Amnesia

di Nanamin
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Normalità ***
Capitolo 2: *** Verde ***
Capitolo 3: *** Buio ***
Capitolo 4: *** Appuntamento ***
Capitolo 5: *** Reazione ***
Capitolo 6: *** Trappola ***
Capitolo 7: *** Risveglio ***
Capitolo 8: *** Geo-Force ***
Capitolo 9: *** Blackout ***
Capitolo 10: *** Incarichi ***
Capitolo 11: *** Nome ***
Capitolo 12: *** James ***
Capitolo 13: *** Incubi ***
Capitolo 14: *** Metamorfosi ***
Capitolo 15: *** La prima mossa ***
Capitolo 16: *** Nuove alleanze ***
Capitolo 17: *** Visite ***
Capitolo 18: *** Pillola blu ***
Capitolo 19: *** Nuove identità ***
Capitolo 20: *** Rinati dalla morte ***
Capitolo 21: *** Affari di famiglia ***
Capitolo 22: *** Fantasmi dal passato ***
Capitolo 23: *** Faccia di zucca ***
Capitolo 24: *** Dietro la maschera di Robin ***
Capitolo 25: *** Il nome di Rose ***
Capitolo 26: *** Prototipo 23 ***
Capitolo 27: *** Qualcuno da proteggere ***
Capitolo 28: *** Solo pochi centimetri ***
Capitolo 29: *** La ragazza che nacque tre volte ***
Capitolo 30: *** Nessun altro guarda il cielo di notte ***
Capitolo 31: *** Ti fidi di me? ***
Capitolo 32: *** Il distruttore ***



Capitolo 1
*** Normalità ***



Innanzi tutto le generalità: i personaggi di questa fan fiction non sono di mia proprietà e non scrivo a scopo di lucro.
La seguente storia si colloca dopo l'episodio "Things change" dell'ultima stagione dei Teen Titans e non tiene conto del fumetto della stessa serie. Buona lettura!




NORMALITÀ








Si sedette sul letto e si tolse le scarpe facendo leva con le punte dei piedi.  I raggi di sole filtravano attraverso la finestra illuminandole i capelli e il viso pallido: la luce le fece strizzare le palpebre. Distolse lo sguardo.

Allentò con l’indice e il pollice il nodo della cravatta e tirò un’estremità facendo scorrere il tessuto in un fruscio. Passò una mano sul collo per scostarsi le ciocche bionde dalla pelle: perle di sudore le bagnarono le dita.

Sospirò di sollievo indossando un paio di shorts e una maglietta a maniche corte: un brivido le percorse la colonna vertebrale come una saetta.

Sbuffò. Il libro aperto sulla sua scrivania la riportò alla realtà, la matita e la gomma ancora appoggiate sulle pagine dalla sera prima, l’astuccio mezzo svuotato sulla superficie lignea.

Il display del cellulare s’illuminò mentre nell’aria si spargevano le note di una canzone rock. La lasciò continuare per qualche secondo sorridendo, poi afferrò il telefono:

“Amber?”

“Tara! Come stai?”

La ragazza rise e appoggiò le gambe sulla scrivania.

“Ehm, credo come un’ora fa. Perché?”

“No, niente, chiamarti per chiederti subito dell’esercizio 23 di matematica mi sembrava brutto.”

“Direi che ormai ci sono abituata.” Ridacchiò “Cosa non riesci a fare?”

“Praticamente tutto, Tara! Sono disperata!”

Prese il quaderno e girò le pagine fino a trovare un grande ventitré cerchiato in rosso in un angolo di una facciata. Scorse con gli occhi la prima riga di testo.

“Ok, va bene, stammi a sentire.”

“Ti ascolto!”

“Devi prima trovare il dominio della funzione.”

“Tara”

 “Poi devi procedere al calcolo della derivata.”

“Tara!”

“E infine devi determinare i punti di fl-“

“Tara, Tara, Tara!”

La ragazza si ammutolì e si abbandonò allo schienale della sedia.

“È troppo lungo! Non ce la farò mai!”

Tara prese una penna sulla scrivania e iniziò a scarabocchiare su un foglio. Sorrise.

“Allora che dovrei fare?”

“Beh… oh dai Tara lo sai!”

Si morse le labbra e ridacchiò.

“Va bene, dai. Domani ti passo il quaderno.”

“Tara, sei la migliore. Che altro potrei dirti?”

“A quanto pare nulla, dato che è dall’inizio dell’anno che questa storia va avanti! Ogni tanto perché non chiami James? Almeno ci spartiamo i compiti!” 

“Con uno come lui ci parlerai tu, non io!” rise “Non è la mia massima aspirazione parlare solo di equazioni e teoremi con una persona.”

“Dai, non è così male.” Sussurrò.

Tara pensò a cosa aveva appena detto, subito le guance avvamparono. Fissò lo sguardo sulla bic che roteava tra le sue dita con agilità per cercare di far defluire il calore. Benedisse di essere in camera da sola e, chiudendo gli occhi, sperò anche di non essere stata sentita.

“Tara ci sei? Devo scappare, voglio vedere una serie tv!” Lo squillare della voce della sua amica la riportò alla realtà.

“Cosa? Ma non dovevi studiare?” 

 “Domani copierò alla prima ora!”

“Ma non c’è solo l’esercizio 23 per domani” disse alzando un sopracciglio. 

“Tara…”

“Va bene! Ho capito. Puoi copiare tutto da me.”

“Grande Tara, sei la mia salvatrice!”

La ragazza bloccò la penna nella sua mano e rise.

“Che c’è, mai vista una supereroina prima d’ora?”

“A parte te no.”

Lancinante una fitta si fece largo nella sua testa, incisiva come un chiodo battuto da un martello.

Tara strinse il pugno destro. Per un secondo, non vide altro che bianco.

“Tara? Scherzavo! Ora devo andare, ciao!”

Amber chiuse la chiamata senza nemmeno attendere risposta. Il dolore scomparve così com’era arrivato. La ragazza non sentiva più nulla.

Tara sbatté più volte le palpebre e si massaggiò una tempia. 

Aprì il palmo della mano destra, la penna rotolò via e cadde sul foglio scarabocchiato. Al suo posto, rosso e lucente, il profilo dell’oggetto inciso nella sua carne.

Si girò verso la finestra: la luce entrava ancora prepotente, il cielo era limpido. Si buttò sul letto. Era stanca.

 



 

 

Robin piombò con un salto davanti all’uomo. 

“Arrenditi, non riuscirai a rubarlo!”

In una teca avanti a loro era esposto un piccolo rettangolo di carta. Un francobollo. Nero, con un viso di profilo stampato sopra.

“Mi dispiace, m-ma è l’ultimo che manca alla mia c-collezione!”

L’uomo era quasi calvo. Il suo occhio sinistro si apriva e si chiudeva a scatti, mentre l’altro era completamente spalancato. Tutta la sua figura tremava, affetta da continui sussulti.

“Il P-penny Black è l’ultimo. Ed è mio.” 

Scoppiò in una risata più simile ad un singhiozzo.

“Amico mi sa che hai bevuto un po’ troppi caffè” disse Cyborg alzando un sopracciglio.

“Non si manca di r-rispetto ai più grandi.”

L’uomo tirò fuori dalla tasca una grossa carta da gioco con sopra disegnato un francobollo e ne leccò la parte bianca.

“Sei sicuro di stare bene?” Beast Boy si grattò la nuca.

Egli sogghignò:

“I-io? Benissimo. Al contrario di voi.” 

Subito lanciò la carta verso di loro. Un’esplosione invase l’ala del museo sbalzando via i cinque ragazzi e rompendo i vetri di tutte le teche.

Al dissolversi del fumo il francobollo era sparito.

Cyborg si rimise in piedi:

“Cavolo, com’è possibile che ci abbia fregato un tipo così strambo?” 

“Poche chiacchiere” disse Robin mentre si toglieva la polvere da dosso “Andiamo!”

Tutti lo seguirono, Beast Boy mutato in ghepardo e Starfire con sfere d’energia verdi attorno alle mani.

Fuori del museo lo videro intento a salire su una macchina nera. Il rombo del motore spezzò il silenzio notturno.

“Fermati!” Robin scattò verso di lui allungando il bastone. “Titans, all’attacco!”

L’auto partì sgommando. Starfire si alzò in volo e colpì più volte urlando. Numerosi crateri si formarono sull’asfalto senza tuttavia colpirla.

Beast Boy raggiunse in corsa il veicolo e vi balzò sopra affondando gli artigli nella carrozzeria. Subito la macchina sterzò facendo testacoda e il felino venne spazzato via sbattendo con la schiena contro un muro vicino.

“Beast Boy!” Starfire si precipitò verso l’amico, tornato di forma umana.

“Azarath Mitrion Zintos!”

L’auto si dipinse di nero e si sollevò da terra. 

Raven, in volo e con le braccia tese, digrignò i denti.

“Hai finito di scappare.”

Il veicolo venne sbalzato contro un edificio. I finestrini si ruppero, la carrozzeria si accartocciò come una pallina di carta, il fumo iniziò ad uscire dal cofano.

Nessun rumore, nessun movimento. Per secondi.

Beast Boy si era tirato a sedere e si massaggiava la schiena con Starfire inginocchiata vicina a lui. Raven era in piedi, impassibile.

Cyborg ritirò il cannone.

“Ma che l’abbiamo fatto secco?”

“Sh!” Robin si avvicinò sospettoso alla portiera della macchina. Avvicinò il bastone e diede due colpetti alla carrozzeria.

All’interno del finestrino tutto era nero. Robin strizzò gli occhi cercando d’intravedere qualcosa.

Una lucina rossa, simile a un puntino, galleggiava nel buio. Piano piano s’ingrandì. Divenne intermittente.

Robin spalancò gli occhi.

“Cos-“

Una grande carta da gioco gli si appiccicò sul petto. La spia su di essa era sempre più veloce.

Robin urlò e piantò le dita sulla carta, tirò i lembi. I guanti scivolavano sugli angoli e sul dorso, il sudore gli colava dalle tempie. La luce era ormai quasi continua.

Il ragazzo serrò la mascella, si sfilò la maglia e la buttò in aria.

“Azarath Mitrion Zintos!”

Il rombo dell’esplosione investì i ragazzi, che si ripararono dietro alle loro braccia. 

Silenzio. Robin sollevò la testa: una grande bolla nera stava fluttuando a mezz’aria, restringendosi e allargandosi più volte fino a dissolversi in un filo di fumo.

Raven crollò a terra in ginocchio, ansimante.

Beast Boy scattò in piedi.

“Sta scappando!” urlò indicando di fronte a sé.

“Preso!”

Cyborg diede un pugno sulla nuca dell’uomo in fuga buttandolo per terra. Si avvicinò a lui e lo tirò su prendendolo per il colletto.

“Ragazzi, questa sera ci meritiamo doppia razione di pizza al formaggio.”



 

 

“Maestro, devo procedere?”

Una figura nera, imponente, guardava avanti a sé con le braccia incrociate dietro alla schiena.

“No, apprendista. Porta pazienza, il momento è vicino.”

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Capitolo 2
*** Verde ***


VERDE



L’aula era impregnata di un odore acre. Gli ampli banchi erano disposti in tre file, pronti ad accogliere una ventina di ragazzi. Nell’angolo opposto alla porta, un lavello bianco. Al suo fianco, due armadietti quasi perennemente chiusi.

“Non capisco che ce l’abbiamo a fare tutta quella roba per il disegno se poi non ci fanno usare un bel niente.”

Dionne sbuffò, appoggiando la cartella accanto allo sgabello.

“Penseranno che gliela potremmo rovinare.”

Tara si sedette vicino alla sua amica e appoggiò la valigetta dei colori sul banco.

“Che c’era da fare stamattina?”

Tara si girò alla sua sinistra, da dove proveniva la voce. Sentì il sangue fluire verso le guance come un liquido caldo. Chinò il capo in maniera quasi impercettibile.

“Ehm, dovremmo dipingere un paesaggio.” Rispose.

“A piacere?”

Tara prese una ciocca tra l’indice e il pollice, lisciandola. 

“No. Quello di pagina 124.”

“Grazie.” 

La ragazza lo guardò di sottecchi, sperando di poter continuare la conversazione, ma James si era già chinato sul foglio a tracciare delle linee guida sottili con la matita.

Sospirò e aprì la valigetta.

“Dionne, hai tu il libro?” chiese tirando fuori la tavolozza e i pennelli.

“Sì, aspetta che lo prendo.”

Tara si mise un pennello tra i denti.

“Quando hai fatto, mettilo qui in mezzo, almeno guardiamo in due.” Disse biascicando a labbra strette.

“Ecco, è questo.”

Tara gettò un’occhiata distratta  all’immagine indicatale dall’amica. Il quadro occupava l’intera pagina e rappresentava un sentiero riparato da degli alberi in primavera con un piccolo fiumiciattolo a fianco. Deglutì.

La valigetta conteneva tutti gli strumenti necessari per la pittura di base. Un carboncino, una sanguigna, gomma pane, una tavolozza, vernice ad olio, i colori a tempera. Dodici, delle principali gradazioni, tutti dal tubetto ormai accartocciato ed esile. Tranne uno, ancora pingue e preciso come appena uscito dal negozio.

“Questa sarà la volta buona in cui userai il verde!”

Tara sobbalzò. Il naso lentigginoso di Amber era a pochi centimetri dalla sua guancia.

“Sei scema? Mi hai fatto prendere un colpo!”

“Esagerata!” 

La ragazza ridacchiò e con un cenno si congedò per tornare al suo posto.

“Perché non lo utilizzi mai?” disse Dionne si scostandosi i capelli dal viso.
Tara fece una smorfia.

“Non lo so, non mi piace: preferisco dipingere deserti e terra arida. In più ormai il tubetto si sarà anche seccato.”

Non aveva idea del perché non avesse mai usato il verde da quando era in quella scuola. Anche solo guardarlo le dava repulsione, le faceva quasi paura. Da sempre si diceva fosse il colore della speranza, ma lei non ci aveva mai creduto. Ogni volta che vi posava gli occhi, sentiva un germoglio d’inquietudine crescerle dentro e ramificarsi, fino a che non rinunciava e si dedicava ad altro. Era sgradevole.

Avvicinò la mano destra al tubetto fino a sfiorarlo con i polpastrelli. Socchiuse gli occhi.

Avevo ragione, si è seccato.

Digrignò i denti e fece forza sul tappo. Nulla. La sua mano girava a vuoto, l’attrito le feriva la pelle. Buttò il colore sul banco.

“Visto? È inutile.” Sbuffò.

“Ti aiuto?”

Tara avvampò. Gli occhi scuri di James la guardavano da dietro le lenti. La ragazza riprese a torturarsi una ciocca di capelli.

“G-grazie.” Sorrise.

James prese il tubetto impassibile. Dopo una serie di tentativi il tappo non si era mosso di nemmeno un millimetro.

“A quanto pare dovrò prestarti i miei colori.”

Il ragazzo le porse la sua valigetta. Tara sorrise con l’angolo della bocca e preparò tutto il materiale per il suo disegno. Inspirò, James era tornato a chinarsi sul suo lavoro, non doveva essersi accorto di nulla. Buttò fuori tutta l’aria.

“Non dovevi guardare l’immagine con me?”

La frase la riportò alla realtà, si girò. Dionne era appoggiata con il gomito destro sul banco e si sorreggeva la guancia con la mano. Sul viso era stampato un ghigno sornione mentre il sopracciglio sinistro era alzato in maniera innaturale.

Tara avvampò di nuovo.

“Oh ma zitta, sto guardando con te.”

“Come no. Ci credo.”

Gli sguardi delle ragazze s’incrociarono per qualche secondo. Scoppiarono in una fragorosa risata.

“Che avete da ridere signorine? Volete rendere partecipe anche la classe?”

La professoressa era in piedi, con la mano sulla superficie di un banco in prima fila, gli occhi socchiusi. Le due si ammutolirono e Dionne accennò un timido:

“Mi scusi.”

Tara si chinò sul foglio rossa in viso, sperando che l’attenzione di tutti si spostasse velocemente su qualcun altro. Sentiva caldo.

L’amica ridacchiò sottovoce:

“Ops.”

La ragazza si lasciò sfuggire un mezzo sorriso.




 

“Tara! Guarda che carino!”

In un secondo si trovò a pochi centimetri due grandi occhi azzurri in un mare di pelo bianco.

“Meow.”

Tara si ritrasse di un passo con una smorfia.

“Sì è carino, ma tienimelo lontano.” Disse mettendo le mani avanti.

“Dai! Non fare la scontrosa, non vedi? È buono!”

Amber strinse il gatto al petto e iniziò ad accarezzarlo con una mano. Il felino ricambiò con delle fusa sommesse e stiracchiò le zampe.

“Sì, ma io non sono brava con gli animali. Mi piace guardarli da lontano” Tara ridacchiò poco convinta.

“Sì sì certo.” La liquidò Amber con un cenno di mano, per poi tornare a dedicarsi al gatto “Non dar retta a Tara, lei è cattiva. Non le piacciono gli animali.”

La ragazza socchiuse gli occhi e avvicinando il suo naso a quello piccolo e rosa del micio che aveva in braccio. 
Tara sentì un tonfo sordo nel petto che la gettò in un attimo di panico: avvertiva le dita tremare e la sua fronte iniziare a imperlarsi di sudore, così come la schiena; lo zaino non le era mai sembrato così pesante. Nella sua mente imperava un'unica parola: perché?

"Tara? Tutto bene?"

La ragazza si costrinse a rivolgere uno sguardo all'amica: la stava fissando mentre ancora stringeva il gatto tra le braccia. Tara pensò di dirle tutto, dei mal di testa, del suo malessere, delle sue paure, dopotutto Amber era la sua migliore amica. Tuttavia quando aprì bocca riuscì solo a pronunciare tre parole:

“Io sono arrivata.”

S'infilò in casa senza dare il tempo alla ragazza di rispondere, chiudendo la porta alle sue spalle. Per un attimo l'aveva vista lì, sull'uscio, mordersi il labbro preoccupata: Tara poteva sentire ancora il suo sguardo addosso, persino attraverso la struttura della porta. Lasciò cadere lo zaino al suo fianco con un tonfo. Scivolò con la schiena appoggiata al legno fino a ritrovarsi accucciata con le ginocchia vicino al mento. Amber stava scherzando, allora perché aveva reagito così? Il calore di una lacrima attraversò la sua guancia; le cadde su un ginocchio. Un’altra.

La ragazza affondò le dita tra i capelli. Amber stava scherzando, lo sapeva, ma l'inquietudine dentro di sé non accennava a diminuire. 
Gli occhi azzurri del gatto si materializzarono nei suoi pensieri. Un brivido percorse il suo corpo come una scossa sismica, dal petto fino alla punta delle dita.

Toc.

Tara sussultò. Un sasso le sfiorò il piede, per poi fermarsi a pochi centimetri da lei. Era perfettamente rotondo, con delle venature più scure. Lo prese in mano: stava perfettamente nel palmo. Ruvido e pesante per le sue dimensioni.

Che cosa mi sta succedendo…

La ragazza aspettò di essersi calmata del tutto, si asciugò il viso con l’avambraccio sinistro e si alzò, tirando su con lei lo zaino. Un leggero fastidio cominciava a invaderle la testa come un liquido vischioso, ma decise di non badarci. Lasciò cadere con un sospiro il ciottolo nel vaso da cui era caduto.

Dieci minuti dopo stava per buttarsi sul divano quando il tintinnio di un mazzo di chiavi la ridestò, seguito dallo scatto della serratura alle sue spalle. Tara si girò verso la porta:

“Mamma!” gridò aprendosi in un largo sorriso.




Note dell'autrice:
Con questo capitolo finisce quella che considero l'introduzione alla storia vera e propria. Mi scuso per questo motivo se il tutto è stato un po' lento ma ce n'era bisogno per l'economia del racconto. D'ora in poi si entrerà più nel vivo dell'azione. 
Mia piccola considerazione personale: so che molti di voi non sono fan di Terra, però volevo rassicurarvi che questa storia non parlerà solo della ragazza, ma anzi coinvolgerà molti più personaggi di quelli che possiate immaginare! Mi piacerebbe poteste darle una piccola possibilità!
Cercherò di pubblicare settimanalmente, scanso studio disperato per gli esami. In tal caso mi farò perdonare ^^
Per ora è tutto, a presto col nuovo capitolo! 

 

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Capitolo 3
*** Buio ***


BUIO

 

I passi rimbombavano nelle strade deserte, immerse nell'oscurità. 

“Cyborg, dove dobbiamo andare?“

“Dritti avanti a voi!”

“Non riesco a vedere nulla!” la voce di Raven arrivò da un punto indefinito.

“Cyborg, sei l’unico che può prenderlo!” questa volta a parlare era stato Robin, ne era sicuro.

“Con l’occhio posso vederlo, ma non sono abbastanza veloce per raggiungerlo!”

Dei raggi fendettero il cielo come fuochi d'artificio: Starfire lanciava energia dalle mani rischiarare quella notte senza luna e senza stelle. Per un secondo Beast Boy vide i profili verdi dei quattro amici spostarsi vicino a lui, poi di nuovo il buio.

"Star, ci servono più avanti!" il ragazzo riconobbe la voce di Robin.

"Non posso! Rischierei di colpirvi!"

Non possiamo andare avanti così!

Beast Boy sentì i suoi piedi tramutarsi in zampe e il suo corpo allungarsi fino a terminare in una coda affusolata. Ora le sagome dei suoi amici erano nette di fronte a lui, chiare tra i palazzi grigi. Più avanti, un'altra sagoma stava correndo, e li stava seminando. Accelerò utilizzando tutto il fiato che aveva in corpo: gli artigli s'incuneavano in qualsiasi crepa dell'asfalto per darsi una spinta maggiore, il corpo si appiattiva a terra per diventare più aerodinamico. In pochi secondi il felino aveva superato tutti gli altri e si era affiancato a Robin nell'inseguimento.
Red X era maledettamente veloce, anche con quella grossa ventiquattrore in braccio. Il mercenario si spostò dal centro della carreggiata per correre vicino ai profili dei palazzi: i contorni del costume nero scomparivano a tratti persino per i suoi occhi abituati alla visione notturna. 

Aspetta, cosa sta facendo?

Red X stava armeggiando con la sua tuta, frugando alla ricerca di qualcosa.

Quelli sono aggeggi a forma di X? Quei così esplodono!

Beast Boy socchiuse gli occhi e scattò dalla parte opposta della strada nascondendosi dietro ad un cassonetto.

Cazzo, sono un idiota. Non vedono!

Subito le zampe diventarono gambe e la pelliccia si ritrasse ai soli capelli.

"Ragazzi, le bombe!"

La voce di Cyborg tuonò nell'ombra:

"Cosa!?"

La luce si fece accecante in tre rombi assordanti, uno vicino all'altro.

Cazzo.

Riprese la forma di leopardo e si voltò indietro: Cyborg era finito nel cratere formato dagli scoppi, ma si stava rialzando e massaggiando il collo; Starfire era crollata seduta sul marciapiede; Raven era avvolta da una sfera di energia nera.
Beast Boy si rasserenò, anche se Red X fosse scappato, almeno stavano tutti e tre bene.

Tre?

Il felino si voltò di scatto in avanti e scorse la figura di Robin in lontananza proseguire come se non fosse successo niente. Subito si gettò in una corsa a perdifiato: il loro bersaglio aveva guadagnato terreno ma era ancora all'orizzonte. In poco tempo aveva di nuovo affiancato il leader. Ruggì per far notare la sua presenza.

"Beast Boy! Mi vedi?"

Il leopardo ruggì di nuovo.

"Devo andare più veloce!"

Beast Boy guardò Red X sempre più vicino, ma ancora non abbastanza. Ebbe un'idea: le sue zampe diventarono zoccoli e il suo muso si allungò. Nitrì.

"Ottimo lavoro!"

Robin tastò l'aria alla sua destra finché non trovò dei crini a cui aggrapparsi, spiccò un salto e atterrò in groppa allo stallone.

"Ok, Beast Boy, mi affido alla tua vista. Corri!"

Il ragazzo non se lo fece ripetere due volte e allungò l'andatura muovendo il collo avanti e indietro e spingendo con il posteriore per aumentare la potenza: Red X si faceva sempre più vicino. 
Beast Boy scorse un bivio in lontananza, due grandi strade si biforcavano a Y davanti a loro. 

Allora dove vuoi andare, eh? Greenwood o St. Andrew street? Tanto ti prendo!

Beast Boy accelerò, quando il fuggitivo si fermò proprio davanti all'indicazione e si voltò indietro.

Che cazzo sta facendo!?

Red X estrasse una bomba a X dalla sua tuta e la lanciò verso di loro.

Un lampo li colpì in pieno viso: la luce squarciò l’atmosfera notturna come un pugnale. Beast Boy avvertì i suoi occhi andare a fuoco come tizzoni ardenti, il bianco s’era impresso nella sua retina impedendogli di scorgere qualsiasi altra cosa: i palazzi, Robin, Red X, tutto era sparito. Fu una questione di secondi poi, per Beast Boy, calò il buio.  Il mutaforma sentì voci rimbombare nella sua testa, senza riuscire a comprenderne la provenienza.

"Beast Boy, che fai? Sta scappando!"

"Beast Boy!"

"Beast Boy!"

Nitrì al cielo, scartò a destra e s'impennò sulle due gambe posteriori, la groppa divenne leggera, gli occhi mandavano fitte lancinanti. Si lanciò al galoppo come una furia, chiudere le palpebre non gli dava alcun sollievo;  galoppava in un mare di nero che lo stringeva come una morsa, facendolo impazzire. Rumori indistinti lo attorniavano, insinuandosi nella sua testa come la punta di un trapano. Galoppò per quelle che credette fossero ore, senza fermarsi e senza incontrare alcun ostacolo avanti a lui. 

- Stoc -

Cadde. L’asfalto si scontrò con il suo corpo ormai umano, il dolore l’invase come un’onda, il sangue colò dal suo sopracciglio sinistro e gli percorse tutta la guancia; il petto si alzava ed abbassava come un mantice. 

Red X…devo prenderlo…

Appoggiò i palmi sul pavimento e digrignando i denti stese gli avambracci. Il dolore divenne più acuto e attraversò tutte le sue membra in una scossa. Beast Boy respirò a fondo e richiamò a sé le gambe: la sinistra non rispose. Crollò esanime sull’asfalto, il sangue si allargava inzuppandogli la tuta, i muscoli tremavano per lo sforzo. Si concentrò per cercare di scorgere qualcosa: il nero diventò grigio, al posto degli oggetti dei contorni scuri sfocati. Socchiuse gli occhi: un’ombra nera era davanti a lui, accovacciata.

“R-Robin…?”

Tutto tornò buio.

 

 

"Sta bene?"

"I parametri vitali sono buoni, tra poco si dovrebbe risvegliare."

Beast Boy aprì gli occhi: nero. 

Non può essere…

"Non ci vedo!"

Il ragazzo scattò seduto portandosi le mani al viso.

"Tenetelo fermo! Non si deve toccare!"

Due paia di mani afferrarono le sue braccia e le bloccarono. Beast Boy si agitò, scalciando con quanta forza aveva in corpo.

"Lasciatemi!"

"Fermo." Una voce roca, femminile lo ammutolì.

Raven…

"Per favore stai fermo…non vogliamo farti male. Siamo tuoi amici, ricordi?"

Starfire…

Il ragazzo sospirò e smise di opporre resistenza.

"Allora, mi senti?"

"Cyborg sono cieco, non sordo."

"Non era escluso, caro mio."

"Che stai dicendo? Cos'ho in faccia?"

"In faccia hai una benda, in quanto sei momentaneamente cieco, o quasi. Non sappiamo quanto potrà durare questa situazione, ma passerà."

Questo non è Cyborg…

"Robin? Cosa mi è successo?"

"Red X ci deve aver tirato addosso una delle sue bombe, che non siamo riusciti ad evitare, poi mi hai disarcionato e sei scappato via senza alcun motivo. Per di più ora scopro che eri anche cieco mentre fuggivi. Come hai fatto a non schiantarti contro qualche palo non ne ho idea."

Nella stanza calò il silenzio. Al ragazzo non era sfuggito il tono seccato del leader: nella sua testa se lo immaginava con le braccia conserte e lo sguardo severo.

"Sono andato nel panico."

"Ho notato."

Beast Boy sospirò, si sentiva in trappola in quel momento, nella stanza con i suoi stessi amici, senza poterli guardare, senza poter vedere i loro volti. Non sapeva se fossero arrabbiati, preoccupati o semplicemente seri. In quel momento si sentì completamente estraneo a loro.

"Red X?"

"Scappato. Ha usato la sua cintura."

"Sì… grazie per avermi trovato subito Robin.”

“Non ti ho trovato io, è stato Cyborg.”

“Davvero?”

“Esatto, amico.”

Beast Boy alzò un sopracciglio.

"Ma com'è possibile? Io sono sicuro di averti visto davanti a me, Robin, prima di svenire.”

"Probabilmente è stata un'illusione."

"Ma sono sicuro!" si morse il labbro.

"Avrai sbagliato persona."

Il rumore dei passi, una porta sbattuta. Silenzio.

Beast Boy buttò fuori tutta l'aria dalle narici:

"È proprio arrabbiato vero?"

"Già amico, non te la prendere. Sai che odia perdere, soprattutto contro quello là."

"Ma ci ho perso la vista in tutto questo!" la voce del ragazzo era esasperata. Com'è possibile che Robin fosse più deluso per il risultato di una missione che essere dispiaciuto per il suo stato?

"BB, calmo…era molto preoccupato per te, quando ha visto che non eri in pericolo ha tirato un sospiro di sollievo…"

Star…sei sempre così gentile, ma lo difenderesti a spada tratta anche avesse ammazzato qualcuno…

Sbuffò.

Una voce più roca s'intromise:

"Adesso cercate di stare zitti. Proverò a fargli riacquistare la vista: ho recuperato abbastanza energie dopo tutte quelle ferite. Giratelo, prima."

Beast Boy alzò il tono di voce:

"Ferite?"

Effettivamente non stava provando alcun dolore in quel momento e poteva muovere con facilità tutte le parti del suo corpo, com'era possibile?

"Il silenzio vale anche per te."

Il ragazzo non replicò, chiuse gli occhi. Quello che pensò essere Cyborg lo fece girare alla sua destra, fino a che le sue gambe non si trovarono a penzoloni nel vuoto. Pochi secondi dopo delle mani calde si posarono sulle sue palpebre. Udì appena un bisbiglio provenire da davanti a lui, prima che un tepore investisse i suoi occhi infondendosi in tutto il viso. Era così…piacevole.
Raven allontanò le dita da lui.

“Beast Boy…non riesco a darti la vista. Sembra essere una situazione temporanea, ma non riesco ad accelerare il processo di guarigione."

“Come può essere? E come faccio a combattere?”

“Temo che non potrai per un po’.”

Al ragazzo si gelò il sangue nelle vene. Non poter più combattere? Sarebbe diventato…inutile. Sarebbe diventato solo un inutile peso per i suoi amici.

“Ma…”

"Oh BB…mi dispiace così tanto!”

Un abbraccio lo stritolò da dietro. Beast Boy tossì.

"Ehm... St-Star…sei tu vero?"

"E chi se no?"

“Amico, non preoccuparti. Faremo qualcosa per quella vista, ti faremo tornare come nuovo!"

“Già…”

Il ragazzo sospirò. Un peso, un inutile peso per la sua squadra e per se stesso. Non avrebbe più potuto combattere, avrebbe dovuto vivere con l’aiuto continuo di un’altra persona al suo fianco, avrebbe solo dato preoccupazioni ai suoi amici. Non poteva più fare nulla senza qualcuno a sorvegliarlo e a dargli una mano. Ed era colpa solo di una persona. Il nome del colpevole si materializzò vivido nella sua mente.

Te la farò pagare, fosse l’ultima cosa che faccio.

 

 

 

 

 

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Capitolo 4
*** Appuntamento ***


APPUNTAMENTO

 

“Tesoro, tutto bene? Mi sembri sconvolta.”

Tara si fiondò ad abbracciare la madre, ancora sulla porta. Il calore del suo corpo la tranquillizzò, mentre la donna l’avvolgeva in un abbraccio.

“Ehi, è successo qualcosa? Come mai così affettuosa?”

“Sono stati dei giorni da incubo…”

La donna si staccò e posò il palmo sulla guancia della ragazza:

“Vieni in cucina, ti preparo qualcosa e mi racconti tutto, ok?”

Tara annuì e si passò una ciocca di capelli dietro all’orecchio.

“Com’è andata la conferenza?”

“Bene Tara, i soliti medici noiosi, ma gli argomenti erano molto interessanti.”

La ragazza si sedette al tavolo in mezzo alla stanza, mentre la mamma armeggiava con il bollitore.

“Posso venire la prossima volta?”

“Tesoro, non posso portare ospiti, però ti prometto che presto ci facciamo una bella vacanza io e te, intesi? Tieni.”

La donna posò una tazza gialla fumante di fronte a lei. Tara inspirò l’aroma della tisana e chiuse gli occhi. Annuì.

“Ci sto. Dove andiamo?”

La mamma si girò verso di lei, il suo sguardo si addolcì.

“Puoi scegliere qualsiasi destinazione.”

“Andiamo al mare?”

“Assolutamente. Ora dimmi, perché sono stati dei giorni da incubo?”

Tara fissò la madre, appoggiata al bancone della cucina con le braccia conserte. Percepì un velo di preoccupazione nei suoi occhi.

“Da un po’ ho continui mal di testa, alcuni sono davvero fortissimi. È come se il mio cranio stesse per spaccarsi a metà da un momento all’altro!”

La ragazza si portò le dita alla fronte al solo ricordo e si accarezzò la tempia destra.

“E quando ti verrebbero questi forti mal di testa?”

La mamma stava guardando fuori dalla finestra, con gli occhi socchiusi; aveva una mano su un fianco e una appoggiata al piano della cucina. Tara si grattò la testa.

“Ehm…è strano. Insomma, credo che sia stupida come cosa.”

La donna si ridestò e si girò verso Tara, con le due sopracciglia alzate.

“Stupida? Su tesoro, dimmi, niente è stupido.”

Tara sospirò, passandosi una mano dietro al collo.

“Beh, ecco… e va bene. La prima volta Amber mi ha chiamato… ehm, mi pare - supereroina -. La seconda mi hanno semplicemente sventolato un gatto sotto al naso. Non è normale!”

La ragazza abbassò lo sguardo. I fatti non le erano mai apparsi tanto stupidi fino a che non li aveva detti ad alta voce. La parola supereroina e un gatto? Ma andiamo. E la sua antipatia per il verde? Ma che scemenze stava anche solo pensando? Avvampò alla sola idea di aver detto a qualcuno una cosa così stupida, fortuna che almeno era sua madre. 

E se fossero state Dionne e Amber? O peggio… James?

No, almeno di quello non c’era pericolo, non gli avrebbe mai parlato di sé.

“Tara, insomma, non è una cosa molto ortodossa questa.” 

Sua mamma stava ridacchiando ed era di nuovo appoggiata al bancone.

La ragazza accennò un sorriso.

“Lo so, è stupido.”

La reazione della donna, tuttavia, l’aveva fatta sentire un po’ meglio. 

“Bevi, la tisana ormai si sarà freddata.”

Tara mandò giù un sorso. Tiepida.

“A proposito Tara, hai la tua iniezione adesso, ricordi?”

La ragazza fece una smorfia.

“Ancora?”

“Ebbene sì.”

Tara sbuffò. Odiava gli aghi e doverne vedere uno bucarle l’avambraccio almeno ogni mese non la faceva scalpitare di gioia.

“Per forza?”

“Non fare i capricci.”

Tara guardò il contenuto della tazza ancora di fronte a lei e lo svuotò in pochi sorsi; la mamma sgomberò il tavolo e sparì uscendo dalla porta della cucina.
La ragazza si massaggiò l’avambraccio con le dita della mano destra. Sospirò. Possibile che dovesse sempre ripetere quella seccatura? Aveva carenza di qualcosa e non si ricordava nemmeno di cosa. Però doveva iniettarsi quella sostanza nel corpo ogni mese perché il suo organismo non ne andasse in carenza. Possibile che la sua salute dipendesse da qualcosa di cui non ricordava nemmeno il nome? 

Bah.

“Tara, dammi il braccio.”

La ragazza obbedì con un gesto meccanico. Con un movimento sicuro la madre le mise un laccio emostatico, formando un nodo incompleto con le due estremità. Una leggera rete scura si formò sul suo avambraccio: le vene stavano affiorando. Con l’indice sinistro tese la pelle proprio al di sopra di una di esse e con la destra passò un batuffolo di ovatta imbevuto di disinfettante. Tara sorrise per il solletico.

“Pronta?”

Tara guardò la siringa nella mano della mamma: piccola, affusolata, piena di un liquido trasparente. Deglutì.

“Pronta.”

Guardò da un’altra parte mentre sentiva l’ago conficcarsi nella sua carne e il fluido entrare lento nelle sue vene. Si morse il labbro.

“Fatto! È stato così traumatico?”

“Un po’.” Tara ridacchiò.

“Non farla lunga e tieni il batuffolo premuto sulla pelle!”

La donna tirò un’estremità del laccio con un colpo deciso e questo si sciolse.

“Tra qualche minuto avrai un po’ di sonnolenza. Preparo la cena, hai fame?”

Tara guardò la donna di fronte a lei, in piedi, ancora con i guanti e la siringa vuota in mano. Le si chiuse lo stomaco.

“No, credo andrò a dormire.”

“Buonanotte allora, riposati.”

 

 

La ragazza si buttò sul letto, l’avambraccio non le doleva più ma la testa si stava facendo pesante. Sbadigliò. 
Il cellulare vibrò ridestandola. Tara alzò la testa e si sporse verso il comodino.

James?

Alzò un sopracciglio e aprì il messaggio.
 

Ciao Tara, domani dovrei andare a prendere un libro in centro, ti andrebbe di accompagnarmi?


Eh? Ma si è sbagliato? Però ha scritto il mio nome…
 

Ok, dopo la scuola?


Tara pigiò il tasto invio senza pensare. Le stava chiedendo di uscire? O voleva solo un parere? Il sangue affluì tutto sulle guance, sentì caldo. Sarebbero stati soli? Immaginò di stargli a fianco davanti agli scaffali, mentre James passava l’indice sul dorso delle copertine alla ricerca del suo libro e, fermandosi a riflettere, si sistemava gli occhiali dalla montatura nera sul naso. Magari si sarebbe accorto di essere osservato e le avrebbe sorriso. Tara affondò la faccia nei palmi delle mani: le sue guance scottavano e non riusciva a cancellare dal suo volto un ghigno soddisfatto.

Forse devo avvertire Dionne e Amber?

Il cellulare vibrò di nuovo:

Certo, a domani!


Ebbe un tuffo al cuore: domani sarebbero usciti insieme. Respirò a fondo e se lo ripeté: domani sarebbero usciti insieme. Si morse il labbro per non sorridere come una ragazzina di tredici anni. Scorse nella rubrica fino al nome di Dionne e fece per scrivere un messaggio.
La vista le si annebbiò fino a non distinguere più le lettere del nome dell’amica, le palpebre si fecero pesanti, sempre più pesanti. Tara appoggiò la testa sul cuscino e scivolò in un sonno profondo, in mano aveva ancora il telefono con il messaggio vuoto aperto.

 



 

 

Nella stanza non filtrava alcuna luce, era una notte di luna nuova e le stelle erano coperte dalle nuvole.
Prese il cellulare e compose il solito numero.

“Mi serve un nuovo carico.”

Una voce maschile rispose dall’altro capo del telefono:

“Dove.”

“Solito indirizzo. Fa’ attenzione, non siamo soli.”

“Come entro.”

“La finestra sul retro sarà leggermente aperta. Entra nella stanza, troverai un uomo ad aspettarti che ricevuto il carico ti darà i soldi.”

“Per quando devo completare l’ordine.”

“Entro stanotte.”

“Questo ti costerà molto di più.”

“Non è mai stato un problema. Qualsiasi cosa accada, non perdere il carico e non farlo cadere.”

Chiuse la chiamata, aveva perso fin troppo tempo: le cose stavano cambiando.
Attese immobile per ore senza che il sonno avesse la meglio sulla sua mente e senza che nulla turbasse la quiete di quella zona della città.
Uno scoppio ovattato destò la sua attenzione. Dei nitriti furiosi echeggiarono nel quartiere addormentato, si fecero sempre più vicini, poi il silenzio. Cinque minuti dopo, l’avviso di avvenuto scambio.





Angolo dell'autrice
A questo punto della storia, Terra ha circa diciotto anni e frequenta l'ultimo anno delle scuole superiori. La cosa ovviamente verrà esplicitata nel testo più avanti, ma visto che pubblico un capitolo alla volta con cadenza settimanale, volevo renderlo presente fin da adesso per evitare di far venire dubbi e di far pensare a delle incoerenze nella narrazione. Spero tanto che il racconto fino ad adesso vi stia piacendo e vi invito a recensire, mi piacerebbe moltissimo avere delle opinioni su quello che scrivo!
Alla prossima,
x C

 

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Capitolo 5
*** Reazione ***


REAZIONE




Nero. Nessun rumore. Chiuse gli occhi. Sorrise a mezza bocca nel vedere quanto quel gesto fosse inutile ormai per lui, sentì piccole rughe formarsi sulla sua fronte, 

“Ti troverò.” Poco più di un sussurro.

Fece un passo in avanti il piede appoggiò tremante sul terreno. Spostò il peso, era illeso. Aveva fatto un passo.

Non posso andare avanti così…

Nella sua mente si materializzò l’immagine di un cane, un segugio dalle orecchie molto lunghe e dalle labbra pendenti. Quadrupede, tastò il suolo, percependo ogni possibile variazione dai polpastrelli: la terra era smossa, due sassolini grossi quanto un bottone sotto la sua zampa posteriore sinistra, un rametto sotto la sua anteriore destra. Beast Boy piantò il tartufo a terra. Allargò le narici e inspirò: polvere e granelli di terriccio gli entrarono nel naso. Starnutì. Un ricettacolo di odori raggiunse la sua mente, Beast Boy si concentrò per distinguerli.

Terra umida, foglie. Ha piovuto da poco, ma non è qui.

Avanzò di qualche passo, con il muso basso, pronto a recepire qualsiasi informazione. Si fermò.

Eccolo.

Inspirò.

L’odore è forte, sta correndo ed è sudato.

Scattò al galoppo, la pista che aveva trovato si faceva sempre più forte, ormai poteva seguirla senza tenere il tartufo a terra. Odore di legno, marcio. Beast Boy saltò: aveva imparato ad associare quell’odore ad un tronco caduto. Un fruscio di foglie raggiunse le sue orecchie. Scartò a sinistra graffiandosi appena la pelle con il cespuglio che aveva evitato. Stava migliorando a muoversi nel mondo circostante, in quei giorni si era allenato a schivare gli ostacoli, a seguire le tracce, a sopperire all’uso della vista. Non sarebbe più stato un peso per i suoi compagni.

Questa volta sei mio, fosse l’ultima cosa che faccio. Sei mio..

Beast Boy accelerò il passo, l’odore si faceva sempre più pregnante, fino a che non udì un rumore, uno scricchiolio di rami.

Vuoi passare alla lotta aerea, eh?

Beast Boy saltò, il suo corpo si fece minuto, le zampe posteriori si accorciarono, le anteriori diventarono piccole e sottili, mentre una membrana di pelle si allargava per unirle ai fianchi. Sbatté le ali in un ritmo frenetico, inseguendo la figura di fronte a lui.

Eccoti…

L’aria sibilò, il pipistrello virò a destra finendo sottosopra, un getto d’energia era passato vicino alla sua ala sinistra, la pelle gli bruciava. Si rimise dritto continuando a seguire i rumori, quando le onde del sonar gli riportarono un oggetto alto e stretto di fronte a lui.

Un albero!

Beast Boy girò a sinistra sfiorando la corteccia con la pancia, per qualche metro non capì più dove si trovasse. Poi il sonar dentro di lui non individuò più ostacoli: era arrivato alla radura. L’unico segnale era di una figura di fronte a lui, che si allontanava. Beast Boy sbatté le ali con più forza, guadagnò terreno, era sempre più vicino, poteva sentirne l’odore anche con l’olfatto poco sviluppato del pipistrello. Aveva passato giorni rinchiuso nella sua stanza, aveva sentito i suoi amici correre a salvare la città mentre lui non poteva seguirli, non aveva più potuto vedere né le albe né i tramonti, né giocare ai videogiochi con Cyborg, per quanto stupido fosse come passatempo. 

Hai rubato la mia vita, maledetto! Mi riprenderò ciò che è mio, la mia complicità con i miei amici, la mia carriera di supereroe, la mia spensieratezza, tutto. Sei mio!

Beast Boy si gettò in avanti ruggendo e atterrò con le enormi zampe la figura di fronte a lui. Inchiodò con il suo peso le sue spalle e con le zampe posteriori bloccò le ginocchia. Non ci fu un fiato.

Finalmente ce l’ho fatta…sei qui. Non sarò mai più un peso per i miei amici, questa storia si conclude adesso.

Ruggì con tutto il fiato che aveva in gola e abbassò il muso fino a che non poté sentire l’odore del suo rivale in maniera distinta. Gli alitò sul viso a fauci spalancate. Pregustò nella sua mente tutto quello che avrebbe fatto da quel momento, avvicinò i denti alla figura.

Di' le tue ultime preghiere.

 

 

 

 

 

 

“Tara, sul serio, mi dispiace.”

La ragazza alzò lo sguardo, gli occhi scuri di James la scrutavano. Storse la bocca:

“Potevi pensarci prima. In che aula dobbiamo andare adesso, Dionne?”

“Aula 31…” sussurrò l’amica, spostando il peso da un piede all’altro e grattandosi dietro l’orecchio.

“Tara, davvero!”

“Ah ah. Come no.” 

Tara prese i libri di spagnolo e se li portò al petto, le sue due amiche erano in attesa di una qualunque sua parola. Sospirò.

“Andiamo ragazze, altrimenti facciamo tardi per la lezione.”

Amber annuì e s’incamminò per il corridoio a passo veloce, Dionne scoccò a James un’occhiata furente e la seguì.

James aveva le braccia lungo ai fianchi, le nocche livide. Guardava un punto fisso di fronte a lui, mordendosi il labbro.

“Beh, se hai finito io andrei. Sto facendo tardi.”

Il ragazzo scattò come una molla piantando le mani sul banco che lo divideva da Tara.

“Non è stata colpa mia, mi dispiace di averti dato buca!”

La ragazza si bloccò, chiuse gli occhi ed inspirò a fondo. Li riaprì: James era a pochi centimetri da lei, gli angoli interni delle sopracciglia sollevati, i lati della bocca piegati in giù in maniera appena percettibile; una piccola ruga affiorava sulla sua fronte.

“Ho aspettato mezz’ora da sola fuori da scuola, ti ho chiamato più volte senza che tu mi rispondessi, mandato messaggi che tu hai ignorato, mi sono anche preoccupata per te. Per i successivi cinque giorni mi hai evitata, non mi hai neanche salutata e non ti sei nemmeno premurato di farmi sapere cosa avessi fatto di male. In questo momento l’ultima cosa che voglio è uscire con te, scherzare con te, chiacchierare con te o fare qualsiasi attività che includa anche te. Buona lezione di francese, James.”

Tara si voltò e imboccò il corridoio a passo veloce e a testa bassa, fino a che davanti a lei non comparve l’aula di spagnolo. Si accomodò sulla sedia vuota tra Dionne e Amber e buttò i libri sulla superficie del banco, puntando il suo sguardo sulla copertina colorata di quello alla sommità. 

Amber le appoggiò una mano sul braccio.

“Tara…”

La ragazza si scostò.

“Non una parola.”

 

 

 

 

 

 

Il ragazzo camminava per una via del centro. Il sole stava tramontando e non c’era nessuno ad animare quel posto. Si stiracchiò e si fermò davanti alla vetrina di una libreria chiusa: decine di libri erano disposti in fila, di ogni genere e dimensione, con l’unica cosa in comune di essere la novità del momento. In un angolo a destra un volume blu scuro, dal titolo in oro “Assassinio di notte”. Storse la bocca in un mezzo sorriso.

“Ti piacciono i thriller, James?”

Il ragazzo si bloccò, l’unica nota che riusciva a sentire era il tamburellare del suo cuore nel petto.

“Non agitarti, sono solo qui per fare una chiacchierata, ti va?”

Il riflesso della vetrina gli mandava di rimando una figura completamente nera, il volto coperto da una maschera anch’essa nera.

James deglutì e annuì, con lo sguardo sempre rivolto avanti a sé.

“Molto bene, mi accorci il lavoro.”

James non rispose.

“Ti piacciono i thriller quindi, vero James?”

Non rispose.

“Ti ho fatto una domanda.”

Il ragazzo annuì con la testa. Tremava da capo a piedi, non riusciva ad emettere alcun suono. Sentì delle gocce di sudore raccogliersi all’attaccatura dei capelli.

“Piacciono anche a me. Sai cos’è bello? Che ci sono una vittima ed un carnefice che si sfidano in una partita a scacchi, alla fine uno dei due morirà quasi di per certo.”

La figura mosse il collo facendolo scrocchiare e giunse le mani davanti all’addome. 

“Ma non è così facile, James. La vittima durante tutto il libro proverà ansia e paura verso qualsiasi cosa, crederà che ogni persona possa ucciderlo, che persino i suoi amici più cari possano tradirlo, che ogni angolo della città nella quale vive possa chiudersi attorno a lui e inghiottirlo vivo in una voragine senza fondo. Perderà ciò che gli è più caro, non sarà più in grado di fare nulla, si rannicchierà in una stanza attendendo la sua ora. È proprio a quel punto che, il protagonista, stremato e prossimo alla pazzia, incontrerà il vero carnefice. ”

James aveva il respiro spezzato, il cuore combatteva per uscirgli dal petto.

“E c-cosa accade dopo?”

“Il carnefice lo grazierà, James, ponendo fine alle sue sofferenze. Vedi, gli antagonisti sono così sopravvalutati, in realtà spesso mettono solo la firma a quello che i protagonisti si procurano da soli.”

Il ragazzo chiuse gli occhi e deglutì, la mascella serrata con tutta la forza che aveva.

“Cosa vuoi da me?”

La figura continuava a guardare di fronte a sé, senza mai rivolgergli lo sguardo davvero.

“Tu sai perché sono qui, James. Il mio superiore non è molto contento di te.”

Il petto si alzava ed abbassava come un mantice.

“L-lei non vuole vedermi.”

La figura scattò e lo prese per il colletto, tirandolo su: le sue gambe s’irrigidirono nel vuoto.

“Pensi che sia idiota, James? Pensi che non sappia che l’hai allontanata tu stesso?”

“Cosa devo fare?” 

La stretta della figura sul suo colletto divenne più forte.

“Convincila di nuovo. E questa volta mi assicurerò di persona che tutto vada per il meglio.”

“E se non dovessi riuscirci?”

La figura spalancò la mano, James cadde sull’asfalto, il corpo rannicchiato a terra non cessava di tremare.

“Diventerai tu stesso il protagonista del thriller.”





Angolo dell'autrice

Stavolta ho fatto un po' fatica a pubblicare in tempo, ma per fortuna ce l'ho fatta.
Non ho granché da scrivere in questo angolo, se non chiedere a chi legge di darmi un'opinione, soprattutto su Beast Boy. Vorrei che la sua rabbia fosse perfettamente giustificata da ciò che ha subito, ma sono preoccupata che per qualcuno possa star andando out of character. Le vostre opinioni mi sarebbero molto utili per rimetterlo in carreggiata, nel caso.  Grazie in anticipo!

 

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Capitolo 6
*** Trappola ***


TRAPPOLA

 

 

 

Ma in quale via si trovava la cartolibreria?

Tara passeggiava per la via principale della città, gettando un’occhiata in ogni strada secondaria che incrociasse il suo cammino. Al terzo tentativo si trovò di fronte un’insegna viola “Cartolibreria Dragonfly”.  Sospirò. Un quarto d’ora per trovare un negozio aperto in quella città, in più per un solo quaderno.

“Tara!”

La ragazza si bloccò e si girò verso la voce. Fece una smorfia.

“Ti ho detto che non volevo avere nulla a che fare con te.”

James era vicino a lei, le mani appoggiate sulle ginocchia;  ansimava.

“P-per favore… fammi spiegare.”

“No.”

La ragazza s’incamminò verso il negozio tenendo lo sguardo fisso sull’entrata. Una forza la trattenne non facendole finire il passo: James l’aveva afferrata per il braccio destro.

“Lasciami.”

Tara sollevò le sopracciglia. Il ragazzo la guardava con gli occhiali storti sul naso.

“Lasciami, mi fai male.”

James la stava fissando, ma il suo sguardo sembrava oltrepassarla, come se fosse invisibile, come se non riuscisse a metterla a fuoco.

“James…”

Tara deglutì. Il ragazzo sobbalzò e spalancò gli occhi.

“Oh, ecco, scusa.”

Il braccio di Tara era ancora bloccato dalle sue dita lunghe.

“James? Mi fai male.”

James alzò il viso, aveva la bocca semiaperta. Il suo sguardo cadde sulla sua mano. Lascio andare la presa liberando la ragazza.

“Oh, scusa. Non volevo, scusa.”

Tara socchiuse gli occhi:

“Ti senti bene?”

James si aggiustò con l’indice la montatura sul naso.

“Io? Sì, certo. Bene. Tara, per favore. Posso spiegarti?”

Tara sospirò.

“Hai il tempo in cui io compro un quaderno.”

“Oh, ok. Va benissimo.”

La ragazza s’incamminò verso la cartolibreria, entrò e tenne la porta aperta per farlo passare.

“Grazie…”

“Hai ancora due minuti, io non li sprecherei.”

James si risistemò lo zaino sulle spalle e la seguì all’interno del locale.

“Ecco. Non l’ho fatto apposta a darti buca, è che c’è…c’è stato un problema.”

“Che problema?”

Cavolo, sono rimasti solo quaderni verdi.

“Mia…mia zia si è sentita male e sono dovuto correre a casa.”

“Quaderno con gli anelli o normale?”

James alzò un sopracciglio.

“Cosa?”

Tara aveva in mano un quaderno verde ad anelli nella mano sinistra e uno normale nella destra.

“Ti ho chiesto se secondo te è meglio un quaderno ad anelli o uno normale.”

James si grattò la testa.

“Ah… ad anelli, è più comodo.”

“Grazie.”

Tara posò quello normale sullo scaffale e ne prese altri tre ad anelli.

Non si sa mai.

“Tara, ma mi stai ascoltando?”

La ragazza sospirò.

“Si è sentita male tua zia, è la scusa più vecchia del mondo. Me li reggeresti mentre prendo il portafoglio?”

“Certo.” Disse James prendendoli. “Ti sto dicendo la verità, si è sentita male!”

Da dietro la montatura s’intravedevano le sopracciglia alzate all’interno, le labbra contratte in una smorfia erano ridotte ad una fessura. Tara deglutì, aveva il portafoglio a mezz’aria. 

“Sono quattro quaderni ad anelli?”

Tara si voltò.

“Eh?” 

La commessa la guardava sorridendo.

“Sono quattro quaderni ad anelli?”

Tara arrossì.

“Ah, sì sì. Quattro.”

La commessa batté il prezzo sulla cassa.

“Sono cinque dollari.”

“Sì, certo.”

La ragazza porse la somma stabilita e uscì a testa bassa dal negozio. 

“Tara…”

La voce di James la richiamò. Aveva ancora la sua roba tra le braccia. 

“Ti va di fare una passeggiata?”

Il ragazzo stava il peso da un piede all’altro. Tara sospirò.

“Va bene.”

James alzò il viso e sorrise. Si avvicinò a lei.

“Vieni con me.”

Tara riprese i quaderni e li mise nello zaino, poi imboccarono la strada principale. Per i dieci minuti successivi nessuno dei due parlò, finché non si trovarono davanti un edificio spoglio, senza vetri alle finestre, color del cemento.

“Dove siamo?”

James si girò verso di lei e sorrise.

“Ancora non siamo arrivati, vieni.”

Entrarono nel palazzo, Tara seguì James attraverso l’ampio piano terra, asettico, grigio, file di luci al neon illuminavano il pavimento spoglio e senza piastrelle. Arrivarono di fronte a delle scale.

“Scendiamo?”

James le porse una mano.

“Ehm…” Tara giocherellò con le dita con una ciocca di capelli “scendiamo.”

Ignorò la mano del ragazzo e passò oltre, percorrendo la scala di cemento crepata. Alla fine della rampa stava una porta di metallo.

“Questo posto mi fa un po’ paura.” Continuò.

James la superò di corsa e si posizionò di fronte all’imposta. Tara si fermò di fronte a lui.

“Chiudi gli occhi.”

“Cosa?” la ragazza alzò un sopracciglio.

“Dai, chiudi gli occhi. Dammi la possibilità di farmi perdonare.” 

James sorrise, allargò per una frazione di secondo le narici e le porse le mani. Tara si accarezzò il braccio con una mano, inclinando la testa. Spostò lo sguardo sul cemento scrostato, sulle luci al neon del soffitto, finché i suoi occhi non rincontrarono quelli neri di lui. Aveva ancora le mani a mezz’aria. Si morse il labbro, sospirò. Pose i palmi sopra a quelli di James, il tocco tra i polpastrelli la fece arrossire. Chiuse gli occhi. Sentì un cigolio, James la fece avanzare di qualche passo.

“Attenta al gradino…”

Tara aggrottò la fronte e appoggiò il piede su una superficie morbida, sprofondò di qualche centimetro. Una leggera brezza le mosse i capelli.

“Oh!”

Sentì la risata di James, arrossì.

“Tranquilla, ancora qualche passo.”

Tara si lasciò guidare, le mani di James avvolgevano le sue irradiando calore. Il ragazzo le lasciò libere.

“Bene, apri gli occhi.”

La ragazza obbedì. Erano su una spiaggia, da soli. Sulla riva si frangevano onde placide; il sole si stava fondendo in un’unica colata rovente con il mare; l’acqua scarlatta era spezzata da qualche increspatura biancastra qua e là. Tre gabbiani zampettavano sulla riva, pulendo ogni tanto con il becco le piume delle ali. Gli unici suoni che si potevano udire erano quelli delle onde e della brezza che le accarezzava i capelli.

“Ti…ti piace?”

Tara si accorse di essere rimasta a bocca aperta. Abbassò il viso: le ciocche bionde le scorsero davanti fino a coprirle metà volto.

“È una vista molto bella… come l’hai trovata?”

James alzò le spalle.

“Da piccolo venivo a giocarci con mio fratello.”

Il ragazzo si avvicinò a Tara e le mise le mani sulle spalle.

“Tara, ti prego…credimi.”

Tara si concentrò sulla felpa di James, sul suo colore azzurro, sulla cerniera lampo. Non sapeva cosa fare. Deglutì.

“Facciamo che io voglia crederti…” la ragazza alzò gli occhi in modo da incontrare quelli dell’amico. Calore le invase le guance.

Ti prego non arrossire, ti prego non arrossire…

“Sì?”

Gli occhi scuri di James la fissavano.

Non tradisce alcuna emozione…

“Tara?”

“Perché avresti dovuto evitarmi per cinque giorni?”

James fece una smorfia.

“Questa è un po’ più difficile da spiegare, ma ti assicuro che non volevo farti male.”

Il ragazzo si avvicinò di più. Le sue labbra erano ormai a pochi centimetri, gli occhi neri non si staccavano dai suoi. La ragazza si sentì muovere i capelli, trattenne il fiato. James le accarezzò con le dita il viso, soffermandosi sul movimento leggero che faceva con i polpastrelli. Tornò a guardarla. Le scostò una ciocca bionda dagli occhi mettendogliela dietro all’orecchio. Sorrise. 
Tara non emise alcun suono, la sua bocca era paralizzata, le palpebre si socchiusero. James appoggiò l’intero palmo sulla sua guancia, senza mai smettere di guardarla. Chiuse gli occhi e posò le labbra sulle sue. 
Tara smise di respirare. Un filo di disagio la invase, infiltrandosi a poco a poco. Qualcuno avrebbe potuto interrompere quel momento, distruggerlo e gettarla nell’oblio. I secondi passarono, ma le onde furono l’unico rumore ad accompagnarla. Si rilassò. Il calore delle labbra di James, la mano sulla sua guancia, il viso così vicino al suo la confortarono. Si sentì amata, protetta, nulla sarebbe andato storto. Chiuse gli occhi e ricambiò il bacio.

La ragazza gli accarezzò i capelli con le dita e giocherellò con i ciuffi sulla fronte. James si staccò: continuava ad accarezzarla, disegnando con i polpastrelli i suoi lineamenti: le palpebre, il naso, gli zigomi, le guance, la bocca. Tara si aprì in un largo sorriso e un fiotto di calore raggiunse le sue guance; abbassò il viso per nascondere l’imbarazzo.

James ridacchiò; passo l’indice e il medio sotto il suo mento e tirò su il volto della ragazza, portando i loro sguardi a contatto.

“Non nasconderti, quando arrossisci sei molto più carina.”

Tara si scostò e sorrise, gettando lo sguardo verso il mare. James era rivolto nella sua stessa direzione, aveva le guance arrossate.

“Quindi…” Tara si strinse il braccio con una mano “perché mi hai evitato in questi giorni?”

James sussultò, guardò in alto alzando il sopracciglio sinistro.

“Ehm…vedi…”

Tara aggrottò la fronte.

“Sì?”

Il ragazzo si passò un mano dietro al collo e puntò gli occhi in basso.

“James?”

Tara aveva inclinato la testa, guardandolo con le sopracciglia alzate.

Qualcosa la colpì sul fianco, buttandola a terra.

“Tara!”

La ragazza si ritrovò distesa sulla sabbia, raggomitolata. Una figura nera stava in piedi di fronte a lei, avvolta in un costume simile a quello di un ninja, nulla era scoperto se non gli occhi. Sul petto un’enorme S arancione dai contorni frastagliati e bianchi percorreva la divisa dalla spalla destra alla parte sinistra del bacino. 

Le diede un calcio nello stomaco; a Terra si mozzò il fiato mentre il dolore s’incuneava come una lancia nel suo addome. Tossì.  La figura si accovacciò vicino alla ragazza ed estrasse un coltello da una tasca del costume. Avvicinò la lama al collo di Tara e la premette di piatto vicino alla giugulare. 

“Non provare a divincolarti.”

La voce era modificata. Tara spalancò gli occhi, gocce di sudore scorrevano fredde sulla sua schiena; irrigidì i muscoli per stare il più ferma possibile, gli occhi le si stavano annebbiando per le lacrime.

“James, aiutami!”

Il ragazzo era in piedi, tremante, la guardava con gli occhi sbarrati e le braccia tese lungo i fianchi.

“James! Per favore!”

James abbassò la testa e chiuse gli occhi. La figura premette di più il coltello sul collo: un rivolo di sangue imbrattò la lama e sgocciolò a terra.

“Zitta. Adesso tu vieni con me…”

“James…” 

Il ragazzo le rivolse lo sguardo, nascose il volto fra le mani.

“Perdonami, Tara…”

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Capitolo 7
*** Risveglio ***


RISVEGLIO

 

 

“Beast Boy! Ora basta!”

Si sentì afferrare le zampe da due paia di braccia e fu tirato indietro con forza.

“Bb, sono io!”

Beast Boy spalancò gli occhi da sotto la benda. Tornò in forma umana.

“Star…”

“Amico, dovevi solo prenderla, non ucciderla!”

Lo lasciarono libero, poteva sentire il respiro dei suoi amici a nemmeno un metro da lui. Si nascose il viso tra le mani.

“Scusate…mi sono lasciato prendere la mano. Star ti ho fatto male?”

“No, sta tranquillo…è solo qualche graffio.”

“Anche lui sembra avere qualche graffio.”

Beast Boy aggrottò la fronte.

“Uh? Raven?”

“Fermo, ti curo tutti i tagli che ti sei procurato.”

Il ragazzo rimase fermo, finché due mani affusolate non si posarono su di lui e un alone piacevole non lo investì sulla pancia e sulle braccia. Sorrise.

“Bb sei migliorato tantissimo! Mi hai preso!”

Il ragazzo venne assalito in un abbraccio e tossì per la mancanza di respiro.

“S-star, grazie! Ora però sei tu a farmi male!”

Venne sciolto subito, ma i muscoli continuarono a dolergli per la stretta.

“Ops, scusa!”

“Però è vero Bb, ce l’hai fatta!” 

La voce di Cyborg gli rimbombò nelle orecchie. È vero, ce l’aveva fatta.

Ci sono riuscito…

Beast Boy saltò e alzò le braccia al cielo.

“Ci sono riuscito!”

Si buttò in avanti e abbracciò la prima persona che gli capitò sotto tiro.

“Bravissimo, ma ora levati.”

“Su Raven, non potresti essere contenta per me per una volta?”

“Lo sono, ma levati.”

“Uffa!”

Il ragazzo si staccò e si mise a ridere. Finalmente non era più un handicap, era come gli altri.

“Non mi lascerete più indietro! Alla prossima emergenza ci sarò anche io in squadra!”

“Questo è fuori discussione.”

Beast Boy si girò verso colui che aveva parlato.

Robin?

“Ancora non sei pronto Bb.” 

Beast Boy allargò le braccia e spalancò la bocca.

“M-ma Robin, che stai dicendo? Ce l’ho fatta!”

“L’hai raggiunta, è vero, ma ti sei ferito su tutto il corpo per farlo. Senza contare la tua ossessione per Red X, tanto da scambiare Star con lui. Non possiamo permettere che tu faccia del male a qualcuno.”

“Non lo farei mai in battaglia! Non potete lasciarmi ancora alla torre mentre voi salvate la città!”

“Mi dispiace Beast Boy, hai bisogno ancora di tempo. Non ci vorrà molto, te lo prometto.”

Il ragazzo sentì una mano posarglisi sulla spalla, ma non lo rincuorò affatto. Fece cadere le braccia lungo il corpo, strinse i pugni e abbassò il viso. Tremava.

“Robin ragiona, non possiamo dargli una possibilità?”

“Cyborg, è deciso. Best Boy ancora non può tornare a combattere con noi, la sua vista costituisce ancora un…un problema.”

Beast Boy inspirò a pieni polmoni. Il tremolio si attutì un po’.

“Di’ pure un handicap, non mi offendo.”

“Bb, sai che non intendevo quello.”

“Robin, dai…”

Il ragazzo tese il braccio alla sua sinistra, incontrando il metallo della corazza dell’amico.

“Non preoccuparti, Cy. È tutto a posto.”

Udì un sospiro provenire dall’amico. Si mise quattro zampe mentre il suo corpo si ricopriva di una folta pelliccia e il suo viso si allungava in un muso pieno di denti. 

“Bb, dove vai?”

La voce di Star. Beast Boy abbassò il capo e annusò a terra, si girò su se stesso e scattò di corsa, allontanandosi dai ragazzi.

 

 


 

 

 

“Perdonami, Tara…”

Il ragazzo le rivolse lo sguardo, nascose il volto fra le mani. Tara spalancò gli occhi.

Perdonami? Era tutto…organizzato?

Due fiotti di lacrime scesero per le sue guance, socchiuse gli occhi.

“Vengo con te.”

Le gocce avevano formato una pozza scura vicino al suo braccio destro.

“Alzati.”

Tara chiuse gli occhi e si lasciò strattonare. Si mise in piedi.

“Guardami.”

Aprì gli occhi, senza mettere a fuoco la figura.

“Adesso vieni con me e non fai storie, intesi?”

“Intesi.” Mormorò.

“Pensavo di dover combattere un po’ di più sai? Mi avevano detto avessi dei poteri straord- ah!”

La lama cadde a terra e rimbalzò con un suono metallico. James aveva afferrato la figura da dietro e aveva stretto il suo collo in una morsa con le braccia. Il ninja si dimenava dando dei pugni alla testa del ragazzo, subito si aprirono delle ferite sulle sue tempie.

James? Cosa stai facendo? Che…che sta accadendo?

“T-Tara! Il coltello!”

Il coltello. Tara scattò in avanti e prese la lama con la mano destra poi si alzò e lo puntò avanti a sé. Il ninja scartò e diede le spalle all ragazza, in modo che ci fosse James a frapporsi con i due. Non sarebbe mai riuscita a colpirlo senza ferire anche l’amico.

Il cellulare!

Tara portò la mano alla tasca sinistra ed estrasse il telefono.  Compose il numero della madre con mano tremante. Due gocce di sangue imbrattarono il display.

“Tara? Dove sei? È tardissimo!”

“Mamma aiuto!”

“Tara? Che succede? Dove sei?”

La figura afferrò con le mani il braccio sinistro di James, puntò i piedi nella sabbia e si piegò proiettandolo in avanti: il ragazzo sbatté con la schiena in un rantolo soffocato.

“James!”

“Tara? Chi è James? Dove sei?”

“Questo lo prendo io.”

Il ninja le rubò il cellulare di mano e lo buttò in acqua.

“Se non mi servissi viva ti avrei già uccisa, frignona.”

Le sferrò un pugno in pieno viso catapultandola per terra, Tara si mise carponi e sputò del sangue che andò a mescolarsi con la sabbia. 

“Alzati.”

La figura le sferrò un calcio sul fianco ribaltandola e facendola finire supina.

“Ho detto alzati, ingrata.”

Il dolore si stava irradiando per tutto il corpo, sentiva che le dita s’intorpidivano e la vista si annebbiava.

“Cosa vuoi da me?”

“Sei un’ingrata, con tutto quello che hai.”

Le diede un calcio nello stomaco, Tara rantolò.

“Non so di cosa tu stia parlando…”

“Non provare a prendermi per il culo, mostrami quello che sai fare!”

Un altro calcio. Tara si contorse dal dolore, la chiazza di sangue attorno al suo corpo si allargava. La figura non era più distinta, i contorni si sdoppiavano.

“Lasciala stare!”

James sferrò un destro al ninja facendolo indietreggiare.

“Non dovevi metterti in mezzo, idiota.”

Il ninja gli diede una testata sul naso, lo afferrò con una mano sulla spalla e con l’altro pugno cominciò a colpirlo più volte nello stomaco. James incassava tossendo ad ogni colpo, crollò in ginocchio.

“Patetico.”

“Lascialo…in pace.”

Tara era in piedi, sentì il sangue bagnarle vischioso le labbra e imbrattarle tutto il corpo, il dolore ormai era diventato parte di sé accompagnandola in ogni movimento. La figura nera era distinta di fronte a lei, James a carponi tossiva sangue, tremante.

“La principessa si è degnata?”

“Lascialo in pace.”

La figura diede un calcio al ragazzo, rivoltandolo supino.

“Ops, scusa.”

“Avevo detto…” Tara chiuse i pugni e digrignò i denti. “Lascialo in pace!”

Tara allargò le braccia e urlò con quanto fiato aveva in corpo. L’urlo echeggiò in tutta la spiaggia, i capelli iniziarono a fluttuarle in aria, aloni gialli le comparvero attorno alle mani.

Ci fu un rombo, la terra iniziò a muoversi violenta a destra e a sinistra, in alto e in basso. I contorni di tutte le cose divennero sfocati, una crepa s’incise come una saetta sul palazzo dal quale erano arrivati. Un’immensa frattura si aprì sotto di loro, allargandosi per più di tre metri e allungandosi oltre a dove la ragazza riuscisse a scorgere. La figura cadde nella voragine scura in un urlo. 

Il terremoto cessò, Tara abbassò i pugni, ansimava. James era riverso a terra a un metro dal ciglio del burrone. Corse da lui e s’inginocchiò, posò il suo viso sulle sue gambe.

“James, rispondimi!”

Il ragazzo aveva gli occhi chiusi e la bocca semiaperta, gli occhiali erano rotti a due metri da lui, con un’asticella piegata. Il naso era spaccato in una pozza di sangue.

“James…” 

Le lacrime scesero copiose dai suoi occhi fino al mento. Tara si chinò su di lui e lo avvicinò al suo addome; gli accarezzò il volto con le mani: le dita si coprirono di sangue scuro e vischioso.

“Tara…”

La ragazza abbassò la testa: il ragazzo aveva gli occhi socchiusi.

“Stai bene?” disse in un filo di voce.

Tara prese il viso di James tra le mani.

“Sì…andrà tutto bene, non preoccuparti.”

Lo baciò sulla fronte e gli accarezzò i capelli incrostati.

“L’importante è che tu stia bene.”

Tara sussultò. I contorni divennero sfocati, il sorriso di James fu l’ultima cosa che vide.

 

 


 

Un ragazzo stava appollaiato sul tetto piatto di un palazzo, avvolto nel suo costume arancione. Aveva le mani appoggiate al cornicione, sotto quella destra una vistosa crepa. La frattura s’incuneava come una ferita nera nella spiaggia, frastagliata, lunga una ventina di metri. Anche con il cielo della sera era ben visibile da metri e metri di distanza. Si scostò i capelli rossi dalla maschera. Conosceva solo una persona in grado di fare una cosa simile.

“Sono arrivato.”





 

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Capitolo 8
*** Geo-Force ***


GEO-FORCE

 

 

Markovia.
 

Il corridoio si estendeva per una trentina di metri di fronte a lui. Le volte del soffitto alto erano sostenute da numerose colonne color dell’ambra. Tra di esse enormi vetrate proiettavano luce sul pavimento di marmo, creando disegni geometrici.

Brion camminava a passo deciso, con solo l’eco dei suoi passi ad accompagnarlo. In fondo, una porta sormontata  da un leone. L’animale emergeva a metà busto dal muro:  Le fauci spalancate e le zampe anteriori salde sull’architrave l’avevano sempre messo in soggezione.

Arricciò il naso. Perché quella chiamata così urgente dal re? Cos’era successo? 

Si sistemò i polsini dorati e le maniche della divisa rossa. La sciabola riluceva alla luce del Sole dal suo fianco sinistro.

Arrivò alla porta di legno massiccio. Era talmente scura da fargli credere ogni volta di entrare in un buco nero. Bussò.

“Avanti.”

Il ragazzo entrò nella stanza rettangolare, un’immensa finestra al lato opposto  lui percorreva quasi la totalità della parete. Il re era alla sua destra, in piedi con le mani allacciate dietro alla schiena, il viso rivolto verso un ritratto grande dal pavimento al soffitto.

Portò una mano al petto e s’inchinò.

“Sire.”

“Lasciate perdere l’etichetta Brion, siete pur sempre mio fratello.”

“Come preferite.”

Il re sorrise con il viso sempre rivolto al dipinto. Brion continuò:

“Perché guardate il quadro di nostro padre?”

“Cerco consiglio.”

Il ragazzo incrociò le braccia.

“È successo qualcosa di grave?”

Il re abbassò la testa e sospirò, si girò verso di lui.

“Vi invito a seguirmi e a giudicare voi stesso.”

Uscirono dalla stanza e percorsero il corridoio in silenzio. Il fratello camminava diritto, le mani sempre giunte dietro alla schiena. Brion seguì obbediente fino ai sotterranei del castello. Luci artificiali illuminavano il cammino.

“Li avete fatti restaurare?”

“Devo ammettere che sono almeno cinque anni che li ho rimessi in funzione.”

“Non mi avete detto nulla.”

Il re non si girò per rispondere. Brion non interruppe il silenzio di Gregor, non presagiva nulla di buono.

Nel tunnel i loro passi echeggiavano in un eco, le luci si proiettavano sul soffitto, il pavimento era di nuda pietra, vari percorsi si diramavano nelle profondità del castello.

Brion intravide una porta sul fondo, accanto alla quale si trovavano quattro agenti, due a destra e due a sinistra. In giacca e cravatta, aprirono la porta e s’inchinarono al passaggio dei fratelli.

“Bene arrivato, vostra maestà re di Markovia. Bene arrivato, vostra maestà principe di Markovia.”

Alla porta si susseguì un altro corridoio, lungo quanto il primo. Alla fine di esso altri due agenti  salutarono i regnanti nello stesso identico modo. 

“Ben arrivato vostra maestà re di Markovia, ben arrivato vostra maestà principe di Markovia. “

L’agente a destra della porta fece un passo in avanti e un inchino.

“Maestà, il dottor Hale vi attende.”

Gregor fece un cenno con la mano. L’uomo indietreggiò e aprì la porta.

Oltrepassarono l’uscio: si trovarono in una grossa stanza quadrata, di cemento e metallo. Quattro al neon pendevano dal soffitto a formare un rettangolo; una decina di macchinari era addossata alla parete di fronte a loro. Al centro un grosso tavolo coperto da un lenzuolo;  vicino un carrello di metallo sul quale erano appoggiati degli strumenti. 

“Vostra maestà il re di Markovia, vostra maestà il principe di Markovia.”

Un omaccione di mezza età si avvicinò ai due fratelli. Indossava un camice bianco sopra un completo scuro. Aveva dei baffi folti neri e i capelli pettinati all’indietro rivelavano una forte stempiatura.

Gregor rispose:

“Dottor Hale, buonasera.”

L’uomo rispose con un breve inchino, che rivolse anche a Brion.

“Avete riscontrato altro?”

“Ho dissezionato il cadavere, ho scoperto delle cose interessanti.”

Brion guardò il fratello aggrottando la fronte. Cadavere?

Il medico si rivolse al re.

“Vostra maestà?”

Il re fece un cenno con il capo.

“Non si preoccupi. La scopra.”

Il medico annuì e pose la mano destra alla cima del lenzuolo bianco. Tirò.

Brion si portò un pugno alla bocca, gli occhi s’inumidirono senza che lo volesse. Il suo cuore, a quella vista, perse un battito. Il mondo si fermò nel silenzio; non ci fu nulla che Brion poté udire, che volle udire. Immagini, suoni, odori scomparvero. Nulla ebbe più importanza. A parte lei.

“Tara…” mormorò.

Il corpo di sua sorella era steso esanime sulla superficie di metallo. Il lenzuolo le copriva fino al seno, lasciandole scoperte le spalle e le braccia livide. I capelli biondi si spargevano a raggiera sul tavolo, in un’aureola dorata. Gli occhi erano chiusi, circondati da profonde occhiaie viola, le labbra piccole esangui, il palmo sinistro coperto di graffi. Se non avesse appena sentito il dottore, Brion avrebbe creduto che fosse semplicemente addormentata, avrebbe voluto crederci. Un’ondata di angoscia lo travolse, erano anni che non vedeva la sua sorellina, non un saluto da quando lei era partita per gli Stati Uniti. Il cuore gli si strinse in una morsa. Come aveva potuto abbandonarla così?

Abbassò il capo per nascondere la delusione.

“Sono desolato, vi lascio soli.”

Gregor stese il braccio avanti a sé, il dottore si bloccò.

“Prima ci dica cos’ha trovato, dottor Hale.”

L’uomo sospirò e annuì.

“Certamente, vostra maestà.” Disse riavvicinandosi al tavolo. “È morta da circa dodici ore: le hanno sparato un colpo tra le scapole. Hanno perforato il polmone sinistro. La ragazza si è trascinata agonizzante per almeno un chilometro prima di morire.”

Brion vide Tara arrancare nel bosco, un passo dietro l’altro, lasciando una scia di sangue dietro a sé. La vide sempre più curva, la mano sinistra ferita nell’appoggiarsi agli alberi per sorreggere il suo peso. La vide accasciarsi in ginocchio, e infine stesa sentire l’odore delle foglie umide, il terriccio tra le membra. Il terriccio della sua casa, della sua tomba. 

Rabbrividì. Lui non c’era. Non c’era più da anni, non aveva vissuto con lei molti momenti felici e tristi, non le era stato accanto alla sua fine. 

“L’hanno seppellita in malo modo nel bosco, suppongo sperando la trovassero i lupi. L’ha trovata un contadino che stava andando a tartufi con i suoi cani.”

