Giglio Rosso Sangue

di Juliet_Stories
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Neve rossa ***
Capitolo 2: *** Legami traditi ***
Capitolo 3: *** Lacrime e Pioggia ***
Capitolo 4: *** Quando il destino chiama ***
Capitolo 5: *** Una partenza complicata ***
Capitolo 6: *** Amico o Nemico? ***
Capitolo 7: *** Seimar ***
Capitolo 8: *** Ombre ***
Capitolo 9: *** Il dolore dei ricordi ***



Capitolo 1
*** Neve rossa ***


CAPITOLO 1
Neve Rossa
 
Non era ancora buio quando la neve aveva cominciato a cadere, prima leggera e impalpabile, poi sempre più fitta. Dopo appena un’ora, quella che era cominciata come una semplice nevicata invernale si era trasformata nella più violenta tempesta di neve degli ultimi 20 anni.
Là, in quel panorama gelido e bianco, un uomo rantolava, sanguinante; la sua auto era uscita di strada e lui era rimasto bloccato tra il sedile e il volante, incapace di muoversi o di uscire. Sapeva di essere ferito in modo grave, lo aveva capito dal sangue che sentiva scorrere lungo il volto, dal dolore alla testa e dal fatto che il suo cuore sembrava rallentare sempre più...
Fu scosso da un brivido, che gli strappò un gemito di dolore; non poteva fare molto per uscire da quella situazione, ma doveva provarci. Voltò faticosamente la testa verso i sedili posteriori: dietro di lui, immobile sul seggiolino, c’era una bambina di un anno, il visino talmente sereno che sembrava stesse solo dormendo, se non fosse stato per le labbra viola e la pelle pallida.
L’uomo sentì le lacrime rigargli il volto, ma le scacciò con decisione e, usando tutte le sue forze, cercò di uscire dall’auto, noncurante delle ferite, ma senza successo. Dopo pochi secondi di sforzi ricadde pesantemente sul sedile, stordito dal freddo e dalla perdita di sangue: non c’era via d’uscita. Lasciò vagare lo sguardo sul parabrezza incrinato davanti a sè, osservando la neve che lo copriva diventare sempre più spessa, mentre il suo respiro si faceva sempre più debole, e così chiuse gli occhi. Quando finalmente li riaprì, si accorse che in realtà era passato molto più tempo rispetto ai pochi secondi che gli sembravano trascorsi. Anche l’ultimo spiraglio di luce che prima lo raggiungeva dal finestrino era sparito, coperto dalla neve sempre più fitta; ormai non riusciva nemmeno più a scorgere quel cielo grigio e cupo, unico testimone della loro fine.
Serrò debolmente i pugni quando si rese conto che quella era davvero la fine, che non ci sarebbe stato più nulla per loro una volta che il freddo li avesse fatti morire congelati; non avrebbe mai più visto un’altra alba, non avrebbe mai insegnato a sua figlia ad andare in bicicletta, non l’avrebbe mai vista, radiosa, il giorno della sua laurea, né l’avrebbe accompagnata all’altare il giorno del suo matrimonio... No, sua figlia non sarebbe mai cresciuta, non avrebbe mai potuto vivere la sua vita; sarebbe rimasta per sempre in quel corpicino freddo, chiusa in una macchina che sarebbe diventata la sua tomba.
L’uomo si voltò di nuovo verso di lei, lasciando le lacrime libere di scorrere sulle guance, mentre un dolore mai provato prima straziava il suo petto. Con difficoltà, usando gli ultimi residui di forza che aveva, spinse un braccio verso la bambina e prese una mano tra le sue. Non l’avrebbe lasciata morire da sola; anche in quel momento lui sarebbe stato al suo fianco, come aveva sempre fatto e come non sarebbe più riuscito a fare in futuro. Con la vista offuscata dalle lacrime strinse quelle ditine fredde, sforzandosi di rimanere cosciente, di non cedere all’oblio che lo incalzava, ma non ci riuscì a lungo; alla fine anche lui cedette, abbandonandosi contro il sedile.
Poi, all’improvviso, un rumore secco spezzò gli ululati del vento. L’uomo sussultò, spaventato, quando un forte colpo accanto alla testa lo fece rivenire. Stordito, lottando per rimanere cosciente, si voltò verso il finestrino e vide un’ombra agitarsi nella tormenta. Dopo pochi secondi un altro colpo scosse la macchina e solo allora si rese conto che c’era qualcuno, subito fuori dall’auto, che stava cercando di sfondare il finestrino, tentando di salvarli... Un barlume di speranza si accese dentro di lui; forse non era troppo tardi per sua figlia, forse poteva ancora essere portata in salvo. In quanto a sè stesso non si faceva illusioni, era fin troppo consapevole della gravità delle sue ferite e del fatto che quell’uomo, chiunque fosse, non sarebbe mai stato in grado di aiutare entrambi. Ma se morire avesse significato salvare la vita di sua figlia, per lui andava bene anche così.
Rimase immobile ad aspettare, ma ci vollero almeno altri due colpi prima che il finestrino si rompesse fragorosamente; le schegge di vetro gli caddero in grembo e dopo qualche secondo un volto, completamente avvolto da una pesante sciarpa e con uno spesso cappello, si sporse per cercare di districarlo dal sedile. Usando le poche forze che aveva per cercare di sovrastare gli ululati del vento e ignorando le folate gelide che lo lambivano dal finestrino rotto, lo bloccò, spingendolo via.
“La bambina! Dietro... Sui sedili... Pensa a lei!”
Lo sconosciuto salvatore lo fissò per qualche secondo, incerto, ma alla fine annuì. L’uomo lo sentì spostarsi sul retro dell’auto e sentì il suono del vetro che andava in frantumi. Dopo meno di un minuto si affacciò di nuovo e questa volta, nascosta tra le pieghe del suo cappotto, c’era sua figlia, finalmente al sicuro. Lo sconosciuto gli prese un braccio, tirandolo verso l’esterno, cercando di farlo uscire, ma non poteva tenere la bambina e al contempo aiutarlo. Lui scosse la testa, liberandosi dalla sua stretta, un lieve sorriso sulle labbra.
“Vattene! Portala al sicuro. Prenditi... cura... di lei...”
Lo sconosciuto rimase immobile per quelle che gli parvero ore. Il suo sguardo si soffermò sul corpo martoriato di quell’uomo, che lo stava supplicando con quelli che, senza dubbio, erano i suoi ultimi respiri. Poi, lentamente, strinse ancora più a sè la bambina e annuì.
“Me ne prenderò cura, te lo prometto. Tornerò il prima possibile, cerca di resistere.”
Lui sorrise ancora, irrigidito dal freddo, e lottò per rimanere ancora cosciente, per vedere sua figlia che si allontanava verso una nuova vita, una vita di cui non avrebbe fatto parte. Quando alla fine la schiena dell’uomo scomparve in lontananza, tra le folate di neve, si accasciò sul sedile, cullato dagli ululati del vento. Avvertiva a malapena il freddo intenso e ormai non sentiva più neppure il dolore. Sorrise ancora una volta, debolmente, poi i suoi occhi si chiusero, per sempre.
 
*
“Katie! Katie!”
“Mmm...”
“Andiamo Katie, ti sembra l’ora di dormire? È quasi mezzogiorno!”
La ragazza mugugnò ancora, rintanandosi sotto le coperte. In tutta risposta sentì la madre, Marie, sospirare sulla soglia della porta.
“Oh, sei davvero impossibile. Be’, se hai così tanto sonno allora non ti interesserà sapere che c’è una buonissima torta di mele appena sfornata che ti aspetta di sotto.”
A quelle parole Katie si alzò di scattò a sedere sul letto, i capelli scarmigliati e un gran sorriso sul viso.
“Bastava dirlo subito, mamma.”
Con una risata la madre cominciò a scendere le scale.
“Sbrigati, se vuoi che tuo padre te ne lasci una fetta!”
La ragazza rise con lei, scuotendo la testa per cercare di scacciare gli ultimi residui di sonno, poi si voltò per scendere dal letto. Una foto incorniciata sul comodino attirò la sua attenzione; per un lungo attimo rimase immobile, poi un sorriso triste sostituì quello divertito di pochi secondi prima. Era da un bel po’ che non faceva più caso a quella fotografia, che ritraeva un giovane uomo seduto su una spiaggia, sorridente. Suo padre, il suo padre biologico, morto in un incidente d’auto quando lei era ancora piccolissima, morto per salvare lei.
Con la punta delle dita sfiorò il suo volto, impresso per sempre in quell’attimo fugace. Quella foto era l’unica cosa che le rimaneva di lui, l’unica traccia dei suoi genitori, ed era qualcosa che custodiva gelosamente. Era stata ritrovata nell’auto semidistrutta, quando la tempesta si era finalmente placata, l’unico effetto personale che fossero riusciti a trovare tra le lamiere. Purtroppo né dalla foto né dalla targa della macchina la polizia era riuscita ad identificarlo. E il suo caso, così avvolto nel mistero e nella tragedia, aveva avuto grande risonanza tra i media, che avevano soprannominato la piccola “Bocciolo di Neve”. Dopo qualche settimana però il clamore si era spento e tutte le tracce fino ad allora raccolte si erano rivelate solo dei buchi nell’acqua. Quella bambina sarebbe rimasta per sempre senza nome, senza famiglia, senza passato. O forse no, perché anche se altri casi avevano scalzato il suo e del suo soprannome, Bocciolo di Neve, non erano rimaste altro che parole ingiallite su un giornale, c’era qualcuno che si ricordava di lei, qualcuno che era disposto ad accoglierla. Proprio l’uomo che, con il suo coraggio, le aveva salvato la vita. Da allora la sua vita era cambiata completamente: improvvisamente aveva una famiglia amorevole, una vita piena di calore, un nome, Katie. Eppure, dopo ben 18 anni, il suo passato era ancora sepolto sotto uno spesso strato di polvere. Chi fosse in realtà suo padre e se sua madre fosse viva o morta, e perché non si fosse fatta avanti, rimanevano domande senza risposta.
Sospirò, stropicciandosi gli occhi e scacciando una lacrima solitaria. Era stanca di continuare a farsi quelle domande, quando non aveva alcuna possibilità di avere delle risposte. D'altronde come avrebbe potuto aiutarla andare a rivangare un passato che neppure ricordava?
“Katie, oggi hai di nuovo intenzione di uscire?”
Riscuotendosi dai suoi pensieri annuì, servendosi una gigantesca fetta di torta.
“Sì, potrei sfruttare il pomeriggio per studiare qualcosa o anche solo per prendere un po’ di sole. Perchè, ti serve aiuto per oggi?”
Il padre, Ted, scosse la testa.
“No, ma non mi piace quando sparisci senza dirci dove vai, lo sai.”
La ragazza cercò di sorridere, ma con la bocca piena di torta le uscì solo una stranissima smorfia. Deglutì in fretta, cercando di ignorare le risate di Ted, che rimbombavano per tutta la cucina.
“Se c’è un posto al mondo in cui non succede mai nulla è proprio questo. Non c’è nulla di pericoloso, papà, non dovete preoccuparvi così.”
Lui fece spallucce.
“Siamo i tuoi genitori, è nostro compito preoccuparci. Comunque cerca di tornare presto, stasera le temperature si abbasseranno parecchio.”
Lei sorrise e annuì.
Un’ora dopo, sotto un sole splendente, si allontanò da casa, inoltrandosi tra l’ombra e la frescura degli alberi. Le era sempre piaciuto fare lunghe passeggiate nei boschi, le dava la sensazione di esplorare un luogo sconosciuto e selvaggio. Sorrise, godendosi il profumo di muschio e di legno, felice di lasciarsi tutto alle spalle per passare un pomeriggio spensierato.
Avanzò camminando lentamente, senza fretta, stando sempre ben attenta a non inciampare in una radice o in un masso seminascosto dalle foglie e si fermò solo quando davanti a lei gli alberi si fecero più radi, rivelando una piccola radura. Al centro di quello spiazzo c’era un laghetto, le cui acque brillavano alla luce del sole; Katie si avvicinò, sorridendo alla vista delle ninfee che vi galleggiavano e si sedette nei pressi della riva, con la schiena appoggiata ad una grande quercia. Gettò uno sguardo veloce ai libri che aveva portato con sè, ma subito dopo li allontanò con una smorfia; in una bella giornata come quella non aveva davvero nessuna voglia di mettersi a studiare. Decise che si sarebbe concessa un sonnellino, così si mise più comoda e chiuse gli occhi, lasciandosi cullare dai suoni della foresta. Il suono delle lievi onde che increspavano la superficie del lago, il frusciare delle foglie al vento...
Dopo quelli che le sembrarono pochi secondi, però, un urlo la svegliò di soprassalto. La ragazza scattò in piedi, spaventata, la testa che le girava vorticosamente. Si appoggiò all'albero accanto a lei, il respiro affannoso, poi alzò lo sguardo, cercando di individuare la fonte di quelle grida. Ma le bastò una veloce occhiata attorno a sè perchè il sangue le si gelasse nelle vene; ovunque si girasse, infatti, della radura in cui era stata fino ad un attimo prima non c’era alcuna traccia, solo un fitto intreccio sconosciuto di alberi. La ragazza rimase immobile, raggelata, mentre il suo cervello cercava di capire cosa fosse successo, come avesse fatto ad addormentarsi in un posto per poi risvegliarsi in quel luogo sconosciuto. Si prese la testa tra le mani, confusa. Dove diamine era?
Deglutì a fatica, il cuore che le martellava nel petto, mentre si costringeva a rimanere lucida. Doveva ragionare, capire come riuscire a tornare a casa. Si guardò attorno con più attenzione, sforzandosi di riconoscere qualcosa, e in effetti... Aggrottò la fronte quando si rese conto che quel posto le era come familiare. Le sembrava di esserci già stata, anche se non se ne ricordava.
“Katie!”
Il cuore della ragazza saltò un battito quando una voce fin troppo conosciuta si alzò tra gli alberi, poco distante da lei. Smettendo praticamente di respirare rimase immobile, troppo scioccata per muoversi.
“Katie! Katie aspetta, non correre così!”
Quella voce… La conosceva, e anche molto bene, ma allo stesso tempo era diversa, più giovane e potente di come la ricordava.
“Katie! Rallenta! Katie!”
A quelle parole, nonostante fosse una giornata molto calda, un brivido freddo le scese lungo la schiena. Era lei, non potevano esserci dubbi.
Attirata da quella voce Katie fece un passo avanti, i muscoli tesi e irrigiditi, e quel semplice gesto bastò a sbloccarla. Camminava in fretta, inquieta, guardandosi continuamente attorno. Non riusciva a capire cosa stesse succedendo. Marie non aveva più quell’energia nella voce da anni, ormai... Rabbrividì di nuovo, questa volta più intensamente. Era vicina.
“Katie!”
La ragazza sussultò e all’improvviso, alzando leggermente lo sguardo, vide venire verso di lei una bambina. Quella vista le bloccò il respiro in gola e la impietrì. Osservò stordita una piccola sé stessa correre spensierata tra gli alberi. Come poteva essere? Come era possibile che proprio davanti a lei ci fosse… il suo passato? Eppure, per quanto incredibile fosse, non c’era altra spiegazione; aveva visto molte foto di quando era piccola, non avrebbe potuto sbagliarsi.
Katie rimase immobile, affascinata e allo stesso tempo spaventata dalla piccola figura davanti a lei. Stava forse impazzendo? Erano allucinazioni quelle che aveva di fronte in quel momento? E, quasi a voler rafforzare questa sua convinzione e contro ogni legge della fisica, la bambina le passò attraverso, senza nemmeno accorgersi di lei.
Fu decisamente strano e provò la stessa sensazione che provava quando, senza rendersene conto, inaspettatamente saltava un gradino; subito dopo però il panico minacciò di sopraffarla, mentre le ipotesi peggiori si affacciavano alla sua mente. Era diventata un fantasma? Inorridita si passò una mano sul viso, avvertendo il tocco sulla pelle.
Non era un fantasma, no di certo. E allora come era stato possibile? Che fosse una sorta di spirito?
“Katie? Katie, dove sei finita? Rispondi!”
La ragazza alzò gli occhi, turbata. La voce si faceva sempre più vicina, ormai era solo a qualche metro da lei; tra pochi secondi la sua figura sarebbe emersa dagli alberi, dissipando ogni suo dubbio.
Ebbe un tuffo al cuore quando, come aveva previsto, Marie uscì dal folto del bosco, venendo verso di lei. Fu doloroso vedere sua madre come era tanti anni prima, così giovane, così in salute. Il suo viso non aveva ancora assunto quel colorito pallido e le sue guance erano arrossate per lo sforzo. Katie non l’aveva mai vista così felice, così spensierata. Chissà se già sapeva del male che cresceva inesorabile dentro di lei, che la divorava, che giorno dopo giorno la trascinava verso un baratro da cui non sarebbe potuta fuggire…
Chiuse gli occhi, mentre l’ormai familiare sensazione di dolore riaffiorava. Ogni specialista, ogni medico con la sua bella laurea incorniciata aveva dato la stessa maledetta risposta, l’unica che loro non avrebbero voluto sentirsi dire. Non c’era più speranza. Marie non poteva guarire.
E così dopo l’ennesima, cocente delusione, sua madre non aveva più voluto saperne di dottori e di specialisti. Diceva di essere stanca, diceva che stare a casa con la sua famiglia era l’unica cosa che potesse farla stare meglio. E Ted aveva dovuto cedere, anche se a malincuore. Da allora aveva cercato in tutti i modi di rendere quel poco tempo che le restava il migliore di tutta la sua vita e Katie non aveva potuto fare altro che aiutarlo, in silenzio, senza mai mostrare il dolore e l’impotenza che la torturavano dentro.
Fu con questi pensieri che iniziò a seguirla, incapace di allontanarsi da lei. Era così felice… Nonostante la malattia, sua madre aveva sempre fatto in modo di non essere di peso, aveva sempre cercato di mostrarsi in salute, allegra, ma quella lietezza non era altro che una maschera. Dietro quella facciata, Marie soffriva e lei, sua figlia, non poteva fare niente per alleviare il suo dolore.
“Katie, finalmente ti ho raggiunta! Non provare più a scappare così, ci siamo…”
Il silenzio che seguì quelle parole ebbe l’effetto di riuscire a scuoterla dalla sua apatia. Katie alzò lo sguardo, cercando di capire perché sua madre se ne stesse immobile e in silenzio. E poi ricordò. Adesso sapeva quale ricordo stava rivivendo: quello era il pomeriggio in cui aveva scoperto l’esistenza di quella radura, quando, per la prima volta, nella sua mente era riemerso l’incubo dell’incidente.
Seguì Marie, in attesa. Ormai sapeva già ciò che stava per accadere; certo, i ricordi che aveva di quel giorno con il tempo si erano annebbiati, ma quello che era successo dopo non avrebbe mai potuto dimenticarlo, era come impresso a fuoco nella sua memoria. Vide la bambina correre verso la stessa quercia contro cui lei stessa si era appoggiata solo poco prima, la vide distendersi esausta sotto la sua ombra e addormentarsi, sognando, ricordando qualcosa che era rimasto sepolto nel fondo della sua coscienza per tutti quegli anni…
 
Un rumore secco infranse il silenzio della radura. Katie scattò a sedere, il respiro affannoso, il battito accelerato. Davanti a lei, illuminato dalla luce della luna, c’era il lago, ma non c’erano più né Marie né la bambina. La ragazza si appoggiò all’albero dietro di lei, frastornata. Era davvero tornata a casa? Era stato tutto solo un sogno? Un sogno, eppure così reale...
Si guardò attorno, cercando la fonte del rumore che l’aveva svegliata, rabbrividendo per il freddo che, con la notte, era sceso sulla radura, quando all’improvviso uno strano brillio attirò la sua attenzione. Aguzzando la vista per cercare di distinguere qualcosa nel buio si accorse che quel brillio non era altro che il riflesso della luce lunare sugli occhi di un grande gatto, appollaiato su un ramo poco lontano. Dopo qualche secondo la ragazza distolse lo sguardo; non sapeva perchè, ma quella presenza la metteva a disagio. Rabbrividì più intensamente quando il vento cominciò a rafforzarsi e solo allora, alzando gli occhi al cielo, si rese davvero conto di che ora doveva essere. Balzò in piedi, imprecando tra sè; i suoi genitori dovevano essere preoccupatissimi e di certo a breve sarebbero usciti a cercarla.
Si incamminò in fretta verso casa, cercando di calmare la propria angoscia, ma non appena arrivò al limitare degli alberi dovette fermarsi di colpo. Dietro di lei era comparsa una luce, che si andava intensificando ogni secondo che passava. Lentamente, impaurita da ciò che avrebbe potuto vedere dietro di sè, la ragazza si voltò e ciò che si trovò davanti la lasciò impietrita.
Le acque del lago, fino a quel momento tranquille, rilucevano di un bagliore accecante; era come se davanti a lei ci fosse una conca ripiena di oro fuso, che ondeggiava lievemente, in modo quasi ipnotico. Katie rimase immobile, incapace di muoversi. Prima quel sogno e ora questo... Che cosa diavolo stava succedendo? Deglutì, cercando di sciogliere il nodo che le bloccava la gola; aveva una strana sensazione, una sensazione talmente opprimente da toglierle il respiro. Scosse la testa, cercando di controllarsi. Quello che vedeva non poteva essere reale! Si stropicciò gli occhi con forza, come a voler scacciare quelle immagini, ma quando li riaprì non era cambiato nulla. O forse sì.
Aguzzando lo sguardo e fissando con attenzione la riva, Katie si accorse terrorizzata che qualcosa le si stava avvicinando. Una sorta di fascio luminoso serpeggiava fuori dalle acque del lago, dirigendosi verso di lei, lento ma inesorabile.
La ragazza arretrò di qualche passo, ma il fascio continuava a seguirla, copiando i suoi movimenti e avvicinandosi sempre più... A quel punto, spaventata a morte, rimase immobile, cercando di trattenere le lacrime e i singhiozzi che sentiva chiuderle la gola. Si strinse le braccia tremanti al petto mentre osservava quella striscia luminosa arrivare ai suoi piedi, per poi avvolgersi attorno alla sua caviglia. La ragazza chiuse gli occhi di scatto, aspettandosi di sentirsi bruciare, aspettandosi un dolore intenso che però non arrivò. Riaprendoli vide che il fascio era sempre lì, avvolto alla sua gamba, ma l’unica cosa che sentiva era un tiepido calore che le risaliva lungo il polpaccio, per poi diffondersi in tutto il corpo.
Non seppe bene come accadde, ma quando dopo pochi secondi quel calore le invase la testa, cominciò a sentirsi disorientata, confusa. Si sentiva estremamente debole e le sembrava di scivolare lentamente nell’oblio, pur rimanendo consapevole di ciò che aveva attorno. E quella sensazione di debolezza continuò, finchè non si rese conto che non era più in grado di muovere il proprio corpo. Neppure il terrore provato nell’accorgersene riuscì a liberarla da quel torpore; ormai era come vuota, manovrata da qualcosa di molto più potente di lei, qualcosa che sembrava antico quanto il mondo stesso.
La ragazza fu così costretta a vedere, impotente, le proprie gambe muoversi da sole, prima barcollanti e poi sempre più sicure, senza che lei riuscisse ad impedirlo. Una volta arrivata alla riva del lago, il suo corpo cominciò ad immergersi, un passo dopo l’altro, fino ad essere completamente sommerso. Sotto la superficie nulla riusciva a raggiungerla, nessun rumore, nessun pensiero e la luce permeava il lago con una tale energia da rendere tiepida l’acqua prima gelida. La ragazza rimase sospesa sott’acqua, incapace di muoversi; poi dal fondale qualcosa cominciò lentamente a risalire, risucchiando la luce attorno a sè. Qualunque cosa fosse, quel globo di luce si avvicinava sempre più e lei non poteva fare altro che rimanere a guardare, sospesa in quell’attimo senza tempo. E quando finalmente le arrivò davanti, la ragazza allungò la mano. Non appena le sue dita sfiorarono la luce, l’energia racchiusa al suo interno si sprigionò all’improvviso, investendo tutto ciò che trovava sul suo cammino. Veloce com’era iniziato, all’improvviso il bagliore si spense e Katie si ritrovò, al buio, nell’acqua ormai gelida del lago.
 
*
Correvano veloce, troppo veloce. L’uomo al volante continuava a parlare, tentando di nascondere la paura, ma la piccola adagiata sul seggiolino non vi badava. La sua attenzione era completamente assorbita da quelle macchie confuse che scivolavano fuori dal finestrino, troppo veloci per poter assumere una forma precisa. Lei allungava le braccia, ridacchiando felice, cercando di afferrarle con le sue piccole manine, mettendo in quell’impresa tutta la sua concentrazione… Poi, all’improvviso, tutto si fece scuro. La bambina si spaventò, mentre le lacrime iniziavano a rigarle il viso. Avvertiva un’ombra scura che si avvicinava, silenziosa…
Suo padre diede gas all’acceleratore, spingendo l’auto al limite, ma l’ombra continuava ad avanzare, imperterrita, divertendosi perversamente dei loro vani tentativi, divertendosi a vederli fuggire nell’eccitazione della caccia. E ormai li aveva quasi raggiunti. Non avrebbero potuto sfuggirgli, ormai era lì, accanto a lei...
Katie si svegliò, urlando. Anche lì il buio dominava, come nel suo sogno… Rabbrividì al pensiero e strinse le braccia attorno alle ginocchia, tremando. Non era la prima volta che sognava l’incidente ma non l’aveva mai ricordato in maniera così vivida, con così tanti particolari e con l’ombra. Un’ombra che non aveva mai visto, che li voleva, che li cacciava… Chiuse gli occhi, respirando a fondo. Ondate di panico la sommersero, togliendole il respiro. Era come essere ancora lì, come rivivere tutto un’altra volta.
Scosse la testa, battendo i denti. Faceva freddo, troppo in effetti. Si strinse la manica della maglia e un rivolo d’acqua le scivolò lungo la mano. Alzò le braccia, sentendole deboli e pesanti. I vestiti, i capelli, ogni cosa grondava acqua. Eppure l’ultima cosa che ricordava era di essersi addormentata nel tepore del pomeriggio...
Si guardò attorno, disorientata, ma non appena il suo sguardo si posò sulle rive del lago i ricordi cominciarono lentamente a riaffiorare. La luce, quello strano oggetto, tutta quell’acqua e poi il buio...
Katie si strinse la testa tra le mani, confusa, cercando di ricordare altro, di riprendere gli ultimi pezzi di quel folle puzzle, ma nonostante i suoi sforzi non ci riusciva. Nella sua memoria non c’erano altro che attimi bui. La ragazza si diede un ultimo sguardo attorno, a disagio. Sentiva che qualcosa non andava, che mancava un pezzo importante…
Gemette esasperata quando cominciò a girarle la testa, ma proprio in quel momento il particolare che fino a quel momento le era sfuggito le balzò alla mente. Si guardò attorno di nuovo con maggiore attenzione, ancora più spaventata. Non era un caso che non ricordasse nulla. Come poteva, se era svenuta in acqua ed era rimasta priva di conoscenza?
Si morse il labbro, sentendo un brivido freddo correrle lungo la schiena, un brivido che non aveva niente a che vedere con il gelo della notte. Se era svenuta in acqua non avrebbe di certo potuto arrivare fino alla riva da sola, anzi, sarebbe morta annegata; qualcuno quindi doveva averla tirata fuori dal lago quando lei aveva perso conoscenza, per poi scomparire. Qualcuno le aveva salvato la vita, ma chi?
Voltò la testa, cercando una figura tra gli alberi, un segno qualunque, ma non vide nulla. Non c’era nessuno lì e chiunque l’avesse salvata sembrava essere scomparso.
Prese un profondo respiro, cercando di alzarsi, barcollante. Stava bene. Nonostante tutto quello che era successo, incluso il fatto che era quasi annegata, stava bene. Solo un po’ ammaccata, ma niente di che. E…
Si immobilizzò, tesa, quando si accorse di un lieve bagliore vicino ai suoi piedi. C’era qualcosa, a terra. Deglutì nervosamente, guardandosi di nuovo attorno prima di chinarsi a raccoglierlo. Com’era finito lì? Non ricordava che ci fosse quel pomeriggio e non avrebbe potuto non vederlo. Che l’avesse portato il suo ignoto salvatore? Dopotutto lei non ricordava di aver preso niente in acqua e l’unica cosa che aveva toccato era stata quella strana luce, mentre ciò che aveva in mano, qualunque cosa fosse, era reale, duro e freddo metallo.
Strinse gli occhi cercando, al buio, di distinguere che cosa potesse essere. Era un oggetto tondo, pensante, e… Rimase a bocca aperta quando le nuvole si diradarono per qualche minuto, permettendo alla luce della luna di rischiarare leggermente l’oscurità e consentendole finalmente di riconoscere l’oggetto nella sua mano. Un dorato e lucente orologio da taschino. Quel ritrovamento così inusuale la sorprese; in un’epoca moderna come la sua era già raro vederne in giro, ma addirittura vederselo comparire così dal nulla, con tutto quello che era successo, era ancora più strano. Lo avvicinò al viso, cercando di osservarlo in quella luce così scarsa. Era composto da tre quadranti rotondi, disposti a triangolo, con numeri che potevano ruotare su supporti girevoli, e a differenza di quello che le era sembrato all’inizio era più grosso di un comune orologio da taschino. Tutt’attorno i bordi e i pochi spazi liberi erano impreziositi da cornici dorate che si intrecciavano in un complicato arabesco. Due sottili linee argentate correvano lungo i lati, congiungendosi sulla sommità in un piccolo pulsante dorato, con sopra inciso uno strano stemma.
Katie aguzzò lo sguardo, istintivamente tentata da quel pulsante, cercando di decifrare quel piccolissimo simbolo, ma con quella luce non riusciva a distinguere granché e dopo poco tempo lasciò perdere. Eppure c’era qualcosa in quell’oggetto che la attraeva. Forse stava cominciando a delirare, per via dello sfiorato annegamento e del gelo di quella notte, ma le sembrava quasi che quell’orologio la chiamasse a sé.
Scosse la testa, ridendo di sé stessa. Non poteva perdersi a fantasticare, aveva cose più importanti a cui pensare. Per esempio a come spiegare ai suoi genitori il fatto di tornare a casa bagnata fradicia, quasi congelata e nel bel mezzo della notte. Cosa avrebbe potuto raccontare? Non certo la verità, non le avrebbero mai creduto e come poteva biasimarli, visto che neppure lei credeva a ciò che era successo? Sospirò, stringendosi le braccia al petto, mentre il tremore continuava ad aumentare. Là fuori non avrebbe resistito ancora a lungo, doveva tornare a casa il più in fretta possibile.
Si alzò, incamminandosi verso gli alberi, ma dopo appena qualche passo si fermò, incerta, abbassando lo sguardo sulla sua mano. L’orologio. Come avrebbe potuto spiegarne l’improvvisa comparsa? I suoi genitori si sarebbero senza dubbio chiesti da dove provenisse e neppure lei aveva una risposta a quella domanda. No, la situazione era già abbastanza complicata di per sè; quell’oggetto doveva sparire.
Si voltò, dirigendosi verso il lago e cercando di decidere il da farsi. Sapeva benissimo che buttarlo in acqua sarebbe stata la scelta più sicura, ma sapeva anche che sarebbe stata una decisione irreversibile; una volta presa non sarebbe più potuta tornare indietro e dentro di sè in qualche modo sentiva che non era la cosa giusta da fare. Si avvicinò alle sponde del lago, cercando di individuare, tra la vegetazione, il posto ideale, un posto in cui sarebbe stato al sicuro. In poco tempo individuò un piccolo roveto e, cercando di ferirsi il meno possibile con le spine, vi nascose l’orologio. Solo lei ormai avrebbe potuto ritrovarlo.
Quando anche quel problema fu risolto si rialzò in piedi a fatica, dolorante; i vestiti inzuppati continuavano a farla rabbrividire e le dita delle mani ormai erano quasi insensibili, fredde come ghiaccio. Cominciò a camminare verso casa, rigida e goffa, con i piedi che scivolavano nelle scarpe ancora impregnate di acqua. Stava rischiando seriamente di morire assiderata e lo sapeva; sapeva che più tempo avrebbe impiegato per tornare a casa, più si sarebbe sentita assonnata e debole, finchè non si sarebbe arresa, abbandonandosi ad un sonno da cui non si sarebbe più risvegliata. Un sorriso ironico le si aprì sul viso; sembrava davvero che la vita volesse prendersi gioco di lei in quel momento. Era stata salvata dalla morsa del freddo quando era neonata, a costo della vita di suo padre, per poi rischiare di morire nello stesso identico modo 18 anni dopo. Possibile che fosse destinata a subire la stessa sorte?
Strinse i denti, rifiutando quell’idea con tutte le sue forze. Superò velocemente la prima schiera di alberi, sperando che il movimento l’avrebbe aiutata a riscaldarsi, ma dopo appena un paio di minuti barcollò, rischiando di cadere a terra, e dovette appoggiarsi ad un albero per sostenersi. Si sentiva sempre più intontita e faticava a ragionare lucidamente, come se una fitta nebbia fosse entrata nella sua mente e la avvolgesse, opprimendola. Sospirò, riaprendo gli occhi, e solo a quel punto, fissando gli alberi davanti a lei, si accorse di non ricordare più in che direzione dovesse andare. Quella constatazione la impietrì, mentre la disperazione che fino ad allora aveva lottato per arginare iniziò a travolgerla ad ondate, pesando come un macigno sul suo petto. Si era persa. Strinse i pugni, furiosa con sè stessa. Aveva fatto quella strada migliaia di volte, conosceva quel bosco come le sue tasche eppure si era persa?? 
Digrignò i denti mentre si sforzava di ricordare, cercando di dissipare la confusione nella sua testa, di lacerare quella nebbia che continuava a intontirla, ma inutilmente. Gemette, lasciandosi cadere a terra e fissando esausta il lago davanti a lei. Forse suo fratello aveva sempre avuto ragione, quando le ripeteva che non sapeva badare neppure a sé stessa. Lucas aveva sempre fatto di tutto per proteggerla e per assicurarsi che fosse al sicuro, almeno finchè non era partito per quella che lui aveva definito ‘la ricerca di sè’. Da allora erano passati quasi 6 anni e per quanto glielo avessero chiesto non si era mai deciso a tornare a casa, a tornare da lei. Ormai anche le cartoline, l’unica traccia che rimaneva di lui, si erano fatte sempre più rade, finchè qualche mese prima erano cessate del tutto. Da allora lei aveva fatto di tutto per trovare una spiegazione plausibile, per credere ancora che, nonostante tutto, Lucas stesse bene e che magari non avesse soltanto il modo di far loro sapere che era tutto a posto. Ma più il tempo passava senza notizie, più l’angoscia la logorava. Quante notti aveva pianto per lui, quante notti insonni a pensare agli ultimi momenti insieme, a sentire la sua mancanza...
Scosse la testa, allontanando quei ricordi. Lucas non avrebbe voluto vederla inerme, non avrebbe mai voluto vederla arrendersi senza lottare. La ragazza strinse i denti e si alzò, barcollando. Era troppo presto per darsi per vinta. Ricominciò a camminare, senza una direzione precisa, con la sola speranza di riuscire per istinto a trovare la strada giusta. Continuò così per almeno cinque minuti, cinque minuti di solitudine, di disperazione e di gelo. Poi, all’improvviso, proprio mentre stava per scavalcare un tronco caduto che le sbarrava la strada, avvertì qualcosa che la pietrificò, qualcosa che riuscì, per un istante, a fermare il battito del suo cuore. Un fruscio di foglie, dei tonfi sempre più forti e vicini. Katie si voltò di scatto, spaventata. Stava arrivando qualcosa, qualcosa di grosso… E con un balzo una sagoma bianca si lanciò su di lei, gettandola a terra con forza. La ragazza urlò, terrorizzata, ma quell’animale non se ne preoccupò, cominciando festosamente a leccarle le guance. E solo allora la luce della luna, filtrando da dietro le nuvole, le permise di vedere che quello altri non era che il loro cane.
“Whitly??”
Whitly abbaiò, cercando con il muso di aiutarla a tirarsi su. Katie si rialzò, incerta sulle gambe, fissandolo sconcertata. Cosa ci faceva lì? E come aveva fatto a trovarla? A quell’ora avrebbe dovuto essere a casa, non certo a girovagare per il bosco... Si bloccò all’improvviso, fissando il vuoto, folgorata da quel pensiero. Whitly arrivava senza dubbio da casa; forse il suo istinto l’aveva spinto a uscire a cercarla, forse aveva intuito che lei era in difficoltà, che le serviva aiuto. E se lui era riuscito a trovarla, allora forse sarebbe anche riuscito a riportarla indietro. Era la sua unica speranza, eppure non riusciva a togliersi di dosso la sensazione che ci fosse qualcosa di strano in quell’incontro, un incontro così fortuito da non sembrare neppure vero. C’erano state fin troppe stranezze quella sera…
Sussultò quando Whitly le tirò la manica, ma poi lo seguì mentre la guidava tra gli alberi, gettando stancamente un ultimo sguardo dietro di sé prima di sparire nelle tenebre. Nel frattempo, nascosti nell’oscurità, due occhi gialli li fissavano, seguendo attentamente ogni loro movimento. Quando poi le due figure si dissolsero nel buio della notte, quello sguardo si spostò in direzione del lago e una schiera di denti bianchi e aguzzi brillò sinistramente nel buio, prima di svanire.
 
