Dietro il roseto

di justasimplename
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1, Tornado ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2, Spiegamelo tu ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3, Senza bicicletta ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4, Natale ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo
 
Mi sporgo dalla finestra ed osservo la vetrata del palazzo di fronte al mio. Alle sette e quarantadue, Brando cammina sempre a passo molto lento per le scale, raggiunge il portone, prende la bicicletta e sfreccia via per le strade di Roma, in mezzo al traffico, ma con una leggerezza e tranquillità disarmante. Sono le sette e quarantuno, aspetto ancora qualche secondo prima di schizzare verso l’ingresso, afferrare lo zaino, salutare mamma e scendere di corsa per trovarmi casualmente accanto alla sua bicicletta.

Sono tre giorni che non ci riesco. Ieri il vicino di casa mi ha fermato per le scale per lamentarsi perché sbatto con troppa forza la porta. Il giorno prima sono inciampata sul cagnolino della signora all’ultimo piano ed ho dovuto fargli una decina di carezze per tranquillizzare la padrona.

Oggi nessuno potrà fermarmi.

Scatta il minuto fatidico e corro verso la porta.

«Torni a casa per pranzo? C’è pasta e lenticchie di ieri!» Esclama dalla cucina mamma, con la voce impastata dal sonno.

«Non lo so, ciao!»

«Non puoi fare come ti pare, lo sai!» Urla lei mentre sbatto la porta. Inizio a correre. Non so l’ultima volta che io abbia corso così velocemente. Forse è stata qualche anno fa, quando stavamo perdendo l’autobus per andare al mare ed il successivo sarebbe passato un’ora più tardi. Mamma odia prendere la macchina, quindi fa di tutto pur di trascinarmi in camminate sotto il sole a mezzogiorno oppure chilometri in bicicletta con il rischio di finire sotto una macchina e rimanervi.

Apro il portone con una forza inaudita ed all’improvviso vedo Brando lì, davanti al suo portone, mentre monta sulla sua bicicletta e mi sfreccia davanti. Corro a prendere la mia e cerco di raggiungerlo, ma niente, come al solito se ne va per le sue. Affannata, pedalo velocemente fino al semaforo, dove grazie al cielo lo trovo fermo. Si gira appena e mi dice: «Non ce l’hai fatta neanche questa mattina.»

«Non mi hai aspettato! Io ero puntualissima!» Mi giustifico, ma non si gira neanche a guardarmi. Appena il semaforo diventa verde, inizia a pedalare celermente verso il marciapiede ed io dietro di lui. Gli faccio un sacco di domande, gli chiedo a che punto del programma sono arrivati in italiano, in latino, in greco, in matematica, in scienze e risponde come al solito con versi monosillabici.

«Sono indietrissimo in latino, devo fare anche Cicerone e il professore comincerà ad interrogare a breve…» Faccio un po’ la civetta, cerco di attirare la sua attenzione ed un suo “Dai, ti posso aiutare io!”, ma Brando non capta minimamente i miei segni di fumo. Forse non sono abbastanza esplicita ed i miei segnali di fumo non riescono neanche a sollevarsi di un metro, forse non si vedono bene. Poi lo osservo, mentre guarda dritto a sé assorto in chissà quali pensieri. No, decisamente il problema non sono io.

«Hai interrogazioni questa settimana?» Gli domando con enfasi, dopo aver elencato i compiti in classe che mi aspettano. Scrolla le spalle ed annuisce, senza dare informazioni ulteriori.

«Non mi dici quali?» Domando, guardando più lui che la strada.

«Matematica. E scienze.» Dice con tono neutro.

«Che cosa state facendo di matematica? Potremmo studiare insieme!»

«No.» Mi dice con tono chiaro «Tu non studi. Perdi tempo.»

«Questo non è vero! Mi impegno tantissimo! Ti ricordi l’interrogazione dell’anno scorso…»

Mi guarda scettico per qualche millisecondo e le farfalle del mio stomaco iniziano a bollire. Sono così tante che potrei cucinarci otto piatti di pasta.

«Beh, non che le interrogazioni di quest’anno non siano andate bene…» Mi giustifico, ma… chi sto prendendo in giro? Studio poco e malvolentieri, quindi mi sembra normare avere la media bassa quanto i numeri che conoscono i bambini dell’asilo nido. Brando ha provato a darmi qualche ripetizioni di matematica lo scorso anno, ma alla fine si è arreso. Perdevo tempo, senza contare il fatto che appena lo ritrovo accanto a me sento l’inesorabile voglia di parlare, di raccontargli tutto, con quella solita voce nervosa ma decisa. E così, dopo poco, mi ha quasi cacciata via di casa, perché lui doveva studiare davvero.

«Prometto che non ti infastidirò!» Esclamo con tono supplichevole, poco dopo essere arrivati davanti all’istituto. Scende dalla bicicletta e fa qualcosa di inaspettato. Si gira verso di me e mi osserva. Non mi guarda con quel solito cronometro che segna appena i tre millisecondi. Mi osserva per cinque, sei, sette… il tempo scorre. I suoi grandi occhi scuri incontrano i miei per un periodo troppo lungo, così tanto da mettermi in imbarazzo. E con lui non sono mai in imbarazzo, sono spensierata, tranquilla, sorrido alla vita e soprattutto cerco sempre di riempire quei silenzi che si creano quando entrambi tacciamo. Eppure, in questo momento così speciale, non sento bisogno di parlare, non sento il desiderio di dire alcunché. Va bene stare così, a guardarci. Anche se i miei occhi non reggono quanto i suoi e li abbasso un po’ in imbarazzo, lui continua a tenere il suo sguardo su di me, con la sua solita espressione severa.

Poi vedo che fa un movimento quasi impercettibile. Mi poggia una mano sulla testa e mi scompiglia un po’ i capelli. Si abbassa un po’ verso di me e sussurra: «Il mio piano per farti recuperare nello studio è fallito tempo fa…»

E se ne va via come fa sempre, senza salutare per bene, senza dare segni di vita, semplicemente voltando le spalle e camminando con la solita nonchalance che lo caratterizza. Non faccio in tempo a chiedergli se ci vedremo dopo scuola per tornare insieme, perché la sua figura alta e slanciata è già sparita per le scale della scuola.

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Salve a tutti! Questa è una piccola prova, ho da un bel po' in mente una storiella del genere e voglio vedere un po' come va. Aspetto i vostri commenti, fatemi sapere cosa vi è piaciuto, cosa no, se la coppia vi piace... Devo dire che il bel tenebroso mi ha sempre affascinato e finalmente ho l'opportunità di riprendere anche io il solito personaggio "clichè" per renderlo un po' diverso. Bacini a tutti!
M.

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Capitolo 2
*** Capitolo 1, Tornado ***


Capitolo 1

Tornado

 

Appena uscita da scuola, vedo le mie due più care amiche. Ho conosciuto Emilia al corso di teatro, poco prima che capisse che non era proprio la sua vocazione, mentre Giordana mi è stata presentata proprio da Emi qualche tempo dopo. Da circa due anni siamo inseparabili, sebbene in classi diverse. Loro due, per grande fortuna, sono in classe di Brando e mi riportano tutte le vicende che lo riguardano (dopo ore ed ore di suppliche, altrimenti ognuna si farebbe gli affari propri).

