Scena
Terza
G
guardava Usumi intento a spazzolare il manto del destriero di
Sebastiana, scuro in volto.
“Le
nozze e i festeggiamenti sono stati rimandati di una settimana a causa
dell’attentato che si è svolto stanotte. Lo
stregone non ha nessuna intenzione di lasciar sposare la principessa
col principe” disse. Era intento ad affilare le punte di
metallo delle sue frecce.
“Chi
potrebbe mai volerle fare del male? Lei, così pura,
così bella…” sussurrò Usumi
roco.
G
distolse lo sguardo e sospirò.
“Una
principessa può sposare solo un principe e questo a molti
non va. Lo stregone la vorrebbe per sé” disse roco.
<
Ho perso la mia patria e quando lei avrò detto il fatidico
sì, avrò perso anche il cielo >
rifletté.
“G,
non so come fuggire dalle mie pene” gemette Usumi. Il cavallo
nitrì e scalciò, i suoi occhi color mare si
rifletterono in quelli rossi dello stalliere. “Ho paura si
possano notare gli affanni miei, così viscidi ed
orrendi”.
G
corrugò la fronte.
“Sì,
mentre fuori tutti si danno ai canti di festeggiamento, tu sei preda di
funerei pianti” disse secco.
“Oh,
Sebastiana, Sebastiana, mio sospiro soave. Non posso per sempre
perderti” gemette Usumi. La spazzola gli cadde di mano,
finendo sulla paglia, e si nascose il viso tra le mani, singhiozzando.
“Federico
non approva l’unione di suo fratello Primo. Per lui
Sebastiana non è alla sua altezza. Sarà lui a
custodirla finché le acque si saranno calmate. Si
è proposto non per aumentare il suo prestigio come nobile di
campagna, come si dice, ma per convincere la principessa a non sposarsi.
Ho
sentito dire che recentemente è rimasto senza stalliere.
‘Primo cavallo’ lo ha disarcionato giù
dalla scogliera.
Perché
non ti proponi?” domandò G.
<
Così che io possa venire con te e scortarti. In questo modo,
anche io potrò finalmente fare la mia mossa con lei, prima
che sia troppo tardi > pensò.
Usumi
sorrise raggiante, le sue iridi rosso sangue brillarono come rubini.
“Splendida
idea! Perché senza di lei perderei senno e amore, e la mia
vita non avrebbe più senso” esalò con
voce tremante.
“Vedrai,
non è tutto perduto. Sul cuore indomito di Sebastiana,
persino il re non ha paterno impero” lo rassicurò
G.
<
Perdonami Gabriel, dovrai rimanere tu con ‘Sgiotto’ per
un po’, da solo > comunicò mentalmente al
fratello.
<
Ah, ti fai sentire quando vuoi. Il legame tra le nostre anime si
assottiglia sempre di più > borbottò
telepaticamente Gabriel.
<
Non conviene neanche a te questo matrimonio. Tu desideri Primo, come io
voglio Sebastiana > rispose G. L’odore di cavallo e di
letame gli pungeva le narici, mentre si udivano le mosche ronzare nella
stalla.
Gli
altri cavalli nitrivano piano.
Asari
entrò nella stalla, socchiudendo la porta.
“Meeh
meeeh. Non fate quelle facce tristi. Qualcosa non
va?” domandò, raddrizzandosi il cappello nero che
teneva sul capo.
“Nieeente,
fratellino” mentì Usumi, sorridendo.
“Ora
vado, sicuramente Primo reclamerà la mia presenza”
disse G. Si allontanò a passo veloce dalla stalla e
risalì le scale. Si arrestò trovandosi
Sebastiana, travestita da sguattera, in ginocchio per terra.
Era
intenta a ripulire una sostanza verdastra dal pavimento, con un secchio
colmo di acqua saponata e una spazzola. Il viso nascosto in gran parte
da una bandana di stoffa candida, accaldato, mentre guardava sognante
il mare attraverso la finestra.
“Lava,
lava… Datti una mossa” la richiamava un ragno
barbuto, aveva una fiamma accesa in testa che si rifletteva nei suoi
tanti occhi neri.
G
si diresse verso la giovane, Angel lo colpì
dall’oscurità alla testa con una tegola, facendolo
crollare incosciente a terra.
***
Sebastiana
percorse la stradina di ciottoli, passando di fianco alle case della
servitù, fatte di terracotta, in contrasto con le massicce
pietre delle pareti della villa principale. Alcune finestre erano
scardinate e alcuni tetti erano riparati con lamiere e chiodi.