Katie continuava ad avanzare, tremando come una foglia. Il vento era addirittura aumentato e muoversi stava diventando sempre più faticoso; i suoi piedi erano sempre più goffi, le sue gambe sempre più pesanti. Sentiva come se il freddo stesse erodendo la sua forza di volontà secondo dopo secondo e si chiedeva se quella marcia assurda sarebbe mai finita; ogni passo durava un’eternità, ogni albero le sembrava identico a quello precedente, tutto sembrava uguale a ciò che si era appena lasciata alle spalle. Si sentiva talmente intontita e intorpidita che ormai non aveva più né la percezione del tempo né il senso dell’orientamento. Si limitava ad affidarsi a Whitly, che continuava deciso a tirarla per la manica, lasciandosi condurre senza opporre resistenza. Sapeva di dover stringere i denti e continuare, imponendosi ogni volta di mettere un piede davanti all’altro, di non fermarsi finchè non fosse arrivata davanti alla porta di casa. E anche se ogni minuto era un lungo, interminabile momento di dolore, alla fine la sua tenacia fu ripagata. Le pareti bianche, le finestre illuminate, la grande porta in legno finalmente comparvero davanti a lei, ma proprio allora si rese conto con sgomento di non avere più la forza per continuare. Rimase lì in piedi, immobile, fissando disperatamente quella porta, la sua unica salvezza, ben sapendo che anche solo un altro passo avanti l’avrebbe fatta crollare definitivamente.
La testa cominciò di nuovo a girarle, mentre i continui latrati di Whitly la trafiggevano come lame incandescenti. Chiuse gli occhi, il viso contratto in una smorfia di dolore; non sopportava più di sentirlo, voleva solo che smettesse... E alla fine ci fu silenzio. La ragazza riaprì gli occhi, confusa, e fu allora che lo sentì. Un impaziente armeggiare dietro la porta, voci preoccupate e finalmente, davanti a lei, le figure dei suoi genitori, pallidi, tirati e con un’espressione angosciata in volto. Il sollievo che provò in quel momento la avvolse come una coperta calda e finalmente si sentì completamente al sicuro, mentre la tensione e la paura che l’avevano tormentata scivolavano via. La luce, l’orologio, erano ormai talmente lontani che le apparivano irreali, quasi un sogno. O un incubo.
“Katie, dove sei stata?? Mio Dio, stai tremando! E questi vestiti sono fradici! Vieni dentro, sbrigati, devi metterti subito al caldo e cambiarti...”
Katie li lasciò affaccendarsi attorno a lei, assente, quasi inconsapevole di ciò che stava succedendo. Si sentiva come in una sorta di limbo, in cui la sua mente galleggiava senza pensieri. Si riscosse all’improvviso quando la madre le rimboccò i tre strati di coperte sotto cui l’aveva sepolta.
“Katie, ci hai fatto proprio preoccupare, ero tanto in pensiero. Temevo che... che...”
Mentre il senso di colpa riprendeva forza dentro di lei, la ragazza cercò di tranquillizzarla con un sorriso, ma tutto quello che le uscì fu una stranissima smorfia. Al caldo sentiva che ormai la sua attenzione si stava rapidamente dissolvendo, gli occhi si stavano già chiudendo, ma doveva dirlo, doveva trovare la forza per un ultimo sussurro.
“Mi dispiace…”
La madre scosse la testa, baciandola teneramente sulla fronte.
“Non fa niente, piccola mia. Adesso dormi. Domani è un altro giorno.”
Ma la ragazza non la stava più ascoltando, si era addormentata già alle prime parole. Senza fare rumore, Marie si alzò dal letto e sgusciò fuori dalla stanza. Ad aspettarla c’era Ted.
“Come sta?”
“Meglio, adesso sta dormendo. Ha preso davvero molto freddo, ma penso che restando al caldo e a riposo si rimetterà. Però sono davvero molto preoccupata. Dov’è stata? È tornata bagnata fradicia, quasi congelata e… Oh, volevo chiederglielo, ho provato, ma era così stanca e stravolta che…”
Il marito la interruppe, prendendole delicatamente il viso tra le mani.
“Stai tranquilla cara, domani Katie starà meglio e ci racconterà cosa è successo. Dobbiamo solo avere pazienza.”
Lei chiuse gli occhi, stanca, poi, con un sospiro, gli sorrise.
“Hai ragione. Basta solo aspettare.”

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Capitolo 2
*** Legami traditi ***


CAPITOLO 2
Legami traditi
 
La luce forte del mattino filtrava attraverso le tende. Katie strinse gli occhi, gemendo, e si ritirò sotto le coperte, cercando di riaddormentarsi, ma ormai era sveglia e la possibilità di riprendere sonno svanita.
Sbadigliò, stiracchiandosi. Cominciava ad avere caldo, ma il pensiero di quello che la aspettava di sotto bastava a farla rimanere a letto. Fece una smorfia al ricordo della sera prima: i suoi genitori non le avevano fatto domande, ma erano turbati e molto preoccupati e dopo aver visto che lei stava meglio sarebbero cominciate le pressioni per sapere cos’era successo. E lei come avrebbe potuto spiegarlo? Quello che era successo era talmente inverosimile che non avrebbe mai avuto il coraggio di raccontarlo, e d’altronde come avrebbero mai potuto credere ad una storia del genere?
Gemette, tornando a rintanarsi nel letto. Non sarebbe mai più uscita da quella camera, non aveva il fegato di affrontarli. Eppure...
Scosse la testa, mentre la sua mente tornava di nuovo a ciò che era successo al lago. Adesso le sembrava tutto distante e irreale, ma era successo veramente, non era stato un sogno. Quella luce era vera, ne aveva persino sentito il tocco, caldo e confortante, sulla mano. Sospirò, osservando amareggiata il cielo che riusciva ad intravedere dalla finestra. Anche quel sogno era vero, allora? L’auto che correva sulla strada ghiacciata e un’ombra che non aveva mai ricordato prima...
Strinse a sé le coperte, cercando di capire. Perché dopo tanti anni? Perché prima di quella notte non aveva mai ricordato la verità sull’incidente? Non era una cosa che avrebbe dimenticato facilmente, anche se era ancora molto piccola, le sarebbe rimasto impresso nella mente, tormentandola senza sosta. Ci sarebbe stato qualcosa, al posto del vuoto che aveva avuto per diciassette anni.
Fissò lo sguardo sul soffitto, mentre un’ipotesi si faceva strada nella sua mente: e se ci fosse stata una ragione dietro quel ricordo improvviso? E se, in qualche modo, quello che era successo al lago l’avesse influenzata tanto da costringerla a ricordare qualcosa che aveva volontariamente rimosso?
Si tormentò le mani, pensierosa. Effettivamente poteva essere una spiegazione. Dopotutto, quello che era successo quella notte era ben più strano, perchè allora non credere che i due eventi potessero essere collegati? E forse quell’orologio, che la notte prima aveva trovato così affascinante, poteva essere la risposta alle sue domande.
Sospirò, lasciando da parte quell’ipotesi per concentrarsi sui problemi più immediati. Non appena fosse scesa, infatti, sarebbe stata subissata di domande e avrebbe dovuto dare una spiegazione che fosse convincente. Raccontare la verità sarebbe stato inutile e assurdo; la fiducia dei suoi genitori era già appesa ad un filo sottile e lei non avrebbe di certo raccontato qualcosa di così inverosimile da rischiare di tranciarlo di netto. No, doveva trovare qualcosa di ordinario, qualcosa a cui avrebbero facilmente creduto.
Ci mise qualche minuto per riuscire a costruirsi una storia adatta, poi qualche altro minuto per migliorarne i dettagli; quando alla fine si sentì pronta, scese dal letto e si affrettò a cambiarsi prima che la sua determinazione svanisse.
Al piano di sotto, esattamente come aveva immaginato, Marie e Ted la stavano aspettando, seduti uno accanto all’altra sul divano, lo sguardo perso oltre la grande porta a vetri. Non appena entrò si voltarono verso di lei e Marie si alzò, attraversando la stanza per abbracciarla.
“Finalmente ti sei svegliata! Come ti senti?”
Katie sorrise, sciogliendosi dall’abbraccio e sedendosi sulla poltrona davanti ai genitori.
“Sto molto meglio, mi serviva solo una buona notte di sonno.”
Ted la fissò, lo sguardo severo fisso sul suo viso.
“Ci potresti spiegare cos’è successo esattamente? Eravamo preoccupatissimi, abbiamo chiamato praticamente tutto il vicinato e stavamo per avvertire la polizia.”
La ragazza annuì; sentiva il corpo rigido e il cuore battere a mille, ma sapeva di doversi mostrare tranquilla, addirittura rilassata. Se non fosse riuscita a mentire alla perfezione, sarebbe andato tutto a rotoli in un attimo.
“Lo so, mi dispiace tantissimo avervi fatto preoccupare, non volevo. Ieri pomeriggio sono andata alla radura a studiare un po’, ma senza volerlo mi sono addormentata e quando alla fine mi sono svegliata era già notte fonda.”
A quelle parole Marie sgranò gli occhi.
“Ti sei addormentata? Katie, è pericoloso, lo sai! Cosa sarebbe successo se un animale ti avesse attaccata?”
“Lo so mamma, ma mi sono addormentata senza nemmeno rendermene conto! La scorsa notte ero talmente concentrata a studiare che non mi sono resa conto dell’ora e sono andata a letto davvero tardi, per cui penso semplicemente di aver ceduto al sonno.”
Ted scosse la testa.
“Sei stata davvero imprudente, credevo ti avessimo insegnato a fare attenzione quando sei nel bosco. Poteva succederti di tutto, è stata davvero una fortuna che tu sia tornata a casa tutta intera. Ci hai deluso, Katie.”
La ragazza abbassò lo sguardo, mentre una stilettata di dolore le trapassava il cuore. Si era aspettata quella reazione, ma non per questo faceva meno male sentirselo dire.
“E come mai eri bagnata fradicia con quel freddo?”
“Quello è stato un incidente, sono stata una stupida. Quando mi sono resa conto di quanto fosse tardi ho cominciato a correre verso casa, ma mi sono avvicinata troppo alla riva e sono scivolata.”
Silenzio.
Katie tenne gli occhi ostinatamente bassi, rifiutandosi di incontrare lo sguardo scettico del padre o quello incredulo della madre. Stava rischiando, ne era consapevole, ma quella era l’unica spiegazione plausibile che poteva offrire ai suoi genitori; d’altronde, ben sapendo quanto lei potesse essere distratta, non avrebbero dovuto farsi troppi problemi a crederle.
“Mi stai dicendo che sei scivolata e sei caduta nel lago?”
La ragazza annuì, lanciando un’occhiata fugace al volto sempre più scettico di Ted, e cominciò a sudare freddo.
“Be’, conoscendoti non è poi così improbabile.”
Katie alzò lo sguardo verso sua madre che le sorrideva, un po’ divertita.
“Sei sempre stata con la testa tra le nuvole, Katie, ma questa volta hai davvero superato te stessa. Vorrei che tu facessi più attenzione, ma non mi dai mai retta.”
Lei sorrise a sua volta, mentre dentro di sè moriva per il senso di colpa; era davvero giusto mentirle in quel modo? Se aveva fatto la scelta migliore, perchè si sentiva così?
“Non lo faccio apposta, mamma, davvero. È che sono fatta così, almeno credo.”
Ted scosse la testa.
“In ogni caso sei stata un’irresponsabile e hai fatto preoccupare tantissimo tua madre. Hai molto su cui riflettere, signorina, e se non fosse che oggi avremo visite, saresti già chiusa in camera tua.”
“Quali visite?”
“Tua zia Sophie. Ha chiamato poco fa, avvisandoci che avrebbe fatto un salto a vedere come vanno le cose.”
A quelle parole Katie si impietrì sulla poltrona. Sophie. Non era mai riuscita a sopportare quella donna, nonostante fosse la sorella di sua madre, e quel sentimento era pienamente ricambiato; ogni volta che si incontravano, Katie non leggeva altro che odio e indifferenza in quei freddi occhi grigi.
Motivo per cui non faceva certo i salti di gioia all’idea di dover passare tutto il pomeriggio in sua compagnia, ma quella volta, oltre alla frustrazione, alla rabbia e all’impotenza, avvertì anche qualcos’altro; un sospetto. Quella visita, con un così breve preavviso, non era affatto da Sophie. Di solito li informava almeno una settimana prima, in modo da dare loro il tempo di riceverla “in modo consono alla sua posizione sociale”. Oltretutto si premurava di visitarli solo una volta all’anno, per riscuotere le rate di un vecchio prestito concesso alla sua famiglia in un momento di difficoltà. Un momento che, come Sophie non mancava mai di ricordarle con cattiveria e arroganza, coincideva con il suo arrivo.
Aggrottò la fronte, cercando di fare mente locale: se non ricordava male non era passato molto dall’ultima visita, forse solo un paio di mesi. Perché quindi arrivare così all’improvviso? Il suo primo pensiero fu che si fosse stancata di mantenere la sua facciata di donna caritatevole agli occhi degli amici altolocati di quell’aristocratico del marito e avesse deciso di richiedere indietro l’intera somma che ancora le dovevano, ma scartò presto quell’ipotesi. Nonostante avesse cercato di starle alla larga il più possibile conosceva sua zia, e soprattutto conosceva la sua vanità: non avrebbe mai rinunciato alla sua maschera, così attentamente costruita. No, doveva essere successo qualcosa in quelle ore, qualcosa che l’aveva obbligata a venire da loro, ma cosa?
Fissò, senza vederlo, il panorama fuori dalla vetrata, mentre un orribile sospetto si insinuava nella sua mente. Certo che qualcosa era successo, qualcosa di così incredibile e senza senso che lei non avrebbe mai raccontato a nessuno. Poteva essere quell’orologio il motivo per cui Sophie si stava affrettando a raggiungerli? Poteva conoscere qualcosa che nessuno sapeva a parte lei?
Chiuse gli occhi, cercando di allontanare quel pensiero assurdo, ma per quanto si sforzasse non riusciva a cacciare quell’idea dalla sua mente. Per tutto il resto della mattinata continuò ad affiorare quando meno se lo aspettava e quel sospetto continuò a crescere dentro di lei. Pensare che sua zia conoscesse il suo segreto era assurdo, ma cosa di quello che era successo quella notte non lo era?
“Katie? Katie!”
Sentendo la voce della madre chiamarla si riscosse dai suoi pensieri, scuotendo leggermente la testa per cercare di tornare alla realtà.
“Scusa mamma, ero sovrappensiero. Ti serve aiuto in soggiorno?”
“No, ormai abbiamo finito. Puoi andare ad accogliere Sophie? Mi è sembrato di sentire una macchina entrare nel vialetto.”
Con un sospiro Katie annuì, poi si incamminò verso la porta. Rimase immobile qualche secondo con la mano appoggiata sulla maniglia, pregando con tutte le sue forze che sua madre si fosse sbagliata, che non ci fosse ancora nessuno dietro quella porta. Naturalmente non era così.
“Katie! Tesoro, quanto tempo che non ci vediamo! Ma fatti guardare un po’, sei proprio cresciuta in questi mesi. Ah, la giovinezza!”
Katie si sforzò di sorridere e di ricambiare i saluti, ma nel frattempo la osservava attentamente, cercando di cogliere eventuali stranezze nel suo comportamento. Eppure sembrava tutto normale, esattamente come le altre volte. Sophie era sempre la stessa donna irritante, imprigionata per l’eternità in quegli abiti soffocanti che tanto adorava. Che le sue fossero quindi solo paranoie senza fondamento?
Con la mente in tumulto si fece da parte per farla entrare e cercò di rispondere con tutto il garbo di cui era capace alle sue domande sulla scuola, ma non si lasciò ingannare dalla sua apparenza gioviale. Era frustrante dover assistere con il sorriso a quell’incredibile dimostrazione di falsità e sfacciataggine, ma anche se il disprezzo cresceva dentro di lei, davanti ai suoi genitori non poteva mostrarsi che affabile e gentile. Il loro bene era l’unica cosa che le impediva di fuggire ogni anno da quegli interminabili incontri.
“Quanto è cresciuta! Davvero, quando ha aperto la porta per poco non la riconoscevo. Voi...”
Katie si accomodò meglio sulla poltrona, ben sapendo che la aspettava almeno un’ora di chiacchere insensate prima che Sophie rivelasse il vero motivo del suo arrivo. Così lasciò vagare la mente, cercando di estraniarsi da tutto ciò che la circondava, finchè una sola parola la riportò bruscamente alla realtà.
“...ed è un vero peccato che Lucas non si sia ancora fatto sentire. Me lo ricordo ancora quando era bambino, un vero angelo! Ho sempre invidiato quei suoi boccoli dorati. E poi facevamo delle lunghe chiacchierate e mi raccontava sempre tantissime cose interessanti! Ad esempio mi raccontava della tua radura, Katie, e di quanto ti piacesse andarci anche per ore intere. Confesso di essere sempre stata curiosa di vederla, ma purtroppo non saprei come arrivarci da sola.”
A quelle ultime parole Katie si impietrì sulla poltrona, mentre un brivido gelido le scendeva lungo la schiena. Sapeva, ne era certa. Sapeva della radura e di sicuro sapeva anche dell’orologio, nascosto sulla riva. Quel suo improvviso interesse non ne era forse la prova? E non lo era anche quel sorriso soddisfatto, come se avesse già il bottino tra le mani?
La ragazza lanciò un’occhiata disperata a Marie, cercando il suo sguardo, per farle capire che doveva rifiutare, che doveva dirle di lasciar perdere. Perchè conosceva sua madre e già sapeva come le avrebbe risposto.
“Ma non ci sono problemi! Se ti va di fare una passeggiata Katie ti può accompagnare, sono sicura che anche lei ne sarebbe felice, non è vero?”
A quelle parole il sorriso di Sophie si allargò ancora di più, mentre l’umore della ragazza sprofondava. Come aveva potuto sperare che Marie rispondesse diversamente? Lei non si era mai accorta della vera natura di sua sorella, non l’aveva mai sospettata. Quante volte si era sentita frustrata dal suo atteggiamento così spensierato e incosciente verso il mondo.
“Ah, che bello! Tra l’altro una passeggiata dopo essere stata tanto seduta sarà davvero tonificante. Katie, che ne diresti di andarci subito? Stanno arrivando dei nuvoloni scuri, sarà meglio affrettarsi se non vogliamo essere sorprese dal temporale.”
“Giusto, il temporale! Sarebbe da imprudenti andare adesso, non credi zia? Ti posso sicuramente portare la prossima volta, quando il tempo sarà migliorato.”
Sophie ridacchiò, ammiccandole amichevolmente.
“E dove sarebbe il divertimento?”
“Ma…”
“Marie, tesoro, non ti devi preoccupare di nulla. Non farei mai correre a Katie un pericolo inutile. Saremo di ritorno molto prima che inizi a piovere, hai la mia parola.”
A quelle parole Marie fissò indecisa la sorella per qualche secondo, poi le sorrise.
“Va bene allora, non credo ci siano problemi. Katie, ti prendo la giacca!”
Senza alzare lo sguardo Katie annuì, sforzandosi di celare la rabbia impotente che la divorava, mentre il suo cervello ribolliva alla ricerca di una via d’uscita da quella situazione. Continuò a pensarci mentre salutavano Ted e Marie, uscendo nell’aria pesante che precedeva il temporale. Fu solo quando Sophie le posò una mano sulla spalla che si riscosse dai suoi pensieri, e in tutto quel tempo non era riuscita a escogitare nulla di utile. La zia intanto le sorrideva malignamente, quasi avesse intuito le sue intenzioni.
“Allora, andiamo?”
Katie rabbrividì sotto quello sguardo avido, ma poi si sforzò di assumere un’espressione distaccata e annuì. Non voleva darle la soddisfazione di vedere quanto quella richiesta l’avesse punta sul vivo e non solo per la storia dell’orologio. Quella radura era sempre stata il suo santuario, il suo rifugio per i momenti di tristezza e per quelli di gioia. Quel lago traboccava di ricordi e pensare di portare Sophie laggiù la infastidiva più di quanto volesse ammettere, ma non le avevano lasciato altra scelta.
Cominciò a camminare, la sua mano sempre sulla spalla. Non ne era sorpresa, sapeva perfettamente perchè la teneva così stretta; non voleva che lei riuscisse a fuggire, nel caso in cui ne avesse avuta la possibilità. Ma Katie non l’avrebbe mai fatto, sarebbe stata una mossa inutile e che le avrebbe permesso di guadagnare soltanto pochi minuti; come avrebbe potuto spiegare a sua madre quella fuga? Senza parlare del fatto che Sophie avrebbe trovato un’altra scusa per costringerla a portarla alla radura e il tutto senza neppure troppi sforzi. No, fuggire non era la soluzione.
Digrignò i denti quando la stretta sulla sua spalla divenne più forte.
“Sai Katie, non avrei mai immaginato che ti potessi trovare coinvolta in tutto questo. A dire la verità non ho mai visto il minimo potenziale in te, ma a quanto pare mi sbagliavo. Che cosa curiosa, sembra che il destino riservi un’attenzione quasi morbosa alla nostra famiglia.”
Katie alzò lo sguardo verso di lei, mentre paura ed eccitazione si mescolavano nella sua mente.
“Che cosa intendi dire? Cosa c’entra la nostra famiglia?”
Sophie alzò un sopracciglio, scettica, poi un sorrisino comparve sul suo viso.
“Ah capisco, tu non sai nulla quindi. Immagino che abbia voluto tenerti lontana da tutto questo, ma sembra che il suo tentativo sia miseramente fallito. Peccato che lui non sia qui ad assistere alla disfatta del suo grande piano per proteggerti.”
“Di chi parli? Chi è lui?”
La zia sbuffò.
“Non crederai davvero che abbia il tempo o la voglia di rispondere. Sono qui per un motivo preciso; una volta che avrò trovato ciò che sono venuta a cercare, non avrò più bisogno del tuo aiuto.”
Katie si morse il labbro, cercando di tenere a freno l’enorme quantità di domande che quelle poche frasi avevano fatto nascere in lei. Qualcun altro della sua famiglia, oltre a lei e Sophie, era coinvolto in quegli eventi; ma chi? Qualcuno della sua famiglia adottiva? O invece si stava riferendo alla sua famiglia naturale, che lei non aveva mai conosciuto?
“E che cosa vuoi?”
Sophie ridacchiò.
“Avanti Katie, non trattarmi come un’idiota. Sappiamo entrambe cosa è successo ieri notte e che cosa c’è esattamente in quella radura.”
A quelle parole la ragazza strinse i pugni, mentre la disperazione cominciava ad erodere le sue speranze. Come temeva, sapeva tutto.
“Non l’ho raccontato a nessuno. Come hai fatto a saperlo?”
La zia scrollò le spalle.
“Ho i miei metodi e ti assicuro che sono molto affidabili. D’altronde eravamo preparati; sapevamo che era solo questione di giorni.”
“Sapevamo?”
Sophie si portò una mano alla bocca, un’espressione sorpresa in viso, ma dopo qualche secondo rise, divertita dall’espressione speranzosa che era comparsa sul viso di Katie prima che lei potesse nasconderla.
“Sei davvero un’ingenua. Cerchi ancora di carpirmi informazioni, non è così? Dovrai accumulare molta più esperienza se davvero vorrai ingannare le persone. È un’arte che va affinata per anni.”
“E tu sei senza dubbio esperta a proposito.”
“La modestia non è certo una mia dote e nell’arte dell’inganno sono una vera maestra. Nessuno ha mai sospettato di me, nessuno tranne te; dovresti esserne orgogliosa, Katie. Tu sei l’unica persona che ha mai davvero intuito che cosa ci fosse sotto questa facciata.”
“A quanto pare però non mi è servito a molto.”
Sophie rise di nuovo, rafforzando la presa sulla sua spalla.
“Non te la prendere, d’altronde non avevi altra scelta che accompagnarmi. È questo il segreto; stringere la preda in un angolo e chiuderle tutte le vie di uscita, finchè non sarà costretta a prendere la strada che hai già scelto per lei.”
Katie sospirò, mentre la rassegnazione ormai cominciava a prendere il posto della rabbia. Si rendeva conto sempre di più, con ogni minuto che passava, che Sophie aveva attentamente pianificato la sua visita, mentre lei, essendo stata colta alla sprovvista, non aveva avuto modo di sfuggirle. Davanti a lei cominciava già a scorgere la radura e quando anche gli ultimi alberi si diradarono dietro di loro fissò lo sguardo sulla riva del lago. Quanto ci avrebbe impiegato a trovare l’orologio? Qualche minuto, forse mezz’ora? Ormai non aveva dubbi che alla fine sarebbe riuscita nel suo intento. Quel piano, qualunque fosse, era stato preparato con cura; sua zia non era sola in quella missione anzi, aveva informazioni talmente precise da farle pensare che, quella notte, ci fosse stato davvero qualcuno a spiarla, tra gli alberi. Non aveva forse avvertito la sensazione di essere osservata?
“Eccoci arrivate, finalmente. Ora aspettami qui e cerca di evitare di fuggire, va bene? Ti riprenderei subito e fidati, non sarebbe affatto piacevole.”
Katie non le rispose e tenne lo sguardo fisso a terra. Non poteva fare nulla per fermarla, ma non voleva vedere il suo sorriso trionfante, non voleva vederla ghermire l’unico indizio concreto che avesse mai avuto sul suo passato. Stare lì immobile, mentre anche l’ultima speranza di ritrovare sua madre, di scoprire qualcosa sui suoi genitori improvvisamente svaniva... Le sembrava di sentirsi squarciare il petto in due. Era una sensazione insopportabile, eppure non si mosse. Sopportò in silenzio in attesa che Sophie finisse la sua ricerca, in attesa di vedere l’orologio tra le sue mani, mentre la sua mente era interamente occupata a pensare a nuovi e sempre più improbabili piani di fuga. Ma quando, dopo un quarto d’ora, la zia tornò verso di lei, le sue mani erano vuote e sul suo viso erano evidenti la rabbia e la frustrazione.
“Dov’è? L’hai nascosto a casa? O l’hai portato con te?”
Katie la fissò a bocca aperta, confusa. Non l’aveva trovato? Come era possibile? Certo, l’aveva nascosto, ma di sicuro non così bene. Di fronte al suo silenzio Sophie perse la pazienza e la afferrò per le spalle, il viso deformato dalla furia e dall’ansia.
“Rispondi! Dove l’hai nascosto??”
La ragazza cercò di indietreggiare, spaventata da quella violenza improvvisa, ma le mani della zia la stringevano talmente forte da impedirle persino di muoversi.
“Non lo so, dovrebbe essere qui! Non l’ho portato con me!”
Sophie digrignò i denti, uno scintillio metallico negli occhi grigi.
“Ora tu mi indicherai esattamente dove lo hai nascosto ieri notte. Se non lo farai o se mi mentirai, vedrai un lato di me che non hai mai sospettato e ti assicuro che non lo troverai piacevole. Ci siamo capite?”
Katie annuì, sempre più spaventata. Sotto lo sguardo furioso di Sophie si avvicinò alla riva, dove ricordava di aver nascosto l’orologio, ma quando ci arrivò si accorse con sgomento che, nello stesso punto in cui lo aveva lasciato solo la notte prima, non c’era più nulla.
Il terrore le chiuse la gola, mentre il suo cuore sembrava quasi fermarsi. Possibile che qualcuno li avesse preceduti? Possibile che qualcuno lo avesse rubato prima di Sophie?
“Non è possibile... Non c’è più.”
Katie si sentì strattonare all’indietro, fino ad avere il viso di Sophie a pochi centimetri dal suo e la fredda determinazione che vide in quegli occhi la fece rabbrividire.
“Mi stai dicendo che qualcuno è arrivato prima di noi? Mi prendi per un’idiota, è così?”
La ragazza digrignò i denti, furiosa.
“Non sto mentendo! Non l’ho preso io e non so dove sia!”
Sophie rimase immobile, gli occhi fissi nei suoi. Quello sguardo penetrante sembrava frugare nella sua anima, fin negli spazi più reconditi, ma nonostante quell’orribile sensazione Katie non riusciva a muoversi o a distogliere lo sguardo. Si sentiva come in trappola, consapevole di ciò che accadeva attorno a lei ma incapace di ribellarsi.
Quando alla fine Sophie la lasciò andare, si sentì confusa e svuotata.
“Stai dicendo la verità. Se non sei stata tu, allora significa che i nostri rivali ci hanno preceduti, ma devono essere ancora nei dintorni, ne sono sicura.”
Scrutò gli alberi attorno a loro, quasi aspettandosi di vedere qualcuno nell’ombra, poi sospirò, riportando lo sguardo su di lei.
“Puoi tornare a casa, ho finito con te. E spero sia superfluo sottolineare come niente di quello che è successo oggi dovrà uscire dalla tua bocca. Se dirai qualcosa ai tuoi genitori, lo saprò. Non posso permettere che qualcun altro si immischi; se malauguratamente invece dovesse accadere, sarò costretta a riparare all’errore.”
A quell’intimidazione neanche tanto velata Katie strinse i pugni, sempre più furiosa.
“Li stai minacciando? Stai minacciando i miei genitori?”
“Vedo che hai afferrato al volo.”
“Marie è tua sorella! Davvero arriveresti a farle del male?”
Sophie sbuffò, fissandola con quegli occhi gelidi.
“Non hai ancora capito? Tutto questo è molto più grande di me o di Marie, siamo tutti pedine sacrificabili in questo gioco. Se non avrò altra scelta, farò quello che devo.”
Katie indietreggiò di qualche passo, scioccata. Aveva sempre pensato che sua zia fosse malvagia, ma mai avrebbe immaginato che si sarebbe spinta a tanto.
“Come...”
Sophie sospirò, poi le si avvicinò, poggiandole la mano sulla spalla e sussurrandole all’orecchio.
“Vuoi un altro consiglio, Katie? Recidi ogni legame, lasciati alle spalle tutte le persone che ami. Solo in questo modo potrai essere veramente libera, perchè nessuno potrà fare presa su di te. Se invece continui a preoccuparti per gli altri, se continuerai a mantenere questi legami, non sarai altro che una preda fin troppo facile, un burattino che chiunque potrà usare a suo piacimento. Solo abbandonandoli potrai salvarti.”
E si allontanò tra gli alberi, lasciandola sola. Sopra di lei un fulmine illuminò il cielo, mentre il tuono riverberava nella radura.
La tempesta stava arrivando.
 
*
Sophie camminava in fretta, indifferente alla fitta pioggia che la raggiungeva anche sotto la copertura della foresta. Le cose si erano complicate. Come avevano fatto a precederla senza che se ne accorgesse? Non poteva essere stato Arkel, non era da lui un’azione così avventata. E se non era stato lui, rimaneva un’unica possibilità. Sorrise a quel pensiero; sapeva già a chi affidare il compito di ritrovare l’orologio, una persona che moriva dalla voglia di vendicarsi. 
Gaelen, abbiamo un problema.
Una voce annoiata le rispose nella sua testa.
Ovvio, d’altronde quando mai non ce n’è uno? Comunque so già tutto; li abbiamo davvero sottovalutati, se sono stati in grado di precederci con tutto questo anticipo.
Come lo scoviamo?
Aspettiamo.
A quell’unica parola Sophie si arrestò, la fronte corrugata.
Potrebbe approfittarne per fuggire con l’orologio.
Gaelen ridacchiò.
Non se ne andrà mai senza la ragazza, questo è certo, come non lo faremmo mai neppure noi. Quella Katie è indispensabile, senza di lei l’orologio è completamente inutile.
Potevamo approfittarne e prenderla in ostaggio già da ora, era completamente alla mia mercé.
No, prenderla adesso sarebbe stato stupido e non sarebbe servito a far uscire il nostro amico allo scoperto. Mi sa che stai perdendo colpi, Sophie.
Sophie digrignò i denti, irritata. Non era mai riuscita a sopportare quell’idiota arrogante. L’avrebbe ucciso molti anni prima, se non fosse stato uno tra i maghi più abili e potenti in circolazione. Una risorsa fastidiosa ed irritante, ma preziosa e indispensabile.
Quando credi che agirà?
Probabilmente stanotte, quando i genitori della ragazza non saranno di intralcio. Noi non dobbiamo fare altro che aspettare e lei ci condurrà dritti all’obbiettivo. Dopo di che, una volta eliminato l’ostacolo, prenderemo la ragazza e l’orologio.
Puoi mandarmi Eledier? Io devo ancora ultimare dei preparativi.
Eledier? Fossi in te non ci farei molto affidamento. Sai bene che essere accecati da un’emozione come la rabbia porta a commettere errori e noi non possiamo permettercene, non a questo punto dell’operazione.
Tu mandalo e basta, sono sicura che farà il suo dovere. L’Oscuro è già stato informato?
Lo sarà tra poco, non preoccuparti. Cerca di non sbagliare anche stavolta, Sophie. L’Oscuro potrebbe decidere che non gli sei più utile.
Sophie deglutì, un brivido freddo che le scendeva lungo la schiena. Era perfettamente consapevole di non poter fare errori, ma quella missione si stava rivelando più difficile del previsto.
Ricominciò ad inoltrarsi nel bosco, il viso cupo. Si era fatto tardi e il vento si era alzato, mentre la pioggia si era addirittura intensificata. Strinse le braccia attorno al corpo, rabbrividendo. Forse non era quel freddo a disturbarla, forse era quello che sentiva dentro di sè.
Il freddo della paura.
*
Appena la porta di casa si chiuse dietro di lei, Katie si sedette di peso su una delle poltrone più vicine. Le parole di Sophie non facevano che tornarle alla mente e quella minaccia l’aveva spaventata non poco. Sapeva che diceva sul serio, non era un bluff.
“Katie, tesoro, sei lì in soggiorno?”
La ragazza non rispose. Non si sentiva pronta a parlare con Marie, non in quel momento. Prima avrebbe preferito schiarirsi le idee e forse anche riposare un po’.
“Katie?”
Sospirò, accasciandosi ancora di più sulla poltrona.
“Sì, mamma, cosa c’è?”
“Tesoro, sai dov’è Sophie? Non era assieme a te?”
A quelle parole sul suo viso passò un’ombra.
“Sì, era con me, ma aveva degli affari da sbrigare in città e ha dovuto anticipare il ritorno. Era così di fretta che non ha avuto il tempo di passare a salutarvi, ma ha chiesto a me di farlo al posto suo.”
Marie venne a sedersi sul bracciolo accanto a lei, stringendola in un dolce abbraccio.
“Katie va tutto bene? Mi sembri strana.”
“Non è niente, sono solo un po’ stanca. Tu invece? Sei piuttosto pallida.”
La madre rise, scompigliandole i capelli.
“No, sto bene. Sono sempre stata un po’ pallida, è la mia carnagione. Ti ricordi che Lucas mi prendeva sempre in giro per questo?”
Katie distolse lo sguardo, incapace di accettare sorridendo quella menzogna. Non era vero, Marie non era stata sempre così pallida, e mai come ciò che aveva rivissuto solo il giorno prima glielo aveva ricordato con tanta precisione. Quelle guance rosate, accese…
“Lui ti manca molto, vero?”
Marie scosse la testa, cercando di sorridere e di mostrarsi tranquilla. Ben presto però il dolore per quella assenza ritornò sul suo viso e non poté più negare l’evidenza.
“Be’ è normale, è sempre triste quando un figlio se ne va, ma ormai Lucas è grande e deve essere libero di scegliere la sua strada. Non potevo tenerlo qui per sempre, non sarebbe stato giusto. Sarei stata davvero una grande egoista.”
Katie sospirò, affondando un po’ di più nella poltrona.
“Non sei tu l’egoista, ma lui. Vorrei tanto prenderlo a calci in questo momento. Si sta comportando come un vero idiota.”
Marie le sorrise, stringendole la mano.
“Sarà molto occupato, ma sono sicura che presto ci farà avere sue notizie.”
Lei fece spallucce.
“Se non lo farà mi sentirà, quando tornerà a casa. Piuttosto mamma, sei proprio sicura di stare bene? Hai una faccia stravolta… Hai freddo? Vuoi che metta altra legna o…”
Si bloccò, spaventata, quando vide la madre chiudere gli occhi e abbandonarsi stancamente contro lo schienale.
“Mamma? Mamma, stai bene? Mamma!”
Marie scosse la testa, cercando di alzarsi, ma non appena ci provò ricadde sulla poltrona, mentre il poco colore che le restava sul viso scivolava via.
“Mamma!!”
Katie si affrettò a sorreggerla, il cuore raggelato in una morsa di terrore. Si guardò freneticamente attorno in cerca di aiuto, ma Ted era andato in città, per cui erano sole. Stava sicuramente vivendo un incubo, non poteva essere vero. Non era ancora il momento, maledizione!
Deglutì, chiudendo gli occhi e cercando di ricacciare indietro le lacrime. Doveva chiamare qualcuno, qualcuno che potesse aiutarla… Ma prima che riuscisse ad aprire bocca all’improvviso la mano della madre le afferrò il braccio, facendola voltare.
“Sto bene, Katie, è tutto a posto. Sono solo un po’ stanca, ma non volevo farti spaventare.”
Katie scosse la testa, cercando di asciugare le proprie lacrime prima che la madre le vedesse.
“Non è tutto a posto, mamma. Tu stai male, dovremmo chiamare il dottore e…”
“No.”
La ragazza chiuse gli occhi, turbata. Perché, perché si ostinava così tanto a pensare che andasse tutto bene? Perché non accettava il fatto di aver bisogno di aiuto?
“No. Non voglio dottori, non voglio vedere nessuno che mi dia la falsa speranza di poter guarire. Io so che non è possibile, Katie, l’ho accettato. È così difficile per te fare la stessa cosa?”
“No, non permetterò che tu te ne vada così, non quando c’è anche solo una minima possibilità di strappare ancora altro tempo. Non sono disposta ad arrendermi così facilmente e se tu non vuoi lottare, allora lotterò io per te. Mamma, non puoi chiedermi di accettare una cosa del genere e di restare ad aspettare senza fare nulla. Non puoi.”
Marie scosse la testa, accarezzandole dolcemente il viso rigato di lacrime.
“Prima o poi dovrai farlo, piccola mia. Questa è la vita e di essa fa parte anche la morte, e non puoi negarla come non puoi sfuggirle, ma comunque adesso non c’è di che preoccuparsi. Non è successo niente, mi sono solo addormentata. Non devi avere paura, ho intenzione di restare qui a controllarti ancora per molto tempo.”
Katie cercò di sorridere, per tentare di rassicurarla, ma i suoi occhi rimasero tormentati come lo era lei in quel momento.
“Niente dottore allora, ma papà deve sapere che non sei stata bene. Questo non lo puoi evitare e non potrai fare niente per cercare di convincermi a non dirglielo.”
La madre scosse la testa, addolorata.
“Perché vuoi affliggerlo con una cosa del genere? Non sono stata male, tesoro, sono solo molto stanca. Ti prometto che andrò a riposare ma per favore, non dire nulla a tuo padre di quello che è successo. Ultimamente è già così preoccupato per i campi, per Lucas, per tante cose… Non voglio che sopporti anche questo, ti prego.”
La ragazza chiuse gli occhi, sospirando e facendo una smorfia.
“D’accordo, ma solo e unicamente se mi prometti che andrai dritta a dormire.”
Marie annuì, tentando un debole sorriso. A quella vista Katie sentì uno squarcio doloroso aprirsi dentro di sé. Notò gli occhi stanchi, la pelle tirata, pallida, e la spossatezza delle braccia appoggiate alla poltrona.  E le parole di Sophie tornarono prepotentemente nella sua mente, facendola ribollire di rabbia. Marie era debole e malata, indifesa, e lei aveva il coraggio di minacciarla con la stessa calma e indifferenza con cui si schiaccia un insetto. A quel pensiero strinse forte i pugni, i muscoli tesi, ma poi si ricordò che Marie era ancora accanto a lei e cercò di contenersi il più possibile.
“Bene, io allora vado su a riposare.”
“E la cena?”
“Non ti preoccupare, non ho fame. Ma anche se non sarò qui a controllare devi promettermi che andrai a dormire presto. Non sto scherzando.”
“Puoi andare a riposare tranquilla, tesoro. Buona notte, piccola mia.”
Katie le diede un rapido bacio sulla guancia e poi salì di corsa le scale verso la sua stanza. Lì chiuse la porta alle sue spalle, desiderando solamente rimanere immobile a fissare il buio, a pensare, ad alimentare la sua rabbia. Rivide davanti ai suoi occhi la scena del bosco, risentì come impresse a fuoco nella sua mente le parole di Sophie, il modo in cui aveva minacciato sua madre. Cominciò a tremare, le mani strette, gli occhi chiusi. Doveva calmarsi, doveva…
Incapace di resistere oltre sferrò un pugno al muro. Un forte scricchiolio accompagnò le sue imprecazioni, mentre si afferrava la mano dolorante. Borbottando cercò a tentoni l’interruttore della luce, ma un improvviso bagliore proveniente dalla finestra la bloccò dov’era. La ragazza socchiuse gli occhi, abbagliata dalla luce improvvisa; fece qualche passo verso la finestra, cercando di capire cosa stesse succedendo, quando un attimo dopo, volteggiando leggera quasi come se fosse senza peso, una splendente farfalla entrò nella stanza. La ragazza rimase immobile, scioccata. Quella farfalla era fatta completamente di luce e risplendeva con forza, volando in circolo nella stanza. Lei continuò a fissarla affascinata, finchè, spinta dal desiderio di avvicinarsi, non mosse un piccolo passo in avanti; in quello stesso momento l’apparizione cambiò improvvisamente direzione, avvicinandosi. La ragazza si immobilizzò, ma quell’essere continuò ad avvicinarsi, finchè non si posò sul dorso della sua mano. Non appena la sua pelle toccò quella luce, un’immagine comparve prepotentemente nella sua mente; Katie riconobbe in un istante un piccolo spazio aperto non molto lontano dalla sua radura e una voce echeggiò in lontananza.
“Se vuoi sapere la verità, se vuoi adempiere al tuo destino, vieni da me; io ho le risposte che cerchi.”
Subito dopo l’immagine scomparve. Katie batté più volte le palpebre, cercando di rimettere a fuoco la sua stanza; quando alla fine riuscì di nuovo a vedere bene, si accorse di essere di nuovo sola. La farfalla di luce, il cui compito sembrava essere stato quello di portarle quel messaggio, era sparita nel nulla.
Chiuse gli occhi, appoggiandosi alla parete. Pensava di sapere chi le aveva mandato quel misterioso richiamo: molto probabilmente erano i rivali di cui aveva parlato Sophie, gli stessi che avevano preso l’orologio. Ma perchè contattarla? Ormai avevano già quello che volevano.
Aggrottò la fronte, pensierosa. Forse pensavano che lei avesse qualcos’altro di simile o forse volevano avere solo delle informazioni, in ogni caso le stavano chiedendo di tornare di nuovo nel bosco a tarda notte e Katie non perse neppure tempo a prendere seriamente in considerazione l’idea.
Sospirò, decisa ad ignorare quel messaggio, almeno fino al mattino dopo, ma non appena si voltò si accorse che qualcosa brillava sulla sua mano. Nello stesso punto in cui si era posata la farfalla era apparso un marchio, che emanava un’intensa luce arancione; una spada avvolta in rami spinati.
Katie rimase ferma a fissare quel segno luminoso, sorpresa e anche un po’ spaventata; poi, quasi all’improvviso, proprio nello stesso punto cominciò ad avvertire un lieve calore, che sembrava aumentare sempre più. Sfiorò il marchio, aspettandosi di sentire quel calore, ma sotto le sue dita la pelle era fredda; come era possibile allora che si sentisse bruciare, quasi come se la mano stesse andando a fuoco?
Serrò la mascella, cercando di ignorare il dolore, ma quello cresceva, inarrestabile, e più aspettava più quel calore ustionante sembrava risalirle lungo il braccio. Che fosse una sorta di punizione per aver ignorato il messaggio?
Incapace di rimanere ancora ferma sfregò freneticamente il marchio, tentando di attenuare il dolore, ma senza successo; fu in quel momento che l’immagine dello spiazzo le riempì di nuovo la mente, insieme ad un unico perentorio ordine.
“Vieni.”
La ragazza cadde in ginocchio sul pavimento, tremante, mentre il dolore continuava ad aumentare. Il sudore le colava lungo il viso e i muscoli del braccio cominciavano ad irrigidirsi, tentando di opporre resistenza a quelle fitte ustionanti. Aveva finalmente capito: quel dolore l’avrebbe tormentata finchè non avesse obbedito e più tentava di opporsi, più avrebbe sofferto. Ancora una volta non le lasciavano altra scelta.
Faticosamente riuscì a rialzarsi, lo sguardo fisso sul bosco. Non aveva idea di come avrebbe potuto arrivarci senza essere vista dai suoi genitori. Se solo quel dolore l’avesse lasciata in pace, permettendole di riflettere, di pensare ad una soluzione... Barcollò fino alla finestra e si affacciò, cercando un po’ di refrigerio per riuscire a ritrovare la lucidità e fu allora che, inaspettatamente, davanti a lei si presentò la soluzione che stava disperatamente cercando. Proprio lì accanto si innalzava una vecchia grondaia, ricoperta quasi completamente dall’edera che nel corso del tempo aveva dato alla casa quell’aspetto rustico che tanto piaceva ai vicini. Quella grondaia poteva essere la via che stava cercando; normalmente non avrebbe mai neanche pensato ad una pazzia del genere, ma quale altra scelta aveva? Il dolore continuava ad aumentare e la sua mente era ormai occupata da un unico pensiero: fuggire.
Prese un profondo respiro e si sporse dalla finestra, esitante, e quando azzardò un’occhiata in basso le sfuggì involontariamente un gemito. Era una bella altezza per tentare una cosa del genere e dubitava che avrebbe potuto uscirne incolume se fosse caduta.
Chiuse gli occhi, il sudore freddo che le scivolava lungo la schiena. Era il caso di rischiare? Non poteva semplicemente scendere e spiegare tutto ai suoi genitori, pregandoli di farla uscire?
Gemette, stringendosi la mano al petto, quando il dolore riprese forza. No, non aveva più tempo. Non aveva altra scelta che tentare.
Rimase immobile qualche secondo, il respiro affannoso, aspettando che il dolore scemasse almeno un po’ prima di rialzarsi; dopo fu difficile convincere i suoi muscoli a muoversi e ancora più difficile fu salire sulla finestra senza cadere di sotto. Ogni cellula del suo corpo le urlava di non saltare, ma non poteva più rimandare e raccogliendo tutto il coraggio che aveva, Katie saltò.
Il tempo di un battito, un solo terrificante istante di vuoto, e poi le sue mani si strinsero forti al tubo. Ma la pioggia di quel pomeriggio aveva reso l’edera scivolosa e lentamente cominciò a perdere la presa. Il terrore prese il sopravvento mentre continuava a fissare impietrita la terra che vorticava al buio sotto di lei. Le sue mani sudate continuavano a scendere sempre più velocemente e lei sapeva solo di dover restare aggrappata ad ogni costo; se avesse perso la presa, sarebbe caduta.
Freneticamente cercò con le gambe di puntellarsi al muro e lentamente riuscì a fermare la discesa. Chiuse gli occhi, il respiro scosso dal tremore del proprio corpo. La testa continuava a girarle, come se quella caduta non si fosse mai fermata. Per il momento era salva, ma non era ancora finita. Con cautela cominciò a scendere, una mano dopo l’altra, in una discesa che le sembrò durare ore. E quando finalmente le sue gambe toccarono terra, era talmente intirizzita ed esausta che cadde non appena si allontanò dalla grondaia.
Rimase distesa qualche minuto, il respiro affannoso, aspettando che le gambe smettessero di tremare e riprendessero forza. Si sentiva stranamente leggera, come se in quel preciso momento stesse galleggiando su una soffice nuvola o in mezzo alla freschezza dell’acqua… Quasi non avvertiva più il dolore pulsante alla mano. Era un sollievo, ma era consapevole che se non si fosse sbrigata, presto sarebbe tornato anche più forte di prima.
Si sollevò lentamente, con cautela, fino a ritrovarsi seduta, non sicura che il suo corpo si fosse ripreso abbastanza da essere in grado di sostenere il suo peso. Aspettò con calma che la testa le smettesse di girare e piano piano si alzò; quando finalmente le sembrò di potersi mantenere diritta fece un passo avanti, incerta, e con un sospiro di sollievo si rese conto di essere in grado di camminare senza perdere troppo l’equilibrio.
Voltò l’angolo, decisa a raggiungere la foresta il prima possibile, e fu allora che una luce alla sua destra attirò la sua attenzione. La vetrata del soggiorno era illuminata. Katie la fissò, cercando un modo per superarla senza farsi notare, mentre il dolore alla mano continuava a tormentarla. Forse, se si fosse allontanata a sufficienza, sarebbe riuscita a nascondersi nel buio e ad evitare di essere vista. Era rischioso, ma non aveva altra scelta.
Con un sospiro si incamminò a passo svelto verso il limitare della foresta. Prima di inoltrarsi tra gli alberi, però, diede un ultimo sguardo alle sue spalle, alla finestra illuminata nell’oscurità. Avvertiva una strana sensazione dentro di sè, quasi di ineluttabilità, come se stesse guardando quella casa per l’ultima volta.
 
