UVAPDM 1: L'Alba del Mito

di Calipso19
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 21 ***
Capitolo 22: *** Capitolo 22 ***
Capitolo 23: *** Capitolo 23 ***
Capitolo 24: *** Capitolo 24 ***
Capitolo 25: *** Capitolo 25 ***
Capitolo 26: *** Capitolo 26 ***
Capitolo 27: *** Capitolo 27 ***
Capitolo 28: *** Capitolo 28 ***
Capitolo 29: *** Capitolo 29 ***
Capitolo 30: *** Capitolo 30 ***
Capitolo 31: *** Capitolo 31 ***
Capitolo 32: *** Capitolo 32 ***
Capitolo 33: *** Capitolo 33 ***
Capitolo 34: *** Capitolo 34 ***
Capitolo 35: *** Capitolo 35 ***
Capitolo 36: *** Capitolo 36 ***
Capitolo 37: *** Capitolo 37 ***
Capitolo 38: *** Capitolo 38 ***
Capitolo 39: *** Capitolo 39 ***
Capitolo 40: *** Capitolo 40 ***
Capitolo 41: *** Capitolo 41 ***
Capitolo 42: *** Capitolo 42 ***
Capitolo 43: *** Capitolo 43 ***
Capitolo 44: *** Capitolo 44 ***
Capitolo 45: *** Capitolo 45 ***
Capitolo 46: *** Capitolo 46 ***
Capitolo 47: *** Capitolo 47 ***
Capitolo 48: *** Capitolo 48 ***
Capitolo 49: *** Capitolo 49 ***
Capitolo 50: *** Capitolo 50 ***
Capitolo 51: *** Capitolo 51 ***
Capitolo 52: *** CAPITOLO 52 ***
Capitolo 53: *** Capitolo 53 ***
Capitolo 54: *** Capitolo 54 ***
Capitolo 55: *** Capitolo 55 ***
Capitolo 56: *** capitolo 56 ***
Capitolo 57: *** Capitolo 57 ***
Capitolo 58: *** Capitolo 58 ***
Capitolo 59: *** Capitolo 59 ***
Capitolo 60: *** Capitolo 60 ***
Capitolo 61: *** Capitolo 61 ***
Capitolo 62: *** Capitolo 62 ***
Capitolo 63: *** Capitolo 63 ***
Capitolo 64: *** Capitolo 64 ***
Capitolo 65: *** Capitolo 65 ***
Capitolo 66: *** Capitolo 66 ***
Capitolo 67: *** Capitolo 67 ***
Capitolo 68: *** Capitolo 68 ***
Capitolo 69: *** Capitolo 69 ***
Capitolo 70: *** Capitolo 70 ***
Capitolo 71: *** Capitolo 71 ***
Capitolo 72: *** Capitolo 72 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


PROLOGO

 

 

15 Maggio 1950

 

Nel teatro si librarono leggiadre le ultime note, mentre luci e suoni si confusero ancora una volta fra di loro, creando uno spettacolo meraviglioso di pura poesia.

Sul palco illuminato, Coleman James Mitcheel, detto da tutti King Of The Music, allontanò il microfono, mentre gli applausi del suo pubblico riempivano l'aria.

Centinaia di persone erano corse lì, a Londra, per ascoltarlo.

Lui era un professionista.

Nulla, nel suo lavoro, era lasciato al caso.

I suoi lavori erano sempre curati e graditi.

E quello spettacolo doveva essere il più grande dei tanti.

Piccole gocce di sudore fecero brillare la fronte, nascosta appena da qualche ciuffo castano scuro che cadeva anche sugli occhi, azzurri come il cielo.

Alzò lo sguardo, il grande artista, per ammirare i risultati della sua fatica: un mare di luci scattanti e persone applaudenti, eleganti nei loro abiti da sera, come il teatro lo chiedeva.

Gente distinta che non si strappava i capelli, o urlava, come quella di oggi.

Era un pubblico, un vero pubblico, di un vero teatro.

Mitcheel si inchinò ala folla e scese dal palco, alzando la mano.

Una volta nel buio delle quinte, si diresse sicuro verso i camerini. Lo staff e i macchinisti si complimentarono con lui. Nelle loro voci suonava il rispetto.

Nel corridoio che portava all'auto, Mitcheel fu affiancato da un uomo basso e robusto, dall'aria decisa e soddisfatta.

Vincent Cook era, senza ombra di dubbio, il manager più fortunato degli anni '50.

 

- Un ottimo spettacolo Coleman. Davvero ottimo! - disse sorridente.

 

Mitcheel lo ascoltò distrattamente.

Non amava prendere complimenti. Era un uomo serio, con i piedi ben piantati a terra. Mai una volta si era permesso di scherzare con i suoi colleghi di lavoro. E per questo o per la sua statura, a volte incuteva paura.

E dopo quel complimento, inciampò e cadde.

Riuscì a tenersi al muro e tenne lo sguardo basso.

Il manager, preoccupato, corse subito in suo soccorso.

 

- Oh cielo Coleman! Cosa succede?

 

- Vincent… - sussurrò lui, debolmente.

 

- Sei stanco? Eh si, è stato un concerto duro. Ma tranquillo. Il prossimo è fra una settimana. Vuoi che chiami George?

 

- Vincent… - lo chiamò ancora l'altro. - Sto bene, ho avuto un lampo.

 

- Un lampo? Come un lampo?

 

Coleman si sedette su una sedia lì vicino. Era pensieroso, preoccupato. E ciò agitò il manager.

 

- Coleman, mi spieghi che cosa vuoi dire?

 

- Io e Presley non dureremo per sempre. Gli anni passano in fretta e prima o poi qualcuno crollerà. Tutti crolleranno e verranno dimenticati, tutte le star, chi più chi meno… - disse sicuro.

 

- Ma così dici Coleman? Tu sei The King Of The Music! Così ti chiamano! Tu non passerai mai di moda!

 

- Credo… - Mitcheel esitò. Non aveva mai avuto una conversazione così "personale" con il manager. Ma decise di rivelargli il lampo che aveva avuto.

 

- Credo di non essere io quello che… che la gente aspetta…

 

Vincent guardò attentamente il cantautore. Si chiese se fosse impazzito. Conosceva molto bene l'onestà e la serietà di Mitcheel, e ciò che gli aveva rivelato lo rendeva inquieto.

Cercò di capire e di farsi spiegare di più.

 

- Bè.. certo ci saranno molti altri cantanti ma tu hai fatto storia! Insomma, sei famoso in tutto il mondo e il tuo successo è incredibile!

 

- Io credo che qualcuno possa fare di più. Sai quando compongo una canzone? Le note arrivano da sè, come per magia? Ecco. Prima ho avuto un lampo di questo genere, solo che.. era diverso…

 

- Coleman, non ti capisco. Sei diverso. Cosa intendi dire?

 

- Intendo dire che qualcuno arriverà, e sconvolgerà il mondo. Altro che me e Presley, il mio fidato amico-rivale! Questo qualcuno sarà più grande di me, sarà un genio, sarà umile… sarà la Musica fatta persona!

 

Si era fatto prendere dall'entusiasmo e dall'emozione. Anche Vincent ne fu contagiato. Sorrise e scosse la testa, incredulo. Sembrava tutto un anteprima…

 

- D'accordo Coleman. Sapevo che in fondo eri un pazzo. Ma ti credo. Aspettiamo.

 

Ma a differenza di ciò che disse, Vincent dimenticò quella discussione.

Invece Mitcheel no.

Anzi, coltivò ciò che aveva sentito, scrivendo e disegnando ciò che quella sera del 15 Maggio non aveva saputo dettare a parole.

Disegnò forme astratte, linee vorticanti, alcune bianco e nero, altre con colori intensi. Rosso, oro, argento, giallo, blu scuro, fino a creare un miscuglio disordinato ma dall'impatto violento.

Mitcheel amava ammirare le sue creazioni.

Da una parte, era deluso, perché era sicuro che anche lui sarebbe passato. Dall'altra, era orgoglioso di essere il primo a sapere dell'esistenza prossima di un mitico personaggio.

Era così assurdo da non sembrare vero.

A volte, chiuso nella sua enorme villa a Washington, sognava il suo personaggio. Come sarà? Alto o basso? Come avrà il viso?

Tormentato da quei pensieri, Mitcheel sognava una calda notte d'estate.

Pregò Dio perché qualcuno arrivasse.

Pregò per l'arrivo di qualcuno che potesse davvero sconvolgere il Mondo, come aveva predetto.

 

E quella notte tanto attesa, finalmente, arrivò...
 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Nulla è più bello di una nuova vita che sboccia, 

una nuova stella che accende il cielo.

 

U.S.A.

Gary, Jackson Street, casa Jackson.

29 Agosto 1958

 

Erano appena le otto di mattina, quando Katherine Jackson varcò la soglia di casa, stringendo a sè una bella sorpresa.

Per Joe Jackson, un uomo grande e robusto, non era una novità la nascita di un nuovo figlio.

I fratelli più grandi, Sigmund, Tito, Jermaine, Latoya e Marlon, erano seduti sul tappeto ai suoi piedi.

Rebbie, la più grande, di appena otto anni, corse incontro alla madre visibilmente felice.

 

- Fa vedere ! Fa vedere! - le dissi sporgendosi eccitata verso il fagottino. 

 

Con discreto orgoglio, la donna mostrò il nuovo piccolo Jackson.

Con il suo bel viso, il neonato scrutava i volti intenti ad osservarlo.

Anche gli altri fratellini si alzarono barcollanti verso la madre, e Rebbie, emozionata, la baciò sulla guancia.

 

Solo Joe non partecipava a tutta quella gioia.

A distanza, scrutava il piccolo con finta indifferenza.

 

- Quella calza? - sbottò deluso.

 

Era evidente che fosse amareggiato dal fatto che il piccolo non gli somigliava per niente.

Non c'era nulla di Joe che si rispecchiasse nel neonato.

Nemmeno gli occhi, ipnotici e con un contorno morbido verso il basso, somigliavano a quelli del padre.

Katherine non rispose e guardò il figlio, stringendolo a sè con amore. 

Non vi trovava nulla di imperfetto in lui, e fissandolo negli occhi, rimase intenerita dal fatto che lui la stesse fissando con la stessa intensità, quasi volesse confidarle un segreto.

 

- Oh Joseph, so che è piccolo e minuto, ma è dolce e davvero bellissimo.

 

- Come lo chiamiamo mamma? - chiese Rebbie, osservando il piccolo.

 

- Vorrei chiamarlo Michael, come l'angelo. - disse la donna, guardando Joseph come per chiedergli un permesso.

 

Il marito acconsentì con un muto gesto del capo.

 

- Michael Joseph, però… - disse dopo.

 

- Va bene.

 

Il piccolo emise un gemito, e la donna lo strinse con affetto.

 

- Benvenuto in famiglia, piccolo Michael Jackson.

 

---

 

Italia

Firenze, Via delle More 21, Villa Flint

1 Settembre 1958

 

Era una bambina quella nata con anticipo, e in pochissimo tempo, aveva raccolto a sè tutta la numerosa famiglia.

Anna Flint, una donna bellissima, neo-mamma, non aveva fatto in tempo a raggiungere l'ospedale.

In poco tempo, aveva dato alla luce la sua quarta figlia.

Anne era una cantante, modesta e con la stessa umiltà di una cameriera, che si esibiva nei bar e nei locali più in voga della grande città.

Si era ritirata poi nella villa di famiglia, quando il pancione l'aveva costretta al riposo.

Quando poi, il suo piccolo tesoro era arrivato due mesi prima del previsto, la gravidanza difficile fu subito dimenticata.

 

La piccola era minuta, dalle ossa fragili e la pelle mulatta. I capelli castani appena accennati e due bellissimi occhi smeraldo, identici a quelli della madre.

Nel volto, la bambina rispecchiava tutto il bello della madre, i contorni morbidi, il viso ovale e il profilo sottile. 

 

Anna era la donna più bella del quartiere, ed era divorziata dal suo primo marito Antonio, un avvocato molto serio, da cui aveva avuto due figli, Fabiana e Luca Gabriel.

Ancora prima, era stata sposata con un musicista spagnolo, Joey Gravino, da cui aveva avuto il primo figlio, Guglielmo.

L'ultima bambina invece, era frutto del suo amore con George Foster, da cui la piccola avrebbe preso il cognome.

George era un afro-americano, residente in America, dove aveva altri 3 figli maschi.

Anna lo amava molto.

 

Fu un giorno di festa per la famiglia Flint.

C'erano tutti, ad ammirare la nuova venuta: nonno Andrew, la vecchia zia Caterina, i figli Guglielmo, Fabiana e Luca Gabriel, Joey Gravino che, nonostante il divorzio, aveva mantenuto un buon rapporto di amicizia con l'ex-moglie.

Riuniti in soggiorno, la famiglia circondava la mamma in un abbraccio di cuori felici e volti sorridenti.

Mancava solo una persona…

 

Anna, con la preoccupazione appena accennata negli occhi gioiosi, si rivolse al padre.

 

- Ma George? Credevo l'avessi chiamato, e invece non è ancora qui…

 

Il neo-nonno si passò una mano nei capelli. George l'aveva chiamato, ma il padre mancava comunque all'appello.

Anna abbassò il volto, delusa, ma subito riprese a sorridere ed ad ammirare la piccola. Nulla avrebbe potuto interrompere la sua felicità.

 

- Questa bella bimba avrà bisogno di un nome! - esclamò zia Caterina, il volto già pieno di rughe.

 

- Aspettiamo George per questa decisione! - disse Anna, lasciando la bimba nella culla.

 

I tre fratellini si accalcarono lì vicino, incantati a guardarla con occhi curiosi.

 

- Mamma, ha gli occhi come i tuoi! - esclamò la piccola Fabiana, di soli 4 anni.

 

La madre accarezzò la figlia più grande e le diede un bacio. Sapeva che Fabiana aveva sempre ammirato i suoi occhi verdi, a differenza di quelli che aveva, verdi ma non così brillanti.

Per il resto, Fabiana era quasi una fotocopia della madre: i capelli castano scuro e il visetto un pò più tondo.

Luca Gabriel era invece molto simile al padre. Il viso ovale, la pelle mulatta, riccioli biondi e due occhi azzurri che lo facevano assomigliare a un piccolo angelo.

Guglielmo invece era tutto suo padre: volto scarno, occhi e capelli neri.

 

Il maggiore si avvicinò di più alla culla e prese in braccio la sorellina.

A 7 anni aveva braccia abbastanza forti per sollevare quel piccolo peso.

Dopo aver ammirato la piccola per pochi istanti, sollevò il volto verso la mamma, regalandole un bellissimo sorriso.

 

- Sembra una piccola rosa appena sbocciata. E' bellissima!

 

I grandi risero inteneriti, constatando che Guglielmo si era quasi innamorato della sorellina.

Poco dopo, George irruppe nella villa e, alla vista della figlia, si limitò a sorridere e a baciare la moglie.

George era alto e robusto, la pelle color cioccolato e un viso squadrato.

 

- Ho aspettato te per decidere il nome - disse lei, prendendo la piccola.

 

- Decidi tu. Per me va bene tutto. - rispose George.

 

La sua indifferenza deluse la moglie e indispettì il nonno, ma tutti fecero finta di niente.

Zia Caterina ruppe il silenzio.

 

- Sapete, è la fotocopia sfacciata di una mia prozia che ho visto in quadro, vissuta in quella villa nel 1870. Possiamo chiamarla come lei. Jackie! Jacqueline!

 

- E' uguale alla mamma, solo molto più piccola. Chiamiamola Annie! - propose il nonno.

 

- E se la chiamassimo con entrambi i nomi? - disse Anna - Jacqueline Annie Foster!

 

E così fu.

Quel giorno, a villa Flint, regnò l'allegria. Un allegria che solo gli italiani conoscono nel loro piccolo paese.

 

La gioia di una nuova vita regnava in due famiglie tanto lontane quanto unite da un insolito destino. 

Due nuovi bambini erano nati. 

Una bambina di cui il mondo avrebbe sentito parlare, un bambino che poi il mondo…bè, lo avrebbe sconvolto.

 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Non c'è bene di cui non si possa gioire, non c'è male che non si possa sentire. 

 

 

Dopo la nascita del piccolo Michael, la famiglia Jackson aveva ripreso la suo routine quotidiana.

Katherine restava a casa a badare ai figli piccoli e Rebbie l'aiutava, seppur a malavoglia, nelle faccende domestiche.

Joseph restava in fabbrica tutto il giorno e la sera tornava a casa stanco e burbero.

Quasi ogni giorno, con lui venivano anche due amici, uomini rudi e massicci come lui, che suonavano.

Joseph era appassionato di musica, e con i due complici, suonavano pezzi di musica Blues in salotto, mentre i piccoli Jackson erano riuniti attorno a loro per ascoltarli.

Anche i figli si appassionarono di musica, soprattutto Michael che, nonostante la sua età, restava a sentirli fino a tardi.

I suoi occhi scuri e ipnotici sembrava captassero ogni movimento delle dita del padre sulle corde della chitarra.

 

Il suo comportamento era strano alla sua età, e Katherine restava spesso ad osservarlo perplessa.

 

In Italia invece, Anna si dedicava interamente alla crescita dei suoi figli.

Passeggiava spesso nel parco della sua villa con in braccio Jackie, seguita a ruota dai due fratellini e dalla sorellina.

Erano passeggiate lunghe e faticose, e al loro termine, Guglielmo, Luca Gabriel e Fabiana crollavano sul divano per rilassarsi e giocare a qualcosa di più tranquillo.

Jackie no.

Lei non si stancava mai.

 

Era molto diversa dai bambini della sua età. Non le interessavano i sonagli, ma cercava gli animali, i pentagrammi della mamma e le penne stilografiche e le carte del nonno.

Spesso, Andrew la portava con sè in soffitta per farle vedere alcuni vecchi libri.

Jackie non sapeva ancora leggere, ma i libri le interessavano molto: li prendeva, voltava le pagine e odorava l'intenso profumo d'inchiostro.

 

Un altro oggetto che Jackie adorava in modo particolare era il cappello della madre, un berretto semplice di lana grigia con la visiera, cucito a mano diversi anni prima da nonna Luna.

Nonostante fosse troppo grande per lei, e le cascasse sulla fronte in continuazione, Jackie portava quel cappello con discreto orgoglio.

Lo stringeva come un peluche e lo portava anche nel letto.

Si sentiva sicura tenendolo in mano, perché aveva il profumo sicuro e dolciastro della madre.

 

Ispirata dalla nascita della sua bambina, Anna riprese a comporre canzoni e queste piacquero talmente tanto al suo produttore, che decise di farla esibire in teatro.

Era forse l'inizio di una carriera promettente.

Ma nessuno poteva prevedere che la vita della piccola Jackie sarebbe stata sconvolta da lì a poco.

 

---

 

 

Italia

Firenze, Piazza della Banca 10, Teatro di Marmo

13 Novembre 1961

 

Era l'ultimo degli 11 spettacoli, poi avrebbe potuto restare ancora a casa con i figli.

Le luci si spensero e, fra gli applausi del pubblico entusiasta, la sala cominciò a svuotarsi.

Dietro le quinte, Anna venne raggiunta da nonno Andrew che reggeva in braccio la piccola Jackie.

La bambina, che non era abituata a stare così lontana dalla madre, sprizzava gioia da tutti i pori nel rivederla.

Con l'enorme cappello che le copriva interamente la fronte, allungò le braccia verso Anna, desiderosa di un abbraccio.

 

- Mamma!!

 

- Ciao angelo mio!

 

Anna la prese e la strinse forte. Dopo averle dato un bacio, si rivolse ad Andrew. La sua espressione felice mutò improvvisamente.

 

- Papà, non c'è George? Credevo fosse con te…

 

Il nonno si passò una mano sulla fronte nera e rugosa. Lui aveva chiamato il genero, ma ancora una volta, George non aveva risposto alla chiamata.

Tuttavia, cercò di giustificare la sua assenza.

 

- Ha detto che sarebbe venuto… Forse ha avuto in imprevisto, forse è a casa che ci sta aspettando… non so…

 

Anna abbassò il volto, delusa. 

Era da un pò di tempo ormai, che George non l'aveva presa più in considerazione.

Poco dopo la nascita della più piccola infatti, era partito per l'America, ed era ritornato solo all'inizio degli spettacoli.

Anna ne era rattristata, ma decise che avrebbe chiarito la questione al più presto con il marito.

 

- Si, forse… senti, tu vai pure e raggiungi gli altri. Mi cambio e io e Jackie vi raggiungiamo, ok?

 

Sorrise e, avvicinando il volto a quello della figlia, invitò anche lei a farlo. Erano così simili e così belle, che Andrew credette di avere davanti due angeli scesi dal cielo.

Annuì e si allontanò, con il sorriso sulle labbra.

 

Anna congedò le sue guardie del corpo.

 

- E' una bellissima serata e voglio passarla con la mia famiglia. Dovreste fare lo stesso. Per stasera siete liberi.

 

La sua cortesia e la sua gentilezza colpivano sempre chi le parlava, e ciò la rendeva una persona amata da tutti.

I due uomini, alti e muscolosi, sorrisero e si allontanarono felici.

Jackie, intimorita dai loro muscoli e dalle giacche nere che portavano, li osservò allontanarsi, pensando che quei due facessero davvero molta paura.

 

Poco dopo, madre e figlia uscirono da una porta secondaria. 

Le strade erano buie e umide.

L'atmosfera allegra di poco prima stroncò improvvisamente.

Anna, dapprima sorridente e spiritosa, si bloccò, fissando il fondo del vicolo, dove la luce dei lampioni non poteva arrivare.

Jackie la sentì tremare e le tirò una mano, preoccupata.

 

- Mamma, cosa c'è? - chiese ingenuamente.

 

Anna si accovacciò accanto alla figlia e la strinse fortissimo fra le braccia.

 

- Nulla piccola mia. E' tutto a posto.

 

La sua voce la tradì. Cercava di nascondere il pericolo.

Ma Jackie lo sentì lo stesso. 

C'era il male.

Era lì, era ovunque.

Era nell'aria.


 

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


L'omicidio è solito nei romanzi. Tipico all'inizio di un'avventura. Scusa impeccabile per dare il via a una vicenda. E' il nostro modo insomma, di giustificarci quando scriviamo.


La morte è purtroppo l'unico vero modo che il destino ha scelto

per ricordarci continuamente che esiste la vita.

 

 

Il Male era lì.

Era ovunque. Era nell'aria.

E la piccola Jackie lo sentì e cominciò a tremare.

Tirò  il vestito della madre con insistenza mista a paura, e alcune piccole lacrime cominciarono a scendere dagli occhi.

 

Anna, nonostante i continui tremori, si abbassò e abbracciò la figlia, stringendola forte come non aveva mai fatto prima.

La baciò sulla fronte e dopo averle sistemato il cappello la fissò.

 

  • Quanto sei bella tesoro mio. 

 

La madre parve tranquilla, ma Jackie non si rilassò.

 

  • Mamma, perché non siamo col nonno? 

 

  • Tesoro, non preoccuparti… Ascoltami ora, tu sei una brava bambina, vero? 

 

  • Uhm.. Penso di si. Lo sono? 

 

  • Lo sei, non sai quanto. E devi esserlo sempre, Giacomina. Sempre. 

 

  • Mamma… 

 

  • Sai come devi fare? Con la volontà. Devi pensare di tirare fuori tutta la forza di cui sei capace. Non dovrai mollare mai di fronte a nessuno, e così facendo diventerai una ragazza meravigliosa. 

 

  • Mamma, che dici? 

 

  • Mi raccomando Giacomina: metti sempre gli altri prima di te stessa. Sii forte e determinata e non barcollare mai. 

 

  • Mamma, perché mi dici queste cose?

 

Come poteva Anna rivelarle di avere un presentimento di morte? 

Non poteva, no. 

 

  • Farai come ti ho detto amore mio? Non lo dimenticherai? 

 

E straordinariamente, la bambina seppe risponderle come un’adulta, con un cenno d’assenso nello sguardo smeraldino. 

Uno sguardo che in futuro avrebbe fatto tremare ed emozionare chiunque l’avrebbe guardato. 

 

Anna fissò quegli occhi magici e non seppe trattenere un sorriso di contentezza misto ad apprensione.  

I bambini sono ingenui e spesso si accontentano di vedere i sorrisi, anche falsi, dei genitori.

Ma Anna sapeva che non poteva prendere in giro sua figlia.

Lei era troppo intelligente.

Infatti, Jackie aveva continuato a guardarla, attendendo di incamminarsi verso la famiglia.

Invece, Anna la fece sedere.

 

- Cosa c'è? - chiese la piccola.

 

- Stai qui e non muoverti. Adesso mamma va a prendere sue enormi coni al cioccolato.

 

- Vengo con te.

 

- No, aspetta qui e non ti muovere per nessun motivo. Promettimelo.

 

Jackie non voleva lasciare la madre ma non insistette. Non sarebbe servito a nulla.

Annuì e guardò la madre allontanarsi nel vicolo, mentre un senso d'inquietudine le divorava lentamente lo stomaco.

Il gelato era l'ultima cosa che voleva…

 

Aspettò per alcuni minuti senza pensare a nulla. 

O forse, a pensare a troppe cose per ricordarsene una.

L'unica sua certezza era la paura che provava in quel momento. L'aria umida della notte le congelava naso e orecchie e se non fosse per la sua mente acuta e il coraggio quasi innaturale, si sarebbe messa a piangere. 

Decise di cercare la mamma.

Troppo bambina, troppo ingenua, si incamminò senza accertarsi della direzione che stava prendendo.

I suoi passi non facevano rumore sul cemento umido.

Il silenzio si trasformò in un leggero mormorio, come qualcuno che urlava in lontananza.

Man mano che Jackie continuò a camminare, i suoni si fecero più vicini e poté distinguere quelle di un uomo e di una donna.

Dei lamenti e una voce cattiva.

 

Arrivata a un incrocio fra quattro vie, vide la mamma appesa per il collo dalla mano di un uomo.

La scena fu raggelante e il terrore s'impossessò del suo cuore.

Fu un lampo e Jackie urlò.

L'uomo si voltò e lei potè vedere i suoi occhi cattivi.

 

- Jackie corri! Vai via! Scappa!! - le urlò Anna con voce soffocata.

 

La sua mente desiderava ardentemente restare con la mamma, ma il corpo si voltò e prese a correre verso le timidi luci dei lampioni di una strada più grande, mentre l'immagine del vicolo era ancora impressa nei suoi occhi.

Come una cicatrice incancellabile, come il segnale della fine.

Sentì dei botti, petardi che l'uomo le aveva lanciato dietro per fermarla e forse, ferirla.

Continuò a correre fino a cadere in confusione, e ciò che avvenne dopo fu troppo rapido per farsene una ragione.

L'ultimo urlo, l'acqua e le sirene della polizia.

 

Appena il giorno dopo, i giornali non facevano che riportare in prima pagina la stessa e raggelante notizia.

 

FIRENZE, OMICIDIO DI ANNA FLINT,

L'ASSASSINO E' ANCORA IN LIBERTA'

 

Cadono nel vuoto i lunghi progetti di una grande famiglia. Anna Flint, cantautrice appena arrivata nel mondo del teatro, è stata ritrovata ieri notte in un vicolo, dopo essersi esibita per l'ultima volta.

Si tratta certamente di omicidio, dicono i poliziotti. La donna presenta segni di violenza dappertutto e un taglio netto al ventre. Pare sia morta dissanguata.

Al momento dell'omicidio, c'era anche la figlia di tre anni, Jackie Flint Foster, che sembra aver assistito all'omicidio. 

Infatti, la piccola è stata ritrovata questa mattina dai poliziotti  in un fosso poco distante dal vicolo, in stato di shock confusionale.

Il padre, George Foster, americano, che pare non centrare nell'accaduto, ha portato in America la figlia, nonostante le insistenti richieste della famiglia.

La famiglia Flint, in lutto, dichiara: " Confidiamo nella polizia affinché sia resa giustizia ad Anna."

 

In mezzo a tutto quel caos, solo una foto testimoniava un momento dell'accaduto.

George, in una stazione ferroviaria, che correva cercando di scampare ai giornalisti che volevano una parola, una testimonianza.

Con una mano portava il bagaglio, e l'altro braccio reggeva Jackie.

La teneva come un oggetto, sottobraccio, senza che lei potesse muoversi.

Lei si copriva il viso, spaventata dai flash e dale urla, stringendo al petto il cappello di lana.

Non sapeva dove suo padre la stesse portando.

In realtà, forse, non sapeva nemmeno chi era suo padre.

 

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Se manterrete questa promessa,

sarete alleati in mille battaglie, 

e rigorosamente vicini in ogni difficoltà. 

 

 

U.S.A.

Gary

21 Dicembre 1961

 

Una spessa coltre di neve ricopriva interamente l'asfalto della Jackson Street. Lì, gli inverni erano lunghi e gelidi, e il ghiaccio scivoloso rendeva impossibili gli spostamenti con le automobili.

La via era deserta e silenziosa, e densi fiocchi di neve cadevano leggeri al suolo.

 

In casa Jackson regnava la tranquillità.

Era domenica, l'unico giorno festivo per gli operai della fabbrica vicina, e Joe si concedeva un pò di riposo, seduto comodamente sul divano del salotto.

Leggeva un quotidiano, mentre i figli giocavano lì intorno, tranquilli.

Tranne uno.

 

Mamma Katherine aveva da poco finito i lavori di casa quando notò Michael, intento a guardare un punto indefinito fuori dalla finestra.

Restò un attimo ad osservarlo, orgogliosa.

Non l'avrebbe mai ammesso, ma Michael era il suo prediletto.

Era semplice e delicato e nei suoi occhi c'era sempre una punta di luce che lo rendeva speciale.

Quegli stupendi occhi che ora la fissavano ansiosi.

 

- Mamma, posso uscire a giocare con la neve?

 

- Certo, ti accompagno. Ma stiamo qua in cortile. Copriti, che fa freddo.

 

Premurosa, lo aiutò a vestirsi e uscirono in strada.

Michael si allontanò e, raccolta una manciata di neve, la gettò in aria.

Rise quando sentì i fiocchi leggeri solleticargli il volto, e cominciò a girare su sè stesso, mentre Katherine lo osservava.

 

Dopo qualche minuto, lui si fermò.

Aveva visto qualcosa nel giardino della casa che affiancava la loro.

Una figura nera accovacciata nella neve lo stava osservando timida.

Nella figura riconobbe i tratti delicati di una bambina.

Da sotto un buffo cappello di lana grigia, due occhi verdissimi lo scrutavano discreti e insicuri.

Michael ne fu attratto e rimase immobile a contemplare da lontano la sua spettatrice segreta.

Fu come se il tempo si fosse fermato.

E poi, lui si avvicinò lentamente, suscitando incertezza nella bambina che cominciò a tremare.

Con aria smarrita, restò immobile fino a quando lui non si fosse avvicinato di più.

Quando furono ormai a pochissima distanza l'uno dall'altro, si fissarono con attenzione, intenti a scrutare e memorizzare ogni particolare del viso.

Fra gli occhi scuri e ipnotici di lui e quelli puri e scintillanti di lei era scattata una scintilla.

Lei aveva il fiato corto, spaventata dallo sconosciuto, che però era incuriosito dal cappello e dai lunghi e ricci capelli castani.

Si inginocchiò e lei si ritrasse ancora di più.

 

- Hai paura? - chiese ingenuamente lui.

 

Di certo, non conosceva l'incertezza e la paura quanto lei.

Non ancora.

Lei non rispose.

 

- Come ti chiami? - chiese ancora lui, guardando la bambina con curiosità mista a una tenerezza che non sapeva spiegare.

 

- Jackie… - rispose timidamente lei.

 

Gli occhi s'incrociarono di nuovo.

In confidenza questa volta.

In un segreto sigillato.

E poi, una richiesta nuova ma segretamente attesa.

 

- Vuoi venire a giocare con me?

 

E perché non doveva accettare? Era un bambino bellissimo, quello che aveva dinnanzi, e le parve come un angelo custode volato da lei per aiutarla.

 

- Ok.

 

Era sprofondata nella neve, e lui la raccolse, prendendola fra le braccia.

La sollevò senza alcuna fatica.

Era leggerissima anche per lui.

Quel nuovo contatto fu intenso ma così naturale che nessuno dei due si accorse del calore che si erano inconsapevolmente scambiati.

Nella loro anima innocente di bambini, non c'erano altro che domande ingenue e la voglia di giocare.

 

- E tu chi sei? - chiese lei timidamente.

 

Lui ce l'aveva ancora con il suo cappello.

 

- Sono Michael Jackson, e voglio provare il tuo cappello. - rispose con naturalezza.

 

Jackie era riluttante a lasciargli l'oggetto più caro, anche se per pochi istanti.

Ma osservando ancora gli occhi del nuovo amico, sentì di potersi fidare e gli porse il cappello.

Lui lo osservò a lungo, prima di poggiarlo sulla testa.

 

Sentì le risate di Katherine il lontananza, che certamente aveva assistito in silenzio a tutta la scena, e si sentì proprio buffo con la comoda e morbida lana in testa.

Non si lasciò intimidire nemmeno dal sorriso di Jackie.

Anzi, ciò lo portò a prenderla per mano.

Con una presa salda intrecciò le sue dita alle proprie, e poté constatare quanto queste fossero magre e affusolate.

Restituì il cappello e per la prima volta le regalò uno splendido sorriso.

 

- Vieni con me. - le sussurrò.

 

La portò nel suo cortile, dove i due entrarono subito in confidenza, giocando con la neve fresca e rincorrendosi.

Per quel giorno, la Jackson Street si dipinse delle risate e i sorrisi di due nuovi amici.

E quel giorno, segnò il principio di qualcosa di grande, che maturò col tempo.

 

Jackie e Michael non si separarono più.

Lui la portava sempre con sè, e veniva a cercarla a casa sua quando lei tardava a uscire per giocare.

Le era così affezionato, che non passava giorno senza di lei.

Jackie era considerata più una Jackson e una Foster, perché passava la maggior parte del suo tempo a casa dell'amico.

Così tanto, che anche Katherine, Joe e i fratelli finirono per affezionarsi a lei, quasi quanto una sorella.

 

Michael e Jackie amavano ascoltare le prove musicali di Joe e dei suoi compagni, e finirono per appassionarsi entrambi alla grande alchimia della musica. 

Li ascoltavano per ore, giocavano e si nascondevano da qualche parte e, nonostante la tenera età, parlavano molto, fra di loro, di tutto.

E poi si abbracciavano, e restavano uniti per ore.

 

Tuttavia, Katherine era sorpresa dal fatto che nessuno, da casa Foster, venisse mai a reclamare la piccola.

George non venne mai a cercarla, e mamma Jackson non l'aveva mai visto sorridere alla figlia o rivolgerle qualche parola gentile.

L'unico che si curava di venirla a prendere era Albert, uno dei fratelli maggiori, un ragazzo alto e forte, di circa dieci anni in più della sorellina.

Era molto simpatico e affettuosissimo con Jackie.

Ma lei, rimaneva sempre attaccata a Michael, la quale non voleva lasciarla sola un attimo.

Non la mollava mai, nemmeno per andare a dormire.

E quindi, i due bambini finivano abbracciati sul letto insieme, sognando probabilmente un mondo di luci e colori.

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


 

 

Semina i tuoi sogni, crescerà la tua vita.

 

 

I giochi di Michael e Jackie duravano molto, e i bambini erano sempre felici insieme.

Ma un giorno, riordinando la sua stanza, Katherine sentì il figlio intonare un motivetto, che la colpì.

Si scoprì che Michael aveva un talento naturale, e dopo una lunga discussione con Joe, il piccolo Jackson diventò parte integrante del gruppo musicale dei figli, dopo che il padre ebbe lasciato i due complici.

 

I giovanissimi iniziarono subito le prove con chitarra e microfoni, note e strumenti.

I giochi di Michael e Jackie divennero sempre più rari, e la bambina, durante le prove, aiutava mamma Katherine nelle faccende domestiche.

 

Un giorno, mentre Joe era impegnato con i ragazzi in giardino per provare, Jackie aiutava Katherine a pelare le patate, sedute in cucina.

Da tempo, mamma Jackson si domandava dove e chi fosse la madre di Jackie.

Non poteva certo sapere che si trattava di Anna Flint, poiché in America non la conosceva nessuno, e decise di parlare.

 

- Jackie ma…. la tua mamma? Non l'ho mai vista, chi è? - chiese con leggerezza.

 

Jackie sussultò, spalancando gli occhi. Già, chi era la sua mamma? I ricordi, sepolti da tempo nelle radici della memoria, tornarono a galla improvvisamente, e le provocarono un singhiozzo.

Katherine, davanti alla reazione della bambina, pensò di aver osato troppo, e decise di far cadere il discorso, prendendo Jackie e stringendola a sè per calmarla.

Invece, ottenne inaspettatamente una risposta.

 

- La mia mamma….. abitavamo molto lontano da qua, non so dove…. ricordo solo lei e il nonno… e c'era un uomo cattivo e….. non mi ricordo più nulla….

 

Il pianto aumentò.

Jackie nascose il viso fra le mani e scoppiò in un turbine di singhiozzi disperati.

Katherine la strinse a sè maternamente.

Erano bastate poche parole per intuire l'accaduto.

Fra i singhiozzi, Jackie continuò a parlare.

 

- La mamma cantava sempre… ed era buonissima.. ma non ricordo niente…

 

Katherine la baciò e la accarezzò cercando di calmare il pianto disperato.

Ma nulla poteva frenare quelle lacrime. 

Oh, quanto avrebbe voluto essere lei la sua mamma!

Ma non era andata così, purtroppo non era andata così…..

 

---

 

Dopo essersi confidata con Katherine, Jackie decise di dire la verità anche a Michael.

Così quella sera, seduti comodamente sul letto di lui, gli raccontò tutto ciò che ricordava di quei terribili momenti.

Dopo il suo racconto, lui l'aveva stretta fra le braccia, come se quell'abbraccio e il suo amore incondizionato per lei potessero cacciar via ogni sofferenza da quegli occhi verdi che tanto amava.

 

- Non temere, d'ora in poi io canterò per te! - le sussurrò.

 

Si avvicinò lentamente e la baciò sulle labbra con naturalezza e delicatezza, fissandola dolcemente.

Davanti a quegli occhi splendidi, Jackie con aveva potuto fare a meno di sorridere.

 

---

 

Un giorno, mentre fuori pioveva a dirotto, Jackie era rimasta in casa Foster per cercare qualche stoffa.

Suo padre non aveva soldi per lei per comprarle i vestiti, così lei raccoglieva ciò che trovava per farsi aiutare da Katherine a cucirseli.

Chiusa nella soffitta, spostò alcune vecchie scatole alla ricerca di tessuti, quando qualcosa attirò la sua attenzione.

Era una borsa, bianca con le rifiniture marroni, nascosta dietro a un pesante baule.

Non aveva mai visto una valigia così bella, così la tirò fuori.

Era pesantissima.

Spinta dalla curiosità, la aprì.

All'interno c'erano un sacco di carte e documenti, fotografie, pentagrammi e altri strani e curiosi oggetti.

Con le dita tremanti per la nuova scoperta, Jackie raccolse un foglio a caso e lo portò davanti agli occhi.

Non sapeva ancora leggere bene, ma Katherine le aveva dato qualche lezione in anticipo e le aveva insegnato a fare la firma.

Così, riconobbe il suo nome scritto fra le righe.

Dopo qualche minuto di tentata traduzione, scoprì che si trattava di un documento di cittadinanza americana.

Raccolse un altro foglio.

Stavolta era un certificato di nascita, sempre suo.

C'erano anche delle fotografie raccolte insieme da un nastro adesivo bianco.

Jackie le prese e tolse il nastro delicatamente e con attenzione per non rovinare la carta.

Dopo aver tolto l'adesivo dalle fotografie, le sfogliò rapidamente.

Le immagini ritraevano forme, luci e colori che non aveva mai visto.

Una cascina dai muri celesti e le tegole del tetto rosse, immersa nel verde di una foresta; un recinto con pecore, capre e cavalli che pascolavano placidamente; Un cane, una gatta e… una famiglia.

Davanti a quelle immagini i ricordi riemersero improvvisamente.

Nonno Andrew, Luca Gabriel, Fabiana, Guglielmo, zia Caterina, la mamma e … lei.

E poi, le immagini del vicolo, al buio, riapparvero nitide nella sua mente, rapide e violente. 

Un terrore sepolto rimbombò minaccioso nella sua mente confusa.

Non c'è la faccio, pensò in preda al panico, ho bisogno d'aiuto.

 

Michael era fuori ad esibirsi, e poi era troppo bambino, come lei, per sopportare tutto quello.

Non poteva coinvolgerlo completamente in una simile situazione.

Sapeva che l'avrebbe presa troppo a cuore, e non voleva.

Doveva fare tutto lei.

Lei che forse non era già più bambina completamente.

Corse dal fratello Albert, l'unico di quella casa di cui poteva fidarsi.

Papà era sempre arrabbiato e tutti gli altri suoi fratelli la odiavano per motivi che non conosceva.

 

Corse in camera del biondo e gli venne addosso, abbracciandolo e cercando di trattenere le lacrime.

Albert rimase immobile, sorpreso e preoccupato.

La strinse forte e le accarezzò la chioma ricciuta.

 

- Ehi ehi dolcezza, calma…. non fare così, non agitarti, va tutto bene… Sorellina, che cosa c'è?

 

- Fratellone, aiutami. Ho bisogno di te ora più che mai.

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


 

 

L'amico è colui che chiede come stai

e dopo ascolta la risposta.

 

 

Sdraiato sul letto freddo della stanza con la sorellina fra le braccia, Albert accarezzava i lunghi capelli dolcemente, addolorato da tutta quella quella sofferenza e cercando di frenare la sua tristezza.

Le regalò un piccolo bacio sui capelli e cercò di calmarla come poteva.

 

- Non fare così dolcezza. Calmati e raccontami. - la incitò con il suo solito tono pacato.

 

Jackie prese respiro e disse lui della valigia trovata in soffitta.

 

- Ora sento di ricordare qualcosa, come se alla vista di quelle foto mi si fosse accesa una lampadina… - disse con voce debole e sottile.

 

Albert capì all'istante.

Lui sapeva tutto, ed era presente quando George l'aveva strappata alla pace del Mediterraneo per portarla nella terra arida d'America.

Era sempre stato contrario, sebbene volesse un bene dell'anima alla sorellina e non se ne sarebbe mai separato, ma per lei sarebbe certamente stata meglio la vita tranquilla e pacifica nel verde delle foreste che in una casa dove il padre non si prendeva cura di lei.

 

La strinse forte e la cullò fra le braccia forti e muscolose. Sospirò, pensieroso, e Jackie intuì che stava per dirle qualcosa di importante.

 

- Jackie… so che sei piccola… ma non posso aspettare anni per di raccontarti per bene le cose come stanno, perché dopo la verità sarà più difficile da accettare. Sei molto intelligente e so che capirai quanto sto per dirti. Forse sbaglierò ma non posso tenertelo nascosto.

 

- Cosa devi dirmi? - chiese lei, anche se sapeva già la risposta.

 

- Tu ti ricordi dell'Italia? - disse lui, convinto di doverle spiegare tutto dal principio. Dopotutto, all'epoca lei era molto piccola.

 

- Italia? Così si chiama la terra meravigliosa della mamma? 

 

La risposta della bambina lo lasciò interdetto, ma annuì.

 

- Si.

 

- Quella dove c'è la villa blu col tetto rosso?

 

- Si, dove abitavi prima.

 

- Me la ricordo.

 

Jackie cominciava a rimembrare un immagine dopo l'altra: prati ridenti, case e persone sorridenti.

Il dolce volto di Anna che rivolgeva una parola gentile a chiunque.

A quel pensiero Albert deglutì, sentendosi in difficoltà.

I ricordi premevano anche contro il suo cuore.

 

- Quando tu eri piccola, e papà ci aveva portato in quel posto, ho potuto conoscere la tua mamma. Anna era molto buona con me. Ti confesso che avrei voluto che fosse stata anche la mia mamma… La famiglia dal tuo ramo era davvero meravigliosa. La sera ci riunivamo tutti nella veranda e cantavamo canzoni bellissime!

 

Jackie non disse nulla, e nel suo silenzio Albert lesse una sola domanda.

 

- La mamma non c'è più, e poi papà ti ha portata qui. Non mi chiedere del resto della famiglia, perché non so ora dove siano…

 

S'interruppe quando sentì il primo singhiozzo. 

Il cuore di Jackie era spezzato.

 

- Perché papà mi ha fatto questo? - chiese amareggiata.

 

Albert non rispose.

Probabilmente, nemmeno lui conosceva la risposta.

Attese che Jackie smettesse di piangere, per poi stenderla sul suo letto, dove si addormentò sfinita.

La lasciò per pochi minuti, il tempo di raggiungere la soffitta e nascondere la valigia in un posto sicuro.

Sicuramente George non sarebbe stato contento se fosse venuto a sapere che la figlia era a conoscenza di una cosa così importante.

 

Una volta in camera, prese in braccio la sorellina avvolta in una coperta e, dopo aver controllato di non essere visto, uscì in strada.

 

Il campanello di casa Jackson suonò, e Katherine corse ad aprire.

La sua sorpresa fu tanta quando vide il ragazzo con una faccia sconvolta e stremata.

 

- Albert!!

 

Il biondo sorrise.

 

- Pensavo volesse aspettare Michael, ma si è addormentata prima del suo ritorno. Ho fatto male? - chiese, alludendo a Jackie che gli dormiva in braccio.

 

- Assolutamente no! Vieni dentro, non prendere freddo!

 

Lasciarono Jackie sul divano e, prima di andare, Albert guardò Katherine con una strana espressione.

Gli occhi celesti del ragazzo erano turbati, e mamma Jackson capì che qualcosa non andava.

 

- Albert, devi parlarmi di qualcosa?

 

---

 

Poche ore più tardi, Jackie si svegliò frastornata. La testa le esplodeva e man mano che i ricordi si facevano sempre più vivi nella realtà, si destò con una forte emicrania.

Katherine, sentendola sbadigliare, la raggiunse subito.

Si accucciò accanto a lei e le lisciò i capelli con le dita.

 

- Ben sveglia mia cara. - le disse sorridente, ma la voce commossa e gli occhi ancora lucidi dopo aver ascoltato per intero la storia di quella bambina sempre allegra fuori ma che moriva dentro.

 

Jackie, vedendo la figura materna di Katherine, sorrise.

Accanto a lei si sentiva a casa.

 

In quel momento, la porta si spalancò improvvisamente.

Joe e i Jackson entrarono in casa.

 

- Scusa il ritardo cara, ma Bill ha voluto che suonassero un pezzo in più. Posso avere un piatto? Non ho mangiato…

 

- Certo..

 

Katherine si alzò e cominciò a servire la cena.

Jackie raggiunse Michael, ancora vicino alla porta, cercando di non pensare al forte mal di testa che l'aveva colpita una volta in piedi.

Michael era stravolto e leggermente sudato, osservava il padre mangiare, ancora in piedi accanto alla porta.

 

- Ciao Mike, come è andata?

 

- Non indovinerai mai.. - rispose lui, con uno strano scintillio negli occhi.

 

Jackie lo guardò confusa.

 

- Abbiamo incontrato una donna bellissima e ci ha detto che faremo un disco. Un disco per la Motown!

 

- Davvero? E' fantastico! Allora diventerai famoso!!

 

Jackie saltellò di gioia. Era felice per il suo amico del cuore, anche se la sua mancanza durante il giorno si faceva sentire.

 

Michael non aveva fame e perciò andò subito a letto, portando con sè Jackie.

La castana era preoccupata.

 

- Sei sicuro di non avere fame? Devi mangiare…

 

- Sto benissimo. Ho solo voglia di dormire.

 

Lui si stese e rimasero al buio in silenzio per qualche minuto, persi in tanti e diversi pensieri.

 

- Jackie.

 

- Umh?

 

- Verrai quando incontreremo questa donna bellissima?

 

- Ma io… non c'entro niente in tutto questo.

 

- Per favore! E' triste vederti solo la sera, e durante la giornata mi manchi…

 

Il buio nascose le guance di Jackie, improvvisamente rosse per quelle parole dette dal cuore.

 

- Davvero? - chiese timorosa.

 

- Davvero davvero.

 

Dopo aver confermato le sue parole, più convinto di prima, si alzò per darle un bacio e poi affondò la testa nel cuscino.

 

- Buonanotte allora.

 

- Notte Mike..

 

Attese qualche istante prima di confessargli qualcosa.

 

- Ti voglio bene.

 

Ma il bambino era già nel mondo dei sogni.

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


 

La musica non è fatta di note corrette,

ma di passione, dedizione, 

intenzione travolgente.

 

 

La "Villa Delle Vacanze" di Diana Ross era situata a pochi chilometri da Gary, abbastanza lontano per una gita e abbastanza vicino per farsi raggiungere comodamente dai Jackson.

 

Ogni volta che la visitava, Michael si sentiva come in una seconda casa.

Diana li accoglieva a braccia aperte, e riservava qualche trattamento speciale per Michael, che era il suo preferito.

Quando un giorno, lui portò Jackie con sè, Diana si limitò prima a guardarli da lontano, sinceramente colpita.

E quando scese per salutarli, rivolse uno sguardo ammirato ai timidi occhi di Jackie, che la guardavano con una punta di ammirazione e suggestione. 

Non aveva mai visto una stella da così vicino.

 

Diana si era fatta avanti a salutare Michael, e lui non aveva perso tempo a presentarla.

 

- Diana, lei è Jackie Foster, la mia migliore amica.

 

E dalla sicurezza delle sue parole, e dall'orgoglio con cui le esprimeva, Diana capì che si trattava di un amica davvero speciale.

Da allora la prese sotto la sua protezione.

Pregava Katherine per lasciargliela qualche pomeriggio in più, mentre Michael e i fratelli provavano per la Motown, e per lei Jackie diventò come una figlia.

Col tempo, anche la piccola ragazzina con gli occhi smeraldo di affezionò molto a lei.

Il loro era un rapporto saldissimo.

Era impossibile non amare Jackie: aveva uno splendido carattere, era umile e dolcissima e non risparmiava mai un sorriso a nessuno.

Diana le fece apprezzare l'arte e la cultura, la fece studiare le lingue e la accolse a casa sua anche per dormire la notte.

Con Michael visitavano i musei, nuotavano e cavalcavano.

La serenità di quei giorni li distoglieva da tutti i problemi, le oppressioni e i difetti delle famiglie.

Michael e Jackie non avevano bisogno d'altro per stare bene.

Erano insieme, e ciò bastava per entrambi.

Fin dal principio, Diana aveva notato che fra i due c'era un intesa speciale, e sussurrando fra sè alcune parole, li immaginava già sposati.

Sebbene avesse un carattere spiccio e pratico, Diana era anche dolcissima e tentava di nascondere il fatto che era intenerita dai due compagni di sempre.

 

Dopo aver notato il suo interesse per la musica, Diana decise di portare Jackie agli studi di registrazione della Motown.

Le sale erano grandi e ben attrezzate e ogni angolo brulicava di discreta attività.

I cori provavano canzoni, alcuni artisti davano ordini ai tecnici del suono, i musicisti sistemavano i loro raffinati strumenti mentre i produttori osservavano ogni movimento con occhi attenti.

All'inizio, Jackie era spaventata da tutta quella gente, ma poi ne restò quasi affascinata.

Diana le spiegò che tutte quelle persone erano insieme per la creazione di un progetto, che poi sarebbe stato ascoltato e valutato, e perciò ognuno doveva fare la sua parte.

Le disse inoltre, che il campo musicale era solo per chi amava la musica.

Chi vi entrava senza questo piccolo ma fondamentale particolare, si perdeva.

 

- Ed ecco laggiù Michael! - disse la stella, fermandosi vicino a una cabina di registrazione.

 

I Jackson 5, raccolti dietro un vetro con casse e microfoni, stavano provando un nuovo singolo che sarebbe uscito a breve.

Mentre osservavano in silenzio le prove, una figura distinta in giacca e cravatta si avvicinò col suo passo tranquillo e cascante.

Jackie si voltò per prima.

Era un uomo che aveva i suoi anni, con arruffati capelli grigi e due occhi che brillavano di una giovane allegria.

 

- Buongiorno Diana. Felice di trovarti qui anche se non hai alcun lavoro. - la salutò l'uomo.

 

- Carissimo. Come stai?

 

Dopo aver risposto, il curioso personaggio abbassò lo sguardo fino a Jackie, che lo guardava con gli occhi spalancati dalla curiosità. Lui notò subito il colore cristallino di quegli occhi verdi, e ne rimase piacevolmente colpito.

 

- E chi è questa bella signorina? - chiese.

 

- E' un amica di Michael. Saluta tesoro mio.

 

La risposta di Diana lasciò l'uomo un pò sorpreso. Non immaginava certo che, con tutto quel lavoro, una piccola star potesse avere un amica.

Jackie fece un passo avanti e allungò la mano come Diana le aveva insegnato.

 

- Jackie Foster, signore. - si presentò, le guance rosse e la voce leggermente tremolante.

 

L'uomo le strinse la mano con calore e le rivolse un tiepido sorriso.

 

- Buongiorno piccola. Io sono Berry Gordy, direttore della Motown Company. Ti piace la musica?

 

- Molto signore.

 

- E allora che ne diresti se ti portassi di là a farti vedere come funzionano quegli aggeggi pieni di leve e pulsanti? Sai, servono per i suoni e le note musicali…

 

- Sarebbe fantastico signore.

 

- Chiamami Berry piccola. 

 

Diana li guardò andare via, felice che anche Jackie si interessasse a quel campo. Sapeva che Michael soffriva molto la sua mancanza durante le prove, e pensò che la presenza dell'amica potesse confortarlo.

 

Passarono in fretta tre ore.

Terminate le prove, Michael notò con sorpresa Jackie dietro a un tavolo con Berry Gordy, e si precipitò a vedere e a salutarla.

Il direttore lo notò quasi subito, e rivolse al bambino un caldo sorriso.

 

- Ecco qua il nostro birichino! - esclamò contento, prima che Michael potesse dire qualcosa. - Come sono andate le prove?

 

- Benissimo signor Gordy - rispose Michael imbambolato, gli occhi fissi sulla timida figura di Jackie.

 

- Possibile che non ti si possa chiedere un favore? Chiamami Berry! Non ti mangio mica se lo fai eh? Hai visto cosa stiamo facendo? Jackie sembra molto interessata.. aspettiamo ancora un pò e diventerà più brava di me. Sarà la volta buona che licenzio quei due cafoni e scansafatiche di Brig e Jonnhy….

 

- Sai usare questi? - chiese Michael, e Jackie annuì sorridente. Il direttore discografico dietro di loro continuava a parlare. Un pò con loro, un pò con Diana, un pò con sè stesso.

 

- Lo dico sempre io! I giovani si devono appassionare alla musica! Non al calcio, alla musica! Non all'ippica, alla musica! Non alle ragazze, ma alla musica! E' perfetto tutto questo.. intelletto umano trasformato magicamente in metallo e plastica che può spostare e schiacciare e cambi un mondo dentro un pezzo di carta! Quant'è vero che la musica ti porta gioie e dolori! Ti senti realizzato quando hai il piacere di aver fra le mani il peso della creazione, il frutto della tua fatica, qualcosa di vero, di puro e magico…

 

Diana rise. Berry si era lasciato andare completamente, e le sue parole avevano attirato particolarmente Michael, che lo fissava con uno strano sguardo.

 

Poi, Berry si rivolse a Jackie.

 

- Mia cara, se ti piace farlo, perché non vieni più spesso qui. Dirò ai miei ragazzi ti insegnarti il mestiere e chissà, un giorno o l'altro…

 

La castana sorrise, e gli occhi cristallo brillarono di una nuova gioia.

 

- Mi piacerebbe molto signore…

 

- Chiamami Berry piccola. Sei di casa ormai.

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


La musica è pura energia che entra prepotentemente

in contatto con la nostra anima 

armonizzando le dissonanze che la vita ci fa patire.

 

 

Quello della Musica era un mondo semi-buio, dove devi saperti muovere per non cadere in un baratro di vergogna e miseria.

Le note di una canzone possono trarre in inganno, se sei piccolo e non hai esperienza.

Michael non temeva la musica.

La ammirava da lontano, senza attaccarla.

Non entrava ancora in essa, perché sapeva di non essere ancora all'altezza per sopportare in sè quella forza spirituale talmente potente da far crollare vetri e uomini.

Sapeva che sarebbe giunto il momento, ma non ora.

 

Non andava a frugare nella musica.

Si limitava a cantare ciò che gli veniva dato.

Nella casa discografica c'era sempre un aria allegra, e non aleggiava più l'odore aspro delle botte.

Si, botte.

Chi decideva per lui e i Jackson 5 era stato sempre Joe.

 

Prima di quella fortuna, i fratelli provavano a casa, e ciò che avveniva all'interno delle mura non erano che prove della crudeltà spietata, ancora una volta, di un uomo assetato di fama e successo.

 

Stanchezza, febbre o malditesta.

Non c'era male che poteva fermare le prove.

E Michael conosceva bene le punizioni inflitte se non si obbediva all'istante.

Botte di cui solo Katherine e le piccole Jackson erano testimoni.

Talvolta, anche Jackie aveva assistito, e ricordava bene quanto Michael avesse sofferto in quei tempi.

Soffriva lei per lui, nel vederlo in quello stato.

Sapeva che lui odiava il padre.

Padre che non poteva nemmeno definire tale. 

 

Jackie non sapeva come considerare Joe.

Con lei aveva sempre avuto in atteggiamento riservato.

Non le aveva mai rivolto una parola gentile.

 

Tuttavia, ricordava vagamente che la prendeva in braccio, quando era ancora molto piccola e la portava via da George, che la voleva picchiare per aver rubato un pezzo di formaggio da casa.

 

Non l'avrebbe mai fatto, ma aveva fame e non aveva alternative.

Ricordava il gesto di Joe come per salvarla, ma non ne era sicura.

La mente era annebbiata ancora da tanti dubbi, e la lontananza dal ramo materno della famiglia non l'aiutava di certo.

 

Ricordava anche che spesso entrava in casa Jackson quando erano in corso le liti fra Michael e Joseph.

 

Michael era docile per natura, ma non tollerava di essere maltrattato ingiustamente.

Metteva l'anima in tutto ciò che faceva, soprattutto cantare e ballare, e non meritava di essere picchiato solo per lamentarsi del malditesta.

Jackie aveva sempre preso le difese di Michael, anche la figura di Joe la intimidiva.

Nessuno dei due bambini era mai riuscito a capirlo.

 

Jackie rabbrividiva quando Michael le raccontava i locali dove andavano a esibirsi prima di incontrare la Motown.

Erano edifici luridi, bui e grotteschi, dove il pubblico era diviso fra gente ubriaca e annoiati di poco conto.

Prima e dopo di loro vi erano anche delle spogliarelliste.

Le loro figure attiravano Joe e i fratelli, ma Michael no.

Disse a Jackie che non era attratto da loro, perché le sembravano fin troppo volgari.

Tralasciò tuttavia le occhiate dei fratelli ai bagni femminili.

Disse che era rimasto sconvolto una volta che aveva visto un uomo travestito da donna, e da lì era partito quasi il suo disgusto.

Ma entrambi sapevano che era ancora presto per parlarne, e che il tempo avrebbe risolto i loro dubbi.

Al riguardo erano due ragazzini estremamente ragionevoli, che non s'interessavano a certe cose prima dell'età.

Katherine lo sapeva, perché Michael si era confidato anche con lei, una volta, e davanti alle parole del figlio, non aveva fare a meno di sorridere.

 

Mamma Jackson era molto protettiva, ma sapeva che Michael stava crescendo e che sarebbe arrivato un momento della vita più delicato.

Ogni tanto, Albert andava a trovarlo e faceva la parte della figura maschile.

Lo aiutava con i primi problemi dell'adolescenza e gli fece un pò da "ragionevole fratello maggiore".

Jermaine e gli altri erano fin troppo occupati con la massa di ragazze che andavano sempre a cercarli.

Di Jackie invece si occupavano Katherine e Diana, che ormai si considerava quasi una madre per la ragazzina dalla chioma ricciuta.

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


L'unica certezza, ora che il mondo per me è ancora buio,

sei tu.

 

 

Approfittando dell'assenza di Jackie, che era andata alla casa discografica per imparare il mestiere, Albert chiuse a chiave la porta della camera, attento a non farsi vedere da George, che guardava la TV in salotto con i tre fratelli.

Suo padre doveva rimanere all'oscuro di ciò che stava per fare.

Non era assolutamente sicuro ma si sentiva in dovere.

Prese il telefono e compose un numero estero.

La linea era disturbata, ma dopo pochi squilli finalmente qualcuno rispose.

 

- Pronto?

 

Una voce stanca e un pò triste, in una lingua facile e diretta.

Italiano. 

Una chiamata in Italia.

 

Albert non conosceva quella lingua, ma ricordava che era regola della famiglia Flint parlare benissimo l'inglese.

 

- Andrew, sono Albert. Ti ricordi di me? Sono il fratellastro di Jackie, quello biondo.

 

- Albert! Ragazzo mio! Quanto tempo! - una voce più animata al nome della piccola e pronunciata nella sua lingua. Chi parlava era il vecchio nonno, incredulo e meravigliato.

 

- Ma Jackie? Perché non ci avete più fatto sapere nulla, santo cielo! Sarà diventata grande, la mia adorata nipotina.. e come sta?

 

- Benissimo, ho badato io a lei per tutto il tempo. E' davvero deliziosa, proprio come Anna…

 

- Oh si, la mia adorata figlia… ma perché questo silenzio durato da… 12 anni! Sono passati 12 anni e voi siete spariti nel nulla! Jackie è mia nipote, e non la vedo da 12 anni!

 

- Lo so Andrew, è proprio di questo che vi volevo parlare. Per mio padre l'Italia è un capitolo chiuso, ma per me no. Jackie sa tutto, l'accaduto e sa tutto di voi, gliene ho parlato io. 

 

- Ma perché non la riporti qui da noi? Insomma, suo padre non la vuole no? E io sono sempre il nonno, e qua c'è una famiglia che le vuole bene! E' per il suo bene Albert!

 

- Non ne dubito, ma penso che questa debba essere una scelta di Jackie. Vedi, ha fatto amicizia con Michael Jackson, il figlio dei nostri vicini e sono inseparabili.

 

- Albert, non puoi dirci di spingerla a una scelta così? E' solo una bambina!

 

- Una bambina che 12 anni ha visto morire sua madre e che si è adattata a un mondo nuovo e completamente diverso. Ha 15 anni, e penso che questa sia… sia una decisione che deve prendere lei.

 

- 15 anni… troppi, troppi…. Non sai quanto l'abbiamo pensata in questi anni. Tutti della famiglia volevano starle vicino e non potevamo… La verrò a prendere e parleremo.

 

- No Andrew per favore! George sarebbe furioso, ti sto telefonando di nascosto. Lascia che ci pensi io…

 

- E come intendi fare?

 

- Sono maggiorenne, non ho problemi a spostarmi. Appena sarà possibile prenderò un aereo per l'Italia e porterò Jackie con me. So che ha bisogno di vedere la sua intera famiglia.

 

- Non più…

 

- Come?

 

- Dopo la morte di Anna, anche Joey è tornato in Spagna e ha portato con sè Guglielmo. Non ho potuto biasimarlo. Ciò che lo teneva attaccato alla nostra famiglia era lei. Ma voglio cercarli, ricordo come Guglielmo amasse Jackie…

 

- Va bene. Allora ci vediamo fra circa una settimana. Non fare nulla Andrew, ve la porterò…

 

- Sei un caro ragazzo Albert. ti ringrazio a nome di tutta la famiglia Flint.

 

Dopo quella conversazione, Albert aveva atteso con impazienza il ritorno di Jackie, e quando l'aveva chiusa in soffitta dopo, lei lo guardò sorpresa.

Era diventata una bellissima ragazzina, e Michael non le era da meno. 

Insieme erano una bellissima coppia…

 

- Albert, devi dirmi qualcosa? Mi sembri agitato… - cominciò lei.

 

Il fratello maggiore le strinse le mani.

 

- Si, dunque… sono riuscito a contattare tuo nonno…

 

- Nonno Andrew!

 

Jackie portò le mani alla bocca, stupita. 

Sapeva che aveva la famiglia divisa a metà, e inconsciamente una parte di lei aveva sempre voluto tornare indietro e incontrare l'altra fetta.

 

- Si. Ormai sono maggiorenne, e fra una settimana potrò portarti in Italia!

 

- Davvero? Meraviglioso! Così li incontrerò! 

 

Albert sorrise, contento di vederla così emozionata. Ma poi abbassò lo sguardo, e il suo sorriso evaporò.

 

- Ma c'è…

 

- Cosa?

 

- Vuoi rimanere là con loro, per sempre?

 

Jackie lo guardò stupita. 

Lasciare l'America…. tutto per restare con la sua famiglia.

Si rabbuiò e Albert decise di parlare, ma il volto sicuro di Jackie lo bloccò.

 

- Albert, io amo la mia famiglia con tutto il cuore, ma ormai la mia casa è qui. L'America è il mio posto, e per quanto ami la mia terra d'origine, non vi potrei tornare per sempre sapendo che qui c'è qualcuno che non posso e non voglio abbandonare. Qualcuno a cui voglio un bene che non so spiegare nemmeno a me stessa… E poi ci sei tu, e non potrei mai lasciarti.

 

Albert si commosse, e si abbracciarono.

 

- Sopporterai tutti i fratelli e papà.. per me e Michael? - chiese lui sorridendo.

 

- Si, sicura. Non m'importa se mi trattano male e mi fanno i dispetti. Io sto qua. E la mia famiglia andrò a trovarla periodicamente.

 

- Come vuoi tu. Ti accompagnerò finchè non sarai in grado di andarci da sola e anche dopo…. Se devo essere sincero, anch'io considero i Flint come la mia vera famiglia, a parte la mia mamma… papà a volte è cattivissimo…

 

- Non ci pensare… siamo noi due, no? Siamo insieme.

 

- Si sorellina.

 

E si strinsero ancora, nel buio sicuro della soffitta, promettendo in silenzio di non lasciarsi mai.

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


Mai avrei pensato di poter tornare laggiù. Mi sento strana, ma felice. Posso tornare là, dove tutto ebbe inizio…

 

 

- Sono così emozionata! Finalmente potrò incontrare l'altra parte della mia famiglia!

 

Gli occhi verdi erano più luminosi del solito e il suo sorriso si estendeva per quasi tutto il viso.

Era felice, non c'era dubbio.

Michael la guardò a lungo, in silenzio.

Dopo il suo racconto, si era rabbuiato.

Non sapeva spiegarsi il perché, ma era preoccupato e pieno di dubbi.

 

- Ma poi come farai a tenerti con contatto con loro? - chiese.

 

- Ci scriveremo delle lettere, parleremo al telefono e poi andrò a trovarli.

 

- Ma sono dall'altra parte del mondo!

 

- E allora? Non mi spaventa la lontananza. Ma perché tutte queste domande?

 

Jackie lo guardò, cercando di captare qualsiasi traccia di sentimento nei suoi occhi.

Ma Michael non glielo permise.

Si girò, improvvisamente timido, e decise di parlare.

Lei avrebbe capito i suoi dubbi, probabilmente.

 

- Si, lo ammetto: sono preoccupato. Temo che non vorrai più tornare. Insomma, tuo padre è sempre molto cattivo con te, e mi stai dietro sempre. Là invece, c'è una famiglia che può offrirti di tutt…

 

S'interruppe improvvisamente, sentendo due esili braccia circondarlo da dietro.

Con la coda dell'occhio guardò la ragazzina dietro di lui.

La timidezza lo aveva paralizzato.

 

- Come puoi pensare che possa lasciarti? Ormai la mia vita è qui, con te. Sono certa che la mia famiglia capirà. Capiranno perché mi vogliono bene. Io resterò qui con te, va bene?

 

Lo lasciò, tremolante per ciò che gli aveva detto.

Le parole gli erano uscite spontaneamente, e temette di essersi lasciata andare troppo.

Sapeva che Michael era molto timido, e pensò che forse le sue parole lo avevano infastidito.

Invece, lui si voltò e con sua grande sorpresa lei rivolse uno splendido sorriso.

 

- Ma certo! Non ci lasceremo mai!

 

Si guardarono negli occhi e sentirono di volersi tanto bene.

 

 

 

 

 

---

 

Quell'ultima settimana passò.

Forse fin troppo rapidamente per Michael che non voleva lasciar partire Jackie.

Fratello e sorella partirono fra i baci e gli abbracci della famiglia Jackson.

 

Il viaggio in aereo lì stremò, e una volta arrivati si diressero verso la casa dei Flint.

Jackie continuava a guardarsi intorno.

Quel posto era così diverso dall'America, ma così bello da sembrare irreale.

 

L'aria era più limpida e fresca e persino il cielo sembrava più azzurro.

La brezza mediterranea profumava di erba, di mare e di sole e i raggi dorati filtravano fra la ricca e verdissima vegetazione del posto.

Tutta l'Italia era un'esplosione di profumi, di colori e di allegria.

 

Villa Flint non era cambiata affatto, e Jackie se la ricordò appena la vide.

La casa era sempre là, solida ed elegante.

L'azzurro dei mattoni e le tegole del tetto rosse creavano un dolce contrasto col verde della foresta.

In giardino l'attendeva la famiglia.

Fu una gioia per tutti rincontrarsi.

I tre fratelli, finalmente riuniti, si conobbero e fra loro vi fu subito confidenza.

Nonno Andrew e Zia Caterina, che si prendevano cura dei ragazzi, cantarono per la felicità.

La gioia infinita di una famiglia finalmente riunita.

 

Quando poi seppero della decisione di Jackie, cioè il fatto di stare in America, l'accettarono loro malgrado.

Nonno Andrew era piuttosto contrariato, ma davanti al bel viso di Jackie, che le ricordava tanto l'amata figlia Anna, non aveva potuto fare a meno di sorridere.

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


Lei era il suo tesoro segreto più prezioso, a cui teneva di più. 

 

 

Sette giorni.

Sette giorni di lontananza resero Michael paragonabile a uno straccio.

Dopo che Jackie era partita si era come chiuso in sè stesso, preoccupato che lei non tornasse più.

Gli mancava la sua migliore amica, e non sapeva come tirarsi fuori dallo stato in cui era caduto.

Mangiava pochissimo e non rideva quasi più.

 

Katherine era preoccupata.

Non poteva sopportare di vedere suo figlio in quelle condizioni, così decise di parlargli e cercare di capirlo.

Si sedette sul letto accanto a lui che stava fissando il soffitto.

 

- Michael, senti… sono giorni che non sorridi e non mangi. Sono molto preoccupata.

 

- Non devi mamma. E' tutto ok.

 

- Non è vero. Con me puoi parlare, coraggio. Si tratta di Jackie?

 

Michael sospirò.

Sapeva che poteva nascondere il suo stato d'animo a tutti, ma non alla mamma che tanto adorava.

Chiuse gli occhi per non guardarla.

Si vergognava a confidarsi.

 

- Si mamma. Mi manca moltissimo.

 

Katherine gli accarezzò i capelli spugnosi con affetto.

 

- Suvvia Michael! Devi reagire! Ti ha detto che poi ritorna no? Non puoi fare tutte queste storie! 

 

- Ma se non torna più? Come faccio?

 

- Michael, devi capire che non sei tu la sola cosa per cui vive! Lei ha una famiglia dall'altra parte, e non puoi comportarti così solo perché è andata a trovarli! Pensa a cosa penserebbe Jackie se sapesse che tu stai così male?

 

Non rispose.

Non sapeva più cosa pensare.

Katherine aveva ragione, ma se solo fosse riuscita a capirlo avrebbe sicuramente trovato altre parole.

Sbuffò, pentito di aver parlato.

Voleva bene a sua madre, ma nemmeno lei riusciva a comprenderlo totalmente.

Forse si stava davvero comportando da bambino viziato?

 

Katherine lasciò il figlio solo con i suoi pensieri e ritornò in cucina.

Mentre cucinava, pensò che ciò che legava i due ragazzi era qualcosa di particolare, che non sapeva nominare.

Doveva essere un legame fortissimo se spingeva Michael a comportarsi così quando lei non c'era.

Tuttavia sorrise pensando al bene che covavano l'uno per l'altra.

Da grandi si sposeranno di certo, pensò sorridente.

E avranno tanti bambini, una bella famiglia e...

 

I suoi pensieri furono interrotti dal suono del campanello.

Abbandonò le verdure che stava tagliando e corse ad aprire.

 

- Tadaaaa!!!!!

 

Una figura bassa e snella con un buffo cappello grigio e una chioma castana e abbondante la stava fissando con gli occhi che brillavano di pura e sincera felicità.

Jackie era tornata.

Meravigliata da quella comparsa così improvvisa, Katherine l'abbracciò di slancio e la strinse forte, contenta di riavere la sua fligliola.

 

- Oh piccola mia! Che gioia poterti riabbracciare!

 

La baciò sulle guance abbronzate e le scompigliò i capelli, osservandola.

 

- Come stai? Stai bene? E' andata dunque? E la tua famiglia?

 

- Oh si, benissimo. L'Italia è davvero bella e la mia famiglia è meravigliosa! Ma dov'è Michael?

 

- Raggiungilo in camera.

 

Katherine seguì Jackie che corse dall'amico.

Voleva proprio assistere al loro incontro.

La porta si aprì.

 

- Buongiorno!!

 

Riconobbe quella voce all'istante e si destò, spalancando gli occhi.

Appena vide l'amica del cuore, sorrise meravigliato.

 

- Jackie!!

 

Non ebbe il tempo di alzarsi che Jackie gli saltò addosso, abbracciandolo o meglio, soffocandolo in una morsa strettissima.

Katherine si mise a ridere, guardando la faccia rossa di Michael che tentava di ricambiare l'abbraccio.

 

- Sono contento che tu sia tornata - riuscì a dire lui quando l'abbraccio si fu sciolto.

 

- Anch'io. Cosa hai combinato?

 

- Nulla, e com'è l'Italia?

 

- Verdissima. Ci sono un sacco di alberi e un cielo stupendo. E poi la gente è sempre allegra…

 

Michael non poté che sentirsi inibito di fronte a quegli occhi verdi che brillavano gioiosi al solo pensiero della terra mediterranea.

Ebbe ancora il timore di perderla, ma come per magia lei si accorse dei suoi pensieri e lo baciò sulla guancia.

 

- Ma come vedi sono tornata. E non ti libererai di me tanto facilmente…

 

Quelle parole lo fecero sorridere.

Ora che Jackie era con lui, gli ritornò l'energia e la fame.

 

- Mamma - la chiamò - Cosa c'è da magiare per cena?

 

Katherine rise ancora.

 

- Finalmente ti è tornata la fame eh? Venite di là, aiutatemi ad apparecchiare. Jackie tu tu fermi con ok? E' un ordine, non puoi sottrarti.

 

- Ok, grazie Katherine.

 

La serata passò piacevolmente.

Dopo cena i due ragazzi si ritirano in camera e parlarono fino a tarda notte.

Michael e Jackie avevano sempre parlato tanto fra loro, e spesso le cose da dirsi erano talmente tante che uno parlava sopra l'altro fino a perdere il filo del discorso.

E così, si ricominciava da capo.

Poi, dopo non essersi parlati per un settimana, stare insieme era ancora più bello!

Quando fu troppo tardi per rimanere svegli, si distesero sul materasso e si assopirono senza nemmeno coprirsi con le lenzuola.

Jackie, per colpa del suo sonno profondo, non seppe mai che mentre lei dormiva, Michael rimase sveglio nel buio, ad accarezzarle i capelli soprappensiero e a sussurrarle dolcemente parole che non avrebbe avuto mai il coraggio di dirle da sveglia.

 

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***


Non c'era cosa più bella nel vederti accogliermi felice. Nel vederti aspettarmi la sera per cena. 

 

 

- Jackie! Jackie corri! Forse… non ne sono sicura ma credo che sia pronta!

 

Janet sembrava nel panico.

Fissava con occhi sbarrati la pentola che bolliva sul fuoco.

All'interno del recipiente di ferro l'acqua scoppiettava in tante bolle e una schiuma bianca e gelatinosa andava condensandosi ai bordi.

La ragazza rabbrividì e chiamò ancora la migliore amica.

 

- Janet, per piacere! Mi sto vestendo!

 

- Jackie ti prego corri! L'acqua bolle!

 

Sbuffando, Jackie abbandonò lo specchio per precipitarsi in cucina.

Quella sera doveva uscire e ci teneva a essere in ordine.

Tuttavia, la cena non poteva aspettare.

 

Non era la prima volta che portava la pasta in casa Jackson, ma nessuno, nemmeno Katherine che hai fornelli era bravissima, aveva saputo darle una mano.

Jackie, in Italia, aveva imparato i tempi di cottura, a fare i ravioli e a preparare diversi tipi di sugo.

Le aveva insegnato tutto nonno Andrew, che era sempre stato un appassionato di cucina.

Jackie adorava il suo vecchio nonno, e ricordava sorridendo i momenti passati con lui davanti ai fornelli.

 

Abbandonò i ricordi ed entrò in cucina.

Janet fissava terrorizzata la pentola bollente e appena la castana fece il suo ingresso, le si precipitò addosso.

 

- Jackie! Jackie! Scusa se non so cucinare e se ti disturbo sempre, ma credo che sia ora di tirarla fuori!

 

Jackie prese un mestolo e pescò una farfalla dalla pentola.

Poi la portò alle labbra e l'assaggiò.

 

- No, la pasta è ancora dura. Dobbiamo aspettare che sia morbida.

 

- Ma l'acqua continua a bollire.

 

- Lasciala, fra qualche minuto riassaggiamo.

 

Posò il mestolo e una scintilla illuminò per un momento gli occhi verdi.

 

- Michael sta per tornare?

 

Janet annuì.

 

- Dove andrete stasera?

 

Era una delle prime volte che Katherine permetteva a Michael e a Jackie di uscire la sera, e i due ragazzi si erano messi d'accordo per una passeggiata tranquilla in compagnia.

 

- Penso vicino al lago, dove nessuno può vederlo.

 

Essendo un cantante, non era raro che qualcuno si avvicinasse per chiedere a Michael un autografo o una foto. 

Lui rispondeva educatamente, ma Jackie sapeva che quando quelle attenzioni si facevano troppo intense, lo stressavano.

La vita dell'artista non era una passeggiata e alla Motown c'era sempre molto da fare.

 

Janet sospirò invidiosa.

Lei non poteva ancora uscire la sera: Katherine diceva che era ancora troppo piccola.

Mamma Jackson era molto protettiva nei confronti dei figli, soprattutto Michael, Janet e Jackie, che per lei era come una propria figlia.

 

- Sono felice che usciate. Almeno vi distrarrete un pò da tutto. - disse Janet, scoprendo i denti perfetti in un sorriso sincero.

 

Jackie sapeva a cosa alludeva.

La vita in famiglia non era mai tanto facile per lei e Michael.

 

Lui le parlava spesso dei suoi problemi con i fratelli, diversissimi da lui per gusti, aspetto e carattere, e con il padre Joe, sempre pronto a criticarlo.

Lei invece litigava spesso con i fratelli di casa Foster, escluso Albert che tentava sempre di proteggerla, e con il proprio padre.

George non era cambiato di una virgola in quegli anni.

Non era certo al corrente degli spostamenti della figlia per vedere la famiglia e non sembrava interessarsi nemmeno alla sua esistenza.

Jackie soffriva per questo, ma aveva imparato a convivere comunque con quell'uomo che, piano piano, stava diventando uno sconosciuto.

 

Il rumore sommesso delle chiavi nella serratura interruppero i pensieri delle due ragazze.

La casa, dapprima vuota, si riempì di volti allegri e un pò stanchi per la pesante giornata di lavoro appena passata.

Le voci familiari e i soliti e annoiati saluti.

 

- Buonasera!

 

- Siamo tornati!

 

- Che profumino!

 

Jackie salutò uno ad uno i fratelli Jackson che entravano e si accomodavano stravolti, attendendo di vedere il volto che aspettava da una giornata.

Joe e Katherine entrarono quasi per ultimi con le borse della spesa seguiti da una figura più esile che portava un carico doppio.

Jackie gli andò incontro, prendendo in mano le borse pesanti e appena i suoi occhi incontrarono quelli di Michael, il suo volto si aprì in un sorriso luminoso.

 

- Ben tornato! - gli disse sorridente.

 

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Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***


Non trovavo attesa più dolce nell'aspettarti la sera.

 

 

Appena furono in casa lui appoggiò le borse sul pavimento e l'abbracciò.

 

- Mi sei mancata oggi. - disse. 

 

- Anche tu.

 

Si staccarono e cominciarono a metter via la spesa.

 

- Com'è andata oggi alla Motown?

 

- Bene bene. Abbiamo fatto le prove per la registrazione. Come mai non sei venuta? Berry ha chiesto di te, e Diana ha già detto che le manchi.

 

Jackie sorrise, pensando alla donna che l'aveva accolta e trattata come una figlia per anni.

Ormai non era più una bambina, ma l'affetto che provava per Diana era intoccabile e immenso.

 

- Domani verrò, e farò ancora un pò di pratica con gli attrezzi.

 

Adorava lavorare sul suono della musica.

Contribuire a migliorare un progetto la rendeva orgogliosa di poter lavorare per la casa discografica.

 

Michael sorrise, pensando ai loro progetti futuri.

Poi annusò l'aria e il suo volto si illuminò.

 

- Odore di cibo buono… - constatò.

 

Jackie rise e si catapultò davanti al pentolone.

 

- E' quasi pronta ormai. - annunciò.

 

- Ehi Jackie, hai cucinato ancora la "ricetta"? - chiese uno dei Jackson dal divano, dove tutti i fratelli si erano ammassati per riposare.

 

Katherine osservò la pentola, e sorrise.

 

- Dovrò imparare un giorno - disse.

 

Jackie apparecchiò la tavola con l'aiuto di Janet.

Michael era seduto su una sedia, con una mano sulla fronte.

Kahterine lo notò per prima e si diresse preoccupata verso il figlio.

 

- Non stai bene? - chiese.

 

- No no, sto benissimo. Sono solo un pò stanco per oggi. Il lavoro alla Motown a volte è devastante!

 

Jackie gli lanciò un occhiata preoccupata.

 

- Se sei stanco, stasera possiamo anche rimanere a casa.

 

Michael la guardò.

 

- Assolutamente no! Muoio dalla voglia di uscire con te! - disse risoluto, e nessuno ribadì.

 

Jackie chiamò tutti a tavola e distribuì il sugo in ogni piatto.

Poi, arrotolò uno spaghetto e lo porse a Michael con una forchetta.

 

- Assaggia!

 

Il ragazzo chiuse e gli occhi e sorrise.

 

  • Lo sai che a me piace la pasta, soprattutto quella che cucini tu.

 

- Non ne dubito. Anche perché è l’unica che tu abbia mai assaggiato.

 

La cena venne consumata velocemente e, quando tutti ebbero finito di mangiare, Michael e Jackie si alzarono.

Lui andò a cambiarsi, lei sparecchiò.

Katherine si avvicinò per aiutarla.

 

- Ascolta Jackie, mi raccomando, non entrate in nessun locale che vi sembra troppo sporco o pericoloso.. - disse.

 

- Tranquilla Katherine! Andiamo soltanto a passeggiare al parco, e al fiume a tirar sassi. 

 

Jackie sorrise in modo così sincero e convincente che Katherine non replicò.

Poco dopo tornò Michael e i due ragazzi uscirono nel buio fresco della notte.

 

Camminarono per un pò chiacchierando finchè non raggiunsero il fiume.

 

- Allora signor Jackson, a che punto è il disco? - chiese Jackie d'un tratto.

 

- Una canzone. Manca solo una canzone e poi saremo a posto. 

 

- Ti sei preparato per l'esame?

 

- Quale esame?

 

- L'esame per la patente.

 

Si battè una mano sulla fronte con forza.

L'esame!

Sapeva quanto Katherine ci tenesse che lui prendesse la patente di guida.

All'inizio era stato contrario, ma non aveva potuto sottrarsi all'ordine di Katherine.

Con lui, anche Jackie doveva prendere la patente.

 

Davanti alla faccia che aveva fatto Michael, lei non poté trattenersi dal ridere.

 

- Te n'eri dimenticato vero? - chiese fra le risate.

 

Lui arrossì per l'imbarazzo.

In effetti era piuttosto distratto e con la testa fra le nuvole.

 

- Si, me ne sono dimenticato. - ammise - Ma scommetto tre dollari che tu non lo passerai.

 

- E' andata mio caro.

 

Si strinsero la mano e poi lui lanciò un sasso nel fiume.

 

- Michael, posso farti una domanda?

 

- Me l'hai appena fatta.

 

- In confidenza.

 

- Mi prendi in giro?

 

- Quale il tuo più grande sogno?

 

Lui si voltò verso di lei.

I suoi occhi neri riflettevano la luce della luna e guardarli rendeva Jackie nervosa senza motivo.

 

- Cioè… se hai uno scopo da raggiungere nella vita, insomma.. - cercò di dire imbarazzata.

 

- Si, ce l'ho. - rispose lui, voltandole le spalle.

 

Fissava il fiume, l'acqua scrosciante davanti a sè, che s'infrangeva contro i sassi con una forza pari alla sua determinazione.

 

- Voglio creare l'album più venduto di tutti i tempi nella storia della musica. Qualcosa da ascoltare e riascoltare, adatto a tutti. - disse senza guardarla.

 

La sua voce da ragazzo si era magicamente trasformata in un tono più adulto, da uomo.

Si girò verso di lei e finalmente sorrise.

 

- E avere tanti bambini - disse. Era ritornato il dolce Michael si sempre. - Spesso mi immagino padre di.. che so… di 13 bambini!

 

- Tanti! - rise Jackie.

 

- E il tuo? - chiese lui, timidamente.

 

Lei ci pensò un pò, osservando le stelle sopra di loro.

 

- Anche a me piacerebbe avere tanti bambini - disse, mentre lo spazio infinito s'illuminava della luce della luna. - E poi… andare in Africa ad aiutare le persone che non possono mangiare.

 

- E' un sogno molto nobile. -disse Michael.

 

L'atmosfera era diventata più seria e magica.

Gli scherzi e le risate che prima si udivano non c'erano più.

I due ragazzi si interrogavano sui loro sogni e sul loro futuro.

Cosa sarebbe successo? Quali dolori e quali gioie avrebbero subito?

 

Quanti dubbi c'erano nelle loro menti.

Sono una cosa era certa: sarebbe stato un futuro da affrontare insieme.

 

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Capitolo 15
*** Capitolo 15 ***


Se sei un folle nessuno potrà mai contraddirti. 

 

- Allora, com'è andato l'esame?

 

I due ragazzi rientrarono in casa.

Quel giorno avevano dovuto affrontare l'esame per la patente e Katherine attendeva emozionata di sapere i risultati.

Michael sfoggiò il suo miglior sorriso.

 

- Passato! - disse soddisfatto.

 

- E tu Jackie?

 

La castana non rispose.

 

- Emh… non l'ha passato. - disse Michael al posto suo.

 

Katherine sbarrò gli occhi sorpresa.

Fra lei e Michael, quella che aveva studiato di più era Jackie e il fatto che non avesse passato l'esame era sconcertante.

 

- Oh bè.. non importa, ci riproverai fra tre mesi.

 

Jackie annuì debolmente, imbarazzata.

Come aveva fatto ad essere bocciata, non lo sapeva nemmeno lei.

Michael le circondò le spalle con un braccio, tentando di tirarle su il morale.

 

- Suvvia tesoro - le disse - Sono certo che ce la farai. E poi, che ne dici se ti portassi a fare un giro in macchina?

 

- Ora?

 

- Immediatamente!

 

- Michael! - sbottò Katherine - Lo sai che non puoi andare in giro. La gente ti riconoscerebbe, e se incontri un gruppo di fan.. sei finito!

 

- Andiamo mamma! Starò in macchina, non mi vedrà nessuno! Ho proprio voglia di uscire con Jackie!

 

- Katherine ha ragione, Mike - disse la castana - Se qualcuno ti vedesse potresti.. 

 

Non finì, poiché l'espressione implorante di Michael stava cominciando a farle cambiare idea.

Aveva ragione lui: non poteva restare sempre rinchiuso solo perché era una celebrità!

 

- Però…. proviamoci!

 

- Jackie!!! - esclamò Katherine, interdetta. - Credevo che almeno tu fossi dalla mia parte!

 

- Michael ha ragione Katherine! Non esiste che debba sempre stare rinchiuso solo per colpa del suo successo. - Poi, sorrise cercando di rassicurare mamma Jackson - Tranquilla, lo terrò al guinzaglio io!

 

- Ehi, non sono mica un cane!

 

I due si misero a ridere e Katherine acconsentì sorridendo.

 

- State attenti però!

 

Ma i due erano già usciti.

 

Salirono in macchina.

Michael si mise al posto di guida e Jackie si sedette al suo fianco.

 

- Allora, fammi vedere come si fa. Illuminami mister Jackson! - scherzò.

 

Ridendo e scherzando, partirono alla volta della città.

I marciapiedi erano affollati di gente e c'era molto traffico.

Fortunatamente, i finestrini della macchina erano scuri e la figura di Michael Jackson era invisibile agli occhi dei passanti.

 

- Pensi che potremo fermarci da qualche parte? - chiese lui a un certo punto.

 

- C'è tantissima gente Mike. Non penso riusciremo a non essere visti.

 

- Che ne dici di quel market? - indicò lui. 

 

All'incrocio davanti a loro vi era un market, e al fianco un entrata a un parcheggio che dava sul retro.

 

- Sembra un posto abbastanza discreto. - disse Michael, imboccando la strada.

Jackie invece, non era molto convinta.

 

- Proviamo.

 

Parcheggiarono.

Michael aveva ragione: non c'era praticamente nessuno, il parcheggio e il market erano deserti.

 

- Che ti dicevo? - chiese soddisfatto.

 

- Perché se venuto in un market?

 

- Boh. Sembra interessante. Dai entriamo.

 

- Vai tu, io ti raggiungo subito. Il tempo per una telefonata. - disse lei dirigendosi verso una cabina telefonica.

 

Michael entrò nel negozio e, appena lo vide, la commessa alla cassa s'immobilizzò.

 

- M.. Michael Jackson? - balbettò.

 

- Salve - salutò lui educatamente, cominciando a guardarsi intorno.

 

Camminò fra gli scaffali, osservando tutto con grande curiosità.

Faceva uno strano effetto stare da solo in un market, senza nessuno che gli corresse incontro urlando il suo nome.

Sospirò rilassato e chiuse per un attimo gli occhi godendosi quell'attimo di pace.

 

Pace che fu subito interrotta da delle voci stridule in avvicinamento.

Aprì di scatto gli occhi nel preciso istante in cui un gruppo di ragazze entrò nel negozio, rompendo il silenzio con chiacchiere e versetti. 

 

Fu colto da un ondata di panico.

Se l'avessero visto chissà cosa sarebbe accaduto!

Gli sarebbero saltate addosso, gli avrebbero urlato nelle orecchie, gli avrebbero chiesto autografi e foto e poi… chissà cos'altro.

 

Con uno scatto si spostò dietro uno scaffale di scatole per gatti ma il suo rapido movimento fu notato da una delle ragazze che lo riconobbe subito.

 

- Ragazze ma…. quello è Michael Jackson!!! - strillò.

 

- Michael Jackson!!!! - fecero eco le altre.

 

E' finita, sono spacciato, pensò Michael vedendo con occhi terrorizzati il gruppetto che si avvicinava.

 

- Michael? Sei davvero tu?

 

- Quello dei Jackson 5 vero? Che emozione!!

 

- Mi faresti un autografo?

 

- Facciamo una foto insieme? Ti prego!

 

- Posso abbracciarti?

 

Confuso da tutte quelle domande dette contemporaneamente non si accorse della mano che si stava avvicinando ai suoi occhi.

Una ragazza dalle unghie lunghissime lo colpì per sbaglio e Michael si ritrasse bruscamente.

Sentì un altra mano che stava toccandogli i capelli e fu preso dal panico.

 

- Qui qualcuno ha bisogno di pepe e un overdose di buone maniere! - urlò una voce.

 

La ragazze si voltarono e una nuvola vaporosa puzzolente le colpì in volto, facendole strillare.

Senza perdere altro tempo, Jackie si posizionò davanti a Michael, armata di due bombolette spray al pepe.

Appena aprì gli occhi, riprendendosi dallo stordimento, Michael la guardò interdetto.

 

- Jackie??

 

- Scappa! - urlò lei in modo quasi tragico e teatrale.

 

- Sei matta? Non posso lasciarti qui!

 

- Io a differenza tua ho un piano! Corri!

 

Non attese altro e corse verso la macchina, lasciando Jackie con il gruppetto.

La ragazza osservò le fan e provò un orda di disgusto nei loro confronti.

 

- Si chiede per favore ragazze! - disse loro, poggiando le bombolette.

 

- Come osi? - urlò una di loro, probabilmente la più irritabile. - Quello era MICHAEL JACKSON, capisci?

 

Jackie aggrottò un sopracciglio.

 

- No.

 

Corse verso la porta e uscì nel parcheggio.

Michael era già partito.

Vicino all'entrata c'era un cavallo, con le redini sciolte fra le gambe, intento a rosicchiare una conifera.

 

Non avrò la patente, pensò Jackie arrampicandosi sulla groppa dell'animale, ma non è un reato se porto un cavallo a spasso, credo..

 

Non perse tempo e partì al galoppo verso casa.

Imboccò una via secondaria che andava verso casa.

Sul ciglio della strada riconobbe la macchina: Michael doveva essersi fermato ad aspettarla.

Appena la vide arrivare, scoppiò a ridere.

 

Jackie si fermò accanto alla portiera aperta: dopo quello che avevano rischiato, non era il caso che Michael uscisse di nuovo.

 

- Non posso crederci - esclamò lui mentre Jackie scendeva - Tu sei completamente pazza - le disse guardandola negli occhi.

 

  • Può darsi, non è da tutti correre per strada con un cavallo quando non hai la patente. - rise Jackie, accarezzando il muso dorato dell'animale.

 

  • Dove hai preso questo cavallo?

 

- L’ho trovato in un cassonetto... Scherzo. Un tipo doveva scendere un attimo e mi ha chiesto di tenerglielo.

 

- Già.

 

Jackie notò che lui teneva l'occhio chiuso lacrimante.

 

- Cosa ti hanno fatto? - chiese improvvisamente preoccupata.

 

- Una di loro mi ha infilato l'unghia nell'occhio.

 

- Ahia… fammi vedere - disse lei inginocchiandosi.

 

Michael aprì l'occhio: era rosso e lacrimava.

 

- Non sembra nulla di grave a parte il colpo. Appena siamo a casa te lo medico io.

 

Michael annuì, pensieroso.

 

- Non dire nulla alla mamma - disse dopo un attimo di silenzio.

 

- Cosa?

 

- Non dirle niente. Se glielo diciamo, non mi permetterà mai più di uscire. - la implorò.

 

Jackie stava per dirgli che era pericoloso, o comunque rischioso, ma poi capì i suoi bisogni e abbassò il capo.

 

- Ok.

 

- Grazie Jackie, I love you. Scusami tanto.

 

Si abbracciarono, ma poi la castana di scostò.

 

- Coraggio, torniamo a casa. 

 

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Capitolo 16
*** Capitolo 16 ***


Mi scuso per il capitolo corto, ma queste parti le ho scritte molto tempo fa e sebbene le cose da correggere siano talmente tante da mettersi le mani nei capelli, non posso riscriverle. La storia è già diversi capitoli più avanti. Vi auguro di godervi comunque la lettura e sarei grata di leggere qualche recensione per conoscere le vostre opinioni. A voi! :-)

L'amore si scopre soltanto amando. 

 

 

Da quella scampata al supermercato erano passate settimane.

Michael stava suonando il piano, quando Jackie irruppe nella stanza.

Lui non smise di suonare e restò concentrato. Non aveva vergogna a farlo davanti a lei, poiché lei faceva parte del suo intimo e non le nascondeva mai nulla.

Jackie richiuse la porta, cauta.

Aveva un aria vaga e teneva qualcosa fra le mani, dietro la schiena.

Michael non se ne accorse.

 

Jackie andò al suo fianco, restando ad ascoltare le note musicali.

Michael riusciva sempre a comporre brani meravigliosi.

Lo ammirava, lo ammirava tantissimo, e quando si esibiva ballando o semplicemente cantava, a stento riusciva a frenare l'emozione che quella voce riusciva a darle sempre.

Naturalmente, nascondeva i suoi sentimenti: non voleva farlo sentire superiore, o in un certo modo, diverso.

Non si tratteneva però, dal riempirlo di complimenti.

Quello poteva farlo.

Lui gliel'aveva sempre permesso.

 

Si riscosse dai sui pensieri quando lui smise di suonare.

Le note cessarono morbidamente e l'autore restò immobile, senza voltarsi verso di lei.

Jackie intuì che stava aspettando che lei parlasse.

Fischiettò un secondo, poi si schiarì la voce e gli andò di fianco.

 

- Michael… - cominciò in tono vago - Ti ricordi… di… ehm.. di Tatum O'Neal?

 

Al suono di quella nome, lui trasalì.

Come dimenticare Tatum O'Neal?

La ragazza più carina del liceo!

Michael si era preso una cotta per lei sin dai primi anni di scuola.

Aveva sempre provato attrazione per quella ragazza che poi aveva finito per dimenticare.

Tuttavia, l'emozione provocata al solo suono di quel nome gli fecero capire che i sentimenti erano rimasti intatti.

 

- Si. - rispose, cercando di mantenere un tono normale - Perché?

 

- Perché .. ehm…. mi ha invitato a una festa a casa sua.. - disse imbarazzata.

 

Michael la guardò sorpreso.

 

- Non sapevo che vi sentiste ancora!

 

- Infatti non ci sentivamo da un pezzo.

 

- Bè, ci andrai? - domandò curioso.

 

- Penso proprio di si, anche perché… 

 

- Perché..?

 

- Vorrebbe che tu le facessi da cavaliere.

 

Quelle parole, pronunciate con apparente disinvoltura, fecero sobbalzare Michael che la guardò interdetto.

 

- Che??

 

- Vorrebbe che tu le facessi da cavaliere. - ripetè Jackie con la stessa aria d'indifferenza.

 

- Ho capito… ma  scusa.. ha mandato te a chiedermelo per lei? - chiese.

 

Era ancora incredulo per ciò che Jackie ci aveva detto. 

Inoltre, lui e Tatum non si erano mai frequentati e il fatto che lei gli avesse indirettamente fatto una tale proposta lo rendeva sospettoso.

Perché proprio lui?

 

- A quanto pare….

 

La risposta di Jackie indispettì ancor di più Michael. Non gli piacevano questo genere di persone.

Sentì la mano di Jackie posarsi sulla sua spalla e girò gli occhi verso di lei, senza tuttavia voltarsi completamente.

 

- Sai Mike… ti considera molto carino. - disse, sottolineando le ultime due parole con una punta di finta malizia nel tono della voce.

 

Michael divenne rosso per l'imbarazzo.

 

- Ma se ci siamo visti l'ultima volta a scuola! Mi stai prendendo in giro? - esclamò.

 

- No ma… Ti piaceva no? Questa potrebbe essere una buona occasione per parlarle!

 

Jackie sorrise, ma l'espressione di Michael cominciò a farle venire dei dubbi.

 

- Mike… Ma lei ti piace ancora? - chiese.

 

Lui non rispose.

 

- Si. - disse Jackie al posto suo.

 

- Ma no…. un poco…. - cercò di sfuggire lui, imbarazzatissimo.

 

- Nah! Ti piace e basta! Ehi, guarda che non c'è nulla di male, eh? - esclamò, cercando di alleviare il suo rossore.

 

- Mi sembra strano che voglia me… tutto qua..

 

- Forse ha cambiato idea… possiamo andare per scoprirlo! Allora, vieni?

 

Michael ci pensò un pò. 

Non era una cattiva idea.

Le feste non lo facevano impazzire, ma avrebbe rivisto Tatum, e avrebbe potuto parlarle.

Chissà cosa sarebbe accaduto…

 

- Ok. Va bene, ci.. ci verrò… 

 

Guardò Jackie che gli sorrise.

 

- Avanti, sono quasi sicura che ti divertirai anche tu.

 

Lo baciò affettuosamente sulla guancia, strofinando il naso.

Michael la lasciò fare.

A volte Jackie si faceva sopraffare dall'affetto e ciò non gli dispiaceva affatto.

Anzi, gli facevano molto piacere.

 

- Vado con Janet a fare shopping allora. Trovati qualcosa di elegante, mi raccomando! Baci abbracci e addio!

 

Si alzò e corse via.

Michael ridacchiò, pensando all'originalità della sua compagna di giochi.

Adorava letteralmente Jackie, e rise pensando a quanto fosse buffa e bella.

Poi ripensò a Tatum.

Era giusto andare a quella festa? Per Tatum?

Gli sembrava innaturale immaginarsi con una ragazza che non fosse Jackie.

Però, poteva anche essere l'occasione per ..chissà, fidanzarsi.

Si decise e lasciò il pentagramma.

Per la festa sarebbe stato elegantissimo.

 

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Capitolo 17
*** Capitolo 17 ***



Mi scuso per l'enorme ritardo nell'aggiornare ma sono stata via parecchi mesi da casa e non avevo possibilità di usare il computer. Vi lascio al capitolo e prometto di aggiornare quanto prima. Buona lettura! :)

Uno sguardo vale più di mille parole. 

 

 

- Sei nervoso? - gli chiese Jackie, appena l'auto che li aveva portati si fu allontanata.

 

- Non si vede?

 

Michael era teso come una corda di violino. Si sistemò il colletto della camicia, sperando di non apparire troppo imbarazzato quando l'avrebbe rivista.

Tuttavia, il continuo via vai di invitati lo metteva a disagio.

Non poteva nascondere i sentimenti a Jackie che gli strinse la mano, cercando di tranquillizzarlo.

 

- Andiamo a cercare Tatum, e cerca di calmarti. - gli disse lei, cercando di nascondere l'imbarazzo nella sua voce.

 

Nemmeno lei sapeva da che parte guardare: non era mai stata a una festa e il fatto di dover tranquillizzare sè stessa e Michael la innervosiva parecchio.

 

Tenendo stretta la mano del compagno di giochi, si avviò verso l'entrata della grande villa che doveva essere sicuramente il luogo della festa date la musica e le luci che vi uscivano.

Dall'esterno erano visibili sagome umane in movimento, probabilmente era stata allestita una piccola discoteca.

In giardino invece c'erano delle panchine dove alcune coppie rimaneva appartavate, ignorando i ritmi estremi della festa.

 

Efficace, pensò Jackie. A quanto pare, Tatum ha proprio pensato di accontentare tutti…

 

Era evidente che Tatum era esperta nell'organizzazione di party.

 

Jackie guardò Michael, e vide che si era intimidito dopo aver notato le coppie sulle panchine.

Non vi badò e lo condusse all'entrata.

Bussò educatamente, non completamente sicura che qualcuno fosse venuto ad aprirli.

E invece, Tatum era proprio dietro la porta.

 

Senza che dovessero attendere altro, aprì e appena riconobbe i due ragazzi, il suo volto si aprì in un sorriso.

 

- Jackie! Michael! Che bello rivedervi!

 

La bionda li fece entrare e baciò entrambi sulla guancia.

Michael rimase immobile, rigido e imbarazzatissimo.

 

- Grazie dell'invito Tatum! E' proprio una bella festa!

 

Aguzzò le orecchie e cercò di concentrarsi sui discorsi delle due ragazze.

A differenza sua, Jackie sembrava quasi a suo agio, ma lui sapeva che lei era nervosa quanto lui.

La ringraziò col pensiero per aver cominciato a parlare ed aver tolto ogni attenzione da lui.

Rivedere Tatum era stato un colpo per lui, e doveva ancora riprendersi dall'emozione.

 

- Bella vero? Adoro organizzare feste! 

 

- A cosa è dovuta?

 

- Sai, di recente ho fatto un provino per un teatro e sono stata presa! Ho sempre sognato di fare l'attrice, e finalmente il mio sogno si è realizzato!

 

Tatum parlava velocemente, con gli occhi che brillavano. Doveva essere molto emozionata di far parte anche lei del mondo dello spettacolo.

 

- Davvero? Sono contentissima per te Tatum!

 

- Oh, ma a chi vuoi fare i complimenti quando hai qui una star? - disse Tatum, alludendo a Michael.

 

Appena lui si accorse che la bionda lo stava guardando, arrossì. 

Comprese di essere lui il soggetto della conversazione e deglutì nervosissimo. Non sapeva che cosa dire.

 

- Michael è bravissimo, ma è pur sempre un semplice ragazzo di Gary, Tatum…

 

Michael fu grato a Jackie per quel commento.

Evidentemente cercava di metterlo a suo agio e a distogliere un pò l'attenzione da lui.

Respirò profondamente, cercando di alleviare il rossore che da un pò di tempo lo perseguitava.

 

- Io non credo.. - sussurrò la bionda, squadrando il ragazzo con i suoi occhi nocciola.

 

Gli sguardi dei due ragazzi si incontrarono e per un attimo fra loro vi fu una scintilla.

Lui era imbarazzato, ma il sorriso sincero di Tatum lo rassicurava, i suoi occhi lo seducevano, e ciò gli provocava le farfalle nello stomaco.

Fu solo un attimo e poi, tutto ritornò alla normalità.

 

- Hai un vestito bellissimo, Tatum.

 

La voce di Jackie era cambiata.

Sembrava insicura, come se fosse fuori luogo.

Michael la guardò ma non incontrò mai i suoi occhi.

Riabbassò lo sguardo e restò in silenzio.

 

- Lo sai che hai degli occhi stupendi?

 

Sorrise.

Era proprio vero: Jackie aveva bellissimi occhi.

Color smeraldo nel quale sembravano esserci dei frammenti di cristallo. 

E quando lei era felice, si illuminavano di una luce nuova, come cosparsi da mille e minuscole stelle. 

Lui conosceva quegli occhi a memoria.

Quante volte si era perso a osservarli.

Ma sapeva che quella luce non compariva ogni volta che lei sorrideva.

Bisognava fare qualcosa per renderli davvero speciali.

Lui lo sapeva.

Lo sapeva perché Jackie era sempre stata con lui, e perché le voleva bene.

 

Si riscosse, quando una mano gli passò davanti agli occhi come una freccia.

Tatum, pericolosamente vicina a lui, lo stava scrutando attentamente.

 

- Ehi! Yuuhu!! Stavi dormendo?

 

Come svegliato da un sogno, la guardò imbambolato.

Da vicino era ancora più carina.

Tatum lo fissava divertita, e lui distolse lo sguardo imbarazzato.

