo.

«No, sul serio, Richie...»

«Sul serio, cosa?»

«Sul serio hai intenzione di venire a New York?»

Richie tornò vagamente serio tutto a un tratto.

«Ti sembra così... assurdo? Cos'è, hai una vita segreta che desideri tenermi nascosta? Se è così facciamola fuori subito Spaghetti, perché non sono sicuro di essere in grado di fare la ruota di scorta.»

Eddie scosse la testa e gli diede un pizzicotto al fianco, sotto la coperta.

«Non riesco a gestirne una, di vita, figuriamoci due...», gli sorrise, «mi piacerebbe molto se venissi a New York, Richie.»

«Quando. Non se. Quando.»

«Autoritario», gli concesse con un mezzo sorriso, cercando di non alimentare la speranza di qualcosa che non era che ancora un embrione, nella sua testa.

Permettimi di rivederlo di nuovo.

Promettimi che questa non sarà l'ultima volta.

Gli unici due desideri che si concesse di esprimere quell'ultima sera.

 

Quando Eddie salì sull'aereo il giorno successivo, aveva salutato Richie per telefono un'ultima volta. Aveva infilato il cellulare nella tasca del suo bagaglio a mano e si era sistemato nel posto accanto al finestrino. A dare un'ultima occhiata al cielo di quella città che gli aveva restituito una cosa tanto preziosa.

Si chiese che cosa sarebbe successo se non fosse mai volato in quella città. Se non avesse deciso di concedersi uno stupido gelato, superando di fatto la sua ritrosia per le sue intolleranze alimentari, se Richie non avesse parcheggiato quella sua sgangherata Ford Sierra proprio fuori da quel negozio di articoli musicali, attirando la sua attenzione.

Si chiese che sarebbe successo se non avesse affrontato con coraggio quei ricordi che lo avevano catapultato a quando la vita sembrava più semplice. Se non fosse tornato da Richie, parlandogli dei suoi sentimenti.

Una concatenazione di eventi che, per quanto assurdi, non potevano essere del tutto casuali. Che probabilmente avevano messo in moto qualcosa che, forse, gli avrebbe permesso di fare un altro passo avanti in quella sua vita incasinata. Che gli avrebbe permesso di affrontarla con ancora più coraggio. Quello stesso coraggio che sembrava tornare con più forza, ogni volta che era circondato da quegli amici che aveva disgraziatamente dimenticato.

Ma non poteva certo immaginare che Derry, dodici anni prima, aveva previsto un finale diverso per quella storia. Che non avrebbe concesso tanto facilmente una simile redenzione a chi l'aveva tradita, umiliata, sconfitta.

Più alto ti concedi di volare, più disastrosa sarà la caduta.

 

Quando Eddie scese dall'aereo, la mente un po' annebbiata dalla stanchezza e da quello stupido bicchiere di champagne che si era concesso in volo, fu subito certo di dover telefonare a qualcuno. Cercò di recuperare il telefono che aveva sistemato nel suo bagaglio a mano, senza trovarlo. La cerniera del suo zaino era aperta.

«Cazzo», imprecò, indeciso se credere di averlo perso o che qualche stronzo glielo avesse rubato.

Si tastò nelle tasche dei pantaloni, tirando un sospiro di sollievo, quando si rese conto che il portafoglio, quantomeno era ancora lì.

Rimase per qualche istante a contemplare il flusso di persone in aeroporto, fermo di fronte il portone degli arrivi. Il presentimento di aver dimenticato qualcosa di fondamentale, quell'assurda sensazione tipica dei sogni particolarmente intensi che ti spinge a rincorrerne i ricordi, senza riuscire ad afferrarli mentre svaniscono inesorabilmente, uno alla volta. Questo però non riusciva a spiegarla quell'improvvisa voragine nello stomaco, quel vuoto nel cuore. E un intenso, inspiegabile desiderio di pianto. La sensazione di panico crescente che arrivò quasi a mozzargli il fiato.

Ma dopotutto, oltre che al clima della California, nessuno lo aveva preparato allo stupido Jet Lag che si portava dietro un simile viaggio.

La California... che improvvisamente immaginava di non aver apprezzato particolarmente. Tutto il giorno chiuso in una stupida sala convegni. E le sere passate a... ripassare appunti?

Una scocciatura aver perso quello stupido cellulare.

Come avrebbe fatto ad avvisare...

… sua madre?

Considerò di consultare il suo medico per una rapida visita. Forse aveva accantonato con troppa leggerezza le sue prescrizioni per gli attacchi di panico. Riprese a camminare verso l'uscita, solo quando fu certo di essere in grado di camminare, senza impedimenti. Stanco, confuso, infastidito. Se possibile quel viaggio avrebbe alimentato alcune delle sue peggiori ipocondrie. La prossima volta avrebbe preso più precauzioni.

Si spinse fuori dall'aeroporto, sul marciapiede, verso il parcheggio dei taxi, il rumore del suo trolley a cancellare gli ultimi ricordi di quella sua breve, fastidiosa fuga da New York.

 

Fine seconda parte.

 

Nota: Già... mi sono lasciata prendere la mano, ma purtroppo non c'è alcun errore su come ho deciso di concludere il capitolo. Ho sempre voluto andare a parare qui. La storia, dopotutto, è partita dall'idea di permettere a Richie ed Eddie di ricongiungersi un'altra volta, prima del fatale, terribile epilogo a Derry. Di dare loro un briciolo di felicità. So di non averla resa meno straziante, in questo modo. Ma la prossima parte sarà l'ultima e spero di farmi perdonare con un finale un po' meno avvilente.

Alla prossima.

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Capitolo 3
*** Parte Tre ***


Parte Tre

 

Derry, Maine, 2016

 

Dicono che prima di morire, tutta la vita ti passi davanti agli occhi, come in un film mandato avanti veloce.

Eddie non era sicuro di voler assistere a un film che parlava della sua vita, tanto meno durante gli ultimi istanti della sua esistenza.

Si era sempre considerato una persona prudente. Una persona in grado di ponderare fin nei minimi dettagli una decisione, prima di agire. E allora perché questa volta non aveva seguito i consigli che si era dato per una vita intera? O che sua madre prima e sua moglie poi, si erano preoccupate di inculcargli?

Aveva preso una decisione impulsiva (di merda, avrebbe detto Richie – eppure lo avrebbe rifatto) e adesso ne stava pagando le conseguenze. La peggiore di tutte: quella di dover assistere ai ricordi tenuti segreti per ventisette anni che affastellavano la sua mente come un video impazzito.

Richie gli stava di fronte e cercava di tamponare una ferita che non doveva essere poi così trascurabile. Eddie ricordava solo un'altra occasione in cui Richie lo aveva guardato a quella maniera. Il giorno in cui, da ragazzini, per la prima volta si erano addentrati nei misteriosi e oscuri segreti della casa di Neibolt Street e Eddie si era rotto un braccio. Un trauma del tutto irrilevante a confronto di una tenaglia mastodontica che ti trafigge lo sterno, ma comunque un trauma. Eddie era spaventato allora ed era spaventato adesso. E Richie sembrava simpatizzare con il sentimento.

L'unica reale differenza era che Eddie, adesso, era consapevole di essere in procinto di morire.

E aveva appena assistito e compreso, sullo schermo del film della sua vita, limpido come un fulmine nella notte, di amare Richie. Di averlo amato e di aver dimenticato di averlo fatto.

La spiegazione a tutti i turbamenti che erano seguiti al suo ritorno a Derry, nel ritrovarselo di fronte, proprio lì, a portata di mano. I segnali che aveva sfiorato per tutto il tempo e che adesso gli sembravano così chiari, così semplici e banali.

C'era mai stato un momento, nella sua vita, in cui Eddie non era stato innamorato di Richie? Forse mai, nemmeno quando non rammentava neppure il suo nome. Inconsciamente, sempre alla ricerca del suo volto, fra la folla.

Avrebbe potuto cavarci fuori un trattato sui traumi, ad analizzare uno per uno tutti i segnali che il mondo attorno a lui cercava di mandargli e che aveva meticolosamente ignorato, ma non era quello il momento. Adesso voleva solo concentrarsi su Richie. Sui suoi occhi, sulle sue mani e sul fatto che, forse, quella sarebbe stata l'ultima volta che lo avrebbe visto.

«Rich... Richie...» cercò di catturare la sua attenzione. Era consapevole di non aver molto tempo e sapeva, più di ogni altra cosa, che gli altri avevano più bisogno di Richie di quanto non ne avesse lui.

«Dimmi... che c'è?», mormorò questi, la pressione delle sue mani ancora ferma e presente. Sentiva le forze scivolargli di dosso inesorabilmente, ma avrebbe combattuto per quegli ultimi momenti, «se devi dirmi di nuovo che ti sei fatto mia madre, Eddie...»

«No... no...» si affrettò a zittirlo, «però spero sia servito a farti capire che è sempre stata una battuta del cazzo.»

Richie sorrise appena, mentre le grida in sottofondo aumentavano spaventosamente di volume. Eddie sapeva di non avere troppo tempo. Se non per se stesso, per non minare all'incolumità del gruppo.

«Dovresti raggiungerli: hanno bisogno di te».

«Anche tu hai bisogno di me», lo zittì Richie, mancando completamente il succo del discorso.

«Questo dovrei essere io a dirlo...»

«Volevi tenerti la frase d'effetto per una dichiarazione, Spaghetti?».

Eddie alzò una mano per raggiungere e stringere la sua. Con tutta la forza rimasta. Il calore di Richie rendeva meno disgustosa la vischiosità del suo stesso sangue. Gli piaceva toccare Richie, gli era sempre piaciuto essere toccato da Richie. Per un'ultima volta, per l'ultima volta.

Permettimi di rivederlo di nuovo.

«Sai che mi è tornata in mente, Richie?», mormorò senza starci troppo a pensare.

«No, che ti è tornato in mente... ?»

«Quella tua Ford Sierra... rosso sbiadito».

Richie lo osservò con confusione, il dubbio che Eddie avesse definitivamente perso il contatto con la realtà.

«Eddie...»

«Mi ci hai scarrozzato in giro per settimane a Derry... prima di trasferirti in California», il sorriso di Richie che svaniva lentamente per lasciare spazio a una lucida, allarmante consapevolezza.

Aveva ricordato anche lui? Probabilmente sì.

«Ti avrei scarrozzato fino all'Oceano e ritorno...» mormorò, la voce rotta da un'emozione ormai indiscutibile.

«Lo hai fatto.»

Richie annuì: «Sì... l'ho fatto.»

Eddie sorrise o quantomeno ci provò. La ritrovata coscienza negli occhi e nelle parole di Richie fu più che sufficiente. Si sentì improvvisamente liberato da qualcosa che gli si era annodato dentro per anni. Qualcosa che era stato ingabbiato per tutto quel tempo e a cui non era mai riuscito a dare un nome.

«Eds...»

«Non chiamarmi così... lo sai che...»

«Lo odi, lo so, lo so...»

Strinse un'ultima volta la sua mano.

«Adesso va' dagli altri. E fate fuori quel clown di merda».

Richie ricambiò con forza la stretta. Lo guardò rinvigorito e fiero. Più sicuro di quanto non lo fosse mai stato. L'ombra di incertezza che aveva intravisto nel suo sguardo da quando era comparso alla Giada dell'Oriente, svanita.

«Torno presto. Non abbiamo ancora finito, tu ed io.»

Sentì la sua mano scivolare via dalla propria. Sebbene fosse pronto al distacco, si sentì mancare quando vide la sua sagoma sparire fra le ombre.

Promettimi che questa non sarà l'ultima volta.

Una vecchia, disperata richiesta all'universo.

Aveva funzionato una volta, tanto valeva tentare di nuovo.

Si era tenuto le parole più importanti per dopo. Per quanto lo avrebbe rivisto. Per quando non ci sarebbe più stata tenebra.

E mentre gli ultimi secondi della vita di Edward Kaspbrak scorrevano sui titoli di coda, il suo cuore smise di battere.