*
Marie era immobile, distesa sul letto. Si sentiva esausta, spossata, ma nonostante tutto non riusciva ancora a prendere sonno. Qualcosa la turbava, un’immagine che continuamente riaffiorava alla sua memoria, il ricordo di un leggero, quasi impercettibile movimento dietro la finestra del soggiorno.
Si girò su un lato, sospirando. Forse si stava solo immaginando tutto, o forse più semplicemente aveva intravisto un animale selvatico, uno dei tanti che giravano nelle vicinanze. Ma allora perché non riusciva a liberarsi di quell’inquietudine, di quell’angosciante sensazione di panico? Qualcosa di indefinito le pesava sul petto, opprimendola, e nonostante i suoi sforzi non riusciva a capire cosa la turbasse tanto. Quell’orribile sensazione le ricordava di quando, tanti anni prima, Lucas sgattaiolava fuori di casa, della preoccupazione che…
Si bloccò, raggelata. No, non poteva essere, era ridicolo anche solo il pensarlo. Katie non sarebbe mai uscita così di soppiatto, non era nel suo carattere. Non che Lucas fosse un ribelle, no di certo, era solo che la sua indole era estremamente curiosa. Con Katie era diverso, eppure quella terribile sensazione, quell’ansia, era proprio la stessa di tanti anni prima.
Marie si rigirò di nuovo nel letto, sempre più agitata. Ora stava davvero esagerando, dubitare di sua figlia! Una ragazza dolce, vivace certo, ma nonostante questo sempre ubbidiente. Come poteva all’improvviso non fidarsi più di lei? Eppure una semplice, veloce controllata non le avrebbe portato via più di qualche minuto… Si torse le mani, incerta, distesa sul letto a fissare il soffitto. Più cercava di allontanarla, più quell’idea si insinuava con forza nella sua mente. Solo una rapida occhiata, solo qualche secondo di incertezza. Quando poi avrebbe visto un piccolo, addormentato fagotto sotto le coperte, avrebbe potuto ridere delle sue inutili preoccupazioni.
Si trovò così davanti alla porta della stanza di Katie prima ancora di rendersi conto di aver preso quella decisione. Poi, un po’ tremando, la sua mano si posò sulla vecchia maniglia, abbassandola, e la porta si aprì.
Un’improvvisa folata di aria gelida la avvolse. Marie rabbrividì, sorpresa da quel freddo inaspettato, e il suo sguardo si posò sulla finestra spalancata. Il gelo che aveva ormai invaso la stanza proveniva da lì, così come da lì arrivava anche la debole luce lunare che rischiarava lievemente le figure avvolte dal buio. E in quella luce, Marie ebbe la conferma ai suoi peggiori dubbi. Il letto di Katie era vuoto, e lei era sparita.
 

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Capitolo 3
*** Lacrime e Pioggia ***


CAPITOLO 3
Lacrime e Pioggia
 
Immobile, nascosta tra gli alberi di fronte allo spiazzo in cui quella voce misteriosa le aveva imposto di venire, Katie scrutava la notte davanti a lei, cercando di scorgere, alla luce della luna, la figura che l’aveva attirata lì. Era certa che fosse presente, nascosta da qualche parte nell’oscurità, ma con quella luce così scarsa non riusciva a vedere granché. La ragazza si morse il labbro, a disagio; odiava quell’attesa, odiava sentirsi così vulnerabile e impaurita. Persino il bosco, che conosceva come le sue tasche, aveva un che di inquietante in quel buio...
Sospirò, stringendosi le braccia attorno al corpo e cercando di raccogliere tutto il suo coraggio. Poi, prendendo un profondo respiro, si allontanò dalla protezione degli alberi, diretta al centro dello spiazzo. Non aveva fatto che pochi passi quando una voce la raggiunse attraverso l’oscurità.
“Fermati dove sei. Se vai ancora avanti diventerai un facile bersaglio, così allo scoperto.”
A quelle parole Katie si voltò di scatto, spaventata. Il suo cuore si fermò per un secondo e poi riprese a battere, impazzito, mentre i suoi occhi guizzavano da una parte all’altra, senza riuscire a scorgere nessuno. Eppure aveva riconosciuto quella voce, la stessa del messaggio.
“Dove ti nascondi? Fatti vedere!”
Silenzio assoluto. La ragazza attese ancora, ma nessuno rispose. A quel punto la rabbia cominciò a cancellare la paura. L’aveva torturata in quel modo per farla arrivare il prima possibile e ora non voleva neppure farsi vedere?
“Codardo, esci allo scoperto! O non ne hai il coraggio?”
Uno sbuffo seguì quelle parole.
“Fossi in te eviterei di urlare come un’aquila se non vuoi che ci scoprano all’istante. Non è il momento per le sceneggiate.”
Ci fu ancora un attimo di silenzio prima che Katie sentisse un lieve tonfo tra gli alberi davanti a lei. Si irrigidì, cercando di aguzzare la vista, finchè con un movimento sinuoso qualcosa si portò alla luce della luna, mozzandole il respiro e pietrificandola dalla sorpresa. Un paio di brillanti occhi gialli, un pelo liscio e nero come la notte. Un gatto la fissava sogghignando, divertito dalla sua reazione.
A quella vista Katie indietreggiò freneticamente, incespicando nei suoi stessi piedi e cadendo a terra. Si mise faticosamente a sedere, boccheggiante, lo sguardo sempre fisso sullo strano animale davanti a lei.
“T-Tu parli! Parli! Ma sei...”
Il gatto sospirò, alzando gli occhi al cielo.
“Sì, sono un gatto, ma solo esteriormente. E sì, parlo. Cerca di non confondermi con i vostri animali, ragazza, io e loro non potremmo essere più diversi.”
Lei lo fissò a bocca aperta, il respiro mozzato in gola. Stava succedendo davvero?
“Non... Non capisco. Cosa sta succedendo?”
“È una storia lunga, troppo lunga, e adesso non ho il tempo di spiegartela. Ascoltami, tu...”
“Aspetta.”
Il gatto si voltò di nuovo verso di lei, sorpreso dall’interruzione.
“Che cosa c’è? Ti ho detto che non abbiamo molto tempo.”
Lei lo fissò, furiosa, alzando il dorso della mano, su cui era ancora visibile il marchio, brillante nel buio.
“Sei stato tu non è vero?”
“Sì, era il metodo più veloce per assicurarmi che venissi.”
“Hai almeno una vaga idea di cosa ho dovuto sopportare? Che razza di metodo sarebbe??”
Lui la fissò, ironico.
“Perchè, senza quel piccolo incentivo saresti forse venuta?”
A quella domanda Katie si morse il labbro, rifiutandosi di rispondere. Ovviamente non sarebbe venuta, lo sapevano entrambi.
“Comunque non è il momento per le spiegazioni, qui non siamo al sicuro. Presto verranno a cercarci e non devono trovarci. Devo portarti via al più presto; dopo ieri notte ho il terrore di quello che potrebbe succederti.”
Lei lo fissò, mentre i particolari che fino a quel momento non era riuscita a collegare, si univano ora a formare un quadro più complesso di quanto avrebbe potuto immaginare solo poco prima.
“Sei stato tu a tirarmi fuori dall’acqua, non è vero? Hai impedito che annegassi.”
Lui annuì, guardandosi attorno circospetto.
“Sì, sono stato io. Il mio compito è proteggerti, Katie, non certo lasciarti morire.”
“E Whitly... Anche il suo arrivo è opera tua, non è vero? Deve essere così, ci sono state fin troppe coincidenze quella notte.”
“Sì, l’ho mandato da te non appena mi sono accorto che ti eri persa. Non potevo uscire allo scoperto, ma ho sempre vegliato su di te in questi giorni.”
“Mi stavi seguendo?”
“Certamente. Non potevo lasciarti sola neppure per un secondo, chissà cosa ti sarebbe successo se mi fossi allontanato.”
“E hai tu quell’orologio?”
Il gatto si voltò, avanzando di qualche passo verso gli alberi, continuando a scrutare il buio.
“Per il momento è al sicuro, non devi preoccuparti.”
“È davvero così importante? Sembra che tutti vogliano metterci le mani sopra.”
Finalmente spostò lo sguardo verso di lei, annuendo cupamente.
“Non sai nemmeno quanto. Dovrai fare molta attenzione, Katie; adesso che sei stata scelta, sei diventata un bersaglio.”
La ragazza lo fissò, preoccupata.
“Un bersaglio? Ma se non ho la minima idea di cosa stia succedendo!”
“Lo so, ma capirai tutto non appena…”
Si bloccò a metà frase, preoccupato. Dopo appena qualche secondo tra loro si levò una voce, talmente distante che sembrare irreale.
“Lyer, dovete andarvene subito, vi hanno trovati. Porta immediatamente Katie via da lì!”
A quelle parole Lyer imprecò, agitato.
“Dannazione, speravo di avere più tempo! Svelta Katie, dobbiamo andare!”
La ragazza indietreggiò, scuotendo la testa.
“Non posso venire, non senza i miei genitori. Che ne sarà di loro?”
“Loro sono al sicuro, non c’è nulla di cui preoccuparsi. Al momento siamo noi ad essere in pericolo. Dobbiamo sbrigarci!”
“Non posso andarmene così senza dire loro nulla, si preoccuperanno da morire!”
Lyer sbottò, sempre più teso.
“Non abbiamo il tempo di avvertirli! Hai sentito anche tu Arkel, no? Stanno arrivando e non possiamo permettere che ti catturino! Non fare la testarda, vieni e basta!”
“Non posso far passare loro una cosa del genere, dobbiamo tornare indietro!”
Lui scosse la testa, esasperato, ma prima che potesse ribattere un grande fragore esplose tra gli alberi.
“Sono già qui! Katie, scappa! Corri e non fermarti!”
Lei lo fissò, spaventata, e un attimo dopo, senza neanche sapere come o perché, stava già correndo attraverso il bosco, lo stesso bosco che l’aveva accolta e protetta con i suoi rami e che ora le sembrava minaccioso e pronto a ghermirla. Al buio non faceva altro che inciampare, ma in preda al panico continuava a correre, sentendo solo il battito del suo cuore e il suo respiro affannoso, incurante dei graffi che spine e rami le procuravano. Non sapeva cosa stesse succedendo dietro di lei, se Lyer la stesse seguendo o se invece fosse rimasto a prendere tempo. Il suo unico pensiero era correre senza fermarsi, senza guardarsi indietro, finchè aveva fiato in corpo. Continuò per quelle che le sembrarono ore, ma più andava avanti più le sue gambe diventavano deboli, il suo respiro ansante e il dolore al fianco acuto. Cercò senza successo di frenare i singhiozzi che la scuotevano, mentre le lacrime cominciavano a scenderle lungo le guance. Ormai priva di forze, inciampò altre due o tre volte, finchè non cadde alla base di un albero, ferendosi al ginocchio. Cercò di rialzarsi ma ricadde subito sulle foglie, gemendo. Abbassò la testa, ansimante, la mano stretta sul ginocchio per frenare il dolore. Anche attraverso il velo di lacrime che le offuscava la vista, riuscì a vedere il sangue colarle tra le dita.
Alzò lo sguardo, i denti stretti, cercando di non pensare al liquido caldo che le scendeva lungo la gamba. Doveva resistere…
“Katie!”
La ragazza voltò la testa verso Lyer, sollevata.
“Katie, cos’è successo?”
“Sono caduta e non riesco più a muovere la gamba. Fa un male cane, maledizione.”
Lui aggrottò la fronte, lo sguardo fisso sul ginocchio.
“Non ci voleva, con questa ferita non riuscirai a fare nemmeno un passo. Non abbiamo altra scelta.”
Lei lo fissò, confusa.
“Di cosa stai parlando?”
Lyer scosse la testa, piazzandosi saldamente davanti a lei.
“Di nulla. Tu continua a tenere la mano premuta sul ginocchio e non cercare di muoverti, o peggioreresti le cose.”
“Peggiorare?”
Lui si voltò un attimo verso di lei, serio.
“Stai per assistere al primo scontro della tua vita. Non cercare di interferire, non fare nulla se non te lo dico, ci siamo capiti? Resta ferma e basta.”
A quelle parole Katie fu attraversata da un brivido freddo e sussultò quando, dalla boscaglia, intravide una figura avvicinarsi lentamente a loro. Strizzò gli occhi, cercando di scorgerne il volto in quella luce così scarsa, ma senza successo. L’unico dettaglio che riusciva a riconoscere era l’impeccabile divisa militare che indossava.
“Riesci sempre a sorprendermi, Eledier. Non credevo saresti riuscito ad arrivare così in fretta.”
Lui sorrise, divertito, ma i suoi freddi occhi grigi non si staccarono nemmeno un attimo da Katie.
“In realtà ero già qui ad aspettarti, Lyer. Dopo aver scoperto che avevi tu l’orologio, sapevamo che non te ne saresti mai andato senza la ragazza. Così, seguendo lei, sono riuscito ad arrivare a te. Ti credevo più previdente, invece sei stato alquanto avventato stavolta. Tra l’altro ero certo che ci sarebbe stato anche Arkel assieme a te, eppure non mi sembra di vederlo. Un vero peccato, gli avevo preparato una bella sorpresa.”
“Purtroppo Arkel era impegnato, ma mi ha pregato di porgerti i suoi saluti nello sfortunato caso in cui ti avessi incontrato.”
Eledier fece spallucce, un sorrisino divertito sul volto.
“Sarà per la prossima volta allora. Ci sarà da divertirsi!”
Lyer soffiò, la schiena inarcata.
“Non ci sarà una prossima volta. La questione finisce qui, tra me e te.”
Lui rise e quel suono fece gelare a Katie il sangue nelle vene.
“Finirà questa notte, senza alcun dubbio. E dopo che ti avrò ucciso prenderò la ragazza che cerchi di proteggere tanto disperatamente!”
Lui soffiò ancora più forte, trafiggendolo con lo sguardo.
“Non riuscirai nemmeno a sfiorarla. Non la toccherai.”
“E chi me lo impedirà, tu? Non sei abbastanza potente per tenermi testa, Lyer. Forse assieme ad Arkel avresti potuto avere qualche possibilità, ma da solo non sei certo al mio livello.”
“Le cose sono cambiate molto dal nostro ultimo incontro. E te lo dimostrerò.”
Il sorriso di Eledier scomparve all’improvviso, mentre una fredda determinazione lo sostituiva.
“Allora cominciamo!”
 
*
Una goccia, due gocce. Presto divennero tante, troppe, e la pioggia divenne così fitta che Katie riusciva a malapena a distinguere due forme confuse che si scontravano nel cielo. Non vedeva altro. Rimaneva ai piedi di quell’albero, immobile, troppo stordita e debole per riuscire a muoversi. Nonostante tenesse la mano premuta saldamente sulla ferita, continuava a sentire il sangue colarle tra le dita, inesorabile. I suoi vestiti, impregnati da quella pioggia gelida, le aderivano al corpo, strappandole continuamente brividi di freddo. La sua resistenza ormai era al limite.
Alzò lo sguardo al cielo quando un’esplosione illuminò la notte. Lyer era lassù a combattere, lottando con tutte le sue forze e mettendo a rischio la vita per proteggerla. Perché? Perchè?? Lei non era certo così importante da valere la vita di qualcun altro.
Una lacrima le scese lentamente sul viso, mischiandosi alle gocce di pioggia. Da quella notte al lago le sembrava di vivere in un incubo, un lungo sonno da cui non riusciva a svegliarsi. Sarebbe mai riuscita a tornare a casa?
Chiuse gli occhi, un terribile peso sul cuore. I suoi genitori… Si sentiva male se pensava a come li aveva lasciati, al fatto che probabilmente non avrebbe più potuto vederli. Le sfuggì un singhiozzo quando rivide nella sua mente il viso tormentato di Marie. Cosa le sarebbe successo? Avrebbe retto il colpo, o sarebbe crollata alla sua scomparsa? E Ted? Ted, sempre così ottimista, così allegro e disponibile…
Fissò con occhi vacui le nuvole scure sopra di lei, sentendo un grande vuoto dentro di sè. Quasi non faceva più caso alle luci che ogni tanto risplendevano nella notte, unici segni del combattimento che infuriava sopra di lei, e in quella confusione non si accorse che una di quelle piccole luci diventava sempre più grande, avvicinandosi secondo dopo secondo, fino ad arrivare fin troppo vicina. Katie quasi non sentì l’esplosione, mentre veniva scaraventata ad almeno una decina di metri di distanza dall’onda d’urto. Non riusciva a restare lucida. Sentiva che il dolore era lì, vicino a lei, eppure non provava nulla, solo una grande spossatezza e la confortante vicinanza dell’oblio.
Non cercò di resistere, non cercò di combattere il buio che la stava avvolgendo. In quel momento voleva solo dimenticare quello che stava succedendo, liberarsi da quell’orribile sensazione di vuoto e di dolore. Era forse chiedere troppo? Non lo pensava. Voleva solo tornare a casa sua, alla vita di sempre. Un’ultima lacrima le scivolò dolcemente lungo la guancia. Non era possibile, non lo sarebbe mai più stato.
Poi, tutto fu buio.
 
*
La pioggia cominciò a cadere, prima leggera, poi sempre più fitta. Non era facile fronteggiare un avversario come Eledier a quell’altezza, dove le raffiche di vento erano così forti da fargli perdere l’equilibrio, distraendolo più volte. Anche l’acqua faceva la sua parte nell’ostacolarlo, colpendolo a scrosci e riducendo notevolmente la sua visibilità. Senza dubbio in quelle condizioni non era al meglio delle sue possibilità: i suoi riflessi erano più lenti, i movimenti più impacciati. Un solo sbaglio avrebbe potuto essere fatale.
Eppure, mentre lui perdeva colpi, i movimenti di Eledier si erano fatti più veloci e precisi.
“Saremo noi a vincere Lyer, lo sai, e ancora una volta tu non potrai fare altro che rimanere a guardare. Ironico come la stessa scena continui a ripetersi, non trovi?”
Una lunga, sprezzante risata seguì quelle parole, arrivando a lui attraverso il denso ammasso di nuvole. Lyer si voltò di scatto, furioso. Quel maledetto… Stava cercando di provocarlo, di fargli perdere la calma, e ci stava riuscendo. Una cieca rabbia ribolliva dentro di lui, desiderosa soltanto di esplodere, di sfogarsi sul volto compiaciuto di Eledier, ma dopo solo pochi secondi il dolore che aveva soffocato per anni e anni cominciò a risalire dal baratro dei ricordi. Lyer tentò di allontanarlo, ma era troppo tardi ormai; nonostante gli sforzi non riuscì ad impedirsi di rivedere nella mente quelle immagini, di rivivere quell’orribile giorno… e quella ferita, che nonostante tutti quegli anni non si era mai rimarginata del tutto, bruciò di nuovo, forte come nell’attimo in cui si era creata. Per un attimo, un solo istante, Lyer rimase immobile, sopraffatto da quelle emozioni, e tanto bastò a Eledier per fare la sua mossa.
Successe tutto molto in fretta, tanto che nessuno dei due avrebbe potuto dire con precisione cosa accadde. Una forza sconosciuta ma provvidenziale tirò Lyer da parte appena in tempo, mentre un’enorme palla infuocata lo mancava di pochi centimetri, dirigendosi verso terra. Lui rimase immobile a fissarla per un lungo momento, come in trance, pensando a quanto gli fosse passata vicina, cercando di capire cosa fosse successo. E fu in quell’attimo che la sua mente si rese finalmente conto di ciò che stava accadendo. Quella palla di fuoco stava andando verso il bosco, dritta verso Katie.
“Katie! No!”
Troppo tardi. Il globo stava continuando la sua caduta, inesorabile, troppo veloce per poter essere fermato, ma tutto questo non era importante per lui. L’unica cosa a cui riusciva a pensare in quel momento era agire. Credeva di potercela fare, di poter essere ancora in tempo, ma quella flebile speranza si sciolse come neve al sole quando sentì l’esplosione sotto di sé.
Si slanciò verso gli alberi, in preda al panico, incurante di ciò che accadeva attorno a lui o del fatto che stesse voltando le spalle al nemico. Un dolore acuto lo trafisse, ma non si voltò. Non gli importava granché di essere colpito, poteva resistere, non era quella la cosa importante. L’importante era solo Katie, perché lei doveva vivere. Non avrebbe permesso che accadesse tutto di nuovo, no, non sarebbe andata a finire così…
“Katie!”
Si guardò attorno, frenetico, e finalmente la vide, accasciata ai piedi di un albero, inerte. A quella vista il suo cuore si gelò. Corse da lei e sospirò di sollievo quando vide che era solo svenuta. Una volta assicuratosi che stesse bene si voltò ad affrontare nuovamente Eledier, quando una decina di esplosioni diverse si frapposero fra lui e il suo avversario. Prima che potesse decidere il da farsi una voce risuonò nella sua mente.
“È il momento. Allontanatevi, mentre lo tengo occupato.”
A quelle parole Lyer sorrise, improvvisamente sollevato.
“Mi guardi sempre le spalle, non è così vecchio?”
“Sempre.”
Mentre nuove esplosioni illuminavano la notte sopra di loro, Lyer si voltò di nuovo verso Katie. Dovevano andarsene, ora che ne avevano la possibilità. Era ora di tornare a casa.

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Capitolo 4
*** Quando il destino chiama ***


CAPITOLO 4
Quando il destino chiama
 
Era un pomeriggio soleggiato, rinfrescato da una leggera brezza, e le nuvole nere del temporale erano solo un ricordo.
Katie osservava la vallata dal balcone della sua camera, assaporando la tranquillità di quel momento. Non ricordava molto di ciò che era successo la notte prima nel bosco, quasi come se la sua mente avesse voluto rimuovere quell’esperienza dalla sua memoria. Alla fine erano riusciti a fuggire e avrebbe dovuto esserne contenta, ma aveva troppi pensieri per la testa per riuscire a godersi quella piccola vittoria. I suoi genitori, i suoi incubi e anche il simpatico vecchietto che si era preso cura di loro in quei giorni.
Si appoggiò al balcone, pensierosa. Quel nuovo incontro le aveva dato molto su cui riflettere; Arkel sembrava una brava persona, gentile e premurosa, ma le ultime esperienze l’avevano resa cauta verso gli sconosciuti. Dopotutto non molto tempo prima qualcuno aveva già cercato di uccidere Lyer e rapire lei, per cui non si sentiva molto ben disposta, almeno non in quel momento. Eppure Lyer si fidava di lui e l’aveva affidata alle sue cure dopo aver rischiato la vita per proteggerla; inoltre, sin dal primo momento in cui l’aveva sentito parlare, aveva riconosciuto quella voce, la stessa che aveva tentato di avvisarli nel bosco, e proprio allora aveva deciso di concedergli il beneficio del dubbio, almeno momentaneamente. Quello che ancora non sapeva però era perché quell’Eledier avesse tentato di rapirla; non aveva dubbi che Arkel fosse in grado di spiegarle cosa stava succedendo, ma quando aveva tentato di chiedergli qualcosa sull’orologio, la timidezza aveva avuto la meglio e lei era rimasta in silenzio.
Arkel, ne era certa, sapeva cosa la tormentava, eppure stranamente non aveva ancora accennato a ciò che l’aveva condotta da lui, quasi evitasse di proposito l’argomento. Forse voleva darle un po’ di tempo per riprendersi, dopo tutto ciò che aveva vissuto in soli due giorni, o forse l’aveva fatto per permettere a Lyer, ancora ferito dallo scontro con Eledier, di recuperare, per quanto possibile, le forze; entrambi comunque sapevano che quella parvenza di normalità non sarebbe durata a lungo. Perciò Katie non era rimasta sorpresa quando, quel pomeriggio, Arkel l’aveva avvicinata in giardino, un’espressione molto seria sul volto.
“Mi dispiace essere un po’ brusco, Katie, ma è arrivato il momento di parlare. Speravo di poterti dare un po’ più di tempo per riprenderti, ma visti gli ultimi avvenimenti sono costretto ad accelerare i tempi. Ora ho ancora alcune faccende da sbrigare, ma tra poco sarò libero; nel frattempo vai pure nella tua stanza, manderò qualcuno a chiamarti.”
Lei aveva annuito ed era andata in camera sua, assillata da mille pensieri, e ora era lì, in attesa; presto avrebbe finalmente saputo la verità. Ne era sollevata? Non lo sapeva ancora.
Cominciò a camminare in tondo, agitata. Quanto sapeva Arkel? Molto, almeno da quanto aveva lasciato trapelare. Eppure c’era qualcosa, in quella situazione, che ancora non le tornava. Lei era riuscita a collegare l’orologio all’incidente, all’Ombra insaziabile che ne era stata la causa. Anche Arkel sapeva di quel legame? Poteva sapere qualcosa sull’incidente, qualcosa che l’avrebbe finalmente aiutata a scoprire tutta la verità?
Si accasciò accanto alla finestra, senza una risposta, il viso rivolto verso la brezza leggera che le accarezzava la pelle. Si sentiva stanca. Erano accadute troppe cose strane tutte insieme perchè lei avesse avuto il tempo di accettarle tutte; ormai in testa sentiva solo un’enorme confusione e le sembrava di non riuscire a ragionare lucidamente. Chiuse gli occhi, cercando di riflettere. Quanto avrebbe potuto dire ad Arkel? Non gli avrebbe raccontato dei suoi incubi, ma l’Ombra? Lui doveva saperlo o era meglio che restasse un segreto ancora per un po’? E in fondo, cos’era? Solo un sogno...
La macchina correva veloce, cercando di sfuggire al buio che lentamente incombeva su di loro. Katie poteva sentire distintamente la voce spaventata di suo padre, ma poi sentì anche un altro suono, agghiacciante, come quello di due pezzi di metallo che si scontravano l'uno contro l'altro. Fu solo quando l’Ombra li circondò, affamata, che lei capì all’improvviso cosa fosse. Una risata, maligna, crudele... e, nell’oscurità, un brillio, l’ultimo segno prima dell’attacco. La macchina cominciò a sbandare, ad andare fuori strada. Stavano puntando contro gli alberi, ormai erano vicini, vicinissimi...
“NO!!”
Katie si svegliò di colpo, urlando, il respiro affannoso. Gli ultimi ricordi le danzavano ancora davanti agli occhi, imprigionandola in una verità a cui non voleva credere. Si strinse le braccia attorno alle gambe, tremando. Quel brillio... No, non poteva sbagliarsi. Quelli erano occhi.
Si raggomitolò ancora di più su sé stessa, cercando un riparo, un luogo in cui sentirsi al sicuro. Come poteva riuscire ad allontanarsi da qualcosa che era dentro di lei, che non la abbandonava nemmeno un istante? Non aveva via di fuga, non aveva angoli in cui nascondersi. Quell’incubo era sempre lì, davanti a lei, pronto ad aggredirla di nuovo non appena avesse abbassato la guardia, non appena si fosse addormentata…
Rabbrividì. Quell’Ombra l’avrebbe perseguitata per tutta la vita, durante il giorno con il suo ricordo e nella notte con la sua presenza. Di fronte a quell’essere lei era indifesa, inerme, proprio come la bambina che era un tempo, seduta, ignara di tutto, sul seggiolino di un’auto in corsa…
Scosse la testa, il respiro affannoso. Sentiva ancora quella risata che le rimbombava nelle orecchie, rivedeva nitidi davanti a sé quegli occhi di ghiaccio, quello sguardo insaziabile. Come era possibile che quella cosa fosse umana?
Un colpo improvviso alla porta la fece sobbalzare, facendola quasi gridare di nuovo dallo spavento.
“Katie?”
Lei si asciugò in fretta le lacrime, cercando di ricomporsi e di ritrovare la voce.
“L-Lyer?”
“Katie, va tutto bene? Ti sento strana.”
La ragazza chiuse gli occhi, tormentandosi le mani, ancora agitata.
“No, va tutto bene. Ti ha mandato Arkel?”
“Sì. Vieni, ti faccio strada.”
“Oh d’accordo, io… arrivo subito.”
“Fai in fretta, ti aspetto qui fuori.”
Katie annuì automaticamente, cercando di controllare il tremore. Né Lyer né Arkel avrebbero dovuto vederla in quello stato, nessuno avrebbe dovuto sapere. Era il momento di controllarsi e di mettere da parte i suoi incubi; li avrebbe affrontati da sola una volta trovato il tempo, ne era certa.
“Katie?”
Strinse la presa sulla maniglia, prendendo un bel respiro. Non poteva più tornare indietro.
 