Sebastiana
si guardò intorno, calandosi il cappuccio sul viso e si
fermò davanti alla stalla, aprì la porta
silenziosamente e raggiunse il box del suo cavallo.
Questo
la riconobbe, nitrendo gioioso, lei gli sorrise e si piegò
in avanti, accarezzandogli un muso, una ciocca di capelli coloro oro le
sfuggì davanti al viso. Aprì il box e
salì a cavallo senza sella, spronò
l’animale e partì in corsa.
Si
allontanò dalla tenuta, raggiungendo un prato verde, qui
arrestò il cavallo sudato che iniziò a brucare
l’erba. Saltò giù, i piedi le
affondarono nel terreno umido e allargò le braccia,
inspirò, guardando il cielo azzurro sopra lo strapiombo.
Si
sfilò il mantello e udì una risatina alle sue
spalle. Tremante si voltò di scatto e si trovò
davanti Usumi.
“Non
vi facevo amazzone, principessa” sussurrò.
“Chi
siete?” gemette Sebastiana, nascondendosi dietro il suo
cavallo.
“Meeeh
meeeh. Niente paura. Volevo solo farvi i complimenti, andate
magnificamente a cavallo” ribatté Usumi. Le fece
un inchino. “Io sono un umile stalliere”
spiegò.
Aveva
il petto nudo madido di sudore ed i capelli mori gli ondeggiavano
intorno al viso, mossi dal vento che batteva la pianura.
Sebastiana
arrossì, mordicchiandosi un labbro.
“Il
mio Angelo della musica non vorrebbe che parlassi con un plebeo,
soprattutto uno sconosciuto” sussurrò.
“Non
dovete temermi, oh mia speranza. Voi siete un fior d’amore e
senza di voi, la vita che m’avanza, sarà di
dolor…” le cantò Usumi.
Sebastiana
fece un titubante passo in avanti.
“Non
direte a nessuno quello che ho fatto, vero? Mio padre non vorrebbe, non
si addice ad una principessa” sussurrò.
“Non
vi ferirei mai, in nessun modo. Permettimi, anzi, di sfidare qualsiasi
sciagura o affanno in nome vostro” disse Usumi, gonfiando il
petto.
Sebastiana
ridacchiò. “Non avevo mai sentito di uno stalliere
che si sentisse un cavaliere” disse, accarezzando il fianco
del suo cavallo.
Usami
scrollò le spalle e ribatté: “Ho errato
per anni e anni, preda del fascino dell’avventura, esercitava
un gran potere su di me poter insegnare a tutti il gioco del baseball.
Non temo il confronto con i principi”.
“Ho
sempre desiderato vivere un’avventura, come quelle di mio
fratello. Non sono mai uscita veramente dal castello e, prima, neanche
dalle mie stanze” ammise Sebastiana.
<
Anche se da bambina scappavo spesso > rifletté.
“Sai,
ho sognato di portarmi con me per il mondo, alla ventura. Oh, qual
sogno ingannatore” gemette Usumi.
Sebastiana
si allontanò dal suo cavallo, socchiudendo gli occhi con
espressione civettuola.
“Neanche
mi conosci, e già mi dichiari eterno amore?” lo
interrogò.
“Hai
cangiato il mio fato, hai cangiato il mio cor”.
Iniziò Usumi. La raggiunse e prese le mani di lei nelle
proprie. “Da quando ti ho visto, penso solo
all’amor”.
Sebastiana
scrollò la testa, facendo ondeggiare i boccoli biondi.
“Il
mio amore appartiene a qualcun altro” soffiò.
“Permettimi
almeno di farti godere la più bella settimana della tua
vita” la implorò Usumi.
Sebastiana
annuì, rispondendo: “Così
sia”.
***
Sebastiana
scoppiò a ridere, vedendo Usumi che usciva
dall’acqua tenendo un tonno, lungo quanto il suo braccio,
intento a dibattersi, per la coda.
“Sai
che non è così che si pesca?”
domandò. Era seduta su una roccia e si passava le mani sul
vestito da contadina.
Usumi
chiuse gli occhi e scoppiò a ridere.
“Ah
no? Dalle mie parti è normale” disse.
Sebastiana
batté un paio di volte le palpebre, facendo ondeggiare le
lunghe ciglia. “Non posso negare i tuoi riflessi,
plebeo” soffiò.
Usumi
si sedette accanto a lei, prese un sasso, ed iniziò a fare a
pezzi il pesce, sporcandosi le mani di sangue.
“Accenderò
un fuoco e ve lo cucinerò” promise.
Sebastiana
batté un paio di volte le palpebre.