Dei cani, dei cani avevano ritrovato sua sorella, la sua sorellina. Tara, la bambina con cui giocava da piccolo a nascondino, con cui faceva i dispetti a Gregor. Nella mente di Brion si fece largo solo un pensiero: avrebbe trovato il colpevole. L’avrebbe distrutto, pezzo per pezzo, l’avrebbe fatta pagare a chi aveva osato far male alla sua famiglia.

La sua Tara, ritrovata da un branco di bestie in un bosco della sua casa. Si portò una mano alla fronte. Ma cosa ci faceva Tara lì? Perché non era negli Stati Uniti? Voleva tornare dalla sua famiglia? Voleva chiedere aiuto? Brion non seppe rispondere. Chi avrebbe mai voluto ucciderla?

Il re si portò indice e pollice sull’attaccatura del naso e chiuse gli occhi.

“C’è altro?”

“Sì, in effetti. Due cose piuttosto…strane.” Il medico passò l’indice sull’attaccatura dei capelli di Tara. Brion provò un senso di repulsione alla vista di uno sconosciuto  toccarla in quelle condizioni.

“La prima è l’estesa cicatrice che percorre tutta la fronte, nascosta dai capelli.”

Il re aggrottò la fronte.

“Cosa significa questo?”

“È stata lobotomizzata. Quando ho aperto il…voglio dire, quando ho controllato, ho notato che mancava la parte pre-frontale del cervello.”

Brion si passò una mano dietro al collo e sbottò.

“E che significa?”

Il fratello gli scoccò un’occhiata furente, ammonendolo per il tono di voce alzato.

“Significa che la ragazza era ridotta ad un’ameba. Non avrebbe avuto più desideri, né sarebbe più stata capace di azioni avanzate. Non avrebbe più avuto una volontà propria.”

“Un robot, in poche parole.” Disse il re.

“Qualcosa del genere, temo.”

Chi le aveva fatto questo…chi. Chi l’aveva odiata così, così tanto da volerla annientare nello spirito, per poi finirla definitivamente. Chi avrebbe mai potuto essere così crudele.

Il re sospirò.

“Grazie dottore, ci lasci soli ora.”

“Perdonatemi maestà, ma c’è un’altra cosa che ancora non vi ho detto.”

Gregor e Brion alzarono la testa all’unisono, alzando un sopracciglio.

Il medico continuò.

“La ragazza aveva un chip impiantato al livello del midollo allungato, proprio qui dietro.” Disse indicando il collo di Tara.

Brion rabbrividì al suono di quelle parole. Un proiettile.

“Non ho idea del suo scopo, esula dalle mie competenze purtroppo, ma posso affermare che qualunque cosa sia, era ben collegata al suo sistema nervoso.”

Gregor riportò le sue mani dietro alla schiena.

“Grazie dottor Hale, è stato di grande aiuto. I miei uomini qui fuori l’accompagneranno a firmare il documento di riservatezza.”

“Grazie vostra maestà.” L’uomo fece un breve inchino ad entrambi. “Vostra maestà re di Markovia, vostra maestà principe di Markovia, i miei omaggi.”

Uscì, chiudendo la porta dietro di sé. 

Brion si avvicinò al corpo esanime della sorella, le accarezzò i capelli biondi e le guance pallide: erano fredde come il tavolo su cui la ragazza era stesa.

“Gregor…cosa le hanno fatto…”

Il ragazzo sentì posarsi una mano sulla sua spalla.

“Brion, ce la faremo a superare tutto questo.”

Brion abbassò il capo e chiuse gli occhi.

“Ma chi può essere stato?”

Sentì un sospiro da dietro di lui.

“Non lo so Brion, non lo so, ma vendicheremo nostra sorella.”

“Non le abbiamo neanche detto addio…”

Gregor tolse la mano dalla spalla del fratello, fece il giro del tavolo per prendere la mano della ragazza, così piccola e bianca in confronto alla sua.

“Non preoccuparti Tara, troveremo il responsabile.”

Brion alzò lo sguardo, il fratello si portò la mano alla bocca; le baciò il dorso pallido.

“Inizierai un’indagine?”

“Che arrivi fino agli Stati Uniti? Non posso. Si solleverebbe lo scandalo.”

Come? Voleva lasciare i colpevoli impuniti in quel modo? La loro sorella moriva uccisa dopo essere stata lobotomizzata e sottoposta a chissà quali torture, e lui pensava allo scandalo?

“Tara è nostra sorella, Gregor.” Disse a denti stretti.

Gregor sollevò lo sguardo.

“È nostra sorellastra, figlia di papà e di una donna sconosciuta degli Stati Uniti. Cosa succederebbe nel regno se si venisse a sapere di un figlio illegittimo? Perderemmo credibilità!”

“Non parlare di lei in questo modo! Non la accomunare ad un problema diplomatico!”

Brion era dritto, le mani ben aperte sul tavolo, lo sguardo furente verso il fratello. Gregor lo fissava di rimando, la mano di Tara ancora tra le sue.

“Brion, io amo nostra sorella esattamente come la ami tu. Ho giocato anche io con lei da piccoli, siamo cresciuti insieme finché non è stata mandata negli Stati Uniti. E quando è successo ho sofferto moltissimo, esattamente come hai sofferto tu! Ma un regno non è la stessa cosa dei miei sentimenti. E io ho una responsabilità verso il regno.”

“E allora? Lasciamo che tutto questo rimanga impunito?”

Il re appoggiò la mano della ragazza sul tavolo e giunse le sue dietro la schiena.

“Come ho detto, io, re di Markovia, ho responsabilità verso il regno. E tu, principe di Markovia, hai responsabilità verso il regno. Ma credo che conosciamo almeno qualcun altro in questa stanza che non ha responsabilità verso nessuno.”

Brion fissò il fratello negli occhi, con un sopracciglio alzato.

“Tu vorresti che io…”

“Esattamente.” Tagliò corto il re “Dovrai scoprire qualcosa di più su nostra sorella. Domani, dopo il funerale, partirai alla volta dell’America.”

Brion guardò Tara, immobile sul tavolo, con il lenzuolo adagiato fino al suo petto. La coprì fino alle spalle e le passò una mano nei capelli biondi. Sembrava dormire profondamente.

“Non preoccuparti, sorellina. Scoprirò chi ti ha fatto questo.” Sussurrò.

“È ora di tirare fuori il costume, Brion.” Disse il fratello, osservandolo.

“Chiamatemi Geo-Force, vostra maestà.” Concluse lui.




Angolo dell'autrice

ZAN ZAN ZAAAAAAAAN
A parte gli scherzi, ecco il primo flashback sulla famiglia di Terra. Scrivo in questo angolo solamente per dirvi che la storia della ragazza precedente ai Teen Titans è liberamente ispirata dal fumetto, perciò esiste anche il fratello maggiore Gregor e tutta l'ambientazione reale. Per chi volesse saperne di più posto in fondo un link con tutte le informazioni, ma vi consiglio di continuare normalmente la storia per scoprire le cose poco a poco.
Che dire, spero che il colpo di scena vi sia piaciuto. 
Ci vediamo tra le recensioni! Bye!


http://dc.wikia.com/wiki/Brion_Markov_(New_Earth)

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Capitolo 9
*** Blackout ***


BLACKOUT

 

Davanti a sé si materializzò un muro bianco, privo di crepe. Tara girò il viso alla sua destra: un comodino con un vaso di vetro con tanti piccoli ciottoli tondi.

La luce entrava da una finestra alla sua sinistra, irradiandosi sulle coperte, bianche. Una leggera brezza faceva ondeggiare le tende lattee.

Era stesa su un letto, le lenzuola le coprivano fino al ventre. Piegò la testa verso il basso: era vestita di un camice da ospedale.

Le pareti, il soffitto, il pavimento, le coperte, la sua veste erano bianchi. Si trovava in un cubo interamente bianco. 

La ragazza si guardò le braccia coperte di bende. Tastò l’addome, apprezzando con i polpastrelli il contorno quadrato della medicazione sotto il camice. Fece una smorfia, strizzò gli occhi. Le doleva da morire.

Un flash si materializzò avanti a lei. Il fianco le doleva, era stesa per terra, una figura nera avanti a lei, la lama di metallo appoggiata al suo collo. Il collo. Spalancò gli occhi. Avvicinò la mano e tastò, deglutendo. Garza. Le immagini si susseguivano nella sua testa.

James era riverso sul pavimento, la figura gli sferrò un calcio nello stomaco.

“James…” sussurrò.

James? Stava bene? Era sopravvissuto? In mente la ragazza aveva solo il suo sorriso, mentre la sua vista andava svanendo…

Si issò sulle braccia, una fitta le percorse il ventre facendola gemere. Ricadde stesa, la testa affondò nel cuscino. Da supina il dolore era più sopportabile. La ragazza sospirò.

Un rumore la destò.

“Tesoro, ti sei svegliata finalmente.”

“Mamma!”

La donna entrò nella stanza chiudendo la porta dietro di sé. Si avvicinò alla ragazza e si sedette sul letto. Il tendersi delle coperte face pressione sulla ferita addominale di Tara. Fece una smorfia.

La mamma si passò dietro l’orecchio i corti capelli biondi e le accarezzò la guancia.

“Tara, come stai stamattina?”

La donna aveva la fronte corrugata, alla ragazza apparve preoccupata.

“Bene ma…cos’è successo?”

La donna sospirò:

“Questo devi dirmelo tu, come devi dirmi cosa ci facevi svenuta con un ragazzo sulla spiaggia.”

Un ragazzo…James…dov’è James?

“Mamma, dov’è James?”

La donna alzò un sopracciglio:

“Quel ragazzo si chiama James? Suppongo sia all’ospedale tesoro.”

Tara aggrottò le sopracciglia.

“S-supponi? Ma…perché io dove sono? Perché supponi?”

La mamma le accarezzò i capelli con le dita.

“Non preoccuparti tesoro, stai calma. Tu non sei all’ospedale, ti ho portato alla mia clinica privata così da poterti seguire meglio, in modo che non fossi sola.”

“Ma… lui, cioè James… i miei compagni di classe, Amber, Dionne…come faranno a sapere come sto?”

La madre serrò la mascella e le labbra e guardò in basso. Risollevò lo sguardo.

“Ho avvertito i tuoi insegnanti, loro daranno notizie alla classe di volta in volta. Poi potrai sentire i tuoi amici per telefono. Purtroppo non posso farli entrare qui Tara, sai, le regole sono ferree.”

“Sì…”

La ragazza abbassò lo sguardo. Non l’avrebbe rivisto per molto, né lui né i suoi amici. Ebbe l’impressione che si sarebbe sentita molto più sola lì dentro che a casa sua o in ospedale. La sola idea le mise angoscia, le spalle si abbassarono e le sue labbra s’incresparono.

“Tara, non preoccuparti non starai per molto qui. Solo il tempo perché ti rimetta in sesto. Poi potrai tornare a scuola dai tuoi amici e da quel ragazzo di cui hai sempre evitato accuratamente di parlarmi!”

La donna ridacchiò.

“Eh…” Tara arrossì e nascose il viso nei capelli. La donna le accarezzò il volto, spostandole una ciocca dietro all’orecchio.

“Non preoccuparti, presto potrai rivederli.”

Tara sorrise al pensiero, si sentiva un po’ più leggera.

Il volto della madre si fece serio.

“Tara, dimmi, cos’è successo quella sera?”

La ragazza posò lo sguardo sugli occhi della donna. Vide la figura nera che la calciava e che la minacciava con un coltello. Vide l’immagine James che l’attaccava per difenderla. Ricacciò indietro le lacrime.

“Non ricordo molto, ci hanno assaliti. Una figura mascherata mi ha puntato un coltello alla gola…”

Tara deglutì, portandosi la mano sulla garza. La donna le appoggiò una mano sulla spalla.

“Coraggio, tesoro… ci sono qui io adesso.”

“E…e poi James si è ribellato e ha combattuto contro quel ninja. Ha preso molti pugni e calci…”

“Sentirò l’ospedale per sapere come sta, tranquilla. Continua…”

“Poi…” Tara abbassò lo sguardo. Vide avanti a sé i suoi capelli alzarsi in aria e aloni dorati circondarle le mani. Una scossa gigantesca che colpiva la spiaggia crepando l’edificio e spaccando il terreno in una voragine. Poteva essere stata lei?

“Poi?” la madre aveva ancora la mano sulla sua spalla.

Tara la guardò.

“Nulla. Poi sono svenuta e non ricordo più nulla.”

La donna la fissò diretta negli occhi per secondi. La ragazza ebbe l’impressione che stesse soppesando le sue parole.

“Nulla? Sei proprio sicura?”

“Sì.” 

La madre sospirò, sorrise.

“Va bene tesoro, adesso faresti meglio a riposarti. Ho altri pazienti da visitare.”

“Va bene, mamma.”

La ragazza guardò la madre uscire dalla stanza e chiudersi la porta dietro di sé. Rimase in quel cubo bianco, circondata da silenzio. La brezza era cessata, le tende erano immobili.

Tara gettò lo sguardo sul comodino, il vaso pieno di ciottoli. Si morse il labbro e aggrottò la fronte. Erano tutti tondi e bianchi, come confetti. Uno di essi svettava sugli altri, appoggiato in maniera distratta.

E se...

Trattenne il respiro.

Il piccolo sasso si sollevò di qualche centimetro, a mezz’aria.

 

 

 

 

 

La terra gli tremò sotto le zampe; Beast Boy guaì e tornò in forma umana. 

Cosa cav…un terremoto?

Un rombo accompagnò il tremore, facendolo cadere a terra. Tutto svanì com’era arrivato. 

Non aveva idea di dove fosse, aveva corso sotto forma di lupo per ore: era sfinito. Una brezza si alzò insinuandosi nella tuta,facendolo rabbrividire. L’aria era fredda sulla pelle: il sole doveva star tramontando.

Il trasmettitore squillò. Il ragazzo si rimise in piedi e accettò la chiamata.

“Beast Boy, ci sei?”

“Sì.”

Robin…

“Hai udito anche tu il terremoto?”

Il mutaforma alzò un sopracciglio.

“Ehm…sì.”

“Dai nostri sensori piazzati per la città e dai documenti statistici risulta che le probabilità di Jump City di essere colpita da un terremoto in questo momento sono pressoché pari a zero.”

“Robin, si saranno sbagliati. Non ce lo siamo mica immaginato!”

“Bb…ti ricordi per caso come si chiamasse la scuola di Terra?”

Beast Boy spalancò gli occhi. Il terremoto…poteva essere stato causato da Terra? Aveva ricordato qualcosa? Forse si era ricordata di lui? Di ciò che avevano condiviso?

“Beast Boy?” ripeté Robin.

“M-Murakami…” 

“Cosa?”

Il mutaforma inspirò a fondo.

“Murakami. La scuola si chiama Murakami.”

“Bene. Il centro sismico si trova a nord-ovest rispetto a te, molto vicino. Adesso ti raggiungiamo e…”

“Vado subito!”

“Bb aspetta, come fai con la tua cecità?”

“Ormai riesco ad orientarmi decentemente e Terra potrebbe essere in pericolo. Non possiamo aspettare un minuto di più!”

“Bb non è detto che sia lei.”

“Devo tentare!”

Il ragazzo udì un sospiro dal trasmettitore.

“Va bene, noi arriviamo immediatamente. Sta’ attento.”

“Vi aggiorno.”

Chiuse la chiamata e saltò più in alto che poté. Ali comparvero sul suo corpo e il mutaforma si alzò sempre più in quota. Evitò i rami degli alberi utilizzando il sonar della sua forma da pipistrello. Sbatté le ali più forte verso la sorgente del rumore che aveva sentito.

Nella mente di Beast Boy balenò la possibilità che potesse essere una scossa naturale, un’illusione, una casualità. No, doveva controllare. Se Terra avesse avuto bisogno di aiuto lui sarebbe accorso, se fosse stato un terremoto del tutto casuale avrebbe aiutato i feriti. In ogni caso doveva dirigersi verso il centro sismico, doveva.

 Le cose cambiano. L’immagine di Terra in quel corridoio lo aveva assillato molte notti, prima di dormire.

Calò il vento. Beast Boy si sentì immerso in un mare d’immobilità. La membrana delle ali vibrava per l’attrito con l’aria, il sonar gli permetteva di schivare gli ostacoli ormai in maniera automatica.

Il suono delle onde gli giunse all’orecchio. Rivide la T tower nella sua mente: Terra, seduta a riva, lanciava sassi in acqua. Ricordò di come gli confidò di non avere controllo sui suoi poteri, di come si fidò di lui, della paura che lui scorse nei suoi occhi. La paura di poter scatenare una catastrofe, di perdere i suoi nuovi amici.

Il cuore gli si strinse in una morsa. Aumentò il ritmo. Il sonar gli rimandava una mappa precisa dell’ambiente circostante. Notò il mare sotto di sé, gli edifici più lontano avanti a lui. Volò localizzando la spiaggia alla ricerca di qualche oggetto, di qualche persona, di Terra.

Cosa?

Il mutaforma si fermò a mezz’aria, sbattendo le ali. Non poteva essere, eppure ne era sicuro. Le onde che gli arrivavano non descrivevano sabbia, ma il vuoto. Fece un giro della zona, puntando le orecchie in basso. Non era un vuoto. Era una voragine, una spaccatura di una ventina di metri di cui non riusciva a nemmeno a immaginare la profondità. 

Atterrò con i piedi a qualche metro dal burrone. Prese la trasmittente.

“Beast Boy, novità?”

La voce di Robin gli parve preoccupata.

“C’è una spaccatura di una ventina di metri, non riesco nemmeno a calcolarne la profondità! Robin, questo non è naturale!”

“Bb, calmati. Stiamo arrivando!”

Il leader chiuse la chiamata. Stavano arrivando, ma quanto ci avrebbero messo? E se Terra fosse in pericolo? Maledisse Red X. Se avesse avuto la vista avrebbe potuto fare qualcosa, qualsiasi cosa, sicuramente di più di ora, con quella stupida benda sulla faccia. Non aveva più provato a toglierla dall’incidente. Arricciò il naso: avvertiva odore di sangue secco. Era successo altro in quella spiaggia.

“Terra!” urlò a pieni polmoni.

Si portò le mani alla bocca per amplificare la voce.

“Terra! Dove sei!”

Sentì un rumore e una sorgente di calore formarsi avanti a lui.

“Cos…Terra?”

Qualcosa lo colpì sulla tempia: per Beast Boy, fu blackout.

 

 

 

 

 

“Ottimo lavoro, apprendista.”

Una figura nera si fece avanti, aveva una grossa S arancione sul petto.

“James ha complicato le cose. Credo che i thriller gli piacciano davvero, visto che è così ansioso di viverli. ” Serrò il pugno facendo scrocchiare le dita.

L’uomo si girò, mostrando una maschera divisa a metà, nera e arancione. Solo un occhio era visibile.

“Non preoccuparti, è un codardo con qualche sprazzo di coscienza. Il ragazzo atteggiandosi da eroe ha fatto esattamente il nostro gioco. Ora il piano può finalmente procedere.”

“Come facciamo con la donna?”

Slade volse lo sguardo al grande schermo dietro di lui. Le immagini della ragazza con gli occhi dorati e i capelli fluttuanti scorrevano in loop; la frattura della terra che si apriva gettando l’apprendista dentro l’abisso; la crepa che si scolpiva nell’edificio; la distruzione di tutto l’ambiente circostante. 

Slade sorrise da sotto la maschera.

“Eccola la mia piccola ragazza.”

Si girò verso l’apprendista.

“Anne Markov non è stupida, ma non è riuscita ad evitare che risvegliassimo i poteri di Terra.”

La figura incrociò le braccia.

“Sì, è vero, ma avrà raddoppiato la sorveglianza. Già prima era difficile avvicinarsi con quella specie di cupo mietitore che faceva da vedetta ogni volta.”

“Red X? È solo un mercenario, e come tutti i mercenari ha un suo prezzo.”

“ E i Titans? Avranno sentito anche loro la scossa. Non si lasceranno comprare, soprattutto il mutaforma.”

Slade giunse le mani dietro alla schiena, tornando a guardare lo schermo.

“Ho convinto il mutaforma a suo tempo. È bastato un robot con le mie sembianze.” 

“Credeva che lei provasse qualcosa per lui. Illuso. Eppure non ci ha messo molto a sostituirlo con il primo della classe.” Ridacchiò.

Slade rimase immobile.

“Controlla Anne Markov, scopri dove ha nascosto la ragazza.”

“Agli ordini.”

L’apprendista si ritirò nell’ombra.

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Capitolo 10
*** Incarichi ***


INCARICHI

 

 

Robin si trovò davanti un’enorme spaccatura: s’incuneava nella sabbia, terminando in una voragine buia.

“È incredibile! Non so se sia stata Terra, ma nel caso, ragazzi, è migliorata parecchio.”  Cyborg si avvicinò al ciglio del burrone e si sporse per guardare di sotto. “Sarà profondo chilometri!” 

Non poteva essere naturale, proprio come gli aveva detto Beast Boy. Già…ma dov’era Beast Boy? Erano passati venti minuti da quando avevano sentito il mutaforma. Da quel momento, il silenzio assoluto. Non riuscivano a contattarlo neanche con il trasmettitore. Sembrava essersi volatilizzato.

Robin si chinò ad osservare la sabbia, facendo scorrere i granelli tra le dita. Una zona ai margini del dirupo era ricoperta di sangue secco. Ma sangue di chi? 

Una mano sulla spalla lo fece sussultare. Si voltò.

“Star.”

“Robin… a cosa pensi?”

Il leader sospirò.

“Non mi piace, Star. Non so se sia stata Terra, ma a questo punto è molto probabile. Poi Bb…” abbassò il volto.

La ragazza inclinò la testa da un lato, con uno sguardo preoccupato dipinto in volto.

“Robin, non è colpa tua…”

“Dovevo stare più attento!” sbottò “Non gli ho permesso di partecipare alle missioni proprio per questo motivo, perché non finisse in pericolo, e invece è proprio quello che è successo! Non avrei dovuto permetterlo.”

Serrò i pugni vicino ai fianchi e si morse il labbro come a voler lasciare i solchi nella carne.

“Amico, hai fatto la cosa giusta.”

Cyborg si era avvicinato.

“Cyborg ha ragione, Robin. Hai dovuto farlo…” Star mise entrambe le mani sulle sue spalle. Robin avvertì il calore dei palmi sotto la tuta.

“Hai cercato di proteggerlo fino ad ora, e ci sei riuscito, ma in questa storia potrebbe esserci Terra, potrebbe essere in pericolo. E questo non potevi nasconderglielo.”

La ragazza sospirò.

“Terra era mia amica, nostra amica, ma non possiamo negare quanto forte fosse il suo legame con Bb. Doveva saperlo.”

Robin rilassò le nocche. Star aveva ragione, quello che aveva legato Beast Boy a Terra era molto forte, ma non si sentì sollevato. Aveva una responsabilità nei confronti del suo gruppo. Non era riuscito a tenerli al sicuro.

Si scostò, liberandosi dal contatto.

“Non è detto che sia Terra, potrebbe esserlo.”

“Il piedistallo è vuoto, Robin.”

Starfire lo stava guardando con le mani giunte avanti a sé, negli occhi un’espressione triste.

“Lo troveremo, Robin. E salveremo anche Terra.” Cyborg gli diede una pacca sulla spalla. Sorrise.

“Grazie amici.”

“Sempre insieme fino alla fine!” ridacchiò l’androide.

La statua di Terra scomparsa, la spaccatura nella spiaggia, Beast Boy scomparso. La faccenda si stava ingarbugliando.

“Cosa facciamo adesso?”

La voce atona di Raven lo distolse dai suoi pensieri.

“Ci dividiamo. Tu e Cyborg andrete alla Murakami school per cercare informazioni su di Terra, sperando si faccia chiamare così.”

La maga fece un cenno d’assenso con il capo.

“Io e Star andremo all’ospedale.”

“Ospedale, Robin?” chiese la tamariana.

Il ragazzo indicò la grossa pozza di sangue secco mischiata a sabbia.

“Chiunque sia stato qui, non dev’essere andato molto lontano.”

 

 

 

“Non credevo che avrei mai più messo piede in una scuola!”

Cyborg camminava per il corridoio, guardandosi intorno. 

Raven camminava a fianco a lui, composta e silenziosa. Teneva lo sguardo fisso avanti a sé.

Una ragazza dai capelli rossi urtò il braccio sinistro del cyborg.

“Ehi, scusa. Non ti avevo visto visto.” Disse Cyborg alzando la mano a mo’ di scusa.

La ragazza sorrise.

“Non preoccuparti.” Disse e se ne andò confondendosi nel fiume di studenti.

“Questo luogo è pieno di gente!” continuò Cyborg. 

“Beh sai, è una scuola…”

Il ragazzo si portò l’indice e il pollice al mento.

“Gente carina però.” Ridacchiò ripensando a quel viso ricoperto di lentiggini. Si fermò.

“Secondo te dove dovremmo andare?”

“Suppongo verso una segreteria. Quella magari.”

La maga indicò con l’indice una porta, sopra la quale stava una targhetta con su scritto “Segreteria”.

Il ragazzo ridacchiò arrossendo.

“Bene, andiamo allora.”

Lei lo seguì senza rispondere.

Bussarono e attesero. Un uomo aprì, rimanendo sull’uscio.

“Ehm, siamo qui per delle informazioni su una studentessa.”

L’uomo incrociò le braccia.

“Siete parenti?”

Cyborg si grattò la nuca.

“Ecco no, siamo amici.”

“Non posso dare informazioni riservate.” Richiuse la porta senza aspettare risposta.

“Simpatico.” Commentò Raven.

“Raven?” disse Cyborg.

“Uhm?” la ragazza si girò verso di lui.

“So che non si fa, siamo buoni e tutte quelle cose lì, ma non c’è tempo.”

“Cosa?” disse lei, aveva un sopracciglio alzato.

“Promettimi di non dirlo a Robin.” 

Cyborg trasformò il suo braccio sinistro in un cannone e bussò di nuovo alla porta. Aprì lo stesso uomo: spalancò gli occhi, il suo viso era illuminato  d’azzurro.

“Amico, siamo qui per delle informazioni su una studentessa.”

L’uomo deglutì.

“Cugini?”

Raven fece un sorrisetto.

“Cugini.”

“Venite pure.”

“Ottima scelta.”  Disse Cyborg rinfoderando il cannone.

L’impiegato li portò in una stanza quadrata, con una scrivania occupata da un computer e delle scartoffie.

“Accomodatevi.” Disse indicando le due sedie di fronte al tavolo.

I due si sedettero, mentre l’uomo andava a posizionarsi nella sua postazione.

“Come si chiama vostra cugina?” disse avvicinando le dita alla tastiera.

Cyborg e Raven si guardarono, poi lui rispose.

“Terra.”

L’impiegato digitò velocemente.

“Cognome?”

“Ehm…” Cyborg deglutì.

L’uomo sollevò gli occhi al cielo sbuffando e premette invio.

“Terra… No, non esiste nessuna Terra nel database. Credo vi siate sbagliati.”

L’uomo appoggiò le mani alle spalliere della sedia e fece forza per mettersi in piedi.

“La vostra amica non è qui.” Continuò.

“No aspetti! Deve esserci, ne sono sicuro!” Cyborg puntò l’indice sulla scrivania.

L’impiegato sospirò.

“Allora mi dica il vero nome della ragazza.”

“Si chiama Terra, amico. Terra. T-E-R-R-A. Deve esserci. Ricontrolli.”

“Non ricontrollo proprio niente io.” L’uomo incrociò le braccia.

“Tara Markov.”

Sia il ragazzo che il segretario si fermarono. Cyborg aveva la bocca aperta.

“Tara Markov?” ripeté scandendo le sillabe.

Raven indicò un fascicolo sulla scrivania avanti a lei, con su scritto a pennarello “Tara Markov”.

“Chi è?” continuò la ragazza.

L’uomo alzò un sopracciglio.

“È una pratica che stavo seguendo prima che arrivaste voi. Una studentessa che si è appena ritirata dalla scuola a seguito di un…” prese il fascicolo e lo aprì “incidente. A seguito di un incidente.”

Cyborg si portò la mano al mento. Un incidente? Ma certo, la spaccatura. Tutto filerebbe alla perfezione.

“Amico, ce l’hai una foto di questa studentessa?”

L’impiegato girò il fascicolo verso di loro, il primo foglio presentava i dati sensibili della ragazza. Una foto tessera a colori capeggiava in alto a sinistra.

“Raven…” disse Cyborg.

Durante quella giornata la probabilità che l’amica fosse ancora viva si era fatta sempre più concreta, ma mai si sarebbe permesso di crederci fino a quel momento. Si maledisse per non aver dato retta a Beast Boy un anno prima.

“È lei.” Concluse la maga.

L’uomo sbuffò.

“Bene, questa è vostra cugina. Ma ora come si fa? Non vi posso mica dare il fascicolo.”

Cyborg allargò sulla sedia e convertì il suo braccio sinistro in cannone. Sorrise.

“Gradite delle fotocopie?” fu la risposta.



 

 

 

 

“Da criminale a baby-sitter: devo decisamente dare una svolta alla mia carriera.” 

“Ti paghiamo bene.”

La donna era seduta su una sedia da ufficio, avvolta nella sua camicia bianca e nel suo tailleur pantalone. Si passò una ciocca dei capelli biondi corti dietro all’orecchio. Il ragazzo la soppesò. Che lo pagavano bene era vero.

“Anche se fosse faccio già il fattorino e la bambinaia a tempo pieno. Non vedo come potrei riuscire a sorvegliarne ben due.”

Anne accavallò le gambe, aveva l’indice appoggiato alla tempia.

“Non preoccuparti, continuerai ad occuparti di Zero. L’altra non la vedrai, è chiusa nella sua camera e impossibilitata a muoversi. Per te sarà come sorvegliare una porta chiusa.”

“Ma perché sono così importanti per voi?”

Si scrocchiò le dita una ad una. La paga era equa, ma qualcosa non gli quadrava.

“L’unico punto che avevamo messo nel contratto, signor Red X, era quello di non indagare reciprocamente circa le nostre identità. Non investighi sui nostri obiettivi e sui nostri metodi e noi continueremo a far finta di credere che lei non abbia un viso sotto quella maschera.”

Il ragazzo serrò le labbra: il lei non era un buon segno. Ripensò al giorno in cui lui e Anne Markov si erano incontrati, un patto stretto in meno di un’ora. Compenso spropositato. Unica condizione: non rivelarsi l’identità a vicenda. Il patto perfetto. 

“Posso considerare questo silenzio come un tacito assenso?” continuò la donna.

Il pensiero di Red X corse a Rose. Probabilmente era chiusa a dipingere nella sua stanza; fiori, sicuramente. Accennò un sorriso e ringraziò di avere una maschera a coprirgli il volto. 

“Accetto.” 

 


 

 

 

“Ne è sicuro?”

“Certamente. L’unica persona ricoverata qui in serata per forte emorragia è un ragazzo di circa diciotto anni. Il suo nome è James Palmer.”

L’uomo vestito con il lungo camice stringeva una cartella clinica fra le braccia. Aveva un fonendoscopio attorno al collo.

“Grazie dottore. Possiamo parlargli?”

“Sì. Ma non affaticatelo troppo.”

Robin sorrise.

“Non si preoccupi, non lo strapazzeremo.”

Il dottore fece un cenno d’assenso col capo e si allontanò per il corridoio, scomparendo in una stanza.

Il trasmettitore squillò, il leader lo afferrò e lo aprì.

“Cyborg, novità?”

Il volto dell’amico lo guardava dallo schermo.

“Capo, non ci crederai: è proprio lei.”

Robin spalancò gli occhi, si girò verso l’amica: Star aveva portato le mani alla bocca.

“Ne sei sicuro?”

“Sicurissimo. Abbiamo visto anche la foto, è lei. Si fa chiamare Tara Markov.”

“Tara Markov…” sussurrò il ragazzo.

“Abbiamo anche altre notizie, ma forse è meglio ragionarci in seguito tutti insieme.”

Robin si prese il mento tra indice e pollice.

“Per caso avete scoperto qualcosa riguardo un certo James Palmer?”

“James Palmer? Uhm, no capo. Il nome non ci dice niente.”

Il leader scosse la testa.

“Non preoccuparti, adesso io e Star vedremo cosa riusciremo a scoprire. Ci rivediamo alla torre.”

“Ok capo, a dopo!”

Chiuse la chiamata e rimise il trasmettitore in tasca. Rimase immobile.

Tara Markov… Terra. Ormai era certo: era viva. Rabbrividì. In quegli anni si era abituato a pensare alla loro amica come una martire, come qualcuno che si era sacrificato per il bene di tutti, a discapito dei suoi errori. Era stata quella la giustificazione con cui erano riusciti ad accettare la sua dipartita, che la sua morte non fosse stata vana. Dopo il vuoto iniziale che avevano provato erano andati avanti, le cose erano cambiate. Ma ora tutto rischiava di crollare come un castello di carte: era lì, era tornata, era viva. Non aveva idea di cosa, di chi aspettarsi e troppe domande gli affollavano la mente. Prima tra tutte: perché non era tornata da loro?

“Robin…”

Il ragazzo sussultò. Si girò verso Starfire.

“Sì, Star?”

“Non ti sembra strano che fino a ieri credevamo la nostra amica Terra morta, e ora… potrebbe essere da qualche parte?”

Robin sospirò.

“Sì, ancora non riesco a rendermene conto. Speriamo che questo James sappia dirci qualcosa di più.”

Starfire mise una mano sul suo braccio.

“Sei pronta?” le chiese Robin.

La ragazza inspirò a fondo e buttò fuori l’aria.

“Andiamo.”

Entrambi si voltarono verso la porta bianca alla loro sinistra. 

Robin appoggiò la mano sulla maniglia. Girò.

 

 

 

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Capitolo 11
*** Nome ***


NOME




Un ragazzo stava disteso nel letto d’ospedale. Pallido, profonde occhiaie scure gli segnavano il volto pieno di garze, i capelli scarmigliati e sporchi.

Aveva un grosso ematoma sull’avambraccio, segno dell’ago della fisiologica  e il tubicino dell’ossigeno infilato nelle narici.

Robin si chiuse la porta alle spalle.

Il ragazzo spalancò gli occhi. Prese a respirare con la bocca.

“Chi siete?” rantolò.

Robin alzò le mani.

“Non preoccuparti, non vogliamo farti male. Siamo Robin e Starfire. Siamo qui solo per delle domande.”

Il leader fece un cenno a delle sedie appoggiate al muro.

“Possiamo?”

Il ragazzo lo guardò con occhi vitrei, poi annuì e chiuse la bocca.

Robin guardò Starfire: era immobile,  si stava tenendo un braccio con l'altra mano.

“Grazie.” Si limitò a rispondere.

Si sedettero, Robin tamburellò le dita sul ginocchio sinistro. Il ragazzo guardava avanti a sé, senza girarsi verso di loro.

Il leader si sentì a disagio.

“Allora…” si allargò il colletto del costume con indice e pollice “ti chiami James Palmer, vero?”

Il ragazzo abbassò il viso, facendo scorrere gli occhi sulla trama delle lenzuola.

“Sì.”

Star fece una smorfia.

“Sarebbe…sarebbe tanto importante per noi se ci dicessi cos’è successo questo pomeriggio. Se…se non ti disturba.” Disse lei, mentre si torturava le mani.

James strinse il lenzuolo nei pugni, lo sguardo ancora basso sulle sue gambe.

“Voi non dovreste essere qui.”

Robin alzò un sopracciglio.

“Cosa?”

“Voi non dovreste essere qui.”

Il tono era più alto, James li fissava con gli occhi sgranati e le narici dilatate. Gli occhi erano rossi.

“Cosa vuoi dire?” chiese Star.

“Non dovreste essere qui.”

La voce era spezzata, il petto si abbassava e si alzava a intermittenza, le dita tremavano.

“Non dovreste essere qui.” Ripeté quasi in un sussurro. 

“Cos’è successo, James.”

Robin aggrottò la fronte. Perché era così spaventato? Chi c’era insieme a lui e Terra sulla spiaggia?

“Non capisci?” James si passò una mano nei capelli e rimase immobile. “Se scopre che sto parlando con voi mi farà ammazzare.”

Star spalancò gli occhi.

“C-chi vuole farti del male?”

“James, raccontaci tutto. Vedremo di proteggerti.”

James sospirò, si girò verso Robin. I suoi occhi erano rossi e lucidi.

“Io non merito di essere protetto.”

Robin incrociò le braccia.

“Raccontaci tutto.”

“All’inizio credevo fosse uno scherzo, credevo impossibile che lei fosse capace di tanto.”

“Lei?” chiese Star.

“Tara.” Disse in un sussurro. “Tara Markov.”

Starfire si portò una mano alla bocca.

Robin perse un battito. Era vero. Terra era viva, e si faceva chiamare Tara Markov.

“Di cos’era capace?”

James abbandonò la testa ai cuscini dietro a lui.

“Di cose che non credevo nemmeno immaginabili. Lei… lei è sempre stata solamente una semplice ragazza un po’ studiosa da quando si era trasferita alla Murakami school due anni fa. Non avevo mai visto nient’altro in lei né avevo particolare interesse a vederlo: era una compagna di classe come altre.”

Robin congiunse le dita delle mani.

“Poi cos’è cambiato?”

James bagnò le labbra con la lingua, i suoi occhi erano vacui, come se non stesse più mettendo a fuoco nulla. La voce uscì flebile, tremante.

“Un giorno stavo tornando da scuola con alcuni compagni di classe.”

 

 

 

 

La camera era bianca, in tutti i suoi muri; il letto al centro era rifatto e non mostrava alcuna grinza. L’enorme finestra della stanza era aperta e faceva svolazzare le tende candide. Rose era seduta sul terrazzo, con una grande tela di fronte a lei. Come sempre stava dipingendo fiori.

“Bentornato.” Disse mentre intingeva il pennello nel verde.

Red X si pose al fianco della ragazza.

“Aggiungici un altro po’ di viola.”

Rose sorrise e si scostò i capelli biondi dal viso con la mano libera. I suoi occhi azzurri erano concentrati sul colore che stava creando nella tavolozza.

“Così?”

“Un po’ più chiaro.”

“Allora lilla.” Ridacchiò lei, girandosi verso Red X.

“Non è la stessa cosa?” 

Il modo di Rose di sostenere il suo sguardo, anche se lui indossava una maschera, l’aveva sempre colpito.

“Uhm…non esattamente.” Rise.

“Vuoi levarti quel sorrisetto dalla faccia?”  Red X le diede le spalle e incrociò le braccia. 

Red X pensò a quanto dovesse sentirsi sola, sempre rinchiusa in quella stanza. Era la sorella sfortunata, non c’era dubbio.

Sospirò. Adesso anche Tara avrebbe ricevuto lo stesso trattamento. Chissà che aveva intenzione di fare Anne con tutte e due. Gli sembravano due canarini in gabbia.

Fece una smorfia. Tutti i confort per essere tenute prigioniere in sei metri quadri. Lui sarebbe impazzito in meno di due giorni.

Si girò verso la ragazza. Stava stendendo altro colore sulla tela, definendo i contorni dei petali del mazzo di fiori.

Sorrise: era lilla.

Lei non lo guardò.

“Quando sarà il prossimo ciclo?”

“Domani mattina.”

Rose posò la tavolozza sul tavolino da esterni alla sua destra e si portò una mano sul ventre.

“Mi fanno male le cicatrici.”

“Non so cosa farti.” Red X si appoggiò al muro esterno dell’edificio. “Con quello hai finito?” Indicò il dipinto.

“Per oggi basta, sono stanca.”

Si alzò e e barcollò fino al letto. Sembrava così esile, avvolta nella veste bianca che le arrivava fino alle ginocchia.

Si infilò sotto le coperte e lo guardò, con la testa affondata nel cuscino.

Il ragazzo si stravaccò sul divanetto nell’angolo della stanza piantando gli stivali neri sul tessuto.

“Mamma si arrabbierà se le sporcherai il divano.”

“Lascia che ci parli io con la mamma. Ora se proprio vuoi dormire dormi, altrimenti fai altro. In tutti e due i casi stai zitta.”

La ragazza non mutò espressione.

“Sarai ancora qui quando mi risveglierò?”

Red X sospirò.

“Vedremo.”

Rose non rispose e si sistemò sul fianco destro. Il ragazzo poteva scorgerne i tratti del viso sotto i capelli biondi. La somiglianza tra le due gemelle era disarmante. Sbuffò al pensiero.

La baby-sitter. Sicuro che tra poco mi toccherà pure preparare i biscotti.

“Red X?”

Si riscosse.

“Dimmi.”

“Tu ce l’hai un volto sotto la maschera?”

Il ragazzo si bloccò, da quell’angolazione non riusciva a decifrare l’espressione di Rose.

“Come tutti.” Si limitò a rispondere.

“Com’è?”

Red X tamburellò le dita della mano destra sul divano.

“Porto la maschera proprio per non dirlo, ragazzina.”

Si susseguirono minuti di silenzio. Ogni volta che lui le rispondeva male lei non batteva ciglio, era come se le sue frecciatine non la sfiorassero nemmeno. Di solito faceva andare tutti fuori di testa, ma lei no. Gli dava fastidio.

Si mise a guardare il soffitto e si stiracchiò, convinto che ormai la ragazza fosse addormentata.

“Allora qual è il tuo nome?”

Sbuffò.

“Hai deciso di non dormire?”

Non rispose.

“Lo sai benissimo il mio nome, è Red X.” Sbottò portandosi le mani dietro alla testa.

“Il nome vero.” 

Red X inspirò a fondo. Da quanto tempo non diceva a nessuno il suo nome reale?

“Tutti mi chiamano Red X. Questo ti deve bastare.”

“Tutti mi chiamano Zero, ma tu mi chiami Rose.”

Red X non rispose.

 

 

 

 

 

Cos’è successo?

Un forte dolore gli pulsava in una tempia, irradiandosi a tutta la testa.

Terra…

La ragazza fu il primo pensiero che gli venne in mente. La scossa, la chiamata di Robin, la frattura nel terreno, l’abisso. Dov’era finita?

Sentiva una forza comprimergli petto, non poteva respirare a pieni polmoni. Sbuffò. Era legato.

Perfetto.

Digrignò i denti. Nella sua mente si materializzò l’immagine di un gorilla. Nulla cambiò. 

“Aaaaah!”

Yeti, tigre, T-Rex, tutte le sue solite trasformazioni sfilarono nella sua mente. Il suo corpo non rispose nemmeno una volta.

Era legato, seduto, inerme. 

Ansimava, il mal di testa era aumentato.  Sentì perle di sudore corrergli giù per la fronte, percorrere le tempie, le guance, senza alcun freno.

La mia benda…

Chiunque l’avesse rinchiuso lì gli aveva tolto il suo amato pezzo di stoffa, i suoi occhi ora erano liberi di aprirsi per guardare lo spazio circostante. Inspirò profondamente. Aveva paura solo a pensarci. Aprire gli occhi senza benda lo spaventava più del saltare nel vuoto: avrebbe visto il buio, solo buio. Come quella volta. Non voleva ripeterla, non voleva vedere solo uno schermo nero. Preferiva procurarsi da solo quel muro e credere che la sua cecità fosse colpa della benda che si metteva sugli occhi. Non vedeva non perché non potesse, ma perché aveva deciso di non voler vedere.

S’immobilizzò. Il rumore di due passi. 

“Chi sei?” urlò.

“Fossi in te non mi agiterei troppo.”

Una voce maschile. Beast Boy inspirò: odore di terriccio?

“Che vuoi da me?”

“Zitto. Ah, e scusa per la benda, volevo vedere in faccia il pezzente che aveva osato distruggere la mia famiglia.”

Famiglia? Distruggere? Cosa?

Udì un fruscio. L’uomo stava stringendo il pugno destro, la mano era avvolta da un guanto. Ne era sicuro. Beast Boy abbassò la testa, i suoi sensi erano l’unica cosa che gli rimaneva per sopravvivere.

“Non so di cosa tu stia parlando amico. Ci dev’essere un errore.”

“Sicuramente. Allora che ne dici di una chiacchierata? Se è un errore me ne andrò senza farti nulla.”

La voce…era un ragazzo. Beast Boy fece scrocchiare le nocche.

“Di solito non faccio chiacchierate legato ad una sedia.”

“Perdonami, semplice precauzione.”

“Non mi sembra tu ci sia legato però.”

Una risata.

“Ah, sì? E come lo sai? Mi vedi?”

Beast Boy serrò la mascella. Strinse i pugni: le unghie si conficcarono nei palmi per la stretta. Non gli importava del dolore.

“Sei sempre così spiritoso?” ribatté. 

“Ho controllato i tuoi occhi mentre eri svenuto. Pupille fisse. Quindi o eri cieco o eri… morto.”

Il mutaforma aggrottò la fronte: aveva udito un sospiro?

“Che vuoi da me?” si limitò a dire.

“Se non ti spiace mi siedo anch’io.” 

“Accomodati.” Sorrise.

Un tonfo sordo, uno più morbido. Si era seduto.

“In effetti mi dispiace tenerti lì…non puoi neanche più far male ad una mosca.”

Beast Boy si morse il labbro. Ecco perché non riusciva più a trasformarsi.

“Cosa mi hai fatto?”

“Una cosa da niente. Ti ho iniettato un siero per mettere fuori uso i tuoi poteri. Ah, dimenticavo, i tuoi amici non verranno: ho disattivato il tuo trasmettitore.”

Il mutaforma grugnì.

“Pezzo di merda…”

Senza poteri, legato ad una sedia chissà dove, un folle che credeva che lui avesse distrutto la sua famiglia, possibilità di essere salvato dai suoi amici nulle. Bingo.

“Conoscevi una certa… Tara Markov?”

“No.”

Il ragazzo sospirò.

“Sulla spiaggia c’era una spaccatura, anzi, una voragine, date le dimensioni.”

Beast Boy si bloccò. Dove voleva andare a parare? Che la Tara di cui stava parlando fosse Terra?

“Continua.” Disse.

“Hai idea di chi possa averla causata?”

Si morse la lingua. Cosa voleva da Terra? Era lui che la stava mettendo in pericolo, che non le aveva permesso di tornare quella di un tempo?

“Ti ho fatto una domanda.”

Se l’aveva stordito evidentemente lei era riuscita a fuggire. Non poteva parlare. Pregò perché nel frattempo i Titans l’avessero trovata.

Un tonfo sordo echeggiò, Beast boy aggrottò la fronte. Un colpo lo investì in pieno volto. Il mutaforma si sentì catapultare all’indietro, la testa sbatté sul pavimento. La guancia era diventata ardente, il mal di testa si era fuso con lo schianto appena fatto. Il ragazzo non riusciva a muovere nemmeno più il collo.

“Che cosa le hai fatto?”

La voce. Questa volta era…acuta, accorata.

“Che cosa vuoi da lei.” Disse in un fil di voce.

“Tu…tu cosa volevi da lei. Che cosa ti aveva fatto.”

Beast Boy s’immobilizzò, digrignò i denti per il dolore. Aveva fatto? Cosa aveva fatto?

“Niente mi aveva fatto, nemmeno si ricorda di me.”

Il dolore al collo invase anche la schiena. Respirava a fatica, inghiottendo aria con la bocca. 

Il suo pensiero corse a Terra. Le fitte si facevano più insopportabili. Non poteva parlare. La schiena formicolava. Robin e gli altri l’avrebbero trovata, ne era sicuro. Il sangue si allargava in una pozza sul pavimento.

Alito caldo sferzò il suo viso: il ragazzo era a pochi centimetri da lui.

“È solo l’inizio di quello che ti farò. Dimmi cosa è successo.” Gli sussurrò, scandendo ogni parola.

Beast Boy digrignò i denti per il dolore. Sputò. Udì la sua saliva schiantarsi contro il volto chino su di lui.

“Lasciala in pace.”

 

 

 

 

Angolo dell'autrice

Stavolta ho sforato. Un'ora e mezza più o meno e mi scuso tantissimo, ci tengo alla puntualità.
Tuttavia devo dire che in realtà questo capitolo era pronto ieri, o meglio l'altro ieri. Per capirci, domenica.
Non mi soddisfava però, non mi soddisfava per niente. Doveva essere concentrato solo su James e doveva dare un po' di risposte degne di questo nome, ma il risultato mi sembrava al di sotto delle aspettative, deludente. Ho deciso così di stravolgere tutto ed inserire una parte di Beast Boy e una di Red X, svelando comunque un po' di quesiti.
James passa, sperando non ci siano intoppi, al prossimo lunedì. Dico sperando perché la sua parte è davvero una delle più complicate in cui mi sia imbattuta, il pericolo di distruggere un personaggio così importante e ancora così oscuro è enorme.
Ho un po' affrettato la revisione di questo capitolo per ovvi motivi, ho cercato di rispettare la mezzanotte ma senza successo, purtroppo. E pensare che volevo tanto dare un motivo di consolazione a chi oggi aveva iniziato la scuola!
Spero di non aver deluso le aspettative di nessuno, 
alla prossima! (questa volta puntuale)

X Carlotta

 

 

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Capitolo 12
*** James ***


Buongiorno!
Scrivo qualche indicazione prima del capitolo, per rendere più agevole la lettura. Per prima cosa vi consiglio di rivedervi, o almeno di tenere bene a mente, l'episodio 13 della quinta stagione dei Teen Titans "Things change". 
I flashback in questa parte di storia sono alternati al presente e funzionano come se James stesse raccontando i fatti a Robin e Starfire. Non ho messo delle battute di dialogo, perché esse sarebbero risultate un po' debolucce per un personaggio così importante e volevo farvi "vedere" i pensieri del ragazzo, i fatti e le sue parole per comprenderlo meglio.
Ultima nota, puramente di tipo formale, in questo capitolo i pensieri saranno evidenziati dalle virgolette basse, in quanto il corsivo si andrebbe a confondere con quello caratteristico del flashback.
Detto questo, pero che vi piaccia e di attirare nuovi lettori e recensori.
Buona lettura!


 



JAMES

 

 

La porta d’ingresso della scuola era ormai a pochi metri. James camminava strusciando i piedi a terra per la stanchezza. 

“Palmer!”

Il ragazzo si girò, Jason lo urtò ad una spalla. James indietreggiò di un passo e alzò lo sguardo per guardare in faccia il ragazzo. Lo stava fissando con la mascella contratta.

“Levati dai coglioni.” Disse e si allontanò verso la porta senza girarsi.

James sbuffò e s’incamminò verso l’uscita.

Fuori dalla scuola le strade erano gremite di gente, i negozi aperti, tutto pieno di famiglie con bambini e coppiette. Sbadigliò: non vedeva l’ora di tornare a casa.

Aveva fatto solo un centinaio di metri quando un profumino raggiunse le sue narici. Pizza! Tirò fuori il cellulare dalla tasca e guardò l’ora: 18.42. Sì, poteva decisamente concedersi una deviazione.

La pizzeria era vicino ad un enorme edificio in costruzione. James sospirò. Quell’enorme mostro di metallo aveva sostituito tantissime attività interessanti, per esempio il negozio di musica. Il ragazzo fece una smorfia. Ora per andare a compare le corde di ricambio per la sua chitarra doveva percorrere mezza città.

Si concentrò di nuovo sulla pizzeria. Sulla strada davanti all’entrata vi erano dei tavolini tenuti all’ombra da degli ombrelloni, pieni di ragazzi seduti a conversare.

Pregustò nella sua mente un bel pezzo di pizza coi funghi, lo stomaco brontolò in risposta al suo pensiero.

Entrò e si avvicinò al bancone. Un’ondata di schiamazzi catturò la sua attenzione facendolo voltare: era una tavolata di una ventina di persone, ragazzi e ragazze, tutti in divisa scolastica. La sua divisa scolastica. 

James riconobbe in un attimo tutti i suoi compagni di classe, senza esclusioni. Scherzavano e ridevano, mollemente abbandonati sulle sedie e con gli zaini appoggiati per terra al loro fianco. 

Si rabbuiò e ad uscì dal locale sbattendo la porta. La fame era sparita, l’unica cosa che voleva era andarsene alla svelta da quel luogo, voleva tornare a casa. Fece pochi metri e si fermò in mezzo al marciapiede, non curandosi delle persone che lo urtavano per sbaglio. Sentiva il cuore pesante, la rabbia invadergli tutto il corpo in un'onda, il sangue ribollire nelle sue vene a fior di pelle. Inspirò.

«Non m’importa. Fuori dalla scuola possono fare quello che vogliono.»

“James!”

Il ragazzo di girò. Tara gli stava correndo incontro, seguita da Dionne e Amber. Quelle tre non si separavano mai. Quel continuo muoversi in branco gli suscitava un odio profondo, senza motivo. Non poteva soffrire i loro movimenti sincronizzati. Non avevano una personalità propria?
Distese i muscoli e assunse un'espressione rilassata, si sistemò gli occhiali sul naso.

“Ciao Tara.” 

“Ciao.” Dissero le altre due all’unisono.

James represse il desiderio di tirare loro in faccia uno dei suoi libri. Fece un cenno ad entrambe in risposta.

“Senti James, scusa, non sapevamo non ti avessero detto nulla. Pensavamo semplicemente non potessi venire.”

“Non preoccuparti, non è niente.”

James le sorrise, mentre nella sua testa immaginava di prenderle a mazzate. Loro e tutti gli altri compagni.

“Meno male che non te la sei presa. Ero preoccupata che…”

James alzò un sopracciglio. Tara si era bloccata, la sua attenzione era rivolta dietro di lui. Si girò.
Un mostro bianco stava combattendo cinque persone in costume, proprio di fronte al cantiere.

«I Teen Titans?»

L'umanoide aveva afferrato Robin per un piede e l'aveva scaraventato via, colpendo con il lancio anche la ragazza incappucciata, Raven.

Dionne urlò:

“Andiamo via di qui!” 

La ragazza afferrò Amber per un polso e la trascinò via; Tara era imbambolata a fissare la scena.

James scattò, senza curarsi di lei. Se non voleva allontanarsi per evitare di farsi male non era un problema suo. Era per caso un'ameba senza le sue amichette?

Si nascose in un vicolo facendo sbucare solo la testa: i suoi occhi erano calamitati dalla battaglia, James non voleva sbattere le palpebre per non perdersi nemmeno un secondo.
I cinque ragazzi combattevano l’umanoide uniti, volando, tirando calci e pugni, colpendolo a colpi di di cannone laser, trasformandosi in animali. James trattenne il fiato. Erano meravigliosi, erano potenti. Lo inseguirono tutti fin nelle fogne, tranne il ragazzo dalla pelle verde che corse in un’altra direzione. James fece una smorfia: non riusciva mai a ricordarsi il suo nome.

Rimase immobile per minuti guardando scorrere quella scena come un film infinito nella sua mente. La ragazza incappucciata con i poteri sulla materia, la ragazza che lanciava energia dalle mani e dagli occhi, il cyborg che con tre colpi ben assestati aveva fatto crollare il mostro contro una pila di travi di ferro, il ragazzo che si trasformava in animali enormi come dinosauri, il ragazzo con un’agilità e una forza fuori dal comune.

Con solo la metà dei loro poteri la sua vita sarebbe potuta essere diversa, avrebbe potuto farla pagare a tutti.

“Vorresti essere uno di loro?”

James si girò verso la fonte della voce, alle sue spalle. Un uomo alto, muscoloso, vestito di nero, lo guardava nascosto nell’ombra del vicolo. Aveva una maschera arancione e nera ed un solo occhio visibile.

Il ragazzo rimase pietrificato come un cervo di fronte ai fari di una macchina, aveva paura di lui ma ne era anche affascinato. La figura di fronte a lui, con il solo modo di stare in piedi e con il solo sguardo filtrato dalla maschera, emanava una grande potenza e sicurezza.

“Posso insegnarti ad essere come loro.” 

James deglutì.

“Chi sei?”

L’uomo rise. La sua voce era cavernosa.

“Il mio nome è Slade.”

Il ragazzo fece un passo indietro.

“Io non ho alcun potere.”

La figura fece un passo in avanti, uscendo dall’ombra. James dovette alzare il volto per poter guardare l'occhio nella sua maschera.

“Posso insegnarti, ad una condizione.”

Il ragazzo rimase immobile.

“Che condizione?”

“Dovrai fare una cosa per me.”

 

 

“Che cosa?” Starfire si stava torturando le mani in grembo.

James s’ammutolì e guardò fuori dalla finestra.

“Che cosa?” ripeté Robin.

James si riscosse e lo fissò, gli occhi erano rossi.

“Avrei dovuto portargli Tara.”

 

 

“Perché Tara?”

“È una vecchia amica, un ex membro dei Teen Titans. Vorrei rincontrarla.”

Slade era immobile.

James aggrottò la fronte. Le scene del combattimento appena avvenuto gli tornarono in mente. Tara una Titan? Scherziamo?

“Una Titan? Ma se passa tutto il tempo a studiare e non si scolla mai dalle sue amiche! Da sola non riuscirebbe a cavarsela un giorno.”

L’uomo rise di nuovo.

“Non conosci bene i tuoi compagni di classe.”

James strinse i pugni.

“Mi stai prendendo in giro. Tara non può avere dei poteri. È impossibile!”

Tara un’eroina. Il suo cervello si rifiutava di accettare un accostamento simile. Quella ragazza non era né carne né pesce. In qualsiasi cosa:  brava a scuola, ma non abbastanza, brava nelle attività sportive, ma non abbastanza, né troppo timida né troppo esuberante. In più viveva praticamente in simbiosi con quelle altre due piattole. Un’eroina. Lei. La rabbia gli montò in corpo facendolo avvampare.

“Lo vedrai tu stesso. Aspetterò quando sarai pronto.”

L’uomo sparì nell’ombra.

 

“Vi siete rivisti?”

Robin era sconcertato per quella storia. Il ragazzo distrutto di fronte a sé covava rabbia. La sentiva vibrare mentre raccontava, eppure non poteva limitarsi tutto a quest'emozione. Doveva esserci dell'altro.

James, si morse il labbro.

“Il giorno dopo uno di voi venne a scuola.”

“Beast Boy…” sussurrò Robin.

 

 

James entrò nel cortile della scuola. Si passò un fazzoletto sul collo, era sudato.

“Palmer!”

Il ragazzo sospirò.

“Dimmi.”

Jason gli si accostò, gli mise una mano sulla spalla.

Il ragazzo alzò un sopracciglio e lo guardò.

“Ieri ci siamo scordati ti dirti che saremmo andati in pizzeria tutti insieme.”

«Possa tu marcire all’inferno, Jason Hunt.»

Sorrise.

“Non è un problema, sarà per la prossima.”

Jason rise.

“Hai ragione, Palmer. La prossima volta ti avvertiremo quando non ti vorremo tra i piedi ad un’uscita di classe.”

James non rispose, il compagno di classe si allontanò ridacchiando.

“Ehi, Terra! Sono io! Beast Boy!”

“Uh?”

James si girò: attaccato al cancello uno dei Titans gridava come un ossesso.

«Il mutaforma?»

Il ragazzo urlava il nome di una certa Terra, mentre il suo sguardo si rivolgeva proprio a… Tara.

James spalancò gli occhi. Vide Slade davanti a sé raccontargli di Tara, del suo passato.

Tara era veramente una… Titan? 

 

“Da quel momento diventasti l’apprendista di Slade?” Robin aveva incrociato le braccia.

“Non mi cercò per mesi, fino ad una sera.”

 

“James, hai visto? La tua compagna mediocre in realtà è tutt’altro.” 

James s’irrigidì. Il buio dell’ombra notturna gli impediva di vedere bene l’uomo di fronte a sé. Ad ogni respiro una nuvoletta di condensa appariva dalla sua bocca; nascose il viso nella sciarpa.

“Hai riconsiderato la mia offerta?”

“Cosa devo fare.”

“Portami la ragazza. Rendila tua amica, falla innamorare di te, non importa cosa farai, ma deve avere fiducia in te. A quel punto la consegnerai all’apprendista.”

“Apprendista?”

“Ti controllerà, nel caso volessi passare dalla... parte sbagliata.” 

Slade serrò un pugno avanti a sé, facendo scrocchiate le dita.

“Non dovrei essere io il tuo nuovo apprendista?”

“Ogni cosa a suo tempo, ragazzo. Una volta terminato il tuo compito diventerò il tuo maestro.”

James fece una smorfia. Non sarebbe più potuto tornare indietro. Avrebbe consegnato una ragazza, una sua compagna di classe, ad una persona che le avrebbe fatto del male. Poteva ancora rifiutare. Diventare potente valeva questo prezzo? La vita di Tara? I rimorsi gli attorcigliarono le budella in una stretta. Non poteva farlo. Doveva dire di no, scuotere la testa, qualsiasi cosa. Non avrebbe messo in pericolo un'altra persona per il suo egoismo.

Non riuscì a proferir parola. Pensò agli spintoni, agli insulti, alla sua esistenza solitaria. Doveva cambiare. Fin da quando aveva iniziato le scuole elementari era stato lo zimbello di tutti, umiliato tutti i giorni, picchiato, deriso, escluso. La sua unica vendetta era quella di non passare i compiti ai suoi aguzzini. Fece una smorfia: che gran vendetta.

Tara…l’unica che gli aveva chiesto scusa per le cattiverie della classe. Si morse il labbro: tra tutte, quella della ragazzina mediocre era forse l’unica vita che avrebbe salvato. In fin dei conti era semplicemente inutile, non una grossa scocciatura.

Doveva sacrificarla? Respirò a fondo. Jason gli comparve in mente, i pestaggi, le battute, le cattiverie, seguito a ruota dagli altri compagni. L’avrebbe fatta pagare a tutti loro.

«Mi dispiace, Tara. Eri quella che odiavo di meno.»

“Accetto.”

 

 

“Hai venduto la nostra amica.”

Robin fremette dalla rabbia, afferrò i braccioli della sedia per impedire alle mani di tremare. Digrignò i denti.

Star si alzò in piedi, aveva aloni verdi attorno alle mani.

James si girò verso la ragazza.

“Fai pure.” 

“Dammi un motivo per non farlo.”

Il ragazzo si bloccò, tornò a guardare il lenzuolo con gli occhi che s’inumidivano.

“Dimmi il nome dell’apprendista.” lo incalzò Robin.

“Non posso.” Si portò indice e pollice alla base del naso “Non posso, capisci? Mi ucciderà!”

La voce si spezzò di nuovo, il ragazzo nascose la testa fra le spalle.

“James…” Star si era avvicinata, levitava a qualche centimetro da terra “Dicci il nome. Ti prego, Terra è nostra amica. Aiutaci…”

“Non posso. Tanto se ora fosse caduta nelle mani di Slade ci sarebbe poco da fare. Andate via.”

“James. Terra è nostra amica. Non ce ne andremo di qui finché non avremo saputo tutto quanto. Dobbiamo fare qualcosa.”  Il tono di Robin era fermo.

“Tu non vuoi un po’ di bene a Terra?” continuò Star.

Robin spalancò gli occhi e si girò verso Star. Sul serio? Dopo tutto quel racconto c’era ancora possibilità per lei che James provasse affetto per Terra?

Il ragazzo sgranò gli occhi, l'espressione era vuota, le mani tremavano di nuovo.

“Io…”

Lo sguardo di James correva tra Robin e Star senza sosta. Aveva la bocca semi-aperta. Deglutì.

“Andate via.”

“Dicci il nome, James.” 

Il leader si alzò in piedi e si affiancò all’amica.

“Via!”

“Dicci il nome razza di un glurbpoff!” 

Star alzò un braccio verso di lui, l’alone attorno alla sua mano era enorme.

James prese in mano un piccolo telecomando bianco vicino a lui sul materasso. Premette il pulsante.

In pochi secondi bussarono alla porta. Star richiamò a sé la sua energia, facendo scomparire la sfera verde dal suo palmo.

“Signor Palmer? Tutto bene?”

L’infermiera si avvicinò al ragazzo nel letto.

“Sono un po’ stanco, credo che la flebo stia finendo.”

La donna esaminò il sacchetto appeso al fianco di James. Si girò verso Robin e Starfire.

“Scusatemi, l’orario delle visite è finito.”

Star fece una smorfia.

“Ma…”

Robin la bloccò con una mano.

“Capiamo benissimo, torneremo presto a trovarti James. Riguardati.”

Il ragazzo non sorrise e non salutò, rimase inerte a guardarli. Mentre usciva Robin si sentì scrutato dai suoi occhi vitrei.





Angolo dell'autrice
Ebbene sì, c'è anche una puntualizzazione finale. Probabilmente non potrò pubblicare lunedì come da tabella di marcia, quindi credo che anticiperò il capitolo ai giorni di venerdì-sabato di questa settimana.
A presto!

 

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Capitolo 13
*** Incubi ***


INCUBI

 

 

“Aah!”

Tara si massaggiò le tempie, la sua bocca era contorta in una smorfia, gli occhi socchiusi.

Il terzo incubo in tre giorni… 

Tara si morse il labbro inferiore fino a sentire il sapore del sangue sulla lingua. Era la terza volta che si svegliava da incubi in preda ad un feroce mal di testa.

Si nascose il viso tra le mani: non voleva ricordare, non voleva. Sentiva i flash di quelle notti insinuarsi silenziosi nella mente: era sempre nella stessa camera. 

 


Tara prese un album dallo scaffale vicino alla finestra e lo sfogliò: decine di foto sfilarono davanti ai suoi occhi, fino a che non si soffermò davanti ad una in particolare. Sorrise.

Lei, Gregor e Brion si stavano divertendo con delle sciabole giocattolo, nel cortile interno del castello. 

“Mamma!” 

Tara corse giù per le scale, fino alla cucina.

La donna bionda stava bevendo una tazza di caffè, mentre scriveva dei conti in un’agenda.

“Dimmi tesoro.”

“Guarda cosa ho ritrovato!” disse la ragazza sventolando la foto.

Anne ridacchiò.

“Fammi vedere.”

Tara porse l’immagine e si sedette al tavolo.

“Oggi è anche il compleanno di Greg.” Continuò.

Anne si rabbuiò, appoggiò la penna.

“Lo so, Tara. Oggi tuo fratello è diventato re.”

La ragazza si bloccò. Alzò un sopracciglio.

“C-come? Greg viene incoronato e noi non ci siamo? Non ci volevano?”

La donna sospirò.

“Tara… sai che avresti potuto scatenare uno scandalo. Io non sono la regina.”

Tara puntò le mani sul tavolo. Si alzò di scatto, rovesciando la sedia all’indietro.

“Tara!” 

“No! Io voglio bene a Brion e Gregor! Io amo Markovia! Io mi sono fatta utilizzare come una cavia di laboratorio per ottenere i poteri e salvare il mio Paese dal colpo di Stato! Mi sono fatta chiamare Terra; io e Brion abbiamo combattuto per nostro padre!  Gregor ha snobbato la possibilità di diventare come noi!”

Tara chiuse i pugni e digrignò i denti. Un rombo fece tremare le pareti; il lampadario sul soffitto oscillò. 

“Tara! Ti prego fermati!”

La madre si era alzata in piedi ed era corsa in un angolo, accovacciandosi.

“Smettila, Tara!”

Aloni dorati si formarono attorno alle sue mani, le assi di legno del pavimento si spaccarono vicino a lei.

“Io ho sacrificato me stessa per loro! Loro mi hanno esiliata perché scomoda!”

Urlò con quanto fiato ebbe in corpo, lacrime le inzuppavano il viso. Tralicci si staccarono dal soffitto schiantandosi a terra. 

“Tara!”

Tara spalancò gli occhi: la madre era rannicchiata, con la testa tra le ginocchia. Smise di urlare, rilasciò i muscoli delle mani. Il terremoto non accennava a fermarsi. Si portò le mani alle tempie, inspirò per concentrarsi ed invertire il processo. La terra continuò a tremare, i mobili si spaccarono, mentre i fili elettrici pendevano dal soffitto carichi di elettricità.

Urlò. La paura la invase, prendendo il controllo del suo corpo e ottenebrando la sua mente.

“Fermati! Fermati! Fermati!” 

Si diede pugni alle tempie per stordirsi. Il pavimento era ormai quasi interamente ricoperto di rottami, gli elettrodomestici si stavano accartocciando senza opporre resistenza, i vetri delle finestre erano frantumati.

Il cuore le balzò in gola, si girò verso la madre. L’angolo era sommerso da pezzi di  cemento e legno. Si bloccò. Un braccio spuntava dai residui, coperto di sangue. Era teso verso di lei.

Tara urlò. Altri tralicci caddero sul mucchio, nascondendolo alla sua vista.

Cadde a terra in un tonfo. Schiacciò le ginocchia contro il suo petto. Nascose il viso tra le braccia, le lacrime le inzupparono la maglia. Non c’era nulla che potesse fare per fermarsi, era di nuovo in balia di se stessa. Sperò che i detriti la ricoprissero in fretta, voleva annientarsi.

Tara chiuse gli occhi, aspettando la sua fine.

 


Tara si passò una mano sul viso; quegli incubi erano così vividi… La ragazza fissò il vaso sul comodino. Un ciottolo, obbediente, si alzò di qualche centimetro, piegandosi al suo volere.

E se…se fossero ricordi?

Tara guardò il sasso vagare nello spazio con il solo impulso della sua mente. Si morse il labbro. Era impossibile, lei viveva con sua madre da anni. Non aveva mai avuto fratelli.

Eppure…

Il viso della donna nel sogno non combaciava. Sospirò. La ragazza si sentì colta da una sensazione di déjà-vu. 

Terra…

Quel nome le ricordava decisamente qualcosa. Ma cosa?

Sua madre non le aveva mai parlato di nulla, né dei suoi poteri, né di altro. Lei però li aveva. Proprio in quell’istante un ciottolo stava rotolando a mezz’aria, non poteva ignorarlo. Perché non le aveva detto niente?

“Tara?”

La ragazza lasciò cadere il sasso nel vaso e si girò verso la porta.

“Mamma?”

La donna sorrise.

“Tesoro, sono venuta a vedere come stavi.”

“Le ferite si stanno rimarginando, ma non riesco ad alzarmi ancora.” 

Fece una smorfia. Anne si avvicinò al letto e si sedette.

“Non preoccuparti, i prelievi e le iniezioni di questi giorni ti faranno tornare come nuova in pochissimo tempo.”

“Mamma…” mormorò.

“Dimmi, Tara.” 

La ragazza evitò lo sguardo della madre.

“Sono giorni che faccio incubi in cui distruggo tutto con un terremoto. Non riesco a fermarlo…”

La madre ridacchiò. Si sentì accarezzare la guancia.

“Tara, sta’ tranquilla. Era solo un incubo! Nessuno potrebbe mai avere il potere di governare un terremoto.”

La ragazza sospirò. Non era possibile che sua madre non sapesse. Perché glielo stava nascondendo?

“Mamma, io posso.”

Guardò il ciottolo. Esso si alzò in volo, levitò fino a posizionarsi davanti al viso di sua madre.

“Posso fargli fare quello che voglio.”

Il sasso rotolò, si alzò, si abbassò, fece spirali in aria.

Anne rimase immobile, senza mutare espressione.

“Tesoro, io non vedo niente.”

Tara spalancò gli occhi.

“M-ma come? È proprio lì! Lo sto muovendo io!”

Il ciottolo fece una capriola e tornò tra gli altri sassi.

La madre sospirò.

“Tara, l’incidente deve averti shoccato più di quanto pensassi. Non c’è nulla qui che si muove, nulla.”

Le diede un bacio sulla fronte.

Tara la guardò con gli occhi spalancati, la fronte aggrottata.

“Ma…”

“Tranquilla. Adesso ti farò dare un altro sonnifero, hai bisogno di riposo.”

Anne si alzò.

“Ah, già che ci siamo. Questo viene via con me.”

La donna prese il vaso tra le mani, si diresse verso la porta e la aprì. Sorrise girandosi verso di lei.

“Andrà tutto bene, tesoro.”

Uscì.

Tara rimase immobile a guardare il luogo dove Anne era stata appena pochi secondi prima. Gli occhi vitrei, le dita strette al lenzuolo, il corpo tremante.

 

 

 

 

 

 

Entrò in una stanza cubica,completamente bianca. Un enorme balcone dall'altro lato della camera dava su un bosco sempreverde. 

“Red X, ti presento Zero. Zero, questo è Red X.”

In un angolo a leggere vi era una ragazza, bionda, esile. Era seduta composta su un divano, a piedi scalzi, avvolta da un camice bianco da paziente.

La ragazza sollevò gli occhi dalle pagine. Si alzò.

“Ciao mamma.”

Spostò lo sguardo sul ragazzo mascherato e lo fissò.

“Piacere di conoscerti.”

Red X si sentì a disagio. Anche se indossava la maschera, gli occhi blu di quella ragazza rimasero piantati sul suo viso, per secondi. Si sentì nudo, come se lei avesse potuto vederlo oltre la stoffa.

“Ciao.” Rispose.

Si rivolse alla donna, incrociò le braccia. Lei non lo degnava di uno sguardo, si sentì rassicurato.

“Cosa devo fare?”

“Sta’ con lei, qui.”

Tutto qui?  Lo pagavano fior di quattrini per fare da baby-sitter?

“Per quanto tempo?”

“Finché non ti darò un’altra commissione. Finita quella tornerai da lei.”

Red X annuì. Se il lavoro avesse compreso solo il fare da balia ad una ragazzina, che per giunta sembrava molto tranquilla, meglio per lui. Sarebbe diventato ricco senza sforzo.

“Bene Zero, ci vediamo domani.”

La ragazza era ancora in piedi, immobile.

“Va bene mamma. A domani.”

Red X alzò un sopracciglio. Alla faccia della madre premurosa. Oh beh, tanto meglio. Nessuna ragazzina viziata da accontentare.

La donna fece un cenno al ragazzo e uscì, chiudendosi la porta alle spalle.

Red X si appoggiò al muro con la schiena, aveva ancora le braccia incrociate.

“Quindi ragazzina? Che vuoi fare?”

Zero si sedette di nuovo, riprendendo in mano il suo libro.

“Io devo leggere.” 

“Meno lavoro per me.”

Si buttò sul letto al centro della stanza e mise le mani dietro alla testa. La ragazza era assorta, il suo unico movimento era girare le pagine ogni tanto.

Red X sbuffò.

“Che leggi?”

Zero non alzò gli occhi dal suo libro.

“La storia di Markovia.”

“La storia di che?”

“È un piccolo Paese in Europa.”

Fece una smorfia. Già era tanto se riusciva a ricordarsi metà degli Stati dell’America del Nord. Figurati se poteva stare a pensare ad un Paese sconosciuto dell’Europa.

Tornò il silenzio. Red X guardava il soffitto bianco, senza sapere cosa fare. Si rimise seduto.

“Perché non fai qualcos’altro?”

“Mamma m’interroga domani.”

“T’interroga? Mica sei a scuola!”

Red X puntellò il gomito su un ginocchio e appoggiò il mento sul palmo della mano.

“È così da sempre.”

“Che vita di merda.”

Zero si bloccò e alzò gli occhi fissando il ragazzo. Red X sentì ancora quella sensazione di disagio pervadergli il corpo.

“Non conosco un altro tipo di vita.”

Il ragazzo si alzò e si appoggiò di nuovo con la schiena, la suola dello stivale destro sul muro.

“Attento a non sporcarlo con una pedata.”

Red X sbuffò.

“Che palle.” Sbottò tirando giù la scarpa.

“Non sono mai uscita di qui, se non per andare sul balcone. È la cosa che preferisco.”

Il ragazzo aggrottò la fronte. Quella ragazzina non era mai uscita da una camera e l’unica cosa che poteva fare era sedersi su un balcone. Che merda di vita. E non se ne rendeva nemmeno conto.

Zero chiuse il libro e uscì sul terrazzo. Red X la raggiunse, si era appoggiata alla ringhiera.

“Ti piace stare qui?”

La ragazza abbassò lo sguardo, si passò una ciocca di capelli dietro all’orecchio.

“No.” Mormorò.

Red X incrociò le braccia.

“Allora perché non te ne vai?”

Zero si girò verso di lui, scrutandolo.

“Non sono mai stata fuori…”

I suoi occhi azzurri erano piantati nei suoi, coperti dalla maschera. Red X s’immobilizzò. La ragazza mutò espressione, alzò un sopracciglio e rise.

“Che ridi, ragazzina?” 

La ragazza non smise e mise una mano davanti alla bocca.

“Non dovresti sorvegliarmi? Non ti conviene che io non scappi?”

Red X aprì la bocca per replicare, ma si bloccò. Aveva ragione. Fece una smorfia.

“Almeno ci sarebbe più gusto che fare da baby-sitter ad una brava bambina come te.”

Zero ridacchiò, tornando a fissare il panorama alberato.

Il ragazzo si appoggiò alla ringhiera.

“E quelle?” disse facendo un cenno ad un grosso roseto sotto al balcone.

Zero sorrise.

“Le ha piantate mamma per farmi stare meglio. Le avevo viste in un libro. Mi piace molto guardarle, ma non ho mai potuto toccarne una.”

Red X sospirò. Più passava il tempo più pensava che quella ragazza non avesse vissuto nemmeno a metà i suoi…i suoi?

“Quanti anni hai?”

“Diciotto.” 

Solo un anno in meno di lui e doveva farle da balia. Poveraccia. Almeno lui lo pagavano.

“E ti chiami Zero?”

“A quanto pare.”

“Bel nome.” Disse e scoppiò a ridere.

La ragazza serrò la mascella e lo fissò. Il disagio crebbe nel corpo di Red X mentre lo fulminava con lo sguardo.

“Almeno io ne ho uno di nome, anche se brutto.” Sputò.

Red X alzò le mani.

“Touché.”

“Critichi sempre i nomi delle ragazze?” continuò.

Zero aveva i pugni chiusi, la mascella contratta. Le ciocche di capelli erano scivolate dall’orecchio e cadevano dritte in giù, nascondendo il volto al suo sguardo.

I secondi passarono, in silenzio. Red X sospirò.

“Ti piace Rose?”

La ragazza rilassò le mani, 

“Come?”

“Ti piace Rose? Come nome.”

Lei si girò. Il viso era incorniciato dai capelli biondi e gli occhi azzurri erano fissi su di lui. La pelle era bianca lattea. Gli sembrò così delicata da poterla mandare in frantumi toccandola.

Si morse il labbro. Continuava a fissarlo. Che aveva da guardarlo tanto? Non poteva rispondere e basta come le persone normali? Probabilmente a furia di stare rinchiusa in una stanza si era rincoglionita.

“Allora?” disse stizzito.

La ragazza sorrise, lo sguardo le s’illuminò.

“È bellissimo.”

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Capitolo 14
*** Metamorfosi ***


METAMORFOSI

 

 

“Il ragazzino ha parlato ai Titans.”

Slade era in piedi, le mani dietro la schiena, lo sguardo fisso nel vuoto.

“Non ha detto nulla di te, altrimenti lo avremmo già saputo.”

L’apprendista incrociò le braccia.

“È solo questione di tempo, dovremmo sbarazzarcene. Non sopporto che la mia identità sia in mano ad un idiota del genere.”

“Apprendista, mantieni la calma. Sa cosa l’aspetta se non terrà la bocca chiusa. È un vigliacco.”

L’uomo si girò di spalle.

“Per sicurezza però, lo terremo d’occhio…” continuò.

L’apprendista annuì.

“E con i Titans? Stiamo perdendo tempo prezioso: sono già alla ricerca di Terra. Inoltre il rifugio di Anne Markov è sorvegliato a vista.”

“I suoi uomini della sicurezza non mi preoccupano.”

“Non sono loro il problema.”

Slade sciolse le mani e lasciò cadere le braccia lungo i fianchi.

“Red X è un buon avversario, ma è l’unico di valore al suo servizio. Non preoccuparti, finché combatterai sarò sempre dalla tua parte.”

L’apprendista sospirò e serrò le labbra. Annuì.