*
Seduta sullo spazioso divano dello studio, Katie attendeva l’arrivo di Arkel. Lyer l’aveva lasciata lì per andare a raggiungerlo, ma era già passata mezz’ora e ancora non si vedeva nessuno.
Sospirò, sprofondando un po’ di più tra i cuscini e studiando per l’ennesima volta la stanza, unica sua occupazione mentre stava lì ad aspettare. Era grande per essere uno studio e, come aveva immaginato, l’elemento di spicco dell’intero arredamento era una grande libreria, ricolma di volumi di ogni genere.
La ragazza si alzò, stiracchiandosi, poi si avvicinò ad osservarla. Molti di quei libri erano di dimensioni enormi e vista la loro usura era chiaro che erano stati letti molte volte.
Si avvicinò ancora, incuriosita, sfiorandone con la punta delle dita i dorsi sfilacciati. Ci sarebbe voluta un’eternità per leggere tutto e a quel pensiero le sfuggì un sorriso. Da quando era arrivata e aveva iniziato a conoscere Arkel, si era chiesta quanti anni potesse avere. Le sembrava quasi che la normale durata della vita umana non fosse abbastanza per riuscire ad acquisire tutta quella conoscenza e quella saggezza. Era possibile quindi che fosse su quella terra da molto più tempo di quanto lei potesse immaginare?
Scosse la testa, strofinandosi gli occhi un po’ rossi. Cominciava a sentire il peso della mancanza di sonno degli ultimi giorni, ma dubitava che sarebbe riuscita a dormire più di qualche ora a notte se gli incubi non fossero cessati. Sospirò, riaprendo gli occhi, ma un secondo dopo si impietrì, la bocca spalancata dalla sorpresa. Stava accadendo di nuovo. Proprio come quando aveva incontrato Lyer, adesso un’altra creatura leggendaria era seduta di fronte a lei, una creatura che però sembrava incredibilmente umana. Il suo sguardo, sprezzante e affilato come un rasoio, la trapassava da parte a parte, il suo viso era incorniciato da corti capelli biondi, lievemente ondulati. Un aspetto umano in tutto e per tutto, se non fosse stato per le due leggere ali translucide che si aprivano sulla sua schiena e per un’altezza che non superava i 15 centimetri.
Katie non avrebbe saputo come definirla. Folletto? Ninfa? Fata? Non ne era sicura e francamente neppure voleva saperlo, anche perché in quegli occhi verdi non leggeva altro che odio e disprezzo, tanto intensi quanto ingiustificati.
“Katie. Ti chiami così, giusto? Arkel mi ha parlato molto di te, anche troppo anzi.”
Inclinò lievemente la testa, lo sguardo sempre fisso su di lei.
“Stai per essere caricata di un peso non indifferente, ragazzina; lui crede che riuscirai a reggere questa responsabilità senza problemi, ma io invece faccio fatica a credere che una debole umana come te sia capace di sopportare tutto ciò. Quindi dimmi, Katie; saprai essere forte abbastanza?”
La ragazza ricambiò quello sguardo, cercando di mostrarsi sicura, decisa a non lasciarsi intimidire da quell’ostilità e quella freddezza.
“Se potrò essere d’aiuto cercherò di fare del mio meglio. Non sono tipo da tirarmi indietro.”
La fatina inarcò le sopracciglia, scettica, ma qualcosa nel suo sguardo cambiò e all’improvviso un brillio di furia si accese in quegli occhi verde smeraldo.
“Oh, davvero? Allora devi essere una rarità fra la tua razza. Dopotutto, voi umani siete esseri così volubili e inaffidabili...”
Fu il turno di Katie di irritarsi.
“Oh certo, perché immagino che la tua razza, qualunque essa sia, non abbia alcun difetto. No sai, è che a giudicare dal tuo atteggiamento non mi sembrate poi chissà quanto civili. Noi umani non saremo perfetti, è vero, ma almeno lottiamo fino alla fine per ciò in cui crediamo.”
A quelle parole i lineamenti della fata si irrigidirono, mentre la rabbia divampava sul suo viso.
“Così giovane e ignorante e già così arrogante. Ragazzina, tu non hai la minima idea di quello che ti aspetta, nessuna! Ti vanti della forza della tua gente, ma io vi conosco molto bene, più di quanto credi. Siete deboli, corruttibili e per salvarvi la vita non esitereste a sacrificare anche chi vi è più caro. Non avete rispetto per la vita e non seguite altro che i vostri futili interessi. Siete creature egoiste e infide, vili e spregevoli. E nonostante questo, proprio qui davanti a me, dici di poter essere forte abbastanza da sopportare il peso di una responsabilità di fronte alla quale chiunque della tua razza fuggirebbe via. La tua ipocrisia mi disgusta.”
Katie rimase immobile, tremante dalla rabbia, cercando di trattenersi dal reagire in modo avventato.
“Mi ferisce sentirti dire queste cose, Maki. Speravo avessi un’opinione migliore di me e delle mie azioni.”
A quelle parole la ragazza si voltò verso la porta, sorpresa. Arkel stava entrando nello studio, un sorriso triste sul volto, seguito a ruota da Lyer.
“Sai bene che non è così, Arkel. Tu sei diverso dagli altri umani e nessuno lo sa meglio di me. Questo discorso non è rivolto a te.”
Lui scosse la testa.
“Davvero Maki? E invece è qui che ti sbagli. Io sono parte integrante della razza umana e come tale i tuoi giudizi coinvolgono anche me. Spero davvero di non essere la creatura spietata che hai appena descritto con tanta energia.”
Maki si morse il labbro, distogliendo lo sguardo dagli occhi comprensivi di Arkel, quasi come se non riuscisse a sopportare la compassione che vi trapelava.
“Dovresti sapere più di chiunque che ho i miei motivi. Tu...”
“Non ho dimenticato quello che è successo, non potrei mai; capisco come ti senti, quali sofferenze hai passato, ma credimi quando ti dico che questo non è il modo giusto di affrontare i tuoi demoni. Non puoi giudicare ogni persona con lo stesso metro, perchè ognuno è diverso, con le sue sfumature e le sue ombre, con i suoi lati di luce e di buio. Nessuno è perfetto e ogni razza ha il suo bagaglio di vergogna, una lunga lista di colpe che non potrà mai essere cancellata, ma non è per il comportamento di un solo individuo che si può giudicare un intero popolo.”
Maki rimase immobile, rifiutandosi di rispondere. Ferma ad osservare la scena, per Katie non fu difficile capire che non era la prima volta che affrontavano quel discorso.
“Può darsi che stia sbagliando, ma non puoi aspettarti che non abbia dubbi su di lei. Non è pronta. Non è adatta.”
Lui alzò una mano a fermarla, il volto stanco.
“È stata scelta e questo vuol dire che è più che adatta. La decisione è stata presa e non può in alcun modo essere messa in discussione; lei è la Prescelta e il nostro compito è darle tutto l’aiuto possibile. In quanto ai tuoi dubbi, solo il tempo saprà dare una risposta alle tue domande.”
Maki abbassò lo sguardo, ancora contrariata, ma non ribatté. Il tono di Arkel non ammetteva repliche.
“Bene, ora è tempo di passare ad altri argomenti. Vieni Katie, sediamoci.”
Lei si sedette, tesa, ripensando a ciò che aveva appena sentito. La Prescelta? Cosa significava quella sorta di titolo per lei? Un compito enorme, a quanto aveva capito dalle loro parole, e di fronte al quale la maggior parte delle persone sarebbe fuggita.
Gettò un’occhiata veloce a Maki, mentre Arkel era occupato a prendere un vecchio libro dalla libreria. Era impressionante la quantità di odio che trapelava da quella figura così piccola. Quando prima aveva attaccato così duramente la razza umana, avrebbe voluto ribattere, avrebbe voluto urlare a pieni polmoni che non era vero, che gli umani erano gentili, delle brave persone. Eppure quelle parole le erano rimaste impigliate in gola e non era riuscita a dire nulla. Come poteva essere altrimenti? Pur essendo cresciuta quasi sotto una campana di vetro, al sicuro da qualsiasi pericolo, non ignorava la malvagità che erodeva il suo mondo. E, sapendo la bassezza a cui erano capaci di arrivare molti umani, poteva guardarla negli occhi e dirle che si sbagliava?
“Eccoci qui. Allora Katie, stiamo per affrontare un argomento particolarmente spinoso e che richiederà una buona dose di fiducia da parte tua. Molte delle cose che ti dirò ti potranno sembrare incredibili o impossibili e forse penserai addirittura che io sia pazzo. Non fare quella faccia, non sarebbe la prima volta che mi succede, non me la prenderei. Quello di cui ho bisogno però è che tu faccia il possibile per credere a ciò che sto per raccontarti. Diciamo che ci vorrà una buona apertura mentale.”
Le sorrise, cercando di diminuire il disagio che le leggeva negli occhi.
“Non so come attutire il colpo né come dirtelo in un modo più delicato, ma devi sapere che esistono delle creature che quasi nessuno ha mai visto. Forse sotto forma di leggende o di racconti ne avrai sentito parlare, magari anche nelle fiabe che ti raccontavano quando eri una bambina. Strane creature, che si prodigavano per salvare innocenti e che di tanto in tanto, spinti dalla curiosità, si affacciavano nel mondo degli uomini...”
“Stai dicendo che le leggende in realtà sono vere?”
Arkel ridacchiò di fronte alla sua espressione scettica.
“Be’, non proprio tutto quello che è stato tramandato è vero, ma alcune di quelle storie non sono poi così lontane della realtà. Fate, elfi, tutti loro esistono e, come puoi immaginare, sia Lyer che Maki fanno parte di queste creature. Tutti e due arrivano da... be’, da un altro mondo.”
Fece una piccola pausa, osservandola attentamente. Katie tentò del suo meglio per nascondere la sorpresa, ma aveva la netta sensazione che quegli sforzi fossero inutili. Non aveva idea di come facesse, ma Arkel sembrava leggerle dentro con sconcertante facilità.
“So che è difficile da credere, ma esiste davvero un mondo parallelo al nostro: Ghalad. Le creature che vi abitano sono molto attente a non farsi scoprire da noi e una barriera invisibile ad occhio umano divide i due mondi.
D’altronde non è difficile riuscire a capire perché abbiano scelto questa vita di quasi totale isolamento dalla nostra. Come sai noi umani, benché capaci dei migliori sentimenti, siamo purtroppo capaci anche dei peggiori. Alla sola idea di un nuovo mondo da colonizzare e da sfruttare si scatenerebbe una lotta di proporzioni mai viste, una lotta che saremmo destinati a perdere, come già successo in passato.”
La ragazza si sporse verso di lui, mentre la curiosità superava lo scetticismo.
“Vuoi dire che è già successo? Che questo Ghalad è già stato scoperto?”
Arkel annuì, amareggiato.
“Non è una storia che ci fa molto onore, anzi. Vedi, diverse centinaia di anni fa l’umanità stava vivendo uno dei suoi rari momenti di pace e da tempo a Ghalad si discuteva sulla possibilità di rivelarsi agli umani. Era un dibattito molto acceso e la maggioranza riteneva che dopo tutti quei secoli di isolamento e di diffidenza fosse arrivata l’ora di uscire finalmente allo scoperto e tentare di instaurare una convivenza pacifica con i popoli che abitavano il mondo oltre la barriera. Pensavano che, dopo un iniziale smarrimento, saremmo stati in grado di adattarci alla loro esistenza. Eppure, benché ci avessero ritenuti pronti, non lo eravamo affatto.”
“Immagino che non sia andata a finire bene.”
“E hai ragione. Tuttavia i Ghaladiani non erano degli sprovveduti, tanto che prima decisero di fare una prova, una sorta di test per studiare le nostre reazioni. Si decise di mandare una piccola delegazione, allo scopo di instaurare rapporti pacifici con gli umani e di spiegare in modo esauriente ciò che era stato tenuto segreto per anni, l’esistenza di un mondo proprio accanto al nostro. Non tornarono mai.”
Katie lo fissò, amareggiata.
“Hanno davvero reagito così drasticamente? Perché?”
Arkel scosse la testa.
“Non potremo mai saperlo. Nessuno di quella spedizione tornò vivo e ciò che accadde allora è sempre rimasto nell’oblio. Ora, non credo tu abbia difficoltà ad immaginare le reazioni che si scatenarono a quell’inaspettata violenza; in un attimo la fiducia e la curiosità si trasformarono in odio, in un’ondata di rabbia senza precedenti. I Ghaladiani volevano vendetta, giustizia contro coloro che avevano ucciso i loro fratelli. La mano tesa della pace e dell’amicizia si trasformò in pugno di ferro. Di quel villaggio non rimasero altro che cenere e macerie, e corpi riversi sulle strade.”
Sospirò.
“Ciò che successe pose fine ad ogni tentativo di comunicazione tra i due mondi. Come hai potuto constatare soltanto poco fa, a Ghalad gli umani non godono di un grande rispetto e sono visti con un’innata diffidenza. Nonostante siano passati tanti secoli, la ferita è ancora aperta e bruciante e molto lontana dal guarire. Questo ha portato la loro società a fossilizzarsi sempre più, cristallizzandosi in una struttura che non cambia da secoli. Si stanno dirigendo verso un baratro da cui non potranno più tornare indietro.”
“E io dovrei aiutarli? È questo il mio compito?”
Lui scosse la testa.
“Non sarà questo il tuo compito, anche se le tue azioni avranno un ruolo determinante nel decidere il destino di Ghalad. Sono certo che anche se ci vorrà tempo e dedizione, alla fine le tue gesta cominceranno a scuotere alle fondamenta le loro più radicate convinzioni. Non ci vorrà molto, poi, a far crollare ciò che sarà rimasto ancora in piedi.”
A quelle parole Katie si sforzò di rimanere seria e non ridere. Era tutto così assurdo!
“Le mie gesta? Davvero Arkel, ora sto cominciando a non seguirti più.”
“Sì, immagino che per te sia difficile. Dover accettare tutto questo in un tempo così breve è chiederti molto, ma ti stai comportando in modo eccellente, molto più di quanto avessi mai osato sperare.”
Lei lo fissò, ancora scettica. Lui le sorrise.
“Cosa ti turba?”
“Tutto. Mi parli di grandi imprese, di un altro mondo, di creature che dovrebbero essere solo leggende…”
Lui annuì, comprensivo.
“Capisco che possa sentirti confusa e disorientata, chiunque lo sarebbe nella tua situazione, ma è vitale che tu comprenda l’enorme responsabilità che sta per esserti posata sulle spalle. Non sei solo una semplice ragazza, sei destinata a qualcosa di grande, qualcosa di cui possiamo a malapena comprendere la portata. Non è stato un caso che tu abbia trovato l’orologio o che Lyer sia arrivato a salvarti, né che Eledier volesse rapirti, e non è stato ancora un caso che tu sia arrivata qui, da me. Queste non sono state coincidenze. La strada è tracciata e nonostante tu possa fare delle deviazioni, la fine, il punto di arrivo, sarà sempre lo stesso. Non si può sfuggire al destino.”
Katie scosse la testa.
“Ma io sono una normale ragazza. È solo che mi sono ritrovata invischiata in qualcosa in cui non volevo essere coinvolta.”
“Alle volte scegliere non è possibile. Spesso non si ha che una sola strada davanti e non si può fare altro che imboccarla.”
Katie incrociò le braccia, il viso cupo.
“Questo non è giusto.”
“E cosa lo è? Ognuno ha il proprio destino da seguire, un qualche scopo a cui dedicare la propria vita e io posso dirti qual è il tuo.”
La ragazza non rispose, distogliendo lo sguardo da quel volto serafico. Non era sicura di voler sapere quello che aveva da dirle, non aveva mai voluto rimanere invischiata in quella situazione. Quasi non riusciva a sopportare il peso di quello sguardo carico di aspettative che non era certa di poter soddisfare.
“Continui a parlare di responsabilità e di grandi gesta, ma non ho ancora la minima idea di cosa volete da me.”
“Allora lascia che te lo racconti.”
Fece una pausa, raccogliendo i suoi pensieri.
“Vedi, l’esistenza di Ghalad è retta da sei Essenze, globi di magia pura senza i quali quel mondo non ha possibilità di esistere. Queste Essenze, o Pietre, hanno un potere enorme e illimitato, che va al di là di qualsiasi comprensione. Nessuno ha mai saputo quanto ne abbiano realmente, o quale sia la loro vera capacità, e proprio quest’ignoranza ha alimentato per secoli le leggende sulla loro forza. Con il passare del tempo, le Essenze sono diventate il simbolo stesso del potere e dell’invincibilità. Ormai ci si è convinti che chiunque le controlli, controlli il mondo intero.”
A quelle parole Katie aggrottò la fronte.
“Perchè qualcuno dovrebbe volerle? Se qualcuno le rubasse il loro mondo sparirebbe, giusto? Non avrebbe alcun senso.”
“Hai ragione, ma l’equilibrio necessario alla sopravvivenza di Ghalad può essere mantenuto se le Essenze non lasciano i suoi confini. Finchè rimangono a Ghalad, anche se in altre mani, non ci sono rischi, a parte l’incognita di come potrebbero essere usate, ovviamente. È per questo che vengono sorvegliate molto strettamente, per fare in modo che nessuno possa prenderne il controllo; un tale potere deve restare indipendente da qualunque fazione.”
Sospirò.
“Nonostante i nostri sforzi però, nel corso dei secoli non sono mancati i conflitti per ottenere la forza delle Pietre: per quanto provassimo a nasconderle, infatti, la loro magia era troppo grande per riuscire a passare inosservata e cuori bramosi continuavano a tentare di avvicinarsi. Ci furono tante guerre che purtroppo non riuscimmo a evitare, vite che non riuscimmo a salvare, tutte sacrificate in nome della brama di potere. Finchè un giorno alcuni esploratori scoprirono un luogo rimasto nascosto fino ad allora, un luogo impervio, difficile da raggiungere e in cui, e questa era la cosa più importante, non era possibile ricorrere alla magia. Nessuno ha mai compreso il motivo di questa sua peculiarità, ma proprio questo lo rese il posto ideale in cui nascondere le Pietre. O almeno così credevamo. Per ben due volte le Essenze sono state rubate; la prima volta siamo riusciti a fermare tutto da soli, ma ormai questo non è più possibile. Perché adesso le Pietre sono lontane da Ghalad e la sua distruzione è già cominciata. Volevi sapere il motivo per cui ti trovi qui, Katie. Sei qui per salvare umani e creature, sei qui per salvare tutti. Tu sei la Prescelta.”
A quelle parole Katie lo fissò a bocca aperta, scioccata. Sapeva che quello che la aspettava non poteva essere un compito facile, ma addirittura salvare un mondo intero in una sorta di folle corsa contro il tempo? Davvero le stavano chiedendo una cosa del genere?
“Andiamo Arkel, ma mi hai vista? Come pensi che sarei in grado di salvare Ghalad??”
Lui sorrise, per nulla sorpreso dalla sua reazione.
“Certo che ti ho osservata, e anche molto attentamente, e davanti a me vedo una giovane donna, forte e decisa, che non si arrenderà di fronte alle difficoltà che incontrerà sul suo cammino.”
Lei sbuffò, incrociando le braccia sul petto.
“Tu vedi quello che vuoi vedere. Non mi conosci affatto, credi che io abbia tutte queste qualità solo perchè ho trovato un orologio. Che razza di motivo sarebbe?”
“Ah, ma quello non è un orologio qualunque. C’è molto altro sotto quell’apparenza banale; quell’orologio, che noi chiamiamo Ilyes, è antico quasi quanto questo mondo ed è molto più potente e pericoloso di quanto tu possa immaginare. Lui ti ha scelta come nuova padrona e la sua non è stata una decisione casuale: ti ha affidato il destino di un intero popolo e non lo avrebbe mai fatto se non fossi stata in grado di aiutarci. Nel momento stesso in cui è apparso davanti a te, ti ha designata come l’unica persona in entrambi i mondi in grado di rovesciare un destino già scritto.”
Katie scosse la testa, rifiutandosi di credere a quelle parole. Una cosa del genere non era assolutamente possibile: quale sano di mente avrebbe mai affidato una missione del genere ad un’adolescente? Un solo, piccolo errore avrebbe provocato la morte di centinaia di persone e il suo fallimento la completa distruzione di un mondo intero. Le sembrava tutto talmente assurdo...
Si morse il labbro, mentre un senso di ansia e angoscia cresceva rapidamente dentro di lei, minacciando di soffocarla. Avrebbe potuto rifiutarsi. Poteva scegliere. Ci sarebbe sicuramente stato qualcun altro a prendere il suo posto, qualcuno di affidabile, di esperto, che non sarebbe rimasto immobile su quella poltrona, terrorizzato. C’erano indubbiamente centinaia di persone più adatte di lei, là fuori.
Quasi le avesse letto nel pensiero, Arkel spazzò via in un soffio anche quell’ultima speranza.
“Non può farlo nessun altro. L’Ilyes ha scelto te e non accetterà nessun altro come suo padrone. Se ti tiri indietro adesso, l’esistenza di Ghalad è segnata.”
La ragazza gli lanciò uno sguardo torvo, sforzandosi di mascherare il terrore che le stringeva la gola. Era in trappola, senza vie di uscita. Come poteva rifiutarsi, dopo quelle parole? Come poteva decidere deliberatamente di causare la morte di migliaia e migliaia di vite?
Stretta all’angolo e con le spalle al muro, improvvisamente le tornarono in mente le ultime parole di Sophie.
Recidi ogni legame, lasciati alle spalle tutte le persone che ami. Solo in questo modo potrai essere veramente libera, perchè nessuno potrà fare presa su di te. Se invece continui a preoccuparti per gli altri, se continuerai a mantenere questi legami, non sarai altro che una preda fin troppo facile, un burattino che chiunque potrà usare a suo piacimento.
A quel ricordo un sorriso amaro si aprì sul suo viso; poi, prendendo un profondo respiro, alzò gli occhi verso Arkel. Perché non la sorprendeva che lui sembrasse già sapere cosa aveva deciso?
“Se davvero nessun altro può farlo allora... mi prenderò le mie responsabilità. Cercherò di fare del mio meglio. Dopotutto sono la Prescelta, giusto?”
Lui le sorrise, un sorriso caldo e rassicurante.
“Sono davvero orgoglioso di te. Ci vuole molto coraggio a scegliere la strada più giusta, anche se è quella che presenta maggiori difficoltà.”
“Non è che avessi molta scelta, non credi?”
Lui scosse la testa.
“No, non è così. Tu sei libera di scegliere, libera di decidere di abbandonare persone che non conosci per poter tornare a casa dalla tua famiglia. Ma ero sicuro che non ti saresti tirata indietro una volta saputa la posta in gioco, e questo perchè hai un animo buono e gentile. Non tutti avrebbero preso la tua decisione, non tutti avrebbero scelto di sacrificarsi per degli sconosciuti.”
Lei abbassò lo sguardo.
“Forse, ma le buone intenzioni non possono aiutarmi in questa situazione. Spero davvero di non deludere le tue aspettative.”
“So che non mi deluderai, sono sicuro che farai grandi cose, cose che nessuno avrebbe mai immaginato. Ah, ma ormai comincia a farsi tardi. Vuoi sentire il resto della storia?”
Lei annuì.
“Preparati allora, perchè adesso arriva la parte peggiore. Devi sapere che le Pietre sono state rubate da una pericolosa organizzazione, gli Scarlatti. Questo sanguinario gruppo è composto in parte da umani in cerca di gloria, umani che però hanno un ruolo minimo; spesso sono usati solo come pedine e molti di loro, se non tutti, sono all’oscuro di quale sia la vera natura di coloro che li comandano. No, i loro capi e la maggior parte dei membri degli Scarlatti sono creature di Ghalad e hanno tutti un unico obiettivo: la riuscita di un piano talmente complesso e segreto che persino loro non ne conoscono che una piccola parte. C’è una sola persona che gestisce tutto, la stessa che ha dato il via agli eventi, un essere che è disposto a tutto pur di realizzare il suo desiderio più profondo.”
“Quale desiderio?”
Arkel chiuse gli occhi, cupo in volto.
“È una lunga storia, una storia di tradimenti e sotterfugi che preferirei non dover raccontare, ma sono costretto, altrimenti non riusciresti a capire fino in fondo contro cosa dovrai lottare, per cosa tutti noi metteremo a rischio la vita.”
Voltò la testa, rivolgendo lo sguardo oltre la finestra.
“Più di un secolo fa, quando Ghalad era all’apice del suo splendore, un giovane e assai promettente elfo cominciò a venire corrotto dalla malvagità e dall’ambizione. In breve tempo la sua mente e il suo cuore vennero divorati dal desiderio di possedere le Pietre, da quell’unico sogno che poteva renderlo il signore della vita e della morte, ma ancora non agiva, attendendo il momento più adatto, cominciando lentamente a tessere la tela nella quale ci avrebbe inevitabilmente intrappolati. Nessuno di noi si accorse di nulla. Molti si credevano al sicuro, come se i malvagi ma naturali desideri di cui gli umani facilmente cadevano preda non li riguardassero, non appartenessero alla loro natura. Non si soffermarono sul semplice fatto che i loro sentimenti erano gli stessi che tanto disprezzavano. Non posso fare a meno di pensare che se allora si fossero comportati in maniera diversa, molte vite avrebbero potuto essere salvate. Invece, a causa della loro incoscienza, migliaia di giovani sono morti nel tentativo di fermare un unico pazzo. Una strage che poteva essere evitata.”
Katie osservò tristemente il volto tormentato di Arkel.
“Tu non potevi saperlo e sono certa che abbiate fatto tutto il possibile per fermarlo.”                            
“Ci abbiamo provato tante volte, ma ormai era tardi. Il danno più grave, irreparabile, era già stato compiuto. Heirood aveva realizzato il suo sogno.”
“Era riuscito a prendere le Pietre?”
“Sì, e devo ammettere che fu molto astuto. Come ti ho detto le Pietre erano custodite in un luogo praticamente inaccessibile, l’Antro di Laedas; ma una volta ogni 10 anni, durante la Fers Gaevin, le Essenze venivano prelevate per la cerimonia.”
“Fers Gaevin?”
“La Fers Gaevin è la più importante celebrazione a Ghalad, l’unica occasione in cui le Essenze vengono mostrate alla popolazione. Il nome stesso significa Festa della Memoria, per ricordare sempre che cosa ci permette di vivere in pace. Quello era l’unico momento in cui le Pietre erano vulnerabili. Heirood lo sapeva bene, visto che era riuscito ad entrare tra le guardie che le custodivano, e sfruttò quel punto debole nella nostra difesa per prenderle finalmente sotto il suo controllo.”
“Questo Heirood sembra un tipo davvero subdolo.”
Arkel annuì, lo sguardo amareggiato.
“Lo è, molto più di chiunque abbia mai incontrato ed è forse questo che gli permise di passare totalmente inosservato, di nascondere così bene la sua vera natura da non suscitare mai neppure il più piccolo sospetto. Era un elfo molto dotato, contraddistinto da un’abilità senza pari nel combattimento corpo a corpo e con la magia; tutti si aspettavano molto da lui, qualcuno addirittura intravedeva per lui un futuro da comandante. Eppure un giorno, improvvisamente, qualcosa si ruppe dentro di lui e da allora non fu mai più lo stesso, anche se riuscì a non destare sospetti per molto, troppo tempo.”
Katie spostò lo sguardo verso la finestra, pensierosa.
“Da come ne parli sembra quasi che tu lo abbia conosciuto.”
A quelle parole un’ombra passò sul volto di Arkel. L’attenzione nella stanza si risvegliò e persino Lyer, che sembrava essersi addormentato su una delle poltrone, riaprì gli occhi, puntandoli verso di loro.
“E non sbagli. Io lo conobbi. Per diverse ragioni mi trovavo a Ghalad in coincidenza del periodo della Fers Gaevin e lo incontrai mentre passeggiavo assieme ad alcuni Consiglieri. Ricordo che era solo, il che era insolito per lui. Lo avevo visto diverse volte in città e normalmente era sempre accompagnato dai suoi amici, che gli erano e gli furono devoti fino alla fine, ma sul momento non badai a quel particolare. Lui sorrise quando ci vide e si fermò a conversare con noi, comportandosi in maniera assolutamente naturale. Fu di una cortesia squisita e io, lo ammetto, rimasi molto affascinato dal suo atteggiamento gentile e disponibile. Mi pregò a lungo di raccontargli aneddoti sugli uomini, di condividere con lui la mia conoscenza. La sua curiosità sembrava genuina e senza doppi fini, ma avrebbe dovuto insospettirmi. Solitamente gli elfi non si interessavano agli umani, li ritenevano indegni di qualsiasi particolare attenzione. Eppure non ci feci caso, non pensai neanche per un istante ai motivi che avrebbero potuto essere nascosti dietro tutte quelle domande. Fui un povero sciocco. Ero talmente lusingato da tutta quell’attenzione che non mi accorsi dell’inganno. Gli raccontai tutto.”
Scosse la testa, afflitto.
“Heirood stava solo raccogliendo informazioni per perfezionare il suo progetto di dominio. Prima avrebbe conquistato Ghalad, poi sarebbe toccato agli umani. Sarebbe stato il signore incontrastato dei due mondi e ci andò pericolosamente vicino.”
Katie lo fissò, tormentata dal dolore sul suo volto.
“Ma tu non lo sapevi. E lui avrebbe ottenuto comunque quelle informazioni in un modo o nell’altro.”
“Non cercare di sollevarmi dalle mie responsabilità. Ho commesso un errore imperdonabile quel giorno.”
Lyer sbuffò.
“Non stiamo dicendo che tu non abbia sbagliato, ma che nessuno avrebbe potuto prevederlo. Noi sbagliamo, Arkel, questa è la nostra natura. Non è strano che riguardi anche te, nonostante tutta l’esperienza che hai accumulato. Nessuno è onnipotente.”
Lui scosse la testa.
“Vero, ma in ogni caso avrei dovuto sospettare qualcosa. Se allora avessi prestato più attenzione, avrei potuto impedire ciò che accadde.”
Katie appoggiò la schiena alla poltrona, pensierosa.
“Il fatto che siano state rubate le Pietre?”
Vide una piccola esitazione sul volto di Arkel, prima che lui annuisse.
“Sì, in parte. Come puoi immaginare, alla scomparsa delle Essenze si scatenò il panico. Cosa avrebbero fatto gli ignoti ladri con quell’enorme potere a loro disposizione? Rabbrividivamo alla sola idea, ma non avevamo indizi, nessun appiglio a cui aggrapparci. L’unica cosa che ci rimaneva era un’antica leggenda.”
Le sorrise.
“Ed ecco che ci ricolleghiamo a te. Credo tu abbia già capito ormai di cosa parlasse questa leggenda; vi si narrava che, nel caso in cui le Pietre fossero state sottratte, la Prescelta sarebbe comparsa e, utilizzando l’enorme potere dell’Ilyes, perduto da secoli, sarebbe riuscita a riportare la pace a Ghalad.”
Le mostrò il libro che aveva posato sul tavolo all’inizio della loro conversazione.
“La leggenda è stata tramandata a voce per secoli, finchè non è stata trascritta in questo libro.”
Lo aprì, sfogliando qualche pagina, fino ad arrivare ad un’antica strofa, scritta in una lingua sconosciuta.
“Che cosa vuol dire?”
“Tradotto letteralmente? Vediamo... Quando l’empia mano trafugherà la luce dai sei colori, la Prescelta dal Destino si leverà dalle ombre. Finalmente riunita alla sua Forza, caccerà il malvagio dal tempo e dallo spazio, fino a quando, oltrepassati i laghi di sangue e di fuoco, con mano benevola riunirà a sè le luci, riportando pace in questa landa. Che il malvagio tremi a codeste parole, poiché la verità della Prescelta sarà più forte del veleno delle sue menzogne.
Katie lo fissò, rimuginando sul significato di quella strofa.
“I laghi di sangue e di fuoco... Hai idea di cosa voglia dire?”
Arkel scosse la testa.
“Credo che non lo sapremo finchè non sarà il momento.”
“Nella strofa c’è anche scritto che ogni volta che le Pietre verranno rubate ci sarà una Prescelta. Quindi anche la prima volta? Non sono stata l’unica, giusto?”
Arkel annuì, ma la sua espressione si fece ancora più cupa e il ricordo di un antico dolore passò sul suo volto.
“Sì, non sei stata l’unica. Ma questa… è un’altra storia.”
La ragazza lo fissò, mentre un brutto presentimento le faceva intuire il motivo dietro quella reticenza.
“È morta, non è così? La Prescelta prima di me è stata uccisa.”
Lui sospirò, prendendosi la testa tra le mani. Per un lungo momento nessuno parlò e il silenzio nella stanza sembrò prolungarsi all’infinito. Poi Arkel, in un sussurro, disse una sola frase.
“È stato un mio errore.”
Katie rimase immobile, incapace di trovare le parole per replicare. Poi si sporse, posando una mano sulla sua spalla, tentando di confortarlo.
“Lei com’era?”
La ragazza sentì un lungo sospiro, prima che lui le rispondesse.
“Si chiamava Laerys. Era una giovane elfa, bellissima e molto intelligente. Lei era la nostra luce.”
Alzò il volto verso di lei, tormentato.
“Quella era la prima volta che avevamo la prova che la leggenda fosse almeno in parte vera, ma non avevamo alcuna idea di cosa fare o di cosa ci aspettasse. Fu un inizio davvero difficile e io riponevo ogni speranza in questo libro, certo che da qualche parte tra queste pagine ci fossero le informazioni di cui avevamo così disperatamente bisogno. Passai ogni momento libero, ogni istante delle mie giornate a studiare la leggenda, cercando di riuscire a decifrare il modo per utilizzare la connessione tra Laerys e l’Ilyes, ma anche così ci voleva tempo, troppo tempo. I giorni si trascinavano senza risultati ma io continuavo, imperterrito; ormai riuscivo a pensare solo più a quelle pergamene, che a poco a poco erano diventate la mia ossessione. Ed ero talmente preso dalla mia ricerca da non vedere nient’altro.”
Chiuse gli occhi, mentre una lacrima solitaria gli scivolava lungo il viso.
“La morte di Laerys fu colpa mia, della mia incompetenza e del mio scarso giudizio. Non mi soffermai sul fatto che anche Heirood conosceva quella leggenda, che avrebbe potuto decidere di eliminare la minaccia che rappresentava prima che diventasse troppo pericolosa, quando era ancora troppo inesperta per riuscire a contrastarlo. Avrei dovuto accorgermene, e invece rimasi chiuso nel mio studio, chino su fogli polverosi, abbandonando Laerys nelle sue mani.”
Strinse i pugni, la mascella rigida.
“Heirood fu molto scaltro. Sapeva come essere affascinante, come catturare l’attenzione delle persone attorno a lui e non gli fu difficile attirare Laerys in un posto isolato. Nessuno capì in tempo cosa stava accadendo. Quando Maki corse nel mio studio e mi diede la notizia, io rimasi immobile, con le mie preziose pergamene sul tavolo, chiedendomi come avessi potuto permetterlo. Così vecchio eppure così stupido...”
Chiuse gli occhi, la voce sempre più bassa.
“Quando arrivai sul posto, trafelato e sconvolto, ormai era troppo tardi; la conseguenza del mio errore era davanti a me, stesa a terra, pallida, con una grande chiazza rossa sul petto e il pugnale ancora conficcato. Il suo corpo riverso sembrava così fragile, così orribilmente strappato alla vita… E per cosa? Per la possibilità che lei potesse rappresentare un pericolo. La possibilità, capisci? Laerys era morta solo per il titolo che portava.”
Aprì di nuovo il libro, questa volta all’inizio, e da quelle pagine estrasse un foglio di carta, ingiallito dal tempo.
“Trovai questa lettera accanto al suo corpo. Un ultimo messaggio di Heirood per me.”
Le porse la lettera e Katie la prese con delicatezza, temendo di rovinarla. Se pensava a chi l’aveva scritta si sentiva ribollire dalla rabbia, ma si costrinse a rimanere calma e la aprì.
 
Arkel,
sarai sorpreso che ti scriva mentre le mie mani sono ancora macchiate del caldo sangue di Laerys. Non prenderla troppo sul personale; non potevo rischiare che il mio piano fallisse. Ma ora che il potere dell’Ilyes è stato neutralizzato non ho più ostacoli sul mio cammino. Sono finalmente libero.
Devo questa libertà anche a te, in un certo senso; tu sei l’unico che abbia mai sospettato di me, che abbia mai avvertito l’inconsistenza della maschera che ero costretto ad indossare ogni singolo giorno. Da dopo il furto delle Pietre mi ero accorto che controllavi i miei movimenti e che cercavi delle prove per confermare i tuoi sospetti. Sono sicuro che se avessi avuto abbastanza tempo forse le avresti trovate e saresti riuscito ad impedire la morte della tua preziosa protetta, ma invece di affrontarmi direttamente, come avresti dovuto, ti sei rifugiato in quegli inutili libri, concentrando così tutta la tua attenzione su di essi e distogliendola da me. Con te in giro non credevo che avrei avuto la possibilità di avvicinarmi a Laerys, ma con il tuo comportamento hai reso il tutto ridicolmente facile e probabilmente dovrei ringraziarti per questo. Anche questa volta però ti sei dimostrato più cauto e previdente di quanto mi aspettassi. A quanto pare ti avevo sottovalutato, un errore che mi assicurerò di non commettere più. Mettere Lyer a proteggere Laerys è stata una mossa scaltra. Nessuno se ne sarebbe accorto perchè quel gatto è maledettamente bravo quando si tratta di seguire qualcuno. Persino io stavo per non accorgermi della sua presenza ma qualche imprevisto mi ha aiutato ad accorgermene in tempo. Quasi mi dispiace di non aver potuto avere una degna lotta contro di lui, sono sicuro che sarebbe stata appassionante. Purtroppo altri impegni reclamavano la mia attenzione e non ho potuto fare altro che disorientarlo un po’. In questo momento probabilmente starà vagando da qualche parte e tra poco crollerà svenuto. Sono sicuro che saprai ritrovarlo in tempo per non farlo morire, Arkel. Sono generoso, non credi? Ti do la possibilità di salvare almeno una vita, oggi.
Presto ci rivedremo nei campi di battaglia, ne sono certo. Ma fino ad allora, Arkel, vivi con il rimpianto e la consapevolezza che tu saresti stato l’unico in grado di porre fine in tempo a tutto questo.
 
                                                                                               Heirood
 
Katie scosse la testa, divisa tra il disgusto e la furia.
“Sai che non è stata colpa tua. Non devi ascoltare le parole di un pazzo.”
“Sarà anche un pazzo, ma non è uno stupido. Sai bene anche tu che quelle parole sono vere. Io avrei potuto fermarlo.”
Lei lo fissò, decisa.
“No, non avresti potuto. Tu eri impegnato a tradurre quelle pergamene, eri impegnato a trovare un modo per salvare Ghalad. È stato Heirood a uccidere Laerys, non tu. Non devi sentirti in colpa per delle cose che non hai fatto.”
Lyer sbuffò.
“La ragazza ha ragione, Arkel. Non è stata colpa tua e sono decenni che te lo ripeto. Anch’io se fossi stato più attento nel sorvegliare Laerys avrei potuto cambiare il corso degli eventi. Se solo… solo…”
“Lyer!”
Katie si alzò di scatto, avvicinandosi alla poltrona sulla quale Lyer era improvvisamente crollato. Sembrava svenuto e il suo respiro era rapido e affannato. Anche Arkel si avvicinò, cupo in volto.
“Gli avevo detto di non esagerare, ma non ha voluto ascoltarmi.”
La ragazza si voltò verso di lui, preoccupata.
“Cos’è successo? È per via di Eledier?”
Arkel sospirò.
“Sì, ma non solo. Lyer era già debilitato quando si è scontrato con lui. Solo poche ore prima che tu trovassi l’Ilyes, mentre stava svolgendo una missione di ricognizione ha avuto uno scontro con tre Scarlatti e non ha avuto il tempo di riprendersi, prima di venire da te. Probabilmente ha stressato troppo il suo fisico e queste sono le conseguenze.”
“Ma si riprenderà vero?”
Lui annuì.
“Sì, ha solo bisogno di riposare un po’.”
Spostò lo sguardo verso la finestra, pensieroso.
“Non mi ero accorto che si fosse fatto così tardi. Credo sia meglio fermarsi qui per oggi, dopotutto ti abbiamo già dato molto su cui riflettere.”
Le sorrise, prendendo il corpo esanime di Lyer tra le braccia e dirigendosi fuori dalla stanza.
“Vai pure ad aspettarmi in sala da pranzo, arriverò tra poco.”
“Sei davvero sicuro che Lyer stia bene?”
Arkel ridacchiò.
“Serve qualcuno di molto più potente di Eledier per riuscire a metterlo in difficoltà, te lo assicuro. Con un po’ di riposo starà molto meglio.”
Katie annuì, immobile nel corridoio, osservandoli allontanarsi. Nonostante le rassicurazioni di Arkel il senso di colpa che pesava nel suo petto non accennava a diminuire. Da quando l’aveva conosciuto, Lyer le aveva sempre dato un’impressione di forza, di stabilità, e vederlo collassare a quel modo l’aveva spaventata. Chissà quanto doveva essere stato stravolto…
Strinse i pugni, lo sguardo fisso davanti a sé. Una cosa del genere non sarebbe mai più dovuta succedere.
Mai.

