The Boy Who Forgot

di _justabibliophile_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo. ***
Capitolo 2: *** Uno. ***
Capitolo 3: *** Due. ***
Capitolo 4: *** Tre. ***
Capitolo 5: *** Quattro. ***
Capitolo 6: *** Cinque. ***
Capitolo 7: *** Sei. ***
Capitolo 8: *** Sette. ***



Capitolo 1
*** Prologo. ***


Lumos

James.

C'è un tempo per ogni cosa.

C'è un tempo per aprire gli occhi, per prendere in mano la propria vita e darci un taglio con il piangersi addosso. C'è un tempo per insistere e uno per lasciar correre, c'è un tempo per ridere, per sognare e per vivere con la leggerezza sulla pelle. C'è un tempo per capire e uno per fingere di non poterlo fare, c'è un tempo per arrendersi definitivamente e uno per vivere e combattere.

Poi c'è un tempo per respirare. E quello, prima o poi, arriva sempre.

Apro un occhio e sento la palpebra più pesante di un macigno, tanto che questo gesto mi costa uno sforzo disumano e mi costringe a richiuderlo immediatamente. Ma ci riprovo, perché so che non posso restare con gli occhi chiusi e non voglio nemmeno farlo. C'è qualcosa che sembra pesare addosso a me, ma smuovendo lentamente una mano mi rendo conto che sono da solo e quel blocco monolitico che sento sopra il mio petto non è esterno, ma viene direttamente da dentro. All'altezza del cuore.

È questa consapevolezza a indurmi ad aprire di scatto entrambe le palpebre, facendomi capire all'istante che , sono vivo e sono ancora in grado di guardarmi intorno. Certo, se avessi con me gli occhiali sarebbe tutto molto più chiaro e comprensibile, ma non è che qualcosa ultimamente sembri andare per il verso giusto.

Muovo entrambe le mani a tentoni - non sia mai che un colpo di fortuna me li faccia trovare in un secondo - ma sotto le mani percepisco solo la pietra fredda e ruvida. È una mera constatazione che, tuttavia, mi fa emettere un rantolo che vorrebbe assomigliare maggiormente ad un sospiro di sollievo, sebbene non gli si avvicini per niente.

Sono a Hogwarts.

Questa consapevolezza mi colpisce con la violenza di un pugno e all'istante un odore di antico, di chiuso e di polvere mi solletica le narici. Ma è un pensiero che dura appena un battito di ciglia, perché improvvisamente qualcosa di più forte, di più doloroso, sembra abbattersi sulla mia testa, premendo nella scatola cranica e costringendomi a trattenere un mugolio. Percepisco una fitta all'altezza delle costole e mi lascio cadere di nuovo a peso morto sul pavimento, rinunciando del tutto a cercare gli occhiali e restando così, con un ammasso sfocato al posto del mondo che mi circonda e una sensazione di sgradevole sofferenza che si fa largo dentro di me.

E poi mi ricordo che è questo il tempo per respirare, che se provo a regolare il battito furioso del mio cuore che pompa nel petto forse ce la faccio per davvero a rinsavire e che, magari, questa sensazione di fastidioso smarrimento se ne andrà via velocemente come è arrivata.

Ma la calma che ho tentato di evocare è destinata ancora una volta a essere interrotta bruscamente, perché il mio orecchio premuto sulla pietra fredda percepisce all'istante un rumore di passi affrettati che rimbombano per tutto il corridoio, giungendo fino a me e obbligandomi ad aprire di nuovo le palpebre. Maledizione, non trovo nemmeno la mia bacchetta.

E poi i passi si fanno più forti, più vicini, più fragorosi, finché non diventano solo il sottofondo fastidioso di una voce che urla, pregna di panico e di paura.

«Dannazione, è qui! Sirius, Lily, è...è qui!»

Sento le mie unghie stridere contro la pietra mentre provo a fare leva sulle mani e a tirarmi su, ma tutto si annulla nell'esatto istante in cui intuisco chiaramente che qualcuno sta correndo nella mia direzione e le grida che sento non sono solo dentro la mia testa, ma provengono anche da fuori. Poi qualcuno mi fa girare con poca grazia a pancia in su e mi infila con forza gli occhiali sul naso, toccandomi la bocca, gli zigomi, la mascella e le palpebre, come per assicurarsi che io sia tutto integro.

E qualcun altro continua a ripetere il mio nome lentamente, una voce rotta dal pianto che colpisce il mio orecchio come se fosse vicinissima, ma che riesco a percepire come drasticamente lontana, spevantosamente inafferrabile...

«James, ti scongiuro, stai bene? Per favore, ti prego, rispondimi.»

«Allontanati un attimo, non respira.»

«È ferito? Godric, è pieno di sangue e...e gli occhiali, maledizione, Reparo

Sento un lievissimo crac e all'istante le lenti dei miei occhiali tornano come nuove. Così, dopo essermi abituato alla penombra del corridoio e alle voci concitate che continuano a discutere animatamente intorno a me, apro con calma le palpebre e cerco di mettere a fuoco le sagome che mi circondano.

«È vivo Lily, smettila di preoccuparti.»

Rosso. La prima cosa che vedo è qualcosa di estremamente luminoso, qualcosa di un rosso scarlatto quasi accecante, che sembra essere piegato su di me e mi copre metà viso, solleticandolo in un modo che registro essere quasi familiare. Non passa molto prima che metta in moto quei due neuroni stanchi che non sembrano essere svenuti insieme al resto del mio corpo e capisca che si tratta di un ammasso voluminoso di capelli, totalmente rovesciati sul mio volto e che fanno arrivare dritto alle mie narici un profumo che mi pare di conoscere come le mie tasche.

«Smetterla di preoccuparmi? Dannazione Sirius, hai visto o no quello che è successo a Hogsmeade?»

«Certo che ho visto, fino a prova contraria ero esattamente a pochi passi da lui.»

«E allora lascia che mi assicuri che stia bene.»

E le sue mani sono di nuovo su di me e sembra per davvero che voglia tastare ogni centimetro della mia pelle, come se passare le dita sulle mie guance e seguire i miei lineamenti non sia sufficiente, ma abbia anzi bisogno di sentire sotto i suoi polpastrelli che il mio cuore sta pulsando, che sono vivo e che può smetterla, per l'appunto, di preoccuparsi in questo modo. Non so chi sia la persona che mi sta sfiorando, ho un vuoto abissale nella testa che mi pare adesso impossibile da riempire con informazioni sensate e coerenti, sebbene io sappia con altrettanta certezza che è bello che qualcuno sia così intimorito per il mio momentaneo stato fisico e psicologico.

Ma poi mi ricordo che il colore dei suoi capelli è rosso ed è questa la parola chiave, lo so per certo, perché c'è un campanello nella mia mente che continua a suonare a proposito di questo. Ed io non sento più nulla, come se le mie percezioni e le mie emozioni si fossero totalmente annullate nello spazio di un istante, sovrastate dall'unico bisogno quasi primordiale che questa persona, chiunque essa sia, si allontani da me.

«Godric, volete smetterla di litigare? La situazione è già drastica con Alice che non la finisce di piangere e con Peter che stava per strapparsi i capelli fino a un minuto fa.» Sento sussurrare da una terza voce, decisamente più calma e pacata delle due precedenti. «Non peggiorate la situazione, vi prego.»

Percepisco uno sbuffo sarcastico che trasuda anche un certo sollievo provenire da un punto imprecisato alla mia sinistra, ma non faccio in tempo a domandarmi come diamine io possa saper interpretare un mezzo sospiro con tutta la meticolosità di questo mondo, perché all'istante mi decido ad aprire definitivamente gli occhi e deglutisco piano, per alleviare almeno in parte il dolore che pulsa nelle tempie.

«James! Si è svegliato!»

Le mie pupille sono offuscate dalle lacrime e non capisco perché, se è questo miscuglio di dolore e disorientamento che mi sta davvero uccidendo dall'interno oppure se sono vivo, se mi sto riprendendo. Se sono ancora in grado di respirare.

«Hai una faccia orribile.» Ancora quella voce che emana pura ironia e un desiderio di ridere non indifferente, sentimenti che di nuovo intuisco anche senza riuscire a capire a chi appartengano. «Merlino James, svegliati un po'. Quando verrai a sapere che Lily ti ha visto in queste condizioni...»

«Oh, stai un po' zitto.»

Sento qualche risata sommessa e quello che sembra un singhiozzo riecheggiare tra le pareti del corridoio, finché diverse paia di mani non si arpionano alle mie spalle nel probabile tentativo di tirarmi su.

«Forza Prongs, piano, così.» ripete piano una voce, familiare e confortevole come una vecchia litania, mentre vengo trascinato lentamente verso la parete di pietra più vicina.

Riesco per miracolo ad appoggiarmi ad essa con la schiena, tanto che adesso che sono quasi seduto le costole sembrano farmi meno male e i polmoni paiono decisamente meno compressi di prima. Contemporaneamente, tuttavia, prendo anche coscienza del fatto che la mia camicia sia lacerata in più punti e che ci siano svariati tagli più o meno profondi sparsi per tutto il corpo, che irradiano ovunque un dolore non indifferente.

Sono a pezzi, dannazione, e la parte peggiore è che nemmeno mi ricordo il perché.

«Io...»

Provo a parlare e ad articolare qualche parola di senso compiuto, ma la voce mi muore in gola e mi sembra di sentire bruciare dappertutto, sottopelle e in superficie.

«Bentornato Mister Egocentrico, ci eri mancato da morire.»

Ancora delle risate sommesse, che giungono alle mie orecchie come se fossero dei suoni acuti incredibilmente fastidiosi. Probabilmente le tre figure che mi circondano devono aver colto l'evidente malessere che provocano in me i rumori troppo forti, perché all'istante si zittiscono ed io ho la possibilità di riflettere, con la poca lucidità residua, sulle persone che ho davanti.

«Stai meglio?»

Non faccio nemmeno in tempo a estrarre la prima persona da iniziare ad analizzare, perché subito è di nuovo il rosso ad attirare la mia attenzione e, neanche a dirlo, è il colore della chioma che appartiene a colei che ha appena parlato. Una ragazza, un paio di occhi verdi che mi scrutano in apprensione e ancora la sua mano sulla mia guancia, mentre scivola piano e mi lascia una lieve carezza.

È un movimento automatico che a stento registro con coscienza, come se il mio corpo sapesse come muoversi prima ancora che qualunque comando gli venga impartito dal mio cervello, così la mia mano si solleva a scostare bruscamente la sua. Il mio gesto deve probabilmente lasciarla spiazzata, perché la sua espressione muta impercettibilmente e una minuscola ruga di confusione le si delinea proprio sulla fronte.

«Sto a meraviglia.» borbotto in risposta, incapace di nascondere un implicito fastidio che mi viene quasi naturale, spontaneo. «Sentite, non è che potreste dirmi cosa ci faccio qui?»

Adesso la mia vista è tornata quella di sempre e le tre paia di pupille che ho di fronte mi restituiscono gli stessi sguardi sorpresi e sconcertati. Come se poi fossi io quello strano e anormale della situazione, ma per favore.

«Che diamine intendi, James?»

Ora è il ragazzo dagli occhi grigi che parla, inserendo nel suo tono di voce una specie di irrequietezza e nervosismo che mi sono del tutto nuovi. Lo guardo in faccia e socchiudo le palpebre, prendendo coscienza del fatto che una lieve fitta mi ha appena stretto il petto ed è la stessa che provo ancora, spostando di nuovo lo sguardo sulla ragazza al centro e scontrandomi con la sua espressione assente, spaventata.

«Intendo quello che ho detto, semplicemente.» ripeto ancora, massaggiandomi piano una spalla dolorante. «So chi sono, so che mi trovo a Hogwarts, ma la vera domanda è chi diavolo siete voi

Perché tutti e tre mi osservano e mi parlano come se mi conoscessero da una vita intera, come se avessimo sostenuto chissà quante altre conversazioni simili e come se sfiorarmi la pelle, ridere di me e prendermi amichevolmente in giro fosse una cosa normale. Ma non lo è, e devono sul serio smetterla di far sentire me come quello sbagliato e difettoso della situazione.

C'è un istante di pausa in cui il silenzio torna a insinuarsi intorno a noi, talmente intenso da farmi sentire il fastidioso rumore del sangue che scorre nelle mie orecchie, ma presto accade qualcosa che ha il potere di spiazzarmi in una maniera quasi sconvolgente.

Occhi grigi mi sta osservando da qualche secondo, finché le sue labbra non si arcuano all'insù e lui scoppia in una risata sguaiata, gettando la testa all'indietro e lasciando che il ciuffo corvino gli ricada sulla fronte in maniera scomposta. E ride, continua a farlo in un modo davvero contagioso, tanto che la rossa davanti a me si lascia scappare un sorriso e scuote la testa, mentre l'altro ragazzo più taciturno non accenna a staccare lo sguardo da me.

«Dai Capitano, non è divertente.» mormora infatti quest'ultimo, mantenendo un'espressione divertita ma inserendo nel suo tono di voce una certa dose di rimprovero che non mi sfugge. «Capisco voler sdrammatizzare, ma dopo quello che è appena successo mi sembra quasi eccessivo.»

E lui mi parla di cose che non riesco proprio ad afferrare, mentre l'altro non cessa di ridere e la ragazza mi osserva ancora con inquietudine. C'è qualcosa che non va, lo percepisco eccome, eppure mi sento dannatamente impotente e mi sembra di non poter fare assolutamente nulla al riguardo.

«Non so che cosa diamine mi sia successo, ma quello di cui sono sicuro è che non sto affatto scherzando.»

«Va bene Prongs, è stato tutto molto divertente e ti ringrazio per il tuo fallimentare siparietto, ma...»

«Non sto scherzando, maledizione!»

Il mio urlo riecheggia ancora per qualche secondo nel silenzio del corridoio, potente come nemmeno io mi sarei aspettato di emetterlo, a tal punto che le espressioni dei tre si incupiscono all'unisono e la risata del ragazzo alla mia destra cessa all'improvviso. Sono sinceramente sconvolti, questo riesco a coglierlo, ma la parte peggiore è sicuramente il fatto che non riesco a spiegarmi il motivo. Perché loro non mi conoscono, non possono sapere chi io sia, dunque la loro preoccupazione è del tutto immotivata ed io ho solo bisogno che mi rispondano all'istante, o giuro che potrei impazzire.

Sempre se non l'ho già fatto.

«Sono Lily.» mi asseconda infine lei, mentre occhi grigi emette una risata sarcastica e borbotta qualcosa di molto simile a "ridicolo". «Lily Evans.»

E poi, nell'esatto istante in cui la ragazza finisce di pronunciare il suo nome, accade qualcosa. È come una specie di fuoco che divampa nel mio petto, un impulso che si accende all'improvviso e mi obbliga a indietreggiare ancora, finché la mia schiena non si appiccica totalmente alla parete alle mie spalle e tra me e la presunta Lily Evans c'è quel metro di distanza che basta a farmi sentire sollevato.

Non so chi diamine sia, il suo nome non mi dice nulla, ma l'istinto di starle lontano è più forte e potente di qualunque altra cosa.

«James, ti dico solo che stai esagerando.» scandisce il ragazzo alla mia destra, contraendo la mascella e perdendo ogni precedente traccia di ilarità. «Sto iniziando per davvero a innervosirmi.»

«Sirius.» mormora la rossa a mo' di ammonimento, posando una mano sul suo braccio e fissandolo tanto intensamente quanto con uno sguardo vuoto, spavantosamente spento.

Ma il suo gesto viene a malapena registrato dal mio cervello, perché tutti i miei sensi si focalizzano sul nome che lei ha usato per chiamarlo.

Sirius. Sirius Black.

«Statemi lontano.» Mi sento dire con rabbia, senza nemmeno pensare troppo alle parole da pronunciare. «Tutti e due, statemi lontano.»

Tornano entrambi a fissarmi, sostituendo le loro espressioni assenti con degli sguardi piuttosto corrucciati e, nel caso del ragazzo, persino abbastanza incazzato.

«È il primo scherzo che fai, Prongs, che non mi fa per niente ridere.»

Ignoro bellamente il suo commento, tornando a concentrarmi sull'unica persona che ancora non ha parlato. Va bene, occhi grigi ha un atteggiamento abbastanza minaccioso mentre la rossa mi fissa con uno sguardo che, senza che io sappia spiegare come, ha per davvero qualcosa di destabilizzante e capace di farmi sentire a disagio in un modo che non mi piace per niente. Ma c'è il ragazzo dai capelli castani, quello che non ha ancora aperto bocca, che mi guarda ed è in grado di mettermi in soggezione con la sola forza delle sue pupille.

«E tu chi saresti?» chiedo infatti, guardandolo con una smorfia abbastanza sconcertata.

«È ridicolo, è tutto fottutamente ridicolo.»

«Sirius, basta.»

«Ma non lo vedi come fa, maledizione? Ha preso una botta in testa bella e buona, oppure si diverte a fare il simpatico quando non è il momento opportuno. Non c'è altra spiegazione.»

«È sconvolto, per Godric! Non tutti reagiscono di fronte ai traumi allo stesso modo!»

«Ma lui non è traumatizzato, è solo un coglione a cui piace scherzare.»

Seguo le loro frasi spostando lo sguardo da uno all'altra, incapace di aprire bocca ma sentendo solo la fortissima, intensa sensazione di una rabbia cieca che mi monta nel petto. Prima che io possa dire o fare qualunque altra cosa, tuttavia, ci pensa il ragazzo di prima a prendere in mano la situazione.

«Frank, mi chiamo Frank!» urla per sovrastare il battibecco dei due, portando le mani in avanti e tornando a concentrare la sua attenzione su di me. «Frank Longbottom.»

Il suo sussurro si perde nel vuoto, perché all'istante un dolore lancinante mi colpisce le tempie e la mia fronte si aggrotta in una smorfia di dolore, mentre sento il battito del mio cuore aumentare a dismisura e il respiro farsi sempre più pesante.

«James, James! Cosa ti succede?»

Ma tutto si annulla, tutto si riduce al niente più totale, perché le mani della ragazza sono di nuovo sulla mia pelle e la sua voce preoccupata arriva a solleticarmi i timpani come se fosse vicinissima, mentre io percepisco una sola, singola frase scivolare via dalle mie labbra prima ancora che abbia il tempo di connettere la bocca al cervello.

«Toglimi le mani di dosso, Sanguesporco

La pronuncio come se fosse un rantolo affaticato, ma quando le parole si annodano e si attorcigliano fino a prendere forma e riecheggiare tra le pareti del corridoio, capisco che la loro portata è decisamente rilevante. Il tempo pare congelarsi, tanto che il dubbio di essere svenuto per davvero mi coglie alla sprovvista, ma per restare con i piedi per terra mi aggrappo alle uniche cose concrete, reali, che ancora mi circondano.

Il presunto Frank Longbottom trattiene il respiro, gli occhi sgranati che seguitano a guardarmi e la bocca socchiusa, trasfigurata in un'espressione di puro terrore. La rossa sembra essere stata pietrificata seduta stante, perché adesso lo sguardo che mi rivolge è di nuovo spaventosamente assente e mi fa male, come se lo sentissi dritto nello stomaco con la forza di mille pugni. Registro a stento le sue pupille diventare impercettibilmente più lucide, quasi sentisse il feroce impulso di piangere, ma subito vengo distratto dalla terza e ultima reazione del ragazzo alla mia destra.

«Questo non dovevi dirlo, James.»

Due mani si attaccano con violenza alle mie spalle, scaraventandomi per terra e facendo cozzare nuovamente le mie costole già doloranti sulla pietra dura e fredda. Mi puntello sulle mani e mastico qualche imprecazione tra i denti, perché questo è un incubo e tra il dolore fisico e quello psicologico mi sembra di dover morire da un momento all'altro, finché occhi grigi non mi fa girare bruscamente a pancia in su.

Il primo pugno arriva all'improvviso, forte e deciso sul mio naso, mentre il sangue caldo comincia a sgorgarmi sulla pelle e scivola fino a impiastricciarmi le labbra. Ma va bene, sanguinare è un'altra cosa che mi fa sentire vivo, che mi fa presupporre di esistere per davvero su questo mondo, così mi limito ad arpionarmi alla camicia bruciacchiata del ragazzo che ora troneggia su di me e a provare a restituirgli a mia volta qualche colpo.

Non ci mette troppo a togliersi le mie mani di dosso e a colpirmi con un'altra scarica di pugni, perché so di essere in questo istante troppo debole e, in un qualche modo dannatamente masochista, me ne compiaccio eccome. Forza, continua a colpirmi e a farmi male, come se la testa non mi stesse già esplodendo e il mio petto non fosse sconquassato da un dolore allucinante.

«Sirius, maledizione, fermati!» sento urlare dalla ragazza e, dal tono di voce che ha appena usato, non mi è difficile immaginare che abbia appena cominciato a singhiozzare.

Il suo pianto è un sottofondo piuttosto lontano, perché ora il suono che giunge dritto alle mie orecchie è la voce di Sirius Black, dura e fredda in un modo quasi spaventoso.

«Ti devi svegliare,» continua a ripetere come una litania, intervallando ogni frase a un pugno o uno schiaffo. «ti devi svegliare.»

Ogni volta che la sua mano cozza con la mia pelle mi sembra di percepire un miscuglio perfetto tra dolore fisico e mentale, come se questo stordimento fosse giusto, come se me lo meritassi. E quasi mi viene da sorridere, pensando che forse non è passato nemmeno un minuto da quando mi ha scaraventato per terra, ma a me sembra essere trascorsa una vita intera ed è perfetto così. Deve fare male, dev'essere una tortura lenta e studiata, deve farmi soffrire.

Arriva un altro pugno sullo zigomo ed io cerco di non perdere i sensi, di focalizzarmi su quegli spiragli color argento che intravedo tra le sue palpebre quasi serrate, mentre la sua mascella è contratta in un'espressione rigida e inflessibile. Come se farmi del male provocasse in lui lo stesso dolore sordo che sento io.

«Basta Sirius, basta. Ti sei sfogato abbastanza.»

Frank allontana occhi grigi da me, prendendolo per le spalle e lasciando che si dimeni ancora qualche secondo tra le sue braccia nel tentativo di tornare a tempestarmi di pugni. E la ragazza continua a piangere, lo sento, tanto che il mio primo impulso è quello di voltarmi nella direzione da cui credo provengano i suoi singhiozzi. I miei occhiali sono di nuovo volati da qualche parte e tutto intorno a me è tornato ad essere sfocato, quasi nebuloso.

Non so in che condizioni sia il mio volto, non so cosa io abbia ancora di integro e cosa invece sia rotto, ma ora cerco di focalizzarmi solo sull'ammasso rosso scarlatto a pochi metri da me. È rannicchiata contro la parete e, anche se non riesco a distinguerne bene i contorni, sono quasi pienamente convinto del fatto che abbia le ginocchia premute contro il petto, mentre non cessa di puntare i suoi occhi - verdi, il colore è un dettaglio che ricordo in maniera quasi automatica - sul sottoscritto.

Così continuo a guardarla per qualche secondo, circondato da un silenzio che viene interrotto solo dai suoi singhiozzi, dal respiro pesante di Black e dai sussurri concitati del ragazzo che lo trattiene. Ed è in questo esatto modo che, incapace di muovere un singolo muscolo e persino di respirare, accolgo a braccia aperte il buio che mi circonda e perdo definitivamente i sensi.

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Capitolo 2
*** Uno. ***


Lily.

La notte sta calando sul castello di Hogwarts e al di là delle finestre chiuse non si vede altro che un cielo cupo e minaccioso, sporcato solo da quelle nuvole pallide e lattiginose a cui, ormai, tutti siamo avvezzi da quando è cominciato il mese di febbraio.

Fa freddo, ma in un modo diverso dal solito. Non sono solo i brividi che sento rincorrersi sulla mia pelle o la sensazione che la coperta che mi avvolge non basti più. No, è tutt'altro: è un gelo che sembra prendere vita direttamente dalle mie ossa, propagandosi in tutto il corpo e avvolgendo i polmoni, lo stomaco, il cuore come se fossero stati appena sfiorati da una mano d'acciaio.

Sono tante le sensazioni che si sono susseguite ininterrottamente da quando ho messo piede nell'Infermeria, ma questo freddo sconcertante le sovrasta nettamente tutte e finisce per essere la sola percezione che registro con coscienza. Siamo qui da minuti che paiono ore, scanditi dall'implacabile e lento ticchettio dell'orologio appeso nell'ufficio di Madama Chips, che tutti noi riusciamo a udire perfettamente solo grazie al silenzio disumano che ci circonda.

Nessuno di noi sarebbe in grado di riempirlo, comunque.

Remus è ancora disteso e addormentato sul lettino accanto alla finestra, imbottito di tutte quelle pozioni che i professori hanno insistito a dargli, almeno per attenuare il dolore causato da quelle ferite che solo le Maledizioni scagliate con maggiore ferocia possono avergli provocato. Peter è seduto vicino a lui e gli rimbocca le coperte non appena ne ha l'occasione, come se restare con le mani in mano fosse per lui qualcosa di impossibile e dovesse anzi fare di tutto per tenersi occupato, per distrarsi almeno un po'. Non ci sta riuscendo particolarmente bene, comunque, perché il suo volto è ancora trasfigurato in un'espressione di puro terrore, anche se farglielo notare sarebbe pura cattiveria.

Io rimango esattamente di fronte a lui, rannicchiata sulla prima sedia su cui mi sono lasciata cadere non appena abbiamo portato James qui in Infermeria. Al contrario di Peter, comunque, non ce la faccio neanche lontanamente a muovermi. Me ne resto qua ferma, incapace persino di sollevare una mano, con le braccia avvolte intorno alle ginocchia e questo freddo costante che mi attanaglia il corpo, stringendolo in una morsa famelica e mortale.

«Quanto diamine ci mettono ad arrivare?»

È Sirius il primo a interrompere questo silenzio estenuante, senza smettere tuttavia di misurare il corridoio centrale dell'Infermeria con passi rapidi e pesanti.

«Stavano risistemando le ultime cose laggiù, a Hogsmeade.» scandisco, riuscendo persino a stupire me stessa per la voce che riesco a tirare fuori da un punto imprecisato del mio corpo. «Probabilmente stavano spiegando agli altri le dinamiche dell'attacco.»

«Va bene, ma sono dei fottutissimi Auror e non è normale che non siano in grado di cavarsela da soli.»

«Si tratta di aspettare qualche minuto, Sirius, non una vita intera.»

«Ma io non ho voglia di aspettare.»

Sbuffo in risposta al suo tono tagliente e capriccioso come al solito, limitandomi a scuotere la testa e ad alzare gli occhi al cielo. Va sempre così tra me e Sirius, quando si tratta di affrontare una situazione scomoda: io cerco di frenare l'impulsività e di mantenere un certo sangue freddo, mentre lui decide proprio in questi istanti di dare sfogo al bambino represso che ha dentro e di farmi perdere la pazienza semplicemente aprendo bocca.

Non sono mai stata troppo abituata a doverlo sopportare praticamente in ogni istante della mia vita, ma naturalmente da quando io e James ci siamo avvicinati in maniera così sostanziale è stato inevitabile stringere un fortissimo legame anche con lui. È solo che ci sono questi lati del suo carattere che ancora fatico a mandare giù ed è quasi palpabile il mio fastidio di fronte a queste sue scenate, tanto che James ha sempre trovato le nostre piccole discussioni maledettamente divertenti.

E lo so che in un'altra situazione lui non avrebbe esitato a fare una battuta delle sue, lo so per certo, tanto che se chiudo gli occhi riesco quasi a sentire la sua voce sarcastica e la sua risata che, nell'ultimo periodo, è diventata indubbiamente il suono che più preferisco al mondo.

Ma James non parla, non dice niente. Perché se ne sta lì, sdraiato nel lettino di fronte a Remus, con la faccia ancora macchiata di sangue e le palpebre serrate, come se fosse nel bel mezzo del sonno più profondo. La fitta che mi stringe il petto è ancora più forte, perché nonostante io abbia cercato per tutto questo tempo di non guardarlo, in un qualche modo masochista i miei occhi finiscono sempre per ricadere sulle ciglia brune che gli solleticano le guance e su quell'aria imbronciata che, come so per esperienza, ha sempre quando dorme.

«Tesoro, ti abbiamo portato del té.»

Le porte dell'Infermeria si spalancano all'improvviso, mentre una stravolta Alice e un altrettanto esausto Frank fanno il loro ritorno dalle Cucine. La mia migliore amica ha un braccio fasciato, ma stringe tra le mani una tazza fumante e cammina sicura verso di me, ostentando persino quel sorriso che, da brava ottimista qual è, non cessa mai di rivolgermi nei momenti più difficili.

Noi due abbiamo sempre avuto una piccola tradizione in questi anni di amicizia, vale a dire quella di attenerci al classico stereotipo inglese che tutti hanno nella loro mente: il té visto come cura contro ogni male. Ho perso il conto di tutte quelle volte in cui abbiamo tamponato una delusione amorosa, un brutto voto a scuola, un litigio o un semplice sbalzo d'umore con due semplici tazze bollenti, che in un modo o nell'altro hanno sempre avuto il superpotere di sollevare il nostro umore.

Oggi, comunque, so per certo che questo non basta. Non è sufficiente il té caldo, il sorriso confortevole di Alice e nemmeno le mie mani che si stringono attorno alla tazza, alla ricerca di qualcosa che possa contrastare il freddo che ancora percepisco ovunque. Non basta niente, perché quello che è successo poco fa ha scavato in me una fossa profondissima e non c'è nulla che ora possa riempirla.

So che non ho ancora realizzato la portata dell'accaduto, so che la mia mente sta ancora cercando di autoconvincersi che si tratti solo di un orribile incubo, ma so anche per certo che quella sensazione di immenso sollievo che si prova solitamente al risveglio non arriverà mai. Questa è la realtà, questo è il mondo in cui le carezze sui capelli della propria migliore amica non hanno alcun potere curativo, e allora non mi resta che posare la tazza sul comodino più vicino e provare a respirare. È l'unica cosa che posso fare, adesso.

***

Peter.

«Non si sono ancora svegliati?» domanda Frank, appoggiandosi al comodino accanto al letto di Remus e incrociando le braccia al petto con aria grave.

Scuoto impercettibilmente la testa, continuando a guardare Sirius che marcia insistentemente per il corridoio e pensando che questa situazione è talmente assurda da tirare fuori per davvero il peggio di ognuno di noi.

«Non si sveglieranno. Non stasera.» aggiunge Lily in un sussurro, muovendo soltanto la bocca ma restando nella stessa identica posizione di mezz'ora fa, come se fosse stata pietrificata o qualcosa del genere.

Non sono proprio un asso nell'affrontare le situazioni particolarmente drammatiche, di questo ne sono certo oggi più che mai, perché il mio disagio aumenta in maniera esponenziale quando mi rendo conto di non poter fare assolutamente nulla e allora il mio cervello si congela, cercando forsennatamente un diversivo che possa distogliermi dal pensiero di essere maledettamente impotente.

«È una fortuna che non siano rimasti feriti in molti, comunque.» mormora Alice, facendo vagare lo sguardo sui pochi lettini dell'Infermeria occupati dai pazienti addormentati.

Nessuno qui ha particolarmente voglia di fare conversazione, questo è più che lampante, tanto che la frase da lei pronunciata sembra avere il semplice intento di riempire questo silenzio abissale. È troppo tardi, comunque: il vuoto lo sentiamo ormai dentro ognuno di noi.

«Fortuna? C'erano solo studenti del sesto e del settimo anno a Hogsmeade. E guarda quanti diamine sono qui dentro.» ribatte aspramente Sirius, sfoderando il solito tono sprezzante che usa sempre quando è maledettamente in ansia.

«Poteva essere comunque mille volte più tragico di così. E lo sai bene anche tu.» precisa Frank, incrociando le braccia al petto.

Sirius si blocca all'improvviso, lanciandogli un'occhiata raggelante che fa rabbrividire me per primo. Socchiudo gli occhi, certo che di qui a breve ne dirà una delle sue e sentendo il forte, potente impulso di piangere. Perché io, queste situazioni, non so come gestirle.

Padfoot è quello impulsivo e tutti ormai sono abituati alle sue scenate, alle sue frequenti perdite di autocontrollo e ai millemila errori che, nella sua vita, ha fatto per colpa della sua avventatezza. Remus è quello calmo e pacato, quello che sa chiudere le questioni in un batter d'occhio grazie al suo essere ragionevole e che litiga per davvero con gli altri solo quando è strettamente necessario. Ma adesso lui è qua sdraiato vicino a me, gli occhi chiusi e un orribile taglio sul volto, e di certo non si sveglierà per bloccare una sfuriata di Sirius sul nascere.

E poi c'è James, quello che servirebbe ora più che mai. È il solo tra noi che sa esattamente come prendere Sirius, come comportarsi quando lui è in preda a uno dei suoi soliti deliri mistici, e il bello è che la maggior parte delle volte lo aiuta semplicemente assecondandolo. Non so se questa sua abilità sia dovuta al fatto di conoscere Padfoot come le sue tasche, di aver passato una vita intera al suo fianco e di essersi praticamente autoproclamato suo fratello.

Il punto, comunque, resta il fatto che è James quello che sa precisamente come risolvere queste situazioni: sventa ogni probabile litigio con una battuta delle sue, riesce a distogliere chiunque dall'impulso di arrabbiarsi semplicemente sorridendo come un idiota e rende impossibile anche solo il fatto di pensare di infuriarsi con lui. E ora lui saprebbe esattamente cosa fare, di questo ne sono sicuro. Alleggerirebbe la tensione com'è nel suo stile, saprebbe infondere in tutti un briciolo di speranza e di fiducia nel futuro e, soprattutto, non si farebbe abbattere nemmeno dalla presa di coscienza di esserci salvati per un pelo, questa sera.

Ma James se ne sta lì, dimentico di tutto e di tutti, gli occhi serrati e l'espressione rilassata di chi non ha appena concluso un delirio con i fiocchi, in cui ha annunciato di non ricordarsi assolutamente nulla di nessuno di noi.

«Non so te, Frank,» comincia Sirius, sulle labbra un sorriso ironico e ferito al tempo stesso, nello sguardo tutto il dolore e la rabbia che, come intuisco con certezza, sta provando al momento. «ma io non riuscirei nemmeno volendo a immaginarla più tragica di così.»

***

Frank.

Sirius parla con un'ira repressa che non mi è nuova, perché sembra essere per davvero una caratteristica intrinseca della sua personalità. Pare avercela costantemente con il mondo intero, ma questo penso di averlo compreso fin dal primo momento in cui i nostri sguardi da undicenni si sono incrociati. Ma va bene, è sempre andato bene, finché questa rabbia non era indirizzata a noi.

Questa sera, comunque, è diverso. È teso e rigido, mentre cammina e parla con un'ostilità che sovrasta nettamente il sarcasmo abituale di cui è sempre impregnato il suo tono di voce. Ed io non posso fare altro che comprenderlo, tacere e assecondare il suo momentaneo stato di panico, perché uno dei suoi migliori amici dorme ed è pieno zeppo di ferite su tutto il corpo, mentre l'altro è  a pochi passi da lui, ma è anche terribilmente distante come mai prima d'ora.

Alice continua ad ad accarezzare i capelli di Lily e mi lancia uno sguardo preoccupato, l'ennesimo da quando ci siamo ritrovati dopo l'attacco e le ho dovuto spiegare nel dettaglio il delirio di James. Inutile specificare che nessuno dei due è ancora riuscito a elaborare e a dare una spiegazione coerente all'accaduto, ma non è come se adesso avessimo la possibilità di rifletterci sopra: c'è Lily, ci sono i Malandrini, e adesso sono loro ad avere bisogno di noi due più che mai.

«Arrivano!» sussurra Peter in maniera concitata, gli occhi sbarrati fissi sulla porta dell'Infermeria che, per l'appunto, si spalanca proprio in questo frangente.

Non ne segue una processione ordinata, quanto piuttosto un'accozzaglia di svariate figure che si disperdono intorno a noi e cominciano a parlare l'una sull'altra, interrompendo la quiete che fino a poco fa regnava nel santuario di Madama Chips.

«È un fatto di portata enorme, i giornalisti del Profeta erano già tutti lì a cercare di strapparci qualche informazione decisamente confidenziale.»

«Se quei delinquenti si aspettano che esca qualcosa dalla mia bocca, possono benissimo restare a girarsi i pollici per il resto della loro vita.»

«È il loro lavoro, Alastor. Non possono farlo diversamente.»

«Il punto resta che nei prossimi giorni i genitori manderanno centinaia di lettere chiedendo di rispedire gli studenti a casa. Avranno certamente paura a lasciarli qui e noi non possiamo assicurare...»

«Perché, credi forse che fuori da Hogwarts ci sia maggiore sicurezza?»

Sono cinque le persone che entrano nella stanza, quattro delle quali cominciano a riempire questa atmosfera che sa di tristezza con tutti i loro commenti, le domande e le svariate considerazioni sul drammatico accaduto di poco fa. L'ultima di esse, al contrario, non esita a tacere e ad avvicinarsi sempre di più a noi, lanciando prima uno sguardo a Remus e poi precipitandosi verso James.

«Professor Silente, mi deve ascoltare.»

«So già ogni cosa, signor Black.» lo interrompe il Preside sul nascere, mantenendo il suo solito tono pacato che, sono certo, sarà uno dei particolari che di qui a poco manderanno Sirius in escandescenza. «Madama Chips mi ha riferito le vostre testuali parole.»

«Dobbiamo fare qualcosa, è tutto un dannato disastro e io non so...»

«Signor Black.» sopraggiunge la McGranitt, avvicinandosi a lui e posandogli una mano sulla spalla con fare materno. «Adesso è solo indispensabile che si calmi.»

«Ma io non ci riesco, maledizione!»

L'urlo di Sirius riecheggia tra le pareti dell'Infermeria, sovrastando il continuo parlottare dei nuovi arrivati e obbligandoli a tacere all'improvviso. Il professor Lumacorno è esattamente alla mia sinistra, mentre mi rivolge uno sguardo affranto e scuote la testa borbottando qualcosa di incomprensibile. C'è anche una donna dai lineamenti tesi e dall'aria preoccupata, accanto alla quale riesco a riconoscere perfettamente l'Auror di cui oggi si sente parlare su qualunque quotidiano.

«Il ragazzo ha ragione.» asserisce per l'appunto quest'ultimo. Tutto di lui, a partire dalla pelle completamente lacerata dalle cicatrici fino ad arrivare all'espressione imperturbabile e determinata, sembra incarnare a meraviglia l'immagine del grande Alastor Moody che avevo in mente. «Nessuno riuscirebbe ad essere calmo, adesso. Abbiamo solo bisogno di vigilanza costante. Vigilanza costante e niente di più.»

«Non fomentarli anche tu, per favore.»

«Io apro gli occhi, Minerva. È diverso.»

Deglutisco ancora una volta e sfioro la mano di Alice, che si è adesso avvicinata a me e mi osserva con quello sguardo apprensivo che sfodera sempre quando ha bisogno di rassicurazioni. E vorrei poter fare di più, vorrei dirle di stare tranquilla e che tutto questo si risolverà presto. Ma non posso, e questo lo sa anche lei.

Perché i nostri amici hanno delle espressioni terrorizzate speculari alla mia e tutto, adesso, sembra irrecuperabile. Perché Remus è pallidissimo e ha perso sangue a fiotti, tanto che se chiudo gli occhi riesco ancora a ricordare il momento in cui io e Gideon Prewett l'abbiamo sollevato di peso per portarlo al sicuro e, sopra di lui, non abbiamo visto altro che rosso. Perché persino gli adulti, persino i professori non fanno che discutere ed essere in totale disaccordo gli uni con gli altri, sottolineando ancora di più quanto questa situazione faccia sentire tutti, nessuno escluso, titubanti e privi di ogni minima certezza.

Perché persino Silente - l'unica persona che ha sempre stretto tra le sue dita i fili che regolavano la sicurezza di ognuno di noi - questa sera non sembra più il Preside fermo e determinato che tutti siamo abituati a vedere. Perché loro sono entrati anche qui, minacciando il suo territorio e facendoci capire che non hanno barriere e che possono spingersi ovunque, se solo lo vogliono.

Perché, da quando è entrato qui nell'Infermeria, Silente non ha guardato nessuno di noi dritto negli occhi. E questo non è mai stato un buon segno.

***

Lily.

Il Preside è chino su James da qualche minuto ormai, dando le spalle a tutti noi, affiancato dalla donna che giusto un minuto fa ho intuito chiamarsi Amelia. E io resto ancora immobile, congelata nella mia bolla di mutismo e sedentarietà. Se pensavo che l'arrivo di qualcun altro potesse scuotermi almeno in parte, ora ho capito che non mi sono mai sbagliata tanto: è mille volte peggio, adesso che il frastuono ha ripreso a circondarmi e io mi sento così estranea, così spaesata.

Racimolo quella poca dose di coraggio che ancora conservo intatta e decido di alzarmi, muovendo qualche passo verso Sirius e notando che anche lui, esattamente come me, ha deciso di prendere in mano la situazione e avvicinarsi al letto di James.

Amelia sta sussurrando qualcosa che non riesco a cogliere, mentre Silente annuisce silenziosamente con aria grave e sfiora la pelle del mio ragazzo con la bacchetta, pronunciando talvolta qualche formula che non conosco minimamente e che produce lievi fasci luminosi sul suo viso.

«Troveranno il modo.» Sento mormorare alla mia destra, voltandomi di scatto e scontrandomi con il volto di Sirius, ancora fisso sul suo migliore amico. «Troveranno il modo per farlo tornare quello di prima.»

Quello di prima, sì.

Il James che tutti siamo abituati a conoscere, quello dal sorriso facile e dalla battuta sempre pronta. Quello dalla permalosità che raggiunge livelli inauditi, quello che conserva ancora intatti quei residui di testardaggine e arroganza che, con una buona dose di forza di volontà, ha comunque cercato di smussare. Quello dai valori chiari e precisi anche a soli diciassette anni, quello determinato e mai titubante quando si tratta di anteporre il bene degli altri al suo.

Quello che si è preso il mio cuore a forza, infilandosi sottopelle con graffi e morsi e conquistando tutto ciò di cui sapeva di potersi appropriare.

Quel James Potter, insomma. Quello che oggi sembra distante anni luce da me, da tutti noi, tanto da indurmi a chiedermi se mai sarà possibile riavere indietro anche solo una minima parte di lui, per tenerla stretta e non lasciare che scivoli via dalle mie dita senza che io possa trattenerla.

Non riesco a rispondere alle parole di Sirius, perché la matassa di filo spinato che ho in gola ha ricominciato a pungere e a fare male, attivando un meccanismo che giunge fino ai miei occhi e mi obbliga ad alzarli sul soffitto dell'Infermeria, se non voglio che le lacrime tornino a sgorgare copiose. Ed è proprio mentre mi domando se davvero sia possibile sentirsi praticamente disintegrare dall'interno, che la porta principale si spalanca un'ennesima volta.

«James, tesoro!»

Una donna dai lunghi capelli neri si precipita all'istante vicino al letto di James, affiancando Silente e cominciando a rivolgere sguardi saturi di panico a tutti i presenti. L'uomo che entra nella stanza, altrettanto preoccupato e con il volto teso dallo spavento, marcia nella nostra direzione e, non appena è sufficientemente vicino, avvolge le braccia intorno alle spalle di Sirius. 

E lo stringe in un modo così affettuoso, così paterno, mentre la donna riprende le sue carezze sulla fronte di James e solleva lo sguardo nella nostra direzione, puntandolo dritto sulle due figure al mio fianco che sono ancora strette in un un abbraccio.

Non sono soltanto gli occhiali mollemente appoggiati sul naso dell'uomo o gli occhi sgranati della donna, che mi ricordano così bene un'espressione preoccupata che conosco a meraviglia. Non sono nemmeno le iridi nocciola di una e i capelli maledettamente scompigliati dell'altro, il cui mix perfetto è a pochi passi da me e mi fa stringere quasi il cuore.

È più il modo in cui lei sfiora la fronte di James, con un delicatezza e una dolcezza che mi sono così familiari da fare male. È il modo in cui lui stringe le spalle di Sirius e fa vagare ininterrottamente lo sguardo su di lui, come per assicurarsi che sia vivo e che stia bene.

È questo, è tutto questo insieme di dettagli che mi fa realizzare con la massima certezza che le due persone che sono appena entrate sono sicuramente Fleamont ed Euphemia Potter.

«Siamo corsi qui non appena abbiamo saputo, ma non abbiamo capito un granché delle dinamiche e vorremmo...»

«Ma sta bene, non è vero? Si riprenderà?»

Anche le loro voci si sovrappongono, sature ancora una volta di apprensione e di un'ansia quasi palpabile.

«Indubbiamente si risveglierà.» asserisce Silente con aria sicura, guardando Euphemia negli occhi. «Resta solo da vedere come

Ed è qui che vedo vacillare istantaneamente tutta l'imperturbabilità e la fierezza che in un primo momento avevo attribuito alla madre di James, perché lei si porta una mano sulle labbra e scorgo chiaramente i suoi occhi scuri riempirsi di lacrime. Distolgo lo sguardo e lo poso sul pavimento, perché questo è troppo persino per me.

«Cosa intendi dire, Albus?» domanda Fleamont, sistemandosi tra me e Sirius e fissando il Preside dritto negli occhi.

«Incantesimo di Memoria.» replica laconicamente Amelia, guardando prima lui e poi Euphemia. «Parziale, direi, ma incredibilmente potente. Non conosciamo ancora tutti i dettagli, i ragazzi hanno solo accennato...»

«I ragazzi!» la interrompe bruscamente la madre di James, facendo un passo verso Sirius e accarezzandogli una guancia, per poi posare lo sguardo su ognuno di noi. «State tutti bene? Merlino, che sciocchi che siamo stati! Siamo corsi qui e non ci siamo nemmeno preoccupati...»

«Stiamo bene.» la blocca Sirius, accennando un sorriso e parlando con una dolcezza nel tono che mi è del tutto nuova. «Remus è stato colpito da una Maledizione e ha perso decisamente tanto sangue, ma ora sta bene e nel complesso siamo tutti sani e salvi.»

«Eravamo poco distanti da voi a combattere.» asserisce Fleamont, determinato e sicuro in quel modo che riconosco essere tipico di chiunque faccia Potter di cognome. «Siete stati incredibilmente coraggiosi.»

I suoi occhi scorrono di nuovo su ognuno di noi, ma quando si posano su di me lo vedo sgranarli impercettibilmente e inclinare la testa di lato. Mi rivolge un minuscolo sorriso che ricambio come mossa da un impulso che nemmeno credevo di possedere, domandandomi se sia stato solo un fortuito caso oppure se, per davvero, James ha assurdamente parlato di me ai suoi genitori. 

«Allora voi sapete qualcosa di più?» riprende Euphemia, sedendosi sullo sgabello accanto al suo letto. «Chi può avergli fatto un Incantesimo di Memoria? E perché accanirsi contro mio figlio, soprattutto?»

Quelle due domande si dissolvono intorno a noi, riprendendo alla perfezione quei dubbi amletici che attanagliano ognuno e a cui, tuttavia, nessuno è ancora riuscito a dare una risposta. Sospiro e mi siedo sul letto vuoto più vicino, osservando Silente mentre cede il posto a Fleamont e si sposta verso il centro della stanza.

E ora, solo ora, posa lo sguardo su di noi.

«Lo so che sarà doloroso, ma è strettamente necessario ripercorrere le varie tappe della serata.» scandisce con serietà, intrecciando le mani dietro la schiena. «Solo così riusciremo a capire che cosa di preciso è successo al signor Potter.»

«È una vicenda che lascia tutti piuttosto spiazzati.» aggiunge Moody, cominciando a misurare la stanza con passi lenti, esattamente come se stesse riflettendo tra sé e sé. «Quello che è successo al ragazzo è qualcosa di estremamente raro e pericoloso.»

Sollevo lo sguardo e intercetto i genitori di James scambiarsi un'occhiata incredibilmente preoccupata, ma i miei occhi si posano quasi in automatico su di lui. Il suo petto si alza e si abbassa piano, mentre un raggio di luna gli colpisce dritto il viso e illumina quei tagli che ancora riporta sopra, insieme a quelle macchie violacee e rossastre causate dai pugni inferti da Sirius.

Deglutisco piano per cercare ancora una volta di non piangere, perché so che non è questo il momento giusto per farlo. Ho tempo questa notte per diventare preda della mia disperazione, quando sarò da sola nel mio letto e potrò stringermi le ginocchia al petto, senza che nessuno osi dirmi nulla se dovessi creparmi e crollare tragicamente in mille pezzi.

Ora, comunque, non posso farlo. Ora devo aspettare, incanalare più aria possibile nei polmoni e annuire in direzione di Alice, che ha appena fatto un respiro profondo come per prepararsi a parlare.

«Eravamo tutti noi insieme, questa sera.» comincia infatti con determinazione, catalizzando tutti i nostri sguardi su di sé. «Comincerò io a raccontare.»

***

Due ore prima

Alice.

«Non avevo minimamente idea del fatto che anche Hogsmeade avesse una festa tutta sua.»

«Perché non avrebbe dovuto, Wormtail? È un villaggio, tutti i villaggi hanno delle feste particolari.»

«Allora è un altro il punto cruciale.» asserisce Sirius, abbassando drasticamente il tono di voce con aria da complottista. «Perché diamine è questo il primo anno in cui ci è permesso partecipare?»

Hogsmeade è sempre meravigliosa, tutti lo sanno, ma questa sera lo è in modo particolare. Non so se sia merito della neve che ancora imbianca le strade acciottolate, delle lanterne luminose che gli abitanti del villaggio hanno deciso di far fluttuare intorno a noi, delle persone che passeggiano per le vie affollate o della luna che brilla nel cielo, circondata da quelle stelle che raramente mi è capitato di vedere con tutta questa chiarezza. 

Non so se sia merito di una sola di queste cose, oppure se è per davvero questo miscuglio di dettagli che infonde in me un'allegria disarmante. Il punto, comunque, resta il fatto che non ho mai percepito la magia intorno a me in questo modo così palpabile come ora. 

«Ragazzi, dovete assolutamente provarlo.» esclama Lily sorridendo, raggiungendoci all'angolo della High Street principale e reggendo in mano uno sgargiante zucchero filato, che subito Sirius assaggia senza troppi preamboli. «C'è laggiù una bancarella che lo vende.»

«Non provatelo.» la contraddice invece James, comparendo all'istante al suo fianco e indicando con un dito il suo labbro inferiore completamente gonfio. «È abbastanza suscettibile.»

«Uno zucchero filato non può essere suscettibile, James. Sei tu che non mi ascolti mai quando parlo.» ribatte la mia migliore amica e, Merlino, non so come diamine sia capace di guardarlo dall'alto in basso nonostante lui la superi di più di due spanne. «Te l'ho ripetuto mille volte che non dovevi masticarlo, altrimenti ti saresti bruciato.»

Sirius, che aveva per l'appunto appena affondato i canini nel dolce sofficissimo, emette un urlo acuto davvero esemplare.

«Ero distratto.» si giustifica lui con un sorriso divertito, passando un braccio intorno alle sue spalle e lasciandole un bacio sulla tempia con una delicatezza che mi fa stringere il cuore. 

James e Lily stanno ufficialmente insieme da poco più di un mese, ma credo che nessuno di noi potrà mai abituarsi a questo improvviso capovolgimento della situazione, esemplificato dai gesti teneri che riescono a scambiarsi pur essendo in mezzo a tutti noi, dando comunque l'impressione di essere su un pianeta lontano anni luce dal nostro. 

Quello a cui invece tutti sono avvezzi, al contrario, sono le frequenti discussioni che nemmeno una relazione ufficiale è stata in grado di eclissare. A James piace talvolta scherzare ancora in maniera infantile e Lily gli rimprovera spesso questo lato del suo carattere, sebbene la durata dei loro battibecchi si sia decisamente ridotta e l'epilogo che ne segue è diventato indiscutibilmente più dolce. 

«Andiamo ai Tre Manici, là possiamo di sicuro stare più tranquilli.» propone Remus, ottenendo subito il consenso generale. 

«Penso che tutti quelli del sesto e settimo anno abbiano avuto la tua stessa idea, Moony.»

«E va bene, allora cosa propone il fenomeno in alternativa?»

«Finitela di litigare, sembrate una coppia di sposini.»

Rido alla frase di James, mentre tutti insieme cominciamo a spostarci verso il pub scelto da Remus. Frank è alla mia destra e in un istante mi afferra la mano, stringendola e lanciandomi quel solito sguardo che so ormai interpretare con la massima precisione.

È felice, questo glielo leggo negli occhi. È felice e cerca di trasmettermelo in quel modo portentoso che conosce solo lui, sena necessariamente dover parlare ma semplicemente guardandomi. Perché lo sappiamo tutti cosa c'è fuori da qui, cosa sta succedendo negli ultimi tempi e cosa saremo destinati ad affrontare una volta usciti da Hogwarts. Ne parliamo spesso e lo facciamo sottovoce, provando a leggere tra le righe di quello che scrivono i giornali e chiedendoci se la parola guerra, che tutti sembrano voler celare con assurdi giri di parole, verrà prima o poi pronunciata ad alta voce da qualcuno di noi. 

Questo non è comunque il momento per pensarci, chiaramente. Questa è la classica serata in cui dobbiamo solo divertirci, svuotare la mente da tutti i pensieri negativi che la affollano e fingere, almeno per qualche ora, di essere dei normalissimi adolescenti che possono e devono non avere preoccupazioni più grandi di loro. 

Ma poi succede tutto in fretta. 

Sento delle urla acute e raccapriccianti, dei rumori di esplosione e qualcosa che scoppia - forse un muro vicino a noi, forse il tetto di qualche casa, forse addirittura un pezzo di strada - e non ho più il tempo di fare nulla. Nemmeno di pensare. 

Perché qualcuno accanto a noi ha appena gridato "Arrivano!" e lo sappiamo, lo sappiamo bene che sta succedendo qualcosa di grave e i negozi che prendono fuoco, le vetrine che si infrangono e le persone che urlano e corrono in ogni direzione possibile sono solo uno stupido contorno. 

Quello che succede è la mano di Frank che scivola via dalla mia, il primo incantesimo che colpisce la pietra alle mie spalle mancandomi per un soffio e quelle figure mascherate che cominciano a marciare nella strada principale, mulinando le bacchette come se ne dipendesse della loro stessa vita e scagliando fatture in ogni direzione possibile. 

«Restiamo uniti, restiamo uniti!» sento dire da una voce che riconosco essere quella di James, mentre il mio sguardo vaga sui miei amici e mi rendo conto che tutti, adesso, stringiamo in mano le nostre bacchette e siamo pronti a difenderci. 

Nessuno è un codardo, nessuno scapperà. Quando dicevamo che tutto questo era ingiusto e che questo dannato Lord Voldemort di cui si sente parlare sempre più spesso avrebbe portato solo guai, non sbagliavamo affatto. Quando dicevamo che avremmo fatto di tutto per opporci, se mai ne avessimo avuto l'occasione, sbagliavamo ancora meno. 

«Impedimenta!» urla qualcuno qui accanto a me, facendomi realizzare che la battaglia è appena all'inizio. 

E non importa se Frank non mi sta più stringendo la mano, se ora devo farmi bastare la semplice certezza che stia combattendo qui davanti a me e se dovrò convivere per un tempo incalcolabile con la paura folle che ai miei amici succeda qualcosa: adesso tocca a me ed io, quanto è vero che mi chiamo Alice Prewett, non mi tirerò indietro per niente al mondo. 

«Stupeficium!» grido in automatico, puntando la bacchetta sulla prima figura incappucciata che riempie il mio campo visivo ed esultando mentalmente quando la vedo schiantarsi sulla strada lontano da noi. 

