Consapevolezza

di Owaranai
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Consapevolezza ***
Capitolo 2: *** Vorrei ***
Capitolo 3: *** Anima mia ***
Capitolo 4: *** Giorni che non torneranno ***
Capitolo 5: *** Futuro ***
Capitolo 6: *** Strazio ***



Capitolo 1
*** Consapevolezza ***






È successo ormai vent’anni fa, ma lo ricordo come fosse ieri.

Avevo sette anni, era un pomeriggio estivo e indossavo un paio di pantaloncini corti e una canotta con delle fragole disegnate sopra. Stavo giocando da sola in giardino quando decisi di andare a coccolare uno dei miei conigli, il mio preferito. Quando mi avvicinai alla sua gabbia la trovai vuota. Comincia a pensare se mio papà mi avesse detto qualcosa sull’averlo spostato, ma non mi venne in mente nulla in proposito. Poi, improvvisamente, mi ricordai. Il giorno prima mi disse di aver trovato il coniglio morto nella sua gabbia e che probabilmente era dovuta alla sua età avanzata. Riflettei su quella parola. ‘Morte’. La pronuncia piano, in un sussurro, fissando la gabbia vuota. Fu in quel momento che sentii di aver finalmente capito il significato di quella parola, finora così distante per la bambina che ero, e cosa implicava. Una lacrima solcò la mia guancia, seguita subito dopo da un’altra, e da un’altra, e un’altra ancora… Guardai il sole che tramontava all’orizzonte, cercando di reprimere i singhiozzi. In quel momento pensai:
‘E se muoio anch’io?’ (dopo un altro po’ di tempo avrei realizzato che ‘se’ non era la parola giusta da usare, chiunque sarebbe morto ad un certo punto della propria vita).

Potrà suonare semplicistica, ma riconduco a quel momento l’inizio di tutto ciò che c’è di sbagliato in me.

La consapevolezza mi soffoca.




 

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Capitolo 2
*** Vorrei ***






Ed eccomi qui.

Seduta in giardino con l’aria fresca che mi accarezza il viso, cercando risposte a domande non ancora chiare nella mia testa, trattenendo le lacrime.

“Ecco la solita ragazza depressa!” penserete voi.

Non sono depressa, mi faccio semplicemente troppe domande e tutti quei pensieri che ne scaturiscono si frappongono sempre tra me e il mondo. Mi tolgono la forza di andare avanti, la voglia di sorridere, il desiderio di amare e farmi amare.

Soffro di una malattia chiamata “Pensare Troppo” e per questa non esiste una cura efficace. Certo, ci sono alcuni rimedi temporanei ma no, grazie, non voglio cominciare a ingoiare pillole.

La morte, direte voi, è la soluzione: niente più pensieri, niente più dolore, solo il nulla eterno e nient’altro. Ci ho pensato anch’io (brividi sulla mia pelle), ma poi mi sono detta:

“Stupida. Hai paura della vita, figuriamoci della morte!”

Vorrei solo smettere di sentirmi così.

Vorrei riuscire a tramutare le mie domande in risposte, le risposte in certezze, e le certezze in vita da vivere.

Vorrei trasformare ogni mia lacrima in sorrisi, sarebbero talmente tanti che farebbero invidia perfino alle stelle in cielo.

Vorrei guardare una persona negli occhi e scorgervi dentro la sua anima, senza preoccuparmi che un giorno questa persona possa abbandonarmi, ferirmi o morire.

Vorrei avere il coraggio di amare e trovare una persona con cui condividere la mia intera esistenza, senza pensare che qualsiasi cosa io possa fare, provare, dire, sognare, sentire, scomparirà con me alla mia morte.

Vorrei che i miei pazzi e impossibili mondi fantastici diventassero realtà, andando a rallegrare la vita delle persone.