 

Bangor, Maine, 2016

 

Quella stupida infermiera non faceva che sorridergli. Un sorriso tranquillo, vagamente divertito. Grazie al cielo si era decisa a lasciarlo solo, finalmente.

Avevano preso a chiamarlo Occhi Dolci, in reparto.

Occhi dolci che evidentemente non coincidevano affatto con lo sguardo che Eddie aveva ritrovato nello specchio, dal giorno in cui si era risvegliato da un lungo coma.

Lo sguardo corrucciato, oscuro. Infastidito. Se si fosse conosciuto da fuori, nemmeno lui stesso si sarebbe trovato simpatico.

Eppure sembrava aver suscitato la simpatia di un sacco di persone, durante la sua lunga, dolorosa degenza.

Gli avevano detto che era scampato per miracolo a una terribile tragedia. Che se era ancora vivo doveva ringraziare la sua buona stella. Che la trave che gli aveva trafitto lo sterno non aveva lesionato alcun organo vitale, gli aveva sfiorato il cuore, evitato la spina dorsale.

Probabilmente avrebbe avuto difficoltà motorie una volta dimesso, ma a quello c'erano buone probabilità di porre rimedio con intensive sedute di fisioterapia.

Per quanto riguardava la sua memoria invece... probabilmente ci sarebbe voluto più tempo.

Sì, perché se Eddie ricordava poco o nulla di quel suo tragico incidente, aveva ancora meno interesse nello spiegare a un branco di sconosciuti perché era tornato nel Maine, tanto per cominciare. Perciò era stato più conveniente fingere di non ricordare esattamente le dinamiche del suo ritorno, e di tutto il resto, per quel che valeva. Era risultato credibile. Coerente con il suo quadro clinico.

Inoltre ci avevano pensato gli altri a spiegare ad autorità e personale medico ciò che era accaduto. Bill doveva essersi inventato una storia credibile (Bill era maledettamente bravo a inventare storie) con la quale Eddie non voleva interferire. Evitare di riportare dettagli che avrebbero finito per contrastare qualsiasi spiegazione lui e il resto dei Perdenti si fossero inventati. Fingere di non ricordare proprio nulla era stata la soluzione migliore.

Così come lo era stata quella di impedire ai medici di contattare Myra, sua moglie. Una moglie nei confronti della quale si sentiva in colpa di non avere il desiderio di riabbracciare, con la quale aveva ancora meno desiderio di confrontarsi o darsi tempo per elaborare spiegazioni plausibili a una simile tragedia. O di imbastire una qualsiasi storia che spiegasse il perché della sua fuga da New York. Solo il pensiero gli faceva aumentare il mal di testa.

Uno dei tanti, dovuti ai farmaci o meno, questo non sapeva ancora dirlo.

Stava ancora cercando di dare un senso ai suoi capelli, quando Richie entrò nella sua stanza.

«Ti hanno proprio messo in ghingheri, eh Spaghetti?», commentò, più pimpante di quanto si aspettasse.

Eddie rimase seduto sul bordo del letto. Lo avevano aiutato a rivestirsi a sistemarsi prima di consegnargli definitivamente il foglio di dimissioni.

Prese fra le dita la stoffa della camicia a righe che indossava e rivolse a Richie una tacita domanda.

E opera tua, questa?

«Ho provato a scassinare la tua valigia, ma quando nemmeno la data del mio compleanno come combinazione ha funzionato, ho rinunciato...»

«Perché diavolo avrei dovuto mettere la tua data, come combinazione al lucchetto della mia valigia? Non ricordo nemmeno quando sei nato.»

«Ouch, questo fa malissimo Spaghetti...»

«Piantala di chiamarmi così, non è il mio nome quello» protestò debolmente. I farmaci che gli avevano costretto a trangugiare prima di rivestirlo, cominciavano a fare effetto. Avrebbe dormito molto a lungo, una volta uscito da quel posto.

«Sei sicuro? Credo che la tua memoria a groviera abbia rimosso alcuni aspetti divertenti della tua esistenza...»

«Sono sicuro che lo abbia fatto sicuramente e in cambio mi abbia dato te.»

Richie sorrise, ma non disse altro. Al contrario aprì la porta e trascinò dentro quella che aveva tutta l'aria di essere una sedia a rotelle.

«Quella che cazzo è?»

«Una...» Richie fece schioccare la lingua, «... poltrona per i viaggi interdimensionali. La missione è stata interrotta, dopo il tuo incidente ma ora siamo pronti a ripartire, capitano Kappa.»

«No, sul serio...», la additò malamente, e poi lanciò uno sguardo di fuoco a Richie come fosse una delle cose più offensive che gli avessero mai proposto.

«Non guardare me, Eddie, è stata l'infermiera con gli occhialetti da John Lennon a dirmi di portartela. Procedure ospedaliere...»

«Lo so che è stata lei. Le avevo già detto che non l'avrei usata! Non posso crederci che abbia cercato di corrompere te! Non me ne frega un cazzo delle procedure ospedaliere, io non ci esco da qui a bordo di quella cosa. Posso camminare

«Certo che puoi ma...»

«Ho partecipato a un sacco di competizioni sportive. Ho vinto un sacco di gare di atletica. Ho battuto il record universitario di velocità, quando ero solo al secondo anno...»

«Se stai cercando un modo per impressionarmi non serve, sono già parzialmente eccitato...»

«Posso camminare!» e così dicendo si issò sulle braccia, fece leva sulle gambe e se ne restò in piedi a fissare Richie con aria di sfida.

«Lo vedo», gli rispose questi. Il sorriso gli si era addolcito e gli occhi erano tornati tristi dietro le lenti dei suoi occhiali, ancora scheggiati. Perché non si era preso del tempo per farseli riparare, quell'idiota?

«Ma se dobbiamo fare questa sceneggiata per farti uscire da qui più velocemente, non pensi che il gioco valga la candela?»

«Non ho intenzione di umiliarmi di fronte...»

«A persone che con ogni probabilità e una certa dose di fortuna non rivedrai mai più?»

Eddie serrò le labbra. Richie aveva ragione ma non era sicuro di non voler avere l'ultima parola su quella faccenda.

«Usciamo da qui una volta per tutte», aggiunse, e tutto quello che Eddie avrebbe voluto ribattere svanì nel nulla, come una bolla di sapone. Aveva davvero senso discutere, quando tutto ciò che desiderava davvero era lasciarsi alle spalle quella sgradevole esperienza?

Recuperò la stampella che gli avevano fornito e tornò su Richie, deciso a dimostrargli con un'occhiata che era comunque estremamente contrario a quell'uscita di scena.

Si sedette sulla sedia a rotelle e Richie aprì di nuovo la porta.

«Ci sono riuscito!» azzardò, prima che l'infermiera tutta sorrisi che attendeva in corridoio, esultasse in modo fin troppo entusiasta.

Eddie ora capiva perché il reparto era riuscito a tollerarlo così facilmente: perché trovavano simpatico Richie. E Richie era colui che più di tutti gli altri suoi amici, aveva frequentato l'ospedale senza mancare visita un solo giorno. E, a detta di uno degli infermieri, nemmeno quando Eddie era mantenuto in coma farmacologico e non aveva la più pallida idea che Richie passasse in ospedale la maggior parte delle sue giornate.

Eddie era convinto che Richie si sentisse in qualche modo in colpa, se Eddie era finito in quella maniera. Non che rammentasse esattamente le dinamiche di quello che era successo nella tana di IT, ma ricordava piuttosto chiaramente Richie intrappolato nelle luci dei pozzi neri. Ricordava la sensazione di assoluta impotenza e la determinazione di fare l'unica cosa che contasse davvero: salvargli la vita. Fare qualcosa di concreto. Di dimostrare che era più coraggioso di quanto credesse, di dimostrare quanto amasse i suoi amici.

Ci aveva riflettuto a fondo, durante le lunghe giornate passate in quel lugubre letto d'ospedale. Nonostante la sua memoria facesse cilecca su alcuni aspetti fondamentali di quella vicenda, nonostante non ricordasse affatto ciò che era successo dopo il dolore atroce che sembrava avergli strappato via l'anima, del sangue che imbrattava il viso e gli occhiali di Richie. Vuoti di memoria sui quali riusciva a soprassedere solo al pensiero di non avere alcun dubbio sul fatto che lo avrebbe rifatto. Salvare Richie, certo, ma anche tornare a Derry. Essere d'aiuto ai suoi amici. Dimostrare di essere forte, coraggioso, fiero. Di essere molto più che un insignificante consulente finanziario, di essere più che un uomo dal matrimonio in crisi, succube di una famiglia problematica, di essere più di una bolla di ipocondria con la quale aveva combattuto per anni, fallendo a più riprese.

E Dio! se lo aveva dimostrato. Aveva combattuto ed era sopravvissuto. Era molto più forte di quanto non avesse mai creduto. Per quello odiava l'idea di non poter uscire sulle sue gambe dall'ospedale. Di non poterlo fare in pompa magna, manifestando una nota di feroce orgoglio.

Ma quando uscì dalla stanza e gli infermieri che si erano alternati a prestargli cure, si trovarono schierati per riservargli il più sentito degli arrivederci, Eddie capì che la polemica sulla sedie a rotelle non era poi così importante. La commozione gli impedì di parlare. Che altro doveva dimostrare, se non di essere ancora vivo?
 

Derry, Maine, 2016
 

Alla fine lo aveva fatto, aveva chiamato Myra. Le aveva spiegato a grandi linee quello che era successo e perché non si fosse fatto sentire per tutte quelle settimane.

La donna si era proposta di raggiungerlo ma Eddie si era opposto tenacemente all'iniziativa. Avevano discusso quasi un'ora al telefono, sotto il portico di quella che era stata la vecchia fattoria degli Hanlon.

Mike si era offerto di sistemare alcune stanze della vecchia dismessa dimora di famiglia (che Eddie non capiva ancora perché non si decidesse a vendere) per permettere a Eddie di avere un posto tranquillo dove trascorrere la sua degenza post ospedaliera. A un passo dall'ospedale di Derry, dove avrebbe dovuto affrontare alcune settimane di fisioterapia e controlli. Molto più comodo che dover affrontare un lungo viaggio per tornare a New York, dove in ogni caso, non c'era molto a cui anelasse correre incontro.

Non che restare a Derry lo mettesse di buonumore. Ma il fatto di starsene in un posto isolato dalla curiosità cittadina, lontano dai luoghi che avevano tormentato la sua infanzia, in ogni caso era sempre meglio che restarsene in quel buco di albergo, dove Bowers gli aveva infilato un coltello in faccia.

Riattaccò con una certa stizza, il braccio indolenzito e l'orecchio in fiamme. Si passò una mano sugli occhi e poi sul viso, ruvido di quella barba che nessuno, men che meno lui stesso, si era preoccupato di accorciargli. La cicatrice sotto lo zigomo ormai rimarginata, ma viva, presente, al tocco.

Il sole stava calando dietro le colline, tutt'intorno un silenzio quasi irreale. Faceva freddo nel Maine, in quel periodo dell'anno, aveva una pesante coperta di lana sulle spalle e il freddo si condensava di fronte al suo viso in nuvole di calore.

Sentì la porta di servizio aprirsi e voltò appena il capo, prima di riconoscere l'inconfondibile sagoma di Richie.

Sembrò esitare per accertarsi che non stesse ancora parlando al telefono, prima di avvicinarlo, un sorriso sulle labbra e una tazza con qualcosa di caldo fra le mani.

«Ho pensato che potessi avere sete, dopo tutto quel parlare al telefono», gli disse solo, porgendogli la tazza che Eddie accettò con gratitudine. Una tisana che profumava in modo invitante.

«Ho gridato troppo?»

Richie scrollò le spalle, sedendogli accanto, sul dondolo un po' sgangherato e cigolante. Indossava solo una pesante camicia di flanella e un paio di jeans. Richie sembrava non farci mai davvero caso, al freddo.

«Non più di quanto tu faccia di solito», lo prese in giro.