 

- Emh.. uhm.. scusami… come hai detto?

 

- Ho detto che hai degli occhi stupendi.

 

Mille brividi gli salirono nella spina dorsale e una debole scossa lo fece tremare.

Sorrise, tremendamente imbarazzato.

 

- Bè, grazie. Pensavo che parlassi di Jackie. Sai, lei ha davvero degli occhi stupendi.

 

Alzò lo sguardo alla ricerca di quello della compagna di giochi, ma non lo trovò.

Si accorse che era sparita.

 

- Dov'è Jackie?

 

- Tranquillo, le ho presentato le mie amiche.. Sono sicura che si divertiranno. - prende la mano di Michael e la strinse in una presa calda e rassicurante. - Così possiamo parlare. Ho tante da cose da chiederti, Michael.

 

Quello per Michael non era un semplice contatto. Era molto di più.

Non aveva mai provato nulla di simile nemmeno con Jackie.

Si sentiva caldo e felice per tutte quelle attenzioni.

Alzò lo sguardo e sorrise.

La serata cominciava decisamente a piacergli...

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Capitolo 18
*** Capitolo 18 ***


Senza te, ma dove vado amore?

 

 

Per tutta la sera, Michael e Tatum erano rimasti a parlare, mano nella mano, appoggiati al parapetto del piano superiore, mentre sotto di loro, decine di ragazzi ballavano e si divertivano.

 

Michael era completamente perso, concentrato solo sulla bionda ragazza che aveva a fianco.

 

A mezzanotte, la musica cambiò, e una sottile melodia d'amore spinse molti a ballare in coppia, lentamente.

Qualcuno spense la luci, e la stanza diventò semi buia.

 

Per un attimo Michael alzò lo sguardo verso la festa, e un secondo dopo, sentì il lieve respiro di Tatum sul suo collo.

 

 

- Vieni con me - sussurrò.

 

La sua voce era calda e sensuale, e Michael trasalì.

Imbarazzato, si lasciò trascinare.

I due entrarono in una stanza buia, illuminata solo dalla luna che penetrava dalla finestra.

Oltre il vetro, lo splendido paesaggio della città sembrava ammirarli silenzioso.

Quando si accorse che era una camera da letto, Michael trasalì.

 

Lui… non voleva arrivare a questo!

Inoltre, non si sentiva ancora pronto per certe cose.

E poi, non aveva mai baciato una ragazza.

 

Il problema si risolse all'istante, poiché Tatum si alzò in punta di piedi e lo baciò.

Michael sgranò gli occhi, e il suo cuore fece un balzo.

La ragazza sentì le sue labbra tremare e si allontanò.

 

- Hai freddo? - chiese.

 

Era evidente che non si era accorta del suo stato d'animo.

E Michael doveva assolutamente fermarla.

 

- Tatum, io non credo che…

 

La bionda lo zittì, poggiandogli un dito sulle labbra.

Poi lo afferrò delicatamente per il colletto della camicia e lo fece cadere sul letto, mettendosi a cavalcioni su di lui.

Non appena sentì il contatto con il morbido materasso, Michael si sentì tremendamente a disagio.

Non riusciva a muoversi, poiché lo sguardo penetrante di Tatum lo teneva bloccato al letto.

Inoltre, il fatto che lo stesse guardando come se avesse il permesso di farlo dopo anni in cui non si erano visti, lo imbarazzava terribilmente.

E soprattutto, il modo in cui lo stava guardando!

 

Tatum, che non si era veramente accorta di nulla, si sistemò sul suo bacino e le sue dita salirono fino a iniziare a sbottonare la camicia.

 

Era troppo.

Troppo.

 

Lui reagì d'istinto, coprendosi il volto con le grandi mani.

Sentiva il viso bollente, il cuore battere all'impazzata e mille brividi su tutto il corpo.

Stava per fare sesso! Con Tatum!

Per attimo, si sentì coinvolto in una sorta di grande e irreparabile errore.

 

Le mani di Tatum si bloccarono improvvisamente.

La udì alzarsi e poi il tonfo leggero di una porta chiusa.

Solo dopo un altro attimo di silenzio, tolse le mani dal volto.

 

Lei se n'era andata.

Era rimasto solo.

 

Nel buio della stanza, la consapevolezza di aver fatto qualcosa di brutto lo assalì immediatamente.

Certo, non l'avevano fatto, ma lui l'aveva ferita.

Non avrebbe voluto, ma non aveva avuto altra scelta.

 

Raccolse un attimo il viso fra le mani a pensare.

Come avrebbe dovuto comportarsi con lei ora?

Improvvisamente, sentì di aver perso ogni interesse per lei.

Forse perché era rimasto deluso dal suo comportamento troppo affrettato.

O forse semplicemente perché la riteneva praticamente una sconosciuta.

 

Si sistemò la camicia e uscì.

Lei era appoggiata al parapetto, di spalle, osservando la festa sottostante.

Era distante con la mente, e lui lo percepiva.

Appena lei si voltò lui arrossì.

 

- Tatum, io… mi dispiace….- balbettò.

 

La bionda lo fermò con la mano.

La sua espressione era neutra.

Era impossibile cercare di capire cosa le passasse per la testa in quel momento.

 

- Michael, taci. Non fa niente… - disse.

 

Lui la guardò, e lei continuò, imperterrita.

 

- Non importa. Anzi, scusami tu. Non ti ho mai cercato se non stasera, in tutto questo tempo, ma il punto è che mi piacevi davvero. Mi piacevi perché sei diverso, e perché non hai paura di mostrare i tuoi veri sentimenti a chi sai che davvero ti vuol bene.

 

Lui chiuse gli occhi per un momento.

Era andata meglio di quanto pensasse.

 

- Scusami comunque… sono certo che ci sono un sacco d'altri ragazzi meglio di me..

 

E cercando di apparire indifferente, la lasciò da sola.

Scendendo le scale, sentì lei che lo salutava con la stessa voce delusa, e ciò lo spinse ad accelerare il passo.

Aveva improvvisamente sonno.

 

Cercò Jackie fra la folla: non l'aveva più vista da quando era andato con Tatum e ora si sentiva un pò in colpa.

Dopo aver cercato per tutta la casa, uscì in giardino.

 

Lei era seduta su una panchina, da sola, con gli occhi persi in mille pensieri.

Sospirò di sollievo appena la vide.

 

Sentendo i suoi passi avvicinarsi, Jackie alzò lo sguardo e appena lo riconobbe sorrise.

Si alzò, venendogli incontro.

 

- Mike, che cosa… - appena vide la sua espressione, il sorriso mutò di colpo - E' successo qualcosa? - chiese per metà preoccupata.

 

Lui scosse rapidamente la testa, cercando di essere convincente, ma sapeva che non poteva nascondere nulla a Jackie, così cedette.

 

- Tatum.. ehm… ci siamo congedati.

 

- Non mi stai dicendo tutto. 

 

Michael la guardò, e si chiese se esistesse un altro essere umano che potesse comprenderlo così tanto.

No, non c'era.

Solo Jackie sapeva guardarlo nel profondo, e capirlo in ogni occasione.

 

- Ha tentato di portarmi a letto… - disse senza mezzi termini, arrossendo un poco.

 

Quegli argomenti lo imbarazzavano sempre, anche se parlava con Jackie.

Lei sbarrò gli occhi, atterrita.

 

- E… l'avete…

 

- No. No, l'ho fermata io. Non sono… cioè, non me la sento.

 

- Non devi giustificarti, Mike.

 

Lui la fissò pensieroso.

 

- Scusa. Ti ho lasciata da sola per tutta la festa, sono imperdonabile… - disse, prendendole le mani.

 

Lei rise.

 

- Ma cosa dici? Non ti preoccuparti! Coraggio, andiamo a casa!

 

Detto ciò, lo prese a braccetto e si avviò.

Lui si lasciò trasportare dall'amica e dalla sua allegria, e ben presto iniziò anche a ridere per quanto era buffa.

Eh si, Jackie riusciva proprio a capirlo…

 

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Capitolo 19
*** Capitolo 19 ***


Per essere perfetta le mancava solo un difetto. 

 

 

Era una gelida mattina d'inverno.

Michael e i fratelli erano partiti presto per lavorare alla Motown.

Janet e Jackie erano a casa con mamma Katherine a fare le pulizie: li avrebbero raggiunti nel pomeriggio.

 

Jackie però, non era quella di sempre.

Era partita due settimane prima per l'Italia per trovare la famiglia e, quando era tornata, aveva sempre mangiato e parlato poco.

 

Inoltre, si sentiva stranamente stanca.

Da qualche giorno giramenti di testa e mal di pancia non le avevano dato tregua.

Si sedette un attimo sul divano, sbuffando, poggiando a terra la scopa con cui stava pulendo il pavimento.

Janet la raggiunse e la guardò preoccupata.

 

- Jackie, è tutto ok? - chiese, poggiandole una mano sulla spalla.

 

- Sono preoccupata: è da circa due mesi che non ho il ciclo. - confessò la castana, arrossendo leggermente.

 

Non amava parlare così liberamente di queste cose, ma i suoi dolori la disturbavano così tanto che per lei era diventato difficile sopportarli.

Non capiva perché si sentisse così.

Sapeva solo di non essere perfettamente in salute.

Inoltre, aveva un brutto presentimento….

 

- Sarà lo stress… Ultimamente, fra casa discografica e lavori domestici non ti riposi mai. 

 

- No. Sono abituata a tutto questo. Non è lo stress, sto benissimo…

 

- Jackie, forse dovresti rivolgerti a un dottore. Così per sicurezza…

 

Jackie non era del tutto convinta.

Andare da un medico sarebbe significato chiedere a qualcuno di accompagnarla, e non voleva assolutamente recare disturbo a Katherine.

 

- Non voglio essere un peso per qualcuno. - replicò convinta.

 

- Ma Jackie, è per la tua salute!

 

- E va bene… - mormorò, vinta.

 

Janet spiegò la situazione a Katherine e le tre donne andarono all'ospedale.

 

---

 

Seduta sul lettino bianco del medico non si sentiva affatto a suo agio.

Le aveva fatto un controllo generale e da come l'aveva guardata alla fine non prometteva nulla di buono.

 

La porta si spalancò ed entrarono il medico e Katherine.

Mamma Jackson doveva già aver saputo, perché aveva gli occhi lucidi.

Jackie la guardò confusa e rabbrividì.

Aveva forse qualche strana malattia?

 

- Allora signorina Foster, temo non sarà felice di ricevere la notizia che sto per darle…

 

- Cosa? - chiese lei, tremando e fissando il medico, ansiosa.

 

- Non si è accorta che rispetto alle sue coetanee lei è molto, molto più piccola. Più bassa e fragile. Inoltre, ho notato che è molto magra….

 

- E allora? Non sembra che possa essere un problema….

 

- è nata prematuramente?

 

- Si. Di due mesi.

 

- Questo spiega tutto. In poche parole, non è correttamente formata. Cioè, è rimasta.. come dire… piccola. Alcuni organi interni, pur funzionanti, non sono cresciuti adeguatamente e hanno dimensioni molto ridotte.

 

Jackie deglutì.

Non si era mai fatta problemi sulla sua altezza, anche se, doveva ammetterlo, guardava tutti dal basso all'alto.

Inoltre, non amava mangiare o stare ferma, e ricordava di aver sofferto la fame più di una volta a casa di George.

 

- Bè, non è così grave, penso….

 

- E invece lo è.

 

Alzò lo sguardo verso il medico che la guardava con la fronte corrugata.

 

- Perché?

 

Lui non rispose.

Si avvicinò Katherine che la guardò con gli occhi colmi d'infelicità.

 

- Forse adesso potresti non renderti conto della gravità della situazione… - le disse, poggiandole una mano sulla spalla.

 

Jackie era sempre più confusa e spaventata.

 

  • Perché? Che cos'ho? Il cuore...

 

- No no. Il tuo cuore forse è la cosa più forte che hai. 

 

Katherine l'abbracciò.

 

- Sei sterile Jackie. Non potrai avere bambini. Nè ora nè mai.

 

---

 

Quella sera, quando quella giornata fu finalmente terminata, Michael e i fratelli tornarono a casa dalla casa discografica.

La casa, prima vuota e silenziosa, si riempì dei saluti e del vociare confuso dei ragazzi.

Seduta per terra vicino alla porta, Jackie li osservò entrare uno ad uno, salutandoli con un filo di voce.

Quando finalmente colui che la rendeva felice varcò la soglia, così si alzò lentamente e lo abbracciò.

 

-Ben tornato - disse.

 

Michael era così felice che non si accorse del suo stato d'animo.

 

- Oggi Berry mi ha fatto i complimenti: sono riuscito a modificare un pezzo di una canzone. Ho fatto aggiungere il suono di…. - e continuò a parlare.

 

Poco dopo, si accorse che Jackie lo ascoltava distrattamente e si fermò.

 

- Jackie, ti annoio? - chiese con una punta d'incredulità nel tono.

 

Di solito Jackie pendeva dalle sue labbra quando lui le raccontava le vicende alla Motown, e vederla così distante lo rese incredulo e confuso.

 

Lei scosse la testa e lui cominciò a preoccuparsi.

 

- E' successo qualcosa? - chiese, captando il suo stato d'animo.

 

- No, cioè… uff… lascia stare.. - si allontanò con una mano sulla fronte, come esasperata.

 

Michael sbarrò gli occhi, incredulo di fronte a quella reazione.

Era sicuramente successo qualcosa.

Si voltò verso la cucina e vide che Katherine lo stava fissando.

Determinato, si diresse verso la madre.

Lei gli doveva delle spiegazioni.

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Capitolo 20
*** Capitolo 20 ***


Io ci sarò, tu ci sarai. 

 

- Mamma, che cos'ha Jackie? - chiese con aria preoccupata.

 

Katherine guardò il figlio e socchiudendo gli occhi lacrimosi decise di parlare.

 

- Ciò che è successo a Jackie è molto brutto… - disse con aria triste.

 

Michael trasalì.

 

- Che cosa?

 

- Oggi siamo andati da un medico. Ha detto che la nascita prematura e, probabilmente, la crescita squilibrata, ha impedito ad alcuni organi interni di maturare perfettamente, nonostante la corretta funzionalità. Solamente... L’utero è troppo piccolo, almeno così - Unì entrambe le mani a coppa, - E le ovaie praticamente invisibili. Insomma... Jackie non potrà avere figli in futuro.

 

Di fronte alla notizia, Mike arretrò incredulo.

Jackie non potrà avere figli in futuro.

Quella frase continuò a colpirlo come una lama tagliente, e per mille motivi a cui nemmeno lui poteva dare una spiegazione, si sentì triste e amareggiato.

 

- C-cosa?? Ma come.. com'è possibile? - riuscì a balbettare. - Lei desidera dei bambini. - mormorò in preda all’angoscia.

 

- Non hai notato com'è magra e bassa rispetto ai suoi coetanei? E' rimasta piccola. Tutto qui. Non c'è altra spiegazione.

 

E detto ciò, abbassò la testa verso le verdure che stava tagliando, e Michael capì che non gli avrebbe detto altro.

Si appoggiò al muro e guardò in alto, cercando di riordinare i pensieri.

 

Jackie non poteva avere figli.

Ora era tutto chiaro, ma difficile da accettare.

Ecco perché prima aveva reagito in modo così distante con lui.

Chissà come doveva sentirsi, ora…

 

Si riscosse e velocemente raccolse una lacrima che gli era scesa spontaneamente e uscì di casa.

 

La frescura della notte lo avvolse e lo fece rabbrividire.

Chiuse la porta e abituò gli occhi all'oscurità prima di cominciare a cercare la sua compagna di giochi con lo sguardo.

 

Non la vide.

Non era nè nel suo giardino nè in quello di suo padre George.

Se n'era andata.

 

Michael sapeva dove poteva andare a piangere, e cominciò a incamminarsi verso il fiume.

Poco dopo, raggiunse la panchina che avevano raggiunto alla loro prima uscita insieme e dove erano soliti a rivelarsi i segreti.

 

Lei non era seduta su quella panchina, ma lui la intravide accovacciata sull'erba, ai piedi di una quercia lì vicino.

La luce della luna piena illuminava le foglie facendole sembrare argentate e vive, scosse dal vento leggero del nord.

Seduta a gambe incrociate sulle radici, Jackie osservava l'acqua cristallina, immobile come una statua.

Michael sapeva che si era accorta di lui, ma sapeva anche che non gli sarebbe mai venuta incontro se non fosse stato lui a parlarle per primo.

Faceva parte del suo carattere, Jackie era così.

 

Si avvicinò a passi lenti e appena la raggiunse sotto l'albero si sedette accanto a lei.

Il leggero contatto delle loro braccia calde non bastò per scaldarli dalle folate gelide che li avvolgevano.

Il mondo attorno a loro sembrava solo lo sfondo di un quadro che stava per gelare.

 

Dopo pochi ma interminabili minuti Michael respirò profondamente e la guardò con la coda dell'occhio.

Non era da lui andare incontro alle persone in modo così aperto e spontaneo, ma con Jackie era tutto diverso.

 

- Ho saputo… - disse solamente. 

 

Altri gelidi istanti di tormentato silenzio.

 

- Chi te l'ha detto? - chiese finalmente lei, come se avesse importanza saperlo. La sua voce era fredda e distante, e il fatto che lei fosse così gelida con lui turbò il cuore di Michael.

Non dovevano esserci segreti o incomprensioni fra loro.

 

- Katherine… - restò un attimo in silenzio, poi deglutì e si leccò entrambe le labbra - Mi dispiace… io…. non so che cosa dire.. - aggiunse disperato.

 

Era triste, e lo era anche lei.

Jackie raccolse la sua mano e la strinse.

 

- Scusami per prima.. - disse evitando di guardarlo - ma è tutto il giorno che penso a questo…. e non mi sembra vero…

 

- Non devi scusarti di nulla - disse lui prontamente, scuotendo la testa.

 

Era incredibile: Jackie pensava sempre a scusarsi con lui anche quando non ce n'era bisogno.

Era un altra delle caratteristiche che li accomunava, ma nessuno dei due vi fece troppo caso.

 

Non sapendo che altro dire, lui le passò un braccio attorno alle spalle e Jackie si tuffò letteralmente in quell'abbraccio pieno di affetto e amore che solo lui sapeva darle.

Accanto a lui si sentiva bene, e ogni briciola di tristezza svanì dalla sua mente.

Però il cuore continuò a piangere e sebbene facesse di tutto per ignorarlo, non poteva calpestare il male che l'opprimeva e che l'avrebbe oppressa, forse, per tutta la vita.

Sentì le braccia di Michael stringerla più forte e lasciò cadere qualche lacrima silenziosa.

 

Ora il forte vento era cessato.

Li accarezzava solo una fresca brezza leggera, che pareva sfiorarli dolcemente, come per consolarli da tutti i mali che avevano e che dovevano ancora venire.

La luna scomparve dietro le nuvole e l'oscurità immerse i due ragazzi.

Solo in quel momento di silenzio che ricordava la fredda sensazione della morte Michael parlò deciso, colorando quell'attimo di amore e consolazione.

 

- Non piangere più Jackie. Potrai sempre contare su di me.

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Capitolo 21
*** Capitolo 21 ***


La musica è il cibo dell'amore. 

 

 

La casa discografica era come una splendida casa dove i ricordi brutti del passato non esistevano e la tristezza rimaneva fuori dalla porta.

Alla Motown i disagi della vita in famiglia, le botte e altre sofferenze venivano cancellate dal frenetico lavoro di produzione.

La musica non è un gioco, e Berry Gordy lo sapeva bene.

Gestiva la sua azienda con passione e serenità, e i suoi occhi s'illuminavano sempre quando le sue scintille preferite varcavano la soglia.

 

Diana era di casa alla Motown e passava il suo tempo in compagnia del capo discografico.

Era una donna affascinante, dolce e resa un pò matta da tutta la sua fama, e la sua presenza era sempre gradita.

Diana poi, si curava sempre che Michael non si stancasse troppo e che Jackie imparasse bene i mestieri dietro le quinte.

Michael e Jackie adoravano letteralmente Diana, e Berry era da loro considerato un maestro.

D'altro canto, non poteva definirsi altro per loro.

 

Durante i minuti di pausa, tra una registrazione e l'altra, quando Michael e Jackie si incontravano davanti a una macchina del caffè, veniva spesso a interrompere le loro chiacchiere.

Li prendeva a braccetto e li portava a spasso per tutta la casa discografica, intonando un motivetto che si era inventato lui e di cui andava molto fiero.

 

La coppia più bella del mondo

lui sul palco e lei sotto

che lavorano giorno e notte

per comporre una canzone.

Ragazza obbedisci sempre a lui

lui sa quel che c'è da fare

e tu ragazzo, fai quello che dice lei

che lei sa come poterlo fare.

 

Quando lo suonava, i due diventavano rossi per l'imbarazzo, soprattutto quando Diana e il resto dello staff sorridevano compiaciuti.

Berry non era il primo a dire che i due sembravano fidanzati.

E non aveva torto.

Michael e Jackie erano inseparabili, e non si dividevano nemmeno durante gli scherzi del capo discografico.

Le prime volte Michael si era indignato, pensando che durante il lavoro bisognasse essere seri, ma Berry l'aveva subito ripreso.

Il capo discografico aveva un modo molto particolare di vedere la musica e il suo lavoro.

Diceva che per far nascere la musica, la Vera musica, bisognava essere sempre felici e con una buona idea pronta.

E per far venire una buona idea, bisogna essere felici.

 

La musica e il lavoro l'intrattenevano alla Motown spesso fino a tarda notte, sebbene fossero ancora due ragazzi molti giovani.

La passione li spingeva a lavorare e imparare sempre più, e Berry e Diana li osservavano soddisfatti, nascosti mentre i due si scambiavano idee e opinioni su qualche pezzo.

Erano ragazzi con un sogno, e su questo non c'erano dubbi.

 

Tutto ciò che riguardava un progetto musicale li distraeva dalla realtà.

Ma in fondo, erano consapevoli che, una volta tornati a casa il sogno svaniva e ritornavano a essere semplici figli di operai.

Casa Jackson sembrava tanto piccola paragonata alla Motown, e la violenza di Joseph sembrava triplicarsi ogni volta che, vinto dalla stanchezza, Michael faticava a tenere il passo degli altri Jackson.

 

Jackie, dopo il lavoro, aiutava Katherine nelle faccende domestiche e ogni tanto, tornava a casa di suo padre.

George sembrava essersi scordato di avere una figlia e Jackie viveva praticamente a casa Jackson.

L'unico collegamento con il ramo paterno della famiglia era Albert, il suo fratellastro.

Lui era un ragazzo ragionevole, molto intelligente, che passava interi giorni fuori città a studiare e lavorare.

Jackie sapeva che nemmeno lui sopportava George, perché era crudele e violento almeno quanto Joseph, se non di più.

Così Albert era partito e sebbene tornasse a trovare la sorella ogni tanto, Jackie non poteva fare a meno di piangere per la sua mancanza.

 

L'unico suo riferimento era Michael, e quando di sera, prima di dormire, pensava a suo fratello e alla sua defunta madre, decise che mai avrebbe lasciato il suo compagno di giochi, e che si sarebbe costruita una vita nella musica proprio come lui.

 

Quando Jackie e Michael ottennero il diploma lei firmò un contratto di lavoro con la Motown.

Era così felice che avrebbe potuto toccare il cielo con un dito.

Appena aveva annunciato la notizia alla famiglia Jackson, Michael l'aveva abbracciata stretta, consapevole che non le sarebbe più mancata.

 

---

 

Dopo poche settimane dall'inizio del lavoro, Albert cominciò a non tornare più a casa.

Jackie lo attendeva sempre, aveva chiesto in giro e aveva anche tentato di rintracciarlo.

Le ultime sue tracce furono rinvenute al confine della regione: Albert se n'era andato.

 

Quante lacrime le bagnarono il viso, la prima notte dopo aver appreso la notizia.

Non poteva sopportare di non avere Albert a fianco, poiché lui l'aveva aiutata quando doveva tornare in Italia e più volte l'aveva salvata dalle mani pesanti di George.

Capì che anche Katherine e Michael, i più vicini a lei ed Albert erano addolorati per la sua scomparsa.

Si sentiva stanca e demoralizzata, ma una cosa era certa: non si sarebbe arresa, non avrebbe mai smesso di cercarlo e sperare in un suo ritorno.

 

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Capitolo 22
*** Capitolo 22 ***


Basta poco per essere felici. Una parola e si è amici. 

 

Un giorno, Jackie era rimasta a casa di Katherine per aiutarla nelle faccende domestiche mentre Michael era alla Motown.

Non era voluta andare con lui perché Albert le mancava tanto e non se la sentiva di lavorare.

Mentre era immersa nei suoi pensieri, piegando con cura una camicia, la porta si spalancò e sulla soglia apparve un Michael dall'aria agitata.

 

- Bentornato a casa tesoro. - lo salutò Katherine.

 

- Ciao! Jackie, devo parlarti! - esclamò lui, senza nemmeno dar tempo all'amica di salutarlo.

 

Jackie lo guardò sorpresa.

 

- Di che si tratta? - chiese.

 

- Andiamo di sopra, in camera mia.

 

Abbandonata la camicia accanto agli altri vestiti perfettamente stirati e piegati, i due ragazzi si precipitarono al piano superiore, divorando gli scalini con passi rapidi.

Katherine li guardò scomparire e poi si accinse a raccogliere i vestiti, pensando che aveva un figlio davvero strano.

 

Una volta entrati nella stanza, Jackie si sedette sul letto e guardò Michael paziente.

Il moro le rivolse uno sguardo eccitato.

 

- Di un pò, mi ci vedi col naso rosso? - chiese ridendo sotto i baffi.

 

Jackie sorrise, divertita.

 

- Cosa?

 

- Sarò lo spaventapasseri nel film The Wiz ! - esclamò d'un fiato.

 

Jackie sbarrò gli occhi per la sorpresa.

 

- Cioè, ti hanno dato una parte?

 

- Si, con Diana. Lei recita la parte di Dorothy!

 

- Oh Mike, è grandioso! Sono fiera di te! - e gli saltò in braccio, felice per quel suo traguardo.

Si abbracciarono per un attimo e poi lui si staccò.

 

- Ma non è tutto - disse - le riprese saranno a New York.

 

- New York? - ripetè lei.

 

Improvvisamente la felicità scomparve, e la consapevolezza che avrebbe dovuto restare lontano dal migliore amico la invase rapidamente.

Abbassò lo sguardo, mentre lui continuava a parlare.

 

- Però… tu verrai con me. 

 

Alzò il viso. Lui la stava guardando con una strana espressione, come se avesse predetto la reazione di lei.

Jackie capì che lui lo aveva sempre saputo, e che aveva fatto apposta e deluderla e poi sorprenderla.

 

- Dici sul serio?

 

- La Motown ha firmato un contratto. Tu vieni con me, aiuti il montaggio del film. - si allontanò di due passi e la fissò a braccia incrociate - Mi dispiace signorina Foster, ma pare che per i prossimi mesi lei non resterà a casa a poltrire. E poi, penso che ti faccia bene cambiare aria. 

 

E rise imbarazzato appena Jackie si appese al suo collo, ridendo di gioia.

 

- Sei davvero una persona speciale Michael. I love you - e gli scoccò un bacio sulla guancia.

 

Lui arrossì ma lei non si stupì: Michael era sempre stato molto timido anche con lei, soprattutto quando lo baciava.

Lo strinse fortissimo, respirando il suo profumo così familiare.

 

- Dovrei regalarti un mazzo di fiori.

 

Lo sentì ridere.

 

- Non sei un esperta di omaggi floreali, Jackie.

 

- No, ma conosco bene i tuoi gusti.

 

- Non perda tempo signorina e corra a preparare le valigie!

 

- Devi sempre rovinare i momenti più belli, vero?

 

Jackie finse di allungargli uno scappellotto e lui si scostò, continuando a ridere.

Erano momenti così naturali, ma anche così rari da sembrare ancora più belli.

 

Jackie lo prese a braccetto e s'incamminarono per raggiungere Katherine al piano di sotto, consapevoli che New York, la città dei sogni, li attendeva.

 

- Allora mister naso rosso - disse a un certo punto lei - quando si parte?

 

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Capitolo 23
*** Capitolo 23 ***


 

Trovarsi insieme è un inizio, restare insieme un progresso… 

lavorare insieme un successo. 

 

 

New York, la città dei sogni, capace di dare emozioni e magia anche a chi vi vive da sempre.

L'arrivo nella grande mela fu come un sogno e Michael e Jackie vennero subito travolti dalla frenetica vita della gente di città e dall'imponenza degli alti palazzi.

Ma non c'era abbastanza tempo per visitare la città.

Il film li aspettava, e li attendevano mesi e mesi di lavoro.

La vita dell'attore non era uno scherzo, e Michael l'avrebbe presto scoperto.

 

Il set era pieno di gente. Chi allestiva la scena, chi sistemava le luci, chi distribuiva a ogni attore la sua parte.

Appena arrivarono, Michael venne raggiunto da due uomini.

 

- Buongiorno signor Jackson. Ben arrivato. Il regista vorrebbe parlare con lei. Prego ci segua.

 

Con un sospiro, Michael lasciò Jackie, che rimase a guardarsi intorno.

Con tutta quella gente non sapeva dove andare!

Decise di cercare Diana Ross, per salutarla e per chiederle aiuto, quando una voce tranquilla e profonda la fermò.

 

- Le serve aiuto signorina?

 

Jackie si voltò di scatto e vide che a parlare era stato un uomo distinto,dall'aria calma di chi conosce il suo mestiere da anni.

Teneva le braccia distese lungo i fianchi, completamente rilassate, e i suoi occhi non sembravano cattivi.

Anzi, le trasmettevano a prima vista una sicurezza che non sapeva spiegare.

Imbarazzata, abbassò il capo in segno di rispetto.

 

- Signore, è la prima volta che vengo qui e non so dov'è il mio settore.

 

- Ti prego, signore sa di vecchio. Dimmi di cosa ti occupi, così ti posso aiutare.

 

Jackie non sapeva cosa rispondere allora gli porse il foglio del suo contratto.

L'uomo lesse per un minuto prima di alzare lo sguardo su di lei e sorridere.

 

- Suono - disse - Dunque sei la mia nuova apprendista - abbassò ancora lo sguardo - Jacqueline Annie Foster.

 

Piegò il foglio delicatamente e le porse la mano.

 

- Sono Quincy Jones. Mi occupo della colonna musicale.

 

Jackie strinse la mano e sorrise.

Quell'uomo l'avrebbe aiutata, lo sentiva.

 

---

 

All'ora di pranzo il lavoro s'interruppe.

Ognuno abbandonò all'istante il suo mestiere per correre a mangiare, come se non avessero atteso altro che la pausa.

Michael ci rimase male per quel comportamento.

Insomma, che gusto c'è a lavorare se non aspetti altro che la pausa!

Si alzò dalla sedia dove lo stavano truccando e andò a cercare Jackie.

Dopo qualche minuto la trovò che si lavava le mani.

Appena lei lo vide, gli sorrise e gli andò incontro.

 

- Allora, com'è andata? - chiese euforica.

 

- Non male, abbiamo fatto le prove e devo sapere a memoria tutto il mio copione - disse, mostrandole le pagine.

 

- E a che punto sei?

 

- Male.

 

- Se vuoi ti aiuto io. Tanto, le riprese inizieranno solo domani e adesso e stasera abbiamo tempo per imparare.

 

- Ok. 

 

Si sedettero a consumare il pranzo.

 

- Cosa hai fatto tu invece?

 

- Mi hanno indicato dove lavoro. Non avrò problemi. Guardo il set da una vetrina in alto dove si regola il suono, così potrò tenerti d'occhio. - disse ridendo - E ho conosciuto qualcuno…

 

- Un ragazzo? - chiese subito lui, fissandola intensamente con gli occhi scuri.

 

- Non esattamente. Un signore. E' stato molto garbato con me, è lui che mi ha indicato dove dovevo andare. Si chiama..

 

Una voce interruppe i loro discorsi.

 

- Non starete parlando di me spero!

 

Diana Ross li raggiunse raggiante, e salutò Jackie abbracciandola forte. 

Quel giorno non si erano ancora incrociate e non avevano possibilità di vedersi spesso.

Tuttavia, Diana continuava a trattare Jackie esattamente come una figlia.

Dopo aver abbracciato la castana, baciò Michael e si sedette con loro.

 

- Vi siete già ambientati? - chiese premurosa.

 

- Io si.

 

- Sono a posto.

 

- Jackie, sai che Michael si è già guadagnato il titolo del più buono e tranquillo? E' incredibile come riesce a stare fermo per la prova del trucco.

 

- Eh si, Michael ha molta influenza.

 

- Io non sono qui. Non sento niente, eh…- commentò ironico.

 

- A volte è così insopportabile che non riesco proprio a sopportarlo…

 

- Hai ragione Jackie. Michael a volte è proprio un bambino viziato - confermò Diana, guardando di sottecchi Michael, che le fissava fingendosi adirato.

 

- Donne.. ma perché sto qui a parlare con voi?

 

- Perché ti voglio bene Mike!

 

Alla risposta di Jackie, lui sbuffò e girò la testa, fingendosi offeso.

Diana sorrise e li guardò giocare.

 

- Basta ragazzi. Risparmiate le energie. La giornata non è ancora finita.

 

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Capitolo 24
*** Capitolo 24 ***


Ricordo molto bene quando la incontrai per la prima volta: era timida, sperduta senza il suo Michael. Ma quando ci parlammo e iniziammo a lavorare, mi accorsi di aver trovato la persona perfetta. Ci intendevamo, e ci stimavamo a vicenda. Diventò mia figlia perché io lo decisi, e perché forse lei ne aveva bisogno. Qualunque cosa sia accaduta ora, sono felice di averla conosciuta. E sono orgoglioso e fiero dell'affetto che prova per me. 

 

 

Era appena l'alba quando Jackie varcò la soglia dello studio dove si girava il film The Wiz.

Non c'era nessuno, ma era normale: erano le cinque del mattino e il lavoro iniziava alle sette.

Jackie respirò l'aria fresca della sala, perdendosi un attimo in quel vuoto e cupo silenzio.

La pace sovrastava su ogni cosa a quell'ora del mattino, e si sentì pienamente rilassata.

 

- Già qui a quest'ora? - la interruppe una voce maschile.

 

All'inizio Jackie pensò che si trattasse di Michael ma appena si voltò vide che era stato Quincy Jones.

L'uomo la guardava, nascosto nel buio della sala.

 

- Buongiorno signore. Pensavo di venire presto per sistemare…

 

Ancora una volta non la lasciò finire.

 

- So che tieni tanto al tuo lavoro. L'ho capito dall'impegno che ci metti. Se vuoi ti posso aiutare io, mi farebbe molto piacere. Ma prima però, vorrei che mi accompagnassi al bar qui sotto per un caffè. E' ancora molto presto e la giornata è ancora lunga.

 

Più tardi, tra loro vi era già confidenza.

Seduti a un tavolo del bar, davanti a due tazze, si raccontavano le rispettive storie.

 

- Amavo suonare la tromba. Però dovetti fermarmi nel '76 per un problema celebrare. Non è stato facile rinunciare a suonare, anche se sono felice di essere ancora nella musica.. - raccontò lui con disinvoltura.

 

Jackie lo ascoltava attenta.

Quincy aveva molta esperienza e sapeva che avrebbe potuto imparare molto da lui.

Quando lui la esortò a raccontargli la propria storia, abbassò lo sguardo imbarazzata.

Non sapeva cosa dire.

La sua vita non era normale come quelle di molte altre ragazze.

 

- Sono nata in Italia - cominciò - mia madre è stata uccisa quando avevo tre anni e mio padre mi ha portata qua in America. Sono cresciuta a Gary accanto alla casa di… uhm… di Michael Jackson.

 

Si fermò, indecisa se continuare.

Quincy però conosceva già i Jackson 5, e sorrise pensando alle doti straordinarie di quel ragazzo.

L'aveva intravisto sul set ma il lavoro non gli aveva permesso di scambiarci due parole.

 

---

 

Durante le prove Michael dimostrava a tutti le sue doti straordinarie, pur senza volerlo.

Riusciva a ricopiare i passi di danza dopo dolo averli guardati una volta, mettendo senza volerlo Diana in imbarazzo, che faceva finta di nulla e nascondeva alla perfezione la malevolenza nel vederlo eccellere a quell'età.

Jackie invece aveva a che fare con tecnici molto più preparati di lei e spesso si sentiva piccola e fuori luogo.

Tuttavia, Quincy Jones sapeva come metterla a suo agio, e lei riusciva sempre a contrastare la timidezza per dar spazio alla professionalità, e guardava gli altri imparando e assimilando tutto sulla qualità dei suoni, la luminosità, la pellicola…

Il lavoro era estenuante e Michael e Jackie si incontravano solo durante la pausa pranzo.

Spesso, lui la raggiungeva ancora vestito e truccato da spaventapasseri e non mancavano mai i loro tiri giocosi.

 

- Michael, sei uno spettacolo.

 

- Ma smettila.

 

- Ti giuro che attizzi assai.

 

- Che cosa?

 

- Nulla. Una parola in italiano che non potresti mai capire.

 

Un giorno Michael era particolarmente agitato, e metteva in difficoltà anche il suo truccatore.

Jackie notò il suo tremore e lo raggiunse.

 

- Ehi Mike, qualcosa non va?

 

- Scusami, sono nervoso. Non so bene la parte di oggi.

 

- Ma l'abbiamo provata ieri sera tutto il tempo!

 

- Non mi sento pronto comunque…

 

- Puoi nascondere il foglio nella paglia, davanti a te. Le telecamere sono dall'altra parte, e nessuno lo noterà. Così se non ricordi una parte basterà leggerla. O vuoi che ripassiamo insieme un passaggio ora?

 

- Non c'è tempo. Grazie comunque.

 

Raggiunse il set di corsa e si issò sul suo trespolo.

Il foglio era davanti a lui.

Gli attori si stavano disponendo per le ultime prove.

 

- Socrate. - pronunciò convinto, leggendo.

 

Nella sala crollò il silenzio.

Poi, una voce pronunciò correttamente "Socrate".

Imbarazzato, Michael alzò lo sguardo per ringraziare l'uomo che lo aveva suggerito, grato per quell'aiuto.

Non lo conosceva, anche se aveva la sensazione di averlo già visto.

Lo sconosciuto si sporse in avanti tendendo la mano.

Aveva un'aria simpatica e sembrava sicuro di sè.

 

- Quincy Jones. Sono io che faccio la colonna musicale.

 

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Capitolo 25
*** Capitolo 25 ***


Ho bisogno di Noi per continuare. 

 

- Quincy Jones. Sono io che faccio la colonna musicale.

 

Quello fu un incontro memorabile, che avrebbe in seguito segnato profondamente la vita dei due uomini.

Durante le riprese di The Wiz, l'amicizia fra Quincy e Michael ebbe modo di crescere sempre di più, fino a mutarsi in un rapporto padre-figlio.

Il più anziano provava anche un affetto particolare per Jackie, che stava sempre insieme a loro.

Col tempo, Michael si accorse che fra i due stava sbocciando qualcosa di grande.

Jackie vedeva in Quincy la figura paterna e lui, già sposato, le riservava le stesse attenzioni che avrebbe riservato a una figlia prediletta.

 

Terminato il film ,che grazie alla bellissima star come protagonista, fu un successo, le strade dei tre si separarono.

Michael partì per Los Angeles, chiedendosi cosa avrebbe fatto e quando avrebbe rivisto Quincy Jones.

Dopo l'ultimo giorno a New York, aveva perso di vista Jackie…

 

U.S.A.

Gary, Jackson Street

22.50, 1978, data precisa indefinita 

 

La strada era deserta e tirava un vento gelido che spazzava le foglie secche dall'asfalto consumato.

Quanto volte aveva camminato per quella strada! 

Tornando da scuola con Jackie, percorrendola con la palla in mano nei suoi pochi momenti di libertà dalla vita musicale.

La calma di quel luogo gli portava in mente tanti ricordi.

Era tornato per lei.

Avvolto nel giubbotto e nella sciarpa che gli copriva il volto, nascosto dietro a un albero, immobile e silenzioso.

Alle sue spalle, dall'interno della casa, provenivano urla e rumore di piatti rotti.

A ogni colpo chiudeva gli occhi, cercando di allontanare quel frastuono.

Jackie era dentro la casa di suo padre, che appena l'aveva vista varcare la soglia le era andato addosso con la stessa furia di un tornado, ubriaco fino all'osso, insultandola e incolpandola senza alcun motivo apparente.

Ma Jackie sapeva che dietro a tutti i suoi urli e gesti confusi si celava l'odio profondo per una persona, anche se non conosceva il motivo di tale sentimento.

Si era difesa, come poteva, dagli attacchi del padre, abituata fin da piccola a farsi picchiare, e quando la lite cominciò a durare troppo, anche i suoi nervi iniziarono a traballare.

I due fratelli che erano rimasti, a lei quasi sconosciuti, assistevano alla scena ridacchiando di nascosto, e ciò non le piaceva affatto.

 

- Mi puoi dire chiaro e tondo una volta per tutte perché ce l'hai tanto con me? - sbottò alla fine, rivolta al padre.

 

L'uomo, con gli occhi rossi e stravolti, la fissò adirato.

 

- Come sarebbe perché ce l'ho con te? Perché sparisci per giorni interi senza dirmi nulla! - sbraitò.

 

- Io ti avevo detto che andavo a New York!

 

- Sei andata a spasso col tuo amichetto vero? Come si chiama.. il figlio di Joe, Michael?

 

- Sono andata a lavorare!

 

- E perché sei tornata? Che cosa vuoi ancora da me? - urlò un'ultima volta. 

 

La sua voce non era più cattiva come prima. Era disperata, e Jackie lo vide piangere e accasciarsi al suolo, mentre i suoi fratelli ridevano ora più rumorosamente.

Si avvicinò a lui, e cercò di appoggiargli una mano sulla spalla.

Riuscì appena sfiorarlo che lui le afferrò il polso, stringendolo in una morsa.

Jackie gemette.

 

- Che cosa vuoi? - disse anche lui, di nuovo cattivo. - Vattene di qui.

 

- Papà, ti prego, non fare così.

 

- Dimmi perché sei tornata!

 

- Sono tornata perché sei mio padre, ecco perché!

 

Anche se per tutta la vita non hai fatto altro che picchiarmi, abbandonarmi e lanciarmi bottiglie di vetro in testa pensò, e si rese conto che non sarebbe dovuta tornare da lui.

Già lo vedeva che la picchiava per essersene andata.

 

- Già, forse sono tuo padre - disse lui - ma io non voglio averti come figlia. Tu porti guai. Sei stata un errore. Io neanche ti volevo. Ora la smetti.

 

Quelle parole, crude e pronunciate senza un minimo di riguardo l'avevano sconvolta.

Fissava il padre con occhi sgranati e le sembrò un estraneo.

L'uomo davanti a lei non aveva più un'identità, un significato nella sua vita.

 

- Vattene! Fuori da questa casa! - urlò improvvisamente lui.

 

Cercò di colpirla con un pugno, ma Jackie si scansò e, approfittando del fatto che lui fosse ubriaco, lo spinse a terra e si liberò.

Corse alla porta, prendendo la borsa con dentro le sue poche cose e si voltò un'ultima volta.

Il padre era ancora a terra.

Le faceva pena. Lui aveva bisogno di aiuto, e lei era ancora disposta ad darglielo.

Dopotutto era suo padre.

Non poteva ignorarlo.

 

- Se me ne vado ora non tornerò più. - disse.

 

Era sconvolta ma non voleva dimostrarlo.

Lui alzò lo sguardo e incontrò gli occhi della figlia.

Gli smeraldi al loro interno mandavano lampi infuocati e la fioca luce del lampadario rotto illuminava in pieno l'esile figura della figlia che considerava insignificante.

Troppo bella e somigliante alla madre per sopportarla in quella casa.

Si alzò e ruppe un vaso, rovesciò un tavolo.

 

- Anna! - gridò, rivolto al cielo, come una preghiera disperata.

 

Jackie sussultò, sentendo nominare la madre.

Guardò il padre che crollava a terra, forse troppo debole per reggersi in piedi.

Rovinato a tal punto da autodistruggersi con l'alcool.

Strinse la mano attorno alla maniglia e, fissando un'ultima volta il padre, lo ipnotizzò.

 

- E va bene. Me ne vado e non tornerò più. Parto per la mia strada e potrò finalmente costruirmi una vita. Scordati di me, ma sappi che un giorno io ci sarò, e pregherò sulla tua tomba. Addio George Foster.

 

Uscì in fretta, e una folata gelida la travolse.

Rabbrividì al contatto con l'aria fredda e le sue braccia nude.

Improvvisamente la frustrazione, l'incertezza e la disperazione le crollarono addosso in un solo colpo. 

Le forse vennero meno e sentì la testa pesarle.

E adesso che cosa avrebbe fatto?

Non aveva un posto dove andare e nemmeno un lavoro sicuro.

Si sentiva sola e confusa e coprì il volto con le mani, cercando di raccogliere le lacrime che avevano iniziato a scorrerle sule guance.

 

Poi, un tocco gentile le sollevò il viso.

Alzò gli occhi e incontrò due pozzi neri e limpidi fissarla intensamente.

 

- Michael….

 

Stordita, si lasciò avvolgere dalle sue braccia, che la ripararono dal vento e la strinsero contro il corpo caldo.

In quel piccolo rifugio si sentiva protetta e si lasciò andare un pianto liberatorio, promettendo a sè stessa che sarebbe stata la prima e ultima volta che lo avrebbe fatto davanti a lui.

La sua tristezza travolse anche lui, che non sopportava vederla piangere.

 

- Mi dispiace… - disse dolcemente.

 

- Quello non è mio padre. Non lo voglio più vedere. Ti odia e odia me.- singhiozzò lei.

 

Avvertì le braccia di lui stringerla più forte.

 

- Non lo vedrai mai più - disse determinato - perché starai con me.

 

Lo guardò, colpita dal suo tono di voce. Michael la guardava incantato, con una nuova scintilla negli occhi.

 

- Vieni con me. - sussurrò.

 

- C-cosa?

 

- Hai sentito. Vieni via con me. Non sopporto separarmi da te. Inizieremo una nuova vita io e te. Nella musica. E insieme realizzeremo i nostri sogni.

 

Jackie lo guardò a lungo meravigliata. C'era qualcosa di strano nella aria, una sensazione dolce e appagante che si nascondeva nel vento.

Michael continuava a fissarla, convinto più che mai delle sue parole.

Poi, abbassò lo sguardo.

Si staccò dall'abbraccio e le porse la mano.

Come quando erano bambini e lui l'aiutava ad alzarsi quando inciampava.

Non disse nulla ma la domanda era chiara.

Non c'erano bisogno di ulteriori parole.

 

Il vento soffiava impetuoso sulle sagome in mezzo al gelo, immobili sull'asfalto.

Poi, la mano di Jackie sfiorò quella di Michael, che la strinse, felice.

Lei accompagnò il suo gesto a un sorriso.

 

- Si. - disse infine.

 

In mezzo alla strada, quella notte buia e ventosa, nacque una promessa.

Un sentimento che sarebbe durato tutta una vita. 

Da lì partì ogni cosa.

Ora che erano insieme il mondo si sarebbe preparato all'imminente arrivo di Michael Jackson.

 

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Capitolo 26
*** Capitolo 26 ***


Questi sono vecchi capitoli. 
Non sono scritti granché bene e non sono molto lunghi. Perciò, dato che sono indietrissimo con questa storia, oggi ne pubblicherò più d'uno!
---

Parliamo, e intanto fugge l'astioso tempo. 

 

 

- E adesso che cosa facciamo? - chiese Jackie al compagno di giochi, masticando una ciambella.

 

Entrambi si erano ritirati nella camera da letto di Michael per parlare e discutere di lavoro.

Lui l'aveva ospitata per un pò, dato che lei non aveva ancora una casa.

Sdraiata sul letto, lo guardava camminare avanti a indietro nella stanza, pensieroso.

 

- Adesso parliamo. - rispose lui, impassibile. - Per cominciare a lavorare dovremo trovare un buon produttore e decidere l'etichetta discografica… - continuò.

 

- Certo, se vuoi pubblicare il tuo album, dovrai avere anche qualche idea in testa, no? - chiese Jackie, fissando con vago interesse il vuoto attraverso il buco della ciambella.

In certi comportamenti sembrava ancora una bambina.

Lui si voltò e la guardò.

 

- Mi consideri un pazzo per il mio sogno, eh… - constatò.

 

- No perché? - rise lei. - Una persona mi ha detto pazzi sono quelli che si distinguono dalle persone normali perché sanno sognare.

 

- Fabiana ha molta fantasia. Diventerà una bravissima scrittrice.

 

- Qui non si parla di mia sorella, Mike - esclamò Jackie, improvvisamente seria. - Si parla di te! Artisticamente parlando hai tutto. Cantare e ballare non ci sono problemi! Ora devi riveder la parte "tecnica" della situazione…

 

- Mi sono già organizzato signorina Foster. - disse Michael, raccogliendo delicatamente una ciambella fra due dita e osservandola con attenzione.

 

- Parli pure capo.

 

- Per prima cosa… licenziare Joseph. - rispose amaro.

 

Jackie lo fissò e si fermò a contemplare quel volto improvvisamente inanimato.

Lo la guardò alla stessa maniera, ma con un sorriso amaro dipinto sulle labbra.

 

- Non sembra apprezzare la mia arte, e in studio… bè, hai visto anche tu che abbiamo idee completamente diverse. Ho come la sensazione di lavorare per lui e non per me.

 

- Se vuoi farlo, fallo. Ne hai tutto il diritto. Non devi cercare di giustificarti per questa scelta. Devi pensare a te e basta. - esclamò Jackie.

 

Rammentava i periodi bui della botte e delle frustate.

Non avrebbe mai ammesso a Michael ciò che sentiva per Joseph ma gli dava pienamente ragione quando diceva di non volerlo con sè.

Lo capiva.

La frusta la conosceva bene anche lei.

 

Dopo un attimo di silenzio, Michael si riscosse dai suoi pensieri e la guardò, di nuovo sereno.

 

- Certa gente non fa parte del mio mondo della musica - disse, sorridendole e guardandola teneramente.

 

Jackie ricambiò il sorriso, sollevata, e addentando una ciambella, si girò sulla schiena, fissando il soffitto.

 

- Per cominciare, dovremmo farci aiutare da qualcuno da abbia esperienza…

 

- Eccomi!

 

- Intendo… qualcuno che si assuma ogni responsabilità…

 

- Eccomi!

 

- Michael, piantala. Sai bene cosa intendo. 

 

- Lo so, sto scherzando.

 

Si sdraiò accanto a lei e sospirò, consapevole del fatto che forse avrebbe dovuto lasciare la Motown per nuovi e incerti orizzonti.

Le captò il suo pensiero ma decise di rimanere in silenzio.

 

- Niente concorrenza, niente public relations e niente di niente… - disse lui soprappensiero. 

 

- Dobbiamo pensare a una produttore…. non c'è qualcuno che ci può consigliare qualcuno di adatto? - disse Jackie, raccogliendo le mani dietro la nuca.

 

- Vediamo… 

 

E cominciarono a pensare.

Dopo pochi ma interminabili attimi di puro silenzio, i due si guardarono e, fissandosi intensamente, si alzarono a sedere.

 

- Quincy Jones! - esclamarono all'unisono.

 

- Esatto!

 

- Ehi! E' stata per prima un'idea mia!

 

Risero e poi Jackie arrossì.

 

- Non so tu ma quell'uomo l'adoro… - confessò, abbassando lo sguardo.

 

- Non l'avevo notato - scherzò lui. - Sono contento che andiate così d'accordo. Tutti devono avere un papà e tu sei la prima ad averne bisogno.

 

Felice, Jackie lo abbracciò rapidamente e appena si staccò lui si alzò per telefonare.

 

- Non è troppo tardi! Chiederò a Quincy se conosce qualcuno che possa fare al caso nostro. Dopotutto… lui sa tutto!

 

Jackie annuì distrattamente.

Poi, un pensiero le balenò la mente in un secondo. 

Si alzò di scatto e raggiunse Michael, con l'apparecchio all'orecchio.

 

- Ehi Mike! E se fosse lui disp…

 

- Shht! Sta squillando! - la interruppe lui.

 

- Aspetta Mike! Chiedi a Q se…

 

- Ma Jackie! Non vedi che sono al telefono?

 

- Ma Mike, chiedi a Q se..

 

- Non ti facevo così maleducata! Me lo dici dopo ok?

 

La ragazza si sedette, mogia mogia, fissando storto Michael, davanti a lei, che la ignorava di proposito.

Sei un tonto… pensava.

Intanto affinò le orecchie per ascoltare la conversazione.

 

- Pronto?

 

- Pronto, ciao Q! Sono Michael! ..Jackson!

 

- Oh Michael! Ciao! Come va?

 

- Tutto bene grazie e tu?

 

- Annoiato. Come sta Jackie?

 

Michael sorrise e fece cenno a Jackie che stavano parlando di lei. Lei sorrise e si voltò dall'altra parte.

 

- Sta bene, è con me. Senti, ti ho chiamato per.. - s'interruppe, insicuro.

 

- Cosa?

 

- Senti, ho intenzione di fare un album. Pensi di potermi consigliare qualche produttore?

 

Seguì un attimo di silenzio, poi l'uomo dall'altra parte ridacchiò.

 

- Bè, posso consigliarti…

 

E cominciò a elencare una lista di possibili nomi. Michael ascoltava attento, assorto, e a ogni frase che pronunciava, il produttore era sempre più soddisfatto del ragazzo.

Alla fine, Quincy rise.

 

- Perché non lo fai fare a me? - propose.

 

Michael restò immobile. Con gli occhi si voltò verso Jackie, che aveva udito tutto e lo fissava eloquente.

Lui si battè una mano sulla fronte, sorridendo divertito dalla sua stessa ingenuità.

 

- Ehi, è vero! Non ci avevo pensato!

 

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Capitolo 27
*** Capitolo 27 ***


L'ho sempre detto che era bravo. Ne ero convinta fin dal principio. Anche sul set, sapevo che il mio piccolo Michael sarebbe diventato un genio imbattibile. Un eroe, si può dire. 

 

 

E dopo quella telefonata, il piano era deciso.

A breve, Jackie e Michael avrebbero cominciato a lavorare con Quincy Jones.

Il giovane cantante straripava di idee e sfogava la sua ispirazione sul pianoforte e su Jackie che, appoggiata allo strumento, lo ascoltava cantare assorta.

 

Los Angeles, Sede Motown

1978, data precisa indefinita

 

Prima di iniziare il lavoro a Los Angeles, Michael era tornato alla Motown.

Dopo tanti anni passati a cantare nei famigliari studi della casa discografica si sentiva quasi in dovere di parlare a Berry Gordy.

Di cosa non lo sapeva nemmeno lui, ma le parole sarebbero venute da sole.

La consapevolezza di dover lasciare la Motown era sempre rimasta nella sua mente, presente ma segregata sotto mille altri pensieri.

Ora, aveva la sensazione di tradire un amico.

Quincy aveva stipulato un contratto con la Epic Corporation e quindi, lui avrebbe prodotto i "suoi" dischi.

Erano tornati per salutare la casa discografica.

 

I due ragazzi varcarono la soglia degli studi discografici e furono avvolti da un'aria di profonda nostalgia.

Le stanze erano buie e silenziose.

Si avviarono verso l'ufficio del direttore e nel corridoio principale incontrarono men che meno che Diana Ross.

La donna non si aspettava certo di vederli arrivare e sgranò gli occhi dalla gioia e dalla sorpresa.

 

- Michael! Jacqueline! Che bello vedervi!

 

Jackie si lasciò stringere in una morsa soffocante, mormorando un saluto e stringendo gli occhi e sorridendo divertita dalla felicità precipitosa della diva.

Michael invece, rimase immobile e pensieroso.

Tossicchiò nervosamente.

 

- Vado da Berry. - disse.

 

Diana lo guardò, e a Michael parve di vedere una scintilla di pianto negli occhi scuri.

Forse non l'avrebbe mai detto, ma sapeva che Diana era dispiaciuta dal fatto di non poter più lavorare con loro come prima.

 

- E' nel suo ufficio.. - disse.

 

Congedandosi, Michael raggiunse la stanza lasciando le due donne sole e bussò educatamente.

Una voce debole e gentile lo invitò a entrare.

Varcò la soglia e osservò per un attimo la figura esile accomodata sull'enorme poltrona dietro la scrivania.

Berry guardò con sorpresa il ragazzo fermo sulla porta.

 

- Michael caro!

 

- Buongiorno Berry. Avrei bisogno di parlarti.

 

Il più anziano lo guardò, e sorrise.

 

- Ma certo giovanotto. Andiamo a farci un giro per queste vecchie sale puzzolenti.

 

Quella frase, detta con tanta leggerezza, portò in mente a Michael un sacco di ricordi.

Quando era un bambino, Diana prendeva spesso in giro Berry, dicendo che la Motown era solo una vecchia catapecchia malandata.

Ma il direttore non se le prendeva mai, perché sapeva che la donna scherzava e anzi, le rispondeva a tono.

Michael e Jackie li avevano osservati spesso confrontarsi in queste discussioni, e avevano sempre riso davanti alle finte facce offese di Diana.

 

S'incamminarono per i corridoi vuoti, in silenzio.

Michael era ansioso. 

Non sapeva che dire e ascoltava il direttore che aveva iniziato a parlare di vecchi ricordi.

 

- Conoscevo una ragazza sai? Era bellissima e amava cantare. Aveva un talento naturale. Purtroppo nessuno l'aveva valorizzata, così venne da me. L'aiutai e insieme riuscimmo a farle ottenere un discreto successo. Poi, un'altra casa discografica le offrì un contratto molto più vantaggioso del nostro e lei cambiò. Dopodiche, trasferì tutte le canzoni che le avevamo scritto e non diede più prova di conoscerci.

 

Michael si sentiva profondamente in colpa.

 

- Berry, io…

 

- Davvero una brava ragazza. - lo interruppe il direttore. - Ma so che a volte, alcune persone vengono condizionate da ciò che gli sta intorno. Se sei circondato da gente che pretende l'impossibile, impazzisci.

 

- Berry, non vuol d…

 

- Essere un artista non è una cosa da tutti, Michael. Non si può lavorare affidandosi alle mani di chi già si conosce. Bisogna esplorare da soli questi luoghi, e imparare bene a muoversi. Non sarà difficile, ma tu sai già fare tutto. E poi, sei accompagnato da Quincy Jones. Credimi, è uno bravo.

 

- Berry, posso dire una cosa? - chiese prima di essere interrotto di nuovo.

 

L'uomo annuì.

Michael prese respiro e raccolse tutto il suo coraggio.

 

- Sono un artista e dovrò andarmene. Ma non mi farò mai condizionare dal successo che potrò ottenere, e non mi scorderò mai di coloro da cui ho imparato tanto e da dove sono partito.

 

- Sai, se una qualsiasi altra persona mi avesse detto queste frasi, gli avrei risposto di aspettare prima di parlare. Ma ti conosco bene Mike. I tuoi occhi sono perfettamente leggibili per me. Oh, andiamo! Ti conosco da quando eri un poppante! - e sorrise, ripensando all'allegro bambino che una volta riempiva le stanze con i suoi sorrisi.

 

Ora però, davanti a lui c'era un uomo. Giovane certo, ma sapeva e aveva sempre saputo che Michael sarebbe stato speciale. 

Aveva la possibilità di dimostrarlo a tutti e non poteva tenerlo incollato a casa.

Gli strofinò le spalle con affetto misto a malinconia.

 

- Guarda come sei cresciuto. Ora come farò a strapazzarti? - esclamò.

 

Michael rise imbarazzato. I modi di Berry lo divertivano. Strapazzarlo?

 

Poco dopo, raggiunsero le due donne che erano rimaste nel corridoio principale a parlare.

Diana si illuminò appena vide Michael, e gli lanciò uno sguardo carico d'affetto.

 

- Vedrete anche andrà tutto bene. Ormai sapete fare già tutto e vedrete che ogni cosa andrà alla perfezione. - disse ai due ragazzi.

 

Jackie sorrise, e Michael le strinse la mano, guardandola con amore.

Per un solo folle istante, i più giovani si fissarono intensamente, e Diana notò una scintilla.

Non ebbe il tempo di pensare ad altro che Berry, ignaro di tutto, separò i due ragazzi prendendoli a braccetto e improvvisando un balletto, intonando le note della sua canzone preferita.

 

La coppia più bella del mondo

lui sul palco e lei sotto

che lavorano giorno e notte

per comporre una canzone

ragazza obbedisci sempre a lui

lui sa quel che c'è da fare

e tu ragazzo, fai quello che dice lei

che lei sa come poterlo fare.

 

Entrambi arrossirono per l'imbarazzo, ma non poterono trattenersi dal ridere per la scena buffa. 

Diana fissava il direttore scandalizzata: una scena del genere da parte sua non se l'aspettava proprio.

Ma Berry non si scoraggiò e continuò il suo debutto, intonando un nuovo pezzo.

 

Come da tempo mi ero aspettato

questo giorno è ormai arrivato

in altri posti andranno a cantare

urlando di rabbia per farsi notare

ragazza sta a sentire sempre lui

che lui il vento sa domare

e tu ragazzo veglia sempre su di lei

affinché le acque possa calmare.

 

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Capitolo 28
*** Capitolo 28 ***


Qualsiasi cosa valga la pena di fare, vale la pena farla bene.

 

 

Tornando a Los Angeles, i due amici si separarono per qualche giorno e Michael scoprì solo dopo il perché.

Jackie si era attivata per cercare una casa.

Nonostante le insistenze di lui e della madre Katherine per farla restare con loro, lei non ne aveva voluto sapere e aveva fatto le valigie.

Non che si trovasse male, anzi, ma era giunta anche per lei l'ora di andare e cominciare a costruirsi una nuova vita.

Michael era preoccupato.

Jackie aveva solo vent'anni e saperla sola in una nuova casa gli metteva ansia e tristezza.

Ma non aveva potuto farci nulla e l'aveva lasciata andare.

 

- Dovresti venire a vedere la mia casa, Mike.. - gli disse lei alcune settimane dopo.

 

Lui aveva annuito, distratto.

 

- Verrò.. - le aveva detto, e il discorso era caduto per qualche tempo, sovrapposto dalle novità del momento.

 

L'inizio del lavoro alla Epic fu come un sogno.

Dopo un primo istante di incertezza, Michael si ritrovò subito a suo agio negli studi della casa discografica.

Inoltre, Quincy sapeva come farlo stare bene in qualunque momento.

I due uomini si consultavano in continuazione e spesso, finchè non trovavano un accordo fra loro, nessuno muoveva un dito per proseguire il lavoro.

Michael rendeva Q partecipe di ogni minima nota e lui, nella sua vasta esperienza, lo consigliava, a volte frenando il suo entusiasmo fin troppo giovanile.

Tenevano ritmi molto eccentrici e fra lo staff solo Jackie non aveva problemi a seguirli.

Conosceva i gusti di Michael alla perfezione e, avendolo osservato, aveva capito come lavorava e spesso lo anticipava.

 

C'erano così tante cose da fare che il tempo volava in un attimo!

Ogni minima intonazione andava studiata con cauta attenzione.

Michael era un perfezionista, e come tale esigeva solo il meglio dal suo lavoro.

La sua mente era una continua musica che non smetteva mai di suonare.

Sapeva, come guidato da un istinto antico e sconosciuto, dove cambiare tattica e quasi sempre, sotto il suo tocco, il progetto migliorava notevolmente.

Q tentava di nasconderlo, ma era meravigliato dalla passione del ragazzo.

Era sensazionale.

Un autentico genio in fatto di ritmo.

Sceglieva le note e gli strumenti con semplicità e un rigoroso tema preciso. 

Sprizzava arte da tutti i pori ed era così perspicace che non aveva vigono di chiedere a nessuno consigli sulla produzione.

Intuiva da solo cosa c'era da fare, come se lo avesse sempre saputo.

Fra lui e Jackie poi, vi era una complicità e una sintonia straordinarie, e i risultati sembravano venir meglio.

Sotto il buon occhio e orecchio di Q poi, un buon lavoro sarebbe stato assicurato.

 

- Allora? - chiese Michael, ansioso, al produttore.

 

Q stava ascoltando il progetto del momento, che era ormai quasi al termine della lavorazione.

Era una canzone pulita, piacevole ma toccante.

L'aveva composta Michael.

Si chiamava Rock With You e per lui era un piccolo capolavoro.

 

Entusiasta di quel lavoro, Q si limitò ad annuire sorridendo.

 

- Niente male, Mike. 

 

Jackie sorrise, felice.

Michael invece, si era soffermato su quel niente male, detto con una naturale spontaneità che lo rendeva sospettoso.

Cosa significava quella frase?

Piaceva o no? E quanto?

Non disse poiché il produttore aveva ripreso a parlare.

 

- Proporrei solo di modificare l'ultimo pezzo. Direi… mmh… bè, possiamo discuterne con un mio fidato collaboratore, Rod.

 

- Rod? - chiesero Michael e Jackie.

 

Chi fosse Rod proprio non lo sapevano.

Anzi, non sapevano neppure chi fossero Jonh, Ted, Tizio, Caio e Sempronio.

Nessuno, tranne Q e il suo coro, all'interno della Epic, sapeva della loro esistenza.

 

- Ve lo presento. E' molto bravo e penso che possa fare al caso nostro. Compone canzoni. Andiamo.

 

Stava per scoccare l'ora della pausa di mezzogiorno, e molti tecnici e collaboratori erano già accanto alle macchine del caffè, ignorando quegli ultimi dieci minuti che precedevano la pausa.

I tre uscirono dalla sala e s'incamminarono.

Rod Temperton era accanto a una finestra, stranamente solo.

Aveva l'aria tranquilla di chi è in pace con sè stesso.

Appena vide il gruppetto avvicinarsi, salutò subito Q con un sorriso, mostrando i denti storti ma bianchissimi.

 

- Buongiorno Jones!

 

Davanti a quella formalità, Michael rimase interdetto.

Appena era entrato nella sala, aveva da subito iniziato a chiamare il suo produttore "Q", e si chiese se aveva fatto uno sbaglio.

 

- Rod, come va? Vorrei presentarti la mia nuova fiamma, Michael Jackson.

 

Appena Q si spostò Michael divenne improvvisamente timido.

Gli occhi a palla dello sconosciuto lo stavano scrutando indagatori ma non si scompose e porse educatamente la mano.

 

- Giorno. - disse solamente.

 

- Una star. Piacere, Rod Temperton. - si presentò l'altro.

 

Il tono della voce era leggermente diverso. 

Quando aveva parlato con Q, Michael aveva percepito il rispetto nei suoi confronti.

Ma con lui si era limitato a sorridere forzatamente, come ormai se fosse abituato a trattare con un certo tipo di persone.

 

- E questa è la mia nuova apprendista, Jacqueline Foster.

 

Michael alzò lo sguardo verso Rod che stringeva la mano a Jackie.

La ragazza sorrideva, imbarazzata senza un motivo ben preciso.

Lo faceva sempre quando si presentava agli uomini.

Michael guardò ancora Rod e …. il suo sguardo era improvvisamente cambiato.

 

- E' la fidanzata del ragazzo? - chiese.

 

Quella domanda provocò scalpore.

Michael arrossì di botto, Jackie andò in agitazione e Quincy rise imbarazzato.

 

- Ma no Rod. Cosa mai te lo fa pensare? - rispose al posto loro.

 

Michael lo ringraziò mentalmente.

Non amava rispondere a domande del genere, soprattutto quando a porgerle era stato uno sconosciuto che puzzava di orrido dopobarba alla cannella.

Chi era Rod Temperton?

E perché non gli piaceva senza nemmeno conoscerlo?

 

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Capitolo 29
*** Capitolo 29 ***


Un leader si guadagna il rispetto quando non lo chiede. 

 

 

- Album spettacolare.. ogni record.. primo posto in classifica.. album perfetto… già, la perfezione…

 

Michael ballava, completamente assorto, circondato dall'oscurità della sua stanza, senza una musica di sottofondo se non un ritmo frenetico dei suoi passi.

Cercava di concentrarsi sul tamburellare continuo della pioggia battente sulle persiane chiuse nel tentativo di dare una frequenza a quei suoni per mutarli in musica.

Quante sensazioni riuscivano a dargli in quel momento!

 

Ballava sicuro, deciso, ripetendo a bassa voce il suo desiderio, ciò che vorrebbe ottenere e che invece era stato ottenuto tempo prima da un altro grande professionista.

Coleman Mitcheel, assieme a James Brown e Fred Astaire, era un suo grande mito.

Gli sarebbe piaciuto incontrarlo, per provare di persona l'effetto di esser di fronte a un grande maestro.

Come lui, avrebbe voluto battere ogni record, e ci avrebbe provato.

Ci sarebbe riuscito?

Quella improvvisa scossa di adrenalina che l'aveva colto pensando al mito gli aveva acceso la mente, inondandolo con una musica nuova.

Per non farsela sfuggire cominciò a ballarla, e a mutarla.

E capì che quel piccolo lampo era l'inizio di una nascente canzone.

 

 

---

 

 

New York, Sede Epic

1979, data precisa indefinita

 

Dopo aver lavorato per un pò su quel nuovo pezzo con Quincy, decise di andare a cercare Jackie per scambiare quattro chiacchiere con lei.

La ragazza era sparita da tutta la giornata.

Si stiracchiò pensieroso.

 

- Hai visto Jackie?

 

La domanda del produttore lo fece voltare.

 

- No. - rispose. - Non l'hai vista tu oggi?

 

Q sollevò le spalle e uscì senza aggiungere altro.

Michael lo seguì con lo sguardo e poi si alzò.

Percorse quasi tutto lo studio, camminando rapido per i corridoi senza una meta precisa e quando arrivò nel piccolo atrio dove c'erano le macchine del caffè si fermò, incerto.

Eccola lì, Jackie!

Parlava sorridente con una persona.

Michael si sporse ancora un pò, come un predatore che fissa la sua preda.

In compagnia della ragazza c'era Rod Temperton, imponente nella sua alta figura, che le parlava come un maestro parla a un allievo.

Portava una cravatta stretta che gli dava un'aria d'importanza assoluta e lo faceva sembrare ancora più anziano.

 

Si avvicinò e sentì che parlavano di musica.

Lui le raccontava di alcuni artisti per cui aveva lavorato in passato e lei ascoltava, visibilmente interessata.

Michael rimase immobile e, sebbene spiare non rientrasse nella lista delle azioni che intendeva compiere, restò in silenzio a fissarli.

Fotografava attentamente ogni più piccolo movimento e, osservando i gesti e le parole di Rod, cercava di captare ogni minima reazione nella compagna di giochi.

Sembrava così colpita dall'esperienza dell'uomo!

 

Ciò lo innervosì molto.

Come si permetteva quello spilungone di fare il gradasso con Jackie? La SUA Jackie!

Non che fosse realmente sua certo, ma fin da quando erano piccoli l'aveva sempre considerata come sua, unica vera confidente e compagna, e senza spiegarsi nemmeno il perché capì che la gelosia l'aveva pervaso.

Vederla parlare così spensieratamente con uno sconosciuto (perché considerava ancora Rod uno sconosciuto) lo infastidì.

 

Attese che i due finissero di parlare e che Rod si fu allontanato per parlare con lei.

Finita la chiacchierata Jackie si era diretta verso gli archivi, forse per prelevare una cartella per Quincy, e lui la seguì silenzioso nell'enorme sala buia piena di scaffali stracolmi.

Senza che lei si fosse accorta di lui le arrivò dietro, tanto vicino da poterle quasi toccare le spalle col petto.

 

- Dove sei stata? - domandò improvvisamente, e si accorse di avere la voce più squillante e accesa del normale.

 

Jackie trasalì e si voltò di scatto.

Appena riconobbe Michael si portò una mano al cuore, gli occhi spalancati e dall'espressione risentita.

 

- Non farlo mai più! Mi hai fatto venire un colpo! - lo ammonì scherzosamente, fingendosi offesa.

 

Michael sorrise leggermente davanti all'espressione buffa di lei, ma poi si ricordò di Rod e tornò serio.

 

- Cos'hai fatto prima? - chiese di nuovo, cercando di sembrare il meno interessato possibile.

 

Non intendeva assolutamente mostrarle che era.. geloso.

Ma lo era davvero?

Diffidava persino di se stesso a credere a una cosa simile.

 

- Niente. - rispose lei scrollando le spalle.

 

Quel gesto così spontaneo e sfuggente lo irritò.

 

- Non ci siamo visti per tutta la giornata.. - le fece notare, cercando di farla sembrare una conversazione normale.

 

- Eh già…

 

- Che hai fatto di bello?

 

- Oh, nulla di che…

 

- Ma se ti ho vista parlare con Rod prima!

 

Dopo quel commento chiuse la bocca, maledicendosi per aver parlato.

Al contrario di ciò che si aspettava, Jackie rimase tranquilla e dall'aria annoiata.

 

- Si, dunque?

 

Aprì la bocca per parlare ma subito cambiò idea.

Cosa le avrebbe dovuto dire alla fine?

Lo avrebbe preso per pazzo o addirittura possessivo se avesse provato a spiegarle ciò che si sentiva.

E in cuor suo, non se la sentiva proprio di parlare.

 

- Io…. niente.

 

Si voltò e fece per andarsene quando una manina si poggiò delicatamente sulla sua spalla.

Girò gli occhi nella sua direzione e riconobbe la Jackie che più conosceva e adorava.

Quella che si preoccupava sempre per lui, e che lo cercava sempre per ascoltarlo e parlare.

Quella che gli stava sempre a fianco.

Dopotutto, lei non era altro per lui, e l'adorava per tutto questo.

 

- Mike, c'è qualcosa che non va? - chiese.

 

Più rilassato da quel così spontaneo gesto di tenerezza lui si ammorbidì e dimenticò ciò che lo infastidiva.

 

- No, nulla. - rispose. - Come hai passato la tua giornata?

 

- Ho aiutato Quincy, e Rod mi ha spiegato un pò di cose. Ha molta esperienza sai? E' di molta compagnia.

 

Michael l'ascoltò e non si sentì più così infastidito.

 

- Non sapevo ti piacessero gli uomini maturi! - esclamò scherzando.

 

Rise mentre Jackie lo fissava stupita con gli occhi spalancati.

 

- Ma cosa dici? - rise. 

 

Lui alzò le mani in segna di resa, come se la cosa non gli interessasse sul serio.

Ma inconsciamente, dietro quella battuta scherzosa, si sentiva curioso e spinto ad ascoltare una probabile risposta.

Jackie buttò indietro una ciocca di riccioli ribelli e lo guardò.

 

- Credimi se ti dico che in questo momento l'unica cosa che mi piace è lavorare qui. Gli uomini aspetteranno. - disse con aria da vecchia saggia.

 

Lui rise, più sollevato.

Stava per parlare quando, improvvisamente, la porta degli archivi si spalancò con un tonfo.

I due trasalirono.

 

- Ma cosa fate qui?

 

La voce sorpresa di Quincy li riportò alla realtà.

 

- Oh, noi stavamo parlando..

 

- Le macchine del caffè e l'area relax non vanno abbastanza bene per parlare? - scherzò Quincy. - Michael, vorrei che venissi con me a discutere di quella canzone a cui stiamo lavorando. Mi è venuta un'idea.

 

 

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Capitolo 30
*** Capitolo 30 ***


Quando impari ad amarlo, hai già vinto tutto. 

 

 

Lavorando su She's Out Of My Life, Q e i suoi collaboratori conobbero un lato diverso da quello che si erano abituati a vedere in Michael.

Era impossibile non notare la sua superiorità.

Aveva tanta esperienza alle spalle e ciò, accompagnato da un incredibile talento naturale, lo portava a creare veri e propri capolavori.

Componeva le canzoni con semplicità, come guidato da una voce esperta che gli dicesse cosa fare in ogni momento.

Che lo consigliasse.

Le note venivano da sè, come richiamate da un comando divino.

 

Ma dopotutto, era solo un ragazzo con tante fantasie e ispirazione.

E allora perché emanava sempre un'aura potente, come se fosse perennemente avvolto da un'energia invisibile ma fortissima.

Impenetrabile confine che lo rendeva come invincibile, ma anche solo.

Quella barriera, così sottile, pareva facile da superare, ma era talmente potente che anche chi riusciva a scavalcare quella soglia, non abbatteva mai completamente il muro che lo rendeva diverso.

 

Quella canzone pareva averlo coinvolto completamente, più profondamente del solito.

Era più triste e durante quel periodo non parlò molto se non di musica.

Q e il resto dello staff erano perplessi.

Era forse accaduto qualcosa di grave?

L'unica che pareva non essere toccata da quella tristezza che aleggiava in studio era Jackie, che svolgeva i suoi compiti senza commentare. 

Q all'inizio pensò che i due avessero litigato, ma poi scartò la sua stessa ipotesi notando i due scambiarsi sguardi d'intesa e piccole e delicate carezze sfuggenti.

 

- Jackie, ma sai che cos'ha Michael?

 

- Non sono la persona più adatta a cui chiederlo, Q..

 

- Non lo sai?

 

- Lo so. Ma non voglio dirlo.

 

- Capisco. Ma cerca di ridargli il sorriso per favore.

 

- E' solo un periodo, Q… Non è successo nulla.

 

Ma le lacrime si espressero meglio delle parole.

Durante l'ultima registrazione infatti, lasciò uscire tutto ciò che si era tenuto dentro per troppo tempo.

Il pianto venne spontaneo, e stupì tutti quanti.

Fortunatamente quel giorno in studio vi erano solo Quincy e Jackie.

Più tardi, quando Michael uscì dallo studio c'era un'atmosfera buia e dall'odore amaro.

 

- Scusate.

 

- Non fa niente Michael.

 

- Al diavolo.

 

Adirata, Jackie si alzò dalla sedia dov'era accomodata, raccogliendo la sua roba, mentre Quincy la fissava stupefatto.

Non l'aveva mai sentita utilizzare quel tono di voce arrabbiato con Michael.

Il ragazzo era rimasto immobile.

Dopo aver preso tutto, Jackie alzò lo sguardo e fissò Michael profondamente.

I suoi occhi mandavano lampi.

 

- Puoi piangere, puoi disperarti quanto ti pare Michael. Ma non otterrai mai nulla se continui a pensare a ciò che non avrai mai! Pensa invece a ciò che hai pur essendo come sei! Hai me ok? E se vuoi saperlo, mi hai da prima che mi dicessi il tuo nome! E vai a quel paese, già che ci sei!

 

E senza aspettare un altro secondo, uscì sbattendo la porta.

I due uomini rimasero in silenzio.

Q si sentiva tremendamente imbarazzato.

L'attimo era stato così personale che si era sentito di troppo.

Michael sorrise.

 

- Scusala Q. Non voleva metterti in imbarazzo.

 

Quella frase pacata tranquillizzò il produttore, che sospirò.

 

- Qualunque cosa sia successa Mike, risolvetela. E' orribile vedervi così. 

 

- E' tutto a posto, davvero.

 

Rimasero un attimo in silenzio.

 

- Con permesso.

 

E così dicendo, Michael si precipitò all'uscita.

Raggiunse di corsa il parcheggio, fuori dalla casa discografica, e cercò l'amica con gli occhi.

Jackie si stava allontanando in auto e in quel momento stava uscendo dal parcheggio.

Correndo affiancò l'auto e battè i pugni sul finestrino.

All'interno, Jackie trasalì e lo guardò con gli occhi colmi di disperazione mista a nervosismo.

Alla fine, abbassò di pochi centimetri il finestrino.

 

- Che vuoi?

 

- Hai ragione tu Jackie.

 

- Riguardo a cosa scusa?

 

- A tutto. Scusami tanto.

 

La guardò disperato e lei aprì la portiera.

 

- Sali. - ordinò con voce neutra. - Sei un pazzo.

 

Lui la ringraziò mentalmente e rimase in silenzio mentre lei imboccava una strada.

Restarono così per diversi minuti, in silenzio, mentre lei guidava senza nemmeno conoscere una destinazione.

Lui era un pò nervoso: era la seconda volta che usciva senza la sorveglianza dei BG.

Ed anche la prima era stato con lei.

 

- Mi dispiace.

 

Lei rimase in silenzio.

 

- Forse esagero e non dovrei darlo a vedere. Ma il punto è che mi manca fare alcune cose che non potrò mai fare. Vorrei uscire e gridare senza che nessun flash venga ad accecarmi gli occhi. Mi piacerebbe portarti a mangiare al fast-food, o in un semplice ristorante senza essere scortato dalle guardie del corpo. Ma allo stesso tempo, sai che non potrei mai rinunciare alla mia professione. 

 

Lei, ancora zitta.

 

- Hai ragione. Ho te e ne sono così abituato che spesso lo dimentico. E' tutto così naturale che mi viene innaturale pensare che potresti andartene in qualunque momento.

 

- Non potrei mai farlo. - lo interruppe. - E' anche colpa mia. Sono stata troppo brusca. Mi dispiace tanto. - e lo guardò implorante.

 

- Scusami tu, invece.

 

- No, scusami tu. Sono una sciocca. Dovrei starti accanto e cercare di capirti in questi momenti. E' che a volte è dura anche per me. 

 

Lui le passò un braccio dietro le spalle e la baciò sulla guancia.

 

- Ti prometto che non piangerò più. Che d'ora in poi i nostri problemi li affronteremo insieme.

 

- Promesso?

 

- Promesso.

 

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Capitolo 31
*** Capitolo 31 ***



L'importante è esserne all'altezza. 

 

 

Le emozioni che sentiva erano più facili da trasformare in musica.

Bastava premere con forza i tasti del pianoforte per calmare la rabbia, o muovere lentamente le dita per creare una melodia dolce e spontanea.

Ecco ciò che amava fare.

Creare e dar vita a un nuovo progetto.

Fare musica era certamente l'ispirazione perfetta per lui.

C'erano così tante idee invisibili, che in un lampo si trasformavano in melodie dolci o rabbiose.

E poi, naturalmente, c'era la danza, e l'adrenalina irrefrenabile che non poteva controllare.

 

Sentiva dentro di sè la forza di un'energia implacabile, a cui non sapeva dare una spiegazione e che poteva sfogare solo attraverso la musica.

Dopo alcuni momenti interminabili cominciò a cantare e, assorto, fissando con occhi socchiusi il registratore acceso davanti a sè, si convinse che quella sarebbe stata la sua canzone più bella.

Tuttavia, sapeva che non sarebbe servita per Off The Wall.

L'album era già uscito.

 

---

 

Los Angeles, Encino, Mega villone Jackson

1979, agosto

 

Sera. Buio. Silenzio.

Musica in casa Jackson.

 

- Non posso crederci. No, non posso crederci.

 

- Piantala.

 

- No, è impossibile. Non ci credo.

 

- Oh insomma, sono comunque due importanti premi!

 

- Dopo tutta la fatica che abbiamo fatto mi sento ignorato.. E poi scusa, in base a cosa hanno composto la classifica?

 

- Michael!!!!

 

- Trovo tutto questo un'ingiustizia…

 

- Chiudi quel forno o ti uccido con queste mani.

 

Michael si voltò verso Jackie, contrariato.

 

- Non mi dire che trovi giusto il fatto che mi abbiano dato solo quei due miseri premi…

 

- Intanto non chiamarli miseri. C'è gente che morirebbe per essere al tuo posto. E poi, accontentati! Hai 21 anni. C'è tempo per salire. E abbandona quella faccia imbronciata, santo cielo!

 

Irritato, il ragazzo si voltò verso il televisore, borbottando.

Perché gli avevano dato solo due premi? 

L'album non era andato bene? Era piaciuto o no?

Quincy e gli altri erano rimasti entusiasti davanti alla notizia, ma lui si sentiva perplesso.

Poi, il dubbio si mutò in rabbia.

 

- Aspetta la prossima volta.. Oh, aspetta la prossima volta…

 

Jackie gli appoggiò le mani sulle spalle dolcemente.

 

- Non sopporti essere il secondo, eh?

 

Michael sbuffò, irritato.

 

- Non è questo, è che…

 

Ma lei non lo lasciò finire.

Raccolse la gonna e saltò sul divano.

Michael la fissò stupito e divertito.

 

- Jackie, ma che…

 

- Non ti vanno bene i due premi? Va bene. La prossima volta faremo meglio. Anzi, faremo molto meglio! 

 

- Jackie, cosa stai…?

 

- Sai che ti dico Mike? Hai ragione tu. - E continuò a saltare. - Non si spreca sangue e sudore per un premio solo. Bisogna vincere tanti premi! E i più ambiziosi…

 

- Mi prendi in giro.

 

- No Mike, lo penso davvero. Penso che il tuo talento non sia da sprecare in questo modo. Ma sono anche certa che presto la gente si accorgerà di tutto questo.

 

- Lo pensi davvero?- le chiese stupito.

 

- Sicura al 100%. 

 

Incoraggiato dalle parole della ragazza, anche lui si alzò e cominciò a saltare sul divano.

 

- Che Dio ti benedica Jackie!

 

- Michael, cosa facciamo ora? 

 

- Ci mettiamo subito al lavoro mia cara.

 

- Ladies and gentleman, Michael Jackson alle prese con un nuovo album!

 

- Accompagnato da Jacqueline Foster! Aow!

 

- Yeeah!

 

- Ma siete pazzi? Giù dal divano immediatamente!

 

Fra le risate, i due si sedettero sui cuscini, mentre Katherine li fissava con aria severa.

 

- Siete andati fuori di testa? Non voglio più vedervi sul divano!

 

Ma Michael non la stava ascoltando.

Era al telefono e parlava con il suo produttore, eccitato.

 

- Q caro come stai? Senti, rilassati finchè puoi perché ho intenzione di ricominciare subito.

 

- è una minaccia! - urlò Jackie nella cornetta.

 

Da quella serata così movimentata però passarono due settimane, senza che Michael abbia portato una sola melodia in studio.

Era tormentato da altro.

Un brutto presentimento che non lo faceva dormire.

 

A parte le differenze che lo isolavano dai fratelli e la brutalità del padre, Michael non aveva altri problemi e non avrebbe mai pensato che qualcosa avrebbe potuto sconvolgergli l'esistenza.

Quel qualcosa non era una semplice disgrazia.

 

---

 

Los Angeles, Encino, villa Jackson

1979, fine estate

 

Era appena uscito dalla doccia quando, vendendo la sua immagine allo specchio, notò che c'era qualcosa di strano.

 

Osservò meglio e con orrore misto a paura notò immediatamente una macchia bianca sul petto.

Anzi, erano tante macchie, e si chiese come aveva fatto a non accorgersene prima.

Non potevano esser spuntate all'improvviso.

Minuscole, grandi poco meno delle biglie, ma per nulla insignificanti.

Le grattò ma non successe nulla: la pelle aveva cambiato colore.

Grattò ancora, graffiandole, cercando di strapparsele da dosso, preso dalla paura, ma niente poteva scalfire le tracce di un prossimo muto dolore.

Si sentì estraneo da sè stesso.

 

No, non è vero, pensò in preda al panico, non esiste, è innaturale.

 

Indietreggiò, atterrito, fissando il suo riflesso come se fosse un parassita.

Non aveva mai sentito parlare di un fenomeno simile e mai avrebbe immaginato che esistesse.

Come poteva lui aver cambiato colore?

Sarebbe passato? Poteva accettarlo?

Pregò che fosse solo un brutto sogno ma quando si accorse delle gocce di sudore che colavano copiosamente sulla fronte guardò in faccia la realtà.

 

Come un automa si vestì e ancora prima di avvertire Katherine chiamò Jackie.

Erano le sette di sera ma sapeva che a lei non sarebbe importato.

 

Poco più di un ora dopo, attendeva con ansia l'esito del medico, seduto su un letto d'ospedale, in preda a mille pensieri.

Ciò che gli era accaduto era assurdo.

 

- Signor Jackson, io…. non vorrei mai dirle queste parole.

 

- Mi dica dottore. Cos'ho?

 

- Lei è affetto da un'acuta e rarissima forma di vitiligine.

 

- Vitiligine?

 

- Mi sorprende che proprio lei ne sia contagiato. Deve sapere che la vitiligine è una malattia della pelle, che perde a poco a poco la melanina, che la colora. 

 

- Non ho mai sentito parlare di questa malattia!

 

- Infatti, sembra che la popolazione colpita sia minore del 3% in tutto il mondo. Questa forma inoltre è la più insolita e pericolosa.

 

- Oh Dio… E c'è una cura?

 

- Purtroppo no.

 

- Come sarebbe? E cosa accadrà?

 

- Non abbiamo nessuna certezza su come possa agire la vitiligine su di lei. Tutto ciò che posso dirle è che lentamente la sua pelle schiarirà, non so dove e in quanto tempo.

 

- Capisco…. è contagiosa?

 

- No, si trasmette solamente in via genetica. Dovrà però seguire delle precauzioni.

 

- Quali?

 

- Non si esponga al sole.

 

- Non.. espormi al sole?

 

- La pelle sbiancata ne è allergica e lei è più sensibile ai raggi solari, tanto da rischiare di ustionarsi. Se necessario, potrà proteggerla con alcune creme che le prescriverò.

 

- Ma … ma queste macchie mi arriveranno anche sul viso?

 

- E' probabile… Senta, so che lei è una celebrità, e che questa malattia potrebbe crearle disagi e equivoci con il pubblico. Se permette un consiglio… si ritiri. Così non può continuare.

 

Ritirarsi.

Abbandonare i suoi sogni per una stupida malattia genetica.

Mai e poi mai.

Avrebbe continuato a lottare.

Dopotutto era come una sfida.

Una sfida con sè stesso.


------------ 
Ben tre capitoli oggi. Il motivo? Innanzitutto per scusami con i lettori per il ritardo nell'aggiornare. E poi per la qualità scarsa dei contenuti: ammetto che questi sono capitoli vecchi, la storia è arrivata molto più avanti, ma non ho tempo di correggerli perché per farlo dovrei riscriverli completamente e non ne ho proprio il tempo. Vi assicuro che col tempo e l'avanzare della storia la qualità di scrittura migliorerà nettamente (non dico di essere un portento nello scrivere, ma sarà senz'altro meglio di questi primi capitoli). 
Siamo già al capitolo 31, ma la storia è appena all'inizio... Se volete continuare a seguirmi, prometto che non ve ne farò pentire. 
Grazie a quelli che leggono e che a volte recensiscono. A presto!

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Capitolo 32
*** Capitolo 32 ***


 

Ciò che cerchi si rivela quando meno te lo aspetti. 

 

Da quel giorno in cui aveva appreso la notizia, la sua vita non era che peggiorata.

Tutte le sere, quando si spogliava, fissava con astio le chiazze che lo ricoprivano, che lo facevano sentire impotente.

Sentiva che quella malattia lo avrebbe logorato, lo avrebbe reso vittima del pregiudizio della gente.

Cominciò a odiare quel suo male, come se i sentimenti che lo rovinavano potessero scacciare l'immenso dolore che lo ricopriva.

Era lì, nemico irremovibile, mistero minaccioso di una vita prossima alla sofferenza.

 

Michael sentiva che quel difetto gli avrebbe portato solo guai e, in cuor suo, pregò affinché nulla potesse accadere, pur sapendo che ciò che temeva di più, prima o poi, si sarebbe avverato.

Si vergognava di sè stesso, al pensiero che presto o tardi altri avrebbero notato quel suo cambiamento.

Tuttavia pregò ancora, fiducioso.

Vane speranze di un condannato frustato dagli stenti, ma che nonostante tutto non si vuole arrendere e continua a lottare, in ogni modo.

La vera lotta però, doveva ancora cominciare.

 

---

 

 

Los Angeles, da qualche parte a Roscoe

Blue Rose Street, 17

1979, fine estate

 

- Vitiligine?

 

- Esatto.

 

- Ma cos'è? Una specie di parassita cutaneo? - chiese Luca Gabriel, incredulo. 

 

Quella metafora però, non fece sorridere Jackie, troppo presa ancora da quella terribile notizia.

Allontanò per un attimo la cornetta del telefono per sospirare e rammentarsi di avere pazienza e forza di volontà.

Avrebbe dovuto tornare in Italia, ma il suo viaggio dai familiari era stato annullato per Michael, che non intendeva assolutamente lasciare.

 

- No. In poche parole, la pelle perde la sua naturale colorazione.

 

- Cosa?? Incredibile. Non pensavo che potesse esistere una malattia simile…

 

- Nemmeno io. Michael è disperato..

 

- Lo immagino. - Il fratello biondo sospirò. - E tu come ti senti? L'ultima volta hai tossito molto...

 

- Io sto bene Lu, davvero. Vorrei soltanto poter fare qualcosa di più per aiutarlo. E' terribile vederlo in quello stato.

 

- Gli vuoi davvero molto bene.

 

- Oh si, molto.

 

- Mh mh. Però non puoi pensare di poter risolvere tutti i problemi, Jackie. Soprattutto quelli degli altri quando ne hai già parecchi tuoi.

 

- Ma Lu, ti ho detto che sto bene e che al momento non ho alcuna preoccupazione. Il mio lavoro va a meraviglia. Michael ha voluto ricominciare immediatamente e Quincy a quest'ora sarà già in studio a lavorare.

 

- Non si ferma mai quel ragazzo. Però non posso fare a meno che preoccuparmi per te sorellina. A volte rimpiango di non poterti vedere quotidianamente, qui a casa nostra. Sarebbe tutto più semplice..

 

- Lu, ti prego, non farmi pesare ancora questa decisione. Ormai il mio posto è qui, in America. E poi, non potrei mai lasciare Michael, nè Quincy. 

 

- Jackie, posso porti una domanda?

 

- Risponderò.

 

- Ma tu… - si fermò per prendere fiato, e Jackie intuì che il fratello era imbarazzato. - Sei… sei innamorata di Michael?

 

Quella domanda la fece rimanere di sasso.

 

- No!!! - esclamò e, accorgendosi di avere le gote in fiamme, fu contenta di non poter vedere in faccia il fratello. L'avrebbe presa in giro per sempre. - Non capisco come possano venirti in mente cose del genere!

 

- Come possano venirmi in mente?! La mia sorellina a dieci anni decide di restare in America da un padre brutale in un quartiere malfamato al posto della nostra casa in Italia dove c'è una famiglia che ti vuole un bene dell'anima. E tutto per cosa? Per un vicino di casa.

 

- Lu, per l'ennesima volta…

 

- Lo so. Lo so. - La interruppe. - Mi dispiace, Jackie. Ma a volte faccio fatica a capirti. E anche questo mi rende triste. Vorrei conoscerti meglio, passare più tempo con te. Sei mia sorella e dovrei averne il diritto. Quanto invidio Albert per questo.

 

- Albert non c'è più Lu… Non immagini nemmeno quanto mi manca…

 

- Lo capisco Jackie. Un motivo in più per preoccuparmi.

 

- Ma perché? C'è Michael!

 

- Un ragazzo che non appartiene alla nostra famiglia..

 

- Però io lo considero la mia famiglia! Oh Lu, anch'io vorrei poter passare più tempo con voi. Ma qualcosa mi tiene legata qui e, Michael a parte… bè, non riesco esattamente a capire che cosa sia. Quindi ti prego, ancora una volta, rispetta la mia decisione senza storie. 

 

- .. Ok Jackie. Lo farò. Promesso.

 

- Conto sul fatto che siamo fratelli Lu. E tu sappi che potrai sempre contare su di me.

 

---

 

- Bill Bray…

 

Michael sbuffò, per metà assonnato e per metà assorto in mille e più pensieri, mentre ascoltava distrattamente i nomi dei suoi nuovi BG.

Il suo manager aveva voluto cambiare la guardia per ragioni di sicurezza e lui, forse troppo preso dal problema che più lo tormentava, si era limitato ad annuire.

 

- Ronald Smith… 

 

Aveva anche lui accettato la sua condizione, seppur disperatamente. 

Non aveva più voluto parlarne a nessuno, poiché il solo pensiero lo faceva piangere.

Jackie era l'unica che gli fosse stata vicina, sebbene quasi nessuno sapesse della sua condizione.

 

- Paul McGregory...

 

Ricordò per un attimo le notti passate nel pianto e le carezze e le parole incoraggianti della ragazza.

Mentalmente, le mandò un bacio.

 

- Albert Foster. E per oggi abbiamo finito.

 

Michael annuì.

Si alzò per salutare gli uomini vestiti di neri davanti a lui quando l'ultimo nome gli ricordò qualcosa.

Albert Foster. Lo aveva già sentito.

Alzò lo sguardo verso le nuove guardie e gli occhi scorsero sulle figure nere e imponenti.

L'ultimo uomo a destra sorrideva.

Spessi occhiali scuri coprivano gli occhi che, gioiosi, scrutavano l'esile figura del vecchio amico.

Michael sgranò gli occhi, incredulo, senza avere la forza di dire nulla.

 

- Ciao Michael. Ti ricordi di me?

 

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Capitolo 33
*** Capitolo 33 ***


Spesso la dolcezza più profonda è nascosta dietro i corpi più aggressivi.

 

- Ciao Michael. Ti ricordi di me?

 

Non c'era dubbio.

Quella voce tranquilla e profonda era proprio la sua.

Attonito, Michael fissò con occhi sgranati l'armadio muscoloso che aveva di fronte.

Era più alto e grosso, ma il suo sorriso divertito e sincero era rimasto lo stesso.

Colto di sorpresa non riuscì a dire una parola.

Fu il BG a rompere con il ghiaccio, con il suo modo di fare simpatico e spontaneo che aveva sempre avuto.

 

- Ti trovo molto cresciuto Mike! O forse dovrei chiamarti signor Jackson, dato che da oggi sarai il mio capo? - e rise.

 

Di fronte a lui Michael non riuscì a non sorridere, consapevole di aver trovato non solo una brava guardia del corpo, ma anche un caro e vecchio amico.

Si riscosse e strinse la mano al biondo.

 

- Sono felice di rivederti Albert. - Il suo pensiero volò altrove per un attimo. - E sono sicuro che lo sarà anche Jackie. - Il tono di voce mutò improvvisamente. - Ha sofferto molto per la tua partenza Albert. Non è stato un bel periodo, quello. - spiegò preoccupato.

 

- Avremo tempo per parlare Michael. Ho molte cose da spiegarvi e da farmi perdonare. 

 

- Dove sei stato tutto questo tempo?

 

- Ho avuto una brutta discussione con mio padre, e dalla rabbia sono partito per alcuni mesi, trasferendomi in Kentucky. Sono ritornato quasi subito per riprendere Jackie, ma dai miei fratelli ho saputo che era partita e non sono più riuscito a rintracciarvi. E' grazie a Off The wall che sono riuscito a sapere dov'eravate. Ero sicuro che fosse ancora con te. - Appoggiò entrambe le mani sulle spalle di Michael. - Devo dirti grazie, Michael. So che hai badato tu alla mia sorellina durante tutto questo tempo. Te ne sono grato.

 

Il moro sorrise.

 

- Evidentemente non solo la "tua" sorellina…

 

 

---

 

Los Angeles, da qualche parte a Roscoe

Blue Rose Street, 17

 

Cara mamma,

finalmente trovo il coraggio di scriverti.

Non so esattamente cosa mi abbia spinto a farlo.

Forse la voglia di conoscerti, oppure il fatto che vorrei tanto sapere cosa penseresti adesso di me.

Grazie a Dio, sono sopravvissuta all'orribile notte della tua morte.

 

Non ho mai dimenticato quel vicolo buio e l'agghiacciante sensazione di sentirmi in trappola.

E soprattutto, non posso liberarmi dei tuoi occhi spaventati che mi supplicano di fuggire e mettermi in salvo.

E ancora adesso mi chiedo: perché mamma?

Sapevi chi era quell'uomo? 

E se lo sapevi, perché sei andata incontro a una morte che non ti meritavi?

Chi mai avrebbe potuto ucciderti?

Eri tanto buona, lo ricordo io come me lo ricordano il nonno e zia Caterina.

Quando mi parlano di te i loro occhi s'illuminano di gioia, ma anche di profonda malinconia. 

E' bellissimo vederli felici e stare con loro e i miei fratelli nella nostra casa a Firenze, riuniti in salotto davanti al camino acceso a ridere e scherzare.

Sono attimi che assaporo con tutta me stessa ogni volta, perché sono rarissimi.

E' giusto che tu sappia che non abito più in Italia.

 

Dopo il tuo incidente George mi ha portata a casa sua, in America

Qui ho avuto la fortuna di incontrare una persona speciale.

Si chiama Michael Jackson, ed è l'uomo migliore che abbia mai conosciuto.

E' un artista, e ama la musica quanto me.

Grazie ad Albert, che ora se n'è andato per colpa di papà, ho avuto la possibilità di scegliere se tornare a casa o stare con lui.

Forse la mia risposta ti avrebbe sorpreso, ma ho scelto l'America.

Non so dire cosa mi tenga bloccata qui.

Chissà, forse mi sono abituata a questo mondo e mi ci sono affezionata. 

A volte sento la mancanza della mia vera famiglia, lo ammetto, ma allo stesso tempo, so che non potrei vivere per sempre con loro serenamente.

 

Albert mi manca tantissimo.

A ventun anni non so ancora cosa fare esattamente della mia vita, a parte il sogno di andare in Africa come missionaria..

Lavoro assieme a Michael e a Quincy Jones, il miglior produttore di musica che conosca.

E' uscito da poco il primo album da solista di Michael, Off The Wall.

Abbiamo lavorato sodo a questo progetto e i risultati sono piuttosto soddisfacenti ( O almeno lo sono da un mio punto di vista. Michael è sempre scontento…).

Sono certa che il prossimo sarà ancora meglio.

 

Non ti ho ancora parlato di casa mia.

Dopo tante ricerche e fatiche, ora vivo da sola in un bilocale.

C'è un ampio soggiorno che da sul giardino.

Lo divido con un'altra ragazza, per spendere meno. 

La mia compagna d'alloggio di chiama Rose, e abita nell'enorme scantinato affianco al mio soggiorno.

Vado molto d'accordo con lei e non ho problemi di alcun genere.

 

Marcò pesantemente sul foglio le ultime parole, come per volerci credere.

 

Non ho problemi si disse ancora Jackie, più confusa che mai. Non ne ho, non ora. E allora perché mi sento così? Turbe mentali giovanili?

 

Fissò ancora per un momento i fogli davanti a sè.

Non aveva idea del perché si era messa a scrivere, così di getto, alla propria madre, ormai defunta.

La foto di Anna pareva osservarla perennemente da sopra lo scaffale della libreria.

 

Chi ti ha ucciso mamma?

 

I suoi pensieri vennero bruscamente interrotti dal suono stridulo del campanello.

Tappandosi le orecchie con le dita, Jackie si raccomandò di farlo aggiustare al più presto.

Correndo andò ad aprire e appena riconobbe il volto dell'imponente figura semi-nascosta dietro a un enorme mazzo di rose bianche, stupefatta scoppiò a piangere.

 

- Ciao dolcezza.

 

- Albert! Albert sei tornato!

 

Ignorando le rose che cadevano a terra si gettò addosso al fratello, che finalmente l'accolse fra le braccia.

Quanto baci e quanti abbracci che seguirono a quel magico incontro.

Albert la strinse fortissimo e promise di non lasciarla mai più.

E questa volta era una vera promessa.

Non si sarebbero mai più lasciati.

 

Rientrarono in casa, ignari di Michael che, appoggiato a un tronco d'albero, ascoltava di spalle la gioia dei due fratelli, sorridendo di nascosto.

Appena i rumori cessarono, e la porta si chiuse con un tonfo leggero, si alzò e se ne andò, consapevole che Albert e Jackie avevano tante cose di cui parlare.

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Capitolo 34
*** Capitolo 34 ***


Il cuore degli artisti è in continua e silenziosa agonia.

 

 

 

Dopo il ritorno di Albert, la vita si era fatta più serena.

Il BG era un vero amico, che ormai conosceva parecchio Michael e sapeva perfettamente come comportarsi con lui in ogni situazione.

Con lui affianco, ogni problema sembrava più risolvibile.

Tranne la vitiligine.

 

Era passato diverso tempo da quella tragica notizia e, nonostante tutto, anche quel dolore era passato in secondo piano.

La musica cullava gli animi e rilassava la mente, tenendola occupata a creare.

E c'era molto su cui lavorare.

 

Lo studio brulicava di attività.

Jackie, Quincy e Michael erano di nuovo alle prese con un nuovo album.

StarLight (così prendeva nome il progetto) era per ora una semplice melodia priva di canto, ma molto pregiata.

Ogni modifica veniva apportata e riguardata con estrema attenzione.

 

L'avevano presentata per la prima volta Jackie e Rod, suonandone il demo.

Al produttore era piaciuto molto, e quelle note parevano aver convinto anche Michael che, dopo aver seppellito l'orribile visione di Rod e Jackie che lavoravano insieme, si era messo subito all'opera per trasformare quel suono scoordinato nella propria musica.

 

Quella musica così diversa da quella a cui era abituato però, lo teneva più a lungo assorto nei suoi pensieri.

Sembrava attendere con pazienza il momento giusto e il modo esatto per aggiungere qualcosa.

Come un maestro esperto che sapeva a memoria che cosa fare.

Forse, nonostante le sue giovani spoglie di ragazzo timido e spensierato, non poteva definirsi altro.

 

Imperterrito, lavorava spesso fino a tardi, per lo più di notte, quando il tempo sembra non avere più un senso e la solitudine viene amplificata dal buio intenso.

Qualcosa, forse il suo obbiettivo, lo spingeva a proseguire senza mai fermarsi.

Probabilmente, non ne aveva nemmeno bisogno.

Che senso aveva riposarsi quando il suo principale nutrimento era nient'altro che musica?

Musica che però doveva rivelarsi all'altezza delle sue aspettative.

 

- Mi pare un pezzo soddisfacente, Michael…

 

- Veramente… vorrei modificare l'ultima parte.

 

Ed espose al produttore, con termini più complessi e a loro più noti, un elaborata descrizione di ciò che intendeva cambiare, e dopo avergliela proposta, lo fissò insistentemente, attendendo solo un cenno d'assenso per proseguire. 

Sapeva di aver bisogno di Quincy in quel momento per creare buona musica.

Dopo averci pensato un pò su, l'uomo più anziano annuì, da una parte vinto dalle continue richieste del ragazzo, dall'altra contento per le sue ottime idee.

 

Stavano lavorando a Wanna Be Starting Something da più di tre settimane ormai.

Ne erano passate due dalla prima registrazione, e da allora Michael era diventato un tornado.

Ogni giorno aveva un'idea diversa e voleva sempre perfezionare le sue canzoni.

Quel brano migliorava di settimana in settimana, ogni volta più ricco e soddisfacente.

In studio regnava sempre un clima piacevole e dopo che lo staff di Quincy (composto per lo più da adattatori, tecnici del suono, compositori e coro) ebbe afferrato il metodo di lavoro di Michael, divenne più volenteroso nei suoi confronti. 

