Nakama Di Passaggio

di Lady R Of Rage
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il Mostro ***
Capitolo 2: *** Seconda Possibilità ***



Capitolo 1
*** Il Mostro ***


Sugar: Il Mostro
 

Doveva essere semplice. Restare in silenzio, come una bambola vera, e toccarli tutti alle spalle senza farsi sentire, uno ad uno. Farli cadere come una pila di domino: il nasone sarebbe rimasto da ultimo, messo all’angolo come un toro nell’arena, e avrebbe avuto il suo benservito.
Cosa che ha avuto lei stessa trovandoselo davanti, a girare l’angolo con in braccio una pila di piatti da lavare. Poi lo spadaccino aveva sguainato la spada, le mille braccia dell’assassina l’avevano avvinta schiacciandole i palmi contro la sua schiena – stavolta ti conosco, so cosa sai fare, e non mi farò toccare – e il cyborg era accorso con un rocchetto di fil di ferro per impacchettarla per bene. Quell’ultima parte gliel’hanno raccontata dopo, di fronte a una tazza di tè e una bella ciotola d’uva, perché allora il nasone era sbucato da dietro la spalla dello spadaccino ed era crollata di nuovo svenuta. Deve aver battuto la testa, perché toccandosi i capelli sente un rigonfiamento.
In assenza di agalmatolite sono giunti a un compromesso: le hanno legato le mani davanti, strette l’una nell’altra, perché non possa toccare con le sue dita nude qualcuno dei loro Nakama.
Dopotutto può abituarcisi. I suoi, di Nakama, sono destinati a finire all’inferno. Può sopportare di essere un po’ strapazzata pur di lasciare a loro una possibilità.
La bella archeologa apre la porta del ripostiglio in cui passa la notte e si china al suo fianco. -Vieni, prendi un po’ d’aria. Sanji ha preparato la colazione. C’è anche tanta uva per te.-
Si lecca le labbra. Aggrapparsi alle piccole cose è l’unico sollievo che le rimane in quella gabbia di matti. Nico Robin sorride come faceva Monet, come se vederla serena fosse sufficiente a soddisfare anche lei. Gli altri la lasciano stare, seduta contro la cabina a godersi il sole. L’uva riesce a mangiarla solo con la bocca, prendendo al volo i chicchi dalla ciotola. Gli occhi le si bagnano di lacrime a quel sapore così familiare. Ne succhia tre insieme, ad occhi chiusi, ascoltando il loro piccolo schiocco tra i denti. Quando apre gli occhi e vede gli stivali marroni, però, si ritrae sul legno come un verme.
-Vattene via, nasone di merda.-
-Che bambina sgarbata.- C’è un tono di burla, nella sua voce, che le fa venire voglia di azzannarlo. Proprio sul naso, quell’orribile naso lungo. Può farlo anche a occhi chiusi. -Voglio solo darti una mano. Non è bello che mangi così sdraiata per terra. Il nostro medico dice che non fa bene.-
-E perché non viene lui, a darmi da mangiare?-
Il nasone si mette a sedere al suo fianco, dietro la sua spalla. Si chiama Usopp, si ricorda: dovrà imparare a chiamarlo così, ricordare che è solo una persona, non un mostro, e non è neanche un gran guerriero. Potrebbe sconfiggerlo anche Buffalo, povero caro. Anche se è in prigione, forse da solo. Che cos’è la sua situazione, paragonata a quella? Con che coraggio si fa mettere all’angolo da un semplice cecchino, senza nemmeno bisogno di un proiettile.
-Volevo vederti da vicino. Mi affascini. Sei una strana bambina.-
-Non sono una cosa che puoi studiare,- mugugna Sugar. -Non sono nemmeno una bambina. Non ti voglio vedere.-
Usopp si assesta alle sue spalle. Coglie un guizzo dei suoi morbidi ricci neri e si volta di scatto dall’altra parte: dove ci sono i capelli c’è un volto, e dove c’è un volto c’è un naso. Forse, con le sembianze normali, è anche un bel ragazzo. Non le interessa saperlo: nella sua testa, quello sarà sempre il volto del nasone di merda.