“E gli altri cinque?”

L’uomo rimase in silenzio per qualche secondo.

“Loro potrebbero rivelarsi un problema. Solo il mutaforma non m’impensierisce, soprattutto ora che è diventato cieco.”

“Beast Boy è sparito. Non è più con loro e non ho idea di dove si possa trovare. Gli altri quattro sono preoccupati, sembra sia stato rapito.”

Slade si voltò.

“Gli ultimi eventi ci sorridono. Dovremmo ringraziare il rapitore per l’enorme quantità di tempo che ci farà risparmiare.”

L’apprendista alzò un sopracciglio.

L’uomo rise, la sua voce cavernosa risuonò per tutto il covo.

“Ti vorrei porre un quesito, apprendista.”

“Sì.” Disse inclinando la testa di lato.

Slade fece un passo in avanti, un fascio di luce illuminò la sua maschera.

“Sei di fronte a due porte, una a destra e una a sinistra.”

“Sì.”

“Ciascuna di queste conduce in un luogo dov’è rinchiuso un diverso individuo. Entrambi sono in pericolo.”

L’apprendista annuì.

“Dietro la prima porta, vi è una persona che ti ha tradito in passato, che ha cercato di ucciderti e che si è approfittata della tua amicizia mettendo in pericolo l’intera città; dietro la seconda, vi è una persona a cui vuoi bene come un fratello, con cui hai passato tanti bei momenti e in cui riponi la tua fiducia più totale.”

L’apprendista annuì.

“Ora, in cuor tuo, chi salveresti?

“La seconda senza dubbio.”

Slade rise.

“Speriamo che i nostri amici siano dello stesso avviso.”

 

 

 

 

 

Si risvegliò in un luogo freddo e umido, il fianco destro poggiava a terra impregnato d’acqua, la testa gli doleva. Si portò le mani al viso: la benda era sl suo posto. Sospirò.

I flash degli ultimi avvenimenti lo assalirono come una mandria in corsa. Si  buttò a sedere e si tastò la nuca. Aggrottò la fronte, le dita scorsero sul profilo dei punti di sutura: avevano curato la sua ferita.

Si alzò e si tolse i guanti. Ispezionò con il tatto il luogo circostante: le pareti erano lisce e fredde, il suolo di nudo cemento. Si fermò: le sue mani avevano trovato delle sbarre. Era in una prigione.

“Aaah!”

Visualizzò nella sua mente un gorilla. Il corpo non rispose. Una tigre, un leone, un ratto, un pipistrello. Nulla.

“Aaah!” 

Dette un calcio di fronte a lui: il clangore metallico risuonò per tutta la cella, perdendosi in un eco.

Si bloccò. Un rumore ritmico, leggero e veloce era al di là delle sbarre. Un cuore stava battendo veloce.

“Da quanto sei lì?” urlò.

“Abbastanza da aver visto tutto il tuo spettacolino.”

Beast Boy serrò la mascella.

“Cosa ti aspettavi, che me ne stessi buono buono qua dentro?”

“Ti è andata bene. Non è nel mio stile uccidere.”

Il ragazzo fece un passo verso di lui.

“Ma ti sbatterò in prigione a Markovia e butterò via la chiave.”

Beast Boy sentì il suo alito schiantarsi sul suo viso. Rabbrividì.

“Ti farò provare lo stesso dolore che ho provato io nel vedere mia sorella in quello stato.” Continuò.

“Sorella? Ma quale sorella? Tu sei fuori!” 

Beast Boy avvertì il respiro del ragazzo accelerare, così come il suo cuore.

“T-Tara era mia sorella…anche se non avevo il piacere d’incontrarla da così tanti anni da pensare di essermi dimenticato del suo viso. Ma quando l’ho vista stesa su quel bancone, esanime, tutto è tornato alla mente. Forse troppo.”

La voce era spezzata. Beast Boy allentò i muscoli. Tendendo le orecchie poteva udire il suo respiro veloce, il battito cardiaco ridotto quasi ad un mormorio, le sue mani stritolare le sbarre. Era affranto e arrabbiato. Forse davvero stava vendicando questa sua sorella, Tara. Forse l’aveva confuso, non poteva essere lì per far del male a Terra, le emozioni lo tradivano. Forse si trattava solo di un malinteso. 

“Amico, io non conosco questa Tara di cui parli. Sulla spiaggia io stavo cercando una mia amica, Terra. Potrebbe essere in pericolo, quindi se mi lasciassi andare mi faresti un piacere. Devo assolutamente ritrovarla in fretta!”

Seguirono secondi di silenzio, Beast Boy avvertì il cuore del ragazzo di fronte a lui rallentare di botto.

“Tara è Terra.” Mormorò.

Tara…Terra?

Le dita del ragazzo allentarono la presa sulle sbarre, Beast Boy lo sentì inumidirsi le labbra.

Quel ragazzo di fronte a lui… suo fratello? Beast Boy spalancò gli occhi. Stesa su un bancone…esanime? Cosa voleva dire esanime?

“Tara è Terra? Cosa vuol dire Tara è Terra? Cosa le hanno fatto?”

Buttò fuori quella frase in un unico colpo, finendo il fiato che aveva nei polmoni. In quel momento fu la sua voce ad essere spezzata. Il respiro si fece affannoso. S’immobilizzò, il cuore fu l’unica cosa che riuscì a percepire nel suo stesso corpo. Pregò di non dover ascoltare quello che temeva.

“L’hanno uccisa. Un unico colpo sulla nuca. Ho visto il suo corpo addormentato su un tavolo di metallo, nuda, coperta solo da un lenzuolo. Ho abbracciato a lungo la sua pelle gelida.” 

Pronunciò quella frase lento, soffermandosi su ogni dettaglio, la voce tremolante.

Beast Boy perse un battito. Terra… morta? Ogni parola di quelle frasi lo colpì come un pugnale al petto, mentre la immaginava stesa, illuminata da luci fredde e artificiali, inerte.

Poche ore prima era lì, a pochi chilometri da lui, l’aveva potuta quasi sentire, per un attimo aveva creduto che le cose sarebbero tornate come prima. Morta. Le tornò in mente quel momento, a scuola, in cui aveva provato a farla tornare.

“Prendi questo, per ogni cosa potrò accorrere in tuo aiuto.”

Tese la mano con il trasmettitore verso di lei. La ragazza si allontanò di un passo, i libri stretti fra le braccia.

“Non mi serve.”

“Per favore.”

Negò con il capo, i capelli biondi le coprivano la faccia.

“Beast Boy, no. Le cose cambiano.”

Se solo lo avesse preso, se solo lui avesse insistito di più magari…magari adesso sarebbe diverso. Magari sarebbe viva.

“Stai piangendo?”

Beast Boy si riscosse dai sui pensieri. Fiotti di lacrime calde stavano scorrendo sulle sue guance inzuppando la benda. 

“Perdonami.” Disse.

“Le volevi bene?” continuò il ragazzo.

Ricordò di quando l’aveva incontrata, nel canyon, di quando pensava di doverla salvare e invece lei aveva risolto la situazione da sola; ricordò di quando gli confidò di non riuscire a tenere a bada i suoi poteri; di quando scappò per un malinteso e poi tornò, dalla parte di Slade; del loro appuntamento al luna park; del suo sacrificio in cui era rimasta pietrificata.

Ad ogni ricordo le lacrime scesero giù irrigandogli le guance.

“Le volevo più che bene.” 

Abbassò il volto, la benda bagnata si era fatta pesante.

“Mi parleresti di lei?”

Beast Boy sollevò il viso.

“Cosa?”

“Mi parleresti di lei?”

Il mutaforma tirò su con il naso.

“La prima volta che la vidi pensavo fosse una semplice ragazza da salvare.” Sorrise a mezza bocca.

Beast Boy buttò fuori tutto, tutti i suoi ricordi, tutte le sue paure. Non si fermò per tutto il racconto e il ragazzo di fronte a lui non lo interruppe mai. Non era mai riuscito a parlare di Terra nemmeno con i suoi amici. Li conosceva: l’avevano perdonata per il suo errore, ma non del tutto. Non era libero di sfogarsi con loro, non l’avrebbero compreso, l’avrebbero zittito come quella volta che l’aveva vista a scuola; la volta in cui non vollero cercarla. Volevano bene a Terra, ma non avrebbero mai tenuto a lei quanto lui, non si sarebbero mai più fidati di lei come si fidava lui.

Alla fine di tutto, inspirò profondamente e buttò fuori tutta l’aria che aveva in corpo.

“Grazie per aver fatto sentire meno sola mia sorella. Sei riuscito dove io e mio fratello abbiamo fallito.”

Beast Boy si mise a sedere.

“Mi racconteresti della sua vita prima di venire in America? Lei non ci raccontò mai nulla.”

Il ragazzo sospirò.

“Tara Markov era la mia sorellastra. Figlia illegittima Viktor Markov, mio padre e re di Markovia, e di una donna americana, Anne.”

Beast Boy spalancò gli occhi.

“Figlia di un re? Una principessa? Terra?”

“Esattamente. Viveva a corte, mio padre la adorava, e così io e Gregor. Non abbiamo mai avvertito alcuna differenza tra noi e lei, era semplicemente la nostra Tara: esile, goffa, insicura. Un giorno un barone fece un colpo di stato e uccise mio padre, facendo scoppiare una rivoluzione. In quel momento la situazione precipitò, la gente era affamata, erano più i criminali delle brave persone, il popolo era ingovernabile. Quando tutto sembrava perduto si fece avanti la dottoressa Helga Jace, illustre scienziata del nostro Paese. Si offrì di darci dei poteri per poter sedare le rivolte e riportare il legittimo sovrano sul trono. Gregor le rise in faccia, restio ad offrirsi per la causa; io e Tara, invece, provammo. Furono fatti degli esperimenti su di noi che in poco tempo ci diedero numerosi poteri collegati alla terra. Lei prese parte al primo progetto sperimentale. Il siero che le fu somministrato non era ancora perfezionato e per questo ha molta più difficoltà a controllarsi. Dal suo risultato, fu creato un nuovo composto che andò a modificare anche il mio DNA.”

Beast Boy era a bocca aperta.

“Vi siete lasciati modificare per salvare il vostro Paese?”

“Io e Tara amavamo il nostro popolo e volevamo vendicare nostro padre. Combattemmo e riportammo la pace a Markovia; lei come Terra, io come Geo-Force. Gregor, il mio fratello maggiore, diventò re e prese il comando. Tara dovette andarsene per non generare scandali in quanto figlia illegittima.”

“Ma vi aveva aiutati…”

Geo-Force sospirò.

“Lo so, ma il Paese stava uscendo in quel momento da una situazione delicata. Uno scandalo proprio in quel momento avrebbe rischiato di distruggere la fragile monarchia che eravamo riusciti a ricostruire e di vanificare tutti i nostri sforzi. Anche lei accettò la cosa di buon grado e partì per l’America con la madre. Da quel momento non l’ho più vista, se non fosse stato per pochi giorni fa…”

La voce divenne tremolante in quell’ultima frase. Beast Boy si sentì investire da una nuova ondata di tristezza. Il racconto di quel ragazzo l’aveva toccato e ricordare con lui i momenti in cui era stato vicino a Terra gli aveva infuso del calore in tutto il corpo. Ora che il silenzio regnava di nuovo, però, lo sconfortò lo assalì di nuovo: Terra non c’era più. Non aveva fatto in tempo.

Si morse il labbro.

“Fu un duro colpo quando Terra non si ricordò di me.” Disse portando le ginocchia vicino al mento. “Volevo farla tornare da noi, ma non mi seguì. Adesso mi chiedo: se avessi insistito ora sarebbe viva?”

Geo-Force aprì la porta della cella. Beast Boy non si mosse, aveva il volto incassato tra le gambe, il corpo tremava. Sentì una mano appoggiarsi sulla sua spalla.

“L’avevo persa una volta, quando si era tramutata in una statua. Ora l’ho persa di nuovo…” sussurrò. “Non ha voluto ricordarsi di me, perché?”

“No.”

Il tono di Geo-Force era fermo.

“C-cosa?” Beast Boy spostò il viso verso di lui.

“Se quello che mi hai raccontato è vero, tu sei parte di uno dei suoi più bei ricordi, uno dei pochi. Non avrebbe mai voluto dimenticarti di sua volontà. Credo sia stato semplicemente l’effetto della metamorfosi.”

“Metamorfosi?”

Beast Boy alzò un sopracciglio.

“La terra cura le nostre ferite più gravi e, avvolgendoci in un bozzolo, rimargina i traumi subiti e ricostruisce i tessuti. È come se i nostri poteri ci mantenessero in vita. Sicuramente la forza usata da Tara per fermare il vulcano è stata così grande da rischiare di consumarla e ucciderla. La statua era solo un involucro per non permetterle di disintegrarsi, per preservare il suo corpo e la sua mente. In questi anni ha rimarginato le proprie ferite, fino a poter rinascere in un nuovo stato.”

Beast Boy rimase a bocca aperta. Tutte le prove di quegli anni per rianimarla si erano dimostrate vane: incantesimi, analisi chimiche, preghiere, tutto. Lui e gli altri avevano perso la speranza dopo mesi e mesi di tentativi. Invece Terra si stava curando da sola, per rinascere come una farfalla.

“E come mai non si ricorda?”

Geo-Force sospirò.

“Non so perché non si ricordi più di nulla, forse perché il potere aveva consumato troppo la sua mente, o forse perché si sentiva eccessivamente in colpa per ciò che vi aveva fatto. In ogni caso, la terra ha rimarginato anche le sue ferite psichiche, provocandole amnesia. Rimuovendo il ricordo legato a Slade e al tradimento, lei sarebbe stata in grado di sopportarlo una volta uscita dal bozzolo. Nulla è da escludere, se non che non avrebbe mai dimenticato di proposito.”

Terra…

Si morse il labbro. Avrebbe dato qualsiasi cosa per riaverla indietro, per poterci scherzare di nuovo come una volta. 

“So come ti senti. Anche a me è crollato il mondo addosso una settimana fa. Nella mia testa è come se fosse ancora viva e vegeta…”

Beast Boy si bloccò. Un dubbio s’insinuò nella sua mente.

“Da quanto tempo sono qui?”

“Tre giorni, più o meno.”

Tre giorni? Com’era possibile? La scossa l’aveva avvertita proprio quel pomeriggio in cui era stato colpito alla testa. Inoltre non c’erano dubbi: la spaccatura sulla spiaggia era opera di Terra. Come poteva essere stata vista morta una settimana prima?

Ma allora…

“È impossibile…” sussurrò.

“Cosa?”

Beast Boy si morse il labbro.

“Terra non può essere morta!”

 



Angolo dell'autrice
Sono tornata!
Di lunedì, puntuale come sempre. In realtà non so precisamente cosa scrivere in questo angolo, se non ricordare che il passato di Terra è ispirato al fumetto. Quindi Viktor Markov, il barone Bedlam, la dr. Helga Jace esistono davvero nell'opera cartacea. Ho scelto questo per rendere Tara più verosimile, ma non fraintendete. Come molte cose sono riprese, altre differiscono dall'originale. È pur sempre una fan fiction! 
Spero di aver fatto perdonare la mia assenza con un capitolo più lungo del solito, anche se piuttosto complicato da scrivere. Sistemare i malintesi non è mai una passeggiata...
In ogni caso, la pubblicazione settimanale riprenderà senza intoppi. Ora corro a rispondere alle vecchie recensioni e a commentare le storie che ho lasciato in sospeso!
Alla prossima!

x Carlotta

 

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Capitolo 15
*** La prima mossa ***


LA PRIMA MOSSA

 

 

Robin era seduto sul divano della torre con le mani giunte di fronte al viso, il fascicolo di Terra sopra le ginocchia. 

Gli altri tre titans lo guardavano senza dire una parola. Cyborg aveva le braccia larghe sulla sommità dello schienale , Raven aveva il volto nascosto dal suo cappuccio scuro, Starfire aveva la fronte aggrottata e giocherellava con le dita sul grembo. Robin si morse un labbro.

“Abbiamo la certezza che questa Tara sia Terra. Abbiamo la sua foto, sappiamo il suo indirizzo, sappiamo la sua età, sappiamo il suo nome.”

Deglutì, la ragazza in foto lo fissava: era identica. Sospirò.

“Beast Boy è sparito proprio nell’andare a cercarla.”

Nella stanza nessun altro rispose, tutti rimasero immobili.

“Pensi che ci sia lui dietro tutto questo?” disse Star.

“È possibile.” 

“Ovviamente, ci sono io.”

I quattro titans si girarono all’unisono verso l’enorme schermo vicino a loro. Robin balzò in piedi.

“Slade!”

L’uomo era comparso nel televisore, in primo piano, nascosto come sempre dalla sua maschera.

“Dov’è Beast Boy.” Ringhiò Robin e si avvicinò di un passo.

“Oh Robin… Beast Boy è con me.” 

“Dove l’hai portato!” 

Cyborg scattò in piedi e attivò il cannone.

“Vuoi sparare allo schermo?” disse l’uomo, con calma.

Il ragazzo digrignò i denti e non replicò.

“Ad ogni modo, il vostro amico è con me.”

“Cosa vuoi Slade? Cosa vuoi da Beast Boy? Cosa vuoi da Terra?”

“Quante domande, Robin. Ho il tuo amico alla discarica abbandonata. Non sembra essere molto a suo agio sotto la pressa, fossi in te mi partirei subito!”

Robin strinse il pugno di fronte al suo viso.

“Non ti azzardare a fargli nulla, o te la faremo pagare.”

L’uomo rise sollevando le spalle.

“A presto.”

La comunicazione s’interruppe, lasciando spazio allo schermo nero. Tutti si girarono verso di Robin. Il leader aveva i pugni stretti lungo i fianchi.

“Andiamo a riprenderci Beast Boy.”

“E Terra?” Cyborg rinfoderò il cannone.

“Potrebbe esser in pericolo anche lei.” disse Star fluttuando a qualche centimetro dal pavimento.

Robin fece schioccare la mascella.

“Lo so, non è una bella cosa. Ma è grazie a me se Beast Boy è stato preso, dovevo essere più prudente.”

“Sei sicuro?” disse Raven.

Robin si fermò. E se Terra fosse in pericolo? Scosse la testa. Anche Beast Boy lo era, ed era colpa sua: ciò bastava. Inoltre se fosse stato Slade l’artefice di tutto, andare a combatterlo alla discarica sarebbe stata anche la via più diretta per trovare l’amica.

“Sì. Andiamo.”

Il ragazzo corse fuori dalla torre, seguito a ruota dagli altri tre.

 

 

 

 

 

Un’ombra si materializzò alle sue spalle.

“Apprendista, è il momento.”

La figura annuì, compiendo un leggero inchino.

“Non la deluderò, maestro.”

 

 

 

 

 

 

“Oggi non leggi?”

Rose era seduta sul divanetto, con i piedi nudi sul tessuto.

“Per oggi ho fatto abbastanza, ormai è sera, non ho più voglia.”

Red X si sedette vicino a lei.

“Com’è andata la visita?”

La ragazza si scostò i capelli dal viso e li sistemò dietro all’orecchio.

“Mi hanno fatto due iniezioni, questa volta con una grossa siringa sulla schiena.”

“Perché ti fanno tutto questo?” 

Red X appoggiò il mento su una mano. Perché la riempivano di iniezioni, prelievi e non la facevano mai uscire? L’unica cosa che era riuscita ad ottenere  era il materiale per dipingere. Sbuffò. Che tristezza di vita. Non se la sentiva nemmeno più di prenderla in giro, non avrebbe mai voluto trovarsi nella stessa situazione.

“Non lo so. Mentre iniettavano la prima volta, ho sentito mia madre dire qualcosa alle infermiere.”

Red X alzò un sopracciglio.

“Del tipo?”

“Che finalmente potevano passare a queste iniezioni perché era accaduto qualcosa di particolare, non so cosa. Non ero attenta, sinceramente.”

“Mossa intelligente.”

Rose sollevò gli occhi e lo fissò, seria.

“Ci hanno messo dieci minuti per far penetrare l’ago nella mia colonna, alla seconda iniezione. Ho sentito la mia schiena diventare come un grosso blocco unito, ci son volute due persone per riuscirci.”

Red X aggrottò la fronte. Due persone per iniettare della roba ad un esserino come quello? Impossibile. Più la guardava più gli sembrava fragile, a volte aveva paura persino ad avvicinarsi. 

Non rispose. La ragazza si alzò e andò a sedersi sulla sedia in balcone. Red X la seguì.

“Se ti prendi un accidente, poi mi decurtano la paga.”

Rose ridacchiò.

“Ti preoccupi per me?”

Red X si bloccò, incrociò le braccia.

“Se prendi il raffreddore io guadagno di meno. E poi sei anche debilitata.”

Rose lo guardò e sorrise. Red X provò di nuovo quella sensazione di disagio. Si avvicinò alla ringhiera.

“Vuoi uscire?”

Rose si girò verso di lui e si passò una ciocca dietro all’orecchio.

“Cosa?”

“Vuoi uscire?” ripeté il ragazzo.

La ragazza si alzò, si avvicinò di qualche passo.

“C-come? Non si può, non mi è permesso uscire, se ne accorgerà!” disse torturandosi le dita.

Red X sbuffò. Alzò il braccio e fece il gesto di imitarla con la mano, unendo ripetutamente il pollice con le altre dita.

“Bla bla bla.”

Scattò e la prese di forza, issandosela sulla schiena, poi saltò. L’aria li sferzò, fredda. Rose strinse le braccia attorno al suo collo e affondò il viso nella sua schiena. Non disse una parola.

Red X afferrò un ramo con entrambe le mani, poi si lascio cadere silenzioso sull’erba.

“Puoi scendere.” Disse.

Rose posò i piedi a terra, sciolse il collo di Red X dalla stretta e rimase immobile.

“Beh, che c’è?” 

La ragazza rimase ferma, mosse le dita dei piedi sull’erba.

“Sono… fuori.” Mormorò.

“Sì, Raperonzolo. Sbrigati, non possiamo rimanere qui tutta la sera.”

Rose annuì e fece qualche passo. Si avvicinò lenta al roseto e vi si accovacciò di fronte. Red X la affiancò. La ragazza osservava i fiori rossi, dallo stelo lungo.

Stette in contemplazione per qualche secondo, la pelle era lattea sotto i riflessi della luna, sembrava scintillare. Red X aggrottò la fronte: era stata l’impressione di un attimo.

La ragazza allungò un braccio e toccò lo stelo di una rosa.

“Ahi.” Ritrasse la mano.

Rose si guardò l’indice: da un piccolo taglietto rosso vivido uscì una goccia di sangue.

“Ecco che se ne va metà paga…” borbottò Red X.

La ragazza non gli badò e si alzò in piedi, rivolse lo sguardo in alto, verso la camera di fianco la sua. C’era la luce accesa.

“Quella è la stanza di Tara…”

Red X si stiracchiò.

“Sì è quella, perché?”

Rose rimase immobile a contemplare la luce azzurrina della stanza.

“L’ho sentita piangere stanotte.”

Red X incrociò le braccia.

“Quindi?”

“Anche lei non può mai uscire dalla sua stanza.”

Red X non rispose, la ragazza aveva lo sguardo ancora in alto, come in trance.

“Parlale. Credo si senta sola.”

“Tu sei sempre stata sola.” Replicò il ragazzo.

Rose si girò verso di lui, inclinò la testa.

“Proprio perché lo sono stata non voglio che lei si senta come me.” Disse e si accarezzò una ciocca “Poi io non lo sono più.”

Red X deglutì e deviò lo sguardo.

“Ti riporto in camera allora.”

Rose sorrise, gli occhi le s’illuminarono.

“Grazie.”

Il ragazzo la caricò in spalla.

 

 

 

 

 

La discarica era deserta, un enorme spiazzo circolare in mezzo a montagne di rifiuti. I Titans erano disposti a quadrato, ognuno parando le spalle dell’altro.

“Siete arrivati finalmente.”

Slade piombò nello spiazzo, di fronte al leader del gruppo. Robin si mise in posizione da combattimento.

“Slade! Dov’è Beast Boy?”

Slade rise.

“Movimentiamo un po’ la cosa, non può finire tutto subito!”

Alzò un braccio e fece schioccare le dita. Rumori metallici si propagarono per tutta la zona, rottami caddero dalle colline di rifiuti facendo baccano. Da sotto i cumuli uscirono centinaia di robot, che si stagliarono su tutto il perimetro  dell’arena.

A scatti scesero fino al terreno e li accerchiarono. 

“Lasciate Slade a me! Titans, all’attacco!”

Robin scattò in avanti, Slade schioccò un’altra volta le dita provocando l’assalto istantaneo dei robot.

Gli altri Titans si strinsero a triangolo: Star si alzò in volo e le sue mani si ricoprirono di aloni verdi; Raven si contornò d’energia nera e rimase ben salda a terra in posizione da combattimento; Cyborg sfoderò il cannone che si riempì subito di luce blu.

Robin sferrò un calcio in faccia a Slade, che lo parò con una sola mano afferrando la scarpa del ragazzo. Lo spinse via con forza facendolo cadere a terra. Il leader prese il bastone e lo allungò, corse in avanti e sferrò un fendente sinistro verso il fianco di Slade. L’uomo si protesse con l’avambraccio e indietreggiò, per poi afferrare il colpo successivo, diretto alla sua testa. Chiuse le dita attorno all’oggetto metallico e fece forza: Robin venne sbalzato in avanti e l’uomo lo colpì con un pugno allo stomaco.

Una macchina rotta stava alle pendici di un cumulo d’immondizia. Gli aloni neri attorno le mani di Raven s’ingrandirono:

“Azarath Metrion Zinthos!” 

Una decina di robot venne colpita dall’auto in volo. Ogni pochi secondi un fascio di luce azzurra illuminava l’area, Cyborg colpiva gli umanoidi cercando di metterne k.o. Il più possibile con una sola mossa. Star si era alzata in volo e lanciava sfere di energia addosso ai nemici formando numerosi crateri nel terreno.

“Dov’è Beast Boy!”

Robin sferrò un pugno sul volto di Slade, facendolo indietreggiare.

“Calma, Robin. Abbiamo appena iniziato.”

L’uomo dette un calcio alla caviglia del ragazzo, facendolo cadere a terra e alzò il piede per schiacciarlo.

“Robin!”

Un alone di energia verde colpì Slade in pieno petto sbalzandolo di diversi metri. Nell’impatto caddero altri tre robot in scintille elettriche. 

Robin si alzò e corse verso Slade, saltò per colpirlo con il bastone, ma lui fece leva con le gambe sulla sua pancia e lo catapultò via. Robin fece una capriola in aria e atterrò in ginocchio, per poi voltarsi tornare all’attacco.

Cyborg prese le teste di due umanoidi e le sbatté insieme, facendole collassare. Ne prese poi un altro e ruotando su se stesso lo sbalzò via contro un robot che stava attaccando Raven. 

“Sono troppi!” urlò.

Raven stava utilizzando qualunque oggetto utile nell’area: macchine, frigoriferi rotti, tavoli, poltrone. Lanciava tutto addosso ai robot per abbatterne il più possibile. Per ogni umanoide caduto almeno altri due rispuntavano al suo posto.

Star si ritrovò accerchiata da un gruppo di sei robot. Due la bloccarono per le braccia e gli altri quattro si avvicinarono, sommergendola. Un alone verde rischiarò quell’accumulo di ferro, che venne poi sbalzato lontano in un’esplosione d’energia. La ragazza respirava a bocca aperta per la fatica con gli occhi ancora verdi.

“Sembrate stanchi.” Slade rise.

Robin, ansimante, si girò verso i compagni. Raven era piegata sulle gambe e gli aloni neri erano diminuiti di diametro; Cyborg rimaneva fermo ad aspettare che i robot si avvicinassero troppo e non azionava più il cannone. Star non volava più e aveva il volto stanco.

Robin serrò la mascella e sferrò un gancio a Slade, colpendolo in pieno viso e buttandolo a terra. Lo raggiunse e gli piantò un piede nello stomaco. Slade gemette.

“Dov’è Beast Boy.”

L’uomo rise, Robin spinse con più forza.

“Beast Boy… Beast Boy. Ho forse detto che era con me? Devo essermi sbagliato.”

Robin digrignò i denti.

“Cosa vorresti dire?”

“Non è qui il tuo amico.”

Robin sferrò un calcio al suo fianco e rimise lo stivale sullo stomaco.

“Cosa vorresti dire…” si morse il labbro, spalancò gli occhi “Dov’è il tuo apprendista?”

Slade non rispose, girò il volto verso Robin e si abbandonò ad una folle risata.

 

 

 

 

 

Red X bussò alla porta della stanza. 

“A-avanti.”

Infilò la chiave nella toppa e girò. Una ragazza stava seduta nel letto, con una grossa garza bianca sul suo collo. Il suo viso era spaventato, gli occhi spalancati.

“Chi sei tu?”

Red X richiuse la porta alle sue spalle.

“Mi chiamo Red X. Tua madre mi paga per farti da baby-sitter.”

La ragazza aggrottò la fronte.

“Cosa?”

Red X alzò le spalle.

“Vengo pagato per darti un’occhiata. E mi chiamo Red X.”

La ragazza non rispose. Era identica a Rose, ma sembrava più robusta e la sua pelle non era bianca lattea. Probabilmente qualche mese fa non l’avrebbe mai notato, ma ora era talmente tanto in contatto con Rose che quei dettagli saltavano subito all’occhio. Era diversa. Non c’era la delicatezza remissiva della sorella, né lo sguardo che tanto lo colpiva. Era uno sguardo più confuso, ma anche più determinato. Quello di Rose era più… rassegnato.

“Mi chiamo Tara.”

“Piacere. Tua sorella mi ha detto di venire a parlarti, stanotte hai pianto.”

Tara aggrottò la fronte.

“Quale sorella?”

Red X alzò un sopracciglio.

“Tua sorella, la tua gemella. Bionda, occhi azzurri, decisamente somigliante a te…ricordi?”

Tara si rannicchiò sotto le coperte.

“Io non ho mai avuto alcuna sorella.”

Red X sbuffò.

“Senti, non farmi perdere la pazienza. Rose! O meglio, Zero. Capisci? Non è diff-”

Uno schianto lo interruppe. Proveniva dalla stanza al fianco della loro. 

“Oh no…”

Spalancò la porta della camera di Rose. Una figura vestita di nero era sul balcone e teneva la ragazza attaccata a sé, minacciandole il collo con un coltello e tenendo l’altra mano a coprire la sua bocca. Rose era esangue, gli occhi spalancati e lucidi piantati in quelli di Red X. Il ragazzo si sentì trafitto da quello sguardo. Era immobile, dritta, sulle punte per non farsi ferire dalla lama.

“Lasciala subito!”

Red X fece un passo.

“Menagramo! Mi chiedevo quando saresti arrivato!”

“Non farmelo ripetere. Lasciala.”

La figura rise.

“Dopo tutta questa fatica? Mesi e mesi ad aspettare un passo falso… mi dispiace, Tara verrà via con me.”

Red X spalancò gli occhi. Le parole della figura furono un brusio indistinto per lui. Era catalizzato dalla ragazza, stretta nelle mani di quell'individuo in nero. Rose lo guardava, ma non piangeva. Gli occhi erano lucidi, ma nessuna lacrima stava bagnando il suo viso. Era paralizzata. Non l’avrebbe lasciata ferire, non l’avrebbe permesso.

Red X estrasse due X esplosive dal costume.

“Che vuoi fare? Colpirmi? Ma poi colpiresti anche lei.”

Red X si bloccò.

“Scelta difficile, vero?”

Non poteva farle del male, non se lo sarebbe perdonato. I soldi sarebbero…al diavolo, si era affezionato a quella ragazza. Non poteva rischiare di colpirla. Era la sua unica… amica.

“Beh, mentre ci pensi, io tolgo il disturbo.”

La figura estrasse una pallina dal costume e la lanciò nella stanza. Scoppiò un’esplosione, tremarono le pareti, una coltre di fumo invase l’ambiente, rendendolo impossibile da respirare. Red X si buttò a terra con il viso verso il pavimento, sempre coperto dalla maschera.

Pochi minuti dopo, quando tutto si diradò, la figura era sparita. Con lei, se n’era andata anche Rose.

 

 

 

 

 

Angolo dell'autrice
Sono irrimediabilmente in ritardo, giovedì invece di lunedì. Sarò sincera: ho preparato un racconto per un concorso in quest'ultima settimana, l'ho terminato domenica e la voglia di mettermi a scrivere un capitolo nuovo era sotto lo zero. Ho preferito aspettare rispetto a fare qualcosa di approssimativo. A parte questo non ho altro da dire. 
Spero che il capitolo vi piaccia!
Buona lettura,

x Carlotta

 

 

 

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Capitolo 16
*** Nuove alleanze ***


NUOVE ALLEANZE

 


 


 

Robin afferrò il costume di Slade con entrambe le mani e lo tirò a sé. Pochi centimetri dividevano i loro volti.

“Te lo ripeterò solo un’altra volta. Dov’è il tuo apprendista.” Disse scandendo le parole ad una ad una.

Slade socchiuse l’occhio.

“Robin… tu sei come me. Odi perdere.”

Il ragazzo strinse ancora di più le mani sul tessuto.

“Dov’è il tuo apprendista.”

“Odi perdere, Robin. E ora, hai perso. Dimmi… quanto brucia?”

Slade diede un pugno sullo stomaco al ragazzo. Robin tossì e mollò la presa. Slade gli afferrò le spalle con entrambe le mani e gli diede una testata sul naso.

Si udì un crack, sangue iniziò a scorrere copioso dalle narici. Robin urlò, Slade lo scaraventò a terra.

Il ragazzo atterrò sul fianco e rotolò per qualche metro: il terreno si mescolò alla sua ferita e gli provocò numerose abrasioni sulle braccia e sulle ginocchia.

Robin alzò gli occhi verso i compagni. 

Gli alti riflettori, disposti intorno a tutta l’area, colpivano con la loro luce i suoi tre amici.

Cyborg era per terra, ormai sommerso dai robot: più ne respingeva, più loro tornavano ad accalcarsi sopra di lui; Raven era in ginocchio, il cappuccio si era riversato all’indietro, non coprendole più il viso; Star era al suo fianco e lanciava palle di energia contro gli umanoidi più vicini per allontanarli dall’amica e da se stessa. Erano stremati. 

Slade era in piedi, con le braccia dietro alla schiena, ad osservare la scena.

“Qual è il tuo piano?” biascicò Robin.

Slade si girò verso il ragazzo e si avvicinò, fino a rimanere ad un passo dal suo corpo steso.

“Robin, ho solamente voglia di rivedere una vecchia amica.”

Robin spalancò gli occhi.

“Terra.”

Slade rise.

“Bravo il mio ragazzo, c’è posto anche per te se vuoi, lo sai.”

Robin serrò la mascella.

“Mai.”

Un rombo scosse la discarica, facendo tremare il terreno. Slade si voltò. Tutti si fermarono, Titans e robot. Un altro rombo, più vicino. Con una smorfia Robin si tirò su in piedi e rimase vigile, tenendosi un braccio con l’altra mano.

Slade indietreggiò di un passo.

“Ma cosa…”

Una montagna di roccia si stagliava sullo sfondo, alta il doppio dei colli di spazzatura che circondavano la discarica. La cosa fece un passo dentro l’arena e lanciò un grido acuto verso il cielo notturno. 

Robin spalancò gli occhi. Non era una montagna, era un gigantesco golem di roccia. Era un enorme pupazzo umanoide, composto da centinaia di massi che ne creavano il corpo, tenuti insieme come per magia. 

Slade schioccò le dita. Un centinaio di altri robot comparve dalle sommità delle colline.

Il golem alzò un piede. Nel movimento decine di macigni vibrarono cozzando tra loro; dei detriti, frutto degli urti, crollarono a terra. Starfire si riscosse, una gigantesca ombra circolare copriva lei e la sua amica in ginocchio. 

Gridò: si stava avvicinando. Afferrò Raven sotto le ascelle e prese il volo. L’enorme piede si piantò nel terreno, schiacciando sotto al suo peso una decina di robot e facendo tremare i dintorni. 

Slade schioccò di nuovo le dita. Gli umanoidi attaccarono il golem, aggrappandosi alle rocce sporgenti come per smontarlo pezzo per pezzo. La creatura gridò al cielo e li spazzò via con una manata. Volarono per una decina di metri, prima di schiantarsi al suolo in un cumulo di rottami dai fili elettrici sporgenti. 

Il golem sollevò l’altro piede, le rocce sbatterono seguendo il flusso, un’altra gigantesca ombra venne proiettata sul terreno. I robot nella traiettoria si alzarono e corsero fuori dal raggio d’azione. Cyborg rimase al loro posto steso al suolo, immobile. Aprì gli occhi: un’enorme mole di roccia era sopra di lui. Gridò. Detriti caddero graffiandogli il viso. Il ragazzo affondò le dita nel terreno, mentre il petto si alzava ed abbassava come un mantice. Spalancò gli occhi: non riusciva a muovere le gambe. Serrò i denti per lo sforzo, chiamò all’appello tutta la forza che aveva nel corpo. Nulla, rimasero inerti. 

Urlò. Il peso dei robot sopra di lui doveva aver danneggiato i circuiti. Piantò le mani a terra e si girò prono. Allungò il braccio destro e fece forza, trascinandosi di qualche centimetro; poi il sinistro, poi di nuovo il destro. Il sudore gli inzuppava la faccia, Cyborg gemeva per lo sforzo. Si voltò verso il muro roccioso. Non ce l’avrebbe mai fatta. Nascose la testa sotto le braccia e attese il suo destino. 

Un dolore acuto gli investì le spalle. Cyborg si sentì strattonare e tirare su in aria ad alta velocità. Aprì gli occhi: i piedi dondolavano inerti sotto di lui, lontani dal suolo. Guardò in alto. Uno pterodattilo verde gridò e virò, perdendo quota, fino ad adagiarlo vicino agli altri Titans. 

“Beast Boy!”

L’animale mutò in forma umana e balzò a terra. Starfire si lanciò ad abbracciarlo. Lui la accolse e sorrise.

“Beast Boy, dove sei stato?”

Il ragazzo si girò verso di Robin. Robin lo guardò di rimando. Aveva la benda sugli occhi ma si muoveva come se sapesse alla perfezione cosa stesse accadendo attorno a lui.

“Non vorrei interrompere la riunione di famiglia, ma quella cosa è ancora lì!” urlò Cyborg indicando il golem.

“Ma ora siamo insieme” disse Robin e strinse i pugni “dobbiamo combattere.”

Il leader si voltò verso Slade. Scomparso.

Robin digrignò i denti. Aveva sfruttato la presenza del golem e dell’amico ritrovato come diversivo per scappare. E lui l’aveva permesso. Che idiota. Si girò verso i compagni.

“Slade è scappato, ma manca ancora un mostro da sistemare.”

Beast Boy gli posò una mano sulla spalla.

“Non ce ne sarà bisogno.”

 

 

 

 

 

 

“Mi rispieghi. Lei si è lamentato fino ad ora per la facilità del compito assegnatole. È esatto?”

Red X abbassò il capo. Ci mancava la ramanzina, nemmeno fosse un bambino piccolo.

“Sì, esatto.”

“E lei ha lasciato che venisse rapita la ragazza che stava proteggendo, proprio mentre era di guardia. Giusto?”

Red X sbuffò.

“Sì.”

“È consapevole del fatto che ci saranno delle conseguenze per questo.”

Red X alzò lo sguardo. La donna seduta alla scrivania lo fissava senza tradire alcuna emozione, la biro in mano.

“Per favore, mi lasci cercare la ragazza. La riporterò qui in pochissimo tempo.”

Anne Markov fece un cenno con la mano che teneva la penna, intimandogli di aspettare. Red X tacque.

La donna inspirò.

“A Zero ci penso io, non dovrai più occuparti di lei.”

Red X si scrocchiò le nocche di una mano.

“Sono sollevato dall’incarico?”

Anne appoggiò le mani sulla scrivania e si alzò in piedi.

“No, è innegabile che lei sia un valido combattente. Ovviamente, a fronte di questo incidente, dovrò decurtarle la paga.”

Red X annuì.

“Da questo momento in poi, dovrò avere qualche garanzia.”

Red X alzò un sopracciglio.

“Ovvero?”

“Da adesso lei lavorerà per me, non con me, assicurandomi la sua lealtà assoluta. Ogni mio ordine dovrà essere eseguito e, se accetta, lei non potrà più scindere il contratto.”

“E se mi rifiutassi?”

La donna si sporse verso il ragazzo.

“Le assicuro che non ci sarà ora del giorno o della notte in cui non si pentirà di quello che ha fatto.”

Red X si alzò.

“C’è una cosa a cui tengo più di tutto, molto più dei soldi: la mia libertà. Non vi rinuncerò per una somma decurtata, arrivederci.”

Il ragazzo voltò le spalle alla donna e si avviò verso la porta. Mise la mano sulla maniglia.

“È sicuro di non voler rivedere Zero?”

Red X si bloccò.

“Se volessi potrei anche andare a cercarla da solo.”

“Da solo a combattere contro un uomo come Slade?”

“Non sarò solo.”

“Lei non ha amici. A chi si rivolgerebbe? Ai Titans? Dopo aver menomato uno di loro?”

Red X spalancò gli occhi, si girò verso Anne. 

“Lei sa molte cose.”

“Più di quanto immagina.”

Red X si morse il labbro. Non avrebbe mai potuto farcela da solo contro Slade, non aveva alleati. Avrebbe potuto andarsene, in quel momento, evitare tutti i problemi. Rose, poteva davvero lasciarla a quell’uomo senza fare nulla per lei? Si era rincoglionito, ecco cosa. Doveva andarsene, doveva. I sensi di colpa cominciarono ad infiltrarsi nella sua mente, immobilizzandolo. Sentiva lo sguardo di Rose piantato su di lui, anche se non era presente nella stanza. Si sentì a disagio.

“Non la vedo più tanto sicuro.”

Red X sospirò.

“Firmerò.”

Anne sorrise.

“Ottima scelta.” 

 

 

 

 

 

 

“Quindi mi farai compagnia fin quando non mi rimetterò in sesto?”

Tara si levò un a garza dal braccio, l’appallottolò e la lanciò nel cestino. La ferita si era ormai rimarginata. 

“Questa è l’idea.” 

Red X era seduto su una sedia vicino alla finestra.

“Ti piace guardare fuori?”

“Alternative, in questo cubo bianco?”

Tara si staccò un’altra garza e la buttò. Solo un livido verdognolo al suo posto.

“Ottimista.”

Red X sbuffò. Era una giornata soleggiata, silenziosa, calda.

“Vieni qui.”

Red X si riscosse.

“Cosa?”

“Vieni qui, aiutami ad alzarmi.”

Red X si avvicinò alla ragazza e le porse il braccio. Lei si mise seduta sul letto, con le gambe a penzoloni. S’appoggiò e fece forza. Si mise in piedi con una smorfia. Rimase per qualche secondo così, tremando sulle proprie gambe e combattendo il dolore al fianco e alle ginocchia. Piano, staccò le dita dall’avambraccio di Red X, reggendosi da sola. Avanzò di un piccolo passo e si fermò per riacquistare l’equilibrio. Sul viso aveva una smorfia costante: la ragazza arrivò fino alla finestra, dove si appoggiò al davanzale. Si mise a ridere ed alzò le braccia al cielo.

“Sì, ci sono riuscita!”

Red X s’avvicinò a lei, rimanendole di fianco. Tara si stava specchiando nel riflesso del vetro. Con la mano, piano, andò a prendere la garza sul collo con l’indice e il pollice e la stacco con un movimento lento. Le ferita si era rimarginata, ma sulla pelle era incisa una cicatrice rosso vivido. Fece una smorfia.

“Poteva andare peggio.”

Red X sospirò. La giornata si stava svolgendo in maniera decisamente lenta. Anne aveva promesso che avrebbe pensato a Rose, ma cosa avrebbe mai potuto fare? Aveva molti uomini, ma nemmeno uno che si avvicinasse lontanamente alla sua bravura. 

“Pronto? Ci sei?”

Red X si ridestò.

“Eh? Che vuoi?”

“Sei un pessimo baby-sitter.” Disse Tara, guardando al di là della finestra.

Red X non rispose. Era bloccato lì ad aspettare e a sorvegliare quella ragazza, che non sapeva nemmeno di avere una sorella a quanto pare. Era almeno la terza volta che glielo chiedeva.

“Quindi tu non ricordi di avere una sorella gemella?”

“Io sono sicura di non avere sorelle. E tre.”

“Io ho conosciuto tua sorella, è identica a te. Se non avessi passato tanto tempo con lei, non riuscirei a notare la differenza.”

Tara si girò verso di lui, scrutandolo con gli occhi bene attenti. Si scostò una ciocca di capelli dall’occhio destro.

“Io non ho sorelle.”

“È stata lei a mandarmi qui, ieri. Diceva di averti sentito piangere.”

Tara abbassò lo sguardo.

“È vero.”

“Perché?”

Tara sospirò.

“Perché sto impazzendo.”

Red X alzò un sopracciglio e incrociò le braccia.

“Cosa?”

Tara aprì la finestra. Una leggera brezza le scosse i capelli, la ragazza rimase immobile. Red X attese, sconcertato. Bene non stava sicuro, era imbambolata a guardare il vuoto. Il ragazzo aggrottò la fronte. Gli occhi di Tara stavano virando verso un altro colore, il giallo. Brillavano, mentre la sua bocca era ridotta ad una fessura. Tara stese la mano destra, con il palmo rivolto verso l’alto. Un sasso entrò levitando dalla finestra e si posò aggraziato sulla sua pelle, senza produrre rumore.

“Vedi, io adesso sono convinta di aver spostato un sasso, ma non è così.”

Red X fece una smorfia.

“Stai bene? Tu hai posato un sasso sulla tua mano. Non lo vedi?”

Tara spalancò gli occhi.

“Allora è vero?”

“Sì?”  

Red X era sconcertato. Pronto? Hai appena fatto volare un sasso sulla tua mano e mi dici che non è vero? Bah, forse è pazza sul serio.

Tara chiuse il sasso nel pugno e lo strinse. Aveva serrato la mascella.

“Tutto bene?”

La ragazza si riscosse e sorrise.

“Certo.” Disse e buttò il ciottolo di sotto.

Tara si spostò a passo incerto verso il letto e si stese.

“Quindi chi è davvero?”

Red X si avvicinò e si sedette.

“Cosa?”

“Chi è davvero la mia non-sorella?”

“Semplice, è tua sorella.”

“Lo saprei se l’avessi.”

“Fino a due minuti fa pensavi di essere matta per spostare sassi immaginari.”

Tara ridacchiò.

“Cosa penseresti se vedessi una persona uguale a te, ma fossi sicuro di non avere parenti?”

“Un sosia? Uno scherzo della genetica? Un clone? Semplicemente tua sorella?”

Tara sospirò, guardando Red X da sotto le coperte. Giocherellò con una sua ciocca tra le dita 

“L’hanno portata via con l’esplosione?”

Red X abbassò lo sguardo, iniziando a seguire mentalmente i contorni delle mattonelle bianche del pavimento.

“Sì.”

Tara si tirò su a sedere.

“Chi è stato?”

“Un uomo, Slade. Il vigliacco non è venuto di persona, ha mandato una specie di lecchino, un apprendista.”

Red X si fermò. Aveva lasciato trasparire fin troppa rabbia nel suo tono, lei avrebbe potuto insospettirsi. La ragazza era immobile, esattamente come quando aveva richiamato il sasso a sé. Strana era strana, decisamente.

Tara spalancò gli occhi. Si poggiò la mano ad una tempia.

Red X aggrottò la fronte.

“Tutto bene, ragazzina?”

Lo sguardo della ragazza rimase immobile, vitreo.

“Sì, tutto bene. Però mi sembra… mi sembra di ricordare qualcosa.”

Red X piantò una mano sul materasso.

Ricordava qualcosa? Slade? Come poteva conoscerlo? 

Red X si accarezzò il mento. 

Dopotutto l’apprendista voleva lei, non Rose. Aveva senso. Quella ragazza bionda era la chiave. Avrebbe potuto portarlo da lei. Avrebbe scambiato le due ragazze, se necessario. Tara doveva solo ricordare, semplicemente quello. E magari avrebbe potuto aiutarlo con i suoi poteri geocinetici. La spaccatura sulla spiaggia era opera sua, non c’erano dubbi. Allora perché essere convinta del contrario? 

Red X sospirò. 

Anne nascondeva troppe cose. Chi era Rose, se non la sorella di Tara? Che cosa voleva ottenere la dottoressa Markov? 

“Tu conosci Slade?” si limitò a dire.

Doveva saperne di più e quella biondina gli avrebbe certamente dato una mano.

Tara era persa avanti a sé, i suoi occhi erano assenti, non mettevano a fuoco nulla. 

“Sì.”

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Capitolo 17
*** Visite ***


VISITE

 

 

 

 

Wollman Rink era di fronte a loro, maestosa e gremita di gente.

“Ragazzi, New York è bellissima!” urlò Amber alzando le braccia al cielo.

“Ottima idea per una gita di fine anno!” ridacchiò Dionne.

“Tara? Che ne dici, ti piace questo posto?”

La ragazza stava fissando in silenzio le persone pattinare sul suolo ghiacciato. Le guance erano arrossate per il freddo, aveva un cappello blu calato fino a coprirle quasi tutta la fronte.

Si girò verso James.

“È bellissimo, ma non so pattinare.”

“Prova! Vedrai che ti diverti!”

«Ti conviene per il tempo che ti rimane.»

La ragazza arrossì e sorrise.

“Proviamo!”

Amber e Dionne la trascinarono a noleggiare i pattini. Erano ancora indivisibili. James sbuffò. Come avrebbe potuto farla affezionare con quelle due guardie del corpo appiccicate? Almeno l’avevano accettato nel loro gruppo. 

Si avvicinò al fabbricato con i pattini.

“Un 8.5 per favore.”

Entrati in pista, Amber pattinava e saltava ogni due minuti, mentre Dionne seguiva da vicino i movimenti goffi e impacciati di Tara, che si aggrappava a lei come un cucciolo di koala all’albero.

Raggiunse le due e si mise al passo alla sinistra della ragazza.

“È la prima volta che pattini?” chiese.

“Sì, non sono molto brava.” ridacchiò tenendosi al braccio dell’amica.

“Tara, mi stai bloccando la circolazione! Fai piano!”

La ragazza avvampò.

Dionne la condusse vicino al muretto, facendola appoggiare.

“Tara, dai un attimo di tregua al mio braccio. Faccio qualche giro e torno!”

“Fai fai…”

James ridacchiò.

“Cosa ridi? Sono comunque più brava di te!”

James puntellò le mani sui fianchi.

“Ah sì?”

Si portò di fronte alla ragazza.

“Piaaano.” Urlò lei, abbracciando il legno della recinzione.

James scattò e rubò il cappello dalla testa di Tara, lasciandola con i capelli tutti scarmigliati.

“Ehi! Ridammelo!”

“Prendimi allora, visto che sei così brava!” Rise.

“Non mi scapperai!” urlò la ragazza.

Tara si lanciò in avanti, tenendo le braccia ben larghe dal busto e lasciandole svolazzare per mantenere l’equilibrio.

“Attenta a non accecare qualcuno!”

James rise. Era in piedi a qualche metro di distanza dalla ragazza, il cappello saldo in una mano.

“Non mi prendere in giro!” replicò lei e mise il broncio.

Il ragazzo ridacchiò. Forse non era così male stare in sua compagnia: era divertente e si preoccupava sempre di come stessero gli altri, lui incluso. Aggrottò la fronte: era strana. A scuola non rideva molto, invece lì, lontano da Jump City, sembrava molto felice  con le sue amiche, con lui, con le sue guance rosse e i capelli disordinati. Sorrise. In fondo, gli faceva un po’ tenerezza, era la prima volta che la vedeva così.

 

 

Tre colpetti alla porta.

James sussultò.

“Avanti.”

James era seduto tra i cuscini dell’ospedale, mangiando una mela.

Due ragazze entrarono nella stanza, in divisa scolastica. 

Le piattole…

Amber e Dionne rimasero in piedi di fronte al suo letto, la prima con le braccia incrociate, la seconda con le mani sulle bretelle dello zaino.

Il battito di James accelerò, così come il respiro. 

“Siete venute a sapere come sto?”

Amber gli rivolse un largo sorriso.

“Certo, cos’altro? Come stai?”

James deglutì.

“Bene, grazie.”

Dionne sospirò.

“James, Tara non sta più venendo a scuola. Abbiamo saputo che eri con lei al momento della scossa. Cos’è successo? Dov’è lei?”

Amber socchiuse gli occhi.

“Qui all’ospedale nessuno sa dirci dove sia.”

James si mise a tamburellare con le dita sul materasso.

“La madre l’ha portata via, so solo questo.”

Dionne si morse il labbro e si girò verso Amber.

“Chi sa come sta Tara…”

“A casa non risponde nessuno.”

James staccò un altro morso dalla mela verde che aveva in mano.

“So che la madre è un bravissimo medico, sono sicuro che stia bene in questo momento. Si starà riprendendo prima di tornare a scuola.”

Amber abbassò il volto.

“Speriamo.”

Dionne la guardò.

“Tu pensi non sia così?”

Amber si riscosse.

“Uh? Sì, sì, è solo che sono preoccupata per lei…”

“Cos’è successo su quella spiaggia, James?”

James abbassò lo sguardo.

“Siamo stati aggrediti, non so il motivo.”

Dionne si portò le mani alla bocca.

“Forse avevate visto qualcosa che non dovevate vedere? O sapevate troppo?”

Amber ridacchiò.

“Dai, Dionne. Questo non è mica un thriller! Scommetto che non hanno visto o sentito nulla di strano… magari è stato uno scambio di persona.”

Dionne annuì.

“Magari…altrimenti ce lo diresti vero? Siamo preoccupate…”

Amber si girò verso di James.

“Ce lo diresti?”

James sorrise.

“Certo, non è successo niente.”

Amber annuì e appoggiò una mano sulla spalla di Dionne.

“Tranquilla…ho sentito che qui sono venuti anche alcuni dei Titans, sono sicura che loro risolveranno tutto.”

Il cuore di James perse un battito.

“S-si sa che sono venuti qui?”

Amber si girò, alzò un sopracciglio.

“Beh, sì…”

Il ragazzo si morse un labbro.

Dionne abbassò il viso.

“Forse è meglio andare ora… mi staranno aspettando a casa.”

Amber sospirò.

“Certo.” Si girò verso di James “Riposati,non hai un bell’aspetto.”

James stirò il volto in un sorriso.

“Lo farò. A presto.”

“A presto.” Risposero le due, prima di uscire.

Nella stanza ripiombò il silenzio. James sentì l’ansia invadergli il corpo: il petto si alzava ed abbassava, le mani tremavano. L’avevano scoperto, si sapeva che i Titans gli avevano fatto visita. Era questione di tempo.

James si staccò i tubi delle flebo dal braccio con una smorfia. Si alzò barcollando. I punti delle ferite più profonde tirarono sulla sua pelle. Gemette e appoggiò una mano al muro per reggersi. Si spinse verso la finestra aperta: il sole stava tramontando. Doveva muoversi di lì, magari dai Titans avrebbe trovato riparo. Avrebbe detto tutto quanto, ormai la sua posizione era compromessa, era inutile continuare a nascondere tutto. Dovevano sapere di Slade, dell’apprendista, di chi fosse in realtà. Un brivido gli percorse la schiena al solo pensiero. Le avrebbe fatto del male appena trovata la ragazza. Tara era in pericolo, anche per colpa sua, anche lui lo era. Forse poteva ancora rimediare, forse poteva ancora volgere le cose a loro favore, lo avrebbero capito.

“Ciao James, ti sono mancato?”

James urlò. Il sudore colò dalla sua fronte, gli occhi spalancati, fissi davanti a lui, il corpo paralizzato.

Slade era lì, sul davanzale, accucciato.

“James, dovresti riguardarti. Ti vedo un po’ pallido.”

 

 

 

 

 

Nella stanza regnava il silenzio. Tutti i Titans erano seduti sul divano semicircolare, ognuno con lo sguardo per terra. Robin aveva puntellato i gomiti sulle ginocchia. Geo-Force aveva appena finito di raccontare la sua versione. La versione per cui Terra era morta. La foto sul fascicolo, però, parlava chiaro: la ragazza era viva e vegeta. Cosa stava accadendo? Che ci fossero due Terra? Impossibile.

Beast Boy era seduto con le braccia incrociate alla sua sinistra, tamburellava un piede sul pavimento.  La benda era ormai logora sul suo volto, grigiastra. Geo-Force era in piedi di fronte a loro, attendeva con le mani dietro alla schiena.

“Slade deve avere a che fare con tutto questo. Se troviamo lui avremo anche delle informazioni su di lei.”

“Ma dove lo cerchiamo?” Chiese Starfire.

Robin sospirò.

“Non ne ho idea.”

Geo-Force fece un passo in avanti.

“Dobbiamo trovare il modo. Non permetterò che le facciano del male, non possiamo permetterlo!”

“Nessuno vuole che le venga fatto del male.” Disse Raven.

“È ovvio, è nostra amica!” intervenì Cyborg.

Beast Boy balzò in piedi.

“Siamo perdendo tempo. Potrebbe essere ovunque!”

“Bb, calmati! Faremo tutto il possibile.”

Beast Boy si girò verso di Robin, sospirò.

“Spero solo che il possibile sia abbastanza.”

Geo-Force gli posò una mano sulla spalla.

“Ce la faremo, Bb. Sono contento che Terra abbia trovato te mentre era qui in America.” Si girò verso gli altri e sorrise “Che abbia trovato tutti voi. Siete stati la sua famiglia, molto più di quanto abbiamo potuto esserlo io e Gregor.”

Uno squillo invase la sala: l’enorme schermo di fronte a loro segnava una chiamata in arrivo.

Robin si alzò in piedi.

“Cyborg, accettala.”

Il ragazzo annuì e si avvicinò alla tastiera, dove premette due tasti. Un uomo comparve nello schermo, in divisa, con lo sguardo serio.

Geo-Force s’inchinò.

“Sire.”

Il re di Markovia fece un cenno con il capo.

“Mettete da parte le formalità, Brion. Abbiamo una situazione d’emergenza.”

Geo-Force tornò in posizione eretta, con le braccia stese lungo i fianchi.

“Cosa sta accadendo?”

“Loro sono le persone di cui mi hai parlato?”

Geo-Force annuì.

“Sì.”

Si girò verso di loro e li nominò uno ad uno.

“Beast Boy.”

Il mutaforma fece un inchino.

“Raven.”

La maga lo imitò.

“Starfire.”

La tamaraniana fece una riverenza.

“Cyborg.”

Il ragazzo chinò il capo.

“Ed infine Robin, il leader del gruppo.”

Robin fece un passo avanti.

“Lieto di conoscervi.”

Il re sorrise.

“È un piacere conoscere tutti voi, Brion mi ha raccontato quello che avete fatto per nostra sorella e ve ne sono eternamente grato.” Disse e volse lo sguardo verso il fratello “A dire il vero, è proprio nostra sorella il problema.”

Geo-Force alzò un sopracciglio.

“Cosa? Com’è possibile?”

Il re piegò il capo.

“Sono stati fatti circolare i documenti dell’autopsia di Tara in giro per il Paese. Sono finiti nelle mani dei nobili  più potenti, che ora reclamano il trono.”

Geo-Force strinse il pugno.

“Loro non hanno il diritto di guidare Markovia.” Sibilò a denti stretti.

“Ne sono consapevole, ma ora la nostra parentela con Tara è alla luce del sole. La nostra famiglia è colpita dallo scandalo.”

“Non siamo né i primi né gli ultimi reali ad avere fratelli illegittimi. Come può aver destabilizzato il popolo così tanto?”

Il sovrano abbassò lo sguardo.

“Tra i nobili circola la ridicola supposizione di un nostro coinvolgimento nel suo omicidio, attuato per coprire lo scandalo.”

I lineamenti del volto di Geo-Force si deformarono in una maschera di rabbia.

“Che cosa? Dov’è il dottor Hale?”

“Latitante. È lui il responsabile di queste congetture: ha dato i fascicoli alle famiglie più indisposte nei nostri confronti. Questa è stata la scintilla che ha fatto scoppiare la rivoluzione. Per ora le sommosse sono sotto controllo, ma temo che necessiteremo dei vostri poteri. Dovete tornare immediatamente a Markovia, ho già ordinato per un jet che vi riporti a casa.”

Geo-Force strinse i pugni, tanto da avere le nocche livide. Buttò fuori tutta l’aria con il naso.

“E che ne sarà di Tara?”

“Dobbiamo assolutamente trovarla e riportarla a Markovia. Legittimarla è l’unico modo per fermare le rivolte.” Il sovrano socchiuse gli occhi “Oltre al fatto che, ovviamente, non vedo l’ora di rivedere nostra sorella, soprattutto dopo quello spiacevole episodio.”

Geo-Force sospirò.

“Come posso trovare nostra sorella lontano dall’America?”

Robin fece un passo avanti.

“Se posso permettermi, vostra maestà, noi Titans saremmo più che felici di trovare Terra.”

Il sovrano spostò lo sguardo sul ragazzo.

“Lo fareste?”

“Credo di parlare a nome di tutti i Titans quando dico che Terra era ormai parte della nostra famiglia. Non la abbandoneremo.” Disse Robin.

“È deciso allora. Informateci ogni qualvolta avrete notizie.”

“Sarà fatto.” Robin abbassò il capo.

“Come sovrano, vi ringrazio per l’aiuto al popolo di Markovia; come Gregor Markov, vi ringrazio per il vostro affetto verso mia sorella. Non lo dimenticherò.” Il re si girò verso il fratello. “Brion, sbrigatevi a tornare. Mi disconnetto.”

Lo schermo rimase nero, per qualche secondo nessuno parlò. Geo-Force sospirò.

“Grazie per tutto quello che state facendo.” Si avvicinò ai Titans “Vi prego, trovate Tara e riportatemela sana e salva.”

“Me ne assicurerò personalmente.” Disse Beast Boy.

Geo-Force sorrise, rivolgendosi al ragazzo.

“Sono sicuro che lo farai. A presto.”

“A presto.” Rispose Robin.

Geo-Force uscì dalla torre, di nuovo calò il silenzio.

“Certo che non se la stanno passando bene a Markovia!” disse Cyborg.

“Non vorrei essere nei panni del dottore, in questo momento.” Sussurrò Raven.

“Certo che no! Che razza di Zolworg Tubeck Plixing Zarbmarker!” 

“Ha ragione lei!” disse BB incrociando le braccia.

“Ok ragazzi, è ora di preparare un piano. Non possiamo lasciare che facciano del male a Terra.”

Il suono del campanello li bloccò.

“Che sia Geo-Force?” disse Cyborg avvicinandosi alla porta.

Il ragazzo la aprì. Una donna si gettò tra le sue braccia.

“Aiutatemi! Aiutatemi!”

“Ragazzi, abbiamo un problema.”

Cyborg sostenne la signora e la fece sedere sul divano. Vestita con un tailleur, era bionda e i capelli corti le incorniciavano il viso. 

Robin era in piedi di fronte a lei. Sembrava terrorizzata: gli occhi erano spalancati, le mani tremavano, il sudore le colava dalle tempie.

“Cos’è successo?”

La donna singhiozzò.

“Ha-ha preso la mia bambina. L’ha portata via ieri notte, mentre non c’ero. Era già debilitata.” Scoppiò in lacrime e si portò le mani al volto. Le spalle si alzavano ed abbassavano ad ogni singhiozzo.

Starfire si avvicinò e le mise una mano sulla spalla.

“Chi è stato? Lo può dire?”

La donna tirò su il volto. Gli occhi erano rossi e le guance bagnate fino al mento.

“Slade. Slade ha preso la mia piccola Tara.”

Robin spalancò gli occhi.

“Che cosa?”

La donna prese un fazzoletto dalla sua borsa e si soffiò il naso.

“Mi chiamo Anne Markov, sono la madre di Tara. Qualche giorno fa c’è stato un incidente, ho dovuto ricoverare mia figlia in una clinica privata, ma ieri sera Slade ha rapito la mia bambina.” Disse e scoppiò a piangere.

Starfire si sedette vicino a lei.

“Su su… Tara è anche nostra amica, la troveremo.”

Robin alzò un sopracciglio.

“Suo fratello non ci ha mai parlato di lei.”

Anne alzò lo sguardo.

“Brion non mi vede di buon occhio. Sono pur sempre stata l’amante di suo padre, ma per fortuna non ha mai fatto pesare la cosa a Tara.”

Robin si portò l’indice e il pollice al mento.

“Capisco.”

La cosa non gli quadrava, nemmeno un po’. Né Gregor né Brion avevano mai accennato a lei, eppure era lì e anche sul fascicolo scolastico di Terra risultava il suo nome in quanto tutrice.

“Troveremo Terra, signora Markov. Sa dove possa nascondersi Slade?” chiede Raven.

La donna si girò verso di lei.

“Non ne ho idea… l’ho visto solo dirigersi a nord con la mia bambina in braccio.”

Robin annuì.

“Non si preoccupi, la troveremo. Grazie per il suo aiuto.”

La donna si alzò.

“G-grazie. Ora è meglio che vada, non vorrei intralciarvi.

“Non si preoccupi.” Rispose Robin.

Anne varcò la soglia, per qualche secondo i suoi passi che si allontanavano furono l’unica cosa che si udì.

“Non mi convince per niente.”

Robin si girò verso Beast Boy.

“Nemmeno a me.”

“Cosa non vi convince? A me sembrava così triste!” disse Star levitando a qualche centimetro dal pavimento.

“Terra non ci ha mai parlato di una madre.” Disse Robin.

Raven alzò le spalle.

“Non ci ha mai parlato nemmeno di avere dei fratelli.” 

Beast Boy sospirò.

“Ho sentito i suoi singhiozzi, come se fosse disperata, ma il suo cuore era calmo, regolare come un orologio.” 

“Amico, da quando senti i battiti cardiaci delle persone?”

“Ti sembrerà strano, ma ora che ho perso la vista, vedo molto meglio.” Beast Boy sorrise “Allora, come lo prendiamo questo cattivone?”







Angolo dell'autrice

Solo un po' di appunti per questo capitolo!
Wollman Rink è una famosa pista di pattinaggio situata a Central Park, New York. Per chiunque non l'abbia presente, metto qui il link di una foto:

http://photos.cntraveler.com/2014/07/31/53da8de3dcd5888e145bc52f_2-trump-wollman-rink-new-york-city.jpg
8.5 è una misura americana di scarpe. Equivale più o meno al nostro numero 42!
L'appellativo che Starfire dà al medico di Markovia, l'ho preso da una sua reale battuta nel quarto episodio della seconda stagione.
Credo non ci siano altri dettagli tecnici da spiegare. Ovviamente se ho dimenticato qualcosa, basta chiedermelo nelle recensioni. Se sarà un dubbio condiviso modificherò anche queste note!
Per il resto, buona lettura!

x Carlotta

 

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Capitolo 18
*** Pillola blu ***


PILLOLA BLU

 

 

 

 

“Distruggimi, fai in fretta!”

“Cosa?”

“Andiamo, non è per questo che sei venuto? Fallo, ora!”

Una scossa le percorse tutto il corpo facendole inarcare la schiena. Urlò con il viso ricoperto di lacrime e allungò il braccio, circondato da un alone giallo. Il ragazzo di fronte a lei venne scaraventato via e sbattuto su un muro di roccia.

Tara si rialzò, barcollante. Teneva un braccio con la mano.

“Perdona la mia apprendista, come al solito non riesce a controllarsi.”

Un’altra scossa trapassò il suo corpo, il piede destro avanzò e il sinistro lo seguì. Tara digrignò i denti, fece forza sulle gambe per fermarsi. Nessun risultato. Non aveva alcun controllo.

“Quindi da adesso in poi, sarò io a controllare ogni sua mossa.”

 

“Eri l’apprendista di Slade?”

Tara era in piedi di fronte alla finestra aperta, il bosco era immobile, come in una cartolina, la macchia rossa del roseto risaltava nel verde dell’erba.

“Sì.”

“E hai tradito i Titans?”

“Sì.”

“Perché non me l’hai detto prima?”

Il cielo era azzurro, con qualche nuvola vaporosa ogni tanto, il raggi del sole le carezzavano il viso.

“Pronto? Ci sei?”

Tara sospirò.

“Perché non lo ricordavo prima.”

Red X era seduto a gambe incrociate sul letto, con gli stivali sulle lenzuola.

“Intendo ieri. Ti sei ricordata ieri di Slade.”

Il corpo di Tara fu scosso da un tremito.

“Avevo bisogno di riordinare un po’ le idee.”

 

Tara era inchiodata al suolo, un enorme gorilla verde sopra di lei. 

“Tu devi fermarmi, Beast Boy! Ti prego, io non voglio più combattere!”

Il primate mutò in un ragazzo verde dalle zanne sporgenti.

“E allora non permettere più a Slade di controllarti!”

“Non ho altra scelta!”

“Questa è una bugia! Tu hai sempre avuto una scelta!”

 

“Beast Boy…” mormorò.

Gli occhi le s’inumidirono. Era venuto a scuola, era venuto a scuola solo un anno prima. L’aveva trascinata ovunque per farla ricordare e lei non gli aveva dato ascolto, il vuoto. L’aveva cacciato via, aveva cacciato il migliore amico che non aveva mai avuto.

“E adesso ricordi tutto?”

“Non proprio. Da ieri sono assalita da flashback, molti dei quali orribili. Tutte cose che avevo dimenticato.”

“Beh, adesso i tuoi amici se la vedranno con Slade.”

Tara si girò verso Red X, aggrottò la fronte.

“Cosa?”

“Tua madre ha chiesto aiuto ai Titans per salvare tua sorella. Anzi, non mi stupirei se in questo momento stessero pensando di salvare te, invece di lei.”

Tara abbassò lo sguardo.

“Me?”

“Slade voleva rapire te, i Titans hanno un legame con te, voi due siete identiche. Che dici? Una coincidenza?”

Si morse il labbro. Tornare? Come poteva dopo tutto quello che aveva fatto.

“Sono sicura che se la caveranno.” Mormorò.

Red X balzò in piedi.

“Cosa? Li lascerai da soli?”

“Non vedo cosa possa fare io.”

“Giusto, hai solo il potere di manipolare la terra, cosa vuoi che sia.”

Tara lo fulminò con lo sguardo.

“Io non faccio più quelle cose, sono una ragazza normale adesso.”

“Sì, normalissima. E triste, molto triste. Dai tuoi racconti, con loro sembravi essere felice.”

Tara sospirò.

“Per un breve momento l’ho pensato. Erano la mia famiglia. Li ho traditi, non mi perdonerò mai per questo, e nemmeno loro. E non li posso nemmeno biasimare!”

Red X strinse i pugni.

“Quante volte sei uscita da casa tua che non fosse per andare a scuola? Non rispondere, te lo dico io: zero. Quante persone ti hanno visitato qui da quando sei ricoverata? Zero.”

Tara schioccò la mascella, gli occhi le s’inumidirono.

“Sono andata in gita a New York.”

“Certo, con una scorta di almeno dieci uomini.”

Tara spalancò gli occhi.

“Cosa?”

“Certo, pensavi di essere sola soletta? Non lo sei mai stata, al massimo quando andavi in bagno!”

Il cuore di Tara perse un battito, la ragazza si bloccò, con la bocca semiaperta.

Red X fece un passo in avanti.

“E, in ultimo, chi ti ha mentito per i tuoi poteri?”

Mia madre…

“Non c’è bisogno che tu lo dica, la tua faccia è eloquente.”

Tara strinse i pugni.

“Insomma, cosa vuoi da me?”

Red X fece un passo verso la porta.

“Dicevi che erano la tua famiglia, che eri cambiata. Invece qui vedo solo una persona che volta le spalle.”

Il corpo di Tara tremò, le nocche erano livide, le guance avvamparono.

“Si può sapere cosa vuoi da me?”

Red X incrociò le braccia.

“Voglio che ce ne andiamo.”

Tara alzò un sopracciglio.

“Scusa?”

“Andiamocene. Andiamo dai tuoi amici, andiamo a combattere Slade.”

Tara rilasciò i pugni.

“Ho capito.” Disse socchiudendo gli occhi. “Ho capito tutto. Non te ne puoi andare da qui senza di me, hai bisogno che io ti segua. Per cosa? Ti sei forse affezionato a Zero?”

Red X s’ammutolì.

“Tu non vuoi che me ne vada davvero, non vuoi che io vada dai miei vecchi amici perché qui sto male. Tu mi vuoi sfruttare per i miei poteri! Vuoi uscire di qui con il mio aiuto!”

Red X sospirò.

“Non te lo nasconderò, ragazzina. Voglio il tuo aiuto. In tutta sincerità, però, vattene finché sei in tempo.”

Tara inspirò a fondo, si girò verso la finestra.

“Non verrò. Quello che ho fatto è ormai incancellabile.”

“Non posso costringerti. Io me ne andrò con o senza di te.”

Tara sentì i passi di Red X allontanarsi, poi la porta cigolare.

“Io sarò un egoista, ma in fin dei conti loro non avevano tutti i torti a non fidarsi di te. Rischiano la pelle per salvarti e tu preferisci rimanere in un cubo bianco a vivere di bugie. Meglio per loro averti perso.”

Tara affondò le unghie nel davanzale.

“Taci!”

Il grido risuonò nella stanza e nella sua testa.

 

Non ho altra scelta.

 

Le sue azioni erano state imperdonabili, come avrebbe mai potuto ripresentarsi. Come avrebbe mai potuto guardare in faccia uno solo di loro, senza sentirsi sprofondare dalla vergogna. Raven, Starfire, Cyborg, Robin: li aveva ricordati tutti. Piano piano erano riemersi nella sua mente, accompagnati dalla nostalgia e dal dolore. Tara inarcò la schiena, il respiro si era fatto più affannoso, vedeva sfocato per le lacrime che stava trattenendo. Infine, Beast Boy… come aveva potuto fare una cosa del genere a lui.

“Tara, cosa succede? Chi deve tacere?”

Tara si passò una manica del camice sugli occhi e si girò. Sua madre era di fronte a lei, con un bicchiere d’acqua e una salvietta in mano.

“N-niente. Pensavo tra me e me.”

La donna sorrise.

“Capisco, tesoro. Dai vieni, hai la tua pillola da prendere.”

Tara alzò un sopracciglio.

“Quale pillola?”

La madre si avvicinò e le diede un bacio sulla fronte.

“Mi sono spaventata quando mi hai detto di quelle allucinazioni.”

“Allucinazioni?”

“Tara… quelle del manipolare le rocce a tuo piacimento. Vedrai, una volta presa questa, passerà tutto.”

Tara sospirò, annuì. La ragazza prese la pillola blu adagiata sulla salvietta di carta e la avvicinò alle labbra. Si fermò a pochi centimetri.

La madre aggrottò la fronte.

“Tutto bene, tesoro?”

 

“È sempre stata una tua scelta. Tu hai scelto di lavorare per Slade, hai scelto di tradirci e ora hai scelto di dargli il controllo. Non è Slade a fare questo Terra, sei solo tu!”

 

“Possono venire a trovarmi Amber e Dionne?”

La donna sorrise.

“No, purtroppo. Lo sai, non posso far entrare visitatori in questa clinica privata.”

“E James? James come sta?”

“Non lo so.”

Tara inspirò a fondo, buttò fuori tutta l’aria. Prese la pillola e la mise in bocca, poi bevve un sorso d’acqua. 

La madre riprese il bicchiere in mano.

“Bene. Adesso vado, ci vediamo stasera.”

La madre baciò Tara sulla fronte ed uscì dalla stanza. La ragazza udì il chiavistello girare due volte.

 

“È la tua vita, Terra. La tua scelta. Non è mai troppo tardi per cambiare.”

 

 

 

 

 

 

Il corridoio era buio, dai finestroni sul bosco entrava solo la luce pallida della luna e delle stelle. 

Red X si muoveva vicino al muro interno, tenendo la schiena coperta e modulando il respiro alla minor frequenza possibile.

Si acquattò all’angolo e sporse la testa, piano: la porta dello studio di Anne Markov aveva due guardie armate di mitra di sorveglianza.

Red X sorrise ed estrasse dal suo mantello una pallina grigia.

Pensa che basti una firma… nessuna firma vale la mia libertà.

Si abbassò e la posò sul pavimento, poi con indice e medio le diede un colpetto. La sfera rotolò silenziosa tra i piedi delle guardie e si fermò. I due uomini sussultarono, quando questa si aprì, emettendo una scia di gas bianco. Scivolarono a terra con la schiena aderente al muro e rimasero seduti, esanimi.

Red X si avvicinò alla porta con il braccio ben premuto sulla maschera, abbassò la maniglia con l’altra mano ed entrò. Chiuse la porta alle sue spalle: la stanza era buia e silenziosa.

Chiedere aiuto ai Teen Titans… tanto valeva lavorare da solo, come sempre.

Red X estrasse dal mantello una torcia elettrica e la accese. Il fascio di luce illuminò la scrivania: una montagna di scartoffie era buttata sul tavolo. 

Afferrò la torcia con i denti e si mise a spostare i fogli, tutti articoli di giornale ritagliati.

“Markovia sul punto del crack”, “Scontento tra gli abitanti di Markovburg, il crimine dilaga”… ma dove ha messo quei fascicoli? Dove? 

Prese la torcia nella mano destra. Alla sua sinistra vi era una libreria, alla sua destra il nudo muro bianco. Vicino alla finestra un tavolo di legno massiccio, lungo quasi quanto la metà della stanza, sgombro tranne che per un giradischi e dei materiali di cancelleria. 

Si avvicinò, fece scorrere le dita sulla superficie lignea.

Dove…

Appoggiò la torcia sul tavolo, il fascio di luce illuminò il contorno dello strumento, rischiarando il vetro poco distante. Tastò la base del grammofono: il materiale si mosse sul lato destro. Red X aggrottò la fronte e appoggiò entrambe le mani, il pollice a fare da leva e le altre quattro dita sotto la base. La lista di legno cedette al tocco, rivelando uno sportello di metallo con una serratura.

Red X appoggiò la lista. Prese due graffette dal tavolo e e le deformò con le mani, in modo da avere due asticelle lunghe sui tre centimetri. 

Infilò il primo fil di ferro nella toppa e lo tenne fermo, con il secondo armeggiò con i pistoncini della serratura. Avvicinò l’orecchio per ascoltare i rumori.

Tac.

Era scattata. Lo sportello si aprì docile senza cigolare. Red X sorrise: due fascicoli giallognoli erano impilati uno sopra all’altro. 

Fascicolo “Tara Markov (Terra)”,  fascicolo “Project 0 (Terra II)”

Spalancò gli occhi: project…Zero? Terra II?

Oh cazzo…

 

Finalità del progetto:

Creazione di un soggetto biologicamente identico a quello in esperimento (Tara Markov) ed educazione dello stesso alla permanenza in una società umana preordinata.

 

 

Il sangue gli si gelò nelle vene. Rose… Zero… Le mani gli tremavano. Ecco il perché di quella somiglianza, così perfetta ad occhi inesperti, ecco perché Tara non era a conoscenza di avere una sorella. Non poteva saperlo, non doveva saperlo.

“Rose è… è…”

“Un clone.”

Red X si girò, gli occhi si ridussero a due fessure.

“Tu…”

La luce si accese. Anne Markov era in piedi davanti a lui, due uomini alla sua destra e alla sua sinistra, con i mitra puntati contro di lui.

“Non farmi la predica, Red X. Rubare e menomare persone non sono certo opere di carità.”

Red X serrò i pugni, stropicciando le copertine in cartoncino nella mano sinistra.

“Perché?”