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Capitolo 5
*** Una partenza complicata ***


CAPITOLO 5
Una partenza complicata
 
“Alza di più il braccio, Katie! Muovi i piedi, se stai ferma sei un facile bersaglio!”
“La fai facile!”
Digrignando i denti Katie si avventò contro Arkel, cercando di colpirlo con tutte le sue forze, e il rumore sordo dei due bastoni che si scontravano risuonò nel giardino. La ragazza sussultò per il colpo, indietreggiando, gli occhi fissi sul suo avversario; era irritante vedere come Arkel non sembrasse minimamente affaticato da quell’allenamento, mentre lei aveva già il fiato corto, il sudore che le scendeva lungo il viso e lividi su tutte le braccia.
“Non attaccare alla cieca! Così facendo ottieni solo di scoprire il tuo fianco. Osserva il tuo avversario, studialo, e poi decidi una strategia.”
Strinse i pugni, cercando di memorizzare tutte quelle indicazioni. Sapeva che non sarebbe stata una passeggiata, quando quella mattina aveva chiesto ad Arkel di cominciare ad allenarla. Quello che era accaduto a Lyer l’aveva scossa, tanto da farle capire che era ora per lei di imparare a difendersi da sola. Certo non poteva prevedere quanto sarebbe stato frustrante.
“Non sei neanche un po’ stanco?”
Arkel ridacchiò.
“Sei già senza fiato? Suvvia, dopotutto sei molto più giovane di me.”
A quella frecciatina Katie digrignò i denti, per poi lanciarsi contro di lui. Tentò una finta, cercando di coglierlo di sorpresa e di riuscire a colpirlo al fianco, ma non essendo abituata il suo movimento risultò goffo e lento. Fu fin troppo facile per Arkel bloccare quel colpo e poi, con uno scatto fulmineo, colpirla al braccio, facendole cadere il bastone di mano. Quante volte era già successo?
“Non devi sentirti così frustrata, Katie, sei solo all’inizio. Non te la stai cavando male, per essere la prima volta che provi.”
La ragazza sospirò, accasciandosi a terra, cercando di riprendere fiato.
“Ma non sono neanche lontanamente vicina a potermi difendere da sola. Devo impegnarmi di più.”
Arkel le sorrise, sedendosi su una sedia accanto a lei.
“Mi ero chiesto perché mi avessi chiesto di allenarti, ma adesso capisco. Vuoi cercare di aiutare Lyer, non è così?”
Katie abbassò lo sguardo, imbarazzata.
“Non posso lasciare che sia sempre lui a dovermi salvare, no?”
“È lodevole che tu voglia migliorarti, ma non forzarti troppo. Dovrai affrontare molti altri ostacoli lungo la tua strada.”
Lei alzò il viso verso il cielo, un sorriso amaro sulle labbra.
“È solo che odio sentirmi così debole e impotente. Non ho potuto fare nulla durante lo scontro con Eledier, e sono certa che sarà così anche in quelli futuri se non mi impegnerò al massimo. La Prescelta non può mostrarsi debole.”
Lui le lanciò un’occhiata, comprensivo.
“Stai per caso pensando a Laerys?”
Arkel scosse la testa al silenzio che seguì quella domanda.
“Non devi cercare di paragonarti a lei, Katie. Anche se Prescelte, siete comunque due persone distinte.”
“Ma lei era un’elfa molto dotata, non è così? Lei era forte.”
Per qualche secondo lui non rispose, immerso nei suoi pensieri. Poi annuì.
“Sì, era molto forte, ma lo sei anche tu.”
Katie sbuffò.
“Non lo sono affatto e ciò che è successo non fa altro che ricordarmelo. Sono certa che lei avrebbe potuto occuparsi facilmente di uno come Eledier.”
“Probabilmente sì, ma non dimenticare che era un’elfa. Per quanto tu possa trovare la cosa frustrante o ingiusta, gli elfi sono molto più forti di qualsiasi umano. La loro velocità e la loro forza non sono per niente paragonabili alle nostre.”
“Quindi dovrebbe consolarmi il fatto che parto svantaggiata già in partenza?”
“Niente affatto, ma non voglio che tu ti faccia male o che corra rischi inutili nel tentativo di superarla. Né voglio che il ricordo di Laerys diventi un’ossessione per te.”
Lei sospirò, lo sguardo perso all’orizzonte.
“Laerys… Cos’altro mi sai dire di lei?”
“Era molto solare, sempre allegra e sorridente, ma anche molto testarda. Aveva un carattere scherzoso e adorava stuzzicare gli altri, soprattutto Lyer.”
Katie sorrise.
“Avevano un rapporto molto stretto?”
“Si fidavano l’uno dell’altra ed erano amici da molto prima che lei diventasse la Prescelta. Quello che è accaduto con Heirood ha ferito profondamente Lyer e gli ha lasciato una cicatrice indelebile, per cui abbi pazienza con lui, se si dimostrerà iperprotettivo nei tuoi confronti. È il suo modo per riparare a quello che crede essere stato il suo più grande errore.”
“Ma non fu colpa sua.”
“No, ma non riesce comunque a farsene una ragione. È stato arrabbiato e amareggiato per molto tempo, ma adesso che ha una nuova possibilità non ha intenzione di sprecarla. Farà di tutto per proteggerti.”
Katie lo fissò.
“Rischiando di farsi uccidere.”
Arkel le sorrise, un sorriso triste.
“È il prezzo che sente di dover pagare. Non accetterebbe nulla di meno.”
“Ecco perché voglio fare il possibile per aiutarlo. Vederlo in quelle condizioni… Non voglio che succeda di nuovo.”
“Ne sarebbe felice, ne sono certo. Adesso però è meglio rientrare; dopo pranzo dovremo continuare il discorso che abbiamo lasciato in sospeso ieri e non so quanto tempo ancora ci rimanga a disposizione.”
Katie annuì e lo seguì dentro casa. Si aspettava di vedere Maki da qualche parte, ma dalla sera prima sembrava sparita. Non che le dispiacesse non avere quello sguardo sprezzante puntato addosso.
Mentre Arkel preparava il pranzo continuò a rimuginare su tutto quello che le avevano raccontato la sera prima, cercando di fare ordine tra i suoi pensieri.
“Dimmi, Arkel, c’è una sorta di leader a Ghalad? Un capo?”
Lui scosse la testa.
“Non c’è un unico leader, ma c’è un Consiglio degli Anziani, composto da 12 consiglieri. Sono loro a prendere le decisioni per tutto ciò che riguarda Ghalad.”
“Capisco… E ci sono tante creature che vivono lì?”
“Principalmente elfi e fate, anche se ci sono degli outsider, come me o Lyer ad esempio. Inoltre, nascosti tra le montagne, vivono anche alcuni gruppi di demoni, chiamati Geiber, anche se molti sono stati sterminati negli anni.”
“Demoni?”
Arkel annuì, cupo.
“Sono delle creature malvagie, che hanno compiuto azioni indicibili nel corso dei secoli. Alcuni di loro si sono uniti agli Scarlatti per il solo divertimento di poter uccidere in tutta libertà.”
Katie rabbrividì.
“Spero di non vederne mai uno.”
“Purtroppo temo che succederà, prima o poi. E sarà difficile riconoscerli, perché non hanno un aspetto mostruoso, come si potrebbe pensare, ma sono assolutamente uguali agli elfi, ad eccezione del braccio demoniaco che li contraddistingue. Ma qualora riescano a nasconderlo bene, allora è quasi impossibile riuscire a riconoscerli.”
“Seriamente? E anche la loro forza è uguale a quella degli elfi?”
Lui annuì.
“Sì, come anche la velocità e la capacità di usare la magia. Si pensa che in realtà, millenni fa, elfi e demoni facessero parte della stessa razza, ma che con il tempo siano avvenute delle trasformazioni tali da portare alla loro separazione. Sono solo ipotesi comunque e non c’è modo di verificarlo.”
“Ma gli elfi non sono crudeli, giusto? Voglio dire, secondo le leggende venerano la vita.”
“Sì, questo è vero, ma sono pur sempre esseri con emozioni come le nostre. Non farti trarre in inganno; anche se ti mostreranno sempre una maschera cordiale e benevola, nel loro animo si possono scatenare passioni persino più forti e impetuose delle nostre. Il fatto che siano più bravi a nasconderlo non significa che non abbiano anche loro un’oscurità latente. Heirood ne è un esempio, dopotutto.”
“Già, gli elfi sanno essere infidi, quando vogliono.”
A quella voce Katie si voltò di scatto verso la porta.
“Lyer! Non dovresti essere già in piedi!”
Lyer le sorrise, entrando nella stanza.
“Dopo una buona notte di sonno mi sono ripreso. Mi dispiace di averti fatto preoccupare a quel modo, a quanto pare ero più stanco di quanto pensassi.”
“Saresti dovuto rimanere a letto, invece di sforzarti!”
Lui scosse la testa.
“Volevo esserci. Dopotutto era un momento vitale, come potevo perdermelo?”
Arkel sospirò.
“Dovresti fare più attenzione, non è saggio sforzarsi in questo modo.”
“Non è un problema per me. Voi qui avete finito?”
“Sì, abbiamo quasi fatto. E Maki?”
“Ci aspetta già nello studio.”
“Allora non facciamola attendere oltre. Sei pronta Katie?”
Lei annuì, seguendolo in corridoio. Quando alla fine arrivarono nello studio si sforzò di ignorare Maki e si sedette sulla poltrona davanti ad Arkel.
“Immagino che adesso continueremo il discorso di ieri, giusto? Perché avrei una domanda.”
L’uomo le sorrise.
“Sentiamo questa domanda.”
“Ecco, ci ho pensato tutto il giorno. Heirood è stato sconfitto la prima volta, giusto?”
“Sì, venne ucciso in battaglia.”
“Quindi perchè siete così preoccupati? Senza di lui questi Scarlatti dovrebbero essere abbastanza inoffensivi.”
“Purtroppo non è così. I loro guerrieri sono estremamente temuti e da non sottovalutare, anche se non sono allo stesso livello del loro capo.”
“E chi è il loro capo?”
Arkel spostò lo sguardo su di lei, osservandola attentamente.
“Heirood.”
Katie ricambiò il suo sguardo, confusa.
“Scusa, ma hai detto... Heirood? Ho sentito bene?”
“Purtroppo hai sentito benissimo. C’è Heirood a guidare gli Scarlatti ed è lui ad aver ordinato il tuo rapimento.”
La ragazza lo fissò a bocca aperta, sconcertata.
“Ma hai appena detto che è morto! Com’è possibile?”
Arkel scosse la testa.
“Non lo so ancora, ma è tornato e se non viene fermato la storia si ripeterà. Non si arrenderà davanti a nulla, non ora che ha una seconda possibilità per riconquistare tutto il suo potere. Devi assolutamente impedirlo ed evitare così un altro bagno di sangue senza fine. Senza le Pietre lui è vulnerabile, ma se le trova...”
Katie aggrottò la fronte, confusa.
“Aspetta, quindi non ha lui le Essenze? Non hai detto che sono stati gli Scarlatti a rubarle?”
Lui le rivolse un sorriso di scuse.
“Ah, scusami, mi sono dimenticato la parte più importante, come mio solito. Vedi, in realtà Heirood ha solo tentato di rubare le Pietre, ma non gli è riuscito molto bene.”
“In che senso?”
“Contrariamente al suo solito, non è andato di persona a svolgere il lavoro. Ha mandato due dei suoi più fidati guerrieri, che pur essendo così leali non sono certo potenti quanto lui, e per riuscire a contenere e a controllare le Pietre serve una forza decisamente notevole, che quei due non possedevano. Così, quando sono riusciti a raggiungere le Essenze e hanno tentato di rubarle, non sono stati in grado di incanalarne l’energia e se le sono letteralmente fatte sfuggire. Nel tentativo di proteggersi, le Pietre sono fuggite, disperdendosi sia all’interno che all’esterno di Ghalad.”
A quelle parole Katie impallidì.
“E se sono fuori da quel mondo...”
Arkel annuì, serio.
“Esattamente. Il tempo a nostra disposizione ha già cominciato a scorrere.”
La ragazza deglutì con forza, cercando di non farsi prendere dal panico.
“Ma io non ho la minima idea di cosa dovrei fare! Non so nemmeno dove cercarle le Pietre!”
“Non sarai tu a cercarle.”
E detto questo, da un cassetto della scrivania tirò fuori l’orologio. Katie lo fissò, sbalordita.
“Quello?”
Arkel annuì, passandoglielo.
“Esattamente. Non farti ingannare dal suo aspetto, l’Ilyes ha un ruolo importante almeno quanto il tuo. Il suo legame con le Essenze è molto potente e non può essere reciso, non importa la lontananza; ma perché possa indicare la loro posizione, tu sei assolutamente indispensabile. Si può dire che viviate in una sorta di simbiosi: senza di te l’Ilyes non può funzionare, ma senza di lui tu non avresti alcun potere. Uno non funziona senza l’altra, ed è anche per questo che gli Scarlatti non ti uccideranno né ti faranno in alcun modo del male. Tu a loro servi viva e senza un graffio, altrimenti le Pietre rimarrebbero introvabili e il loro mondo scomparirebbe. E Heirood, pur essendo un sadico, è l’ultimo a volere una cosa del genere; d’altronde a lui Ghalad serve integra, altrimenti su cosa regnerebbe?”
Katie scosse la testa, incredula, lo sguardo fisso sull’Ilyes.
“Un simile oggetto può fare tutto questo?”
Arkel le sorrise.
“Oh, può fare questo e altro, non ci sono limiti alle vostre possibilità. Devi sforzarti di andare oltre la superficie, devi cercare di sentirne il cuore pulsante. Questo è un essere con una conoscenza secolare, più antico di qualsiasi cosa alla quale io e te possiamo pensare.”
“Ne parli come se fosse vivo.”
Lui ridacchiò di fronte alla sua espressione dubbiosa.
“Ne saresti sorpresa?”
Katie spalancò gli occhi, sbigottita, sporgendosi verso di lui.
“Vuoi davvero dire che è vivo?”
Arkel scosse la testa, divertito.
“Ho forse detto questo? No, non è né vivo né morto, ma se ti concentri al massimo forse potrai sentire delle sensazioni non tue, immagini che ti invadono la mente. Questo è il suo modo di comunicare con te, di farti sentire la sua presenza, anche se all’inizio sarà difficile per te sentirlo.”
“Perché sono, come dire, nuova?”
“Sì, il fatto di avere poca esperienza potrebbe influire, ma non è il punto determinante. Come ti ho già detto c’è un legame estremamente forte tra l’Ilyes e le Pietre e più loro sono lontane, più il suo potere si indebolisce. Al contrario, per ogni Essenza che troverai si rinforzerà sempre di più e non sarà più così difficile per te riuscire a percepirne la presenza.”
Katie si accasciò esausta contro la poltrona, riflettendo su quelle ultime parole.
“Resta ancora il fatto che non so né dove cercarle né come farlo. Non ho una macchina e tra l’altro neanche la patente, quindi…”
Si interruppe quando una potente risata risuonò nello studio.
“No, piccola mia, non avrai bisogno di macchine o altro, hai già tutto quello che ti serve.”
La ragazza lo fissò, aggrottando la fronte.
“Che cosa intendi dire?”
“Intendo dire che non scherzavo quando ti ho spiegato il potere dell’Ilyes e del suo legame con le Pietre. Sarà questo stesso collegamento a condurti verso di loro. Tu devi solo… vederlo e rimanere concentrata.”
“Solo quello? Anche se per esempio si trovasse non so… in Alaska?”
Lui scosse la testa, divertito.
“Difficile. Le Essenze non sono così vicine come pensi.”
Katie alzò un sopracciglio, ironica.
“Da quando l’Alaska è dietro l’angolo?”
“Da quando scoprirai che non è solo della dimensione spaziale che ti devi preoccupare.”
La ragazza lo fissò, sempre più confusa.
“Ok, adesso mi sono proprio persa.”
Arkel prese un foglio dalla scrivania e lo posò sul tavolo tra di loro, cominciando a disegnare.
“Vedi questa linea? Immagina che questa sia la linea del tempo. Il suo scorrere è regolare da millenni e sono molto poche le cose in grado di turbarne il corso. Ma immagina” e disegnò rispettivamente sei frecce, che andavano in ogni direzione, “che qualcosa sia talmente potente da riuscire a superare questa linea, da riuscire a modificarla a proprio piacimento.”
“Mi stai dicendo che le Pietre si sono messe a pasticciare con la linea del tempo?”
Lui le sorrise, spingendo verso di lei il disegno.
“Qualcosa del genere. Come puoi vedere le Essenze si sono disperse senza uno schema e potrebbero essere in uno qualunque dei punti di questa stessa linea. In parole povere potrebbero essere in qualsiasi anno della nostra storia e in qualsiasi luogo.”
La ragazza lo fissò per un minuto buono, senza parole.
“Stai scherzando, vero?”
“Mi piacerebbe, ma come vedi la cosa è molto complicata. Inoltre affronterai altri problemi una volta riuscita ad arrivare nell’epoca in cui si trovano le Pietre. L’arrivo di un potere di una tale portata non passa certamente inosservato e dovrai lottare per riuscire a riaverle indietro, perché i neo proprietari non se ne vorranno separare facilmente. Le Essenze hanno la sfortunata tendenza ad ammaliare i mortali già solo con il loro aspetto. Chiunque ne venga a contatto ne rimane affascinato e l’avidità prende il sopravvento su ogni altro sentimento. Sarà dura, ma sono sicuro che te la caverai benissimo.”
Katie gemette al solo pensiero.
“Oh, sì, me la caverò splendidamente, come no. Aspetta, non è che hai qualche altra sorpresa in serbo per me, vero?”
Arkel le sorrise.
“No, per il momento no. Ma forse ciò che andremo ad affrontare adesso ti sembrerà più interessante.”
“E cioè?”
Lui ridacchiò.
“Stai tranquilla, non è nulla di pericoloso, ma è tempo di passare ad una parte più pratica, per così dire. Ti darò alcuni suggerimenti con i quali ti potrai orientare.”
Fece una piccola pausa.
“Ti senti pronta?”
Lei sospirò.
“Ci si può mai sentire pronti per una cosa del genere?”
“Diciamo che bisogna solo farci l’abitudine.”
Lei annuì, fissando l’Ilyes tra le sue mani. Arkel le sorrise.
“Cominciamo allora e mi raccomando, rimani sempre concentrata. Tienilo stretto tra le mani, in modo da avere i quadranti voltati verso di te, e ricorda, è di vitale importanza che non lasci mai la presa, non devi mai separartene, per nessuna ragione. Non è mai successa una cosa del genere, ma ho forte ragione di credere che non sia affatto una buona idea.”
Le lanciò uno sguardo, indeciso sul da farsi. Sapeva di doverlo dire, eppure esitava…
“Perché non sarebbe una buona idea?”
“Be’, vedi... Se l’Ilyes rimane lontano dalla sua padrona troppo a lungo il suo potere diminuisce sempre di più e per sopravvivere alla lontananza è costretto ad utilizzare la forza vitale della stessa Prescelta. Se te ne separassi per troppo tempo potresti morire.”
Katie chiuse gli occhi, annuendo. Chissà perché, ma si era aspettata qualcosa del genere.
“Come mai?”
“È una questione di distanze, Katie. Quando siete vicini la tua forza vitale non serve, perché l’Ilyes si nutre esclusivamente della forza che deriva dal vostro legame, un’energia praticamente inesauribile ed eterna. Ma più ti allontani da lui più il legame si fa difficoltoso e recuperarne l’energia diventa sempre più complicato. Alla fine non avrai altra scelta che cedergli ogni volta una parte sempre più corposa della tua forza vitale, finchè… be’, lo sai.”
Rimase in silenzio, fissando addolorato quel viso così giovane, eppure con così tante responsabilità. Gli sembrava ingiusto che fosse proprio lei a dover affrontare tutti i pericoli che inevitabilmente si sarebbe trovata davanti. Era ancora una ragazza, con i suoi sogni e le sue speranze, e lui era lì per distruggerglieli tutti fino all’ultimo. Non avrebbe potuto avere una vita normale, non avrebbe potuto riavere la sua spensieratezza. Era stata chiamata dal destino ad affrontare qualcosa che era più grande di lei e per cui ogni secondo rischiava la vita. 
“Bene, quindi non solo questi Scarlatti faranno di tutto per rapirmi, ma lo stesso Ilyes potrebbe uccidermi. È quasi ironico. C’è qualcosa in questa maledetta storia che non voglia farmi fuori?”
Arkel la fissò, affranto, senza sapere per la prima volta cosa dirle.
“Mi dispiace.”
Lei scosse la testa, un sorriso amaro sul viso.
“Ormai non c’è altra scelta. L’Ilyes ha già deciso per me.”
“Be’, guarda il lato positivo, almeno non sarai sola nell’affrontare tutto questo.”
Katie si voltò verso Lyer.
“Verrai anche tu?”
Lui le fece l’occhiolino.
“Certo, non credevi mica che ti avrei lasciata andare da sola? Già dopo il primo minuto ti perderesti e non sapresti più dove andare, figuriamoci.”
Lei gli fece un debole sorriso, un po’ più sollevata.
“Ti ringrazio. Questo è più confortante di quanto pensassi.”
Arkel le sorrise dolcemente.
“Non sarai sola in questo viaggio. Ti stiamo chiedendo tanto, lo so, ma Lyer e Maki sono qui per darti tutto l’aiuto possibile. Puoi contare su di loro. Ciò tuttavia non cambia il fatto che molto è nelle tue sole mani. Ti è stato dato un grande potere, ma devi imparare a controllarlo.”
“È questo che dobbiamo fare adesso, quindi?”
“In parte, anche se ci vorrebbero mesi di esercizio, ma noi cercheremo di cavarcela con il poco tempo che abbiamo. Cominciamo?”
Lei esitò un attimo prima di rispondere, poi prese un profondo respiro e annuì.
“Cominciamo.”
Arkel le si avvicinò.
“Bene allora, adesso voglio che tu chiuda gli occhi e ti concentri. Libera la mente da ogni pensiero, lasciala andare e segui solo il suono della mia voce… Segui la mia voce e lasciati andare…”
Katie cercò di fare come diceva, di tenere sgombra la mente, ma nonostante tutti i suoi sforzi non riusciva a dimenticare quell’ultimo avvertimento. Come poteva tranquillizzarsi dopo aver saputo una cosa del genere?
“Non ci riesco. Non riesco a togliermi quella possibilità dalla testa, non…”
Arkel le prese le mani, tentando di calmarla.
“Non c’è fretta, puoi prenderti tutto il tempo che ti serve. So che è difficile, ma devi cercare di lasciarti andare, devi cercare di liberarti dai tuoi pensieri.”
La ragazza annuì, ancora incerta. Sospirò, cercando di calmarsi, cercando di dimenticare tutto quanto.
“Svuota la mente, Katie, e segui solo la mia voce. Non esiste nient’altro, non ora…”
Cullata dal suono ipnotico delle parole di Arkel, Katie cominciò lentamente a scivolare in una sorta di incoscienza. Vagava nel buio, in un immenso nulla. Esisteva eppure non esisteva, come essere cullati dal vento in un limbo silenzioso dove non c’era altro che il suo respiro, un’armonia che la avvolgeva sempre più, come quel suono che sentiva lontano, lontano… Un pulsare che si avvicinava, un ritmo incessante che rendeva i suoi battiti sempre più forti. Cos’era quel suono? Un suono più potente perfino del suo cuore, del suo respiro e che le riempiva la testa… Lei non poteva fare nulla, era vicina, ci era quasi….
“KATIE!”
Katie si risvegliò bruscamente, strappata con forza dal suo stato di trance. Riaprì gli occhi, stordita, disorientata, e solo dopo aver dato un’occhiata attorno a sé si rese conto che l’atmosfera era improvvisamente cambiata. Tutti erano in piedi, all’erta, e anche Arkel aveva un’espressione tesa sul volto. Quando si voltò verso di lei, i suoi occhi erano cupi.
“Mi dispiace, ma dovete sbrigarvi ad allontanarvi. Abbiamo visite poco gradite.”
A quelle parole Lyer gli scoccò una lunga occhiata e scosse la testa.
“Tu non vieni vero? Hai deciso di rimanere. Avrei dovuto immaginarlo, vecchio testardo.”
Lui gli sorrise, uno scintillio negli occhi.
“È tempo che mi sgranchisca un po’ anch’io e non voglio certo perdermi un’occasione come questa. Inoltre ci sono alcune cose qui che è meglio che non cadano nelle mani sbagliate. Non dovete preoccuparvi per me.”
Lyer sbuffò, rassegnato.
“Qual è il piano?”
“Dovete assolutamente portare Katie in un posto sicuro. Andate nel bosco di Ambris e aspettate lì, se tutto va bene tra non molto Flair dovrebbe arrivare da voi. Raccogliete ogni informazione che potrà darvi e poi partite immediatamente alla ricerca della prima Pietra. Non attendete mie notizie, non aspettate neppure un secondo, perché ogni ritardo potrebbe essere fatale. Soprattutto, fate molta attenzione a chi vi fidate, a chi incontrate, anche al povero mendicante che vi tende la mano in cerca di elemosina. E ricordate, questa è una partita che non possiamo permetterci di perdere.”
“Non hai di che preoccuparti per noi, Arkel, ma Flair? Davvero ti fidi di lui? Dopo quello che è successo con Laerys vuoi davvero affidargli la Prescelta?”
Lui scosse la testa, lo sguardo attento rivolto verso la porta.
“Quello che è accaduto a Laerys non è stata colpa sua e tu lo sai; ti prego, non rinunciare al suo aiuto per una disputa che avete avuto così tanto tempo fa. A volte le persone più impensabili sono quelle che ti aiutano di più e lui può aiutarvi, anche se forse non lo sa ancora. Venendo con voi riuscirà a ritrovare la strada che ha perso. Lo capirai presto.”
“Bah, l’idea continua a non piacermi, ma ho imparato a fidarmi di te, vecchio. E l’importante adesso è andare via di qui il più in fretta possibile.”
Arkel annuì, serio.  
“Ora andate, non sono molto lontani e non devono assolutamente vedervi. L’anonimato per voi è vitale, vi permetterà di non farvi catturare. Fate molta attenzione.”
Lyer annuì e si avvicinò a Katie, che era rimasta immobile al centro della stanza, ancora stordita.
“Ascoltami attentamente. Tra poco formerò un cerchio dal quale non dovrai uscire per nessuna ragione, hai capito? Stammi attaccata e andrà tutto bene, presto saremo al sicuro.”
La ragazza annuì, spaventata, il sudore freddo che le scendeva lungo la schiena. Con un groppo in gola alzò lo sguardo verso Arkel, rendendosi conto che lo stavano abbandonando.
“No.”
Katie sussultò. Come… Che le avesse letto nel pensiero? Poi si accorse a chi era rivolto lo sguardo di Arkel e tutto le fu chiaro; Maki non si era mossa dal suo posto e voltava loro le spalle, lo sguardo fisso sulla porta. Aveva intenzione di rimanere.
“Maki, non credo di doverti dire quanto ho bisogno che tu vada assieme a Katie. Non abbiamo molto tempo.”
Lei scosse la testa, rifiutandosi di ascoltarlo.
“Non ti lascio solo, non l’ho mai fatto e non comincerò certo adesso. Raggiungerò Lyer non appena avremo finito con questi intrusi.”
“No, non lo farai.”
Arkel le si avvicinò, un’ombra di dolore sul volto.
“Spero che riuscirai a perdonarmi. Prima o poi capirai che era la cosa giusta da fare. Il tuo posto non è qui, non in questo momento.”
Velocemente, prima che lei potesse reagire, le sfiorò la fronte con un dito e all’improvviso Maki crollò sul pavimento, svenuta. Arkel la affidò delicatamente alle mani di Katie.
“Sono sicuro che saprà perdonarsi e perdonarmi, anche se forse ci vorrà del tempo.” Sussurrò. “È necessario che venga con voi. Prendetevene cura.”
Lyer annuì.
“Bene, allora… buona fortuna, vecchio.”
Lui sorrise, lanciando un ultimo saluto e indietreggiando di qualche passo. All’improvviso un leggero soffio di vento li avvolse e attorno a loro cominciò a delinearsi un grande cerchio luminoso, che si allargò fino a circondarli completamente. Un velo dorato, percorso da piccole scintille, si formò tra loro e Arkel, dividendoli definitivamente. Infine, il tempo di un’ultima occhiata e tutto attorno a Katie svanì in un attimo.
Il buio invase la sua mente, trascinandola con sé, mentre una fitta di rimorso l’attraversava come una stilettata. Rivide il volto di Arkel, calmo e sereno, lasciato solo in balia degli eventi, rivide, come in un flashback, il suo ultimo saluto, il suo sorriso. L’ultimo pensiero, prima di perdere velocemente conoscenza, fu che forse non si sarebbero mai più rivisti.
 
*
Il cinguettio degli uccelli, l’aria fresca sul viso. Katie mugugnò, stordita, cominciando lentamente a riprendere conoscenza. Aprì gli occhi, ma subito li socchiuse di nuovo, disturbata dalla luce del sole. La sorpresa nel vedere sopra di sé un cielo limpido cancellò le ultime tracce di sonno. Voltò la testa, spaventata, ma prima che potesse mettere a fuoco dove si trovava, tutto cominciò a girarle attorno. Chiuse gli occhi, cercando di riprendersi, ma quell’orribile sensazione non se ne andava. Alla fine si mise faticosamente a sedere, respingendo a stento un violento attacco di nausea.
Da quello che riusciva a vedere doveva trovarsi in una piccola radura nascosta tra i boschi, ben riparata da sguardi indiscreti grazie alla folta barriera di alberi che le davano una forma quasi ovale. Inoltre, verso il fondo, nell’ombra, si ergeva una piccola capanna in legno.
Katie continuò a guardarsi attorno, cercando i suoi compagni di viaggio per accertarsi che stessero bene. Maki era distesa a pochi metri da lei, ancora svenuta, e Lyer... Si impietrì, accorgendosi solo in quel momento che Lyer non era con loro. Si guardò freneticamente attorno, cercando di non farsi prendere dal panico, ma di lui non c’era alcuna traccia.
Rimase immobile, mentre i battiti del suo cuore acceleravano, martellandole nel petto. Era spaventata a morte. Lyer non era tipo da andarsene senza avvertirla, non l’avrebbe mai lasciata sola e indifesa. Non riusciva a capire cosa potesse essere accaduto. Forse era solo andato a cercare quel Flair di cui aveva parlato Arkel, forse non c’era di che preoccuparsi, ma nonostante si sforzasse non ci credeva neppure lei.
Si guardò di nuovo attorno, cercando di contenere l’agitazione. Non potevano essere stati gli Scarlatti, non avrebbe avuto senso, se davvero fossero stati loro non si sarebbero interessati a Lyer ma a lei. Era lei che volevano, era lei la Prescelta. Era anche vero però che Lyer aveva rovinato i loro piani quando era riuscito a salvarla da Eledier. Forse avevano pensato che fosse lui il pericolo maggiore in quel momento. Sapevano bene che non li avrebbe lasciati avvicinare e che avrebbe lottato fino allo stremo per darle il tempo di fuggire. Era possibile che avessero trovato un modo per allontanarlo, per tenerlo occupato da un’altra parte e venire nel contempo a prendere lei, che senza Lyer e con Maki ancora svenuta era inerme.
Rabbrividì di nuovo, scrutando gli alberi con un’attenzione quasi maniacale, attenta a cogliere anche il più piccolo movimento. Probabilmente tra poco sarebbero venuti a prenderla e forse non avrebbero neppure mandati i loro scagnozzi più forti, certi che lei non rappresentasse una minaccia.
A quel pensiero digrignò i denti, i pugni stretti. Li avrebbe fatti ricredere, non si sarebbe fatta catturare senza lottare. In fondo aveva anche un discreto vantaggio: loro non potevano farle del male, ma lei non aveva quelle remore e li avrebbe colpiti appena ne avesse avuto l’occasione.
Si alzò, decisa, e guardandosi attorno si accorse di essere fin troppo allo scoperto, un facile bersaglio in mezzo alla radura. Era meglio muoversi e cercare un luogo più riparato, magari tra il folto degli alberi. Spostò lo sguardo verso Maki, osservandone il viso addormentato: se non fosse riuscita a difendersi cosa ne sarebbe stato di lei? Gli Scarlatti si sarebbero accontentati della Prescelta o avrebbero infierito? Chiuse gli occhi, ben conoscendo la risposta. Maki la stava aiutando, era sua complice, e gli Scarlatti non avrebbero lasciato testimoni.
Si voltò di scatto, i muscoli tesi, quando avvertì un lieve fruscio dietro di sé e fu allora che, prendendola completamente alla sprovvista, Lyer spuntò dai cespugli. A quella vista Katie si sentì invadere da un enorme sollievo; improvvisamente le gambe le cedettero e in un attimo si ritrovò seduta a terra.
“Katie! Katie, stai bene?”
La ragazza sorrise, mentre il sollievo spazzava via tutta la tensione che aveva accumulato.
“Sono solo sollevata, ecco tutto. Mi sono spaventata tantissimo quando mi sono svegliata e non ti ho trovato e ho pensato che gli Scarlatti ti avessero teso una trappola e che stessero per arrivare. Non puoi sapere quanto sia contenta di vederti.”
Lui scosse la testa, alzando gli occhi al cielo.
“Giuro che anche con tutta la buona volontà non riuscirò mai a capire voi umani. Tu e Arkel riuscite benissimo da soli a mandarmi in confusione con i vostri strani modi di comportarvi. Ero solamente andato a fare un giro di perlustrazione per accertarmi che il posto fosse sicuro.”
“Davvero? Ma come hai fatto a riprenderti così in fretta?”“
“Cosa intendi?”
“Non sei svenuto anche tu?”
Lui scosse la testa.
“No, per niente.”
“Seriamente?”
Lyer ridacchiò.
“È sempre traumatico la prima volta, ma con il tempo ci si fa l’abitudine.”
A quella parole Katie sospirò, cercando di ignorare la delusione.
“Mi pareva, l’umana è stata l’unica a svenire.”
Lui la fissò, un’espressione indecifrabile sul muso.
“Deve essere snervante essere così… così…”
La ragazza gli puntò gli occhi addosso.
“Così come?”
“Non ti offendere, ma un po’ deboluccia.”
Lei sbuffò, distogliendo lo sguardo.
“Non sono debole, sono solo un po’ inesperta.”
“Solo quello? Non credi di...”
Si bloccò, improvvisamente guardingo, lo sguardo fisso oltre la sua spalla. Katie si voltò, sorpresa, quando un leggero movimento attirò il suo sguardo. Maki si stava svegliando. Cominciava a muoversi, ancora intontita, e presto avrebbe aperto gli occhi, presto si sarebbe resa conto di cos’era successo e non l’avrebbe presa bene.
Eppure rimasero entrambi stupiti quando la videro alzarsi tranquillamente, senza alcun segno evidente di rabbia; solo un lampo di comprensione e di furia era comparso per un attimo nei suoi occhi, per poi svanire.
“Non avresti dovuto usare il Transfer, Lyer. Sai bene che possono rintracciare la scia di energia che abbiamo lasciato. Questo posto potrebbe non essere più sicuro.”
Lui scosse la testa, senza smettere di lanciarle occhiate guardinghe.
“Non avevo altra scelta. Per precauzione comunque ho già fatto un giro di perlustrazione e il posto è tranquillo, nessun pericolo imminente. Siamo davvero soli, almeno finchè non arriverà Flair, sempre che arrivi. Non mi fido di quel ragazzo, nonostante quello che può pensare Arkel di lui.”
Katie si avvicinò, cercando di non fare caso allo sguardo penetrante di Maki.
“Sono certa che Arkel sia sicuro di quello che dice; non mi sembra il tipo di persona che fa qualcosa senza un motivo.”
“Perché non lo è. Ogni cosa che fa o dice ha un motivo preciso, una ragione che a volte non ci è dato conoscere. Dobbiamo solo fidarci.”
La ragazza si voltò verso Maki, tesa.
“Forse hai ragione, ma...”
“Togli il forse, è così. Arkel non si permetterebbe mai di farci perdere tempo in un momento come questo. Ogni cosa che ci ha detto ha un significato, un significato che scopriremo solo quando sarà il momento adatto. Non possiamo permetterci errori. Non possiamo mostrarci deboli, non possiamo indugiare, non possiamo arrenderci e Arkel lo sa meglio di chiunque altro. Non abbiamo possibilità di errore, non possiamo sbagliare, ed è per questo che dobbiamo stabilire delle regole, regole che riguardano te.”
Si avvicinò, un’espressione indecifrabile sul viso.
“Dovrai fare ciò che ti diciamo, umana, senza inutili discussioni; se seguirai le istruzioni che io e Lyer ti daremo allora andrà tutto bene e non ci saranno problemi.”
Quelle parole colpirono Katie come un pugno.
“Che cosa vuoi dire?”
Maki la fissò, indifferente.
“Esattamente quello che ho detto. Sei troppo inesperta e debole per poterci aiutare in combattimento o per poter sopravvivere senza il nostro aiuto. Tu sei un’umana e oltretutto non hai esperienza né capacità. Per noi sei solo un peso, ma nonostante questo sei necessaria in quanto Prescelta. Una cosa ben strana, non ti pare? Ma finchè non diventerai più forte non potrai prendere decisioni autonome, non potrai fare di testa tua né decidere di non seguire le nostre indicazioni. Fino a quel momento dipenderai esclusivamente da noi. Siamo in guerra, ragazzina, ed è ora che ne impari le regole.”
A quelle parole Katie rimase immobile, mentre la furia ribolliva dentro di lei. Lei era solo… solo un’umana? E per questo era giusto metterla da parte, usarla come una specie di bussola per poi riporla in un angolo? Digrignò i denti, pronta a replicare, ma quando aprì la bocca per tentare di ribattere, si accorse di non riuscire a parlare. Le sue labbra erano secche e non sembravano neppure più capaci di muoversi. Perchè si sentiva il corpo così pesante? Perchè sentiva dentro di sè una profonda delusione, quasi un senso di sconfitta?
Davanti a lei Maki le lanciò un ultimo, glaciale sguardo, poi le voltò le spalle e si diresse verso la capanna, senza mai voltarsi. Fu il colpo di grazia. Katie chiuse gli occhi, angosciata, sperando dentro di sé che quelle che sentiva scendere lungo le guance non fossero le sue lacrime, sperando di poter essere più forte di quelle parole. Ma non lo era, perchè anche se non voleva ammetterlo, anche se desiderava combatterle con tutte le sue forze, ogni frase, ogni singola parola che era uscita dalle labbra di quel viso sprezzante era semplicemente vera. Lei non era all’altezza, non lo era mai stata; quella di Arkel non era altro che un’illusione, dettata dalla disperazione. Prescelta o no, lei era solo un’umana e questo non sarebbe bastato. Sapeva che era la verità ma vederla così messa a nudo, vedersela sbattere in faccia in quel modo, era semplicemente troppo.
Alzò lo sguardo, le lacrime che le scorrevano lente sul viso.
Lyer era accanto a lei, immobile, tanto da sembrare una statua. Sentiva lo sguardo angosciato d Katie su di sè, ma aveva paura di incontrarlo, di vedere il profondo dolore su quel viso. Aveva paura di ferirla ancora, dandole il colpo che l’avrebbe distrutta…
“Forse è meglio se lasci fare a noi. Magari un giorno capirai perché l’abbiamo fatto, è solo per il tuo bene.”
Chiuse gli occhi, odiandosi per quelle parole, probabilmente le peggiori che potesse dirle. Si incamminò, seguendo Maki e cercando di trovare dentro di sé la forza di non voltarsi. Fin sulla porta della capanna, sentì quei singhiozzi torturargli l’anima. 

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Capitolo 6
*** Amico o Nemico? ***


CAPITOLO 6
Amico o nemico?
 