-Allora non mi vedrai. La mia mano ti va? Ti do io l’uva.-
-Muori,- biascica. Suona sonnolento, artificiale, ridicolo. Sugar tira su col naso umido. Porca troia, le manca persino Trebol. Cosa le sta facendo quella nave?
-Non sono la tua sorellina,- tenta. -Ne ho una vera, di sorella. Mi fai schifo.-
-A me piacciono i bambini. Avevo un equipaggio di loro, a casa. Forse andreste d’accordo se tu non fossi così irritante.-
Avvicina la mano che tiene l’acino alla sua bocca: Sugar scatta in avanti e azzanna le dita con tutte le sue forze. L’urlo del cecchino, per un attimo, le strappa un sorriso.
Per un attimo.
L’attimo dopo il suo viso è freddo, e le dita strette nel filo di ferro sembrano bruciare sotto le sue spire. Qualcuno della sua famiglia avrebbe sorriso, a vederla: Diamante avrebbe applaudito, Dellinger le avrebbe dato il cinque, persino quell’orrore di Trebol l’avrebbe trovata spavalda e coraggiosa. Invece eccola lì, ancora legata, ancora impotente, con dell’uva che deve mangiare sdraiata come una carogna. Persino l’urlo di Usopp, ora che ci ripensa, suonava più sorpreso che spaventato per davvero.
Almeno ho l’uva, si ripete per farsi coraggio. La guarda dall’alto, al di sopra del pavimento di legno. Improvvisamente la ciotola è piccola, e l’uva stessa di un verde malaticcio. Usopp si pulisce le dita macchiate di saliva nelle brache. Si alza in piedi, le mani sui fianchi: Sugar non gli vede il volto, ma può immaginare il suo sguardo scornato. Stranamente arriccia il naso come faceva Monet.
-Sei proprio una bambina, anche capricciosa.- Usopp si alza, sovrastandola. -Io l’uva la metto qui, se t’interessa sai dove trovarla.-
-Aspetta.-
Le parole sono uscite così raschiate da sentirle a malapena. Usopp si ferma, sospira, abbassa le spalle. Ora che è girato, Sugar può guardargli anche la testa. Ha dei bei capelli ricci, folti e vaporosi, legati assieme sotto il casco da cecchino. Potrebbe immaginare un bel volto dall’altra parte. Chiude comunque gli occhi, di scatto, quando si volta.
-Ti sei già pentita?-
Sugar si stringe nelle gambe e si rannicchia sotto le braccia serrate l’una all’altra.
-Sono stata una bambina,- mugugna. -Ma a te le bambine piacciono, no?-
-Solo se non cercano di uccidermi. Prendo una forchetta: sicuramente quella non la mordi.-
Vuol dire che non se ne andrà: Sugar si copre la bocca con le mani, accennando un sorriso. Non ha paura di nulla, nemmeno dei cecchini dal lungo naso. È quello che diceva Monet: tu non hai paura di niente. Diventerai una guerriera anche migliore di me.
Si ritrae, quando Usopp si siede di nuovo. Ha effettivamente in mano una forchetta, e la conficca nel mucchio d’uva senza un fiato. La avvicina alla sua bocca: Sugar la ingoia tutta d’un fiato.
-Allora posso restare?-
Sugar sospira, ammaliata dalla dolcezza dell’uva.
-Solo se non ti fai guardare in faccia. E comunque devi morire.-
-Me lo dicono tanti.- Non lo vede, ma sa che sta sorridendo. Deve stringere la coperta per non dargli un pugno. Non se ne libererà mai, di quell’orrenda visione. Dopotutto deve rimanere una bambina per sempre: i mostri che si annidano nella notte non le fanno più paura, ma uno spauracchio con il naso lungo e gli occhi fuori dalle orbite è più che sufficiente a sostituirli. Un mostro vero, di carne, che parla con lei come se potessero diventare amici.
Tira su col naso. Forse farà meno paura, se lo conoscerà da vicino.