Anche se pochi avevano capito che era una vero genio in fatto di musica, Jackson si era aggiudicato comunque il rispetto di tutti senza nemmeno aver tentato di guadagnarselo.

 

Anche se il suo talento e i suoi lavori riscuotevano parecchio successo fra lo staff, Michael non riusciva ancora a capacitarsi delle sue potenzialità.

Sapeva di essere bravo, ma voleva avere un'ultima prova concreta da parte del pubblico.

Quei pensieri lo mettevano in ansia e la preoccupazione per la buona riuscita dell'album lo agitavano.

Sarebbe piaciuto?

Tutto il suo impegno sarebbe fruttato?

 

Certo che lo sarebbe.

Una parte di lui ne era completamente sicura.

Sarebbe stato un successo strabiliante, sicuramente.

Non poteva andare male, poiché ci metteva l'anima per renderlo perfetto.

 

---

 

 

Los Angeles,

Jimmy's Cafè, vicino agli studi

gennaio 1982

 

- Non so più come prendere quel ragazzo.. Dico, se sai che piace, perché non la mostri?

 

- Perché forse non sa se può piacere, Q.

 

Davanti a una calda tazza di caffè, Quincy e Jackie stavano discutendo da un pò, seduti nell'angolo più nascosto di un tranquillo bar della periferia di Los Angeles. 

Dapprima era stata una conversazione pacata e piacevole, ma poi l'argomento "album" li aveva scaldati parecchio.

Il lavoro frenetico che stavano svolgendo in quelle settimane rendeva tutti più stanchi, la sera.

E poi, quando Q era venuto a sapere che Michael nascondeva un pezzo musicale senza volerlo mostrare a nessuno, era andato in escandescenze.

L'album aveva bisogno di un bel pezzo rock, e Michael l'aveva sotto il naso, solo che non aveva alcuna intenzione di suonarlo.

 

- Non capisco quando dici queste cose Jackie. E' bravo, non capisco proprio perché vuole nascondere uno dei suoi lavori.

 

- Dagli tempo Q - sospirò Jackie. - Il disco dev'essere perfetto. E la perfezione richiede tanto lavoro, e tanti giorni di dedizione. Tu lo sai meglio di me.

 

- Jackie, siamo in circolo da tre mesi.

 

- E' ovvio che non si sente completamente sicuro del suo lavoro.

 

- Lo aspetterei, ma non abbiamo tutto il tempo del mondo. La Epic ha delle scadenze precise. E devo ammettere che anche il lavoro con Spielberg ci sta rubando un pò di tempo.

 

- Non sapevo che la Epic stabilisse delle scadenze durante i lavori sugli album. - replicò Jackie, scrutando il produttore con i suoi occhi smeraldo.

 

Quella era una parte del contratto che non aveva considerato, e che poteva facilmente diventare un problema per la riuscita dell'album.

Quincy le sorrise, captando il suo stato d'animo.

 

- Ora capisci perché ho tanta premura, mia cara? - chiese, sorseggiando il suo caffè.

 

Lei non rispose subito. Chiuse gli occhi e sospirò.

 

- Parlerò con Michael. Il lavoro non durerà per sempre e prima o poi riusciremo a far uscire questo benedetto album.

 

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Capitolo 35
*** Capitolo 35 ***


Chi vive senza follia non è così saggio come si crede.

 

Los Angeles.

Una e un quarto di notte.

La città era silenziosa, a parte una volante della polizia di passaggio.. e un telefono squillante.

 

Avvolto da mille coperte, Quincy Jones afferrò il telefono con la mano tremante, unica parte scoperta del suo corpo.

Il sonno lo avvolgeva ancora, accompagnato da un crescente malumore: chi era così pazzo da chiamare a casa di un noto produttore a quell'ora della notte?

 

- Pronto?

 

- Mi ucciderai per questo ma tanto nella vita si muore prima o poi.

 

Dal suo tono di voce, capì che era senza speranze.

 

- Chi.. chi parla? .. Jacqueline?

 

- Bingo! Senti Wonderful Man, ho bisogno della tua assistenza…

 

- Hai detto bene prima. Ti ucciderò. No dico, sei pazza? Hai visto che ore sono?

 

- Me tapino, pover'uomo. 

 

- Smettila di parlare italiano e dimmi cosa vuoi da me.

 

Sin da quanto l'aveva conosciuta, aveva capito che in Jackie era presente una vena di follia che la rendeva particolare.

Avrebbe dovuto aspettarsi una cosa del genere.

 

- Sono riuscita (non chiedermi come perché non lo so nemmeno io) a convincere Michael a suonarci quel bellissimo pezzo che teneva perennemente nascosto e a cui noi teniamo tanto.

 

- Ti prego Dio, fa' che non mi abbia chiamato solo per questo…

 

- Volevo chiederti se potevamo venire da te a cantare prima che cambi idea.

 

Senza degnarsi nemmeno di rispondere, il produttore chiuse la conversazione, sbuffando, e si rintanò sotto le coperte. 

Trovava inaudito che a quell'ora potessero avere ancora le forze di suonare dopo tutta una giornata di lavoro.

 

Si alzò, sapendo che sarebbero venuti comunque.

Poco dopo infatti, il campanello suonò.

Michael arrossì imbarazzato nel trovarsi il produttore in vestaglia ad accoglierli.

 

- Umh… potevamo anche passare domani mattina.. non volevo disturbarti Q.. - mormorò.

 

Il produttore lo fulminò con lo sguardo.

 

- Non dirlo nemmeno per scherzo. Ormai siete qui, e detesto l'idea di essermi alzato per niente.

 

Jackie, che non aveva seguito il filo della conversazione dei due, sorrise energica.

 

- Vi preparo un caffè?

 

Poco dopo, riuniti in salotto alla fioca luce di una vecchia lampada ad olio, che Michael ammirava poiché aveva un debole per l'antiquariato, si organizzarono per suonare la canzone.

 

- E' ovvio che è una prova insulsa di una musica scoordinata senza nemmeno un briciolo di eleganza - disse Michael - Quindi vorrei soltanto dire che la prima impressione spesso non è l'ultima.

 

- Mike, piantala di prendertela con i tuoi lavori e cantaci questa bella musichetta.

 

Il moro arrossì. 

 

- Emh.. ok, ma voglio che vi sediate sul divano.

 

Q e Jackie si guardarono perplessi e obbedirono.

 

- Michael, ma che fai? - chiese Q quando lo vide scavalcare il divano e accovacciarsi dietro.

 

- Niente. Mi preparo per suonare.

 

Passarono altri interminabili istanti, poi il più giovane li guardò ancora.

 

- Mi servirebbe che vi copriste gli occhi con le mani per cortesia.

 

Il produttore lo guardò basito.

 

- Cosa???

 

- Silenzio! Facciamo come dice senza porre questioni! - intervenne Jackie risoluta, con gli occhi già coperti.

 

Q sbuffò e la imitò, ma la musica ancora non partiva.

Sospirò pesantemente quando sentì i passi di Michael e l'interruttore di una luce che veniva spenta.

 

Al di là del divano invece, Michael contava i respiri agitato.

Che idea strana che gli era venuta in mente!

Andare a casa di Q con Jackie all'una di notte solo per suonare una canzone.

Ma non aveva tempo per i pensieri, ora.

 

- Mmh… che dire… se non piace non piace, se piace ci lavoriamo su. Si chiama Beat It. One, two, three, four.

 

Accese il registratore portatile che teneva sempre con sè e cominciò a canticchiare, accompagnato dal tono metallico già registrato.

Era un pezzo forte, duro, ma la sua voce cristallina lo addolciva al punto giusto.

 

Durante la prova s'immerse totalmente nella canzone, aggiungendo mentalmente i suoni di vari strumenti e, quando finì, poco mancò perché gli venisse un infarto, poiché si ritrovò il volto del produttore a pochi decimetri di distanza e con la luce accesa.

Si chiese da quanto tempo lo stesse osservando e la piacevole sensazione della musica svanì lasciando spazio a un oceano di imbarazzo.

Q invece, non sembrava badarci tanto.

La canzone lo aveva fatto impazzire.

 

- Non capisco proprio perché abbia voluto tenerla nascosta per tutto questo tempo. - disse con voce toccata. - Sei davvero bravo e questo è un autentico piccolo capolavoro del rock.

 

- G..grazie Q - rispose il ragazzo, leggermente sollevato.

 

- Ascolta Michael - continuò il produttore, più serio. - Per far funzionare questa cosa, dobbiamo lavorare sodo e lavorare bene. Devi essere sincero almeno con me, ok? So che sei timido e modesto, ma a volte dovresti lasciarti tutto alle spalle e buttarti in questo lavoro.

 

Michael annuì debolmente, senza dire nulla. 

Per tutto il tempo aveva tenuto uno sguardo basso, senza avere il coraggio di guardare negli occhi Q.

Ma quel discorso l'aveva eccitato, e sentì la voglia di danzare dentro le vene.

Ma anche la spiacevole sensazione di essersi dimenticato qualcosa.

 

- Dov'è Jackie? - chiese sobbalzando.

 

La ragazza era comodamente adagiata sul divano, gli occhi chiusi e le mani sotto il cuscino.

Il sonno se l'era portata via e se la si ascoltava bene da vicino, si udiva anche un leggero russare.

 

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Capitolo 36
*** Capitolo 36 ***


Era quasi sera e il sole scompariva lentamente dietro l'orizzonte.

Il cielo era limpido e c'era aria di festa.

 

All'inizio, in mezzo a tutta quella gente sconosciuta, si era sentito sperduto.

Le feste non gli erano mai piaciute e sapeva che in mezzo a tutta quella confusione non si sarebbe mai sentito a proprio agio.

Nemmeno chiacchierando con un caro amico come Paul McCartey.

 

- Non mi era mai capitato di avere un ospite così delizioso. Non mi ero mai reso conto di quanto la gente sia maleducata prima di incontrare te. - gli aveva detto con voce gentile, e lui si era messo a ridere.

 

Michael l'aveva subito preso in simpatia e, vedendolo ridere con Jackie, che aveva portato con sè, e la moglie Linda, capì che ci sarebbe andato molto d'accordo.

 

Quando poi, l'ex beatle gli aveva sorriso e, con aria fiera, gli aveva messo fra le mani una cassetta, dicendogli che era un regalo, un regalo per lui, si era sentito al settimo cielo.

 

 

Perso fra quei flashback di alcuni anni prima, Michael sorrise.

GirlFriends era stata scritta apposta per lui dal celebre artista, e ciò gli aveva fatto salire l'adrenalina ai massimi livelli.

La canzone poi, era stata inserita nell'album Off The Wall, diventando un successo.

 

Lui e Paul McCartey aveva subito stretto amicizia e Michael sapeva che da lui poteva aspettarsi di tutto.

Il progetto per il nuovo album andava a gonfie vele, ma la composizione delle canzoni richiedeva molto tempo.

Si chiese se l'artista avrebbe potuto aiutarlo.

Con il suo tocco e la sua vasta esperienza, l'album sarebbe diventato ancora più bello.

Si promise di telefonargli presto. Chissà quali canzoni avrebbero potuto scrivere insieme…

 

Interruppe i suoi pensieri non appena vide Jackie venirgli incontro velocemente.

Gli occhi brillavano e teneva una mano davanti alla bocca nel vano tentativo di frenare le sue risate..

 

- Jackie…

 

- Mike, dovresti vedere l'espressione di Quincy. E' al telefono con Van Halen, che non crede che siamo veramente noi, e continua a mandarlo a quel paese… Fa morir dal ridere!

 

Michael la superò con lo sguardo per cercare il produttore.

Quincy era al telefono dello studio, e la sua espressione pareva totalmente indifferente.

Anche a quella distanza, si potevano sentire le urla provenienti dall'altro capo del telefono.

 

- Ma signor Van Halen, le assicuro che…. No, ma che dice.. ma… senta, io… ascolti… pronto? Pronto?

 

Senza scomporsi posò la cornetta e ricompose il numero.

 

- Non vuole far vedere agli altri la figura che sta facendo. - ridacchiò Jackie, e quella scena fece divertire anche Michael. 

 

- E' buffissimo! - commentò.

 

Quincy parve averli sentiti. 

Si voltò e li guardò malissimo. 

I due si dileguarono ridendo.

 

- Cosa stavi facendo? - chiese lei.

 

- Mmh.. niente. Pensavo… 

 

- A cosa?

 

Senza curarsi di risponderle, Michael prese il telefono, troppo preso dai suoi pensieri.

La voce del suo vecchio amico non tardò ad arrivare.

 

- Linea privata di Paul McCartey. Cosa posso fare per voi?

 

- Salve Paul! Sono Michael Jackson, ti ricordi di..

 

- Amico!!! - lo interruppe. - Che sorpresa! Come te la passi? E complimenti per Off The Wall! Sei uno spasso!

 

- Grazie… Sono lusingato.

 

Quel complimento, detto da così tanta spontaneità dall'importante artista lo fece arrossire e sorridere dalla contentezza.

 

- Cosa posso fare per te?

 

Se Off The Wall era piaciuto all'ex beatle, pensò, l'album a cui stavano lavorando sarebbe andato sicuramente meglio, poiché sapeva che era senz'altro migliore di Off The Wall.

Si sentì pieno di energie e speranza.

Ne era sicuro: sarebbe stato una bomba!

Abbandonò la timidezza e lasciò spazio alla determinazione.

 

- Paul, che ne dici di scrivere insieme qualche successo?

 

Una domanda attesa. E la risposta pronta sulla punta della lingua.

 

- Non aspettavo altro.

 

Quando la telefonata finì, Michael incontrò gli occhi sorpresi di Jackie.

 

- Era davvero Paul McCartey? - chiese.

 

L'aveva già incontrato, ed erano buoni amici, ma non si sentivano da due anni e non se lo aspettava.

 

- Si. E ti annuncio che dopodomani si parte per casa McCartey.

 

- Che forza! - sorrise.

 

- Vieni anche tu. - le disse senza scomporsi.

 

- Prego?? 

 

- E certo. Come faccio a scrivere canzoni senza la mia musa d'ispirazione? - le soffiò in faccia, abbassando volto per avvicinarsi a lei.

La sua voce era diventata improvvisamente calda.

 

Quel gesto la mise in tremendo imbarazzo, poiché da Michael non se lo aspettava, e così fece il tragico errore di arrossire terribilmente.

Proprio ciò che lui si aspettava.

 

- Ah! Sei tutta rossa!

 

Era uno scherzo. 

Come al solito.

 

- Fuck you Mike.

 

- Jackie che dice le parolacce? - Quincy sbucò dal corridoio dello studio, con aria sorpresa. - Questa si che mi è nuova.

 

- Quincy com'è andata la telefonata? - chiese Michael.

 

- Ha accettato, ma voi dovete smetterla di prendermi in giro quando sto trattando con i VIP. - sbottò fingendosi offeso.

 

- Stavamo solo scherzando.. A proposito, dopodomani parto! - annunciò.

 

- Ti pare questo il momento per andare in vacanza?

 

- Non vado in vacanza, bensì in viaggio di lavoro.

 

- Cioè?

 

- Lui. Paul McCartey. Composizione. Nuove canzoni. Tempo perso. Gran rottura di scatole. - Si capiva che la ragazza ce l'aveva ancora con Mike per lo scherzo di poco prima.

 

- Jackie, oggi non sei per niente simpatica.

 

- Hai chiamato Paul McCartey?

 

- Si. Appena un quarto d'ora fa. E presto ci rincontreremo.

 

- Michael, è grandioso. Ma non sono molto d'accordo. Insomma, l'album sta venendo su bene ma i tempi stringono.. Non mi sembra il caso di partire.

 

Il produttore si guadagnò un'occhiataccia così profonda che lo sorprese.

 

- Appena sentirai il frutto del mio lavoro cambierai idea. 

 

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Capitolo 37
*** Capitolo 37 ***



Dai racconti, il passato tornerà e ci riavvicinerà. 

 

Cara mamma,

eccomi di nuovo qui.

Come vedi sono sopravvissuta ancora per un pò.

Abbastanza per raccontarti le ultime novità.

Michael è partito, destinazione casa McCartey, per lavorare col grande artista a nuovi e inimmaginabili progetti.

Sprizza musica da tutti i pori e mi chiedo se quando lo rivedrò sarà ancora lo stesso.

Nonostante il suo invito, non sono andata con lui: Q non era molto d’accordo di vedere già partire solo lui, quindi sono rimasta a curare la sound delle altre tracce. 

Nelle ultime settimane abbiamo completato Thriller ( che è il titolo definitivo dell’album), e Beat It.

Michael dice che vuole fare anche dei video per ogni canzone e forse si è già mobilitato per scegliere e contattare i registi. 

Non si ferma proprio mai.

Q dice che siamo entrati nell'era d'oro della musica e che non c'è tempo da perdere.

Dice di godere a fondi di questi momenti perché non è sicuro che possano durare. Mi dice tutto questo ma poi, sempre, scuote la testa e borbotta che non posso ancora capire.

Sono anche riuscita a tornare in Italia per una settimana!

Luca e Fabiana sono stati così felici di vedermi, come zia Caterina e nonno Andrew.

E come io sono stata felice di vedere loro!

Stanno tutti bene e spesso si perdono a parlarmi di te e cantare le tue canzoni.

Mi hanno anche fatto ascoltare alcune tue vecchie cassette audio.

Sono un pò rovinate, perché le hanno conservate in cantina dove ultimamente c'è stata molta umidità, ma tutto sommato si sentono abbastanza bene.

Dio, com'eri brava mamma! 

Non c'era da stupirsi se tutti si innamoravano di te, come mi racconta sempre zia Caterina.

Dice che all'epoca eri sempre circondata da corteggiatori e spasimanti.

Mi descrive di come si allontanavi gentilmente e con "incredibile classe" (come continua a ripetermi), usando solo un gesto gentile della mano e un rapido sorriso.

Rido quanto mi racconta di te, perché mi ripetono sempre che sono la tua immagine, sia per carattere che per somiglianza, e spero davvero di esserlo perché eri davvero meravigliosa.

Ma se eri tanto buona, perché ti hanno ucciso, mamma?

 

 

I fastidiosi rumori della città venivano soffocati da tutto quel mare d'inquietudine che non l'aveva lasciata in pace nemmeno per dormire quella notte.

I pensieri scorrevano rapidi, come le immagini sbiadite di una vecchia pellicola, e il cuore e l'istinto reagivano in difesa a tutta la sofferenza che veniva dettata dalla memoria, via via che i ricordi si allineavano sulla sottile linea retta del tempo.

In testa, una sola domanda a tormentarla: Chi ti ha ucciso mamma? E perché?

 

Jackie continuava a pensare, e la sua mente vorticava cercando invano di ricordare pochi ma indispensabili dettagli di quella parte della sua vita che le sembrava un sogno tanto era lontana e cancellata.

Il periodo immediatamente successivo alla sua nascita, prima della morte di Anna, era completamente oscuro per lei.

I racconti e le vecchie fotografie custodite da nonno Andrew non bastavano più ormai per tranquillizzare il suo animo tormentato che scalpitava come un cavallo impazzito.

Forse lo era stato davvero, un sogno.

E il viaggio verso l'America era stato il suo risveglio.

Un risveglio dolce quanto amaro, che le aveva segnato per anni l'esistenza.

Il dolore che aveva provato sulla pelle sin dal principio in quella terra sconosciuta le aveva insegnato che la vita non era un semplice passaggio, ma un vero e proprio esame, una continua lotta per la sopravvivenza, che non avrebbe lasciato pane per coloro che non riuscivano a gestirne i ritmi.

 

La filosofia non era mai entrata nel suo completo interesse, ma date le circostanze, ogni pensiero che le veniva in testa era ben accetto.

Qualsiasi cosa pur di distrarsi e rilassare la mente.

Abbandonò i sensi, allungando le gambe sotto il tavolino del bar dove si era fermata quel pomeriggio dopo un'interminabile passeggiata, godendo della piacevole sensazione del sole che le accarezzava la pelle del viso con il suo tocco caldo e astratto.

Davanti a lei, disposti disordinatamente sul legno chiaro e unto, le lettere di carta economica indirizzate a sua madre sembravano osservarla attente, in attesa di inchiostro nuovo che le riempisse, senza che un soffio di vento ne piegasse gli angoli ancora dritti ma un poco ingialliti.

 

- Il suo succo signorina.

 

Si riscosse, alzando gli occhi improvvisamente svegli verso la timida ragazza affianco che le porgeva un bicchiere.

Liberò frettolosamente il tavolo, raccogliendo i fogli in una pila disordinata.

 

- Grazie. - disse alla cameriera, una donnina tanto piccola quanto aggraziata.

 

Quando ella se ne fu andata, portò il bicchiere alle labbra.

Il succo aveva una consistenza oleosa, con mille piccoli pezzi di frutta che si arenavano sul vetro del bicchiere, ma il sapore era ottimo, e per Jackie andava bene così.

Accarezzò con un dito la circonferenza del vetro, pensierosa.

Si sentiva stanca e priva di ogni ispirazione.

 

- Dì la verità. Almeno solo a me, Jackie: ma tu e Michael siete…?

 

- Assolutamente no! 

 

Sobbalzò, chiedendosi come le fosse venuta in mente una cosa del genere.

Rise, ricordando la sua "mamma", ovvero Diana Ross, che per anni l'aveva tormentata con quella domanda.

Anche durante l'addio alla Motown.

Michael e Berry si erano allontanati a parlare, e Diana aveva attaccato discorso.

Il suo argomento preferito, naturalmente.

Si chiese come potesse venire in mente a quella donna simili idee.

Tutto ciò lo trovava…. assurdo.

 

Lei e Michael erano sempre stati insieme, e vederlo come un possibile fidanzato le era quasi impossibile. 

E poi, era ragazzo così pieno di difetti e ricco d'impegni… anche se condividevano passioni, lavoro e una vita giovane ma già ricca d'esperienze… non era il suo tipo.

No.

E per lei non era tempo di pensare a sistemarsi.

Rod Temperton le aveva fatto la corte, ammetterlo la seccava, ma non era stato un rapporto spiacevole. 

Jackie lo aveva rifiutato con naturale nonchalance e spontanea cortesia, e lui aveva smesso, un poco offeso, di girarle intorno.

Com'era sciocca a pensare a un compagno, in quel momento.

Ciò che le premeva di più era il suo lavoro, la sua musica.

Il tempo avrebbe provveduto a tutto il resto.

Non aveva paura di ciò che l'aspettava.

Sorrise, osservando da lontano una bambina che faceva svolazzare un piccolo aquilone in un parco vicino, ammirata da altri compagni di giochi.

A volte la felicità era una cosa così semplice…

 

Si riscosse sbalordita appena vide il fratello Albert piazzarsi davanti a lei e osservarla sorridente.

 

- Albert..?

 

- Indovina indovinello, di chi è 'sto ritornello? Non è suo, non è quel pazzo, ma è bensì un altro razzo. Vai o te ne pentirai, corri a casa e lo troverai!

 

Rise stupita. 

Poi tradusse e guardò il fratello, improvvisamente animata.

 

- Michael è tornato? - L'uomo si limitò ad annuire. - Yuppi!!!!

 

Senza attendere altro, si alzò di corsa, raccolse le sue cose e corse via, lasciando Albert lì sul posto a guardarla andarsene sorridendo divertito.

 

Jackie volava in tutti i sensi.

Michael era tornato.

La felicità era davvero una cosa semplice.

 

 

 

(scritta nel dicembre 2010)

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Capitolo 38
*** Capitolo 38 ***


La musica è un fluido in divenire, un linguaggio evanescente. 

 

Corse a casa, a Encino, ma non trovò nessuno tranne Katherine che, confusa, le disse che Michael non era ancora passato di lì.

Vedendola così eccitata insistette per farla entrare e farle bere qualcosa, e magari calmarsi un attimo, ma Jackie non ne volle sapere.

 

Non riuscì a contattare il suo compagno di giochi in nessun altro modo e quella sera tornò a casa sua esausta.

Il giorno dopo ricevette una telefonata da Quincy Jones.

 

- Mi domando per la quale motivo non ti sia ancora presentata qui.

 

- Albert mi ha detto che è tornato Michael, ma non so dove si trovi.

 

- Mia cara, è tornato qui. So che non è passato da casa, ma c'è una spiegazione. Appena verrai capirai.

 

 Appena seppe che Michael era di nuovo in studio con loro fece un balzo per la contentezza.

Senza dar tempo al produttore di dirle altro corse, ansiosa di rivederlo.

Mentre correva verso lo studiolo privato non si fermò a salutare nessuno dei collaboratori di Quincy, e nessuno cercò di fermarla.

Appena aprì la porta dopo aver bussato frettolosamente, frenò di colpo.

Michael era già in compagnia, seduto al tavolino con un uomo dall'aria distinta. Non sembrava affatto infastidito dal fatto di esser stato interrotto.

Anzi.

 

- Jackie! - esclamò.

 

Lei si fermò sulla soglia, intimidita.

 

- Scusate, non pensavo che foste occupati. - si scusò.

 

L'altro personaggio alzò le mani per comunicarle che non aveva importanza.

Michael le corse incontro e l'abbracciò velocemente, eccitato.

 

- Mia cara, ti presento il regista che ha deciso di collaborare con noi per i videoclip di Thriller e Beat It, Steven Spielberg - le disse voltandosi verso la conosciutissima macchietta, che nel frattempo si era avvicinato. - Steph, questa è la mia migliore amica nonché impegnata collaboratrice dell'album, Jacqueline Foster.

 

Deve sempre darmi così tanta importanza, pensò Jackie, al culmine dell'imbarazzo.

Ma Diana Ross lei aveva insegnato ad essere disinvolta ed elegante, e sorrise, rassicurata dal fatto che fra i due vi fosse confidenza.

Strinse la mano all'uomo che le sorrise.

 

- E' un piacere conoscerla signor Spielberg.

 

Lui le baciò la mano.

Steven Spielberg era un personaggio adorabile, geniale come pochi e dai modi classici di un tradizionalista.

Dietro i suoi sorrisi si nascondeva certamente un'anima gentile e buona.

Jackie lo intuì guardandolo negli occhi.

Ma fu uno sguardo durato un lampo, poiché le donne non dovevano permettersi di fissare un uomo, soprattutto se appena conosciuto.

Era un gesto spudorato, e lei era una donna a modo.

 

Dopo quella breve presentazione Jackie li lasciò soli, consapevole del fatto che i due dovevano parlare di lavoro.

Non voleva restare poiché le idee geniali arrivano in solitudine o fra due menti che si capiscono.

 

Raggiunse Quincy, che fu contentissimo di vederla, e la portò con sè come sempre, per lavorare e insegnarle tutto ciò che c'era da sapere.

Il lavoro però finì presto quel giorno.

Sembrava che il tramonto fosse arrivato prima.

Così, dopo che ebbe lasciato il produttore, Jackie si sedette in un angolo appartato del suo studio a leggere.

Jackie portava sempre dei libri in studio e, durante i momenti di pausa, si divertiva a leggerli.

Annotava anche su un taccuino la data in cui li iniziava e quella in cui li finiva.

Michael la prendeva spesso in giro per questo.

E infatti, quella sera, quando lui venne a prenderla per tornare a casa, non mancò la solita battuta scherzosa.

 

- Lavora, accolturata!

 

- Quincy non ha bisogno di me, e nemmeno tu caro. Leggere aiuta a rilassarmi in mezzo a tutto il caos che regna sempre qua in studio. Perché non fai lo stesso anche tu?

 

- Perché non servirebbe a nulla: il caos è tutto qui - con un dito si indicò una tempia- nella mia testa.

 

Lei rise, e lui raccolse i cappotti.

 

- Stasera vieni a casa mia a cena? - le chiese ostentando disinvoltura.

 

Lei lo guardò e gonfiò le guance.

 

- Ancora?

 

Michael aveva la curiosa particolarità di invitarla a cena quasi tutte le sere.

A Katherine non dava mai fastidio e Jackie non aveva nulla da rifiutare, ma nessuna delle due donne aveva mai capito fino in fondo il motivo della richiesta.

Katherine diceva che Michael sentiva la mancanza di Jackie, ricordando i bui periodi passati a casa a Gary, ma lui aveva sempre negato.

 

- Ok.

 

---

 

 

Viaggiavano in macchina da più di un ora ormai, in assoluto silenzio.

Michael era perso nei suoi pensieri e Jackie moriva dalla voglia che lui le parlasse di Steven Spielberg. Non aveva provato a chiedergli nulla, poiché aspettava che fosse lui a parlarle dei suoi progetti e poi perché lo trovava piuttosto pensieroso in quel momento.

Quando Michael ruotava attorno a una nuova idea era impossibile distrarlo dalla sua traiettoria.

Si allungò per guardare fuori dal finestrino dai vetri scuri scuri, appena in tempo per vedere un motociclista affiancarsi vicino all'autista.

 

- La vostra auto sta perdendo fumo - lo sentì dire.

 

Immediatamente, l'autista rallentò, cercando posto per fermarsi.

 

-C'è qualcosa che non va?- chiese preoccupata.

 

  • Il motore dev'essere guasto. Meglio accostare per sicurezza.

 

Jackie si voltò verso Michael.

Il ragazzo stava ancora guardando fuori con aria persa.

Lo scosse.

 

- Mike!

 

Lui sussultò.

 

- Che succede?

 

Conscia del fatto che lui non avesse seguito la conversazione, gli spiegò in poche parole la situazione.

 

- Oh - commentò distrattamente - Bè, spero che nessuno mi veda quando scendiamo.

 

Mezz'ora dopo, una squadra di BG circondava la superstar, mentre un meccanico chiamato d'urgenza trafficava all'interno del motore della lussuosa automobile.

Quando riemerse, sbuffò di fatica.

 

- Avete corso un bel rischio - disse, pulendosi le mani con uno straccio sudicio d'olio nero. - L'auto avrebbe potuto esplodere se avreste continuato il viaggio in questa condizione. E' una fortuna che ve ne siate accorti in tempo - e, afferrata una chiave inglese, si rituffò nella vettura per aggiustarla.

 

I BG si scambiarono uno sguardo, Jackie trattene per un momento il respiro.

Che rischio enorme avevano corso!

Tuttavia, si tranquillizzò pensando che il meccanico non le era parso tanto preoccupato.

 

- Accidenti! Pensa se non ce ne fossimo accorti! - disse all'amico.

 

Ma Michael non rispose.

Allora, la ragazza si voltò verso di lui e lo trovò ancora una volta assorto nei suoi pensieri, apparentemente concentrato a fissare un punto indefinito all'orizzonte.

 

- Mike! - lo chiamò.

 

Lui sobbalzò sorpreso.

 

- Si?

 

- Hai sentito cosa abbiamo appena detto? - chiese, ma intuì in anticipo la risposta. Lo sguardo perso dell'amico la fece sorridere, divertita, e gli raccontò ogni cosa.

Per la prima volta in quella giornata, le parve quasi spaventato.

 

- Cielo! - esclamò lui - Per fortuna che ce ne siamo accorti!- E annuì con convinzione, ma Jackie capì che non era la sua vettura ciò a cui stava pensando in quel momento.

Si avvicinò a lui e, accostandogli l'orecchio accanto al viso, incredibile, le parve di sentire delle note musicali provenire dal suo cervello.

Tra l’altro, assai ben ritmate. 

Aprì la bocca in un'espressione meravigliata.

 

- Che bello! - esclamò, cominciando a battere mani e piedi alla cadenza che aveva sentito. 

 

Lui la guardò confuso.

 

- Che cosa?

 

- La musica. Ci stai pensando in questo momento! - Rispose continuando a muoversi. 

 

Michael la fissò, piacevolmente sorpreso, notando con stupore che il ritmo che lei mimava era lo stesso a cui stava pensando lui.

 

- Dimmi, come hai fatto a capire che stavo pensando a…

 

- Non lo so - alzò le spalle - Me lo sento. Anzi, l'ho sentito.

 

Michael le sorrise e si voltò, dandole le spalle, come per rincorrere una nota sfuggente. 

Jackie lo guardò ammirata: quanto lo adorava!

Si mise al suo fianco a due metri di distanza e aspettò che fosse lui ad avvicinarsi a lei prima di rivolgergli ancora la parola.

 

- Cosa ti dice il cervello in questo momento? - chiese divertita.

 

Lui non rispose subito.

La guardò per un momento che parve interminabile e lei poté notare gli ultimi raggi di sole che si specchiavano nei suoi occhi color della notte.

Le parole del meccanico e dei BG lì vicino si contundevano in un unico e lontanissimo vociare confuso.

 

- Mi dice.. di correre a casa e mettermi a scrivere!

 

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Capitolo 39
*** Capitolo 39 ***


La musica è una rivelazione. 

 

Cara Jackie,

 

ti chiedo scusa per il ritardo ma la tua lettera è giunta a noi solamente due giorni fa, probabilmente per qualche difficoltà di trasporto, e non è stato altrettanto rapido risponderti.

Come vanno le cose in America? Tutto bene in salute?

Da noi la vita è limpida come al solito. 

Nell'ultima settimana Fabiana ha scritto diversi capitoli di La Flotta da Pesca e, se l'ispirazione glielo permette (così' dice lei), saranno pronti per essere spediti il prossimo anno.

Mancano pochi mesi al '83, e non vediamo l'ora che tu venga da noi per Natale.

Abbiamo intenzione di organizzare un bel pranzo tutti insieme. 

La scuola di danza sta andando benissimo.

A ottobre andrò a fare delle selezioni per uno spettacolo al Teatro di Marmo, dove si esibiva la mamma, e chissà se mi prenderanno (lo spero poiché mi sto impegnando davvero moltissimo).

A proposito, nella tua ultima lettera mi hai chiesto se possiedo oggetti di indole interessante che riguardano la mamma.

Non ti rispondo, poiché il termine "interessante" mi lascia presagire molte cose.

Ho il sospetto che tu voglia combinare più di quanto non mi dica, e la cosa non mi fa stare tranquillo.

Sai, a parte nonno Andrew, sono io l'uomo di casa e non poterti stare accanto come dovrei mi complica già abbastanza i miei doveri di fratello maggiore.

Per questo ho deciso che non ne parleremo che faccia a faccia.

 

A breve dovrebbe arrivare Off The Wall.

L'ho ordinato da New York qualche mese fa ( e credimi, non è stato semplice procurarmelo) e finalmente sarà qui pronto per essere ascoltato.

Non vedo l'ora che arrivi il pacchetto con la cassetta.

A zia Caterina non farebbe male un pò di buona musica, dato che ultimamente la tosse non la lascia più in pace.

Ti auguro di passare un buon autunno assieme a Michael!

Un bacio grande da tutti noi

 

Luca

 

 

---

 

Quella domenica l'intera famiglia Jackson si era riunita a casa Encino per un pranzo domenicale in compagnia.

Era bello ritrovarsi ogni tanto tutti insieme, sotto lo stesso tetto, come ai vecchi tempi a Gary nella Jackson Street.

Fratelli e sorelle Jackson erano sparsi per l'ampio soggiorno, ognuno occupato in chiacchiere e pettegolezzi, mentre mamma Katherine dava disposizione a cuochi e camerieri per il pranzo.

Joseph, accomodato in poltrona come se si fosse trovato su un trono, osservava i figli con la annoiata placidità di un vegetale, gli occhi severi e attenti, captando qua e là alcuni frammenti di conversazione.

 

- L'accusa è incredibile. Non pensavo ci fossero donne disposte ad arrivare a tanto pur di ottenere l'attenzione della stampa.

 

L'atmosfera si era scaldata dopo il racconto di Tito.

Il giovane Jackson era stato denunciato da una donna di essere il padre di suo figlio… Ma non era vero! .. Così diceva lui. 

Il fratello maggiore di Michael aveva alzato le mani e giurato su Dio che non mentiva, e la vecchia Katherine gli aveva creduto e aveva distolto ogni accusa su di lui.

 

- Dovresti curare di più certi aspetti della tua privacy Tito - sembrava averlo rimproverato Joe, ammonendolo col suo vocione profondo. - Non voglio avere grane per colpa tua. - e dopo il discorso si era concluso, poiché colui che aveva il diritto di avere l'ultima parola era solo Joseph.

 

Michael non era con loro.

Katherine l'aveva chiamato più d'una volta, ma lui aveva detto che si sarebbe fatto vivo solo quando avrebbe finito di ritoccare alcuni dettagli di un lavoro.

 

- E quindi ora lavori per Michael? - chiese Janet, rivolta a Jackie, anch'essa presente quella tiepida giornata. 

LaToya rise a quella domanda.

Una risata falsa e maliziosa, che fece sgranare gli occhi smeraldo alla ragazza dalla chioma ricciuta seduta accanto alle sorelle.

 

- Lavoro con Michael. - rispose semplicemente.

 

- Ma non hai un'occupazione fissa in studio? 

 

Jackie ci pensò un pò.

 

- La cura del suono, principalmente. E’ ciò che Q mi ha insegnato di più. Poi quando hanno bisogno di me per qualsiasi altra cosa, mi chiamano e lavoriamo. In realtà, mi occupo un pò di tutto: gli arrangiamenti, la registrazione.. 

 

- E scrivi anche canzoni? - questa era LaToya.

 

- Oh certo. Ogni tanto propongo qualcosa… - rispose distrattamente, omettendo il particolare che per ora scriveva canzoni solo per Michael e che la base di Thriller l'aveva composta lei assieme a Rod Temperton.

 

Era troppo occupata a pensare al compagno di giochi: non era da lui restare da solo per così tanto tempo quando erano presenti tutti i suoi fratelli.

In quel momento, finalmente, il ragazzo scese le scale e fu accolto da urla di approvazione.

 

- Alleluia! - gridò Jermaine. - Chi chiedevamo quando ci avresti dedicato un pò di attenzione!

 

- Scusate ma.. dovevo rifinire qualche piccolo dettaglio lavorativo - si giustificò, mentre le ultime scintille musicali lentamente lo abbandonavano. 

 

I suoi fratelli ritornarono alle loro fitte chiacchiere, come se la presenza di Michael non avesse più tanta importanza, e lui quindi andò a sedersi con le donne.

 

- Di cosa parlate? - chiese, accomodandosi accanto a Janet.

 

- Oh niente… di lavoro. - rispose LaToya col suo solito accento malizioso.

 

In quel momento, Katherine chiamò i figli per il pranzo, che si consumò fra risate, brindisi a nuove offerte di lavoro e chiacchiere allegre.

Jackie era seduta accanto a Janet, Rebbie e LaToya, che la trascinarono in affollati ragionamenti su moda, spettacolo, abiti e naturalmente uomini.

Jackie rimase ad ascoltarle raccontare episodi sui loro rispettivi fidanzati, e sorrise pensando che lei era così distante da quel mondo.

Togliendo Fred, o Freddie, un ragazzo conosciuto al liceo, e anche Stuart ora che ci pensava, non aveva mai avuto un fidanzato!

Si voltò verso Michael per allontanarsi da quelle chiacchiere da cui si sentiva comunque esclusa e lo trovò assorto, concentrato su qualche vago pensiero.

In quel momento lui alzò gli occhi su di lei e rimasero a fissarsi per pochi momenti che parvero interminabili, senza pensare a nulla.

Lei rimase con gli occhi vacui e persi, lui si specchiò nei suoi smeraldi brillanti.

Non una parola uscì dalle loro bocche.

 

Quando il pranzo fu finito, e gli ospiti cominciarono ad alzarsi, Michael si avvicinò a Jackie.

 

- Sarò stato maleducato a non essere stato presente prima del pranzo? - le chiese, avvicinandosi a lei in confidenza.

 

- Direi che non è stato il gesto più carino ma, se devo essere sincera, non penso che si siano concentrati molto sulla tua assenza. - rispose lei, alludendo agli altri giovani Jackson, con un briciolo d'amarezza nella voce.

 

- Nemmeno io.

 

I due amici seguirono i numerosi e rumorosi ospiti in salotto, dove si stavano già consumando nuove chiacchiere.

Jackie cercò di prestare attenzione, ma si arrese quasi subito, certa ormai che i suoi interessi vagavano oltre quella fitta rete di falsi incoraggiamenti e amorevoli complimenti. 

Michael, dopo esser stato per un pò ad ascoltare i fratelli, si congedò di nuovo.

 

- Scusatemi, con permesso. - e senza aggiungere altro, si allontanò silenzioso.

 

Jackie lo seguì.

Appena furono usciti dal luminoso salotto lei decise di prendere parola di sua iniziativa.

 

- Mi chiedo cosa … - Lui non lasciò finire.

 

- Congedami per cortesia. E' importante e soprattutto, non può aspettare.

 

- Che cosa, si può sapere?

 

- Billie Jean.

 

- Chi?

 

- Dimmi, come suona questo nome? Ho bisogno del tuo parere che per me è il più importante di tutti.

 

E come se quell’ultima frase non fosse mai esistita, Michael scomparve su per le scale senza che lei abbia potuto dire nulla a riguardo.

Jackie ritornò in soggiorno, sconsolata perché non sapeva spiegarsi quel suo strano comportamento.

I fratelli maggiori si scambiarono uno sguardo malizioso.

 

  • Sta a vedere che si è trovato la fidanzata, Marlon…

 

- Invece sta a vedere che la sua fidanzata è proprio Jaqueline.

 

Katherine rivolse loro uno sguardo severo e Jackie li fissò con gli occhi sbarrati.

 

- Ma cosa dite? - sbottò improvvisamente all'erta. - Figuriamoci.

 

Me lo avrebbe detto, pensò in preda a una una fortissima agitazione che si mutò subito in un inspiegabile affanno.

Si sedette cercando di conversare ma non riuscì a darsi pace e, divorata da un angoscia esagerata, seguitò a salire le scale per chiedere informazioni.

Chi fosse quella Billie Jean, persona o semplice oggetto, proprio non lo sapeva, ma era disposta a tutto pur di scoprirlo.

Si trovò davanti alla sua porta e appena ebbe alzato la mano, con le nocche rivolte verso il legno per bussare e i polsi tesi, si arrestò.

Oltre quella debole barriera materiale che li separava erano ben udibili note musicali.

E non solo.

Sbuffi, sospiri, tamburellate… Riconobbe i distinti suoni delle dita che picchiavano a tempo la scrivania di legno come una batteria.

Immaginò l'amico del cuore seduto sul comodino col registratore fra le gambe, i piedi appoggiati al letto e qualche oggetto in mano da tamburellare a suo piacimento.

Quel ritmo aveva un non so che di selvaggio e feroce che le misero subito addosso un intensa adrenalina, e la voglia irrefrenabile di lasciarsi andare in una danza scatenata la dominò d'un colpo.

Immaginò il volto di Michael testo e sudato, con gli occhi chiusi e i capelli disordinati, impegnato a cantare versi inventati sul momento, o ad aggiungerne in modo che potessero arricchire il suo sfondo.

Ci stava riuscendo bene.

Che intensità quel magico pezzo!

 

Si appoggiò con le spalle alla porta per sentire meglio.

La musica si stava alzando, e la immaginò completa, rifinita in tutti i dettagli e perfezionata in tutte le sue forme.

Sarebbe stata perfetta.

La vicinanza al cantautore era tale da poterne sentire le parole, quasi sussurrate in quell'atto magico di pura concentrazione.

 

- Billie Jean… Billie Jean is not my lover…

 

Dapprima insicure, poi sempre più provocanti, con toni più profondi e certi. 

Al solo pronunciare di quel nome Jackie si lasciò andare a un sorriso divertito e, al contempo, sollevato.

 

Altro che fidanzata, pensò, questa è una trovata bella e buona.

 

Pensò a come fosse venuta l'ispirazione a Michael e sorrise pensando a quel nuovo capolavoro.

Era lui, solo lui, a fare di quella canzone un lavoro speciale.

Era riuscito a mutare una sciocchezza, una semplice quotidianità in un sentimento cupo e profondo, in un battito sempre più accelerato e in un una vera e propria arte che non prendeva spunto da nessun'altra.

Ci riusciva con tale semplicità da sollevare un gradino sotto di sè, e farlo sembrare più alto rispetto agli altri.

Lo era davvero?

 

Jackie ne era convinta.

O almeno, era sempre stava certa dell'esigenza di una sorta di potere speciale del compagno.

A parte il bene che nutriva per lui, lo ammirava e lo stimava per ciò che riusciva a combinare con la musica.

Un traguardo che nessuno avrebbe potuto tagliare.

Una cosa solo sua.

 

Dopo un ultimo secondo di ascolto decise di non dar più credito a quell'avvenenza e se ne andò, per non mancargli di rispetto e non nuocere oltre nella sua intimità, anche se lui non sapeva di lei.

Aveva sentito abbastanza.

E non voleva rovinarsi la sorpresa.

 

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Capitolo 40
*** Capitolo 40 ***


I due maggiori tiranni del mondo: il caso e il tempo. 

 

Cara Jackie,

 

non voglio allarmarti ma devi assolutamente venire in Italia appena puoi.

Sarò breve: abbiamo trovato una possibile pista che può condurci all'indirizzo di Guglielmo, il nostro fratellastro spagnolo.

Fabiana ed io siamo eccitatissimi, nonno Andrew è un pò allarmato e zia Caterina non sta ferma un attimo. Urge la tua presenza!

 

Con affetto

Luca

 

---

 

Los Angeles, 

Studi Epic,

1982

 

- Riproviamo ancora una volta. Che sia l'ultima e che venga bene.

 

Michael si risedette sullo sgabello, contò fino a quattro e poi, con un unico gesto del dito, fece partire la musica.

Le note scoordinate si librarono nell'aria con qualche interruzione, riempiendo l'aria con quella nuova melodia così ritmata e struggente, registrata già in precedenza dalla piccola scatola in metallo che aveva questo fondamentale compito.

Era servita a molto nei giorni precedenti, quando l'attimo doveva venir colto in un secondo, quando non si ha ancora memoria di ciò che si vuole creare.

Ora quel disastro scoordinato andava corretto e perfezionato: a ogni rumore veniva assegnato uno strumento, a ogni singolo battito un nuovo ritmo.

 

Jackie attaccò a suonare il basso, come le aveva insegnato Diana, ancora una volta, forse la millesima in quel pomeriggio assolato dove però il sole non poteva arrivare nello studio discografico.

Michael e la sua storica amica erano da parecchio tempo impegnati a lavorare su quella nuova e magica canzone, e chissà per quanto ancora ne avrebbero avuto, considerando che il cantautore era un maniaco perfezionista.

 

Billie Jean, così battezzata, era ancora una musica neonata, composta solamente da pochi ma continui battiti, come un cuore pulsante, e dal sottofondo reso quasi mistico dal profondo suono del basso.

La musica procedeva, Michael aggiungeva ogni volta la sua voce, più sbuffi e gemiti che urla e parole, poiché esse non erano ancora giunte a una loro definitiva ordinazione.

Si, sarebbe certamente diventato un capolavoro, ma certe cose riguardano tempo...

 

- Come sarebbe a dire "non possiamo più aspettare"?

 

- Mi dispiace Michael, ma la Sony vuole il disco entro la fine di settembre. 

 

- Bè, dì loro che non siamo ancora pronti e che consegneremo il lavoro solo a fine ottobre. 

 

- Non ci daranno più tempo. Il contratto con Spielberg per la soundtrack di E.T. ce ne ha rubato troppo. Dobbiamo concludere tutti i progetti e partire con la selezione.

 

Quincy era sempre stato regolare e pacato negli atteggiamenti per ciò che riguardava la sua professione, ma quella volta apparve agitato e più preoccupato.

Michael strinse i pugni: la situazione gli era sfuggita di mano e ciò lo rabbuiò. 

Ma perché non si poteva mai lavorare in pace senza interruzioni?

 

Nervoso, cominciò a percorrere l'ufficio del produttore avanti e indietro, mentre la tensione diventava sempre più percettibile.

 

- Non riesco a capire perché perché non vogliano darci più giorni! - protestò Jackie. - Basterebbero tre settimane, se non due, per rimetterci in pista con i tempi!

 

- Dicono che ci hanno già aspettato troppo. - sospirò Quincy. 

 

- Non intendo lavorare con persone così! Insomma.. per certe cose ci vuole tempo! La musica non è una cartella clinica!

 

- Non tutti la pensano come noi, Jackie. - intervenne Michael - Di certo, non ho intenzione di consegnare un lavoro a metà, quindi, se non vi dispiace,vado a completare la mia opera. 

 

Detto ciò, si congedò e uscì. 

Il suo tono era stato tranquillo e contenuto, ma Jackie intuì che era furioso.

E lei non era da meno.

Sbuffò e si rivolse al caro produttore.

 

- Dobbiamo trovare una soluzione!

 

- C'è ben poco da fare Jackie: le scadenze sono quelle. Forse dovevamo pensarci prima e darci una mossa… 

 

- Non esiste.. non possiamo lavorare con il diavolo alle calcagna! L'album uscirà malissimo! Come faremo a sistemare tutte le canzoni in tempo?

 

Jackie era disperata.

Pochi giorni prima aveva ricevuto una lettera dal fratello Luca Gabriel, il quale la avvertiva di raggiungerli subito in Italia poiché l'aspettavano delle novità riguardo al mai più rivisto fratellastro Guglielmo.

Dopo l'incidente di Anna infatti, lui, bambino, era stato portato in Spagna dal padre Joey, ex compagno della donna italiana, e da allora nessuno aveva più saputo nulla di loro. 

I tre fratelli Flint si davano da fare per riunire l'intera famiglia, ma era un compito arduo e ogni possibile pista doveva essere percorsa. 

Jackie sentiva che doveva raggiungerli al più presto ma, al contempo, non poteva certo lasciare il lavoro in un momento così critico.

 

- Cercherò di coinvolgere qualcuno e chiedere se è disposto ad aiutarci. Di più non posso fare. Sai, ho la mia notorietà in queste sale e può darsi che qualcuno mi ascolti, ma non ti assicuro nulla. Faresti meglio a cercare di lavorare il più possibile. - Le strinse il braccio con affettuosità. - So che in questo momento vorresti essere in Italia, con la tua famiglia, ma come pensi che faremo io e Michael senza di te?

 

Jackie respirò a fondo.

Quincy aveva ragione: aveva delle responsabilità, e non poteva certo mollare tutto. 

La famiglia avrebbe, ancora una volta, aspettato.

 

---

 

Chiuso fra le mura del suo ufficio, rammentò nitidamente il racconto del fratello Tito, appena una settimana prima, di quella donna che lo aveva accusato di un danno che egli non aveva provocato.

Era quello l'argomento su cui era basato il testo della canzone, e Billie Jean svolgeva appunto il ruolo anonimo della "donna".

Ma mancava l'elemento base, l'energia invisibile che voleva trasmettere.

 

Quel racconto lo aveva turbato. Non avrebbe mai immaginato che una donna sarebbe potuta arrivare a tanto solo per pubblicità. 

Il mondo era davvero strano, aveva pensato. 

Accese il registratore e ascoltò attentamente ancora una volta quella musica di cui era già innamorato.

Rimase immobile per un pò e poi fu colto da un lampo di genio: la melodia serrata e incalzante, il ritmo di basso che sembrava dar vita a quell'atmosfera di trepidante attesa.

Pensò che la sua creatura poteva essere facilmente paragonata a una donna: sapeva sedurre, stregare l'uomo per rapirlo e trascinarlo nel bollente vortice della passione. 

Sapeva condurre chiunque l'ascoltasse in un'altro mondo, lontano e affascinante.

 

Si convinse di aver tra le mani un vero e autentico tesoro, più prezioso del più brillante dei diamanti.

Era sua, solo sua. Come un'amante segreta.

Coglieva l'attimo, incantava. 

Così semplice ma incredibilmente originale.

La voglia di danzare percorse il suo corpo come una violenta scossa infiammata e si lasciò trascinare dal ritmo denso della musica, senza curarsi di dare ai suoi passi una vera e propria coreografia.

 

Quando la canzone finì, fu come se il tempo si fosse fermato, e per un lungo istante Michael rimase in balia delle vertigini provocate dalle mille sensazioni che provava in quel momento.

Non gli importava se la Sony non dava più tempo al suo lavoro.

Audace e con la determinazione stampata negli occhi, con i frutti succosi del suo operato fra le mani, si sentì invincibile. 

 

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Capitolo 41
*** Capitolo 41 ***


 

La sua per ora è solo una premessa. 

 

Mancava poco al penultimo passo del progetto: la registrazione del brano.

Stava allestendo il coro.

Dunque.. il basso in fondo, con un microfono sulla destra, e la tromba e il clarinetto davanti. 

Michael sarebbe rimasto al centro di tutto, come il fiore più bello di un prato. 

Sorrise, immaginandoselo già lì a cantare, appassionato e invincibile, mentre il ronzio del registratore veniva soffocato dalla voce potentissima dell'uomo che in quel momento, occupato in affari burocratici, non era accanto a lei.

 

Jackie respirò a fondo l'aria densa della sala di registrazione e si rimise al lavoro, posizionando con cura lo sgabello dietro la batteria. 

Entro sera ci sarebbe stata la prima prova generale, e tutto doveva essere perfetto e in ordine.

Non era stata incaricata di allestire gli strumenti, ma preferiva assicurarsi che tutto fosse a posto.

Si spostò davanti alla porta d'entrata e osservò un momento l'ampia stanza nella sua completezza.

Sarebbe stata di gradimento dell'assiduo perfezionista a cui non riusciva a smettere di pensare?

 

 

---

 

Los Angeles,

Studi Epic

1982, autunno

 

- Michael, è con immensa gioia che ti annuncio che ho sono riuscito a convincere la Sony a concederci altro tempo per l'album.

 

- Splendido Q! Ma come ha fatto?

 

Il produttore non rispose subito. Fece cenno a Michael di seguirlo e lo condusse attraverso le sale e i corridoi, fino a giungere davanti all'ufficio principale, dove un gruppo di uomini distinti erano impegnati in una affollata discussione.

Uno di questi si girò verso di loro e, sorridendo sorpreso, si congedò dal gruppo e li raggiunse.

Era basso e tarchiato, fra le labbra stringeva un costoso sigaro, e aveva un'aria amichevole e un'espressione rilassata.

Quincy gli strinse vigorosamente la mano.

 

- Frank, voglio presentarti Michael Jackson, l'autore dell'album Thriller. 

 

Michael porse la mano con educazione.

 

- Buongiorno.

 

- Salve ragazzo. Sono Frank DiLeo. Dunque sei tu il ritardatario, eh? Eheh - ridacchiò ma si ricompose subito. - Sto scherzando, ovvio. So che è cruda lavorare con scadenze durissime, me ne rendo conto. Ho già affrontato diversi casi di questo genere. Comunque, sappi che il tuo produttore e io abbiamo risolto tutto.

 

- Ne ero già informato. Vi ringrazio immensamente.

 

Appena l'uno tarchiato se ne fu andato, Jackie si voltò verso Q e Michael imitando la buffa espressione del produttore. 

 

- Caro Michael, ti presento Frank DiLeo, vice direttore di qualcosa che sinceramente mi è sfuggita un attimo fa.. - recitò imitandolo con perfetto realismo. 

 

- Molto divertente Jackie. - sbuffò Q, infastidito da Michael che nel frattempo si era tuffato in un'allegra risata. 

 

DiLeo ci aveva rimesso la faccia per ottenere quelle settimane in più, e Michael lo capì. 

L'occasione che gli avevano dato doveva essere sfruttata a dovere e lui e Quincy non persero tempo.

Le settimane successive vennero divorate dal loro incessabile lavoro, e in men che non si dica, l'opera fu completata.

 

Tutto il lavoro venne ultimato nei minimi particolari, così in fretta che pochi se ne accorsero, i brani furono selezionati in un attimo e tutte le canzoni furono pronte per essere inserite nell'album.

L'opera mancava solo dei videoclip che Michael aveva convinto Q a girare, dopo un lungo e passionale discorso sull'originalità dei brani e sullo straordinario impatto della musica visiva.

Q si era arreso ai voleri dell'artista che, nonostante la stanchezza, sprizzava arte da tutti i pori.

Furono concessi solo due giorni allo staff per riposare e riprendersi da quel periodo così denso e impegnativo.

Michael volle iniziare subito le riprese e cominciò, assieme al produttore, a dare le disposizioni per girare Billie Jean, la canzone scelta per il primo video-clip.

 

Jackie decise di non parteciparvi, c'era bisogno di lei ma la sua presenza non era vitale in quel contesto cinematografico.

Aveva una missione da svolgere in Italia per riunire la sua famiglia che aveva già atteso troppo.

A malincuore ma con determinazione, lasciò Q e Michael che, la sera prima della partenza, la strinse forte come mai aveva fatto e le regalò una cascata di affettuosi baci.

Lei aveva riso e lo aveva lasciato col cuore gonfio. 

Si consolò pensando che l'avrebbe rivisto presto, anche se non ne era completamente sicura. 

Partì inconsapevole di ciò a cui non sapeva dare una spiegazione, il perché che la teneva legata a quella vita tanto difficile.

 

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Capitolo 42
*** Capitolo 42 ***


Non può la distanza materiale separare davvero due amici. Se desideri essere accanto a qualcuno che ami, non ci sei forse già?

 

 

Il brusco movimento dell'aereo in fase di atterraggio la destò dallo stato di dormiveglia nella quale era caduta a metà del viaggio.

Aprì gli occhi di scatto e venne immediatamente accecata dai raggi solari che filtravano prepotenti attraverso il vetro del finestrino.

In mezzo a tutto quel bagliore, una vastissima macchia blu dominava la parte inferiore della sua ancora offuscata visuale. 

Non c'era dubbi sull'identità di ciò che vedeva.

Mediterraneo!

 

Spontaneamente sorrise, e quel suo sorriso le illuminò il volto assai più del sole che pareva salutarla, accarezzandola dolcemente con la sua luce.

Quello stesso sole riflesse la pura gioia stampata nei suoi occhi brillanti: presto avrebbe riabbracciato la sua famiglia!

 

Rimase ansiosa ad aspettare fino alla fine del viaggio e, quando i motori dell'aereo si spensero, si precipitò fuori, scavalcando i passeggeri, ubriaca di sole e d'Italia.

Non appena fu all'aperto, circondata dall'atmosfera nativa, respirò a fondo e per un breve momento si abbandonò ai sensi, assaporando il dolce gusto di essere a casa.

 

Quel breve attimo di abbandono venne bruscamente interrotto da una mano sconosciuta che si posò sulla sua spalla.

 

- Vedo che non sei cambiata di una virgola: i tuoi capelli non sono mai pettinati a dovere e sei sempre una sognatrice, proprio come me e la mamma.

 

Riprese il controllo in un secondo e si voltò di scatto, mentre i suoi sensi riconoscevano lentamente l'identità di quella voce.

Appena lo riconobbe, lacrime di felicità sgorgarono dai suoi occhi già arrossati.

Il fratello era alto tre spanne in più di lei e la guardava con gli occhi celesti sorridenti di gioia. 

Evidentemente era contento di vederla e, evidentemente, non aveva aspettato altro per tutta la giornata.

 

- Lu! - esclamò Jackie saltandogli in braccio. Che meravigliosa sorpresa!

Luca ricambiò il suo abbraccio, la baciò sui capelli e la fissò estasiato.

 

- Ciao Mon Pon, sei sempre bellissima! - le disse con affetto e lei si sciolse pensando che, nonostante la lontananza, la confidenza fra loro era sempre la stessa, e l'affetto che provavano l'uno per l'altra non si sminuiva col tempo.

 

Luca era davvero il fratello perfetto e Jackie sentiva che lo adorava.

 

Insieme tornarono a casa. Villa Flint era sempre la stessa.

Appena la vecchia Fiat bianca di Luca venne parcheggiata, Fabiana si precipitò fuori dalla casa.

Indossava un semplice e macchiato grembiule ricamato, segno evidente che stava cucinando, e i capelli erano raccolti disordinatamente in una pinza. Appena il suo sguardo incrociò quella della sorella minore, sollevò la gonna fin sopra le ginocchia e le corse incontro.

 

Jackie la raggiunse e si tuffò nelle sue braccia, soffocandola di baci. 

 

- Fabi!

 

- Jackie! Che bello riabbracciarti! - le disse stringendola.

 

I tre fratelli furono raggiunti dai parenti più vecchi, nonno Andrew e zia Caterina, e ritrovarsi fu per tutti un grande evento.

Ogni volta, per i due anziani, l'arrivo di Jackie era come una benedizione, che sottolineava i valori della loro famiglia unita nonostante la lontananza. 

Il tempo della gioia però finì presto e, dopo cena, quando i due anziani si furono ritirati nelle loro stanze, Jackie fermò i fratelli in cucina ed essi capirono che era arrivata l'ora delle risposte.

 

- Vorrei sapere il motivo della vostra chiamata. - cominciò Jackie.

 

Luca si sedette, si passò una mano sui capelli con aria stanca e decise di cominciare.

 

- Tu lo sapevi.. - disse. - Di nostro fratello, o meglio fratellastro, Guglielmo?

 

- Non ne ricordo molto. - rispose Jackie, anche se percepiva l'esistenza del fratello mai più incontrato. 

Rammentava vagamente la dolce stretta degli abbracci prima di cena di un bambino con i capelli neri e lunghi.

 

- Dopo la morte della mamma lui e il padre sono partiti per la Spagna, dove abita la loro famiglia - spiegò Fabiana. - E adesso vogliamo ritrovarlo per riunire.. insomma, per ricongiuncerci.

 

- E' quello che voglio fare anch'io! - insistette Jackie. - Ma come possiamo rintracciarlo se non abbiamo neanche un indizio?

 

- E' per questo che ti abbiamo chiamato - le disse il fratello. - Un'indizio lo abbiamo: fra alcune vecchie carte della mamma, in cantina, ho trovato delle vecchie foto.

 

Fabiana si alzò, prese dei documenti da un cassetto e li appoggiò sul tavolo di fronte alla sorella. Jackie cominciò a sfogliarli, ansiosa. 

Le foto erano vecchie, in bianco e nero, e ritraevano Anna durante le feste del paese, le gite in città e in campagna…

Quelle immagini da una parte la ferirono, alla vista della madre che non c'era più, ma dall'altra la confusero.

 

- Che indizi intendete? Non vedo nulla in queste foto che possano condurci verso Guglielmo.. - chiese perplessa.

 

- Guarda meglio - la incitò Fabiana. - E sappi che risalgono pressapoco a poco prima che io nascessi, quando la mamma era ancora sposata con mio padre. 

 

Jackie cercò di dare un ordine definitivo agli anni e alla successione degli eventi. Dopotutto, era accaduto tutto in un arco di tempo non superiore ai quindici anni.

Osservò attentamente tutte le foto. Alcune ritraevano anche Guglielmo da bambino, un piccolo pargoletto gracile e dalle guance scarne, folti capelli neri e vivaci occhi scuri.

Era senza dubbio lui il protagonista dei suoi ricordi confusi.

 

- La mamma è sempre in compagnia di un'altra ragazza… - notò.

 

- Esatto! - esclamò Luca. - Il nonno mi ha detto che era la sua migliore amica dell'epoca, e lo è rimasta fino alla fine. Pensiamo che possa darci alcune informazioni dato che era anche un'amica di Joey, secondo il nonno.

 

- Ma perché lui non è presente nelle foto? - chiese Jackie.

 

- Dopo la nascita di Guglielmo, la mamma e Joey si sono lasciati poiché lei era innamorata di mio padre - spiegò Fabiana. - Sappiamo che Joey è partito per un periodo in Spagna dalla famiglia, lasciando qui Guglielmo, e che poi è ritornato e ha fatto pace con la mamma. Il nonno dice che continuarono ad andare molto d'accordo, poiché erano stati amici sin dalla più tenera età. 

 

- Ho capito… bè, allora perchè non siete andati a parlare con questa amica di mamma?

 

- E' questo il problema - sospirò Luca. - Non sappiamo dove sia. Sappiamo solo che si chiama Giada D'Amico, ma dopo… dopo che la mamma è morta lei è sparita e non ha lasciato traccia… - spiegò con una certa fatica.

 

Evidentemente la perdita di Anna pesava ancora sul cuore del fratello biondo e la morte accompagnava i suoi pensieri legati ad essa. 

Fra i figli, era lui il più legato alla donna, senza un motivo ben preciso.

Jackie si sentì stordita: quelle spiegazioni l'avevano in parte sconvolta e svuotata. Si sentì stanca e infinitamente malinconica. 

Per un attimo soffocò tutti i suoi ricordi legati all'America, compreso Michael, e si concentrò sulle sue origini.

 

- Bè… non ci sono altri documenti risalenti a questo periodo? - chiese.

 

  • In soffitta c'è molta roba - rispose Fabiana - Forse troppa per esaminarla in poco tempo. E poi è zeppa di scatole e bauli sigillati. Inoltre, mi pare che il nonno nasconda qualcosa: tiene lui le chiavi della cantina e non ci ha mai fatto entrare.

 

Jackie scosse la testa. Il sospetto che il nonno volessi tenerli lontano dai segreti famigliari la infastidiva terribilmente. 

 

- Bè, non ho intenzione di lasciar perdere l'argomento. Forse questa Giada non è scomparsa, forse qualcuno del paese sa qualcosa… Insomma, da qualche parte ci dev'essere l'indirizzo di Joey!

 

- Non lo sappiamo - disse Luca, e la fissò preoccupato. - Però io so che da quando sei arrivata non ti sei riposata, e che ormai è tardi. Andiamo a dormire. Domani penseremo a ogni cosa.

 

( scritta realmente nel 30/12/2010)

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Capitolo 43
*** Capitolo 43 ***


Sei l'occasione che coglie l'attimo.

 

 

- Propongo di chiedere a qualcuno del paese!

 

Fabiana e Jackie rimasero impassibili a guardare il fratello.

I tre erano usciti di buon mattino, due giorni dopo l'arrivo di Jackie in Italia, per discutere più a fondo di quella faccenda.

Il giorno prima si erano dati alla svago, godendo della tanto attesa presenza della più piccola, ma ora era giunto il momento di rimettersi in moto e affrontare le emozioni.

 

- Scusa - chiese la sorella maggiore, con aria scettica. - E a chi chiederesti? E soprattutto, cosa chiederesti?

 

- Se qualcuno conosce questa Giada D'Amico! - Luca si sedette e ammirò le foto, sparse sul tavolo di legno del bar dove si erano fermati a bere qualcosa. - Dio, che belle ragazze! Non  mi stupisco che avessero un sacco di ammiratori come dice il nonno!

 

Jackie sorrise intenerita dallo sguardo perso del fratello.

Era un romanticone, Fabiana glielo aveva raccontato. 

 

- Non è una cattiva idea.. - approvò. - Sono passati, ehm… poco più di vent'anni, e può darsi che ci sia qualcuno nel quartiere che conosceva questa ragazza.

 

- Nel quartiere? - Fabiana la fissò con gli occhi spalancati. - Dì pure per tutta la città! Ti ricordo che mamma era un'attrice molto ricercata nei nostri teatri più belli!

 

- Si, ma non è detto che chi conosceva nostra madre conosca anche la sua amica. - osservò il fratello.

 

- Bè, dove intendete cominciare?- chiese la sorella minore.

 

Il biondo si leccò le labbra, tirò fuori dalla tasca un foglietto accartocciato e lo aprì guardando i volti delle due ragazze.

 

- Ho fatto una lista di possibili posti dove potrebbero sapere qualcosa. Qui sono appuntati tutti i locali pubblici che mamma era solita frequentare.

 

- Mamma frequentava locali pubblici? - chiese Jackie, stupita.

 

- Si, prima che tu nascessi si esibiva nei locali. Nulla di losco e arretrato, no no, locali per bene, e gente di classe. - sorrise. - Sono certo che alcune delle foto che abbiamo visto sono state scattate in qualcuno di questi locali.

 

I tre fratelli interruppero la loro conversazione poiché una ragazza si era avvicinata reggendo un vassoio colmo di prelibatezze.

Fabiana raccolse frettolosamente le foto e altre carte e sul tavolo vennero posati una ciotola di arachidi, un piatto di biscotti, un cappuccino e due succhi di frutta. 

Luca addentò subito un biscotto.

 

- Si diceva? - chiese.

 

- Credi quindi che qualcuno conoscesse anche questa.. Giada D'Amico? - chiese Jackie.

 

- Non è una cattiva considerazione - disse Fabiana, e sorrise al biondo. - Bravo fratello. Trovo curioso che tu abbia le idee migliori ma questa volta… pulisciti la bocca, sembri un bambino!

 

Luca rise e Jackie assaggiò il suo succo.

Spalancò gli occhi e allontanò il bicchiere.

 

- Che succede? - le chiese la sorella.

 

- Non ci sono grumi. Non ci sono grumi! - esultò l'altra.

 

Gli altri due non capirono ma non ci fecero caso.

 

- Dunque, potremo iniziare oggi le ricerche. - propose Fabiana.

 

- Procediamo con ordine - la calmò il fratello. - Direi di cominciare dai quartieri vicino a casa nostra, a ovest della città.

 

- Eh no - lo interruppe Fabiana. - Lo sai che sono pessima in geografia. Se la metti così mi ritiro seduta stante e vi attendo a casa per il pranzo.

 

- Ottimo spirito di collaborazione Fabi. Sto per commuovermi. 

 

- Voi fate come volete. - disse Jackie, fino a quel momento, era rimasta in silenzio a trangugiare il suo succo, troppo contenta per parlare. - Io vado! Ci vediamo a pranzo!

 

E senza aggiungere altro afferrò la borsa e la lista sul tavolo, posò qualche lira sul bancone e uscì dal bar.

Dopo essersi sistemata il cappello della madre sopra i morbidi riccioli che al sole parevano quasi biondi, scomparì oltre la strada.

Gli altri due fratelli restarono a guardarla finchè non sparì alla loro vista.

 

- Non la trovi cresciuta dall'ultima volta? - chiese Fabiana.

 

- Cresce sempre Fabi, considerando che fra una volta e l'altra passano mesi. - aggiunse con amarezza il fratello. La sorella lo guardò con compressione mista e dolcezza.

 

- Cerca di capire anche il suo stato d'animo. Ha qualcosa di importante là, a cui tiene veramente molto. Non biasimarla solo perché ha deciso così.

 

- Ma tu sai cos'è quella cosa Fabi? - Luca reagì con nervosismo. Quell'argomento era per lui un tasto dolente.

La sorella serrò le labbra.

 

- No - rispose in un soffio. - Ma mi fido di lei, e mi fido della nostra famiglia. E se mai ritroveremo Guglielmo, sono certa che anche lui accetterà questa condizione.  Dobbiamo aiutarci a vicenda anche se siamo lontani. Lo sai che la mamma avrebbe fatto così.

 

- Jackie non sarebbe in America se la mamma non fosse morta!

 

Luca sospirò e poi alzò lo sguardo verso di lei e per un attimo si specchiò negli occhi della sorella che sembravano di vetro colorato e per un attimo immaginò di vedere la dolce figura di sua madre.

Se solo lei ci fosse ancora con loro, ogni cosa sarebbe stata più semplice per tutti.

 

---

 

Jackie camminava rapida per le vie della città.

Com'erano diverse le strade rispetto a casa sua in America!

Guardandosi intorno, scoprì che la gente camminava più lentamente e sembrava più contenta e meno indaffarata, come se per tutti la vita fosse semplice e spensierata, anche se certamente per tutti non era così.

 

In quell'attimo di distrazione Jackie smise di guardare avanti ed esattamente sulla sua traiettoria ma dal lato inverso stava sopraggiungendo una ragazza dalla visuale offuscata dagli innumerevoli pacchi che stava reggendo.

Lo scontro fu inevitabile. 

Le due finirono a terra senza un lamento con tutte le buste di carta, e tutti gli articoli di supermercato da loro contenuti si sparsero sul marciapiede.

 

- Ma che cavolo….

 

Jackie si alzò a sedere, accarezzandosi la testa in un punto dove certamente sarebbe comparso un bel bernoccolo e si guardò intorno, calcolando i danni dell'incidente.

Alcune verdure si erano sfracellate al suolo ma per fortuna, le confezioni in plastica erano intatte.

L'altra ragazza era a terra, ed era proprio come lei, forse anche della stessa età, secondo Jackie, che si sentì strana e disorientata senza motivo.

 

Il viso della giovane era nascosto da una cascata di capelli lunghissimi e neri, tanto belli da esser degni di qualche spot pubblicitario di un'importante marca di shampoo, ma ciononostante Jackie riuscì a intravedere le gote color porpora dalla vergogna. 

 

- Ehi - la chiamò dolcemente. - Mi dispiace, non guardavo dove stavo andando ma… santo cielo, che disastro!

 

Si alzò sulle ginocchia e cominciò a raccogliere qualche pomodoro per terra, mentre i vari passanti, ridendo di nascosto, le scavalcavano senza fermarsi.

Jackie li sentì e anche lei si mise a ridere per l'assurdità della situazione: chiunque avrebbe pensato che erano molto buffe, e non avrebbe avuto torto.

Guardò ancora la ragazza che si era tirata indietro i capelli, mostrando un grazioso visetto rotondo, gli zigomi alti e meravigliosi occhi dal tratto orientale, ombrosi e limpidi, color della notte.

Non le aveva rivolto una parola, e la castana pensò che se la fosse presa.

 

- Mi dispiace di esserti venuta addosso - si scusò ancora. - Se vuoi ti posso aiutare a portare queste borse a casa, per farmi perdonare. 

 

La ragazza sollevò gli occhi solo per un secondo e, imbarazzatissima, si affrettò a raccogliere la sua spesa.

Mormorò frettolosamente qualche parola che Jackie non riuscì a capire e dai suoi movimenti e dal suo sguardo quasi perso, capì che qualcosa non andava nella sua testa, e che la sua mente non era perfettamente a posto.

 

- Ehi, ho chiesto se vuoi una mano. - ripetè insicura, ma la ragazza non rispose.

 

Jackie sospirò. Come poteva aiutarla se lei rifiutava di parlarle?

 

- Josephine non ama gli sconosciuti - disse una voce dietro di lei, così tagliente e penetrante che Jackie si voltò di scatto - E soprattutto, non può capirti: parla solo francese.

 

A parlare era stata una donna che dopo che ebbe parlato rivolse qualche parola in francese alla ragazza e rimase ferma vicino a loro.

Jackie si sentì tremendamente in imbarazzo.

 

- Scusi - cominciò - E' colpa mia. Mi sono distratta e le sono finita addosso. Posso aiutare a portare questi pacchi se non le dispiace…

 

La donna, che non l'aveva nemmeno guardata in faccia, le fece un gesto con la mano per farla tacere e si chinò sulla ragazza.

Dopo averle rivolto uno sguardo d'intesa, si voltò finalmente verso la castana, permettendole finalmente di vedere il suo volto chiaramente. 

 

Doveva essere anziana, anche se non molto, a giudicare dalle sottili rughe che le circondavano gli occhi e gli angoli della bocca, segnandole delicatamente la pelle lattea e delicata.

Aveva dei bellissimi occhi scuri dalle ciglia lunghissime e il viso dai lineamenti fini era contornato da corti capelli di un nero schiarito dal tempo.

 

Assomiglia tantissimo a.. Josephine, pensò Jackie. 

 

Notò che la donna la stava fissando con stupore e, accorgendosi con disappunto di essere stata così maleducata da non essersi presentata, allungò timidamente la mano.

 

- Mi scusi ancora per prima signora. Mi chiamo Jaqueline Foster.

 

Stava per ripresentare la sua proposta di accompagnarle a casa, ma l'espressione della donna la bloccò.

Teneva gli occhi spalancati e la bocca aperta dallo stupore.

 

- J- Jaqueline..? - mormorò. 

 

Jackie annuì confusa.

Evidentemente la donna la conosceva, ma lei non ne conservava alcuna memoria. 

Poi, la più anziana scosse la testa, come per levare dalla mente un pensiero cattivo, e si girò verso la figlia.

 

- Lei è mia figlia Josephine, te la presento io dato che non capirà una parola di ciò che dirai. Accetto volentieri la tua offerta. Prendi il sacchetto giallo e quei due pacchetti lì. Casa nostra non è lontana.

 

E senza attendere risposta si girò e cominciò a camminare molto lentamente.

Jackie non fece caso alla scortesia di quella donna che non si era nemmeno presentata e raccolse le tre buste.

Josephine, che nel frattempo si era rialzata, seguiva la madre con lacrimosi occhi da cucciolo bastonato, stringendo a sè le buste di carta come una bambina stringe la sua bambola, come se temesse di venir rimproverata.

Aveva uno sguardo mortificato, ed evitò accuratamente d'incontrare lo sguardo di Jackie, e la castana non fece nulla per evitarlo, poiché intuiva il suo disagio.

Anche lei cominciava a sentirsi disorientata.

Pensò ai fratelli che la credevano in giro alla ricerca di Giada D'Amico e si chiese se avrebbe fatto in tempo a tornare per pranzo.

Un pensiero volò anche oltre l'oceano, a Michael che, incurante dei suoi affari famigliari, stava sicuramente girando le ultime scene di qualche videoclip.

Lo ricordò con affetto e, sorridendo tra sè, gli mandò un bacio.

 

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Capitolo 44
*** Capitolo 44 ***


Eccoti, come un uragano di vita. E sei qui, non so come tu ci sia riuscita. 

 

 

Erano appena scoccate le dieci quando arrivarono a destinazione, dopo circa mezz'ora di cammino.

Era un appartamento nascosto, invisibile in quel grosso palazzo costruito negli anni '30.

Dopo una ripida scala dai gradini scivolosi e appuntiti, la donna più anziana, che apriva la comitiva, aprì con fatica una stretta porta a vetri con una chiave arrugginita.

Jackie entrò per seconda, seguita da Josephine, e si guardò intorno con nascosta curiosità, cercando di far trapelare il meno possibile la sua maleducata invadenza.

Si rilassò subito notando l'aspetto umile ma servizievole della casa.

 

La stanza odorava di un profumo antiquato, di vecchio, di polvere, come carta di giornale. 

Era piccola ma era ben arredata e pulita, e il divanetto blu di velluto spiccava di netto in mezzo a tutte le altre tonalità di grigio e nocciola. 

Appoggiati alle pareti, posti in ordine su un ripiano di legno che tagliava in due il muro, c'erano delle tele di legno e cartone, bianche, con vari disegni a matita di donne e natura morta.

Sulla destra in basso, Jackie conobbe l'antiquata ed elegante firma di Josephine.

Sul grosso tavolo di legno al centro erano sparsi rami di geranio, con le radici, le foglie e tutto, mucchi di terra scura e anche un piccolo vaso di cotto.

Lì accanto, due piatti di ceramica puliti già pronti per il pranzo.

La finestra che dava su un cortile interno era spaccata al centro, come se un oggetto molto pesante vi fosse stato lanciato contro. 

Il vetro attorno alla spaccatura era bianco dalle crepe e le punte dei bordi sembravano essersi consumate.

 

Jackie rimase sorpresa a fissare quel disastro, e la donna più anziana si accorse del suo stupore e della sua perplessità.

 

- Manifestanti - disse con suo solito tono freddo, a cui Jackie aveva già fatto abitudine.        - Durante il terrorismo. Sono arrivati qua e hanno fatto un vero e proprio macello.

 

- Ma i terroristi si sono mossi pressapoco dieci anni fa.. - notò la castana. - E la finestra è ancora rotta.

 

La donna alzò le spalle.

 

- Non ho mai pensato di farla cambiare.

 

- Ma di notte non entra l'aria? Il vento? Non avete freddo?

 

- Io e Josephine dormiamo nell'altra stanza, e la stufa basta per entrambe.

 

Più che mai convinta di aver parlato troppo, Jackie si ripromise di stare in silenzio.

Appoggiò le borse sul tavolo in un angolo vuoto e Josephine cominciò a disporre i prodotti in un'ordinata fila sul bancone della cucina.

Jackie rimase ad osservarla di nascosto, cercando di capire i suoi pensieri, senza accorgersi che la donna anziana la stava fissando.

 

- Hai detto di chiamarti Jaqueline.. Foster?

 

La ragazza sussultò, accorgendosi di essersi distratta.

 

- Si signora.

 

- Ma non dovresti essere da qualche parte sperduta negli Stati Uniti? 

 

Jackie sbarrò gli occhi.

 

- E lei come fa a saperlo? - non riuscì a trattenersi.

 

La donna sorrise amaramente.

 

- Conoscevo la tua mamma.

 

Jackie aprì la bocca dallo stupore. E se…

 

- Voi siete Giada D'Amico? - chiese a bruciapelo.

 

- Si, e dall'espressione che hai fatto sembra proprio che stessi cercando me, prima. 

 

E rise. Una risata divertita, da adolescente, come se la stesse prendendo in giro.

Era molto più amichevole fra le mura di casa, e Jackie se ne compiacque.

Quella notizia la fece sorridere. 

Aveva avuto fortuna.

Una fortuna davvero sfacciata, anziché no. 

 

- Si. - rispose. - Io e i mie fratelli volevamo…

 

- Con calma mia cara - la interruppe Giada. - Poi mi dirai che cosa vuoi da me. Ma ora sono io a volerti domandare qualcosa. Siediti qui.

 

Jackie obbedì e, afferrato uno sgabello, cercò il posto più umile e attese.

Giada si sedette al tavolo e cominciò a tagliare i rami dei gerani, senza un ordine preciso, con calma, come se per lei fosse ormai una sorta di rito giornaliero.

 

- Ricordo che dopo che tua madre se n'è andata, tuo padre ti portò via. Negli Stati Uniti. Credevo morissi in mano a quel.. - s'interruppe, come se qualsiasi paura che avesse detto fosse stata di troppo. 

Jackie sospirò.

Non le piaceva rammentare i tempi più bui del suo passato, anche se era consapevole di dover affrontare l'ombra che opprimeva la sua esistenza.

Sentì di potersi fidare di Giada: dopotutto, era stata un'amica di sua madre. 

 

- In effetti… ho abbandonato mio padre da tempo. Non lo vedo più da cinque anni. Era diventato ingestibile anche per me. Anche se non capisco come mai goda di così cattiva fama anche qui, anche se non mi riesce difficile immaginare perché.

 

Giada rise.

 

- Ti racconterò. Ne ho da raccontarti, sai? Ho sempre immaginato di incontrare in qualche modo l'ultima figlia di Anna. A volte il destino è proprio strano! Eccoci qui tutte e due!

 

Jackie annuì, sorridendo leggermente. 

Non riusciva a rilassarsi totalmente e covava nel profondo un'ansia crescente.

 

- Io e i miei fratelli la stavamo cercando perché volevamo sapere se lei potes..

 

- Dammi del tu! - la interruppe ancora. - Per me, sei una di famiglia. - Quelle parole, pronunciate con tale disinvoltura, la sorpresero.

 

- Ok, Giada… Insomma, ti stavamo cercando perché volevamo sapere se potevi aiutarci. Stiamo cercando di rintracciare nostro fratello Guglielmo.

 

- Guglielmo? Quello spagnolo? Il figlio di Joey? - Giada trasalì.

 

- Si. Mio nonno Andrew ha detto che dopo … Dopo la morte della mamma Joey è partito per la Spagna e non ci ha fatto più sapere nulla.

 

- Lo so. Lo ricordo bene. E' comprensibile che ora tu e i tuoi fratelli vogliate ritrovarlo. Ma perché avete pensato proprio a me?

 

- Fra le cose della mamma abbiamo trovato delle vostre foto. - Jackie sospirò. - Avete lavorato insieme?

 

- Si, per alcuni anni, ma eravamo amiche fin da piccine. Cantavamo insieme in alcuni locali, poi hanno preso lei per esibirsi nei teatri, mentre io sono rimasta nel ceto più basso. Nonostante questa differenza, che avrebbe potuto portarla alla vanità più assoluta tipica delle donne che divengono famose, Anna non mi ha mai dimenticata e non si è mai vantata della sua posizione. 

 

- Vi volevate molto bene…. 

 

- Oh si. Eravamo inseparabili. Sono stata io a presentarle Joey, dopo un mio viaggio di studi in Spagna. Inoltre, ero molto legata alla sua famiglia.

 

- E perché allora non siete rimasta in contatto con mio nonno e mia zia, dopo?

 

- Caterina! Bè, la morte di Anna mi ha sconvolta, e la mia vita è cambiata radicalmente. Non ho più rivisto nessuno di coloro che frequentavo insieme a lei. Mi sono.. allontana dal mondo. Poi è arrivata Josephine, e ti racconterò anche di questo. Abbiamo molto di cui parlare, mia cara. Comunque, posso provare ad aiutarvi a rintracciare Joey e Guglielmo.

 

- Vi ringrazio tanto, Giada.

 

- Prego mia cara. Però non riesci proprio a non darmi del "lei", eh? - l'anziana ridacchiò.

 

- Scusi… scusa.. - Jackie si accarezzò i capelli, felice per aver trovato la soluzione ai suoi problemi.

 

Giada raccontò in poche parole a Josephine la storia e l'identità di Jackie e la ragazza mora, per la prima volta, sorrise leggermente.

Il suo atteggiamento cambiò: rilassò le spalle e l'espressione del volto, e con le dita tremanti, porse a Jackie anche un fiore.

Doveva essere il suo modo per fare amicizia.

L'atmosfera si stava rilassando, quando Jackie rivolse lo sguardo all'orologio a pendolo di legno.

Le undici e quaranta.

 

- Meglio che vada - disse - e riferisca le novità anche a Luca e Fabiana. Mi staranno aspettando.

 

- Vai pure tesoro - le disse Giada. - Puoi tornare domani pomeriggio, e portare anche loro. Oggi controllerò la mia soffitta e cercherò qualche cosa che possa aiutarci.

 

Quando la giovane se ne fu andata, Giada si preparò una tazza di tè e, dopo essersi chiusa in camera, si sedette su una panca accanto alla finestra, dov'era appoggiata anche una vecchia foto.

Anna, catturata in un momento di gioia espresso in tutta bellezza nel volto giovane, le sorrideva felice.

Sembrava quasi al settimo cielo.

 

- Me lo avevi anche detto.. - mormorò la vecchia, cercando di ricordare i frammenti di un sogno. - Che sarebbe tornata. Come un tornado. Mi avevi avvertito.. Ed eccola qua!

 

 

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Capitolo 45
*** Capitolo 45 ***


Per vincere bisogna osare.

 

Non aveva mai corso così veloce in vita sua.

Se non una volta, mentre stava scappando da George, a Gary, perché lui voleva schiaffeggiarla per aver cercato di nascondere le bottiglie di birra nel vano tentativo di farlo smettere di bere.

 

La gente che per caso la notava così trafelata per strada si voltava un attimo, pensando evidentemente che fosse pazza, ma a Jackie non importava nulla di ciò che pensavano gli altri.

Era felice di aver immediatamente trovato la soluzione ai suoi problemi, seppur in modo così assurdo e imbarazzante, tanto da ricordarle la trama divertente di una commedia cinematografica. 

 

Villa Flint era al limite della campagna, e Jackie si fece almeno mezza città di folle corsa.

Firenze era quel giorno illuminata da un cielo terso ma sereno, l'aria era tiepida nonostante fosse inverno, e il pallido sole di mezzogiorno brillava lassù in alto come un re vanitoso.

Quando Jackie, ormai sudata fino ai fianchi, scorse in mezzo agli alberi che delimitavano il parco la casa blu, cominciò a urlare, tanto forte da svegliare alcune mucche che placide, si erano addormentate al pascolo.

 

- Fratello e sorella, correre! Ho trovato Giada D'Amicoo!!

 

Appena giunse nell'ampio cortile frenò di colpo, facendo schizzare la ghiaia con le scarpe. Notò che nonno Andrew, accovacciato sul dondolo nella veranda davanti a casa, si guardava intorno con gli occhi sgranati di un vecchio che è stato interrotto da un bel sogno.

Evidentemente l'aveva sentita ma non riconosciuta.

Che spavento, povero nonno!

 

Jackie gli corse incontro e cadde a peso morto accanto a lui sui morbidi cuscini di tela gialla.

L'uomo, sconvolto, la fissò, mentre lei ansimava per la gran corsa, non riuscendo ancora a parlare.

 

- Per l'amore del cielo Jackie! Sei forse impazzita?

 

Lei negò col dito, muovendo freneticamente, ridendo quasi per un motivo anche a lei sconosciuto.

Risata che andò crescendo appena incontrò lo sguardo sempre più perplesso del nonno: la credeva una pazza, ne era sicura.

Da casa uscì Luca.

 

- Sei tornata! Stavo per venirti a cercare! - le disse subito, sollevato.

 

Jackie si alzò.

 

- Devo dirvi un pò di cose. Possiamo parlare di là?

 

Entrarono in casa, lasciando il nonno al suo riposo per dedicarsi alla discussione a cui preferivano che restasse fuori.

Poco dopo, si riunirono nel vecchio atrio che, col tempo, era diventato una sorta di sala riunioni.

 

Era l'angolo più nascosto della casa, perché l'unica finestra che lo illuminava era nascosta dalla folta vegetazione esterna.

La stanza era angusta e umida, dalle pareti spoglie profumate di calce.

Una scala di pochi gradini e una porta di legno massiccio erano l'unico collegamento col resto della casa.

Il soffitto era basso e solo una vecchia lampadina impolverata scendeva poco decorosamente al centro. 

Davanti alla scala, che scendeva per traverso, c'era un piccolo divano marrone scuro, di una stoffa che Jackie considerava intoccabile per l'immenso prurito che provocava, con un unico cuscino di piume. 

Un tappeto di canne, un tavolo basso e due grossi scaffali dov'erano riposti pochi soprammobili antichi di zia Caterina componevano il resto dell'arredamento.

 

Fabiana si era appostata alla finestra, seduta là sopra dove filtrava un pò di luce, con la chitarra sulle ginocchia.

Luca era appoggiato al muro e Jackie seduta sulla scala.

Quando ebbe raccontato nei dettagli ciò che le era capitato poche ore prima, gli altri due scoppiarono a ridere.

Un pò per l'assurdità, un pò per la sorpresa, un altro pò per la contentezza.

 

- Sorellina, lasciatelo dire: hai una fortuna della miseria! - esclamò Fabiana, e Luca annuì.

 

- Spero davvero che possa aiutarci. - sospirò Jackie.

 

- Ha detto qualcosa al riguardo di Guglielmo?

 

- No, non molto e di interessante. Ma qualcosa di Joey sì. Ha detto che erano amici, quindi penso che abbia almeno un indirizzo.

 

- Però anche se ce l'avesse, chi può garantirci che non abbiano cambiato casa nel frattempo? Come facciamo a saperlo? - chiese Fabiana, dopo aver provato qualche accordo.

 

- Questo è il problema principale - intervenne il fratello. - Ma penso che questo proposito si possa risolvere solo andando in Spagna. Non c'è altro modo se non andare a vedere. Non possiamo mandare una lettera: i tempi sarebbero troppo lunghi e non avremmo nemmeno la certezza di veder tornare indietro una risposta.

 

- Luca ha ragione, ma chi ci andrà? - Fabiana era giustamente preoccupata. Dopo che il nonno e la vecchia zia non erano stati più in grado di occuparsi della fattoria, si era presa lei la responsabilità delle terre e dell'allevamento, e non era stato un compito facile.

 

- Io! - propose Jackie. - Sono abituata a viaggiare!

 

I fratelli si guardarono con disappunto e poi, voltandosi verso la sorella minore, la fissarono severi e preoccupati.

 

- Scordatelo! - esclamarono all'unisono. Jackie diventò paonazza.

 

- Perché? Scusate, non mi avete raccontato che quando eravamo piccoli lui mi teneva sempre in braccio, mi voleva tanto bene? Perché non posso andarlo io a cercare?

 

- Perché sarebbe da pazzi Jackie. E io sarei un irresponsabile a lasciarti andare! - le disse Luca. 

 

- Perché? Cosa c'entri scusa?

 

- Sei mia sorella minore, non posso permettere che tu vada in un luogo sconosciuto a compiere un impresa al 98% impossibile.

 

- Bè, mio caro, vorrei ricordarti che sono sopravvissuta a 19 anni di convivenza con un certo George Foster che me ne ha fatte passare di tutti i colori. Direi che andare in Spagna alla ricerca di una persona che mi vuole bene sia più che fattibile! 

 

Dopo quella frase, pronunciata con tale nervosismo, Luca esplose.

 

- Questo non fa di te una persona forte Jackie! E sei tu che hai deciso di rimanere laggiù in America! - sbottò, investendola con tutta l'amarezza che covava dentro da troppo tempo.

 

Jackie si offese. Serrò le labbra e non parlò più.

Le parole del fratello la fecero riflettere, nell'attimo di silenzio che seguì fra loro.

Fabiana era rimasta in disparte, mentre l'atmosfera fra il biondo e la castana si era scaldata progressivamente.

Troppe differenze, troppe difficoltà e troppo lontananze rendevano difficile il rapporto fra di loro. 

Uniti solo dalla voglia di stare uniti.

Ma quando quella viene a mancare, le difficoltà emergono e allora tutto diventa più difficile.

 

Jackie non sopportava proprio di litigare col fratello.

Era la prima volta che lo facevano in modo così spinto e aggressivo, e di colpo si pentì di avergli risposto in quel modo.

Dopotutto, lui tentava solo di proteggerla.

Di colpo capì perché lui si era comportato così: aveva timore di perderla, solo che, essendo sempre così lontani, non sapeva come proteggerla.

Pentita e più che mai desiderosa di chiedere scusa, Jackie si voltò, con le gote in fiamme, e quando i suoi occhi incontrarono la figura rigida del fratello, si bloccò.

 

Fabiana corse in suo aiuto spontaneamente, come una mossa premeditata.

Mise giù la chitarra con cui aveva continuato a suonare una melodia triste per tutto il tempo, si avvicinò ai due e sfiorò la mano del biondo.

Luca alzò lo sguardo e per un attimo e due fratelli, i soli eguali in padre e madre, si guardarono complici.

Poi, si avvicinò anche Jackie.

 

- Hai ragione Lu, scusami - mormorò. - Non sono una persona forte solo per aver vissuto con George. C'è gente che vive in situazioni peggiori. Ma il fatto che io sento di potercela fare comunque.

 

- Si lo so. - le disse lui, finalmente, con calma. - Ma dobbiamo trovare un compromesso. Fabiana non può ora gestire da sola la fattoria, devo aiutarla. Quindi partiremo in due, ma solo per tre giorni.

 

Jackie sbarrò gli occhi.

 

- Tre giorni? - esclamò. - Ma come faremo..?

 

- Non lo so, ma è il massimo che ci possano concedere laggiù, Jackie, se vogliamo ritrovare Guglielmo. Ci stai? - e le porse la mano per siglare l'accordo.

 

Jackie era riluttante, ma lo sguardo di Fabiana la convinse che quella dei grandi era forse la soluzione più giusta, e strinse quindi la mano al fratello. 

Sorrise quando sentì quella grande e morbida di Luca stringere la sua, piccola a affusolata. 

Ma soprattutto piccola.

 

Dopo quella discussione, Luca si congedò, dicendo che doveva correre alla scuola di danza dove faceva abitualmente lezione, e quando se ne fu andato, le due sorelle decisero che avrebbero cucinato qualcosa di speciale per nonno Andrew e zia Caterina.

 

- Questo pomeriggio, quando torna Luca, dobbiamo anche fare l'albero di Natale! - disse la maggiore.

 

- Albero di Natale? - chiese Jackie. - Non ne ho mai fatto uno…

 

- Non hai mai festeggiato il Natale in America? - Fabiana era stupita.

 

- Bè, si… scambiandoci gli auguri. 

 

- Allora dobbiamo rimediare. Qui si prepara il tacchino arrosto, e io faccio anche il pane di segale. Poi c'è il prosciutto con la panna, i toast farciti, i muffin, i tortellini alla zucca, la mia prelibata crema al mascarpone…

 

A Jackie venne appetito e cominciò a fantasticare. Fabiana la prese per mano.

 

- Giù in cantina ci sono gli scatoloni con tutte le decorazioni. Vieni e aiutami a metterle. Poi facciamo l'albero. E già che siamo qui, ti insegno a fare la crema, e magari anche la torta.

 

Jackie rise, entusiasta per il programma della giornata, ma i suoi occhi non abbandonarono più quella scintilla di felicità che un pensiero le aveva portato.

 

- Sisi, insegnami proprio tutto tutto. Così, quando torno di là, farò vedere anche a Michael come si festeggia il Natale.

 

E quel pomeriggio passò.

Ma non era la novità del Natale a rendere felice Jackie: scoprì che non erano i preparativi per la festa a farla sentire così, ma le attenzioni che le dedicavano i suoi familiari, i consigli di Fabiana, gli abbracci e anche i dispetti di Luca, le conversazioni profonde con zia Caterina e i racconti di guerra di nonno Andrew.

E si, anche le foto sorridenti di Anna, che partecipava a quei giochi silenziosamente.

 

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Capitolo 46
*** Capitolo 46 ***


 

La speranza è un sogno fatto da svegli.

 

Natale era passato, forse troppo velocemente, e lui non se n'era nemmeno accorto.

Troppo rapito e concentrato sul lavoro e le riprese dei videoclip che stavano andando meravigliosamente.

Si era sorpreso nel ripensare a lei sul set di Billie Jean, nell'attimo in cui la sua mente doveva essere concentrata solo sullo stare in equilibrio sulle punte.

Da quanto tempo non vedeva Jackie? 

Da quanto non la sentiva?

 

Forse troppo, considerando che lo scorrere delle lancette dell'orologio era per lui diventato un movimento indifferente, qualcosa di completamente estraneo. 

Perché senza di lei, tutto il resto, esclusa la sua amatissima professione, sembrava perdere senso ed importanza? 

Che potere aveva lei su di lui per cambiarlo in quel modo?

Il suo pensiero, il ricordo di quel dolce viso lo faceva volare, letteralmente, sulle punte, in perfetto equilibrio.

 

E appena ritornò coi piedi per terra, si ripromise di telefonarle presto.

 

Nel frattempo, il suo singolo si preparava ad essere il primo, creato da un artista di colore, ad essere trasmesso su una famosa rete televisiva nazionale. 

Un inizio di cambiamento del mondo che non passò inosservato.

 

---

 

- Sono molto preoccupato. Capisco che siate ansiosi di ritrovare vostro fratello ma io sinceramente non nutro molte speranze.

 

Nonno Andrew era poco convinto.

Dopo che Giada D'Amico, accompagnata da Josephine, si era presentata alla porta portando con sè un biglietto e l'indirizzo, i tre fratelli Flint erano stati costretti a dire tutta la verità anche ai parenti più anziani, che avevano appreso la notizia con sorpresa e sconcerto. 

Era ovvio che loro si erano rassegnati da tempo ormai.

Inoltre, l'idea di partire alla ricerca di un parente scomparso sarebbe stata da tutti considerata una pazzia.

 

Le considerazioni di nonno Andrew innervosivano non poco Jackie, che cercava comunque di mantenere la calma. 

Insomma, come poteva lui mostrarsi così scettico quando stavano cercando di rimettere insieme i vari frammenti della famiglia?

Della loro famiglia!

 

- Nonno, fidati di me! Sono certa che appena lo troveremo, cambierai opinione e ne sarai felice. Guglielmo è anche tuo nipote no? Gli volevi bene, vero?

 

Andrew annuì, ma Jackie si sentì a disagio.

Fidati di me.

Che cosa strana da dire.

Come poteva lei pronunciare tale frase, credendoci davvero, quando era consapevole di essere lontana dalla sua famiglia, mentalmente e fisicamente?

Se non era per l'amore che la univa a quelle persone, e per il sangue, li avrebbe considerati quasi estranei. 

Ma teneva troppo a loro, e soffriva solo sfiorando quei brutti pensieri.

 

- Sei davvero una ragazza molto determinata. - disse Giada D'Amico, accomodata sul divano, mescolando con raffinata delicatezza il té che le era stato servito da Fabiana. - Sei tanto simile ad Anna… io mi fido di te, sono certa che ritroverai il tuo fratellastro. 

 

Jackie era felice perché almeno l'anziana credeva in lei, e capì che anche Luca e Fabiana erano d'accordo con la vecchia cantante. 

Caterina e Andrew erano gli unici a non voler mettere a rischio l'incolumità dei loro nipoti, ma anche loro erano consapevoli di non poterli fermare: la voglia di riunire l'intera famiglia in un'unica casa era troppo forte per poterla opprimere.

 

Solo Josephine non esprimeva la sua opinione e se ne stava in disparte, col naso tuffato fra le piante e i fiori che adornavano la finestra che dava sui pascoli, i gomiti appoggiati sul freddo davanzale di pietra e l'espressione sognante di chi desidera volare lontano.

Ma anche se il suo sguardo era distante e i suoi occhi erano irraggiungibili, Jackie percepiva che Josephine ascoltava tutto, e capiva, e pensava con la sua testa, anche se Giada si ostinava a dire che la ragazza capiva solo il francese.

 

Pensando al lontano fratello spagnolo, Fabiana invitò le due amiche di famiglia a passare il Natale con loro.

 

---

 

- Ti manca molto vero?

 

Michael aveva visto il suo caro produttore accovacciato a scrivere una lettera e, incuriosito, si era avvicinato.

Accanto al foglio di carta, c'era una foto di Jackie.

Era accovacciata nell'erba, in un'espressione sorridente e spontanea, mentre indossava un largo cappello di paglia.

Quincy l'aveva immortalata in quel grigio rettangolo stampato durante una giornata passata a casa sua, per avere sempre vivo con sé il ricordo di lei. 

Michael sapeva inoltre che il produttore teneva un'altra foto di Jackie, al sicuro nel portafogli. 

 

Q aveva alzato lo sguardo per un momento e aveva sorriso.

 

- Non sono l'unico a quanto pare. - disse, alludendo al ragazzo, e al fatto che ogni volta che lui finiva di ballare su set, chiamava Jackie a gran voce, com'era solito fare prima della sua partenza, magari per chiederle cortesemente un bicchiere d'acqua, o il suo parere, o addirittura un consiglio.

 

Michael rise imbarazzato. Quante figure che aveva fatto!

Si era sempre sentito molto imbarazzato quando, dopo averla chiamata, si ricordava che lei non c'era e che tutti gli occhi erano puntati su di lui in un'espressione sorpresa.

 

- Non è mai stata via così tanto, e non sono abituato.. insomma.. - cercò di giustificarsi, ma in cuor suo sapeva che col produttore non ce n'era bisogno.

 

- Oggi è il 25 Dicembre, e le sto mandando una lettera di auguri. Spero che arrivi presto. - disse Q.

 

Per un attimo Michael smise di respirare, vinto da un'improvvisa tristezza. 

Era stato così rapito dal suo lavoro che si era dimenticato che quello era il giorno di Natale. 

Si congedò da Q e cercò un pò di solitudine, isolandosi per un attimo dai truccatori e dai cameraman che volevano continuare le riprese. 

Nulla però poteva placare il suo animo ferito.

Si sentì solo, ancora una volta.

 

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Capitolo 47
*** Capitolo 47 ***


Ora siamo legati più che mai.

 

 

Natale era passato, come un appuntamento mai fissato ma sicuro, e per la prima volta nella sua vita le era sembrato un giorno di festa e di pura allegria, senza preoccupazioni.

Soddisfatta per il tempo che aveva dedicato alla sua famiglia Jackie pensò che, nelle ore seguenti a quel giorno festoso, fosse ora di tornare e di riprendere in mano le redini della sua carriera.

C'era un fratello da trovare, e doveva anche tornare in America al più presto.

Inoltre, cominciava a piangere per la mancanza di un caro amico.

 

La mattina di quel 26 dicembre 1982 Luca le consegnò una lettera arrivata fresca fresca da oltre oceano. 

Era una busta color panna e chi l'aveva spedita aveva di sicuro una gran notorietà, considerata la raffinatezza della carta e la velocità con cui era stata spedita.

Era di Q, Quincy Jones, il mitico produttore che le scriveva per augurarle buon Natale, per avere sue notizie e, seppur in modo quasi invisibile, pregarla per tornare al più presto.

Dalle parole e dalla grafia un poco disordinata si capiva che era una lettera scritta senza pensare.

Quell'uomo le voleva bene, e su quello non c'erano dubbi.

 

Jackie strinse la carta al petto, stropicciandola un poco, strizzando gli occhi dalla felicità.

 

- Buone notizie a quanto vedo! - s'informo il fratello biondo, premuroso più che mai. 

 

- E' di Quincy Jones, il produttore dell'album di Michael, nonché mio superiore in campo lavorativo. Per me però è come un padre! - esclamò la ragazza.

 

Si precipitò dal soggiorno più grande alla stanza accanto, dopo aver superato un vasto corridoio, dove vi era il sediolo preferito da nonno Andrew e, un tempo, anche da Anna. 

Si sedette sulla vecchia sedia di quercia e raccolse l'occorrente necessario per inviare una risposta all'uomo oltreoceano. 

Luca la seguì, curioso e tutto sommato felice del fatto che la sorella abbia molte amicizie laggiù.

 

- A proposito di.. uhm.. Michael Jackson ..- cominciò, poggiandole le grandi mani sulle esili spalle. - Ma non ti ha inviato alcuna lettera? Voglio dire, siamo nel periodo di Natale: tutti si scambiano biglietti e auguri!

 

- Oh lo so, ma il fatto è che ho lasciato Michael in un lago di lavoro. Sono certa che sarà stato impegnato con le riprese dei videoclip - rispose la castana in tono neutro ma gentile. - Ma non importa: ho lasciato io qualcosa per lui. E poi, entro il 10 di Gennaio devo essere assolutamente di ritorno: ho un lavoro e non voglio perderlo.

 

Luca annuì, pensando al domani, quando sarebbero partiti loro due insieme, per la Spagna.

Un viaggio senza meta, dove chissà cosa mai sarebbe potuto accadere accadere.

 

- Tu lo sai che è da pazzi andare a cercare Guglielmo vero? Lo sai che un'altra persona al tuo posto avrebbe lasciato perdere? 

 

- Si, ma non io. Non voglio lasciar perdere. Mi importa molto. 

 

- Ma sai anche che se troveremo ciò che stiamo cercando non potrebbe essere come ce lo ricordiamo, vero?

 

- Si, lo so. Ma sono disposta a rischiare, e tu?

 

Il fratello non rispose, ma nel suo silenzio pieno di dubbi Jackie intuì che l'avrebbe appoggiata.

Si, l'aiutava ma non la capiva completamente, e questo la faceva soffrire. 

Avrebbe voluto comprendere di più il fratello, stargli più vicino, dimostrargli come poteva il suo amore.

Alzò la mano che non era occupata a scrivere per appoggiarla su quella del fratello, ancora sulla sua spalla, e accarezzarla dolcemente. 

Era un gesto d'affetto, quotidiano e spontaneo in una famiglia normale, così speciale e ricco di sentimento in una famiglia come la loro, lontana e vicina al tempo stesso. 

 

Quella notte, l'ultima in quella casa dalle mura azzurrine, nonostante le lenzuola pulite e il caldo piumone che l'avvolgeva, Jackie non riusciva ad abbandonarsi al sonno. 