Il buio era fitto tra gli alberi, ma non abbastanza da riuscire a nasconderlo al meglio; cercare di distanziarsi dai suoi inseguitori si stava rivelando molto più complicato di quanto avesse sperato. Digrignò i denti, frustrato. Stava andando tutto per il verso sbagliato. Non solo la sua copertura era saltata prima del previsto, ma con quegli scagnozzi alle calcagna non sarebbe neppure riuscito a raggiungere Lyer. Doveva assolutamente liberarsene, ma ormai erano ore che l’inseguimento andava avanti e i suoi inseguitori non sembrano avere intenzione di allentare la presa. Questo significava solo una cosa: non erano dilettanti o sarebbe già riuscito ad allontanarsi da un pezzo.
Strinse i pugni, teso, quando si accorse che gli alberi davanti a lui cominciavano a diradarsi, annunciando la fine della foresta. Non gli rimaneva molto tempo ormai; la sua quasi illimitata resistenza gli aveva permesso di correre per ore a un ritmo sempre costante senza avvertire il peso della fatica, ma tutto questo sarebbe diventato inutile, perchè una volta uscito allo scoperto non avrebbe più avuto la possibilità di nascondersi. All’aperto sarebbe stato vulnerabile, un facile bersaglio. Scosse la testa, accelerando ancora. Non poteva permettere che gli si avvicinassero più di quanto non avessero già fatto, ma anche attraversando quella pianura a tutta velocità non avrebbe fatto in tempo a seminarli. Tutte le opzioni prese in considerazione fino a quel momento le aveva scartate perché inutili o troppo pericolose. Eppure doveva esserci qualcosa, qualcosa a cui non aveva pensato, che gli era sfuggito… E all’improvviso, proprio mentre la luce del sole cominciava ormai a filtrare tra gli alberi, un’accozzaglia di suoni attirò la sua attenzione e gli diede una piccola speranza. Sentiva un piccolo villaggio nelle vicinanze, verso est, proprio lungo il limitare della foresta. Non era lontano e con la giusta velocità avrebbe potuto raggiungerlo senza problemi, ma sarebbe bastato come diversivo?    
Continuò a correre, riflettendo velocemente mentre il cielo cominciava a rischiararsi sopra di lui. Non erano solo le dimensioni del villaggio ad essere un problema. Anche se fosse stato adatto, il suo arrivo avrebbe comunque scatenato il panico tra gli abitanti, viste le sue caratteristiche fisiche.
Prese un profondo respiro, cercando di riflettere, ma trasalì quando un rumore secco dietro di lui lo distrasse e per un attimo gli fece perdere la concentrazione. E fu proprio in quell’attimo che la perfetta soluzione ai suoi problemi gli balzò inaspettata alla mente. Come aveva fatto a non ricordarsene prima? Eppure Serael, la sua maestra, gliel’aveva spiegato centinaia di volte...
“Questa magia, ragazzo, è molto pericolosa e non è certo da utilizzare alla leggera. Modificare il proprio aspetto può essere molto allettante, ma c’è l’elevato rischio di non poter più tornare indietro. Non sottovalutarne mai i rischi e le conseguenze, perchè un solo errore, anche minimo, e non saresti più in grado di tornare alla tua forma originaria. Per questo motivo solitamente ai giovani come te non viene insegnata, perché la tentazione sarebbe troppo grande. In passato ci sono stati fin troppi casi di giovani incoscienti che hanno rovinato la loro vita per un capriccio momentaneo. Tuttavia, mi sembri abbastanza responsabile e intelligente da capirne i rischi ed evitare di utilizzarla per futili motivi. Finora hai fatto notevoli progressi, ma devi farmi un giuramento, devi giurare che non userai questa abilità finchè non avrai accumulato la necessaria esperienza per tentare senza rischi, ci siamo intesi?”
Lui annuì, sostenendo fermamente quello sguardo penetrante, finché lei non gli credette e il suo viso si distese in un dolce sorriso.
Ricordava bene Serael, nonostante fosse passato molto tempo dall’ultima volta in cui aveva visto le eleganti torri di Ryleis. Sarebbe stato impossibile per lui dimenticare anche il più piccolo dettaglio di quel viso, sul quale i secoli scivolavano come acqua, senza intaccarne la serafica bellezza. Da millenni vegliava sulla loro razza, amorevole come una madre e determinata come un guerriero, una delle creature più longeve del loro popolo, tanto antica che ormai nessuno sapeva più veramente da quanto camminasse tra le ombre dei quieti pini. Essere accettato come suo allievo era un grandissimo onore, ma anche un’enorme responsabilità: Serael prendeva sempre un solo studente alla volta, per poterlo seguire in modo diretto, senza interruzioni o distrazioni. E se nessun aspirante le pareva adatto, potevano passare secoli prima che scegliesse un candidato, ma quando prendeva sotto la sua ala un giovane gli insegnava tutto ciò che sapeva. Le sue lezioni coprivano aree ampissime, dall’arte magica a quella combattiva, dalla storia all’arte, ma soprattutto si accertava che il suo allievo fosse in grado di ragionare in modo lucido, di saper sempre riconoscere le situazioni in cui si trovava con mente fredda e attenta ai dettagli. Diceva che dare la possibilità e il potere ad una persona incapace di usarli al momento giusto aveva portato alla distruzione degli antichi regni e che uomini stolti ma potenti avevano portato alla rovina interi popoli.
Grazie a quegli estenuanti allenamenti, la sua mente si era abituata a vagliare ogni opzione con distacco e lucidità e a scartare le più inutili in pochi secondi. Questa capacità gli aveva salvato la vita innumerevoli volte e gli aveva permesso di infiltrarsi tra gli Scarlatti senza destare sospetti. E anche quella volta gli avrebbe permesso di salvarsi, sfuggendo ai suoi inseguitori una volta per tutte.
Socchiuse gli occhi alla luce abbagliante quando schizzò come un proiettile fuori dal bosco, dirigendosi a tutta velocità verso il villaggio. Prima arrivava maggiori possibilità aveva di non commettere errori, eppure, dopo appena qualche secondo, una sgradevole sensazione cominciò ad insinuarsi dentro di lui, l’orribile dubbio di aver tralasciato un dettaglio cruciale. Scosse la testa, allontanando quei dubbi. Il piano che aveva ideato era quanto di meglio potesse escogitare con il poco che aveva a disposizione, ma non aveva lasciato nulla al caso. Non ci sarebbero stati errori.
Deviò leggermente verso sinistra, continuando a tenersi basso per evitare che qualcuno potesse accorgersi dei suoi movimenti, mentre il villaggio diventava sempre più vicino. Quell’ammasso di case rustiche era piccolo, persino per gli standard umani. C’erano due vie principali, che si sviluppavano lungo tutto il villaggio, incontrandosi poi in una piccola piazza centrale, e alcune stradine secondarie. Entrare dal lato più vicino alla foresta sarebbe stato troppo ovvio, così decise di aggirare il villaggio e insinuarsi dal lato opposto, trovandosi così faccia a faccia con i suoi inseguitori. E se lui avrebbe potuto facilmente riconoscerli, lo stesso non si sarebbe potuto dire di loro e quel pensiero lo fece sorridere.
Una volta entrato nel villaggio, si riparò all’ombra dell’ultima casa, rasente al muro; si affacciò brevemente verso la strada, troppo veloce perché occhi umani potessero riuscire a scorgerlo ma abbastanza da potersi fare un’idea della situazione. Non c’era molto movimento, solo poche persone e quasi tutte anziane. Alzò le spalle, accantonando quell’osservazione in un angolo remoto della propria mente. Ora aveva ciò che gli serviva, un modello. Quello che gli mancava era solo un luogo adatto.
Fissò lo sguardo sul lato opposto della strada che, completamente avvolto nel buio dalle ombre della casa vicina e dagli alberi retrostanti, sembrava il posto ideale per attuare il suo piano senza il rischio di essere colto di sorpresa, anche se difficile da raggiungere.
Aggrottò la fronte, cercando di risolvere il problema il più in fretta possibile: non aveva molto tempo, i segugi sarebbero arrivati presto, non li aveva distanziati di molto, ma se avesse semplicemente attraversato la strada, per quanto corta potesse essere la distanza, c’era il rischio concreto che qualcuno lo vedesse e si scatenasse il panico tra gli abitanti. In un paesino come quello, culturalmente arretrato e impregnato di superstizione, anche il più piccolo movimento insolito avrebbe potuto scatenare reazioni spropositate.
Sospirò, vagliando rapidamente le sue opzioni. Non aveva possibilità di attraversare quella strada senza essere visto, ma poteva fare in modo che gli occhi di tutti fossero voltati dalla parte opposta, dandogli l’occasione che gli serviva. Sorrise, sentendo l’adrenalina scorrergli nelle vene, mentre quell’idea prendeva forma nella sua mente. Doveva trovare un diversivo, qualcosa di abbastanza eclatante da catturare l’attenzione di ogni passante, distogliendola da lui. Avrebbe avuto solo pochi secondi, ma gli sarebbero bastati.
Si affacciò sulla strada, valutando attentamente ciò che vedeva davanti a sè, finchè finalmente, nella piazza, non trovò quello che stava cercando: un lampione di quelli solitamente usati nelle grandi città, ridicolmente fuori posto tra quelle case praticamente diroccate.
Una volta deciso l’obiettivo chiuse gli occhi, concentrandosi e lasciando fluire la magia, piegandola al suo volere. Anche se non lo vedeva poteva sentire chiaramente il vetro incrinarsi sempre più… E all’improvviso, con un deciso gesto della sua mano, il lampione esplose.
Urla di paura e di sorpresa riempirono l’aria, ma lui non si fermò ad osservare le reazioni a quella piccola esplosione. Aveva solamente qualche secondo e non poteva sprecare l’occasione. Non appena i paesani si voltarono spaventati verso il rumore del vetro che andava in frantumi, lui scattò, sfruttando al massimo la sua velocità, lasciando solo un leggero alito di vento dietro di sé come prova del suo passaggio. In un attimo fu al sicuro, nell’ombra dall’altra parte della strada.
Si affacciò brevemente, osservando lo scompiglio che aveva creato. Molti erano usciti dalle case, attirati dal frastuono, e si erano avvicinati ai frammenti sparsi per terra, sorpresi.
“Che cosa può essere successo?”
Vide uno degli uomini riunitisi scuotere la testa, perplesso.
“È insolito che un lampione esploda senza un motivo. Potrebbe essere un guasto elettrico, ma mi sembra strano, sono stati controllati solo una settimana fa ed erano a posto.”
Un vecchio dall’aria stralunata afferrò l’uomo per la maglia, in preda al panico.
“È lui, ve l’avevo detto che sarebbe arrivato! Il demonio vuole punirci per i nostri peccati e ha mandato i suoi servitori! Questo è l’inizio! Pentitevi, miscredenti, e chiedete la grazia!”
L’uomo sciolse la presa e lo allontanò, infastidito da quei borbottii senza senso.
“Vattene, vecchio! Non c’è nulla di cui avere paura, si è trattato semplicemente di un sovraccarico di energia che ha fatto esplodere la lampadina.”
Il vecchio scosse la testa.
“Ti pentirai delle tue parole, te ne pentirai quando ormai i servi di Lucifero staranno già banchettando con il tuo corpo!”
“Sì, come ti pare, ma adesso vattene, stai spaventando tutti con il tuo blaterare insensato. Su, gente, tornate a casa, non c’è niente di cui preoccuparsi. Non c’è pericolo.”
Gli altri si guardarono negli occhi, ancora preoccupati per ciò che era successo. Il ragazzo osservò le loro reazioni, distaccato. Come era facile manipolare le loro semplici e fragili menti… Una delle loro tante debolezze. Non sarebbe mai riuscito a capire la mentalità umana, l’ossessivo bisogno di credere in qualcosa di più di quello che aveva davanti agli occhi, come se gli uomini non si sentissero tranquilli senza la convinzione che qualcosa di più grande vegliasse sulla loro insignificante vita.
Mentre la gente si disperdeva, lanciando occhiate spaventate al lampione ormai distrutto, lui si ritirò ancora più indietro, nel buio. Appoggiandosi con la schiena alla parete prese un profondo respiro: era arrivato il momento di concentrarsi. Chiuse gli occhi, cercando di svuotare la mente, bloccando le voci e i rumori attorno a lui. Gradualmente percepì il suo corpo fremere, tremare, mentre la magia che stava evocando in una sussurrata litania cominciava ad alterarlo, lentamente ma inesorabilmente. Ormai neppure lui avrebbe più potuto fermare la trasformazione. Sentì i suoi muscoli tendersi fino a quasi lacerarsi e dovette raccogliere tutta la sua determinazione per sopportare il dolore senza un gemito. Quel genere di trasformazione non era mai piacevole. Rimase immobile, bloccato in quella sofferenza per quella che gli sembrò un’eternità, ma quando alla fine, con un ultimo spasmo, il suo corpo si calmò, non erano passati che pochi minuti.
Il ragazzo riaprì gli occhi, sudato, il respiro affannoso. Rimase un attimo immobile, respingendo un lieve attacco di nausea. La sensazione che la trasformazione lasciava dietro di sé era persino più sgradevole di quanto ricordasse.
Senza perdere altro tempo si diresse verso una pozza d’acqua lì vicino e osservò soddisfatto il proprio riflesso. Fu insolito vedere un vecchio umano malandato ricambiare il suo sguardo, lì dove avrebbe dovuto esserci un giovane sano ed energico. Lunghi capelli bianchi avevano sostituito i corti capelli castani, la levigata pelle di alabastro era diventata rugosa e giallastra e la schiena, prima tanto orgogliosamente diritta, si era decisamente ingobbita, mentre i raffinati abiti erano stati rimpiazzati da vestiti anonimi e sgualciti.
Ridacchiando, con la voce ora rauca, uscì dal cono d’ombra, cominciando lentamente ad incamminarsi lungo la via, attento a comportarsi con naturalezza. Studiò con attenzione i volti delle persone che incontrava, ma nessuno di loro sembrava prestargli molta attenzione.
Il vecchio sorrise, soddisfatto. Grazie a quel travestimento era riuscito a non destare sospetti e ora non gli restava altro che aspettare. Cominciò a guardarsi attorno in cerca di particolari insoliti, particolari che solitamente precedevano l’arrivo dei segugi. Non si sorprese, quindi, quando all’improvviso un piccolo passerotto cadde a terra vicino a lui, morendo in pochi secondi.
Il suo sguardo si fissò addolorato su quel piccolo corpicino. Sapeva che sarebbe successo: la malvagità di quelle creature era troppo grande perché non si ripercuotesse in qualche modo su quegli esseri viventi che avevano la sfortuna di passare loro troppo vicino. Seguì con lo sguardo quella che era stata la traiettoria del passerotto, tra gli alberi, avvertendo poi un leggero movimento nell’ombra della foresta. Stavano arrivando.
Strinse i pugni, cercando di dominare l’improvvisa preoccupazione che l’aveva assalito, l’orribile sensazione di aver dimenticato un dettaglio vitale. Scosse la testa, cercando di scacciarla. Di nuovo quel dubbio, eppure non aveva motivo di temere che il suo piano non avrebbe funzionato. Così riprese a camminare, avvicinandosi al centro del villaggio, dove i frammenti di vetro del lampione brillavano sotto la calda luce del sole. Con gli occhi infastiditi da quel riflesso accecante, spostò lo sguardo verso la panchina lì vicino, e sarebbe passato oltre se non avesse colto quello sguardo, se non avesse percepito il sospetto…
Rallentò, il cuore stretto in una morsa, osservando con la coda dell’occhio lo stesso vecchietto di prima alzarsi e guardare terrorizzato verso di lui. E in quell’attimo, in quell’unico momento, finalmente capì perchè continuava ad avere la terribile sensazione di aver fatto un errore fatale.
Imprecò a bassa voce, il respiro affannoso. Come aveva fatto a non rendersene conto? Come aveva potuto essere così stupido?
Si voltò in preda all’ansia e cominciò ad allontanarsi, cercando di raggiungere il più velocemente possibile l’oscurità da cui era appena uscito, facendo il possibile per non attirare altra attenzione indesiderata. Mentre camminava sotto il sole cocente digrignò i denti, frustrato. Era stato uno sbaglio da dilettanti. Avrebbe dovuto capire prima che in un paese così piccolo, dove tutti si conoscevano fin dall’infanzia, un vecchio mai visto prima avrebbe attirato l’attenzione; avrebbe dovuto capire che usare un diversivo così spettacolare li avrebbe allarmati, rendendoli sospettosi. Era così evidente, adesso, che non riusciva a capacitarsi della sua idiozia. Nella sua arroganza aveva di nuovo dimenticato il lato umano, quello su cui Serael insisteva tanto e che lui aveva sempre considerato indegno di attenzione. Se non fosse stato in un tale pericolo probabilmente avrebbe sorriso per l’ironia di quella situazione, ma in quel momento doveva concentrarsi e trovare una nuova via di fuga. Non aveva fatto che pochi metri però quando avvertì qualcosa che lo costrinse a voltarsi. Odore di morte. Impossibile sbagliarsi, ormai erano arrivati.
Rimase immobile, gli occhi puntati su di loro. Due segugi erano fermi ad un centinaio di metri da lui e si guardavano attorno, disorientati e confusi. Non erano certo conosciuti per la loro intelligenza, per cui doveva esserci qualcun altro con loro. Ma chi? Forse… Si irrigidì, mentre un orribile sospetto si insinuava nella sua mente. L’aspetto dei due Traegon era stato cambiato: le orecchie da troll erano state nascoste sotto una benda avvolta attorno alla testa, ma il particolare più importante era il fatto che le due zampe canine fossero state trasformate in arti umani. Solo una creatura molto potente avrebbe potuto riuscirci in così poco tempo e se ripensava all’incredibile tenacia con cui lo avevano inseguito, alla facilità con cui avevano superato le trappole e le false piste che si era lasciato dietro, c’era solo un nome che gli veniva in mente.
Indietreggiò di qualche passo, il sudore freddo che colava lungo la schiena. Quell’odore di morte e di sangue era suo, adesso lo riconosceva. Represse a stento un conato, disgustato, mentre i suoi occhi lo cercavano freneticamente vicino ai segugi. E lo trovarono; le orecchie a punta erano state coperte da una benda come quella dei suoi servitori, mentre il braccio demoniaco era nascosto completamente da una lunga e larga manica che gli arrivava fino al ginocchio. I lunghi capelli bianchi gli scendevano fino alla vita e i suoi occhi si muovevano veloci da una parte all’altra alla ricerca della sua preda, brillando dal desiderio di sangue. Seimar.
Il ragazzo sbiancò di colpo, mentre i battiti del suo cuore gli rimbombavano sordi nelle orecchie. Cercò di contenere il terrore che lo travolgeva, di fuggire, ma il suo corpo rimase immobile, in mezzo alla strada, incapace di reagire. Fu allora che i loro occhi si incontrarono, l’azzurro gelido e crudele e il marrone caldo. Il suo cuore si fermò e per un attimo, per un solo glaciale istante, morì, poi il battito nel suo petto ricominciò, incontrollabile, e lui fu bruscamente richiamato alla realtà.
Con un enorme sforzo distolse lo sguardo. Sentiva il freddo di quel baratro nero entrargli fin dentro l’anima, letale. Seimar aveva il compito di catturarlo o di ucciderlo e non si sarebbe mai fermato. Quel Geiber era un perfetto assassino, un essere il cui solo scopo nella vita era uccidere. E quella volta cercava lui.
Rabbrividì, riuscendo finalmente a costringere i suoi muscoli a muoversi, a camminare verso l’ombra protettiva delle case. Non aveva altra scelta, doveva andare subito da Lyer e avvisarlo prima che fosse troppo tardi. Se avevano mandato Seimar a cercarlo significava che, facendolo seguire, speravano di arrivare direttamente alla Prescelta, ma lui non avrebbe permesso a nessuno di avvicinarsi a lei. Avrebbe lottato, anche se sapeva bene che avrebbe perso. Non c’era nessuno capace di tenere testa a Seimar, ma avrebbe potuto guadagnare tempo, ciò di cui Lyer aveva bisogno.
Aumentò l’andatura, teso, cercando di resistere alla tentazione di guardarsi alle spalle, cercando di soffocare il sospetto che fosse proprio dietro di lui, troppo silenzioso perché potesse sentirlo… Strinse i pugni, la mascella serrata e la tensione non lo abbandonò finchè non riuscì di nuovo a rifugiarsi nell’oscurità. Con le spalle contro il muro attese per qualche secondo, cercando di riprendersi e di calmarsi. Nessun rumore. Possibile che non si fosse accorto di nulla? Prese un profondo respiro e si affacciò, cauto. E quello che vide lo fece sprofondare.
Seimar, maestoso come sempre, torreggiava sul vecchietto che lo aveva osservato con tanto sospetto non appena era comparso. Era successo tutto solo pochi minuti prima, eppure sembrava passata un’eternità. Continuava ad indicare dalla sua parte, terrorizzato, finchè, inaspettatamente, il Geiber alzò lo sguardo e gli spietati occhi azzurri si fissarono in quelli castani dell’uomo nascosto nell’ombra.
Il ragazzo si ritirò subito contro il muro, scosso da violenti brividi. Ormai non aveva vie di fuga. Gli restava un’unica possibilità, attraversare la barriera e sperare di riuscire ad allontanarsi abbastanza da avere il tempo di avvertire Lyer. In quel modo avrebbe fatto il loro gioco, portandoli dritti dalla Prescelta, ma non aveva altra scelta.
Cominciò la litania, affrettandola il più possibile e rimanendo attentamente in ascolto. Sentiva i passi pesanti e inconfondibili dei Traegon che venivano verso di lui, ma il passo di Seimar era talmente leggero che non riusciva a percepirlo. Quando finalmente riprese il suo aspetto non si prese neppure il tempo di riprendere fiato; affaticato e stordito, con la nausea che risaliva ad ondate, chiuse gli occhi, cercando la barriera. La trovò in un attimo, a pochi centimetri da lui. Con un piccolo sospiro fece un passo di lato e il suo corpo sparì, lasciando solo piccoli cerchi concentrici come prova del suo passaggio.
Quando alla fine Seimar arrivò, dietro quel muro non c’era più nessuno.
 
*
Il ragazzo salì agilmente su un albero e attese, in silenzio. Nutriva la lieve speranza di essere finalmente riuscito a seminare i suoi inseguitori, ma quel bosco era grande, enorme, e non poteva sapere chi lo stava aspettando nell’ombra, pronto a scagliarglisi contro alla minima distrazione. Continuò a scrutare attorno a sé, cercando di cogliere ogni minimo movimento. Non era il momento di abbassare la guardia; anche se sperava di aver distanziato Seimar, sapeva che anche lui era in quella foresta, ne sentiva l’animo perverso aggirarsi tra gli alberi.
Si impietrì, preoccupato, quando cominciò ad avvertire dei rumori in lontananza, dapprima lievi e poi sempre più forti. Qualcuno si stava avvicinando, ma non potevano essere loro, non avrebbero fatto tutto quel rumore. Conosceva il modo di cacciare di Seimar e quello sicuramente non era il suo stile, lui preferiva attaccare silenziosamente, assalendo alle spalle la sua vittima proprio nel momento in cui abbassava la guardia… Represse un brivido a quel pensiero, sforzandosi di rimanere concentrato; forse quello che si stava avvicinando era solo un animale, ma, quando il suo sguardo riuscì a distinguere una figura tra gli alberi, la sorpresa fu tale da lasciarlo a bocca aperta.
Una ragazza, una ragazza umana. Come era riuscita ad arrivare lì? Non poteva aver attraversato la barriera, neppure per sbaglio, eppure era proprio davanti a lui. Poteva essere con Lyer? No, scartò subito quell’idea. Se fosse stata la Prescelta Lyer non le avrebbe mai permesso di girovagare da sola in quel modo. Nessuno più di lui era consapevole dell’enorme importanza di quella ragazza e l’avrebbe protetta e tenuta accanto a sé.
Sospirò, borbottando tra sè per quell’ennesimo imprevisto. Non poteva lasciarla girovagare senza meta nel bosco, Ghalad non era affatto un posto sicuro, soprattutto per un’umana indifesa.
Lyer avrebbe dovuto aspettare.
 
*
Un’ora, due ore. Katie non avrebbe saputo dire da quanto tempo fosse lì e, in fondo, nemmeno le importava. L’unica cosa che voleva era continuare a fissare il piacevole riflesso della luna nel fiume davanti a lei, dimenticandosi di tutto il resto.
Subito dopo che Lyer e Maki si erano allontanati, credendo senza dubbio che lei li avrebbe raggiunti, aveva cominciato a vagare senza meta nella foresta, camminando senza sapere dove, desiderando solamente allontanarsi il più possibile. Quanto aveva desiderato rivedere Arkel, parlare di nuovo con lui… Lui l’avrebbe capita e non l’avrebbe giudicata. Sarebbe stato l’amico di cui aveva disperatamente bisogno in quel momento.
Alzò gli occhi verso il sole, ormai quasi completamente sparito all’orizzonte, con il cielo tinto di un rosso acceso, e quando un movimento vicino attirò la sua attenzione, voltò la testa. Uno strano uccello sorvolò il picco roccioso sopra di lei, sparendo tra gli alberi; Katie lo seguì con lo sguardo, desiderando di poter essere come lui, di poter volare via da quel posto. Fu allora che si accorse di un leggero movimento tra gli alberi davanti a lei, oltre il fiume. A quella vista il suo cuore smise di battere per un lungo, lunghissimo istante, mentre fissava impietrita le ombre sempre più dense della sera. Si alzò dalla roccia su cui si era seduta, gli occhi puntati sugli alberi davanti a lei. Non era più sola, c’era qualcuno lì con lei.
Cominciò ad indietreggiare verso la parete rocciosa dietro di sè, cercando di avere sempre le spalle coperte in modo da evitare di essere colta di sorpresa. Aveva i muscoli tesi, pronti a scattare nell’attimo in cui avesse colto un movimento sospetto. Sapeva che c’era qualcuno, a fissarla dal buio, e dopo quello che aveva passato non si illudeva che fosse solo un animale. Quando alla fine avvertì la roccia dietro di sè, solida e confortante, rimase immobile, gli occhi che guizzavano in ogni direzione, in attesa. Sentiva il cuore battere veloce, così forte che quasi temeva che prima o poi sarebbe scoppiato, le mani le tremavano, sudate, ma lei strinse i pugni, decisa a non mostrarsi debole. Attese in silenzio per quella che le sembrò un’eternità. Nulla si muoveva, ma lei aveva imparato a non fidarsi; proprio quando tutto sembrava tranquillo, era il momento in cui avere paura.
Era sicura che non fossero Lyer e Maki, non avrebbero avuto alcun motivo di nascondersi o di spaventarla a quel modo. Eppure...
“Lyer?”
Silenzio. Nessuna risposta, nessun movimento. Katie deglutì, tesa, cercando di mantenere la calma, ma non poté impedirsi di sussultare quando avvertì un fruscio davanti a lei. Il verso di una civetta indugiò nell’aria e con un veloce battito d’ali l’uccello si stagliò contro il cielo ormai scuro e volò via. Lo sguardo di Katie venne attirato da quel movimento improvviso, ma quando, dopo solo qualche secondo, lo riportò sullo stesso punto, vide una figura immobile nell’ombra, dove prima non c’era nessuno. La ragazza si aggrappò alla roccia dietro di sè, il cuore che le martellava nel petto. Non se ne era neanche accorta, era come apparso dal nulla. Era tutto come quella volta: la foresta, il buio che la avvolgeva e una figura minacciosa che incombeva su di lei... Che fosse di nuovo Eledier?
Deglutì, spaventata, fissando la figura immobile nell’oscurità. Non riusciva a capire se fosse lui, il buio sotto gli alberi era troppo fitto. Se solo avesse fatto qualche passo avanti, entrando nella luce della luna... Attese per quelle che le sembrarono ore, immobile, i muscoli rigidi. Quando finalmente quella figura sconosciuta uscì dall’oscurità, rimase sorpresa. Davanti a lei c’era un ragazzo, a prima vista sui vent’anni, un semplice, normalissimo ragazzo. Katie rimase immobile, gli occhi fissi su di lui, cercando di capire. Era uno degli Scarlatti? Possibile che avessero mandato a cercarla qualcuno di così giovane?
Si morse il labbro, tesa, ricordando le parole di Arkel.
Soprattutto, fate molta attenzione a chi vi fidate, a chi incontrate, anche al povero mendicante che vi tende la mano in cerca di elemosina.
Non poteva fidarsi di quel ragazzo, gli Scarlatti sarebbero ricorsi ad ogni trucco per riuscire ad ingannarla, ma lei non sarebbe caduta nella trappola. Pertanto rimase immobile, guardinga, gli occhi fissi sul ragazzo, che, fermo a una decina di metri da lei, la osservava. Improvvisamente lui inclinò leggermente la testa e fu in quel momento che lei notò qualcosa che prima le era sfuggito: orecchie a punta. Il ragazzo aveva delle orecchie a punta. Era un elfo.
A quella vista Katie rimase a bocca aperta, fissandolo incredula. Possibile che…
“Ti manda Lyer?”
Nessuna risposta. La ragazza si irrigidì, i pugni stretti. Aveva pensato che potesse essere quel Flair di cui aveva parlato Arkel, ma a quanto sembrava si era sbagliata e chiunque fosse, quell’elfo non faceva altro che rimanere immobile ad osservarla, come se aspettasse una sua mossa e la stesse studiando.
Alzò lo sguardo verso di lui, sforzandosi di mostrarsi sicura.
“Come mi hai trovata?”
Lui scrollò le spalle, un’espressione noncurante sul volto, e finalmente parlò. La sua voce era melodiosa, armonica ed affascinante, ma Katie non si lasciò trarre in inganno.
“Non è stato difficile. Mi trovavo tra gli alberi quando ti ho vista passare e con tutto il rumore che facevi non ho avuto problemi a seguirti.”
“Ti avverto, è meglio che non ti avvicini.”
Lui alzò un sopracciglio, divertito.
“Altrimenti? Sei solo un’umana, non riusciresti nemmeno a sfiorarmi. Non sei abbastanza forte né abbastanza veloce. Come pensi di fermarmi?”
A quelle parole il viso di Katie si adombrò.
“È vero, sono solo un’umana, ma non per questo non lotterò. Non mi lascerò catturare così facilmente.”
Lui la fissò, un’espressione indecifrabile sul volto di alabastro.
“Purtroppo non ho il tempo di usare le maniere leggere, sono atteso altrove. Non avrei neppure perso tempo con te, se non avessi urlato un nome che non posso ignorare. Quindi, se sei decisa a non collaborare, dovrò passare alle maniere forti.”
Lei si erse in tutta la sua altezza, sfidandolo.
“Non ho nessuna intenzione di venire con te!”
Lui scosse la testa.
“Non hai altra scelta, tu…”
Si bloccò, teso, lo sguardo rivolto verso la parete rocciosa dietro di lei. E all’improvviso il suo volto, prima così imperturbabile, sbiancò.
“Allontanati da lì!”
“Cosa…”
Katie alzò lo sguardo, spaventata da quel tono ansioso, ma in ritardo. Un’ombra oscurò la luna per un istante, mentre una grossa roccia staccatasi dalla cima precipitava velocemente verso di lei.
Accadde tutto in un attimo. Lei rimase immobile, paralizzata, quando all’improvviso qualcosa la colpì e venne scagliata con forza contro la parete, schiacciata da un corpo che la tratteneva, mentre la roccia si frantumava a meno di un metro da lei.
Quando si riprese, qualche secondo dopo, respirava a fatica e sentiva la testa pulsare. Aveva preso un brutto colpo quando era stata spinta via… Riaprì gli occhi di scatto, mentre gli ultimi istanti le tornavano alla mente. Era stato tutto troppo veloce perché potesse accorgersene, ma ne era sicura, era sicura di aver visto con la coda dell’occhio un braccio bianco stretto attorno alla sua vita.
Deglutì, ansiosa e spaventata, poi abbassò lo sguardo. Una chioma di capelli castano chiaro che rilucevano alla luce della luna, due braccia ancora strette attorno a lei in una presa ferrea. Si era mosso così velocemente che non l’aveva neanche visto, eppure le aveva salvato la vita… Trattenne il respiro quando sentì la presa allentarsi, mentre i capelli lasciavano il posto ad un volto, un volto così perfetto che una tale vicinanza bastò a provocarle una vampata di rossore sulle guance. Rimase ferma, tanto immobile che sembrava non respirare, persa nelle profondità di quegli occhi castani. Ma poi, come un fulmine a ciel sereno, la sua mente tornò bruscamente alla realtà; una scarica di adrenalina la invase e si ribellò alla stretta, allontanandolo, spingendolo contro la parete rocciosa e indietreggiando verso gli alberi. Lui non fece nulla per fermarla; si limitava a fissarla, quasi stupito dalla sua reazione. Ma Katie sapeva di non dover abbassare la guardia; vero, le aveva appena salvato la vita, ma non lo aveva detto Arkel? Che agli Scarlatti lei serviva viva? Se era uno di loro non poteva permettersi di lasciarla morire.
Eppure ora sembrava quasi indeciso sul da farsi, fissandola pensieroso, e Katie sfruttò l’occasione. Continuò ad indietreggiare, allontanandosi da lui, ma all’improvviso il suo piede urtò contro qualcosa e fu costretta ad abbassare lo sguardo. Un errore. Prima che potesse anche solo rialzare gli occhi lui era già lì, accanto a lei. Katie si impietrì, mentre un leggero soffio di vento le sollevava le ciocche sparse sul viso, un effetto ritardato dell’improvviso movimento. Non si era neanche accorta che si fosse mosso. La sua mente sprofondò in un disperato senso di impotenza. Non aveva alcuna speranza di riuscire a fuggire, la disparità tra loro era più che evidente. Era solo un’umana, come avrebbe potuto avere possibilità contro un elfo?
Strinse i pugni, rifiutandosi di accettare l’evidenza senza almeno tentare di scappare. Lui l’aveva previsto, ovviamente, e lei non riuscì neppure a voltarsi prima che le sue mani di acciaio le afferrassero le spalle. Per risposta Katie sfruttò quello che le aveva insegnato Lucas anni prima e lo colpì al basso ventre con un calcio. Quello non l’aveva previsto e il colpo andò a segno, strappandogli una smorfia di dolore, ma la presa su di lei non si allentò. Adesso sul suo volto c’era rabbia, che aveva spazzato via la maschera indecifrabile che aveva tenuto fino a quel momento. Per un lungo attimo si fissarono in cagnesco, gli occhi ardenti dalla furia; poi lui le si avvicinò, strappandole un brivido e sussurrandole all’orecchio delle parole che non avrebbe dimenticato. 
“Non puoi fuggire.”
Lei si immobilizzò, ma dopo pochi secondi tentò ancora di divincolarsi, in un disperato tentativo, finchè un improvviso colpo allo stomaco la fece annaspare, strappandole un lungo gemito. Perse l’equilibrio e cadde tra le sue braccia, ansimando, mentre il dolore al ventre si faceva sempre più acuto. Aveva gli occhi chiusi, ma dopo pochi secondi sentì una sorta di cantilena, dolce e avvolgente, e la sua mente divenne sempre più offuscata, i suoi pensieri rallentati. Nonostante lottasse con tutte le sue forze l’oblio la stava lentamente trascinando verso di sè, sempre più potente.
Ormai incapace di combatterlo ancora, a Katie non rimase altro che abbandonarsi ad esso. E, impresse a fuoco nella sua memoria, rimbombarono un’ultima volta quelle parole.
Non puoi fuggire.
 
*
Lyer cominciava ad essere davvero preoccupato e sicuramente l’indifferenza di Maki non lo aiutava, come pure il suo velato sarcasmo. Era stato uno sciocco a lasciare Katie da sola, aveva commesso un errore imperdonabile. Aveva promesso ad Arkel di tenerla al sicuro e invece adesso non sapeva neppure dove fosse. Se le fosse successo qualcosa non avrebbe potuto fare niente, non avrebbe potuto aiutarla. Ringhiò, girando in tondo frustrato, immaginando ogni sorta di pericolo che Katie avrebbe potuto incontrare mentre lui era lì impotente.
“È inutile che ti preoccupi. La ragazzina non conosce questo bosco, non potrà andare molto lontano. Tornerà anche troppo presto.”
Lyer soffiò, senza smettere di camminare.
“Smettila di dire sciocchezze. Katie ormai è via da ore e potrebbe essersi persa, potrebbe essere caduta in un burrone, potrebbe avere incontrato chissà quale creatura, potrebbe…”
Maki scosse la testa con un sospiro.
“D’accordo che è un’umana, ma non credo che…”
Lui si voltò verso di lei, interrompendola, gli occhi tormentati.
“No, tu non la conosci. Quella ragazza è un vero ricettacolo per i pericoli, sembra che loro sappiano sempre esattamente dove trovarla. Non riuscirebbe a cavarsela da sola, potrebbe esserle accaduto di tutto.”
“Fossi in te mi preoccuperei più per il fatto che Flair non si è ancora visto.”
Lui sospirò, amareggiato. Vero, Flair era in ritardo di parecchie ore, ma adesso lo preoccupava di più la scomparsa di Katie. Non sapeva dove andare a cercarla né da dove cominciare, ma non sopportava più di non fare nulla.
Gettò uno sguardo fuori dalla finestra, sempre più preoccupato. Si era fatto buio, ormai. La notte in quel bosco poteva rivelarsi molto pericolosa, soprattutto per un’umana indifesa… Si voltò di scatto quando un lieve cigolio dietro di lui risuonò nel silenzio della capanna. La porta era aperta e, immobile sulla soglia, c’era Flair. Con Katie svenuta tra le braccia.

