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Almost morning
still dark is the sky
A timeless space for you and I We touch the stars with our fingertips
Luna my darling
Soft and silent
the time we had
Missing hours that never last
Whispering stars of the night we trust
Luna my darling…
(“Luna my
darling” – Amberian Dawn)
Erano trascorsi lunghi mesi dopo la
sconvolgente serie di avvenimenti che aveva portato alla definitiva sconfitta
di Thanos e alla morte di Tony Stark, ma Peter non si era affatto ripreso, né
accennava minimamente a reagire al dolore che lo aveva devastato fin nel
profondo.
Non voleva nemmeno provare a reagire, in
realtà. Davanti ai suoi occhi continuavano a scorrere sempre le stesse,
terribili scene: quando aveva visto il signor Stark a terra e si era gettato su
di lui in lacrime, quando aveva tentato in tutti i modi di farlo riprendere
(per la prima e ultima volta dalle sue labbra era uscito persino il nome dell’uomo,
Tony… ma non era servito a niente),
quando si era trovato in mezzo a tanta gente venuta per il funerale del
supereroe milionario e non riusciva a capire cosa ci facessero tutti lì.
Per molto, molto tempo aveva continuato
a pensare che fosse tutto un piano di Tony Stark.
Non era possibile. Iron Man non poteva
essere morto. Era il suo eroe, da sempre, era invincibile. Non poteva essere
morto e prima o poi sarebbe tornato.
Ma Tony Stark non era tornato.
E Peter aveva compreso che non aveva più
nessuna ragione per vivere.
Quando il signor Stark era morto, l’anima
di Peter era morta con lui. Restava solo un guscio vuoto e il ragazzo sperava
di potersi liberare presto anche di quello per potersi riunire all’uomo che
amava, in un altro universo, in un mondo migliore.
Peter non era tornato a scuola dopo la
battaglia con Thanos. Sì, sapeva che quello era l’ultimo anno di liceo. Sapeva
che gli altri ragazzi si preparavano a godersi al meglio quell’ultimo anno per
poi andare al college o iniziare a lavorare, ma a lui non importava niente.
Ci avevano provato tutti a scuoterlo
dalla sua apatia. Erano venuti i suoi compagni, persino i suoi professori. Avevano
insistito. Peter era uno studente così brillante, aveva un grande futuro,
avrebbe potuto scegliere tra i migliori college, non poteva buttare via così l’occasione
della sua vita.
Peter aveva rifiutato di vederli, si era
chiuso in camera a chiave e si era tappato le orecchie con le mani, per non
sentirli nemmeno.
Non aveva voluto parlare nemmeno con
Ned. Sapeva che l’amico ne avrebbe sofferto e gli dispiaceva, ma non voleva
sentirgli dire le stupidaggini che avrebbero detto tutti.
Il college, il futuro, la possibilità di
una brillante carriera…
Peter Parker non voleva nessun futuro,
nessuna carriera.
Per lui la vita era finita quel giorno di
tanti mesi prima, accanto al corpo esanime di Tony Stark.
Persino il preside del suo istituto, un
giorno, si era presentato all’appartamento in cui Peter viveva con zia May e
aveva parlato con la donna, pregandola di convincere il ragazzo a tornare a
frequentare le lezioni. La battaglia finale contro Thanos era avvenuta a
febbraio e, dopo, Peter non aveva più messo piede a scuola. Il preside era
stato paziente per il primo mese, poteva comprendere il trauma subito dal
ragazzo ed era disposto a venirgli incontro, ma a maggio le cose non erano
cambiate e lui non poteva più attendere. Se Peter avesse frequentato perlomeno
l’ultimo mese di scuola, in considerazione dei suoi meriti passati e di quello
che aveva dovuto sopportare, il preside avrebbe chiuso un occhio e avrebbe
spinto i professori ad aiutarlo per gli esami conclusivi, altrimenti… beh,
altrimenti Peter avrebbe perso l’anno scolastico. Niente college per lui, ma la
prospettiva di dover frequentare di nuovo l’ultimo anno di liceo. Era un
peccato, per uno studente promettente e dotato come lui…
Naturalmente, Peter non aveva voluto
parlare neanche con il preside ed era rimasto chiuso in camera sua, lasciando l’uomo
a discutere con la porta. Più tardi, quando il preside era andato via, aveva
lasciato che zia May entrasse a spiegargli che era veramente un peccato che
buttasse via l’anno così, che forse in quel momento non gliene importava nulla,
ma magari, più avanti, se ne sarebbe pentito. E in fondo non era poi così
difficile frequentare l’ultimo mese di scuola, no? Era solo un mese, poi avrebbe
dovuto sostenere gli esami, ma per lui non erano certo un ostacolo, e infine
avrebbe potuto scegliere il college che preferiva.
“No, zia” le aveva risposto, in un
mormorio. Zia May era l’unica con la quale Peter scambiasse ancora qualche
parola. Se Peter non si era ancora completamente lasciato morire era solo per
non dare un dolore a lei. “Non tornerò a scuola e non andrò al college.”
“Ma allora cosa farai? Non puoi passare
il resto della tua vita in questa stanza. Io non posso vederti così! Non hai
più voluto nemmeno incontrare il tuo amico Ned e non rispondi alle chiamate di
quel simpatico dottore tanto gentile, Bruce Banner…”
“Forse mi troverò un lavoro” aveva
tagliato corto Peter, sperando così di tranquillizzare la donna. Ma zia May si
era addirittura scandalizzata.
“Un lavoro? Sei sempre stato uno
studente brillante, uno dei primi della classe, e adesso vuoi lasciare tutto
per metterti a lavorare? E che lavoro troveresti, poi, a diciannove anni e
senza nemmeno un diploma? Sul serio, Peter, stai buttando via la tua vita… e
non mi riferisco soltanto a quella lavorativa.”
Non c’era stato bisogno di parole per
spiegare che zia May era preoccupata anche perché Peter non aveva più nemmeno
preso in considerazione l’idea di far parte degli Avengers e nemmeno di
continuare la sua attività di amichevole
Spiderman di quartiere. La donna era venuta a conoscenza della doppia
identità del nipote per caso, circa tre anni prima, ma non ne avevano mai
parlato apertamente. Quando, poi, Peter era andato a vivere con Tony Stark dopo
la prima battaglia contro Thanos e le avventure sul pianeta Titano, zia May si
era rassegnata al fatto che il ragazzo avesse scelto di essere un supereroe.
Ogni volta che c’era una missione da compiere lei stava in ansia, sì, e quando
Thanos era tornato e aveva distrutto il quartier generale degli Avengers aveva
creduto di morire di paura, ma Peter era tornato sano e salvo… o meglio, era
tornato e basta, senza ferite sul corpo ma distrutto nell’animo. L’identità di
Spiderman aveva causato tanti problemi a lui e aveva dato infinite
preoccupazioni a lei, certo, ma era anche qualcosa che lo motivava, che lo
rendeva vivo, felice di aiutare gli altri e di vivere avventure inimmaginabili.
May sarebbe stata più tranquilla, paradossalmente, se avesse visto Peter
impegnarsi soltanto come Spiderman e votare la sua vita alla lotta contro il
male per onorare la memoria di Stark, magari. Tutto, tutto, pur di non vederlo
spegnersi giorno dopo giorno, disteso sopra il letto, chiuso nella sua stanza,
senza parlare con nessuno e tirando avanti soltanto con un sandwich e un
bicchiere di latte in tutta la giornata.
“Non sono più un supereroe, zia” aveva
risposto Peter, laconico. Voleva solo che se ne andasse, era stanco di parlare.
“Per favore, puoi lasciarmi solo, adesso?”
Zia May sapeva ormai da tempo quanto
fosse inutile insistere. Con le lacrime agli occhi era uscita dalla stanza,
sempre più angosciata. Si sentiva sola e spaventata e non sapeva a chi chiedere
aiuto, ma capiva che, continuando così, Peter sarebbe presto morto o impazzito.