Eddie sbuffò più esausto che infastidito, prima di servirsi con un sorso di tisana, sentendosene rinfrancato. Il profumo della cena che Mike stava preparando aveva già cominciato a spandersi tutt'intorno e si rese conto di avere anche fame.

«Avrei dovuto chiamarla prima...» disse Eddie, sebbene Richie non gli avesse chiesto nulla della telefonata.

«Così male?» gli domandò, senza spingere la conversazione, senza azzardare, lasciando che fosse Eddie ad aprirsi a riguardo. Gliene fu grato certo, ma per qualche assurda ragione, sentiva la necessità di parlarne a Richie, prima che a chiunque altro.

«Non più di quanto non lo fosse già», rispose criptico, allungandosi prudentemente verso il tavolo poco distante per posare la tazza di tisana a raffreddarsi un poco. «Mia moglie... Myra ed io stavamo già attraversando un periodo di crisi. Questa cosa non credo abbia migliorato la situazione.»

Richie non si intromise, ma si limitò a guardarlo, imperscrutabile. Eddie non riuscì a capire che cosa gli passasse per la testa.

«Abbiamo parlato di divorzio diverse volte. Stavamo andando da un consulente matrimoniale. Insomma, ci stavamo provando», più per volere di Myra che suo, ma questo si preoccupò di ometterlo. Non voleva sembrare lo stronzo della situazione, «ma non sono sicuro di voler continuare in questo modo. Sopratutto ora. Ho avuto la brillante idea di dirglielo e... insomma, è di questo che abbiamo discusso fin'ora al telefono.»

«Mi dispiace...» disse Richie, un'ombra di costernazione nel suo sguardo.

«Nah...» commentò Eddie, «non è necessario. In realtà credo che sia una liberazione. E prima o poi lo capirà anche Myra... sarà un bene per entrambi.»

«Eravate sposati da molto?»

«Cinque anni...», Eddie esalò una risata divertita; buffo come ora sembrasse tutto così limpido, chiaro. La follia di quello che erano stati quei cinque anni, «nemmeno sei mesi di fidanzamento.»

«Stai scherzando?»

«No?» la risata che ancora premeva nella sua gola, come fosse una specie di burla, di scherzo, «ci siamo conosciuti a una festa di capodanno, sei mesi dopo le ho chiesto di sposarmi.»

«Edward Kaspbrak, sei sicuro di non essere stato rapito dagli alieni? Dovevi essere veramente impazzito o... innamorato», l'ultima parola un sussurro strano nella voce di Richie.

Eddie fece schioccare la lingua, la sferzata di incomprensibile ilarità all'argomento che ancora gli premeva in gola.

«Non proprio. Perderesti la stima che hai nei miei confronti se ti dicessi perché mi sono voluto sposare, in primo luogo.»

«E quando mai l'hai avuta, la mia stima, in primo luogo?»

Eddie gli rifilò una sberla sul braccio.

«L'ho fatto per infastidire mia madre», gli confessò con lo stesso tono in cui gli aveva detto di essere stato sposato per soli cinque anni. Quella divertita incredulità.

«La mia Sonia?»

«Non è mai stata la tua Sonia».

Tornò a guardarlo, ma ora Richie non stava più sorridendo. In qualche modo anche la sua voglia di scherzare o di ridere lo stava abbandonando. Sapeva quanto fosse scomodo l'argomento.

«Già , bè... sai come era fatta mia madre. Quando le ho detto che stavo frequentando una ragazza la sua prima reazione è stata quella di proibirmelo. Ci credi? Trentaquattro anni e tua madre che ti proibisce ancora di fare qualcosa. Non ero particolarmente preso da Myra in quel senso. Ma vivevo a New York da più di un decennio e ancora non mi ero mai fatto dei veri amici... probabilmente perché è vero che ho un carattere di merda... ma...» sospirò, «Myra sembrava non farci caso, mi assecondava. Passavamo molto tempo assieme, si preoccupava per me... si preoccupava forse sempre troppo per me. Ma forse mi sentivo solo e la lasciavo fare. Non era mia intenzione ingannarla, ma...»

Richie continuava a guardarlo, serio e apparentemente impassibile.

«Le ho chiesto di sposarmi esattamente una settimana dopo la litigata con mia madre. Non mi aspettavo che Myra dicesse di sì. Non so perché ho continuato con la farsa. Forse perché mia madre era convinta che non avrei mai osato tanto, che avrei rinunciato, ma più lei si opponeva più ero ostinato a portare avanti questa follia. Tre mesi dopo averglielo detto, eravamo sposati. Un anno e mezzo dopo Sonia è morta... e io mi sono reso conto di essermi intrappolato con le mie stesse mani. Sposando una donna che fra l'altro era la copia carbone di mia madre» Fece una smorfia amara. Un matrimonio che più che altro era stato un vero e proprio incubo. «Un bel casino, mh?» rise di nuovo, ma stavolta non c'era alcuna traccia di divertimento, solo rassegnazione. Tirò su col naso e alzò lo sguardo al cielo che si stava scurendo. Il tramonto che lasciava il passo alla notte. Rabbrividì appena, nonostante fosse ancora abbondantemente coperto.

«Dopo tutto quello che è successo qui però ho capito di non poter più continuare. Non so che... diavolo sarà da oggi in poi, ma quello che so è che non voglio più tornare a fare la mia vita di prima. Non a fingere. Sono stufo di fingere.»

Il silenzio che seguì quelle parole non lo imbarazzò tanto quanto si era atteso. L'averne parlato, sembrò averlo liberato più di quanto avesse fatto la telefonata in cui metteva in chiaro le cose con Myra.

«Eddie Spaghetti si è fatto grande», commentò solo Richie, dandogli un pizzico sul braccio.

Quando Eddie si voltò nella sua direzione per ribattere qualcosa di acido si rese conto che Richie lo stava guardando come aveva fatto all'ospedale. Un misto di dolcezza e tristezza. Perché continuava a guardarlo in quel modo? Come se fosse a conoscenza di qualcosa a cui Eddie non riusciva ad avere accesso?

 

La sua permanenza a casa di Mike fu un toccasana per la sua salute, fisica e mentale. I suoi ritmi giornalieri erano lenti e cadenzati di eventi sempre uguali, ma si rese conto di averne bisogno più di quanto non avesse mai fatto in tutta la sua esistenza. Come se l'universo gli avesse finalmente concesso del tempo per prendersi una pausa, per riflettere sulla sua vita, per riassestare la sua esistenza.

Come fosse rinato.

Essere morto (gli avevano comunicato che il cuore gli si era fermato, a più riprese, quel giorno), e poi tornato era stata un'opportunità. Come se il karma gli avesse concesso l'occasione di ripulirsi di tutte le impurità della sua vita precedente. Di liberarsi di ciò che non era mai stato necessario, di circondarsi solo di ciò che contava.

E al momento, recuperare la sua salute era ciò che contava. I Perdenti che gli erano stati accanto durante la sua permanenza in ospedale, che si preoccupavano per lui anche ora che erano tornati alle loro esistenze, lontani da Derry, erano ciò che contava. Mike che aveva deciso di restare ancora in quella città prigione, di offrirgli rifugio e cure, che aveva articolato una scusa per organizzare al meglio il suo viaggio in Florida per i mesi a venire, era ciò che contava. E Richie che aveva deciso di prendersi una lunga pausa dal suo lavoro per fare compagnia a Eddie (che lo aveva pregato, supplicato a più riprese di non farlo, con scarso successo), era ciò che contava.

Erano poche le cose che contavano, ma era tutto ciò di cui aveva veramente bisogno.

Una mattina particolarmente fredda si alzò dal letto più tardi di quanto facesse d'abitudine. Ma il piumone lo teneva al caldo mentre fuori pioveva e la sensazione era piacevole, confortante.

Ancora in pigiama, si infilò un cardigan che Mike gli aveva prestato, di almeno due taglie più grande e recuperò la stampella di cui si serviva per camminare, accanto al comodino. Era sempre più facile muoversi. I medici erano certi che prima dell'arrivo della primavera avrebbe potuto sbarazzarsi della stampella, così come dei punti che gli ricamavano la grossa cicatrice sullo sterno. Aveva imparato a prendersi cura anche di quella, sebbene non fosse poi così piacevole alla vista, di sicuro non era niente che non potesse affrontare. Era la prova tangibile che ce l'aveva fatta. Che poteva guarire. Che poteva vivere, anche attraverso il dolore. Anche sentendo dolore. Tutto il dolore che Sonia aveva sempre cercato di prevenire. Cercando di impedirgli di vivere la sua vita, senza rendersi conto di averlo danneggiato più di quanto gli avrebbe fatto mai male cadere.

Si trascinò pigramente in bagno, avvertendo, già dal corridoio la voce di Richie. Gli ci volle poco per capire che non stava parlando con Mike ma al telefono, con qualcuno.

Gli sembrò scortese origliare e finì per richiudersi in bagno per mettere in moto la sua routine mattutina e dare a Richie il tempo di finire la sua telefonata. Fu sorpreso di emergere dalla porta e sentire ancora Richie parlare. Probabilmente doveva essere una questione di lavoro. Sembrava alterato, per qualche assurdo motivo. Riuscì a interpretare solo stralci di conversazione che non volle approfondire, ma niente di quello che colse sembrò particolarmente felice.

Attese ancora un istante, prima di decidersi ad entrare in cucina, preoccupandosi di fare rumore con la stampella per palesare la sua presenza e permettere a Richie di cambiare argomento, abbassare i toni o chiudere la conversazione.

Lo vide voltarsi nella sua direzione e salutare frettolosamente un certo Steve. Probabilmente il suo agente. Già emerso in altre conversazioni.

«Goodmorning, sunshine...» canticchiò, posando il cellulare sul bancone della cucina. Il repentino cambio d'umore lo spinse a pensare che Richie fosse piuttosto bravo a recitare.

«Buongiorno a te», gli rispose, ancora impigrito dal sonno per poter imbastire una risposta sferzante, all'altezza di quell'esordio.

«Ci sono dei toast e del caffè ancora caldo, se ne vuoi...»

«Sai che non posso bere caffè, farebbe a pugni con i farmaci che sto prendendo.»

«Oh, giusto... del latte caldo?» Eddie annuì brevemente e fece per andare incontro a Richie per aiutarlo, ma questi gli puntò un dito alla spalla, spingendolo indietro.

«Mettiti seduto, Spaghetti, ci penso io.»

«Guarda che posso farcela...» si preoccupò di ricordargli.

«Lo so, lo so, ma lasciamelo fare comunque.»

Eddie non era sicuro di volergliela dare vinta, ma nemmeno di voler discutere. Tornò sui suoi passi e si mise seduto al tavolo, preoccupandosi di dimostrarsi quantomeno contrariato, guardandolo armeggiare in cucina. Notò solo allora il portatile di Mike, acceso sul tavolo e intravide un documento di word aperto, con svariate evidenziature. Richie probabilmente stava lavorando.

Di tutte le sensazioni familiari che aveva ritrovato in quegli ultimi giorni, in presenza di Richie, quella gli sembrò, inspiegabilmente, quella più potente.

Richie seduto al tavolo, mentre scriveva al pc, concentrato su uno dei nuovi pezzi per i suoi show.

Eppure era certo di non aver mai davvero assistito a una cosa simile. Si ritirava sempre in camera sua per scrivere. Non lo aveva mai fatto in loro presenza. Come avesse bisogno di una certa dose di solitudine e concentrazione.

«Dov'è Mike?» domandò allora, perché se Richie aveva deciso di mettersi a scrivere, non poteva che essere solo.

«È andato in città. Doveva sbrigare delle commissioni. Gli ho chiesto se aveva bisogno che l'accompagnassi ma ha preferito lasciarmi qui a farti da badante.»

«Non ho bisogno di una badante!».

«È quello che gli ho detto anche io, ma ha insistito, quindi se scoprisse che nemmeno mi hai permesso di prepararti la colazione, mi ucciderebbe. Sai che Mike un po' fa paura, è l'unico del gruppo ad aver osato crescere più del sottoscritto.»