“Per uno scopo nobile, non preoccuparti. Inoltre, dovresti essermi grato. Non dirmi che non ti sei affezionato a quel bel faccino di Zero…”

“Rose.”

“Cambiarle nome non cambierà ciò che è. Guarda il lato positivo: se ti va male ne avrai sempre un’altra uguale di riserva. Dov’è il problema?”

Anne rise.

“Non una parola di più!”

Una X rossa s’ingrandì sul guanto del ragazzo.

Anne Markov giunse le dita delle mani.

“Suvvia, non c’è bisogno di essere così ostili.”

“Quei mitra sono bigliettini di benvenuto?”

La donna rise.

“Ho sempre pensato fossi un ragazzo molto simpatico.”

Red X fece schioccare la mandibola.

“Il sentimento non è reciproco.”

Anne sorrise.

“Se non ti dispiace, ora rivorrei i miei fascicoli.”

“Cosa vuoi da Rose.”

“La mia bambina non è affar tuo.”

“Non è la tua bambina.” Sibilò.

“Sì, che lo è. Sono la madre di Tara e di Zero, solo in modo diverso. I fascicoli.”

Red X indietreggiò di un passo, il davanzale della finestra gli punse la schiena. 

“Come preferisci.”

Anne indietreggiò di dieci passi verso il muro opposto, le guardie si chiusero a muraglia tra i due. Red X si girò verso il vetro.

“Suvvia, sono dieci piani da qui. Come pensi di sopravvivere?”

“Sto solo guardando una notte di luna piena, sono un tipo romantico, cosa vuoi farci.” Ridacchiò.

Afferrò con la mano destra una pallina nel suo mantello e la buttò in terra. Il fumo invase la stanza creando una coltre, Red X si accovacciò tenendo i fascicoli sopra al suo collo.

“Ora!”

Le guardie spararono a ripetizione avanti a loro, spaccarono i vetri della finestra che caddero al suolo e si ruppero nel rumore dei proiettili.

Qualche secondo dopo, tutto terminò, i botti cessarono, il fumo si diradò. Red X attivò una X sul suo guanto e la lanciò. L’esplosione invase tutta la stanza, l’onda d’urto sbalzò via le guardie contro il muro opposto, facendoli sbattere in un enorme tonfo. Red X salì sul davanzale. Gli uomini erano svenuti, i mitra sparsi sul pavimento, i corpi riversati per terra come sacchi di carne. Anne era in piedi, addossata alla parete, con i vestiti stracciati dal calore e anneriti. Lo fissò con gli occhi socchiusi.

“Grazie per avermi aperto, è stato molto gentile da parte tua. Addio!”

Anne rise. Red X alzò un sopracciglio.

“Morirai nella caduta. E io sarò qui ad aspettare.”

Red X fece un inchino.

“Beh, allora sarà un arrivederci.”

Si buttò all’indietro. L’aria gli sferzò il corpo, il ragazzo tenne i fascicoli stretti al petto. Chiuse gli occhi e attese.

Il suolo arrivò. Un dolore lancinante gli percorse tutto il corpo dal busto alle gambe, facendolo urlare. Red X spalancò gli occhi. 

Una faccia nota gli sorrise dall’alto.

“Ehilà, serve un passaggio?”

Red X si tirò su a sedere. Tara era lì, in piedi a fianco a lui sopra un’enorme zolla di terreno. Il ragazzo gemette e si massaggiò la schiena con le dita.

“Potevi appostarti un po’ più vicino alla finestra!”

La ragazza si mise le mani sui fianchi.

“E rovinare l’effetto drammatico? Mai!” 

“Sì, ma fa male!”

“Scusa, la prossima volta ci metto un cuscino!” Ridacchiò.

“Tu! Non dovresti avere i poteri!”

Anne Markov era alla finestra, con le mani piantate sul davanzale. Tara sollevò una pillola che aveva in mano, tra l’indice e il pollice.

“Ah! Allora serviva a questo? Grazie, potrà tornarmi utile!”

La ragazza chiuse la pillola nel pugno e si mise in posizione, come se fosse in piedi su una tavola da surf.

“Ciao, mamma!”

“Tara! Dove vai? Non puoi andartene, sono tua madre!”

La ragazza fece una smorfia.

“Hai ragione. Prendilo come il mio periodo adolescenziale e da' la colpa al mio spirito ribelle!”

Tara salutò con la mano e il masso acquisto velocità, dirigendosi verso il bosco, rischiarato solo dalla luna piena nella notte.

Red X si girò a guardare il suo volto, il suo sguardo fisso di fronte a sé. 

“Sapevo che avresti cambiato idea, Tara. O almeno, lo speravo.”

La ragazza sorrise.

“Non è mai troppo tardi.”

Red X si accomodò sul masso, con le gambe incrociate e i fascicoli saldi fra le braccia.

“X?”

“Sì?”

“Chiamami Terra.”









Note dell'autrice
Salve a tutti! 
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, dà informazioni molto importanti per il resto della storia.
Volevo fare qualche precisazione. Ad alcuni di voi potrebbe venire la domanda "ma perché Red X firma e poi se ne va subito?". Bene, in parte da questo capitolo si dovrebbe già capire, ma non preoccupatevi, tornerò sull'argomento in modo da non lasciare nulla al caso.
Così come non lascerò al caso altri dettagli che possono aver sollevato dei dubbi, come per esempio Tara e la pillola. (anche se quest'ultima cosa è abbastanza facile da intuire) 
Tutti verranno approfonditi poi. Questo non toglie che mi piacerebbe molto sapere i vostri quesiti, così da farmi un'idea se ci sia qualcosa che non vi è chiaro e di cui non mi sono accorta.
Note tecniche: so di essere stata un po' vaga nei movimenti di Red X nello scassinare la piccola cassaforte, però per ovvi motivi non potevo scrivere tutto per filo e per segno. Per chi se lo chiedesse no, non so scassinare porte, una volta vidi un documentario e in più su wikihow si trovano gli articoli più disparati.
La pillola blu è una blanda citazione a Matrix, non ho lasciato l'aggettivo "azzurra" perché sarebbe sembrato un altro tipo di farmaco... ("Pillola azzurra, fine della storia: domani ti sveglierai in camera tua e crederai a ciò che vorrai." cit. Morpheus in Matrix)
Le parole nei flashback sono esattamente quelle dell'espisodio in italiano "La scelta di Terra pt. 2" (o Aftershock pt. 2), ho fatto così per dare ancora più credibilità al testo, come se questa storia fosse davvero il continuo della serie. (Nella mia testa sarà sempre così, non posso farci nulla)
Aspetto le vostre recensioni, spero numerose!
Alla prossima!

x Carlotta


 

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Capitolo 19
*** Nuove identità ***


Salve, scrivo questa parte introduttiva solo per avvisare della presenza in questo capitolo di una scena particolarmente violenta.


 

NUOVE IDENTITÀ

 

 

 

 

Terra era seduta sull’erba, al limitare della città, nascosta dai rami degli alberi. Il cielo si stava rischiarando, virando verso l’indaco. Non si udiva alcun uccello.

L’erba ricoperta di rugiada la fece rabbrividire, la camicia da notte era inzuppata d’umidità.

“Tieni!”

Terra trasalì. Red X era a fianco a lei, in piedi, con un mucchio di panni in mano. Indossava una felpa e un paio di jeans, portava uno zaino su una spalla. Terra si portò una mano alla bocca: il volto era scoperto. Gli occhi azzurri erano piantati sui suoi, le sopracciglia folte erano corrugate. I capelli scurissimi erano disordinati e sudati, intervallati da numerose ciocche bianche. Sul davanti sfioravano la linea degli zigomi.

“Perché?”

“Non conoscono la mia faccia. Vorrei non farmi notare.” Le gettò i vestiti sulle gambe “Tieni.”

“Perché hai… i capelli bianchi?”

Red X stirò le labbra.

“Siamo qui per qualcosa di più importante della storia della mia vita.”

Terra chiuse la bocca e abbassò il viso.

“Cambiati o morirai prima di broncopolmonite.”

Terra sorrise e annuì.

“Dove li hai trovati?”

Red X puntò le mani sui fianchi.

“Davvero me lo stai chiedendo?”

Terra ridacchiò e negò con il volto.

“Hai preso quello che ti ho chiesto?”

“Sì. Sbrigati.”

La ragazza si alzò e si allontanò nel fitto del bosco. Indossò la felpa grigia, i jeans e delle sneakers azzurre.

Sull’erba era rimasto un paio di guanti scuri. L’infilò. Sorrise, era da tempo che non si sentiva così bene.

“Stai facendo una sfilata là dietro?”

“Eccomi.” Disse tornando dal ragazzo.

Red X era in piedi appoggiato al tronco di un albero.

“I fascicoli?” chiese Terra.

Red X tirò fuori dallo zaino due plichi con la mano sinistra, ne consegnò uno alla ragazza.

Terra carezzò con i polpastrelli la copertina in cartoncino.

 



Tara Markov (Terra)

 



Rabbrividì. Aprì il fascicolo, nella prima pagina, sotto la sua foto, imperava una scritta.

 



Finalità del progetto:

Mantenimento del soggetto originale in buono stato di salute per la corretta trasmissione delle capacità superumane al soggetto copia.



 

Si bloccò.

“Soggetto originale? Ma che cos’è questa roba?”

“Beh, a quanto pare non avevi proprio una sorella…”

Terra alzò il volto, Red X si grattò la testa e distolse lo sguardo.

“Cosa stai dicendo.”

Red X sospirò e le porse il secondo fascicolo. Terra lo prese, le dita tremarono scorrendo sulla carta.

 



Finalità del progetto:

Creazione di un soggetto biologicamente identico a quello in esperimento (Tara Markov) ed educazione dello stesso alla permanenza in una società umana preordinata.



 

“Un clone…” mormorò.

“Già.” Disse Red X.

Un clone. Per tutto questo tempo era servita come riserva di poteri ad un clone. Le iniezioni, i suoi amici, il suo andare a scuola. Una bugia. Il ricovero in ospedale per farla stare meglio non era stato altro che il trasferimento in una prigione più controllata. Le norme stesse dell’ospedale per non farle ricevere visite erano solo per isolarla da qualsiasi persona esterna. Era un esperimento, nulla più.

“Terra… dobbiamo trovare Slade.”

Terra serrò le labbra. Già, Slade. L’uomo era tornato dall’inferno in cui lei stessa lo aveva spedito. La rivoleva. Era sfuggita alla sua proprietà e ora reclamava vendetta. Lei era solo un trofeo tra due fuochi, tra sua madre e Slade.

Digrignò i denti, i guanti s’illuminarono di giallo.

Sua madre, la persona che pensava sua unica alleata, la persona di cui si fidava, le aveva mentito per sfruttarla. Non le aveva mai voluto bene. Un calore le esplose dentro, un nocciolo incandescente nelle sue viscere s’irradiò ad ondate in tutto il corpo, fino agli arti. Le dita le formicolarono sotto quel flusso d’energia. Forse era questo che avevano provato i Titans anni addietro? Questa fiamma che le scoppiava nel petto? 

Detriti si sollevarono intorno alla ragazza, rimanendo a mezz’aria.

Red X mise le mani avanti.

“Terra, fermati. Se fai così ci metti in cazzi amari.”

La ragazza sollevò il volto, la bocca era contorta in una smorfia.

“Fermarmi?”

I capelli biondi si sollevarono, gli occhi s’illuminarono di giallo. Nella sua mente lettere scarlatte formavano una sola parola: vendetta.

Red X la afferrò per le spalle, le dita affondarono nella sua carne.

“Smettila!” La strattonò, i loro volti si trovarono uno di fronte all’altro “Stammi a sentire.”  Le prese la mandibola con la mano destra e la bloccò tra le dita “Dobbiamo trovare i tuoi amici, io devo ritrovare Rose.”  Terra vide i suoi occhi socchiusi piantati su di lei. Red X aumentò la presa sul suo volto “Fermati.”

Fermati. 

Il corpo di Terra s’immobilizzò. Il giallo abbandonò i lineamenti di Red X, che riassunsero i loro colori originari. 

Che cosa sto facendo?

Terra rantolò, i capelli le caddero sulle spalle.

“Quando sarai di fronte a Slade gliela farai pagare.”

Terra aveva la bocca semiaperta, il suo viso era catalizzato dagli occhi azzurri di Red X.

“E io non ti fermerò.”

Terra si morse il labbro, avvicinò la mano alla sua tempia e si passò una ciocca bionda dietro all’orecchio.

“Sì.” Si limitò a dire.

Red X sbuffò.

“Mai più scene come questa. Rischi di attirare l’attenzione su di noi.”

Terra annuì.

“Bene. Ho controllato un po’ in giro.” Disse Red X togliendo le mani dalle spalle della ragazza “È pieno di uomini di tua madre, soprattutto vicino alla torre. Non sarà facile per te avvicinarti ai Titans.”

Terra alzò un un sopracciglio.

“Per me?”

Red X prese i fascicoli in mano e scorse gli occhi sulle pagine del primo.

“Diciamo che l’ultima volta che ci siamo visti non è stato un incontro piacevole.”

“Cosa hai fatto?”

Red X sbuffò.

“Ho cecato lo gnomo verde.”

Terra spalancò gli occhi.

“Cosa?”

Strinse i pugni. Bb…cieco? 

“Cosa gli hai fatto?” continuò, la voce tremava.

Beast Boy senza vista? Glielo stava dicendo così? 

Red X alzò le mani.

“Scusa, non pensavo fosse il tuo fidanzatino.”

Terra afferrò il ragazzo per la felpa e lo tirò a sé.

“Non mi provocare.”

“Ehi ehi, calma. È stata una mia bomba a ridurlo così, ma non preoccuparti. Ho anche la cura. Aiutami a trovare Rose e te la darò.”

Beast Boy. Le venne un groppo alla gola. Solo un anno prima era andato a trovarlo a scuola, era tornato per lei, dopo tutto quello che aveva fatto. Cieco.

“La tua parola.” Ringhiò la ragazza.

“Per quanto possa contare, va bene.”

Terra sospirò e lasciò andare Red X.

“Prova a fregarmi e te la vedrai con me. Tanto a quanto pare so anche risorgere.”

Red X ridacchiò.

“Sei tosta da buttare giù.”

Terra sorrise.

“Così sembra.”

Red X abbassò lo sguardo sui fascicoli, sbuffò.

“Cazzo.”

Terra alzò un sopracciglio.

“Cosa?”

“Questa roba è piena di numeri, non ci capisco niente.”

Terra sospirò e si portò al fianco del ragazzo. Sul foglio erano scritte miriadi di cifre divise in colonne, accompagnate da sigle.

“Non ho la più pallida idea di cosa ci sia scritto là sopra.”

“Conosci qualcuno in grado di leggerle?”

Terra si portò una mano al mento e lo carezzò con l’indice.

“Cyborg, l’unico.”

“Ma va’? E come ci avviciniamo? La torre è circondata e comunque non mi lascerebbero nemmeno mettere piede sulla loro isola prima di provare a farmi fuori.”

Terra si grattò dietro l’orecchio. Come potevano fare? Dovevano decifrare quei documenti, dovevano trovare i Titans senza farsi notare.

Red X sospirò e si avviò verso la città.

“Dove stai andando?”

Red X si voltò ruotando il busto.

“Al mio appartamento. Rimanere qui ci farà solo essere un bersaglio facile, inoltre ho bisogno di mangiare e di raccogliere munizioni.”

“Ma hai detto che la città è piena degli uomini di mia madre!”

“Allora farai meglio a non dare nell’occhio.” Disse e riprese a camminare.

Terra sbuffò e lo affiancò. Mise le mani in tasca e abbassò il volto, mordendosi il labbro.

“Mi stai per caso tenendo il broncio?”

“Ora credo tu abbia un po’ di tempo per raccontarmi il perché di quei capelli bianchi.”

“Scordatelo.” Red X si fermò, prese i capelli di Terra con una mano e li ficcò nella felpa.

“Che fai?”

“Genio, la tua la conoscono di faccia.” Disse e le calò il cappuccio sulla fronte.

“Dai!”

“Ne riparleremo.”

“Noioso.”

 

 

 

 

 

 

 

“Guarda un po’ chi si rivede. Jamie!”

James aprì gli occhi. Un ghigno scuro lo accolse a pochi centimetri dal suo viso. Rantolò.

“Esagerato. Sono sempre io.”

James serrò le labbra.

“Tu…”

L’apprendista incrociò le braccia. 

“Sembri deluso. Così mi offendi.”  

James fece schioccare la mascella.

“Siamo solo io e te, puoi anche smetterla di camuffare la voce.”

L’apprendista ridacchiò e gli scompigliò i capelli.

“Questione di professionalità.” Disse dandogli un buffetto sulla guancia.

James si ritrasse con il viso.

“Non mi toccare.”

L’apprendista alzò le mani e rise. James era appeso per le braccia a lunghe catene ancorate al soffitto, le gambe legate alla stessa maniera al pavimento. La schiena sfiorava il muro spoglio, caldo e umido. Era vestito solo di un paio di pantaloni laceri. La figura era di fronte a lui, in piedi con le mani sui fianchi.

“Finalmente hai optato per qualcosa di un po’ più originale.”

“Il total black mi aveva annoiato.” Rispose l’apprendista.

James fece una smorfia. Il fondo della maschera era nero e ricopriva tutta la parte sinistra del volto, mentre la destra, arancione, aveva i bordi frastagliati, come frutto di una spaccatura. Un occhio verde risaltava nello spesso contorno scuro di un’orbita vuota. Il naso era una cavità triangolare buia e dai contorni affilati. Là dove avrebbero dovuto esserci le labbra, era dipinta una mezza bocca seghettata: a James parve di affacciarsi su una voragine.

Deglutì. Era il volto di una zucca di Halloween.

“Direi che mi dona, non pensi anche tu?”

Il ragazzo fece una smorfia.

“Come se una maschera potesse nascondere la tua infamia.”

L’apprendista lo colpì sullo zigomo, facendogli girare la testa. L’urto lo sballottò e tirò le catene che lo tenevano legato, recandogli dolore anche sui polsi e le caviglie. Il rumore echeggiò nella stanza scura. Gemette.

“No no James, così non si fa.” Disse l’apprendista muovendo l’indice a destra e a sinistra “Attento, Slade mi ha dato il permesso di giocare un po’ con te.”

L’apprendista gli diede un pugno nello stomaco. James sbatté con la schiena contro il muro e tossì. Socchiuse gli occhi. 

“Che vuoi da me?”

L’apprendista si girò e si allontanò da lui di qualche passo, avvicinandosi ad un tavolo.

James serrò la mascella. Le spalle gli dolevano fino a metà busto, le dita delle mani, violacee e gonfie, non si muovevano più. Gemette.

“Un uccellino mi ha detto che hai incontrato i Teen Titans.”

“Non ho detto nulla di te.”

“Vorrei potermi fidare Jamie,” disse l’apprendista mentre era chino sulla superficie lignea “ma sei un ragazzo molto bravo a dire le bugie e io odio i bugiardi. Mi spezzano il cuore.”

“Senti chi parla! Io sarò un bugiardo, ma tu sei la peggior feccia che abbia mai visto.”

L’apprendista rise con la testa china. Le spalle accompagnarono i movimenti della risata, il voltò si sollevò verso il soffitto.

“Jamie, Jamie… ti piacciono i thriller?”

Il ragazzo spalancò gli occhi. Strattonò le braccia dagli anelli di ferro con tutta la forza che aveva in corpo, scalciò con le gambe. Nulla cedette. Il metallo bloccò ogni suo movimento in una morsa. Urlò.

“Jamie, non gridare per favore. Sveglierai la bella addormentata.”

“T-Tara…”

“Sì, esatto. È arrivata ieri notte, svenuta. Non un esempio di coraggio, direi.”

James digrignò i denti.

“Tu non vali neanche la sua metà!”

“Ah, adesso t’interessa? Sei strano Jamie, e io che pensavo fossi un secchione qualunque.”

L’apprendista si girò, squadrò il ragazzo. Aveva una fiamma ossidrica in una mano e delle cesoie nell’altra.

Un brivido percorse il corpo di James, la fronte era imperlata di sudore. I polsi, stretti dagli anelli di ferro, tremavano.

“C-cosa vuoi fare con quelle?”

“Jamie, ti rendo solo quello che sei stato per tutto questo tempo.”

L’apprendista accese la fiamma e la passò sulle lame, dal fulcro all’estremità, dall’estremità al fulcro. Il fuoco avvolse il metallo facendolo diventare rosso e incandescente.

Il cuore di James perse un battito. Aprì la bocca: le parole gli morirono in gola.

L’ apprendista si avvicinò con le cesoie scarlatte in mano e si fermò di fronte a lui.

“E sai cosa sei, Jamie Jamie?” disse a bassa voce.

Il ragazzo deglutì. Aveva gli occhi spalancati, il sudore cadeva a goccioloni dalle sue tempie, percorrendo il viso fino al mento. 

La maschera dell’apprendista si trovava ormai a pochi centimetri da lui. Il ghigno della zucca s’impresse nelle sue retine, il respiro regolare arrivò al suo viso come una brezza calda e umida.

“Sei un senza palle.” Sussurrò, scandendo le parole.

“N-no..ti prego…”

Con uno strattone l’apprendista gli abbassò i pantaloni fino alle ginocchia. 

Le pupille di James si dilatarono. L’immagine riflessa delle cesoie arroventate s’ingrandì sempre di più, tremolante.

L’apprendista aprì le lame e circondò l’attaccatura dello scroto. Rimase immobile. Il calore del metallo ferì James facendolo gemere, la pelle si bruciò diventando di un rosso vivido. 

L’occhio verde dell’apprendista si piantò sui suoi e senza sbattere le palpebre si riabbassò sulle cesoie: sottili rivoli di fumo si alzavano dalla scottatura lucente. Due lacrime solcarono il il viso di James, rigandogli le guance. Gemette e riversò la testa all’indietro. Serrò la mascella, l’odore di carne bruciata invase le sue narici in una zaffata. Il petto si alzava e abbassava come un mantice, digrignò i denti per rimanere immobile.

“T-ti prego…” sussurrò con lo sguardo annebbiato di lacrime.

L’apprendista rivolse il suo occhio verso di lui, una palla bianca in una cavità senza fondo.

Fu un colpo secco. L’urlo di James risuonò nella notte come il latrato di un cane randagio.

 

 

 

 

 

 

 

“Ah!”

Zero si tirò su a sedere. Inspirò a pieni polmoni, perle di sudore le colavano dalla fronte. Era su un letto, la stanza che la circondava era piccola e rivestita di metallo. Non vi erano finestre.

“Ben svegliata, bambina.”

Zero trasalì. Un uomo era seduto su una sedia all’angolo della stanza. Scuro, robusto, con una maschera bipartita e un solo occhio in vista.

Slade…

L’uomo si alzò e mise le mani dietro alla schiena.

“È da tanto che non ci vediamo, Terra.”

Zero tremava, si raggomitolò addosso alla testiera del letto. Aggrottò la fronte: l’avevano rivestita con un paio di pantaloncini gialli e una maglia nera, una T cerchiata sul petto anch’essa gialla.

La divisa dei Titans…

“Sì, Terra. Hai lasciato qui quel completo l’ultima volta, durante il nostro ultimo incontro.” Slade scrocchiò il collo “Non molto piacevole, aggiungerei. Avrei voluto darti qualcosa di più consono, ma la tua vecchia tuta è andata distrutta.” Socchiuse l’occhio. “I tuoi altri effetti personali sono sul comodino.”

Zero si voltò di scatto. Vicino a lei c’erano un paio di guanti marroni e un paio di occhialetti da aviatore.

Si mise una ciocca di capelli dietro l’orecchio. L’uomo si avvicinò e si sedette sul letto, tirando le lenzuola sotto al suo peso.

“C-cosa vuoi da me?”

Slade le carezzò una guancia.

“Bambina,” disse mentre il guanto le sfiorava la pelle candida “hai fatto una promessa. Mi avresti servito per sempre, e io ricordo le promesse.”

Zero rimase immobile sotto quel tocco, serrò le labbra.

“Sì.” Si limitò a dire.

“Brava. Ci sono rimasto male quando mi hai tradito.”

Slade colpì la ragazza con la mano in pieno viso, facendole voltare la testa. Lacrime scesero dai suoi occhi, mentre la guancia si arrossava.

“Non mi tradirai mai più, vero?” disse riprendendo a carezzarla.

La guancia le dolse sotto il tocco di quelle dita. Zero tremava, gli occhi erano lucidi, le immagini sfocate.

Negò con il volto.

“Bene, mia cara.”

Slade tirò la ragazza a sé e l’abbracciò, ponendo il mento sulla sua testa. Zero singhiozzava con il viso affondato nel suo petto. Voleva allontanarsi, spingerlo via, urlare. Non fece niente di tutto ciò. Il corpo non reagiva ai suoi comandi, il suo respiro era corto e veloce, le lacrime le inzuppavano il viso. Era il primo abbraccio della sua vita.

“Su su, non sei mai sola. Ci sono io.”

Slade si staccò. Frugò in tasca e tirò fuori un piccolo sasso, che tenne sul suo palmo ben aperto.

Zero si asciugò il volto con la manica e guardò il ciottolo con gli occhi e il naso arrossati.

“C-cosa?”

“Muovilo.”

Zero alzò un sopracciglio.

“Cosa?”

“Ti ho detto di muoverlo, Terra.”

Slade la fissava, con l’occhio socchiuso. Zero deglutì. Il sasso era grigio, con delle venature marroni, schiacciato. Sembrava leggero.

Inspirò a fondo.

Basta concentrarsi, Zero. Basta concentrarsi.

Focalizzò il ciottolo nella sua mente e ci proiettò tutta la sua energia. Lo vide alzarsi nella sua testa, per rimanere fermo a mezz’aria, sospeso di qualche centimetro.

Non accadde nulla. Zero sospirò.

“Terra, mi sto spazientendo.”

“C-ce la faccio.”

Digrignò i denti e piantò gli occhi su quel sasso, se non l’avesse mosso l’avrebbe consumato con lo sguardo. Tutto ciò che la circondava si tinse di azzurrino, ghiaccio, mentre il ciottolo si alzava in aria, tremolante. Sorrise.

“Ce l’ho fatta… ce l’ho fatta!” 

“Un po’ pochino Terra, rispetto a quello che eravamo abituati. Puoi fare molto di meglio. Che cosa ti ha fatto Anne, Terra?”

Zero spalancò gli occhi.

“Mamma?”

Slade si alzò dal letto.

“Oggi stesso inizierai il trattamento.”

Zero alzò un sopracciglio.

“Trattamento?”

“Non ho tempo di spiegarti ora, bambina mia. Non temere, avrò cura io di te.”

Zero deglutì.

“Farà male?”

“Il dolore è poca cosa rispetto a quello che potrai fare quando avrò finito con te.”

Un brivido le percorse la schiena, Zero si rannicchiò sotto le lenzuola.

“Riposati, tra due ore verrò a prenderti.”

L’uomo uscì dalla stanza, chiudendosi la porta dietro alle spalle.

Zero sospirò. Se avessero scoperto la vera Terra? 

Strinse il pugno. No, non esisteva alcuna vera Terra. Aveva iniziato, doveva andare fino in fondo, com’era stato stabilito. Lei non era la copia, lei era l’originale, meglio dell’originale. 

Era stata Zero fin troppo tempo, fin troppo tempo era stata chiusa in quattro mura. Lei non era Zero.

Chissà se Red X la stava cercando in questo momento. Si morse il labbro. Red X… 

Si mise seduta, due scarponcini marroni erano adagiati al fianco del suo letto. L’indossò.

Il roseto apparve nella sua mente, i lunghi steli dei fiori, l’erba sotto i piedi. Il graffietto dato dalla spina si era rimarginato, non lasciando alcun segno. Sorrise. 

Rose… il primo vero nome che le avessero mai dato.

No. 

Si alzò e si girò verso il comodino. Si mise gli occhialetti al collo.

Lei era Terra. Nessun altro. Era nata per essere Terra. Allevata per essere Terra.

“Io sono Tara Markov di Markovia, figlia del legittimo re Viktor di Markovia e di Anne Myers, donna libera statunitense.” S’infilò un guanto facendolo calzare bene sulle dita. “Terza in linea di discendenza per il trono, ho ricevuto i miei poteri per poter difendere il mio Paese insieme a mio fratello Brion. Il mio nome ora è Terra.” Disse infilandosi il secondo.

Si girò verso la porta e strinse i pugni.

“E nessuno me lo toglierà mai.”

 

 

 

 

 

 

 

 

“È iniziato.” 

Anne Markov porse il calice al suo interlocutore, dello champagne fluì nella flûte, riempiendola a tre quarti.

Il dottor Hale le sorrise e ne versò anche per sé.

“Tara è riuscita a fuggire, quindi.”

“Uno spiacevole inconveniente che non tarderò a risolvere.” Anne strinse le dita sul vetro del bicchiere.

“Ne sono certo, dottoressa.”

Anne sorrise, il dottor Hale le fece un cenno di rimando con il capo. Entrambi alzarono i loro calici.

“A qualcosa di grande che sta per avere inizio.”

“A qualcosa di grande.”










Angolo dell'autrice
Eccomi dopo due settimane. Il prossimo capitolo non ho idea di quando uscirà, portate pazienza please, ancora non l'ho nemmeno scritto. (mi sento molto in colpa per questo)
Sono totalmente estranea aile classificazioni di EFP, quindi non ho idea se la scena dell'apprendista sia troppo violenta da giustificare un arancione, comunque l'atto vero e proprio l'ho lasciato all'immaginazione. Più o meno. Se è inappropriato ditemelo nelle recensioni!
Grazie a tutti quelli che seguono questa storia, a quelli che la recensiscono (Edoardo811, Maricuz_M, Rosa Verde_Blu) e a quelli che la leggono solamente. Grazie, mi aiutate ad andare avanti in questo racconto a cui tengo molto e che amo scrivere. Spero si aggiungano altre persone alla lista dei recensori, anche i non fan di Terra, mi piacerebbe sapere il loro parere sulla psicologia del personaggio in questa fan fiction, senza pregiudizi di sorta, e sulle altre personalità coinvolte.
So che ci sono dei personaggi meno caratterizzati, come Raven, Cyborg o Starfire, e me ne dispiace, ma se dovessi trattare tutti ora allungherei di molti capitoli inutili. 
Non so ancora come continuerà Amnesia. Forse richiederà uno o due seguiti, ma alla fine ognuno, compresi i meno approfonditi in questa prima parte, avrà la psicologia che si merita. Sicuramente la parte incentrata sullo sviluppo di Terra avrà fine con questo scritto, o meglio la parte che verte sulla sua storia e sul suo ritorno in gioco. Non posso dire altro, per non svelare i miei progetti futuri che non so nemmeno se saranno rispettati. Io spero di sì, spero di avere il tempo per raccontare tutto quello che ho in mente.
Questo capitolo è stato un po' più lungo per farmi perdonare dell'attesa, ci proverò anche con il prossimo.
Beh, non ho altro da dire, spero di vederci nelle recensioni.
A presto

x Carlotta



 

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Capitolo 20
*** Rinati dalla morte ***


RINATI DALLA MORTE

 

 

 


 

Markovburg, capitale di Markovia.

 

Geo-Force buttò giù con una spallata la porta dell’edificio. Un’ondata di aria bollente lo colpì, facendogli coprire il naso con un fazzoletto bagnato. Una coltre di fumo uscì dall’edificio disperdendosi nel cielo. 

Montagne di calcestruzzo erano riversate a terra, tubi spuntavano dal cemento, i mobili accatastati erano preda delle fiamme che si alzavano fino al soffitto.

Geo-Force stese una mano, il guanto brillò di un bagliore rosso. Il fuoco si abbassò fino a scomparire, lasciando le pareti nere.

Fece un cenno con l’indice e il medio della mano sinistra: due vigili del fuoco si spostarono accanto a lui.

“Controllate il piano terra, io cerco di sopra. Attenti.”

I due uomini corsero dov’era stato loro indicato. Geo-Force corse su per le scale, tenendosi vicino al muro.

“Aiuto!”

Nella stanza di fronte, una donna era stesa per terra: pezzi di cemento le ricoprivano una gamba, schiacciandola. Il volto annerito e le braccia ricoperte di graffi. Tossì.

“Aiutami!”

Geo-Force le balzò davanti e le porse il fazzoletto.

“State ferma, mettetevi questo davanti al naso.”

La donna ubbidì.

Geo-Force aggrottò la fronte e serrò la mascella, i suoi occhi si tinsero di rosso. Le macerie si sollevarono da terra, cozzarono tra loro e si fermarono a due metri da terra, fluttuando. Lei si trascinò in avanti, facendo leva sulle braccia e sul ginocchio incolume. 

Geo-Force appoggiò i detriti sul pavimento sgombro e la prese in braccio.

“Ci sono altre persone in questo edificio?”

“No, solo io.”

Il ragazzo annuì e corse verso il piano terra, la donna strinse i denti e appoggiò una mano sulla gamba. Ad ogni passo le sfuggiva un gemito sommesso.

“Geo-Force, non c’è più nessuno.”

I due pompieri erano all’entrata, i loro giubbetti catarifrangenti brillavano alla luce dell’esterno.

“Fuori fuori fuori!” urlò il ragazzo.

Tutti e tre uscirono dall’immobile correndo. Una volta fuori una sferzata di aria pulita gli colpì la faccia facendolo inspirare a pieni polmoni.

Geo-Force si avvicinò all’ambulanza all’entrata del vialetto, adagiò la donna su una barella.

“Grazie.” Mormorò lei.

“Mi dispiace per la vostra casa.”

La donna abbassò il volto, i capelli scuri le scivolarono in avanti. 

“Vi sentite bene?”

Un gruppo di quattro infermieri la circondò escludendola dalla sua vista.

“Grazie.”

Il ragazzo si girò verso la voce. Un medico era in piedi a fianco a lui, in camice.

“Lo stabile è sgombro, come gli altri, il mio lavoro qua è finito.”

L’uomo annuì.

Geo-Force si allontanò di qualche passo, i suoi occhi diventarono rossi. Si alzò ad un metro da terra, fluttuava senza peso nell’aria. Aloni rossi comparvero intorno ai suoi guanti. S’inclinò in direzione del palazzo, stese le braccia lungo i fianchi, l’energia attorno alle sue mani aumentò. Geo-Force sentì i suoi palmi diventare incandescenti.

Aggrottò le sopracciglia. Era il terzo incendio doloso in pochi giorni,  vicino a luoghi di distribuzione di beni di prima necessità. Non avrebbe mai immaginato tutto questo quando Gregor l’aveva richiamato a Markovia: rivolte, nobili pronti a reclamare il trono, civili coinvolti in disastri.

Chiuse gli occhi e serrò i denti. I Titans dovevano fare in fretta.

Scie di fuoco più lunghe della sua figura si sprigionarono dalle sue mani, il ragazzo venne proiettato in avanti ad alta velocità.










 

Jump city.

 

“Da quanto tempo non vieni in questo posto?”

Terra saltò i panni ammucchiati sul pavimento e si sedette sul letto sfatto.

“Il mio ultimo lavoro mi ha tenuto un po’ lontano da casa.”

Red X si avvicinò alla scrivania e gettò a terra i vestiti accatastati su di esso.

“Credo che dovresti lavarli quelli.” 

Il ragazzo prese una scatola rettangolare vicino al portatile e ne estrasse una sigaretta.

“Se proprio ti danno fastidio puoi farlo tu.” Disse appoggiandola sulle labbra. L’accese, un sottile filo di fumo si sprigionò disegnando ghirigori nell’aria.

Terra fece una smorfia e si tolse il cappuccio, liberò i capelli dal tessuto della felpa. 

Red X le dava le spalle, guardando fuori dalla finestra. La ragazza si alzò e si avvicinò alla libreria. Era alta fino al soffitto e su di essa vi era qualche cartella, nulla più. Passò i polpastrelli sul legno.

“Ora che facciamo?”

“Dobbiamo trovare Slade e tu devi dare i fascicoli al tuo amico androide.”

Terra sbuffò.

“La fai facile.”

Red X sorrise.

“Trovare Slade o parlare con il tuo amico?”

I muscoli della ragazza s’irrigidirono.

“Suppongo entrambi.” 

Terra spostò qualche fascicolo, un foglietto cadde svolazzando sul pavimento, senza produrre il minimo rumore. Lo raccolse. 

Una foto? 

Alzò un sopracciglio.

“Scusa ma perché hai una foto di…” 

Spalancò gli occhi. 

Come può essere?

Una mano le strappò la foto dalle dita. Red X era a fianco a lei, gli occhi socchiusi e la mascella serrata.

“Che dici, la finiamo di farci gli affari miei o vuoi anche il certificato di nascita?”

Terra deglutì.

“S-scusa.”

Il ragazzo riavvicinò la sigaretta alle labbra e inspirò, la punta divenne rossa scarlatta. 

Terra indietreggiò di un passo.

“Senti ma…”

“Sì, sono io. E ora finiscila.” 

Terra stirò un sorriso e deviò lo sguardo.

“Non immaginavo.”

Red X alzò un sopracciglio e le soffiò il fumo addosso. Terra tossì e lo scacciò con una mano.

“Pensi di essere l’unica a questo mondo ad avere dei problemi?” disse e buttò il mozzicone fuori dalla finestra. 

Terra si passò una ciocca dietro all’orecchio.

“È solo strano. Non me l'aspettavo.”

Red X sospirò e accese il portatile.

Terra si sedette sul letto. 

“Non sono sicura di voler tornare.” Disse guardando il pavimento.

Red X non rispose, nell’aria vi era solo il ticchettare sulla tastiera.

“Ero morta. Avevo iniziato una vita nuova, stavo facendo delle amicizie. Delle amicizie nuove, vere, che non avrei mai tradito. Una vita normale, nessun problema di poteri, nessun problema di cattivi, d’identità, niente di niente.”

Terra pestò un piede sul pavimento.

“Ma il mondo non si è dimenticato di me nemmeno da morta. È andato avanti e per colpa mia tutte queste persone stanno soffrendo. Non sono abbastanza morta affinché tutti si dimentichino di me e di quello che ho fatto, non sono abbastanza viva per avere un’esistenza normale.”

Il ticchettare cessò.

“Mi stai dicendo che non hai mai perso la memoria?”

Terra alzò il volto.

“No, ho perso davvero la memoria. Davvero non ricordavo nulla, la mia mente era il vuoto più totale.”

“E allora?”

Terra si prese un braccio con una mano.

“Quando mia madre iniettava nel braccio sostanze sconosciute, io non ponevo alcuna domanda; quando entravo in contatto con qualsiasi cosa che poteva ricordarmi BB o gli altri, il mio corpo la rifuggiva.”

Terra passò l’indice e il pollice su una ciocca.

“In più, quando Beast Boy venne a scuola e mi raccontò di questa fantomatica ragazza dalle mie sembianze, in cuor mio, ci credetti subito. Era come se dentro di me lo sapessi.”

Red X sospirò.

“Se nessuno si ricordasse di te sarebbe peggio.”

Terra aggrottò le sopracciglia.

“Che vuoi dire?”

“Anche io sono morto, una volta. È incredibile come una cosa così definitiva, la morte, in realtà non lo sia affatto. Io e te ne siamo la prova.”

Red X si scostò i capelli dagli occhi.

“Le persone che credevo mio fratello e mio padre pensano che io non ci sia più. Nulla è stato smosso per questo, calma piatta. È come se io non fossi mai esistito.”

Terra si ammutolì e abbassò il volto.

“Sei sicura di volere questo? Che nessuno si ricordi di te? Pensi di ripartire da zero?”

Red X si alzò e si appoggiò al muro.

“La verità è che non puoi cambiare così. Tutto si ripeterà finché non rimarrai da sola.”

“Perché?”

La voce di Terra uscì roca dalla sua bocca. Red X fece una smorfia.

“Perché anche se le persone e i luoghi intorno a te non sono più gli stessi, sei sempre tu.”

La ragazza incassò il volto nelle spalle. Possibile? Che tutto questo fosse solo il risultato di un suo ennesimo egoismo?

“Mio padre pensava che mio fratello avesse un dono, mentre che io covassi solo rabbia.”

Red X guardava fuori dalla finestra, aveva le mani in tasca.

“Adesso a distanza di sei anni sono qua e sono ancora arrabbiato. Aveva ragione.”

Beast Boy, Robin, Starfire, Cyborg, Raven. La sua vecchia vita. La stavano cercando dopo tutto quello che era successo, dopo le sue azioni al minimo segno di pericolo per lei. 

Si morse il labbro.

Amber, Dionne, James. La sua vita attuale. Anche loro le volevano bene e lei non sapeva nemmeno come stessero. I Teen Titans sapevano cavarsela da soli, ma loro? Erano ragazzi normali: niente superpoteri, nessuna doppia vita. Non avrebbero mai potuto fronteggiare uno come Slade.

Spalancò gli occhi.

James, se l’era completamente dimenticato. Come stava? Era ancora all’ospedale? Dopotutto avevano attaccato anche lui su quella spiaggia.

Terra balzò in piedi. Red X la guardò.

“Che fai?”

“Devo andare a vedere se James sta bene.”

“Cosa? Ti sei rincoglionita? Gli uomini di tua madre sono ovunque!”

Terra mise le mani sui fianchi.

“Non li lascerò in balia di Slade.”

Red X incrociò le braccia e alzò un sopracciglio.

“E tutta questa determinazione da quando?”

Terra si avvicinò e gli diede un pugnetto sulla spalla. Sorrise.

“Sei bravo a fare i discorsi.”

Red X alzò gli occhi al cielo.

“Vedi di non farti beccare, che non posso correre per mezza città a salvarti il culo.”

Terra sbuffò.

“A proposito…” Red X le diede un piccolo oggetto dalla forma di un bottone. “Attaccalo nell’orlo interno della tua felpa.”

Terra alzò un sopracciglio mentre stringeva il dischetto tra le dita.

“Perché?”

“Fallo. Se te ne vai, voglio sapere dove trovarti. Non ho intenzione di perderti di nuovo.”

Terra annuì e lo fissò al tessuto.

“Bene. Non provare a scappare, io e te abbiamo un patto. Se mi accorgo che ti allontani ti riporto qui a calci.”

Terra ridacchiò.

“Scusa mamma, non rivolgerò la parola agli sconosciuti e guarderò a destra e a sinistra prima di attraversare la strada.”

Red X le tirò su il cappuccio e lo calcò sulla sua testa.

“Fa’ poco la spiritosa. Ti rivoglio qui al tramonto.”

Terra annuì, Red X fece una smorfia.

“Hai intenzione di aspettare domani per andare?”

Il ragazzo la fissava con un sopracciglio alzato e le braccia incrociate, aveva i capelli sugli occhi. Terra sorrise.

“A dopo.”

 

 

 

 

 

 



“Sei pronta, bambina?”

Zero deglutì. Era in una stanza rettangolare, addossata al muro opposto a lei vi era una poltrona, simile a quelle che aveva visto nella clinica, collegata con dei fili a una postazione con un computer.

Slade era in piedi vicino alla poltrona, con le mani dietro alla schiena; una persona con una strana maschera nera era di profilo, appoggiata al muro alla sua sinistra, pigiando sui tasti di un cellulare. Si voltò. 

Zero sussultò: l’altra metà della maschera aveva il volto di una zucca.

“Sensibile.” Disse.

“Apprendista, smettila. La nostra Terra è sempre stata così delicata, così ingenua,” l’uomo si avvicinò alla ragazza e le diede un buffetto sulla guancia. “e a noi piace proprio per questo, vero?”

La persona ridacchiò e chinò il capo sul telefono.

Slade le cinse le spalle, Zero tese i muscoli sotto il suo tocco.

“Mia cara, va’ a sederti.”

La ragazza si morse il labbro, annuì. Era ora, lei era Terra. Questo era l’inizio.

Si sedette.

“Preparala.”

Le braccia di Zero e le gambe vennero fissate alla poltrona. La ragazza sentì la circolazione rallentare.

L’apprendista prese da un contenitore grosso quanto il palmo della sua mano un gel trasparente e lo spalmò sulle sue tempie. Rabbrividì, era freddo.

Zero si morse il labbro e strinse i pugni.

Devo fidarmi di mamma, devo fidarmi di mamma, devo fidarmi di mamma.

Sospirò.

Andrà tutto bene, non mi accadrà niente di male.

Tremò. L’inquietudine crebbe dentro di sé, la sensazione di freddo le invase il corpo, scendendole la colonna vertebrale e irradiandosi agli arti.

“Tranquilla, non ti faccio niente.”

Zero aprì gli occhi, l’apprendista le stava ponendo degli elettrodi sulle tempie.

“Davvero?”

“Certo.”

Zero sorrise. Forse non le avrebbero davvero fatto alcun male, forse si stava preoccupando per nulla.

La persona di fronte a lei ridacchiò.

“Almeno, io non ti faccio niente.”

Il sorriso le morì sul volto. La stava prendendo in giro?

“Dai, chiudi quella bocca. S’inizia.”

Zero serrò la mascella e digrignò i denti.

L’apprendista si allontanò e si appoggiò al muro, Slade era  al computer. Si voltò verso di lei.

“Sei pronta, Terra?”

Zero strinse i pugni.

“Cosa vuoi farmi?”

“Bambina, voglio liberare tutto il tuo potenziale. Hai un potere enorme dentro di te, purtroppo mal utilizzato, ma a questo possiamo porre rimedio. Iniziamo.”

Slade pigiò un tasto.

Il respiro di Zero accelerò, sudore le inzuppò il collo. Sentiva gli arti paralizzati, aveva il fiato mozzato.

Urlò. Il corpo s’inarcò, gli arti lottarono contro le cinghie. Il viso si deformò, la voce usciva a pieni polmoni. Gli occhi erano strizzati, un odore di carne bruciata invase la stanza.

La scossa elettrica la trapassò da parte a parte, penetrando nella sua fronte e percorrendo tutte le sue viscere. I muscoli si mossero da soli, senza la sua volontà, le dita delle mani e dei piedi si contorsero sotto le scariche. 

Zero urlò, lacrime scesero sulle guance roventi. Il bruciore si propagò, la sua pelle andò in fiamme, arsa viva. 

“È un ottimo risvolto.”

“È incredibile…”

Zero aprì gli occhi. Slade e l’apprendista la stavano fissando, con gli elettrodi in mano.

Le scosse erano terminate, ma l’incendio dentro di sé non accennava a spegnersi: le sue membra tiravano, lembi di epidermide di staccarono da lei come carta velina per cadere sul pavimento. Le lacrime le inzuppavano il volto.

“Che cosa mi avete fatto!”

Inspirò a pieni polmoni e singhiozzò. La sua pelle era rosso vivido, intervallata da chiazze nere sempre più estese, morte. 

Aloni azzurri comparvero attorno alle sue mani, la stanza diventò color ghiaccio, così come le persone all’interno.

“Che cosa mi avete fatto!”

Un tremito scosse l’edificio, la sedia si spostò, il computer si rovesciò, la stanza vibrò facendo indietreggiare Slade.

“Apprendista! L’iniezione!”

La figura si lanciò su Zero con una siringa verde.

“Non mi toccare!” urlò contorcendosi, mentre l’ago penetrava nella carne a brandelli.

 

 

Macchie scure le annebbiavano la vista, cambiando forma e dimensione, muovendosi piano e silenziose.   

Si strofinò gli occhi: la pelle delle dita le doleva mentre passava i polpastrelli sulle palpebre.

Un sottile fascio di luce entrava dalla finestra, rigando la coperta purpurea sul letto.

Letto?

La ragazza scattò mettendosi a sedere. Il lenzuolo cadde dal suo petto in un fruscio. Si tastò esplorando le braccia, le spalle, il ventre, il seno. Le chiazze necrotiche erano scomparse, così come la pelle rosso scarlatto. Delle escoriazioni sparse grandi circa due centimetri costellavano il suo corpo, nere.

Chiuse gli occhi e inspirò a pieni polmoni. Fece scivolare le dita sotto alla coperta e incontrò le cosce, fece una smorfia per il dolore, le croste erano anche lì. Era nuda.

La lampada oscillava mite pendendo dal soffitto, la finestra, poco più di un buco nella parete, aveva il vetro spaccato. I frammenti erano accantonati in un angolo vicino ad una scopa dal manico spezzato. 

“Perdona la sistemazione mia cara, è temporanea.”

Zero sussultò, tirò su la coperta a coprirsi il seno.

Slade si sedette sul letto.

“L’apprendista ti porterà la tua nuova uniforme, i tuoi vecchi vestiti sono bruciati insieme a te.”

Spalancò gli occhi. Quindi era vero, non era un sogno. Tutto ciò che era successo, era successo veramente.

Slade le carezzò una guancia.

“Sono sicuro che il tuo voler essere una Titan sia andato distrutto insieme a quella divisa. È così, tu non appartieni al loro mondo. La vecchia Terra è morta e la nuova Terra sta nascendo come una fenice dalle sue ceneri.”

Una fenice dalle sue ceneri… una nuova Terra. Io sono Terra.

Zero annuì.

“Bene, vedo che ti sei quasi ripresa.”

Le escoriazioni sulla sua pelle ora erano larghe circa un centimetro.

“Com’è possibile?”

“Tua madre ti ha donato il fattore rigenerante. Non preoccuparti bambina, è molto utile: ti ha curato in non più di due ore, persino più potente del mio.”

Una persona normale sarebbe morta e tu ci sei andata molto vicina.”

Zero aggrottò la fronte.

“Fattore rigenerante?”

“Sì, Terra. Una persona normale sotto quelle scariche sarebbe morta, ma non tu. Hai un dono mia cara, un vero talento nello sfuggire alla morte. Un talento che io e te condividiamo, bambina mia.”

Zero serrò le labbra.

“Siamo sempre più simili, Terra. Stasera tornerai ad essere la mia apprendista. Con il tempo, chi lo sa, potrei anche diventare un padre per te.”

Zero socchiuse gli occhi.

“Come facevi a sapere del mio fattore rigenerante? Hai rischiato di togliermi la vita.”

Slade rise sommesso.

“Quindi eri a conoscenza del tuo stato?”

Zero fece una smorfia.

“Come hai fatto?”

Slade le spostò una ciocca dal viso.

“Quando l’apprendista ti ha rapito, ti eri appena tagliata un dito con una rosa. Quando sei arrivata qui la tua pelle era perfetta.”

Rabbrividì. La stavano sorvegliando da tempo, lo sapeva benissimo. Era stata lei a permettere che fosse rapita, era stata preparata per quell’evenienza fin dalla nascita, era pronta. L’inquietudine per quell’uomo, però, non l’abbandonò.

“Preparati, a breve i Titans saranno solo un vago ricordo. Presto dovrai ripetere il giuramento.”

Zero annuì con il capo. L’uomo si alzò e uscì.

Il giuramento, fedeltà a Slade e solo a lui, nessuna scusa. Deglutì, l’avevano scoperta per una ferita data dalla spina di una rosa. 

Red X… perdonami.

Zero scosse la testa. Red X lavorava solo per se stesso, non gli doveva nulla. Sospirò. In ogni caso, anche se avesse voluto, non poteva essere Rose. Non era quello il suo posto nel mondo, quello per cui era nata. 

Gli occhi s’inumidirono. Attaccato al muro alla sua destra c’era uno specchio, rettangolare, alto e stretto. All’interno la sua immagine riflessa, seduta, le ciocche di capelli sporche e raggrumate. 

La ragazza s’alzò e tese una mano in avanti: subito dall’altra parte la figura fece lo stesso, facendo coincidere i polpastrelli alla superficie dello specchio.

Mi dispiace, ma questa è la vita che è stata scelta per me, la vita che devo portare avanti. Né tu né io possiamo cambiarla, purtroppo.













 

Angolo dell’autrice

Torno ad aggiornare dopo tre settimane. Da un lato chiedo scusa per il ritardo, dall’altro sono orgogliosa perché pensavo di aggiornare direttamente a Natale. 

Il capitolo è più lungo dei soliti, come avevo promesso. Il successivo, invece, lo metterò nei giorni immediatamente precedenti la Vigilia, dopodiché, scanso festività, tornerò alla normale pubblicazione.

Spero che quanto scritto vi sia piaciuto e spero soprattutto di non avervi annoiato. Questa parte serve per spiegare il background dei personaggi e la loro psicologia, oltre che ovviamente per presentare la situazione lontano da Jump city. I nostri Brion e Gregor non stanno vivendo un buon momento e devo mostrarlo, anche se magari  preferite leggere dei Titans, di Terra, di Red X e compagnia bella. (Tranne James, James non lo vuole nessuno)

Per quanto riguarda Terra: sì, è ancora indecisa. È un personaggio insicuro per questo ha bisogno di convinzioni forti per fare quello che deve fare, è una cosa graduale. Pensate di essere prelevati da scuola e di dover fare i supereroi, di rischiare la vita. Io avrei paura, soprattutto se non fossi proprio padronissima dei miei poteri. Lei è migliorata molto, ma ancora non ha il controllo assoluto, soprattutto perché non li ha usati per anni e perché non c'è nemmeno nata. Faccio questa precisazione perché magari non tutti potrebbero apprezzare i suoi tentennamenti, sia tra i suoi fan che tra quelli che non la trovano proprio simpaticissima. Prendetela per quello che è per favore, prima di essere una supereroina o una studentessa, è una persona. (nella finzione ovviamente)
Non voglio descriverla né come cattiva, né come eroina senza macchia e senza paura. È molto più complessa e ci tengo ad essere cauta, soprattutto perché questa storia si prefigge anche di farle trovare finalmente un'identità. Tuttavia sono curiosa di sapere cosa ne pensate, liberissimi di dirmi che secondo voi sto facendo un enorme sbaglio, può venirne fuori una discussione interessante.

Ah, ultima cosa. Tra i poteri di Geo-Force ci sono la pyrokinesis (può sia creare flutti di lava che controllare il fuoco e quindi domarlo) e la manipolazione della gravità (può rendere un oggetto molto più leggero o molto più pesante e può fluttuare in aria).

Bene, fatemi sapere cosa ne pensate come sempre con una recensione. Grazie di cuore a tutti quanti per seguire questa storia, per commentarla o anche solo per leggerla. Grazie!

 

Ah, la scorsa volta mi sono scordata. La maschera dell’apprendista prende ispirazione da questo trucco per la parte disegnata:

http://www.thedressupbox.com/wp-content/uploads/2014/09/Jack-o-lantern-costume.jpg

Dovrete quindi fare un ibrido tra la maschera bicolore di Slade e quel disegno.

Beh, alla prossima! Prestissimo si tornerà all’azione e ne vedremo delle belle!

Bye!

x Carlotta

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Capitolo 21
*** Affari di famiglia ***


AFFARI DI FAMIGLIA

 

 

 

 

 

Markovia.

 

 

“Brion, abbiamo novità?”

Gregor era in piedi nel suo studio, vestito con un completo scuro e rivolto al quadro di loro padre.

Il ragazzo s’inchinò di fronte al fratello.

“Sire.”  Disse e si sistemò le maniche dell’abito “Siamo riusciti a domare le fiamme e a salvare i cittadini, ma la situazione sta degenerando.”

Gregor allacciò le mani dietro alla schiena.

“Il popolo sta perdendo fiducia nel nostro casato. I nobili sono sul piede di guerra, ci osservano e aspettano la nostra caduta come degli sciacalli. Un’accusa di omicidio era di certo da evitare.”

Brion serrò la mascella. Quell’uomo. Vampate di calore gli percorsero il corpo, fino alle mani. Quell’uomo aveva approfittato del loro dolore e aveva gettato Markovia nella rovina.

“Abbiamo trovato il Dr. Hale?”

Gregor abbassò il capo.

“Sembra che abbia lasciato il Paese.”

Il ragazzo spalancò gli occhi.

“Cosa? Come ha fatto?”

“Vorrei saperlo anche io, ma ora non è il momento. Tutti i nobili sono riuniti nella sala per i ricevimenti, è ora di andare.”

Brion fece un inchino con il capo.

“Come volete, sire. Ma cosa faremo? I Titans mi hanno comunicato di non essere ancora riusciti a trovare nostra sorella.”

Gregor sospirò.

“Temporeggiamo, Brion, sperando che la trovino in fretta.”

All’entrata di Gregor, tutti si alzarono in piedi. Il re si portò al capotavola dell’enorme tavolo rettangolare che occupava tutta la stanza. 

Brion si sistemò alla sua destra. La luce entrava dai finestroni che occupavano tutta la parete di fronte a lui e alla sinistra del fratello.

“Signori, ho indetto quest’assemblea per i recenti avvenimenti che hanno sconvolto il nostro Paese.”

Un signore anziano prese la parola.

“Vostra maestà, le accuse che cadono su di voi sono gravissime. Viene insinuato un vostro coinvolgimento nell’omicidio della vostra sorellastra.”

Un uomo dai baffi a manubrio continuò.

“Sorellastra, inoltre, di cui nessuno di noi era al corrente.”

L’anziano riprese.

“È inammissibile, è evidente che i Markov non siano più adatti a regnare. La nostra economia è in crisi da più di due anni, siamo lo zimbello di tutta l’Europa. Urge che sia un’altra famiglia a prendere il comando, per non riempirci ancora di più di vergogna.”

Brion si sistemò l’orlo delle maniche con le dita.

“E voi cosa proponete, conte? Il vostro casato, magari?”

“Come vi permettete? Non siamo noi ad essere sotto scandalo.”

“Se posso permettermi, vostra maestà,” disse un uomo biondo, dal volto completamente rasato, “il conte Dalse non ha torto. Le accuse sono gravi, la crisi esiste, i recenti incendi appiccati qui a Markovburg non hanno certamente migliorato la situazione. Tuttavia, voi ancora non ci avete dato le dovute spiegazioni riguardo questa incresciosa vicenda. Il dottor Hale ha mostrato fascicoli e foto, ha fornito prove, voi ancora non avete proferito verbo. Io credo nel casato dei Markov, fin da quando è stato scacciato l’usurpatore Bedlam. Spero di udire al più presto i vostri chiarimenti.”

Re Gregor giunse le mani dietro alla schiena.

“Primo ministro Vittings, voi non avete torto.”

Brion si girò verso il fratello. Era impazzito?

“Per quanto riguarda la crisi, potrete convenire con me che tutto il mondo in questo momento ne è vittima; non siamo lo zimbello dell’Europa, semplicemente perché le accuse che vedono la famiglia reale Markov, la mia famiglia, sono infondate.”

Brion fissò il fratello: le braccia ora erano distese lungo i fianchi, le mani rilassate.

“Con queste mie parole voglio scagionare me, mio fratello Brion, principe di Markovia e ogni mio consanguineo, da qualsiasi accusa di omicidio. La ragazza infatti è viva e presto sarà in viaggio dall’America per smentire personalmente ogni indegna insinuazione sul nostro conto. Questo è ciò che ho da dire sulla vicenda.”

Un brusio si levò nell’uditorio. L’uomo con i baffi a manubrio si carezzò il mento.

“Tutti abbiamo visto le foto e i documenti del dr. Hale.”

Brion voltò il capo verso l’interlocutore.

“Converrete con me, duca, che una persona in carne e ossa è una prova ben più tangibile di qualsiasi scartoffia.”

L’uomo si zittì.

“Vostra maestà, sono fiducioso che questa sfortunata circostanza si risolverà per il meglio. Ora, se nessuno dei presenti ha da obiettare,” disse il primo ministro, giungendo le mani e passando lo sguardo sui volti di tutti i presenti in sala, “preferirei discutere di argomenti che riguardano più da vicino il popolo del nostro Paese. In dettaglio, come intendete procedere per affrontare i recenti attacchi ai luoghi di prima necessità?”

 

 

***

 

 

 

Jump city.

 

 

6 PM. Dionne e Amber dovrebbero uscire adesso.

Terra era a pochi metri dal cancello, con il cappuccio calato sugli occhi. Si alzò sulle punte per sbirciare oltre le teste delle persone in attesa: le classi stavano uscendo.

“Oh, ma che fine ha fatto Palmer?”

Terra voltò la testa di scatto.

Ah non lo so, perché, cambia qualcosa?”

Hunt.

Terra si torturò le dita di una mano. Quindi non era tornato a scuola. Il ragazzo camminava a lunghi passi verso il cancello, lo zaino a penzoloni su una spalla. Dietro di lui, Terra scorse il profilo di Dionne. Avanzò a testa bassa, schivò le persone raccolte a gruppetti di fronte all’uscita e raggiunse l’amica. Le diede un colpetto sul braccio. Dionne si girò, i suoi occhi si spalancarono così come la sua bocca.

“Oh mio Dio, Tar-“ Terra si portò l’indice destro alle labbra. La ragazza tacque.

“Dov’è Amber?” disse a bassa voce.

“Stava arrivando… ma perché hai il cappuccio in testa? E perché parli a bassa voce?” disse abbassando anche lei il tono.

Terra scosse la testa.

“Non importa, troviamo Amber e andiamo.”

“Dionne perché non mi hai aspettato?”

Amber comparve alle spalle di Dionne, che si scostò. Gli occhi le caddero sulla ragazza incappucciata.

Spalancò gli occhi.

“T-Tara…sei tu?”

Terra si portò di nuovo l’indice alle labbra e sorrise.

“Proprio io. Andiamo.” Sussurrò.

“N-Non… dove sei stata tutto questo tempo?” continuò lei a bassa voce.

Terra s’incupì.

“Venite con me.”

Mise le mani nelle tasche e si avviò a testa bassa schivando la folla di persone. Camminò per cinque minuti, seguita solo dai passi delle due amiche, per poi infilarsi in un vicolo.

“Tara cos’è tutta questa segretezza? Mi stai spaventando…” mormorò Dionne.

La ragazza si girò. Entrambe erano di fronte a lei, zaino in spalla. Due normali studentesse. Sospirò.

“Per prima cosa, voi non mi avete mai visto.”

Dionne aprì la bocca per controbattere, ma Amber la bloccò con un cenno.

“Sono successe tante…” Terra inspirò a fondo “cose dall’ultima volta. Non posso spiegarvi tutto, ma per ora è meglio se non mi faccio vedere in giro.”

Dionne strinse le dita sul bracciolo dello zaino.

“Ci siamo spaventate quando la professoressa ci ha detto che eri stata ritirata da scuola.”

Terra fece una smorfia. L’aveva ritirata da scuola quindi? 

“Come stai?” disse Amber, mettendosi una ciocca dei capelli rossi dietro all’orecchio.

“Bene, per ora. Nessuno mi ha fatto del male.”

“Menomale…” Dionne giunse le mani al petto.

Terra sorrise, aprì la bocca, ma ciò che doveva dire le morì in gola.

“James?” domandò alla fine.

Dionne si morse un labbro, Amber incrociò le braccia.

“Al momento dell’incidente è stato portato all’ospedale, Noi siamo andate a trovarlo, per sapere dove fossi, cosa fosse successo. Poi… scomparso. Sembra sia stato rapito.” Amber abbassò lo sguardo.

Terra spalancò gli occhi. Chi? Slade? Sua madre? Fece schioccare la lingua. Non era riuscita ad anticiparlo. Forse se non si fosse fatta tutti quei dubbi adesso lui sarebbe fuori pericolo.

Si appoggiò al muro con la schiena. Cosa poteva fare ora? 

Dionne le appoggiò una mano sulla spalla.

“Andrà tutto bene… vedrai che non gli sarà accaduto nulla di male.”

“Tara, ma che è successo quella sera?”

Alla ragazza tremarono le mani, si morse il labbro.

“Ecco, vedi…” Sospirò.

Amber le sorrise.

“Allora? Raccontaci tutto, vedrai che potremo aiutarti.”

Terra sospirò, annuì. Le sue due amiche erano lì, dopo tutto quel tempo senza avere sue notizie, erano ancora lì. Lì ad aspettare una sua spiegazione, senza volerla giudicare, solo comprensione.

Raccontò. Raccontò di quella sera, di James, dei suoi poteri, di Red X, del suo clone. Man mano che andava avanti calde lacrime scendevano sul suo volto. Dionne e Amber ascoltavano, in piedi di fronte a lei, immobili. Amber aveva un’espressione concentrata, Dionne triste. Era appena arrivata a raccontare della sua fuga dalla clinica, quando un pensiero la riscosse.

“S-scusatemi. Che ore sono?”

“Oh, un attimo.” Dionne prese il telefono. “Le 7.30.”

Terra annuì.

“Devo andare. Perdonatemi.”

“Ti vogliamo bene.” Disse Dionne.

Amber annuì, sorridendo.

Tara le abbracciò, entrambe. Tenne la testa sotto i loro menti. I suoi occhi si erano inumiditi, ma lei li strizzava per trattenersi dal ricominciare a piangere. Erano lì, per lei. Le due la strinsero, in un caldo abbraccio a tre.

“Adesso dovrei andare, ma non voglio.” Tara si strinse ancora di più.

“Tranquilla Tara, vedrai che andrà tutto bene. Sono sicurissima che ci rivedremo presto.” Sussurrò Amber, vicino all’orecchio della ragazza. “Io, te, James… È una promessa. Vedrai, non avrai nemmeno tempo di accorgertene e saremo di nuovo insieme.” 

“Ci vedremo presto Tara, ogni volta che avrai bisogno ci sarò. Saprai sempre dove trovarmi.” Disse Dionne.

“Grazie ragazze.”

 

 

*** 

 

 

 

Una caverna scura, un piedistallo vuoto di fronte a lei. Nessun rumore.

Tra le mani, una targa.

 

 

UNA TEEN TITAN

UNA VERA AMICA

 

 

Serrò le dita. Si morse il labbro finché in bocca non sentì sapore di sangue. Anni a cercare una risposta, una vera risposta su chi fosse e su cosa dovesse fare. Era tutto lì, in sei parole. 

Forse non sarò mai più una Teen Titan ma… socchiuse gli occhi, ho intenzione di mantenere quest’ultima promessa. Una vera amica.

Ripose la targa al suo posto e si alzò in piedi: la superficie in marmo, liscia, con le sue lettere grandi, scolpite, le pesò nel cuore come un macigno.

“Chissà perché i morti tornano sempre a visitare le loro tombe.”

Terra si voltò di scatto. Red X, nel suo costume nero, la salutò allontanando l’indice e il medio dalla fronte.

“Non dovevi tornare entro il tramonto?” continuò.

Terra abbassò il volto.

“Ho avuto da fare. Tu invece?”

Red X si grattò la nuca.

“Oh, beh, ho fatto qualche ricerca, qualche giretto qua e là, adesso sto finendo un lavoro.”

Terra alzò un sopracciglio.

“Un lavoro? Adesso?”

Red X fece spallucce.

“Che ti devo dire, fanno sempre comodo un po’ di soldi” disse avvicinandosi.

Terra ridacchiò.

“E sentiamo, dove li avresti rubati?”

“Nessun furto, solo uno scambio.”

Red X rise dandole un colpetto con l’indice sulla fronte.

“Scambio? Soldi in cambio di?”

Il ragazzo le girò intorno e le mise le mani sulle spalle. Terra venne scossa da un fremito. Lui le si avvicinò con le labbra all’orecchio.

“Di te ovviamente.”

Terra spalancò gli occhi, la bocca fredda di una pistola era appoggiata alla sua tempia sinistra.

“C-cosa stai facendo?”

“Concludo il lavoro.”

Una figura comparve dall’ombra.

“Ciao Tara, o Terra, come preferisci tesoro.”

Il volto di Terra si trasformò in una maschera di rabbia.

“Mamma.”

La donna allargò le braccia.

“Bambina mia, ero così preoccupata!”

“Cosa vuoi.”

“Tara, io non ti ho cresciuta così sgarbata. Su, andiamo, ti porto in un bel posto.”

Red X la spinse con la mano.

“Andiamo Terra, niente poteri. Non costringermi a farti cose spiacevoli.”

La ragazza digrignò i denti.

“Spera che io non riesca ad usarli. Speralo.”

“Sei costretta, tesoro.”

Terra le scoccò un’occhiata furente.

“È passato il tempo in cui prendevo ordini da qualcuno.” Sputò la ragazza “Mi salverò da sola e, se non dovessi farcela, i miei amici verranno a salvarmi.”

La madre si lisciò una ciocca.

“Amici? Parli dei Titans?” La donna sorrise sollevando un angolo della bocca in una smorfia compiaciuta “Hai ragione. Loro sì che potrebbero salvarti. Ma, piccola mia, non stai dimenticando un piccolo particolare?”

Terra alzò un sopracciglio.

“E sarebbe?”

“Non tutti i tuoi amici hanno i poteri.”

Terra s’immobilizzò, il suo respiro si bloccò, la bocca le tremò.

“C-chi?”

La madre ticchettò l’indice sul mento.

“Amber, Dionne, James… che importa?” disse facendo spallucce.

Terra strinse i pugni, le nocche crocchiarono.

“Sì, importa.” 

“T’interessano davvero?”

“Non li toccare.” Sibilò.

“In tal caso faresti meglio a non irritarmi troppo, tesoro. Sono piuttosto irascibile quando sono stanca, lo sai.”

Terra serrò la mascella. La donna camminò verso il piedistallo della statua e raccolse la targa. Fece finta di levarsi una lacrima dall’occhio sinistro.

“Toccante.”

La buttò per terra. La lastra si spaccò in due, con una crepa che la divise come una saetta.

“Mantieni i tuoi propositi, bambina, fai la vera amica e fai la buona.”

La ragazza la guardò con occhi iniettati d’odio.

“Oppure potrei seppellire sia me che te, qui, in un solo momento, e porre fine ai miei problemi.”

La donna incrociò le braccia.

“Non hai più paura di morire. Poco importa, lo immaginavo. Ma mi duole informarti che se non darò mie notizie a delle persone fidate entro venti minuti, qualcuno dei tuoi amichetti morirà. Forse uno, forse tutti, chi lo sa. Vogliamo correre il rischio?”

Terra sostenne lo sguardo della madre e grugnì, poi, abbassò il capo. I capelli scivolarono in avanti coprendole il viso.

“Va bene.” Disse.

“Andiamo.” 

La madre si voltò e uscì dalla grotta.

***

L’odore d’acqua salmastra le fece arricciare le narici. Con uno strattone le tolsero il cappuccio che le era stato infilato lungo il tragitto. Il nero delle onde l’accolse come una voragine. La bocca della pistola era appoggiata alla sua nuca.

“Mi dispiace far finire così tutto, Tara. Se fossi rimasta in clinica avrei usato un metodo molto più dolce.”

Terra strinse i pugni.

“Perché mi fai questo? Perché mi hai risvegliata dalla pietra se poi mi volevi uccidere?”

Anne si portò a fianco a lei, aveva lo sguardo verso l’orizzonte.

“Non ti ho risvegliato io, tesoro. Proprio per questo è nata Zero, non potevo avere te.”

Terra aggrottò le sopracciglia.

“E allora com’è successo? Chi mi ha svegliata?”

“Non ne ho idea, bambina.” Disse e sospirò. “Da sola, probabilmente. In ogni caso sei stata utile. Mi sono accorta che Slade non aveva mai desistito a cercarti. Per un periodo ho avuto paura potesse impadronirsi di Zero, ma, a quanto pare, hai deciso di ridestarti dal tuo ruolo di bella addormentata. Ho potuto lavorare sul tuo clone in tranquillità, studiarne il DNA, fare esperimenti, senza che nessuno mi disturbasse.” Ridacchiò “Slade, come un allocco, era occupato a guardare te. Perde colpi, il vecchio.”

Terra contrasse il viso in una smorfia.  

Anne giunse le mani dietro alla schiena.

“In realtà sei stata ancora più utile. Al momento della clonazione i tuoi poteri non si erano replicati. Zero,” Anne si girò verso Red X e sorrise con la sua smorfia compiaciuta, “o Rose, come ama chiamarla questo romanticone qui, era un normalissimo essere umano, dall’apparente età di diciotto anni e solo geneticamente un po’ più vecchio.” Si passò una mano tra i capelli “Per questo motivo, ho iniziato a fare esperimenti genetici: dovevo trasferire il tuo enorme potenziale, sprecato aggiungerei, in lei. Ho fallito per mesi, sono riuscita a darle un potente fattore rigenerante, ma niente di più.” La donna strinse le labbra. “Questo perché i tuoi poteri non erano attivi. Non volevi ricordare.” Alzò le spalle. “Il tuo amico verde contribuì a destabilizzarti, ma non era abbastanza.Perciò ho permesso che Slade ti rapisse insieme alla tua cottarella adolescenziale. Ha funzionato.” Rise. “E davvero lui è stato convinto di aver fatto un’ottima mossa. Credeva che io volessi celarti i poteri. Patetico.”

La donna si girò verso di lei.

“Ah, a proposito, la prossima volta sceglierei un po’ meglio fossi in te. Sembra che sia tu, sia il tuo amichetto mascherato dietro di te, abbiate seri problemi a scegliere le persone di cui fidarvi. Attenzione, la prossima volta.” 

Terra udì Red X inspirare a fondo e buttare tutto fuori in un lento respiro.

La donna le strizzò l’occhio. 

“Beh, se ci fosse una prossima volta. Addio, piccola.” Le diede una carezza sulla guancia, Terra si scostò. “Su, non fare la scontrosa.” Tirò fuori da una tasca una lametta e le tagliò una ciocca di capelli. 

“Giusto per ricordo” concluse, riponendola. 

“E i miei amici?”

“Sono una donna di parola, ai tuoi amici non accadrà nulla, per lo meno,  io non farò loro nulla. Addio.”

Terra fece una smorfia. Chiuse gli occhi. Il petto le si alzava ed abbassava ritmicamente, senza che lei potesse controllarlo. 

Sentì i passi della donna allontanarsi.

“Perché lo fai?”

“San Andreas Lake. Le parole le giunsero in un sussurro.

Terra aggrottò la fronte.

“Cosa?”

“Nessuno cerca un morto che ha visto con i propri occhi. San Andreas Lake.”

Uno sparo. Una spinta tra le scapole. L’acqua del mare la inghiottì.

 

 

***

 

 

 

Il vento notturno sferzò la sua pelle, nuvole ricoprivano il cielo nascondendo le stelle. Un alone bianco testimoniava la presenza della luna, velata dalle nubi.

Beast Boy era sul tetto della torre, in piedi, immobile, ad un passo dal vuoto.

Si avvicinò: il ragazzo non alzava nemmeno le spalle per respirare, sembrava congelato.

“Trovato qualcosa?”

“Nulla.”

Raven incrociò le braccia e abbassò lo sguardo.

“Il tuo udito è migliorato molto.”

Beast Boy sospirò.

“Sì, troppo e non abbastanza allo stesso tempo.”

Raven alzò un sopracciglio.

“Cioè?”

Beast Boy si girò. Raven fece una smorfia, aveva ancora la benda lacera sugli occhi. Era quasi nera e, conoscendolo, non l’avrebbe mai lavata. Bleah.

“Sono qui da ore.” Beast Boy inarcò le labbra in una smorfia. “Ho ascoltato ogni singola conversazione del quartiere qui vicino e non ho sentito assolutamente nulla che potesse aiutarci. Nulla. Terra sembra essersi volatilizzata.”

“Riproveremo domani. Ora dobbiamo tornare giù però.”

Beast Boy abbassò il volto.

“Sì.”

La ragazza si girò e fece un passo.

“Riesco ad ascoltare ogni parola.”

Raven si bloccò.

“Ogni parola detta da tutte le persone di questo quartiere. Sento le loro voci, i loro scherzi, i loro sentimenti. Sono un brusio costante nella mia testa, non se ne va mai, nemmeno quando provo a dormire. Tento di non badarci, ma loro diventano ancora più forti.”

La ragazza si girò, Beast Boy aveva le mani strette in due pugni.

“E io non voglio sentirle, mi sento come se non dovessi poter ascoltare quelle cose, non ne ho il diritto. Però devo farlo, per ritrovare Terra.”

Beast Boy appoggiò le mani sulle spalle della ragazza.

“È per questo che non vuoi leggere la mente?”

I muscoli di Raven si tesero sotto il tocco del compagno di squadra.

“Sì, è questo. Non vorrei mai che qualcuno entrasse nella mia testa.”

Beast Boy alzò un sopracciglio e ridacchiò.

“In effetti la tua testa è strana.”

Raven si ritrasse.

“Come mai il concetto di privacy ti viene in mente solo adesso?”

“Dai Rae, io e Cy ti abbiamo aiutato. Ammettilo!” disse Beast Boy punzecchiandola con un dito sulla spalla.

Raven afferrò il polso di Beast Boy.

“Sì, grazie. Andiamo adesso?”

“Permalosa. Qual è il problema?”

Raven lasciò la mano di Beast Boy.

“Uno,” disse alzando l’indice della mano destra, “stai invadendo il mio spazio vitale. Due,” continuò alzando anche il medio, “quella cosa che hai per coprirti gli occhi, puzza.” 

Raven fece una smorfia e distolse lo sguardo.

“In effetti non l’ho mai lavata.”

Beast Boy si bloccò, il sorriso gli morì sul volto. Voltò la testa verso la costa, Raven non riusciva ad udire nemmeno il suo respiro.

“Hai sentito anche tu?”

Raven scosse la testa.

“Cosa succede?”

Beast Boy deglutì.

“Uno sparo.”

“Andiamo da Robin.”

Un varco nero si aprì sotto i loro piedi, circolare. Beast Boy cadde con uno grido. Raven alzò gli occhi al cielo e s’inabissò.

 

 

***

 

 

 

Red X abbassò la pistola e si girò verso Anne Markov.

“La valigetta.” 

La donna sorrise.

“Assolutamente, sono una donna di parola.”

Si avvicinò a una macchina scura e aprì il bagagliaio; ne estrasse una ventiquattrore nera. Tornò di fronte a Red X, al limite del molo.

“Aprila.” 

La donna l’appoggiò per terra e la aprì. Due fascicoli e una foto. L’immagine di lui, suo padre e suo fratello lo colpì come un pugno allo stomaco.

“Richiudila e allontanati.”

La donna eseguì e si allontanò di due passi.

“La tua identità è di nuovo al sicuro, Red X. La conosciamo solo io e te.”

Red X prese la valigetta, puntò la pistola contro Anne Markov.

“Direi che tu sei di troppo.”

La donna mise le mani sui fianchi.

“Non saremmo arrivati a questo se tu non ti fossi lasciato coinvolgere emozionalmente da una ragazzina e dal suo clone.”

Red X fremette di rabbia.

“Tu non sei una madre.” Disse scandendo le parole.

“Sei sicuro di essere la persona più adatta per parlare di relazioni familiari?”

“Dammi un valido motivo per cui non debba ammazzarti qui e ora.” Ringhiò Red X.

Anne Markov rise.

“Oh, sono sicurissima che non lo farai. Anzi, fossi in te inizierei ad andarmene.”

Red X sogghignò.

“Un molo buio, una signora di mezz’età e un criminale armato. Io direi che sei tu quella in pericolo.”

La donna estrasse la lametta dalla sua tasca e s’incise la carne delle guance: una goccia di sangue si formò sulla superficie e colò in un rivolo rosso scuro. S’impresse tre profondi solchi: il primo dal naso all’orecchio, il secondo sulla fronte e il terzo sul mento. Non emise un lamento.

Red X sollevò un sopracciglio.

Anne Markov lasciò scivolare dalle dita la lametta, che cadde in mare. 

Prese un oggetto rotondo dalla tasca, lo aprì.

“Hai ragione Red X, sono io quella in pericolo.”

 

 

***

 

 

 

Un’ombra nera si aprì nella sala comune, Beast Boy cadde seduto sul pavimento.

“Ahi!”

Si massaggiò il sedere e si girò verso Raven, che era comparsa e fluttuava a mezz’aria.

“L’hai fatto apposta!” continuò.

Raven stirò le labbra in un sorriso.

“Ops.”

Beast Boy scattò in piedi.

“Robin, ho delle…”

“Aspetta BB. Ho delle notizie per tutti.”