E lei non poteva farci niente.
La vita era andata avanti in quel modo
per altri giorni, settimane, mesi. Il diciannovesimo compleanno di Peter, il 10
agosto, era passato sotto silenzio, un giorno come un altro. Si stava
avvicinando settembre e zia May sapeva che Peter avrebbe dovuto almeno tentare
di tornare a scuola, per recuperare quell’ultimo anno di liceo che aveva
interrotto così bruscamente… ma non sapeva come iniziare il discorso con lui.
Ora non stava più sempre chiuso in camera, ma vederlo vagare per casa come uno
zombi, pallido e paurosamente dimagrito, con i capelli scarmigliati e occhiaie
scure e pesanti sul viso sempre più affilato era forse anche peggio, le si
spezzava il cuore nel vederlo così.
Poi era arrivata quella telefonata.
“Sì, parla May Parker, con chi…? Ah,
Nick Fury, ha detto? Quel Nick Fury?
Aspetti, provo a passarle Peter, anche se non so se vorrà… Ah, no? Vuole
parlare con me? Ma come…”
Era stata una telefonata davvero molto
strana per May. Nick Fury in persona, il direttore dello S.H.I.E.L.D., aveva
passato almeno dieci minuti al telefono con lei, informandosi su Peter, sulla
sua salute e il suo stato d’animo; poi aveva detto, facendola sobbalzare, che
il giorno seguente sarebbe venuto a casa sua con un amico (un certo Phil
Coulson, le pareva di aver capito…) e avrebbero prelevato Peter per portarlo al
nuovo quartier generale degli Avengers, che era stato ricostruito proprio in
quei mesi, al posto di quello distrutto da Thanos.
Lo S.H.I.E.L.D., gli Avengers… May aveva
sentito una stretta al cuore, al principio. Forse c’erano dei nuovi problemi da
risolvere e volevano coinvolgere Peter? Ma Peter, in quel momento, era appena
in grado di reggersi in piedi, come avrebbe potuto aiutarli?
Però, chissà, forse sapere di essere stato
convocato dal direttore Fury in persona e la prospettiva di potersi rendere di
nuovo utile avrebbero finalmente riscosso Peter dal suo stato di totale apatia
e disperazione. Con quella speranza nel cuore, zia May era andata a riferire al
nipote del suo colloquio telefonico con il capo dello S.H.I.E.L.D., ma la
reazione non era stata quella che lei si era aspettata.
“Non voglio vederlo, zia, non voglio
vedere nessuno. E non sono più un supereroe” aveva detto Peter, con voce atona.
“Beh, che tu lo voglia o meno, Peter,
domattina Nick Fury e il suo amico verranno qui e ti porteranno al quartier
generale degli Avengers” replicò la donna. “Io non mi metterò di certo in mezzo
a simili faccende, se non vorrai andare con loro dovrai essere tu a dirglielo.
Comunque non credo che il direttore Fury sia il tipo di uomo che accetta un no come risposta.”
Quella notte, per la prima volta dopo mesi,
May Parker si era addormentata rassicurata. Certo, Peter continuava a rifiutare
ogni contatto umano e a lasciarsi andare, ma finalmente non era più sola,
qualcuno le era venuto in aiuto. Sperava che Fury e gli Avengers potessero fare
per Peter ciò che lei non era stata in grado di fare.
Peter, al contrario, non riusciva ad
addormentarsi. La prospettiva di incontrare Fury lo metteva in agitazione e,
nonostante ciò che aveva detto alla zia, sapeva anche lui che il direttore
dello S.H.I.E.L.D. non si sarebbe fermato di fronte a un suo rifiuto e lo
avrebbe portato al quartier generale degli Avengers che lo volesse o meno.
Prima di chiudere gli occhi, logorato
dall’ansia e dalla disperazione, Peter ricordò quel giorno…
Subito dopo il funerale
del signor Stark, tornati al loro appartamento nel Queens, Peter aveva chiesto
alla zia il permesso di stare da solo e di fare due passi per il quartiere. Zia
May lo aveva lasciato andare, pensando che camminare per un po’ all’aria aperta
lo avrebbe aiutato. Peter, però, aveva altro in mente. La sua passeggiata lo
aveva portato sulla riva dell’East River, il sole era tramontato da un pezzo e
non c’era nessuno. Il ragazzo aveva messo la mano in tasca e ne aveva tratto il
dispositivo che emetteva luce blu, proprio quello che il signor Stark aveva costruito
per lui e gli aveva regalato due anni prima, il dispositivo che conteneva la
sua nuova tuta realizzata con nanoparticelle. Il signor Stark glielo aveva
donato prima che partissero per il pianeta Titano e quella sera, per provare le
nuove tute, avevano volato insieme quasi fino alle stelle…
Ma Peter non voleva
ricordarlo. Quei ricordi erano come tante pugnalate al cuore e lui voleva
strapparseli di dosso prima che lo facessero impazzire.
Aveva lanciato il
dispositivo nel fiume con tutta la forza che aveva, sperando che finisse il più
lontano possibile e che scomparisse per sempre insieme ai ricordi, alla sofferenza,
al vuoto totale che sentiva dentro di sé. Quella stupida tuta che non era
servita a niente… non aveva salvato il signor Stark, era solo un inutile
giocattolo, non voleva averci mai più niente a che fare.
“Io non sono più un supereroe” mormorò
il ragazzo, cadendo poi in un sonno agitato.
Once
in my lifetime there's so much to give So much to live in stolen moment Asking now for another way not to feel pain 'Cause sorrow helps morning light guide the night away!
(“Luna
my darling” – Amberian Dawn)
Nick Fury si presentò la
mattina seguente alle dieci in punto, accompagnato da un signore distinto che
fece un’ottima impressione a zia May: si trattava, appunto, di Phil Coulson.
“Buongiorno, signora, e
scusi per l’ora inopportuna” disse Coulson molto gentilmente e con un sorriso
accattivante. “Io sono Phil Coulson, vicedirettore dello S.H.I.E.L.D. e conosce
già il nostro direttore Nick Fury.”
La donna appariva imbarazzata e confusa di
fronte alla gentilezza dell’uomo, era abituata ai modi bruschi e scontrosi di
Fury… e, ovviamente, proprio per quello Coulson aveva deciso di parlare per
entrambi. La situazione era molto delicata ed era meglio che May fosse nella
miglior disposizione d’animo possibile!
“Oh, sì, buongiorno. Sì, ecco… prego,
accomodatevi” disse la zia May, già completamente affascinata da Coulson. “Desiderate
un caffè o qualcos’altro? Avete fatto colazione? Potrei offrirvi un dolce che è
la mia specialità…”
“NO, grazie!” intervenne Fury, che ricordava
di aver sentito parlare Tony a proposito di un orrendo dolce del quale May
Parker andava tanto fiera.
“Signora, saremmo veramente felici di poterci
sedere a fare colazione, ma purtroppo abbiamo molta fretta. Sa, si tratta dello
S.H.I.E.L.D. e sono sempre situazioni molto delicate” lo interruppe Phil
Coulson prima che rovinasse tutto. “Peter è già pronto, spero.”
“Credo di sì, vado a vedere” rispose May,
tutta sorridente. “Ma, nel frattempo, se volete potete servirvi da soli intanto
che io chiamo Peter.”
Fury e Coulson furono salvati giusto in tempo
dall’arrivo del ragazzo, che in effetti era già pronto da almeno un’ora,
innervosito perché non riusciva a capire cosa mai lo S.H.I.E.L.D. potesse
volere da lui e soprattutto consapevole che lui, tanto per cominciare, non
voleva avere più niente a che fare con S.H.I.E.L.D., Avengers e compagnia!
“Sì, sono qui, sono pronto” disse Peter,
manifestandosi in cucina come una sorta di apparizione.