Eddie fece schioccare la lingua.

«Mike non farebbe male a una mosca...»

«Perché non lo hai visto scacciare le volpi qui attorno.»

Eddie alzò la testa, confuso.

«Ci sono delle volpi, qui?»

«Ci sono sempre state delle volpi, qui. Ricordi quando eravamo ragazzini di come Mike ci raccontava le volte in cui dovevano rinforzare le reti per le galline?»

Tornò indietro con il suo latte, due fette di pane tostato e della marmellata.

Eddie lo ringraziò con un cenno del capo, massaggiandosi distrattamente una tempia.

«Forse...»

Richie gli si sedette di fronte, rendendosi conto solo il quel momento di aver lasciato il pc a intralciare il tavolo. Lo richiuse con uno schiocco secco e lo posò sulla sedia accanto.

«Lo sai che non devi fingere di ricordare qualcosa, se non è così, vero?» gli disse, rendendosi conto che Eddie stava ancora cercando di riportare a galla gli avvenimenti che gli aveva appena descritto.

«Non ho detto che...», fece per ribattere ma lo sguardo di Richie si era addolcito di nuovo. Sempre a quel modo. Sempre così triste... ma così comprensivo. «È difficile capire che ricordi si è portato via Pennywise e quali si è portato via l'incidente... cerco solo di recuperare quello che posso. Quello che mi sembra importante.»

Non riusciva a spiegare a Richie meglio di così che, per lui, qualsiasi ricordo che emergeva dalle nebbie della sua memoria era importante. Un obiettivo guadagnato. Gli avevano detto che aver scordato il trauma del suo incidente probabilmente era un meccanismo di autodifesa. Ma Eddie era stanco di giocare in difesa. Aveva deciso di affrontare tutte le sue paure, e che il suo fisico, ora gli giocasse quello scherzo crudele non riusciva ad accettarlo più di quanto dovesse accettare di camminare con una stupida stampella.

«A volte ho come l'impressione di aver dimenticato qualcosa di importante», lasciò che la frase se ne rimanesse ad aleggiare un po' nell'aria, prima di attirare a sé il latte caldo, per poi rendersi conto di avere lo sguardo di Richie puntato addosso con una certa insistenza.

Non c'era più quell'insolita dolcezza nel suo sguardo, solo un sospetto turbamento, un velo d'angoscia. Anche quella era un'altra delle nuove espressioni di Richie che proprio non riusciva ad interpretare. Erano sempre più frequenti le volte in cui lo sorprendeva a fissarlo. Inizialmente era convinto lo facesse per un eccesso di premura nei suoi riguardi. Come si dovesse accertare sempre di tenerlo monitorato per impedire che cadesse, che non soffrisse, che non avesse bisogno di niente. Ma con l'avanzare dei giorni capì che non era esattamente quello. Lo guardava sempre come... fosse sul punto di dirgli qualcosa. Esattamente come stava facendo in quel preciso momento.

Le labbra appena dischiuse, il busto vagamente proteso nella sua direzione, riusciva a cogliere il desiderio inespresso di parlare. Ma dopo un istante, che sembrò durare più del necessario, Richie si allungò solo per recuperare uno dei suoi toast e addentarlo senza pietà.

«Le cose davvero importanti non avrai bisogno di ricordarle... torneranno in un modo o nell'altro, Eds», disse solo, prima di rimettersi in piedi, «te li rifaccio questi toast, si sono raffreddati e fanno schifo.»

Eddie non riuscì nemmeno a ribattere di non chiamarlo Eds o che proprio non c'era bisogno che si disturbasse tanto: Richie si era già rimesso all'opera, canticchiando un motivetto orecchiabile.

 

I giorni in cui Eddie rientrava dalle sue sedute di fisioterapia erano i peggiori. Era talmente esausto che appena riusciva a mangiare, prima di stendersi a letto e crollare in un mondo senza sogni.

Non che preferisse gli incubi che popolavano la maggior parte delle sue notti.

Mike e Richie gli avevano detto di essere vittime dello stesso sgradevole inconveniente e Eddie si era messo il cuore in pace. Probabilmente gli incubi si sarebbero affievoliti col tempo, nel frattempo anelava all'oblio.

Quella sera però giocavano una partita della squadra di basket preferita di Mike alla tv, in previsione della quale aveva comprato un sacco di lattine di birra e ordinato della pizza per una serata che definire un cliché fra scapoli era un eufemismo. Avrebbero assistito alla partita in videochiamata con Bill e forse, più avanti anche con Ben e Beverly se si fossero concessi una pausa dal loro viaggio attraverso gli Stati Uniti (anche Beverly stava affrontando un divorzio disastroso e non riusciva a non pensare con tenerezza al modo in Ben la stava accompagnando e appoggiando attraverso tutte le fasi di quella sgradevole esperienza). Eddie non voleva mancare all'evento, anche se probabilmente avrebbe significato dover combattere tenacemente con fasi REM a ritmi alternati.

Non assaggiò che un paio scarso di fette di pizza, sentendosene nauseato con una certa rapidità. Non toccò la birra, per ovvie ragioni, ma si divertì a osservare i commenti sulla partita. Gli scatti di esplosiva ilarità o feroce sgomento alle azioni che si susseguivano sullo schermo. I commenti esilaranti di Richie e le risate di Mike e Bill sullo sfondo. Riuscì a restare sveglio il tempo necessario, finché il suo fisico non cominciò a cedere, quando alla partita venne concessa la fine del primo tempo e le chiacchiere si fecero tranquille.

Bill, in videochiamata su Skype stava raccontando un aneddoto divertente sulla stesura di una sceneggiatura, mentre Mike commentava con puntuale sarcasmo tutto quanto.

«Terra chiama Eddie, sei ancora fra di noi?», gli chiese Richie, voltandosi a guardarlo. La sua testa si era accomodata sulla spalla di Richie senza che quasi se ne rendesse conto. Ma stava comodo e Richie non si era preoccupato di scostarlo o muoversi, negli ultimi minuti.

«Ci sono, sì, ci sono...» fece per alzare la testa, massaggiandosi gli occhi, «scusami.»

«Se non hai intenzione di andare a letto, resta pure dove sei, Spaghetti, non mi dai fastidio.»

Eddie alzò lo sguardo, sentendo un vago calore risalirgli su per il viso. Non seppe per il tono che aveva usato o lo sguardo che gli aveva rivolto o per il confortevole calore del suo corpo.

La sua coscienza gli gridava di togliersi dall'imbarazzo, il profumo di Richie lo invogliava a restare esattamente dov'era.

«Probabilmente dovrei andare a letto...» commentò solo, per prolungare il momento.

«Vuoi che ti accompagni?» gli domandò Richie in un sussurro, mentre Bill, dallo schermo esplodeva in un eccesso di risa a una qualche battuta di Mike.

Eddie scosse la testa, restando fermo con gli occhi chiusi a godersi quegli ultimi istanti.

«Aspetto che inizi il secondo tempo e poi vi lascio a sbraitare su un gruppo di uomini sudati in canottiera.»

Richie rise appena e Eddie avvertì vibrare il suo corpo tutto, sotto la sua testa.

Gli piaceva sentirlo ridere.

Prima di addormentarsi di nuovo, aveva realizzato che il calore che sentiva sprigionarsi dal suo petto non poteva essere che una cosa sola.

 

Non fu una sorpresa per Eddie, capire di essere invaghito di Richie in un modo che dovrebbe essere del tutto estraneo a una semplice amicizia. Il languore che seguiva ogni suo gesto, quell'indescrivibile desiderio di stargli accanto, di parlare con lui, di toccarlo. Il modo in cui non riusciva a distogliere lo sguardo o come si sentisse arrossire stupidamente ogni volta che sorrideva o che cercava di farlo ridere. Era riuscito a sistemare il puzzle in maniera piuttosto semplice una volta che si era concesso la possibilità di analizzare i sentimenti che provava nei suoi confronti.

Era giunto a quella conclusione senza doversi sforzare troppo, in fin dei conti. Una cosa del genere non la puoi ipotizzare, la senti. In ogni modo possibile.

Da quanto tempo provasse della reale attrazione nei suoi confronti non riusciva proprio a dirlo. Se fosse stato qualcosa che se ne era sempre sempre rimasto lì, in silenzio, in attesa di un risveglio dei sensi o se fosse qualcosa che era lentamente cresciuto in quelle ultime, intense settimane di forzata convivenza.

Quello che Eddie amava, di quella sensazione, era che lo faceva sentire vivo. E libero.

Tutto il contrario di ciò che gli avevano portato cinque anni di matrimonio. Era sempre stato consapevole di avere una vita sentimentale e sessuale piuttosto confusa. Non si era mai concesso di esplorare a fondo la cosa, non di azzardarsi ad andare al di là di vergognose e clandestine ricerche virtuali, a riguardo. Anni di abusi da parte di una madre che aveva fatto di tutto per tarpargli le ali in ogni direzione, anni a cercare di incastrarlo perfettamente in una vita omologata e sicura. Se era vero che aveva sposato Myra anche per fare dispetto a sua madre, era anche vero che lo aveva fatto per cercare in qualche modo di rispettare quei canoni. Un lavoro, una casa, una famiglia.

Ciò che non aveva realizzato, prima del suo ritorno a Derry, era di quanto questi principi fossero posti su fondamenta del tutto inconsistenti. Fragili come carta velina.

Il suo mondo era crollato così come era crollata la casa maledetta di Neibolt Street.

Per sua fortuna era riuscito a liberarsi dalle macerie, invece di restarne intrappolato, per sempre.

Quello che sentiva per Richie era nuovo, eccitante, un inedito tassello da aggiungere alla sua nuova identità, alla sua rinascita. Non era sicuro di che farsene di una simile informazione per il momento, non era certo gli fosse concesso parlarne, o anche solo sperare in uno sviluppo. Godersi la sensazione gli sembrò sufficiente. Perché esplorarla più a fondo era certo lo avrebbe trascinato in un turbine di panico non richiesto. E considerate le sue condizioni di salute, non gli sembrava saggio aggiungere ulteriori complicazioni.

Fu in un pigro pomeriggio di fine ottobre che Eddie si ritrovò, suo malgrado, ad ascoltare una conversazione che forse non avrebbe dovuto giungergli alle orecchie. Mike e Richie erano fuori, sotto al portico, a sistemare alcune decorazioni per Halloween. Mike pensava fosse divertente e facesse colore, agghindare parte della fattoria con luci, zucche e scheletrini luminosi che aveva trovato in cantina, qualche giorno prima. Ognissanti si stava avvicinando e dopotutto perché non celebrarlo ora che gli incubi erano stati sconfitti?

«Gliene hai già parlato?» stava dicendo Mike, la porta era aperta e Eddie non fece altro che fermarsi appena prima di uscire sulla soglia per raggiungerli.

«Non ancora...» la voce di Richie, bassa e rassegnata.

«Mi spieghi che diavolo aspetti a dirglielo?»

«Credi che sia così facile, Mike? Potrebbe solo peggiorare la situazione.»

«Peggiorare? E in che modo? Se quello che mi hai raccontato è vero...»

«Vero? Credi che potrei inventare una storia simile?»

«No. No, ovvio che non era quello che volevo dire...»

«Allora dimmi che diavolo volevi dire, perché non è chiaro per niente, secchione.»

«Intendevo... come potrebbe peggiorare la situazione, se glielo dicessi?»

«Potrebbe traumatizzarlo.»

«Traumatizzarlo in che modo?»

«Cristo Mike, proprio non ci arrivi, mh?»

«No io... okay, sì, forse... forse hai ragione. Non ci avevo pensato.»

Eddie riemerse sul portico solo quando capì che lo scambio era terminato.

«Buongiorno, Eddie!» esordì Mike con un gran sorriso in volto, «che ne dici?» indicò le decorazioni e due grosse zucche di carta pesta ai lati della porta. Richie si era ammutolito e lo fissava in modo strano, in fondo ai gradini che conducevano al vialetto sul retro del portico. Sul suo volto l'incertezza di qualcuno che non riesce a stabilire se è stato colto in flagrante.

