Birth of the myth

di Evali
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il drago nato dal fuoco e dal sangue di Sala d’Estate ***
Capitolo 2: *** "Tu sei l'inizio di tutto" ***
Capitolo 3: *** Visite inaspettate ***
Capitolo 4: *** Odio e amore ***
Capitolo 5: *** L'amore della leonessa ***
Capitolo 6: *** Quattro giovani promesse ***
Capitolo 7: *** Il castello di Harrenhal ***
Capitolo 8: *** Calen e Doen ***
Capitolo 9: *** Il tuo tempo è terminato ***
Capitolo 10: *** Amore e Psiche ***
Capitolo 11: *** Incontri imprevisti ***
Capitolo 12: *** Il banchetto ***
Capitolo 13: *** Schiavi d'amore ***
Capitolo 14: *** L'inverno sta arrivando ***
Capitolo 15: *** La principessa del sole e la lupa selvaggia ***
Capitolo 16: *** Regina d'Amore e di Bellezza ***
Capitolo 17: *** - Fuga a Dorne – PARTE 1 “Non importa cosa mi costerà, io ti rivedrò ancora” ***
Capitolo 18: *** - Fuga a Dorne – PARTE 2 Desideri della carne ***
Capitolo 19: *** Il drago e la principessa del Sole - Il primo incontro ***
Capitolo 20: *** Sacrifici ***
Capitolo 22: *** "Per questa notte e per tutte le notti a venire" ***



Capitolo 1
*** Il drago nato dal fuoco e dal sangue di Sala d’Estate ***


Il drago nato dal fuoco e dal sangue di Sala d’Estate
 
Le fiamme dilagavano.
Una donna dai capelli d’argento urlava in preda ai dolori di parto.
- Resistete, principessa Rhaella! Ci siete quasi! – esclamò una delle dame di compagnia, allargando maggiormente le gambe della giovane donna e intravedendo una testolina colma di sottilissimi fili chiari.
“Il principe che è stato promesso nascerà dalla discendenza di Rhaella e di Aerys Targaryen.” Quelle funeste parole rimbombarono nella testa della principessa in preda alle urla e alle contorsioni. – Dove sono mio padre e i miei fratelli … ? – chiese con la voce rotta e roca, mentre riprendeva fiato e intravedeva i fiotti di luce rossa come il sangue riflettere sull’erba, provenienti dalle sue spalle.
- La Guardia Reale li sta portando in salvo, principessa, non temete per loro! Ora concentratevi solo sul principe drago che state mettendo al mondo!
Forgiato dalle fiamme e dal sangue, da una tragedia, da una maledizione, pensò Rhaella mentre percepiva la testa del piccolo miracolo sfondare la sua apertura.
Mio inestimabile tesoro, già da neonato sarai costretto a portare un tale fardello?
- Le fiamme hanno facilitato il suo risveglio, il suo desiderio di venire al mondo, mia signora! Costui è realmente un drago in tutto e per tutto! – esclamò ancora la dama, sorridendole sudata e cercando ancora di aiutare il nascituro ad uscire dal corpo della principessa.
Altri tremendi rumori di mattoni crollati, di fiamme che divoravano voracemente tutto ciò che era sulla loro strada, si innalzarono, riuscendo a sovrastare le urla di Rhaella.
La principessa strinse le dita sottili sull’erba sottostante, mordendosi le labbra chiare e carnose fino a farle sanguinare.
Avanti, Rhaegar. Coraggio, amore mio, non risucchiare via da me ancor più forze, altrimenti rischierò di non sopravvivere abbastanza a lungo per vederti e stringerti a me.
Se il prezzo da pagare per averti, per far nascere un principe drago, è questo, dunque rinuncerò alle persone a me care, strappatemi via dal fuoco divino che ha deciso di punirci quest’oggi.
Immersa in quei pensieri, la giovane donna levò al cielo un ultimo urlo stridulo e atroce, sentendo letteralmente la carne lacerarsi per quell’ultimo sforzo che avrebbe permesso al suo bambino di aprire gli occhi sul mondo. Tutto divenne appannato dinnanzi a lei mentre il dolore si attenuava e sentiva un cocente e abbondante flusso uscire fuori dalle sue gambe.
- Rhaegar … - niente più che un lieve sussurro nel momento in cui i suoi occhi d’indaco puro si chiudevano e la testa leggera si accasciava completamente sulla roccia alla quale era appoggiata, mentre gli scompigliati capelli argentati e ondulati, seguendo l’andamento delle loro radici, ricadevano su quel viso più bello e luminoso dell’incanto stesso, donandole l’aspetto di una dea morta.
Un pianto energico si alzò al cielo, mentre la dama smuoveva intensamente il corpo molle della principessa con la mano libera. – Mia signora! Mia signora, rispondetemi!! Mia signora!
Il bambino pianse ancora più violentemente in braccio alla ragazza, la quale prestò attenzione completamente a lui, osservandolo con gli occhi lucidi e cullandolo mentre con le parole intonava una dolce melodia improvvisata. – Calmo, calmo, mio giovane principe … non piangere più …
Gli accarezzò la pelle morbida del visino mentre lo guardava calmarsi e rilassarsi sotto il suo amorevole tocco. Continuò a contemplarlo finché il piccolo non chiuse gli occhi socchiudendo la boccuccia. Sorrise. – Sei un meraviglioso dono degli déi, Rhaegar – disse baciandogli la fronte, venendo poi riscossa dai rumori assordanti della Sala d’Estate crollata e caduta quasi completamente in pezzi, mentre le altissime lingue di fuoco sembravano arrivare fino al cielo e la illuminavano più di quanto riuscisse a fare il sole, anche da quella distanza. – Gli dèi si sono scomodati così tanto per te – sussurrò stringendolo a sé mentre continuava ad osservare il conturbante quanto affascinante spettacolo dinnanzi ai suoi occhi. – Sono certa che non ci deluderai, mio principe.
 
Le spade cozzavano tra loro imperterrite e anche dinnanzi agli intensi raggi del sole riuscivano ad inondare il campo da combattimento della loro luce.
Il torneo era quasi giunto al termine e tutti i presenti erano impazienti di sapere quale sarebbe stato il suo esito.
Il duellante che più spiccava tra i due riuscendo a mettere in ombra lo sfidante, così come riusciva a farlo con chiunque altro, possedeva un’armatura di uno scarlatto intenso e lucido che rifletteva i raggi solari, incastonato sul petto vi era un drago nero a tre teste, una composizione di divina eleganza e di perfetto equilibrio che riusciva a risaltare magistralmente solo grazie alla regale corporatura e all’elevata statura del giovane uomo che tanto nobilmente la indossava. I suoi movimenti scattanti, minuziosamente precisi, vigorosi e sciolti quanto quelli di una meravigliosa danza, non annoiavano mai gli occhi di chi lo osservava combattere anche per ore intere, non permettendo mai a nessuno di distogliere l’attenzione da lui.
Dandosi lo slancio con i piedi, saltò verso lo sfidante con tale impeto da atterrarlo.
Dall’elmo dello stesso rosso del pettorale, con una forma sofisticata che riprendeva lievemente quella della testa di un drago, i suoi occhi svettavano come due preziosi diamanti infuocati incastonati all’interno dell’elmo, il naso nascosto poiché coperto dalla punta di metallo, lo stesso che avvolgeva anche le sue mascelle, lasciando scoperti solamente pochissimi lembi della pelle chiara di guance e zigomi, oltre alle labbra. I capelli d’argento sbucavano dovunque riuscissero, alcuni ciuffi vicini agli occhi, e la maggior parte dalla nuca, fino a cingergli collo e spalle.
Lasciò il tempo di rialzarsi al suo avversario, poiché era solito fare così, come fosse una legge interna dettata dal suo animo. Sentì il suo stesso respiro schiantarsi come un rimbombo dentro l’elmo, mentre le gocce di sudore solcavano il suo viso, bruciate dalla pelle calda.
Si mosse verso lo sfidante, camminando con decisione e tranquillità allo stesso tempo, fronteggiandolo ancora e terminando quegli ultimi minuti di duello con un risultato già noto ai numerosi spettatori.
Le grida di acclamazione e di fierezza si innalzarono per in tutta la platea, la quale si alzò in piedi quasi in totalità, con l’unica eccezione di re Aerys. Ognuno di loro lodava e applaudiva il loro principe con una gioia e un’energia che non avrebbero mai usato per il loro re.
Rhaegar si tolse l’elmo, dandosi finalmente la possibilità di lasciarsi invadere dai raggi inebrianti, e porse la mano al suo nobile sfidante, aiutandolo ad alzarsi e congratulandosi con lui. – Siete stato un eccelso avversario, ser Brynden Tully.
- Non lo sarò mai quanto lo siete stato oggi voi, principe Rhaegar – ricambiò il giovane uomo.
 Dopo di che, Rhaegar alzò lo sguardo sulla platea che ancora lo applaudiva entusiasta, riuscendo ad individuare prima Elia illuminata da uno splendido sorriso mentre lo guardava affiancata da qualche ancella; poi, al suo fianco, vide sua madre con quel suo solito sguardo colmo di un amore indescrivibilmente intenso che riservava solo a lui; e, per finire, suo padre, seduto sul posto riservato al sovrano, una statua immobile, con il suo sguardo cupo e gli occhi glaciali puntati su di lui.
Come di consuetudine per ogni vincitore di un torneo, si avvicinò alla postazione nel quale era accomodato il re e si inchinò educatamente al suo cospetto, mostrando riverenza nei gesti, ma odio negli occhi e nello sguardo.
Dopo ciò, si voltò e uscì dal campo.
 
Udì la porta aprirsi alle sue spalle, dei passi delicati e familiari lo riscossero dai suoi pensieri e dal paesaggio di Roccia del Drago che si espandeva dalla finestra della stanza.
- Sempre con lo sguardo troppo lontano per vedere davvero qualcosa? – gli chiese la donna affiancandosi a lui e osservando anche lei il panorama.
- Non è troppo lontano. Non sarà mai troppo lontano. È sempre solo una tua convinzione.
- Sarà, ma quando io ammiro un paesaggio, per quanto possa essere incantevole, resto a guardarlo per alcuni minuti, non per ore intere, oltre a spostare gli occhi su ogni particolare che attira il mio interesse. I tuoi occhi, invece, perdono liquidità – ribatté la dorniana spostando lo sguardo sul profilo di suo marito.
Egli accennò un lieve sorriso, non allontanando mai gli occhi dalla traiettoria che stavamo mantenendo da quasi un’ora. – Non posso fare a meno di sentirmi ancora a disagio di fronte alle tue spaventose doti da osservatrice.
- Le ho affinate standoti accanto, mio principe – detto ciò, la donna spostò l’attenzione su alcuni rivoli di sangue che solcavano la pelle chiara del braccio del giovane principe. Posò la mano olivastra sul taglio ormai secco. – Non ti sei fatto ancora medicare, vedo.
- È solo un graffio.
- È stato un torneo lungo e sfinente, nel quale hai combattuto sempre senza mai riposare, facendoti valere nel migliore e più nobile dei modi, lo capisco, Rhaegar. Ma tuo padre ti sta aspettando di sotto già da parecchio. Essendo i padroni di casa, ed essendo lui il re dei sette regni, abbiamo il dovere di accoglierlo degnamente.
- Non mi diserederà se è questo che temi – nel suo tono non vi era acidità, ma solo freddezza e stanchezza.
Elia ritrasse la mano e rimase a guardarlo, cercando di leggergli dentro come era abituata a fare. – So che questo non sei tu a parlare e che tra qualche secondo ti scuserai per quello che hai detto, dato che conosci benissimo la natura della mia totale indifferenza nei confronti di quell’ammasso di metallo nel quale tutti si aspettano di vederci seduti, come regnanti. Tu e Rhaenys siete il centro dei miei pensieri, delle mie preoccupazioni, del mio amore e di tutta la mia vita. Nient’altro.
Il Principe drago si voltò finalmente a guardare la sua consorte, la quale possedeva uno sguardo determinato a rimanere immune a qualsiasi eventuale o involontario attacco psicologico. – Mi dispiace, Elia. Non era quello che intendevo. Sono molto stanco e non per il torneo. Sono stanco di vedere quel volto contratto, marcio e spregevole, sono stanco di vedere quel volto in generale. Vivendo qui a Roccia del Drago mi ero illuso di poter scampare a quelle sudice fauci che mi artigliano ogni volta che i suoi occhi si posano su di me. Da bambino riuscivo a sopportare quello sguardo colmo di odio e di rabbia verso chiunque, compreso me, poiché il tutto era colmato dall’amore totalizzante che mia madre era in grado di donarmi. Tutti quei neonati nati morti le toglievano ogni volta un pezzo di sé, pezzi che io puntualmente raccoglievo e rimettevo insieme, facendole credere che potessi bastarle io per andare avanti nel condurre una vita che l’ha sempre vista schiava e vittima di tiranni e infausti eventi. E lei ci credeva. Ci crede ancora, erroneamente. Sono riuscito a sopportare la vista del volto di mio padre, la nausea della sua presenza al mio cospetto fino al compimento di quindici anni. Poi ho smesso.
- Conosco bene tutti i tuoi tormenti, mio caro. Ho deciso di prendermeli a carico io stessa e non mi pento di una tale decisione. Non devi scusarti. Sarò io ad aiutarti a restare al suo cospetto e a rimanere calmo dinnanzi a lui, come è sempre stato da quando ci siamo sposati.
- Lui non deve vedere né te, né Rhaenys.
- Rhaegar …
- Ti considera una cagna morente, “una sporca cagna dorniana che cade a pezzi e che non sarà mai in grado di concepire neanche un verme”. Queste sono le parole che ha usato molto amorevolmente il giorno del nostro matrimonio e che rimarranno incise nella mia mente fino alla fine dei tempi. Devo ricordarti anche cosa ha detto sulla nostra bambina quando l’ha tenuta in braccio appena nata?
- No, Rhaegar, lo ricordo bene … non ripeterlo … - rispose addolorata al solo ricordo. – Sono abituata ad udire tali discorsi da quando ho scoperto di essere promessa a te. Nessuno mi considera degna del Principe Drago, il futuro erede al trono, figlio della pura e incontaminata stirpe Targaryen. Persino ora, a causa della mia salute cagionevole e della mia apparente morte subito dopo aver partorito Rhaenys in seguito a quei quattro giorni di doglie infernali, mi parlano dietro e dicono che non sarò mai in grado di darti un erede maschio. Ormai, né le parole di tuo padre, né quelle di qualsiasi altro mi toccano. Smentiremo tutte quelle voci – gli assicurò stringendogli le mani, gli occhi grandi e scuri luminosi di determinazione.
- Elia, ne abbiamo già parlato. Non ti metterò ancora in fin di vita. Mai più.
- Non sei tu ad uccidermi, Rhaegar, ma è il mio debole corpo, un fardello col quale devo imparare a convivere e che sopporto da quando sono nata. Io voglio questo bambino. Non solo per metterlo su un trono e perché tutti lo attendono. Lo voglio e basta. Inoltre, so che è anche il tuo desiderio.
- Non te l’ho mai detto.
- Mi hai parlato della profezia. “Il drago ha tre teste”.
- Il fatto che io ti abbia parlato della profezia che disturba la maggior parte dei miei sogni, non presuppone che io pretenda un altro bambino da te. Ti ho vista sputare letteralmente sangue durante quei quattro giorni e non ho nessuna intenzione di assistere nuovamente ad una tua quasi – morte.    
A ciò, la giovane donna gli pose le mani sulla vita e si avvicinò maggiormente a lui, guardandolo dal basso e sorridendogli mentre la lieve fossetta sul suo mento si accentuava e donava al suo splendido sorriso un’aria più fanciullesca. – Con la calma e la pazienza di cui sono regina, riuscirò a convincerti prima o poi, testardo di un drago.
Lui accennò un lieve sorriso, volgendo nuovamente lo sguardo fuori dalla finestra e ricambiando il gesto intimo, appoggiando delicatamente le braccia intorno alle spalle della sua consorte.
In pochi potevano godere del privilegio di vederlo aperto e disposto ad abbandonarsi in gesti d’affetto, seppur spesso fugaci,  dato che il suo atteggiamento e la predisposizione glaciale lo rendevano lontano da chiunque incrociasse il suo cammino. Elia era una dei pochi graziati, insieme alla piccola Rhaenys, a Rhaella, al giovanissimo Viserys e ad Arthur Dayne.
- Sai cosa vorrei fare? – disse il Principe drago cominciando a dondolarsi lievemente in quella posizione, guidando anche la principessa dorniana.
- Cosa?  
- Scendere di sotto ad accogliere mio padre, esattamente come sono ora: ferito, sudato e con l’armatura ancora addosso. Mi inchinerei a Sua Maestà e poi me ne andrei, ordinando alle guardie di ricondurlo via.
Elia rise divertita prima di rispondergli. – Non sarebbe affatto coerente con l’immagine di perfezione e nobiltà divina che i sette regni hanno di te, mio principe! Tuttavia, temo che riusciresti comunque a risultare più regale di tutti i presenti.
- Tu credi?
- Per solidarietà, io farei il mio ingresso al tuo fianco con questo pregiato abito strappato alla maniera dei bruti, l’acconciatura sfatta e i capelli arruffati.
- Sarebbe uno spettacolo che rimarrebbe nelle bocche delle dame di corte per mesi e mesi.
- Solo delle dame di corte??
Sorrisero ancora entrambi continuando a dondolarsi semi abbracciati.
- Sai … - continuò la principessa dorniana. – Durante il torneo io e tua madre abbiamo conversato un po’. Mi tratta sempre come una figlia – disse abbassando lo sguardo velato di fierezza. – Mi ha detto che ha notato i miei occhi mentre ti guardavo gareggiare. Li ha osservati a lungo e ha avuto la conferma.
- Di cosa?
- Del legame che mi unisce a te. Talvolta l’amore non è folgorante, né così palese come si crede che lo sia. Il nostro matrimonio è stato combinato, la nostra unione stabilita da altri, per necessità. Tuttavia, ti amo. Ti amo come uomo, come marito, come padre di nostra figlia, come principe, come condottiero. E se ciò non è corrisposto, non avrà importanza.
- Ti amo anche io.
- Cosa? – chiese ella credendo di non aver udito bene.
- Ho detto che ti amo anche io, Elia – rispose accennandole un sorriso, spostandole una ciocca di capelli ricci e scuri sfuggiti dall’acconciatura elaborata, e abbassando il volto per donarle un leggero e dolce bacio sulle labbra.
I due vennero interrotti dal bussare alla porta.
- Miei signori – esordì una dama, entrando nella stanza. – Mi spiace interrompervi, ma il re e la regina stanno attendendo da molto nella sala principale. Sono venuta a riferirvi di affrettare i tempi, possibilmente. Se lo desiderate, posso condurvi dai sovrani, principessa – disse la ragazza, notando che la donna fosse già pronta e agghindata.
- Ti raggiungo tra un minuto, Ashara – la rassicurò Elia, non allentando la presa sull’abbraccio, vedendola poi uscire dalla stanza.
- Evita di farti trovare in abiti che non siano quelli regali di consuetudine dalle mie dame, dato che ogni volta scappano via come se avessero commesso un peccato mortale nel posarti gli occhi addosso – lo rimbeccò sconsolata la dorniana.
- Queste sono anche le mie stanze, nel caso te ne fossi dimenticata – controbatté lui finto indispettito. – Ad ogni modo, dato che non sono Rhaenys, dunque sono capace di cambiarmi, lavarmi e rivestirmi anche da solo, e tu, oltretutto, sei già pronta e impeccabile, raggiungila e aspettami al piano di sotto. Ci metterò pochissimo – le garantì sciogliendo l’abbraccio e cominciando a spogliarsi, togliendosi la parte superiore dell’armatura.
Elia puntò le mani sui fianchi e alzò un sopracciglio dubbiosa. – Sono solo i capelli che mi preoccupano. Non hai tempo di legarli in modo decoroso, perciò ti conviene lasciarli sciolti. Pettinali parecchio però.
- Elia. Lo so. Grazie per la fiducia.
- Fosse per me …
- Elia – la interruppe Rhaegar rivolgendole uno sguardo finto esasperato mentre ella si decideva ad abbandonare la stanza.
Una volta essersi accertato che la porta fosse definitivamente chiusa, il Principe drago aprì uno degli immensi scaffali presenti in camera e vi tirò fuori tre tomi.
Dopo di che accese una candela e li bruciò uno per uno, tenendo i suoi occhi fissi sulle pagine che divenivano cenere secondo dopo secondo.
 
La prima volta che si erano toccati, il misto di paura, diffidenza, dolore e disagio aveva completamente prevalso sul resto, inizialmente.
“La vostra unione è consolidata dinnanzi agli dèi” aveva detto il Maestro ponendo la mano calda e affusolata del Principe drago su quella tremante, piccola e scura della principessa dorniana. Solo per un attimo i loro occhi si erano incrociati, il gelo contro l’ardore scontrati e già scossi solo da quel primo e fugace contatto.
La diversità era un concetto fin troppo blando per esprimere il baratro che li divideva.
La prima notte dopo le nozze non si erano neanche sfiorati, e così anche la settimana avvenire.
Poi, una sera, Rhaegar era tornato in camera dopo una spedizione che l’aveva tenuto due giorni lontano da Roccia del Drago. Il suo volto che sembrava sempre divinamente intagliato su pietra, era più spento e vuoto del solito.
Si sedette sul grande letto, quasi lasciandosi cadere sulla superficie morbida, e rimase fisso con lo sguardo rivolto alla porta.
Elia gli si era avvicinata cautamente, quasi come se avesse a che fare con un felino pronto a scattare e a scappare via al minimo contatto, era salita anch’ella sul letto e gli si era posta alle spalle. Sciolse i suoi capelli d’argento lasciandoli liberi, poi gli sfilò il mantello lentamente.
A quel punto, Rhaegar fece qualcosa che ella non si sarebbe minimamente aspettata: quasi senza accorgersene, come fosse naturale, appoggiò la testa all’indietro, sulla spalla della donna. Non seppe mai se lo avesse fatto perché troppo stanco e sfinito per pensare, oppure per dimostrarle di volersi fidare di lei a suo modo.
Il principe era sempre stato un enorme enigma da comprendere e da decifrare, per chiunque.
Pian piano, quei lentissimi movimenti si trasformarono in qualcosa di più.
Alla luce soffusa delle numerose candele, Rhaegar aiutò Elia a spogliarlo di quegli asfissianti vestiti zuppi di pioggia, poi vi fu un bacio, dal sapore amaro e voglioso allo stesso tempo, che ne fece seguire subito un altro e un altro ancora, sempre più intensi, profondi e bagnati; ai quali susseguirono i tocchi decisi e continui, quasi vertiginosi per quanto rivelatori.
Quella prima notte, capirono altre innumerevoli sfaccettature della loro diversità: Elia, come ogni dorniana che si rispetti, era una donna ardente ed estremamente passionale nonostante qualche segnale di debolezza fisica, il quale non la frenava dalla necessità impellente di toccare e toccare continuamente durante quei momenti di piacere e di solenne intimità, curiosa, focosa, intraprendente e fisica, in ogni significato possibile.
Rhaegar, invece, per quanto disposto a lasciarsi andare per la necessità che richiedeva un contatto e un rapporto come quello, non era mai completamente coinvolto, come se parte della sua mente rimanesse comunque altrove,  oltre alla costante meccanicità in gesti e movimenti, come se la sua natura e ogni fibra del suo corpo non potessero concedere altro. Solo con la bocca, con i baci, riusciva a trasmettere quel qualcosa in più che assumeva un valore inestimabile solo per il fatto che provenisse da lui.
Ma nonostante tutto, quella notte, quando la luna piena si alzò in cielo illuminandoli e destandoli dal loro placido sonno, si guardarono, avvicinarono nuovamente i loro corpi da sotto le coperte fino a farli toccare e fecero unire ancora le loro bocche in baci suadenti, alternandoli con sguardi e carezze, per Elia anche alcuni sorrisi.
Fu in quel momento che compresero che, a dispetto di tutto, i loro corpi sarebbero potuti rimanere uniti insieme in quel modo per i secoli avvenire.   
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 2
*** "Tu sei l'inizio di tutto" ***


“Tu sei l’inizio di tutto”
 
Il Principe Drago aprì gli occhi, richiudendoli poi immediatamente infastidito, non appena le sue iridi di cristallo entrarono in contatto con la luce dell’alba appena accennata.
- Ben svegliato – udì quella voce fin troppo familiare, che oramai non lo spaventava più ogni volta che irrompeva nei suoi timpani di prima mattina. Si coprì il viso con le mani, cercando di abituarsi alla sensazione di essere sveglio.
- “Volete una tazzina di Infuso del Buongiorno per facilitare il risveglio delle vostre regali membra assonnate, mio principe?” – lo prese in giro la stessa voce, proveniente dal fondo della stanza, esattamente ad un metro di distanza dalla fine del letto.
- Smettila di chiamarlo con questo nome assurdo, Arthur … Si tratta di latte mischiato ad un banale rivitalizzante che il Maestro …
- … che il tuo caro Maestro Jilien ha creato solo per te, premurandosi di preparartelo senza che neanche tu glielo richieda e disposto a trasferirsi qui a Roccia del Drago pur di acconsentire alle tue richieste, con quella barbettina bionda e bianca lucida che sembra riprendere vita ogni volta che ti vede, così come i suoi occhietti rotondi sul visino semi pelato, quasi l’immagine di un cagnolino affettuoso se non fosse per il fatto che non ti abbia chiesto niente in cambio … - rispose Arthur interrompendolo e poggiando un dito sulla lingua per poi usarlo per voltare la pagina di un libro che stava leggendo seduto comodamente su una sedia ai piedi del letto.
- Un giorno mi illuminerai sul perché credi che ogni uomo che mi faccia un favore senza che io glielo ordini e non richiedendo nulla in cambio, debba nutrire un interesse sessuale nei miei confronti. Eccetto te, ovviamente.
- Tu non hai vissuto a Dorne, ingenuo drago, non hai vissuto a Dorne – ripeté Arthur sfogliando un’altra pagina del libro, ancora con lo sguardo abbassato sul tomo.
- Ad ogni modo – cominciò Rhaegar alzandosi in posizione semi sdraiata e semi seduta. – Non ne faccio un uso incontrollato come ti ostini a sostenere. Dov’è Elia? – disse, notando infine che il posto accanto al suo nel letto matrimoniale, fosse vuoto.
- Si chiama “dipendenza”, mio principe. Se in quell’intruglio ci fosse davvero solo latte e un rivitalizzante, non lo assumeresti a dosi imperiose.
- Arthur – lo richiamò il principe, facendogli finalmente alzare lo sguardo verso di lui.
- Sì?
- Fuori c’è l’alba, tu sei seduto davanti al mio letto, mia moglie non c’è e stai scuotendo il mio sistema nervoso. Dov’è Elia?
- Sì è sentita male durante la notte, i soliti dolori periodici alla testa e al ventre. Il Maestro Arneith l’ha visitata e le ha dato il rimedio per calmare i dolori, ma non è più riuscita a dormire. Non ti ha voluto svegliare per farti continuare a dormire.
- Come sempre, ha quest’assurda abitudine di non svegliarmi quando accadono questo genere di cose … - disse il principe, semi esasperato.
- Ha detto che ieri ti sei sforzato troppo al torneo durato l’intera giornata, quindi voleva che riposassi. Inoltre, lo sai che non vuole che ti preoccupi.
- Sì, lo so, ma non è quello che vorrei io. Voglio starle vicino quando si sente male.
- Sei stato fin troppo vicino a donne straziate da dolori – rispose Arthur con naturalezza.
- Non tirare fuori la storia di mia madre ora, te ne prego.
- Come vuoi.
- Rhaenys?
- Sai quanto sia leggero il sonno di quella bambina. Si è svegliata ed è uscita dalla sua camera non appena ha udito i passi di sua madre in corridoio. Voleva a tutti i costi venire qui a svegliarti per stare con te, ma Elia glielo ha proibito. Così sta aspettando che ti svegli, mentre Elia la sta convincendo a mangiare e a ritornare a letto.
- Devo andare da lei. Ma prima … - disse rivolgendo nuovamente lo sguardo al suo amico che lo guardava comodamente seduto. - Parla. Cosa sei venuto a dirmi?
- Non posso guardarti semplicemente dormire? – chiese in tono divertito.
- No, perché, si dà il caso, che le notti in cui entri nelle mie stanze all’alba aspettando che mi svegli, corrispondono alle stesse notti durante le quali Elia si alza a causa dei suoi dolori; e, “stranamente”, ogni volta che accade, mi devi sempre dire qualcosa privatamente, a dimostrazione del fatto che approfitti dell’assenza di Elia per entrare qui e attendere che mi svegli, sperando che, con la tua presenza, io mi desti prima, approfittando per provocare rumori “casuali” che, puntualmente, mi svegliano. Tutto questo perché sei impaziente di dirmi qualcosa e non riesci più ad aspettare. Tra l’altro, per quanto io mi sia abituato ad incontrare il tuo viso tronfio ai piedi del letto appena sveglio, rimane comunque qualcosa di parecchio conturbante.
- Tsss, io non spero che tu ti svegli prima, provocando rumori per riuscire nell’intento – sbuffò Arthur accennando un altro sorriso divertito.
- Allora?
- Hai intenzione di dire ad Elia fin dove si spinge la tua ossessione per le profezie?
- Di cosa stai parlando?
- Del fatto che lei crede tu sia semplicemente e ingenuamente un po’ troppo coinvolto, mentre invece stai impiegando i migliori anni della tua vita in un’ossessione che ti ha fatto addirittura rivolgere a streghe e a stregoni, e sottoporre ad incantesimi e sedute, che ti tiene sveglio fin quando non leggi l’ultima pagina dell’ultimo libro proibito, sequestrato dalla Cittadella e da altre biblioteche antiche. Tu riesci a nasconderlo egregiamente bene, perché riesci a nascondere egregiamente bene tutto.
- Non vi è alcun bisogno che lo sappia, fin quando ciò non la mette in pericolo.
- Ma mette in pericolo te. Ascolta, Rhaegar, ti conosco da anni e, da quando hai sposato Elia, ho imparato a nutrire dell’affezione anche per lei. Non voglio che, nel momento in cui ti spingerai troppo oltre, lei ne rimarrà più scottata di te.
- Non succederà.
- Ah no? – chiese la Spada dell’Alba ponendo le braccia conserte. – Hai già pensato a come farai venire al mondo le altre due teste del drago se non vuoi che lei rimanga nuovamente incinta e che rischi di morire durante un secondo parto?
- No, non ci ho ancora pensato. Non ho intenzione di tradirla e di disonorarla se è questo che pensi. Dovresti conoscermi bene oramai. E poi, anche se fosse così, perché mi stai facendo una ramanzina simile su un argomento come questo? Voi dorniani non siete completamente avvezzi ai rapporti aperti, escludendo il concetto di gelosia a priori quando si tratta di relazioni sentimentali?
- Sì, solitamente, ma non è questo il caso. Con uno come te, tutte le abitudini e convenzioni dorniane svaniscono come sabbia al vento. Questo perché, al di là del fatto che tu sia il principe ereditario, Elia ti ama in un modo e in una dimensione estranea a quella dorniana. Tu sovrasti ogni usanza inculcatale.
- Per gli dèi, Arthur, ti sei svegliato all’alba per venire qui a dirmi questo? Vi hai riflettuto durante la notte, per caso? Cosa sarebbe cambiato se me lo avessi detto tra qualche ora, durante una cavalcata? – gli chiese alzandosi in piedi e cominciando a spogliarsi per vestirsi.
- Sto solo dicendo che, se continuerai così, a prescindere da Elia, ti consumerai. Letteralmente. E consumerai anche me dato che me ne parli ogni volta che siamo insieme, nonché praticamente tutto il giorno.
- Allora stammi lontano.
- Sono la tua guardia personale, caro il mio principe ereditario.
A ciò, Rhaegar si voltò verso di lui per guardarlo. – Potrei tranquillamente richiedere a mio padre di farti divenire nuovamente la sua guardia personale, così che tu possa trasferirti ad Approdo del re.
Arthur lo guardò fisso a metà tra il cagnesco e l’offeso. – Lo sai che sei proprio un glaciale menefreghista detestabile quando ti ci metti?
- Così potrai intavolare delle deliziose conversazioni con lord Varys – aggiunse il principe accennando un sorriso divertito mentre continuava a spogliarsi.
- Ora sei spregevole nel tirare fuori lord Varys. Lo sai che trovo l’eunuco inquietante.
- Non ne capisco il motivo. Lord Varys è solo un po’ troppo curioso e attento, caratteristiche che ogni abile calcolatore dovrebbe possedere. Se non nutrissi tutto questo inutile astio nei suoi confronti, potreste diventare buoni amici – controbatté il Targaryen, sorridendo ancor di più alle sue stesse parole.
- Vuoi che ammetta che non mi separerei da te neanche se fosse tuo padre in persona ad ordinarmelo, vero, schifoso manipolatore? – gli chiese tirandogli il libro che aveva in mano, colpendolo su una spalla nuda.
A ciò, Rhaegar smise di trafficare con i vestiti e si voltò a guardarlo, fulminandolo con lo sguardo e rimanendo in silenzio.
- “Oh, perdonatemi, mio egregio principe, non avrei dovuto colpire la vostra pelle di porcellana con un libro, utilizzando tanta scortesia e irriverenza; nonostante, tuttavia, se i miei ricordi degli ultimi anni non sono annebbiati, vi faccio il culo ogni volta in duello, colpendovi con qualcosa di ben più duro e pericoloso di un libricino” – lo prese in giro Arthur.
- Hai finito di vantarti? Non mi sembra che io mi vanti ogni volta che ti batto in duello. Siamo solo alle prime luci dell’Alba, Arthur, abbi pietà e risparmiami il narcisismo – disse ricominciando a vestirsi.
- Io terminerò di vantarmi quando tu terminerai di trattare con superiore sufficienza e indifferenza il tuo più caro amico – gli disse puntandogli il dito contro con fare offeso.
- Padre!! – si udì una vocina squillante ed energica provenire dalla porta della stanza. La bambina che emanava luce propria grazie alla sua immensa bellezza e radiosità, piombò immediatamente accanto a suo padre, il quale la prese in braccio con gli occhi altrettanto luminosi nel rivederla.
La piccola dalla pelle olivastra come quella di sua madre, dai capelli riccissimi, ribelli e scurissimi, in contrasto con gli occhi di un viola vivo e pieno di sfumature ripresi da suo padre, allacciò le braccine avvolte dalle maniche del vestitino intorno al collo di Rhaegar, sprofondando il visino tra i capelli biondissimi. – Mi sei mancato tanto!
- Non ci vediamo solo da un giorno, farfallina.
- Volevo vederti ieri, dopo il torneo! – si lamentò la piccola avvinghiandosi con maggior forza a lui.
- Lo so, amore mio, ma purtroppo, il papà era impegnato con il nonno e la nonna.
- Volevo vedere anche io il nonno e la nonna!
- Hai visto la nonna, no? Il nonno non può vederti.
- Perché no? – gli chiese Rhaenys distaccandosi lievemente per guardarlo in volto.
A ciò, Arthur osservò il suo amico, credendo che avesse bisogno di aiuto in quella situazione di “difficoltà”.
- Perché ho messo in punizione il nonno, ovviamente. Gli ho detto che non poteva vedere la mia bellissima principessa perché si è comportato male. Lui ha pianto molto quando l’ha saputo. Sai, anche i re possono essere messi in punizione – le disse sfiorandole il naso con il suo e facendosi stringere ancora da quelle manine energiche che non si sarebbero mai stancate di abbracciarlo.
Arthur, per l’ennesima volta, si diede dello stupido e dell’ingenuo per aver erroneamente pensato che il Principe Drago fosse in grado di trovarsi in difficoltà. Lui non sapeva neanche cosa fosse la “difficoltà” dato che, con uno sguardo o due semplici parole, sarebbe stato capace di persuadere anche le pietre.
 
 
Camminava per le strade di Fondo delle Pulci, facendo ben attenzione a non farsi spintonare, per non rischiare di farsi abbassare il cappuccio che stava nascondendo i suoi capelli argentati e gli occhi viola. Se solo avessero saputo chi fosse, sarebbero stati guai seri. Il popolo aveva cominciato ad amarlo dalla sua nascita ed ora che aveva quindici anni, se possibile, era ancora più affezionato al giovane Principe Drago, già capace di mostrare i suoi numerosi talenti sia artistici, che politici, che come combattente. Nonostante ciò, non sarebbe comunque stato affatto prudente farsi scoprire in mezzo alla povertà più estrema di Approdo, la quale inglobava delle sfortunate anime innocenti, non lasciando loro alcuna possibilità di sopravvivenza migliore della violenza e della sopraffazione. Rhaegar sapeva che, appena divenuto re, avrebbe posto fine a tutto ciò che, in quel momento, si trovava dinnanzi agli occhi e che tanto lo addolorava. Avrebbe fatto ciò che suo padre non si era mai minimamente interessato di fare, occupato com’era a innalzare se stesso, a parlare con i teschi dei draghi nella Sala del Trono come fossero vivi, e a bruciare chiunque osasse trasgredire a qualche legge.
Si sentiva un eletto, suo padre, un re prescelto e con il sacro compito di far rinascere un drago dalle ceneri, un sogno utopico divenuto un’ossessione pericolosa.
Mentre il giovane reale osservava gli orfani che rubavano e correvano come schegge nelle strade affollate di quel vicolo di Fondo delle Pulci, un’anziana signora gli afferrò un braccio, facendolo voltare verso di lei. – Per caso avete con voi un po’ di monete per una povera vecchia, giovanotto?
Rhaegar sapeva che non sarebbe stato prudente neanche quello. Tuttavia, aveva deciso di visitare i vicoli di Fondo delle Pulci appositamente per aiutare, anche solo minimamente e nelle sue possibilità, quella gente.
- Tenete – disse prendendo qualche moneta dalla saccoccia che nascondeva sotto il mantello e porgendole alla vecchia, facendo attenzione a non farsi mai guardare negli occhi.
- Siate lodato dagli dèi! – esclamò la donna baciandogli la mano più volte, per poi allontanarsi.
Dopo ciò, udì un canto di una bambina affacciata alla porta di una locanda.
Alcuni giovani della sua età e altri vecchi mendicanti si erano fermati ad ascoltarla, seduti, come allietati da quella candida voce bianca e melodiosa.
Anche il Principe Drago si avvicinò per ascoltarla, sorridendo nel constatare che l’intonazione di quella fanciullina fosse a dir poco perfetta, e lui di intonazione se ne intendeva. Mentre la ascoltava cantare, provò l’immenso desiderio di allietare gli animi di quella povera gente con il suono della sua arpa, abbinato al canto di versi scritti da lui. Era una pratica che lo aiutava a liberare la mente e a calmarlo, un’arte per la quale era enormemente elogiato a corte, ogni volta che deliziava i nobili di tanta bellezza e creatività.
Restò a guardare la piccola, immaginando già la disperazione di Arthur, il quale lo stava sicuramente cercando ovunque, figurandosi il peggio.
Poi, distratto com’era da quelle dolci, ingenue e toccanti parole, non si accorse di un gruppo di omoni ubriachi e barcollanti che stavano percorrendo la traiettoria in cui si trovava, rischiando di urtarlo. Uno di loro quasi gli andò addosso mentre cercava di reggersi in piedi, mormorando delle confusionarie e blande scuse non appena se ne accorse. Quello spintone non lo aveva sbilanciato tanto da farlo cadere a terra, ma abbastanza per sfilargli il cappuccio, il quale fu abilmente riafferrato dal principe, prima che lo scoprisse del tutto. Erano emerse solo alcune corte ciocche chiare quasi quanto la neve, per qualche secondo.
Quando finalmente tirò un sospiro di sollievo nel notare che, intorno a lui, sembrava che nessuno avesse visto, fu smentito dallo sguardo della fanciullina improvvisamente puntato su di lui.
Ella aveva smesso di cantare e lo fissava.
Le persone che la stavano ascoltando cominciarono a chiedersi come mai avesse smesso e cosa fosse ad aver catalizzato in quella maniera la sua attenzione.
Rhaegar si vide già spacciato quando intravide le labbra della piccola aprirsi per dire qualcosa.
- Volete … desiderate cantare con me? – gli chiese semplicemente la bambina, facendo voltare i presenti verso di lui.
- Io? No, non so cantare. Mi dispiace – mentì mentalmente riconoscente alla giovanissima orfana per non aver svelato apertamente la sua identità.
A ciò, tutti i presenti se ne andarono, lasciando Rhaegar e la piccola soli, senza contare l’affollamento delle stradine a loro circostanti.
La piccola gli si avvicinò e lo osservò dal basso, riuscendo a scorgere anche le sue iridi di cristalli viola. – Non dovreste girare da solo per Fondo delle Pulci – gli disse quasi in tono di rimprovero.
- Siete un uccellino di lord Varys? – le chiese sospettoso il Principe Drago.
- Sfortunatamente non posseggo uccellini con tali capacità canore – intervenne una voce che Rhaegar riconobbe immediatamente, da dietro di lui, e che lo fece voltare.
Il giovane uomo coperto dal cappuccio come lui, gli accennò uno dei suoi soliti sorrisi ambigui. – Lasciate che vi riaccompagni alla Fortezza Rossa, mio principe – gli disse a bassa voce.
- Lord Varys. Come sapevate che fossi qui?
- Uno dei miei uccellini ha visto una figura incappucciata uscire dalla Fortezza Rossa di nascosto e dirigersi verso Fondo delle Pulci. Non potevate che essere voi. Siete assente da due ore ormai, vostra madre sta cominciando a preoccuparsi. Non è prudente per un giovane ragazzo del vostro rango, della vostra stirpe e con il vostro aspetto, girare non protetto per i vicoli più pericolosi e malfamati della capitale. Non si può dire che non siate riconoscibile, mio principe.
 - Per tali motivi desidererei infinitamente acquisire le capacità degli Uomini Senza Volto in situazioni simili. Non sarebbe male poter andare dove voglio indisturbato, mostrandomi con l’aspetto di qualcun altro.
- Sfortunatamente, è impossibile per ognuno di noi acquisire un tale dono – rispose lord Varys accennando un altro sorriso.
- Vi sbagliate. In un libro ho letto che c’è un modo per riuscirci. Ma, per ora, non rientra tra le mie priorità entrarne in possesso – rispose il Targaryen con convinzione.
- Siete un ragazzo affamato di conoscenza ai limiti dell’umano, non è vero, mio principe? – gli chiese il Ragno Tessitore, lievemente sorpreso.
- Non verrò con voi,  lord Varys. Resterò ancora un po’ qui. Se volete parlare a mio padre della mia trasgressione fate pure – rispose Rhaegar allontanandosi dall’uomo, ma venendo nuovamente raggiunto dalla fanciullina che aveva mantenuto il suo segreto.
- Mi dovete un favore – gli disse improvvisamente la piccola.
- Già, ve lo devo – rispose lui accennandole un sorriso. – Vanno bene tre monete d’oro?
- Non voglio del denaro da voi – rispose la bambina con naturalezza.
- Allora cosa desiderate?
- Venite con me. Vi voglio far conoscere la mia mamma.
- Perché volete farmi conoscere la vostra mamma?
- Perché lei legge il futuro e mi piacerebbe tanto conoscere il futuro di un principe – rispose ella sorridendo, afferrandogli la mano e guidandolo verso la locanda dinnanzi alla quale si era fermata a cantare poco prima.
I due entrarono superando la saletta semivuota, nella quale aleggiava un pungente odore di fumo e di sudore, per poi dirigersi verso la scalinata a chiocciola in legno scricchiolante.
Nella stanza superiore, nella quale Rhaegar fu condotto, regnava una fragranza completamente diversa, un misto tra l’incenso e the fruttati, una combinazione capace quasi di far perdere i sensi.
- Madre! Madre, ti ho portato un ospite speciale! – esclamò la fanciullina, rivolgendosi ad una donna di mezza età, bella e vistosamente truccata, con un lungo abito marrone cioccolato. Le sue unghie appuntite avevano raggiunto la lunghezza corrispondente a metà delle sue dita. Ella si voltò, scacciando via le sue giovani sottoposte e togliendo dal naso le foglie di incenso che penetravano le sue narici.
- Sei stata bravissima, mia piccola Eya. Di chi si tratta?
- Il Principe Drago!
La risata della donna si levò in tutta la stanza quando udì la risposta di sua figlia. – Mio tesoro, hai scambiato questo povero ragazzo per il principe Targaryen?? Tutti vorrebbero incontrarlo, ma è meglio non spingersi troppo in là con le fantasie!
A ciò, Rhaegar si levò il cappuccio, mostrando il suo aspetto.
Non appena la donna posò gli occhi su di lui, la tazza che aveva tra le mani cadde a terra riversando tutto il liquido sul tappeto.
Non perdendo tempo ad inchinarsi, l’indovina attraversò la stanza a grandi falcate per avvicinarsi a lui e osservarlo, avendo la conferma di non star immaginando tutto.
- Un reale nella mia locanda?? Qual buon vento vi ha spinto a lasciare la vostra agiatissima dimora per  venire a Fondo delle Pulci, se mi è permesso chiederlo, mio principe?
- Non è la prima volta che lo faccio. Desidero restare vicino al popolo a modo mio. Vostra figlia non ha rivelato la mia identità pur avendola scoperta, perciò ho deciso di accontentare la sua richiesta.
- Solo per tale motivo vi trovate qui? L’idea di conoscere il vostro futuro non vi alletta per niente?
Rhaegar rimase in silenzio a quella domanda.
- Mi serve qualcosa di vostro – disse improvvisamente la donna, porgendogli la mano.
- Ho delle monete.
- Non vanno bene. Intendo qualcosa che sia stato a contatto con voi, come un capo d’abbigliamento.
- Non posso togliermi nulla – rispose categorico il ragazzo.
A ciò, lo sguardo dell’indovina si fece più aguzzo. Sporse la mano accanto alla testa del principe, dicendo: - Non avete i capelli ancora un po’ troppo corti per riuscire a legarveli?
- Con il laccio si tengono, quindi, a quanto pare no – rispose percependo la mano della donna sciogliere il laccio che tratteneva il codino minuscolo dei suoi folti capelli, utile a trattenere i ciuffi dentro il cappuccio.
- Andrà bene – disse gettando il laccio nel caminetto lì di fianco e vedendo le fiamme innalzarsi verso l’alto come lingue assetate.
- Il fuoco vi ha messo al mondo, Principe Drago. Per questo, ogni volta che entra a contatto con voi, le fiamme scalpitano bisognose di ricevervi nuovamente tra loro.
Rhaegar si avvicinò al caminetto osservando le lingue di fuoco.
- Ho letto dei libri sulla divinazione. Non è così che funziona. Credo che voi siate solo un’imbrogliona – disse vedendo le dita vertiginose della donna scattare immediatamente al suo collo e stringerlo.
Non perse la calma e non si agitò, neanche quando quelle dita lo spinsero contro il muro, stringendo più forte.
Poi, improvvisamente, le iridi dell’indovina saettarono all’indietro, lasciando i suoi occhi completamente bianchi, mentre allentava la presa e la mano scivolava tra il collo e il petto del principe.
- “La tua famelica curiosità ti divorerà, consumandoti …” – Rhaegar sgranò gli occhi, attendendo che continuasse. – “… non vi sarà un posto per te in questo mondo, in cui continuare a vivere. La tua vita è destinata a terminare in giovane età, quando, finalmente, avrai trovato il modo di rispondere a tutti gli enigmi che affollano la tua mente e di realizzare ogni parola di qualsiasi profezia che ti ha ceduto al mondo. Tuttavia, la tua esistenza non sarà vana, anzi, al contrario, il fuoco ti ha forgiato sul sangue di centinaia di vite poiché sei necessario, più necessario di quanto tu creda per far proseguire la storia dei sette regni per la strada prescelta. Tu sei l’inizio, l’inizio di tutto, Rhaegar Targaryen. Insieme a te, anche un’altra anima, molto più candida della tua, sarà vittima dello stesso destino, una combattente che condurrà i venti del Nord qui nella capitale. Ricorda di portare con te questo flagello a testa alta, Principe D’argento, poiché il futuro della vita dipende da te.”
Sconvolto ai limiti della sua sopportazione, Rhaegar restò a fissare la donna meccanicamente, invaso da un buio lacerante.
Dopo qualche istante, le iridi dell’indovina tornarono al loro posto e si posarono sulla figura dinnanzi a sé, la mano ancora appoggiata nell’incavo tra il collo e il petto.
 
Nel ripensare a quel ricordo che aveva segnato la sua vita all’età di quindici anni, il Principe Drago non si accorse dei passi che entravano nella stanza e si avvicinavano a lui.
Elia, vedendo il suo sposo seduto dinnanzi alla finestra, gli si avvicinò da dietro e appoggiò delicatamente le mani sulle sue spalle. – Di nuovo lo sguardo verso un orizzonte che non vedi – disse cominciando a fargli lievi massaggi alla base del collo.
- Già – rispose lui accennando un sorriso.
- Sai cosa mi ha detto oggi Rhaenys?
- Cosa?
- Che quando sarà grande come noi, viaggerà per tutti i sette regni e oltre, fino ad Essos, portandoci con lei. Non sarebbe bello? Non sarebbe un sogno vedere la nostra splendida donna solcare i mari, libera tra il vento e, incurante dei doveri reali, seguire la sua strada?
- Sarebbe meraviglioso – sussurrò Rhaegar mentre una semplice frase gli rimbombava nella mente: “La tua vita è destinata a terminare in giovane età”.
 
 
 
 
 

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Capitolo 3
*** Visite inaspettate ***


Visite inaspettate
 
Quel giorno d’estate, caldo da togliere il fiato, il piccolo Rhaegar veniva condotto da una delle balie verso la sala del trono, in cui sua madre lo aspettava per accogliere suo padre al suo ritorno da una spedizione.
Aveva solo sei anni, ma il suo visino dolce aveva già dei tratti affilati, facendolo sembrare più grande, in aggiunta al suo sguardo troppo serio per un bambino della sua età.
Rhaella lo accolse con i soliti occhi luminosi, abbracciandolo e stringendolo a sé come il tesoro più prezioso del mondo.
Quel giorno era uno di quelli in cui suo padre era di cattivo umore ancor più del solito.
Lo attesero vicini, fin quando il re dei Sette regni non entrò nella sala del trono scortato dalle sue guardie personali.
Aerys si fermò a guardare il suo figlioletto con uno sguardo che sarebbe stato capace di fulminare ogni essere vivente presente al mondo.
Si sedette sul trono e fece segno al principino di avvicinarsi.
A ciò, Rhaegar fece qualche passo avanti e si inchinò a lui come di consueto.
Aerys lo osservò ancora, mentre un ghigno di palese fastidio si allargava nel suo volto.
- Io dovrei lasciare il mio regno a te?
- A meno che non preferiate designare come erede un secondogenito che verrà al mondo – rispose a tono il bambino.
- Guardati. La bellezza è l’unica qualità che possiedi. Non hai nient’altro.
Sei un incidente di natura. Perché pensi che tutti i bambini siano nati morti dal grembo di tua madre, mentre tu no? Perché sei un incidente – di – natura – gli disse ad un soffio dal viso, scandendo bene ogni parola.
A ciò, Rhaella fece qualcosa che ognuno dei presenti, tra balie, ancelle e guardie, sperava non facesse. Si avvicinò in fretta e furia a suo marito e lo colpì con un sonoro schiaffo. – Non ti permetterò mai più di parlargli in questo modo – gli disse a voce alta e decisa.
Solo in quel momento, il piccolo Rhaegar cominciò ad avere paura. Non quando suo padre gli aveva parlato come se lo volesse morto. Aveva iniziato a sentire la paura invadergli le vene quando sua madre aveva osato alzare le mani pur di difenderlo.
- Non voleva farlo! – esclamò improvvisamente, notando la scintilla pericolosa che apparve negli occhi di Aerys mentre guardava Rhaella. – Non voleva farlo! Madre è solo molto stanca e agitata. Avete ragione padre, sono un incidente di natura e oltre al mio aspetto, non posseggo niente – disse avvicinandosi, sperando di convincerlo.
- Rhaegar … - sussurrò Rhaella guardandolo.
- Aspettami in camera, cara – disse immediatamente il re, sorridendo soddisfatto al suo figlioletto, per poi rivolgersi a sua moglie.
No, non era servito a niente tentare di convincerlo.
Le urla di Rhaella si udirono in tutta la Fortezza Rossa quella notte, come se la camera nella quale stava avvenendo la tremenda violenza non fosse provvista di mura.
Rhaegar rimase con gli occhi spalancati, sdraiato nel suo letto, mentre una delle dame di sua madre cercava di distrarlo.
- Mio principe? – richiamò nuovamente la sua attenzione lady Joanna.
Rhaegar non le rispose, restando fisso ad ascoltare quelle urla in lontananza.
- Mio principe? Questa sera non volete udire uno dei miei racconti? – ritentò lady Joanna, guardandolo intristita, seduta sul letto accanto a lui. – Sapete che quello che vi ha detto vostro padre qualche ora fa è solo una grande menzogna, vero?
- Non mi importa! – sbottò il bambino. – Non mi importa cosa mi dice mio padre! Se è vero o se è falso non mi importa … voglio solo che smetta di farle del male. Solo questo. Se smettesse, sopporterei le parole più infuocate e velenose che ha da dirmi, sulla mia pelle, ogni santo giorno, senza oppormi, e sopporterei anche che mi picchiasse sempre.
- Il vostro cuore è ciò che c’è di più nobile e buono al mondo – gli disse la giovane dama accarezzandogli teneramente una guancia.
Quella notte, pur di farlo addormentare e di vegliare su di lui, lady Joanna si sdraiò sul letto con il principino e si assopì lentamente.
Ma Rhaegar fece solo finta di dormire poiché, a notte fonda, non appena le urla di sua madre si placarono, scese silenziosamente dal letto e uscì dalla sua camera, dirigendosi verso quella della regina.
Entrò in punta di piedi nelle stanze di Rhaella, la quale era stata finalmente lasciata sola da Aerys.
Salì sul suo letto e si sdraiò accanto a lei, guardandola.
Accorgendosi della sua presenza, la donna si voltò verso di lui e gli sorrise raggiante, come sempre, nonostante ora il suo viso e il suo corpo presentassero evidenti segni rossi come il sangue e neri come la notte.
Rhaella si avvicinò maggiormente a suo figlio e lo strinse in un abbraccio, con le mani tremanti, immergendo il naso delicato nei capelli del bambino e baciandogli la fronte, ritrovando finalmente la sua ragione di vita, sentendola a contatto con il suo corpo.
Rhaegar, d’altro canto, aveva paura di stringerla poiché temeva di farle male, di toccare sui punti in cui gli ematomi erano più dolorosi.
Si allontanò solo di qualche centimetro, giusto il necessario per guardarla negli occhi con quelle iridi che, alla luce della luna, apparivano ancor più surreali per essere vere.
- Non difendermi più, madre. Ti prego.
Rhaella gli accarezzò le guance e i capelli mentre gli sorrideva malinconica. – Io ti difenderò sempre, Rhaegar.
- No, non …
- Tu non sei un incidente di natura – lo interruppe la donna, guardandolo seria, ma non smettendo mai di stringerlo a sé. – Non credere mai, MAI, a quello che lui ti dice. Tu sei un dono. Un meraviglioso dono.
- Ma tutte quelle persone che sono morte nella Sala d’Estate il giorno in cui io sono nato … lo zio, il nonno e tutti gli altri … come è successo?
- Non è colpa tua. Smettila di crederlo.
- Voglio sapere come è successo.
- Non lo so, mio tesoro … - sussurrò lei accarezzandogli ancora la guancia. – Quello in cui devi credere e che dovrai tenere sempre a mente … è che non sei come lui. Non sarai mai come lui. Tu sei dolce, coraggioso, forte, brillante, intelligente e persino talentuoso – gli disse sorridendo ancora, mentre i lividi sul suo viso etereo assumevano dei colori strani alla luce della luna. – Non lasciare che lui ti renda arido di sentimenti. Non allontanarti da tutte le persone che ti amano e che ti ameranno … Non negarti a chiunque. Quando avrai una moglie, anche se non sarà quella scelta da te ma che gli altri hanno deciso di farti sposare, lei avrà bisogno di essere amata. Meriterà il tuo sostegno, la tua presenza, il tuo amore. Non permettere che lui ti faccia smettere di amare.
Ci fa un attimo di silenzio dopo quelle parole, in cui i due rimasero in quelle posizioni. Dopo qualche minuto, Rhaegar sfiorò con la manina il ventre di sua madre. – Ti ha fatto male? Ti ha fatto male quando li hai persi?
Rhaella lo guardò interrogativa.
- I miei fratellini nati morti – spiegò il bambino. – Ti ha fatto male quando li hai persi?
- No, non mi ha fatto male, perché ogni volta che succedeva, sapevo che c’eri tu. Per questo non riesco a smettere di essere felice.
 