Era tormentata da strani pensieri.

La partenza di lei e il fratello era fissata per il giorno dopo, alle 7:00 del mattino in punto, all'aeroporto, e forse quello o il fuso orario a cui non si era ancora completamente abituata contribuivano a tenerla sveglia, in uno stato di angoscia e preoccupazione.

Più che per la missione in Spagna, ciò che la metteva in soggezione era partire col fratello Luca, con cui si sentiva tanto legata quanto.. Estranea.

Lo adorava, lo amava come si ama un fratello, appunto, ma qualcosa la bloccava dal manifestargli tutto il suo affetto.

Era diverso da Fabiana, poiché lei era una donna, ed aveva forse più sensibilità e pazienza. 

 

Stufa delle coperte così calde ma vuote che l'avvolgevano si alzò e scese in cucina, senza passare dal salotto.

Si versò dell'acqua fresca, facendo ben attenzione a non rovesciarla, poiché era scesa in completo buio. 

Pensò di esser sola, ma si sbagliava.

Sussultò appena sentì dei passi, per poi accorgersi che provenivano dal soggiorno, e non sembravano dirigersi verso di lei.

Tuttalpiù, sembravano produrre sul pavimento un suono rapido e quasi ritmico, come una coreografia di danza molto precisa.

Un ritmo accelerato che le era familiare.

Si avvicinò e notò, al di sotto dell'uscio della porta, una debole luce, e delle ombre in movimento.

Si chiese cosa stesse succedendo e, spinta più dalla curiosità che dal timore, si accostò alla porta, che spinse delicatamente, spostandola di poco più di un centimetro.

Nella stanza c'era Luca.

Le voltava le spalle, rivolto al debole fuoco ardente del camino, concentrato in una danza silenziosa.

Era una sequenza dal ritmo serrato, duro, e Jackie sforzò la mente per ricordarsi dove l'aveva sentito.

Poi, il lampo.

Era Billie Jean. Suo fratello l'aveva ascoltata direttamente da lei, dalla cassetta che aveva portato per loro, per condividere la bravura della persona a lei più cara.

Sorpresa, restò a fissarlo per un tempo indeterminato, compiaciuta dal fatto che il fratello si era messo a ballare quella musica che pareva a lui così ostile, perché creata da uno sconosciuto che si prendeva cura della sorella.

Evidentemente gli piaceva, eccome.

Ma come poteva non piacere la perfezione?

Decisa, bussò piano alla porta e Luca si interruppe subito, voltandosi di scatto verso di lei e fissandola con gli occhi colmi di sorpresa.

Jackie notò alla luce del fuoco le gote infiammate per l'imbarazzo.

Sorrise timida come per dirgli scusa.

 

- Ancora sveglia? - parlò lui per primo. - E' tardi, e domani partiamo. Possibile che tu non voglia riposarti un minimo?

 

- Non sono l'unica a non voler riposare allora. - ribatté lei. - Che cosa facevi? 

 

- Niente, danzavo.. lo sai che frequento una scuola di danza professionale.

 

- Si, ma conosco questa musica. E' Billie Jean vero? Allora ti piace!

 

- La musica è bella. - rispose lui in tono severo, come se dovesse ammettere qualcosa di molto difficile. - E di colui che la creata che non mi fido così come ti fidi tu.. 

 

- Perché? - quelle parole addolorarono Jackie, poiché il fratello sapeva che Michael si era sempre preso cura di lei e l'aveva sempre salvata da qualsiasi difficoltà. Questa sua ostilità nei confronti dell'amico americano la delusero profondamente.

 

- Comprendimi Mon Pon. Per me è uno sconosciuto, e poi è gente di spettacolo, persone che non vivono le giornate come le viviamo noi. Per loro il mondo è diverso…

 

- Ma Luca, sono persone come noi! Qual'è la differenza? Solo perché la loro professione li porta al centro di un palco e sotto i riflettori non vuol dire che siano diversi! E tu dovresti saperlo, dato che anche tu lavori a teatro!

 

- Non alzare i toni con me. - rispose lui, calmo. - E sai che non è la stessa cosa. Non siamo sullo stesso livello. Io posso andare in giro tranquillamente, senza per forza dovermi travestire o esser scortato dalle guardie del corpo. 

 

Seguì un attimo di silenzio, composto da mali pensieri e vecchi rancori.

 

- Mi dispiace che la pensi così di Michael. Lui si è preso sempre cura di me. E mi fido più di lui che del mio stesso padre.

 

- Allora per questo sono d'accordo con te. E sono anche contento che con te ci sia Albert. Di lui mi fido, l'ho conosciuto e ci andavo d'accordo.

 

Si voltò a fissare il camino. Jackie restò a guardarlo.

 

- Cantavo questa canzone perchè oltre a essere bella, è anche molto particolare. Cioè.. ha qualcosa di strano. Come qualcosa di irraggiungibile che non riesco a capire. - si voltò di nuovo verso. Il suo volto era completamente diverso. I suoi occhi erano luminosi, come ispirati. - E' bello. E' emozionante. E'.. travolgente. Questo lo devo proprio ammettere.

 

Jackie sorrise.

 

- E' proprio questo l'effetto che deve dare. Sono contenta di aver avuto l'onore di ascoltarla per prima, dopo Michael ovviamente. Non è come un vortice? 

 

- Si, è la creazione di un genio. Questo devo riconoscerlo. Non lo conosco e non mi fido, ma il tuo Michael è proprio bravo. - Anche Luca sorrise.

 

- Quando lo conoscerai, cambierai idea su di lui. Michael è una persona squisita e sono sicura che andreste molto d'accordo. - E mentre pronunciava quelle parole, si chiese se Michael e il fratello potessero mai incontrarsi. 

 

Notò distrattamente l'espressione del fratello dopo che ebbe finito di parlare di Michael: era seria, come dispiaciuta e attraversata da qualcosa che non riusciva a cogliere a prima vista. 

Un lampo di gelosia.

Subito, si avvicinò a lui abbandonando ogni timore e si alzò sulle punte per abbracciarlo.

 

- E naturalmente, sono felice nonostante tutto questo, di avere una famiglia fantastica e un fratello così paziente. 

 

Lui lasciò andare un gemito commosso e la strinse. Forte.

Forse era quello ciò di cui avevano bisogno, entrambi.

 

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Capitolo 48
*** Capitolo 48 ***


Lei è sempre stata uno spirito libero, come un’aquila in grado di volare oltre le nuvole. Lei è in grado di regalarti la felicità più intensa e di lasciarti spiazzato come il più stupido degli uomini. 

 

 

Dopo l'abbraccio, fratello e sorella si sentirono più uniti, come se quello fosse stato un patto che siglava per sempre il loro legame.

Jackie ammirò, per quanto la fioca luce glielo permetteva, il cielo dipinto negli occhi del fratello, tramandati dal padre, così come i capelli biondi.

Sembrava un angelo.

Erano così diversi anche fisicamente da non sembrare nemmeno parenti lontani.

Lei era piccola e esile, lui snello e muscoloso, ma non molto alto.

Solo la forma del viso e degli occhi li accomunava, e forse la curva delicata del naso, e il profilo delicato e le mani affusolate.

Guardandosi in silenzio, si scoprirono a poco a poco, come se non si fossero mai visti.

Poi ritornarono alla realtà, e Luca ruppe il silenzio.

 

- Hai detto che Diana Ross, l'artista che ti ha accolto tempo fa, ti aveva insegnato a danzare, giusto?

 

- Giusto. Lei e un pò la famiglia Jackson in generale. Perché?

 

- Mi piacerebbe vederti danzare. Come sai anch'io sono ballerino, e sono proprio curioso di vedere all'opera la mia sorellina. - Sfoderò un'espressione da furbetto.

 

- Ma Lu, non sono molto brava! - Quelle parole scherzose invece nascondevano un desiderio legato a un filo, molte ore di allenamento in solitaria e una passione crescente via via che i passi si facevano più complicati e coordinati.

 

La danza era, anche per Jackie, un'aspirazione. 

Un obbiettivo. Un fiore da cogliere.

 

- Non importa, insisto. - Il biondo si voltò, mise una cassetta nel registratore, riavvolse il nastro e la guardò.

Alla luce del focolare sempre più debole, i suoi occhi brillavano come cosparsi da mille scintille.

 

- Hai mai ballato a coppie? Intendo, con un uomo?

 

- Mmh, forse.. una volta. Due per imparare. 

 

- Bene. 

 

Le diede le spalle e si tolse la camicia, com'era solito fare quando si allenava, scoprendo una gamma completa di muscoli perfetti, scolpiti al punto giusto, e una marea di minuscole cicatrici dovute all'evidente impegno che ci metteva ogni volta che ballava e chissà a cos’altro.

Contro la sua volontà, Jackie rimase a bocca aperta davanti al fisico del fratello.

Non se ne intendeva per niente del corpo maschile, ma non si aspettava certo una cosa del genere.

Anche perché, i vestiti nascondevano benissimo il suo fisico.

Chiuse la bocca, rimproverandosi nella mente, e ammirò quella scultura greca con stupore. 

Suo fratello era davvero un gran bel ragazzo!

 

Luca, del tutto ignaro dell'effetto che aveva provocato sulla sorellastra, si voltò e le porse le mani.

 

- Non sono capace. - mentì lei.

 

- Non è vero, sono certo che sei capacissima. E' una tutta questione di testa, credimi. Non devi convincerti di saper fare qualcosa, ma devi convincerti a voler dimostrare agli altri ciò che sai fare.- disse lui, pendendole le mani e accennando qualche passo lento. La musica partì.

 

- Chi ti ha detto queste cose? - Jackie assecondò i movimenti del fratello.

 

- La mia insegnante di danza, tanto tempo fa, quando avevo lo stesso problema. 

 

Ballarono per un pò, o meglio, girarono lentamente senza seguire alcun ritmo, studiandosi ancora.

Grazie alla musica, a Jackie venne voglia di ballare, ma Luca la fermò, perché la canzone era finita.

In attesa della successione, lui la fissò profondamente.

 

- Dimostrami quello che sai fare.

 

Ciò che accadde dopo, accade solo quando la passione diventa travolgente, e la musica si prende tutto il merito di un eccellente risultato.

Appena la canzone partì entrambi si lasciarono trasportare, abbandonandosi alle grazie della danza, improvvisando una coreografia.

Certo, un poco scoordinata, ma fratello e sorella erano in perfetta sintonia. 

Non si può dire che insieme si completarono in un binomio perfetto però, perché ciò può accadere solo con gli amanti. 

E Jackie non era certo la donna di Luca. 

 

 

---

 

U.S.A.

Los Angeles

pieno gennaio 1983

 

Tra un videoclip e l'altro sentì di nuovo il bisogno invisibile di comporre nuova musica. 

Il lavoro era quasi completo, ma sebbene ci mettesse tutta l'anima, non ce la faceva più.

Il bisogno di esprimersi era più forte di qualsiasi altra volontà, e per la prima volta dopo il giorno dell'uscita di Thriller, fece il suo ingresso nel suo studiolo privato, la stanzetta che di lui aveva visto ogni faccia, perché solo lì dentro si era permesso di esprimersi.

Nessuno poteva entrarci: era l'archivio dei suoi segreti, dei suoi progetti che non intendeva mostrare, dei suoi capolavori che aveva deciso di tenere per sè.

Solo la donna delle pulizie e Jackie ci era entrata, e solo una volta, quando lui doveva trovare un posto sicuro per rivelarle un segreto del quale non rammentava molto bene i dettagli.

O forse si. 

Ah già, la vitiligine. 

 

Appena varcò la soglia di quella piccola fetta della sua casa a Encino, venne avvolto immediatamente dall'aroma dolce e antiquato dell'apparecchiatura, del registratore e del parquet fresco di lucido. 

Contento, fece una piroetta e si chiuse dentro, pregustando già l'intensa sensazione di essere al pianoforte.

Sebbene non gli piacesse la solitudine, cercò di godersi l'intimità di quel momento, solo con sè stesso, e scacciando pensieri sollevò la pesante barriera di legno scuro che proteggeva i tasti bianchi e neri.

Alla vista di quella geometria così dura e precisa sentì i nervi crollare.

Forse era lo stress, forse la nausea dovuta ad esso, ma qualcosa lo bloccò sul posto.

Patetico cercare di rallegrarsi da solo, quando era ben consapevole di poter fare poco o niente per il suo stato d'animo.

Si sentì improvvisamente amareggiato, e sebbene si fosse sentito così in molte occasioni, faticò ancora a credere che ci fosse dolore più intenso della solitudine.

Perché gli altri potevano essere felici e lui no?

Fece per chiudere di nuovo lo strumento ma qualcosa svolazzò fuori.

Doveva essere un biglietto, o qualcosa di simile, perché era piatto e rettangolare, dalla carta grigia, probabilmente riciclata.

Michael si abbassò per raccoglierla e esaminarla, e appena la prese fra le dita sentì che era vellutata.

Incuriosito e piuttosto sorpreso si sedette sul pavimento e girò e rigirò il misterioso oggetto più volte.

Era una busta, senza alcun mittente, con sole poche lettere "Michael". 

Non riconobbe la grafia, perché era in stampatello e scritta con una penna dalla punta molto fine, e la aprì.

La carta era profumata, l'odore si sparse ovunque, riempendo la stanza potente come un abbraccio caloroso.

Da quel fenomeno Michael capì tutto, e prima ancora di iniziare a leggere, un sorriso gli comparve in volto.

 

Sai, qualche giorno prima di partire credevo di averti sentito piangere. 

E mi sono sentita in parte responsabile al pensiero di lasciarti in queste condizioni. 

Ciò è imperdonabile, non ci sono scuse. 

Allora, ogni giorno appena posso mi siedo e penso, e penso, e penso.

Penso a te, a come rimediare a tutto questo, a cosa poter fare. 

E con questo si spiega tutto. 

E ora dimmi, ti senti ancora così solo, adesso? 

Si? Davvero? 

Ma come? Come puoi? 

Certo, non sono con te in questo momento, ma ti ho mai detto ‘addio’? 

Quindi ricorda: non sei mai solo. 

Perché anche se siamo lontani, io sono lì con te. 

Chiamami, scrivi tre parole, e quando avrai bisogno arriverò di corsa. 

Io sono lì con te. 

Credimi che anche da qui riesco a sentirti cantare, riesco a sentire la tua voce e il suono dei tuoi passi. 

Quindi, non c’è bisogno che tu te ne accorga. 

Io sono qui con te, e tu non sei solo. 

Ti voglio bene

 

Tua Jaqueline

 

Cosa lo avrebbe fatto piangere di più in quel momento? 

Forse nulla, perché leggendo quel piccolo biglietto riuscì a sentire dentro la carta e quelle parole l'amore con cui era stato scritto.

Era un messaggio sincero. 

 

Si Jackie, per adesso non mi sento più solo. 

 

 

 

---

 

Italia

Firenze, Villa Flint

alba, pieno gennaio 1983

 

Dopo essersi vestita, Fabiana scese al piano di sotto per preparare la colazione. 

Era una giornata grigia, e pesanti nuvole minacciavano la terra degli umani con l'atmosfera rude e violenta del temporale.

Che tristezza che le tramandavo le foglie degli alberi che si muovevano al ritmo del vento e le mucche del pascolo che si ritiravano nella stalla o voltavano la groppa all'aria gelida.

La sorella maggiore si stupì, quasi, della propria ispirazione e, sognando ad occhi aperti una vita da celebre scrittrice, entrò in cucina a passo di danza.

Ma c'era qualcosa di strano.

Perché il cappello di lana grigia di Anna, ora di Jackie, non era più appeso accanto alla porta d'ingresso?

Che fine aveva fatto il suo impermeabile verde militare? O grigio cemento, comunque per Fabiana quello era un colore orribile.

E a chi apparteneva quel tranquillo ma rumorosissimo russare pacifico che proveniva dal salotto?

Entrò nella stanza.

 

Luca era lì, steso a pancia in su sul divano, col torace scoperto e la testa rivolta all'indietro, le gambe aperte e le braccia abbandonate ai lati.

La sua gola gorgogliava, segno evidente che alle 5.50 era ancora rapito dal sonno.

Uno spettacolo al limite del disprezzabile, se non fosse stato un ragazzo così avvenente. 

Che cavolo aveva fatto tutta la notte?

 

- Emh.. Ehi! Yuhuu! Sveglia! Sveglia! Che è successo qui? - gridò poco convinta la donna castana, grattandosi confusa la testa. 

Notando che il fratello non rispondeva ai suoi richiami, si tolse una ciabatta e gliela tirò con forza addosso.

Lo centrò sul mento, e il risveglio aggressivo del biondo fu inevitabile. 

 

- Ahi! Fabi!.. Che diavolo! .. Ma che ore sono? - sbottò stordito, con gli occhi quasi chiusi e la voce impastata.

 

- Luca! Alle 7.00 tu e Jackie dovete partire e tu sei ancora qui a dormire e non sei neanche vestito! Ma che hai combinato stanotte? Perché non eri nella tua camera? - Fabiana era sconcertata. 

 

Come per magia, il fratello fu improvvisamente sveglio. Fissò la sorella con gli occhi sbarrati e, come se si fossero parlati col pensiero, capirono all'istante.

 

- Jackie!! - gridò la castana, precipitandosi nella camera della sorella più piccola, colta da un improvviso sospetto.

Per Luca invece, quel dubbio era già fondato.

Dopo che quella notte avevano ballato, il sonno lo aveva rapito per primo, poiché erano rimasti in piedi sino alle 4 di mattina.

In quel momento Jackie era stata perfettamente sveglia, e mentre lui si era sdraiato rintronato sul divano, lei era rimasta in piedi. 

E aveva portato al piano inferiore la sua unica valigia.

 

Luca si sedette sul divano a pensare e a rammaricarsi. 

Non era riuscito a fermarla, e non avrebbe potuto proteggerla.

Quando avvertì la presenza di Fabiana sull'uscio della porta, e la sua espressione preoccupata, alzò lo sguardo verso di lei e la guardò con una faccia da vecchio triste.

 

- Se n'è andata - disse - è partita per la Spagna. Avrà preso l'aereo delle 5.00. Vuole cercare Guglielmo da sola. 

 

E, colmi di preoccupazione, cominciarono la loro routine quotidiana come al solito, ormai consapevoli di non poter fermare la sorella minore.

Jackie era, ed era sempre stata, uno spirito libero.

 

 

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Capitolo 49
*** Capitolo 49 ***


Il successo è sempre stato figlio dell'audacia.

 

 

Spagna

Nei cieli presso Donostia

pieno gennaio 1983

 

Dubbiosa, Jackie sbirciò fuori dal finestrino, e vedendo la terra avvicinarsi a poco a poco, sbuffò di paura.

Aveva già vissuto quel momento tante volte, fra il via vai quasi continuo tra Italia e America per trovare la sua famiglia, ormai diventanti per lei come la migrazione degli uccelli selvatici, ma l'atterraggio era la fase del viaggio che detestava di più.

Si sentiva come risucchiata verso un vortice sotto di lei, ma il fatto di esser da sola senza nessuno accanto e in una terra sconosciuta, non la faceva sentire a disagio.

Si sentiva sicura, nonostante tutto, perché era motivata dalla ricerca che l'aveva spinta fin lì.

 

La Spagna non era che un paese come molti altri.

L'aria era densa, pesante, come in un bar molto affollato, e non c'erano fiori o nuvole a rinfrescarla.

Persino la gente sembrava accaldata, sebbene fosse pieno inverno. 

Una popolazione schiacciata da un'afa gelata.

 

La gente che le passava accanto non la degnava di uno sguardo, e del resto era meglio così. 

Con gli occhi fissi sul cielo grigio Jackie tirò fuori dalla tasca il biglietto con l'indirizzo consegnatole da Giada.

 

Zaragoza Plaza, Donostia.

Suspira Por Carretera, 87/10

Gravino

 

Si chiese se ce l'avrebbe fatta.

E se Guglielmo nel frattempo avesse cambiato casa?

Era del tutto plausibile. Dopotutto, erano passati molti anni.

Sarà andato avanti con la sua vita, senza pensare più a loro, oppure no?

Comunque, era troppo tardi per tornare indietro. 

Alzò la mano e chiamò un taxi.

Poi dettò, in un accento un pò grezzo, l'indirizzo all'autista, un uomo tarchiato quanto simpatico che, ridendo di gusto per gli errori lessicali della giovane, la corresse gentilmente e la portò a destinazione. 

 

---

 

Italia

Firenze, Villa Flint

gennaio 1983

 

- Andata? E non l'avete fermata?

 

Nonno Andrew, dopo aver saputo la notizia della partenza della nipote, era andato in escandescenze. 

Fabiana e Luca si erano presi la strigliata senza replicare: sapevano che la furia dell'anziano era causata solo dalla preoccupazione.

Un sentimento che l'aveva tormentato per anni, quando Jackie era in America e non li aveva ancora scovati. 

 

Fabiana tentò di appoggiare la mano sul braccio dell'uomo anziano in un pacato tentativo di calmarlo.

 

- Nonno ti prego, non agitarti. Siediti e lascia che Jackie vada per la sua strada. - disse, preoccupata per la sua salute.

 

- Come potete dire così? Non vi è bastato vivere la vostra infanzia lontani da vostra sorella, senza poter sapere se era malata o se stava bene?

 

I due fratelli si guardarono. Non avevano mai potuto farci niente.

 

- Vedrai che al più presto ci telefonerà, e ci farà avere sue notizie. E' una ragazza responsabile. - disse Luca, tentando di calmare gli animi.

Tuttavia, sembrava cercasse di rassicurare sè stesso prima degli altri.

 

---

 

Spagna

Donostia, presso destinazione

gennaio 1983, qualche ora dopo aver lasciato Villa Flint

 

Il quartiere era situato in una zona tranquilla, gradevole rispetto al ritmo frenetico di quella città.

Non c'era nessuno in giro, e nonostante la presenza di pochi alberi in un parco accanto, per Jackie l'aria continuava a puzzare. 

Scese dalla sgangherata vettura gialla che l'aveva scortata fin lì, tirandosi dietro il borsone rattoppato che era suo bagaglio, pagò l'autista con i soldi che aveva in tasca e si guardò intorno, disorientata. 

La determinazione cominciava a venirle meno. 

E se avesse commesso un errore?

E se Guglielmo non li avesse cercati fino ad ora perché voleva dimenticare il suo passato?

 

Coraggio Jackie, ormai sei qui. Devi almeno tentare. Dimostra almeno a te stessa che sai lottare se vuoi qualcosa, si disse sottovoce. 

 

Tirò fuori il biglietto e, dopo aver riletto ancora una volta l'indirizzo per farsi coraggio, passò in rassegna la strada una ad una. 

… Stellata Por Carretera… Virginia Camela Carretera… Suspira Por Carretera.

 

La strada era ampia, deserta. 

Ai lati, due file di case color panna, figlie probabilmente di una sola mente, considerata la struttura uguale per ogni abitazione.

Alla fine della via s'intravedeva un parco verde, e una grossa quercia che si stagnava contro il cielo.

A quella piacevole visione, Jackie sorrise.

Quella quercia le ricordò casa sua, i suoi alberi e i suoi prati, e rincuorata, cominciò il suo cammino, leggendo i numeri di ogni abitazione. 

Una donna si affacciò a un balcone a destra per sbattere un tappeto e, appena la vide, si fermò ad osservarla con curiosità. 

Jackie finse di non averla notata, sentendosi a disagio e quando sentì il rumore di due persiane chiudersi, si promise che la sua avventura in quella terra a lei così ostile sarebbe durata il meno possibile.

Il suo sesto senso le raccomandava esattamente la stessa cosa. 

 

84.. 85.. 86… 87. Eccola.

Jackie si fermò al centro della strada per recuperare un pò di fiato e per prepararsi a chissà quale incontro.

La casa era enorme, ma non più grande di Villa Flint, o della casa di Michael a Encino. 

Quadrata, bianca, dal tetto dalle tegole rosse, nascosta dal cancello alto in muratura. 

Davanti c'era un giardino piccolo ma grazioso, con l'erba rasa e i fiori variopinti che si affacciavano dai vasi di terracotta e aiuole a terra, sfoggiando vanitosi i loro colori sgargianti. 

L'ingresso e il campanello erano situati sotto una piccola tettoia. 

Le finestre erano aperte ma dietro i vetri perfettamente lustri Jackie intravide delle tende tirate. 

 

Sembra proprio l'abitazione di qualcuno di facoltoso, come un notaio o un giudice… Chissà che occupazione ha ora mio fratello, pensò Jackie. 

 

Si avvicinò all'ingresso: il citofono segnavano un solo nome.

Gravino Garcia.

Jackie fece un salto di gioia.

Allora Guglielmo era ancora lì!!

E Garcia chi era?

 

Ansiosa e eccitata più che mai, schiacciò con forza il campanello prima che potesse cambiare idea e trattenne il fiato. 

Nessuno rispose, ma la porta della casa si aprì lentamente.

Jackie si aspettò di veder comparire la figura che mille volte aveva immaginato, ma sull'uscio comparve una figura femminile. 

A prima vista bella e aggraziata.

Indossava un grembiule candido, ricamato finemente, e i capelli neri come l'ebano erano legati in un fermaglio.

Jackie rimase di stucco.

La donnina la guardava sorpresa: aveva un viso fine e grandi occhi nocciola che la scrutavano colmi di curiosità. 

Tuttavia, sorrise cordialmente.

 

- Hola! - esclamò, e Jackie rimase spiazzata. Non conosceva molto lo spagnolo.

 

- Hola! - rispose, mentre la donnina le apriva il cancello.

La pelle color panna sembrava brillare al sole come bagnata.

 

- Que quieres? 

 

Jackie pensò un attimo cosa rispondere. 

Chi era quella donna? Guglielmo si era sposato?

Era del tutto probabile.

Fece mente locale e tirò un lungo sospiro, per darsi coraggio.

Le mani le tremavano.

 

- Mi nombre es Jacqueline Foster, vengo de Italia…. Mi madre era Anna Flint. Estoy aquí por mi hermano… My hermano… Guglielmo.

 

La donnina spalancò gli occhi, sbalordita, una manina dalle minuscole dita davanti alla bocca, aperta tant'era lo stupore.

Jackie rimase in attesa: doveva essere una bella sorpresa per tutti.

La reazione della donna le fece capire che ella sapeva la storia di Guglielmo e della tragedia che aveva colpito la famiglia Flint.

 

Appena la donnina si riscosse dalla sorpresa, si schiarì la voce.

 

- Allora tu parli italiano, e in inglese?. - disse in inglese col suo accento iberico. - Gugliemo mi tiene lezioni di lingua italiana e inglese. - spiegò appena vide lo sguardo confuso della ragazza.

 

- Oh..- Jackie non sapeva cosa dire. - Bè… Sono qui per lui, ecco. Io e miei fratelli lo stiamo cercando da tempo.

 

- Lo so. Conosco tutta la storia, de tua famiglia e de tua madre. E Guglielmo parla me di te. Parla me di sua amata sorella, piccola Jackie, e lui no mai smesso di cercarti!

 

Il cuore di Jackie fece un balzo.

Guglielmo non aveva mai smesso di cercarla!

Allora non si era dimenticato!

Un'ondata di sollievo e felicità la travolsero come un getto d'acqua fresca, e spontaneamente sorrise.

 

- Che sciocca! My nombre es Lupe Garcia. Guglielmo no es in casa, ma tornerà, e faremo grande sorpresa. E grande festa! Che felicitas por lui, ritrovar familia! Oh che felicitas! Vieni in casa Jaqueline, es la benvenuta. - la invitò saltellando verso di lei.

 

Jackie rise, e anche Lupe con lei. 

La scena era esilerante, sembrava di aver incontrato una lontana parente.  

Insieme entrarono in casa. 

Jackie si sentiva a suo agio con Lupe e la fortuna di averla trovata la rese euforica.

Inoltre, presto avrebbe rivisto Guglielmo, suo fratello!

Per quanto tempo aveva bramato quel momento!

 

Appena varcò l'uscio il tepore di un caminetto acceso la ricevette come un abbraccio desiderato. 

La stanza era spaziosa e accogliente, con le pareti bianche e il pavimento di legno. 

Mobili intarsiati di colore scuro ornavano lo spazio ordinatamente e con gusto.

Jackie ammirò la sala mentre Lupe le appendeva il cappotto a un gancio sul muro e si dirigeva in cucina per prepararle qualcosa da bere.

Jackie la seguì: non aveva finito di parlare.

 

- Hai detto che Guglielmo quindi ha cercato di rintracciare la mia famiglia? - chiese.

 

- Oh, si. Tengo molte cose da spiegarti, nina. Siediti qui. Ora racconto.

 

Mise a bollire un piccolo bricco luccicante, poi si appoggiò al tavolo della cucina. Padelle, mestoli di legno e altri strumenti di gastronomia erano appesi dietro di lei.

Jackie deglutì, attendendo con impazienza di ascoltarla, mentre il cuore le esplodeva. 

Le parole pronunciate da Lupe le arrivarono come frecce al cuore.

 

- Guglielmo no ha mai dimenticato sua origine, lui tiene molti ricordi di voi, de sua familia, e più di tutto, lui tiene alato ricordo di te. 

 

 

 

 

 

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Capitolo 50
*** Capitolo 50 ***


 

Ritrovarti è stato come tornare a vivere. 

 

Spagna, Donostia

Suspira Por Carretera, 84

1983, pieno gennaio

 

- Non credo che sia saggio raccontarti. Credo che Guglielmo raccontarti.

 

Lupe le aveva versato una tisana bollente e dal colore scuro in una tazza enorme e l'aveva guardata con gli occhi gonfi di lacrime emozionate.

Jackie capì che quella novità l'aveva colpita. 

 

- Sei molto gentile Lupe. - le disse.

 

La donnina sorrise e la fece accomodare in sala.

 

- Riposa. Il viaggio è stato lungo? Sdraiati e preparati per l'arrivo di Guglielmo. Entro sera sarà di ritorno.

 

Jackie annuì, e anche se le domande che voleva porle erano innumerevoli e turbavano la sua mente.

 

- Lupe! - la chiamò ancora. - Ma tu… ma… tu sei la moglie di Guglielmo? - e mentre parlava, le guance di colorarono di mille sfumature di rosso.

Così come quelle di Lupe.

La donnina la guardò un secondo con gli occhi sgranati e poi scoppiò in un allegra risata.

 

- Oh nina mía! No matrimonio. Sono solo la sua domestica! - e, ridendo ancora di gusto, sparì in cucina, dove Jackie la sentì canticchiare.

 

Approfittando di quell'attimo di pace si mise più comoda, attendendo con ansia il ritorno del fratello.

Per ingannare il tempo, prese dalla borsa un piccolo foglio stropicciato e una penna quasi del tutto consumata. 

 

Mamma,

finalmente ti scrivo dalla Spagna. Hai visto che ce l'ho fatta? 

Sto per rivedere Guglielmo, e sono quasi del tutto sicura che tutto si sistemerà.

Vedrai che riusciremo a riunire tutta la famiglia.

 

 

Poche righe, e la penna cadde sul pavimento.

Jackie aveva lasciato la presa, rapita dal sonno e dalla troppa stanchezza.

Quella lunga giornata non era ancora finita, ma le forze l'avevano già abbandonata.

 

---

 

Los Angeles,

Studi cinematografici Epic

pieno gennaio 1983

 

Il set era affollato, diversamente da tutte le altre volte dove lui, ed esclusivamente lui, solo protagonista, dominava la scena.

La folla non gli era mai piaciuta particolarmente, ma i ballerini, (che non erano veri e propri ballerini, ma autentici accattoni, sgrinfie e bulli pescati dalla strada) al contrario delle aspettative, erano simpatici ed educati.

Michael si era sentito bene con loro, anche se aveva notato una maggiore attenzione da parte dei suoi BG, in particolare Albert.

Nulla sfuggiva agli occhi di quegli uomini super addestrati e grandi come armadi.

Era evidente che non si fidavano, e la sua sicurezza era la priorità assoluta.

Anche Quincy, che ogni tanto assisteva alle riprese per dare il suo buon consiglio, non sembrava particolarmente tranquillo.

Tuttavia, il lavoro procedeva.

E le vendite salivano, salivano...

 

Ma in quell'orchestra dall'atmosfera così intensa e gioiosa come poteva non esserci una sola nota stonata?

Ogni ora Michael la ricordava, e un pensiero volava fino a lei, oltre oceano, accompagnato forse da un bacio e una carezza. E ogni sera, probabilmente, versava per lei anche una lacrima.

Era via da troppo tempo, veramente.

Jackie doveva tornare.

 

---

 

Italia

Firenze, Villa Flint

pieno gennaio 1983

 

Con la lentezza di un'agonia dolorosa, Fabiana gettò una patata appena sbucciata nel secchio pieno d'acqua alla sua sinistra e ne colse un'altra dal cestino alla sua destra.

Dietro di lei, Luca se ne stava seduto al tavolo, chino in avanti, reggendosi la testa coi gomiti e le mani strette fra i capelli, come se volesse strapparli.

Di fronte a lui, nonno Andrew fumava la pipa con lo sguardo perso nel vuoto, le dita che battevano ritmicamente sul tavolo in legno d'acero.

Sul divano lì accanto, zia Caterina lavorava la lana distrattamente, graffiandosi più volte le dita rugose con l'uncinetto aguzzo.

Il silenzio sovrastava sulla villa, e solo qualche muggito proveniente dai pascoli all'esterno riportava la famiglia ogni volta alla realtà.

 

Stufa di quell'insopportabile calma, rotta solamente dalle lancette dell'orologio e dallo sbattere ormai quasi continuo delle dita di nonno Andrew, Fabiana esplose.

 

- Basta! Non ce la faccio più! - urlò sbattendo il coltello sul tagliere, che si spaccò fino a metà. 

Andrew e Caterina trasalirono.

 

- Che accade? - chiese lui, alzando la voce.

 

La giovane li guardava con gli occhi accesi di esasperazione.

 

- Sono solo poche ore che è partita, e noi ce ne stiamo qui come se non avessimo sue notizie da tempo! Non si può continuare così! E' ovvio che ci farà sapere qualcosa, oggi o domani! E poi, vi devo forse ricordare che siamo stati 9 anni senza di lei, senza poterle parlare o senza sapere come stava? E in tutti quegli anni perché non siamo rimasti come adesso? Come dei vermi che strisciano!

 

Fabiana sbuffò, concentrando la sua ira solo nell'aria che espirava.

Il nonno la guardò severo.

 

- Ora calmati nipote. Comprendo il tuo furore, ma ora stai esagerando. 

 

Luca, che fino a quel momento non si era mosso, si alzò di scatto.

 

- Hai ragione sorella. Non possiamo continuare così. Anche se vorremmo che Jackie restasse con noi, sappiamo che lei non lo farà mai. In America o in Spagna o Dio solo sa dove vuole portarsela, il suo posto non è qui.

 

Quelle parole bruciarono come carboni ardenti nella gola di tutti, poiché ognuno era consapevole che quella era nientemeno che la verità.

 

- E' una ragazza coraggiosa, che ha imparato a cavarsela da sola. Anche se sarei andato con lei in Spagna, le sarei stato d'intralcio.

 

Un'altra verità.

 

- Ora quello che mi chiedo - continuò il biondo - e se davvero riuscirà a riportare Guglielmo a casa…

 

Il silenzio crollò di nuovo.

Un silenzio muto di dolore ma anche pieno di speranza.

I due vecchi si ritirarono nelle loro attività, preoccupati per i continui eventi che assillavano gli amati nipoti, e Luca uscì in veranda a suonare la chitarra.

Doveva riordinare i pensieri e sfogare l'enorme vuoto che sentiva dentro al cuore: la mancanza di Jackie.

Fabiana invece reagì in modo più forte.

Lei aveva la capacità di trasformare il dolore e il fastidio in qualcosa di costruttivo. 

Si ritirò in camera sua, doveva aveva sempre dormito sin da quando era nata, e sedette alla scrivania.

Il blocco di fogli contente la bozza del romanzo che intendeva pubblicare, La Flotta Da Pesca, sembrava osservarla tristemente dal suo angolino, in attesa che lei lo continuasse.

La castana restò un attimo a pensare.

Poi, accompagnando il gesto della mano con un sorriso, estrasse un foglio bianco dal cassetto e cominciò a scrivere, ispirata.

Il titolo la faceva ridere di gusto.

Quanto costa una sorella?

 

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Spagna, Donostia

Suspira Por Carretera, 84

1983, pieno gennaio

 

Era rimasta per quasi due ore in un fastidioso stato di dormiveglia che l'aveva resa ancor più stressata, quando udì il rumore di una porta che si apriva e una voce mai ascoltata, dal tono dolce completamente nuovo ma così familiare…

 

- Lupe! Soy qui! He vuelto! - Quella voce… Solo a una persona poteva appartenere.

 

Balzò in piedi come se fosse stata colpita a un fulmine. 

L'emozione che la devastava dentro e fuori era a pari livello dello stupore dell'uomo appena rientrato, che aveva visto comparire dal nulla quella sconosciuta così sconvolta, in casa sua, sul suo divano.

 

Nei pochi silenziosi attimi che seguirono, e che parvero eterni, i due si studiarono, vagando con le menti in direzioni opposte.

Jackie non respirava più, e guardava l'uomo con gli occhi sbarrati, ammaliata dalla sua sola presenza che tanto aveva bramato.

 

Guglielmo era alto e magro, come stirato, dalla corporatura secca e la pelle candida quanto quella di Lupe.

Fini capelli neri come la notte erano legati in una coda ordinata e due occhi scuri e profondi come laghi erano intenti a fissarla sbalorditi. 

Nulla nell'aspetto fisico li accomunava, ma il sangue li univa come un matrimonio.

Era rimasto in piedi, sulla soglia, immobile come una plastica plasmata nello stupore. 

 

Jackie non ebbe il tempo e la lucidità di pensare a cosa dirgli, come giustificare la sua presenza lì, il fatto che stava dormendo sul suo divano, che le parole pronunciate dal fratello stroncarono ogni sua forza, ogni energia rimasta, rinnovando quella del tornando d'emozioni che le aveva bloccato la mente e il respiro.

 

- … Jackie… Jaqueline, es usted? 

 

Si era forse sognata sentirlo pronunciare il suo nome?

Forse Lupe doveva essere comparsa dalla soglia della cucina e doveva aver annuito commossa perché Guglielmo le si avvicinò e l'abbracciò, incredulo quanto lei ma con un moto di convinzione nei gesti.

Non potendo più resistere, Jackie scoppiò in lacrime.

L'aveva riconosciuta, l'aveva abbracciata.

L'aveva ritrovato.

Non era tutto perduto. 

 

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Capitolo 51
*** Capitolo 51 ***


 

Il viaggio comincia laddove il ritmo del cuore s’espone al vento della paura.
 

Spagna, Donostia

Suspira Por Carretera, 84

1983, pieno gennaio

 

 

- Quindi, se ho ben capito, dopo che tu e Joey siete venuti qui, lui non ha più voluto che ci rincontrassimo….

 

Guglielmo annuì debolmente, come se quelle parole facessero tornare a galla un amaro ricordo che era riuscito a seppellire. 

 

- Si, doveva essere così perché non mi permise mai di contattarvi. Mi diceva che era inutile, che dovevamo rifarci una vita, e che tutto quanto era troppo per un bambino. Così non ho più insistito, ma non ho mai smesso di pensare alla mia famiglia… a te. 

 

Il suo era un italiano perfetto, senza nemmeno un accenno all'accento spagnolo che invece aveva quando parlava con Lupe. 

Si capiva che aveva organizzato la loro conciliazione da molto tempo.

Jackie si sentiva al settimo cielo.

 

Dopo che l'abbraccio fra loro si era sciolto, avevano iniziato a parlare degli anni passati senza vedersi e a spiegarsi cos'era successo durante quel lungo arco di tempo.

Guglielmo aveva raccontato la sua storia: aveva studiato nella più prestigiosa accademia di Madrid e dopo aver conseguito il diploma si era specializzato nelle lingue ( ne conosceva ben quattro: spagnolo, inglese, francese, tedesco ) ed era diventato un bravissimo interprete. 

Dopo la morte del padre Joey per un infarto, appena tre anni prima, Guglielmo era ritornato a vivere in quella casa, che aveva ospitato il padre negli ultimi anni della sua vita.

Dopo aver appurato che Joey aveva cancellato ogni vecchia traccia della sua vita in Italia, ogni traccia di Anna, si era dato da fare per cercare di ritrovare un indirizzo, un numero telefonico o qualcosa che avesse potuto ricondurlo a loro. 

 

Dopo che il racconto fu terminato, Jackie raccontò la sua storia, senza tralasciare il minimo dettaglio.

Si conoscevano da pochissime ore ma la loro confidenza era a tali livelli che sembrava non si fossero mai separati.

Quello strano modo d'intendersi era forse dettato dal legame di sangue che li univa, o dalle due personalità così simili da completarsi?

 

Dopo il racconto di Jackie, Guglielmo aveva cambiato espressione. Atterrito quando lei gli diceva di George e delle sue violenze, sorridente quando gli parlava di Michael e sorpreso quando gli disse della sua folle decisione di rimanere in America.

Tuttavia, dopo un'altra dose di spiegazioni, le stesse che aveva riservato anche a Luca, a nonno Andrew e alla sorella maggiore, Jackie riuscì a fargli comprendere le ragioni di quella scelta, e Guglielmo aveva annuito a occhi chiusi.

 

- Sei così coraggiosa.. e così forte - le disse quando ebbero finito di parlare. Le strinse le mani con affetto. - Sono così contento di averti ritrovata e ti prometto che non ci separeremo mai più. Verrò a trovarti periodicamente in America, e tu potrai venire qui quando lo desideri. 

 

Jackie lo ringraziò commossa. 

 

- Fratello, ora però devi tornare anche tu in Italia. I nostri fratelli ci stanno aspettando, e anche il nonno e la vecchia zia Caterina. E' anche loro diritto vederti, no?

 

- Partiremo domani stesso per Firenze! Non dovrai preoccuparti di nulla, penserò io al viaggio! - esclamò lui tutto felice.

 

- No Guglielmo, io non verrò con te. - Jackie sospirò, vedendo il fratello fissarla confuso e dispiaciuto, e si affrettò a spiegare. - Sono stata via troppo a lungo da casa: ho lasciato il lavoro in uno stato confusionale e devo proprio tornare. E a parte questo.. voglio tornare! Michael mi manca da morire… e anche Albert e Quincy..

 

- Capisco .. - rispose Guglielmo lentamente. - Allora, partirò da solo per l'Italia.

 

Jackie gli strinse la mano.

 

- Vedrai che presto ci ritroveremo tutti insieme a casa. Tutti insieme. 

 

La cena che consumarono poco dopo si rivelò fortunatamente più festosa del loro colloquio. Insieme a Lupe, che si faceva raccontare e raccontava, i due fratelli ritrovarono il buon umore e fra risate e chiacchiere la serata passò.

 

Dopo cena, Guglielmo raccolse la mano di Jackie e la condusse in salotto. Prelevò un libro dallo scaffale più in alto e dalle pagine estrasse un piccolo rettangolo ormai ingiallito e piegato in un angolo.

 

- Guarda - le disse - Questa è l'unica cosa che Joey non ha potuto sottrarmi. L'ho nascosta e l'ho tenuta sempre con me, per ricordarmi. 

 

Le porse l'oggetto: era una vecchissima foto in bianco e nero. Raffigurava Anna su un divano, lo stesso che c'era ancora a villa Flint, con Luca, Fabiana e Guglielmo accanto a lei. 

Erano tutti così diversi! constatò Jackie.

In grembo Anna reggeva un minuscolo fagottino da cui spuntava un visino smarrito ornato da due ciocche ricce e due piedini talmente piccoli da sembrare ricamati a mano. 

Gli occhi spalancati fissavano l'obbiettivo con stupore, ma in quello sguardo così disorientato vi era anche una piccola scintilla di inspiegabile intelligenza.

 

Jackie stava ancora guardando la foto commossa quando avvertì le braccia del fratello stringerla in un vigoroso abbraccio.

 

- Ancora qualche anno .. - le disse sorridente - .. e avrei rischiato di innamorarmi di te!

 

- Oh Guglielmo! - esclamò lei, ebbra di gioia. - Sono così contenta di averti ritrovato!

 

Dopo che la domestica spagnola se ne fu andata Guglielmo offrì la sua camera da letto a Jackie e si sistemò sul divano.

Lei provò a rifiutare ma gli fu impossibile: il fratello era irremovibile. 

Una volta che si furono dati la buonanotte, Jackie si rintanò sotto le candide lenzuola di seta e stringendo a sè il cuscino dall'odore familiare ringraziò Dio per quella giornata così densa di emozioni. Sfinita, si addormentò col sorriso sulle labbra. 

 

Appena qualche ora dopo un nuovo sole illuminò il cielo grigio, e i due fratelli si ritrovarono all'aeroporto come per magia. 

Erano stati così a lungo separati che ora entrambi erano riluttanti a dividersi.

 

- Verrò presto a trovarti in America, e ti scriverò delle lettere. E ti telefonerò… - le disse lui, stringendo le mani di Jackie dopo averle coperte di baci.

 

Lei era troppo commossa per rispondere.

 

- Ti aspetto allora … - riuscì solo a dire. 

 

Si abbracciarono. Jackie annusò l'odore del fratellastro: sapeva di crema di latte, e il tepore che sentiva stando fra le sue braccia la tranquillizzava.

Solo quando lui fu salito a bordo del suo volo, che partiva prima del proprio, realizzò che tutto quanto era durato troppo poco. 

Guglielmo le mancava già.

 

Appena prima del decollo ricevette un telegramma urgente. Un facchino glielo portò di corsa.

Era di Albert. Le scriveva che aveva saputo da Fabiana della sua partenza e che sarebbe andato a prenderla all'aeroporto di Los Angeles. Le scriveva inoltre di non preoccuparsi che sapeva il numero del suo volo, e come per farle un dispetto, le sottolineò che non resistevano più senza di lei, che Michael stava malissimo e che Quincy era sempre più triste e depresso. 

C'è da immaginarsi lo stato d'animo della povera Jackie, dopo aver letto quelle poche righe. 

Sto tornando! Sto tornando! pensò per tutta la durata del decollo. 

Poi, distratta dalle chiacchiere della sua vicina, un'anziana ma arzilla signora in borghese, si lasciò condurre dalla socialità umana per tutta la durata del volo. 

Quando, dopo ore, l'aereo cominciò la sua fase di atterraggio, Thriller era già l'album più venduto del mondo. 

 

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Capitolo 52
*** CAPITOLO 52 ***


I’m selfish, impatient and a little insecure. 

I make mistakes, I am out of control and at times hard to handle. 

But if you can’t handle me at my worst, then you sure as hell don’t deserve me at my best.

 

 

 

U.S.A., Los Angeles

Aeroporto

1983, gennaio, 12 ore dopo

 

- E' sicuro che siano stati tutti scaricati? 

 

L'assistente di volo alzò le spalle e le mani. Che fine aveva fatto il bagaglio di quella signorina dalla bellezza mozzafiato ma dal carattere impertinente non lo sapeva proprio. 

Jackie sbuffò, mettendosi le mani sui fianchi.

 

- Uffa! - sbottò. - Era troppo tempo che la sfortuna non mi toccava!

 

Risentita per aver perso le tracce del suo unico bagaglio, s'incamminò a vuoto per l'area-arrivi dell'aeroporto. 

Appena sbarcata non aveva perso tempo. Impaziente di riabbracciare i suoi amici aveva fatto i salti mortali fra passaporti e vari documenti per uscire al più presto e guidare a perdifiato verso gli studi (Michael doveva sicuramente essere là).

 Ma qualcosa era andato storto: Albert non si era visto, e la sua valigia era sparita chissà dove. 

Nell'area-arrivi non c'era più nessuno ormai: erano tutti andati via dopo aver recuperato i bagagli, e anche Jackie si accinse a lasciare l'enorme sala. 

Appena fuori si accorse che un uomo distinto la guardava.

O meglio, un giovanotto come lei.

Era impossibile non notarlo, poiché era altissimo e imponente, impeccabile nel suo completo in bianco e nero.

 

Gli occhi nerissimi la stavano guardando con grande curiosità, come se stesse cercando di riconoscerla.

Assomigliava, per portamento e abbigliamento, ai BG che seguivano costantemente Michael in ogni mossa. 

In mano reggeva.. la sua valigia!

Più sorpresa che confusa, Jackie gli andò incontro. 

Non sapendo bene cosa dirgli, si limitò a fargli notare la targhetta con nome e cognome nell'angolo della valigia.

Poi, accorgendosi si essere stata terribilmente maleducata, cercò un modo per scusarsi.

 

- Lo so che è la tua - rispose lui. Aveva una voce molto profonda. - L'ho presa perché so che vuoi andare subito da Quincy e dato che non eri ancora arrivata quando l'ho vista passare, bè.. ci ho pensato io. 

 

Aveva l'aria da duro, ma il suo atteggiamento era dolce come quello di un bambino. Jackie sorrise.

 

- Grazie allora. 

 

- Che maleducato! - lui si battè una mano sulla fronte con fare infantile. - Non mi sono presentato! Io sono Thomas Anderson, vengo per conto di Albert. Sono un suo collega sai? Anzi, si può dire che lui è un mio superiore. Anch'io sono un BG di Michael Jackson! - aggiunse a bassa voce.

 

In effetti, ora che lo guardava meglio, aveva un'aria familiare. Jackie non ci aveva mai parlato perché parlare con i BG era contro le regole: significava distrarli dal loro lavoro, e ciò era vietato. Lui continuò più rilassato.

 

- Mi ha affidato il compito di venirti a prendere e portarti da loro. Albert non è potuto venire perché era in servizio, così sono venuto io. Spero non ti dispiaccia. - E le sorrise. Un sorriso radioso e sincero. 

 

- Affatto. Ti ringrazio molto. - E anche lei sorrise. 

 

Se ne andarono subito e salirono in macchina. L'aereoporto scomparì lentamente alle loro spalle e i due giovani cominciarono a parlare e a conoscersi.

Thomas era un ragazzo intelligente, colto e dalla mente aperta. Jackie lo ritenne da subito estremamente simpatico. Lui le raccontò la sua storia. 

 

- Sono nato nel Kentucky. Mio padre si chiama Aaron e mia madre Keira. Ho anche due sorelle più piccole, Alanna e India, e un fratello più grande, Mathew. Alanna è sempre in viaggio per il mondo per lavoro: è medico ed è volontaria in un'associazione che si occupa dei malati di lebbra in Asia. India è un'avvocato e Mathew un ingeniere. Abitavamo tutti in una villa di campagna accanto ad un ippodromo dove imparai anche a montare a cavallo all'età di dieci anni. C'era un parco bellissimo di cui conservo tanti ricordi splendidi. 

 

Veniva da una famiglia aristocratica, e i suoi modi garbati e il tono gentile della voce sottolineavano le sue nobili origini.

 

- Prima di diventare BG volevo fare l'architetto, ma era un sogno impossibile: non riuscivo a tenere in mano una matita e così, data la mia robusta costituzione, mio padre mi consigliò di tentare in questa direzione. Sono contento di averlo fatto.

 

Inoltre era molto discreto: non c'era una domanda che non le ponesse a cui non aggiungesse un tocco di riservatezza nella voce, come se si trattasse di un segreto, qualunque fosse il loro argomento.

Lei non gli raccontò la sua storia, non si sentiva abbastanza in confidenza per farlo, e non amava parlare di sè. E lui non insistette. 

 

- E tu da quanto tempo conosci Michael Jackson? - le chiese lui dopo un pò.

 

- Da tantissimo tempo. Avevo circa tre anni quando lo conobbi.

 

- E' un sacco di tempo! E' magnifico che siate ancora insieme a lavorare! Si tratta proprio di una grande amicizia!

 

- Già.. grande davvero… 

 

Parlarono ancora. Poi, un ingorgo stradale li costrinse a rallentare la loro corsa verso gli studi. Jackie era nervosissima: non poteva aspettare ancora e quell'attesa la faceva impazzire.

Thomas era divertito dal suo modo di fare. 

Le lanciava di continuo sguardi che tentava di nascondere, e i suoi occhi erano pieni di dolcezza e ammirazione.

Jackie era lusingata da tutta quell'attenzione e anche un poco imbarazzata: sapere che quegli occhi la stavano guardando con tanta attenzione quasi come per attraversarla le faceva arrossire le gote, e il suo stomaco sobbalzava ogni volta che i loro occhi si incontravano sulla stessa strada. 

Oh che immenso turbinio di emozioni l'avvolgevano su quella infinita autostrada!

 

---

 

U.S.A. Los Angeles

finalmente agli studi Sony, area cinema

1983, qualche ora dopo 

 

Si sentiva talmente bene che anche l'aria le sembrava più profumata. 

Da quando era scesa dall'auto di Thomas non aveva smesso di sorridere un solo attimo e man mano che saliva le scale, che si avvicinava al luogo dove lavoravano Quincy e Michael, sentiva il cuore battere sempre più rapidamente nel petto. 

Quando poi, giunta all'entrata della sala dove proprio in quel momento si stavano svolgendo le riprese, sobbalzò appena vide il gruppo di Body Guard davanti alla porta, alcuni dei quali intenti a godersi i minuti di pausa.

Immediatamente in molti la notarono, ma il primo ad averla guardata, il più grosso e robusto di costituzione, era proprio suo fratello Albert, che appena la riconobbe sobbalzò.

 

- Dolcezza!!! - esclamò. 

 

- Albert!

 

Jackie ignorò Thomas dietro di lei e corse incontro all'uomo gigantesco che l'accolse nel suo abbraccio. Che bello rivedersi!

 

- Come sono contento che tu sia qui! Come hai passato il Natale? Come stanno tutti laggiù? 

 

Jackie si accinse a rispondere alle domande e a porne di proprie, quando poi vennero raggiunti da Thomas, che era rimasto in silenzio e in disparte ad attendere la fine dei loro saluti.

 

- Grazie per averla accompagnata Tom. - lo ringraziò Albert. Il giovane scosse la testa. 

 

- Dopo tutti i favori che mi hai fatto Al, questo è il minimo! - rispose accarezzandosi i capelli scurissimi. Jackie sorrise, quando una voce rimbombante risuonò dietro di loro.

 

- Che mi venga un colpo se colei che vedo non è che la mia Jacqueline Annie Foster! - Quincy comparve improvvisamente, a dir poco sorpreso e quanto mai felice. Gli occhi assonnati da tante ore di lavoro si illuminarono immediatamente e anche il suo volto venne illuminato da un sorriso radioso. 

Non appena vide il suo caro "papà", Jackie gli saltò in braccio.

 

- Oh Q, come sono contenta di vederti! - gli disse baciandolo sulle guance. 

 

- E io di vedere te! - rispose prontamente lui. - Va tutto bene? 

 

Lei annuì e parlarono un pò, ma non molto.

 

- Dov'è Michael? - domandò lei impaziente. 

 

- Stanno girando. Non è conveniente entrare ora: aspettiamo almeno un'oretta, poi non avrò problemi a farti entrare. E' che siamo leggermente in ritardo (tanto per cambiare) e Michael è un gran perditempo: sta lì a montare e disfare per ore la stessa cosa, finché non viene perfetta come vuole lui. 

 

- Se migliora il progetto però, non mi sembra una gran perdita di tempo.. - notò Jackie, che conosceva fin troppo bene Michael per non sapere di questa sua particolarità. 

 

- Hai ragione, ma non tutti sono del nostro parere .. - Q sorrise. - Nel frattempo, andiamo a prenderci un caffè? Sono stanco morto! 

 

Parlarono del più e del meno, ma in particolare, di lavoro. Q la aggiornò sulle ultime novità e lei rimase ad ascoltarlo attentamente. 

Poi, quando per il produttore venne il momento di tornare al lavoro, fu Thomas a farle compagnia. 

Le si sedette vicino e le sorrise. 

 

- Mi piacciono gli animali - cominciò. - Purtroppo mia madre ne è allergica e quindi non ho mai avuto altro che tartarughe di terra e pesci rossi. A te piacciono gli animali? 

 

Come possono non piacere gli animali? Loro, che non fanno mai torto a nessuno, che non portano rancore e a cui non importa altro che avere cibo e amore? Si, Jackie adorava gli animali, forse assai più degli uomini, e non trovò difficoltà nell'andare d'accordo con Tom anche su questo argomento.

Lui era così simpatico e comprensivo… le ricordava tanto il suo Michael ma era davvero molto tempo che non gli parlava, che non sentiva la sua voce. 

Cercando di distrarsi dalla voce allegra di Thomas, attese il segnale di Q.

La porta si aprì un'ora e mezza dopo.

 

- Ok, hanno finito una scena. Devono ritoccare l'ultima parte ma penso che ora tu possa entrare senza problemi. Li stanno truccando. - e fece strada.

 

Jackie, che nel frattempo era riuscita ad andare a comprare nel negozio vicino allo studio un gran mazzo di fiori colorati, con tanto di nastro e carta filante, entrò nella sala seguita a ruota da Albert, Thomas e da un loro collega. 

Il set era così incredibilmente realistico: era lo sfondo del videoclip di Thriller che, a giudicare dalla qualità degli elementi presenti, sarebbe stato sicuramente un successone. 

Accanto al set, un disordinato groviglio di persone cerchiavano una sedia sulla quale era seduta una figura a lei ben nota. 

Era dimagrito, e sul volto un'aria assai concentrata. Gli occhi non lasciavano scaturire alcuna emozione se non la sua straordinaria professionalità. 

La tuta rossa di cui era vestito gli donava a pennello. 

Jackie cominciò a sorridere, senza volerlo, semplicemente per pura felicità.

Tuttavia non osò chiamarlo, poiché una ragazza accanto a lui stava truccandogli il viso, che appariva deformato sotto quegli spessi strati di nero, che lo facevano sembrare un vero cadavere. 

Era un effetto meraviglioso, ma come poteva lui parere uno zombie, con quell'aria buona e innocente di cui non poteva liberarsi?

Lei non lo chiamò, ma fu lui, comunque, a venire da lei. 

Senza aver sentito nè la porta, nè la voce di Quincy che era tornato, la pupilla dell'unico occhio aperto si mosse dalla sua parte e per un pò restò così, fissa su di lei, con uno sguardo privo di espressione.

Jackie si chiese se la stesse vedendo, o se guardava senza vedere, e le risposte arrivarono quando lui, come se si fosse svegliato da un sogno, aprì anche l'altro occhio e sobbalzò, voltando la testa dalla sua parte. 

La sua espressione incredula era così buffa che Jackie scoppiò a ridere. 

Quella risata così spontanea fu il gesto che serviva per farlo esplodere.

 

- Jackie!!! - esclamò, finalmente, con la sua voce di sempre, con la sua meravigliosa voce da bambino felice, che era davvero.

 

Senza curarsi della sua truccatrice sorpresa, nè del film da continuare, nè della sua collega che aveva inavvertitamente investito, Michael si precipitò dalla sua compagnia di giochi, fermandosi solo per un attimo a due metri da lei, come per constatare che ci fosse sul serio, e poi raggiungerla. 

 

- Come sono contento di vederti! - si bloccò davanti a lei, consapevole che una moltitudine di occhi li stavano guardando, e poi l'abbracciò euforico. 

 

- Michael! - Jackie si strinse forte a lui, al settimo cielo. Insieme risero, contenti di essere di nuovo insieme. 

Quincy li guardava sorridendo, anche lui evidentemente felice, perché di sorrisi così, da parte di Michael, non ne vedeva da un bel pezzo. 

 

 

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Capitolo 53
*** Capitolo 53 ***


Sii te stesso, tutto il resto è già stato preso.

 

 

U.S.A. Los Angeles

Villa Encino, camera da letto di Michael

1983, fine gennaio

 

- Questi li ha preparati Fabiana: sono i suoi biscotti speciali alle nocciole! Ne ho portati un bel pò, così per i prossimi cinema avremo la merenda assicurata!

 

Jackie gli mostrò i  piccoli sacchetti colorati e poi tirò fuori dalla borsa un altro pacco di cartone, sigillato e dal profumo invitante.

 

- Questa invece è la torta al cocco di zia Caterina. E' buonissima! La fa con le uova delle galline della villa e un ingrediente segreto, così dice lei. Ma io non ne so nulla, quindi non chiedermi niente. 

 

Michael fissava con le lacrime agli occhi tutti quei regali dinanzi a lui. Erano tanti, e tutti bellissimi. 

Non sapeva se essere più felice per tutte quelle prelibatezze, o per le attenzioni che stava ricevendo così indistintamente. 

 

- Non so cosa dire.. - mormorò commosso.

 

- Mentre questo - continuò imperterrita Jackie, ignorandolo - E' il mio regalo per te. Natale è passato ma per queste cose non è mai troppo tardi. - E glielo porse, sorridendogli cordialmente. 

 

Michael annusò il pacchetto quadrato, lo rigirò fra le mani e osservò la carta argentata. Poi, con delicatezza sciolse il fiocco e scartò il pacco.

 

- Un cappello! - esclamò eccitato.

 

Jackie rise mentre lui prendeva in mano quel copricapo così elegante e ne ammirava ogni angolazione, tendendolo in alto. Era un fedora nero con una fascia bianca, dal profilo elegante. Morbido al tatto, profumava di un aroma che ricordava l'antico. Ed era bellissimo. 

 

- Ti piace? - chiese Jackie tentando di nascondere l'ansietà. Sebbene conoscesse i gusti del compagno di giochi, aveva sempre dei dubbi sul fatto che i regali gli potessero piacere. 

 

- E' fantastico! - disse lui. - Uno dei più bei regali di Natale che abbia mai ricevuto. 

 

Appoggiò l'indumento sul letto dov'erano accomodati e si alzò, andando a prelevare qualcosa da dentro un armadio.

 

- Questo è il mio, invece. - Le porse una piccola scatolina vellutata, lunga e stretta, dall'intenso colore blu notte. - Non è niente di speciale ma lo sai che non ho la libertà di girare a lungo per i negozi. 

 

Jackie lo guardò amorevolmente e aprì la scatolina. 

Era un fermacapelli dalla lunga punta di ferro lucido, arrotondata quasi fino a formare una spirale. Sull'altra estremità invece vi era un cuore rosso di smalto, liscio e piatto, dai leggeri contorni neri. 

 

- E' bellissimo! - esclamò Jackie, infilandoselo subito fra i capelli. - Sei un tesoro Mike! - e lo abbracciò rapidamente. 

 

Erano ormai tre ore che stavano su quel letto a scambiarsi doni e ad aggiornarsi sule ultime novità. In particolare, Michael aveva un progetto da mostrarle.

 

- Devo farti vedere una cosa che non ho ancora mostrato a nessuno! - annunciò emozionato. 

 

Jackie attese e lui le srotolò davanti una serie di carte e piante, dopo averle prelevate da un cassetto chiuso a chiave. 

 

- Queste - spiegò - sono le bozze di un progetto molto importante. Degli ingegneri e degli architetti lavorano per me a questo proposito. Vedi com'è grande? 

 

- Sembra la pianta di un'abitazione… - osservò Jackie.

 

- Ed è esattamente quello che è - esclamò lui, sorridente. - Questa è Neverland!

 

- Neverland? - ripetè lei, sorpresa e confusa.

 

- Si. E' il luogo dove andrò ad abitare. E' il posto perfetto per me, e lo sto facendo su misura per le mie esigenze. Ne ho la possibilità, e voglio farlo.

 

- Cioè.. ti farai costruire una casa esattamente come vuoi tu? - domandò Jackie, sempre più sorpresa. 

 

- Esatto. Non è magnifico? 

 

- E' strabiliante. Ma ne hai già parlato con Katherine? - Lo sguardo di Michael si rabbuiò.

 

- No - rispose - Ti ho detto che non ne ho ancora parlato con nessuno. Ovviamente glielo dirò presto, perché tra poco non sarà più un segreto, e darò il via alle costruzioni. E' già pronto tutto.

 

- Splendido! - esclamò Jackie. - E dove sarà questa casa?

 

Lui le spiegò l'indirizzo. - Sarà una grande villa con un grande parco, esattamente come la tua casa in Italia. A proposito, come stanno i tuoi familiari? 

 

Jackie gli raccontò per filo e per segno la sua avventura in Spagna e lui la aggiornò sulle loro vicende lavorative: tutti i videoclip erano stati girati, le riprese erano pressoché perfette.

E sopratutto… l'album aveva avuto un successo strabiliante!

 

In quell'arco di tempo le vendite di Thriller erano salite di giorno in giorno, fino alle stelle. Ormai tutti conoscevano Billie Jean, Beat It e tutte le altre, e nei negozi di musica non si parlava d'altro. L'album e il suo autore erano così popolari che tutte le altre icone della musica sembravano temporaneamente scomparse. 

Il sogno di Michael si era realizzato, e lui era commosso e fiero del suo risultato. Si era fatto valere, e si sentiva al settimo cielo: finalmente la sua fatica aveva avuto il successo che meritava. 

Parlò a Jackie di quelle emozioni, e di quella immensa felicità, volendola condividere con lei, l'unica disposta ad ascoltarlo e capirlo, e la sola a sapere cosa dire in quel momento speciale. 

 

- Sapevo che ce l'avresti fatta. - commentò solamente quando lui ebbe terminato di parlarle. 

Non avrebbe potuto dire frase migliore. Commosso, lui l'abbracciò e quella sera cenarono assieme a tutta la famiglia Jackson e Quincy per festeggiare il successo di Michael. 

Alla fine della serata, lui e Jackie uscirono sul balcone per prendere un pò d'aria. 

 

- E adesso che si fa? - domandò subito lei. 

 

Thriller era il top, Michael aveva raggiunto il suo scopo. Cosa sarebbe successo d'ora in poi? 

 

- Adesso - rispose lui, scandendo bene le parole - Ricominciamo. 

 

E la voglia irrefrenabile di musica e di ripartire immediatamente si accese nei due giovani piccoli artisti, come un potente faro in mezzo all'oceano.

 

---

 

 

U.S.A. Los Angeles

Villa Encino

1983, ormai febbraio

 

Si erano concessi alcuni giorni di riposo trascorsi nella più totale serenità, che passavano fin troppo lentamente per i due giovani. 

E in quei giorni di pace non poteva non accadere qualcosa di strabiliante.

 

Era una gelida mattina. Il cielo era grigio e mille fiocchi di neve cadevano lievemente ricoprendo i parchi e le strade di una spessa coltre ghiacciata. 

Michael e Jackie si trovavano nell'enorme salotto piacevolmente arredato. Lui al piano, lei con una rivista musicale in grembo. Sfogliando gli articoli distrattamente, il suo occhio cadde su un piccolo riquadro in alto della seconda pagina, interamente dedicato al compleanno di una casa discografica che lei ben conosceva. Il nome stampato di quella che considerava il suo primo attimo, il punto di partenza, la fece sorridere. 

 

- E così.. la Motown compie ben 25 anni! - pensò ad alta voce. 

 

Michael non la sentì: era fin troppo preso dalla melodia che stava creando in quel momento, che non l'ascoltò neppure. Rapito da chissà quale magia, continuava a battere le dita sui tasti bianchi con forza crescente, e con una passione così travolgente da costringere chiunque lo vedesse a guardarlo con ammirazione. 

Jackie era l'unica presente in quella stanza, ed era già persa ad osservarlo in quello stato di profonda concentrazione. 

Si sentì travolgere dall'affetto che provava per lui e le venne voglia di alzarsi e abbracciarlo.

Tuttavia si trattenne per non interrompere la magia che quel ragazzo stava creando.

Michael era la sua vita. 

Accanto a lui sentiva di poter superare qualsiasi difficoltà. Lui le dava forza, sapeva come farla sorridere e con lui si sentiva amata, protetta e mai sola.

 

Un timido bussare interruppe i suoi pensieri. 

Cassandra, la cameriera più giovane che lavorava alla villa, attendeva dietro la porta a vetri l'ordine di entrare. 

Michael, disturbato da quel suono che aveva spezzato la sua armonia, smise bruscamente di suonare e aprì gli occhi. Era tornato fra gli umani.

Il suo sguardo non era adirato, ma tranquillo. Lui si arrabbiava raramente. 

Fece un cenno, e la ragazza entrò.

 

- Dimmi Cas - disse amichevolmente. 

 

- Michael, c'è una chiamata in linea per te. - rispose lei, dandogli del "tu", sotto richiesta del ragazzo, con una certa fatica. 

 

- Grazie! Torno subito Jackie! - e sparì, camminando a grandi passi ma senza fretta, rivolgendo un sorriso a entrambe, accompagnato dalla cameriera.

 

- Allora, chi è che mi sta chiamando? - chiese a Cassandra una volta uscito dalla stanza.

 

- Berry Gordy. 

 

E lui si precipitò, praticamente, al telefono. 

Jackie rimase sola, con in testa ancora quello a cui stava pensando prima. 

Non era nemmeno passato un minuto che Michael ritornò, con una strana espressione in viso.

 

- Allora.. buone notizie? - gli venne incontro Jackie.

 

Lui rimase un attimo in silenzio con lo sguardo perso nel vuoto. I suoi occhi erano velati da ombra di sorpresa, e lei lo guardò perplessa. 

 

- Michael? C'è qualche problema? - Lui la guardò stralunato.

 

- Non ci crederai mai.

 

- Cosa?

 

- Era Berry. Berry Gordy. La Motown compie 25 anni e lui si sta preparando a festeggiare l'evento organizzando un grande spettacolo dove si esibiranno tutti gli artisti che rappresentano la casa discografica. 

 

- Magnifico! Quindi ci sarà anche Diana Ross!!

 

- Non solo. Pare che.. che ci saranno anche i Jackson 5. 

 

- Cioè.. vi ha proposto di cantare tutti insieme come ai vecchi tempi? 

 

- Esattamente. 

 

- E tu hai accettato vero?

 

- Sta aspettando la conferma. 

 

- Che? Perché non hai accettato subito?

 

Lui non rispose subito. Rimase a guardarla pensieroso, e lei capì.

Michael e Jackie rimasero a guardarsi per un pò, poi lui capì che lei stava cercando di dirgli qualcosa con lo sguardo, e cominciò a fissarla. Infastidita da tal gesto, lei socchiuse gli occhi e lo fissò ancor più intensamente di quanto stava facendo lui. Poi, Michael cedette.

 

- Oh cielo! Che un fulmine mi colpisca se tu non hai capito quello che mi sta passando per la testa! - esclamò, intuendo che Jackie era riuscita, ancora una volta, a leggere fino alla radice dei suoi pensieri.

 

- So che accetterai solamente se Berry Gordy ti permetterà di ballare Billie Jean in un'esibizione solista. Ho ragione?

 

- Si. Ma come hai fatto a capirlo? Leggi nel pensiero?

 

- Non credo. Ma ti conosco da anni. Lo trovo prevedibile, e mi sembra normale che tu voglia esprimere la tua arte al di fuori dei Jackson 5. L'hai già fatto con gli album, adesso è ora di farlo anche su un palco. 

 

Michael sorrise. Era incredibile. 

Non aveva bisogno di sprecare troppe parole per farsi capire: Jackie intuiva tutto. 

 

- Non sono sicuro di volerci andare… - disse, rabbuiandosi di nuovo.

 

- Perché no? - esclamò lei, sorpresa. - E' la tua occasione per mostrare veramente quanto vale la tua danza! 

 

- Non so perchè non ne sono sicuro! Inoltre, io non lavoro più con la Motown ormai, e portare allo spettacolo una canzone di un'altra casa discografica… insomma, non mi pare proprio il caso!

 

- Ma Michael, questa canzone non appartiene a una casa discografica. E' tua! E come tale hai tutto il diritto di presentarla a ogni tua apparizione! 

 

Jackie si era scaldata. 

Aveva intuito che quella era l'occasione buona per mostrare a tutti le magnifiche doti di Michael. Era un ballerino magnifico, oltre che un cantante eccellente, e la sua bravura non poteva rimanere nascosta ancora a lungo. 

Davanti alla sua determinazione, Michael cominciò a convincersi. 

 

- E non solo la porterai! - continuò lei, imperterrita. - Ma la canterai e la ballerai con tale passione che nessuno saprà resisterti! E talmente bene che non si parlerà d'altro per giorni! Sarà la tua occasione per dimostrare a tutti il frutto del tuo lavoro. Non è questo che vuoi? 

 

- Si che lo voglio. - rispose lui. - E sia. Lo farò. 

 

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Capitolo 54
*** Capitolo 54 ***


Non piangere perché è finita, sorridi perché è accaduto

 

 

U.S.A., Los Angeles, da qualche parte a Roscoe

Blue Rose Street, 17

1983, fine febbraio 

 

Erano passati giorni da quella incredibile telefonata, e lo staff di Berry Gordy lavorava di buona lena per preparare il grande evento. 

Ogni cosa doveva essere perfetta. 

 

Quel giorno Michael era impegnato con le prove assieme ai fratelli, e dato che Quincy non aveva bisogno di lei, Jackie era rimasta a casa a riposarsi un pò. 

Tutta quella calma però la annoiava.

Da sempre abituata a lavorare sodo e a trafficare tutto il giorno, non riusciva a godersi la pace di casa sua. 

Fortunatamente Luca le aveva inviato un pacco dall'Italia, che lei non aveva ancora aperto, e che poteva utilizzare come passatempo. 

 

Mi domando quali cianfrusaglie si nascondono qua dentro, pensò mentre tentava di forzare l'apertura arrugginita del piccolo baule in legno d'acero che le era arrivato all'interno di un cartone imbottito. 

 

Ogni tanto capitava che Luca le inviasse qualcosa per posta. 

Solitamente erano lettere, pensierini e fotografie, in uno continuo scambio per sentirsi più vicini. 

Stavolta però, il pacco conteneva qualcosa di più speciale. 

 

Appena Jackie riuscì, con un sonoro ciocco, ad aprire la scatola, rimase stupita alla vista del contenuto.

 

- .. Guanti? - esclamò, stranita. 

 

Cominciò a prendere in mano alcuni: era tantissimi e di diverso tipo. 

La scatola ne era colma, e Jackie si chiese perché il fratello gliela avesse inviata.

Nella parte posteriore del coperchio, c'era un biglietto.

 

Carissima Jackie, 

non farti domande.

Sono solo rifiuti di cantina, e ho pensato di inviarteli. 

Non buttarli subito via, ma dacci prima un'occhiata. Potresti trovare qualcosa di utile. Facci un un pensiero. 

Un abbraccio, nostra bellissima "Mon Pon Pon". 

 Tuoi Luca e Fabiana

 

"Mon Pon Pon" era il soprannome che le avevano affibbiato per i suoi capelli  vaporosi, che Fabiana definiva scherzosamente "pomposi". 

All'inizio il soprannome era solo "My Pon", ma aggiungendo un tocco elegante di francese, era diventato "Mon Pon", e infine "Mon Pon Pon" come rafforzativo. 

 

Che gentili, ma sono so che farmene di tutti questi guanti, pensò Jackie. Forse potrei regalarli a qualcuno, se ce ne fossero almeno due paia uguali. 

 

E contenta di essersi trovata qualcosa da fare, iniziò di buona lena a smistare tutti quei guanti. Alla fine dell'opera, ricavò 12 coppie. Li legò insieme, li lavò e, mentre li stendeva ad asciugare su un filo che aveva appeso in giardino, fece il resoconto delle persone a cui avrebbe potuto regalarli.

Ce n'era un bel paio rosso sgargiante di seta, coi ricami d'argento che, decise, sarebbe stato un omaggio per Diana Ross. 

Un altro paio bianco, per Janet. Un paio di lana pesante scura per Katherine, e quelli, con una dovuta riparazione, sarebbero stati perfetti per zia Caterina, per tenere al caldo in inverno le sue minuscole e rugose manine. 

 

Una volta finiti i conti, Jackie rientrò per buttare il bauletto e si accorse dell'ultimo guanto dimenticato sul fondo. 

Lo prese e lo esaminò. Non c'erano eguali. 

Era bianco, morbidissimo, e di un tessuto pregiato. 

Non certo poteva buttarlo. 

 

- E' proprio bello questo guanto! Sbarazzarmene sarebbe uno spreco assurdo - pensò ad alta voce - Ma che me ne posso fare? 

 

Lo indossò, ma la sua mano troppo piccola non riempiva affatto lo spazio all'interno. 

Avrebbe dovuto portarlo una persona con la mano molto più grande della sua.

 

Poi le venne un lampo di genio.

Quel lampo che illumina il volto di una persona quando scorge una buona idea. 

 

Perché non darlo a Michael? Potrebbe indossarlo per il suo spettacolo! E' solo uno, ma cosa importa? pensò, euforica. Lo diventava sempre quando si trattava di Michael. 

 

Presa da una vena di stacanovismo, prese ago e filo e cominciò a trafficare col guanto per tentare di renderlo migliore con le sue doti inesperte e nozioni principianti di sartoria. 

 

---

 

U.S.A.

Los Angeles, studi Motown

1983, fine febbraio

 

- Ti ho chiamata perché pensavo che avresti potuto consigliarmi - sbottò Michael in preda a una crisi di nervi - Non per discutere su ogni minima cosa!

 

Jackie lo ascoltò a malapena. Era troppo impegnata ad aiutarlo a trovare un abito adatto per la serata per stare a sentire i suoi capricci. 

Era stato lui stesso a chiamarla, perché dei suoi consigli non sapeva fare a meno e perché, secondo lui, il tempo passato senza vedersi cominciava ad diventare troppo. 

Ma anche se non sapeva fare a meno di lei, l'ansia per lo spettacolo aveva la priorità su qualsiasi altra cosa, e anche il suo carattere mutava, diventando più suscettibile e presuntuoso. 

Jackie lo capiva, e per questo non ci faceva caso. 

 

- Scusa Michael, ti spiacerebbe ripetermi come intendi vestirti per il 15? - chiese. 

 

La data fissata per lo spettacolo Motown 25: Yesterday, Today and Forever era il 15 marzo 1983. 

Lui calmò il suo nervosismo. 

Si morse il labbro inferiore, pensieroso, come faceva sempre quando il suo cervello di metteva in azione. O quando era imbarazzato. 

 

- Non diverso da come la gente è abituata a vedermi. Credo che indosserò i pantaloni della tuta, e i miei calzini bianchi. 

 

- Perché al posto dei calzini bianchi non li cerchiamo argentati? E magari con qualche decoro brillante? 

 

- Tu dici? Dove potremo trovarli? 

 

- Li facciamo fare da una sarta, che problemi. - e gli fece l'occhiolino con aria furba. - E sopra? 

 

- Pensavo di indossare una giacca che avevo adocchiato tempo fa. - Sparì e ritornò pochi minuti dopo, mostrandogliela. Era una giacca leggerissima, nera brillante. 

 

- E' bellissima. - Jackie sorrise, ammirata. Adorava occuparsi dell'abbigliamento che Michael doveva indossare in pubblico. 

 

- E sotto una semplice camicia bianca. O ancor meglio, con gli stessi motivi dei calzini. 

 

Michael annuì con vigore, ma poi l'energia in lui parve esaurirsi di colpo. Non più ispirato, abbassò lo sguardo pensieroso. 

Jackie lo guardò con aria interrogativa, con gli occhi verdissimi persi nella perplessità di quel cambiamento così radicale di umore. 

 

- Ci vorrebbe qualcosa di geniale e alternativo.. qualcosa che mi possa distinguere… - borbottò lui. 

 

Jackie non aveva più idee.

La mente era stata svuotata da tutto quell'andirivieni di abiti e accessori, e ora si sentiva spossata e sconsolata per non aver saputo accontentare completamente l'amico. 

Si sedette e il suo sguardo cadde sulla sua borsa, posta sotto la sedia. La zip era aperta e Jackie non poté non vedere il suo contenuto. 

Il guanto bianco era lì, l'aveva portato per regalarlo a Michael, per il suo spettacolo, ma se n'era scordata. 

Sorrise eccitata e lo prese con foga, pungendosi con l'ago che era infilato nella stoffa, e che serviva per fissare al candido tessuto delle magnifiche paillettes. 

L'idea le era venuta per caso, e l'aveva trasformata in realtà. 

L'opera non era completa, ma Jackie non vedeva l'ora di chiedere il parere di quella trovata ingegnosa al diretto interessato.

Dopotutto, quello era un regalo per il suo spettacolo.

 

- Michael! - chiamò la figura assorta davanti a sè, non potendo evitare di sorridere.

 

Lui si girò lentamente. 

Quand'era occupato a pensare alla sua musica, faceva fatica a considerare qualsiasi cosa.

Persino Jackie. 

Ma quando l'occhio cadde sul piccolo brillare in grembo a lei, lo sguardo si accese improvvisamente, e una splendida idea illuminò anche la sua mente. 

Bastò uno sguardo ai due complici per essere d'accordo sul destino di quel piccolo ma fondamentale indumento.

 

---

 

 

L'abbigliamento era deciso, il palcoscenico stava venendo allestito dallo staff pescheto per lo spettacolo e lui aveva già pensato a tutto: la musica, i suoni, l'atmosfera...

Per il suo numero mancava solo un fondamentale strumento: la danza.

 

- Credevo svolgessi le prove assieme ai tuoi fratelli - disse Jackie quando Michael le raccontò di non aver ancora preparato una coreografia per Billie Jean. 

 

Non era cosa da poco, poiché era un pezzo difficile per qualsiasi genere di danza, e tale canzone non concedeva errori.

Doveva essere un tutt'uno perfetto fra musica e danza, luci e colori.

E infine, sensazioni. 

Infatti, l'ingrediente segreto più difficile per la riuscita di un buon risultato era la passione, ma ciò non era un problema per Michael, poiché lui ne trasudava. 

 

Appunto perché quella era una musica complicata Jackie si stupì dell'impreparazione del compagno di giochi, mago dell'organizzazione, in quel momento del tutto vuoto. 

 

- I Jackson 5 curano insieme solo il loro numero. Io sono l'unico di noi a fare un'ulteriore esibizione. Devo cavarmela da solo. - le spiegò serio.

 

- E perché non hai ancora ideato nulla? - Michael strizzò gli occhi fino quasi a chiuderli, per metà irritato e per metà avvilito. 

 

- Non lo so. In effetti, inconsciamente avevo pensato che si sarebbe rivelata un'impresa non semplice. Per questo non sapevo se accettare o meno… 

 

- Qual'è il problema scusa? - Jackie cercava di capire.

 

- Non ho alcuna idea di come ballare questa musica. 

 

Questa frase può avere uno strano effetto se sentita dire con tale scoraggiamento da un così grande artista, e infatti Jackie venne presa alla sprovvista. 

Mai Michael le aveva detto una cosa del genere, perché con la musica non aveva mai avuto problemi.

Rimase un attimo in silenzio, pensando a qualcosa da dire, mentre guardava il suo volto ombroso. 

Le faceva tenerezza vederlo così avvilito per tale ragione, anche se non l'avrebbe mai ammesso, e sorrise di nascosto. 

Dopotutto, prima di essere un artista, era un giovane uomo che si trovava da solo a preparare un'esibizione a cui teneva moltissimo. 

Lo comprese perfettamente.

 

Incoraggiata da un'energica soffiata di dolcezza, gli posò una manina sulla spalla e gli regalò il più largo dei suoi sorrisi. 

 

- Sono certa che qualsiasi cosa ballerai su quel palco, sarà bellissimo e spettacolare. 

 

Quella frase così spontanea parve dargli un pò di coraggio, e anche Michael sorrise leggermente, sempre di più, fino a ritornare felice.

La fiducia che Jackie poneva nelle sue mani bastava, per ora, per spingerlo ad andare avanti con grinta e fiducia nelle sue capacità. 

Qualche idea cominciò già a turbinargli in testa…

 

- Si, hai ragione - disse convinto. - Sarà un successo. 

 

E lo credeva davvero. 

Ma ciò che Michael e la sua Jackie ignoravano, era che quella sarebbe stata l'occasione per farsi vedere da un noto personaggio a quei tempi. 

Un mito di allora nella musica e nella danza, adorato dai due amici e storico uomo di spettacolo.

Finora era un segreto del buon vecchio Gordy: Coleman Mitcheel sarebbe stato presente, quella sera speciale, allo spettacolo del secolo. 

 

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Capitolo 55
*** Capitolo 55 ***


Balla come se nessuno stesse guardando,

ama come se nessuno ti avesse mai ferito,

canta come se nessuno stesse ascoltando,

vivi come se il paradiso fosse sulla terra.

 

 

U.S.A. Los Angeles

Motown 25, Yesterday, Today and Forever

13 marzo 1983, poche ore prima dell'inizio…

 

- E' tutto pronto di là? E le luci? John, quante volte ho detto che quelle casse devono stare a destra e non a sinistra? E che fine ha fatto la mia orchestra?

 

In più di vent'anni di carriera Berry Gordy non era mai stato così agitato. 

Rosso come un pomodoro dava ordini a destra e a manca, e il suo staff tentava faticosamente di obbedirgli perfettamente. 

Non era un compito facile, poiché ogni cosa doveva essere perfetta e a Berry pareva che nulla andasse bene. 

Nervoso per l'imminente spettacolo, sospirava e si passava spesso un fazzoletto sulla fronte lucida per asciugare il sudore che continuava a colare. 

 

Nei camerini, dove gli artisti si stavano preparando all'evento, non c'era che quasi la medesima agitazione.

Nella sua stanza, Michael camminava avanti e indietro a grandi passi, eccitatissimo. 

Avrebbe detto di essere disperato, se il suo umore fosse stato identico a quello di alcune sere prima, quando non aveva ancora perfezionato la sua coreografia.

Eppure quella calma e quella professionalità che lo distinguevano gli imponevano di stare calmo, e dunque reprimeva il suo animo impetuoso nel più profondo del suo essere. 

Doveva concentrarsi, perché il balletto non sarebbe stato una passeggiata. 

Improvvisamente, qualcuno bussò alla porta interrompendo i suoi pensieri. 

 

- Avanti!! - esclamò con la voce inspiegabilmente più acuta. 

 

Jackie fece capolino nella stanza. 

Katherine aveva insistito perché anche lei si vestisse elegantemente per la serata, e Jackie non si era fatta pregare. 

Indossava un semplice abito color porpora, stretto in vita da una fascia blu i cui nastri cadevano aggraziati dietro la schiena esile, legati da un fiocco. 

Le scarpine minuscole con un tacco non troppo alto le stringevano i piedi altrettanto piccoli, e Michael, osservando l'amica che portava quell'abbigliamento con riservato imbarazzo, pensò che le sue caviglie non erano mai state più graziose.

I capelli erano sciolti, come al solito: una folta massa riccioluta che le copriva le spalle, una criniera così indomabile quanto bella che era un peccato nascondere. 

 

- Ciao Michael - lo salutò lei, guardandolo a metà fra l'ansia e l'eccitazione. - Allora sei pronto? - chiese. 

 

Lui rispose sospirando. 

 

- Il tuo guanto è pronto. - annunciò lei, porgendogli il prezioso ornamento che teneva nascosto nella borsetta di vernice.  

A Michael brillarono gli occhi davanti a quel piccolo pezzetto di puro diamante. 

 

- Grazie Jackie, è proprio come speravo che venisse.

 

Il guanto era diverso da com'era prima: Jackie si era fatta aiutare da un artigiano esperto e, sotto progetto di Michael, avevano cucito su tutta la superficie delle paillette che luccicavano come non mai. 

Parevano proprio delle stelle, e s'intonavano perfettamente ai calzini di Michael, della medesima fattura, e allo sfondo scuro e magnificamente ornato della giacca leggera. 

La camicia pareva anch'essa un unico diamante, e in mezzo a tutto quel brillare Michael era davvero la stella più luminosa. 

Jackie, osservandolo, trovò che quell'abbigliamento fosse fatto apposta per lui: ricordava il cielo, la danza serrata, il piacere notturno di ascoltare la musica. 

E se poi quest'ultima fosse proprio Billie Jean… chiuse gli occhi pregustandosi già la sensazione sublime che quelle note sapevano darle. 

 

- Sono sicura che sarà un'esibizione perfetta. - gli disse sorridendo, e lui ricambiò il sorriso. Aveva proprio bisogno di essere incoraggiato. 

 

- Lo spero anch'io. Ho lavorato a lungo su questa cosa, come ben sai, negli ultimi giorni. 

 

- Oh lo so! - rise lei. Per giorni Michael non si era fatto nè vedere, nè sentire, e aveva lasciato il compito al suo agente di congedarlo in caso di qualunque visita o impegno. 

Lui si fece pensieroso per un pò. Poi, guardandola furbescamente, sorrise sotto i baffi.

 

- So che dovrà essere una sorpresa - disse - ma c'è una cosa, prima che cominci lo spettacolo, che voglio che tu veda assolutamente. Una cosa che non ho ancora mostrato a nessuno, che metterò in mostra per la prima volta stasera davanti a tutti - disse. 

 

Camminò al centro della stanza, mentre Jackie lo guardava incuriosita. 

Cos'aveva ideato ancora quella mente subdola e geniale?

Michael rimase immobile per qualche secondo, e cominciò a fissarla. I suoi occhi divennero quasi cattivi, concentrati. 

Poi, con un rapido e ondulatorio movimento delle gambe, accompagnato dalle braccia, fece quello che sarebbe diventato il Moonwalk.

Il suo passo ancora incerto non era al massimo della tecnica, ma l'avrebbe perfezionato certamente.

Tuttavia, quella piccola danza che cominciò a ballare davanti alla compagna di giochi, soli in quel camerino, per quanto poco curata e improvvisata, bastò per far scatenare lo stupore e la meraviglia in Jackie, i cui occhi cominciarono a brillare come veri smeraldi. 

 

- Oh mio Dio!

 

Appena vide la sua espressione estasiata, Michael cominciò a ridere, imbarazzato per essersi lasciato andare in quel modo. 

 

- Jackie cara, dovresti vedere la tua faccia! 

 

- Bè Michael, permettimi di assumere l'espressione che voglio! Oh mio Dio… è stato fantastico! Ma dove l'hai imparato?

 

- Dei ragazzi che ballavano break dance in mezzo alla strada me l'hanno insegnato quando ho chiesto loro che passo era. E' una cosa che non amo confessare: avrei voluto inventarlo io!

 

- Ballerai in questo modo anche stasera?

 

- Si. 

 

- Allora bello mio, ti assicuro che non solo avrai successo, ma li sbatterai tutti col culo per terra. 

 

---

 

U.S.A. Los Angeles

Motown 25, Yesterday, Today and Forever

13 marzo 1983, sera

 

Il crepuscolo era passato da un pezzo, e la platea aveva già iniziato a riempirsi. Gente di ogni rango, in formale abito da sera, era giunta per assistere a uno dei più grandi spettacoli di quegli anni. 

Ormai la tensione era al massimo non solo nei camerini, ma anche fra lo staff, dove ognuno, tra macchinisti, elettricisti, coro e tutti quanti, si faceva in quattro in una folla corsa alla perfezione. 

Dopotutto, Berry era stato chiaro: nulla doveva andare storto. 

 

Proprio lui, il capo discografico ormai sfinito da tutto quell'andirivieni, attendeva immobile davanti a un'uscita secondaria del teatro, ormai esente dal caos che invadeva le quinte. 

Accanto a lui c'era la bella Diana Ross, acconciata come una regina nel suo abito color oro e bianco, e bellissima come sempre e forse anche di più. 

Sorrideva orgogliosa accanto al vecchio amico, al quale stringeva affettuosamente il braccio, in attesa. 

Entrambi erano lui per accogliere festosamente l'arrivo di una persona molto importante per loro, per gran parte del mondo, e per la musica stessa.

 

- Berry caro, tra quanto arriverà il tuo ospite speciale? - chiese lei, muovendo appena le labbra rosso fuoco e tradendo nel tono della voce una leggera ansia. Desiderava tornare a teatro e controllare che tutto svolgesse per il meglio. 

 

- Tra non molto Diana - rispose l'uomo, che non pareva preoccupato come invece era. - Sono emozionato che una persona così importante mi abbia personalmente chiamato per dirmi di riservargli un posto segreto per assistere allo spettacolo. - aggiunse lasciandosi sopraffare dall'emozione. 

 

Diana gli diede ragione. 

L'uomo in questione arrivò in quel momento a bordo di un'elegante limousine nera. 

Un numerosissimo gruppo di BG in giacca immacolata e cravatta di seta, con un logo d'argento sul petto, si sparse attorno a loro.

Alcuni entrarono a teatro, altri rimasero fermi nella loro posizione, guardandosi in torno, e uno di loro aprì la portiera della lussuosa vettura.

Ne scese una figura distinta e possente, dal fisico un poco più cascante rispetto ai suoi anni d'oro, ma comunque dall'aspetto solenne. 

Gli occhi azzurro scuro erano più limpidi che mai, e i capelli scuri erano piacevolmente pettinati.

Era affascinante nel suo completo di tessuto pregiato. Il suo sguardo pareva essere avvolto dal mistero e il suo sorriso era sereno.

Era Coleman Mitcheel. 

 

Dopo la morte di Elvis Presley era scomparso per parecchio tempo dal palco e dalla carriera, perché il dolore causato dalla perdita di quel carissimo amico l'aveva, ai tempi, debilitato quasi completamente. 

Aveva ripreso, tuttavia, la sua eccellente carriera di cantautore, fino ad allora fiammante, ed era rimasto, nel corso degli anni, l'indiscusso e inimitabile King Of The Music. 

 

Senza farlo attendere oltre, Berry e Diana gli andarono incontro, trattenendo con difficoltà l'enorme euforia che provavano, mentre la stella si chinava per aiutare, con uno stile da perfetto gentiluomo, la moglie a scendere. 

 

Shonda Leona Mitcheel poggiò con grazia i minuscoli piedini a terra e scese, guardandosi intorno con aria estasiata. 

Era bella quasi come Diana, e forse poco più giovane. Il suo viso rotondo era splendente di vivacità e gli occhi gioiosi risaltavano sulla pelle, scura come un palcoscenico. 

Una lunga tela turchese di seta le fasciava il corpo ben disegnato e l'anellino d'oro che portava al dito faceva la sua figura.

I riccioli ribelli ben raccolti incorniciavano piacevolmente gli occhi che mandavano raggi di ilarità e dolcezza. 

Era proprio bella, certo, ma non quanto Diana. 

 

Una volta che i due coniugi Mitcheel furono raggiunti dalla strana coppia di artisti, si scambiarono i saluti. 

 

- Buona sera Gordy. Grazie per averci lasciato due posti. Avevo proprio voglia di assistere a questo spettacolo. - disse Coleman in tono amichevole, e Berry si sentì al settimo cielo. 

 

- Per me è un enorme piacere ospitarvi qui alla Motown, Mr. Mitcheel. Buona sera Mrs. Mitcheel. - E strinse la mano alla donna che sorrideva sempre. Intanto Coleman si presentò a Diana. 

 

- Vi ho visto molte volte alla televisione, ma non ho mai avuto occasione di incontrarvi. Siete più incantevole in carne ed ossa che attraverso uno schermo, Miss Ross. - disse baciandole la mano. 

 

Berry e Diana ringraziarono e si chinarono in segno di rispetto tanta era la suggestione provocata dalla presenza del VIP. Per quanto fosse normale per Berry lavorare in mezzo agli artisti, bisogna riconoscere che davanti alle persone davvero speciali ci blocchiamo sempre tutti. 

 

- Vi accompagniamo subito ai vostri posti. Accanto a voi ci saranno due camerieri ai quali potrete rivolgervi per qualsiasi evenienza. - spiegò Berry, conducendo la comitiva attraverso eleganti corridoi coi tappeti rossi per terra. 

 

- Perfetto. 

 

Le due donne si persero nei loro argomenti preferiti, mentre Berry e Coleman continuarono a parlare di musica. 

 

- Come avete organizzato questa serata, Mr. Gordy?

 

Allo spettacolo mancava quasi un'ora, e Berry si perse a raccontare i dilemmi e le mille fatiche che aveva dovuto affrontare per presentare lo spettacolo quella sera. Mitcheel ascoltava sinceramente attento, in particolare quando Berry iniziò a elencare i vari artisti che si sarebbero esibiti, soffermandosi particolarmente su un nome a noi ben noto.

 

- Ci sarà anche Michael Jackson! - esclamò il capo discografico, cercando di suscitare l'interesse di Mitcheel. Berry ci teneva al successo del ragazzo, e pensava di parlarne bene al famoso cantautore. 

Tuttavia, quella che si interessò di più, una volta pronunciato quel nome, fu Shonda. 

 

- Michael Jackson! - ripetè eccitata. - E' davvero bravo! Il suo nuovo album è uno dei miei preferiti, ed è davvero eccezionale! - E rivolse uno sguardo al marito. - Solo lui non l'ha ancora ascoltato. 

 

Diana sbarrò gli occhi sorpresa, e Mitcheel si affrettò a spiegare.

 

- Ascolto decine di canzoni di tutti i tipi al giorno, e ognuna di loro mi soffermo ad analizzarla, tradurla, comprenderla… Se non ho ascoltato quell'album è perché ho altre priorità! Anche se devo ammettere che è piuttosto interessante…

 

- Perché? - chiese Berry, che non riusciva a capire cosa ci trovasse di interessante se non aveva mai ascoltato una canzone di Thriller.

 

- Questo nome, Michael Jackson.. suona bene!

 

Tutti sorrisero, pur non avendo capito, mentre Mitcheel riprese. 

 

- Comunque non penso che sia qualcuno su cui soffermarsi più di tanto. Non credo che possa fare qualcosa di veramente geniale. Sono consapevole del successo che ha in questo momento, ma credo che sia uno di quelli che fanno furore e poi vengono dimenticati. Ormai succede così molto spesso e penso che lui sia proprio uno di questa categoria di artisti. - Scosse la testa, come se tutto ciò non gli andasse a genio, e in effetti era così. - Ormai gli artisti sono spazzatura, e sono pochi quelli che si salvano. Servono per farti divertire con la loro musica per un giorno e poi vengono gettati come cartacce. Non è triste tutto ciò? Per me si, e dopo la scomparsa del mio amico più caro, Elvis, non credo che possa esserci qualcuno che rimanga, nonostante il tempo… capite cosa intendo?

 

Berry e Diana avevano capito eccome, e sebbene uno fosse deluso del pensiero di Mitcheel su Michael, l'altra era ancor più sicura di sè.

 

Mitcheel si sbaglia. Appena ascolterà Michael capirà e ritornerà sui suoi passi, quant'è vero che mi chiamo Diana Ross, pensava la diva, orgogliosa. 

 

I posti riservati a Mitcheel godevano di un'ottima vista sul palco e sulla platea, e si potevano già distinguere i vari ospiti che prendevano posto. 

Congedati i coniugi Berry e Diana ritornarono alle loro preoccupazioni, perché se nella platea regnava la calma, nei camerini il tempo volava.

 

 

---

 

 

Jackie era senza speranze.

Non sapeva più come prenderlo. Il conto alla rovescia l'aveva fatto andare in escandescenze, e nulla poteva placare il suo animo burrascoso. 

 

- Jackie, passami quell'orologio per piacere. Oh boy, manca veramente poco tempo! Cielo, non mi sento sicuro.

 

- Andrà tutto bene.

 

- No no, sono certo che accadrà qualcosa di sbagliato.

 

- Sarà una meraviglia. 

 

Lui si sedette davanti allo specchio, evitando accuratamente di guardarsi, e cercò di bere un bicchiere d'acqua, senza riuscirci. 

L'ansia gli stava rodendo il fegato. 

 

- Mike, cerca di stare tranquillo, altrimenti davvero non combinerai mai nulla. Bevi. 

 

- Non ce la faccio, sono troppo agitato. 

 

- Sei salito mille altre volte su un palco, e nemmeno e ne accorgevi a volte. Bevi.

 

- Si, ma questa volta è diverso. Non posso permettere che qualcosa vada storto. Dev'essere tutto perfetto.

 

- E così sarà. Ora bevi, altrimenti non riuscirai a cantare.

 

Michael fece per portare il bicchiere alle labbra, ma si trattenne ancora.

 

- Ti immagini se durante il mio turno mi venisse da starnutire? - chiese con aria divertita. 

 

- Hahaha! Sarebbe uno spasso, ma non accadrà. Succederanno solo le cose che vorrai che succedano, se stai tranquillo. 

 

Lui bevve e cominciò a rigirare il capello fra le mani. Jackie glielo prese e glielo mise in testa. Si guardarono attraverso lo specchio. 

Michael era un mare di brillanti.

Jackie era un mare di capelli.

 

- Ti sta proprio bene, il che significa che ho davvero buon gusto nello sceglierti i regali. E i vestiti. - disse lei.

 

- Hai ragione, mi piace proprio. Potrei assumerti come costumista personale, mi saresti d'aiuto, e mi leveresti un impiccio. Fosse per me, resterei tutto il dì in pigiama. - E rise.

 

- E' contro le regole della decenza, e lo sai. Comunque anche il resto mi piace molto, soprattuto la giacca. - disse Jackie, osservando le cuciture quasi invisibili.

 

- Anche tu stasera sei veramente graziosa. - le disse Michael con la sua voce da uomo, e Jackie incontrò attraverso lo specchio i suoi occhi che la ammiravano di nascosto. Sorrise.

 

- Grazie caro. Ho scelto proprio la serata giusta per travestirmi da donna.

 

- La trasformazione è riuscita. - E abbandonò il suo tono pacato e serioso. - Sapevo di aver ragione quando dicevo che in realtà sei un maschio. Mi sembrava troppo strano il fatto che riuscissi a stare con noi senza lamentarti come Janet. 

 

- Ma Mike, si parla di quando eravamo a Gary, due piccoli bambini scemi!

 

- Complimenti alla mia memoria dunque. 

 

Il bussare leggero della porta li interruppe. Era Marlon che era venuto ad avvertirli di muoversi. Era ora di andare.

Michael ricadde nel suo stato d'ansia e non parlò più.

Jackie gli tolse il cappello, gli sistemò il colletto con cura e gli lisciò la giacca, facendogli un sacco di raccomandazioni.

 

- Se devi soffiarti il naso fallo ora, e lo stesso vale se devi usare il bagno. Vacci comunque per sicurezza, perché sul palco è normale che certe cose avvengano senza che ce ne accorgiamo. Lasciati stare i capelli, nasconderemo il codino sotto i vestiti..  così. Stà attento a non farti cadere il guanto e dammi tutto quello che hai nelle tasche. 

 

Michael obbedì, poi vene il suo turno per fare le raccomandazioni.

 

- Sai cosa devi fare. - le disse.

 

- Si. - Confermò lei. - Quando si spengono le luci mi avvicino e da giù ti passo il cappello. Non temere, sarò lì puntualissima, e non mi perderò un istante dell'esibizione.

 

Dalla platea arrivarono fischi e applausi.

Lo spettacolo era incominciato, e il momento di gloria dei Jackson 5 era arrivato.

 

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Capitolo 56
*** capitolo 56 ***


Sii il cambiamento che vuoi vedere nel mondo.


U.S.A. Los Angeles
Motown 25, Yesterday, Today and Forever
13 marzo 1983, sera


Era arrivato il loro momento, e dopo un'annunciazione che ripercorse in pochi minuti la storia della loro carriera e che non aveva nulla da invidiare alle altre, i Jackson 5, ormai non più bambini ma uomini, comparvero tutti insieme sul palcoscenico.
Il pubblico applaudì entusiasta e Diana non aveva occhi che per loro, mentre Berry, che non si era perso un solo artista che si era esibito, si sentì particolarmente in ansia.
Pregò affinché tutto andasse per il meglio, ma capì che il suo gesto era inutile, perché i Jackson 5 non avrebbero mai fallito.

Là sopra, la tensione era al massimo.
Michael percepiva la differenza visibile fra lui e i fratelli, robusti e con abiti che evidenziavano la loro mascolinità.
Lui invece, non era che un corpo esile coperto da stelle.
Nervosissimo, concentrò tutta l'euforia nella danza e, appena la musica iniziò, promise a sè stesso che si sarebbe fatto ricordare a cominciare da quel momento.
Le note pervasero il suo spirito angustiato e l'adrenalina investì i suoi muscoli già tesi, costringendolo a ballare e a cantare con tale impeto che non venne ignorato.
Il pubblico rispose, e molti si alzarono per battere le mani a tempo di musica.
Il teatro sembrava rapito dal giovane cantante dal guanto bianco.

Jackie, che era corsa in platea, si fermò appena sotto il palco e appena vide tutta quella gente entusiasta, sorrise estasiata.
Un inizio veramente promettente.

Dall'alto della sua visuale, anche la signora Mitcheel si divertiva alla grande.
Anche lei si era alzata, battendo le mani a tempo di musica.
Guardò il marito con gli occhi brillanti.
Lui era rimasto composto nella sua posizione.

- Non trovi che siano fantastici caro? Quello vestito di nero con la giacca mi piace davvero molto!

- Sono bravini, si. Quello che canta è Michael Jackson, l'autore di Thriller. Devo ammettere che è un bravo artista, ma nulla che mi sorprendi più di tanto.

Non era completamente vero.
Per quanta musica avesse assaporato nella sua vita, di ogni genere e di ogni tempo, Coleman era rimasto sorpreso da quell'incredibile ballerino e cantante.
Conosceva le canzoni dei Jackson 5, ma quel ragazzo così giovane gli trasmetteva una strana sensazione.
Come un'euforia incredibile, da fargli venire voglia di ballare.
Non voleva ammetterlo, ma avvertiva che quel ragazzo aveva qualcosa di speciale.
Non riusciva a staccargli gli occhi di dosso.
Un sepolto ricordo di più di dieci anni prima cominciò a riemergere nella sua mente… E se…?
 
---


Dall'alto del palcoscenico che ormai aveva fatto suo, Michael si era completamente distinto dai fratelli.
La sua immagine splendente non poteva essere eguagliata da nessuno di loro.
Solo per un attimo, quando tutti si riunirono in una sorta di abbraccio collettivo, che voleva sottolineare la complicità fra loro che in realtà non c'era più, i fratelli Jackson si posero tutti sullo stesso piano.

Per tutto il loro tempo, Michael non riusciva a sfogare ciò che sentiva dentro, un turbine di emozioni irrefrenabile a cui non sapeva dare una spiegazione.
Cantava a ballava mettendoci l'anima, e la sua energia pareva inesauribile.

La loro esibizione si alternò in periodi lunghi e frenetici e in attimi di silenzio e calma generale.
Alcuni si commossero davanti alla dolcezza di I Never Can Say Goodbye e molti si strinsero le mani con I'l Be There, mentre la dolcissima voce di Michael riempiva ogni angolo del teatro con armonia, il guanto bianco stringeva delicatamente il microfono.
Durante la danza era rapido e leggero e faticava a trattenersi quando sentiva di essersi lasciato andare troppo.
Recuperare lucidità quando i polmoni pregavano per un pò d'aria era per lui molto difficile, a causa della musica che ci metteva lo zampino.