Eddie era combattuto se chiedere spiegazioni o fingere di non aver sentito nulla. Stavano parlando di lui, dopotutto. E di chi altri?

Si appoggiò con una spalla allo stipite della porta, lasciando che il peso non gravasse del tutto sulla stampella.

«Che la zucca marcia e orrenda assomiglia a Richie», disse solo, prendendo la sacra decisione di non distruggere l'umore della giornata.

«Te l'avevo detto, Mike! Perché gliele imbocchi?» gridò Richie, come risvegliandosi da un'impasse temporanea. Eddie ricordò con troppa facilità, quanto anche per lui fosse facile fingere.

 

Una notte di novembre, Eddie sognò sua madre. L'incubo era piuttosto confuso, ma la donna non faceva che gridare il suo nome mentre lui attraversava labirinti oscuri. In fuga, da lei o chissà che altro. Non era un sogno più spaventoso di altri, non più di quello in cui continuava a tornare quell'orribile lebbroso, ma quando aveva aperto gli occhi si era reso conto di essere più angosciato di quanto non lo fosse mai stato. Forse aveva avuto modo di pensare così tanto alla sua vita, in quelle settimane, al suo rapporto con la famiglia, le amicizie, l'amore, che le riflessioni non avevano potuto che riassumersi nella figura di sua madre. Colei che più di chiunque altro, con la scusa di un amore iperprotettivo, l'unico amore che Eddie avesse mai pensato di meritare, aveva condizionato la sua intera esistenza. Una madre che gli chiedeva di ritornare sulle sue decisioni, come fosse davvero possibile, con la consapevolezza di ora, tornare indietro. Gli ci erano voluti quarant'anni per capire cosa volesse dalla vita, non si sarebbe lasciato ingannare da sua madre. Da uno stupido sogno.

Si era rimesso in piedi, trovando grande giovamento nel sentire il pavimento fresco, sotto i piedi scalzi. Un contatto concreto con la realtà. Fuori aveva smesso di nevicare e per un folle istante dovette reprimere l'impulso di uscire fuori, all'aria aperta e immergere i piedi nella neve ghiacciata. Non lo aveva mai fatto, chi avrebbe potuto impedirgli di farlo ora?

Sorrise rassegnato al pensiero che non sarebbe stata una decisione poi così saggia e recuperò la stampella. Fare due passi lo avrebbe aiutato comunque.

Quando era già per il corridoio colse la luce in cucina e il ticchettio frenetico dei tasti del portatile di Mike.

Richie era seduto al tavolo della cucina e stava lavorando. Una tazza di caffè ancora fumante accanto. Indossava i pantaloni del pigiama e una maglietta slavata. Aveva i capelli ancora arruffati dal cuscino, gli occhiali erano gli erano calati sul naso e le lenti riflettevano lo schermo del pc: sembrava concentrato. L'immagine, nel suo insieme diede a Eddie un'immediata sensazione di familiarità. Di nuovo quell'impressione di déjà-vu. Oltre che confermare i sentimenti nei suoi riguardi che, se possibile, sembravano rafforzarsi di giorno in giorno.

Non voleva disturbarlo ma non fece nulla per andarsene. Osservare Richie indisturbato era diventato uno dei suoi passatempi preferiti.

Ricordava perfettamente l'immagine di lui da ragazzino: magro, alto e dinoccolato. I capelli che si ammucchiavano ribelli sulla sua testa. Le lenti di quegli occhiali a fondo di bottiglia che gli ingrandivano così tanto gli occhi da dargli quell'espressione sempre estremamente sorpresa. Ma era cambiato. Nonostante fosse consapevole che alcuni dei suoi tratti caratteristici fossero rimasti gli stessi, a partire da quel suo carattere folle che si era a malapena chetato con gli anni, l'età gli aveva regalato un'immagine inedita di Richie: come aveva detto Beverly, un pomeriggio di tanti anni prima, Richie era cresciuto nella sua pelle. E Eddie amava scovare di giorno in giorno le particolarità che facevano di Richie l'uomo in cui si era trasformato. Era diventato alto, molto più di quanto potesse immaginare. Le spalle forti, la schiena larga. Il viso gli si era indurito, scolpito, ma i capelli che teneva lunghi sulla nuca lo ammorbidivano a sufficienza da dargli un'aria vivace ma gentile. Aveva scoperto di trovare gradevole la linea della sua mascella, quella sua barba che per quanto cercasse di tenere a bada non faceva che crescere con una rapidità sconcertante, i suoi occhi che si erano addolciti dietro lenti di occhiali più alla moda. Aveva le mani grandi, il ventre ammorbidito da troppi alcolici o dissennate abitudini alimentari, ma nel quale avrebbe, suo malgrado, volentieri affondato le mani. Erano pensieri che lo tenevano spesso sveglio, la notte, a chiedersi, ancora una volta che farsene di simili informazioni, di una simile consapevolezza. Cercava di credere che gli sarebbe stato sufficiente adorarlo, desiderarlo in silenzio, in segreto, per sempre, se fosse stato necessario, ma non era sicuro che una simile linea di condotta avrebbe concordato con i nuovi principi con i quali desiderava ora vivere la sua vita.

Non dovette restare fermo per molto. La sua silenziosa contemplazione venne interrotta quando Richie si sfilò gli occhiali, appoggiandoli sul tavolo con un gesto frustrato, massaggiandosi distrattamente gli occhi. Allungò le braccia sopra la testa e prese a stiracchiarsi con forza, allungando le dita intorpidite nell'aria. Fu in quel momento che sembrò notare la sua presenza. Restò per qualche istante in quella posizione, come freddato dalla visione di un fantasma per poi abbassare cautamente le braccia e lanciargli uno sguardo corrucciato.

«Che ci fai in piedi a quest'ora?» gli chiese, recuperando gli occhiali per poterlo mettere a fuoco.

«Potrei farti la stessa domanda?» ribatté Eddie, stringendo con forza la stampella, prima di decidersi a fare qualche passo verso la cucina. Ignorò volutamente il tavolo a cui era seduto per farsi strada verso il frigorifero, alla ricerca di qualcosa di fresco da bere.

«Ho avuto una folgorazione per un pezzo e ho pensato che tanto valeva alzarsi e scriverlo, prima di dimenticarmelo.»

Eddie sorrise appena, ancora un po' innervosito dall'incubo, versandosi un bicchiere d'acqua. Restò in piedi accanto al bancone della cucina, guardando Richie da una certa distanza.

«Lo fai spesso?», gli chiese, «alzarti nel bel mezzo della notte per scrivere.»

Richie si passò una mano fra i capelli, arruffandoli, se possibile, ancora di più.

«Non così spesso come in quest'ultimo periodo.»

«Ah giusto, è vero che non li scrivi sempre tu, i tuoi pezzi», lo prese in giro, ricordando una vecchia conversazione.

Richie sorrise timidamente: «L'idea è quella di metterci un po' più di iniziativa personale, nei miei spettacoli, da oggi in poi», disse, e guardò Eddie come cercasse una sorta di approvazione.

«Cosa ti ha impedito di farlo prima?» gli domandò invece di assecondarlo.

Lo vide scrollare le spalle.

«Regole di mercato?»

«Quello dovrebbe essere più il mio campo che il tuo.»

Richie grugnì qualcosa che sembrava una risata.

«Sì bé, per quello pagavo qualcuno per farlo al posto mio. Capire cosa ama la gente e rielaborarlo per il grande pubblico. Non è solo il talento a renderti famoso, di questi tempi.»

Eddie continuò a cogliere dell'amarezza nella sua voce.

«Significa che ora sei abbastanza famoso da poter scrivere quello che ti pare?»

«Qualcosa del genere... anche se nel mondo dello spettacolo basta una parola sbagliata per farti fuori», lo guardò fare un gesto distratto con la mano, «ma adesso ho intenzione di far sentire la mia voce più di quanto non lo abbia mai fatto prima.»

Gli rivolse uno sguardo esitante. Eddie si trattenne dal dire che aveva una gran bella voce. Che era un peccato nasconderla a chicchessia.

«Quindi basta fingere?»

«Basta fingere.»

Eddie avvertì una sensazione di calore all'altezza dello sterno, in prossimità del cuore. Il sorriso di Richie a quell'affermazione si era fatto caldo, arreso ma soddisfatto. Avrebbe voluto abbracciarlo. Forse avrebbe voluto baciarlo. L'immagine era così perfetta e confortante che se ne sentì sopraffatto e dovette poggiare il bicchiere d'acqua sul bancone per impedirsi di rovesciarlo, tanto gli tremavano le mani.

«Dovrò tornare a Los Angeles per un paio di settimane», disse Richie, risvegliandolo da quel caldo torpore.

«Come?»

«Sì... scusami, avrei dovuto dirtelo prima, ma non ero ancora sicuro delle date. Se voglio avere ancora un lavoro, devo tornare per discutere un paio di cose con il mio agente, i pubblicitari e i tour che ho lasciato in sospeso, prima di tornare a Derry.»

Eddie si sentì uno stupido per aver anche solo pensato male di una simile affermazione.

«Ah, piantala Richie, di che ti stai scusando esattamente?», gli disse, andandogli incontro. Abbandonò la stampella accanto al tavolo, mettendosi seduto accanto a lui.

«Tornerò prima che ti levino quella stampella, promesso.»

«Rich... prenditi tutto il tempo che ti serve. Non era necessario che restassi, tanto per cominciare. Ho Mike e tutto lo staff dell'ospedale di Derry ai miei piedi.»

«Nel senso che li hai fatti fuori? Sapevo che prima o poi avresti commesso un atto sconsiderato.»

Gli lanciò uno sguardo fulminante.

«Dico davvero, torna alla tua vita, Richie. Dobbiamo tutti ricominciare a viverla. E prima o poi riuscirò anche a convincere Mike a fare altrettanto» si sentiva in colpa al pensiero di averli trattenuti così a lungo. L'idea di averli accanto tutti i giorni era stata piacevole. Quella di perdere quella quotidianità gli spezzava il cuore. Ma sapere Mike e Richie intrappolati a Derry, in attesa, quando lui stesso stava tentando di liberarsi da tutte le catene che lo avevano tenuto fermo per quasi quarant'anni, gli sembrava un atto di estremo egoismo. Gli tornò in mente il sogno di poco prima, sua madre che gridava il suo nome, che lo supplicava di non lasciarla sola. Non le somigliava, non voleva somigliarle. La rabbia e la vergogna a ribollirgli dentro, latenti al pensiero.

Richie gli rivolse di nuovo quello sguardo, quello triste e gentile.

«Continui a parlare come se fosse un peso per noi, dovresti smetterla, Eddie.»

«Perché, non lo è?» esalò in uno scatto frustrato. La voce di sua madre che gli rimbombava ancora nelle orecchie.

«No che non lo è. Devi smetterla di credere che sia per pietà se siamo rimasti. Siamo qui perché siamo tuoi amici, perché...»

«Ho sentito come parlavi con il tuo agente: eri preoccupato. Ho sentito che parlavi con Mike. Avevi paura di dirmi che saresti partito? Era di questo che stavate parlando, prima di Halloween, era questo che credevi mi avrebbe traumatizzato?»

Vide Richie sgranare gli occhi con consapevolezza. Aprire e chiudere le labbra, un paio di volte, prima di rinunciare. Non sapeva che rispondere perché era vero? Stavano cercando di proteggerlo da cosa, esattamente? Pensavano che non sarebbe stato in grado di assorbire altri colpi?

Fu quel pensiero, più di ogni altro, ad accendere il gas e far esplodere il coperchio, come una bomba.

«Potete smetterla di camminarmi attorno in punta di piedi, non siete in una cazzo di cristalleria, non ho le ossa fatte di ghiaccio!», cercò di rimettersi in piedi, la rabbia e la frustrazione che gli fluivano nelle vene sempre più rapidamente, «sono sopravvissuto a un cazzo di clown assassino! Non ho bisogno che vi immolate, posso cavarmela benissimo anche da solo.»