E, in effetti, tanto Fury quanto Coulson
rimasero per qualche attimo interdetti nel vederlo. Erano passati ormai diversi
mesi dall’ultima volta in cui si erano incontrati, al funerale di Tony Stark
per l’appunto, ma nel frattempo sembrava che anche Peter fosse morto e
riportato in vita sotto forma di zombie o poco più. Per fortuna si era dato una
sistemata rispetto ai mesi che aveva trascorso per casa, si era fatto la
doccia, pettinato e indossava jeans e una camicia a quadretti blu sopra una
maglietta… si vedeva comunque che aveva perso almeno quattro o cinque chili,
aveva le occhiaie e il volto pallidissimo dove spiccavano enormi i tristissimi
occhi nocciola che parevano aver perso tutta la loro luce.
“Ecco Peter!” annunciò la zia May, spezzando
quel clima imbarazzante. “Bene, allora direi che potete andare. Aspetta, hai
fatto colazione?”
“Sì, zia, ho mangiato due biscotti con un
bicchiere di latte” rispose Peter. Non gli importava che Fury e Coulson
sentissero come si era ridotto, del resto era anche colpa loro, era colpa di
tutti… Come pensavano di rimediare adesso?
I due uomini dello S.H.I.E.L.D. si
scambiarono un’occhiata significativa, poi decisero di non perdere altro tempo
in chiacchiere e convenevoli e di svolgere la loro missione. Anzi, vedendo come
era conciato Peter forse avevano aspettato anche troppo, forse avrebbero dovuto…
ma era inutile pensarci adesso, ora tutto si sarebbe risolto.
“Bene, ragazzo, allora se sei pronto possiamo
andare, l’auto ci sta aspettando e abbiamo diverse cose da fare” disse Fury,
prendendolo per un braccio con una delicatezza che non ci si sarebbe aspettati
da uno come lui.
“Quando potrà tornare a casa?” domandò subito
zia May.
“Non si preoccupi, signora, sarà Peter stesso
a chiamarla per dirle se potrà rientrare entro stasera o se ci vorrà qualche
giorno” le rispose gentilmente Coulson. Sapeva che, se le cose fossero andate
come speravano, Peter avrebbe anche potuto decidere di non tornare a casa per
un po’, ma non era il caso di dirlo alla donna, già tanto preoccupata. “Arrivederci,
signora, grazie ancora per la sua disponibilità e non tema per Peter, anzi,
forse questa sarà un’occasione per farlo stare meglio. Sono molto felice di
averla conosciuta e spero di rivederla presto.”
“Ciao, zia” disse il ragazzo, senza lo stesso
entusiasmo. Ecco, ci mancava solo che sua zia si prendesse una sbandata per Phil
Coulson…
Peter si sentiva frastornato dopo tanti mesi
che non usciva di casa e non si rese nemmeno bene conto di ciò che succedeva.
Aveva la vaga sensazione che Fury e Coulson lo scortassero verso la macchina
come se fosse un detenuto, li sentiva parlare ma non riusciva a capire bene
nemmeno che cosa stessero dicendo. E quel poco che riusciva a capire gli
sembrava un’assurdità.
“Ti farà piacere vedere come abbiamo fatto
ricostruire e perfezionare il quartier generale degli Avengers” stava dicendo
Coulson, sempre sorridendo. “Adesso è ritornato in piena attività e quasi tutti
gli Avengers sono tornati a vivere là. Sarà bello incontrarli, no?”
Per niente. Non voglio vedere nessuno degli Avengers, non
voglio vedere il nuovo quartier generale, voglio soltanto tornare a casa e
dimenticare tutto, stava pensando Peter mentre Coulson
continuava a chiacchierare amichevolmente.
“E, nel frattempo, io e Phil ti racconteremo
una storia, una storia che è iniziata più di otto anni fa” intervenne Fury.
Una storia? Non sono un bambino, non ho bisogno che mi
raccontiate le favole per tenermi buono, avrebbe
voluto rispondere Peter, ma era troppo faticoso anche fare polemica, meglio
lasciare che facessero quello che volevano, che lo portassero dove avevano deciso.
Lui si sarebbe chiuso nella sua bolla,
non avrebbe parlato con nessuno e, alla fine, si sarebbero pur decisi a
riportarlo a casa, no? Quello non era mica un sequestro di persona! Anche se,
quando c’era di mezzo lo S.H.I.E.L.D., non si poteva mai dire con certezza…
Il viaggio in macchina era lungo e Peter, che
non era più abituato a stare in auto per tanto tempo, cominciava ad avvertire
un vago senso di nausea. Tra lo stordimento, il malessere che provava e il
senso di vuoto assoluto in cui viveva ormai da mesi, gli arrivò alle orecchie e
in qualche punto non meglio precisato del cervello una storia assurda su un
progetto dal nome esotico voluto da Coulson e Fury. Questo progetto era stato
ideato per essere attivato in caso di morte di un Avenger e prevedeva l’uso di
DNA alieno per scopi medici.
Sentendo nominare DNA alieno Peter cominciò a credere sul serio che tutto quello
fosse soltanto un sogno. Prima che tutto andasse in pezzi nella sua vita, il
ragazzo era stato un vero nerd, amante dei film e delle serie TV più originali
e creative, dal Doctor Who a Outer limits passando per Ai confini della realtà e chi più ne ha
più ne metta. Da ragazzino aveva passato nottate intere a guardare episodi su
episodi, spesso con l’amico Ned e una ciotola gigante di popcorn; negli ultimi
due anni, poi, era stato un altro il compagno delle sue maratone televisive, era stato il signor Stark…
Su questo pensiero le connessioni di Peter si
interruppero, non doveva pensarci più.
Molto bene, quello era evidentemente un sogno
ispirato a qualche episodio di una delle sue serie TV preferite e, chissà per
quale motivo, Coulson e Fury facevano parte del suo sogno e gli stavano
raccontando di aver estratto dei campioni dal cadavere di un alieno, un certo Kree o qualcosa del genere. Sì, era
decisamente un sogno e anche dei più assurdi, visto che adesso Fury stava
raccontando di aver fatto sviluppare ai suoi scienziati un sistema per
utilizzare i campioni di DNA alieno che permettevano la rigenerazione del
tessuto cellulare e di averli usati proprio su Coulson, ucciso da Loki nel 2012
durante l’attacco a New York.
“Io sono la prova vivente, è proprio il caso
di dirlo, del successo di questo progetto” disse Coulson, soddisfatto. “Loki mi
aveva ucciso e io sono rimasto cadavere per giorni prima che le operazioni
segrete derivanti dal DNA Kree avessero
effetto e i miei tessuti cellulari si rigenerassero completamente, ma è andato
tutto bene e adesso eccomi qui, più forte e resistente di prima proprio grazie
alla commistione tra il DNA Kree e il
mio!”
Ecco, questo dimostra ancora di più che è tutto un sogno.
Chi ha mai sentito una storia più cretina di questa? pensò stancamente Peter, mentre l’auto giungeva
finalmente al ricostituito quartier generale degli Avengers. E adesso non dovrei svegliarmi?
Ma, invece di svegliarsi, Peter si ritrovò
fuori dalla macchina e di fronte al grande edificio, perfettamente ricostruito
e all’avanguardia, quel luogo in cui aveva desiderato non mettere mai più
piede. Se avesse potuto, il ragazzo avrebbe chiesto che gli venissero strappati
tutti i ricordi legati a quel posto e alla persona con la quale ci aveva
vissuto. Non voleva nemmeno più nominarlo, anche quello gli faceva troppo male.
E la sofferenza che si rinnovava, attraversandogli tutto il corpo come una
linfa gelida e velenosa, fece capire a Peter che, nonostante la storia assurda
ascoltata da Fury e Coulson, quello comunque non era un sogno.
Cosa significava, allora?
