«Of course»

di chemist
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** In orario è tardi ***
Capitolo 2: *** Una notte insolita ***
Capitolo 3: *** Per gioco ***
Capitolo 4: *** Un'offerta scomoda ***
Capitolo 5: *** Non si può ingegnerizzare una relazione ***



Capitolo 1
*** In orario è tardi ***


Capitolo 1
In orario è tardi


Maeve Wiley stava sistematicamente sfogliando le pagine di un libro e distrattamente ascoltando le domande di un quiz televisivo, e fin qui non ci sarebbe nulla di strano…se solo non lo stesse facendo nella sala d’attesa di una clinica per aborti.
Sapeva che gli incontri occasionali con Jackson Marchetti avrebbero potuto portarla a quello. Lo sapeva, cazzo. Ma se n’era fregata e aveva lo stesso fatto sesso con lui senza prestare la giusta attenzione alle precauzioni.
Si odiava per essere stata così imprudente…e per molte altre cose.
Quel flusso di coscienza fu interrotto dalla percezione di una voce limpida ma balbettante in lontananza. Una voce che lei conosceva bene.
“S-salve, io, ehm…sto cercando…”.
Il ragazzo appena entrato si guardò intorno, e quando si voltò nella sua direzione poté finalmente vederne il viso.
Non che ce ne fosse bisogno. Era ovvio che fosse Otis.
“Maeve!” esclamò quest’ultimo notando la ragazza che gli andava incontro a rapidi passi. “C-ciao, ehm…non mi avevi detto se entrare o aspettarti fuori, q-quindi…”.
“Che ci fai qui, Otis?” lo troncò lei, visibilmente infastidita.
“Beh, potrei farti la stessa domanda…perché siamo in una clinica per aborti?” domandò Otis, riuscendo finalmente a parlare con un tono più basso e controllato.
L’espressione di Maeve, invece, era eloquente e non ammetteva repliche.
“Oh…io non…non immaginavo che…”.
“Ti avevo detto di venire alle sei e mezza, Otis. Te lo chiedo un’altra volta: perché sei già qui?”.
“Beh…i-in orario è tardi, no?” se ne uscì il ragazzo, con una citazione che aveva sentito più volte da suo padre ma che fallì nell’intento di smorzare la rabbia dell’amica.
“Che cazzo dovrebbe significare? E perché quel vestito?” inveì Maeve, focalizzando solo in quel momento l’attenzione sui suoi abiti insolitamente eleganti: giacca e pantaloni marroni, camicia grigia e persino una cravatta.
“È…è casual…” improvvisò Otis, citando stavolta il suo migliore amico Eric.
Maeve raggiunse il limite: “vattene, Otis. Fa’ come se non t’avessi chiesto niente”.
Quindi se ne tornò al suo posto, mentre al povero ragazzo non restò che uscire dall’edificio, dannandosi il cervello per capire dove avesse sbagliato.
 
 
Quando riaprì gli occhi, la testa le doleva atrocemente e si sentiva ancora stordita per l’anestesia ma provò anche un gran sollievo: prima dell’intervento, anche se non voleva ammetterlo, aveva avuto una paura lancinante che qualcosa potesse andare storto…invece tutto era filato per il verso giusto.
Più tardi si avviò verso il bancone, riflettendo già sull’assurda scusa che avrebbe dovuto inventare affinché la donna che vi lavorava le permettesse di andar via da sola.
“Salve, ehm…”.
Neanche fece in tempo a formulare una frase che si sentì chiamare da qualcuno: “Maeve! Eccoti!”.
Sussultò e si girò di scatto, scoprendo che si trattava nuovamente di Otis. Questa volta, però, la sua reazione fu ben diversa.
Era incredula. Lo aveva fatto venire, senza preavviso, in un luogo in cui non era mai stato prima e in cui certamente avrebbe preferito non venire mai. Lo aveva trattato di merda davanti a tutte le altre donne lì presenti. Erano trascorse probabilmente delle ore in cui forse non aveva avuto alcuna notizia di lei. Eppure…
“Hai aspettato”.
“Certo che si”.
 