Durante il momento in cui era Jermaine a dover cantare con lui, i due fratelli si strinsero la mano in un gesto di reciproca alleanza, perché nonostante le differenze e il loro cauto rapporto al di sotto dei riflettori, si volevano bene.
Michael sentiva, nel profondo, che quello sarebbe stato l'ultimo e il più bel ricordo di suo fratello, perché poi le strade si sarebbe divise, forse definitivamente.
Dopo quel breve attimo di pace, la musica ritornò forte come prima, e Michael decise di unire tutta l'energia di quella sala.

Alzando le braccia chiamò il pubblico a partecipare al suo spettacolo.
Che gioia in platea!
La felicità esplodeva dappertutto e persino Mitcheel sentì vibrare il cuore che ricavava da quella musica nuova vita ed energia.
Si sentiva di nuovo giovane.

E mentre quel momento magico giungeva alla sua fine, il buio del teatro si fece più intenso.
E così terminò l'esibizione dei Jackson 5.
---


Per tutto il tempo Jackie era rimasta lì sotto, e non si era persa alcun particolare.
Non ricordava quando fosse scoppiata in lacrime, se all'inizio o alla fine di quell'atto teatrale, ma percepì che il trucco leggero che si era messa faticosamente era ormai rovinato dalle lacrime, e pensò che sarebbe stato meglio non farsi notare dalla gente con quegli occhi gonfi e le strisce scure che le colavano sulla guance.
Anche se quella era la preoccupazione che le importava di meno, in quel momento.
Ricordandosi del suo incarico, sparì tenendo in mano il prezioso indumento, mentre sul palco gli abbracci e i baci si stavano consumando fra i fratelli.
Jermaine, Tito e gli altri si apprestarono a lasciare spazio a Michael, che rimase solo sotto la piena luce del riflettore.

Era il suo momento, finalmente.
Attese che gli applausi si assottigliassero, ringraziando quasi commosso, e tentò di recuperare il fiato e il coraggio di cui aveva bisogno.
Si voltò un secondo, appena in tempo per vedere Jackie guardarlo ammirata, già nascosta dove doveva essere, e un pò il suo sguardo e un pò gli applausi lo riempirono d'orgoglio e felicità.
Ciò che provava in quel momento non si può spiegare, e quindi non ce ne soffermeremo affatto.
Deglutì, preparandosi a fare il breve discorso che si era studiato appena la sera prima.

- Siete meravigliosi. - E sorrise. - Mi piacerebbe poter dire che i vecchi tempi sono stati i migliori…

Dall'alto, Berry e Diana lo guardavano frementi.
Era fieri di come fosse andata l'esibizione dei Jackson 5.
Ma ora, vedendo il ragazzo da solo, si sentivano un pò in ansia.
Colpito dal famoso lampo, anche Coleman Mitcheel non vedeva l'ora che cominciasse.
Tremava per l'impazienza: aveva bisogno di una risposta.

- I momenti passati in compagnia dei miei fratelli sono stati magici…

Gli sembrava strano parlare con il pubblico con tale sentimento, chiamiamola confidenza, ma si era ripromesso di farlo.
Si era promesso di stupire tutti quanti.
Con la coda dell'occhio vide che dietro di lui, nel buio, qualcuno gli allungava un capello.

- Ma in realtà preferisco…

Incastrò il microfono, alzò gli occhi.
Il cuore perse un battito.

- Le canzoni più recenti.

Il pubblico ebbe appena il tempo di accoglierlo con un applauso che salì fino al soffitto, mentre lui si voltava a raccogliere l'indumento.
Non appena lo appoggiò sui capelli con un gesto deciso, la musica partì.
Quelle note era conosciute da tutti, e tutti erano già consapevoli della tremenda energia che trasmetteva quel ritmo serrato.
Billie Jean inglobò il teatro nella morsa infuocata del palcoscenico illuminato, dove il re fissava il suo pubblico da sotto l'ombra del cappello.
Era consapevole che il teatro era tutto per lui, finalmente.

Muovendo il bacino con mosse repentine e provocatorie, cominciò a eseguire la tremenda coreografia che si era preparato, senza commettere un solo errore.
Si muoveva talmente bene che pareva in preda a un'angoscia senza fine, come voleva dimostrare.
La tempesta che dominava nel suo animo era così forte che riusciva a spostarsi senza quasi alzare i piedi da terra, muovendosi a scatti e trasmettendo perfettamente al pubblico i sentimenti disperati che lo stavano devastando.
Era così concentrato e assorto che si scordò anche che stava improvvisando.
Musica e danza erano unite in una straordinaria forza vitale, e il Moonwalk (così aveva nominato il passo fenomenale che aveva mostrato a Jackie qualche ora prima) lasciò tutti a bocca aperta.
Era un dono della musica, quello splendido ballerino, e solo chi lo ha visto può confermare quanto scritto.

La sua magia arrivò fin là sopra, dove Coleman Mitcheel osservava assorto e stupito.
Quell'energia gli era familiare, ed aveva già capito dove l'aveva già incontrata.
Il lampo di quella lontanissima sera a Londra nel 1950 lo colpì quasi con terrore per l'incredibilità della cosa.
Nella mente, un solo pensiero: è Lui.
E ne era sicuro, perché il tempo l'aveva invecchiato, ma non l'aveva reso scettico, soprattutto riguardo alle sue idee e al suo istinto.
Lui era un professionista, e se sul piano oggettivo poteva dire che quello era un autentico capolavoro di musica, era più che mai convinto che quel giovane sarebbe diventato il grande artista che aveva sempre sognato.
Quel qualcuno di intramontabile e indimenticabile si nascondeva dentro quell'esile corpo di giovane uomo, che chiudeva dentro si sè un'anima forte, dolce e pura.
Inimitabile e sublime nella sua perfezione.

Era come in un sogno e, proprio come un sogno, fu costretto a finire.
La musica cessò lentamente, e la folla esplose.
Appena il volume si era abbassato Michael aveva chiuso gli occhi per ritornare in sè, e appena li riaprì, si vide davanti il mare di luci del successo.
Gli applausi lo travolsero in un onda di emozioni conflittuali, e i sorrisi del pubblico lo appagarono di ciò che aveva dato di sè stesso.
Semplicemente il massimo.
Riuscì a malapena a distinguere il viso di mamma Katherine e quello di Jackie. Entrambe applaudivano con energia, con un'espressione sorridente, e la seconda persino urlava qualcosa, euforica.
Tuttavia, in quella gioia eterna non poteva non esserci l'irritazione profonda per quella giravolta non eseguita come voleva, per non aver resistito abbastanza a lungo congelato sulle punte.
Soddisfatto comunque di quel risultato, s'inchinò più volte, estasiato, raccogliendo ogni possibile vibrazione nell'aria, e sparì dalla scena.
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U.S.A. Los Angeles
Motown 25, Yesterday, Today and Forever
13 marzo 1983, alla fine del sogno

Lo spettacolo proseguì.
La signora Mitcheel, che per tutto il tempo era rimasta in piedi estasiata, si era addirittura commossa alla fine dell'esibizione di Michael Jackson.
Suo marito era ancora in trance, e con molta probabilità ci sarebbe rimasto per molto tempo.
Divisi appena da una tenda, dietro di loro, una donna bellissima rovinò il suo trucco raffinato di lacrime gioiose e inarrestabili e consumò il suo fazzoletto di pizzo a forza di soffiarcisi il naso.
Ma come poteva non piangere, la bella Diana, quando ciò che aveva appena visto era risultato straordinario?
Il suo amico, il suo Michael era stato divino su quel palco, e lei se ne rendeva perfettamente conto.
Accanto a lei, un'emozionata vocina condivise la gioia di quel successo con lei.

La coppia più bella del mondo
lui sul palco e lei sotto
che lavoran giorno e notte
per comporre una canzone
ragazza obbedisci sempre a lui
che lui sa quel che c'è da fare
e tu ragazzo fai quello che dice lei
che lei sa come poterlo fare.


Coleman Mitcheel aveva udito quell'insolito ritornello, e ciò l'aveva divertito, perché aveva capito a cui si riferiva il "lui" della canzone.
Ma "lei" chi era? Non aveva importanza ora.
Le parole gli piacquero, e anche la graziosa melodia, e tese l'orecchio, attendendo il seguito della canzoncina.
Berry non era certo consapevole di essere ascoltato, e dopo un attimo di esitazione, recitò le sue nuove strofe, appena inventate.

Già da tempo eran spariti
fra melodie, note e spartiti
fra il guanto ed il cappello
non c'è molto da spiegare:
circondato da stelle
lui è destinato a brillare.
Ragazza che da sotto lo guardi ammirata
scruti felice la tua gente, incantata:

c'è stata una musica molto speciale.
Lui c'è riuscito a farsi ascoltare.


Anche Diana rise leggermente, ancora scossa dalle lacrime, e rise ancor di più quando Berry intonò un ultimo ed irresistibile:

Tu che confuso ci continui a guardare
non perdere tempo: torna a ballare!


Sembrava una predica per voler assistere nuovamente alla danza di Michael.
Mitcheel sorrise, rimase in silenzio e prese la sua decisione, contagiato da commozione e gioia.
Quel ragazzo era speciale, e lui doveva farglielo capire.
 
---


Per tutto quel tempo lei era rimasta immobile dove lui l'aveva lasciata, e da lì aveva potuto osservare tutto.
La sua danza era stata magnifica, e Jackie ne era rimasta ammaliata.
Non riusciva a credere che quello sul palco fosse stato davvero il suo migliore amico.
Era stato incredibile, tanto non sembrare quasi umano nella sua perfezione.
Ne era fiera e quando lui sparì dietro le quinte, si sedette a versare qualche piccola lacrima di commozione.

Se non diventa il più grande artista di tutti i tempi, giuro che non mi chiamo più Jacqueline Annie Foster, dichiarò nel pensiero.

Una volta recuperata la calma, recuperò il cappello da un angolo del teatro dov'era stato lanciato e si accinse a raggiungere i camerini.
Il resto dello spettacolo non le importava più di tanto, e inoltre sapeva che Berry Gordy aveva fatto un ottimo lavoro.

Nei corridoi c'era un casino infernale.
Lo staff che circondava i Jackson 5 era estremamente numeroso e Jackie decise di attendere.
Non appena tutti furono tornati alle proprie occupazioni, incontrò Jermaine al quale chiese di Michael.

- Ti riceverà tra poco. E' nei camerini, penso che fra poco ti chiamerà. - le disse sorridendole cortesemente.

Jackie lo ringraziò e attese.
La porta del camerino personale si aprì, una testa si affacciò titubante.
Il curioso personaggio guardò da una parte all'altra del corridoio e, trovandolo in quel momento vuoto, si sporse un poco di più.
Appena la scorse, le fece cenno di avvicinarsi.

Lei corse e una volta dentro la stanza, al sicuro dallo staff, si voltò a guardare quel viso stravolto.
Il mito che aveva visto consumarsi poco prima era ritornato il suo Michael di sempre.
Per qualche secondo si fissarono in silenzio, poi Jackie prese respiro.

- Sei un mito. - sussurrò col poco fiato che aveva in gola.

Lui deglutì.

- Che cosa?

- Come cosa?.. Hai danzato in maniera incredibile. Hai ballato Billie Jean per tutto il tempo e l'hai fatto in modo... divino… uno stile di danza che non avevo mai visto…

Michael si guardò le mani confuso. Non sapeva proprio cosa pensare. Lui non aveva tentato di ballare. No.
Lui si era lasciato andare. Si era fatto trasportare dalla musica.
Si era fatto… consigliare.

- Non so spiegarti, sinceramente. Posso solo dire che è stata una delle più grandi emozioni della mia vita.

- Sei stato grande Michael. Sapevo che sarebbe andata così.

- Si, ma ho sbagliato anche questa volta.

- In che senso? - Jackie lo guardò confusa. Dopo quella meraviglia, come poteva non essere ancora soddisfatto?

- Non sono riuscito a resistere abbastanza a lungo sulle punte. La giravolta prima di quel passo mi ha fatto perdere l'equilibrio. Me ne rammarico, perché non è andato tutto perfettamente, anche se non posso certo lamentarmi di come siano andate le cose.

- Penso che un piccolo errore non possa nuocerti così tanto. Per quel che ho visto io, li hai incantati tutti.

Michael sorrise, mise a posto il cappello, si tolse la giacca e guardò la sua compagna di giochi.
Dopo quella fatica, ci teneva a ricevere da parte sua un altro complimento.
Dopotutto, era pur sempre un uomo che aveva bisogno di sicurezza, e di accertarsi che fosse davvero andato tutto bene.

- Pensi davvero che sia stato eccezionale? - chiese timidamente.

- Non è proprio questa la parola che ho usato ma sei stato anche questo. Eccezionale. - Gli rivolse uno sguardo carico di dolcezza e in un impeto d'affetto lo abbracciò. - Oh Mike, sai che mi hai fatto commuovere quando era là sopra? Sei così cresciuto e sei diventato uno splendido ballerino. Dio solo sa cosa diventerai se migliorerai ancora.

Sapeva di averlo imbarazzato con il suo complimento ma era ciò che pensava veramente.
Michael effettivamente era arrossito, ma non si vergognò più di tanto.
Con il naso immerso nei riccioli profumati dell'amica, fissò il vuoto con uno sguardo pieno di soddisfazione, e un mezzo sorriso da beato idiota stampato sulla faccia.
Era troppo contento per badare alle sue espressioni.

- Penso che si possa uscire ora. - disse a un certo punto. Prese Jackie a braccetto e una volta fuori dalla stanza trovarono i BG ammucchiati davanti alla porta.

- Lo spettacolo è continuato? - chiese Michael ad Albert, che era il capo- squadra.

- Si, i corridoi sono tranquilli ora. - rispose il biondo, che attraverso gli occhiali scuri osservava le braccia intrecciate dei due giovani con lieve interesse.

Michael decise di approfittare di quella calma per camminare un pò da solo con Jackie, per rilassarsi e per attendere il momento di tornare a casa.
I due cominciarono a chiacchierare spensieratamente della serata quando, appena svoltato un angolo, un'imponente e massiccia figura sbarrò loro la strada.
Non era un BG, no, poiché era vestito elegantemente.
Non poteva nemmeno quindi fare parte dello staff.
Michael alzò lo sguardo per guardare in faccia l'uomo e appena ne riconobbe i tratti, cioè quasi subito, si immobilizzò, stupefatto.
Anche Jackie rimase a bocca aperta, poiché come Michael aveva riconosciuto nell'uomo la figura di uno dei loro miti.
Da piccoli avevano adorato diversi personaggi dello spettacolo, fra cui James Brown, Charlie Chaplin e Coleman Mitcheel, che ora stava davanti a loro.

Michael credette di sognare.
L'uomo invece non si stupì delle loro facce basite, anzi, ne sembrò divertito.
Addolcì lo sguardo e lo risolve al giovane.

- Scusami Mr. Jackson - disse in tono pacato. - Sono Coleman Mitcheel. Potrei rubarti un secondo, per favore?

 

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Capitolo 57
*** Capitolo 57 ***


Salve, quanto tempo. Due brevi parole prima di iniziare: questa storia ha quasi dieci anni ormai, continuo a postarla per quei pochissimi che avranno piacere a leggerla. Grazie al cielo col tempo la scrittura è un pò migliorata, ma questo potrete notarlo fra qualche capitolo. Grazie a tutti quelli che leggono nonostante gli anni passati. Personalmente, lo devo a Michael, la cui ispirazione non trarrà decadenza dal tempo. Buona lettura!

 
Non camminare dietro a me, potrei non condurti. Non camminarmi davanti, potrei non seguirti. Cammina soltanto accanto a me e sii mio amico.

U.S.A. Los Angeles
Motown 25, Yesterday, Today and Forever
13 marzo 1983, alla fine del sogno e all'inizio di un altro


- Potrei rubarti un secondo, Michael Jackson?

- C-Certamente Mr. Mitcheel.

Non aveva idea di dove aveva potuto trovare la forza per rispondergli.
Era emozionantissimo e il respiro gli mancava: avere davanti il suo mito, l'uomo che aveva sempre stimato, uno dei suoi cantanti preferiti, era una sensazione eccezionale.
Con la poca lucidità che gli rimaneva, pensò che anche se Coleman Mitcheel era l'apice di tutte le celebrità, era pur sempre un uomo. Come tutti.
Ed essendo lui stesso famoso e ricercato, conosceva perfettamente la sensazione di essere guardati con adorazione.
E non era affare di completo gradimento neppure per lui.
Figuriamoci per Coleman James Mitcheel.

Quindi, per rispetto, tentò di frenare l'emozione e abbandonò almeno in parte la sua espressione sorpresa.
Tuttavia, i suoi occhi non potevano che mostrare la crescente curiosità di sapere il motivo di quell'incontro così bizzarro.
Jackie si ritirò in disparte, perché sapeva di non contare nulla, e si allontanò di un passo con la testa bassa rivolta verso l'uomo più anziano, in segno di profondo rispetto.

Dall'alto della sua statura, Coleman guardava il giovane con grande interesse.
Stentava a credere che quel viso timido appartenesse alla stessa persona che era salita sul palco qualche decina di minuti prima.
Le gote arrossite lo divertirono ancor di più, e la sua bocca si aprì in un sorriso appena accennato.

- Ci tenevo solamente a dirti che la tua esibizione mi è piaciuta molto. Hai una buona tecnica, e il tuo stile è interessante. - La sua voce burbera si addolcì in modo appena percettibile.

Un fulmine avrebbe fatto minor effetto?
Mai si era sognato di ricevere tali complimenti da tale mito musicale.
Tutto ciò lo mandò in uno stato di esplosione mentale, un delirio assoluto misto a emozioni e gioia che fortunatamente riuscì a contenere, troppo emozionato per esplodere in una danza di gioia frenetica.
Così sollevò solamente lo sguardo, mostrando gli occhi lucidi e splendenti di una luce nuova di pura felicità, e regalò al famosissimo artista la più bella delle sue espressioni estasiate.

- La ringrazio infinitamente Mr. Mitcheel. - disse solamente, mentre Coleman lo guardava piacevolmente colpito.

Dal buio dell'angolo dove si era rifugiata, Jackie osservava a bocca aperta, felice come una pasqua.
Seguì un attimo di silenzio generale, e in quel momento i due artisti si guardarono dritto negli occhi con tale intensità che Michael rimase stupito ancor più di quanto lo fosse già.
Coleman si sistemò una manica della giacca, come se quel gesto apparentemente spontaneo potesse far cadere il discorso e sviare tutta quell'emozione.

- Bene. Meglio che ritorni da mia moglie. Non vedo l'ora di sentire le tue prossime opere, Michael Jackson. - disse dandogli del "tu" ma mantenendo un atteggiamento distaccato.

Michael annuì e l'uomo, dopo aver mandato un cenno di cortese saluto a Jackie, si congedò e sparì.
Come un sogno.
E per un attimo regnò il silenzio.
Poi, scattando come una molla dalla sua posizione, Jackie si riscosse dallo stato di stupore e meraviglia nel quale era caduta e raggiunse Michael, ancora in trance, strattonandolo per un braccio.

- Mike! Oh Mike, non ci posso credere! - strillò a bassa voce per non farsi sentire.

- Nemmeno io. - Rispose lui con voce piatta. - Anzi, se devo essere sincero, non credo nemmeno che sia successo.

- E' successo, è successo. - confermò Jackie, sorridente. - Hai avuto la prova definitiva di essere stato grandioso.

Michael sorrise, e l'eccitazione rientrò in lui come una sorsata di acqua fresca.

- Eh già - disse incredulo. - Ha detto che gli è piaciuto… Bene! Mia cara, preparati che credo che mi rimetterò subito a lavorare su un nuovo album!

Coleman, che non se n'era andato per davvero ma si era nascosto, udì le loro giovani risate e sorrise spontaneamente.

Sapevo che saresti arrivato, pensò commosso. Sei tu l'artista che ho sempre aspettato. Sei tu che diventerai il re incontrastato della storia della musica.

Dio, se Michael avesse ascoltato le sue parole…
Dal canto suo, per tutta la sera il giovane uomo non pensò ad altro che a quel breve ma intensissimo colloquio, e persino gli abbracci di Berry e Diana passarono in secondo piano.

- Che rimanga fra noi, ma fra tutti gli artisti che si sono esibiti qui stasera tu sei senz'altro il migliore.

- Grazie infinite Berry.

- Sono orgoglioso di come sei diventato ragazzo, e cosa non darei per lavorare ancora con te.

Dopo aver detto quella sincera ma dolorosa frase, l'uomo più anziano si scostò per far passare Diana, che gli buttò le braccia al collo e il povero Michael non poté far altro che farsi abbracciare e baciare, e ricambiare a sua volta, commosso.

- Oh Mickey, sono così fiera di te.

Poche parole ma di grande effetto.
Michael la guardò negli occhi e pensò che mai avrebbe smesso di amare quella donna tanto speciale.
Gli aveva dato così tanto, aveva abitato insieme a lei, e gli era sempre stata accanto in ogni difficoltà.
Con gli occhi lucidi e senza dire una parola, le prese la mano e gliela baciò riconoscente.
A volte, mille bellissime parole sono insignificanti rispetto a un piccolo ma fondamentale gesto d'amore.

---


Los Angeles, da qualche parte a Roscoe
Blue Rose Street, 17
Aprile 1983


Era passato un pò di tempo da quella serata, ma Michael aveva ancora in mente ciò che gli aveva detto il grande Mitcheel, e da subito era rientrato nel tram del lavoro e dell'impegno, quel mezzo incontrastato che non si ferma mai.
Nuove canzoni avevano cominciato a vorticare nella sua testa, e preso più che mai da queste nuove folli idee, abbandonò tutto e tutti, compresa Jackie, che ne approfittò per badare a sè stessa.

L'omicidio di sua madre, Anna Foster, era ritornato nei suoi pensieri, e la voglia di sapere, di scoprire cosa ci fosse dietro quel vecchissimo episodio era diventata quasi un bisogno, un obbligo irrimandabile.
Aveva chiesto a Luca tramite posta di mandarle quanto più materiale poteva, e lui l'aveva accontentata senza fare storie dato che, come lei, voleva dare un volto all'assassino della donna che lo aveva dato alla luce.
Il primo pacco era arrivato da pochi giorni, e solo dopo accurate pause di riflessione Jackie si era decisa ad aprirlo.
Straripava di fotocopie, videocassette e altro materiale di diverso genere, e con pazienza Jackie esaminò uno ad uno quei documenti.

C'erano le copie dei giornali usciti quel fatidico 13 novembre 1961, un giorno così lontano ma, allo stesso tempo, così significativo che pareva esser molto più recente.
Jackie all'epoca aveva solo tre anni e faticava a ricordare, ma alcuni frammenti di esistenza sconvolta le erano rimasti bene impressi in testa.
Quei ricordi terribili che l'avevano segnata non potevano sparire.
Come i botti dietro di lei mentre scappava, il terrore provato nel sentire quell'uomo che la inseguiva, e lo sguardo disperato della madre che la fissava con intensità, pregandola di andare via.
Ecco.
Quegli occhi l'avevano colpita più di ogni altra cosa, persino più del corpo macerato e sanguinante bloccato contro il muro di mattoni.
Quegli occhi della stessa tonalità dei suoi, che in quel lontano momento le erano sembrati in un oceano di lacrime di sangue, due pietre di smeraldo immerse nel fuoco.

Asciugandosi le lacrime che ogni tanto le sgorgavano dagli occhi tristi vinti dalla malinconia, Jackie continuò la sua ricerca.
Da quei documenti scoprì che le indagini, non avendo avuto alcuna svolta positiva o negativa, erano state sospese il 30 Aprile 1961, e nessuno aveva più parlato di quel caso.
Lesse le lettere di protesta mandate da nonno Andrew alle autorità, ma che evidentemente non erano servite a nulla.
Alcune, risalenti agli anni successivi, richiedevano l'affidamento totale di tale Jacqueline Annie Foster, per toglierla dalle mani del padre residente negli USA, ma evidentemente anche quelle erano state ammassate e dimenticate.

E così, non era stata fatta alcuna giustizia sulla morte della povera Anna, e nessuno si era più curato di cercare una risposta, o dare un nome al volto dell'assassino.
Oh quanta crudeltà!
Tutta quella indifferenza la faceva soffrire, e si scoprì a piangere stesa sul tappeto del soggiorno.

Sono proprio una stupida, si disse quando ormai la tela sotto di lei era zuppa di lacrime. Invece di starmene qui a piangermi addosso devo reagire e scoprire da sola chi ha ucciso mia madre!

Jackie era determinata.
Nel pacco c'era anche un vecchissimo diario dalla copertina di cuoio, che si scoprì essere una vecchia agenda di zia Caterina.
Era piena di note superflue e insignificanti, come liste della spesa, annotazioni di appuntamenti e visite mediche, ma Jackie gli diede un'occhiata lo stesso.
In alcune pagine, che risalivano come data al 1960 e 1961, vi erano piccoli riquadri colorati di nero.
Frasi come "Oggi George mancato all'appuntamento per il compleanno di Luca ", "George fa piangere Anna", "George partito per l'America senza avvertire"  e mille altre di questo genere riempivano numerose le pagine ingiallite.

Da quegli scritti Jackie capì che nei mesi dopo la sua nascita il padre non era stato molto presente e, quando lo era stato, combinava qualche guaio o litigava con sua madre.
Perché?
Non lo sapeva, ma conoscendo il carattere burbero e violento di George, non si stupì di sapere che anche la madre aveva difficoltà ad andarci d'accordo.
Ma allora se non si sopportavano, perché si erano sposati? E perché avevano avuto lei? E perché non si erano separati?

Anna aveva già avuto due differenti matrimoni prima di George: prima di tutti col padre di Guglielmo, Joey Gravino.
Ma era durato molto poco, e lui era ritornato in Spagna con il figlio, mantenendo però i contatti con la moglie.
E poi con Antonio Flint, allora celebre avvocato fiorentino.
Con quest'ultimo Anna doveva esser stata molto felice, perché nel pacco c'erano anche fotografie dei due coniugi assieme, nella villa o durante il loro festoso matrimonio.
Avevano sempre un espressione sorridente e secondo il diario di zia Caterina, erano una coppia perfetta e litigavano raramente, vivendo in un rapporto di sincerità e amore.
Perché si erano lasciati? Jackie rifiutava di credere che la madre avesse lasciato un così brav'uomo per stare con George.
Scoprì poi che dopo il matrimonio con suo padre, Anna e Antonio avevano continuato a frequentarsi, a detta di tutti, da buoni amici.

Ma continuava a non capire.
Che sua madre si fosse improvvisamente innamorata di George senza alcuna spiegazione? Era molto probabile, poiché lui abitava in America, e all'epoca si era recato in Italia solo per una vacanza.
Cosa lo aveva spinto a sposarsi con quella donna italiana?

L'ultimo oggetto nel pacco era una vecchissima videocassetta, così rovinata che Jackie dovette litigare un pò col il videoregistratore per vederla.
Ma poi, quando finalmente il malfunzionante aggeggio decise di fare il suo dovere, una bellissima melodia cominciò a suonare e sullo schermo apparvero le distinte ed eleganti figure in bianco e nero di Anna e Antonio, bellissimi nei loro abiti da ballo, in un'ampia stanza, che ballavano assieme ad altre coppie sulle note di Por Una Cabeza di Carlos Gardel.
Probabilmente erano a un corso di ballo.
Il tango era passionale al punto giusto, ed estremamente raffinato.
Erano così belli e così affiatati che Jackie si commosse.

Erano davvero una bellissima coppia! pensò.

Antonio era un uomo molto affascinante, dalle sopracciglia ben definite e lo sguardo deciso ma dolce.
Anna era bellissima, con i capelli ricci come quelli della figlia raccolti in una raffinata acconciatura arricchita con perline e fiori, e un abito chiaro con un fazzoletto al collo. Gli zigomi alti e il viso sempre sorridente, guardava il suo uomo con aria fiera.

Curiosa, Jackie cercò la datazione di quel video e con stupore scoprì che era stata girata nel 1959.

Ma allora io ero già nata! E mia mamma stava con George! Ma com'è possibile? si chiese con incredulità.
Come poteva Anna essersi fatta riprendere con un altro uomo in tali circostanze durante gli anni del suo matrimonio?
Era evidente che sua madre e Antonio, in quel video, era davvero innamorati.

Forse la mamma era ancora innamorata di lui anche quando era sposata con mio padre ed ero già nata io…, pensò. Dev'essere sicuramente così. Ma allora perché non ha lasciato George e non è tornata ad essere la moglie di Antonio? Avremmo vissuto tutti meglio! Anche se non capisco come questo possa centrare con l'omicidio…

La situazione era troppo confusa per essere analizzata con occhi neutrali da Jackie, che in quel momento si sentiva troppo male per continuare a pensare.
Era solo un povera disgraziata che si arrampicava sull'edera secca del passato, cercando di ritrovare i boccioli appassiti di una vita una volta fiorita.
Aveva bisogno di aiuto, così chiamò Albert, e il fratello fu subito da lei per darle l'appoggio di cui aveva bisogno.

Jackie gli fece vedere la videocassetta, e lui rimase sorpreso dal contenuto.

- Tua madre era davvero bella! - commentò. - Ma non so proprio spiegarmi il "perché" e il "per come" di tutto questo.

Si alzò dal divano blu dov'era accomodato e raggiunse Jackie ai fornelli, che stava facendo bollire il tè in una teiera azzurra.
Lo sguardo di sua sorella era triste e grigio.
Perso nel vuoto.

- Non ti abbattere dolcezza. - Cercò di rincuorarla lui. - Troveremo tutte le risposte ai nostri quesiti.

- Vorrei tanto che Luca, Fabiana e Guglielmo fossero qui. Se fossimo tutti insieme sarebbe più facile valutare la situazione. - commentò una Jackie molto sconsolata.

- C'è un oceano che vi divide. E per ora non possiamo fare altro che contare sulla corrispondenza tra noi e loro e sui nostri cervelli da spremere. La cosa migliore da fare è riflettere con calma e riordinare i pensieri.

Jackie annuì, e servì le tazze.
I due fratelli rimasero silenziosi per un pò, ognuno perso nei proprio pensieri.  

- Sai cosa ho scoperto? - disse a un certo punto Jackie, mentre sorseggiavano la bevanda rigenerante.

- Cosa?

- Sapevi che Joey, il primo marito della mamma, era un musicista? Era un compositore di musica classica!

- No, non lo sapevo. Grazioso. Ma con questo?

- Anche mia mamma era una musicista! Cantava e suonava famosi pezzi blues, jazz e ballava il tango!

- Si, lo so.

- Lo era anche zia Caterina, prima di andare in pensione. E come lei, anche nonna Luna lo era! Entrambe suonavano il violino, e mia nonna anche il sax e il pianoforte!

- La moglie di tuo nonno? Si, questo lo sapevo. Ma che cosa vuoi dirmi con questo?

- Siamo proprio una famiglia di musicisti! - Jackie sorrise amabilmente, consapevole di aver detto una stupidaggine, e il suo ingenuo metodo di rilassarsi fece sorridere anche Albert, che ridacchiò sputacchiando il tè, divertito dal comportamento infantile della ragazza.

Cominciarono a parlare del più e del meno per distrarsi un pò, quando l'improvviso suono del campanello fece sobbalzare entrambi.

- Sono le 17. Chi sarà a quest'ora?

- Aprire la porta è un buon modo per scoprirlo.

Jackie spalancò l'ingresso e, stupita, s'immobilizzò non appena scorse la bizzarra figura ferma sull'uscio e immobile quanto lei.  

Pareva un uomo, dalle fattezze troppo grandi e che sembravano fatte di gomma, indecentemente sovrappeso, con un gonfiore spaventoso come pancia. Le scarpe nere e lucide e la giacca distinta non lo rendevano affatto elegante, anzi, contribuivano a ridicolizzarlo.
La nera barba incolta arrivava fino a metà petto e enormi occhiali da sole coprivano gran parte del volto, lasciando in bella mostra solamente un naso troppo grosso per essere vero.

Dire che Jackie non si spaventò sarebbe una bugia, e la poveretta rimase sulla soglia senza muovere un muscolo, con la mano ancora bloccata sulla maniglia.
Dietro di lei, Albert scoppiò in un'allegra risata.

- Potevi fare di meglio! - esclamò, e Jackie mise meglio a fuoco. I pochi tratti visibili del volto le erano vagamente familiari.

- M.. Michael??

Il bizzarro personaggio era effettivamente Michael, travestito per evitare che un'ondata di fan urlanti lo devastassero.
Per una star del suo calibro andare in giro, anche solo per far visita a qualcuno, era severamente proibito.

Il nuovo arrivato non sembrava nè spaventato nè divertito da ciò che aveva detto Albert.
Anzi, fissava Jackie con sguardo severo, come per rimproverarla.

- Ti pare il modo di aprire la porta a uno sconosciuto? Se non fossi stato io, ma un assassino maniaco, e se non ci fosse stato Albert, prova a immaginare dove saresti ora. Dove saresti, eh? Oh, non voglio nemmeno pensarci… - la sgridò.

Senza tanti complimenti, Jackie lo afferrò per la barba finta e lo tirò dentro con forza, preoccupata che qualcuno potesse vederlo.
Chiuse la porta con un tonfo, e chiuse a chiave, mentre il nuovo arrivato lamentava acuti dolori provocati dalla colla della barba che si era staccata, che gli aveva irritato le guance.

- Michael, che ci fai qui?

Il ragazzo cominciò a svestirsi.

- Sono venuto per aiutarti cara. So che stai cercando di scoprire chi è l'assassino di tua mamma, e voglio starti vicino. - spiegò risoluto e cercando di apparire tranquillo. Ma dalla sua espressione si capiva che era ansioso e preoccupato quanto loro.

Jackie sorrise, evidentemente felice. Quando aveva bisogno, Michael non si tirava mai indietro.
Albert gli appoggiò una mano sulla spalla.

- Sei un amico davvero caro Mike. Dico davvero. - Il moro sorrise.

- Dunque… cosa siete riusciti a scoprire? - chiese, e la castana gli raccontò tutto.

Ci volle una buona mezz'ora perché Michael venne a conoscenza di ogni particolare ed esaminasse per bene la situazione.
Insieme guardarono la videocassetta, e il moro rimase affascinato dalla figura bellissima della madre di Jackie.
Discretamente, il suo sguardo vagava dallo schermo grigio al volto in penombra di Jackie, mettendo a confronto madre e figlia, e poté constatare che le due si somigliavano molto, e che entrambe erano stupendamente bellissime.

Alla fine di tutto, dopo aver raccolto ogni dato che avevano scoperto, la situazione era punto e a capo.

- Come possiamo dire noi chi ha compiuto il delitto? Insomma, Anna poteva avere qualche conoscenza con cui non nutriva buoni rapporti. - osservò Albert.

- Conoscendo il carattere di Anna, mi pare da escludere assolutamente. - disse Michael convinto.

- Ho mandato tempo fa una lettera a Giada, la sua migliore amica, chiedendogli se effettivamente esisteva qualcuno di fastidioso, ma mi ha risposto che no, non c'era essere al mondo che odiasse la mia mamma, o che provasse risentimento verso di lei. No no, nulla di ciò. - Jackie scosse la testa come per allontanare qualsiasi pensiero negativo sulla figura angelica di Anna.

- Non abbiamo volti, e non abbiamo ragioni. - mormorò Albert, sconsolato.

- Già.. eppure sono sicuro che una spiegazione c'è, da qualche parte. Jackie, non mi hai detto che, quando eri nata, Anna aveva cominciato a litigare con George? - Michael non voleva arrendersi. Doveva assolutamente trovare una spiegazione.
Un sospetto navigò rapido nella sua mente.

- Si, ma questo cosa c'entra?

Michael deglutì. Non sapeva se rispondere o no.
Se avesse espresso i suoi pensieri Jackie se la sarebbe presa? Dopotutto, George era pur sempre suo padre, sebbene l'avesse trattata orribilmente molto tempo prima, a Gary…
Fortunatamente, o sfortunatamente, Albert capì ciò che intendeva dire Michael, e lo anticipò.

- Mio padre!? Potrebbe essere stato lui?! - esclamò col volto contratto. Jackie sobbalzò.

- Come potete dire una cosa del genere? - Guardò negli occhi entrambi gli uomini, mentre un mare di pensieri si affollavano contemporaneamente nella sua testa. - George e Anna erano sposati da pochissimo tempo! Mia madre lo amava molto… - disse, mentre il tono della voce diventava più basso e insicuro.

La convinzione nelle sue parole venne meno, e Jackie cominciò a riflettere sul serio. Poteva davvero essere che..? Che George avesse ucciso Anna?
No, era impensabile.
Litigavano certo, ma per delle banalità. Non l'avrebbe mai uccisa.

Albert e Michael si erano fatti improvvisamente silenziosi.
Guardavano la ragazza con gli occhi colmi di preoccupazione, perché sapevano ciò che le stava passando per la testa, e immaginavano già le emozioni che sarebbero scaturite a breve da quel giovane corpo già provato.

Jackie tentava di ricordare.
Ricordare un qualsiasi segnale che potesse aiutarla a trovare un indizio che la convincesse definitivamente che era George il colpevole.
Ogni ricordo del padre dopo l'ultima volta che lo aveva visto, quell'ultima litigata infernale, aveva tentato di cancellarlo, di rimuoverlo dalla sua mente per poter vivere più serenamente.
Le urla, l'odore pungente di alcool che scaturiva dalla sua bocca… tutti flash che erano datati a quando lei era ancora una bambina.
Doveva andare avanti.
Poi, un fulmine improvviso.

- Tu porti guai! Nemmeno ti volevo, io!

Rivide quegli occhi insanguinati d'odio, quel corpo abbrustolito dall'alcool e dall'odio profondo che gli rodeva l'animo.

- Sei stata un errore!

Come l'aveva ferita con quelle parole. Accasciato per terra come un verme che rantola in agonia, con una bottiglia mezza vuota in mano e i vestiti fradici di sudore. Quanta pena le aveva fatto.

- Nemmeno ti volevo, io!

Ma come poteva un padre dire questa alla propria figlia con tale sangue freddo?
Al ricordo di quelle tremende sensazioni, Jackie avvertì un tremore crescente lungo le braccia, e alzò gli occhi verso i due compagni.
Albert era in riflessione, col capo chino. Michael la stava ancora guardando, e appena si accorse della sua espressione disperata fece per alzarsi.

- Jackie.. - mormorò in preda all'angoscia.

- Può essere… che sia lui…. - sussurrò lei, con voce tremante.

Ma le scosse che la pervadevano non le permisero di parlare ancora.
Nascose il viso fra le mani e scoppiò a piangere convulsamente, senza più alzare gli occhi, senza rivolgere la parola a nessuno, nemmeno a Michael che le era corso accanto, e che tentava disperatamente di consolarla.

 

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Capitolo 58
*** Capitolo 58 ***


Se vuoi sapere com’è un uomo, guarda bene come tratta i suoi inferiori, non i suoi pari.


Encino
enorme villa Jackson
 13 giugno 1983

- E così… è uscito "My Summer Love" …

- Umh… - mugugnò Michael. Pensieri confusi portavano la sua attenzione altrove, lontano dalla conversazione.

- E' un album come tutti gli altri. - anche Jackie volle dire la sua.

- Si, come tutti quelli dei Jackson 5. In questo momento la Motown sta proprio mangiando sul successo di Mike.. - Quincy non pareva particolarmente impressionato da quella novità.

Approfittando dell'enorme successo di Billie Jean alla Motown 25, Berry Gordy aveva periodicamente pubblicato alcuni vecchi inediti dei Jackson 5 raccolti in album, incassando così una somma considerevole.
Quincy per esperienza conosceva fin troppo bene i trucchi del mercato: numerose volte aveva visto le case discografiche pubblicare album registrati diversi anni prima in base alla moda del momento.
Nonostante ciò, questa volta pareva davvero irritato.
In cuor suo, detestava il fatto che qualcuno ne approfittasse così.
Jackie invece non considerava assolutamente la questione.

- Lasciamoli fare Q. Io non li biasimo. Dopotutto, davanti a un tale successo, chi vuoi che non se ne approfitti? - e bevve il suo tè con disinvoltura.
L'irritazione l'aveva già soffocata.

Anche lei ne era molto infastidita, ma non voleva avviare una discussione con Q che certamente li avrebbe portati solo a scaldare l'atmosfera e rovinare la tranquillità di quel pomeriggio.
Così decise di cambiare argomento di conversazione.

Michael voltò appena il capo per guardarli.
La chiacchierata procedeva amabilmente, dislocata verso altri argomenti di comune interesse umano.
L'empatia che c'era fra Quincy e Jackie era carezzevole a quella distanza, e il giovane uomo sorrise inconsapevolmente.

- Ehi Mike, non parli un pò con noi? Credevo avessi qualcosa da raccontarmi! E' da un pezzo che non ci riuniamo tutti in studio, e ammetto che la vostra mancanza comincia a farsi sentire… - disse Q, che tutto sommato era felice di passare del tempo con i due giovani.

- Non mi dirai che in queste settimane non hai fatto altro che lavorare ad altri progetti? - esclamò Jackie.

- Assolutamente no, ma a casa da solo mi annoio. Mia moglie è via e non so quando tornerà. Quindi rimango in studio, così se qualcuno ha bisogno di una mano, non mi tiro indietro…

- Parliamo un attimo di lavoro. Discuteremo poi delle nostre ferie, che sono ormai prossime: l'estate è alle porte! - disse Jackie, e interpellò il compagno di giochi. - Novità, Mike? - E stavolta, il moro intervenne prontamente.

- Ho scritto qualcosa, questo si. Ma si trattano solo di note volanti, e non c'è nulla di pronto. E' tutto ancora poco chiaro, e le idee svolazzano. A volte è come se mi sentissi svuotato…

- Bè, usciamo da un periodo estremamente produttivo e intenso, ed è normale che tu sia un poco spossato. Non è necessario darci dentro subito. - consigliò Q.

- E invece è proprio ciò che intendo fare. - replicò Michael, e dopo una pausa, decise di esporre la sua idea. - Ho intenzione di fare un album che superi Thriller.

Al produttore il caffè andò quasi di traverso. Jackie sbarrò gli occhi un momento, ma dopo un secondo di riflessione sorrise compiaciuta.

E' in grado di farlo. Ha tutte le carte in regola, pensò fiduciosa, ma Q era perplesso. E stupito.

- Superarlo? Scherzi Mike? Sei tuttora alla vetta di tutte le classifiche e sono passati mesi dalla pubblicazione di questo album! - Scosse la testa con convinzione. - Dovresti essere soddisfatto della nostra opera. - Lo ammonì.

- Lo sono infatti. Ma lo sarò ancora di più se riuscirò a ripeterla, e a migliorarla. - Prese fiato e attese. L'espressione di Q era ancora poco convinta, e decise di scoprire tutte le sue carte per persuadere il suo produttore. - Se ci riuscissi, avrei la prova definitiva di aver raggiunto la perfezione. - confessò.

Le sue guance si erano leggermente arrossate.
Michael arrossiva sempre quando parlava così apertamente con loro.
Davanti a Jackie non provava vergogna a esporre così i suoi pensieri, ma con Q era ancora un'altra questione.
Presto anche quell'ultima barriera di vergogna sarebbe scomparsa, ma in quel momento arrossire gli venne spontaneo e naturale.  

Dopo quell'ultima frase, i tre rimasero in silenzio per qualche minuto.
Michael spostava lo sguardo da un ospite all'altro, per cercare di captare i loro pensieri.
Q lo guardava stupito, ma con gli occhi pensierosi. Jackie li osservava entrambi con un'espressione serena, e un sorriso fiducioso che rallegrò il cuore ansioso di Michael: se Q non avesse capito, sarebbe stata lei a spiegarglielo.

- Ripetere la formula di Thriller… - Quincy si grattò la testa, esaminando la cosa mentalmente, e alla fine espose la sua opinione. - Bè, l'impossibile non esiste, e non voglio sembrarvi cinico, ma sarà un'impresa bella e buona. Ci sarà parecchio da lavorare…

Il sorriso che era apparso sul suo volto fece capire a Michael e Jackie che li avrebbe appoggiati anche in questo progetto.

- Non mi spaventa il lavoro - disse Jackie - Ma quello che dovrà darci dentro più di tutti sei tu, Mike. - Il giovane annuì, per nulla spaventato.

- Però vorrei che tu ascoltassi ancora questo consiglio, Mike - cominciò Q. - Vorrei che tu prendessi le cose con calma. Per scrivere delle nuove canzoni avrai bisogno di molto tempo, e voglio che tu proceda con più lentezza possibile, per assicurarti un buon risultato.

- Certamente Q. - Michael sorrise. - Ti proporrò presto qualcosa di molto interessante!

- E sia dunque. - disse Q, ormai completamente convinto. - Sei proprio un tipo bizzarro Michael: continui a sfidare te stesso alla ricerca di una cosa quasi impossibile da trovare. Sei proprio coraggioso.

- Non è bizzarro, è l'amore per qualcosa più grande di noi. E' una passione che c'è in tutto ciò che c'è da vedere. - disse Jackie, mentre Michael abbassava il viso, imbarazzato.

- Tu ingrandisci troppo la questione, mia cara. - Q sorrise teneramente, ma Jackie parve irritata.

- Non sono io Q. E' la gente che vi lavora che l'ha trasformata in quotidianità, e non fa più caso alle magie che si compiono in ogni momento.

Era così convinta di ciò che diceva che i due uomini non potevano fare a meno di guardarla quasi con ammirazione.
Jackie non pareva essersene accorta e continuava imperterrita il suo monologo, con gli occhi smeraldo profondi come un oceano in cui nuotavano mille stelle.

- Penso che per scovare i veri capolavori bisogna tenere sempre a mente questi criteri e mai dimenticarsi o sottovalutare l'importanza di tutto questo. La musica è una gran bella cosa, e così tante persone ci lavorano sopra che penso che quasi nessuno si renda veramente conto di quello che fa, o di quello che si potrebbe creare.

Si fermò per prendere fiato, e dopo essersi accorta di aver parlato in modo così istintivo e arguto, arrossì.

- Scusate - disse solamente, abbassando lo sguardo. Ma i due non erano affatto offesi o irritati.

- Mia cara, non devi scusarti. Hai dimostrato una grande sensibilità, e ne sono compiaciuto. - si complimentò Q, posandole una mano sulla spalla scarna per tranquillizzarla.

Michael non disse niente, ma i suoi occhi brillavano felici: era piacevolmente emozionante vedere la sua compagna di giochi parlare così spontaneamente di principi che lui non scordava neppure un istante, e di cui non aveva mai parlato a nessuno.
Lei riusciva a capirlo e nemmeno se ne accorgeva.
Ciò lo rese immensamente felice, perché sapeva che avrebbe potuto sempre contare su di lei.
Restò per un pò a guardare quei due che nel frattempo avevano ripreso a chiacchierare.

- Michael è un filosofo. - disse Jackie.

- E con questo cosa vuoi dire? - chiese il diretto interessato.

- Pensaci bene. - Jackie sollevò il dito. - I medici studiano l'anatomia del corpo al fine di trovare una cura a tutti i mali di cui possiamo ammalarci. I geologi ascoltano la terra per riuscire a capire la dinamica dei terremoti, per prevederne l'intensità o per controllarli.

- Non capisco cosa c'entra tutto ciò con noi, Jackie.. - intervenne Q.

- E' un concetto che ci insegnano a scuola. - rispose Jackie. - I filosofi studiano la realtà nella sua totalità. E questo perché? Non si sa. La studiano al fine di conoscerla, e basta.

- Forse ho capito. - disse Michael, pensieroso.

- Mike è un filosofo perché… ricerca la musica al fine della musica. Non ha altri motivi per farlo! Mi sono spiegata?

Michael sorrise, un pò imbarazzato e un pò contento, e Q scosse la testa, avvicinandosi al giovane.

- Che dici: è impazzita? - gli chiese sottovoce, mentre la ragazza era intenta a versarsi un'altra tazza di tè.

- Lasciala dire Q. Dovresti essere abituato a questi suoi raptus, che poi non ci fanno così male dato che ci rallegrano sempre. - E Quincy fu d'accordo con lui.

Il pomeriggio proseguì tranquillamente, e verso sera i due ospiti si congedarono da Michael, che si chiuse nel suo ufficio a lavorare.

- Quel ragazzo è instancabile! - esclamò Jackie mentre insieme al produttore raggiungevano le loro auto parcheggiate lì vicino.

- E' proprio vero - rispose Q, che la teneva a braccetto. - E anche se il tuo ragionamento sulla filosofia era ben strana cosa, devo ammettere che avevi ragione: vuole eccellere per sè stesso, e non per guadagnare o per diventare più famoso di quello che è già.

Jackie annuì.
Il produttore rivolse lo sguardo verso il tramonto che colorava il cielo d'arancio.

- Questa è, insieme al suo carattere, la peculiarità che di lui mi piace di più. E' diverso da tutti gli altri artisti con cui ho lavorato. - Q voleva molto bene a Michael, e nelle sue parole si celava un affetto paterno.

- E' proprio per questo che sono super convinta che ce la possa fare! - Baciò la guancia scura al suo "papà" e si diresse verso la sua auto.

- Ci vediamo dopodomani! - lo salutò.

La sua carretta bianca vecchio modello di seconda mano l'attendeva parcheggiata alla bell'e meglio, perché nonostante l'esperienza accumulata Jackie e la guida non avevano mai imparato ad andare d'accordo. La patente l'aveva per miracolo e, ne era sicura, prima o poi gliela avrebbero ritirata.

Stava per salire a bordo quando notò un'intensa macchia rossa sul cruscotto, e un lungo stelo verde incastrato sotto il tergicristallo.
Quella rosa bellissima spiccava nettamente sul bianco della vernice, e sebbene il vento le avesse strappato ben due petali la sua bellezza era ancora tutta da ammirare.

Quel curioso ritrovamento l'aveva stupita e, perplessa, Jackie raccolse il fiore scarlatto e si guardò intorno.
Subito le fu chiaro che la rosa non era lì per caso, ma qualcuno l'aveva lasciata di proposito, e quel qualcuno non doveva essere molto lontano.
La strada però era deserta, allora Jackie salì in macchina e mise in moto, osservando il fiore che pareva osservarla dal sedile l' accanto dove lei l'aveva appoggiato.

Colui che l'ha portata avrà certamente sbagliato. Non ho corteggiatori, io, pensò diretta verso casa, col tramonto che le incendiava il volto e la costringeva a tenere gli occhi socchiusi per la luce troppo intensa.

Se non altro, è davvero una bellissima rosa. E si rallegrò di quello strano ritrovamento che comunque l'aveva fatta sorridere.

E mentre spariva in fondo alla strada, qualcuno nascosto dietro le tende di una finestra la osservava.

 
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Encino
enorme villa Jackson
20 giugno 1983

- … Adoro i sigari. So che non approvi, ma per me è come un'arte. Dovresti provare secondo me. Non c'è nulla di meglio…

Michael trattenne un sospiro.
Non aveva idea del perché avesse invitato quel pomeriggio Frank DiLeo.
L'uomo non aveva fatto altro che parlare di soldi, inutili passatempi, sigari e donne, un argomento che lo aveva imbarazzato non poco.
Si chiese il motivo, ma poi si ricordò dell'aiuto che gli aveva dato con Thriller, e aveva dovuto ringraziarlo.
Frank, pensò fra sè, fingendo di ascoltarlo, non è una cattiva persona. Ha solo interessi molto distinti dai miei e idee completamente diverse, però sul piano lavorativo è davvero un asso.

Pensò che gli sarebbe stato comodo una persona così al suo fianco, magari come manager.
Mentre coltivava quell'idea segretamente, osservava bene i lineamenti del personaggio di fronte.

Era indecentemente sovrappeso, con un pancione tondo tondo sul quale la cenere del sigaro rimaneva a sporcare la camicia.
Le labbra sottilissimi stingevano avide il grasso bastoncino tossico e fumante, mentre quell'odore si spargeva per tutta la stanza come un'influenza.
Preso com'era da quella acuta riflessione sui dettagli, Michael non si accorse dell'attimo di silenzio che seguì.

- Mi stai osservando.. - constatò Frank, e il ragazzo ritornò subito in sè stesso.

- No! Ti ascolto Frank! - balbettò rossissimo.

- Non stavo parlando, e questa è la prova inconfutabile che mi stavi studiando. Bene Michael. Prima di esserti accertato delle informazioni che hai ricavato osservandomi, fammi il piacere di parlarmi del tuo mestiere. Non abbiamo ancora toccato l'argomento "musica".

- Si -

 
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Encino
enorme villa Jackson
25 giugno 1983

Il sole toccava il più alto punto del cielo, e non c'era alcuna nuvola.
La maggior parte della gente normale, a quell'ora, era riunita alla costa del mare per concedersi una giornata di svago e riposo.
Quella gente aveva la possibilità di muoversi in ogni dove, senza telecamere puntate addosso o flash accecanti.
Michael sapeva bene di non avere quella possibilità, e soffriva per questo.
All'inizio non aveva capito perché Jackie non si fosse mischiata a quella gente, coltivando la sua vita sociale come una normale persona è libera e fortunata di fare.
Lei quel giorno era venuta da lui, e da lì non pareva intenzionata ad andarsene.
Inizialmente Michael era rimasto perplesso da questo, per poi esserle grato, perché se Jackie aveva deciso di sacrificare lo svago che avrebbe potuto provare uscendo con la gente normale, era perché gli voleva davvero un bene dell'anima.
E da quel sentimento che lui ricambiava sinceramente, si era prodigato per regalarle comunque una piacevole giornata.
Purtroppo però, le possibilità di svago all'interno di quattro mura con una così bella giornata all'esterno erano davvero scarse.
Così Jackie aveva di nuovo preso in mano la situazione.

- Non è vivibile per una persona essere sigillata fra quattro mura! E' istigazione al suicidio! - così aveva detto, e l'aveva convinto a compiere una vera pazzia.

Ora si trovava per strada, seguito a debita distanza dai suoi più fedeli BG, quindi Albert, George e Thomas, camminando tranquillamente a fianco a Jackie.
Si sentiva accaldato non solo per l'afa e il sole, ma soprattutto per i dieci chili di travestimento che aveva addosso, che comprendevano pancia finta, baffi e barba, dentiera e uno spesso strato di camicie e sciarpe per mescolare il tutto.
Ma nonostante quel suo scomodo fardello, la gioia nel poter uscire e camminare fra la folla senza essere riconosciuto era tale da fargli dimenticare quella fatica.

Jackie era così naturale e bella, confronto a lui, che chiunque notasse quella coppia borbottava sulla fortuna che aveva avuto quel "gobbo bruttone".

- Mi sento un pò a disagio.. - le disse lui, mentre superavano un largo ponte di cemento.

- Cerca di non pensarci e cammina con disinvoltura. Attento a dove metti i piedi.

- La gente mi nota, e non la biasimo se penso a quanto posso sembrare strano. Ma ho paura di essere scoperto…

- Non ti preoccupare di questo. Ti proteggo io. - e gli sorrideva in modo così rassicurante che tutte le paure lo abbandonavano.

Presero un gelato, camminarono più volte sullo stesso viale e costeggiarono una spiaggia, il tutto immerso nelle chiacchiere più piacevoli.
Da quel giorno, quella pazzia divenne il loro passatempo preferito, assieme al cinema.
Ma la quasi totale mancanza di Jackie a casa sua aveva incuriosito non poco la vicina, che decise di andare più a fondo nella questione.

Rose aveva conosciuto Jackie quando quest'ultima si era trasferita nella casa accanto alla propria.
Erano entrambe ragazze giovani ed esaltate, e non avevano fatto fatica ad andare d'accordo.
Il loro rapporto si era basato, soprattuto nei primi mesi dopo il trasloco, sulle chiacchiere accanto al vicino cassonetto, e su scambi di favore a base di sale, latte e biscotti.
Ma entrambe avevano il loro daffare, soprattutto Jackie che svolgeva una mansione non comune a tutti, e i loro incontri si erano fatti sempre meno frequenti. Ciò non aveva abbassato però il loro livello di buona amicizia.

Rose era una ragazza di buona famiglia, che però aveva preferito abbandonare l'ala protettiva dei genitori per cercare fortuna da sola.
Così, appena diciottenne, si era messa in viaggio con la carta di credito del padre e si era stabilita lì, nella tranquilla e nascosta Blue Rose Street, un sentiero asfaltato dove non passava quasi mai nessuno, se non il camion della raccolta tre volte al mese.
Rose era diventata il capo del quartiere, un pò per il suo carattere impulsivo, e un pò perché conosceva la strada e la gente che ci viveva come le sue tasche.
Non accadeva nulla che lei non sapesse.
Lavorava in un'acciaccheria, ed era l'unica donna in un corteo di uomini sposati e maleodoranti, che non osavano farle la corte.
Non che non fosse bella: il suo viso rotondo e i ricci rossi come il fuoco mostravano chiaramente il contrario.
Ma i suoi occhi color ghiaccio non lasciavano trasparire alcun segno di dolcezza, e minacciosi non lasciavano che nessuno si avvicinasse troppo a lei.

Rose sapeva che Jackie aveva il suo impegnato daffare, con il suo lavoro, i vari impegni sparsi, le visite domenicali alla mensa dei poveri e la famiglia dall'altra parte del globo, ma quelle assenze estive stavano diventando, a suo dire, troppo sospette e prolungate.
Così, in mancanza d'altro di cui occuparsi in quell'atmosfera di afa apatica e calura opprimente, decise di scovare il motivo di tanto interesse che spingeva la vicina ad assentarsi così a lungo da casa.
Rose non poteva certo immaginare che quella faccenda in cui andava a ficcare il naso l'avrebbe portata a incontrare uno degli uomini più conosciuti al mondo.


 

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Capitolo 59
*** Capitolo 59 ***



Ho imparato che la gente si dimentica quello che hai detto, la gente si dimentica quello che hai fatto, ma la gente non potrà mai dimenticare come li hai fatti sentire.


USA, Los Angeles
Blue Rose Street
11 luglio 1983

Erano appena le sette del mattino quando Jackie uscì di casa fischiettando.
Allegra ed energica come al solito, salì in macchina non prima di aver caricato in macchina degli ingombranti e sospetti sacchi neri, contenenti calze, sciarpe, giacconi e lunghi pezzi di stoffa.
Servivano a lei e al suo compagno di giochi per fabbricare nuovi travestimenti per circolare fra la gente comune senza attirare sguardi, poiché fra le tante cose che Jackie si dilettava di fare, spiccava nettamente il lavoro di cucito.
Rose, nascosta dietro la tenda di casa sua, spiava con attenzione tutte le mosse della vicina.
Poi, spinta da un'irrefrenabile curiosità si convinse a uscire, e uscì.

Non seppe mai per quanto tempo seguitò a starle alle calcagna, poiché nel timore di perderla di vista non le staccò più gli occhi di dosso.
Sapeva solo di aver percorso molta strada, perché quando si riscosse dai suoi pensieri non riuscì più a orientarsi.
Nonostante ciò, decisa più che mai a non badare ai propri fatti, continuò imperterrita a seguire l'ignara Jackie, che intanto era in attesa davanti a un cancello dopo aver suonato il campanello.
Dalla lussuosa abitazione uscirono tre uomini.
Uno di loro prese Jackie a braccetto e insieme si incamminarono, cominciando a conversare in modo, da come riusciva a vederlo, alquanto piacevole.

Li seguì per più di un'ora, ma la sua non era una presenza invisibile e quando si sentì afferrare da dietro con violenza da mani robuste si accorse di aver davvero esagerato.
Voltandosi verso i suoi aggressori, notò che erano affettivamente due (poiché le mani che l'avevano afferrata per la vita erano ben quattro), ed erano uomini eccessivamente robusti.
Di loro riuscì a scorgere principalmente gli abiti eleganti e neri, e degli occhiali scuri che rendevano le loro espressioni ancora più altere.
Uno di loro era biondo, l'altro moro dalla pelle color cioccolato.
Ma anche se la paura l'aveva frenata per un momento, la sua natura selvaggia riemerse in un baleno e la portò e reagire con violenza.
Era in una strada poco frequentata, e urlare non sarebbe servito a molto, così si divincolò in modo piuttosto indecoroso.

- Lasciatemi! Lasciatemi brutti mostri! - strillò. - Chi siete? Che cosa volete?

- Fai silenzio! - le ordinò l'uomo biondo con voce ferma, e sempre tenendola forte la condusse ancora più in fondo a quella via, dove nessuno avrebbe potuto disturbarli.
Le lasciò la vita, ma continuò a trascinarla per il polso.

- Cosa diavolo volete? - Rose cercava di fuggire, ma la stretta dell'uomo era davvero troppo potente. Per un attimo credette che le breve rotto l'osso.

- Abbiamo visto che stavi seguendo due persone - spiegò l'uomo di colore - E non negare, perché ne siamo assolutamente certi.

- Perché li segui? Cosa vuoi da loro? Sei una ladra? Una paparazza? Ti avvertiamo: lasciali stare. - la minacciò il biondo.

Rose cominciò a sudare. Quegli uomini l'avevano scoperta, ma che rapporto avevano con Jackie e quell'uomo che era con lei?

- Non sono una ladra! - rispose con arroganza. - E non ho paura di voi. E quel che faccio non vi riguarda affatto!

I due stavano per risponderle, ma proprio in quel momento arrivarono Jackie e Michael.
La prima, appena scorse la vicina di casa, sbarrò gli occhi.

- R-Rose??

Appena la vide, la rossa ricominciò a divincolarsi.

- Jackie! Che diavolo!

- Albert, lasciala!

- Non posso. Vi stava seguendo.

- E va bene, lo ammetto. Jackie, mi devi spiegare alcune cose: perché mai non mi hai detto che avevi un fidanzato?

- Eh?

- Insomma, non ti ho più visto a casa. Sei sempre fuori, ora ho scoperto perché. Ti ho seguita perché volevo scoprirlo.

Dopo un attimo di puro stupore, la castana si mise a ridere, e l'uomo accanto a lei, muto e impassibile fino a quel momento, sorrise.

- Cosa ridete? Vi pare il modo! Questi due mi hanno afferrata e mi hanno fatto prendere un bello spavento! Mi devi delle scuse Jackie!

- Bè, perdonami Rose, ma hai frainteso. Questo ragazzo non è il mio fidanzato.

- E allora chi è? E perché non mi hai detto nulla? - La curiosità le aveva fatto dimenticare tutti i principi della discrezione e anche le mani di Albert che erano ancora strette ai suoi polsi.

- Bè… - A quel punto, il ragazzo accanto a Jackie decise di prendere la parola.

- Jackie, credo che non sia giusto far preoccupare la tua amica. - Così dicendo si avvicinò a Rose. - Non prendertela con Jackie, lei non poteva dirti nulla per un semplicissimo motivo.

Avvicinandosi Rose aveva avvertito il dolce profumo del ragazzo, e anche la sua voce si era resa più dolce e naturale.

- Mike, non avrai intenzione di..? - Jackie era sorpresa. Michael si voltò verso di lei per un attimo.

- Non vedo che male ci sia, tanto di qui non passa nessuno. Inoltre la tua amica sembra davvero agitata. - Si rivoltò verso Rose, che lo guardava in silenzio con attenzione e sorpresa. - Vedi, Jackie doveva mantenere questo segreto perché.. ehm..

Si avvicinò ancora di più. Con una mano sciolse la sciarpa e con l'altra tolse i finti baffi e gli occhiali. Appena riconobbe quel bel viso Rose spalancò la bocca dallo stupore.

- Non ci posso credere - riuscì a dire poco dopo - Tu.. tu sei… sei…

Michael pose l'indice davanti alle labbra ammonendola al silenzio, e Rose chiuse la bocca. Lui si rimise occhiali e baffi.

- Ora capisci? - chiese Thomas, più gentilmente.

- Si. - Rose si voltò verso di loro. - Dunque voi siete le sue guardie del corpo.

- Si. - rispose Albert.

- E mi avete presa perché pensavate che potessi far del male a loro vero?

- Si. - I due uomini avevano radicalmente cambiato atteggiamento, ora erano molto più cortesi, e la loro espressione si era assai addolcita.

- Ci dispiace averti afferrata così sgarbatamente, ma dobbiamo stare molto attenti. - le spiegò Albert.

- Ma perché ti devi travestire? - chiese Rose a Michael. La domanda era così ingenua che lo fece ridere.

- Perché altrimenti non potrei nemmeno uscire di casa!

- E tu come fai a conoscerlo? - chiese Rose, ancora stupita, a Jackie. - Voglio dire, è Michael Jacks..  

Non riuscì a terminare poiché Jackie si era gettata su di lei tappandole la bocca.

- Shht! Qualcuno potrebbe passare e sentire! - disse.

- Troppe domande! - esclamò Michael. - Andiamo a casa, così potremo raccontarti. - la invitò.

Rose non aveva mai viaggiato su una limousine, ma in quell'occasione la cosa non le importava.
Nell'elegante soggiorno di casa a Encino Michael si fece conoscere, e le raccontò la sua storia. Dopodichè, lei gli raccontò la propria.
La sua presenza da famosissima postar, in pochissimo tempo, non la emozionò più di tanto, e ai suoi occhi Michael comparve con un normalissimo essere umano.
In compagnia di Jackie, i due entrarono in simpatia, e anche Michael superò la sua barriera di timidezza che lo accomunava.

- Non lo dirò a nessuno. - disse Rose quando arrivò l'ora di salutarsi. - Promesso.

- Ci conto. - le salutò Michael, e le due ragazze tornarono a casa assieme.

- Come mai ti disturbava il fatto che passassi così tanto tempo fuori casa Rose? - le chiese Jackie una volta in macchina. - Tanto da seguirmi di nascosto!

- Non lo so. - le rispose semplicemente. - E tu perché non mi hai detto che conoscevi Michael Jackson?

- Non è una cosa che posso dire in giro. - le spiegò. - Sai, qualche fotografo potrebbe interessarsi anche a me e la cosa darebbe fastidio.

- Mmh. - rimasero in silenzio per qualche minuto. - E' buffo però! Voglio dire, andare in giro a braccetto con una delle star più celebri senza che nessuno se ne accorga.. ma perché lo fate?

- Per passatempo.

- Ma Michael ha tanti soldi, e una casa così grande.. con tutti gli svaghi che può permettersi.

- Nulla paga la compagnia di qualcuno - rispose Jackie seriamente - Sopratutto se sei solo e non hai nemmeno lontanamente la possibilità di farti degli amici.

Quella frase fece scattare qualcosa  di simile a una molla in Rose, come una porta aperta, un pensiero mai captato.
I ricordi recenti che aveva di Michael, appena conosciuto, le gote quasi sempre rosee d'imbarazzo, il suo sguardo umile e sfuggente, e quella scintilla di pianto che gli illuminava gli occhi.
Ora riusciva a vedere la sua solitudine, e se ci riusciva lei, che l'aveva appena conosciuto, una persona come Jackie, che per lei Michael era come un libro aperto, cosa riusciva a vedere in lui?
Sicuramente tutta la sua anima, e nessuno avrebbe potuto di dire di conoscere questo curioso personaggio meglio della ragazza ricciuta.

Da quel giorno Rose imparò una lezione molto importante: a farsi i cavoli suoi.
E da quel giorno, non c'era occasione che non notasse Jackie andare da lui con i vassoi colmi dei propri biscotti che aveva infornato appositamente per lui.
E quei pensieri gentili si tramutarono in visite periodiche, incontri e anche gite al parco o al luna park.
Non si può dire che rose e Michael diventassero amici, ma certamente impararono a divertirsi insieme come persone che ne hanno bisogno.
 
---


Non mi dilungherò molto sull'estate che seguì, perché non attirerebbe molto la nostra attenzione.
Basterà dire che portò con sè valangate di premi, successo e … vicende amorose.

La prima ad accorgersene fu Jackie che, all'assegnazione dei Grammy Awards, ai quali aveva avuto occasione di partecipare come spettatrice in compagnia di Q, notò del fuoco accendersi negli occhi della celebre Brooke Shields, la famosa e affascinante attrice, nei confronti del suo compagno di giochi.
La sua buon'anima, casta a pura, non le permise di costruirsi in mente pettegolezzi e constatazioni affrettate (per nostra fortuna, perché di pettegole in giro ce nè sono tuttora sin troppe).
Tuttavia il suo occhio osservatore ci aveva visto giusto anche in quell'occasione.
E quando le visite dell'attrice si spinsero anche a Encino, la questione cominciò a spaventarla.

Erano appena i primi di agosto, ed era a casa Jackson da tutta la mattina quando a mezzogiorno Michael si congedò e sparì.
Quel pomeriggio sarebbero venuti in visita alcuni fratelli, fra cui Jermaine, Tito, Marlon e le tre femmine, e Jackie pensò che Michael si fosse dileguato nel tentativo di non dover sopportare i loro pesantissimi caratteri, rifilandoli a lei, in un involontario dispetto.

Nonostante tutto era felice di vederli, e loro di vedere lei, perché in comune avevano l'infanzia passata assieme, e tanti ricordi da condividere.
Jackie era come una sorella per tutti, eppure spiccava fra di loro, non solo per i colore della pelle e dei capelli, ma per la bellezza.
E ciò impietosì gli animi delle giovani donne Jackson che la catturarono subito nel loro covo di chiacchiere, graffiandola con artigli di pettegolezzi.
Janet era, come lei, sinceramente gentile, e non intendeva farle dispetto o raggirarla nonostante l'invidia provata che tentava di seppellire.
Rebbie e LaToya erano il polo opposto: non erano partite con l'intenzione di attaccare la piccola Jackie, ma il loro orgoglio femminile glielo imponeva sapientemente.
Così, una volta catturata la preda, iniziarono a divorarla con una serie di finti sorrisi e falsi complimenti che avrebbero fatto rabbrividire la più accorta delle giovincelle.
Jackie non si accorgeva nel loro intento, ingenua com'era in giovinezza, ma percepì l'atmosfera pesantissima e una parte di lei, che prepotentemente cercava di reprimere, voleva scappare.

La spinsero a raccontare di sè, del suo lavoro, e dopo parlarono del proprio, e Jackie ascoltava, e non poneva mai domande con la stessa famelica curiosità delle altre tre.
L'idea malsana che si fecero di lei le tre sorelle Jackson le portarono a compatirla e nulla poté fermarle dal dimostrare il loro disprezzo nei suoi confronti, seppur in maniera compassionevole e falsamente cordiale.
Tuttavia, la maniera in cui Jackie aveva racconta di vivere non riuscì a non concretizzare una certa curiosità.

- Sei così diversa dalle ragazze che conosciamo, e così volubile. Nel senso buono intendo - osservò Janet.

- E' vero! - ribattè LaToya.

- Fai progetti per conto tuo - continuò la sorella minore. - Ti guadagni da sola i tuoi soldi e non hai ancora avuto un compagno. Questa cosa non ti mette un pò a disagio?

- Non ci ho mai pensato! - Jackie sorrise.

- Ma tutte devono aver avuto un fidanzato, per forza, no?

- Già, e poi, con quel bel faccino che hai… - I loro occhi affamati di sapere le incutevano un pò di timore.

- Non ho nulla da raccontare al riguardo.

- Ma avrai avuto qualcuno che ti facesse la corte, no?

- Si, qualcuno….

La situazione stava degenerando, ma fortunatamente mamma Katherine la tirò fuori da quel mare d'imbarazzo dov'era caduta.
Seppur non fosse sua figlia, Katherine considerava Jackie come tale, e detestava l'idea che qualcun altro, anche che si trattasse del sangue del suo sangue, mettesse malsane idee in testa all'unica anima innocente che le era rimasta.

- Perché Michael non è qui? - chiese LaToya alla madre. - Sapeva che saremmo arrivati a fargli visita, no?

- Credo che si stia preparando per i Grammy Awards, tesoro.

E infatti Michael, in quel periodo, stava ricevendo così tanti premi cui non aveva più posto dove metterli.
Il suo successo l'aveva portato davvero all'apice, e la quantità di statuette d'oro e di platino che si era portato a casa era esorbitante.
Jackie aveva dovuto aiutarlo a trasportarle, mettendole non senza delicatezza, nelle cassette della frutta che si era occupata di portare per l'occasione.
Quella trovata aveva fatto sorridere molti di coloro che stavano dietro le quinte della premiazione, e ancora una volta Jacqueline Foster si era fatta riconoscere, involontariamente, come 'l'assurda amica di Michael Jackson'.
Quella sorta di soprannome di riconoscimento l'avrebbe accompagnata anche negli anni a venire.

I Grammy Awards non avevano portato solo premi e successo.
Come già detto, nell'aria vi era odore di novità, e Jackie fu la prima ad annusarlo.
Quel profumo sapeva di buono, di eleganza, di fascino… di donna.

- Michael, come va?

- Tutto bene mia cara, ma non direi lo stesso di te. Ti vedo.. turbata. Cosa c'è che non va? - chiese preoccupato.

- Assolutamente niente.

E invece c'era.
Ma non era grave, perché era solo una lievissima sensazione di irritazione.
Dopo diverso tempo, che andò da luglio ad agosto, Jackie scoprì il motivo del malessere provato, quando se lo ritrovò in casa a Encino.
La giovane attrice aveva l'aria di una sirena, e i suoi capelli castani parevano tele appartenenti all'arcolaio di una dea.
Michael sembrava molto preso da lei, ma il turbine di nuvole nere formatasi nella mente di Jackie mi impedì di approfondire tale argomento.
Tuttavia, fu un periodo che durò un battito d'ali, e nessun effetto di tale vicenda venne subìto in seguito.
Per nostra fortuna.
 

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Capitolo 60
*** Capitolo 60 ***


Vivi come se dovessi morire domani. Impara come se dovessi vivere per sempre.

Con l'arrivo dell'autunno 1983 Michael aveva già riempito un quaderno di note.
Non che fosse uso comune fra i musicisti scrivere ancora le loro creazioni su carta straccia pentagrammata, ma Michael non dissipava le antiche abitudini, e gli piaceva considerarsi un pezzo d'antiquariato.
Le sue creazioni, seppur scritte in maniera obsoleta, avevano un sapore differente dalle antecedenti, che conosceva ribellione e progresso.

La musica gli era stata amica nell'idealizzazione di quelle piccole opere che, col tempo e col lavoro, sarebbero diventate certamente frammenti di perfezione.

L'autunno ormai alle porte portava con sè la fastidiosa consapevolezza del tempo che scorre inesorabile.
E per Jackie era arrivato il momento di scoprire la verità.
Nel corso degli anni, anche se i vari accadimenti ci hanno portato a non prestarci più attenzione, Jackie aveva continuato ad approfondire la sua ricerca riguardo l'assassinio di Anna Foster.
Era il suo chiodo fisso, il suo tarlo incancellabile, e per senso di giustizia e desiderio personale era più che mai decisa a scovare il colpevole.
La sua discussione, diverso tempo prima, con Albert e Michael le aveva già messo in testa qualche amaro sospetto.

- Tu porti guai! Nemmeno ti volevo, io!

George non le aveva mai rivolto una parola gentile. Non l'aveva mai visto sorridere, e sarebbe stato suo desiderio non rivederlo mai più.
Dopo l'ultima litigata fra loro, Jackie era del parere che anche suo padre era ben felice di non vederla più.
Ma le sue continue domande sull'assassinio della madre pretendevano a tutti i costi una risposta, anche se ciò avrebbe voluto dire ritornare a Gary e chiederlo direttamente a George.
Non c'era altro modo.
Probabilmente non gli avrebbe nemmeno risposto, ma valeva la pena tentare: ormai era passato troppo tempo dall'omicidio, e nessuno poteva più dimostrare prove sufficienti per scovare un colpevole.

Un giorno di settembre inoltrato dunque, Jackie si mise in viaggio e ritornò alla vecchia via dov'era cresciuta.
Il profumo di quella strada la inebriò, e che strana sensazione camminare con i tacchi su quello stesso marciapiede che una volta percorreva con quelle piccole scarpe di suola consumata, per andare a scuola.
Come sembrava più piccola e corta la strada, e anche la casa sembrava essersi ridotta.
La casa.
Appena la scorse Jackie credette di dover trattenere il fiato, ma nessuna emozione, nè malinconia nè disorientamento, la privò del respiro.
Nessun ricordo si accese in lei, nessun volto che le mancasse ritornò a galla dal mucchio di ricordi.
Sebbene il suo stato psicologico non ne fu per nulla turbato, rimase a lungo immobile sul marciapiede a pensare, mentre il gelido vento le scompigliava i riccioli elastici che sventolavano come bandiere.
Che fare ora? Come presentarsi dopo tanto tempo pretendendo certe risposte?

Pensò con calma Jackie, non avendo nessuno che l'aspettasse, perché com'era solito del suo carattere fare le cose in perfetta autonomia, non aveva avvertito nessuno della sua partenza.
I suoi tre uomini a lei più cari, Michael, Albert e Quincy, sapevano solamente che avrebbe cercato delle risposte, ma non sapevano nè come nè dove.
Se avesse detto loro delle sue intenzioni, probabilmente le avrebbero impedito di partire, dicendo di volerla proteggere.
E Jackie, orgogliosa della sua autonomia, non intendeva farsi accompagnare.

Il cortile della casa era un ammasso di rifiuti e erbacce, piccole pozze scure e nidi bianchi di insetti maleodoranti.
Jackie bussò, e dopo aver udito uno strano lamento provenire dall'interno, che poteva benissimo essere inteso come un "avanti" un poco biascicato, respirò a fondo ed entrò.
La casa era buia, umida e lezza. Il soffitto era una muffa unica, il pavimento scivoloso.
L'unica luce presente era quella di una televisione accesa proveniente dal soggiorno.

- Chi è? - urlò una voce rauca. - Alfred sei tu?

Jackie seguì la voce, che proveniva dal soggiorno.
Davanti al televisore, scarmigliamente coricato su un divano lercio e strappato, circondato da un esercito di bottiglie vuote e piene, George pareva un verme.
La fronte umidiccia, i vestiti macchiati e quell'odore terribile di alcool che emanava  lo rendevano un essere miserabile.
Jackie ne fu inorridita, e non riuscì a spiccicare alcuna parola. Si avvicinò a passi cauti, pensando a come presentarsi.
Sapeva per esperienza che George, ubriaco, poteva diventare molto pericoloso.
Suo padre non si era accorto di lei, poiché teneva gli occhi chiusi e si agitava, contorcendosi nel pile che lo avvolgeva.

- Se sei di nuovo uno di quelli della banca, ti informo già che non ho alcuna intenzione di pagare quel debito astronomico che mi avete presentato. Quindi, se sei uno di loro, vattene pure e non tornare mai più.

- Papà…

La voce le era uscita prima che riuscisse a fermarla.
Inconsapevole del motivo che l'aveva spinta a chiamarlo tale, lo vide avere un tremito, allontanare la coperta con gesti confusi e trafelati e fissare il suo sguardo confuso ma ugualmente rude, sul proprio.

- Tu??

Era evidente che fosse spiazzato nel trovarla lì. La guardava come se fosse un'apparizione, e non un qualcosa di reale. Ma lo stupore non bastò a lenire la sua cattiveria, sentimento radicato nel più profondo dell'anima.

- Che diavolo ci fai qui? - L'espressione sorpresa si mutò in sorriso sadico. - Ah, ti sei pentita vero? Sei venuta a implorarmi di perdonarti eh, piccola idiota? Eh lo sapevo io, eccome…

Jackie non si scompose nel sentirsi definire tale.
Suo padre non era un uomo di gentili termini, soprattutto con lei, non lo era mai stato.
Disgustata da lui, dalla casa e dal fetore che aleggiava in quella stanza, si decise a concludere la sua visita al più presto.

- Sono venuta qui per ottenere delle risposte che tu non mi negherai.

- E perché pensi che io voglia risponderti a qualsiasi siano le tue domande? - George cercò di mettersi seduto, senza riuscirci.

- Toglieresti un peso a ciò che rimane della tua anima provata.

- Non me ne importa nulla dell'anima. Sono solo stupidaggini.

- Rispondermi non nuocerebbe affatto al tuo stato, inteso come meglio credi.

- Non ne ho comunque intenzione. - Jackie lo costrinse a guardarla negli occhi.

- Hai forse di meglio da fare, George Foster?

Il suo sguardo impertinente, e il suo tono di voce improvvisamente amaro e malvagio sembrarono smuovere in lui qualcosa, come una molla che scatta appena viene forzata più del dovuto.
Gli uomini cattivi non rispondono agli stimoli esterni se questi non sono altrettanto malvagi.

- Ebbene - disse deglutendo rumorosamente - Ascoltiamo ciò che hai da chiedermi di tanto importante. - Rise di lei amaramente. - Poi però fammi l'immenso piacere di uscire di qui e non farti più vedere.

- Non vedo l'ora di accontentarti. - si fece sfuggire Jackie. - Ho bisogno di sapere tutto ciò che sai riguardo l'omicidio di mia madre.

- Anna??? - Quel nome lo fece imbestialire. Ebbe un sussulto, e i suoi occhi cominciarono immediatamente a lacrimare di rancore. - Che cosa vuoi sapere?

- Tutto quello che puoi dirmi.

- E perché?

- Perché sto cercando di dare un ordine agli avvenimenti. Devo capire perché è stata uccisa e da chi.

Seguì in attimo di silenzio durante il quale nessuno dei due osò nemmeno respirare. Entrambi erano vincolati dalla stessa disgrazia, in cui una tentava di nuotare più a fondo, e da cui l'altro cercava invano di risalire in superficie.
Poi, la cattiveria riprese possesso di George, che rise amaramente, suscitando l'inquietudine di Jackie.

- Sei senza speranza - le disse - Ti arrampichi sui vetri e non ti accorgi di scivolare giù, povera illusa.

- Rispondi alla mia domanda e tieni per te i tuoi giudizi di cui non mi importa un fico secco. - disse Jackie tagliente.

- Ebbene.. - George ritornò serio. - Non ti so dire ne perché è stata uccisa, nè chi è stato. Nessuno aveva motivo per farlo…

- Tranne te. - disse Jackie, amara.

- Cosa stai insinuando? - George trasalì, la fronte rugosa cominciò a imperlarsi di gocce di sudore.

- Tu e la mamma litigavate moltissimo in quel periodo…

- Ciò non significa che mi sarei macchiato di un gesto tanto vile!

- Non vivevi mai con noi e la famiglia! Gestivi una doppia vita: giocavi a fare il padre con me e il marito con mia madre mentre per la maggior parte del tempo vivevi in America facendo chissà cosa.

- Sei un'insolente! Come ti permetti tu, proprio tu, di metter bocca in queste questioni? Tu che allora non eri che una neonata! - Tossì fortemente colpito dall'agitazione e sputò per terra.

- Non posso dire di ricordarmi tutti questi particolari. Ma sono stata informata da Albert, e dalla mia famiglia in Italia. Ho svolto molte ricerche prima di venire qui, altrimenti non mi sarei mai permessa di tornare. E sono convinta che sia tu il colpevole. - e gli puntò il dito contro.

Il suo sguardo era di ghiaccio.
George la guardò con la bocca aperta, e poi si lasciò andare ancora a una risata sadica. Afferrò una bottiglia, deridendo la figura rigida e tremante della figlia in piedi davanti a lui, e bevve qualche sorsata.

- Sei patetica - disse, credendo di poterla umiliare. - Perché quale motivo avrei dovuto uccidere la mia stessa moglie?

- Tu non l'amavi - l'accusò Jackie. - E nemmeno lei ti amava. Il suo cuore apparteneva ancora al suo precedente compagno, il padre dei miei fratelli Luca e Fabiana.. - L'uomo si irrigidì vistosamente. - Parlo di Antonio Giovanni Baiguera.

- Quello era un farabutto!!! - George lanciò con ira lontano la bottiglia, che si ruppe. - Si burlava di me perché lui era un avvocato prestante e io un semplice operaio americano. Nonostante il mio matrimonio con la sua ex-moglie continuava a frequentare Villa Flint. Non lo sopportavo!

Si fermò a riprendere fiato, Jackie attese che continuasse, anche se le sue parole non la convincevano affatto.

- Lui e Anna prendevano lezioni di ballo insieme, e io sapevo che lei era ancora innamorata di lui. Per questo l'ho uccisa!! - urlò infine rivolto al cielo.

Il cuore di Jackie s'incrinò, la voce roca del padre la rese sorda da entrambe le orecchie.
Ancora una volta la verità le era stata sbattuta in faccia violentemente, senza darle modo di prepararsi.
Entrambe le gambe cedettero e vide come in un sogno il padre che tentava di alzarsi e dirigersi verso di lei rabbiosamente, senza aver la forza di reagire.
Percepì vagamente due forti mani che la sollevavano per le ascelle e la portavano via, verso la luce.
Vide l'esterno della casa, e successivamente l'interno di un auto di lusso.
Mentre avvertiva le lacrime inevitabili farsi spazio sul suo viso, e la coscienza ritornare al suo posto, Michael le venne accanto, la coprì con una coperta e le mise un braccio attorno alle spalle, accogliendola nel suo affetto.

- Sei completamente matta - si sentì sussurrare. - Avrebbe potuto essere pericoloso. Dovevi aspettare me e Albert, che ti avremmo aiutato. - Fece una pausa. - Anche se so che non l'avresti mai fatto.

Jackie impiegò qualche minuto per ritrovare la parola.

- Non lo voglio più rivedere. Mai più.

- Sarà così: non lo vedrai mai più.

Rimasero in silenzio ancora qualche minuto, mentre l'auto viaggiava spedita verso la residenza Jackson.
Cominciò a piovere. Fulmini e lampi saettavano nel cielo ormai scuro e gonfio di nuvole mentre la pioggia ticchettava rumorosamente contro i finestrini. La luce di un fulmine illuminò gli occhi lucidi d'emozione di Jackie, proprio nel momento in cui Michael si girò a guardarla.
Quello sguardo… quante volte l'aveva visto, e quante volte aveva sognato che svanisse per sempre.
Senza dire nulla attese che fosse lei a parlare.

- E' stato lui.. - sussurrò Jackie. - L'ha uccisa per davvero.

Nulla poteva contro le lacrime della giovane donna, nemmeno l'infinito amore che provava per lei.
Si limitò quindi a chiuderla nel suo abbraccio, dove Jackie trovò riparo per tutta la notte.

Mia cara Mon Pon Pon,
qui siamo tutti addolorati nel venire a conoscenza dei fatti di cui ci hai informato nella tua ultima lettera.
Il nonno ha persino pensato di riaprire i dibattiti con la giustizia e di chiamare i tribunali e gli avvocati, ma io e Fabiana siamo riusciti a distoglierlo da questo pensiero: sarebbe inutile convocare le autorità dopo vent'anni di silenzio.
Inoltre, crediamo fermamente che ci sia stata comunque resa giustizia: quale punizione peggiore può esistere per un uomo se non quella di invecchiare solo, senza amore, circondato dal rancore e dal silenzio di una vita mal goduta?
Amata sorellina, noi tutti ti si sta accanto con il cuore e con il pensiero. Sei sempre qui con noi. Ora però ti suggeriamo di distrarti e di riprendere le redini del tuo lavoro a tempo pieno, come ha fatto Fabiana, con il suo nuovo manoscritto, Fra Mandorle e Pini. E' davvero piena di talento: i suoi racconti fanno fiorire le lacrime anche sugli occhi degli uomini più orgogliosi, come il sottoscritto.
Ed ora, in attesa di ricevere altre tue notizie, sappi che ci farebbe piacere sapere anche qualcosa di interessante riguardo la tua vita sociale. Sei bella, giovane e hai uno splendido carattere. Possibile che tu non abbia nemmeno un corteggiatore? Sono davvero così ciechi gli americani? Maremma..
Ti abbracciamo forte, saluta Albert
Luca

 

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Capitolo 61
*** Capitolo 61 ***


Porsi un obbiettivo è la più forte forza umana di auto motivazione.



La pioggia autunnale lavò via tutti i vecchi rancori, e presto Jackie imparò a provare pietà per suo padre, e non più odio.
'Non ne vale la pena' le diceva Albert, che faceva di tutto per farla sorridere sempre.
Non si poteva desiderare un fratello migliore.
Michael era rientrato nel suo vortice musicale, lasciandola di nuovo sola per la maggior parte del tempo.
Così Jackie si diede da fare per imparare ancora meglio a gestire il suo lavoro, aiutata dal fedelissimo Quincy.
Insomma, tutto sembrava scorrere senza alcuna notevole novità.
Eppure una sera, a un orario insolito per ricevere visite, Jackie udì suonare il campanello della sua silenziosa casa.
Confusa e un pò intimorita si accinse ad aprire con cautela.
Non appena lo riconobbe spalancò l'uscio, sorpresa.

- Oh ciao! - esclamò. - Che sorpresa! Come mai da queste parti?
 
---

- Voglio che tu chiuda gli occhi, e che non li riapra fin quando non te lo dirò io.

Jackie obbedì sorridendo.

- Un'altra delle tue assurde sorprese Mike? Ormai ti conosco. Quale malefico scherzo hai intenzione di appiopparmi stavolta?

- Alcuno. Devo farti conoscere un.. amico. - Rise come un bambino, poi sparì.

Jackie udì i suoi passi poco dopo, e percepì la presenza di qualcosa davanti a sè, mentre uno strano odore acre e paludoso le penetrava nelle narici.

- Posso aprirli ora?

- Prego.

Preparandosi a ricevere in faccia una torta o un qualsiasi altro dessert, Jackie vide un nodo di viscere verdastre e lucide che Michael reggeva fra le braccia con la stessa delicatezza con cui avrebbe retto un bimbo.

- Oh mio Dio Michael…

Il giovane le sorrideva con un briciolo di malizia, e con nonchalance le portò il serpente appena sotto il naso.

- Salutalo, mia giovane donna. Non vedi com'è contento di fare la tua conoscenza?

Qualsiasi altra persona si sarebbe scostata inorridita. Ma non Jackie, che dopo un attimo di disorientamento rise.

- Questa mi è nuova! - esclamò. - E da dove viene questo animaletto?

Dato il mancato spavento dell'amica, lo scherzo non poteva considerarsi riuscito, e Michael se ne dispiacque moltissimo.

- Ma.. Ma come? - le chiese deluso. - Non ne hai timore? Non ti salgono i brividi solo a guardarlo? Non ti si accappona la pelle appena ti si avvicina?

- Perché mai dovrebbe spaventarmi? E' pur sempre una creatura di Dio! - si avvicinò a lui e lo fissò con eloquenza. - E non potevo cascare di nuovo in un altro dei tuoi scherzi. - disse, facendogli la linguaccia.

Michael rise imbarazzato, mentre il serpente scendeva dalle sue braccia per essere accolto in quelle di Jackie.

- L'ho preso in uno zoo - le spiegò il giovane. - Era da solo nella sua vasca, allora ho pensato che un pò di compagnia non poteva certo nuocergli. Ho dovuto insistere un bel pò per ottenerlo. - Jackie sbuffò, immaginandosi le scene e i capricci tipici dell'amico quando voleva ottenere qualcosa. - E' un maschio, un boa constrigtor, ha 2 anni e si chiama Muscles.

- Muscles… - mormorò Jackie pensando alla canzone di Diana Ross.

- Non è bellissimo? - le chiese Michael, accarezzandolo sotto il muso.

- Veramente incantevole. - rispose ironica.

I due si misero a coccolare il serpente, che nonostante la natura rettile sembrò gradire quelle attenzioni e rimase immobile a farsi sfiorare con le dita.

- Mi piacerebbe avere un animale da tenere a casa… - disse Jackie.

- E perché non te ne prendi uno?

- Perché sono sempre a lavorare o qui da te, e avrei paura di non prendermene cura come dovrei. Per ora va bene così.

E mentre Jackie finiva di dire quelle parole, in Michael venne in mente la spontanea idea di regalarle un piccolo amico….  Un cane. Un gatto. Un geco. Una locusta. Sapeva che Jackie amava qualsiasi genere di animale.

- Santo cielo, com'è tardi! Grazie del pomeriggio Mike ma ora ti devo proprio lasciare. - esclamò lei dopo aver guardato l'orologio della parete.

Così brutalmente riscosso dai propri pensieri, Michael la fissò disorientato.

- Già te ne vai?

- Si. Stasera devo uscire e devo tornare a casa mia per prepararmi.

- Jackie che esce una sera? Durante la settimana? Uao! Questa mi è nuova! - La seguì fino alla porta d'ingresso, dove lei si stava mettendo il cappotto. - Pizza con Rose? - chiese eccitato. Sembrava un cagnolino che sta per essere portato a spasso, ed era agitato come dovesse uscire lui stesso.  

- Emh… no. - Le sue guance si colorarono leggermente, e si morse le labbra indecisa se rivelargli o no gli accadimenti di due sere prima.
 
---

- Che sorpresa! Come mai da queste parti?

- Albert mi ha detto che abiti qui, e perdonami se ho approfittato subito di questa informazione. - Thomas le sorrise volubile. - Spero di non disturbarti.

- Nessun disturbo. Vieni, entra. - Si accinse a prendergli giacca e cappello, servizievole ma un poco perplessa. Che ci faceva Lui lì? - Gradisci qualcosa da bere?

Thomas la fermò con un gesto gentile, si guardò intorno e rise. Una risata che trasmetteva dolcezza, nervosismo e, forse.. imbarazzo.

- Veramente sono passato perché ci tenevo a proporti una cosa di persona.

- Dimmi pure. - disse Jackie, incuriosita.

- Pensi… Pensi che sarebbe molto brutto se io e te, questo giovedì sera, uscissimo a cena? - chiese guardandola in volto e stropicciando il cappello fra le mani.

Jackie aprì gli occhi sorpresa. Non si sarebbe mai aspettata una proposta del genere da Thomas, a cui credeva di non interessare minimamente se non per lavoro. Finora non avevano fatto altro che chiacchierare amabilmente quando le pause di lui glielo concedevano, e nonostante lo abbia sempre trovato un uomo gentile, bello e simpatico, non le aveva mai fatto battere il cuore.
Quella proposta invece, lo fece in maniera impetuosa.

- Bè…

- Se non vuoi non è un problema, si può sempre fare un'altra volta.. - Si affrettò a dirle lui, preoccupato, accompagnando le parole a una impercettibile carezza sul braccio.

Jackie rabbrividì, ma poi si riscosse.

- Perché no? - esclamò di nuovo allegra. - Si.. Si, sarà divertente! - Gli sorrise, e lui si sciolse.

- Oh bene! - Si rimise il cappello e la guardò felice. Il luccichio dei suoi occhi risaltava sulla pelle scura. - Allora ti passo a prendere alle cinque?

- Certo, alle cinque è perfetto.

E si lasciarono così, con due sorrisi e un appuntamento.
Appena fu di nuovo sola in casa, Jackie si appoggiò all'uscio e rimase così per qualche minuto, a braccia aperte a guardare il soffitto.

- 25 anni, Jacqueline… - mormorò a sè stessa. - Il tuo primo appuntamento serio a 25 anni… Renditene conto.
 
---

- No, niente Rose stasera. - Si mise il cappello.

- Umh? E allora? - Michael le sembrava più confuso che mai. Cercò di seguirla, ma lei aprì la porta e lui si rintanò all'interno.

- Ti spiego domani. Notte Michael! - E gli piantò letteralmente la porta in faccia, pentendosi di lasciarlo in tal violenta maniera ma troppo imbarazzata per osare dirgli qualcosa.
Se avesse visto l'espressione dell'amico in quel momento, sarebbe corsa subito indietro con le lacrime agli occhi e l'avrebbe consolato ed abbracciato.

- Ma.. perché? - si domandò il ragazzo, fissando con dispiacere la porta.

Si affacciò a una delle sue finestre e scostò le tende il necessario per vedere il 'relitto da garage' di Jackie che spariva oltre la via.
In quel momento avvertì la patetica sensazione di non vederla mai più. Scocciato, lasciò andare la tenda e sbuffò, ridendo nervosamente e dirigendosi in cucina con la chiara intenzione di fare indigestione di gelati.

- Donne….  - borbottò, cercando di scacciare il fastidioso presentimento alla bocca dello stomaco.

Poco dopo, Jackie era già sulla soglia di casa sua.
Con cura si lavò, si pettinò e si vestì in maniera semplice ma elegante.
Stava considerando l'ipotesi per lei assurda di marcare maggiormente il trucco quando bussarono alla porta, e la serata ebbe inizio.
Thomas era impeccabile nel suo abito scuro.

- Pensavo di essere troppo elegante ma si è fatto tardi… Spero di non sembrare troppo formale. - le disse sorridendole amabilmente.

- Affatto. - rispose lei, guardandolo ammirata. - Sei.. Stai proprio bene.

- Anche tu. - Si guardarono per un lungo momento, poi lui ruppe intelligentemente il silenzio imbarazzante che si era creato fra loro. - Ho prenotato un posto in un ristorante di amici, spero ti piaccia il Jambalaya!

- Adoro il jambalaya!

- Allora che cosa stiamo aspettando?

E ridendo si avviarono alla macchina.
Per quanto riguarda le pubbliche relazioni, Jackie era un asso impeccabile: la sua simpatia e la sua allegria erano contagiose, la sua educata spontaneità ammirevole, e aveva un sorriso che scaldava l'anima al più gelido degli uomini.
Stavolta però era diverso: era sola con un uomo che le era interessato e che, forse, le interessava a sua volta. La sua spontaneità resistette, ma il suo sorriso divenne accennato, e il suo sguardo un poco più discreto.
Col passare delle ore però, Thomas la fece rilassare fino a farla morire dalle risate, e la serata passò nel migliore dei modi, condita da una buona dose d'allegria e dall'odore affumicato dalla carne.
Insomma, fu veramente una serata quasi magica, e a quella ne seguirono molte altre.

---

U.S.A.
Los Angeles
novembre 1983

Michael era in studio.
Stavano provando la parte strumentale di un nuovo pezzo e il giovane moro stava controllando che ognuno comprendesse a pieno la sua parte e non sgarrasse qualche nota.
Quella nuova melodia nascente gli era così cara come l'aveva pensata la prima volta che non intendeva modificarne nemmeno un ottava.
Se qualcosa non avesse suonato bene al suo orecchio, avrebbe assestato l'errore con la sua voce.
Da dietro il vetro Quincy verificava il contenuto del pentagramma che Michael gli aveva portato, concentrato.
Jackie, seduta accanto a lui, pensava a tutt'altro.
Il suo incontro con Thomas aveva risvegliato in lei delle sensazioni che negli ultimi anni non si erano mai approfondite a tal punto: agitazione, imbarazzo, rossore…
Sorrise pensando alla risata di Thomas e alla sua spontaneità, e si diede della sciocca pensando a quando lui si era chinato verso di lei per raccontarle un aneddoto sul proprietario del ristorante, e lei aveva dovuto abbassare lo sguardo imbarazzatissima da quella intima vicinanza.
Con grinta, Jackie pensò che avrebbe dovuto essere più forte e meno influenzabile dagli atteggiamenti dell'uomo.
Tuttavia, quel nascente sentimento le cosparse la mente di dolci note musicali e di un'intensa vena poetica che, decise, avrebbe manifestato in maniera professionale.

- Q - chiamò. - Hai un minuto per me?

- Dimmi mia cara. - Il produttore abbandonò immediatamente gli spartiti e la guardò in attesa.

Jackie ci pensò un momento prima di esporre la propria assurda domanda.

- Potresti… Potresti insegnarmi a comporre della musica?

Q la guardò, stupito fino a un certo punto. Aveva sempre intuito che prima o poi una tale richiesta gli sarebbe stata posta, ma non immaginava con tanta franchezza.

- Sai già comporre musica mia cara. Hai scritto Thriller e Baby Be Mine, e hai arrangiato innumerevoli altre melodie.

- Si, ma sono sempre andata a caso! Invece vorrei sapere tutto e conoscere i particolari del mestiere. Tu me li puoi insegnare.

- Sono solo un produttore mia cara, non un compositore di musica.. - replicò Q contrariato.

- Infatti. Il tuo orecchio è per me il miglior giudice.

Q la guardò negli occhi e ne studiò l'espressione. Era determinata, testarda, e non avrebbe cambiato idea nemmeno implorandola. Sorrise, pensando che non aveva nulla da insegnarle ma che poteva comunque metterla alla prova. Stimolare l'immaginazione dei giovani era un compito che gli era sempre piaciuto molto, soprattutto per i risultati e le belle idee che ne venivano fuori, ma in cui purtroppo non poteva cimentarsi troppo: l'avrebbero definito infantile e poco professionale per un uomo celebre come lui. Eppure, nessuno saprebbe fare meglio il suo lavoro.
Quincy non era un produttore come gli altri. Non voleva essere il primo fra tutti ma si metteva allo stesso piano di tutti quelli che lavoravano con lui. Non aveva potere su nessuno e lasciava al coro e allo staff la libertà di esprimersi durante la composizione musicale. Preferiva lasciare in mano all'autore di tutto, Michael, le redini dello studio per permettergli di lavorare come meglio credeva e per questo, spesso, mancava per diversi giorni. Non era uno scansafatiche, il suo lavoro veniva comunque svolto. E i suoi consigli erano come comandamenti.
 

- E va bene. - assentì. - Allora cominciamo.- le porse il pentagramma di Michael. - Guardalo, suonalo e dimmi cosa ti viene in mente.

Jackie prese il foglio e lo lesse attentamente. Poi si avvicinò al pianoforte dello studio e suonò qualche nota. Dopo qualche minuto si voltò verso Q ridendo.

- Il pianoforte non è lo strumento adatto per una simile melodia, Q! - rise, seguita a ruota dal produttore.

- Hai ragione. E' troppo rapida. Cosa pensi quando la suoni?

-  Bè.. è difficile da spiegare..

- Provaci. Il primo esercizio che ti propongo è di dare parole alla musica. Non guardarmi così mia cara, non sono ancora diventato pazzo. Sto solo cercando di colmare le poche lacune che possiedi. Vedi, se riesci a dare una spiegazione alla musica, ti riuscirà più facile anche comporla. Attenta però a non invertire le parti: prima la componi, anche senza che ce ne sia un motivo, poi ritorni sui tuoi passi e cerchi di capire cosa ti è passato per la mente quando l'hai creata. E' anche in questo modo che si creano i testi. Coraggio, ora dimmi: cosa pensi quando la suoni? Che colori ti vengono in mente?

- Colori dici? Mmh..  Jackie alzò lo sguardo e si perse nelle travi del soffitto. Effettivamente la musica la caricava di una certa ansia, a causa del ritmo forte ma affascinante, che le faceva scorrere denso il sangue. - Penso al contrasto fra buio totale e una flebile luce, credo… Rosso forse. E blu. E argento.

- Bene. Ora chiudi gli occhi. Dove ti trovi? Che cosa senti? - Jackie obbedì, e Q la guardò interessato.

- Fa freddo e c'è odore di alcool. Mi sento inseguita, probabilmente da un assassino. - Q sorrise.

- Che bella immaginazione!

- E se vuoi saperlo, non posso scappare più velocemente perché sono ubriaca e ho dei tacchi alti 12 centimetri! - I due risero insieme.

- Ok, non allarghiamoci troppo mia cara. Dunque, adesso armonizza queste sensazioni cercando di rendere questa musica adattabile al suono del pianoforte.

Jackie ci pensò un pò, provando qualche nota e rabbrividendo davanti alla difficoltà di quell'ultimo esercizio. Come avrebbe potuto rendere l'angosciante inseguimento del suo assassino attraverso quel dolce e innocente pianoforte?
Semplice, non avrebbe dovuto essere un inseguimento. La sua mente interruppe i pensieri per concentrarsi sulle note: la musica doveva cambiare radicalmente per adattarsi allo strumento, e ciò implicava dover cambiare anche il contesto che si era immaginata. Ispirandosi così a un pezzo classico composto unicamente a pianoforte, recitò le note di Smooth Criminal con una tonalità tutta differente, una melodia estremamente più lenta ma che si componeva integralmente con lo strumento che la suonava. Una musica nostalgica, amara, che sapeva di lacrime. Di pioggia. Di gocce perpetue che si schiantavano sul marmo del suolo, provocando continui scoppi e fragori luminosi. Una cascata intera di lacrime ghiacciate che si perdevano nel blu intenso del crepuscolo avanzato, avanzando e diminuendo di intensità con una regolarità appena percettibile. Un suono da maestro.

- Ottimo Jackie. - Si complimentò Q, affascinato. Sapeva che la ragazza aveva del talento naturale ma non si aspettava che arrivasse a tanto. - Prima lezione appresa.

- Bene! - esultò Jackie. Era troppo modesta per ammetterlo, ma la propria musica le piaceva, il proprio talento la entusiasmava e la musica l'aveva resa frenetica.- Il prossimo passo qual'è?

- Un compito a casa, come quelli per i bimbi della scuola primaria. - Q ridacchiò.

- Non prendermi in giro !

- Non l'ho fatto tesoro. Adesso ascolta: entro il prossimo mese voglio che mi porti tre melodie. Ti lascio decidere quali strumenti utilizzare (puoi farti aiutare dai ragazzi del coro per quelli che non sai suonare), ma esigo che siano musiche pure, senza arrangiamenti meccanici, e senza più di tre strumenti per traccia. Non devono durare più di dieci minuti e non meno di quattro. E ultima cosa fondamentale, devono esprimere i sentimenti e le emozioni.

- Che genere di sentimenti ed emozioni? - chiese Jackie, che si stava annotando tutto sul braccio sinistro con un pennarello indelebile.

- I sentimenti in generale. Ecco, fammi tre melodie che racchiudano tutte le emozioni dell'uomo in maniera percepibile.

- Ohi ohi… Sembra un compito abbastanza difficile.. - mormorò Jackie.

- Sono stato troppo severo?

- Assolutamente no. Va benissimo, rimarrai stupito. - Si affrettò a dire la ragazza, già affezionata a quell'ardua impresa. Sarebbe stata una sfida molto tosta da superare, ma lei avrebbe dato del suo meglio. Rilesse con calma la commissione affidatagli e per un attimo il coraggio venne meno. Pensò che avrebbe potuto farcela, ma avrebbe avuto bisogno di molto tempo. Sollevò lo sguardo sul produttore.

- Penso che… Penso che mi prenderò qualche giorno di ferie. - E Q, ridacchiando, la vide sparire in corridoio, appena prima che Michael ritornasse.

- Ho trovato il modo per addolcire la fine del ritornello, basterà aggiungere… Dov'è Jackie? - Il giovane artista si guardò intorno, confuso, e Q sogghignò.
Non l'avrebbero rivista per diverso tempo.

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Capitolo 62
*** Capitolo 62 ***


Versa una lacrima, dolce, salata o avvelenata, e non esiterò a cavarti gli occhi.

Jackie stava lavorando da un pezzo ormai. Per non essere disturbata aveva staccato il telefono di casa, chiuso tutte le imposte e lasciato un messaggio fuori dalla porta con scritto ' Non bussare. Lavoro delicato in corso'. Non si alzava da quel pianoforte da ore, e ogni volta che si spostava leggermente avvertiva chiaramente qualche fitta all'osso sacro. Anche il cervello stava cominciando a dolerle. Eppure, non poteva permettersi una pausa. Da tempo stava cercando di riflettere su quali emozioni avrebbe composto la musica e come le avrebbe rappresentate. Aveva architettato qualche composizione ma nulla che la soddisfacesse più di tanto.
Così, ormai prossima alla sclera, decise di riorganizzare le idee, in antitesi a ciò che le aveva raccomandato il produttore.