Il varco si richiuse. Robin guardò gli ultimi arrivati, con Cyborg e Starfire al suo fianco.

“Per prima cosa ho contattato Geo-Force. Sembra che questa misteriosa madre esista e sia venuta in America con Terra circa sei anni fa.”

Starfire si massaggiò un braccio con una mano.

“Allora perché quando l’abbiamo incontrata noi era senza una casa?”

Robin sospirò. Aveva passato tutto il giorno a farsi quella domanda. Perché? Dov’era finita in quel periodo? Perché ricompariva proprio adesso?

“Non ne ho idea, non ha potuto dedicarmi molto tempo: le cose a Markovia si stanno mettendo male.”

Cyborg annuì.

“Altro?”

“James è stato rapito, ho contattato l’ospedale.”

Starfire si portò le mani alla bocca, Beast Boy fece una smorfia e incrociò le braccia.

“Pensi che sia stato Slade?” disse Raven.

Robin sospirò.

“È l’unica cosa possibile. Tu, Beast Boy, hai trovato qualcosa?”

“Te lo stavo per dire. Uno sparo, poco fa, proveniva dalla costa!”

Cyborg corse verso il computer.

“Sapresti localizzarlo?”

Beast Boy si portò una mano alle tempie.

“Non lo so, non saprei dirti qui dentro. Con voi non riesco a sentire bene.”

Cyborg premette qualche tasto.

“Amico, aiutami. Nord o sud?”

Beast Boy digrignò i denti.

“Non lo so! C’è troppa confusione!”

Starfire giunse le mani mentre levitava a qualche centimetro.

“Amico BB, sii più preciso, per favore.”

“Ci sto provando, Star…”

Raven toccò le tempie del mutaforma, aloni neri si materializzarono.

“Rilassati, escludi questa stanza, concentrati.”

Beast Boy inspirò a fondo e buttò fuori.

“Gli spari sono finiti.”

Robin si accarezzò il mento con l’indice e il pollice.

“Non ci voleva. Non importa, quando Slade farà la sua mossa, noi saremo pronti.”

Il comunicatore squillò, il ragazzo lo prese dalla cintura, rispose.

Il volto della madre di Terra gli comparve davanti, insanguinato. Singhiozzava, mentre le lacrime si mischiavano col sangue del viso.

“Signora, cos’è successo? Dove si trova?”

“A-aiuto! L-la mia b-bambina. Ha… ha u-un teschio sul vis-”

La chiamata s’interruppe.

“Signora? Signora!” 

Robin fissò lo schermo ormai nero.

“Maledizione.”

Raven si avvicinò al ragazzo.

“Teschio sul viso?”

Beast Boy fece schioccare la mascella e serrò i pugni.

“Red X.”

Cyborg si girò verso la squadra.

“Localizzata. È al porto.”











Angolo dell'autrice

Salve!
Questo capitolo è più lungo rispetto ai precedenti. Si tratta di una specie di bonus per Natale, oltre che per essermi fatta attendere! Dovrei tornare ora a pubblicare con una certa regolarità.
Per quanto riguarda il discorso di Anne, Zero è un po' più vecchia  di Terra. I cloni, per faccende che non vi sto a dire nel dettaglio perché non voglio rendere questo angolo una lezione di biologia, hanno i filamenti di DNA leggermente più corti, risultando quindi, geneticamente più vecchi degli originali.
Bene, non vi annoio con altro. Spero che il capitolo vi sia piaciuto! 
Buon Natale e buone feste!


x Carlotta

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Capitolo 22
*** Fantasmi dal passato ***


Scrivo prima solo per comunicare che, soprattutto nella seconda parte del capitolo, sia nella stesura che nella rilettura, ho ascoltato questa canzone: Silent Flight, Sleeping Dawn. È solo strumentale, non a tutti potrebbe piacere il genere. L'ho inserita per "dovere di cronaca".
 

 







FANTASMI DAL PASSATO

 

 

 

 

 

 

Terra si trascinò sulla riva, stremata. I vestiti, dopo la caduta, avevano acquistato peso, tirandola giù nell’oceano come un’ancora. Strinse il terriccio tra le dita e tossì, sputando acqua salata. L’orecchio destro le fischiava per lo sparo. All’ultimo Red X aveva spostato la pistola e aveva colpito a vuoto, per poi spingerla con l’altra mano.

Terra inspirò a bocca aperta. L’aria gelida le si riversò nei polmoni, facendola rabbrividire. Si tirò su in piedi, i capelli erano appiccicati al suo viso, la sua guancia sinistra e il suo corpo erano ricoperti di fango, gli occhi erano arrossati per il contatto con l’acqua marina.

Perché? Perché Red X l’aveva venduta così? Perché l’aveva tradita anche lui?

Terra si pulì alla meglio il viso con la manica della felpa e si tirò indietro le ciocche incollate alla pelle.

L’aveva venduta davvero? Allora perché non aveva sparato? Non aveva avuto il fegato? O c’era altro?

Una crepa circolare si formò sotto ai suoi piedi e una zolla la sollevò di un metro dal terreno, docile sotto il suo comando.

Terra socchiuse gli occhi. Non aveva idea se Red X l’avesse tradita o meno. In quel momento non le importava. Il suo pensiero era rivolto in un’unica direzione: San Andreas Lake.

 


 

***



 

Anne era di fronte a lui, con un ghigno sul volto. Il sangue le colava sulle guance fino al collo, tingendole il colletto della camicia.

“Fossi in te me ne andrei. Stanno già arrivando.”

Red X serrò le dita attorno alla maniglia della valigia.

“Ti dirò una cosa: io non prendo ordini da nessuno.”

Sparò. 

La donna rise.

“Credevi davvero che ti avrei dato una pistola completamente carica? Un colpo solo per far fuori la biondina, niente di più. Non mi fido di te, e sembra che faccia bene.”

Red X ringhiò e si avvicinò alla donna. Afferrò il suo colletto e la tirò su. Anne sorrideva, mentre le sue gambe penzolavano nel vuoto. Il ragazzo non aveva mai visto qualcosa di più odioso.

“Ti cancellerò quel sorriso dalla faccia, magari a sprangate. È una promessa.”

“Nostalgia del passato?”

Red X lasciò cadere la valigetta a terra e strinse il collo della donna con entrambe le mani. Il viso di Anne si fece paonazzo, rantolò.

“Che c’è? Non sorridi più adesso? Non ti piace il mio passato?”

Red X fece schioccare la mascella, mentre il colorito della donna virava verso il viola e le labbra erano contorte in una smorfia.

“Sorridi!” 

Anne tossì, i suoi occhi rotearono all’indietro.

“Red X, fermati!”

 

 

 

***

 

 

 

Terra si fermò, in piedi sulla zolla ad un metro dall’asfalto della strada, stretta nei vestiti gelidi. Di fronte a lei un lago dalle acque scure e immobili, circondato quasi completamente da alberi. La luna aveva fatto capolino dalle nuvole e lo striava d’argento. 

Per tutto il viaggio la ragazza era stata assillata da flash. Volse lo sguardo verso la collina alla sua destra, ricoperta di vegetazione. Sapeva dove andare.

Un alone giallo circondò le sue mani: la zolla si mosse sotto suo ordine.

 

 

 

***

 

 

 

Red X lasciò cadere la donna. 

I Titans erano alla sua sinistra: Starfire levitava a mezzo metro da terra, Raven era in piedi con aloni neri intorno alle mani e il cappuccio alzato, Cyborg aveva il cannone puntato su di lui, Beast Boy ringhiava sotto forma di tigre. Alla loro testa, Robin era in posizione impugnando il bastone.

“Red X, lasciala stare” urlò il leader.

“Per una volta stiamo dalla stessa parte. Non fare il coglione, Robin.”

“Per questo stavi strangolando la madre di Terra?”

Beast Boy ruggì più forte. Robin fece un cenno con la mano di rimanere in posizione.

Red X le diede un calcio, facendola rotolare prona.

“Questa non è la madre di Terra, Robin, è una donna diabolica.”

“E tu cosa ne sai?”

“Lo so” si limitò a rispondere.

“Come posso fidarmi di te? Sei un criminale.” Robin fece un passo avanti “Come posso sapere che non stai mentendo?”

Red X sbuffò. Non aveva alcuna voglia di collaborare, non con loro e ancor meno con lui, ma era l’unico modo per uscire da quella situazione e trovare Rose.

“Non sto mentendo. E non sono io quello da interrogare. Questa non è una madre premurosa, Robin. Ha creato un clone da Terra, una ragazza di nome Rose che non è mai uscita da una stanza d’ospedale. Un giorno l’apprendista di Slade ha fatto irruzione e ha portato via la ragazza sbagliata.”

“Rose?” chiese Cyborg.

“Sì.”

Raven aveva ancora gli aloni attorno alle mani, non sembrava fidarsi.

Robin si portò una mano al mento.

“Allora Terra non è nelle mani di Slade.”

“E se non è lì, dove si trova?” chiese Starfire.

Red X sbuffò.

“P-perché non glielo dici?” chiese Anne, tossendo per lo sforzo.

“Dirmi cosa?”

Red X si morse il labbro. Non poteva dire che Terra era viva, sarebbe stato un suicidio, ma nemmeno convincerli della sua morte. I cinque erano ancora in assetto da battaglia, tuttavia avevano abbassato la guardia. Solo Beast Boy schiumava dalla rabbia, ancora sotto forma di tigre. Mostrava i denti e aveva gli artigli che graffiavano il pavimento del molo.

“Di’ loro che hai ucciso la mia bambina e l’hai gettata nel mare.”

Robin indietreggiò.

“È vero?”

Red X non rispose.

“Dammi retta, Robin. Non ascoltare lei.”

“Ho… ho a-ancora una ciocca dei suoi capelli, della mia piccola” singhiozzò Anne. Nella mano aveva la ciocca dorata che aveva tagliato poco prima che lui le sparasse.

“Troia…” sussurrò.

“Starfire, porta via la madre di Terra” disse il leader allungando il bastone.

Beast Boy ruggì e attaccò.

 

 

 

***

 

 

 

Terra scese dalla zolla con un balzo. Un edificio in rovina stava di fronte a lei. Il tetto era sfondato in tre punti, creando tre voragini nere. Delle finestre rimanevano buchi di forma quadrata, a parte qualche scheggia di vetro che era ancora al suo posto. Metà della facciata era crollata in una cicatrice obliqua e frastagliata, la metà ancora in piedi era coperta di rampicanti che si erano infiltrati nella pietra. Sulla porta, rimasta intatta, erano fissati due nastri gialli, a croce, per impedire l’ingresso.

Terra s’avvicinò all’edificio e tese la mano, sfiorando con i polpastrelli i nastri di plastica. Sospirò. Era il momento.

Li afferrò con entrambe le mani e tirò: si strapparono e caddero senza fare rumore.

La sua mano destra tremò e s’appoggiò alla maniglia. Girò. La porta sì aprì in un cigolio.

Terra si morse il labbro e deglutì. Oltrepassò i calcinacci riversati sul pavimento con dei saltelli. Allargò le braccia per mantenere l’equilibrio. Si diresse verso le scale. Strinse tra le dita il corrimano ancora intatto. Una fitta la colpì alla testa, facendola gemere. Serrò il pugno sul legno. Le nocche sbiancarono e la pelle diventò violacea per la pressione. 

Chiuse gli occhi e buttò fuori l’aria per calmarsi, il dolore scomparve.

Al piano superiore l’attendeva un corridoio lungo e stretto, interrotto a metà da un buco, fatto di assi spezzate. Terra si acquattò al muro e procedette strusciandovi la schiena e i palmi delle mani. In fondo al corridoio, una porta socchiusa. L’aprì.

Una piccola stanza l’accolse.  I vetri della finestra erano frantumati sul pavimento, il letto ospitava dei calcinacci e uno scaffale a muro, sopra la scrivania, aveva ceduto rovesciando libri per terra.

La ragazza s’avvicinò e raccolse un voluminoso tomo blu scuro. Con il guanto tolse la patina di polvere che si era formata sulla copertina. Aprì: era un album fotografico.

Terra aggrottò le sopracciglia. Decine di foto sfilavano di fronte ai suoi occhi. Tre bambini, due maschietti e una femminuccia, seduti su un divano. Il primo, dai capelli castani, guardava spaesato l’obiettivo; il secondo, rossiccio, abbracciava la sorellina bionda, che rideva guardando il più grande.

Terra spalancò gli occhi.

Gregor… Brion…

La ragazza sfogliò il libro. Alla quinta pagina, una grande foto occupava tutto lo spazio disponibile. La bambina, di circa quattro anni, sorrideva in braccio ad una donna dai corti capelli biondi, che le schioccava un bacio sulla guancia.

Sotto la fotografia, stava scritto in calligrafia la data 21 luglio 1994 - Markovia.

“No…” 

Il libro cadde a terra, sparpagliando tutte le foto sul pavimento. Rimase a guardarlo per minuti, senza muovere un muscolo. 

Greg… Brion… mamma… non può essere…

 

 

 

***

 

 

Red X rotolò a sinistra e recuperò la valigetta.

“Cos’hai lì dentro? I soldi incassati?” urlò Cyborg tirandogli un destro.

Red X schivò a destra e gli diede un pugno nello stomaco. L’androide tossì e il ragazzo s’accovacciò e gli diede un calcio sulla caviglia, facendolo cadere.

“Azarath Metrion Zinthos!” 

Una cassa colpì Red X in pieno volto, ribaltandolo. Un profondo taglio s’aprì sullo zigomo. Red X tossì sangue che rimase invischiato nella maschera.

“Che schifo.”

Si girò intorno alla ricerca della valigia, senza trovarla. Robin lo prese per il costume.

“Vuoi questa?”

Robin aveva in una mano  la valigetta.

“Vediamo cosa vuoi nascondere.”

Red X s’immobilizzò. Robin aprì la valigetta e prese la foto, il suo viso cambiò aspetto e si trasformò in una maschera di rabbia.

“Cosa ci fai con questa, eh? A cosa ti serve?”

Il leader lo avvicinò a qualche centimetro dal suo volto e sillabò:

“Cosa ci fai con questa roba. Non sono affari tuoi. Cosa t’interessa?”

Red X non rispose. Si era fregato da solo. Robin mutò espressione, le sue mani tremarono. Lasciò andare il costume di Red X.

“No… è impossibile.” Robin lo guardava con la bocca semiaperta “Non è vero, non può essere… sei sempre stato tu?”

“Sei un coglione, Robin.”

Red X lo colpì in volto con un pugno, scaraventandolo a terra. 

Anche steso sul cemento, il ragazzo meraviglia non si mosse, continuando a guardarlo come fosse un fantasma.

“Non farla tragica, non è la prima volta che uso un tuo costume, dopotutto.”

Red X premette il tasto del teletrasporto sulla sua cintura.

Sei un coglione, Dick. Sei un coglione.

 

 

 

***

 

 

 

Terra uscì dall’edificio diroccato. L’unico rumore che l’accompagnava era quello dei suoi passi e del suo fiato.

L’ambiente circostante l’accolse nuovamente, buio. Le nuvole si erano allontanate, lasciando la luna libera nel cielo.

Il corpo della ragazza tremava, si teneva a stento sulle sue gambe. Aggirò l’edificio, stringendosi tra le sue braccia, con i capelli umidi sul volto.

Sul retro l’attendeva una pietra, grigia, conficcata nel terreno e coperta da rampicanti. Terra trattenne il respiro. Avvicinò la mano ai rampicanti e li strappò.

 

 

 

ANNE MARKOV
1967- 2003

 

 

 

Smise di respirare. Il braccio cadde a peso morto vicino al suo fianco. Le labbra tremarono, gli occhi erano spalancati.

Venne colpita da una saetta. Gridò di un dolore lancinante, la schiena le si arcuò sotto la fitta.

Flash sconnessi le si concatenarono nella mente in un turbine: i suoi fratelli, la mamma che le raccontava la favola prima di dormire, il giorno dell’incoronazione di Gregor in televisione.

Le immagini roteavano nella sua testa sempre più veloci, incomplete e dolorose. 

Il terremoto, i calcinacci, il braccio della mamma che spuntava dalle macerie, inerte.

Terra cadde in ginocchio, il sangue le pulsava nelle tempie, la testa era sul punto di esplodere. Urlò.

“Mamma mia quante storie.”

Terra gemette e si girò. Una figura con una maschera bipartita somigliante a quella di Slade, ma con l’immagine di una zucca la fissava in penombra; a fianco a lei, un altro individuo.

La ragazza socchiuse gli occhi: con la vista annebbiata non riusciva a distinguere l’altra presenza accucciata dietro alle gambe della prima.

“Chi sei.”

“Così mi offendi. Già ti sei dimenticata di me?”

Terra digrignò i denti per combattere il dolore.

“L’apprendista.”

“Ecco, vedi? Se t’impegni non è poi così difficile.”

Terra fece leva sulla mano destra e si alzò in piedi, barcollante.

“Cosa vuoi.”

“Sai, ho commesso un errore. Pensavo di averti catturata qualche giorno fa, e invece è saltato fuori che giri con delle copie carbone. Sono qui per finire il lavoro: Slade si terrà la tua gemella, ma tu… tu mi hai fatto perdere fin troppo tempo.”

Terra socchiuse gli occhi.

“Chi è l’altro.”

L’apprendista puntò le mani sui fianchi e rise, gettando la testa all’indietro. Terra fece una smorfia di disgusto.

“Lui?” continuò afferrando l’ombra accovacciata ai suoi piedi, “L’ho portato qui solo per te. È giusto che possa salutare i tuoi amici prima della tua dipartita.”

L’apprendista gettò il corpo di fronte a lei. Il ragazzo si rannicchiò in ginocchio. Aveva il petto nudo e i capelli sporchi divisi in ciocche, le sue membra tremavano.

Terra spalancò gli occhi.

“No… non è vero.”

La ragazza indietreggiò, portando una mano alla bocca. Gli occhi erano vitrei.

James emise un gemito e sussultò. Alzò la testa, finché Terra non poté intravedere i suoi occhi scuri.

“Tara… ti prego. Perdonami.”

La sua voce era ridotta ad un sibilo, una supplica.

“James… no, non puoi averlo fatto. Io…” 

La mano di fronte alla bocca di Terra tremò. La ragazza la chiuse a pugno e sferzò l’aria, portandola al suo fianco, livida.

“Io non ci credo.” 

Gli occhi di James erano arrossati, il volto era inondato dalle lacrime.

“Ti prego, perdonami. Perdonami.”

Terra aprì la bocca, ma non ne uscì alcun suono. Cadde in ginocchio di fronte al ragazzo, con espressione vuota in viso. James tremò e la afferrò con le dita magre e nodose. Terra guardò il tessuto della felpa tendersi, senza reagire.

“Perché” sussurrò.

“Non lo so, mi dispiace. Non so perché ho fatto quel che ho fatto, non me lo ricordo nemmeno più. Il fatto è che… mi sono accorto di che persona avevo di fronte, di quanto tu tenessi a me e di quanto io potessi tenere a te, troppo tardi.”

Terra non rispose, era immobile, il volto smunto, le labbra esangui.

“Mi hai venduta.”

James la strattonò, la ragazza si lasciò scuotere senza battere ciglio.

“No, ti prego, ti prego. Guardami.”

James le afferrò il viso tra le mani. Terra spostò le pupille nelle sue.

“Avevo cambiato idea, stavo andando dai Teen Titans per raccontare tutto, te lo giuro. Ma poi Slade mi ha catturato… te lo giuro. Non volevo farti del male. Te lo giuro!”

“Hai mentito per tutto questo tempo?”

James spalancò gli occhi, si portò le mani ai capelli.

“Oh, no. Assolutamente no! Ti ricordi? Quando siamo andati in gita e ti ho insegnato a pattinare? Lì non fingevo! O quando ti ho aiutato sulla spiaggia! Non ti ho mentito! Non l’ho fatto!”

Gli occhi del ragazzo si riempirono di lacrime, le labbra tremarono.

“T-ti prego.”

Terra lo fissò. Magro, smunto, con profonde occhiaie. Aveva ancora dei tagli e degli ematomi sul volto, il naso era storto e largo, rotto.

James si morse il labbro.

“Ti prego. Dimmi che riuscirai a perdonarmi. Un giorno, non oggi, ma un giorno. Per favore. Dimmi che sarai ancora mia amica, anche dopo aver saputo questo su di me.”

Terra aprì la bocca, ma non parlò. Una lacrima solcò la guancia scarna di James, fino al mento.

“Io…” iniziò.

“T-ti preg-” 

James sbarrò gli occhi e rovesciò la testa all’indietro.

“O…”

L’ultima lettera uscì in un sospiro, mentre dal suo petto fuoriusciva la punta di una katana, rossa.

Le braccia di James si allargarono, il sangue si sparse a raggiera intorno alla lama, come un sole scarlatto. Dalla punta metallica colava vischioso, goccia dopo goccia, scandendo il tempo. Una goccia, la testa di James si tirò su tremante. Una seconda goccia, la bocca si aprì in un rantolo. La pelle pallida, madida di sudore, una vena blu sulla tempia sinistra, vicino all’occhio, i capelli appiccicati alla fronte. Una terza goccia, le pupille si dilatarono e le labbra si contorsero in una smorfia. Una quarta goccia, la lama l’abbandonò. Il corpo cadde in avanti, la testa franò sul petto della ragazza. La felpa si tinse di rosso.

Il ragazzo fremette, le dita nodose tremarono e sfiorarono le braccia di Terra, la ragazza lo cinse e lo strinse a sé.

James ebbe un sussulto. Una lacrima cadde dal suo volto.

“T-ti prego.”

Spirò.

Terra mosse le labbra, senza far uscire alcun suono. Il ragazzo giaceva su di lei, abbandonato. Il sangue si stava allargando sul prato in una pozza. Scosse il corpo, con delicatezza, come non volesse romperlo. James rimase inerte. Non respirava più.

“Ma che bella scenetta. Guarda, alla fine è anche riuscito a non farsi odiare per la feccia che è.”

Una lacrima scese sul volto di Terra. Chiuse gli occhi e li riaprì: l’apprendista aveva la katana al suo fianco.

“Perché fai questo.”

L’individuo mascherato rise.

“Perché lo faccio? Deve esserci per forza un motivo per tutto?”

Terra contrasse le labbra in una smorfia.

“Nessuno farebbe tutto questo per niente. Ci dev’essere un perché. Deve.”

L’apprendista ripose la katana nel fodero, sulla sua schiena.

“Mi piaci, sai? Hai fatto la fetente per tutta la vita e adesso vieni qui e mi fai la morale. Beh, principessa, mi dispiace deluderti. Anche se ci fosse un motivo, non lo direi a te.” 

Terra afferrò James sotto le ascelle e lo stese sul prato, girandolo supino. Si avvicinò al suo volto con la mano e gli chiuse gli occhi con le dita.

“Potremmo seppellirlo qui, che ne dici? Vicino alla tua cara mammina stecchita. L’hai uccisa tu, non è vero?”

Terra rimase accovacciata vicino al corpo. Si voltò verso l’individuo, in piedi vicino a lei.

“Uccidimi. Non è per questo che sei qui?”

L’apprendista si scrocchiò le nocche ed estrasse la katana. 

“Oh, la prima cosa sensata. Se non fosse che…” 

Terra alzò la testa.

“Cos’altro vuoi.”

L’apprendista rise.

“Mi è piaciuto vederti soffrire prima. È stata una scena così straziante, così piena di pathos” disse enfatizzando l’ultima parola.

Terra gli gettò uno sguardo d’odio.

“Esatto!” L’apprendista sollevò l’indice della mano libera “Odiami. Rendi la cosa interessante. Anzi no, ci penso io.”

La maschera cadde. Si conficcò nel terreno con un rumore cupo. L’occhio della zucca sporgeva dall’erba, fissandola.

Terra sollevò lo sguardo. Spalancò gli occhi.

“N-no. Non puoi essere tu. Non puoi! Io mi fidavo di te!”

Una risata si sollevò nell’aria.

“La delusione nei tuoi occhi… è così bella. Tutti ti hanno tradito, non puoi fidarti di nessuno. Lo sento…” l’apprendista inspirò a fondo con le narici, “sento il dolore che ti corrode, ti consuma. È bellissimo.”

Terra si portò le mani al volto, una ciocca bionda scivolò facendole da schermo.

“Come hai potuto…”

“Qualcuno lo chiama karma, Tara. A suo tempo, tu hai tradito i tuoi amici, ora, la stessa cosa sta capitando a te. La ruota gira, ragazzina. Come ti senti?”

Il corpo di Terra si scosse in un tremito.

“Come hai potuto… mi fidavo di te. Eri… eri mia amica.”

L’apprendista rise.

“Ti dico una cosa, Tara, un piccolo segreto tra noi due: tu non hai amici.”

Terra serrò la mascella. Una fiamma le prese a bruciare, all’altezza del petto. L’ondata di calore le percorse le membra. La ragazza sentì l’odio crescere nelle sue viscere, corroderle all’altezza della pancia per risalire fino al cuore, poi al volto, poi al cervello.

L’apprendista si mise in posizione, la katana sguainata.

“Ti annienta, Tara? Ti distrugge? Ti hanno tradito tutti ormai, non riesci nemmeno più a muoverti. Patetica. Ferma ora, prometto che sarò rapida a porre fine alla tua inutile vita.”

Terra chiuse gli occhi e li riaprì. La mente era sgombra, sentiva le mani formicolare. Allargò il braccio destro all’esterno: il pugno serrato, le nocche livide, le vene che riaffioravano sulla pelle.

“Non hai contato una cosa, Amber,” Terra sollevò gli occhi sulla ragazza di fronte a lei, “ora non ho più nulla da perdere.”

Una scossa sismica percorse l’area. Delle rocce si sollevarono dal terreno, compattandosi in un unico enorme cuneo, con la punta rivolta verso la vecchia compagna di classe.

Amber rise, scuotendo la testa e facendo muovere la lunga coda rossiccia.

“Lato positivo, Tara: alla fine Dionne ti voleva bene. Non riuscirebbe a far male nemmeno a una mosca, quella là.”

Terra sorrise, sollevando un angolo della bocca.

“Io, invece, ti assicuro che sono capace di far male.”

“Anche io, non sai quanto. Non essere così arrabbiata, te l’avevo promesso che ci saremmo rivisti presto noi tre: tu, io, il nostro amico James. Beh, forse lui non ne è stato molto contento.”

Terra urlò. Scagliò il cuneo di fronte a lei, dritto verso il cuore di Amber. Desiderò di trapassarlo, il più violentemente possibile. Desiderò che si conficcasse nel suo petto e che le facesse uscire tutto il sangue che aveva in corpo, così come la sua katana aveva fatto con James. Desiderò che morisse, soffrendo il più possibile. Desiderò che in punto di morte Amber le chiedesse perdono, stesa, mentre annegava in tutto il dolore da lei stessa creato. 

E fu sicura che, in quel momento, quel perdono lei non gliel’avrebbe concesso.












Angolo dell'autrice
Eccomi per il capitolo post vacanze. È stato molto complicato da scrivere e se avete letto fino a qui avrete capito perché. Ammetto anche che me la sono presa un po' comoda perché mi sono dedicata ad altro. (*coff coff* Batman Arkham Knight *coff coff*)

Si è scoperta l'identità dell'apprendista, e penso anche quella di Red X ormai sia palese. Non credo sia un gran colpo di scena, essendo una teoria molto famosa. Chiedo scusa ad Edoardo per aver chiesto prima l'utilizzo di un nome e poi aver cambiato completamente background del personaggio. Il nostro amico mercenario, comunque, avrà un approfondimento. Della sua identità non rimarrà sicuramente solo un nome appena accennato.
Andateci pure giù pesanti con le recensioni, questo capitolo ne merita di dettagliate, spero.
A proposito, volevo ricordare che Amber e Dionne non sono due personaggi inventati da me, ma sono esistiti, anche se per poco tempo, nell'universo della serie.
Lei è Amber.
Lei è Dionne.
Ah, nel caso siate un po' confusi, ho stilato una lista di date per quanto riguarda la vita di Terra. Ho cercato di rimanere il più vicina possibile alla data d'uscita della serie.

Terra è nata nel 1990.
Nel 2002 s'è trasferita in America con la madre.
Ha abbandonato la sua casa nel 2003.
Ha incontrato i Titans nel 2004, all'età di 14 anni.
Ai tempi di questa storia ha 18 anni, siamo quindi nel 2008.


Spero vi sia piaciuto questo capitolo, non esitate a dirmi cosa ne pensate.
A presto!

x Carlotta


 

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Capitolo 23
*** Faccia di zucca ***


FACCIA DI ZUCCA

 

 

 

 

 

 

Un debole picchiettio ruppe il silenzio.

"Robin? Stai bene?"

Il ragazzo era chinato sulla scrivania, su cui erano appoggiate due valigette, aperte. A sinistra, quella recuperata un anno prima*; a destra, quella di Red X, con all'interno il fascicolo ancora chiuso.

Sul tavolo, Robin aveva appoggiato entrambe le foto contenute nelle ventiquattrore. Perfettamente identiche.

Il leader fissò i due ragazzini seduti sul divano vicino a Bruce Wayne. Dietro s'intravedeva un maggiordomo. Robin fece scorrere lo sguardo su quello di destra, che aveva sul viso una smorfia arrabbiata.

"Jason…" sussurrò.

"Robin?"

"Sto bene, Star!" 

“Robin, siamo preoccupati. Sei chiuso lì dentro da quando siamo tornati e non sei più uscito."

"Sto bene."

"Bene… allora io vado."

Robin sentì sospirare attraverso la porta. Si massaggiò le tempie e andò ad aprire alla tamariana.

Starfire si stava torturando le mani e mordendo il labbro.

"Star, apprezzo che vi preoccupiate, ma sto bene."

"Robin, non sembra che tu stia bene. Dopo aver combattuto con Red X sei diventato… diverso."

Robin si grattò la nuca.

"Sto bene. Anzi, Cyborg è in camera sua?"

La tamariana annuì.

"Penso di sì" disse.

Il leader superò l’amica senza proferire altra parola e avanzò nel corridoio, verso la stanza di Cyborg. Di fronte alla porta, prese un grosso respiro e bussò.

“Avanti.”

La porta s’aprì.

"Robin! Amico, pensavo fossi sepolto in camera tua."

Robin non mutò espressione e non parlò.

"Tutto bene? Sembra tu abbia visto un fantasma."

"L'ho visto."

Cyborg alzò un sopracciglio e si alzò dalla sedia.

"Cos'è successo con Red X?"

Robin si avvicinò al computer dell'androide, strinse i pugni e li rilasciò.

"Puoi controllare se sia affetto da qualche tossina?"

Cyborg incrociò le braccia.

"Posso, ma devi dirmi cos'è successo."

Robin sospirò.

"Ho visto persone che non dovrebbero esserci."

"Tutti abbiamo visto Red X."

Robin dette un pugno al muro.

"Sì, ma colui che è sotto la maschera…" disse e si morse il labbro, "Lui non dovrebbe essere qui."

"E dove dovrebbe essere?"

Robin si girò verso di lui.

"In una tomba."

Cyborg si portò una mano alla nuca.

"Okay, questo è strano. Ma forse chi era nel costume ha mentito, forse ha voluto farti credere che fosse lui."

Robin si strinse l'attaccatura del naso tra indice e pollice.

"Non può essere, mi ha detto una frase che poteva solo essere sua, nessun altro poteva saperla." Robin si avvicinò a Cyborg, "Per questo ti chiedo di controllarmi, devo sapere se è stata un'allucinazione."

Cyborg annuì.

"Va bene, avvicinati al computer."

 

 

 

***

 

 

 

“Hai avuto dubbi in passato, hai commesso errori, ma tutto questo è ormai alle tue spalle, giusto?”

“Sì.”

“Tu appartieni ora a me, non è vero?”

“Sì.”

“Da questo giorno in avanti servirai me e soltanto me?”

Zero si girò verso Slade, strinse i pugni.

“Rispondi.”

“Lo farò.”

“Obbedirai ad ogni mio ordine?”

“Lo farò.”

“Combatterai al mio fianco per sempre?”

“Lo farò.”

“Sarò sempre un padre per te, oltre che un maestro?”

Una ciocca di capelli le cadde di fronte alla faccia, coprendole l’occhio sinistro.

“Sì.”

Slade le carezzò una guancia con il dorso della mano.

“Ottimo, vieni ora, ho qualcosa per te.”

Zero alzò un sopracciglio, attraverso la maschera non riuscì a decifrare l’espressione dell’uomo.

“Certo.”

Uno sterminato giardino si aprì di fronte a lei, pieno di colori. Cozzava in confronto all’interno dell’edificio, scavato nella roccia e metallico, simile ad un bunker. Cozzava in confronto alla sua nuova tuta, fatta da placche metalliche, bianca.

Una mano le si posò sulla spalla, Zero trasalì e si voltò alla sua destra. Un uomo sulla sessantina, con i capelli bianchi e una benda sull’occhio destro. La ragazza rimase a fissarlo, senza proferire parola.

“È una tuta neurale, bambina. Hai promesso, nulla potrà più separarci. Ricorda, io sono sempre con te.”

Zero non rispose, annuì e spostò il viso da quell’uomo.

“So che ti piacciono i fiori. Questo giardino è tuo, puoi stare qui quanto vuoi.”

La ragazza sorrise e si avvicinò ai boccioli colorati, accarezzò uno stelo di un fiore azzurro tra le dita e annusò. Sorrise quando l’odore di quei petali giunse alle sue narici.

Forse non era così male, forse sua madre aveva ragione quando le aveva detto che non ci sarebbero stati problemi, che tutto sarebbe andato per il meglio.

“Sono felice di vedere che ti trovi bene, Zero.”

Spalancò gli occhi.

 

 

 

***

 

 

 

Affondò il tartufo nel terreno e inspirò. Particelle di polvere entrarono nelle sue narici. Beast Boy alzò la testa, ruotò le orecchie. Scalpiccii veloci, fruscio costante. Stava correndo.

Balzò in avanti e iniziò a correre, mentre udiva il respiro affannoso di Red X forte nelle sue orecchie. Almeno a cento metri da lui.

Svuotò la mente e ricordo gli allenamenti nel bosco. Ascoltò gli scricchiolii delle cortecce degli alberi e i sibili delle foglie dei cespugli. Non incontrò mai ostacoli, le zampe affondavano nel terreno umido del sottobosco senza fare rumore. Gli occhi costantemente chiusi.

Aveva ucciso Terra. Gliel’avrebbe fatta pagare. Per la sua vista e per lei. Soprattutto per lei. Gli altri l’avevano lasciato andare, si erano immobilizzati. Non poteva permettere che scappasse, l’avrebbe rincorso in capo al mondo e si sarebbe vendicato. 

Il rumore scomparve. Beast Boy inchiodò e alzò il muso al cielo. Inspirò a fondo, l’odore della pelle di Red X stava svanendo. Ringhiò. Non udiva più il respiro. Rimase in attesa.

Aveva sicuramente usato quel coso sulla cintura, l’aveva perso.

Aveva anche provato a mentire, negando la morte di Terra. Nemmeno da morta riusciva a portarle rispetto, la usava per salvarsi la pellaccia. Rabbia montò dentro di lui, il pelo sulla sua schiena si arruffò, rendendolo più grosso.

Beast Boy emise un suono gutturale e raspò con le zampe sul terreno. Avanzò con il tartufo piantato a terra, continuava a sentire l’odore del costume di Red X, ma non il suo schifosissimo sudore. Sferzò la coda nell’aria, frustrato. Avanzò fino ad un albero, finché il suo naso non si scontrò con qualcosa di morbido: un pezzo di tessuto. 

Ringhiò. X sapeva che lo stava seguendo: l’aveva attirato fino a lì e poi se n’era andato come un vigliacco. Ululò alla luna. Un urlo echeggiò nel bosco, per poi svanire.

Beast Boy si bloccò. Quella voce. La bocca gli si seccò, gli occhi si sbarrarono sotto la benda. Veniva da circa un chilometro, alla sua sinistra. Rimase immobile, neanche un pelo si mosse, la coda congelata in aria.  Quella voce, com’era possibile?

Escluse tutti i rumori circostanti, concentrandosi su quell’unica voce.

 

“Tu sei, tu sei la persona più schifosa che io abbia mai conosciuto.

 

Allora era vero. Il pelo arruffato scomparve, lasciando posto ad una forma più slanciata, alta. La testa si rimpicciolì, la coda si accorciò, le zampe divennero zoccoli; da dietro le orecchie si ramificarono due corna.

Beast Boy scattò, aveva bisogno di tutta la velocità possibile.

 

 

 

***

 

 

 

Il verde della barra di caricamento si rifletté nei suoi occhi. Robin si morse il labbro con forza, le dita erano serrate attorno ai bordi del tavolo.

Poteva essere? C’era qualche possibilità che fosse davvero lui?

La percentuale era fissa al 20% da qualche minuto, ormai. Robin sbatté il pugno sul legno, facendolo vibrare.

“Non si può proprio andare più veloce?”

Cyborg si alzò e si piantò di fronte a lui.

“Robin, non so cosa stia succedendo, ma ora devi smetterla. Non può andare più veloce: per queste cose ci vuole tempo.”

Il ragazzo digrignò i denti, sentì il gusto del sangue fuoriuscito dalle labbra.

“Deve andare più veloce.”

Cyborg incrociò le braccia.

“Non può.”

“Deve. Tu non capisci!” Robin gli puntò l’indice sul petto con forza.

Cyborg serrò la mascella e scostò il dito con la sua mano.

“Allora aiutami a capire. Aiuta tutti noi a capire invece di fare questi teatrini!”

Robin si bloccò, la rabbia lo invadeva in un’ondata di calore. Si girò verso la porta della stanza. Starfire e Raven erano lì a fissarlo, la prima con espressione preoccupata, la seconda con le braccia conserte e sguardo fermo.

Robin dette un pugno al muro.

“E smettila di demolirmi la camera!”

Il leader spostò lo sguardo sui suoi compagni, tutti, uno ad uno, poi buttò la testa all’indietro.

“Voi…” prese fiato a pieni polmoni e lo buttò fuori “Voi non avete idea. Non potete capire, e io non ne voglio parlare.”

Starfire si avvicinò e gli posò una mano sulla spalla.

“Noi siamo tuoi amici Robin. Aiutaci a capire…”

Il ragazzo si scostò.

“No. Grazie.”

Robin ritrasse il pugno dal muro, tremando, chiuse gli occhi. 

 

Red X incombeva su di lui, in piedi. I suoi contorni erano sfocati, la forma del suo corpo si perdeva nel costume nero. Robin deglutì. L’immagine del teschio sulla maschera occupava tutto lo sfondo. La profonda X rossa gli sembrò colare sangue.

“Non farla tragica, non è la prima volta che uso un tuo costume, dopotutto.”

 

Scosse la testa e riaprì gli occhi.

“Mi scuso per aver perso il controllo. La priorità ora è Terra, dobbiamo scoprire se è viva e chi o che cosa c’è dietro a tutto questo.”

Raven annuì.

“Pensi che Red X abbia detto la verità?”

Robin gettò uno sguardo alla barra di caricamento: 22%.

“Ancora non lo so” rispose.

Starfire si scostò una ciocca di capelli.

“Allora è meglio andare, no Robin?”

Lui la guardò e annuì. Si bloccò.

La ragazza inclinò il volto.

“Tutto bene?”

“Dov’è Beast Boy?”

Robin si girò verso Cyborg.

“Non ne ho idea, Robin.”

Raven scosse la testa.

“Nemmeno io.”

Starfire si mise a levitare.

“BB non c’è e non ce ne siamo accorti?”

Robin serrò il pugno.

“Dobbiamo trovarlo subito. Ha seguito sicuramente Red X. Non dovevo permettergli di riunirsi alla squadra, non nelle sue condizioni.”

“Per quanto possa essere petulante, lui è parte della squadra, non potevi escluderlo” disse Raven.

Robin si girò verso di lei e socchiuse gli occhi.

“Dovevo escluderlo. Forza Titans, andiamo.”

“Da dove iniziamo?”

“Da qualsiasi parte, basta che lo troviamo, in fretta.”

 

 

 

***

 

 

 

 

Amber scartò a destra, la punta del cuneo di roccia le sfiorò la schiena e si schiantò nel tronco di un albero, perforandolo.

“Tara, quanta cattiveria… non ti si addice.” Ridacchiò.

Terra digrignò i denti e concentrò le sue energie nelle mani, un formicolio le intorpidì le dita, i guanti s’illuminarono in un bagliore.

“Non vedo l’ora di farti tanto male.” 

Scandì le ultime tre parole e il terreno vibrò. Una frattura s’impresse come una ferita e arrivò fino ai piedi dell’apprendista, in un rombo.

Amber saltò in diagonale e fece una capriola per attutire il colpo, serrò le dita intorno alla katana e balzò verso Terra. La ragazza schivò il fendente e si allontanò di un passo. Non poteva rischiare un corpo a corpo finché avrebbe dovuto combattere a mani nude contro una lama.

Una goccia di sudore le colò dalla fronte.

“Che c’è?” Amber si avvicinò con la spada al fianco “Già stanca? Non sarà che fare per troppo tempo la finta ragazzina a scuola ti abbia reso debole?”

“Tu non sai niente.”

La ragazza colpì a terra con un pugno. Un’esplosione scagliò una nuvola di detriti addosso all’apprendista. Amber si parò con le braccia, mentre la polvere riempiva l’aria.

“Non puoi fermarmi con dei sassolini, Tara!”

“Guardami.”

Terra colpì con un pugno la faccia di Amber, scaraventandola al suolo. Dal naso dell’apprendista uscì un rivolo di sangue che le imbrattò le labbra e il mento. Terra afferrò la katana, si girò e la gettò tra le fronde.

Qualcosa la colpì forte sulla gamba sinistra. La ragazza crollò a terra, il suo viso sbatté sul terreno. La guancia prese a scottare.

“Non darmi mai le spalle, Tara.”

Amber la prese per la felpa e la tirò a sé. La colpì nello stomaco con il pugno destro: Terra si ripiegò sulla mano della vecchia compagna di classe e tossì. Seguì un altro pugno, Terra sbarrò gli occhi. Un altro, Terra sputò sangue.

L’apprendista rise, e l’avvicinò al suo volto.

“Sei patetica.”

Terra alzò lo sguardo verso la rivale. Amber, la sua compagna di classe, la sua amica.

“Cosa ti dà più fastidio, Tara? Che tutti ti abbiano abbandonato? Che tu non abbia mai avuto un vero amico? Che persino la persona di cui eri innamorata sia morta? Che io l’abbia ucciso mentre ti chiedeva perdono?”

“Tu sei,” disse Terra, mentre la voce le vibrava,” tu sei la persona più schifosa che io abbia mai conosciuto.” Serrò la mascella.

“Tu sei una traditrice, un’infame, una persona abietta, sola, che si è venduta ad un mercenario e gode del dolore degli altri.”

Amber rise. La sua risata riecheggiò nelle orecchie di Terra, in un eco.

“Stai descrivendo me, o stai descrivendo te stessa?”

Calò il silenzio. Terra non riuscì ad udire più nulla. Un rombo, un muro si roccia si alzò tra lei e l’apprendista, facendola cadere all’indietro con un grido.

Un piedistallo di roccia si scolpì sotto ai suoi piedi e levitò. Terra raggiunse Amber, ancora stesa al suolo. La afferrò per il costume. I suoi occhi erano socchiusi e il suo sguardo non tradiva alcuna emozione. Amber ridacchiò.

“Cosa vorresti farmi, ragazzina liceale?”

Terra le assestò un pugno sul naso. Un crack seguì il colpo, un fiotto di sangue scese dalle narici imbrattando la pelle. Amber gemette.

“Sai cosa mi è piaciuto di più? Che James non abbia potuto sentire il tuo perdono. È morto nell’agonia, senza nemmeno sapere che l’avevi perdonato.”

Rise.

Terra le piantò un altro pugno sull’occhio, spaccandole il sopracciglio. Amber fece una smorfia di dolore.

“Perdoneresti anche me, Tara? Perdoneresti anche me se ti chiedessi piangendo scusa?” La compagna di classe si leccò il sangue dalle labbra. “Chi perdonerebbe mai una traditrice.”

La mente di Terra era sgombra, la rabbia non le pulsava più nelle vene. Ogni parte del suo corpo era pervasa dallo stesso sentimento: l’odio. L’odio per chi l’aveva tradita, per chi le aveva mentito, per chi aveva ucciso James, un amico. Terra inspirò allargando le narici, l’odore del sangue la deliziò. Colpendo Amber stava distruggendo tutti quelli che l’avevano tradita, tutte le ingiustizie, tutti gli abbandoni.

Stese una mano alla sua destra, il guanto s’illuminò di giallo. Una colonna di roccia si alzò dal suolo e si compattò in un randello, per poi raggiungere la ragazza.

Terra si alzò in piedi e strinse l’oggetto con entrambe le mani. I tendini si tesero, il respiro rallentò. Poteva udire i battiti del suo cuore che scandivano il tempo nelle sue orecchie, lenti.

Assestò il colpo sullo stomaco dell’apprendista. Amber si contorse e urlò dal dolore. Il volto di terra non lasciò trasparire alcuna emozione. Un altro colpo, sul fianco. Un altro, sulle gambe.

“Terra, ora basta.”

La ragazza si voltò, ruotando il busto. Red X era alla sua destra, oltre il corpo gemente di Amber.

“Cosa ci fai qui.”

Red X si avvicinò di un passo.

“Impedisco che diventi un’assassina.”

La ragazza smise di respirare, l’odio defluì in disperazione, lacrime iniziarono a rigare il suo volto, senza voler smettere.

“Ha ammazzato James, mi ha tradita, ha provocato solo dolore.”

Il suo corpo tremò.

“Terra, tu non sei un’assassina.”

Terra si passò la manica della felpa sugli occhi.

“Tu… tu non capisci, Red X,” Singhiozzò, “io non sono un’eroina. Io non potrò mai essere un’eroina, non sarò mai abbastanza buona per esserlo. Però una cosa la posso fare. Posso fare in modo che equità psicopatica smetta di fare del male.

Red X si bloccò.

“Terra, non è così che si fa.”

Terra socchiuse gli occhi.

“Metterla in prigione forse? Sai che scapperà. Scappano sempre, ogni santa volta. Quante persone come James dovranno morire prima che qualcuno la fermi definitivamente?”

Red X fece un passo indietro, tremò.

“Finalmente potrò riscattarmi, potrò fare la mia parte e liberare questo posto dalla feccia.”

Il ragazzo non si mosse, non proferì parola. Era pietrificato. Terra annuì, interpretando quel comportamento come un segno d’assenso.

Calò il randello sulla spalla di Amber, rompendola. La ragazza urlò e si prese il braccio con l’altra mano.

Red X rimase immobile, con i pugni serrati vicino a fianchi. Terra rivolse lo sguardo alla vecchia compagna di classe, gemente, stesa con la testa in una pozza di sangue.

Alzò il braccio. Amber le rivolse uno sguardo pieno di terrore, il suo petto si alzava e si abbassava a scatti, la bocca era semiaperta e il corpo tremava. La sua pelle era piena di contusioni e gli occhi verdi lucidi spiccavano nel rosso scuro della sua faccia.

Un’ombra le portò via il randello dalla mano. Terra fece un balzo all’indietro, lasciandosi scappare un grido. Una tigre verde atterrò alla sua sinistra, con la mazza tra le fauci. La bestia serrò le mascelle e la spaccò in tanti piccoli sassi che caddero al suolo.

La ragazza spalancò gli occhi.

“B-Beast Boy…” sussurrò.

L’animale tornò in forma umana. Era lui, era il suo amico, il suo migliore amico. Aveva una benda nera sugli occhi e l’espressione seria.

“Beast Boy…”

Il respiro di Terra si sbloccò, divenendo più rapido così come i suoi battiti. Le lacrime ripresero a fluire a fiotti sul suo volto. 

Il mutaforma non mutò espressione.

“Ora basta, Terra.”

La ragazza lasciò cadere il braccio lungo il suo fianco e cadde in ginocchio, la vista le si annebbiò.

Venne accolta in un caldo abbraccio. Terra abbandonò il viso sul petto del mutaforma e singhiozzò.

“BB… BB…”

Beast Boy le accarezzò la schiena e la strinse a sé.

“Sono qui. Sono qui, non preoccuparti, non sei sola.”

Terra fu scossa da un tremito, BB aumentò la stretta e appoggiò il suo mento sulla testa della ragazza.

“Tranquilla…” sussurrò.

Terra inspirò a fondo e si allontanò. Beast Boy era lì per lei, dopo tutto quel tempo, pronto ad abbracciarla senza nemmeno chiederle spiegazioni. Red X era tornato, dopo aver inscenato la sua morte con Anne per farle scoprire la verità su sua madre. Lui, un ladro e criminale, era tornato per lei. Passò lo sguardo da BB, ancora in ginocchio, e Red X, in piedi e immobile, che la fissava. Terra si alzò in piedi e guardò Amber, la ragazza respirava a fatica e la guardava con gli occhi socchiusi.

“Perché dovrei risparmiarla BB. Perché dovrei? È una traditrice, l’apprendista di Slade, ha fatto il doppio gioco tutto il tempo, ha fatto del male a moltissime persone. Perché dovrei, BB.”

Amber tossì.

“Tara…” sussurrò “tu sei tutte queste cose che hai elencato. Tara, la persona che credi meriti la morte non sono io, sei tu. Io e te siamo uguali.”

Terra serrò i pugni. Era vero, era vero tutto quanto. Lei aveva fatto le stesse identiche cose, eppure BB era lì ad accoglierla, eppure Red X era lì per lei. Era stata anche peggio di Amber, feccia, un rifiuto umano.

Strizzò gli occhi, i suoi pugni tremarono, digrignò i denti. Amber era lei.

Qualcuno la fece girare e l’afferrò per le spalle.

“Tu non sei lei, Terra, tu ti sei sacrificata per salvare la città e tutti noi.”

La ragazza abbassò gli occhi.

“Io avevo conquistato quella stessa città e l’avevo gettata nel terrore.”

Il volto del mutaforma si contrasse in una smorfia.

“Tu non puoi ucciderla.”

Beast Boy s’irrigidì e fece schioccare la mascella, Terra sobbalzò e si girò. Red X si era avvicinato a lei, il mantello ondeggiava sotto la brezza notturna.

“Uccidere è l’unica cosa che ti rende diversa da lei. Tu hai tradito, hai mentito, hai fatto del male, ma non hai mai tolto la vita. Persino Slade è di nuovo qui, nonostante fosse caduto nella lava.”

A Terra parve di notare un tremolio nella sua voce.

“Se adesso tu la uccidessi non vi sarebbe più alcuna differenza tra te e lei. Non saresti un’eroina, non potresti esserlo. Forse, questa ragazza non tormenterebbe più la città, ma ne arriverebbe un’altra dopo di lei. A quel punto, tu avresti solo perso ogni valore, ogni umanità. Non saresti un’eroina, saresti solo un’assassina, uguale ad una psicopatica con la faccia di zucca.”

Terra indietreggiò, le gambe le tremarono. Uccidere era l’unica cosa che le impediva di varcare il confine, quel confine che l’avrebbe resa solo una psicopatica assetata di sangue, impossibile da perdonare e incapace di perdonarsi.

Red X si avvicinò, le ticchettò con l’indice sulla fronte.

“Smettila di farmi fare tutti questi discorsi memorabili. Ci sto prendendo gusto.” Ridacchiò.

Sul volto di Terra comparve l’ombra di un sorriso, la ragazza si lanciò in avanti e lo abbracciò. Red X rimase immobile, con le braccia allargate a mezz’aria.

“Ehm… che ti prende?”

“Grazie.”

“Mi dispiace interrompere, ma l’apprendista è ancora qui agonizzante.” Il mutaforma era rigido vicino a loro, con una smorfia sul volto. “Chiamo gli altri.”

Terra si staccò da Red X, il ragazzo mise mano alla sua cintura. Beast Boy tirò fuori il trasmettitore dal costume e s’allontanò.

“Il mio tempo qui è finito. Ho fatto il mio lavoro portandoti il tuo gnomo verde, ora è meglio che vada a cercare Rose.”

Terra alzò un sopracciglio.

“Perché te ne vai?”

“Ci sono persone che ancora non ho la forza di rivedere, Terra. Ci becchiamo” disse e premette il pulsante, scomparendo.

Un senso di tristezza la pervase, il freddo le penetrò nelle ossa. Si chinò su Amber, aveva perso conoscenza. Le strappò un lembo della manica per fermare l’emorragia al naso e le ripulì il viso. Più toglieva il sangue più riusciva a intravederle i lineamenti con precisione. Il cuore si compresse in una morsa. Si fermò a guardarla: il respiro era regolare, sembrava dormisse. Tutte quelle giornate a scuola, così spensierate. I segreti, le risate, i pomeriggi insieme. Terra si morse un labbro. Invece, era l’apprendista di Slade. La ragazza socchiuse gli occhi e li posò su di lei, poi li richiuse. Per un attimo vide se stessa nella figura della sua compagna di classe, con una divisa neurale addosso, lo stemma di Slade sul petto. Scosse la testa, allontanando quel pensiero e si alzò.

Si avvicinò a James, riverso a qualche metro da lei. S’inginocchiò di fianco a lui e gli prese la mano, era fredda. Il fiato le si mozzò. Si strappò un lembo della felpa e gli ripulì il ventre dal sangue seccato, poi passò ai lineamenti del viso. Terra sentì un peso gravagli sulle spalle e sul petto.

“Ehi…”

La ragazza sospirò e si girò verso Beast Boy, che si sedette a fianco a lei.

“Ehi…” mormorò in risposta, “Sentiti gli altri?”

Beast Boy annuì.

“Stanno arrivando, con i soccorsi e le autorità.”

Terra annuì e guardò il volto esangue di James, Beast Boy le cinse le spalle.

“Che cosa dirò ai genitori? L’apprendista, Amber, l’ha ucciso. Non ho potuto fare niente per impedirlo.”

“Non è colpa tua, Terra.”

La ragazza accarezzò il dorso della mano di James.

“Però lui non c’è più.”

Beast Boy non rispose. Rimasero lì, immobili, con il solo rumore della brezza a far loro compagnia, il ragazzo steso vicino a loro, finché il cielo non iniziò a schiarirsi e gli uccelli a canticchiare.

La luce del sole invase quella radura, illuminando i corpi e tutto il mondo circostante. Ombre radenti si proiettarono sul terreno. L’ombra della lapide sfiorò il corpo di Amber, senza toccarlo. 

“Dicono che le albe siano una bella cosa,” mormorò Terra, alzando il volto verso il cielo, “significa che il peggio è passato.”

“È passato. Non sei più sola, siamo di nuovo insieme.”



 

 

 

*Valigetta recuperata da Robin in “Revved up”, nona puntata della quinta stagione. (Sessantunesima nel conteggio generale)

 

 

 

 

 



 

 

Angolo dell’autrice

Dopo tre settimane. Faccio prima a dirvi che gli aggiornamenti non saranno più precisi per impegni universitari ed esami da recuperare, ma posso tranquillamente promettere che l’attesa non supererà mai il mese e che questa storia non rimarrà incompiuta.

Beast Boy alla fine si trasforma in ghepardo, ed è riuscito a sentire tutta la discussione da quella frase pronunciata da Terra. Per questo non attacca la ragazza per star picchiando Amber.
EDIT per chi ha letto prima della modifica: non si trasforma più in un ghepardo, ma in un cervo. Il ghepardo ha troppa poca resistenza per percorrere un chilometro ad alte velocità, inoltre una preda ha l'udito più sviluppato di un predatore. In ultimo luogo, il bosco sarebbe il suo ambiente naturale.

Credo che ormai l’identità di Red X sia palese, anzi, più che palese. Per capire bene la scena con l’apprendista e il perché sia del suo blocco sia del suo discorso a Terra, bisogna conoscere un minimo la sua storia fumettistica. In ogni caso cercherò di spiegare nei capitoli successivi per non lasciare niente in sospeso, dato che ho solo preso spunto dalla versione cartacea e non l’ho adottata completamente.

Non preoccupatevi per l’improvviso “protagonismo” di Robin, da una parte è stato sintomo di un cambio in corsa del background di Red X, dall’altra ci sono stati dei riferimenti anche nei primi capitoli che a breve saranno chiari.

In conclusione, spero che vi sia piaciuto. Ci vediamo nelle recensioni!

A presto,

 

X Carlotta

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Capitolo 24
*** Dietro la maschera di Robin ***


DIETRO LA MASCHERA DI ROBIN
 



 

 

 

 

Ci sono persone che ancora non ho la forza di rivedere, Terra.

Scostò una fronda con la mano e continuò a camminare. Per quanto fosse Rose ora la sua priorità, non riusciva a smettere di pensare a quella dannata valigetta. Sbuffò. Dick aveva già intuito chi fosse, al molo, ma era solo questione di tempo prima che scoprisse il contenuto della ventiquattrore e ne avesse la conferma. Tempo che lui avrebbe impiegato per portarsi il più lontano possibile da quel posto. 

Il cielo iniziò a schiarirsi e gli uccellini a cantare. Dove avrebbe potuto trovare Rose? Robin l’avrebbe cercato?

 Scosse la testa: il pensiero del ragazzo era lì, perenne e rumoroso. Il combattimento al molo, Dick steso che lo guardava come un fantasma. 

Si grattò la nuca: non poteva dire avesse tutti i torti.

Non farla tragica, non è la prima volta che uso un tuo costume, dopotutto.

Calciò una pigna, facendola sbattere con il tronco di un albero. Non era la prima volta.

 

 

“Jason! Se non ti sbrighi andremo a pattugliare Gotham senza di te.”

Il ragazzino scivolò dietro l’enorme computer della batcaverna, e attese, nascosto. Batman era vicino alla macchina, ancora senza maschera; Robin dava le spalle al monitor e aveva le mani sui fianchi.

“Se non sei nemmeno puntuale, non ti cederò mai il mio posto.”

Era il momento. Jason balzò e afferrò Dick per le spalle, facendo ruzzolare entrambi in avanti.

“Preso! Chi è il Robin migliore ora?”

Il ragazzino si alzò e gonfiò il petto, per poi trotterellare verso Batman e girarsi a rimirare Richard, ancora con la faccia sul pavimento.

Batman si mise la maschera e stirò le labbra in un sorriso.

“Dick, credo dovresti affinare l’udito.”

Richard si alzò e si massaggiò la guancia.

“Non è stato corretto.”

“Nemmeno i nemici lo sono, Dick” disse Jason, incrociando le braccia e sfoggiando un largo sorriso di vittoria.

Batman entrò nella batmobile.

“Andiamo, Robin.”

“Eccomi” disse Dick.

“Parlava di me, non ci farebbe niente con uno come te!”

Jason balzò nella macchina e chiuse gli occhi soddisfatto.

“Tutti e due” concluse Batman.

Nessuno obiettò.

 

 

***

 


 

Robin chiuse il ricevitore e si girò verso gli amici.

“Beast Boy l’ha trovata, stanno bene. Cyborg, avverti le autorità.”

Non attese risposta e andò verso la T-car. Vi entrò, ignorando le grida di felicità di Starfire, e si gettò sul sedile.

Era sollevato per Beast Boy e per Terra, ma la loro situazione voleva dire solo una cosa: Red X non aveva mentito. E se non aveva mentito, Jason era vivo.

Affondò la faccia nei palmi delle mani. Non era possibile, il suo cervello si rifiutava di ammettere una cosa del genere, si rifiutava di ammettere che sotto quella maschera ci fosse lui.

La sua schiena si curvò come sotto un macigno: Jason, il secondo Robin, il suo fratello adottivo.

Per tutto quel tempo era stato Red X, suo rivale.

“Stupido…” mormorò a se stesso.

Come aveva fatto a non capirlo prima: indossava il suo costume, adottava lo stesso metodo di combattimento, aveva la capacità di prevedere le sue mosse, dimostrava spirito ribelle.

 

 

 

Richard rientrò nella sua stanza e si tolse la parte superiore del costume. 

“Non sembra essere stata una serata fortunata, signorino Grayson.”

Dick afferrò una bottiglietta di disinfettante dal vassoio del maggiordomo e ne versò un po’ su un batuffolo d’ovatta.

“Per niente, Alfred. Il Joker è evaso un’altra volta.”

Si tamponò un grosso graffio che aveva sul braccio sinistro, lungo una decina di centimetri. Fece una smorfia per il bruciore della ferita a contatto con la sostanza.

“Come sta Jason?”

“Il signorino Todd non è nella sua forma migliore.” 

“E?”

“Non ha fatto altro che dare a voi la colpa, signorino Grayson. Credo che ora si sia addormentato sul divano.”

“La cosa non mi sorprende.”

Sbuffò, mentre si fasciava il braccio con una benda pulita.

“Non siate troppo duro con lui, il signorino Todd ha un passato difficile.”

Richard si mise la maglia del pigiama.

“Lo so, lo so. Puoi andare Alfred.”

Il maggiordomo lasciò la stanza dopo un lieve inchino.

Richard sospirò. A volte si chiedeva se Bruce avesse fatto la scelta giusta nel prendere Jason con loro, quella notte di qualche anno prima.

Si finì di cambiare e andò in salotto. Il fratello adottivo dormiva stravaccato sul divano, con un braccio penzoloni e con il costume da Robin ancora addosso. Si era tolto solo la maschera, mentre con il sangue delle ferite più superficiali stava imbrattando il divano.

Sbuffò e prese un fazzoletto, cercando di ripulire alla bell’e meglio la parte di pelle sporca, vicino al suo volto.

Rimase a guardarlo qualche minuto. Aveva molto talento: in poco tempo era riuscito ad imparare le sue stesse mosse e le sue stesse acrobazie, benché non provenisse da una famiglia di circensi. Ma era ribelle e sempre, costantemente, arrabbiato.

“Sei dubbioso sulle mie decisioni, Dick?”

Sobbalzò e si girò verso Bruce, già cambiato.

“Non sono sicuro possa essere un buon Robin.”

“Ha talento.”

“Non sono le capacità che mi preoccupano.”

“Dick…” si fermò un attimo, per poi riprendere “Ho preso Jason con me perché sono sicuro che se non lo avessi reso Robin in quel momento, prima o poi l’avrei rincontrato, ma per portarlo in prigione.”

“Ma non mi ascolta mai, non ti ascolta mai” disse rimarcando sull’ultima frase.

“Prenditi cura di lui.”

“Ma come fac-“

Si voltò, Bruce era sparito. Sospirò e prese una coperta dal bracciolo del divano.  Gliela poggiò addosso, stando attento a rimboccarla senza svegliarlo. Guardò ancora un po’ il fratello dormire scomposto, con le dita della mano sinistra che sfioravano il tappeto. Per un attimo, sul suo volto comparve l’ombra di un sorriso.

 

 

***

 

 

 

Red X si appoggiò ad un albero con la mano. Ormai i raggi filtravano tra le chiome del bosco, striando il terreno.

Robin. Lo era stato anche lui, dopotutto. Conosceva le sue mosse, il suo stile, i suoi giocattoli. Si era esposto troppo con Dick, era naturale che prima o poi se ne sarebbe accorto.

In più era tornato a fare il ladro. Ridacchiò: un ritorno alle origini in piena regola. A quel punto non era stato lui a scoprirsi troppo, era stato Richard un coglione a non capirlo prima.

Scrollò le spalle: quando mai era stato furbo, quello.

 

 

“E vedi di tornare con i pezzi di ricambio.”

Jason si levò il grasso sulla guancia con il braccio.

“Sì.”

“Muoviti!”

Frank lo colpì in volto, facendolo cadere a terra. Il ragazzino si tirò su barcollando, l’orecchio sinistro gli bruciava per il dolore, gli occhi gli s’inumidirono. Guardò l’uomo di fronte a lui: gli arrivava a stento all’ombelico e la sua testa era più piccola della sua mano. 

Digrignò i denti e ricacciò indietro le lacrime, non avrebbe mai pianto di fronte a quello là. Girò su se stesso e si avviò verso l’uscita dell’officina. Era quasi arrivato all’entrata, quando un getto di vernice lo investì alla schiena. Jason saltò per il freddo, il tessuto della maglia si era appiccicato alla pelle, facendogli battere i denti. 

Si girò verso colui che gliel’aveva lanciata. Questo sputò a terra e lo prese per la maglietta.

“Che hai da guardare, eh ragazzino?”

“Niente.”

Lo lasciò andare e si mise una sigaretta in bocca.

“Meglio,” disse, mentre tirava fuori l’accendino dalla tasca, “altrimenti ti faccio fare la fine di quella puttana di tua madre.”

Jason fece schioccare la mascella e uscì dall’officina. Rabbrividì e strofinò le mani per riscaldarsi un po’. Doveva riportare qualcosa quella notte, o non avrebbe mangiato.

Lo stomaco gli brontolò, costringendolo a mettersi le mani sulla pancia. Ringhiò di rabbia e s’immerse nell’ombra dei vicoli, stringendo a sé la sacca di tessuto che aveva addosso.

In due ore non aveva trovato niente di abbastanza decente da permettergli di mangiare, nemmeno un panino. Lo stomaco brontolò di nuovo. Sbuffò, girando in un vicolo. Si bloccò. Gli occhi gli s’illuminarono: aveva trovato la sua cena da tre portate.

Si avvicinò all’enorme auto nera e tirò fuori un piccolo cric. Lo infilò sotto il veicolo e lo sollevò di qualche centimetro, poi lo sostituì con un cubo di cemento. Prese un attrezzo per svitare i dadi e iniziò a lavorare alla prima gomma.

Mentre lavorava sentiva già il gusto di una frittata in bocca. Si morse il labbro e sganciò la prima ruota, che cadde pesante a terra.

“Questa non me l’aspettavo.”

Jason trasalì e nascose l’attrezzo per i dadi dietro alla schiena. Di fronte a lui c’era un uomo mascherato, in nero, con un mantello e una maschera da pipistrello.

“Batman…” mormorò.

“Mi stavi rubando le gomme.”

“No.”

“Dov’è tua madre?”

“Non sono affari tuoi.”

“Dov’è?”

“È morta.”

L’uomo lo indicò.

“Cos’hai dietro la schiena?”

Jason esitò. Socchiuse gli occhi e serrò le dita sull’attrezzo. Ora o mai più. Colpì il supereroe sullo stomaco con tutta la forza che aveva nelle braccia, per poi scattare dalla parte opposta.

Fece una decina di metri a tutta velocità, quando venne preso per la maglia e tirato su.

“Lasciami!”

“No.”

 

 

***

 



 

Abbandonò la schiena sul sedile e chiuse gli occhi. Idiota, Robin, idiota. Sospirò. Per lo meno Beast Boy non era in pericolo. Una volta trovato lo avrebbe spedito subito alla torre, senza ulteriori chiacchiere. Non era in grado di combattere, non ancora. 

Lui era un leader, doveva occuparsi di tutti i suoi compagni e doveva impedire che facesse del male a se stesso o a loro. Almeno quella volta avrebbe dovuto riuscirci, non avrebbe dovuto cedere alla sua parte emotiva. Inspirò a fondo.

“Un buon leader si occupa dei suoi compagni. Un buon leader diventa la forza del compagno che la perde. Un buon leader diventa la ragione del compagno che la perde.”

 

 

“Dickhead, un po’ più d’impegno!”

Richard parò il calcio di Jason con il braccio destro e contrattaccò con il bastone.

“Non chiamarmi Dickhead!”

Jason schivò con un salto all’indietro e si abbassò per colpire la sua caviglia e farlo cadere. Richard saltò e calò un fendente sulla testa del fratello, che lo bloccò con entrambe le mani. 

Il timer suonò: erano passati cinque minuti dall’inizio del combattimento.

“Pari anche questa volta.”

“Ti piacerebbe. È che non voglio farti sfigurare, fratellone” disse Jason, stiracchiandosi.

Richard accorciò il bastone, riponendolo alla cintura. Sospirò alla frase del fratello e raggiunse il tavolino al limite della palestra, dove prese uno degli asciugamani che Alfred aveva predisposto per loro. Se lo passò sulla fronte e sul collo, per poi lasciarlo appeso alle spalle. Jason prese una bottiglia d’acqua e se la buttò completamente sulla testa, bagnando tutto il pavimento.

“Jason” disse severo Dick.

Il ragazzo si passò una mano nei capelli e li scrollò dalle gocce.

“Su Dick, non c’è il vecchio, puoi anche ammorbidirti un po’. A proposito,”  bevve un sorso dalla bottiglietta, “Riguardo a quella cosa…”

Robin sospirò e si appoggiò al muro con la schiena.

“Sai che è mia la responsabilità. Non posso permettertelo.”

Jason schiacciò la bottiglia con la mano, per qualche secondo si sentì solo il rumore della plastica accartocciarsi.

“Richard, sono stato gentile. Ho chiesto il permesso come volevi tu, ti ho informato delle mie intenzioni.” Lasciò cadere il rifiuto a terra e si girò. “Non illuderti, Dick. Che tu lo voglia o no, io andrò a cercarla.”

Richard si morse il labbro e appoggiò una mano sulla sua spalla.

“Jay, lo sai che lo faccio per il tuo bene. Sei troppo coinvolto, e non c’è nemmeno Batman. È troppo pericoloso.”

Jason scostò la spalla e continuò a camminare.

“Non puoi andare! Metterai in pericolo noi e te stesso!”

Il ragazzo si fermò, continuando a dargli la schiena. Incassò la testa tra le spalle e le mani si chiusero a pugno.

“Mi dispiace di mettere in pericolo il tuo team, Richard. Non sia mai che Bruce una volta tornato non ti dica quanto sei stato bravo. Che t’importa se dopo anni scopro che mia madre è ancora viva. Sono cose da niente.”

Dick si passò una mano tra i capelli. Si ritrovò con la mente al circo. Una serata come tante, con il solito numero dei Flying Grayson. Rivide di fronte agli occhi Zucco che si alzava tra il pubblico ed estraeva un mitra. Chiuse gli occhi, per non ricordare i fatti successivi. Un impulso di rabbia gli infiammò il cuore, facendogli tremare le dita. 

“Tu cos’avresti fatto, Dick?”

Si morse il labbro. Lui sapeva bene cos’avrebbe fatto, ma non poteva permetterlo in quel momento. Suo fratello non era in condizioni, avrebbe rischiato la vita inutilmente. Jason era così furioso, così ossessionato da mettersi in pericolo per salvare la madre e vendicarla, soprattutto senza i freni impostigli da Batman. 

“L’ossessione e la rabbia non fanno un buon combattente, Jason.”

Jason percorse tutto il salone a passo veloce e mise la mano sulla maniglia.

“Il non agire uccide le persone, Richard.”

Dick dette un pugno al muro e ringhiò. Lo odiava quando faceva così, quando faceva leva sulla sua infanzia e le sue emozioni.

“Va bene.”

Il ragazzo si fermò, poi aprì la porta.

“Grazie, Dick.”

“Non ti entusiasmare tanto, vengo con te.”

 

 

***

 

 

 

Riprese a camminare. Concentrò la sua mente su Rose, la sua priorità in quel momento. L’avrebbe salvata e portata via da Slade, poi sarebbe tornato alla sua solita vita. Nient’altro. Semplice.

Un senso d’inquietudine gli attanagliò il cuore. Strinse i pugni, vicino ai fianchi. Rose meritava di essere salvata?

Sospirò, cercando di scacciare quel pensiero. Certo che meritava di essere salvata, dopo tutto quello che aveva passato.

L’ansia aumentò, Red X si morse il labbro. Nella sua mente si materializzò un volto preciso: pelle bianca, labbra rosse, capelli verdi.

Si prese la testa tra le mani e chiuse gli occhi. 

“Rose lo merita, Rose lo merita, Rose lo merita” sussurrò.

Il volto scoppiò a ridere.

 

 

 

“Sei pronto, Robin?”

Richard estrasse dalla cintura un birdarang, mentre osservava la situazione dall’alto della grata del condotto d’areazione.

“Prontissimo, Robin” rispose.

Jason sorrise e prese il fumogeno. Lo guardò per qualche secondo, rigirandoselo tra le dita, poi gettò un’occhiata al locale sotto di loro. 

Nel magazzino abbandonato, proprio al centro  della sala, c’era una donna legata ad una sedia.  Jason perse un battito. Sua madre. Uno scagnozzo le puntava il mitra dietro alla nuca, a circa un metro di distanza.

Una mano si posò sulla sua spalla, il ragazzo sobbalzò. Dick gli sorrise per incoraggiarlo e la tolse.

“C’è una decina di uomini a guardia…” sussurrò Richard, massaggiandosi il mento, “Hai la modifica alla maschera?”

Jason annuì. Niente d’infattibile, quindi. Pochi uomini e vantaggio tecnico su di loro. Si poteva fare anche senza il vecchio. Si mordicchiò l’interno della guancia.

“Tre…”

“Due…” continuò Dick.

“Uno…”

Con un calcio Jason buttò giù la grata. Prima che toccasse terra, Richard lanciò il birdarang conficcandolo nel muro, proprio dietro all’uomo che teneva la donna sotto tiro con il mitragliatore. 

Esplose, scaraventandolo a terra, svenuto. Jason tolse la sicura al fumogeno e lo buttò in mezzo alla sala. In un secondo una gigantesca nuvola bianca invase il locale, nascondendo tutto alla vista.

Richard gli fece un segno di assenso e si buttò, scomparendo nel bianco del fumo; Jason inspirò e fondo e attivò la visione a raggi X. Subito comparvero dodici corpi a parte il suo: ne vide uno andare a tentoni verso quello legato di sua madre. Si lanciò per dare un calcio all’uomo. Lo colpì sulla nuca con lo stivale e lo buttò a terra, poi allungò il bastone e lo passò sotto al suo collo in modo da soffocarlo fino a fargli perdere i sensi.

Il fumo iniziò a diradarsi, Jason tolse la vista a raggi X. Non si udivano più rumori dovuti alla lotta, Dick doveva già aver steso tutti. Sorrise, finché non riuscì a scorgere il viso di sua madre.

“Mamma…” mormorò.

La donna, legata ad una sedia, aveva i capelli lunghi raggrumati a ciocche, il volto bianco e scarno, come se non mangiasse da un mese. Profonde occhiaie le circondavano gli occhi scuri, piccoli e incavati. Una spalla bianca e ossuta spuntava dal maglione logoro che la vestiva.

“Che ti hanno fatto…”

Le labbra della donna si strinsero in una fessura, il suo sguardo era vuoto, come se non riuscisse a vederlo.

La slegò e l’aiutò ad alzarsi. Era leggera, Jason poté sentire le sue costole attraverso il maglione.

Richard s’avvicinò.

“È stato facile.”

Jason non rispose, continuava a fissare quei piccoli occhi neri senza un’emozione.

“Troppo” continuò Dick.

Due spari echeggiarono nel locale. Un urlo. 

Jason spalancò gli occhi e si girò. Dick era per terra, da entrambe le gambe uscivano fiotti di sangue che fluivano in una pozza che andava via via allargandosi sul pavimento.

“No!”

Si accucciò sul fratello.

“Robin!”

Dick fece una smorfia e digrignò i denti.

“Porta via tua madre.”

“No.”

“Portala subito. Obbedisci, sono io il capo.”

Jason si morse il labbro. Guardò la madre, che si reggeva a stento in piedi senza dire una parola e poi Dick, steso in quella pozza di sangue.

Una risata rimbombò nella stanza, acuta, folle. Una risata ben conosciuta. Jason serrò i pugni. C’era lui dietro a tutto questo. Lui aveva ridotto sua madre in quello stato e aveva sparato a Robin. Lui, che aveva ucciso tante persone e riusciva ad evadere sempre dalla prigione.

“Mi dispiace fratellino, ma non me ne andrò finché non l’avrò fatto fuori.”

Un’altra risata, un uomo in completo viola che compariva alla porta. Jason serrò le dita intorno al bastone e lo allungò. La rabbia che per tanto tempo aveva tenuto dentro di sé stava per esplodere come un vulcano.

“Joker.”

Un’altra risata, ancora più acuta.

“Bene bene bene. Fate un pigiama party e non m’invitate? Ma che maleducati!”

L’uomo fece un passo in avanti, aveva una pistola nella mano destra.

“Grazie Sheila, mia cara. Vieni qui” disse, mentre faceva cenno di avvicinarsi con la mano.

Jason spalancò gli occhi e si girò verso la donna.

“Madre…”

Lei sembrò non ascoltarlo e corse dal Joker. Si buttò in ginocchio e si aggrappò ai suoi pantaloni con entrambe le mani.

“Per favore!” Urlò con voce stridula. Il suo corpo tremava visibilmente, i capelli scivolarono all’indietro scoprendo i suoi zigomi ossuti.

“Sheila, non è educato!”

Il Joker mosse l’indice a destra e a sinistra.

“E va bene, ma solo perché mi hai portato questi begli uccellini” disse e prese dalla tasca un sacchetto pieno di polvere bianca e glielo tirò in un angolo.

Jason si paralizzò.

“Ma cosa succede…”

La donna seguì con la testa la traiettoria dell’oggetto e si buttò a prenderlo, come un cane. Si rannicchiò nell’angolo e lo strinse a sé, dondolandosi avanti e indietro. 

Joker si portò una mano alla bocca e fece una faccia mortificata.

“Oh, pettirosso, mi dispiace.” Scosse la testa con fare teatrale. “Questi drogati sono sempre meno leali. Cattiva Sheila, cattiva!”

Jason fremette dalla rabbia, il sangue gli andò al cervello.

“Io t’ammazzo!”

“No! Non farlo!”

Dick rotolò sul fianco e tese una mano verso di lui.

Jason scattò verso l’uomo a tutta velocità, con il bastone sguainato. L’uomo mirò alla donna, ancora rannicchiata.

“Sei sicuro, Robin?”

Il ragazzo si bloccò. Il suo sguardo andò dal Joker a sua madre e poi di nuovo al Joker.

“Bravo ragazzo. Se stai fermo, lascerò andare la tua adorata mammina, e anche l’altro Robin. A proposito, ma dove vi pesca Batman tutti uguali? Vi alleva come dei cuccioli?”

Jason si morse il labbro fino a farlo sanguinare. La pozzanghera attorno a Dick si allargava sempre di più: non sarebbe sopravvissuto a lungo, sarebbe morto dissanguato entro pochi minuti. Non poteva lasciare che accadesse, era tutta colpa sua.

Abbassò la testa. Game over. Joker aveva vinto di nuovo. Lasciò cadere il bastone.

Joker rise e gli legò i polsi dietro alla schiena, per poi buttarlo a terra con uno spintone.

“Sono un uomo di parola” disse, accovacciandosi e dando due schiaffetti al ragazzo.

Jason osservò la sua faccia bianca e i suoi capelli verdi. Rabbrividì disgustato alla sola vista. Joker si alzò e legò stretti due stracci attorno alle cosce di Richard, poi estrasse la pistola e mirò a Jason.

“Un passerotto morto e uno quasi morto. Batman sarà così felice del mio regalo!”

Il ragazzo fece schioccare la mascella. La rabbia svanì, lasciando posto alla frustrazione.

“Spara pure, tanto non me ne frega più un cazzo.”

L’uomo rise e fece spallucce.

“Oh beh, in tal caso…”

Cambiò mira e sparò alla donna. Jason sgranò gli occhi, vide il corpo esanime della madre crollare a terra, senza nemmeno fare rumore. La bustina cadde, sparpagliando l’eroina sul pavimento. Sul volto, un largo sorriso e gli occhi sgranati, mentre la polvere le macchiava di bianco le dita e le narici.

Il suo cuore si fermò. Guardò il cadavere a terra, con nessun altra sensazione se non disprezzo verso se stesso e verso quella donna che l’aveva venduto per un pacchetto di droga.

Il Joker rinfoderò la pistola e camminò tranquillo per la stanza, fino a che non raggiunse il corpo riverso di uno scagnozzo. Gli dette un calcio, rovesciandolo supino e si chinò a prendere il piede di porco che aveva ancora tra le mani.