 
Dopo le raccomandazioni di rito, finalmente la lasciarono libera. Otis accettò di buon grado di accompagnarla fino a casa, e lei fu segretamente felice di avere qualcuno accanto in quel momento difficile.
Lungo il tragitto, ne approfittarono per chiacchierare e conoscersi meglio.
“Come stai?” chiese Otis per rompere il ghiaccio.
“Sono stata meglio…ma va bene così”.
“Oh, quasi dimenticavo” aggiunse il ragazzo, porgendole solo in quel momento il sandwich confezionato che aveva in una mano, mentre nell’altra stringeva un mazzo di rose. “Mentre aspettavo ti ho preso questo nel minimarket affianco alla clinica. Magari hai fame…”.
Maeve accettò volentieri: in effetti sentiva un certo languore allo stomaco. “Grazie” disse allora, masticandone un pezzo.
“Figurati, ma…perché hai chiesto a me di venire alla clinica? Non avevi nessuno disposto ad accompagnarti?” azzardò Otis.
“No, nessuno” tagliò corto Maeve. Poi, notando che l’amico ancora la fissava in cerca di dettagli, spiegò: “non ho nessuno della mia famiglia qui. Mia madre è una drogata: ha provato molte volte ad uscire dal giro, ma non ce l’ha mai fatta. Non la vedo da un bel po' di tempo, e lo stesso vale per mio padre. Ho anche un fratello di nome Sean, ed è un tipo simpatico, davvero…ma anche lui ha questa tendenza a scomparire, di tanto in tanto”.
“Capisco. Non sapevo…”.
“Non dire che ti dispiace”, lo ammonì lei. “Riesco a cavarmela anche da sola, non ho bisogno di loro”.
“Certo, va bene” si ritirò Otis.
Infine arrivarono a destinazione: un parco pieno di camper, uno dei quali era proprio la ‘casa’ di Maeve.
“Bene, sono arrivata” annunciò, tenendo lo sguardo basso per l’imbarazzo.
Otis però sembrò non dare molto peso alle condizioni in cui la sua amica viveva, anzi si comportò in maniera ancor più educata: “vuoi che ti accompagni dentro? Sai, potresti avere un’emorragia o cose simili…”.
“No, non è necessario” lo tranquillizzò Maeve, che poi iniziò a grattarsi la nuca come se avesse qualcosa da dire ma che non riusciva a tirar fuori. “Otis, ehm…volevo solo ringraziarti per la pazienza che hai avuto nell’aspettarmi e nell’accompagnarmi a, ehm…a casa. Sei stato gentilissimo, motivo per cui vorrei anche scusarmi con te per ciò che ti ho detto alla clinica. Sono stata molto scortese”.
Otis si rese conto di quanto fosse a disagio nell’ammettere quelle cose, dunque rispose: “non c’è problema. L’importante è che tu stia bene”.
La ragazza si sciolse definitivamente, andando ad avvolgerlo in un sincero abbraccio che lui ricambiò all’istante.
A quel punto, c’era solo un particolare che ancora la incuriosiva: l’altro oggetto nelle mani del ragazzo.
“Il sandwich era per me…e questi fiori invece?”.
“Ah, beh…a dire il vero anche quelli sono per te” balbettò Otis, preso alla sprovvista. “Forse però sono un po' fuori luogo adesso…”.
“No, tutt’altro. Mi piacciono molto” disse invece Maeve, ricevendo il mazzo. “Niente è meglio di un bel bouquet per dire ‘buon aborto’”, ridacchiò, e lo stesso fece anche Otis.
“Oh, e mi piace anche il vestito. Ma posso sapere che bisogno c’era di mettersi in giacca e cravatta per andare in una clinica per aborti?”.
Le guance di Otis andarono a fuoco: “i-io, ecco…n-non sapevo che fosse una c-clinica per aborti…”.
Maeve alzò un sopracciglio: “e cosa pensavi che fosse?”.
Otis stava andando nel panico: “non lo so, ma…ho dato un’occhiata su Internet e ho letto che…che c’era anche un ristorante di sushi, così…”.
Maeve strinse le labbra in un piccolo sorriso: “aspetta…pensavi che fosse un appuntamento?”.
“N-no! No, io…non dire sciocchezze…”.
“Otis, non c’è nessun problema” chiosò la ragazza. “Anzi, per farmi perdonare il brutto pomeriggio che ti ho fatto trascorrere, uno di questi giorni potremmo davvero andare a cena insieme. Che ne dici?”.
L’altro sembrava paralizzato. “Co…come, scusa?”.
“Buona serata, Otis” lo salutò Maeve, sfilandosi la chiave di casa dalla tasca. “Ti scrivo se muoio!”.
Solo quando la porta si richiuse Otis si allontanò.
Terrò il telefono spento, pensò fra sé e sé.



Nota dell’autore: ringrazio chiunque abbia letto fino a questo punto; la storia (ovviamente ve ne sarete accorti) inizia dalla 1x03, che infondo è l’episodio che ha cambiato completamente la percezione che avevo di Sex Education: una serie che tratta argomenti tanto importanti e delicati in modo così leggero e divertente, senza per questo snaturarli, non posso che ritenerla geniale. Per quanto riguarda i personaggi, ho voluto introdurre una Maeve più disinvolta fin dagli albori del suo rapporto con Otis. Chiudo ricordandovi che, per un autore, ogni commento o recensione è roba preziosa. Alla prossima! ✌️

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Capitolo 2
*** Una notte insolita ***


Capitolo 3
Una notte insolita

 
Arrivato a casa, Otis andò subito a rintanarsi nella propria stanza per stendersi sul letto e cercare di capire se davvero Maeve l’avesse invitato ad uscire. Avrebbe voluto un po' di tranquillità, ma come un ciclone dal corridoio arrivò Eric.
“Tu devi raccontarmi tutto! Tutto!” urlò, traboccante d’entusiasmo. “Come è andata? Ti ha assaggiato il sashimi?”.
Poi scoppiò in una fragorosa risata delle sue, ma Otis lo frenò subito: “ma che dici? No, no…non era come…come pensavamo”.
“Che vuoi dire? Avete passato l’intero pomeriggio insieme e vuoi farmi credere che non sia accaduto nulla?” insinuò Eric con un’aria ancora più maliziosa.
“No, beh…voleva solo che le prendessi una cosa”.
Il ragazzo di colore sfoggiò la più eloquente delle sue espressioni stranite: “e che voleva che le prendessi in un ristorante di sushi?”.
“Beh…una cosa” si mantenne generico Otis. “Credimi, non era niente di importante”.
Avrebbe voluto confessare al suo migliore amico che era stata una delle esperienze più strane della sua vita, che una forza misteriosa l’aveva tenuto lì fermo ad aspettare anche se Maeve gli aveva intimato di andarsene, che adesso conosceva un po' più a fondo quella bizzarra ragazza punk dai capelli biondi e rosa…e, soprattutto, che era fottutamente confuso dall’invito che lei gli aveva fatto prima di salutarlo.
Ma non lo fece. Non confessò nulla di tutto ciò, perché Maeve gli aveva chiesto di non farne parola con nessun’altro.
Per essere solo un’amica con cui gestire una clinica del sesso clandestina a scuola, avevano iniziato piuttosto presto a scambiarsi segreti personali.
 