Ad una vittoria corrisponde almeno una sconfitta, perché a pochi passi da me scorgo Peter con la manica del maglione squarciata, il sangue che da essa ne sgorga copioso ed io che mi ripeto che non c'è tempo nemmeno per fermarsi a pensare. E poi Lily Schianta uno di loro e Sirius schiva una Maledizione per un soffio, e James ne pietrifica un altro mentre io rovino tragicamente a terra, e Frank mi solleva con un braccio e con l'altro ne allontana un terzo, mentre un incantesimo colpisce Remus in pieno torace e lui cade per terra, il sangue che zampilla a fiotti dal suo corpo inerme. 

E mi viene da vomitare, sento la sensazione di nausea farsi largo dentro di me e non so se è la paura, se sono solo dannatamente terrorizzata o se sto male fisicamente per davvero. L'unica certezza che ho è che accanto a noi si è materializzato qualcuno, qualcuno che senz'altro è dalla nostra parte perché ci sta aiutando, sta scagliando incantesimi contro le sagome mascherate e urla di spostarci, di andare via. 

Ma io sono ancora qui, rannicchiata contro la parete distrutta, mentre mi maledico mentalmente perché questo dolore non mi fa combattere come vorrei. 

«Non rientriamo, smettila di chiedercelo! Protego!»

È la mia Lily che parla, vedo la sua chioma scarmigliata ondeggiare a pochi passi da me e mi viene da piangere, perché lei è così coraggiosa e io vorrei essere al suo fianco, se solo non avessi perso la sensibilità del braccio destro e non fossi in preda a un male allucinante. 

«Fabian ha ragione, Lily. Tornate al Castello e mettetevi in salvo.»

«Ma certo, mentre tu magari resti qui a combattere da solo, non è così?»

«Non credo sia il caso di litigare adesso, Incarceramus! Exulcero!»

«Io non mi muovo da qui. Pensate ad Alice, Remus e Peter, piuttosto! Sono feriti!»

Passa appena un secondo e subito scorgo Frank avvicinarsi a me, prendermi il viso tra le mani e guardarmi con gli occhi saturi di panico, totalmente contrastanti rispetto alla dolcezza che contenevano fino a pochi minuti fa. 

«Dobbiamo portarvi al sicuro, dobbiamo andare via da qui.»

«Riesco a camminare.» interrompo il suo tono affannato, mettendomi in piedi e stringendo i denti per trattenere una smorfia di dolore. «Andate da Remus, è laggiù ed è messo decisamente peggio di noi.»

«Alice, devo assicurarmi che tu...»

«Andate da Remus!» ribatto categorica, tirandomi definitivamente su e osservando Peter, a pochi passi da me e con il braccio ancora sanguinante, fare lo stesso. 

Frank mi rivolge un ultimo sguardo carico di sottintesi, prima di precipitarsi da Remus insieme ad un'altra figura di cui non riesco a riconoscere i contorni. Adesso anche un fumo denso ha iniziato a circondarci ed io non vedo più un accidenti, così mi concentro solo sul camminare lungo la parete di pietra alle mie spalle, sentendo dei passi dietro di me e pregando Merlino che si tratti di Peter. 

C'è una fessura qui, una piccola rientranza probabilmente causata da un incantesimo che ha distrutto il muro, così mi infilo tra le macerie sperando che le fatture possano non raggiungermi. Mi arrischio a lanciare un'occhiata al mio braccio, trattenendo un ennesimo conato non appena lo scorgo totalmente tumefatto e livido. 

«Da qui riusciamo a vederli.» mormora Peter con un tono saturo di paura, facendomi tirare un sospiro di sollievo nel sapere che almeno non sono da sola. 

Non faccio in tempo a sporgermi verso il buco della parete da lui indicato, perché all'istante sento un rumore di passi affrettati misti a delle voci che conosco come le mie tasche, finché non vedo Frank e Gideon trascinare di peso il corpo di un Remus privo di sensi. 

«Mettiamolo qua, così, piano.» sta sussurrando mio cugino, il volto pallido e trasfigurato dal terrore.

«Sta bene?» domando all'istante, portandomi una mano sulle labbra e sforzandomi più che posso per non scoppiare in lacrime.

«Cuginetta, non mi ero nemmeno accorto che fossi qui. Certo, vederci ad un pranzo di Natale sarebbe stato forse più piacevole.» dice Gideon, sforzandosi di sorridere e riuscendo, come sempre, ad alleggerire la situazione nonostante il panico evidente. «Comunque il vostro amico si riprenderà, ha solo ricevuto una brutta fattura in pieno petto.»

«Ha perso i sensi, dobbiamo portarlo il prima possibile a Hogwarts.» aggiunge rapidamente Frank, precipitandosi al mio fianco e valutando le condizioni del mio braccio, mentre Gideon fa lo stesso con Peter. «Dovete tornare adesso. Non c'è tempo, noi dobbiamo riprendere a combattere...»

«Tu starai con loro.» asserisce fermamente mio cugino, con un tono che non ammette repliche. «Abbiamo già abbastanza guai così, non abbiamo bisogno di un altro ferito.»

«So come si combatte.»

«Questo non lo metto in dubbio, ma loro non possono stare qui da soli. Sono entrambi feriti, come fanno a tornare al Castello senza aiuto?»

Frank non ribatte e non so se lo faccia perché sa per certo che Gideon ha ragione, oppure se ogni minima possibilità di risposta viene bloccata sul nascere dalla voce che sentiamo perfettamente a pochi passi da noi.

«Indubbiamente un trio meraviglioso, non c'è che dire.»

Mi chiedo come una semplice frase sia capace di farmi ghiacciare il sangue nelle vene, ma la risposta è così lampante e la rivedo negli occhi dei tre ragazzi accanto a me, che mi rivolgono gli stessi sguardi smarriti e sconvolti al tempo stesso.

«Premeditare un attacco a Hogsmeade, ma quanto potete essere codardi?» sputa con rabbia Sirius, con la sfacciataggine che non lo abbandona nemmeno in questo istante.

Tutti e quattro posiamo lo sguardo sulla fessura nella parete, attraverso la quale non ci è difficile scorgere Lily, James e Sirius che fronteggiano una fila di sagome mascherate e incappucciate. Ma al centro esatto c'è lui, la faccia scoperta e mortalmente pallida, con gli occhi infossati e rossi come il sangue.

Lord Voldemort sorride, le labbra arcuate in una smorfia che non ha assolutamente niente di ilare.

«Premeditare e concludere brillantemente un attacco a Hogsmeade, perdonami se ti correggo.» ripete lentamente, indicando con le braccia la devastazione che ci circonda e le persone che ancora fuggono, urlando. «Puoi anche tacciarci come codardi, ragazzo, ma di sicuro non siamo maleducati. Prego, avrei il piacere di cominciare con i convenevoli: tu devi essere Sirius, non è così?»

Non è solo la luna a splendere nel cielo, adesso. Ci sono le case in fiamme, le luci delle lanterne rotte che tremulano insistentemente e i fasci colorati delle Maledizioni che ancora volano sopra le teste di chiunque cerchi di scappare.

Sirius annuisce piano, tenendo lo sguardo fisso su di lui e lasciando che la fierezza tipica dei Black si riveli davanti agli occhi di tutti i presenti.

«Sono Sirius Black.» conferma infatti, la bacchetta stretta tra le dita e le nocche che sbiancano all'improvviso.

Tre parole sono sufficienti per far scoppiare Lord Voldemort in una risata raccapricciante, presto accompagnata da quelle dei seguaci che gli stanno alle spalle.

«Lo sapevo, hai lo stesso sguardo fiero di tua cugina. Bellatrix mi ha parlato molto di te, sai?»

«Lui non assomiglia neanche lontanamente a quella pazza.»

Peter trema, non appena si rende conto che anche James ha parlato e che l'attenzione dell'uomo si è adesso spostata su di lui. Non cessa di ghignare, beandosi della paura che legge nei loro volti e del terrore che la sua sola presenza è in grado di instillare nel petto di tre adolescenti come loro.

«E tu, ragazzo, chi saresti?» chiede ancora, mantenendo sempre quella vena beffarda nel suo tono di voce.

«Non so a cosa possa servirti sapere il mio nome, ma di certo non ho paura a dirtelo.» ribatte con orgoglio, sollevando il mento per guardarlo dritto negli occhi. «Mi chiamo James Potter.»

Lord Voldemort seguita a sorridere, percorrendo il contorno della bacchetta che stringe tra le dita e avanzando di un passo. Trattengo il respiro e stringo automaticamente la mano di Frank, che ha appena fatto un passo per correre da loro ma è stato ammonito dallo sguardo raggelante di Gideon. E non è codardia, non è viltà, non è essere egoisti: è che sappiamo benissimo che siamo in cinque ad essere nascosti, di cui tre siamo feriti e due soltanto non basterebbero a proteggerci. Se dovessimo fiatare o fare un passo falso, nessuno esiterebbe a ucciderci con uno sventolio di bacchetta.

«E la ragazza che stai cercando di nascondere dietro di te sarebbe...?»

Serro le palpebre e prego che Lily non faccia niente di avventato, che per una volta metta da parte l'impulsività di cui l'ho sempre rimproverata e che rimanga nascosta, lei che è una Nata Babbana e rappresenta ciò che più Voldemort trova deplorevole al mondo.

«Lily.» la sento dire con voce ferma, omettendo forse consapevolmente quel cognome che avrebbe potuto far supporre l'assenza di una discendenza Purosangue.

«Ripeto, un trio davvero meraviglioso.» sibila l'uomo, avanzando ancora con il sorriso sulle labbra. «Vi ho visti combattere, siete stati tutti e tre molto valorosi. Anche molto preparati, per essere solo degli adolescenti.»

«Nessuno di noi ha bisogno di complimenti al momento, grazie tante.» lo interrompe bruscamente Sirius, con quel proverbiale sarcasmo che porta sempre con sé.

«Stai cominciando a stancarmi con le tue provocazioni, ragazzino.» Voldemort muove impercettibilmente la bacchetta nella sua direzione, colpendo Sirius e facendolo schiantare contro la parete dietro la quale siamo nascosti. «Una volta posso ancora tollerarlo, ma alla seconda perdo la pazienza.»

«No!» sento urlare contemporaneamente da James, mentre cerca di scagliarsi contro di lui con tutta la rabbia del mondo. Ma Lily lo trattiene per una mano e la vedo chiaramente rivolgergli un'occhiata intensa, che forse basta a placare una sua possibile reazione avventata. «Cosa diamine volete, eh? L'attacco è riuscito, avete distrutto tutto, avete ucciso e ferito persone innocenti. Cosa dannazione vi serve ancora?»

Ogni parvenza di timore è sparita totalmente dal tono di voce di James, mentre respira affannosamente e lancia continue occhiate in direzione del suo migliore amico riverso per terra.

«È vivo, se è questo che ti stai chiedendo. Sono stato piuttosto indulgente, ma solo perché è un Black e i ribelli, in fondo, si possono domare facilmente.» scandisce Lord Voldemort, indicando Sirius con un gesto annoiato della mano. «Voi due mi interessate. Lily e James, James e Lily...due ragazzi che sanno combattere con coraggio e senza risparmiarsi.»

«Cosa volete?» ripete ancora la mia migliore amica, la voce tremante e il desiderio impellente di arrivare subito al punto cruciale della questione.

«L'ho già detto. Voi.» risponde ancora lui con voce pacata, sorridendo consapevolmente. «Vorrei che vi uniste a noi, a me. Vorrei che provaste il brivido del potere, della conquista, dell'appartenenza a qualcosa di grande e di incredibilmente forte. Sarete sotto la mia ala protettrice, mi occuperò personalmente di entrambi e farò in modo che possiate trarre più favori possibili da questa unione vantaggiosa. Quello che dovete fare è un semplice passo avanti.»

È con un tremito che mi accorgo che quello che sta ridendo, adesso, è James. Il suo sorriso ilare è intriso di amarezza, ira repressa e derisione, mentre inconsciamente avanza e arriva di nuovo a fare scudo a Lily con il suo corpo.

«Ascolta bene le mie parole, perché non credo che le ripeterò ancora una volta.» sussurra, camminando fino ad arrivare a pochi passi da Voldemort. «Noi non siamo come voi.»

Passa il tempo sufficiente per un battito di ciglia, quando all'improvviso un fascio di luce bianca ci circonda ed è con fatica che riesco a distinguere i contorni della sagoma di Silente, giunto in nostro aiuto con qualcun altro di cui ignoro completamente l'identità. E mi concedo un ridicolo sospiro di sollievo, pensando che forse è davvero tutto finito e che a breve torneremo a Hogwarts. Ammaccati e spaventati, certo, ma perlomeno tutti vivi.

Vola qualche incantesimo e sia Gideon, sia Frank escono allo scoperto, lasciando me e Peter con questa sensazione di fastidiosa impotenza a vegliare su Remus, ancora inerme. Seguo la scena davanti a me, sorridendo internamente quando vedo alcune figure incappucciate cominciare a smaterializzarsi alla velocità della luce come i peggiori dei vigliacchi.

Ma poi, ecco che succede l'inaspettato: Voldemort continua a combattere e a lanciare fatture in qualunque direzione, finché all'improvviso non afferra con forza un braccio di James, ancora rimasto esageratamente vicino a lui. Ed è adesso, solo adesso, che non riesco davvero a farne a meno: sgrano gli occhi e grido a pieni polmoni, guardando le due figure che, insieme, spariscono istantaneamente dalla mia vista.

***

Sirius.

Alice finisce così il suo racconto, là dove si interrompono i suoi ricordi e dove nessuno saprebbe come andare avanti. Non so se nessuno l'ha interrotta perché parlare dell'accaduto fa ancora tremendamente male a tutti, oppure perché non saremmo mai stati in grado di raccontare queste vicende con la sua stessa precisione.

Euphemia ha ancora la bocca coperta da una mano, gli occhi pieni di lacrime e la chiara espressione di chi non sa bene cosa dire o fare. Vorrei aiutarla, vorrei sollevarla almeno un po', perché negli ultimi anni lei ha sempre fatto lo stesso con me, incarnando alla perfezione quella figura di madre che, in fondo, non ho mai avuto. Ma è Fleamont a precedermi, posizionandosi dietro di lei e posandole entrambe le mani sulle spalle, quasi volesse essere lui l'unico punto di contatto tra sua moglie e il mondo esterno.

«Quindi Voi-Sapete-Chi si è smaterializzato con il ragazzo.» riassume brevemente Moody, rimasto in silenzio come tutti fino ad adesso. «Voi però avete detto di averlo trovato nei Sotterranei. Ma entro i confini di Hogwarts non ci si può...»

«Non si sono materializzati qui, infatti.» lo interrompe Silente, prevedendo la sua precisazione. «Prima l'avrà portato lontano da qui per eseguire su di lui l'Incantesimo di Memoria, poi avrà incaricato uno dei suoi adepti di riportarlo al Castello.»

«E chi può essere stato a portarlo indietro? Gazza ha detto che solo gli studenti...»

«Gli studenti possono entrare, Minerva.»

Il Preside la osserva intensamente, con gli occhi che sembrano parlare al di là delle sue fragili lenti a mezzaluna. E non c'è bisogno che aggiunga qualcosa, comunque, perché la sua allusione è stata colta da tutti: tra i seguaci di Voldemort c'è anche chi vive sotto il nostro stesso tetto.

«Ma perché,» chiede ancora Frank, scuotendo impercettibilmente la testa. «perché, fra tutti, proprio un Incantesimo di Memoria?»

Silente attende qualche secondo prima di rispondere, posando di nuovo lo sguardo su Lumacorno e su Madama Chips che, ancora chini su James, stanno parlottando fittamente tra loro.

«Prima è stato torturato.»

Sono quattro semplici parole, pronunciate con un tono fermo e calmo al tempo stesso. Qualcosa pare congelarsi, non so di preciso se dentro o fuori di me, ma l'unica consapevolezza che ho è che non riesco più a ragionare. C'è chi borbotta qualcosa e chi scuote la testa, Euphemia che scoppia in lacrime e Peter, poco distante da me, che mi guarda come se si aspettasse che con uno sventolio di bacchetta io riuscissi a sistemare la situazione. Lily ha la mano premuta sulle labbra e lo so che sta facendo il possibile per non piangere, ma la prima lacrima le scivola sulla pelle bianca e trascina presto con sé tutte le altre.

Mio fratello è stato torturato.

Mio fratello è stato torturato.

E io continuo a non sentire niente, se non quel bruciante senso di colpa che mi scava il petto e mi comprime i polmoni. Perché anche io non ho fatto nulla, perché l'ho lasciato da solo e non mi sono preso almeno la metà del suo dolore, come avevo sempre giurato di fare. Perché qualcuno ha lacerato la sua pelle, graffiandola e squarciandola e facendolo sanguinare a più non posso, per poi dargli il colpo di grazia cancellando totalmente la sua memoria.

Mio fratello è stato torturato e al suo posto avrei voluto esserci io, avrei dovuto esserci io. E invece è lui quello sdraiato a pochi passi da me, è lui quello che ancora non si è svegliato e che, quando comunque lo farà, non si ricorderà assolutamente niente della sua vita.

«Era prevedibile, la Maledizione Cruciatus è la loro firma.» borbotta aspramente Moody, coronando il tutto con qualche imprecazione. «Avranno cercato di estorcergli qualche informazione e il ragazzo avrà certamente taciuto.»

«Ma perché accanirsi contro i suoi ricordi?» ripete ancora Lily con un tono esasperato, asciugandosi velocemente le guance. «Voglio dire, questa non è solo perfidia. È...è...»

«È il modo peggiore per far star male tutti, non solo il signor Potter.» conclude Silente per lei, guardandola dritto negli occhi. «Quando a settembre il Cappello disse che sarebbe stato indispensabile più che mai quest'anno restare uniti, non sbagliava. Perché la guerra è anche questo e ognuno cerca i punti deboli dei propri nemici, semplicemente.»

«Hanno colpito la parte più intima e preziosa di James.» specifica Amelia Bones, passando una mano sulla spalla di Lily. «Perché sanno benissimo che uniti siamo tutti più forti, ma quando cominciano a formarsi delle fratture anche tra noi...ci indeboliamo, ecco tutto.»

La McGranitt scuote la testa e fissa il vuoto, lo sguardo terrorizzato di chi, per la prima volta, non ha la minima idea di quale sia l'appiglio giusto su cui fare affidamento.

Ed io non sono più certo di saper respirare.

«Incantesimo parziale di Memoria con un pizzico di Magia Oscura che lo rende più potente, come sospettavamo.» decreta all'improvviso Lumacorno, scostandosi dal letto insieme a Madama Chips, che traffica con qualche unguento sulla faccia di James. «La buona notizia è che non è irreversibile.»

Peter emette un sonoro respiro di sollievo, lanciando uno sguardo su Remus come se sperasse in un improvviso risveglio da parte sua.

«Esiste un rimedio?»

«Esiste una pozione.» mormora stancamente Lily, mordendosi il labbro e fissando ancora James.

Lumacorno si concede persino un sorriso soddisfatto per la pronta risposta, annuendo nella sua direzione.

«Esattamente. È stata una fattura di grande portata, questo è fuori discussione, tanto che gli effetti li avete già testati voi stessi in prima persona...»

«Quindi tornerà come prima?» domando precipitosamente, pregando che la risposta sia esattamente come spero.

«Nel novantanove per cento dei casi si ritorna come prima, sì.» Dovrei sentirmi sollevato, ma è il successivo sospiro sonoro di Lumacorno a farmi congelare sul posto. «L'unico problema resta, tuttavia, la tempistica.»

«Quanto richiede una pozione simile?» chiede Fleamont con una certa impazienza nel tono di voce.

«È molto complessa come preparazione, ma se comincerò subito - e lo farò, naturalmente - il tempo previsto dovrebbe essere di circa un mese.»

Un mese.

Un mese senza di lui, un mese con una persona che a stento riconosco ancora e che al posto di tutti i nostri ricordi, collezionati in sette anni di fratellanza, non ha altro che il vuoto più totale. 
Un mese con una persona che prova repulsione nei confronti dei suoi migliori amici, che chiama Sanguesporco la ragazza che ha desiderato di avere al suo fianco da tutta una vita.

Un mese a sopportare quello che sarà un drastico allontanamento che nessuno, tantomeno James, ha voluto.

«Ma cosa...cosa facciamo per tutto questo tempo?»

La domanda fatta da Peter a cuor leggero non ha niente di ridicolo o di insensato, ma è esattamente quello che inconsapevolmente mi sto chiedendo da quando è arrivata la sentenza definitiva di Lumacorno.

Cosa diamine faccio senza di lui per tutto questo tempo?

«Non abbiamo un grande potere nelle nostre mani, signor Minus.» replica il professore, passandosi una mano sulla fronte aggrottata dallo sconforto. «Certamente è fuori discussione prenderlo da parte e spiegargli tutto.»

«Intende dire che non possiamo menzionare l'Incantesimo di Memoria e...non possiamo dirgli come sono andate davvero le cose?»

«È un no categorico, signorina Evans. Non è solo il tempo ad essere uno dei nemici peggiori dei maghi, ma anche la memoria: non ha la minima idea di quanto sia sottile la linea che separa gli incantesimi non permanenti dai danni irreversibili che essi possono comportare.»

«Senza contare che, comunque, il ragazzo non vi ascolterebbe.» precisa Moody con un'amarezza che non mi sfugge.

«Quindi?» ripeto, sperando che tutti colgano il nervosismo che trasuda dalle mie parole. «Cosa ci resta da fare?»

«Assecondarlo, signor Black.» replica candidamente Silente, guardandomi dritto negli occhi. «Solo assecondarlo.»

È facile per lui dirlo, è facile assecondare un ragazzo che, nella peggiore delle ipotesi, manterrà con lui il classico rapporto freddo e civile che normalmente si instaura tra studente e Preside, privato solo di quella piccola complicità che chiunque, Silente così come i professori, hanno sempre inevitabilmente instaurato con una persona così espansiva come James.

Facile, tuttavia, non può esserlo per me.

Assecondare è semplice, è una cosa che io e il mio migliore amico abbiamo sempre imparato a fare in questi anni: talvolta è James ad assecondare me, specialmente quando ho la luna storta e l'unica cosa che può calmarmi è sapere di averlo al mio fianco, sapere che risponderà di  se gli chiederò di rimpicciolire all'improvviso le scarpe di Avery o di far evanescere i pantaloni di Mulciber; altre volte, invece, sono io ad assecondare le piccole fissazioni e le paranoie che solo uno come lui può avere, accettando ad esempio di non andare a dormire finché non avrà battuto il suo record personale di cattura del Boccino, o di scendere a notte fonda in Sala Comune ad assicurarsi che Lily non si sia addormentata tra le sue pergamene, come capita sovente.

Assecondare cose come queste va bene, ha sempre fatto parte del nostro tacito patto di amicizia ed è, in fondo, il fondamento di tutto quello che in questi sette anni abbiamo costruito e condiviso. Ma accettare che lui si allontani da noi, che dimentichi una parte intera della sua vita e che diventi tutto quello che entrambi abbiamo sempre odiato, no, questo va al di là di ogni mia più remota capacità.

Mi siedo vicino a Lily e non apro bocca, lasciando che questo silenzio disumano si insinui ancora una volta tra noi e appoggiando i gomiti alle ginocchia. Nascondo la testa tra le mani e sospiro, sentendo un peso gigantesco comprimermi il petto e chiedendomi se sia esattamente questo il dolore più grande che io abbia mai provato in tutta la mia vita.

Poi sollevo lo sguardo e lo poso su di te, immobile e addormentato a pochi passi dal sottoscritto, e la risposta al mio quesito è così lampante che non ho nemmeno bisogno di registrarla con coscienza.

Tra poco probabilmente il Sole sorgerà di nuovo e tu forse aprirai gli occhi, sbattendo le palpebre un sacco di volte e cercando a tentoni gli occhiali sul tuo comodino, occhiali che non troverai perché come sempre io te li avrò nascosti in un posto troppo lontano per la tua mente ancora annebbiata dal sonno.

Ma io non sono così sicuro di voler restare qui quando ti sveglierai. Perché tu non mi saluteresti con una mezza risata e una spallata come tuo solito, non cercheresti di buttarmi giù dal letto per poi finire aggrovigliato nelle coperte insieme a Moony e Wormtail - probabilmente di ritorno dal bagno, sicuramente anche loro coinvolti nella nostra mezza lotta - e, cosa ancora più sicura, non mi faresti venire voglia di iniziare la giornata soltanto guardando i tuoi capelli così oscenamente improponibili.

Perché quella che ti hanno fatto, James, è Magia Oscura. E se pensavo che questa guerra l'avremmo combattuta fianco a fianco, andando allo sbando come nostro solito e senza un piano ben preciso a cui attenerci, ora devo arrendermi di fronte alla consapevolezza di non esserne più così sicuro. Perché se credevo che ormai non potessi più provare sulla mia pelle il dolore dell'abbandono, del tradimento, dell'assenza di chi ero convinto non se ne sarebbe andato mai, oggi devo gettare la spugna e rendermi conto che non esiste più nemmeno questa certezza.

Perché il Sole sorgerà di nuovo, l'alba rischiarerà un'ennesima giornata e tu aprirai gli occhi. Ma di te, di lei, di noi, tu non ricorderai più nulla.

 

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Capitolo 3
*** Due. ***


Remus.

Sono uscito dall'Infermeria questa mattina all'alba, reduce da una nottata in cui, grazie anche all'effetto anestetizzante di tutte le pozioni che mi sono state rifilate, sono crollato nel sonno più profondo. Al mio risveglio stavo bene e questa è una certezza innegabile che mi ha colpito con ferocia nell'esatto istante in cui ho aperto gli occhi.

Non è difficile rivivere il dolore che ho provato nel preciso momento in cui la fattura scagliata da una sagoma incappucciata mi ha colpito esattamente sul torace, facendomi boccheggiare per la mancanza d'aria e facendomi crollare drasticamente a terra. Non ricordo un granché in realtà, solo un dolore atroce che lentamente si propagava in ogni angolo del mio corpo, mentre il sangue fuoriusciva a fiotti ed io, contemporaneamente, perdevo i sensi.

Quando ho aperto gli occhi e mi sono ritrovato totalmente fasciato nel lettino dell'Infermeria, sono rimasto davvero sorpreso dell'assenza quasi totale di dolore e del fatto di provare solo un minuscolo, fastidioso intorpidimento. Sono abituato alle ferite post luna piena, quando mi risveglio e a stento riesco a far funzionare i miei muscoli e a muovere gli arti, dunque è stato piacevolmente spiazzante realizzare di saper camminare, di avere un corpo e di saperlo gestire.

Madama Chips era sveglia quando mi ha visto riprendere coscienza, poco distante da me mentre cambiava le bende di Elizabeth Light - una studentessa Corvonero del sesto anno - dunque non ci ha messo un granché a finire di medicarmi e a comunicarmi che, se lo desideravo, potevo tornare a dormire nella mia stanza.

Anche questa sua frase mi ha totalmente colto alla sprovvista, perché lei è la stessa donna che insiste nel far rimanere i ragazzi almeno un giorno in più sotto sorveglianza - spesso per precauzione, raramente per vera necessità - e che storce sempre il naso quando, la mattina dopo la luna piena, i miei amici entrano baldanzosi in Infermeria e mi riportano alla base già nel primo pomeriggio.

Ma non ho obiettato, perché Madama Chips ha parlato con un tono  dolce e tranquillo, ma con l'aggiunta di una vena di apprensione che a me, l'empatico per eccellenza, non è sfuggita per niente.
Senza considerare, poi, che la sensazione di angoscia che mi ha colto quando ho fatto vagare lo sguardo sui lettini dell'Infermeria e non ho trovato nessuno dei miei amici è stata nettamente peggiore del dolore fisico che posso aver provato nelle ultime ore.

Perché io posso concedermi di stare male, non è mai stato un problema: sono abituato a provare dolore una volta al mese all'incirca da quando ero bambino. Ma che a uno solo di loro sia successo qualcosa, no, questo non posso permettermelo.

«Felix Felicis.» dico convinto al ritratto della Signora Grassa, dopo aver sfruttato praticamente ogni scorciatoia di mia conoscenza per evitare di prendere le scale e affaticarmi troppo.

La Sala Comune è vuota, come sospettavo. È ancora buio là fuori, il cielo è tinto di quel blu incerto che a breve sfumerà nei toni accesi e vivaci dell'alba. Questo colore così scuro inganna, comunque: il rosso del fuoco che bruciava le case di Hogsmeade e del sangue che sgorgava dai nostri corpi, l'argento brillante delle maschere che i seguaci di Voldemort portavano sul volto, il verde pallido di quel terrificante simbolo comparso a sporcare il cielo notturno e delle Maledizioni che volavano da un angolo all'altro sono colori nettamente più vividi nella mia mente.

Salgo l'ultima rampa che mi separa dalla mia stanza, il cuore in gola e la necessità quasi fisica di constatare con i miei stessi occhi che i miei migliori amici stanno bene, che sono tutti integri e che non esiteranno ad alleggerire l'atmosfera con le loro stupide battute. Potrebbero prendermi in giro sull'essere per davvero il più cagionevole di tutti loro, quello che se non passa almeno due nottate al mese in Infermeria non è contento. Potrebbero dire qualunque cosa, davvero, e a me non importerebbe un granché: mi basta sapere che sono vivi, tutto il resto perde di importanza.

Tuttavia, quando mi decido definitivamente a spalancare la porta della nostra stanza con un'impazienza che raramente mi è capitato di provare prima, quello che mi si para davanti è uno spettacolo piuttosto singolare. Peter è seduto sul suo letto a gambe incrociate, la schiena appoggiata alla testiera del letto e lo sguardo che, all'istante, saetta nella mia direzione colmo di gratitudine. In un primo momento non capisco perché sembri esprimere tutta questa riconoscenza - forse perché sono vivo e sono ancora in grado di camminare - ma non passa molto prima che io mi volti verso destra e scopra il vero motivo di questa sua reazione.

Sdraiato sul suo letto c'è Sirius, con addosso ancora i vestiti bruciacchiati e macchiati di sangue a causa dello scontro, le braccia incrociate dietro la testa e gli occhi fissi sulla parte alta del suo baldacchino. Nemmeno il mio ingresso improvviso sembra svegliarlo da questo stato di catalessi ed io spero, prego che il suo stato d'animo sia dovuto ancora al trauma post battaglia. Il campanello d'allarme che ho nel cervello e che è solito suonare quando succede qualcosa di grave, tuttavia, mi suggerisce che c'è sotto ben altro.

«Remus! Stai bene?» mi domanda subito Peter, guardandomi mentre sono ancora fermo sulla soglia con la mano avvolta intorno alla maniglia.

«Sto molto meglio, Wormy. Madama Chips mi ha detto di tornare in dormitorio appena mi ha visto sveglio.» spiego rapidamente, chiudendomi la porta alle spalle e appoggiando la schiena alla parete. I miei occhi tornano su Sirius, immobile e silenzioso come mai prima d'ora, e quelle tre parole premono con talmente tanta forza sulla mia lingua che mi è impossibile aspettare ancora per pronunciarle. «Va tutto bene?»

Probabilmente era la domanda che Peter si aspettava, nonché quella che sperava con tutto se stesso di evitare come il Vaiolo di Drago. Mi fissa infatti con gli occhi sgranati e un'espressione terrorizzata, ma la mia attenzione viene comunque catturata da quell'impercettibile contrarsi della mascella di Sirius che mi fa pensare che sia sveglio e che no, non vada affatto tutto bene.

Il silenzio è già di per sé una risposta più che precisa - rara per noi Malandrini, certo, ma pur sempre precisa - e fa sì che il mio cervello cominci a lavorare freneticamente, pensando ai mille scenari drammatici che, dopo tutto quello che si è appena concluso questa notte, possono essersi svolti davanti ai loro occhi. E poi eccola, la vera domanda che scivola dalle mie labbra e alla quale, come so per certo, una risposta concreta giungerà senza dubbio.

«James?» chiedo laconicamente e senza muovere un passo, gli occhi puntati su Padfoot pronti a cogliere una qualunque piccola ombra passare sul suo volto stanco.

Sirius resta immobile per secondi che paiono ore intere, prima di decidersi a voltare la testa verso di me e a rivolgermi quello sguardo che rimarrà per sempre lì, incastrato in un punto imprecisato del mio cervello, un tragico promemoria che serve a ricordarmi che le catastrofi possono per davvero piombare su di noi nella maniera più inaspettata e violenta possibile.

«Gli hanno fatto un Incantesimo di Memoria.» risponde con un tono duro, freddo, mentre posso sentire chiaramente Peter trattenere il respiro. «Non si ricorda più niente.»

Ma tra tutte le risposte che la mia mente aveva prodotto come possibili opzioni, certamente questa non era contemplata. È per questo che rimango a fissarlo in silenzio per un tempo che pare interminabile, la bocca socchiusa e la chiarissima sensazione di non riuscire più a proferire una singola parola.

«Che intendi dire?» mi sento mormorare, la schiena ancora appoggiata alla porta come unico appiglio che mi permette di stare in piedi.

«Quello che hai capito, Remus. Silente e gli altri Auror sono arrivati in nostro soccorso, i seguaci di Tu-Sai-Chi hanno cominciato a smaterializzarsi e lui li ha seguiti. Ha trascinato James con sé.»

Ne parla con un distacco che quasi mi uccide, tirandosi su a sedere ma senza smettere di guardarmi negli occhi. Lo so cosa sta cercando di fare, conosco Sirius come le mie tasche e non è nuova per me questa sua reazione: sa che con le parole non è un asso, sa che non può e non deve permettere che da esse ne traspaia una minima parvenza di emozione. E allora mi guarda, lasciando che siano i suoi occhi a parlare per lui.

«Perché...»

«Volevano informazioni che nessuno di noi ha. Pensavano che James fosse abbastanza vicino a Silente da sapere cose che in verità tutti ignoriamo, per questo è probabile che abbiano usato la Cruciatus su di lui.» interrompe sul nascere la mia domanda, mentre io sento il pavimento mancarmi sotto i piedi e poco alla volta scivolo per terra, le braccia mollemente avvolte intorno alle ginocchia e un fischio acuto che mi rimbomba nelle orecchie. «Quando l'abbiamo ritrovato a Hogwarts, non si ricordava nemmeno chi fossimo.»

Conclude con un mezzo sorriso amaro sulle labbra, scuotendo la testa e tornando a fissare un punto imprecisato davanti a lui. Ho perso i sensi in battaglia e sono successe tutte queste cose, senza che io potessi anche solo minimamente dare una mano, essere utile a qualcuno. È successo tutto questo e io ero addormentato, incapace di sostenere i miei amici come avrei voluto fare.

«Ha chiamato Lily Sanguesporco.» precisa Peter, trovando il coraggio di inserirsi nella conversazione e parlando con un ribrezzo nel tono di voce che, forse, in un'altra occasione mi avrebbe fatto persino sorridere.

Ma ora non riuscirei a farlo nemmeno sotto tortura.

Lily. Il dolore che può aver provato lei nessuno al mondo riuscirebbe a immaginarlo, figuriamoci se posso farlo io. È che è tutto assurdo, dannatamente assurdo: sette anni passati a rincorrersi ed ecco che, quando finalmente riescono a raggiungersi, il tempo decide di nuovo di non schierarsi dalla loro parte, aggiungendosi alla lista di ostacoli che si frappongono tra loro e quella felicità che sembra essere così irraggiungibile.

E il problema non è solo questa mancanza improvvisa di memoria, perché sono sicuro al cento per cento che, se anche non ricordasse niente di lei, James non faticherebbe a innamorarsi di nuovo di Lily in questa e in mille altre vite.
Il problema reale è che lui, tra tutto quello che poteva dire, ha usato proprio quella parola.

Va bene, il termine Sanguesporco è per noi impronunciabile e sempre lo sarà, ma non vuol dire che tutta la comunità magica - purtroppo - la pensi allo stesso modo. Non è un caso se due anni fa, per colpa di quella minuscola parolina detta forse in un momento di rabbia e di frustrazione, la stramba ma piuttosto solida amicizia che c'era tra Lily e Piton si è disintegrata in maniera definitiva e irreparabile.

Ed è proprio questo, il fatto di aver osato rivolgersi a lei con un epiteto tanto crudele e discriminatorio, che ha sempre rappresentato nella maniera più concreta la spessa linea che, dall'alba dei tempi, distingue James da Severus. Il mio migliore amico sarà anche un idiota con i fiocchi, certo, ma al contempo non ha mai esitato a schierarsi con ferocia contro chiunque abbia osato sminuire un Nato Babbano solo per il sangue non puro che scorre nelle sue vene. Per quanto riguarda Piton, invece, certamente non si può dire il contrario: non credo sia necessario specificare le idee deplorevoli che circolano nel suo gruppetto di futuri Mangiamorte.

Ed ecco James diventare inspiegabilmente come loro, a causa di una fattura a cui nessuno riesce a dare una corretta interpretazione se non attribuirla alla meschinità di Voldemort e dei suoi seguaci, che hanno così prodotto l'espediente perfetto per ferire il mio amico. Per ferire tutti noi.

«Non c'è niente che possiamo fare?»

«Uno stupido intruglio di Lumacorno potrebbe aggiustare le cose con molta probabilità.» La notizia sembra positiva, ma Sirius si è improvvisamente alzato dal suo letto e quasi posso sentirla dentro di me, la sua rabbia che monta lentamente. «Tra un mese

Serro le palpebre di scatto di fronte allo schiaffo che rappresenta la sua frase, sospirando piano e passandomi una mano sugli occhi. Tutto questo non è reale, semplicemente non può esserlo.

«Dov'è adesso?»

E mi sto odiando perché non riesco a fare a meno di porre domande su domande, cercando di riempire quel vuoto causato dalla mia perdita di sensi e dal non aver assistito insieme a loro a tutto questo. Non lo so se riuscirò mai a sanare questa ferita, non ho poteri particolari tra le mani e non ho nemmeno la minima idea di come affrontare questa dannata situazione.

E lo leggo negli occhi di entrambi che si aspettano che io abbia un piano, che la mia proverbiale calma e la mia lucidità possano aiutare tutti noi in questa condizione ai limiti del sopportabile. Ma io un piano non ce l'ho, semplicemente perché non riesco a pensare a qualcosa di sensato nemmeno per sbaglio.

«Nell'ufficio di Madama Chips. I professori vorranno monitorarlo e tenerlo lontano da tutti, per ora.»

Di nuovo la sua voce distaccata, di nuovo un mugolio sconfortato di Peter, a cui si aggiunge un rumore indistinto di oggetti spostati che mi induce ad aprire di scatto le palpebre. Sirius è in piedi davanti a me e sta trafficando con il suo baule, che chiude con uno scatto secco e tira su, cominciando a tracinarlo dietro di sé. Ha un'espressione tesa e imperturbabile, quella maschera così tipicamente in stile Black che indossa nei momenti più difficili, ed è proprio guardandolo che mi rendo conto di non essermi mai sbagliato prima.

Mi sono svegliato poco fa e non provavo quasi nessunissimo dolore fisico, stupendomi della cosa e mostrandomi addirittura soddisfatto. Ora, posso dire con certezza di non essermi mai sentito morire dentro come in questo preciso istante.

***

Peter.

«Cosa stai facendo?»

Vorrei far notare a Remus che la sua domanda, per quanto lecita e assolutamente pertinente, dovrebbe essere sostituita ancora da un'altra frase. 
"Dove stai andando?" mi sembra decisamente più appropriata, considerando che quello che Sirius ha appena chiuso con la bacchetta è il suo baule ed è lo stesso oggetto che si sta trascinando dietro con una rabbia disarmante.

«Me ne sto andando.»

E sono solo quattro parole, questo lo so, ma mi colpiscono come se fossero pugni in pieno stomaco e fanno traballare pericolosamente il filo sottile sul quale mi sembra di camminare da quando siamo tornati in dormitorio. Non c'è James, non c'è equilibrio.

Deglutisco e non stacco lo sguardo da Sirius, che vedo solo di spalle ma di cui riesco a immaginare con meticolosa precisione l'espressione impassibile e spaventosamente distaccata che certamente indossa. Quello che scorgo con i miei stessi occhi, al contrario, è Remus che si alza di scatto da terra e si posiziona davanti alla porta, le braccia lungo i fianchi e la bacchetta stretta nella mano destra.

«Cosa diamine stai dicendo?»

«Intendo che me ne vado, Remus.» risponde freddamente Sirius, sbuffando ma senza staccare la mano dal suo baule. «Spostati dalla porta.»

«Hai deciso di vagabondare per le colline scozzesi?» domanda ancora Moony, il tono beffardo e provocatorio che raramente gli ho visto sfoderare e un sopracciglio inarcato, che riesco a scorgere tremare impercettibilmente.

Le spalle di Sirius sono ora incredibilmente tese ed io trattengo di nuovo il respiro, perché per la prima volta ho seriamente paura di lui. Questa situazione è nuova, l'armonia che da sempre regola la nostra amicizia è stata minacciata e noi - ed io - non sappiamo cosa fare, se non tirare fuori il lato peggiore che abbiamo.

«Non sono io quello che resta.»

«No, dici bene.» La rabbia nel tono di Remus è palpabile, rintracciabile perfettamente nel suo sorriso amaro. «Tu sei quello che scappa.»

Sirius lascia di scatto la presa sul manico e fa un passo indietro, come se la frase appena pronunciata gli avesse fatto male sul serio. È che è davvero impossibile non scorgere l'evidente riferimento a quel giorno di due anni fa, quando Padfoot scappò da casa sua dopo tutte quelle estati in cui aveva dovuto convivere con l'etichetta di traditore che gli era stata appiccicata sulla fronte a forza, rifugiandosi nell'unico porto sicuro che aveva allora, che ha sempre avuto: da James, da suo fratello.

E la furia di Remus la capisco, così come capisco che non pensa nemmeno la metà delle cose che sta dicendo, ma che si sente in obbligo di parlare con cattiveria per farlo reagire. Ma comprendo altrettanto bene Sirius, che si è visto strappare da davanti agli occhi l'unica certezza che gli restava in questo mondo.

«Sì, sono proprio io quello che scappa. L'ho fatto con i miei genitori, non ho grandi difficoltà a rifarlo una seconda volta.» risponde dopo qualche secondo di silenzio, il respiro pesante e la mano che trema.

«Lo capisco, scegli la via più facile. Affrontare la situazione di petto sarebbe troppo anche per te, non è così?»

Una risata tristissima esce dalle labbra di Sirius, che comincia a misurare la stanza e si passa nervosamente una mano tra i capelli.

«Non ho intenzione di restare qui e vederlo in queste condizioni, lo sai anche tu.» dice tra i denti, stringendo le mani a pugno per darsi una calmata. «Vado via da Hogwarts, trovo un posto in cui stare e vi aspetto. Vi aspetto là fuori e quando tutto questo sarà finito ricominceremo da capo.»

«Ma non ha senso, Sirius. È...è solo un mese.» mormoro, inserendomi nella conversazione per cercare di farlo ragionare.

Si volta di scatto verso di me, fissandomi in un modo che mi mette paura e soggezione al tempo stesso.

«Solo? Pete, hai idea di quanto sia lungo un mese e delle cose che dirà, che farà James in tutto questo arco di tempo?» domanda retoricamente, scuotendo la testa e abbassando poi il tono di voce, come se stesse parlando tra sé e sé. «Io non la voglio rivivere un'altra situazione del genere. Non voglio.»

«Devi farlo per Prongs.» tenta ancora Remus, addolcendosi visibilmente e fissandolo come se volesse trasmettergli sicurezza con la sola forza delle pupille. «Cosa credi che farebbe lui al tuo posto?»

«Ma io non sono lui, maledizione!»

Il primo pugno sul muro arriva forte e deciso, subito seguito da altri due ugualmente potenti. Remus ed io ci limitiamo a tacere, lasciando che si sfoghi e sperando che questo basti a fargli scaricare i nervi, a farlo tornare con i piedi per terra. Ma quando si gira e ricomincia a fissarci, ha qualcosa di estremamente pericoloso nello sguardo e le nocche spaccate, mentre boccheggia e riempie questo silenzio estenuante con il suo solo respiro ansante.

«Non ti ho mai chiesto di essere come lui.» asserisce Remus a bassa voce, dopo aver atteso quei minuti che ha ritenuto sufficienti affinché fosse pronto ad ascoltare le sue parole. «Ti chiedo solo di aspettare, per lui. Di farlo perché è tuo fratello, perché non c'è altro che possiamo fare e perché tu non sei un codardo. Non lo sei mai stato e non lo sarai di certo adesso che c'è di mezzo il tuo migliore amico.»

Le parole di Remus sembrano cominciare a fare effetto, perché il respiro di Padfoot si regolarizza lentamente e lui si limita a fissare il pavimento sotto di lui, come una bestia braccata che decide di lasciarsi addomesticare, di diventare più docile. E lo so che non ci sarebbe niente da aggiungere, perché Moony ha detto tutto e nessuno di noi avrebbe saputo farlo con la sua stessa lucidità.

Ma ci sono anche io. E forse non sarò convincente come Remus o impulsivo come Sirius, ma so per certo che tutti e due, adesso, hanno bisogno di sentire più che mai che rimarrò anche io al loro fianco, perché abbiamo cominciato questa avventura in quattro e sempre in quattro ne usciremo. Non conosco altri finali plausibili per questa storia.

«Glielo dobbiamo, Padfoot.» mi arrischio a sussurrare, torturandomi le mani e guardandolo in faccia. «Lui non vorrebbe saperci divisi.»

Sirius continua a non rispondere e ho paura che potremmo passare i restanti minuti che ci separano dall'alba in questo esatto modo, posizionati in tre punti diversi della stanza, a fissarci in silenzio finché uno di noi non avrà qualcosa di incredibilmente stupido da dire. Dovrebbe andare così, non c'è altro modo di finirla con questa assurda e atipica tensione che si è creata nella nostra stanza.

Ma poi Padfoot si riscuote, lancia un ultimo sguardo di fuoco al suo baule - sono piuttosto stupito che non si sia incenerito all'istante - e comincia a camminare verso la porta, evitando Remus senza troppe difficoltà e arpionandosi con forza alla maniglia. L'ultimo suono che sento è il rumore che Sirius produce sbattendosela alle spalle, poi torna di nuovo il silenzio.

Tutti i suoi vestiti e le sue cose sono ancora qui, comunque. E allora non posso che aggrapparmi a questo, vedendola come una sorta di piccola promessa: non se ne andrà. Non oggi.

***

Lily.

La Sala Comune è rimasta deserta da quando ho messo piede qua dentro, vale a dire appena una manciata di minuti fa. Non è stato affatto facile lasciare la mia stanza e scendere le scale per venire qui, perché Alice ha naturalmente insistito come la più apprensiva delle madri a restare sveglia accanto a me, ad aspettare che mi fossi addormentata completamente.

È inutile specificare che abbiamo trascorso tutto il tempo in silenzio religioso, io che a stento trattenevo le lacrime e lei che continuava a sussurrarmi che sarebbe andato tutto bene, che un mese sarebbe volato davvero in fretta, che comunque ci sarebbe stata lei al mio fianco e che non sarebbe stata l'unica.

Avrei voluto crederle, avrei voluto farmi contagiare ancora una volta dalla sua positività congenita, ma la verità è che in questo preciso istante vedo tutto nero e non esiste niente che possa alleviare il mio dolore.

Ho finto di essermi addormentata e mi sono data della pessima amica, perché Alice voleva solo starmi accanto e io non sono riuscita nemmeno a farle credere per bene che le sue rassicurazioni fossero servite a qualcosa. Poi lei è tornata nel suo letto e dopo qualche minuto ho sentito il suo respiro farsi più profondo, segno inequivocabile del fatto che la stanchezza di una lunghissima e terribile giornata doveva averla colta.

Così sono arrivata qua, dopo essere scivolata silenziosamente fuori dal dormitorio ed essermi appropriata del mio divano preferito, non quello davanti al fuoco come ci si aspetterebbe da un Grifondoro con i fiocchi bensì quello nell'angolo a destra, decisamente più nascosto agli occhi indiscreti dell'intera Sala Comune.

Lo stesso divano su cui, negli ultimi mesi, io e James abbiamo trascorso ore e ore seduti l'uno accanto all'altra, a parlare fino a notte fonda, a cercare di concludere quei compiti che - spesso per colpa della troppa distrazione causata reciprocamente - non riuscivamo mai a terminare il pomeriggio, a litigare perché lui fondamentalmente è un bambino e io sono sostanzialmente troppo orgogliosa, a rubarci a vicenda quei baci talvolta delicati, talvolta più irruenti, che spesso ci lasciavano senza fiato e a corto di parole da dire. Non che ce ne fosse mai stato bisogno, comunque: non dopo che mordendoci le labbra ci eravamo già detti tutto.

Sospiro e mi stringo le ginocchia al petto, chiudendo per un attimo gli occhi e soppesando la portata del dolore che so di provare. Non voglio lasciarne nemmeno metà, perché non sarebbe giusto: devo prenderlo tutto, accumularlo meglio che posso e viverlo, viverlo fino in fondo. Solo così riuscirò a domarlo definitivamente.

Poi sento il rumore di una porta che sbatte con violenza e vorrei urlare, perché non basta nemmeno questo a spaventarmi e a farmi realizzare di essere viva. Niente, non mi è concesso di provare neanche la tachicardia causata dallo stupore.

I miei occhi si posano comunque sulle scale del dormitorio maschile, dalle quali vedo fare la loro comparsa un ammasso di capelli corvini piuttosto scarmigliati e uno sguardo assente che, ne sono certa, è speculare al mio. Sirius sembra intercettare all'istante la presenza di qualcun altro nella Sala Comune, perché solleva il mento e le sue pupille saettano subito verso di me. All'improvviso, sebbene la direzione da lui prescelta sembrasse essere il buco del ritratto, pare ripensarci e comincia a marciare verso la sottoscritta.

Si lascia cadere sul divano in silenzio, posizionandosi alla mia sinistra senza nemmeno guardare nella mia direzione. Non che ci sia bisogno di parole o di sguardi in questo istante, comunque: credo che abbiamo entrambi già capito molte più cose semplicemente tacendo.

«Volevo andarmene.» È lui il primo a rompere la quiete, parlando e tenendo gli occhi fissi sulla finestra davanti a noi. «Poco fa, volevo andarmene da Hogwarts.»

Aggrotto la fronte e mi volto a fissarlo, concentrando nella mia espressione tutto lo sconcerto che provo.

«Perché?»

«Avevo paura di non riuscire a gestire la situazione. Avevo paura di...rivivere le stesse cose che ho dovuto sopportare con lui

Sirius non è mai stato un tipo a cui piacciono le confidenze, questo penso sia lampante, ma ci sono quei dettagli che si possono cogliere perfettamente anche senza ascoltare le sue parole. Ed è chiaro che quel "lui" finale si riferisce a Regulus Black, suo fratello, e al netto allontanamento che l'appartenenza a due Case diverse e i loro caratteri così divergenti hanno comportato.

«Però sei restato.» gli faccio notare, senza smettere di guardarlo in faccia e intercettando un sorriso amaro aprirsi sulle sue labbra. «Sei mai andato al mare, Sirius?»

È chiaramente spiazzato dalla mia domanda così apparentemente insensata, ma io continuo a indossare il mio sguardo serio e a fissarlo negli occhi in attesa di una sua risposta.

«Qualche volta.» borbotta infine, passandosi una mano tra i capelli. «In Francia, ma ero abbastanza piccolo. Sono passati tanti anni.»

«Ti ricordi cosa facevi quando arrivava un'onda improvvisa?»

Sirius scuote la testa e ghigna, puntando finalmente gli occhi chiari su di me.

«Lily, non sono sicuro che questa...»

«Rispondimi.» lo interrompo categorica.

«Non mi ricordo.» butta lì con una scrollata di spalle, sfoderando però la classica espressione di chi si sta concentrando per trovare le parole giuste. «Mi piaceva nuotarci contro, credo. Quando arriva ed è altissima e tu le vai addosso, capito?» Annuisco comprensiva in risposta, lasciando che continui. «Oppure prendevo Regulus in braccio e mi facevo scudo usando lui.»

Non so come sia possibile, ma una risata divertita esce dalla mie labbra e contagia anche lui, a tal punto che le nostre voci riecheggiano per qualche secondo nella Sala Comune deserta.

«È proprio quello che volevo sentirti dire.» ricomincio, tornando seria ma senza far sparire un minuscolo sorriso dalle mie labbra. «Non si scappa da un'onda. Devi andarle contro, devi prenderla di petto e a braccia aperte. Devi affrontarla, non voltarti di spalle e sperare che non ti raggiunga mai.»

Sirius torna a fissarmi con una serietà che risulta davvero anomala se indossata da lui, prima di scuotere la testa e sospirare con rassegnazione.

«È per questo che ho deciso di non andarmene. Perché James ha bisogno di me.»

«E non solo James. Tutti noi abbiamo bisogno di te, Sirius, perché sei suo fratello e se te ne andassi sarebbe come perderlo un'altra volta.» Deglutisco piano, giocherellando con la bacchetta ancora stretta tra le mie mani. «Non avresti avuto altra scelta, comunque. Credo che ti avremmo trattenuto con la forza.»

«Ma davvero?» mi domanda inarcando un sopracciglio, con una vena divertita nella voce e un mezzo sorriso che contagia presto anche me.

«Anche a costo di legarti qui.»

Ride e scuote ancora la testa, appoggiandosi poi allo schienale del divano e guardando il soffitto. Fuori, dalla finestra di fronte a noi si comincia a vedere il Sole sorgere e distendere i suoi raggi pigri sul Castello di Hogwarts, facendo arrossire alberi e prati. Sarebbe uno spettacolo singolare e meraviglioso, per chiunque fosse ancora in grado di apprezzare la bellezza del mondo che lo circonda.

«Chissà cosa penserà e cosa farà James, una volta che tutto questo sarà finito.» mormora ad un tratto, dopo qualche minuto di intenso silenzio.

«Si sentirà a colpa a vita. Continuerà a scusarsi per mesi e mesi come fa sempre, lo sai.» rispondo, sforzando un sorriso che non fa che aumentare l'abisso di tristezza che ho dentro.

«Lo faremo penare almeno per un po'.» aggiunge Sirius con aria assorta, con un angolo delle labbra impercettibilmente arcuato all'insù.

«Sono d'accordo, in qualche modo dovremo pur fargliela pagare.»

Poi lui torna all'improvviso a guardarmi negli occhi e adesso il grigio delle sue iridi non è più così scuro come all'inizio, ma si è visibilmente schiarito e questo non può che essere un buon segno. Non sono pazza a notare tutti questi dettagli, è solo che James mi ha aperto talmente tanto il suo mondo da avermi insegnato quelle cose più buffe e inusuali che riguardano i suoi amici, ad esempio come intercettare l'umore di Sirius semplicemente guardando il colore dei suoi occhi.

«Sai cosa penso io invece, Lily?» mi domanda piano, sorridendo con aria divertita ma al contempo incredibilmente seria. «Quando tutto questo sarà finito, James vorrà fare così tanti bambini con te da formare un'intera squadra di Quidditch.»

Rido e gli do un pieve pugno sulla spalla, tornando a fissare l'alba che rischiara il paesaggio davanti a noi e pensando che, in fondo, a me va bene qualunque cosa. Formare una squadra di Quidditch o anche due o tre, fa lo stesso. Potremmo provare per davvero le combinazioni più assurde e improbabili: qualcuno potrebbe nascere con i miei occhi verdi e i suoi capelli improponibili, qualcuno con le mie minuscole lentiggini e con il suo sorriso sghembo, qualcun altro con le mie ciocche rosse e le sue iridi nocciola così belle e rassicuranti.

E poi potremmo provare con gli accostamenti che ci risulterebbero davvero fatali: la mia testardaggine con il suo cuore così grande, la mia pazienza con il suo sprezzo del pericolo. O ancora la mia bravura in Pozioni con la mia totale incapacità nel volo, il suo talento come Cercatore con quella poca inclinazione che ha anche solo nel tenere tra le mani un pestello.