 
Camminò per le rovine di Sala d’Estate, per l’ennesima volta.
“Sei ossessionato da quel luogo” gli continuava a ripetere sua madre, preoccupata.
Ora che aveva quindici anni, si rendeva conto di esservi stato almeno una decina di volte, fin da quando era bambino e costringeva qualche guardia ad accompagnarlo, dato che non aveva il permesso di cavalcare così lontano da solo.
Era più forte di lui. Posò i piedi tra le ceneri, i pezzi di legno corrosi, il pavimento nero, pieno di buchi e instabile.
- Principe Rhaegar, siete qui? – chiese una voce semi sconosciuta.
Inizialmente, il giovane principe non riuscì ad associarla ad un volto, fin quando il ragazzo con qualche anno in più di lui non entrò nelle rovine.
Vestiti da cavaliere, una chioma bionda scura, degli occhi lilla e carnagione olivastra, tipica dei dorniani.
Lo aveva conosciuto quella stessa mattina alla Fortezza Rossa, sapeva sarebbe diventato la guardia personale di suo padre e di tutta la famiglia reale.
Le presentazioni non erano andate nel più idilliaco dei modi, dato che il Principe Drago era sempre estremamente freddo e distaccato con le nuove conoscenze, in particolar modo con quelle che cozzavano completamente con la sua personalità calma, nobilmente raffinata e glaciale.
Il nuovo arrivato si era inchinato rispettosamente a lui, come aveva fatto in precedenza con suo padre e con sua madre, e gli aveva rivolto i suoi servigi, seppur mantenendo un rispetto indiscutibile per la sua figura, in un modo che rivelava la sua personalità sfacciata e la sua grande opinione di sé, una sicurezza che al principe dava sui nervi.
Ed ora si ritrovava con lo stesso individuo che aveva incontrato quella mattina, l’ultimo che avrebbe voluto vedere lì, dopo suo padre.
- Siete la guardia personale del re, ser Arthur Dayne. Perché non siete rimasto accanto a mio padre? – gli chiese atono, non prestandogli attenzione.
- Non sono solo la guardia personale del re, mio principe. Ho il compito anche di salvaguardare la sicurezza di tutta la famiglia reale, e il concetto è rafforzato quando si tratta di proteggere l’erede al trono. Non ho violato nessun ordine per raggiungervi qui, poiché vostra madre si è raccomandata con me di trovarvi e riportarvi a casa, dato che avete trascorso qui l’intero pomeriggio.
- L’intero pomeriggio? – chiese il Targaryen sorpreso da quell’informazione, ma non troppo, dato che ogni volta che visitava le rovine di Sala d’Estate, il tempo scorreva in modo diverso per lui. Sembrava fermarsi.
- Sì, l’intero pomeriggio. Tra poco farà buio – rispose il cavaliere, avvicinandosi e guardandosi intorno. – Se mi è lecito chiedervelo, come fate a voler trascorrere il vostro tempo in questo luogo dimenticato dagli dèi?
Trascorsero alcuni secondi di silenzio in cui Rhaegar camminò lentamente per la sala distrutta, prima di rispondergli. – Cercare di capire cosa è accaduto qui quel giorno, mi aiuta a sentirmi meno in colpa. E, in qualche modo, respirare quest’aria, lasciarmi inglobare, mi fa sentire vicino alle mie origini.
- “Sentirvi meno in colpa”? Volete dire che le storie che raccontano su questo luogo sono vere? Vostra madre ha davvero cominciato a sentire le doglie quando il palazzo è andato a fuoco, mettendovi al mondo dinnanzi ad un tale spettacolo, mentre centinaia di persone raggiungevano la morte tramite le fiamme? Credevo fossero solo storie per esaltare la vostra figura ancor di più, fino ad elevarla al livello di mito – disse Arthur incredulo, facendo nascere un sorriso accennato sul volto del giovane principe, il quale gli dava ancora le spalle.
- Tendono sempre a divinizzare la mia figura, così come tendono a farlo con ogni membro della stirpe Targaryen. Quasi come se il mio sangue mi garantisse un posto nel cielo, accanto agli dèi, elevandomi a loro pari qui in terra. Funziona sempre così. Quando si è nella mia posizione, non si incontra mai qualcosa di vero. Tutti gli sguardi adoratori, i complimenti, le parole d’innalzamento divengono vani perché finti, basati su un’idea fasulla, mostrati a prescindere. Ad ogni modo, nonostante ciò, le storie che narrano sulla mia nascita sono vere.
- Se volete saperlo, io non vi ho mai divinizzato. Quando non ero ancora giunto qui nella capitale e tutti mi parlavano di voi  elogiandovi come foste un dio, un bambino/drago prediletto,  io credevo solamente che foste un moccioso viziato dalle troppe attenzioni che il mondo gli riservava. Nessun bambino è prediletto, nessun principe è un dio – disse Arthur, guadagnandosi finalmente uno sguardo da parte di Rhaegar, il quale si voltò verso di lui, attendendo che continuasse. – Anche quando vi ho visto per la prima volta, questa mattina, e mi avete guardato con quell’aria di superiorità, ho pensato che foste un odioso e altezzoso ragazzo che crede di poter guardare chiunque con quello sguardo freddo e sprezzante.
Rhaegar rimase piacevolmente colpito da quelle parole che testimoniavano finalmente un giudizio vero, contrario a tutti quelli che vi erano su di lui. – Non era mia intenzione rivolgervi uno sguardo sprezzante. Neanche voi mi siete piaciuto, e se sommate ciò alla mia natura diffidente e cupa che mi spinge a non rivolgere un sorriso neanche ai miei familiari se non raramente, capirete perché vi sono sembrato disgustato. Spesso riesco a fingere egregiamente, comportandomi con gentilezza e premura anche con coloro che odio o disprezzo, ma, in alcuni casi, come stamattina con voi, non riesco a fingere.
- Sta a voi farmi cambiare idea sull’opinione che mi sono fatto di voi, mio principe – gli propose Arthur accennandogli un sorriso di sfida, sghembo, ma pur sempre trattenuto per non spingersi troppo oltre con lui. Sentiva che sarebbe potuto scappare o crollare da un momento all’altro, sgretolandosi dinnanzi ai suoi occhi.
Sentiva qualcosa smuoversi da dentro, come se la mente del giovane cavaliere avesse deciso autonomamente che, da quel momento in poi, il suo scopo nella vita sarebbe stato quello di far breccia nell’animo del Principe Drago, spingendolo a ritrovare ciò che gli mancava, che aveva perduto o che, forse, non aveva mai avuto.
- Non devo dimostrarvi nulla, Arthur Dayne. Inaspettatamente, mi piace il vostro modo di ragionare, mi affascina la vostra visione del mondo. Ma di certo non vi dimostrerò alcun che.
A ciò, il cavaliere sfoderò la sua Spada dell’Alba, facendola roteare con sfacciata abilità. – Che ne dite di placare le vostre turbe d’animo con un duello con la spada? So di avere qualche anno in più di voi, ma io alla vostra età ero già più capace di tutti i cavalieri con i quali ho duellato. Sono certo che coloro che vi addestrano all’arte della spada vi lasciano vincere di proposito – lo sfidò Arthur, rivolgendogli ancora quel sorriso provocatorio.
- Il vostro egocentrismo sta inquinando l’aria – gli rispose Rhaegar, afferrando ugualmente la spada riposta nel suo fodero. – Fareste meglio a restare in silenzio e ad evitare di pronunciare frasi del tipo “Non lamentatevi se il vostro orgoglio verrà ferito”, altrimenti dirò a mio padre di farvi rispedire a Dorne con la prima nave – aggiunse attendo che Arthur facesse la prima mossa.
- Non lo avrei mai detto – rispose il più grande con un sorriso innocente ad ornargli il volto, attaccando il principe con il primo colpo.
Rhaegar lo evitò prontamente, senza neanche muovere la mano sulla spada.
D’improvviso la convinzione e la sicurezza sul volto di Arthur vennero meno, lasciando posto ad un’espressione di piacevole sorpresa.
Fu quasi sempre il dorniano ad attaccare per primo, mentre il principe rispondeva agli attacchi con una flessibilità che lasciò l’altro di stucco.
- Forse non vi fanno vincere di proposito coloro che vi allenano – disse il cavaliere, rispondendo ad un colpo.
- Vi avevo chiesto di restare zitto e di lasciar riposare i miei timpani.
Continuarono ancora per poco, poiché Rhaegar venne disarmato e si lasciò cadere in ginocchio, dinnanzi al suo sfidante, il quale avvicinò la lama della sua spada al collo del principe, facendola lievemente entrare in contatto con la sua pelle.
– Oh, avanti, non mi state neanche sfiorando. Non mi avevate fatto intendere che mi avreste trattato come qualsiasi altro sfidante? Appoggiate a dovere quella lama, vi assicuro che non morirò dissanguato per un taglietto – lo incoraggiò con una nota di strafottenza.
- Perché vi siete lasciato disarmare? Stavate andando bene, fin troppo bene, per gli dèi! Ammetto di esser rimasto piacevolmente stupito dalla vostra abilità e prestanza. Dunque, perché non avete continuato a tenermi testa? Non crederete che non me ne sia accorto.
A ciò il principe continuò a guardarlo dal basso, serio. – Vi deve essere un motivo? – chiese appoggiando le mani sulla fredda lama e spingendola di più verso il suo stesso collo, lateralmente, ferendosi sia i palmi che la gola.
- State cercando di farvi uccidere? – chiese Arthur confuso.
- No. Non ancora. Volevo solo porre fine al nostro scontro il prima possibile.
- Perché?
- Perché ho di meglio da fare.
- Come restare qui da solo ad evocare i morti e a crogiolarvi nella polvere?
- La superficialità delle vostre considerazioni …
- … è tipica dei dorniani. Potete dirlo, non mi offenderò – rispose Arthur al suo posto, interrompendolo.
- Stavo per dire “non mi è nuova”.
- Ciò non cambia il fatto che proveniamo da due luoghi totalmente opposti e che, naturalmente, voi vi sarete fatto le vostre idee ricolme di pregiudizi. La maggior parte delle volte quei pregiudizi corrispondono alla realtà, per questo non vi è nessuna offesa: a Dorne viene preso tutto con più leggerezza, la “superficialità” potrebbe essere usata come parola d’ordine in determinate situazioni, siamo più allegri, impertinenti, indiscreti, vanitosi, patriottici, lussuriosi, voraci e tanto passionali, da risultare volgari e rozzi. Ma credetemi quando vi dico che ho imparato a guardare oltre, più a fondo, cogliendo i significati più alti che voi ritenete celati ai miei occhi, molto più di quanto riesca a fare la mia gente – disse avvicinandosi di più al principe, inginocchiandosi dinnanzi a lui, ma non togliendo ancora la spada dal suo collo.
- Dunque, al contrario, io sarei arido, spento, gelido, irreale e svuotato di tutto ciò che dovrebbe rendermi vivo e umano.
- Non credo che voi siate arido e nessuno potrebbe farmi cambiare idea in ciò. I restanti degli aggettivi che avete elencato non sono così negativi come li avete fatti sembrare e come li intendete voi – disse accennando un altro sorriso e rafforzando la presa sull’elsa della spada, osservando un altro rivolo di sangue colare dal taglio superficiale del ragazzo e solcare quella pelle fino a macchiare i vestiti, in completo contrasto con essa. – Quando vostro padre e vostra madre vedranno ciò che vi ho fatto … - aggiunse ingoiando della saliva a vuoto.
- State cominciando a sudare freddo, ser Dayne? Potete sempre rinunciare e riportarmi a casa prima di fare più danni. Diremo a mio padre che mi hanno aggredito dei banditi e che voi mi avete difeso – gli propose Rhaegar con un sorriso sardonico.
- Non ci pensate neanche. Non mi convincerete così facilmente ad essere un codardo – rispose deciso Arthur sorridendo ancora. – Ed ora, alzatevi in piedi, mio principe, e date realmente il meglio di voi contro di me. Altrimenti, la considererò un’offesa non da poco conto – concluse rialzandosi in piedi e porgendogli la mano.
A ciò, Rhaegar la afferrò e si rialzò in piedi, riprendendo possesso della sua spada.
Ripresero a combattere, facendo cozzare le lame delle loro spade come se seguissero un ritmo ben preciso, fendendo l’aria secca con il loro impeto.
Arthur era impetuoso e invadente come una tempesta mentre combatteva; Rhaegar, invece, possedeva dei riflessi eccezionali assieme ad un’agilità letale, oltre ad essere tattico e previdente.
Dopo quasi un’ora di combattimento perpetuo, in cui entrambi erano giunti allo stremo, Arthur riuscì nell’impossibile compito di disarmare realmente il Principe Drago, atterrandolo con un violento colpo.
Rhaegar cadde all’indietro, ritrovandosi semi sdraiato a terra, con i muscoli indolenziti e piccole abrasioni ed ematomi in diverse parti del corpo. Tuttavia, Arthur non era in condizioni migliori, al contrario. Se la sua pelle fosse stata chiara e delicata quanto quella del Targaryen, vi sarebbero apparsi addirittura più lividi.
- Per gli dèi del cielo – disse il cavaliere ansimante, cercando di riprendersi, mentre puntava nuovamente la punta della sua spada alla gola del principe, istintivamente e per forza dell’abitudine. – Non siete affatto arido, mio principe. Ve lo garantisco.
 
Arthur Dayne salì le scalinate a grandi falcate, cercando di mantenere la calma, impresa non molto facile da quando aveva udito che il principe ereditario avesse ricevuto una visita proveniente da Approdo del Re, la quale aveva richiesto di vedere Rhaegar in privato. Le premesse non promettevano nulla di buono, oltre al fatto che il suo istinto non lo tradiva mai.
Aprì il portone che dava alla sala del consiglio senza neanche bussare, trovando Rhaegar seduto e intento a parlare con quello che sembrava … il Ragno Tessitore?
Una sensazione di viscidume nel solo vederselo dinnanzi, invase il cavaliere, il quale lo fulminò, per niente mortificato per averli interrotti all’improvviso.
Varys distolse l’attenzione da Rhaegar per posare gli occhi sul nuovo e non gradito arrivato. Gli rivolse uno dei suoi finti e melliflui sorrisi, come era solito fare, innervosendo ancor di più il dorniano. – Lieto di vedervi, ser Dayne. A cosa dobbiamo questa così brusca interruzione io e il mio principe? – gli chiese pungente, poi ritornando a guardare Rhaegar. – Egli vi interrompe sempre in tal modo, infrangendo le vostre richieste e invadendo i vostri sacri spazi personali, mio principe? – gli chiese.
A ciò, il Targaryen fece per rispondergli, ma Arthur, oramai quasi su tutte le furie, lo precedette. – Non ci provate, viscida biscia! Non vi azzardate neanche a cercare di corrompere Rhaegar o di metterlo contro di me! Ci avete provato già una volta e non ha funzionato. Sapete che siamo come fratelli. Tutto ciò che avete da dire a lui, potete dirlo anche in mia presenza – disse tagliente.
- Mi è permesso intervenire all’interno del vostro siparietto? – riuscì a prendere finalmente la parola il principe, semi esasperato. – Prima che Arthur cedesse alla sua impellente necessità di marcare il territorio e di mostrare il suo ingenuo disappunto, vi stavo per dire, lord Varys, che non è sua abitudine essere tanto impertinente. Sono riuscito a domarlo con il tempo, tuttavia, non sono mai riuscito a sopprimere totalmente il suo lato scapestrato e privo di freni, e non desidero neanche farlo, in tutta sincerità. Perdonatelo, lo fa in buona fede – disse guardando il dorniano negli occhi, mentre questo cercava di calmarsi e di darsi un contegno.
- Lord Varys non intendeva escluderti o cospirare contro di te, Arthur – continuò il principe. – Egli è giunto qui a Roccia del Drago per un motivo molto più complesso.
- Di che si tratta? – insistette Arthur guardando con insistenza Varys.
- Non intendevo recarvi scortesia o offesa, ser Dayne – rispose il Ragno rivolgendogli un altro di quei sorrisi indefinibili, il quale faceva sembrare la sua testa liscia e calva in qualche modo inumana. – Stavo solamente informando il nostro principe di un’occasione che non dovrebbe andare sprecata, conoscendo bene la sua audacia e il suo buon senso nelle questioni riguardanti suo padre il re.
- Quale occasione …? – chiese Arthur, questa volta guardando Rhaegar.
- Un torneo. Ad Harrenhal – rispose il principe.
Un sopracciglio del cavaliere si alzò manifestando la sua confusione.
- Lord Varys mi ha portato notizie da Approdo, niente che già non sapessimo, ma ha manifestato la sua aumentata preoccupazione riguardo le sorti del regno se mio padre continuerà a comportarsi da folle. Se vogliamo evitare che i sette regni sprofondino totalmente nel terrore di un tiranno assetato di sangue e di fuoco, dovremmo agire al più presto – continuò il Targaryen alzandosi in piedi.
- Cosa c’entra il torneo con l’idea di detronizzare tuo padre?
- Presto la figlia vergine di Lord Whent compirà gli anni. Il nostro principe potrebbe approfittare dell’occasione per organizzare un torneo con lo scopo di mascherare una cospirazione contro il re e detronizzarlo, prendendo il suo posto per regnare – aggiunse Varys, poi ritornando a guardare Rhaegar. - Tutti sarebbero dalla vostra parte e vi appoggerebbero nella ribellione, mio principe: i Lannister, i Tyrell, i Baratheon, i Martell, persino il Nord, a mio avviso. Il popolo ha già sopportato abbastanza, mio signore e anche noi. Abbiamo bisogno di voi, ora più che mai – insistette il Ragno Tessitore, rivolgendo uno sguardo al Principe Drago differente da quelli che usava rivolgere a tutti solitamente, una delle sue rarissime espressioni sincere e realmente supplichevoli.
A ciò, Arthur si affrettò a chiudere la porta della sala per evitare che anche una sola ancella presente a palazzo udisse ciò che stava avvenendo in quella stanza, per poi avvicinarsi maggiormente al Targaryen. – Rhaegar, ne sei sicuro? Devi esserne sicuro – gli disse facendo emergere la sua preoccupazione dagli occhi chiari.
- Solitamente sei tu quello spavaldo e io quello prudente … - gli disse il principe perplesso.
- Sì, è vero, spesso sono infantilmente spavaldo, mentre tu sei quello giudizioso … ma, in realtà, quello audace sei sempre stato solo tu, Rhaegar. Sei tu quello che ha il coraggio di osare davvero e di cambiare le cose, il che è molto diverso dalla più semplice e banale impulsività che mi caratterizza. In questi casi, il mio compito da tua guardia personale, ma, soprattutto, da tuo amico, è quello di frenare il fuoco che ti anima da dentro continuamente, quello che potrebbe spingerti talmente oltre, da non poterti più permettere di tornare indietro – gli disse lasciandolo ancor più colpito da quelle parole. – Perciò, ora ti chiedo: vuoi farlo davvero? Vuoi davvero allearti contro tuo padre e prendere il suo posto ora, rischiando di fallire e di perdere la vita nel tentativo?
Trascorsero alcuni minuti di silenzio prima che il principe rispondesse. – Mi metterò in contatto con lord Whent e con tutte le famiglie più potenti dei sette regni. Il Torneo di Harrenhal dovrà essere il più lungo della storia.  
 
 
 

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Capitolo 4
*** Odio e amore ***


Odio e amore
 
- Preferite aroma di arancia speziata o limone e cannella, milady? – chiese lady Ashara alla piccola Rhaenys, avvicinando la raffinata teiera al bicchierino da the della principessina.
- Limone e cannella! – esclamò la bambina osservando il liquido caldo e colorato riempire il suo bicchierino. A ciò, afferrò il piattino con all’interno la scorza di arancia, e ne versò un po’ nel suo the con il cucchiaino.
Ashara sorrise mentre la guardava incantata. – State imparando velocemente tutte le regole del galateo e i comportamenti di una perfetta e rinomata lady, mia principessa.
Rhaenys sorrise e la guardò, disattenzione che le costò cara, dato che, senza accorgersene, con il gomito colpì la tazzina e versò tutto il the caldo sul suo vestitino di pregiata stoffa rossa.
Restò in silenzio a guardare il misfatto, poi alzò gli occhi tristi e delusi verso Ashara. – Lo sapevo! Succede ogni volta! Non riesco mai a finire la merenda con l’ora del the senza combinare qualche pasticcio. Adesso arriveranno le balie e mi costringeranno a cambiare vestito prima che io finisca la mia torta alle carote – disse mettendo su un adorabile broncio e ponendo le braccine conserte.
Ashara sorrise divertita, per poi farsi venire in mente una trovata che potesse eliminare quell’espressione imbronciata dal bel visino della principessa: prese il piattino con la fetta di torta sopra e se lo fece cadere addosso mormorando un poco credibile “ops”, neanche sforzandosi di fingere di averlo fatto accidentalmente.
A ciò, Rhaenys riprese a sorridere.
Da lì, al momento in cui presero a tirarsi fette di torta e di limone, sporcandosi i capelli e i vestiti di crema e panna, trascorsero pochi secondi.
Le loro risate spensierate si udirono sin dentro il palazzo.
- Cosa sono queste splendide risate che si levano dal giardino? Oh, ma guarda! Sono due pulcini dispettosi! – intervenne Arthur raggiungendole. – Non dovevi darle lezione di buone maniere? – chiese il cavaliere a sua sorella, divertito.
- La cosa è degenerata – rispose Ashara ammiccando alla principessina.
A ciò, la Spada dell’Alba si sedette sulla sedia rimasta libera attorno al tavolino, accavallando comodamente una gamba e strisciando un dito sulla guancia di sua sorella per raccogliere un po’ di crema al limone, per poi porselo in bocca e gustare il sapore dolce e aspro. – Eliana sta diventando sempre più brava a cucinare, non credi? – disse emettendo versi di estasi e approvazione.
- Arthur, questo è un tavolino per signore … - lo rimproverò Ashara guardandolo semi esasperata.
- Cos’è, non posso aggiungermi all’ora del the insieme alle due donne più belle di Roccia del Drago?
- Ma questo è il tavolo delle signore, zio Arthur! – aggiunse Rhaenys sorridendo e sostenendo Ashara.
- Visto? Te lo ha detto anche la principessa. Sparisci, Arthur.
- Non se ne parla. Io rimango qui a godermi l’ora del the e vi lusingherò fino allo sfinimento fino a quando voi due pulcini non vi arrenderete – disse il cavaliere mettendosi ancora più comodo e prendendo un po’ di crema anche dalla fronte di Rhaenys.
- Arthur! La vuoi smettere?? Vai a cercare Balerion – gli ordinò Ashara.
- Sì, vai a cercare Balerion! Non lo vedo da tutta la mattina! – esclamò Rhaenys alzandosi in piedi.
- Quel micetto pestifero si sarà infilato in qualche buca in giardino.
- Zio Arthur! Balerion non si infila nelle buche! Balerion è un potente drago sputa fuoco che non si nasconde mai! – affermò decisa la bambina.
- Sì, ma a Balerion non piacciono le lezioni di buone maniere di zia Ashara. Oppure potrebbero piacergli, dato che le trascorrete a fare le lotte con il cibo – disse Arthur.
- Ringrazia che la principessina abiti qui a Roccia del Drago e abbia me come insegnante, poiché se avesse una delle insegnanti designate dal re folle ad Approdo, passerebbe tutta la giornata a ripetere tutti i nomi dei teschi dei draghi della dinastia Targaryen nella Fortezza Rossa – rispose Ashara.
- Chi è il re folle? Il nonno?
- Nessuno, tesoro – rispose Arthur alla piccola, prendendola in braccio e schioccandole qualche bacio sulle guanciotte. – Adesso andremo a cercare insieme Balerion, principessina. Così zia Ashara può finire di tirarsi il cibo addosso da sola – continuò beccandosi un calcio da sotto il tavolo da sua sorella.
- Sì! Può aiutarci anche mio padre a cercarlo? Lui lo trova sempre!
- Ehi pulcina, guarda che anche il sottoscritto zio Arthur è molto abile nel trovare draghi sputa fuoco. Anche più di tuo padre! – le disse in tono finto offeso, pizzicandola per farle il solletico.
La piccola rise, poi si guardò intorno. – Dov’è mio padre? Pensavo che fosse venuto con te. Tu e mio padre siete sempre insieme, zio Arthur. Posso andare da lui prima di cercare Balerion?
- Ci sono momenti in cui anche il Principe drago deve rimanere solo, principessina. Per ora, è meglio lasciare tuo padre e tua madre soli. Poi andrai da loro.
- Che succede? Nulla di grave spero – commentò Ashara lievemente allarmata.
- Non temere, Shar, sai come sono le discussioni tra loro: Elia si agita e si calma a ritmi inumani, e Rhaegar inizia a parlare a sproposito e a dire sciocchezze. Tra un’oretta ritorneranno una famiglia felice.
- C’entra qualcosa l’imminente arrivo di “Ser Vipera beota” qui a Roccia del Drago? – chiese Ashara con evidente fastidio nella voce mentre toglieva un po’ di crema dal suo vestito e se la infilava in bocca.
Arthur rise mentre un sorriso si allargò anche sul visino di Rhaenys. – Oggi viene zio Oberyn! Me ne ero dimenticata! Zio Arthur, zia Ashara! Dobbiamo salutarlo come si deve! – esclamò la piccola scendendo dalle ginocchia di Arthur e osservando il proprio vestitino sporco. – Devo chiedere alle balie di cambiarmi abito. Anche tu, zia Ashara! Voglio scegliere io i nuovi abiti! Poi troverò Balerion! Devo presentarlo a zio Oberyn – disse cominciando a riflettere su altre cose da fare.
- Tutta sua madre, questa piccola figlia del sole. Non so definire quanto sia ironico equiparare l’immensa felicità sua e di sua madre per l’arrivo di Oberyn, alla totale indisposizione di suo padre nei confronti di quell’uomo.
- Oh, zio Arthur, non preoccuparti! Un giorno zio Oberyn e mio padre riusciranno ad andare d’accordo!
- La tua infinita positività nei confronti della vita dà quasi speranza anche a me, principessina.
- Dobbiamo solo aspettare, zio Arthur. Quando zio Oberyn vedrà Balerion e la sua bocca sputa fuoco chiusa, capirà che noi draghi siamo troppo nobili per piegare gli altri con la paura. La nostra forza non è quella – disse fiera la piccola, provocando degli sguardi reciproci tra i due Dayne.
- Cosa dicevi? Che era tutta sua madre? – disse Ashara.
- Forse non proprio tutta, effettivamente. Ad ogni modo, dovrò essere presente quando il Principe della depravazione approderà qui, non lascerò mai che quei due rimangano soli insieme: sarebbe come rinchiudere in una stanza una tigre e un pitone.
- Aspettami, Rhaenys e non correre, ci sono delle buche in giardino! – si raccomandò a distanza Ashara rivolgendosi alla piccola, la quale si stava già dirigendo a gran velocità verso il palazzo.
- E tu, mi raccomando, sai cosa devi fare: voglio vederti lontana da lui prima che le sue dita o i suoi occhi ti sfiorino – la avvertì Arthur.
- Oh, ma per chi mi hai presa, caro fratello? Non credo che dovresti essere tu a fare a me tali raccomandazioni: tra noi due, la Vipera è molto più interessata a te – disse Ashara accennando un sorriso provocatorio che, ogni volta, donava al suo bellissimo viso allungato un’aria ancor più ricercata e accattivante.
- Non ricordarmelo, cara sorella. Ti prego di non farlo. Ogni volta è uno strazio e posso ringraziare gli dèi solamente che Oberyn odi troppo Rhaegar per lasciare spazio ad altri istinti primordiali, altrimenti dovrei proteggere anche lui oltre a noi e ad una ventina di dame da compagnia.
- Ci penseremo a tempo debito. Non mi hai ancora detto se il motivo della disputa tra il nostro principe e la nostra principessa riguarda l’arrivo di Oberyn o altro.
- No, non riguarda quello. Si tratta di una questione un po’ più complessa …
 
- Hai davvero intenzione di fare una cosa del genere?? Hai preso una decisione simile senza consultarmi?? – esclamò Elia addolorata, cercando di trattenere il suo tono di voce e di controllarsi, come era solita fare.
 Rhaegar si sedette sul letto senza guardarla. – Se aspettassi ancora, non cogliendo l’occasione che il fato mi ha sbattuto dinnanzi agli occhi, i sette regni subirebbero dei lutti sempre più atroci e ingiusti a causa della famelica e incontrollabile tirannia di mio padre. Te l’ho ripetuto almeno tre volte, Elia.
- Oh, perdonami se sono troppo stupida per capire le tue nobili ragioni, mio principe! – ribatté lei con sarcasmo. – Perdonami se penso che sia solo un suicidio inutile!
- Inutile? – ripeté lui alzandosi in piedi e avvicinandosele. – Elia, se non fosse per il tuo ventre fertile per quanto debole, tu ora saresti morta bruciata. Lo sai, vero? Ti avrebbe uccisa solo per sfregio verso Dorne e per aver preteso di aver potuto regnare al mio fianco – le disse gelido.
- Ne sono consapevole – rispose lei cercando di reggere quello sguardo e riuscendovi grazie all’esperienza. – Ma organizzare una ribellione, significa coinvolgere anche la vita di nostra figlia, oltre che la nostra. Organizzare una cospirazione richiede degli alleati fedeli, un potere fuori dal comune, un nemico fattibile, dunque non un tiranno folle che ama pranzare con un sottofondo di urla umane. Organizzare una cospirazione vuol dire essere disposti a morire da un momento all’altro per la causa. Significa non avere niente da perdere.
- Pensi davvero questo? Non credi che anche chi non abbia nulla da perdere, in realtà, possieda sempre qualcosa che rischia di perdere? Altrimenti per cosa un uomo o una donna dovrebbero lottare?  Parli spinta esclusivamente dalla paura, Elia.
La donna indietreggiò sedendosi ella sul materasso, questa volta, ma senza mai staccargli gli occhi di dosso. – Perché diventi così? – sibilò.
- Così come? Avanti, dillo.
- Preferirei che tu ti arrabbiassi, che urlassi, che perdessi le staffe, ma non fai niente di tutto questo. Queste discussioni mi danno i brividi perché tu diventi di pietra e la tua glacialità è agghiacciante.
- E questo ti fa paura.
- Non è quella paura. Non lo è mai stata. Temo solo che ti spenga completamente. Ho sempre l’impressione che tu possa spegnerti.
- Non posso farci niente. Tu non capisci perché ho deciso di farlo e per quale motivo le tue parole non mi convinceranno mai e poi mai a cambiare idea. Non c’è niente di innaturale nel vedere la realtà in maniera diversa. È così e basta. Dovremo accettarlo.
- E immagino che tu l’abbia già fatto – disse la dorniana rialzandosi in piedi e riavvicinandosi. – Riesci a comprendere per quale motivo io stia reagendo così, Rhaegar? Se dovessi perderti durante la ribellione, cosa farei?
- Arthur e tutti i miei alleati provvederebbero nel nascondere te e Rhaenys al sicuro, cosicché mio padre non potrebbe mai mettere le mani su di voi.
- Non intendevo quello. Cosa farei senza di te? – chiese ancora, alzando il tono di voce.
Vi furono alcuni secondi di silenzio in seguito a quella domanda. – Andresti avanti con la tua vita – rispose infine il Principe drago.
A ciò, la giovane donna sorrise dolorosamente distogliendo lo sguardo e stringendo i pugni per incanalare il nervosismo. – È esattamente dopo una risposta simile che comincio a chiedermi sul serio quanto tu reputi importante la tua vita e la tua presenza nella vita delle persone. Credi di essere stato scelto per un fine più alto? Credi di essere venuto al mondo esclusivamente per compiere il tuo dovere e poi dissolverti nell’aria senza lasciare traccia, portandoti via il tuo ricordo? Hai sempre visto la perdita e la morte di qualcuno a te caro in maniera distorta, considerandolo un processo naturale, un contrappasso al quale restare indifferenti. Ora ti chiedo: riesci a renderti conto di quanto il tuo modo di vedere la realtà sia deviato e disumano?
A ciò, Rhaegar le diede le spalle. – Solo adesso ti rendi conto di quanto siamo diversi? Puoi arrabbiarti, Elia, puoi smetterla di controllarti come fai sempre. So che vuoi urlarmi contro e piangere e stare male. Nessuno ti giudicherà per questo.
I due vennero interrotti dal bussare della porta.
- Mio principe, è permesso? Siamo venute per prendere le misure a voi e alla principessa. Da domani cominceremo a cucire nuovi abiti reali per le Vostre Maestà – disse una delle septe da dietro la porta.
- Non ce ne è bisogno, Septa Lucinde. Sono certo che le nostre misure siano uguali a quelle del mese scorso – rispose Rhaegar non spostandosi dalla sua posizione.
- Ma principe …
- Le septe hanno ragione: è importante prendere le misure – disse improvvisamente Elia con uno sguardo indefinibile, facendo voltare il Targaryen verso di lei.
La dorniana aprì la porta delle stanze reali e prese il nastro centimetrato dalle mani di Septa Lucinde. – Me ne occupo io – disse gentilmente loro, richiudendo la porta e dirigendosi verso suo marito.
- Mi hai detto di sfogarmi, ed è quello che farò - aggiunse semplicemente Elia allungando il nastro tra le mani e confondendo ancora di più Rhaegar, il quale la lasciò fare.
La giovane donna si inginocchiò e appoggiò le estremità del nastro sui pantaloni del principe con totale tranquillità, coprendo tutta la lunghezza della gamba e prendendo tutte le misure in religioso silenzio: prima le gambe, poi i fianchi, il collo, le spalle, le braccia, la schiena, il petto.
Quando giunse all’unica parte che le mancava, circondò il busto del Targaryen con il nastro cominciando a stringere volontariamente più del dovuto, fino a fargli male.
Egli non si scompose mentre la osservava stritolargli l’addome con il laccio.
A ciò, la dorniana alzò gli occhi per guardarlo fisso in volto. – Tu non immagini neanche lontanamente cosa voglia dire vivere una vita con un corpo come il mio, un involucro di ceramica ammaccata, pronta a rompersi e a spezzarsi in milioni di piccoli frammenti da un momento all’altro. Ma soprattutto, non potresti mai immaginare cosa voglia dire avere accanto uno come te. Quindi … - disse con voce roca e sussurrata, stringendo ancor più il nastro e non staccando mai gli occhi dai suoi mentre una sola lacrima scivolava via dal suo controllo. - … prima di esortarmi a lasciarmi andare e a tirare fuori tutto … pensa a quello che mi stai chiedendo – terminò mollando la presa sul nastro e allontanandosi di qualche passo.
Rhaegar la vide aprire un cassetto del tavolino, afferrare un foglio, prendere la penna, bagnarla con l’inchiostro e scrivervi qualcosa sopra a gran velocità.
Dopo di che, aprì la porta della camera e consegnò il foglio con le misure scritte ad una delle septe rimaste in attesa. Infine si voltò nuovamente a guardare suo marito. – Sbrigati a prepararti, caro: ti ricordo che tra poche ore arriverà mio fratello.
 
- Non posso crederci! Cosa stanno vedendo i miei occhi?? Per caso è la stella più bella di Dorne?? – esclamò il ragazzo spavaldo e carismatico, secondo principe di Dorne, nonché prestante Vipera Rossa.
- Zio Oberyn! – esclamò Rhaenys scendendo dalle braccia di suo padre e correndo verso suo zio, il quale scese dalla barca con un salto.
Egli la riempì di baci per poi fiondarsi su sua sorella.
- Non immagini quanto io sia contenta di vederti, fratello! – esclamò Elia stringendolo forte a sé e affondando il viso nella sua spalla.
- Problemi nell’Olimpo? – chiese pungente il dorniano facendo saettare subito gli occhi sul Principe Drago alla spalle di sua sorella e a pochi metri da loro.
Arthur rivolse alla Vipera uno sguardo più truce di quello che gli riservò Rhaegar, sempre cento volte più bravo di lui nel dimostrare il suo disprezzo nobilmente.
- Va tutto bene, Oberyn. Non cominciare già da adesso. Fallo per me, fratellino. Cerca di contenerti, d’accordo? – lo supplicò la ragazza ancora abbracciata a lui.
- Lo faccio solo per te. E sai che per te farei di tutto. Anche provare ad andare d’accordo con lo splendore lì dietro - le rispose cedevole, inspirando il profumo familiare e tanto amato dei suoi capelli.
- Avevo così tanta voglia di vederti!
- Figurati io! Resterei qui in questo buco roccioso dimenticato dagli dèi anche per trenta lune, pur di passare più tempo con te! – concluse distanziandosi da lei e donandole un dolce bacio sulle labbra, per poi prendersi tutto il tempo per soffermarsi a guardarla. – Non sfiorisci mai, nonostante il parto, nonostante le tue condizioni. Sei sempre la donna più bella dei due continenti. Le dee del cielo ucciderebbero per possedere un briciolo della luce che emani – le sussurrò accarezzandole la pelle morbida come seta e olivastra, passando per i ciuffi dei capelli ricci, per ogni piega del mento sottile, della mascella delicata, della fronte alta e delle conche definite e accoglienti che contenevano i suoi grandi occhi luminosi. La bellezza esotica più ricercata abbinata alla leggiadria e al bagliore che sovrastava chiunque ogni volta che sorrideva. Elia era la perla di Dorne, prima che i draghi la annebbiassero con i loro accecanti e argentei raggi di falsa maestosità e di corrosiva perfezione.
L’atmosfera era così tesa, che avrebbe potuto essere tagliata con una lama, come accadeva ogni volta che il Principe Drago, la Vipera di Dorne e la principessa Elia erano a pochi metri di distanza tra loro.
- Smettila di lusingarmi continuamente e di dire scemenze, Oberyn – disse Elia sorridendo ancor di più con le guance imporporate. – Spero che tutti i sublimi complimenti che mi rivolgi in abbondanza, non li usi anche per far cadere ai tuoi piedi decine di povere lady .. – aggiunse assottigliando lo sguardo furbo, quello che la accomunava così tanto a lui.
- Mai a nessuna. E poi, le mie rigogliose amanti non sono mai povere lady indifese, cara sorella! Sai che prediligo un certo tipo di energia e di caratteristiche nelle mie prede – disse eloquente, per poi staccarsi da sua sorella e proseguire con i saluti.
Il sorriso che rivolse ad Arthur fu molto diverso da quello che riservava solo e solamente ad Elia. Fu uno sguardo che, suo malgrado, la Spada dell’Alba tradusse fin troppo bene. – Lieto di rincontrarvi, ser Dayne. Strano non vedervi appiccicato al nostro Principe d’Argento dato che, da quando siete al servizio dei Targaryen, voi due siete diventati una cosa sola. Devo dire che mi aggrada riuscire a scorgervi finalmente lontano dalla sua ingombrante ombra – disse provocatorio come suo solito, senza mai togliersi dal volto quel sorrisino che tutto lasciava trasparire.
- Attento, Vipera di Dorne: se io e il principe ereditario non andiamo in giro a braccetto come due donzellette, non vuol dire che non  siamo costantemente uno la spalla dell’altro. Fareste bene a tenerlo a mente.
Oberyn alzò le mani in segno di innocenza, per poi passare all’ultimo ancora da salutare, il punto critico.
- Spero che la permanenza qui possa esservi gradita, Oberyn – lo anticipò cordialmente Rhaegar accennando un finto sorriso.
- È sempre un ineguagliabile piacere vedervi, mio principe. Ho lasciato il meglio per ultimo – disse utilizzando il suo tono più sferzante e prendendosi tutto il suo tempo per inchinarsi al suo cospetto.
- Vieni, ti accompagno dentro. Il banchetto ci attende – interruppe il momento Elia, eliminando l’atmosfera tesa.
Dopo ciò, il principe dorniano si rialzò in piedi, riprese in braccio Rhaenys e si lasciò condurre a braccetto da sua sorella, ritrovando la pace dei sensi.
La principessina, la quale aveva il visino appoggiato nella spalla di suo zio, puntò gli occhioni su suo padre rimasto indietro con Arthur. Alzò la manina e gli tirò prima un bacio e poi un altro, fino a quando non lo vide sorriderle a distanza.
Rhaegar, accortosi dei gesti di dolcezza della sua piccola, rispose mandandole a sua volta un bacio tra quelli di lei.
A ciò, la bambina, felice di aver suscitato l’effetto sperato, gli sorrise arricciando il nasino, riappoggiando la testa sulla spalla di Oberyn e continuando a guardare suo padre fino a quando non fu troppo lontana dalla sua vista.
Arthur restò a guardare la scena a metà tra l’intenerito e il vomitevolmente intenerito, cominciando a camminare al fianco del Targaryen per raggiungere a loro volta il palazzo. – Potrei vomitare farfalle ora – commentò.
- È il suo modo per farsi “perdonare” tutte le volte che si sente innocentemente in colpa per qualcosa, quando, in realtà, non avrebbe nulla da farsi perdonare. Rhaenys è così.
- Si sente in colpa?
- Le mancava tanto suo zio Oberyn, così è scesa dalle mie braccia per andare da lui e dedicargli le sue attenzioni, togliendole a me. Evidentemente si è sentita in colpa, così ha voluto rimediare in qualche modo.
- Quella bambina è assurda.
- Lo so. È la mia bambina.
- L’ho vista crescere qui a Roccia del Drago ma non ho mai notato una cosa come questa.
- Questo perché non presti mai l’attenzione necessaria ai dettagli, Arthur.
- Un attimo fa avevo intenzione di sparlare male della Vipera beota. Adesso mi stai facendo venire voglia di insultare te.
Rhaegar sorrise a quelle parole. – Sei diventato addirittura più suscettibile di me. Ti ho influenzato a tal punto?
- “Oh, che razza di insulto! Sei stato capace di intrappolare persino la nobile Spada dell’Alba di sangue dorniano nella tua morsa letale, dannato Targaryen! L’hai rovinato!” – disse Arthur simulando la voce e il tono di Oberyn.
- Ci andrebbe anche più pesante.
- Giuro che lo strangolo prima di farlo ritornare a Dorne se continua così.
- Perché mai? Anzi, si sta trattenendo.
- Deve imparare a contenersi di più. Soprattutto nella zona del cavallo dei pantaloni.
- Apprezzo come tu ti stia trattenendo dallo sbrigliare il tuo vocabolario da scaricatore di porto dinnanzi a me, quando si tratta di argomenti che ti istigano maggiormente ad usarlo.
- Quando c’è lui, l’argomento non si può evitare. Ma mi trattengo anche perché il vocabolario da scaricatore di porto “inebrierà” le tue orecchie in abbondanza tra oggi e domani grazie al nostro ospite. Giuro che se prova a mettere quelle mani anche solo sullo strascico del vestito di Ashara, gli taglio le palle con Alba e dato che ci sono, anche le gambe, così non devo neanche prendere le misure precise. Faccio tutto in un solo colpo. Così gli passa la voglia di scoparsi anche le capre che intravede per strada.
Rhaegar si voltò a guardarlo con uno sguardo gelidamente fulminante, di quelli che solo Arthur aveva modo di assaporare fino a farsi accapponare la pelle. – È più forte di te, vero?
- Lo sai come funziona, è una reazione involontaria e naturale in me: più tu mi fai notare un mio miglioramento, più io sono tentato di annullarlo un secondo dopo. È così.
- Sa che non deve toccare Ashara. Al massimo si divertirà con le altre dame di Elia.
A ciò, Arthur si voltò a guardarlo. – Le dame di Elia non scenderebbero a tanto.
- Sono scese a tanto da cedersi a te saltuariamente pur di farsi lusingare e abbandonarsi a delle notti di piacere.
- Ora sei perfidamente cinico, oltre che acido. Mi chiedo come faccia quella povera ragazza a ripararsi da tutto l’acido che sputi addosso.
Ora erano pari. Rhaegar sapeva che Arthur sapeva essere tagliente quanto lui se lo voleva. Sapeva difendersi egregiamente, a parole come in battaglia. Un vanto che in pochissimi avevano il privilegio di possedere dinnanzi ad uno come il Principe Drago.
- A proposito – proseguì Arthur dopo qualche secondo di silenzio. – Come si è conclusa la discussione tra te e la principessa oggi pomeriggio?
- Non mi va di parlarne ora. Non è successo nulla di grave. Siamo sereni tra noi.
- Sereni come due bambini stanchi dopo essersi accapigliati e che attendono che uno degli adulti risolva la situazione?
- Arthur, se non la smetti di fare tutto il contrario di quello che ti dico, ti giuro sui sette dèi che ti chiudo in una stanza con la Vipera e butto via la chiave. Lo sai che attende solo quello.
- Per “solo quello” cosa intendi, esattamente?
- Non farmelo dire ad alta voce. Lo sai che non lo farò. Non ti darò questa soddisfazione, né a te, né a nessun altro.
- Il privilegio di udire il nobilissimo principe ereditario utilizzare termini “poco appropriati” all’aura che emana la sua intera figura? Sarebbe un’esperienza mistica, sia per te che per chi ti udirebbe.
- Sai cosa, Arthur? Forse dovrei farlo davvero.
- Che cosa?
- Chiuderti in una stanza solo con lui. Però ti drogherei prima, almeno renderei ad Oberyn le cose molto più facili. Sai, non vorrei farlo affaticare troppo, sicuramente è già stanco per il lungo viaggio. Sto seriamente valutando l’idea: sono certo che dopo aver visto realizzarsi tutte le squallide e impudiche fantasie che si è fatto sul prode cavaliere dalla bianca armatura in tutti questi anni, sarà sicuramente più calmo e docile, di conseguenza, avrà meno voglia di farmi saltare tutti i nervi che ho in corpo ogni volta che comparirò nel suo campo visivo.
- Oh, sì continua pure, è facile per te parlare e continuare a parlare in abbondanza, ma sappiamo entrambi che i sensi di colpa ti divorerebbero come vermi.
I due entrarono finalmente a palazzo.
- E tanto per riprendere il discorso di poco fa – proseguì il cavaliere. – Le dame di tua moglie sono delle forze della natura sotto le lenzuola.
- Non mi sembra di ricordare di avertelo chiesto.
- Non tutti hanno come uniche pulsioni la fame di conoscenza e l’ossessione per le profezie come te, Rhaegar. Devo pure occupare il mio tempo in qualche modo quando non fai di me un cittadino modello e non mi assilli con le ricerche riguardo i segreti e le tragedie del tuo passato – lo canzonò con sarcasmo. – Ad ogni modo, qualsiasi cosa sia successa tra te ed Elia, sai che lei ti difenderà sempre a comunque con Oberyn. L’affetto che nutre per suo fratello equivale all’ardore e al rispetto che prova nei tuoi confronti.
- Sì, lo so. Non mi preoccupo per quello. Saranno tre lunghi giorni, qualsiasi sarà la piega che prenderanno gli eventi – concluse il principe guardando il suo amico e accennandogli un sorriso che lasciava trasparire la sua rassegnazione.
 
 
La giornata trascorse placida, Oberyn venne rapito per ore e ore dalla sua nipotina che gli fece conoscere il suo gattino Balerion e lo tenne talmente impegnato da non lasciargli il tempo di fare altro.
Il momento del banchetto serale giunse in fretta.
L’orchestra di arpe suonò per tutta la durata della cena nello splendido salone allestito, un pasto composto di ben dieci portate.
Elia aveva preparato tutto al minimo dettaglio per l’arrivo del suo amato fratello minore.
- Lode alle vergini di Dorne! – esclamò il principe dorniano abbandonando loquacemente la schiena allo schienale della sedia e appoggiando una mano sulla sua pancia. – Non ti sei sprecata minimamente, cara sorella! Questa immensa aurea dorata e argentata immersa nella regalità più assoluta mi sta cullando dolcemente quasi fino a darmi la nausea – continuò sorridendo.
- Ti piace? – chiese conferma Elia.
- Sì, per qualche giorno è un idillio, ma per mesi, non credo che riuscirei a sopportarla – rispose osservando il salone occupato dai soli musicisti che dilettavano le loro orecchie. – In questo quadretto mancano delle sensuali danzatrici che mi ballano intorno durante il pasto, come sono abituato a Dorne. Non avete delle danzatrici qui a Roccia del Drago, Rhaegar? – domandò alzando il volto per guardare il Principe Drago ad un posto di distanza.
- Non è esattamente sul mio genere far preparare delle ballerine seminude che ballino sui presenti durante la cena – rispose il Targaryen.
- Padre, perché non suoni tu?? Sei molto più bravo di loro! – lo esortò Rhaenys avvicinandosi a lui.
- Sì, caro, potresti prendere la tua arpa e cantarci qualcosa.
- Non sono molto propenso a farlo, ora.
- Che peccato – commentò la Vipera Rossa terminando il suo calice di vino. – Per compensare l’intrattenimento che lascia a desiderare, avreste potuto fare un’eccezione e cantare qualcosa.
- Siete sempre libero di alzarvi dalla sedia e raggiungere le vostre stanze – rispose a tono il principe.
- Rhaegar, ti prego – gli sussurrò Elia in tono implorante. – Lui è la mia famiglia, colui che mi è più caro e a cuore, lo sai bene. Sono consapevole di quanto il suo carattere sia pessimo, specialmente quando ha alzato il gomito, ma ti prego, cerchiamo di convivere tranquillamente per questi pochi giorni.
 - Io, carattere pessimo?? – chiese divertito il giovane principe dorniano.
- Sì, hai un carattere pessimo, caro fratello. Ciò è risaputo in tutti i sette regni – confermò Elia sorridendogli a sua volta.
- Il drago non ha ancora tirato fuori gli artigli, sorella cara. Quando arriverà il momento, loderai il mio “pessimo” carattere.
- Oberyn … - richiamò anche suo fratello in tono semi esasperato.
- No, va bene. Vuole istigarmi, come lo diverte sempre fare. D’altronde, i suoi modi per raggiungere una qualche sorta di soddisfazione personale consistono solo in questo – rispose pacatamente il Targaryen.
A ciò, Oberyn si alzò dalla sedia e, lievemente barcollante, si avvicinò al posto a tavola occupato da Rhaegar. Sfoderò un pugnale e glielo puntò alla gola, scatenando la furia di Arthur e di altre guardie presenti nel salone, i quali si fiondarono verso di lui, oltre all’inorridito stupore di Elia, Rhaenys e delle ancelle.
- Fermi – ordinò il principe ai cavalieri che stavano per immobilizzare il dorniano. – Lasciatelo fare. Sono certo che il nostro ospite non abbia cattive intenzioni.
Oberyn sorrise divertito mantenendo la lama vicina al collo di Rhaegar. – Che c’è, mio principe? Avete timore di alzarvi da quella sedia e di affrontarmi?
- Siamo poppanti per caso? – rispose il Targaryen in totale calma.
- Oberyn, che diavolo ti salta in mente?! – cercò di farlo rinsavire Elia.
- Una semplice sfida, sorella cara. Sta’ tranquilla, non lo toccherò se non accetterà di battersi con me.
- State decisamente oltrepassando il limite – si decise ad intervenire Arthur facendo qualche altro passo avanti, ignorando l’ordine di Rhaegar.
- Ti ho detto di starne fuori, Arthur. A quanto pare, Oberyn ha qualcosa da dirmi. Sta letteralmente fremendo nell’attesa di sputarmela in faccia, a giudicare dalla mano tremante e sudata con la quale sta reggendo la lama – insistette il Principe Drago rimanendo seduto a guardare il dorniano dal basso.
- Potrete ingannare chi volete. Trascorrerete la vostra intera vita ad ingannare chiunque in questi sette regni. Ma io sono diverso. Ogni volta che vi vedo o che sento pronunciare il vostro nome, sento qualcosa agitarsi nelle mie viscere, fino a farmi contorcere. Quando vi osservo, vedo la rovina della mia famiglia e dell’intero reame. Non chiedetemi il perché. Lo so e basta. Il mio istinto mi ha sempre guidato e continuerà a farlo. Non temo diventerete come vostro padre, bensì peggio: un uomo che spinge le masse a seguirlo volontariamente, che agisce pensando solo e unicamente a se stesso, venendo sempre incessantemente ricordato come un modello, l’esemplare al quale l’umanità dovrebbe aspirare, e tutto ciò perché?? Perché gli dèi hanno voluto che venisse al mondo il giorno in cui una tragedia ha avuto luogo, perché ha tutto ciò che ognuno possa desiderare di possedere, perché sa come usarlo e come usare gli altri. Voi siete questo.
Il silenzio calò nella sala.
Rhaegar si alzò in piedi, cominciando a guardarlo dall’alto data la differenza d’altezza.
– Che cosa stai aspettando, allora? Avanti. Poni fine ad ogni sofferenza e tragedia di cui io sarò la causa, prima che queste abbiano inizio. Ti sacrificheresti per salvare molte vite, non ne varrebbe la pena, nobile principe? – gli domandò tagliente, avvicinandosi ancor di più.
La lama tenuta stretta da Oberyn vacillò sempre più, fin quando non si decise a ritirarla indietro.
- Ti credevo più audace di così – gli disse infine il Principe drago riservandogli il sorriso più disgustato del suo repertorio, e uscendo dalla sala.
A ciò, Elia si alzò in fretta e in furia dalla tavolata e si diresse anch’ella verso l’uscita, fermandosi prima dinnanzi a suo fratello. – Non voglio vederti mai più – gli disse secca, per poi continuare la sua marcia serrata verso la porta.
Ashara prese immediatamente Rhaenys in braccio e la portò via con sé, mentre Arthur si pose davanti alla Vipera con uno sguardo che avrebbe intimorito qualsiasi uomo con un po’ di buon senso. – Prova ancora una volta a sfiorarlo con quella lama e ti ritroverai a testa in giù, appeso per le viscere su una picca, con Alba conficcata dritta nelle tue cervella – lo minacciò, per poi riallontanarsi.
 