Dopo la solita estenuante sessione di partite ai videogame e dopo che Eric se ne fu andato, finalmente Otis poté rilassarsi sul terrazzo di casa, beandosi dell’aria fresca e della pace che il cielo notturno e le poche nuvole sbiadite che lo popolavano gli trasmettevano.
Rimase per qualche momento immobile ad osservare il paesaggio, lanciando di tanto in tanto sguardi furtivi al cellulare posato sul tavolo; infine in un impulso di coraggio lo afferrò, aprì la chat con Maeve e digitò un rapidissimo messaggio.
-Spero che il sandwich ti sia piaciuto.
Premette il tasto invio e sorrise soddisfatto per un istante, prima di realizzare completamente ciò che aveva fatto: allora sgranò gli occhi, gettò il telefono sul tavolo e si afferrò la testa, in preda al panico.
Cos’ho fatto? Che cazzo ho fatto? ‘Spero che il sandwich ti sia piaciuto’…chi scriverebbe una cosa del genere? E poi, non aveva detto che ti avrebbe scritto lei se ce ne fosse stato bisogno? Che coglione che sono!
Si stava ancora dannando l’anima quando il display del telefono si illuminò, mostrandogli che c’era una notifica.
-Molto buono. Mi ha aiutata a studiare. Tu che hai fatto stasera?
Fissò lo schermo, disorientato. Gli aveva veramente risposto?
-Niente di speciale, sono stato con Eric. Abbiamo giocato a Super Smash Bros.
Otis rimase piacevolmente sorpreso nel constatare che Maeve visualizzava immediatamente i suoi messaggi, e rispondeva altrettanto in fretta.
-Sembra proprio una cosa alla Milburn, testa di cazzo.
Rifletté sul fatto che, effettivamente, non era la miglior cosa da scrivere la prima volta che si messaggia con una ragazza, ma non poté trattenersi dal ridere sommessamente sapendo che lei lo salutava sempre in quel modo.
Una frase dopo l’altra, andarono avanti per tutta la notte. Parlarono soprattutto della clinica, o del più e del meno, ma Maeve si mostrò ben disposta anche a discorsi più seri, come i problemi con la sua famiglia o il rapporto disastrato con Jackson.
Otis scoprì che chiacchierare con lei, anche solo virtualmente, lo faceva sentire bene. Non riusciva a staccarsi da quella chat, tanto che rispose con un insolito ritardo persino ad Eric. E quando spense il cellulare, andò a dormire inspiegabilmente felice.
 
Al contrario del mattino seguente, quando si svegliò tutto agitato. E bagnato.

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Capitolo 3
*** Per gioco ***


Capitolo 3
Per gioco

 
Quel giorno andare a scuola per Otis fu una vera e propria odissea: appena sveglio, era subito stato costretto a valutare mille espedienti per impedire a sua madre di scoprire ciò che era accaduto quella notte; lungo il tragitto, ancora in balia di un turbine d’emozioni, aveva rischiato un paio di volte di cadere dalla bicicletta; e, per concludere, era arrivato in aula con ben 3 minuti di ritardo (inaccettabili per uno come lui), a lezione già cominciata.
Si sentì addosso gli occhi di tutti, dunque affrettò il passo e prese posto, come sempre, affianco ad Eric.
Quest’ultimo lo scrutò dalla testa ai piedi, quasi come se avesse visto uno sconosciuto: “buongiorno! A cosa si deve questo evento irripetibile?”.
“Lascia stare” sospirò Otis, “non è nemmeno la cosa più strana che mi sia accaduta oggi”.
Eric si sporse verso di lui, conscio del fatto che, pur fingendo di non volerlo fare, alla fine l’amico gli avrebbe rivelato ciò che lo affliggeva, e senza neanche che lui lo spronasse. Si scordò all’istante del professore che spiegava: le paranoie di Otis erano molto più interessanti e divertenti da ascoltare.
Come previsto, dopo l’esitazione iniziale Otis borbottò tutto d’un fiato: “stanotte ho fatto un sogno erotico in cui c’era Maeve”.
Eric strinse le palpebre, riducendo gli occhi a due fessure: “amico, non si è capito nulla. Potresti ripetere?”.
L’altro continuò a sussurrare, ma scandì meglio le parole: “stanotte…ho fatto…un sogno erotico…con Maeve…”.
Appena udito il nome della ragazza, Eric spalancò la bocca ed urlò senza contegno: “grandioso!”.
A quel punto fu il ragazzo di colore a catalizzare tutte le attenzioni su di sé, compresa quella del docente interdetto.
“Ehm…si, trovo che questa poesia di Keats sia grandiosa!” disse, cercando di salvare il salvabile.
“Effiong, questa poesia è di Wordsworth” corresse scocciato il professore, lasciandolo in balia delle risatine sommesse degli altri studenti. Otis avrebbe voluto scomparire per l’imbarazzo.
“Finalmente anche tu hai aperto la diga!” aggiunse Eric, nuovamente a bassa voce. “Dimmi: è stato solo uno schizzetto o un’intera secchiata?”.
“No, no, non voglio parlarne; anzi, non avrei dovuto neanche accennartene, perché è sbagliato. Totalmente sbagliato”.
“Scherzi? Non c’è niente di sbagliato! È normalissimo!”.
“No, non lo è” insistette Otis. “Merda, che disagio…”.
“Ma…cosa accadeva nel sogno?” domandò Eric, sempre più stuzzicato.
Otis arrossì vistosamente: “ecco…lei era nel m-mio letto…ed aveva soltanto…soltanto gli slip…”.
Il racconto si stava facendo sempre più piccante, ma non riuscì ad andare avanti: “no, no! Basta! È sbagliato, quindi non dirò altro”.
“Quante storie!”, sbuffò Eric tornando a sfogliare distrattamente il libro che aveva fra le mani, ma mantenendo un’atmosfera goliardica.
Il suo respiro si fece affannoso e, in uno scatto tanto involontario quanto necessario, si voltò di lato. Vide così che nel gruppo di sedie adiacente, neanche troppo distante, c’era proprio lei, Maeve.
Non poté fare a meno di notare quanto fosse bella, di una bellezza non sfarzosa e preparata come quella di altre ragazze come Ruby o Olivia, bensì di una bellezza genuina, quasi inconsapevole. Dopo un po', però, si ricordò del modo in cui gli era apparsa in sogno e si fece largo sul suo pallido volto una smorfia colpevole.
Come se non bastasse, in quel momento Maeve ricambiò il suo sguardo: dapprima restò stranita dalle buffe espressioni che stava facendo, probabilmente inconscio che lei lo stesse osservando, ma quando riaprì gli occhi gli abbozzò un piccolo sorriso, che lui accolse con riserbo.
 