Emilia lo detesta, dal momento che lei studia il triplo ed ottiene risultati nettamente inferiori rispetto a quelli di Brando, che con appena poche ore di studio riesce sempre a rendere al meglio.

«Allora? Facciamo qualcosa oggi?» Domanda Giordana, tentando per l’ennesima volta di sfuggire ai propri doveri. Emilia scuote rigorosamente il capo, affermando: «Sono indietro con lo studio.»

«Se lo sei tu, penso che noi mortali non riusciremo a superare l’anno.» Commento amareggiata, dopo aver appreso del mio triste sei meno in scienze, dopo aver passato interi pomeriggi a memorizzare termini incomprensibili.

«Potremmo andare a studiare da Cicco!» propone Giordana, ma la guardo con la consapevolezza che non studieremmo affatto, visto che ogni volta che ci fermiamo al bar vicino la scuola finisce sempre per rimorchiare qualche compagno di scuola che si piazza proprio al nostro tavolino, con la speranza di portarla a bere qualcosa.

«Se è come l’altra volta, declino l’invito!»

«Di cosa si parla?» Dietro di me appare Rocco, grande amico di Brando e compagno di classe delle ragazze. Mette le due braccia intorno a me ed Emilia, anche se sembra evidente il trasporto con cui si spinge verso la mia intelligentissima amica. Ha una cotta per lei da secoli, l’unica che non sembra accorgersene è proprio lei. Mi giro appena ed alla mia destra appare Brando, con il suo solito sguardo perso nel vuoto, come se volesse stare da tutt’altra parte.

I suoi lineamenti orientali (la madre è di origine cinese) stanno benissimo con quell’espressione così pacata e calma, mentre intorno a noi tutti si affrettano a parlare, a chiacchierare, a fare mille cose contemporaneamente. L’unico che sembra non sentire questa continua fretta è proprio lui, così calmo e placido, in questa bolla di sapone che racchiude solo noi due. Accenno un piccolo sorriso nella sua direzione, finché non sento la sua voce contrarsi in un: «Perchè sorridi?»

Imbarazzata, mi volto velocemente verso Rocco ed annuncio con voce troppo stridula: «Ecco, andiamo a studiare da Cicco!»

Riesco ad immaginare l’espressione interrogativa di Brando, anche se grazie al cielo le ragazze mi parlano sopra. Emilia tenta ancora una volta di trascinarci via, ma Giordana ha già adocchiato un ragazzo di quinto che passa tutti i pomeriggi al baretto e che quindi sicuramente la sta aspettando lì.

Rocco cerca subito di convincere Emilia, dicendole: «C’erano proprio delle cose che volevo chiederti, andiamo! Brando, che fai, vieni anche tu?» Il silenzio del ragazzo ed il fatto che stia contraendo il suo viso in un’espressione abbastanza annoiata mi fa un po’ rimanere male, ma subito Rocco ricomincia: «E che fai, lasci tornare Tornado da sola?»

Tornado sono io. Tendo sempre a finire nei guai e a creare cataclismi naturali che trascinano me ed i miei amici in condizioni disastrose. Da qualche tempo, almeno da quando conosco Rocco, il mio soprannome è diventato il mio marchio.

Mi giro leggermente verso Brando, con la speranza di un segno di vita.

Lui, un po’… imbarazzato?, si passa una mano tra i capelli, borbottando: «Eh?… Ah, beh, okay.» Giordana mi fa l’occhiolino, mentre Emilia sbuffa innervosita, perché sa che andare al bar può rallentare i suoi ritmi di studio.

Brando mi supera e proprio in quel secondo, afferma: «Non vorrei che Tornado venisse investita da qualche facocero.»

«Ma quale facocero!» Mi lamento appena, ma subito mi parla sopra: «Allora, cosa aspettiamo?»

 

 

Ancor prima di arrivare, Rocco aveva probabilmente già deciso quali sarebbero stati i posti. Lui decisamente al fianco di Emilia, che non fa che lanciargli sguardi furenti, visto il fastidio che prova nell’essere continuamente interpellata durante il suo studio, accanto a lei Giordana, che siede proprio in posizione perfetta per guardare un tavolo di ragazzi carini che se ne stanno dall’altra parte della piccola sala a chiacchierare e a lanciare sguardi al nostro tavolo. Affianco a lei ci sono io, leggermente girata verso Brando per stare comoda, visto che sto strettissima ed ho anche la gamba del tavolo ad infastidirmi. Brando se ne sta un po’ di minuti a fissare il foglio, poi inizia a scrivere qualche cosa su un foglio, forse un’equazione matematica.

Lancio qualche sguardo nella sua direzione, ma rimane impassibile. Metto il broncio e mi giro verso Giordana.

«Se continui così penso che il libro si riempirà di bava.» Le dico. Lei mi fulmina con lo sguardo.

«Credo che il biondino mi abbia puntata… Guarda, è sempre girato da questa parte!»

«In effetti sembra proprio che abbia il collo bloccato in questa direzione.»

A quel punto Brando alza la testa e si gira di poco verso l’altro tavolo. Quando si rigira, scuote la testa e torna sulle operazioni matematiche.

«Hai visto anche tu?» Mi domanda Giordana.

«Quello che ho visto io. Si è girato. Lui si fa sempre gli affari suoi, per quale motivo si sarebbe dovuto girare?»

«Credo sia perché è un essere umano...» Bisbiglio in direzione della mia amica. A quel punto qualcosa di strano accade, ma non subito. Il biondino si alza dal tavolo e viene nella nostra direzione. Ogni volta che usciamo Giordana ne accalappia uno, dunque il fatto che si avvicini per parlarle non è un grande scoop.

Eppure, nel momento in cui si accosta al nostro tavolo, prende una sedia, la sistema appena dietro me e Brando e mi porge la mano, con un sorriso smagliante. Posso sentire lo scombussolamento di Giordana ed i suoi occhi di fuoco su di me, mentre tutti i miei amici si girano verso il giovane. In particolare, anche Brando alza la testa e si gira con un movimento impercettibile ed i suoi occhi si posizionano proprio sulla mano del giovane, porta nella mia direzione.

«Sono Stefano, ti ho notata da un po’, come ti chiami?»

All’inizio penso che sia una semplice scommessa fatta con gli amici. Bisbiglio il mio nome e per un po’ cerco di farlo andare via perché tutti i miei amici sembrano in imbarazzo. Mentre Stefano racconta qualcosa di sé, forse di scuola, sento una voce dire: «Potresti farti più indietro? Stiamo stretti.»

Dietro la testa del biondino, Brando si gira con occhi un po’ infastiditi e Stefano si sposta un po’ più indietro, senza però prenderla al meglio.

«Ti va di prendere qualcosa insieme? Possiamo chiacchierare un po’.»

Emilia cerca di intromettersi, spiegando: «Stiamo studiando, sono sicura che se le lasci il numero si farà sentire lei, vero?»

Rimango leggermente esterrefatta dalle sue parole. Come ha potuto dire cose del genere davanti a Brando? Certo, non che lui abbia mai mostrato grande interesse per me, ma parlare così significa sminuire il mio enorme lavoro fatto con lui. Mando giù la saliva, mentre Giordana annuisce e dà man forte alla nostra amica.

«Esatto, tieni, ecco foglio e penna!» Mi dice, porgendomeli.

«In realtà...» Dico appena, interrotta da un rumore assordante.