“Grazie
per avermi coperto oggi. Non voglio che Federico scopra che sono io a
compilare le carte di Giotto” sussurrò.
“Una
principessa non dovrebbe occuparsi di politica, men che meno imparare a
falsificare le firme” la richiamò Usumi.
Sebastiana
s’incupì, voltando il capo.
“La
voce nella mia testa vi guida. Il destino del popolo è
l’unica cosa che mi preme. Devo dare il tempo a mio fratello
di lasciar da parte i suoi giuochi e diletti.
Smetterà
di fare il vigilantes e diventerà re”
sussurrò.
Usumi
si pulì la mano sporca di sangue sul vestito e prese quella
minuta di lei nella propria.
“Allora
la sua gloria dovrebbe essere la vostra. Lo considerano un grande
paciere, se sapessero che a tirar le fila è una donna che sa
leggere e scrivere…” sussurrò.
“Oh,
sarai mio diletto se manterrai il segreto. Devono considerarmi frivola
e crudele. Le schiere lo appellano a loro condottiero, la gloria
sarà il suo unico sentiero. Ogni mio pensiero è
certo che sarà un grande re.
V’è
sol bisogno di tempo” lo implorò Sebastiana.
“Il
tuo cuore arde solo per patria ed onore? Oh, allora così
sia. Ti aiuterò in questo. Perché anche io ardo,
d’amore. Quell’ardore diviene furore, solo per te.
Nessuno impedirà a Giotto di essere re, avrà la
mia fedeltà” giurò Usumi.
<
Più la conosco, più sento quanto è
viva, desiderosa, più si raddoppia il mio desio e
più sarà terribile il dolore se non
riuscirò a farla mia > pensò.
Sebastiana
lo guardò in viso e gli sorrise.
“Sai,
G mi ha parlato di te. Mi ha detto che sei il miglior addestratore al
mondo, sei riuscito a rendere Gabriel un buon combattente, nonostante
il suo collare gl’impedisse quasi di camminare
all’inizio. Devi essere un portento” disse.
Usumi
la guardò negli occhi.
“Ti
vedo nuovamente ardimentosa. Sogni forse di saper
combattere?” domandò.
“Ho
spiato a lungo dalla finestra, di giorno, Knukle e mio fratello.
Sì, vorrei saperlo fare anche io”
sussurrò Sebastiana, trepidante.
<
Il mio angelo mi ha insegnato tutto, compreso a cantare, ma questo non
ha mai voluto concedermelo > pensò.
Usumi
si alzò in piedi.
“Allora,
dopo aver mangiato il pesce, vedrò cosa vi piacerebbe
imparare e ve lo insegnerò” promise.
Sebastiana
gli sorrise, guardando in lontananza il suo cavallo e quello di Usumi,
identico, ma dagli occhi rossi, correre.
“Sai,
sei così gentile, ma non mi chiedi mai niente in cambio. Sei
l’unico che mi fa sentire una principessa” ammise.
“Io
voglio farvi sentire amata” rispose Usumi.
<
In realtà ci sarebbe la caverna, lì addirittura
mi chiamano regina. Sin da bambina in quel luogo mi hanno omaggiata,
riempita di regali. In quel luogo, tra ninfi e creature fatate, mi
sento a casa. Però mio padre mi ha messo in guardia, dicendo
che è tutto un inganno. Quel luogo altro non è
che un modo dello Stregone di lusingarmi > pensò
Sebastiana.
***
Scena
Terza IV° parte
“Uccidilo!”
disse la prima bocca. Era rosea e piena, ma minuta.
“Uccidilo!”.
Rincarò la dose la seconda bocca, giallastra e avvizzita.
“Se
non lo ucciderai, ti sposerà e farà a te quello
che ha fatto a noi” implorò la terza bocca.
Le
tre bocche erano comparse sul petto del vero Giotto, addormentato su un
fianco nel letto.
“Devi
pulire, sarai la nostra quarta moglie. Sguattera, pulisci!”
la derise il ragno, che ondeggiava appeso ad un filo dal soffitto.
“Vedrai,
ci saranno tante altre mogli oltre te” cinguettò
la scopa, saltellando nell’angolo.
Sebastiana
indietreggiò, inorridita, e si guardò la mano.
Tra le dita teneva un pugnale, aveva la testa di un drago e gli
fumavano le narici.
“Ucciditi.
In questo modo morirete entrambi. Io posso spezzare la tua
immortalità” sibilò lusinghiero.
“Uccidilo.
Solo quel pugnale può ucciderlo!” gridarono
disperate le tre bocche.
“Mi
piacerebbe affondare tra i tuoi seni e privarti della vita”.