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Capitolo 7
*** Seimar ***


CAPITOLO 7
Seimar
 
Il dolore la raggiunse prima ancora di riprendere del tutto conoscenza. Gemette, ansimando, mentre ogni movimento era un nuovo colpo allo stomaco. Cercava di respirare piano, tentando di non risvegliare il dolore, ma inutilmente.
Digrignò i denti, maledicendo quell’elfo, ma si impietrì quando, voltando la testa, vide l’oggetto dei suoi pensieri in piedi sulla porta. I suoi occhi erano fissi su di lei, un’espressione indecifrabile sul volto. A quella vista la ragazza si alzò di scatto a sedere, colta di sorpresa, ma il movimento improvviso le fece perdere l’equilibrio, facendola cadere dal tavolo su cui era stata distesa. Ancora intorpidita dal dolore e incapace di reagire con prontezza, rimase inerme ad aspettare il tonfo del suo corpo che cadeva sul pavimento, ma prima che potesse toccare terra due braccia la afferrarono saldamente. Sorpresa, vide sopra di sé gli stessi occhi castani di quella notte. A quella vista cercò di divincolarsi con tutta sé stessa, sforzandosi di ignorare il dolore, facendo il possibile per allontanarsi da lui, ma senza successo. La presa su di lei non si allentò, anzi, si fece ancora più serrata.
“Smettila di agitarti così, Katie, rischi solo di farti male.”
A quella voce la ragazza si bloccò, sorpresa, voltando lo sguardo verso la porta. Lyer era poco distante, sorridente.
“Lyer?? Cosa…”
“Finalmente ti sei ripresa, stavo cominciando a preoccuparmi. Flair è stato un po’ troppo brusco con te.”
“Flair?”
“Proprio lui. Ti ricordi? È il contatto che dovevamo incontrare.”
Katie spostò lo sguardo sull’elfo, incredula.
“Credevo fosse uno degli Scarlatti, non pensavo…”
Lyer sospirò.
“Non pensavi di sicuro in quel momento. Sai dove saresti ora se lui fosse stato davvero uno di loro? Dritta nelle mani di Heirood. E noi non avremmo potuto fare nulla per salvarti, perché non solo eravamo lontani ma non avevamo neppure idea di dove fossi finita. Sai quanto mi hai fatto preoccupare?”
A quelle parole la ragazza arrossì, lo sguardo basso, vergognandosi di quella che, effettivamente, era stata solo un’azione infantile.
“Mi dispiace davvero.”
Lyer annuì con un sospiro.
“Ormai quello che è fatto è fatto. Siamo stati fortunati che Flair fosse nei paraggi, Ambris non è un posto sicuro per un’umana sola.”
“Ambris? Non ho mai sentito questo nome prima.”
“Non faccio fatica a crederlo, visto che si trova a Ghalad.”
Katie lo fissò, scioccata.
“Ghalad?”
Lui annuì, fissandola severo.
“Adesso capisci perché ero così preoccupato? Avrebbe potuto succederti di tutto e avresti anche potuto essere catturata!”
“In realtà ha già rischiato di rimanere ferita o peggio.”
Lyer si voltò verso Flair, preoccupato.
“Cosa intendi dire?”
“Intendo dire che quando l’ho trovata stava rischiando di essere travolta da una frana.”
Il gatto spalancò gli occhi, boccheggiando.
“Cosa… Una frana??”
“Eravamo proprio sotto un picco roccioso e la parte superiore della parete improvvisamente si è staccata. Fortunatamente sono riuscito a spingerla via in tempo perché non si facesse male.”
“Maledizione, com’è possibile che ovunque vada tu debba sempre cacciarti nei guai?”
“È stato solo un incidente, come potevo saperlo?”
“Già, come sempre. Flair, prova a metterla giù, voglio capire se è in grado di reggersi in piedi.”
L’elfo annuì, aiutandola a rimettersi in piedi. Il movimento scatenò nuovamente il dolore, che fino a quel momento si era parzialmente attenuato. La ragazza gemette, piegata in avanti, ma grazie al sostegno di Flair riuscì a non cadere. Vedendola in quello stato, Lyer sospirò.
“Siamo messi bene. Dovevi davvero colpirla così forte? È vero che sei un elfo, ma dovresti essere in grado di dosare la tua forza.”
A quella critica Flair si irrigidì, irritato.
“Non ho usato molta forza, te lo assicuro, ma non la smetteva di ribellarsi.”
“È stato comunque un errore e non possiamo lasciarla in questo stato. Aiutala a distendersi e curala.”
Il ragazzo lo fissò, chiaramente infastidito da quel tono autoritario, ma alla fine fece come gli aveva chiesto e poggiò delicatamente Katie a terra, attento a non farle battere la testa. Le alzò leggermente la maglietta, sotto la quale si estendeva un vasto livido giallastro, poi, prendendo un profondo respiro, tese una mano sopra il suo addome, lasciandola sollevata a qualche centimetro. I suoi muscoli si tesero mentre si concentrava. L’aria cominciò a diventare elettrica e centinaia di piccole scariche si formarono attorno a loro, aumentando sempre più mentre la sua mano si avvicinava alla pelle della ragazza. Quando la posò sul livido, il corpo di Katie si tese all’improvviso, rigido. Anche il braccio di Flair si immobilizzò, in tensione, mentre un’espressione preoccupata e sorpresa passava sul suo volto. Poi, in un attimo, tutto finì. Quando lui sollevò la mano, sulla pelle non c’era più alcun segno.
Dopo qualche secondo Katie riaprì gli occhi, stordita. Il dolore tremendo di poco prima era sparito, come se non fosse mai esistito, sostituito da una splendida sensazione di sollievo mentre il suo corpo si rilassava. Si alzò cautamente, temendo ancora che qualche movimento improvviso potesse scatenare nuovamente il dolore e sorrise quando si rese conto che non sarebbe più stato così. Si voltò verso Flair.
“Ti ringrazio, anche se avresti potuto evitare di colpirmi sin dall’inizio.”
Lyer ridacchiò, scuotendo la testa.
“Così si fa. Adesso che stai meglio però andiamo di là, abbiamo molte cose di cui occuparci al momento. È tempo di mettersi al lavoro.”
Lei annuì, seguendolo nell'altra stanza, dove Maki li stava aspettando, seduta su un basso tavolino al centro della stanza. Accanto a lei c’erano tre sedie vuote.
“Bene Flair, comincia.”
Il ragazzo attese un secondo per rispondere, fissando i presenti uno ad uno.
“Ho delle notizie e non sono molto buone. Gli Scarlatti ovviamente sanno di voi. Non sanno esattamente in quanti siete e questo può essere un vantaggio, ma si stanno già mobilitando per cercarvi in ogni angolo dei due mondi. Hanno l’ordine” e qui fissò Katie, “di catturarti viva. Credo che Arkel te ne abbia già spiegato il motivo.”
La ragazza annuì, rabbrividendo.
“Sì, me lo ha spiegato.”
“Bene. Tuttavia, anche se non ti faranno del male, a tutti coloro che ti aiuteranno verrà riservato un trattamento completamente diverso. Hanno l’ordine” e qui il suo sguardo si fissò su Lyer, “di uccidere chiunque venga trovato assieme a lei e cerchi di aiutarla a fuggire. In gran segreto Heirood ha già sguinzagliato i suoi servitori più fedeli alla vostra ricerca. Non vuole ancora scoprirsi tanto da mandare interi squadroni, darebbero troppo nell’occhio, ma si è già mobilitato. Ha bisogno di qualcuno di discreto e al contempo molto abile, in grado di seguirvi e di non lasciare testimoni.”
Lyer lo fissò, preoccupato.
“Non mi dire che… No, non può aver mandato loro. Ho saputo che sono impegnati altrove, alla ricerca di Tersyt, e conoscendolo ti posso assicurare che non sarà così facile catturarlo. Non avrebbero il tempo di cercare anche noi.”
Flair fece un macabro sorriso.
“Non se si sono divisi, se sono uno da una parte e uno dall’altra.”
A quell'unica frase la tensione nella stanza divenne palpabile, ma Katie ancora non riusciva a capire di chi stessero parlando. Qualcuno a cui Heirood aveva ordinato di dar loro la caccia, qualcuno che tutti loro sembravano conoscere…
“Chi di loro ha il compito di ucciderci?”
Il ragazzo serrò la mandibola, i pugni stretti.
“Seimar.”
A quel nome l’atmosfera nella stanza cambiò di nuovo, facendosi ancora più pesante, come se un enorme manto si fosse improvvisamente posato su di loro. Lyer imprecò a bassa voce, la preoccupazione ben visibile nella postura rigida. Teneva i denti scoperti e il pelo ritto, come se si aspettasse un attacco da un momento all’altro. Accanto a lui invece Maki era rimasta immobile, pietrificata, il viso una maschera di puro terrore, i muscoli tesi, rigidi. Per una volta il suo sguardo aveva perso l’arroganza abituale, rimanendo vuoto, spento. Dello sfacciato orgoglio che mostrava sempre non restava che un tiepido barlume.
“Chi è questo Seimar?”
Flair si voltò verso di lei, ma non fu lui a rispondere alla sua domanda.
“Seimar è un Geiber. Sono i peggiori incubi che ti attendono nella notte, i mostri di cui persino il diavolo ha il terrore. Lui è il male, la concentrazione più pura di malvagità che sia mai esistita. Le sue mani sono intrise di sangue e la sua mente è un baratro di tenebre di cui non riusciresti nemmeno a sopportare la vista. Non hanno pietà, non hanno umanità, non hanno compassione. Non hanno regole, né valori morali. Sono nati per portare il terrore e questa è l’unica cosa che conoscono, l’unico motivo che li spinge ad agire. Il male… se cerchi di raffigurartelo nella tua mente vedrai il volto di Seimar. E se davvero Heirood gli ha ordinato di trovarci non si darà pace, notte o giorno che sia, lui cercherà, ucciderà, torturerà, per arrivare a noi. Tenterà con ogni mezzo di chiuderci in trappola, di ucciderci, non smetterà un istante, non si fermerà… mai.”
Katie rimase immobile, lo sguardo fisso sul viso di Maki, spaventata dall’insano scintillio nei suoi occhi. Era come ossessionata, mentre parlava di lui. Come se anche solo descrivere Seimar le portasse via ogni emozione e rimanesse unicamente il terrore.
A quelle parole Flair annuì, cupo, ma quando alzò di nuovo gli occhi evitò accuratamente di incrociare i loro sguardi. Doveva ancora dire qualcosa, era evidente, e a giudicare dalla sua postura rigida non sarebbe stato qualcosa di piacevole.
“Sì, è già a caccia. E ha una pista.”
A quelle parole lo sguardo di Lyer saettò sul suo volto, sospettoso.
“Cosa intendi dire?”
Il ragazzo si morse il labbro, a disagio.
“Non è stupido, sapeva che ci avrebbe messo troppo tempo per trovarvi e allora mi ha seguito. Ci siamo quasi scontrati in un villaggio umano, ma sono riuscito a sfuggirgli attraversando la barriera e ho pensato che…”
“Tu non hai pensato!”
Katie quasi sobbalzò al ringhio furioso di Lyer.
“Come hai potuto essere così idiota da portarlo dalla Prescelta? Tu sei pazzo! Seimar non perde mai le tracce di qualcuno, mai, prima o poi le ritrova sempre! Come hai potuto credere di averlo seminato? Pensavo che gli elfi fossero furbi, ma evidentemente tutti questi secoli di orgoglio vi hanno rincretiniti!”
Scosse la testa, furioso.
“Sai perfettamente che nessuno di noi è in grado di riuscire a fronteggiarlo e nonostante questo l’hai portato qui!”
Ringhiò, frustrato, cominciando a girare in tondo per cercare di sbollire la rabbia e ritrovare la lucidità. Flair era rimasto immobile, il volto una maschera di pietra. Era ovvio che non gli andasse giù l’essere rimproverato così, ma non era tanto stupido da controbattere. Aveva fatto un errore imperdonabile e all’improvviso, se possibile, il suo volto si fece ancora più cupo. Lyer se ne accorse e lo fissò, gelido, in attesa di un chiarimento.
“Lui sta arrivando. Ci ha trovati.”
 
*
Il tempo si era fermato. Nessuno nella stanza si muoveva, mentre l’eco di quella frase riecheggiava nelle loro menti. Seimar stava arrivando e loro non avevano via di fuga.
Katie si sedette di schianto in una delle sedie libere, pallida come la luna. Se il racconto di Maki si avvicinava alla verità… Non osava neanche pensarci. Vero, lei non correva pericolo, ma loro? Alzò lo sguardo, un groppo in gola, osservandoli uno ad uno. Loro sarebbero stati uccisi proprio lì, davanti a lei, senza pietà. Chiuse gli occhi, angosciata. Non avrebbe potuto fare nulla per evitarlo… O forse sì?
Si alzò di scatto, mentre il colore le ritornava improvvisamente sul viso. Lyer la fissò, preoccupato.
“Katie stai bene?”
Lei scosse la testa, troppo agitata per riuscire a rispondere in modo coerente.
“Io so come riuscire a scappare, so come riuscire ad evitare Seimar.”
Flair la fissò di sottecchi, curioso suo malgrado.
“E come?”
“L’Ilyes.”
Katie si voltò verso Maki, sorridendole incoraggiante, mentre lei la guardava con un’espressione sorpresa, quasi incredula. Lyer sorrise, un brillio divertito negli occhi.
“L’Ilyes! Come ho fatto a non pensarci prima? Sarebbe la soluzione perfetta ai nostri problemi! Seimar potrà cercarci finché vorrà, ma non riuscirà mai a trovarci. Nonostante sia molto potente non ha la capacità di viaggiare nel tempo, e allo stesso tempo potremmo anche partire subito alla ricerca della prima Pietra.”
Una smorfia comparve sul volto di Flair a quelle parole.
“Non saprei. Non era nei miei programmi venire con voi, anzi, tutt’altro. Il mio solo compito era darvi tutte le informazioni di cui disponevo e poi…”
“Poi?”
Il ragazzo sostenne lo sguardo sarcastico di Lyer, a disagio, ma non ribatté.
“So io cosa succederà se non verrai con noi. Uscirai da questa capanna e ti troverai faccia a faccia con Seimar. Non credo che, per quanto tu sia abile, possa riuscire a tenergli testa, o sbaglio? E se anche tu riuscissi, per una sorta di fortuna sfacciata, a fuggire, per quanto tempo pensi di riuscire a nasconderti? Sai bene che lui ti inseguirà ovunque andrai e che alla fine ti troverà.”
“Non credo. Sarà troppo impegnato a darvi la caccia, siete voi la priorità.”
Lyer rise senza gioia.
“Lui non è tipo da rispettare le priorità di nessuno, a meno che non siano le sue. E sai, credo che il fatto che tu sia riuscito ad evitarlo non abbia fatto altro che aumentare il suo desiderio di trovarti. Non ha mai preso bene i fallimenti.”
Rimase immobile a fissarlo per qualche secondo, poi sospirò.
“E questo dà un'altra volta ragione ad Arkel. Lui aveva previsto che saresti dovuto venire con noi, nonostante la tua reticenza. Non so come, ma sapeva che non avresti avuto altra scelta.”
Flair strinse i pugni, un lampo d’ira negli occhi, ma dopo pochi secondi le sue mani si aprirono di nuovo e la rabbia lasciò il posto alla rassegnazione. Lyer aveva ragione; lui non aveva altre possibilità.
“E va bene, verrò.”
Il gatto annuì, poi si voltò verso Katie.
“Perfetto. Ora non ci rimane che partire prima che arrivi Seimar, ma abbiamo ancora un po’ di tempo. Ti ricordi gli insegnamenti di Arkel, vero?”
Lei annuì, tesa, lo stomaco contratto dalla nausea.
“Sì, mi ricordo. Sono solo un po’ preoccupata.”
“Devi sentirti molto tesa.”
La ragazza annuì, a disagio. Lui le fece l’occhiolino, cercando di rassicurarla.
“Non ti devi preoccupare. Non lasciarti influenzare dalla nostra presenza. Concentrati solo sull’Ilyes. Ci siete solo tu e lui.”
Katie fece un profondo respiro, provando a calmarsi. Lyer aveva ragione, doveva cercare di estraniarsi da tutto e da tutti. Doveva restare concentrata, immaginare di avere Arkel accanto a sé a guidarla. Prese di nuovo un profondo respiro, ansiosa. Sarebbe mai stata pronta? No, ma doveva provarci. Strinse l’orologio tra le mani, nervosa. Cercò di svuotare la mente da ogni pensiero, ma sapere che Seimar era là fuori, sentire la sua presenza… Rabbrividì, stringendo la presa sull’Ilyes. No, non doveva pensarci, doveva restare calma e rilassata, doveva concentrarsi. E ci riuscì.
Fu tutto come la prima volta. Il buio, l’oblio, il ritmo incessante nella sua mente, la luce lontana che si avvicinava ad ogni secondo, sempre più vicina… Ma quel giorno non c’era nessuno a fermarla, nessuno che impedisse alla luce di raggiungerla. Fu una strana sensazione: quella luce era calda e confortante e Katie la sentiva come una parte di sé, anche se una parte ancora lontana. D’istinto seppe che era la Pietra a chiamarla, lei voleva essere trovata, la stava aspettando.
Spinte da una forza sconosciuta, le sue mani si mossero. La ragazza le sentì distintamente girare e rigirare le manopole dell’Ilyes, senza che ne avesse alcun controllo. Le sue dita si fermarono sul pulsante in cima e lo premettero.

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Capitolo 8
*** Ombre ***


CAPITOLO 8
Ombre
 
Il viaggio non durò molto. Il tempo di un solo, intenso, battito e si ritrovarono catapultati su una strada dissestata piena di polvere, al centro di una fitta foresta. Katie tossì, la testa che le girava, sentendosi stranamente debole. Socchiuse gli occhi alla luce del sole, e di sfuggita vide qualcuno muoversi accanto a lei. Riconobbe gli abiti di Flair che, stordito e confuso, cercava di rialzarsi.
Anche gli altri, intanto, si stavano riprendendo e dopo pochi secondi Lyer era già in piedi.
“È meglio muoversi. Non possiamo rimanere allo scoperto troppo a lungo.”
Flair annuì, seguito a ruota da Maki. Con un sospiro lei cercò di alzarsi, facendosi forza sulle braccia, ma quando finalmente riuscì a mettersi seduta, improvvisamente la nausea la assalì e dovette portarsi una mano alla bocca, in preda ai conati. Era ancora seduta su quella strada polverosa, lottando contro il suo stomaco ribelle, quando un rumore improvviso catturò la sua attenzione. Un rumore di cavalli al galoppo che venivano dritti verso di lei.
Quel suono la impietrì. Sapeva di doversi togliere rapidamente dalla strada, ma le sembrò che i muscoli non la ascoltassero più. Nonostante continuasse a ordinare loro di muoversi, quelli rimanevano ostinatamente immobili. Ovviamente Lyer e Maki ebbero riflessi più pronti dei suoi. Non appena sentirono che qualcosa si stava avvicinando - e con il loro udito lo sentirono sicuramente prima di lei - si nascosero come meglio potevano nei cespugli ai lati, grandi e rigogliosi. Lei invece, ancora stordita e indebolita dal viaggio, non potè fare altro che guardarli sparire, senza riuscire a seguirli. Flair però se ne accorse. Un attimo prima di scattare, con il corpo già teso in direzione dei cespugli, si voltò verso di lei, impaziente, e non ci mise molto a capire che in quelle condizioni non sarebbe stata in grado di fare granché. Quello che accadde dopo fu così veloce che le fu difficile capirne bene la dinamica. Lui aveva sbuffato - e questo era sicura di averlo sentito - e poi l’aveva presa in braccio, fulmineo, talmente rapido che lei non era neanche riuscita a vederlo. Si era semplicemente sentita sollevare e un secondo dopo si era trovata distesa a terra, nascosta da un grande cespuglio, con il corpo di Flair sopra il suo. Lui la teneva tra le braccia, stretta contro il suo petto, facendole da scudo per evitare che qualcuno potesse vederla. Quel movimento improvviso peggiorò ancora di più la sua nausea. Chiuse gli occhi, cercando con tutte le sue forze di tenere a bada il suo stomaco ribelle e di non vomitare in un momento così critico.
“Qualcosa non va?”
Il sussurro che la raggiunse era tanto lieve che riuscì a sentirlo a malapena.
“Mi viene da vomitare.”
“Non ce la fai a resistere?”
“Ci sto provando.”
Un sospiro seguì quelle parole, poi Flair sussurrò qualcosa, in una lingua che lei non riconobbe, e in pochi secondi sentì la nausea sparire. Katie aprì gli occhi, sollevata, e sussultò nel trovare il volto dell’elfo a soli pochi centimetri dal suo. Arrossendo, sperò che non si fosse accorto del suo cuore che improvvisamente accelerava.
“Va meglio?”
Lei annuì, lo sguardo fisso sugli alberi dietro di loro, troppo imbarazzata per fissarlo negli occhi.
“Sì, ti ringrazio. Adesso sto bene.”
Si irrigidì, tesa, quando sentì il frastuono della carrozza che passava lungo la strada.
“Non preoccuparti, non possono vederci.”
A quelle parole sussurrate così vicino al suo orecchio, la ragazza rabbrividì.
“Spero tu abbia ragione.”
Lui annuì, lo sguardo fisso sulla strada. Tesa, senza potersi muovere, a Katie sembrò un’attesa lunghissima, eppure bastarono solo pochi secondi perché la carrozza li superasse senza accorgersi di loro.
Soltanto dopo che fu sparita dalla sua vista Flair allentò la presa su di lei. Si alzò lasciandola libera, distesa a terra, solo per riprenderla in braccio un secondo dopo, sapendo che non avrebbe avuto la forza per riuscire a camminare a lungo. Lei fissò circospetta quel volto, cercando di capire se si fosse accorto di qualcosa, come del suo improvviso rossore, o dei battiti impazziti del suo cuore, ma non notò nulla. La sua espressione era completamente indecifrabile. Forse non ci aveva nemmeno fatto caso, attribuendolo alla paura di essere scoperti. Lei ci sperava.
Lyer intanto si affrettò a guidarli verso gli alberi, circospetto, guardandosi attentamente attorno in cerca di eventuali segni di pericolo. Come aveva sperimentato di persona ormai troppe volte, infatti, non si doveva mai essere troppo sicuri, nessuno poteva sapere quali pericoli potessero nascondersi dietro quegli alberi, e dopotutto quella era un’epoca diversa dalla loro, dove tutto era ancora sconosciuto e pericoloso. Eppure rimase tutto tranquillo quando finalmente entrarono nella foresta e anche in seguito, nascosti dalla fitta vegetazione, nessuno li vide.
Katie sospirò, sollevata. Finalmente potevano avere un attimo di tranquillità, senza inseguitori assetati di sangue alle costole. Si chiese se non fosse il caso di chiedere a Flair di metterla giù, ma sapeva che lui non l'avrebbe ascoltata, avrebbe detto qualcosa sull'incredibile forza e resistenza degli elfi - ed effettivamente non c'era neppure un minimo accenno di stanchezza sul suo volto - e sul fatto che probabilmente lei sarebbe inciampata ogni due metri, e la cosa sarebbe finita lì. Così evitò di chiederlo e cercò semplicemente di recuperare le forze, ancora sorpresa dalla quantità incredibile di energia che quel viaggio nel tempo aveva preteso da lei. Appoggiò la testa al petto di Flair e chiuse gli occhi, ma non passò molto tempo prima che li riaprisse, mentre una sgradevole sensazione le si insinuava dentro. Non ci mise molto a capirne il motivo; da quando il loro viaggio era cominciato infatti gli occhi di Maki non l’avevano abbandonata un istante, pronti a cogliere ogni suo cedimento. Di fronte a quello sguardo di ghiaccio Katie distolse il suo, troppo stanca per litigare; fu allora che sentì la voce di Flair.
“Adesso basta Maki, ti stai solo dimostrando infantile. Lasciala riposare in pace.”
“Non serve fare quella faccia, Flair, so benissimo che la pensi come me.”
Lui la fissò, inarcando un sopracciglio.
“Se anche fosse non sarei tanto imprudente da mostrarlo così apertamente. Non è affatto intelligente.”
Maki sbuffò e si voltò per raggiungere Lyer, mentre lo sguardo dell’elfo si posava su di lei, curioso e pensieroso allo stesso tempo, senza dare peso alle parole che erano uscite dalla sua bocca.
Katie evitò il suo sguardo, atteggiando il viso in un’espressione indifferente. Non le era sfuggito il significato di quelle parole. Se anche fosse… Lui non aveva contraddetto Maki, non l'aveva difesa. Certo, non si era detto d'accordo con lei, ma non aveva comunque preso le sue parti; una tattica che le ricordava, in quel momento più che mai, che Flair era un elfo e faceva parte di un popolo dedito ai sotterfugi e alle mezze verità. Ricordava ancora le parole di Lyer: gli elfi sanno essere infidi quando vogliono.
Rimase in silenzio per tutto il tragitto e anche se si sentiva stanchissima si sforzò di non addormentarsi; così, quando Lyer trovò un piccolo spiazzo erboso, abbastanza protetto e grande da accoglierli tutti, fu in grado di chiedere a Flair di metterla finalmente giù.
“Bene, ora dobbiamo occuparci delle cose più urgenti. Flair sposta questi tronchi, abbiamo bisogno di più spazio. Maki tu vai a vedere se trovi del cibo, mi pareva di aver visto delle bacche prima.”
In breve tutti avevano il proprio compito, tutti tranne lei, ovviamente. Katie rimase ferma, costretta a guardare passivamente quel via vai senza poter fare nulla di utile.
“Lyer, guarda che mi sento bene. Posso andare io a raccogliere quelle bacche, non è faticoso.”
Lui scosse la testa.
“Dopo quello che è successo mi viene il crepacuore al solo pensiero di perderti di vista. Non ti devi preoccupare, è tutto sotto controllo. Il tuo unico compito adesso è cercare di recuperare le forze; ho visto quanta energia ti abbia chiesto il viaggio nel tempo ed è importante che tu sia nella tua forma migliore per quando ci avvicineremo alla Pietra. Devi assolutamente riposare.”
“Ma...”
Lui la interruppe, inchiodandola con lo sguardo.
“Niente ma. Siamo tre, e dico tre, creature magiche nel pieno delle nostre forze. Pensi davvero che in queste condizioni potresti fare meglio di tutti noi messi insieme? Andiamo Katie, non ci offendere. Se davvero vuoi aiutarci vai a dormire, si sta facendo tardi.”
Lei alla fine cedette, esausta. Non aveva né la forza né la voglia di continuare a discutere.
“Non devi dimostrare niente a nessuno, lo sai. Tutti noi apparteniamo a razze diverse, con caratteristiche diverse. Sarebbe da pazzi pensare che tu possa stare al passo con i nostri ritmi. Avrai molte occasioni in cui dimostrare il tuo valore, ragazza mia, ma fino ad allora prendila con più calma. Rimpiangerai presto questa tranquillità.”
Le rivolse un ultimo sguardo prima di tornare al lavoro con un sospiro. Non appena lui se ne andò, lei si distese in un angolo, il vento fresco sul viso. E poi chiuse gli occhi, arrendendosi all’oblio del sonno.
 
*
Al suo risveglio il sole filtrava leggero tra i rami sopra di lei. Katie sbadigliò, stiracchiandosi lentamente. Si sentiva meglio quella mattina; forse Lyer aveva ragione e tutto quello che le serviva era davvero solo un po' di riposo.
Sbadigliando di nuovo si alzò, dando un'occhiata allo spiazzo, che in una sola notte si era completamente trasformato. Tutti i rami caduti erano stati portati via e al loro posto c’erano quattro giacigli di foglie, disposti in circolo attorno ad un piccolo fuoco. Si guardò attorno ma non vide nessuno. Probabilmente gli altri stavano facendo qualche sopralluogo della zona, niente di cui preoccuparsi. Fece qualche passo verso il fuoco quando all'improvviso un sonoro brontolio scaturì dal suo stomaco. Non fece in tempo ad arrossire che un rumore le fece alzare gli occhi di scatto: sopra di lei, su un ramo, Lyer rideva di gusto.
“Buongiorno Katie! Sembra che tu sia molto affamata stamattina!”
La ragazza rise con lui, ancora rossa in viso.
“Sono così affamata che persino tu cominci a sembrarmi appetitoso.”
Lyer le sorrise, mentre con un salto atterrava vicino a lei.
“Forse, ma non sono abbastanza saporito. Maki andrebbe meglio, non credi?”
“Certo, ma non mi sazierebbe quanto te.”
“Vero, è talmente piccola che non sazierebbe nemmeno me. Su vieni, mangiatrice di gatti parlanti. Siediti vicino al fuoco, ho preparato qualcosa anche per te.”
Lei lo fissò, divertita.
“Stai davvero dicendo che hai cucinato tu? La magia riesce davvero fare miracoli.”
Lui sbuffò.
“Guarda che sono un ottimo cuoco, cosa credi? Comunque se non vuoi favorire…”
Katie scosse freneticamente la testa, mentre le fitte allo stomaco si facevano più acute.
“No no, non sto dicendo questo. È solo che sono rimasta sorpresa, tutto qui.”
Lyer alzò gli occhi al cielo, divertito, ma dopo qualche minuto diventò pensieroso.
“Sta cominciando a fare freddo, non sarà una bella giornata. Pioverà.”
“Come fai a dirlo? Il cielo è limpido e non mi sembra di vedere nuvole.”
“Istinto, ma puoi essere sicura che non mi sbaglio. Non è mai successo.”
“Prima o poi dovrà succedere. Nessuno è infallibile dopotutto.”
“Già. D’altronde avevo giurato di proteggerti, e invece nel poco tempo trascorso da quando sei diventata la Prescelta sei già quasi annegata, quasi morta congelata, ti sei ferita gravemente la gamba, hai rischiato di finire polverizzata da un'esplosione, poi di finire schiacciata da un masso e infine ti sei azzuffata con un elfo, prendendole di santa ragione. Non si può certo dire che abbia fatto un buon lavoro finora.”
A quelle parole Katie arrossì.
“Be’, almeno nonostante tutto non sono morta né sono stata catturata, è già un risultato.”
Lyer rise.
“Se possiamo chiamarlo risultato, ma non è sufficiente. Dobbiamo tutti impegnarci di più.”
Lei voltò la testa, guardandosi attorno.
“A proposito, dove sono gli altri due?”
“Dovrebbero tornare tra poco, sono andati in perlustrazione.”
Lei gli lanciò un'occhiata, improvvisamente seria.
“Ti aspetti problemi?”
“Non al momento, ma non si è mai abbastanza prudenti. Non vorrei incappare per caso in un gruppo di cacciatori, sarebbe una seccatura. E mi raccomando, non allontanarti da noi. Se ti trovassero da sola non credo si farebbero molti problemi ad aggredirti.”
Lei sospirò.
“Probabilmente no. Anche se...”
Si bloccò, preoccupata, rendendosi conto solo in quel momento di un problema più che evidente. Abbassò lo sguardo sui suoi vestiti: non sapeva in che epoca si trovassero, ma dalla carrozza che aveva visto era abbastanza certa che i suoi jeans non fossero propriamente contemporanei.
“Lyer, mi è appena venuta in mente una cosa. I miei vestiti e quelli di Flair non sono adatti a qualunque epoca sia questa, per non parlare del suo aspetto.”
Lui annuì.
“Lo so. Non ti devi preoccupare per Flair, sa come camuffarsi, e per te ho già trovato una soluzione. Comunque, per quanto riguarda l'anno, credo che ci troviamo all'incirca durante il periodo medioevale, forse Basso Medioevo, ma non ne sono sicuro.”
Katie lo fissò, sorpresa.
“Il Medioevo... Sembra impossibile a pensarci. Voglio dire, siamo nel passato!”
“Non nella mia epoca preferita, per carità, ma capisco cosa vuoi dire. È una sensazione molto strana, non è vero?”
Lei annuì.
“Mi viene davvero difficile crederci. E dici di aver già risolto il problema?”
Le indicò dei vestiti poggiati a terra che lei non aveva notato, osservandola con aria critica.
“Provateli e vedi se ti stanno, dovrebbero essere circa della tua taglia. Non ho avuto molto tempo per scegliere comunque, ero di fretta.”
Katie lo fissò, improvvisamente sospettosa.
“E questi dove li hai presi?”
Lui fece finta di non averla sentita, voltandosi verso gli alberi.
“Lyer?”
Niente.
“Lyer!”
Il gatto sbuffò, riluttante.
“Oh, e va bene. Stamattina era giorno di mercato in uno dei paesini qua vicino. Non ci è voluto molto, sai? Dopotutto io passo inosservato e non è stato difficile prendere in prestito qualche vestito.”
La ragazza lo fissò, divertita e scioccata allo stesso tempo.
“Li hai rubati? Tu, Lyer, incensurato e purissimo gattino, hai rubato questi vestiti?”
Lui la guardò in tralice.
“Uno, non chiamarmi mai più gattino. Due, non li ho propriamente rubati. A noi servono più che a loro, comunque, e non avevo altra scelta. Diciamo che li ho presi in prestito ma non so bene quando potrò ridarli indietro.”
Lei sorrise, cercando di non scoppiare a ridere.
“C’è molta differenza dal rubare, certo.”
“Dai Katie, almeno adesso puoi muoverti liberamente e soprattutto indisturbata. Vai a metterteli senza fare tante storie.”
E così, da quel giorno, abbandonò i suoi vestiti moderni per immedesimarsi nei suoi nuovi abiti medievali. Si sentì sollevata quando si accorse che fortunatamente erano tutti vestiti maschili. Non avrebbe sopportato di dover correre con la gonna.
“Bene, direi che ti stanno abbastanza giusti. Avrai notato che sono vestiti maschili; ritengo sia più prudente che tu finga di essere un ragazzo, almeno così non dovrebbero esserci problemi.”
“Per me non è un problema, ma come facciamo per i capelli? Sono piuttosto lunghi.”
Gettò uno sguardo alla sua folta chioma castana, che le arrivava quasi a metà della schiena.
“Non credo siano un grosso problema; prendi questo pezzo di stoffa e legali in una normalissima coda. Nessuno dovrebbe considerarlo strano.”
Lei annuì, seguendo le sue indicazioni. Vedendo il risultato, Lyer sembrò soddisfatto.
“Potrebbe andare, per il momento. Ovviamente sei ancora femminile, almeno per quanto riguarda il viso, ma non possiamo fare nient'altro. Dopotutto a 18 anni i lineamenti sono ancora abbastanza morbidi anche nei maschi, non dovrebbero esserci problemi. Ora dobbiamo fare il possibile per reperire qualche informazione utile; per fortuna Flair e Maki stanno tornando.”
E infatti Lyer aveva appena finito di parlare quando due figure uscirono dal bosco.
“Allora Flair?”
L’elfo scosse la testa. Katie notò come nessuno di loro sembrasse stanco, anche se probabilmente non avevano dormito quella notte.
“Nella foresta non c’è nessuno nel raggio di miglia, tranne alcune abitazioni proprio sul limitare. Non credo sia probabile che qualcuno si avventuri così in profondità.”
“Bene, una cosa in meno di cui preoccuparsi. Ora Flair, stamattina ho preso questi vestiti. Katie si è già cambiata. Sbrigati, prima tornate meglio è per tutti.”
Katie aggrottò la fronte, certa di essersi persa un pezzo importante.
“Aspetta, dov’è che andiamo?”
“Tu e Flair andrete a raccogliere informazioni qui intorno. Ci serve sapere l’esatto punto della caduta della Pietra e tutto ciò che sa questa gente; senza un punto di partenza non possiamo fare molto.”
Sorrise di fronte alla sua espressione preoccupata.
“Non temere, andrà tutto bene, Flair saprà tenerti al sicuro. D’altronde la cosa più importante è riuscire a confondervi tra la gente. Tenete la testa bassa e nessuno farà caso a voi.”
Flair alzò un sopracciglio, divertito.
“Hai per caso paura di me?”
Lei sbuffò, fissandolo di traverso.
“Non ho paura di te, ma come la mettiamo con le tue orecchie? Nel caso non te ne fossi accorto, sono un po’ a punta.”
Lui fece spallucce, per niente a disagio.
“Le nasconderò sotto una benda come faccio sempre quando devo venire nel tuo mondo. Nessuno si accorgerà che non sono umano.”
“E invece sì! Si vede subito che non sei di questo mondo, anche se ti nascondi le orecchie. Sei troppo… troppo elfo, capisci?”
Lyer ridacchiò, spingendoli verso gli alberi.
“Sarà anche così, ma non possiamo certo lasciarti andare da sola. Anche se ti sei travestita da maschio non possiamo essere certi che non incappi in qualche pericolo. Ora andate, ma mi raccomando, chiedete con discrezione, intesi?”
Flair annuì, cominciando ad incamminarsi. Katie invece rimase ferma ancora qualche secondo, incerta, finché una voce non la chiamò dal fondo degli alberi.
“Ti sbrighi o devo di nuovo portarti in braccio?”
Rabbrividendo alla sola idea, si affrettò a raggiungerlo. Doveva avere fiducia in Lyer e nel suo piano. Sarebbe andato tutto bene. 
 