Cercò di non far caso all'espressione di Richie, né al fatto che avesse allungato una mano per trattenerlo. O che lo avesse richiamato con la voce tremante, quando era già per il corridoio.

Quando si chiuse la porta della stanza alle spalle, sentì la voce di Mike che probabilmente si era svegliato e il borbottio scomposto di Richie dalla cucina. Lanciò la stampella da qualche parte, prima di aprire la finestra della camera da letto e prendere ampie boccate d'aria gelida.

 

La mattina seguente Eddie si sentiva uno schifo. Per via dell'incubo con sua madre, dell'incomprensibile sfuriata nei confronti di Richie o per il fatto che non era riuscito a chiudere occhio, quella notte. Troppo agitato dai suoi stessi pensieri. Perché gli aveva gridato dietro a quel modo? Forse le premure che Mike e Richie gli avevano riservato non erano così azzardate se per una sciocchezza simile Eddie riusciva ad andare in escandescenze.

Sapeva di essere nervoso perché le terapie si stavano prendendo troppo tempo. Consapevole che questo avrebbe intrappolato Mike in quel posto infame ancora troppo a lungo. Era nervoso perché era costretto a seguire Myra con le pratiche per un divorzio che sarebbe stato tutt'altro che semplice. E si sentiva frustrato dall'idea che Richie se ne sarebbe andato per tornare a Los Angeles. Un circolo vizioso senza fine. In più non riusciva ancora ad accettare l'assurdità che uno stupido alieno prima e un incidente poi gli avessero strappato dei ricordi che lo facevano sentire incompleto.

Si alzò dal letto solo per dare sollievo alla sua schiena a pezzi. Perché aveva bisogno di andare in bagno e perché il suo stomaco aveva preso a brontolare per la mancanza di cibo.

Dopo qualche minuto si spostò con cautela verso la cucina. Intravide la sagoma di Mike, fuori dalla finestra, intento a spalare il vialetto di casa dalla neve accumulata. Rilasciò piano il fiato per il sollievo di non dover interagire con Richie. Ancora troppo imbarazzato dal suo stesso comportamento per chiedere scusa.

«Ehi, Eddie, buongiorno» Mike rientrò qualche minuto dopo, intirizzito ma gioviale. Si tolse di dosso gli stivali da neve, i guanti e la giaccia e si strofinò le mani una sull'altra, cercando di riscaldarle.

«Ho fatto della cioccolata calda, se te ne va un po'», lo mise al corrente Eddie, indicandogli il pentolino ancora caldo sul fornello.

«Non sarò tanto sciocco da rifiutarla...» si spinse verso la credenza per recuperare una tazza e poi avvicinarlo per fargli compagnia, «ha nevicato ancora stanotte. Ma le previsioni meteo dicono che dovrebbe migliorare entro il fine settimana.»

Eddie annuì appena, sorridendo timidamente, incerto su cosa dire. Richie gli aveva parlato di quello che era successo la sera precedente?

Inspirò a fondo e mise da parte la colazione.

«Richie sta ancora dormendo?» domandò casualmente, nascondendosi dietro un bicchiere d'acqua con la scusa di dover prendere le sue pastiglie.

«Uh, no, Richie è uscito presto stamattina. Doveva comprare una valigia nuova e stampare i biglietti per il viaggio... non abbiamo internet, né stampante qui. Avrei dovuto pensarci prima.»

I biglietti. Chissà per quando era fissata la partenza di Richie. Non ebbe il cuore di chiederlo a Mike. Forse non voleva sapere quanto tempo gli restava, dopotutto.

Si limitò ad annuire di nuovo, giocherellando con la scatola delle pastiglie che gli aveva fornito l'ospedale.

«Abbiamo discusso, ieri sera...» decise di togliersi il dubbio rapidamente. Uno strappo secco, come si fa con un cerotto.

«Mh...», esalò Mike, posando con cautela la sua tazza sul tavolo. Gli stringeva le mani attorno per assorbirne il calore. Richie doveva avergliene parlato eccome. Dopotutto dov'era la novità? Non parlavano di lui quando non poteva ascoltare? Non era questo che lo aveva mandato in bestia la sera precedente? Si impose di calmarsi, perché sapeva di essere tremendamente ingiusto, sopratutto ora, che vedeva le cose alla luce del mattino.

«Non avrei dovuto urlare così. Sono... credo di essere molto nervoso, in questo periodo. Ma non avrei dovuto urlargli contro.»

«È comprensibile Eddie, a tutti capita di perdere il controllo di tanto in tanto, nelle tue condizioni poi...»

Eddie si passò una mano sul viso. Non era quello il punto? Non era quello il fottuto punto?

«E quali sono le mie condizioni, Mike?» si trovò a ribattere, il cuore che aveva ripreso a battere un po' troppo rapido. Stava lottando per non lasciarsi trascinare dalla stessa esplosiva furia della sera precedente.

«Quelle di un uomo che sta affrontando una lunga convalescenza».

Si scoprì il viso e gli puntò uno sguardo confuso addosso.

«Una convalescenza che sembra infinita, Mike.»

«Ti aspettavi che fosse più facile, Eddie?» rispose con il suo stesso tono, pacato ma senza tracce di commiserazione, «è un miracolo che tu sia ancora vivo, lo sai questo vero?»

Eddie serrò le labbra, colpito sul vivo. Perché gli stava parlando in quel modo, voleva farlo esplodere di nuovo?

«Non mi aspettavo sarebbe stato facile», disse, «volevo solo liberarvi dell'obbligo di starmi appresso.»

«Pensi che sia per obbligo se Richie ed io siamo rimasti? Ti prego, Eddie, pensavo che la tua fiducia nei nostri confronti andasse ben oltre questo.»

«Non era quello che volevo dire, io...»

«Quando ti abbiamo portato in ospedale i medici ci hanno detto chiaro e tondo che sarebbe stato un miracolo, se fossi riuscito a superare la notte», lo interruppe «il tuo cuore si era già fermato una volta, avrebbe potuto farlo di nuovo. Ma al giorno dopo ci sei arrivato eccome e a quello dopo ancora. I medici non riuscivano a crederci e noi nemmeno. Sai chi invece non ha mai dubitato?», Mike cercò il suo sguardo, «Richie. Richie non ha mai dubitato, per un solo istante che ce l'avresti fatta. È stato lui a insistere affinché ti trascinassimo fuori dalla casa di Neibolt Street, è stato lui a sobbarcarsi il peso di portarti fuori da lì. Noi ti credevamo morto, Richie non ha mai nemmeno voluto valutare la possibilità.»

Eddie sentiva a malapena le parole di Mike, tanto il cuore gli batteva forte nel petto.
«Quella di sistemare questa casa per ospitare la tua convalescenza è stata una scelta talmente semplice. Ero e sono così felice di non averti perso che... al diavolo la Florida! Quel posto ha aspettato per quarant'anni, potrà aspettare che io mi goda un amico appena ritrovato. E per Richie il pensiero non è stato diverso. Perciò è ingiusto se credi che sia rimasto per qualche assurdo obbligo nei tuoi confronti. Non ha mai sottovalutato la tua forza. La tua tenacia. Richie è rimasto perché non poteva sopportare l'idea di lasciarti andare. Non ha mai sopportato l'idea di lasciarti andare.»

Eddie si strinse le braccia allo stomaco, incapace di contenere tutte quelle informazioni. Mike non avrebbe potuto essere più diretto e brutale, ma mai così chiarificatore.

«Sono un idiota...» esalò solamente, serrando le palpebre per evitare di mettersi a piangere come uno stupido.

«No che non lo sei», mormorò Mike, prima di sentire il calore della sua mano sulla propria, «devi solo arrenderti al fatto che dovrai concederti del tempo per guarire. E che siamo qui perché ti vogliamo bene, non perché ci aspettiamo una solida ricompensa, una volta che tornerai ai tuoi super affari a New York.»

Eddie aprì gli occhi e guardò Mike fare una smorfia talmente assurda che gli strappò una risata distorta, fra le lacrime.

 

Quando Eddie sentì il rumore delle gomme della macchina di Richie nel cortile della fattoria, era già pomeriggio inoltrato. Con uno stringato messaggio li aveva avvisati che si sarebbe fermato in città, per pranzo, ma evidentemente la sua spedizione si era prolungata più a lungo del previsto.

Non ci fece granché caso, poiché i suoi sensi erano piuttosto intorpiditi dai farmaci che aveva dovuto prendere e che, dopo pranzo gli facevano venire sempre un gran sonno. Si era accomodato sul divano in salotto con una coperta sulle spalle e aveva acceso la tv su un film pomeridiano qualsiasi, prima di addormentarsi.

Per alcuni minuti credette di esserselo solamente immaginato il ritorno di Richie. Quello e il rumore della porta che si apriva e richiudeva, il tintinnio delle chiavi di casa, i passi all'ingresso che si facevano cauti, nel silenzio. Gli ci volle qualche istante per rendersi conto che la televisione era stata spenta, un altro ancora per realizzare che qualcuno gli si era seduto accanto.

Non aprì gli occhi immediatamente, si concesse tutto il tempo per tornare in sé. Di risvegliare uno per uno i sensi, di lasciar scivolare via lo stordimento dei farmaci.

Quando riaprì gli occhi non fu nemmeno troppo sorpreso di trovare Richie, seduto sulla poltrona accanto al divano. I gomiti posati alle ginocchia, le mani che gli reggevano il viso, plasmato in un'espressione indecifrabile. E lo stava guardando. Non sembrò prendersela a male quando si rese conto che Eddie gli stava restituendo un'occhiata assonnata. Non sembrò voler abbassare lo sguardo, in imbarazzo per essere stato scoperto a guardarlo mentre dormiva.

«Ehi...» mormorò Eddie, per spezzare il silenzio, odiando il suono della sua stessa voce. Indeciso se rimettersi seduto o meno, decise di restare esattamente dov'era, quando nemmeno Richie sembrò intenzionato a muoversi.

«Ehi», gli rispose, raddrizzando la schiena per sistemarsi meglio sulla vecchia poltrona che doveva essere appartenuta al nonno di Mike.

«Sei appena arrivato?» gli chiese, in un mugolio confuso. Richie annuì. Aveva gli occhi stanchi e arrossati, si sentì vagamente presuntuoso a pensare che forse, potesse essere un po' colpa sua.

«Ho voluto sbrigare un po' di faccende mentre ero in città», gli disse, «con il fatto che Mike non ha la connessione internet mi sono tenuto un po' di corrispondenza da sbrigare tutta insieme al pc della biblioteca. Era pieno di ragazzini. Una generazione del tutto sprecata, da quando hanno chiuso la sala giochi», cercò di stemperare con un mezzo sorriso.

Eddie non ebbe l'impressione che Richie ce l'avesse con lui per la faccenda della sera precedente, ma era anche vero che aveva imparato a capire quanto Richie fosse bravo a fingere.

«Rich... volevo chiederti scusa per ieri sera», esalò in un mormorio sommesso, abbassando di poco la coperta che gli teneva al caldo le spalle. Cercò disperatamente di non abbassare lo sguardo, non ora che Richie non faceva che guardarlo, «sono stato ingiusto e ingrato, probabilmente. Mi dispiace.»

Lo guardò serrare le labbra in una smorfia che forse voleva sembrare un sorriso. Annuì soltanto, senza dire niente. Per un terribile attimo Eddie ebbe come l'impressione che stesse trattenendo le lacrime.

«È okay, Eddie, non preoccuparti», l'accondiscendenza gli fece più male di un rimprovero.

Cercò di rimettersi seduto, tentando di mantenere salda la presa alla coperta, affatto propenso a volerne abbandonare il calore.

«Invece dovrei... non è mia intenzione far sentire la gente uno schifo solo perché... sto passando un periodo... difficile.»

«Credi di avermi fatto sentire uno schifo?»