Proseguì il pugnale.
Sebastiana
gridò, e lasciò che l’arma cadesse a
terra con un tintinnio metallico.
Sebastiana
urlò e si alzò seduta sul letto. Vide un gufo
bianco alla finestra, aveva dei dentini che uscivano dal suo becco.
“Maledetto,
mi hai seguito anche qui!” gridò. Prese la sua
scarpa e la lanciò contro il gufo.
Questi
la divorò in un sol boccone.
“Ah
sì? Beh, ti devo dare una notizia” disse
Sebastiana risoluta. Si sollevò con una mano la gonna della
camicia da notte e si diresse a passo spedito dall’altra
parte della stanza. “Oggi con la superforza ho distrutto
metà foresta. Tu non devi essere più duro di una
caterva di querce secolari”. Afferrò uno spadone
dorato e si diresse verso il gufo.
La
boss arma sgranò gli occhi spaventata e volò via.
“Bene!
Almeno per stanotte non tornerai!” gridò
Sebastiana, posando la spada contro la parete. Indietreggiò,
inciampò nella coperta scivolata giù dal letto e
mugolò. “Iiih, ma non è possibile.
Tutte a me! Questo dev’essere l’inferno”
piagnucolò.
La
porta si aprì e ne entrò G, con passo cadenzato,
chiudendosi la porta alle spalle. L’anello dorato al dito
della giovane brillava, raccogliendo la luce della luna che filtrava
dalla finestra, facendo splendere anche lei.
“Ti
ho sentito urlare” disse gentilmente.
Sebastiana
si rizzò di scatto.
“Non
dovresti essere qui. Angel è stato chiaro, se ti vede a
parlarmi ancora, essendo tu uno schiavo, ti ucciderà. Lui
è così geloso di te” gemette.
“Di
me o di te? Forse il tuo angelo della musica è geloso di
entrambi, ma eri in pericolo e lui non c’era” disse
G, con voce atona.
Sebastiana
sospirò pesantemente.
“Sei
il suo braccio destro, la tempesta perfetta, ma ai suoi occhi resti
sempre un atlantidese.
Non
è forse per questo che il tuo amore per mio fratello si
è trasformato in veleno?” domandò.
G
la raggiunse.
Sebastiana
impallidì, vedendo la sua espressione risoluta, il suo viso
incorniciato dai morbidi capelli rossi.
G
le prese le mani nelle proprie.
“Ho
visto che Usumi ti sta rubando il cuore. Non posso stare zitto una
volta di più, è il tuo amore quello che si
è trasformato in veleno. Perché hai lasciato che
qualcun altro controllasse la tua mente, perché altrimenti
vorresti toglierti la vita. Voglio essere sufficiente a darti
un’altra speranza” mormorò.
Sebastiana
chinò il capo.
“Vorrei
poterti credere, ma lo so che senza anello tu mi ripudieresti. Ho
già fatto la prova un paio di volte.
Io
non sono ciò che pensi tu” gemette.
<
Non sono ciò che pensa nessuno > si disse.
“Ti
vedo sempre preda di paure terribili. Angel si dice la tua salvezza, ma
ogni volta che ti tocca ti ferisce, ogni volta che ti conduce con
sé nelle sue stanze ti terrorizza. Hai paura di ogni
versione di Primo” ringhiò G.
“I-io…
Io sono la regina predestinata. Il mio compito è risvegliare
il re dormiente. Solo io posso ridestare Giotto ai suoi compiti.
Lo
devo al mio popolo” gemette Sebastiana.
<
… E a ciò che era Daemon, e a tutti i miei amici.
Solo così potrò salvarli dal ghiaccio magico che
li ha imprigionati.
Iiih,
perché tutto dev’essere così
spaventoso? > si chiese, tremante.
G
si voltò, vedendo una figura fatta interamente di
oscurità.
“Lo
stregone…” esalò Sebastiana,
nascondendosi dietro G. Quest’ultimo attivò la
luce, la figura venne investita dalla fiamma candida e, gridando,
fuggì, mentre la parete veniva ricoperta di cristallo.
“Non
puoi continuare così. Il tuo fratellastro è un
vampiro, ogni lato di tuo fratello cambia col tempo divenendo sempre
più mostruosa e…”. Iniziò G.
“…
E quando sposerò Giotto lui divorerà la mia
anima. Il mio destino è di diventare una bocca sulla sua
pancia. Tu sei l’unico a cui mi sento di
raccontarlo” ammise Sebastiana.