S’avvicinò a Jason, battendo ripetutamente l’estremità dell’attrezzo sul palmo della mano.

“Questi giovani d’oggi, non hanno più i genitori a raddrizzarli.” Guardò prima il ragazzo e poi Dick, che respirava a fatica. “Dovrò pensarci io. Quale dei due passerotti ha avuto questa brillante idea?”

“Io.”

Jason alzò la testa e sostenne lo sguardo del Joker, socchiudendo gli occhi.

“N-no…” mormorò Dick.

“Sono stato io” ripeté Jason.

L’uomo rise e si leccò le labbra.

“Molto bene allora.”

Il ragazzo non distolse lo sguardo, nemmeno quando vide cadere su di lui il primo fendente. 

Un dolore lancinante gl’investì la spalla, non appena il ferro venne a contatto con la sua pelle. Gemette, ma non chiuse gli occhi. Voleva guardare in faccia quell’uomo folle, voleva imprimersi negli occhi quel volto, voleva indirizzare tutto il suo odio verso di lui. Non avrebbe pianto.

Un altro colpo al fianco. Urlò. Il Joker rideva, i suoi lineamenti erano tirati in una smorfia folle, nei suoi occhi verdi riusciva e scorgere il suo stesso volto deformato.

Un colpo alla schiena. Tossì, delle gocce di sangue macchiarono il pavimento. Fissò l’uomo, mentre la vista lo abbandonava.

“Batman verrà a prenderci.”

Joker lasciò cadere il piede di porco.

“Lo spero, ragazzo.”

Lo colpì un’altra volta, e un’altra e un’altra ancora, per minuti.

“Ora scusate, ma devo andare” si avviò verso l’uscita, sistemandosi la giacca del vestito viola. Si fermò sulla soglia e guardò i due ragazzi.

“Fate i bravi e finite i compiti per domani, vi ho lasciato la cena in frigo” ridacchiò, per poi uscire e chiudersi dietro la porta.

Jason tossì di nuovo.

“Dick…”

Un lieve mugolio gli giunse in risposta.

“Ti tirerò fuori di qui, Dick.”

Raggomitolò le gambe verso l’addome e fece passare le mani legate al di sotto, in modo da averle di nuovo di fronte al busto. 

Si tirò su in piedi, gemendo, con la schiena curva dal dolore. La porta in fondo alla stanza era doppia per la fatica. Scosse la testa, non doveva svenire.

Fece un passo, la sua gamba cedette. Cadde a terra, sbattendo la guancia. Non riusciva a muovere la spalla senza che una fitta lancinante lo passasse da parte a parte. Il dolore al fianco gli mozzava il fiato.

“Dick.”

Nessuna risposta.

“Dick, parlami.”

Ringhiò dal dolore e si tirò su di nuovo. Camminò verso la porta, barcollando. Un mugolio gli rispose.

“Dick, rimani sveglio. Adesso ce ne andiamo.”

Cadde ancora. Gemette. Jason allungò le braccia e fece leva con i gomiti, urlando per il dolore alla spalla. La porta era vicina, doveva farcela. Li aveva cacciati lui in quel casino, doveva tirarli fuori.

“Dick.”

Nulla.

“Dickhead non provare a morire. Non pensarci nemmeno.”

Toccò con una mano la porta. L’aveva raggiunta. Fece un ultimo sforzo per mettersi in piedi e abbassare la maniglia.

Era chiusa a chiave.

“Vaffanculo!”

Si zittì, facendo attenzione ad un rumore in sottofondo.

Tic.

Tac.

Tic.

Si girò: su una cassa, un timer era collegato a della dinamite. Venti secondi rimanenti.
 

 

 

***

 

 

 

Cyborg e gli altri entrarono in macchina, chiacchierando come se non fosse successo nulla, felici per il ritrovamento sia di BB che di Terra. Persino Raven spiccicava qualche parola in più del solito.

Robin girò la testa e guardò il paesaggio sfrecciare fuori dal finestrino. Il suo pensiero volò a quella notte, la notte che lo teneva ancora sveglio a distanza di anni.

Si massaggiò le cosce, mentre i suoi occhi si chiudevano di nuovo. In un attimo gli sembrò di tornare anima e corpo in quel magazzino.

 

 

Il suo respiro era pesante, tutta la stanza era sfocata. Il freddo scosse il suo corpo, tremò battendo i denti. Rannicchiò a stento le gambe al suo addome per farsi un po’ di calore. 

L’unica cosa che riusciva ad udire era la voce di Jason, ma dalle sue labbra non uscivano più di grugniti, in risposta.

Le forze lo stavano abbandonando, mentre il rosso del suo sangue era l’unico colore che riusciva a scorgere: tutto il resto stava diventando bianco.

“Dickhead non provare a morire. Non pensarci nemmeno.”

Tossì e spostò il volto, in modo da riuscire ad intravedere Jason. Era di fronte alla porta, girato verso delle casse di legno.

Un ticchettio raggiunse le sue orecchie, ovattato. Non riusciva capirne la provenienza, ma non importava. In ogni caso sarebbe morto di lì a poco.

“C’è una bomba.”

Si leccò le labbra e socchiuse gli occhi. C’era una bomba, il Joker l’aveva proprio pensata bene. Chissà cos’avrebbe fatto Batman, trovandoli entrambi morti in un magazzino abbandonato. Era stato una delusione come Robin, come figlio, come fratello e come capo. Sapeva quanto Jason fosse instabile, ma si era fatto convincere comunque. Era lui la parte razionale di suo fratello e si era lasciato vincere dall’emotività, come un bambino. Non era stato un buon capo, aveva condannato a morte entrambi.

“Jay, s-scappa.”

Jason si girò verso di lui e si avvicinò, barcollante.

Cosa stava facendo? Perché stava andando verso di lui?

Riuscì a scorgere la figura del ragazzo, circondata da un grosso alone bianco; il respiro era sempre più lento, non riusciva più ad espandere la cassa toracica.

Jason cadde, a pochi centimetri da lui, con le mani vicino al suo volto.

Richard gemette. Avrebbe voluto dirgli tante cose: di andarsene, di lasciarlo lì, che non era stato un capo all’altezza, né un buon amico, ma dalla sua bocca uscì solo un grugnito accorato.

Jason strisciò fino a trovarsi steso a fianco a lui, con il volto verso il suo e la schiena verso la bomba.

“C…”

Che stai facendo, avrebbe voluto dire. Concentrò le ultime forze sul viso di Jason: stava piangendo.

“Salutami il vecchio, Dick.”

Il ragazzo fece passare le sue braccia attorno al collo di Richard e si rannicchiò, in modo da spingere la sua testa sotto al suo mento e in modo da coprire con il suo corpo quello accucciato del fratello.

I tic scomparvero. Il silenzio arrivò. Il calore l’investì.

 

 

Aprì gli occhi: una lacrima era scesa lungo la sua guancia.

Una mano si posò sulla sua spalla, Robin trasalì: era Cyborg.

“Tutto bene?” chiese, gettandogli un’occhiata e poi tornando a guardare la strada.

“Sì.” Inspirò a pieni polmoni e buttò fuori tutta l’aria. Si asciugò la lacrima con la mano. “È colpa di tutto questo polline.”

La voce di Raven arrivò, atona.

“Robin, siamo a settembre.” 

Nell’auto calò il silenzio, il ragazzo si massaggiò le tempie con le mani e buttò la testa sul sedile.

“Devo raccontarvi un po’ di cose.”











Angolo dell'autrice
Ciao a tutti!
Come vedete, la narrazione si è bloccata per lasciare spazio ad un po' di spiegazioni sulla vicenda Robin-Red X e sul loro rapporto.
In questa nota, vorrei un po' parlarvi delle opere a cui mi sono ispirata per questo spezzone piuttosto importante. Avverto subito che ci saranno degli spoiler sull'opera originale, per cui:

- SPOILER -

Molti di voi sapranno che Jason Todd è stato il secondo Robin, il famoso Robin che morì grazie ad un sondaggio telefonico, per mano del Joker mentre cercava la madre. Ho mantenuto simile all'originale il modo in cui lui e il Cavaliere Oscuro si sono incontrati, quand'era un bambino. Per il resto ho preso semplicemente ispirazione. Infatti Dick non è stato presente in quelle vicende successive dove Jason oltrepassava il limite e dove veniva catturato dal principe dei Clown per poi essere ucciso brutalmente.
Ho deciso d'inserire comunque il leader dei Teen Titans, per spiegare questo suo carattere cupo e questo suo modo di anteporre sempre la ragione, impedendo per l'appunto a Beast Boy di combattere, in generale e soprattutto contro Red X, verso cui provava odio.
Benché potesse essere sviluppato meglio (e di questo me ne rendo conto, ma ho cambiato biografia di Red X in corso d'opera), un minimo di psicologia di Robin riguardo al fratello adottivo era presente anche all'inizio di questa fan fiction, e si mostrava più che altro con la sua iperprotettività.
Il metodo di uccisione di Jason è molto simile a quello che si trova nel fumetto "Una morte in famiglia", ma il ragazzo in quel caso non si lancia su Dick in un disperato tentativo di salvataggio, ma sulla madre. Purtroppo in quel caso, la madre non riesce a salvarsi con il suo sacrificio.

- FINE SPOILER -

Red X, quindi, nel capitolo precedente si è bloccato nel vedere Terra per un motivo. Si è rivisto sia al posto di Amber, sotto quella spranga, sia al posto di Terra, con i suoi stessi sentimenti d'odio verso una persona che era riuscita solo a fare del male. È per questo che poi dice quelle parole alla ragazza. In realtà, anche ciò che dice alla biondina per convincerla è un riferimento a Batman e ai suoi principi morali.
È vero anche che è strano che un personaggio come Jason Todd faccia un discorsetto del genere a Terra, quando lui nel fumetto diventerà in seguito ben altro tipo di giustiziere. Tuttavia in questa fan fiction lui ancora quell'anti eroe non lo è diventato, perciò non l'ho trovato particolarmente fuori dal personaggio. Red X quindi non ha ancora mai ucciso, benché il suo alter ego fumettisco l'abbia fatto più e più volte!

Mi soffermo in ultimo sulle età dei personaggi, per rendere un po' più verosimile la cosa. Serie e fumetti discordano palesemente, perciò qui di seguito vi scrivo le età di Robin e Red X nei vari momenti della serie e della ff:

- Dick entra nei Teen Titans come Robin a 15 anni, 2003
- Dick diventa il primo Robin a 11 anni, nel 1999
- Jason diventa Red X nel 2004 a 15 anni - prendendo come punto di riferimento l'episodio "X" della terza stagione
- Jason diventa il secondo Robin a 12 anni, nel 2001
- Attualmente, Dick ha 20 anni (2008)
- Attualmente, Jason ha 19 anni (2008)

Bene, penso di essermi dilungata un po' troppo, ma ci tenevo a spiegare tutto per filo e per segno, considerando anche che Jason Todd è uno dei miei personaggi preferiti della DC.
Spero apprezziate e recensiate in molti. Voglio ringraziare tutti quelli che hanno commentato fino ad adesso, dandomi la forza di andare avanti! Se avete domande basta scrivere e risponderò il prima possibile.
A prestissimo,

x Carlotta

Ps. Vi lascio qualche link interessante e vi consiglio moltissimo la visione del film "Batman: Under the Red Hood", che si trova attualmente solo in inglese. Per gli eventi nel magazzino mi sono ispirata a quello stesso film, vi lascio qui di seguito uno spezzone.
Batman: Under the Red Hood - Jason Todd
Copertina di "Una morte in famiglia"


 

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Capitolo 25
*** Il nome di Rose ***


IL NOME DI ROSE

 

 

 


 

Il bianco della camera d’ospedale l’avvolse, la finestra era chiusa e l’aria viziata gli mozzò il fiato.

Si allargò la cravatta con l’indice e si sistemò il bavero del camice. Il lattice dei guanti scivolò sulla pelle sudata del collo. 

La ragazza era stesa sul letto, completamente fasciata e assicurata con dei lacci alle sponde. Qualche ciocca rossa spuntava dalle bende, coprendo i lividi neri che si estendevano per tutta la faccia.

S’avvicinò, Amber socchiuse gli occhi e mosse le labbra gonfie e violacee: non ne uscì nulla.

“Buongiorno, mia cara.”

Le sorrise e chiuse il tubicino che le usciva dal braccio, in modo da poter staccare la flebo e cambiargliela.

Una volta sistemata sul trespolo, aprì la sacca e la colpì tre volte con l’indice alla base. Il liquido scese goccia dopo goccia, iniziando a scorrere verso il catetere endovenoso.

Il medico le sorrise di nuovo: la ragazza lo seguiva con gli occhi, senza muovere alcun muscolo facciale.

Portò la mano destra alla tasca interna del camice ed estrasse una bottiglietta da pochi centilitri.

Iniziò a fischiettare una canzoncina, mentre l’appoggiava al tavolino e apriva una busta contenente una siringa. 

“Culla dei figli, tomba dei padri…”

Inserì l’ago nel tappo e tirò a sé lo stantuffo. Il cilindro si riempì di liquido trasparente.

“Sai cosa sto cantando?”

Infilò la bottiglietta nella tasca e s’avvicinò al tubicino della flebo. Tenne la siringa tra indice e il pollice e spinse finché il metallo non perforò la plastica.

“È l’inno di Markovia.”

Premette il pollice sullo stantuffo.

“Presto, sarà il gran giorno.”

Prese un sacchetto dalla tasca del camice e ci ripose tutti gli oggetti che aveva utilizzato.

Bip…bip…bip…

Ricominciò a canticchiare, mentre il tracciato sull’elettrocardiogramma  diventava più veloce.

Amber serrò i pugni e sgranò gli occhi, il suo corpo si mosse sotto le convulsioni. La maschera per l’ossigeno si staccò dal suo volto, i muscoli contratti sbattevano contro i lacci di contenimento.

Il dottor Hale sorrise e volse il capo in alto, alzando la voce e accompagnandosi con la mano.

“Markovia vi chiama a difenderla…”

Bip, bip, bip, bip ,bip.

Amber gemette, il tracciato mostrava ormai oscillazioni rapide e irregolari.

“Le verdi montagne, le dorate pianure…”

S’allontanò fino alla porta e si fermò.

“Sempre verrà difesa o si morrà!”

Un lungo suono investì la stanza. Si girò. Il tracciato dell’elettrocardiogramma era piatto, la ragazza era nel letto immobile. La maschera d’ossigeno le era scivolata fino alla spalla, la bocca era semiaperta, un rivolo di bava le rigava la guancia. Gli occhi erano sgranati, rivolti verso la finestra, vitrei.

“Buonanotte, cara.”

Prese il cellulare e digitò l’ultimo numero che aveva chiamato. Posò la mano libera sulla maniglia e aprì.

“È morta.” Disse al ricevitore.

 

 

 

***

 

 

S’affacciò alla finestra della sua vecchia camera: il mare era buio e piatto, la città sembrava un semplice dipinto a fare da sfondo. Si massaggiò un braccio con la mano e si voltò verso l’interno della stanza. Il grande letto, il soffitto dipinto come un cielo stellato, i muri come un canyon. 

Il suo respiro rallentò, si sentiva come se non fosse degna nemmeno di mette i piedi in quel posto. Si passò una ciocca tra l’indice e il pollice. Il tessuto dei guanti le sfiorò la guancia, facendola sorridere. 

“Ti era mancata?”

Sobbalzò, girandosi verso il ragazzo a fianco a lei.

“È tutto così strano. È come se mi fossi risvegliata da un lungo sonno. In più,” si morse il labbro e intrecciò le dita sul suo grembo, “mi sento un po’ fuori posto, dopo quello che è successo.”

BB le poggiò una mano sulla spalla.

“Terra, ti sei sacrificata per tutti noi. Sei sempre la benvenuta.”

Terra appoggiò la mano su quella di Beast Boy e lo guardò, sorridendo. Il mutaforma aveva una benda scura sugli occhi. 

Smise di sorridere, Red X gli aveva fatto quello quindi. Allungò la mano e accarezzò il volto del ragazzo, passando con i polpastrelli sulla sua benda.

“BB…”

“Terra, è tutto a posto! L’importante è che ora siamo insieme.”

La ragazza si lanciò verso di lui e lo abbracciò, affondando il volto nel suo petto.

 Terra sentì la schiena venire cinta dalle sue braccia e il mento di Beast Boy appoggiarsi sulla sua testa. Rimasero così per minuti, senza parlare.

Terra inspirò a fondo.

“BB…” si staccò con il volto in modo da trovarsi di fronte a lui. “Mi dispiace, non ricordavo nulla quando sei venuto. Se l’avessi fatto ora non sarebbero successe tutte queste cose.”

Beast Boy le mise le mani sulle spalle e s’avvicinò a lei, la ragazza poteva sentire il suo respiro sul viso.

“Terra, sta’ tranquilla. Sei qui ora, va tutto bene.”

Terra sorrise. Se c’era una persona con cui avrebbe voluto stare in quel momento, quella era lui.

Senza pensare gli schioccò un bacio sulla guancia. Poté sentire la pelle del ragazzo scaldarsi a quel contatto. S’allontanò ridacchiando. Era arrossito.

“Andiamo dagli altri.”

Beast Boy alzò un braccio e si grattò la nuca, con un sorriso ebete stampato sul volto.

“Certo.”

La main room s’aprì davanti a loro. Robin confabulava con Cyborg vicino al bancone della cucina, Raven era seduta sul divano a leggere un libro e Starfire levitava a gambe incrociate con Silkie in braccio.

Terra si strinse nelle spalle e poi alzò una mano in un tentativo di saluto.

“Ciao” disse.

Ancora non riusciva a prevedere come avrebbero potuto reagire. I ragazzi la guardarono, la sala cadde nel silenzio.

“Amica Terra!”

Starfire appoggiò la larva sul divano e corse dalla ragazza. Senza aspettare risposta le buttò le braccia al collo e la strinse, sollevandola dal pavimento. Terra tossì.

“S-Star, mi soffochi!”

“Glorioso! Terra è tornata!”

La ragazza ridacchiò, lasciandosi abbracciare. Chiuse gli occhi e si godette il calore dell’amica, ricambiando la stretta.

“Star, così la uccidi.”

Terra riaprì gli occhi alla voce di Cyborg. La tamariana si staccò e al suo posto il ragazzo le batté il cinque.

“Terremoto, non immagini quanto sia felice di vederti.”

Le s’illuminarono gli occhi, quelle parole le avevano dato la conferma di ciò che le persone non avevano fatto altro che ripeterle  per tutto quel tempo. Parole che lei non voleva ascoltare. Le volevano bene, l’avevano perdonata.

Si buttò in avanti e abbracciò Cyborg, che alzò le mani per la sorpresa. Sorrise e ricambiò senza farle male. Non appena si staccò, fu il turno di Robin, una stretta di mano e un largo sorriso. Infine, toccò a Raven.

Terra si bloccò, deglutì. Cosa aveva pensato lei di tutta la situazione? In un attimo, tutta la preoccupazione che sembrava svanita, tornò a incurvarle le spalle come un macigno.

La ragazza, con il libro stretto al petto, la guardò senza mutare espressione, poi sollevò leggermente gli angoli della bocca.

“Sono contenta che tu non sia più una statua.”

Sul volto di Terra si aprì un nuovo, largo sorriso. Dalla maga quella reazione era andata oltre le sue più rosee aspettative. Benché l’ultima volta che erano andate d’accordo l’avesse traditi, ci teneva davvero a stringere amicizia con lei.

“Non ti sei messa la divisa” continuò Raven.

Terra incrociò le braccia e inclinò di lato la testa.

La ragazza gettò una breve occhiata ai suoi guanti, che insieme agli occhialetti erano l’unico indumento del vecchio completo che aveva deciso di tenere. 

“Ho preferito di no. Non mi sentirei a mio agio. Preferisco ritornare al mio completo di prima che… insomma.”

Raven annuì.

“Non preoccuparti.”

Robin le posò una mano sulla spalla.

“Terra, siamo davvero contenti che tu sia qui” disse, sottolineando la parola davvero.

La ragazza lo guardò. Era come se avesse compreso il suo timore. Guardò gli altri ad uno ad uno. Fiotti di calore le irrorarono le guance: tutti l’avevano compreso. 

“Anche io sono felice di vedervi, ragazzi.”

 

 

 

 

***

 

 

 

“Red X.”

Il ragazzo tolse le mani, lente, dalla sua maschera. Sollevò lo sguardo.

“Rose.”

La ragazza era lì, di fronte a lui, distante solo qualche metro. La sua mente s’affollò di parole, che gli morirono tutte in gola. Rose, l’aveva cercata per tutto quel tempo e ora poteva quasi toccarla, libera, nel bosco.

Fece un passo verso di lei.

“Vieni con me.”

La ragazza era avvolta da un’armatura bianca, riluceva sotto ai raggi di sole che filtravano tra le fronde. I capelli biondi si muovevano, frustati dal vento; gli occhi ghiaccio erano fissi su di lui.

Red X fece un altro passo.

“Forza, vieni.”

Lei scosse la testa.

Il ragazzo spalancò gli occhi sotto la maschera e tese un braccio verso di lei.

“Cosa vuoi dire? Ti sto portando via da Slade, puoi essere libera!”

“Non ho ancora finito quello che dovevo fare.”

Red X strinse i pugni lungo i fianchi.

“Cosa stai dicendo? Ti hanno rinchiuso per solo Dio sa quanto in una lurida stanza a subire esperimenti e imparare a memoria testi su Markotovia e adesso che puoi andartene e iniziare una nuova vita, non lo fai?”

“Markovia.”

“Chi cazzo se ne frega! È uno sconosciuto Paese europeo che non hai nemmeno mai visto!”

Il vento calò; i capelli biondi di Rose scivolarono sul suo viso, coprendole un occhio. Lo guardava, senza alcuna espressione.

Red X tirò un pugno al tronco di un albero vicino a lui.

“Non ha un cazzo di senso.” Sollevò lo sguardo su di lei. “Ti hanno usato come un animale da macello, non sei mai stata nulla per loro.” S’indicò, puntandosi il petto con il pollice. “Io so cosa sei.”

Rose sussultò: fece un piccolo passo indietro, le sue pupille si restrinsero.

“Lo so.” Ripeté Red X. “E francamente non m’interessa.”

Le labbra di Rose tremarono, gli tese la mano.

“Vieni tu con me.”

Il ragazzo alzò un sopracciglio.

“Cosa?”

“Vieni con me. Unisciti a Slade. Una volta finito il nostro compito, saremo liberi d’andare dove vogliamo.”

“Io sono già libero.”

Rimase immobile a osservarla. Lei non si mosse, rimase con la mano verso di lui.

“Perché no? Sei già stato alleato di mia madre, in cosa potrebbe mai essere diverso?”

Red X digrignò i denti. Possibile non riuscisse a capire?

“Infatti è stata una pessima idea.”

Rose abbassò il braccio e lo portò lungo il fianco.

“Se il problema sono i soldi, verrai pagato.”

Il ragazzo strinse i pugni. I soldi. Serrò la mascella. Aveva sempre lavorato per un guadagno, ma sentirsi offrire un pagamento dalla ragazza che aveva cercato di salvare per tutto quel tempo, lo colpì come uno schiaffo in faccia. “E sentiamo, cosa dovrei fare?”

“Eliminare i Teen Titans.”

Red X aprì la bocca per ribattere, ma non vi uscì alcun suono. Il corpo tremò, i respiri si fecero più brevi. Si voltò e le dette le spalle, iniziando a camminare a passo svelto per allontanarsi da lei.

“Rifiuti quindi?”

“Va’ al diavolo.”

 

 

***

 


 

Bevve un sorso d’acqua. Ormai era più di un’ora che stava spiegando ai compagni tutta la storia dall’inizio. Sua madre, la scuola, la perdita della memoria, la clinica, Red X, Rose, Slade.

Ogni pezzo del puzzle stava prendendo posto man mano che raccontava. Più andava avanti, più dei passaggi le sembrarono ovvi.

Si mordicchiò l’interno della guancia, tutti la stavano guardando, concentrati. Robin era quello più proteso verso di lei, con i gomiti sulle ginocchia e il mento affondato sul palmo della mano sinistra.

Cyborg si grattò la nuca.

“Quindi ci sono dei fascicoli?”

“Esattamente.”

Starfire unì i palmi delle mani e sorrise.

“Allora basterà leggerli per avere tutte le risposte!”

Cyborg annuì.

“Certo. Dove sono?”

“Sono nello zaino ch-“

Terra si stampò la mano sulla fronte. Lo zaino con i fascicoli era ancora nell’appartamento di X. Non poteva portarli lì, lui non gliel’avrebbe mai perdonato.

“Ce l’ha X” concluse.

Robin s’irrigidì e si sedette composto.

“X” ripeté.

Terra alzò un sopracciglio.

“X. Mi ha aiutata molto fino ad adesso.”

“Allora perché non era con te quando siamo arrivati?” chiese Raven.

“C’era.”

Beast boy incrociò le braccia, con una smorfia. Star intrecciò le dita in grembo.

“E perché se n’è andato se non aveva fatto nulla di male?”

“Non abbiamo certo avuto un bell’incontro al molo” mormorò Raven.

“Ha detto che c’era qualcuno che non era pronto a rivedere.”

Terra scoccò un’occhiata a Robin e sbuffò. Si ricordava perfettamente di quella foto che X custodiva in casa sua. Si mise a giocare con una ciocca di capelli con indice e pollice.

Avrebbe dovuto dire dove si trovavano esattamente quei fascicoli?

Si passò la ciocca dietro l’orecchio. Tutti i suoi problemi erano nati perché aveva nascosto le cose ai suoi amici. Chiuse gli occhi. Era ora di finirla con quella storia, Red X avrebbe capito i suoi motivi.

“Sono nel suo appartamento. So dov’è.”

Robin strinse i pugni. Cyborg gli appoggiò una mano sulla spalla. Il leader non disse nulla, ma rimase a capo chino.

“Red X dov’è?” si limitò a chiedere.

“Non lo so, credo sia andato a cercare Rose.”

Cyborg si massaggiò la tempia, poi guardò tutti gli altri compagni.

“Quindi che facciamo, andiamo a prenderli?”

“Non adesso.”

La risposta di Robin, così istantanea, sorprese tutti. Il ragazzo s’alzò e s’avvicinò al monitor al lato della sala.

“È tardi, siamo tutti sfiniti e abbiamo appena rincontrato Terra. Non l’abbiamo nemmeno salutata decentemente.”

La ragazza alzò la testa e li guardò uno a uno. Aveva paura facessero tutto quello solo per farle un favore, ma non lo pensassero veramente.

Cyborg tentennò.

“Amico, anch’io sono contentissimo di aver rivisto Terra, ma i fascicoli sono fondamentali. Forse sarebbe meglio se-”

“No Cyborg, andremo domani.”

Aveva alzato la voce, l’androide socchiuse gli occhi.

“Sei sicuro di non voler semplicemente rimandare?”

“Domani.” Rivolse lo sguardo all’amico, sembrava quasi triste, come se gli volesse chiedere per favore.

Cyborg annuì e alzò le mani.

“Bene allora, è deciso!”

Qualcosa di caldo le toccò la mano. Trasalì: BB le stava accarezzando il dorso della mano con le dita e le sorrideva.

“Dovremmo festeggiare il ritorno della nostra amica Terra!” 

Star aveva allargato le braccia e sorrideva.

“Perché no” disse Cyborg “Ogni scusa è buona per mangiare degli hamburger o degli hot dog!”

BB s’alzò e corse verso il bancone della cucina, saltando il divano come se niente fosse.

“Non esiste! Perché non qualcosa con il tofu!”

“Ah no!” Cyborg lo inseguì e lo tirò per un braccio. “Non ti azzardare a cucinare quella roba finta!”

Terra ridacchiò, mentre una ciocca gli cadeva davanti al volto, che puntualmente si scansò. Non era proprio cambiato niente anche dopo tutto quel tempo e nonostante gli avvenimenti che avevano sconvolto la squadra.

Raven guardò i due azzuffarsi e appoggiò la guancia sulla mano.

“Certe cose non cambiano proprio mai.”

Terra sorrise e abbassò lo sguardo.

“Già, non cambiano mai.”

“Terra.”

La ragazza alzò lo sguardo verso Robin, ancora vicino al monitor. Le stava sorridendo, sollevato.

“Credo ci sia qualcun altro molto felice di vederti.”

Terra alzò un sopracciglio e si avvicinò a lui. 

“Tara! Sei tu!”

La ragazza spalancò gli occhi e guardò lo schermo. Un viso familiare capeggiava nella stanza, con dei capelli rossi e degli occhi chiari.

Si portò le mani al petto.

“Brion!”

Il fratello era di fronte a lei, il fratello che non vedeva da anni e che aveva ricordato solo poche ore prima.

Era vestito in abiti formali e sorrideva. Si passò una mano tra capelli.

“Tara… ho…” sorrise e s’asciugò gli occhi con indice e pollice “ho aspettato così tanto per questo momento che ora non so più cosa dire.”

Terra inclinò la testa di lato e lasciò scorrere i suoi capelli lungo la spalla.

“Brion, ho tante cose da raccontarti. Ma Gregor?”

“Gregor sta bene, sta cercando di tenere a bada i casati. Appena avrà finito gli darò la bella notizia.”

La ragazza alzò un sopracciglio.

“I casati?”

Brion si passò una mano sul collo.

“Tara, non preoccuparti di questo ora. Ti spiegherò tutto con calma.”

“Io vado a vedere cosa stanno preparando gli altri, voi avete bisogno di un momento da soli.”

Robin si girò e fece per andarsene.

“Al contrario!”

Il leader aggrottò la fronte e guardò il principe nel monitor.

“Sono grato del fatto che l’abbiate ritrovata, perciò desidero invitarvi tutti ufficialmente qui a Markovia, come ospiti speciali per la legittimazione di Tara.”

La ragazza di sbloccò. Cosa? Legittimazione? 

“Quale legittimazione?”

“Quella per cui diventerai principessa di Markovia, seconda in linea di successione al trono dopo di me. Siamo stati tanti anni separati, non voglio più che accada. In più il Paese ha bisogno di te.”

Terra si prese il braccio con la mano e indietreggiò di un passo. In pochi giorni era passata da studentessa normale a supereroina, mentre ora s’apprestava a diventare una principessa. Stava accadendo tutto così in fretta che la sua mente non riusciva nemmeno ad elaborarlo.

“Ecco, Brion, io…”

Il ragazzo alzò una mano, Terra s’ammutolì.

“Non preoccuparti, sarà solo una formalità in modo da acquietare i nobili e permettere il il tuo ritorno a casa senza problemi. Vi sarà dell’etichetta da seguire, ma per il resto potrai condurre la tua vita. Ora scusami, ma devo andare a salvare Gregor da quel branco di leoni. A presto Tara, grazie Robin.”

Il leader fece un mezzo inchino, mentre Terra non riuscì nemmeno a salutare quando il monitor si spense.

Il posare della mano di Robin sulla sua spalla la riscosse.

“Andrà tutto bene, sei con i tuoi amici adesso e ci saremo anche quel giorno.”

La ragazza lo guardò e sorrise. Aveva ragione, non era più sola. BB, Cyborg, Starfire, Robin, Red X e persino Raven. Non era più sola.

“Grazie Robin.”

“Allora, venite o no? Si fredda!”

Terra si girò. Beast Boy si stava sbracciando per attirare la loro attenzione, in una mano aveva un panino con della roba bianca molliccia. Sicuramente del tofu.

Ridacchiò e corse dagli altri. Non era più sola.

 

 

 

***

 

 

 

“Temo tu non possa andartene.”

Red X si fermò. La voce che aveva sentito non era di Rose, era maschile.

Si girò. A fianco alla ragazza vi era un uomo con la maschera bipartita.

“Slade.”

Slade socchiuse l’occhio.

“Red X.”

Il ragazzo si portò la mano destra alla fronte, indice e medio alla tempia.

“Invece credo proprio che me ne andrò. Non voglio avere niente a che fare con voi. Hasta la vista.”

Si girò e fece un passo. Un rombo, la terra tremò.

“Ma che?”

Un muro di roccia si era eretto a bloccargli la strada, superandolo in altezza di una spanna e in lunghezza talmente tanto da perdersi tra gli alberi alla vista.

Spalancò gli occhi e posò una mano sulla parete. Era proprio roccia, dura. Si morse il labbro: ma quelli non erano i poteri di Terra? 

“Merda.”

Estrasse tre shuriken a forma di X dal costume e si voltò di scatto. Slade era in piedi, con le braccia dietro alla schiena, mentre Rose aveva degli aloni color ghiaccio attorno alle mani.

Si mise in posizione di combattimento, le dita pronte al minimo segno di pericolo, i piedi piantati a terra per scattare.

“Non vedo perché combattere. A me dei Titans non interessa proprio nulla.”

Slade rise, sommesso.

“L’avrei pensato anch’io fino a poco tempo fa, ma la tua fuga dalla clinica di Anne insieme a Terra e l’aiuto che le hai dato nel combattimento contro la mia apprendista, mi hanno fatto sorgere il dubbio.”

“Hai visto la tua apprendista subire quei colpi e non hai fatto niente?”

Slade fece scrocchiare le dita della sua mano sinistra.

“Aveva fallito troppe volte.”

Red X socchiuse gli occhi e fece una smorfia.

“Sei disgustoso.”

“Accorto, direi. Data la mia scarsa fortuna con gli apprendisti negli anni, ho deciso di diventare un poco più selettivo e prudente.”

Red X alzò un sopracciglio.

“Smetterai di arruolarli con i ricatti? Non so se l’hai notato, ma non sembrano essere molto efficaci.”

Una lama si conficcò a pochi centimetri a destra della maschera del ragazzo, nel muro di pietra. Slade aveva il braccio sinistro teso verso di lui.

Red X deglutì. Un colpo d’avvertimento e lui non solo non l’aveva previsto, ma non era riuscito nemmeno a vederlo arrivare.

“Ogni singolo dubbio fa sì che io prenda misure drastiche. Ho il dubbio che tu sia un po’ troppo in buoni rapporti con i Titans, tanto da poter andare ad avvertirli.”

Red X strinse le dita sugli shuriken.

“Non vedo di cosa dovrei avvertirli. Dubito che i Titans pensino che tu voglia proporre loro una scampagnata. Sanno che li vuoi eliminare.”

Slade mosse il capo; i bagliori attorno alle mani di Rose s’ingrandirono e una zolla di terra si formò sotto di lei, per poi alzarsi in volo.

“Rose! Fermati!”

Si morse il labbro fino a farlo sanguinare. Non voleva combattere con lei, non dopo tutto quello che aveva fatto.

Tirò gli shuriken verso le giunture di Slade, le due ginocchia e la spalla del braccio dominante. L’uomo le evitò con un singolo passo di lato.

“Apprendista, è giunto il momento di mostrarmi la tua lealtà.”

La ragazza annuì e stese le mani in avanti: dal terreno si levarono una ventina di sassi, che si fermarono a mezz’aria, come un muro. Rose chiuse il pugno e diventarono dei cunei appuntiti: era diventato un muro di punte.

La ragazza gridò e scagliò le pietre in avanti con un gesto del braccio, ricoperto da un alone azzurro.

Red X balzò verso un albero a meno di un metro da lui. Afferrò un ramo con le mani e lo usò come un perno per ruotare. Facendo forza con le braccia e gli addominali, puntò i piedi sul legno, trovandosi accucciato sulla sommità del tralcio. Le sue gambe scattarono come una molla: saltò, in modo da passare sopra alla ragazza. Vide le punte schizzare sotto di lui e conficcarsi nella corteccia degli alberi circostanti come tante frecce. 

Estrasse uno shuriken e lo tenne stretto tra le dita: quando si trovò sopra di lei rotolò in aria e lo lanciò con più forza possibile. La X rossa sibilò e la ragazza fece in tempo solo ad alzare il viso: dalla sua guancia caddero gocce scarlatte che le macchiarono la tuta metallica.

Red X atterrò con una capriola e rimase accucciato a terra. Spalancò gli occhi: il flusso di sangue che stava scendendo per la pelle della ragazza si era già fermato e il taglio diveniva sempre meno visibile.

“Quante altre cose non mi hai raccontato?”

Scattò e tirò un pugno dritto in faccia alla ragazza. Rose scartò di lato e gli afferrò il braccio, si girò e s’inserì con la spalla sotto alla sua ascella.

Red X volò catapultato in avanti, per atterrare di schiena. Il ragazzo gemette per il dolore e vide formarsi un grosso cuneo davanti ai suoi occhi. Rotolò di lato, mentre la punta rocciosa si conficcava nel terreno a pochi centimetri da lui.

Inspirò a fondo e s’alzò, Rose stava avanzando verso di lui, i pugni chiusi lungo i fianchi.

Red X indietreggiò e cercò Slade con lo sguardo: l’uomo non aveva cambiato posizione dall’inizio del combattimento.

Qualcosa di freddo urtò la sua schiena, il muro di roccia era proprio alle sue spalle. Red X fece scivolare una piccola sfera tra le sue dita. Socchiuse gli occhi, in attesa della ragazza.

Rose lo guardò con i suoi occhi color ghiaccio, le pupille dilatate.

“Rose, smettila.”

La ragazza tirò un destro. Red X vide arrivare le nocche ad un soffio dal suo naso. S’abbassò e lasciò cadere la pallina. 

Una nube di fumo nero venne sprigionata e invase l’area, oscurando tutto alla vista. 

Red X udì Rose tossire e tirò un montante proprio di fronte a lui. Il suo pugno urtò contro le placche metalliche dell’armatura della ragazza, facendola piegare su se stessa. Si morse la lingua per trattenere un gemito di dolore e dette un calcio in avanti. Secondo i suoi calcoli la stava colpendo in pieno petto. Il tonfo che seguì confermò: l’aveva stesa.

Il fumo si stava diradando, doveva fare in fretta.

Estrasse dal suo costume una X esplosiva e l’appiccicò sul muro di roccia, s’allontanò di qualche passo e si tappò le orecchie con gli indici.

Lo scoppio sfondò la parete, creando un tunnel. Red X scattò e corse più veloce che poté. Da solo non avrebbe mai potuto batterli entrambi, l’unica alternativa valida era scappare.

Corse per il bosco, zigzagando tra gli alberi. Saltò un tronco e si nascose dietro le fronde di un cespuglio. Premette il pulsante sulla cintura: una piccola scarica elettrica venne fuori dal dispositivo.

“Andiamo, non adesso.”

Riprovò, non accadde nulla.

“Stupido Dickhead, neanche buono a fabbricarti le tute.”

Sospirò e inspirò a fondo. Scattò: i rami dei cespugli gli graffiarono le gambe e le mani erano indolenzite nel colpire i rami per abbatterli.

Puntò entrambi i piedi al terreno: un dirupo era di fronte a lui. Sul fondo spuntoni di roccia uscivano dal letto del fiume, le cui acque si snodavano in mulinelli.

“Merda.”

Un sibilo, un dolore lancinante. Red X urlò e cadde in ginocchio. Sentì la lama fredda lacerare la carne del suo fianco, l’erba intorno a lui si colorò di rosso. Tremante, si tirò su in piedi, mentre il sangue continuava a gocciolare.

Rose stava correndo verso di lui. Red X indietreggiò di un passo: sassolini si staccarono dal limite dello strapiombo e caddero nelle rapide sottostanti. 

La ragazza si fermò e l’osservò. Red X avvertì di nuovo quella sensazione di disagio e strinse i denti. 

“Che stai aspettando, Zero. Uccidimi.”

“Non sono Zero.”

Red X toccò il manico del pugnale nel suo fianco, la lama era penetrata del tutto. Estrarla avrebbe voluto dire morte istantanea per emorragia.

“Preferisci Terra II?”

“Rose.”

Red X scoppiò a ridere, rovesciando la testa all’indietro. Alle risate seguirono i lamenti, ad ogni sussulto la lama gli lacerava un altro po’ di carne.

“Non ti azzardare a usare quel nome. Questa cosa che ho qui davanti non è Rose, è solo un inutile clone. Un pezzo di ricambio, una bestia pronta a essere macellata.”

La ragazza s’avvicinò.

“Per favore, non voglio farlo, ma questo è il mio destino.”

Red X gemette.

“Stupida. Sei tu a creare il tuo destino.”

Rose si bloccò, aprì la bocca e la richiuse. Tese la mano in avanti e afferrò la maschera di Red X, la tolse.

Jason ansimava, con i capelli appiccicati sulla fronte e gocciolanti di sudore. Rose lo guardò, la ragazza aveva una ciocca dietro l’orecchio, le labbra le tremavano.

“Avrei voluto vederla in un altro modo” disse allungando le dita verso la sua guancia. 

I guanti metallici gli sfiorarono la pelle, provocandogli un brivido di freddo. Si scostò, Rose ritrasse la mano. 

Jason rantolò, non riusciva più a distinguere i lineamenti della ragazza, ma solo i contorni. Scosse la testa e riuscì a vedere meglio: Rose stava intingendo la stoffa della maschera nella pozza di sangue che si era formata per terra.

Si rialzò, la tuta annerita e i guanti rossi, che sgocciolavano.

“Non potrò fare lo stesso quando toccherà ai Teen Titans.”

Red X aggrottò la fronte. Lo stava risparmiando? Un’altra fitta lo fece curvare su se stesso, cadde in ginocchio.

“N-non mi serve la tua pietà.”

Il ragazzo alzò il volto: era ancora lì a fissarlo, con la sua maschera insanguinata in mano. Il suo sguardo sembrava attraversarlo, senza davvero metterlo a fuoco.

“Non è pietà.”

 Red X gemette e si portò l’indice alla cintura; digrignò i denti dal dolore. Premette il pulsante. Durante la smaterializzazione, l’ultima cosa che vide fu il sangue colare dalla maschera stretta tra le sue mani.
















Angolo dell'autrice
Non so nemmeno con che faccia ripresentarmi dopo più di un mese e mezzo di buio. Non so come scusarmi, né come promettere che tornerò a pubblicare con regolarità. Qualsiasi mia parola mi sembrerebbe una grandissima presa in giro, quindi tenterò semplicemente di spiegare alcuni motivi per il ritardo, che sommati ad una mia perdita di voglia hanno creato questo buco immenso.
Dopo il capitolo di Robin e Red X, la storia era arrivata in un punto morto. O meglio, le vicende erano abbozzate, ma non mi soddisfavano per niente. I fatti che avrebbero dovuto susseguirsi mi sembravano arraffazzonati, i personaggi campati per aria, le vicende avrebbero portato o a una ridicolizzazione di Slade o di Anne, o di altri.
L'ultima cosa che volevo e che voglio, era concludere questa storia con una fine non degna. Perciò non avevo nessuna intenzione di rendere i personaggi stupidi o senza personalità. La più grande incognita era Zero, che era sempre rimasta abbozzata e che ancora non aveva un carattere e una psicologia ben definiti. Avevo sempre rimandato il momento, dicendomi "ci penserò", ma dopo l'ultimo capitolo, quel momento era giunto.
Mi sono presa una pausa, ho afferrato un quaderno e ho cominciato a buttare giù schemi su schemi di personaggi e vicende. Ho motivato ogni loro scelta e desiderio, in modo da non scadere in odiosi buchi di trama e rendere la storia quanto più solida possibile. Ho disegnato schizzi di ambientazioni e personaggi che se volete, per farmi perdonare, potrò aggiungere in calce al prossimo capitolo.
Così è volato via un mese e mezzo, aiutato anche dalla mia poca voglia di fare, lo ammetto.
Ora però sono qui, con questo capitolo che spero soddisferà le aspettative. In estate questa fan fiction dovrebbe arrivare al termine, più o meno verso il compimento del suo compleanno. Spero di riuscirci e di darvi qualcosa di bello da leggere e, perché no, rileggere anche, qualche volta.
Detto questo ci vediamo nelle recensioni. Avete il permesso d'insultarmi per il mio ritardo. Capirò.
A presto,

x Carlotta

 

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Capitolo 26
*** Prototipo 23 ***


PROTOTIPO 23

 

 

 

 

 

Chi sono io?

Aprì gli occhi: delle macchie sfocate galleggiavano in un mare di rosa. Li chiuse e li riaprì.

“Caricamento back-up della memoria al 78%.”*

Schiuse le labbra, del fluido le entrò nella bocca, facendola bere.

“Tara…?”

“Caricamento back-up della memoria al 95%.”

Portò le ginocchia al petto e le avvolse tra le braccia, avvicinando anche la fronte, mentre i capelli ondeggiavano avvolgendo il corpo.

Mosse l’indice, il medio, l’anulare, il mignolo. Ad ogni movimento, nella sua mente, riusciva a visualizzare i loro nomi, come se fossero radicati dentro di lei.

“Pollice…” mormorò muovendo il dito.

Allontanò il braccio, quando venne bloccato. Ebbe un sussulto. Qualcosa di duro le avvolgeva il polso, come l’anello di una catena.

Spostò lo sguardo sull’altra mano, ma anche questa era legata.

Mosse le gambe: entrambe le caviglie erano avvolte nella stretta. Dalla pancia spuntava un altro tubo, più grande, che andava a perdersi verso l’alto come gli altri.

Fece scorrere gli occhi lungo il loro percorso, sempre più in alto, ma si persero in una macchia nera.

“Caricamento back-up della memoria al 100%.”

S’abbandonò alla sua culla calda, chiudendo gli occhi, pronta a tornare al suo sonno.

“Manovre di preparazione completate. Distacco del cordone ombelicale artificiale.”

Un rumore, un dolore lancinante alla pancia. Urlò, ma nulla uscì in quel liquido, se non un gemito ovattato.

Il cavo si staccò e rimase a penzolare vicino a lei. Al suo posto, una cicatrice tonda, rosso vivido. Serrò la mascella, il dolore non era ancora finito. Strinse ancora di più le ginocchia al petto e vi affossò la testa.

“Controllo delle condizioni fisiche al 60%. Preparazione alla nascita.”

I polsi le vennero strattonati, così come le caviglie. Sbarrò gli occhi, mentre veniva trascinata giù, nel buio.

“No! Mamma!”

Le sue parole si persero nel buio, una lacrima sgorgò dai suoi occhi, per poi confondersi nel mare rosato.

Il suo fondoschiena sbatté contro qualcosa di duro, freddo, come le sue piante dei piedi. Ai suoi polsi fu permesso di tornare ad avvinghiarsi alle ginocchia.

“Controllo delle condizioni fisiche al 100%. Condizioni ottimali. Procedimento di nascita avviato.”

Un rombo scosse tutto intorno a lei. Affondò la testa tra le ginocchia e chiuse gli occhi, lasciando che i lunghi capelli le facessero da schermo per tutto il resto.

La sua carne venne scossa da brividi di freddo, i capelli le s’appiccicarono alla pelle e al volto, le membra tremarono.

“F-freddo…”

Le parole non si persero. Aprì gli occhi: il rosa era sparito, lasciando spazio solo al bianco. Socchiuse gli occhi per non essere accecata dalla luce. Con un rumore secco, gli anelli che le circondavano polsi e caviglie si aprirono, mentre i cavi vennero ritratti verso l’alto. 

Si liberò il viso dalle ciocche di cui finalmente riusciva a scorgere il colore: erano bionde, per tutta la loro interezza. 

“Alzatevi.”

Strinse le labbra in una fessura e appoggiò i palmi delle mani al pavimento. Spinse e s’alzò sulle sue gambe, in un movimento meccanico.

S’abituò alla luce e si guardò intorno. Era in un’enorme stanza bianca, una donna e due uomini di fronte a lei, a qualche passo. Due di loro avevano un lungo camice e scrivevano su dei taccuini. A fianco a lei, numerose ragazze, identiche. Tutte come lei.

“Fate un passo avanti.”

Il suo corpo vibrò e avanzò con la gamba. Atterrò sul suolo freddo e portò l’altra al suo fianco. Non si mosse.

“Controllo somiglianza.”

Sbatté le palpebre: dopo le parole della donna, l’uomo in camice si spostò verso la prima della fila, a sinistra. Estrasse una foto dalla tasca e la confrontò con la prima ragazza.

“Prototipo 01. Conforme.”

Passò alla seconda. L’analizzò qualche secondo

“Prototipo 02. Conforme.”

Alla terza.

“Prototipo 03. Occhi verdi. Non conforme.”

L’uomo fece un passo indietro.

“Prototipo 03. Vieni avanti.”

La ragazza spuntò dalla fila. Aveva il corpo stretto dalle braccia, il tremolio era evidente, i capelli lunghi fino alle caviglie.

“Girati e mettiti in ginocchio.”

Eseguì.

L’uomo estrasse una pistola e la poggiò sulla sua nuca. Uno sparo echeggiò nella stanza, il corpo cadde rimbombando sul pavimento.

L’uomo pulì la canna e passò oltre.

“Prototipo 04. Conforme.”

Chiuse gli occhi e si strinse il corpo tra le braccia. Una lunga ciocca scivolò coprendole metà del viso. Non riusciva a guardare, rivedeva quei corpi nella sua mente, udiva gli spari avvicinarsi. Quanti erano caduti ormai su quel pavimento bianco? Dieci? Quindici?

Si portò le mani alle tempie. Come faceva a sapere tutte quelle cose? I nomi, i conti… eppure lei era sempre stata solo in quel mare rosa, caldo, dai suoni ovattati.

“Prototipo 23.”

Sbarrò gli occhi, il viso dell’uomo era a solo un metro da lei. Prototipo 23: era quello il suo nome?

“Conforme.”

Passò avanti. 23 non riuscì a trattenere un brivido di freddo.

 

 

***

 

 

 

 

Si scostò una ciocca dal viso. Era fatta, li aveva portati all’appartamento di X. Un alone scuro si formò attorno alla serratura, che scattò, socchiudendosi.

“È questo il posto?” chiese Robin.

Terra annuì, senza trovare la forza di rispondere. Red X non l’avrebbe presa bene, per niente, soprattutto ora che ci aveva portato nientemeno che Robin.

Delle dita s’intrecciarono alle sue, calde. Si girò, Beast Boy le sorrideva sotto la benda scura, per infonderle coraggio. Strinse la mano in risposta e la stretta si sciolse.

Robin posò la mano sulla porta. Indugiò un istante, poi spinse. Una stanza rivestita solo con un divano e un tavolino s’aprì di fronte a loro. Cumuli di vestiti erano per terra, così come scartoffie. In un angolo erano addossate decine di pistole, di fianco a dei borsoni.

“Quella in fondo è la camera con i fascicoli.”

Beast Boy allargò le narici e inspirò a fondo. Terra alzò un sopracciglio.

“Sangue” mormorò Raven.

Robin scattò e spalancò la porta, bloccandosi sull’uscio.

“Jason…” 

Delle impronte insanguinate, accompagnate da delle gocce di sangue, si susseguivano, confuse. Seguì con gli occhi il loro percorso, fino al letto. Fece un passo indietro.

“X…”

Il corpo del ragazzo giaceva sul letto, dando loro le spalle. Un pugnale era conficcato nel suo fianco, la tuta e la parte del lenzuolo adiacente a lui, erano rosse. Il suo costume da Red X era completo, tranne per la maschera.

Robin corse dal ragazzo e lo afferrò per la spalla.

“Jason!” Lo scosse. “Jason, svegliati!” Alzò lo sguardo verso di loro. “Raven! Respira ancora!”

Terra scattò e raggiunse il leader, seguita dalla maga. Si scansò per farla passare e aspettò che imponesse le mani sulla ferita del ragazzo. 

“Rimuovete la lama.”

Robin rimase immobile a guardare il volto di Red X, senza reagire. Terra afferrò il pugnale per il manico e lo estrasse.

Due aloni neri comparvero e si proiettarono su di lui. A poco a poco il flusso si fermò e la lesione diminuì di superficie, lasciando al suo posto pelle rosea e senza cicatrici.

Robin era di fronte a lui, immobile, con il volto alla stessa altezza di quello del fratello.

“Ce la farà.”

Terra tirò un sospiro di sollievo, mentre il leader continuava a guardare il ragazzo steso sul letto nella pozza di sangue.

Cyborg s’avvicinò e gli posò una mano sulla spalla.

“Robin? Sarà meglio portarlo alla torre.” 

Terra si guardò intorno alla ricerca dello zaino, che individuò sotto alla scrivania. Aprì la zip: i fascicoli c’erano tutti.

“Ci sono tutti?”

Il ragazzo aveva caricato Red X sopra di lui, i ciuffi bianchi coprivano l’armatura dell’androide.

Terra annuì e si diresse verso l’armadio.

“Dove vai?”

Aprì un’anta e rovistò tra i panni, tirando fuori una nuova maschera di Red X. Si riavvicinò all’amico.

“Credo che preferirebbe indossarla.”

 

 

***

 

 

 

Addentò il tozzo di pane. I denti affondarono nella crosta e con le mani tirò il resto per strappare il morso e masticarlo.

Bevve un bicchiere d’acqua e s guardò intorno di sottecchi, muovendo solo gli occhi per non farsi notare.

“04, mi chiedo come finirà tutto questo…”

La ragazza alla sua destra si girò, identica a lei in tutto e per tutto.

“Non lo so, ma se in una settimana siamo rimasti in dieci, dubito le cose possano migliorare.”

“I prototipi sono pregati di presentarsi nella sala di controllo.”

23 rabbrividì, anche 04 era immobile nella sua tuta bianca. 

“Muoversi.”

Una guardia la pungolò sul fianco per farla alzare e la spintonò. La ragazza abbassò la testa e seguì il gruppo, con lo sguardo fisso e le braccia stese vicino ai fianchi.

La luce della stanza bianca le dette fastidio, facendole strizzare gli occhi e portare la mano alla fronte per farsi ombra.

Era a quello che assomigliava… il sole? Eppure sembrava così freddo… anche il suo ronzio le dava fastidio, incuneandosi nel suo cervello. Eppure… poteva vedere sua sorella passeggiare in mari verdi, per stendersi e dormire sotto quella luce. Poteva vederla sorridere nel farlo. Com’era possibile? Il lungo tubo bianco le fece contrarre il viso in una smorfia. Sorridere significava essere felici, anche quello che aveva appena fatto era un sorriso? No, era sicura non lo fosse.

“23…”

Si girò verso la ragazza.

“Ho paura.”

23 allungò la mano e prese la sua, mosse appena le dita per stringerla e sentire la pelle a contatto. Era così bello il calore…

“Ce la faremo.”

“Prototipi in riga per numero.”

Guardò di nuovo la ragazza, i suoi occhi azzurri piantati sui suoi. 04 lasciò la mano, le dita tremarono nel movimento. La seguì con lo sguardo mentre andava mettersi in fila, fino a scomparire dietro altre ragazze.

23 allacciò le mani dietro alla schiena e guardò dritto avanti a sé. Quel pomeriggio c’erano solo la Dottoressa e il Dottore, con delle cartelle sotto il braccio, accompagnati da un uomo con un fucile abbassato.

La Dottoressa aprì la prima cartella.

“Prototipo 01. Riscontro positivo del gene E. Conforme.”

23 chiuse gli occhi, mentre si torturava le dita al riparo da sguardi indiscreti. 

“Prototipo 04.”

Trattenne il respiro, tutto il suo corpo s’immobilizzò.

“Conforme.”

Sospirò. 04 ce l’aveva fatta. Erano un passo più vicine a uscire da lì. Un passo sempre più vicine.

Abbassò il volto, un accenno di sorriso comparve sul suo volto.

«Sorella… aspettami.»

“Prototipo 23.”

23 aprì gli occhi, sentì i passi della guardia armata avvicinarsi, per fermarsi proprio dietro di lei.

“Riscontro positivo. Conforme.”

L’uomo passò oltre. I muscoli della ragazza si rilassarono, mentre muoveva il collo per scrocchiamo.

“Prototipo 35. Nessun riscontro. Non conforme.”

Il rumore di un caricatore. 23 chiuse gli occhi e mosse appena le labbra, la voce uscì in un sussurro:

 

“J'ai des mains pour te toucher

J'ai des bras pour te serrer

Des pieds pour courir vers toi

Pour t'appeler j'ai ma voix

Et puis, j'ai mon coeur encore

Pour t'aimer toujours plus fort.”

 

 

 

***

 

 

 

Terra appoggiò la mano sulla spalla di Starfire, che la guardò di rimando, preoccupata.

Raven chiuse il libro che stava leggendo e diede uno spintone a Beast Boy, addormentato sul divano della main room.

Il mutaforma si riscosse e sbadigliò.

“Che mi sono perso?”

“Cyborg, sono ormai due giorni che Robin non esce dall’infermeria. Dobbiamo fare qualcosa.”

Cyborg si fermò dal suo girare in tondo nella stanza e si portò una mano alla tempia.

“Lo so, lo so. Ma cosa volete che gli dica, non dev’essere facile.”

“Sono qui.”

Tutti si voltarono in uno scatto, Robin era in piedi dietro al divano, con delle profonde occhiaie sotto agli occhi.

“Quali sono le novità Cyborg, sei riuscito a decifrare i fascicoli?”

Cyborg si grattò la nuca.

“Robin, sei sicuro di essere nelle condizioni di-“

“Sono un Teen Titan e due feroci criminali stanno torchiando questa città e delle persone a cui voglio bene senza che io sappia minimamente il motivo. Devo essere nelle condizioni.”

Cyborg sospirò e prese i fascicoli che erano appoggiati sul divano.

“In sostanza, il DNA di Terra e di questa Terra II, o Zero, combaciano alla perfezione. Red X ha detto la verità, quest’altra ragazza è un clone perfetto della nostra Terra.”

Terra venne scossa da un tremito. Un clone, una persona identica a lei, creata in laboratorio. Si rannicchiò sul divano, facendosi più piccola. Cos’altro le aveva fatto sua madre, Anne, senza che lei lo sapesse?

“Nel fascicolo di Terra non vi è scritto molto che già non sapessimo. Sono segnate delle somministrazioni di sostanze a cicli regolari.”

“Le iniezioni” mormorò lei.

Cyborg si diresse al computer e digitò sulla tastiera. Subito comparve una formula molecolare.

“La struttura chimica che sono riuscito a isolare sembra abbia il potere di ricombinarsi temporaneamente con un gene, qui chiamato gene E. Gene che non avevo mai visto prima.”

Beast Boy si grattò la nuca.

“Solo io non ho capito?”

Starfire inclinò la testa, facendo ondeggiare i capelli rossi sopra la spalla.

“A cosa serve questa cosa?”

Cyborg aprì la bocca per parlare, ma poi abbassò il volto. 

“Non ne ho idea.”

Terra s’alzò ed estrasse dalla tasca la pillola che Anne aveva tentato di darle nella clinica. 

S’avvicinò a Cyborg e gliela consegnò.

“Analizza questa.”

L’androide alzò un sopracciglio e la inserì nel computer.

“Va bene.”

Sullo schermo apparve una barra di caricamento, mentre il processore elaborava i dati.

La scritta lampeggiante “analisi in corso” si rifletté negli occhi azzurri di Terra.

Un’altra molecola prese il posto della prima, molto più grande della precedente.

Beast Boy ticchettò con l’indice sul mento.

“Scusate? Potreste spiegarlo anche a quello che non ci vede?”

Raven gli scoccò un’occhiata, muovendo appena la testa.

“È una molecola.”

“Continuo a non capire.”

“Non ne dubito.”

Cyborg indicò con il dito lo schermo.

“Questa molecola sembra una modificazione della precedente, è più complessa, ha nuovi acidi e nuovi ponti disolfuro.”

Terra alzò un sopracciglio, mentre la struttura chimica del composto ruotava in senso orario nel display.

Starfire unì i due indici delle mani.

“Scusate, ma continuo a non capire.”

Robin camminò a passo deciso verso il computer.

“Significa che è la stessa, ma perfezionata.”

Terra incrociò le braccia.

“Doveva annullare i miei poteri, ormai il mio lavoro era compiuto. Si vede che sono riusciti a trasferire le mie abilità nel clone.

“Un mistero in meno, ma la faccenda si sta aggravando.” Raven posò il libro al suo fianco e incrociò le braccia. “Oltre a non sapere per chi lavori, questa Terra II ha dei forti poteri geocinetici.”

Robin si prese il mento tra indice e pollice.

“Non possiamo sottovalutarla.”

Cyborg appoggiò l’avambraccio allo schienale della sedia.

“Non è tutto. Sul fascicolo risulta segnata un’iniezione direttamente nel midollo spinale, è un bel problema.”

L’androide sospirò.

“Non so chi sia la dottoressa in questione, ma le ha dato un fattore rigenerante.”

Beast Boy mise le mani avanti.

“Aspetta aspetta, fatemi capire. Noi dovremmo combattere contro una con i poteri di Terra, allenata da Slade e che guarisce ogni volta che la colpiamo?”

Robin mosse il collo per scrocchiarlo.

“Sembrerebbe un valido avversario. Ora bisogna scoprire per chi lavori.”

“Questo non dovrebbe essere difficile.”

Cyborg s’alzò e prese un fascicolo sul divano, lo aprì e lo sfogliò.

“Le è stato impiantato un chip alla base del collo, al livello del midollo allungato, ma le sue terminazioni raggiungono anche il cervelletto. È molto probabile che serva a prendere il controllo da remoto nel caso Terra II decida di disobbedire.”

Robin camminò avanti e indietro.

“Possiamo quindi affermare che lavori per Anne.”

Cyborg annuì.

“Nel referto che mi ha mandato Geo-Force ho riscontrato lo stesso chip, benché fosse danneggiato. Chiunque sia quella donna, l’ha impiantato in più di un clone.”

Terra spalancò gli occhi.

“P-più di un clone?”

Cyborg la guardò con aria preoccupata.

“È stato rinvenuto un altro clone a Markovia, deceduto. Non possiamo sapere quanti ce ne siano…”

“Non lo so e francamente non me ne frega un cazzo. Ridammi la mia cintura, Dickhead!”

Terra si voltò verso la fonte della voce.

“X!”

Raven, Beast Boy e Starfire scattarono vicino al leader, in assetto da combattimento.

“Oh andiamo, risparmiatemela. Alla fine non vi ho fatto mai niente di male.”

BB allargò le braccia.

“Scusa?”

“Quasi mai.”

Beast Boy grugnì.

Red X fece un passo avanti e puntò l’indice contro Robin.

“Non farmelo ripetere. Dov’è la mia cintura?”

Robin sussultò e incrociò le braccia.

“In un posto sicuro.”

“Attorno alla mia vita è un posto sicuro.”

Robin serrò i pugni.

“Non ti sei ancora ristabilito, non potevo lasciare che te ne andassi.”

“Vedo che con gli anni non sei migliorato, Robin” disse, calcando sul nome.

“Nemmeno tu, secondo Robin.

Red X puntò le mani sui fianchi.

“Mi sarei aspettato una riunione di famiglia un po’ diversa.”

Robin si paralizzò.

“Come… come hai fatto a…”

Red X sospirò, si portò le mani alla maschera e la tolse. Al suo posto, il viso che Terra già ben conosceva, gli occhi coperti da una delle maschere di Robin e dalle ciocche bianche.

"Ho fatto un giretto prima di venire qui, ne ho presa qualcuna in prestito. Carina la torre, non è cambiata molto da quando ho rubato la tuta."

Robin fece un passo indietro.

"I capelli… chi è stato?"

Red X indossò di nuovo la maschera.

"Questo non è affar tuo."

Terra s'alzò in piedi e fece un passo verso di lui.

"X… cosa ti è successo?"

Red X si voltò verso di lei.

"Guarda chi si vede. Ti avevo detto di non portare nessuno all'appartamento."

Terra incrociò le braccia.

"Se non li avessi portati lì, ora saresti morto dissanguato."

Red X ridusse gli occhi a due fessure.

"Tu questo non potevi saperlo."

"Potresti anche solo ringraziare."

"Per aver rivelato al mondo la mia posizione? Grazie tante."

Terra allargò un braccio verso i compagni.

"Loro non sono il mondo."

Red X le puntò l'indice addosso.

"Non dovevi portarli."

"Jason."

Red X tacque e lasciò che il braccio scivolasse di nuovo al suo fianco.

"Dickhead."

Terra vide Robin avvicinarsi a lei, affiancandola.

"Chi ti ha fatto quella ferita?"

Red X scrocchiò le dita della mano destra a una a una, con il pollice.

"Ho trovato Rose."

Robin alzò un sopracciglio.

“Il clone?“

Terra si portò le mani a coprire la bocca.

"Slade ti ha fatto questo?"

Red X abbassò il volto.

"È stata lei."

Terra si bloccò. Come era stata lei a fargli quello? Alla mente le tornarono tutte le parole dell'amico, tutte le volte che aveva parlato di lei, della loro alleanza per cercarla. Aveva cercato di ucciderlo. 

La ferita che aveva nel petto si riaprì, al ricordo di Amber che si toglieva la maschera, iniziando a pulsare.

“È impossibile, non può lavorare per Slade” disse Robin.

“Però mi ha infilzato come un pollo allo spiedo, Dick.”

Red X sospiro puntò gli occhi in quelli di Terra, ma lei non aveva il coraggio di sostenere quello sguardo.

Si portò una mano al fianco, tastando sul tessuto, come alla ricerca di qualcosa.

"Ti avevo dato la mia parola.”

Red X le lanciò un oggetto, la ragazza avanzò le mani e lo prese al volo. Era una pillola, rotonda, di circa un centimetro di diametro, bianca.

Il ragazzo le voltò le spalle e s’incamminò verso l’uscita, Robin lo seguì e posò una mano sulla sua spalla, trattenendolo.

“Dove vai. Non hai la tua cintura, ricordi?”

Red X si scostò, sottraendosi alla stretta.

“Non rimarrò qui un minuto di più, con o senza cintura.”

Robin rimase immobile, con la mano a mezz’aria, la bocca semi-aperta. Sembrava non sapesse cosa dire.

“Jason, smettila di fare il ragazzino. Fidati di me una buona volta, dicci cosa sai e noi ti diremo cosa sappiamo.”

Red X si girò verso di Robin.

“No, non mi fido. Mi sono rotto il cazzo di fidarmi e prenderla lì.” Puntò un indice sul petto del fratello, “Ogni” Lo colpì di nuovo con l’indice “santa” S’avvicinò con il volto a quello di lui, socchiudendo gli occhi “volta.”

Si staccò definitivamente e arretrò di un passo.

“Ed è per questo che non voglio niente a che fare con te,” indicò Robin, “con te,” indicò Terra, “o con tutti voi supereroi di questa sfigatissima città. Vi ho parato il culo anche troppo.”

Si girò e camminò verso la porta.

“Buona fortuna e a mai più rivederci. ”

Robin serrò i pugni.

“Jason!”

Red X si girò.

“Dick, ti ho detto che -”

Il ragazzo, rimase immobile, con la cintura allo Xenothium tra le mani. Robin era tornato dai compagni, dall’altra parte della main room.

“Vattene, abbiamo da fare qui. Non possiamo perdere tempo con chi non vuole aiutare.”

Terra fece un passo verso Red X e tese una mano verso di lui.

“X, cosa stai facendo? Da che parte stai?”

Red X la guardò, abbassando un po’ il volto.

“Dalla mia.”

Indossò la cintura e avvicinò l’indice al pulsante per il teletrasporto. Terra e Red X si guardarono, lui rimase immobile.

Terra scorse lo sguardo sui contorni spigolosi del ragazzo di fronte a lei, per poi arrivare alla sua maschera. Non poteva essere davvero l'ultima volta che si sarebbero visti, non poteva abbandonarli così. Non poteva abbandonarla così, non dopo quello che avevano passato. Alla fine, gli aveva salvato la vita. Schiuse le labbra per parlare, ma le parole le si annodarono in gola. Non uscì nulla.

I secondi passarono, dilatati nel tempo, finché Red X abbassò lo sguardo e sospirò. Premette il pulsante.

“Addio, Terra.”

La ragazza scosse la testa.

La figura di Red X svanì nel nulla.

 

 

***

 

 

 

“04… 04, svegliati.”

La ragazza aprì gli occhi, guardandola a vuoto. Sbadigliò. Nell’oscurità della stanza riusciva a vedere solo i suoi due grandi occhi azzurri.

“23…” mormorò, stropicciandosi gli occhi, “cosa stai facendo? Non ci è permesso essere sveglie in piena notte…”

23 appoggiò l’indice sulle labbra e si tirò su in piedi. Passò i polpastrelli sulle pareti, tracciando i bordi delle mattonelle con indice e medio. Arrivò alla porta di metallo massiccio e la tastò: di lì non sarebbero potute uscire.

Appoggiò la testa al muro, doveva trovare una soluzione. In quelle due ultime settimane erano passati da cinquanta a cinque e non aveva intenzione di essere la prossima. Si girò a guardare la ragazza seduta sul letto e fece una smorfia. Né avrebbe mai voluto che fosse lei la prossima.

S’avvicinò e posò le mani sui fianchi.

“Sbrigati a vestirti” bisbigliò.

La ragazza obbedì, prendendo la sua tuta con il grosso numero 04 stampato sulla schiena.

23 sospirò e gettò la testa all’indietro, aggrottò la fronte: cos’era quello? Un quadrato metallico era proprio sopra di lei. Si mordicchiò il labbro. Probabilmente due persone minute come loro sarebbero riuscite a passarci senza troppa fatica.

“04…togli un lenzuolo dal letto e vieni qui. Lascia che ti salga sulla schiena.”

“Cosa vuoi fare?”

23 sbuffò.

“Voglio uscire di qui. Fidati!” 

04 gonfiò le guance, come esasperata, e fece quello che aveva detto. In pochi secondi 23 era in piedi sulla sua schiena e con le mani sulla grata metallica. 

Spinse con entrambe le braccia e la griglia cedette, alzandosi. Con un colpo secco, la fece scorrere di lato, rivelando il buco nel soffitto. 

“Sh!”

“Scusa tanto!”

23 afferrò i bordi dell’apertura e s’issò con entrambe le braccia. Serrò la mascella mentre si tirava su ed entrava nel condotto.

S’affacciò e vide 04 in piedi a guardarla, con le braccia incrociate.

“E ora?”

“Tirami un’estremità del lenzuolo.”

La ragazza prese ciò che le aveva chiesto e glielo lanciò. Una volta afferrato, 23 arretrò di qualche centimetro con il sedere e puntò i piedi sui lati del cunicolo. Si tirò indietro con la schiena e tese i muscoli.

“Arrampicati.”

Gemette al peso di 04, ma strinse i denti finché anche lei non si trovò nel condotto d’areazione, poi sospirò e lasciò andare il lenzuolo, che cadde nella stanza.

La ragazza prese la griglia e la rimise al suo posto.

“Da che parte andiamo?”

23 si strinse nelle spalle, poi indicò alla sua sinistra.

“Là c’è il cortile, potremmo provare.”

04 annuì. Entrambe s’avviarono a gattoni.

 

 

***

 

 

 

Anne Markov scese le scalette dell’aereo, facendo scorrere il palmo sul corrimano.

Si tolse gli occhiali da sole e osservò l’edificio di fronte a lei. Sorrise.

 

AÉROPORT DE MARKOVIA

 

Sorrise e prese il telefono dalla borsetta per effettuare una chiamata. Si portò il ricevitore all’orecchio.

“Sono a casa.”

 

 

 

 

 

 

* Si riferisce alla memoria umana: quella basata sulla percezione, sui movimenti, sulle esperienze; non si riferisce alla memoria propria di Terra.

 



 

Angolo dell’autrice

Sembra che Zero non si sia sempre chiamata Zero, alla fine. Chissà a cosa sarà dovuto questo nome…

Scusate, volevo fare un po’ la misteriosa, ora posso tornare a parlare di cose serie.

Prima di tutto vorrei ringraziare tutte le persone che nonostante i miei ritardi e tutto il resto, sono sempre rimaste a recensire e a darmi loro pareri, grazie.

La filastrocca che canticchia 23 (o Zero) è una filastrocca per bambini realmente esistente, che parla della mamma.

Pensavo che questo capitolo fosse più facile da scrivere, ma l’assenza di un allenamento continuo mi ha dato non pochi problemi a gestire pov e stile. Lo ammetto anch’io, non sono soddisfatta in pieno. Non tanto per il contenuto, quanto per la tecnica, che devo recuperare. Tenterò di rimettermi in riga.

Credo che si sia capito il perché dello sclero di Red X, soprattutto con gli ultimi tre capitoli, ma se non è abbastanza chiaro lo approfondirò di più nei prossimi. Insomma, non ha un carattere facile e tutte e due le persone per cui ha messo da parte l’orgoglio l’hanno non proprio accolto a braccia aperte.

Sicuramente però non smetterò di caratterizzarlo, quindi niente paura. Così come Robin, non lascerò in sospeso nemmeno lui con questa faccenda.

Argomento serio: il prossimo capitolo mi è molto caro ed è già scritto a metà. Vi chiedo di sforzarvi di leggerlo tutto anche se potrà risultare noioso. Io spero che non vi risulti tale, ma non si sa mai.



In ultima cosa, tutto mi sarei aspettato quando ho iniziato a scrivere Amnesia, tranne di ricevere fan art su Amber e James. Ringrazio infinitamente LadyDelora per i disegni.
 

Amber VS Sophie

Sophie

Nella fan art ritrae uno scontro tra Amber e Sophie, una sua OC, mentre quest'ultima sta tentando di salvare James, subito dopo che è stato rapito da Slade.

James

James in un AU in divisa da assassino, addestrato da Sophie.
 

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Capitolo 27
*** Qualcuno da proteggere ***


QUALCUNO DA PROTEGGERE

 

 

 

 

 

“La legittimazione è stata fissata. È tutto pronto?”

“Tutto sta andando come pattuito.”

“Come sapete che ci sarà fedele?”

La donna s’avvicinò alla scrivania e appoggiò le mani sulla superficie lignea.

“Abbiamo preso le dovute precauzioni.”

“Abbiamo studiato ogni tecnica già utilizzata da Slade. Il chip potrebbe non essere abbastanza: la ragazzina si è ribellata una volta a un controllo neurale, cosa vi fa pensare che il clone non possa fare lo stesso?”

“Con tutto il rispetto,” si sistemò la montatura sul naso “il chip è una mera precauzione tecnica, sebbene di fattura molto più pregiata di quella della tuta neurale di Terra.  In ogni caso, io e il dottor Hale ci siamo basati su qualcosa di più forte di una piastrina metallica.”

“Avete la mia attenzione.”

“Zero starà dalla nostra parte perché è solo stando con noi che otterrà quello che più vuole.”

L’uomo giunse le mani e la squadrò.

“Ovvero?”

“Il prototipo 04.”

L’uomo aprì una scatola di sigari argentata che aveva davanti e ne prese uno.

“Volete favorire?”

La donna negò con un cenno della mano e l’uomo avvicinò un accendino al sigaro. Un filo di fumo si alzò e l’estremità s’accese come un tizzone ardente.

“Il prototipo 04 è servito come casus belli,” continuò.

La dottoressa si toccò la montatura degli occhiali.

“Questo Zero non lo sa.”

 

 

***

 

 

 

“Uno…due…tre!”

Tirò un calcio alla grata verticale di fronte a lei, che cadde in avanti in un cigolio.

“Ce l’abbiamo fatta?”

“Sh…”

23 si girò verso 04 e si portò l’indice alla bocca, per poi tornare a guardare avanti a sé. A gattoni uscì all’esterno, l’aria fredda le fece venire la pelle d’oca. Appoggiò le mani sull’erba e si tirò su in piedi.

L’edificio rimase alle sue spalle, scuro. Niente si muoveva, né faceva rumore.

“23… ho paura…”

Si voltò verso l’amica e le porse la mano; 04 la strinse, con forza.

“Presto saremo lontane da qui, non preoccuparti.”

Avanzò nel cortile, unita alla ragazza. Non parlarono, proseguivano a testa bassa, limitando anche i respiri.

S’addentrarono in una macchia d’alberi, muovendosi sempre di più nel fitto del bosco, appoggiandosi ai tronchi e ai rami più bassi.

“Ehi! Voi!”

23 stritolò la mano di 04. Nel buio si levarono dei latrati, acuti, squarciarono il silenzio come coltelli.

“Eccole! Sono là!”

04 si fermò e tremò, una lacrima solcò il suo viso e le bagnò l’angolo della bocca.

“I cani…”

23 scattò e strattonò l’amica.

“Corri!”

L’aria le entrava nei polmoni dalla bocca, allargandoli al massimo e usciva raspandole la gola, i tronchi degli alberi sfrecciavano a fianco a lei. 23 gemeva dal dolore a ogni taglio delle fronde sulle gambe, la tuta si squarciò frustata dai rami, permettendo al sangue di colare.

Si bloccò.

“23…”

La ragazza annaspò.

“No…”

23 sbatté i pugni sulla rete di fronte a lei, le nocche si spellarono, l’abbaio dei segugi s’avvicinava, rimbombandole nelle orecchie.

“No…” ripeté, “ce la possiamo fare. Ce la possiamo fare.”

Saltò e s’agganciò con le dita al metallo, per issarsi con le braccia. Uno sparo. Urlò di dolore mentre una ferita si apriva sul suo bicipite, grondando sangue. Sentì l’arto andare in fiamme, arso vivo. Lasciò la presa.

Ruzzolò nella terra, il terriccio che entrava nelle ferite e le sporcava la faccia, le foglie che s’appiccicavano al suo sudore.

“Stanno arrivando…”

23 spalancò gli occhi: 04 era rannicchiata addosso alla grata, con le mani sul viso.

“Che abbiamo fatto… ci uccideranno…”

“No…” 

23 affondò il palmo nel terriccio e strisciò in avanti. Si mise carponi e gemette, per raggiungerla.

“No no no no no…” Le prese il viso tra le mani, le pupille si piantarono nelle sue. “Noi usciremo di qui.”

04 tirò su con il naso, mentre gli occhi non si staccavano dai suoi, 23 la sentiva tremare sotto i polpastrelli.

“Saremo… libere?”

“Certo, non ci avranno.” Portò le dita sulle sue. “Libere fuori di qui.”

04 annuì con il capo e strinse le sue mani, fredde.

Due braccia la presero da sotto le ascelle e la strattonarono. 23 spalancò gli occhi, le dita scivolarono sulla pelle dell’amica. Sui palmi le rimase solo il sudore.

“Sta’ ferma!”

23 scalciò in avanti e agitò le braccia, le scarpe non facevano presa sulle foglie macerate.

“No! Lasciatemi!”

“Ah!”

23 s’immobilizzò. 04 era ancora seduta, davanti a lei un soldato le indirizzava sulla fronte il fucile. Il suo corpo era scosso, mentre aveva le mani in grembo e fissava l’oggetto appoggiato su di sé.

“No! Lasciatela in pace!”

23 puntò i piedi e si slanciò in avanti, divincolandosi dalla stretta. Con le sue mani afferrò il metallo freddo e lo spinse via, buttandosi con tutto il suo peso. Un colpo partì, perdendosi nel bosco.

Strattonò l’arma e se ne impossessò. L’afferrò per il manico e la sbatté sul tronco vicino a lei, spezzandola in due.

Urlò per lo sforzo e si fermò a riprendere aria. Di fronte a lei tre uomini, uno con un fucile puntato contro di lei, uno disarmato e uno con un grosso cane nero. L’animale sbavava e ringhiava, tendendo il guinzaglio e issandosi sulle zampe posteriori.

23 rantolò. Il petto si alzava e si abbassava, la tuta sulle gambe era lacera, i capelli raggrumati a ciocche, il viso e le mani cosparsi di terra.

Gemette e si portò una mano a sorreggere il braccio colpito con la pallottola: il sangue le sporcò le dita e colò striando di rosso il tessuto. Digrignò i denti e osservò i tre: non avrebbe mai permesso a nessuno di loro di prendere 04, per nessun motivo.

“Cosa sta succedendo qui?”

Il cane s’ammutolì, i due soldati si fecero indietro di un passo. 