Il principe Targaryen saliva deciso le scalinate che lo avrebbero condotto alle sue stanze, sentendo la voce di Elia rincorrerlo. – Rhaegar, aspetta!
- Resta con lui, Elia. Desideravi tanto rivederlo. Non consumare così il poco tempo che avete a disposizione da trascorrere insieme.
- Smettila, ti prego!
Ma egli era troppo veloce, le sue falcate troppo lunghe, per permettere alla principessa anche solo di sperare di riuscire a tenere il suo passo.
- Fermati! – esclamò ansante, costretta dalla sua quasi nulla resistenza, dal suo fiato debole, dal suo corpo affaticato e dall’impiccio del lungo vestito che di certo non aiutava.
Rhaegar obbedì non appena udì quel tono di voce roco e indebolito che riconosceva bene. Si voltò verso di lei e la guardò da lontano, in cima alla rampa che li separava.
La vide appoggiarsi distrutta alla ringhiera, respirare ad ansiti, neanche avesse appena corso per chilometri senza fermarsi.
A ciò, allarmato da quel fragile corpo imprevedibile, il principe riscese le scale di corsa, avvicinandosi a sua moglie, poggiandole una mano sulla schiena e mostrandosi premuroso. – Ehi, Elia? Tutto bene?? Elia?
Quando ella riuscì a riacquisire un respiro regolare e non si sentì più svenire, si voltò a guardarlo. – Mi dispiace. Mi dispiace per come sono io, per come è lui … mi dispiace tanto – disse trattenendo le lacrime che scalpitavano per uscirle.
- Va tutto bene, Elia. Non devi scusarti di nulla – la rassicurò accennandole un sorriso dolce.
- No, non fare così. Non fingere che quello che ti abbia detto non abbia avuto alcun effetto su di te …
- Mi hanno detto molto di peggio, Elia. Va tutto bene – le disse abbracciandola e dandole un bacio sulla fronte.
Ella si strinse a lui permettendo a qualche lacrima di bagnare il suo bel volto caldo e gli abiti di suo marito.
- Sono così arrabbiata per quello che ti ha detto e che stava per fare … forse dovrei lasciarmi invadere dalla rabbia come hai detto tu – disse con la voce distorta a causa della bocca premuta sul suo petto.
- Era ubriaco, Elia, e mi odia. Non puoi fargliene una colpa. Non è colpa di nessuno. Ora, vieni, ti accompagno a letto, così ti rilasserai un po’.
- No. Se lui non è capace di comportarsi da uomo e di mettere da parte il suo infantile e ridicolo odio tronfio di orgoglio e rancore per il mio bene, allora non mi merita. Non merita nulla da me – disse stringendolo.
- Non ti chiederò di farlo. Lui è la tua famiglia.
A ciò, la donna alzò il volto per guardarlo. – Lo sei anche tu. E lo è anche quella meravigliosa bambina che illumina ogni giorno questo luogo con la sua dolcezza e bellezza – gli disse poggiandogli le mani accanto al viso, spingendolo delicatamente giù, vicino al suo, e baciandolo.
Un tocco dolce che nascondeva un bisogno interno, vorace, del quale il principe si rese conto immediatamente, nel momento in cui il contatto di labbra tenero e poco approfondito, venne trasformato in qualcosa di lento, passionale e sensualmente intimo dalla dorniana. – E lo sarà anche lo splendido maschietto che nascerà … - gli sussurrò la donna accaldata sulle labbra, distaccandosi solo il minimo indispensabile per dirlo, e poi ricominciando a baciarlo.
- Elia, no – le rispose distaccandosi lui questa volta, e guardandola serio.
A quelle parole, la dorniana lo incastrò tra ella e il muro, fissandolo caparbia e imperterrita. – Invece sì. Non farlo per te. Fallo per me – gli chiese con uno sguardo di fuoco, lontano dall’implorante. – Non ti supplicherò di farlo … - gli sussurrò addolcendo nuovamente la voce e riavvicinandosi a lui, poggiandogli le mani sui fianchi e cominciando a baciargli il collo. – Lasciati andare anche tu, questa volta, Rhaegar. Se deciderai di farlo, tutto quanto andrà per il meglio.
- Non se ti vedrò morire davanti a me – disse allontanandola ancora.
- Io ti amo.
- Elia …
- Ti amo, e anche se non ti amassi, se fossi al tuo posto, lo farei per te. Lo farei – la sua voce divenne rotta, più cupa.
Trascorsero alcuni minuti a guardarsi negli occhi in silenzio, da quella distanza ristretta.
- Ho bisogno del tuo conforto e del tuo sostegno ora, e tu hai bisogno del mio. Smettila di scappare da me e amiamoci prima che sia troppo tardi. Amiamoci soltanto. Poi, se accadrà, accadrà, altrimenti, andrà bene lo stesso. Ma ora, amiamoci. Perché … sento che … qualcosa dentro di me mi dice che, presto, arriverà un giorno in cui non potremo più farlo … arriverà un giorno in cui crollerà la terra sotto ai miei piedi … - sussurrò la giovane donna a voce spezzata questa volta, una voce che sarebbe stata capace di logorare e piegare qualsiasi animo.
– E quando arriverà quel giorno, io … - fu in  quel momento che le parole della principessa vennero interrotte dal bacio del Principe Drago.
- Va bene – le sussurrò a fior di labbra mentre ella si aggrappava stretta a lui, come se ne andasse della sua vita.
Mentre continuavano a baciarsi e a toccarsi con trasporto aumentando il ritmo, Rhaegar percepì le lacrime calde e salate di lei bagnargli gli zigomi e la bocca, costantemente. – Ehi – bisbigliò baciandole le guance e sorridendole rassicurante. – Sono qui. Sono qui con te, Elia.
Ella annuì lasciandosi coccolare, per poi circondargli il collo con le braccia lunghe e sottili, impaziente di riprendere da dove le loro bocche si erano interrotte.
A ciò, il principe la sollevò da terra e percorse i pochi gradini che li separavano dalle loro stanze, mentre erano ancora stretti e ormai incapaci di fermarsi o tornare indietro.
Erano mesi che non si concedevano un contatto intimo come quello al di là di baci sporadici, a causa del timore del futuro erede al trono di nuocere alla salute divenuta più cagionevole della sua sposa, oltre al terrore di piantare una nuova vita in lei che potesse farla morire tra atroci sofferenze come stava per accadere durante il suo primo parto.
Si lasciarono andare entrambi dopo tanto tempo e consumarono un rapporto capace di alleviare ogni loro dolore, che fu allo stesso tempo dolce, frenetico, ardente e molto lungo, occupando quasi l’intera nottata.
- È come se lo sentissi già dentro di me – sussurrò felice la principessa con la morbida pelle olivastra illuminata dalla luna che entrava dalla finestra, mentre baciava un punto tra il collo e la clavicola del suo consorte steso stretto a lei.
 Il clima tiepido e mite li cullava generoso in quella notte ricca di stelle.
Lui sorrise amaramente, non potendo farne a meno, considerando le conseguenze a cui ciò avrebbe potuto portare e che tanto aveva cercato di evitare fino a quel momento. Fortunatamente Elia, con il viso nascosto tra il suo collo e il cuscino, non avrebbe potuto vederlo.
Improvvisamente, un dolore non troppo lieve alla fine del collo lo ridestò dai suoi pensieri. – Ehi, non con i denti – la rimproverò accennandole un sorriso.
- Ti rimane il segno con un nulla – sussurrò ella sfiorando con le dita la lieve forma rossa dei suoi denti rimasta sulla pelle chiarissima del giovane uomo.
Dopo di che, si strinse di più a quel corpo che tanto amava stringendogli le braccia intorno alla schiena, mentre lui si sistemava meglio contro di lei, avvolgendola con delicatezza.
- Mi sei mancato.
- Mi sei mancata molto anche tu.
Temendo di aver compreso male, la donna alzò il viso dal suo petto e lo guardò incredula e provocatoria. – Allora lo hai ammesso!
Egli sorrise volgendo le iridi cristalline verso l’alto. – Sì, sei contenta ora?
Elia rispose stringendolo più forte.
- Aegon – disse ella dopo un po’, sul punto di assopirsi con la testa sprofondata sulla spalla di Rhaegar.
- Cosa?
- Il nostro bambino si chiamerà Aegon.
- Non dobbiamo per forza chiamarlo con il nome di uno dei componenti della stirpe Targaryen – le rispose con le labbra poggiate sui suoi capelli scuri.
- Perché no? Sono così belli.
- Sembrano tutti uguali – controbatté lui.
- A me piacciono molto. “Aegon Targaryen, Re degli Andali e dei Primi Uomini, seconda testa del drago”. Non suona meravigliosamente?
 
 
 
 

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Capitolo 5
*** L'amore della leonessa ***


L’amore della leonessa
 
- Smettila di accigliarti tanto – le sussurrò suo fratello stizzito mentre le camminava accanto guardandosi intorno.
Ella lo ignorò continuando a sistemarsi l’elaboratissima pettinatura composta da una lunga treccia di capelli dorati appuntata in alto, tenuta su da altre piccole treccine arrotolatele intorno, mentre alcuni ciuffi ondulati le ricadevano volutamente sulla nuca nuda e delicata, e accanto alle guance già dalla forma flessuosa e definita nonostante la giovanissima età. Le dita della ragazzina si muovevano velocemente e nervosamente di qua e di là, infilandosi tra le trecce e le ciocche, perennemente in cerca di qualche singola imperfezione. – Come sto, Jaime? – gli chiese senza neanche guardarlo e continuando a camminare dritta e con gli occhi fissi dinnanzi a sé.
Lui la osservò di sfuggita prima di risponderle. La sua bellezza sarebbe stata in grado di far vergognare le stelle, come sempre. – Come una sciocca.
- Si può sapere che ti prende?? Questo è il giorno più importante della mia vita e tu che sei mio fratello non riesci ad essere felice per me! – esclamò irritata la fanciullina.
- Sto solo dicendo che sei ridicola a comportarti in questo modo! È solo un ragazzo sette anni più grande di noi, non un dio!
- La tua stupidità mi dà il voltastomaco, Jaime! Lui è il principe ereditario, il Principe Drago …
- … figlio del fuoco e del sangue, lo so – terminò la frase il ragazzino biondo. – Lo hai ripetuto fino allo sfinimento nelle ultime settimane. Ad ogni modo, il tuo comportamento rimane esagerato. Sembri una gallina esaltata.
- Non capisci nulla, come sempre. Se fossi in me, faresti esattamente le stesse cose.
È un privilegio ultraterreno avere l’occasione di presentarsi al cospetto del principe Rhaegar Targaryen, figlio di re Aerys Targaryen! Nessuna è tanto fortunata come me! Io sono solo una lady di dieci anni, non mi esce ancora il sangue, né ho un corpo da donna, eppure nostro padre è comunque riuscito a persuadere il re di prendere in considerazione l’idea di promettermi in sposa al suo primogenito! Riesci a rendertene conto??
- Quindi si tratta di questo? È per il potere? – le domandò Jaime.
Ella scoppiò a ridere divertita. – Non te ne intendi proprio di donne, fratello! Affatto!
Sogno di incontrarlo da quando nostro padre e nostra madre ci hanno parlato di lui e dei loro incarichi ad Approdo.
Dicono sia il ragazzo più bello dei Sette Regni. Ed oltre al meraviglioso aspetto e al nobilissimo portamento, è amato da tutti, viene costantemente lodato per il suo talento nel cantare e nel suonare l’arpa, è intelligente, molto acculturato, cortese, amabile con il popolo, abile nella politica, così come nelle arti della retorica e della guerra!  E, come se non bastasse, ha già diciassette anni, avrà avuto un sacco di ragazze, mentre io …
- Va bene, ho capito – la interruppe Jaime, stanco di udire quel flusso costante di parole, abbinato a quel viso eccitato, arrossito e raggiante ai limiti dell’umano. – Ti piace davvero.
- Era ora che lo capissi! Sento che molto presto arriverò ad amarlo.
A ciò, il fanciullo biondo si fermò.
Cersei impiegò un po’ prima di accorgersene e fermarsi a sua volta per guardarlo confusa. – Che stai facendo?? Ti sbrighi o no? Così mi farai fare tardi! Nostro padre ci aspetta nella sala del trono insieme ai reali, e la guardia che ci sta scortando sta continuando a camminare! Così la perderemo di vista e non riusciremo a trovare la strada giusta! Questo posto è un maledetto labirinto, mica come Castel Granito. Jaime? Jaime, mi senti?? Devo venire a prenderti e trascinarti??
- Credi che la mamma ne sarebbe felice? Quando sposerai Rhaegar, intendo. Forse, se ti avesse vista con lui, avrebbe approvato. Lei odiava quando … quando ci trovava insieme – disse improvvisamente il ragazzino con lo sguardo perso.
Cersei si pietrificò. – Cosa c’entra la mamma, ora? Jaime? Rispondimi.
- Penso sempre a lei da quando è morta lo scorso anno …
- E credi che io non pensi a lei, invece?! – gridò la giovanissima lady interrompendolo. – Sono la prima a piangere ogni notte stringendo il suo girocollo al petto! Sono la prima e continuo ad essere l’unica ad aver giurato di vendicarla!
A quelle parole, gli occhi smeraldini di Jaime si rianimarono e si posarono su sua sorella. – Ancora con questa storia?! Non è colpa di Tyrion, Cersei! Vuoi smettere di ritenere nostro fratello colpevole?? Lui non ha fatto niente!
- Niente eccetto squartarle il ventre pur di far uscire la sua testa deforme dal suo corpo!! Come fai ad essere così cieco??
- E tu così detestabile?? – le rispose a tono il ragazzino.
Calò il silenzio tra i due.
- Dunque io sarei detestabile, eh? – gli chiese lei avvicinandosi. – Se ti chiedessi di scegliere tra me e il mostro, chi sceglieresti? – gli domandò inacidita, ad un centimetro dal viso e dalle labbra carnose di suo fratello, che innumerevoli volte, in tante notti diverse, aveva già avuto la fortuna di assaggiare.
Jaime penetrò quelle chiarissime iridi verdi con le sue dello stesso colore, deciso e abile nel reggere il suo sguardo.
Non rispose ma continuò a guardarla in quel confronto che sembrava non avere mai fine.
Un ghigno si dipinse sul bellissimo volto della ragazzina, mentre questa si allontanava piano da lui. – È per questo motivo che tu non sarai mai degno di stare al mio fianco, Jaime.
 
- Maestà, re Aerys Targaryen, secondo del suo nome, re degli Andali, dei Rhoynar e dei Primi Uomini, Signore dei Sette Regni e Protettore del Reame, questa è la mia primogenita, Cersei della casata Lannister – la presentò fieramente Tywin, con gli occhi fissi sul sovrano spaparanzato sul suo trono, con un ghigno disgustato ad imbrunirgli il volto.
Lo sguardo della piccola Cersei invece, si era catapultato direttamente sul famoso e rinomato Principe Drago alla destra del re.
Nel momento in cui gli occhi di cristallo del ragazzo si posarono su di lei, anche se solo per qualche breve istante, si sentì mancare più di un battito, evento che non le era mai accaduto, in nessuna circostanza.
- Mio re, sono oltremodo onorata di trovarmi al vostro cospetto – disse la fanciullina inchinandosi con profonda riverenza, continuando a guardare il principe Targaryen una volta rialzata, incapace di spostare gli occhi altrove, neanche volendo: era rimasta letteralmente incantata dal suo corpo slanciato e sinuoso, ben evidenziato dagli abiti reali; dai capelli argentati folti ma in ordine, morbidamente legati indietro; dal viso intagliato con cura in ogni singolo dettaglio, ma, soprattutto, dai suoi occhi di un taglio grande e affilato al contempo, da cui svettavano le iridi di un viola acceso.
Lo stesso Jaime, per quanto svettante di gelosia soppressa, non poté fare a meno di osservarlo a distanza.
Trascorsero diversi minuti di silenzio, in cui tutti i presenti, comprese la guardie che sorvegliavano la sala, tra cui la Spada dell’Alba, attesero che il re si degnasse di dire qualcosa.
Quando il silenzio divenne troppo pesante da sostenere, sia per Tywin che faceva saettare gli occhi impaziente dal re, al principe, a Cersei al suo fianco, sia per quest’ultima, la quale cominciò a guardare a terra, colma di incessanti dubbi riguardo il suo modo di essersi presentata o il suo aspetto, ricercando strenuamente qualcosa che avesse offeso il sovrano; il giovane principe prese la parola, salvando la situazione. – Padre, avete qualcosa da dire? – lo incalzò garbatamente.
A ciò, Aerys si voltò a guardarlo. – La civetta ha parlato, l’hai sentita? – disse improvvisamente la voce rauca del re. – È ancora una mocciosa, ma ha già la lingua biforcuta e le cosce infuocate, si vede fin da qui.
In seguito a tale offesa, i tre Lannister, padre, figlia e figlio, cercarono di rimanere calmi e di mostrarsi stoicamente indifferenti.
- Maestà – riprese Tywin. – Ho fatto giungere mia figlia qui nella capitale, da Castel Granito, per presentarla a voi e al principe.
- E perché mai? – chiese Aerys poggiando annoiato il mento alla mano lunga e magrissima.
Tywin incassò di nuovo e gli rispose. – Per la questione di cui abbiamo discusso qualche tempo fa.
- Quale questione? – continuò a stuzzicare il suo orgoglio il re.
- Quella riguardante la possibilità di un matrimonio tra il vostro primogenito e la mia.
A quelle parole, l’espressione di Aerys mutò e passò da perfidamente divertita a rabbiosa. – Chi, quella lì?? L’insignificante civettina che non vede l’ora di infilarsi nel letto di mio figlio??
A ciò, per non traumatizzare almeno la fanciullina, Rhaegar lo interruppe nel bel mezzo della sua sfuriata. – Padre, ser Tywin, il vostro Primo cavaliere, ha portato la sua famiglia fino ad Approdo, al nostro cospetto, per farmi conoscere sua figlia. Per così poco, intendo accontentare la sua richiesta – detto ciò, scese gli scalini che lo separavano dai tre ospiti, fermandosi dinnanzi alla giovanissima Lannister. - Permettete, milady? – le domandò cortese porgendole il braccio.
Cersei non se lo fece ripetere due volte e infilò la mano sotto l’avambraccio del ragazzo, poggiandovela sopra, cercando di contenere l’entusiasmo mentre si allontanavano dalla sala del trono.
- Lasciamoli a discutere delle questioni che li turbano da soli – le disse Rhaegar guardando dinnanzi a sé, mentre la voce adirata di Aerys si alzava sempre più di volume contro il suo Primo cavaliere, facendo giungere tutti gli insulti che gli stava rivolgendo anche alle orecchie dei due, nonostante si stessero distanziando.
Cersei cercò di non prestarvi attenzione e si concentrò solo sul giovane reale che le era accanto, nonché oggetto costante dei suoi pensieri da qualche mese a quella parte, stringendo le dita sul tessuto che ricopriva il braccio del principe.
- Non riesco a capire come mai Sua Maestà abbia cambiato idea così repentinamente – disse improvvisamente la ragazzina, rompendo il ghiaccio.
- Cambiato idea? – le domandò confuso il Targaryen.
- Riguardo alle nostre nozze. Credevo fosse tutto certo, oramai.
- Vostro padre … vi ha detto questo? – le chiese sorpreso.
- Sì, mi ha detto che aveva convinto il re a darmi in moglie a voi, mio principe. O, per lo meno, che fosse quasi del tutto convinto. Insomma, suppongo che ve ne abbia parlato vostro padre, no? Vi ha informato sul fatto che io sarò vostra promessa molto probabilmente.
- Se devo essere sincero, no, lady Cersei – le disse sperando di non averla offesa. – Solo ieri mio padre mi ha informato sul vostro arrivo oggi, ma non mi ha specificato le motivazioni di tale incontro. Solo non appena vostro padre vi ha presentata poco fa, ho inteso quale fosse la vera ragione.
- Oh – disse Cersei, cercando di nascondere la delusione che la stava intristendo.
- Perdonate se dobbiamo fare tutta questa strada, ma vorrei raggiungere un posto più tranquillo, lontano dal via vai di guardie e dame che pullula in questi corridoi – le disse lui cambiando discorso.
Cersei lo guardò dal basso, finché il dolore al collo costretto in quella scomoda posizione non la costrinse ad interromperne la visione. Pensò che fosse troppo bassa rispetto a lui, sia per la differenza di età, sia perché sicuramente il Principe Drago possedeva di natura un’alta statura, che sarebbe ancora aumentata.
- Non  ho visto vostra madre nella sala del trono – gli disse la prima cosa che le venne in mente.
- La levatrice le ha detto di restare a riposo per far riprendere il suo corpo dopo il parto travagliato. Ora è nelle sue stanze ad occuparsi del neonato – rispose Rhaegar mentre un lieve sorriso gli illuminava il volto, dettaglio che non sfuggì a Cersei.
- Giusto, che distratta! Perdonatemi, mio principe: non vi ho ancora fatto i miei migliori auspici per la nascita di vostro fratello!
- Non temete, milady. Se non sbaglio, anche voi avete un fratello molto piccolo. È rimasto a Castel Granito?
Al solo sentirlo menzionare, Cersei si rabbuiò e strinse involontariamente e convulsamente le dita sul braccio del principe.
Accorgendosi di ciò, Rhaegar la riportò nella realtà. – Tutto bene?
- Sì, sì, perdonatemi! È solo che, purtroppo, non rimembro la nascita di Tyrion con gioia, dato che ha provocato la morte di mia madre.
- Avete ragione, sono mortificato di avervi riportato alla mente un evento così doloroso – si scusò il giovane, nel momento in cui finalmente raggiunsero i giardini reali. – Ho avuto l’occasione di trascorrere molto tempo con vostra madre, essendo stata dama di compagnia di mia madre, e la ricordo sempre come una donna molto sensibile ed intelligente.
- Già, lo era – rispose Cersei sorridendo al pensiero. – Vi ha mai parlato di me?
- Le dame di mia madre non parlano mai delle loro famiglie e dei loro fatti privati – le rispose sinceramente il principe.
- Quindi non vi ha neanche parlato dell’assurda idea che aveva di far sposare me e mio fratello Jaime con i principi di Dorne, Oberyn ed Elia – gli disse la fanciullina assumendo un tono inacidito, non sapendo neanche lei perché quell’informazione le fosse uscita dalle labbra in quel momento. Si voltò a guardare nuovamente l’avvenente principe. – Sono davvero felice che la sua idea non si andata a buon fine.
- Perché mai?
- Perché, altrimenti, ora non mi ritroverei qui con voi, mio principe. Non vi è alcun paragone tra voi e quel sudicio principe Martell.
Rhaegar non rispose, iniziando invece ad osservare gli alberi in fiore illuminati dal sole.
- Voi Targaryen avete l’usanza di sposarvi tra fratelli.
Quell’affermazione uscita improvvisamente dalla bocca della ragazzina, riscosse Rhaegar di colpo, facendolo rigirare immediatamente verso di lei.
Nonostante la giovane Lannister fosse estroversa e sfacciata, quelle parole furono troppo anche per lei, e si pentì di averle pronunciate quasi immediatamente mentre le sue guance assumevano una moderata colorazione purpurea e il suo sguardo evitava il Principe Drago. – Volevo dire che, so bene che vostro padre avrebbe voluto farvi sposare una donna di stirpe Targaryen a tutti i costi, e che, in tutto questo tempo, ha sperato che vostra madre mettesse al mondo una bambina proprio a tale scopo. Tuttavia, i parti della regina conseguenti a quello che vi ha dato alla luce, sono stati tutti disastrosi e l’unico che è andato a buon fine è stato quest’ultimo. Vostro padre ha sperato fino all’ultimo che il nascituro fosse una femmina. Per questo non ha accettato la proposta di mio padre di promettermi a voi prima della nascita di Viserys. Ma quando vostro fratello è nato e il re ha scoperto fosse un maschio, ha perso le sue speranze e ha deciso di cedere alla richiesta di mio padre – disse con una sorta di strana soddisfazione che le illuminava gli occhi smeraldini. – Sono felice che non abbiate avuto una sorella, mio principe – concluse, lasciando Rhaegar ancora più sorpreso da tale atteggiamento.
– Il vostro sguardo mi sembra dubbioso o turbato da qualcosa, mio principe – aggiunse Cersei osservandolo più attentamente. – Per caso, il vostro cuore appartiene già a qualcuno? – gli chiese temendo la sua risposta.
- No, milady, il mio cuore non appartiene a nessuno.
- Bene, allora non vi è alcun impedimento …
- Siete ancora molto giovane, lady Cersei. Credo sia meglio attendere qualche tempo prima di …
- Vi garantisco di non essere mai stata così pronta e convinta – lo interruppe la ragazzina afferrandogli improvvisamente le mani e stringendole nelle sue, di fronte a lui, un approccio che non si addiceva affatto ad una rinomata lady, soprattutto nei confronti di un principe.
Rhaegar cercò di trattenere l’imponente volontà di tirare via le mani, sottraendole a quel contatto fisico non richiesto, e provò a rimanere gentile per non recarle alcuna scortesia.
Fortunatamente, una persona che troppo spesso lo salvava da situazioni scomode, venne in suo aiuto. – Mio principe, milady, va tutto bene qui? – irruppe nel silenzio la voce di Arthur Dayne.
- Tutto bene, grazie – gli rispose acida Cersei, ritirando le mani, innervosita al limite per quella brusca e sgradita interruzione.
- Bene, ne sono lieto. Ad ogni modo, vi informo che il sovrano e ser Tywin Lannister hanno terminato  di “conversare”.
A ciò, Rhaegar accennò un impercettibile sguardo di ringraziamento al cavaliere, un’espressione che solo lui avrebbe captato, prima di porgere nuovamente il braccio a Cersei e dirigersi in direzione della sala del trono.
Giungendo nell’imponente sala, i due si accorsero che il re e Tywin si fossero assentati momentaneamente, e che nel luogo fosse rimasta solo qualche guardia, e Jaime.
- Mio principe, questo è mio fratello Jaime – lo presentò Cersei continuando a stringere il braccio del giovane Targaryen, mentre gli si avvicinavano.
A ciò, Jaime, sorpreso dal loro ritorno improvviso, si inchinò con diligente riverenza di fronte al principe ereditario. – È un onore per me, fare la vostra conoscenza, principe Rhaegar.
- L’onore è mio – rispose il ragazzo accennando un sorriso garbato mentre il giovanissimo Lannister si rialzava.
Sul volto di Cersei si dipinse un ghigno di fierezza nel momento in cui notò il rispetto che suo fratello stava rivolgendo al suo quasi promesso sposo.
In quell’istante, casualmente, lo sguardo della fanciullina si posò distrattamente su uno degli immensi e imponenti teschi di draghi di diverse misure che arredavano la sala del trono.
Non aveva mai visto nulla del genere in vita sua e non poté evitare di aprire la bocca involontariamente per la sorpresa, nonostante avesse udito molte voci sulla storica presenza di quei teschi nella Fortezza Rossa, oltre a diverse storie sulla mania di re Aerys riguardante quelle creature ultraterrene.
- Quei … quei teschi sono veri, giusto? – domandò incantata e lievemente intimorita insieme.
Rhaegar sorrise, guardando gli enormi resti dei draghi per la milionesima volta. – Volete vederli più da vicino? – chiese ai due Lannister, sapendo già la risposta.
A ciò, si diresse verso quei teschi, con Cersei ancora artigliata al suo braccio, e Jaime che li seguiva poco più dietro.
- Conoscete i loro nomi? – chiese il ragazzino non appena si fermarono.
- Il più grande, questo che vedete davanti a voi, è Balerion, il Terrore Nero. Gli altri due, poco più avanti, sono Vhagar e Meraxes. Gli altri, i più piccoli che vedete, non sono identificati con certezza.  
Gli occhi di Cersei si fissarono sulle fauci di Balerion con insistenza. – Anche voi ne siete attratto? – gli domandò poco dopo aver distolto lo sguardo da quelle zanne alte quanto lei.
Rhaegar impiegò un po’ prima di rispondere.
– Il sangue non mente – disse con un velo di amarezza nella voce, dopo qualche minuto. – Ma li lascerei andare senza remore, e il loro ricordo con loro.
- Il sangue dei “non bruciati” – commento la ragazzina.
Il principe accennò un altro lieve sorriso spento mentre le sue iridi vivide e attente percorrevano quella superficie bianca, irregolare e calcificata. Forse, quando sarebbe diventato re, avrebbe davvero scardinato quella tradizione, e tolto quei fantasmi ingombranti dalla sala del trono. Cersei si perse di nuovo a guardarlo, per la terza volta, mentre attendeva che parlasse.
- Non credo sia corretto.
- Cosa intendete? – gli domandò Jaime, intromettendosi, sinceramente curioso.
- Gli alchimisti credono si tratti di fluido igneo, connaturato, permanente, indistruttibile e unico, in ogni sostanza.
Ogni uomo che nasce su questa terra e diventa cenere alla sua morte, è composto di tre elementi densi come la terra stessa, che tengono compatto il suo corpo, impedendogli di dissolversi nell’etere: terra lapidea, terra fluida e terra ignea.
La terra ignea è immersa in un fluido simile a lava incandescente, che ci permette di produrre calore, di provocarlo, di sopportarlo e di assorbirlo in noi, proprio come una fiamma divora tutto ciò che gli sta intorno. Noi divoriamo il calore, lo immagazziniamo, così da diventare fuoco stesso, a nostra volta – detto ciò, si voltò verso gli sguardi meravigliati che lo stavano fissando. – Non è solo la nostra stirpe. Tutti gli esseri umani sono “non bruciati”.
Gli occhi di Jaime si spostarono su Cersei e, in quell’istante, capì che se ciò che sua sorella sentiva per lui corrispondeva solo ad una necessità naturale e abitudinaria, simile all’esigenza di nutrire il proprio corpo durante i pasti, quello che provava per Rhaegar, invece, era il principio di qualcosa di molto più caldo e stravolgente, un amore che, una volta sbocciato, sarebbe rimasto lì, piccolo e apparentemente innocuo, ma in uno stato di sopita attesa di venire soddisfatto, cominciando ad infettarsi pian piano, nel momento in cui la persona che lo aveva originato, le fosse stata negata.  
 
Il Principe Drago voltò lo sguardo verso la finestra in lontananza: era quasi l’alba.
Era appoggiato con la schiena sulla parete accanto alla porta della stanza da bagno reale, gli abiti informali che indossava per dormire, ad indicare che fosse ormai lì da notte inoltrata.
Arthur lo raggiunse, sbadigliando non troppo velatamente. – È ancora dentro? – gli chiese.
Rhaegar annuì, continuando a guardare fuori, poggiando di tanto in tanto anche la testa alla parete.
– Lady Deria è ancora dentro con lei? – domandò ancora il dorniano.
- Sì, non vuole lasciarmi entrare.
- Elia non vuole farsi vedere da te in quello stato.
- L’ho vista in stati molto peggiori, non capisco perché rifiuti il mio aiuto per una sciocchezza simile.
- Perché ti preoccupi già molto per lei e non vuole peggiorare la situazione.
- Non credo che il farmi aspettare fuori mentre sento i suoi lamenti ovattati contribuisca a farmi preoccupare meno.
Arthur alzò le mani al cielo decretando la propria sconfitta, concedendogli l’ultima parola.
- Ricordi il tuo primo incontro con la piccola e squilibrata leonessa di Castel Granito, qualche anno fa? – domandò il cavaliere riprendendo improvvisamente la parola, dopo qualche minuto.
A ciò, Rhaegar lo guardò e affilò lo sguardo in cerca di quell’episodio nei suoi ricordi. – Cersei? – chiese conferma, sapendo già la risposta. – Primo e ultimo, non sono seguiti altri incontri, dato che i piani di suo padre di prometterla a me non sono andati in porto.
- Fortunatamente, mi sento di aggiungere a gran voce! Quella ragazzina ha decisamente qualcosa che non va! Non so cosa sarebbe accaduto se fosse diventata tua moglie e non voglio neanche immaginarlo. Aveva solo dieci anni quel giorno e, nonostante ciò, quando ho osservato il vostro incontro, ho sentito dei brividi freddi attraversarmi la schiena a causa dei suoi atteggiamenti. Diventerà una belva tra qualche anno, ne sono certo.
Rhaegar sorrise a tali parole. – Per quanto tempo ci hai spiati? Ad ogni modo, sì, aveva un modo di porsi un po’ bizzarro, fuori dalla norma, ma addirittura paragonarla ad una belva, mi sembra eccessivo.
- Ti dico che sarà così, vedrai! E poi, quello non è stato il vostro unico incontro. Era presente al tuo matrimonio con Elia, qualche mese dopo, come tutti i nobili del regno.
- Sì, ma quel giorno non si è neanche avvicinata a noi.
- Suo padre sta ancora temporeggiando nel concederla in moglie a qualcuno. È rimasto troppo scottato dal rifiuto di acconsentire alla nozze di tuo padre, lui aspirava al regno per sua figlia. L’ambizione cieca di quell’uomo spesso mi dà il voltastomaco – commentò il dorniano. – Ricordo che, in quel periodo, non facevi altro che insistere sul fatto che non ti sarebbe importato a chi saresti stato promesso, che una donna valeva l’altra, poiché disprezzavi quel tipo di amore e tutto ciò che lo concerneva. Dicevi di essere pronto a fare semplicemente il tuo dovere, così come per tutto il resto, anche in quello, senza preferenze o lamentele inutili.
- Un po’ è ancora così – rispose il principe.
- Tuttavia, nonostante tutto, ti è andata comunque bene.
- Sì, lo so.
- Non pensavo sarebbe riuscita a convincerti ad avere un altro bambino.
A quelle parole, gli occhi di Rhaegar si posarono di nuovo sul suo amico di fronte a lui. – Me ne sto già pentendo – rispose mentre i pianti doloranti di Elia si facevano più forti da oltre la porta.
- Sono passate due settimane da quando … ? Giusto? È successo quella sera, la sera dell’arrivo e del delirio della Vipera beota.
- Sì. Immagino si tratti del tuo sesto senso.
- Lo sentivo nell’aria, sì – confermò soddisfatto il dorniano. – Spero vivamente che questo secondo principino non faccia danni come la prima.
- Già, ma mi è difficile sperare quando sento le sue urla provenienti da dietro questa porta.
- Le passerà tra qualche ora, ne sono certo. Ad ogni modo, per quale motivo il re degli idioti e dei cafoni non se ne è ancora tornato a Dorne? Doveva rimanere qualche giorno, e, invece, è qui da già due settimane. Insomma, tu non lo guardi neanche in faccia, Elia non gli rivolge la parola, io tanto meno e le dame lo ignorano. Solo Rhaenys passa del tempo con lui, e solo perché lui le ha chiesto scusa almeno cento volte per ciò che ti ha fatto, e quella bambina è troppo buona e caritatevole per rimanere arrabbiata con qualcuno.
- Sta sicuramente prendendo tempo per cercare di farsi perdonare da Elia – gli rispose Rhaegar nel momento in cui apparve nel suo campo visivo Ashara con in braccio la principessina, giunta lì dalle stanze di quest’ultima.
- Vuole stare con voi, mio principe – gli spiegò Ashara porgendogli la bambina accucciata nella sua larga veste da notte, con il cespuglietto di bellissimi ricci che ricopriva per metà il suo corpicino accovacciato e gli occhioni insonnoliti. Rhaenys porse le mani verso suo padre nel momento in cui lo vide, e lui la prese tra le sue braccia.
- Ehi, farfallina, non riesci a dormire? – le chiese lui baciandole la fronte.
La piccola scosse la testa in risposta e si avvinghiò a lui con le gambe e le braccine.
- E perché?
- Ho sognato che la mamma stava male – gli rispose con la boccuccia premuta al suo collo. – E infatti è vero. Lo sogno sempre quando la mamma sta male.
Arthur guardò Rhaegar con un lieve sorriso triste.
Il principe accarezzò i capelli di sua figlia, intonandole piano e a bocca chiusa una melodia, una delle preferite di Rhaenys, tra quelle che lui aveva composto con la sua arpa e che ella gli chiedeva spesso di suonarle. Era la melodia che accompagnava una storia che si era inventato riguardo le creature della foresta che si divertivano a fare i dispetti ai bambini capricciosi. Sapeva che, di lì a qualche minuto, la melodia l’avrebbe dolcemente riaccompagnata nel mondo dei sogni, calmandola e allietandola, come sempre accadeva.
Nel momento in cui la principessina si riappisolò tra le sue braccia, a sorpresa di tutti e tre, comparve Oberyn.
Il principe dorniano, con un atteggiamento sommesso che non gli si addiceva, e che stava tenendo da due settimane, fece per avvicinarsi al Principe Drago, mentre Arthur e Ashara gli fecero spazio malvolentieri per farlo passare.
Una volta dinnanzi a lui, alzò lo sguardo abbassato per guardarlo in quei due fari viola pronti a fulminarlo.
- Elia è dentro – gli disse semplicemente Rhaegar con voce neutra e un tono basso per non svegliare la bambina ancora stretta a lui. – Ma non lascia entrare nessuno, per ora – aggiunse sperando che decidesse di tornare più tardi e di non rimanere ad aspettare lì fuori come loro.
- Non sono venuto per Elia – disse la Vipera sorprendendolo. – Volevo scusarmi con voi, se me lo permetterete – aggiunse rendendo ben manifesto il suo tono sincero.
Rhaegar non rispose, attendendo semplicemente che parlasse.
- Il mio comportamento della sera del mio arrivo è stato davvero oltraggioso e me ne pento amaramente.
- Non c’è bisogno di fare ciò che state facendo per ottenere il perdono di vostra sorella. Ella è perfettamente consapevole dell’astio che c’è tra di noi e non ha mai preteso di riuscire a cambiare le cose. Vi basterà parlare con lei e prometterle di non azzardarvi più a fare qualcosa di simile. Le interazioni con me non sono necessarie.
- Per gli déi antichi e nuovi, è impossibile parlare con voi … - commentò Oberyn sconsolato, ma cercando di mantenere un tono basso e calmo.
 - Se ho detto che sono qui per scusarmi con voi e non con lei … – riprese il dorniano. - … vuol dire che sono qui per questo e non per secondi fini. Siete stato sempre prevenuto nei miei confronti.
- Potete biasimarmi? – controbatté il Targaryen.
- No, non posso, lo ammetto. Riconosco i miei errori.
A ciò, il Principe drago distolse lo sguardo accennando un sorriso amaro e divertito. – Nonostante ciò, continuate a pensare di me ciò che mi avete detto quella sera – dedusse.
Oberyn rimase in silenzio per qualche secondo, prima di rispondergli. – Nel profondo, lo penso davvero. Il mio atteggiamento deriva dalla paura e dal profondo affetto che nutro per mia sorella e per le persone che mi sono a cuore. Non posso evitarlo. È il mio modo implicito di proteggere coloro che amo e mi dispiace se spesso, dimostrandolo, in me nascano anche delle idee sbagliate. Non lascio alcun beneficio del dubbio quando mi sento minacciato per qualche assurda ragione. Mi rendo conto solo in seguito di quanto il mio comportamento sia sciocco e superficiale in questi casi. Perciò, vi chiedo perdono. Non pretendo di poter ricominciare da capo con voi, né di eliminare tutte le offese che vi ho arrecato, o l’astio permanente che intercorre tra di noi. Tuttavia, vi rispetterò come meritate d’ora in avanti, per quanto mi sia possibile, e vi prometto che proverò a convivere sempre pacificamente con voi quando ci troveremo a dividere gli stessi spazi.
Arthur e Ashara erano quasi più allibiti di Rhaegar per ciò che era appena uscito dalla bocca di Oberyn Martell.
Il Principe drago non dimostrò apertamente la sua sorpresa, ma non ebbe neanche il tempo di rispondergli, che la porta della stanza da bagno si aprì rivelando la figura di lady Deria, una delle dame di Elia, tra quelle più legate a lei.
- Mio principe, la principessa ha chiesto insistentemente di voi – gli disse preoccupata e stravolta la ragazza.
A ciò, Oberyn prese sua nipote dalle braccia del Targaryen prima che egli la porgesse a qualcuno dei presenti, lasciandolo libero di entrare nella stanza, per dare il cambio alla lady, la quale uscì passandogli accanto.
Rhaegar chiuse la porta dietro di lui e percorse la stanza spaziosa, fino a raggiungere sua moglie, accovacciata e in lacrime accanto ad un vaso da notte.
- Ehi, eccomi, va tutto bene … - disse accovacciandosi con lei e poggiandole una mano sui capelli.
- Non riesco a smettere … - lo interruppe lei piangendo e aggrappandosi ai suoi polsi come fossero il suo unico aggancio con la realtà, per poi ripiegarsi sul vaso e ricominciare a vomitare.
Rhaegar le tenne i capelli indietro per tutta la durata dei violenti conati che colpirono l’intero corpo della principessa dorniana, oramai stremata e sul punto di svenire.
Quando, dopo diversi minuti, il suo debole organismo le diede un altro attimo di tregua, rialzò la testa dal vaso e cercò di placare i violenti singhiozzi.
A ciò, il Principe drago ne approfittò per abbracciarla, stringendola a sé, mentre ella, con le esigue forze rimastele, ricambiò l’abbraccio, liberando nuovamente le lacrime.
- Sì sta già facendo sentire … sta già annunciando la sua presenza così presto … proprio come fece Rhaenys … - sibilò quasi felice, nonostante tutto.
- Lo sai che se interveniamo subito, possiamo evitarlo, vero? Prima di farlo sviluppare e crescere, non provocherà alcun dolore. Conosco alcuni Maestri che …
- No! – lo bloccò subito lei non volendo sentire altro, rialzando il volto dal suo petto per guardarlo dritto negli occhi, manifestandogli tutta la sua convinzione. – Lo voglio. Lo voglio tenere.
Sapendo di non poterle dire altro per provare a convincerla, il principe annuì, e lei gli si abbandonò di nuovo tra le braccia, lasciandosi cullare.
- Se ti prenderanno altri attacchi di simile violenza, diventerai pelle ossa in giro di qualche settimana. Inoltre, tra qualche mese dobbiamo anche partire per Harrenhal. Voglio che tu stia bene e affronti questa gravidanza in salute, mia principessa. Perciò, se non starai bene, passerai i primi tempi qui a Roccia del Drago e mi raggiungerai ad Harrenhal solo quando ti sentirai meglio.
- Ma Rhaegar …
- Intesi? – le chiese prendendole il viso tra le mani, facendole capire che non avrebbe sentito ragioni.
A ciò, la giovane donna accettò il compromesso. – Va bene – disse guardandolo stanca e adorante.
- Il vaso è pieno, vado a svuotarlo.
- Non preoccuparti, lo faranno le mie dame più tardi.
- Resta qui – le disse premuroso, rialzandosi in piedi, andando a svuotare il vaso e ritornando accanto a lei. – Farò preparare un intruglio apposito a Maestro Jilien, in modo che tu possa assumerlo tutte le notti, e anche durante il giorno se sarà necessario, per evitare che il  tuo corpo rigetti tutto quello che mangi. Lui è un genio con gli intrugli.
- D’accordo – rispose ella poggiando una mano tremante sul ventre ancora piatto.
Intanto Rhaegar si diresse verso la struttura in legno in mezzo alla stanza, cominciando a riempirla di acqua per prepararle un bagno caldo.
Dopo qualche istante, Oberyn aprì la porta della stanza ed  entrò cautamente, preoccupato per lo stato di sua sorella.
- Con permesso?
- Vieni, Oberyn – gli concesse lei, captando la sua ansia.
A ciò, il dorniano si avvicinò a lei e le si sedette accanto, accarezzandole la schiena e le spalle dolcemente. Gli faceva sempre male vederla in quello stato e per quanto fin da piccolo vi fosse abituato, non sarebbe mai riuscito a farsene una ragione. Non riusciva a comprendere perché la natura avesse punito la sua adorata sorella in quel modo atroce, quando lei si sarebbe solamente meritata tutto il bene del mondo.
Interrogava spesso gli dèi a riguardo ma loro non gli rispondevano mai.
Non appena terminò di riscaldare l’acqua e di spargervi dentro alcuni oli rilassanti, il Principe Drago accompagnò sua moglie fino alla struttura, l’aiutò a svestirsi e ad entrarvi all’interno.
- Resto ancora un po’ con lei – commentò il dorniano non appena Rhaegar gli fu vicino. Il Targaryen annuì, ma prima di passare oltre e uscire dalla stanza, ritornò all’argomento di cui stavano parlando poco prima. – Le accetto – disse semplicemente, facendo comprendere alla Vipera che si riferisse alle sue scuse. Quest’ultimo annuì lieto per poi dirigersi verso sua sorella, mentre il Principe Drago uscì dalla stanza.
Ma nel momento in cui si chiuse la porta dietro le spalle, Arthur gli andò incontro quasi col fiatone.
- Arthur, che succede? – gli chiese allarmato.
- Hanno scoperto qualcosa! Maledizione, avevi ragione! Avevi ragione su tutto.
 




 

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Capitolo 6
*** Quattro giovani promesse ***


Quattro giovani promesse
 
- Willys!!
- No, no, è inutile, io non scendo!
- Willys!!
- Resterò qui fin quando non mi ritroveranno lord e lady Stark!
- Willys, ma insomma!! Ti ho già detto che ti prendo io! – esclamò la ragazzina aprendo le braccia e facendo nuovamente segno al ragazzino grassottello sopra l’albero di buttarsi.
- Non credo sia una buona idea … - le rispose titubante, aggrappandosi con maggior vigore al ramo più robusto dell’altissimo tronco, guardandola dall’alto impaurito.
- Oh, Willys! Non avrei dovuto forzarti ad arrampicarti sull’albero con me – rispose combattuta la fanciulla, cominciando a camminare avanti e indietro sulla neve, in cerca di una soluzione.
- No, non dite così, lady Lyanna. Sono io che ho voluto accompagnarvi quassù per controllare che non vi faceste male.
- Oh, Willys, sei gentile come sempre, ma non dire sciocchezze. Lo sai che io non cado mai. Sono abile ad arrampicarmi – ribatté ella sorridendo.
Ma il ragazzino non fece in tempo a rispondere che il ramo dove aveva poggiato un piede si spezzò, facendolo piombare giù, esattamente sopra la sua giovane amica.
- Oh no! Oh no, lady Lyanna, state bene?? Lady Lyanna! – esclamò preoccupato rialzandosi subito dal corpo apparentemente privo di conoscenza della giovane, sprofondata nella neve. Provò a richiamarla più volte ma ella non sembrava dare segni di vita, così cominciò a sentire le lacrime pungergli gli occhi.
- Buh! – lo spaventò la Stark scoppiando in una fragorosa risata. – Ti è piaciuto lo scherzo?? Non mi hai fatto male, Willys! Willys?
Gli si avvicinò notando le lacrime che gli avevano rigato il volto rotondo.
- Non fatelo mai più.
A ciò, ella gli asciugò con premura le lacrime con la mano, per poi sorridergli raggiante. – Promesso. Ma tu devi smetterla di rivolgerti a me in modo formale.
- Ma è mio dovere …
- Ehi, che state facendo voi due combina guai?? – li interruppe una voce maschile già molto più simile a quella di un adulto che di un ragazzo.
- Stiamo esplorando la radura – rispose Lyanna rialzandosi e pulendosi alla bell’e meglio il vestito dalla neve.
- Questa non è una radura.
- Non hai neanche un minimo d’immaginazione, Brandon.
- Scusami se cerco di rimanere più a contatto con la realtà, sorellina adorata – disse il ragazzo ridendo ironico.
- Tipo una realtà chiamata “Catelyn Tully”? – domandò provocatoria.
- Lo sottolinei ogni volta come se si trattasse di un evento di portata globale. Ti ricordo che anche tu sei stata promessa.
- Oh, no, ti sbagli, io non sono promessa a nessuno, caro fratello. Io sono libera come un fiore – disse girando su se stessa e aprendo la bocca verso l’alto per bere i fiocchi di neve che stavano cadendo delicati.
Il maggiore dei figli Stark pose le braccia conserte e rise divertito.
- Willys, hai pianto? Che è successo? – chiese poi, notando il volto del ragazzino.
- Niente, mio signore.
- Non fare caso a lui, Willys. Mio fratello assume quel tono di superiorità solo perché è bello e grazie alla sua dolce promessa se ne sta rendendo conto maggiormente.
- Io non assumo nessun tono di superiorità, Lyanna.
- Ehi, ragazzi, nostro padre e nostra madre ci cercano – intervenne una nuova voce.
- Invece sì, Willys. Ma ricorda: non bisogna essere desiderabili per essere felici.
- Un proverbio davvero saggio, Lyanna – ribatté con sarcasmo Brandon.
- E neanche sarcastici.
- Di che state parlando? – chiese il nuovo arrivato.
- Di nulla, Ned.
- Io credo che per essere desiderabile, a Willys basterebbe solo perdere qualche chilo – commentò Ned credendo di aver afferrato il senso del discorso.
- Ned! Ma insomma, evita di dire menzogne simili! – lo rimproverò la fanciulla. – Non ti colpisco in faccia per quello che hai detto solo perché sei il mio fratello preferito.
- Questo è un colpo basso – commentò Brandon.
Ella ricambiò con una smorfia, prendendo Willys sotto braccio e incamminandosi con loro.
- A proposito di fratelli che invadono i miei spazi, dov’è l’uragano?
- Nostra madre lo ha messo in punizione perché è di nuovo scappato via. Quel ragazzino è implacabile, per controllarlo bisogna avere degli occhi ovunque.
- Hai ragione!
- Tu non hai diritto di esprimerti, Lyanna, perché qualche anno fa eri anche peggio di lui – rispose Brandon.
- Davvero? – chiese indispettendolo di proposito.
- Ehi, voi quattro, dove eravate?? Presto, venite dentro! – li esortò la più severa tra le septe di Grande Inverno affacciandosi dall’ingresso del palazzo.
 
- Ma insomma, Lyanna, mi ascolti mai quando parlo con te??
Lady Lyarra Stark rimproverò sua figlia mentre un’ancella stava pettinando i lunghissimi capelli scuri della giovane ragazza, la quale era seduta a testa bassa.
- Lyanna, rispondimi!
- Madre, non capisco perché sei così dura con me – rispose sinceramente l’interpellata, alzando lo sguardo e fissandola con le sue iridi azzurro ghiaccio.
A ciò, la donna prese una sedia, la pose di fronte a lei e vi si sedette, prendendo un bel respiro per calmarsi, prima di risponderle. – Tesoro, tu hai capito cosa accadrà d’ora in avanti, vero? – le chiese calma.
Ella annuì.
- Sposerai il figlio di un prestigioso lord, e ti costruirai una famiglia con lui, esattamente come ho fatto io con tuo padre.
- Lo so.
- So bene quanto ciò sia difficile per te. Ma, prima o poi, noi donne dobbiamo affrontare questo passaggio delicato.
Io ti aiuterò esattamente come mia madre ha aiutato me, Lyanna, ma tu non mi stai rendendo le cose facili comportandoti come un ragazzino impertinente.
- Madre …
- Non ti ha fatto bene crescere con tre fratelli maschi, lo capisco. Hai appena compiuto quattoridici anni e invece di atteggiarti come una giovane e promettente lady, ti comporti come loro. Ciò mi rammarica molto.
Temendo la conclusione a cui sua madre fosse giunta, la ragazza si allarmò visibilmente. – Madre, no, ti prego …
- Ho deciso che, d’ora in avanti, fin quando non diverrai moglie di Robert Baratheon, dovrai limitare i contatti con i tuoi fratelli al minimo indispensabile e trascorrerai più tempo con le ragazze della tua età o più mature di te. Ritengo sia l’unico modo per educarti adeguatamente, Lyanna.
A ciò, la fanciulla si alzò dalla sedia con tutto l’impeto mascolino che la caratterizzava, facendo spaventare l’ancella dietro di lei. – Non puoi togliermi i miei fratelli! Sono i miei fratelli, madre!
- Quando saremo in viaggio per Harrenhal tu avrai una cabina separata dalla loro, così come una tenda differente quando giungeremo a destinazione. Solo agli eventi ufficiali, al torneo, ai banchetti e ad ogni occasione in cui presenzierà la famiglia reale, potrai trascorrere del tempo con loro, dovendo dimostrare l’unità della nostra casata.
- Non puoi farmi questo … non puoi.
- Invece posso, Lyanna. Non ho messo al mondo quattro figli maschi, ma sembra proprio di sì, ahimè. Questa storia deve giungere al termine.
- Non ti rivolgerò mai più la parola. A chiunque me lo chiederà, dirò che ti ho rinnegata come madre.
A ciò, Lyarra diede un vigoroso schiaffo sulla guancia perlacea di sua figlia.
- Piantala di fare la bambina capricciosa – le rispose cercando di non guardare le lacrime che stavano rigando il bel volto di sua figlia.
- Ah, e un’altra cosa – le disse, rivoltandosi a guardarla prima di andarsene. – So che quando la stalla stava per prendere fuoco ti sei presa la colpa al posto di Benjen. Se non vuoi che prolunghi l’isolamento di tuo fratello e che gli impedisca dunque di venire con voi ad Harrenhal, dovrai far intendere ai tuoi fratelli che è stata una tua decisione, quella di limitare i contatti con loro.
Il viso della fanciulla si sbiancò. – Sei una vigliacca. Vuoi che diano tutta la colpa a me e non a te.
- Se sapessero che sono stata io ad impedirti di passare del tempo con loro, come pensi reagirebbero? Soffrirebbero con te e farebbero di tutto per farmi cambiare idea, senza successo. Invece, se sapessero che sei stata tu a scegliere di crescere e di distaccarti da loro una volta per tutte, dopo un po’ se ne farebbero una ragione e lo accetterebbero. Tutto ciò che faccio, è per il vostro bene, Lyanna. Ricordalo sempre – concluse abbassando il viso e andandosene.
Quando Lyanna uscì dal palazzo, trovò Ned con la schiena poggiata sulla parete, ad attenderla, mentre osservava alcuni figli di servitori giocare con le spade di legno.
- Ehi – lo richiamò lei, raggiungendolo e sorridendogli debolmente. Ned era sempre stato un ragazzo silenzioso, placido e troppo serio per la sua età, ma, per qualche motivo, era colui che aveva un rapporto più stretto con l’unica figlia femmina della famiglia Stark, e Lyanna sapeva che Ned sarebbe stato il più difficile da tenere a distanza e di cui sopportare la lontananza.
Il ragazzo si voltò a guardarla e le accennò uno dei suoi rari sorrisi.
I ragazzi della famiglia Stark erano tutti belli a modo loro, e chiunque avesse l’opportunità di conoscerli o solo di osservarli, lo riconosceva. Il punto forte di Brandon, il maggiore, era il volto attraente e il corpo impostato e definito, già adulto, insieme al nobile portamento cavalleresco che lo faceva apparire più grande rispetto ai suoi diciannove anni; Ned aveva degli occhi nei quali si potevano leggere i segreti che il cielo del Nord nascondeva, belli, bui e penetranti, mentre il suo rarissimo sorriso illuminava il suo volto di una luce che mai si riusciva a scorgere in altri; Lyanna era incantevole e turbolenta come lo sarebbe stata una tempesta di neve o una città sconvolta da una tormenta, illuminava e travolgeva tutto, incurante e ignara del suo potere; mentre Benjen, il più giovane, era uno spirito particolare, un ragazzo silenzioso, dall’aria ancora fresca e fanciullesca, ma dal fascino che il Nord più selvaggio serbava e aveva deciso di manifestare in lui. In molti si chiedevano come Rickard e Lyarra Stark fossero riusciti a mettere al mondo quelle quattro pietre preziose e rare.
- Ehi, Lya. Com’è andata con nostra madre?
- Tutto bene. Ho voglia di fare una cavalcata – gli rispose superandolo e facendo per dirigersi verso la stalla.
- Che hai fatto alla guancia? – le chiese poi il ragazzo notando il rossore.
- Niente, Ned. Ci vediamo dopo – gli disse allontanandosi.
In seguito a quella cavalcata, Lyanna tornò nella piazza principale udendo delle urla.
Allarmandosi, si affrettò a scendere dal suo cavallo e accorse dove vide la folla di servitori, Maestri e septe accalcati in un unico punto. In mezzo a loro trovò anche Brandon.
Non riuscendo bene a vedere di cosa si trattasse, si rivolse a suo fratello. – Bran, che sta succedendo??
- Willys … si tratta di Willys. Sembra stare male, è a terra, trema, è come se non ci udisse e continua ad urlare di tenere una porta … - le rispose confuso e preoccupato.
A ciò, Lyanna si fece strada, scavalcando i presenti e fiondandosi accanto al corpo sconvolto dalle convulsioni del suo giovane amico. – Willys!! Willys, mi senti?? Willys, di quale porta stai parlando?? Ti prego, Willys, guardami!
 