«Non lo so. Non è stato carino comunque.»

«Credevo fosse un tuo marchio di fabbrica, quello di non essere affatto gentile, dottor Kaspbrak.»

«Richie, per piacere...»

«D'accordo, d'accordo, scuse accettate.» Eddie gli rivolse uno sguardo incerto, «Avanti, Eds, pensi che potrei mai essere davvero arrabbiato con te? Uno potrebbe pensare che è a causa di quei tuoi occhioni da Bambi o perché sei piccolo e carino come un Chihuahua imbestialito, ma davvero non posso essere arrabbiato con te... soprattutto per una sciocchezza simile.»

Eddie non riuscì a fare a meno di sbuffare spazientito agli epiteti, la sonnolenza ancora lì, a vagargli nell'organismo ma meno pressante di qualche minuto prima.

«Non era una sciocchezza. Le parole hanno un peso. Ed io spesso esagero, soprattutto con te.»

«Perché sono l'unico a tenerti testa, Spaghetti...»

«Richie.» gli rivolse uno sguardo di rimprovero. Lo stava facendo di nuovo: sminuire. «Mike mi ha detto che sei stato tu a trascinarmi fuori dalle fogne, dalla casa che stava crollando, dopo aver sconfitto il clown.»

Vide il suo sorriso svanire di nuovo, farsi serio e imperscrutabile. Un altro modo per impedirgli di leggere quello che provava veramente.

«Se non fosse stato per te non ci sarei mai uscito vivo... da là sotto», proseguì, «per quanto mi piaccia pensare di potermela cavare da solo, sono consapevole del fatto che non sia affatto così. Solo... che ho passato una vita intera a sentirmi dire quello che dovevo o non dovevo fare. Abituato a persone che non facevano altro che tenermi sotto controllo per evitare che mi facessi male. Ribellarmi a questa cosa mi ha solo fatto diventare più ostinato... nel senso contrario.»

«Eddie...», sentì mormorare Richie.

«Fammi... fammi finire», si passò una mano sul viso, inspirando a fondo, il cuore che batteva più rapido in anticipazione, «volevo solo ringraziarti, Richie. Per essere... rimasto, per essere mio amico...» si morse il labbro inferiore, «per non avermi lasciato andare.»

Il silenzio che seguì le sue parole non riuscì proprio a interpretarlo, ma quando alzò lo sguardo Richie si era tolto gli occhiali e coperto il viso con entrambe le mani. E fu solo quando le notò le sue spalle scuotersi in un sussulto che Eddie capì che stava piangendo davvero. E la cosa lo mandò in pezzi.

Di tutte le cose che odiava al mondo, vedere Richie piangere era una delle peggiori. Essere a conoscenza del fatto di aver ignorato fino ad ora quello che doveva aver passato, sofferto, e sapere di non averlo fatto intenzionalmente, era anche peggio.

Si lasciò scivolare di dosso la coperta e si aggrappò al bracciolo del divano per tirarsi in piedi. Ignorò la stampella al suo fianco e in un paio di passi gli fu accanto, lasciandosi scivolare ai suoi piedi, sul tappeto.

«Richie...» disse solo afferrandogli i polsi, senza forzare la mano, senza obbligarlo a scoprirsi ma con l'intenzione di fargli capire che avrebbe preferito poterlo guardare.

Ci mise qualche istante per riuscire a convincerlo, qualcuno di più per fargli abbassare le mani e quando fu certo di averlo a portata di mano, Eddie si spinse verso di lui, issandosi sulle ginocchia, passandogli le braccia attorno al collo per poterlo abbracciare. Non come avrebbe voluto, con gli impedimenti di quegli stupidi bendaggi al petto, quegli ferita sotto quegli orribili punti che ancora gli indolenzivano lo sterno e la schiena, ma più di quanto avesse potuto fare mai in quelle condizioni. Richie esitò fra le sue braccia prima di muoversi cautamente verso di lui e passargli le mani sui fianchi, stringere i pugni nella stoffa del suo cardigan, trattenendole lì, dove sapeva di non potergli fare male. Eddie si rese conto che avrebbe sopportato qualsiasi cosa, pur di sentir le sue mani addosso, e le sue braccia avvolgerlo. Sentiva la mancanza degli abbracci di Richie, di quelli così impetuosi da togliergli il respiro, ne aveva mai avuti abbastanza? Ne aveva mai avuti... in primo luogo? Poteva riconoscerne la sensazione, senza ricordarne esattamente le dinamiche? Si limitò a nascondere il suo viso nell'incavo della sua spalla, a respirare il suo profumo, mai così familiare e a stringerlo quanto più riuscisse, rincorrendo quella sensazione, ciò che di più vicino ci fosse a un ricordo.

Richie fu scosso dai singhiozzi a lungo, un pianto inconsolabile che aveva trattenuto troppo a lungo, prima di placarsi del tutto, mentre Eddie lo teneva stretto e gli sussurrava all'orecchio: è tutto okay, Richie, adesso è tutto okay.

Si sorprese solo quando le mani di Richie gli risalirono su per i fianchi. Trattenne il respiro quando le sentì accarezzargli il collo, la nuca, i capelli. Cercò disperatamente di reprimere il brivido lungo la schiena, quando, scostandosi lentamente, cautamente, facendo scivolare via le braccia da quel lungo abbraccio, catturò il suo sguardo. Uno sguardo che Eddie non gli aveva visto mai, eppure così incredibilmente conosciuto. Ci lesse dentro tutto ciò che gli serviva per scacciare via la paura. Richie posò la fronte contro la sua, il soffio caldo del suo respiro a un centimetro dal viso. Una pausa, una tacita richiesta. Il cuore che ora era tutt'uno con il rimbombo frastornante dei suoi stessi pensieri.

Non dovette spostarsi di molto per incontrare le sue labbra a metà strada.

Fu come se tutto tornasse in asse, dopo tanto tempo. Una luce nelle tenebre. Il calore di un bacio che aveva sempre e solo immaginato ma che gli era sempre sembrato a un passo dall'essere reale.

Eddie, con quel bacio, ebbe la sensazione di tornare a casa.

«Tornerò in un paio di settimane, promesso...», lo sentì borbottare in un soffio, quando furono costretti a riprendere fiato.

Eddie sorrise, mantenendo una distanza di sicurezza per impedirsi di baciarlo di nuovo, concedendosi di asciugargli via le lacrime. Incredulo di averlo fatto davvero. Più sorpreso ancora che Richie non lo avesse rifiutato e accolto invece, come se non stesse aspettando che quello.

«Ottimo», commentò in un sussurro, «perché io non potrò scappare troppo lontano, mi toccherà aspettarti qui», lo prese in giro, adocchiando il suo, finalmente, di sorriso.

«Ma se potresti gareggiare i cento metri con una stampella?»

«Non in questo momento, direi...»

«In qualsiasi momento, Eds.»

«No, sul serio», fece una smorfia, scostandosi definitivamente da lui, «credo di non riuscire a rimettermi in piedi, se non mi dai una mano.»

Lo guardò formare una O con le labbra, mentre la consapevolezza delle sue parole gli scivolava addosso. Si mise in piedi in tutta fretta e lo prese per le mani, aiutandolo a rimettersi dritto. Eddie cominciò a ridere e Richie fece lo stesso quando malgrado la presa salda si sbilanciò e quasi gli gli caracollò addosso, costretto a posargli le mani sul ventre per evitarlo.

«Fai veramente schifo come badante», gli disse.

«Non è colpa mia se sei una mezza calzetta», gli rispose con un sorriso tale da farlo arrossire di nuovo.

Posò la testa contro il suo petto, e socchiuse gli occhi. Ignaro del tempo che passarono l'uno nelle braccia dell'altro.

 

I preparativi per la partenza di Richie furono piuttosto rapidi.

Aveva impacchettato la sua roba in una grossa valigia che Mike aveva sistemato nel bagagliaio della sua macchina. Pronto per accompagnarlo all'aeroporto di Bangor.

Eddie non era riuscito a comprendere l'angoscia che era cresciuta a dismisura nell'arco di quell'ultima settimana. Inizialmente era convinto fosse solo triste all'idea di non poter vedere Richie per due intere settimane, quando gli ultimi due mesi li avevano praticamente passati in simbiosi. Poi aveva ricordato in parte il giorno in cui Richie era partito da Derry, quando i suoi genitori avevano progettato di trasferirsi in California e aveva deciso che probabilmente vederlo partire di nuovo per Los Angeles gli ricordava inconsciamente, proprio quell'episodio, e per quello lo associava a sensazioni tanto negative.

Ma man mano che la vigilia di quel viaggio si avvicinava, Eddie si era reso conto di dover reprimere quello che sarebbe sfociato in vero e proprio panico, all'idea che si allontanasse di nuovo.

Non era una sensazione razionale, ma gli era cresciuta dentro inarrestabile. Come se una forza oscura gli suggerisse che se Richie fosse partito non lo avrebbe rivisto mai più.

«Certo che torno», gli aveva detto, quando la sera prima era stato costretto a esporgli i suoi dubbi, «questa volta torno».

Ancora con quel tono, con quell'espressione che sembrava sapere più di quanto non lasciasse trasparire. Un giorno gli avrebbe chiesto cosa non gli stava dicendo. Quando sarebbe tornato gli avrebbe chiesto... cosa non gli stava dicendo.

Lo aveva abbracciato sulla porta di casa, Mike che aveva discretamente volto lo sguardo. Non che gli avessero parlato degli sviluppi del loro rapporto: dei baci rubati per i corridoi di casa, prima di dormire, le mani intrecciate sotto la coperta, mentre guardavano un film alla televisione. I sorrisi, consapevoli e timidi lanciati da un capo all'altro della stanza, quando Richie scriveva, quando Eddie leggeva un libro. Ma Mike sembrava aver capito o forse sempre saputo. Eddie non si scoprì imbarazzato dalla cosa men che meno alla vigilia di un congedo.

Lo aveva guardato partire, osservato la sagoma di Richie sparire all'interno della vettura di Mike.

Quando si erano allontanati lungo il vialetto e poi sulla strada, Eddie aveva dovuto reprimere l'impulso di lanciare la stampella e rincorrerli. Come se avesse poi davvero potuto raggiungerli.

Quella sera stessa Richie lo aveva chiamato, una volta arrivato a Los Angeles. Sentire la sua voce riuscì a tranquillizzarlo.

Non è come le altre volte... pensò. Ma quali altre volte?

Si chiese da cosa lo stesse proteggendo la sua memoria, se tutto ciò che voleva era ricordare.

 

Il giorno in cui Richie tornò a Derry lo fece a bordo di una vettura che definire anacronistica forse non gli rendeva davvero giustizia. Non era nemmeno sceso dalla macchina, ma si era limitato a suonare il clacson per attirare la loro attenzione.

Eddie era uscito con Mike dall'ingresso principale e lo aveva accolto con un'espressione incredula.

«Non ci credo che tu lo abbia fatto davvero!» esclamò Mike, battendo le mani una sull'altra, soffocando un entusiasmo che Eddie non riusciva ancora a comprendere.

«Quando dico una cosa la faccio, Mikey, non sono solo chiacchiere e distintivo!» rispose Richie, mandando poi uno sguardo carico d'aspettativa a Eddie, «che ne dici, Spaghetti?»

Eddie si limitò a osservare la macchina e scendere i gradini del porticato per raggiungerlo sul vialetto.

«È una vecchia Ford Sierra, questa?» si limitò a chiedere. Il colore era rosso fuoco, doveva essere stata riverniciata di recente. A Eddie erano sempre piaciute le macchine.

«Già...»

Eddie analizzò la vettura, cercando di capire cosa gli sfuggisse. Una sensazione chiara in fondo allo stomaco.

«Avevi... una Ford Sierra, da ragazzo... ?» azzardò, mentre il ricordo cominciava a farsi strada nella sua mente, emergendo dalle nebbie con una lentezza disarmante, «la macchina che ti aveva regalato tuo padre?»