*
L’aria fresca era un balsamo dopo il caldo afoso e soffocante della taverna. Katie assaporò quel leggero venticello, gli abiti ruvidi che le scivolavano lungo il corpo, per poi alzare lo sguardo verso le nuvole nere sopra di lei. Un’altra tempesta. Sospirò mentre Flair usciva subito dopo di lei, prendendola per un braccio e guidandola verso i confini del villaggio.
“Ho saputo che nei dintorni di Nicaer due mesi fa è apparsa una grande luce e sembra che ci fosse un comitato di accoglienza ad attenderla. Non so come abbiano fatto a sapere del suo arrivo, ma la cosa è preoccupante. Nessuno di quest’epoca ha la capacità di prevedere l’arrivo di un tale potere, andrebbe oltre la loro comprensione, ma qualcuno sembra esserci riuscito. Non so, c’è qualcosa che non mi torna in tutta questa faccenda, ma per il momento non riesco ancora a capire cosa possa essere. È irritante e la… ingenuità di questa gente certamente non mi aiuta. Hanno subito pensato all’ira di qualche dio o ad un presagio funesto e stanno facendo scongiuri su scongiuri.”
Scosse la testa, sospirando.
“Si dice anche che il signore entrato in possesso della Pietra stia cercando di ottenerne l’immenso potere tramite malvagi incantesimi. E questa” disse, guardandola negli occhi, “è la parte che mi preoccupa di più. Qualcuno deve avergli detto qualcosa, non può aver capito da solo e subito le potenzialità dell’Essenza, neanche se la sua intelligenza fosse il doppio di quella che ho trovato in tutta l’osteria.”
Sospirò di nuovo.
“Ma il punto è questo: chi avrebbe potuto dirgli della Pietra? E perché?”
La ragazza fece una smorfia, continuando a fissare la strada polverosa.
“C’è una sola persona che avrebbe potuto farlo e che ne avrebbe anche tutti gli interessi.”
Lui la fissò, pensieroso, ma poi scosse la testa.
“No, non è possibile, Heirood non ha il potere di viaggiare nel tempo. Deve per forza essere stato qualcun altro, qualcuno di molto potente. Dovremo parlarne con Lyer, forse lui potrebbe avere un’idea di chi c’è dietro. Noi per ora possiamo fare ben poco.”
Katie annuì, la fronte corrugata. Flair colse la sua espressione e si incuriosì.
“Qualcosa ti preoccupa?”
Lei sospirò.
“In realtà sto cercando di capire. Posso farti delle domande?”
“Certo.”
“Ecco… Tu hai detto che la Pietra è caduta due mesi fa, ma da quello che mi ha detto Arkel le Essenze sono state rubate soltanto da pochi giorni.”
“Questo perché non tieni conto del fatto che nella dimensione temporale ogni cosa è relativa. Proverò a spiegartelo in modo semplice, cosicché tu possa capire. Vedi, noi avremmo potuto arrivare qui anche un mese dopo l’arrivo dell’Essenza, tutto dipendeva da quale scia temporale avremmo preso. Il viaggio nel tempo è molto complicato, per questo nessuno è ancora riuscito a controllarlo. Ci sono parecchie teorie in proposito, ma quasi tutte concordano sull’ipotesi che sia come un’enorme galleria principale che si dirama in migliaia di direzioni diverse. Molte persone si sono perse nei meandri di quelle vie e non sono più tornate. Se non conosci l’esatta strada da percorrere, provare a viaggiare nel tempo è un suicidio.”
“Ma noi ci siamo riusciti.”
Lui annuì.
“Certo, ma non siamo stati noi a decidere quale tra quelle migliaia di direzioni prendere, noi abbiamo soltanto deciso la meta. Tuttavia con l’Ilyes al nostro fianco non avremmo potuto rimanere intrappolati nel vortice temporale, è stato lui a scegliere al posto nostro. Nessuno è ancora riuscito a comprendere come faccia a sapere esattamente dove andare, come faccia a non prendere la strada sbagliata. In molti ci hanno provato e c’è ancora qualcuno che cerca di carpirne i segreti, ma senza il tuo aiuto e la tua collaborazione in pratica è inutile anche solo tentare. È una via senza uscita.”
“Ma così non avrebbe senso. Se è vero che per l’Ilyes il tempo è relativo, allora avremmo potuto arrivare qui anche un anno dopo l’arrivo della Pietra.”
“Dimentichi un particolare fondamentale, il legame tra le Essenze e l’Ilyes. Arkel te ne avrà parlato, no?”
Lei annuì.
“Bene, saprai quindi che il legame dell’Ilyes con le Pietre ha una forza devastante, inimmaginabile, che attira inesorabilmente l’uno verso l’altro. Già durante il viaggio, e anche prima, l’Ilyes è stato… calamitato, possiamo dire, dall’Essenza, avvicinandosene il più possibile, motivo per cui non avremmo mai potuto avere uno scarto temporale così drastico.”
La ragazza sospirò, lo sguardo perso nei nuvoloni neri sopra di lei.
“Mi chiedo quando smetterò di sentirmi indietro. Ci sono un sacco di cose che non so e che devo ancora imparare.”
Flair scosse la testa.
“Sei appena arrivata, è ovvio che tutto per te sia nuovo.”
“Sì, ma vorrei potermi rendere utile, non dover sempre rimanere ferma come un’idiota senza capire una sola parola di quello che dite. È frustrante.”
“Noi sappiamo tutte queste cose perché Ghalad è il nostro mondo, la magia per noi è normale. Essendo un’umana è ovvio che tutto questo sia nuovo per te, ma non ti sei comportata male fino ad adesso.”
Lei sbuffò.
“Certo, tranne quando mi sono quasi fatta investire.”
Lui ridacchiò, divertito dal ricordo. Per qualche minuto continuarono a camminare in silenzio, ognuno perso nei propri pensieri. Poi Katie sussultò leggermente quando una goccia d’acqua la riportò alla realtà. Alzò il viso verso il cielo, cupo e minaccioso, mentre altre gocce seguivano la prima, finchè non diventarono troppe.
“Siamo vicini all’accampamento? Non dovremmo fermarci?”
Lui scosse la testa, lo sguardo perso nelle nuvole che li sovrastavano.
“Siamo ancora lontani ed è meglio continuare finchè è possibile. È solo un po’ di pioggia.”
Katie sospirò, scostandosi dal viso una ciocca ormai fradicia e cercando di non fare caso alle continue gocce che cadevano. Cercò lo sguardo di Flair per capire le sue intenzioni, ma lui non sembrava prestarle molta attenzione né sembrava propenso a fermarsi per aspettare la fine del temporale. Così continuarono a camminare sotto la pioggia scrosciante, talmente intensa da non permetterle di vedere praticamente nulla. Ad ogni passo rischiava di cadere nei fossi a lato della piccola strada sterrata che stavano percorrendo, ma Flair non sembrava avere problemi; camminava davanti a lei, lo sguardo fisso, per nulla infastidito dalle gocce brillanti che cadevano sul volto. Katie al contrario era scossa dai tremori. L’acqua le aveva da tempo impregnato gli abiti e le scivolava inarrestabile sul corpo. Arrivata a quel punto tanto valeva continuare a camminare.
“Forse è meglio ripararci dalla pioggia. C’è una locanda a qualche metro da qui, sulla tua destra. Ci ripareremo sotto la tettoia, aspettando che smetta di tempestare.”
A quelle parole la ragazza lo fissò, stralunata, mentre l’irritazione minacciava di farla esplodere. Solo dopo essersi presi la parte peggiore del temporale era riuscito a capire che forse era meglio trovare un riparo? Scosse la testa, borbottando qualcosa sull’idiozia degli elfi. Non sapeva se Flair l’avesse sentita, ma vide un sorriso fugace passargli sul volto.
Sospirò, spostandosi per l'ennesima volta i capelli bagnati dal viso. Aguzzò lo sguardo in cerca della locanda, ma davanti a sé vedeva solo il muro di pioggia e… Corrugò la fronte quando cominciò ad intravedere una forma confusa alla sua destra.
Flair le sorrise, indicandole con il braccio un punto vago davanti a loro.
“Lo vedi?”
“Sì l’ho visto, grazie.”
Lui continuò a sorridere, anche se il tono secco con cui aveva avuto la sua risposta sarebbe dovuto bastare a togliergli quell’espressione divertita dalla faccia.
“Il temporale non durerà ancora molto, tranquilla.”
Lei gli scoccò un’occhiata di fuoco, anche se il suo aspetto da pulcino bagnato non doveva sembrare molto minaccioso.
“Mi spieghi cosa serve cercare un riparo adesso? Perché questa brillante idea non ti è venuta almeno mezz’ora fa?”
Lui ridacchiò, scuotendo la testa e bagnandola ancora di più.
“Non credevo che un po’ d’acqua ti avrebbe dato tanto fastidio. E poi dobbiamo tornare da Lyer il prima possibile per riuscire a delineare un piano.”
“E allora che senso ha fermarsi adesso?”
Flair alzò lo sguardo, fissando preoccupato il nulla davanti a loro.
“Sento qualcosa avvicinarsi e dal rumore direi che sono in tanti e armati. Preferirei evitarli, se possibile.”
Katie seguì il suo sguardo, tesa.
“Soldati? Pensi che stiano cercando noi?”
“Non credo che sappiano della nostra presenza, ma non voglio correre rischi. Vieni.”
La prese per un braccio e la guidò fuori dalla strada, sul terreno fangoso. Camminare in quella melma era davvero faticoso, perchè gli stivali affondavano profondamente ad ogni passo, ma alla fine riuscirono a raggiungere la tettoia di legno sul fianco della locanda.
Non appena fu fuori dall’acqua Katie poté tirare un sospiro di sollievo. Era bello non sentirsi più tormentati dalla pioggia. Si appoggiò alla parete, cominciando a strizzarsi i capelli per cercare di asciugarli un po’.
“La pioggia impedirà loro di scorgerci. Direi che siamo al sicuro qui.”
“Non vuoi entrare nella locanda?”
“Meglio evitare rischi inutili. Potremmo attirare l’attenzione o alcune delle guardie che si stanno avvicinando potrebbero decidere di entrare per ripararsi dalla pioggia. Da qui è più facile fuggire in caso di necessità.”
La ragazza alzò lo sguardo verso di lui, pietrificandosi.
“Flair! Vieni subito qui, muoviti prima che ti veda qualcuno!”
Flair aggrottò la fronte, confuso dalla sua agitazione.
“Cosa… Cosa c’è?”
Lei scosse la testa, avvicinandosi e guardandolo con disapprovazione.
“Dovresti stare più attento, sai?”
Si sporse verso di lui, cercando di arrivare verso la benda che gli cingeva la fronte. Riusciva a vedere ogni singola goccia sul suo volto d’alabastro… No, non ci doveva pensare.
“Quanto sei alto…”
Con un piccolo sforzo riuscì ad afferrarla e a rimetterla al suo posto, mentre le sue guance si arrossavano per l’imbarazzo. Flair intanto la fissava, un'espressione indecifrabile sul volto.
“Avevi la benda fuori posto, era scesa troppo. Ti si vedevano le punte delle orecchie.”
Cercò di sorridere, impacciata, ma alla fine, non trovando niente da dire, si voltò ad osservare il fitto muro di pioggia che sembrava quasi separarli dal mondo esterno. Dopo pochi secondi però il rumore del metallo contro metallo e di un passo ritmato la raggiunse nella confusione del temporale. Katie corse verso la fine della tettoia, preoccupata. Riusciva a malapena a distinguere una sagoma confusa che avanzava, superandoli senza vederli. Poi, all’improvviso, sentì un rumore alle sue spalle; prima che potesse voltarsi, due braccia forti si chiusero su di lei, mentre una mano le chiudeva la bocca, impedendole di urlare.
 

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Capitolo 9
*** Il dolore dei ricordi ***


CAPITOLO 9
Il dolore dei ricordi
                                                                              
“Cosa stai facendo?”
Nel riconoscere la voce di Flair dietro di lei, Katie smise di opporre resistenza e di lottare contro quello che fino a poco prima credeva essere un rapitore. Quando lui la lasciò andare, si voltò, infuriata, gli occhi che mandavano lampi.
“Cosa credi di fare? Mi hai fatto prendere un colpo, per poco non ci rimanevo secca!”
“Rischiavi che ti vedessero, nonostante la pioggia. Pensavo fosse superfluo dirti che se vedi dei soldati devi cercare di evitarli, per quanto possibile.”
“E tu dimentichi che sono umani, non elfi dalla vista incredibile. Così come io non riuscivo a vedere loro, loro non riuscivano a vedere me.”
“Non darlo mai per scontato, non possiamo permetterci certi errori da principianti. Se c’è una regola d’oro in una situazione come la nostra, è di diffidare di tutto e tutti.”
Lei sospirò, con il sangue che ancora ribolliva. Tuttavia più guardava quel volto dall’espressione indecifrabile, più capiva che non ci sarebbe mai stato verso di fargli capire che aggredire la gente alle spalle non era il modo migliore di proteggerla.
Sospirò di nuovo, sedendosi contro il muro di legno della locanda. Poco dopo Flair si sedette accanto a lei e per qualche minuto rimasero in silenzio, ascoltando il rumore della pioggia scrosciante, finchè il vento non cominciò ad alzarsi. Katie cominciò presto a rabbrividire, mentre le fredde folate tormentavano la sua pelle bagnata. Strinse a sé i vestiti impregnati d'acqua, la sua unica protezione contro quel vento. Quanto avrebbe voluto che Lyer le avesse rubato dei vestiti più caldi…
“Hai freddo?”
Flair la fissava, preoccupato dal suo tremore. Lei gli rivolse uno sguardo incredulo.
“Tu non hai freddo? Voglio dire, anche tu sei bagnato fradicio.”
Lui le sorrise.
“Io sono più resistente di te.”
“Già, tu sei un elfo.”
Lui sorrise di fronte al tono acido di quella risposta. Rimase un attimo a fissarla, pensieroso, poi le passò un braccio attorno alle spalle, stringendola a sé. A quell’abbraccio Katie si immobilizzò, sconcertata. Flair avvertì la sua tensione e si mise a ridere.
“Non vogliamo certo che la Prescelta si congeli qui, no? Su, cerca di scaldarti. La tempesta finirà tra poco.”
Lei cercò di rilassare i muscoli, senza molto successo. Nel tentativo di distrarsi, cercò di elaborare quanto avevano appreso quel giorno.
“Tu pensi che l’uomo che ha con sé la Pietra sappia del suo reale potere?”
Lui sospirò.
“Non lo so, non dovrebbe avere modo di saperlo con esattezza. Persino noi, dopo tanto tempo, non abbiamo una percezione chiara del suo enorme potere e non vedo come lui possa superare in così poco tempo secoli di studi e teorie. È probabile però che lo immagini. Chissà quali folli idee ha creato nella sua testa.”
“Quindi se anche solo ne immagina il potere l’avrà messa sotto una sicurezza piuttosto stretta. Non sarà facile riuscire a prendergliela.”
“Forse sì, forse no. Dopotutto questa non è la tua epoca, il sistema di sorveglianza più efficace disponibile in questo periodo sono due guardie non ubriache all’ingresso. Non credo abbiano un nascondiglio in grado di mettere in difficoltà qualcuno con i nostri poteri.”
“In effetti non hai tutti i torti.”
Alzò lo sguardo, pensierosa.
“A questo punto visto che siamo bloccati qui, posso chiederti di raccontarmi cosa accadde dopo che Laerys venne uccisa? Arkel aveva iniziato a raccontarmi la storia dell'Ilyes e della prima Prescelta, ma è stato interrotto prima che potesse…”
Alzò gli occhi verso il volto di Flair, bloccandosi, sorpresa. Era come se quel nome lo avesse impietrito; le sue braccia erano rigide attorno a lei e i suoi battiti erano improvvisamente accelerati.
“Va tutto bene?”
Lui annuì, teso. Si voltò verso la pioggia, evitando il suo sguardo, ma Katie aveva già notato la rabbia e il dolore nei suoi occhi. Si chiese cosa potesse essere accaduto di tanto grave da lasciare una sofferenza del genere a distanza di così tanto tempo. Continuò a fissarlo, sempre più preoccupata, ma lui non si voltò.
“Lyer non te ne ha parlato?”
Lei non rispose, continuando a fissarlo, aspettando che si voltasse. La voce di Flair in quel momento era piatta, neutra, troppo controllata; non aveva dubbi che si stesse sforzando di nascondere le sue emozioni, di mostrarle ancora una volta la sua maschera indecifrabile, ma grazie a quell'unico spiraglio di poco prima sapeva che in quel momento stava soffrendo e non avrebbe lasciato che glielo nascondesse di nuovo.
“Flair… Flair voltati, per favore.”
Lui non rispose e non si mosse. Lei cercò di spostarsi, ma quelle braccia la trattenevano.
“Flair, ti prego!”
Flair attese un minuto ma poi, riluttante, si voltò. Katie lo fissò negli occhi; della rabbia di poco prima non c'era più alcuna traccia. L'unica cosa che ormai riusciva a scorgere era un profondo e immenso dolore.
“Mi dispiace di aver detto qualcosa che ti ha riportato alla mente brutti ricordi, davvero, mi dispiace tanto. Non lo sapevo... Ti prego, fai finta che non ti abbia chiesto nulla.”
Lui scosse la testa, stringendola un po' di più a sè.
“Non hai nulla di cui scusarti. Hai fatto bene a fare quella domanda, è giusto che tu conosca la storia dell'Ilyes. È solo che ricordare quel periodo è… difficile.”
Prese un profondo respiro, dopodichè chiuse gli occhi.
“Quell’unico evento cambiò completamente le nostre vite. Con la morte della Prescelta, morì anche l’ultima speranza di evitare una guerra sanguinosa.”
Sospirò.
“Battaglia dopo battaglia, sembrava non esserci mai fine al massacro, per quanto lottassimo. Non c’erano favoriti o sfavoriti in quella guerra, perché i nostri eserciti si equivalevano. Nessuno riusciva a prevalere sull’altro e ci trovammo presto invischiati in una situazione di stallo, dove l’unico cambiamento era il continuo aumento del numero dei morti. Anche l’aiuto degli umani, in cui alcuni avevano sperato, non riuscì a capovolgere le nostre sorti.”
Katie aggrottò la fronte, confusa.
“Pensavo che le creature di Ghalad odiassero gli umani.”
“Infatti, ma eravamo talmente disperati da accettare qualsiasi tipo di aiuto. Il re di una potente nazione umana, che sapeva dell’esistenza di Ghalad ed era riuscito ad ottenere la nostra fiducia, decise di fare il possibile per aiutarci. D’altronde non era uno sciocco ed era perfettamente consapevole che se il nostro mondo fosse caduto, il suo sarebbe stato il prossimo. Così ci mandò quanti più uomini poteva e noi, dopo averli legati con la magia ad un giuramento di segretezza, li facemmo entrare nelle nostre fila.”
“Ma non era inutile? Voglio dire, nessun umano può competere contro creature così forti.”
Lui sorrise.
“È vero, contro di noi non avrebbero avuto possibilità, ma anche Heirood aveva avuto la stessa idea. Facendo leva sull’avidità di alcuni potenti umani si era fatto inviare diverse centinaia di uomini.”
“Quindi gli umani si combattevano tra loro?”
“Esatto, lasciandoci liberi di concentrarci esclusivamente sui Ghaelediani davanti a noi.”
Lei lo fissò, pensierosa.
“Nonostante questo però eravate in parità.”
“Esatto, e fu allora che la situazione cambiò. Anche Heirood era stanco di quella parità, di quella guerra che non vedeva né vincitori né vinti. Cominciò a partecipare attivamente alle battaglie e, con l’enorme potere delle Essenze dalla sua parte, noi cominciammo a retrocedere. La situazione era adesso a nostro svantaggio e il numero dei nostri morti salì vertiginosamente.”
Chiuse gli occhi, stringendola ancora di più a sé, tormentato da quei ricordi.
“Eravamo stanchi, provati… Non avevamo neppure il tempo di riprenderci, eravamo continuamente sotto pressione. Vedevamo i nostri amici morire sotto i nostri occhi, vedevamo l’esercito di Heirood avanzare senza che potessimo fare nulla per fermarlo. Ci sentivamo impotenti, frustrati, e la situazione non poteva che peggiorare. Cominciarono a dilagare le liti. La diversità tra umani e creature non era mai sembrata così grande e mai così rabbiosa. Tutta la frustrazione che ci eravamo tenuti dentro per tutto quel tempo improvvisamente esplose, non contro il nemico, ma contro i nostri stessi compagni. Mantenere la disciplina e l’ordine divenne impossibile. L’esercito cominciò rapidamente a disgregarsi, a dividersi in piccoli gruppi autonomi, ognuno fine solo a sé stesso. Nonostante lottassimo tutti per la stessa causa, la convivenza divenne impossibile e così ci indebolimmo sempre più, giorno dopo giorno. Heirood, che non aspettava altro, ne approfittò, e cominciò ad attaccare i vari gruppi, che divisi non avevano alcuna possibilità di difendersi. Gli uomini erano pochi e mal equipaggiati e gli ordini si facevano sempre più confusi e contraddittori. Per l’esercito di Heirood non fu difficile decimare in poco tempo il già esiguo numero di uomini che lo ostacolavano, e, se le cose fossero continuate così, in breve non sarebbe rimasto nessuno a contrastarlo.”
Sospirò.
“Fu per questo motivo che decidemmo di riprovare a creare un fronte unito. I capi dei gruppi rimasti si riunirono per discutere i termini della nuova convivenza e per ricostituire il nuovo esercito che avrebbe dovuto portarci alla vittoria, ma non fu così facile come avevamo sperato. Fu una riunione molto concitata e gli insulti non vennero risparmiati. Molti di quei “capi” mettevano i propri interessi al di sopra del bene comune e non accettavano l’idea di tornare ad essere semplici soldati. Chi avrebbe guidato il nuovo esercito, chiedevano? Ovviamente volevano essere loro i nuovi comandanti, ma questo non sarebbe stato possibile. Avevamo bisogno di un animo forte, capace di ispirare gli uomini e che avesse come unica priorità la sconfitta di Heirood, ma nessuno di noi aveva i requisiti necessari e soprattutto non li avevano quei vigliacchi.”
Serrò la mandibola, furioso.
“La tensione tornò a farsi sentire, ancora più forte di prima e le cose cominciarono presto ad impantanarsi. Non riuscivamo a metterci d’accordo, ad andare avanti, e si rimase a discutere lo stesso punto per molti giorni di seguito, finchè l’irritazione ebbe la meglio e molti furono sul punto di abbandonare le trattative. Fu… una lunga settimana.”
Katie abbassò lo sguardo sulle braccia che la stringevano, pensierosa.
“E non c’era nessuno che potesse obbligarli?”
Lui scosse la testa.
“No, nessuno. Lo stesso Consiglio degli Anziani, l’unico che forse poteva avere una qualche autorità, era diviso in fazioni. Un giorno ad una di quelle sedute parteciparono anche tutti i suoi membri, nella speranza che la loro presenza potesse dare una svolta alle trattative, ma finì che furono loro a gridare più forte di tutti.”
Sospirò.
“Ricordo bene quel momento. Eravamo tutti in piedi, infuriati, pronti quasi ad aggredirci a vicenda. Ognuno cercava di esporre le proprie ragioni, ma in mezzo a tutto quel rumore e a quella confusione anche urlando non si sarebbe riusciti a capire nulla. Sarebbe finita nella solita rissa se non fosse arrivato qualcuno che sapeva come rimetterci in riga.”
Sorrise al ricordo.
“Lo vidi entrare di sfuggita dalla porta principale e restare lì, fermo e impassibile. Rimase appoggiato alla porta, tranquillamente, come se nemmeno si accorgesse della confusione che c’era in quella stanza. Nessun altro a parte me si accorse della sua presenza e neppure io all’inizio ci feci molto caso. Diciamo che avevo altro per la testa in quel momento.”
Lei ridacchiò, voltando la testa contro il suo petto per fissarlo, divertita.
“Urlare, ad esempio? Immagino che tu non ti sia risparmiato.”
Lui alzò gli occhi al cielo, facendo finta di non averla sentita.
“Come ti stavo dicendo, nonostante tutti i nostri sforzi la lite cominciò presto a degenerare. Eravamo tutti molto combattivi a quell’epoca, e devo dire anche abbastanza impulsivi. Ci stavamo già avvicinando gli uni agli altri, pronti a lottare, quando all’improvviso un lampo bianco attraversò la sala con un sibilo, andando a conficcarsi esattamente nell’unico scranno libero, l’unico rimasto vuoto per tutto quel tempo. Lo scranno di Arkel.”
A quel nome Katie spalancò gli occhi, sorpresa.
“Arkel?”
Lui annuì, sorridendole.
“Proprio lui. A quel tempo faceva parte del Consiglio, ma quel giorno nessuno lo aveva ancora visto. Era l’unico che mancava ed era anche uno dei pochi in grado di ricondurci alla ragione.”
“E cos’era quel lampo?”
“Be’, all’inizio nemmeno noi lo sapevamo. Eravamo rimasti in silenzio, senza parole. Lo sguardo di tutti era puntato su quel posto e in particolare sul brillante coltello che vi era conficcato. Fu solo allora che la presenza di Arkel, ancora immobile sulla soglia, venne notata.”
Rise, divertito.
“Non mi stupii più di tanto quando vidi che la fodera del pugnale che Arkel era solito portare alla cintura era vuota. Solo lui avrebbe potuto escogitare un espediente del genere per ridurci al silenzio.”
Lei lo fissò, incredula.
“Seriamente? Arkel?”
Flair ammiccò.
“Non dovresti esserne così sorpresa. Prima ancora che uomo di cultura, Arkel è sempre stato un uomo di azione. Sa avere la pazienza di un santo, ma quando la sua irritazione raggiunge il limite è meglio essere molto lontani. Sa essere davvero spietato, quando è necessario.”
Katie abbassò lo sguardo, incredula. Spietato? Quello che le aveva detto Flair non si conciliava affatto con il ricordo di Arkel nella sua mente.
“Comunque, con quell'espediente Arkel era riuscito ad avere la nostra completa attenzione. Fu solo allora, dopo esserci finalmente calmati, che ci accorgemmo che non era solo; accanto a lui c'era un giovane uomo, che avrebbe cambiato per sempre le nostre vite.”
Lei lo fissò, sorpresa.
“Un uomo? Davvero? Non un elfo?”
“No, era un umano, esattamente come te.”
Lei osservò sospettosa quell’espressione candida.
“Conoscendo te e conoscendo Maki, se è vero che era un umano, non dovete averlo accolto proprio a braccia aperte.”
Lui aggrottò la fronte, confuso.
“Perché pensi che io sia come Maki?”
La ragazza sbuffò.
“Perché dovrei pensare che sei diverso? Hai detto a Maki, proprio di fronte a me, che eri d'accordo con lei, ma che non l'avresti mai detto così apertamente. Un sotterfugio molto elfico, devo dire.”
Lui sospirò, alzando gli occhi al cielo.
“Ho detto se. Se l’avessi pensata come lei, non l’avrei ostentato così chiaramente.”
“Gran bella differenza.”
“La differenza c'è invece, ed è enorme. È vero, all'inizio avevo anche io le mie riserve; dopotutto vista sei molto, troppo giovane, per il compito che ti sei trovata ad affrontare, ma ciò non vuol dire che io ti consideri inutile. Tutto ciò che ti serve è l'esperienza.”
Lei abbassò gli occhi, rifiutandosi di credere a quelle parole.
“Katie.”
Flair la inchiodò con lo sguardo, serio.
“Devi credermi quando ti dico che sono molto lontano dal pensare che tu sia inutile. Tu sei la Prescelta e questo fa di te una persona molto speciale; ma sei anche umana e in quanto tale riconosco i tuoi limiti. È ovvio che tu non possa fare le stesse cose che facciamo io o Lyer, ma neppure il più forte degli umani potrebbe stare al nostro passo. Maki… Lei non riesce ancora a comprenderlo chiaramente, ma sono sicuro che dopo aver acquisito un po’ di esperienza anche tu capirai che non devi per nulla sentirti inferiore a noi. Siamo semplicemente diversi.”
Lei cercò di sorridergli.
“Diversi nel senso che tu puoi alzare una macchina con una mano e io no.”
Lui ridacchiò.
“Qualcosa del genere. Ed è per questo che i tuoi sospetti sul tipo di accoglienza che riservammo a quel ragazzo non sono esatti; eravamo diffidenti ovviamente, ma non completamente ostili. E d'altronde lui era un umano molto particolare. Sai, qualche volta me lo ricordi: ingenuo e completamente incurante della sua sicurezza.”
Sorridendo le posò un dito sulle labbra, per prevenire le sue obiezioni.
“Lasciami finire, prima di offenderti, così capirai a cosa mi riferisco. Ti ho raccontato che c’erano grandi tensioni negli accampamenti; ora immagina un giovane umano, inesperto ma molto curioso, che vuole mettere il naso dappertutto. Non passò molto tempo che la sua fastidiosa curiosità lo fece diventare la valvola di sfogo per la rabbia e la frustrazione di alcuni soldati. Non ricordo esattamente per quale questione stessero litigando, ma ad un certo punto questi soldati lo accerchiarono, cominciando a provocarlo, cercando di fargli perdere le staffe. Speravano che fosse lui ad attaccare per primo, così avrebbero potuto reagire e spiegare che era stato solamente per autodifesa.”
“Perché?”
“Perché le regole nell’accampamento erano molto rigide su questioni del genere e proibivano qualunque lotta. Chi attaccava volontariamente un compagno veniva punito molto severamente e loro volevano aggirare la questione costringendo Endal, il ragazzo, ad attaccarli. Ma l’avevano sottovalutato. Lui non era come loro, sempre pronto alla lotta e traboccante di rabbia repressa. Lui era… be’, non saprei come definirlo. Forse noncurante, ecco. Rimaneva lì fermo, immobile, ascoltando tutti quegli insulti e quelle insinuazioni con il sorriso sulle labbra. Sembrava che quasi non se ne accorgesse, come se tutte quelle parole scivolassero su di lui senza lasciare traccia. Puoi immaginare la frustrazione di quei soldati quando lui non raccolse la sfida. Anzi, quando finirono di provocarlo, lui chiese loro se gentilmente potevano indicargli la tenda di Arkel.”
Ridacchiò, divertito.
“Fu una scena memorabile. Quei soldati stavano lì immobili, troppo stupiti e confusi per dire una sola parola. Forse stavano cercando di capire se Endal li stesse prendendo in giro o se fosse proprio stupido come sembrava. Immagino che abbiano creduto alla prima ipotesi, perchè cominciarono a scaldarsi. Non erano abituati a non essere presi sul serio e quell’atteggiamento tranquillo li mandava su tutte le furie.”
La ragazza sorrise, immaginando la scena.
“Però perché Endal li aveva provocati così? Doveva immaginarsi che non sarebbe andata a finire bene.”
“Endal era nuovo nel campo, era appena arrivato e non aveva ancora idea di quanta frustrazione aleggiasse tra i soldati. Bisogna però dargli atto che, nonostante fosse un umano, si batté bene per la sua giovane età. Riuscì a stenderne almeno un paio prima di essere sommerso dagli altri, e non sarebbe affatto finita bene se Arkel in persona non fosse intervenuto.”
Lei lo fissò, curiosa.
“Arkel era una delle massime autorità in quel periodo e un guerriero che nessuno si sarebbe mai sognato di sfidare. Ognuno di quei soldati sapeva perfettamente di non avere nessuna possibilità contro di lui. Sarebbe stato in grado di neutralizzarli tutti con un solo dito e non ci avrebbe messo più di un minuto.”
“Ma era pur sempre un umano.”
Lui annuì.
“Certo, rimaneva un umano. È ovvio che sto facendo un paragone con quelli della sua stessa razza, ma anche se fossimo stati noi ad attaccarlo avremmo avuto difficoltà anche solo a bloccarlo. In ogni caso non arrivammo mai ad uno scontro. Diverbi verbali, certo, discussioni, ma mai combattimenti fisici. Arkel godeva del nostro massimo rispetto e di tutta la nostra ammirazione e la cosa era reciproca. Nessuno di noi avrebbe mai alzato un dito contro di lui, a differenza di altri umani, che non vedevano l’ora che si togliesse di torno.”
“Vuoi dire quelli che stavano con Heirood?”
“Oh, non solo loro. Arkel era molto popolare e molto potente, e alcune persone questo non lo accettavano. Avevano paura che lui diventasse troppo forte e che potesse prendere il comando, o più semplicemente il loro posto.”
Scosse la testa, disgustato.
“Erano delle inutili sanguisughe e dei codardi, ecco cos’erano. Ricordo che in quel periodo Arkel dovette sventare più di una decina di attentati alla sua vita.”
“Una decina?!”
“Sì, ma erano talmente mal organizzati che per lui erano solo una seccatura. Eppure ancora adesso non capisco perché non abbia mai preso provvedimenti. Sapeva perfettamente chi erano i cospiratori, eppure non si rifece mai su di loro. Sai, conosco Arkel da moltissimi anni e ancora non sono riuscito a comprenderlo. È un umano con una profondità molto rara tra la tua gente.”
Alzò lo sguardo verso la pioggia, perso nei suoi pensieri, prima di riscuotersi.
“Comunque, come ti ho detto Endal venne salvato dal suo provvidenziale arrivo e da allora venne preso sotto la sua protezione. Ovviamente nessuno si azzardò più ad alzare un dito sul ragazzo e per oltre un mese Arkel si dedicò anima e corpo al suo addestramento. Lo rese un perfetto spadaccino, forte, ma veloce e agile, e riuscì anche a insegnargli le nostre tradizioni e i nostri costumi. Tuttavia, naturalmente, ci furono delle conseguenze.”
Scosse la testa.
“Il suo addestramento così duro ebbe un prezzo, come tutto del resto. Endal cambiò, non era più lo spensierato ragazzo che avevamo conosciuto al suo arrivo. Sembrava essersi congelato nel guerriero che Arkel aveva plasmato, come se l’umano che era un tempo non esistesse più, ma i suoi progressi furono talmente impressionanti che anche noi, nonostante fossimo ancora restii a fidarci, cominciavamo a riporre delle speranze in quel giovane. Tuttavia molti di noi erano ancora dubbiosi su di lui. L’addestramento era una cosa, ma come si sarebbe comportato nel mezzo di una vera battaglia?”
“Siete stati molto esigenti.”
Flair la osservò, preso in contropiede. Si era aspettato uno scatto di rabbia e di indignazione, e invece…
“Non sei arrabbiata?”
Lei scosse la testa, un’ombra sul viso.
“Immagino sia perché non posso giudicare il vostro comportamento. Perché non avevate altra scelta. Perché con tutte quelle persone che morivano non potevate aspettare…”
Flair la fissò a lungo, una strana espressione sul volto. La strinse forte a sé.
“Non mi aspettavo tutta questa comprensione. Mi hai preso alla sprovvista, ma immagino che… sì, che non avessimo altra scelta. Noi lo mandammo in battaglia, Katie, ma quello che tornò non era più lo stesso Endal che era partito. Odiava dover uccidere, eppure non poteva evitarlo, nessuno di noi poteva. Era quella la regola in battaglia, o loro o lui, ma vedere in faccia la morte, vederla veramente riflessa negli occhi degli uomini che uccideva, aveva spezzato qualcosa dentro di lui. Uccidere lo aveva reso un uomo tormentato. Divenne taciturno, pensieroso, ma nonostante questo, finalmente anche i più orgogliosi tra noi lo riconobbero come loro eguale. Nonostante tutto in battaglia era stato il migliore. Molti di noi dovettero cambiare opinione su di lui e io fui uno di loro.”
Le sorrise, un sorriso triste e senza gioia.
“Ricordo che una sera andai da lui con l’intenzione di scusarmi per il mio comportamento diffidente e a volte un po’… be’, un po’ prepotente. Ricordo che arrivai fino alla sua tenda e che stavo per entrare quando dovetti fermarmi. Avevo sentito qualcosa che non avrei mai dovuto sentire. Me ne andai senza voltarmi.”
Lei lo fissò, triste.
“Endal stava piangendo. I fantasmi delle sue vittime lo tormentavano e non riusciva a perdonarsi il fatto di aver spento tutte quelle vite, di aver spazzato via tutte le loro speranze... Me ne andai perché non avrei saputo cosa dirgli, come consolarlo. Non avevo risposte alle sue domande. I fantasmi che lo torturavano erano gli stessi che popolavano i miei incubi, il suo tormento uguale a quello che non mi faceva dormire la notte…”
Prese un profondo respiro, gli occhi chiusi. Katie lo fissava in silenzio, angosciata, non sapendo come fare ad alleviare quel dolore. Si strinse ancora di più a lui e dopo qualche minuto Flair sospirò, affondando il volto nei suoi capelli.
“Fu una notte difficile, ma passò, come sempre. La guerra reclamava la nostra attenzione e l’unico modo per scacciare i fantasmi del passato era concentrarsi, mettere tutte le proprie energie in un obiettivo e raggiungerlo. E il nostro obiettivo era Heirood.”
Fissò lo sguardo verso la pioggia, un’espressione amara sul volto.
“Endal sapeva bene che divisi in quel modo non saremmo durati a lungo e, non appena ne ebbe la possibilità, riunì di nuovo tutti i comandanti dei vari gruppi. Quelle discussioni durarono giorni e giorni e furono dannatamente esasperanti. Quegli uomini erano… Maledizione, erano testardi come muli. Sembrava che tutto dovesse finire come l’ultima volta, ma Endal fece la differenza e seppe essere molto convincente.”
Cercò di sorriderle, togliendole pensieroso una ciocca bagnata dal viso.
“Fu una trattativa difficile, ma alla fine ottenne ciò che voleva, ciò di cui il nostro esercito necessitava: l’unità. Con la sua innata capacità di incantare le persone, di trascinarle con sé, di accendere il loro entusiasmo, riuscì finalmente a riottenere quella compattezza che avevamo perso. Distrusse alla radice tutti i pregiudizi che si erano formati, ridandoci fiducia.”
“Arkel aveva visto giusto.”
“Sì, lui nel profondo sapeva di potersi fidare di Endal ancora prima di conoscerlo. In fondo ho sempre pensato che quel vecchio avesse una fortuna sfacciata.”
Katie alzò gli occhi al cielo, un sorriso sulle labbra e fu allora che si accorse che la pioggia stava cominciando a diminuire. Ormai il temporale si stava allontanando. 
“Guarda, sta smettendo di piovere.”
Lui si voltò, continuando a tenerla stretta tra le sue braccia, osservando pensieroso il cielo.
“Sì, hai ragione. Ancora poco e potremo riprendere il cammino.”
Lei annuì, lo sguardo perso nel grigiore di quel paesaggio. Si sentiva triste. Non capiva perché, ma sapere che presto tutto sarebbe tornato come prima la lasciava malinconica. Quei momenti sotto la tettoia, quella strana atmosfera che si era creata, quasi di… Ah, non lo sapeva nemmeno lei di cosa. Sapeva però che non appena quelle braccia che la stringevano l’avessero lasciata andare Flair sarebbe tornato quello di prima, distante e sarcastico.
Sospirò, un sospiro talmente lieve che era sicura che lui non fosse riuscito a sentirlo. Eppure quelle braccia, invece di allontanarsi da lei, la strinsero ancora di più.
“Tra poco finirà…”
Lei annuì, ma sapeva che non si stava riferendo solo alla pioggia.
Rimasero così, immobili, uno accanto all’altra, finchè la pioggia battente non lasciò il posto ai tiepidi raggi del sole. Con un sospiro Katie si rialzò, un po’ impacciata nei movimenti. Aveva i muscoli intorpiditi e si stiracchiò, cercando di rimettersi in sesto. Flair sorrise, scuotendo lievemente la testa e alzandosi anche lui.
“Dai, ti scioglierai camminando. Abbiamo ancora un po’ di strada da fare.”
Si allontanarono dalla locanda tornando sulla strada, o meglio, sul pantano che era diventato. Come prima Flair le indicava la strada, mentre lei faceva del suo meglio per seguirlo, cercando di fare attenzione a dove metteva i piedi.
“Non hai ancora finito la storia.”
“Vuoi sentirla fino alla fine?”
Lei si fermò, incerta.
“Non dovrei?”
Flair ridacchiò, sostenendola per aiutarla a superare una pozza d’acqua.
“Non dicevo questo, ma mi chiedevo se saresti riuscita a prestarmi attenzione mentre cercavi di non cadere nel fango.”
Lei alzò gli occhi al cielo di fronte alla sua espressione divertita, rifiutandosi di rispondere.
“Te la racconterò, te lo assicuro, non appena avremo un altro momento tranquillo. Dopotutto è importante che tu la conosca, che tu sappia quello che è successo con Heirood la prima volta, ma è anche importante che tu possa rivolgere a questa storia tutta la tua attenzione.”
“In effetti hai ragione… Ma sappi che non me ne dimenticherò.”
Lui le sorrise, annuendo. I minuti successivi passarono in silenzio; ognuno era immerso nei propri pensieri e Katie apprezzava quella tranquillità. Non era un silenzio pesante o imbarazzato, anzi, era quasi confortante.  
“Siamo quasi arrivati. Vedi quella debole luce laggiù? È il fuoco dell’accampamento.”
Lei annuì, un velo di malinconia. Nonostante i suoi timori quell’uscita si era rivelata più piacevole del previsto e le dispiaceva che fosse già finita. Con un sospiro liberò la sua mano dalla stretta che l’aveva sorretta fin lì, mentre la luce davanti a loro si faceva sempre più nitida.
“Flair, Katie, finalmente! Ero preoccupato!”
Katie sorrise a Lyer, grata per quella calda accoglienza, e andò a sedersi accanto al fuoco, lasciando a Flair il compito di raccontare ciò che avevano scoperto. Non ci fu uno sguardo tra di loro, nulla. Era tutto tornato come prima.
“Scusa il ritardo, ma siamo stati rallentati dal temporale e ci siamo riparati sotto una tettoia finchè non ha smesso di piovere.”
“Anche qui la pioggia si è fatta sentire, ma abbiamo tenuto questa radura al riparo, altrimenti in questo momento saremmo tutti immersi nel fango. Avete fatto bene a cercare un riparo, non era prudente continuare.”
“Infatti. Abbiamo evitato per poco un intero plotone di guardie.”
Lyer aggrottò la fronte, preoccupato.
“Un intero plotone, davvero? Qualcosa si sta muovendo, me lo sento. Ho paura che le cose non saranno molto facili.”
Flair alzò le spalle, disinvolto.
“Non credo. Siamo nel Medioevo, ricordatelo.”
“Sì, ma ci sono dei particolari che non mi sono chiari. I soldati che hanno preso la Pietra non l’hanno trovata per caso, la stavano aspettando. Come facevano a sapere il punto esatto? E ne conoscono il reale potere?”
“È probabile che non lo conoscano, ma che lo immaginino soltanto. Come dicevo prima a Katie, non hanno la possibilità di avere queste informazioni…”
La ragazza sospirò, stiracchiandosi, annoiata da una conversazione che aveva già sentito. Maki le lanciò un’occhiata di disapprovazione, ma lei non le badò. Stava imparando ad ignorarla, finalmente.
“Sentite, non vorrei interrompere, ma si ragionerebbe meglio a stomaco pieno, non credete?”
Lyer si voltò verso di lei, sorpreso, poi scoppiò a ridere.
“Hai ragione, hai perfettamente ragione. Maki, accompagnami, andiamo a cercare qualcosa da mangiare prima che la nostra Prescelta muoia di fame.”
La ragazza sorrise, ma non rispose. Rimase seduta per qualche minuto, in silenzio, poi il suo sguardo si fissò su Flair.
“Avrei un favore da chiederti.”
Lui la fissò, sorpreso.
“Dimmi pure.”
“Ecco, volevo sapere se eri disposto ad allenarmi. Arkel aveva iniziato ad insegnarmi a combattere con la spada, ma ha avuto il tempo di farmi solo una lezione.”
Flair rimase immobile, studiandola.
“Sarebbe utile che tu sapessi come difenderti, ma questo richiederebbe una grande costanza e soprattutto molti sacrifici. Pensi di farcela?”
Lei sbuffò, irritata.
“Ho tutte le ragioni per impegnarmi al massimo. Gli Scarlatti non si fermeranno finchè non mi avranno catturata e piegata al loro controllo. Devo essere in grado di affrontarli anche da sola, non posso sempre affidarmi a Lyer. Se dovesse ferirsi nel proteggermi…”
Abbassò lo sguardo, poi si alzò, decisa.
“Comunque, sono motivata a fare del mio meglio, ma da sola non posso fare granchè. Cosa ne dici?”
Lui le sorrise, divertito.
“Perché no? Non vedo l’ora.”

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