Brando sposta la sedia provocando un forte chiasso. Si alza in piedi e tutti gli occhi sono su di lui. Anche Stefano si è girato appena, abbastanza sorpreso dal modo di fare del nostro compagno. A quel punto supera appena la sedia di Stefano, mi afferra per un braccio e mi trascina via. Non riesco a capir bene cosa stia accadendo, con una presa ferrea sul mio braccio e con un passo abbastanza celere, passando proprio davanti al tavolino degli amici di Stefano, mi porta via, per chissà quale ragione. Non comprendo appieno ciò che è accaduto finché non siamo fuori dal bar, davanti all’entrata. Mi tiene ancora per un braccio, senza però cercare i miei occhi. Anzi, sembra provare ad evitarli, con lo sguardo portato verso l’alto.

«Brando, ti senti bene?» Gli chiedo «Stai stringendo un po’ troppo.» Gli indico appena il polso e lui lo guarda, lasciandolo andare con la stessa velocità con cui l’ha preso.

«Che ti è preso? Guarda che gli avrei detto di lasciarci studiare...»

«Beh, sì, è proprio per questo.» Dice con grande trasporto, quasi fingendo «Ho bisogno di calma per studiare.»

«Ma se tua mamma dice che studi con la televisione accesa tutto il tempo!» Ridacchio divertita, pensando alle varie volte in cui la signora Jiang, incontrandomi davanti alla via di casa nostra, mi racconta tutte le stranezze di suo figlio.

Brando sembra quasi arrossire: «Beh, dipende. Oggi volevo un po’ di pace.»

«Potevi dirlo e basta, ora tutti pensano che tu sia geloso...» Lancio l’amo, ma Brando non lo afferra minimamente. Anzi, lo guarda cadere nell’acqua e nuota intorno ad esso evitandolo completamente: «Ti sbagli. Vi sbagliate.»

Mi aspettavo un’altra reazione, devo ammetterlo. Ci rimango un po’ male mentre parla così, con tono affrettato ed un po’ acido. Eppure lui è così, lo è sempre stato e sempre lo sarà.

«Mi ha dato fastidio.»

Alzo lo sguardo appena e lui si gira verso di me. Mi guarda qualche secondo ed ho paura di aprire bocca per rovinare questo momento.

«Non voglio che altri abbiano il tuo numero.» Dice infine, voltandosi di nuovo verso il ciglio della strada.

Il cuore mi si ferma per qualche secondo. È questo l’amore?

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Capitolo 3
*** Capitolo 2, Spiegamelo tu ***


 

Capitolo 2

Spiegamelo tu

 

Sono in macchina con mio padre. Lo vedo molto raramente, è russo e fa avanti e indietro per riuscire a vedermi almeno due giorni l’anno. La sua storia con mia madre non è una di quelle storie d’amore affascinanti riportate nei film. Entrambi ubriachi, mi hanno concepito ad una squallida festa al mare, chissà dove. Non ho osato chiedere. Egli era in vacanza con degli amici e quando mia madre l’ha contattato per dargli la grande notizia lui non parlava neanche decentemente italiano. Ha imparato un po’ con gli anni per comunicare con mia madre, mentre con me ha sempre parlaro uno stretto russo che comprendo bene ma a cui ho rivolto un passivo interesse negli anni. Durante i primi anni dopo la mia nascita, ha vissuto a Roma per starmi più vicino, poi ha iniziato a lavorare per un’azienda che gli avrebbe permesso di fare soldi e riuscire a vedermi e stare a Roma per un po’.

Ha affittato un’enorme automobile per portarmi a casa della fidanzata, una signora di circa trentacinque anni che ha conosciuto qualche tempo fa ad un corso di italiano per stranieri che lo ha portato a conoscere cinquanta parole in più.

Appena arrivato, mi lascia sulle gambe una pianta verdissima in vaso con grandi fiori bianchi per la sua amatissima professoressa. Non è la prima volta che la incontro, lo scorso mese ci ha portate in un piccolo ristorante in periferia e per sbaglio le ho versato dello spumante sulla camicetta mentre brindavamo ad un nuovo inizio. Ancora non capisco di chi.

«Ты будешь её любить!*» Esclama contento, mentre sfreccia per le stradine di Roma, ricevendo poche lusinghe da altri guidatori accaniti.

«Reggi bene pianta!»

«Gli articoli continui ad ignorarli, però.» Ridacchio, sorbendomi un’occhiataccia da parte sua.

«Per me sono molto difficili… Qui è giusto?»

«Certo, non ci sono articoli in questa frase!»

Abbasso lo specchietto per controllare il trucco. Non che io abbia esagerato. Ho un po’ di lucidalabbra che Giordana ha dimenticato da me qualche settimana fa e che mi sono ripromessa di restituirle almeno prima del suo ventesimo compleanno e poi una matita che mi ha regalato babushka2, dopo essermi venuta a trovare l’anno scorso. Mi ha detto che è un cosmetico che va molto di moda in Russia, comprato in una strepitosa boutique, ma si è scordata di cancellare la scritta “Negozio dell’aeroporto” sulla bustina.

Bruscamente papà frena la macchina ed il suo telefono vola dritto ai miei piedi. Sposto leggermente la pianta a destra per riuscire a vedere dove sia finito il dispositivo e papà mi indica distrattamente un punto davanti alle mie ballerine nere. Le sposto, poi alzo velocemente il vaso per riuscire ad allungarmi e prendere il telefono, quando improvvisamente la pianta va a sbattere contro lo specchietto abbassato. Due dei tre fiori della pianta cadono proprio sulle mie gambe e non faccio in tempo a nasconderli che papà grida: «Что ты делаешь?!?!»2

 

Quando arriviamo davanti al portone della cara signora Orietta, papà mi lancia un’occhiata furente. Siamo già in ritardo, perché l’orologio precisissimo dei russi è stato sconvolto dal mio ritardo (mi sono appisolata sulla scrivania ed improvvisamente erano le sette di sera) e quindi papà non ha avuto tempo di comprare una nuova pianta. Ripete borbottando “Che vergogna, che vergogna…”

«Faresti una bella figura se glielo dicessi in italiano, lo apprezzerebbe!»

Mi lancia un’altra occhiata ed i suoi occhi azzurri sono diventati blu malvagità.

Suona al campanello ed appena la vede le sorrise con quel viso da innamorato sconvolto che trattengo ogni volta che vedo Brando. La abbraccia con fare celere, forse cercando di farle distogliere lo sguardo dalla pianta demolita. Quando però lei si volge a me per darmi un caloroso saluto, sono costretta a porgerle la pianta.

La guarda con un po’ di stupore (del tutto negativo) e poi dice con finta enfasi: «Che bello, grazie, Allegra.»

Prende il vaso tra le mani e rivolge un lieve sorriso anche a papà. A quel punto le porgo i fiori caduti con un sorriso esagerato: «In realtà ci sarebbero anche questi!»

 

La serata trascorre tranquillamente, papà Ivan ed Orietta discutono con classe di argomenti importanti davanti agli occhi esterrefatti degli altri amici di Orietta, che sembrano estasiati dalla cultura di papà. Anche io, rimasta in disparte, mi chiedo dove abbia appreso la procedura per la creazione del miele.

Me ne sto davanti al telefono, aspettando che Giordana o Emilia rispondano a qualcuno dei miei messaggi. Proprio dopo la frutta, il telefono inizia a squillare. Il mio cuore perde un battito quando leggo scritto “Brando” sullo schermo. Lo prendo in mano e trattengo delle urla esagerate che potrebbero attrarre su di me l’attenzione dei commensali.