La Dottoressa comparve dall’ombra, con le mani nelle tasche del camice.

“I prototipi 04 e 23 hanno tentato di fuggire.”

La donna la guardò da dietro la montatura nera.

“Il prototipo 04 è troppo vicino all’originale, preservatelo. Uccidete il 23.”

Una lacrima scese sul volto della ragazza, allargò le braccia per fare a 04 più da scudo possibile.

Un soldato caricò l’arma.

Click.

Un’altra lacrima scese, 23 chiuse gli occhi.

 

“J'ai des mains pour te toucher

J'ai des bras pour te serrer

Des pieds pour courir vers toi

Pour t'appeler j'ai ma voix

Et puis, j'ai mon coeur encore

Pour t'aimer toujours plus fort.”

 

“Fermi.”

23 aprì gli occhi, la Dottoressa aveva il braccio teso verso gli uomini. S’avvicinò e la squadrò, tirandole su il mento con la mano.

“Cos’hai detto, 23?”

La ragazza serrò la macella, per poi liberarsi dalla stretta.

“N-non lo so, mi calma quando sono agitata.”

“Dove l’hai sentita?  Questo è francese, nessuno qui lo parla.”

23 la guardò.

“Cos’è “francese”?”

“Come sai questa filastrocca?”

“Mia mamma la cantava a me e a mia sorella quando ero piccola.”

La Dottoressa si allontanò di qualche passo, nel frattempo erano arrivati altri tre uomini armati.

“Separatele. Voglio 23 nel mio ufficio domani mattina alle otto in punto. 04, pronta per l’operazione. Uccidete le altre.” Si girò a guardare 23 e sorrise. “Le abbiamo trovate.”

“No!”

23 si buttò sull’amica e la cinse tra le braccia, nascondendo la sua testa nel suo petto.

“23…ho paura…”

“Sono qui… sono qui…”

“Ce la faremo, vero?”

Due paia di mani strapparono la ragazza dalla stretta, le braccia agitate in aria, le gambe che scalciavano. Dall’altra parte, 04 le tendeva il braccio con la mano aperta, il volto ricoperto di lacrime.

 

 

***

 

 

 

“Sei pronto?”

Beast Boy annuì. Inspirò a fondo e portò la mano alla bocca. La pillola era amara. Deglutì.

Portò le dita al nodo della benda. I polpastrelli tremarono a contatto con il tessuto. Afferrò un lembo tra indice e pollice, tirò.

La sentì scivolare sul naso e abbandonarlo con un fruscio.

Nero.

Serrò i pugni e strinse ancora di più le palpebre. Aveva atteso da settimane quel momento, poter vedere di nuovo i volti dei compagni, di Terra, del mondo intorno a lui. Avrebbe potuto ritornare a pieno titolo nella squadra, senza sentirsi un peso e metterli in pericolo.

Trattenne il fiato. Le mani rimasero vicino alla sua testa, ogni muscolo si paralizzò.

Una mano si posò sulla sua spalla.

“B, ho analizzato la pillola più volte: è tutto in ordine.”

Sospirò.

“Lo so, Cy. Ma, è uno che prima ti tira una bomba addosso e poi ti dà la cura,” si portò l’indice alla tempia e lo roteò, “non ci sta tutto!”

Rise, ma la voce uscì troppo acuta e smise subito.

“Amico BB, siamo qui, andrà bene.”

Sorrise.

Aprì gli occhi. Un’ondata di bianco l’investì, facendolo gemere e portarsi la mano alla fronte, per limitare la luce.

Sbatté le palpebre e se le strofinò con le dita, per poi riaprirle, piano. Chiazze di colore erano di fronte a lui, confuse nel grigio dello sfondo.

Chiuse e riaprì.

I contorni si delinearono. Riuscì distendere di nuovo il braccio vicino al fianco e a rilassare i muscoli facciali. I capelli rossi di Star, il cappuccio blu di Raven, le parti metalliche di Cyborg, gli occhi azzurri di Terra. 

Erano lì, poteva vederli.

“Sì!” Saltò con le braccia al cielo. “Sì! Sì! Sì! Ci vedo!”

Rise rovesciando la testa all’indietro e si lanciò sui compagni, mentre il suo corpo cambiava forma e diventava un gorilla. Li afferrò tutti con le braccia e li strinse a sé, spingendoli verso il petto.

“Ehi, amico, piano!”

“BB, sto soffocando!”

Gridò e li mollò, per saltare verso Starfire e trasformarsi in una scimmietta. Le passò sulle spalle e atterrò sulla sua testa, scompigliandole i capelli e agitando la coda. Si diede la spinta e raggiunse il divano. 

Una capriola, due capriole, tre capriole e balzò di nuovo, per poi aggrapparsi al tessuto di una maglia con le zampe. Alzò il muso: Terra gli sorrideva mentre lo teneva fra le braccia.

Emise un grido strozzato, mentre i suoi occhi si spalancavano e balzava giù, per ritornare in forma umana.

Le guance gli andarono a fuoco, lo stomaco s’annodò come fosse un fazzoletto. Si portò la mano alla nuca e aprì la bocca per dire qualcosa, quando gettò lo sguardo su tutti i compagni. Uno, due, tre, quattro, includendo Terra. Cinque con lui.

“Dov’è Robin?”

Fu Cyborg a rispondere.

“Ha ricevuto una chiamata importante, dovrebbe essere di ritorno fra poco.”

Raven fece apparire un alone nero sulla sua mano destra e avvolse la benda sul pavimento, per alzarla a mezz’aria.

Beast Boy si fiondò da lei e le diede dei colpetti con il gomito sul fianco, sorridendo.

“Che c’è? Vuoi avere un ricordo del me potente e con i sensi sviluppati? Se vuoi te l’autografo.”

Lei gli scoccò un’occhiata e alzò un sopracciglio.

“Certo, la mia più grande aspirazione è quella di avere una benda logora in una teca della mia stanza. Oh, la guarderò tutte le sere prima di dormire” disse con voce atona.

BB fece una smorfia.

“Non sei mai divertente.”

Un varco grande quanto un piatto si aprì vicino alla ragazza e la benda vi scomparve dentro.

“Che fai? Perché?”

“Ho appena salvato il mondo. Ho pensato che nessuna discarica avrebbe mai potuto essere abbastanza sicura per un’arma chimica di tale entità.”

Beast Boy sbuffò e incrociò le braccia.

“Ho appena ricevuto una chiamata dall’ospedale.”

Si girò: Robin aveva ancora il trasmettitore in mano e si era portato in mezzo a loro.

“L’apprendista è stato ucciso.”

Cyborg si massaggiò il collo.

“Pensi sia stato Slade?”

“Perché uccidere un suo stesso alleato?”

“Magari era deluso.”

Raven si tolse il cappuccio.

“Forse è stata Anne Markov.”

Robin si massaggiò il mento.

“O qualcuno per lei.”

Raven annuì.

“Non è da escludere.”

BB si girò verso Terra. Il suo sguardo era fisso, non traspariva alcuna emozione; aveva le braccia distese lungo i fianchi e le labbra strette.

Robin mise il ricevitore in tasca.

“Scopriremo l’artefice di tutto questo.” S’avvicinò al bancone e ci si appoggiò con le mani. “Domani, verso le undici, c’è il funerale di James. Me l’ha detto l’infermiera con cui ho parlato.”

Terra annuì.

“Io andrò.”

Robin le sorrise.

“Andremo tutti. Siamo una squadra.”

 

 

 

***

 

 

 

“Siediti pure, cara.”

23 si guardò intorno. Da una stanza bianca a un’altra. La scrivania marroncina al centro spezzava quella monotonia.

S’avvicinò alla sedia e la spostò, si sedette.

“Spero che non ti abbiano fatto troppo male con le analisi.”

La ragazza si massaggiò il braccio fasciato dopo gli spari. Davvero le stava chiedendo se avesse sofferto per un ago che aveva già visto decine di volte?

La donna prese un fascicolo e inforcò gli occhiali, lo aprì.

“Qui risulta che tu sia una persona speciale.”

23 appoggiò le mani sulle ginocchia e se le strofinò sulle cosce.

“Non capisco.”

“C’è qualcosa che ti rende diversa dalle altre, una piccola cosa dentro la tua pelle, nel tuo DNA.”

“Di enne a?”

“Sì, 23. È come un filo che permette al tuo corpo di funzionare.”

Come poteva un filo far funzionare il suo corpo? Era forse fatto di spago? O di gomma, come quelli che aveva visto spesso vicino alle luci bianche? Si mordicchiò l’interno della guancia, la donna la stava guardando ora. Abbassò gli occhi.

“E perché sono diversa?”

“Raccontami di tua madre e tua sorella.”

23 si portò una ciocca di capelli dietro all’orecchio e serrò le mani attorno alle ginocchia.

“Ho come delle visioni. Sento quella canzone nella mia testa e mi calma, così me la ripeto tutte le volte che ho paura.”

La donna si rigirò una penna tra le mani.

“E tua sorella?”

“Non l’ho mai vista.”

La dottoressa alzò un sopracciglio e posò la penna sulla scrivania, allineandola con la cartella di fronte a lei.

“Come mai allora credi di avere una sorella?”

“La ricordo.” Distolse lo sguardo e lo mirò sul muro bianco dietro alla donna. “Ricordo la sua voce, il suo nome, le sue parole.”

“Come si chiama?”

“Tara.”

“Cosa ricordi?”

“A volte quando devo far una cosa nuova, la ricordo e imparo come fare. Mi ricordo di due fratelli, ma sono… non so. Non vedo le facce, so che ci sono. Sono…”

“Sbiaditi.”

“Sbi-a-diti…”

“Secondo te, perché riesci a vedere tua sorella meglio di loro?”

23 abbassò il volto e si ticchettò le ginocchia con le dita.

“Non lo so. Siamo… non so dirlo.” 

La donna la fissava, in silenzio. 23 unì i palmi delle mani: le dita combaciavano, era come se tutto fosse… uno.

“Intime?”

“Cosa?”

La donna si massaggiò il mento.

“Come te e 04?”

Le dita affondarono nella pelle delle gambe, le braccia tremarono. Alzò il volto e serrò la mascella.

“Dov’è 04?”

La dottoressa sorrise e abbandonò la schiena alla sedia.

“Straordinario.”

Toc toc. Un cigolio.

“Dottor Hale, che piacere.”

“La sala operatoria è pronta per l’innesto del chip.”

La donna annuì.

Un cigolio. La porta si era chiusa.

“Dov’è 04?”

“Anche 04 ha questi ricordi?”

“No.”

“Che tu sappia, qualche altro prototipo li ha?”

“No.”

La dottoressa s’alzò e fece il giro della scrivania.

“Da questo momento, io sarò una madre per te. Ogni volta che ti parleranno di me, ti rivolgerai a me con questo appellativo.”

“Ma tu non sei mia madre. Posso vedere 04?”

La donna sorrise, alando solo un lato della bocca.

“Tesoro… se voglio posso essere tua madre. E lo sarò.” Le accarezzò la guancia. “Senza di me non saresti viva, non saresti nulla e così nemmeno la tua amata 04.” 

“Non parlarle in questo modo!”

23 fece un passo indietro e mostrò i pugni.

La donna scoppiò a ridere e si portò una mano alla bocca per coprirsi.

“04 è stata scelta per una missione importante e così succederà a te se farai la brava. Senza di me non potrai mai rivederla. Fa’ quello che ti dico e ti prometto che ti porterò da lei. Forse potresti vedere anche tua sorella, se le condizioni non sono avverse.”

“Non voglio obbedire. La… la posso cercare.”

“Dove?”

23 strinse i pugni.

“Io… io… non lo so.”

“Sai almeno cosa potresti trovare oltre le recinzioni?”

23 aprì la bocca, ma nulla uscì dalla sua gola. La richiuse. Le spalle s’arcuarono e abbassò le mani, fino a sfiorare con i polpastrelli le cosce.

“Brava, Zero.”

“Zero?”

“Zero significa ‘niente’”.

“Non capisco.”

“Da ora sarai chiamata Zero,” allungò una mano e le sfiorò una ciocca di capelli, “in modo da non dimenticarti mai che senza di me non sei niente.”

Zero abbassò il volto.

 

 

***

 

 

 

Le foglie avevano già iniziato a cadere, tappezzando il suolo e tingendolo di colori caldi: rosso, arancione, giallo.

Il sole era ancora alto, ma i suoi raggi cominciavano a intiepidirsi e a non scottare più la pelle. 

Una leggera brezza le scosse i capelli, mentre la bara d’ebano veniva calata nella fossa da quattro cavi d’acciaio.

“Potete dire addio al defunto.”

Tara s’avvicinò al sepolcro e si strinse nelle braccia, afferrando con le dita le maniche della sua camicia scura, come a volervisi aggrappare.

Si piegò sulle gambe e raccolse un pugno di terriccio. Lo guardò sporcare il palmo della sua mano, sentì l’umido tra le dita.

S’alzò e stese il braccio di fronte a sé, per poi lasciare che la terra cadesse e imbrattasse la bara con un rumore ovattato.

“Addio.”

Portò il braccio al suo fianco e fece un passo indietro, guardandola ancora un istante. 

“Tara…”

Si girò, Dionne era lì, in abito scuro. Tara allargò le braccia e la cinse, respirando a fondo e abbandonando la testa sul suo petto. L’amica l’avvolse e le posò le dita sulla nuca, avvicinandola a sé e appoggiando il suo mento sulla sua spalla.

“Non dimenticarti che ci sono.”

Tara annuì e la strinse ancora più forte.

“Grazie” mormorò.

Si staccarono, Dionne le prese le mani tra le sue.

“Ogni volta che hai bisogno di me, sai dove trovarmi.”

Tara annuì di nuovo, con il volto basso. Dionne accennò un sorriso.

“Quindi sembra che il mostriciattolo verde fosse davvero tuo amico.”

La ragazza alzò la testa, confusa, poi le tornò in mente quella mattina in cui Beast Boy era andato a cercarla. Gettò uno sguardo ai Teen Titans, in abiti eleganti poco distante.

BB era a fianco a Robin, che aveva le mani in tasca e la guardava, senza sorridere, con espressione preoccupata.

Dionne le strinse appena le mani, facendola voltare.

“Vai.”

Tara annuì e l’abbracciò ancora.

“Grazie.”

Dionne le sorrise e lasciò che le sue dita scivolassero e l’abbandonassero. Tara si girò e s’avvicinò al gruppo d’amici, che le si strinsero attorno, in silenzio, poi Robin parlò.

“Terra, mi dispiace. Non avremmo dovuto sottovalutare il pericolo, avremmo dovuto portarlo fuori dall’ospedale quella volta.”

Abbassò il capo, con le mani ancora in tasca, mentre Starfire gli poggiava una mano sul braccio e lo guardava preoccupata.

Tara inclinò la testa. Non era arrabbiata con l’amico, sapeva che aveva fatto e stava facendo tutto il possibile in quelle settimane.

“Robin, credo che James sapesse a cosa stava andando incontro” mormorò in un filo di voce.

Il leader guardò Starfire, poi gli altri, uno ad uno. Beast Boy annuì, serio. Tirò fuori una lettera e la consegnò alla ragazza.

Tara la prese tra le mani e passò i polpastrelli sulla carta. Se la rigirò tra le dita e passò l’indice sulle lettere scritte in calligrafia nera.

 

Per Tara Markov

 

Scoccò un’occhiata agli altri, mordicchiandosi l’internò della guancia. Robin abbassò un po’ il capo.

“L’infermiera con cui ho parlato al telefono ieri è stata qui al funerale fino a pochi minuti fa. Sembra che James ci avesse fatto amicizia nel suo periodo d’ospedale e le avesse consegnato questa lettera la sera successiva alla nostra visita.”

Strinse la lettera tra le dita. Era di James quindi? Le mani le tremarono appena, al pensiero di avere con sé l’ultima cosa che rimaneva di lui.

Starfire si era staccata da Robin e le stava accennando un sorriso.

Tara annuì e abbozzò un sorriso in risposta, per poi allontanarsi di qualche passo e sedersi su una panchina. I ragazzi tornarono a parlare tra loro, mentre Beast Boy le gettò un’occhiata preoccupata. Cyborg gli posò una mano sulla spalla e lo fece girare verso di loro.

Tara inspirò a fondo e buttò fuori l’aria con la bocca. Posò la seconda lettera al suo fianco, sul granito freddo e scartò la prima, liberandola dalla busta lattea.

 

 

Cara Tara,

Vorrei tanto non iniziare con queste parole da cliché di un film americano, ma ne sono obbligato. Se stai leggendo questa lettera, probabilmente sarò morto e l’infermiera Sophie ti avrà trovato o avrà trovato i tuoi amici.

Ho tante cose da dirti, ma ho paura che non mi sia rimasto tanto tempo ormai. Sono consapevole che mi verranno a prendere, che mi verrà a prendere e che mi userà per arrivare a te e per farti soffrire. Sembrano parole vane adesso, vero?

In questa lettera non ti chiederò di perdonarmi, probabilmente te l’avrò già chiesto io in ginocchio più e più volte, al momento del nostro ultimo incontro, per essermi fatto usare come un allocco e gettare via, facendo male ad altre persone.

In questa lettera vorrei solo ringraziarti. Ti ringrazio per aver tolto la solitudine dalla mia vita, quando io volevo solamente portarla nella tua, per avermi affiancato quando volevo lasciarti sola, per avermi dato calore umano quando credevo di non volerlo sentire.

Non sei sola.

Me ne sono finalmente accorto quando sono venuti a trovarmi qui, nella mia camera d'ospedale. Non sei sola, non lo sei mai stata. Qualunque cosa accadrà so che avrai qualcuno pronto a raccogliere i cocci e ad aiutarti, anche se non potrò mai essere io ad espiare il mio debito.

Addio Tara, ora che so che sei in buone mani penso che finalmente potrò riposare adesso.

Grazie per essere stata la mia unica, vera amica.

Sempre al tuo fianco

 

James

 

 

 

 

 

Rimase a guardare la carta con sguardo perso, nella sua testa riusciva a vedere solo delle scritte nere e confuse.

Chiuse gli occhi e inspirò, per poi appoggiarla al suo fianco e buttare la schiena all’indietro.

Il suo palmo destro era diviso dal contatto con la porosità della carta e con il freddo della panchina di pietra.

Lasciò che la brezza l’accarezzasse, facendole provare un brivido lungo la colonna vertebrale.

“Come stai?”

Tara aprì un occhio: Beast Boy era seduto vicino a lei, le labbra contratte in una smorfia.

Il ragazzo appoggiò una mano sulla sua e la strinse appena con le dita.

Tara chiuse nuovamente gli occhi e lasciò scorrere qualche secondo, in silenzio, poi si girò verso di lui.

“Slade e Anne stanno facendo del male a troppe persone per causa mia.”

L’espressione di BB mutò, facendosi decisa.

“Li batteremo, Terra. Non ci fermeremo finché non li avremo sconfitti.”

 

 

James, Brion, Gregor, Dionne, Red X, i Teen Titans. Troppe erano le persone che erano rimaste coinvolte da quella storia e che avevano sacrificato qualcosa per lei. Non sarebbe rimasta a guardare mentre tutti si adoperavano.

S’alzò, tenendole strette a sé. I Titans erano a una decina di metri, a parlare, sotto l’ombra di un albero.

“Beast Boy.”

Il ragazzo si portò a fianco a lei e accennò un sorriso, in attesa.

“Li batteremo, è una promessa.” concluse la ragazza, cercando con l’indice la mano del compagno.

Lui sorrise e allacciò la sua mano con quella di lei.

“È una promessa.”

 

 

 

 

 

Angolo dell’autrice

Altre vicende vengono svelate in questo capitolo. Lo scontro finale è vicino, dovrò concentrarmi per bene per renderlo epico.

Allora… la scorsa volta avevo detto che avrei tenuto moltissimo a questo capitolo. E così è. Il colpo di scena finale mi sta agitando forse più del dovuto. La mia testa si sta chiedendo “sarà andato bene?”, “era fuori luogo?” “l’ho scritto bene?”, “cosa ne penseranno i lettori?”.

È strano essere così dubbiosi su un OC, per il quale di solito si ha un margine di movimento molto più grande, ma così è. Spero che mi direte bene nelle recensioni, ovviamente accetto anche le critiche negative se con cognizione di causa.

Abbiamo finito i flashback di Zero, almeno dal punto di vista temporale. Dopo l’ultima scena la ragazza incontrerà Red X, il resto lo sapete! Sono molto affezionata a lei, sono stata in pena anch’io quando ho descritto il suo passato…

Non credo di avere altro da dire, se non che il lessico dei capitoli di Zero è volutamente più semplice, perché la ragazza ha un vocabolario limitato e non conosce molte cose di utilizzo comune.

Un'ultima cosa, nell'ultimo paraggrafo, Terra è indicata come "Tara". L'ho fatto perché in quel momento la protagonista è la ragazza normale, la studentessa. Il funerale, Dionne e le lettere la toccano in quanto Tara, più che come Terra. In questo momento la vita da supereroina e quella "in borghese" s'incrociano e lei diventa finalmente "unica". È come se facesse pace con entrambe le sue metà.
Beh, non ho altro da dire… ci vediamo nelle recensioni! Io incrocio le dita e spero che vi sia piaciuto, nel frattempo corro a recensire le storie lasciate indietro!

A prestissimo,
 

X Carlotta

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Capitolo 28
*** Solo pochi centimetri ***


SOLO POCHI CENTIMETRI

 

Piccola nota prima del capitolo: la storia è leggermente cambiata da come la ricordavate. Alcuni dettagli non mi convincevano e ho dato una bella potata. I capitoli cambiati sono il n°26 e il n°27. Vi consiglio di rileggerli.

 

 

 

 

Cyborg, seduto al terminale nella T Tower, rivolse uno sguardo serio a tutti i componenti della squadra.

"A questo punto, credo che l'unica cosa da fare sia andare a Markovia.”

Robin incrociò le braccia dopo quell’affermazione.

“Avvertirò Geo-Force in serata,” continuò, continuando a guardare lo schermo del computer.

“Non capisco cosa possano volere Slade e quella donna da tutto questo,” disse Starfire levitando a qualche centimetro da terra.

Cyborg si massaggiò le tempie con le mani.

“Come facciamo con Jump City?” 

Raven accavallò le gambe mentre pensava a una soluzione.

“Potremmo chiedere una mano ai Titans East mentre siamo via, non penso farebbero problemi.”

“Può essere un'idea, direi di partire subito per informali della situazione.”

Terra abbassò il volto, gli occhi fissi sulle sue gambe.

“Terra?”

La ragazza alzò gli occhi verso Beast Boy e accennò un sorriso.

“Sono solo agitata. Non ho un buon presentimento.”

Le prese una mano e la strinse leggermente.

“Andrà bene.”

Terra annuì.

“Ne sono sicura.”

Un rumore assordante echeggiò nella main room, accompagnato da una luce intermittente rossa.

“Perimetro violato! Perimetro violato! Perimetro violato!”

Terra balzò in piedi insieme a BB, aloni neri comparvero attorno alle mani di Raven, Star si posò vicino a lei con sfere di energia verdi.

Cyborg era in piedi, verso la porta, avanti a tutti gli altri, il cannone dritto avanti a lui.

“Robin, sei riuscito a localizzarlo?”

Robin stava digitando sulla tastiera del computer: sullo schermo erano comparse sei telecamere di sorveglianza, quattro rivolte all’esterno e due nell’ingresso.

“Sembra non ci sia niente.”

Il leader si morse il labbro, la sirena che gli si conficcava nel cervello come un chiodo. 

Aggrottò le sopracciglia, cercando di sopportare il dolore dato dal rumore.

Un secondo…

La foto in alto a destra dava sulla città, il mare calmo e gli uccelli in volo, immobili. Perché immobili?

Fissò quei piccoli puntini fermi sullo schermo.

“Ha manomesso la sorveglianza!”

Estrasse il bastone e lo allungò.

“Titans, tenetevi pronti!”

Terra strinse i pugni, mentre BB grugnì, pur mantenendo la forma umana.

Cyborg corse al computer ed estrasse un cavo dal suo petto.

“Cercherò di cambiare gli algoritmi e far finire questo inferno.”

Collegò lo spinotto all’hardware e iniziò a digitare sulla tastiera, veloce e concentrato sullo schermo.

Robin sentì il suo respiro rallentare, gli occhi socchiusi verso l’ingresso, i denti che mordicchiavano il labbro inferiore. 

Aveva le dita serrate attorno all’asta metallica, le ginocchia leggermente piegate per poter balzare in avanti. Che Slade avesse già deciso di far loro una sorpresa?

Improbabile. Chi sarebbe mai stato tanto stupido da attaccare la torre con tutti i Titans più uno dentro?

L’allarme cessò, le luci si riaccesero.

“Cyborg, è tutto a posto?” Robin non staccò gli occhi dall’ingresso, così come gli altri della squadra.

“Sembra di sì, Robin. Non rilevo alcuna minaccia nella torre. Non riesco a capire.”

Sospirò e accorciò il bastone, mettendolo alla cintura.

“Controllate se è stato rubato qualcosa. Occhi aperti, se ha eluso la sorveglianza potrebbe ancora essere qui.”

Gli altri annuirono e si divisero, ognuno diretto alle proprie stanze. Terra si girò, in attesa di direttive.

“Controlla l’infermeria e la palestra.”

La ragazza annuì e uscì dalla main room, seguita da Cyborg.

I secondi passarono, dilatati, ma nulla si mosse. Robin rilassò i muscoli e sospirò.

Attraversò il corridoio, con le orecchie tese e le mani vicino alla cintura. La porta della sua camera si spalancò.

“Eppure è come l’ho lasciata…”

Entrò nella sua stanza e fece scorrere la mano sul muro. Il letto era rifatto, la scrivania coperta di articoli di giornale. Sulla sua sommità, una valigetta.

Una?

L’aprì: aveva tutto, era quella che aveva recuperato durante la corsa.

“Figlio di…”

La richiuse. Si morse il labbro e sbatté un pugno sul legno. Gettò un occhio al luogo dove avrebbe dovuto esserci l’altra ventiquattrore, con le informazioni di Red X.

Al suo posto, un foglietto bianco, piegato a metà.

Alzò un sopracciglio e allungò la mano, lo aprì con l’indice.

 

 

Ehi, Dickhead. Attento al computer, hai il vizio di lasciarlo acceso!

Ps. Ti devo un favore.

 

“Robin!”

Il ragazzo si abbandonò con la schiena al muro e sospirò, chiudendo gli occhi.

“Cos’ha preso?”

Starfire aprì la bocca per rispondere, ma lui la bloccò alzando una mano. 

“No, non ti preoccupare. Arrivo.”

Accartocciò il foglietto che aveva tra le dita e lo buttò nel cestino. Raggiunse la ragazza, ancora sull’uscio, accostando l’anta dell’armadio socchiusa durante il suo percorso.

 

 

***

 


 

“Apprendista, sei pronta?”

Zero si girò verso l’uomo, smettendo di pulire la katana appoggiata sul sostegno di fronte a lei.

“Sono pronta.”

“Molto bene. Prendi la spada dall’impugnatura.”

La ragazza obbedì, tenendo la lama di fronte a sé.

Slade prese una boccetta e imbevve dei fogli di carta di qualche goccia.

“Questo è l’abura nuguishi,” disse, porgendole il foglio. “Fallo scorrere sul metallo, stando ben attenta a non tralasciare nulla.”

“A cosa serve?”

“Creerà uno strato protettivo per  proteggere la lama in vista della battaglia imminente.”

Zero annuì, lasciando che una ciocca di capelli le coprisse l’occhio.

“Perché me lo stai insegnando?”

Slade le appoggiò una mano sulla spalla. A quel tocco caldo la ragazza trasalì, poi chiuse gli occhi.

“Guardami, Zero.”

La ragazza appoggiò la katana e si girò. L’uomo era di fronte a lei, vicino, tanto che dovette alzare lo sguardo. Nonostante i capelli bianchi non aveva quasi alcuna ruga sul volto, le sopracciglia leggermente aggrottate, formando una piccola grinza sulla benda.

“Quando tutto questo sarà finito, voglio che non solo diventi la mia apprendista, ma sarai come mia figlia. Non ho mai visto nessuno con il tuo potenziale.”

Zero abbassò il volto.

“Terra.”

“No, bambina.” 

Zero si sentì sollevare il mento, preso tra l’indice e il pollice dell’uomo.

“Tu sei molto di più di Terra.”

La ragazza spalancò gli occhi e dischiuse le labbra. Era più di Terra? Era davvero così? Le stava dicendo la verità? Non era una… copia?

Strinse i pugni a quell’ultimo pensiero. C’era solo un’altra persona che le aveva detto quelle cose, di cui si fidava. Si morse il labbro, lui non l’avrebbe mai più considerata dopo quello che aveva fatto. Aveva dovuto.

Inspirò a fondo. C’era una cosa più importante al traguardo, la sua prima, unica amica. Sorrise al pensiero di 04 finalmente salva. 

Anche se…

“Rose.”

“Cosa, bambina?”

Slade le lasciò andare il mento, ponendole le mani sulle spalle. Zero si spostò una ciocca dietro l’orecchio.

“Posso chiamarmi Rose?”

L’uomo sorrise e le posò una mano sulla guancia.

“Certamente, Rose.” 

Sarebbe dovuta essere Terra in poco tempo, ma, in quel momento, sentirsi chiamare con il suo nome la rese felice.

 

 

 

***

 


 

"Sire."

Brion raggiunse il fratello a passo veloce, per poi fare un inchino una volta al suo cospetto.

Gregor si fermò e allacciò le mani dietro alla schiena.

"Brion, novità?"

"Sì, sire. I Teen Titans sono pronti a venire a Markovburg con Tara."

Il regnante annuì.

"Splendida notizia. Farò inviare un jet privato a Jump City giusto per loro. È ora di andare a calmare i mastini, vorresti farmi il privilegio d'accompagnarmi?"

"Credo che non mi abituerò mai all'etichetta che sussiste tra noi due, sire."

"Nemmeno io."

Brion aprì la porta che li divideva dal salone dei nobili e si fece da parte. Il re si schiarì la gola e raddrizzò la schiena ed entrò.

Il principe lo seguì e chiuse la porta alle sue spalle.

La stanza era gremita di persone, il conte Dalse aveva le dita strette sullo schienale della sedia di fronte a lui.

Brion si lasciò andare a una smorfia compiaciuta. Chissà quanto ci aveva sperato il vecchio…

Tutti nobili, uomini e donne, erano riuniti. I loro occhi si erano posati su suo fratello Gregor, in attesa. Il primo ministro Vittings sorrise e rivolse anche lui il proprio sguardo.

Il sovrano si fermò al centro della sala, in modo che tutti potessero vederlo.

"Signore, signori, nobili di tutti i casati, sono lieto di comunicarvi che domani Tara Markov rientrerà in Paese, scortata dai Teen Titans. Alloggerà nella residenza reale insieme ai suoi accompagnatori, fino a legittimazione ultimata."

Seguì un battito di mani.

"Ero sicuro, Vostra Maestà, che tutto si sarebbe risolto."

Il primo ministro Vittings continuò ad applaudire nei suoi guanti di velluto, presto seguito dal resto dei nobili. Le nocche del conte Dalse sulla sedia erano livide.

Un altro mezzo sorriso. Gli avevano rovinato la festa.

 

 

***

 


 

Tutta la squadra era nella main room, nell’aria solo il ticchettio delle dita di Cyborg sulla tastiera. 

“Non è possibile…”

Le immagini della sorveglianza erano sparite dallo schermo principale, sostituite da una gigantografia di Red X con il medio alzato.

“Cy, puoi far per favore sparire la faccia di Jason da qui?”

L’androide sbuffò.

“Ci sto provando, ma sa il fatto suo. Il computer sta lavorando nel frattempo, come se ci fossero dei processi ancora attivi. Ha messo una password a protezione, se non hai idea di cosa possa essere ci metterò il mio tempo a decifrarla.”

Robin sbuffò e incrociò le braccia. 

Starfire si portò di fianco a lui.

“Ma noi di tempo non ne abbiamo.”

Il ragazzo alzò gli occhi al cielo e si girò verso gli altri.

Raven aveva il volto basso, coperto con il cappuccio; Beast Boy e Terra erano seduti sul divano, attenti allo schermo.

Le labbra della ragazza si contrassero in una smorfia. Stava trattenendo una risata?

“Cyborg…”

“Ci metterò qualche ora.”

Robin si prese l’attaccatura del naso tra indice e pollice.

“No, non volevo dirti questo.”

L’androide si girò verso di lui.

“Cosa?”

Il ragazzo lasciò cadere il braccio a peso morto al suo fianco e piantò lo sguardo a terra.

“Pra Diked,” mugugnò a denti stretti, stringendosi tra le spalle.

“Cosa? Non ho capito.”

Robin sospirò e s’irrigidì.

“Prova Dickhead.” 

“Dickhead,” ripeté lui.

Il ragazzo gli scoccò un’occhiata gelida. L’androide alzò le mani.

“Va bene,” disse e inserì la parola nel computer.

Una musichetta di vittoria si sparse per la main room, la foto di Red X scomparve, lasciando spazio alle immagini di sorveglianza, ora sbloccate.

Raven s’avvicinò al leader.

“Ma non aveva detto che non si sarebbe mai più fatto vedere?”

“E perdere l’occasione di mettermi in ridicolo e fare le sue scene teatrali?”

Robin si girò verso Raven e continuò.

“Ora non possiamo preoccuparci di lui. Devo contattare Geo-Force e comunicargli le ultime novità.”

Tirò fuori il trasmettitore dalla tasca e si girò di spalle, per uscire dalla stanza.

“Robin.”

Si fermò, ormai a metà strada.

“Dimmi.”

“Red X ha cancellato tutte le informazioni che lo citavano. Tutte quante: il nostro database è prosciugato e ha usato il computer per fare un attacco informatico a tutta la città. Non esiste più.”

“È un fantasma,” continuò Raven.

“Esatto. In più, ha preso la pillola che ci aveva dato Terra. Non so a cosa gli potesse servire.”

Robin abbassò la testa, rimanendo di spalle.

“Vorrei saperlo anch’io.” 

 

 

***

 


 

La cravatta scivolò sul pavimento, le dita allentarono il collo della camicia, sbottonandolo.

Tolse i gemelli; il suo riflesso lo guardava vuoto dalla finestra, disturbato dalle gocce di pioggia che battevano sul vetro.

Gli occhi arrossati, cerchiati, le guance scavate.

Si passò una mano tra i capelli e sistemò tutto nel portagioie. Il respiro si fece difficile nel petto, le palpebre pesanti.

Appoggiò le nocche sul tavolo, ricoperto da uno strato di pelle, al fianco della lettera.

Con un tintinnio il bicchiere si riempì di liquido arancione, che sollevò i due cubetti di ghiaccio facendoli urtare tra loro.

Lo portò alle labbra e mandò giù un sorso. Chiuse gli occhi mentre lo scotch gli bruciava la gola scendendo giù per l’esofago.

 

 

Per Tara Markov

Invito all’incoronazione di re Gregor I di Markovia

 

 

Richiuse la lettera, la carta tremò sotto le dita. 

 

“Stai scherzando? Non puoi non invitarla!”

Si risistemò la sciabola al fianco.

“Brion, sai che sarebbe la rovina del Paese, adesso ho delle responsabilità.”

Il fratello camminava avanti e indietro per la sua stanza, con le mani dietro la schiena. Si girò verso di lui e spalancò le braccia.

“È nostra sorella!”

Gregor tremò leggermente e si schiarì la voce.

“Sorellastra,” disse, alzando il mento.

Brion aprì la bocca per replicare, poi inspirò a fondo.

“Non ti riconosco più. Di lei non t’interessa?”

 

Appoggiò la lettera e prese un altro sorso di scotch, tirando indietro la testa e finendo tutto il bicchiere.

Si stese supino sul letto e lo lasciò sul pavimento, il ghiaccio vibrò all’urto.

Sul comodino i volti sorridenti di Brion e Tara lo fissavano, incorniciati.

 

 

***


 

 

L’acqua scese nera nel lavello. 

“Ah…”

Strizzò gli occhi, andati a contatto con la tinta e li risciacquò con altra corrente.

Affondò il volto nell’asciugamano e si frizionò la cute, i capelli gli ricaddero umidi sulla fronte.

 

 

***

 


 

Le nuvole si stavano addensando, grigie come il piombo. 

Un brivido le percorse la schiena, a contatto con il cemento freddo, i capelli biondi sparsi a raggiera sul suolo.

"Il divano è proprio troppo morbido per te, vero?"

Terra sorrise, mentre BB si sedeva accanto a lei e si prendeva le ginocchia fra le braccia.

"Volevo solo prendere un po' d'aria prima di tornare a casa.”

"Agitata?"

La ragazza tornò a guardare il cielo e sospirò.

“Noi stiamo per partire. Vedrai, presto Slade non sarà più un problema.”

“Mi dispiace non accompagnarvi ma... avevo bisogno di un po' di tempo.”

Con un rumore ovattato, il mutaforma si stese supino, rivolgendo lo sguardo avanti a sé, per poi chiudere gli occhi.

“Sta' tranquilla. Ci occupiamo di tutto noi, tu pensa a riposare e a prepararti. Se hai bisogno posso rimanere con te lo sai.”

Terra sorrise girandosi verso il suo amico. Voleva sembrare sicuro di sé ma tutti i suoi muscoli tradivano preoccupazione, tesi.

“Non preoccuparti, è meglio che andiate tutti. Io qui posso cavarmela per qualche ora.”

Il ragazzo ricambiò lo sguardo e sorrise, annuendo con la testa.

Rimasero lì per qualche minuto, in silenzio.

Terra si morse il labbro. L'indice destro si mosse, tremolante. Toccò con la punta il guanto di Beast Boy e lo fece scorrere sul suo dorso.

Deglutì.

Una stretta, calda, le avvolse la mano, le dita s'intrecciarono tra di loro. Il pollice del ragazzo l’accarezzò, piano, più volte.

"BB…"

"Dimmi, Terra.”

La ragazza si mordicchiò l'interno della guancia, un leggero calore affiorò sulle sue guance.

"Mi dispiace non averti riconosciuto quella volta."

"Terra-"

Strinse la mano più forte.

"E mi dispiace di averti allontanato dicendoti di essere solo un ricordo."

"Terra, non c'è nul-"

La strinse ancora e serrò le palpebre, strizzandole.

"Dopo tutto quello che è successo sei venuto lo stesso, dopo avermi visto solo di sfuggita, hai cercato di farmi ricordare."

Un rumore. Aprì gli occhi: Beast Boy ora era seduto e si era girato verso di lei, le dita intrecciate nelle sue.

Si morse il labbro, incise i denti nella carne finché il sapore ferroso del sangue non le bagnò la lingua.

"Terra, certo che sono venuto. Pensavi davvero che-"

"Io…"

Spostò il volto, gli occhi verdi del ragazzo la bloccarono.

"Io…" ripeté.

Beast Boy si passò l’altra mano sul collo.

"Dovevo provare. Non è stata colpa tua se mi hai detto quelle cose, non potevi ricordare."

"Se avessi ricordato."

Si mise seduta, lo sguardo fisso sulle sue gambe. Il ragazzo sciolse la stretta e l’accarezzò sulla spalla.

"Terra, ora sei qui, è passato."

Si girò verso di lui, le stava sorridendo. Il suo cuore si riscaldò, il respirò si calmò, fino a che anche dalle sue labbra non sfuggì un sorriso. Annuì e mise la mano sulla sua.

Rimasero qualche secondo a guardarsi, senza dire una parola, godendosi il silenzio mattutino. Il ragazzo sorrise ancora, questa volta distogliendo lo sguardo, imbarazzato, e massaggiandosi il collo con la mano.

Terra aggrottò le sopracciglia, incerta. In un secondo, le guance le avvamparono non appena il suo cervello ebbe decifrato la situazione. Sollevò il mento, le ciocche bionde le scivolarono silenziose sulla schiena mentre gli occhi verdi di BB si posavano sulle sue labbra e poi tornavano a immergersi nei suoi azzurri.

Il pensiero le tornò alla ruota panoramica, a quel giorno in cui Slade li aveva interrotti e tutto era precipitato nel baratro.

Forse, se solo avesse voluto questa volta avrebbe potuto essere felice. Sentì il suo cuore rimbombare nel petto alla visione di Beast Boy che accorciava la distanza a dividerli. Solo pochi centimetri e sarebbe potuta tornare a essere la vecchia Terra, prima che le cose cambiassero.

Socchiuse gli occhi.

Il trasmettitore squillò, facendoli sussultare. Beast Boy rispose alla chiamata e il volto di Robin si materializzò nello schermo rotondo.

“BB, ci stiamo preparando ad andare. Dobbiamo essere lì il prima possibile per tornare in tempo.”

Il ragazzo esitò un istante e le rivolse un breve sguardo. Terra gli sorrise di rimando.

“Arrivo”, disse, chiudendo la conversazione.

Con la mano ancora in quella della ragazza, Beast Boy si sporse e le scoccò un bacio sulla guancia.

“Ci vediamo dopo.”

Sciolse il contatto e si alzò, per poi sparire nella T Tower. Terra si toccò la guancia ancora calda e inspirò a fondo. L'aria fresca e la leggera brezza le provocò un brivido alla schiena.

Alzò un sopracciglio, in allerta, dai polpastrelli appoggiati al suolo percepiva una vibrazione, come una piccola scossa. Si alzò, tutto sembrava tranquillo vicino a lei.

“Aah!”

Si gettò a terra di colpo parandosi la testa con le braccia. Un cuneo di roccia passò sopra la sua testa e andò a schiantarsi a pochi metri da lei, frantumandosi.

"Ah…"

Terra si massaggiò il gomito, che aveva sbattuto contro il cemento, anche la schiena le faceva male. Nell'impeto aveva rotolato sul pavimento duro, ammaccandosi. Strizzò le palpebre per il fastidio della pelle scorticata sotto al suo stesso tocco.

“Mi dispiace.”

Si girò verso la fonte di quelle parole.

"Tu…"

Zero, Rose, il suo clone. La sua esatta copia era di fronte a lei, vestita di una tuta bianca, due katane sulla schiena e una S sul petto.

“Devo ucciderti.”

Terra aggrottò la fronte e s’alzò in piedi.

“Che cosa?”

La ragazza serrò i pugni. Non di nuovo. Cosa volevano da lei? Perché? Perché crearsi il disturbo di fare un suo clone e volere comunque l'originale?

I guanti le s'illuminarono di giallo, si mise in posizione da combattimento.

“Hai fatto del male a Red X, ora vuoi farlo a me. Non starò qui a farmi ammazzare, non ho il cuore tenero quanto lui. Cos'è che vuoi?”

Ebbe un groppo in gola al solo pensiero. Jason... si era ripreso? Chissà se stava bene. O se lei lo avrebbe mai saputo.

Rose sguainò una katana, e la pose con la punta rivolta verso di lei.

“Non parlare di cose che non sai.”

Terra digrignò i denti.

“Allora dimmelo tu.”

Una schiera di massi arrivò a coprirle le spalle, volteggiando dietro di lei, come un muro.

Il clone fece mulinare la spada sopra la sua testa e i suoi occhi s’illuminarono d’azzurro, glaciale. La rete macigni vibrò e passò dalla sua parte, circondandola.

“Cosa?”

Terra spalancò la bocca e urlò per riprenderne il controllo. Le pietre si spostarono, ma gli occhi di Zero diventarono più luminosi e i suoi capelli si alzarono, circondati da un alone bianco.

I macigni tremarono, cozzarono tra loro, si sgretolarono e caddero al suolo in polvere.

“Non è possibile…”

Il clone socchiuse gli occhi.

“Sono più forte di te. Non renderla più difficile, per favore.”

Un urlo, la katana volò in un arco per conficcarsi sul tetto con la punta. Nel braccio di Zero era piantato uno stiletto di roccia, conficcato da parte a parte. La ragazza fece una smorfia e tornò impassibile. Con l'altra mano lo afferrò e lo estrasse: il sangue che colava, imbrattando la tuta, si seccò subito.

“Smettila. Sarà meno doloroso se mi ascolti.”

“Hai detto la stessa cosa a Red X prima di infilzarlo come un pezzetto di carne?” Terra ringhiò, stingendo i pugni per richiamare a sé un altro masso.

Il volto di Zero si deformò in una maschera di rabbia. Schioccò le dita, ricoperte di azzurro. Il masso, docile, si frantumò in pezzi più piccoli e spigolosi.

“Sta' zitta. Tu non sai niente.”

Con un gesto della mano i frammenti iniziarono a cadere come uno sciame verso la ragazza, lasciando crateri nel pavimento.

Terra corse via: due frammenti la colpirono di striscio sulle braccia, incidendole dei tagli roventi. Corse a perdifiato, mentre con i suoi occhi gialli staccava una zolla dal fondale marino per usarla come piattaforma. Doveva raggiungere gli altri. Corse fino a che il suo piede un pestò il perimetro dell’edificio. La zolla, invece, non arrivò mai.

“Cosa ti ho detto?”

L’acqua era increspata, le onde colpivano la scogliera come se nulla fosse mai accaduto.

Terra gridò, raccogliendo a sé tutte le sue forze.

“Non farlo, non sai controllarlo.”

La voce di Zero le arrivò da dietro di lei, sul suolo vide l’ombra della katana pendere sulla sua testa.

“Io ho questi poteri, io ho scelto questi poteri. Te la farò pagare per quello che hai fatto a X, fosse l'ultima cosa che faccio.”

S’abbassò e le dette una gomitata nello stomaco. Con un rantolo soffocato Zero si piegò, abbassando la spada. Terra la colpì con un calcio alla caviglia sinistra, facendola cadere.

“I-,” tossì, per poi rivolgerle lo sguardo, “io so tutto. Sei dentro la mia testa da quando sono nata.”

“Che cosa stai dicendo?”

Terra aggrottò una fronte e la prese per il colletto, tirandola su vicino al suo volto.

“Smettila di dire cose senza senso,” continuò.

Gli occhi del clone si spalancarono, le pupille si dilatarono, la bocca si schiuse.

“04…”

Terra fece una smorfia disgustata.

“Ma di cosa parli?”

“Sei davvero come lei…”

“Lasciami in pace. Me e tutti i miei amici.”

La ragazza sillabò quelle tre parole, scandendole bene con le labbra e lasciò crollare a terra il clone.

“Tu non esisti più. Il tuo volto è il mio, il tuo corpo è il mio, i tuoi poteri sono miei. Sono una Terra migliore di te.”

“Tu non stai b-”

Occhi di ghiaccio, un alone azzurrino.

Il fiato le mancò: un dolore lancinante le trafisse lo stomaco, facendola piegare per l’impatto.

Tossì, gocce di sangue le imbrattarono le labbra fino al mento, brividi le percossero le membra, calore e umido si allargavano sul suo ventre. Terra abbassò il volto, sbatté le palpebre: rosso, tanto rosso, vedeva tutto rosso.

Le dita di Zero si serrarono attorno al suo collo e la sollevarono. Il clone camminò fino al perimetro dell'edificio, la katana nell'altra mano.

“Non è nulla di personale. Addio.”

I capelli le frustarono il viso, vide le nuvole scure, Jump City sottosopra, il mare avvicinarsi come un enorme muro grigio.

Cadde finché il freddo non l’avvolse. Non riusciva più a respirare.

 

 

***


 

 

Il corpo ancora dorato affondava, avvolto da un manto rosso che si sperdeva nella corrente gelida. Sospesa nel buio, sembrava una cometa scarlatta che squarciava il velo della notte.

Socchiuse gli occhi: il sale li bruciò facendole serrare la mascella. Nell'acqua, un piccolo ciottolo rotondo scendeva accompagnandola verso il suo destino.

No, non un ciottolo. Un ricevitore!

Digrignò i denti e allungò il braccio verso la trasmittente. Ogni movimento le mozzava il fiato, dal suo ventre fiumi di sangue uscivano come un fiore rosso.

Solo pochi centimetri, avrebbe potuto dare il segnale. Allungò l'indice e il medio, pesanti per i guanti imbevuti. Solo pochi centimetri, tutto sarebbe tornato come prima. Sentì il contorno metallico con i polpastrelli, solo pochi centimetri.

Un'altra fitta la fece piegare su se stessa. Aprì la bocca per urlare, il torace si contorse in spasmi, schiacciato dalla pressione. Incapace di espandersi.

A poco a poco, con ancora gli occhi spalancati, un’ultima scia di bolle si separò dal suo corpo come alito di vita. I muscoli si rilassarono, i pugni si aprirono. Il bagliore s’affievolì, lieve e soffuso nel nero degli abissi, avvolto da venature rossastre.

Ed è così che atterrò, sul fango molle, le dita solo a pochi centimetri dalla trasmittente.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Angolo dell’autrice

Hey guys!

Mi sono presa un po’ di tempo, molto tempo. Quattro anni in realtà, nemmeno un'olimpiade. C'è voluta una pandemia per farmi aggiornare, insomma.

Questo capitolo, in realtà, non è nuovo, ma nel riprendere in mano la storia ho visto che molte cose non funzionavano o non mi soddisfavano più e ho dovuto apportare modifiche. Vi consiglio quindi di rileggere gli ultimi due capitoli, mentre questo è stato praticamente riscritto da zero. Spero di non aver perso lo smalto o di non aver cambiato troppo lo stile, anche se ormai molti dettagli saranno vaghi nella vostra mente.

Purtroppo l’università incalza, come sempre, ormai sono in dirittura d'arrivo, si spera almeno, quindi il tempo è quello che è, purtroppo. Anzi, già non mi sarei mai aspettata di riprendere in mano questa fic, quindi posso considerarla una vittoria.

La verità è che in questo periodo ho conosciuto, o meglio, riscoperto, persone che mi hanno fatto tornare la voglia di creare e hanno disintegrato il macigno che ormai da tanto tempo bloccava la mia ispirazione.
Neanche provavo più ad aprire la pagina di Word: la sola idea di dover riprendere tutto mi faceva venire il mal di testa.

Ho iniziato ad esercitarmi in scene diverse e spero che questo si possa notare nei prossimi capitoli. Per le persone di cui parlo, grazie. ❤ Sapete chi siete e non so dove sarei senza il vostro continuo supporto.

Spero che tutti i miei recensori abituali torneranno e alcuni nuovi s’aggiungeranno in futuro. Non posso fare promesse sulla cadenza degli aggiornamenti, ma spero di portare a termine questa storia, un giorno. Ormai è una sfida.

Beh, a questo punto spero che il capitolo vi sia piaciuto e non mi resta che augurarvi un buon fine settimana! Alla prossima!

 

x Carlotta

 

Ps. Non so quando avrò tempo di recensire le storie rimaste indietro, perdonatemi davvero. Spero che capirete.

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Capitolo 29
*** La ragazza che nacque tre volte ***


LA RAGAZZA CHE NACQUE TRE VOLTE

 

 

 

 

Il corpo ancora dorato affondava, avvolto da un manto rosso che si sperdeva nella corrente gelida. Sospesa nel buio, sembrava una cometa scarlatta che squarciava il velo della notte.

Ed è così che atterrò, rotolando, sul fango molle, a pochi centimetri dal suo ricevitore.

Solo pochi centimetri, avrebbe potuto dare il segnale. Allungò l'indice e il medio, pesanti per i guanti imbevuti. Solo pochi centimetri, tutto sarebbe tornato come prima. Sentì il contorno metallico con i polpastrelli, solo pochi centimetri.
Un'altra fitta la fece piegare su se stessa. Aprì la bocca per urlare, il torace si contorse in spasmi, schiacciato dalla pressione. Incapace di espandersi.
A poco a poco, con ancora gli occhi spalancati, un’ultima scia di bolle si separò dal suo corpo come alito di vita. I muscoli si rilassarono, i pugni si aprirono. Il bagliore s’affievolì, lieve e soffuso nel nero degli abissi, avvolto da venature rossastre.
No. Non di nuovo.
Terra chiuse i pugni, le dita rinchiuse nel tessuto duro e pesante dei guanti. Osservò il suo stesso sangue allontanarsi da lei spinto dalle onde.
Non questa volta.
Chiuse gli occhi e li riaprì. Non vi erano più pupille, solo giallo dorato, abbagliante.
La terra iniziò a tremare e il fango venne richiamato a lei, avvicinandosi servile e ricoprendo la sua pelle in una sensazione viscida.
La bocca della ragazza era serrata, non respirava più da minuti ormai, ma non ne aveva bisogno. La terra continuò a ricoprirla in una bara di terra nuda. Non poteva nemmeno più controllarla.
S’inoltrò nella spaccatura nel ventre, provocandole una fitta di dolore. Urlò senza proferir rumore.
Fiumi di terreno dorato la ricoprirono ed entrarono in ogni graffio, bloccando l’uscita di sangue e la avvolsero.
In pochi minuti, era stata seppellita ed era diventata parte di ciò che aveva sempre voluto difendere. L’isola dei Teen Titans.
 

 

***



“Tesoro, vieni a letto?”
L'uomo sospirò alla finestra, il suo fiato appannò leggermente il vetro mentre si slacciava i polsini della camicia e iniziava a sbottonarsela.
Gregor si girò.
Sua moglie Ilona era già sotto le coperte, il lenzuolo candido che le avvolgeva il profilo rotondo del ventre e gli occhi cerchiati ma luminosi.
Il re lasciò che le sue labbra si stirassero in un sorriso, mentre si avvicinava alla donna e si sedeva sul materasso. Accarezzò con il dorso dell'indice e il medio la sua guancia e rimase a contemplarla qualche secondo.
Dei ciuffetti castani ricadevano disordinati sulla sua fronte, crespi, mentre il resto della chioma ondulata si apriva a raggiera sul cuscino. Le dita erano gonfie per la fatica della gravidanza: la fede all'anulare sinistro che un tempo le calzava alla perfezione doveva dolerle ormai. Sapeva che anche se fosse stato così, lei non gliel'avrebbe mai confessato.
“Sei bellissima.”
Ilona sorrise e s'accomodò meglio sul cuscino.
Gregor si chinò e baciò la sua fronte, per poi scendere al suo ventre, ad augurare la buonanotte al piccolo Viktor.
“Gli sei mancato oggi.”
L'uomo scivolò sotto le coperte, rimanendo seduto. Con gli occhi iniziò a seguire i contorni di ogni mobile: dalla scrivania, alla poltrona, all'armadio. Li seguì con lentezza. Probabilmente anche lui doveva avere ormai gli occhi incavati e violacei come i loro intarsi.
“Spero che questo periodo finisca presto.”
La mano di Ilona lo raggiunse, prendendogli le dita fra le sue.
“Vedrai, domani sarà tutto risolto. Rivedrai Tara e questa situazione diventerà solo un brutto ricordo. Sono sicura che sarà anche felicissima di vederti.”
Gregor si lasciò sfuggire uno sbuffo in risposta. Dubitava che fosse felice di vederlo, ma in cuor suo lo sperava. Notti e notti aveva pregato perché lo perdonasse, per averla rinnegata dalla famiglia.
“Lo spero.”
Nella stanza calò il silenzio. Gregor accarezzò distrattamente la pelle vellutata della moglie, ma il battito del suo cuore non accennava a rallentare. Anche se tutto fosse andato in porto, Markovia era sull'orlo di una rivoluzione. Dubitava che una cerimonia ufficiale bastasse per appianare tutto.
Un tuono in lontananza lo riscosse dai suoi pensieri: all'orizzonte, il cielo non tradiva alcuna stella. C'era aria di tempesta.
“Tesoro,” disse Ilona stringendogli delicatamente la mano “va tutto bene?”
Gregor spense la luce e si stese al buio in un fruscio.
“Sono solo...” si fermò, le parole morirono sulle sue labbra in un sussurro rivolto più a se stesso che alla moglie, “molto stanco.”

 

 

***
 

 

“Quindi Markovia rischia una crisi diplomatica?”
Robin guardò Brion Markov con tono grave, mentre si preparava a salire le scalette per il jet di Stato, contornato da decine di fotografi.
“Siamo già in una crisi diplomatica,” rispose il principe mentre cercava di mantenere un sorriso, che però tradiva la sua espressione preoccupata, “dobbiamo evitare la catastrofe”.

Robin annuì, ma poi sorrise di rimando.
“Ce la faremo.”
Brion stirò ancora un sorriso vuoto e annuì.

Starfire comparve fluttuando, in una danza di capelli rossi.
“E poi, guarda chi ti abbiamo portato!” esclamò, sorridente.
Brion spostò lo sguardo da lei al resto del gruppo. Dietro Cyborg e Raven, sua sorella avanzava tenendo la mano a Beast Boy.
Alla sola vista, gli si allargò il cuore. Finalmente, la sua Tara tornava a casa con lui. Non vedeva l'ora di parlarle per bene, chiacchierare durante il volo. Chissà quanto sarebbe stata felice nel vedere Gregor e poterlo riabbracciare, finalmente.
Beast Boy lasciò andare la mano della ragazza, per lasciare spazio a Brion.
Il principe non si lasciò attendere e l'avvolse nelle sue braccia.
A quel tocco così caldo, pieno d'una attesa ormai finita, Rose provò un fremito. Era piacevole.

 

 

***

 

 

La baia era buia, calma, il sereno della luna che proiettava il suo riflesso sul mare. Le poche nuvole in cielo. L'assenza del vento faceva sembrare il paesaggio uscito da un quadro.

Giù nel fondale, tutto taceva e qualche banco di sardine nuotava placido.

Un filo di bollicine silenzioso emerse dal fondale, una per una. Poi diventarono due, poi tre. I pesci virarono in un unico squadrone finché l'oceano non fu deserto.
La terra iniziò a spaccarsi, frastagliata, sollevando una nube di sabbia vorticante. Al suo interno, una luce gialla esplose spargendola per decine di metri in riflessi dorati.
Terra emerse dall'acqua, i capelli bagnati e melmosi incollati al suo volto, la pelle coperta di fango. La maglia era dilaniata sul ventre ormai coperto da una crosta di roccia.
La ragazza si fermò a mezz'aria sulla zolla nera come il cielo circostante. La ferita era ridotta a una fessura, gli occhi non avevano più pupille ma solo sclera gialla e brillante.
Terra inspirò a fondo e il fango docilmente cominciò a scorrere sul suo corpo, liberandola da quell'involucro come un servitore ubbidiente. La polvere si ritrasse dalla sua pelle rivelando dei vasi sanguigni che si diramavano come raggi solari dal punto dov'era stata pugnalata.
Questi disegnavano una mappa incandescente sulla sua epidermide, scarlatti come fiumi di lava che scavano nel profilo di un vulcano.
Il fango si sollevò in aria e la ragazza lo ammansì in una sfera che roteava tra le sue mani.
La guardò senza espressioni, mentre si questa definiva senza nemmeno essere sfiorata. Pensò a Zero, ai suoi compagni, a Beast Boy.
Chiuse gli occhi mentre ogni dolore dovuto alla battaglia precedente era svanito. La terra l'aveva salvata, per la seconda volta.
Si sentì una stupida. Quanto aveva aspettato prima di capire che ciò che le faceva più paura era in realtà il suo migliore alleato. O forse, non era realmente dei suoi poteri che aveva paura.
Riaprì gli occhi, dall'iride non più azzurra ma dorata come l'ambra. La palla continuava a roteare.

“Mi chiamo Terra, e nella vita ho fatto cose orribili. Ho giurato di servire un signore oscuro, di obbedire ogni suo ordine e ho commesso crimini nel suo nome. Ho tradito e attaccato tutti quelli che si erano detti miei amici. Uno per uno, ho distrutto i Teen Titans e con nessuno a fermarmi, ho piegato la città ai miei piedi.”
Il fango assunse una forma più allungata, come un fuso di fronte al suo sguardo.
“L'ho salvata con i miei poteri. Ho sconfitto Slade. I miei amici mi hanno perdonata. Beast Boy mi è venuto a cercare. Sono fuggita con Red X e gli ho salvato la vita.
Lui l'ha salvata a me.”
Piccoli frammenti schizzarono via staccandosi mentre la terra veniva scolpita.
“Ho quasi ucciso quella che credevo fosse la mia migliore amica. Ho perso l'uomo che credevo di amare. Mi sono ricongiunta con chi avevo dimenticato.”
La forma rallentò mentre si solidificava sotto l'aria fredda della notte.

“Mi chiamo Terra, e nella vita ho fatto tante cose. Troppo orribili per essere buona e troppo buone per essere cattiva.

Non so cosa sono, ma so una cosa. Questa è la mia storia. E nessuno dei miei amici soffrirà più a causa mia. Chi oserà farmi o far loro del male non avrà il mio perdono.”
La ragazza alzò leggermente la testa mentre osservava la statua di fronte a lei, sospesa tra le sue mani e ormai immobile che la fissava di rimando.
Guardò i lineamenti di Anne scolpiti ruvidamente nella roccia solidificata, gli occhi inespressivi e la sua espressione finta amorevole.
Sollevò una mano e serrò il pugno. La statuina implose sotto al suo comando e colò nell'oceano sottostante.
“E non avrò assolutamente alcun rimorso.”

 

***

 

 

Beast Boy aveva guardato il panorama scorrere sotto di loro per un tempo che non era in grado di definire. Terra non appena saliti gli aveva sorriso ed era sparita con suo fratello in una sala privata e non ne erano mai usciti.
Starfire gli aveva tenuto compagnia per qualche ora, scherzando e descrivendo tutti i paesaggi americani che non avevano mai visto, poi aveva preferito rimanere da solo.
Aveva appena ritrovato Terra, ma la capiva meno di prima. S'erano avvicinati sul tetto della torre, meno di ventiquattro ore prima, ma ora s'era allontanata di nuovo.
“Tutto bene?”
BB si riscosse dai suoi pensieri. Cyborg si era seduto vicino a lui e lo guardava con espressione seria. Il mutaforma sorrise.
“Certo!”
L'amico gli sorrise di rimando, come un fratello maggiore e gli dette un colpetto sul braccio.
“Lo sai che non vede il fratello da anni.”
BB spalancò gli occhi, colto in fallo. Si grattò la nuca e ridacchiò con sorriso colpevole, per poi tornare serio.
“Non lo so Cy, è vero, ma non è quello. Qualcosa non va.”
L'androide alzò un sopracciglio.
“In che senso?”
Beast Boy aspettò qualche attimo, per pensare, ma la sua mente era come una gigantesca stanza bianca.
“Non lo so. Istinto animale?” Rispose ridacchiando, per smorzare la tensione.
Cyborg sorrise con fare rassicurante e gli appoggiò una mano sulla spalla.
“Non ti preoccupare troppo. Chiunque, al posto suo, darebbe di matto al momento. Aspetta che si calmi la situazione.”
Non c'era altro da fare, effettivamente. Forse si sarebbe calmato tutto da solo.
L'androide non attese risposta e tirò fuori due Nintendo.
“Nel frattempo... partita?”
Gli occhi del mutaforma s'allargarono come quelli di un bambino di fronte a dei dolci o, appunto, dei videogiochi.
“Quando li hai presi?”
“Il viaggio è lungo.”
Beast Boy s'allargò in uno dei suoi enormi sorrisi e afferrò la console.

 

 

***

 


Terra entrò nel palazzo a forma di T. Il trasmettitore ormai giaceva sul fondale con i pesci e i ragazzi dovevano già essere in volo verso Markovia. Il computer nella sala principale sarebbe stato il modo più veloce per contattarli.
O almeno, così pensava.

Lo scenario che si presentava di fronte a lei sembrava uscito da un film horror. I divani erano rovesciati e i cuscini dilaniati e sparsi per tutta la stanza; lungo tutte le pareti tagli come unghiate di bestie; gli elettrodomestici per terra: il frigorifero gocciolava ancora acqua sul pavimento, mentre il cibo era stato vomitato sul pavimento.
Terra si girò verso il computer. L'enorme monitor aveva una una voragine perfettamente al centro da cui uscivano crepe che si allargavano per tutta la superficie in una ragnatela.
Corse al terminale e digitò delle password alla tastiera, sperando di poter riattivare almeno il disco centrale.
Una scintilla partì dal computer e le dette la scossa, costringendola a indietreggiare.
“Cazzo.”
Come li contattava adesso? Il suo cuore si riempì di preoccupazione, diventando tutto ad un tratto pesante. Cos'aveva in mente quella psicopatica?
Il suo pensiero corse ai suoi amici. A Robin, Star, Cyborg, Raven... a Beast Boy. Doveva trovare un modo per raggiungerli.
Un rumore la distolse dai suoi pensieri. I suoi occhi si colorarono subito d'ambra, mentre si avvicinava alla fonte.
Mosse le dita facendole scricchiolare: sentì il suo potere scorrerle nei muscoli e nei tendini, nutrito dal suo sangue.
Percorse la torre in tutta la sua estensione in stato d'allerta, il cuore che le batteva forte nel petto, attenta a ogni minimo rumore.
Quel clangore metallico sembrava provenire dalla zona di Cyborg, al piano più basso. Continuò silenziosa, avvicinandosi alla porta del garage con la schiena al muro e fece scorrere la mano sulla superficie della porta. Fermò il respirò e contò nella sua mente: 1... 2... 3.
Spinse e quella cedette, schiudendosi.
I suoi occhi tornarono blu.
“Cosa ci fai qui?”
Il ragazzo sollevò lo sguardo. Sul viso aveva la maschera di Robin, ma il resto del costume lo conosceva più che bene. Red X era nella base e stava armeggiando con l'aereo dei Teen Titans.
Jason serrò le dita attorno alla chiave inglese che aveva in mano e balzò in piedi. Aprì la bocca come per parlare e la richiuse. Poi la riaprì.
“Sei viva,” disse con un nodo in gola, per poi schiarirsi la voce.
Terra si prese il braccio con una mano, il suo pensiero tornò a poco prima. Poco prima? Quanto era passato? Ore, giorni?
Si portò il palmo sul ventre nudo, sentì i contorni della cicatrice attraverso il guanto.
Risollevò lo sguardo per vedere il ragazzo a un palmo da lei. Sussultò. Jason sollevò una mano e l'avvicinò a lei, per poi tentennare. L'appoggiò sulla sua spalla.
“Sono contento di vedere che stai bene.”

Terra abbozzò un sorriso e massaggiò la cicatrice coi polpastrelli.
“È stata lei.”

Lo sguardo di Red X mutò, giusto per un istante. Le sembrò quasi triste, per poi tornare impenetrabile.
“Immaginavo.”

Jason raggiunse con la mano un tablet che si trovava su un piano di lavoro. Digitò per qualche secondo e lo porse alla ragazza.
Sullo schermo delle immagini iniziarono a vorticare: era il video di un telegiornale.
Una folla gremita di giornalisti si trovava intorno a un aereo, con flash di macchine fotografiche ovunque. In basso al video, un enorme titolone:

 

TARA MARKOV IS NOT DEAD!


Terra alzò un sopracciglio. Che significa? Il problema si era risolto da solo?
Una scaletta venne avvicinata al jet, dal quale si aprì il portellone. In abito elegante, suo fratello la scese, sorridendo a trentadue denti e salutando con la mano. Sotto il suo braccio, un'altra figura minuta. Lei?
Guardò Brion circondare le spalle di se stessa, che nel frattempo sorrideva e salutava verso i fotografi. Subito dopo, il resto del team.
Passò lo sguardo a Red X, per poi tornare allo schermo.
Un'ondata di panico la travolse, ghiacciata, e le infuriò nel petto come una tempesta, mentre i suoi respiri aumentavano. Com'era possibile che non se ne fossero accorti?
Com'era possibile che BB non se ne fosse accorto?
Quanto tempo era rimasta incosciente?
La mano le tremò per un attimo, ma poi serrò le dita sul tablet e lo porse al proprietario.
“Non riesco a contattarli,” si limitò a dire.
Jason deviò lo sguardò, pensieroso.
“Dubito tu possa. Guarda solo come hanno ridotto questo posto.”
Terra incrociò le braccia, l'aereo ronzava ancora in sottofondo.
“E quello?”
X s'allontanò per avvicinarsi al pannello elettrico che aveva aperto.
“Io ho intenzione di andare là, tu fai come ti pare.”
“Pensavo avessi deciso di andartene a vita. Che non avessi più intenzione di sprecare tempo con noi.”
“Non m'interessa quello che pensi. Ho solo degli affari in sospeso.”
Terra scosse la testa e lo seguì, rimanendo in piedi alle sue spalle e osservandolo armeggiare con dei cavi.
“A me sembra t'importi.”
Jason si lasciò andare a un grugnito e continuò a lavorare per qualche minuto con il rumore dell'elettricità e dei bulloni come unico sottofondo.
“Sali.”
Terra obbedì senza proferir parola: di litigare con Red X non aveva alcuna voglia. L'aveva ferita, ma i suoi amici venivano prima al momento. E per quanto le dolesse ammetterlo dopo come l'aveva trattata, sapeva in cuor suo che era l'unica persona di cui si poteva fidare al momento. Gli voleva bene, nonostante tutto.
A terra, Jason lavorò per altri minuti, per poi chiudere il pannello con attenzione. Sospirò e si passò una manica sulla fronte per asciugarsi il sudore.
Guardò l'entrata dell'aereo e si toccò la maschera con le dita.
“Fin troppo.” Mormorò.


 

 

 

 

Angolo dell'autrice
 

A ritmi di sei mesi in sei mesi, anche di più. Forse nove. Un parto. In realtà avevo deciso d'abbandonare questa storia per più o meno la decima volta, quando solo ieri sera l'ispirazione mi ha folgorata.
Amnesia alla fine per me è come il primo grande amore. Come si dice? I grandi amori non finiscono, fanno giri immensi e poi ritornano?
La sento così ormai: questa long m'accompagna da sei anni e ha avuto un ruolo più importante di quanto pensassi nella mia vita.
Se finirà, quando finirà, la sensazione sarà molto strana e una parte di me non vuole chiudere quel capitolo, letteralmente e metaforicamente.
Ma la vita va avanti, suppongo. Non si sa cosa ci riservi il futuro e tante altre belle massime sull'esistenza che scommetto NON avevate alcuna voglia di leggere.
Se state leggendo, che non è scontato. Spero vivamente di sì. Se questo dev'essere il viaggio di chiusura, accompagnatemi. In compagnia è più divertente.
Bene, ho finito di fare la drammatica. Ringrazio tutti quelli che hanno perseverato per tutto questo tempo: che abbiano recensito o no, abbiano iniziato e poi smesso o cominciato verso la fine della storia.
Maricuz_M, edoardo811, LadyDelora, Rosa Verde_Blu, corvina5, Simonecrotonese, Hang Glider.
Grazie a tutti, davvero.
Forse gli ultimi capitoli saranno meno precisini rispetto ai primi. Meno schemi machiavellici, meno paranoie. Avevo bisogno di scrivere e di combattere il perfezionismo (poco riuscito) che mi ha tenuto ferma per tanto tempo. È ora di dare un taglio netto!
Prendetela come un regalo che faccio a chi teneva a questa storia e a me in primis.
A presto,

xx C

PS. In ultima nota, ho dimenticato come si formatta per bene il testo. Lo cambierò, poi. Scacco matto, perfezionismo!

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 30
*** Nessun altro guarda il cielo di notte ***


NESSUN ALTRO GUARDA IL CIELO DI NOTTE

 

 

 

 

 

Il rombo dell'aereo era un sottofondo confortante e allo stesso tempo un orologio inesorabile verso quello che sarebbe stato l'ultimo atto. Terra non aveva alcuna intenzione di allungare ancora quell'agonia: tutti i nodi sarebbero dovuti venire al pettine e tutti i conti regolati.
Voleva riposare, solamente riposare e tornare a una vita normale.
L'acqua bollente tirò via con sé il sangue raggrumato sulla sua pelle, il fango e la salsedine che la impregnava.
Si passò la spugna sul braccio e si godette il contatto con l'acqua che le distendeva i muscoli e le allargava i pori. Sotto di lei, sul piatto della doccia, la pozza era rossa e gorgogliava scivolando nello scarico.
Una vita normale, senza che nessuno volesse ucciderla o minacciasse qualcun altro per causa sua.
Era forse chiedere troppo?
Districò i capelli con un pettine: liberò le ciocche dal fango solidificato e piano piano tornarono morbidi e leggeri.
Il tocco con l'acqua era così bello. Da quanto non si sentiva così?
Era in viaggio verso il suo destino e non avrebbe più potuto guardarsi indietro, ma fino ad allora, per quelle quindici ore, era sospesa in un attimo in cui nessuno poteva disturbarla.
Presto tutto sarebbe iniziato, ma non ancora. Ancora, era solo una ragazza che non doveva niente a nessuno. Libera.
Si asciugò con attenzione e si rivestì. Nonostante l'ora tarda non riusciva ad avere sonno.

“Ti ho portato i documenti per domani mattina.”
Tara si riscosse. Jason era vicino a lei e le tendeva una mano con delle tessere plastificate. Non lo aveva sentito arrivare. Le prese.
“Bussare?”
“Non ho visto niente, tranquilla.”
Terra alzò un sopracciglio.
“Non è quello che ti ho chiesto”, disse in un sorriso.
“Va bene va bene,” rispose X alzando le mani, “ora però guarda.”
La scheda aveva una sua foto scolastica, il nome e il cognome riportavano Penny Brown.
“Dove l'hai trovata questa?”
Red X ridacchiò
“Mi sottovaluti.”
Terra scosse la testa sorridendo. Jason aveva le mani in tasca, una felpa nera larga e i capelli completamente neri,ma soprattutto, era senza maschera.
La ragazza si alzò.
“Sei senza maschera...”
Il ragazzo spostò il volto in modo da non doverla guardare negli occhi.
“Tanto mi avevi già visto. Tutti mi hanno già visto.” disse, rimarcando sul tutti.
Terra alzò gli occhi al cielo.
“Ancora? Possibile che non capisci?”
Red X puntò i suoi occhi ghiaccio nei suoi.
“Sei tu che non capisci. Ti avevo chiesto una cosa sola. Una. E mi hai tradito.”
“Sono stata costretta!”
Terra allargò le braccia esclamando quell'ultima frase. Red X si passò una mano nei capelli, per poi stringere le ciocche tra le dita. Inspirò a fondo.
“Sentiamo, chi ti avrebbe costretta?”
Terra aprì la bocca per parlare, e la richiuse.
“Visto? Non lo sai nemmeno tu.”
“Ti ho salvato la vita.”
Jason fece scendere la mano sul volto e se lo massaggiò, prendendosi la base del naso tra indice e pollice.
“Bene, grazie. Non potevi saperlo. Hai avuto fortuna!”

“Tu hai avuto fortuna! Sei tu che non sei morto!”
Terra respirava affannosamente, cominciava ad arrabbiarsi. Quella discussione non aveva alcun senso. Si passò nervosamente una ciocca dietro all'orecchio e si morse il labbro.
X la guardava di rimando, anche lui con il respiro accelerato, senza rispondere.
“La prossima volta ti lascerò morire dissanguato, va bene.”
Passarono secondi. Terra sentiva gli occhi di X piantati su di sé. Possibile che non riusciva a capire che lei gli aveva salvato la vita? Non era così complicato. Che avrebbe fatto se fosse morto? Lei voleva solo che lui stesse bene e questa cosa a lui proprio non entrava in testa.
Abbassò il viso per non guardarlo, livida dalla rabbia. Si concentrò sul tessuto nero della sua felpa, sulla trama, cercando di non pensare a quanto fosse schifosamente ingrato quel ragazzo. Doveva calmarsi.
“Benissimo. Buonanotte.”
X fece scivolare le mani fuori dalle tasche e si girò per andarsene. Ogni secondo le confermava quanto fosse convinto quando se n'era andato dalla T tower. Lui non avrebbe più avuto nulla a che fare con i Titans e tutto il corredo. Fedina nuova, vita nuova. E a mai più rivederci.
Lo tirò per la manica della felpa: no, non aveva nessuna intenzione di farlo scappare di nuovo. Era la prima volta che i suoi occhi blu lo fissavano e non si concentravano sul pavimento. Il ragazzo esitò, preso in contropiede.
“Buonanotte?”
Jason fece per aprire la bocca e ribattere, ma Terra lo anticipò.
“No ora stai zitto.” disse, stringendogli il polso.
“Come puoi dire buonanotte?” continuò.
Jason guardò i suoi incisivi conficcarsi nel suo labbro inferiore così forte da lasciare il segno.
Si passò una mano nei capelli e aggrottò le sopracciglia.
“Pensi di poter fare come ti pare? Entrare e uscire dalla vita delle persone a tuo piacimento come se fossero giocattoli? Come pensi si sarebbe sentito Robin? Come pensi mi sarei sentita io se non fossi arrivata in tempo?”
Terra si mise di fronte a lui. Jason si sentì schiacciato da quello sguardo severo.
“Poi arrivi, fai il tuo discorso d'addio e sparisci come se niente fosse. E vuoi anche aver ragione. Ma ci pensi ogni tanto agli altri? Ci pensi a Robin? Ora sei qui che cerchi persino di farmi sentire in colpa per averti salvato la vita!”
La ragazza gli lasciò il braccio e distese le sue lungo il corpo.
“Se perdessi meno tempo a sentirti così incompreso e arrabbiato con il mondo, vedresti che ci sono persone che ti amano e che preferirebbero vederti vivo e felice rispetto che morto, ma con una stupida maschera in faccia.”
Strinse i pugni, mentre la sua espressione mutava dalla rabbia alla tristezza.
“Hai idea di cosa sarebbe successo se non fossi arrivata?” strinse ancora di più, “Hai idea di come mi sarei sentita se ti avessi perso?”
“Come?”
Red X la guardò. Terra si bloccò, confusa dalla domanda.
“Cosa?”
Jason si avvicinò ponendosi di fronte alla ragazza e le appoggiò le mani sulle braccia, rivolgendole tutta la sua attenzione.
“Ho chiesto,” disse, la voce si addolcì e il viso si abbassò a guardarla più da vicino “come ti saresti sentita.”
Terra si lasciò scappare un piccolo verso e tentennò. Sulle guance era fiorito un alone d'imbarazzo.
Il ragazzo non aspettò nemmeno la risposta, le prese il viso tra le mani e si chinò su di lei.

 

 

 

***



Beast boy si rigirò nel letto per l'ennesima volta quella notte. Doveva aspettare che la situazione si calmasse, ma non riusciva a prendere sonno.
Tirò un calcio esasperato al vuoto: il lenzuolo si sganciò completamente dal materasso e cadde sul pavimento, dove la coperta l'aveva preceduto.
I peli delle braccia si erano rizzati come quelli di un animale allerta, nel corpo sentiva una sensazione di fastidio. Aveva i nervi a fior di pelle.
Si alzò e si strofinò gli occhi, per poi infilarsi la tuta.
“Aspetta che passi, aspetta che passi,” bofonchiò mentre si metteva la cintura.

Qualcosa non andava e non era la prima volta che si sentiva in quella maniera. E non era nemmeno la prima volta che seguendo il suo istinto aveva scoperto cose che gli altri davano per scontate.
Per una volta almeno poteva andare direttamente alla fonte: aprì la porta e imboccò il corridoio ampio e costellato di vetrate alte fino al soffitto. Nonostante fosse notte, i lampadari dal soffitto gettavano luce fioca, abbastanza da poter vedere.
Per tutta la giornata non era riuscito a parlare a Terra, ma qualcosa gli diceva che il giorno dopo sarebbe stato lo stesso. Non aveva la minima idea di che ore fossero.
Percorse tutto il tragitto senza porre attenzione a dove stesse andando: i suoi passi si susseguirono meccanici fino alla porta della ragazza.
Inspirò e bussò.
Passarono i secondi, ma il corridoio non mandava altro rumore.
Ritentò.
Nulla.
Alzò un sopracciglio e posò la mano sulla maniglia:
“Terra? Ci sei?”