Phil Coulson era morto ed era stato riportato
in vita grazie a parti di DNA alieno?
Ma perché?
Che cosa era, dunque, adesso Phil
Coulson, un mezzo alieno? Tipo quelli dei suoi film di fantascienza, una sorta
di Invasione degli ultracorpi?
E, soprattutto, perché diavolo gli avevano
raccontato questa storia e lo avevano portato nell’unico posto in cui non
sarebbe mai più voluto tornare?
“Senti, Peter, se ti abbiamo raccontato tutto
questo c’è un motivo” disse Coulson, conducendo gentilmente il ragazzo verso l’ingresso
dell’edificio. Sì, in un certo senso lui e Fury dovettero quasi spingercelo, ma cercarono di farlo nel
modo più cortese possibile.
“Ah, sì? E quale?” domandò Peter, immaginando
che fosse quello che i due uomini attendevano di sentirgli chiedere. In realtà
a lui non poteva fregare di meno di sapere della morte e resurrezione di Phil
Coulson…
“Phil, non c’è un modo più semplice per
dirglielo, diciamoglielo e basta” tagliò corto Fury, mentre continuavano a
condurre il ragazzo nei corridoi del grande edificio.
Coulson fece finta di non averlo sentito. Per
la miseria, Fury era proprio un insensibile! Non aveva visto com’era ridotto
quel povero ragazzo? E loro sapevano bene perché. In quei lunghi mesi, più
volte i due uomini avevano discusso su quel preciso argomento: secondo Coulson,
Peter avrebbe dovuto sapere, almeno avrebbe avuto una speranza a cui
aggrapparsi invece di lasciarsi andare in quel modo; secondo Fury, al
contrario, era necessario attendere per verificare che le cose fossero andate
nel modo migliore possibile prima di metterlo a parte della cosa, altrimenti
Peter avrebbe potuto anche subire uno shock ancora peggiore.
“Dove mi state portando?” domandò di nuovo
Peter, guardandosi intorno. Era sempre più agitato, non voleva stare in quel
posto, era stato ricostruito troppo
bene e i ricordi lo stavano assalendo, distruggendo quel minimo controllo di sé
che era riuscito a mantenere fino a quel momento. Ecco… no, quella era la sala
TV dove avevano visto tanti telefilm e quella laggiù era… sì, era la sua
stanza. E adesso perché, perché, in
nome del cielo, lo stavano conducendo proprio verso quello che era stato lo
studio del signor Stark?
“Ascoltami bene, Peter, come ti ho detto io
stesso ho fatto questa esperienza e ne sono uscito addirittura migliore di
prima…” disse Coulson.
“Abbiamo aspettato tutti questi mesi perché
io volevo essere sicuro… non volevo darti una delusione, ragazzo” intervenne
Fury.
“La verità è che il Progetto T.A.H.I.T.I. era
stato pensato, appunto, per riportare in vita uno degli Avengers nel caso in
cui fosse rimasto ucciso in una missione…” fece Coulson.
“Ed è stato esattamente quello che abbiamo
fatto in questi ultimi mesi…” continuò Fury.
“Le procedure mediche sono sicure al cento
per cento, io ne sono la prova, e il DNA alieno permette al corpo umano di
rigenerarsi, rendendolo ancora più forte di prima” riprese Coulson.
“Il Progetto T.A.H.I.T.I. è stato un successo
ed è servito proprio allo scopo per il quale era stato pensato, ha riportato in
vita un Avenger, o meglio, uno dei fondatori degli Avengers” aggiunse Fury.
Erano ormai arrivati a pochi passi dalla
porta dello studio che era stato di Tony Stark. Peter ne aveva abbastanza di
quel posto e di tutte le chiacchiere dei due uomini. Si divincolò, strappandosi
dalle mani che lo stavano guidando verso un luogo dove non voleva andare.
“Insomma, adesso basta! Cosa volete da me?
Cosa volete dirmi? Perché mi avete portato qui?” esclamò, esasperato.
Tutti rimasero immobili per un istante quando
la porta dello studio si aprì e, sulla soglia, apparve l’inconfondibile figura
di Tony Stark, un Tony Stark in perfetta salute, anzi, a volerla dire tutta
anche un tantino ringiovanito, come se il DNA alieno lo avesse non solo
riportato in vita, ma anche riportato indietro di almeno cinque anni. Esibiva
il suo solito sorriso strafottente, ma la sua espressione cambiò totalmente
quando vide Peter… o meglio, quello che di Peter restava dopo quei mesi d’inferno.
“Pete… cosa ti è successo? Come stai? Io non
sapevo, non mi avevano detto niente, avrebbero dovuto avvertirti prima, io…
Dai, vieni dentro, ragazzo, abbiamo un milione di cose da raccontarci, no?”
disse l’uomo, travolto da emozioni contrastanti, la gioia di rivedere il suo
ragazzino mescolata al dolore di trovarlo così deperito e sofferente… con la
consapevolezza che, se Peter aveva patito tanto, era stato solo perché aveva
perduto lui.
“Ecco, questo è quello che volevamo dirti,
Parker” disse Fury, con un tempismo poco opportuno. “Abbiamo riportato in vita
Tony Stark.”
Quietly spoken forbidden words
Safe and sound, nothing hurts
Touching the lips with our fingertips
Luna my darling
Burning fire like there never was
Sighing words of the falling stars
Already crying when we saw the light
Luna my darling!
(“Luna my darling” – Amberian Dawn)
Senza sapere come ci
fosse arrivato o perché, Peter si ritrovò nello studio di Tony Stark… con Tony
in persona che stava in piedi davanti a lui e lo guardava fisso. Fury e
Coulson, che avevano compiuto la loro missione, avevano chiuso la porta e se
n’erano andati, sapendo bene che i due avevano un gran bisogno di parlarsi da
soli.
Nessuno dei due
parlava, però.
Peter, nei primi
tempi dopo la perdita di Stark, non aveva voluto credere che fosse morto
davvero, era convinto che Iron Man avrebbe sicuramente trovato un modo per
salvarsi e si era figurato mille scenari nei quali Tony tornava da lui. Aveva
immaginato quel momento milioni di volte e, adesso che stava succedendo
davvero, l’unica cosa che riusciva a fare era guardarsi l’orlo dei jeans,
cucitura dopo cucitura, e le punte delle scarpe.
Non sapeva cosa dire,
come dirlo e nemmeno che cosa avrebbe dovuto provare.
Possibile che non
provasse niente?
“Peter, non dovrei
dirlo ma… sei ridotto peggio di me” mormorò Stark, tentando di sdrammatizzare
quel momento così carico di tensione. “Mi dispiace, adesso cambierà tutto,
vedrai!”
In pochi passi fu
addosso a Peter, lo strinse forte tra le braccia e non riuscì a dire altro,
tanto si sentiva in colpa. Se quel povero ragazzo era in quello stato era solo
perché aveva sofferto per lui, perché lo aveva lasciato da solo. Lo abbracciò
stretto, non c’era bisogno di parole per dirgli che non lo avrebbe mai più
abbandonato.
Peter, però, rimase
immobile. Non si scostò dall’abbraccio, ma nemmeno lo ricambiò. E Tony,
ovviamente, se ne accorse. C’era qualcosa di strano, di diverso in Peter, e non
era solo l’aspetto fisico che lo faceva sembrare appena uscito da una malattia
gravissima. Il male che lo divorava era ancora dentro di lui… ma perché?
Perché, se Tony adesso era lì, sano e salvo?