Fa lo stesso, non mi importa più di niente: una squadra di Quidditch o due, andrebbe bene qualunque cosa. Mi basterebbe sapere che James tornerà al mio fianco, che dopo questo mese che sarà una vera tortura tutto ricomincerà a tornare al suo posto, ad assecondare quell'armonia che deve esistere tra noi. Mi basterebbe sapere che arriverà il momento in cui l'alba rischiarerà anche noi, in cui potremo dire di aver superato l'onda e di averlo fatto nel migliore dei modi, lasciandoci alle spalle quel dolore che adesso attanaglia tutti, nessuno escluso.

Mi basterebbe sapere di poter tornare, un giorno, a sentirmi viva.

«Lily.» La voce di Sirius arriva alle mie orecchie come se fosse lontana, ma è comunque sufficiente a farmi voltare verso di lui. «Stai piangendo.»

Nemmeno me n'ero resa conto, di aver plasmato la mia tristezza e di aver lasciato che scivolasse via dai miei occhi. Però anche questo lo accetto, anche questo va bene: sto prendendo il mio dolore, gli sto dando una forma e sono pronta a viverlo. È necessario tutto questo, per superarlo. 

«Sì.» mormoro in risposta, passandomi una mano sugli zigomi ancora umidi. Sono le lacrime, per ora, l'unica cosa che è ancora capace di farmi sentire viva.

***

James.

«Brucia.»

Il mio mugolio di protesta non serve davvero a un accidenti, perché Madama Chips torna a posare la sua garza incandescente sul mio labbro spaccato ed io, ancora una volta, sono costretto a stringere i denti e a trattenere un altro lamento. Onestamente non esiterei a farmi prendere a pugni di nuovo da quel bastardo di Sirius Black, piuttosto che stare qui immobile a farmi medicare dalla megera con la cuffietta.

«Suvvia signor Potter, abbiamo quasi finito.»

È la stessa frase che ha ripetuto circa sei volte negli ultimi cinque minuti, dunque non le credo più e mi limito a tacere, sperando che la tortura finisca in fretta.

Sto molto meglio rispetto a ieri sera, il vuoto abissale che avevo nella testa si è riempito poco a poco con i suoi corretti tasselli, sebbene ci sia uno spazio gigantesco che seguita a restare vuoto: la giornata di ieri. Ho un gigantesco buco nero se provo a ripensare a quello che è successo, come se ci fosse stato un blackout totale che da venerdì mi fa saltare subito a domenica, ad oggi. Ricordo solo che doveva esserci una festa nel villaggio di Hogsmeade, festa che però è saltata per colpa di qualcosa che non ho presente. Poi il buio.

«Ecco qua.» conclude Madama Chips, fissando l'ultimo cerotto e allontanandosi ad ammirare la sua opera d'arte. Sono talmente fasciato che credo di potermi muovere soltanto a scatti, come se fossi fatto di legno.

«Allora posso...?»

«Tornare in dormitorio, sì.» conclude per me, fissandomi con un'apprensione e un'insistenza che non mi sfuggono. «Si ricorda quello che deve fare?»

«Cambiare le bende una volta al giorno, prendere la Pozione Rimpolpasangue mattino e sera e dormire almeno otto ore di fila.» ripeto a macchinetta, alzando gli occhi al cielo e sbuffando. «E niente Quidditch fino a nuovo ordine.»

«Bene.» conclude spiccia, chiudendo tutte le boccette ancora sistemate sul mio comodino e facendomi presupporre che sia arrivato l'agognato momento di alzarmi. Tuttavia, non appena scendo dal letto con uno scatto che mi fa guadagnare un'occhiataccia da parte sua - "Nessun movimento brusco, signor Potter" - la voce di Madama Chips mi costringe a restare ancora fermo al mio posto. «Resti qui un secondo, ci sono due persone che vorrebbero vederla.»

Volto piano la testa verso l'entrata dell'Infermeria, dove scorgo all'istante i miei genitori venire verso di me con un'espressione sul volto che definire terrorizzata sarebbe un eufemismo.

«James, tesoro.» mormora mia madre non appena è sufficientemente vicina, passandomi una mano sui capelli. «Stai meglio?»

«Sto benissimo.» rispondo tranquillo, aggrottando la fronte nel constatare che la paura nei loro sguardi non si è ancora affievolita. «Sono io che dovrei chiedervi se state bene.»

«Ci siamo preoccupati tanto per te.» mormora in risposta, senza smettere accarezzarmi la testa.

Sono decisamente a disagio in questa situazione, perché non ricordo di aver mai visto i miei genitori manifestare così espressamente la loro apprensione nei miei confronti. Insomma, non sarebbe necessario tutto questo apparente putiferio, considerando che non è successo niente di terribile e mia madre si sta comportando come non ha mai fatto prima, con una tenerezza nei gesti che mi è piuttosto estranea.

«Capisco, ma non è successo nulla di grave.» replico impacciato, stirando un sorriso non propriamente sincero e allontanandomi impercettibilmente da quella mano che continua a sfiorarmi i capelli. «Sono solo svenuto nei sotterranei e un idiota del nostro anno ha cominciato a prendermi a pugni dicendo cose assurde.»

La mia frase all'apparenza così innocua sembra però avere su di lei un effetto devastante, perché la vedo portarsi una mano davanti alla bocca e scorgo chiaramente i suoi occhi riempirsi di lacrime. È impazzita, è l'unica spiegazione plausibile che mi viene in mente. 

«James...» sussurra, come se le avessi appena detto di aver affrontato un orso a mani nude e lei non fosse certa del mio perfetto stato di salute. 

«Sto bene.» aggiungo frettolosamente, cominciando a innervosirmi a causa di questa sua reazione e distogliendo lo sguardo da lei, per colpa di questo disagio che aumenta in maniera esponenziale. 

Sposto così gli occhi su mio padre, rimasto stranamente in silenzio per tutto questo tempo, lo sguardo categoricamente fisso sul sottoscritto e una ruga di concentrazione sulla fronte. 

«Le ferite vanno meglio?» mi domanda all'improvviso, mantenendosi ad una certa distanza da me come se temesse qualcosa che io per primo non riesco a cogliere. 

«Sì, mi sento solo indolenzito. Ho perso un bel po' di sangue.» rispondo imbarazzato, spostando ancora una volta lo sguardo e posandolo sul pavimento. 

«Un po' troppo, considerando che è stata una semplice scazzottata.»

Ha parlato con un tono strano, intriso di una minuscola dose di ironia che posso rintracciare perfettamente anche nel suo sopracciglio inarcato. Ma c'è anche del dolore, come se l'aver detto di aver preso pugni da qualcuno gli facesse più male del gesto in sé. 

«Restituirò tutto.» replico con una scrollata di spalle, pensando che in effetti qualche schiaffo sul volto di quel Sirius Black è proprio quello che mi servirebbe adesso per sciogliere la tensione. 

E poi mia madre sospira sonoramente e mi rendo conto che , sta davvero piangendo e tutto questo non è normale, non lo è mai stato e non capisco perché i miei genitori sembrino essere impazziti in questo modo da un giorno all'altro. Ma poi mio padre si accosta a lei, passandole un braccio sulle spalle e lanciandomi un'ennesima occhiata che non riesco a decifrare, ed io non posso che scuotere impercettibilmente la testa e restarmene qui con i miei interrogativi.

«Noi andiamo, James. Silente ci ha permesso di verificare ancora una volta le tue condizioni, ma a quanto pare stai bene.»

E perché diamine sembra essere dispiaciuto della cosa, allora? 

«Sì.» rispondo laconicamente, pregando che escano dall'Infermeria il prima possibile. 

Non riesco più a reggere lo sguardo addolorato di mia madre, l'espressione tesa di mio padre e il suo tono duro, quasi fosse colpa mia, quasi non fossi io quello che si trova in Infermeria perché un idiota gli ha fatto male senza un apparente motivo. 

«Ci vediamo a giugno.»

«Sì, ciao.» dico ancora, alzandomi dal lettino come a invogliarli ad andarsene. 

«Comportati bene, per l'amor del cielo.»

La raccomandazione di mia madre si perde nel vuoto, mentre li vedo chiudersi la porta alle spalle e sparire dalla mia vista. Tiro un gigantesco respiro di sollievo e comincio a raccattare le poche cose che ho qui con me - e si può sapere chi diamine ha messo tutte queste tavolette di cioccolato sul mio comodino? - per poi partire alla volta dell'uscita senza salutare nessuno. 

Camminare sembra persino essere un'azione meravigliosa, adesso che sono totalmente solo e non sono più circondato da pazzi che dicono e fanno cose senza senso. I miei genitori ed io abbiamo sempre avuto un rapporto cordiale quanto basta, non troppo stretto e nemmeno troppo confidenziale, dunque tutta questa improvvisa apprensione mi è davvero nuova, oltre a starmi piuttosto stretta. 

Ma non è come se adesso importasse qualcosa, perché la mia meta non è la mia stanza ed io so esattamente dove devo andare. Mi basta fare qualche passo in direzione opposta rispetto all'Infermeria, perché l'ufficio della professoressa McGranitt è sullo stesso piano e, di conseguenza, mi ritrovo a bussare sulla porta di legno chiaro prima del previsto. 

«Avanti.» sento dire con un tono fermo e sicuro, così abbasso la maniglia ed entro in quella piccola stanza circolare che, a primo impatto, mi è familiare in un modo che mi disorienta. Come se avessi passato metà della mia vita qua dentro, ma per favore.

«Ho bisogno di chiederle una cosa.»

La McGranitt alza di scatto lo sguardo dalla pergamena che stava riempiendo di inchiostro, posando gli occhi chiari su di me e perdendo, per un minuscolo istante, la sua proverbiale imperturbabilità. 

«Signor Potter.» asserisce, riscuotendosi in un nanosecondo. «Non la aspettavo così presto. Prego, si sieda.»

Faccio così come mi dice, accomodandomi sulla sedia di fronte alla sua e passandomi una mano tra i capelli con un gesto automatico. 

«Ho bisogno di chiederle una cosa.» ripeto, sicuro come raramente penso di essere stato prima d'ora. 

«Ed io sono qui per ascoltarla.»

«Andrò dritto al punto, perché non amo molto tergiversare. È da un po' di tempo, ormai, che comincio a sentire questi colori starmi stretti.» dico, indicando con un gesto della mano il rosso e l'oro degli stendardi che ricoprono ogni parete di questa stanza. 

«I colori della sua Casa?» mi domanda, intrecciando le mani sulla scrivania ma senza smettere di guardarmi in faccia. 

«I colori di Grifondoro.» confermo, annuendo piano. «Non so se sia mai successo prima qui a Hogwarts, ma dovrei farle una richiesta un po' insolita. Sarebbe possibile passare da una Casa all'altra?»

La McGranitt non risponde subito, ma resta a fissarmi in religioso silenzio per quelle che paiono ore. Non riesco a capire quello che le passa per la mente nemmeno sforzandomi, ed è una cosa che sta cominciando a mandarmi in bestia. 

«Suppongo che il soggetto della questione sia esattamente lei, dunque mi prenderò la libertà di parlarle come tale. Qual è la nuova Casa che riterrebbe più consona, se posso saperlo?»

«Serpeverde.» replico sicuro, senza tentennare minimamente. «È da un po' di tempo che ci stavo pensando, in realtà, ma mi sono deciso a domandarlo soltanto oggi. È proprio una questione di appartenenza, come se sentissi che è quello il posto giusto per me. Senza contare che preferirei non avere Black nei paraggi per ventiquattro ore di fila, dopo quello che è successo ieri sera.»

Sono certo che il mio discorso sia stato convincente e impeccabile, perché non esiste nulla con cui si possa obiettare: non credo esista una regola di Hogwarts che vieta di fare richieste simili e non credo nemmeno che la risposta debba necessariamente essere un no categorico. Senza contare che, in quanto direttrice di questa Casa, dovrebbe essere lei stessa la prima a non volere tra i Grifondoro qualcuno che non si sente tale. 

«Si ricorda, signor Potter, perché il Cappello la smistò proprio qui?» mi domanda ad un tratto, guardandomi ancora negli occhi senza quasi sbattere le palpebre. 

«Disse che ero forse l'esempio di undicenne Grifondoro più perfetto e completo che avesse mai visto.» acconsento con una scrollata di spalle, senza particolare trasporto. 

«Ed io ricordo anche che non aveva avuto nessun minimo dubbio sull'assegnarla a questa Casa o meno.»

«Ero un bambino.» ribatto aspramente, appoggiandomi allo schienale e cominciando a spazientirmi. «Credo con gli anni di aver maturato un'ambizione non indifferente, professoressa. Persino troppa, per un Grifondoro.»

La McGranitt tace di nuovo per qualche secondo di troppo, prima di sciogliere le mani e fissarmi con una durezza disarmante nello sguardo.

«Acconsento, signor Potter. Il passaggio può avvenire senza problemi, per quanto mi riguarda.» cede infine, cominciando a sistemare le sue pergamene. «Il signor Walden Macnair è stato espulso a ottobre per il suo comportamento deplorevole con alcuni Nati Babbani del secondo anno, dunque credo che lei possa tranquillamente prendere il suo posto nel dormitorio degli studenti del settimo.»

«La ringrazio.» concludo spiccio, alzandomi dalla poltrona per uscire dalla stanza.

«Ma ad una condizione.»

La sua voce mi tiene però inchiodato sul posto e a stento trattengo uno sbuffo, chiedendomi perché non sia sufficiente acconsentire senza porre condizioni su condizioni. 

«Tutto quello che vuole.»

«Sarà esonerato dai suoi doveri di Caposcuola.» Questa la chiama condizione? È un piacere, altroché. «E potrà partecipare agli allenamenti di Quidditch, ma non giocare durante le partite.»

Questa volta mi concedo di sbuffare, chiedendomi per un frangente se ne valga davvero la pena. Ma poi vengo sopraffatto da uno strano impulso, che mi fa realizzare che essere un Serpeverde è quello che più desidero al mondo e non c'è nulla, nemmeno il fatto di non poter giocare, che possa competere con questo. 

Mi alzo dalla poltrona e tolgo rapidamente le due spille da Capitano e da Caposcuola ancora attaccate alla camicia che ho indossato questa mattina, pronto a lasciarle sulla cattedra della McGranitt. Non appena si accorge del mio gesto, tuttavia, allontana la mia mano e torna a concentrarsi sulle sue scartoffie. 

«Non è necessario restituirle a me, signor Potter. Penso che, anzi, tenerle potrebbe farle molto piacere.» asserisce con un tono che non ammette repliche, sorridendo enigmatica e obbligandomi a rimettere i due oggetti in tasca. «Sono piuttosto certa che il rosso di queste spille e il verde smeraldo del suo nuovo comodino costituiranno un abbinamento di colori a lei molto gradito e familiare.»

***

Alice.

«Vogliamo toglierci queste facce da funerale di dosso?»

La voce di Sirius ci riscuote tutti all'unisono, ed è sollevando lo sguardo che mi rendo conto che, assurdamente, eravamo tutti intenti a giocherellare con il cibo nel nostro piatto, l'aria svogliata e assente di chi vorrebbe tornare a seppellire la propria testa sotto il cuscino.

«Vuoi che mi metta a raccontare una barzelletta?» domanda ironicamente Remus, lasciando cadere la forchetta con un tintinnio fastidioso.

«No, non saresti capace.» risponde lui prontamente. «Voglio che la smettiate tutti di stare in silenzio e di comportarvi come se fosse la fine del mondo, perché non lo è.»

«Nessuno sta facendo baldoria, Sirius.» constata saggiamente Lily, indicando con un gesto della mano l'intera Sala Grande caduta in un silenzio sconcertante.

Gli effetti dell'attacco di ieri sera sono arrivati fino al Castello, immergendo chiunque in un'atmosfera di paura e tensione. Tutti hanno le stesse espressioni serie e spaventate, anche chi non aveva il permesso di venire a Hogsmeade e ha percepito lo stesso il peso dello scontro come se si fosse svolto qui, tra queste mura.

«Ma tutta questa calma non va bene. Dobbiamo risollevarci, maledizione.» afferma sicuro, aprendo le braccia con fare esasperato.

«Sirius ha ragione.» asserisce Frank al mio fianco, guardando in faccia ognuno di noi. «Non è così che va affrontata la situazione.»

«Va bene voler essere determinati, ma sono passate appena poche ore e...»

«Sono passate appena poche ore e dobbiamo reagire fin da subito, Moony. Non abbiamo scusanti.»

Peter annuisce con vigore e io stessa sto per aprire bocca, per dire che hanno ragione e che non sappiamo che cosa combinerà James non appena farà il suo ingresso qua dentro, ma un mese in qualche modo dovrà pur passare e non possiamo pensare di abbatterci ogni minima volta. La mia frase viene però interrotta sul nascere, perché con la coda dell'occhio vedo Silente alzarsi dalla sua postazione e tintinnare sul suo bicchiere, come a voler riportare un silenzio che in verità non se n'è mai andato.

«Lo sapevo che avrebbe detto qualcosa.» mormora Lily alla mia destra, focalizzandosi subito dopo sul Preside.

«Gentili studenti, sapete bene che non sono solito intrattenervi con le mie parole a meno che non si tratti dei soliti discorsi di inizio e di fine anno, ma in questa circostanza mi sembrava doveroso darvi delle spiegazioni.» comincia, le mani intrecciate dietro la schiena e gli occhi che vagano su ognuno dei quattro tavoli. «Quello che è successo ieri sera a Hogsmaede, come penso ormai sappiate tutti, è stato un attacco. Un attacco che esemplifica alla perfezione ciò che sta accadendo fuori da Hogwarts, un attacco che sottolinea ancora di più quanto Voldemort e i suoi seguaci stiano prendendo potere.»

Un lieve brusio si spande per la Sala Grande non appena Silente pronuncia quel nome ad alta voce, ma tutti noi rimaniamo immobili ad attendere che continui.

«Non dobbiamo sottovalutare la situazione, ma non dobbiamo nemmeno dimenticare che Hogwarts è la nostra casa. Leggerete sui giornali che è da incoscienti non far tornare gli studenti dalle loro famiglie, ma io vi rispondo dicendo che il pericolo è ovunque, dentro e fuori da qui.» Fa una breve pausa, prima di ricominciare con la stessa intensità di prima. «Nessuno di noi vi potrà trattenere se avrete il desiderio di andare via, ma quello che possiamo suggerirvi di fare è di fidarvi del luogo che vi ha sempre accolti a braccia aperte.»

«C'è davvero qualcuno che pensa di andarsene via da qui?» domanda Peter a bassa voce, sgranando gli occhi con aria incredula.

«L'avevano già detto ieri, hai idea di quante informazioni false si inventeranno i giornali?»

Lily, che per l'appunto sta sfogliando febbrilmente le pagine del Profeta, scuote la testa e sfodera un'espressione satura di disappunto.

«Danno la colpa a Silente, ancora una volta. Invece di condannare Voi-Sapete-Chi e tutti gli altri, cercano di concentrare l'attenzione sulla presunta poca sicurezza della scuola.» Getta un ultimo sguardo di disprezzo sulle pagine fresche di giornata, prima di chiuderlo con rabbia e incrociare le braccia al petto. «Ho la nausea.»

«So che alcuni studenti hanno combattuto, mettendo a rischio la loro vita per proteggere gli amici e gli altri studenti. Sono colpito da tutto questo e sinceramente commosso dal coraggio che avete dimostrato, pertanto non esiterò a congratularmi con chiunque abbia dato prova di tanta audacia e abbia dimostrato, ancora una volta, che l'aiuto dei ragazzi è prezioso e indispensabile.» Silente ricomincia a parlare nel silenzio più totale. «Le misure di sicurezza aumenteranno, questo è chiaro. Ci sarà maggiore protezione e nessuno di noi dovrà temere altri attacchi. È anche vero, tuttavia, che questo scontro ha causato una...situazione particolare, se possiamo chiamarla così.»

Frank mi lancia una veloce occhiata e subito gli sguardi di tutti noi si incastrano, perché non servono grandi giri di parole: sta parlando di James ed è giusto informare tutti gli studenti, considerando che quello che succederà nel prossimo mese potrebbe essere davvero ai limiti del reale.

«È qualcosa di pericoloso?»

La domanda di Louis Macmillan arriva chiara e precisa dal tavolo Tassorosso, dando voce a quel dubbio che credo attanagli la maggior parte della popolazione di Hogwarts. È naturale, chi non c'era ieri non può minimamente immaginare quello che è accaduto, ma il Preside ha l'obbligo di parlare per evitare che qui a scuola si scateni il putiferio alla vista di un James Potter completamente diverso dal normale.

«Pericolosa assolutamente no, ma decisamente inusuale. Non voglio scendere nei particolari, ma si tratta di qualcosa di estremamente delicato che ha colpito uno studente del settimo anno e che, di conseguenza, ne condizionerà le azioni per qualche tempo.» Il silenzio scende nuovamente nella Sala Grande, mentre tutti si scambiano sguardi dubbiosi che sembrano voler domandare a gran voce di chi diamine si stia parlando. «Vi chiedo di comprendere la situazione, ragazzi, ma non è la mia unica richiesta: ho bisogno che mi promettiate di contenere il vostro stupore, di non attaccare il ragazzo in questione con mille quesiti ma anzi, se possibile, di assecondarlo. È indispensabile per la sua salute, oltre che necessario per mantenere gli equilibri della scuola. Mi fido di voi e sono certo che manterrete questa promessa senza esitazione, affinché tutto possa tornare alla normalità il prima possibile.»

Lo sconcerto che aleggia tra queste quattro pareti aumenta in maniera esponenziale nell'esatto istante in cui Silente torna a sedersi al suo posto, senza dare alcuna spiegazione che possa aiutare gli altri a comprendere qualcosa in più.

«Ha fatto bene a parlarne con tutti.» stabilisce Remus, abbassando il tono di voce. «Mi chiedo solo cosa succederà non appena arriverà James.»

«Puoi anche non chiedertelo, Remus.» sussurra Frank, gli occhi puntati sull'ingresso della Sala. «È arrivato proprio adesso.»

E così mi rendo conto che non sono solo i nostri sguardi ad essere fissi sulla figura di James, che si erge adesso sulla soglia della stanza e resta lì, immobile, con un mezzo sorriso sul volto che non farebbe ipotizzare nessunissima "situazione particolare" che lo riguardi; anche tutti gli altri studenti, indipendentemente dalla loro Casa di appartenenza, lo osservano attoniti.

E potrebbe sembrare per davvero che non ci sia niente che non va, perché il sorriso sghembo è sempre al suo posto e gli occhi, quasi in automatico, saettano proprio nella nostra direzione. Sento Lily al mio fianco trattenere il respiro e le stringo una mano da sotto il tavolo, perché è la prima volta in cui i loro sguardi potrebbero incrociarsi in una situazione apparentemente normale, senza pugni, ferite e traumi di mezzo.

Ma poi succede una cosa decisamente spiazzante: James lancia un ultimo sguardo vacuo verso di noi, prima di scrollare impercettibilmente le spalle e dirigersi tranquillamente verso il tavolo di Serpeverde, sotto decine di sguardi allibiti e turbati.

«Cosa diamine sta facendo?» domanda piano Frank, il primo che riesce a spezzare la tensione che è giunta di nuovo a insinuarsi tra noi.

«Semplice.» replica Sirius dopo qualche secondo, senza staccare gli occhi da colui che è sempre stato il suo migliore amico. Poi di colpo si volta verso di noi, sulle labbra un sorriso così amareggiato e sofferente da fare male. «Sta cominciando a giocare.»

***

James.

Non so che cosa mi sia successo, ma non appena ho messo piede in Sala Grande ho provato il feroce impulso di dirigermi verso sinistra, verso il tavolo Grifondoro. Credo sia colpa dell'abitudine: sette anni trascorsi da quel lato della Sala Grande hanno dato certamente i loro frutti, ma adesso devo prendere coscienza del fatto che la mia vita ha preso una nuova piega ed io devo voltare le spalle a tutti loro. Non è una grave perdita, comunque: non sono mai andato d'accordo con nessuno in quella Casa.

Sento gli occhi di tutti gli studenti fissi su di me e mi domando se sia già successo, se la notizia di Black che mi ha preso a pugni abbia già fatto il giro della scuola. La risposta naturalmente non può che essere positiva, come al solito. L'opinione degli altri non mi è comunque mai importata e di certo non comincerà a farlo questa sera, ora che l'attenzione di tutti è chiaramente catalizzata su di me.

Scrollo le spalle, ignorando il resto del mondo e provando il brivido di dirigermi verso la direzione opposta, dove quei colori verde e argento troneggiano indomiti e sono gli stessi della mia nuova divisa. Cammino verso quel tavolo sotto lo sguardo di tutti i presenti, che sfoggiano delle ridicole espressioni condite con tanto di bocche spalancate senza un minimo di decenza e occhi sgranati.

Mi appaga sentirmi così al centro dell'attenzione, così mi stampo sulle labbra un sorriso compiaciuto e torno a costeggiare la panca di Serpeverde. Vedo visi familiari e altri che lo sono decisamente meno, ma non mi fermo e continuo a camminare sotto gli sguardi attoniti, alla ricerca del punto perfetto in cui sedermi. Poi in un istante i miei occhi cadono su una precisa porzione di tavolo, posandosi esattamente sul ghigno soddisfatto di Nicholas Avery e sui suoi occhi dardeggianti, già fissi su di me.

«James Potter.» mi blocca all'improvviso, le mani aperte sul legno scuro del tavolo e ancora quel sorriso appagato che quasi mi fa vacillare. «Pranzi con noi?»

 

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Capitolo 4
*** Tre. ***


James.

C'è qualcosa, nel buio, che ha l'inusuale potere di lasciarmi interdetto.

Non so spiegare questa sensazione, ma è come se i due emisferi del mio cervello si fossero all'improvviso dichiarati guerra con una ferocia spiazzante, cominciando per l'appunto a discutere sull'effetto che l'oscurità deve avere su di me.

Percepisco una porzione chiaramente più in superficie, che si attiva nel momento in cui poso lo sguardo sulle alte vetrate della mia nuova Sala Comune, sui divani nerissimi e sulle luci verdastre che non illuminano un accidenti, ma che anzi contribuiscono ad aumentare le ombre che si spargono per la stanza. Ecco, questa porzione sembra volermi urlare a gran voce che, finalmente, sono arrivato nel posto giusto per me.

Ma poi c'è qualcos'altro, qualcosa di più interno e profondo, che pare corrodermi da dentro e cerca di suggerirmi che manca qualche dettaglio. Qualcosa come la luce, come le fiamme che tremulano nel camino, come i colori accesi che sanno infondere sicurezza con la loro semplice vivacità. E lo so che questi ultimi particolari erano propri della Torre Grifondoro, lo so benissimo, dunque non posso che convincermi del fatto che sto solo cercando di abituarmi ad una situazione così nuova. È normale, almeno all'inizio, sentirsi spaesato e disorientato quando si piomba all'improvviso in un luogo che dovrà diventare la mia seconda casa.

«Mica male, no?»

Nicholas Avery sorride soddisfatto e allarga le braccia, facendo un giro su se stesso e lasciandosi cadere sul primo divano che scorge al centro della stanza. Gli basta una sola occhiata e all'istante i ragazzini del secondo anno che prima erano là seduti si alzano, cedendogli il posto senza protestare.

«È bella.» commento, facendo vagare lo sguardo sui serpenti intarsiati su ogni colonna della Sala Comune e cercando di ignorare le decine di pupille sconcertate fisse su di me. «È un peccato essere arrivato solo adesso.»

«Siamo ancora a febbraio, hai molti mesi di tempo per familiarizzare con questo posto.» Mi rivolge un ennesimo sorriso compiaciuto, sbattendo una mano sul divano accanto a lui. «Vieni a sederti, era da tanto che aspettavamo di averti qui tra noi.»

Annuisco piano, assecondandolo e registrando mentalmente il fatto che il plurale da lui usato non sembri rispecchiare propriamente la realtà.

Da quando mi sono seduto al tavolo Serpeverde su richiesta di Nicholas, quest'ultimo sembra essere stato certamente il più impaziente di avere tutte le attenzioni del sottoscritto catalizzate su di sé. Mi ha guardato per tutto il tempo con un'ammirazione ai limiti del reale, parlando e spiegandomi quello che c'era da sapere sulla mia nuova Casa esattamente come se si fosse autoproclamato mia guida personale.

È stata piuttosto inusuale questa accoglienza così calorosa perché, sebbene abbia scelto io stesso di essere spostato tra i Serpeverde, è logico che almeno all'inizio ci sia un po' di scetticismo da parte loro. Ma Nicholas non mi ha fatto sentire un estraneo, mi ha anzi accolto a braccia aperte come se fossi sempre stato parte integrante del suo gruppo ed è una cosa per cui, nonostante i suoi modi così plateali ed esageratamente cordiali, non posso che essergli grato.

La parte sconcertante, comunque, è stata la presentazione dei suoi amici.

C'è quello che non ha molto la faccia da sveglio, Damian Mulciber o qualcosa del genere, un ragazzo del settimo anno dotato di una massa muscolare non indifferente, che compensa certamente quella carenza di materia grigia manifestata dal fatto che paia saper comunicare solo mediante grugniti. E questo è un vero problema, perché mi è alquanto difficile capire se i suoni incomprensibili da lui emessi vogliano esprimere assenso o diniego, ma Avery ed Evan Rosier - settimo anno, indole particolarmente violenta e una costante smorfia infastidita stampata sulle labbra - sembrano essere abbastanza abili a interpretarli e dunque credo sia solo questione di pratica.

C'è Simon Wilkes, sesto anno, un ragazzo mingherlino dai tratti spigolosi che se ne sta zitto per la maggior parte del tempo, ma che quando parla ha l'incredibile potere di catalizzare tutta l'attenzione su di sé. Dicono che giri sempre con Regulus Black, il ragazzo che forse tra tutti è quello che più si avvicina al mio carattere: ha insistito nel sedersi accanto a me non appena sono arrivato in mezzo a loro, parlando in maniera cordiale e fissandomi con i suoi occhi grigi incredibilmente taglienti. È quasi assurdo credere che sia proprio lui il fratello di Sirius, ma è proprio questa netta differenza che c'è tra loro due a rendermi Regulus incredibilmente simpatico.

E poi c'è l'ultimo del gruppo, Severus Piton, che rappresenta invece un enigma che temo non riuscirò mai a risolvere. Perché a primo impatto potrebbe sembrare incredibilmente innocuo, questo è innegabile: se ne stava lì immobile, la bocca sottile che a stento si apriva quando doveva parlare - lasciando soltanto che le parole scivolassero dalle sue labbra per miracolo - i capelli nerissimi a coprirgli quegli occhi altrettanto scuri e il naso adunco che quasi sembrava sfiorare il tavolo, talmente era ricurvo su se stesso.

Ma c'è comunque qualcosa, nel modo in cui mi guarda, che mi fa sentire dannatamente strano.

È che non mi piace azzardare ipotesi circa i sentimenti delle altre persone, perché non sono empatico abbastanza e non ho la presunzione di dire che tutto mi è chiaro fin da subito, quando naturalmente non lo è. Ma quello che le sue pupille emanano ogni volta che quasi per sbaglio incrociano le mie, non posso che definirlo usando la parola odio. Non astio, non antipatia, non semplice ostilità o avversione: è un odio intenso, che sembra irradiarsi da un punto imprecisato del suo corpo e colpirmi proprio lì, in pieno petto, come se il suo mero intento fosse quello di trasmettermelo e con esso ferirmi.

«Sono contento di essere arrivato qui, comunque.» aggiungo all'improvviso, appoggiando un gomito sul bracciolo del divano. «La McGranitt non ha fatto troppe storie e persino Lumacorno sembrava contento della cosa.»

«È logico che lo sia, James. Te la cavi in ogni materia, hai la possibilità di far guadagnare un sacco di punti alla nostra Casa.»

«E sei anche bravo a giocare a Quidditch. Abbiamo praticamente il pacchetto completo.» mormora Simon, accennando persino un minuscolo sorriso.

«Per questo lo prenderemo in squadra, vero Reg?» chiede Mulciber, ridendo sguaiatamente e inclinando la testa verso di me.

«Sei tu il Capitano, giusto?»

Regulus annuisce alla mia domanda, sedendosi sulla poltrona accanto al sottoscritto e guardandomi dritto negli occhi.

«Capitano e Cercatore, sì. Non ho problemi a lasciarti il posto, comunque.» asserisce con una scrollata di spalle che, in qualche modo che ignoro del tutto, mi sembra di conoscere come le mie tasche. «Me la cavo anche come Cacciatore e tutti noi non vediamo l'ora di buttare fuori Selwyn con un pretesto, quindi sarebbe la cosa più giusta da fare.»

«Sono più le Pluffe che perde rispetto a quelle che manda negli anelli.» gli dà man forte Nicholas, scuotendo la testa con disappunto.

«Nemmeno tu hai tanta voce in capitolo, Nick. Ti devo ricordare di quando eravamo sul cinquanta a zero per Corvonero, a novembre?»

«Cosa vuoi che ti dica? Pioveva, la Pluffa era dannatamente scivolosa. E tu occupati dei tuoi Bolidi, razza di idiota.»

«Non posso giocare in squadra.» li interrompo con un sospiro, passandomi una mano tra i capelli e sperando che il mio intervento basti a bloccare la loro discussione sul nascere. «Era uno dei compromessi stabiliti dalla McGranitt, dovevo accettare se davvero volevo passare a Serpeverde.»

«Stai scherzando?» mi chiede Nicholas, spalancando la bocca e puntellandosi sui gomiti per guardarmi in faccia.

Scuoto la testa, alzando le spalle. «Ho dovuto acconsentire per forza. Mi ha comunque concesso di allenarmi con voi e questo è già qualcosa.»

«Splendido, così magari potrai darci anche qualche dritta.» aggiunge Mulciber, dando una pacca particolarmente forte sulla spalla del ragazzo accanto a me. «Il nostro piccolo Regulus non è ancora capace di fare una Finta Wronski degna del suo nome.»

Seguono qualche risata e una dose consistente di prese in giro, durante le quali Regulus non fa che sbuffare e incrociare le braccia al petto, sfoderando un cipiglio offeso che mi fa sorridere. C'è qualcosa in lui che mi intenerisce davvero, come se lo conoscessi da una vita intera e mi sentissi quasi in dovere di proteggerlo, di prenderlo sotto la mia ala come se fossi il suo fratello maggiore.

Ma poi i miei occhi si spostano ancora una volta esattamente di fronte a me, là dove trovo ad attendermi uno sguardo raggelante e un mezzo sorriso che di ilare non ha nemmeno l'ombra.

«Immagino che questa sia una vera tortura per te, Potter.» scandisce Piton, senza smettere di guardarmi in faccia e facendo tornare il silenzio. «Intendo il fatto di non poter dare sfogo al tuo bisogno di pavoneggiarti non appena ne hai l'occasione.»

E non è solo il fatto che nessuno, in questa stanza, sembri fiatare. È che tutti gli sguardi sono ora fissi su di noi in un modo che va al di là dello scetticismo iniziale che mi seguiva dappertutto, perché quello che leggo negli occhi di Piton è puro disgusto e chiunque, adesso, pare trattenere il fiato come se si aspettasse il peggio. Non so perché debbano temere una reazione avventata da parte mia, così come non so perché questo ragazzo abbia un tale senso di ripugnanza nei miei confronti, quasi fosse faticoso per lui persino respirare la mia stessa aria.

«Severus.» lo ammonisce Avery, lanciandogli uno sguardo di fuoco.

«Non capisco cosa intendi.» ribatto invece io, raddrizzandomi sul divano e assottigliando gli occhi.

Non ho davvero niente contro Piton, ma se pensa di poter usare queste frasi d'effetto con me è perché non mi conosce per niente. E nemmeno io conosco lui, per inciso, motivo per cui non mi passa nemmeno per la testa di cominciare a usare questo tono indisponente e guardarlo come se fosse l'insetto più insulso sulla faccia della Terra.

«Voglio dire, sarà tremendamente difficile per uno come te frenare l'impulso di acciuffare il Boccino come se ne dipendesse della sua stessa vita.» continua Piton, la vena beffarda nel suo tono di voce che si fa sempre più marcata. «Perderai punti nella scala di gradimento di Hogwarts, probabilmente. Ma non preoccuparti: anche gli eroi, prima o poi, devono affrontare le prime sconfitte della loro vita.»

Sto per ribattere e dire che tutto ciò non ha alcun senso, perché io ero  Cercatore e Capitano della mia squadra precedente, ma di certo non mi pare di essermi mai pavoneggiato davanti a nessuno. Senza contare che non esiste nessunissima scala di gradimento di Hogwarts e, se anche ci fosse, di sicuro rivestirebbe per me un'importanza davvero minima.

Ma non faccio in tempo ad aprire bocca, perché subito sento la voce ferma di Regulus Black precedermi di appena un secondo.

«Perché non vai a vedere la tua nuova stanza?» mi suggerisce, senza però staccare lo sguardo da Piton. «È subito in fondo a quella scala, alla tua sinistra. Vicino c'è il dormitorio dei ragazzi del sesto, se sei curioso puoi benissimo entrare a vedere anche quello.»

Annuisco brevemente in risposta, decidendo che cominciare a discutere già dal primo giorno non è propriamente la cosa più saggia da fare e, se devo dirla tutta, ho davvero bisogno di stendermi un po' e far passare questo mal di testa martellante con una bella dormita. Non sono così sciocco da non comprendere che l'invito di Regulus è più che altro dovuto al bisogno di liberarsi momentaneamente di me, come se dovessero parlare senza la mia presenza costante, ma in fondo assecondarlo non mi costa nulla: che risolvano pure i loro problemi in pace, io non ho la minima intenzione di rispondere a tono ad un ragazzo dai capelli così unti.

***

Severus.

«Si può sapere cosa diamine ti prende?»

Nicholas si alza di scatto dal divano, cominciando a camminare avanti e indietro sul tappeto verde di fronte a lui. Gli occhi di chi è ancora presente in Sala Comune sono di nuovo puntati su di noi, ma è sufficiente un altro suo sguardo raggelante e uno scrocchio di dita da parte di Damian per far sentire a tutti l'improvviso bisogno di salire in dormitorio.

«Sono io che dovrei chiedere cosa diamine prende a voi.» replico con tono fermo e deciso, non appena rimaniamo soltanto noi sei nella stanza. «Cos'è, Potter è diventato all'improvviso anche il vostro eroe? È proprio necessario idolatrarlo per gonfiare ancora di più il suo ego? Non era nei suoi piani quello di diventare migliori amici del nemico.»

«No, ma nei piani del Signore Oscuro c'era quello di stargli con il fiato sul collo il più possibile.» ribatte ancora, sbattendo un pugno sul tavolino che ancora ci separa. «Tu sei ancora radicato nel tuo odio viscerale per lui e nessuno qua, oltre a me, si sta attenendo al maledetto piano.»

«Cosa diamine abbiamo fatto, adesso?»

«Non lo so Evan, forse è il modo in cui lo guardate? Non è uno sciocco, ha capito benissimo che lo odiate.»

«Ed è esattamente qui che ti sbagli, Nicholas.» rispondo prontamente, con un sorriso amaro sulle labbra che è solo il pallido riflesso della rabbia che ho dentro. «Perché tutti voi, nessuno escluso, lo state venerando in un modo che quasi mi nausea. All'improvviso Potter è diventato James, lo volete in squadra al vostro fianco, vi complimentate per la sua bravura a scuola e nel Quidditch...»

«È in gamba.» commenta Damian con una scrollata di spalle, facendomi alzare gli occhi al cielo e scuotere la testa. Non mi prendo nemmeno la briga di rispondergli, perché è talmente ottuso che non capirebbe.

«Sei geloso, Severus?»

Sposto di scatto lo sguardo sul mezzo ghigno che ora indossa Regulus e mi chiedo come sia possibile, come possa la gente sostenere ancora che tra lui e il rinnegato non esista alcuna somiglianza. Perché io le vedo eccome, li vedo spesso questi dettagli che ancora sottolineano, senza che nessuno sembri comunque accorgersene, il legame fraterno che assurdamente continua a unirli.

E questo sorriso sghembo, provocatorio e immensamente snervante è la fotocopia esatta di quello che aleggia costantemente sulle labbra di Sirius Black.

«Io non provo alcuna gelosia, Regulus.» rispondo pacato, appoggiando le braccia sulle ginocchia per sporgermi maggiormente verso di lui e guardarlo dritto negli occhi. «Forse sei tu quello che spera di avvicinarsi a Potter per ricevere, magari per osmosi, un briciolo dell'affetto che tuo fratello ha sempre negato a te, ma mostrato a lui?»

E anche questo sguardo ferito è identico al suo, con queste iridi grigie che mi fissano come se volessero incenerirmi con la sola forza delle pupille. Ma va bene, gli occhi di Regulus non mi scalfiscono: so di averlo colpito là dove fa più male, ma è la giusta punizione che si merita per avermi provocato per primo.

«Severus ha ragione, forse stai esagerando con la confidenza.»

Questo improvviso cambio di posizione di Nicholas è a dir poco imbarazzante, motivo per cui non esito a scoppiare a ridere e a rivolgermi a lui con tutto il sarcasmo tagliente che ho in corpo.

«Per favore Nick, evitiamo queste scenate. Sembra per davvero che tu e Regulus stiate litigando per l'ultimo giocattolo uscito in negozio.» affermo sfacciatamente, appoggiandomi di nuovo allo schienale della poltrona. «È così chiaro il fatto che tu voglia avere le attenzioni di Potter tutte per te.»

«A me non interessano le sue attenzioni, io voglio solo portare a compimento la missione del Signore Oscuro.» ribatte, sussurrando con enfasi e con un'ira nello sguardo ai limiti del patetico. «Ha detto che dobbiamo entrare in confidenza con lui, ed è quello che io sto facendo. Sappiamo che l'incantesimo ha la durata di un mese, non pensate che sia eterno.»

«Sono d'accordo. La Cruciatus non è bastata a cavargli di bocca qualche informazione, questo incantesimo è la nostra occasione e lui si fida davvero di noi.» asserisce Evan con convinzione, guardando uno a uno negli occhi. «Come pensate che Potter possa confessare di Silente e dell'esercito che probabilmente sta cercando di reclutare, se nemmeno ci vede come suoi alleati?»

«Voi non capite davvero un accidenti.» stabilisce ad un tratto Simon, rimasto in silenzio fino ad ora. «Potter non parlerà mai, questo è tutto tempo sprecato.»

«Stai insinuando che quella dell'Oscuro Signore sia stata un'idea sciocca?» domanda Nick, guardandolo quasi come se volesse sfidarlo.

«È solo un'idea che porterà scompiglio e niente di fatto. Gli hanno cancellato la memoria, capite cosa vuol dire? Non solo non si ricorda del suo passato qui a Hogwarts e di tutti coloro che gli erano più cari, ma non ricorda nemmeno interi episodi che si sono svolti nel corso di questi anni.»

«Quindi...se anche Silente gli avesse detto qualcosa, è comunque probabile che il Signore Oscuro gli abbia cancellato dalla mente anche qualche informazione particolarmente importante?»

Simon annuisce mestamente al breve riepilogo di Evan, mentre Damian si lascia andare alla sonora esclamazione di chi finalmente ha afferrato un concetto basilare.

«Ma non è per questo che entriamo in gioco noi? Dovremmo fargli delle domande specifiche per fare in modo che nella sua mente riaffiori qualche ricordo passato e lui si fidi a raccontarcelo.» aggiunge Nicholas, infervorandosi come raramente prima d'ora. «È questo l'unico modo per cavargli qualcosa di bocca.»

«Non sono comunque così sicuro che riusciremo a toccare le corde giuste per fargli rivelare segreti tanto grandi.»

«Non occupiamocene adesso, per favore.» Evan interrompe nuovamente Simon, sfoderando un ghigno divertito e rilassandosi di nuovo sulla poltrona. «Per ora godiamoci il momento. Finché si crea scompiglio nella vita di Potter, ogni cosa è gradita.»

Segue qualche risata e svariati cenni di assenso, ma ancora una volta è Regulus a stare perfettamente immobile. Anche io naturalmente non muovo un singolo muscolo, restando con le mani arpionate ai braccioli della poltrona e lo sguardo assente, a pensare che invece a me sembra che nessuna cosa sia gradita, ultimamente.

Perché è logico che gli altri non se ne accorgano, ma io non posso fare a meno di constatare come questa situazione non vada affatto bene. Potter, ancora una volta, ci ha guadagnato qualcosa: non è lui a soffrire, non è lui ad avere sensi di colpa, a provare dolore, a portare sulle spalle i residui di un attacco che ha certamente segnato tutti i suoi amici.

No. Lui sta bene, è a posto con la sua coscienza ed è persino convinto di aver realizzato il più grande sogno della sua vita venendo spostato qui a Serpeverde. C'era da aspettarselo, comunque, da uno che ha sempre avuto tutto ciò che si può volere al mondo: amici che assecondassero le sue bravate, ricchezza, l'amore dei genitori, popolarità, talento nel Quidditch e persino ottimi voti a scuola muovendo a malapena un dito.

E ovviamente il dettaglio che negli ultimi mesi ha inciso soprattutto sul mio stato di salute - fisico e mentale, non ha importanza - è stato il fatto che, tra tutte le cose che poteva desiderare, alla fine abbia ottenuto anche lei.

Sciocca, sciocca la mia Lily che ancora credeva di essere immune al fascino del glorioso James Potter e di essere talmente invincibile da non cadere ai piedi di quel damerino arrogante, come invece accade da sette anni a tutta la popolazione di Hogwarts. Eppure tutti noi, io per primo, abbiamo visto sotto i nostri sguardi il radicale cambiamento che da quest'anno l'ha vista protagonista, constatando come quel bruco che era il loro rapporto si sia trasformato in una coloratissima, gigantesca farfalla.

L'abbiamo osservata negare categoricamente quando qualcuno le domandava se tra lei e Potter stesse nascendo qualcosa, non senza che un meraviglioso rossore le imporporasse le guance chiare. L'abbiamo scrutata da lontano mentre cercava costantemente il suo sguardo in qualunque luogo arrivasse, quasi fosse per lei un istinto naturale. L'abbiamo vista smettere di alzare gli occhi al cielo quando Potter faceva una battuta delle sue, ma anzi ridere - ridere di cuore - mentre lui la guardava in un modo che mi faceva male.

Perché lui poteva permetterselo, mentre a me degli sguardi così intensi non sono più nemmeno concessi.

E poi sono arrivati i primi cedimenti, il fatidico sì alla richiesta di accompagnarlo a Hogsmeade, i primi piccoli gesti scambiati in pubblico che sono poi sfociati in un ridicolo, plateale bacio davanti a tutta la scuola, all'ingresso della Sala Grande, solo per permettere a James Potter di marcare il suo territorio come tanto gli piace fare.

Ma questo, naturalmente, non gli bastava più.

Non è stato sufficiente il privilegio di essere il destinatario dei suoi sorrisi, dei suoi sguardi così intensi da fare male, delle sue espressioni fintamente offese alle quali lui trovava sempre un rimedio. Non è bastato avere la possibilità di essere il solo a circondarle con tanta naturalezza la vita sottile, a prendere tra le mani quelle dita tanto fredde e scaldargliele una ad una, a poter baciare quella bocca screpolata ogni volta che ne aveva voglia.

No, non è stato sufficiente niente di tutto ciò. Perché lui è James Potter, il ragazzo che crede che i limiti esistano solo per essere superati, ed è ciò che ha fatto prendendosi anche tutto il suo dolore.

Perché io l'ho vista questa mattina mentre entrava in Sala Grande, gli occhi rossi da far paura e la pelle spevantosamente pallida, come se avesse passato la notte sveglia e si muovesse quasi per inerzia. Riportava sul suo corpo ogni traccia di sofferenza, anche le più piccole, che non ho avuto grandi difficoltà a rintracciare nei suoi occhi persi nel vuoto, nel modo in cui si mordeva nervosamente il labbro inferiore e infine nello sguardo determinato che ha sfoderato proprio all'ultimo, prima che Potter facesse il suo ingresso e sgretolasse una volta per tutte ogni sua certezza.

E la mia era una ridicola e magra consolazione, questo lo so, ma era l'unica cosa che mi restava di lei: essere stato il solo ad aver preso un dolore tanto grande che le apparteneva. Ma ora non è più così, perché la sofferenza che ho letto nei suoi occhi quando Potter è piombato nel nostro tavolo è stata mille volte superiore a quella che posso averle causato io, al quinto anno, quando quella parola ha sancito per sempre la fine della nostra - ormai irrecuperabile - amicizia.

E non mi interessa di quello che pensano gli altri, non mi importa di quello che faranno o del modo in cui si comporteranno con Potter. Lui può anche avere dei ricordi distorti del suo passato a Hogwarts, ma io tutto il male che mi ha fatto me lo ricordo sempre troppo bene.

***

Lily.

«Ripetetemi ancora una volta che devo stare fermo, avanti.»

Sirius si volta di scatto verso di noi, le braccia incrociate al petto e gli occhi grigi e dardeggianti che vagano su ciascuno, quasi volessero sfidarci a contraddirlo.

«Padfoot, per favore, ne abbiamo già parlato.»

È Remus il primo che tenta di fare da mediatore, perché parlare con Sirius in queste situazioni equivale a cercare di addomesticare un leone nel suo habitat naturale. Fare le scale che portavano fino al secondo piano cercando di stargli alle calcagna è stato incredibilmente difficile, ma nessuno di noi poteva permettersi di lasciare che andasse da solo in giro per il Castello.

Non dopo quello che è successo poco fa.

«Non eravate voi quelli che mi dicevano di prendere la situazione di petto?» domanda con un tono beffardo, fermandosi esattamente davanti ai due imponenti Gargoyles di pietra. «È quello che sto facendo.»

«Agire d'impulso è quello che stai facendo, Sirius. E l'impulso non porta mai a niente di buono, te lo dice l'istintiva per eccellenza.» mi intrometto, cercando a mia volta di farlo ragionare.

Sposta gli occhi su di me, lasciando che un sospiro profondo fuoriesca dalle sue labbra e posando poi entrambe le mani sulle mie spalle.

«Lily,» scandisce lentamente, come se stesse cercando di comunicare con qualcuno che non parla la sua lingua. «gli hanno permesso di passare a Serpeverde.»

Chiudo piano gli occhi al sentire la frase da lui pronunciata, perché il pranzo è finito da un pezzo ma la scena di poco fa continua a susseguirsi ripetutamente nella mia testa, come il peggiore degli incubi che, neanche a farlo apposta, continua a tormentarmi tutte le notti.

Vederlo entrare in Sala Grande è stato un colpo al cuore, perché per un solo istante ho creduto che l'incantesimo non avesse fatto effetto e che lui fosse il solito James di sempre - il mio James. Stava bene e questa è stata la prima cosa di cui mi sono accertata: non aveva particolari segni fisici della Cruciatus che gli è stata inferta, ma le bende ricoprivano gran parte del suo corpo ed io avrei voluto correre da lui e parlargli, sfiorarlo piano e sentire il sollievo invadermi da capo a piedi di fronte alla consapevolezza di essere salvi, di aver superato un attacco e di aver affrontato Lord Voldemort l'uno accanto all'altra, così come prevede l'ordine naturale delle cose.

Ma Alice stringeva ancora la mia mano da sotto il tavolo ed io non ho potuto fare altro che rimanere ferma, ad assorbire con le mie pupille l'espressione serena che sfoggiava sulla soglia e quel mezzo sorriso a tutti noi così familiare. Per un secondo ho avuto il presentimento che stesse sul serio per dirigersi verso la porzione di tavolo da noi occupata, ma la realtà mi è crollata addosso sotto forma di una secchiata di acqua gelida.

Le sue gambe si sono mosse verso il lato opposto della stanza e lui non ha esitato a sedersi tra Regulus Black e Nicholas Avery, in quello che chiaramente non è il suo posto, tra quelle persone che sono sempre state le sue nemesi per eccellenza. Persone che l'hanno comunque accolto con i sorrisi più ipocriti che io abbia mai visto in tutta la mia vita.

«Quale parte di assecondarlo non hai ancora capito, esattamente?» chiede retoricamente Remus, passandosi stancamente una mano davanti agli occhi e piazzandosi davanti alle statue di pietra, come se questo potesse bastare a dissuadere Sirius dal desiderio di oltrepassarle.

«Ma certo, assecondarlo equivale a fare il possibile affinché passi più tempo con...con loro, no?» ribatte aspramente, un ghigno ironico sulle labbra che sottolinea ancora di più la rabbia che trasuda dalle sue parole. «Gli faranno il lavaggio del cervello.»

«Pensi che sarebbe stato meglio convivere con lui tutto il giorno, tutti i giorni?» gli fa notare saggiamente Peter, posandogli una mano sulla spalla. «Ne saremmo usciti tutti pazzi, Padfoot. Ci sarebbero stati litigi pesanti ogni singola settimana e nessuno di noi avrebbe potuto convivere con quel James.»

«Io avrei preferito un mese di frustrazione continua, piuttosto che sapere che lui passa le sue giornate in compagnia di Mulciber, di Avery, Rosier...» Fa una pausa in cui sospira sonoramente una seconda volta, tanto che per un istante mi assale il dubbio che stia per accostare il nome di suo fratello a questa triste lista. Ma all'improvviso i suoi occhi si posano di nuovo su di me e si spalancano di scatto, come se fosse stato appena colto da un'illuminazione inaspettata. «Persino in compagnia di Piton, Lily!»

Scuoto la testa e alzo gli occhi al cielo, pensando che Sirius Black sia per davvero un totale idiota ma che, proprio per questo, è davvero impossibile non volergli bene.

«Mettere in mezzo Severus per avere il mio appoggio, come puoi essere così meschino?» domando ironicamente, inarcando un sopracciglio e fissandolo con aria di rimprovero. «Ti accompagneremo da Silente, va bene, ma non pensare in questo modo di poter cambiare la situazione.»

«Ho solo bisogno di spiegazioni.»

Come sospettavo, Sirius conosce perfettamente la parola d'ordine dell'ufficio del Preside - teoricamente dovrei essere la sola ad esserne informata, ma lui per un motivo o per un altro viene sempre spedito in questo luogo ed è dunque logico che ne sia conoscenza - e così ci ritroviamo a salire la scala di pietra prima del previsto, comparendo davanti alla porta e bussando cautamente.

Non appena veniamo invitati a entrare, vedo però Sirius spalancarla con troppa foga ed è così che mi rendo conto che il suo bisogno di spiegazioni non si prospetta essere poi così pacifico come speravo.

«Non potete averlo fatto sul serio.»

Fedele alla sfacciataggine che da sempre lo contraddistingue, non si fa davvero grossi problemi a violare il luogo sacro del Preside e a piombare all'improvviso con una frase che sa di minaccia, camminando deciso e arrivando proprio davanti alla sua scrivania. Remus, Peter ed io - i soli che hanno deciso di accompagnarlo nell'impresa, per inciso - ci scambiamo un'occhiata arrendevole, rassegnandoci al fatto che il nostro compito, da adesso in poi, sarà quello di mitigare le frasi di Sirius con un tono quantomeno cordiale.

Ma ecco, quello che sicuramente nessuno di noi si aspettava, era che Silente non fosse da solo. Lui se ne sta per l'appunto davanti alla grande finestra che dà sul cortile, le mani intrecciate dietro la schiena e le spalle rivolte verso di noi, mentre vicino alla scrivania siede composta nientemeno che la nostra Capocasa. Sì, questo incontro si prospetta essere decisamente interessante.

«Signor Black, per favore...»

«Signor Black, ragazzi, ero quasi sicuro che oggi sareste venuti a farmi visita.»

Le voci dei due adulti si contrappongono, ma non potrebbero essere più diverse di così: se la McGranitt, vedendoci entrare, ha infatti alzato gli occhi al cielo e scosso impercettibilmente la testa, Silente al contrario si è voltato nella nostra direzione e ha accennato il suo solito sorriso enigmatico, sondando ognuno di noi con i suoi occhi trasparenti.