Corro verso il balcone e schiaccio il tasto verde, cercando di trovare un tono disinvolto e tranquillo con cui mostrare la mia superiorità.

«Pron..to?» Proprio a metà parola mi parte un fastidioso singhiozzo.

«Eh? Ma non sei Rocco… Gli hai rubato il telefono?» Domanda Brando sospettoso.

«Ehi! Sei tu che hai chiamato me!»

«Ah, beh. Devo essermi sbagliato, allora.»

«Aspetta, non riattaccare!» Dico, con tono più alto del normale. Fa una pausa, in attesa che io dica qualcosa.

«Hai da fare più tardi?»

Non so da dove esca tutto questo coraggio, ma come al solito Brando non se ne preoccupa. È abituato a questi miei scatti verso di lui, ai disperati tentativi di attrarre la sua attenzione in modi alquanto disperati.

«Cosa vuoi fare?» Chiede in maniera neutrale, senza lasciar trapelare alcun sentimento o trasporto.

«Se vieni in terrazza possiamo spiare la famiglia folle.»

Cosa che facevamo anche da piccoli, spiare la famiglia folle consiste nel fissare in maniera esagerata la signora Golioni, una madre di cinque figli che corrono per casa senza ritegno e che infastidiscono tutto il palazzo appena aprono bocca. Il più grande dei ragazzi ha la nostra età, ma non lo vediamo mai in giro. Fissare la famiglia Golioni con i pop corn è la cosa più divertente. Non fanno altro che scalpitare per casa, litigare con la madre e portarla allo sfinimento. Quando avevamo otto anni, la donna aveva due gemelli di un anno ed un figlio di otto. Con gli anni poi ne sono nati altri due, che ora hanno rispettivamente sei e cinque anni. Uno stress emotivo in più che ci allieta la giornata. Ed il silenzio di Brando mi dice che questo appuntamento è stato fissato.

 

 

«Hai davvero portato i pop-corn?» Gli domando ridacchiando e prendendo posto sulla panchina che abbiamo appositamente sistemato dietro alla ringhiera del soggiorno. Da lì si vede la vetrata del salone di casa Golioni.

«Certe cose o si fanno bene o non si fanno.» Dice senza guardarmi in faccia e prendendo posto sulla panchina. Mentre si sistema sul lato sinistro, io mi appoggio lentamente, incrociando le gambe. Dovrei dire qualcosa? Di solito sono così chiacchierona! Ora mi sembra di non conoscere argomenti in comune di cui parlare. Da quando mi ha fatto capire che è geloso, certamente sono stata più rasserenata dai suoi continui sbalzi d’umore, ma al tempo stesso non capisco cosa accada tra noi. Il suo viso, appena colpito dalla luce di un faro poco distante da noi, appare come quello di un divo di Hollywood davanti alla telecamera. Non so come faccia ad apparire sempre così perfetto e composto, mentre il mio trucco invece deve essersi rovinato con il passare della serata.

«Fa freddino stasera, vero?» Riprovo.

«Ho smesso di domandarmi come mai tu scelga le serate invernali per fare queste cose.»

«Eh?»

Si gira verso di me ed i suoi occhi color caramello incontrano i miei: «Se ti do il mio giacchetto, morirò ibernato.»

«Ah, no, ma io non volevo...»

«Allegra.» Non mi chiama per nome dalla quinta elementare. Di solito trova sempre mille altri modi per chiamarmi, magari dicendo “Tu”, oppure “Tornado”, oppure mi dà del tu senza minimamente chiamarmi. Insomma, sono sempre a scodinzolargli dietro come un cagnolino, non ha decisamente bisogno di cercare di attirare la mia attenzione. Mentre mille di questi pensieri si fanno avanti nella mia testa, mi giro appena verso di lui, anche se troppo emozionata per guardarlo bene negli occhi. E credo che la cosa valga anche per lui, che si gira verso il panorama di nuovo, su una Roma che traballa tra macchine che sfrecciano, gruppetti di ragazzi che ridacchiano con qualche birra in mano e gatti solitari che si nascondono nei vicoli ciechi.

«Io non sono pronto a stare con una persona.» Dice, senza alcun ripensamento. Non mi aspettavo queste parole, certo. È anche vero che le immaginavo, che so che probabilmente non prova le stesse cose che provo io, che non vuole, che non so. Ma sentirlo è come un pugno nel petto.

Si gira ancora e questa volta mi guarda con precisione, senza vergognarsi.

«...Ma se fossi pronto quella persona saresti tu.»

Queste parole lasciano scappare tutte le farfalle nello stomaco che da almeno una buona decina di minuti cerco di trattenere. Il suo sguardo è freddo, il suo aspetto è ponderato come il tono di un politico che ha già vinto le elezioni, ma ciò che più mi sorprende è che, dal nulla, si avvicina di poco e posa la sua mano sulla mia già appoggiata alla panchina. Sulla mia mano sudaticcia per l’ansia, per lo stress, per l’imbarazzo. Improvvisamente i mille scenari che avevo immaginato più e più volte nella mia mente svaniscono per fare spazio ad una verità inattesa. Ma non sono pronta a questa verità. Scatto in piedi, in preda al panico e la mia mano slitta via dalla sua presa.

«Eh?» il tono esce stridulo e fastidioso.

«Hai già sentito.»

«Sì, ma… che fai, non mi dici niente? Solo questo?»

Mi guarda di sfuggita, prima di tornare con la mano ai suoi grassi pop corn.

«Non sono un tipo di molte parole.»

«Beh, per una volta potresti esprimerti un po’ meglio, no?»

La mia testa, come se avessi sbattuto contro un grande masso, mi dice di andare via.

«Devo andare.» Non balbetto, ma le mie gambe lo fanno, barcollando come se avessi bevuto centinaia e centinaia di bevande alcoliche.

* "Tu l'amerai!" oppure "Ti piacerà!"
2: "Che cosa stai facendo?"
 

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Capitolo 4
*** Capitolo 3, Senza bicicletta ***


Capitolo 3

 

Senza bicicletta

 