 
Le onde del mare mosso durante le prime luci dell’alba le stava dando dei lievi fastidi, ma nulla rispetto a ciò che si sarebbe aspettata.
- Avete ancora la nausea, mia signora? – le chiese un’ancella tenendo la bacinella colma d’acqua in grembo.
- No, fortunatamente sto bene. Sembra che la gravidanza stia procedendo bene – rispose la principessa accennandole un sorriso che la giovane ragazza ricambiò. – Dov’è mio marito?
- Il principe è sulla prua con vostra figlia. Volete raggiungerlo?
- No, lasciamoli qualche momento da soli. Non appena saremo giunti ad Harrenhal la piccola Rhaenys non avrà più molto tempo da trascorrere con suo padre. E nemmeno io, suppongo – disse accennando un triste sorriso e sdraiandosi nuovamente a letto.
 
- Sì, insomma, mi piace giocare con Viserys, ma lui mi prendeva sempre in giro quando ero piccola – disse la principessina stringendo le mani di suo padre nel momento in cui percepì una folata di vento spingerla lievemente all’indietro.
Era seduta sul bordo della prua, con la schiena rivolta verso il mare e il visino verso suo padre; egli era in piedi dinnanzi a lei e la reggeva per le mani.
Le sorrise. – Hai paura di cadere?
- No – rispose lei fingendosi intrepida, ma stringendo involontariamente ancora più forte le mani di Rhaegar.
- Non averne, ti tengo io – le garantì lui guardandola negli occhi rassicurante.
- Sì, lo so che mi tieni, padre – rispose lei volgendo velocemente gli occhi dietro di sé, verso il mare calmo, per poi riportarli su di lui.
- Vedrai che Viserys non ti prenderà più in giro.
- E se invece continuerà? Come faccio a farlo smettere?
- Chiama me. Lo faccio smettere io, farfallina.
- Ma non posso sempre chiamare te ogni volta che ho bisogno – rispose sconsolata la bambina.
- Perché no?
- Perché quando ti cerco non riesco mai a trovarti. Sei sempre impegnato con i grandi, o stai combattendo, o sei con zio Arthur o con altri cavalieri.
A ciò, il volto del Principe drago si rabbuiò, ma non lo diede a vedere. – Mi dispiace, farfallina. Lo sai che, se dipendesse da me, resterei sempre con te, tutto il giorno.
- Tutto il giorno? – chiese lei sorridendo e mostrando i dentini bianchissimi che risaltavano sulla sua pelle olivastra.
- Certo. Ma vedrai, quando crescerai non sarai più così felice di trascorrere tutto il giorno con me.
- No, non è vero.
- Vorrai rimanere con le ragazze della tua età e magari essere corteggiata da qualche lord.
- No, io non mi sposerò mai – rispose schifata, facendo una smorfia buffa che fece sorridere Rhaegar. – Voglio vivere tante avventure, padre, oltre il Mare Stretto. E porterò anche Aegon con me. Ovviamente prima che diventi re, perché dopo dovrà rimanere ad Approdo a regnare.
- Non ti piace proprio Approdo del Re, non è vero?
- Mi piace più casa nostra – rispose chiudendo gli occhioni e godendosi il vento tra i vaporosi capelli. – Aiuterò te e la mamma con Aegon.
- Ne sono certo, farfallina. Sarai la sua preferita tra noi tre.
- Sì, sarò la sua preferita – confermò sorridendo.
- Sai potrebbe anche essere una sorellina …
- No, sarà Aegon – lo interruppe ella categorica. – E avrà i capelli come i tuoi – aggiunse con totale sicurezza.
- Sai, tu dovresti dettar legge agli dèi – le disse il principe dandole un buffetto sul naso con il dito, per poi tornare a stringerle la mano lasciata e chiudendo gli occhi per sentire anch’egli il vento scorrergli tra i vestiti.
- Padre?
- Mh?
- E se Aegon non volesse regnare? Cosa accadrebbe?
Quella domanda riscosse il Principe Drago, il quale riaprì gli occhi per guardare sua figlia che attendeva la sua risposta serena.
- La scelta passerebbe a te. E se non volessi regnare neanche tu …
- Regnerebbe un terzo fratellino o sorellina? – domandò interrompendolo.
- Non ce ne sarà un terzo, farfallina. La mamma è troppo debole. Aegon sarà l’ultimo.
- Allora cosa accadrebbe?
- Suppongo che la corona passerebbe a Viserys.
- Ah – disse abbassando la testolina. – Allora credo che regnerei io, se Aegon non volesse. Anche se non lo vorrei.
- Così rinunceresti alle tue avventure. Perchè lo faresti?
- Perché non vorrei che Viserys diventasse re. Lui non è un bravo bambino. E non sarà bravo neanche quando crescerà.
- Farfallina, anche io sono cresciuto con tuo nonno come padre. Aerys non è facile da gestire. All’inizio è stata dura, ma sono comunque riuscito a divenire quello che sono, una persona molto diversa da lui. Ognuno reagisce in maniera differente, e sono sicuro che sia dura anche per Viserys, come lo è stato per me, se non di più. Ma sono anche certo che riuscirà ad essere un uomo migliore di lui, con le giuste influenze. Oramai sei una bambina grande, Rhaenys, stai crescendo in fretta. Sono sicuro che lo comprendi – le disse accennandole un altro sorriso.
- Lui mi prende in giro per i miei capelli – bisbigliò qualche minuto dopo la piccola.
- Per i tuoi capelli? E cosa dice?
- Che sembrano un cespuglio. E che sembra che la mia pelle sia continuamente sporca di terra.
- E allora tu sai cosa gli dirai quando lo farà di nuovo? – le domandò avvicinandosi con il viso al suo. – Che tra qualche anno, quando crescerà un po’ e i suoi interessi muteranno, una bella fanciulla come te potrà solo sognarla ad occhi aperti.
Rhaenys rise, venendo poi interrotta dalla voce di Arthur. – Dì un po’, Rhaegar, vuoi sacrificare tua figlia agli dèi, donandola agli abissi? – chiese l’uomo avvicinandosi ai due.
Il Principe Drago rivolse gli occhi al cielo, non voltandosi neanche. – Hai avvertito una presenza, farfallina? No, perché mi è sembrato di sentire l’odore di qualcosa che di certo non è audacia.
- Odore di coniglio – rincarò la dose la piccola guardando Arthur e sorridendo furba.
- Ridete pure, ma mi sto solo preoccupando per la salute della mia principessina. Se dovesse arrivare un soffio di vento più violento e non riuscissi a reggerla abbastanza forte? – continuò la Spada dell’Alba ponendo le braccia conserte. – Sì, sì, lo so che tu ti metteresti al suo posto senza alcuna paura, ma ciò non vuol dire che devi trasmettere i tuoi istinti a raggiungere l’Oltretomba anche a lei.
- Si chiama stabilità, Arthur, una parola che non ha mai sfiorato per sbaglio il tuo vocabolario – gli rispose il principe voltandosi finalmente verso di lui, prendendo sua figlia in braccio. – Cosa volevi dirmi?
- Sono venuto a dirti una cosa noiosissima, a livelli inumani, uno dei famosi noiosissimi discorsi che fanno i grandi.
Capendo cosa stesse cercando di dire il dorniano, Rhaenys sbuffò sulla spalla di suo padre. – Puoi prendertelo, zio Arthur.
- Giuro sull’amore che mi lega a te, oh mia principessa, che tra qualche minuto, vengo a riportartelo – promise il cavaliere ponendo una mano sul petto e l’altra in alto, sfoderando uno dei suoi goffi sorrisi teneri.
- Grazie per questa oggettificazione, voi due – intervenne il Targaryen posando a terra la piccola e rivolgendosi ad una dama che conversava con un mozzo poco lontano da loro. – Annette, accompagnala da Elia, per favore – le chiese, vedendola acconsentire e avvicinarsi per prendere per mano la bambina e condurla verso le cabine reali.
- Allora?
- Sembra che lo schifoso aracnide abbia fatto nuovamente il doppio gioco – cominciò Arthur, avvicinandosi al bordo della prua e guardando l’orizzonte.
- Lord Varys ha parlato della nostra cospirazione a mio padre ..?
Il dorniano annuì.
- Avrei dovuto aspettarmelo.
- Non vorrei risultare ripetitivo e alterare la tua nobile grazia, ma ti avevo detto che sarebbe stata una pessima idea finanziare il torneo indetto da lord Whent e usarlo come pretesto per incontrarsi con i lord più potenti del regno, per detronizzare tuo padre. Il Ragno prova un’insana eccitazione nel vedere i nobili e i reali scannarsi tra loro, e nel provocare guerre capaci di sgretolare dinastie. Non ci si potrà mai fidare della parola di un verme simile.
- Sapevo a cosa andavo incontro quando ho assecondato l’iniziativa di Varys, Arthur.
Per quanto quell’uomo sia subdolo e amante delle cospirazioni, sono ancora convinto che i suoi intenti non siano malvagi. Il come raggiunga i suoi scopi, poi, è un altro conto.
- Ed ora? Che intendi fare?
- Continuiamo per la nostra strada. Il fatto che ora mio padre sospetti, non è un pretesto per tirarmi indietro, anzi, non varia quasi di nulla i miei piani iniziali.
- Vuoi proprio farti ammazzare. Vuoi far scoppiare una guerra e farti ammazzare.
- La guerra scoppierà con o senza il mio intervento, Arthur. Tanto vale dare un contributo e tentare di salvare il salvabile. Agiremo comunque come stabilito. Con mio padre me la vedrò io.
- E per quanto riguarda ciò che ho scoperto riguardo la fondatezza di tutte quelle che credevo fossero solo tue malate fantasie e supposizioni?? Influirà su tutto questo, ciò che sono riuscito a scoprire? – domandò il dorniano voltandosi a guardare l’amico, non riuscendo a nascondere totalmente la sua preoccupazione.
- Sapevo fin da ragazzo fosse tutto vero, Arthur. L’unico cambiamento, è che ora ne sei certo anche tu – rispose il principe distogliendo gli occhi dal mare e poggiandogli una mano sulla spalla. – Vedrai, andrà tutto bene, Arthur.
- Se non sarà così, se tutto dovesse precipitare, non voglio raccogliere tutti i pezzi una volta che sarà finito, non ne sarei capace. Lo sai, vero? Precipiterei giù con te e con tutti gli altri folli che si illudono di riuscire ad invertire la direzione da cui soffia il vento e di aprire le porte del cielo.
Perciò, d’accordo. Sono pronto – rispose serio in volto.
Rhaegar sorrise e riportò lo sguardo verso l’orizzonte, da cui si scorgevano già i confini di una terra fiorente.
- Eccola qua, la terra di Harren il Nero.
- Tra poco dovremmo anche riuscire ad intravedere il castello – aggiunse il Targaryen.
- Qualcosa mi dice che non sarai il primo membro della famiglia reale ad arrivare – commentò Arthur notando un nave approdata sul porto in lontananza, dalla quale svettava un vessillo dal disegno indistinguibile a quella distanza, ma dai colori ben visibili: nero e rosso.
- È già qui.
 
 
 
Note autrice: Sì, la quarantena è dura per tutti, quindi ho approfittato per riprendere questa fanfiction a cui tengo.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto!
È molto probabile che aggiornerò tempestivamente, forse addirittura alla giornata.
Buona quarantena a tutti :D
 
 
 
 

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Capitolo 7
*** Il castello di Harrenhal ***


Il castello di Harrenhal
 
 - Lya, che cosa stai facendo? – chiese il bambino entrando nella stanza di sua sorella.
La ragazza, senza scomporsi e muovere un muscolo, aprì la bocca il minimo indispensabile per rispondere. – Meditazione.
Era seduta su un cuscino posizionato a terra, con le gambe nude incrociate, gli occhi chiusi e le mani morbidamente poggiate sulle ginocchia.
Benjen inclinò la testa e restò a fissarla per qualche secondo, rimanendo sulla soglia della porta. – Ma tu non sai neanche cos’è la meditazione – disse avvicinandosi di qualche passo.
- Benjen.
- Che c’è?
- Zitto.
A ciò, il bambino si mise seduto di fronte a lei.
Rimasero in silenzio fin quando la nave sulla quale si trovavano si esibì in uno dei suoi abituali barcollamenti che fece quasi tremare la stanza.
- Mi viene da vomitare.
Non voglio più stare su questa nave, sono stanco di avere sempre mal di mare.
E poi qui fa troppo caldo – si lamentò Benjen.
Lyanna aprì solo un occhio per guardarlo.
- Se nostra madre ci becca a parlare io sono finita e tu sei finito.
Benjen le rivolse un sorriso furbetto.
- Benjen.
- Che c’è?
Lyanna si arrese, sospirando e lasciandosi andare, poggiando la schiena contro il letto dietro di sé. – Non ce la faccio più neanche io.
Mi mancate, mi manca Ned, mi manchi tu, e mi manca persino quell’insopportabile di Brandon.
Mi manca anche casa.
Se esco da questa camera comincio a sudare, sudo sempre, continuamente, e mi fa schifo essere costantemente appiccicosa.
Odio il caldo e odio questo posto, anche se dobbiamo ancora mettere piede a terra.
E odio anche quel pallone gonfiato di un Baratheon.
- Ma lui stravede per te.
- Non me ne frega niente. Non mi piace.
Non voglio sposarmi, nostra madre lo sa benissimo.
Ringrazio i sette dèi di non essere nella sua stessa nave o non riuscirei a resistere alla tentazione di buttarlo in mare, anche se è il doppio di me.
Benjen sorrise e posò gli occhi fuori dalla finestra, verso il cielo rischiarato dai raggi del sole.
- Lya, credi che Willys si riprenderà? – chiese improvvisamente, riscuotendo sua sorella.
- Non lo so, Ben. Prego giorno e notte per lui.
Spero che gli dèi mi ascoltino, almeno in questo – rispose ella incupendosi.
- Credi che ci divertiremo ad Harrenhal?
- No, sarà una noia mortale, eccetto che per il torneo.
Dovremo metterci in ghingheri, dovrò indossare quegli scomodissimi abiti che non mi fanno respirare, e distruggermi i piedi con quegli strumenti di tortura, dovremo partecipare a banchetti su banchetti che dureranno ere, presentarci ad ogni famiglia di ogni casata invitata, alla famiglia reale e a quel decerebrato sanguinario che ha ancora la corona in testa per qualche assurdo motivo.
Ah, ma sono sicura che nostro padre trama qualcosa – rivelò la ragazza scattando in piedi mentre tentava inutilmente di farsi aria con la sua sottile vestaglia zuppa di sudore.
- Che cosa intendi? – le chiese Benjen alzandosi a sua volta.
- Intendo dire che conosco nostro padre, e so quando ci nasconde qualcosa, ma, soprattutto, caro il mio uragano, conosco il nostro fratello maggiore ancora meglio e dalla sua faccia a schiaffi ho captato dei segnali.
Succederà qualcosa di grosso! – gli disse quasi euforica, prendendolo per le mani e cominciando a saltellare in tondo.
- E se fosse qualcosa di brutto?
- Cosa mai ci potrebbe essere di tanto più grave del Re Folle al trono, Ben??
Almeno ci divertiremo un po’ nello scoprire gli intrighi che coinvolgono tutte le casate che sono state riunite ad Harrenhal per qualche misterioso motivo.
Ragione che non sarà più così misteriosa nel momento in cui indagheremo a riguardo.
Saremo impegnati, avremo qualcosa da fare di ben più entusiasmante del presentarci a dei soporiferi ed eterni banchetti nei quali verremo bellamente ignorati.
Potremmo approfittare di quei momenti per ficcare il naso da qualche parte.
Devo dirlo anche a Ned! – si rese conto Lyanna cominciando a camminare avanti e indietro per la stanza.
- Se nostra madre lo scoprisse, saresti in punizione a vita, Lya.
Non ti farebbe mai più parlare con noi e ti costringerebbe a comportarti come una lady ventiquattro ore su ventiquattro – la ammonì il bambino, dimostrando una coscienziosità che sorprese la giovane Stark.
A ciò, Lyanna si avvicinò a lui e si accovacciò, per guardarlo dal basso, sorridendogli raggiante e rassicurante. – Fidati di me, Ben.
Lo sai che so essere responsabile a modo mio.
Voglio scoprire quello che succede, e lo farò, perché se si tratta davvero di qualcosa di grande, voglio prenderne parte e combattere insieme agli altri.
Non mi abbasserò ad indossare sottane e corpetti per il resto della mia vita.
Nostra madre e nostro padre lo capiranno prima o poi.
Dovresti lottare anche tu per quello che vuoi, Benjen.
Se hai voglia di essere qualcuno di diverso da quello che gli altri ti impongono, devi opporti. Non lasciare mai che ti spingano a farti credere che il tuo dovere è anche il tuo volere. Non lo è quasi mai – gli disse lasciandogli un dolce bacio sulla fronte.
Dopo di che il più giovane dei fratelli Stark guardò sua sorella alzarsi e i suoi occhi si sgranarono totalmente non appena se la ritrovò in piedi dinnanzi a lui.
- Lyanna … - sussurrò fissandola impietrito all’altezza del bacino.
- Ben, che c’è? Che stai …? – chiese la ragazzina ammutolendosi un istante dopo, quando anche le sue iridi chiare si abbassarono sulle sue parti intime, trovando le sue brache corte macchiate di sangue, il quale le era sceso anche sino alle cosce nivee e magre.
Restarono in silenzio tombale, come se il solo fiatare potesse far affondare la nave, fin quando Benjen non urlò e Lyanna si unì a lui.
- Va’ via di qui!! Va’ via, Benjen!! – gli urlò correndo disperata, toccando il sangue che continuava a colarle e gridando più forte.
Il ragazzino si tappò gli occhi indietreggiando, fin quando non sbatté con la schiena contro la porta, la quale si aprì qualche istante dopo, lasciando che una terza presenza irrompesse nel caos della stanza.
- Per i sette inferi, che accidenti succede qui?? Lyanna?? – disse Brandon facendo per entrare, ma immobilizzandosi non appena mise a fuoco la scena che gli si parò dinnanzi.
Sua sorella aveva avuto il primo sangue, urlava e correva come fosse posseduta da un lupo selvaggio, mentre il suo fratellino era sdraiato a terra con gli occhi tappati, spaventato a morte.
Non seppe se ridere o piangere.
Nel dubbio, fece entrambe le cose.
 
- “Molto spesso l'anima può avere sul corpo altrui lo stesso potere che ha sul proprio corpo, come nel caso di chi attraverso l'influsso degli occhi attira un altro con lo sguardo.
Il potere dell'immaginazione può effettivamente trasformare i corpi estranei o dare l'impressione che essi si trasformano, nei casi in cui il potere dell'immaginazione è troppo sfrenato.
Il potere dell'immaginazione non va considerato come distinto da tutti gli altri poteri sensibili dell'uomo, poiché in un certo qual modo, esso li include tutti.
Attraverso tale influsso si può agire concretamente a livello mentale, pur in assenza di qualsivoglia trasformazione reale e corporale.
Le streghe utilizzano alcune strane immagini ed amuleti, che sono solite deporre sotto gli architravi delle porte delle case, o nei prati, dove pascola il bestiame o anche dove gli uomini si riuniscono e così lanciare incantesimi sulle loro vittime.
E dato che tali straordinari effetti possono derivare dall'uso di queste immagini sembra che la loro influenza sia paragonabile a quella degli astri sui corpi umani.
E non solo i corpi naturali sono influenzati dai corpi celesti ma anche i corpi artificiali.
E siccome i corpi naturali possono trarre addirittura beneficio da alcuni influenze dall'origine segreta, ma buona, anche gli organi artificiali possono ricevere una tale positiva influenza.
Un uomo con il potere della sua mente può cambiare un corpo materiale in un altro o può farlo passare dalla salute alla malattia e viceversa.
L'influsso della mente non può agire su una qualsiasi forma materiale tranne se non attraverso l'intervento di un intermediario …”. Da qui in poi non riesco più a tradurre … - interruppe la sua impegnata lettura il Principe Drago continuando a camminare placidamente avanti e indietro per la sala principale della biblioteca del castello di Harrenhal, totalmente vuota se non per la sua presenza e per quella di Arthur Dayne.
La Spada dell’Alba alzò gli occhi dal suo libro e li posò sul principe, scavallando la gamba stravaccata comodamente sopra uno dei tavoli.
- In che lingua è scritto? Basso o alto valyriano?
- Nessuno dei due – rispose distrattamente Rhaegar, sfogliando le pagine ancora assorto.
- Che altre lingue conosci oltre il valyriano? Il dothraki?? – scherzò il dorniano.
- Non conosco il dothraki così bene da riuscire a tradurvi un intero tomo. È una lingua antica. Una commistione di lingua comune, valyriano e qualcosa che non so ben identificare. Difatti alcuni punti sono davvero ostici da tradurre. Mi servirebbero carta e inchiostro, oltre a parecchie ore di calma ininterrotta. Ad ogni modo, questo tomo non mi è d’aiuto … contiene nozioni delle quali ero già in parte a conoscenza.
- Dothraki, basso valyriano, alto valyriano, andalo, l’anno scorso hai anche iniziato a studiare quella poltiglia informe di rune che caratterizza la lingua antica dei primi uomini … cos’è che ti manca? Vuoi metterti a imparare anche la lingua degli Estranei? Tanto ti manca solo quella – lo rimbeccò Arthur, particolarmente di buon umore e voglioso di infastidirlo quel pomeriggio.
- Skroth, Arthur, si chiama Skroth. Nomina correttamente i termini che ti metti in bocca – lo corresse il giovane principe, non curandosi del gesto con cui la sua guardia personale si stava dilettando, simulando l’azione di una lama che gli si conficcava in petto per disperazione.
- Dobbiamo rimanere qui dentro tutto il pomeriggio?
Lo sai che tuo padre ha chiesto di vederti ogni giorno, dal tuo arrivo qui, fino alla fine del torneo.
A ciò, il Principe Drago chiuse rumorosamente il tomo, facendolo piombare pesantemente sul lungo tavolo, arrestando la sua camminata e voltandosi verso il suo amico, con uno sguardo che Arthur classificò come uno di quelli che avrebbero fatto risorgere Balerion dalle sue ceneri senza fatica alcuna.
- Arthur.
- Sì, Rhaegar?
- Se non vuoi rimanere qui, perché non ci vai tu da mio padre? O magari non ti rintani in qualche bordello? Ho saputo che ce ne sono di notevoli giù, vicino al lago. O magari potresti provare con una bella cavalcata. O potresti accogliere le famiglie nobili al porto, dato che ne stanno arrivando sempre di più, ad ogni minuto che passa.
Oppure potresti esercitarti per il torneo, insomma, fare qualcosa che comprenda lo starmi a distanza e il non distrarmi con la tua voce molesta mentre faccio le mie ricerche.
- Oh, come mi mancavano queste crisi di furia maltrattenuta e sputatami addosso sottoforma di veleno!  È stato rigenerante!
Come vorrei che tutti avessero l’occasione di sperimentarle! Pagherei per vedere la piccola lady Whent passarti vicino e venire brutalmente aggredita dalle tue fauci fameliche!
- Arthur, sono serio.
- Anche io, mio principe – disse il dorniano balzando in piedi con uno scatto e raggiungendolo. – Sei evidentemente in pieno crollo emotivo ed è mio dovere supportarti.
Dimmi, è per caso colpa dei lord delle casate nobili che stanno scalpitando per incontrarti in concilio segreto, all’insaputa del re, per accordarsi sui termini del tradimento e della guerra che seguirà; o si tratta per caso della tua dolce moglie che, a metà gravidanza, si trova già in uno stato a dir poco semi morente; o della tua bellissima figlia che freme per trascorrere del tempo con il suo dispotico nonno sanguinario che la odia e che non ha mai l’occasione di vedere; per tuo padre che ha tanto premurosamente deciso di tenere tua madre e il tuo fratellino che non vedi da una vita lontani da te, facendoli restare ad Approdo, soli e chissà in quale stato; per la vipera beota che non fa altro che farsi notare e riconoscere ovunque vada anche qui; per l’eccessiva cordialità, premura e appiccicume che ti stanno mostrando i cortesi padroni di casa; o è per caso colpa nuovamente di tuo padre e della pazzia che ha totalmente inghiottito la sua mente, portandolo a divenire paranoico oltre i limiti dell’assurdo e a desiderare di starti attorno peggio di una mosca col miele?
Ma, d’altronde, a chi importa di tutto questo quando puoi trascorrere tutto il pomeriggio a crogiolarti nei tuoi amati tomi scritti in lingua antica, alimentandoti della tua insana ossessione ora dopo ora? Oh, per non parlare dell’aracnide! Sbaglio o il caro e fedelissimo lord Varys ha i suoi uccellini anche qui, incaricati di non perdersi neanche un tuo movimento?
Sei tu che hai voluto organizzare una dannata cospirazione, caro il mio Principe Drago! Ora devi accettarne tutte le conseguenze a testa alta! E sì, in tutto questo dovresti anche allenarti per il torneo, giusto per non fare una figura pietosa nel caso non dovessi vincere almeno una buona metà delle competizioni, considerato che tutti si aspettano che il tanto decantato Principe d’Argento dimostri la sua superiorità in ogni aspetto della vita terrena!
Sei consapevole che la maggior parte dei componenti di quelle casate nobili che incontrerai non ti hanno mai visto, ma hanno solamente sentito voci su voci, e per non smentirle dovrai indossare una delle tue migliori maschere dorate per ventiquattro ore al giorno? Non si azzarderanno mai ad unirsi anima e corpo ad una cospirazione contro la corona affidata a qualcuno che non ispiri loro la massima sicurezza, fiducia e stabilità.
- Ora sei sleale.
- Vuoi che chiami una delle ancelle per farti fare un massaggio rilassante? Giusto per scaricare un po’ di quella tensione che ti sta facendo ribollire le vene.
Rhaegar si passò i palmi delle mani sul viso, sfregandoselo fugacemente, abbandonandosi seduto su una sedia. – Non so se riuscirò a reggere tutto questo.
Arthur sospirò e gli si sedette di fronte. – Ce la farai. Ce la faremo insieme, lo sai bene.
Ma non capisco davvero perché ti ostini a perdere il tuo tempo qui dentro.
Cos’ha di tanto importante questa ulteriore ricerca che ti stai ostinando a fare?
Ormai hai avuto molte delle conferme di cui avevi bisogno.
È successo qualcosa in quella sala il giorno della tua nascita, d’accordo.
Non ha senso struggersi nello scoprire cosa e come sia accaduto.
Avevi ragione, questo è tutto quello che ti serve sapere.
Cos’altro stai cercando?
Rhaegar non gli avrebbe rivelato il contenuto di quegli incubi che tormentavano il suo sonno sempre più frequentemente oramai.
Sarebbe finito per impazzire, ne era certo.
Sarebbe finito per impazzire come suo padre.
E Arthur, il suo più caro amico, almeno lui avrebbe dovuto crederlo più lucido di quanto non fosse.
Era riuscito a tenerli nascosti ad Elia, nonostante sua moglie dormisse nel suo stesso letto ogni notte, poiché, quando si svegliava di soprassalto, era in grado di mantenere un controllo tale sulla sua mente, da imporsi automaticamente di calmarsi e di regolarizzare il respiro in meno di un secondo, prima che ella si svegliasse.
Se ce l’aveva fatta con Elia, ce l’avrebbe fatta anche con Arthur.
Ma capì di aver sbagliato i suoi calcoli quando il dorniano si sporse verso di lui con uno sguardo misto tra l’indagatorio e il profondamente allarmato, infiltrandosi tra tutte le corazze e le barriere che aveva innalzato per tenerlo a distanza.
- Rhaegar? Che cosa mi stai tenendo nascosto?
L’interpellato abbassò lo sguardo, impiegando un po’ per rispondere a quella domanda, sapendo che l’amico avrebbe atteso anche tutta la giornata per sapere cosa aveva da dire.
- Un’indovina ha profetizzato il mio futuro, quando avevo quindici anni.
È stata una delle volte in cui sono sgattaiolato via dalla Fortezza Rossa per camminare nei vicoli di Fondo delle Pulci incappucciato, per studiare la popolazione nei bassifondi, e regalare qualche moneta d’oro discretamente.
Una di quelle volte, sono stato condotto in una locanda, nella quale si trovava la dimora dell’indovina.
Mi ha predetto delle vicende che … inevitabilmente mi stanno perseguitando.
All’inizio non vi ho badato più di tanto, per i primi anni me ne ero persino dimenticato. Poi, da qualche tempo a questa parte, quei ricordi sono ritornati prepotentemente ad invadere la mia mente.
Il fuoco le ha parlato, Arthur. Il fuoco le ha parlato di me e le ha detto delle parole che, ora che ci penso, non mi sembrano neanche così bizzarre.
Per questo vorrei informarmi di più riguardo la divinazione.
Voglio capire se quella donna ha detto il vero o mi ha solo preso in giro, inventando quelle previsioni di sana pianta.
Sto cercando di autoconvincermi riguardo qualcosa che … - si bloccò, sorridendo amaramente, volgendo gli occhi chiari e lucidi altrove, verso la grande finestra che dava all’esterno.
Arthur rimase in silenzio per un po’, riflettendo, non muovendosi dalla sua posizione inquisitoria.
- Cosa ti ha fatto? Un incantesimo?
- No, Arthur. Mi sono già sottoposto ad incantesimi a causa della mia ossessione, perciò posso dire con certezza che quello non lo era.
Mi ha semplicemente chiesto qualcosa di mio, qualcosa che fosse stato a contatto con il mio corpo, per donarlo al fuoco.
- Come un capo d’abbigliamento?
- Mi ha preso il nastro che mi legava i capelli, lo ha buttato tra le fiamme, poi mi ha inchiodato al muro e i suoi occhi si sono rigirati all’indietro, l’iride completamente celata alla mia vista.
Poi ha parlato.
- Ora non facciamoci prendere la mano – affermò il dorniano ritornando con la schiena poggiata allo schienale della sedia. – Erano orribili presagi, da come mi hai fatto intendere.
- Per me sì, ma non erano genericamente funesti. Se il mio destino verrà compiuto, i sette regni prenderanno la strada prescelta dagli dèi. Ma io ho un ruolo in primo piano nella loro intelaiatura.
- Che cosa ti ha predetto quella donna, nel concreto? C’era qualcun altro, oltre te, compreso in questa profezia?
- Sì. Ha nominato una combattente. Una donna che condurrà i venti del Nord nella capitale.
- Per gli dèi, non poteva essere un po’ più specifica??
Improvvisamente, i due vennero interrotti dal rumore della porta colpita da delle nocche.
- Prego, entrate – disse il Principe Drago, esortando chiunque avesse bussato a farsi avanti, sperando con tutto se stesso che non si trattasse nuovamente di lord Whent.
Quando i due visualizzarono la figura di colui che si stava accingendo ad entrare, rimasero sorpresi.
Si trattava di un ragazzo adolescente, avvenente, dai capelli biondi, più scuri di quelli di Rhaegar, ma più chiari di quelli di Arthur, la pelle baciata dal sole, gli occhi smeraldini e degli eleganti abiti bianchi tirati a lucido.
- Guarda chi si rivede. Vi trovo in ottima forma, ser Jaime Lannister – disse la Spada dell’Alba sorridendo al ragazzino, il quale gli fece un cenno con il capo, si avvicinò e si esibì in un inchino.
- Mio principe.
Rhaegar sgranò gli occhi nel ritrovarlo molto più adulto rispetto a come lo ricordava cinque anni prima, quando aveva conosciuto lui e sua sorella Cersei alla Fortezza Rossa.
- Ser Jaime, che piacere rincontrarvi – gli rispose accennandogli un sorriso e alzandosi in piedi.
- Anche per me, maestà.
- Non abbiamo avuto occasione di vederci dal mio arrivo qui ad Harrenhal.
- Per la verità, io vi ho visto, altezza – precisò Jaime mostrando un riverente e sincero rispetto nel pronunciare quelle parole.
- Oh, beh, non abbiamo avuto modo di parlare, mi correggo.
Ma guardatevi. Siete cresciuto molto.
A Jaime venne quasi da sorridere nel sentire pronunciare quelle parole proprio dal principe, che lo guardava dall’alto.
- Quanto avete ora? Quindici anni?
- Sì, altezza.
- Ser Jaime è un cavaliere come pochi se ne trovano in giro oramai! Questo ragazzino ha tenuto testa ad un folle quanto letale spadaccino che io stesso ho fatto fatica a mettere fuori gioco – lo elogiò Arthur.
- Ho sentito parlare delle vostre gesta, ser Jaime.
Ho anche sentito che avete deciso di unirvi alla Guardia Reale – intervenne nuovamente il Principe Drago.
- Sì, mio principe.
Alla cerimonia d’apertura del torneo prenderò il Bianco – affermò con fierezza il ragazzo.
- Bene – gli rispose Rhaegar non riuscendo a nascondere in pieno un sorriso amaro. – Mio padre dovrebbe considerarsi fortunato a possedere un cavaliere del vostro calibro nella sua Guardia Reale.
Immagino sarete un ottimo avversario al torneo, dunque. Ho saputo che parteciperete.
- Non sarei in grado di eguagliarvi, altezza. Né voi, né la Spada dell’Alba – rispose abbassando lo sguardo.
- Oh, non dite sciocchezze! Se volete posso insegnarvi tutti i segreti utili per cogliere alla sprovvista il nostro drago qui presente durante un duello, tutti consigli che ve lo farebbero ritrovare col culo a terra e la vostra lama sul suo regale collo. Provare per credere – commentò Arthur.
A ciò, Jaime si concesse un lieve sorriso, per poi tornare a guardare il principe. – Spero di non avervi disturbato, altezza.
- Eravamo soli in una biblioteca grande quanto un quarto di questo castello. Cosa mai potreste aver interrotto? – lo provocò il dorniano, solo per lo smaliziato gusto di vederlo in difficoltà.
- Non statelo a sentire, ser Jaime.
Ad ogni modo, no, non ci avete disturbato. Prego, ditemi pure.
- Sono venuto per informarvi che vostro padre, il re, sta mobilitando tutto il castello per trovarvi e riferirvi di raggiungerlo.
Vorrebbe trascorrere del tempo con voi.
- Oh, ma davvero? Come mai ciò non mi sorprende? – non riuscì a fare a meno di commentare il dorniano risedendosi comodamente sulla sedia abbandonata poco prima, poggiando le gambe accavallate sul tavolino e prendendo risfogliare un libro.
- Potete tornare da mio padre e riferirgli che mi presenterò al suo cospetto solo quando sarò libero dai miei impegni. E avrò voglia di farlo.
Jaime sgranò gli occhi chiari, per poi accennare un sorriso, questa volta un po’ più a suo agio. – Consideratelo fatto, mio principe.
- Grazie, ser Jaime.
A ciò, il giovane Lannister fece un altro inchino e fece per voltarsi e raggiungere l’uscita, poco prima che il Targaryen lo richiamasse.
- Ah, ser Jaime.
- Sì, altezza?
- Per caso avete notizie di mia madre e di mio fratello? Vostro padre vi ha accennato qualcosa? O lo stesso Aerys li ha nominati in vostra presenza? – gli domandò, non nascondendo il suo tono moderatamente allarmato e il suo sguardo impaziente di carpire qualche informazione in più.
- Mi dispiace, mio principe.
Vorrei potervi dire di più, ma tutto ciò che so è che vostro padre ha categoricamente ordinato che rimanessero ad Approdo del re.
Mio padre, le poche volte in cui li ha nominati, mi ha detto che la regina e il principe Viserys stanno bene – rispose desolato di non avere null’altro da dirgli.
- D’accordo, grazie ancora, ser Jaime.
Ah, e un’altra cosa – gli disse facendoglisi più vicino, in un tentativo di annullare almeno di poco la reverenziale distanza imposta dai loro ranghi e dalla loro posizione.
- Non sarà facile.
Se posso darvi un consiglio, un consiglio da amico e da ragazzo che ha vissuto la sua infanzia e la sua adolescenza a stretto contatto con il re, fate attenzione.
Se riuscirete a prendere tutto ciò nel modo giusto, malgrado tutto, sarete in grado di stargli accanto senza impazzire.
Questo è il consiglio più prezioso che mi sento di darvi – gli disse per poi riallontanarsi e permettergli di uscire dalla biblioteca.
Dal canto suo, Jaime rimase immobile per qualche secondo, come in attesa, continuando a guardare il principe, finché non si riscosse e riprese il suo atteggiamento di rispettoso distacco. – A presto, mio principe – si congedò, raggiungendo la porta e uscendo.
- Se il tuo scopo era spaventarlo, direi che ci sei riuscito.
 
 
Lyanna mise finalmente piede a terra, in quel luogo a lei sconosciuto.
Lei che non aveva mai lasciato il suo Nord per raggiungere mete lontane dalla sua vista, dai suoi occhi ancora ingenui, vivaci e impetuosi.
La giovane lupa non sapeva cosa l’attendeva, non avrebbe mai potuto.
Tutto ciò che le era dato sapere, era che il castello che scorgeva in lontananza, tanto decantato per la sua straordinaria imponenza, le sembrava troppo grigio e buio, persino per gli standard di Grande Inverno.
Lo strato di neve che copriva il terreno della sua casa anche durante le brevi estati le mancava già.
Pensò che avrebbe dovuto abituarsi velocemente alla mancanza di casa, poiché era il momento di crescere e di farlo in fretta, anche se era l’ultima cosa che avrebbe voluto.
Ben presto sarebbe andata a vivere nella dimora del suo lord, non appena avrebbero celebrato le nozze.
Grande Inverno sarebbe diventato solamente un dolce ricordo dei suoi anni migliori.
Prese un profondo respiro pregno di quel caldo umido che le stava appiccicando la stoffa del lungo abito pregiato alle gambe, e i voluminosi capelli alle tempie.
Sì, quel luogo trasudava rovina, un elegante e portentosa fatiscenza che era in grado di atterrire quanto di ammaliare, in qualche modo contorto che non riuscì a metabolizzare.
- Finalmente ci rincontriamo, mia signora – quella voce roca e dai toni gravi la riscosse dalla contemplazione di quella terra massacrata. Si voltò e incontrò esattamente colui che non avrebbe voluto vedere.
La nave dei Baratheon seguiva la loro, perciò si aspettava che sarebbero approdati subito dopo. Tuttavia, inconsciamente aveva ricacciato quel pensiero fino a quel momento, quando la realtà si stava presentando prepotentemente ai suoi occhi di ghiaccio brinoso.
Non aveva avuto modo di prepararsi a quel rincontro.
Sapeva che moltissime ragazze erano inevitabilmente attratte dal giovane uomo dinnanzi a lei, intento a guardarla con gli occhi luminosi di chi ha appena posato lo sguardo su un prezioso corallo prelevato dagli abissi.
Non era certa di essere meritevole di quelle lusinghiere attenzioni, che non riusciva a ricambiare minimamente, nonostante ci avesse provato.
Robert Baratheon, il primogenito di lord Steffon Baratheon e di lady Cassana Estermont, era un ragazzo alto, bello, con un corpo possente, dei grandi occhi azzurri e folti capelli scuri e corti.
La mascella squadrata, i lineamenti fortemente virili e mascolini, la voce potente e l’atteggiamento di fiera e superba sicurezza di chi era certo di riuscire a piegare il mondo sotto il suo volere, fungevano da calamita per tutte le facili prede intrigate dalla prospettiva di una terra stabile sotto i piedi, di un pilastro indistruttibile al quale appoggiarsi.
Era sicuro di sé, Robert, era sicuro della sua forza, delle sue capacità e della sua eccellenza in tutti i campi in cui un uomo del suo rango avrebbe dovuto primeggiare, era sin troppo sicuro per i gusti della giovane lupa.
Difatti, una delle tante certezze che possedeva immotivatamente, era quella di essere ricambiato da lei.
Più Lyanna pensava al suo futuro con lui, a Capo Tempesta, maggiormente era invasa dal voltastomaco.
Non poteva farci nulla.
Sua madre le diceva che era solo questione di abitudine, e che per tutte le donne lo è, infondo; suo padre le ripeteva che l’amore nei confronti di una persona nasce con il tempo e con le difficoltà che si affrontano insieme, e che la passione bruciante e totalizzante di cui si sente talvolta parlare non è altro che una tossica invenzione, una favola raccontata ai ragazzini per infarcirli di sogni in grado di scaldare ciò che si ritrovano tra le gambe e nient’altro; Brandon le aveva detto che anche lui non era certo di amare Catelyn, la sua promessa, ma che non era affatto difficile farsela piacere, e magari il suo era davvero amore ma non era in grado di rendersene conto; Ned era il più criptico a riguardo, se ne usciva sempre con frasi di circostanza, quel tipo di frasi falsamente rassicuranti alle quali non credeva neanche lui; mentre Benjen, beh Benjen era ancora troppo piccolo per guardare una donna con sincero interesse e capire qualcosa riguardo la sua situazione.
Per questo Lyanna non sapeva come comportarsi, né se fosse sbagliata lei, se fosse solo colpa sua, o se parte della colpa era anche di Robert e del suo atteggiamento che, invece di sedurla, aveva un effetto totalmente contrario su di lei.
Certo, non avevano ancora avuto modo di trascorrere abbastanza tempo insieme.
Se davvero era una questione di abitudine, allora, forse, ci sarebbe davvero riuscita, vivendo con lui, trascorrendo la maggior parte delle giornate insieme, lui a cavalcare e ad impartire insegnamenti ai loro figli e lei a guardarlo dalla finestra mentre si occupava della casa.
Un altro conato di vomito misto ad una vertigine la colpirono ancora.
Come avrebbe potuto convivere una vita intera con un uomo che non le piaceva né esteriormente, né interiormente?
Anche il fattore dell’attrazione era un problema non irrilevante, oltretutto.
Sua madre le diceva che, con il tempo, certi impulsi avrebbe cominciato a sentirli anche lei, non appena le fosse venuto il suo primo sangue.
Ora il suo primo sangue l’aveva avuto, giusto pochi giorni prima, eppure non provava nulla vedendo Robert.
Non era possibile che una ragazza non fosse mai attratta da un uomo, non era possibile che una giovane lady non arrossisse dinnanzi agli sguardi insistenti di un giovane e affascinante lord.
Il solo pensiero di una carezza da parte di quelle grandi e calde mani sulla sua pelle, quasi la disgustava.
Sì, era lei ad essere sbagliata, era lei a non essere come le altre, ad essere troppo “maschio” come non facevano altro che ripeterle tutti.
Vedendo la sua assenza di reazione al baciamano che le aveva appena fatto, Robert si sporse lievemente verso di lei, sorridendole quasi incerto.
- Mia signora? Vi sentite bene? Avete trascorso buon viaggio?
- Oh – commentò Lyanna riscuotendosi dai suoi pensieri e facendo un impercettibile passo indietro. – Sì, grazie, milord. E voi? – gli domandò ricambiando la cortesia.
- Non c’è male. A parte il mal di mare, ovviamente.
Vi trovo in ottima forma, milady, come sempre – disse non riuscendo a fare a meno di far vagare i suoi avidi occhi chiari sul corpo fasciato dal vestito e snello ma già deliziosamente curvilineo della giovane lady.
- Anche voi – rispose ella distogliendo lo sguardo, cercando di celare il fastidio.
Dopo qualche attimo di silenzio di troppo, Robert riprese la parola.
- Vostro padre mi ha dato il permesso di scortarvi nei vostri alloggi, lady Lyanna. I vostri genitori e i vostri fratelli ci raggiungeranno dopo – le disse porgendole il braccio.
Alla prospettiva di trascorrere con Robert quei lunghissimi minuti che li distanziavano dagli alloggi condivisi dalle varie famiglie nobili giunte ad Harrenhal, deglutì a vuoto.
Rivolse uno sguardo quasi disperato verso i suoi fratelli distanti metri da lei, impegnati ad aiutare suo padre e la servitù a scaricare i bagagli e le armature, per poi ritornare a guardare il suo promesso. – Certo – disse facendo scivolare una mano leggera sotto l’avambraccio del Baratheon.
- Oh, Ned! – esclamò improvvisamente il giovane cervo sorridendo smagliante a qualcuno dietro di loro, qualcuno a lei decisamente familiare.
Accennò un sorriso nel voltarsi a guardare il suo fratello più caro, il quale li aveva appena raggiunti.
Non sapeva in nessun modo spiegarsi il motivo per il quale il suo promesso sembrava avere quella più che evidente predilezione proprio per Ned, tra tutti i suoi fratelli, nonostante fosse Brandon ad avere l’età più vicina alla sua, e benché Ned fosse in assoluto il più distante caratterialmente da lui, così taciturno, silenzioso, rispettoso e pacato.
No, Lyanna non sapeva proprio spiegarselo perché i due avessero legato e come mai gli occhi di Robert si illuminavano ogni volta che lo scorgevano in lontananza, ma, d’altronde, non sapeva nemmeno perché lei stessa, da sempre, fosse soggetta allo stesso incantesimo.
Forse era questa l’unica cosa che avevano in comune lei e Robert: l’amore disinteressato per Ned.
- È un piacere rivederti anche per me, Robert – ricambiò il saluto Ned accennandogli uno dei suoi rari e lievi sorrisi.
Dopo ciò, Robert le fece strada, incamminandosi verso gli accampamenti.
Camminarono per la città guardandosi intorno.
- Non è il massimo qui, vero? – le domandò improvvisamente il giovane cervo.
- Cosa?
- La dimora di lord Whent non è il massimo in cui trascorrere due settimane per un torneo. Capo Tempesta sarebbe stato decisamente più appropriato. Anche se la sede migliore in assoluto sarebbe stata di sicuro Approdo del re.
Se solo non fosse un folle e decrepito Targaryen a sedere sul trono di spade – disse non riuscendo a fare a meno di contenere le parole.
- Non dovreste parlare così del re dinnanzi al castello di Harrenhal – si sentì di ammonirlo Lyanna, voltando involontariamente lo sguardo verso la costruzione appena menzionata, non stancandosi di ammirarla silenziosamente come aveva fatto poco prima al porto.
A ciò, anche Robert portò gli occhi sul castello.
- Non trovate ingiusto anche questo?
Lord Walter Whent ospita nel suo enorme castello l’intera famiglia reale, il Re Folle e il tanto celebrato Principe d’Argento con la sua stirpe, mentre a noi componenti delle famiglie nobili più influenti dei sette regni rilega degli umili alloggi vicino al lago, con vista sul castello ovviamente.
Dannati reali e dannati i loro privilegi! – commentò scherzosamente Robert.
Ma Lyanna quasi non ascoltò le sue parole, continuando a guardare il castello senza alcun motivo particolare, con una malinconia nel cuore che non riuscì in alcun modo a spiegarsi.
 
 
 

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Capitolo 8
*** Calen e Doen ***


Calen e Doen
 
 
Anche l’ultimo lord entrò nella sala del castello di Harrenhal predisposta per il concilio segreto al re dei sette regni.
Lord Whent aveva appositamente scelto la parte più remota del castello, di fianco alle segrete, un luogo di cui Aerys Targaryen non conosceva neanche l’esistenza.
Quando furono tutti riuniti, il pesante portone venne chiuso e gli occhi di ogni uomo in quella sala si catapultarono sul principe ereditario, a capo del lunghissimo tavolo.
Rhaegar non era spaventato da quegli sguardi indagatori e concentrati, che lo osservavano nella speranza di metterlo a nudo e di comprendere per quale motivo avessero preso parte a quella missione a dir poco suicida.
Tuttavia, dovette ammettere che venire scrutato in quel modo da tanti lord insieme che proiettavano tutte le loro aspettative su di lui, gli fece venire dei brividi freddi lungo la schiena.
Nonostante ciò, riuscì a nascondere la sua insicurezza con maestria, innalzando la sua corazza di gelo, ed esponendo quello sguardo di inscalfibile convinzione e matura consapevolezza che ostentava in concili come quello.
La prima parola, o meglio, il primo verso di disappunto accompagnato ad un ghigno strafottente, venne da lord Eon Hunter.
- Con tutto il rispetto, mio principe, quanti anni avete? Se non sono troppo rude nel chiederlo – disse l’uomo con quel velo di sarcasmo che fu in grado di far saltare i nervi ad Arthur al solo udirlo.
- Ventidue, milord – rispose Rhaegar mantenendo la sua calma glaciale.
- Quasi un poppante, se mi è concesso aggiungere anche questo.
- Lord Hunter, non dimenticatevi di star parlando col futuro re dei sette regni! – lo rimproverò prontamente ser Richard Lonmouth con il volto arrossato dalla rabbia.
- Non ce ne è bisogno, Richard. Non sono qui per alimentare inutili dispute, né tanto meno per parlare della mia età o di quanto io sia adatto a portare avanti questa cospirazione. Perché è questo ciò che è, una cospirazione, miei signori – rispose Rhaegar senza degnare di uno sguardo lord Eon, dimostrandogli la sua superiorità tramite la totale indifferenza.
- Dunque, come avete intenzione di agire, vostra altezza? – domandò rispettosamente lord Jon Arryn.
- Innanzitutto, vi prego di mantenere questi nostri incontri totalmente segreti, in modo da non rischiare di mettere in pericolo nessun componente della vostra famiglia.
Non avremo modo di riunirci spesso non appena il torneo avrà inizio, per questo dobbiamo approfittare per impostare un piano d’azione generale, nell’eventualità in cui non ci sarà possibile incontrarci nuovamente.
- Senza offesa, mio principe, lungi da me dubitare dell’efficacia del vostro piano, ma tra i nostri accampamenti gira voce che vostro padre vi sia attaccato alle costole come un rapace con la sua preda – espresse i suoi dubbi lord Rickard Stark. – Come pensate di sviare ogni suo sospetto e di nascondergli un tradimento di tale portata?
- Comprendo le vostre incertezze, lord Stark. Vi confesso che io stesso non sono del tutto certo che mio padre non sia già a conoscenza del tradimento, dato che lord Varys è un abile doppiogiochista dalla risaputa fama – rispose il principe, provocando fermento in sala.
- Tuttavia – riprese l’erede al trono, interrompendo il vociferare indistinto. – Innumerevoli volte mio padre ha avuto forti dubbi sulla mia fedeltà verso di lui, persino quando tali dubbi non avevano alcuna ragion d’essere.
Ero solo un bambino che stravedeva per i suoi genitori quando mi accusò per la prima volta di cospirare contro di lui.
Quello che intendo dirvi, è che Aerys Targaryen ha perso completamente la testa da anni, oramai, tanto da non riporre più la sua fiducia in nessuno.
Non è più in grado di regnare da che sono in grado di ricordare.
Questa situazione sta degenerando, di anno in anno, e in coscienza non mi sento più di permettere che prosegua; motivo per cui, se non cogliamo la palla al balzo ora, forse non avremo più occasione di agire, o peggio, sarà troppo tardi per farlo.
Sia che sappia della cospirazione, sia che vi rimanga all’oscuro, potrebbe ordinare di farvi bruciare tutti ora, in questo castello e seduta stante, perché vi ritiene dei traditori, o semplicemente per un suo capriccio passeggero.
Non sono io il primo a rimettervi, ma voi, le vostre famiglie, i suoi sudditi.
Questo è ciò che mi addolora di più.
In seguito a quelle parole, uno dei presenti scoppiò in una risata, avanzando piano verso il Principe Drago.
Quella faccia non era affatto nuova al giovane drago, tuttavia, nonostante il temperamento del principe Lewyn Martell non fosse fastidiosamente e infantilmente ostile come quello di suo nipote Oberyn, Rhaegar notò dell’astio nei suoi grandi occhi scuri.
- Perdonatemi, mio principe, ma con quale onere vi concedete di pronunciare dinnanzi a noi tali parole? Cosa potete mai sapere voi di come ci si senta a non far parte della vostra famiglia? Ad essere trattati come feccia da un uomo che siede su un trono e che si diverte a carbonizzare ogni testa che non possegga dei bei capelli d’argento gli capiti sotto tiro?
Come potete parlare della nostra sofferenza con tale naturalezza, rimanendo coerente con voi stesso e non risultando ai nostri occhi come l’abile e furbo bugiardo e persuasore che siete, dall’alto della suo piedistallo d’oro? – terminò il principe dorniano arrivando ad un palmo dal viso del giovane drago.
- Questo è abbastanza, principe Lewyn! Allontanatevi immediatamente dall’erede al trono!
Quanto accidenti era melodrammatico Jon Connington, forse lo sapeva solo Jon Connington stesso. Con la sua impetuosità da maniaco omicida ogni volta che qualcuno si avvicinava troppo a Rhaegar, anche se si trattava di un’ancella o di un semplice scudiero. Ad Arthur faceva venire voglia di usare Alba per zittirlo e fargli passare la voglia di essere tanto inconsciamente molesto.
Sì, la Spada dell’Alba non avrebbe fatto certo fatica ad ammettere che anche a lui stesso pizzicavano le mani dinnanzi a quel faccia a faccia tanto ravvicinato e impudente, spingendolo a poggiare impercettibilmente e automaticamente le dita sull’elsa della sua spada, come accadeva ogni volta che qualcuno osava tanto con il principe drago.
Ma sapeva anche quando era il caso di contenersi e di attendere semplicemente che Rhaegar gestisse le cose a modo suo, senza invadenti e non richiesti interventi esterni, poiché era il primo ad odiare di essere trattato come una dannata bambola di porcellana.
- Jon, non è necessario, grazie – lo bloccò il principe Targaryen alzando la mano verso di lui, ma non spostando gli occhi da quelli di Lewyn, reggendo il suo sguardo privo di timore, ma senza altezzosità.
- Avete ragione, principe Lewyn. Io non posso sapere cosa vuol dire trovarsi dall’altra parte, non avere un trono da ereditare dal proprio folle padre.
Mi trovo indubbiamente in una posizione privilegiata, sin dalla nascita, e non è mai stata mia intenzione negarlo.
Tuttavia, ciò che desidero e che mi propongo, è di riuscire a capire almeno un minimo, per quanto mi sarà possibile, come vi sentite.
Si tratta di empatia, non di scambio di ruoli o di finta solidarietà.
Io voglio essere con voi, al vostro fianco.
Questo è il motivo che mi ha spinto a prendere in mano la situazione e a riunirvi tutti qui per mettere in atto una rivolta contro la corona.
Non desidero che voi moriate per me, desidero che voi moriate per voi, per la vostra gente.
So che può sembrare qualcosa di molto intelligente da dire, ma vi rivelo di non sapere davvero come dirlo in altro modo.
Sta a voi credermi o no, sta a voi affidarvi a me o rinunciare a prendere parte alla cospirazione.
Siete liberi di andarvene quando volete, avete il sacro diritto di farlo e io non ve lo impedirò in alcun modo. Non ne ho alcun potere e anche se lo avessi, non è nella mia volontà agire in tal modo.
In seguito a tali parole, il silenzio tombale calò inesorabile nella grande sala.
Un silenzio di comprensione, di speranza, di fiducia.
Lewyn non sembrava accennare a voler allontanarsi dal principe drago, restando a fissare i suoi occhi come se potesse perdersi qualsiasi pagliuzza di esitazione e di ipocrisia al loro interno, se solo avesse distolto lo sguardo per un secondo.
Quando finalmente si convinse, arrendendosi al calore e al sollievo che quelle parole erano state in grado di donare al suo cuore, si allontanò da lui di qualche passo.
- Non credo vi siano dubbi su quale sia la scelta di noi tutti, mio principe.
Siete giovane, inesperto, esposto, molti punti giocano a vostro sfavore.
Tuttavia …
- Tuttavia, ci affidiamo a voi, anima e corpo – terminò la frase lord Walter Whent, esprimendo con un sorriso incoraggiante il pensiero di tutti i presenti.
A ciò, Rhaegar si concesse un sorriso a sua volta e si prese un attimo per guardarli tutti in volto, uno per uno, prima di parlare.
- Bene, dichiaro ufficialmente iniziato il nostro concilio segreto.
 
