La
bellezza ‘peccaminosa’ del gitano
Rosario
si piegò in avanti ed iniziò a sollevare la
catena del secchio, premendo il bacino contro il bordo di pietra del
pozzo.
Ivan
allungò una mano verso il ragazzino, serrò il
pugno e si voltò, stringendolo al petto.
<
Il desiderio per un gitano come questo non è una mia colpa
> pensò.
Rosario
udì dei passi che si avvicinavano verso di lui e mise a
terra il secchio, facendo cadere alcune goccioline sul pavimento
innevato, sull’acqua si creò un leggero strato di
ghiaccio.
Estrasse
il pugnale, sgranando gli occhi, vedendo che il giovane coetaneo
davanti a lui aveva delle ampie ali da gabbiano sulle spalle.
“Mio
zio non vorrebbe vedermi con uno come te, ma… non ho mai
visto nessuno che ti rassomigli in tutta la Russia” disse
Ivan, passandosi la mano tra i morbidi capelli mori.
Rosario
guardò la sua pelle abbronzata, i suoi occhi socchiusi e le
morbide ali, alcune piume erano finite sulla neve.
“Neanche
tu sei così comune” sussurrò. Si
strinse nel vestito lacero, tremando, il vento gelido gli faceva
sferzare i capelli contro il viso.
Ivan
si allacciò l’ultimo bottone della sua pesante
giacca di pelliccia marrone, il colletto, invece in pelliccia bianca,
gli solleticava la pelle.
“Sai,
vengo tutti i giorni qui. So che vieni sempre a quest’ora a
prendere l’acqua” sussurrò.
Rosario
rinfoderò il pugnale e prese il secchio.
“Giusto,
l’acqua! Si congelerà, devo andare!”
gridò, correndo via. Aveva i piedi ricoperti di piaghe
sanguinanti, lasciava delle tracce vermiglie sulla neve, mentre pezzi
di ghiaccio si conficcavano nelle sue dita già ferite.
<
Non sarei mai dovuto venire a trovare mio fratello Egor…
Così non avrei mai potuto incontrare quel giovane, forse la
più grande tentazione nella mia ascesa al mondo delle dee
>. Si passò le mani sul viso e sospirò
pesantemente. < Se solo non lo sognassi ogni notte…
Ora so anche la sua voce, il suo odore…
Domani
tornerò e prima o poi sarà mio, dovessi bruciare
nel fuoco demoniaco > pensò, scuotendo.
Donat,
nascosto dietro l’angolo di un muro semi-distrutto di uno dei
tanti edifici, assottigliò gli occhi. Vide il nipote
piegarsi in avanti, mentre si creavano alti demoni rossi
tutt’intorno a lui, dai visi oscuri e incappucciati.
Schioccò
la lingua sul palato, il giovane gitano era ormai un puntino lontano.
“Ho
fatto bene a seguirti, nipote. Sapevo che mi mentivi su dove passavi i
tuoi rari momenti di libertà. Non ti avevo forse detto di
non avvicinarti mai alla plebe?
Tu
devi finalmente tornare a riprendere il potere dei Vongola. Hai forse
dimenticato il tuo santo compito?” gli domandò.
Ivan
si voltò di scatto, le figure incappucciate scomparvero ed
il ragazzo fece un sorriso tirato.
“Non
è colpa mia, zio. Quel giovane, che sembra
all’apparenza così puro, mi tenta”
gemette.
Donat
lo raggiunse e gli posò una mano sulla spalla.
“Lo
so, figliolo. Esistono delle creature che peccano con la loro lascivia
bellezza. Non temere, troveremo qualcuno a cui sposare quel ragazzo, lo
allontaneremo da una vita di perdizione e salveremo la tua anima.
Lascia
fare a me, come sempre” disse. Si piegò in avanti
e gli posò un bacio sulla fronte. “In fondo non
è colpa tua se sei nato così incapace, ma al
contrario del resto della nostra sterile famiglia, tu ti eleverai.
Lasciati guidare dalla mia purezza spirituale”.
“Sì,
zio” disse Ivan con tono grato.
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