Si rividero nel pomeriggio, nella piscina dell’istituto che Otis aveva clandestinamente scelto come studio per la terapia di coppia di due bizzarre ragazze lesbiche. Era stata un’impresa tutt’altro che agevole e non era neanche sicuro che avesse avuto dei frutti, così ne approfittò per stendersi sul bordo, immergendo i piedi nell’acqua e beandosi della sua freschezza.
Maeve non tardò a raggiungerlo, ma non gli sfuggirono le ripetute sbuffate sarcastiche che emetteva mentre guardava il cellulare.
“È qui che vieni a vedere le gare di Jackson?” chiese, giusto per fare conversazione.
“Si” confermò lei, posando il telefono e rivolgendosi completamente a lui. “Sai, mi tempesta di messaggi da diversi giorni”.
“E perché la cosa sembra infastidirti?”.
“Perché quando facciamo sesso è tutto perfetto e non capisco per quale motivo voglia rovinare tutto prendendola più seriamente di quanto sia in realtà”.
Otis distolse nervosamente lo sguardo per un secondo quando sentì menzionare il sesso. Un dettaglio di cui, suo malgrado, Maeve si accorse eccome.
“È solo che…non sono tipa da fidanzati” mise in chiaro la ragazza, fissando il fondo della piscina in maniera indecifrabile.
“Ah no?”.
“No! Hai presente quei film romantici in cui lui fa irruzione sotto casa di lei, spara a tutto volume una di quelle ridicole canzoni smielate ed inizia a cantare a squarciagola…tutto meraviglioso, vero?”.
Otis sollevò un sopracciglio, come se avesse perso il filo del discorso.
“Falso. A me certi gesti danno il voltastomaco!” concluse Maeve, scoppiando poi in una fragorosa risata che Otis non condivise.
“È comprensibile, ma forse se provassi ad aprirti un po' di più…”.
“Stop! Stop!” lo bloccò Maeve. “Non sono una tua cliente, quindi niente terapia con me!”.
“Oh, okay, scusami” balbettò lui, sebbene non volesse arrendersi: “però, seriamente…che c’è che non va nell’avere un fidanzato?”.
Lei inclinò il capo e si sporse verso di lui, cosa che lo mise in soggezione: “come mai ti interessa tanto, Milburn? Vuoi forse proporti?”.
“Ma che dici?!” esclamò Otis, con le guance che cominciavano ad arrossire e con un tono più squillante di quanto avesse voluto. È solo che…essendo un ragazzo mi sento tirato in causa”.
Maeve scrollò le spalle, tentando di risultare il più convincente possibile. “Beh, un fidanzato è soltanto un’altra persona che prima o poi ti deluderà”.
“Che vuoi dire?” chiese lui, scrutando ogni sua singola variazione d’umore. Effettivamente, non avevano mai dialogato molto per quanto riguarda la sfera sentimentale.
“Mi sono fidata e sono stata delusa abbastanza volte per dirti che gli uomini, quando si tratta di comportarsi adeguatamente e prendersi delle responsabilità, diventano degli imbecilli. Senza offesa, ovviamente” concluse, inarcando le labbra in una piccola smorfia che doveva essere di rassicurazione.
“Offeso? Io? E perché mai dovrei prendermela per una semplice invettiva che fa sembrare ogni essere umano di sesso maschile un inutile, se non addirittura dannoso inetto…” scimmiottò Otis, provocando l’ilarità di Maeve che, per ripicca, lo spinse in piscina al grido di “testa di cazzo!”, prima di tuffarsi a sua volta.
 
Sembravano due bambini, mentre giocavano a schizzarsi e a costringersi a vicenda sott’acqua. Per un attimo si sentirono come se esistessero solo loro, e nessun altro.
Fu di nuovo Otis a spezzare la magia: “dai, Wiley, dimmi perché non vuoi stare con Jackson”.
Normalmente, alla terza volta che le veniva posta la stessa domanda, Maeve avrebbe perso la pazienza e si sarebbe trasformata in una versione ben più scorbutica di se stessa, ma ormai con lui riusciva a controllarsi più facilmente.
“Senti, non è difficile...lui è Jackson, il ragazzo modello, l’atleta impeccabile, il rappresentante della scuola, e io…beh, io sono Maeve, l’insolente e puzzolente mordicazzi”.
“Ma no, non sei così puzzolente” la contraddisse Otis, che però rincarò la dose quando la vide abbassare la guardia: “sei solo una mordicazzi!”.
“Che stronzo!” ribatté ironicamente Maeve, afferrando la testa dell’amico e spedendolo nuovamente sotto.
Quando riemerse, aveva i capelli lisci, umidicci e schiacciati contro la fronte; annaspava e si dimenava alla rinfusa, cercando di riprendere aria. La ragazza non riuscì a trattenere una limpida risatina.
“Sei uguale al Cookie Mostro!” disse, avvicinandosi e stirandogli, con lievi ma rapidi movimenti delle mani, i capelli e le sopracciglia.
Quel contatto, per quanto innocente, mandò scosse elettriche lungo tutto il corpo di Otis…in particolare una parte di esso.
“Ah! Okay, meglio…meglio andare ora, si è fatto tardi, n-non credi?” farfugliò, mentre sott’acqua i suoi pantaloni cominciavano a gonfiarsi pericolosamente.
“Mi sa che hai ragione”, annuì la ragazza. “Vieni con me?”.
“Oh, no, io…credo che me ne starò qui ancora un po' a fare…sai, qualche esercizio”.
“In pratica, vuoi restare solo e mi stai cacciando”.
Otis era più in difficoltà di un elefante in una cristalleria: “no, non è questo…è…è solo che…”.
“Tranquillo, dovevo andar via comunque” lo interruppe Maeve, issandosi sul bordo e raccogliendo le proprie cose; la fradicia maglietta bianca che indossava, però, fu tutt’altro che d’aiuto per Otis.
“Sei irresistibilmente strano, Milburn. E, a proposito…”.
“Cosa?” chiese lui, boccheggiante ma incuriosito dall’argomento sul quale l’amica stava indugiando.
“…dovresti uscire anche tu dalla piscina, altrimenti, con quel freddo, con ti passerà mai”.
Otis rimase agghiacciato, ma non era per il freddo di cui sopra. Avrebbe voluto sprofondare: diamine, l’aveva notato!
“Idiota!” ringhiò stizzito all’amico in basso, prendendosela però anche con se stesso e con l’impeccabile tempismo con cui la sfortuna arrivava a rovinargli la vita.
 