Richie rivolse a Mike un sorriso aperto e riconoscente, e poi tornò su Eddie, annuendo in conferma.

«Non è la stessa macchina, purtroppo. Ma prima di partire per Los Angeles sono passato dal concessionario di Derry per chiedere se potessero procurarmene una. Ci sono riusciti in un paio di settimane, in tempo per il mio ritorno.»

Eddie sorrise.

«Sentivi nostalgia del passato?»

Richie si limitò a rivolgergli uno sguardo docile da dietro il finestrino abbassato.

«Anche», gli rispose criptico, «ti va di farci un giro, Spaghetti? Come ai vecchi tempi.»

Eddie guardò Richie e poi Mike al suo fianco che fece un passo indietro come a rifiutare un invito che non gli era ancora stato offerto.

«Vai Eddie, sarà divertente insultare Boccaccia per la sua guida, dopo tutti questi anni.»

Eddie non gli chiese se voleva unirsi a loro, sembrava che i due avessero in mente qualcosa di cui Eddie non era stato informato. E per una volta tanto non volle farsi troppe domande. Era così felice del ritorno di Richie, che non vedeva perché rovinarsi il momento con stupide paranoie.

Si spostò verso la portiera e salì sul sedile del passeggero. Gli interni gli sembrarono così confortevoli. Capì che non poteva essere la prima volta che saliva su quel tipo di macchina.

«Ciao...» gli disse solo, rivolgendogli un sorriso.

«Ciao», mormorò Richie. Un benvenuto che non aveva bisogno di troppe parole. Tante ne erano dette durante le lunghe telefonate da un capo all'altro degli Stati Uniti.

Richie si limitò a stringergli la mano e dopo aver rivolto un saluto a Mike aveva rimesso in moto la vettura, per fare manovra e ripartire.

«Tieniti forte, ora si vola», disse, spingendo la Ford sulla strada.

Il paesaggio del Maine si snodava in tutta la sua gloriosa bellezza ai lati delle strade. Eddie capì che Richie non voleva riportarlo in città ma lasciar vagare la macchina in quello scenario ancora imbiancato dalla neve invernale.

Il rumore del motore sulla strada, l'autoradio che mandava una vecchia canzone. La solida presenza di Richie al suo fianco e quella vaga sensazione di nostalgia.

Eddie avvertì un brivido non appena passarono il cartello di Derry che salutava i visitatori.

 

«Mia madre mi ammazza se non torniamo prima del tramonto, Richie.»

«Posso andare più veloce di così, Spaghetti.»

«Non voglio che finiamo ammazzati perché sei un deficiente. Torniamo indietro.»

«Sei veramente un guastafeste, Eds... volevo portarti a Bangor.»

«Bangor non scappa, ci possiamo tornare un'altra volta.»

 

Si voltò a guardare Richie, che inspiegabilmente ora sembrava somigliare più all'adolescente che aveva conosciuto più di vent'anni prima. I capelli spettinati in ciocche disordinate, i lineamenti morbidi, un vago accenno di barba, che cercava timidamente di crescere su quel giovane volto.

Avevano ancora diciassette anni in quella porzione di mondo.

Si chiese se non stesse sognando o se stesse solo impazzendo. Avrebbe potuto allungare una mano per toccarlo per far svanire quel ricordo, ma non lo fece.

E fu allora che i ricordi sembrarono mutare ancora. Richie stesso sembrò trasformarsi di nuovo. Le sue spalle divennero più ampie, il viso più spigoloso. Sulle labbra un sorriso triste.

Attorno a loro non più il Maine, ma una lunga costa della California.

Gli teneva la mano e fuori stavano calando le tenebre. Avevano solo venticinque anni.

 

«Siamo quasi arrivati, Eds... non metterti a dormire»

«Non mi metto a dormire ti sto solo guardando.»

«Dovresti guardare il paesaggio.»

«Sei più interessante tu del paesaggio...»

«Quanto sei sdolcinato.»

«... disse quello che voleva andare a vedere la luna sull'oceano.»

 

Eddie riemerse anche da quel ricordo, come da una lunga apnea.

Richie era ancora un adolescente.

 

«Dovresti venire con me in California»

«Ci verrò in California, un giorno. Ma devi concedermi del tempo.»

 

E poi ancora venticinque.

 

«Mi piacerebbe molto se venissi a New York, Richie.»

«Quando. Non se. Quando.»

 

E quaranta.

 

«Sai che mi è tornata in mente, Richie?»

«No, che ti è tornato in mente... ?»

«Quella tua Ford Sierra... rosso sbiadito»

 

«Ti avrei scarrozzato fino all'Oceano e ritorno...»

«Lo hai fatto.»

 

Echi di voci e di episodi cominciarono a dispiegarsi nella sua mente. Richie era adolescente e poi adulto, e poi di nuovo adolescente.

Baci rubati, corpi fra le lenzuola, parole sussurrate, imbevute di sangue.

Eddie se ne sentì sopraffatto, mentre la consapevolezza di ciò che aveva dimenticato cominciava a serpeggiargli dentro come un flusso di coscienza ininterrotto.

Più di vent'anni. Più di vent'anni in cui si erano rincorsi e ritrovati. Vent'anni in cui non avevano fatto altro che entrare e uscire da un labirinto di ricordi perduti.

«Richie...» gli sfuggì dalle labbra, «Richie, ferma la macchina.»

Lo guardò voltarsi, vagamente confuso.

«Ferma la macchina, per favore. Ferma la macchina!»

Registrò appena che stava accostando ai lati della strada, lo afferrò per un braccio con forza.

«Lo sapevi?» gli chiese consapevole, adesso, che non poteva essere stato solo un caso se Richie aveva deciso di prendere quella vettura. Di portarlo a fare un giro.

«Dimmelo, Richie: lo sapevi?» cercava di strappargli una conferma di cui non aveva realmente bisogno, «perché non mi hai detto niente? Perché non me ne hai parlato? Del giorno del ballo di fine anno, della California! Dell'oceano.»

Richie lo stava guardando senza dire niente.

«Lo hai saputo per tutto questo tempo e non hai detto niente?»

E improvvisamente gli fu chiaro il discorso che aveva sentito fra lui e Mike prima di Halloween, su cosa Richie avesse paura scoprisse, che lo traumatizzasse.

«Perché non hai detto niente... ?» singhiozzò ora Eddie, senza sapere che altro fare per reprimere le lacrime.
«Perché sapevo che sarebbe successo prima o poi...» rispose Richie in un sussurro commosso, emozionato «perché non volevo istigarti ricordi, perché volevo fosse reale, c-come tutte le altre volte.»

Reale. Lo era sempre stato. Gli furono così chiari tutti quei sentimenti che lo avevano spinto nella sua direzione, quelle sensazioni, di come il suo corpo non avesse mai dimenticato Richie, sebbene la sua mente avesse cercato di tenerlo lontano per così tanto tempo. Come tutto si incastrasse alla perfezione.

Slacciò la cintura di sicurezza che teneva assicurata alla vita e si gettò nelle braccia di Richie, un incontro di anime che si ritrovano dopo dieci, venti, trent'anni. Da ragazzini, adolescenti, giovani adulti, uomini.

Permettimi di rivederlo di nuovo.

L'universo lo aveva ascoltato.

Permettimi di non lasciarlo di nuovo.

Formulò nella sua testa, mentre Richie gli baciava il viso, le lacrime, le labbra umide e salate, colmando un vuoto durato ventisette lunghissimi anni.

Permettimi di non lasciarlo mai più.

Riformulò.

Mai più.

 

Epilogo

Costa della California, 2017

 

Eddie aveva scoperto di amare la California più di quanto amasse New York.

La seconda era stata una fuga, un'affermazione di indipendenza. Non l'avrebbe mai rinnegata, ci sarebbe tornato, un giorno o l'altro.

La seconda aveva stabilito il rispetto di una promessa. Los Angeles era diventata, in breve tempo, un posto che sentiva di poter chiamare casa.

Perché Richie era la sua casa.

Si era trasferito da lui verso la fine della primavera, dopo aver concluso con successo le sue terapie. Dopo aver apposto la firma sulle carte del divorzio, augurato a Myra una buona vita, senza ricevere la stessa premura in ritorno.

Le stampelle erano state abbandonate in cantina a prendere polvere, quando aveva ripreso a camminare sulle sue stesse gambe. Un giorno, forse, sarebbe tornato a correre. Per il momento si concedeva lunghe passeggiate, godendosi il tempo libero che gli regalava quell'anno sabbatico.

Per una volta tanto, affatto ansioso di dover dimostrare qualcosa. Si sarebbe preso tutto il tempo necessario per capire che fare della sua vita.

Aveva imparato ad amare quel suo nuovo corpo. Amarlo anche grazie alle sue debolezze, non nonostante quelle. A guardare con orgoglio le cicatrici che testimoniavano il fatto di essere ancora vivo.

Richie non lo aveva mai fatto sentire disgustoso. Richie amava lui e il suo corpo con o senza cicatrici.

Pensare a quanto, per anni, avesse creduto di non poter meritare nessun altro tipo di amore che non fosse simile a quello che gli aveva riservato sua madre o la sua ex moglie. Pieno di compromessi e obblighi. Amare ed essere amato da Richie era semplice. Era naturale.

Naturale come aprire gli occhi e sorridere, nel riconoscere il volto di Richie mentre i raggi del sole filtravano attraverso i finestrini di un auto in corsa lungo una statale assolata.

«Mi sono addormentato di nuovo...» constatò con una punta di fastidio.

Richie si era concesso un fine settimana libero per passare del tempo con lui, dopo alcune intense settimane di lavoro. Di ritorno da Derry aveva organizzato un tour californiano d'esordio per un nuovo show che lo aveva impegnato per più di un mese. Alcuni dei monologhi su cui aveva lavorato durante le settimane passate nel Maine. Spettacoli con i quali aveva finalmente trovato la sua voce e aveva raccontato a tutti chi Richie Tozier fosse veramente. Eddie non avrebbe potuto essere più orgoglioso di lui.

«Non è un crimine in California, addormentarsi in macchina se non sei il conducente, che io sappia», Richie accolse il suo risveglio con un largo sorriso sul volto. Limpido e privo di ombre.

«No, però potevi svegliarmi», si passò una mano sul viso, affatto convinto di volersi appisolare di nuovo e mancare tutti quegli scenari da cartolina.

«E perdermi l'occasione di farti stare zitto sugli itinerari più veloci da prendere? Dio non voglia.»

«Vaffanculo, Richie...» allungò una mano per tirargli i peli sulle gambe, facendolo sobbalzare con una certa soddisfazione.

«Stavo per aggiungere che sei così carino quando dormi, ma me lo rimangio immediatamente.»

«Bravo, rimangiatelo...»

«Sei un villano.»

«E io ti amo.»

Richie sorrise imbarazzato, come ogni volta che Eddie glielo diceva. E Eddie non faceva che dirglielo, di continuo, godendosi la sua ingenua sorpresa, mentre Richie glielo dimostrava, di continuo, senza mai chiedere nulla in cambio.

«Siamo quasi arrivati, Eds», mormorò di rimando, allungando una mano per prendere la sua. Il suo: anch'io ti amo. Lo scenario di un tramonto su un oceano fatto d'argento e oro, all'orizzonte. «Non è bellissimo?»

Eddie annuì, stringendo forte la sua mano.

La Ford Sierra correva spedita sulla strada, il vento entrava dai finestrini abbassati, scompigliandogli i capelli. Il sole gli scottava la pelle.

«Sì...», disse.

Mai così in pace, mai così felice.

 

Fine.

 

Note:

Sono riuscita a finirla! Ci ho messo un po' più del previsto ma non ero mai completamente soddisfatta di quello che scrivevo, perché avevo paura di non rendere giustizia a Eddie. Spero di averlo fatto, nonostante i mille intoppi e i giri di parole. E ora non ce la faccio più a rileggerla e spero vada bene così. Grazie a chi è arrivato fino alla fine di questo lungo capitolo e di questa storia. Di cuore.

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