A.A.:
Questa storia è un po' diversa dal mio solito. Onestamente non so come presentarla. Più che altro come... insomma, un'idea che mi attirava.
Non c'è un ordine preciso su come continuerò. Non seguo liste di prompt e non prendo parte ad alcuna challenge. Semplicemente passerò da personaggio a personaggio a seconda della mia ispirazione. Qui ho scelto di cominciare da Sugar, e ho deciso di legare la sua figura a Usopp, ma non è detto che il resto della raccolta riguardi per forza singoli personaggi e incontri tra coppie. 
Non è spiegato come mai Sugar sia scappata da Dressrosa, e non lo farò nemmeno per gli altri personaggi dei capitoli successivi. Il focus di questa storia non vuole essere quello. Si può implicare che si siano ripresi prima di essere catturati e siano sgusciati via, infilandosi via via sulla Going Grande Luffy e poi sulla Thousand Sunny. 
Non è neanche chiaro quando sarebbero stati scoperti, visto che nella storia sono presenti tutti i Mugiwara (presumibilmente anche Carrot e Jinbe) anziché solo Luffy, Zoro, Usopp, Robin e Franky. Non la vedo molto come qualcosa che abbia molto senso, ma personalmente lo preferisco così. 
Vi saluto, sperando che le mie storie vi piacciano anche così. 
Lady R

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Capitolo 2
*** Seconda Possibilità ***