L’uomo non riusciva a
capire, nemmeno lui si era immaginato così il suo primo incontro con Peter dopo
tutti quei mesi. Non appena aveva ripreso conoscenza ed era riuscito a parlare
aveva chiesto subito di Peter, aveva chiesto che glielo portassero, doveva
parlare con lui, doveva fargli sapere che era vivo. Fury, però, si era opposto:
gli aveva risposto che avrebbe visto Peter soltanto quando fosse stato davvero
meglio, che era inutile creare false speranze nel ragazzo per poi, magari,
distruggerle di nuovo. Tony era vivo, sì, ma non si poteva ancora sapere fino a
che punto sarebbe guarito. E se fosse rimasto paralizzato, o qualcosa del
genere? In quel caso Peter avrebbe dovuto essere preparato ad affrontare la
situazione.
Adesso, però, Tony
Stark si rendeva conto che il ragionamento di Fury era sbagliato: avrebbero
dovuto avvertire Peter e permettergli di stare al suo fianco, comunque fossero
andate le cose. Peter aveva bisogno di sapere che era vivo, aveva bisogno di
fargli compagnia, di sentirsi utile. Chi poteva dire quali conseguenze avrebbe
riportato il ragazzo dopo tutti quei mesi di angoscia e sofferenza?
Tuttavia, ormai era
andata così e Tony poteva solo cercare di sostenere e consolare quel Peter che
sembrava perduto in una dimensione di disperazione e cupa apatia.
Staccandosi a fatica
da lui, gli circondò le spalle con un braccio e lo portò verso il divano, dove
si sedettero entrambi.
“Peter, so che questi
mesi sono stati terribili per te e credimi, ho insistito in tutti i modi con
Fury perché ti facesse avere mie notizie, ti dicesse che mi avevano salvato e
che stavo lottando per riprendermi completamente” iniziò a dire, spezzando quel
silenzio spaventoso. “Sapevo che avevi bisogno di una speranza, ma Fury è stato
irremovibile. Comunque adesso sei qui, siamo qui tutti e due. Immagino che
avrai tante cose da chiedermi, no?”
Finalmente Peter alzò
lo sguardo su di lui, ma ciò che c’era nei suoi occhi non piacque affatto a
Tony.
“Lei che cosa sarebbe adesso, esattamente?”
chiese, laconico.
“Che cosa…? Pete,
sono sempre io, sono Tony Stark. Chi credi che sia? Cosa accidenti ti ha
raccontato Coulson?”
“L’hanno riportata in
vita usando del DNA alieno, quindi lei che
cosa è adesso?” ripeté Peter, fissando l’uomo con durezza. “Cos’è, un
clone? Un replicante? Una specie di ibrido?”
Tony si era aspettato
di tutto, ma non quella gelida ostilità, quelle domande a raffica. Cercò di
buttarla sullo scherzo mentre dentro di sé tremava.
“Già, come ho potuto
dimenticare? Hai visto troppi film e serie TV su alieni, cyborg e cloni. Magari
ti aspetti che adesso mi nasca Alien dallo
stomaco o che sviluppi dei tentacoli!” ribatté, con un sorriso sforzato che
finì per essere una smorfia. “Ti assicuro che sono perfettamente normale, anzi,
forse sono un po’ ringiovanito, ma questo è un effetto collaterale che non mi
dispiace affatto.”
Era vero. Il DNA Kree, con la sua capacità di rigenerare
i tessuti, aveva reso Tony Stark più forte, più resistente e anche visibilmente
più giovane. Adesso era molto più simile all’uomo che per la prima volta,
quattro anni prima, aveva messo piede in casa di Peter per fare la sua
conoscenza e arruolarlo per la
missione in Germania.
“Non è più un essere
umano, non del tutto. E, soprattutto, non è il signor Stark che conoscevo io”
dichiarò Peter, lapidario.
No,
ragazzi, aspettate un attimo, qui c’è qualcosa che non va. Peter si sarebbe
dovuto mostrare felice di rivedermi, questo sarebbe dovuto essere un momento di
grande gioia. Perché sta facendo così?
Tony cominciava a
sentirsi molto insicuro, le sue certezze stavano crollando e lui non ne capiva
nemmeno il motivo. Tuttavia non era da lui mostrarsi turbato e, quindi, ancora
una volta cercò una risposta ironica e scherzosa per sdrammatizzare. Diamine, proprio
questo suo modo di fare era così tipico di
Tony Stark che già da solo avrebbe dovuto convincere il ragazzo che non si
trovava di fronte all’ Invasione degli
ultracorpi!
“Tecnicamente
parlando, allora nemmeno tu sei del tutto un essere umano, visto che dentro di
te hai una parte di DNA di ragno, però la cosa non mi ha mai scandalizzato”
replicò Tony. A questo punto, normalmente, Peter si sarebbe messo a ridere, ma
non avvenne. Il ragazzo continuava a fissarlo con quei grandi occhi scuri come
se si fosse trattato di qualche strano esperimento scientifico.
“Io… mi sento a
disagio qui con lei” ammise Peter, tormentandosi le mani. “Ho conosciuto il
signor Stark quattro anni fa e… beh, ero felice perché il mio idolo di sempre
mi aveva finalmente notato, aveva bisogno di me per una missione. E poi siamo
diventati sempre più… ecco, amici,
direi. Mi ha insegnato tante cose e abbiamo affrontato insieme tante
difficoltà, però…”
“Maledizione,
ragazzo, tutto questo io lo so già!” esclamò Stark, spaventato dalla piega che
stava prendendo la conversazione. “Vuoi smetterla di parlare di me come se io
non ci fossi? Quel signor Stark di
cui stai parlando sono io e tutti i ricordi che hai di ciò che abbiamo
condiviso sono anche i miei, non hai bisogno di raccontarmeli!”
“Sì, beh, immagino
che questa sia la cosa più facile, anche un’Intelligenza Artificiale può
mantenere i ricordi di un essere umano” commentò Peter.
“Ma io non sono un
cavolo di Intelligenza Artificiale, né un clone né qualunque cosa tu stia
pensando! Sono Tony Stark, è possibile che per te sia così difficile
accettarlo?”
Lo sfogo dell’uomo
servì finalmente a sbloccare quella situazione di stallo. Lo sguardo di Peter,
che fino ad allora era stato freddo e distaccato, si riempì dei sentimenti e
delle emozioni che veramente si stavano agitando nel suo cuore: dolore,
angoscia e, soprattutto, un’incredibile dose di rabbia repressa, fuoco allo
stato puro.
“Perché il signor
Stark mi ha abbandonato!” esclamò, esasperato e disperato al contempo. “Perché
il signor Stark mi ha mentito, aveva detto che sarebbe andato tutto bene, che
non mi avrebbe mai lasciato e invece… e invece ha voluto fare l’eroe, ha
preferito fare il salvatore del mondo
senza pensare a cosa ne sarebbe stato di me! Il signor Stark è morto da eroe e mi ha lasciato nel vuoto più
totale! Quindi, se lei è il signor Stark o qualsiasi cosa abbiano trovato per
rimpiazzarlo, sappia che non la perdonerò mai per quello che mi ha fatto, mai!”
La rabbia disperata
di Peter era talmente violenta che pareva incendiare la stanza, Tony se la
sentì bruciare addosso e sentì anche che se l’era meritata tutta. Sì, Peter
aveva ragione, lui gli aveva mentito e poi lo aveva lasciato solo…
Il ragazzo si alzò di
scatto dal divano, con un’energia che non tirava fuori da mesi, e fece per
avviarsi verso la porta.
“Aspetta, Peter, dove
vuoi andare?”
“Il più lontano
possibile da qui” rispose il ragazzo, fulminandolo con un’occhiata. “A casa o
all’Inferno, non ha importanza, l’unica cosa che voglio è andarmene il più lontano possibile da qui!”
Tony si alzò e si
avvicinò lentamente a lui. Non doveva fare movimenti bruschi altrimenti Peter,
proprio come un animale ferito, avrebbe reagito in modo incontrollabile.