- Dunque dunque… I sentimenti… Eppure Q mi ha detto che la composizione dev'essere la prima cosa che… Oh, i sentimenti… Felicità, rabbia, tristezza, gelosia, amarezza, allegria, ansia, vergogna, nostalgia… Come posso chiuderle tutte in tre melodie? - Cominciò a scarabocchiare qualcosa su un foglio, e l'idea le venne per magia. Disegnò due linee parallele in verticale, e scrisse nei tre spazi bianchi tutte le emozioni che le vennero in mente, dividendole secondo un canone preciso: emozioni che facevano ridere, emozioni che facevano piangere, emozioni che facevano urlare di rabbia. Dopo aver completato lo schema, si trovò davanti la risposta all'enigma, le tre emozioni dell'uomo: Amore, Rancore e Dolore, da cui derivavano tutti gli altri sentimenti contrastanti. Soddisfatta, Jackie ritornò al pianoforte per completare l'opera. In tre settimane scrisse Amore, in una sola compose Dolore. Rancore era l'ultima e unica melodia che non voleva saperne di nascere. Rancore, per Jackie, oltre che una musica dispettosa, era un sentimento a lei così distante che anche suonarlo le risultava impossibile. E fu proprio così che alla fine la creò: distante, sconosciuta, spaventosa.. Il Rancore è una forza malvagia a cui bisogna prestare attenzione: non bisogna lasciarsene sopraffare, altrimenti si rischia di soffocarne.
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 Quincy posò le cuffie con un'aria sconcertata. Lisciò il legno della scrivania e sospirò, alla ricerca delle parole adatte. Jackie lo osservava ansiosa, le mani sudate strette in grembo.

- Allora? - incalzò. - E' un silenzio positivo e incoraggiante o deluso e amareggiato? - Q sogghignò, mostrando i denti bianchissimi.

- Mia cara, stavo solo cercando il modo giusto per dirti che hai composto dei capolavori. - La fissò negli occhi. - Non ho mai sentito nulla di così particolare.

Il complimento, detto con così quieta sincerità la fece sorridere, e le gote si colorarono d'un rosso accesso.

- Dici sul serio Q? Non mi stai dicendo una bugia? - La sua ingenuità infantile aumentò il riso del produttore, scatenando l'ilarità della giovane.

- Hai mai pensato di fare carriera Jackie? - chiese lui a un certo punto. - Hai davvero talento, quasi quanto Michael. - Quel complimento la rabbuiò.

- Non dire sciocchezze Q! Michael è un vero genio, non puoi paragonarmi a lui. E poi a me sta bene così… Non avrei la forza di diventare famosa. Preferisco rinunciare alla musica e tenermela per me, per noi. - Disse sorridendo.

Q scosse la testa, evidentemente in disaccordo con lei. - Bè, se mai dovessi cambiare idea, conserverò queste tracce come dei gioielli preziosi.

Si sorrisero, ignorando il via vai di gente che trafficava fuori da quel piccolo studiolo. Michael aveva lasciato un momento i suoi pezzi per prendere parte a una pubblicità. Il prodotto era la famosissima bevanda Pepsi, che all'epoca andava parecchio di moda, e l'idea che a pubblicizzarla fosse men che meno che il fantomatico Michael Jackson era una trovata commerciale assolutamente geniale. Il giovane artista non aveva potuto rifiutare quell'offerta. E mentre i suoi due più cari amici pensavano a tutt'altro, lui osservava il palco sul quale doveva esibirsi. Il povero pubblico davanti a lui gli faceva qualche flebile applauso ogni minuto, che lui timidamente cercava di ignorare.

- Michael, siamo pronti per la prima prova! - urlò una voce dalle quinte. Lui fece un gesto d'assenso e chiamò i fratelli. Jermaine spense la sigaretta e raggiunse il palco, Tito si staccò a malincuore da una ragazza addetta ai suoni che stava finalmente cedendo al suo corteggiamento e Sigmund e Marlon arrivarono scherzando sulle relative fidanzate. Michael sospirò e, osservando i fratelli, ormai uomini fatti e finiti, si sentì molto diverso da loro. La malinconia fece breccia nella sua mente ma il giovane artista scaricò i pensieri con una giravolta, richiamando a sé le energie.

- Stanno per iniziare le prime riprese, andiamo a vedere? - propose Jackie, mentre Q stava già facendo una copia delle cassette.

- Arrivo subito, precedimi pure. - La giovane non se lo fece ripetere due volte, e il produttore rimase solo a scuotere la testa. Sciocca, sciocca Jackie, pensò quasi amareggiato, ' Rinunciare così al tuo talento che potrebbe fruttarti comunque molte soddisfazioni e certamente una vita meno faticosa. Sei modesta e non lo dici, ma io so perché lo fai: sei troppo umile per farti ammirare, e sei troppo affezionata per poterti allontanare'. Chiuse la cassetta in una custodia, scrivendoci sopra il nome della fanciulla e i tre titoli delle tracce, e la nascose subito nella tasca interna della giacca, tastandola più volte. Quella era davvero musica da professionisti! Stava per riavvolgere il nastro quando udì ben altra musica: le riprese erano iniziate. Uscì dallo studiolo appena in tempo per assistere all'esibizione del suo pupillo, che in quel momento dava le spalle al pubblico. Ci fu subito un'esplosione intensa di luci e, quando questa si stabilizzò ritornando alla luminosità normale, si levò un mormorio confuso dallo staff.

- Che significa?

- Aspetta, forse è saltato qualcosa!

- Oh cielo!

- Jenise, hai attivato le luci di retro scena?

Q si guardò in giro, cercando di capire cos'era successo, e quando il suo sguardo ritornò sul palco, vide come una saetta il povero Michael con una fiamma fra i capelli, che vorticava su sé stesso con foga incredibile. Lo stupore soffocò i pensieri.
Ben presto il giovane si ritrovò circondato dagli uomini dello staff, che lo soccorsero. Cos'era successo? La testa gli doleva incredibilmente e avvertiva una scottante sensazione di bruciato. Le persone attorno a lui gli urlavano qualcosa, ma non capiva nulla. Il dolore lo aveva completamente disorientato, e si lasciò trascinare via tenendosi la testa fra le mani. Che dolore!

- Chiamate un'ambulanza presto!

- Dov'è il medico di turno?

- Signor Jackson! Signor Jackson! Riesce a sentirmi?

- Via, lasciatelo respirare!

In men che non si dica, si ritrovò disteso su una barella, mentre due medici gli assicuravano i legacci e altri due trafficavano sulla sua testa.
Era accaduto tutto così in fretta che gli parve di essere su un altro pianeta.

- Non si preoccupi signor Jackson, adesso la portiamo in ospedale!

Il dolore lo stava soffocando. Avrebbe urlato e saltato se non fosse stato legato. Si guardò intorno debolmente, appena per guardare in viso uno dei medici, che nonostante la confusione ricambiò lo sguardo e gli avvicinò l'orecchio al volto. La confusione era tale che parlare normalmente sarebbe stato difficoltoso.

- Jackie.. Jaqueline.. - mormorò il povero ferito. - Mandate a chiamare Jaqueline e fatela venire qui.

- Jaqueline, va bene.. E per cognome?

- Solo Jaqueline, capiranno. - Chiuse gli occhi sfinito. Parlare gli aveva enfatizzato il dolore alla testa, e pregò perché ciò smettesse. Il medico si alzò e fece come gli era stato chiesto. Una guardia gli si avvicinò.

- Dobbiamo caricarlo sull'ambulanza e portarlo subito all'ospedale. Ma fuori dal portone ci sono decine e decine di fan, come possiamo fare? La barella dovrà per forza passare attraverso la folla.

- Nessun problema. - Rispose il BG, che era Albert. - Parcheggeremo l'ambulanza appena fuori cosicché non dobbiate fare che pochi metri, e ci penseremo noi a tenere lontana la folla. - Detto ciò non attese risposta e si allontanò.

- Jaqueline! Jaqueline! - chiamò il medico, rivolgendo allo staff in agitazione. - Jaqueline deve salire in ambulanza con Jackson! - Immaginò che arrivasse una parente o qualcosa di simile, e invece vide sbucare dalla folla una giovane dall'aspetto strano e indumenti semplici. La squadrò dall'alto in basso, incerto, ma Jackie non lo degnò di uno sguardo e raggiunse Michael.

- Mike! - esclamò. - Oh santo cielo! - Lui ricambiò lo sguardo colmo d'agitazione.

- Che male.. - Si limitò a dire con gli occhi lacrimosi. Lei gli guardò la testa fasciata e gli accarezzò il volto. La preoccupazione le stava facendo lacrimare gli occhi.

- Adesso passerà, non preoccuparti.

- Che è …?

- Durante le riprese le luci devo essere saltate prima del previsto, ed eri troppo vicino a loro. Ti si sono incendiati i capelli, e hai preso una bella ustione. - Si morse il labbro, abbassando lo sguardo imbarazzata. - Scusa per la franchezza. - disse, e scorse negli occhi dell'amico un debole e divertito sorriso.

- Fa un male terribile. - disse Michael, e Jackie gli strinse la mano.

- Coraggio, devi resistere! - Decise di parlare per distrarlo, e distrarre entrambi. L'ansia stava prendendo posto anche nella sua mente. - Adesso andiamo in ospedale e vedrai che risolveremo tutto… - Non poté aggiungere altro perché in quel momento arrivarono i fratelli per stare vicino al giovane ustionato. Michael li fu grato, e quando la barella cominciò a muoversi, rivolse uno sguardo a Jackie, come se si fosse ricordato di una cosa importante.

- Il guanto! - le disse.

- Eh?

- Il guanto! Il mio guanto! Prendilo subito! - La barella si mosse e in medici lo sollevarono. Jackie si alzò e corse via, alla ricerca dell'indumento desiderato. 'Perché mai gli interessa il guanto adesso?' si chiese. Q la intercettò.

- Jackie! Non sono riuscito ad avvicinarmi a Michael! Come sta? - le chiese in ansia. La giovane non rispose.

- Hai visto il guanto?

- Il guanto?

- Il guanto! Mi serve! Ora! Subito!

- E' lì sul palco! Ma perché lo vuoi?

- Non lo so, me l'ha chiesto Michael. Ti spiego dopo! - Corse via, raccolse l'indumento e ritornò al portone, dove stavano per far uscire la barella. La folla era abbastanza spessa, ma dall'alto della sua statura Albert la notò le la fece passare, tanto per permetterle di consegnare il guanto all'amico. Lui le rivolse uno sguardo di gratitudine mentre lei lo aiutava a indossarlo e, una volta fuori, quell'unica mano libera salutò debolmente i fan che erano lì per lui.
Quel gesto fu subito notato da Jackie, e le mise in corpo una gran malinconia. Lasciò partire l'ambulanza e si diresse all'interno degli studi per recuperare la sua borsa e seguire l'amico in ospedale. Sulla strada intercettò Q, che le venne incontro agitatissimo.

- Dove sei stata? Si può sapere cos'è questa storia del guanto? L'hanno già portato via? E hanno detto qualcosa della ferita alla testa?

Confusa, Jackie si adoperò per calmare il suo vecchio padrino e gli diede un passaggio in ospedale. Là ci vollero più di due ore per avere accesso alla camera di Michael. Il giovane artista era stato ricoverato in una comune stanza bianca, e sarebbe sembrato un paziente come gli altri se solo non avessero riservato un piano intero solo per lui. I Bodyguard ostruivano l'uscita dell'ascensore e persino la cerchia degli infermieri a disposizione era ristretta e attentamente controllata.
Albert era in testa a tutti, come sempre. Jackie gli corse incontro.

- Come sta? - chiese apprensiva. Il fratello le strofinò un braccio senza guardarla: era pur sempre al lavoro e non poteva distogliere l'attenzione da ciò che lo circondava.

- Meglio. I medici gli hanno curato la ferita, e ora è sotto antibiotico, a quanto ne so. Gli hanno attaccato una flebo al braccio di antidolorifico, probabilmente cortisone. Potete entrare: Michael si è assicurato di farvi avere libero accesso.

Jackie sorrise intenerita: nonostante il tragico incidente, Michael si era assicurato di farle avere la possibilità di raggiungerlo, e gli era grata per questo. In un tale momento aveva bisogno di vederlo e probabilmente, anche lui aveva bisogno della presenza della giovane donna. Così, mentre il caro produttore veniva trattenuto da Albert, Jackie varcò la pesante porta grigia che la portò dal povero infortunato. La stanza era un candore di bianco, come se fosse stata lavata da poco con acqua e sapone. Michael era solo da poco tempo, eppure aveva già trovato modo di assopirsi, accomodato sui morbidi cuscini. Quando udì la porta schiudersi però, si svegliò immediatamente, e la gioia nel vedere un volto amico e familiare fu grande.

- Jackie! - esclamò debolmente, ancora provato per l'incidente subito. Alla ragazza fece subito una gran tenerezza, e si chinò per baciargli quel lembo di fronte non fasciato dalle garze.

- Come ti senti? - chiese dolcemente.

- Come se mi fosse andato a fuoco il cervello.

- Non è divertente! - rispose lei, lanciandogli un'occhiata divertita. Michael sorrise, sentendosi un po' più a suo agio. La frenesia dei medici che lo avevano curato e la folle corsa in ambulanza erano stati motivo di ulteriore agitazione. Un'esperienza indimenticabile e decisiva.

- Scherzi a parte, è stato il dolore più intenso che abbia mai sopportato. - ammise infine con voce quasi seria. Jackie annuì.

- Immagino…

In quel momento entrò Q, ansioso di accertarsi delle condizioni del giovane artista. E dopo le rassicurazioni, l'indignazione.

- E' incredibile! Conosco quello staff, sono tutti così ben preparati che non mi sarei mai aspettato un errore del genere! - sbuffò rabbioso.

- Q non ti scaldare. E' evidente che si è trattata solo di una disattenzione! - cercò di calmarlo Jackie, inutilmente.

- Si, che per poco non è costata i capelli a Mike! - obiettò il produttore, ancora su di giri. Si allontanò brontolando fra sé: non era usuale per lui arrabbiarsi tanto, ma quando c'era di mezzo Michael, inspiegabilmente il suo lato più protettivo emergeva, anche con conseguenze aggressive. Ai due ragazzi non dispiaceva questo suo atteggiamento, perché non sfociava mai in nulla di troppo serioso e si limitava alle lamentele, e perché in ciò vi si riconosceva l'affetto protettivo di un padre.

Michael rimase ricoverato per alcuni giorni. Come spiegò a Jackie, l'incidente gli aveva procurato una profonda ustione, una bella e indelebile cicatrice e anche un netto vuoto nella capigliatura. Il giovane, provato, si tolse parte della fasciatura per mostrarle la vergognosa piazza che aveva in testa, e appena la vide storcere le labbra, arrossì imbarazzato e disgustato da sé stesso.

- E' orribile. - mormorò affranto.

Jackie per la prima volta non rispose immediatamente. Come poteva negare ciò che era vergognosamente vero? Strinse i denti dalla rabbia: perché tutte a lui? Desolata, gli strinse la mano con affetto.

- E' un bel buco, ma si va avanti comunque sai? - disse.

- Si, ma che scherzo della natura é? Non salirei mai su un palco con questa piazza in testa! Mi vergognerei troppo…

- Sei bello comunque. - ammise lei con sincerità. Lui le voltò le spalle, irritato. Jackie sospirò.

- Comunque, se non riesci a mandare giù il fatto di essere stempiato, sono sicura che troverai una soluzione. - disse alzandosi per andarsene. Sapeva che quando qualcosa lo irritava particolarmente, Michael si chiudeva in sé stesso e a volte la sua impertinenza le impediva anche di parlare con lei.

- No aspetta, scusami. - Disse frettolosamente lui, lasciandola sorpresa. - E' che non mi aspettavo un danno tale.

- Lo so - rispose lei, risedendosi. - Ma i problemi sono fatti per essere affrontati, e sono sicura che troveremo il modo per risolvere anche questo. Vedrai. - Sorrise infine, sicura di ciò che aveva detto.

Infatti Michael, rassicurato dalle sue parole, parlò con il medico il quale gli consigliò un intervento apposito per ricreargli la struttura del cuoio capelluto. Era semplice chirurgia, e Michael poteva permettersela. L'argomento lo interessò, e si informò anche sulla vasta gamma di possibilità che essa offriva. Quando un giorno, entusiasta, mostrò a Jackie gli incredibili poteri dei medicinali che gli cancellavano il dolore e degli strumenti che potevano modificare qualsiasi parte del corpo, la giovane si mostrò scettica. Affezionata ai metodi naturali e allergica ai composti chimici, Jackie mise in guarda Michael dall'uso di questi prodotti, leggermente allarmata dalla sua rinnovata allegria. Non poteva immaginare che quell'interesse per i farmaci avrebbe influenzato radicalmente le loro vite negli anni a venire.

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Dopo anni e anni ci stiamo avvicinando alla vera storia. Questi capitoli li ho scritti anni fa, e da allora lo stile di scrittura è cambiato. Molte cose sono cambiate. Spero che quei pochi avventurosi che ancora mi seguano possano continuare ad apprezzare questa storia. Grazie a chi ha letto!

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Capitolo 63
*** Capitolo 63 ***


 

Vivere senza tentare, significa rimanere col dubbio che ce l'avresti fatta.



Q promise di stare accanto a Michael al posto suo, dato che Jackie decise di tornare in Italia a trovare i parenti. Il viaggio in aereo, faticoso e nauseante, era diventato quasi una regolarità per lei. Atterrò a Roma, dove l'attendeva il fratellastro Guglielmo, giunto sin lì dalla Spagna per rivedere tutta la famiglia e visitare la Città Eterna con l'amata sorella. Egli, dopo la prima visita di Jackie che gli aveva permesso di ritrovare i contatti con la famiglia Flint, si era premurato di visitare periodicamente la casa materna e tutti gli altri, che erano stati altrettanto felici di vederlo. Sebbene Guglielmo abitasse in Spagna, e Jackie addirittura oltre oceano, la famiglia Flint poteva dirsi chiaramente riunita. Le visite erano periodiche, di una o due date l'anno circa, ma ogni volta era gioia e complicità assoluta. Jackie si trattenne a Roma con il fratello per 3 giorni, passati senza quasi dormire e alla scoperta delle meraviglie antiche e della semplicità italiana.
Ma la cosa che la rendeva più felice era il tempo che aveva a disposizione sola con il fratello.  

- Non mi hai detto di Lupe - notò Jackie, mentre erano seduti a un bar a godersi una fresca bibita. - Come sta?

- Doveva sposarsi - rispose lui, con una smorfia d'amarezza. - Ma lui l'ha abbandonata all'altare.

- Eh? - Jackie spalancò gli occhi, esterrefatta. - Perché?

- Nope… Era un tipo strano. Un'ex-alcolista che Lupe tentava di redarguire. L'avevo avvertita più di una volta di stare attenta, ma sai.. Quando il cuore di una donna è innamorato, lei stessa perde la testa. - Jackie annuì distrattamente. - Comunque si è ripresa subito, e ha deciso che la vita matrimoniale non fa per lei.

- Perché non la sposi tu? - propose Jackie improvvisamente. L'idea le era appena balenata in testa, e non le sembrava così male. Dopotutto, suo fratello e Lupe vivevano insieme, sebbene lei fosse solo la sua domestica. Svolgeva già i compiti che avrebbe dovuto fare una moglie. Guglielmo la guardò inorridito.

- Absolutamente no! Qué tipo de ideas se te ocurren?

- Bè, non sarebbe così male…

- No no no! Jackie, Lupe è solo la mia domestica, e mi gran e querida amiga. Perché dovrei sposarla?

- Perché non dovresti? - Insistette lei. Katherine le aveva da sempre insegnato che una volta fattosi adulto, un uomo doveva trovare una donna e sposarla, fare dei figli con lei e crescerli. Questo era lo stile di vita che mamma Jackson le aveva inculcato sin da piccola, e sebbene non ci riflettesse più di tanto, Jackie credeva ancora che tutti si comportassero così. Toccava al fratello aprire la sua mente ingenua.

- Lupe ha 5 anni più di me, ed è molto materna. Mi fa quasi da tata. - Guglielmo sorrise.

- L'amore non ha età Guglielmo. - Sorrise anche Jackie, e il fratello scosse la testa esasperato.

- Ma io non l'amo! - esclamò. - E lei non ama me. Te l'ho detto prima, siamo grandi amici. E poi io non voglio nemmeno sposarmi: ho la mia carriera che m'impegna abbastanza. - La fissò con i suoi occhi color della notte in modo intenso, e Jackie deglutì intimorita. - Quién te ensenò que cada uno tiene que casarse con?

- Cosa hai detto? - A volte Guglielmo parlava la propria lingua senza accorgersene.

- Chi ti ha detto che ognuno deve per forza sposarsi? Non è mica un obbligo sai? - Guglielmo rise. Jackie arrossì di colpo.

- Umh.. Katherine, la mamma di Michael.

- E' una persona molto religiosa?

- Si, molto.

- Allora capisco. - Raccolse le mani e le appoggiò sul tavolino. - Non la biasimo, ma una madre insegna a su hijo lo que él cree… E se èl cree que ognuno deve sposarsi, insegna a te questo. - Jackie annuì.

- Ho capito. Effettivamente non ci ho mai pensato. Ho sempre dato per scontato che quello che mi dicessero contasse per tutti.

- Sei giovane, ma quasi completamente adulta Jackie. Impara a riflettere ora. - E Guglielmo chiuse il discorso. Il treno per Firenze li attendeva.

Durante questi suoi viaggi, Jackie si era sempre soffermata sull'immagine d'oro della famiglia, da cui cercava di raccogliere più amore e affetto possibile, da utilizzare come scorta per i successivi mesi di lontananza.
Ma diventando adulta il bisogno di affetto fisico era leggermente calato (ma in proporzioni davvero microscopiche. Jackie amava coccolare e farsi coccolare), e ciò le aveva permesso di ampliare lo sguardo non solo alle campagne circostanti Villa Flint, ma a tutto il suo paese.
Più volte era stata attratta dalle lusinghe di Siena e Arezzo, a cui erano state concesse un paio di gite, e anche dallo stesso diadema dell'Italia Centrale, Firenze, che guarda caso era la sua città natale, che poteva visitare in ogni momento.
Nonno Andrew amava portarla a spasso fra le meraviglie architettoniche e pittoriche della città, e sebbene avesse poca dimestichezza con le parole per dimostrare le sue capacità di comprensione (sapeva usare benissimo la retorica solo per dibattere su qualcosa che non riguardava lei stessa, ma le sue idee), Jackie si scoprì affascinata dal dolce suono delle conversazioni, quelle per esempio che intraprendeva suo nonno quando incontravano un suo conoscente per strada, dall'andamento regolare con cui si passa di pensiero in pensiero, dall'ipotesi alla dimostrazione, dalla tesi all'antitesi.
E davanti a quegli scambi d'informazione, Jackie pensò che la parola fosse l'arma più letale per svelare le proprie norme di vita, e per contrastare quelle della falsità.
Ma anche la causa di tanti fraintendimenti.

- Se non la smetti di farti tutte queste seghe mentali, finirai con l'ammalarti di alzhaimer fra 2 anni e non di più! - Le disse Luca Gabriel, fintamente serio, quando lei, approfittando di un attimo di assoluta complicità, gli rivelò i propri pensieri.

- Io invece li considero fonte massima di ispirazione! - esclamò Fabiana spegnendo il registratore con il quale aveva catturato le parole della sorellastra. Jackie sbattè le palpebre e sorrise, divertita dalle due reazioni differenti. I suoi fratelli erano ormai adulti fatti, in carriera e nel pieno delle forze. Fabiana era anche fidanzata, e scriveva libri. Gabriel insegnava in un teatro. Nonno Andrew amministrava le rendite agricole di Villa Flint, che venivano gestite da Rino e Genna, due vecchi amici di famiglia. L'atmosfera austera della casa era riscaldata dall'armonia familiare, e Jackie sorrise felice. Era bello essere a casa!
 
---

Si svegliò avvertendo un inusuale profumo di focaccia e erbe mediche. Confusa, si stropicciò gli occhi e si accorse di essere avvolta in un lenzuolo fino e ruvido, e un piumone pesante dalla federa bordeaux. Allora ricordò: era a casa, a villa Flint!
Euforica, si vestì in tutta fretta, uscì di casa e si lavò il viso nell'acqua gelida della fontana nel cortile sul retro e rientrò in cucina. Zia Caterina stava sfornando con le mani tremanti una fumante focaccia di granoturco. Il viso della vecchia si illuminò appena scorse la nipote.

- Jaqueline! - esclamò felice. - Vieni a fare colazione!

- Buongiorno! - Luca entrò dalla porta d'ingresso e si precipitò in cucina.

- Già sveglio fratello? - chiese Jackie, notando che erano solo le sei e mezza del mattino.

- In Italia la giornata inizia prima rispetto all'America tesoro. Io e Guglielmo stiamo andando dal consulente immobiliare, dato che nostro fratello ha intenzione di prendersi uno studio legale qua a Firenze, e io la considero un'idea geniale. Vieni con noi? - Jackie scosse il capo.

- Non posso. Ho promesso a Giada che sarei andata a trovarla al suo negozio oggi prima di pranzo. Grazie comunque. - Luca sollevò le spalle e uscì fischiettando, non prima di aver baciato la zia sulla fronte.
Caterina appoggiò sul tavolo la focaccia gialla e una torta al cioccolato dall'aspetto molto invitante.

- Nessuno può abitare a villa Flint senza prima aver dato un morso alla mia specialità! - disse risoluta, tagliando una grossa fetta della torta, tanto ricca che Jackie ne avrebbe avanzata volentieri la metà, se avesse potuto. Ma l'anziana parente sembrava troppo determinata per poterle chiedere qualsiasi cosa. Caterina le mise il piatto sotto il naso, e la giovane si sentì nauseata dalla quantità di cibo offertole.

- Emh, non è necessario che ti disturbi tanto zia…

- L'ho appena fatto, e comunque non è un disturbo. Andrew va matto per questa torta, ne mangerebbe all'infinito. - Jackie sospirò, ammirando discretamente le qualità mangerecce del nonno, e raccolse un pezzo di torta con la forchetta. Dopo averla assaporata, rimase di stucco. La miscela di burro, uova fresche, cacao puro e latte cremoso risvegliarono tutte le sue papille gustative assopite.

- E' in assoluto la più buona che io abbia mai assaggiato, zia! - esclamò Jackie sinceramente contenta.

- Mi fa piacere! E' l'unica cosa che sono ancora in grado di fare bene! - rispose zia Caterina, compiaciuta.

Passare del tempo sola con la nipote la rendeva felicissima. Jackie viveva lontano, ma quando veniva da loro, la sentiva più vicina che mai. Aveva gli stessi occhi di Anna, l'altra sua nipote che aveva tanto amato.  

- E' tutto merito del mio ingrediente segreto! - disse ancora, mentre Jackie era intenta a masticare la sua terza fetta, grande quanto le precedenti. Evidentemente dal nonno aveva ereditato uno stomaco prepotentemente elastico.

- Ma è davvero così segreto? Cioè, nessuno è mai riuscito a capire di che si tratta?

- Nessuno mia cara, so conservare al meglio i miei segreti - e rimase un attimo in silenzio a osservare il giovane viso accanto al suo, vecchio e rugoso. - Però, dato che abiti lontano, per te potrei fare un'eccezione!

- Vuoi dirmi davvero che ingrediente usi? - Jackie era stupita.

- Si, ma solo se mi prometti di non svelarlo a nessuno!

- Oh che onore! Tranquilla zia, so mantenere benissimo i segreti!

- Bene. Allora mangia quella fetta. - ordinò la vecchia donna, mentre si avvicinava. - Il mio ingrediente è.. Olio di fegato di merluzzo!

Jackie sgranò gli occhi, e riversò ciò aveva in bocca sul pavimento, suscitando nella zia un'allegra risata.
In preda alla vergogna più totale, la poverina si affrettò a ripulire tutto e, con le gote infiammate, liberò il suo imbarazzo nel suo stupore e nelle scuse.

- M-mi dispiace… sono mortificata .. - Non riusciva a dire altro, poiché quella figura l'aveva paralizzata. Ma la vecchia zia non pareva affatto offesa. Anzi.

- Hahaha, mia cara! Ci sei cascata vero? Sei proprio ingenua! - E giù a ridere come una ragazzina. Jackie non sapeva se unirsi a quell'esilarante ilarità o mettersi a piangere. Optò infine per l'ipotesi che la divertiva di più. Non aveva mai sentito qualcuno ridere con così tanto gusto.
 
---

Dopo esser scampata dalla doti culinarie del tutto discutibili della zia, Jackie si diresse al negozio di Giada, che si trovava nei pressi dell'Arno. Giada era stata la migliore amica di sua madre, ed era rimasta in contatto con la famiglia Flint grazie a Jackie. Gestiva un negozio di cianfrusaglie d'antiquariato insieme alla figlia Josephine, L'Oasi del Tempo, come diceva l'insegna, accompagnata da due lancette d'orologio e un pendolo abbastanza ambiguo che Jackie sbirciò imbarazzata.

- So cosa stai guardando e so anche che sei scandalizzata. Anche io odio quell'insegna. Il diavolo la porti.. - Giada D'Amico uscì dal negozio asciugandosi le mani nel grembiule che indossava, e rivolse a Jackie un sorriso gentile. La sua prima peculiarità era sempre stata la franchezza più assoluta. - Ma nonostante questo particolare inquietante, sono felice di rivederti, Jaqueline Foster.

- Giada!! - Jackie si avvicinò per abbracciarla, ma la donna le tirò un buffetto sul cappello, facendoglielo scivolare sugli occhi.

- Assomigli troppo a tua madre con questo cappello! - la rimproverò, sorridendo malinconicamente. - Avanti, vieni dentro. Abbiamo cambiato i mobili due mesi e fa e voglio farteli vedere. Chissà mai che riesca a cambiare pure l'insegna.

- Come vanno le cose Giada? - conversò Jackie, mentre varcavano l'ingresso. Josephine stava spazzando per terra, e appena vide la giovane le rivolse un sorriso che andava da guancia a guancia e pareva più una smorfia, e non disse nulla. Jackie la salutò in francese, consapevole che non avrebbe ricevuto alcuna risposta vocale. Non aveva mai sentito Josephine dire una sola parola, e si chiedeva sempre se mai l'avrebbe sentita parlare. Raccontò a Giada della fattoria e del proprio lavoro in America, e poi ammirò il nuovo arredamento del locale. Centinaia di ninnoli erano disposti ordinatamente su scaffali di mogano vecchi e decorati, i davanzali ospitavano libri, statue e posacenere di diverse fatture, e per la stanza erano sparsi divani, cassettoni, comodini e grandi stampe ottocentesche, che Jackie si perse ad ammirare.

- Il tuo negozio è una meraviglia, Giada! - si complimentò. - Questi quadri sono splendidi, scommetto che hai un sacco di richieste.

- Ci scommetterei anch'io bella, se solo ne avessi, di richieste… - Mormorò la donna, sinceramente sconsolata. Jackie la guardò perplessa.

- Amore mio, è tempo di crisi. Tutti comprano le lampade a neon, non vanno più di moda quelle a olio di una volta! I quadri? Meglio una bella stampa dell'eroe musicale del momento! I dischi in vinile? Roba da scarsi e vecchi modaioli! - rise amaramente. - Scusa lo sfogo, ma in questo momento gli affari mi innervosiscono. Odio ammetterlo ma non sono mai stata così tanto in rosso.

- E' terribile! - esclamò Jackie. - Ma come è possibile? Tutte queste cose..?

- Le vendo, certo. Ma in modo così lento che al mese non copro le spese del mutuo. E ovviamente non mangiamo. Non m'importa tanto del negozio, fossi solo io potrei continuare benissimo così. Il problema è Josephine. - Guardò la figlia che, inconsapevole, ammirava il proprio riflesso in uno specchio con un tale sguardo alienato e assorto che Jackie rimase confusa e leggermente stupita.

- Cos'ha Josephine? - chiese osservandola. I capelli della ragazza le cadevano nel naso ma ella sembrava non tenerne conto.

- Caracolla tutto il giorno per il negozio, e non fa nulla di veramente utile. O meglio, nulla che non possa fare anch'io senza molto disturbo. Il fatto è che lei vuole farmi piacere, e allora le assegno dei compiti che lei svolge, così è soddisfatta e alla sera riesce a dormire. Il punto è che le entrate non bastano per entrambe, e lei mangia quanto un bovino, per non parlare della sua passione per i nachos. Se solo la facessero lavorare, sarei certamente più tranquilla.

- Perché? Non riesce a trovare un posto? Se vuoi posso aiutarti io a cercare… - Si offrì subito Jackie.

- Oh, il posto l'ha trovato. Stanno cercando un pizzaiolo da due mesi ormai, e nessuno vuole quel posto perchè la paga è minore del 20%. Nonostante questo, per me andrebbe comunque benissimo. Anzi, sarebbe perfetto. Ci siamo presentate innumerevoli volte. L'unica cosa che Josephine sa fare bene è la pizza, e la diverte anche. Ma si sa, la gente ignorante...

- Come 'la gente ignorante'…? - chiese Jackie, sinceramente confusa. Giada la guardò eloquente.

- Bè, mi sembra ovvio. - Jackie rimase in silenzio, e la donna aprì la bocca dallo stupore. - Non dirmi che non te ne sei mai accorta.

- Di cosa, precisamente? - chiese la giovane, imbarazzata.

- Jaqueline… Josephine è tarda. Autistica. E' evidente.

Jackie rimase di stucco, come se un getto d'acqua ghiacciata l'avesse svegliata da uno stato di lungo torpore. Improvvisamente ogni nodo giunse al pettine: ecco perché non parlava, capiva solo il francese e si comportava in modo così svampito. Diventò rossa per la vergogna, accorgendosi dell'enorme gaffe che aveva fatto, e abbassò lo sguardo.

- Sono mortificata Giada, non me ne sono mai accorta. Scusami tanto, sono proprio stupida.

- Che dici? E' bellissimo! - esclamò Giada. - Significa che non te ne importa nulla delle apparenze, o di quanto strano sia il comportamento di una persona. Si vede che non giudichi gli altri, e questo può essere solo positivo, secondo me. Hai preso tutto dalla mamma. - disse sorridendo. - Grazie al cielo. - Aggiunse un po' più seria.

Jackie rise sollevata, divertita dalla propria sbadataggine. Poi ricordò il problema.

- E' per questo che non la vogliono assumere? Perché è autistica?

- Già. - sospirò Giada, sconsolata. - Il proprietario del locale è il padre di un amico di Josephine, e pensavo che questo sarebbe servito a darle quantomeno una possibilità. Ma non c'è stato verso…

- Dobbiamo andarci a parlare.

- Tanto è inutile. Ci abbiamo già provato, che credi?

- Non ne dubito, ma un tentativo in più non guasterà di certo. Cos'abbiamo da perdere? - chiese Jackie risoluta, e la donna la guardò sospirando.

- Sei decisamente tutta tua madre. - Ripeté, e sentì che quella particolarità cominciava a farle male, ricordandole momenti passati sepolti sotto il lutto della migliore amica. Chissà se se ne rende conto, pensò Giada, guardando Jackie che chiedeva a Josephine, in francese, se le andava di mangiare una pizza dal suo amico. La ragazza autistica sorrise e annuì, marcando bene i gesti con la testa. Ora che lo sapeva, Jackie notò che non si poteva proprio dire che fosse una persona normale, e si chiese come avesse fatto a non accorgersene da sola. Ripromettendosi mentalmente di essere meno stolta e di migliorare il proprio acume, attese Josephine mentre si metteva sciarpa e cappello e avvertiva la madre della loro uscita. Giada le salutò cordiale ma priva di fiducia: si era rassegnata già all'impossibilità della figlia di trovare lavoro.

Le due ragazze si incamminarono, e dopo una passeggiata di 20 minuti e un autobus, sotto il sole a picco, Josephine le indicò una piazzetta nascosta da un piccolo parco e una piccola insegna 'La Margherita' che rappresentava l'immagine di una pizza fumante.

- Carino. - commentò Jackie, e Josephine annuì al suo parere con adorazione.

Sotto il portico davanti all'entrata, un giovane ragazzo biondo col grembiule stava spazzando per terra, e sembrò non accorgersi di loro fino a quando non gli furono vicine di un passo. Allora alzò la testa e, non appena vide Josephine, il suo volto si aprì in un sincero sorriso.

- Ciao bimba! Mi hai portato una cliente nuova? - esclamò andandole incontro, e Jackie lo trovò simpatico. Josephine invece, sembrava adorarlo con tutta sé stessa: annuì con fervore e si avvicinò per abbracciarlo. Il loro affetto era evidente e guardandoli, Jackie pensò a Michael. Il ragazzo finì di stringere la mora e si avvicinò a lei, sorridendo con discreto imbarazzo. - Chiedo scusa, era tanto che non la vedevo. - esordì.

- Figurati, non c'è problema. - Gli porse la mano. - Mi chiamo Jaqueline, piacere di conoscerti. - Il ragazzo rimase leggermente di stucco. Probabilmente non era abituato a presentarsi così formalmente a ogni cliente che si presentava. Dopo un attimo di smarrimento però, rinsavì e ricambiò la stretta con piacere.

- Paolo, piacere mio cara. Vi va una pizza?

- Perché no? Che ne dici Josephine? - chiese Jackie. La ragazza la fissò per un attimo con grande intensità, e annuì intuendo la domanda. Paolo la ripeté in francese per accertarsi che avesse capito, e lei rispose annuendo con più insistenza. Risero e lui le condusse dentro. Il locale non era molto spazioso, ma era ben arredato e colorato. I mobili in legno e i tavoli scuri gli davano un aspetto antiquato, per non parlare nella grande quantità di bottiglie di vino appese alle pareti. Jackie ne contò almeno duecento: una collezione che faceva il suo effetto. E accanto all'entrata, il calore profumato del forno a legna, dove un pizzaiolo muscoloso si affannava dietro a tre pizze contemporaneamente, e una fila di ordini attendeva pazientemente sul balcone. In effetti, guardando meglio, Jackie notò che il locale era pieno. Dovevano avere molto da fare. E osservando l'aria affannata del pizzaiolo, avevano bisogno di una mano. Paolo notò che Jackie lo stava osservando, e intuì i suoi pensieri. Le fece sedere in un posto tranquillo vicino a un grande vaso di fiori e prese le ordinazioni. Dopodichè, trafficò un po' in giro per servire gli altri clienti e tornò da loro per chiacchierare.

- Allora gestisci tu il locale? - chiese Jackie.

- Non esattamente. Il proprietario è mio padre, e solitamente sta dietro la cassa. Adesso non c'è, ma è lui che prende tutte le decisioni. Io faccio un po' di tutto: all'orario di apertura sono qui ad accogliere i clienti, prendo le ordinazioni, faccio le pulizie, tengo i conti in ordine e quando siamo troppo pieni mi lavo le mani e faccio la pizza. Franz non c'è la fa da solo quando siamo tanti. E la pizza qui, la vogliono tutti. - Le fece l'occhiolino. - Appena l'assaggerete capirete perché.

Josephine si distrasse guardando i fiori. Diventava strabica nel tentativo di raccogliere in un unico sguardo l'intera forma a tutto tondo di un petalo o un pistillo. E raramente prestava attenzione a loro o a cosa stessero dicendo, sebbene traducessero tutto in un accurato francese per non farla sentire esclusa. Era come una bambina piccola che si annoia ad ascoltare le conversazioni degli adulti, e cerca di scappare per interessarsi d'altro. Approfittando di questo suo momento di svago, parlarono un po' di lei.

- Dove l'hai conosciuta?

- Facevamo il liceo insieme. Devo ammettere che non l'ho conosciuta per caso: volevo dei crediti formativi e per ottenerli mi ero iscritto come aiutante nella classe di sostegno. C'era una sola alunna, ed era lei. Mi ha fatto molta tenerezza, perché stava sempre da sola. Allora mi sono preso cura di lei. Non è stato un sacrificio sai? E' divertentissima quando vuole.

Jackie annuì e sbirciò la ragazza avvertendo un principio di malinconia. Sarebbe riuscita a farle avere il lavoro?

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Capitolo 64
*** Capitolo 64 ***


Prima del capitolo, ho un avviso da dare: sono passati molti anni dall'inizio di questa fanfiction, molti lettori se ne sono andati e anche io ho continuato per la mia strada. Nonostante i ritardi, ho sempre dato un occhio a questa storia, che mi è molto cara, sia perché l'ho iniziata dieci anni fa, sia per l'impegno che mi ero presa nello scriverla. Adesso sono altre le mie priorità. Mi dispiacerebbe lasciarla incompleta, quindi d'ora in poi gli aggiornamenti saranno composti dagli appunti di scrittura che ho prodotto nel corso degli anni, con un lavoro minimo di correzione, in più dei brevi riassunti di come sarebbe andata avanti la storia. In questo modo spero di accontentare i pochi lettori rimasti e chi passerà di qui in futuro.
La fine di questa storia è già scritta (da troppi anni), quindi sarà solo questione di tempo (non troppo spero) perché venga pubblicata qui.
Buona lettura e grazie a chiunque passi di qui.

 
Un amico si vede sempre.



- Abiti in America? Strabiliante! E dove precisamente? - domandò Paolo eccitato non appena Jackie gli ebbe raccontato qualcosa di sè.

- Los Angeles. Lavoro insieme a Michael Jackson. - spiegò lei, sperando di poter fare una buona pubblicità all'amico cantante. Trovò terreno fertile a quanto pare, perché il ragazzo strabuzzò gli occhi e allargò il sorriso di qualche centimetro.

- Ma è la mia star preferita! - esclamò in preda all'emozione. - Non posso credere di parlare con una persona che lo conosce!

Jackie sorrise, e pensò di essersi guadagnata la simpatia del ragazzo. Ora probabilmente avrebbe potuto parlare di Josephine per il lavoro.
Era andata lì con quello scopo e non aveva intenzione di andarsene senza aver tentato nell'impresa in maniera significativa. Aspettò che Paolo finisse di servire qualche cliente e tornasse da loro.

- Ascolta Paolo - cominciò, imponendosi di essere convincente ma non assillante. - La verità è che sono venuta qui non solo per pranzare, ma anche per parlare di Josephine.

- Cos'ha Josephine? - chiese lui preoccupato, sbirciando la ragazza che, ignara di tutto, arrotolava la mozzarella filante della propria pizza con una forchetta e sguardo vacuo.

- Non ha niente, solo bisogno di un lavoro. E so che qui state cercando un pizzaiolo. Josephine non ama forse fare la pizza? - Vedendo lo sguardo del ragazzo incupirsi, Jackie provò a marcare meglio il proprio discorso. - E poi sei un suo grande amico. Sono certa che lavorare per te la motiverebbe cento volte di più.

- Non lo metto in dubbio. - rispose lui in modo cupo. - Infatti, per me non ci sarebbe alcun problema ad assumerla. Mi considero abbastanza privo di pregiudizi per soffermarmi sul fatto che sia autistica. Ma mio padre non la pensa così.

- Allora potrei provare a parlare con tuo padre?

- Non credo sia una buona idea. Ci ho già provato io, ma non vuole sentire ragioni. E' molto testardo...

- Posso sempre tentare. Tanto cos'abbiamo da perdere?

Paolo la guardò dubbioso, e poi guardò Josephine riflettendo. Jackie si morse il labbro, sperando che l'affetto per l'amica prevalesse sul timore del padre. Infatti, dopo qualche minuto di silenzio, Paolo si rivolse di nuovo a lei, stavolta con un viso un poco più acceso.

- Non sono sicuro che possa funzionare ma hai ragione, tanto vale tentare.

- Grazie! - esclamò Jackie entusiasta. Paolo si alzò per chiamare il padre, ma prima di congedarsi si voltò e la guardò in volto. Jackie si sentì studiata, quasi radiografata, e gli rivolse uno sguardo perplesso.

- Sei una vera amica Jaqueline. - disse lui con voce neutra, e si allontanò. Jackie abbassò lo sguardo, pensierosa. Svolgere un'azione così spontanea e normale per una persona in difficoltà la elevava al livello di vera amica? Bastava davvero così poco?

- Salve, sono Gianluca Bianchi. Mio figlio Paolo mi ha mandato da lei, signorina. - un uomo dalla voce profonda la riscosse dai suoi pensieri.
Jackie alzò lo sguardo, incontrando la figura del gestore che, diversamente da quello che aveva immaginato, non aveva la tipica conformazione di un padre padrone, grande e grosso e con le spalle potenti. Bensì, era un ometto di bassa statura e ragionevole robustezza che la squadrava con i suoi piccoli occhi grigi. Il suo sguardo non era aggressivo o feroce, ma esprimeva una grande curiosità e un po' di perplessità.

- Buongiorno signore. - si alzò per stringergli la mano con cortesia. Con la coda dell'occhio notò che Josephine li guardava di sottecchi e si era irrigidita sulla sedia. Seguendo il suo sguardo, anche il signor Bianchi notò la ragazza, e storse la bocca senza che Jackie ne capisse il motivo. Decise di far finta di nulla.

- Mi scusi se la disturbo, ma vorrei parlare con lei di una faccenda abbastanza importante. - Scosse la testa, accorgendosi di non essersi presentata. - Scusi, che sbadata. Mi chiamo Jaqueline Foster.

L'uomo, che pareva averla seguita abbastanza distrattamente, si riscosse non appena udì le ultime sillabe.

- Come prego? Lei si chiama Foster?- Boccheggiò per qualche secondo. - Non è mica una parente della Anna Flint?

- Bè, effettivamente si… - rispose Jackie con una certa difficoltà. - Sono sua figlia.

L'uomo sbarrò gli occhi e spalancò la bocca dallo stupore.

- Non ci credo! - esclamò con un forte accento toscano, attirando l'attenzione di alcuni clienti. - Non posso credere di avere proprio nel mio ristorante la figlia scomparsa dell'Anna!

- Conosceva mia madre?

- Tutti la conoscevano vent'anni fa, boia! Non c'era fiorentino che non avesse assistito a un suo balletto. Era molto popolare sa? Fu una tragedia quello che accadde, ed un vero peccato. Ma mi scusi se sono stato inopportuno con questo commento. Stimavo sua madre e l'ammiravo, e non mi vergogno ad ammetterlo, a differenza di qualche marrano che vive ancora qui intorno...

Jackie era stupita dal radicale cambio d'atteggiamento dell'uomo dopo che aveva scoperto di chi fosse figlia. Imbarazzata, ascoltò con pazienza ciò che il signor Bianchi le raccontava sui bei tempi in cui sua madre ballava per loro, e l'allegria nelle sue parole pareva aver cancellato ogni traccia di circospezione nei propri confronti. Sembrava quasi innaturale.
Paolo si fermò più volte, fra un'ordinazione e l'altra, a osservare ciò che stava accadendo, e pareva sempre più perplesso. Ogni tanto Jackie gli lanciava un sorriso rassicurante, e allora lui riprendeva a servire i tavoli un po' più tranquillo.
Il sudore sulla fronte e i capelli scompigliati tradivano tuttavia la sua angoscia.
Improvvisamente, il signor Bianchi si accorse di aver parlato un po' troppo, e terminò i suoi racconti con una sfilza di inutili e mielose scuse.

- Non si preoccupi - tagliò corto Jackie. - Ora però vorrei parlarle della faccenda di cui le ho accennato prima.

- Ma certo mia cara! - sorrise l'uomo. - Cosa posso fare per te?

- Vede, io sono qui con questa mia amica, Josephine - si girò verso la ragazza, che cominciò a sudare freddo. Evidentemente temeva l'uomo. - Mi sembra di capire che vi conosciate già. - mormorò Jackie, cercando di cogliere i timori della mora.

- Certo che ci conosciamo. - rispose il signor Bianchi. - Josephine è una cara amica di mio figlio.

- So che state cercando un pizzaiolo a tempo pieno. - disse Jackie. - Sono venuta per proporre Josephine. - Notando che la bocca dell'uomo aveva assunto una piega amara, cercò di essere più convincente prendendo spunto dalle tecniche di conversazione apprese nel corso degli anni. - Ha una buona mano sa? Ed è discreta e sa cucinare alquanto bene.

- La tua amica è già venuta con sua madre per quel posto. - rispose l'uomo. - Ma non credo sia una buona idea.

- Perché mai, se posso chiedere?

- Una ragazza così giovane dovrebbe cercare un lavoro con uno stipendio più alto. Da parte mia, posso offrire il 20% in meno del compenso normale, non posso permettermi di più attualmente.

Jackie comprese che la questione dello stipendio era una scusa per non fare brutta figura con lei, per non dirle che l'autismo della giovane lo infastidiva o forse lo intimoriva, ma decise di non farci caso.

- A Josephine non interessa una paga alta. A lei andrebbe benissimo così com'è. - insistette. - Vede, lei ha bisogno di lavorare. Ha tutti i requisiti. E se lei le desse solo una possibilità…

- Suvvia Foster - sbottò l'uomo, perdendo la pazienza. - Non può venirmi a dire che questa ragazza ha 'tutti i requisiti'. Non scendiamo nei particolari, ma è evidente che manca qualcosa qui. E io ho bisogno di gente che lavori sodo e consapevole.

- Josephine non è andicappata! - s'indignò Jackie, alzando leggermente la voce. - E lei è senza scrupoli se non intende darle almeno una possibilità!

Quasi tutti i clienti della sala prestavano attenzione alla discussione, e ciò parve mettere in imbarazzo il gestore del locale. Con un rapido gesto allentò il colletto e guardò Jackie con fastidio.
A lei però non importava.
Aveva perso le staffe e tanto valeva nuotare fino al traguardo con tutti i mezzi possibili. Fissò trucemente l'uomo che aveva davanti come se da ciò dipendesse la propria vita, e l'energia emanata dalle proprie iridi così smeraldine e profonde sembrarono intensificare la condanna.
Nessuno avrebbe potuto resisterle. Chiunque, di fronte a lei in quel momento, sarebbe diventato arrendevole.

- E sia. - disse l'uomo dopo un attimo di silenzio. - Faremo una prova.

Jackie sorrise.

- Vedrà che non se ne pentirà, signor Bianchi. - assicurò.

- Anche se sono sicuro che non riuscirà a superarla - rispose lui con una voce quasi strafottente. - Il mio ristorante ha molti clienti, e io sono molto esigente. La pizza dev'essere perfetta e avere il minor tempo di attesa.

- Josephine saprà farsi valere. - disse Jackie, facendo alzare la ragazza che la guardò stupefatta come per dirle 'Adesso?' con lo sguardo. Jackie chiamò Paolo e si avviarono in cucina.

- Non posso credere che sei riuscita a convincerlo a fare almeno una prova - non smetteva di ripetere Paolo in preda a un violento attacco di frenesia. Jackie sorrideva a ogni commento, e cercava di tenere tranquilla Josephine che, anche lei in preda ai timori dell'ansia, non riusciva ad allacciarsi il grembiule tanto le tremavano le mani.

- Vedrete che andrà tutto bene - disse Jackie ad entrambi, e neanche fosse una benedizione, andò proprio così.

La sera infatti, Jackie tornò insieme a Giada al ristorante per prendere Josephine e sapere il resoconto della prova.

- Appena entreranno ci piglieranno a pesciate in faccia. Tonni, sgombri e crostacei se vogliamo .. - aveva commentato Giada con amarezza prima di varcare la soglia. Jackie sudava freddo. E se una volta entrate avessero trovato Josephine rannicchiata in un angolo, intimorita dalle urla del gestore?

Cercando di scacciare quella visione poco incoraggiante, venne accolta da una sala luminosa e profumata che abbondava di clienti e camerieri. L'aroma di pizza era ben percepibile anche dall'ingresso e, voltandosi verso il forno, Jackie e Giada aprirono la bocca dallo stupore nel vedere la giovane autistica in preda a paste bianche e salse di pomodoro.
Non appena si accorse di loro, Josephine sorrise un momento e continuò a lavorare, concentrata.

- Siete arrivate, benvenute! - le accolse Paolo con un gran sorriso.

- Ciao Paolo! - esclamò Jackie, mentre Giada rimaneva a guardare la figlia con aria incredula. - Immagino che la prova sia andata bene.

Il giovane lanciò un urlo di gioia che a Jackie ricordò il suo amico americano. Dalla gioia, il ragazzo l'abbracciò di slancio.

- Alla grande! - disse staccandosi. - Mio padre non lo ammetterà mai, ma Josephine se l'è cavata più che benissimo! Non ha mai chiesto nulla e non ha combinato disastri. E' stato magnifico, ed è stata assunta!

- Assunta?! - strillò Giada voltandosi verso di loro. - Non posso crederci! - Guardò Jackie. - Come hai fatto?

La ragazza alzò le spalle, e raggiunse Josephine.

- Congratulazioni! - le disse con gioia guadagnandosi uno smagliante sorriso. - E tu padre dov'è ora? Voglio proprio parlargli! - chiese a Paolo.

- Se n'è andato non appena ha visto che andava tutto bene. Ha dato ordine di fare un contratto per un anno ed è tornato a casa. Credo che non se la sentisse di parlare con te. E' troppo orgoglioso per ammettere di aver sbagliato. - Paolo guardò Josephine con infinito affetto. - Sono così felice per lei. - mormorò senza smettere di sorridere, e Jackie non poté fare a meno di sentirsi travolgere dall'allegria che quel ragazzo, quel luogo, quelle persone emanavano. Si sentiva a casa, in patria, e allargò il sorriso.

- Che tonno tuo padre ragazzo! - commentò Giada bruscamente, ma Paolo non se la prese.

- Meglio non girare troppo il coltello nella piaga, signora D'Amico! - rispose sorridente, mettendole un braccio attorno alle spalle. - Che ne dice se le offrissi una bella pizza preparata da sua figlia?

Giada rifletté un attimo con viso ombroso, e infine annuì convinta.

- Coi peperoni caro.

- Coi peperoni signora!
 
---


Fabiana era una scrittrice.
O perlomeno, presto lo sarebbe diventata ufficialmente.
Fatto sta che aveva scritto più di cento o trecento racconti, e aveva contattato una casa editrice per pubblicarli in una raccolta.
Jackie conosceva sin dall'adolescenza la passione della sorella per la letteratura e la scrittura, e aveva letto e commentato i suoi lavori con grande piacere.
Fabiana aveva scritto ogni genere, dal fantasy all'avventura, dall'horror all'erotico più fisico e sensoriale, e Jackie aveva letto tutto con voracità.
La sorella riusciva a mettere insieme sillabe e sintassi in modo da formare un'emozione a lettera, e riusciva a esprimerle in modo sensato ed efficace.
Era agli esordi della carriera.

Luca era un promettente ballerino che tutti ammiravano per la bravura atletica e la bellezza di un angelo. Il suo fisico muscoloso ma snello era l'argomento d'elitè di molte ballerine che insieme a lui formavano la squadra di danza teatrale del grande teatro di marmo dove, ai suoi tempi, si era esibita per gli ultimi spettacoli sua madre Anna. Da lei infatti, aveva ereditato un'incredibile qualità carismatica che a Jackie ricordava molto Michael: si muoveva sul palco con la stessa disinvoltura e quando sorrideva la bocca assumeva la stessa piega.

Entrambi i suoi fratelli si stavano avviando verso una promettente vita lavorativa, e ciò la fece riflettere sulla propria.
Cos'era lei? Cosa aveva costruito in quegli anni di giovinezza?

Bene, ho risolto le mie questioni qui, pensò. Posso tornare a casa.

E così fece, stupendo tutti quanti con una partenza imminente. Fabiana si mise addirittura a piangere nel vederla andare via, e quella commozione coinvolse anche Jackie che si sentì costretta ad allungare i convenevoli di qualche minuto più del previsto. Luca l'abbracciò forte, Guglielmo le promise di venirla a trovare, il nonno le raccomandò di mangiare e la zia le consegnò la ricetta della sua torta speciale.
Giada e Josephine vennero direttamente all'aeroporto per salutarla.
La vecchia amica di sua madre aveva le lacrime agli occhi, e persino sua figlia sembrava molto provata, poiché si era molto affezionata a Jackie, ma non un velo di nebbia irruppe nelle sue iridi.

- Josephine non piange mai. Credo che non possa, o non riesca. - spiegò Giada a Jackie quando notarono l'espressione un po' forzata della ragazza. - Diciamo che è un altro dei suoi strani impedimenti. Però ti assicuro che non vorrebbe vederti partire. Vorrebbe tenerti qui.

Quelle parole le ricordarono il proprio senso di responsabilità nei confronti della terra d'origine, della famiglia di sua madre, dei suoi dintorni, e con trattenuto rammarico si chiese quanto fosse forte il suo trasporto verso l’America per riuscire a farle abbandonare ogni volta la propria patria.
Perché ogni partenza suonava un po' come un abbandono: lei era certa di ritornarci, ma i suoi familiari si comportavano come se ogni volta fosse un addio. Come se ogni volta che lei prendeva il volo non sarebbe più tornata, vinta dai lusinghieri inviti del nuovo mondo a cui, all'epoca, gran parte dei cittadini europei aspiravano.
Durante il viaggio in aereo Jackie meditò a lungo e decise di fare qualcosa per la propria vita, poiché si rese conto che se non fosse per Michael, non sarebbe mai entrata in una sala di registrazione.
Lei era stata imparata alla musica sin da piccola, essendo vissuta praticamente ogni giorno con la famiglia Jackson, che di musica si nutriva e respirava.
Aveva imparato a cantare, ballare, suonare chitarra e pianoforte, recitare e comporre piccole opere da sola, con l'amico del cuore e successivamente con la sua madrina Diana Ross.
Con Berry Gordy era stata inserita nella Motown da bambina e l'uomo, avendola presa a cuore, le aveva insegnato molti trucchetti musicali e d'azienda.
Senza di lui sarebbe stato molto più difficile entrare successivamente a far parte dello staff di Q e infine, a lavorare affianco a Michael, scrivendo addirittura per quello che si rivelò il capolavoro di Thriller.
Una vita ricca di attività, la sua.
Tuttavia sentiva il bisogno di avere qualcosa di concreto in mano, poiché si era guadagnata la fiducia dei suoi superiori solo con la propria bravura e costanza nel lavorare e non perché possedesse un qualche pezzo di carta che attestasse le sue capacità nel campo.
Infatti, a parte il diploma della scuola superiore, Jackie non possedeva altro in quel determinato frangente.
E mettersi a studiare per ottenerne uno in ambito musicale le sembrava un po' inutile, per quanto interessante.
Doveva fare qualcosa di diverso, senza tuttavia smettere di lavorare affianco a Michael.
Pensò a lungo, per quelle dodici ore di volo che la separavano dalla sua seconda casa e quando atterrò, vaga le ronzava in testa l'idea filosofica fine a sé stessa.

 

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Capitolo 65
*** Capitolo 65 ***


 
Tutto sta nel credere.

Aveva lasciato Michael ferito e sofferente su un letto di ospedale, provato per la bruciatura alla testa e nervoso per le conseguenze.
Sapeva tramite la corrispondenza che molte persone si erano prese cura di lui, tra le quali Diana, Berry, Katherine, Marlon, Janet e persino LaToya. E naturalmente Q, che lo aveva vegliato quasi tutti i giorni, e aveva fatto di tutto per tirarlo su di morale.
Jackie si aspettava di trovarlo così: con il pepe sotto la lingua e una brutta cera, e si era preparata per farlo sorridere.
Eppure l'ospedale era vuoto della sua presenza da un pezzo.
Q le suggerì di andare in sala prove, dove in atto erano le registrazioni del singolo I Just Can't Stop Loving You.
Arrivò proprio nel momento in cui stavano rifinendo il pezzo con gli ultimi arrangiamenti.
Michael sembrava in forma. Aveva un cappello in testa per nascondere le bende che si intravedevano comunque e l'aria concentrata di chi sta lavorando e non ha altro per la testa.
La versione musicale del suo migliore amico.
Accanto a lui, la collaboratrice Siedah accompagnava il canto armonico con la propria voce melodiosa.
Jackie avvertì una nota di disappunto balzarle in testa fastidiosamente: Michael aveva chiesto a lei di aiutarlo con quella canzone, le aveva assegnato la parte femminile, essendo un duetto. Poi lei era dovuta partire, lui aveva avuto l'incidente e non ne avevano più parlato. E ora c'era Siedah accanto a Mike.
Aveva voluto continuare il proprio lavoro senza aspettarla.

- E' un motivo idiota per prendersela, Jackie - sussurrò a sé stessa quando si accorse della rabbia crescente. - Lo sai com'è Mike quando sente l'ispirazione e ha bisogno di lavorare. Tu eri via e non poteva aspettarti.

Una presenza prorompente e minacciosa proveniente da dietro la indulse a voltarsi.

- Sorellina! - Ok, quella presenza si era rivelata più dolce di quanto si aspettasse.

- Albert! - Jackie gli saltò al collo e lo strinse. Era un colosso immenso. Una sola mano bastava a coprirle la schiena. Stringendola un po' di più avrebbe potuto ucciderla facilmente. Eppure quelle grosse mani minacciose non avrebbero fatto male a una mosca. A meno che suddetta mosca non avesse tentato di ferire sua sorella o Michael.

- Torni in continente e non vieni nemmeno a salutare? - la rimproverò lui con quello che non poteva definirsi nemmeno uno sguardo severo. Gli occhi ridevano segretamente da sotto il ciuffo biondo che avrebbe dovuto sfoltire.

- Andavo di fretta e non sapevo in quale parte d'America foste finiti. - si giustificò lei, pensando che da quando era tornata aveva avuto in mente solo Michael e l'idea malsana che riguardava la propria vita.

- Motivo un po’ futile detto da una che è abituata a fare avanti e indietro per l’Atlantico come se fosse la passeggiata del mattino. - disse Albert, poi dovette percepire le ansie che turbavano la sorella, perché i suoi occhi si incupirono leggermente, e Jackie distolse lo sguardo.

- Com’è andata a casa?

- Bene, stanno tutti bene. Luca e Fabi ora inizieranno a lavorare, mentre Guglielmo comincerà a farlo anche a Firenze per starci più vicino. Tu?

- Pauline sta ancora girando l’Arizona in cerca di mobilio adatto al nostro alloggio. - sospirò il biondo con aria esasperata, e Jackie trattenne una risata.
Pauline era la compagna di Albert.
Una donnina carinissima e dalla dolcezza infinita, convinta vegetariana e dai principi morali solidissimi.
Stava con Albert in modo ufficiale da due anni (anche se suo fratello le aveva rivelato che, in passato, lei era stata uno dei tanti motivi delle varie fughe dalla casa di Gary) e da poco avevano deciso di convivere.
Jackie era convinta che i due si sarebbero sposati, era solo questione di tempo.
E di ciò non poteva essere più felice.

- Ciao Jackie, che sorpresa rivederti! - Un’altra presenza minacciosa come la prima ma altrettanto gentile si avvicinò.
A Jackie batté forte il cuore quando si accorse che Thomas le stava sorridendo calorosamente.

- Ehilà!

Lui si chinò per abbracciarla rapidamente, e lei ricambiò, impacciata.
Lui cominciò a chiederle della casa, della famiglia e dell’Italia, con un interesse così sincero da lasciarla piacevolmente sorpresa.
Nessuno dei due giovani si accorse, così rapiti l’uno dall’altro, che Albert aveva alzato un sopracciglio, guardandoli, intuendo la trama sottile della relazione che si stava formando.
E, discreto, aveva sorriso.

Nessuno di loro tre si era reso conto che la registrazione del brano era conclusa, e che ognuno si accingeva a terminare.
Michael ringraziò Siedah, bevve un sorso d’acqua da una bottiglietta e rimase per qualche attimo a pensare, lo sguardo fisso sui fogli davanti a sé, rivisitando mentalmente il proprio lavoro pezzo per pezzo, nota per nota.
E, stranamente, si sentiva soddisfatto.
L’opera poteva dirsi conclusa.

Si diresse verso l’uscita, programmando mentalmente le giornate di lavoro successive.
Si chiese quando Jackie sarebbe tornata.
Erano settimane che era partita, quasi un mese.
Le mancava, pensò dolcemente.
Proprio in quel momento il suo sguardo, alzandosi, incontrò la figura dell’oggetto della sua testa che, una volta messo a fuoco, si rivelò reale.
Era lì, in carne ed ossa.
Quando era tornata? Perché non era venuta a salutarlo? E perché stava parlando con Thomas dando le spalle ad Albert?
Restò per un attimo ad osservarli, confuso dalla confidenza che la sua amica d’infanzia dimostrava di avere nei confronti del body guard.
Da quando erano così amici?
Strinse il labbro, infastidito dal fatto che non aveva mai saputo che fra loro ci fosse tale rapporto.
Ma perché Jackie perdeva tempo con Thomas e non veniva a cercare Lui?
Irrigidito da questi pensieri, si avvicinò cautamente, guardando altrove, come se fosse interessato a tutto meno che a loro.
E fu allora che Jackie lo notò.

- Mike!

Lasciò perdere Thomas, da cui si congedò con un semplice e rapido sguardo, e corse letteralmente incontro a Michael, felicissima di vederlo.
Quel gesto sciolse il cuore dell’artista, che non riuscì a impedirsi di sorridere.
Si fece abbracciare per primo e poi la strinse, forte.
Dopotutto, non aspettava altro che rivederla.

- Bentornata.
- - -


Con la fronte appoggiata al finestrino, rimuginava sulla scena a cui aveva assistito prima.
Non riusciva a togliersi dalla mente l’immagine di Jackie che rideva a qualunque cosa le stesse dicendo Thomas.
Accidenti a lui e al suo sorriso sbagliante.
Certo, sapeva che Thomas era una persona onesta, solare, ed eccelleva nel suo lavoro in quanto ad accortezza e serietà.
Era molto simile ad Albert in questo, e non poteva non ammettere a sé stesso che erano i migliori fra le sue guardie, insieme a Bill, il ‘capo’.
Eppure le attenzioni che rivolgeva a Jackie lo infastidivano in maniera esagerata.
Tanto che distrattamente riusciva ad ascoltare i racconti di Jackie del suo viaggio in Italia.

- E vedo che anche tu ti sei rimesso in forma alla svelta! - la sentì dire a un certo punto. Probabilmente si era accorta che la stava seguendo con disattenzione e allora stava cercando di coinvolgerlo nella conversazione.

La guardò in faccia quasi imbarazzato per scusarsi e notò che non sembrava irritata.

- In effetti, sono stato aiutato… - disse, ripensando ai giorni passati in ospedale. Il dolore era stato così intenso che credeva di impazzire.

- Che ti hanno fatto?

- Mi hanno dato degli antidolorifici particolarmente potenti, e altri farmaci che mi hanno fatto guarire in fretta. E in questi giorni ho l’appuntamento col dermatologo per farmi un’operazione che ricostruisca in buona parte la parte danneggiata della testa.

- Che tipo di operazione? - chiese Jackie, gli occhi allargati dalla curiosità.

- Semplice chirurgia plastica. - rispose semplicemente lui, chiudendo in quella piccola frase l’universo che proprio in quei giorni gli era stato proposto come una rivoluzione della medicina e che a Jackie faceva storcere il naso.
Infatti, non appena si accorse della sua espressione poco convinta, Michael la guardò perplesso.

- Cosa c’è? Non sei contenta per me? Sarà come se non si fosse stato nessuno incidente!

- Si, ne sono felice. - soffiò lei, e non aggiunse altro.
- - -

- In effetti, è da poco dopo che sei partita che si è interessato alla cosa con grande entusiasmo. Con troppo entusiasmo a parer mio.

Jackie annuì, fissando pensierosa la propria tazza di thè.
Accanto a lei, Albert raccontava tutte le novità successe quando lei era in Italia. Approfittando del suo momento di pausa dalla sorveglianza, Jackie l’aveva portato al bar degli studi discografici dove stavano parlando da tre ore.
Passare del tempo assieme al fratello era piacevole.
Per un po’ avevano parlato di Pauline, dell’Italia, del più e del meno e infine, avevano finito per parlare di Michael.
E del suo nuovo interesse per la farmaceutica.

Da quando era tornata Jackie aveva capito che qualcosa era cambiato.
Qualcosa non andava.
Michael aveva parlato della cosa come si parla del tempo che farà, ma lei aveva colto nel tono della sua voce una malcelata leggerezza, gratitudine oserebbe chiamarla, nei confronti dei farmaci che gli avevano dato.
Come se non stesse prendendo la cosa sul serio o non si rendesse conto della gravità a cui poteva arrivare una chirurgia plastica senza controllo.
Così, avvertendo una strana sensazione di inquietudine, Jackie aveva chiesto ad Albert da quanto tempo andava avanti quell’interesse, e il BG, sempre ben informato, aveva soddisfatto tutte le sue curiosità.

- Anche io ho notato questo entusiasmo. Non mi piace.

- Non è che ti stai fasciando la testa prima di essertela rotta? - chiese Albert, aggrottando un sopracciglio.

- Può darsi, ma sento che questa cosa non finirà qui. Michael si interessa a tutto, e se trova qualcosa che lo entusiasma particolarmente, ci si butta a capofitto, e credo che questo sia uno di quei casi. Chiamalo istinto.

- Mia mamma mi ha sempre detto di fidarmi del mio istinto.

- Quindi io mi devo fidare del mio?

- Considerando che conosci Michael meglio di chiunque altro, e che lo conosci da una vita e considerando anche che ritengo il tuo istinto migliore della tua razionalità… Si sorellina, fidati. - la prese in giro Albert, guadagnandosi uno scappellotto che non tentò nemmeno di evitare. Le sberle di Jackie erano nulla per lui.

- Come sei simpatico! - esclamò lei, guardandolo malissimo, fintamente irritata.

- E a proposito di simpatia, credo che sia ora per entrambi di tornare al lavoro! - esclamò una voce dietro la sua testa, facendola voltare di scatto.
Thomas la guardava con un sorriso che andava da un orecchio all’altro, soddisfatto per averla fatta sobbalzare.

- Non capisco cosa ci sia di simpatico nella tua frase. - disse Jackie.

- Per voi assolutamente nulla. Per me, significa che è arrivato il momento di andare a casa. - rispose lui.

- Lascia perdere questo sbruffone Jackie - disse Albert, alzandosi e prendendo la propria giacca, posta sulla sedia. - Approfitta sempre di questi momenti per prendersi gioco del suo superiore. Esattamente come suo cugino.

- Com’è che mio fratello conosce tuo cugino? - chiese Jackie al diretto interessato.

- Per la cronaca, fa parte della nostra squadra. Il mondo è veramente piccolo, eh?

- O non ci sono abbastanza posti di lavoro. - lo prese in giro Albert.

- Ehi! Chi si prende gioco di chi ora? - rispose Thomas. Fra i due uomini, Jackie li guardava discorrere dal basso all’alto, dato che la superavano in altezza di qualche decina di centimetri.
Si sentiva veramente minuscola.
Accidenti alla sua ristrettissima altezza!  

- Non l’ho mai incontrato tuo cugino. - disse, cercando di reinserirsi nella conversazione.

- Normale, fa orari diversi.

- Come si chiama? Ti somiglia?

- Theodore. E no, non mi somiglia. Ha il mio stesso colore di pelle ovviamente, ma di fisico e di viso è praticamente uguale a tuo fratello. Un armadio come lui. - spiegò Thomas.

- A differenza di te. - scherzò Albert.

- Per uomini grandi e grossi come voi, non c’è lavoro migliore del body guard. - disse Jackie, facendo notare la sua statura in confronto a loro. I due risero.

- Povera piccina! - la prese in giro Albert, poggiando una mano sulla testa. Poi si infilò la giacca. - Devo andare a prendere Pauline al lavoro, ci vediamo domani! - E si congedò assai rapidamente, lasciando Jackie un po’ interdetta.

- Hai spazio nello stomaco e tempo sufficiente per un’altra tazza di caffè?

Si voltò trovandosi il viso di Thomas a poche decine di centimetri dal suo.
Colta dall’improvviso piacere che quella proposta le aveva dato, sorrise dimenticandosi del lavoro.

- Ma certo!

Thomas la faceva sentire veramente bene.
Era una persona così solare da mettere allegria a tutti, e altrettanto cordiale.
Non poteva negare che le piacesse.
Parlarono a lungo e con leggerezza, in barba al tempo che scorreva, in barba alle persone lì attorno che li guardavano mormorando credendoli innamorati.
Quando poi il termine della giornata li convinse che era ora di ritirarsi, entrambi si salutarono non senza una briciola almeno di dispiacere.
Dopo essere passata da Quincy, che le elencò con severa dolcezza una lista di incarichi a cui avrebbe adempito l’indomani, si diresse verso la propria auto, quel catorcio osceno e caracollante che l’attendeva al parcheggio.
Come al solito, come da qualche mese a quella parte, una rosa l’attendeva appoggiata sul cruscotto.
Jackie la prese e la portò all’altezza del naso, avvertendone il profumo delicatissimo e appena percepibile a causa del vento freddo della sera.
L’ammiratore segreto colpiva ancora.
Non aveva ancora scoperto la sua identità, ma aveva il vago sospetto che si trattasse di Michael.
Dopotutto, il suo amico amava fare regali alle persone a cui teneva, anche se questo era decisamente fuori dal suo genere.
Altrimenti, di chi si poteva trattare?
Arrossì di botto, scosse la testa ed entrò in macchina rapidamente.
Un pensiero imbarazzante l’aveva agitata, perciò si premurò di scacciarlo.
No, non poteva essere vero.
Anche se sarebbe stato bello.
Molto bello, se tutte quelle rose fossero regali di Thomas.
- - -

- Ti devo comprare una macchina nuova.

Jackie si voltò verso di lui, interdetta, ripensando al folle attimo in cui aveva creduto che le rose fossero omaggi da parte di Michael.
No, il suo amico aveva un gusto decisamente diverso in fatto di regali.
Assai esagerato per qualsiasi persona media.

- Prego?

- Sono preoccupato a sapere che vai in giro con quel… Quella cosa con le ruote che tutti vi ostinate a chiamare ‘automobile’. - Guardava fisso davanti a sé, Michael, ma lei sapeva di avere la sua completa attenzione.

- La mia auto ti turba? - chiese lei scherzosamente, prendendolo a braccetto mentre entravano in sala registrazione.

- Certo. Pensa se andasse in avaria mentre sei in autostrada? No no, per carità. - scosse la testa come per allontanare quella devastante immagine. Non c’era modo più stupido di morire che andare in autostrada con un’auto poco raccomandabile.

- Apprezzo il pensiero ma a cambiare auto ci penserò io con i miei risparmi, e quando questa sarà caduta proprio in pezzi.

Michael non rispose.
Sciolse il braccetto e si diresse verso le attrezzature, senza degnarla più di uno sguardo, alzando la mano per chiamare a sé i macchinisti.
Lei sapeva cosa voleva dire.

- Michael, ti prego, non farlo! - esclamò per farsi sentire - Non puoi regalarmi una macchina!

Michael si voltò verso di lei.
Aveva indossato gli occhiali da sole. Li portava sempre quando era in mezzo alla gente.
Rimase a guardarla per qualche secondo, prima di dare la propria attenzione allo staff che l’aveva raggiunto, pronto ai suoi comandi.
Non una ruga d’espressione era scivolata sul suo viso, non una smorfia aveva sfiorato quelle guance o quelle labbra.
E gli occhi nascosti dietro le lenti scure non avevano lasciato trapelare niente di sè.
Eppure lei aveva capito.
Aveva capito che dietro quello sguardo si celava quella scintilla maliziosa che le aveva rivolto, quasi sfidandola.
E le aveva detto ‘si, certo che posso. E tu non puoi fare niente per impedirmelo’.
Voltandosi e chiudendo quindi il discorso, aveva sigillato l’intenzione.
Jackie sbuffò e si grattò la testa, vinta.
Sarebbe successo quello che lui voleva.
 
- - -


- Ehi Jackie, hai cambiato macchina? - le chiese Thomas, un giorno. Senza pensare al motivo della domanda, Jackie lo guardò interdetta.

- No, perché?

- Ma l’hai parcheggiata qui davanti?

- Si, perché? - chiese sempre più in ansia. Poi sbiancò. - Mi hanno rubato la macchina?

Si guardarono in preda al panico, poi corsero entrambi verso l’entrata.
Jackie riusciva a stento a tenere il passo di Thomas, che filava come una freccia. Intercettarono Albert, che stava parlando a due BG.
Vedendoli arrivare con tale affanno, si mise subito all’erta.

- Che succede? - chiese quasi urlando, unendosi alla loro corsa.

- La mia macchina!

Uscirono nel parcheggio e corsero guidati da Jackie fino a dove aveva parcheggiato quella mattina.
Era vero, l’auto non c’era più.
Al suo posto, c’era una vettura nuova di zecca, grigia, non troppo costosa ma dall’aspetto nemmeno altrettanto modesto.
I due BG si guardavano attorno in cerca di possibili tracce del ladro, Jackie invece era immobile in mezzo la strada, gli occhi fissi sulla linea blu del parcheggio.
Incredibile.
Lo aveva fatto di nuovo.
Le aveva soffiato l’auto addirittura mentre erano sul posto di lavoro e l’aveva fatta sostituire con una nuova senza che qualcuno se ne accorgesse.
Tranne Thomas, che per qualche motivo se n’era accorto.
Avvertendo una presenza, Jackie alzò la testa fino alla finestra del primo piano dello studio, che dava sul corridoio.
Dietro i vetri scuri, uno sguardo trionfante la spiava di nascosto, e non appena si accorse di essere stato scoperto, la figura fece un gran sorriso soddisfatto.

- Michael!!!!

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Capitolo 66
*** Capitolo 66 ***



Mi piace il modo in cui mi fai sentire.


Rosso.
L’ennesima rosa sul cruscotto.
L’ennesimo regalo anonimo colmo di significati ma privo di qualsiasi concretezza.
Jackie raccolse il bellissimo fiore e lo annusò pensierosa.
L’aroma fiorito era carezzevole come un dolce brivido, e il suo significato nascosto le faceva tremare il cuore e lo stomaco e tutto ciò che c’era intorno.
Perché le rose rosse sono regali da qualcuno che ti ama e che vuole fartelo sapere.
E a meno che il fautore misterioso di tali omaggi non avesse sempre sbagliato auto, quel messaggio era per lei.

A questo pensava Jackie, entrando silenziosa nello studio di registrazione, distratta come poche volte in vita sua, svampita.
Oggi non c’era molto da fare per sua fortuna, altrimenti non sarebbe riuscita a concentrarsi sul lavoro.
Non aveva che arrangiare qualche pezzo di un cantante diverso da Michael, uno dei rari compiti che si concedeva di accettare per arrotondare l’entrata economica.
Adesso che, malgrado la sua volontà, non doveva più risparmiare per comprarsi un auto nuova, stava pensando di mettere via qualcosa per uno studio fuori corso all’università.
La sete di sapere l’aveva colta d’improvviso dal suo ritorno in America, e il vuoto che sentiva era quello che doveva colmare con un atto concreto nella sua vita diverso da quello della musica, che l’aveva sempre vista coinvolta in maniera significativa ma altrettanto marginale.
Sorrise, pensando al destino che aveva invece colto Michael, uomo dal talento spaventoso, quasi fuori dalla norma.
Lui si che vi era entrato per restare e dominare.
Lei invece doveva ancora trovare la propria strada.
Non era completamente sicura che quella della sapienza fosse la strada giusta per lei, ma non vedendo alternative decise di provarci.

- Buongiorno Jackie! - Q la riscosse dai suoi pensieri.

- Salve Q!

L’uomo le sorrise amichevole, poi notò la rosa che lei aveva ancora in mano e il suo sguardo si accese improvvisamente.

- E quella? - le chiese con una punta di eloquenza nella voce. Jackie arrossì.

- Oh.. - Rigirò il gambo fra le mani, attenta a non pungersi - Il solito omaggio anonimo.

- Lo so. - Q le allungò sotto il naso una tazza di caffè che era solito offrirle tutte le mattine e si mise più comodo, divertito dal rossore che era improvvisamente comparso sulle gote della sua quasi figlia. - Da quanto tempo va avanti questa cosa?

- Credo.. Ormai è quasi un anno. - rispose, stupendosi lei stessa di quella risposta.

- E’ un bel po’ di tempo…

- Già..

- Parecchio per un corteggiatore che è rimasto ancora senza risposta.

- Dici che sia un corteggiatore? - L’ingenuità di quella domanda lo fece ridere di gusto, lasciandola interdetta.

- No, sono sicuro che sia un assassino Jackie. - disse cercando di assumere un’aria assolutamente seria.

- Ok ok, ho fatto una domanda assurda - convenne lei, annuendo vistosamente - Però mi sembra un po’ strano che questo ipotetico corteggiatore - fece virgolette con le dita - sia interessato a me e, ancor di più, che lo sia da così tanto tempo!

- Jackie, io ti conosco: sei ingenua e non hai ancora avuto modo di avere un’esperienza sentimentale significativa. La possibilità che qualcuno ti faccia la corte non ti sfiora nemmeno.

- Sono presa da altro. - disse lei, come se cercasse di scusarsi.

- Lo so cara, ma non devi escluderti questa possibilità. Perché non provi a scoprire chi è quest’uomo misterioso?

- Non so… Come ti ho detto prima, sono presa da altro..

Gli occhi di Jackie, lucidi e incollati al pavimento, esprimevano più di quanto ella stessa avrebbe voluto ammettere.
Forse per vergogna, per pudore, non certo per insofferenza nei confronti di Q.
L’uomo lesse come un libro aperto ciò che lei provava, e dopo un attimo di sorpresa, si avvicinò a lei per accertarsi della propria visione.
Jackie lo guardò un momento, uno solo, poi gli smeraldi tornarono a risplendere nascosti da lui, fissi a terra.

- Jackie - la chiamò lui con tono incerto - Tu hai qualche idea su chi sia quest’uomo, vero? Non mentire, te lo leggo in faccia! - aggiunse ridacchiando quando la vide arrossire all’inverosimile.

- Non ho nessuna idea - rispose lei sulla difensiva, per poi illuminare il volto con un dolcissimo sorriso. - Però ho idea di chi mi piacerebbe che fosse.

Q sorrise a sua volta.

- Vuoi confidarti?

- Bè, ecco…

Si avvicinò cauta dopo essersi guardata intorno.
Precauzione inutile dato che erano soli nella stanza, a cui Q non badò più di tanto.
Le numerose stranezze della sua figliola erano frequenti e tangibili.
Sporse il lato del viso per permetterle di sussurrargli all’orecchio, e nonostante quest’accortezza riuscì a malapena a udire i bisbiglii della giovane.
Al che si ritrasse con uno sguardo confuso.

- Non ho ben capito.. Ma almeno io l’ho conosco questo tipo?

- Sicuramente di vista. E forse gli hai parlato anche più di una volta.

- Ma è uno che lavora qui?

- E’ un dipendente di Michael.

- Ah, uno dei BG?

- You’re right.

- Oh, allora è tutto apposto - Q prese la sua tazza e mescolò con noncuranza il suo caffè ormai tiepido - Ero già a conoscenza del fatto che tuo fratello è molto legato a te, tanto da sentirsi innamorato, e viceversa d’altronde.

Jackie sbattè le palpebre e rise.

- Veramente è un BG, ma non è Albert. - lo corresse. Q aggrottò un sopracciglio, in silenzio. Allora lei, dopo un gran sospiro, gli rivelò il segreto.

- Thomas Anderson.
 
- - -


- L’hai già detto a Michael? - le chiese Q alla fine di quella giornata, quando avevo avuto modo di rimuginare sulle fattezze dell’uomo che quel giorno non c’era.

Jackie scosse la testa.

- Lo sai che io e Michael siamo un po’ timidi a parlare di certe cose. O meglio, i suoi commenti da pervertito li fa assieme ad altri uomini, non certo con me! - aggiunse storcendo la bocca in una smorfia di disappunto.

Q rise leggermente.

- Sul serio Jackie. Se è davvero lui che ti mette le rose sul cruscotto da più di un anno, è una cosa seria.

- Ehi frena Q! Io ho detto che mi piacerebbe molto che sia lui, non che abbia la certezza che sia davvero lui a farlo.

- E hai anche aggiunto che ti piacerebbe MOLTISSIMO che fosse lui. - la punzecchiò con una certa enfasi, aprendole la porta dell’ingresso.

- Dettagli - sventolò una mano lei con noncuranza, dirigendosi affiancata a lui al parcheggio.

Camminarono per un po’ in silenzio, godendo della reciproca vicinanza, quando a un certo punto lui la guardò quasi seriamente.

- Comunque parlavo sul serio quando ti dissi di confidarlo anche a Michael.

- Perché lo dici in modo così severo?

- Perché entrambi lo conosciamo molto bene, e sappiamo che è molto possessivo, e che le cose che riguardano le persone a cui tiene lo sconvolgono particolarmente. E le persone a cui tiene di più al mondo siete tu e sua madre.

- Non essere così duro con te stesso. Anche tu gli stai molto simpatico sai?

- Seriamente Jackie, dovresti dirglielo.

- Non credo che una notizia tale potrebbe sconvolgerlo. E poi dai, potrebbe non essere nemmeno una..

La frase s’interruppe a metà non appena il suo sguardo incontrò la propria macchina.
Immancabile, sul cruscotto, la bellissima rosa rossa liberava i propri petali alla calda brezza della sera, rivelandole che sì, forse era davvero una cosa seria.
E che sì, era arrivato il momento di fare un passo avanti, lontano un poco in più dalla veste di bambina di cui ancora Jackie si ricopriva.

Lei rimase qualche istante ad ammirare la bellezza di quel fiore così perfetto da sembrare etereo, e si riscosse solo quando Q le appoggiò una mano sulla spalla e gliela strinse con paterna affettuosità.

- Jackie, credo che sia ora di non farlo più aspettare, questo fantomatico uomo.

 
- - -


- .. Così lo afferrato, gli ho storto le braccia, così, e l'ho lanciato, così. Albert l'ha preso al volo e l'abbiamo messo KO. - Thomas le stava raccontando alcune vicende accadute a lui e suo fratello durante il lavoro, ingigantendo con i gesti quelle imprese.

Jackie ascoltava, sinceramente interessata, poiché le piaceva soprattutto 'l'atto di ascoltare'.

- Siete molto coraggiosi a fare questo lavoro. Nulla vi si addice di più. - Colpì leggermente il petto dell'uomo con un pugno. - Grandi e grossi come siete.

Thomas sorrise intenerito, e le passò un braccio attorno alla vita. Negli ultimi tempi aveva preso questa abitudine e lo faceva spesso. Jackie arrossì.
In quella posizione, quella vicinanza, la strada semi deserta e l’atmosfera calda di quella sera in cui avevano deciso di uscire... Tutto le dava l’impressione di essere una coppia impegnata.
E Jackie, con le guance perennemente accese, non riusciva a pensare ad altro.

- E' stata davvero una bellissima serata. - esordì. Thomas la guardò con i suoi occhi luccicanti.

- Già. Sono sempre belle quelle passate con te.

- Galante e ruffiano. - rispose lei scherzosa.
In realtà quei complimenti le facevano immensamente piacere. Rimase a fissarlo negli occhi per qualche istante, chiedendosi cosa potesse dirgli ancora, ma lui distolse la sua attenzione e le indicò la porta di casa.

- Sei arrivata. - le fece notare, sogghignando, perfettamente consapevole dello stato d'animo della ragazza.

- Oh, non l'avevo notato. Grazie per avermi accompagnata Thomas. E' stato super questa sera! - Gli regalò uno dei suoi meravigliosi sorrisi, e lui si illuminò.

- Se vuoi possiamo fare ancora quattro chiacchiere! - propose. Lei avvertì un leggero venticello e rabbrividì, nonostante la giacca a vento e il capello di lana.

- Perché non entri? Ti offro un tè o un caffè, se vuoi.

Jackie non aveva idea di quale significato avesse un invito del genere. Lo ignorava totalmente.
A differenza di Thomas, che divenne ancor più sorridente e annuì con entusiasmo. Una volta dentro, venne investito dagli aromi delicati della casa, delle piante appese e dei tessuti antiquati.
La casa di Jackie sembrava un rifugio esotico, una farmacia omeopatica, una mini-villa termale. Le pareti turchesi si sposavano molto bene con il mobilio prevalentemente bianco e la federa del divano dai toni più caldi. Tutto in casa, dal frigorifero alla poltrona, assumeva il suo aspetto più naturale. Il tavolo, i mobili del soggiorno e i vasi di fiori erano in pallet, i cuscini cuciti probabilmente a mano e molti oggetti costruiti artigianalmente. Era perfetta.Thomas espresse il proprio apprezzamento con un fischio.

- Che bella tana! - esclamò entusiasta.

- Grazie. Le tende le ha cucite la mia vicina di casa Rose, è molto brava.

Thomas la osservò.
Era troppo tranquilla rispetto a prima, quando dei semplici complimenti l’avevano fatta arrossire come una dodicenne.
Sorrise, pensando a quanto fosse ingenua, e chiedendosi quanto ancora dovesse aspettare.
Le sue avances, in ogni caso, terminarono quella sera. Restò qualche decina di minuti a chiacchierare e poi se ne andò, non senza la promessa di un altro appuntamento, l’indomani sera stesso.

Una volta sola, Jackie si appoggiò alla porta pensando che sì, le cose si erano fatte decisamente serie e, soprattutto, era decisamente l’ora di dirlo a Michael.
Q aveva ragione a dire che era estremamente possessivo.
Così, il giorno dopo, arrivò a casa Jackson per pranzo.
Michael viveva ancora con la madre, il padre e la sorella Janet, con la quale trascorreva molto del suo tempo libero.
Abbracciandola, Jackie ripensò con nostalgia ai quei mesi passati da Diana Ross, dove lei stessa, Michael e la piccola Janet di allora passavano le giornate a divertirsi, fra cinema e svaghi.
Ora la ragazza davanti a sé era più grande, più donna, ed assai più esuberante.

- Dov’è Michael? - le chiese dopo aver parlato un po’ con lei delle ultime novità.

- E’ in camera sua , sta scrivendo una canzone.

Tanto per cambiare, pensò Jackie con affetto.
Baciò la guancia di mamma Katherine e salì di corsa gli scalini, bussò tre volte e ottenuto un mugolio in risposta, entrò.
Michael stava davvero componendo, prima.
Era sdraiato sul letto, il registratore spento fra le gambe, il nastro tutto consumato  e la camicia completamente stropicciata.
Appena la vide, il suo volto si aprì in un sorriso entusiasta.

- Jackie! - esclamò aprendo le braccia, senza tuttavia muoversi di un millimetro dalla sua posizione.

Jackie lo guardò male e poi gli corse incontro, abbassandosi per abbracciarlo forte.
Il suo odore familiare le provocò un moto d’affetto.

- Ciao Mike.

- Lo sai che sono ben tre giorni che non ci vediamo? Posso sapere che cosa è successo? - la rimproverò lui, e anche se il tono era scherzoso, lei intuì una traccia di risentimento.

- Ho lavorato Mike. Che credi che abbia fatto in questi tre giorni?

Si sedettero sul letto a gambe incrociate come due ragazzini e cominciarono a parlare, lei delle proprie cose, lui delle proprie canzoni.
E man mano che un argomento passava a un altro, lei pensava intensamente a un modo per dirgli di lei e Thomas. Non che ci fosse nulla di ufficiale da rivelare, ma uscire in coppia da qualche mese in modo abbastanza frequente era come un inizio di qualcosa, no?
Ma non sapeva proprio da dove cominciare.

- Ehi Mike, devo dirti una cosa. - soffiò. Il metodo diretto e schietto era sempre il migliore. Lui annuì, un barlume di curiosità.

- Esco con Thomas questa sera. - rivelò d’un fatto, nel modo più naturale possibile. Perché le riusciva così difficile farlo? Lui sbattè le palpebre, sinceramente sorpreso.

- Oh, per quale motivo? - Ok, aveva capito male. La sua era stata una reazione troppo tranquilla.

- Mi sono espressa male. Non è la prima volta che usciamo. Intendevo che mi vedo con lui da un po’ di tempo. - Lui la fissò per due secondi senza batter ciglio.

- Ah… Oh. Uao. Capisco - Annuì guardando altrove, le palpebre leggermente abbassate, e lei sapeva che ci stava pensando sopra. Poi i suoi occhi scuri tornarono improvvisamente fissi su di lei, dritti e sicuri come una nave corazzata.

- Perché non me l’hai detto prima? - chiese con tono acuto.

- Ti da fastidio che esca con uno dei tuoi dipendenti?

- No, tu sei libera di fare quello che vuoi. - Jackie intuì nella sua voce la fatica che gli era costata dire quelle parole. - Ma mi sarebbe piaciuto saperlo. Dopotutto.. - La guardò e arrossì come un peperone - sei la persona a cui tengo di più.

La sincerità e l’imbarazzo che ancora provava nel rivelarle a voce quella verità ormai ovvia le sciolsero il cuore, e si allungò per abbracciarlo.

- Anche tu Mike! Non devi pensare che ciò cambi le cose. - disse, come se si sentisse in dovere di rassicurarlo.
Si morse la lingua subito dopo: Michael non era più un bambino, anche se a volte si comportava come tale, e lei non era una sua proprietà. Perciò non doveva giustificargli niente.
Tuttavia, lui non disse nulla. Si limitò ad annuire contro la sua spalla, e a stringerla forte, aumentando la presa di tanto in tanto, come se qualche pensiero sgradevole lo sfiorasse e sentisse il bisogno di averla contro di sé.
Si separarono quando il pranzo fu pronto, e passarono il pomeriggio assieme.
A un certo punto però, Jackie guardò l’ora e si congedò abbastanza in fretta.
I convenevoli furono piuttosto lunghi, perché Michael non voleva smettere di abbracciarla.
All’ennesima stretta però lei lo allontanò bruscamente senza rendersene conto, perché era davvero in ritardo, e scappò via quasi correndo.
Lui rimase a guardarla da dietro le tende del salotto, e quando i fumi dell’auto si furono dissolti ormai da qualche minuto, si sedette al tavolo della sala da pranzo, a capotavola, a pensare probabilmente.
Era così concentrato su sé stesso che non si accorse dell’arrivo di mamma Katherine.
La non più giovane donna posò una piccolissima mano sulla spalla del figlio con fare premuroso, facendolo tuttavia sobbalzare dalla sorpresa.  

- Va tutto bene Mike?

- Si certo mamma.

- Hai litigato con Jackie?

Lui rise dell’improponibilità della cosa e si alzò per abbracciarla e baciarla su entrambe le guance, per rassicurarla.

- Tutto a posto mamma.

- Sicuro che non c’è niente che ti disturbi? - Il tono di voce era molto evasivo, e Michael capì che non poteva nasconderle niente. Era la donna più perspicace e intelligente del mondo, a suo dire.
Si sedette, e Katherine fece lo stesso.

- Su, dimmi. - lo incitò dolcemente, guardandolo negli occhi.

- Tu sapevi che Jackie esce con uno dei miei BG? - chiese, lo sguardo fisso sui propri pugni chiusi sul tavolo. Katherine allargò le palpebre.

- No. - negò con sorpresa. - Non lo sapevo e non me l’aspettavo. Io credevo che prima o poi avreste iniziato a uscire in quel senso voi due insieme.

Michael la guardò interdetto.

- Ma chi? Io e Jackie? In quel senso?

- Non fare il bambino con me Michael. Sei un uomo, sai benissimo di cosa parlo. E poi è normale pensarlo: state sempre insieme e vi volete un sacco di bene. Vi comportate più di come due semplici amici di vecchia data dovrebbero comportarsi. E non guardarmi così, non sto insinuando nulla.

- Bè, non sei la prima a pensarlo mamma. In molti lo hanno creduto. - sorrise lui, ripescando dalla memoria quei buffi motivetti che Berry Gordy cantava loro fra le sale della Motown.

La coppia più bella del mondo
lui sul palco e lei sotto
che lavorano giorno e notte
per comporre una canzone…


- Comunque è per questo che sei pensieroso e giù di corda? Perché Jackie esce con uno dei tuoi BG?

- Non è per questo mamma. - Si passò una mano sulla fronte, scompigliandosi i capelli dove, all’attaccatura, si intravedevano delle chiazze biancastre, risultato ancora evidente delle recenti operazioni di ricostruzione al cuoio capelluto.

- Ok cambio domanda: ti da fastidio che Jackie esca con uno dei tuoi BG.. O il fatto che lei esca con un altro uomo in generale?

Lui la guardò con gli occhi sbarrati e incolleriti per un secondo, poi abbassò il volto con un sospiro e si passò le mani sugli occhi. Lei lo guardò, abbozzando un mezzo sorriso di comprensione.

- Come immaginavo. - Posò una piccola mano sulla sua. - Sai Mike, capisco come ti senti e cosa provi. Però devi accettare il fatto che lei esca con altre persone e si affezioni a loro, e soprattutto, che trovi un uomo al quale non interporre nulla. E anche tu un giorno farai la stessa cosa con una donna, vedrai.

- Hai appena detto che pensavi che io e Jackie saremmo stati quest’uomo e questa donna. - le fece notare lui, guardandola con un occhio solo, una mano a coprirgli metà faccia e il braccio appoggiato al tavolo.

- Si, ho detto che lo pensavo. E l’ho pensato fino ad ora, fino a poco tempo fa. Vi ho visti crescere, e non credo più a quello che ti ho detto. Il vostro è un legame forte Michael, e non nego che potrà durare per sempre, se entrambi vi impegnerete a mantenerlo così saldo. Ma lei non potrà mai essere una moglie per te e tu non potrai essere un marito per lei.

- Perché no? - chiese quasi sulla difensiva. Udire quella glaciale sentenza dalla propria madre gli era sembrato il colpo ferrato di un pendolo d’orologio, che suonava imperterrito dentro di lui irrevocabilmente. Come la fine di un tempo.

- Perché vi conoscete da troppo tempo, e troppo bene. Entrambi avete bisogno di qualcosa di diverso, di fare esperienza. Forse siete troppo simili. In ogni caso, dubito che sarete felici.

Quelle erano parole di una donna delusa dal proprio matrimonio e vittima di innumerevoli sacrifici per non cedere alla tentazione della separazione che avrebbe diviso la famiglia e rattristato i suoi figli, parola di una donna così legata ai propri valori e alla propria religione da preferire chiudere gli occhi che lottare.
Katherine vide che Michael era rimasto ferito da quelle parole, ma forse non se n’era reso conto e non si chiedeva nemmeno il perché.
Decise di convincerlo definitivamente, perché sapeva che prima o poi ci avrebbe ripensato, sarebbe tornato su quelle parole e, forse per sentimento o forse per testardaggine, avrebbe combinato qualcosa di sconvolgente.
Avvicinò un po’ il viso al suo e lo guardò negli occhi.

- Vogliamo parlare del fatto che lei non può avere figli Mike?

Un altro colpo, un altro istante perduto.

- E’ sterile, e tu ami molto i bambini, figlio mio. Credi che saresti in grado di sposare una donna che non può dartene? Lo saresti? - Attese un attimo per testare la sua reazione. - Passare tutta la vita insieme a lei, in salute e in malattia, senza nemmeno la gioia di un figliolo?

Michael la guardò soffiargli un faccia quella verità che gli suonava tanto come pura cattiveria.
Ricordava i pianti di Jackie dopo aver appreso quella notizia, e i propri che l’avevano accompagnata. Per lei, per sé stesso che non voleva vederla soffrire, per quegli stessi bimbi che non sarebbero venuti al mondo.
Katherine lo stava ancora guardando, e dopo qualche secondo passato a studiarlo, sorrise con tenerezza.

- Perdonami Michael - disse accarezzandogli una guancia - Forse sono stata un po’ dura con te, ma voglio che quello che ho detto ti sia chiaro. Sia per il fatto che Jackie esca con un altro, sia per il resto. Ma dopotutto, l’ultima cosa è un po’ inutile non credi? - si alzò, ridendo. - Dopotutto, tu non sei innamorato di Jackie!

E con queste ultime parole non proprio ragionate se ne andò, lasciandolo solo con le proprie riflessioni, a fare il conteggio dei propri sentimenti.

- No infatti - mormorò dopo una lunga riflessione. - Non lo sono.
 
- - -


- Sei proprio entusiasmante! - rise Thomas, e il suo sguardo si fece più serioso. - Devi avere un sacco di corteggiatori. - Jackie arrossì, e sventolò la mano per smentirlo.

- Veramente ho solo avuto un ragazzo al liceo. Poi, il vecchio Stuart è sparito appena è finita la scuola. Non ho avuto altri rapporti di questo genere con nessun altro. - Thomas rimase di stucco, sinceramente stupito. Come poteva una donna così bella non aver avuto altri fidanzati?

- Davvero? Gli uomini di questo pianeta sono tutti ciechi. - disse, facendola arrossire.

- E tu? - chiese lei, per sviare l'attenzione da sè. - Qualche corteggiatrice? - Thomas sbuffò sorridendo.

- Ho concluso la mia ultima storia due anni fa. Conoscevo Caroline da quando avevo iniziato a lavorare, ed era una donna adorabile. Poi, ha cominciato a frequentare certa gente e a parlare solo di pace, amore e fiori nei cannoni. Non m'importava, ci volevamo comunque bene. Però poi si è data alle manifestazioni attive, al fumo di roba strana e alla dieta vegetariana. Infine, un bel giorno, è tornata a casa accompagnata da una ragazza. Mi disse che si era accorta di amare le donne, ma che comunque il suo cuore sarebbe per sempre rimasto mio. Poi ha comprato un camion con i miei soldi ed è partita per il Canada. Non ho idea di dove sia ora, spero che stia bene. - Jackie lo guardò sorpresa, e lui bevve un lungo sorso di vino. - La donna della mia vita. - mormorò ironico. Lei sorrise.

- Ha trovato la sua strada. Tutti lo fanno, a un certo punto. - disse cercando di sdrammatizzare. Thomas rise.

- Sono d'accordo con te. - La guardò negli occhi. - E tu? Hai trovato la tua strada? - Quella domanda le mise addosso una strana sensazione. Una sorta di smarrimento e timore unita però a una grande volontà. Non seppe spiegare cosa fosse, ma non era esattamente gradevole. Tuttavia, la scacciò con una scrollata di spalle.

- Ci sto lavorando. - Rispose, e lui sorrise. - Tu?

- Per ora va bene così. - Allungò il braccio lungo il tavolo e raggiunse quasi la sua mano. Jackie se ne accorse ma non si scostò. L'atmosfera si era fatta piacevolmente intima.

- Ti dispiace se ti faccio una domanda un po' strana e personale? - esordì lui a un certo punto.

- No, non mi drogo. - Scoppiarono e ridere. - Chiedi pure, Thomas. - scherzò Jackie. Lui assunse di nuovo uno sguardo meno ilare e più concentrato, quasi.. Languido.

- Hai qualcuno in questo momento? Intendo.. Un uomo che ti piace. O sei impegnata con qualcuno. - La guardò insistentemente, e appena si accorse dell'eccessivo rossore sulle guance della giovane, si tirò indietro sorridendo imbarazzato. Non era mai stato così intraprendente. - Ehi! Se ti ho turbato non è necessario che tu mi risponda! - Jackie gli fu grata per aver alleggerito l'atmosfera. Si sentiva molto accaldata e non sapeva cosa rispondere.

- Bè, posso girare la domanda a te! - disse cercando di recuperare controllo di sé stessa. Lui roteò gli occhi e guardò altrove. Fu il suo turno di arrossire, anche se la carnagione scurissima lo nascondeva.

- Dunque, se devo essere sincero, sono molto preso da una ragazza. - Jackie strinse le labbra involontariamente, ansiosa. Lui continuò a parlare, apparentemente molto interessato al tavolo lì affianco. - La vedo spesso, fortunatamente. Purtroppo, non abitiamo vicinissimo. E' dolce, simpatica, un po’ ingenua, ha un senso dell'umorismo fantastico e la trovo davvero bellissima. - Jackie non disse nulla, e lui riportò gli occhi su di lei. - Da qualche tempo le lascio delle rose sul cruscotto della macchina.

Jackie sentì il cuore saltare un battito e una grande energia salire dallo stomaco alla testa. Ecco svelato il mistero dei fiori sull'auto! Stentava a credere che fosse davvero Thomas. Eppure, lo sguardo dell'intrigante uomo dalla carnagione scura su di sé era una conferma più che sufficiente. Imbarazzatissima, gli sorrise velocemente e abbassò lo sguardo. Avvertì la mano di Thomas prendere la sua e alzò gli occhi appena per vederlo avvicinare il volto. La guardava come per capire cosa provasse, e sorrideva probabilmente divertito dal suo esclusivo ed esagerato imbarazzo.

- Thomas.. - sussurrò involontariamente Jackie, fissando gli occhi sui suoi, e si guardarono per un attimo in viso.

- Sei bollente. - disse lui, stringendole la mano per sentirne il calore. - Vogliamo andare? Fuori c'è fresco. - chiese gentilmente. Lei annuì, frastornata. Lui le lasciò la mano e andò a pagare il conto, lasciandole un breve lasso di tempo per riprendersi. Jackie respirò a fondo e si picchiettò le guance. Si accorse che non poteva smettere di sorridere.
Quando uscirono un venticello leggero li investì piacevolmente, rinfrancandole il viso arrossato.

- Va meglio qua fuori? - chiese lui premurosamente. Lei si girò e gli sorrise.

- Molto meglio, grazie. - Lui rimase incantato dal suo sorriso e ricambiò. Le porse il braccio e si incamminarono lungo il marciapiede, percorrendo qualche isolato dicendo poco e niente. Jackie si chiese di cosa avrebbero parlato da lì in poi. C'era un argomento in sospeso tra loro, ancora aperto. Evidentemente Thomas si aspettava una risposta, un cenno da parte sua che gli suggerisse cosa fare.

- E tu? - chiese improvvisamente. Jackie lo guardò interrogativa, e lui la fissò enigmatico. - Hai rigirato la domanda a me, ma non mi hai risposto. - Si fermò e si piazzò davanti a lei, sovrastandola con la propria statura. Jackie si morse il labbro e lo guardò, pensando rapidamente. Thomas le faceva battere il cuore e insieme a lui si sentiva bene ed era felice. Lo ricambiava allora? Non ne era completamente sicura, ma si sentiva pronta per scoprirlo. Alzò gli occhi su Thomas e vide che quei pochi secondi di riflessione lo avevano preoccupato.

- Allora? - chiese ansioso. - Ho qualche possibilità, Jackie?

Lei sorrise spontaneamente e lo guardò con gli occhi brillanti.