Era ancora in acqua, immobile e con le mani congiunte sull’inguine quando entrò Eric.
“Otis? Che stai facendo?”.
“Promettimi che non ti metterai a ridere”.
Prima ancora che il ragazzo gli desse la sua parola, Otis bisbigliò: “avevi ragione, cazzo”.
“Io ho sempre ragione. A che proposito stavolta?”.
“Potrei…potrei essermi preso una piccola, moderata cotta per Maeve”, fu costretto ad ammettere.
“Questo è ovvio, ma che c’entra con la piscina?”.
“Eravamo qui per la clinica, dopo ci siamo tuffati e abbiamo…non lo so, ma all’inizio era normale, divertente azzarderei, poi lei mi ha toccato le sopracciglia e…e ora ho un’erezione”.
Il viso di Eric si illuminò prima di esplodere in una risata la cui eco rimbombò in tutta la struttura.
“Avevi promesso che non avresti riso! Sono qua dentro da un’eternità ormai, l’erezione non se ne va e la parte peggiore è che lei se n’è pure accorta!”.
“In che senso se n’è accorta?” domandò Eric, prendendosi una pausa dallo spasso e spalancando la bocca, sempre più sorpreso dalle avventure e disavventure del suo non più anonimo migliore amico.
“Prima di andarsene ha detto che dovevo uscire dall’acqua o sarei rimasto eccitato per sempre”.
Eric portò una mano alla fronte, riprendendo a ridere: “non ci credo amico, ti è venuto duro davanti a Maeve Wiley e lei lo ha visto! Sei un folle! E lei come l’ha presa?”.
Soltanto allora si rese conto che, preso com’era dal panico, non aveva ponderato la reazione di Maeve.
“Io non…non lo so, ma come vuoi che l’abbia presa?! Ho fatto una figura ridicola”.
“Questo è vero” concordò Eric, incapace di placare le burle. “A volte, però, dalle figuracce peggiori nascono le cose più inaspettate”.
Quindi, con un ghigno furbo, aiutò Otis a uscire e lo accompagnò in un luogo più asciutto.

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Capitolo 4
*** Un'offerta scomoda ***


Capitolo 4
Un'offerta scomoda

 
Eric accompagnò Otis nei bagni della scuola, incapace tuttavia di proseguire senza rallentare di tanto in tanto per ridere del fatto che l’amico avesse ancora un’erezione in corso.
Otis d’altro canto era disperato e, sebbene fossero completamente soli, si sentiva come se si trovasse davanti ad una platea piena zeppa di studenti della Moordale che si facevano beffe di lui e del suo essere così goffo e ridicolo.
Finalmente giunsero a destinazione ed Eric lo bloccò con la schiena al muro, perfettamente conscio che avrebbe dovuto faticare per convincerlo: “hai solo due opzioni adesso: andartene in giro per i corridoi facendoti deridere letteralmente da tutti…o entrare in una cabina, metterti bello tranquillo e farti una sega”.
“Credo che sceglierò i corridoi” rispose sarcasticamente Otis prima di essere nuovamente placcato da Eric come una preda già morta da un cacciatore.
“Non essere ottuso! Se lo fanno tutti (e fidati, lo fanno tutti), puoi farlo anche tu!”.
Essendo abbastanza razionale da accorgersi che quella era effettivamente l’unica cosa che potesse fare, Otis si chiuse in bagno e iniziò a sbottonarsi i pantaloni. Ad ogni più piccolo tocco, tuttavia, i suoi problemi con la masturbazione e la paura d’esser scoperto crescevano a dismisura in lui: si chiese se sarebbe mai stato in grado di superare quello scoglio che comunque, per il momento, pareva ancora insormontabile.
Stava giusto cominciando a riprendere confidenza col proprio corpo quando dall’altra parte della porta udì la voce balbettante di Eric chiamare: “J-J-Jackson!”.
Oh no!, pensò Otis nuovamente in preda al panico. Di tutte le persone che avrebbero potuto vedere ciò che stava accadendo, la peggiore era proprio Jackson Marchetti e ora lui era lì fuori con la persona meno discreta del mondo: Eric.
“Hey” lo salutò casualmente Jackson.
“Co…cosa ci f-fai qui?”.
Stupido, lui fa nuoto!, avrebbe voluto gridare Otis in faccia all’amico.
“Dovevo parlare col mio coach” rispose infatti Jackson. “Tu, piuttosto…come sei arrivato fino ai bagni della piscina?”.
“Beh, beh…non è ovvio? Cosa viene a fare uno nei bagni della piscina?” improvvisò Eric, sghignazzando nervosamente.
“Non ti seguo” ammise Jackson, sempre più confuso.
A quel punto Eric (come anche Otis) trattenne il fiato mentre il cervello elaborava e scartava contemporaneamente mille e più cose da dire. Per loro fortuna, fu lo stesso Jackson a cambiare discorso.
“Non importa; se vedi Otis potresti dirgli che vorrei parlargli?”.
L’istinto pettegolo di Eric prese il sopravvento: “Otis? E di che vorresti parlare con Otis?”.
“A dire il vero…di ragazze. Sai com’è…” affermò Jackson in tono allusivo.
“Oh! Certo, capisco…glie lo riferirò” assicurò Eric, pur sentendosi tagliato fuori.
“Ottimo! Allora io vado, ma mi raccomando: digli che è urgente” disse l’altro, dirigendosi verso l’uscita.
Finalmente Otis poté uscire e guardare l’amico con aria allarmata.
“Ti viene un’erezione davanti a Maeve Wiley, Jackson vuole parlare con te di ragazze…vai proprio alla grande, oggi” lo punzecchiò prontamente Eric.
“Io non…non ho la minima idea di cosa voglia da me”.
“Allora vai e scoprilo”, lo esortò l’altro con una piccola spinta. “A proposito, com’è andata? Ce l’hai fatta?”.
Otis abbassò gli occhi e sospirò. “Figurati: ho ripetuto mentalmente tutta la mia playlist in ordine alfabetico e ho aspettato che passasse da sola” spiegò, seguendo la scia di Jackson e sperando di trovarlo ancora nei paraggi.