«Ho bisogno di sapere alcune cose.» ripete Sirius, appoggiando i palmi delle mani sulla scrivania e fissando il Preside dritto negli occhi.

«Prego, sarò pronto a schiarirvi le idee.»

Il Preside si avvicina ed evoca all'istante quattro sedie, sulle quali ci accomodiamo subito. E lo so che Sirius ha ragione, abbiamo tutti bisogno di spiegazioni circa quello che è successo poco fa, ma esprimere le nostre preoccupazioni a loro due non è propriamente la cosa più facile da fare. Per l'appunto Sirius si schiarisce la voce, sfoggiando una severità e una compostezza che nemmeno credevo possedesse.

«Perché gli avete concesso di cambiare Casa? Perché...perché Serpeverde?»

«È stata una scelta del signor Potter.» replica prontamente la McGranitt, il volto teso e uno sguardo che non nasconde una certa dose di amarezza.

«Ma perché concedere il trasferimento proprio tra...loro?» aggiungo io, provando ad aiutare Sirius ad esprimere questo dubbio che attanaglia decisamente tutti.

«Loro chi, signorina Evans?»

Faccio solo in tempo ad aprire la bocca per rispondere, ma subito lo sbuffo sarcastico di Sirius mi precede.

«Lo sa bene, professor Silente. Sa benissimo che quella è esattamente la Casa dove ci sono quegli studenti che hanno aiutato Voi-Sapete-Chi a organizzare l'attacco a Hogsmeade, proprio nel momento in cui le nostre difese erano più basse.»

Il Preside resta immobile per quelli che paiono minuti interi, a guardare Sirius negli occhi come se volesse trasmettergli i segreti più profondi della sua anima. Ma poi all'improvviso si riscuote, voltandoci di nuovo le spalle e camminando piano verso il trespolo dove riposa una Fanny piuttosto raggrinzita.

Mi perdo per un istante a osservarla, ricordando la prima volta in cui, a dodici anni, entrai nell'ufficio di Silente e quasi mi vennero i lucciconi agli occhi nel constatare le terribili condizioni in cui si trovava quello splendido animale. Naturalmente era il mio primo incontro con una creatura simile e, per quanto persino in qualche storia babbana si parli di fenici, certamente una dodicenne come me non ricordava affatto la peculiarità di questo animale.

Ma fu poi tornando dal Preside qualche giorno dopo - ancora non riuscivo a capacitarmi di come potessero i piatti in Sala Grande riempirsi all'improvviso di tutte quelle deliziose pietanze, considerando che il cibo è una delle cinque eccezioni alla legge di Gamp, e avevo un impellente bisogno di spiegazioni da parte sua - e osservando la bella Fanny splendere sul trespolo con il suo piumaggio nuovo di zecca, che compresi la meravigliosa abilità di quella specie di poter risorgere dalle sue ceneri. 

Il mio flusso di ricordi passati viene però interrotto bruscamente dalla voce calma e pacata di Silente, tornato all'improvviso al di là della scrivania, esattamente davanti a noi. 

«Quando vi ho chiesto espressamente di assecondare il signor Potter, non intendevo dire che voi studenti doveste essere gli unici a farlo.»

«Mi sta dicendo, professore, che se James la pregasse di espellere da questa scuola tutti i Nati Babbani per colpa di quelle stupide idee che ora ha in testa, lei acconsentirebbe perché si sente in obbligo di assecondarlo?»

Remus lancia a Sirius un'occhiata con cui vorrebbe chiaramente fargli intendere di darsi una calmata, ma non è come se lui potesse minimamente dargli ascolto: pretende delle spiegazioni e lo vedo dal suo sguardo che sarà disposto a tutto, pur di averle. 

«Ma certo che no, signor Black. Esistono comunque dei limiti che nessuno, nemmeno voi, dovrà superare.» replica la McGranitt, aggiustandosi gli occhiali sul naso. «Acconsentire allo spostamento del signor Potter in un'altra Casa mi sembrava la cosa più adatta da fare, per il suo quieto vivere e certamente per il vostro.»

«L'avevo detto, avevo detto la stessa cosa anche io.» decanta Peter con orgoglio, prima di zittirsi all'improvviso perché interrotto da Remus. 

«Ma non sarà pericoloso convivere per un mese intero con loro?» chiede con discrezione, deglutendo lentamente come per cercare le parole giuste. «Voglio dire, potrebbero fargli fare delle cose per cui lui si pentirebbe. Potrebbero...non lo so, obbligarlo a immischiarsi in faccende più grandi di lui. E non oso immaginare cosa farà James, una volta che tutto questo finirà.»

Perché finirà, Lily, mi ripeto automaticamente in testa, mordendomi il labbro e stringendo i pugni, siamo solo all'inizio, ma prima o poi tutto questo finirà

«Queste sono faccende di cui ci occupiamo noi personalmente, signor Lupin. Nessuno studente Serpeverde è lasciato allo sbando, tantomeno il signor Potter.» risponde cautamente il Preside, accennando un altro lieve sorriso. «Tutti loro sono sotto stretta sorveglianza. È l'unica cosa che possiamo garantirvi e voi dovete fidarvi di noi.»

Annuisco piano, sospirando e lasciando che il silenzio torni a insinuarsi tra noi. Ma poi, è ancora una volta Sirius a spezzarlo sfoderando il suo proverbiale tono sarcastico. 

«Quindi è un Serpeverde fatto e finito, eh?» chiede, accennando un minuscolo ghigno. «Non vedo l'ora di prenderlo in giro a proposito di questo, quando torneremo alla normalità.» 

«Ma certo che no, signor Black. Il signor Potter crede fermamente di essere un Serpeverde, ma è logico che la decisione presa dal Cappello non può essere modificata. Lui è Grifondoro fino al midollo, questo è evidente.» stabilisce la McGranitt, sollevando il mento con una fierezza che mi fa sorridere. «Tecnicamente si limita a dormire nella loro Sala Comune e a frequentare le lezioni negli orari della sua nuova Casa, ma in realtà continua ad essere in tutto e per tutto un vostro compagno.»

«Mi sta dicendo che eventuali punti a lui assegnati corrisponderanno a rubini che cadranno nella nostra clessidra?» chiede Remus con sincera curiosità. 

«Precisamente.»

«E con il Quidditch?» domanda invece Peter, agitandosi sulla sedia. «Con il Quidditch  che è un vero problema.»

«Immaginate la faccia che farà Avery, quando James prenderà il Boccino e sentirà dire che i centocinquanta punti vanno a Grifondoro.» esclama Sirius, cominciando a ridere sguaiatamente e contagiando a malincuore tutti noi. 

La McGranitt gli lancia uno sguardo piuttosto eloquente con cui sembrerebbe volergli ricordare che siamo ancora al cospetto del Preside di Hogwarts, ma non è che questo cambi molto la situazione: Silente è il primo ad avere un sorriso sinceramente divertito stampato sulle labbra. 

«Non costituisce affatto un problema, signor Minus, dal momento che la professoressa McGranitt ha imposto come compromesso il fatto di non poter entrare a far parte della squadra.»

«E lui ha accettato?» chiedo a mia volta, decisamente stupefatta. 

«Certo che ha accettato. Gli ho comunque concesso di allenarsi e provvederò io stessa a posticipare tutte le partite di Grifondoro finché non si sarà rimesso in sesto.» risponde decisa la nostra Capocasa, per poi spostare lo sguardo fuori dalla finestra e sussurrare piano, come se stesse parlando tra sé e sé. «Se pensavano di sfruttare questa situazione per avere in squadra il Cercatore migliore di Hogwarts, si sbagliavano davvero di grosso.»

Ci scambiamo tutti e quattro un'occhiata decisamente divertita, constatando come questa sia una delle rare volte in cui la McGranitt si mostra davanti a noi per la professoressa che è, senza filtri e senza veli. 

Credo che questo sia l'effetto che James ha su tutti, comunque. Non è un pensiero che ho maturato soltanto adesso, è una cosa che so davvero da sempre, forse persino dagli anni d'oro di più intensa avversione nei suoi confronti: in un modo o nell'altro, James ha il superpotere di farsi volere bene da tutti. 

Non è una cosa particolarmente facile, ma credo sia anzi un vero talento. Insomma, ognuno di noi ha sempre avuto quelle persone con cui andare d'accordo è per davvero un'impresa titanica, quelle persone per cui l'antipatia è sul serio a pelle e non c'è niente, nemmeno mesi interi di convivenza forzata, che possa cambiare la situazione. Voglio dire, ne sono io stessa il primo esempio vivente: delle mie quattro compagne di stanza vado d'accordo unicamente con Alice e Mary MacDonald, mentre con l'ultima c'è proprio un astio viscerale all'incirca dall'alba dei tempi e nemmeno sette anni da coinquiline hanno cambiato il nostro rapporto.

James, di certo, non può dire la stessa cosa: tutti, chi per un motivo e chi per un altro, sono assurdamente affezionati a lui. 

Va bene, togliamo i Serpeverde veterani che non hanno una vastissima gamma di emozioni, ma che sanno anzi spaziare soltanto da una cordiale sopportazione all'odio più intenso. Tutto il resto di Hogwarts, invece, adora James in ogni sua sfaccettatura. 

È l'idolo dei Grifondoro, è il modello a cui aspira gran parte dei Tassorosso ed è guardato con rispetto da tutti i Corvonero. Conosce e saluta quotidianamente ogni singolo quadro di ogni singolo corridoio, tanto che è inutile specificare quanto siano lunghi i sette piani di scale per arrivare fino in Sala Grande, quando si cammina accanto a una persona che si ferma a parlare di fronte ad ogni cornice. Sa intenerire praticamente qualunque professore - la McGranitt in particolare ha un'adorazione per lui che riesce a nascondere davvero penosamente - ed è il solo studente di Hogwarts per cui Mirtilla, il fantasma insopportabile che piange continuamente e che popola il bagno delle ragazze, si è presa una cotta non indifferente.

Sono solo alcuni piccoli esempi, ma è proprio a partire da questi minuscoli dettagli che si può comprendere come un ragazzo come James Potter, alla fine, sia riuscito a buttare giù mattone dopo mattone quel muro apparentemente invalicabile che avevo innalzato io stessa. Ma lui non si è mai dato per vinto, ha aspettato il mio tacito consenso prima di iniziare la scalata ed io, alla fine, non ho potuto fare a meno di crollare inevitabilmente davanti a lui.

Dall'unica persona che vanta il primato di essere riuscita a strappare il primo "ti voglio bene" a qualcuno che risponde al nome di Sirius Black, comunque, non ci si poteva aspettare diversamente.

Ma è proprio questa una delle tante cose che mi ha fatto innamorare di lui in maniera irreversibile e spaventosamente naturale, quasi fossi stata programmata per provare per lui qualcosa di tanto forte: il fatto che, in un modo o in un altro, James Potter sappia tirare fuori la parte più vera di chiunque gli stia intorno.

Perché anche io, quando ero al suo fianco, sentivo di essere per davvero una bella persona.

***

Frank.

«Allora ragazzi, non dobbiamo perdere neanche un secondo di tempo. Agire ora o mai più.»

Era tutto sommato una domenica piacevole, uno di quei classici pomeriggi in cui anche solo passeggiare con Alice per il cortile innevato di Hogwarts era qualcosa di estremamente gradevole e tranquillo - per quanto tranquillo si possa definire il tempo passato con lei, per inciso - e a renderlo tale era certamente il fatto che, dopo l'attacco di ieri sera, ogni cosa ha per me tutto un altro sapore.

Abbiamo chiaramente visto la morte in faccia, ma forse l'incoscienza del momento ha fatto sì che lo realizzassi solo ora. Ci siamo salvati davvero per un soffio, abbiamo evitato al pelo quella che poteva diventare una tragedia senza alcun rimedio, ed è qualcosa che non può che segnarci fin nel profondo della nostra anima.

Tenere Alice per mano, respirare l'aria fredda che mi riempie i polmoni, trascorrere alcune ore in compagnia dei miei amici, assaporare lentamente una fetta di torta: sono dettagli che, nei miei diciotto anni di vita, ho sempre dato per scontati. Per questo mi sono ripromesso di godermi ogni singolo momento fino in fondo, senza precludermi nulla e vivendo soprattutto per i piccoli istanti che, all'apparenza, sembrano davvero essere i più insignificanti.

Ecco, nei miei piani certamente non c'erano Sirius e la sua mania di interrompere puntualmente ogni momento che riesco a ritagliarmi con Alice. Ma questa volta aveva uno strano luccichio negli occhi, mentre veniva da noi e ci urlava di aver bisogno di una riunione lampo nel nostro dormitorio. E si sa: se Sirius Black organizza un raduno di persone nel luogo dove c'è anche il mio letto, è sempre meglio che ci sia io stesso a controllare che nessuno sparga sopra sostanze dalla dubbia provenienza. Un po' come quella volta in cui mi sono ritrovato con la testa su un cuscino fatto di bacon, ma questa è naturalmente un'altra storia.

«Ti ha fatto bene la chiacchierata con Silente, suppongo.» asserisce Remus, inarcando un sopracciglio e sorridendo divertito.

«Niente affatto, Moony: mi ha fatto fottutamente bene.» Detto ciò si posiziona al centro esatto della stanza, brandendo la sua bacchetta come se fosse una spada e facendo avanti e indietro, come se stare fermo fosse un'attività non contemplata dalla sua mente. «Ora, è chiaro che la situazione che stiamo vivendo è atipica. Atipica e maledettamente difficile.»

«Ma non mi dire.» sbuffa ironicamente Lily, seduta a gambe incrociate sul letto che prima apparteneva a James.

«Non usare il tuo sarcasmo con me, Evans.»

«Altrimenti?»

«Altrimenti è guerra, lo sai che il Re del sarcasmo sono solo e solamente io.»

«Quello che Padfoot voleva dire,» urla improvvisamente Peter, interrompendo quel ridicolo dialogo acceso appena nato tra i due. «è che abbiamo bisogno di un piano concreto per superare questo momento.»

«Mi piace l'idea. Mi piacciono i piani.»

«Lo sappiamo, Moony. Tu sei il Re dei piani studiati, io sono il Re del sarcasmo e Lily è un'illusa usurpatrice.»

«Se proprio insisti possiamo metterla a votazione, Sirius Black.»

«Io voto Lily.» asserisce Alice con convinzione.

Tutto ciò non ha alcun senso, questa conversazione non ha alcun senso ed io speravo che si trattasse davvero di una questione importante su cui discutere. E invece no, l'assenza di James si fa comunque sentire ma loro riescono lo stesso ad essere i soliti idioti di sempre, tanto che è abbastanza sconcertante il fatto che gli unici sani della situazione sembriamo essere io e Peter.

«Possiamo concentrarci, per piacere?»

«Parlavamo di un piano.» riprende Remus, sedendosi per terra accanto a noi e sfoderando quell'espressione concentrata che ormai gli appartiene per antonomasia. «Che, sostanzialmente, deve servirci per gestire James in questo mese.»

«Non dobbiamo dargli tregua.» propone all'istante Sirius, salendo in piedi su quello che un tempo era il mio baule immacolato e facendo scaturire dalle mie labbra un profondo, rassegnato sospiro. «Deve trovarci in ogni angolo di Hogwarts. Saremo peggio della sua ombra, ragazzi.»

«Vuoi farti ammazzare?» chiedo ironicamente, perché è così chiaro che non è lui il Re dei piani, dal momento che propone idee suicide che certamente non possono sortire alcun effetto positivo.

«Certo che no, ma un mese è lungo.» asserisce, scrollando le spalle ma mantenendo sempre la sua solita convinzione. «Devo pur trovare un modo per passare del tempo con il mio migliore amico.»

Vedo Lily con la coda dell'occhio accennare un sorriso verso Sirius, mentre Alice si siede accanto a lei e mi rivolge un'ennesima occhiata eloquente. Lo so che cosa sta passando nella sua mente, perché ne abbiamo parlato poco fa: ancora non riesce a perdonarsi il fatto di non esserle stata accanto quando c'era Lord Voldemort davanti a lei, ed è normale che nelle ultime ore percepisca il feroce impulso di farle sentire la sua vicinanza, di confortarla a parole e a gesti, di farle capire che c'è e che questa situazione la affronteranno insieme, così come hanno sempre fatto.

«Padfoot, non sono certo che tormentare James sia la scelta più saggia tra tutte.» gli fa notare Remus, sorridendo divertito. «Dovremmo forse chiedere la collaborazione dei professori. Sapete, fare in modo che mettano Prongs in coppia con noi in caso di lavori da consegnare o cose del genere.»

«È questa la tua grande trovata? Chiedere ai professori di poter fare i compiti con James?» domanda retoricamente Sirius, inarcando un sopracciglio e scuotendo piano la testa. «Penso sia arrivato il momento di revocarti il titolo di prima.»

«Non è un'idea così pessima.» commento distrattamente. «Non abbiamo molte altre possibilità per passare del tempo insieme, altrimenti.»

«E poi è sempre meglio che farsi Schiantare da lui per i corridoi.»

Tutti annuiamo alla constatazione di Pete, mentre Sirius borbotta qualcosa di incomprensibile e incrocia le braccia al petto.

«L'importante è che non si dimentichi di noi in questo mese.» mormora Alice, stringendosi nelle spalle.

«Credimi, non lo farà.»

«Potrebbe trovare una fanciulla Serpeverde pronta a rimpiazzarti.»

La provocazione fatta da Sirius ai danni di Lily va chiaramente a segno, perché all'istante la vediamo fulminarlo con un'occhiataccia degna del suo nome e lanciargli un cuscino dritto in faccia.

«Prova anche solo a insinuare di nuovo una cosa simile, Black, e comincia a correre.» replica indispettita, facendolo ridere e costringendo Alice a lanciarsi in una fitta sequela di rassicurazioni del tipo "Gli incantesimi non influiscono su ciò che c'è nel cuore di una persona, fidati di me: James cadrà ai tuoi piedi anche contro la sua volontà".

E sono abbastanza sicuro che abbia ragione.

«Dai Lily, l'ho detto solo per alleggerire la tensione. Immagino che questa lontananza sarà difficile da sopportare, soprattutto per te.» afferma nuovamente con tono allusivo. «Il letto di James resta comunque libero, se senti la sua mancanza puoi venire a dormire qui ogni volta che ne hai voglia.»

E Lily scuote per davvero la testa, ma poi un minuscolo sorriso fa la comparsa sulle sue labbra mentre io realizzo che in fondo va bene anche tutto questo. Non siamo ancora entrati nel vivo della questione, certo, ma perlomeno ci stiamo addentrando insieme e lo stiamo facendo con la solita leggerezza che ci contraddistingue, sebbene la mancanza di un tassello si faccia sentire come se si trattasse di un vuoto abissale.

Ma l'avevamo detto fin da subito, che avremmo affrontato questa situazione con determinazione principalmente per James. Perché poi sarà lui, quando tutto questo sarà finito, ad avere bisogno di ciascuno di noi. Sono però certo che la consapevolezza che nemmeno il suo allontanamento abbia condizionato la nostra amicizia, ma che anzi abbia contribuito a rafforzarla, sarà un dettaglio capace di dargli la giusta dose di coraggio per superare ogni futuro momento buio.

Adesso siamo noi, ora che lui non c'è, a tirarci su l'un l'altro. Ma quando sarà lui ad avere bisogno, ecco, sono sicuro che sarà circondato da persone pronte a tendergli la mano per risollevarlo da quella che, in fondo, non sarà altro che una momentanea caduta.

***

Sirius.

Sto bene. Bene come non credevo di potermi mai sentire, in tutto questo mese a venire. Bene nel senso che l'adrenalina scorre veloce nel mio corpo, rendendomi forse esageratamente iperattivo e con una folle voglia di mandare avanti le lancette di tutti gli orologi del mondo, per far sì che questi giorni che ancora ci separano dalla parola fine scorrano via veloci e implacabili.

Remus dice che faccio male ad essere così impaziente, perché sarà proprio la mia irrequietezza a rendere una tortura il tempo che dovrò trascorrere senza James. Non posso che ridere in risposta, perché una tortura lo è già ed è difficile pensare che possa andare peggio di così.

Non l'ho ancora guardato negli occhi da quando è uscito dall'Infermeria, tanto che a occhio e croce credo sia la primissima volta, dopo quasi sette anni interi, in cui il mio sguardo non incrocia per tutto questo tempo quelle iridi nocciola che riesco a leggere come fossero un libro aperto. Persino durante i nostri sporadici litigi le occhiatacce erano la nostra via di comunicazione preferita, perché sapevamo bene di riuscire a intenderci alla perfezione anche così ed era l'unico modo a nostra disposizione per insultarci silenziosamente, per dirci le cose peggiori semplicemente tacendo e, infine, per far crollare ogni resistenza e chiederci scusa.

Forse credo sia questo, per ora, il particolare che più mi manca di lui: la nostra complicità, quella fitta trama di fili sottili che sembrano cominciare da me e arrivare fino a lui, collegandoci in un modo che sarebbe impossibile da spiegare a parole. Ma non mi importa se è lontano, se non mi guarda negli occhi e se mi eviterà per tutto questo tempo: io continuerò a sentire le sue stesse emozioni filtrarmi sottopelle e mi andrà bene anche solo vivere semplicemente attraverso esse.

«Il primo giorno senza di lui è quasi finito.» mormora ad un tratto Moony, mentre scendiamo le scale diretti in Sala Grande per la cena.

«Già.» constato laconicamente, sospirando e fissando entrambi negli occhi. «Quanto pensate sia durata questa giornata?»

«Un anno intero.» risponde prontamente Pete ed io mi ritrovo ad annuire, pensando a quanto diamine abbia ragione.

Ma poi non è come se ci fosse tempo per aggiungere altro: ci siamo noi tre che scendiamo l'ultimo scalino e, come se fosse un ridicolo scherzo del destino, troviamo James che sta camminando esattamente nella nostra direzione. Ed è strano, maledettamente strano, trovarsi ai poli opposti in un modo che fa così paura: avevamo giurato di restare sempre fianco a fianco ed ecco che lui è di fronte a me, con il solito sorriso sghembo a decorargli il volto e con quella cravatta verde e argento che stona così tanto, se indossata da lui. 

Buffo, sembra per davvero che questi due colori mi perseguitino: sono quelli indossati dalle stesse persone che, momentaneamente o meno, sono giunte a voltarmi le spalle. 

«Cercavo proprio te, Sirius Black.» decanta non appena mi si para di fronte.

Sorrido comunque, perché il gioco è iniziato per davvero soltanto adesso e mi va bene anche questo, anche stare davanti a James e fronteggiarlo. Purché mi guardi negli occhi.

«James Potter, che immenso piacere.» ribatto con lo stesso tono, mentre Remus si avvicina a me di un passo. «I tuoi nuovi amici ti hanno già abbandonato?»

«Non credo ti riguardi in maniera particolare. O vuoi per davvero fare a gara di chi sa scegliersi i compagni migliori?» Degna a malapena Remus e Peter di uno sguardo sprezzante, prima di tornare a concentrarsi su di me. «Ora, ciò che invece ti riguarda è la questione in sospeso che abbiamo io e te.»

«Il tuo naso sembra essere tornato normale.» constato con un ghigno beffardo, pensando che, nonostante tutti abbiano bocciato il mio piano, provocarlo è per davvero l'unico modo che ho per sentirlo un po' più vicino a me. «Non capisco davvero quale sia il problema.»

«Sirius.» mi ammonisce Remus, ma io prontamente lo ignoro e faccio un passo avanti verso James, che ora mi guarda con la mascella contratta. 

«Ti è piaciuto raccontare a tutta la scuola di avermi preso a pugni, mh?» quasi sussurra, arrivando a pochi centimetri dal mio naso. «Immagina come sarò soddisfatto io, quando dirò di averti mandato in Infermeria senza che tu fossi già mezzo svenuto a terra.»

E poi non so bene come succeda, ma è tutto un groviglio di di braccia, gambe e mani, pugni che cercano di andare a segno, sangue che di nuovo comincia a sgorgare, lui che vuole farmi male perché sono un coglione e io che cerco di ferirlo perché è un bastardo, perché prenderlo a pugni è per davvero l'unico modo che ho per fargli provare almeno un terzo del mio dolore.

Intorno a noi si è radunata una piccola folla e adesso tutto si riduce a questo, alle voci che incitano e a quelle che urlano di smetterla, a Remus e Peter che provano a dividerci mentre io mi rendo conto che questa è una scena ai limiti del reale. Nemmeno nel peggiore dei miei incubi mi ritrovo in mezzo ad una rissa con il mio migliore amico, esattamente nel corridoio adiacente alla Sala Grande. 

Non perché io ci tenga particolarmente a non picchiare James, sia chiaro: ho perso il conto di tutte le volte che siamo finiti in una lotta animalesca sul tappeto della Sala Comune o nella nostra stanza, perché è esattamente così che ci piace risolvere la maggior parte dei nostri battibecchi. 

Ma il motivo reale, concreto per cui mai avrei dovuto invischiarmi in una situazione simile è sostanzialmente uno solo: ha il suo ufficio non molto distante da qui, i capelli raccolti in uno chignon, gli occhiali sulla punta del naso, una veste verde smeraldo e quello sguardo: lo sguardo di chi non perdona. 

«Potter, Black!» sento gridare dalla McGranitt, mentre io e James decidiamo di smetterla di dare spettacolo e finalmente ci separiamo, rimanendo seduti nel bel mezzo del corridoio ancora ansanti e scombinati. «Si può sapere cosa diamine vi è preso? Una rissa alla babbana in mezzo al corridoio, è questo ciò che fanno gli studenti del settimo anno?»

«Professoressa, lasci che...»

«Non osi nemmeno fiatare, signor Potter.» lo interrompe lei, fulminandolo con un'occhiataccia che fa rabbrividire persino il sottoscritto. «Non prendete impegni per venerdì sera: c'è una punizione che vi aspetta. E quindici punti in meno ciascuno.»

«Lo ammetta, professoressa. scandisco invece io, slacciandomi la cravatta con un ridicolo sorriso soddisfatto stampato sulle labbra. «Pronunciare questa frase le era mancato tantissimo.»

 

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Capitolo 5
*** Quattro. ***


Peter.

Ho aperto gli occhi questa mattina e ho subito pensato che ci fosse qualcosa di storto nella quotidianità che mi circondava.

Va bene, ammettiamo pure che, nel momento in cui la fedele sveglia di Remus trilla per svegliarci, le mie percezioni non sono propriamente quel genere di cosa su cui fare particolare affidamento. Però, ecco, la mia è stata una sensazione che mi ha colpito proprio in pieno petto e mi ha obbligato a spalancare gli occhi con un'angoscia pazzesca addosso, come se il problema principale non fosse quello di dover affrontare un ennesimo, noiosissimo lunedì mattina.

Ho scalciato le coperte appallottolandole ai piedi del letto, cercando di seguire i contorni degli oggetti che si stagliavano al buio della mia stanza e individuando perfettamente la sagoma di Moony, già naturalmente in piedi, mentre prendeva la sua divisa dal baule e partiva alla volta del bagno prima che chiunque altro potesse precederlo. Questo, chiaramente, rispecchiava in tutto e per tutto la mia perfetta normalità.

Mi sono tirato su a sedere e ho spostato lo sguardo sul punto in cui si trova il letto di Sirius, scorgendo le tende del baldacchino naturalmente scostate e il mio amico sistemato in una posizione assurdamente scomposta: era aggrovigliato nelle lenzuola e sdraiato quasi in obliquo, il cuscino stretto tra le braccia e la testa che oscillava pericolosamente sul bordo del letto. Anche questo non è stato un dettaglio poi così inusuale ai miei occhi ancora annebbiati dal sonno.

Ma è bastato spostare appena lo sguardo di pochissimo e puntarlo proprio sul letto di fronte al mio, accanto alla finestra, per rendermi conto una volta per tutte di ciò che stonava nella banalità del mio risveglio.

E non è solo il fatto che le coperte non erano buttate per terra, che il cuscino era perfettamente al suo posto e che le lenzuola apparivano fresche, immacolate. È che le mie orecchie non sono state attraversate dal familiare suono di un verso scocciato e di una mano che sbatte sul comodino alla ricerca degli occhiali - un gesto che lui compiva abitualmente da sette anni a questa parte - né i miei occhi si sono posati sulla maglia del pigiama che James indossava sempre al contrario e su quei capelli che, all'alba di un nuovo giorno, erano sempre all'apice della loro confusione.

Non c'era niente di niente, se non il vento che entrava dalla finestra e smuoveva le tende del suo baldacchino in un modo che, di dolce, non aveva neanche un retrogusto. E ho provato sul serio un freddo sconcertante, mentre mi sono imposto di tirarmi su a sedere e fingere che fosse tutto al suo posto. Fingere, quanto suona estranea adesso alle mie orecchie questa parola, sebbene fino a pochi giorni fa facesse parte della mia vita di tutti i giorni.

Se sei un Malandrino è logico che prima o poi devi imparare, volente o nolente, a dissimulare e ad acquisire sempre più abilità nell'arte del mentire. È la regola, è quella caratteristica indispensabile che ci ha sempre permesso di cavarcela nelle situazioni scomode e di uscirne più o meno illesi. Con qualche punizione di troppo, certo, ma quantomeno illesi.

Quando però la sfera del fingere arriva a toccare le tue stesse emozioni, ecco, niente è più semplice e naturale come dovrebbe essere. Perché convincersi che vada tutto bene, che questo lunedì mattina sarà estenuante come al solito ma che comunque lo affronterò con il sorriso - sapendo che ci saranno tutti e tre ad alleggerirlo - oggi non è più possibile. Perché non posso far credere di non aver sentito il sospiro affranto di Remus non appena si è chiuso alle spalle la porta del bagno, non posso mentire affermando di non aver intercettato gli occhi di Sirius aperti nel buio, fissi sul soffitto e intrisi di un disorientamento che mi ha tolto, per un attimo, il respiro - sembrava che avesse perso la sua bussola, il suo posto nel mondo.

Semplicemente, fingere tutto questo va contro ogni mia volontà. Perché il mondo va avanti, la vita continua frenetica come al solito e noi non possiamo fermarci. 
Ma il vuoto causato dall'assenza di James, in questa prima mattina ufficiale senza di lui, pesa per davvero più di un macigno.

***

Remus.

«Non sono mai arrivato in anticipo a lezione.»

La constatazione di Sirius si perde nel fitto chiacchiericcio dell'aula di Trasfigurazione, mentre lui si siede sul suo banco e manda così all'aria sette lunghissimi anni di "Signor Black, non pensavo di dover specificare che gli oggetti creati appositamente per sedersi sono le sedie", urlati a gran voce dalla McGranitt ogni volta che piomba in classe e lo trova in questa esatta posizione. Ma, ancora una volta, è di Padfoot che stiamo parlando e le sue abitudini sono sempre più che dure a morire.

«Suppongo che allora io e Pete dovremo ringraziare Prongs, tra un mese.» replico, sistemandomi al mio posto come qualunque persona normale e civile farebbe e cominciando a sfogliare distrattamente i miei appunti risalenti all'ultima lezione. 

«Che intendi dire?»

Sollevo lo sguardo e inarco un sopracciglio, puntando gli occhi sul volto sconcertato di Sirius.

«Vuoi dirmi che non ci hai trascinati fuori dalla Sala Grande perché non sopportavi di vedere James seduto vicino ai Serpeverde?» domando, continuando a fissarlo con la solita espressione che sfodero quando devo obbligare i miei amici a confessare qualcosa che già so.

Padfoot sbuffa e scaccia con la mano un insetto immaginario, mentre Peter si lascia persino andare ad una minuscola risata.

«Non ero geloso.» si giustifica, continuando a sbrindellare quella che una volta era la sua piuma. «È che ci tengo ad arrivare in classe prima di lui.»

Sospiro sonoramente e scuoto la testa, pensando che forse il fatto che James sia passato momentaneamente a Serpeverde è la cosa migliore che potesse succederci. La mattinata è trascorsa in maniera quantomeno tranquilla - strana senza di lui, certo, ma sorprendentemente tranquilla - e penso che il motivo principale sia il fatto che non avevamo alcuna lezione in comune con i verde-argento.

Ed è logico che avere svariate distrazioni di mezzo - un compito in classe di Incantesimi, una lezione particolarmente divertente di Erbologia in cui un paio di Corvonero hanno rischiato di confondere il Frullobulbo con il Tranello del Diavolo e, di conseguenza, hanno scatenato il panico in tutta la serra - è stato utile per distoglierci dal constante pensiero di James, del modo in cui loro si sono attaccati a lui e sembrano non volerlo mai lasciare da solo, del suo sguardo che non incrocia il nostro nemmeno per sbaglio, se non per lanciarci quelle occhiate così cariche di disprezzo da fare male.

Ma la prima lezione pomeridiana è proprio Trasfigurazione e ora non c'è niente da fare, perché non basterà nessunissimo diversivo: lui sarà qui a pochi passi da noi, seppur distante come non lo è stato mai, e solo Merlino sa cosa dovremo aspettarci da questa situazione così nuova e imprevedibile.

«L'allontanamento di Prongs sta facendo emergere il tuo lato diligente e responsabile? Sul serio?» chiedo, sforzandomi di imprimere la solita vena sarcastica nel mio tono di voce.

«Non credo sarà fiero di te, quando glielo racconteremo.» mi dà man forte Peter, annuendo con una finta aria greve che mi fa sorridere.

Perché è assurdo, è tutto maledettamente assurdo, ma non potrebbe essere più giusto di così: James al momento non è qui, ma tutti i lati del suo carattere che l'hanno reso nostro fratello, una parte integrante delle nostre anime, sembrano essersi riversati sul serio in ciascuno di noi. Come se Prongs si fosse diviso in tutti e tre, come se per compensare la sua assenza ognuno di noi avesse volutamente acquisito la sua incapacità di mentire, quell'innata abilità di convincere gli altri che tutto stia andando per il verso giusto, o ancora la capacità di alleggerire la tensione come solo lui sapeva fare.

Per l'appunto, Sirius ci fissa per un istante con gli occhi socchiusi e un angolo della bocca arcuato all'insù - è probabile che anche lui, come me, abbia rivisto per un solo frangente James in ognuno di noi tre - prima di riscuotersi e sorridere apertamente.

«Possiamo coordinarci tutti e tre, per favore? Dovremmo riuscire a essere allegri e positivi in contemporanea.» stabilisce con finta serietà, alludendo probabilmente al fatto che oggi sembra essere lui quello sottotono e non particolarmente ottimista della situazione. «Sarà il nostro obiettivo mensile.»

«In verità è giusto così. Sai, un giorno sei abbattuto tu, quello dopo io, poi Wormtail e così via.» spiego con aria pragmatica. «In modo da compensarci e alternare perfettamente ogni nostro stato d'animo.»

Padfoot ha appena sbuffato e alzato gli occhi al cielo e lo so cosa sta per dirmi, lo so benissimo, perché è sempre lui quello che mi ripete che devo smetterla di parlare con lui usando questo tono, come se stessi facendo un ragionamento matematico anche quando mi limito a spiegare perché è giusto che noi tre ci solleviamo vicendevolmente il morale. Ma poi non fa in tempo ad articolare nessun insulto più o meno di senso compiuto, dal momento che tutti e tre scorgiamo una furia dai capelli scarlatti marciare proprio nella nostra direzione.

«Adesso finalmente ho trovato una degna alleata per compensare il vostro assurdo buonumore.» borbotta Sirius, mentre Lily lascia cadere la sua borsa sul banco adiacente al nostro e si volta verso di noi con un cipiglio piuttosto infuriato.

«Se un'altra persona osa fermarmi per i corridoi e chiedermi che cosa diamine sia successo a James, giuro su Merlino in persona che lo Schianto.» asserisce convinta, mordendosi il labbro inferiore e scostando con rabbia una ciocca che le era caduta davanti agli occhi.

«Non sarebbe una cosa poi così strana. Schianti persone innocenti per i corridoi più o meno dal secondo anno, sai.»

«Questo non è assolutamente vero, Sirius. Sarà successo soltanto una volta.» risponde di nuovo, fulminandolo con un'occhiataccia. Per tutta risposta, Padfoot inarca un sopracciglio e indossa la classica smorfia di chi sa che stai mentendo, alla quale Lily replica con uno sbuffo rassegnato. «E va bene, magari un paio più del necessario.»

«Comunque è vero, è tutto il giorno che assillano anche noi.» conferma Peter, stringendosi nelle spalle. «Persino i primini hanno il coraggio di chiederci perché James sembra essere impazzito.»

«Io non ho comunque la minima intenzione di rispondere a nessuno.» ripete ancora la rossa, sospirando contrariata e voltandosi poi verso Sirius. «Bella trovata quella della mezza rissa in corridoio con James, comunque. Lo sapevo che in un modo o nell'altro avresti trovato un pretesto per passare un po' di tempo con lui.»

Ci sono dei dettagli che registro in maniera quasi automatica, merito forse del fatto che ho imparato a conoscere Lily come le mie tasche e tutto, di lei, non mi è più così misterioso ed estraneo come qualche anno fa. Ad esempio ho notato benissimo che è rimasta perfettamente immobile, salvo far ruotare gli occhi da un lato all'altro dell'aula con il chiarissimo intento di scorgere l'eventuale presenza di James seduto da qualche parte. Oppure ho individuato il suo sguardo comprensivo posarsi su Sirius, il tono di voce sorprendentemente calmo e pacato da lei usato, che non ha celato una lampante sfumatura materna e protettiva che farebbe sciogliere chiunque.

E sono particolari decisamente teneri per un animo forte come il suo, tanto che denotano una fragilità che raramente le è capitato di mostrare davanti a noi tre, ma c'è comunque un dettaglio di fondo che sovrasta tutto il resto e ci obbliga a scoppiare a ridere praticamente in simultanea.

Sirius getta la testa all'indietro e la osserva con uno sguardo che di derisorio non ha nulla, quanto piuttosto esprime una tenerezza davvero inusuale per uno come lui. Peter sta ridendo talmente forte che per un attimo ha rischiato di cadere dalla sedia su cui si stava dondolando con un equilibrio decisamente precario, mentre io stesso mi ritrovo mio malgrado a seguire a ruota i miei amici.

«No, fatemi capire, perché davvero non vi seguo.» asserisce lei cercando di sovrastare le nostre risate, mentre fa vagare degli sguardi piuttosto basiti su ognuno di noi.

«Lily, ma davvero pensavi che la mia fosse una tattica?» domanda Sirius, riemergendo da quella sghignazzata che già aveva catturato qualche sguardo sconcertato dei ragazzi presenti.

«Non lo era?» Lily sbatte piano le palpebre, appena prima che il lampo della comprensione le attraversi lo sguardo e lei, quasi in automatico, si ritrovi ad afferrare il mio pesante libro di Trasfigurazione per sbatterlo non troppo delicatamente sulla spalla di Padfoot. «Davvero non avevi già premeditato di finire in punizione con lui? Vi siete picchiati perché tutti e due lo volevate? Sirius!»

Sarebbe nel manuale del Buon Migliore Amico l'obbligo di impedire a Lily di continuare a ferirlo gravemente - rischiando di rompere la copertina intonsa di un volume che appartiene a me, oltretutto - ma la verità è che lei ha irrimediabilmente ragione. Forse Sirius si merita questo genere di maltrattamenti dopo lo spettacolo che lui e James hanno offerto ieri a tutta la scuola.

«Smettila di agitarti, ci stanno guardando tutti.» dice Padfoot tra le risate, passando amichevolmente un braccio intorno alle spalle della rossa e impedendole così ogni movimento.

Ho sempre creduto alle coincidenze della vita, al destino e a tutte quelle situazioni che sembrano nascere ed evolversi in un certo modo semplicemente perché devono andare a finire così, a prescindere dalle conseguenze che possono trascinare con sé. Ed è proprio per questo esatto motivo che non sono sorpreso di vedere James entrare nell'aula in questo preciso istante, quando la schiena di Lily è avvolta dalle braccia di Sirius in una maniera che per noi è assolutamente normale, ma che agli occhi di un estraneo - o di qualcuno che non ricorda più niente, per l'appunto - potrebbe apparire decisamente fraintendibile.

***

James.

So che Nicholas stava dicendo qualcosa di importante, lo so per certo, perché è vero che abbiamo cominciato a conoscerci da appena un giorno, ma ci sono dei dettagli della sua personalità che ho già colto in maniera quasi automatica. Ne è un esempio il suo modo di camminare sempre un passo davanti a me, come se volesse proteggermi da qualcosa che mi è ignoto o, ancora, quasi volesse lui stesso precedermi e farmi strada ovunque andiamo. C'è il suo modo di abbassare la voce quando deve dirmi qualcosa di estremamente interessante e delicato - cose che riguardano perlopiù dritte sulle persone degne della nostra frequentazione, qui a Hogwarts - o ancora la sua costante mania di voler catturare il mio sguardo, di non volerlo perdere per neanche un secondo, per assicurarsi che io lo stia ascoltando quando parla.

Il problema, adesso, è che però non riuscirei a seguire il suo discorso nemmeno impegnandomi.

Varchiamo la soglia dell'aula di Trasfigurazione e subito li vedo lì, quattro puntini in mezzo al chiasso che regna tra queste quattro mura, mentre ridono per qualcosa che nemmeno mi interessa sapere. Ci sono loro e tutto sembra ridursi a questo, come se il mondo fosse uno stupido contorno, un ridicolo fronzolo, mentre tutti e quattro ne sono la vera, inafferrabile essenza. Ed è una sensazione che mi attraversa per un solo frangente, quasi fosse una scarica elettrica che mi folgora all'istante, ma è talmente forte da indurmi a credere che c'è qualcosa di sbagliato.

C'è qualcosa di sbagliato in me, nel luogo in cui mi trovo, nelle persone che camminano al mio fianco e nei miei occhi, che per l'appunto li guardano da lontano. Tre di loro stanno ridendo e poi c'è lei, ancora una volta, con questi occhi da bambina troppo verdi e l'espressione corrucciata, a tratti imbronciata, mentre si lascia circondare le spalle da Black e non oppone nemmeno resistenza all'abbraccio forzato in cui la sta imprigionando.

È ancora una volta un pensiero che mi fa male, come se nel mio stomaco, nel mio cervello o giù di lì ci fosse una lama che comincia a tagliuzzarmi da dentro e non ha pietà per me, ma è l'unico ragionamento sensato che attraversa la mia materia grigia: ciò che vedo in loro è maledettamente giusto. Ad essere sbagliato, sono solo io.

«Damian ha lasciato Trasfigurazione dopo i G.U.F.O., non ha la testa per seguire la McGranitt ed è sempre stato una frana nella sua materia.» sta ancora cianciando Avery, trascinandomi verso i banchi evidentemente da lui prescelti. «Non che gli serva particolarmente, considerando che suo padre gli ha già trovato un posto a Notturn Alley.»

Non mi prendo nemmeno la briga di fingere di ascoltarlo, ma mi limito anzi a passare accanto a loro e a preoccuparmi di tirare a Black una spallata non troppo involontaria. Dopo il mio gesto, tutti e quattro si voltano verso di me e non so cosa sia peggio, se il dolore che riesco a leggere negli occhi di lei oppure la mano di Lupin che si posa sul braccio di Black, quasi volesse impedirgli di compiere un gesto troppo avventato. 

Per l'appunto lui si limita a scuotere la testa, rivolgendomi un ghigno serafico che, se possibile, è capace ancora di più di mandarmi fuori dai gangheri. 

«Non cercare sempre lo scontro con me, Potter. Per quello ci si vede venerdì sera.»

Vorrei fermarmi e prenderlo a pugni un'altra volta - so che sarei capace di farlo, perché quel braccio è ancora intorno alle spalle di lei e continua ad esserci qualcosa di sbagliato e ingiusto, in tutto ciò - ma ancora una volta è Nicholas a trascinarmi lontano. 

«Non devi rispondere alle loro provocazioni, fanno sempre così.» mi dice infatti, arrivando accanto a quel gruppetto di Serpeverde che ho capito essere la sua cricca personale. 

«Non ci riesco, è più forte di me.»

«La tua natura da attaccabrighe è davvero indelebile, Potter.» mormora Piton, già seduto al suo posto, senza nemmeno curarsi di staccare gli occhi dal libro che sta leggendo e lasciando che quei capelli fastidiosamente unti gli cadano ancora davanti al volto pallido. «Nemmeno la più potente delle fatture riuscirebbe a esimerti dal litigare con la gente.»

«Non mi pare di essere l'unico.» mi limito a sillabare, arrendendomi all'evidenza che Severus Piton sia destinato a rimanere l'unico Serpeverde non particolarmente intenzionato ad accogliermi a braccia aperte come gli altri. Non che mi importi un granché, comunque: lui ha questa natura piuttosto solitaria e va bene così, Nicholas me lo dice sempre che, molto spesso, nemmeno lui sa bene come prenderlo. 

«Venerdì sera in ogni caso ti toccherà gestirlo.» constata Elizabeth Greengrass, con un sorriso che intuisco essere vagamente divertito. «Intendo Sirius Black e tutto il resto.»

«È solo una punizione.» ribatto in risposta, scrollando le spalle. «Non ho intenzione di finire in guai più grossi. Se lui non mi darà fastidio, non avrò motivo di non fare altrettanto.»

Vedo chiaramente Nicholas aprire la bocca per controbattere un'altra volta, ma l'arrivo improvviso della McGranitt lo obbliga a tacere e a limitarsi ad un veloce gesto della mano, con cui sembra volermi invitare a sedermi accanto a lui. Lancio un'ultima occhiata verso l'altro lato dell'aula, dove tutti e quattro sono sempre lì e sono sempre vicini, quasi fossero un'entità unica e indivisibile.

Poi deglutisco e scuoto la testa, assecondando Nick senza troppe cerimonie. Se c'è qualcosa di me su cui devo assolutamente lavorare, è di certo l'effetto devastante che mi assale non appena i miei occhi si posano su di loro.

***

Remus.

«Si può sapere cosa avete oggi?»

La domanda della McGranitt squarcia il fitto chiacchiericcio in cui era immersa l'aula, mentre fa un rapido giro di ispezione tra i banchi con un'espressione satura di disappunto stampata in faccia. Lily, esattamente davanti a me, mi lancia un'occhiata di incoraggiamento e mi sorride appena.

«È un incantesimo difficile.» mormora piano, forse intuendo lo sconforto che ho nello sguardo. «Guarda soprattutto in che condizioni siamo.»

«Tu e Sirius ci siete riusciti.» constato candidamente, indicando il piccolo specchio sul mio banco che, a conferma delle mie parole, riflette le mie iridi di un insolito viola.

«Sì, ma se ti guardi intorno vedrai che tutta la classe sta impazzendo. La trasfigurazione umana non è mica una passeggiata.» asserisce con convinzione, appoggiando la schiena al suo banco e, inconsciamente, lanciando un rapido sguardo nel punto della classe dove si trova James.

Sta ridendo dei disperati tentativi di Evan Rosier di far sparire quel ridicolo color prugna dal suo naso - Daisy Warrington non è precisa né delicata abbastanza da saper confinare l'incantesimo solo nella zona occhi del suo compagno - e muove distrattamente la bacchetta, cambiando il colore delle iridi di Avery con una rapidità e una destrezza disarmanti.

Non che ci sia molto da stupirsi, comunque: James e Trasfigurazione viaggiano davvero a braccetto e lui ha sempre avuto una spiccata predisposizione per questa materia. Non è un caso se dal primo anno la sua media non è mai stata al di sotto del consueto Eccezionale, e non è nemmeno un caso se è stato proprio lui il primo dei miei amici a riuscire a diventare Animagus. Potrebbe essere merito della sua perseveranza e della sua tenacia - indispensabili per questa disciplina - ma il punto resta che lui è per davvero il migliore e la stessa McGranitt non può mai fare a meno di complimentarsi costantemente con la sua spiccata abilità.

«Riproviamo ancora una volta, ti va?»

La voce di Lily mi riporta con i piedi per terra e in un istante mi volto verso di lei, scontrandomi con i suoi occhi così carichi di dolore da fare male, che appaiono adesso velati di una piccola sfumatura gialla dovuta alla semi-riuscita del mio incantesimo.

Si morde il labbro e distoglie subito lo sguardo, ma io lo so meglio di chiunque altro che vedere James così distante da noi - e vederlo ridere, condurre una vita apparentemente normale pur senza la nostra vicinanza - è quanto di più straziante esista al mondo.

«Signorina Greengrass, non so più come dirle che il movimento da fare con il polso non è quello.» La McGranitt prova a riprodurre davanti agli occhi della Serpeverde la corretta impugnatura della bacchetta, ma quando la ragazza prova a imitarla, ciò che ottiene è un inaspettato dilatarsi delle pupille di Piton. «Basta, per oggi basta così.»

Poso la mia bacchetta sul banco e mi passo una mano tra i capelli, vedendo la professoressa marciare verso la cattedra, mentre scuote impercettibilmente la testa e indossa una delle espressioni più severe del suo vastissimo repertorio. Io stesso non sono un asso nella sua materia, ma credo che a rendere più difficile il raggiungimento di una parvenza di concentrazione sia l'imminente luna piena, che mi rende davvero distratto e non particolarmente incline alla calma. E si sa, questi sono due fattori essenziali quando si tratta di mettere in pratica un nuovo incantesimo.

«Sono abbastanza delusa, ragazzi. Di tutti voi, solamente tre ragazzi sono riusciti a eseguire l'incantesimo con successo.» comincia, sedendosi al suo posto e sondandoci al di là dei suoi occhiali. «E non vi rendete nemmeno conto che siamo a febbraio, gli esami sono in avvicinamento e non potete presentarvi con questo livello di preparazione.»

«Professoressa?»

«Sì, signor Black, ho aggiunto a Grifondoro i dieci punti da lei guadagnati.» lo interrompe all'istante, alzando gli occhi al cielo e facendomi sorridere: è incredibile come persino la McGranitt conosca il mio migliore amico così bene da precederne addirittura le domande. Per l'appunto, mi volto verso Sirius e lo vedo ghignare soddisfatto. «Ma ciò non toglie che dobbiamo riprendere di nuovo con la teoria.»

«Ancora?» chiede una voce chiaramente esasperata, mentre qualche bisbiglio di protesta si diffonde tra le pareti.

«Ancora, signorina Vance, considerando che due settimane intere di spiegazione non sono state sufficienti.» ribatte aspramente la professoressa, prendendo le sue pergamene e sistemandole velocemente. «Voglio un approfondimento teorico su questo incantesimo per mercoledì. E non dite che è troppo presto, perché ci lavoriamo su da un tempo esageratamente lungo.»

«E...»

«Sì, signor Longbottom, è un lavoro da fare a coppie. Che naturalmente stabilirò io stessa.»

Non so se il disappunto rintracciabile negli sguardi infastiditi e negli sbuffi di tutti noi sia dovuto alla consegna così imminente da lei stabilita, oppure se a rendere la cosa ancora più tragica sia il fatto di avere un'elevata possibilità di concludere una ricerca con chi, naturalmente, non gode della nostra piena simpatia. Succede sempre così, più o meno dall'alba dei tempi: i nostri insegnanti sembrano avere un radar o qualcosa di simile, o forse sono solo particolarmente bravi a leggere i nostri sguardi. Il punto è che sanno sempre esattamente quali sono le persone che più detestiamo e, chissà perché, sono puntualmente le stesse con cui ci ritroviamo a dover collaborare per eventuali lavori di gruppo.

La McGranitt comincia così a formare le coppie a suo piacimento, con quel sadismo che da sempre contraddistingue tutti i professori, mentre io mi volto verso i Serpeverde che, dall'altro lato dell'aula, sfoggiano delle espressioni contrariate speculari alle nostre.

«Vance con Piton, Minus con Greengrass, Evans con Warrington...» Appoggio la testa sulla mano e sbuffo, intercettando l'espressione rassegnata di Lily di chi sa che poteva decisamente andarle peggio, finché dalle labbra della McGranitt non esce proprio il mio nome. «Lupin con Potter.»

So che in un'altra situazione io e il mio migliore amico avremmo fatto i salti di gioia, così come so per certo che oggi è tutto talmente diverso da lasciarmi destabilizzato. Perché James non userà questa ricerca come un pretesto per ridere e scherzare tutto il giorno, ma anzi sarò io stesso a dover fare i conti con una giornata intera da passare accanto a una persona che mi odia, che non mi riconosce più e a cui, comunque, non posso fare a meno di volere un bene dell'anima.

Intercetto lo sguardo di Sirius e lo vedo annuire comprensivo - perché lui lo sa bene, che alla fine la mia idea di passare del tempo con Prongs sfruttando eventuali ricerche scolastiche non era poi così stupida - per poi spostare gli occhi proprio su James. Non sono poi così sorpreso di trovare le sue pupille già fisse su di me, ma certamente quello che mi stupisce è il fatto di vederlo alzarsi, non appena suona la campanella, e dirigersi esattamente verso il sottoscritto.

«Domani pomeriggio ho un allenamento con la squadra.» scandisce con serietà, appoggiando le mani sul mio banco e guardandomi dritto negli occhi.

Registro appena il fatto che Lily si è dileguata da qui in un attimo e persino Peter e Sirius mi hanno fatto cenno di aspettarmi fuori dall'aula, limitandomi invece a raccogliere i libri ancora sparsi sul mio banco.

«Suppongo che rimanga solo oggi come alternativa, allora.» dico, sforzandomi di rimanere indifferente nonostante questa freddezza che sono obbligato a ostentare mi stia distruggendo.

«Sei perspicace, Remus Lupin.» ribatte James, inarcando un sopracciglio forse nel tentativo di mettermi in soggezione. «A meno che tu non voglia fare tutto il lavoro per entrambi.»

«Temo di dover rifiutare l'offerta.» rispondo a mia volta, sostenendo il suo sguardo ma non riuscendo a impedire all'angolo destro delle mie labbra di arcuarsi all'insù.

James aggrotta la fronte e mi fissa per qualche secondo in silenzio, facendo vagare le pupille su ogni centimetro del mio volto, quasi stesse ancora soppesando le mie precedenti parole. Non c'è odio nel suo sguardo, c'è solo un distacco che pesa come un monolite, una freddezza destabilizzante che ha il potere di farmi sentire come se avessi di fronte uno sconosciuto.

«Bene.» acconsente infine, sondandomi al di là di quegli occhi nocciola che ho sempre saputo interpretare come un libro aperto. «Tra un'ora in Biblioteca. Non fare tardi, Lupin.»

***

James.

Nicholas me l'ha ripetuto all'incirca un centinaio di volte, che la McGranitt e tutti gli altri professori faranno il possibile per costringermi a passare del tempo con quelli che una volta erano i miei compagni di Casa. Non so perché dica così, lui ha tutte le sue teorie strambe sul fatto che a nessuno sia andato particolarmente giù il fatto che io sia passato a Serpeverde e che dunque me la vogliano far pagare per questo, ma onestamente non so quanto credergli.

È paranoico, ma in un modo davvero esagerato. Non mentivo quando dicevo che vuole avermi sempre sotto controllo, tanto che ha persino proposto di accompagnarmi a fare questa dannata ricerca di Trasfigurazione insieme a Lupin. Credo che non gli abbia fatto molto piacere la mia battuta sul non avere più bisogno di una balia, ma poco importa: apprezzo la sua compagnia e tutto il resto, ma ho ancora bisogno dei miei soliti spazi.

Chi sembra avermi compreso alla perfezione, al contrario, sta salendo proprio insieme a me le scale dei Sotterranei per andare in Biblioteca, là dove lo attende un noiosissimo saggio di Pozioni insieme ad altri Tassorosso del suo anno.

«Lupin è...una brava persona.» mi sta per l'appunto dicendo Regulus, gli occhi chiari fissi davanti a sé e l'aria di chi sta scavando nella sua mente per cercare le parole giuste. «Non che io abbia mai avuto una particolare confidenza con lui, sia chiaro, ma è un ragazzo gentile. Di sicuro poteva andarti peggio.»

«Il peggio in questione, per esempio, potrebbe essere tuo fratello?» gli domando, azzardando forse per la prima volta a pronunciare il nome di Sirius Black in sua presenza.