- Beh, non è andata male, no? – gli domandò Elia sedendosi sul grande letto a baldacchino, tenendosi il pancione con le mani mentre Rhaegar si sedeva sul letto a sua volta, con lo sguardo puntato alla finestra, intento a ripensare a tutto ciò che era stato detto durante quel concilio avvenuto qualche ora prima.
- No, è andata molto meglio di quanto mi aspettassi. Tuttavia, con il fiato di mio padre sul collo non posso fare alcun movimento avventato.
Dovremo attendere l’inizio del torneo per altri incontri.
- Mmm – sospirò la principessa dorniana con una lieve smorfia di dolore a deformarle i tratti.
Accorgendosi di ciò, il principe si voltò verso di lei. – Ti senti male?
- Il piccolo drago scalcia parecchio e mi risucchia tutte le energie – sussurrò ella dolcemente, chiudendo gli occhi per sopportare il malore, poggiando una mano delicata sopra il tessuto dell’abito color pesca teso dalla rotondità del pancione. – Lo sento così bene, Rhaegar. È dentro di me ed è un portento.
Non oso immaginare quando uscirà di lì cosa ci farà patire – continuò sorridendo di aspettativa. – Riesco già a figurarmelo distintamente nella mia mente.
I maestri hanno confermato che è un maschietto, come avevamo previsto.
Un bellissimo giovane principino che farà impallidire tutte le balie di Approdo.
A ciò, Rhaegar sorrise, salendo sul letto e portandosi dietro sua moglie.
Le poggiò le mani sulle spalle lasciate lievemente scoperte dal vestito. – Come fai a far esplodere con tale naturalezza e spontaneità la tua fantasia? Quando capirò come ci riesci, custodirò il tuo segreto e ne farò buon uso anche io – sussurrò cominciando a farle un massaggio sulla schiena e le spalle.
Le dita affusolate ed esperte si mossero decise ma delicate sulla pelle olivastra della giovane Martell, compiendo movimenti precisi, lenti e vigorosi, mentre sentivano quelle membra stanche distendersi e sciogliersi come metallo fuso sotto il suo tocco.
- Sei tesa. Rilassati … - la esortò a voce bassa, continuando quel massaggio da capogiro, mentre Elia portava la testa all’indietro.
- Oh, che tutti gli dèi del cielo ti benedicano …
Come fai ad essere così bravo ogni volta …? – gli domandò estasiata da quella sensazione rigenerante e dal calore che la stava invadendo dall’interno e dall’esterno.
Il principe sorrise. – Quando hai massaggiatrici e massaggiatori sin da piccolo, prima o poi riesci ad imparare i loro trucchetti – le sussurrò, per poi lasciarle un fugace bacio sulla tempia.
A ciò, la principessa si voltò lentamente verso di lui e si sporse per farsi baciare sulle labbra.
Egli la accontentò, ma interruppe il contatto poco dopo per volgere gli occhi verso la porta della camera chiusa.
- Che c’è? – sussurrò ella girandosi verso di lui con l’intero corpo e salendo in ginocchio sul materasso.
- Rhaenys potrebbe entrare da un momento all’altro – le disse tra un bacio e l’altro.
- Rhaenys è con Ashara – lo rassicurò la giovane dorniana passando al suo collo, sfregandovi le labbra umide sopra, in ogni piega di pelle, ovunque riuscisse ad arrivare.
Rhaegar sorrise, approfittando per liberare i morbidi capelli scuri della sua consorte dalla scomoda ed elaborata acconciatura, sciogliendo i nastri che li legavano, mentre ella continuava a torturargli il collo.
- Questo vizio lo avevi anche quando eri incinta di Rhaenys – le disse prendendole il viso e alzandolo verso il suo, per guardarla negli occhi liquidi.
- Che vizio?
- Ti comporti come un gatto che fa le fusa in cerca di energiche carezze, nei momenti di intimità – le rispose sorridendole.
- Mia madre diceva che accade a parecchie donne incinta. Diventiamo viziate e a volte fameliche – gli rispose ricambiando il sorriso, puntando le ginocchia sul materasso per darsi lo slancio e circondandogli il collo con le braccia, mordendogli le labbra.
Il principe la assecondò, i loro baci divennero sempre più bagnati e profondi, le sue mani si posarono sui fianchi più larghi del solito di sua moglie, andando ad accarezzare dolcemente quelle curve femminili fino a raggiungere la rotondità del pancione coperto dal tessuto leggero.
Distaccò lievemente le labbra da quelle di lei, d’istinto, ma senza allontanarsi.
- Qualcosa non va …? – gli chiese Elia soffiandogli in bocca.
- Sicura che vada bene? – le domandò, sapendo di rischiare di venire trucidato dallo sguardo voluttuoso della sua consorte. Ma non riuscì a fare a meno di chiederglielo, ancora troppo preoccupato per il suo stato di salute altalenante.
- Se ti azzardi a ritirarti proprio ora, sul più bello, per il tuo assurdo istinto protettivo fuori luogo, giuro che ti spezzo il collo – gli sussurrò dritto nell’orecchio, con quell’inflessione a metà tra il sensuale e l’omicida.
A ciò, egli sorrise.
- Oppure, questa è solo una banale scusa … - continuò la donna, mostrando un tono ora più incerto, allontanandosi dal suo orecchio solo per porsi davanti al suo volto e scrutare quei due diamanti viola, intensi e vividi, con la speranza di affondarvi dentro e trovare risposta ai suoi dubbi.
Quegli occhi assunsero un’aria interrogativa. – Che cosa intendi? – le domandò il giovane drago. – Perché dovrebbe essere una scusa …?
- Beh, la mia pancia è cresciuta, così come il mio corpo è cambiato. Sono più larga, più grossa … i miei vecchi abiti non mi entrano più – disse lasciandosi ricadere in ginocchio, abbassando il bel volto circondato dalle ciocche scure e ondulate. – Mi sembra di essere diventata un bue. Mi avevano già avvertita che i maschi sono più ingombranti e fanno ingrossare il corpo delle madri durante la gravidanza, ma non credevo che …
- Elia – la interruppe il principe con voce ferma, ponendole le mani sulle spalle seminude e attirando la sua attenzione su di lui. – Non devi mai fare pensieri del genere. Mai.
Intesi?
Non voglio più sentire discorsi di questo tipo.
Io ti trovo bellissima. E non sono l’unico a trovarti bellissima.
- A me non importa dell’opinione degli altri, oltre la tua.
- Allora ti garantisco, dinnanzi agli dèi, che ora mi piaci ancor di più.
A ciò, la dorniana alzò lo sguardo su di lui, sgranando gli occhi.
- Che cosa …? Non puoi star parlando sul serio.
- E invece sì – la rassicurò. – Hai i fianchi più tondi, le tue gambe sono più morbide, i lineamenti del viso più dolci. Mi piace molto.
Davvero – le confermò accennandole un ammaliante sorriso, prendendole il viso e baciandola con trasporto per dimostrarle la veridicità delle sue parole.
La sentì sorridergli sollevata sulle labbra e ricambiare nuovamente bramosa, mentre con le mani sottili cominciò a trafficare voracemente con i bottoncini del suo corsetto.
Sospirò frustrata e animata dentro la sua bocca, facendo quasi per strappargli l’indumento.
- Per gli dèi, non è possibile che i tuoi dannati vestiti siano più difficili dei miei da togliere … - si lamentò la principessa, riuscendo finalmente a slacciargli l’ultimo bottone.
Rhaegar sorrise in risposta, percependo le dita fredde di Elia vagare sulla pelle nuda e calda del suo busto, facendolo rabbrividire.
Cominciò a privare anche ella dei vestiti, iniziando a sfilarle l’abito leggero, facendoglielo scivolare sulle braccia.
“La tua vita è destinata a terminare in giovane età, quando, finalmente, avrai trovato il modo di rispondere a tutti gli enigmi che affollano la tua mente …” quelle parole piombarono improvvise e inesorabili nella sua mente, turbandolo.
Provò ad ignorarle e a concentrarsi solo sulla calda e rassicurante presenza di Elia su di sé.
La tua famelica curiosità ti divorerà, consumandoti …”
“Un uomo con il potere della sua mente può cambiare un corpo materiale in un altro o può farlo passare dalla salute alla malattia e viceversa.
L'influsso della mente non può agire su una qualsiasi forma materiale tranne se non attraverso l'intervento di un intermediario …”
All’eco di quelle invadenti parole si sovrappose un’immagine sin troppo vivida per essere solo frutto della sua mente, la figura di una vecchia donna che vagava per la Sala d’Estate in fiamme, tra i corpi urlanti e luminosi come torce umane.
“Tre teste del drago” disse la donna. “Tre teste, centinaia di vite sacrificate, la rinascita di un mostro, una dinastia stroncata, un inverno senza fine.
I vermi continueranno a brulicare sotto terra, e tu, tu non potrai fare nulla per impedirlo.”
Il giovane drago si allontanò dalla bocca della sua consorte, in volto un’espressione contrita, disturbata.
- Che c’è, mio principe? – gli domandò ella preoccupata. – Di nuovo quelle visioni?
Tali parole lo scossero più delle allucinazioni stesse, tanto da fargli nuovamente alzare gli occhi verso sua moglie. – Tu … tu te ne sei accorta …?
- Mi credevi tanto stupida e distratta, mio signore?
Ovvio, mi sono accorta dei tuoi costanti incubi che non ti lasciano pace nel sonno.
Ma ora anche durante la veglia …?
Le tue ossessioni smetteranno mai di tormentarti? – gli chiese afflitta.
- Perché non mi hai detto nulla?
- Volevo aspettare che fossi tu a parlarmene, Rhaegar.
Sembri sconvolto appena sveglio la mattina.
Mi chiedo cosa vi sia di tanto terribile in queste visioni.
Mi chiedo se posso fare qualcosa per farti stare meglio …
- Non preoccuparti.
Posso risolverlo da solo.
A ciò, lo sguardo della dorniana si fece cupo. – Certo. Tu vuoi sempre risolvere tutto da solo.
Non accetti l’aiuto di nessuno.
Credi di essere in grado di fare qualsiasi cosa.
- Non voglio coinvolgerti, Elia, vorrei preservare almeno te e Rhaenys da …
- … da cosa? Da cosa vuoi preservarci, Rhaegar? Credi davvero che lasciarci qui a guardare impotenti mentre qualcosa ti trascina sempre più giù, sia il meglio per noi??
Per gli dèi, non riesco a credere che stiamo facendo ancora discorsi simili … - sospirò afflitta e frustrata, ritirandosi su le spalline dell’abito.
- Mi dispiace. Mi dispiace ma non puoi chiedermi di coinvolgerti.
- Chi sono io per te, Rhaegar? – gli domandò improvvisamente gelida.
- Che cosa intendi?
- Ti ho appena chiesto chi sono io per te, mio principe.
Una spalla su cui appoggiarti solo quando ne hai voglia? Un corpo che ti dà piacere? Una moglie con la quale mostrare una bella facciata dinnanzi al popolo che ti acclama?
- Ora sei crudele. Ingiusta e crudele – le rispose rimettendosi seduto sul letto, mentre ella gli dava le spalle, nascondendo il volto.
Lo ascoltò rivestirsi in un silenzio tombale, senza proferire parola, né quasi respirare, solo per non perdersi alcun flebile suono che il giovane drago emetteva muovendosi.
- Dove vai, ora? – ebbe il coraggio di chiedergli quando lo sentì rialzarsi dal letto. – È quasi notte …
- Ho bisogno di prendere un po’ d’aria – le rispose lapidario.
- Vuoi uscire fuori da solo? Senza scorta? – gli domandò incredula, voltandosi e accorgendosi che, in quei pochi minuti, avesse fatto in tempo a spogliarsi di tutti gli abiti reali e ad infilarsi dei vestiti semplici, da popolano, un abbigliamento con il quale non lo aveva mai visto.
Lo osservò, notando quanto sembrasse differente con quella casacca larga di stoffa grigia a coprirgli il busto slanciato, come i pantaloni sciatti e malandati facessero sembrare le sue gambe lievemente meno vertiginose rispetto a come apparivano con gli abituali abiti regali.
Nonostante tutto, si rese conto che quei pezzi di stoffa non erano neanche lontanamente in grado di camuffare il suo aspetto, di renderlo meno raffinato, ricercato, non riuscivano a mascherare nemmeno un minimo quell’aria di alta nobiltà che si portava perennemente dietro, con la quale sommergeva chiunque con la sua sola presenza in una stanza.
Era come se ce l’avesse addosso, impregnata sulla pelle, in grado di rilasciare una fragranza intossicante per chi gli stava accanto, spingendo tutti a non avvicinarsi troppo a lui, a mostrargli il massimo rispetto e riguardo.
Elia sapeva che Rhaegar teneva sempre degli abiti da popolano fatti su misura con sè, per ogni evenienza o emergenza; tuttavia, fino a quel momento, quell’evenienza non si era mai presentata.
- Sono stanco di portarmi una scorta dietro dovunque vada – le rispose il principe infilandosi il mantello, distogliendola dalle sue mute considerazioni.
- Rhaegar, ti riconosceranno.
- Ho i miei metodi.
Ho passato l’adolescenza ad infiltrarmi di nascosto nei vicoli delle strade più malfamate di Approdo senza farmi scoprire.
So cavarmela – le disse legandosi la chioma d’argento indietro, in una coda bassa, assicurandosi che ogni capello fosse ben tirato e non sfuggisse al nastro; dopo di che, si alzò l’ingombrante cappuccio sopra la testa e strinse il laccio in un nodo ben assicurato.
Visto in quel modo, con l’ingombrante cappuccio che gli copriva almeno tutti gli occhi e nessun capello chiaro a tradirlo, sembrava quasi un oscuro e prestante forestiero in visita temporanea.
Elia cercò di regolarizzare il respiro e di calmarsi, poiché sapeva cosa succedeva quando discutevano tra loro rimanendo col piede di guerra.
Il solo saperlo lontano da lei, là fuori, con chissà quali pensieri per la testa, la preoccupava da morire, senza contare i propri di pensieri nefasti.
Doveva apparire tranquilla per non farlo scappare, per salutarsi almeno in pace, con la promessa di chiarire la mattina seguente.
Talvolta, Rhaegar gli sfuggiva dalle dita prima che lei potesse accorgersene.
Perché così era abituato a fare da una vita.
- Dove hai intenzione di andare? – gli domandò serena, rimanendo seduta sul materasso.
A ciò, il Principe drago si sedette accanto a lei prima di risponderle. – Vicino agli accampamenti ci sono delle locande. Nulla di troppo malfamato.
- Bordelli?
Le labbra del giovane drago, l’unico connotato del suo volto che non era celato alla vista, si piegarono in una smorfia ferita. – Mi stai davvero facendo una domanda simile, Elia?
A ciò, la dorniana gli accennò a fatica un sorriso a metà tra l’amaro e il divertito. – Le puttane notano molti più dettagli, rispetto agli altri. Sono delle ottime osservatrici, ti smaschererebbero in un attimo – lo disse con una strana crudezza.
- Non ho intenzione di mettere piede in un bordello, neanche se fosse Arthur a pregarmi in ginocchio di farlo, lo sai bene.
Per il resto, sono abbastanza convincente, no?
Non stare in ansia.
Cerca di prendere sonno e ti prometto che domani mattina mi troverai accanto a te quando ti sveglierai – la rassicurò, seppur cosciente che quella fosse solo una magra consolazione per la sua sposa.
Ma aveva bisogno di cambiare aria, non poteva fare altrimenti.
Tutta quella situazione gli avrebbe fatto perdere la testa a breve se non fosse riuscito a catalizzare tutto ciò che gli stava accadendo, a riordinare le idee, e a capire quando fosse il momento di liberare la mente.
Per quanto Elia ci provasse con tutta se stessa, non riusciva a distrarlo da quelle allucinazioni, da quegli incubi sempre più vividi e reali.
Di notte, le guardie erano meno attente, se fosse uscito dal castello passando per i sotterranei nessuno se ne sarebbe accorto.
L’unico rischio palpabile rimanevano gli uccellini di Varys in giro per la città, ma dubitava che nel cuore della notte ce ne fossero molti in giro.
- Se sei abbastanza convincente mi chiedi? – ripeté quelle parole Elia, distraendolo dai suoi pensieri. – Come direbbe il buon Arthur: profumi di erede al trono. O puzzi di sangue nobile, dipende dal buonumore con il quale la tua fidata guardia del corpo si alza la mattina – rispose la principessa, facendo sorridere suo marito.
Quest’ultimo si avvicinò e le lasciò un dolce bacio sulla fronte. – Mi raccomando, cerca di dormire – la salutò rialzandosi dal letto e uscendo dalla stanza.
 
- Insomma, che ci facciamo qui, Bran, me lo spieghi?
- Lya, ti ricordo che sei tu che mi hai costretto a portarti con me sotto ricatto.
Io volevo semplicemente passare una nottata in una locanda per bere qualcosa di sostanzioso con altri cavalieri che parteciperanno al torneo, ma tu devi sempre metterti in mezzo, come al solito – le rispose Brandon sbuffando seccato, camminando nel buio.
- Quali problemi ti creo, scusa? Ti ho già assicurato che, non appena entreremo nella locanda, mi separerò da te.
E poi chi vuoi che mi riconosca conciata in questo modo? – gli chiese Lyanna fiera del suo operato, indicando il proprio, a suo parere, impeccabile travestimento.
Brandon si dilettò in una breve risata. – Ammetto che con quel cappello ridicolo nel quale hai infilato la tua ingombrante cascata di capelli, le bende intorno alle mani, i pantaloni da mendicante e il mantello da orfanello, sembri il mio scudiero.
Tuttavia, quel bel faccino da bambola ti tradisce, Lya.
Si vede che sei una ragazza.
- Ma che stai dicendo?? Viso da bambola a chi??
- In questo momento vorrei essere riuscito a convincere anche Ned a venire con me.
Mi renderebbe la tua presenza più sopportabile – disse il primogenito Stark rifilando un calcetto a tradimento sulla gamba di sua sorella.
- Ahi! Sei un animale, Bran.
E vorrei anche io che fossi riuscito a convincerlo – rispose ella fintamente stizzita, dandogli una spinta.
Le piaceva stare con Brandon. Oh, se le piaceva.
Non lo avrebbe ammesso neanche sotto tortura, ma era così, se ne era resa conto da un bel po’.
Nonostante ci fosse distanza tra le loro età, e lui si sforzasse sempre di comportarsi come un adulto, spesso rimproverandola al posto dei loro genitori, Lyanna amava ogni singolo istante che passava con quell’arrogante e cocciuto di Brandon.
Il perché non lo sapeva bene neanche lei, ma il solo pensiero che presto si sarebbe sposato e si sarebbe separato dalla famiglia, la faceva rabbrividire.
Non odiava Catelyn Tully, anzi, le piaceva, ma, al contempo, infantilmente ed egoisticamente, avrebbe voluto i suoi fratelli solo per sé, senza mogli a renderli più adulti e seri, né figli a prosciugarli e a responsabilizzarli.
Erano pensieri stupidi, degni di una bambina.
Tuttavia, non riusciva a fare a meno di formularli.
Per questo aveva deciso di costringere Brandon a portarla con sé quella notte, malgrado tutto, malgrado rischiassero di essere linciati da Rickard e da Lyarra Stark, se solo fossero stati scoperti.
In realtà rischiava cara la pelle anche Ned, poiché, nonostante avesse deciso di non accompagnarli, li stava comunque coprendo.
Malgrado tutto, non le importava, così come non le importava doversi dividere da Brandon una volta entrati nella locanda, poiché avrebbe comunque avuto il suo fratello grande vicino e avrebbe vissuto una nuova esperienza, dato che non era mai stata in una locanda, specialmente in una città straniera.
Era in fibrillazione all’idea di farsi passare per un maschio e di potersi comportare come accidenti voleva, senza preoccuparsi delle convenzioni, senza curarsi degli sguardi severi e fulminanti di sua madre, senza dover apparire qualcosa che non era.
Non appena arrivarono dinnanzi al luogo concordato da cavalieri e scudieri, Brandon si voltò a guardarla. – Sto rischiando molto, Lya. Lo sai, vero?
- Sì, lo so. Ma prometto che non ti darò alcun problema e non mi farò riconoscere – lo rassicurò con un sorriso a settantadue denti, che Brandon ricambiò solo a metà, scuotendo lievemente la testa in segno di resa e muovendo i primi passi per entrare, seguito da lei.
Improvvisamente, un tanfo di chiuso e di vino invase le narici della giovane Stark, facendole storcere il naso; in seguito, strizzò gli occhi più volte, accecata dalla luce delle lanterne che cospargevano la locanda, né piccola né eccessivamente spaziosa, troppo abituata al cielo buio che vi era all’esterno.
Le orecchie si abituarono velocemente alla confusione, a quel vociare indistinto di una stragrande maggioranza di voci maschili, esaltate, eccitate e su di giri per il vino, o forse per altro.
- Lya, ho cambiato idea – le rivelò Brandon muovendosi piano davanti a lei, guardandosi intorno lievemente allarmato. – Questo non è posto per te.
Non so per quale assurdo motivo mi sono lasciato convincere a portarti qui.
Non voglio che ti succeda niente.
- Avanti, Bran, non dire sciocchezze!
So perfettamente cavarmela da sola e confondermi tra questa gente!
Se dovesse succedere qualcosa e non mantenessi la promessa, ti do il permesso di non rivolgermi più la parola.
- Molto divertente.
- Sono seria, Bran – gli disse stringendogli la mano, sperando di rassicurarlo almeno un po’. – Va’ da loro. Io mi so muovere.
Dopo un lunghissimo istante in cui il primogenito Stark si prese il tempo di guardarsi per la decima volta intorno e di sospirare teso, le rispose. – Se provi a bere del vino ti sgozzo.
Lyanna sorrise raggiante e annuì. – Neanche una goccia!
- E smettila di sorridere come la personificazione di una farfallina svolazzante.
Se vuoi farti passare per un ragazzo, effemminato ma pur sempre maschio, devi sforzarti di assumere un tono di voce grave, rauco, di ridere ringhiando e di muoverti come un montone in una stalla di cavalli.
- Accidenti, Bran, hai davvero una considerazione così pessima di voi ragazzi?
Credevo fossi meno duro con te stesso – scherzò ella, sinceramente sorpresa.
- Sono serio, “Doen” – le rispose Brandon fulminandola
- Doen?? Sul serio, Bran? Non potevi scegliere un nome migliore? Non ti sei sforzato neanche un po’?
- Cos’ha che non va Doen? È un nome bellissimo, smettila di contestare le mie scelte e cammina, idiota di uno scudiero – le disse cominciando a dirigersi verso il tavolo in cui lo attendevano gli altri.
- Bran? – lo richiamò Lyanna istintivamente, vedendolo allontanarsi.
- Ci vediamo tra poco – la rassicurò il ragazzo rivolgendole un ultimo accennato sorriso e voltandosi nuovamente per raggiungere il tavolo, lasciandola sola.
A ciò, la giovane Stark si guardò intorno, cercando di individuare un tavolo libero, riuscendo a trovarne solo uno in tutta la locanda.
Sorrise sollevata, puntandolo con lo sguardo e cominciando a camminare verso quella direzione.
 
Il principe drago entrò nella prima locanda che capitò sulla sua strada, quella più vicina alla via che aveva seguito per raggiungere quella parte della città.
Senza esitazione, aprì la porta ed entrò, osservando la sala con circospezione, da sotto l’ingombrante cappuccio.
Quando ebbe deciso che era abbastanza gremita di uomini troppo annebbiati dagli effetti del vino per posare gli occhi su un forestiero incappucciato, vagliò i vari tavoli per trovarne uno libero, scorgendo l’unico ancora vuoto, fortunatamente nell’angolo meno affollato della locanda.
Si avviò verso di esso senza particolare fretta, accorgendosi solo una volta giuntovi dinnanzi, di non essere l’unico ad averlo puntato.
Quello che sembrava un ragazzino basso e dalla corporatura sottile, posò le sue iridi di ghiaccio su di lui, incerto.
Aveva un’energia negli occhi e nello sguardo, nell’irriverenza che traspariva dal modo in cui lo scrutava, che destabilizzò per un istante il principe drago, il quale realizzò in ritardo di essere solamente un semplice e sconosciuto estraneo agli occhi di quel ragazzo, non il futuro erede dei sette regni.
Notò irriverenza, ma anche una lieve paura, forse.
- Se lo avete visto prima voi, sedetevi pure.
Troverò un’altra locanda – si affrettò a dirgli il giovane principe, camuffando il suo tono di voce come era abituato a fare anche da ragazzino, rendendolo più cupo, toccando note basse alle quali normalmente non arrivava mai.
Fece per andarsene, ma prima che potesse essere abbastanza lontano da non poterlo più udire, la voce del ragazzo lo richiamò.
- Se siete costretto ad andare altrove, allora, posso condividerlo. Con voi.
Una voce strana.
A Rhaegar sembrò forzatamente roca, come se il timbro naturalmente cristallino del ragazzo fosse costretto a quella tortura a causa di un’irritazione alla gola, o a qualcosa che aveva inghiottito.
- Non c’è problema, davvero.
Ci sono molte locande qui intorno, non voglio disturbarvi – rispose il principe, riprendendo a camminare.
- Non mi disturbate.
Insomma, è un tavolo da quattro posti.
È troppo grande per me.
Il principe lesse come una strana supplica in quella richiesta, non capendone il motivo.
A quel punto, si voltò nuovamente verso di lui, riavvicinandosi al tavolo.
- Non aspettate nessuno? – gli chiese.
Il ragazzo fece no con la testa, prendendo posto al tavolo, per poi iniziare a guardarlo in attesa che si sedesse di fronte a lui.
Rhaegar lo accontentò.
- Anche voi siete qui da solo? – domandò il popolano fissandolo senza vergogna, provando a carpire ogni dettaglio di quel poco del volto offerto alla sua vista, celato per la maggior parte.
Quella sorta di curiosità, di fame di osservare, sorprese il giovane principe.
A quanto sembrava, il suo interlocutore non era uno di quelli in grado di rimanere in silenzio, poichè era palese sentisse la necessità di riempirlo in qualche modo, in qualsiasi modo.
- Sì, anche io sono qui da solo – gli rispose sinceramente.
- Posso chiedervi da dove venite? – domandò di getto il ragazzo.
A ciò, la mente di Rhaegar venne attraversata dall’idea non troppo remota di rialzarsi e di lasciare la locanda per cercarne un’altra, in modo da poter evitare gli sguardi e le domande invadenti di quel popolano.
Tuttavia, per il momento, decise di sviare il discorso in altro modo. – Avete la gola irritata, per caso? – gli domandò.
- Cosa? – chiese il ragazzino irrigidendosi.
- Vi siete irritato la gola con qualcosa? La vostra voce sembra dolorosamente arrochita.
- Sì. Ho preso molto freddo – si affrettò a rispondere il popolano, impacciato.
L’ultima cosa che voleva era metterlo a disagio, perciò decise di troncare l’argomento, ritornando in silenzio, sperando che questo non ricominciasse a porgli domande, poiché doveva esser chiaro anche al più giovane degli ingenui che condividere un tavolo non significasse dover socializzare o trascorrere una nottata in chiacchiere.
Più di ogni altra cosa, sperava vivamente che non se ne uscisse con una domanda come “perché nascondete il volto?”, poiché, in quel caso, non vi sarebbe stato più nulla ad impedirgli di alzarsi e di uscire da quella locanda.
- Come vi chiamate? – riniziò il ragazzo, imperterrito nel suo proposito di voler fare amicizia.
- Calen – rispose, usando lo stesso pseudonimo che aveva sempre utilizzato ad Approdo.
- Calen – ripeté l’altro come assaporandolo tra le labbra. – Conoscevo un ragazzino che si chiamava così, tempo fa. Era un orfano – commentò quasi senza accorgersene, con lo sguardo immerso nei ricordi.
- E voi, come vi chiamate? – ricambiò educatamente la domanda il principe.
- Doen.
Rhaegar affilò lo sguardo, ripetendoselo nella mente. – Strano nome. Non l’ho mai sentito – rispose, piacevolmente lieto che il suono di quelle due sillabe corrispondesse ai propri gusti.
- In questa locanda c’è una confusione assordante – si lamentò il popolano, poggiando la mascella sul palmo della mano delicata, in cima al gomito puntato sul tavolo, in un gesto scanzonato e incurante, ma, al contempo, estremamente femminile.
Rhaegar cominciò a dubitare che fosse davvero un ragazzo, sospettando che potesse trattarsi di un’orfana travestita per non avere problemi nel camminare da sola di notte e nel sostare in una locanda ricolma di uomini.
In ogni caso, preferì non indagare oltre, e lasciar ricadere quel dubbio nel vuoto, dato che non erano affari suoi, oltre al fatto che al mondo vi erano una miriade di ragazzini dai tratti e dalle movenze decisamente femminee e androgine, dunque, avrebbe potuto facilmente sbagliarsi.
- È una locanda, è normale che sia rumorosa – gli rispose distrattamente.
- Sì, lo so, ma alcuni urlano come se ne andasse della loro vita – commentò il popolano osservando un gruppo di uomini sbattere dei boccali colmi di vino su un tavolino, quasi spaccandolo, mentre sputavano ridendo a crepapelle.
- Sono gli effetti del vino.
- Non credevo che il vino fosse capace di trasformare un uomo in una bestia.
Da quelle parole, Rhaegar capì immediatamente che quel ragazzino non avesse mai ingerito un sorso di quel nettare rosso in vita sua.
- Non avete mai bevuto del vino, Doen? – deciso di esplicitarlo, stranamente ben disposto a conversare un po’ con quel fastidioso popolano.
Le guance di quest’ultimo si tinsero leggermente di rosso a tale domanda. – No. Mai. Voi, invece, immagino di sì – rispose alzando i grandi occhi grigi su di lui.
Rhaegar accennò un lieve sorriso e annuì. – Non amo avere i sensi offuscati dal vino, perciò cerco di evitarlo ogni volta che posso. Tuttavia, in alcune circostanze, è impossibile evitare di bere più di un bicchiere di vino.
Avrete modo di provare anche voi, Doen.
- Ed ora volete berne? Siete entrato nella locanda per bere del vino? – gli domandò il ragazzino curioso.
- In realtà, no, non ne ho voglia. Voi sì?
Doen abbassò lo sguardo, torturandosi le dita. – Vorrei provare ma ho paura che …
- Di diventare come quegli uomini che vedete in quel tavolo?
Non temete, se ne berrete solo in piccola quantità non vi sentirete molto diversamente da come vi sentite ora – lo rassicurò Rhaegar, lievemente divertito da quell’atteggiamento ora tanto impacciato.
Non sapeva se fosse lui stesso, la sua figura nascosta e incappucciata ad intimidire quel popolano, oppure se si atteggiasse così con qualsiasi sconosciuto.
- Quanti anni avete, Doen? – domandò il principe prendendo a fissare disinteressato una coppia di amici sfidarsi in una gara di bevute.
Tutto quel clamore stava sortendo l’effetto sperato.
Le allucinazioni e gli incubi lo avevano momentaneamente abbandonato, poiché la sua mente era ora distratta da troppe voci, troppi stimoli diversi.
- Quasi quindici – rispose l’interpellato, facendo sorridere ancora il principe, il quale percepì immediatamente il suo desiderio di fingersi più grande.
- Dunque, quattrodici – precisò, tornando a guardarlo.
Doen distolse lo sguardo mettendo su un malcelato e simpatico broncio, prima di rivolgergli la stessa domanda. – E voi quanti anni avete?
- Voi quanti credete ne abbia? – gli domandò Rhaegar scoprendo che provava un leggero gusto nel metterlo in difficoltà.
Doen prese ad osservare tutta la sua figura con attenzione, riflettendo. – Beh, considerando che riesco a vedere solo la parte inferiore del vostro viso, dalla bocca al collo, e che posso cogliere altre informazioni solo dalla vostra statura e forma fisica, direi che è un po’ difficile capirlo.
- Avete dimenticato la voce – gli fece notare il principe. – La voce dice molto di una persona. Forse quasi tutto.
A ciò, Doen gli rivolse un sorriso più sicuro di sé rispetto agli altri. – Ma non l’avevo dimenticata. La vostra voce è il primo dettaglio che ho soppesato.
Insomma, avete una voce che è … molto difficile da non notare.
Rimane impressa nelle orecchie come inchiostro – disse il ragazzino sorprendendosi delle sue stesse parole. – Non credo che la dimenticherò facilmente quando ci saluteremo – confessò infine.
A tali parole, Rhaegar rimase ammutolito.
- Ad ogni modo, dalle poche caratteristiche che riesco a cogliere di voi, direi, forse, che abbiate poco più di vent’anni.
Quella risposta così vicina all’esattezza sorprese ancor di più il giovane drago.
- Insomma, dico poco più di venti perché, nonostante siate molto alto, da quel poco che riesco a vedere del vostro viso, i vostri lineamenti mi sembrano molto giovani, di certo non maturi. E poi, la vostra non è la voce di un uomo, ma di un ragazzo – spiegò il popolano.
 - Avete indovinato – rispose Rhaegar dopo qualche istante di attesa.
- Davvero??
Il principe annuì, per poi vedere Doen voltarsi verso la locandiera impegnata a riempire i boccali degli uomini al tavolo accanto al loro, e richiamarla, ostentando una rudezza che non gli apparteneva. – Ehi, donna! – esclamò, facendosi notare da lei.
- Sì, giovanotto? – rispose la bella donna di mezza età, voltandosi verso di lui, puntando le mani sui fianchi abbondanti.
- Potrei avere del vino? – domandò improvvisamente audace, sorprendendo piacevolmente Rhaegar, il quale non riuscì a non farsi scappare un accennato sorriso divertito.
La locandiera alzò il sopracciglio contrariata. – Prendete ancora il latte da vostra madre e volete del vino??
- Ehi, sono disposto a pagare per averlo! – si lamentò il giovane cliente.
- Non ne dubito, dolcezza – rispose la donna sorridendo divertita, per poi sporgersi verso un tavolo che si era appena svuotato, nel quale erano rimasti diversi boccali sporchi degli ultimi residui di vino. Prese uno di quel boccali e lo poggiò sul loro tavolo con poca grazia, prendendo a riempirlo di vino con la caraffa che aveva in mano.
Una volta riempito il bicchiere a metà, la donna tolse la caraffa e guardò il giovane popolano. – Spero non siate schizzinoso. Abbiamo finito i boccali – gli disse provocatoria, per poi posare lo sguardo sulla figura di Rhaegar. – E per voi, “misterioso viandante incappucciato”? – gli domandò con pungente e annoiato sarcasmo.
- Nulla, grazie.
A ciò, la donna girò i tacchi e ritornò dietro il bancone, lasciandoli nuovamente soli.
- A cosa è dovuto questo slancio di spavalderia? – domandò Rhaegar punzecchiando il popolano, vedendolo rigirarsi il boccale tra le mani incerto.
- Ve l’ho detto, Calen, volevo provare – gli rispose avvicinando le labbra piene e rosse al boccale e cominciando a bere qualche sorso di quel liquido rosso, assumendo immediatamente una smorfia buffa e infantile che fece sorridere il principe.
- Se è la prima volta che lo bevete, andateci piano.
Non vorrei vedervi stramazzare a terra alla veneranda età di quattordici anni.
A ciò, Doen gli rivolse un’altra occhiata fintamente offesa, mentre ne beveva altri due sorsi. – Non è male – commentò assaporandolo.
- Qualcosa mi dice che state mentendo.
Il popolano lo guardò sorpreso in risposta, poggiando il boccale sul tavolo, arrendendosi. – Mi avete beccato. Lo odio. Come fanno a bere questa roba?? Sa di uva rancida!
A quelle parole, Rhaegar si lasciò andare ad una spensierata risata, forse la prima davvero spensierata da mesi.
Quando smise di ridere, trovò il ragazzino davanti a lui intento a fissarlo, immobile, con la bocca schiusa e le guance molto più rosse rispetto a poco prima.
A quanto sembrava, quei tre sorsi avevano già sortito il loro effetto.
 
Lyanna non riusciva letteralmente a staccare gli occhi da quel giovane uomo incappucciato dinnanzi a lei.
Sperava con tutto il suo cuore di non essere stata smascherata, di esser riuscita a fingersi un ragazzo con successo, poiché sentiva che sarebbe potuta sprofondare metri sottoterra se quel Calen avesse scoperto che si faceva passare per un maschio.
Dopo solo alcuni sorsi di quella tremenda bevanda, sentiva già la testa girarle parecchio, ed era come se tutte le sue emozioni e i sensi le si fossero accentuati esponenzialmente.
Per gli dèi  pensò.
Non aveva mai provato sensazioni simili dinnanzi a qualcuno.
Si disse che sicuramente era colpa di quel diabolico vino.
Ma, in quel momento, non le importava se quello che percepiva intorno a lei sembrasse tanto soffuso da confondersi con un sogno, un sogno bello e bizzarro.
Non le importava se, un secondo dopo, si fosse svegliata nel suo letto accorgendosi che non era accaduto nulla di tutto ciò, e che quel viandante estremamente riservato e affascinante fosse stato solamente partorito dalla sua mente fantasiosa.
Tutto ciò che le importava, era che voleva continuare a rimanere lì con lui, a parlargli, a sentirlo parlare e a guardarlo.
La testa le pesava troppo, perciò poggiò la mascella sul palmo della mano aperta, con il gomito ben puntato sul tavolo e gli occhi fissi su di lui, sentendo di non possedere più alcun pudore e freno inibitorio.
- Voi non siete tipo da posti come questi, Calen – non glielo disse in tono interrogativo, ma come affermazione.
Lo vide schiudere le labbra dalla forma elegante, chiare come era chiara la sua pelle, dalla quale la giovane lupa non era in grado di distogliere lo sguardo.
Osservava la curva del collo nascosta dall’ombra del cappuccio, la linea della gola, dell’inizio della clavicola, la forma della mascella, del mento, di quella porzione di volto che si sarebbe incisa nella mente a sangue in un momento di perdizione come quello.
Non sapeva cosa le stesse succedendo, ma non aveva intenzione di chiederselo e di indagarlo in quel momento.
– No, non lo sono – le rispose Calen, dopo una lunga pausa.
- E allora perché siete qui?
- Potrei rivolgervi la stessa domanda, Doen.
- Ho capito. Ho inteso che non vi piace parlare di voi.
Tuttavia, non riesco a fare a meno di porvi domande.
- Ho notato – rispose egli sorridendo. – Doen, vi sentite bene? Non sembrate affatto lucido.
- Sto benissimo – si affrettò a rispondergli, sistemando più comodamente il viso nel palmo della mano. – Siete così diverso da tutti gli uomini che sono qui dentro …
Siete così diverso da far sembrare doloroso persino parlare con voi.
- Mi conoscete da nemmeno mezz’ora. In che cosa vi sembro tanto differente?
Lyanna vi pensò su per qualche istante. – Siete silenzioso, discreto, sfuggente, educato, gentile, accorto, avete una strana e brillante ironia, un modo di parlare palesemente altolocato, acculturato, ma inconsapevole di tutto ciò. Non ostentate nulla di ciò che vi rende superiore agli altri, anzi, tentate di nasconderlo.
Lo vide come esitare.
Non seppe con quale lucidità riuscì a dire tutto ciò.
- Siete bravo ad inquadrare gli sconosciuti, questo devo concedervelo – gli rispose poggiando anch’egli i gomiti sul tavolino, ma lasciando gli avambracci stesi, incrociati tra loro.
Quel giovane straniero era anche sicuro di sé, cosciente del suo fascino, a quanto sembrava. Tuttavia, non se ne approfittava, e Lyanna non poté fare a meno di pensare che, al suo posto, invece, avrebbe usato quel talento in infiniti modi diversi, in primis per ottenere tutto ciò che voleva senza dover sudare sangue per ogni richiesta troppo “sconsiderata”, oltre ciò che le era concesso.
- Raccontatemi qualcosa, Calen – gli chiese, sforzandosi di tenere gli occhi aperti per non distogliere lo sguardo da lui, nonostante le sue palpebre protestassero.
- Raccontarvi qualcosa?
- Mi piace la vostra voce – ribadì, sentendo il bisogno di farlo. – Potreste incantare anche i sassi con quella voce – aggiunse sorridendo senza motivo.
Il viandante sorrise. – Lusingato dalle vostre parole.
- Mi piacerebbe ascoltare anche quella vera.
- Cosa avete detto?
Lyanna stava parlando senza pensare, assolutamente fuori controllo, ed era come se la sua mente non avesse il tempo di riprendersi e di metabolizzare ciò che il suo corpo lasciava sfuggire senza preavviso. – Ho detto che mi piacerebbe ascoltare anche la vostra vera voce – ripeté la giovane lupa. – Non che anche questa non sia la vostra voce, ma percepisco che la macchiate, distorcendola di proposito.
Non è fastidioso, mi piace molto questa voce.
Però, gradirei ascoltare anche quella reale – disse con naturalezza, vedendolo ammutolire di nuovo.
- Miei signori – li interruppe un’anziana donna con l’aspetto di una mendicante, ma con un velo rosso di buona fattura a coprirle i capelli grigi, un tessuto che lasciava presagire non si trattasse di una semplice stracciona.
Il suo volto era ornato da un bel sorriso, le labbra sottili dipinte di rosso e alcune collane di perle arricchivano anche il collo chiaro.
Lyanna pensò che doveva essere stata una bella donna in giovane età.
- Volete che vi legga la mano? – chiese la nuova arrivata esponendo le mani magrissime, rugose e con delle unghie smaltate e appuntite che le facevano sembrare degli artigli.
Lyanna stava per risponderle cordialmente di no, ma non fece in tempo a farlo, poiché Calen acconsentì, anticipandola. – Quanto volete? – le domandò tirando fuori una sacca con alcune monete dentro.
- Siete molto gentile, giovanotto – lo ringraziò lieta l’anziana signora, prendendo posto accanto a lui. – Mi basterebbe un pasto caldo.
A ciò, Calen richiamò la locandiera e le chiese di portare loro qualcosa di caldo da mangiare.
Dopo che la vecchia mangiò a sazietà, osservando di tanto in tanto sia la giovane lupa, sia il gentiluomo che l’aveva accolta, si pulì velocemente mani e bocca con un tovagliolo e si voltò verso Calen, inclinando il viso.
- Riesco a vedervi – gli disse improvvisamente.
- Come? – le domandò lui in risposta.
- Riesco a vedervi nonostante l’ingombrante presenza del mantello che usate per celarvi – ripeté sorridendogli con un’intimità che soprese sia Lyanna, che l’interpellato.
- Coraggio, porgetemi le vostre mani – lo spronò ella, allungando gli artigli verso di lui.
Lyanna lo vide poggiargli le mani sopra le sue come a rallentatore, mentre la testa le pesava sempre di più.
La donna accarezzò quelle dita d’avorio affusolate, osservandole attentamente.
Tracciò con il polpastrello le linee di quei palmi con una lentezza quasi esasperante.
- Celerai il tuo aspetto ancora a lungo.
Lo farai non per nasconderti, ma per sopravvivere a te stesso.
Cercherai di soffocarti, di annientarti con tutte le tue forze.
Tornerai qui, tornerai per trovare delle risposte che non ti piaceranno – disse la donna tutto d’un fiato.
Poi, improvvisamente si bloccò e sgranò gli occhi.
Lyanna la osservò in aspettazione, fissando ogni cambiamento, ogni movimento di muscoli del suo volto espressivo, di quelle iridi sanguigne che osservavano quei palmi stringendoli come fossero di sua proprietà.
Dopo un’attesa quasi infinita, la vecchia signora fece scattare il volto verso di lei, spaventandola quasi.
La fissò stralunata, contrita, come impaurita, poi si voltò in un lampo verso il viso semicoperto del suo cliente, riservando ad egli lo stesso tremendo sguardo.
Lyanna non ebbe il tempo di metabolizzare per quanto scossa.
La vecchia donna si alzò in piedi ed uscì dalla locanda senza dire nulla.
Dopo qualche secondo di totale immobilità, Calen si mosse, alzandosi a sua volta dal tavolo, rivolgendole solo un fugace sguardo prima di sparire dalla sua vista.
– Devo andare anche io.
È stato un piacere, Doen.
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 9
*** Il tuo tempo è terminato ***


Il tuo tempo è terminato
 
- Sveglia, dormigliona! Lyanna! Vuoi alzarti da questo letto??
Quella voce familiare che interrompeva il suo meraviglioso sogno le faceva venire maggiormente voglia di  restare sotto le coperte e rimanerci per tutta la giornata.
La giovane lupa si coprì la testa col cuscino, grugnendo.
- Sei  irrecuperabile – commentò una seconda voce, più adulta della prima.
- Stavo facendo un bel sogno, Ned. Possa l’inverno del Nord congelarti gli arti – farfugliò pulendosi la saliva che la macchiava dalle labbra al mento con la federa del cuscino.
- E in cosa consisterebbe questo bel sogno, cara sorella?? – intervenne una terza voce. – Fammi indovinare: per caso stavi fantasticando sul forestiero con il quale sei stata a parlare quasi per tutto il tempo?
Lyanna scattò seduta, facendo precipitare il cuscino a terra, da qualche parte.
- Allora non era solo un sogno …? – sussurrò sconvolta.
I suoi tre fratelli che la fissavano sembravano un quadro: il piccolo Benjen era seduto sul bordo del letto di fianco a lei, intento a guardarla con i suoi grandi occhi vivaci in aspettazione; Ned se ne stava in fondo, con la schiena adagiata alla porta a braccia conserte; mentre Brandon ovviamente invadeva quasi totalmente il suo campo visivo, rimanendo con un ginocchio piegato poiché aveva un piede poggiato sul fondo del letto, le mani puntate sui fianchi e un sorriso di scherno che faceva assumere al suo viso un’aria ancor più supponente e snervante per il sistema nervoso dell’unica figlia di Rickard Stark.
Tre giovani lupi che la guardavano come se potessero sondarla da capo a piedi e capire in quale punto attaccarla per farne una preda.
Forse il sogno di ogni lady presente ad Harrenhal, ma non il suo.
- Allora, cos’è successo ieri sera? Bran ci ha raccontato qualcosa – iniziò Ned, facendole perdere ogni speranza di avere almeno lui come spalla e complice.
- Che ore sono? – domandò la giovane lupa posando lo sguardo sulla finestrella dell’accampamento per capire qualche informazione dal colore del cielo.
- Chi è dunque, questo forestiero? – continuò Ned.
- Bran dice che pendevi dalle sue labbra – cominciò anche Benjen.
- Se vi ha già detto tutto Bran, per quale motivo me lo state chiedendo??
- Come potevi pendere dalle sue labbra se non ti ha nemmeno rivelato il suo volto? – chiese perplesso Ned.
- Ma ovviamente solo perché “la sua voce sembrava quella di una divinità e il suo modo di atteggiarsi è qualcosa di mai visto prima” – rispose Brandon imitando la voce di sua sorella.
- Maledetto bastardo, ci hai spiati?! – lo accusò Lyanna alzandosi in piedi, recuperando il cuscino e lanciandoglielo.
- No, tonta, io me ne sono stato sempre per i fatti miei con i miei amici. Queste smancerie non hai fatto che ripetermele durante tutto il tragitto di ritorno negli accampamenti, quando eri troppo stordita dal vino che hai bevuto, per formulare un discorso sensato, e ho dovuto portarti in braccio fino a qui.
Lo sai che sei diventata più pesante di un mulo, a proposito? – le rispose il primogenito Stark, per poi rifarsi serio e rivolgerle uno sguardo di accusa. – Non avevi detto che non avresti provato a bere neanche un goccio di vino?
Che sarebbe successo se ti avesse trovata un maiale di quelli che frequenta spesso il tuo promesso sposo, e che non si sarebbe fatto problemi a metterti le mani addosso mentre io non potevo difenderti?
Ti rendi conto di cosa hai rischiato?
- Era solo un goccio, Brandon. E non ero in compagnia di un maniaco, perciò non hai di che preoccuparti.
Potete lasciarmi respirare ora? Ve lo chiedo per cortesia.
Siete peggio delle septe pettegole.
- Dì un po’, quel tipo ti ha proprio dato alla testa, eh? – insistette Brandon, tornando provocatorio. – Chissà cosa ha detto per ridurti in questo stato.
- Non c’è nessuno stato! – sbottò la giovane lupa fronteggiandolo dal basso della sua statura. – Puoi fare l’uomo vissuto e l’arrogante quanto ti pare, ma non sei l’unico a credere di sapere come va il mondo! E ora fatti da parte!
Brandon non si mosse dalla sua posizione, continuando a scrutarla attento.
- Vuoi rivederlo. Te lo leggo negli occhi – disse dopo una lunga pausa.
- Non leggi proprio niente tu, Brandon.
Mi lasci sola, per favore?
- Credevi davvero di essertelo solo immaginato?
Lyanna abbassò lo sguardo, stringendo i pugni, cercando di mantenere la calma.
- Metà delle tue ancelle sono ad Approdo, quelle che sono venute qui sono in giro a farsi notare da qualche giovane cavaliere; se lo dicessi alla mamma saresti morta; inoltre non conosci quasi nessuna delle altre lady, eccetto Catelyn, ma non credo tu sia così legata a lei da parlarle di tali faccende.
Ti rimane solo una cosa da fare, ossia aprirti con noi, se non vuoi tenerti tutto dentro e scoppiare – intervenne Ned in tono pacato, avvicinandosi.
- Che accidenti ho fatto di male per meritarmi tre fratelli maschi?? – si lamentò la giovane lupa tirandosi i capelli e digrignando i denti frustrata, andando a risedersi sul letto.
- D’accordo.
Se volessi rivederlo sarebbe un grande problema? – sussurrò arrendendosi.
 - Dipende dai motivi per i quali vorresti rivederlo. Ricorda di essere promessa a Robert – la ammonì Ned.
- Cos’è adesso lo chiami anche per nome? Siete così in confidenza voi due?? – lo canzonò Brandon.
- Ma se lo rivedessi come faresti a capire che è lui? – le domandò innocentemente Benjen. – Insomma, non era tutto coperto?
- Lo riconoscerei – rispose Lyanna senza esitazione. – Il suo aspetto non è essenziale per riconoscerlo, credetemi. Lui ha quel qualcosa che … non riesco a definirlo, ma non ho mai visto qualcosa del genere in nessun altro.
Il suo tono, il suo modo di porsi, il suo linguaggio, i suoi silenzi.
- Per gli dèi, Lya – commentò Brandon sorpreso. – Sei cotta. A puntino.
- Perché devi interpretare tutto in termini di amore eros??
Non potrei essere semplicemente attratta intellettualmente ed emotivamente da qualcuno? Sarebbe così strano se un uomo e una donna si trovassero bene insieme senza secondi fini??
- Mi verrebbe da dire che, se ciò accadesse, sarebbe solo perché uno dei due, o entrambi, hanno differenti gusti – rispose Brandon.
- Che cosa vuoi dire? – domandò innocentemente Benjen.
- Tuo fratello si riferisce a uomini a cui piacciono gli uomini e a donne a cui piacciono le donne, Ben, fattelo spiegare meglio da lui, dato che ha tanto voglia di parlarne – rispose pungentemente Lyanna, beccandosi uno sguardo fulminante da Brandon.
- Esistono uomini a cui piacciono gli uomini e donne a cui piacciono le donne …? – domandò il più piccolo dei lupi allibito.
- Ecco, hai visto cos’hai fatto?? Gli hai rovinato l’infanzia! – si lamentò Brandon.
- Se fosse vissuto a Dorne, tale “tendenza” sarebbe considerata la norma per lui.
- E tu che ne sai di Dorne, eh?
- Aileen conosceva un’ancella che ha servito a Dorne per un periodo – rispose Lyanna ponendo le braccia conserte. – Mi ha raccontato alcune cose.
- Ma sentila! Adesso ha cominciato a farsi raccontare le oscenità che fanno a Dorne dalla sua ancella.
- La moglie del principe ereditario è di Dorne – commentò Benjen.
- Possiamo tornare al punto? – li riprese Ned.
- Ad ogni modo, non nego che la maggior parte della suggestione che mi ha provocato l’incontro con quel forestiero potrebbe essere data solo dal vino.
D’altronde, ho ricordi sfocati di lui, tanto da averlo scambiato per un sogno – cercò di minimizzare Lyanna.
- E allora perché vorresti rivederlo?
- Per accertarmi di non essermelo davvero sognato.
- E se ti accertassi che esiste veramente e che pendi dalle sue labbra anche da lucida, che succederebbe a quel punto?
Calò il silenzio nella tenda.
- Non lo so, Bran.
Se passo del tempo con lui solo a conversare non vi sarebbe nulla di male, no?
- Dici così solo per non rinnegare tutto ciò che ci hai sempre detto fino all’esaurimento: “io non sposerò mai nessuno”, “io non mi innamorerò mai”, “non vado dietro a queste cose”, “non proverò attrazione per nessun uomo sulla faccia della Terra”, “le smancerie romantiche mi fanno vomitare”, “non sarò mai come quelle lady che sbavano dietro al loro spasimante” eccetera eccetera – la prese in giro Brandon.
- Brandon mi stai seriamente facendo saltare i nervi ora.
Ti ho appena detto che non mi attrae in quel senso.
Come potrebbe piacermi qualcuno che non posso vedere in volto?
- Fila come ragionamento – commentò Ned. – Dunque, ritornerai nella locanda? Da sola? – continuò.
- Immagino non mi lascereste mai tornare lì da sola – rispose Lyanna, avendo paura di guardare i loro volti in quel momento.
- Ti ha scoperto?
- Cosa?
- Ha scoperto che sei una ragazza? – le domandò Brandon ora più serio.
- No, non credo.
- Se riuscirai a mantenere la tua copertura, potrai rivederlo. Sempre se tornerà in quella locanda. Il tuo interesse verso di lui potrebbe non essere corrisposto.
- Sono certa che non sia corrisposto. Devo essere sembrata un ragazzino stupido e sciatto ai suoi occhi – commentò ella sconsolata. – Tuttavia, sono sicura che tornerà.
- Come fai a saperlo?
- Perché un’indovina gli ha letto la mano e ha detto che tornerà nella locanda per ricevere delle risposte – disse con assoluta certezza.
- Così sei sleale però.
- Non è giocare sporco, ma giocare d’anticipo, Ned – precisò la giovane lupa.
- E se non dovesse tornare stasera stessa ma tra una settimana? Cosa puoi saperne?
- Vale la pena tentare.
Allora? Chi mi accompagna? – domandò sbattendo innocentemente le lunghe ciglia nere. – Avanti, giuro che ci scambierò solo due parole, poi me ne andrò.
- D’accordo, ti accompagno io. D’altronde, Robert mi ha chiesto di bere qualcosa con lui una di queste sere – acconsentì Ned. – Lo spingerò verso una locanda vicina a quella in cui ti troverai tu, in modo che non rischi di vederti e riconoscerti travestita da ragazzo. Tempo un’ora e torno a prenderti.
- Oh, Ned – gli disse Lyanna rivolgendogli un sorriso a settantadue denti. – Come farei senza di te?
 