Vorrei…

Vorrei poter prendere queste parole, accarezzarle, dare loro forma, colorarle di ogni emozione possibile, cospargerle di coraggio e usarle per costruire la mia vita.

Vorrei.

Ma non ne sono capace.

 



 

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Capitolo 3
*** Anima mia ***


 



Buio, freddo, silenzio.

Mi rendo improvvisamente conto di trovarmi nel bel mezzo del nulla. Ovunque mi giro vedo solo nero, nemmeno uno spiraglio di luce. Ho paura, ma non posso starmene qui ferma in eterno. Faccio un primo e insicuro passo, tenendo le braccia sollevate davanti a me nell’eventualità che ci siano ostacoli. Faccio un secondo, un terzo, un quarto e un quinto passo, acquisto un minimo di sicurezza, ormai ho perso il conto di quanti ne abbia fatti. Nonostante siano molti mi sembra di trovarmi sempre nello stesso punto, con questa oscurità che ad ogni singolo passo diventa sempre più pesante, quasi voglia impedirmi di proseguire.

Sto camminando da parecchio, sono stanca ma detesto l’idea di dovermi fermare: il rumore dei miei passi, l’unico che riesco a percepire, finisce e così un silenzio carico di tensione riprende il sopravvento.
Cerco di convincermi che è solo un incubo e comincio a pizzicarmi le guance per cercare di svegliarmi ma non funziona, allora mi accascio a terra abbattuta e in quell’istante una folata di vento gelido mi investe. I brividi percorrono tutto il mio corpo facendomi trattenere il respiro.
Una volta riacquistata un minimo di lucidità mi rendo conto che ci deve essere per forza una qualche apertura da dove il vento sia potuto passare. Con incertezza comincio a muovermi nella direzione in cui proveniva. Ad un certo punto le mie mani toccano qualcosa, è freddo e umido, sembra una parete.
Tasto ogni singolo millimetro finché non trovo una sporgenza e allora comincio a tirare con tutta la forza che ho in corpo.
Dopo innumerevoli sforzi, con le braccia doloranti, sento la parete muoversi di qualche centimetro. Mi siedo un attimo a riprendere fiato, quando la porta si spalanca come per magia, ancora quel vento mi raggela perfino il sangue nelle vene. Me ne resto lì impalata quando vedo un fievole bagliore che sembra avvicinarsi sempre di più.
Prendo coraggio ed entro in quella che sembra una foresta fatta di pece e spine. Rovi enormi sovrastano i lati e il soffitto di uno spazio immenso e tremendamente inquietante, con fiori rosso scuro da cui sembra colare sangue misto a lacrime.
Mentre osservo la scena con ribrezzo avverto una presenza alle mie spalle, mi giro di scatto e noto un’ombra dietro ad un tronco enorme.

La curiosità e la voglia di andarmene da questo luogo hanno preso il sopravvento sulla paura. Mi avvicino, nemmeno il tempo di aprire bocca per chiedere chi ci sia nascosto lì dietro che mi ritrovo davanti una figura imponente ricoperta da un lungo mantello blu notte. Sono così sorpresa che le parole mi si fermano in gola.
Lo spaventoso individuo allunga una mano verso di me e mi trafigge il petto, io sono pietrificata, la mia mente svuotata da qualsiasi pensiero. Poco dopo ritira la sua mano grondante di sangue e vedo che stringe qualcosa: il mio cuore.
L’orrore si dipinge sul mio volto, mi aspetto di crollare senza vita da un momento all’altro ma ciò non avviene. Allora allungo a mia volta una mano, voglio vedere chi o che cosa si nasconde dietro a quel mantello ma indietreggia col mio cuore stretto delicatamente in quelle sue sudice mani.
Una voce profonda e piatta sussurra:
“Troppo spaventata per morire, troppo spaventata per vivere”.
Poi scomparve insieme alla stanza e al mio cuore.