Tra le tante cose di cui Avery mi ha parlato, c'è anche naturalmente il rapporto burrascoso dei due fratelli Black, le cosiddette facce opposte della stessa medaglia. Non si è dilungato troppo sull'argomento - nonostante sono certo abbia captato il mio evidente interesse al riguardo - ma da quello che mi ha raccontato ho potuto comprendere che la causa di questo distacco è stata una sostanziale differenza di ideali.

Il maggiore dei due è un ribelle, non ha mai condiviso le convinzioni della sua famiglia e pare persino che sia scappato di casa a soli sedici anni. Regulus è al contrario più mansueto, più docile, più in linea con il pensiero condiviso da tutti i Black e certamente non ha mai avuto voglia di giocare a fare l'adolescente indomito e trasgressivo.

Finisco di pronunciare la mia frase e lui sorride impercettibilmente, in un modo che ha il potere di lasciarmi spiazzato e farmi di pensare di aver toccato il tasto sbagliato. C'è una malinconia spaventosa in quel sorriso, una rabbia repressa mischiata a un'autocommiserazione che non credo di avergli mai visto prima addosso.

«Sirius è particolare.» mi risponde semplicemente, la mascella contratta e lo sguardo fisso davanti a sé, mentre varchiamo la soglia della Biblioteca. «Non lo considero come il peggiore termine di paragone possibile, comunque. Dico solo che non tutti sanno farci, con lui.»

Potrei stare ore e ore a fargli domande su suo fratello e sui reali motivi che li hanno spinti all'allontanamento che forse ha fatto più scalpore qui a Hogwarts negli ultimi anni, ma la sua espressione è il primo fattore che mi obbliga a restare con la bocca chiusa e a rimangiarmi ogni mio quesito. Regulus Black non si apre mai troppo con le altre persone: non voglio dire che sia diffidente, ma di certo non passerebbe mai giornate intere a raccontarmi nel dettaglio la sua vita e quella delle persone che ci circondano, a differenza di un certo Nicholas Avery.

E io, sinceramente, lo preferisco così.

«Ci vediamo a cena.» lo saluto velocemente, ricevendo un cenno del capo in risposta e osservandolo mentre sparisce nella prima corsia.

Prendo un respiro profondo e mi dirigo verso il punto stabilito da me e Lupin per l'incontro, trovandolo già lì seduto e con una consistente mole di volumi aperti a circondarlo. La Biblioteca è molto affollata questo pomeriggio, ma lo spazio che si è ritagliato - tra due altissimi scaffali, illuminato dai raggi di Sole filtrati da una finestra che quasi mi fanno venire voglia di mandare tutto al diavolo e volare con la mia Tornado nell'aria invernale - è piuttosto isolato dal resto degli studenti.

Sbatto il libro di Trasfigurazione davanti a lui e lo vedo all'istante sollevare lo sguardo, per poi fissarmi con quegli occhi luminosi che non mostrano nessunissimo stupore per la mia improvvisa comparsa.

«Sei in anticipo.» gli faccio notare aspramente, lasciandomi cadere sulla panca davanti a lui e passandomi distrattamente una mano tra i capelli.

«Anche tu.»

Fa un cenno con il capo verso l'orologio che troneggia sul mio polso e che, neanche a dirlo, è la testimonianza innegabile del fatto che manchino ancora dieci minuti alle cinque - l'orario che entrambi avevamo scelto per incontrarci.

«Ma tu hai già iniziato a lavorare.»

«Volevo portarmi avanti.» replica con una scrollata di spalle, tornando a incidere qualche parola sulla sua pergamena.

«Dici bene: prima finiamo, meglio sarà per entrambi.»

Solleva ancora una volta gli occhi dal suo foglio, puntandoli su di me e aggrottando la fronte in un'espressione che ha qualcosa di insopportabilmente beffardo. Non ha bisogno di troppe parole ed è questa, forse, una delle cose che mi spingono a non sopportarlo praticamente a pelle: sa catalizzare nel suo sguardo tutto quello che tace, come se per lui bastasse poco per rispedirmi al mio posto. Gli è sufficiente ostentare quell'assurda pacatezza che si porta sempre dietro - forse l'unica arma di difesa che gli permette di girare costantemente insieme a un impulsivo come Black - per apparire subito come quello che ha ogni dannata cosa sotto controllo.

E sarebbe maledettamente bello farlo uscire un po' fuori di testa.

«Dimmi un po', Remus Lupin,» comincio, appoggiando la testa sul palmo della mano e sporgendomi un po' verso di lui. «come mai non c'eri anche tu insieme al tuo amico, quando si trattava di prendermi a pugni?»

«L'argomento è a pagina centosette.» mi risponde invece, ancora una volta senza nemmeno guardarmi negli occhi.

«O forse è così che funziona tra voi: Black è il braccio e tu la mente.» insinuo ancora, condendo il tutto con un ghigno sardonico che, se solo mi guardasse, sono certo basterebbe per fargli fare qualcosa di molto stupido e avventato.

«Pensavo di iniziare con qualche accenno ai primi maghi che usarono questo incantesimo per cambiare il colore degli occhi. Sai, quando nel periodo della Gloriosa Rivoluzione...»

«Sì, sono convinto che sia proprio andata così.» continuo io, senza dare la benché minima impressione di ascoltarlo e beandomi invece di quell'impercettibile contrarsi della sua mascella. «Tu devi essere quello che ha ideato il piano, mentre Black l'ha messo in atto.»

«E poi potremmo spiegare la parte teorica del corretto movimento del polso.» ribatte lui, evidentemente convinto di poter stare al mio stesso gioco. «Per quella potresti pensarci tu, visto che sei molto bravo.»

«Qualunque cosa tu abbia contro di me, Lupin, sono qui. Basta parlare.»

Non so perché io abbia questa voglia impellente di provocarlo: forse è questa pacatezza che ha nel tono di voce, forse è il fatto che la sua mancata impulsività è persino peggio delle reazioni avventate di Black. O forse, più semplicemente, è perché anche lui è uno di loro.

Il punto è che desidero che reagisca, voglio che anche lui mi dia prova del fatto che mi odia davvero, che non mi sopporta esattamente come io non devo sopportare lui e che la smetta, la smetta per sempre di essere affabile e calmo di natura, perché è una cosa che mi manda in bestia.

Non voglio che sia buono. Non con me.

«Senti,» scandisce ad un tratto, posando la piuma con un gesto secco e tornando a fissarmi. «io non sono Sirius Black, va bene? Non ho intenzione di rispondere alle tue provocazioni, tantomeno di provocarti io stesso. Voglio solo finire questa benedetta ricerca e andarmene da qui.»

Parla velocemente e, al contempo, con quella solita placidità che lo contraddistingue, ma è solo adesso che mi rendo conto che è più pallido di quanto sia umanamente concesso e che, non appena ha chiuso bocca, il suo respiro si è fatto decisamente più ansante.

«Cos'hai, Lupin?» mi ritrovo a chiedergli con una cordialità che stupisce me per primo, mentre lo osservo serrare di scatto le palpebre e aggrapparsi al tavolo come se temesse di crollare a terra.

«Niente.» si affretta a ribattere, stringendo i denti. «Continua a cercare altre informazioni sul manuale.»

«Puoi andare via, se vuoi. Io non ho intenzione di soccorrerti se dovessi svenire.»

Evidentemente Lupin interpreta le mie parole con una certa ironia, perché le sue labbra si arcuano in un sorriso accennato e lentamente apre gli occhi, puntandoli dritti sul sottoscritto.

«Sto bene.» mormora infine, prendendo dei respiri profondi. «Non mi avrai sulla coscienza, te lo posso garantire.»

Passa appena una manciata di minuti, durante i quali Lupin sembra riprendere il controllo delle sue volontà e io vado avanti con il lavoro da lui iniziato. È preciso e attento ai dettagli, questo devo riconoscerglielo, motivo per cui lascio quasi del tutto intatto quello che ha scritto e comincio con la mia parte di lavoro.

C'è silenzio tra noi, ma non uno di quelli scomodi e carichi di tensione. C'è un silenzio strano, come se anche questa assenza di parole mi facesse bene e fosse anzi indubbiamente migliore di mille, inutili parole pronunciate da qualunque altra persona. Forse avevo ragione, forse la mia prima impressione non sbaglia mai per davvero: Remus Lupin non ha bisogno di troppi discorsi contorti, quando in un semplice silenzio è in grado di racchiudere tutto quello che è necessario sapere.

Sollevo ancora una volta lo sguardo dalla mia pergamena e lo punto su di lui, trovando di nuovo i suoi occhi intenti a scrutarmi con un'eccessiva dose di apprensione, finché qualcosa non muta nella sua espressione. Lupin impallidisce improvvisamente, borbottando qualche parola tremendamente simile a "emicrania" e chiudendo una seconda volta le palpebre di scatto. E io non rifletto più ma il mio cervello sembra anzi aver messo il pilota automatico, perché senza che nemmeno io lo voglia impartisce alle mie gambe il comando di farmi alzare e, in un solo frangente, la mia mano va a posarsi sul suo braccio.

«Stai bene?»

Pronuncio queste due parole in maniera involontaria, ma non è come se adesso potessi controllare il modo in cui il mio corpo pare muoversi. Niente risponde ai miei comandi, tutto mi sembra anzi susseguirsi in maniera rapida e confusa intorno a me e di colpo sono io quello in preda ad un mal di testa allucinante, mentre mi lascio cadere sulla panca con un'espressione sofferente stampata sul volto.

«James, James!»

Scaccio con violenza quella parte del mio cervello che vorrebbe indurmi a chiedermi perché diamine Remus Lupin si prenda una confidenza tale da spingerlo a chiamarmi per nome, limitandomi a cercare di regolarizzare il respiro per darmi una calmata. Ma tanto lo so già, questa è la chiara sensazione che provo appena prima di perdere i sensi.

L'ultimo dettaglio che registro con coscienza, per l'appunto, sono gli occhi di Lupin pregni di preoccupazione fissi su di me e la mia mano ancora aggrappata al suo braccio.

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19 ottobre 1972

«Avete visto che presa pazzesca ha fatto Fabian? Eravamo sotto di 20 punti ed ecco che lui arriva con quella capriola spaziale e...wow.»

Non sono sufficienti le due coperte in cui sono avvolto, il cuscino premuto sulla testa e le tende tirate del mio baldacchino per impedirmi di sentire la voce di James, che arriva dritta alle mie orecchie come se fosse il più acuto e fastidioso dei rumori. Non che lui abbia una voce fastidiosa, anzi: sono certo che, per avere solo dodici anni, la voce del mio amico è molto profonda. Non ai livelli di Jordan, quello del settimo anno che sembra avere un contrabbasso al posto delle corde vocali, però anche quella di James è una voce dignitosamente bassa.

«L'hai ripetuto dieci volte, James. Dacci un taglio

Il punto, comunque, è che sono le mie orecchie a non andare bene. Non sto dicendo che non ci sento piùanzi, è proprio questo il problema: ci sento troppo. È che sono appena le undici del mattino, la prima partita di Quidditch dell'anno è già terminata e io sarei dovuto andare  insieme ai miei amici, a sostenere la mia Casa mentre affrontava i temutissimi Serpeverde e a sorbirmi nel dettaglio la telecronaca emozionata di James.

Avrei potuto farlo, se fossi stato un dodicenne normale.

«Però ha ragione, Montague è rimasto per davvero a bocca asciutta.»

«Lo so Pete, ma capisci che dopo venti minuti di urletti imbarazzanti un po' ci si stufa.» Sento chiaramente il rumore di un materasso che rimbalza e, anche se non posso vederlo, sono certo che Sirius si sia appena lasciato cadere sul suo letto. «Hey James, non è che ti piace Fabian?»

«Ma che razza di domande fai

«Dai, sei sempre  a idolatrarlo come se fosse Merlino in persona...»

«Solo perché è un diavolo di Cercatore, idiota. E io il prossimo anno prenderò il suo posto.»

«...perché nel caso, ti informo che dovresti smetterla di cercare di sollevare la gonna di Lily Evans ogni volta che passa. Sai, non sarebbe molto carino da parte tua illuderla in questo modo.»

Un fruscio sommesso e qualche lamento mi fanno presupporre che sia appena cominciata una lotta di cuscini con i fiocchi, ed è la risata divertita di Peter a darmene la conferma definitiva.

No, non voglio dire che il mio amico abbia un modo di ridere particolarmente acuto e snervante, ma ancora una volta è colpa delle mie orecchiePerché alla luna piena mancano ancora parecchie ore, ma oggi il dolore fisico mi ha colpito prima del previsto, ogni mio senso - in particolare l'udito - è acuito in maniera spaventosa e io non ho fatto in tempo ad accampare nessunissima scusa sulla presunta malattia della mamma, che potesse dunque giustificare la mia assenza.

Sono solo rimasto qui, sdraiato sotto le coperte in preda a un dolore allucinante, mentendo ai miei amici e dicendo loro che non stavo un granché bene per colpa di un'ipotetica influenza. Ma ora loro sono tornati in dormitorio - non prima di averle provate tutte per convincermi ad andare a vedere la partita insieme a loro - e, come è giusto che sia, riempiono quel meraviglioso silenzio di prima con le loro voci, le urla, gli schiamazzi e tutte quelle cose che, tra noi, sono all'ordine del giorno.

E io non posso fare a meno di stringere i denti e sperare che passi tutto, che passi in fretta.

«Remus è sveglio

Il sussurro di James arriva amplificato alle mie orecchie, subito seguito da qualche passo nella mia direzione e dalle tende del baldacchino che si scostano, lasciando intravedere due occhi grigio piombo che mi scrutano curiosi.

«Volevi soffocare qua sotto o cosa?» mi domanda Sirius, gettandosi a peso morto su di me e costringendomi a smettere di fingere di essere addormentato.

«Avevo freddo.» borbotto in risposta, tirandomi su a sedere e constatando con orrore che anche James e Peter mi stanno attorniando come se fossero al mio capezzale.

«Non immagini che partita ti sei perso, Remus. Eravamo sotto di venti punti, c'era Gideon che ne urlava di tutti i colori al nuovo portiere, Finnigan, e ho davvero temuto che tirasse fuori la bacchetta e lo Schiantasse.» racconta James con particolare enfasi, sistemandosi sulle ginocchia e guardandomi con una punta di euforia al di  dei suoi occhiali tondi. «Ma poi non sai cosa ha fatto Fabian.»

«Lo sa, James.» biascica Sirius con finta scocciatura, appropriandosi del mio cuscino e costringendomi a cambiare posizione ancora una volta. «Ti avrà sentito ripeterlo un sacco di volte dal campo da Quidditch fino a qui.»

«Senza contare che l'hai urlato appena abbiamo aperto questa porta.» constata saggiamente Peter, ma non è come se James li stesse ascoltando minimamente, troppo preso com'è dal suo stesso racconto.

«...presa spettacolare, tutta la tribuna è impazzita e persino la McGranitt ha sorriso! Capisci Remus? La McGranitt!»

Mi sforzo di stirare il sorriso più falso di tutto il mio repertorio, ma so che non ho convinto nessuno. Non riesco mai a fingere, con loro tre: ci conosciamo da poco più di un anno ed è logico che sono diventati i miei migliori amici - insomma, condividiamo calzini, dentifricio e Cioccorane, quindi sarebbe anormale il contrario - ma ancora non riesco a capire come facciano a leggermi dentro con questa assurda facilità.

Non mi pare di essere quel classico tipo di persona particolarmente estroversa a primo impatto, ma con loro è semplicemente diverso: devo fare i conti con quella spiccata abilità che hanno tutti e tre, quella che permette loro di capire anche solo con un semplice sguardo quando sto mentendo, quel potere che usano per cavarmi di bocca anche ciò che non vorrei dire.

Ed è così, mentre ancora indosso questa buffa smorfia che mi sforzo di chiamare sorriso, che James posa delicatamente una mano sul mio braccio e mi guarda con quegli occhi che si sono fatti, all'improvviso, sorprendentemente seri.

«Stai bene

Non so come succeda, non so davvero spiegarmeloL'unica certezza è che queste due parole sembrano risvegliare qualcosa in me, come se fossero la combinazione perfetta che apre la cassaforte della mia anima e rende impossibile richiuderla una volta per tutte. È dall'anno scorso che James ha questi occhi carichi di apprensione quando a volte mi guarda, è dall'anno scorso che Sirius le prova tutte per farmi ridere quando sono particolarmente sopraffatto dal dolore pre-luna piena, ed è dall'anno scorso che, una volta al mese, Peter mi fa trovare le sue tavolette di cioccolato proprio sul mio comodino, proprio a seguito delle mie sospettabili assenze.

Perché siamo piccoli, abbiamo appena dodici anni, ma c'è qualcosa in noi che va al di  dell'età. Io sopporto il peso di questa condanna da quando ero bambino, mentre loro è da un anno a questa parte che, senza fare mai nessuna domanda, si sono caricati il fardello del mio dolore sulle loro spalle e adesso lo portiamo così, tutti e quattro, dividendoci equamente la portata di una maledizione che grava sul sottoscritto.

Nessuno di loro ha mai fatto domande né preteso spiegazioni, ma le due parole pronunciate da James sono davvero fatali e, senza che io possa pensarci due volte, mi obbligano a dare voce a tutto quello che ho dentro.

Racconto come un fiume in piena del primo morso di Greyback, della prima notte di luna piena, del dolore di quando il mio corpo si lacera e cambia, lasciando che il mostro che ho dentro esca fuori una volta per tutte. Racconto dei graffi e dei morsi che mi sono sempre autoinflitto, delle mattine in cui mi svegliavo e la mia cameretta era un totale disastro, della compassione negli occhi dei miei genitori e della paura negli sguardi dei nuovi vicini di casa.

Racconto dell'angoscia, della necessità di imparare a conviverci, del dolore fisico che in fondo non è persino niente in confronto a quello psicologico. Racconto del coraggio che ha avuto Silente ad ammettere un mostro nella sua scuola, del Platano Picchiatore, del timore che ho di svegliarmi un giorno e scoprire di essere diventato un assassino.

E poi la dico, quella frase che esce dalle mie labbra prima ancora che possa trattenerla tra i denti, inevitabilmente accompagnata dalle lacrime fresche che hanno cominciato a rigarmi le guance.

«Non serve che parliate, non serve che diciate assolutamente nulla. Vi capirò, qualunque sarà la vostra scelta. Vi capirò se avrete paura di avermi ancora al vostro fianco.»

Sono pronto a tutto, ormai. Sono pronto all'eventualità di lasciare Hogwarts, di perdere per sempre i miei migliori amici, l'unica cosa bella per cui valeva davvero la pena di vivere fino in fondo la magia che scorre nelle mie vene. 
Quello a cui naturalmente non sono pronto, è vedere tutti e tre scambiarsi uno sguardo che forse vale più di mille parole, per poi spostare definitivamente gli occhi su di me e guardarmi in un modo che fa cadere ogni mia resistenza.

«Sei un idiota, Remus Lupin.»

Perché i loro sguardi non esprimono paura, disgusto o rabbia, emozioni che invece mi ero preparato a scorgere nei loro occhi. Sono invece gli stessi sguardi di sempre, quelli dei miei migliori amici: l'occhiata di rimprovero di Sirius, lo sguardo dolce di Peter e quello determinato di James.

Sono loro, sono ancora loro.

«Era da un po' che lo sospettavamo, in verità.» confessa James, facendomi quasi mancare il fiato per la sua schiettezza.

«E non mi avete detto nulla?»

«Aspettavamo che fossi tu stesso ad essere pronto.» replica Peter, deglutendo piano.

«Perché sapevamo che lo saresti stato, prima o poi. Sapevamo che ce ne avresti parlato, perché non potevi continuare a tenerti tutto dentro

È la prima volta in cui mi trovo al cospetto dei miei migliori amici e mi sento io, quello piccolo e irresponsabile della situazione. Parlano tutti e tre con una maturità destabilizzante, con una convinzione che è capace persino di infondere in me un briciolo di speranza e che quasi mi fa piangere.

«Non mi merito niente. Non mi merito...il vostro appoggio, la vostra comprensione, niente

«Perché sei stato un idiota a non fidarti subito di noi? Sì, forse per questo non meriteresti niente.» replica sarcasticamente Sirius, inarcando un sopracciglio. «Ma non osare dire ancora una volta che è tutta colpa tua, perché potrei non rispondere più delle mie azioni.»

«Quello che Sirius voleva dire, magari togliendo metà delle minacce e degli insulti impliciti, è che ti devi fidare di noi.» James punta gli occhi nei miei e adesso lo so, che nemmeno volendo potrei distogliere lo sguardo dal suo. «Non intendo solo che avresti dovuto raccontarci subito di questo...di questo tuo problemino mensile, ecco.»

«Jamescosì lo fai sembrare come qualcosa di molto brutto e molto, molto femminile.»

In risposta alza gli occhi al cielo e persino io, senza nemmeno rendermene conto, mi ritrovo a sorridere divertito.

«Intendo dire che devi fidarti di noi e accettare il nostro aiuto. Perché non mi importa se una volta al mese ti riempirai di peli, se le tue unghie diventeranno artigli, se vorrai lasciare davanti alla nostra stanza qualche lucertola sventrata o se con i canini che hai potresti persino bucarmi la pelle. Per me, per noi, tu resti Remus.» Non mi importa nemmeno di sembrare un idiota in questo istante, con le lacrime che ancora scivolano copiose e un sorriso di ridicola felicità stampato sulle labbra. «Resti quell'amico insopportabilmente preciso e responsabile, quello che tiene a bada tutti e tre e che potrà contare su di noi sempre, adesso ancora di più, a prescindere dall'animale represso che c'è in lui. Non sei un mostro e mai lo sarai, mettitelo bene in testa: sei destinato a rimanere per tutta la vita il nostro Remus e basta.»

Il loro Remus e basta.

Penso che potrebbe piacermi per davvero, questo nuovo nome.

Adesso c'è un'atmosfera diversa in questa stanza. È come se all'improvviso fossimo cresciuti tutti e quattro, ma al tempo stesso è come se io mi fossi irrimediabilmente alleggerito di un peso gigantesco che gravava sul mio petto. Alla fine hanno vinto loro, com'era altamente prevedibile: si sono presi il mio dolore e l'hanno reso anche di loro proprietà, plasmandolo e dandogli la forma e il peso di una piuma.

Non c'è da stupirsi, comunque. Noi quattro abbiamo sempre condiviso tutto, ed era naturale che prima o poi cominciassimo a condividere persino le reciproche sofferenze.

«Certo,» rompe ad un tratto il silenzio Sirius, sfoderando quel ghigno che ha il potere di farmi ridere prima ancora che finisca di parlare. «magari d'ora in poi ci penserò due volte, prima di infastidirti come al solito e farti arrabbiare.»

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«James! James, maledizione, ci sei?»

Riprendere i sensi equivale esattamente a riemergere da un'apnea devastante, oppure da un sonno durato secoli. Mi ritrovo sdraiato sul pavimento polveroso della Biblioteca, con Lupin che mi tiene la testa sollevata e mi guarda con questi occhi così preoccupati da farmi male - quegli stessi occhi con cui io, fino a poco fa, sembravo guardare lui.

Non so cosa diamine sia appena successo, credevo di aver perso semplicemente i sensi ma ecco che mi ritrovo come se fossi stato catapultato in un universo parallelo, protagonista di una scena che vede me dodicenne circondato da persone con cui so per certo di non avere niente da spartire.

È tutto confuso, tutto nebuloso: Lupin stava male, c'ero io a consolarlo insieme a Black e a quel ragazzo che trotterella sempre dietro di loro, Peter Minus o qualcosa del genere. C'eravamo noi e questo sembrava bastare: una stanza, quattro dodicenni che parlavano da adulti e che si guardavano con una serietà destabilizzante, tutto il mondo che ancora ci stava nel palmo di una mano e nessuna, nessunissima preoccupazione di mezzo che non potesse essere superata insieme.

«Stai...stai meglio?»

Ma ora Lupin è qui davanti a me e non deve chiamarmi James, non deve essere in apprensione per me, non deve sorreggermi la testa come se tenesse sul serio al sottoscritto, come se la scena che ho appena vissuto fosse reale. Perché non lo è, non lo è mai stato.

«Lasciami stare.» scandisco, togliendomi le sue mani di dosso e recuperando all'istante tutta la mia lucidità.

Mi tiro su a sedere ignorando completamente la mano che mi sta tendendo, ed evitando con cura ancora maggiore i suoi occhi feriti che mi seguono dappertutto.

«James...»

«Ti ho detto di lasciarmi stare.» ripeto ancora, raccogliendo in fretta e furia i miei appunti ma senza staccare lo sguardo da terra.

Gli volto le spalle senza aggiungere altro, percorrendo quei metri che mi separano dalla porta d'ingresso e uscendo in fretta e furia dalla Biblioteca. Ho il cuore in gola e mi sento scosso da tremiti convulsi che mi offuscano i sensi, esattamente come se fossi stato nel passato per lo spazio di un secondo - il tempo sufficiente per vivere quella scena così dannatamente realistica - per poi piombare di nuovo qui, nel vero mondo, quello in cui odiare Lupin e i suoi amici è l'unica cosa ancora dotata di senso che esista.

Appoggio la schiena alla parete del corridoio e ricomincio a respirare, guardando il soffitto e sentendo le prime gocce di sudore freddo formarsi sulla fronte. Sento le mie unghie stridere sulla parete e qualcosa che mi monta nel petto, ancora una sorta di guerra feroce tra le varie parti del mio corpo, guerra dalla quale sono destinato a uscire sconfitto in ogni caso.

Respiro ancora, ed è l'unica cosa che mi resta da fare.

È successo qualcosa di spiazzante ed io lo so, l'ho capito bene, ma non era reale. Ho perso i sensi e ho sognato, non può che essere andata esattamente così.

E allora perché diamine sto soffrendo in questo modo?

Prendo il coraggio residuo che ho in fondo al petto e lo uso per aprire gli occhi, che neanche a dirlo vanno a posarsi sulla figura solitaria che sta scendendo proprio in questo frangente le scale che portano verso di me. Regge in mano una pila di libri e non guarda di fronte a sé, ben attenta a non scivolare e a non perdere l'equilibrio, lei che ancora ne ha uno. Ha questi dannati capelli rossi che le ricadono sulle spalle e sulla schiena in un modo tanto delicato quanto perfetto, che è capace di far tornare quel forte mal di testa che mi martella nelle tempie e che mi costringe, ancora una volta, ad appoggiare i palmi delle mani al muro per sostenermi.

Poi scende l'ultimo scalino, alza lo sguardo e il mondo si ferma.

Resta di fronte a me immobile per qualche secondo, il petto che si alza e si abbassa al ritmo del suo respiro e gli occhi verdi ancora fissi nei miei. Sbatte le palpebre e non lo sa, non lo sa che sono appena crollato davanti agli occhi di Remus Lupin e mi sembra di dover fare la stessa cosa qui, davanti a lei, davanti a questa ragazza che più di tutti ha qualcosa che mi lacera esattamente da dentro.

Perché lei se ne sta in silenzio, lontana quanto basta dal sottoscritto, come se facesse il possibile per evitarmi e stare a una distanza di sicurezza da me. Non mi attacca come Black, non mi guarda con compassione come Minus, non risponde a tono seppur con compostezza come Lupin.

Lily Evans rimane lì, spettatrice degli eventi, sottile linea di contorno, cornice che dovrebbe sostenere il quadro ma che si ritrova a essere lei, il quadro stesso. Averla troppo vicino mi dà fastidio, sentirla distante mi fa sentire ancora peggio. È un controsenso e lo so bene, perché mi sembra di non conoscere assolutamente niente di questa ragazza e al tempo stesso di avere imparato a scandagliare ogni centimetro della sua pelle, ogni suo gesto, ogni suo movimento.

Poi lei mi guarda un'ultima volta e cambia direzione, svoltando alla sua sinistra e lasciandomi lì, con i pugni serrati, il respiro affannato e gli occhi che ancora la seguono, imperterriti. Perché posso negarlo, posso ingannarmi e provare a non pensarci, ma lo capisco solo in questo minuscolo frangente di debolezza che mi è concesso: in un modo o nell'altro, c'è qualcosa che sembra sempre riportarmi da lei.

 

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Capitolo 6
*** Cinque. ***


Sirius.

«Silente comincerà a odiarti. Ne sei consapevole, vero?»

Ignoro volutamente il commento di Peter e continuo a salire la rampa di scale che porta esattamente all'aula di Incantesimi, là dove la McGranitt - non senza un'occhiata particolarmente intensa e le labbra assottigliate - ci ha detto che avremmo potuto trovare il Preside. Tengo gli occhi ostinatamente fissi davanti a me mentre il mio cervello lavora frenetico, incapace di pensare ad altro che non sia quello che è successo ieri pomeriggio al mio amico.

Remus è un idiota, non ho altro da aggiungere.

È solo martedì e lo so che è assurdo pensare che le nostre vite siano già state stravolte in questo modo spaventoso, ma ieri è per davvero accaduto l'impensabile e la parte peggiore è che Moony nemmeno ha voluto raccontarcelo subito. Si è ritrovato a dover passare del tempo in Biblioteca con James ed io lo sapevo che questo sarebbe stato un buon piano, perché così Prongs avrebbe cominciato a rendersi conto che è anche quello, il suo vero posto nel mondo: seduto accanto a Remus ad un tavolo del santuario di Madama Pince, trascinato lì praticamente di peso per studiare o fare i compiti, assecondando così il volere dell'amico più responsabile del gruppo, che non manca mai di imporci di seguirlo tra gli scaffali polverosi per fingere di impegnarci nelle varie materie.

Quello che naturalmente nessuno di noi si aspettava, è il fatto che potesse scoppiare un dannato putiferio.

Remus stava particolarmente male per via della luna piena - che sarà solamente sabato, per inciso - e aveva il classico aspetto stravolto di chi non riesce a trattenere quel dolore che gli monta nel petto, a gestirlo e a provare ad atrofizzarlo. Ci ha raccontato di aver avuto un giramento di testa particolarmente forte ed è stato forse anche il suo pallore così evidente ad aver spinto James - condizionato dalla parte più interna e vera di lui - a chiedergli se fosse tutto a posto e, come Moony non ha mancato di specificare, a posare una mano sul suo braccio.

Arriviamo ad un punto della situazione che non mi è chiaro, perché Remus dice di aver visto James cambiare improvvisamente faccia e sgranare gli occhi, quasi fosse stato attraversato da un'improvvisa visione celestiale che, alla fine, l'ha visto cadere a terra e perdere definitivamente i sensi. Questa è stata chiaramente piuttosto strana come reazione, se non fosse che Moony si è anche reso conto di un altro dettaglio non di poco conto: quando Prongs gli ha fatto quella domanda, quando gli ha toccato il braccio, la sua mente è stata folgorata dal ricordo della prima volta in cui ci confessò di essere un lupo mannaro, al nostro secondo anno qui a Hogwarts.

Quando poco fa ce l'ha detto, Remus parlava seduto sul suo letto con la testa tra le mani e io lo fissavo ancora più perplesso e stralunato, perché non riuscivo a comprendere la parte negativa e sbagliata della situazione. Insomma, così dicendo pareva proprio che il suo ricordo fosse filtrato automaticamente nella mente di James e che gli avesse così trasmesso quell'episodio, quel minuscolo tassello del nostro passato che suggellò ancora di più il fortissimo legame che abbiamo oggi.

Mi sono domandato che cosa potesse esserci di male in tutto questo, perché credevo che avessimo finalmente trovato la giusta chiave: tutti noi avremmo potuto cercare il modo perfetto per indirizzare i nostri ricordi nel cervello di Prongs, farglieli rivivere e fargli così comprendere che è tra noi che deve stare, che la sua mente è stata praticamente manipolata e che non deve fidarsi di quei Serpeverde che si spacciano per suoi ammiratori, quando in verità vogliono condizionarlo e spingerlo a lavorare per Lord Voldemort.

Ho espresso la mia perplessità ad alta voce ed ero certo che non ci fosse assolutamente nulla da ribattere, ma Remus seguitava a non muovere un solo muscolo - a stento sentivo il suo respiro - ed è stato invece Peter, in piedi accanto a me, a voltarsi nella mia direzione con un'espressione funebre stampata in faccia.

«Gli ha trasmesso quel preciso ricordo.» ha scandito lentamente, il tono di voce intriso di paura. «E ora James...questo nuovo James, sa della sua licantropia.»

È stato allora, di nuovo, che ho avuto paura.

E il punto è che si trattava di una paura ancora peggiore, perché non attanagliava me in prima persona. È stata una paura più grande perché è Remus, il mio migliore amico, ad esserne colpito. Perché ha lottato tutta la sua vita affinché nessuno venisse a conoscenza di questo suo gigantesco segreto, facendo uno sforzo disumano per confessarlo persino a noi e vivendo con l'angoscia costante che qualcuno potesse captare qualcosa, che qualcuno potesse venire a conoscenza della sua vera natura.

Ho avuto paura perché l'ho già visto il suo sguardo spaventato, quando un'altra persona ha scoperto della sua licantropia e ha minacciato di dirlo a tutti, salvo poi essere stato convinto chissà come da Silente a tacere. Ho già visto i suoi occhi feriti quando ha scoperto che era stata tutta colpa mia, che a causa del mio essere un idiota colossale avevo convinto Piton a recarsi fino al Platano Picchiatore pensando che fosse uno scherzo su cui riderci su, che fargli prendere un colpo alla vista di un vero lupo mannaro bastasse per togliergli la voglia di rispondere a tono alle nostre provocazioni.

Perché avevo sedici anni e ho fatto lo sbaglio più grande della mia vita. E mai potrò lasciare che questo accada un'altra volta.

«Silente ha l'obbligo di darci delle spiegazioni, Pete.» replico freddamente, bloccandomi appena prima di bussare alla porta. «Se solo lui la smettesse di usare le sue frasi d'effetto fastidiosamente enigmatiche e si degnasse di darci un aiuto concreto...»

«Non credo sia colpa sua.» mi interrompe timidamente, la voce bassa e gli occhi che non si staccano dai miei. «Se potesse darci una mano e far tornare James quello di prima, all'istante, sono certo che lo farebbe.»

Sbuffo e scuoto la testa, ma non gli rispondo. Perché lo so che Peter ha ragione, lo so bene che il Preside è dalla nostra parte e che lui e i professori stanno lavorando come possono per preparare quella dannata pozione. È solo che a volte penso che sia un incosciente, che riponga persino troppa fiducia in un branco di adolescenti nemmeno diplomati e che, prima o poi, l'esagerata fede che ha in noi finirà per essere deleteria.

E finché Lord Voldemort non è più davanti ai miei occhi, finché non posso prendermela con lui, mi viene naturale incolpare l'unica persona che percepisco essere più o meno responsabile di questa situazione.

«Avanti.»

Abbasso velocemente la maniglia e trovo davanti a me Silente, in piedi in mezzo all'aula e con le mani intrecciate dietro la schiena, il volto appena girato verso la porta per vedere chi siano gli ospiti appena arrivati. A giudicare dall'espressione imperturbabile e dal lieve sorriso che continua a increspargli le labbra, non sembrerebbe essere poi così stupito della nostra comparsa.

«Signor Black, signor Minus.» ci accoglie invece il professor Vitious, quasi nascosto al di là della pila di volumi che popola la sua cattedra. «Avete bisogno di qualcosa?»

«In verità volevamo parlare con il Preside. La professoressa McGranitt ci ha detto che avremmo potuto trovarlo qui.» replico prontamente, spostando subito lo sguardo su Silente che, in risposta, si gira completamente verso di noi e guarda entrambi negli occhi.

«Suppongo sia qualcosa che riguarda il signor Potter.»

«È successa una cosa, ieri.» spiego in risposta, avanzando di un passo e cominciando a torturarmi le mani. «Una cosa che riguarda lui e Remus. Remus Lupin.»

Faccio un breve resoconto dell'episodio che Moony ci ha raccontato poco fa, ringraziando Merlino e tutti i maghi che, ora, al cospetto del Preside ci siamo solo io e Peter. Remus cerca sempre di nasconderlo - penosamente, per l'appunto - ma è dotato di un'emotività oltre ogni confine, che è proprio ciò che l'ha spinto a rintanarsi nella nostra stanza e a giurare e spergiurare di non uscire finché i suoi bisogni fisiologici non glielo imporranno.

Sono anni e anni che ha dovuto imparare a convivere con questa dannata licantropia, ma nonostante con noi non abbia problemi a parlarne - e talvolta persino a scherzarci su - è chiaro che con gli adulti resta tutto un altro discorso. I professori sanno, Silente sa, ma Remus si ostina a imbarazzarsi come pochi se per caso uno di loro lo avvicina poco dopo la luna piena, chiedendogli se vada tutto bene e facendo svariate domande sul suo stato di salute.

Finisco di parlare senza che né Vitious né il Preside mi interrompano, lasciando solo che Peter faccia quelle precisazioni che mi sfuggono e che mi aiuti così a rendere la situazione più chiara possibile.

«Poi James è andato via. Non ha detto assolutamente niente ed è andato via.» concludo, scompigliandomi distrattamente i capelli e intercettando Wormtail annuire alle mie parole. «Vorremmo sapere qualcosa di più a proposito di...di questo. Se è normale che capitino situazioni del genere.»

L'ultima parola da me pronunciata sfuma nell'aria e vola via come una foglia mossa dal vento, mentre il silenzio torna a circondarci e, momentaneamente, l'unica cosa che percepisco con certezza è il peso dello sguardo di Silente fisso su di me.

«È incredibile, Filius, come il mio cervello e quello dei miei studenti viaggino sulla stessa lunghezza d'onda.» asserisce ad un tratto il Preside, sempre senza staccare lo sguardo dai nostri volti e sfoggiando quel suo mezzo sorriso ambiguo.

Vitious annuisce lentamente in risposta, sbattendo piano le palpebre e parafrasando la frase di Silente, forse con l'intenzione di esprimere a noi comuni mortali un concetto basilare senza enigmi e giri di parole di mezzo.

«Ne stavamo parlando giusto poco fa, ragazzi.» spiega infatti, sistemandosi meglio sul suo sgabello per acquistare quella parvenza di autorità che la sua bassa statura non riesce a conferirgli. «Naturalmente, in qualità di insegnante di Incantesimi ho desiderato fare qualche ricerca più approfondita sulla fattura scagliata contro il signor Potter e mi sono imbattuto in una serie di racconti di situazioni alquanto simili.»

«Quindi è...normale che James venga catapultato nei ricordi di qualcun altro?» chiede Peter, esprimendo così la mia stessa perplessità.

«Perché così potremmo risolvere un sacco di problemi.» rincaro la dose a mia volta. «Potremmo fargli rivivere alcuni dei momenti che abbiamo condiviso in passato e allora...»

«Tempo e memoria, signor Black: i due principali nemici dei maghi. Gliel'aveva ricordato anche Amelia Bones, o sbaglio?» mi interrompe Silente, parlando con quella sua voce dolce e cadenzata che, ancora una volta, mi fa ribollire il sangue nelle vene. «Non si può prendere il signor Potter e fargli rivivere a forza momenti specifici del suo passato, perché potrebbe essere dannoso per lui in prima persona.»

«Si tratta di situazioni rare ed estremamente delicate, come stavo per l'appunto dicendo. Si deve creare una condizione psicologica tale per cui la persona colpita dall'incantesimo - il signor Potter, in questo caso - è predisposta a ricevere un ricordo, mentre colui che gli è di fronte deve essere in grado di trasmetterglielo.»

«Meraviglioso.» commento sarcasticamente, appoggiandomi con la schiena alla fila di banchi più bassa e incrociando le braccia al petto. «James non vorrà mai avvicinarsi così tanto a noi da permetterci di fargli rivivere qualunque cosa.»

«Allora come pensa che ce l'abbia fatta il signor Lupin?»

Scrollo le spalle alla domanda di Silente, mordendomi il labbro e aspettando impazientemente quell'illuminazione che non tarda ad arrivare.

«Inconsciamente era pronto, signor Black. L'avete detto anche voi che il signor Potter si è limitato a chiedere a Lupin se stesse bene, cosicché quest'ultimo è stato attraversato dal ricordo del giorno in cui vi ha rivelato della sua licantropia.» risponde prontamente Vitious, adoperando quel classico tono pratico ma capace di coinvolgerci che usa anche durante le lezioni. «Giorno in cui, se non erro, Potter gli aveva posto la stessa identica domanda.»

«Ecco perché anche James, inconsapevolmente, era pronto!» conclude Peter, sorridendo estasiato e ricevendo un cenno di assenso da parte del professore.

«È tutto molto bello, davvero, ma è un caso su un milione. Quante altre probabilità ci saranno che si ricostruisca un'atmosfera simile?» domando, esplicitando così tutto il mio scetticismo.

«Sarà curioso per lei, signor Black, sapere che le probabilità sono piuttosto elevate.» risponde invece Silente, muovendo qualche passo verso il centro dell'aula. «Generalmente questa possibilità di rivivere ricordi del proprio passato dimenticato si presenta non prima della seconda settimana, ma qui ci troviamo di fronte ad un caso davvero eccezionale. Credo sia ancora una volta merito dell'immenso potere della vostra amicizia.»

Serro i pugni alle parole del Preside, chiedendomi come sia possibile che il nostro legame, la nostra fratellanza, sappia sfondare ogni minima barriera spazio-temporale e sorpassare persino fatture così potenti. Persino la Magia Oscura.

«Vi basterà ricreare una situazione particolare e il gioco sarà fatto. Chiaramente non basterà solo questo e la pozione del professor Lumacorno sarà essenziale, ma di sicuro la possibilità di scoprire poco alla volta quei ricordi cancellati dalla sua memoria contribuirà a far riavvicinare il signor Potter a voi.»

«E magari, chissà, potrebbe prendere le distanze da chi sta cercando di fargli il lavaggio del cervello.» commento tra me e me, sperando che il mio implicito riferimento ad Avery e al suo gruppetto venga colto.

«Ma cosa facciamo se James rivelerà a tutta la scuola della vera natura di Remus?»

La domanda di Peter riporta a galla quella terribile eventualità che ha colpito tutti noi con ferocia e che è stata la causa scatenante della reclusione forzata che lo stesso Moony si è autoimposto.

«C'è una sorta di vincolo morale, ragazzi, per cui il signor Potter avrà difficoltà persino a parlare dei ricordi che ha rivissuto. È difficile che racconti qualcosa, quando lui per primo è chiaramente sconvolto da quello che ha visto nella mente del signor Lupin. A maggior ragione se crede che sia stato frutto di un'eventuale perdita di sensi.» spiega Vitious, infondendo un po' di sicurezza in entrambi.

Perfetto, adesso la parte difficile sarà convincere Remus che può uscire dalla nostra stanza e che il suo minuscolo segreto è ancora al sicuro.

«Nel caso in cui doveste registrare comportamenti strani da parte sua, comunque, non esitate a venire a cercarmi. Sono certo che con una chiacchierata faccia a faccia sarò capace di dissuaderlo da qualunque desiderio di rivelare a tutta Hogwarts i segreti dei suoi amici.» aggiunge Silente, sfoderando la bacchetta e facendo apparire dal nulla un calice pieno d'acqua. «Per ora vi basti sapere questo. Signor Black, so che voi due venerdì sera avrete una punizione da scontare insieme.»

«Sì.» rispondo, non sicuro se questa sia effettivamente la replica che si aspetta da me. Però sorride ancora, cosa che mi fa presupporre che le sue parole non saranno neanche minimamente velate di rimprovero.

«Ottimo.» asserisce infatti, mandando all'aria secoli interi di campagne educative mosse da quei Presidi che volevano dissuadere i loro studenti dal finire in punizione. «Scavi un po' nella sua memoria e sfrutti la situazione a suo vantaggio. Sono certo che troverà in qualche cassetto decine di ricordi legati a una punizione passata scontata in compagnia del suo amico.»

Nonostante tutto, nonostante la rabbia che mi monta nel petto e l'impotenza in cui mi sembra di essere caduto da sabato notte, riesco persino a sorridere.

Perché Silente ha ragione, ora più che mai: James ha iniziato a giocare e noi lo seguiremo a modo nostro. Se pensa di essersi liberato dei suoi amici per colpa di un fottuto incantesimo, si sbaglia davvero di grosso. Perché noi saremo i primi a lottare, a mettere a punto strategie su strategie affinché lui possa ricordare il suo passato con noi. E alla fine lo so, lo so bene che ce lo riprenderemo.

Domenica volevo scappare e da oggi, al contrario, sarò io quello che terrà in mano le redini della situazione: non permetterò a nessuno di arrendersi, non permetterò a nessuno di lasciare che James scivoli via dalle nostre mani senza che nessuno riesca a trattenerlo. Il posto del mio migliore amico è solo qui, accanto a noi e alla ragazza che ama con tutto se stesso.

Ed è esattamente qui che, in un modo o nell'altro, James Potter tornerà.

***

Lily.

Stringo una fialetta di vetro tra le mani e intingo il mestolo nel calderone davanti a me, travasandone poi il contenuto e osservando quel liquido perfettamente viola andare a riempire la boccetta che dovrò consegnare. Muovo svogliatamente la bacchetta ed elimino tutta la pozione in eccesso, trattenendo uno sbadiglio e domandandomi se, effettivamente, i fumi del Distillato Soporifero preparato dalla sottoscritta a regola d'arte non abbiano raggiunto me in prima persona.

«Lasciate pure le vostre fiale qui, sulla cattedra. E mi raccomando, niente scherzi.» urla Lumacorno, sorridendo divertito e passando tra i nostri banchi per lanciare le sue solite occhiate curiose su ognuno di noi. «Non voglio che a nessuno venga la pessima idea di tenere un po' di questa pozione per sé.»

«Se alla prossima lezione ci vedrà crollare tutti per il sonno, saprà il perché.» replica prontamente Sirius, lasciando senza troppe cerimonie la boccetta sulla cattedra di Lumacorno e spalancando a sua volta le fauci in uno sbadiglio annoiato. «Non è il mio caso, comunque. La mia pozione assomiglia più che altro a un veleno mortale, quindi non l'ho nemmeno toccata.»

«Signor Black, signor Black...cosa devo fare con lei?» borbotta il professore, scuotendo la testa ma rivolgendogli comunque un mezzo sorriso accondiscendente.

Osservo tutti i Grifondoro e i Serpeverde passare davanti al mio banco per uscire dall'aula di Pozioni, riempita adesso di un'aria talmente pesante e carica di umidità da essere riuscita a gonfiarmi persino i capelli. Alice, accanto a me, inarca un sopracciglio e scruta attentamente i miei movimenti lenti e studiati, mentre infilo tutti i libri, le piume e il calamaio nella mia borsa.

«Hai intenzione di sbrigarti o devo aiutarti io?» mi domanda infatti, sbuffando e appoggiandosi al banco accanto al mio. «Questa giornata mi ha davvero ammazzata. Voglio solo tornare in dormitorio e dormire un po' prima della cena.»

«Frank?» domando distrattamente, lanciando un rapido sguardo intorno a me.

«Oggi ha gli allenamenti.» dice in risposta, passandomi un rotolo di pergamena dimenticato sul banco. «Se magari ci velocizziamo un po', forse riesco a salutarlo.»

Ma l'ultima frase di Alice sfuma per davvero nel vuoto, dal momento che i miei occhi si posano sulla figura che sta passando proprio adesso davanti a me.

James non prova nemmeno a camuffare lo sguardo che mi lancia e i suoi occhi rimangono lì, fissi nei miei, per un lasso di tempo che sembra dilatarsi e durare all'infinito. Il mondo e i suoi contorni sfumano, i colori sbiadiscono e l'unica cosa che vedo sono quelle iridi nocciola che conosco come le mie tasche, ma che appaiono adesso intrise di una rabbia mista ad arrendevolezza che, per lo spazio di un secondo, mi fanno bloccare il respiro in gola.

Poi Avery posa una mano sul suo braccio, lo trascina fuori dall'aula e lui distoglie lo sguardo, facendomi tornare a respirare.

«Io proprio non capisco che tattica stai usando.»

La voce di Alice mi fa riemergere da quella che è apparsa a tutti gli effetti come una sorta di apnea, mentre deglutisco e torno a sistemare gli oggetti nella mia borsa.

«Che intendi dire?»

«Con James.» replica, spalancando gli occhi scuri e fissandomi con aria confusa. «Sembra...non lo so, sembra che tu voglia fare il possibile per tenerlo a debita distanza.»

«È esattamente quello che sto facendo, infatti.»

«Ma non è normale, Lily.» Sospira e io mi volto a guardarla, inarcando un sopracciglio nell'attesa che si spieghi. «Credo che dovresti fare come Sirius e gli altri: non dargli tregua, cercare di parlargli, incrociarlo per i corridoi. Tu...tu stai scappando da lui.»

«Io non scappo da nessuno, semplicemente non inseguo.» Chiudo la cerniera della borsa con un gesto secco e me la carico sulla spalla, mentre l'aula comincia a svuotarsi sempre di più e noi due ci dirigiamo verso la porta. «Ascolta Ali, non pretendo che tu possa capirmi alla perfezione.»

«Ma almeno provo a farlo.»

«Lo so, lo so.» la interrompo, sorridendole dolcemente. «Il punto è che non voglio mettere pressione a questo James. Voglio che anche in questo caso la vita faccia il suo corso e non voglio perseguitarlo con la mia presenza. Non credo comunque che gli farebbe piacere.»

Alice si accorge forse nel mio improvviso tono intriso di malinconia, perché posa una mano sul mio braccio e lo accarezza piano.

«Non basterà nemmeno la Magia Oscura per fargli cambiare opinione su di te.»

«Ma tu non hai visto i suoi gesti sabato notte e non l'hai nemmeno sentito chiamarmi...in quel modo.» ammetto, scuotendo lentamente la testa. «Sembrava che gli desse fastidio persino respirare la mia stessa aria.»

«Io credo in voi, Lily, l'ho sempre fatto e continuerò a farlo anche in questo mese.» dice ad un tratto, bloccandosi in mezzo ai Sotterranei e guardandomi negli occhi. «Ma soprattutto credo in te. Tu saprai senza dubbio qual è il modo migliore per convivere con lui in questi giorni particolari per entrambi. E se tu dici che non forzarlo a passare del tempo con te è la cosa giusta da fare, io ti appoggio in tutto e per tutto.»

Sorrido alle parole della mia migliore amica, assecondando quell'impulso che mi suggerisce di gettarle le braccia al collo e di stringerla a me. Perché a volte basta davvero questo, il fatto di sapere che una delle persone più importanti per noi sarà dalla nostra parte a prescindere da tutto il resto, e all'improvviso il mondo si fa sul serio meno buio.

«Saluta Frank da parte mia, ci vediamo a cena.» le dico, scoccandole un bacio sulla guancia e invertendo di colpo la rotta.

«Ma dove diamine stai andando?» grida lei, con un'espressione ancora più confusa stampata in faccia.

«Lumacorno potrebbe aver bisogno di un'assistente. Sai, per la pozione e tutto il resto.» confesso con un mezzo sorriso, scrollando le spalle e vedendola alzare gli occhi al cielo.

«Come no, un'ennesima scusa per passare un'altra ora tra insetti e calderoni.» sbuffa infatti, cominciando a salire le scale che portano al piano di sopra. «Stai attenta.»

Sorrido alle sue parole e mi dirigo a passo di marcia verso l'ufficio di Lumacorno, maledicendo il giorno in cui i Fondatori hanno deciso di creare dei Sotterranei e di infilare proprio quaggiù l'aula dedicata alla materia più bella che ci sia.

«Signorina Evans, che immenso piacere!» mi accoglie il professore, sfoderando un sorriso radioso e alzando lo sguardo dalla sua scrivania piena zeppa di ingredienti e libri aperti. «Qualcosa non andava con il Distillato Soporifero? Ha qualche suggerimento o qualche appunto da fare?»

«No, niente di tutto questo.» replico piano, avvicinandomi ancora alla sua postazione e guardandomi intorno. «Volevo solo sapere come stesse procedendo con la pozione per James.»

Lumacorno stacca definitivamente lo sguardo dal suo calderone, posandolo su di me e sbattendo piano le palpebre. Ha la testa inclinata di lato, in un modo che il mio cervello accosta buffamente all'immagine di un bambino colto con le mani nel sacco, ma l'impugnatura sul suo mestolo è salda e denota quell'abilità e quella disinvoltura davvero essenziali per una materia come questa.

Non ricordo di averlo mai visto all'opera con una pozione, dal momento che lui si limita solo a spiegare la teoria dei vari procedimenti e ad illustrare qualche passaggio particolarmente complesso, ma è adesso che capisco perché lui ha questa assurda adorazione nei miei confronti. Abbiamo lo stesso modo di disporre gli oggetti intorno a noi - con ordine quasi maniacale, per evitare in questo modo anche la confusione mentale - la stessa precisione millimetrica quando si tratta di pesare i vari ingredienti e lo stesso sfavillio che ci illumina gli occhi, quando ci rendiamo conto di essere esattamente nel nostro elemento.

«Averla come aiutante sarebbe per me un immenso onore, signorina Evans.» afferma infatti, sorridendo ancora sotto i suoi spessi baffi grigi. «Può cominciare a pestare il quinto pungiglione di Billywig, se le va. Sette grammi in tutto.»

Mi lego velocemente i capelli in una coda frettolosa e tiro su le maniche della mia camicia, sentendo ancora una volta l'adrenalina fluire nelle mie vene e darmi la giusta carica per aiutare Lumacorno. Qualunque cosa riuscirò a fare qui con lui, fosse anche la più piccola e inutile, avrò perlomeno la certezza che la pozione che farà ritornare il nostro James sarà anche, in parte, opera mia.

***

Severus.

L'ho vista parlare con quella svitata della Prewett e trattenersi in classe per un lasso di tempo esageratamente lungo, mentre raccoglieva i libri per rimetterli nella sua borsa con una lentezza inaudita. Sarà anche ormai diventata un'estranea per me, ma i suoi gesti li so leggere ancora come fossero un libro aperto e lei, in quell'istante, stava chiaramente cercando di temporeggiare.

Aveva ancora quello stesso sguardo triste che sfoggiava domenica a pranzo e la pelle più pallida del normale, con le labbra screpolate e i capelli gonfi a causa dei fumi delle pozioni.

Era bellissima, ancora e sempre.

L'ho vista ascoltare lo straparlare della sua amica, risponderle distrattamente e lanciare continue occhiate verso la parte dell'aula dove mi trovavo io, a tal punto che - povero sciocco - ho persino creduto che i suoi occhi stessero cercando il sottoscritto. Sono stato un illuso, ancora una volta.

Perché poi Potter è passato davanti al suo banco e lei è rimasta come pietrificata, con quelle iridi verdi sempre e costantemente fisse su di lui come se nemmeno potesse controllarle, come se il suo corpo fosse perfettamente in grado di gestirsi da solo quando quell'idiota si trova a pochi passi da lei. Lo cerca, nonostante tutto. Cerca il suo sguardo, cerca di leggergli dentro come sa sempre fare con tutti, cerca quegli occhi che per sette, lunghissimi anni non hanno fatto altro che seguirla ovunque andasse.

E li trova.

Nonostante tutto, nonostante la Magia Oscura che gli imporrebbe di odiarla, James Potter continua a rispondere al suo sguardo come se fosse la prima volta, con quel ridicolo luccichio che gli illumina le pupille sempre intrise di provocazione e che nemmeno una potentissima fattura scagliata dal Signore Oscuro è stata in grado di cancellare.

Non basta niente, non è sufficiente davvero nulla, perché loro due continueranno sempre a cercarsi e a ritrovarsi.

Ho distolto lo sguardo perché quella scena mi è sembrata qualcosa di estremamente intimo e personale, perché questa sensazione di essere di troppo mi logora da dentro e perché non puntare gli occhi su loro due, su quella chimica che sembra quasi irradiarsi da entrambi e colpire tutto ciò che li circonda, rende ogni cosa forse un po' meno dolorosa del normale.