Quella mattinata stava andando nel peggiore dei modi.
Arthur se lo sentiva. Se lo sentiva che, presto o tardi, sarebbe dovuto intervenire.
Lo capiva dal sopracciglio pericolosamente alzato di Rhaegar mentre guardava e ascoltava suo padre, il re dei sette regni, parlare e mangiare la colazione che lord e lady Whent avevano fatto preparare per la famiglia reale.
- Insomma, non pensate sia ironico?? – ripeté Aerys con la sua voce roca, infilando voracemente le mani magrissime e le unghie lunghe dentro le deliziose pietanze disposte sui numerosi vassoi a loro disposizione, deturpandole e contaminandole. – Non è ironico che, secoli fa, il nostro antenato Aegon il Conquistatore abbia volato fino a questo pezzo di terra dimenticato dagli dèi in groppa a Balerion il Terrore Nero, distruggendo a fiammate il “monumentale” castello costruito con tanta fatica da Harren il Nero, per poi bruciare tutta la sua famiglia?? Insomma, ora ci servono da mangiare, ci puliscono il didietro, ci imboccano e ci trattano come dèi scesi in terra!! – esclamò il re ridendo e gracchiando di gusto, tossendo raucamente mentre si portava alla bocca pezzi di cibo stretti tra le sue mani scheletriche, trangugiandoli senza grazia.
Rhaegar continuava a fissarlo in silenzio, non toccando cibo, mentre il sangue gli ribolliva nelle vene e la sua pace mentale finiva sciolta nelle fiamme che sentiva scoppiettargli dentro.
Elia se ne stava a mangiare educatamente e il più silenziosamente possibile accanto a suo marito, con la testa bassa. La alzava solamente per sporgersi verso la piccola Rhaenys e pulirle la boccuccia con un tovagliolo di seta.
La tensione nell’aria era più grossa e ingombrante dei teschi di drago nella Fortezza Rossa, e Arthur la sentiva pizzicargli addosso mentre osservava la scena a distanza, accanto ad una delle altre guardie presenti nell’enorme salone.
La mano sinistra di Rhaegar si ripiegò a pugno, il sopracciglio destro si alzò ancor di più, e la sua mascella si strinse, lasciandone intravedere il lieve movimento da fuori. – Ripetetemi per quale motivo questa mattina avete deciso di unirvi a noi per la colazione, al contrario delle precedenti, padre – lo interruppe, non riuscendo più a trattenersi, attendendo che suo padre alzasse gli occhi viola e contornati dalle profonde e nere occhiaie su di lui.
A ciò, Aerys alzò il volto per guardare suo figlio e rivolgergli un sorriso pregno di sfiducia, provocazione e viscidume. – Ovviamente per recuperare almeno un po’ del tempo perduto, figlio mio. Per passare del tempo con voi. Per che altro potrei averlo fatto?
Rhaegar strinse le dita sulla forchetta ancora immacolata, quasi stritolandola.
- Piuttosto, voi non avete toccato cibo, Rhaegar. Non vorrete deperirvi prima del torneo, figliolo. Mangiate qualcosa, avanti.
- Ha ragione, non hai mangiato nulla. Non hai fame? – cercò di riportarlo alla realtà Elia poggiandogli la mano delicata e calda sul braccio.
- Ora no, cara. Forse più tardi – si sforzò di risponderle in tono calmo e naturale, voltandosi a guardarla.
- Ma come! Con tutto questo ben di Dio! – esclamò il re portandosi alla bocca una manciata di pasticcio alle fragole sgretolato, con la stessa foga e rozzezza che avrebbe utilizzato una delle bestie di cui teneva tanto premurosamente i teschi ad Approdo, se solo fosse stata ancora in vita.
Rhaenys lo guardò esterrefatta.
- Amore, finisci la tua focaccia al miele – la riscosse amorevolmente Elia porgendole la forchettina.
Dopo qualche istante, una delle ancelle giunse nella tavolata, rompendo la tensione.
La bellissima ragazza dai capelli dorati si avvicinò al posto del re per versare del latte nel suo bicchiere rimasto vuoto.
Mentre ella si accingeva a fare ciò con una precisione maniacale, Aerys si voltò a guardarla, squadrandola con i suoi sudici occhi in grado di denudarla al solo posarsi su di lei.
Quando la ragazza terminò di versare il latte e ripose la caraffa in posizione eretta, facendo per allontanarsi servizievolmente dal tavolo, un goccio di latte cadde disgraziatamente sulla tovaglia, accanto alla mano del re, macchiandola.
- Oh, perdonatemi, Vostra Maestà – si scusò rispettosamente la fanciulla.
- Non fa niente – la rassicurò Elia, notando che Aerys continuava a guardarla senza dire nulla.
- Sì, non fa niente – ripeté la voce roca del re, mentre le sue labbra contornate da rughe si piegavano in un sorriso. – Inginocchiati.
A tale ordine, la ragazza sbiancò. – Come, Maestà …? – balbettò.
- Se non sei sorda, e mi auguro tu non lo sia, hai udito bene. Non farmelo ripetere – disse perentorio.
A ciò, la ragazza posò la caraffa a terra e fece come gli era stato ordinato, ponendosi a carponi sul pavimento freddo, tremando mentre attendeva nuove direttive.
- Perché stai tremando?
- Non sto tremando, Maestà – si affrettò a rispondere ella, tremando ancor più visibilmente.
- Se non smetti di tremare immediatamente ti ordinerò di spogliarti nuda e di versarti tutta la caraffa di latte addosso – disse fingendosi schifato, per poi alzare il volto e puntare lo sguardo divertito su suo figlio. – Per quale motivo gli Whent ci fanno servire da delle cagne insignificanti?
- Lasciatela in pace – gli chiese Rhaegar, cercando di rimanere calmo.
- Perché dovrei?
- Puoi alzarti – disse Rhaegar rivolgendosi alla ragazza inginocchiata a terra.
- Sì, alzati pure, sporca puttana. D’altronde, mio figlio è talmente in anticipo con i tempi, che si sta già abituando a dare ordini al mio posto, nonostante io sia ancora il re e lui non abbia uno straccio di autorità – commentò pungente il re, restando con gli occhi fissi sul principe.
A ciò, la ragazza si alzò in piedi, mantenendo lo sguardo basso.
- Puoi andare – le diede il permesso Rhaegar.
- Lei resta qui fin quando lo decido io – ribatté Aerys.
- Ho detto che può andare – ripeté il Principe drago verso suo padre, per poi tornare a rivolgersi alla povera ancella. – Non vi saranno conseguenze, non preoccuparti, vai.
A tali parole, la fanciulla alzò il volto mortificato per guardare il principe. – Non fa niente. Davvero, non fa niente, posso rimanere qui come richiede il re, mio principe … – balbettò.
- “Posso rimanere qui come richiede il re, mio principe” – la imitò Aerys scoppiando in una grassa risata. – Ma l’avete sentita?? Si può essere più gatte morte di così?! – continuò il re fissandola sprezzante. – A me non hai rivolto neanche uno sguardo da quando sei entrata in questo salone. Lui, invece, lo guardi. Non aspettavi altro che guardarlo, non è vero??
- Smettetela – gli intimò Rhaegar. – Vi siete divertito abbastanza stamattina.
- Ma tu guarda quanta audacia! Te lo sei mangiato con gli occhi persino davanti a sua moglie, la futura regina dei sette regni!!
Quanta indecenza! – esclamò ancora Aerys. - Avanti, guardalo ancora!
So che vuoi guardarlo, so che vorresti che ti sbattesse al muro per l’intera nottata, facendoti urlare come una capra!
- Per gli dèi, ponete fine a questo scempio! – esclamò il principe.
- Guardalo! – urlò Aerys afferrando il volto della fanciulla e alzandolo nuovamente in direzione di Rhaegar.
Delle calde lacrime rigarono le guance della ragazza, bagnando le unghie del re, il quale la lasciò immediatamente andare, come disgustato.
- Vattene ora.
Vattene subito – le ordinò, vedendola correre via dal salone in fretta e furia.
Elia non spiccicò una parola, restando a testa bassa, cercando di non incrociare gli occhi del re.
- Vuoi parlare di argomenti seri, Rhaegar? – domandò improvvisamente Aerys, evitando ogni convenevole.
- Sì, mi piacerebbe, padre – rispose l’interpellato rivolgendogli un’occhiata raggelante di puro odio. – Vorrei sapere perché non hai fatto venire ad Harrenhal mia madre e mio fratello, se mi è possibile.
- Oh, sapevo che avresti voluto farmi questa domanda da quando siamo arrivati! – esclamò Aerys ridendo.
- Dunque? Sto aspettando una risposta.
- Perché avevo voglia di farli rimanere ad Approdo del re, protetti a casa loro.
E poi, e poi tua madre non fa altro che parlare di te! Quella donna è asfissiante! Non ne posso più di sentirla parlare di te e di quanto avrebbe voluto rivederti!
- Dunque, le hai vietato di venire qui appositamente per non permetterle di vedermi, capisco – rispose Rhaegar ridendo di nervosismo. – E mio fratello, invece? Per quale motivo hai deciso di segregare nella Fortezza Rossa anche Viserys?
- Oh, Rhaegar, quel bambino deve ancora farsi perdonare per essere nato maschio – rispose sprezzante, facendo quasi strozzare Elia con l’acqua che aveva appena bevuto.
La principessa tossì il più compostamente possibile, ponendosi un palmo sul petto e l’altro davanti alla bocca.
- Tutto bene, cara? – le domandò Aerys velenoso. - Ho forse detto qualcosa che ti ha infastidito? Ti infastidisce sapere che se il ventre di mia moglie fosse stato in grado di mettere al mondo una femmina, ora tu non ti ritroveresti seduta lì, con mio nipote in grembo, inondata da agiatezze che non meriti e …
- Chiudi quella bocca – lo interruppe Rhaegar parlando tra i denti, con un tono che fece calare il silenzio nel salone e provocò la pelle d’oca ad Arthur.
In tutti gli anni che conosceva il Principe drago, la Spada dell’Alba non l’aveva mai udito utilizzare quel tono di voce.
Sapeva che se lo teneva in serbo per occasioni speciali. Quelle che avrebbero richiesto che il drago in lui uscisse fuori, rivelandosi.
Gli occhi del principe erano fiamme divoranti puntate sulla figura di suo padre in tutta la loro devastante potenza.
Nonostante tutto, Aerys ne sembrava quasi totalmente immune.
L’unico essere al mondo a rimanerne immune.
- Portate immediatamente via di qui mia figlia e mia moglie – ordinò il principe alle guardie, senza staccare gli occhi dal re.
A ciò, alcune guardie si avvicinarono alla principessa dorniana e alla principessina, venendo tuttavia bloccate dalla voce di Aerys. – Io sono il re, e non voglio che mia nipote lasci la sala.
- Portatele via. Ora – ripeté Rhaegar in tono molto più autoritario di quello utilizzato da suo padre.
- Cos’è, vuoi vedere se questi poveri uomini sceglierebbero se dare retta al loro re o al futuro erede al trono?? – lo sfidò Aerys gracchiando estremamente divertito dalla situazione.
In assenza di altre direttive, gli uomini che si erano mossi in direzione delle principesse ripresero il loro cammino, mettendo in pratica gli ordini del principe, accompagnando la giovane donna e la bambina fuori dal salone.
- Volevi rimanere solo con me, figliolo?
Era questo che volevi? – chiese improvvisamente Aerys accavallando le gambe e inclinando la testa mentre continuava a guardare suo figlio.
Le punte dei capelli argentei secchi come paglia calpestata sfiorarono la sua spalla ossuta in quel movimento.
- Che cosa vuoi da me? – gli domandò Rhaegar in tutta calma.
- Potrei rivolgerti la stessa domanda. Per quale motivo siamo in questo luogo, Rhaegar?
- Dovresti tornare nelle tue stanze a riposare e a distendere i nervi, padre.
- Cos’è, ho offeso e umiliato la tua dolce e sporca cagna dorniana?
- Se pensi di offendermi ancora con questi scadenti e spiccioli mezzucci, ti avverto che non raggiungerai il tuo proposito.
- Ma guardati: indubbiamente splendido, accecante in tutta la tua tronfia eleganza, nella raggiante aura che ti avvolge da capo a piedi.
Il popolo ti amerà, figliolo – sussurrò con sdegno.
A ciò, spazientito, Rhaegar fece sbattere i palmi delle mani sul tavolo, alzandosi in piedi, per poi prendere a camminare intorno alla tavolata e raggiungere suo padre.
- Un tal bruto gesto è per caso provenuto da te?! Non credo ai miei occhi! Allora sai essere bestiale anche tu quando vuoi! Sono piacevolmente meravigliato! Sì, avvicinati, figlio mio! Avvicinati a me! È da così tanto che non abbiamo un confronto faccia a faccia, da padre e figlio e non da re e suddito! Vieni a me! – esclamò delirando, alzandosi in piedi a sua volta per andargli incontro.
Aerys sorrise infido guardando Rhaegar dal basso, a causa dei centimetri d’altezza che li distanziavano. Allungò una mano scheletrica e la poggiò sulla guancia del giovane principe, accarezzandola quasi premurosamente mentre quest’ultimo le penetrava da parte a parte con la sua furia latente.
La mano continuò il suo percorso fin quando non arrivò sotto le mascelle del principe. Lì si fermò, il pollice si distanziò dalle altre dita, posizionandosi in modo da sbucare dalla parte sinistra del volto, mentre le altre quattro risalirono dalla destra, inglobando le mascelle in una morsa stretta. Le unghie graffiarono e si puntarono in quella pelle tesa e marmorea che, un tempo, era stata anche la sua. – Cosa si deve fare per avere un momento di riservatezza col proprio figlio? – biascicò il re.
Rhaegar si sottrasse schifato e stizzito da quella presa artigliante, spostando improvvisamente il viso verso destra, di scatto.
A ciò, Aerys sorrise di rabbia. – Devi ancora imparare a stare al tuo posto, figliolo.
Ormai sei quasi un adulto. Quanto ci metterai a comprenderlo …? Quando io ti tocco, tu devi rimanere fermo e lasciarmi fare. Quando io ti ordino qualcosa, tu devi metterlo in pratica in silenzio, senza fiatare, senza lamentarti. Quando io ti chiedo di eseguire, tu esegui.
- Attento, padre. I tempi in cui potevi permetterti tanto con me sono passati da un po’. Io so bene qual è il mio posto. Sei tu a non sapere quale sia il tuo – gli intimò facendo tremare Aerys per la ferocia che si stava trattenendo dentro.
Quest’ultimo alzò una mano per lanciargli un poderoso schiaffo in volto, ma la sua azione venne immediatamente intercettata dal principe, il quale lo afferrò per il polso e lo strinse prima che potesse colpirlo.
A ciò, una calca di uomini armati, alcuni in soccorso del principe e altri del re, si disposero dietro i due, in una situazione paradossale nella quale non sapevano esattamente come agire, dato che, in ogni caso, si trovavano ad essere accorsi per difendere un membro della famiglia reale da un altro membro della famiglia reale.
Aerys rise per la bizzarra situazione. – Oh, Rhaegar, come siamo finiti a non poterci permettere una sana discussione senza venire immediatamente accerchiati da un ammasso di ciarlatani in armatura??
- Da un po’, padre – rispose Rhaegar non accennando a voler lasciar andare il polso di suo padre dalla presa d’acciaio alla quale lo stava sottoponendo.
Aerys rise ancora, poi spostò lo sguardo esattamente alle spalle di Rhaegar, da cui svettava la figura di Arthur Dayne con Alba sguainata, in tutta la sua imponenza.
- Oh, Arthur, eccoti in suo aiuto, come sempre.
Da quanto tempo è che va avanti questa storia?
Da quanto gli stai dietro scodinzolando, tenendo a distanza chiunque voglia avvicinarglisi?
Da fin troppo suppongo, no? Pensavo che prima o poi avresti mollato la presa, e invece no, eccoti ancora qui.
Ancora a fare il cagnolino di mio figlio, senza ricevere mai la ricompensa che meriti da parte sua.
Povero Arthur, hai tutta la mia compassione.
Continua a perseverare, mi raccomando – lo derise il re folle, non risparmiandosi neanche un po’.
Credeva che quelle parole potessero toccare la Spada dell’Alba.
Arthur rise tra sé, compatendo quell’uomo finito più di quanto questo potesse compatire lui.
- Ma, d’altronde, come biasimarlo? Come biasimare questi uomini, figlio mio? Morirebbero tra le fiamme per te. Tutti quanti.
Questo è quello che riesci a fare – gli sussurrò con un contorto compiacimento dipinto su quel volto consunto macchiato perennemente da una smorfia di cattiveria.
Rhaegar strinse ancor di più le dita sul polso ossuto dell’individuo che lo aveva messo al mondo, mossa che fece agitare gli uomini venuti in difesa di suo padre, i quali gli si avvicinarono con l’intenzione di allontanarlo dal sovrano.
Ma Arthur e i cavalieri venuti in soccorso di Rhaegar non erano da meno, e intercettando i movimenti dei loro colleghi, li imitarono, per impedire al loro principe di venire raggiunto.
Ma prima che potessero farlo, Aerys agì per loro, alzando la voce in un comando perentorio.
– Non azzardatevi a sfiorare mio figlio.
Gli uomini si gelarono sul posto, arrestando ogni movimento.
- Non azzardatevi. Lurida feccia – ripeté il re. – Lasciateci soli. Ora.
A ciò, anche Rhaegar diede il permesso ai suoi di abbandonare il salone, per lasciare il re e suo figlio completamente soli, questa volta.
Una volta isolati totalmente da ogni presenza, Rhaegar si avvicinò maggiormente a suo padre, poggiando la mano sul suo collo e accostando la bocca al suo orecchio, in modo che ciò che stava per dirgli potesse giungergli dritto nel timpano.
Mentre egli fece ciò, Aerys si aggrappò letteralmente con le unghie al suo busto, stringendo come se volesse perforargli il costato, costringendolo a trattenere una smorfia di dolore.
Ignorando quelle presenze asfissianti addosso, Rhaegar soffiò nell’orecchio del re dei sette regni. – Il tuo tempo è terminato. Preparati a scendere da quel trono o vi morirai sopra, bruciato.
 
Era quasi un’ora che Lyanna attendeva seduta su quel tavolo vuoto, conciata allo stesso modo in cui era conciata la sera precedente, quando aveva conosciuto Calen.
I suoi fratelli avevano ragione.
Nessuno le garantiva che quel ragazzo sarebbe tornato la sera seguente, né che avrebbe avuto piacere di scambiare nuovamente due parole con lei, sempre se fosse davvero esistito.
Non sapeva neanche il motivo di tanta voglia di rivederlo.
Certo, a parte quella gita alla locanda, non c’erano tanti altri modi per svagarsi nei giorni prima dell’iniziazione e dell’inizio del torneo.
I cavalieri si allenavano, ma alle donne, ovviamente, non era permesso fare lo stesso per puro gusto di farlo.
Dunque le lady giunte ad Harrenhal erano costrette ad occupare il loro tempo bevendo del the insieme o facendo delle lunghe passeggiate per la città, se non volevano rimanere l’intera giornata negli accampamenti.
Sbuffò mentre poggiava il mento al palmo della mano, riconoscendo quanto fosse stata stupida l’idea di credere che lo avrebbe rincontrato quella sera, casualmente, solo perché una donna delirante gli aveva detto che sarebbe tornato.
Tuttavia, non era male restarsene seduta per conto suo ad osservare i vari soggetti che mettevano piede nella locanda.
Vi erano personalità di tutti i tipi, anche se, ovviamente, quel luogo pullulava maggiormente di giovani cavalieri presuntuosi e pieni di sé.
Guardò di sottecchi un gruppetto di scudieri prendere di mira un ragazzino che sembrava addirittura più giovane di lei.
Nel notare come lo stessero prepotentemente spintonando e aggredendo anche a parole, la giovane lupa non riuscì a trattenersi e scattò in piedi.
Raggiunse a falcate il gruppetto, sentendo la paura di affrontarli scemare via insieme all’avanzare della rabbia che la alimentava.
La prepotenza e l’insolenza non riusciva proprio a tollerarla.
- Allora, crannogmen, cos’hai da dirci?? – sbraitò uno degli scudieri. – Non credevo che l’essere alti quanto un cane di piccola taglia pregiudicasse anche il non saper parlare! – aggiunse spingendo il povero malcapitato, facendogli sbattere il fondoschiena contro uno dei tavolini.
- Ehi, voi! – richiamò la loro attenzione la giovane lupa, arrochendo la voce quanto le fu possibile.
I tre alzarono il volto su di lei, guardandola in cagnesco. – Che vuoi tu??
- Lasciatelo stare immediatamente.
- Perché, altrimenti che fai, viso da bambola?? – la prese in giro uno di loro avvicinandosi a lei e torreggiandola con la sua altezza.
- Volete davvero abbassarvi a fare a botte con un povero crannogmen e un “viso da bambola”? – li sfidò furbescamente Lyanna.
A ciò, l’orgoglio dello scudiero emerse in tutta la sua preponderanza. – Non ne varrebbe la pena – disse facendo per allontanarsi.
- John, ma l’hai sentito?? Sta solo provando a sfidarci!
Non l’avrai vinta così facilmente, piccolo bastardo! – si mise alla carica un altro del gruppetto, scagliandosi su di lei e sganciandole un pugno in faccia.
La giovane lupa perse l’equilibrio a causa della potenza di quel colpo.
Dannata forza bruta maschile.
Dannato corpo da donna.
Sputò a terra la saliva acidula che le era salita in gola, ringoiando giù la restante, per poi rialzarsi in piedi.
Se solo avesse avuto una maledetta arma tra le mani li avrebbe fatti tremare e scappare con la coda tra le gambe tutti e tre.
- Riesci ancora ad alzarti in piedi?? Per gli dèi, hai la pelle dura!
- Vuol dire che non l’hai colpito abbastanza forte, Al!
Ma prima che un altro di loro riuscisse a colpirla di nuovo, Lyanna prese la rincorsa e si fiondò su uno di loro, saltandogli addosso e cominciando a graffiare, a scalciare e a mordere come un vero lupo selvaggio.
Se solo sua madre l’avesse vista, sarebbe morta di crepacuore.
- John, toglimelo di dosso subito! – si lamentò terrorizzato lo scudiero che stava subendo i violenti attacchi fisici della giovane lupa a cavalcioni su di lui, riparandosi con le mani dai morsi e dagli schiaffi.
- Ora non fai più il duro, eh?! – lo derise Lyanna, venendo trascinata via dagli altri due scudieri, i quali aiutarono il loro amico a rialzarsi e la guardarono esterrefatti e inquietati insieme.
- È meglio che ce ne andiamo di qui. Quello lì è totalmente pazzo … - commentò uno di loro, avviandosi verso l’uscita della locanda, seguito dagli altri.
Lyanna li guardò uscire vittoriosa, mentre il dolore del pugno sul viso cominciava a farsi sentire sempre più distintamente.
- Se non ci metterete del ghiaccio vi verrà un occhio nero – le disse il ragazzino che aveva coraggiosamente soccorso, spiccicando parola per la prima volta.
Lo osservò per un istante, notando che, nonostante fosse più basso di lei e sembrasse minuto, il suo volto esprimeva una serietà quasi comica, e i suoi grandi occhi scuri come la zazzera di capelli scompigliati che aveva in testa, le ispiravano molta simpatia, senza alcuna motivazione in particolare.
- Come vi chiamate? – gli chiese sorridendogli.
- Howland. Howland Reed.
- Reed come i Reed dell’Incollatura. Quindi siete davvero un crannogmen.
- E voi? Chi siete?
- Mi chiamo Doen – gli rispose regalandogli un altro sincero sorriso.
- Grazie per avermi difeso, Doen – le disse abbassando lo sguardo timidamente. – Si divertono sempre a scherzare sulla mia statura.
- Anche se si divertono, voi non dovete permettere che vi trattino in questo modo.
- Lo so, avete ragione. Non succederà più – le garantì con convinzione, rialzando il viso.
- Come mai siete in questa locanda, Howland?
- Ho accompagnato alcuni amici che mi hanno lasciato indietro. E voi?
La giovane lupa alzò le spalle. – Aspettavo qualcuno. Credevo di aspettare qualcuno, in realtà – rispose guardandosi per l’ennesima volta intorno. – Ma, a quanto pare, rimarrò qui da solo.
- Venite, vi accompagno dalla locandiera per farvi mettere del ghiaccio sull’occhio.
Siete troppo temerario, Doen – gli disse Howland avviandosi verso il bancone.
- Poco fa non mi stavate ringraziando per avervi difeso? – rispose fintamente offesa Lyanna.
- Sì, ma dovete imparare a capire quando il nemico che avete davanti è troppo numeroso e impossibile da battere.
- Vale comunque la pena provarci – rispose facendo voltare Howland verso di lei.
 
Il principe drago varcò nuovamente l’entrata di quella locanda visitata già la sera prima, indeciso fino all’ultimo se cedere e ascoltare le parole di quella indovina, le quali gli avevano garantito che avrebbe trovato delle risposte in quel luogo.
Le allucinazioni non gli avevano dato tregua neanche quel giorno, forse anche per colpa della tremenda mattinata che aveva trascorso.
Si massaggiò la tempia coperta dall’ingombrante cappuccio, mentre la stanchezza piombava su di lui improvvisamente.
Forse avrebbe fatto meglio a mettersi a letto e a tornare in quella locanda il giorno seguente.
Se ne convinse maggiormente quando, guardandosi intorno, non riuscì ad individuare la figura dell’indovina.
Tuttavia, forse sarebbe arrivata più tardi, forse avrebbe solo dovuto attendere un po’ all’interno di quelle affollate quattro mura pregne di un odore a dir poco stantio.
Dannò se stesso per tali decisioni prese all’ultimo momento, solo per seguire quella folle ossessione irrazionale, per assecondare il volere di quegli incubi, le ombre di profezie che non volevano lasciargli alcuna tregua.
Individuò un tavolo libero e si diresse verso di esso, ma, poco prima di raggiungerlo, venne attirato da una voce familiare proveniente dal bancone.
Non ricordava dove l’avesse già udita, perciò alzò la testa per vedere da chi provenisse, realizzando non appena individuò la figura di quel ragazzino invadente che aveva conosciuto la sera prima, intento a lamentarsi con la locandiera di avergli dato un sacchetto di ghiaccio già mezzo sciolto.
Si era quasi dimenticato di quel popolano fastidiosamente curioso e spavaldo.
Rhaegar sorrise mentre si avvicinava al bancone e lo vedeva sbraitare contro la locandiera scocciata.
- Ma insomma, che cosa stai cercando esattamente, piccolo disgraziato, eh?? Questa non è la bottega di un Gran Maestro! Se cerchi delle cure mediche, faresti meglio a smammare via! – esclamò la donna.
- Non sto chiedendo niente di tutto questo! Ho chiesto solo un po’ di ghiaccio per il dolore all’occhio, e voi mi avete dato dell’acqua tiepida! Cosa dovrei farci con dell’acqua tiepida?? Infilarmela nell’occhio sperando che abbia qualche effetto magico??
- Doen? Che ci fate qui anche stasera? – lo richiamò il principe, vedendolo voltarsi immediatamente verso di lui, in uno scatto che quasi lo spaventò.
Il ragazzino spalancò totalmente i suoi occhi chiari, i quali sembravano ancora più tondi e grandi ora, fissandolo come se fosse stato una visione.
- Doen? Tutto bene? – tentò di risvegliarlo da quello stato di trance, poggiandogli una mano sulla spalla minuta.
A ciò, il ragazzino puntò lo sguardo sulle sue dita che avevano sfiorato la propria spalla, le quali si erano allontanate quasi subito.
- Voi siete qui – pronunciò semplicemente il popolano, con un filo di voce. – Voi siete tornato qui, Calen – ripeté.
- Sì. Ma non pensavo di ritrovare anche voi – gli rispose. – Come mai avete deciso di tornare?
Lo vide deglutire visibilmente e cercare di riprendersi da quella sorta di strana sorpresa disarmante che lo aveva colto nel rivederlo. – Io … io sono tornato per accompagnare un amico.
- Ah sì? E dov’è il vostro amico ora?
- Se ne è andato poco fa – rispose poggiandosi involontariamente le dita sull’occhio destro, il quale stava pian piano assumendo una colorazione violacea.
- Che cosa avete fatto al viso?
- Nulla. Mi sono ritrovato in mezzo ad una rissa. Per difendere il mio amico – rispose il popolano abbassando la voce.
- Siete uno che attacca briga facilmente?
- Non particolarmente. Ad ogni modo, non vogliono darmi del ghiaccio per attutire il dolore.
- Fatemi vedere – gli disse il principe avvicinandosi di qualche passo e abbassandosi il minimo indispensabile per controllare la gravità del danno, per quanto gli fosse possibile da sotto il cappuccio.
Si accorse che, alla sua vicinanza, il ragazzino aveva distolto vistosamente lo sguardo, puntando le iridi di ghiaccio ovunque riuscisse, tranne che su di lui.
-Non è grave. Lo zigomo e l’occhio vi si scuriranno di sicuro, ma nel giro di qualche giorno torneranno come prima, suppongo – lo rassicurò, riallontanandosi. – Spero non abbiate alcun appuntamento galante nel frattempo – aggiunse ironizzando un po’ per smorzare quello strano disagio che sembrava aver colto il popolano.
Quest’ultimo sorrise un po’ impacciato, continuando a guardare altrove.
- Cercate la donna di ieri? L’indovina? – gli domandò dopo un po’.
- Sì. L’avete vista? – gli chiese il principe prendendo posto accanto a lui, davanti al bancone.
- No. Immaginavo sareste tornato per lei – rispose Doen bevendo un sorso da un boccale.
- Noto che avete preso gusto nel bere vino.
- È acqua, in realtà – lo informò mostrandogli il contenuto del bicchiere. – Ne avevo abbastanza di quel disgustoso obbrobrio per il palato. E poi, oggi volevo rimanere lucido – aggiunse il ragazzino, voltando finalmente il viso a guardarlo.
- Già, immagino. Ieri sera non lo eravate affatto – commentò Rhaegar al ricordo, accorgendosi poi che Doen avesse iniziato ad osservarlo assorto.
- Perché mi guardate così? – gli chiese spontaneamente.
- Per nulla in particolare. È che avevo paura di avere i ricordi troppo confusi da ieri sera. Invece, sorprendentemente, mi sto rendendo conto che la mia memoria di voi è impeccabile.
Il principe non seppe se dover rimanere sorpreso da ciò.
Sapeva solo che quella sera Doen sembrava diverso rispetto al giorno precedente.
- Io invece oggi ne ho bisogno – commentò dopo qualche istante, facendo segno alla locandiera di portargli un boccale.
A ciò, gli occhi di Doen lo sondarono nuovamente. – Giornata difficile? – gli chiese semplicemente.
- Mattinata difficile – rispose il principe sospirando impercettibilmente.
- Ecco a te, tesoro – gli disse la locandiera poggiando dinnanzi a lui un boccale mezzo pieno, da cui Rhaegar bevve solo qualche sorso, sovrappensiero.
- Mi dispiace.
- Oh, non dispiacetevi – gli rispose il principe accennando un disilluso sorriso. – Mi fa piacere aver ritrovato una faccia conosciuta con cui scambiare quattro chiacchiere – gli confessò.
- Qualcuno che non conosce assolutamente nulla di voi – aggiunse Doen.
- Già.
- Siete qui ad Harrenhal per partecipare al torneo?
Quella domanda lo spiazzò in un primo momento.
- Sì – rispose il principe guardandolo di sottecchi. – Anche voi?
Doen sembrò esitare poco prima di rispondere con fierezza. – Sì. Parteciperò anche io.
- Dunque ci rivedremo lì.
- Sì, ci rivedremo lì – confermò Doen sorridendo felice. – Dunque anche voi siete un combattente. Non vedo l’ora di vedere cosa sapete fare sul campo.
Rhaegar sorrise in risposta. – Vale lo stesso per me – disse chiudendo gli occhi mentre una strana melodia canticchiata da qualcuno giunse alle sue orecchie. – Questa l’ho già sentita … - sussurrò godendosela.
- Cosa?
- Non la sentite anche voi? Qualcuno sta cantando qualcosa.
Doen negò con la testa, per poi abbassare lo sguardo. – Devo confessarvi qualcosa, Calen.
- Vi ascolto.
- Io sono tornato qui stasera sperando di rincontrarvi – confessò il popolano, sorprendendo il principe, il quale accennò un sorriso lusingato.
- Vi è piaciuto a tal punto parlare con me? Non credevo di essere molto di compagnia, a dire il vero.
- In realtà sì. Mi rasserena e mi affascina ascoltarvi.
A ciò, Rhaegar prese a scrutare il giovane popolano.
Solo in quel momento si accorse di quanto fossero delicati i tratti del suo volto.
Le labbra erano piccole e carnose, le guance grandi e tonde, gli occhioni chiari erano contornati da ciglia lunghissime e scure, persino la forma delle sopracciglia e del viso denotavano una femminilità troppo accentuata per un ragazzo, nonostante i gesti e i modi di fare lo facevano sembrare più selvaggio di qualsiasi fanciulla avesse incontrato.
I dubbi del principe sul sesso del popolano si fecero preponderanti.
Tuttavia, se così fosse stato, era evidente che la ragazza non voleva che egli lo scoprisse, perciò decise di agire discretamente.
Sarebbe bastato un attimo per ricevere conferma alle sue supposizioni, senza far allarmare o sconvolgere Doen.
- Non so se ve ne siete accorto, ma ho visto quella ragazza laggiù guardarvi con insistenza da quando è entrata – mentì il principe, non appena individuò una fanciulla all’interno della locanda.
La popolana era sicuramente entrata per accompagnare qualcuno dei ragazzi con i quali faceva gruppetto al tavolo, dato che aveva la vita avvinghiata da due braccia diverse e rideva spensierata mentre quasi tutti la corteggiavano rozzamente.
In realtà, ella probabilmente non aveva nemmeno notato Doen; tuttavia, il principe sapeva bene di risultare parecchio convincente quando mentiva.
- Cosa …? – sibilò Doen quasi strozzandosi con l’acqua che stava per ingoiare.
- Ho detto che quella ragazza laggiù si è voltata più volte per guardarvi – ripeté rivolgendogli un mezzo sorriso.
A ciò, Doen si voltò a guardarla, ma, non appena la individuò, si rigirò nuovamente. - Vi sbagliate. Sicuramente stava guardando voi, non me – rispose con certezza.
- Me? Per quale motivo dovrebbe guardare un uomo coperto da capo a piedi, e non un bel ragazzo come voi?
Gli bastò quella frase, pronunciata con un tono neanche lontanamente provocante, a far arrossire quella che oramai aveva quasi la certezza fosse una ragazza.
Tuttavia, l’ultima parola non era detta.
Sarebbe comunque rimasto con il dubbio, ma ciò non gli importava, fin quando quella giovane e strana popolana non fosse andata in visibilio nell’accorgersi di essersi tradita da sola.
In fondo, ora che ci rifletteva, anche a lui piaceva parlare con lei.
Quella calma senza tempo; quell’atmosfera innocente e impregnata di una strana dolcezza; quella sensazione di sospensione e di tranquillità, lontana da tutti i suoi doveri, dalle maschere che era costretto ad indossare a corte, dal peso dei suoi obblighi, dai suoi incubi consumanti. Gli piaceva.
Gli piaceva e lo faceva sentire normale.
Per questo quella ragazza cominciò a stargli simpatica, nonostante, forse, il merito di tutto ciò non fosse proprio suo, ma del fatto che si fosse presentato a lei come un individuo senza nome, senza volto e senza passato.
Un altro dettaglio abbastanza evidente che giunse alla mente del principe, fu che ella, senza dubbio, non avesse mai avuto alcun’esperienza con un uomo.
Se l’effetto che le provocava era quello che osservava dinnanzi ai suoi occhi, più che palese, avrebbe dovuto provare a metterla a suo agio, cercando di non fare nulla che potesse sedurla ulteriormente, in alcun modo involontario.
D’altronde, se solo uno degli uomini presenti nella locanda fosse stato abbastanza lucido da scorgere quello che pareva un ragazzino, arrossire vistosamente dinnanzi ad un altro ragazzo, probabilmente sarebbe stata presa di mira.
All’interno dei sette regni, fatta eccezione per Dorne, quella particolare tendenza, soprattutto da parte degli uomini, non era mai stata molto accettata.
Al principe era già capitato di vedere uomini o anche ragazzi della sua età che non credeva avessero determinati gusti, venire pesantemente discriminati a causa di quell’aspetto della loro natura che non riuscivano a sopprimere.
Oberyn spesso prendeva tutto ciò come uno scherzo, mentre Arthur, nonostante non avesse mai manifestato gusti simili, sembrava aver maturato una sorta di rifiuto maniacale verso tale tendenza, tanto da evitarla come una malattia.
Per tale motivo, se volevano trascorrere altro tempo a parlare spensieratamente di tutto e di niente, evadendo dalle loro vite abituali, Rhaegar avrebbe dovuto mostrare attenzione a quel dettaglio che emergeva platealmente dal volto, dai modi e dall’atteggiamento della ragazza nel momento in cui ella si trovava dinnanzi a lui.
- A cosa state pensando? – gli domandò Doen vedendolo immerso nelle sue considerazioni.
- A nulla.
- Sentite ancora quella melodia?
- No, ora non più.
- Ad ogni modo, non fraintendetemi, ma anche se quella ragazza stesse davvero guardando me, non mi interesserebbe approfittarne.
- Come mai?
- Perché non sono interessato – disse Doen alzando lo sguardo, combattendo la timidezza che le suscitava quell’argomento. – E poi, non sono tipo che deturperebbe con tale leggerezza la virtù di una donna.
A quelle parole, Rhaegar si lasciò andare ad una risata, per poi risponderle. – Doen, nel farvi notare gli sguardi di quella ragazza, non intendevo spingervi a deturpare la sua virtù, ovviamente. Neanche io sono quel tipo di uomo – chiarì. – Era solamente un modo per aiutarvi a combattere la riservatezza, per conoscerla, nel caso foste stato interessato.
- Non so come comportarmi con le ragazze – parò il colpo Doen, mettendo su quel solito e buffo accenno di broncio.
La paradossalità di quella situazione fece sorridere ancora il giovane principe.
- Volete un aiuto? – gli venne spontaneo domandarglielo.
- Un aiuto in cosa?
- Era un modo per chiedermi qualche consiglio?
- No, assolutamente no – si affrettò a dire Doen con impeto, per poi riprendere contegno un attimo dopo. – Cioè, intendevo dire che, posso imparare anche da solo, facendo esperienza da solo.
- D’accordo, d’accordo, non agitatevi – le rispose il principe rassicurandola.
- Voi state cercando qualcuno, invece? – domandò poco dopo Doen.
- Con “cercando qualcuno” intendete chiedermi se vorrei fare la corte ad una donna di questa locanda?
- Non proprio in questi termini, ma sì.
A ciò, Rhaegar si voltò a guardarla. – No. Sono già impegnato.
Nell’osservare il viso della ragazza, notò che tale risposta la destabilizzò un po’, ma non quanto temesse.
- Vorrei ritrovare anche io la veggente di ieri, ora che ci penso – riprese a parlare Doen dopo qualche attimo di silenzio. – Piacerebbe anche a me farmi leggere la mano. Non l’ho mai fatto, sarei curioso di sapere qualcosa sul mio futuro.
- Forse è un bene che questa sera non l’abbiamo incontrata – commentò inaspettatamente il principe.
- Ma come? Non eravate tornato qui appositamente per rivederla?
Rhaegar abbassò lo sguardo sulle dita delle proprie mani strette tra loro, ricordando le parole di quella donna. – Sì, è vero. Ma forse non è ancora tempo. Questa sera non voglio pensarci. Non voglio pensare a nulla.
 
 
 
 

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Capitolo 10
*** Amore e Psiche ***


Amore e Psiche
 
È mai esistito giorno senza amore nella storia dell’umanità?
 
Cominciò a chiedersi che aspetto avesse.
Aveva i capelli scuri? Li aveva chiari?
Di che colore erano i suoi occhi?
Com’era il suo sorriso? Era uno di quelli in grado di illuminare un’intera stanza, oppure era uno di quei sorrisi perennemente tristi, macchiati di una malinconia che li rendeva ancora più preziosi e apprezzabili, un po’ come quello di Ned?
Cominciò ad interrogarsi persino su dettagli e piccolezze alle quali non prestava quasi mai attenzione sugli altri. Si domandava che forma avesse il suo naso, se avesse la fronte alta o bassa, se avesse il viso più allungato o più tondo.
Cominciò a darsi della stupida per porsi tali quesiti assurdi, tanto superficiali.
D’altronde, a lei che cosa importava che aspetto avesse il forestiero con il quale le piaceva trascorrere del tempo spropositatamente, come non le era mai accaduto con nessun altro?
Infondo, parlavano solamente, come due conoscenti che non si sarebbero più rivisti dopo quella nottata.
Cosa c’era di speciale in ciò che sentiva di condividere con quello sconosciuto?
Si erano visti solo due volte.
Perché quei due incontri casuali (forse il secondo non tanto) avrebbero dovuto condizionarla tanto, spingendola a pensarvi costantemente durante la giornata?
- Lady Lyanna, avete visto?? – la voce roca e potente di Robert a qualche metro di distanza catturò l’attenzione della giovane lupa.
Alzò gli occhi chiari su di lui e gli accennò un sorriso di circostanza. – Siete stato molto bravo, Robert! – gli disse a gran voce per farsi udire dalle gradinate.
Quella mattina si era alzata presto poiché Robert si era presentato davanti alla sua tenda per chiederle di accompagnarlo ad allenarsi per il torneo.
La sola prospettiva di poter almeno osservare diversi cavalieri esercitarsi nelle varie discipline che si sarebbero susseguite al torneo l’aveva spinta ad accettare.
E poi, ci sarebbero stati anche Ned e Brandon a fare un po’ di pratica.
Ovviamente, la maggior parte delle giovani lady come lei erano accorse non appena avevano saputo di quell’allenamento mattutino, anche se non per i suoi stessi motivi.
Ora applaudivano tutte concitate dal soppalco all’ottimo tiro dell’aitante Baratheon, il quale, a quanto pareva, eccelleva anche con arco e frecce.
Nonostante ciò, Robert sembrava avere occhi solo per lei, e questo la faceva sentire un po’ in colpa.
Quanto avrebbe voluto essere al posto del suo promesso sposo e avere l’opportunità di allenarsi nelle varie discipline a sua volta.
Avrebbe dato qualsiasi cosa per poter partecipare a quel torneo in qualità di cavaliere e degno sfidante.
A proposito di ciò, la sua mente irrequieta stava partorendo una malsana idea.
Per il momento non vi diede molto peso, e si concentrò a guardare il prossimo cavaliere che seguiva nell’allenamento alla disciplina di tiro con l’arco.
Toccava a Brandon.
Suo fratello afferrò l’arco con mano ferma ed esperta, mentre tutte le lady sedute sui soppalchi accanto a lei sembravano trattenere il fiato ad ogni movimento che l’avvenente Stark compiva.
Lyanna fece roteare gli occhi dinnanzi a quei gesti di adulazione neanche troppo celati, posando spontaneamente lo sguardo su Catelyn, seduta accanto a lei.
La bella Tully dai folti capelli ramati guardava il suo promesso sposo con sguardo attento ed emozionato insieme.
A differenza delle altre, nascondeva con cura l’evidente affezione e infatuazione che provava per Brandon.
D’altronde, egli sarebbe stato suo e di nessun’altra a breve, non appena si sarebbero sposati. Inoltre, lo stesso primogenito Stark ricambiava le sue timide attenzioni, rivolgendole uno sguardo sorridente di tanto in tanto.
Erano proprio belli insieme, quei due.
“- Siete qui ad Harrenhal per partecipare al torneo?
- Sì. Anche voi?
- Sì. Parteciperò anche io.
- Dunque ci rivedremo lì.
- Sì, ci rivedremo lì. Dunque anche voi siete un combattente. Non vedo l’ora di vedere cosa sapete fare sul campo.
- Vale lo stesso per me”
Il ricordo di quelle parole la riportò alla sera prima, distogliendola dal tiro di suo fratello.
E se Calen fosse stato tra i cavalieri presenti quella mattina per l’allenamento?
Quel pensiero le sorse spontaneo, naturale, così come la speranza che la risposta fosse affermativa la invase senza lasciarle il tempo di realizzare.
Le iridi di ghiaccio scattarono immediatamente sulla fila di giovani cavalieri che attendevano il loro turno, ammucchiati a conversare e a commentare l’ottimo tiro di Brandon.
Forse era davvero tra loro, ma lei non avrebbe mai potuto saperlo.
Quell’idea fu capace di animarla, di farle ribollire il sangue nelle vene, senza alcun motivo logico.
Cercò di calmarsi e di non dare molto nell’occhio, tornando a concentrarsi su Brandon che passava l’arco al prossimo.
La mattinata continuò a scorrere placidamente, tra le varie prestazioni e gli applausi delle lady sui soppalchi che galvanizzavano tutti gli sfidanti, ingigantendo il loro ego.
Quando fu il turno di Ned, tuttavia, accadde qualcosa di strano.
Lyanna si accorse troppo tardi che fosse giunta da un po’ una nuova lady ad assistere agli allentamenti, la quale appariva diversa da tutte loro.
Ella non solo sembrava differente per il bellissimo abito che indossava, il cui tessuto era evidentemente di fattura molto più ricercata e rara dei soliti che aveva visto e indossato la giovane lupa, oltre al fatto che quel vestito le scivolasse addosso perfettamente, evidenziando il corpo alto, slanciato e curvilineo da dea ultraterrena.
No, ciò non bastava. Ella sembrava più adulta, più matura, più consapevole di tutte loro messe insieme.
E per finire, era bella da far paura.
I suoi capelli lunghi lisci e neri, i quali apparivano lucidi e morbidi sotto il sole, già da lontano, erano abilmente acconciati in modo da incorniciarle il volto perfettamente ovale e i lineamenti spigolosi ed incantevoli, oltre a contrastare con la pelle chiara e i seducenti occhi di un colore impossibile che Lyanna non riuscì a mettere bene a fuoco da quella distanza.
Ella se ne stava con le braccia conserte, ad osservare i cavalieri susseguirsi nelle prove di tiro con l’arco, distante sia dai soppalchi, che dal campo.
Evidentemente, Ned la doveva aver notata molto prima di lei, poiché il suo tiro ne fu enormemente influenzato.
Certo, suo fratello non eccelleva particolarmente nel tiro con l’arco, almeno non quanto lei stessa e quanto Brandon, ma non era neanche completamente negato in quella disciplina.
Per tale motivo, inizialmente, la giovane lupa non riuscì a comprendere come mai Ned avesse dato sfoggio di una prestazione tanto disastrosa e oscena.
La freccia non solo non si era nemmeno avvicinata al centro del bersaglio, ma era addirittura andata oltre, non sfiorando nemmeno i bordi della piattaforma tonda, andando a schiantarsi sul terreno duro del campo a diversi metri di distanza dal bersaglio.
- Ned! Per gli dèi del cielo! Che cos’era quello?? – gli disse a gran voce Brandon, sconvolto da quel pietoso tiro di suo fratello, avvicinandoglisi.
Apparentemente, Brandon non si era accorto della splendida dea che li osservava a distanza, oppure, se l’aveva vista, non aveva fatto molto caso a quanto ella avesse deconcentrato Ned solo con la sua presenza.
- Quella è lady Ashara Dayne, sorella della Spada dell’Alba Arthur Dayne, una delle dame più vicine a Sua Altezza la principessa Elia – la informò Catelyn avvicinandosi al suo orecchio. – Suo fratello Arthur è una delle guardie personali del principe Rhaegar Targaryen, e si dice che non lasci mai il suo fianco, quasi come fossero una cosa sola - aggiunse la giovane Tully.
A ciò, Lyanna si voltò a guardarla. – Si suppone che io debba sapere tutte queste informazioni? – le domandò leggermente a disagio per la sua quasi totale ignoranza in tali questioni.
Catelyn le sorrise quasi intenerita. – Ad ogni modo, sembra che vostro fratello Ned sia rimasto totalmente abbagliato da lady Ashara. Nessuno lo biasimerebbe, credo – le disse posando i suoi occhi azzurri sulla figura di Ned che veniva riscosso da Brandon.
- Accidenti, tutte le dame della principessa sono così belle? – chiese la giovane lupa lievemente divertita dalla situazione. – Perché, se così fosse, i “nostri valorosi cavalieri” si distrarranno parecchio durante il torneo.
Catelyn rise a sua volta. – Quello che so, è che anche la principessa Elia è descritta come una donna molto bella.
Tuttavia, ahimè, ciò passa in secondo piano.
- Perché?
A ciò, Catelyn la guardò con ovvietà prima di risponderle. – Beh, perché la straordinaria bellezza del Principe Drago è parecchio decantata.
Sembra che lui la adombri.
Le lingue più biforcute dicono che qualsiasi lady persino più bella di Elia gli fosse capitata come sposa, sarebbe stata adombrata da lui.
- Coloro che parlano in tal modo non hanno proprio nulla da fare durante il giorno – commentò la giovane lupa. – Come si può mortificare una donna solo per una sciocchezza come questa?
- Nell’ambiente di corte la bellezza è un elemento molto importante per una donna – le rispose Catelyn.
A ciò, il loro sguardo tornò su Ned, il quale si scambiava occhiate persistenti con lady Ashara.
Quella ragazza sembrava provare gusto nell’ascendente che aveva su Ned, pensò la giovane lupa, non capendo se ciò fosse da considerarsi una cosa buona o no.
D’altronde, Ned non aveva mai molto fortuna con le donne a causa del suo carattere introverso e apparentemente freddo e distaccato.
Per una volta che aveva attirato l’attenzione di una bellissima dama, Lyanna avrebbe dovuto essere felice per lui.
 