Da due giorni a questa parte non parlo con Brando. È il tempo più lungo che abbiamo fatto passare senza vederci o sentirci. O meglio “ho” fatto passare. Sono seduta sul mio balcone, che grazie al cielo affaccia dall’altra parte della strada e non davanti casa di Brando. A breve mi raggiungeranno le mie amiche per guardare un po’ di film insieme. Ho passato le ultime quarantotto ore a chiedermi come agire. Chiamarlo? Fare finta di niente? Di certo non posso buttare all’aria anni ed anni di amicizia solo perché lui non è pronto per una relazione.
Ho anche chiamato Rocco con una scusa stupidissima, pur di sapere che cosa stesse facendo Brando.
«Ciao, Rocco. Come stai? Sono Allegra.»
«Lo so chi sei, me lo dice lo schermo del mio telefono.» Al che ho fatto passare qualche secondo prima di dire: «Allora, che dici? Stai studiando?»
«Sono nel bel mezzo di una partita online, cara, vai al sodo.»
«Ah, sì…» Anche Brando è appassionato di giochi al computer. Qualche anno fa ne ho comprato uno, tanto per capire cosa vi trovasse di così avvincente. Ora io e mamma lo usiamo come poggia-telecomando davanti alla televisione.
«Sai, ti chiamavo per dirti di Emilia…» Come se avessi nominato Dio sceso in terra, ha subito cambiato tono, apparendo molto interessato alla vicenda: «Che dice? Non ci siamo visti questo fine settimana.»
«Già, esatto, proprio per questo, VOI avete programmi?» Domando, calcando il più possibile il “voi” ed appiccicando il telefono all’orecchio come se in tal modo la risposta potesse arrivare più velocemente.
«Bra’ sta montando dei mobili a casa, ma io ci sono per qualsiasi uscita. Quando pensavate di vederci?»
«Ah, non so, tu che dici? Quando potremmo esserci TUTTI?»
«Non so, martedì?»
Martedì pomeriggio Brando gioca a calcetto con i ragazzi dell’oratorio, come può propormi proprio martedì? È evidente che il ragazzo capisca poco, ancora meno quando gioca al pc.
«Ma martedì non saremmo TUTTI.» Insisto, camminando nervosamente per la stanza. Mugugna qualcosa e poi grida: «Gattuso!»
«Cosa? Gatto?»
«No! Mi ha appena rubato palla! Bra’, fai qualcosa!» Urla concitatamente.
«Stai giocando con Brando?» Chiedo, prima di aggiungere «Rispondi solo sì o no.»
«Cavolo, Alle’, di solito sei strana, ma oggi non sembri in te… Comunque sì, sto giocando con…»
«Stai zitto!» E riattacco velocemente il telefono.
Altri momenti di grande imbarazzo sono sorti quando ho incontrato la mamma di Brando per strada. Stava tornando con le buste della spessa e sebbene avessi intenzione di correre nel portone ed evitare ogni scontro con lui, mi sono offerta almeno di portare due buste fino al parcheggio. La signora Yu è una donna simpaticissima. Viene da Shangai, è alla mano e parla un italiano molto divertente. Tra l’altro, pensa che io sarei la donna perfetta per suo figlio e l’amore di una suocera è la cosa più importante. Mentre ci avvicinavamo al palazzo e le rispondevo distrattamente riguardo la scuola ed il lavoro di mamma, ho visto spuntare Brando davanti a me. In quel momento, senza neanche dire una parola, ho gettato a terra le buste e me ne sono corsa via, sotto gli occhi sconvolti della signora Yu e quelli indifferenti di Brando.
«Eccoci qui!» Esclama Giordana, entrando sul balcone. Mamma deve averle fatte entrare.
«Ciao. Sbrigatevi, sedetevi, ho delle novità.»
Racconto tutto nei minimi dettagli, tutti i momenti in cui ci siamo quasi incrociati e la chiamata con Rocco.
«Tesoro, ti aspettavi davvero che Rocco percepisse qualcosa?»
«Hai sbagliato tutto!» Mi rimprovera Giordana «Dovevi baciarlo con passione sul terrazzo, sarebbe stato romanticissimo!»
«Ma che dici? Le ha praticamente detto che non la vuole!» Esclama in risposta Emilia, indignata.
«Non so che fare… non so che dire!»
«Fatti desiderare! Ti organizzo un’uscita con mio cugino!»
«NO!» Gridiamo in coro io ed Emilia. Il cugino di Giordana, Sasha, è un ragazzo russo che ci ha presentato l’anno scorso. Richiamato dal sangue russo, mi ha chiesto di uscire e siamo andati al cinema due volte, ma dopo la seconda volta ho deciso di scappare dalla sala, scrivendogli un “scusa, mi sono sentita male!” perché non faceva altro che scaccolarsi. Questo piccolo dettaglio è rimasto sconosciuto a Giordana, che continua a chiedersi come mai io ed il suo fidatissimo ed amoroso cugino non siamo una coppia fissa.
Emilia cercò di svagare: «Non mi pare il caso. Brando non è tipo da ingelosirsi!»
«Esatto!» La appoggio io.
«Ma cosa dite? Avete visto al bar? Era nero dalla gelosia!»
«Beh, penso che sia ora di presentarle mio cugino, non possiamo mica sempre usare il tuo come pupazzetto.» Dice Emilia, anche se spero ironicamente. La ringrazio con un’occhiata e passiamo finalmente al film. Mentre lo guardiamo, mamma fa avanti ed indietro per il salone, mentre parla agitatamente al telefono.
«Mamma, ti sposteresti?»
Mentre ci distraiamo tutte dal film, i miei occhi si posano verso la finestra del soggiorno, quella stessa finestra che dà sul palazzo di Brando, chiedendomi dal profondo del cuore se anche lui, in questo preciso istante, mi stia dedicando almeno un pensiero.
 