Ma non è come se fosse bastato.

Perché sono uscito dall'aula di Pozioni e l'ho capito, questa volta in maniera ancora più innegabile e cristallina: potranno fare davvero di tutto, allontanarli a forza, cancellare la loro memoria, torturarli e persino ucciderli. Ma quello che c'è tra loro, quell'assurdo filo che li unisce, è più solido e più resistente di qualunque ridicolo ostacolo.

***

Frank.

«Non so quanto abbia senso continuare in questo modo.»

Martedì è sempre stato uno dei miei giorni preferiti della settimana.

È una constatazione assurda e sono il primo ad ammetterlo, perché non è per niente conforme all'indice di gradimento dell'intera popolazione di Hogwarts. Martedì se ne sta lì, non ancora a metà della settimana ma tuttavia drasticamente lontano dal weekend, troppo vicino a quel dannato lunedì che rappresenta, invece, il male peggiore a cui tutti devono far fronte.

Mia madre mi ha però sempre insegnato a trovare gli aspetti positivi in ogni cosa, ed è così che sono giunto a rivalutare totalmente la mia opinione.

Martedì è il giorno in cui a colazione servono il pudding come piace a me, fatto per davvero a regola d'arte, ed è innegabile il fatto che cominciare la giornata con qualcosa di estremamente buono nello stomaco non può che essere piacevole. Martedì è il giorno in cui ci sono due meravigliose ore di Erbologia e al diavolo il pensiero dei miei amici, questa è per davvero la mia materia preferita e io mi diverto tantissimo a seguire ogni lezione.

Martedì è il giorno in cui Alice ha un'ora buca esattamente dopo pranzo e allora la trovo sempre lì, non appena esco dall'aula di Babbanologia, ad aspettarmi con la schiena appoggiata alla parete di fronte e con quel solito sorriso luminoso in faccia, mentre viene verso di me e in un istante comincia a chiacchierare di tutte quelle cose che spesso non hanno davvero importanza, ma che se raccontate da lei assumono tutto un altro sapore.

Martedì, poi, è naturalmente il giorno del primo allenamento settimanale di Quidditch.

«Cosa intendi dire, Rick?» domando, sfilandomi i guantoni da Portiere e osservando tutta la squadra sparpagliata sulle panchine dello spogliatoio maschile.

«Intendo dire questo. Non ha senso continuare senza...senza il Capitano.» borbotta, passandosi una mano tra i capelli esattamente come se pronunciare il nome di James lo avesse costretto a compiere quel suo gesto così tipico.

La McGranitt è uscita poco fa dalla stanza, dopo una riunione lampo indetta da lei stessa in cui ha fatto il punto della situazione sulle condizioni di James. Ha spiegato brevemente che lui continuerà ad allenarsi e che non giocherà per Serpeverde, ci ha assicurato che sposterà ogni nostra partita per fare in modo che, quando verrà disputata, il Capitano sarà di nuovo tra noi. E poi, naturalmente, ci ha detto che tutta la squadra potrà continuare ad allenarsi regolarmente anche senza il suo Cercatore.

«Diamine, la stai dipingendo in un modo esageratamente tragico.» risponde Alex Jordan, senza perdere quel suo proverbiale ghigno sarcastico. «Non l'abbiamo perso per sempre. James tornerà tra noi, l'ha detto anche la McGranitt.»

«Ma come facciamo ad allenarci senza di lui?» chiede invece Jennifer Steeval, la nostra Cacciatrice, aggiustandosi la lunga coda nera. «Voglio dire, lo sapete che il Capitano è sempre stato l'elemento principale di ogni allenamento. Senza James...»

«Senza di lui in qualche modo si farà.» mi intrometto io, sfoderando quella determinazione che spero di riuscire a trasmettere anche al resto della squadra. «Si tratta solo di un mese, ragazzi. Un mese in cui proveremo a correggerci a vicenda e a impostare nuove tattiche anche in sua assenza.»

«Ci ammazzerà.» conclude brevemente Andrew Smith, fratello di Rick e Battitore insieme a lui.

«Ci ammazzerà un corno.» ribatte prontamente Hilary Wilson, con quel suo accento scozzese che risalta soprattutto quando è innervosita. «Il Capitano sarà dannatamente fiero di noi quando saprà che non ci siamo arresi durante la sua assenza. E tra un mese, quando tornerà e vedrà quanti progressi abbiamo fatto senza di lui, sarà più orgoglioso che mai.»

«Glielo dobbiamo.» rincara la dose Alex, alzandosi dalla panca e sollevando un pugno in aria. «Io dico che non dobbiamo deluderlo.»

«Io, invece, dico che spero vivamente che possiate trasmettere un po' del vostro ottimismo anche a me.» dice mestamente Rick, tirandosi su a sua volta e passandosi una mano sulla fronte. «Ma ci sto. Come dici tu, lo dobbiamo al Capitano.»

«E Grifondoro non si arrende di fronte a nessuna difficoltà!» grida Andrew in un momento di particolare ispirazione. O forse è stato solo miracolosamente attraversato dallo spirito combattivo di Godric in persona.

Tutta la squadra si alza dalle panche e svariate urla di incoraggiamento si propagano tra queste quattro mura, rimbalzando sulle pareti e riempiendo lo spogliatoio come se ci fossero qua dentro decine di persone. Andrew ha ragione, noi siamo la squadra di Grifondoro e non sarà il momentaneo allontanamento di James a farci arrendere, perché la nostra determinazione supera davvero ogni singola barriera.

Automaticamente sorrido, mentre il mio sguardo si posa verso il fondo della stanza, dove la foto in primo piano del Capitano - circondata da qualche frase minacciosa che ci obbliga a leggere prima delle partite - troneggia indisturbata. Là, in quella cornice, James sorride e ammicca verso l'obiettivo, con quello sguardo sempre carico di malizia e quel ghigno divertito che sfoggia per davvero in ogni situazione.

Fisso quegli occhi saturi di determinazione e comprendo in questo istante che i miei compagni di squadra hanno proprio centrato il punto della situazione: nessuno di noi si tirerà indietro di fronte a questo ostacolo. Perché lo dobbiamo in primo luogo a James, alla persona che prima fra tutte ha creduto in noi come nessun altro aveva fatto prima.

***

Regulus.

«Guardate qui, l'ennesimo colpaccio.»

Evan stringe tra le mani una copia del Profeta di questa mattina, esattamente quella che sta sfogliando febbrilmente da quando la cena è iniziata, e la fa passare sul tavolo davanti ai nostri occhi. Mulciber è il primo a vederla e, per l'appunto, fissa lo sguardo sull'immagine in prima pagina e comincia a ridere sguaiatamente.

Non è come se fosse necessario leggere qualcosa di quell'articolo, comunque: basta scontrarsi con la foto in bianco e nero che ritrae una schiera di case babbane, sulle quali troneggia indisturbato quel Marchio che ormai conosco davvero nel dettaglio, e tutto è già più che chiaro.

«Queste sono le notizie che amo leggere.» sibila Nicholas, prendendo in mano il giornale e sfoderando un ghigno soddisfatto. «Famiglia Finch-Fletchley. Ma non sono i genitori di...»

«Adam, il Tassorosso del quinto anno.» conclude Simon per lui, senza staccare gli occhi dalla sua cena. «Si è salvato solo il fratello Robert, Babbano anche lui.»

«E questo è un vero peccato.» commenta ancora Evan, sorridendo ironicamente. «Ogni vita di Babbano risparmiata è un'immensa disgrazia.»

Contraggo la mascella e mi sforzo di continuare a mangiare, sebbene il mio stomaco si sia chiuso a tal punto che una forchettata in più di qualunque cosa potrebbe essermi fatale. Siamo ancora qui, punto e a capo: la Gazzetta del Profeta aperta davanti a noi, un ragazzo che ha appena perso entrambi i genitori seduto ad un tavolo di distanza dal nostro e i miei amici che ci ridono su, che riescono a ironizzare sulla vita stroncata di un quindicenne a cui rimane solo più un fratello al mondo.

Lascio cadere le posate sul tavolo e lancio una veloce occhiata a Severus, a pochi posti di distanza da me, ma non sono poi così sorpreso di trovarlo eccessivamente pallido e con la schiena curva, gli occhi fissi sul legno del tavolo e la bocca ridotta a una linea sottile.

«Questi attacchi,» comincia James, mentre il quotidiano passa finalmente tra le sue mani. «sono organizzati da chi vuole fare fuori i Nati Babbani, vero?»

Il sorriso di Nicholas si amplia a dismisura, probabilmente perché finalmente è stato toccato quell'argomento che lo soddisfa più di ogni altra cosa.

«Precisamente.» risponde infatti, intrecciando le mani e fissando James dritto negli occhi. «Un'immensa selezione naturale è ciò di cui più avremmo bisogno, di questi tempi.»

«È assurdo che quel vecchio ancora si ostini ad ammettere i Sanguesporco sotto il nostro stesso tetto.» aggiunge Evan, facendo un cenno con il capo verso il punto dove è seduto Silente. «Maneggiare una bacchetta è un privilegio, è qualcosa di prezioso, ed è ridicolo che persone inferiori come loro abbiano il privilegio di studiare qui. Con noi.»

James annuisce mestamente ed io quasi mi trattengo a stento, perché l'impulso di urlargli di smetterla di dare corda a tutti loro è fortissimo. Ma nemmeno io ho molta voce in capitolo, perché quello che ormai ho imparato a fare è tacere, incassare il peso di queste notizie e, con il mio silenzio, conformarmi alle parole atroci che tutti loro sanno pronunciare.

«Effettivamente ha senso.» afferma infatti James, sfoderando un'espressione convinta e determinata. «Voglio dire, essere un Purosangue dovrebbe garantire quei vantaggi che chiaramente ci spettano.»

«Esatto!» quasi urla Nick, sgranando gli occhi e sorridendo sornione. «Non avrei saputo dirlo con parole migliori.»

«E invece guarda un po', costretti a condividere l'ossigeno con la feccia.» sputa Mulciber, divorando la sua sesta o settima coscia di pollo consecutiva.

«Hogwarts pullula di Nati Babbani. E questo non può che essere un insulto alla nostra purezza.» asserisce Evan, sbattendo un pugno sul tavolo con rabbia. «Fosse per me, sarebbero da eliminare tutti uno ad uno.»

«È quello che stiamo cercando di fare.» riprende Nicholas, tornando a guardare James con aria febbrile. «Sai, le nostre famiglie sono accomunate da quest'odio verso tutti i Sanguesporco e verso coloro che ancora si ostinano a sostenere che sono uguali a noi.»

«La mia famiglia non mi ha mai parlato di queste cose.»

«Perché evidentemente, Potter, la tua famiglia non la pensa così.» Severus raddrizza di scatto la schiena, puntando gli occhi neri come la pece sul suo nemico di sempre e contraendo la mascella con una rabbia ormai palpabile. «E, se devo dirla tutta, negli anni passati anche tu non hai mai condiviso questi ideali.»

«Si cambia, Piton. Si cambia pensiero e si cresce.» scandisce in risposta, sostenendo il suo sguardo con quella fierezza Grifondoro che non ha comunque mai perso.

«Se James adesso desidera entrare nella nostra cerchia, chi siamo noi per impedirglielo?»

«Nella nostra cerchia?» ripete Severus, gettando la testa all'indietro e ridendo sguaiatamente. «Pensate un po', ricordo che giusto fino a qualche giorno fa lui apparteneva alla Casa dell'accoglienza a braccia aperte per eccellenza.»

«Casa da cui, se non sbaglio, me ne sono volutamente andato.» ribatte ancora James, alzando la voce e contraendo la mascella in quel modo che suppongo essere il preludio di una rabbia sempre crescente.

Severus non cessa di sorridere amaramente, scuotendo la testa e fissando il ragazzo di fronte a lui come se fosse un insulso insetto.

«Hai le tue radici lì, Potter.» sibila piano, il tono tagliente di chi ha la chiara intenzione di ferire. «La culla degli audaci, dei valorosi e degli orgogliosi. Ma non solo.»

«Non solo?»

«Potrei citarti decine di altre creature che popolano la tua vecchia Casa, Potter: Sanguesporco, paladini della giustizia, traditori del loro sangue...» Fa una breve pausa e abbassa il tono di voce, ma io riesco a udire con chiarezza l'ultima parola da lui pronunciata. «...ibridi

«Severus, dacci un taglio. Stiamo mangiando.» sbuffa Simon, scuotendo la testa con disappunto. 

«Se Potter mi provoca...»

«Non ha fatto niente.» asserisco con fermezza, sollevando il mento e guardando Severus negli occhi. «Tieni il tuo odio per te e smettila di serbare rancore verso gli altri.»

Non mi piacciono le persone di cui sono circondato, non mi piacciono i loro discorsi, ma ancora meno mi piacciono le situazioni scomode. E questa ha tutti i presupposti per sfociare in una discussione con i fiocchi, se Severus non ci dà un taglio con la sua costante necessità di punzecchiare James per mezzo delle sue battute sarcastiche e di quei chiari riferimenti ad un passato che lui per primo nemmeno ricorda.

«Oh, hai ragione.» risponde lentamente, assaporando ogni parola sulla punta della lingua e facendomi intuire che di qui a breve ne dirà una delle sue. «Forse dovrei prendere esempio da qualcun altro e, vediamo un po', trattarlo come il fratello che non ho mai avuto?»

«Adesso basta.»

Nel silenzio generale che ha invaso la nostra porzione di tavolo, James si alza di scatto dalla panca e appoggia entrambi i palmi delle mani sul tavolo, sporgendosi verso Severus e fissandolo negli occhi con quello stesso odio che ormai tutti siamo avvezzi a vedere.

Sento il cuore riecheggiarmi nella cassa toracica e le mani che pizzicano dalla voglia di tirare un forte schiaffo sulla guancia olivastra di Severus, ma rimango fermo e stringo i pugni. So di essere una persona mite di natura, ma è da un po' che lui sta tirando decisamente troppo la corda e a breve non riuscirò più a trattenermi.

Ma l'impulsivo per eccellenza, che per l'appunto non sono io, resta ancora in piedi alla mia sinistra.

«Siediti, James. Va tutto bene.» prova a calmarlo Nick, anche se tutti noi sappiamo per certo di essere giunti a un punto di non ritorno.

«Potter non è Potter se non dà spettacolo davanti a tutti.» ribatte invece freddamente Severus, senza staccare lo sguardo da lui ma mantenendo la sua solita, finta compostezza di sempre.

«Mi spieghi qual è il tuo problema con me?» domanda ancora James, il respiro pesante che fa alzare e abbassare il suo petto velocemente. «Perché io non ti capisco, Piton. Non capisco te, i tuoi sguardi ostili e le tue parole velate di disprezzo.»

«Vuoi sapere cos'ho contro di te, Potter?» comincia lui, arcuando le labbra in quel ghigno intriso di provocazione che è solito rivolgergli durante i loro classici battibecchi. «C'è che tu, volente o nolente, resti ancora un Grifondoro fino al midollo.»

***

James.

Piton finisce di parlare e io resto per qualche secondo così, a fissarlo negli occhi e a sentire il feroce impulso di stringere la mano a pugno e, perché no, cancellargli dalla faccia quel mezzo sorriso sarcastico che mi fa ribollire il sangue nelle vene.

Ma non faccio niente di tutto questo, perché Regulus ha appena posato la sua mano sul mio braccio e adesso è lui che guardo, concentrandomi su quegli occhi grigi che hanno un inusuale potere calmante e su quella sicurezza che sa trasmettermi con un solo, semplice sguardo.

Mi volto un'ultima volta verso Piton e lo fulmino con l'occhiataccia più carica di disprezzo che possiedo, per poi scavalcare la panca e lasciarmi il tavolo di Serpeverde alle spalle. Sento i passi di Regulus dietro di me e all'istante rallento per fare in modo che possa raggiungermi, ma la mia marcia verso l'uscita continua a essere furiosa.

Le parole di Piton sono vuote, prive di significato e del tutto inconsistenti, a tal punto che sarebbe logico lasciarle attraversarmi le orecchie e sfumare nel nulla. Ma hanno comunque qualcosa, qualcosa che riesco a leggere quasi tra le righe, che mi fa venire voglia di spaccare qualcosa e di dimostrare a chiunque che non sono più un fottuto Grifondoro. Non devo più esserlo.

Quella Casa non mi appartiene più, non credo ci sia niente che ancora mi ricolleghi ad essa, eppure c'è qualche dettaglio che seguita a stonare. Perché quando passo tra i corridoi, vedo gli sguardi di tutti che si posano sui colori che troneggiano sulla mia cravatta. Vedo le occhiate sature di compassione che mi fanno venire la nausea, sento i bisbigli di chi ancora non si capacita della mia scelta e percepisco troppi mormorii che accostano il mio nome a quello di Black, di Lupin, di Minus. A quello di Lily Evans.

James Potter, l'orgoglio dei Grifondoro che ora non lo è più.

«Cosa devo fare,» mi sento pronunciare quasi come se parlassi tra me e me, con la consapevolezza che Regulus comunque mi stia ascoltando. «cosa devo fare per farvi capire che sono cambiato?»

«Non devi dimostrare niente a nessuno, va bene? Severus, lui è...è fatto così, capirlo è complicato.» risponde precipitosamente, uscendo dalla Sala Grande insieme a me e arrivando nel corridoio principale che, poco alla volta, si sta facendo sempre più affollato. «Un giorno, forse, ti spiegherò perché ha questa avversione nei tuoi confronti.»

Ma non è come se lo stessi ancora minimamente ascoltando, visto che tutti i miei sensi sono ora concentrati su quella chioma rosso fuoco che, ancora una volta, ho scorto con una rapidità disarmante tra la massa di studenti di ogni Casa ed età. 
È uscita anche lei dalla Sala Grande e sta ora camminando verso le scale che portano ai piani di sopra, affiancata da due ragazze che le stanno ai lati come se volessero circondarla. Come se volessero proteggerla.

È un istante e le mie gambe già si stanno muovendo verso quella direzione, superando i ragazzi che ancora mi intralciano la strada e cominciando a marciare verso di lei. Sono preda di una furia cieca e a stento realizzo che intorno a me esiste ancora un mondo, a stento sento la voce di Regulus che mi chiama ripetutamente nel vano tentativo di trattenermi, a stento mi rendo conto che di qui a poco potrei fare qualcosa di esageratamente avventato.

Arrivo appena sul terzo scalino e lei è ancora lì, proprio davanti a me, così d'istinto allungo una mano e la aggancio intorno al suo polso minuto.

«James, fermati!»

Ignoro le parole di Regulus e la tiro piano verso di me, quanto basta per fare in modo che si volti nella mia direzione e che arrivi a pochi centimetri dal sottoscritto. Evans si gira di scatto, i capelli incandescenti che si sollevano e poi le ricadono sulla schiena e sulle spalle, ma è quando i suoi occhi incrociano i miei che percepisco ogni mia singola resistenza crollare drasticamente.

«Potter?» la sento sussurrare, mentre le sue amiche si bloccano a pochi passi da noi e tutti, qua intorno, sfoggiano ora le stesse espressioni curiose e stralunate al tempo stesso.

È che pensavo che fosse semplice, dannatamente semplice, ma non è così. È che l'ho vista in mezzo al corridoio e ho creduto che fosse una sola la soluzione perfetta per dimostrare che non sono come loro, che non sono più un Grifondoro. Che anche io, come i miei nuovi compagni Serpeverde, sono fiero di essere un Purosangue e non esito a prendermela con chi è chiaramente inferiore a noi.

«Evans.» rispondo freddamente, provando a riscuotermi e alzando la voce quanto basta. «L'hai letto il Profeta, oggi?»

Ma non avevo tenuto in considerazione i suoi occhi. Sono un brutto affare, quelle iridi verdi: un privilegio che non dovrebbe esserle concesso, un dettaglio che lei può sfoggiare quanto vuole e nemmeno si rende conto dell'immenso potere che esercitano, dell'efficacia che hanno su chi la circonda. Su di me.

«L'ho letto.» conferma infatti, liberandosi della mia presa salda e voltandosi completamente verso di me. «Come tutti i giorni.»

Le sue amiche muovono un altro passo verso di lei e tornano a circondarla, in un modo che fa montare nel mio petto una rabbia, se possibile, ancora maggiore. Perché capisco che è da me che vogliono proteggerla, che è da me che vogliono tenerla alla larga, ed è una consapevolezza che attiva dentro il sottoscritto un meccanismo che appariva in precedenza quasi inceppato.

«Avrai visto anche la prima pagina, suppongo.» continuo, sfoderando il mio tono beffardo e ghignando compiaciuto. «L'omicidio della famiglia di Finch-Fletchley.»

«Vieni James, torniamo di sotto.»

«Arriva al punto, Potter.»

Evans interrompe il tentativo di Regulus di trascinarmi verso il corridoio principale, ma io mi scollo la sua mano di dosso e continuo a guardarla negli occhi. Svariati studenti si sono ora fermati sulle scale e, ancora una volta, non provano nemmeno a fingere di non osservare la scena che si sta svolgendo ora tra noi due.

C'è tensione nell'aria, una tensione densa e palpabile, ma so che è esattamente questo il momento in cui devo colpire. Ha tutte le carte in regola per essere l'occasione perfetta per far capire a tutta la scuola che sono esattamente come ogni Serpverde che si rispetti: perché davanti a me c'è una Nata Babbana, che riporta dunque sulla fronte quella stessa etichetta che prima, a cena, i miei nuovi compagni hanno detto di odiare. Perché colpire i punti deboli, provocare gli altri e gioire della loro rabbia è quello che facciamo.

Perché davanti a me c'è Lily Evans, che da qualche giorno a questa parte si sta mostrando, in maniera del tutto immotivata, come la mia più grande debolezza. Ed è una cosa a cui devo assolutamente rimediare.

«Non ti senti come se avessi le ore contate, Evans?» comincio, sentendo dentro di me il cuore che pompa furioso, mentre un altro istinto divampa nel mio petto e mi obbliga a parlare. «La prossima ad essere colpita potresti essere proprio tu.»

È la primissima volta, da quando mi trovo a Hogwarts, che mi sembra che nel corridoio principale ci sia un silenzio disumano. È come una mano gelida che si insinua tra di noi, come un vento freddo che ghiaccia tutto quello che incontra e mi fa venire i brividi, mi fa vacillare, mi destabilizza.

Percepisco le decine di presenti trattenere ancora una volta il respiro e guardarmi di nuovo con gli occhi sgranati, le espressioni incredule di chi chiaramente non si aspettava questa precisa frase da parte mia. L'hanno voluto loro, comunque: sono stati loro a fomentarmi, a spingermi a oltrepassare il limite per dare davanti a tutti la prova definitiva del mio radicale cambiamento.

È questo il vero James Potter, quello che odia i Nati Babbani e non ha paura di dirlo in faccia al prossimo.

Nemmeno se il prossimo in questione è Lily Evans, che indossa adesso la medesima espressione di quando, sabato notte, dalle mie labbra è scivolata la parola "Sanguesporco". È pietrificata e glielo leggo sul volto, perché i suoi occhi sono sgranati e le pupille vagano freneticamente su di me alla ricerca di qualcosa, forse di un minuscolo dettaglio a cui aggrapparsi.

Ma poi il mondo sembra ripartire a rallentatore, perché una delle due amiche di Evans comincia a urlare contro di me insulti che nemmeno sento e tra la gente si spande un chiacchiericcio che pare sovrastare ogni rumore. Non che le mie orecchie abbiano particolare voce in capitolo, in questo istante.

Perché lei ha appena sollevato una mano ed è proprio quella, la destra, che in un frangente cozza contro la mia guancia e là mi lascia uno schiaffo sonoro, che produce un rumore che riecheggia tra queste quattro pareti e che ha il dannato potere di congelare me, questa volta, all'istante.

***

Lily.

Mi hanno sempre detto che nelle situazioni difficili, quelle in cui si è nel panico più nero, un buon metodo per rilassare i nervi è contare. Sì, semplicemente contare: compiere un'operazione tanto banale quanto meccanica, lasciare il cervello con il pilota automatico e fare sì che prosegua con la sua conta in totale solitudine, facendo comparire nella nostra mente quella sequenza di numeri che dovrebbe avere un effetto calmante. Contare è qualcosa di razionale, che non implica l'uso di emozioni, del cuore e quant'altro, ma che viene naturale come bere un bicchier d'acqua.

Ad oggi, posso dire con certezza che contare non serva per davvero a un bel niente.

Sono passati pochi secondi da quando ho voltato le spalle a James e al teatrino che ha messo su così, dal nulla più totale, lasciando che Alice e Mary gliene dicessero di tutti i colori e che bastasse quello, insieme agli sguardi sconvolti di tutti i presenti, affinché lui si rendesse conto del disastro che ha combinato.

Ma lui non se ne accorgerà mai, checché ne dica Sirius. Con lui non funziona questo giochetto psicologico: a James hanno fatto per davvero il lavaggio del cervello, perché nessuna persona dotata di un briciolo di senno verrebbe a bloccarmi in mezzo al corridoio per dirmi cose come questa, per mettermi in guardia su un'eventuale attacco ai danni della mia famiglia.

E la parte peggiore è che io lo guardo negli occhi e lascio che mi annienti con le sue parole, che mi uccida con i suoi sguardi freddi e che mi massacri con quel ghigno soddisfatto che continua a portarsi sempre dietro. Perché sono innamorata di lui e lo so, lo so benissimo che l'amore è anche questo: lasciare che abbia lui il coltello dalla parte del manico e aspettare che sferri il colpo di grazia.

Lo so, sì, ma so anche che è estremamente sbagliato.

Perché non è lui il James per cui ho perso la testa: lui è solo un duplicato, la versione peggiore che potessero creare, e non è a lui che permetterò di distruggermi una volta per tutte.

È facile a dirlo, certo, nonostante le lacrime sgorghino copiose sulle mie guance e io percepisca solo l'immenso desiderio di lasciare tutto e andarmene. Adesso capisco Sirius, quando quella sera voleva scappare da Hogwarts: la mia reazione forse è arrivata tardi, ma anche io come lui provo quel folle impulso di far finire una volta per tutte questa tortura.

Ma non lo faccio, perché sono stata io la prima a dirlo: non sono una codarda e le cose vanno affrontate di petto. Potrò piangere, versare tutte le lacrime che ho in corpo, pensare che questo mese si protenderà all'infinito e avere tantissimi momenti di sconforto. Di andarmene, comunque, non se ne parla.

Mi hanno sempre detto che bisogna lottare per le cose che si desiderano davvero, e la possibilità di far tornare tutto com'era una volta è sul serio il regalo più bello che potrei avere dalla vita. Non ci sarà nessuno, tuttavia, a portarmi questo lieto fine su un piatto d'argento: sono io stessa a dover lottare con le unghie e con i denti per andare a conquistarmelo. 

Perché, come dicevo prima, non è questo il James Potter che amo: non è quello che impugna la lama e che le prova tutte per colpirmi, per conficcarla nel mio fianco e guardarmi sanguinare con il sorriso stampato in faccia. Il vero James Potter è quello a cui io lascio volontariamente il pugnale dalla parte del manico e lui lo prende, per poi lasciarlo cadere per terra e accogliermi così, con i miei graffi e le mie debolezze.

Non per stuzzicarli un po' di più, ma amarli così come sono e per guarirli una volta per tutte.

Mi passo una mano sugli occhi e stringo un singhiozzo tra i denti, ma salendo l'ennesima rampa di scale vado a scontrarmi con una figura che intralcia il mio cammino.

«Lily.» esclama Sirius con l'apprensione nella voce, posando entrambe le mani sulle mie spalle e non esitando a stringermi in uno dei suoi rarissimi abbracci.

Non aggiunge altro, ma non è come se io e lui avessimo mai avuto bisogno di parole. Nel bene e nel male, sono sempre stati i gesti a fare da mediatori, tra noi due.

«Io...» riesco a malapena a balbettare, il petto ancora sconquassato dai singulti ma la consapevolezza di aver trovato la persona più giusta a cui mostrare questa mia momentanea fragilità. In fondo, è la stessa cosa che qualche giorno fa lui ha fatto con me.

«Va tutto bene Lily, va tutto bene. Nessuno di noi ti lascerà da sola.» riprende a sussurrare, rimanendo immobile qualche secondo, per poi staccarsi da me poco dopo. Le sue mani sono ancora sulle mie spalle e la sua bocca è piegata in un sorriso sorprendentemente dolce, intriso di quella stessa tenerezza da fratello maggiore che ritrovo anche nei suoi occhi ostinatamente puntati nei miei. «Anche a costo di legarti qui. Ricordi?»

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Capitolo 7
*** Sei. ***


Alice.

Non mi è mai piaciuta la notte.

Si sa che prima o poi, nella vita, ci si ritrova davanti a quei bivi dove a ciascuno viene chiesto di scegliere tra bianco e nero, tra luce e buio, tra giorno e notte. Ecco, mai come in quest'ultima settimana mi sono resa conto di quanto sia insopportabile il momento in cui il Sole cala e lascia il posto al manto nero del buio, che ricopre il cielo e inonda ogni città con il suo mare di inchiostro nero come la pece.

Il giorno è rassicurante, non c'è che dire: ho la luce, ho la frenesia dell'inizio di una nuova mattinata, ho mille cose da fare e la mente appesantita dagli infiniti pensieri che mi seguiranno per le successive ventiquattro ore. Il giorno è vita, è fatto per chi ama la confusione e odia stare in balia dei propri pensieri, specialmente quando questi minacciano di opprimere e di non lasciare tregua nemmeno per un secondo.

La notte chiaramente non è fatta per quelli come me, che da soli non riescono a starci neanche sotto tortura.

Trattengo un sospiro sonoro e mi rigiro stancamente nel letto, tirandomi la coperta fin sul naso e mordendomi l'interno guancia più forte che posso. Come sospettavo, per il tempo in cui le molle del mio materasso cigolano, dal letto accanto al mio cala di nuovo un silenzio disumano. Subito dopo, forse accertatasi che io stia dormendo - che sia per finta o meno, non ha la minima importanza - Lily riprende con il suo quieto pianto di prima.

I denti tornano ad affondare con forza nella mia guancia e poco alla volta sento in bocca il sapore metallico del sangue, ma non è come se la cosa avesse particolare rilevanza. Ora, quello che invece conta per davvero è il modo in cui continuo a sentirmi impotente di fronte al dolore che attanaglia la mia migliore amica.

È notte fonda, domani sarà di nuovo venerdì e dovremo affrontare due lunghissime ore di Pozioni con i Serpeverde, ma Lily seguita a singhiozzare per l'ennesima notte di fila e io non posso che assistere a questo terribile spettacolo che dilania me per prima. Ho gli occhi ben aperti nel buio e so che lei non può vedermi, rannicchiata com'è in tutti quegli strati di lenzuola e coperte, che comunque pesano meno del macigno che ha - che abbiamo - nel petto. Proprio all'altezza del cuore.

Tra poco si concluderà la prima settimana effettiva senza James al nostro fianco, ma i giorni sono trascorsi come a rallentatore e la paura di non farcela si sta insinuando poco alla volta persino nella mente di un'ottimista di natura come la sottoscritta. Di giorno cerco di sorridere, di infondere quel briciolo di positività anche nei miei amici, ma è proprio di notte che ogni mio scudo si sgretola irreparabilmente.

Fuori è buio e il peso di una guerra in cui siamo già dentro fino al collo si riversa su di me, che con le ginocchia al petto deglutisco e mi chiedo come sia possibile andare avanti in questo modo. La guerra è qui e ha il suono del pianto sommesso di Lily, ha il gusto delle Cioccorane che Peter offre a tutti noi quando ci vede più giù del solito, ha l'odore delle pomate che Remus è costretto a spalmarsi ogni giorno su quelle ferite orribili che ancora riporta sulla pelle e ha il colore degli occhi di Sirius, velati di lacrime a stento trattenute.

La guerra ha la forza della mano di Frank, che si aggrappa alla mia e cerca di non lasciarmi cadere in quel baratro da cui risalire potrebbe essere tremendamente difficile.

Ho diciotto anni e il solo pensiero di combattere - di doverlo fare ancora - mi spaventa come niente al mondo, questo non ho paura di ammetterlo. Ogni singola notte penso all'eventualità di trovarmi di nuovo faccia a faccia con quei volti coperti da orribili maschere, che sanno maneggiare così bene le loro bacchette e che non esitano a scagliare incantesimi mortali contro degli adolescenti come noi, che della vita abbiamo visto per ora solo una parte infinitesimale.

E poi c'è quella minuscola parolina, quelle cinque lettere che si attorcigliano su se stesse formando il sostantivo morte e che sono talmente potenti da lasciarmi senza fiato. Perché la morte, per la prima volta nella mia vita, è uno scenario da contemplare. La morte potrebbe sopraggiungere in un tempo relativamente breve, potrebbe sfiorare con la sua mano gelida Frank, Lily, tutti i miei amici. Persino me. Ed è questo, per l'appunto, che mi spaventa ancor più di una guerra che è talmente vicina da poter essere toccata con un dito.

Perché posso ancora essere una ragazza che gioca a fare la donna, che si ostina ad avere paura dei compiti in classe a sorpresa di Trasfigurazione e che ha la risata estremamente facile, ma sfortunatamente non sono sciocca abbastanza da non capire che, prima o poi, toccherà a me per prima combattere. E forse sarà l'incoscienza dell'età, sarà l'adrenalina che mi spinge a voler fare qualcosa di concreto, sarà che l'angoscia passa addirittura in secondo piano rispetto al mondo ingiusto in cui viviamo: il punto è che lottare in prima linea è per davvero una cosa che voglio fare con ogni fibra del mio essere.

Non è questo il mondo in cui voglio vivere, in cui voglio crescere. Mi sta stretta un'esistenza in cui sono obbligata a portarmi dietro come se fosse una seconda pelle la paura di perdere i miei cari, ma so che devo essere io la prima a darsi da fare per cambiare questa situazione. Ho una migliore amica che rischia giorno dopo giorno di fare la stessa fine che tocca quotidianamente a decine di altri Nati Babbani come lei, un ragazzo che ha già deciso di voler diventare Auror e di combattere per davvero in prima fila contro Voldemort e i suoi seguaci, dunque di certo non sarò io quella persona che se ne starà con le mani in mano ad aspettare che la serenità le venga portata su un piatto d'argento.

Perché la guerra fa paura, sì, ma niente è tanto spaventoso quanto il pianto saturo di dolore di un'amica che non si sa minimamente come aiutare.

***

Lily.

«Serena Light, la Tassorosso del settimo, mi ha detto che Lumacorno vuole fare una specie di concorso tra noi studenti dell'ultimo anno.» decanta Alice, mentre varchiamo la soglia dell'aula di Pozioni che, neanche a dirlo, è invasa dalla solita confusione causata della momentanea assenza del professore. «Hai presente, no? Quelle stupide gare che lui ama tanto organizzare e che non hanno nessunissima utilità, se non quella di aumentare la competizione tra le pareti di Hogwarts.»

«Sì, ne ho una vaga idea.» borbotto in risposta, abbassandomi di scatto giusto in tempo per schivare un libro lanciato da qualcuno di cui ignoro l'identità, la cui traiettoria pareva portarlo proprio verso la mia immacolata fronte.

Con un groppo in gola mi rendo conto che essere la ragazza del Cercatore migliore di Hogwarts ha fatto sviluppare persino in me dei riflessi non del tutto indifferenti, ma scaccio prontamente questo pensiero e mi focalizzo ancora una volta su Alice e sulla sua interminabile parlantina.

«L'ha già fatto con loro e con i Corvonero, ma lei non ha voluto dirmi nel dettaglio di cosa si trattasse.» riprende, scrollando le spalle e gettando malamente la borsa sul banco accanto al mio. «Al diavolo gli stereotipi delle varie Case, i Tassorosso si divertono per davvero più di tutti a fare i misteriosi.»

Alice parla tanto, questa è una constatazione innegabile che non possiede nemmeno una singola argomentazione in grado di confutarla. Alice parla tanto, parla di tutto, ed è un dettaglio del suo carattere che ho afferrato all'incirca il mio primo giorno qui al Castello, quando mi sono ritrovata seduta al tavolo Grifondoro accanto a quella ragazzina dagli occhi vispi e dalla chioma biondo cenere, che non la smetteva di cianciare su tutte le meraviglie celate tra le mura di Hogwarts, di cui i suoi cugini Gideon e Fabian le avevano tanto parlato quando era più piccola.

Ma va bene, mi è sempre andato bene così.

Quando sei una persona taciturna di natura - o, perlomeno, quando sai stare bene anche da sola con i tuoi silenzi - trovare una migliore amica che straparla per la maggior parte del tempo è forse una delle fortune più grandi che possano capitarti. A maggior ragione lo è dopo una settimana come questa, in cui la voglia di affrontare qualunque tipo di discorso, persino il più banale possibile, è davvero sorprendentemente minima.

Però c'è Alice, con il suo sorriso contagioso e la sua voce sempre pronta a riempire quel vuoto abissale che ho dentro, che oggi più che mai sembra percepire questo mio evidente malumore e le prova davvero tutte per tirarmi su. E ci riesce: a modo suo, certo, ma ci riesce.

«Fammi indovinare, quante boccette di Felix Felicis metterà in palio questa volta?» domando ironicamente, lasciandomi cadere sulla sedia accanto a lei e sbuffando silenziosamente.

«Spero poche, considerando che due delle tre in palio l'anno scorso le hai vinte tu.»

La voce di Sirius giunge dritta alle mie spalle, ed è voltandomi verso il banco dietro il mio che mi scontro con il suo sorriso impertinente e con i suoi occhi grigi sempre accesi di genuino divertimento.

«Sono ancora tutte sigillate, se te lo stessi chiedendo.» replico, sorridendo e inarcando un sopracciglio con aria compiaciuta.

«Errore da principianti, Lily: questo non dovevi dirglielo.» mi ammonisce Remus, puntando un dito contro la sottoscritta e assumendo quella sua solita espressione severa che è davvero buffa. «Solo Merlino sa con quante corde dovrò legarlo per impedirgli di mettere sottosopra la tua camera e cercare di rubartele.»

«Il letto sulla destra più vicino alla porta è il mio, quindi non toccare niente che sia là nei paraggi.»

«Tranquilla Alice, so bene che al massimo potrei trovare qualche scatto bollente di Frank. E niente di più.»

Scuoto la testa e lascio che un sorriso divertito mi spunti sulle labbra, mentre ascolto distrattamente la mia migliore amica inveire contro Sirius e la sua presunta incapacità di lasciare la dovuta intimità alle coppie felicemente fidanzate.

È strano il groviglio di emozioni che in questi ultimi giorni si sta creando nel mio petto, perché è una matassa talmente confusa da rendermi impossibile persino il fatto di scandagliarne e riconoscerne le varie parti che la costituiscono. Ci sono degli istanti in cui mi sento pervasa da una forza che mi obbliga a sollevare la testa, a pensare che tutto si risolverà per il meglio, a reagire. Ecco che allora lascio che il solito entusiasmo dei miei amici contagi anche me, riuscendo addirittura a scherzare come ho sempre fatto e, talvolta, persino a sorridere.

Poi sopraggiungono quelle volte in cui tutto, alla velocità della luce, precipita. Quelle volte come questa in cui i miei occhi si posano sulla sagoma di James, mentre entra in classe trafelato come suo solito - facendomi illudere un'ennesima volta che qualcosa, del vero lui, esista ancora - ed io aspetto impaziente che il suo sguardo corra a cercare il mio, che mi trovi in mezzo alla confusione di un banale venerdì mattina e che le sue labbra si aprano in quel suo sorriso contagioso e così sfacciatamente dolce da far paura.

Ma davanti a me non trovo niente se non un paio di iridi fredde, cupe, che emanano lampi di rabbia proprio nella nostra direzione, ed ecco che il sorriso che mi ero concessa di stirare se ne va via come se non fosse mai arrivato. Nella mia mente torna a farsi vivida la scena del nostro ultimo scambio di frasi, in mezzo al corridoio gremito di studenti, mentre la mia mano pizzica di nuovo al ricordo di quando è andata a cozzare contro quella guancia candida su cui, un tempo, era solo la mia bocca a posarsi.

Che ridicolo scherzo del destino: quello schiaffo che gli ho tirato davanti a buona parte della popolazione di Hogwarts è stata per davvero l'ultima volta che, anche solo per un istante, ci siamo sfiorati.

«Forza ragazzi, anche voi ultimi ritardatari. No, questa volta non ci pensate nemmeno a occupare i vostri soliti posti.» enuncia Lumacorno con un sorriso radioso, chiudendosi la porta dell'aula alle spalle e offrendomi il pretesto perfetto per non pensare più a tutti quei ricordi che sembrano essere deleteri per la sottoscritta. «Indovinate un po' cosa vi aspetta oggi?»

«Non sarà mica...»

«Proprio così, signor Jordan! Lavoro di coppia in arrivo.» risponde il professore, sfregandosi le mani e muovendo qualche passo tra i banchi con aria decisamente baldanzosa. «A cui si aggiunge una lotta all'ultimo sangue per la gloria personale.»

Lumacorno parla con un sorriso sulle labbra che stona davvero tanto con il brusio infastidito e le smorfie cariche di disappunto sparse per l'aula. Naturalmente l'entusiasmo che lo pervade non è condiviso da nessuno di noi, e altrettanto naturalmente non c'è anima viva che dubiti che l'ipotetica lotta all'ultimo sangue, in una classe di soli Grifondoro e Serpeverde, non sia poi uno scenario così utopistico.

«Vedi? Serena Light non mente mai.» asserisce Alice con convinzione, sfoderando quello sguardo da te-l'avevo-detto - come se poi io l'avessi contraddetta, per inciso - e inarcando un sopracciglio come a sottolineare quanto le parole della Tassorosso in questione siano a tutti gli effetti indubitabili. «Sostienimi in questa impresa titanica, per favore.»

«Avanti, cosa ci fate ancora fermi?» Ecco giungere Lumacorno davanti ai nostri banchi, mentre continua imperterrito a sorridere sotto i suoi spessi baffi grigi, distruggendo così ogni nostra più remota speranza. «Desidero le coppie dell'ultima volta. Se non ricordo male, con quelle combinazioni siete riusciti a contenere più del solito i vostri tentativi di far esplodere la mia aula.»

Finisce di parlare ed io mi blocco sul posto, lasciando che i sospiri di sollievo tirati da tutta la classe giungano alle mie orecchie con più violenza del previsto. Perché lo so che questa, in un'altra situazione, non sarebbe nemmeno una cattiva notizia: l'ultima volta che Lumacorno ci ha costretto a lavorare in coppia abbiamo tutti scelto autonomamente il nostro compagno, dunque la possibilità di trascorrere altre due ore accanto a qualcuno con cui c'è sintonia dovrebbe essere una gentile concessione più che gradita.

C'è però quel dettaglio non propriamente trascurabile secondo cui l'ultimo lavoro di coppia stabilito da Lumacorno risale alla metà di ottobre, vale a dire quando il mio mondo rispettava ancora quei canoni di normalità che da sempre mi sono imposta e quando niente mi era ancora crollato addosso. Ora, ecco, ora è tutta un'altra storia.

«Separate dal nemico, ancora una volta.» mi saluta distrattamente Alice con aria affranta, lanciandomi appena uno sguardo di sfuggita e raggiungendo Mary dall'altra parte dell'aula.

Non si accorge comunque che io resto immobile come se fossi stata pietrificata, mentre fisso gli studenti intorno a me prendere posto accanto ai rispettivi amici e, al contempo, sento un fastidioso ronzio cominciare a rimbombare nei miei timpani. Perché quello che è successo in occasione dell'ultimo lavoro di coppia, ecco, è stata pura follia.

E la decisione di Lumacorno di mantenere il proprio precedente compagno non può che essere una coincidenza di innegabile malignità.

***

James.

Mi sento un idiota in questo istante e non credo ci siano altre constatazioni di senso compiuto capaci di attraversarmi il cervello in un momento tanto critico come questo.

Tutti intorno a me sembrano sapere qual è il loro posto nel mondo e lo so che è una cosa stupida, lo so che si tratta di una ridicola pozione che Lumacorno ci obbliga a portare a termine con un presunto compagno di lavoro, ma so anche che è piuttosto inusuale il fatto che io abbia la mente completamente vuota e non ricordi affatto chi diamine fosse l'altra metà della coppia.

«Forza Severus, c'è l'ennesima E che ci aspetta.»

Mi volto verso Nicholas e lo vedo spostarsi velocemente in direzione di Piton, che intuisco essere il suo compagno, mentre Evan comincia a borbottare qualche imprecazione tra i denti riguardo l'incapacità di Mulciber di distinguere persino tra aconito e asfodelo - particolare che, a sua detta, comporterà un calo drastico nella sua media in Pozioni.

Io invece resto ancora qui, in piedi e con i palmi delle mani bene appoggiati sul banco, a guardarmi intorno e a chiedermi perché diamine tocchi sempre a me fare la figura dell'idiota davanti a tutti.

«Hai perso la bussola, Potter?» mi domanda Piton, fissandomi con una smorfia chiaramente disgustata stampata in volto e reclamando così il suo posto accanto a Nick. «Ti vedo un po' spaesato.»

«Sai,» comincio lentamente, voltandomi verso di lui e lanciandogli l'occhiataccia più infastidita che possiedo. «sto davvero cominciando a chiedermi perché diavolo tu sembri sempre così attento ad ogni singola cosa io faccia. Se sei ossessionato da me, Piton, possiamo parlarne.»

Fiero della mia rispostaccia pronta, lo osservo mentre assottiglia ancora di più le labbra e contrae la mascella, rivolgendomi uno sguardo così saturo d'odio che mi chiedo come sia possibile che un ragazzo all'apparenza così estraneo a me possa nutrire un tale astio nei miei confronti.

«La tua compagna è di là, James.» risponde invece Nicholas, facendo un cenno del capo verso l'altro lato dell'aula. «Purtroppo, l'ultima volta che Lumacorno ci ha lasciato formare le varie coppie eri ancora un Grifondoro.»

Non serve che aggiunga altro, perché tutto mi è già più che chiaro. Mi volto verso il punto da lui indicato, scontrandomi all'improvviso con la sagoma di Lily Evans che, lo sguardo ostinatamente fisso su un punto imprecisato davanti a sé, sembra essersi congelata sul posto. 
Ignoro quella morsa allo stomaco che pare assalirmi ogni singola volta che mi ritrovo costretto a passare del tempo con lei e comincio a dirigermi nella sua direzione, ostentando la mia aria più spavalda e decidendo che, per il bene di entrambi, la cosa più saggia da fare in queste due ore sarà quella di ignorarla come meglio posso.

Ma poi lei alza lo sguardo e lo posa su di me, i suoi occhi sono freddi come quella stessa mano ghiacciata che sembra comprimermi il cuore e il respiro mi si blocca istantaneamente in gola. Perché non basterà provocarla nel bel mezzo dei corridoi, non sarà sufficiente uno schiaffo esibizionistico tirato di fronte a mezza Hogwarts, né potremo mai accontentarci di queste occhiate apparentemente ostili che non esitiamo a rivolgerci: esiste comunque quel minuscolo filo, più resistente e forte di qualunque altra cosa, che continuerà a far crollare ogni muro da noi eretto anche quando meno lo vorremmo.

«Non osare fare niente di tua iniziativa, Potter. Quella brava in Pozioni sono io, quindi ascolta me e tutto andrà per il verso giusto.»

Parla senza nemmeno guardarmi in faccia, le mani che si muovono frenetiche sui barattoli disposti intorno al nostro calderone e gli occhi che scorrono febbrili sulla lista di ingredienti che Lumacorno ha appena fatto comparire sulla lavagna.

«Non trattarmi come se fossi un idiota, Evans. So cavarmela anche da solo.» ribatto a tono, aprendo il volume di Pozioni giusto per tenermi impegnato e guardandola con la coda dell'occhio, mentre emette un verso simile a uno sbuffo sarcastico e scuote la testa.

«Ma per favore, devo ricordarti come è andata a finire l'ultima volta?»

Vorrei dirle che , ricordarmi cosa diamine è successo l'ultima volta che abbiamo lavorato insieme sarebbe una mossa estremamente saggia, considerando che continuo ad avere la mente che somiglia ad un deserto arido e spoglio e la cosa, neanche a dirlo, mi sta mandando in bestia. Ma Evans finisce di parlare e si blocca di nuovo per lo spazio di un secondo, prima di voltarsi di scatto e dirigersi verso l'armadietto degli ingredienti in uno sventolio di capelli.

Resto immobile a fissare quella chioma scarlatta che ondeggia sulla sua schiena, appoggiandomi al banco e prendendo coscienza del fatto che la netta distinzione tra me e un imbecille con i fiocchi si sia ridotta in maniera esponenziale. Nello stesso istante Alice Prewett - l'amica di Evans che l'altro giorno, in mezzo al corridoio, me ne ha dette di tutti i colori - mi lancia uno sguardo particolarmente di fuoco, con cui sembra volermi far intendere che mi terrà d'occhio per le prossime due ore come se fosse la mia stessa ombra.

«Un banale antidoto per veleni comuni, ragazzi miei.» sta invece adesso decantando Lumacorno, mentre passa tra i banchi e dà un'occhiata a come procede la divisione in coppie. «Due cervelli per pozione dovrebbero essere sufficienti a non produrre un completo disastro.»

«È tutto molto bello, davvero, ma qual è il premio finale?»

Mi volto verso il punto da cui proviene la voce che ha appena parlato, constatando con orrore come non solo io sia costretto a collaborare Lily Evans, ma come se non bastasse nel banco accanto al nostro è seduto quell'idiota di Sirius Black.

«Sarebbe opportuno pensare prima a prendere il giusto calderone anziché quello in rame, signor Black. Il premio dovrebbe essere l'ultima delle sue preoccupazioni.» osserva Lumacorno con un sorriso gioviale, che sfocia in una risata estremamente divertita dopo che sul volto di Black spunta una smorfia sfacciatamente canzonatoria. «La possibilità di partecipare alle mie personalissime festicciole da qui fino alla fine dell'anno sarà la prima ricompensa, tanto per cominciare.»

Black sbatte le palpebre in totale staticità per qualche secondo, prima di voltarsi verso Minus e versare contemporaneamente qualche seme di solo-Merlino-sa-cosa nel loro calderone ancora vuoto.

«Perfetto Pete, possiamo anche non impegnarci.»

Scuoto la testa di fronte alle risate che riempiono questa sezione dell'aula e comincio a domandarmi quando diamine Evans abbia intenzione di tornare qui per iniziare a metterci al lavoro, perché c'è di nuovo una strana sensazione che sta cominciando a farsi strada in me e, ancora una volta, non è niente di piacevole. Va bene, non voglio azzardarmi a dire che potrei essere stato attraversato dall'impulso di ridere a causa della frase di Black e della sua espressione così provocatoria anche di fronte a un professore, perché so per certo che questo mio insensato divertimento è dettato innanzitutto dalla sua faccia da idiota colossale.

Perché ha questo sorriso sghembo che rende il suo volto completamente diverso da quello di Regulus e i suoi occhi grigi non sono freddi come quelli del mio nuovo compagno Serpeverde, ma hanno qualcosa che li illumina che mi è persino più familiare di qualunque altro dettaglio. Poi mi accorgo all'improvviso di essermi bloccato a fissare e a scandagliare la sua espressione divertita, ma non faccio in tempo a distogliere lo sguardo perché subito anche i suoi occhi si posano, come in automatico, sul sottoscritto.

So che non potrei distogliere lo sguardo dal suo nemmeno volendo, ma non è come se mi andasse di farlo: io resto immobile e Black fa lo stesso, le risate degli altri studenti che a malapena sono un sottofondo lontano e quel ghigno che continua ad aleggiare sulle sue labbra. Ancora una volta vorrei prendermi a pugni, perché c'è una parte di me che seguita a ripetere che la cosa giusta da fare sarebbe odiarlo per questi suoi atteggiamenti da sbruffone e da bambino che le prova tutte per far ridere gli altri, ma esiste ancora un'altra sezione del mio cervello che non fa che ricordarmi quanto tutto questo mi sia stranamente familiare, conosciuto.

«Signor Black, devo ammettere che la simpatia è per davvero una delle sue più grandi qualità.» commenta il professore, ridacchiando tra sé e scuotendo la testa. Soffoco l'impulso di dirgli che solo un idiota non si accorgerebbe che le parole di Black non erano affatto ironiche, ma che anzi forse non è mai stato prima d'ora più sincero di così, ma mi limito invece a spostare gli occhi da un'altra parte e ad ascoltare le successive parole di Lumacorno. «Naturalmente ci sarà un altro premio, ma si tratterà di qualcosa che svelerò solamente alla coppia vincitrice.»

«Eccoti Lily, stavamo giusto parlando di te.»

Evans piomba alle mie spalle e si limita a rispondere all'ennesima battuta di Black alzando gli occhi al cielo, posando poi tutti i barattoli con gli ingredienti sul banco davanti a noi.

«Al diavolo l'antidoto banale, questa preparazione richiederà più tempo del previsto.» borbotta, sfogliando rapidamente le pagine del libro di Pozioni e lasciandomi a chiedermi se stia parlando da sola oppure con me.

«Che diamine vuoi dire?» decido comunque di domandarle, provando a conquistarmi un minuscolo spazio in quella sfera che sembra essersi costruita tutta intorno.

Evans si convince infatti a staccare gli occhi da davanti a sé e li posa sul mio volto, sbuffando e scostandosi in seguito una ciocca di capelli che le era caduta davanti alla faccia.

«Voglio dire che saranno necessarie due settimane, Potter.»

«Due settimane?» ripeto, sgranando gli occhi ed eliminando ogni singolo spazio ai dubbi circa la mia effettiva incapacità o meno in questa materia.

«Significa semplicemente che bisognerà venire a controllare che la pozione stia riposando nel modo corretto.» specifica, usando un tono abbastanza seccato e trattandomi ancora una volta come se fossi io stesso l'idiota della situazione. «Ma a questo posso pensare benissimo da sola. Non è necessario mobilitare entrambi, se capisci cosa intendo.»

«Se non sbaglio la pozione sarà di entrambi.» ribatto a mia volta, incrociando le braccia al petto e concentrandomi sui gesti meccanici e precisi con cui accende il fuoco e sistema rapidamente la piccola bilancia di ottone. «Sai, non vorrei che una volta terminata ti prendessi tutti i meriti.»

Evans risponde al mio tono sarcastico alzando gli occhi al cielo, continuando a non degnarmi neanche di uno sguardo per i secondi successivi.

«Comincia a sminuzzare il bezoar, se non vuoi che mi prenda tutti i meriti come effettivamente dovrei fare.»

«Avanti Evans, ritira gli artigli.» commento un ghigno, facendo comunque come mi ha ordinato e provando per davvero a focalizzarmi sulla nostra preparazione.

È strano il mio rapporto con Lily Evans, strano in un modo che mi sconcerta e destabilizza come niente prima d'ora. È dall'episodio in corridoio che ci evitiamo vicendevolmente come il Vaiolo di Drago, limitandoci a lanciarci sguardi raggelanti le rare volte che ci incontriamo e a fare il possibile persino per non respirare la stessa aria. Poi però ci sono momenti come questo, in cui siamo praticamente obbligati a passare del tempo insieme e c'è questa sorta di muta complicità, questo rispondersi a tono che non è dettato da un reciproco fastidio, quanto piuttosto dall'annullarsi improvviso di ogni presunta forma di ostilità nei confronti dell'altro.

E sembra tutto maledettamente imprevedibile, come se da una conversazione con lei ci si potesse aspettare davvero di tutto: potrei sentire quell'impulso che mi spinge a prendermela con lei e rovinare ogni cosa, sognando poi per tutta la notte i suoi occhi feriti e così carichi di dolore da fare male. Oppure, potrei anche scegliere la strada tortuosa della conversazione civile e pensare che due ore dovranno pur trascorrere in qualche modo, quindi tanto vale provare ad alleggerirle per entrambi.