<
Se solo fossi libero, il principe di Atlantide, ti potrei sposare. Se
potessi tornare a casa, e chiedere aiuto a mio padre >
pensò G. Le prese le mani nelle proprie.
“Non
si parla più di oscurità. Dimentica queste paure
con gli occhi spalancati” cantò con voce calda.
Le
iridi dorate di Sebastiana divennero liquide.
“Sono
qui, niente ti farà del male. Le mie parole ti scaldano e ti
calmano” la rassicurò G, stringendola al petto
muscoloso.
<
Angel non mi permetterà mai di vederlo come un re, anche
perché col tempo ci vede sempre meno se stesso. Mio fratello
sta cercando un nuovo re, ma non sarà mai il principe del
popolo che mio padre conquistò il giorno della mia nascita
> pensò Sebastiana.
Copiose
lacrime iniziarono a scivolare lungo le sue gote pallide.
“Lasciami
essere la tua libertà. Lascia che la luce del giorno
asciughi le tue lacrime”. Proseguì a cantare G.
Sebastiana
gli posò la testa sul petto.
“Finirai
per farti uccidere da Giotto, o per passare per il traditore che non
sei” gemette.
“Sono
qui, con te, accanto a te. Per custodirti e guidarti, senza
controllarti” mormorò G.
Sebastiana
si scostò da lui, dicendo: “Ti prego,
smettila”.
G
si sfilò il mantello e ve l’avvolse, cullandola
contro di sé.
“Dimmi
che mi ami. Io sarò la tua estate, metterò fine a
questo inverno.
Dì
che hai bisogno di me con te, ora e sempre” le
cantò all’orecchio.
<
Se solo tu amassi ciò che sono veramente! Usumi lo ha
scoperto e per lui non è cambiato niente.
Perché
lui è il principe delle favole, quando sei tu quello che mi
sta accanto quando ho paura?! Questo è tutto sbagliato!
> pensò.
“Promettimi
che tutto ciò che dici è vero”
cantò lei a sua volta.
“Questo
è tutto ciò che ti chiedo: lasciami essere il tuo
rifugio; lascia che sia la tua luce”. La voce di lui era
melodiosa.
“G,
ti credevo mio amico. Vieni di notte ad insidiare la donna che
amo?” domandò Usumi, balzando dalla finestra.
Abbracciò Sebastiana, allontanandola dalle braccia di G, e
l’avvolse nella propria casacca.
“Anche
con me sei al sicuro, nessuno può trovarti. Lasciamoci
indietro insieme le tue paure” cantò il giapponese.
“Tu
la lascerai in mano ad Angel” disse G atono.
“Io
posso amarli entrambi. Non mi metterò in mezzo al loro
amore, ma seguirò tutti e due. Amando ‘ogni
parte’ sia di Giotto che di
‘Sebastiana’” ribatté Usumi.
Avvicinò le labbra all’orecchio della principessa.
“Un
mondo senza più notte e tu sempre accanto a me”
cantò.
Sebastiana
serrò gli occhi.
“Entrambi
avete dei gemelli e non mi amano. Non voglio spezzarvi
l’anima a metà.
Tutto
quello che voglio è la libertà”
implorò.
“Io
ti nasconderò, tenendoti con me. Lì sarai
libera” promise Usumi.
“Dì
che condividerai con me un amore, una vita” lo
implorò Sebastiana. Fuori dalla finestra erano sbocciate
delle rose blu dal cuore dorato.
“Io
ti guiderò fuori dalla solitudine di promesse
vuote” cantò G, alzando la voce più di
Usumi. Prese la mano di Sebastiana e l’allontanò
dall’altro.
“Dì
che hai bisogno di ogni lato di me, con te, accanto a te,
qui” lo implorò la giovane.
Usumi
prese l’altra mano della ragazza.
“Lascia
che dovunque tu vada, possa andare anch’io. Tutto quello che
ti chiedo, principessa, è e di condividere con te un amore,
una vita” cantò, coprendo la voce di G.
Sebastiana
sentiva che entrambi l’attiravano a sé, senza
tirare troppo forte, stringendo le sue mani.
“Dì
una parola e ti seguirò, perché ho bisogno di te,
principessa. Voglio stare accanto a te ogni notte, ogni
mattina” cantò G, cercando di far sentire
nuovamente la sua voce.
“Amami”
implorarono entrambi.
Una
botola si spalancò sotto il pavimento, Sebastiana
urlò, cadendo tra le braccia del Giotto demone. La volpe
dimenò le nove code.
“Dimmi
che mi ami!” le ordinò.
“Vi
amo, mio re” cantò Sebastiana, stringendo a
sé l’Angelo della musica.
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