Lo vide infatti nel vicino cortile, intento a chiacchierare sulla scalinata con alcune ragazze.
Si affrettò a raggiungerlo e, quando arrivò, le amiche di Jackson fecero facce schifate e ridacchiarono.
“Jackson, Eric ha detto che mi cercavi” esordì con un fiatone da attribuire forse al fatto che fosse ancora zuppo per il bagno in piscina, il quale era probabilmente anche il motivo per cui le ragazze lo stavano deridendo.
Se Eric mi vedesse in questo momento…
“Otis, ciao…ma che ti è successo, amico?” domandò Jackson, indicandogli la maglia umidiccia.
“È una lunga storia, ma lasciamo perdere, se non ti dispiace”.
“Come vuoi…comunque si, ti stavo cercando perché vorrei parlarti di una cosa, una cosa molto importante. Ragazze, potete scusarci solo per qualche minuto?” disse il rappresentante della scuola con il solito charme e le solite apparenze da galantuomo.
Quindi, con il consenso delle altre presenti, i due si spostarono poco lontano.
“Dunque, di che si tratta?”, chiese Otis col classico approccio da terapista, spremendosi le meningi nel tentativo di indovinare l’argomento per il quale Jackson lo cercasse con tanta urgenza.
“Tu sei amico di Maeve, vero?”.
Quel nome gli mise ancor più ansia e fece nascere in lui un senso di autorepulsione, perché si ricordò di quella sera a casa di Aimee quando, nel mezzo di una festa, aveva sorpreso Jackson e Maeve in camera da letto, meno vestiti di quando erano arrivati. E, naturalmente, si ricordò pure della bruciante delusione che provò nel rendersi conto che Maeve poteva permettersi di fare sesso occasionale, mentre lui non riusciva nemmeno a masturbarsi.
Patetico.
“S-si, siamo amici…o almeno credo…”.
“Benone! Quindi immagino che ti abbia detto che di tanto in tanto scopiamo, una roba pazzesca…”.
Otis distolse lo sguardo per un secondo e mando giù l’amaro boccone.
“Io però vorrei andare più a fondo, mi capisci? Maeve mi piace davvero e vorrei conoscerla anche da un punto di vista…extrasessuale”, sghignazzò. “Gira voce che malgrado tutto tu sia un tipo piuttosto esperto e mi chiedevo se potessi darmi qualche consiglio”.
Malgrado tutto, ripeté Otis fra sé e sé, non riuscendo a capacitarsi di come facesse Jackson ad essere così popolare pur essendo così presuntuoso e, talvolta, persino irrispettoso.
“Scusa, ma adesso vado un po' di fretta…” tentò di sottrarsi, ma l’altro lo riportò indietro afferrandogli un braccio.
“Dai, aspetta! Ci vorrà un attimo!” insistette Jackson, che poi tirò fuori dal taschino della sua immancabile giacca un gruzzolo di banconote: “sono disposto a pagarti”.
“Non è per i soldi” chiarì Otis, sempre più contrariato.
“E allora qual è il problema?”.
Il problema è che non meriti di stare con Maeve, pensò Otis, in un insolito moto d’egoismo.
“Senti, Jackson, Maeve mi ha detto che tu e lei messaggiate spesso ultimamente; vedrai che prima o poi lei…beh, lei vorrà le stesse cose che vuoi tu” risposte piccato. Voleva solo tornarsene a casa e dimenticare quella giornata.
“Non ne sono molto sicuro…insomma, Maeve sarà anche brava a letto ma è difficile da capire”.
Fu troppo. “Perché parli di lei come se fosse un oggetto?” domandò provocatoriamente Otis, incontrando il silenzio esterrefatto di Jackson. “Se iniziassi a vederla come una persona ti accorgeresti che basta dialogare con lei per scoprire cosa le piace”; e quando Jackson gli chiese un esempio, Otis elencò celermente i gusti di Maeve, dalle scrittrici femministe che leggeva continuamente ai suoi gruppi punk preferiti.
Solo quando Jackson lo ringraziò si accorse che aveva pigiato il cellulare per tutto il tempo, e realizzò il disastro che aveva combinato.
“Grazie ancora per le dritte, amico!” esclamò entusiasta Jackson, mettendogli i soldi in mano ed impedendogli di rifiutarli una seconda volta. “Ora vado a cercare Maeve: stavolta farò un figurone!”.
Dopo di che si allontanò, lasciando sprofondare Otis in una fossa che lui stesso si era scavato.

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Capitolo 5
*** Non si può ingegnerizzare una relazione ***


Capitolo 5
Non si può ingegnerizzare una relazione

 
L’indomani, sulla via che porta alla scuola, Otis si sentì come uno di quei castelli di carte che rimangono in piedi solo nell’attesa di quel singolo spostamento d’aria che li farà crollare.
Aveva dato (spontaneamente, per giunta) a Jackson l’unica cosa che potesse aiutarlo a conquistare definitivamente Maeve, laddove il suo perfetto aspetto fisico e il suo carattere estroverso avevano finora fallito: una dettagliata descrizione dei suoi hobby, dei suoi gusti, della sua personalità.
“Per quanto ne sai non è ancora entrato in azione” tentò di rassicurarlo Eric, con poco successo. “Puoi ancora fermarlo”.
“Punto primo, non è ancora ‘entrato in azione’ perché ieri Maeve, uscita dalla piscina, è dovuta tornare subito a casa per cambiarsi” precisò Otis, pedalando sulla bici.
“Beh, se non altro puoi dire di averla fatta bagnare!” scherzò Eric, scoppiando a ridere.
“Punto secondo, cosa credi che debba fare per fermarlo? E soprattutto, perché dovrei fermarlo? Io non…non ho nessun interesse per la vita sentimentale di Maeve” provò a mentire, ma l’alzata di sopracciglio di Eric gli rinfacciò la sua poca credibilità.