- Ripetimi tutto ciò che hai appena detto – disse Arthur parando abilmente il colpo con la spada sferrato dal Principe drago.
L’allenamento di quella mattina in quello spazietto deserto e lontano da qualsivoglia anima viva, predisposto per loro da lord Whent, lo stava divertendo parecchio.
- Arthur, smettila. Ti prego di controllarti, almeno quando ci stiamo allenando – gli chiese fintamente gentile Rhaegar, parando a sua volta un colpo del dorniano, il quale lo guardava con quell’irritante sorrisetto stampato nel volto tronfio.
- Fammi capire bene. Se io non avessi scoperto, tramite Elia, che sono già due notti che ti assenti dal tuo letto nuziale per trascorrere del tempo in una locanda popolana dimenticata dagli dèi, colma di uomini che potrebbero mettere in pericolo la tua vita in uno schiocco di dita se solo scoprissero la tua identità, per fare praticamente il nulla, se non parlare con un ragazzino, o ragazzina? Devo ancora chiarire questo dettaglio. Ad ogni modo, se io non avessi saputo da Elia che la notte ti assenti per qualche ora, tu non mi avresti mai detto cosa accidenti combini durante le tue notti brave??
- Arthur, non merita neanche menzione quello che sto facendo durante le mie “notti brave”.  È un gesto di disperazione che mi aiuta semplicemente a svuotare la mente dalle allucinazioni – gli rispose esasperato il giovane principe, atterrandolo e attendendo che si rimettesse in piedi per continuare a combattere.
- Il fatto che tuo padre abbia il sonno pesante e che non abbia voglia di restare sveglio la notte per guardarti e controllarti mentre dormi è pura casuale fortuna, lo sai, vero?
- Sì, lo so.
- E dimmi, eccetto metterti in pericolo con naturalezza, quasi come se non fossi la persona più importante in tutti i sette regni, cos’è che fai in quella locanda per farti svuotare la mente? Chiacchieri con un popolano di quanto sia dura la vita da popolani e consulti indovine da due soldi?
Rhaegar lo atterrò di nuovo, stagliandosi su di lui con uno sguardo raggelante. - Quando cominci a blaterare a vanvera come un infante troppo cresciuto, peggiori le tue prestazioni in combattimento – gli disse graffiante, porgendogli una mano per aiutarlo a rialzarsi.
A ciò, il dorniano sfruttò quel gesto a suo vantaggio, afferrando la mano del principe e usandola come leva per scattare in piedi e sorprenderlo sulla velocità, puntandogli immediatamente la lama sul collo.
- Dicevamo? Ah sì, giusto, stavo per dirti che, solitamente, la gente normale, sia che si tratti di nobili che di contadini, chiunque abbia voglia di “svuotare la mente”, generalmente si dedica e diletta in ben altre attività, molto differenti da quelle che pratichi tu.
- Con chiunque intendi tu? – gli rispose il principe, allontanandolo da sé con un colpo di lama sferrato con perfetta precisione.
- C h i u n q u e – ripeté Arthur scandendo bene ogni sillaba. – Ma tu no. Tu sei il ritratto della fedeltà, dell’onore e della purezza.
- Sai che non mi passerebbe neanche per la testa di tradire Elia.
- Lo so. E poi, che motivo avresti di tradirla, dato che la tua bella moglie non aspetta altro di ricevere le dovute attenzioni da te?
- Io non sono come te, non ho desideri carnali a comando.
- Oh, lo so bene, mio principe, poiché, più che “a comando”, oserei dire che i tuoi desideri carnali si presentano con la stessa frequenza con la quale tuo padre mostra umanità e compassione ai suoi sudditi – rispose Arthur ridendo di gusto, mentre continuava a parare i colpi del Principe drago.
- Sto morendo dal ridere. Così come morirò dal ridere tra qualche ora, quando chiederò a mio padre di riprenderti con lui ad Approdo.
- Eccolo qua! Lo aspettavo! Lo aspettavo dietro l’angolo con impazienza il tuo veleno! - rispose il dorniano sferrando una serie di colpi che fecero indietreggiare il suo avversario, fin quando non riuscì ad atterrarlo e ad avvicinarsi tanto al suo volto, da potersi permettere di sussurrare e di essere udito comunque. – E dimmi, mio principe, come riesce questo anonimo popolano a farti svuotare la mente dalle allucinazioni che stanno invadendo la tua mente? Non dirmi che crea anche lui quei magici intrugli che ti preparava tanto amorevolmente il tuo Maestro a Roccia del Drago.
Rhaegar gli accennò un sorriso sprezzante, cercando di scrollarselo di dosso. – Ti ho già detto che è una ragazzina – gli rispose sgusciando via dalla sua morsa.
- Ne hai la certezza, dunque?
- Quasi.
- Quasi? Beh è evidente che il soggetto in questione, maschio o femmina che sia, sia parecchio preso da te – commentò con ovvietà il dorniano. – O, forse, sarebbe più corretto dire “attratto”.
- Te l’ho detto almeno dieci volte: tutto ciò che facciamo è parlare, parlare e ridere di argomenti leggeri e superficiali, senza alcuna malizia.
- E non faccio fatica a crederti, mio principe, ma sei del tutto certo che quella popolana la veda allo stesso modo?
- Da quando ho scoperto che è una ragazza, hanno cominciato a sorgermi alcuni dubbi. Tuttavia, credo sia solo ingenuamente attratta dal mio modo di parlare e di atteggiarmi.
- “Da quando ho scoperto che è una ragazza” – imitò la sua voce Arthur, sorridendo furbo. – Parli sul serio?? Sei davvero giunto a questa conclusione solo perché credi si tratti di una donna? Anche se si fosse trattato di un “lui”, non avrei avuto alcun dubbio al riguardo. E neanche tu dovresti averne.
Insomma, ti sembra ancora così strano?? Guarda Jon Connington! Il solo pensare a lui dovrebbe farti comprendere fin troppo bene l’ascendente che hai anche su chi indossa i pantaloni e li riempie parecchio in un punto in particolare.
- Dovrei farti rinchiudere nella stalla di lord Whent con asini e maiali – gli rispose il principe disarmandolo definitivamente.
- D’accordo, d’accordo, potevo certamente usare un gergo migliore per esprimere il concetto, ammetto di essermi lasciato prendere – si giustificò Arthur alzando le braccia in segno di resa. – Tuttavia, sai bene quanto io abbia ragione, perché persino i tuoi occhi tappati da teschi di drago e da streghe che ti maledicono non possono non essersi accorti di determinate leggi che governano il mondo e la corte.
Corte nella quale ti trovi piazzato esattamente al centro.
Se ne sono accorti tutti.
- Potresti aver ragione. O potrebbe essere che Jon Connington mi sia semplicemente eccessivamente devoto e null’altro – rispose sommariamente il principe.
- Sforzati di crederci per un altro secondo e ti scoppieranno le vene.
- Ad ogni modo, come siamo finiti a parlare di Jon Connington ora?
- Beh, in un modo o nell’altro finiamo sempre per parlare di Jon Connington – ragionò Arthur. – È l’argomento più spassoso di cui parlare al momento. Oltre al fatto che questo suo atteggiamento nei tuoi confronti è già oggetto dei pettegolezzi di svariati lord e lady, dunque, perché non dovremmo lasciarci coinvolgere anche noi?
- Sei irrecuperabile.
- Grazie, mio principe. Mi accontenterò di questo accorato complimento per oggi.
Ad ogni modo, ti sei superato: hai ammaliato la tua compagna di chiacchiere solo con la tua voce e i tuoi modi. Mi complimento con te.
- Di cosa c’è da complimentarsi? Se dovesse cominciare ad apprezzare troppo la mia compagnia, ciò non gioverebbe né a me, né a lei.
- Allora cambia locanda. Forse altrove troveresti un altro compagno di chiacchiere capace di distoglierti dai tuoi pensieri – suggerì semplicemente Arthur.
- Non so quanto sarebbe positivo. Almeno lei posso tenerla a bada. Se incontrassi qualcuno che fa troppe domande, non saprei come gestirlo.
E poi, in quella locanda c’è una persona che devo rivedere.
- Fammi indovinare: la vecchia veggente.
- Ella ha detto che troverò le risposte che cerco se continuerò a recarmi in quella locanda.
- Da quanti anni la strega di turno ti predice eventi che, puntualmente, non avvengono? Vuoi davvero cadere di nuovo in questo tranello?
- Stavolta è diverso, Arthur. Stavolta le allucinazioni mi stanno stordendo in maniera anormale. Delle volte perdo addirittura contatto con la realtà e, capisci anche tu che, soprattutto in un momento come questo, non posso assolutamente permettermi di non essere lucido al cento per certo.
Devo trovare delle risposte.
- E cosa ti dice che non sia proprio la ricerca ossessiva di tali risposte a far scaturire le allucinazioni?
- So bene che non sei d’accordo con le mie scelte. Non è una novità.
Arthur sbuffò accennandogli un sorriso esasperato. – Sai bene che ti appoggerei in ogni caso, qualsiasi cosa facessi, Rhaegar.
Ad ogni modo, che cosa accadrebbe se tu e la popolana superaste quel confine?
- Quale confine?
- Il confine in cui lei pretenderebbe di vederti in volto – rispose serio Arthur, sorprendendolo.
- Non sarebbe in ogni caso nella posizione di avanzare pretese. Ho messo subito in chiaro che sono impegnato e che i nostri sono solo brevi incontri temporanei, di convenienza.
- Dunque riusciresti a “gestirla”? – gli domandò riprendendo le sue parole.
- Sì.
- Non credi sia ingiusto? Che lei si palesi, mostrando il suo volto, mentre tu le nascondi ogni cosa di te, persino l’aspetto?
- Sì, lo è, ma non mi importa – rispose secco.
A ciò, Arthur gli rivolse un sorriso lievemente amareggiato.
- Beh, se le cose stanno così, non posso far altro che affiancarti anche in questo.
Tuttavia, attento, principe: se la dolce e ingenua popolana fosse anche solo un filo più sveglia e furba di te, potrebbe spingersi oltre quel confine da cui non sarà più possibile tornare indietro, cogliendoti impreparato.
Se ella dovesse scoprire il tuo volto, saresti costretto a trovare un modo per farla rimanere in silenzio.
E se non dovesse acconsentire, rimarrebbe solo una cosa da fare … - disse la Spada dell’Alba lasciando la frase in sospeso, afferrando la sua spada rimasta a terra e delineandone la lama con le dita.
- Non lo scoprirà.
 
 
- Oggi mi basta un boccale di vino – annunciò la vecchia indovina sedendosi accanto a Calen con un sorriso senza denti.
Lyanna la osservò ridendo con naturalezza. – Buonasera anche a voi – le disse poi.
- Siete sicura che non volete nemmeno una o due monete? – le domandò Calen cordialmente.
- No, mio caro, va bene così. Per me è un piacere stare in vostra compagnia – rispose la donna guardando prima Calen, poi la giovane lupa. – Avete aspettato entrambi il mio ritorno? – chiese poi.
- Sì – ammise Lyanna. – Anche io mi sono convinto a “farmi leggere il futuro” - rispose ancora un po’ scettica.
- Ne sono felice.
Tuttavia, questa sera non vi dirò qualcosa che vi riguarda singolarmente, bensì delle parole che concernono entrambi. Voi due insieme – disse lasciandoli di stucco. – E ricordate: le parole di un’indovina vanno interpretate, come i segni che il destino tracciato dagli dèi ci lascia lungo il sentiero.
Quelle parole apparivano alle orecchie della giovane lupa come un mucchio di suoni vuoti e senza valore.
Non aveva mai creduto nel destino, né che gli dèi scegliessero la strada da far percorrere loro prima che nascessero.
Si rifiutava di credere ad una cosa simile, per questo non le piacevano le veggenti.
Tuttavia, quell’apparente “destino comune” che sembrava condividere con Calen la incuriosiva parecchio.
Posò lo sguardo su di lui e si rese conto, dalla forma della bocca, che fosse sorpreso quanto lei. Oramai aveva imparato a riconoscere i suoi stati d’animo solo dalle sue labbra.
Il fatto che avesse praticamente passato l’intera giornata a immaginarsi il suo aspetto, non aiutava in quel momento.
Lyanna non avrebbe mai creduto di poter arrivare ad essere tanto fantasiosa.
Insomma, aveva all’incirca pensato a quindici possibili combinazioni di volto che avrebbe potuto possedere Calen.
Certo, da piccola aveva sputato a caso quasi venticinque nomi diversi pur di indovinare a tutti i costi il nome che Ned aveva scelto per il suo cavallo.
Ma quello era un caso ben diverso.
Come poteva essere tanto ossessionata dal volerlo vedere in volto?
Era solo per il fatto che la infastidiva parlare con qualcuno che non voleva mostrarsi?
No, sapeva che non si trattava solo di quello.
Fantasticare su che aspetto avesse era diventato quasi sfiancante.
Aveva bisogno di sapere. Aveva bisogno di sapere come fosse fatto il giovane che l’aveva attirata a tal punto.
Aveva bisogno di attribuire un volto a quelle emozioni che vorticavano implacabili nel suo petto ogni volta che ricordava un suo incontro con lui.
Doveva sapere per placare la fervida immaginazione, per non commettere quello che le sembrava quasi un peccato nell’immaginarlo con troppi volti diversi, tutti non suoi.
- Siete pronti? – domandò la vecchia veggente poggiando i dorsi delle mani sul tavolo, in attesa.
A ciò, Calen posò la sua sopra uno di quei palmi rugosi e consunti, seguito poco dopo dalla giovane lupa, la quale prese coraggio e aspettò che la donna parlasse.
Questa chiuse gli occhi, concentrandosi, come se si stesse isolando da tutte le voci che si sovrapponevano all’interno della locanda.
- Quando i venti soffiavano ancora gelidi su una terra desolata, l’amore era già nelle menti creatrici?
Il tempo non accetta promesse, si muove svelto, impaziente, verso la dissoluzione.
L’amore non può nulla contro il tempo.
L’amore non può nulla.
Non desta gli animi dal torpore mortifero.
Non consuma ogni istinto vitale.
Non muove i mari.
L’amore è una maschera di cera che culla gli uomini, sussurra e promette meraviglie.
Il vero possessore di ogni umano spirito, è l’ardore in ogni sua forma e dilatazione.
La brama di volere, la brama di ambire, la brama di potere, la brama di vivere, la brama di amare.
Ogni cambiamento di stato da quiete a moto e viceversa, ogni disastro, ogni massacro, ogni mostro, è frutto di quel desiderio.
Detto ciò, la vecchia veggente riaprì gli occhi.
- Che cosa vorrebbe dire? – domandò scettica Lyanna.
- Ve l’ho detto: le parole di una veggente vanno sempre interpretate – rispose ella. – Se volete ricevere delle risposte dovrete pazientare.
- Questo vuol dire che ci direte altro la prossima volta? – chiese leggermente seccata la giovane lupa.
- Doen – la riprese Calen con calma.
- Voi credete davvero a queste cose?? – gli chiese sorpresa Lyanna.
- Spesso le parole che sentiamo acquistano significato solo dopo, spesso molto dopo averle udite – le rispose lui.
La vecchia indovina prese ad osservarla con uno sguardo indefinibile, come se potesse leggerle dentro.
- Che c’è? – le chiese la giovane lupa dopo un po’, percependo dei brividi freddi lungo la schiena.
A ciò, la donna affilò lo sguardo. – C’è qualcosa che vuoi sapere – disse solamente, facendola totalmente sbiancare.
- No, vi sbagliate – si affrettò a rispondere.
- Ma ciò che vuoi conoscere è oltre la tua portata – insistette l’indovina. – Devi comprendere che c’è un tempo per tutto.
La curiosità troppo ossessiva non ha mai fatto una bella fine.
Lyanna impietrì nuovamente.
- Lasciate che vi racconti una storia – aggiunse dopo qualche secondo la veggente.
- Quale storia? – le domandò Calen.
- Si tratta di una leggenda antica, tramandata da popoli lontani da noi, a molti sconosciuta, la storia di Amore e Psiche.
- La conosco – disse Calen, sorprendendo l’indovina.
- Vedo che siete molto acculturato. Ne sono felice. Ma lasciate che anche il vostro amico conosca questa storia – rispose la donna spostando lo sguardo sugli occhi incuriositi di Lyanna.
- Sì, vorrei sentirla – confermò.
- Bene. La storia racconta di una fanciulla incantevole di nome Psiche, invidiata da tutte per la sua bellezza.
Talmente odiata, da far adirare persino una dea.
La dea invidiosa, un giorno, decise che la mortale sarebbe andata in sposa ad un mostro, per punirla per averla superata in bellezza.
Il giorno del matrimonio giunse, e Psiche sposò il suo promesso, bendata, poiché venne deciso che non avrebbe dovuto conoscere l’aspetto del suo consorte.
Tutto ciò che le venne detto, fu che egli fosse la creatura più ripugnante che la terra avesse mai generato.
Con tale consapevolezza, Psiche giunse a nozze come se avanzasse verso il patibolo, dopo aver firmato la sua condanna a morte.
I giorni passarono e la fanciulla consumò il rapporto con colui che riteneva una bestia orribile e deforme, totalmente al buio, notte dopo notte.
Con il tempo, Psiche iniziò a desiderare ossessivamente di conoscere l’aspetto di suo marito.
L’idea tartassava la sua mente con una potenza tanto soffocante, da costringerla, un giorno, ad infrangere il giuramento di non scoprire mai il volto del suo sposo.
Una notte, mentre quest’ultimo dormiva sul letto accanto a lei, Psiche accese delle candele e le avvicinò al corpo addormentato del suo consorte, consumata dalla curiosità.
Ciò che trovò dinnanzi ai suoi occhi, la sconvolse tanto da farla tremare e fremere come una foglia imprigionata tra i venti di un uragano: l’uomo che aveva sposato non era un mostro rivoltante come le avevano raccontato, bensì, la creatura più bella su cui ella avesse mai avuto il privilegio di posare gli occhi.
Colui che l’aveva presa in moglie era Amore, il dio degli amanti.
Abbagliata dinnanzi a tanta eterea bellezza e in preda allo stupore e alla frustrazione per esser stata privata del dono di guardare il suo amato per tutto quel tempo, Psiche agì d’impulso, avvicinandosi troppo al corpo dormiente e incosciente di Amore, posando le mani su di lui, svegliandolo.
Non appena il dio aprì gli occhi e si accorse che la sua sposa avesse infranto il giuramento, si adirò enormemente con lei, volando via, abbandonandola.
Lyanna rimase a bocca socchiusa, in trepidante attesa che la vecchia indovina terminasse la storia. – E poi?? Poi cosa accadde?? – la spronò.
- Psiche comprese di aver commesso un errore.
Capì che avrebbe dovuto attendere, e che, se l’avesse fatto e non si fosse fatta prendere dalla sua cieca impazienza, probabilmente, avrebbe ottenuto la sua vittoria e forse Amore si sarebbe rivelato a lei spontaneamente.
Trascorsi infiniti giorni senza di lui, distrutta dalla sua lontananza, si rese conto di essersi innamorata di Amore quando ancora non conosceva il suo aspetto e credeva di aver sposato un essere spaventoso.
Si accorse che avrebbe preferito senza alcun dubbio continuare a rimanere nell’ignoto, a non sapere quale fosse il suo volto e il suo corpo, pur di averlo ancora accanto a sé.
All’improvviso, non le importava più che aspetto avesse l’uomo che amava.
Lyanna continuò a guardare la donna, fissandola come in trance.
- Alla fine? – le domandò dopo un po’. – Psiche e Amore non si ritrovano più?
A ciò, la vecchia le sorrise. – Oh no, questa storia non è così tragica – la rassicurò. – Alla fine, dopo aver superato delle prove impossibili e disumane per ritrovare Amore, Psiche viene raggiunta da lui e salvata. Il loro amore trionfa.
La giovane lupa comprese finalmente cosa stava cercando di dirle quella donna.
Forse ella non aveva fatto altro che leggere le pieghe del suo viso, forse quella storia se l’era inventata sul momento.
Tuttavia, comprese.
Posò gli occhi su Calen e rifletté.
Non le serviva conoscere che aspetto egli avesse per capire che, quello che stava iniziando a sentire nel petto, non aveva nulla di normale.
Quello che sentiva era ciò che aveva cercato di rifiutare e rigettare per tutta la vita, e ora la stava travolgendo come l’alta marea, disarmandola.
Non si poteva amare qualcuno senza conoscerlo, era una legge ben impressa nella sua mente, per sentito dire e per buon senso.
Tuttavia, Lyanna raggiunse la consapevolezza che avrebbe potuto continuare in eterno ad incontrarsi con quel forestiero in quella caotica locanda, e le sarebbe bastato.
Non avrebbe chiesto altro, non avrebbe chiesto di più, perché le bastava.
Se non era attrazione fisica, era qualcos’altro.
E se era qualcos’altro, allora, forse, si sarebbe dovuta preoccupare per quel cuore che le batteva all’impazzata, per i capelli che le sudavano e le dita delle mani che non riuscivano a restare ferme e a trovare tregua.
Avrebbe dovuto dare un nome a quella sensazione, ma aveva troppa paura per farlo.
Tutto ciò che le importava ora, era godersi ogni minuto che le rimaneva in sua compagnia, per sentirlo parlare, per parlargli, farlo sorridere, farlo stare bene, bene come si sentiva lei al solo saperlo vicino.
 
 

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Capitolo 11
*** Incontri imprevisti ***


Incontri imprevisti
 
 
Il giovane principe si mosse tra le coperte setose dello spazioso talamo, non trovando tregua.
Non era riuscito quasi a chiudere occhio durante la notte, come oramai accadeva da una settimana.
Delle profonde occhiaie sottostavano ai suoi occhi ancora chiusi, ma mai scure e scavate come quelle di suo padre.
Gli incubi di sterminio e distruzione accompagnati ad un’infinità di parole indistinte, alcune in lingue che neanche conosceva, altre in valyriano con timbri e vocalità diverse, gli rimbombavano nelle orecchie, vivide, alienanti e insinuanti, come ogni notte.
Non sapeva cos’altro fare per tenerli lontani.
Il tepore di quella mattinata, i residui degli ultimi incubi intenti a lasciare finalmente la sua mente stanca, il sole che lo irradiava discreto dalla finestra della camera del castello. Tutto ciò lo stava gradualmente rassicurando.
Percepì sua moglie muoversi nel letto a sua volta, non riuscendo a trovare una posizione comoda a causa del pancione.
Era voltato dall’altra parte, verso l’esterno del letto, rannicchiato e con il viso quasi totalmente immerso nel cuscino color limone, quando sentì le mani della giovane dorniana tastare delicatamente le coperte per cercarlo, per poi riuscire a trovarlo ed infilarsi morbidamente intorno al suo addome.
Anche ella era in dormiveglia, emetteva dei sottili versi deliziati, quasi miagolii, che uscivano dalle sue labbra schiuse solo in quei privatissimi momenti di intimità, appena svegli, o in procinto di addormentarsi.
La sentì accostarglisi alla schiena ancor di più, e, d’istinto, poggiò i palmi caldi sul dorso delle mani di lei, abbandonate sul suo ventre.
Quelle mani gentili e curiose vagarono sulla superficie piatta della sua pelle coperta dal leggerissimo tessuto della tunica da notte, provocandogli un lieve solletico.
- Hai perso peso … - biascicò Elia, affondando il viso nella schiena del suo principe.
Rhaegar era cosciente che a quelle mani attente non sarebbe mai sfuggito nulla, mentre le percepiva ancora vagare pigramente su di lui, addentrarsi dovunque avessero voglia di arrivare.
D’altronde, neanche agli occhi ai quali quelle mani appartenevano non sfuggiva mai nulla.
Difatti, non era la prima volta che la sua consorte gli faceva notare quel dettaglio, nel corso dell’ultima settimana.
- Lo so – le rispose con la voce impastata dal sonno a sua volta, come le rispondeva tutte le volte in cui Elia gli faceva quella sottile osservazione.
Si voltò lentamente verso di lei aprendo di poco le palpebre, riuscendo ad avere una sfocata visuale della splendida donna che occupava l’altra metà del letto.
- Buongiorno, mio principe – gli sussurrò ella, sorridendogli e cercando di aprire gli occhi scuri il più possibile per guardarlo, nonostante il sonno le remasse contro.
I raggi del sole che li illuminavano con impeto offrivano ad entrambi una perfetta visuale dell’altro.
- Buongiorno a te – le rispose in un bisbiglio, circondandole la spalla con un braccio, mentre ella gli avvolgeva nuovamente il busto, facendo vagare le mani sulla schiena, questa volta.
- Un’altra nottata piena di incubi, mio amore? – gli domandò la principessa, riuscendo a mettere a fuoco il volto stanco del giovane drago, con le occhiaie che si facevano spazio appena sopra i suoi zigomi alti e più delineati del solito.
Rhaegar alzò maggiormente le palpebre, puntando gli occhi chiari su quelli di Elia, che lo fissavano preoccupati.
Poggiò una mano sulla guancia morbida di lei, accarezzandola, insieme ai lunghi e folti capelli che la coprivano disordinatamente. – Non allarmarti. Riesco a gestirli.
- Il torneo comincerà tra tre giorni, e il banchetto per la cerimonia di apertura tra due, Rhaegar.
Hai davvero troppe questioni per la mente, è naturale che io sia preoccupata.
Gli incubi non ti lasciano mai riposare, litighi ogni giorno con tuo padre e, come se non bastasse, devi occuparti anche della cospirazione.
Ti stai consumando, caro. Sei talmente assorto e chiuso in te stesso che tocchi cibo a malapena e ti distrai costantemente dinnanzi a chiunque ti stia parlando, isolandoti.
Anche Rhaenys se ne è accorta.
A quell’ultima affermazione, gli occhi del principe quasi si spalancarono. – Se ne è accorta? Perché, ti ha detto qualcosa a riguardo …?
- Siamo tutti preoccupati per te, mio principe. Io, Rhaenys, Arthur, Ashara, Richard, Jon, Varys … persino Oberyn mi sta cominciando a chiedere come stai.
Rhaegar sentì il bisogno di ridere fino al giorno seguente in seguito a quelle parole, ma era troppo stanco per farlo, perciò si limitò a sorridere. Elia ricambiò il sorriso a sua volta.
- Non voglio che la nostra bambina creda che io sia distante o che non trascorra del tempo con lei perché ho altro per la testa – le disse dopo qualche minuto.
Si strinsero tra loro, lasciandosi cullare ancora dal tepore del corpo dell’altro e dai raggi del sole.
Elia infilò il naso nell’incavo del collo del giovane drago, e quest’ultimo poggiò il mento tra i capelli morbidi e spettinati di lei.
In quella posizione, con il pancione di sua moglie fortemente premuto sul suo busto, riusciva quasi a sentire il principino scalciare al suo interno.
Rhaegar accennò un sorriso richiudendo gli occhi, godendosi quel momento, uno dei rari attimi di sospensione che poteva permettersi durante il giorno.
- Amo restare abbracciata a te – sussurrò la giovane dorniana. – Quasi quanto amo restare abbracciata a Rhaenys.
- Oggi trascorrerò un po’ di tempo con lei. Le permetterò di accompagnarmi anche durante i preparativi per il torneo – le disse il principe, facendola sorridere.
- D’accordo. Ed io continuerò con Ashara ad aiutare lady Whent con i preparativi per il banchetto, cercando di evitare tuo padre.
Poi dovrò anche recarmi dalle septe, è da due giorni che mi perseguitano per prendermi le misure per cucirmi l’abito che indosserò alla cerimonia.
Prevedo sarà un procedimento lungo, dato che mi sono allargata ancora.
In ogni caso, spero non mi facciano infilare nulla di troppo sfarzoso, come sono solite fare.
A proposito, sappi che stanno cercando di beccare anche te, quelle povere donne.
- E perché mai? – domandò il principe percependo le membra formicolargli, indice che dovesse cambiare posizione. Le assecondò voltandosi a pancia in su.
- Come perché? Per i vestiti che indosserai al banchetto. Devono cucire anche i tuoi.
Ti avverto che dovranno riprendere tutte le misure anche a te, quelle vecchie non vanno più bene, dati i chili che hai perso.
Il principe sbuffò contrariato. – Non sia mai che un nobile non indossi un corsetto che gli faccia da prima e seconda pelle durante una cerimonia.
Elia sorrise a quelle parole, alzandosi su un gomito. – Rimangia subito le parole che hai detto, miscredente! Più larghi sono i nostri indumenti, maggiormente ci avvicinano al rozzo popolino. La bellezza e l’eleganza vogliono la loro parte! E poi, che gusto vi sarebbe nel vederti sederti e respirare contemporaneamente, senza alcuna fatica? – domandò la dorniana usando quel tono teatralmente sarcastico che divertiva tanto il principe mentre si sporgeva verso di lui e lambiva le sue labbra in un bacio casto e lento.
- Sono contenta che hai smesso di recarti in quella locanda da ieri. Questa notte mi hai fatto davvero felice addormentandoti insieme a me – gli sussurrò a fior di labbra.
Quelle parole riportarono alla mente del giovane drago la conversazione che vi era stata un giorno prima, l’ultima sera che aveva visitato la locanda che aveva ospitato quei pochi incontri tra lui e Doen.
- Dove stai andando? – gli aveva domandato la popolana, vedendolo alzarsi dalla sedia.
- Questa sera non posso rimanere molto, Doen.
- Perché stavolta ho l’impressione che, non appena ti alzerai da quella sedia, non ti rivedrò più?
Quella parole strinsero il cuore del giovane drago, in una strana morsa di senso di colpa. Ma prima che potesse risponderle, la popolana parlò ancora.
- Non te ne faccio una colpa, se hai deciso di non visitare più questa locanda, di far cessare i nostri incontri – gli aveva detto abbassando lo sguardo. – Solo che, se credi di farmi soffrire di meno non dicendomi nulla e lasciandomi con la rassicurante consapevolezza di rivederti domani sera, come ogni sera, ti sbagli. Preferisco un tuo saluto, un addio, chiaro e conciso, senza preamboli.
Ti assicuro che riuscirei a farmene una ragione più facilmente, e a soffrire di meno in questo modo, piuttosto che rimanendo all’oscuro.
La sincerità di quella ragazza lo aveva spiazzato, come sempre.
Prese nuovamente posto sulla sedia dinnanzi a lei, notando che il suo sguardo si fosse rabbuiato, come si aspettava.
- Non voglio interrompere le nostre chiacchierate perché non amo la tua compagnia, Doen. Ci tengo a precisarlo – le disse confermando le supposizioni della popolana.
- Calen? – lo aveva richiamato, quasi come non fosse stato lì, davanti a lei.
- Sì?
- Io ti ho mentito – gli confessò.
Avrebbe voluto risponderle che lo sapeva e che anche lui non era stato da meno, che le aveva mentito a sua volta, probabilmente più di quanto avesse fatto lei.
- Ma questo già lo sai, giusto? – aggiunse la popolana, alzando lo sguardo su di lui, rivolgendogli un triste sorriso. – Lo hai già capito.
Egli aveva annuito, attendendo che ella aggiungesse qualcosa.
- Non mi hai detto di aver scoperto che fossi una ragazza, per non mettermi a disagio.
L’ho apprezzato molto, sai.
Infondo, non mi è mai importato davvero, che tu mi avessi scoperta.
- Doen …
- Hai scoperto anche qualcos’altro, vero? – gli aveva chiesto, interrompendolo.
Quella sera, la sera del loro addio, avevano deciso di essere spontaneamente chiari e sinceri l’uno con l’altro.
Rhaegar sapeva di non poterlo mai essere davvero con lei, in ogni caso, ma almeno, per tutto il resto, avrebbe provato ad esserlo.
Doen se lo meritava.
Doen si meritava questo e molto altro da lui.
Ella lo guardava in attesa, torturandosi le mani piccole, osservandolo con occhi lucidi, quasi persi.
Gli guardava la bocca, l’unica parte del suo viso a cui aveva accesso, sulla quale poteva basarsi, per capire come lui stesse reagendo, cosa stesse pensando, che espressione stesse mostrando il suo volto.
A cosa aveva costretto quella ragazza?
A parlare con un cappuccio grigio, con un muro, ecco a cosa.
- Sì, l’ho compreso, Doen. E ne sono davvero lusingato.
- Non c’è bisogno che tu aggiunga nulla. So che hai già una donna che ti ama e che possiede il tuo cuore. Non ho mai sperato di ricevere qualcosa da te, oltre alle nostre chiacchierate notturne – gli confessò sinceramente, accennandogli di nuovo quel bel sorriso malinconico.
- Oramai è quasi una settimana che ci incontriamo ogni sera qui.
Sono stato davvero bene, Doen. Sono stato davvero bene con te – le disse prendendole la mano per stabilire un contatto con lei, non potendole offrire i suoi occhi.
- Anche io.
Ad ogni modo, ci rivedremo al torneo, no?
Non saprò chi sei ma saprò che ci sei – gli disse rincuorata.
- Sì – le rispose sorridendole. – Ti farò capire che ci sono, magari con un segnale. Mi inventerò qualcosa.
Ella annuì, grata.
- Ad ogni modo, voglio che tu sappia che il motivo per il quale amo passare del tempo con te, non riguarda i sentimenti che provo nei tuoi confronti. Quelli sono qualcosa che rimane da parte. A me piace davvero parlare con te, a prescindere, Calen.
- Lo so, lo so, e vale lo stesso per me – le garantì, sentendo quella morsa allargarsi sempre più in lui. – Non hai neanche idea di quanto tu sia riuscita a farmi stare bene durante questi brevi incontri.
Sei stata un’ottima amica, un’attenta ascoltatrice, una grande osservatrice.
Sei riuscita a strapparmi molti sorrisi con una facilità unica, nonostante io non stia passando affatto un bel periodo.
Parlare con te mi fa sentire leggero, mi fa sentire bene e mi rende estremamente difficile dirti addio.
Forse è per questo che non volevo salutarti.
Quelle parole fecero arrossire le guance della popolana, un’abitudine che il principe credeva ella avesse eliminato, ma che in quel momento stava tornando prepotentemente.
- Proprio per tali motivi, per l’immediata complicità che si è creata tra noi, sento di dover far cessare i nostri incontri, per evitare che tutto ciò vada troppo oltre e prenda una piega che non abbiamo previsto – aggiunse, osservando attentamente la reazione della ragazza, per quanto gli fosse possibile.
- Sai, non credo riuscirò mai a dimenticare la tua voce, Calen.
Se mai ti rincontrerò un giorno, riuscirò a riconoscerti grazie a lei.
Perché, anche se inizialmente la camuffavi lievemente e con abilità, mi sono accorta che non lo fai più da un po’. Credo che questo sia un grande segno di fiducia da parte tua – gli rivelò donandogli un luminoso sorriso. – Ti riconoscerò sempre grazie alla tua voce. Ricordalo.
Rhaegar sorrise di rimando. – Tu, invece, continui ad arrochirla nonostante tutto. Il risultato non è un gran che, lo sai, vero? – le disse vedendola mettere su il suo solito broncio.
- Userei la mia voce naturale se non dovessi costantemente mantenere le apparenze in presenza della mandria di uomini assetati di risse che riempiono sempre questa locanda.
Rhaegar sorrise di nuovo. – Ora siamo soli però. Se ne sono andati via quasi tutti – la tentò, vedendola guardarsi intorno per accertarsi che avesse ragione.
- D’accordo – si decise. – Ti farò ascoltare la mia voce naturale, così potrai riconoscerla anche tu, d’ora in avanti.
Il principe annuì.
- Però chiudi gli occhi, non devi guardarmi. Voglio che, almeno una volta, tu ti senta come mi sono sentita io ogni sera – lo esortò.
A ciò, il giovane drago obbedì.
- Li hai chiusi? – gli chiese conferma ella.
Egli annuì, attendendo.
- Addio, Calen. Spero di rivederti un giorno e spero che tu ti ricorderai di me come io mi ricorderò di te – disse semplicemente ella, usando il suo timbro naturale, molto femminile e leggiadro, in contrasto con il suo animo impetuoso e turbolento.
Rhaegar aveva riaperto gli occhi e aveva trovato una lacrima solitaria a rigare il volto della ragazza.
Tornando alla realtà, nel suo letto nuziale con la sua principessa dorniana, Rhaegar le trattenne il viso vicino al suo per qualche secondo, ricambiando quel bacio febbrile e apparentemente casto, facendola sospirare su di sè.
- Ne sono felice anche io – le rispose quando si distaccò dalle sue labbra.
 
- Non ti ucciderebbe farti vedere agli accampamenti almeno una volta prima dell’inizio del torneo, sai? – gli disse Richard sistemando la sella sul suo cavallo.
- Il tuo ex scudiero non ha tutti i torti – commentò Arthur sistemando accuratamente Alba sul proprio destriero.
- Oggi dobbiamo terminare gli ultimi preparativi per il torneo. E ho tante …
- … tante cose per la testa. Lo sappiamo – completò la frase Richard, interrompendo il principe drago, fermandosi e guardandolo.
La confidenza che vi era tra loro tre era palpabile da chilometri di distanza.
- Sai, i nobili parlano. E scusa se sono troppo schietto, mio signore, ma la reputazione che ti precede è leggendaria, e non solo in senso positivo.
A ciò, Rhaegar smise di assicurare le gambe di sua figlia sulla sella del cavallo e si voltò a guardarlo, degnandolo della sua attenzione. – Quegli stessi nobili di cui parli li ho già incontrati privatamente tre volte nel corso di questa settimana, per accordarci sulla cospirazione che stiamo portando avanti. Hanno già avuto modo di vedermi e di appurare che quell’aria di superiorità che spesso mi attribuiscono non ha ragion d’essere.
Ho provato loro la mia lealtà e la mia vicinanza a loro. Cos’altro devo dimostrare?
- Ti sei risposto da solo, mio principe – commentò nuovamente Arthur. – Il solo fatto che consideri quei brevi incontri strategici e necessari un modo per mostrare loro la tua vicinanza, ti dovrebbe far comprendere quanto ti sbagli – aggiunse.
- Robert Baratheon addirittura se ne va in giro dicendo che padre e figlio Targaryen non infilerebbero un piede nel fango neanche sotto tortura – riprese Richard.
- Robert Baratheon è un pallone gonfiato che dovrebbe tagliarsi la lingua e cucirsi la bocca per fare un favore all’umanità – commentò Arthur.
- Concordo – rispose Richard al dorniano, per poi ritornare su Rhaegar. – Tuttavia, rimane il fatto che hanno bisogno di vederti come loro pari. Vorrebbero sapere che ti interessi a loro, a prescindere dalla cospirazione e dal torneo.
Non esagero nel dire che, per le famiglie di quegli uomini, tu sia niente più che una leggenda. Hanno sempre udito parlare di te, ma non ti hanno mai visto in carne ed ossa, poggiare i piedi a terra, come fanno loro.
Sarebbe un peccato per loro, dover aspettare il giorno del banchetto ufficiale per appurare che esisti anche fuori dalle loro menti e dalle voci che circolano su di te – concluse montando in sella al suo cavallo, sapendo di aver sortito nel giovane drago l’effetto desiderato.
- Padre, posso avere un cavallo tutto mio?? – domandò Rhaenys al principe, riscuotendolo con la sua vocina acuta.
- Non ancora, sei troppo piccola, farfallina – le rispose lui, dandosi uno slancio a sua volta per salire sul cavallo, alle spalle di sua figlia.
Le aveva promesso che avrebbe passato l’intera giornata con lei, nonostante i suoi impegni, e la principessina non era mai stata più felice di quel momento.
Era un bene per lei distaccarsi per un giorno dalla ruotine che si era creata nel castello dei Whent, per quanto la divertisse trascorrere le giornate in compagnia della figlia di lord e di lady Whent, a bere the, a passeggiare nel castello e ad aiutare le dame e le ancelle con i preparativi per il banchetto.
Sin troppo spesso, nell’ultima settimana, le era accaduto di riuscire a vedere suo padre solo di sfuggita durante il giorno, non riuscendo neanche a dargli un abbraccio prima di andare a letto o di ricevere un bacio o due parole da lui.
Per tale motivo era estremamente contenta di poter finalmente godersi la sua compagnia per un’intera giornata, a prescindere da ciò che avrebbero fatto.
La bambina mosse i piedini eccitata, ridendo e aggrappandosi con le manine alla chioma dello splendido destriero di suo padre, uno stallone bianco con la criniera scura. Si sentiva davvero in alto in quel momento, più di quanto non fosse quando suo padre la prendeva in braccio.
Le sembrava di poter toccare il cielo.
- Ti piace? – le domandò Rhaegar felice di vederla tanto esaltata, sporgendosi con le braccia oltre di lei per afferrare le redini.
- Sì!! Non mi importa di non avere un cavallo tutto mio! Mi piace anche dividerlo con te, padre – gli disse voltando la testolina capelluta indietro, per guardarlo.
Egli le sorrise teneramente, perdendosi a guardarla per qualche secondo, prima di ritornare con l’attenzione su Richard, ricordando la conversazione che vi era appena stata.
- D’accordo. Andremo negli accampamenti questa mattina, prima di cominciare ad occuparci del torneo – si convinse, vedendo il volto di Richard distendersi in uno sguardo fiero e soddisfatto.
- Per gli dèi, Lonmouth! Insegnami qualcuno dei tuoi trucchi nei prossimi giorni. Quando devo convincerlo io a fare una qualsiasi cosa, impiego almeno una settimana e perdo undici anni di vita, se tutto va bene! – si lamentò Arthur, facendo sorridere gli altri due.
 
Lyanna sistemò il tavolino disposto per la colazione.
L’accampamento non era particolarmente rumoroso in quell’ora della mattina, dato che, all’alba, molti dei cavalieri si recavano al campo per esercitarsi nelle varie discipline che si sarebbero susseguite al torneo.
Aveva concordato di vedersi con Howland Reed nel pomeriggio.
Gli aveva detto di avere un’idea e gli aveva chiesto di aiutarla dato che, tecnicamente, lui era in debito con lei per averlo difeso.
Tuttavia, la giovane lupa non lo aveva fatto per riscuotere un premio per il coraggio mostrato, ma perché sapeva che Howland l’avrebbe appoggiata.
In quegli ultimi giorni aveva avuto modo di parlare altre volte con il crannogmen e, per qualche motivo, si fidava di lui, quasi come fosse un amico di vecchia data.
L’idea che le vorticava in testa non era delle migliori, lo sapeva bene.
Ma era da quando era partita da Grande Inverno che voleva a tutti i costi trovare un modo per partecipare al torneo di Harrenhal.
Ed ora, ora aveva un motivo in più per farlo.
Il ricordo dell’ultima conversazione che aveva avuto con Calen colpì la sua mente come un fulmine a ciel sereno.
Lui avrebbe gareggiato al torneo.
Lui avrebbe gareggiato come cavaliere e di certo lei non se ne sarebbe rimasta seduta sugli spalti ferma e zitta a guardarlo da lontano, mentre lui sfidava gli altri partecipanti, facendo valere le sue doti di combattente.
Gli aveva detto che avrebbe partecipato anche lei al torneo, nonostante egli sapesse già che era una ragazza quando avevano avuto quella conversazione, perciò doveva aver pensato che fosse una sciocca nel dire una cosa simile.
Eppure, le era parso che lui le credesse.
Nonostante ella fosse una ragazza. Nonostante le ragazze non potessero partecipare al torneo.
Lo avrebbe rivisto, finalmente, avrebbe potuto parlare di nuovo con lui, forse.
Inoltre, avrebbe anche gareggiato contro gli altri cavalieri come degna sfidante, come desiderava fare da tempo immemore, fin dove la sua memoria riuscisse ad arrivare.
Non sapeva se il suo piano avrebbe funzionato.
Ma sarebbe valsa la pena tentare. Questo era certo.
L’unico rammarico che aveva e che le pesava sullo stomaco, era di non poter proferire parola ai suoi fratelli riguardo tutto ciò.
Li avrebbe messi sicuramente nei pasticci e loro non avrebbero assolutamente approvato.
Specialmente Brandon, il quale aveva la responsabilità di badare a lei, a Ned e a Benjen quando suo padre Rickard non poteva farlo, ossia praticamente sempre.
Non gli avrebbe dato una preoccupazione e una delusione del genere.
Per questo poteva rivolgersi solo ad Howland.
- Hai mai pensato a come possa essere giacere con un uomo?
Quell’improvvisa domanda di Catelyn l’aveva riscossa dai suoi pensieri.
Alzò gli occhi su di lei, già seduta dinnanzi al tavolino, intenta a versare l’infuso caldo nelle tazze.
Era così delicata e posata Catelyn, in tutto ciò che faceva.
Persino con i capelli rossi sciolti e un vestito semplice, che le scivolava morbido sul corpo, appariva elegantissima.
- Come mai questa domanda? – le rispose con un’altra domanda la giovane lupa, prendendo posto accanto a lei.
Quando erano solo loro due potevano permettersi di parlarsi in toni meno formali.
Catelyn alzò gli occhi azzurri verso un punto nel vuoto, rimanendo in silenzio per qualche secondo.
La pace di quella placida mattinata doveva averla rilassata a tal punto da farla sentire a suo agio nell’esporsi, nel rivelare i suoi intimi timori.
- Non lo so. Mi è capitato di pensarci a volte, osservando alcune lady appena sposate.
Non mi sembrano tutte felici. Se presti attenzione, i loro volti sono lucenti e raggianti nel periodo del fidanzamento, ma si spengono gradualmente dopo il matrimonio.
Credi … credi che anche a noi accadrà?
- Di spegnerci dopo il matrimonio? – chiese conferma Lyanna, continuando a guardarla.
Catelyn annuì, rivolgendole uno sguardo di aspettativa, mentre beveva il suo infuso.
- Non lo so, Cat. Credo dipenda dai sentimenti che si provano per il proprio consorte – rispose sinceramente.
- Sì, lo penso anche io – rispose la giovane Tully accennando un timido sorriso, nascondendolo dietro la ceramica del bordo della tazzina. – Tuttavia, non so se l’atto fisico possa concordarsi ai sentimenti – riprese.
- Cosa intendi?
- Insomma, molte donne non lo descrivono come qualcosa di piacevole, almeno non nei primi tempi.
Anche la mia septa mi ha avvertita che il piacere non sopraggiungerà quando giacerò con mio marito. Quasi mai.
Lyanna rimase in silenzio.
Non poteva darle torto.
Sua madre non le aveva mai parlato di argomenti come quelli, e lei stessa non aveva mai provato a chiederle nulla a riguardo.
Tuttavia, le voci erano arrivate anche a lei.
Per le donne era sempre più difficile.
E quella consapevolezza la rabbuiava, al punto da doverlo ammettere a se stessa.
Aveva paura anche lei di giacere con Robert.
Avrebbe dovuto dargli dei figli per portare avanti la casata Baratheon, ma se non ne fosse stata in grado?
- Eppure, non posso fare a meno di pensare che a me piace molto Brandon.
Ti confesso che, a volte ci ho immaginati. Sì, insomma, noi due, in un letto, insieme.
L’idea mi ha reso felice. Tanto felice. Mi ha animata – rivelò la giovane Tully arrossendo. – E mi resta così difficile pensare che, nonostante a me lui piaccia molto, quando i nostri corpi si uniranno io proverò un tremendo dolore, in ogni caso. Mi sembra strano e ingiusto.
Lyanna la guardò ancora e sorrise. – Lo sai che stai parlando di mio fratello, vero? – le disse, vedendola coprirsi il viso con le mani un attimo dopo, pregna di imbarazzo e quasi mortificata.
A ciò, la giovane lupa prese a ridere spontanea. – Cat, stavo scherzando! Non mi dà fastidio che tu ti confidi con me, riguardo mio fratello. Di certo non gli andrò mai a rivelare nulla di ciò che mi confessi, non temere!  
Catelyn sorrise a sua volta, guardandola riconoscente.
Aveva ragione.
Se Lyanna avesse dovuto pensare di provare dei sentimenti per qualcuno come Cat li provava per Brandon, solo una persona avrebbe invaso la sua mente, come oramai la invadeva da una settimana.
Improvvisamente, il molesto pensiero di giacere con Robert venne sostituito da un’immagine differente, dai contorni della figura di Calen, dalla forma della sua bocca, dalle sue mani affusolate, dalla sua voce incantatrice, dal suo modo di parlare gentile e ricercato.
Lyanna chiuse gli occhi, accennò un sorriso e sospirò. – Neanche io riesco a pensare che le due cose possano concordarsi. L’amare una persona e il soffrire unendosi a lei. È inconciliabile. Credo che il provare determinati sentimenti per qualcuno, comporti lo stare bene in ogni caso, in qualsiasi circostanza e situazione con lei.
Non importa quanto tempo passi, cosa succeda nel mentre.
È un’emozione che non può venire sovrastata, né svanire nel nulla – concluse riaprendo gli occhi, vedendo Catelyn osservarla con uno strano sorriso sorpreso ad ornarle il bel volto.
- Da quel che ho udito, sembra che qualcuno qui sia parecchio infatuato.
Sai, da come ti comporti con Robert, dal modo in cui cerchi di evitarlo, non avrei mai pensato che avessi iniziato a provare dei sentimenti tanto forti per lui, anzi, tutto il contrario.
Sono piacevolmente sorpresa – commentò la giovane Tully.
Lyanna ricambiò il sorriso, non dicendo nulla.
Non avrebbe potuto dire niente a Catelyn. La sua amica sarebbe rimasta con la consapevolezza che, in quel momento, fosse Robert a farle battere il cuore, chissà per quanto tempo.
Quel pensiero la intristì un po’.
- Lyanna, lady Catelyn, accorrete! – interruppe quel magico momento Rickard Stark piombando nella loro tenda con impeto.
- Padre, per gli dèi, ci hai spaventate! Che succede??
- Il principe ereditario è qui! È giunto nell’accampamento!
Le due ragazze sgranarono gli occhi per la sorpresa.
- Oh, per gli dèi! Come mai è qui?? Così, all’improvviso??
Oh, non ci voleva proprio ora! Non siamo affatto presentabili!
Non indosso nemmeno il corpetto! – disse Cat scattando in piedi, pronunciando ogni frase velocemente, quasi mangiandosi le parole.
- Calmati, Cat, non ti agitare! Non finirà il mondo se un reale ci vede senza corpetto - cercò di rasserenarla Lyanna, con scarso successo.
- Lyanna, una lady non può apparire davanti ad un principe in queste condizioni!
Subito dopo Rickard, fu Brandon a piombare nella tenda in fretta e furia. – Non so per quale dannato motivo il principe Rhaegar abbia deciso di presentarsi all’accampamento proprio oggi, ma non avete tempo per rendervi presentabili ora. Sarebbe molto più irriguardoso se non vi presentaste per nulla dinnanzi al suo cospetto, perciò sbrigatevi - le esortò il ragazzo, per poi uscire velocemente dalla tenda.
Lyanna roteò gli occhi al cielo, pensando che se veramente quel principe Targaryen si fosse scandalizzato per aver visto una lady presentarsi al suo cospetto senza l’abituale impalcatura addosso, allora non meritava neanche di avere una moglie al suo fianco.
Fuori dalla tenda, nel frattempo, il destriero del principe drago e dei suoi due fedeli cavalieri, si erano fermati in mezzo all’accampamento, scatenando un lieve caos generale, come si aspettavano.
In quegli ultimi giorni, vi erano stati diversi scrosci di pioggia durante la notte, motivo per cui il terreno morbido era divenuto una poltiglia scivolosa e densa.
Totalmente incurante di ciò, Rhaegar si accinse a scendere dal suo cavallo, provando un pizzico di irrazionale fierezza quando, tra i lord che stavano accorrendo verso di loro, scorse anche la faccia di Robert Baratheon.
Consapevole di essere osservato anche da quest’ultimo, il principe piombò con i piedi dritto in una pozzanghera colma di fango più che di acqua, facendo affondare maggiormente e di proposito i suoi stivali neri di ottima fattura dentro quella poltiglia appiccicosa, impregnandosi fino al polpaccio.
Quel simpatico dettaglio non sfuggì all’occhio attento di Arthur Dayne, il quale sorrise divertito a quel gesto inconsapevole del principe.
Rhaegar voleva far credere che qualsiasi cosa si dicesse su di lui gli scivolasse addosso come la brezza mattutina, informe e senza consistenza, ma la Spada dell’Alba sapeva che in realtà non era così.
Quella punta di orgoglio infantile che il principe drago si riservava di mostrare solo raramente, era la dimostrazione che la valanga di parole taglienti e spesso infondate che udiva sul proprio conto, si scagliavano su di lui come un vento impetuoso molto spesso, nonostante non lo desse mai a vedere.
- Mio principe! Qual buon vento vi porta qui questa mattina? – Robert fu il primo a parlare, avvicinandoglisi con un sorriso sornione, rivolgendogli un inchino accennato e quasi controvoglia, che si addiceva alla sua personalità difficilmente riguardosa nei confronti di coloro che possedevano un’autorità maggiore alla sua.
Rhaegar ricambiò il saluto con un sorriso di circostanza, avvicinandoglisi a sua volta. - Avevo voglia di portare mia figlia a fare un giro, questa mattina. Dato che non ho ancora avuto modo di visitare il vostro accampamento, ho deciso di passare a dare un’occhiata. Spero di non disturbare – rispose, rivolgendosi anche agli altri lord, lady e cavalieri che erano accorsi in sua presenza.
- Assolutamente no, Maestà. Al contrario, la vostra presenza è molto gradita – rispose Ned Stark, accostandosi a Robert.
- Richard, noto con piacere che anche tu sei al fianco del nostro principe. È un piacere rivederti – riprese Robert, notando il succitato scendere dal cavallo a sua volta e andargli incontro. Dopo di che, tornò a guardare Rhaegar. - Mi spiace che non siate riuscito ad unirvi a noi per i nostri allenamenti in comune. Avrei voluto vedere di cosa siete capace sul campo, prima del torneo – lo provocò, per poi spostare lo sguardo sugli stivali impregnati di fango. – Sembrano eleganti. Fate attenzione o li rovinerete - aggiunse.
Rhaegar sorrise in risposta. – Non temete, hanno visto di peggio – si limitò a rispondergli, mentre sempre più giovani cavalieri e dame uscivano dalle loro tende.
- Sembra che il vostro arrivo abbia smosso anche gli animi più pigri, altezza – commentò lord Mace Tyrell.
- Oh, ecco la mia promessa! Lady Lyanna, venite! Avvicinatevi! – si elevò con fierezza la voce rauca di Robert per farsi udire dalla succitata, distante qualche metro da lui, appena uscita da una delle tende in compagnia di Catelyn.
- Quando la smetterai di esporre la tua giovane e bellissima promessa come un trofeo davanti a tutti, Robert? – lo punzecchiò Richard, accennando un sorriso all’arrivo di Lyanna.
- Vi presento lady Lyanna della casata Stark, principe Rhaegar – la introdusse Robert accostandosi a lei mentre la ragazza rivolgeva un inchino al futuro re dei sette regni con gesti semplici e naturali, senza ostentare un’eccessiva riverenza.
Ma quando la giovane lady alzò gli occhi per guardarlo, mostrando il suo volto, il principe drago sbiancò.
La riconobbe immediatamente, sarebbe stato strano altrimenti.
Quegli occhi grandi, tondi, chiari e inquieti come il mare d’inverno colpito da una burrasca, le labbra piccole e carnose, la pelle bianca, le guance tonde, quello sguardo spavaldo, curioso, in continuo movimento, mai sazio.
Per la prima volta la vedeva nel suo stato naturale, con i lunghi e ondeggianti capelli neri totalmente sciolti, lasciati liberi e al vento, che le ricadevano sul corpo minuto come tentacoli. Il lungo abito che indossava, per quanto semplice e neutro, la faceva apparire molto più femminile di quanto fosse mai sembrata ai suoi occhi durante i loro incontri alla locanda, abbigliata costantemente con larghi e rovinati pantaloni scuri e una casacca enorme che le arrivata fino ai fianchi, coprendo totalmente ogni forma del suo corpo da ragazza.
Era incredibile quanto fosse diversa ora.
Tuttavia, era sempre lei, era sempre Doen e non poté fare a meno di sorridere internamente, mentre nascondeva con maestria tutto ciò che provava in profondità, per non dare modo ad alcuna, singola emozione di tradirlo.
- Onorata di fare la vostra conoscenza, Maestà – si presentò la ragazza, continuando a guardarlo negli occhi, studiandolo in silenzio, in quel modo tutto suo.
Non era intimorita dalla sua presenza, e ciò non lo sorprese.
Conosceva Doen e sapeva che nessuno la intimoriva, tanto meno sarebbe riuscito a farlo un principe.
Fece per risponderle, ma, improvvisamente, le sue corde vocali si bloccarono, attorcigliandosi tra loro.
“Sai, non credo riuscirò mai a dimenticare la tua voce, Calen.
Se mai ti rincontrerò un giorno, riuscirò a riconoscerti grazie a lei.
Ti riconoscerò sempre grazie alla tua voce. Ricordalo.”
Quelle parole riecheggiarono nella sua mente, colpendolo con violenza.
Non poteva permettere che ciò accadesse.
A ciò, non aprì bocca, limitandosi ad accennarle un distaccato sorriso e a farle un lieve cenno di riconoscenza con la testa.
Ella sembrò rimanere un po’ spiazzata da ciò, forse leggermente indispettita.
- Non credo sia il caso di farti fare la conoscenza di tutte le lady presenti nell’accampamento, mio principe, per quello vi sarà tempo al banchetto – ruppe quel momento Arthur, rivolgendo poi uno sguardo pungente a Robert. – Sono certo che il nostro lord Baratheon avesse una tale necessità fisica di mostrare la sua bella futura consorte, da non riuscire a trattenersi, nonostante il banchetto si terrà tra due giorni – commentò sorpassandolo.
- Venite con noi, principe. Vi mostriamo l’accampamento e ciò che lo circonda. Qui vicino vi sono persino delle locande discretamente dignitose in cui dilettarsi in qualche bevuta, la sera – si intromise Eon Hunter, accostandosi al giovane drago per fargli strada.
Rhaegar annuì e quando scorse Lyanna allontanarsi con la coda dell’occhio, rispose al suo interlocutore. – Vi seguo. Lasciatemi un minuto per far scendere mia figlia.
- Non avete bisogno neanche di domandarlo, altezza.
- Padre, non voglio scendere così presto! Mi piace cavalcare il tuo destriero! – esclamò Rhaenys rivolgendogli un dolce broncio.
- Vuoi rimanere qui sopra mentre io vado a visitare l’accampamento? – le domandò alzando un sopracciglio, incerto.
- Sì, ti aspetto sopra il cavallo. Faccio la brava, lo prometto.
- La accompagno io a fare un giro con il cavallo nei dintorni – lo rassicurò Richard, prendendo le redini del destriero su cui sedeva la principessina.
- D’accordo. Fa’ attenzione a lei, Richard. Sembra tranquilla e obbediente, ma, in realtà, dentro questo corpicino si nasconde un tornado senza tregua – si raccomandò il principe cogliendo l’occasione per punzecchiare la sua bambina, dandole un giocoso pizzicotto sul fianco, facendola sorridere.
A ciò, Richard guidò il destriero con sopra Rhaenys per un po’, mentre l’accampamento, gradualmente, riacquisiva la calma precedente all’arrivo del principe, svuotandosi.
- Volete provare a guidarlo da sola? – domandò improvvisamente il cavaliere alla bambina, vedendola annuire vigorosamente.
- Dov’è mio padre?
- Credo sia qui nei dintorni, principessa.
- Voglio che mi veda mentre conduco il cavallo da sola.
- Andiamo a cercarlo per mostrarglielo?
- Andate voi a cercarlo, io rimango qui ad aspettarvi.
- D’accordo, però non muovetevi, intesi? Aspettate che io e vostro padre vi raggiungiamo – si raccomandò Richard sorridendole affabile, per poi allontanarsi.
A ciò, la principessina poggiò la testolina riccioluta sulla chioma del cavallo, in attesa, fin quando non scorse qualcosa muoversi sul pelo dell’acqua di una grossa pozzanghera.
Affilò lo sguardo, notando un ciuffetto di capelli scuri sbucare fuori dall’acqua sporca.
- Ehi …? – domandò incerta. – Chi c’è lì dentro?
A quel richiamo, la testa di un ragazzino sbucò dall’acqua.
Rhaenys si trattenne dall’urlare, fissandolo sorpresa.
Il ragazzino si strofinò gli occhi, divenuti rossi a causa dell’acqua sporca in cui erano stati immersi.
La pozzanghera sembrava tanto grande da riuscire a contenerlo.
- Chi siete voi? Riuscite a respirare sott’acqua? – domandò la principessina innocentemente.
A ciò, il ragazzino negò con la testa. – Riesco a trattenere il fiato tanto a lungo, ma non a respirare sott’acqua. Mi chiamo Benjen. Benjen Stark. E voi? Perché siete qui da sola?
- Ma perché vi nascondevate dentro la pozzanghera? Qualcuno vi insegue? O state giocando?
- Mi nascondo dai miei fratelli e da mia sorella – rispose con semplicità il ragazzino.
- Avete combinato un guaio, Benjen? Vi puniranno?
Egli annuì sconsolato. – Ne combino sempre tanti. Ma non riesco a farne a meno – le rispose con un sorriso furbetto, arricciando il naso. – Non mi avete ancora detto chi siete voi, ad ogni modo.
A ciò, la bambina alzò il volto in una posa di finta regalità. – Io sono la principessa Rhaenys di casa Targaryen.
In seguito a quella rivelazione, Benjen sgranò un po’ gli occhi chiari, per poi uscire dalla pozzanghera. – E perché siete qui da sola?
- Aspetto mio padre.
- Il principe? Che ci fa il principe qui?
Rhaenys alzò le spalle in risposta.
- Capisco. Comunque è un bel cavallo – riprese Benjen avvicinandosi al placido destriero.
- Voglio imparare a cavalcarlo.
- Io so farlo.
- Potete insegnarmi?
Benjen annuì, vedendola sorridere.
- Ora però vorrei scendere. Forse Richard o mio padre si sono persi. Voglio andarli a cercare a piedi – lo informò, percependo le cosce indolenzite per averle tenute divaricate per troppo tempo.
- Aspettate, vi aiuto a scendere, può essere pericoloso. Questo cavallo è altissimo – le disse Benjen affrettandosi per raggiungere un lato del cavallo, alzando le braccia verso la bambina. – Saltate. Vi prendo io – la incoraggiò.
Rhaenys gli rivolse uno sguardo timoroso in risposta. – Ho paura di farvi male e di farmi male. Meglio trovare un altro modo.
- Non credo ci sia un altro modo. Avanti, siete leggera, riuscirò a prendervi.
Tuttavia, quando la principessina provò a sporgersi verso Benjen, il cavallo cominciò ad agitarsi, prendendo a muoversi con impeto.
Fortunatamente, prima che il destriero iniziasse a correre senza freno, Benjen riuscì a slacciare le cinghie della sella legate ai piedi di Rhaenys, evitando il peggio.
Non appena il cavallo prese a correre, il corpicino della principessina volò via da esso, precipitando nel fango.
- Rhaenys! Rhaenys, state bene?? – accorse in suo soccorso il più giovane dei lupi, aiutandola a rialzarsi, scorgendo il viso della principessina coperto di lacrime.
- Mi sono ferita, Benjen … - si lamentò la bambina, rivolgendogli una smorfia dolorante, mentre il giovane Stark osservava il fango macchiarsi di sangue nel punto in cui il ginocchio di Rhaenys era immerso in esso.
 