È lunedì e la ruota della mia bicicletta è più bucata del cervello di Rocco. Sono uscita anche mezz’ora prima di casa per evitare di incontrare il signor Apatico e mi ritrovo a combattere alla velocità della luce con una bicicletta che è durata anni ed anni e che proprio oggi deve necessariamente abbandonarmi. Provo anche a chiamare mamma, che oggi va a lavorare più tardi, ma evidentemente sta ancora dormendo. Alla fine decido di incamminarmi. Una qualsiasi persona normale avrebbe scelto la via più semplice e diretta, ma non sono mai stata molto normale. Allora decido di prendere la via lunga. Non posso permettermi di incontrare Brando e mostrargli la mia debolezza: non so gonfiare una gomma della bici, perché ogni volta ci ha sempre pensato lui e mentre me lo spiegava con grande accortezza, io lo guardavo e pensavo “Quanto sei carino, esci con me?”
Arrivo a scuola in ritardo, la professoressa si arrabbia perché il giorno in cui ha la prima ora arrivo sempre molto dopo la campanella. Il martedì di solito incontro Giordana ed Emilia al bar per una ciambella, ma questa mattina sono rimasta senza bici, senza ciambella e senza dignità. Durante la ricreazione, la rappresentante di classe si avvicina per chiedermi se voglio partecipare alla recita di fine anno, il gruppo di teatro è a corto di comparse ed hanno bisogno di una mano con i costumi ed il trucco.
«Non sono brava a truccare in realtà» Tento di lavarmi le mani, ma Eloisa insiste: «Non devi per forza truccare, ci sono molte altre cose da preparare. Davvero, mi fa piacere che tu ci sia, mi ricordo ancora quanto bene recitavi qualche anno fa!»
Le opzioni sono due: forse ricorda qualcun altro oppure sta solo cercando di tirarmi dentro questa sciocca iniziativa che ho abbandonato per via dello studio. Mamma è regista, adora la recitazione in tutte le salse, perciò ho sempre recitato, ma nelle recite scolastiche mi sono sempre limitata a qualche ruolo marginale o poco importante, perché sono timida a livelli incredibili, e sicuramente non posso essere quella talentosa giovane che Eloisa ricorda. Alla fine cedo, ma me ne pento subito dopo. Nel corso di teatro ci sono almeno quattro dei miei fastidiosissimi compagni di classe, che, appena si accorgono della mia partecipazione, mi sorridono calorosamente, anche se so per certo che non si ricordano neanche il mio nome.
Dopo scuola mi incammino verso casa di nonna, un bell’appartamento all’ultimo piano di un palazzetto vicino al Tevere. Cammino proprio affiancando le acque verdognole che scorrono rapidamente e mi stringo nel cappotto per il freddo. All’improvviso, quello che è sempre stato uno dei miei sogni più ambiti si fa realtà. Sento il campanello di una bicicletta farsi vivo e mi giro. Brando frena subito ed è dietro di me, sembra quasi affannato.
«Hai corso fino a qui per parlarmi?» Gli chiedo speranzosa, con un sorriso così ampio. Non ne posso farne a meno. Me lo trovo davanti così, bello come il sole e sudato come un giocatore di calcio dopo aver corso per novanta minuti.
Aspetta qualche secondo per rispondere e poi asserisce: «Certo che no. Torni a casa?»
«Sto andando da nonna» Dico dondolandomi come un personaggio dei cartoni animati. Deve essere il freddo o la situazione imbarazzante che sto vivendo, o tutte e due insieme.
«Capito. Come mai non sei in bicicletta?»
Ho qualche secondo per inventarmi qualche scusa e fare la solita bugiarda patologica che non cambia mai, oppure dire la pura verità, ammettere la mia ignoranza e sottolineare come io non sappia fare niente senza di lui.
«Oggi serviva a mia madre» Annuisco più a me che a lui, portandomi una ciocca ribelle dietro l’orecchio. Rimane in silenzio, ma nel suo sguardo riconosco la consapevolezza delle mie sporche balle.
«Salta su, ti do un passaggio» Mi dice, facendosi poco avanti con la bicicletta «Dai.»
«Ma no, non ce n’è bisogno, sono vicinissima comunque e poi mi piace camminare.»
«L’ultima volta che ti ho vista camminare è stata.. Quando? Nel 2012?» Domanda con tono neutro e pacato.
«No! Cammino spessissimo!»
«Non si vede.» Mi provoca, questo è evidente. Mi lancia un’occhiata seria ed alza le sopracciglia.
«Va bene, forse ho preso qualche chilo, non per questo sono fuori forma!» Mi metto sulla difensiva, portando le mani ai fianchi come una bambina capricciosa. Lo ammetto, sto dando il peggio di me.
Mi guarda qualche secondo e poi ripete: «Dai, sali.»
Non me lo faccio ripetere due volte. Mi siedo dietro di lui, sperando che i chili di troppo non facciano sbilanciare troppo la bicicletta. Inizia a pedalare con difficoltà all’inizio, poi inizia a sfrecciare per le vie romane, tutto piegato sulla bici ed intento a correre così rapidamente da sfidare il vento. Mi reggo al sellino impacciata ed esclamo in modo che mi senta: «Quest’aria è freddissima!»
Lo sento ridere a bassa voce, poi alzarla e dire: «Reggiti a me, Allegra!»
E così lo stringo, imbarazzata dal contatto con il suo corpo. E questi addominali quando sono nati? Ricordo che quando siamo andati al mare quest’estate aveva un briciolo di adorabile pancetta che mi faceva sentire ancora la sua normalità. Quella pancetta sembra svanita… Mi appoggio di più a lui ed il suo profumo mi inebria completamente. Sorrido sulla sua schiena, mentre lui si raddrizza un po’ per darmi la comodità necessaria a farlo. Chissà se anche a lui questo contatto crea lo stesso effetto che fa a me…
«Allegra?» Per la seconda volta nella giornata pronuncia il mio nome, questa volta urlando ancora più della prima. Attraversa velocemente la strada e si affianca al marciapiede, poco prima di girare ad una traversa che conduce a casa di mia nonna.
«Sì?» Chiedo, forse con voce troppo alta, ora che siamo più lontani dal traffico di punta.
«Non fare tanto caso alle cose che dico. Io… non sono bravo con le parole.» Lo sento irrigidirsi mentre dice queste cose, come se volesse trattenere il respiro e lasciar andare tutto quello che prova per gli altri. Eppure non capisco… Ritira quello che ha detto? Gli interesso? Non gli interesso? Ha deciso di fare un corso di retorica per imparare l’ars del farsi capire per bene?
«Mi interessi sempre.» Dice a voce più bassa, mentre il mio cuore perde un battito. Non voglio che si fermi, voglio continuare a stare qui, appoggiata alla sua schiena, mentre una Roma pigra e fredda scorre dietro di noi. Annuisco un po’ intontita, più a me che a lui, che non può vedermi.
«Eccoci.» Frena bruscamente davanti al grande palazzo ed all’improvviso sembra il solito apatico Brando.
«Allora ci vediamo.»
«Non ti va di salire?» Gli domando, almeno faccio un tentativo.
«No, mamma ha già preparato il pranzo. Salutami tua nonna.»
«Okay.» E sfreccia via, lasciandomi più confusa che mai e con un grande fardello nel cuore.

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Capitolo 5
*** Capitolo 4, Natale ***