Arrivati a scuola, si imbatterono subito nella diretta interessata.
“Buongiorno, testa di cazzo!” lo salutò Maeve, come sempre a modo suo.
“M-Maeve, ciao” farfugliò Otis in risposta. “Non hai mica incontrato…ehm…diciamo Jackson, vero?”.
“No. Perché me lo chiedi?” si insospettì lei, mordendosi le unghie.
“Niente, niente” sorvolò Otis. “Piuttosto, come vanno gli affari?”.
“Non molto bene” borbottò la ragazza, nel cui sguardo si nascondevano nuove preoccupazioni. “Abbiamo concluso poco questo mese, e io ho davvero bisogno di soldi, Otis. Alle 11 hai un altro appuntamento con Ruthie: per favore, cerca di chiudere questa storia, sarebbe una boccata d’ossigeno”.
“Uhm, okay, ma…” rimuginò Otis, rivolgendosi poi al suo migliore amico: “Eric, potresti lasciarci un attimo da soli? Avviati in classe, ti raggiungerò a breve”.
“Certo, certo” rispose Eric, incamminandosi poi verso l’aula con espressione sconsolata.
“Diventi sempre più brutale nel liquidarlo. Stai mettendo su una gran bella faccia di bronzo” lo punzecchiò Maeve, con quel sorriso sfrontato a cui Otis non riusciva proprio a resistere. “Allora, di che si tratta?”.
“Farò del mio meglio con Ruthie, ma intanto…”, rovistò con la mano destra nel taschino interno del giubbotto, “…tieni” disse, porgendole dei soldi.
“E questi da dove saltano fuori?” domandò lei spiazzata mentre le luccicavano gli occhi.
“Non ha importanza”.
“Otis, non voglio né beneficenza né debiti”.
“Non avrai nessuno dei due. È…è la tua parte”.
Era un pessimo bugiardo, ma almeno quella volta Maeve se la bevette.
“Ma dici sul serio?”.
Otis annuì, e lei riuscì a stento a reprimere la gioia che, altrimenti, l’avrebbe fatta saltare per tutto il corridoio.
“Cazzo, sei il mio angelo, Otis!” esclamò, con tanto di affettuoso pugno sulla spalla.
Lui non rispose né alla frase, né alla provocazione: si soffermò semplicemente sulle sue labbra, sul loro colore e sulla piega che avevano assunto per la felicità del momento.
Avrebbe voluto baciarla. Avrebbe tanto voluto baciarla. Ma poi si ricordò di Jackson, del casino che aveva combinato e dei soldi che gli aveva dato, e che ora lui aveva dato a lei.
“Non so veramente come ringraziarti. Ci vediamo più tardi” raccomandò quindi Maeve, allontanandosi a rapidi passi.

“Come sono andato?”, chiese Otis compiaciuto alla ragazza che aveva davanti.
“Sei l’unica persona al mondo che riesce a rendere meno sexy il francese” replicò scorbutica Ruthie, roteando gli occhi e scuotendo la testa.
Avevano infatti deciso di spostare la terapia nell’aula del corso di francese, che ovviamente seguivano assieme.
“Già, suppongo che tu abbia ragione” ammise, massaggiandosi le tempie. “Perché non passiamo ad un campo in cui sono più bravo? Cos’è che non va con Tanya?”.
Ruthie abbassò la voce, invitando implicitamente Otis a fare lo stesso: “dovresti dirmelo tu, sei tu l’esperto, no?”.
“Io un’idea ce l’avrei”, confessò. “Sei molto legata alla tua ragazza, questo è fuori discussione…ma, sotto sotto, te ne piace un’altra”.
Lei rimuginò per qualche istante, visibilmente intristita, poi riprese: “Tanya è la mia migliore amica da anni…ed essendosi accorta prima di me di essere lesbica, mi ha aiutata moltissimo con il mio coming out; questo ha portato entrambe a credere che potessimo stare insieme, o che almeno avremmo potuto provarci”.
“Ma non è andata esattamente così” commentò Otis, che stava sapientemente riuscendo a mettere a proprio agio anche un tipo parecchio introverso come Ruthie.
“No, per nulla. Sarà che abbiamo caratteri diversi, sarà l’amicizia di lunga data…ma quando facciamo sesso mi sembra tutto sbagliato, terribilmente sbagliato. Al contrario, quando lo faccio con Jessa”, e indicò con un cenno del capo una ragazza seduta ad un banco poco distante, “mi sento alla grande; mi sembra più…più giusto, mi capisci? Non so proprio cosa fare”.
“Sappiamo tutti e due qual è l’unica cosa da fare, in questi casi” disse Otis. “Devi dire la verità a Tanya”.
“Ne morirebbe”, si strusse Ruthie.
“Io credo che la faresti soffrire di più continuando a fingere, e faresti del male anche a te stessa. Non puoi scegliere da chi essere attratta. Non si può ingegnerizzare una relazione”.
I due si fissarono per qualche secondo, e tanto bastò a Ruthie per convincersi che avesse ragione lui.
“Comunque, un adolescente che dà consigli sul sesso a pagamento resta una cosa strana per me”.
“C’est la vie” ridacchiò Otis, pensando che in effetti era paradossale che uno studente, oltretutto schivo e impanicato come lui, certe volte insegnasse ai ragazzi più cose di quante ne insegnassero i professori. Non sapeva nemmeno perché lo faceva, ma in compenso sapeva benissimo per chi lo faceva.
“Vale anche per te e la ragazza punk?”, domandò improvvisamente Ruthie.
“Come?”.
“Lei ti piace, eppure neanche con lei riesci a ingegnerizzare una relazione, non è così?”.
“A…a me n-non piace Maeve…”.
“Oh no, certo che no” replicò Ruthie sarcasticamente.
“Siamo solo amici”.
“Certo, come me e Tanya”.
“Ripeto: siamo solo amici. E soci in affari”.
Infine credette di scorgere un ghigno sulle sue labbra. “Capisco, capisco. Se però hai qualche piano per lei ti consiglio di darti una mossa: Jackson si è messo in testa di conquistarla ad ogni costo e inizierà oggi stesso a…’corteggiarla’”.
Otis deglutì e spalancò gli occhi. “E…e tu co-come lo sai?”.
Ruthie scrollò le spalle come se quanto stava per dire fosse una cosa ovvia: “l’ho sentito in giro. Lo sa tutta la scuola tranne te, a quanto pare. Di’ un po', balbetti sempre così tanto quando si parla della tua anonima e assolutamente non attraente amica e socia in affari?”.
“Cosa…cosa intende fare precisamente Jackson?”.
“Ah, non lo so, farneticava di biblioteca e un concerto e…”.
Biblioteca. Bene.
“Grazie mille” la interruppe Otis prima di scappare via il più veloce che poteva, ignorando non solo l’espressione basita di Ruthie, ma anche il fatto che con quella scenata aveva praticamente avvalorato la sua tesi.
Si, si, mi piace Maeve. Ed è per questo che devo fermare Jackson. Subito!
Era questo che gli rimbombava nella mente mentre correva a perdifiato verso la biblioteca, senza avere neanche la minima idea di ciò che avrebbe fatto una volta lì.