- Perché no? - esordì, e gli occhi di Thomas divennero incredibilmente luminosi, e il suo sorriso ancora più intenso. Rise brevemente e le prese le mani. Continuarono a camminare e a chiacchierare amabilmente, poi lui l'accompagnò a casa in auto.

- Grazie per la serata Thomas. E' stata davvero uno spasso!

- Anche per me. - La guardò intensamente. - Ci vediamo al lavoro dunque?

- Va bene! - Scese dalla macchina e andò dalla parte del guidatore per salutarlo dal finestrino, quando intercettò con lo sguardo la propria macchina, parcheggiata davanti alla sua porta: c'era una rosa rossa incastrata sotto il tergicristallo. Come aveva fatto a metterla lì se erano rimasti insieme tutta la sera? Meravigliata scoppiò a ridere e si voltò verso di lui, che le sorrideva incantato. Jackie si chinò su di lui.

- E' un pensiero molto carino. Grazie mille.

- Non c'è di che. - Rispose Thomas, posandole due dita sotto il mento e avvicinandola. La baciò dolcemente, indugiando su quelle meravigliose labbra che mai avrebbe pensato potessero essere così morbide e calde. Jackie rispose, dapprima insicura poi sempre con maggior fervore.
Quando si staccarono si guardarono dolcemente e si lasciarono così, con un bacio e due sorrisi. E una dolce promessa.
Quella sera d’aprile del 1984.

 

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Capitolo 67
*** Capitolo 67 ***


Vorrei chiarire una cosa con te.


Jackie era così felice.
Erano passati appena pochi giorni da quando lei e Thomas si erano ufficialmente messi insieme.
Certo, la notizia non era ancora trapelata, e probabilmente non l’avrebbero comunicata se non a pochi intimi. Dopotutto, a chi mai poteva importare?
Albert era stato il primo a saperlo, venuto a far visita alla sua amata sorellina proprio il giorno dopo i recenti avvenimenti.
Non si era mostrato stupito più di tanto: da tempo conosceva i sentimenti del collega per Jackie, e non lo aveva mai scoraggiato in quanto conosceva la bontà d’animo di Thomas.
Era un uomo onesto e buono, e Jackie probabilmente non avrebbe potuto trovarsi di meglio.

Tuttavia, quella non sarebbe stata l’ultima novità del momento.

Quella domenica Jackie si svegliò presto per raggiungere la famiglia Jackson e andare a messa tutti insieme, come da tempo non accadeva.
Era stata un’idea di Katherine.
Le aveva telefonato due sere prima e l’aveva invitata, dicendole che dall’ultima volta che Jackie era stata lì a pranzo si era resa conto di quanto raramente si vedessero.
E a Katherine mancava la compagnia di quella figlia adottiva a cui non aveva mai smesso di volere bene.
Jackie aveva accettato, accorgendosi di provare le stesse sensazioni.
Posando la pesante cornetta telefonica, un groppo di tristezza le si era fermato in gola.
Katherine le aveva inavvertitamente ricordato che le cose erano cambiate.
Che poco era rimasto di quel passato in cui Joseph faticava a sfamare la famiglia, in cui erano stretti in una piccola casa ma in cui dopotutto si conservava un senso di naturale innocenza.
Jackie si accorse di come la propria infanzia le fosse scivolata dalle mani, passando come sabbia fra le dita, di come non l’avesse vissuta a pieno.
Fissò il telefono, anch’esso regalo di Michael per il suo compleanno, e rimase a lungo persa nei ricordi, sempre più consapevole dell’importanza di quegli spiragli luminosi che più volte l’avevano salvata, ricordandole in qualche modo che la vita era bellissima nonostante le avversità.
Persino quell’insignificante telefono appariva così importante in quel momento, perché le ricordava di quando l’aveva ricevuto in dono, quando Michael glielo aveva collegato alla corrente e poi era corso a casa propria solo per chiamarla e stare a parlare tutta la sera alla cornetta.
Suo fratello Albert, Quincy, Diana Ross, la sua lontana famiglia e Michael.
Aveva detto una preghiera di ringraziamento ed era andata a dormire.

- Sai cosa stavo pensando ieri sera? - chiese con leggerezza, fissando un albero lì vicino dove lei e Michael si erano fermati a bere una limonata dopo la messa.

- Dimmi.

- A quando eravamo tutti bambini e vivevamo insieme. - Posò i suoi bellissimi occhi smeraldo in quelli notturni dell’amico e li guardò: quelli non erano cambiati. - Ti rendi conto di quanto tempo è passato?

Michael si leccò le labbra per togliere delle gocce di limonata.

- Non so se me ne rendo conto pienamente, ma ogni tanto ci penso anche io. - mormorò pensieroso - Molto spesso, direi.

- E come ti senti?

- Uhm… Rilassato, per ora. A volte preoccupato. Un po’ triste. Ma ho grandi progetti per la musica e mi sento ispirato, perciò adesso sto abbastanza bene. - Decise di non dirle che in certi momenti si sentiva davvero solo.
Che in certi momenti delle forti crisi lo coglievano all’improvviso e lo trascinavano in quelle che sembravano le porte dell’inferno, un antro buio di solitudine e disperazione la cui vera ragione non aveva volto.
E in quei momenti diventava quasi un’altra persona, non si riconosceva.
Lei lo conosceva, sapeva di questo lato di lui, ma lui oggi non voleva parlarne e rimarcare quella sua mancanza. Inoltre, era così una bella giornata che non voleva rovinarla parlando di cose tristi. - Tu invece?

- Bene, mi sento carica di energia. - disse sorridendo, e lui la scrutò con curiosità.

- Ti è successo qualcosa di bello?

I suoi occhi scintillarono, lo vide chiaramente.

- Più o meno. - rispose quasi misteriosamente.

- Dai dimmi, mi hai incuriosito. - Sentiva di sapere già cosa gli avrebbe risposto: c’entrava Thomas, ne era sicuro. E la sua curiosità cresceva man mano che i secondi di silenzio scorrevano rapidi come pesci nella corrente.
Jackie alzò gli occhi al cielo per pensare a come dirglielo: sapeva che Michael era abbastanza geloso e possessivo, ma sapeva anche non avrebbe mai fatto storie inutili per quella faccenda.

- Bè, siamo usciti, ci siamo divertiti…

- Chi? Tu e…?

Jackie ammutolì. E’ vero, non aveva messo il soggetto nella frase.
Che sciocca! Anche se era sicura che Michael avesse capito e si stesse riferendo a quello.
Guardandolo ebbe ancora quell’impressione, ma decise comunque di precisare.

- Io e Thomas.  Ti avevo detto che uscivamo.

- Ah, si parla di lui quindi.. - rispose lui con uno strano tono. Lei sbatté le ciglia.

- Uhm, si, ma possiamo parlar…

- E’ una brava persona? - chiese quasi con sospetto, interrompendola. Lei lo guardò perplessa.

- Lo conosci anche tu.

- Sì, ma lo conosco come mio bodyguard. Non so mica come si comporta fuori dall’orario di lavoro, questo devi dirmelo tu visto che l’hai frequentato.

- Ok.. Si, è una brava persona, credo.

- Credi? - Aggrottò un sopracciglio.

- Mike, non si finisce mai di conoscere una persona. E lui lo frequento da qualche mese, quindi..

- Da qualche mese? - Sbarrò gli occhi stupefatto e quasi contrito. Lei si morse la lingua. - Ma.. ma scusa… Perché non me l’hai mai detto?

- Beh, perché avrei dovuto? - rispose, e si accorse dell’errore quando lui sobbalzò offeso. - No aspetta, mi hai frainteso. E’ che non mi è mai sembrata una cosa di cui farne sopra un circo.

- Infatti dovevi soltanto dirmelo normalmente, mica far circolare un elicottero per tutta la costa occidentale con un cartellone gigante con su scritto: ‘Ehi Michael Jackson, esco con Thomas!’. - Ribadì Michael ironico, accompagnando le parole con gesti rapidi, la mascella contratta e una vena pulsante sulla fronte. Jackie decise di tranquillizzarlo.

- Ehi, non c’è bisogno di fare così. D’accordo, mi spiace. E’ che tra una cosa e l’altra.. Non ci ho pensato. E poi abbiamo sempre altro di cui parlare io e te. Non so… Scusami, se ti ho offeso.

Michael rilassò le spalle, ma la bocca mantenne una linea dura.

- Va bene.

- Non pensavo poi che ti sarebbe interessato. - Lui aggrottò le sopracciglia.

- Perché mai?

- Beh, non è una notizia eclatante. Sono solo io che esco tranquillamente con un tizio esattamente come esco con tante altre persone.. Niente di che insomma.. - Disse lei, gesticolando con le braccia aperte. Lui sollevò un angolo della bocca, divertito.

- Detta così suona veramente male però.. - Disse ridacchiando, coprendosi la bocca con il dorso della mano che reggeva il bicchiere.
Lei sbarrò gli occhi arrossendo vistosamente, e gli diede una botta leggera sul braccio.

- Michael!

- Ok scusami.. Hi hi hi..

- Dai smettila!

- Va bene va bene.. - Si ricompose e riacquistò un po’ di serietà. - Facciamo così Jackie: a prossima volta, nel dubbio, tu dimmi, ok? Parlamene.

- Devo dirti tutto?

- Bè, solo se vuoi, ovviamente. Però credevo che fosse ovvio. Se vuoi dirmi qualcosa, qualsiasi cosa, anche se è inutile e stupida, tu dimmela ok? Sempre se vuoi. Io.. Non voglio che ci siano segreti fra di noi.  

Lei lo guardò e infine annuì, sorridendo.

- Ok, grazie Mike. Lo stesso per te.

Lui annuì e bevve un sorso. Lei fece tintinnare il bicchiere battendoci sopra le unghie in un gesto di segreto nervosismo.

- E comunque io non penso che lui sia uguale a tutte le altre persone con cui esci… - mormorò Michael con una strana voce, incerta ma bassa, come se volesse tastare un terreno sconosciuto.
Lei alzò gli occhi su di lui.

- Nessuno di quelli che conosco è uguale a nessun altro, Mike. Dovresti saperlo.
 
Lui deglutì, improvvisamente imbarazzato, e guardò per terra, grattandosi una tempia.

- Intendevo come tutti i conoscenti con cui passi il tempo, che stimi e rispetti ma su cui non fai affidamento. E poi dai Jackie, non fare così. Lo sai di cosa parlo.

- Ah.. Bè, no. Non più. - Arrossì un poco anche lei ma non smise di guardarlo. Michael sentì una pressione dietro la testa. Aveva capito.

- Io cosa sono per te? - chiese improvvisamente. Lei rise, sorpresa.

- Come mai questa domanda?

- Voglio saperlo. Su dai, dimmi.

- Ma io credo che tu lo sappia già, Mike.

- Dimmi. - insistette come un bambino. Lei sospirò, scosse la testa e ci pensò un attimo.

- Come posso dire… Tu sei… Una delle persone a cui tengo di più. Forse il mio primo punto di riferimento. Sei il mio migliore amico, mio fratello.. Non so nemmeno io come definirti. Sei semplicemente Michael - Lo guardò, lo vide imbarazzato e sorrise. Si avvicinò di un passo e gli toccò il naso con l’indice scherzosamente. - E ti voglio bene. So che volevi sentirtelo dire.

Lui ridacchiò, guardò un attimo altrove cercando di calmare il rossore tremendo che avvertiva sulle guance, e quando si voltò le fece una rapida carezza sulla guancia con le nocche.

- Dio ti benedica Jackie.

Si fissarono sorridendo, mentre lei gli prendeva la mano e gli donava una breve ma dolce stretta.
Stettero un po’ in silenzio.
Il sole picchiava forte quel giorno, ma c’era una leggera brezza che mitigava il tutto e rendeva quella effettivamente una bella giornata.
Il giardino della casa di Encino, dove si trovavano, era perfetto per stare liberamente all’aperto senza doversi nascondere da paparazzi e fan.
Jackie stava all’ombra di una quercia, lui era esposto al sole, appoggiato a un cancelletto.
Sentiva i raggi accarezzargli la chioma come una carezza tiepida, e il sole diretto sulle mani, dove il contatto era leggermente più scottante.
Notandolo, inconsciamente si chiese il perché.

- Ho una novità.

Jackie lo distolse dai suoi pensieri, e la sua attenzione le fu completamente rivolta.

- Dimmi.

- Fra due settimane viene finalmente a trovarmi mio fratello, Guglielmo! - annunciò lei con malcelato entusiasmo, e lui sorrise, contagiato.

- Che bello!

- Si è preso qualche giorno di pausa lavorativa. Sai, è molto impegnato. E’ in piena carriera, proprio come te, ma non ti dico la voglia che ha di venire qui. Sono anni che stiamo organizzando questa cosa, ma lui non ce l’ha mai fatta.

- Se serviva una mano, potevi chiedere a me. Lo sai che non c’è problema.

- Ma dai Mike, figurati se te l’avrei chiesto. Comunque non vedo l’ora che sia qui. Gil farò vedere la mia casa, Los Angeles e un sacco di altre cose. Potremmo andare a New York insieme!

- Bè, fra tutti questi programmi spero troverai il tempo di farmelo conoscere.

- Ovvio! Anzi, perché non vieni con noi a New York? Sarà bellissimo!

- Dubito di poter venire a visitare una città come se niente fosse, Jackie.. - le ricordò lui con una punta di amarezza, e lei smise di sorridere.

- Scusami, io… Per un attimo non ci ho pensato. - E si morse il labbro con rabbia, perché quell’impossibilità le dispiaceva parecchio. Sentì la sua mano gentile sulla spalla in una stretta rassicurante. Michael la guardava con un sorriso tranquillo, e lei si rilassò leggermente.

La pace finì rapidamente perché alla conversazione si unirono anche molti fratelli Jackson, tutti in attesa del pranzo.
Anche loro stavano bevendo qualcosa, ma a differenza di Michael e Jackie, la loro non era semplice limonata.

- Dai Michael, bevi un goccio o svelerò a tutti il tuo segreto! - lo minacciò Jermaine scherzosamente.

- Quale segreto? - chiese Michael, piuttosto agitato, poiché non capiva davvero di cosa stesse parlando suo fratello.

- Quel segreto… - ammiccò Jermaine, senza farsi capire.

- Io non ho segreti! - esclamò Michael, seriamente preoccupato.

- E lascialo in pace Jer! - disse Marlon in difesa di Michael, ma venne ignorato.

- Come no? Non eri tu quello che al liceo aveva una cotta esagerata per Jackie? - E ci fu una risata generale. Persino Joseph sorrise.

- Ma.. Non è vero! - rispose prontamente un Michael rosso pomodoro ma sorridente. Quell'allegria generale l'aveva distolto dalle prese in giro del fratello.

- Al liceo poi? Ma che cavolo dici?

- Si invece! Eri cotto come pesce lesso. Non facevi che guardarla, e a volte la chiamavi persino nel sonno! - continuò Jermaine, ammiccando a Jackie che rideva di gusto.

- Oh Jermaine, probabilmente stava facendo degli incubi terribili su di me, non si può sapere! - scherzò lei appena l'uomo le fu vicino.
Poi guardò Michael e con una sola occhiata gli fece capire che non credeva a una sola parola di quello che stavano dicendo e che potevano lasciarli parlare visto che si divertivano così tanto per quella sciocchezza.
Il ragazzo rilassò le spalle sollevato.

- Non ricordo che Michael abbiamo mai chiamato Jackie nel sonno.. - disse Sigmund.

- Nemmeno io. - Intervenne Tito.

- Infatti, quello che aveva una cotta per Jackie era proprio Jermaine! - disse Marlon, che prendeva sempre le parti di Michael.

- Non credo proprio! - si difese il quarto genito, perdendo la sua naturale sicurezza.

- Pensate che una volta, quando avevo.. Mi sembra 11 anni, ha portato una groupie in camera.. - cominciò Randy.

- Più di una volta! - esclamò Tito.

- Si si, ma quella volta, proprio sul più bello, ha lanciato un urlo e ha chiamato Jackie invece che il nome di questa ragazza. - Letteralmente, esplosero dal ridere. - Cioè, dovevate vedere la faccia di questa ragazza. Anche se era buio, non me la scorderò mai.

Michael e Jackie erano ammutoliti, e quest’ultima aveva le gote bollenti dall’imbarazzo al pensiero che qualcuno avesse in testa idee simili di lei.
Jermaine era un peperone maturo.

- Ok ora basta. - disse infatti improvvisamente serio. - Mi state stufando.

Il gruppo si sciolse, qualcuno continuò a ridere. Michael e Jackie si dileguarono.

- E’ stato imbarazzante, ma ammetto che mi mancavano questi momenti in famiglia. - disse lei a un certo punto, ridacchiando ancora.

- Mi stanno tornando in mente cose sui miei fratelli che speravo di aver dimenticato - rispose lui, mettendole un braccio attorno alle spalle mentre passeggiavano. - Anche se non credo che siano cambiati molto da allora.

- Perché non te ne assicuri Mike?

- Ma anche no! - Risero.

Il giardino era silenzioso. Erano ancora tutti in casa e riuscivano a udire lievemente le risate di tutta la famiglia provenire dal salotto. Il vento improvviso scompigliò i capelli di entrambi i ragazzi e Mike portò una mano in testa per non far volare il cappello.
Improvvisamente dovette ritrarla: bruciava incredibilmente.
La guardò e vide una macchia rossa sul dorso, una leggerissima ustione.
Jackie non si accorse di quel movimento, era troppo preoccupata a seguire una nuvola.

- Certe cose non cambiano mai. - Mormorò, stringendosi a lui con entrambe le braccia.

Michael si costrinse a non respirare per non manifestare il dolore e il turbamento che lo avevano colto in quel momento.

Qualche ora dopo, Jackie era già andata via per raggiungere Thomas, Michael era rimasto solo, seduto sui gradini del portico, a pensare ai lontani tempi della propria infanzia.
Ricordò che, alla sua età di tre anni, a ogni tramonto, suonava sull'asfalto di Jackson Street il ritmico passo di quattro zoccoli.
Un cavallo color miele compariva come per magia all'inizio del viale, percorrendolo al piccolo trotto, trasportando il dolce peso di una bella ragazza.
Quando udiva quegli zoccoli, qualunque cosa stesse facendo, Michael usciva sempre per ammirare l'animale di passaggio.
Il cavallo non era bello, rovinato dalle cicatrici e dal mantello spelacchiato, con le gambe storte e il collo cascante.
Tuttavia trottava volentieri e con l'aria pacifica di un'anima che sa di poter vivere in pace, con le orecchie rivolte verso la ragazza in sella che non stava mai zitta.
O cantava allegri ritornelli, o parlava al cavallo con voce spensierata.
Quella scena si ripeté ogni giorno, per molti mesi, in ogni stagione, e diventò una sorta di rituale per Michael che ogni volta si fermava ad ammirare il passaggio dei due strani personaggi.
Continuò ad aspettarli anche quando essi non comparvero più.
E un giorno si decise a domandare a Katherine.

- Mamma, ma dov'è la ragazza a cavallo che passava di qui ogni volta?

- Non lo so tesoro - rispose lei con vago interesse. - Ma a quanto si dice in paese, credo che il cavallo sia morto.

Al ricordo di quella strana vicenda, Michael ricordò che era stato allora che si era reso conto della fragilità delle cose in vita, della pericolosità che queste potessero scomparire.
Era una consapevolezza amara e pesante da portare, ma la sua mente era troppo avanti, troppo eccellente per rimanere persa nella nebbia dell’ignoranza.
Una consapevolezza sempre viva, sempre presente, che circondava le cose di pericolo e non lo faceva mai stare totalmente tranquillo.
Lui doveva proteggere i suoi cari. Doveva proteggere ciò che lo circondava.
E questa vocazione interiore lo costrinse sì a una più forte volontà, ma anche a un’esistenza dolorosa che avrebbe sopportato i più duri patimenti.
 

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Capitolo 68
*** Capitolo 68 ***


La nostra vita è cosa sacra.


Jackie guardò il gigantesco orologio appeso al muro del gate dell’aeroporto.
Era in ritardo di venti minuti, dannazione.
Corse fino alla sala d’attesa, in preda al fiatone, eppure quando arrivò vide che i passeggeri non erano ancora sbarcati.
Tanto meglio.
Cercò di ricomporsi meglio che poteva mentre una voce all’altoparlante annunciava un leggero ritardo sui voli di linea.
Trasalì quando qualcuno le posò il palmo sulla spalla, seguito da una voce conosciuta e dolcissima.

- Usted està finalmente aquì!

Si voltò di scatto. Guglielmo era lì di fronte a lei, sorridente e divertito, immenso in quell’impermeabile elegante e dall’alto della sua stazza.
Un sorriso sincero le comparve in viso, i suoi occhi si spalancarono di meraviglia.

- Fratello mio!

Gli gettò le braccia al collo e si ritrovò sospesa nel vuoto, sorretta dal suo abbraccio troppo forte.

- Jackie!

La posò a terra e restò a guardarla. Era veramente felice di essere lì.

- Usted no està solo vienes abajo, Guglielmo? - Eccola lì, la bellezza di aver imparato a parlare spagnolo apposta per comunicare più facilmente con il fratello.

- Llevo aquí veinte minutos. Mi vuelo fue el anterior..

- Oh…

Guglielmo la guardò negli occhi serio per un attimo, poi si lasciò andare a un sorriso divertito e le mise un braccio attorno alle spalle, incamminandosi verso l’uscita.

- Allora - cominciò - non sono mai stato in America. Voglio visitare quanto più di Los Angeles, ma prima andiamo a casa a disfare i bagagli che dici?

- Non sei stanco dal viaggio? Non vuoi riposarti un po’? Abbiamo tempo. - chiese lei premurosamente.

- Non molto, tranquilla. E poi non vedo l’ora di vedere Albert. Ci siamo visti l’ultima volta quando eravamo bambini .. - Fece una breve pausa, in ricordo di quella circostanza.

Lui e il fratellastro di Jackie si erano conosciuti proprio in Italia, quando lei non era che una neonata e loro bambini in piena infanzia. Non ricordava molto, ovviamente (come poteva!), se non che Albert aveva quasi lo stesso biondo di Luca e che una volta avevano giocato insieme nel giardino di Villa Flint. Si erano separati bruscamente, quando George aveva portato via Jackie, e quindi anche lui.
Guglielmo aveva ovviamente saputo, quando si era ricongiunto con i suoi fratelli, che Albert era scappato di casa per via di George, e che poi aveva cercato la sorellina, che aveva perso di vista.
E ovviamente, Guglielmo sapeva anche che in tutto quel tempo, di Jackie se n’era occupato quel tale di nome Michael Jackson. Uomo che non aveva mai visto ma che, in teoria, poteva benissimo dire di conoscere, visto che era celebre in tutto il mondo e che, proprio in quel momento, il suo successo era schiacciante.
Già, che situazione strana.

- Albert lavora fino a domani sera, poi verrà a cena a casa mia con Pauline, la sua fidanzata.

- Allora prima di loro chi mi fai conoscere? - chiese curioso.

- Ti mostro la casa, la città, e poi ti porto a conoscere Q. Cioè, Quincy Jones. E’ un mio carissimo amico… in realtà lo considero il mio padre adottivo. E Michael, presto lo conoscerai. E Diana, la mia mamma adottiva.

- Diana chi?

- Diana Ross. - Guglielmo spalancò gli occhi.

- La… La cantante? - Jackie sorrise leggermente.

- Già… So cosa stai pensando.

- E’ assurdo! - esclamò lui. - Conosci più gente famosa tu che i loro stessi parenti!

- Bè, mi sembra anche normale, con il lavoro che faccio! E col fatto che ero l’amica d’infanzia dei componenti di una delle band più famose degli anni ’60!

- Non è roba da tutti i giorni, credimi.

- Lo so, ma ci ho fatto così tanto l’abitudine che non ci bado nemmeno. E poi non pensare che siano persone diverse da tutte le altre.

- Certo che non lo penso, però per lo stile di vita che conducono qualche differenza c’è sicuramente.

Jackie rimase in silenzio a pensarci.
In effetti, la maggior parte delle differenze non stavano tanto nella celebrità ( a meno che non si tratti di Fred Astaire, i Beatles o il suo stesso amico Michael Jackson, quasi più famosi della carta igienica ) quanto nella ricchezza.
I soldi permettevano di varcare l’orizzonte delle possibilità in modo decisivo, e la cosa poteva sfuggire di mano con facilità, sopratutto se davanti vi si poneva un menù ricco di pietanze impensabili per la maggior parte della popolazione.

- Aspetto che tu li conosca per giudicarli come meglio credi. - rispose semplicemente. Poi un lampo le portò un pensiero in mente, e un sorriso in faccia. - Ho anche qualcun altro da farti conoscere.

- Oh, chi?

- Thomas. Il mio… Uhm… Il mio ragazzo?

- Lo stai chiedendo a me? - Guglielmo la guardò con sorpresa, i suoi occhi neri brillavano dalle risate trattenute e dall’entusiasmo che quella notizia gli aveva fatto nascere. Jackie lo guardò sorridente, deridendo sé stessa.

- Si, il mio fidanzato. E’ una cosa nuova anche per me.

- Ma dai! Da quanto tempo?

- Qualche settimana ormai, non molto in realtà.

- E come l’hai conosciuto? E’ un brav’uomo?

- Si, certo. L’ho conosciuto al lavoro, è uno dei bodyguard di Michael. - disse, salendo in auto al posto del guidatore.

- Ah.. Per un attimo ho sperato lo avessi incontrato al parco durante una passeggiata casuale.

Jackie ridacchiò e mise in moto.
Guglielmo cominciò a parlarle della propria vita, della carriera e del suo trasferimento a Firenze.
Lupe si occupava di custodire la casa quando lui non c’era, quindi praticamente sempre visto che ormai il suo studio e la sua vera e propria casa erano in Italia e lì si era già fatto una schiera abbastanza fitta di clienti.
Non male, pensò Jackie.
Arrivarono a casa, e mentre Guglielmo si complimentava con lei per la bellezza della sua dimora, lei si occupò di lui: gli mise i vestiti nell’armadio, stirando quelli che riteneva troppo stropicciati dal viaggio, mentre l’acqua per il tè bolliva.
Fece accomodare il fratello in salotto dopo che si fu fatto una doccia e gli offrì dei dolcetti.
Intenerito da quelle attenzioni, Guglielmo la osservò.
Jackie sembrava, e stava dimostrando di essere, una donna indipendente e allo stesso tempo, dolce e amorevole con chi aveva in casa.
Non era solo per lui, notò, perché quelle cure erano così naturali in lei che per forza doveva dedicarsi così a tutti i suoi ospiti.
Sorrise, il suo petto che si scaldava di affetto fraterno.

- Allora mia cara - iniziò quando lei si sedette al suo fianco su un enorme cuscino blu - Facciamoci un programma per sfruttare al meglio il nostro tempo.

- Il tuo essere avvocato ti spinge ad essere così rigoroso e preciso?

- Uhm.. No. Ma preferisco essere organizzato. Fra due giorni prendiamo il volo per New York. Da qui a lì, che cosa mi proponi?

- Stasera ti porto fuori a cena - disse lei, facendolo sorridere per il pensiero di essere ‘portato fuori a cena’ da una ragazzina che gli arrivava a malapena al collo. - E dopo cena hai solo da decidere tu: Thomas ha detto che passerebbe volentieri a prenderci per portarci a fare un giro serale per Los Angeles. Altrimenti anche Q ha detto che avrebbe piacere di conoscerti, o stasera o domani mattina per una colazione da lui. Anche se io lo farei venire qui con sua moglie, così vi preparo io una colazione come si deve, con cappuccino e brioche.

- Hai scelto tu di stare in America e mangiare roast beef e uova strapazzate alla mattina, eh. - Le ricordò Guglielmo. Lei schioccò la lingua.

- Per certe cose l’Italia è assai migliore. Comunque, ti dicevo.. Domani mattina Q, e a pranzo ci aspettano a Encino. Siamo invitati a casa Jackson.

- Ti dirò.. Mi hai parlato così tanto di Michael che sono veramente curioso e ansioso di conoscerlo. E anche il tuo fidanzato, ovviamente.. - Aggiunse. - Come si chiama? Thomas giusto?

- Si - sospirò lei. - Però non lo considerare il mio fidanzato, ok? Non.. Non è nulla di così ufficioso.

- Sei una donna libera Jackie. Mi voglio solo assicurare che non sia un poco di buono. - La squadrò con i suoi occhi neri che in quel momento sembravano due obbiettivi fotografici, fissi su di lei ma in modo che non riusciva perfettamente a capire a cosa lui stesse davvero pensando, se il suo tono di voce era in realtà scherzoso o .. Minaccioso.

- Non c’è pericolo, non mi sarei mai messa a frequentare un poco di buono, e Mike non avrebbe tenuto un individuo tale a lavorare per lui.

- Mi fido. E noto con piacere che hai abbandonato il velo da suora.

- Prego??

- L’ultima volta che abbiamo parlato di certi argomenti eravamo a Roma, e tu avevi un parere molto diverso rispetto ad ora. La cosa mi solleva. Prima eri molto più… Bigotta, scusami il termine.

Jackie, a sentirsi chiamare così, rise leggermente.

- Forse hai ragione. - Ammise con un sorriso. - Sai, ciò era dovuto all’influenza di Katherine, la mamma di Michael. Ha fatto da balia anche a me, e mi ha aiutato ed educato, e lei è una donna molto religiosa. La persona più attaccata ai propri principi che io conosca. Mi ha iniziato lei alla religione. Ma con questo non devi pensare che sia una.. Come hai detto? Bigotta? No, non lo è proprio. Anzi, credo di aver interpretato male io il suo insegnamento. Katherine è molto religiosa, ma molto intelligente e aperta di mente. Lei è in grado di accettare qualsiasi cosa e ha rispetto per tutti, indipendentemente da quello che pensano. Io, forse, sono partita in quarta con la testa e non ho capito bene.

- Adesso sono curioso di conoscere anche lei. Mi sembra una persona interessante.

- Lo è, non vedo l’ora che ti vedano. - E che tu veda loro, pensò.
 
- - -


La cena al ristorante era stata deliziosa e aveva sollevato il morale a entrambi i fratelli.
Entusiasti del buon cibo e di passare del tempo insieme dopo tanta lontananza, erano tornati due ragazzini.
Guglielmo aveva abbandonato quel portamento serioso e composto che si era abituato a mostrare in pubblico e camminava a braccetto con la sorella, ridendo a ogni sciocchezza che usciva dalla bocca di quella ragazza così spassosa.

- Thomas ci aspetta nel bar al prossimo angolo - lo avvisò Jackie a un certo punto.

- Ottimo. - Si riscosse Guglielmo, tentando di raddrizzarsi per assumere un atteggiamento più ‘dritto’, quasi pomposo.

- Che stai facendo?

- Voglio dargli una buona impressione. Sono tuo fratello maggiore e sai che significa? Che deve avere timore di me e del mio giudizio su di lui.

- Ma parli sul serio?

- No. Ho la faccia di uno che potrebbe incutere timore? - Scherzò lui, e lei scoppiò a ridere. Guglielmo stava dimostrando di avere un senso dell’umorismo del tutto inaspettato.
Peccato che Thomas era un uomo dalla stazza assolutamente non ignorabile e che, seppur raddrizzandosi, Guglielmo non avrebbe mai potuto raggiungerlo.

Erano quasi arrivati.
Da lontano, Jackie intravide un uomo imponente, a malapena illuminato da un lampione, fermo sul marciapiede e con le mani in tasca, in attesa.
Thomas!
Non appena furono più vicini, l’uomo venne loro incontro, e la prima cosa che Jackie vide di lui fu il suo sorriso smagliante.

- Finalmente siete arrivati!

Guglielmo si fermò e guardò il nuovo arrivato.
Aveva uno sguardo amichevole e rispettoso.
Thomas, prima di abbracciare Jackie come aveva avuto lo slancio iniziale di fare, raccolse gli arti e tese la mano allo spagnolo, inclinando le spalle verso di lui e guardandolo dritto negli occhi con uno sguardo cortese.

- Piacere, sono Thomas Anderson. - si presentò amichevolmente ma con compostezza, la voce più ferma e lenta, forse per permettergli di capirlo senza darlo troppo a vedere. A Guglielmo piacque subito. Gli strinse la mano con decisione.

- Guglielmo Gravino, il fratello di Jackie.

- Ben arrivato, lei mi ha parlato molto di te.

- Ah sì? Spero non troppo male.

- Affatto. Ma non mi ha spiegato come mai, pur essendo fratelli, avete un cognome diverso. Se non sono troppo scortese a chiederlo.

- Jackie! Vi frequentate così e non gli hai raccontato la storia dei tuoi fratelli?! Dobbiamo rimediare.

- Propongo di farlo davanti a un buon calice di vino!

Jackie trattenne un sospiro di sollievo a vedere i due uomini andare d’accordo.
Chissà se a Guglielmo sarebbe piaciuto in quella maniera anche Michael.
Se non altro, per ora, sembrava apprezzare molto Thomas.

Passarono una bella serata.
Presero un autobus serale per raggiungere maggiormente il centro di Los Angeles e girarono per i parchi e le vie che secondo i due fidanzati valeva la pena di vedere.  
Non sarebbe bastata una notte per visitare la città, ma quello era senz’altro un buon inizio.
A mezzanotte si congedarono.
Guglielmo si allontanò un attimo dicendo che andava in un locale a comprare le sigarette.
Jackie rimase perplessa, ma prima che potesse dire alcunché sentì la mano di Thomas stringere la sua con dolcezza, e un calore lavico si irradiò in lei rapidamente.
Non l’aveva toccata per tutta la sera per rispetto nei confronti del fratello.
Si girò e incontrò i suoi occhi neri e profondi che la scrutavano con affetto e richiesta, come se le stessero chiedendo il permesso di avvicinarsi ancora.
Jackie si lasciò baciare, avvicinandosi a lui fino a far incontrare i loro corpi, per quanto la sua scarsa altezza glielo permettesse.
Le labbra di lui erano umide e fredde per via dell’aria della notte, e lasciarono un alone bagnato attorno alla bocca di Jackie.

- Era tutta la sera che aspettavo di farlo - le sussurrò, e in risposta lei sorrise. - Domani sono di turno a casa Jackson. - aggiunse lui. Lei spalancò gli occhi.

- Allora ci vediamo domani!

- Non proprio.. - Rispose, per un attimo serio. - O meglio, io ti vedrò. Ma vorrei mantenere le distanze durante il lavoro, non voglio che la nostra relazione comprometta il mio compito. Michael potrebbe indispettirsi e avrebbe ragione. - Jackie schioccò la lingua.

- Michael non è la persona che farebbe storie per una cosa del genere. Io e Albert ci salutiamo e ci rivolgiamo sempre la parola anche quando lui è di turno.

- Lo so, ma è una cosa diversa. Vi conoscete da così tanto tempo, e Albert è amico di Michael anche al di fuori del lavoro, lo stesso non si può dire di me. Voglio fare il mio dovere nel miglior modo possibile, anche se ci sei tu come distrazione. -  Le fece l’occhiolino e Jackie ridacchiò.

- Come vuoi. - rispose, e aggiunse seriamente - Per me va benissimo, e ti ammiro per questo. Ma sappi che Michael non è così severo nei tuoi confronti. Cerca di rilassarti a riguardo, ok?

Lui la baciò di nuovo, abbastanza rapidamente. Guglielmo sarebbe tornato da un momento all’altro.

- Non ti toglierò gli occhi di dosso domani. - le sussurrò. Jackie arrossì, e si sentì improvvisamente vulnerabile. Non si sentiva ancora abituata a rispondere in un modo quasi malizioso al suo ragazzo, quindi sviò buttando la conversazione sul ridere.

- Uhm.. Pensavo volessi fare il tuo lavoro per bene. E’ Michael a cui non dovrai togliere gli occhi di dosso. - ridacchiò.

Che sarebbe come non toglierli di dosso nemmeno a te, pensò lui ma non lo disse.
Represse quel lampo di gelosia che lo aveva sfiorato e sorrise a Jackie, prima di baciarla ancora. Non si sarebbe mai stancato di quelle labbra rosee e morbidissime.
 
- - -


- Che ne pensi di lui? - chiese Jackie al fratello, una volta entrati in casa di lei.

- E’ estremamente rispettoso, non sapevo che fra gli americani ci fosse questo culto dell’ospitalità e della gentilezza. - Jackie roteò gli occhi.

- Infatti non c’è. E’ lui che è fatto così. La sua educazione è stata la prima cosa che ha colpito anche me, quando l’ho conosciuto. - disse togliendosi la giacca e appendendola all’attaccapanni.

- Comunque mi sembra davvero una brava persona. Sono contento che sia lui il tuo fidanzato. - aggiunse Guglielmo con un sorriso, cominciando a spogliarsi. Avrebbe dormito con Jackie nel suo letto, perché quella casa pur dotata di ogni comodità non aveva una stanza per gli ospiti.

- Io invece non sono contenta di aver scoperto che tu fumi. - disse lei con tono neutro, prendendo delle coperte da un armadio. - Da quanto tempo hai iniziato? - chiese iniziando a fare il letto con una certa irritazione.
Per carità, ognuno era libero di fare quello che voleva nella propria vita. Ma non avrebbe mai immaginato che Guglielmo fumasse. Non era mai stato interessato alle sigarette che lei sapesse e non sembrava il tipo che iniziasse a fumare per svago.
Forse il lavoro si era fatto pesante e aveva dovuto trovarsi un certo svago.
Attese la risposta in silenzio, che però non arrivò.
Si girò e vide che il fratello se la stava ridendo di gusto sotto i baffi.
Alzò le sopracciglia guardandolo interrogativamente.
Lui si avvicinò guardandola con affetto e divertimento e cominciò ad aiutarla con le lenzuola.

- Io non fumo Jackie - rispose con voce calma. Lei aggrottò un sopracciglio. - Era solo un pretesto per lasciarvi un po’ da soli. Si vedeva lontano un miglio che Thomas non vedeva l’ora di abbracciarti ma si tratteneva per rispetto nei miei confronti. Un altro punto a suo vantaggio.

Jackie arrossì.

- Oh… Bè, allora grazie. - aggiunse ridacchiando imbarazzata.

Guglielmo, per risposta, le fece l’occhiolino, e in quel momento le sembrò proprio Thomas.

 
- - -


Michael si affacciò alla finestra, appena in tempo per vedere l’auto di Jackie varcare la soglia del cancello privato che avevano aperto per loro.
Intravide una figura seduta al lato del passeggero e sorrise.
Si guardò un attimo allo specchio prima di scendere: si era messo una camicia chiara, sobria ma elegante, che risaltava sulla sua pelle scura, accuratamente stirata e messa sotto i pantaloni grigio-neri; un farfallino scuro ornava il colletto e ai piedi, gli immancabili mocassini.
Si passò una mano sul mento dove si era fatto la barba quella mattina e poi sul capo.
Con un dito sfiorò le cicatrici, e il suo umore precipitò.
Distinse al tatto perfettamente la sutura dell’ultima operazione, e le parole del medico chirurgo gli risuonarono nelle orecchie.

- Ecco fatto. Questa operazione ti ha permesso di avere un nuovo cuoio capelluto nel punto dov’è stato danneggiato dalla bruciatura. Quando questi tagli saranno quasi rimarginati effettueremo un ulteriore trapianto che permetterà ai tuoi capelli di ricrescere, e successivamente tatueremo la chiazza per nascondere la calvizie.

- Sembra incredibile, grazie dottore. Dopo queste operazioni sarà tutto risolto?

- Uhm, non proprio Mr. Jackson. L’incidente che ha subìto è molto grave, e i danni sono permanenti. Tuttavia, i suoi capelli cresceranno spontaneamente, anche se dovremmo integrare con qualche prodotto. Per questi primi anni le prescrivo dei farmaci da prendere per via orale in modo da indurre la produzione di proteine, e delle creme e dei detergenti da applicare periodicamente sulla parte, sia per mantenere le suture che per aiutare il cuoio capelluto a rigenerarsi. In seguito vedremo il suo corpo come reagirà alle cure e decideremo il da farsi.

- Dottore.. Lei pensa che più avanti negli anni, diventerò completamente calvo?

- Non ci pensi ora Mr. Jackson. Personalmente non lo credo, vista la composizione della sua epidermide e l’utilizzo di queste cure. Dovrà essere seguito e non trascurarne nemmeno una.

- Dottore, le suture mi danno molto fastidio. La notte non riesco ad appoggiarmi al cuscino dal dolore, cosa posso fare?

- Le prescriverò degli antidolorifici apposta, non si preoccupi.   


Il sorriso scomparve dal suo volto e la tristezza lo pervase.
Cercò di scacciarla via con risolutezza, scuotendo la testa e le spalle.
Dopotutto, stava per conoscere il fratello di Jackie, e ci teneva a dare una buona impressione.
Si passò una mano fra i capelli, una massa nuvolosa nera e riccioluta che, in punti sani, stava crescendo e infoltendosi, nascondendo parte dei danni.  
Coraggio, si disse, e scese le scale.

Nel grande salotto c’era già un gran fervore.
Mamma Katherine stava facendo gli onori di casa insieme a Janet.
Le due donne erano sorridenti e accolsero Jackie e il fratello con grande entusiasmo.
Nei due secondi prima che Jackie si accorgesse di lui, che era sulle scale, abbastanza in alto per la loro portata visiva, Michael poté osservare rapidamente l’uomo, che sembrava più fratello suo che dell’amica. Non fosse per il colore della pelle.
Guglielmo era latteo e con il viso scavato, e un sorriso cordiale che dava al suo viso un tocco di simpatia e compostezza.
Gli occhi scuri erano come i propri, diversissimi da quelli di Jackie.
Non sembrava affatto che fossero fratelli.

- Mike!

Jackie si era staccata dal gruppo ed era venuta verso di lui.
Sorrise, perché ogni volta che si vedevano lei gli veniva sempre incontro, e lo chiamava con l’allegria nella voce.
E quel rito, da sempre, era come una carezza al suo cuore. Gli faceva bene, come per tutti l’abbraccio di un amico sincero.
Le sorrise allo stesso modo, e per un attimo i suoi occhi non videro altro che lei.

- Tesoro mio.

Lei gli prese la mano, gli baciò la guancia e lo tirò gentilmente giù per le scale.

- Vieni, ti presento Guglielmo.

L’uomo già lo guardava, con ancora la mano stretta in quella di Janet nell’atto di conoscenza.
Uno sguardo incuriosito e interessato, e al contempo sollevato.
Michael sentì la timidezza salirgli addosso, ma cercò di reprimerla.
Non ce la fece, ovviamente.
Non fece in tempo che a fare due passi che Guglielmo gli venne incontro per primo.

- Finalmente ti conosco, Jackie mi parla di te da anni - iniziò con contenuto entusiasmo, e di fronte a quella confidenza simpatica e sincera, per Michael fu facile sorridere e non sentirsi più a disagio.

 
- - -


Non avrebbe mai pensato che, scorrendo con le dita sul mappamondo, avrebbe finito col visitare così tanti posti e volerne visitare altrettanti.
Erano strano perché per quanto si sentisse fiero di essere un nero americano, si sentiva altrettanto euforico all’idea di essere un uomo nel mondo. Non che a molti quel pensiero potesse indurre emozioni o essere capito.
Era uno dei suoi tanti modi per entrare in connessione con il mondo, soprattutto quella parte priva di umano che non lo rifiutava solo perché era famoso, fin troppo famoso.
Essere rifiutato, scacciato, non voluto, era la cosa che lo faceva maggiormente soffrire.
Ne era la prova che a distanza di anni, per cui doveva averci fatto l’abitudine, si sentiva ancora a disagio con i suoi fratelli. Quel branco di uomini e donne, sangue del suo sangue, da cui per qualche motivo era diverso.
Si sentiva diverso, e non poteva farci niente.  
Una delle cose che lo facevano stare meglio erano quelle occasioni come oggi, dove persone che non avevano niente in comune si incontravano e si trovavano bene insieme.
Si chiese come non riuscisse a staccare la testa da tutti questi pensieri, nonostante stesse conversando con Guglielmo comodamente seduti sulle eleganti poltrone intarsiate ( si sentiva come se fossero due signori nobili del ‘800) e Jackie, sull’altro divano, stesse animando l’atmosfera con qualche accordo di chitarra e cantando Wish You Were Here.
Lei amava i Pink Floyd.

La parte del mondo che a lei più interessava era quella nascosta, lontana dai riflettori della vita sviluppata e industrializzata, forse non lontano da tutto l’Occidente ma appena fuori dal confine, dove se ne potevano sentire gli effetti ma era anche nota la differenza con il mondo vero, il mondo reale.
Già, non vivevano nel mondo reale. Quello che li circondava, il sistema di cui facevano nolente parte, non era la realtà. Non totale.
La verità stava nel confronto con l’altro, e questo lei poteva sentirlo come un affascinante richiamo, un soffio d’aria leggero appena dietro l’orecchio.
C’era sole in quel richiamo, aria pura, musica tonante, tanto che le note che stava suonando mutarono e divennero sempre più simili al suo cuore e meno a quelle dei suoi idoli.
Nessuno ci fece troppo caso, se non con noncuranza e un qualche debole sorriso. Dopotutto, quella musica era piacevole e piaceva.

La storia della vita di Guglielmo non era più entusiasmante di quella di qualsiasi altro umano camminasse sulla Terra, ma per Michael, come quella di ognuno, essa aveva un’importanza infinita, e le regalava tale valore ascoltandola con un’attenzione e un interesse sinceri che lo spagnolo non poté non apprezzare.
Che squisitezza, che integrità, che educazione vi erano in quell’uomo così famoso e che avrebbe potuto essere viziato e superficiale.

Galoppava, letteralmente, come un animale impazzito, quella passione e quel richiamo dentro di lei, e in un attimo di lucidità le fu difficile capire come potesse sembrare così impassibile fuori quando dentro le si stavano muovendo tali corde dell’anima.

C’era qualcosa che s’intrometteva nel suo ascolto.
Non era un disturbo, o qualcosa di spiacevole, ma non riusciva a ignorarlo.
L’orecchio si fece più sensibile a Jackie anziché al suo interlocutore, e capì cos’era quella nota stonata.
Quelli non erano più i Pink Floyd, e poté giurare che Jackie fosse in preda a un accecante attacco di fervore musicale.
Non lo sentiva dal suono, o dal modo che aveva lei di sferzare le corde di quella chitarra, ma dalla parte silenziosa di ciò che usciva da quell’atto.
Sensazioni.

Sono felice di vederti cambiata. Non sei più così bigotta’ le aveva detto Guglielmo.
Era così? Era davvero cambiata? Più che altro le sembrava di fare parte di un percorso, una strada sterrata in mezzo al deserto, e che quel ‘cambiare’ facesse parte del viaggio.
Il cielo per ora era limpido e il tratto senza ostacoli troppo complicati, ma cosa avrebbe trovato continuando ad avanzare? E cosa c’era alla fine del percorso?
Sentì un brivido e alzò gli occhi.
All’ingresso della stanza, Thomas mosse impercettibilmente il viso nell’altra direzione, come se fosse stato colto in flagrante ad osservarla e non volesse farsi scoprire.
Precauzione inutile visto che indossava gli occhiali scuri e comunque, Jackie aveva capito.
Sorrise, un po’ arrossita, ma si sentì anche strana.
Thomas, in linea d’aria, le stava proprio di fronte, come l’orizzonte della sua strada immaginaria, come un obbiettivo da raggiungere.
Perché però, pur volendogli bene e standoci insieme come sua ragazza, sentiva dentro di sé che non era quella la sua direzione, non era lui il suo traguardo?
Ma che le veniva da pensare? Lui era perfetto. Il suo sorriso, il suo carattere, l’amore che traboccava dal suo sguardo quando la guardava.. Ma da quando il suo traguardo era diventato un uomo?
Con un sorriso amaro malamente trattenuto, si accorse che non era lui ciò che cercava. Non era un uomo come lui ciò che desiderava, nonostante una voce dentro di sé urlasse a pieni polmoni il desiderio di sposarsi, entrare in una casa sicura e diventare una buona moglie.
Non era quello il suo sogno?
Si, lo era stato, quando ancora poteva desiderare di diventare madre.
No, questo cambiava tutto.

Si sentiva immerso fra due linee parallele che correvano in direzioni opposte: da una parte quella fisica e consueta della sua conversazione con Guglielmo, dall’altra quella spirituale e al contempo leggera e tempestosa della musica di Jackie. Da quel che riusciva a cogliere in quelle note improvvisate stava avendo una riflessione.
Si alzò per versare altro tè freddo all’ospite e ne approfittò per sbirciarla di sottecchi.
Aveva mezzo sorriso disegnato sul volto, e due rughe sulla piramide nasale, dovute alla contrazione del sopracciglio.
Uhm.. Doveva aver pensato a qualcosa di non esattamente piacevole.
Ritornò al suo posto facendosi qualche domanda, un po’ più distratto ai discorsi di Guglielmo e meno ai propri interiori.

Provò a focalizzare l’orizzonte del proprio percorso, nel punto dove prima aveva visto Thomas e dove ora non c’era altro che luce. Puro sole che nascondeva ciò che aveva davanti.
Sentiva il cuore piangere un po’ al pensiero che non ci fosse l’uomo che l’amava in mezzo a tale luce, consapevole che con lui avrebbe potuto essere comunque felice, anche senza avere tutto quello che desiderava.
Accidenti, lui l’amava! Poteva una donna desiderare di meglio?
Allora, se non era lui, chi o cosa c’era alla fine del percorso?
Non riusciva a visualizzarlo. Avrebbero potuto esserci innumerevoli cose.
Una scia di colori le passò in testa, una miriadi di cose che avrebbe potuto fare ( e che avrebbe voluto fare!): il suo viaggio in Africa come volontaria, scrivere musica di successo, girare il mondo, imparare a guidare una barca o un aliante, organizzare una serie di spettacoli teatrali fatti di musica e sketch comici, scrivere un saggio sulla storia della musica e, perché no, magari fare un tour di spettacolo in tutto il mondo per il nuovo album di Michael.

Si girò nello stesso preciso momento in cui lei alzò gli occhi su di lui, senza saperlo.
Non si stupì della coincidenza; cose simili accadevano da anni ormai.
Jackie aveva gli occhi spalancati e un po’ lucidi da sotto la frangia castana, come se fosse appena atterrata bruscamente sulla Terra dopo un volo astronautico, quasi sconvolta oserebbe dire.
Non sapeva cosa stava pensando, non sapeva cosa lei aveva pensato fino a quel momento.
Si sentiva però sicuro di ciò che avrebbe potuto fare lui, cioè far sparire quella espressione.
Così, seguendo più la propria pancia che il cervello, in parte concentrato nell’ascoltare sempre Guglielmo, sorrise all’amica e la fissò intensamente per un secondo, prima di tornare con lo sguardo verso l’ospite e non concentrarsi più su nient’altro che non fosse lui.

Nel momento in cui aveva pensato al nome di Michael, le era venuto spontaneo guardarlo e, caso curioso, anche lui l’aveva fatto.
L’aveva guardata come se avesse potuto leggerla, e anche se Jackie sapeva che non avrebbe potuto farlo, si sentì come se l’anima si fosse in parte spogliata.
Quello che avvertì internamente non era un pensiero, bensì un fatto certo, una cosa data per scontato da quanto fosse ovvia.
Nemmeno Michael era alla fine del percorso, figuriamoci; Michael non era il suo obbiettivo, bensì era parte fondamentale del tragitto, sempre presente e fondamentale, come i suoi stessi piedi per camminare.
Senza di lui scendeva la notte, e ciò era così ovvio per lei che la sua parte razionale si rimproverò per non averci pensato prima e aver rilegato il suo importantissimo amico in un angolo nascosto e buio dei suoi pensieri.
Quando lui le sorrise impercettibilmente e la guardò con una scintilla negli occhi (che compariva raramente come una cometa ma il cui spettro era sempre visibile nel suo sguardo), si sentì congelare per un attimo, per poi sentire il vuoto non appena lui lasciò la presa e tornò a guardare Guglielmo, senza più occhi e senza più energia.
Ma si rendeva conto, questo ragazzo, del potere che era in grado di esercitare sull’ambiente circostante con la sola forza di uno sguardo quasi distratto?!
Sorrise, di nuovo consapevole del proprio corpo dopo quei momenti (o ore? O minuti?) di pura concentrazione introspettiva.
Si accorse che le sue mani avevano continuato a suonare per tutto quel tempo senza che lei se ne accorgesse, e la cosa la fece ridere maggiormente.
Ritornata in terra, sentì come un fluido rivitalizzante il piacere rinnovato della musica, e spinse più forte la pressione sulle corde, accelerando il ritmo con nuovo vigore.
Sentiva tutto in quella stanza: la sorpresa di Guglielmo, la celata approvazione di Michael, il sorriso di Katherine e quello di Thomas, in fondo alla stanza, che non perdeva momento per sbirciarla.
Ed era tutto bello. Durò finché la musica divenne davvero troppo alta, e Michael si alzò per cantare insieme a lei, sotto lo sguardo stupido e divertito di Guglielmo, che cominciò a battere le mani.
Non poteva esserci un pomeriggio migliore.
 
-----


Nota personale: mancano pochi capitoli alla fine di questa prima parte. Poi metterò una seconda fiction con la seconda e la terza parte unite insieme, e questa storia raggiungerà una fine. Grazie a chi continua a seguire, ha seguito e seguirà in futuro. Un abbraccio.

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Capitolo 69
*** Capitolo 69 ***


Eppure, si canonizza l’uno e si ridicolizza l’altro.



Ricordava con piacere doloroso quelle lontane notti di New York trascorse allo Studio 54.
Ricordava con l’anima più che non gli occhi le masse informi dell’insieme uomini e donne che si intersecavano fra di loro, come corpi senza vita descritti nei gironi dell’inferno dantesco.
Un agglomerato di bianco sudiciume, piacere carnale e vergogna che si mescolavano con il sudore e il liquido seminale.
I suoi occhi avevano aggredito con forza quelle immagini viventi davanti a sé, senza che ne venisse turbato psicologicamente. Dopotutto, era tutta la vita che, nolente o volente, assisteva a spettacoli di quel genere.
Sin da quando era un bambino che, dopo lo spettacolo, sbriciava le performance degli spogliarellisti vestiti da donna.
Una cosa accomunava il Michael bambino, costretto a vedere, e il Michael ragazzo, che andava a cercare: quella paranoia noiosa e opprimente che seguiva il termine dello show.
Quando i suoi occhi tornavano a vedere cose normali infatti, il suo mondo ritornava più buio di quel che sembrava in precedenza, e tutto sembra contornato dal grigio.  
Così si sentiva nel vedere la macchina di Jackie allontanarsi, sebbene quel pomeriggio passato insieme fosse stato quanto più diverso potesse esserci da quegli spettacoli.

Dopo aver cantato per almeno un’ora canzoni improvvisate con l’amica, si era scusato con Guglielmo per aver interrotto i suoi racconti e aveva servito altro cibo. Lo spagnolo aveva ribadito che quelle scuse non erano necessarie e che anzi, si era divertito come non mai.
Quando egli li aveva lasciati solo per andare in bagno, Jackie si era alzata e gli era venuta incontro con sguardo neutrale.
Un po’ confuso, la accolse prendendole i fianchi con dolcezza, e lei lo guardò con quegli occhi che tradivano tutto ciò che le era passato in testa.

- Mike, quando l’album sarà finito..

- Si?

- Facciamo un tour mondiale.

E ora, nel vederli sparire al di là della strada, nulla era più lontano che quella stramba proposta.
Ritornò in casa, salutò la madre premurosa e salì nella propria stanza prima di rischiare di incontrare i fratelli e passare un’altra notte insonne.
Se la sua carriera gli stava facendo toccare il cielo con un dito ( Bè.. Più o meno, considerando che Thriller avrebbe dovuto dare di più), tutto il resto della sua vita sembrava vacillare.
A cominciare dalla sua famiglia.
Col passare del tempo si stavano rivelando per quello che erano: persone solo attaccate al denaro e disposte a tradire gli stessi componenti della famiglia pur di ottenerlo. E questo era molto triste.
Considerando che attualmente era LUI quello che deteneva la maggior parte della ricchezza, in quel momento, sentiva la necessità di essere molto cauto nei loro confronti.
Meno li vedeva e meglio stava.
Anche se non poteva evitare di sentire nostalgia per quei tempi in cui avevano meno denaro ma erano molto più uniti.
Come non poteva evitare di acconsentire a qualsiasi richiesta di Katherine, o di Janet.

Si affacciò alla finestra.
Il cielo si stava colorando del viola del crepuscolo e le nuvole grigie e blu si muovevano rapidamente spinte da una tempesta in avvicinamento. Come poteva un temporale concludere il sole di quella splendida giornata?
Decide che si sarebbe goduto lo spettacolo delle forze della natura prima di chiudersi nel proprio universo.
Prima di girarsi e scendere notò, nel cortile sottostante, Albert e Thomas che discutevano.
Lo sorprese il fatto che sembravano proprio litigare tanto le loro fronti erano corrugate e i loro gesti erano molto accentuati.
Incuriosito li raggiunse, ma non si svelò subito. Rallentò il passo appena sentì che l’oggetto del discorso era Jaqueline.
Dovrei intervenire? In fondo, si tratta di suo fratello e del suo fidanzato. Io non c’entro nulla, pensò indeciso.
Albert lo notò prima che potesse decidere alcunché.

- Michael.

Allora si avvicinò. Notò che Thomas, appena lo aveva visto, aveva chiuso la bocca e non aveva più parlato.

- Che succede?

- Nulla di grave. - Lo rassicurò Albert sorridendo. - E’ solo che puoi aiutarci a risolvere una piccola questione.

- Di che si tratta?

- Non è necessario Albert.

- Invece sì Tom. Mike, ti parlo come amico. Stiamo discutendo del fatto che, pur stando insieme da qualche tempo, il nostro Thomas non abbia ancora capito completamente la natura di Jackie e non la rispetta.

- Non la metterei così tragica.

- A cosa ti riferisci? - Si rivolse direttamente a Thomas. - C’è qualcosa che non va? Che significa questa frase?

- Significa che Thomas è geloso di te, Mike. - Disse Albert con una sfacciataggine non da poco, facendo trasalire entrambi gli altri uomini. - E io te lo vengo a dire perché tu stesso possa fargli capire che non ce n’è assolutamente bisogno.

Michael era stupito. Anche se aveva capito perfettamente a cosa Albert si riferiva.
Guardando Thomas capì che quello era davvero il suo problema, a giudicare dalla sclera più rossa del normale e dalle gocce di sudore sul collo. Sembrava molto turbato e a disagio. Capì che temeva di perdere il lavoro per un affronto del genere.
Ebbe l’istinto di rassicurarlo, ma qualcosa dentro di sé lo bloccò. Una sorta di senso del potere, un egoismo insito in sé che non avrebbe voluto manifestare.
Era conscio ( e al contempo non lo era) del suo rapporto con Jackie. Ne andava fiero, lo manteneva in vita.
Thomas era geloso di lui per questo, perché pur standoci insieme, Jackie non aveva mai nascosto i suoi sentimenti per lui. Lei gli dimostrava amore e affetto con la stessa intensità di una bambina affezionata, senza curarsi di restrizioni sociali proprio perché la sua autenticità andava oltre queste barriere culturali.
Era sincera, chiara, limpida e pulita.
Avrebbe voluto, avrebbe dovuto dire a Thomas di non preoccuparsi, che capiva la sua motivazione ma che non c’era motivo di essere geloso, perché Jackie era fatta così. Jackie amava tutti.
Eppure non lo fece immediatamente.
Thomas aveva una posizione privilegiata, perché era il fidanzato di Jackie, eppure era geloso di lui perché sapeva che non avrebbe potuto eguagliare l’intensità del loro rapporto.
Michael si era sentito inferiore rispetto a lui quando si erano messi insieme, ma ora si accorgeva di detenere un potere che a Thomas mancava, per cui lo invidiava.
La realizzazione di ciò gli fece provare una sensazione troppo piacevole per abbandonarla subito facendo la cosa giusta.

Così guardò l’uomo incriminato per qualche secondo di silenzio con sguardo neutro.
Sentì l’improvvisa agitazione di Albert nel vedere la sua reazione che, certamente, non si aspettava.
Thomas lo guardò. I loro occhi rimasero a contatto per un po’ ancora, prima che Michael si leccasse il labbro con atteggiamento disinvolto.

- Thomas, mi sorprendi. - Disse con voce neutra. - Eppure dovresti conoscere Jackie.

- Io la conosco. - si difese.

- Non abbastanza, evidentemente. - Si rivolse ad Albert. - Non voglio più essere disturbato per un motivo del genere. Non devo rassicurare nessuno riguardo il mio rapporto con Jaqueline. Albert, tu sai cosa significa. Perciò, pensaci tu.  

Si allontanò a grandi passi sotto gli occhi increduli e dispiaciuti del suo amico biondo e quelli arrabbiati di Thomas. Sì, riusciva a sentire la sua irritazione.
Eppure, non appena girò l’angolo, il peso delle parole e di quella reazione da bambino viziato cadde su di lui come un pesante sipario.
Avrebbe voluto tornare indietro e rifare tutto, rassicurare Thomas e magari prenderla sul ridere, e dirgli di non preoccuparsi.
Ma era troppo orgoglioso per farlo.
Troppo orgoglioso anche per mettersi da parte e riconoscere la posizione del fidanzato di Jackie.

 
———


- Spettacolare. - Si tolse le cuffie, stupido e ammirato. - E hai voluto farla ascoltare a me prima di proporgliela direttamente? Mi sento onorato.

Jackie sorrise, così felice da illuminare da sola tutta la stanza. Aveva conosciuto poco tempo prima, in una situazione che non avrebbe mai pensato potesse manifestarsi, una persona che l’aveva colpita e che, a quanto pare, aveva colpito.
Come due persone che si sono conosciute in un’altra vita, si era cercati prima con lo sguardo e poi con le parole, ed aveva finito per confermare quella sensazione che li aveva uniti.
Il che era già di per sé fantastico considerando che era nel bel mezzo di un concerto. Il concerto di LUI.
Visto che il suo lavoro non gli dava tregua, lui le aveva dato appuntamento alla fine, dicendole di raggiungerlo in hotel.
Lei, che aveva fatto quel viaggio per una piccola pratica e per sentire quello stesso concerto, incurante del fatto che la proposta poteva essere benissimo compromettente, accettò, convinta di quello che sentiva verso di lui.
E quello che sentiva erano solo cose positive.
Eccentricità? Possibile, ma era vissuta sin da bambina in mezzo alle star del cinema e agli uomini di spettacolo in un secolo in cui l’eccentricità era di casa un po’ ovunque in America.
Si era fatta sorda a quei dettagli per necessità.

Così si erano incontrati alla fine di tutto, in una stanza d’albergo, nel bel mezzo della notte.
Come una donna che si rispetti lei avrebbe dovuto pensarci almeno due volte, rimuginare su quanto fosse giusto che una ragazza sola si comportasse così, e ricordare che il suo fidanzato l’aspettava fedele a casa, già coperto del ruolo di marito.
Queste sono cose a cui avrebbero pensato le donne ordinarie.
Jackie era tutto, fuorché ordinaria.
Era una persona particolare, originale e anche se non ne era conscia, attorno a lei c’era chi lo notava.
Lei e quest’uomo eccentrico, di cui la storia prima d’ora non ha mai parlato e poi probabilmente non lo farà ( se non alla sua morte), si erano accomodati, aveva parlato a lungo di sé stessi, delle proprie vite e delle proprie anime anche, facendo confidenze che si fanno soltanto agli sconosciuti che si vedono una volta nella vita e poi mai più.
Poi si erano messi a scrivere musica, e all’alba lui l’aveva lasciata con un compito: scrivere una canzone per lui come lui avrebbe fatto per lei.

E lei, una volta a Los Angeles, la canzone l’aveva già scritta interamente nella sua mente, e doveva solo metter su una piccola orchestra per riprodurla.
Si occupò di tutto questo da sola, prendendo i musicisti da soli e componendo pezzi di melodia che mise insieme in seguito a computer, ormai espertissima nel montaggio e nella realizzazione del progetto.
Il primo a cui aveva voluto far ascoltare il risultato del suo lavoro era il suo mentore, Quincy Jones.
Lui non le aveva mai voltato le spalle.
La amava incondizionatamente e lei amava lui come suo padre adottivo, e non c’era persona migliore di lui per un parere professionale su un pezzo musicale.
Michael, troppo spesso, era troppo perfezionista.

- E’ un regalo per un amico. Voglio che sia perfetta prima di consegnargliela.

- Ci lavoreremo dopo allora. Dopo un caffè intendo. - disse Q, lasciando giù le cuffie. Si alzò, accompagnò Jackie alla porta dopo aver preso le giacche e chiuse a chiave. - La storia di questa canzone è incredibile come l’incontro stesso con questa persona.

- Lo so - sorrise lei. - Ma è una bellissima avventura da raccontare e da aver vissuto. Sono grata per questo.

E il tuo fidanzato cosa ne pensa? - Q sapeva com’era Jackie, e non se ne preoccupava. Aveva abbastanza intuito da tenersi alla larga dalle persone pericolose e se il suo istinto le diceva che poteva fidarsi, sempre la fiducia riposta veniva ricambiata. Tuttavia non sapeva qual era il pensiero di Thomas a riguardo. Dopo che si erano messi insieme, Jackie e lui erano venuti solo un paio di volte a pranzo a casa sua, e non era stato sufficiente per capire appieno il ragazzo.
Certo, sapeva che era un uomo affidabile e gentile, che teneva moltissimo a Jackie, ma non riusciva a capire il suo rapporto con lei appieno.
Con Michael era una faccenda diversa: i suoi sentimenti erano limpidi e chiari anche per uno sconosciuto.
Pensandoci, forse la colpa era solo propria, per via degli anni passati a osservare il suo protetto.
Ci pensò Jackie, con una saggezza che non sapeva di avere, a colmare parte dei suoi dubbi.

- Gli ho raccontato a grandi linee com’è andata, ma non gli ho detto proprio tutto. - spiegò lei, le lunghe ciglia a coprire il verde smeraldo più scuro dalla riflessione.

- E cosa aspetti a farlo?

- Non lo so, lui non è uno che le prende sempre bene queste cose.

Si sedettero e ordinarono un caffè prima di continuare. - E’ un po’ chiuso su certe cose, ma non perché lo sia davvero mentalmente. Penso che lo sia perché non capisce. Non è un musicista o un artista, e non ha mai incontrato una persona con cui ha vissuto un’esperienza simile, anche solo a livello mentale, capisci? Per questo non lo può capire ed è chiuso a sentire di queste vicende. Soprattutto se di mezzo ci sono io. Per il quieto vivere, preferisco non dirgli nulla.

- E ti va bene così Jackie?

- Per ora sì.

- Ne sei proprio sicura? Ti accontenti di mezzo pacchetto?

- Per ora sì, perché voglio stare con lui. Quindi sì. - Annuì convinta, facendo un mezzo sorriso. Q sorrise a sua volta, ma sapeva che quella situazione non sarebbe potuta durare. Jackie era troppo autentica, e una personalità troppo forte per nascondere una parte di sé stessa alla persona che amava.
Ma se ne sarebbe accorta da sola, ovviamente. Il proprio compito era solo quello di sostenerla, al momento.

Se solo lei avesse saputo quali fossero davvero i sentimenti di Thomas a riguardo, si sarebbe messa a piangere disperatamente solo a vederne la metà.
Il suo fidanzato era davvero una bellissima persona. L’amava davvero. Jackie era come pura luce nella sua vita: ne bastava una goccia per essere felici per sempre. E naturalmente voleva che lei fosse felice.
Sapeva del suo speciale rapporto con Michael, eppure non riusciva a farsene una ragione. Quando quei due erano insieme si sentiva stranamente inopportuno, pur sapendo che fra di loro non c’era alcuna passione fisica.
No, non era di quello che era preoccupato e geloso.
Lui stava male proprio perché la purezza di quel sentimento era tale che nemmeno l’amore che nutriva per lei e quello che lei poteva ricambiargli non avrebbe mai potuto raggiungere tale immensità. E quella consapevolezza lo struggeva, non lo faceva dormire.
Non riusciva a convivere con questo pensiero.
Cosa faccio? Come devo fare? si chiedeva ogni sera prima di dormire, e si svegliava con la fronte sudata.
Non voleva abbandonare Jackie per quei timori, ma sapeva che la situazione non sarebbe potuta continuare così a lungo.
Avrebbe dovuto fare qualcosa. E un pensiero improvviso lo colpì.
Thomas era una persona per bene, che ci teneva a fare le cose con calma. Ma forse, se avesse raggiunto il punto di non ritorno con Jackie, forse allora avrebbe avuto la possibilità di diventare speciale per lei.
Speciale quanto e di più di quanto lo fosse Michael Jackson.

Da quella presa di coscienza, i fatti cambiarono.
Cominciò una lunga e quasi invisibile battaglia territoriale, la cosa più dispettosa da fare ad un’amica e alla propria compagnia.
Thomas iniziò a manifestare il suo ruolo anche durante gli orari di lavoro: si staccava dalla sua postazione per salutare Jackie con un bacio, chiacchierava ogni tanto e faceva in modo di finire il turno insieme a lei in modo da far notare a tutti che andavano via insieme.
D’altro canto, se queste sciocchezze che potevano risultare banali erano incredibilmente invisibili a una grande osservatrice come Jackie, non potevano non entrare nelle paranoie di Jackson il quale, noto per la sua maturità di spirito e la sua incapacità a stare agli scherzi, rispose a sua volta, sebbene per nostra fortuna non con tutte le risorse di cui disponeva.

Per quanto infantile, Michael sapeva bene quali erano i ruoli di ognuno, e non si era mai permesso di compiere gesti per potessero comprometterlo. Innanzitutto perché non voleva dare luogo a discussioni o incomprensioni, e poi perché la faccenda non gli interessava in quel senso.
Era un gentiluomo con Jackie, a volte molto spiritoso e confidente, ma pur sempre un gentiluomo, riservato ed estremamente educato. Anche troppo a volte, ma lo aveva sempre fatto: le apriva ogni porta e la faceva andare per prima, le riservava la prima portata o il posto migliore, il primo brindisi era sempre per lei. Tutte premure che duravano da tutta la vita.
I loro conoscenti stretti, pochi ma buoni, sapevano com’era la situazione, e che tutte quelle squisite attenzioni erano dettate da affetto e amore che duravano dall’infanzia. Nulla di anormale.
Solo qualcuno di molto attento avrebbe potuto notare che gli abbracci duravano più a lungo del solito.
Thomas era uno di questi, ma non se ne preoccupava troppo, poiché aveva trovato il suo asso nella manica.
Qualcosa che lo faceva stare tranquillo, perché aveva ottenuto ciò che Michael non poteva avere e non avrebbe mai potuto.

Il suo sorriso, una sera dopo che ebbe riportato Jackie a casa dopo una cena, era più sinistro del solito.
I suoi occhi più lucidi ed emozionati.
Jackie aveva già capito.
Con gli occhi della mente guardò dentro sé stessa e, non trovando alcun rifiuto, varcò l’uscio di casa camminando all’indietro e invitando l’uomo a seguirla.
La porta si chiuse con un colpo di tallone.
 
———


- Non credo che le morali che ci imponiamo di avere debbano andare troppo lontano dalla nostra natura. - disse lei, guardando fuori dal finestrino. Stavano viaggiando dall’altra parte del paese per andare a ritirare dei premi. Altri premi per Thriller: la scia di quel successo viaggiava ancora a velocità stellare.

Tuttavia quella mole di impegni non bastava a frenare l’animo fantasioso di Jackie che, alzato lo sguardo dal libro di filosofia che stava leggendo al suo fianco, si era messa a immaginare chissà cosa, gli occhi persi fra le nuvole sotto di loro.
Come al solito lui rispose normalmente, seguendo l’energia di quei pensieri, nell’avvio di una delle loro tante conversazioni che potevano fare solo fra loro due, e gli tutti gli altri giudicavano prive di senso.
Sicuramente era solo ‘fuffa dialettica’, come l’aveva definita Jackie, che non aveva utilità pratica nella vita, ma che lasciava loro due soddisfatti e in confidenza, nel benessere della complicità rinnovata. A questo servivano certi momenti.

- Uhm.. La mia morale attuale è di essere una brava persona e di fare del bene quanto più posso. - Rispose cercando di starle dietro, e accorgendosi dopo di essere stato leggermente egocentrico. Aveva messo di nuovo sé stesso al centro di tutto. Quando avrebbe imparato a essere più umile? - Questo non va troppo contro natura.

- No, però pensa a quelli che fanno voti di castità permanente. Questo sì che è già abbastanza contro natura.

- Jackie, questo viene fatto per motivi religiosi, che io rispetto assolutamente.

- Sicuro. Ma pensa se non ci fosse abbastanza equilibrio, abbastanza forza per portare avanti questo voto. Cosa potrebbe succedere?

- Immagino… Immagino che si cada in disperazione. Come non riuscire a realizzare il sogno di una vita.

- Già, e quando ormai è tutto perduto, cosa fa la persona? Di tutto e di più. Io preferirei per questo non imporre troppe morali e privazioni.

- Sulle privazioni parliamone, ma senza morali non si potrebbe vivere in una società come la nostra, perché diventerebbero tutti dei criminali.

- O delle persone buone, magari? - Si girò a guardarlo.

- Ma non ci sarebbe comunque un esempio da seguire.

- Però è meglio a questo punto seguire una morale meno severa al posto di fingere di fronte a tutti di avere un equilibrio che non hai.

- E’ vero, ma non vale per tutte le cose. Forse solo per chi fa voto di castità.

- Secondo me si può benissimo essere pastori e uomini e convivere senza la castità. Dopotutto siamo umani, fa parte della nostra natura.

- Hai incontrato un prete cattolico poco fedele ai propri dogmi di recente, Jackie? Comunque forse hai ragione, ma io non proverei nemmeno a discutere di togliere questo voto. Non ne so abbastanza. So però che ci sono degli equilibri da rispettare anche in questo caso.

- Come?

- Cioè, non sfociare da un estremo all’altro, dalla castità più pura a una perversione senza cura.

- Questo è vero! Come predicare davanti a tutti dicendo di battersi contro il peccato e di resistere alle tentazioni, per poi usare qualche capra o pecora per scaricarsi e soddisfare il lurido corpo con cui si deve convivere.

- Jackie! Che esempio cruento!

- Esiste! L’ho letto in un libro e nella realtà si chiama zoofilia.

- Si, ma mi sembra un po’ esagerato. Dall’immoralità alla zoofilia!

- E’ che cambia fra usare una capra o una prostituta? Non hai comunque rispettato la tua morale, e l’imposizione che ti vieta di fare una certa cosa ti ha spinto a farla 1000 volte più intensamente.

- Questo è vero, è uno strano senso dell’umorismo: non puoi fare una cosa che ti viene vietata e finisce col fare di tutto per compierla.

- Che poi non è questo il posto adatto ad analisi intime - disse Jackie ridacchiando con una mano di fronte al viso, guardandosi poi attorno per vedere se qualcuno li stesse ascoltando. -Però riguardo a tutto quello che hai detto prima… Non è tutto così automatico.

- In che senso scusa?

- Tu stesso, per la tua religione, ti imponi una certa morale. Ora non devi mostrare a nessuno di saperla rispettare, se non a te stesso.

- Bè, se è una morale che riguarda il corpo, come l’astinenza, ci si può concentrare e trovare conforto in un animo intellettuale ed equilibrato. - Rispose lui sorridendo e guardandola con il calore negli occhi, ma lei continuò imperterrita ad annuire, presa dal filo più o meno logico del proprio discorso. - Non è così semplice Jackie…

- No.

- A parole può sembrarlo, ma non lo è. Lo hai detto tu: siamo umani, e il nostro corpo ha delle esigenze. - Stava ritornando ad essere egocentrico.

- Certo.

- Che per potersi vantare di un corpo puro, spesso l’anima si prende su di sé tanta tristezza, o invidia, o immondizia di ogni genere.

Jackie lo guardò, annuendo. Stava rivelando sé stesso senza volerlo, con quella frase. Michael avrebbe passato ore a parlare di sé stesso, a lamentarsi e a perfezionarsi, ma si rivelava davvero solo in quei momenti, quando non tentava di farlo.

- Non è semplice nemmeno staccare l’anima dal corpo per potersi liberare di queste pressioni. - aggiunse.

- Se lo fai vuol dire che sei morta.

- Si ok, ma se potessi farlo riuscirei, forse, a seguire il mio voto con meno difficoltà.

- Non si può dire, nessuno può provarci. E poi, alla fine, perché dovresti?

- Tu lo faresti?

- No, anche se, lo sai, detesto il mio corpo…

- Michael… - si lamentò lei.

- No, lo so, ok, lasciami finire. E’ che senza di esso non potrei esprimermi, capisci? E’ il mio corpo che può fare in modo che la mia anima parli con te. - E lo ringrazio per questo.

- Tu dici? Secondo me è possibile che due anime si parlino senza l’ausilio del corpo.

- Anche secondo me, ma nella quotidianità funziona così.

Annuirono guardandosi, poi si raccolsero nei rispettivi pensieri per qualche minuto.

- Tu che mi dici invece?

- Riguardo a cosa, Jackie?

- Come sei messo ad.. Astinenza? - chiese più per prenderlo in giro e farlo arrossire che per vera curiosità. L’incendio infatti non tardò a divampare.

- Non parlo con te di certe cose! Soprattutto se le chiedi con questo tono e questa faccia! Fatti gli affari tuoi!

- Io questo tono e questa faccia ho!

- Smettila, comportati da signorina per bene!

- Eddai, svelami il tuo piccolo segretuccio… - Continuò lei, avvicinando l’orecchio, e lui le girò la faccia dall’altra parte.  La loro ilarità raggiunse le orecchie dello staff, e alcune labbra sorrisero all’udire di quei giochi. Anche quelle di Thomas, ormai sicuro di sé. Quella complicità che il suo datore di lavoro aveva con la sua fidanzata non lo turbavano più così tanto.

- Sei così bassa che potresti farmi da tavolino.

- Sei così simpatico che dovresti fare il comico circense. Dov’è il tendone, eh Jackson?

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Capitolo 70
*** Capitolo 70 ***



Poco più di 5600 parole per voi. Questo capitolo mi sta molto a cuore. Buona lettura!

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Il modo in cui mi fai sentire non è affare di nessuno.



Love don't give no compensation
Love don't pay no bills
Love don't give no indication           
Love just won't stand still


Varcò la soglia e chiuse la porta alle proprie spalle.
Era stanca per il viaggio, ma in quel momento non importava. Appena aveva potuto, dopo aver ricevuto quella telefonata, era saltata sul primo treno possibile ed era corsa da lui. Non avrebbe mai pensato di rivederlo tanto presto. Non era nemmeno sicura di aver pensato di rivederlo, ecco.
- Finalmente sei arrivata.
La sua voce era carezzevole come il vento estivo notturno, allora lo vide, nella penombra. I suoi occhi celebravano la tristezza.
- Ho fatto più veloce possibile.
Lui si raggiunse la fronte con una mano sudata.
- Sono un mostro ad averti fatto una richiesta simile. Farti viaggiare da sola nel cuore della notte è da pazzi.
- Non importa questo, ora sono qui.
Si avvicinò a lui e gli posò una mano sulla spalla. Nel toccarlo per un attimo si sentì a disagio dall’essere lì, dalla situazione, dai sentimenti forti che avvertiva vibrare nell’uomo di fronte a lei. Uomo che le aveva fatto una richiesta incoerente spinto da un’urgenza molesta.
Uomo affascinante, ma il cui aspetto era cambiato, non avrebbe saputo dire se in meglio o in peggio.
Forse le piaceva così, ma avrebbe dovuto guardarlo meglio prima di decidere, e soprattutto, avrebbe dovuto prima pensare a lui e alla sua mente, che al suo aspetto.
- Qual è il problema? - chiese, prima di preoccuparsi di chiedersi se il proprio dovere era effettivamente quello di essere lì.
 
Love kills
thrills you throught your heart
scars you from the start
it’s just a living pastime
ruining your heartline


- Non sono un poco di buono! Io ho assoluto rispetto della religione e dei nostri principi. Vorrei soltanto che definissimo una barriera fra quello che sono e quello che il mio lavoro mi spinge a fare.
Appoggiò i palmi sudati sul tavolo, stremato. Sentì più con l’intuizione che col mero udito che i Maestri si stavano scambiando sguardi e commenti sussurrati che non promettevano niente di buono per lui. Katherine era seduta poco distante, le mani strette in grembo e in viso un’espressione accorata.
- Direi che ci siamo dimostrati più che comprensivi, accondiscendenti quasi, di fronte al tuo recente lavoro. E’ il successo, che ti sta dando alla testa. Non puoi chiederci di andare contro la nostra stessa religione per te, Michael.
- Sei sempre stato un bravo studente e un ottimo osservatore delle leggi, ma chiederci questo favore è chiederci di non rispettare volontariamente i nostri principi.
- Io non ho fatto mai nulla di male. - Borbottò, disperato. La comunità era l’unico posto dove poteva stare in un gruppo folto di persone che lo giudicavano per quello che era, e non per il suo successo. I Maestri volevano togliergli questa gioia, e non sapeva se era in grado di sopportarlo.

Stats for a lifetime won’t let you go
cause love
Love love love
Love won’t leave you alone


- Le cose non vanno per niente bene. Tutto sta andando in malora. I miei fans mi stanno voltando le spalle e i giornalisti sono terribili. Guarda cosa mi arriva a casa.
Le allungò dei pacchetti, e lei notò che ammucchiati per terra ce n’erano decine uguali. Scartò quello che lui le porgeva e appena riconobbe gli oggetti all’interno, capì. Non ci fu bisogno di chiedere ulteriori spiegazioni.
Senza rifletterci troppo lasciò cadere il pacchetto e il suo contenuto e si sedette vicino a lui.
Lascia stare avrebbe voluto dirgli. Sono solo sciocchezze, ma sapeva che non era completamente vero. Certe cattiverie ferivano come coltelli quali erano.
Avrebbe voluto trovare le parole, la voce giusta per dirgli che sarebbe andato tutto bene, che era solo un periodo nero.
- Inoltre - ricominciò a parlare lui - nemmeno gli altri mi capiscono. Pensavo fossero miei amici, e invece mi stanno abbandonando, sia sul piano musicale che su quello personale. Non pensavo che sarebbe potuto succedere. Non in questo modo almeno.
Lei si morse il labbro, in difficoltà. Lei non poteva risolvere i suoi problemi. Perché l’aveva chiamata? Perché era andata da lui?
Incurante del suo disagio, lui la abbracciò di slancio e scoppiò a piangere.

- Il punto è, Michael, che abbiamo tollerato troppo questa situazione.
- Già, non possiamo continuare così facendo finta di nulla. Inoltre, prima o poi, il pubblico saprà che fai parte della nostra Fratellanza, e visto che non ne rispetti i principi, non possiamo più permetterlo.
- Michael è nostro fratello signori - si sporge avanti uno dei Maestri. Appoggiò una mano sulla spalla al ragazzo, nero di disperazione, e Michael si sentì lievemente meglio. - La sua posizione non è facile, e non dipende da lui, non del tutto. Io propongo di essere clementi e di valutare più a fondo questa situazione.
- L’abbiamo già fatto, fratello Gabriel.
- E allora cosa pensate di fare? - esclamò Michael alzando la voce. - Sono vostro fratello, crediamo negli stessi principi. Ho fatto un giuramento, non potete impedirmi di praticare le Leggi e di rinnegare il mio credo!

Love won’t take no reservations
love is no square deal
Hey love don’t give no justification
It strikes like cold steel


L’aveva consolato come meglio aveva potuto, ma l’ipocrisia non era il suo forte. Non riusciva a nascondere la propria difficoltà nell’essere lì.
Le sue lacrime le bagnavano lo sterno, e i suoi singhiozzi erano imbarazzanti. Tuttavia lei non si mosse, e riuscì pure ad appoggiargli le mani sulla schiena e a regalargli qualche carezza rassicurante.
Lo guardò da sopra e le sembrò ridicolo. L’attimo dopo, si sentiva un mostro.
Un uomo alto e forte era lì fra le sue braccia e le stava mostrando tutta la propria debolezza. Non erano anni che si conoscevano, anzi, era proprio poco. Eppure era bastato perchè lui si fidasse e la ritenesse speciale a sufficienza. Abbastanza da donarle sé stesso.
Delusa dalle proprie emozioni, mai si era sentita così meschina, ricambiò l’abbraccio più forte che poteva, e improvvisamente fu come se tutto il dolore da lui provato si riversasse in lei, al pari di un’onda travolgente.
Sorpresa aprì le braccia, ma il gesto d’affetto ormai era stato compiuto, e lui rispose con fervore. Era completamente in crisi.
Per un attimo rimase paralizzata, incapace di capire cosa le fosse appena successo. Poi si riebbe e tornò a stringerlo. Le lacrime continuarono. Perché era venuta?

Love kills
thrills you throught your heart
scars you from the start
it’s just a living pastime
Burning your lifeline


Luci e ombre si intervallavano a intermittenza. Il rumore di sottofondo del motore era come un frastuono altalenante fra il silenzio e lo stridore della pazzia.
La Rolls Royce scivolava rapida fra le strade di Los Angeles sgombre di traffico, ma Michael restava immobile in un unico pensiero.
L’avevano sbattuto fuori.
Tranne maestro Gabriel, tutti gli altri confratelli non avevano avuto bisogno di ulteriori riunioni e avevano deciso, all’unaminità, che Michael non avrebbe più fatto parte del loro gruppo.
O meglio, avrebbe potuto, se avesse deciso di rinunciare alla sua carriera di pop star.
‘Rinunciare?’ aveva detto. Con quello che ho realizzato, sapete cosa significa chiedermi di rinunciare?
Preferisci la tua carriera o la tua religione? avevano risposto, freddi e crudeli come unghie affilate nella carne, gli occhi vitrei di chi non ha pietà.
Solo fratello Gabriel aveva dimostrato, fra tutti, un briciolo di umanità.
Si era avvicinato e con un sorriso triste, poggiandogli una mano sulla spalla in una stretta solidale gli aveva detto, Prenditi del tempo per pensarci.

Gives you as hard time won’t let you go
Cause Love
love love love
Love won’t leave your alone


- Sei un angelo. Non hai esitato a raggiungermi e io te ne sono grato. Sei la seconda persona che mi è più vicina in questo momento e non saprò mai come ringraziarti.
- Non dire così, ti prego. Non ho fatto nulla. Piuttosto, sarà meglio che facciamo qualcosa per te. Devi riprenderti.
Sbuffò e si tuffò nel divano. Era perso e triste. E sfinito, dopo quel pianto durato ore.
Da dietro le tende di velluto dell’unica finestra presente, nascosta parzialmente dalle ombre dei palazzi, una nuova alba sorgeva.
E insieme ad essa, un’idea.
Vicino a lui era abbandonata una chitarra. Jackie si alzò e la prese. L’accordò, sedendosi vicino a lui che non la guardava. Passò le dita sulle corde. Sembravano unte. Andava bene lo stesso.
- Cosa fai?
Suonò appena, e lo guardò. Era ancora abbandonato, ma nei suoi occhi vedeva una briciola di interesse.
Lo osservò nella sua interezza e fu come se il futuro venisse proiettato di fronte a lei.
Non avrebbe potuto salvarlo, non sarebbe mai riuscita a cambiare il suo destino, ma forse avrebbe potuto regalargli qualcosa che lo avrebbe temporaneamente rincuorato.
A lui sarebbe bastato in quanto essere umano debole, per cui non c’era niente di meglio che un po’ di sollievo, un respiro in mezzo alla corsa.
E non c’era nulla che lei sapeva fare meglio che scrivere canzoni.

‘Pop star’.
Che nome pomposo che descrivere quello che per lui era solo il manifestarsi della sua arte e del suo talento.
La musica suonava in lui come il battito del suo cuore, e le melodie prendevano forma e creazione a partire dalle radici più profonde di sé stesso, il centro della sua anima e della sua creatività, il punto centrale di ogni uomo che contiene la scintilla di Dio.
Il propagarsi delle sue creazioni fra la gente lo rendeva felice e immensamente appagato. Vedere come le canzoni arrivano a toccare le corde della sensibilità delle persone gli faceva bene, lo teneva in vita.
Che ci poteva fare se era nato per quello?

Hey love can play with your emotions
Open invitation to your heart
hey love kills
play with your emotions
open invitation to your heart to your heart


Lasciò che l’ispirazione la cogliesse impreparata e iniziò a cantilenare parole inconsistenti con una melodia che le uscì direttamente dal cuore.
Improvvisò un testo. Vide un foglio di carta sul tavolino e vi lesse le parole, probabilmente un altro testo, per adattarle alla propria melodia. Suonavano bene. Continuò così, salendo di tono man mano che riusciva a fare più cose con la chitarra. All’inizio non si era sentita molto a suo agio con lo strumento.
Poi tutto venne naturale. Cantò per un po’ normalmente, poi alzò la voce. Provò un acuto. Un la minore, e qualcosa che non aveva mai fatto. Espanse la gola per far risuonare meglio il suono dentro di sé, la voce esplose fuori da lei e le sembrò che i vetri si stessero per spaccare. Si riprese e continuò nella parte più fomentata della sua nuova canzone improvvisata. Per poi lasciarsi andare di nuovo. Senza esagerare, senza uscire dalle regole melodiche e metriche che conosceva dalla teoria del proprio mestiere. Doveva essere una canzone che tutti avrebbero potuto ascoltare, non solo quelli che avrebbero potuto capirla.
Quando rimase senza fiato lasciò che la chitarra urlasse un po’ per lei, finché non smise di suonare e concluse ancora con una melodia fatta con la voce, come un canto di fata che andava dissolvendosi, come un flauto che perdeva potenza e si allontanava sparendo.
Quando guardò il suo interlocutore, rimase abbagliata dall’alba che si specchiava nel suoi occhi. O forse solo perché l’anima che affiora dal corpo di qualcuno non sempre è visibile a chi non è pronto a vederla.
E forse Freddie non era mai stato pronto a vedere un angelo prima di allora, in cui si convinse che lei non doveva essere altro in quel momento.

Alla disperazione seguì un mare di rabbia profonda. Che importava se lo avevano sbattuto fuori dalla Fratellanza? Lui avrebbe praticato lo stesso. Non sarebbero stati loro a impedirgli di pregare, di rinnovare il proprio credo. Chi erano loro per lui? Semplici voci, semplici facce che lo avevano guardato per un pò e poi, come la maggior parte del pubblico, erano svanite.
Una lacrima.
Dunque era questo il suo destino? Era solo una luce temporanea nella vita delle altre persone?
Sarebbe sempre comparso per poi dissolversi, e ritornare a pregare da solo, in silenzio o anche urlando, non importava. Nessuno lo avrebbe sentito.
Destino crudele o forse glorioso.

Love kills
love kills

 
———



Thomas si coprì gli occhi con una mano, accecato dal sole.
Scrutò l’orizzonte per un po’, poi sorrise e camminò rapidamente verso Jackie, appena uscita dal gate dell’areoporto. Aveva preferito fare un viaggio più comodo per il ritorno.
Prima che potesse percepire l’aria afosa di Los Angeles, una stretta potente le mozzò ogni possibilità di respiro.
Eccolo, il suo uomo.
-Eccoti, mia cara.
Non riuscì nemmeno a sorridergli che lui la baciò con fervore, una passione dapprima dolce e entusiasta, poi sempre più profonda. Quel bacio stava durando troppo, e sentì la propria felicità trasformarsi in disagio, percependo le persone attorno a loro e il fatto di manifestare certe intimità, o almeno quelle che per lei erano intimità, in un luogo pubblico e di passaggio.
Lo allontanò con pacata fermezza, e subito il suo sguardo fu su di lei, colpevole e intimidatorio.
- Siamo in mezzo a delle persone, sai che non amo dare spettacolo. - disse lei, in tono rassicurante. Si morse la lingua. Perché mai doveva giustificarsi con lui per una cosa del genere?
Lui si sistemò la giacca, socchiudendo gli occhi e facendo spallucce.
- Bè, se fare spettacolo non fosse anche il tuo lavoro, avrei potuto crederti. Ma come vuoi allora - recuperò la propria espressione sorridente e quasi maliziosa. Le prese la mano. - Mi terrò tutto dentro finché non arriveremo a casa.
Lei sorrise, un lieve rossore sulle guance, evitando di manifestargli la propria stanchezza e il desiderio di dormire: non aveva chiuso occhio da quando aveva lasciato Freddie, e neanche prima.
Come avrebbe potuto farlo?
Come con Michael, avere a che fare con persone di una tale personalità ed energia era spossante, certo, ma anche così inconsciamente esaltante da perpetuare a livello fisico un senso di euforia e benessere generale, nonostante le precedenti circostanze siano state tutt’altro che allegre.
Michael! Non lo sentiva da almeno quattro giorni. Dopo Freddie non aveva chiamato nessuno se non Thomas, e per lei era strano non sentire il proprio amico per ‘così tanto’ tempo. Erano abituati a vedersi o quantomeno parlare al telefono quasi ogni giorno, sin da quando erano bambini. Era una normalità come l’atto di respirare, spontaneo e invisibile ma che, quando viene a mancare, ce ne si accorge subito e si deve correre ai ripari.
Guardò Thomas. Sarebbe stato saggio prendersi del tempo per chiamare Michael finché stava con il proprio fidanzato? Probabilmente no. Aveva intuito che Thomas sentiva un certo senso di inferiorità rispetto a Michael, ma pensava che fosse quello che sentivano tutti nei suoi confronti. Lui era una persona davvero unica, e pochi al mondo erano come lui. Anche per questo era arrivato dov’era arrivato, e non c’era altro da aggiungere.
Molti invidiavano Michael per quello che era, e lei presupponeva che, in una forma molto leggera, anche Thomas lo facesse.
Quei pensieri avrebbero dovuto allontanarla dal pensiero di chiamare Michael, ma invece quello era proprio ciò che più sentiva il bisogno di fare.
- Mi lasci giusto il tempo di fare una chiamata tesoro? - chiese, indicando una cabina. - Poi andiamo a cena.
Thomas smise per un attimo di sorridere, poi sforzò gli angoli della bocca, la baciò e si allontanò con le mani in tasca.
Lei avvertì la saliva umida che le era rimasta all’angolo della bocca e rabbrividì, per il senso di colpa e anche qualcos’altro. Sapeva bene che cosa, quindi arrossì e cercò di ricomporsi per la chiamata.
- Ma dov’eri finita?
Michael non era proprio dell’umore.
- Ho avuto un’emergenza e sono dovuta partire.
- Cosa?
- Niente di grave, io sto bene, non preoccupar…
- Hai detto che era un’emergenza, quindi era qualcosa di grave. Altrimenti non sarebbe stata un’emergenza. Che è successo? Dove sei ora?
- Sono con Thomas, non devi preoccuparti di nulla. Ti racconterò tutto non appena ci vediamo.
- Uhm, va bene. Non saresti dovuta partire così, avevo bisogno di te…
- Che è successo?
- Ti racconterò tutto non appena ci vediamo. - Le fece il verso.
- Dai stupido. Stai bene?
- Più o meno.
- Che è successo?
- Quando ci vediamo?
- Non lo so. - Guardò Thomas in lontananza. Visto che era un po’ che non passavano un po’ di tempo insieme, avrebbe prima dovuto informarsi sui suoi programmi e regolarsi di conseguenza. Si rendeva conto che stava trascurando il suo fidanzato. La maggior parte delle volte a causa di Michael… Che problemi aveva?
- Beh, puoi decidere.
- Ti faccio sapere domani o stasera. Devo organizzarmi.
- Capisco. Allora passa una buona serata con il tuo fidanzato.
Passa una buona serata con il tuo fidanzato’. Michael non aveva mai detto una frase simile con quel tono di voce da prima donna.
- Uhm, grazie e smettila di essere strano. Ci sentiamo presto.
- Ciao.

Che stronzetta.
Per quanti anni avesse, ancora si sforzava di non dire parolacce, nel suo perpetuo tentativo di essere una persona totalmente pura. Non poteva evitare di lasciarsele sfuggire, ogni tanto, almeno con il pensiero.
Si stupì invece di aver pensato che Jackie, la sua Jackie, fosse una stronzetta.
E lo era stata: che le costava spiegargli cosa era successo, e magari passare un paio di giorni da lui, in modo che avrebbe potuto raccontarle cosa era successo?
Stava sempre con Thomas, lui avrebbe potuto capire e aspettare. Dopotutto lavorava per Lui. Anche se quest’ultimo pensiero non aveva molto senso… In ogni caso non era giusto, e avrebbero potuto venirgli incontro.
Non era facile essere sé stesso. Jackie sapeva che aveva problemi di solitudine, e invece aveva fatto finta di nulla. E per cosa poi? Per una cena con Thomas? Nulla che non si potesse fare anche a casa sua.
Che stronzetta. Anzi, proprio una stronza.
Considerò l’ipotesi di richiamarla e invitarla a casa, per poterle parlare subito, ma si bloccò con il telefono in mano. Il filo della cornetta penzolava inerte. I tasti del telefono sembravano fatti di pietra.
Alla fine riagganciò sbattendo la cornetta.

- Sembri distratta. Qualcosa ti ha turbato? - le chiese Thomas.
Si pulì la bocca col tovagliolo prima di rispondere. Alla fine avevano optato per una intima cena a casa di lei.
- Non proprio, è Michael che a volte si comporta come una reginetta capricciosa.
- E’ normale, per le persone come lui. Sono abituate ad avere quello che vogliono e subito.
Lei non rispose. Sapeva che in parte era vero, ma anche Thomas sapeva che lei non amava quel genere di commenti, soprattutto nei confronti di Michael.
- E comunque non mi va che questa cosa abbia distratto la mia bellissima Jaqueline. - le disse, venendole vicino.
Lei lo guardò negli occhi, caldi e lucidi di amore e ammirazione. Sorrise, sinceramente rincuorata dal fatto che lui non se la prendesse. Per l’ennesima volta.
- Scusami tesoro. - gli gettò le braccia al collo. - Mi dispiace di avere sempre la testa altrove. E’ che tutto questo mi prende totalmente, ed è sempre stata la mia vita.
Lui la baciò. - La vita è piena di cose, amore. E nel tuo cuore c’è spazio per tutte. A me interessa solo che ci sia spazio anche per me. Il resto passa.
Lo abbracciò stretto e poi lo baciò con passione. Lui rispose con fervore e la prese in braccio.
Lei, approfittando dello slancio, gli strinse le gambe attorno al busto e si aggrappò con forza. A quel contatto sentì l’interno del proprio ventre liquefarsi.
Lui la portò in camera, il naso nei sui capelli, una mano a sostenerla e l’altra incastrata fra di loro, su un seno.
A ogni stretta, ogni bacio, ogni respiro lei si sentiva sciogliere, e questa sensazione interna che si amplificava e diventava sempre più forte, impossibile da gestire. Gemette nel momento in cui lo la gettò sul materasso, e la calda lava che sentiva dentro di sé crebbe a dismisura come una cascata. Tanto… Troppo.
- Thomas!
I suoi occhi mortificati entrarono nel suo campo visivo a distanza molto ravvicinata.
- Ho sbagliato?
- Thomas, spostati!
Si ritirò come se si fosse scottato.
- Jackie! Mi dispiace!
- Ma no! - Si alzò e gli prese le mani per tranquillizzarlo, uno sguardo ilare, incredulo e vergognoso.
- Ho le mie cose! - esclamò, mentre le guance si dipingevano di rosso. Lui sbarrò gli occhi incredulo. - Ho sentito che arrivavano in quel momento e.. Oddio! Dispiace a me! Non hai fatto niente di sbagliato!
Lui rimase immobile per un secondo, poi scoppiò a ridere.  

 
———


Non sapeva del perché volesse raccontarglielo, semplicemente si erano sempre detti tutto. Sull’argomento, le battute si sprecavano, anche se Michael si tratteneva perché dire ‘certe volgarità di fronte a una donna non è da gentiluomini’.
Chissà cosa sarebbe scaturito da quella confidenza. Probabilmente avrebbe cominciato a prenderla in giro e non avrebbe più smesso, pensò sorridendo.

 
 ———


Qui le cose dovranno cambiare in qualche modo, pensò Michael mentre si spalmava la crema sulle mani.
Era un prodotto efficace di protezione contro le luci del palco. A volte vi era così vicino che alla fine della giornata avvertiva fastidio alla pelle.
Maledetta quella malattia.
Karen si stava prendendo cura di lui.
Era la sua truccatrice da poco assunta, e ne aveva continuo bisogno per aiutarsi a coprire le fastidiose macchioline bianchicce che gli erano spuntate sulla faccia, sul collo e sul petto.
- Devono essere invisibili - si era raccomandato - E non è necessario aggiungere che è necessaria la massima discrezione a riguardo.
- Ovvio - gli aveva risposto, e già gli piaceva. - Posso farti solo una domanda?
- Si certo.
- Hai detto che il processo continuerà… Cosa facciamo quando ci saranno tante macchie?
- Il mio chirurgo sta cercando una soluzione. - replicò scuotendo la mano.
Odiava, odiava parlarne. Anche se con una persona che già sentiva amica.
Karen era una giovane ragazza che sembrava uscita da un panorama di campagna, per quanto l’avesse scelta per le sua capacità e la reputazione niente male.
- E se lo lasciassi vedere?
La guardò sbarrando gli occhi.
- Assolutamente no! - strillò. - La mia immagine e la mia carriera ne risentirebbero.
-Ma…
- Non voglio che questa cosa diventi il motivo principale per cui la gente mi conosce - la interruppe, con l’ansia nella voce. - Voglio essere ricordato per la mia arte e la mia musica. La vitiligine non deve avere nulla a che fare con questo.
- Ok, scusa. - rispose lei, alzando le mani in segno di resa. - Cercavo solo di capire.
Le appoggiò una mano sulla spalla, con fare tranquillo.
- Non volevo risponderti male, ma è una cosa che mi affligge. Non parliamone più se non necessario ok?
- Certo, farò solo il mio lavoro. Scusa se sono stata indiscreta.
Era sincera, e Michael la rassicurò. Karen gli piaceva. Emanava fiducia.

Ritornò sul palco con uno sbuffo.
Non amava più particolarmente esibirsi, sopratutto se doveva farlo con i Jacksons.
Si morse il labbro pensando a quanto era stato sciocco ad accettare e firmare quell’impegno con il Victory Tour, strascico sudicio di una storia arrivata alla fine.
Quella serie di spettacoli non erano altro che tentativi per rendere redditizio un contratto che, sulle sue proprie spalle, avrebbe arricchito i suoi fratelli e suo padre, per il quale non intendeva più lavorare.
Quei pensieri lo infastidirono: l’immagine di Joe giunse brusca nella sua mente e gli diede un fastidio tremendo, tanto che si sentì tremare le braccia e le gambe.
Ogni suo poro, ogni briciola di pelle fremeva di disgusto come se quell’uomo lo stesse toccando in quel momento.
Cercò di scacciare con razionalità quei pensieri burrascosi. D’altronde, la responsabilità era sua: non era riuscito a dire di no a sua madre, che sembrava tenerci moltissimo a quello spettacolo.
Come se vederli riuniti in un tour come accadeva anni prima facesse tornare la famiglia unita, quando ormai non poteva più dirsi completamente tale.
Certo, Michael si rendeva conto che dentro la propria testa vi era l’insormontabile principio di sacralità famigliare: non c’era cosa più importante al mondo. Ma si rendeva anche conto che era un dogma che non apparteneva totalmente a lui, ma inculcatogli attraverso l’educazione, e per quanto sapesse di non poterne venire meno, non si sentiva completamente d’accordo.
In qualche breve momento era stato bello ritornare a cantare e ballare con i suoi fratelli, in memoria dei vecchi tempi, com’era anche successo alla Motown 25.
Era anche vero che Michael non si sentiva più lo stesso, e che non aveva bisogno di quello.
Avrebbe conservato quei pensieri per sè fino alla fine del tour e poi, ripromise a sè stesso, non avrebbe più fatto parte dei Jacksons.

Quell’impegno lavorativo l’aveva seguito anche a casa in quanto la vita ad Haveyrust non gli aveva più concesso solitudine.
La preparazione del tour aveva magicamente fatto tornare in mente ai suoi fratelli che esisteva anche lui non solo come il fratello che aveva avuto più successo come solista, ma anche come il loro piccolo fratellino, beniamino di tutti.
Era abituato all’ipocrisia, ma percepirla a quei livelli anche a casa lo stancava oltre misura.

Una domenica in cui si era organizzata una piccola festa con tutti i fratelli e anche molti altri parenti, decise di aver parlato a sufficienza con tutti e si dileguò nella solitudine della stanza chiusa a chiave, finché sua madre non lo chiamò dicendogli che aveva una visita.
Jackie, manna dal cielo.
Almeno avrebbe parlato con qualcuno di cose interessanti.