Natale

 
Il Natale si sta avvicinando ed il centro di Roma si anima di luci, colori, bambini che osservano trepidanti le vetrine dei negozi di giocattoli ed il freddo penetra nelle ossa, mentre turisti e romani camminano a passo rapido tra le strade più popolate.
Sono con Brando, Rocco ed Emilia. Il mio obiettivo è quello di dare una bella svegliata ad Emilia e fare in modo che finalmente si accorda dei lunghi sguardi romantici che addirittura un salame come Rocco è riuscito ad indirizzarle per così tanto tempo. Giordana mi ha subito liquidato con qualche parola sbrigativa al telefono: sta uscendo con un ragazzo di quinto che sbava per lei dai tempi delle medie e che finalmente si è deciso e le ha chiesto di uscire. Si chiama Mario, è un ragazzo alto e largo come gli armadi in promozione sotto le feste e, da quello che abbiamo potuto vedere, stravede per lei, anche se Giordana non gli fa molto caso. Diciamo che non vuole rimanere sola durante le feste natalizie, dunque gli ha dato una possibilità.
E spero anche che Brando mi faccia un bel regalo di Natale e che finalmente mi dichiari il suo amore. La vedo difficile, visto il muso lungo che ha da quando è sceso per le scale lentamente, scocciato per l’intento della nostra uscita. Emilia e Rocco sono all’oscuro di tutto ciò, sebbene Rocco non faccia che avvicinarsi ad Emilia e raccontarle qualche buffo episodio sui dinosauri.
«Rocco, sono davvero affascinata dalle tue conoscenze, non pensavo che nel tuo cervello entrasse qualcosa che non fosse relativo al calcio!» Esclama Emilia con tono sarcastico, seccata dall’uscita. Vuole iniziare già a studiare per le interrogazioni di Gennaio e tenersi al passo con la sua tabella per essere la migliore studentessa di tutto il terzo anno.
«Beh, in effetti mi piacciono molto i dinosauri, penso che siano carini.»
Davanti a questa affermazione, anche Brando storce la bocca. Probabilmente addirittura un tipo così asociale si rende conto di come poco possa attrarre una frase del genere. Ridacchio divertita e gli sussurro: «Non sembra che stia andando molto bene.»
«Se mi ci mettessi, potrei addirittura fare meglio di lui.» Borbotta, non curante del fatto che Rocco fosse proprio lì davanti e che avrebbe potuto sentirlo senza problemi. Cammina con le mani nelle tasche dei jeans, il solito ciuffo nerissimo e lucido davanti la fronte e lo sguardo perso chissà dove.
«Davvero? Non penso che Emilia sarebbe molto ben disposta nei tuoi confronti.» Continuo a ridere, pensando alla mia amica dopo aver scoperto di essere arrivata seconda al compito di matematica della settimana precedente. Gli ha anche urlato che prima o poi la prima sarà lei.
Brando si gira verso di me e mi guarda negli occhi, prima di sussurrare, questa volta con tono bassissimo: «Non parlavo di lei.»
Mando giù la saliva con grande nervosismo e bisbiglio, questa volta evitando con intenzione il suo sguardo: «Forse ti elevi un po’ troppo…»
«Hai ragione, vista la mia altezza dovrei smetterla.»
Emilia mi fa un cenno e mi trascina via dalla profonda conversazione con Brando. Possibile che non sia possibile rimanere soli mai? Saranno almeno due settimane che ci vediamo pochissimo. E con pochissimo intendo la mattina prima di andare a scuola, il pomeriggio prima di tornare ed ogni tanto durante le nostre solite uscite di gruppo. Da quando mi ha riaccompagnato con la bicicletta ci siamo visti sempre in compagnia di Giordana, infastidita dal fatto che nessun ragazzo ci provasse più con lei («Forse mi sono ingrassata?»), oppure da Rocco, che non faceva altro che chiederci come mai Emilia non lo guardasse allo stesso modo o addirittura la mamma di Brando, la dolcissima signora orientale che non ha fatto altro che coinvolgermi nelle vicende familiari senza mai lasciarci un attimo soli. Una settimana fa ha organizzato una festa in stile orientale, per ricordare a suo figlio e a sé stessa le proprie origini, ed ha deciso di invitare anche me. Siamo stati tutto il tempo nel salotto, a nessuno è stato concesso di spostarsi in altre stanze, perché l’obiettivo di quella riunione era la familiarità che veniva a crearsi l’uno con l’altro. Brando sembrava abbastanza scocciato di dover passare tutto quel tempo in quelle condizioni e così vicino a tutte le amiche di sua madre, ma ogni tanto si è voltato nella mia direzione e ciò mi ha fatto stare bene. Mi ha anche raccontato la storia di qualche piatto tipico, sicuramente si sente molto vicino alla cultura di origine e la cosa mi ha commosso parecchio. A fine serata mi si è avvicinato e mi ha detto: «Sicuramente partecipare ad un’iniziativa del genere deve averti annoiata parecchio.»
«No, anzi…»
«Sei un po’ troppo stupida per certe cose.» Mi ha detto alla fine, con un buffetto sulla testa.
«Ehi!»
Mentre mi ritrovo nella mia nuvoletta dei ricordi, Emilia mi si avvicina ed esclama con falso entusiasmo: «Guarda questi nuovi tagli di capelli, Allegrina!» Mi trascina davanti alla vetrina di un parrucchiere e bisbiglia: «Che intenzioni hai? Pensavo fossimo amiche!»
«Sto solamente cercando di fartelo conoscere meglio…» Mi giustifico sottovoce, lanciando un’occhiata verso Rocco. Sta tentando di catturare un moscerino con entrambe le mani, mentre Brando lo fulmina con lo sguardo. Emilia guarda insieme a me e poi ribatte con tono nervoso: «Tu vuoi sistemarmi con quell’essere senza cervello?»
«Dai, è un ragazzo molto sensibile e poi sa tutto sui dinosauri!» Dico con entusiasmo, ricordando gli infiniti e noiosissimi dettagli delle sue conversazioni solitarie. Emilia alza gli occhi al cielo ed infine mi dice: «Levamelo di torno, o sarò io a dirgli che con me non ha possibilità!»
«Non essere così meschina! Emi!» Ma Emilia torna nella loro direzione e lo afferra per un braccio, trascinandolo via.
«Emi, aspetta!» Ripeto, ma Brando mi ferma per un braccio e mi dice: «Forse è meglio che sia chiara con lui.»
Lo guardo con tristezza. Il povero Rocco è un ragazzo sereno, non penso che sia abituato ai termini scontrosi di Emilia e soprattutto ad un eventuale rifiuto con un tale furore da parte di lei. Sospiro e Brando parla ancora, sorprendendomi: «Rocco è uno forte. Non ha bisogno di false speranze. Andiamo, prendiamoci una cioccolata calda.»
«Davvero?» Esclamo contenta, seguendolo come un cagnolino.
«Se continui a parlare me la offri tu» Dice minacciosamente, mentre ci incamminiamo verso il piano superiore. Arriviamo davanti al bar e ci vengono servite due cioccolate calde, accompagnate da qualche squisito biscotto. Lo addento velocemente, prima di dirigermi dritta verso la mia tazza di bevanda fumante.
«Fai piano!» Si allarma lui, ma mi sono già precipitata verso la tazza. La mia lingua sembra incontrare la sfera di fuoco e subito la allontano da me.
«Sei proprio una bambina.» Dice lui, prendendo la bottiglietta d’acqua dal suo zainetto e porgendomela. Ne tracanno il contenuto e, quando riesco a riprender parola, confermo: «Forse sono un po’ maldestra…»
«Ne combini troppe…» Ridacchia, ripensando alla scena. Starà anche ridendo di me, ma sono contenta di poter condividere questi momenti di tranquillità con lui. Inizio a parlare delle interrogazioni, spiegandogli delle molteplici difficoltà in scienze. Forse perché non riesco proprio ad imparare a memoria la terminologia. Lui è una cima in ogni materia, perciò chissà quanto potrò sembrargli infantile ed ignorante!
«Posso aiutarti se vuoi.»
«Eh?»
«Non mi far ripetere le cose cento volte… una volta alla settimana, non posso sopportare di vederti di più!»
«Ehi! Come ti permetti! E poi ci vediamo sempre spesso!»
«Ora che me lo hai detto ti eviterò con più frequenza!» Mi dice, nascondendo un mezzo sorriso sotto i baffi.
Rocco ed Emilia tornano poco con dopo. Rocco sembra tranquillissimo, dunque mi viene il sospetto che Emi non gli abbia detto nulla e che la serenità di Rocco sia dovuta al fatto che abbia parlato troppo di dinosauri. Guardo nella direzione della mia amica, che scrolla le spalle e sembra quasi lei la delusa tra i due. Ci incamminiamo verso l’uscita e subito la prendo a braccetto: «Allora?»
«Niente. Dice che è un interesse e che non è pazzo di me, quindi è bastato dirgli che non mi piace e mi ha detto che no ci sono problemi. Sono scioccata, quell’ossessione per lui era mero interesse? Se fosse stato innamorato, cosa avrebbe fatto? Mi avrebbe comprato un dinosauro?»
«Lo sa che non è il tuo periodo storico preferito, sicuramente ti avrebbe comprato una statuetta di Carlo Magno. Ma non vedo il problema, dovresti esserne contenta, no?»
«Contenta? Certo che lo sono» Dice con il suo costante muso lungo «Ora è meglio che vada, mia mamma mi aspetta al semaforo. Volete un passaggio?»
«Siamo vicini, andiamo a piedi.»
Qualche secondo dopo anche Rocco va via, nella direzione opposta. Rimaniamo io e Brando. Camminiamo per settecento metri circa, quando all’improvviso mi ferma ed afferma: «Tu prosegui, tanto sei vicina, qui è ben illuminato.»
«Non vai a casa?» Gli domando con curiosità, sebbene cerchi in ogni modo di trattenere l’impulso di chiedergli dove stia andando.
«No, ci vediamo.»
Si gira e se ne va, ripercorrendo la strada precedente e tornando indietro. Lo guardo per una decina di secondi, poi capisco che se si girasse in questo momento farei la figura della stalker, dunque mi incammino, stringendomi nel mio cappotto colorato.
 