Mi sveglio di soprassalto, le lenzuola inzuppate e il respiro affannato, porto una mano al petto e sento il cuore martellarmi più che mai. Tiro un sospiro di sollievo ma nonostante questo non riesco a calmarmi.

Mi alzo, non riesco a pensare di rimettermi a dormire e cadere vittima di un altro incubo del genere, sono irrequieta e non riesco a stare un attimo ferma. Mi infilo la prima cosa che mi capita a tiro, prendo il cappotto ed esco di casa.

Passeggiando sulla spiaggia e osservando l’acqua infrangersi sugli scogli, sola con me stessa, ripenso a tutto ciò che è successo nella mia mente questa notte.

Mi rendo tristemente conto di essere andata in cerca fino adesso di emozioni frivole e di seconda mano, stando alla larga da quelle emozioni vere, quelle fanno battere il cuore, che ti fanno sentire viva, che ti fanno venir voglia di prendere la felicità e custodirla gelosamente in una bottiglia per poterla portare sempre con te. Paradossalmente non mi sono mai sentita così viva come nell’istante in cui quell’individuo ha afferrato il mio cuore.



Questa voragine che ho nel petto nella quale ora c’è un cuore finto.

Un ammasso di paure, angosce, insicurezze e dolore.

Ti troverò, anima mia, e mi riprenderò la mia vita.





 

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Capitolo 4
*** Giorni che non torneranno ***






Lo sai qual è il problema?


Cresciamo con cartoni animati e fiabe, dove principi azzurri, castelli incantati e magia sono all'ordine del giorno; dove è quel “vissero tutti felici e contenti” che ci fotte.
La vita reale non è così: l’amore non è eterno, i sentimenti presto o tardi svaniscono.
Tutto è destinato a finire.
Ma quando te ne rendi conto ormai è troppo tardi, il tuo cuore è già pieno di ferite.

 
Se un amore finisce può essere considerato comunque vero amore? O forse non lo è mai stato?
 

E di noi due resterà soltanto una fotografia sbiadita, l’odore di sigarette ormai consumate dal tempo e il ricordo di giorni che non torneranno più.




 

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Capitolo 5
*** Futuro ***







La mia quotidianità è così piatta e frustrante che passo le giornate a sognare il mio futuro.

Creo mille piani nella mia testa, penso a come sarà la mia vita un domani, senza accorgermi che, mentre sono persa nei miei sogni, quel domani arriva e io non ho concluso nulla.
 


Tutto è più interessante dentro la mia testa.

E nel frattempo, nella vita reale, io sono sempre qui, inchiodata dall’evidenza dei fatti, con la speranza che prima o poi accada qualcosa che mi spinga a muovere un passo.


 
Aspetto che arrivino i giorni che ho sempre sognato: giorni che sembrano sogni.






 

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Capitolo 6
*** Strazio ***






Ed eccomi di nuovo qui, chiusa in bagno e seduta in un angolino con le ginocchia strette al petto, a piangere in silenzio.

Io non sono nessuno ma, quando mi fermo un attimo a pensare, troppo spesso in verità, sento il peso del mondo addosso. Mi sento soffocare e comincio ad annaspare in preda all’agitazione in cerca di un po’ più d’ossigeno, una volta trovato mi tranquillizzo e le lacrime cominciano a scendere inesorabili.

Mi sveglio la mattina con lo stesso pensiero fisso con cui la notte prima mi sono addormentata; quel pensiero che accompagna sempre le mie giornate. Cerco di distrarmi, ci provo disperatamente, ma appena abbasso la guardia eccolo lì in agguato che mi lacera dall’interno con le unghie e con i denti urlando la sua presenza.

Guardo il mondo e mi chiedo: “Che senso ha tutto questo?”

Non lo so, non lo saprò mai.

Perché non esiste una risposta in grado di soddisfarmi.

E, nella remotissima possibilità in cui esistesse, sono troppo occupata a non lasciare uscir fuori questo strazio per rendermene conto.





 

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