«Sei ancora arrabbiata per la storia dell'altro giorno?» mi ritrovo così a rompere il silenzio, sfoderando un'improvvisa gentilezza che stupisce me per primo.

Evans mi lancia una veloce occhiata al di sopra della bilancia, prima di distogliere ancora una volta lo sguardo da me e tornare a pesare qualche bacca di vischio.

«Dovrei esserlo?» chiede a sua volta, dopo qualche secondo di silenzio.

«Credo di sì.» replico con convinzione, senza avere nemmeno il tempo di stupirmi dell'inusuale naturalezza che sto usando nel parlare con lei. «Non ho avuto molto tatto con te e probabilmente dovresti davvero odiarmi. Penso...penso che potrei meritarmelo.»

Di nuovo mi ritrovo al suo cospetto mentre le parole fluiscono dalle mie labbra come un fiume in piena impossibile da arginare. La differenza, questa volta, sta però nel fatto che non sto parlando con l'intento di provocarla per il puro e perverso piacere di farla scattare. Adesso le mie parole nascondono un "Mi dispiace" che non riuscirò mai a pronunciare - c'è ancora quel lato del mio cervello che continua a urlare quanto sia sbagliato scusarsi con lei - ma comunque so benissimo che Evans ha già capito ogni cosa. Come se persino leggere tra le righe delle mie parole possa essere, per lei, una banale passeggiata.

Per l'appunto, lascia perdere all'improvviso la sua preparazione e adesso non c'è nessuna forza misteriosa che le impedisce di guardarmi dritto in faccia. Che i suoi occhi mi facciano uno strano effetto penso di averlo capito già da un pezzo, ma oggi ancora una volta hanno qualcosa di nuovo: forse una malcelata dolcezza che so per certo di non meritare, uno stupore probabilmente causato dalle mie parole così cordiali, una tenerezza che renderebbe impossibile persino qualunque mio tentativo di ribaltare la situazione e tornare ad essere lo stronzo di sempre.

Adesso è lei quella che ha il coltello dalla parte del manico, ma credo proprio che vada bene così.

«Cosa ti fa pensare che io non ti odi?» mi domanda all'improvviso, trattenendo a stento un minuscolo sorriso e inclinando lievemente la testa di lato.

C'è qualcosa che non va in quello che mi circonda, lo capisco adesso più che mai. Potrebbe essere colpa della strana luce soffusa prodotta dalle candele che a stento illuminano l'aula in penombra, potrebbero essere gli effluvi che cominciano a salire timidamente da tutti i calderoni, potrebbe essere la mia evidente inattitudine per questa materia che mi fa notare anche i più ridicoli dettagli.

Oppure potrebbe semplicemente essere colpa di Evans, che oggi ha due occhi più verdi del solito, mentre i suoi capelli sembrano essere veramente morbidi e ha un'espressione così angelica, così delicata, che all'improvviso mi lascia a domandarmi quale razza di mostro sarebbe capace di farla soffrire e restare impassibile di fronte a lei.

«Lo so e basta.» mormoro laconicamente in risposta, senza staccare gli occhi dai suoi. «Non hai lo sguardo di una persona che mi odia.»

«Semplicemente non do eccessiva importanza alle provocazioni di un idiota, Potter.» soffia piano, mantenendo sempre quel minuscolo sorriso soddisfatto. «Cosa che si traduce nella mia più totale indifferenza nei tuoi confronti.»

«Sarei io l'idiota in questione?» mi ritrovo a domandare, facendo istintivamente un altro passo verso di lei e riducendo così notevolmente i centimetri che ci separano.

Continuo a guardarla dall'alto in basso - merito naturalmente della mia considerevole altezza rispetto a lei - ma anche Evans, a sua volta, non esita a mantenere il contatto visivo con me e a incrociare le braccia al petto con tutta la fierezza del mondo.

«Precisamente.»

E sono solo frasi taglienti buttate qua e là, ma c'è qualcosa di diverso dagli altri giorni. Sono stato un idiota con lei e ne sono consapevole, ma era la rabbia a parlare per me e la provocazione di Piton di certo non mi ha aiutato. Adesso che sono di nuovo al suo cospetto, comunque, sento che non riuscirei a inserire nelle mie parole un briciolo d'odio nemmeno volendolo.

«Sei una bugiarda.» sussurro ancora, mentre ora sono le mie labbra ad arcuarsi in un sorriso vittorioso davanti alla sua fronte aggrottata per la confusione.

«Prego?»

«Sei una bugiarda.» ripeto ancora, il petto che quasi sfiora il suo e questa assurda sensazione che per poco non mi fa tremare la voce. «Non posso credere che in questo istante tu sia completamente indifferente

Non credo mi sia mai capitato di parlare senza connettere il cervello alla bocca, ma è una cosa che ultimamente mi succede spesso quando Lily Evans è nei paraggi. Questa volta è un nuovo istinto a prendere il sopravvento, comunque: è come se riuscissi a captare alla perfezione le emozioni che adesso si agitano nel suo petto, come se il suo battito cardiaco accelerato filtrasse direttamente nel mio corpo - o, più semplicemente, come se fosse il pallido riflesso del mio - e, ancora, come se in qualche oscuro modo io fossi stato addestrato a riconoscere nel dettaglio tutte le sensazioni che la vedono protagonista.

È un pensiero surreale e persino difficile da spiegare a parole, ma è proprio mentre lei resta qui, ferma a pochi centimetri da me, che sento irradiarsi qualcosa dal suo corpo e colpirmi lì, dritto nel petto. Non faccio però in tempo a riflettere su cosa diamine stia succedendo intorno a noi - tra noi - perché all'improvviso è una voce lontana e quasi inafferrabile a intromettersi.

«Lily, la pozione!»

È Alice Prewett ad aver parlato, questo lo so bene, perché con la sua voce concitata ha attirato l'attenzione di entrambi ed era davvero inevitabile che sia io, sia Evans ci catapultassimo all'istante verso il nostro calderone. Più precisamente, i miei riflessi da Cercatore non mi hanno tradito ed è la mia mano la prima a posarsi sul mestolo per girare la pozione e impedirle di gorgogliare fuori, magari sul nostro banco. Però non è la sola, perché io avrò anche una rapidità di movimento non indifferente, ma Evans è davvero imbattibile a Pozioni ed era logico che anche lei avrebbe fatto il possibile per salvare il nostro intruglio.

Così è anche la sua stessa mano a posarsi lì, proprio sulla mia, stringendola con talmente tanta intensità da provocarmi uno strano tremito e a costringermi a serrare di scatto le palpebre, sorpreso da questo impeto così inaspettato.

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12 ottobre 1977

«Lumacorno deve avere una consistente dose di artigli di drago da sniffare prima delle lezioni, non c'è altra spiegazione

Sbuffo e alzo gli occhi al cielo di fronte alla constatazione di Alice, che continua a fissare il professore con la fronte aggrottata e con un'espressione corrucciata che mi fa davvero venire voglia di scoppiare a ridere seduta stante.

«Solo perché ci ha lasciato scegliere il compagno con cui passare due lunghissime ore a sminuzzare corni di unicorno?» domando, fissandola a mia volta con le braccia incrociate e l'aria più derisoria del mio notevole repertorio.

«Non usare questo tono sarcastico con me, signorina.» borbotta lei in risposta, puntando un dito contro di me e parlando con il classico tono altezzoso dei rimproveri. «Vedrai che tagliare corni di unicorno sarà un'attività immensamente divertente, se fatta in mia compagnia

«Io non lo dubito, anche se avrei un favore da chiederti.»

Sono piuttosto certa di aver aperto la bocca per rispondere alla mia migliore amica, se non fosse che il mio campo visivo è appena stato interamente occupato da un ammasso di capelli neri e scompigliati e da un sorriso sghembo che ormai conosco come le mie tasche.

«Potter che va in giro a chiedere favori? Che immensa novità.» commento ironicamente, appoggiandomi al banco e ghignando apertamente verso il ragazzo che si è appena intromesso nella nostra conversazione.

Non sono stupita di trovare i suoi occhi ostinatamente fissi su di me, perché è più o meno dall'inizio dell'anno che il mio sguardo e quello di Potter non fanno che rincorrersi e inseguirsi in qualunque luogo del Castello.

Sono patetica. Sono dannatamente patetica, e la parte peggiore è che ne sono persino consapevole.

«Alice ha ragione, dovresti davvero darci un taglio con questo tono sarcastico alla Sirius.»

Ma non esiste davvero niente che io possa fare per combattere il mio essere così ridicolaperché andiamo, quando comincia a piacerti qualcuno, perdere il lume della ragione è sul serio il primo di una lunghissima serie di passi sul sentiero del suicidio. Se poi il "qualcuno" in questione è James Potter, ecco, arrivi anche a pensare che il lume della ragione non ti sia mai davvero completamente appartenuto.

«È Black che copia me, se vogliamo dirla tutta. Io sono sarcastica di natura e questo chiunque lo sa.»

Ma è anche vero che James Potter - Caposcuola e Capitano James Potter, se vogliamo essere precisi - ha deciso quest'anno di smetterla di eclissare la sua parte più bella e si è finalmente mostrato per il ragazzo innegabilmente dolce e buono che è, uscendo allo scoperto con quei suoi lati del carattere che nemmeno credevo esistessero e cominciando sul serio a mostrarmeli uno alla volta, senza remore e senza esitazione.

«Abbassa la voce, lo sai che se Padfoot ti sente rischiate di cominciare a discutere di nuovo come l'ultima volta.»

E persino a farmeli piacere, per Merlino.

«Ma è lui che...»

«Oh Godric, la volete smettere di parlare di Sirius?» ci interrompe Alice, portandosi le mani alle tempie e massangiandole con lenti movimenti circolari. «James, lo so che sei venuto qua per provarci con la mia migliore amica. E la mia risposta è sì, ti farò il favore di andarmene per lasciarvi finalmente da soli.»

Trattengo a stento una risata, scuotendo la testa e scambiando con Potter uno sguardo perplesso.

«Ali, ti scongiuro, stai urlando

«Ma vi prego, finitela di usare sempre Sirius come pretesto per flirtare.»

Con questa meravigliosa battuta conclusiva, la mia amica afferra la sua borsa e ci volta le spalle, lasciandoci ancora una volta da soli a fissarci con un sorriso divertito sulle labbra.

«È una Legilimens, vero?» mi domanda Potter, facendo il giro dei banchi per posizionarsi al mio fianco.

«È da un po' di anni che lo sospetto, in effetti.» rispondo con aria pensosa, scuotendo poi la testa e scrollando le spalle. «Dai, comincia a pesare sette grammi di pupille di anguilla.»

«Wow, pare proprio che le attività divertenti tocchino sempre a a me.» commenta sarcasticamentesenza perdere quel suo sorriso divertito che ricambio quasi in automatico. «E poi, per inciso, io non ho sempre bisogno di parlare di Sirius per provarci con qualcuno

Rido e gli lancio un'occhiata particolarmente significativatrovando ancora una volta ad attendermi quelle iridi nocciola così luminose da far paura. Se qualcuno mi avesse detto che lavorare ad una pozione con James Potter - vale a dire una delle persone meno capaci in una materia come questa - sarebbe stato per me fonte di immensa gioia, ecco, probabilmente sarei scoppiata a ridergli in faccia.

Il fatto è che passare del tempo con lui è diventato ora qualcosa di estremamente naturale e sono certa chiunque se ne sia ormai reso conto. Persino la sottoscritta.
Ho superato la fase della negazione più totale, in cui mi rifiutavo persino di ammettere di trovare piacevole la sua compagniaperché la ritenevo sul serio una constatazione fuori luogo che stonava con la mia intera vita.

Ma Potter è rimasto lì, nonostante i miei tentennamenti. Ha cominciato il nostro ultimo anno scolastico rivelandomi fin da subito quella sua parte più matura, più determinata e meno sbruffona, permettendomi di scorgere sotto quegli strati di arroganza e di egocentrismo un ragazzo con principi e valori ben precisi. Essere tutti e due Capiscuola ci ha consentito di trascorrere molto più tempo insieme durante le ronde, ed è stato allora che abbiamo avuto la possibilità di parlare davvero di tutto: Potter mi ha spalancato mille finestre che davano sulla sua vita di tutti i giorni ed è stato proprio così, aprendole lentamente una alla volta, che mi sono resa conto di quanto in verità non lo conoscessi affatto.

«Non l'ho mai dubitato, Potter.» gli do corda, senza trattenere un minuscolo sorriso. «Riesci a provarci con qualcuno anche quando sei sul punto di automutilarti.»

Come a conferma delle mie parole, il coltello con cui doveva tagliare qualche foglia di valeriana va a pungergli il pollice ed ecco che dal suo dito comincia a zampillare un minuscolo rivolo di sangue. Potter sfodera un'espressione sinceramente addolorata e si porta la mano davanti agli occhi, mentre io alzo la testa e mi volto completamente verso di lui.

«Non è stato carino da parte tua predire il mio dissanguamento senza fare una piega.» mormora, lanciandomi un finto sguardo di rimprovero che mi obbliga a ridere e ad alzare gli occhi al cielo.

«Fammi vedere.» replico con arrendevolezza, avvicinandomi a lui ancora di un passo e prendendo la sua mano tra le mie. Potter è qui a pochi centimetri di distanza da me e sorride, come se bastasse davvero solo questo a mettergli allegria. «Il grande e glorioso James Potter si fa davvero impressionare da un minuscolo taglietto?»

«È molto profondo.» specifica con aria solenne, facendomi scoppiare definitivamente a ridere.

E poi comincia a guardarmi in un modo strano, con quel mezzo sorriso sempre aperto sulle labbra e gli occhi che non si staccano dal mio volto nemmeno per un istante. Non mi dà fastidio essere guardata da lui, questa è una consapevolezza che ho acquisito completamente solo oggi. Mi piace entrare in una stanza qualunque e trovare le sue pupille fisse su di me, perché questo suo costante cercarmi è il perfetto riflesso di quello che sono io stessa a fare quando lui è nei paraggi.

Il suo sguardo mi dà tranquillità, quest'aria serena e spavalda che si porta sempre dietro non è affatto fastidiosa ed io lo so bene che sono veramente arrivata a un punto di non ritorno. Perché potrei sul serio stare così ancora a lungo, con la sua mano tra le mie - un ennesimo, sciocco pretesto per sfiorarsi - gli occhi fissi nei miei e quel sorriso che è davvero tanto vicino a me, a tal punto che devo trattenere l'impulso di sollevare un dito e sfiorare quella minuscola fossetta che ha sulla guancia sinistra.

«Forza Potter, direi che il tuo contributo a questa pozione può limitarsi al tenere un mestolo in mano e girare il contenuto del calderone.» lo prendo in giro, staccandomi definitivamente da lui e lasciando che la mia pelle riprenda il suo colore naturale.

«È così scarsa la tua fiducia in me?»

Scuoto la testa di fronte alla sua aria oltraggiata, tornando a sminuzzare la valeriana da lui lasciata incompleta.

«Diciamo che è più scarsa la mia voglia di prendere il mio primo Troll in Pozioni per colpa tua.»

«Non ti deluderò, Caposcuola Evans.» asserisce convinto, per poi mordersi il labbro e sorridere apertamente.

Gli lancio una veloce occhiata e lo vedo stringere tra le mani il mestolo con una concentrazione ai limiti del ridicolo, ma è di James Potter che stiamo parlando e, per lui, non è sufficiente nemmeno l'impegno in una materia come Pozioni in cui è davvero negato. Scuoto la testa ma non riesco a smettere di sorridere, mettendo la mano destra sulla sua e facendogli vedere come effettivamente dovrebbe essere mescolata una pozione.

«Ci hanno spiegato il corretto movimento più o meno al primo anno.» commento divertita, riflettendo sul fatto che, sebbene la sua presenza potrebbe sembrare solo di intralcio, la verità è che averlo accanto a me e sentire la sua risata è quanto di più bello possa esistere per cominciare una noiosa mattinata scolastica.

Potter non risponde e io provo a spostare la mano, certa che ormai possa essere perfettamente in grado di continuare da solo, ma le sue dita esercitano una certa pressione sulla mia pelle e mi costringono a restare immobile. Alzo gli occhi e vedo i suoi già fissi su di me, mentre mi guardano in un modo tanto intenso da farmi mancare, per un solo istante, il pavimento sotto i piedi. E non è solo la sua mano sulla mia, questo lievissimo sfiorarsi e la sensazione che la mia pelle abbia improvvisamente preso fuoco: è che il suo sguardo è davvero magnetico ed è esattamente con quello che riesce a toccarmi, ad accarezzare un punto imprecisato della mia anima.

Il punto è che questo effetto che mi fa non è normale in nessuno degli universi a me conosciuti. Non è affatto normale, perché Potter mi fa sentire vulnerabile semplicemente sfiorandomi una mano e questo non può essere per niente facile da accettare, soprattutto per una come me che ha sempre amato avere il controllo della situazione. Ma va bene così, in fondo: per una volta posso anche rischiare, aggrapparmi a quelle iridi nocciola così rassicuranti e a quel sorriso che non esprime altro se non una genuina dolcezza.

Per la prima volta nella mia vita, credo proprio che ne valga la pena.

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Sirius.

«Sto per dirlo, Argus.»

Questa dannata regola stabilita dalla McGranitt secondo cui, al novantanove per cento dei casi, le punizioni da me scontate devono per forza svolgersi la sera, rappresenta un punto del Regolamento di Hogwarts che bisognerebbe decisamente rivedere.

«Sto per dirlo a voce alta.»

Non che ci sia scritta per davvero sul suddetto regolamento, chiaramente. Ma lei sembra sul serio provare questo perverso piacere nell'obbligarmi a occupare svariate ore serali per riflettere sulle mie colpe, per espiarle e per redimermi infine una volta per tutte. In fondo, perché mai dovrebbe concedermi il lusso di un pomeriggio trascorso a lucidare tutte le coppe e le targhette della Sala dei Trofei, quando è una spassosa attività che posso svolgere tranquillamente nell'orario in cui il resto degli studenti dorme o, a seconda dei casi, dà festini illegali nelle rispettive Sale Comuni?

«Per la prima volta nella mia vita.»

Che queste suddette punizioni abbiano sempre il mio amico Gazza come denominatore comune, poi, è ormai un dato di fatto. Ed è sul serio una cosa assurda, perché non potrebbe andare peggio di così: io odio quel dannato custode che mi segue sempre come se fosse la mia stessa ombra, quel dannato custode odia me e solo Merlino sa quante volte mi ha minacciato di appendermi nel suo ufficio a testa in giù per una notte intera. È chiaro che allora le mie punizioni siano una tortura da entrambe le parti e la McGranitt è sadica, fottutamente sadica.

«Non sei curioso, Argus?»

«Non chiamarmi Argus, Black.» sputa il custode con diffidenza, lanciandomi un'occhiata disgustata che mi fa incrociare le braccia al petto per sottolineare la portata dell'oltraggio ricevuto.

«E tu non chiamarmi Black, Argus.» ribatto piccato, appoggiando la schiena alla parete del suo ufficio e alzando il mento con aria altezzosa. «Credevo che dopo tutti questi anni, un po' di confidenza fosse doverosa.»

«Preferisco mantenere le distanze da lei, Black. Per ovvi motivi.» ripete ancora, ed è assurdo come riesca a pronunciare il mio nome facendolo sembrare il peggiore degli improperi. «Dove si è cacciato Potter?»

«Era questo che volevo dire a voce alta, infatti.» riprendo di nuovo, sfoderando adesso un'espressione immensamente soddisfatta. «Per la prima volta nella mia vita non sono io ad essere in ritardo.»

Le labbra di Gazza si attorcigliano in un modo buffissimo che fa sembrare che abbia appena ingerito a forza uno spicchio di limone, ma non fa nemmeno in tempo a rispondermi perché la porta del suo ufficio si spalanca di colpo, catturando così la sua attenzione. Da essa ne fuoriesce quella chioma scompigliata che conosco come le mie tasche, mista adesso a quello sguardo stralunato al di là delle sue lenti tonde.

«Alla buon'ora, Potter. La punizione doveva cominciare esattamente...»

«L'allenamento di Quidditch è durato più del solito.» lo interrompe James, tirando fuori dalla tasca un foglietto stropicciato e lasciandolo cadere nelle mani del custode. «Qua ci sono le scuse da parte di Lumacorno.»

«Scuse o non scuse, questa sera la vostra punizione finirà venti minuti dopo.» enuncia Gazza, ghignando compiaciuto e facendoci strada verso la Sala dei Trofei.

«Frena un attimo, Argus, io sono stato puntuale.» ribatto a mia volta, perché non ho rinunciato alla mia doppia porzione di arrosto serale inutilmente: se sono arrivato in perfetto orario, di certo non me ne andrò via più tardi del dovuto.

«Andiamo Black, non mi dire che trascorrere qualche minuto di troppo in punizione con il tuo degno compare ti dà fastidio.»

Apro la bocca per rispondere a tono, ma la voce mi rimane incastrata in un punto imprecisato della gola e allora serro di nuovo le labbra, deglutendo piano. In una situazione normale Gazza avrebbe ragione, non c'è che dire: la McGranitt è sempre stata la prima a impedire a me e a James di scontare le infinite punizioni insieme, perché in un modo o nell'altro si sarebbero trasformate tutte in un'ennesima occasione per stare insieme e divertirci.

E lo so bene che dovrei essere contento di avere il mio migliore amico al mio fianco per una serata intera, ma c'è sempre da considerare il fatto che James non è più lui e questa punizione, in un modo o nell'altro, potrebbe sfociare nella tragedia. Non mi ha degnato di uno sguardo da quando è piombato al mio fianco, ma continua anzi a rimanere con gli occhi ostinatamente fissi davanti a sé e la mascella contratta, quasi stesse facendo il possibile per evitarmi come meglio può.

«Lo chieda a lui.» borbotto in risposta, certo che comunque nessuno dei due mi abbia sentito.

Credo che il mutismo selettivo di James non sia solo causato dall'odio intenso che attualmente prova per me - anche perché, a dirla tutta, se siamo finiti in punizione è colpa di entrambi - ma è anche dettato dall'episodio di questa mattina, che ha visto protagonisti lui e Lily. So che James potrebbe aver vissuto un altro ricordo del suo passato dimenticato, perché dal racconto di Lily ho capito che la reazione che l'ha colto quando le loro mani si sono sfiorate, durante la lezione di Pozioni, è stata molto simile a quella del giorno in Biblioteca insieme a Remus.

Il mio migliore amico non ha perso i sensi, certo, ma sicuramente ha captato qualche ricordo di Lily legato a loro due. Con questo si spiegherebbe perché ha trascorso le successive ore di lezione senza quasi rivolgerle la parola, tornando di nuovo a rabbuiarsi e ad annullare così quel minuscolo passo in avanti che sembravano aver fatto all'inizio della mattinata.

«Molto bene, entro mezzanotte tutta questa parete dovrà essere perfettamente lucidata.» stabilisce il custode, bloccandosi nella Sala dei Trofei e indicando con un gesto della mano l'infinita teca piena zeppa di coppe, medaglie e targhette ottenute dagli studenti più meritevoli di Hogwarts. «La professoressa McGranitt si è fatta giutare che non avreste usato la magia, quindi a me le bacchette.»

Ma eccolo, il bastardo, mentre ghigna soddisfatto e lascia che quella dannata gatta di sua proprietà approvi la sua cattiveria facendogli le fusa. Sbuffo infastidito e sbatto la mia bacchetta sul suo palmo della mano aperto, osservando James fare la stessa identica cosa e mormorare persino qualche imprecazione tra i denti.

«Vuoi darci una mano, Argus?»

«Là ci sono gli stracci e tutto l'occorrente per pulire, maledetti teppistelli.» decanta senza rispondermi, lanciandoci un ultimo sguardo disgustato e partendo alla volta della porta. «Io sarò qua accanto nel mio ufficio e verrò a controllare personalmente come procedono le pulizie.»

«La aspetteremo con ansia.» commenta James con tono affabile, sfoderando un mezzo ghigno che mi è tanto familiare da farmi mancare il respiro.

Perché è esattamente questo ciò che facciamo io e lui: finire in punizione, prendere in giro Gazza, instaurare questa muta complicità e trasformare queste ingiuste condanne nei nostri confronti in occasioni per divertirci. Perché lui ha usato il plurale e nemmeno se n'è accorto, ma ha comunque lasciato aperto uno spiraglio per includere anche me, per lasciarmi di nuovo entrare nella sua vita. Perché io sono ancora qui, che lo voglia o no.

«Olio di gomito, canaglie.»

Il custode si sbatte la porta alle spalle e ci lascia qui, da soli in questo piccolo stanzino polveroso, a guardare l'immensa teca di vetro con impotenza e a pensare a quanto diamine sia crudele la McGranitt per aver pensato ad una simile condanna. Poi James sbuffa e lo vedo chinarsi a raccogliere il primo straccio che trova per terra, borbottando qualche insulto rivolto a Gazza e passandosi distrattamente una mano tra i capelli.

«Io comincio da destra, tu fai un po' come ti pare.»

Inarco un sopracciglio e lo osservo mentre mi volta la schiena e inizia a pulire le prime targhette, senza impedire a un minuscolo sorriso di arcuarmi le labbra.

«Stai pensando sul serio di metterti al lavoro, Potter?» domando con un tono beffardo, posizionandomi dall'altro lato della teca e sedendomi per terra.

«Non ho intenzione di beccarmi una punizione nella punizione, se te lo stessi chiedendo.» ribatte stizzito, senza nemmeno guardarmi in faccia. «Quindi sì, pulirò queste dannate coppe e me ne andrò da qui il prima possibile.»

Merlino, chi è questo sconosciuto e cosa ne ha fatto del mio migliore amico?

«Scommetto che vuoi ignorarmi per tutta la serata.» riprendo invece io, mordendomi il labbro per non scoppiargli a ridere in faccia e appoggiando mollemente i gomiti alle ginocchia.

«Non sarebbe una cattiva idea, considerando che ogni volta che ti parlo mi viene voglia di prenderti ancora a pugni.»

Questa volta non resisto e scoppio a ridere sul serio, gettando la testa all'indietro e lasciando che questo suono riecheggi tra le pareti della stanza. Non c'è nulla di divertente e questo lo so bene, ma se provocarlo è l'unico modo che ho per sentirlo più vicino a me, non mi resta molto altro da fare.

Sentendo la mia risata, comunque, James si volta lentamente verso di me e aggrotta la fronte, rivolgendomi un'occhiata dubbiosa e vagamente infastidita.

«Lo vedi? Sei tu quello violento tra i due. E se siamo finiti in punizione è solo perché hai cominciato tu la rissa in corridoio.» gli faccio notare, senza perdere la mia espressione canzonatoria che so per certo lo farà innervosire.

«Questo perché quando sei tu a picchiarmi non c'è nessuno nei paraggi.»

«Ma io l'ho fatto per una buona causa.»

«Anche io.»

Rimaniamo qualche secondo a fissarci, io ancora con un mezzo ghigno sulle labbra e lui con gli occhi nocciola assottigliati, come se volesse mostrarmi così tutta la sua diffidenza nei miei confronti. Siamo ai lati opposti di una teca di vetro impolverata e sono pochi i metri che ci separano, sebbene in questi giorni James sia distante da me anni luce. Eppure è un attimo, uno solo, ma quando incrocio il suo sguardo ho la netta impressione che il mio migliore amico sia un po' più vicino.

C'è silenzio tra noi e nessuno si muove, ma non è come se ce ne fosse bisogno. Prego quasi che lui sia in grado di leggere i miei pensieri, di riuscire a captare anche qualche mio ricordo e tornare il mio Prongs di sempre, ma so bene che è ancora presto. Forse è vero che per un secondo mi è sembrato che questa distanza abissale che ci separa si fosse accorciata anche solo di qualche millimetro, ma nelle sue vene scorre ancora Magia Oscura ed io non ho molto da fare, se non aspettare pazientemente che ritorni da me una volta per tutte.

«Dai, muoviti.» rompe infine il silenzio, afferrando un altro straccio e lanciandomelo dritto in faccia con la sua solita precisione millimetrica. «Non sono l'unico che dovrebbe darsi da fare.»

Sbuffo e lo assecondo, perché effettivamente non dubito che Gazza potrebbe comparire da un momento all'altro e, se mi beccasse di nuovo a oziare, potrebbe decidere di fare come l'ultima volta e portarmi dritto dritto dalla McGranitt tenendomi per un orecchio.

«Però dovresti avere una punizione più grave della mia, considerando quello che hai detto a Lily l'altro giorno.»

Lo vedo irrigidirsi visibilmente alle mie parole e contrarre la mascella, perché so di aver toccato un tasto dolente e di aver fatto esattamente centro: parlare di Lily con Prongs in queste condizioni è rischioso, lo so bene, ma sono anche convinto che sia estremamente necessario.

«Quello che ho detto a Evans non sono affari tuoi.» sputa con rabbia, strofinando una coppa con più foga de previsto.

«Eccome se lo sono, considerando che le hai urlato quelle cose di fronte a mezza scuola.»

«Se sei qui per difendere la tua ragazza, sappi che non ho voglia di ricominciare a discutere.»

Mi volto di scatto verso di lui, strabuzzando gli occhi e lasciando cadere la spugna insaponata per terra.

«Aspetta un attimo.» riesco a scandire dopo qualche secondo di pausa, tornando a sorridere come se James avesse fatto la battuta del secolo. «Puoi ripetere?»

«Non fai ridere, Black.»

«Dico sul serio.»

Lo fisso ancora con chiara impazienza, ma lui sembra capire che non sto scherzando e infatti si volta verso di me, una smorfia chiaramente infastidita stampata in faccia e le mani strette a pugno.

«Ho detto che non ho voglia di sentirti straparlare per difendere la tua ragazza.»

«Ma parli di Lily?»

«Di Evans.»

«Quindi di Lily.»

Il mio giochetto non sembra divertirlo particolarmente, perché sbuffa e assottiglia di nuovo lo sguardo, come se nemmeno la momentanea assenza della sua bacchetta potesse impedirgli di Schiantarmi. Ed io, altrettanto automaticamente, non posso che scoppiare a ridere una seconda volta e pensare che potrà davvero succedere di tutto e il mondo potrebbe anche ribaltarsi all'improvviso, ma il mio James non cesserà di essere geloso della sua ragazza nemmeno tra cent'anni.

«Lily ed io non stiamo insieme.» enuncio infine, godendomi la sua aria stralunata e vagamente incuriosita.

«Sarebbe logico pensarlo, considerando che girate sempre insieme.» precisa James con un'espressione stizzita, mentre io scuoto la testa e rifletto su quanto il mio migliore amico sia per davvero un idiota con i fiocchi.

«Oh no, lei è più che altro come quella sorella minore rompipalle a cui però vuoi un gran bene, se capisci cosa intendo.» spiego con un cenno distratto della mano, prima di piegarmi verso di lui e abbassare il tono di voce con aria cospiratrice. «E se sei geloso, Potter, non è di me che dovresti preoccuparti.»

«Che diamine stai...»

«Bensì di Remus Lupin.»

Mi godo la sua espressione confusa e sfodero un sorriso divertito. Solo Merlino sa quanto Moony me la farà pagare, in occasione della luna piena di domani, quando stasera gli racconterò di questo episodio.

«Lupin?»

«Proprio lui.» ripeto, annuendo per avvalorare ancora di più la mia tesi. «Hai presente, no? I tipi tranquilli e taciturni come lui sono sempre quelli che fanno colpo sulle ragazze.»

«Ieri però l'ho visto diventare rosso quando Emmeline Vance gli ha raccolto una piuma da terra.» constata, rinunciando a qualunque proposito di pulire la teca e appoggiandosi con la schiena contro la parete.

«Sì, lo fa con tutte.» mento clamorosamente, annuendo ancora con aria esperta. Godric, mi sto davvero divertendo un mondo. «Perché è così che si costruisce quella facciata da bravo ragazzo.»

«Diamine, Remus Lupin dovrebbe davvero darmi qualche lezione di seduzione.»

Solo troppo tardi mi accorgo che le nostre voci si sono alzate di qualche ottava - è una cosa che succede all'incirca sempre, quando io e James facciamo conversazione - ed è proprio a causa di questo che la porta della Sala dei Trofei si spalanca di scatto, rivelando la sagoma del custode. Quest'ultimo sta brandendo una scopa come se fosse una spada e fa vagare lo sguardo su entrambi, forse sperando di coglierci in flagrante a fare chissà cosa, mentre noi ci riscuotiamo e in un nanosecondo torniamo a fingere di essere concentrati nella nostra occupazione.

«Cosa stavate facendo, delinquenti?»

«Niente.»

Ancora una volta le nostre voci si sovrappongono e ancora una volta i nostri sguardi tornano a incrociarsi, in questa sorta di tacita intesa che io e lui abbiamo da quando ne ho memoria. Il mio cuore salta un battito ed io mi ritrovo a deglutire, ancora con quelle iridi nocciola fisse nelle mie che ho sempre saputo leggere come fossero un libro aperto. E lo vedo chiaramente sgranare gli occhi, mentre mi guarda dritto in volto e probabilmente si domanda come sia possibile avere tutta questa complicità con una persona che sarebbe logico odiare.

Purtroppo lui non lo ricorda, che non sono solo una persona qualunque. Sono suo fratello.

«Non voglio più sentire le vostre voci. Forza, tornate a lavoro.»

Prendere ordini da Gazza è quanto di più ridicolo esista al mondo, ma certamente è meglio di continuare a sostenere lo sguardo così stralunato di James. Sbuffo piano e osservo il custode richiudersi la porta alle spalle, mentre Prongs scuote piano la testa e si rigira una targhetta commemorativa tra le mani.

«Certo che sei un tipo davvero strano, Sirius Black.»

Ha parlato a mezza voce e quasi tra sé e sé, come se il suo vero intento fosse quello di fare una constatazione con la sua stessa coscienza. Il punto, comunque, non è che mi ha dato del tipo davvero strano - affermazione dalle mille sfaccettature, per inciso - usando persino un tono sorprendentemente morbido e quasi dolce, per uno che sostiene fermamente di odiarmi.

Il vero punto della questione, è che per la prima volta da quando siamo qui ha pronunciato il mio nome per intero e io lo sapevo bene che avrei dovuto fare tardi anche a questa punizione, per fermarmi quantomeno a svuotare le tasche dell'uniforme che sto indossando.

Certamente mi sarei ricordato di togliere lo specchietto che porto sempre con me.

Siccome però quest'ultimo giace ancora nel fondo della mia tasca, la voce che da esso riecheggia è proprio quella di James e dal suo sguardo confuso e stralunato comprendo alla perfezione che anche lui deve averla udita.

«Black,» scandisce infatti, fissandomi con la fronte aggrottata dalla perplessità. «perché diamine la tua tasca parla e ha la mia stessa voce?»

***

James.

Ecco che di nuovo sento la frase da me appena pronunciata rimbombare fuori dai pantaloni di Sirius Black - è una frase fraintendibilissima e lo so bene, ma non esiste davvero un altro modo per spiegarmi decentemente - mentre lui mi fissa con gli occhi sgranati e in totale staticità, nella perfetta posa di chi è stato appena colto con le mani nel sacco.

«Non è la mia tasca a parlare, Potter.» spiega infine con arrendevolezza, infilando una mano ed estraendo quello che all'apparenza risulta essere un banalissimo pezzo di vetro. «È uno specchio.»

«Uno specchio.» ripeto automaticamente, ancora piuttosto sospettoso e senza comprendere minimamente come la replica di Black dovrebbe aiutarmi a schiarirmi le idee. «Uno specchio che ripete esattamente quello che dico io.»

Black sbuffa come se fossi io quello complicato e particolarmente tardo della situazione, ma intuisco chiaramente che adesso è a disagio. Lo vedo dal suo sguardo sfuggente, da questo modo ostentato di alzare gli occhi al cielo e dalle mani che non la smettono di torturare quel piccolo frammento di vetro che ancora stringe tra le dita.

«È una storia lunga e non credo che tu voglia sentirla tutta.»

«Lo voglio eccome, invece.» ribatto prontamente, perché se Black possiede un oggetto che parla con la mia stessa voce non può certamente essere nulla di positivo.

«È una cianfrusaglia che ho trovato tempo fa a casa mia.» mormora in risposta, muovendo la mano come a voler scacciare un insetto immaginario. «Serve...per comunicare.»

«Comunicare?» ripeto ancora, lo scetticismo che aumenta a dismisura e la netta sensazione che quello che scoprirò di qui a poco non mi piacerà affatto. «E con chi?»

Adesso Black mi fissa di nuovo, ma lo fa in un modo diverso dal solito: ha la bocca dischiusa e sembra quasi volermi implorare di non continuare a fare domande, di non aggiungere altro, come se questa fosse una situazione per lui insostenibile. Di colpo vedo però i suoi occhi illuminarsi di uno strano luccichio e un impercettibile sorriso gli arcua le labbra, mentre il suo sguardo va a posarsi sulla mia tasca dell'uniforme.

«Prova a guardare cosa c'è là dentro.»

Non so perché io lo stia ascoltando, non so perché io continui a dargli corda, ma in automatico la mia mano corre ad affondare nella tasca destra dei miei pantaloni, là dove c'è sempre stato qualcosa che non mi sono mai preso la briga di tirare fuori - come se fosse sempre stata una sorta di appendice, un oggetto che si trovava in quel punto perché doveva stare lì. I miei occhi sono ancora fissi in quelli di Black, ma nell'esatto istante in cui le mie dita sfiorano ciò che intuisco essere un secondo frammento di vetro, ancora una volta quella sensazione di vertigine mi assale ed è di nuovo tanto forte da farmi serrare di scatto le palpebre.

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3 gennaio 1972

«Giuro su Godric che non passerò mai più un Natale a casa mia.» asserisce James con convinzione, buttando di peso il suo baule sul letto e cominciando a tirare fuori tutti quei vestiti giunti ad ampliare il suo guardaroba invernale.

«È stato così terribile?» domando a mia volta, sdraiandomi sul mio materasso e incrociando le braccia dietro la testa.

Mi viene quasi da ridere nel fargli questa domandaperché conosco il mio amico da soli quattro mesi, ma so già con la massima certezza che il suo Natale, a differenza del mio, non può essere classificato nel settore delle vacanze terribili.

«Un incubo.» ripete ancora lui, sfoderando quel broncio che mi fa quasi scoppiare a ridere e continuando a trafficare tra i suoi oggetti con gesti meccanici e affrettati. «Tutte quelle prozie bavose che continuano a pizzicarmi le guance quando sanno benissimo che mi dà fastidio, mia nonna che ha bruciato il polpettone, una cugina mai vista prima che per non rovinarsi la gonna ha rifiutato di fare una partita a Quidditch con me...»

«Terribile.» commento ironicamente, sfoderando un sorriso divertito quando lo vedo annuire con vigore nella mia direzione.

Mi era mancato da morire il mio migliore amico. Sono state solo poche settimane di vacanza, certo, ma la lontananza da lui pesava più di un macigno e non sono bastate nemmeno le continue lettere che ci scambiavamo tutti i giorni per alleviare almeno un po' la malinconia della distanza. Non me n'ero mai accorto, prima di oggi, ma adesso una quotidianità senza James mi sembra persino strana, vuota.

Svegliarmi senza sentire i suoi borbottii sconnessi e senza vedere i suoi capelli sparati da tutte le parti, trascorrere le giornate senza parlare minimamente di Quidditch o di Lily Evans, non vivere in funzione di organizzare bravate contro quel Serpeverde dai capelli untissimi o, più in generale, contro tutti i suoi compagni di Casa...ecco, questo è stato sul serio difficilissimo da sopportare.

«Però papà mi ha fatto fare un giro su una Tornado. Una vera Tornado, capisci

Certo, c'è anche da aggiungere che la mia famiglia non ha contribuito molto ad alleviare questo costante senso di nostalgia di Hogwarts. Non ha contribuito per niente, se vogliamo essere più precisi: ho trascorso il novanta per cento di queste vacanze chiuso nella mia stanza, con la sola compagnia di Regulus, perché stare in compagnia dei miei genitori significava sopportare giorno e notte il peso dei loro sguardi carichi d'odio e di disprezzo, dei loro sussurri disgustati circa il loro primo figlio capitato proprio tra i Grifondoro, disonore della famiglia e di un'intera Casata pura da generazioni intere.

«La scopa che vuoi comprare tu, giusto?»

«Quella che comprerò di certo, Sirius. Appena entrerò in squadra sarà mia.» ribatte con determinazione, saltando poi a sedere sul suo letto e lanciandomi un involucro di carta. «Tieni, è una fetta di torta al cioccolato che ha fatto mamma. Mi ha detto espressamente che voleva che l'avessi tu.»

Lo fisso con gli occhi sgranati e con il pacchetto ancora stretto tra le mani, sinceramente sorpreso da questo gesto così carino e disinteressato da parte di una donna che nemmeno conosco. E all'improvviso sento un lieve rossore imporporarmi le guanceperché naturalmente i miei genitori nemmeno hanno pensato a lasciarmi qualcosa per James - non sanno neanche della sua esistenza, a dirla tutta, perché non si sono neppure preoccupati di domandarmi se avessi degli amici qui al Castello - e tutto questo è dannatamente sbagliato, se confrontato con la gentilezza smisurata della famiglia Potter.

«Io...grazie.» borbotto imbarazzato, cominciando a scartarla e facendo il possibile per non incrociare lo sguardo di James.

«Figurati, non è niente.» replica con una scrollata di spalle, togliendosi la maglia per infilarsi il pigiama. «Tu che mi racconti?»

Questa è un'altra cosa che tanto adoro di lui: non mi fa mai domande dirette sulla mia famiglia. Io per primo non ho mai amato particolarmente parlarne, se non per accennare qualcosa sull'odio smodato che i miei genitori provano per tutti i Grifondoro e, di conseguenza, per il sottoscritto, ma James questo l'ha sempre compreso e non mi ha mai forzato a raccontargli nel dettaglio del mio rapporto con loro.

Ha certa una delicatezza nel rapportarsi con me, come se mi prendesse sempre con le pinze, che quasi mi fa sorridere. Sa bene che essere mio amico significa camminare sui carboni ardenti, significa avere a che fare con un ragazzino impulsivo che scatta alla minima provocazione, ma non è come se a lui importasse particolarmente: mi vuole bene così come sono e sa esattamente come prendermi, come relazionarsi con me, proprio come se il mio carattere burbero e scontroso non gli pesasse minimamente.

Mi vuole bene, questa è una delle poche certezze che ho nella vita.

«Ho una cosa da farti vedere.» dico all'improvviso, saltando giù dal letto e ricordandomi solo ora di quell'oggetto che ho portato qui da Grimmauld Place e che mi ero ripromesso di far vedere a James.

Comincio a rovistare nel mio baule, mentre il mio amico riprende a cianciare di qualche parente particolarmente odioso che ha insultato i Cannoni di Chudley o qualcosa de genere. Tiro fuori maglie, calzini, pantaloni e oggetti vari, prima di reperire sul fondo del baule un piccolo pezzo di stoffa nel quale, prima di partire, ho avvolto questo cimelio fenomenale.

«Guarda qua.» enuncio soddisfatto, posandolo sulle gambe di James e osservandolo mentre lo scarta con impazienza.

«Se è di nuovo qualcosa che mi esplode in faccia, ricordati che l'ultima volta avevi giurato che la prossima vittima sarebbe stata Remus

«L'ho giurato e infatti sarà così.» dico tra le risate, sedendomi sul letto al suo fianco. «Dai, muoviti

James toglie tutti gli strati protettivi e finalmente estrae dal pacchetto quei due pezzi di vetro tanto preziosi, che comincia a osservare con attenzione e persino con una punta di scetticismo.

«Lo so che dici sempre che sono egocentrico, ma abbiamo già uno specchio in bagno e io non vado in giro a...»

«Merlino, non è uno specchio normale.» lo interrompo con uno sbuffo, prendendone uno e lasciando l'altro tra le sue mani. «Sono specchi gemelli. Li abbiamo provati io e Regulus nelle vacanze.»

«Forti!» grida James, la cui attenzione è già stata completamente assorbita dall'oggetto che ha in mano. «Come funzionano

«Tienilo in alto davanti a te e prova a dire il mio nome completo

«Sirius sono-un-idiota- Black.» decanta soddisfatto e tra le risate, mentre io alzo gli occhi al cielo e lo spingo senza troppi preamboli contro il materasso.

«Fai il serio, James, oppure questi specchi me li riprendo io.»

«No, va bene, stavo scherzando.» si ricompone, gli occhi ancora luminosi e quel costante ghigno beffardo stampato sulle labbra. «Sirius Black.»

Come avevo previsto, sullo specchio di James fa la comparsa uno dei miei occhi grigi e metà del mio sorriso appagato, mentre lui spalanca la bocca e si volta a fissarmi.

«Ci sei tu!»

«Sei un acuto osservatore.» lo prendo in giro, mostrandogli il suo stesso volto strabiliato riflesso nel mio specchio. «Visto? Posso sentire anche quando parli.»

James stringe ancora il suo specchio tra le mani e fa vagare lo sguardo dall'oggetto a me per qualche secondo, prima di alzarsi di scatto dal letto e uscire repentinamente dalla stanza, sbattendosi la porta alle spalle. Scuoto la testa con un sorriso divertito, mentre dal mio specchietto posso chiaramente vedere gli occhi sgranati di James, che si trova adesso in mezzo al corridoio del nostro dormitorio.

«Mi senti?»

«Ti sento.» confermo, ridendo di fronte al suo stupore.

«Ma bene?»

«Forte e chiaro.»

«Dannazione Sirius, ti sento benissimo anche io!»

James spalanca di nuovo la porta della nostra stanza e piomba di nuovo davanti a me, un sorriso sorpreso sulle labbra e gli occhi accesi di un genuino divertimento. Poi si passa una mano in mezzo a quella matassa aggrovigliata che ha in testa, sempre tenendo lo specchio su un palmo della mano, quasi fosse un tesoro prezioso.

«Sono forti, vero?»

«Diamine se lo sono! È la svolta, Sirius, capisci? Possiamo usarli per comunicare tutte le volte che non siamo insieme.»

«Cosa che succede molto raramente, considerando che sei sempre in mezzo ai miei piedi.» dico sarcasticamente, tornando a sdraiarmi sul letto e posando di nuovo lo specchio sul mio comodino. «Comunque voglio che uno dei due lo tenga tu.»

«Ne sei sicuro?»

«Naturale.» stabilisco convinto, perché neanche volendo riuscirei a immaginare una persona migliore di lui a cui affidare questo piccolo tesoro. «Promettimi che lo porterai sempre con te.»

«Lo giuro.» afferma con aria solenne, alzando il mento e infilando lo specchietto nella tasca della sua uniforme. «Sarà sempre qua. Così ogni volta che avrai bisogno di me, ti basterà chiamarmi e vedrai comparire la mia faccia. Una meravigliosa visuale, eh?»

Sorrido impercettibilmente, scuotendo piano la testa e pensando che, se solo James avesse avuto questo specchio da prima delle vacanze di Natale, probabilmente non l'avrei lasciato libero nemmeno un secondo. In fondo, comunque, so bene che questo minuscolo oggetto è una semplice formalità: non serve pronunciare il nome del mio migliore amico per fare in modo che corra in mio aiuto, quando è così chiaro che James resterà al mio fianco ogni volta che avrò bisogno di lui.

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«Dovete smetterla.»

Biascico queste due parole con la massima difficoltà, sentendo la voce impastata e il respiro che ancora è rimasto lì, bloccato in un punto imprecisato della mia gola.

«Stai fermo, hai appena perso i sens-»

«Dovete smetterla!» urlo ancora, tirandomi finalmente su a sedere e ignorando il forte giramento di testa che, ancora una volta, mi ha colto alla sprovvista.

Sono sempre qua, sono sempre sdraiato sul pavimento polveroso della Sala dei Trofei, nella mia mano destra stringo ancora quello straccio con cui avrei dovuto scontare la mia punizione e Black seguita a stare qui, seduto davanti a me, la mano che mi sorregge la testa e uno sguardo preoccupato a incendiargli gli occhi.

Scosto bruscamente il suo braccio e mi appoggio alla parete alle mie spalle, respirando affannosamente e sentendo il solo, fortissimo impulso di piangere. C'è qualcosa che non va in me e lo so, l'ho compreso da quella volta in Biblioteca con Lupin, quando mi è sembrato di aver rivissuto un episodio del mio passato che non ricordavo affatto. Oggi è successa la stessa cosa in classe con Evans, sebbene in maniera più lieve e senza questa strana sensazione di svenimento, ed ecco che lo stesso episodio ricapita qui, in punizione con Black.

«Non so di cosa tu stia parlando.» scandisce lui, la mascella contratta e gli occhi fissi nei miei.

«Oh, sì che lo sai bene.» Mi alzo di scatto e lo vedo fare lo stesso, mentre stringo le mani a pugno e cerco invano di calmarmi. «Lo state facendo tutti di proposito. Tu, Evans, Lupin...cosa diamine vi ho fatto, mh?»

«James, cosa...»

«Non chiamarmi James!» grido, non resistendo all'impulso di dargli uno spintone. «Tu sei un estraneo per me, sei uno sconosciuto e io ti odio, ti devo odiare!»

«No che non devi, maledizione!» urla lui a sua volta, restituendomi la spinta e respirando affannosamente come me. «Cosa hai visto? Avanti, dimmelo se hai coraggio!»

«Io non ho visto niente e non so cosa state facendo voi a me, quale diamine di incantesimo state usando per farmi soffrire, per farmi stare male e confondermi ancora di più!» ribatto con lo stesso tono, arrivando a pochi centimetri da lui e provando a trasmettergli con lo sguardo tutta la rabbia che ho in corpo. «Se volete vendicarvi, se volete farmela pagare per qualcosa, sappiate che avete già vinto. Continuare è inutile.»

Black scuote la testa e sfodera di nuovo quel suo sorriso amaro, mentre io sento ancora una volta l'impulso di allontanarlo da me a suon di spintoni.

«Così saremmo noi i cattivi della situazione, non è vero?» domanda retoricamente, abbassando all'improvviso il tono di voce fino a sussurrare.

«Vi state prendendo tutti quanti gioco di me.»

«Perché, allora, quello specchio era ancora nella tua uniforme?»

«Io non so chi diamine l'abbia messo!» torno a urlare, tirando un calcio alla prima sedia che incontro nel mio cammino e pregando che il custode, almeno questa volta, non piombi a rovinare tutto.

E poi Black torna a ridere di nuovo e io vorrei ammazzarlo, perché lo vedo benissimo che è un sorriso falso e non lo so, non lo so se questa sua ostentata presa in giro faccia più male a me o a lui.

«È sempre stato lì.» decanta infine, guardandomi ancora negli occhi e tornando ad una parvenza di serietà. «Sempre. Lo porti sempre con te, James Potter. Anche se lo fai inconsciamente.»

Senza che io nemmeno me ne accorga, le mie dita tornano ad affondare nella tasca dei miei pantaloni e trovano lo specchietto ancora lì, un'assurda costante in mezzo a tutta questa momentanea confusione. Spingo un po' di più la mano contro il vetro e arrivo persino a tagliarmi l'indice con lo spigolo appuntito, pensando che non avrò mai una conferma più reale e concreta del fatto che non si tratti di un sogno.

E vorrei prendere quello specchietto e spaccarlo a terra, questo lo so bene, perché odio così tanto Sirius Black, il suo sorriso impertinente e quest'aria di trionfo che si porta sempre dietro. Ma al tempo stesso capisco che i suoi occhi sono sinceri e lo so che non mi sta mentendo, lo so benissimo, e ha ragione quando dice che ho sempre portato questo oggetto con me in maniera del tutto inconsapevole, quasi meccanica.

Ed è vero anche questo: per quanto io non sopporti Sirius Black, per quanto apparentemente questi specchi gemelli siano degli oggetti che, in qualche modo assurdo e inconcepibile, ci uniscono, io non riuscirei a mandare in frantumi il mio nemmeno volendolo.

 

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Capitolo 8
*** Sette. ***


Regulus.

Serro i palmi delle mani intorno al legno gelido della mia scopa, rendendo la presa delle mie gambe ancora più salda intorno al manico e distendendo ripetutamente le dita coperte dai guanti di cuoio, per far passare questo fastidioso intorpidimento. Scendo in picchiata di qualche metro e guardo Nicholas stringere la Pluffa tra le mani, per poi lanciarla esattamente nell'anello centrale, facendo sì che l'attrito con il vento gelido produca un fruscio sonoro.

Un'ennesima folata mi sferza il volto e io alzo gli occhi verso il cielo scuro, pensando che certamente questo venerdì - il giorno della partita, neanche a dirlo - ci sarà la classica bufera che renderà la mia ricerca del Boccino un'impresa davvero titanica. Poi il mio sguardo viene catturato da quel preciso puntino che vola sopra di me più veloce del vento, i capelli scompigliati visibili addirittura fin da qui, con davanti a sé quello sfavillio dorato che percorre ogni centimetro libero di campo. Proprio sul più bello, comunque, il suo braccio destro si protende in avanti ed eccolo lì, il Boccino stretto esattamente tra le sue dita.

È che questa, naturalmente, non è nemmeno una scena così inusuale: James Potter che cattura il Boccino d'Oro è quanto di più banale e meno sorprendente esista al mondo. Certo, a renderla più sconvolgente è forse il fatto che, mai prima d'ora, nessuno l'aveva visto farlo con indosso una divisa verde e argento.

«Bene, per oggi può bastare.» urlo, stringendo il fischietto tra le labbra e soffiando due volte per sancire così la fine dell'allenamento.

Comincio a scendere verso il campo e vedo i miei giocatori e le riserve fare lo stesso, tutti stremati dal freddo di fine febbraio che non costituisce propriamente lo scenario perfetto per una preparazione di due ore in vista dell'imminente partita. C'è ancora questo dannato vento che fischia imperterrito intorno a me, ma non è comunque sufficiente a impedirmi di sentire quelle urla che, a mano a mano che scendo con la mia scopa, si fanno sempre più alte.

«Te lo ripeto, Selwyn: ti devi svegliare.» sta per l'appunto gridando Nicholas, la durezza quasi palpabile nel tono di voce e gli occhi neri assottigliati dalla rabbia. «È l'unica soluzione. O ti svegli prima della partita, oppure così non si va avanti.»

«Non ne prendi una.» rincara la dose Damian, grugnendo mentre brandisce la sua mazza da Battitore e riducendo così drasticamente la linea sottile che separa lui da un prototipo di uomo delle caverne.

«E l'ultima volta potevamo anche scusarti, perché pioveva e c'era un tempaccio orrendo, ma oggi...»

«Mi dispiace.» mormora Selwyn, interrompendo il discorso di Daisy Warrington con un tono stizzito e mortificato al tempo stesso.

«Al diavolo le scuse, noi...»

«Che sta succedendo?» mi intrometto all'istante, scendendo di scatto dalla mia scopa e dirigendomi a passo di marcia verso il gruppetto che ormai si è creato al centro del campo. Volto piano la testa alla mia destra, constatando come anche James abbia appena fatto lo stesso e sia giunto adesso ad affiancarmi.

«C'è che Selwyn è un incapace, ecco cosa.» risponde aspramente Nicholas, ricevendo svariati cenni di assenso. «Non fa un passaggio giusto e non segna nemmeno se preghi Morgana in ginocchio.»

«Possiamo per favore abbassare i ton-»

«Non mi pare di essere stato l'unico a sbagliare qualcosa, oggi.» ribatte Selwyn, interrompendomi e alzando la testa per recuperare tutta la sua dignità.

Ha quindici anni ed è il più giovane della squadra, dunque era abbastanza logico che, fra tutti, Nick decidesse di prendere di mira esattamente lui. Perché fa davvero sempre così: cercare un capro espiatorio, aizzare tutto il suo gruppo contro quest'ultimo e crearsi intorno quell'aura invincibile, esercitando terrore sulla vittima in questione e godendo quanto questa, come nel caso di Selwyn, ha difficoltà a controbattere perché si mostra nettamente più debole.