Aspettò qualche secondo, mentre la preoccupazione cominciava a salirgli in petto.
“Terra? Sto entrando. Se ci sei, dimmelo.”
Avvolse meglio le dita intorno al metallo della maniglia e l'abbassò. Cedette docile con un leggero cigolio.
La stanza lo accolse nella penombra: il letto appena scomposto e la sedia della scrivania spostata, ma di Terra nessuna traccia.
Diversi fogli bianchi erano sparsi sullo scrittoio, ricoperti di fiori scarabocchiati a penna per tutta la superficie. Terra non gli aveva mai detto di saper disegnare.
“Beast Boy.”
Beast Boy sobbalzò e si girò verso la porta: Terra si trovava di fronte a lui, che lo guardava con espressione stanca e gli occhi cerchiati.
“Ehi, stai bene?”
La ragazza sbadigliò ed evitò la domanda.
“Che ci fai qui a quest'ora?” chiese, indicando con un cenno l'orologio. Segnava l'una.
BB fece spallucce.
“Non riuscivo a dormire,” iniziò, esitante, “e a quanto pare nemmeno tu.”
Ridacchiò incerto, portandosi una mano alla nuca. Era corso fino a lì senza pensarci, in maniera letterale. Non aveva idea di cosa dire.
La ragazza lo anticipò.
“No infatti... ma ora invece sono molto stanca, quindi se potessimo parlare domani...” disse avvicinandosi a lui.
Il mutaforma incrociò le braccia.
“Devo aspettare ancora, vero?” Terra si fermò.
“Cosa?”
Beast Boy si sedette sul letto e si stropicciò gli occhi.
“Scusa, è che sono stanco. E non ti capisco: ogni volta che facciamo un passo avanti, sembra che poi ce ne siano due indietro. Non capisco, vorrei aiutarti ma non mi parli.”
Terra rimase a scrutarlo qualche secondo. Aprì la bocca, ma poi la richiuse e sospirò.
“Perché sei sempre qui?”

Beast Boy la guardò con la fronte aggrottata.
“Ti dà fastidio?” Si limitò a rispondere.
Il mutaforma aveva le narici leggermente dilatate e la bocca socchiusa, come se avesse paura a sentire la risposta.
“No,” mormorò lei.
Beast Boy sospirò.
“Certo che sono sempre qui, dove vuoi che vada? Ti ho già perso una volta, non voglio che accada di nuovo. Te l'ho già detto quella sera al luna park. Sei la nostra famiglia.”
Si sedette vicino a Beast Boy e lo abbracciò.
Il ragazzo la cinse tra le sue braccia e affondò la testa nella sua spalla, rifugiandosi nel calore dei suoi vestiti e scorse la mano dalla sua schiena al suo collo, massaggiandoglielo.
“Domani sarà tutto finito,” disse lei.
Beast Boy annuì senza proferir parola e inspirò a fondo, lasciandosi cullare dal suo profumo.
“Ci vediamo domani?” continuò lei, staccandosi.
Il ragazzo annuì di nuovo, serio.
“Va bene.”
In pochi secondi era di nuovo nel corridoio.

 

 

***



Robin aprì la porta della stanza: Beast Boy si trovava di fronte a lui, con espressione seria.
Il leader portò lo sguardo all'orologio sul comodino e poi nuovamente all'amico e si stropicciò gli occhi con le dita.

“BB, hai idea di che ore siano?”
Il volto del mutaforma si contorse in mille smorfie, per poi spalancare la bocca e richiuderla in un boccheggio.
“BB?”
Beast Boy si lanciò sul compagno di squadra e gli prese le spalle tra le mani, per iniziare a scuoterlo.
“Terra non è Terra” sillabò ad alta voce.
Robin spalancò gli occhi mentre veniva sballottato.
“Cosa?”
“Terra non è Terra!” Ripeté con sguardo allarmato.
Robin staccò l'amico da sé e chiuse gli occhi per concentrarsi.
“Per prima cosa: abbassa la voce;” iniziò regolandola anche lui su toni più bassi, “secondo: in che senso Terra non è Terra?”
Beast Boy si spinse all'interno della stanza e chiuse la porta alle sue spalle. Prese un respiro profondo, mentre le sue mani tremavano.
“Quella con noi non è Terra, è il clone.”

Robin socchiuse la bocca e aggrottò la fronte. Corse a prendere il ricevitore: tre visi familiari ma distrutti comparvero in pochi secondi sul monitor.
Starfire, preoccupata, fu la prima a parlare.
“Robin? Che succede?”
Robin esitò un secondo, per poi rispondere.
“La Terra qui con noi è in realtà il clone.”
Il silenzio cadde nella stanza, nessuno parlò per secondi che sembrarono interminabili.
Beast Boy allargò le braccia con gli occhi spalancati e il respiro affannoso.
“Possibile che nessuno sia sconvolto? Ma perché sono sempre solo io a reagire così?”
Cyborg alzò la mano come a fermarlo.
“No aspetta, è che è difficile da credere.”
“Come fa a essere difficile? C'è un clone no? Ha rimpiazzato Terra, è il lavoro dei cloni!”
“Come fai a saperlo?” tagliò corto Raven.
Beast Boy s'indicò il naso.
“L'odore è diverso, l'ho sentito. Da dopo l'incidente sento di tutto ormai.”
“È plausibile.”
Beast Boy si girò verso di Robin.
“In più,” continuò, “ci siamo abbracciati e potrei giurare di aver sentito una cicatrice sul suo collo.”
“Il chip.” Intervenne Cyborg.
Il leader si era preso il mento tra indice e pollice, mentre pensava a una strategia.
“Ma allora... dov'è Terra?”
Beast Boy arricciò il naso, mostrando appena i canini.
“È quello che voglio capire.” Lanciò un'altra occhiata a Robin e agli altri e si girò per arrivare alla porta.

“BB, fermo.”
Robin si era appoggiato al muro, tenendo ancora il ricevitore nell'altra mano.
“Se sono state scambiate non sappiamo di chi ci possiamo fidare al momento.”

“Non possiamo lasciarla da sola,” intervenne Raven.
Robin alzò un indice mentre aveva lo sguardo perso.
“Nessuno lascia nessuno. Starfire, Cyborg, Raven voi cercate di scoprire che cosa è successo. Io e BB andremo alla legittimazione. La nostra assenza desterebbe sospetti.”
Guardò un attimo fuori dalla finestra, il cielo buio ricoperto di stelle, quieto.
“Cercherò Brion come prima cosa stamattina. Nel mentre, teniamoci aggiornati.”
Gli altri annuirono e chiusero la chiamata uno ad uno.
Robin si girò verso Beast Boy: il suo volto tradiva mille emozioni, prima fra tutte la preoccupazione.
“BB, ti prometto che a Terra non accadrà nulla di male.”
Il mutaforma riuscì solo a rivolgergli uno sguardo tormentato.


 

***

 

 

Rose si mise a sedere sul letto. L'orologio sul comodino segnava le due e tredici, accompagnato dal ticchettio della lancetta dei secondi.
Non era ancora riuscita a prendere sonno dopo che Beast Boy se n'era andato. Sospirò. Gregor, Brion, il team. Erano tutti nomi che aveva scolpiti nella sua mente come nella nuda roccia, così familiari ma anche così lontani.
Ogni abbraccio che le era stato rivolto, ogni sorriso, l'aveva rubato. Non erano per lei. Se solo avessero saputo.
Forse era questo che era? Una ladra.
S'alzò e camminò verso la finestra. Appoggiò il palmo sul vetro, mentre il cielo stellato si stagliava immenso di fronte a lei.
Era stata creata come una ladra. Niente di ciò che aveva era suo, né sarebbe mai potuto esserlo. Non in quella vita almeno.
Si girò verso l'interno della stanza. Nulla di quel mobilio le apparteneva, era stato fatto per qualcun altro. Il legno, le coperte, i libri ordinati sulla libreria: non li aveva mai letti eppure i titoli riaffioravano nella sua mente come piccole bolle sulla superficie dell'acqua increspata.
L'abbraccio sull'aereo, così piacevole, era per Terra.
“Sono io Terra,” mormorò.
Chiuse gli occhi per qualche secondo, finché l'immagine della ragazza non emerse dal buio della sua mente. Vide il suo profilo cadere dal tetto dell'edificio, per affondare in acqua.
Non riusciva a rammentare nemmeno il suono. Tutto ciò che aveva era una sequenza d'immagini, il sangue, i capelli biondi, la pelle pallida.
Si morse l'interno della guancia. Aveva visto quello spettacolo decine di volte, ancora e ancora, ogni settimana della sua breve vita. Quante volte aveva visto se stessa morire nei modi più diversi, alcuni cruenti, altri silenziosi.
S'avvicinò allo scrittoio e si sedette sulla sedia di fronte. I movimenti erano meccanici, mentre rivedeva tutte le sue sorelle cadute, una dietro l'altra e l'unica, rimasta viva.
Un mezzo sorriso nostalgico affiorò sulla sua pelle, mentre pensava a 04 e alla sua voce. C'era una cosa che voleva dirle da quando era rimasta chiusa in quella clinica e aveva iniziato a disegnare. E stava per succedere. I suoi occhi s'illuminarono al solo pensiero.
 

“Smettila di dire cose senza senso”

 

Le parole di Terra le rimbombarono nella testa. Lo scenario ritornò a quel momento, sul tetto della torre. La ragazza l'aveva presa per il colletto e l'aveva avvicinata a sé. In quel momento, l'aveva visto. Lei era come 04. Aveva imparato a memoria il viso della sua amica, ne conosceva ogni espressione, ogni imperfezione della pelle, ogni pagliuzza di colore negli occhi. Ma Terra... i capelli, il viso, l'espressione. Lei era 04.
“Quattro...”
E l'aveva uccisa a sangue freddo, come avevano fatto tutti gli altri prima di lei.
L'aveva vista morire inginocchiata tante volte, con la bocca della pistola impressa alla nuca e gli occhi chiusi, le palpebre strette e il corpo tremante, sotto lo sguardo severo di sua madre.
Stavolta però, stavolta non c'era stato nessuno sparo, solo lo scorrere metallico della lama. E il suo corpo cadere senza un suono. Stavolta lo sguardo serio era il suo.
L'orologio sul comodino segnava ormai le tre, la notte silenziosa circondava la città, cullandola alla luce delle stelle.
In una stanza, una ragazza bionda teneva la testa tra le mani, gli occhi rossi e le lacrime che non riuscivano a smettere di sgorgare rigando le sue guance e inzuppando il legno dello scrittoio.
Voleva solo la sua famiglia, qualcuno ad aspettarla quando tornava a casa o qualcuno ad aspettare. Avrebbe voluto anche una casa, una bella casa con Quattro.
La sorella era talmente vicina ormai che sentiva di poterla sfiorare con le dita.
“Domani sarà tutto finito.”
Aveva l'abbraccio di Beast Boy ancora impresso nella pelle. Chissà come si sentiva Terra in quei momenti, se era come quando lei abbracciava Quattro. Le ritornarono alla mente tutti ricordi non suoi, ricordi di giornate passate insieme, di vittorie, di... tradimenti e di perdono. Si mordicchiò l'interno della guancia mentre le immagini sfilavano nella sua testa veloci, familiari e sconosciute.
O magari Terra si sentiva come quando lei dipingeva, o come quando parlava con Red X nella sua stanza. Scacciò subito quel pensiero scuotendo la testa.
Rose s'alzò e camminò a vuoto per la stanza, per poi avvicinarsi al suo borsone e tirar fuori il trasmettitore dei Teen Titans. Lo esaminò con sguardo vuoto, per poi estrarre un piccolo chip nascosto nel retro. Lo strinse tra le dita come fosse una pietra preziosa e s'andò a stendere.
Aveva bisogno di dormire, l'indomani sarebbe stata una lunga giornata.


 


 

***



Jason strinse Terra a sé e sentì affondare il suo corpo mingherlino contro la sua felpa. In un attimo, la ragazza lo ricambiò.
Poteva sentire l'odore fresco di doccia e il collo morbido della ragazza contro la sua guancia, mentre serrava le braccia attorno a lei. Chiuse gli occhi, non voleva lasciarla andare.
Rimasero così per un tempo indefinito, che sembrava lunghissimo e corto allo stesso tempo.
Non abbracciava qualcuno da così tanto tempo che aveva dimenticato cosa si provasse, cosa si sentisse. Un abbraccio che aveva ricambiato volentieri, almeno.
Si staccò e osservò quella ragazza bionda dagli occhi azzurri, che lo fissava immobile. E lei c'era riuscita ben due volte. Odiava ammetterlo, ma era diventata più importante di quanto pensasse. Forse poteva definirla addirittura... un'amica.
Sorrise a mezza bocca.
“Non ti ci abituare.”
Terra scoppiò a ridere.
“Faresti di tutto pur di non ammettere di tenere a qualcuno.”
Jason incrociò le braccia.
“Primo: non so di cosa parli. Secondo: brava, hai rovinato il momento.”
Terra si lasciò andare a un sorriso.
“Robin? Me? Solo per citarne due.”
“Anche perché li hai finiti.”
“Ah!” Terra si allontanò di un passo e lo indicò. “Lo hai ammesso!”
Il ragazzo fece spallucce e roteò gli occhi.
“Ti prego dammi tregua.”
Terra andò a sedersi sul letto mentre il ragazzo rimaneva imbambolato in mezzo alla stanza.
“Comunque accetto le tue scuse.”
Jason si girò verso di lei con espressione oltraggiata.
“Quali scuse? Rimane che mi hai venduto.”
Terra annuì.
“Sì sì, va bene. Siamo pari. Ora dormirei che domani la giornata è lunga e tu devi prepararti a riabbracciare anche tuo fratello.”

Jason s'avvicinò alla ragazza e si chinò su di lei, prendendole una guancia tra le dita come si fa ai bambini.
“Non accetto ordini da una che ancora non è riuscita a dare neanche un bacetto a quel poveraccio del tipo verde.”
La pelle di Terra cambiò colore di fronte a lui, diventando paonazza. Aprì la bocca per rispondere a tono fin troppo alto.
“E tu che ne sai?”
“Me l'hai appena confermato.”
Jason le sorrise con tono di sfida e si allontanò verso l'uscita.
“Scusa?”
“Hai capito benissimo. Buonanotte.” Disse, prendendola in giro e facendole l'occhiolino.
Uscì e chiuse la porta.
La voce di terra riecheggiò, mentre tornava nella sua camera.
“Non so di che parli!”
Il ragazzo alzò gli occhi al cielo.
“Certo, come no,” sussurrò.




 

 

 

Angolo dell'autrice
Salve! Due mesi sono passati, ma alla fine sono tornata.
La storia sta giungendo al termine, mancheranno ormai quattro-cinque capitoli + epilogo.
So che ormai non viene seguita quasi da nessuno, se non proprio da nessuno, ma già che ci siamo continuiamo a ballare.
Il titolo del capitolo è ispirato a una canzone meravigliosa tratta da una serie musical ancor più meravigliosa: Crazy Ex Girlfriend.
La canzone si chiama No one else is singing my song e tratta della solitudine e di come in realtà siamo tutti uniti dalle stesse emozioni.
Se vi dovessero piacere i musical recuperate questo gioiello, ve lo consiglio. Ottima scrittura, ottima qualità di regia e montaggio e ottimi personaggi. Non ve ne pentirete.
La solitudine è la protagonista di questo capitolo. Tutti i personaggi principali, che siano buoni o cattivi, non riescono a dormire di notte e benché le loro vite siano in un punto molto difficile, tutti hanno trovato conforto in qualcun altro che provava esattamente la stessa cosa.
Nessuno si salva da solo e nessuno di noi sa quanto effettivamente un piccolo gesto possa fare alla vita di qualcun altro.
So peace and love and always be kind, che non costa niente e si rischia solo di fare del bene.

Buona lettura per i sopravvissuti e alla prossima puntata!

xx C


PS. Ecco il link. Avvertimento: se volete vedere la serie il video contiene degli spoiler dell'ultima stagione.


https://www.youtube.com/watch?v=r1GwEkQ5Sro

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Capitolo 31
*** Ti fidi di me? ***


TI FIDI DI ME?

 

 

 

 

 

“Pronta?”
Terra si trascinò dentro la sala di controllo. Jason le dava le spalle, mentre armeggiava ai comandi. Dal parabrezza si vedeva una distesa verde, punteggiata da boschi e case.
“Definisci pronta, non sono nemmeno le sette...”
Terra si strofinò il collo e si andò a sedere vicino al ragazzo.
“Dove siamo?”
Jason tirò delle leve e si mise ad armeggiare al computer di bordo, digitando almeno una decina di cifre in un secondo.
“Arriviamo tra mezz'ora,” rispose lui, “sto chiedendo il permesso di atterrare.”
“Permesso? Andiamo in un aeroporto normale?”
Jason scosse la testa.
“Con questo trabiccolo è l'unico modo. Non capisco perché Dickhead non si sia portato dietro uno dei jet del vecchio.”

La ragazza appoggiò i gomiti sulle ginocchia e si sporse in avanti, curiosa.
“Vostro padre?”
“Quando si ricorda.”
Jason prese una ciambella da un sacchettino di carta e l'addentò con foga, lasciando cadere dei granelli di zucchero sui pulsanti sottostanti.
Lo stomaco di Terra brontolò alla sola visione.
“E quella dove l'hai presa?”
Jason ridacchiò.
“Mia scorta personale.”
Il ragazzo sottolineò il mia con molta veemenza, tanto da meritarsi un colpetto alla spalla in risposta.
“Dai! Sai da quanto non mangio?”
Jason le passò la busta aperta e la guardò: la sua espressione passò dal divertito allo sbigottito e poi a un sorriso a mezza bocca.
“Ah, nuovo look. Effettivamente può essere d'aiuto.”

Terra sorrise e si ritrasse, portandosi la mano destra ai capelli che ora le sfioravano a stento le spalle.
“Ho pensato che avrebbe potuto esserci un po' di confusione oggi e che forse era il caso di rendere le cose più semplici a tutti.”
Jason annuì.
“Furba.” disse e finì la ciambella, per poi girarsi verso di lei “Stai bene.”
La ragazza sorrise inclinando la testa da un lato.
“Grazie!”
“Sono sicuro che tipo verde apprezzerà.”
Terra rispose con un pugno, ben più forte del precedente, sulla sua spalla. Jason scoppiò a ridere e se la massaggiò.
“Conserva le energie per questo pomeriggio. E mettiti la cintura che atterriamo.”
E così come aveva detto spinse dei pulsanti e l'aereo iniziò a diminuire la velocità, perdendo quota. Terra sentì l'ansia stringerle lo stomaco in una morsa. Rimise la ciambella nella busta e e si pose una mano sullo stomaco.
Red X continuò.
“L'evento sarà stasera alle sei e sarà blindato.” Tirò a sé la cloche raddrizzando il muso del velivolo. “Abbiamo dalla nostra l'effetto sorpresa, ma non sappiamo chi potrebbe essere nostro nemico, anche non volendolo.”
Terra annuì, non proferendo parola.
“In poche parole?”
Red X premette un pulsante: con un rumore metallico il carrello si aprì e scese. Il rumore dell'aria che sferzava contro l'aereo era sempre più forte e la pista alla loro sinistra sempre più vicina.
“In poche parole vado io.”
Terra spalancò gli occhi.
“Cosa!?”
Il ragazzo virò e l'aereo s'inclinò docile sotto il suo comando.
“Terra, ho già esperienza con queste missioni, le faccio da tutta una vita. In più sei troppo preziosa al momento. Cosa succederebbe se ti scambiassero con Rose? Senza contare il panico che si spargerebbe a macchia d'olio per tutta la capitale.”
La ragazza si stava torturando le dita in grembo, ma socchiuse gli occhi. Quella storia sarebbe finita e sarebbe finita subito.
“Va bene. Tu dimmi cosa devo fare.”
Red X sorrise con un angolo della bocca.
“Segnerò questa giornata sul calendario. È la prima volta che mi dai retta.”
Terra roteò gli occhi con espressione esasperata, ma non rispose.
Le ruote toccarono l'asfalto in un unico movimento dolce.


 


 

***

 

 

 

 


Terra si massaggiò il collo, mentre si guardava intorno. La piazza antistante il palazzo del parlamento era gremita di gente, flash esplodevano da ogni parte, con giornalisti da ogni parte del mondo.
Come poteva un Paese così piccolo raccogliere tutta quell'attenzione? In un attimo, si sentì schiacciata dalla pressione. Avrebbe dovuto esserci lei sul palco, avrebbe dovuto far parte della famiglia reale e, al contrario di quello che molti avrebbero potuto pensare, l'idea non le piaceva per niente.
Preferiva essere la sorella dall'America che Gregor e Brion potevano vedere in vacanza o alle feste comandate. Ne sarebbe stata felicissima, ma non più di quello. Avrebbe voluto far parte della loro vita il più possibile ma senza tutti i fronzoli regali del caso.
Si mordicchiò l'interno della guancia, mentre cercava d'individuare i suoi amici nella folla. La polizia locale e le guardie reali stavano trattenendo la folla fuori dalla portata del palazzo, sorvegliando dal retro delle transenne.
Qualche soldato in alta uniforme a cavallo passeggiava per il perimetro, per poi confrontarsi con i colleghi ai picchetti ai quattro vertici della piazza.
Terra si calò di più il cappuccio sulla fronte. Aveva addosso la felpa di Red X, che le scendeva fino a metà coscia. Aveva rivoltato le maniche fino a sotto i gomiti e si era messa dei pantaloni comodi che aveva trovato nell'aereo. Niente uniforme, né dei Teen Titans né precedente.
S'allontanò verso il margine della piazza. Mancava mezz'ora. Prese un cellulare che le aveva fornito Jason poco prima. Scrisse.
“In posizione.”


 

***



 

“Sei perfetta.”
Zero sorrise di fronte al ragazzo rosso in alta uniforme, che la guardava con occhi pieni d'affetto.
“Grazie, Brion” mormorò in risposta.
Si lasciò cullare dalla voce calda di quello che avrebbe dovuto essere suo fratello, appena prima che una piccola morsa le pizzicasse lo stomaco. Si morse il labbro e si girò verso lo specchio, come se cercasse con il movimento della testa di scacciare i pensieri dalla sua mente.
“È proprio obbligatorio tutto questo?”
Si passò una mano tra i capelli, che sembravano incollati alla sua testa da tutta la lacca e le forcine che le avevano messo. Si massaggiò la tempia, era difficile perfino pensare da quanto era tirata la pelle.
Brion le circondò le spalle con un braccio.
“Stai tranquilla, andrà benissimo. Sono qui con te.”
Zero fece una smorfia ma lasciò che la stringesse a sé. Sentì il battito del suo stesso cuore rallentare un pochino, costretto nel bustino dell'abito azzurro cielo.
“Spero di riuscire a camminare,” abbozzò.
Brion le allungò il braccio, rispondendole solo con un sorriso rassicurante.
“Ti aiuto io.”
La ragazza annuì, lasciando scorrere la mano sulla sua manica e aggrappandosi al suo braccio. Fece un passo, il suo corpo ondeggiò come un fuscello non appena pose il peso sul tacco.
Il suo sguardo tornò a Brion: il ragazzo non aveva mutato espressione, aveva sempre il suo solito sorriso.
Abbassò gli occhi e si strinse a lui per uscire dalla stanza.
Il corridoio non le era mai sembrato tanto lungo, ma piano piano il suo equilibrio migliorava e la ragazza non sembrava più un koala attaccato a un ramo. Ogni tanto Brion la riprendeva con dolcezza, esortandola a tenere la schiena dritta e a sorridere, ma poi si lasciava sempre andare a un buffetto sulla sua guancia per alleggerire la tensione.
Benché nel suo cuore fosse contenta, il suo stomaco non sembrava essere d'accordo. C'era come un brusio di sottofondo, una piccola pressione sulla sua pancia, che rendeva tutto... più brutto.
Passarono pochi minuti prima che due guardie li raggiungessero e facessero un inchino.
Brion tornò serio mentre li osservava.
“Vostra Altezza Reale, Principe di Markovia, il re l'attende alla sala del trono.”
Il principe annuì e proseguì con la ragazza al braccio. Alla fine del corridoio li attendevano tre figure: due uomini vestiti di tutto punto e... sua madre. Era sua madre?

Gettò uno sguardo a Brion a fianco a lei, che ora guardava in avanti con espressione sicura, la reggeva ancora, senza fatica.
“Vostra Altezza Reale, Principe di Markovia.”

Zero si fermò e si staccò dal ragazzo, mentre lui rivolgeva un cenno ai tre e si lasciava alle formalità.
“È tutto pronto, Vostra Altezza.”
“Molto bene, procediamo allora.”
Rose si strinse nelle braccia mentre guardava il principe parlare con quegli uomini. Sentì il tessuto scorrerle sotto ai polpastrelli, mentre si sistemava l'orlo delle maniche.
Quando finalmente si mossero verso la grande porta alla fine del corridoio, inspirò e provò a camminare da sola. Un passo, un altro, poi la caviglia cedette.
La ragazza volò in avanti, ma due braccia la presero al volo. Lei s'aggrappò più che poté e alzò la testa. Sua madre l'aveva presa e la stava guardando con un sorriso in volto.
“Attenta, principessa.”
Sorrise di rimando e si rialzò, per poi riprendere il braccio di Brion già pronto. S'incamminarono così verso l'evento, senza sprecare altre parole. In quel momento, l'unica a cui riusciva a pensare era sua sorella.

 

 

 

 

***
 



 

Raven si trovava al centro della stanza, a gambe incrociate, levitando a mezz'aria. Con gli occhi chiusi stava tentando di scandagliare il palazzo da cima a fondo, alla ricerca di un indizio.
“Hai trovato qualcosa?” mormorò Star, volandole attorno.
Raven aprì un occhio e puntò lo sguardo su di lei.
“Sarebbe più facile se sapessi cosa devo cercare.”
Cyborg era seduto alla scrivania, sfogliando le cartelle che avevano ottenuto da Red X qualche tempo prima.
“Sto leggendo e rileggendo ma non trovo niente di nuovo.” Iniziò, mentre Raven passava il suo guardo da Starfire all'androide.

“Però sicuramente un laboratorio potrebbe essere d'aiuto,” concluse Cyborg.
La mezzodemone chiuse l'occhio e si concentrò di più. Dai suoi vestiti cominciarono a materializzarsi riccioli di fumo neri, che poi diventarono come fiamme fredde ed evanescenti. In pochi secondi un gigantesco corvo dagli occhi rossi troneggiava ad ali spiegate sopra di loro, per poi sparire nel soffitto con un colpo d'ali.
Raven rimase per qualche secondo immobile, le labbra serrate e gli occhi chiusi. Starfire la guardò, in attesa, ma la ragazza non sembrava volersi ridestare.
Star sospirò e si girò verso Cyborg: lui fece spallucce e tornò ai suoi documenti.
Toc toc.
Starfire sobbalzò e guardò la porta, per poi cercare Cyborg. Il ragazzo si fece serio e s'alzò per nascondere i documenti nella tracolla, cercando di non far rumore. Portò l'indice alla bocca facendo segno all'aliena di fare silenzio.
Toc toc.
Arrivo subito.”
Cyborg posò le dita sulla maniglia e aprì la porta, socchiudendola solo quel tanto che bastava per guardare fuori.
Un uomo biondo e in alta uniforme lo guardava con fare austero.
“Sì?” incalzò Cyborg.
“Mi duole interrompervi,” iniziò il nobile ben rasato, mentre si sistemava le maniche, “ma mi hanno chiesto di chiedervi come mai non siete al grande evento.”
L'androide tentennò per un attimo, quando vide una mano arancione posarsi sul suo braccio. Starfire lanciò il suo sorriso più gentile.
“Vi prego di scusarci, ma la nostra amica non si sente bene.”
L'uomo passò lo sguardo su entrambi, imperscrutabile, per poi assumere un'espressione contrita.
“Mi rattrista molto,” disse mentre spostava il peso su una gamba per cercare di scorgere la stanza alle loro spalle. Cyborg istintivamente si pose come barriera.
“Permettetemi di chiamare il medico di corte,” continuò.
Starfire alzò una mano e sorrise.
“Non ce ne sarà bisogno, si riprenderà in un secondo, signor?”
L'uomo sorrise di rimando.
“Conte Vittings, primo ministro.” Fece un passo all'indietro, come a voler dare ai due i loro spazi. “Mi permetto d'insistere. Spero di vedervi presto alla legittimazione.”
Cyborg aprì la bocca per parlare.
“Ma hai sentit-”
La mano di Starfire lo zittì un'altra volta.
“Non sappiamo come ringraziarla, non volevamo disturbare.”
L'uomo sorrise e tentennò qualche secondo, nel quale tutti e tre si guardarono senza altre parole.
“I miei ossequi.” Concluse, allontanandosi e svanendo nel corridoio.
Cyborg aspettò che avesse girato l'angolo, per chiudere la porta e girarsi verso Star.
“Sei impazzita?!”
Starfire si portò le mani ai fianchi e levitò in modo da essere più alta dell'amico.
“Non possiamo dare nell'occhio! Hai sentito che ha detto Robin!”
Cyborg sospirò e scrollò le spalle.
“Tanto saremo fuori di qui a momenti. Spero.”
“L'ho trovato.”
I due ragazzi si girarono verso la fonte di quelle parole. Raven era in piedi, col cappuccio già calato in fronte.
“Ci metteremo un po'.”


 

 

 

***


 


Robin scandagliava l'interno del salone, mantenendosi accostato al muro. Gli invitati a quell'evento erano poco più di una manciata, semplici da sorvegliare, ma comunque non si sentiva sicuro. Slade, o Anne, o la stessa Rose avrebbero fatto la loro mossa in quelle ore.
Il re si trovava a fianco alla moglie incinta al centro della sala, poco più in là Brion torreggiava vicino a quella che avrebbe dovuto essere Terra. Sembrava teso, e non poteva biasimarlo.
S'appoggiò con la schiena al muro e incrociò le braccia. Ancora non era sicuro che fosse stata una buona idea rivelargli lo scambio, ma se le cose si fossero messe male non poteva permettersi di avere Geo-Force come avversario.
Era riuscito a malapena a calmare il principe dopo averglielo confessato: l'aveva sovrastato per un attimo con la voce, appena in tempo prima di sentire il regista pronunciare le parole “Siamo in onda!”. Poi, come se fosse sceso un incantesimo sul reale, s'era ricomposto con il suo miglior sorriso.
Robin continuò a spostare lo sguardo in ogni angolo della sala, ma questa le rimandava solo visioni di quadri antichi e di mobili quattrocenteschi. Il tempo era passato come acqua da un rubinetto che perde: inesorabile ma lentissimo. Il leader fece scrocchiare il collo e tentò di rilassare i muscoli delle spalle.
Il re di Markovia fece un passo avanti.
“Ed è così che presento a voi, fiero popolo di Markovia, la principessa Tara Markov.”
Gregor Markov si girò col busto verso la ragazza e le fece cenno d'avanzare. Lei obbedì e camminò leggiadra verso il sovrano, sorridendo. Si fermò, serena e ben dritta al suo fianco, alzando la mano per salutare le telecamere senza muovere troppo il polso.
Il volto di Robin si fece più serio: quella ragazza sembrava un manichino, completamente diversa da quella che aveva conosciuto..
Nulla s'udì in risposta a quelle parole, se non l'applauso di qualche cameraman. Brion si mosse dal suo posto e s'avvicinò al fratello, per sussurrargli qualcosa all'orecchio. L'uomo annuì.
Qualcosa attrasse l'attenzione di Robin, un fruscio. Zero aveva portato una mano alla gonna, infilandola in una piega del tessuto, i suoi occhi brillarono d'azzurrino.
Il ragazzo scattò verso di loro. Un rombo assordante invase l'edificio: la terra iniziò a scuotersi violenta, a tremare, portando con sé pezzi di soffitto e calcinacci.

Robin perse l'equilibrio e cadde al suolo: l'unica cosa che riuscì a fare fu proteggersi la testa con le mani.
Durò secondi che sembrarono minuti, anzi, ore. Non aveva mai sentito qualcosa di altrettanto forte e potente: chiunque fosse, qualunque cosa fosse, Rose andava fermata.
Così com'era arrivata la scossa tacque. La polvere invadeva la sala rendendo difficile la vista e dei detriti erano a terra accatastati. Robin si portò una mano alla bocca, cercando di respirare meglio nell'aria pesante.
S'accucciò pronto a scattare di nuovo.
Gregor era con la moglie, la stava abbracciando cercando di farle forza col suo corpo in mezzo al trambusto. Brion tossiva piegato in due. Ma non erano loro quelli che Robin stava cercando. Si tirò su in piedi, mai togliendo il guanto da labbra e naso. Rose era lì in mezzo, la gonna strappata e i piedi scalzi, i capelli scomposti e una smorfia dolorante. Aveva una pistola in mano, diretta verso il re.
Dick tese la mano avanti a lui e urlò.
“NO!”
Brion lo guardò interrogativo per poi seguire con gli occhi la traiettoria del suo braccio. Il suo volto si trasmutò in una maschera di terrore.
L'arma sparò. Il tempo sembrò dilatarsi mentre il proiettile percorreva la sala, diretto al re di Markovia, stretto a sua moglie e suo figlio.
Ma il tempo non si dilata mai davvero. Fu poco più di un istante e la pallottola colpì, lacerando il tessuto ricamato dell'uniforme e perforando i piani della carne in un rumore attenuato.
Robin guardò la scena con occhi spalancati e la bocca aperta. Di fronte a lui, Brion aveva avvolto i due sovrani tra le sue braccia, facendo da scudo e subendo il colpo.
Il principe crollò, acchiappato dal fratello e soccorso dalle poche guardie presenti. Robin non udì più alcun rumore: vide le lacrime solcare gli occhi di Gregor e Ilona urlare terrorizzata con le mani al petto. La scena sembrava ai suoi occhi come contenuta in una palla di vetro, una diapositiva di un film messo in pausa, immobile nel suo dolore lacerante. La testa di Brion riversata sul petto del fratello, i capelli rossi scompigliati, la maschera straziante di Gregor che cercava di svegliarlo urlando.
 

Tic.

Tac.

Tic.


Robin si guardò intorno allarmato.

Tic.
Tac.
Tic.


Il ticchettio si faceva più forte. Robin lo sentì aumentare e aumentare fino a trapanargli il cervello. Conosceva quel ticchettio, fin troppo bene. Il suo petto s'alzava e abbassava, si portò una mano al ventre, non riusciva a respirare.
Un'altra scossa.

“Salutami il vecchio, Dick.”

Robin tossì, stringendo le dita sulla tuta all'altezza del ventre. Il calore tornò ad ardere le sue membra, per la seconda volta in poco tempo dopo anni sopiti.
Per la seconda volta un fratello era morto.
Cadde in ginocchio e gettò il volto all'indietro. La vista si stava annebbiando: per un attimo, gli sembrò di vedere un uccello nel cielo buio.
 

 

 

 

***


 

 

 

Terra si guardò intorno. La piazza era gremita di gente, vestita di tutti i colori. Qualcuno portava avvolta attorno alle spalle la bandiera di Markovia: gialla e verde brillante, come il loro sole e le loro valli. Molti sorridevano, qualcuno parlava di congetture del governo per poterli comandare meglio, altri si chiedevano allora chi fosse la povera ragazza ritrovata nel bosco che avevano visto al telegiornale.
Rabbrividì al solo pensiero, per poi tornare a scandagliare la folla.
Fu un attimo, un guizzo verde tra gli altri colori. Beast Boy! Il mutaforma camminava guardandosi intorno con fare concentrato, ma allo stesso tempo preoccupato, vestito della sua solita tuta viola e nera.
Il cuore le saltò un battito, per poi prendere a galopparle nel petto, impazzito. Con il pollice si torturò le altre dita della mano, mentre si mordicchiava l'interno della guancia.
Sentì le guance colorirsi di porpora fino alle orecchie. Non aveva pensato ad altro fino a quel momento, e ora che era lì si sentì piantata a terra, immobile.
BB sembrò sentire i suoi pensieri, perché si voltò e la sua bocca s'aprì, mentre lo sguardo si faceva incredulo.
“Terra?”
La ragazza non riuscì nemmeno a udire quelle parole in mezzo a tutto il trambusto, ma si scolpirono comunque nella sua mente, chiare come non mai.
“BB,” mormorò di rimando.
“Terra!” Ripeté lui, questa volta convinto mentre scattava verso di lei.
Lei gli sorrise e il nodo in gola si sciolse, gli occhi s'inumidirono. Il mutaforma azzerò la distanza tra loro e l'avvolse tra le sue braccia, spingendola a sé.
“BB...”
Terra si tuffò nell'abbraccio e lo strinse più forte che poté, come se avesse paura che sarebbe potuto scappare da un momento all'altro. Si godette il suo odore, il calore del suo corpo, il respiro emozionato tanto quanto il suo.
Il ragazzo si staccò e la guardò, sembrava fosse stato appena testimone di un miracolo.
“Stai bene? Come hai fatto ad arrivare? Sei ferita? Avevo paura di non rivederti mai p-”
Beast Boy non concluse mai la frase.
Le labbra di Terra si calarono sulle sue e interruppero il suo flusso di pensieri sconnessi. Le guance della ragazza si rigarono di lacrime, mentre le sue labbra cercavano avide quelle di BB. Voleva assaporarne il sapore e il calore. Voleva potergli comunicare così quanto le fosse mancato e quanto in realtà avesse sempre voluto farlo.
Voleva che quel bacio potesse riempire tutto il tempo perso, tutte le paure, tutte le incomprensioni, tutte le sue insicurezze.
Dopo un attimo d'esitazione, il ragazzo ricambiò quella danza e le appoggiò una mano sulla schiena. L'attirò a sé, facendo toccare i loro ventri, mentre con l'altra passava le dita tra i suoi capelli e l'accarezzava come se fosse il suo tesoro più prezioso.
Terra si staccò appena per guardarlo negli occhi: nel suo sguardo non c'era più alcuna preoccupazione o confusione. Gli sorrise.
Lui le sorrise di rimando, per poi ridestarsi come da un sogno. In un secondo sembrò connettere quello che era appena successo e avvampò. Terra ridacchiò e gli scoccò un bacio sulla guancia.
“Mi sei mancato.”
Beast Boy sembrò rilassarsi a quel tocco e appoggiò la fronte alla sua.
“Anche tu, non sai quanto.”
Il cellulare vibrò nella tasca di Terra e la riscosse. Lei si staccò piano dalla stretta del mutaforma.
“BB, dobbiamo agire subito. Quella nel palazzo non sono io. Siete tutti in pericolo.”
Beast Boy sciolse l'abbraccio e le prese le mani tra le sue.
“Lo sappiamo. Cy, Rae e Star stanno indagando su quello che sta succedendo. Qui siamo solo io e Robin, ma lui è con Geo-Force e Zero.”
Terra aggrottò la fronte, poi iniziò a camminare portandosi dietro BB, diretta verso la fine della folla. Non c'era tempo da perdere.
“Ehi! Dove mi porti?”
Terra non rispose, mentre il ragazzo si lasciava trascinare. Era al limite del perimetro creato dalla polizia, anche se in quel momento gli agenti si stavano dirigendo quasi tutti verso la zona antistante al palazzo. Osservò il vicolo stabilito con Red X qualche ora prima, ma la paura le saltò nel petto, avvolgendosi attorno al suo cuore come un serpente. Chiuse gli occhi e cercò d'ignorarla.

Piuttosto si girò verso BB che le teneva ancora una mano.
“Come facevate a sapere che non ero io?”
Il ragazzo sorrise a trentadue denti, gonfiando il petto trionfante.
“Nessuno sfugge al mio fiuto,” esclamò, indicandosi il naso con l'indice libero.
Terra ridacchiò, stringendogli la mano tra le dita.
“Come potevi pensare che non riuscissi a capire la differenza?” Aggiunse poi BB, con un tono più dolce. “Ci vuole ben altro che un clone.”
Come un nastro di seta morbido, il terrore che la stringeva come una morsa si sciolse per sparire senza lasciare traccia. Lui l'aveva riconosciuta e lei si chiese come avesse potuto dubitarne anche solo un secondo.
Il telefono vibrò di nuovo. Il tempo stava scadendo.
“Devo andare!” esclamò avvicinandosi alla transenna.
Beast Boy la prese per il polso e la strattonò a sé.
“Non posso perderti di nuovo!”
Terra lo guardò, donandogli un sorriso dolce. S'avvicinò e gli poggiò una mano sulla guancia: gli occhi del ragazzo erano spalancati e impauriti.
“Ti fidi di me?”
BB la guardò per qualche secondo, poi l'espressione mutò. Ora era risoluta.
“Più di chiunque altro.”
Terra s'avvicinò e gli scoccò un bacio sulle labbra, per poi ritrarre la mano e sorridere in maniera sicura.
“Ho bisogno di te.”
“Qualunque cosa.”
Una ciocca cadde sulla fronte della ragazza, andandole a coprire l'occhio, ma Beast Boy la riportò subito dietro l'orecchio con le dita.
“Devi far evacuare tutte queste persone da qui, in modo che nessuno si faccia male.”
BB annuì.
“E tu?”
Terra si scrocchiò le nocche e chiuse i pugni, nascondendoli nella felpa.
“Cercherò di non far loro male.”
La ragazza scavalcò la transenna e s'infilò nel vicolo a colpo sicuro. Da lì poteva ancora vedere l'edificio, essendo abbastanza vicino, anche se era difficile calcolare le distanze.
Un leggero bagliore filtrò attraverso le maniche, mentre gli occhi si tingevano di giallo vivo, splendente. Sul viso iniziarono a comparire vene rosse, come fiumi di lava, che scendevano per il collo e s'insinuavano sotto i vestiti. Sapeva dove stavano convergendo. Sentì la ferita nel suo ventre accendersi, come una fornace incandescente, il calore pervaderle il corpo fino agli arti, tornando indietro come dei flutti di puro fuoco.
BB si trovava ancora al limitare della folla, indeciso. Lei gli rivolse lo sguardo più sicuro che avesse per cercare di sciogliere la sua preoccupazione. Sorrise e mosse le labbra.
“Vai,” gli intimò, senza proferir alcun suono, solo col labiale.
Lui annuì titubante e scomparve nella folla. In un istante, un'aquila verde si librò in cielo ad ali spiegate.
Terra inspirò a fondo e socchiuse gli occhi, concentrata.
Fu un attimo. Un rombo invase la piazza, la terra tremò. La gente iniziò a urlare, ma lei non la sentì. Vedeva solo le loro bocche aprirsi senza emettere alcun rumore, a rallentatore.
Il tempo si dilatò, mentre sentiva formicolare le dita. Rivolse lo sguardo al palazzo dov'era appena avvenuta la legittimazione.
Portò i pugni lungo i suoi fianchi e aprì le mani, distanziando le dita: la lava dentro di lei ruggiva come una bestia in catene, pronta a liberarsi.
Urlò e iniziò a sollevare le braccia. Le parvero pesanti come il piombo, mentre in un altro rombo iniziavano ad emergere degli enormi muri dal terreno, lunghi più di tutto il perimetro del palazzo, spessi per decine di metri.
Il petto le ruggì mentre la terra emergeva dalle profondità e andava a creare una cupola impenetrabile attorno all'edificio.
Si piegò in ginocchio, mentre richiamava a sé ogni energia per trasferirla al suolo. Sapeva che la terra non l'avrebbe tradita: lei era la terra.
I muri si piegarono e conversero verso un unico punto in cima al centro del palazzo. Si fermò, il petto le s'alzava e abbassava come un mantice, il cuore le pompava il sangue nelle arterie come aveva mai fatto prima.
“Forza...” mormorò tra un respirò e l'altro.
Passarono dei secondi, in assoluto silenzio, poi il cellulare le vibrò in tasca.
Sospirò di sollievo e strinse i denti, portando le mani una nell'altra, dito intrecciato con dito, palmi uno addosso all'altro.
La cupola si chiuse in un rumore sordo, impenetrabile.
Terra lasciò cadere le braccia lungo i fianchi, i dorsi delle mani toccavano terra mentre cercava di recuperare fiato, ansimando a bocca aperta.
Chiuse gli occhi lasciando che i muscoli riprendessero energia. Ruscelli di terra iniziarono a spaccare l'asfalto in piccole crepe. Fuoriuscirono dalle fenditure per ricongiungersi a lei, avvolgendole i polsi e le caviglie. Terra sospirò di sollievo mentre quel contatto le ridonava forze ed energia vitale. La terra s'insinuò nella sua pelle come se non vi fosse alcuna barriera e prese a scorrere nelle sue vene, tornando ad alimentare il nucleo nel suo ventre.
Buttò la testa all'indietro mentre il processo di guarigione continuava e i suoi muscoli trovavano sollievo.
“Oddio, cos'è quella cosa.”
Terra spalancò gli occhi e li rivolse all'uomo che la indicava, affiancato da un agente di polizia.
Entrambi avevano un'espressione di puro orrore in volto.
La ragazza s'alzò in piedi e si calcò meglio il cappuccio sulla fronte. Li guardò di rimando, mentre gli occhi tornavano gialli.
L'agente estrasse la pistola e gliela puntò addosso, con entrambe le braccia tese di fronte a lui.
“Stai indietro!”
Terra alzò le mani, portandole dietro alla testa. L'altro uomo si ritrasse dietro il poliziotto, usandolo come scudo.
“Sei un mostro.
La ragazza sentì il suolo brontolare sotto di lei attraverso i piedi. Sorrise.
“Forse un po'.”
Il terreno s'aprì e lei scivolò nelle viscere del buco appena creato, per poi richiuderlo al suo passaggio.















Note dell'autrice


Ehilà!
Stranamente stavolta non è passato così tanto tempo, sono fiera di me. Siamo alle battute finali, i prossimi tre capitoli saranno pieni di adrenalina e di scoperte. Finalmente si scopriranno i piani dei cattivi, che fino ad adesso sono stati volutamente grigi e misteriosi.
Cosa vorrà davvero Anne? E Slade?
Spero di poter rendere loro giustizia.
Poi avremo un finale e un epilogo: questo viaggio sta per terminare e solo qualche anno fa non me lo sarei mai aspettata. Ci sono stati dei periodi in cui non solo non avevo più alcuna voglia di scrivere, ma proprio non volevo più vedere questa storia nemmeno dipinta.
Sono davvero felice che poi le cose col tempo siano cambiate.

C'abbiamo messo 31 capitoli ma ce l'abbiamo fatta! BB e Terra sono diventati ufficialmente una coppia e io esulto per esserci riuscita. Meglio tardi che mai!
Scusate se la nota non è un granché ma sono ancora distrutta dopo aver scritto questo capitolo tutto d'un fiato e spero davvero che vi piaccia com'è piaciuto a me.

Per i curiosi, questa è stata la colonna sonora di questo capitolo, soprattutto della seconda metà:

https://www.youtube.com/watch?v=DFX7v83OTbc


Grazie ancora ai recensori e a chi è arrivato fino a qui dopo tutti questi anni.

XX C

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Capitolo 32
*** Il distruttore ***


Aggiungo questa piccola nota pre capitolo per avvertire della presenza di una scena piuttosto violenta.

 







IL DISTRUTTORE

 

 

 

 

 

 

 

Zero corse verso il portone. Le orecchie le fischiavano e non aveva intenzione di rimanere in quella stanza un minuto di più. Appena aveva visto Robin accasciarsi al suolo, aveva deciso che quello sarebbe stato il momento giusto per andarsene.
E quindi corse. I piedi nudi sbattevano sul marmo freddo; i suoi occhi s'illuminarono. Subito una pietra s'alzò da terra. Con un gesto la scaraventò verso la porta, sfondandola.
Mancava solo l'ingresso e poi finalmente se ne sarebbe andata da sua sorella. Basta con sua madre, basta con suo padre, basta con tutti. Sarebbero state solo lei e Quattro, finalmente dopo un tempo che le sembrava infinito.
Prese la rincorsa e saltò la gigantesca scalinata che la separava dall'entrata, mentre faceva levitare una lastra di marmo. Zero vi atterrò e s'accovacciò per acquistare velocità.
Un guizzo, nella coda dell'occhio, un luccichio scarlatto. Non volevano lasciarla andare.
Sbatté la mano sulla pietra per farla ruotare su se stessa a novanta gradi mentre lei s'issava con una mano al bordo e con i piedi a fare leva. Il marmo si girò di scatto e si pose in posizione verticale, parando tre batarang che si conficcarono perfettamente al centro. Si voltò all'indietro per vedere la porta che s'avvicinava: con un gemito fece ruotare la lastra su se stessa descrivendo un salto mortale e con i piedi la lanciò verso l'entrata.
La roccia volò veloce verso la destinazione e si schiantò, spaccandosi però in due come una mela. Al suo posto, tra i detriti, un ragazzo in tuta colorata: Robin.
Il leader dei Titans ruotò il bastone con mossa agile e si pose in posizione da combattimento.
“Di qui non passi.” disse.
Zero atterrò per terra e si strappò ancora di più il vestito in modo che fossero libere anche le ginocchia e le braccia.
“Fatti da parte.”
Robin scattò e lanciò due batarang. Zero li schivò scartando su un lato, quando un terzo la colpì sulla guancia, tagliandola.
Emise un gemito, una goccia di sangue scese dal suo volto, arrivando al mento. Robin era di fronte a lei e la provocava facendole segno di avvicinarsi con la mano.Il taglio si rimarginò così com'era stato fatto.
“Perché lo stai facendo?” chiese il ragazzo.

I pugni di Zero s'illuminarono e due zolle s'alzarono spaccando il terreno. Urlando le lanciò verso di lui, una dietro l'altra. Robin caricò sulle gambe e saltò: atterrò sulla prima e la usò come piattaforma per balzare verso di lei con il bastone sguainato.
Zero chiamò a sé frammenti di marmo che corsero a ricoprire il suo avambraccio destro, come uno scudo. L'impatto con l'arma le fece fare una smorfia, l'onda d'urto si propago lungo tutto il suo arto.
Per un secondo si trovarono faccia a faccia, occhi negli occhi.
“Quattro.” rispose, per poi scaraventarlo via con un colpo.
Robin saltò all'indietro facendo una capovolta. Zero corse verso di lui, compattando il marmo su tutta la sua mano come un guanto. Affondò un pugno, ma Robin lo schivò e le prese il braccio, torcendoglielo dietro alla schiena.
“Quattro?”
Una fitta di dolore la prese fino alla spalla per poi sopirsi e riacutizzarsi a ondate. Con l'altro braccio gli diede una gomitata che lo colpì allo zigomo, allentando la presa del ragazzo per un secondo, quello che le bastava per piegarsi e ruotare facendogli lo sgambetto.
Robin cadde a terra. Zero lo sovrastò e caricò il colpo per poi scaraventare il pugno a terra. Il leader rotolò alla sua destra e osservò con orrore il cratere che si era formato dove prima c'era la sua faccia. Le lanciò una pallina addosso: una nuvola si fumo esplose e le appannò la vista entrandole anche nelle narici. Zero si portò la mano alla bocca e tossì piegandosi mentre cercava di vedere, ma sentiva gli occhi lacrimare e il fumo irritarle la trachea continuando a farla tossire.
Qualche secondo dopo, non appena il fumo si diradò, Robin era sparito. La ragazza si passò una mano in volto per pulirsi dai detriti e riprese a correre verso l'entrata. Quattro era l'unica persona per cui era lì, non le interessava minimamente del resto.
Uno stuolo di batarang si conficcarono nel pavimento di fronte a lei, a palizzata, prendendo a lampeggiare sempre più veloci. Zero si coprì appena in tempo prima dell'esplosione e si girò di scatto alle sue spalle, Robin era lì a pochi centimetri da lei.
“Buh.”
La ragazza eresse un muro d'istinto a dividerli, quando alle sue spalle udì un altro fruscio. Come? Si girò di nuovo e fece appena in tempo a pararsi con le braccia mentre il bastone di Robin cadeva rovinosamente sui suoi polsi. Urlò di dolore mentre sentiva le ossa frantumarsi al contatto e crollò a terra. Passò qualche secondo e il dolore diminuì, mentre sentiva le sue membra tornare a posto e rinsaldarsi. Robin la fissava concentrato, senza un filo di stanchezza. La rabbia le montò in corpo come non aveva mai fatto prima. C'era sempre di mezzo qualcuno, sempre. L'intero mondo aveva deciso di complottare per vederla infelice. Posò una mano aperta sul pavimento: dalle sue dita partì una spaccatura che si diresse fulminea verso i piedi del ragazzo. Lui saltò e le tirò altri batarang diretti al volto. Zero alzò il braccio ricoperto i marmo per pararsi il viso, quando qualcosa la colpì al fianco.
Urlò mentre crollava a terra e rotolava, con una fitta al fianco. Cercò di riprendere fiato mentre vicino a lei atterrava Robin.
Il ragazzo allungò il bastone e si mise in posizione. Zero si rimise in piedi e urlò, scatenando tutto quello che aveva in corpo. Il marmo si compattò ancora di più sul suo pugno e gli tirò un montante dritto nello stomaco, andando a segno.

Il ragazzo urlò. Il suo corpo volò all'indietro sotto la botta e cadde per terra a peso morto.
Zero lasciò che la terra liberasse il suo braccio e i suoi occhi s'illuminarono d'azzurrino mentre i detriti si piegavano sotto al suo volere e saettarono verso Robin. Lo ancorarono al suolo per le caviglie e per i polsi, immobilizzandolo.
Il ragazzo gemeva ancora a terra per il colpo inflitto: il suo volto era deformato dal dolore e la schiena cercava di contorcersi, ma era bloccata dal marmo.
“Dovevi lasciarmi fare.”
Robin la guardò con odio.
“Vuoi ammazzare qualcun altro nel mentre?”
Zero lo guardò. Non capiva di cosa stesse parlando. Aveva i ricordi di Terra, sapeva che il ragazzo che aveva colpito non era niente per lui, allora perché prendersela tanto?
S'avvicinò al leader e si chinò vicino a lui.
“Non era per lui il proiettile.”
Robin la fissò, sembrava esterrefatto dalle sue parole.
“Pensi cambi qualcosa? Ma hai mai voluto bene a qualcuno in vita tua?”
La voce del ragazzo uscì violenta tra una fitta e l'altra, mentre cercava di divincolarsi dalla stretta.
Zero si rabbuiò. Non sapeva nemmeno perché stesse perdendo tempo a parlarci. Per Slade, o per sua madre, per quanto avesse importanza, avrebbe dovuto eliminarlo subito. Tanto non la capivano. Ogni volta che provava a dialogare con loro la guardavano come se fosse uno strano animale.
“Per questo sono qui,” si limitò a rispondere.
Strinse il pugno mentre una zolla si sollevava dal terreno. Senza nemmeno guardarla la scolpì a cuneo, come un enorme pugnale.
“Devo ucciderti.”
Robin assottigliò gli occhi mentre la guardava. Il suo respiro era più lento e l'espressione non sembrava nemmeno più arrabbiata. Era... sconfortata.
“Potevi essere libera.”
Zero aggrottò la fronte. Avvicinò la mano al volto del ragazzo e prese la maschera tra indice e pollice, la tolse con delicatezza. Sotto di lei, un volto che aveva immaginato di non vedere più.
“Non sei Robin.”
X le rivolse lo sguardo, gli occhi delusi e non rispose.
“Purtroppo lo è.”
Zero sussultò, la voce veniva dalle sue spalle. Fece per girarsi me una mano le tappò la bocca, sbattendole un sassolino nel palato. Robin la avvolse con il corpo tenendola ferma mentre premeva le dita sulle sue labbra.
Zero tentò di tossire ma fu tutto inutile, la pillola scese nella sua gola diretta verso lo stomaco.
Un senso di fastidio la invase, mentre perdeva il controllo del pugnale di terra, che cadde al suolo con un tonfo.
La testa iniziò a girarle, mentre la nausea saliva fino alla sua bocca dove sentì un sapore amaro e impastato. Lo stomaco si contorse in una morsa mentre la vista s'annebbiava.
Crollò all'indietro e sentì delle braccia prenderla al volo. Ormai non vedeva più e nelle orecchie solo un ronzio.
 

 

 

 

 

 

***

 

 

 

 

 

 

 

Il laboratorio s'aprì immenso e scuro, ricoperto di metallo come un'enorme scatola decorata a bulloni. I suoi passi riecheggiarono nell'eco dei macchinari spenti, che ne definivano il perimetro come dei gargoyle moderni.
La punta della katana strisciava sul pavimento, lasciando uno stridio fastidioso che sembrava un grido disperato e agonizzante.
Di fronte a lui, un uomo era ricurvo sul terminale principale, dandogli le spalle.
“Dov'è.”
Il corpo dell'uomo venne sconvolto da un sussulto.
“Sei arrivato tardi,” mormorò.

Fece un altro passo, la katana si sollevò dal pavimento.
“Ho chiesto,” iniziò mentre il suo unico occhio si assottigliava, “dov'è.”

La punta della spada sfiorò il collo dello scienziato: una goccia di sangue scarlatto affiorò e rimase immobile, senza osare scorrere.
L'uomo alzò le mani verso l'alto, piano. Le braccia tremavano così tanto da sembrare scosse da attacchi convulsivi; sul collo la pelle d'oca.
“Non c'entro niente, te lo giuro!”
Slade inspirò. Sentì l'aria entrare nelle sue narici e percorrere gelida la sua trachea e i suoi bronchi, fino ai polmoni.
“Girati, Mark.”

L'uomo si girò: il viso era bianco, cereo, le labbra sottili semiaperte. Gli occhi erano arrossati, vitrei e il naso paonazzo. Stava piangendo.
“Ti-ti prego...” cadde in ginocchio e giunse le mani in preghiera. “Farò tutto ciò che vuoi, te lo giuro!”

Slade inclinò la testa di lato, alla sua destra, poi alla sua sinistra. Il collo scrocchiò due volte. Avvicinò la spada al mento dello scienziato e tirò su il suo volto con l'acciaio.
“Allora, puoi rispondere a una semplice domanda. Dov'è Grant.” Ripeté, scandendo bene le parole. La sua voce vibrò un istante nel pronunciare quel nome, per la prima volta dopo anni.
“N-non...”
“Dove.”
“N-non...”

Mark Hale singhiozzò, le lacrime cadevano copiose dalle sue guance, mentre il volto diventava viola. Piantò gli occhi in quello di Slade.
“T-te lo giuro! È stata lei! Te lo giuro su Dio!”
Lo scarpone del mercenario piombò sul suo volto sbattendolo per terra. Il dottore s'accasciò sul pavimento urlando per il dolore e portandosi le mani al naso. Il sangue colò tra le dita imbrattando le maniche del camice accompagnato dai lamenti.
“Cos'avete fatto a mio figlio, Mark.”
La voce uscì fredda dalla sua bocca, tagliente come la lama di metallo. Slade s'abbassò sull'uomo agonizzante.
“Cos'hai fatto a mio figlio!” Urlò, tirandogli un pugno in volto.
Lo scienziato urlò straziato e crollò sul fianco, singhiozzando e tossendo in una pozza di sangue. Da lui uscirono solo dei borbottii.
Slade affondò la mano sul suo collo. Nonostante la stazza riusciva quasi a segnarne tutto il contorno con le dita. S'alzò, portando quella carcassa d'uomo con sé.
“Cos'hai detto?”
Il dottor Hale tossì, imbrattando di rosso il guanto del mercenario.
“P-posso...” rantolò “portarti...”
“Da lei?” concluse Slade.
Lo scienziato inspirò con un fischio e gli occhi a mezz'asta, per poi annuire con un flebile cenno del capo.
Slade strinse le dita attorno alla gola dell'uomo: la pelle si compresse senza fatica, come fosse di burro. Le palpebre del dottore si spalancarono, i bulbi oculari quasi fuori dalle orbite; le sue mani s'alzarono verso quella di Slade, graffiandola, ma le sue unghie non furono altro che carezze.
Il petto era immobile, mentre le vene riaffiorarono su tutto il suo volto come intrecci di una ragnatela sulla pelle cadaverica.
“Non ce ne sarà bisogno.”
Slade s'avvicinò al volto dell'uomo, mentre la morsa delle sue dita aumentava. Il suo viso divenne bluastro e nelle sue pupille dilatate l'occhio di Slade apparve come un unico tizzone ardente.
“Ti faccio una promessa, Mark.”
Slade lasciò la presa. Il dottor Hale crollò al suolo in un tonfo. Con un rantolò spalancò la bocca e il suo petto s'allargò a dismisura per far entrare più aria possibile. Rimase qualche secondo riverso a terra come un animale in punto di morte.
Il mercenario lo girò riverso sulla schiena usando la suola della scarpa. Il volto dell'uomo riprese un po' di colore, mentre gli occhi non riuscivano a staccarsi dal suo e le labbra spaccate respiravano un misto di ossigeno e sangue.
“Una volta finito qui, cercherò Elise.”
Slade assottigliò l'occhio mentre lo guardava, freddo.
“Cercherò Elise.” ripeté “E poi, cercherò Edward. E li troverò; mi vedranno in ogni vicolo, in ogni riflesso, in ogni ombra.”
Slade puntò di nuovo la spada sull'uomo, stavolta a sfiorare il petto.
“Diventerò il loro primo pensiero la mattina e l'ultimo prima di dormire. E poi, solamente poi...”
Spinse sul manico della katana e affondò la punta di un centimetro nel suo costato. Il dottor Hale gettò un urlo.
“...pagheranno anche loro per i tuoi errori.”
Il dottor Hale lo guardò, terrorizzato. Slade abbassò la spada con un colpo secco.
Tutto tacque. Per qualche secondo niente ruppe il silenzio nel laboratorio, mentre il mercenario guardava con aria vuota il terminale e i documenti accatastati alla rinfusa.
Estrasse la katana dal corpo dell'uomo: la lama scorse docile in un rumore ovattato. S'avvicinò al tavolo lasciando una scia di sangue come un animale ferito.
Spostò i file con la mano sinistra, scorrendo con le dita sui loro dorsi, finché la sua mano non tentennò. Prese un fascicolo rosato. Sulla copertina capeggiava una scritta a penna in una grafia disordinata.

 

 

P. RAVAGER

 


Lo aprì. La foto di un ragazzo moro dai capelli corti lo guardò di rimando. Slade sentì una fitta al cuore, che però non arrivò al suo viso imperscrutabile.
Gettò l'occhio sui documenti al suo interno. Credenziali, data di nascita, stato generale di salute mentale e fisica, data del ricovero: 06/09/2000.
Scorse i fogli velocemente fino agli ultimi, risalenti a pochi mesi prima. Analisi, fogli di operazioni, prove neurologiche.
Appoggiò la katana sul terminale, imbrattando di sangue la tastiera e poi spostò il peso su entrambe le mani sul tavolo. Si permise un lungo sospiro. Il penultimo foglio era in realtà una lunga lista di prelievi.

17 luglio 2006
27 luglio 2006
6 agosto 2006...

Slade scorse l'indice sulle date, precise come un orologio svizzero. Una ogni dieci giorni, per due anni. Sul retro, queste si bloccavano improvvisamente.

11 marzo 2008
Era l'ultima. Una grossa D era segnata a penna vicino a quella data.
Soppesò ancora una volta tutti quei numeri e passò al foglio successivo.
 

13/03/2008


Grant Wilson
13/08/1986
Sex: M
Blood Type: 0+


Attività elettrica corteccia cerebrale:
ASSENTE

Prova di apnea: NEGATIVA – pH 7.0 - pCO2 87 mmHg
Riflessi dei nervi cranici: ASSENTI


Conclusioni:

Il paziente può essere dichiarato clinicamente morto.


Appoggiò il palmo della mano sul foglio e rimase in attesa per qualche secondo senza nemmeno respirare. Più lo leggeva più il nome Grant Wilson s'insinuava nella sua testa.
 

 

 


Grant rivolse gli occhi azzurri alla lama di fronte a lui. La fronte tradiva un'espressione concentrata. Non parlò, rimase in attesa d'istruzioni.
“Questo è l’abura nuguishi,” disse Slade, porgendogli un foglio. “Fallo scorrere sul metallo, stando ben attento a non tralasciare nulla.”
Grant annuì e lo passò con attenzione lungo tutta la lunghezza della katana.
“Proteggerà la spada.”
Il ragazzo continuò a massaggiarla con la carta, assorto.
“Qualcosa ti preoccupa?”
Slade si chinò al fianco del figlio, che si trovava seduto a gambe incrociate sul tatami. Addosso, un'armatura simile alla sua, ma nera come la pece. Vicino alla sua coscia, una maschera con due occhi anch'essa nera.
Grant sollevò il volto e abbozzò un sorriso.
È la prima missione all'estero.”
Slade appoggiò una mano sulla spalla del figlio.
“Sei pronto.”
Il ragazzo gli rivolse un enorme sorriso, che però non incontrò uno sguardo più indulgente.
Slade si alzò in piedi e scoccò un'altra occhiata severa, ma calma al figlio.
“Ricordati che puntiamo alla perfezione.”


 

Chiuse il pugno e accartocciò il foglio, poi lo lasciò cadere a terra. Dopo di quello rimaneva solo il fondo di cartoncino del plico. Riprese a scorrere i fogli a ritroso, finché non tornò al primo.
Osservò con occhio vuoto il volto del figlio, l'espressione fiera e quei lineamenti tanto simili ai suoi.
Avvicinò le dita alla fototessera e la staccò con un colpo secco. Le grappette che la tenevano fissata saltarono con un tintinnio.
Si sentì scrutato da quelle iridi azzurre, ma non disse nulla. Portò la foto al petto e la infilò in una tasca nascosta. Riprese la katana con la mano e s'allontanò dal terminale: dei rumori provenivano dal corridoio, rumori di passi.
Si girò e gettò uno sguardo sullo scienziato riverso per terra come un sacco abbandonato. Attorno a lui la pozza di sangue s'era ingrandita a dismisura.
“Non preoccuparti Mark.”

Tirò fuori dalla tasca il suo localizzatore: un puntino rosso lampeggiava silente verso nord.

Si diresse verso la porta al lato opposto della sala e si fermò un secondo sull'uscio, senza nemmeno voltarsi indietro e con la spada ancora gocciolante al suo fianco.
“Non è nulla rispetto a quello che accadrà a lei.”
 

 

 

 

 

 

 

***

 

 

 

 

 



 

“Chi ha ordinato l'attentato?”
Jason guardò il re di Markovia chinarsi su di Rose. La ragazza era legata a una sedia, con la testa ciondolante e lo sguardo vitreo. Il suo intero corpo era abbandonato allo schienale come un sacco di patate e faceva fatica a tenere gli occhi aperti.
Rivolse lo sguardo verso Dick, preoccupato. Il fratello gli poggiò una mano sulla spalla a mo' di coraggio.
“Si rimetterà,” gli sussurrò.
Jason distolse lo sguardo e tornò a Rose, che ora sembrava così esile e indifesa. La ragazza tirò su la testa, facendola cadere all'indietro.
Mamma...” mormorò.
Gregor Markov fece un cenno alle guardie vicino a lui, che s'avvicinarono alla ragazza e le presero la testa, issandola bene sul collo. Jason s'irrigidì.
“Ho bisogno di un nome.”
Rose socchiuse gli occhi e sbatté le palpebre diverse volte, per poi fissare lo sguardo sul re. Dopo venti minuti, quello era il primo momento in cui sembrava vederlo.
“Ho bisogno di un nome,” ripeté lui.
Era composto come al solito, ma aveva gli occhi rossi e le guance scavate, come se fosse invecchiato di vent'anni all'improvviso.
“L'attentato...”
Rose aprì le labbra secche e boccheggi come un pesce fuori dall'acqua.
“È stata...”
Rose gettò un grido di dolore mentre la schiena s'inarcava come se fosse stata investita da una scossa elettrica. Urlò e i muscoli si contrassero. Lacrime uscirono dai suoi occhi.
“Rose!”
Jason fece per raggiungerla, ma Dick lo fermò per un braccio. Si girò verso il fratello, guardandolo allarmato. Lo sguardo che Dick gli rivolse era rassegnato e dispiaciuto.
La ragazza non sembrò nemmeno sentirlo. Cercò di recuperare il respiro a bocca aperta, mentre la pelle era ancora più pallida del solito.
“Vittings...”
Il volto del re cambiò espressione.
“Che cosa?”
Rose alzò la testa mentre rantolava e gettò lo sguardo direttamente in quello del re.
“Vittings...” ripeté.
“No!”
Tutti si girarono verso l'uomo in alta uniforme che indietreggiava, bianco in volto.
“Mente! Sta mentendo!”
La ragazza si bloccò e chiuse gli occhi, per poi riaprirli. Guardava fisso di fronte a sé ma sembrava non vedesse nessuno davvero. La voce che uscì poi, era monocorde e incolore, senza alcuna espressione.
“Vittings mi ha ordinato di uccidere Gregor Markov, re di Markovia. Voleva il trono e io gliel'ho dato. Per questo mi ha cercata, mi ha promesso soldi. Voleva il trono e io gliel'ho dato.”
Una volta finite quelle parole, la ragazza svenne.
Gregor Markov si girò verso il primo ministro e stese la mano contro di lui.
“Primo ministro Vittings, sarai citato in giudizio per alto tradimento.”
L'uomo alzò le braccia, mentre le guardie s'avvicinavano a lui per arrestarlo.
“Non sono stato io! Lo giuro! È stata la dottoressa Jace! Prendete lei!”
“Silenzio!”
Il re chiuse il pugno e lo riportò al suo fianco. Aveva le occhiaie e le labbra serrate, i capelli fuori posto e tutto il suo corpo tremava di rabbia.
Osservò il primo ministro venire ammanettato e accompagnato all'uscita. Con lui, se ne andava anche Rose, portata in braccio da un'altra guardia.
Jason guardò il suo braccio ciondolare e la testa rivolta all'indietro e il suo cuore di chiuse in una morsa, mentre la gola si seccava.
“Non pensavo le fossi così affezionato.”
Jason continuò a guardare avanti mentre uscivano dal palazzo. Il re di Markovia stava procedendo a passo veloce verso il giardino sul retro, dove avevano sistemato Brion.
Il parco s'aprì di fronte a loro, scuro sotto la cupola di pietra come fosse mezzanotte. Robin la guardò confuso, portando una mano al ricevitore.
X prese il suo telefono e inviò un messaggio. Così com'era stato inviato, un'altra scossa pervase l'area. La cupola iniziò ad aprirsi e i raggi a filtrare attraverso di essa. Robin e gli uomini all'interno dell'area spalancarono la bocca mentre i muri scivolavano all'interno del terreno tornando un tutt'uno.
Jason abbozzò un sorriso nel guardare quella scena. In una nuvola di polvere, la muraglia sparì e con lei la scossa: la luce del giorno invase il parco violenta, dando fastidio agli occhi ormai abituati alla penombra. Di fronte a loro, Terra li aspettava con Beast Boy sotto forma di rapace sulla sua spalla. La ragazza sorrise mentre accarezzava l'aquila sotto al becco con l'indice.

 

 

 

 

 

***


 

 


 

Raven condusse Cyborg e Starfire lungo il corridoio sotterraneo, lì dov'era arrivata utilizzando i suoi poteri. Si erano spostati più di quanto avessero immaginato. Senza i portali della ragazza sarebbero a malapena usciti dal palazzo.
I tre camminavano stretti tra di loro e in silenzio stando attenti a ogni minimo rumore. Nella luce bassa le uniche vere fonti di luminosità erano l'energia di Star e il cannone di Cyborg.
Arrivarono di fronte a una porta chiusa, apribile solo attraverso una password.
L'androide s'avvicinò al terminale e cominciò a digitare dei numeri che comparvero sul display, ma questo lampeggiò di verde, come disabilitato.
“Qualcuno è arrivato prima di noi.”
Cyborg dette un colpetto alla porta e questa s'aprì obbediente. La questione non prometteva nulla di buono.

Non appena entrati un odore forte pizzicò le sue narici: Raven si portò la mano al naso disgustata, quando Star cacciò uno strillo.
Allarmata richiamò subito la sua energia che le scorse nelle vene come un fiume in piena. Star indicò di fronte a loro.
Sul pavimento giaceva un cadavere, immerso in una gigantesca pozza di sangue. Cyborg avanzò col cannone puntato, attento a ogni possibile minaccia. Raven stese la mano sull'uomo. Il volto era completamente tumefatto e gli occhi ancora aperti, terrorizzati.
L'energia nera si posò su di lui e lo ripulì dal sangue, rivelando la causa della morte: una grande ferita nel petto. La ragazza si chinò su di lui e con la sua magia gli abbassò le palpebre, per poi staccare il cartellino dal taschino del camice.
“Il dottor Hale.”
Cyborg s'avvicinò al terminale, dove molti plichi erano accatastati alla rinfusa. Starfire lo seguì, levitando curiosa alle sue spalle. La ragazza indicò il fascicolo aperto, con le sopracciglia aggrottate.
“Cos'è quello?”
Il ragazzo scartabellò veloce il plico, per poi fermarsi al nome: P. Ravager. Sospirò e raccolse tutti i plichi che sembravano interessanti.
“Niente di buono,” rispose, mentre li metteva da parte per riportarli indietro.
“C'è una traccia.”
Raven indicò la scia di sangue che goccia per goccia segnava una via sul pavimento. I ragazzi si guardarono per un secondo e annuirono, prendendo a seguirla.
Questa li portò per dei corridoi, fino a scomparire di fronte a una parete vuota. Cyborg le dette un colpo con le nocche per cercare di capire se fosse vuota.
“Sembra ci sia qualcosa.”
Raven appoggiò la mano al muro.
“Azarath Metrion Zinthos!”
Un portale nero s'aprì sulla parete e la ragazza passò, seguita dagli amici.
Una sala enorme s'aprì di fronte a loro, tanto enorme da non vedere la fine. Era illuminata da file e file di luci al neon, fredde e incolori.
“Slade!”
Il mercenario era di fronte a loro, katana ancora grondante di sangue, e dava loro le spalle. Guardava dritto avanti a sé, in alto, senza rispondere.
Cyborg caricò il cannone e lo puntò dritto alla schiena dell'uomo, in mezzo alle scapole.
“Fossi in te mi girerei.”

Lui non reagì.
I ragazzi seguirono il suo sguardo, scavalcando la sua figura e puntando alla giusta direzione: il loro volto si dipinse di terrore.

“Dobbiamo andarcene di qui.”
“È troppo tardi.”
Le parole uscirono da Slade in un soffio. Raven rabbrividì, era la prima volta nella sua vita che lo sentiva spaventato.
Per l'intera distesa di fronte a loro, si trovavano capsule e capsule, inondate di uno strano liquido vischioso. A centinaia, forse migliaia.
Raven s'avvicinò al vetro di una delle capsule, alzò la mano e lasciò che questa s'illuminasse. Il bagliore rischiarò la superficie impolverata. Dentro al liquido azzurrino si distinse il volto addormentato di un ragazzo con i capelli biondi. Sussultò, spaventata.
Starfire fece lo stesso e mostrò lo stesso risultato. La ragazza mormorò:
“Sono tutti...”
“Cloni,” concluse Cyborg.
Si girarono tutti e tre verso Slade, che era rimasto immobile a guardare una teca più grande tra le altre. L'uomo s'avvicinò a essa e poggiò la mano sul vetro. Dal liquido scuro comparve una figura più grande di lui, immersa. Del suo volto rimaneva giusto una metà, mentre l'altra era coperta di placche metalliche con incastonato un occhio artificiale, spento. Al posto della bocca una maschera, dalla quale originavano dei tubi che passavano sotto al suo braccio sinistro, connettendosi alla schiena in altre placche metalliche.
“Cosa gli hai fatto!?”
Slade urlò in mezzo a tutto il laboratorio. I ragazzi si zittirono mentre videro l'uomo accasciarsi in ginocchio di fronte alla capsula. Il mercenario batté un pugno sul vetro.
“Cosa gli hai fatto...”
“Quello che tu non sei riuscito a fare. Renderlo perfetto.”
Raven rabbrividì, mentre Cyborg puntava il cannone in aria, cercando un bersaglio.

La voce di Anne Markov rimbombò nello spazio, senza un'origine fino a che il suo viso non comparve su un enorme terminale sullo sfondo. Gli occhi della dottoressa s'illuminarono di uno strano luccichio mentre pronunciava quelle parole.
Starfire strinse i pugni e venne circondata da un alone d'energia verde.
“Sei fuori di testa!”
La donna rise e li guardò dritti negli occhi.
“Prego, unitevi all'ultimo atto.”

Starfire s'alzò in volo, come a volersi mettere allo stesso piano della donna.
“Anne! Fermati!”
Slade si tirò su in piedi, tendendo ancora la mano sul vetro. Con la maschera era impossibile decifrarne l'espressione.
“Quella non è Anne Markov, quella è la dottoressa Helga Jace.”
La donna nello schermo rise di nuovo.
“Guardate i miei bambini. Guardate la nuova razza umana: finalmente avranno il posto che si meritano in questo mondo.”
Poi fissò gli occhi di nuovo sul mercenario.
“Non sarebbe mai stato possibile senza di te, grazie Wilson. Le tue doti e la tua ottusità insieme hanno portato a questo.”
Lo schermo si spense e le capsule s'illuminarono all'improvviso e con loro il liquido all'interno. Slade s'allontanò e strinse le dita attorno all'impugnatura della katana.
Raven levitò a mezz'aria con aloni d'energia attorno alle mani, così come Starfire. Se c'era una cosa che non avrebbe mai immaginato, era la possibilità di combattere al fianco di Slade. Ma in quel momento non c'era tempo di recriminare.
“È un intero esercito, non ce la possiamo fare!”
Cyborg indietreggiò di un passo. Il liquido all'interno delle capsule cominciò a brillare sempre di più d'azzurro per poi abbassarsi, scoprendo i soldati al suo interno.
“Cosa fate? Fuggite!”
Era stato Slade a parlare, mentre rimaneva immobile di fronte alla teca più grande, non curandosi delle altre, impassibile.
“Dobbiamo avvertire gli altri!”
Raven aprì un portale dietro di loro.
“Andiamo!”
Cyborg e Starfire s'avvicinarono al vortice e si girarono indietro.
“Slade!”
L'uomo rimase a specchiarsi nel vetro, senza nessuna intenzione di volersi muovere. Anche quel liquido iniziò ad abbassarsi, lento e silenzioso.
“Io rimango.” Disse, mentre fissava in trance l'essere all'interno.
L'oscurità li avvolse come una coperta fredda. L'occhio rosso del soldato s'accese, Slade rimase a guardarlo mentre si posava su di lui.












Note dell'autrice
Salve a tutti. Decisamente prima del solito questa volta, a malapena a una settimana di distanza. Che dire, spero di non aver osato troppo con questo capitolo. Sono preoccupata di non aver messo abbastanza indizi lungo tutta la storia su quello che stava per accadere. Spero che, anche in quel caso, rimanga di vostro gradimento. 
La cosa più difficile è stata il personaggio di Slade, come poi vedremo anche nei prossimi capitoli. Sono abbastanz ain hype per come andrà: si preannunciano battaglie che occuperanno almeno i prossimi due capitoli.
Siamo alla battuta finale e non vedo l'ora di finire questa storia.
Per qualsiasi domanda non esistate a chiedere. Spero di vedere qualche recensione.
Questa ost mi ha aiutato nel descrivere los contro Robin - Robin - Zero:

https://www.youtube.com/watch?v=kYX1XEVvvXU

È presa da Avatar the last airbender che vi consiglio di vedere.
Per la parte di Slade vs il dr Hale invece, mi sono lasciata ispirare da questa:

https://www.youtube.com/watch?v=0jXTBAGv9ZQ


Per la parte finale e per quello che sarà tutto il resto della battaglia, da queste due: 

https://www.youtube.com/watch?v=958p0qtFzdk&t=250s

https://www.youtube.com/watch?v=aR-KAldshAE

Grazie a tutti quelli che sono arrivati fino a qui!
Buon pomeriggio e buon inizio settimana 

xx C






 

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