Pica: Seconda Possibilità


-Ti va un po’ di carne, soprano-yaro?-
Taci, non lasciarti provocare. Sei in trappola e ci sei finito da solo. Un animale in trappola non si divincola, non cerca di scappare. Altrimenti i fili si conficcano sotto la pelle, strappano, ti lasciano nudo con le ossa al sole, la gola scoperta per mordere e puntare il dito.
Il Cacciatore di Pirati gli arriva alla coscia, ma Pica si ritrae comunque quando lo tocca sotto il ginocchio. Sicuramente indossa le spade di proposito, per prenderlo in giro ancora una volta. Anche nel silenzio è più bravo di lui, e lo lascia battuto e impotente contro l’albero a cui l’hanno legato. È grande come un palo della luce, contro la sua schiena.
-Basta che fai sì e no con la testa. Non puoi stare a digiuno per sempre. Mica vogliamo avvelenarti. Lo sciopero della fame danneggia solo te.-
Stringe il legno dell’albero finché le schegge non si conficcano nel guanto. Ovviamente gliel’ha ricordato, quanto è impotente da solo in mezzo al mare. Con le mani incatenate dietro la schiena, la katana rinchiusa in qualche ripostiglio, nemmeno un ciottolo da assorbire nella propria pelle, e solamente slip e stivali – e guanti, meno male che almeno quelli non li ha tagliati, starebbero ancora a ridere se lo sapessero – a coprire la sua nudità.
Sempre meglio dell’uniforme a righe di Impel Down. Deve rimanere calmo – quindi zitto – e conservare le forze. Non sono catene di agalmatolite, e con un po’ di sforzo potrà liberarsi. Schiaccerà la testa del Cacciatore di Pirati con un solo pugno, e prenderà per sé le sue spade come trofeo.
-Mi sembra di aver capito. Non la vuoi. Chiederò al nostro stupido cuoco se ha dei sassi da friggere in padella.-
Pica scatta in avanti: le catene si stringono dietro la sua schiena, la colonna vertebrale schiocca nel contraccolpo. Il petto brucia: il piccolo dottore renna ha rappezzato la ferita per bene, ma i suoi piccoli punti non sono fatti per un uomo della sua misura. Anche lui – una fottutissima renna – ha una voce più profonda della sua. Ma sicuramente Zoro se n’è già accorto.
-Sì, voglio la carne. Sei contento? Ti ho risposto. Ho parlato. Ridi pure, che m’importa.-
-Mi fai davvero così spietato?-
Appoggia la guancia contro il legno, come se la sensazione scabra potesse svegliarlo.
-Non hai fatto che punzecchiarmi per tutta la battaglia. Cosa credi che sia cambiato?-
-Nulla. Oppure, forse, c’entrava il fatto che ti stavi comportando da merda sleale, e aggredivi i feriti e i tuoi stessi uomini.-
-In battaglia vincono i forti. Non te l’ha insegnato, quel damerino di Mihawk?-
Zoro mastica il suo pezzo di carne. Gli gira intorno, come un avvoltoio in cerca di un punto debole da beccare. Tipico di un uomo come lui, prendersela con un uomo legato e mezzo nudo.
Belle parole, per un cosiddetto guerriero che ha attaccato la sua stessa sorella. Per un figlio che ha insultato il padre. Zoro ha finito di girare attorno all’albero, forse per vedere se è ben legato. Ingoia la carne.
-Sai, è strano. Più ti conosco, più mi ricordi una persona che conoscevo.-
E a me cosa importa? Pica si raddrizza contro la colonna, squadrandolo con disgusto. Non ha intenzione di cascare in un’altra delle sue trappole verbali.
-E chi era, di grazia? Il clown della tua festa dei cinque anni?-
Si impone di parlare con calma, come se Zoro fosse il suo migliore amico. Dubita che ci sia cascato, però: non è un performer come Diamante, lui. Diamante – mi dispiace, padre. Lui saprebbe cavarsela, sgusciando tra le stanze come stoffa, senza farsi vedere e men che meno incatenare. Forse avrebbe potuto battere anche Zoro, alla spada. Lo immagina cadere in ginocchio, fatto a pezzi da un Vipera Glaive. Che bello.
Il vero Zoro, quello davanti a lui, stringe nel pugno l’elsa di una delle spade. A Pica non piace, ha un’aura strana. Forse è maledetta. Che scemenze. È solo una spada, e sopra c’è il mio sangue.
-Una mia amica. Aveva grandi ambizioni, proprio come te. Ma le mancava qualcosa, quell’unica cosa per sentirsi davvero grande.-
-Una ragazza,- mugugna Pica. Non sa cos’altro dire, e anche quella frase suona sbagliata e disgustosa. Come se ci fosse qualcosa di scandaloso nell’idea di una donna spadaccino. Quello è il tipo di punto di vista che gente come Kyros potrebbe portare avanti, ma per un Donquixiote conta solamente la forza delle braccia. Quella che io non ho, considerando come sono messo.
Zoro abbassa gli occhi per un attimo, ma li solleva subito dopo. -Una bambina.-
-Io non sono un bambino.- stride Pica. -Te lo farò vedere, appena riuscirò a liberarmi.-
-Ma ti manca qualcosa, vero? Quel piccolo dettaglio che ti impedisce di essere come vuoi davvero. Che ti impedisce di sentirti…-
Rimane in silenzio, guardandolo di sottecchi. Si aspetterà che dica qualcosa, di sicuro. Qualcosa che gli piaccia, che lo soddisfi, che gli ricordi chi ha vinto e chi ha perso.