“Pete, ascoltami bene
adesso” gli disse, cercando di mantenere un tono di voce calmo e pacato, “lo so
quanto hai sofferto, so cosa hai passato. E ti assicuro che non era mia
intenzione mentirti. Non avrei mai voluto farti sentire abbandonato e
ingannato. Ma non avevo un’altra possibilità, lo capisci questo? Il Dottor
Strange lo sapeva, lo sapeva fin dal principio che sarebbe dovuta finire così.
In qualsiasi altro scenario possibile Thanos avrebbe vinto e avrebbe sterminato
l’umanità. Cos’altro potevo fare?”
“Lei non sa niente” sibilò Peter, “non ha la minima
idea di cosa io abbia passato in questi mesi. Cosa poteva fare? Dare le Gemme a
Carol, magari, lei non sarebbe stata danneggiata usando il Guanto. Ma no,
doveva essere lei l’eroe, no? Come ha detto a Thanos? Io sono Iron Man. Chissà che soddisfazione, vero, sentirsi il
salvatore del mondo, il cavaliere intrepido che si sacrifica per il bene di
tutti? E chi se ne frega di quelli che rimangono!”
Peter piangeva,
adesso, e le sue lacrime erano brucianti come la sua collera. Tony si sentì
devastato. Cosa aveva fatto a quel ragazzino?
“Non so che farmene
delle sue scuse e delle sue giustificazioni! Lei ha fatto la sua scelta e io
adesso faccio la mia. Voleva morire da eroe? Bene, per me lei è morto, qualsiasi schifezza le abbiano trapiantato per farla
tornare in vita!” gridò Peter, annaspando poi per trovare il modo di aprire la
porta, uscire e andarsene dal quartier generale degli Avengers. Avrebbe fatto
tutta la strada di corsa, se necessario, ma non avrebbe resistito in quel posto
per un minuto di più. Si sentiva soffocare, era come se le pareti della stanza
si stessero restringendo e gli crollassero addosso, schiacciandolo. Aveva la
nausea, sentiva le gambe tremare e non riusciva a trovare il modo di aprire la
porta. Il malessere che gli toglieva il respiro e gli faceva girare la testa
aumentava, aumentava sempre più…
Poi fu il buio.
Tony lo vide cadere a
terra come fulminato.
Si sentì gelare il
sangue e di slancio si buttò sul suo corpo inerte, lo strinse a sé e lo sollevò
da terra. Chiaramente non era stato niente di grave, Peter era debole, da mesi
si nutriva a malapena e si alzava raramente dal letto. Quel giorno aveva fatto
fin troppo, le emozioni avevano finito per vincerlo e, come se non bastasse,
quello scatto di rabbia aveva consumato le ultime scorte di energia che gli
restavano. Aveva perduto i sensi per la debolezza e Tony lo capiva benissimo,
ma mentre lo sollevava da terra e, tenendolo tra le braccia, lo riportava verso
il divano e ce lo stendeva, non riusciva a dimenticare una scena terribile
avvenuta più di due anni prima, sul pianeta Titano.
“Non
mi sento molto bene… non so che mi succede… non lo so…” Peter era spaventato,
vacillava, fece qualche passo incerto verso Stark, ma fu l’uomo a slanciarsi
verso di lui e a stringerlo forte tra le braccia, mentre il ragazzino si
aggrappava a lui come all’ultima possibile salvezza.
“No,
ragazzo, no, a te non succederà” gli disse Tony, con la voce spezzata, cercando
di tranquillizzarlo nonostante lui stesso fosse agghiacciato. “Andrà tutto
bene, andrà tutto bene, Pete…”
“Non
voglio morire, non voglio morire, signore, la prego” singhiozzò Peter,
avvinghiandosi disperatamente alla schiena di Stark, piangendo, tremando di
paura perché era pur sempre un ragazzino e non voleva andarsene, non voleva. Da
qualche parte, dentro di sé, era convinto che il signor Stark avrebbe trovato
il modo di trattenerlo, di salvarlo. “La prego, non voglio morire, non voglio
morire…”
“Non
ti lascerò andare, questa volta no, io non ti lascio, ragazzo, hai capito? Mi
senti?” adesso anche Stark piangeva, lacrime silenziose gli scendevano dagli
occhi mentre lui cercava in ogni modo di stringere più forte Peter, di non
lasciarlo svanire, di sentirlo contro di sé. “Non ti lascio andare!
“Signor
Stark… mi dispiace… io non volevo che…” mormorò Peter, mentre si dissolveva
lentamente.
Peter si era sbagliato dicendo a Tony che non
poteva capire cosa avesse provato nei mesi in cui aveva pianto la sua perdita.
Certo che lo sapeva, invece. Era la stessa terribile, gelida e opprimente
sensazione di vuoto che lui stesso aveva provato due anni prima sul pianeta
Titano, vedendo il ragazzino che si dissolveva tra le sue braccia. Per sua
fortuna era durato poco, il Dottor Strange aveva riportato indietro il tempo di
pochi minuti e gli Avengers scomparsi, tra cui Peter, erano tornati indietro…
ma Tony non avrebbe mai dimenticato quegli istanti di dolore e disperazione. *
E adesso, mentre chiamava Banner perché lo
aiutasse a far rinvenire Peter, riviveva quei momenti strazianti. Sì, poteva
capire benissimo quanto avesse sofferto il suo povero ragazzino in quei mesi…
Peter aveva perduto i sensi, ma ogni tanto
aveva un barlume di coscienza e aveva sentito Tony che lo stringeva a sé, che
lo sollevava da terra per deporlo sul divano, che lo abbracciava forte.
“Resta con me, Pete, resta con me. Andrà
tutto bene, non ti lascio questa volta” lo sentiva mormorare.
Tutto questo… non era accaduto più di due
anni prima, su Titano? Le stesse braccia, lo stesso calore, le stesse parole
rassicuranti che lo avevano fatto sentire bene nonostante la paura di svanire
chissà dove?
Era il signor Stark, ora come allora, a farlo
sentire al sicuro…
Fine capitolo terzo
* Questa
versione dei fatti in cui gli Avengers vengono riportati indietro da Strange è
la mia personale, che trovate nella long fic Yo contigo tu conmigo in cui ho riscritto gli avvenimenti di
Infinity War.
Higher Under the sky we hide tonight The stars are calling Fire Feeling the night is not enough Our eyes asking for more Closer and just hold me, hold me The stars hide the lovers tonight…
(“Luna
my darling” – Amberian Dawn)
Peter riprese completamente i
sensi quando si ritrovò semisdraiato sul divano di Stark, mentre Tony e Banner
lo guardavano e il dottore teneva una grande tazza in mano.
“Ecco, Tony, vedi che non
era niente di grave? Peter ha solo bisogno di zuccheri e di mangiare qualcosa”
disse Banner, porgendo la tazza al ragazzo. “Per prima cosa dovrai bere questo
caffè molto zuccherato e poi ho portato anche dei tramezzini, tanto tra poco
sarà ora di pranzo. Ordini del dottore!”
Peter obbedì, iniziando a
sorseggiare lentamente il caffè, caldo e effettivamente molto dolce. Sì, avrebbe mangiato anche i tramezzini e tutto quello
che Banner gli avesse prescritto,
voleva sentirsi meglio per potersene andare da quel posto e tornare a casa. Si
sarebbe fatto fare anche una flebo, se necessario!
“Mi piacciono le tue
ricette, Doc, potresti prescrivere qualcosa anche a me oppure devo fingere uno
svenimento per avere la tua attenzione?” scherzò un ragazzo biondo dall’aria
allegra che era entrato e si era messo proprio accanto a Bruce.
“Non dire sciocchezze,
Pietro” mormorò il dottore, improvvisamente a disagio. “Bene, se ora non avete
più bisogno di me posso tornare al mio laboratorio. Ti senti meglio, Peter?”
Peter annuì, sempre
continuando a guardare stranito il giovane biondo che pareva avere tanta
confidenza con Banner e il dottore piuttosto imbarazzato. Evidentemente si era
perso qualcosa.