Non mi è mai piaciuto questo lato del suo carattere, ma è anche vero che non è un caso se io sono un Serpeverde fatto e finito: so che qualunque Grifondoro non esiterebbe a ribaltare la situazione e a rimettere Nick al suo posto, prendendo le difese del vero anello debole del gruppo, ma io non posso farlo. Non sono coraggioso abbastanza. Preferisco starmene nel mio, tenermi lontano quanto basta da questi momenti di esagerata tensione e pensare alla mia incolumità, piuttosto che a quella degli altri.

«C'è una netta differenza tra lo sbagliare un singolo passaggio e non azzeccare niente per tutto l'allenamento, Selwyn.»

Ma è anche vero che oggi è tutto diverso. Perché adesso alla mia destra c'è qualcuno che Grifondoro lo è per davvero fino al midollo, anche se non lo sa. C'è qualcuno che si è appena avvicinato a Selwyn e l'ha fatto nella maniera più inconscia e naturale possibile, ponendosi al suo fianco repentinamente, perché ancora una volta l'istinto protettivo ha avuto la meglio su di lui.

C'è qualcuno chiamato James Potter, che potrà anche avere la mente offuscata e annebbiata da un Incantesimo di Memoria, ma che continuerà sempre a prendere le difese di chi ne ha davvero bisogno, proprio com'è nella sua natura.

«Resta il fatto che se sono in squadra...»

«Se sei in squadra è solo perché tuo padre è in buoni rapporti con quello di Regulus.» lo interrompe bruscamente Mike Bletchley, Portiere, suscitando la risata sguaiata e un cenno di approvazione da parte di Nicholas.

«Questo non è affatto vero.» mi intrometto definitivamente e con voce ferma, perché Selwyn sarà anche un idiota colossale e tutto, ma di certo non si è comprato nessunissima ammissione in squadra e l'unico ad averlo voluto qui, fra noi, sono stato proprio io.

«Non mi pare che le sue condizioni siano così disastrose.» soggiunge James, la voce ferma e perfettamente sicura di sé. «Niente che non si possa risolvere con un po' di allenamenti intensivi.»

«Tu sei troppo buono, James Potter.» decanta Olivia Bole, rivolgendogli un sorriso stucchevole e mulinando la lunga chioma corvina.

«Fosse per me, gli allenamenti intensivi li sognerebbe e basta.» afferma Nick, con un ghigno beffardo stampato sul volto che è solo il pallido riflesso della sua reale cattiveria. «Sarebbe da buttare a calci fuori dalla squadra. E a testa bassa.»

«Basta così.» asserisco con convinzione, riempiendo questo vuoto di silenzio e lanciando un'occhiata fugace a Selwyn, che sta adesso fissando con un certo interesse e con un'aria vagamente mortificata il campo sotto i suoi piedi. «Piantala di usare questo tono e di prenderlo di mira, Nick. Questa storia sta cominciando a stancarmi.»

«Difendi il tuo pupillo, Regulus?»

«Si dà il caso che il Capitano sia lui.» si intromette James, precedendomi di appena un soffio e catalizzando tutta la nostra attenzione su di sé. «E come tale, è lui che dobbiamo ascoltare.»

Le sue parole sembrano non ammettere alcuna replica e infatti segue qualche secondo del più mero silenzio, mentre tutti i nostri occhi sono fissi sul volto dell'ex Grifondoro e lui ci osserva a sua volta uno ad uno, sostenendo i nostri sguardi con una fierezza disarmante.

Infine la scena pare ripartire a rallentatore, perché Nick sfodera una smorfia infastidita e si limita a scuotere la testa, per poi partire alla volta degli spogliatoi ed essere seguito a ruota da tutta la squadra.

«Grazie.» mi sento mormorare laconicamente, voltandomi verso l'unica persona ancora rimasta al mio fianco. «Purtroppo il problema principale di questa squadra è che la maggior parte di loro preferisce non ascoltarmi e fare tutto di testa sua.»

«Sono i classici problemi di ogni Capitano, suppongo.» replica con un minuscolo sorriso, facendomi scuotere la testa e distogliere lo sguardo dal suo.

Perché se c'è una cosa che tutti qui a Hogwarts devono riconoscere, è il fatto che James Potter sia sempre stato un Capitano davvero impeccabile. Sa farsi ascoltare, sa essere un punto di riferimento insostituibile e un modello da seguire, sa come caricare la squadra e non esita mai a trasmettere ai suoi compagni tutta la fiducia che ripone in loro. Ed è sempre stata una caratteristica intrinseca della sua personalità, fin da quando al quinto anno ha preso in mano le redini della squadra di Grifondoro: i più piccoli lo guardavano con ammirazione, ma persino i ragazzi più grandi di lui lo ascoltavano senza fiatare, rapiti dalla sua determinazione e dalla sua proverbiale risolutezza.

«Dai, andiamo dentro prima di prendere un accidenti.» lo esorto, mentre una folata particolarmente violenta smuove la mia uniforme da Quidditch e causa un rincorrersi di brividi lungo tutta la mia colonna vertebrale.

«Aspetta.» mi blocca di scatto, obbligandomi a voltarmi verso di lui e permettendomi di coglierlo nel momento esatto in cui si passa nervosamente una mano tra i capelli. «Volevo...parlarti di una cosa.»

***

James.

Regulus mi guarda perplesso e ancora una volta la mano destra affonda nei miei capelli, mentre deglutisco e mi maledico mentalmente per questa momentanea debolezza. Nemmeno volevo ritrovarmici, in questa situazione: è solo che da svariati giorni a questa parte - esattamente da venerdì, il giorno della punizione con Black - sto seriamente male, attanagliato da un dolore sordo che non la smette di perseguitarmi.

La sofferenza non è qualcosa di unico, ha mille sfaccettature diverse che corrispondono ai differenti modi per affrontarla. Ma quando non ti sai spiegare perché questo malessere sempre più profondo sembri colpirti quando meno te lo aspetti - e, anzi, senti come se fossi tu stesso la causa del tuo dolore - la situazione si complica e le possibilità di risolverla in autonomia diventano sorprendentemente scarse.

«È qualcosa di grave?»

Ed è allora che non puoi fare a meno di rivolgerti all'unica persona di cui senti di poterti realmente fidare.

«È qualcosa di strano.»

Regulus mi osserva ancora per qualche istante e poi mi fa cenno di seguirlo verso le tribune, sempre mantenendo sul volto quell'espressione curiosa di chi ha davvero voglia di ascoltarmi. Non so nemmeno io come spiegarmi, a dirla tutta: è solo che questo gelido martedì pomeriggio sono arrivato sul serio ad un punto di non ritorno, tanto che le parole premono nella mia bocca per uscire fuori e io ho un dannato bisogno che ci sia qualcuno davanti a me pronto a capirmi.

«Sai che venerdì sono stato in punizione con tuo fratello, no?» comincio, lasciandomi cadere su uno dei posti a sedere e guardando lui fare lo stesso.

Non è ancora molto tardi e la cena non verrà servita prima di un'ora, ma il cielo si è già tinto di quel blu opaco, scuro, velato di nuvole grigie mosse da un vento che fa pensare ad un imminente temporale, tanto spira forte intorno a noi. Eppure restiamo ancora qui, due puntini isolati dal resto del mondo, a fissare il verde del campo totalmente deserto che si stende davanti ai nostri occhi.

«Sì.» risponde laconicamente, senza staccare le pupille da un punto imprecisato di fronte a lui. «Alla fine non mi hai raccontato nulla di quella sera.»

«Lo so, ma avevo davvero bisogno di dirtelo senza che tutti gli altri ci ronzassero intorno.» dico con sincerità, appoggiando i gomiti sulle gambe e protendendomi in avanti. «È una cosa che vorrei rimanesse tra noi due.»

«Un segreto confessato a un Serpeverde è come un granello di sabbia gettato nell'oceano.» asserisce con finta convinzione, sfoderando un mezzo ghigno che inevitabilmente mi riporta a Sirius Black. «Si perde nell'acqua e nessuno saprà più dove sia, eccetto l'oceano stesso.»

«E questa dove l'hai presa?» gli domando, aggrottando la fronte e sentendo la sua risata divertita riecheggiare nel silenzio.

«Olivia Bole lo diceva oggi a pranzo alle sue amiche. L'avrà letto su Strega Moderna o qualcosa del genere.» confessa, scuotendo la testa e lanciandomi un'occhiata di sottecchi. «Davvero non l'ascolti mai quando parla? Perché ti confesso che lei apre bocca principalmente per catturare la tua attenzione.»

«Non sviare il discorso, per favore.» lo interrompo, scuotendo la testa e pensando che, al momento, Olivia Bole è per davvero l'ultimo dei miei problemi.

Regulus ride di nuovo e ancora una volta, inconsciamente, mi ritrovo a constatare come la sua risata sia così sfacciatamente diversa da quella sguaiata e rumorosa di suo fratello.

«Stavo solo cercando di alleggerire l'atmosfera, ti vedo particolarmente...nervoso, in questi giorni.» ammette, tornando a farsi serio e passandosi la scopa da una mano all'altra. «Questo era per dire che puoi raccontarmi tutto quello che vuoi, io sono qui ad ascoltarti.»

Annuisco brevemente e sospiro un'ennesima volta. Cerco il suo sguardo, perché parlare fissando negli occhi il mio interlocutore è qualcosa che mi viene davvero naturale, ma Regulus seguita a puntare le pupille verso il basso e ha un mezzo sorriso consapevole sulle labbra, quasi sapesse perfettamente ciò che andrò a dirgli di qui a poco.

«C'è Sirius che...ci sono alcune persone, in verità, che mi fanno uno strano effetto.» comincio, certo che la mia spiegazione non sarebbe potuta cominciare in maniera peggiore e scuotendo repentinamente la testa. «Parlo di lui, di Lupin e dell'amico che si portano sempre dietro.»

«E di Lily Evans.» aggiunge nel modo più spontaneo possibile, facendomi perdere un altro battito.

Avevo volutamente deciso di non inserire anche lei nel discorso, perché ho la netta convinzione che quello che riguarda Evans sia qualcosa di estremamente complesso e che va al di là di tutto il resto, ma la naturalezza con cui Regulus l'ha accostata a questa lista è qualcosa di davvero destabilizzante.

«E di Lily Evans.» confermo, chiedendomi perché lui abbia ancora stampato in faccia questo sorriso di chi la sa lunga. «Succedono delle cose strane quando loro sono nei paraggi. Cioè, in verità succedono quando siamo più vicini del solito.»

«Cose strane?» ripete lui, aggrottando la fronte e facendosi più attento.

Sospiro, arrendendomi al fatto che questi giri di parole non serviranno assolutamente a nulla ed io ho davvero la necessità di dare, una volta per tutte, un nome a quello che mi sta succedendo.

«Mi capita di rivivere delle scene...degli episodi che non ricordo più, come se appartenessero a un passato lontano e da me dimenticato.» confesso tutto d'un fiato, deglutendo piano e comprendendo che, ormai, nemmeno volendo potrei tornare indietro. «Ci sono delle precise occasioni in cui sono con loro, perdo i sensi e...e rivivo questi ricordi.»

Finisco di parlare e mi volto verso Regulus, constatando come il suo sorriso si sia appena incrinato e i suoi occhi grigi siano ancora fissi davanti a sé. Ha la macella contratta e dal suo profilo sembra teso, non come se le mie parole lo stupissero, ma piuttosto come se fossero la conferma di qualcosa che già temeva.

«L'hai detto tu stesso, James: sono perdite di sensi, è come se...come se stessi solo sognando.»

«Ma sono reali, Regulus. Scene fottutamente reali.» ribatto prontamente, sbuffando e alzando gli occhi per puntarli al cielo. «Ci siamo noi che...che andiamo d'accordo, che ci vogliamo bene, che siamo amici. E io so bene di aver trascorso sette anni con loro, tra i Grifondoro, ma non ricordo affatto di aver mai instaurato con tutti un rapporto che andasse così...oltre

Deglutisce e finalmente si decide a spostare lo sguardo su di me, fissandomi con la testa inclinata di lato e con un'espressione neutra, impassibile, stampata in faccia.

«Ti fa paura rivivere quelle scene?»

«Mi terrorizza, che è diverso.» Rido forzatamente e scuoto la testa, mordendomi il labbro e chiudendo di scatto gli occhi, come se il peso di queste parole mi ferisse mortalmente. «Perché appena succede, appena torno nel passato, io ho...ho l'impressione che quelle cose siano accadute sul serio. Che non siano sogni o qualcosa di simile, ma che io li abbia semplicemente dimenticati

Mi dà sollievo il fatto di essermi tolto questo dannato macigno dal petto, ma non ho comunque mai avuto la pretesa che Regulus mi comprendesse pienamente. Si sta sforzando di farlo, questo lo so, perché continua a guardarmi e sulla sua fronte è appena comparsa una ruga di preoccupazione. Poi lo vedo sospirare e scuotere impercettibilmente la testa, ostentando un sorriso che è così fintamente allegro da farmi preoccupare ancora di più.

«James, niente di tutto questo è reale. Sono solo delle tue fissazioni, lo capisci?»

Vorrei capirlo, lo vorrei sul serio più di ogni altra cosa, ma non è come se avessi la facoltà per farlo. Perché chi non lo vive sulla propria pelle non lo può intendere pienamente, nonostante io abbia cercato di raccontarlo a Regulus nella maniera più semplice e precisa possibile. Nessuno potrà mai comprendere quel misto di angoscia e confusione che mi smuove lo stomaco ogni volta che loro mi sono accanto, né potrà mai capire quanto sia avvilente sentirsi costantemente quello sbagliato della situazione.

«Ma è davvero improbabile che delle fissazioni siano così realistiche.»

«È tutto frutto della tua mente.»

C'è qualcosa, dentro di me, che continua a spingermi a giocare a fare il cattivo della situazione. È come se avessi delle catene, delle spesse e robuste catene che cercano di tirarmi anche contro la mia volontà verso determinate direzioni già prestabilite: odiare i Grifondoro, disprezzare i Nati Babbani, tenere la massima distanza possibile da quel gruppetto che sento di dover odiare più di qualunque altra persona al mondo.

Ed è facile a dirsi, davvero facile, ma quando me li ritrovo davanti ogni mia resistenza sembra crollare. Le catene si indeboliscono, io mi faccio più arrendevole e sono loro a prendere il sopravvento su tutto il resto, catapultandomi in questo passato dimenticato e lasciandomi lì, ancora più confuso e atterrito di prima.

«Lo credi davvero?» chiedo, guardandolo negli occhi e pregando che quelle iridi grigie così familiari sappiano darmi il conforto che cerco.

E familiari lo sono sul serio, anche se celano una sfumatura lievemente diversa dall'immagine che conservo nella mia memoria. È quasi come se fossi stato abituato per una vita intera a vedere questi occhi chiari, a intuirne e riconoscerne ogni minima sfumatura, sebbene all'improvviso quelli di Regulus mi risultino differenti e decisamente più misteriosi.

«Lo credo davvero.» asserisce con ostentata convinzione. Potrei anche credergli, penso, se non non fosse che nel pronunciare questa frase ha accuratamente distolto lo sguardo dal mio. «Potresti parlarne anche con qualche professore, se ti senti più sicuro.»

«Mi prenderebbero per pazzo.» commento con una risata, scuotendo la testa ma appuntandomi il suo consiglio in un anfratto della mia memoria.

«Non ti ha nemmeno sfiorato il pensiero che anche io potessi crederti matto, non è così?» mi domanda ironicamente, guardandomi di sottecchi e sfoderando un sorriso beffardo che fa apparire di nuovo nel mio cervello il volto di Sirius Black.

«Mi fido di te.» dico con sincerità, annuendo per avvalorare ancora di più le mie parole. «Se c'è una persona su cui so di poter contare, quello sei tu. Non so dirti il perché, non so spiegarti il motivo, ma è stato così fin da subito.»

«Lo apprezzo, James. Lo apprezzo davvero tanto.»

Regulus tace e il suo sguardo torna a incrociare il mio, ma a lasciarmi spiazzato è questa volta una nuova emozione che riesco a scorgere alla perfezione nei suoi occhi. C'è una parvenza di profonda malinconia, una tristezza nascosta sotto cumuli di ostentata indifferenza che pare essere tornata a galla tutta in una volta, riversandosi nel suo sguardo e colpendomi nel petto come un precisissimo fendente.

Mi alzo dal posto a sedere e gli tendo una mano per aiutarlo a fare lo stesso, mentre la prima pioggerella fine della giornata comincia a cadere piano su di noi.

«Non ne farai parola con nessuno, vero?»

«Puoi starne certo.» afferma sicuro, sorridendomi impercettibilmente. «Non posso tradire gli insegnamenti di Olivia Bole in questo modo, no?»

Ed io sento di non essermi mai fidato così tanto di qualcuno prima d'ora.

***

Frank.

«Mi sta evitando, questo è chiaro. Ci sta evitando. Da venerdì, per la precisione.»

Quando la Sala Comune Grifondoro è vuota, non è mai un buon segno.

Questa è una delle regole non scritte da nessuna parte ma valide universalmente tra noi studenti di Hogwarts, una normativa che si tramanda da una generazione all'altra e che nessuno, naturalmente, si sogna di contraddire. Se chiunque prendesse da parte un primino con la cravatta rossa e oro e gli domandasse cosa fare quando la Torre Grifondoro è completamente deserta, la risposta da lui articolata sarebbe certamente una e una sola.

Scappare.

«Vale a dire, guarda un po' che coincidenza, da quando è stato in punizione con te.» sento rispondere da Remus, seduto alla mia destra. «Perché non ne sono affatto sorpreso?»

Ma questo, come ho già detto, è il giorno della settimana che più preferisco ed era tanto logico immaginare che almeno lui, che almeno il martedì considerato tanto inutile da tutti, potesse essere dalla mia parte.

Sono piombato qui dopo aver accompagnato Alice a Divinazione e, da povero sciocco ingenuo quale sono, non ho resistito al fascino del divano di fronte al camino così meravigliosamente libero.

«Cosa staresti insinuando, Moony?»

E mi ci sono pertanto gettato sopra, completamente intontito dal silenzio disumano che regnava in questa stanza e pregustando già un intero pomeriggio trascorso così, a portarmi avanti con i compiti seduto davanti alle fiamme calde, con la pioggia che imperversa fuori e la pace tutta intorno a me.

Povero illuso.

«Non sto insinuando nulla, Sirius. Sto solo dicendo che questa storia dei ricordi...forse gli fa solo del male.»

«Sciocchezze, persino Silente ha detto che...»

«Da quando tu ti fidi di Silente, per l'esattezza?»

È stato nel preciso momento in cui i Malandrini sono piombati al mio fianco - sopra di me, dovrei dire, considerando che Sirius mi si è letteralmente buttato addosso senza pensarci due volte - che ho compreso che questo martedì pomeriggio non sarebbe stato poi così pacifico come speravo.

«Oh, aspetta che ci penso un attimo.» comincia sarcasticamente Sirius, bloccandosi per un frangente nella classica posizione di chi finge di pensare e dimenandosi un secondo dopo. «Forse da quando avete iniziato a ripetermi che sbaglio a dargli sempre la colpa e che dovrei iniziare a fidarmi ciecamente di lui, come fate tutti voi?»

«Non è il caso di litigare.» li blocca Peter, protendendosi in avanti come a voler frenare l'impeto delle loro parole, mentre io sono costretto ad accartocciare il mio saggio di Trasfigurazione a causa della boccetta di inchiostro che Sirius, nel tentativo di esprimere tutto il suo feroce disappunto, ha rovesciato sulla mia pergamena.

«Non stiamo litigando, Pete. Stiamo parlando di James.»

«Cosa che a breve vi porterà a litigare.» concludo brevemente in un sussurro, tornando ad ascoltare il soliloquio di Sirius su James e sul modo buffo con cui, in questi quattro giorni, le ha provate tutte per girare alla larga da tutti noi.

L'allontanamento di un membro ufficiale dei Malandrini ha chiaramente minato gli equilibri del loro gruppo, questa era una cosa assolutamente inevitabile.
Mi piacciono da morire le metafore, perché le considero delle immagini rapide e semplici per esprimere ancora più concretamente quei concetti che, con inutili giri di parole, sarebbero estremamente complessi e arzigogolati da spiegare.

La loro amicizia, neanche a dirlo, ne è l'esempio più lampante.

Suppongo sia un'impresa titanica riuscire a descrivere con meticolosa precisione il rapporto che tutti e quattro hanno intessuto in questi quattro anni, perché il loro stretto legame di fratellanza è qualcosa che va al di là di ogni banalissima frase. È fatto di sguardi più che eloquenti, di soprannomi che celano significati nascosti, di prese in giro cariche di affetto e di risate più o meno sguaiate. È fatto di rimproveri quasi paterni, di mezze discussioni che spesso si concludono con una lotta belluina sul pavimento della loro stanza, di una complicità che non ha nemmeno la necessità di essere concordata, ma che viene naturale come se tutti e quattro fossero nati per sostenersi, per reggersi vicendevolmente il gioco.

La loro amicizia è tutto questo e provare a spiegarla a parole significherebbe inerpicarsi in qualcosa di estremamente complicato e contorto. Così intervengo io, il Re delle Metafore, colui che ha trovato tempo fa l'immagine perfetta per rappresentare tutti e quattro i Malandrini e l'indissolubile amicizia che li unisce.

James, Peter, Remus e Sirius sono precisamente un tavolo.

Un tavolo di quelli quadrati e con quattro posti, fatto di quattro lati e quattro angoli tutti uguali. Nessuno prevale sull'altro, nessuno è diverso: ogni lato può essere sbeccato in alcuni punti, può avere una sfumatura di legno differente da quella degli altri, ma la loro lunghezza è sempre la stessa ed è questo, esattamente, ciò che ne definisce la perfezione quadratica.

E poi il tavolo in questione ha degli spigoli, naturalmente: appuntiti, affilati, che se si conficcano nel fianco possono fare un gran male. Sono i loro difetti, quelle parti certamente meno morbide e anzi più taglienti, che sanno bene di poter pungere ma che lo fanno esclusivamente quando sei tu stesso a sbatterci contro.
I Malandrini sono un tavolo da quattro posti, certo, ma che è anche allungabile. Chiunque abbia bisogno di un minuscolo spazio sa dove andare, sa che da loro troverà il suo posto nel mondo e, ancora di più, sa che starà comodo e che si sentirà come a casa.

Solo che, per l'appunto, per stare in piedi questo tavolo ha bisogno di tutte e quattro le gambe: se ne togli una, traballa pericolosamente. Forse non cadrà, ma il suo equilibrio diventerà nettamente più labile e precario.

«Questa volta non ho intenzione di ascoltarti, Moony. Non eviterò James, ci puoi giurare.»

«Ma lo stai ferendo così, capisci? Lui...l'hai detto tu stesso che era terribilmente scosso, la sera della punizione.» precisa Remus, abbassando il tono di voce dopo essersi accorto che la loro discussione stava per farsi più accesa e che, di conseguenza, avrebbe attirato ancora di più gli sguardi già curiosi dei presenti.

«Scosso, sì, ma questo non vuol dire che adesso dobbiamo allontanarci da lui.» ripete Sirius con fermezza. «Non smetteremo con la storia dei ricordi, questo è fuori discussione.»

«Almeno voi siete riusciti a trasmettergli qualcosa.» sussurra Peter quasi tra sé e sé, permettendomi comunque di sentire benissimo le sue parole. «Io non riesco nemmeno ad avvicinarmi.»

Mi volto piano verso di lui, mettendo definitivamente da parte i miei compiti e fissandolo dritto negli occhi.

«Non credere sia una cosa facile, Pete. Eri abituato a un James tutto diverso, ma stare vicino al James di adesso è un'altra storia. E lo è per tutti.» dico risoluto, scrutando la sua espressione vagamente affranta.

«Il fatto è che voi due...» comincia, indicando Remus e Sirius con un gesto distratto della mano. «Riuscite almeno ad attirare la sua attenzione. Forse vi fate odiare, forse vi insultate, ma almeno lui si accorge della vostra esistenza.»

«Pensi che non si accorga della tua, Wormtail?» gli domanda Sirius, osservandolo adesso con un'apprensione che raramente gli ho visto addosso.

Peter annuisce piano e questa volta è Remus a sporgersi verso di lui, per posargli una mano sul braccio e guardarlo dritto negli occhi.

«James sa che esisti, Pete. Lo sa bene, l'ha visto nei nostri ricordi e sente di conoscerti anche quando gli sei accanto.» lo rincuora, senza interrompere il contatto visivo con lui. «Il fatto che tu non sia riuscito a trasmettergli ancora nessun ricordo non è preoccupante, in fondo è passata solo poco più di una settimana da quando gli hanno cancellato la memoria.»

«Basterà ricreare la situazione perfetta.» propongo, sorridendo nella sua direzione. «Sirius ha avuto la punizione, Remus il lavoro di coppia in Biblioteca, Lily la pozione...troveremo qualcos'altro per te, ne sono certo.»

«E poi potremo usare qualcosa di concreto.» aggiunge Sirius, che si è adesso alzato da terra per andare a sedersi esattamente sopra Peter, sulla poltrona.

Non è un asso con le parole e questo tutti lo sappiamo, ma ha talvolta dei modi bizzarri e piuttosto dolci per dimostrare che vuole bene a chi gli sta intorno: salta all'improvviso sulle spalle di Remus, scompiglia e tira i capelli di James, riproduce qualche canzone rock babbana che gli piace tanto usando la mia schiena come una batteria...

E poi, certo, sale in braccio a Peter quando lo vede più giù del normale.

«Che intendi dire?» domando a mia volta, constatando con piacere come adesso Pete si sia visibilmente tranquillizzato.

«Io ho usato gli specchi gemelli, no?» replica Sirius con ovvietà, ghignando divertito. «Abbiamo ancora la Mappa e il Mantello dell'Invisibilità. Sono sicuro che se Wormtail si ritrovasse davanti a James e, che so, gli lanciasse addosso il Mantello, lui perderebbe i sensi e ricorderebbe altri dettagli del suo passato.»

È complicato essere amico dei Malandrini, questo lo so da un pezzo. Loro hanno tutti questi segreti, questo modo di comunicare usando delle parole totalmente incomprensibili a noi comuni mortali e facendoci pienamente intendere che, qualunque cosa accada, esisterà sempre qualcosa di inconfessato che custodiranno lontano da tutti e contro ogni logica.

«Fammi capire, il piano sarebbe tramortirlo e sperare che questo serva a qualcosa?» chiede Remus, inarcando un sopracciglio e inserendo quella tipica vena beffarda nel suo tono di voce che fa tanto ridere me e Peter.

«Ma come sei bravo a minimizzare, Moony. Complimenti.» borbotta Sirius, alzando gli occhi al cielo e tornando di nuovo a sedersi per terra. «Dico solo che è una fortuna aver tenuto questi oggetti qui con noi, perché potremo usarli a nostro vantaggio.»

«Anche perché sarebbe stato rischiosissimo lasciarli a lui. Vi immaginate? Non saprebbe nemmeno da dove partire per usare la Mappa.»

«Oppure, ancora peggio, li avrebbe fatti scoprire senza troppi problemi a quei dannati Serpeverde.»

Peter finisce di parlare e io torno a guardarli uno ad uno, osservando come l'assenza di James, sebbene pesi su tutti, non li abbia cambiati nemmeno un po'. Sono sempre loro, sono sempre tre adolescenti che si divertono a ridere e a scherzare, che usano i loro sorrisi per tirarsi su vicendevolmente in un momento tanto critico come questo.

Ed io sono grato, davvero grato di avere il privilegio di essere al loro fianco. Perché la teoria dei Malandrini come tavolo allungabile, ecco, non è così stupida come pensavo in un primo momento. Perché io stesso accanto a loro - tra loro - ci sto bene, sono comodo, ho il mio spazio. Mi sento a mio agio come se fossi a casa e non importa se loro sono semplicemente loro, se il loro legame è qualcosa di così particolare che va persino oltre la mia immaginazione e se non sarò mai in grado di comprenderlo pienamente: tutti e quattro mi hanno sempre tenuto al loro fianco, quasi fossi stato un'appendice e non un peso, ed è con una consapevole presunzione che posso affermare di essere diventato un vero e proprio punto di riferimento per tutti e quattro.

«Fate un po' di posto a una fanciulla stremata da una lunghissima giornata di scuola, per favore.»

Non mi serve nemmeno voltarmi per capire che ad aver appena parlato è Alice, perché subito le sue labbra premono contro le mie ed eccola qui, seduta vicino a me, mentre lascia cadere la borsa con i suoi libri sul tappeto e si appoggia allo schienale del divano con le palpebre serrate.

«Hey Frank, hai sentito? La tua ragazza ha bisogno di rilassarsi.» grida Sirius, ghignando divertito e muovendo le sopracciglia con quell'aria beffarda che si porta sempre dietro. «Scommetto che tu sai come aiutarla.»

«Molto spiritoso Sirius, davvero.» replica Alice, mentre io rido divertito e passo un braccio intorno alle sue spalle.

«Sei tu quella che pensa sempre male, signorina Prewett. Io mi riferivo al fatto che Frank sa la parola d'ordine per entrare nel Bagno dei Prefetti, quindi...»

«Tu sai quella parola d'ordine?!»

A nulla sono serviti i miei segnali di fumo per far capire a Sirius di tacere, perché quando lui parla va veloce come un treno - malattia che deve avergli attaccato James, indubbiamente - e non ragiona più, cominciando a dire tutto quello che gli passa per la testa e infischiandosene di chi gli sta intorno.

Così eccomi qui, a sopportare il peso dello sguardo sconvolto di Alice e della sua bocca spalancata dallo stupore e dallo sdegno, mentre mi passo una mano sulla fronte e sospiro davanti al danno ormai concluso.

«Doveva essere una sorpresa, tesoro. L'avevo chiesta a Lily per...il nostro secondo anniversario, sai. Volevo portarti lì.» confesso con un sospiro, mentre Sirius si lascia andare alla sonora esclamazione di chi sa di aver rovinato tutto e gli occhi di Alice si addolciscono istantaneamente.

«Oh Frank, non avevo idea che volessi organizzare tutto questo e...Godric, quanto mi dispiace!» comincia a dire a raffica, tornando ad abbracciarmi e facendomi sorridere inevitabilmente. «E Lily era persino una tua complice! Merlino, è dal quinto anno che si rifiuta di dirmi come accedere a quel Bagno e...»

«A proposito di Lily,» inizia Remus, schiarendosi la voce per cancellare quell'imbarazzo che solo le nostre pubbliche effusioni sembrano provocargli. «sapete che fine ha fatto?»

«L'ho lasciata ad Aritmanzia e da lì credo sia andata da Lumacorno.» replica Alice con una scrollata di spalle. «Sapete, vuole aiutarlo con la pozione per James.»

«Ebbene sì, la nostra Lily è nell'aula di Pozioni.» So che non dovrei stupirmi del ghigno tremendamente furbo sfoderato da Sirius, considerando che sulle sue gambe c'è adesso un foglio di pergamena su cui sono appena apparse scritte e disegni che non riesco a capire da questa distanza, ma non è come se potessi autocontrollarmi: quando lui ha questa espressione sfacciatamente ammiccante, non andare nel panico è praticamente impossibile. «Però non è con Lumacorno.»

«E con chi è?»

Non faccio nemmeno in tempo a ridere di fronte al coretto che noi quattro ascoltatori abbiamo improvvisato, perché le successive parole di Sirius hanno il potere di stupirmi, spaventarmi e darmi sollievo tutte in una volta.

«È con James.»

***

Lily.

«Abbassa quel fuoco, la fiamma non deve essere così alta.»

Lancio appena uno sguardo a James per assicurarmi che stia facendo come gli ho detto, per poi voltarmi verso uno dei tanti banchi della stanza su cui ho sparso i vari barattoli e cominciare a preparare l'ingrediente base che sarà necessario per la pozione.
Non è la prima volta che entro in quest'aula dei Sotterranei per lavorare su un compito da consegnare, perché Lumacorno sa bene quanto io ci tenga a preparare ogni mia pozione al meglio e a monitorarla affinché non ci siano errori.

È una cosa che ho cominciato a fare con Severus più o meno a metà del primo anno, quando il nostro amore per questa materia era così forte da indurci a trascorrere pomeriggi interi tra zampe di rana e fumi più o meno nocivi. Dopo aver fatto esplodere la porta di un'aula studio per aver usato un calderone di rame anziché di ottone, comunque, Lumacorno ha proposto a entrambi di spostarci nella vera aula di Pozioni ogni volta che ci andava - a patto che non vi fossero lezioni in corso, naturalmente - per essere almeno sicuri di avere a disposizione il giusto materiale e di non danneggiare altri luoghi in giro per Hogwarts.

E forse la mia amicizia con Severus è davvero sfumata nel nulla, dissolvendosi per sempre, ma questa minuscola tradizione ha comunque resistito al trascorrere inesorabile del tempo ed è rimasta qui, aggrappandosi con le unghie e con i denti alla mia vita. Persino contro la mia volontà.

«Non capisco perché dobbiamo venire qui anche all'ora di cena.»

«Non è ora di cena.» lo correggo con aria stizzita, lanciandogli un ennesimo sguardo di fuoco al di sopra del calderone e venendo ripagata con la stessa moneta. «Non ancora, perlomeno.»

«Fa lo stesso. Stiamo parlando di una stupida pozione, Evans, che ti importa se sbiadisce un po' da un giorno all'altro?» chiede con disappunto, scuotendo la testa e sedendosi con un salto su uno dei banchi alle mie spalle.

«Mi importa eccome, se permetti.» Finisco di tagliare l'ingrediente base e lo sposto nel mortaio, per poi appoggiare i palmi delle mani sul tavolo davanti a me e convincermi a guardare James dritto in faccia. «E dovrebbe importare anche a te, considerando che questa stupida pozione è di entrambi.»

«Va bene, ma c'è una sostanziale differenza tra il voler preparare un intruglio decente e il venire qui a controllarlo almeno due volte a settimana, oltre alle normali lezioni in cui ci lavoriamo su.» ribatte ancora una volta, fissandomi con la fronte aggrottata e facendomi credere, per un solo frangente, che il mio James sia di nuovo qui di fronte a me.

Mi riscuoto in tempo e inarco un sopracciglio, inclinando la testa e guardandolo con le braccia incrociate al petto.

«Mi pareva di aver capito che tu volessi monitorare la pozione con me per, testuali parole, evitare che mi prendessi tutti i meriti.» Apre la bocca per replicare di conseguenza, ma io sono più svelta e lo precedo sul tempo. «In ogni caso, Potter, quella è la porta.»

Lo vedo chiaramente irrigidirsi e mantenere quella sua aria piuttosto sconcertata, che in una situazione normale mi farebbe venire voglia di mandare tutto al diavolo e correre a baciarlo come se nient'altro importasse. Ma deglutisco e mi impongo la calma, perché averlo qui accanto a me continua a farmi un effetto devastante, ma l'autocontrollo è il mio forte e io so bene come devo comportarmi.

Mentirei se dicessi che ultimamente non ho trascorso ore intere nel Reparto Proibito della Biblioteca, un po' per capirci qualcosa in più sulla fattura che gli hanno scagliato e un po' per cercare qualche modo per velocizzare la preparazione della pozione che lo farà tornare come prima. Lumacorno dice che stiamo andando alla grande, che adesso che la procedura è già avviata la tempistica dovrebbe essere di quattro settimane e che, di conseguenza, la mia unica preoccupazione dovrebbe essere quella di stringere i denti e sopportare questi giorni senza di lui.

Ed io ho fatto sul serio tutte le ricerche del caso, perché è ciò che faccio sempre quando sento di non avere il controllo della situazione. Non forzarlo, queste sono le due parole che ricorrono più spesso nei libri che trattano di persone a cui sono stati modificati i ricordi. Non forzarlo e lasciare che il tempo faccia la sua parte, che la memoria torni lentamente e che lui stesso si renda conto, poco alla volta, di essere legato a tutti noi con un filo indissolubile.

Lo vedo bene che James è scosso, in questi giorni. Lo vedo e non riesco a capire se sia una cosa positiva o meno, se questo suo continuare a cercare il mio sguardo sia dettato dall'odio intenso che crede di provare per me o dalla presa di coscienza che, in fondo, sente qualcosa di più forte nei miei confronti, a cui non riesce ancora a dare un nome.

Ed è vero che su tutti quei volumi impolverati c'era scritto di non forzarlo, di lasciare che capisse da solo che il suo vero posto è qui al mio fianco, di non imporgli troppo a lungo la mia presenza. Ma finché il destino beffardo farà in modo che lui si ritrovi accanto a me più spesso del previsto e finché quei suoi occhi nocciola continueranno a cercare i miei ovunque vada, le mie resistenze crolleranno e io mi concederò quantomeno il lusso di fingere che tra noi non sia cambiato ancora nulla.

Lo guardo con un sorriso consapevole sulle labbra, mentre lui conserva quell'espressione stizzita e scende dal banco su cui era seduto. Si avvicina a me e sfila il mortaio dalle mie mani, cominciando a pestare l'ingrediente base senza aggiungere una parola e lasciandomi lì, a fissarlo con questo mezzo ghigno e con la testa piegata da un lato.

«Sapevo bene che provocarti sarebbe stata la giusta soluzione.» dico a mezza voce, posizionandomi di fronte a lui e sfogliando il manuale di Pozioni alla ricerca del prossimo passaggio del procedimento.

«Ho l'impressione che tu mi conosca fin troppo bene, Evans.»

Sollevo lo sguardo dal libro e lo poso su di lui, vedendolo fare lo stesso appena un secondo dopo. Rimaniamo a fissarci per qualche tempo senza aggiungere altro, finché non deglutisco e mi sforzo di non permettere ai suoi occhi di congelarmi sul posto.

«Magari non è solo un'impressione.»

Le labbra di James si incrinano alle mie parole, dando vita a quel mezzo sorriso nostalgico che stona così tanto rispetto al suo ghigno malizioso e impertinente di un tempo.

«Magari no.» sussurra quasi tra sé e sé, mentre quel groppo che ho in gola torna a farsi più pesante ed io devo lottare con tutta me stessa per frenare quell'impulso che mi imporrebbe di passargli una mano sul volto e dirgli che andrà tutto bene.

Perché poi, se andrà davvero tutto bene, nemmeno io lo so con certezza.

«Di sicuro so che sei competitivo e che il premio di Lumacorno lo vuoi vincere anche tu.»

«Essere invitato ad ogni sua dannatissima festa, che gentile concessione.» commenta ironicamente, tornando a sedersi sul banco.

«Ha detto che quello non è l'unico premio in palio, Potter.» gli faccio notare, senza staccare lo sguardo dal calderone. «E qualunque cosa ci sia in aggiunta, sarà nostra.»

«Sei molto ambiziosa, Lily Evans.»

«Qualcuno deve pur avermi insegnato ad esserlo.»

Spengo il fuoco con un gesto secco e analizzo il colore perlaceo della pozione, confrontandolo con l'immagine del libro e constatando come, ancora una volta, siano pressoché identici. Poi alzo gli occhi da lì e li poso in automatico su James, trovando le sue pupille già fisse su di me e quel mezzo sorriso totalmente svanito dalle sue labbra, sostituito da un'espressione estremamente smarrita.

E vorrei davvero stargli lontano e tutto il resto, ma ogni cosa adesso sembra per davvero remare contro di me. Ed io non so quanto a lungo riuscirò ancora a controllarmi.

***

James.

Era una regola che mi ero autoimposto, quella di evitarla insieme a tutti gli altri. La sera della punizione con Black ho avuto la prova definitiva del potere che hanno su di me, di questa capacità di destabilizzarmi e, inconsapevolmente o meno, di farmi soffrire con la storia dei ricordi. Fare il possibile per stare lontano da loro mi sembrava allora l'unica soluzione plausibile, la sola via di fuga per far cessare questo dolore che mi perseguita quando mi stanno troppo vicino.

Ancora una volta, credevo fosse facile.
Ancora una volta, mi sbagliavo.

Con Black e i suoi amici mi viene più facile far uscire il mio lato peggiore e lasciarmi andare alle mie solite sfuriate - che tuttavia, inspiegabilmente, loro hanno sempre il potere di placare - ma sapevo benissimo che con Lily Evans sarebbe stata tutta un'altra storia. Perché più mi allontano da lei, più cerco di tenerla distante ed evitare di guardarla, di cercarla, di sfiorarla, più quell'elestico invisibile che ci unisce si tende ed ecco che, quando meno ce lo aspettiamo, ci riporta ad essere più vicini del previsto.

Come adesso, adesso che Evans ha appena fatto il giro dei banchi ed è piombata qui di fronte a me con l'apprensione stampata nello sguardo. Resto fermo, seduto a pochi centimetri da lei, mentre questo groviglio inspiegabile che ho nello stomaco comincia poco alla volta a districarsi, come se bastasse la sua semplice presenza a rischiarare tutto quello che ho intorno.

Ma poi lei solleva una mano e la posa qui, sulla mia guancia, permettendomi di sentire quanto sia inspiegabilmente fredda e obbligandomi a chiudere di scatto le palpebre. Ed è assurdo, ma una sua carezza sembra per davvero farmi crollare più facilmente di quello schiaffo meritato che mi ha tirato davanti a tutti.

«Ti sto evitando.» confesso in un sussurro, senza avere il coraggio di aprire gli occhi. «Stavo cercando di farlo.»

«Lo so.»

Sento la sua voce così vicina e persino il suo respiro è ad una distanza millimetrica dalle mie labbra, l'ennesimo dettaglio capace di mandarmi il cervello in confusione peggio di quanto non faccia il semplice averla davanti a me. La sua mano resta ancora lì, immobile sulla mia pelle, ed è tutto talmente assurdo che credo non sia mai stato più naturale e giusto di così.

«Dovrei starti lontano.»

«So anche questo.» Non un'incrinatura, non una singola inflessione nel suo tono di voce così spaventosamente dolce da fare male. «Apri gli occhi, James.»

Ed è naturalmente quello che faccio.

----

21 febbraio 1977

«Devi smetterla di guardarmi in questo modo.»

Sollevo lo sguardo e lo trovo sempre lì, la testa mollemente appoggiata su una mano e le pupille ancora fisse nelle mie. Ha un sorriso consapevole sulle labbra ed è difficile, dannatamente difficile non concentrarsi sulla piega perfetta della sua bocca e mantenermi invece lucida come al solito. Perché sono Lily Evans, per Godric, e non basta un bel sorriso a mandarmi completamente in palla il cervello.

«Non posso?»

Se il sorriso in questione è di James Potter, però, la situazione cambia drasticamente.

«No, non puoi.» ribatto stizzita, cambiando per l'ennesima volta la disposizione di piume e calamai davanti a me e cercando di focalizzarmi sulla banalità di questi oggetti per impedire alle mie guance di andare in fiamme. «Mi hai chiesto di aiutarti con il saggio di Pozioni, Potter, ed è quello che sto cercando di fare. Ma tu sei così distratto che...»

«È colpa tua, sei tu a distrarmi.»

Alzo gli occhi al cielo - tutto, pur di non posarli su di lui - e comincio a chiedermi da quando, esattamente, un intero pomeriggio in Biblioteca trascorso in compagnia di James Potter si sia trasformato nella più grande delle tragedie.

«Finiscila Potter, queste battutine con me non funzionano all'incirca da quando avevo tredici anni

No, Merlino, non voglio essere fraintesa.
Qualunque cosa implicasse la presenza di Potter nella mia quotidianità ha sempre avuto un impatto piuttosto negativo e devastante nella mia vita, questo è doveroso ammetterlo. Insomma, trascorrere del tempo con un idiota megalomane e arrogante, che non fa altro che passarsi continuamente la mano tra i capelli, ghignare e sfoderare quel suo dannato Boccino è un'esperienza che non augurerei nemmeno al mio peggior nemico, se non fosse che il mio peggior nemico in questione è proprio James Potter e, di conseguenza, sono piuttosto certa che un intenso pomeriggio in compagnia di se stesso sarebbe il regalo più prezioso che qualcuno possa mai fargli.

«Quindi mi stai dicendo che prima dei tredici anni le mie battutine funzionavano

Ma oggi - in verità da un po' di tempo a questa parte, per la precisione - trascorrere del tempo con lui sta diventando drammatico per un altro motivo: perché non lo trovo più snervante, non lo trovo così immaturo come gli anni scorsi, non lo trovo più fastidioso come un tempo e, Godric Grifondoro mi perdoni, è cambiato così tanto da riuscire a mettermi in imbarazzo anche solo guardandomi negli occhi.

«Non se pronunciate da te, Potter.»

Ed è esattamente per questo che cerco di non incrociare il suo sguardo per nulla al mondo.

«Colpito e affondato.» dice tra le risate, obbligandomi ad alzare appena la testa per vedere quella fila di denti bianchissimi fare la comparsa tra le sue labbra carnose, che devono essere così morbide e...

E io devo decisamente darmi una calmata.

«Forza Potter, torna a scrivere se non vuoi che ques-»

«Però non riesci a guardarmi negli occhi.» mi interrompe bruscamente, con una palpabile vena sarcastica nel tono di voce.

Di fronte alla sua così palese provocazione, sono pressoché costretta a posare la piuma con cui stavo scrivendo e a sollevare la testa con fierezza.

«Prego?»

Potter continua a sorridere divertito, passandosi una mano tra i capelli e sporgendosi per avvicinarsi a me.

«Dico che è vero, Evans. Forse le mie frasi d'effetto non fanno poi così tanto...effetto.» comincia a spiegare, inarcando un sopracciglio con quella sua espressione canzonatoria che conosco davvero a meraviglia. «Ma non riesci comunque a guardarmi negli occhi

«È quello che sto facendo.»

«No, adesso stai guardando qui.» ribatte divertito, sollevando un indice e posandolo esattamente tra le sue sopracciglia. «Io parlo degli occhi, Evans. Mi sono accorto che ultimamente non riesci a guardarmi proprio lì.»

Ed è una mossa fatale, lo so perfettamente, ma c'è il fattore dell'orgoglio Grifondoro che pulsa nel mio petto e che, neanche a dirlo, mi obbliga a provargli che si sbaglia di grosso e a spostare gli occhi proprio lì, dritti nei suoi.

Ha queste iridi nocciola così buone da indurmi a chiedermi come io abbia potuto leggervi solo scherno e derisione in tutti questi anni, quando è chiaro che ci sono così tante emozioni celate dietro di esse da far quasi paura. E poi si aggiunge il suo ghigno che scompare così come è arrivato, sostituito improvvisamente da una lievissima curva delle labbra che, ancora una volta, ha in sé un'estrema dolcezza che mai prima d'ora credo di aver scorto in lui.

Forse lo sapeva, forse la sua è stata tutta una strategia: non è vero che poco alla volta sta cambiando e sta crescendoPotter mi ha soltanto indotta a guardarlo negli occhi per farmi ammettere apertamente che lui stesso sta diventando, contro il mio volere, la mia vera debolezza.
Il punto è che crederlo capace di una simile meschinitàquando dal suo volto traspare quella delicatezza di chi mi sta tendendo una mano e aspetta solo che io l'afferri, mi sembra una mossa azzardata e completamente errata da parte mia. Ed io, questa volta, di sbagliarmi non ne ho la benché minima voglia.

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Severus.

Lo vedo entrare in Sala Comune così, con quello sguardo smarrito e malinconico che si porta sempre dietro da una settimana a questa parte. Fa vagare gli occhi su tutta la stanza finché finalmente non ci trova qui, sui divani più vicini al camino, mentre eravamo intenti a parlare dell'argomento più succulento degli ultimi tempi: lui.

«James, pensavamo di averti perso.» lo accoglie Nick, facendogli posto sul divano accanto a lui.

Potter ha saltato la cena e nessuno qui, tra noi, aveva la minima idea di dove potesse essere. Nessuno tranne me, naturalmente, perché il destino ha voluto che passassi davanti all'aula di Pozioni proprio mentre lui e Lily stavano procedendo con la loro preparazione.

«Ho avuto un contrattempo.»

Sono rimasto lì nascosto nell'ombra per qualche minuto, a guardarli lavorare e scambiarsi le loro solite battute pungenti. Non hanno affatto la stessa intesa che avevamo io e lei quando preparavamo insieme i nostri intrugli, di questo ne sono certo: noi pesavamo gli ingredienti, li tagliavamo, mescolavamo il contenuto del calderone e sfogliavamo le pagine dei volumi impolverati con una complicità rarissima per dei ragazzini che giocano a sperimentare nuove pozioni, muovendoci come se fossimo l'uno il prolungamento dell'altra e come se fossimo capaci di intuire e prevedere alla perfezione le nostre reciproche mosse.

No, Potter e lei non avevano tutta questa intesa, ma tra loro c'era un altro tipo di chimica, totalmente nuova e diversa dalla nostra. Si completavano a suon di frasi sagaci e sguardi intensi, sapevano perfezionarsi semplicemente sfiorandosi più o meno volontariamente ed era quasi spaventoso il modo in cui sapevano colmare tutto il vuoto intorno a loro soltanto restando lì, a pochi centimetri l'uno dall'altra.

È doloroso ammetterlo, ma questo prototipo di complicità - meno concreto e decisamente più emotivo del nostro - è forse qualcosa di ancora più intenso e profondo del legame che univa i bambini curiosi e affamati di conoscenza che, un tempo, siamo stati io e lei.

«Un contrattempo dai capelli rossi e dal sangue non esattamente puro, non è così?»

La mia voce si alza sopra il lieve chiacchiericcio che riempiva questa porzione di stanza, catalizzando gli sguardi dei miei amici su di me. Simon alza gli occhi al cielo ed Evan borbotta qualche imprecazione tra i denti, mentre Damian sfodera la sua solita espressione confusa e Nick raddrizza la schiena, facendosi nettamente più curioso.

Regulus, ancora una volta, resta immobile.

«Piton, ti prego, non è il caso.»

«Che intendi dire?» domanda contemporaneamente Nick, spostando velocemente lo sguardo da me a Potter.

«Fattelo spiegare da lui.» replico beffardamente, sollevando l'angolo destro della bocca nella mia espressione più provocatoria. «È Potter quello che passa il tempo con la gente che dice di disprezzare, non di certo io.»

«Ero con Evans a lavorare sulla pozione per Lumacorno, va bene?» risponde lui, evidentemente stizzito e con una rabbia repressa che non mi sfugge. Guai in Paradiso, probabilmente. «E mi sembra assurdo dover dare spiegazioni a te, Piton. Si direbbe quasi che sei geloso, sai?»

Stringo i pugni e mi mordo l'interno guancia, perché la voglia di spaccargli la faccia si fa ogni giorno più intensa e non so quanto ancora potrò resistere ad averlo sempre tra i piedi. Ma poi, è di nuovo Nick a interrompere ogni mio remoto tentativo di ribattere a tono.

«Severus ha ragione, non dovresti passare così tanto tempo con quelli come lei.»

«Credi davvero che io lo voglia?» chiede Potter retoricamente, ma persino un estraneo si accorgerebbe quanto la sua risata risulti forzata, artefatta. «È Lumacorno che ha detto di mantenere le coppie dell'altra volta, non è stata una mia decisione.»

«Spero che tu non ti sia lasciato toccare da quella Sanguemarcio.» aggiunge Evan, sfoderando un'espressione estremamente disgustata. «Evans sa il fatto suo, certo, ma quello che scorre nelle sue vene ha una portata decisamente maggiore di un bel visino e un paio di occhi da cerbiatta.»

«Come se tu le guardassi gli occhi, ma per favore.» commenta freddamente Simon, scatenando alcune risate sguaiate.

Le mie pupille si posano di nuovo su Potter e lo vedo chiaramente irrigidirsi, stringere le mani a pugno e distogliere rapidamente lo sguardo dalla scena, per poi posarlo sul tappeto ai nostri piedi.

«Lungi da me tirare fuori questo discorso, ma devo ammettere che le Sanguesporco in questa scuola sono decisamente un gradino sopra le altre.» asserisce Nick con convinzione, ghignando compiaciuto. «Evans, MacDonald, le gemelle Blossom...hanno tutte dei corpicini niente male.»

«Dateci un taglio.» prova a intromettersi Regulus con uno sbuffo, prontamente ignorato da tutti gli altri.

«Damian sa qualcosa di Mary MacDonald, non è vero?» domanda Evan, mentre l'interpellato annuisce e ride con estrema soddisfazione. «Quando l'anno scorso l'hai terrorizzata e l'hai obbligata anche a togliersi la maglietta, hai detto tu stesso che...»

«Evans ed io non ci siamo toccati.» Potter parla e tutti, istantaneamente, si zittiscono e smettono di sghignazzare. Ha il volto trasfigurato dalla classica smorfia di chi sta provando una nausea oltre ogni confine nell'ascoltare questi discorsi - la stessa nausea che, inevitabilmente, provo anche io - mentre le sue mani sono ancora serrate a pugno e il suo petto si alza e si abbassa frenetico, seguendo il ritmo del suo respiro. «Evans ed io non ci siamo toccati, questo è quanto. Ma vi prego, basta con questi discorsi.»

«Hey James, non è che le Sanguesporco cominciano a farti tenerezza?» insinua Evan con un ennesimo ghigno beffardo.

«Sono semplicemente i vostri discorsi a non piacermi, ecco tutto.»

«Sono i normali discorsi di chi disprezza la gente come loro.» precisa Nick, guardandolo negli occhi e sporgendosi verso di lui. «Se sei dei nostri, è una cosa che devi accettare.»

Vorrei poterlo contraddire, ma in cuor mio so che non è possibile. C'è chi è come lui, Evan e Damian, che non si fanno troppi problemi a torturare fisicamente e psicologicamente i Nati Babbani, programmando a cuor leggero qualunque agguato o aggressione ai loro danni. Poi c'è chi è come me, Regulus o Simon, di natura più mite o forse semplicemente consapevoli di ritrovarci in un posto in cui le regole non siamo noi a dettarle, e che dunque con il nostro silenzio assecondiamo i comportamenti e i discorsi crudeli dei nostri amici.

«Sono dei vostri e questo lo sapete bene.» risponde Potter con convinzione, sostenendo il suo sguardo. «Ma vi chiedo solo di darci un taglio. Solo questo.»

«Tu prometti di cominciare a evitare con un po' più d'impegno quel gruppetto di Grifondoro che ti ronza sempre intorno.» propone Nick a sua volta, con un'impazienza che non mi sfugge.

«O perlomeno di trattarli come meritano, James.» precisa Evan con un sorriso estremamente sadico. «Sono la feccia di Hogwarts. Tutti quanti.»

«Già Potter, promettilo.» soggiungo a mia volta, le labbra sempre aperte in un ghigno amaro e questa furia cieca che continua a pulsare e a montarmi nel petto. «Naturalmente il concetto vale per tutti: traditori del loro sangue, sfigati, mostri...persino Nate Babbane.»

Lo vedo serrare i pugni e mordersi il labbro inferiore, mentre il suo sguardo torna a posarsi nel mio, sempre carico del più puro disprezzo. Adesso non ha davvero scelta, James Potter: niente compromessi, niente scorciatoie, niente di niente. Se vuole farsi accettare, se vuole provare di poter essere un Serpeverde fino al midollo, se vuole dare un senso alla confusione che alberga nel suo cervello e far pendere l'ago della bilancia dalla parte degli antieroi, non gli resta che promettere davanti a tutti.

Certo, il prezzo da pagare potrebbe essere, per lui, incredibilmente salato: costretto a stare lontano dai suoi fidati compari, a disprezzarli e umiliarli pubblicamente. Costretto persino a mantenere le distanze da Lily Evans, quella ragazza che più fra tutti lo sta portando a chiedersi se sia impazzito, se provare qualcosa per una Sanguesporco sia qualcosa di concesso e legittimato qui, tra noi.

No, James Potter. Non lo è.

«Sì.» concede infine con lo sguardo altrove, fisso sulla parete alle mie spalle, e con il volto disteso nell'espressione più neutra che io gli abbia mai visto indossare in tutti questi anni. «Lo prometto.»

 

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