“Guarda: soltanto tu hai preso in prestito questo libro dal 1972. Non è assurdo?”, gongolò Jackson.
“Non più”, rispose Maeve reprimendo a stento la propria soddisfazione. “Non ti facevo tipo da Virginia Woolf”.
“Perché no? Adoro leggere, e lei era senza dubbi una scrittrice geniale”.
“Su qualcosa siamo d’accordo, allora” lo stuzzicò lei. Forse era davvero scattata una molla nella sua mente, perché volente o nolente cominciava a guardarlo in modo differente.
“Più di qualcosa” assicurò Jackson. “Ti piace il punk, non è così?”.
“Fra le altre cose”, confermò Maeve.
“Fantastico, che ne diresti allora di venire con me al prossimo live dei Pussyfest?” le propose il ragazzo, tirando fuori dalla giacca due biglietti per il concerto della band, che ora sapeva essere una delle preferite di Maeve.
Lei però non mollava facilmente: “mi piacerebbe molto, ma…”.
Non riuscì a terminare la frase perché Otis, a furia di correre, andò a sbattere contro il banco che avevano davanti, e per poco non lo capovolse.
“Che cazzo…”.
“Maeve! C-cercavo…cercavo proprio te”.
Jackson lo fulminò con un’occhiata, ed Otis se ne accorse: “Oh, ciao Jackson! Non…non sapevo ci fossi anche tu…spero di non avervi…disturbati”.
“Possibile che tu sia sempre…affannato, quando ti incontro?” domandò ironicamente il rappresentante scolastico.
Per evitare riferimenti alla loro precedente conversazione, Otis cambiò immediatamente discorso: “Maeve, dovrei…parlarti di una cosa…una cosa riguardante, ehm…la clinica. Ti dispiace, Jackson?”.
“Oh, no”, finse l’altro, “stavo giusto chiedendo a Maeve se le andasse di venire a vedere i Pussyfest”.
La ragazza fece una faccia strana, come se le desse fastidio parlare di certe cose in presenza di Otis: “ed io gli stavo giusto spiegando che stasera non posso. Sono impegnata con un saggio”.
“Eddai…”, insistette Jackson, “prenditi una pausa!”.
Otis si sentì orribilmente a disagio ad assistere a quelle sceneggiate, e anche Maeve era terribilmente imbarazzata, così tagliò corto: “se ho detto no, è no. Divertiti al concerto”.
“Capisco”, si arrese infine Jackson con aria sconfitta. “Ci vediamo in giro. Vale anche per te, Otis”.
Perché suona come una minaccia?, pensò il giovane sessuologo mentre il compagno se ne andava.
Fu dunque Maeve a richiamare la sua attenzione: “Che succede adesso? Problemi con le terapie?”.
“No, no…tutt’altro. Con Ruthie me la sono cavata piuttosto bene. Credo di aver…chiuso la pratica”.
“Tutto qua?” ribatté Maeve in tono piccato.
“Beh…si. Credevo fosse importante”.
“Okay, ma ti sei seriamente fatto quella sfacchinata solo per dirmi che hai ‘chiuso la pratica’ con Ruthie?”, gli fece il verso lei.
“Scusami, non sapevo fossi col tuo ragazzo”.
“Jackson non è il mio ragazzo, Otis. E comunque non sono affari tuoi” ringhiò stizzita Maeve.
“Calma, calma, stavo scherzando!” si difese Otis, alzando le mani. “Anche perché non mi pare che tu l’abbia trattato alla maniera con cui vengono solitamente trattati i fidanzati: sei sempre più brutale nel liquidarlo, hai una gran bella faccia di bronzo”.
Maeve riconobbe la citazione e, malgrado tutto, si fece strappare un sorriso sincero: “scusa se sono stata aggressiva, ma domani c’è la consegna dei saggi alla signorina Sands e sono abbastanza…stressata”.
Preferì tuttavia nascondergli il fatto che dovesse scriverne uno anche per Adam Groff, al quale lo aveva promesso in cambio di altri soldi. Non avrebbe però saputo dire per quale motivo glie lo nascose, se per risparmiargli altri grattacapi o perché, nel profondo, si sentiva una stupida a prestarsi a simili richieste.
“È comprensibile, ma non preoccuparti” cercò di tranquillizzarla lui, pur non azzardando la consueta pacca sulla schiena. “Sono sicuro che andrai alla grande”.
Lei non rispose, ma gli rivolse uno sguardo ricco di gratitudine.
Forse Jackson glie l’avrebbe portata via prima di quanto immaginasse, ma per quel giorno, per quell’attimo, poteva ancora considerarla la ‘sua’ Maeve.
“È meglio che vada. Si sta facendo tardi e quel saggio del cazzo non si scriverà da solo”.
Si alzò, dirigendosi verso l’uscita della biblioteca, e fu in quel momento che Otis valutò l’ipotesi di stravolgere tutte le carte in tavola.
E se invece di aspettare Jackson lo avesse anticipato?
“Maeve!”.
“Si?”.
Coraggio, Otis. È stata lei per prima a tirare in ballo l’idea di andare a cena insieme qualche volta. Invitala, Otis. Invitala!

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