“Ehi, ma noi non ci
conosciamo!” esclamò Pietro, notando che Peter lo fissava incuriosito. “Sono Pietro
Maximoff e tu, ovviamente, sei Peter Parker, qui parlano di te anche le mura e
soprattutto il signor Stark! Ma guarda, abbiamo quasi lo stesso nome. Sono il
fratello gemello di Wanda. Non ci siamo mai incontrati perché io ero in Sokovia
quando sei arrivato tra gli Avengers e poi, dopo lo schiocco di Thanos, sono
stato uno degli scomparsi. E, a pensarci bene, ho perso quasi due anni della mia
vita e quindi ora Wanda è la mia sorella maggiore… come non perde occasione di
ricordarmi!”
Beh, a quanto pareva gli
Avengers non si facevano mai mancare uno che parlasse a raffica!
“Ehm… bene, Peter sarà
sicuramente contento di aver fatto la tua conoscenza” lo interruppe Bruce,
prendendolo per le spalle e cercando di sospingerlo fuori dalla stanza. “Adesso
starai meglio, Peter, vedrai. Tony, non preoccuparti, non era assolutamente
niente, solo un calo di zuccheri. E tu, Pietro, lasciali in pace, non vedi che
devono parlare e spiegarsi?”
“Ma sì, Doc, volevo solo
essere educato. Bene, allora anche noi andiamo a parlare e spiegarci nel tuo laboratorio?” fece Pietro, ridacchiando
malizioso.
Come Dio volle, Bruce riuscì
a portar fuori Pietro dalla stanza, mentre il suo faccione prendeva una strana
tonalità dal verde ad una specie di arancione. Che fosse una nuova mutazione di
Hulk?
“E’ una lunga storia” disse
Tony, vedendo che Peter continuava a fissare la porta dalla quale erano appena
usciti Bruce e Pietro, “e immagino che Pietro sarà felice di raccontartela
tutta se resterai con noi per un po’ di tempo. Adesso, però, devi mangiare e
intanto parleremo. Ho capito che sei molto arrabbiato con me perché pensi che
ti abbia abbandonato, ma… Senti, pensi di mangiare anche il tramezzino al
tonno? Perché, come diceva Bruce, è quasi ora di pranzo e…”
“Lo prenda pure, è casa sua,
questa” rispose Peter. Aveva bevuto il caffè e adesso iniziava ad attaccare il
tramezzino prosciutto e formaggio. Beh, a pensarci bene il dottor Banner non
aveva avuto una cattiva idea…
Per un attimo si vide lì,
seduto sul divano accanto al signor Stark a mangiare tramezzini e quell’immagine
ne riportò mille altre simili. Quante volte si erano divisi una pizza, o
avevano mangiato cheeseburger e patatine fritte prima di una maratona di serie
TV… Ma quelli erano ricordi che Peter voleva seppellire per sempre perché
facevano troppo male.
“Io non ti ho abbandonato, Peter. Ho usato il
Guanto dell’Infinito perché non avevo scelta, non potevo lasciare che Thanos
distruggesse la Terra, non potevo lasciare che facesse del male a te” riprese
Tony, approfittando del fatto che il ragazzo sembrava essersi calmato. “Non
avrei mai voluto che tu soffrissi tanto, sarebbe stato meglio se Fury ti avesse
avvertito subito e tu non avessi passato questi mesi…”
“Non ne voglio più parlare” tagliò corto
Peter, abbassando lo sguardo.
“Hai ragione, nemmeno io voglio parlarne”
concordò Stark. “Comunque siano andate le cose adesso sono tornato, sono qui
insieme a te ed è di questo che voglio parlare. Per domani Fury ha organizzato
una conferenza stampa in cui rivelerà a tutti che Tony Stark si è salvato e
sarà la mia prima riapparizione in
pubblico. Ovviamente non parleremo del Progetto T.A.H.I.T.I., diremo
semplicemente che ero rimasto gravemente ferito durante la battaglia contro Thanos,
che sono stato a lungo in coma ma che, dopo una lunga riabilitazione, mi sono
ripreso completamente. Potrò dire al mondo intero che Tony Stark è tornato, che
riprenderà tutte le sue attività alla Stark Foundation e anche che Iron Man è
ancora tra noi.”
“Sì, e che i cittadini possono dormire sonni
tranquilli” commentò Peter, con un’ironia che non gli si addiceva. “Sembra la
pubblicità di un brutto film.”
Tony decise di non raccogliere la
provocazione.
“Non hai tutti i torti, ma io ti ho solo
riassunto in poche parole quello che accadrà. Voglio che gli Avengers al
completo partecipino alla conferenza stampa, o almeno quelli che vorranno
farlo. Per me sarebbe molto importante se ci fossi anche tu.”
“E perché?” domandò Peter, fissando di nuovo
i grandi occhi scuri sul viso dell’uomo. Tony si sentiva sempre a disagio sotto
quello sguardo che pareva volerlo passare ai raggi X.
“Perché? Beh, perché tu fai parte degli
Avengers, come prima cosa, e mi sembrava bello mostrare al mondo che Iron Man e
Spiderman sono ancora insieme, a lottare contro il male e…”
“Odiavo le conferenze stampa e i fotografi
anche quando ero ancora Spiderman e
questo lei dovrebbe saperlo bene” lo interruppe Peter. “Non ho mai voluto che
la mia identità segreta venisse divulgata, al contrario di lei.”
L’uso dei verbi al passato da parte di Peter risuonò
con un tonfo sordo nel cuore di Stark.
“E comunque adesso non sono più Spiderman né,
tanto meno, uno degli Avengers. Non sono nessuno” chiarì il ragazzo.
“So che hai buttato il dispositivo di
nanoparticelle che conteneva la tua tuta nell’East River dopo il mio presunto
funerale, me lo ha detto Happy. Posso capire che quella tuta fosse solo fonte
di ricordi dolorosi per te, ma questo non significa che…”
“Lei mi ha fatto spiare da Happy? Non può proprio accettare di non avere il
controllo di tutto e tutti, non è così?” lo interruppe di nuovo Peter.
Negli occhi del ragazzo c’era un miscuglio di
delusione e accusa che Stark non poteva sopportare. Per sfuggire a quello
sguardo si mise a cercare qualcosa in un cassetto della scrivania e, quando lo
ebbe trovato, tornò a sedersi sul divano, di fronte a Peter.
“Nessuno ti ha spiato, Peter. Happy era uno
dei pochissimi a conoscere il segreto del Progetto T.A.H.I.T.I. e sapeva che io
avrei voluto che vegliasse su di te finché non mi fossi ripreso” disse poi. Gli
tese l’oggetto che aveva in mano, ma Peter gli lanciò uno sguardo distratto e
non accennò nemmeno a prenderlo. “Questo è un nuovo dispositivo, ancora più
avanzato di quello precedente. Diciamo che, durante la convalescenza, mi sono
divertito a realizzare nuove tute sia per me che per te e… beh, ti avevo detto
che avrei trovato il modo di fartelo portare al polso o qualcosa del genere. Ho
realizzato anche un bracciale con… beh, con dei resti della mia precedente
armatura fusi assieme. Mi era sembrata un’idea originale.”
Eppure, mentre continuava a tendere
inutilmente l’oggetto verso Peter, che non aveva la minima intenzione di
prenderlo, Tony Stark iniziò a pensare che, forse, era stata un’idea molto
stupida.
“Non la facevo così sentimentale, signor Stark.
E’ il DNA Kree oppure sta solo
invecchiando?” ribatté Peter, per nulla impressionato.
Tony, deluso, ritirò la mano e si fece
scivolare l’oggetto in tasca.
“Va bene, forse non era questo il momento
migliore per regalartelo, ma spero che ci penserai e che lo accetterai tra
qualche giorno” disse.