Perché Pica lo sa, come completerebbe quella frase, e lo odia.
-… sentirmi uomo.-
Pica serra i pugni guantati, la pelle lacera che brucia ancora sotto la stoffa. Il labbro superiore di Zoro trema, si accartoccia leggermente sopra i denti. Tipico.
Sicuramente non voleva. Gli è scappato e basta, come a tutti i soldati che ha ammazzato per molto meno. Non vogliono mai. Eppure, dopo anni, non riescono ad abituarsi. Dopotutto non l’ha fatto nemmeno lui: non poteva andare diversamente.
-Lasciami stare. Non ho più fame. Se sei qui per prendermi per i fondelli sei venuto nel posto sbagliato.-
-Una normale conversazione, per te, è prendere per i fondelli? Sei davvero un tipo strano.-
-Saresti strano anche tu, con questo falsetto del cazzo in gola.-
Zoro gli appoggia la mano sulla spalla. Pica serra i pugni per non ritrarsi. Non ha niente in mano, men che meno un’arma. Ma la sua parlata si fa rispettare.
-Sei sempre più debole di me, e devi ricordarlo. Questo non significa che tu sia debole in assoluto. È stato un bel combattimento. Se ci sarà occasione ti sfiderò volentieri.-
-Zoro! Smettila di tenerti il gigante di pietra tutto per te. Voglio parlarci anche io.-
Riconosce quella voce, squillante – non risibile, quella no – e si ritrae sul palo. Cappello di Paglia in persona si arrampica su per le scale, con appresso il cyborg e un giovane dai capelli arancioni che non riconosce. Si china su di lui, allungando il braccio per pizzicargli la guancia. -Poi devi farmi sapere come facevi. Eri grosso come una montagna. Ti toglierei le catene solo per fartelo fare di nuovo.-
-Basta stuzzicarlo, Luffy.- È il cecchino nasuto, quello che chiamano il Dio Usopp. Brandisce una forchetta come se fosse un’arma. -Quello ci spacca la nave con un solo pugno.-
-Ci sono anche io sopra la nave, deficiente. E sono io quello che non può nuotare.-
Usopp si copre la bocca con le mani, sgranando gli occhi. Lui non l’ha mai sentito. Pica piega appena il collo verso di lui: il cecchino si ritrae, nascondendosi dietro il braccio del cyborg carpentiere. -E poi voglio parlare col capitano, non con i pesci piccoli come te.-
-Benissimo, parliamo. Posso parlare con te, se ti va. non rido. Mi tiro la faccia, così.- Cappello di Paglia si afferra le guance, allungandole verso il basso, e si tiene la faccia bloccata in una parodia di mestizia. Pica prende un respiro profondo. Ora che è là non può che accettare la sua situazione e accontentarsi del meno peggio. Lasciandosi guardare, mettere a nudo ancora una volta e di più.
-Non oserai mica chiedere a questo qui se sa dare di corpo?- Forse le parole del carpentiere sono vere, forse anche lui si è deciso di metterlo alla berlina. Pica scrolla le spalle, facendo tintinnare le catene. I suoi occhi si fissano in quelli del capitano.
-In quella tua flotta, c’era per caso una ragazza di nome Baby 5?-
-La cameriera?- Cappello di Paglia inarca le sopracciglia. -Forse l’ho vista alla festa. Era simpatica, mi ha dato anche la carne perché mi era utile. Come mai la conosci?-
-Erano nello stesso equipaggio, genio,- scatta la giovane donna. -A quest’ora sarà andata a sposarsi. Noi però stiamo andando dalla direzione opposta. Da quando in qua è così importante per te?-
Perché ero arrabbiato, pensa. Perché ho sbagliato. Perché sono suo fratello – pessimo, ma non è la cosa peggiore che ho fatto. A Diamante non può dire niente, o a Doffy, o a Buffalo, ma almeno a lei può sperare di arrivare, e magari cancellare una volta per tutte quella orrenda immagine.
Il suo sguardo guizza dal volto di Cappello di Paglia, a quello della ragazza dai capelli arancioni – Nami, o qualcosa del genere – a quello impassibile dello spadaccino che l’ha umiliato. Forse lei lo guardava, mentre lo tagliava a pezzi senza neanche uno sforzo. Sarà stata sollevata, ora che la sua furia vendicativa non poteva più nuocere. Oppure, almeno un po’, lo penserà come un fratello quasi decente.
-Se a qualcuno di voi capiterà di vederla, ditele che mi dispiace.-


A.A.:
Quando si fanno le raccolte bisognerebbe tenere i propri personaggi preferiti per ultimi, o non si va mai avanti. 
Nah, mi sono detta. Questa va raccontata. 
C0me sicuramente previsto, ecco Pica e il suo punto di vista.  Ancora una volta lo vediamo immobilizzato con manette non di agalmatolite, che i Mugiwara non hanno, e semplicemente incatenato all'albero della Sunny senza pietra a cui legarsi. 
Buona parte di questa shot è legata all'idea che Pica è uno spadaccino mediocre, e che senza il suo colosso di pietra scende di vari livelli. Zoro lo ha bullizzato a sufficienza a Dressrosa: qui invece ha deciso di rabbonirsi e rivolgere al nemico sconfitto una parola gentile, anche se poco "esplicita" nell'esserlo. Lo ha paragonato a Kuina, si pensi solo a quello. 
Non so chi sarà il prossimo pg, ma spero che questa shot vi piaccia.
Un saluto
Lady R

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