Lei arrivò e cambiò espressione appena lo vide. Sembrava che qualcuno lo avesse appena tirato fuori da una pentola di fagioli dov’era rimasto a bollire e stufare per dodici ore.
- Mio Dio che faccia. Ti ha investito un camion? - lo salutò abbracciandolo. Lui rise.
- Il tour mi sta devastando.
- Sei troppo giovane per dire certe cose.
- Hai ragione scusa. La mia famiglia mi sta devastando.
La fece accomodare.
Le indicò il letto e un vassoio sul quale c’erano dei sandwich che aveva trafugato dal buffet in giardino.
Da fuori proveniva un discreto chiasso: dovevano essere nel pieno dei festeggiamento della grande ‘riunione dei Jacksons’.
- Come stanno andando le prove?
Jackie era esclusa dal progetto. O meglio, nessuno le aveva offerto un ruolo, finché Jermaine o Tito si erano ricordati che era la collaboratrice stretta di Michael nonché una maga nel suo lavoro per gestione dello staff e cura del suono, e le avevano fatto una proposta, che lei aveva subito rifiutato.
Per motivi simili a quelli di Michael, preferiva tenersi alla larga da Joe.
Sin da quando era bambina le faceva paura, anche se non aveva mai subìto violenza fisica da lui direttamente, ma il terrore nei suoi confronti che vedeva come un riverbero sempre presente negli occhi di Michael la toccava nel profondo, e piuttosto che rischiare di provare astio nei suoi confronti per quello che aveva fatto al proprio amico, preferiva non vederlo se non a certi ritrovi famigliari ad Haveyrus, dai quali non era mai esclusa. Dopotutto, era amica stretta di quella famiglia da quasi tutta la sua vita.
Michael le raccontò ogni cosa: la bellezza nel ritrovarsi, le battute, la difficoltà a sopportare certi vecchi loro difetti che scaturivano, le discussioni riguardo la scaletta e riguardo le proprie insistenze nel voler cantare una o due delle proprie canzoni da solo.
- Hai ragione tu - commentò Jackie - Sarebbe ipocrita e deludente per il pubblico non inserire uno o due pezzi di Thriller, soprattutto dopo il successo che ha avuto. Sarebbe davvero fuori luogo. Perché sono così restii verso questa decisione?
- Perché non sopportano che io abbia avuto tutto questo successo - rispose Michael con tranquillità. - Soprattutto Jermaine. Sono venuto a sapere che alla Motown ha raccontato delle cose assurde sul mio conto, tutte dicerie con l’unico scopo di far rivalutare la propria immagine come colui senza il quale non avrei potuto arrivare dove sono arrivato.
Jackie sorrise amaramente.
- E’ sempre stato così. Lo sapevi prima di accettare.
- Si, ma non riesco a dire di no a mia mamma. Ci tiene così tanto a questi concerti. Ha comprato tutti i biglietti in prima fila per sè, Rebbie, LaToya e Janet per ogni serata.
- Ma dai?
- Ha anche comprato un camper per seguirci con più facilità.
- Katherine è fantastica. Ha una forza sovrumana.
- Lo so, la amo.
- Anch’io.
- Tu invece che stai facendo?
- Di lavoro intendi?
- Si.
- Dunque, il mese prossimo sono in studio a registrare una canzone con Freddie, mi occupo della post-produzione.
- Oh - esclamò ammirato. - Da dove è nata questa cosa?
- In breve, ci siamo incontrati e abbiamo scritto una musica da cui estrarrà una canzone. Fine.
- Sei magica Jackie.
- Ahaha
- Però mi stai tradendo.
- Scemo.
- E poi? In questo periodo prima della registrazione?
- Dopodomani parto e vado in vacanza con Thomas, facciamo un viaggio.
- Ah, dove?
- Caraibi.
- Oh. Quindi siete proprio fidanzati fidanzati?
- Non lo avevi ancora capito? - lo prese in giro lei, anche se avvertiva una certa rigidità nell’aria. Era così strano parlare a Michael del suo fidanzato.
Si diede della stupida e scrollò le spalle cercando di scacciare quella sensazione che riteneva infantile e inutile.
- Certo che lo avevo capito. Me l’hai detto.
- Si. Tu invece? Qualche ragazza al momento?
- Sto uscendo con Brooke Shields. E’ carina. Ci divertiamo un sacco.
- E’ la tua ragazza?
- Non la definirei tale. Ma invece vorrei sapere come va con Thomas.
- Cosa vuoi sapere? - Divenne rossissima, e ciò lo incuriosì a dismisura.
- Non so, sembra che tu abbia qualcosa da raccontarmi. - scherzò, fingendo un’espressione maliziosa.
Voleva metterla ulteriormente in imbarazzo, ma quando vide che lei non sembrava scherzare troppo, il suo sorriso si smorzò.
- Jackie?
- Effettivamente, in confidenza, posso raccontarti che io e Thomas abbiamo raggiunto una certa.. Intimità.
Fu il turno di Michael di arrossire.
Jackie lo vide cambiare colore repentinamente e si preoccupò improvvisamente.
- Oddio, cosa ho detto? Ho sbagliato?
- Jackie, cosa mi vieni a dire? - strillò lui, mettendosi le mani sul volto.
- Pensavo che mi chiedessi questo!
- Parli come una donna dell’ottocento.
Lei si indignò.
- E come vuoi che te lo dica? Non so come parli di certe cose con i tuoi confidenti maschi! Non so… Ti dico direttamente che io e Thomas abbiamo fatto sesso?
- Tu e Thomas avete fatto sesso? - Tutto il colore accumulato di Michael svanì come vaporizzato.
Jackie rimase senza parole.
- Beh… Si?
- Si o no? - le chiese aggressivamente, gli occhi sbarrati dallo stupore.
- Si! - urlò lei in risposta. Cosa stava succedendo?
Michael la guardò qualche secondo in silenzio, sbalordito. Poi aggrottò le sopracciglia e la guardò arrabbiato.
- Non posso crederci!
- Come prego?
- Credevo fossi una persona seria.
- Come prego? - ripetè lei, sempre più incredula.
- Beh, le tue precedenti convinzioni erano di aspettare il matrimonio per certe cose. E ora guardati, ti sei data al primo che passa.
Lei boccheggiò un attimo prima di rispondere.
Aveva la sensazione che quello di fronte a lei fosse la versione infantile e capricciosa del suo migliore amico.
Maledizione, perché ogni tanto diventava così insopportabile? E senza motivo poi!
Si alzò, arrabbiata.
- Innanzitutto lui non è il primo che passa, ma siamo fidanzati da quasi un anno. Secondo, ho aspettato più che a sufficienza, il che dimostra che non prendo certe cose alla leggera, come dovresti sapere. E terzo, non ti devi permettere di darmi della poco di buono per delle decisioni private che riguardano solo me. Chiaro?
Michael la fissò senza parlare. Il suo sguardo era arrabbiato, ma il rossore andò aumentando, segno probabilmente che si stava rendendo conto che aveva sbagliato.
Tuttavia Jackie sapeva che, in quel preciso momento, non l’avrebbe ammesso e tanto meno le avrebbe chiesto scusa.
- Era la tua prima volta - disse lui dopo un pò, con voce seria e contenuta.
- E quindi ?
Lui non riusciva a immaginarsi Jackie persona nell’estasi del sesso fra le braccia di.. Thomas.
E poi perché se lo stava immaginando?
- Dovevi darle più importanza. E invece non l’hai fatto.
Dopo quell’uscita, non aveva senso continuare a discutere.
Si girò, prese la borsa e si preparò a uscire.
- Non capisco perché a volte devi comportarti così male. Me ne vado. Buona domenica.
- Jackie!
Non lo aspettò. Non si voltò. Ora si era innervosita.
Scese le scale di fretta ed ebbe appena il tempo si salutare Katherine per poi dileguarsi.
Arrivò a casa con un diavolo per capello.
Non aveva mai guidato così male in vita sua.

Guardò l’auto che lui le aveva regalato mesi prima uscire quasi sgommando dal vialetto di ghiaia.
Riconosceva di essersi comportato male, ma c’era qualcosa di tutta quella situazione che non lo convinceva affatto.
Si risedette sul letto a pensare.
Lui conosceva il sesso, ed era orribile.
Ricordava le orgie dionisiache a cui aveva assistito, e mai partecipato, allo Studio 54. La visione di certe scene in giovane età avrebbe rovinato la libido di chiunque per tutta la vita.
E lui vi aveva assistito, quasi ogni sera per diversi mesi, in compagnia di Woody Allen con cui, di fronte all’ardore di sconosciuti nudi che li accerchiavano, intraprendeva impegnati discorsi fra gli argomenti più svariati.
Quell’esperienza aveva cambiato la sua visione in molti ambiti della vita, soprattutto sul sesso.
Il sesso era inutile. Fine a sè stesso, non aveva alcun senso.
Non per lui, da cui il piacere scaturiva nel manifestare la sua arte e la sua musica.
Ovviamente aveva impulsi sessuali, faceva pensieri e non disdegnava la visione di qualche giornaletto o romanzo un pò spinto.
Ma non avrebbe potuto ‘sprecare’ la propria prima volta in un sesso senza motivo.
E la motivazione gliela avrebbe data l’amore.
Il fare l’amore era ciò a cui lui bramava.
L’elevare un semplice atto carnale a qualcosa di magico e unico, in cui perdersi non solo con i sensi del corpo, ma con l’anima intera.
E non aveva ancora trovato la persona giusta con cui conoscere quest’estasi.
Voleva che la prima volta fosse anche quella in cui avrebbe raggiunto uno stato superiore dei sensi. Era chiedere troppo?
Pensava, o meglio, aveva dato per scontato che Jackie avesse come propria questa visione.
Evidentemente si era sbagliato.
Lei aveva usato il proprio corpo come un oggetto di piacere, magari credendo che fosse la cosa giusta, e l’aveva fatto con un uomo qualunque.
Rattristato, arrabbiato, infastidito al massimo, si alzò e andò in bagno dove, all’interno di alcune boccette, lo attendevano le soluzioni ai suoi problemi.

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Capitolo 71
*** Capitolo 71 ***


Ogni tentativo fallito è un passo avanti.


Jackie voleva amare Thomas.
Lo adorava e pensava che fosse una persona fantastica. Lo era, davvero. Era pieno di qualità e nessuno più di lui meritava di essere amato.
Semplicemente, Jackie non ci riusciva. Non totalmente almeno. E questo la faceva star male.
Solo il suo buonsenso le aveva impedito di dare ragione a Michael, di non consolarlo quando si era mostrato infastidito da questa sua relazione.
Dopotutto doveva farci l’abitudine, quello era un comportamento infantile da bambino e doveva farselo passare, dannazione.
Ma quella sensazione che sentiva in fondo al cuore, quel rammarico, quella minima e impercettibile volontà di uscire a andare da lui, a dirgli che in realtà Thomas non lo amava, o forse sì, non riusciva a spiegarsela.
Jackie era una persona orribile, in realtà, per quanto fosse veramente meravigliosa.
E lo pensava quasi in ogni momento, anche quando non avrebbe dovuto farlo.
Lo pensava mentre percorreva a grandi bracciate il rivo lungo le coste caraibiche, lo pensava mentre assaporava i cocktail alla menta offerti dal bar, lo pensava le notti quando Thomas le insegnava ad essere una vera donna.
Lo pensava fin troppo spesso e si sentiva orribile.

Ma chi si credeva di essere Michael per giudicare in quel modo odioso le proprie scelte? Nemmeno che fosse stato suo padre o il suo tutore!
La verità, probabilmente, è che Michael era invidioso. Invidioso che lei potesse avere una relazione normale, cosa che invece a lui risultava molto difficile, data la sua celebrità.
Beh, c’era da dire che anche lui stesso era di gusti molto, molto difficili.
Avrebbe dovuto lasciarsi andare un pò di più. Jackie sapeva che tutte le donne che aveva provato a frequentare, e che ovviamente si erano follemente innamorate di lui, anche nel profondo, oltre la celebrità, ecco, lui le aveva allontanate dopo poco. Così, senza una spiegazione razionale.
‘Non mi amava davvero’.
‘Mi stava troppo addosso’.
‘Chiunque avrebbe capito che era solo interessata ai miei soldi’.
E come se non bastasse a lei toccava pure dispiacersi nel vedere il suo amico non raggiungere la felicità che vorrebbe e che si meriterebbe.

Litigare in malo modo scatena energie negative che, in una persona non totalmente equilibrata e centrata in sé stessa, portano a prendere decisioni sbagliate.
O decisioni e basta.
Michael aveva preso la propria, e credeva che fosse una mossa intelligente. Almeno per quel momento.
Fino ad allora e fino a prova contraria Di Leo aveva dimostrato di saperlo apprezzare ed appoggiare in tutto, anche in quei momenti in cui Michael si trovava a discutere con Quincy durante il lavoro, cosa che in mezzo a un progetto capitava di sovente.
Dopo Thriller però, Michael si sentiva perfettamente in grado di replicare l’opera e migliorarla, e voleva manifestare tutta la sua creatività, non aveva sempre bisogno della balia, e Q a volte lo frenava.
Con DiLeo però, sentiva di averci azzeccato.
Aveva un’espressione sicura, quell’uomo già corpulento per la sua età, con il sigaro in bocca, come se fosse già stato sicuro della proposta dell’artista.
Aveva accettato con pigro entusiasmo, e avevano parlato del più e del meno.
La sua decisione sbagliata, pensò Michael, era aver pensato agli affari a casa propria, in quella che doveva esserlo, e che invece assomigliava di più a una prigione per galline invidiose.
I suoi fratelli, chi più chi meno, ma più di tutti Jermaine, aveva girato in tondo al luogo dove Michael stava parlando con il suo nuovo produttore, come degli squali attorno alla preda. Per un pò aveva finto di ignorarli, ma poi la loro presenza mal celata era diventata insostenibile. DiLeo se ne accorse, e più volte lanciò a Michael uno sguardo di accondiscendenza.
Finché, in nome della buona educazione, l’artista non si vide costretto a scusarsi.
- Mi spiace - disse passandosi una mano fra i capelli - Non so come rispondere alle loro azioni. Sono sempre stati così.
DiLeo fece un gesto noncurante con la mano.
- Non preoccuparti, tu non c’entri - si versò un’altro pò di liquore nel bicchiere di cristallo - Non dev’essere facile, essere il migliore dico, quando si hanno dei parenti invidiosi. - Sorseggiò la bevanda, e gli lanciò un lungo sguardo comprensivo. - Se mi permetti, visto che conosco queste situazioni, vorrei darti un consiglio: stai alla larga da loro. Gli affari stanno da una parte, la famiglia dall’altra.
Michael si morse il labbro, sollevando le sopracciglia.
- In realtà ho appena firmato un contratto - disse imbarazzato - Parteciperò al Victory Tour insieme a loro.
- Va bene, non è così grave. Dopotutto, da contratto, i nostri affari inizieranno appena dopo. Non ricapiterà più una cosa del genere. Devi staccare il cordone ombelicale, o ti faranno affondare.
- Sono comunque i miei fratelli, la mia famiglia. Mia madre ci ha insegnato i valori importanti della vita.
Frank scosse la testa, come se non ci credesse.
- Fidati Michael, ti ricrederai.
Come per magia, dall’altra stanza arrivò Jermaine.
Jermaine.
Era sempre stato la sua guida sin da piccolo, ma con il tempo l’invidia l’aveva reso quasi meschino nei suoi confronti.
Michael si era reso conto da tempo di non potersi più fidare di lui, ma il rammarico e la tristezza, e anche la pressione della mamma, lo avevano bloccato a lungo.
Jermaine diventava sempre più simile a un leone vicino alla preda.
- Salve Frank! - salutò il manager. - Parlate d’affari? Abbiamo delle cose da discutere allora!
E si sedette e cominciò a gestire la conversazione in modo, si capiva benissimo, da poterne trarne qualche accordo.
Una vera faccia tosta.
Fortunatamente assistette relativamente poco a quella scena, poiché Frank decise di andarsene quanto prima.
Salutò Michael come se fosse l’unica cosa importante di quella casa, gli fece l’occhiolino, e sparì.
- Dì un pò Mike - gli disse Jermaine, mettendogli un braccio sulle spalle - Ma gli hai parlato male di me? Non sembro stargli tanto simpatico.
Aveva il tono di uno che scherza, ma Michael sapeva che c’era un filo di serietà dietro quelle parole. E anche di invidia.
- Figurati, parliamo solo d’affari, com’è giusto che sia. Magari era semplicemente stanco.
Sorrise al fratello, ma si ripromise mentalmente di non invitare più Frank a Encino.
Jermaine lo guardò sospettoso e se ne andò senza aggiungere altro.
Michael sospirò e andò nella sala da pranzo. Era quasi ora di cena.
Katherine era seduta su una poltrona vicino al muro, con una rivista. Sollevò lo sguardo su di lui e gli sorrise.
Michael si avvicinò e l’abbracciò.
Lei era l’unico motivo per cui continuava ad abitare in quella casa, sebbene i viaggi e le notti trascorse negli hotel andassero aumentando.
- Sai che Jermaine non lo fa con cattiveria - disse Katherine con voce conciliante.
Michael annuì, ma aveva qualche dubbio. Non avrebbe comunque mai contraddetto sua madre.
- Ha solo nostalgia dei tempi passati, e vuole che ritorniate ad essere una squadra al completo.
- Per la mia carriera è meglio così. Io mi trovo meglio così e non potrei mai tornare indietro. Però ci sarò sempre per Jermaine e per questa famiglia, se è di questo che hai paura…
- Non ho paura. Mi fido di te, Michael. E’ solo che penso che Jermaine abbia bisogno del tuo aiuto, ma senza che lo venga troppo a sapere.
Lui sbuffò, e non rispose. Sentiva delle responsabilità, ma non sapeva esattamente quali fossero.
Non riusciva a pensare lucidamente, sapeva solo che c’era qualcosa che non andava.
- A proposito - la voce di Katherine lo ridestò dai suoi pensieri - Ho invitato a cena alcuni amici.
- Bene - rispose, pensando che non ci fosse nulla di straordinario.
La casa era sempre piena di persone, fra amici, fidanzate, comparse.
- Viene anche Jackie.
Lui la guardò con tanto d’occhi. Katherine sostenne il suo sguardo.
- So che avete litigato, anche se non ho capito il motivo. Ma pensi di risolvere i problemi non parlandone ? Questo non è proprio da te. Così l’ho invitata.
- E lei ha accettato?
- Certo, ne era felice. Perché non avrebbe dovuto?
Michael sbuffò.
- Vuoi spiegarmi cosa è successo?
- E’ una cosa abbastanza stupida. - Si sedette accanto a lei e si passò più volte le mani arrossate sulla faccia. Si sentiva bollente e sapeva di assomigliare a un peperone. Ma non era imbarazzo, quanto vergogna. Sapeva che aveva creato una discussione su qualcosa in cui lui non c’entrava nulla. E si sentiva un pò idiota ad averlo fatto.
- Semplicemente mi stava raccontando della sua relazione, mi è detto una cosa sua, privata, e io mi sono arrabbiato e l’ho… L’ho sgridata.
- Sgridata? Come sgridata?
- Mi sono arrabbiato e le ho detto che secondo me aveva sbagliato ad agire come ha fatto, semplicemente perché la penso in modo diverso.
- Ma è una cosa grave?
- No, assolutamente.
- E allora perché ti sei arrabbiato? E perché l’hai sgridata?
- Non lo so. Le ho detto che non avrebbe dovuto farlo, in realtà non avevo nessun motivo per dirglielo, soprattutto in quel modo. L’ho aggredita e le ho dato della poco di buono.
- Oh cielo Michael, non è proprio da te. Cosa ha fatto Jackie di così grave?
- E’ una cosa privata - esitò - Che sia una confidenza, ha semplicemente avuto un rapporto sessuale con lui.
Katherine sbattè le palpebre per alcuni secondi prima di rispondere. Chiuse la rivista e appoggiò le braccia in grembo in una posa di fermezza.
- C’è altro?
- No, tutto qui.
- Mi stai dicendo che ti sei arrabbiato per questo? L’hai aggredita perché è andata a letto con il suo fidanzato?
- Non sono fidanzati, stanno insieme. E’ diverso.
- Michael, c’è qualcosa che vuoi dirmi?
- No, in che senso?
- Nel senso che non è normale che ti arrabbi per una cosa del genere. Lei è la tua migliore amica, praticamente tua sorella. Capisco che sei molto protettivo nei suoi confronti, ma al massimo avresti dovuto aggredire lui, non lei.
- E’ vero. Lo so che non ha senso. Ho sbagliato e non so perché. Mi sono comportato come un bambino.
- Beh, stasera avrai l’occasione l’obbligo di scusarti, e dopo dovremmo parlare di questo.
- Cioè?
- Vorrei capire perché ti sei arrabbiato così tanto.
Michael si morse il labbro. L’argomento gli dava un senso di fastidio nella pancia. Non era sicuro di voler sapere il motivo.

Quella sera c’erano più ospiti di quanti pensasse, e sebbene lo salutassero tutti, lui non riusciva a prestare esattamente attenzione a nessuno, e si sentiva in colpa per questo.
Era un ottimo ospite solitamente, ma era così concentrato sul pensiero di Jackie che non riusciva a pensare ad altro.
Per tutto il tempo, e soprattutto quando erano cominciato ad affluire i vari amici, Jermaine lo aveva punzecchiato per la questione del nuovo manager, e ignorarlo stava diventando davvero insopportabile.
Si capiva chiaramente che il fratello era geloso, ma questo non sembrava rallentare la sua volontà di infastidirlo.
Forse sperava di ottenere qualche raccomandazione, non lo sapeva.
- Cominciate ad accomodarvi - esclamò Katherine, facendo perfettamente gli onori di casa - La cena sta per essere servita.
Jackie non c’era ancora, e non sapeva se aspettarla nell’atrio o seguire tutti gli altri.
Janet lo prese a braccetto e lo condusse al suo posto, decidendo per lui.
- Fratellone, hai una faccia imbronciata, sembra che tu sia stato appena investito da un camion. Sorridi.
Rise, pensando con divertimento che davvero non doveva sembrare che gli fosse successo altro, visto che era la seconda volta in qualche giorno che qualcuno gli faceva la medesima osservazione.
Venne distratto da quelle moine e dai giochi di Janet e LaToya e non si accorse dell’arrivo di Jackie finché Katherine non la fece sedere al proprio posto, in diagonale rispetto a lui.
Appena la vide spalancò gli occhi. Lei incrociò il suo sguardo ma lo spostò subito e si mise a conversare con Tito che le stava affianco.
Ciò gli spezzò il cuore. Era ancora arrabbiata.
- Ciao Jackie. - disse comunque.
Gli rispose lanciandogli un breve sguardo che non lasciava modo di continuare la conversazione.
- Ciao Mike.
La cena iniziò e non si parlarono mai. Ogni tanto lui provava a guardarla, ma lei non lo degnava di alcuna attenzione, e ciò lo faceva sentire davvero combattuto e affranto.
Percepiva lo sguardo di Katherine su di sé, ma non alzò mai gli occhi su di lei. Non si sentiva più in vena di chiacchierare, né di mangiare.
Giocherellò con il cibo, pensando a come risolvere quella situazione, finché una voce disturbò i suoi ragionamenti.
- Sapete che Michael ha un nuovo manager? - annunciò a tutti Jermaine.
Trasalì. Quelli erano affari, cose private. Non era un argomento di cui parlare a tavola con chiunque.
Jackie si girò verso di lui, sorpresa.
Si stava chiedendo chi fosse.
Dall’altro capo del tavolo, suo padre Joseph lo fissava come se volesse trapassarlo. Non si era ancora abituato al fatto che la sua miniera d’oro potesse decidere per sè stesso senza consultare il padre di famiglia.
- Davvero?
- Perché non ci racconti di cosa avete parlato?
- Già!
- Non sembra il caso - cercò di capire il discorso Michael - E’ una faccenda di lavoro abbastanza noiosa.
- Dai!
- Caro, se non ne vuole parlare non importa - lo difese Katherine con voce pacata.
- Almeno dicci come si chiama! - provò Janet, già coinvolta.
- Frank DiLeo - rispose Jermaine al suo posto.
- E che contratto avete fatto? - chiese ancora Janet, e a Michael ricordò un gattino che fa un agguato a una cavalletta.
- Non è un argomento di cui discutere a cena.
Non è un argomento di cui discutere proprio! pensò Michael. Preferiva evitare di parlare di soldi con i suoi famigliari. Non avevano le sue stesse priorità e spesso si finiva per litigare.
- Hai problemi a parlarne con noi? - lo aggredì Jermaine, e Joseph annuì.
- No, è che…
- Non si dovrebbero avere segreti in famiglia!
- Jermaine ha ragione!
- Hai qualcosa da nasconderci Michael?
- Secondo me non c’è proprio nulla di cui parlare. - disse una voce che fino ad allora era rimasta in silenzio. Jackie.
Michael la fissò con occhi sbarrati.
Jermaine le andò subito addosso.
- Eccola, la solita amichetta che lo difende.
- Io non difendo proprio nessuno - gli rispose lei a tono. - Stai creando un castello su qualcosa che non esiste.
- Non mi sembra di parlare di qualcosa che non esiste.
- Di certo non sono fatti tuoi.
- Certo che lo sono, in famiglia.
- Allora perché non ci racconti prima ciò che riguarda te e il tuo lavoro, visto che siamo in famiglia?
Jermaine si zittì, ma Jackie continuò imperterrita.
- Per esempio, l’altro giorno sono passata negli studi della Motown. Ti ho sentito parlare di un…
- Zitta! - Jermaine quasi le andò addosso fisicamente per tapparle la bocca.
Jackie si zittì ma rimase in piedi ad affrontarlo, il volto serio ma il corpo tranquillo.
Katherine aggrottò un sopracciglio quando Jermaine le lanciò uno sguardo terrorizzato.
Tutti stavano a guardare ammutoliti.
Jermaine fece un passo indietro, strofinò le mani sui propri fianchi.
- Beh, non importa. Continuiamo a mangiare. - E si risedette, e dopo di lui Jackie.
Rimasero tutti in silenzio per un pò, a smaltire l’imbarazzo, poi piano piano si ristabilì la calma e qualcuno riprese la conversazione, stavolta su temi un pò più consueti.
Michael guardò per un pò il proprio piatto, incredulo, poi guardò Jackie.
I suoi occhi brillavano di gratitudine e meraviglia.
Era fantastica, semplicemente.

 
— — —



E, semplicemente, quella conversazione non si concluse lì.
Jermaine aveva davvero dei motivi seri per non volere che Jackie parlasse.
Quella ragazza era fastidiosa: si era fatta un largo giro di conoscenze nell’ambiente musicale. Era brava: molti chiedevano il suo parere professionale su vari progetti, e lei girava spesso fra uno studio e l’altro, creando contratti temporanei dov’era richiesta, in questo modo si faceva un nome e un portafogli.
Uno dei suoi ambienti abituali era la Motown, a cui Jackie non si era mai del tutto distaccata.
Il suo lavoro principale era insieme a Michael e a Quincy Jones, ma il suo nome e il suo tocco artistico comparivano anche in alcuni album di successo della vecchia casa discografica.
Durante uno dei suoi giri, Jackie era venuta a sapere che Jermaine stava pensando di lasciare la Motown e firmare un altro contratto, ma non sapeva quale.
- E’ invidioso - aveva detto a Michael quella sera, quando riuscirono a parlare tranquilli - Ti imita qualunque cosa tu faccia, dallo stile al modo di muoverti. Il videoclip che voleva girare ha una scenografia che è un misto fra beat it e thriller, quasi identico, te lo giuro.
- E lo faranno? Produrranno il videoclip in questo modo?
- No, il suo produttore, me l’ha detto di fronte a un caffè perché sto collaborando con lui, gli ha detto che è troppo simile a dei video recenti perché si possano fare in quel modo. Ovviamente si stava riferendo ai tuoi. Me l’ha fatto intendere, ma ha detto che non ha avuto il coraggio di dirlo palesemente a Jermaine, anche se è chiaro come l’acqua.
- Quindi è per questo che vuole lasciare la Motown?
- Beh, no. L’altro motivo di cui sono venuta a conoscenza sono i soldi, ovviamente. Ma sai come si dice: chi troppo vuole, nulla ottiene. Francamente penso che Jermaine punti a eguagliarti, a superarti, e per farlo cerca di imitare il tuo stile, che reputa vincente, per mettervi sullo stesso piano, dove ovviamente si sente superiore a te. Scusa ma questo è il mio pensiero, e la scenata di stasera mi fa supporre che io abbia ragione.
- Potresti avere sicuramente ragione - le sorrise lui, dissetando la sua modestia - E potresti stare convincendo anche me, ma non posso permettermi di pensare certe cose di lui. E’ mio fratello, e devo pensare al suo bene. L’idea che lui abbia queste intenzioni nei miei confronti, queste idee… E’ davvero triste.
- Lo capisco - annuì Jackie, fissandolo - Ma prima o poi dovrai fare i conti con la realtà Michael, o verrai soffocato da questa cosa e ne subirai le conseguenze.
Lui ridacchiò, poi sorrise meravigliato, fra sè.
Era incredibile: non si erano parlati per giorni per causa propria, per una sciocchezza, e senza che ci fosse stato bisogno di dire alcunché, nel momento del bisogno, Jackie era giunta al suo soccorso e non solo, ora stavano parlando di qualcosa che riguardava solo lui e lei pensava prettamente a consigliarlo. Non aveva tirato fuori il discorso della loro litigata e non sembrava intenzionata a farlo.
A differenza sua.
- Voglio chiederti scusa per la nostra ultima discussione - Le disse, sedendosi di fronte a lei, abbandonando il bicchiere di limonata fra di loro. Lei lo fissò, senza espressione. Lui deglutì. - Sono stato meschino e non ce n’era motivo.
- Pensi davvero quelle cose?
Deglutì di nuovo.
- No.
- Non mentirmi. Capisco quando lo fai.
La guardò in imbarazzo. Era davvero seria.
Non mentiva, non sentiva di aver mentito, ma sapeva di non stare dicendo tutta la verità. Una verità che non capiva totalmente. Cercò le parole con velocità, sentiva la testa implodere per cercare una spiegazione che non sapeva dare. Un fastidio difficile da accettare.
- L’errore è sempre mio - disse infine - Davo per scontato che tu avessi pareri simili ai miei per quanto riguarda certi argomenti. Ma non abbiamo avuto gli stessi trascorsi e ho dato per scontato questa cosa, mi dispiace.
- Tu pensi che io sia una facile ?
- No.
- Perché hai questa difficoltà nel dirlo? Sembra che tu stia mentendo.
- Non sto mentendo!
- E allora che c’è?
- Non lo so! Mi dà fastidio questa situazione!
- Che vuol dire?
- Non lo so… Io non penso che tu sia una facile. Cazzo, ovviamente non lo sei. Ti conosco da sempre, non dovevo dirti quelle cose, è stato un momento di … Rabbia. Paranoia. Non lo so. E’ che mi aspettavo che tu ti sposassi prima di dare per scontato che tu non fossi più… Sai…
- Ma Michael! A te cosa dovrebbe importare? - si coprì il viso con le mani, imbarazzata. Con fatica le uscirono le ultime parole.
- Nulla! Beh, non proprio. Insomma, siamo molto intimi anche noi. Ma … con Thomas? E perché adesso? Ora? Cos’ha di speciale questo momento? Cioè.. Non capisco perché tu l’abbia fatto. Non posso pensare che tu l’abbia fatto solo perché hai l’occasione, hai il tuo uomo e allora l’hai fatto, così, tanto per fare, e non mi va giù che tu l’abbia fatto con.. Thomas. Perché Thomas?
Michael era troppo confuso e troppo perso nel cercare di capire i suoi stessi pensieri per rendersi conto che la risposta alle sue elucubrazioni stava nel vedere l’insieme. Era un dettaglio lampante, che nemmeno Jackie notò.
Forse solo per un secondo un barlume di consapevolezza, un allarme, una luce arancione, una spilla nel cuore la sfiorarono, poi spinti via dal contenuto di quelle frasi, che le suscitarono nuovi dubbi.
Già, perché l’aveva fatto?
Beh, ovviamente si era creata l’occasione. Thomas era molto bravo a crearne, lei era ancora un pò pudica.
Anzi, ora che ci pensava, era proprio una bambina.
Una bambina stupida, si definì.
Insomma, lei era una persona divertente, a cui piaceva divertirsi, e coinvolgeva Thomas nelle attività che più la soddisfacevano, con naturalezza ed entusiasmo. Il sesso? Si, ci pensava ma… Non era urgente?
Realizzò che non le era mai venuta l’idea di fare sesso con Thomas, finché non gliela propose lui stesso.
Pensò che non aveva capito nulla dalle relazioni.
E nel mentre rimuginava sul come essere una persona migliore e comportarsi da adulta, meditò sulla seconda frase di Michael. Perché proprio Thomas.
Già, perché?
Beh, perché era simpatico, bello, intelligente, si era affezionata a lui e lo apprezzava come persona.
Cosa non andava?
Cercò di vedere la situazione dal punto di vista di Michael, una visione che anche lei aveva sempre condiviso.
Alla base di una relazione romantica c’era l’amore. Era di quello che parlavano molte delle canzoni che lei stessa scriveva.
L’amore che lei non provava per Thomas e che voleva dannatamente sentire.
- Forse ho capito cosa intendi - soffiò, e Michael trasalì, poiché si era perso nei pensieri anche lui.
- Ah si?
- Forse, ma ho bisogno di rifletterci sopra. - Lo guardò, i suoi occhi sembravano quelli di un cerbiatto e scintillavano nel buio - Mi fa piacere che tu ti sia scusato, e ti perdono. Ma la prossima volta, quando non ti è chiara la situazione, chiedi e dammi fiducia prima di sbraitare come una cameriera inferocita.
- Va bene, hai ragione - rise lui, sollevato. Il peso di quei giorni sembrò non essere mai esistito. - Me lo merito.
- Bene - anche lei si sentiva sollevata, si stiracchiò e ritornò seria. - Ora possiamo parlare davvero.
- Di cosa?
Jackie blocca Michael con uno sguardo, e lui suda perché capisce.
Allora lei gli chiede di parlare.
- Non devi dirmi nulla?
- Riguardo a cosa scusa? - chiese improvvisamente brusco ed evasivo.
- Michael, guarda che me ne sono accorta. - Si alza e si avvicina a lui con sicurezza e determinazione. - Non serve che fa finta di nulla, non con me.
Detto questo gli appoggia le nocche della mano sul petto, nel punto esatto dove lui le aveva mostrato le prime macchie di vitiligine. E lui capisce.
La guarda arrabbiato.
- Non c’è niente da dire. - risponde, ma non si scosta. Non l’avrebbe mai fatto. Non con lei, appunto.
Lei non smette di guardarlo, e i suoi occhi si fanno più dolci, ma anche più tristi.
- Ti ricordi Michael?
- Cosa?
- Ci siamo promessi, un po’ di tempo fa, che ci saremmo detti tutto. O meglio, tutto quello che volevamo, e che fra noi non ci sarebbero stati segreti. Io non ho segreti con te. E non voglio costringerti a dirmi ciò che non vuoi rivelare, ma so che c’è qualcosa che ti fa soffrire, e in questo caso non voglio che te lo tieni per te.
Lui la guarda respirando forte, colpito e affondato, perché non poteva davvero nasconderle nulla. E in cuor suo sentiva che aveva voglia di confidarsi, ma non riusciva comunque a tollerare l’umiliazione che ne sarebbe scaturita.
- Non è niente. - tenta ancora, ma viene fermato dallo smeraldo dei suoi occhi, che nelle occasione giuste sapeva farsi davvero brillante.
- Smally, sono preoccupata. - gli dice. - Ti prego.
Lui nega col capo e allora lei lo abbraccia improvvisamente. Lui deglutisce, perché stare zitto ora sta diventando davvero difficile.
- C’entra questo vero? - chiede ancora lei, rimettendo la mano nel punto di prima. Sente il suo cuore farsi più vivace nel suo petto, e il respiro più profondo.
- Ormai non più, purtroppo. Non solo.
Lei si stacca e lo guarda seriamente.
- Che vuoi dire?
- .. Che sono pieno di malattie Jackie. - risponde lugubre.
Un mattone sembrò posarsi sullo stomaco di lei. Le bloccò la respirazione e tutto quanto, e credette per un attimo si trattasse di uno scherzo malsano. Ma quegli occhi, no, quegli occhi a lei così familiari erano troppo seri e sofferenti per tramare qualche bravata.
Quegli occhi dicevano il vero.
- C-Che cosa significa?
Michael deglutì, chiuse gli occhi e abbassò il capo, respirando con fatica.
Sembrò stesse raccogliendo tutta la sua volontà per riuscire a parlarle.
Infine scosse il capo.
- Sono terribilmente malato. - mormorò con voce rotta dal pianto. - E non c’è.. Non c’è alcuna cura.
Lei lo afferrò per le braccia e lo costrinse a guardarla, fissandolo gravemente.  
- Devi spiegarmi, per favore.
Lui la afferrò a sua volta e la mise seduta di fronte a sé, raccogliendo le mani per parlare. Sospirò.
- Sono stato dal dottor Blank due settimane fa per il controllo di routine della pelle. - deglutì, gli occhi divennero lucidi di pianto trattenuto, a Jackie si spezzò il cuore nel vederlo così. - La vitiligine è un insieme di cose, e quella che ho ha un decorso degenerativo per cui non esiste una cura. E’ impossibile determinare fin dove si estenderà e per quanto. Inoltre, è aggravata da una malattia, il lupus, che mi hanno appena diagnosticato.
- Non la conosco.
- E’ una malattia del metabolismo, che colpisce la pelle e ne aggrava le condizioni.
- E.. A cosa è dovuta?
- Non si sa, è una malattia che si conosce solo da vent’anni, molto rara. Non c’è alcuna cura.
Non indorò la pillola, non voleva che quel momento durasse più di quel che bastava per metterla al corrente di tutto e poi continuare a vivere come se nulla fosse, come se potesse ancora svegliarsi la mattina e ridere di nulla. Perché lui nonostante tutto era fortunato, e non doveva dimenticarlo mai.

 
— — —


- Non c’è Michael con te oggi, tesoro?
- No, si sta preparando per andare alla CasaBlanca.
Q virò gli occhi al cielo.
- Non lo vedremo mai più, tra questo e le premiazioni non riusciremo mai a iniziare un nuovo album.
- C’è tempo per tutto Q - rispose Jackie, sorridendo. - E non ti credere: è stato sveglio tutta la notte al pianoforte col registratore affianco. Secondo me è tempo di pochi giorni e ti porterà qualcosa. Un altro giorno ancora l’ho trovato a canticchiare col registratore mentre giocava a flipper.
Q rise.
- Stai sempre con lui per sapere tutte queste cose, Jackie?
Sorrise a metà. Da quando sapeva delle sue condizioni di salute, e della fatica che faceva per non buttarsi giù di morale, Jackie aveva deciso di passare molto tempo più del solito con Michael, finché lui non aveva capito il gioco e l’aveva sgridata perché non voleva la sua compassione, e Jackie si era data una regolata. Aveva sbagliato ancora, e voleva comportarsi da adulta senza riuscirci.
Si era gettata nel lavoro e aveva scritto improvvisamente diversi pezzi.
Li aveva portati a Q per un parere, e ora doveva farglieli sentire.
Se ne sarebbe valsa la pena, ne avrebbe venduti i diritti dopo averli trasformati in canzoni vere e proprie. Era una cosa che stava facendo sempre più spesso.
- Io penso che tu abbia talento - le disse improvvisamente Q, e lei sbarrò gli occhi dalla sorpresa.
- Eh?
- Voglio dire, fai sempre un ottimo lavoro. Hai talento, come Michael, e anche una bella voce. Se lo volessi, potresti incidere un album ed essere tu la protagonista.
- Dici sul serio?
- Assolutamente. Io vorrei farti da produttore, penso che verrebbe fuori un bel lavoro.
- Uno, che bel complimento Q, ma non ti sembra di esagerare? Michael è un uomo di talento.
- Assolutamente, di lui se ne trovano uno su un milione. Ma anche tu non scherzi.
- Beh, ti ringrazio, ma non penso di volerlo mai fare. Ho visto i pro e contro che dà questa situazione, e pensando alla vita, alla mia vita, non vorrei iniziare a percorrere questa strada. Sto benissimo facendo quello che faccio.
- Il tuo stile di vita cambierebbe drasticamente Jackie, ma in meglio, probabilmente.
- Non ti nascondo che l’idea di fare spettacolo, musica o anche altro, non mi dispiace. Anzi. Ma non me la sento. Non vorrei… Non so, diventare famosa. Mi va bene come sono ora.
- E hai ambizioni, dunque?
- Fare bene il mio lavoro. La cosa che più mi intriga è scrivere musica, oltre che editarla.
- Forse dovresti allora fare un piccolo cambio di prospettiva. Tu scrivi musica da anni, ma organizzi anche i suoni. Io credo che dovresti ora definirti compositrice, non fonica o produttrice.
Jackie sbatté le palpebre. Quando pensava alla parola ‘compositore’ la mente correva ad immagini moderne ma antiche, come Mozart al pianoforte, le dita candide e la parrucca dall’altezza estrema. Sostituì il volto dell’uomo con il proprio, e il risultato che riuscì a immaginare non fu ilare come ben si può pensare, ma melodico.
Si può sentire la musica solo pensando?
Il mezzo sorriso che le comparve sul volto rispose alla proposta di Q, che rise felice.
- Che mi dici di tuo padre? - le chiese, dopo un pò. - L’hai più sentito dopo che sei andata via di casa?
Jackie si stupì. Oggi Q era in vena di domande.
- No - rispose, apparentemente tranquilla. - Cioè, ho saputo che ha tentato di contattare Albert tramite un nostro fratellastro, una persona che io non ho mai conosciuto fra l’altro. Albert non ha voluto rispondere, ma forse è meglio così. Credo.
- Non ti manca?
- Quell’uomo violento e ubriacone? Assolutamente no!
- No scusa, mi sono espresso male. Intendevo… Ti manca la figura di un padre?
Jackie ci pensò un pò. Non era una bella domanda da porre, ma Q se lo poteva permettere. Avevano da molti anni superato questa soglia di confidenza. Anche se non capiva il tempismo di quelle domande.
- Forse sì, anzi, sicuramente mi è mancata quando ero una bambina. Lui non c’era come padre, non l’ho mai reputato tale, ha lasciato solo traumi e ricordi negativi. Adesso percepisco tutta l’amarezza che mi ha lasciato, ma non sento più il bisogno di avere un padre, se è questo che mi chiedi. Ho la mia famiglia in Italia, e mio nonno diciamo di comporta come il papà di tutti. E mi basta questo, sai?
Q fece un sorriso e uno sguardo strano, come pensieroso, e Jackie lo osservò.
Fece scorrere il liquido nella tazza ruotando il polso, con un movimento controllato ma la mente persa in chissà quali elucubrazioni. O forse stava solo soppesando quello che voleva dire.
- Sai, se avessi potuto, mi sarebbe piaciuto averti come figlia adottiva - le rivelò, il luccichio negli occhi nascosto dalle palpebre pesanti - Ora so che non è più tempo per certi discorsi, ma mi dispiace per quello che hai passato e, se avessi potuto, se ci fossimo conosciuti prima, ti avrei adottata volentieri - La guardò negli occhi. - Non è nessuna proposta, il tuo nome e cognome è già abbastanza lungo senza aggiungerci un ‘Jones’ - Risero. Jackie era commossa. - Ma vorrei, finché lo desidererai, che mi considerassi come qualcuno su cui fare affidamento. Perché mi sono affezionato, ti voglio bene e vorrei esserci per te.
Lei non gli rispose. Non a parole.
Q rise brevemente, un pò imbarazzato.
- Adoro quando sorridi così.

 
———



Jackie tornò a casa, allegra e spensierata, felice perché il giorno passato con Q le aveva fatto bene.
Si sentiva leggera, come se la propria anima avesse preso il volo. Non riusciva a smettere di sorridere. Eppure, non era successo niente di particolare.
Ridacchiando varcò l’uscio della propria abitazione.
- Sono a casa!
L’atmosfera che alleggiava nella stanza la paralizzò. Le luci erano soffuse, c’era profumo d’incenso, e sul divano erano state cambiate le federe dei cuscini. Sbattè le palpebre.
- Bentornata - Thomas spuntò dall’anticamera, vestito casualmente ma con una discreta eleganza. I suoi occhi scintillavano nel vederla, e Jackie sentì uno strano calore fiorirle nel cuore.
- Ho preparato la cena - disse lui, prendendole la giacca, mentre i vapori del cibo riempivano la stanza di aromi speziati.
- Thomas, è meraviglioso. C’è qualcosa da festeggiare?
- Chissà, mettiti al tavolo e raccontami com’è andata oggi.

Avrebbe voluto dirgli che era stata bene, che insieme si erano divertiti, ma che lo lasciava perché non vedeva un futuro per loro due.
Mentiva, ovviamente, ma non poteva dirlo a nessuno.
In realtà, forse avrebbe creato quella discussione, quella che ora stava prendendo forma solo nella sua testa, solo per aizzarlo un po’ e indurlo a desiderarla. Un gioco innocente, che si poteva ancora permettere di fare.
Scese dall’auto non appena questa si fermò nel parcheggio, senza attendere che i BG venissero a scortarla.
Alzò lo sguardo e gli sembrò di vederlo: la stava osservando nascosto dietro la tenda trasparente della camera d’hotel.

Le prese la mano e la accarezzò dolcemente.
Lei si pulì la bocca col tovagliolo con l’altra mano, dato che stava ancora mangiando. Ma lui sembrava avere una certa fretta. E una certa ansia. E si muoveva a scatti, come se avessero tutto il tempo del mondo ma, contemporaneamente, non ne avessero che una briciola.
Chissà qual era la verità, si chiese Jackie, pensando infine che non aveva importanza, poiché un momento durava esattamente quel che doveva durare, e se sarebbe stato destino che durasse per sempre, lei avrebbe fatto in modo di non dimenticarlo.
Eppure quando incontrò lo sguardo dell’uomo di fronte a sè, e vi lesse dentro tutto quanto, desiderò essere mille anni avanti, o mille indietro, per prepararsi ad affrontarlo. O forse perché era affrontabile solo come ricordo sbiadito dal tempo, e non come tempo presente.
Lui prese un respiro.
- C’è una cosa molto importante che voglio chiederti.

- C’è una cosa molto importante che devo dirti. - disse dopo averlo abbracciato stretto. Aveva fatto in modo che i loro corpi si stringessero nei punti giusti, ed era deliziosa la sensazione della lontananza fra loro, quando sapeva che stava per essere di nuovo riempita.
- Anch’io. - la anticipò lui, sorprendendola. - E voglio farlo ora, prima di continuare.
Le si formò un blocco in gola. Che situazione inaspettata.
Cercò di decifrare quello che lui aveva da dirle ma in quelle occasioni Michael diventava completamente impenetrabile. Le stava sorridendo in modo strano, quasi educato e distaccato, seppur gli occhi la guardassero con sincero affetto. Sbattè le palpebre, sentendosi infastidita.
- Sarebbe?
- Vuoi iniziare tu?
- Beh, sì… - Trasse un respiro.

- Sei la persona più importante della mia vita. Mi sono innamorato di te dalla prima volta che ci siamo parlati, quando sono venuto a prenderti in aeroporto. Sono estasiato da quello che mi fai provare ogni giorno, quando siamo insieme. E voglio sentirmi così per tutta la vita.

- Ci siamo divertiti insieme, Mike. E’ stato fantastico. Tu sei fantastico. Ma penso che dovremmo smettere di frequentarci. Ti voglio bene, e ti considero un caro amico, ma voglio trovare qualcuno per me, capisci? Qualcuno da sposarmi.

- Io ti amo Jaqueline, e voglio fare una famiglia con te. Vuoi sposarmi?

Michael e Jackie provarono pura sorpresa nello stesso momento.

Chiuse la bocca che gli si era aperta per lo stupore. Sbattè le palpebre, guardando Brooke e cercando di recuperare la parola. Avvertiva dentro di sè la fastidiosa sensazione di essere stato scaricato, ma essa venne rimpiazzata subito con qualcosa di rassicurante: la consapevolezza che lei non avrebbe sofferto. Già, dopotutto era andato a quell’incontro apposta perché voleva scaricarla lui stesso. Sorrise, e Brooke lo guardò con paura.
- Tesoro, volevo dirti la stessa cosa. - Lei spalancò gli occhi in un’espressione costernata, ma lui non volle notarlo. - Sono felice che anche tu la pensi così, e che possiamo restare amici. Sono molto sollevato.
Le prese le mani e le baciò le nocche, poi la abbracciò, non curandosi del fatto che lei si era ammutolita e irrigidita come un tronco d’albero.
Gli sembrò che la vita improvvisamente prendesse una piega più ordinata. Più giusta.

Non riuscì a chiudere la bocca. Non riuscì proprio a muoversi.
Gli ultimi secondi della sua vita erano stati un intervallarsi di emozioni contrastanti: la gioia nel sentirsi lusingata da quelle attenzioni e quell’amore, lo stupore di quella propria, e la caduta nel baratro non appena lui aveva pronunciato quella frase.
Voglio fare una famiglia con te.
Si sentì catapultata sull’asfalto. Morsa dal senso di colpa.
Come poteva essere stata insieme a lui per tanto tempo e non aver mai fatto parola sul problema che da sempre più la tormentava?
Era stata una sciocca, una stupida a livelli galattici.
Prima che potesse rispondere, e sotto gli occhi dapprima gioiosi e poi sempre più preoccupati di Thomas, scoppiò a piangere disperata.

Non restò a lungo con lei. Anche perché, nonostante quello che aveva detto, Brooke sembrava avercela con lui.
- Tutto a posto Mike? - chiese confidenzialmente Albert, tenendogli la portiera aperta.
- Si - rispose pensieroso, fermandosi un attimo accanto all’amico. - Io le donne non le capirò mai, Al.
- A chi lo dici Mike. - ridacchiò il BG.
Frase fatta, pensò Michael. Non c’era uomo sulla Terra che fosse più in sintonia di Albert con la propria compagna.
Senza contare sè stesso e Jackie.
Sbuffò, quasi infastidito. Perché stava pensando a Jackie proprio in quel momento?

Incredibile. Perché le veniva in mente Michael proprio in quel momento?
Era così scioccata e persa che probabilmente aveva bisogno di lui vicino, e non ebbe nemmeno il tempo di processare quanto sbagliata fosse quell’affermazione mentale che Thomas, il suo uomo, l’unico che in quel momento avrebbe dovuto desiderare al proprio fianco, la avvolse nel suo abbraccio. Era costernato.
- Amore, mi dispiace. Non so cosa ho fatto di sbagliato, ma se non era il momento giusto per chiedertelo ti prego di perdonarmi.
Le baciò i capelli e il volto, e lei non riusciva a non pensare a quanto lei fosse stata meschina, a quanto fosse sbagliato tutto ciò.

Non riusciva a non pensare a una conversazione che aveva avuto con sua madre diverso tempo prima, che lo aveva lasciato con una strana sensazione di fastidio.
- …ti da fastidio che Jackie esca con uno dei tuoi BG.. O il fatto che lei esca con un altro uomo in generale? … Sai Mike, capisco come ti senti e cosa provi. Però devi accettare il fatto che lei esca con altre persone e si affezioni a loro, e soprattutto, che trovi un uomo al quale non interporre nulla. E anche tu un giorno farai la stessa cosa con una donna, vedrai.
- Hai appena detto che pensavi che io e Jackie saremmo stati quest’uomo e questa donna.
- Si, ho detto che lo pensavo. E l’ho pensato fino ad ora, fino a poco tempo fa. Vi ho visti crescere, e non credo più a quello che ti ho detto. Il vostro è un legame forte Michael, e non nego che potrà durare per sempre, se entrambi vi impegnerete a mantenerlo così saldo. Ma lei non potrà mai essere una moglie per te e tu non potrai essere un marito per lei.

- Perché no?
- Perché vi conoscete da troppo tempo, e troppo bene. Entrambi avete bisogno di qualcosa di diverso, di fare esperienza. Forse siete troppo simili. In ogni caso, dubito che sarete felici.
Quel ricordo gli stava creando più fastidio interiore di quanto avesse mai supposto. Si morse le labbra, ricordando ogni dettaglio della realtà che lo turbava.
- Vogliamo parlare del fatto che lei non può avere figli Mike?


Doveva dirglielo, avrebbe dovuto farlo molto prima.
Mise le mani sulle spalle di Thomas e cercò dolcemente di allontanarlo.
- Non devi scusarti di nulla, anzi, sono io che ti chiedo perdono.
L’uomo trasalì e la guardò, gli occhi già colmi di lacrime.
- Perché? Non vuoi sposarmi? - chiese a fatica, chissà quanto gli erano costate quelle parole. Jackie perse un respiro e deglutì.
- No, io… Io lo vorrei. - mormorò. - Ma non ti ho mai detto una cosa molto importante, e ho sbagliato. Thomas, io… - lasciò andare un respiro, sfinita. Chiuse gli occhi un momento per trovare la forza. - Io non posso avere figli, Thomas. Sono sterile. E mi dispiace non avertelo detto prima.

- Tranquillo, il traffico non si può prevedere. - Lo accolse con gentilezza, il solito sigaro puzzolente fra le labbra.
- Anzi scusa se ti ho fatto uscire direttamente. D’altronde, è solo una firma.
- La firma più importante della nostra vita. - rise DiLeo, accogliendo Michael con una forte stretta di mano e vigorose pacche sulla spalla. - Della mia di certo.
Entrarono nella stanza. Avevano affittato un longe bar privato di un albergo solo per loro due e i loro avvocati, che attendevano seduti su eleganti divani. Di fronte a loro, su un tavolino basso di cristallo, i fogli del contratto. DiLeo stava per diventare il manager più fortunato d’America.
Michael rivolse loro un cenno di saluto e cercò di concentrarsi. Era un momento importante per gli affari, eppure una parte della sua mente rimaneva ancorata a Jackie e alla sua sterilità. Per quel pensiero disturbante lo tormentava proprio in quel momento?

- Ti prego, dì qualcosa.
Cercò gli occhi dell’uomo. Non le era mai sembrato così stanco come in quel momento.
- Cosa vuoi che ti dica… Non capisco.
- Cosa?
- Insomma… Perché non me l’hai detto prima?
- Io.. Io non…
- Non ti fidavi di me?
- Non è questo. Io mi fido di te.
Avrebbe potuto spiegare che quella era una cosa solo sua? Un peso solo suo, che non voleva dividere con nessuno?
No, non poteva, sciocca ingenua, si disse. Perché se avessi capito qualcosa in più sui matrimoni e su due persone che decidono di passare la propria vita insieme forse non l’avresti pensata così e forse avresti gestito la cosa diversamente.
Ma lei voleva passare la propria vita con Thomas? Lo aveva deciso?
In quel momento, sì, non c’era qualcosa che desiderasse di più.

Andarsene a casa e dormire, o scrivere una nuova canzone, o leggere un libro, o fare qualsiasi cosa che non fosse stare lì a cercare di non distrarsi.
Faccio questa firma e via, pensava, dei dettagli parleremo domani.
- Cosa bevi?
La voce di Frank lo fece sussultare, ma non lo diede a vedere. Si era ripromesso di non bere, era ancora sotto antibiotico.
- Un vino bianco grazie. Mezzo bicchiere.
Gli portarono un calice, freddo di condensa e frizzantino, sembrava spumante.
Mentre l’uomo di fronte a lui parlava, Michael si soffermò sulle gocce dorate e trasparenti che scivolavano lunga la curva del cristallo.
Sembravano le lacrime di Jackie.
Ma come poteva saperlo? Dove le aveva viste?

Era in un fiume di lacrime.
Le ultime parole che Thomas era riuscito a mormorarle erano state un ‘mi dispiace, ho bisogno di pensare’ soffiato appena, si era avvicinato, l’aveva abbracciata, un abbraccio pesante come un macigno, e si era levato di torno.
E lei era sola, e piangeva perché si sentiva disperata e perché il benessere di essere di nuovo sola nella stanza, in qualche modo libera, la faceva sentire tremendamente in colpa.
Era stata così stupida.

Come aveva fatto a farsi sfuggire la questione di mano?, pensò irritato.
Prima il lavoro, poi i suoi fratelli con quel loro maledettissimo tour e la voglia di mettergli il bastone fra le ruote, poi l’antibiotico che gli stava facendo girare la testa, per non parlare poi di Brooke che, oh lui lo sapeva, avrebbe voluto provocare una scenata che lui, grazie a lui, aveva fatto in modo non succedesse. Maledetta donna, prima lo usa per divertirsi e poi vuole provocare. Per fortuna era finita, doveva finire prima o poi.
E poi c’era Thomas, e sua madre che gli veniva in mente in quel momento che gli diceva ‘tu e Jackie non potete stare insieme’.
- Ok, puoi firmare qui, qui e qui.
‘Vi conoscete troppo, e troppo bene. Dubito che sareste felici’.
- Hai un’altra penna?
Ma che vuol dire? Ok, si conoscevano benissimo, e quindi? Meglio lui che uno come Thomas, o chiunque altro, che chissà cosa possono volere da Jackie.
- Tieni.
Ma lui che ne sapeva? Michael, sei uno schifoso egocentrico. Vuoi Jackie per te? No. La vuoi sposare tu? La ami, per caso? No. Allora basta con questi pensieri, sembri impazzito.
- Sicuro di sentirti bene Mike? Sembri un pò… affaticato.

- Sicura di sentirti bene? Mi era sembrato di sentirti piangere, e ho visto Thomas andare via piuttosto turbato.
Cara Rose. Quanto era cara a preoccuparsi per lei, ma quanto era irritante che non riuscisse a pensare ai fatti propri quand’era l’occasione. Le venne in mente Michael: lui aveva la stessa tendenza a interessarsi morbosamente dei fatti degli altri, anche se le sue intenzioni e come lo faceva erano diversi.
Pensò di nuovo che lo avrebbe voluto al fianco in quel momento, e si morse il labbro al pensiero di quanto fosse sbagliato tutto ciò.

Michael e Jackie forzarono un sorriso contemporaneamente.

- Ho solo bisogno di dormire un pò, tranquillo.

- Non è stata una delle giornate migliori. Ora vado a letto, grazie per esserti preoccupata.
 

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Capitolo 72
*** Capitolo 72 ***



Tutto, attimo per attimo, è com’è, che s’avviva per apparire. Volto subito gli occhi per non vedere più nulla fermarsi nella sua apparenza e morire. Così soltanto io posso vivere, ormai. Rinascere attimo per attimo.



Joe era solo un operaio, pensò Jackie mentre continuava a sfogliare i documenti solo per non dover alzare lo sguardo sul proprio interlocutore.
Era solo un operaio a cui piaceva giocare a fare l’uomo di spettacolo ma che non era in grado di gestire la celebrità. Nel suo caso specifico però, si trattava fondamentalmente di soldi.
L’enorme quantità di denaro a cui era andato incontro con il primo successo dei Jackson 5 doveva avergli montato la testa più del dovuto, considerando quello che aveva di fronte.
Un business plan di assoluto rispetto, stampato in carta di qualità ma assolutamente privo di ragionevolezza.

- Allora che ne pensi? - le chiese Marlon, accanto a lei.
- Vuoi la mia risposta di facciata o un mio parere professionale?
- Andiamo Jackie.
- OK, è assolutamente da fuori di testa. Non potrà mai funzionare. Se dipendesse da me, cambierei tutto. A partire dal costo dei biglietti e dalla scelta della modalità d’acquisto.
- Lo sospettavo, maledizione.
- Scusa se sono stata un pò dura nel mio commento.
- Non scusarti, te l’ho chiesto io.
- Hai intenzione di fare qualcosa?
- Cioè?
- Parlerai dei tuoi dubbi con il vostro promoter o il vostro agente? O anche solo con gli altri?
- Sei matta? Sai che sarebbe assolutamente inutile. Te l’ho chiesto solo per essere sicuro di sapere cosa aspettarmi da questa faccenda.
- Mi spiace… Ma allora perché hai scelto di parteciparvi?
- Hai parlato con Michael no? Direi che non abbiamo avuto molta scelta.
- Io non la penso così. C’è sempre una scelta.
- Sei praticamente cresciuta con noi, Jackie. Dovresti sapere che a volte non c’è.
E aveva ragione, pensò guardandolo.
Marlon era il più ragionevole della classe maschile dei fratelli Jackson, togliendo Michael ovviamente. Almeno con lui poteva parlare di qualcosa che non fossero i soldi, il successo, la celebrità o le donne.
Sapeva che Marlon non aveva mai scelto di intraprendere la carriera del musicista. Come per tutti, era stata scelta da suo padre, e sebbene gli altri l’avessero poi resa propria, decantando un destino che a detta loro si erano scelti anziché esercivi ritrovati, lui non aveva mai nascosto la realtà dei fatti. Non esaltava né rimpiangeva la sua vita o la sua carriera.
Fra tutti i fratelli era quello che più assomigliava a Michael. Persino Janet non era così autentica.

- Visto che non ne hai intenzione di parlare - disse lei - Allora gradirei che la nostra conversazione restasse un segreto. Almeno, il mio commento su questo programma.
- Non preoccuparti - rispose lui, ridacchiando. - Ci siamo seduti qui a bere, a parlare di come cucinare le ali di pollo e guarda caso il depliant l’abbiamo trovato sotto questa rivista.
- Sei buffo - rise lei, ma quell’attimo di leggerezza si interruppe subito, quando il pensiero tornò di colpo a Thomas, e tutta la tranquillità che avvertiva evaporò all’istante.
Marlon cominciò a parlare di musica, degli ultimi videoclip, di quanto era contento dei lavori dei Jackson.
Jackie lo stette a sentire, parlando poco. Non voleva mentirgli, ma non poteva neanche dire che i lavori dei Jackson le piacessero: sound e ritmo erano palesemente copiati da Michael (possibile che nessun giornale se ne fosse accorto e avesse riportato un commento a riguardo?), e il loro gusto e la loro originalità su tutto il resto lasciavano molto a desiderare.
Più andava avanti, più iniziava a rendersi conto della portata del progetto a cui aveva lavorato con Michael. Thriller sarebbe rimasto una pietra miliare nella storia.
Era ancora tutto da vedere, ma ne era sicura.
Una sensazione dentro di lei le suggeriva che Michael stesso sarebbe diventato molto, molto importante. Non sapeva ancora per chi o per cosa, esattamente.
Riusciva solo a immaginarlo, a sentirlo come una sensazione sconosciuta e di cui non si conosce la causa.
Il suo pensiero andò a Michael, alla sua figura e alla sua persona, poi tornò su Thomas, e si sentì stringere il cuore in una morsa.

Erano passati diversi giorni dall’ultima discussione. Lui l’aveva chiamata poco dopo, dicendo che aveva bisogno di più tempo per pensare. A cosa? Non sapeva, ma lei doveva lasciarlo in pace e per favore, per favore, niente distrazioni sul lavoro. Lui avrebbe pensato a come si sentiva e a cosa fare e poi le avrebbe dato una risposta.
Nel frattempo sperava che lei non ci stesse troppo male.
Jackie gli aveva chiesto scusa e, sulla scia della disperazione e della follia, quasi lo supplicò di perdonarla. Lui l’aveva rassicurata, le disse che non la odiava di certo, anche se era scosso da quel suo comportamento e aveva bisogno di tempo anche per rendersi conto della faccenda. Si era immaginato tutt’altro quando aveva pensato di chiederle di sposarlo. E l’aveva lasciata sola con quel rimorso.
Era giusto, me lo sono meritato, si disse Jackie. Si sentiva male nei confronti di Thomas, non voleva che lui soffrisse, ma allo stesso tempo, non sapeva cosa pensare di sé stessa né a come si sentisse veramente. Sentiva una grande tristezza e paura, ma non riusciva a dar loro una direzione all’interno dell’intera situazione. E non riusciva a capire la radice di questi pensieri.
Che diavolo di problemi aveva?

Gli aveva promesso che non gli avrebbe dato noia al lavoro, e aveva tutta l’intenzione di non venire meno alla parola data. Ma quando Michael tornò a casa, a Encino, e la macchina entrò nel cortile, non potè fare a meno di indugiare maggiormente con lo sguardo sui bodyguard alla guida. Bill e Thomas, quel giorno. Non potè fare a meno di lanciargli una lunga occhiata quando scesero dalla macchina e si misero a parlare tra loro. Lui non diede cenno di averla vista, ed era giusto così, ma lei sapeva che l’aveva fatto. Era così presa da lui che ignorò Michael fino a quando non le fu vicino ed ebbe salutato Marlon.
Deglutì, cercando di recuperare la compostezza, e distolse lo sguardo rivolgendosi finalmente al suo amico, che la guardò con uno sguardo di finto rimprovero.

- Ora vai a salutarlo, ma non prima di aver baciato me. - disse scherzando, una scintilla di dispettosa maliziosa negli occhi notturni. Lei non riuscì a ricambiare la battuta, e lui se ne accorse subito. Il suo sguardo cambiò improvvisamente. Marlon, a pochi metri, non si curava di loro come loro non si curavano di lui. Jackie si sentiva spaesata. Era come se avesse dimenticato che Michael non poteva conoscere ogni attimo della sua vita, soprattutto quelli appena vissuti e senza che si fossero visti.
- Jackie?
Si costrinse a ricambiare il sorriso e a guardarlo negli occhi. Lui capì, ma ne avrebbero parlato dopo.
- Bentornato e congratulazioni per l’ennesimo Grammy Awards. Sono fiera di te.
- Di noi.
Si avvicinò e la strinse.
Jackie lo abbracciò, stupendosi della sua statura, in quanto in mente ormai aveva quella di Thomas. Era facile abbracciare Michael. Sentiva le sue grandi mani a coprirle la schiena senza impedirle di circondarlo per le spalle. Sentì anche lo sguardo di Thomas su di sè, su di loro.
Michael girò la testa, la baciò teneramente sulla guancia e avvicinò la bocca al suo orecchio.
- Sono stato da Frank dieci giorni fa. Abbiamo firmato un contratto. Adesso è lui il mio manager.
Allontanò il viso per guardarlo in faccia.
- Sei sicuro della tua scelta?
- Certo. - rispose immediatamente sulla difensiva, poi si incuriosì - Non dovrei? Qual è il tuo parere?
Non positivo, ma non aveva voglia di pensarci. Sarebbero finiti a discutere su qualcosa di inutile e di qualcosa su cui lei non aveva nessun potere. Non aveva senso. Inoltre, non aveva voglia di stare lì con lo sguardo di Thomas su di sè.
- Non lo so, ma mi fido di te. Avrai avuto le tue buone ragioni.
Quella risposta, come avrebbe dovuto aspettarsi, non lo soddisfò.
- Mi vuoi dire perché o mi devo inginocchiare?
- Dire perché a cosa? - chiese Marlon, intromettendosi nel discorso. Michael deglutì: non avrebbe dovuto rivelare a nessuno, non ancora, le proprie nuove disposizioni.
Ci pensò Jackie a salvare la situazione.
- Mi ha chiesto come cucinare le ali di pollo. E perché.
Mentre Michael la guardava interdetto, Marlon rilasciò un lungo fischio, annuendo.
- Allora non sono solo. Tranquillo Mike, anche per me questa storia del tour è una grande sciocchezza, ma vediamo di fare buon viso e cattivo gioco, che ne dici? D’altronde, sarà divertente ritornare ai vecchi tempi.
- Si… Si… -. Allora è di questo che parlavate prima che arrivassi. Guardò Jackie, che distolse lo sguardo da un punto dietro di lui per annuire rapidamente alla sua occhiata.
Aggrottò un sopracciglio e si voltò appena per vedere la propria auto sparire nel garage.
Sorrise con metà del volto, non sapeva se essere divertito o irritato.
E non sapeva se a irritarlo fosse la palese attenzione di Jackie per Thomas nonostante la loro conversazione, o il fatto che a lei non piacesse Di Leo. O anche il fatto che doveva fare un tour che non aveva assolutamente voglia di fare, pensò infine. Dannazione, possibile che lei avesse tanto potere sulla propria vita?
- Beh, sei ancora qui? - le disse. - Guarda che puoi andare a salutarlo anche se sta lavorando, ci vediamo dopo a cena.
Jackie aprì la bocca per parlare ma non ne uscì alcun suono, e lui vide l’angoscia che lei non riusciva più a trattenere.
- Marlon, accompagno un attimo Jackie, ci vediamo dopo.
- Ok tranquillo.
La prese per le spalle e la portò via. A quel gesto lei arrossì, e lui capì che doveva essere successo qualcosa di grave.
Mentre l’accompagnava per le scale, diretti al piano di sopra nella sua stanza, l’unico posto dove potevano sperare in un pò di pace, fece mille congetture su cosa potesse essere successo a quei due.
Come aveva potuto non capire prima che il motivo della tristezza di Jackie era Thomas? Era stato uno sciocco. Raramente l’aveva vista così, poiché raramente lei tendeva a mostrare le proprie emozioni più distruttive. Cosa diavolo aveva combinato quell’idiota per ridurla così?
- Michael, vai piano. - sussurrò lei, passivamente, mentre la trascinava dentro la stanza.
Lui arrossì, ma i suoi occhi rimasero seri.
Una volta dentro chiuse la porta, si voltò verso di lei e la fissò, tenendole le mani sulle spalle.
Jackie nascose il volto fra le mani, ma lui sapeva che non stava piangendo. Sbuffò costernato. Che stupida. Avrebbe sempre cercato di non lasciarsi andare davanti a lui. Davanti a chiunque.
- Cosa è successo Jackie?
Fu tentata di dire ‘niente’, ma non poteva mentire a Michael. Non ne sarebbe stata in grado. Ma come riuscire a spiegargli quanto era successo senza piangere? Come spiegargli le strane sensazioni che provava.
Semplicemente non ce la fece, perché un abbraccio improvviso ma estremamente dolce la distolse da qualunque pensiero.
Si ritrovò sommersa nel profumo di Michael, quello del suo dopobarba e della sua pelle. Una fragranza che le infuse immediatamente una grande serenità.
La tristezza e il peso che aveva sulle spalle erano ancora lì, ma dentro di sé era nata una piccola scintilla di luce, che le dava forza e la scaldava. Quella luce interiore, lo sentiva, proveniva da Michael e solo da lui.
Le sfuggì una lacrima, che lui raccolse col pollice come se l’avesse vista, nonostante la stesse abbracciando.
Non dissero nulla per un pò. Fortunatamente nessuno venne a cercarli.
Michael non domandò più nulla. Si limitò ad aspettare, a cullarla fra le braccia e, a un certo punto, iniziò ad accarezzarle i capelli. Quando la sentì leggermente più serena, decise di parlare.
- Lui non ti ha fatto del male. - constatò, basandosi su quanto gli suggeriva il proprio istinto. Lei annuì, il viso sepolto contro il suo petto.
- Tu hai fatto del male a lui. - Lei sospirò in risposta. - Vi siete lasciati?
- Non lo so. - disse finalmente Jackie con un filo di voce.
- Io non credo che tu gli abbia fatto del male volontariamente. Non sei quel tipo di persona. - La prese per le spalle e la allontanò da sé. Lei non si sottrasse al suo sguardo, e lui scorse chiaramente i segni delle lacrime sulle guance Si morse il labbro. - Cosa ti ha costretto a farlo?
- L’unica cosa che non sono in grado di fare.

 
———



Jackie non aveva pianto nemmeno quella notte.
Lui l’aveva convinta a rimanere con lui. Aveva bisogno di supporto e non voleva lasciarla sola.
Erano riusciti a ricomporsi e a scendere per la cena ma nessuno, apparentemente, si era accorto di nulla, né della loro assenza né della loro condizione.
Quando lui congedò i BG, avvertendoli che nessun altro avrebbe varcato il cancello di casa per uscire, Thomas le lanciò un’ulteriore occhiata che Michael interruppe prendendo Jackie con sè e sottraendola allo sguardo dell’uomo. Lei non si era ribellata, anche se in un altro momento non avrebbe mai permesso a Michael di prendere certe posizioni.
Non si era ribellata, ma non avrebbe saputo dire di aver fatto bene o male.

Il giorno dopo non ebbe tempo di vedere se il gesto di Michael avesse provocato una qualche reazione in Thomas, poiché il suo amico la coinvolse sin da subito in attività legate all’imminente tour.
Dapprima Jackie si fece trasportare, ma quando la vicinanza con gli altri membri del gruppo si fece troppo pesante decise di tornare a casa. Disse a Michael che avrebbe accompagnato Katherine alla prima data e che si sarebbero rivisti in quell’occasione. Fino ad allora, decise, si sarebbe presa una vacanza.
Una vacanza che consisteva in una pausa di riflessione riguardo la propria carriera.
Dopo il successo di Thriller si era aperta per lei la possibilità di considerarsi una compositrice, e Jackie voleva capire se poteva imboccare quella strada.
Per chiunque lei era già una compositrice, avendo effettivamente scritto e arrangiato diverse canzoni già presenti sul mercato musicale, ma per Jackie la musica non era solo un prodotto da vendere o comprare, era un pezzo d’anima, un’opera d’arte. E imboccare quella carriera significava in parte zittire quella incosciente voce dentro di sè che le ripeteva di non schierarsi dalla parte di chi capitalizzava delle opere d’arte.

Non aveva ancora preso una decisione che venne ricontattata proprio da Katherine, che le chiedeva di raggiungerli in anticipo.
Non ne aveva molta voglia: aveva paura di quello che avrebbe visto sul palcoscenico e in più raggiungere Michael significava con molta probabilità vedere Thomas, e lei non voleva. Non era pronta ad affrontare quella realtà.
Stava scappando come una codarda, e quella consapevolezza la portò ad accettare la richiesta di Katherine.
Quando arrivò sul posto si trovò un’accoglienza inaspettata: Joe la volle incontrare subito e la coinvolse nell’attività dietro le quinte. Alcune cose, evidentemente, non erano andate come lui si aspettava, e Jackie capì. Non si poteva nemmeno dire che la stesse ingaggiando. La stava letteralmente relegando a risolvergli dei problemi.
Senza avere la possibilità di farlo.
Pertanto Jackie si rifiutò e, prima che Michael, Katherine o qualcun altro riuscissero a fermarli, iniziò un’accesa discussione a poche ore dall’inizio dello spettacolo.
- Io non lavoro per te. - continuava a dire Jackie, ed era una frase che Joe sembrava non sentire.
- La famiglia viene prima di tutto. - continuava a rispondere lui, cercando di fare leva sull’unica cosa che avevano in comune.
- Joe, ora basta. Jackie non fa parte di questa famiglia. - disse Michael a un certo punto, e quella frase provocò reazioni diverse e contrastanti.
Katherine trattenne il fiato, allibita da quella frase. Joe digrignò i denti, per poi borbottare qualcosa come ‘finché le faceva comodo però ne ha fatto parte’ e andarsene circondato dai suoi collaboratori.
Jackie non disse nulla, ma dentro di sè si sentiva sollevata. Michael l’aveva tolta da quell’impiccio. Anche se all’esterno, con quella frase, aveva creato una parvenza di grande distanza fra loro, lei gli era grata perché l’aveva allontanata da quella famiglia che ormai non aveva più nulla a che fare con lei. Un gruppo di persone quasi del tutto anonime, escluse Katherine e forse Janet, che non poteva nemmeno definire amici, ma alla stregua di conoscenti. Conoscenti che avevano molto a cuore solo i propri interessi e non si interessavano minimamente degli altri. Non avevano nulla da spartire nemmeno con Michael che, da quando aveva iniziato quella farsa, non faceva che mangiarsi le mani dal rimorso.
Dopo quella discussione, prima di dover raggiungere gli altri per le prove, lui si rivolse a lei, senza avvicinarsi.
Il suo sguardo la raggiunse meglio di qualunque carezza.
- Perdonami per quello che ho detto. Sai che non la penso davvero così.
- Lo so cosa pensi. Non fa nulla. Anzi, grazie.
Sorrise, e per un attimo fu come se fossero solo loro due. Loro due contro la famiglia Jackson, contro lo staff e gli spettacoli, contro Thomas, contro il mondo che li circondava.

Un mondo che alla fine vinse su di loro.
Il tour non fu esattamente un fiasco, anzi, ma non era assolutamente paragonabile agli standard di Jackie. E nemmeno a quelli di Michael, nonostante lui avesse deciso di non interessarsi minimamente all’organizzazione dello spettacolo.
Nonostante la discussione con Joe, Jackie decise di restare per fare da supporto morale a Michael, e anche per fare compagnia a Katherine. L’anziana donna non doveva aver gradito la decisione di Jackie, e si era chiusa in uno strano e risentito mutismo, che però durò solo pochi giorni. Jackie sapeva che Katherine conosceva le sue ragioni ma che non era facile per lei gestire la situazione, visto che si trovava a metà di una fragile bilancia familiare.
A causa di ragioni logistiche, la vendita degli biglietti diventò un serio problema, sia per la modalità di vendita che lo staff aveva prestabilito, sia perché col tour in corso non riuscivano a stare dietro alla consegna esatta e in orario dei biglietti ai compratori. La situazione era così problematica che Jackie alla fine ebbe così pena per lo spettacolo stesso, che accettò di intervenire per la seconda parte del tour.
Michael era costernato e non sapeva se essere grato di averla al proprio fianco o arrabbiato per la situazione in cui entrambi si erano andati a cacciare.
- La famiglia viene prima di tutto, no? - gli diceva lei con umorismo, quando lui condivideva le proprie preoccupazioni. Non avrebbe mai immaginato che quella decisione avrebbe avuto una ripercussione in ben altro ambito della sua vita.

Thomas la chiamò una mattina, telefonando all’hotel dove alloggiava, piuttosto agitato. Le chiese se stesse bene come se fosse stato molto preoccupato, e alla sua risposta affermativa, si rivelò arrabbiato. Le disse che aveva impiegato ore a rintracciarla, che non aveva potuto chiedere aiuto ad Albert perché si trovava in vacanza con la compagna, che non sapeva che lei era ingaggiata per quel tour né che si sarebbe mai allontanata da Los Angeles senza dirgli nulla, soprattutto vista la loro situazione. La lasciò interdetta.
- Avevo capito che volessi essere lasciato in pace. Che avevi bisogno di pensare e che mi avresti contattata tu. - gli rispose. Cominciò a sentirsi in colpa per essersi allontanata senza averlo avvisato, ma una vocina ribelle dentro di sé la corresse subito.
Cosa diavolo stai pensando? Avvisarlo? Non siete marito e moglie. Anzi, non dovrebbe nemmeno avanzare certe pretese. Ti ha lasciata sola quando sei tu quella che sta soffrendo di più in questo momento.
Zittì quei pensieri malefici quando lui le chiese l’indirizzo del prossimo spettacolo. Le disse che l’avrebbe raggiunta, poi sembrò cambiare idea.
- Vuoi che torni io a Los Angeles? - chiese Jackie. Dal tono di voce di Thomas non riusciva a capire se quello che doveva dirle era positivo o negativo per la loro relazione.  
- No, stai dove sei. Stai lavorando dopotutto. Te lo dico adesso. - Lo sentì sospirare. - Mi sono licenziato. Ho dato le dimissioni a Bill una settimana fa. So che Michael non ne è al corrente a causa del tour, per questo non ti ha avvisata.
- Oh. - Non sapeva come reagire. - Come mai? - Si morse il labbro, in preda a un pensiero. - Spero tu non l’abbia fatto a causa mia.
- Certo che l’ho fatto a causa tua. - Le rispose semplicemente, senza nessuna emozione. Lei sentì le proprie gambe cedere. - Ho intenzione di tornare a casa, Jackie. Intendo a casa mia, in Texas, da mia madre e le mie sorelle. Ho bisogno di cambiare aria, cambiare vita, e di lasciarmi tutta questa storia alle spalle. Compresa tu.

Quello che l’aveva ferita maggiormente non era stata la notizia della sua partenza, incredibilmente, quanto il fatto che non le aveva lasciato possibilità di replicare. L’aveva messa di fronte alla decisione senza darle il tempo di chiedergli qualunque cosa.
E lei non sapeva cosa fare, cosa pensare. Non sapeva nemmeno come interpretare le emozioni che stava vivendo.


 
———



- E' quasi mezzogiorno. A quest'ora sarà già all'aeroporto.
Jackie abbassò il capo e rimase ferma a pensare. La sua mente era ancora ancorata a quell’ultima telefonata. Non si era nemmeno resa conto che erano trascorsi dei giorni e che erano tornati a Los Angeles.
Avvertì la presenza umida delle lacrime che stavano inumidendole le guance, e con il dorso della mano si preoccupò a cancellare la loro traccia.
Michael la guardava, incapace di toccarla, di consolarla, di dirle una parola gentile.
Poi Jackie si voltò decisa.
- E' la mia ultima occasione per parlargli. - Disse risoluta - Ora o mai più.
- Ma… Non arriveremo mai in tempo!
- Devo tentare. - I suoi occhi erano lucidi e profondi, Michael si sentì male solo a guardarli. Rischiava di annegarci dentro.
- Pensaci un attimo, Jackie. - Tentò di farla ragionare, cercando di nascondere il proprio inconscio dispiacere.
Jackie non seguì il suo consiglio.
- No Mike - Rispose subito senza indugi. - Io penso quando lavoro, quando scrivo una canzone o la lista della spesa. Penso quando voglio comprarti un regalo, ma hai già tutto e non so cosa scegliere. Penso tante volte a tante cose. Ma ora non voglio pensare, voglio solo seguire il mio istinto. E voglio andare all'aeroporto.
Senza aggiungere altro corse fuori dalla stanza, e Michael non poté che seguirla con il cuore dolente.
- Allora lascia almeno che ti accompagni. Percorreremo la strada in fretta, e farò in modo di evitare il traffico.
Jackie si girò a guardarlo stupita, il cappotto già mezzo indossato. Dopo un secondo gli gettò le braccia al collo, ignara degli strani sentimenti d’angoscia che pervadevano Michael. - Sei il mio più caro amico Mike, ti ringrazio tanto.
Michael non seppe se a fargli più male fossero state quelle parole o il fatto che Jackie stesse rincorrendo un altro uomo. Ciò però non lo distolse dall'intenzione di accompagnarla, di volerla vedere felice.
Quando arrivarono dovette restare in auto, in un parcheggio nascosto e non sorvegliato, e la guardò correre alla rinfusa da sola.
Fortunatamente qualche giorno prima erano stati raggiunti da Albert, che senza dire una parola scese dall’auto e camminò verso l’edificio, con l’intento di essere vicino a Jackie nel caso avesse avuto bisogno. Lei, svanita nel traffico dell'aeroporto, aveva già individuato la sua meta e ora, faticosamente, cercava con lo sguardo l'oggetto del suo desiderio nella sala d'imbarco, poiché il volo sarebbe decollato a breve. I minuti scorrevano, e l'ansia stava già premendole il petto.
Era così agitata che non riusciva nemmeno a distinguere bene i volti delle persone attorno a lei. Fortunatamente, per gli altri non era così.

- Jaqueline! Cosa ci fai qui? - Si girò di scatto come se fosse appena stata fulminata.
- Thomas! - Jackie lo guardò in viso e l'energia le mancò. Grazie al cielo non è ancora partito, pensò in preda al panico. La presenza dell'uomo tanto cercato, che ora la guardava metà confuso e metà sorpreso, affievoliva la sua determinazione.
- Cosa ci fai qui? - Ripeté lui. Nulla nel suo viso era rassicurante per lei, non una smorfia né una ruga che le svelasse il suo vero stato d'animo.
- Sono venuta a cercarti. - Confessò, prendendo respiro. - Devo parlarti.
- Eppure ci siamo già detti tutto. - Rispose Thomas freddamente ma con un lampo di tristezza nello sguardo.
- No, hai parlato solo tu. Ora voglio farlo io. - Lui sbuffò, e Jackie capì che aveva la sua completa attenzione. Sospirò. - So di aver fatto una totale stupidaggine, e non so nemmeno perché. Hai ragione, avrei dovuto dirti tutto dall'inizio. - Abbassò lo sguardo, deglutendo faticosamente. - Ma da quando ho saputo che non posso avere figli ho dovuto imparare a non considerarlo un elemento importante nella mia vita. Per proteggermi, capisci? E' una privazione terribile da sopportare per una persona che non vorrebbe essere altro che genitore. - Lui le appoggiò una mano sulla spalla.
- Mi dispiace per te, Jaqueline. - Disse, sinceramente dispiaciuto. - Ormai è andata così.
- No! - Gli afferrò i lembi della giacca e lo guardò negli occhi. - Sono corsa fin qui per dirti che sì, sì, ci tengo a te e voglio sposarti!   
Si rese conto di quanto fossero sbagliate quelle parole quando era troppo tardi. Lasciò la presa, tremando. Non sapeva nemmeno come guardarlo.
- Se mi vuoi ancora… - aggiunse in un soffio.
- Ma Jaqueline - Le prese le mani fra le proprie. La sua voce era un petalo nel vento. - Ora sono io che non lo voglio più.     
 Quelle fredde parole l'ammutolirono. Thomas le strinse più forte le mani.
- Cioè, io ti vorrei, ma non così. - Deglutì. - Non se se sarei in grado di… Gestire tutto. Non solo per la tua sterilità, ma anche… Per la tua scelta di vita. - Sospirò, le sue mani erano una morsa potente. - Non pregarmi, te ne pentiresti. Io ti ho già perdonata per non essere stata completamente sincera. - Le sorrise amaramente. - Avrei potuto commettere lo stesso errore, quindi va bene così. Non ce l’ho con te. Ma desidero troppo avere dei figli, figli miei. E se fino a ieri sentivo di poter affrontare questa cosa con te, nonostante il tuo problema, solo per stare con te… Beh, adesso ho capito che in futuro me ne pentirei. E allora è meglio smettere ora, prima di rendere le cose ancora più difficili.
 Jackie non aveva più parole. Il nodo che aveva in gola era troppo grande per riuscire anche solo a respirare. Thomas le prese il volto con le mani e le sollevò lo sguardo, guardandola intensamente.
- Io ti amo Jaqueline Annie Foster, non ho mai amato così tanto. Questo basterà per non dimenticarti.
Lei non riuscì a trattenere un singhiozzo, e in quel momento lui la baciò, soffocandole il pianto in gola. Un bacio dolce e appassionato, pieno d'amore, che Jackie raccolse con inconsapevole trasporto e la totale nebbia nella mente.
Quel bacio aveva un sapore terribilmente amaro, ma ricambiò con tale fervore che perfino Thomas si staccò a fatica, sospirando. Quando si separarono, lui si voltò a raccogliere il bagaglio senza guardarla negli occhi. Quando si voltò per salutarla, le sorrise con la sua solita aria felice e spensierata.
La sua prima espressione che Jackie aveva conosciuto. L’ultima che avrebbe visto.
Quel candido e sincero sorriso che apprezzava moltissimo, il sipario di uno spettacolo che ora si chiudeva.
- Ti auguro tutta la felicità del mondo, Jackie. Sono certo che la troverai. - Nonostante le si stesse spezzando il cuore in mille frammenti  ricambiò il sorriso, radiosa come il sole d'estate, come tutti erano abituati a vederla.
- Buona fortuna Thomas. - E lo guardò allontanarsi e sparire per sempre dalla sua vita.
Affacciata al vetro delle finestre, osservò l'aereo sollevarsi in volo e diventare un punto invisibile nel cielo. Solo allora permise a una lacrima di sgorgarle dagli occhi.
E' incredibile: tutto il dolore che sento sembra insopportabile, pensò. Eppure, io sono ancora qui, e il mondo non è crollato. E’ quasi confortante sapere che, se questo è il dolore che ci si procura vivendo, amando e perdendo, allora sono in grado di sopportarlo.
Nonostante quei pensieri, decise di passare per la toilette per lasciar uscire quel pianto che comunque doveva sfogare, e dopo un tempo interminabile uscì. Si era lavata la faccia e si sentiva meglio.
Forse la scelta di Thomas era stata la migliore per tutti. Se sapeva già di non riuscire a reggere una vita matrimoniale senza figli, allora era stato davvero meglio concludere prima di aver iniziato. Lui meritava di meglio, e lei sarebbe rimasta comunque bene senza di lui.
Dopotutto, non era un matrimonio ciò che poteva renderla davvero felice. E non era mai riuscita a convincersi del tutto di amarlo come sentiva di essere in grado di amare.
Finalmente l’aveva capito.
Poco distante dalla porta della toilette la stava attendendo Albert. Appena lo vide lui la raggiunse, sorprendendola.
- Albert! - Esclamò sobbalzando. - Cosa ci fai tu qui? - Un pensiero le volò in mente, alzò un sopracciglio. - Ti ha mandato Michael vero? E' sempre così protettivo!
Il fratello non rispose subito. Rimase a guardarla e alla fine sorrise.
- Nonostante quello che ti è appena successo, ti è bastato passare dieci minuti in bagno per uscirne nuova e sorridente come sempre. - Le accarezzò la guancia. - Sei così maturata, e sei così forte. - Mormorò con dolcezza. Jackie si sciolse e lo abbracciò.
- Doveva andare così. - disse con leggerezza, schiacciata contro il suo petto come per soffocare la tristezza. - Ha detto di avermi perdonata, e credo che questo concluda più che bene la vicenda fra me e lui. Inoltre, ha parlato di volere dei figli propri, quindi le cose fra noi non avrebbero funzionato.
Sentì la mano di suo fratello accarezzarle i capelli.
- Non so se la questione dei figli abbia una grande importanza. Ci sono altri modi per diventare genitore, se si vuole. - rispose Albert. - Ma non importa, Jackie. Io penso che tu sia una persona speciale, ma davvero speciale. Sei rara, e meriti al tuo fianco qualcuno che sia alla tua altezza. Che riesca a capire perfettamente come sei e sia in grado di amarti in ogni tua sfumatura. Thomas è una persona stupenda, ma non è in grado di averti al suo fianco - Si staccò leggermente per guardare la sorella negli occhi. - Sono tuo fratello, e so quanto vali come persona. Anche se spesso stento a crederci io stesso.
- Non pensi di esagerare? Mi stai idealizzando! - rispose, ridacchiando più per sdrammatizzare quelle parole che per vero divertimento. Si sentiva sopraffatta da quelle parole e dalla loro sincerità.
Albert non rispose. Non a parole. L’adorazione che aveva negli occhi mentre guardava la ragazza di fronte a sé era sufficiente per capire i suoi pensieri.
 
Michael era rimasto nascosto per tutto quel tempo nella limousine, sorvegliato da almeno cinque bodyguard e seduto in una sorta di riflessione meditativa. Era da molto che Jackie se n’era andata. Aveva risolto? L'aereo doveva essere partito da un pezzo. Doveva aver risolto di certo, altrimenti sarebbe tornata in lacrime. Si era aspettato di vederla tornare in lacrime, ma così non era stato e man mano che i minuti passavano si sentiva sempre più inquieto. Albert era con lei, o no? La stava sorvegliando, no? La stava proteggendo, vero?
 Mentre quei pensieri sembrarono sul punto di divorargli l'anima, Jackie entrò nell'auto senza dire una parola facendolo trasalire, poi si sedette accanto a lui, lasciandolo sorpreso e perplesso.
- Jackie?
- Michael. Scusami se ti ho fatto aspettare e grazie per avermi accompagnata. Possiamo tornare a casa ora, se vuoi.
- … Ok, certo. - Disse ai BG di partire, e osservò la castana che guardava fuori dal finestrino in silenzio. La cosa gli metteva ansia.
- Jackie, sei strana. Com'è andata? Hai trovato Thomas? - Si arrischiò a chiederle, cauto. Lei si voltò verso di lui, dandogli apparentemente tutta la sua attenzione, e sorrise cordialmente.
- Certo. Abbiamo parlato ed è finita qui. - I suoi occhi erano vacui, e Michael se ne accorse e capì immediatamente. Si avvicinò e le appoggiò una mano sulla schiena.
- Dimmi. - Le disse piano, e la sua voce rassicurante bastò per far crollare le difese di Jackie. Abbassò lo sguardo e si abbandonò sul suo petto, abbracciandolo con sincero affetto. Michael sorrise, quel contatto gli era mancato.
Gli raccontò dell’accaduto. Alla fine non seppe dire cosa stesse provando Michael, se dispiacere per lei o uno strano sollievo. In ogni caso, sapeva che era felice di vederla serena, e quello bastava. A lei rimaneva comunque un pò di sana tristezza da sfogare.
- Io ti sono vicino, lo sai. - Le soffiò sui capelli, li accarezzò e li baciò delicatamente. Jackie sorrise.
- Sai cosa potresti fare per me in questo momento? - Chiese, staccandosi dall'abbraccio.
- Tutto quello che vuoi. Anche fare il moonwalk in mezzo al centro di New York.
- Mi prenderesti un gelato? - Chiese, suscitando una risata nell'altro.
- Un gelato? Tutto qui?
- Si, un gelato. Molto grande. Al cioccolato. - Michael sbatté le palpebre sorpreso.
- Ho la macchina del gelato a casa, possiamo farlo lì e scegliere noi i gusti che vogliamo.
- Si! - Jackie sorrise entusiasta. Quell’espressione contagiò Michael. Sembra una bambina, pensò. Nonostante quello che è appena successo e il fatto che si stia comportando da donna forte.
La mia Jaqueline è una donna forte.
Si sentì pervaso dall'amore, ma non disse né fece nulla e si limitò ad accontentarla. Una volta a casa passarono le ore successive a produrre una quantità di gelato imbarazzante per qualunque persona normale a Los Angeles, che consumarono la sera davanti a un sacco di film. Michael non l'aveva mai vista mangiare così tanto: era un'occasione più unica che rara. Quantomeno, la quantità di gelato e cioccolato assunto sembrarono temporaneamente scacciare la sua malinconia. Jackie sorrise e scherzò per tutta la sera. Michael pregò per vederla sempre così. Con quella forza invincibile addosso.
Giurò tuttavia di averla vista trangugiare il gelato con le lacrime agli occhi, ignorando il pianto che lui stesso vedeva salirle in gola.

 
———


Passò un pò di tempo, e la vita proseguì come sempre. Thomas tornò a non esistere e non si parlò più di lui. Fu come se non fosse mai esistito, se non fosse per l’enorme ferita che aveva creato nel cuore di Jackie. Almeno, così credeva Michael. E così credeva Albert.
Ma Jackie non era ferita nel cuore, quanto più nell’orgoglio, nella femminilità. La sua privazione si faceva sempre più insopportabile, e con forzata indifferenza era tornata a ignorare la faccenda legata a Thomas o a qualunque altro pretendente. Con altrettanta forza fece finta di non considerare l’idea di non poter avere figli.
Si sentiva sciocca a fare questi pensieri, e si sentiva ancora più sciocca quando, facendoli, avvertiva quella sensazione che precede le lacrime. Non le piaceva sentirsi debole. Era nata in un mondo e in un tempo dove solo il fatto di essere giovane, donna, piccola e sterile la rendevano debole. Gli uomini la vedevano debole. Le altre donne la vedevano debole. Lei, a volte, si sentiva debole e indifesa. E odiava sentirsi così.

Ripensò a quando Michael l’aveva abbracciata, fuori dalla sua seconda casa, lungo la Jackson Street, dopo che aveva detto addio a suo padre.
Lui c’era stato per lei.
Ricordava distintamente i suoi occhi preoccupati e la sua stretta piena di conforto e rassicurazione.
Allora non era che una ragazzina, ed era scoppiata a piangere fra le sue braccia.
Si morse il labbro, avvertendo un sacco di emozioni contrastanti di fronte a quel ricordo.
Si ripromise che non sarebbe più accaduto, non avrebbe più pianto così davanti a lui.
Non sarebbe più stata debole di fronte a nessuno, né a Michael né a sé stessa. Lei sarebbe stata forte, e avrebbe trovato la forza da sola. E da sola avrebbe impedito a sé stessa di piangere, di piangersi addosso, di cercare aiuto.

 
———


Fu quando Michael si liberò da tutti gli impegni e fu di nuovo pronto a ritornare in studio che i suoi due collaboratori si dileguarono. Quincy e Jackie avevano organizzato un viaggio in Italia per far conoscere alla famiglia materna colui che si considerava il padre adottivo di Jackie.
Venne accolto con molto entusiasmo e per lui fu come entrare a far parte di una terza famiglia.
Il loro tempo in Italia non fu particolarmente breve, ma Michael non se ne accorse, poiché era impegnato con il suo progetto di Neverland. Quando i due tornarono e i tre si rividero per decidere che cosa fare nel lavoro futuro, a tutti sembrò di essersi incontrati solo il giorno prima.

Quando Jackie scrisse We Are The World e la portò a Michael, non aveva intenzione di fargli un regalo speciale. Era solo l’abbozzo di un ritornello che le era venuto in mente la notte prima. Si era messa al piano e l’aveva canticchiato spensieratamente e, quando aveva ascoltato la propria registrazione più tardi, si rese conto di aver creato qualcosa che sarebbe potuto diventare molto di più di quello che era.
Non aveva intenzione di fargli un regalo speciale.
- Ho qualcosa per te Mike, dimmi se ti può interessare. - disse prendendo la cassetta dalla borsa e controllando il nastro. Lui sorrise. Non sapeva ancora di cosa si trattava ma già era felice. Adorava vederlo sorridere così, sembrava spensierato. E quel cerotto sul naso, per quanto sospetto, gli dava un’aria ancora più infantile.
- Molto bene - le rispose - Anche perché ieri sera ho scritto un testo e vorrei dargli una melodia.
- Di che parla?
- Dei bambini. La tua musica ha già delle parole?
Lei lo guardò sbattendo le palpebre, colpita dal fatto che inconsapevolmente la stessa ispirazione li aveva presi entrambi.
- Beh, si… Solo il ritornello.
Dimenticò la seconda strofa della propria composizione. Ripose la cassetta nella borsa e Michael la guardò confuso, sbattendo le palpebre.
- Meglio dal vivo. - spiegò lei brevemente, raggiungendo il piano.
- Oh, d’accordo.
La guardò mentre testava lo strumento prima di iniziare. Sembrava improvvisamente concentrata, come se stesse cercando nuove parole.
Quando Jackie iniziò a cantare e suonare, Michael sentì il proprio interesse per il mondo svanire, sostituito da un’estasi euforica. Ciò che lui non riusciva a trovare nella propria ispirazione, Jackie glielo creava senza sapere di star compiendo un miracolo.
Benedisse quei minuti di assordante silenzio.

 
———


Il singolo e l’idea del video girato insieme a molte altre celebrità erano stati l’ennesimo successo, per cui si sentiva soddisfatto e decise di festeggiare. Sarebbe stata una festa solo per lui e Jackie, perché non aveva voglia di vedere altra gente e voleva sentirsi sé stesso. Pensò di organizzare qualcosa di alternativo rispetto alle solite serate.  
- Ehi Jackie, domani sera cena? - Lei lo guardò  con gli occhi luccicanti.
- Cinese take away e indigestione a casa mia? - propose eccitata. L'avevano già fatto tre volte e per tre volte erano stati malissimo, ma il cibo era così buono e il contesto così divertente che l'idea la entusiasmava sempre.
- No. Pensavo di prenotare al Golden Shell's. Fatti bella, ti vengo a prendere alle cinque.
- Ok! A domani! - salutò militarmente e si avviò. Poi realizzò le parole dell'amico e tornò indietro. - Aspetta Mike, cosa significa 'ristorante di lusso' e 'fatti bella'? - chiese leggermente stupita. Lui sorrise.
- Hai capito bene, a domani cara! - Ricambiò il saluto militare e scomparve quasi di corsa, lasciandola di stucco.

 
———


Jackie entrò nella lussuosa automobile tenendo su il vestito frusciante.
Michael non le staccava gli occhi di dosso, come se la vedesse per la prima volta. Lei se ne accorse e lo guardò a sua volta, fingendosi irritata.
- Cosa c'è? Perché mi guardi così? Hai detto tu di vestirmi elegante e l’ho fatto, ma non c’è motivo di mettermi a disagio. Mi guardi perché ho sbagliato qualcosa? - La sua esagitazione sembrava non averlo coinvolto.
- No - rispose lui, sorridendo. - Ho dimenticato il cappello in casa. Ti guardo perché voglio che me lo vai a prendere.

Entrarono nella grande e lussuosa sala dei ricevimenti. Non c'era nessuno. Jackie guardò Michael che a sua volta guardò il cameriere e si rivolse di nuovo a lei, imbarazzato.
- Ci sarebbe stata troppa gente. Ho dovuto prenotare un piano solo per noi. - spiegò grattandosi il capo. Il cameriere abbassò lo sguardo con discrezione, e Jackie represse una risata.
- Beh, dovremmo esserci abituati ormai - disse, sentendo il proprio nervosismo evaporare. Erano lui e lei, com’erano da anni. Che il luogo fosse un ristorante di lusso, un palcoscenico o un parcheggio in periferia, la reciproca compagnia avrebbe reso comunque quel tempo piacevole. Si accomodarono vicino all'acquario, ordinarono e per un po' ammirarono il vago e annoiato nuotare dei pesci, nel silenzio dispersivo della grande sala.
- Mike?
- Uhm?
- Hai notato lo sguardo imbarazzato del cameriere? Secondo me pensa che il grande Michael Jackson sia venuto qui in coppia con la sua fidanzata - scherzò fingendosi scandalizzata, e lui arrossì come un liceale al primo appuntamento. Con le guance in fiamme le prese la mano come se fosse stata una rosa delicata, se la portò alle labbra, vi depositò un bacio e se la portò al petto in un teatrale gesto di finta disperazione.
- Noi siamo una coppia. - E la guardò sorridere, mentre mimava con lui quella curiosa scenetta.
- Una coppia di imbecilli. - disse lei. Due imbecilli che forse hanno creato l’album musicale più venduto della storia, pensò lei orgogliosa. Non lo disse, eppure Michael la stupì.

- Due adulti imbecilli che però ce l’hanno fatta. - Lo guardò sorpresa: aveva avuto il suo stesso pensiero. Lui la stava guardando con stupore. - Sai, a volte faccio fatica a rendermi conto della strada che abbiamo percorso. Quindici anni fa eravamo da soli, a Gary, io schiavo di mio padre e tu praticamente abbandonata. Adesso sono l’uomo più celebre del mondo, e tu… -. Lo interruppe.
- Nulla che non ti meriti, amico mio.  

Michael le porse il braccio e la condusse sull'enorme terrazzo del ristorante. Gli era passato l’appetito. Si sentiva euforico e pensieroso allo stesso tempo.
Le varie luci presenti facevano risplendere i capelli di Jackie, che parevano fili d'argento intrecciati.
Michael rimase a guardarli in silenzio, in preda ai pensieri, mentre lei l’aveva superato e aveva alzato il naso verso il cielo, persa nel tessuto blu sopra di loro.
Il silenzio era incontrastato, finché Michael decise di interromperlo.
- Se sono arrivato fino a questo punto - disse, raccogliendo dalla tasca un piccolo oggetto quadrato - Lo devo in buona parte a te.
- Non è vero! - protestò Jackie, voltandosi verso di lui. - Non dirlo nemmeno! Hai un talento naturale per la musica, e una grandissima passione oltre che una buona dose di esperienza. Il frutto di tutto questo lavoro è unicamente tuo e di nessun altro.
- Bè - disse Michael imbarazzato. - Senza i consigli di Quincy non sarebbe stata la stessa cosa.
Jackie gli diede silenziosamente ragione. Dovevano riconoscere a Q i suoi meriti.
- Ma a volte mi chiedo cosa sarebbe successo se non ci fossi stata tu. Dubito che sarei riuscito ad arrivare a questo punto, senza di te.
- Smettila - Lo guardò severamente, anche se non poteva fare a meno di sentirsi imbarazzata e lusingata da quelle parole così spontanee. Cercò di sdrammatizzare. - Non ti riconosco Michael: sei così egocentrico che non è da te attribuire il merito del tuo successo a un’altra persona.  
La guardò costernato.
- Non l’ho fatto. - si difese, e lei rise.
Michael storse la bocca sentendosi quasi infastidito, ma ne approfittò per avvicinarsi a lei. La abbracciò da dietro con affetto, appoggiando la guancia sul capo di lei. I suoi capelli lo solleticarono, ma non si spostò.
Sei libera di pensarla come vuoi, piccola testarda, ma io so qual è la verità.

- Ti voglio bene Jaqueline. - le disse in italiano. Una frase che lei gli aveva insegnato tanto tempo fa e che gli era piaciuta moltissimo. Aveva un significato simile al dire Ti amo, ma più intenso e profondo. Significava, letteralmente, desiderare il bene dell’altro, indipendentemente dal coinvolgimento emotivo di chi pronunciava quella frase. E lui voleva dirle esattamente quello: che voleva il suo bene, e così fece. Che le era grato e che la amava, ma non lo disse. Non conosceva abbastanza parole.
Prima che lei potesse rispondergli spostò la propria mano, quella che teneva la scatolina quadrata, raggiungendo quella di lei e depositandogliela nel palmo. Una volta fatto ciò, la stessa mano chiuse la sua presa stringendole le dita.
- Ti ho fatto un regalo. Questo è per te. - Tolse la mano prima che lei potesse cercare di restituirglielo. Era una reazione quasi spontanea quando riceveva un dono. Non si era mai abituata completamente a riceverne. Spesso piangeva quando qualcuno le donava qualcosa. Strano ma vero, l’eccezione a quella regola era stato Thomas.
Sotto il suo sorriso lei aprì la scatolina, rivelando una collana con pietre verdi, dalla tonalità simile a quella dei suoi occhi. Ridacchiò quando lei lo ringraziò, la voce impastata dall’imbarazzo, per poi borbottare un grottesco ‘Non dovevi, comunque’.
Restò abbracciato a lei per tranquillizzarla e si soffermò sul cielo sopra di loro. Desiderò poter vedere tutte le stelle del firmamento.
- Ti ricordi le notti che passavamo a guardare il cielo da bambini? A Gary si riuscivano a vedere più stelle rispetto che qui. - disse lei dopo qualche minuto.
Sbuffò meravigliato e divertito. Ancora una volta, uno dei due aveva anticipato il pensiero dell’altro.
- Sono cambiate così tante cose da quel periodo. - mormorò. Sentì Jackie appoggiarsi di più a lui, le sue scapole incastrarsi sul proprio addome.
- E ne cambieranno altrettante Mike.
Rimase pensieroso, una domanda un pò ingenua sulla punta della lingua.
- Non ti fa paura il futuro? - chiese infine. Si sentì sciocco, ma lei non fece una piega.
- No. Il futuro ha paura di me. Se fra quarant'anni saremo ancora insieme, te ne accorgerai.  

Insieme.
Michael ripetè nella mente quella parola più volte, come una lezione da imparare, una verità da accettare. Scosse la testa, costernato.
- Certo che saremo ancora insieme, non dire sciocchezze.
Cercò di sorridere, ma sentiva la malinconia schiacciarlo come un macigno.

- Ci credi davvero Michael? - gli chiese lei. Non lo stava guardando, perché era sempre davanti a lui, ma era come se i suoi occhi lo stessero fissando. - Le cose cambiano velocemente, soprattutto per una persona che ha scelto questo tipo di vita. Le persone attorno a te arrivano e se ne vanno come niente. Tu credi davvero che riusciremo ad essere ancora insieme, in qualche modo?
Il soffio di vento leggero che li così in quel momento sembrava l’ausilio delle loro medesime sensazioni.
L'ansia del cambiamento.
Tutto attorno a loro mutava con la stessa facilità con cui il vento cambia direzione. Come fece in quel momento.
- Lo credo. Sei la persona a cui tengo di più al mondo, sei insieme a me da quando siamo piccolissimi. - Rispose senza pensare. Le parole gli erano uscite dalla pancia. - Certo che credo che saremo ancora insieme, anche se non so dirti in che modo. E dovresti crederci anche tu Jackie, dovresti avere un po’ più di fiducia. - Abbassò il tono. - Se non in te stessa, quantomeno in me.
Abbassò gli occhi fino a vedere le proprie mani cingere più saldamente la vita di Jackie, le maniche risalire leggermente fino a fargli scorgere una piccola macchia bianca sul polso che la camicia e l’orologio da polso non riuscivano a nascondere completamente.
Chissà quanto ancora si sarebbe allargata.
Chissà in quanto tempo il bianco l’avrebbe ricoperto totalmente.  
- Io non ti abbandonerò Michael. Credo a questo.
Tutto cambiava, senza sosta.
 
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Eccoci giunti alla fine. Grazie a chi è arrivato fino a qui. Spero vi sia piaciuto leggere questa storia quanto a me è piaciuto scriverla. Ci vedremo, spero presto, con la seconda parte.
Un ultimo grazie a Michael, il cui alter-ego immaginario e da me reinterpretato è il protagonista di questa storia. Grazie all'artista che ha ispirato la storia e mi ha aiutato in molti momenti di solitudine.
Buona luce a tutti!

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