“Non vedo perché. Non sono più Spiderman, non
sono un supereroe, non sono niente” ripeté Peter.
“Hai ancora i sensi di ragno, però, quelli
non te li puoi togliere, che tu lo voglia o no. E non mi piace sentirti dire
che non sei niente” replicò Stark. “Sei
comunque Spiderman, con o senza la tuta, e io sarei felice di riaverti accanto
a me anche per lottare contro i criminali. Eri così fiero della tua
appartenenza agli Avengers, non capisco perché adesso tu…”
Peter si alzò dal divano, questa volta
lentamente e controllando di non avere capogiri o cose del genere. Chiaramente
per lui la visita era terminata e l’argomento era chiuso.
“Cinque anni fa c’era un ragazzino che era
stanco della sua routine da sfigato e che, quando scoprì di aver ottenuto dei
poteri speciali dopo il morso di un ragno radioattivo, pensò che la sua vita
sarebbe finalmente diventata un’emozionante avventura. Questo sogno sembrò avverarsi
ancora più completamente quando il ragazzino incontrò il suo idolo di sempre
che lo prese in simpatia e lo volle al suo fianco” iniziò a raccontare, come se
stesse parlando di qualcun altro. “Quello sfigato seguì il suo idolo in ogni
missione, in ogni impresa, desiderando solo essere come lui e si sentì al
settimo cielo quando poté entrare a far parte degli Avengers. Ogni battaglia
sembrava una meravigliosa avventura e il ragazzino credeva di essere un eroe,
un cavaliere dalla scintillante armatura, e che tutti i suoi desideri si
fossero realizzati.”
Le parole amare di Peter appesantivano il
cuore di Tony, che non aprì bocca e, nel silenzio che seguì, attese solo di
capire dove il ragazzo volesse andare a parare. Temeva di saperlo, però…
“Ma un giorno, all’improvviso, quel ragazzo
sciocco e ingenuo capì che non c’è niente di bello nel giocare a fare l’eroe, che le imprese dei cavalieri finiscono
sempre con il sangue, la morte, il dolore e che nessuno vince mai davvero”
riprese. “In pochi istanti perse tutto il suo mondo ed entrò in un incubo senza
fine. Ecco, signor Stark, quando lei è morto anche quel ragazzino ingenuo che
sognava l’avventura è morto. Il suo cuore e la sua anima se ne sono andati per
sempre nella polvere dell’ultima battaglia. Non voglio più essere Spiderman né
un Avenger, non voglio nessuna tuta, ritornerò ad essere semplicemente uno
studente che, qualche volta, può aiutare chi gli sta vicino.”
Tony si era alzato anche lui dal divano e lo
aveva seguito. Provava un desiderio immenso di abbracciarlo, di stringerlo
forte a sé e di dirgli che era tutto finito, che lui era tornato e che potevano
stare insieme come prima, che avrebbe potuto essere il suo Spiderino come era sempre stato e che niente più li avrebbe
separati… ma non sapeva come avrebbe reagito Peter a una cosa simile.
“Quindi cosa hai in mente di fare adesso?”
gli chiese invece.
“Devo recuperare l’ultimo anno di liceo, mi
hanno bocciato perché dopo… dopo… insomma, lo sa, ho smesso di andare a scuola.
Finito il liceo dovrei andare al college, sempre se riesco a vincere una borsa
di studio, perché non voglio pesare su zia May dopo tutto quello che ha fatto
per me. Cercherò di avere una vita normale, di perdermi tra i tanti eroi
anonimi che fanno il loro dovere ogni giorno senza finire sui giornali e senza
ringraziamenti” rispose il ragazzo. “Per questo non voglio la sua conferenza
stampa e non voglio nemmeno la tuta che ha realizzato per me. Voglio solo
scomparire, signor Stark, io non sono come lei.”
“Lo so e non ho mai voluto che lo fossi, ho
sempre sperato che fossi migliore di me” disse Stark, commosso.
“Io non sono migliore di lei” mormorò Peter,
a capo chino. “Se fossi stato migliore, lei non sarebbe morto. Se fossi stato
un vero supereroe, un vero Avenger, sarei riuscito a salvarla e invece… non ho
saputo fare niente. Se ci fosse stato un altro al mio posto…”
Adesso la rabbia di Peter era svanita,
sostituita da uno straziante intrecciarsi di sensi di colpa.
E, improvvisamente, Stark capì.
Anche quando Peter era arrabbiato e caustico,
non ce l’aveva con lui, la sua rabbia era rivolta contro se stesso. Peter si
riteneva responsabile della sua morte, pensava di non aver fatto abbastanza per
evitarla e per questo ora si puniva, si condannava alla solitudine e a un’esistenza
di dolore e vuoto.
Ma era pazzesco!
Tony prese Peter per le spalle e lo voltò
verso di sé, voleva che lo guardasse mentre gli parlava.
“Stammi bene a sentire, ragazzino” disse, “vuoi
capire o no che nessuno avrebbe potuto impedire quello che è successo? Strange
aveva già previsto che le cose dovessero andare a quel modo e, se io non avessi
usato il Guanto, Thanos avrebbe vinto. Nessun altro poteva fare niente. Né tu,
né Rogers, né Capitan Marvel né nessun altro. Doveva. Andare. Così. Se ci fosse
stato un altro modo, un modo qualsiasi, Strange l’avrebbe saputo. Per la
miseria, Peter, quell’uomo poteva anche far comparire un portale dal nulla e
spedire Thanos chissà dove! Non devi, non devi assolutamente portare un peso che non ti appartiene. Tu sei
indispensabile per la squadra degli Avengers, sei indispensabile per me, per cui togliti dalla testa di
essere colpevole o responsabile per qualsiasi cosa e ritorna nel posto che ti
spetta. Se non vuoi la conferenza stampa va bene, non partecipare, ci saranno
altri che sceglieranno di non esserci. Ma non sparire, Peter, non sprecare
tutto quello che di buono puoi ancora fare.”
Peter non rispose, ma i suoi immensi occhi
scuri pieni di dolore parlavano per lui.
“Torna a casa, adesso, se vuoi” continuò
Stark, “ma promettimi che ci penserai. Il dispositivo di nanoparticelle è
sempre qui che ti aspetta e anch’io sarei felice se potessimo rivederci.”
“Perché no?” rispose Peter. “Lei sa già dove
abito, no?”
Non era un sì, non ancora, ma era già un notevole passo avanti, sebbene il
ragazzo non avesse fatto parola della tuta e della possibilità di tornare ad
essere Spiderman.
“Allora salutiamoci qui, per adesso. Happy ti
accompagnerà a casa e… spero davvero di rivederti presto, Peter” disse Tony.
Peter annuì, si allontanò di qualche passo,
poi si voltò.
“Ah, quasi dimenticavo. Bentornato, signor
Stark. Sono contento che stia bene. Le è stata concessa una seconda occasione,
veda di non sprecarla” concluse, in un tono noncurante che non convinse
nessuno.
“Non la sprecherò” promise l’uomo.
Rimase a guardare Peter che si allontanava
nel corridoio finché non scomparve. No, non avrebbe sprecato la sua seconda
occasione, lo doveva a se stesso ma soprattutto a Peter. Perché era vero, il
ragazzino allegro e entusiasta che illuminava e rallegrava la sua vita non c’era
più ed era stata colpa sua se quella luce si era spenta. Avrebbe fatto di tutto
per riportare indietro quel ragazzo, per rivedere le stelle splendere nei suoi
occhi. Quella era la missione più importante che avesse mai intrapreso, la più
difficile ma anche la più preziosa. Era una missione per Tony Stark e anche per
Iron Man.
Doveva essere cauto, non esagerare,
altrimenti Peter sarebbe scappato. Ma era indispensabile che, in qualche modo,
lo raggiungesse.
Peter doveva essere salvato dall’abisso in
cui si era lasciato cadere e lui sarebbe stato lì per questo.