 
È la vigilia di Natale e sono a casa di nonna, sul Lungotevere. Sono seduta sulla poltrona, annoiata e stanca. Ho passato tutta la giornata a cucinare e Brando non si è fatto sentire per niente. Certo, non che dovesse, ma pensavo che la nostra questione si stesse muovendo un po’. E invece sono stata solo io a muovermi come una trottola, girando su me stessa e vivendo dei miei soliti film mentali.
Per Natale, mamma ha deciso di invitare papà ed anche la sua adorabile ed amata professoressa. Siamo a casa della mia nonna materna, che guarda con grande seccatura la fidanzata di papà, che chiacchiera educatamente con mamma riguardo al tempo atmosferico. Non serve dirci che oggi ha piovuto moltissimo, ce ne siamo accorti tutti!
«E tu, Allegra, hai progetti per l’università?» Mi domanda, voltandosi verso di me.
Mamma scoppia a ridere e la nonna si strozza con un sorso d’acqua.
«Diciamo che non c’ho ancora pensato.» Dico, fulminandole con lo sguardo.
«Sai, mia figlia è molto passionale, vive davvero alla giornata.» Mi giustifica mamma, ma la donna insiste: «Ma davvero non c’è niente che vorresti fare?»
«Beh, sì, da piccola volevo lavorare in un circo.»
Non sembra molto soddisfatta della mia risposta e papà mi fulmina con lo sguardo, esclamando: «Parla seriamente!»
«Va bene… no, non c’è niente di particolare che mi attragga. Forse il giardinaggio.»
«Ah, sì? Ti piacciono i fiori?»
«Quelli di zucca.»
«Forse è meglio che ci mettiamo a tavola.» Accanto a me si siede la zia Clotilde, la sorella maggiore di mamma. È una donna sui trentasette anni appena sposata con il povero zio Otto, detto Ottone per le sue dimensioni. I due si sono sposati qualche mese fa, dopo tanti anni di fidanzamento. Hanno prima deciso di fare un figlio e dopo un annetto hanno preso la grande decisione di unirsi in matrimonio, anche se i pantaloni in famiglia li porta la zia. E sono pantaloni molto larghi. La mia cuginetta, Olivia, ha un anno e mezzo ed è la bambina più chiassosa sulla faccia della terra. Urla, strepita, ora che cammina corre anche per casa, inciampa e ricomincia a piangere. Ora siede in braccio allo zio Ottone, che fa fatica a mangiare.
«Oli! Oli! Manda un bacio a Lelle!» Le dico, lei si volta e mi guarda con un muso incredibile. Sembra lo stesso sguardo di Brando quando mi dava ripetizioni di matematica.
Le ore passano rapidamente, anche se vedo più volte una sorta di pacata gelosia da parte di Orietta. I miei genitori non sono mai stati insieme, ma gli anni hanno dato loro la possibilità di conoscersi ed accettarsi come amici e compagni. Eppure Orietta non sembra esserne certa. Ogni tanto mamma dà qualche buffetto sulla testa di papà e lui le sorride e scherzano insieme. Tutti scherzano con tutti, eppure Orietta sembra abbastanza infastidita.
Dopo la mezzanotte e gli auguri, papà ed Orietta lasciano la scena. Lei sorride a malapena, fa un cenno nella mia direzione e sparisce, per la gioia di nonna Giorgetta, che intanto esclama: «C’era aria pesante» prima di chiudersi in camera sua. Olivia dorme sul divano da almeno due ore, dopo aver corso per tutta la casa e rincorso i due gatti di nonna, uno dei quali è attualmente allo stato “scomparso”, probabilmente traumatizzato dalle urla della bambina. Gli zii si chiudono in una delle stanze per gli ospiti, quella che un tempo era la stanza della mamma e di zia Clotilde, dopo aver preso la piccola. Mamma invece si dirige nella stanza da letto per gli ospiti, dove dormiremo per questa notte. Rimango per qualche minuto da sola nel salone, quando all’improvviso arriva un messaggio.
 
Brando: stai dormendo?
Allegra <3: No, sono sveglia. Buon Natale!
Brando: Ok. Scendi un attimo.
 
Osservo lo schermo allibita e corro subito alla finestra. Mi affaccio ed in effetti Brando è lì, a mezzanotte e quaranta, è qui sotto, sotto casa di mia nonna, sotto casa di mia nonna a mezzanotte e quaranta per vedere me, proprio qui.
Mi fiondo in camera di mamma e vedo che dorme già profondamente. Svegliarla per dirle che Brando è qui non sarebbe opportuno, dunque accosto la porta, prendo le chiavi e corro giù alla velocità della luce. Quando arrivo all’ultima rampa di scale, scivolo sul pianerottolo e faccio un ruzzolone a terra che mi ricorda quella volta in cui mi sbucciai entrambe le ginocchia d’estate, girando con le piaghe almeno per un mese. Mi rialzo, proprio davanti a Brando, che mi osserva dalla vetrata del portone.
Esco fuori ed esclamo eccitata: «Cosa ci fai qui?»
«Ma sei pazza? Senza la giacca?» Si avvicina e mi spinge nel portone. È vero, sono con il solo vestito di cotone che mamma mi comprò mesi fa, dicendo che poteva starmi bene.
«Che fai qui?» Ripeto, questa volta più sottovoce, sperando che gli inquilini del piano terra non sentissero nulla.
«Passavo e mi sono chiesto cosa facessi.»
Boom, pugno allo stomaco. Divertita, rispondo: «Passavi? Proprio qui?»
«Lo sai che il Natale è festeggiato diversamente in Cina.»
«Beh, tuo papà è italiano, non festeggiate all’italiana?»
«Beh, nì.»
«Non sono abituata a sentirti usare una parola così moderna.»
«So adattarmi alla società in cui viviamo.»
«Brando.»
«Dimmi.»
«Come mai sei qui?»
Mi guarda negli occhi e non potrei sentirmi più felice. È qui, proprio davanti a me, quando ci sono cinque gradi fuori, durante uno dei Natali più freddi della storia. Gli accenno un piccolo sorriso, poco prima di sentire le sue parole: «Per una volta volevo festeggiare il Natale all’orientale*.»
Non ho il tempo di realizzare ciò che sta accadendo. La vicinanza tra i nostri due volti viene completamente abbattuta ed improvvisamente gli occhi di Brando sono così vicini che quasi non posso vederli più. Sfiora le mie labbra calde con le sue, quasi congelate, e prende il mio volto tra le mani. Non è un bacio passionale, non è un bacio sconvolgente. È un semplice bacio a stampo, dove le nostre labbra si incontrano per la prima volta. Dentro di me, il cervello va in tilt ed il mio corpo si libra in volo.
I nostri volti si allontanano dopo un tempo lunghissimo, ma al contempo impercettibile. Eppure i nostri volti rimangono così vicini, i nostri nasi si sfiorano appena. Siamo entrambi seri, siamo entrambi scossi, ma il suo sguardo è sempre nel mio, mentre mi perdo in quegli occhi così scuri che sanno colmare tutte le mancanze, tutti i vuoti. Rimane serio, poi fa un passo indietro, si mette la mano in tasca e cerca qualcosa. Ne tira fuori un pacchetto piccolo e blu e mi dice: «Buon Natale, Allegra.»

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