- Benjen, per gli dèi del cielo!! Possibile che non ne fai una giusta??
- Che accidenti hai combinato stavolta??
- Sparisci per un’ora e te ne torni con la primogenita dell’erede al trono ferita tra le braccia! Che cosa è successo?!
Quando tutti i suoi fratelli, sua sorella e suo padre gli urlarono contro i peggiori insulti nel momento in cui rimise piede nella tenda con Rhaenys ferita sulle spalle, il giovane lupo si convinse che quella fosse la volta buona in cui lo avrebbero messo in punizione a vita.
- Lyanna, che cosa mi ero raccomandato questa mattina?? Ti avevo chiesto di badare a tuo fratello, e, come al solito, te lo sei lasciato sfuggire da sotto il naso! Adesso guarda cosa è accaduto per colpa tua! – urlò Rickard a sua figlia.
Benjen osservò la scena profondamente rammaricato, poiché, più di ogni altra cosa, gli faceva male quando erano i suoi fratelli a prendersi la colpa per le bravate che lui combinava.
Anche se stavolta, non si trattava propriamente di una bravata.
Lyanna abbassò la testa distogliendo l’attenzione da suo padre e facendo virare gli occhi verso la principessina, seduta su una sedia e intenta a lamentarsi per la ferita al ginocchio.
- Dobbiamo medicarla! – esclamò facendo per raggiungerla.
- A lei penseremo noi – la bloccò Rickard con severità. – Tu hai già fatto abbastanza per oggi. Inoltre, non sei neanche presentabile. È stato già abbastanza indignitoso vederti presentarti al cospetto del futuro re dei sette regni come se ti fossi appena alzata dal tuo letto – concluse rivolgendole un’occhiata che la congelò sul posto e che le intimò di rimanere lì dov’era, lontana dal resto dei presenti, relegata ad un angolo della tenda, mentre i suoi fratelli e Catelyn si davano da fare per curare la sbucciatura della principessina.
Guardò la scena a distanza, sentendo il sangue ribollire di frustrazione.
Dopo qualche secondo, la giovane lupa vide il principe Rhaegar piombare nella tenda con il volto sconvolto dalla preoccupazione, uno sguardo che la fece quasi tremare per quanto pregno di calore e umanità.
Il giovane principe si gettò accanto alla sua bambina, accovacciandosi, incurante di tutti coloro che aveva intorno a sé, riservando tutto il suo amore e la sua attenzione solo a lei, abbracciandola forte a sé, mentre sospirava rincuorato.
Un bellissimo sorriso sollevato si allargò in quel volto scultoreo, intagliato, mentre i diamanti viola che aveva incastonati al posto degli occhi venivano coperti dalle palpebre e dalle ciglia biondissime.
Solo dopo due minuti abbondanti, il principe riaprì gli occhi e sciolse l’abbraccio, accarezzando la guancia della bambina e chiedendole come stesse.
O, per lo meno, queste furono le parole che Lyanna riuscì a leggere dal suo labiale, a quella distanza che le impediva di udirlo.
Rhaenys gli strinse le mani piangendo di gioia, quasi come avesse appena visto un dio scendere su di lei e farle scudo con il suo corpo, assicurarle che l’avrebbe protetta da ogni male del mondo.
Aveva mai avuto un rapporto del genere con suo padre?
Lyanna cominciò a domandarselo mentre li osservava.
Aveva mai guardato il proprio padre come la piccola Rhaenys guardava il suo, con tale ardore, adorazione e sollievo?
E suo padre le aveva mai rivolto, in vita sua, uno sguardo colmo di quell’amore totalizzante che vedeva illuminare e avvolgere le iridi cristalline del principe Targaryen mentre stringeva a sé sua figlia?
Decise di non riflettervi, di non pensare alla risposta a tali domande.
Lesse anche le labbra di Rhaenys rispondergli di stare bene e di essersi solo sbucciata un ginocchio, mentre Catelyn continuava a lavarle la ferita sporca di sangue con cura.
Ned si avvicinò al principe e gli disse che ci avrebbero pensato loro ad occuparsi della piccola, che sarebbe stata in buone mani e che in meno di mezz’ora l’avrebbero riportata da lui fasciata e medicata.
Rhaegar gli sorrise riconoscente, poi ritornò con lo sguardo su Rhaenys, le baciò la manina più volte e le disse che si sarebbero rivisti più tardi, poco prima di rialzarsi in piedi e uscire dalla tenda.
Dopo qualche minuto, quando anche Rickard uscì dalla tenda insieme a Ned, Benjen e Brandon, Lyanna si mosse da quell’angolo isolato e raggiunse la piccola Rhaenys, per aiutare Catelyn a medicarla.
- Lascia, faccio io – disse alla giovane Tully, la quale le porse il panno bagnato e sporco di sangue e si alzò in piedi, andando a prendere delle erbe curative.
Lyanna si accovacciò di fronte alla principessina, rimmerse il panno dentro la bacinella colma d’acqua, sciacquandolo bene per lavare via il sangue, lo strizzò e lo poggiò sulla pelle lesa della bambina con delicatezza, cominciando a pulirla.
Rhaenys emetteva qualche smorfia di dolore di tanto in tanto, ma, per essere una bambina così piccola, era sin troppo silenziosa e collaborativa di fronte ad una sbucciatura simile.
Quando era lei a ferirsi in quel modo da piccola, urlava come una cornacchia da mattina a sera, prima e dopo la medicazione, facendo diventare pazzi i suoi fratelli, sua madre e le balie.
Sorrise lievemente al ricordo, mentre tornava ad osservare il visino tondo e paffuto della principessina.
Rhaenys era una bambina incantevole, con la pelle scura, lucente, due ipnotici occhioni di ossidiana, e dei capelli che avrebbero fatto morire di invidia persino le dee del cielo. Scuri, ricci, lunghi e morbidi.
Mentre la osservava intenerita, la giovane lupa non riuscì a fare a meno di pensare a quanto l’aspetto di Rhaenys fosse diverso da quello del principe drago.
Erano diametralmente opposti, tanto da non sembrare minimamente padre e figlia.
Sicuramente ella somigliava moltissimo a sua madre.
Pensò a quanto dovesse essere difficile per una piccola donna così esposta, così famosa a causa della sua stirpe, del sangue che le scorreva nelle vene, venire costantemente guardata a quel modo, come la stava guardando lei, da occhi che non riconoscevano, nei suoi colori e nei suoi lineamenti, nulla che potesse associarla al nome della sua famiglia che pesava enormemente su di lei.
Doveva essere un supplizio portare il nome Targaryen e non avere nulla di Targaryen, divenire regina dei sette regni e non venire mai riconosciuta pienamente come legittima erede a causa del proprio aspetto.
Improvvisamente, Rhaenys distolse gli occhi dal proprio ginocchio e li portò su di lei.
Lyanna le sorrise, venendo ricambiata. – Vi fa ancora male? – le domandò spargendo le erbe curative che le aveva portato Catelyn sulla ferita della piccola.
- Un po’.
- Siete arrabbiata con Benjen per quello che è successo? – le domandò la prima cosa che le venne in mente.
Ella negò con la testa, facendo rimbalzare di qua e di là i vaporosi ricci scuri. – Non è stata colpa sua. Lui mi ha salvata. Non preoccupatevi, anche mio padre lo sa.
Lyanna sorrise in risposta. – Lo immagino. Sapete, mio fratello non è un cattivo ragazzo. È solo un po’ irrequieto, a volte.
- Anche io lo sono – rispose Rhaenys sorridendole ancora. – Volete molto bene al vostro fratellino – affermò poi, senza domandarglielo.
A ciò, Lyanna alzò gli occhi su di lei nuovamente. – Sì, moltissimo.
- L’ho capito perché i vostri occhi si illuminano come le stelle quando parlate di lui. Anche io ne vorrò tanto al mio, quando nascerà – la informò con fierezza e aspettativa.
- Ne sono sicura, mia principessa.
- Mia madre si arrabbierà quando vedrà che cosa mi sono fatta.
- Ditele che è stata colpa di un ragazzino scalmanato. Così non metterà in punizione voi. Era quello che dicevo io a mia madre quando tornavo a casa dopo aver giocato fuori tutto il giorno, e lei mi trovava graffi addosso ovunque – le disse finendo di fasciarle il ginocchio. - Ecco fatto. Potete tornare da vostro padre ora.
- Grazie! – esclamò Rhaenys rimettendosi in piedi.
A ciò, Lyanna si diresse verso l’uscita della tenda sporgendosi verso l’esterno per controllare se il principe fosse fuori ad attendere sua figlia.
Lo individuò a qualche metro dalla tenda, intento a conversare con Catelyn come due normali conoscenti.
Nonostante la differenza di rango, nonostante indossasse un abito indegno alla circostanza, Catelyn sembrava totalmente a suo agio nel parlare con l’erede al trono, al contrario di quanto avrebbe affermato poco prima, e lo stesso principe pareva atteggiarsi a lei con una naturalezza e una confidenza che Lyanna trovò a dir poco strani, quasi inadeguati a ciò che le avevano insegnato che aveva da sempre udito riguardo i sovrani.
Certo, non sembravano corteggiarsi, né apparivano lontanamente amici, egli rimaneva istintivamente posato e distaccato, mentre ella non azzardava mai uno sguardo o un gesto di troppo.
Tuttavia sembravano tranquilli, spogli di convenevoli, di assurdi formalismi, privi di qualsiasi autoimposta e forzata riverenza.
Li guardò ancora conversare, provando a leggere il loro labiale.
Catelyn gli stava comunicando che la ferita di Rhaenys fosse solo superficiale e che ella era stata molto collaborativa, sopportando il dolore come una vera combattente, mentre Lyanna la medicava.
Quando Catelyn pronunciò il nome della giovane lupa, quest’ultima vide il principe voltare lo sguardo verso l’entrata della tenda, scorgendola.
A ciò, Lyanna uscì, seguita da Rhaenys, avvicinandosi ai due.
La bambina si artigliò alla gamba di suo padre e vi appoggiò la testa, sfinita, mentre la giovane Stark alzò nuovamente il volto verso di lui.
- Vi rivolgo le mie più sentite scuse, anche da parte di mio fratello Benjen.
Credo sappiate che è stato un incidente e che mio fratello ha cercato di aiutare la principessa – gli disse, vedendo Rhaegar annuire in risposta. – Bene. Sono contenta che la vostra bambina stia bene.
Fate buon ritorno al castello – concluse, attendendo che egli dicesse anche solo una singola parola in risposta.
Invece, il principe drago annuì nuovamente accennandole uno strano sorriso, sentito, quasi rammaricato.
Doveva esser stata solo una sua impressione.
In seguito a quel saluto, Lyanna li vide tornare ai cavalli, salirvi e allontanarsi dall’accampamento.
 
- Avete conversato molto con il principe ereditario, questa mattina – disse improvvisamente Brandon quella sera a cena, quando erano rimasti solamente Catelyn, Lyanna e il succitato seduti a tavola.
La giovane lupa fece saettare le iridi nebulose da Brandon a Catelyn.
- Solamente qualche minuto, mio signore. Abbiamo scambiato due parole – rispose con tranquillità la giovane Tully, pulendosi elegantemente la bocca con il tovagliolo.
Brandon sembrò non dover aggiungere altro, fin quando non lasciò definitamente andare la forchetta sul piatto e poggiò la schiena sullo schienale, puntando i suoi occhi blu su quelli più chiari di Catelyn, facendola tremare lievemente. Lyanna non seppe se per la paura o per qualcos’altro.
- E che cosa vi siete detti, mia signora? – continuò, cercando di non far trasparire nulla dal suo tono di voce.
- Mi ha chiesto come stesse sua figlia, la principessa. L’ho rassicurato a riguardo, comunicandogli che se ne stesse occupando vostra sorella. Egli mi ha fatto sapere che, ovviamente, non vi sarà alcuna ripercussione a causa di ciò che è accaduto, né sulla famiglia Stark, né su nessun altro. Questo episodio passerà come un incidente, come deve essere considerato. Gli ho augurato un buon ritorno, poi ci ha raggiunti Lyanna - rispose con calma Cat.
A ciò, Brandon abbassò gli occhi e Lyanna notò che Catelyn non si perse neanche un suo singolo movimento.
- Sembravate molto in sintonia – rivelò il primogenito degli Stark, lasciando che la sua futura consorte, per la prima volta, lo scoprisse, portando in superficie i suoi timori, cacciando l’orgoglio che da sempre lo caratterizzava.
Lyanna se ne sorprese, così come Catelyn.
- Mio signore – riprese quest’ultima. – Brandon – lo richiamò col suo nome questa volta, con timidezza, poiché non era abituata ad usare il suo nome e si sentiva ancora troppo inadeguata per avere tanta confidenza con lui.
A quel richiamo, Brandon rialzò gli occhi su di lei, guardandola neutro. – Che cosa c’è?
- Cos’è esattamente che volete chiedermi, Brandon?
- Nulla. Solamente, vi ho vista sorridere in sua presenza. E ho cominciato a chiedermi se avete mai sorriso così in mia presenza …
- L’ho fatto, Brandon. Solo che voi non ve ne siete accorto – si affrettò a rispondergli la ragazza, intristita e al contempo internamente felice di ciò che il giovane lupo le stesse lasciando vedere e scoprire di sè.
- … E lui è molto bello – riprese Brandon, completando la frase lasciata in sospeso in precedenza. – Lo pensano e lo dicono tutti. Credo che lo pensiate anche voi - concluse.
- Sì, è vero – ammise Catelyn. – Lui è davvero molto bello. Sarebbe sciocco e assurdo affermare il contrario – continuò, facendo una pausa prima di riprendere. – Ma lo siete anche voi, Brandon. E per me conta solo questo.
A tali parole, l’attenzione del giovane lupo fu tutta per la sua consorte, seduta all’altro capo del tavolo, che lo guardava, lo scrutava rapita, sorridendogli in quel suo modo dolce e meraviglioso, riservato solo a lui.
Brandon schiuse le labbra, socchiuse gli occhi chiari e poggiò anche la testa sullo schienale, lasciando che le ribelli ciocche di capelli scuri gli ricadessero intorno al viso, incurante di qualsiasi cosa, occupato a guardare solo lei, la sua promessa, a ricambiare il suo intimo sorriso, silenziosamente immerso in quell’atmosfera magica e sacra creatasi tra loro.
Lyanna non disse nulla, rimanendo ferma, a guardare dinnanzi a sé, intenzionata a non rompere in nessun modo quell’irripetibile momento tra i due.
Lo aveva notato anche lei, certamente.
Era impossibile non notare quanto fosse bello, trovandosi dinnanzi a lui.
Tuttavia, ciò era passato totalmente in secondo piano.
Si era sentita trattata con sufficienza da un reale, un giovane uomo che sapeva l’avrebbe sicuramente trattata in tal modo.
Robert diceva sempre che Rhaegar Targaryen fosse solo un altezzoso algido, la peggiore categoria di sangue blu.
Aveva confermato le sue aspettative e quelle di Robert. Eppure, per qualche motivo, le aveva anche contrastate quando lo aveva visto approcciarsi a sua figlia e parlare con Catelyn.
Quel comportamento contraddittorio non aveva fatto altro che indisporla maggiormente nei suoi confronti.
Di certo non si sarebbe ricordata di quel principe drago una volta terminato il torneo.
 
 
 
 
 
 
 
 
 


 

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Capitolo 12
*** Il banchetto ***


Il banchetto
 
I preparativi per il banchetto erano quasi completamente ultimati.
Il principe camminò per il castello, diretto verso una meta in particolare.
Aveva bisogno di stendersi, altrimenti quella sera alla cerimonia sarebbe crollato a terra nel bel mezzo del salone.
Sentiva la testa pulsargli tremendamente e le dita tremargli.
Arthur gliel’avrebbe pagata, amaramente, per la rovinosa idea pessima che aveva avuto la notte appena trascorsa.
Una cosa era certa: non si sarebbe più fidato di lui non appena se ne fosse uscito nuovamente dicendogli che aveva una soluzione a tutte le sue pene, svegliandolo nel cuore della notte.
La sua mente ritornò ad otto ore prima.
- Dove ci stiamo dirigendo esattamente? – chiese il principe drago al dorniano.
- Tra poco lo scoprirai – rispose egli continuando a camminare spedito in quella radura buia e isolata, con la fiaccola in mano.
- Ci stiamo allontanando parecchio sia dal castello di Harrenhal che dai centri abitati, Arthur – continuò seguendolo e guardandosi intorno.
- Non ho intenzione di condurti in un luogo deserto e di attirarti in una trappola nella quale ti ritroverai accerchiato da cospiratori che ti accoltelleranno alla schiena, Rhaegar – gli rispose il dorniano voltandosi a guardarlo e sorridendogli sornione.
- Siamo in piena notte e stiamo camminando da quasi un’ora, Arthur. Domani non riuscirò a reggermi in piedi al banchetto se …
- Vuoi liberarti delle allucinazioni e degli incubi, oppure no? – gli chiese fermandosi di colpo e voltandosi, accecandolo con la luce della fiaccola nel momento in cui la rivolse verso di lui.
- Certo che lo desidero.
- Allora piantala di lamentarti – lo zittì nuovamente riprendendo a camminare in avanti.
Dopo più di un’ora di tragitto, con il freddo della notte che riuscì a penetrargli gli abiti e il mantello pesante, rabbrividendogli le membra, finalmente intravidero una piccola abitazione in lontananza.
Man mano che si avvicinavano, Rhaegar notò fosse un’apparentemente umile casetta di legno, ben illuminata dall’interno.
D’istinto, si alzò l’imponente cappuccio del mantello, coprendosi i capelli e parzialmente il volto.
Raggiunto il portoncino della casa, Arthur si fermò in attesa prima di bussare.
- Chi o cosa stiamo aspettando? – domandò il principe.
- Non lo immaginerai mai.
Dopo qualche minuto, i due vennero raggiunti da un’altra figura incappucciata.
Rhaegar fissò lo sconosciuto con diffidenza, fin quando questo non si tolse il cappuccio, facendogli sgranare gli occhi viola.
- Lord Varys …? Cosa ci fate voi qui? – gli domandò attonito, fissando il volto calvo ed imperscrutabile del consigliere di suo padre, ornato da uno dei suoi migliori sorrisi melliflui.
- È un vero piacere rivedervi, Vostra altezza.
Rhaegar fece saettare l’attenzione da Varys ad Arthur, allibito. – Che cosa significa tutto questo …?
- Non farti strane idee. Non sai quanto mi sia costato, ma il Ragno è indispensabile per ciò di cui hai bisogno. Sono stato costretto a rivolgermi a lui.

Non mi sorprenderei se questo dannato eunuco possedesse contatti persino con l’aldilà – gli spiegò Arthur seccato.
- Ed io sono immensamente lieto della fiducia che mi state mostrando – rispose lord Varys.
- Nessuna fiducia, Ragno. Non illudetevi anche solo per un istante che io, e tantomeno il principe, riponiamo la nostra fiducia in voi.
Si tratta di un’eccezione, una situazione estrema – lo ammonì Arthur, fulminandolo con lo sguardo.
- Siete lodevole, ser Dayne. Ammetto di avervi sottovalutato.
O, per lo meno, avevo sottovalutato la vostra straordinaria e inquantificabile devozione nei confronti del nostro principe – ammise il Ragno Tessitore. – Dovete essere davvero preoccupato per lui, per esservi rivolto addirittura a me.
- Sono certo di non aver potuto fare altrimenti.
Se mi accorgerò di aver commesso un errore, non esiterò a mutilarvi più di quanto già non abbiano fatto. E dato che mi ritengo un uomo di grande classe, punterei alle dita, piuttosto che ad altro.
Lord Varys sorrise in risposta.
- Che cosa ci guadagnate? – domandò Rhaegar al Ragno Tessitore, senza filtri. – Qual è il vostro ritorno in tutto ciò, lord Varys? Ottenere altre informazioni su di me da rivelare a mio padre?
- Ho sempre tenuto a voi, alla vostra salute mentale e fisica, sin da quando eravate bambino. Voglio aiutarvi esattamente quanto lo vogliono tutti coloro che vi sono accanto ogni giorno, mio principe – gli rispose il Ragno.
- Perdonate la mia plateale diffidenza, lord Varys, ma, sapete, la vostra reputazione non è delle migliori, né tantomeno credo di apparire uno sprovveduto ai vostri occhi – gli rispose tagliente. - So bene che avete parlato voi a mio padre della cospirazione che stiamo portando avanti contro di lui. Cospirazione alla quale voi stesso avete preso parte nel momento esatto in cui siete giunto fino a Roccia del Drago per parlarmene la prima volta.
- Non avrei potuto fare altrimenti, Maestà. Vostro padre è sin troppo paranoico, lo avrebbe sicuramente scoperto da sé stando qui e non togliendovi mai gli occhi di dosso. Dirglielo anticipatamente mi ha permesso di non risultare sospetto ai suoi occhi eccessivamente cauti e morbosamente ossessionati dal tradimento. Se non lo avessi fatto, mi avrebbe ritenuto un traditore a mia volta e mi avrebbe fatto giustiziare.
So che comprendete tutto ciò perfettamente, infondo, mio principe.
Sono ancora con voi, parte integrante della cospirazione.
- Non vi è minimamente venuto in mente che, avendogli rivelato i nostri piani, egli possa giustiziare, invece, ogni famiglia di nobili che ha preso parte al tradimento contro di lui? – intervenne Arthur velenoso.
- Aerys non conosce i nomi e le identità di coloro che stanno cospirando contro di lui.
Qui ad Harrenhal, ora, vi sono sin troppe famiglie sostenitrici della corona, potentissime alleate dei Targaryen, per muovere un passo falso e farle sterminare tutte indistintamente. Sarebbe una mossa estremamente stupida ed eccessiva persino per lui – lo zittì lord Varys in tono perfettamente controllato, come di consueto.
- Bene, ora che ognuno sembra aver chiarito le proprie posizioni, abbiate l’accortezza di spiegarmi cosa ci facciamo qui e in che modo lord Varys voglia liberarmi dalle allucinazioni – ritornò al punto il giovane drago.
- I miei uccellini mi hanno rivelato delle informazioni interessanti riguardo questa abitazione – rivelò lord Varys. – Sembra che, proprio qui dentro, alcuni dei vostri antenati, abbiano cercato di liberarsi dei demoni che invadevano la loro mente, proprio come sta accadendo a voi ora.
Rhaegar schiuse la bocca per la sorpresa dinnanzi a tale informazione. – Vi state riferendo ad Aegon il Conquistatore …?
Lord Varys annuì. – Tra i componenti della vostra stirpe, non siete l’unico ad avere una tale maledizione che grava sulle vostre spalle, Maestà.
Sembra quasi un lascito, un’eredità che passa di generazione in generazione.
- Che io sappia, né mia madre, né mio padre hanno mai sofferto di tali disturbi - rispose Rhaegar.
- Non potete saperlo con certezza. Ad ogni modo, non è detto che per tutti i depositari di tale maledizione, il fardello sia ugualmente incombente – spiegò il Ragno.
- Dunque, cosa sapete di ciò che è accaduto ad Aegon qui dentro?
- In realtà, tra i tre conquistatori, era Visenya a soffrirne – precisò lord Varys.
- Cosa le è accaduto? – insistette Rhaegar, impaziente.
- Sembra che, per un po’ di tempo, il suo supplizio si sia alleviato, grazie all’azione degli spiriti che abitano questo luogo.
Arthur scoppiò in una risata divertita, per poi cercare di darsi un contegno. – Perdonatemi, ma mi risulta sempre molto faticoso ascoltare storie di questo tipo senza liberare la mia ilarità.
- Taci, Arthur – gli ordinò Rhaegar, fulminandolo.
- Come vi stavo rivelando, il padrone di questa abitazione ha origini molto antiche. Si dice persino che abbia incontrato uno dei Primi uomini, liberandolo da una magia oscura. Ho provato a cercare pergamene che riportano altre informazioni su di lui, ma non ne ho trovate, neanche alla Cittadella.
Tutto ciò che so, l’ho reperito dalle testimonianze delle voci di vari popolani udite dai miei uccellini.
- Ci stiamo davvero affidando a delle dicerie?! – commentò Arthur cominciando ad indisporsi. – Ero certo che le vostre fonti fossero perfettamente affidabili, Ragno.
Invece, ora vengo a sapere che ho condotto il nostro futuro erede al trono qui solo per delle voci di corridoio udite in qualche locanda malfamata.
- Voglio tentare – disse Rhaegar con convinzione, stupendo il dorniano.
- Ne sei sicuro? Siamo sempre in tempo per tornare indietro.
- Arthur, se esiste anche solo un modo per scoprire l’origine di queste allucinazioni che mi stanno consumando la mente e di liberarmene, sono disposto a tutto.
- Siete davvero disposto a tutto, mio principe? – gli domandò lord Varys, con una strana gravità nella voce questa volta.
- Assolutamente.
- Bene. Perché la creatura che vive all’interno di questa casa non agisce per gentilezza, né per misericordia, mio principe. E non credo possa accettare una manciata di monete d’oro, in cambio di ciò che sta per fare – lo avvertì il Ragno ponendo la mano sulla maniglia consumata e aprendo la porta.
L’interno era buio e impregnato di un penetrante odore di chiuso e di spezie essiccate.
Ad una prima occhiata, appariva quasi come un’abitazione abbandonata.
Dopo qualche minuto di totale silenzio, lord Varys parlò titubante. – Perdonate l’intrusione. Abbiamo udito parlare di voi, ma non avevamo altro modo di avvertirvi del nostro arrivo, se non presentandoci dinnanzi alla vostra porta.
Se siete disposto ad accoglierci, vi prego, rivelatevi.
Nessuna risposta.
- Faremmo meglio ad andarcene – suggerì Arthur.
- Siamo entrati in casa sua senza permesso. Oramai il danno è fatto. Inoltre, sai bene che voglio andare fino in fondo – commentò il giovane drago.
- Colui che richiede il vostro prezioso aiuto è un discendente della stirpe Targaryen. Sangue di drago – ritentò lord Varys.
Nuovamente, non ricevettero alcuna risposta.
- Non credo sia molto interessato alla mia stirpe o al mio sangue, lord Varys.
Probabilmente non siamo graditi – gli disse Rhaegar, mantenendo perfettamente la calma.
- Cosa volete in cambio?? – provò Arthur. – Possiamo darvi qualsiasi cosa chiediate!
Ancora nessuna risposta.
- Andiamocene – si arrese il dorniano, dirigendosi verso la porta ancora aperta.
Tuttavia, quando fece per varcare la soglia, non vi riuscì.
- Che cosa …? – ritentò perplesso, provando e riprovando a posare il piede all’esterno, senza successo.
- Arthur? Non riesci ad uscire?
- Per gli dèi! Non saremmo mai dovuti venire qui! – imprecò il dorniano stringendosi i capelli tra le dita.
- A quanto pare, dunque, siamo graditi – concluse lord Varys, accennando un sorriso vittorioso. – Verrete aiutato, mio principe.
- Allora per quale dannato motivo non esce allo scoperto?! – si lamentò il dorniano, sguainando Alba.
- Quella non vi servirà a nulla – quella voce nuova, sconosciuta, era gracchiante e graffiante come quella di un uomo sul punto di soffocare.
I tre si voltarono verso l’entrata dell’abitazione, da dove proveniva la voce, e scorsero un ometto, tanto basso e di corporatura esile, da sembrare quasi un bambino.
L’uomo, avente un’età indefinibile, possedeva i capelli scuri sporchi di polvere, era vestito di stracci neri e strappati, le sue iridi erano tanto chiare da sembrare bianche, le sue mani erano coperte di bende luride, e i suoi piedi anneriti e nudi erano colmi di graffi e ferite.
Quando egli cominciò ad accendere alcune lampade ad olio per illuminare l’abitazione e i tre ebbero modo di osservarlo meglio grazie alla luce, si accorsero che le sue orecchie erano state tranciate via, mentre il collo sottile era marchiato da un enorme cicatrice orizzontale, che si dilungava per tutta la sua circonferenza, quasi come fosse stato impiccato con una corda di metallo.
Per il resto, appariva come un semplice straccione.
- Loro non rispondono mai – continuò l’ometto perseguendo nell’accendere altre lampade ad olio per illuminare l’ambiente, per poi posare a terra il cesto di frutta che portava a tracolla.
- Loro chi? Se ci è permesso chiederlo – azzardò lord Varys studiandolo silenziosamente.
- Le presenze silenti.
Rimangono in disparte fin quando l’attenzione degli ospiti non viene meno.
- L’attenzione? – domandò Arthur.
- La razionalità.
La coscienza.
Il controllo – spiegò l’ometto voltandosi a guardare il dorniano.
- Tuttavia, possono comunque trattenervi qui contro il vostro volere – aggiunse afferrando una frutto dalla cesta e mordendolo. – Sapete che ore sono per caso?
- Suppongo manchi poco all’alba – rispose lord Varys.
- Grazie. Non sapevo che ore fossero da ieri – spiegò sedendosi a terra. – Prego, accomodatevi.
- Sapete per quale motivo siamo qui? – domandò il Ragno facendo come gli era stato detto.
- Sei molto silenzioso – questa volta, l’ometto si rivolse a Rhaegar, ignorando lord Varys. – La tua diffidenza arriva a tal punto? Avanti, avvicinati.
A ciò, il principe drago obbedì, sedendoglisi di fronte, sul pavimento freddo sporco di polvere e di ragnatele.
Si scoprì il volto dal mantello e guardò l’ometto negli occhi.
- Capisco – disse quest’ultimo.
- Cosa? Che cosa avete compreso? – domandò Arthur, restando in piedi accanto alla porta, venendo ignorato.
Dopo un lungo attimo di silenzio, il giovane drago gli rivolse la parola. – Se siete in grado di guarirmi, sono disposto a cedervi tutto ciò che chiederete.
- Sai di star mentendo – lo interruppe l’ometto. – Inoltre, io non guarisco nessuno.
Non posseggo alcuna capacità fuori dalla norma.
- Non è quello che ci è stato detto – fu nuovamente Arthur a parlare.
- Non importa. Tutto ciò che siete in grado di fare, fatelo – lo pregò Rhaegar.
L’ometto accennò un sorriso. – Non sarà facile.
Le presenze scrutano dentro la mente e il corpo degli ospiti che lo permettono.
Io sono solo un messo.
Tuttavia, qualsiasi cosa ti affligga, non è estirpabile.
E ciò che stiamo per fare, potrebbe scatenarla maggiormente.
Dovrai essere in grado di sopportarlo nel caso il tentativo di distrarla da te fallisse.
Rhaegar annuì immediatamente.
- Ad ogni modo, è stato un errore venire qui, Rhaegar Targaryen – lo informò l’ometto. – Io non sono interessato a te. A nessuno di voi.
- Per quale motivo è stato un errore? – si affrettò a chiedere Varys, senza ricevere risposta.
Rhaegar decise di non porgli domande, capendo che l’uomo davanti a sé avrebbe risposto solamente quando e come lo aggradava.
- Chiudi gli occhi – lo esortò egli, chiudendoli a sua volta.
Dopo di che, pronunciò una preghiera in una lingua sconosciuta al giovane drago.
Quest’ultimo attese, attese ad occhi chiusi che terminasse, pazientando, cercando di mantenere la piena calma.
- Sei un ragazzo estremamente controllato.
Se non ti sforzi di non esserlo, tutto ciò non servirà a nulla – gli disse quella oramai familiare voce gracchiante, una volta terminato di parlare in quella lingua sconosciuta.
- Non ce la faccio. Lo sono sempre stato. Non credo di esserne in grado – ammise Rhaegar.
A ciò, l’ometto si rialzò in piedi, andò a prendere una delle decine di caraffe tutte uguali che teneva poggiate accanto alla parete e versò un po’ del suo contenuto in un bicchiere di argilla.
Dopo di che, si risedette a gambe incrociate di fronte al principe drago e glielo porse.
- Bevi – lo esortò.
Senza farselo ripetere, Rhaegar obbedì, ignorando il pessimo sapore del liquido biancastro che stava ingurgitando, bevendone fino all’ultima goccia.
Fatto ciò, attese che accadesse qualsiasi cosa.
Dopo qualche minuto, percepì di non avere più il controllo del suo corpo e cominciò ad allarmarsi.
Provò a parlare ma non vi riuscì, poiché la sua bocca non rispondeva ai suoi comandi.
Spalancò gli occhi e provò ad alzarsi in piedi, ma anche quello gli fu impossibile.
Era la sensazione peggiore che avesse mai provato in vita sua, ed era sicuro che, anche negli anni a seguire, mai nulla l’avrebbe eguagliata.
Intrappolato dentro il suo stesso corpo, senza poterlo dominare, urlò dentro di sé, nonostante dalle sue labbra non uscisse nulla.
Improvvisamente, anche un estraneo e anomalo istinto di sonno lo invase, spingendolo a provare l’intenso desiderio di chiudere gli occhi e addormentarsi.
Fu in quel momento che percepì una mano posarglisi delicatamente sulla spalla.
Credendo fosse Arthur, si voltò a guardarlo, scoprendo di aver riacquistato di nuovo il controllo del proprio corpo.
Tuttavia, quando si voltò, non trovò nessuno dietro di sé e la pressione della mano sparì.
Dei potenti brividi freddi gli invasero la schiena nel momento in cui ritornò con lo sguardo in avanti, verso l’ometto, poiché, non appena lo fece, la mano ritornò a premere sulla sua spalla, distintamente.
Le dita strinsero la carne e le ossa sotto i vestiti, mentre anche un’altra mano la imitò sull’altra spalla.
Ritentò, provando a voltarsi indietro diverse volte, ma, ogni qualvolta lo faceva, era come se non fosse mai stato toccato.
Quell’impellente istinto mortifero non voleva abbandonarlo, spingendolo a schiudere e a richiudere le palpebre più volte, mentre provava con tutto se stesso a rimanere sveglio.
Le mani che percepiva posarglisi sulle spalle e sulla schiena si moltiplicarono, facendolo rabbrividire ancora.
Fu allora che la sua mente si scatenò come spesso gli accadeva, ma in maniera molto più violenta rispetto al solito.
Capì che quelle presenze silenti, le quali prendevano vita solo quando lui non si voltava a guardarle, stavano stuzzicando e infastidendo i morbosi e turbolenti incubi che si annidavano nella sua mente.
Le allucinazioni si librarono totalmente, invadendolo come se avessero vita propria, come se cercassero di rubargli il dominio del suo corpo.
Cominciò a tremare violentemente e ad agitarsi, sudando freddo e stringendosi i capelli con le dita.
Sentì le voci allarmate di Arthur e di Varys che chiedevano spiegazioni in lontananza, come ovattate.
Spalancò gli occhi ma non vide nulla, oltre ad un turbinio di immagini diverse che furono in grado di togliergli il respiro, per quanto invadenti e veloci nel susseguirsi tra loro.
Il punto in comune erano le fiamme che risucchiavano e consumavano qualsiasi cosa trovassero sul loro cammino. Città, palazzi, navi, animali, donne, uomini, vecchi e bambini.
Udì delle urla, molto più forti del solito, tanto forti da prendere il controllo della propria voce.
Urlò accasciandosi a terra, poggiando la fronte sul pavimento freddo, cominciando a gridare ad alta voce un fiume di parole e di frasi diverse, in più lingue.
Batté i pugni a terra, fece ricadere la testa all’indietro e spalancò gli occhi, totalmente vuoti.
- Fatelo smettere immediatamente!! – esclamò Arthur provando ad avvicinarsi al principe drago, trovandosi dinnanzi alla scena più agghiacciante a cui avesse mai assistito, ma venendo prontamente fermato dall’ometto.
- Non azzardarti – disse quest’ultimo restando seduto immobile dov’era, continuando a guardare Rhaegar.
- Che cosa gli state facendo …?? – domandò Varys esterrefatto.
- Se continuerà così, rischierà di farsi del male!! Qualsiasi cosa gli stiate facendo, smettetela immediatamente o vi pianterò la mia spada dritta nella spina dorsale! – lo minacciò Arthur, sul punto di perdere il senno.
- Io non sto facendo nulla.
Tutto quello che vedi, è opera sua e sua soltanto.
O meglio, è opera di ciò che ha messo radici dentro di lui – rispose atono l’ometto, facendoli sbiancare entrambi.
Improvvisamente, il principe drago smise di urlare e di gettare fuori quell’infinita catena di parole senza tregua, lasciandosi ricadere sdraiato a terra, di schiena.
Il fiatone che aveva era talmente forte da non permettergli quasi di respirare, gambe e braccia tremavano ancora, il suo corpo era febbricitante, mentre le palpebre semi abbassate.
- Per gli dèi …
Non saremmo mai dovuti venire qui.
Non saremmo mai dovuti venire qui … - esalò Arthur avvicinandosi al suo amico, inginocchiandosi accanto a lui e provando a riportarlo alla realtà.
Gli alzò un braccio con cura e gli strinse mano e polso. – Riesci a sentirmi, Rhaegar …?
Le presenze silenti stavano cullando corpo e anima del futuro erede al trono, quasi come per scusarsi per ciò che avevano appena innescato in lui, spingendolo a sorridere, stanco e inconsapevole, mentre Varys e Arthur lo affiancavano e lo osservavano allarmati.
- Perché stai sorridendo …? – gli domandò Arthur rinforzando la presa sulla sua mano.
A ciò, il principe voltò di poco il viso verso il dorniano e provò a schiudere le labbra ferite e insanguinate, morse violentemente nel lungo momento di delirio appena trascorso.
Uscì solo un debole sibilo rauco dalla sua bocca, la gola troppo stremata per emettere qualcosa di diverso.
A ciò, il dito del principe drago andò a posarsi debolmente sul palmo di Arthur, cominciando a tracciare delle lettere.
- Cosa sta dicendo? – domandò impaziente Varys al dorniano.
Quest’ultimo attese che Rhaegar terminasse di scrivergli sul palmo, poi lo fissò negli occhi, prendendosi qualche momento di silenzio, prima di ripetere ad alta voce tutto ciò che il principe aveva tracciato.
- “Il drago a tre teste si è rivelato a me.
Sono riuscito a scorgerlo tra le fiamme.
Mi ha detto che la distruzione della Sala d’Estate non è stata colpa mia, ma degli alchimisti.”
Si massaggiò la tempia con le dita, mentre si dirigeva verso la stanza del Gran Maestro convocato da lord Whent appositamente per lui.
Una volta terminato il delirio e ripresosi parzialmente, aveva visto lord Varys chiedere all’ometto cosa avesse preteso in cambio.
Arthur era sin troppo furente e sconvolto per ragionare razionalmente, dato che stava già compiendo una fatica immane nel non ammazzare quell’uomo seduta stante, in quel momento.
Questo aveva risposto che non avrebbe chiesto nulla in cambio, semplicemente per il fatto che l’aveva già ricevuto: non era la stirpe Targaryen ad essere maledetta, ma quella casa.
Egli aveva spiegato loro che, quando Visenya si era recata in quel luogo, secoli prima, aveva condannato uno dei suoi discendenti a soffrire le pene che stava patendo lei, ma raddoppiate.
Del tutto casualmente, quel discendente era lui.
Ma Visenya non poteva saperlo, al tempo.
E Rhaegar non poté fare a meno di pensare a quanto la sua antenata si fosse sentita devastata dalla colpa, dopo aver saputo cosa avesse fatto, dopo esser venuta a conoscenza di aver inconsapevolmente maledetto un suo discendente, un discendente che non avrebbe mai conosciuto e che non avrebbe potuto avvertire, né porgergli le sue scuse.
Non poté fare a meno di pensarlo poiché era come si sentiva lui in quel momento.
Chissà su quale suo discendente sarebbe ricaduto quel supplizio, chissà quanti anni dopo sarebbe venuta al mondo la persona che aveva scioccamente e inconsapevolmente maledetto, nella speranza di trovare sollievo alle proprie pene.
Era così che funzionava.
L’egoismo aveva condotto lui e Visenya a spingersi verso l’ignoto, a rischiare qualcosa di cui erano totalmente all’oscuro, pur di trovare un briciolo di pace, pur di liberare la mente da qualcosa di tanto opprimente.
Probabilmente era ciò che era accaduto anche ad un altro Targaryen, vissuto chissà quanti anni prima di Visenya, forse colui che aveva dato inizio alla catena, recandosi in quella casa.
Eppure, se solo lo avessero saputo, non avrebbero mai fatto ciò che avevano fatto, rassegnandosi a convivere con i mostri che popolavano la loro coscienza.
L’ometto gli aveva detto che lui somigliasse molto alla sua antenata.
Anche Visenya era la più controllata e la più distaccata tra i suoi fratelli, difatti era stato altrettanto difficile per le presenze silenti entrare in contatto con lei.
Gli aveva anche rivelato che ella, dopo aver scoperto di aver appena maledetto uno dei suoi discendenti solo recandosi in quel luogo, aveva messo da parte la sua inscalfibile ed eterea dignità, pregandolo di rivelarle chi sarebbe stato il malcapitato, tra quante generazioni sarebbe nato e se vi fosse un modo per annullare ciò che ella aveva appena compiuto.
Era una donna gelida e spietata Visenya.
Era in tal modo che veniva ampiamente descritta da ogni tomo che narrava le gesta dei tre conquistatori.
Tuttavia, forse, non doveva esserlo poi così tanto.
Dopo aver udito quelle parole, era riuscito a rivedersi talmente tanto in lei, da sentirla quasi vicina a sé.
Raggiunse finalmente la stanza del Gran Maestro e bussò.
Lord Whent si era adoperato per far arrivare ad Harrenhal, il prima possibile, uno dei Maestri più rinomati della Cittadella, non appena aveva saputo che il futuro erede al trono si fosse svegliato senza voce quella mattina.
Per loro grande fortuna, l’uomo in questione si trovava nei pressi delle Terre dei Fiumi, dunque era riuscito ad arrivare ad Harrenhal tempestivamente.
Nessuno, oltre la famiglia Whent, lord Varys, Arthur e il resto della famiglia reale era a conoscenza del suo improvviso problema alla gola.
Rhaegar aveva richiesto specificamente a lord Whent di essere discreto e di non spargere la voce, sperando che il fatto potesse non uscire allo scoperto quella sera stessa al banchetto e alla cerimonia, grazie al miracoloso intervento del Gran Maestro.
Il tempismo di Arthur non era stato affatto dei migliori.
Trascinarlo fuori dal letto nuziale nel cuore della notte, il giorno prima della cerimonia di iniziazione al torneo, non sapendo minimamente cosa sarebbe realmente accaduto in quelle poche ore, era stato un gesto sin troppo impulsivo e irragionevole persino per l’Arthur di qualche anno prima, meno maturo e responsabile.
L’unica spiegazione che Rhaegar era riuscito a darsi per il comportamento del suo amico, risiedeva nella forte preoccupazione di Arthur nei suoi confronti.
Erano giorni che il dorniano lo vedeva assente, tormentato e dissipato dalle allucinazioni, le quali erano arrivate al punto di distoglierlo dai suoi doveri e di allontanarlo dai suoi cari.
Doveva essere estremamente preoccupato per lui, per aver agito in tal modo.
Di certo non lo biasimava per questo, così come non lo biasimava per essersi rivolto a lord Varys, in un momento di disperazione.
A dispetto di tutto ciò che era accaduto all’interno di quella casa, gli incubi e le allucinazioni sembravano avergli lasciato un po’ di tregua, in quelle poche ore che erano trascorse dall’evento.
Era deciso ad approfittare di ciò per riprendere in mano tutto ciò che richiedeva la sua presenza, la sua attenzione e il suo intervento, rimettendosi in gioco pienamente, fin quando quel supplizio gliene avesse lasciato modo.
Nessuno si sarebbe accorto del suo fugace cambiamento.
Per quanto riguardava Elia, era stato costretto a mentirle, dicendole di aver necessariamente dovuto seguire Arthur nel cuore della notte per aiutarlo in una faccenda che richiedeva la sua immediata competenza.
Non avendole specificato di che tipo di questione si trattasse, essendo rimasto tanto vago di proposito, Elia aveva compreso, come sempre era solita fare, ed aveva annuito, non approfondendo l’argomento, non riuscendo a nascondere uno sguardo lievemente allarmato.
D’altronde, quella mattina, al suo risveglio, l’aveva ritrovato senza voce e con le labbra martoriate, dunque era perfettamente comprensibile che fosse legittimamente preoccupata, a prescindere dal banchetto che si sarebbe tenuto quella sera stessa.
Fortunatamente non si era procurato lividi troppo visibili in parti del corpo scoperte, e già quella era una conquista non da poco.
Il Gran Maestro gli diede il permesso di entrare e lui si accinse a farlo, archiviando momentaneamente tutti i pensieri che gli vorticavano in testa.
Entrò dentro la stanza predisposta per l’uomo, nel quale questo aveva già sistemato diligentemente tutti i suoi strumenti.
- Vostra Maestà, io sono il Gran Maestro Gilles, è per me un onore incontrarvi – si presentò il vecchio che comparve dinnanzi ai suoi occhi, inchinandosi.
Egli era un uomo basso e molto magro, con le guance scavate, folte sopracciglia, radi capelli a coprirgli la testa allungata e uno sguardo cordiale.
Avrebbe voluto dirgli che non vi fosse alcun bisogno di tali formalità, oltre a ringraziarlo per essere giunto ad Harrenhal tanto tempestivamente solo per visitarlo e fargli tornare la voce.
Tuttavia, cosciente di non potersi esprimere, anche se ancora troppo poco avvezzo a quella fondamentale mancanza, gli rivolse un gentile sorriso.
- Vi prego, accomodatevi su quel giaciglio, in modo che io possa comprendere quale male ha colpito la vostra gola, mio principe – lo incoraggiò servizievole.
Rhaegar si sedette sul piccolo letto morbido e attese che l’uomo si sedesse sulla sedia di fronte a lui.
Gli disse di aprire la bocca il più possibile e lui obbedì, percependo con sorpresa le dita del Gran Maestro poggiarsi alla sua mascella, mentre gli si avvicinava per riuscire a vedere meglio dentro la sua bocca.
Improvvisamente, i ricordi della sua infanzia e della sua adolescenza lo invasero.
I medici di corte e i Maestri, solitamente non si permettevano quasi mai di toccare un reale quando lo visitavano, a meno che non si trattasse di una questione di vita o di morte.
Ricordava distintamente la faccia schifata e irosa di suo padre mentre osservava ogni movimento del Gran Maestro che aveva visitato sua madre subito dopo aver dato alla luce Viserys.
Egli, per quanto avesse provato a mantenere le distanze il più possibile, era stato costretto a palpare la pancia ancora gonfia della regina, per valutare il suo stato di salute nel dettaglio.
Per punizione, Aerys lo aveva fatto frustare e imprigionare per trenta giorni.
Lo stesso era accaduto la volta in cui lo stesso Rhaegar era stato ferito durante un allenamento, quando era bambino.
Uno dei Maestri aveva avuto l’ardire di prenderlo in braccio e di portarlo nella stanza dedicata alla cure, per medicarlo tempestivamente prima che la ferita alla gamba gli si infettasse.
In quel caso, Aerys l’aveva fatto uccidere, senza alcuna pietà, nonostante quell’uomo avesse salvato la vita di suo figlio.
Per tale motivo, la sensazione delle mani rugose e delicate del Gran Maestro su di sé lo sorpresero ingenuamente, considerando il terrore che ogni medico nutriva quando si trattava di occuparsi di un membro della famiglia di Aerys Targaryen.
- Avete sforzato molto la voce, sire? – la voce grave del vecchio Maestro lo attirò nuovamente. – Riuscite a rispondermi sussurrando o vi è totalmente impossibile?
A ciò, Rhaegar si sforzò di far uscire almeno un fievole sibilo dalle sue labbra. – Sì … questo è tutto quello che riesco a fare.
- Bene. Non sforzatevi. Avete la gola molto irritata, per tale motivo non riuscite a parlare. Non temete, non è nulla di permanente.
Vi servirebbe solamente un po’ di riposo, tuttavia sono a conoscenza che questa sera si terrà un banchetto al quale dovrete necessariamente prendere parte e che vi costringerà a parlare con decine di persone.
Rhaegar annuì, scrutando il volto del vecchio, speranzoso.
- Posso somministrarvi un antico rimedio che velocizzerà ampliamente il ritorno della vostra voce.
Si tratta di una medicina molto potente, ma dovrete comunque fare attenzione a non sforzare particolarmente la gola.
Il principe annuì accennandogli un sorriso riconoscente, prendendo in mano il vasetto di vetro che l’uomo gli stava porgendo.
- Questo invece vi servirà per guarire i tagli e le lesioni sulle labbra. Entro qualche ora la situazione dovrebbe migliorare visibilmente – continuò il Gran Maestro, donandogli anche un altro vasetto.
Era tutto ciò di cui aveva bisogno in quel momento.
Medicinali e riposo.
Tutto ciò che gli serviva per prepararsi al banchetto di quella sera nel migliore dei modi, senza destare sospetti a nessuno, né ai nobili, né ai suoi cari, né a suo padre.
Per il momento, era tutto ciò che gli interessava, poiché, come aveva imparato sulla propria pelle innumerevoli volte, la corte viveva di apparenze, e far parte della famiglia reale significava nutrirsi di tali apparenze, usandole abilmente a proprio piacimento e per i propri scopi.
 
 
Lyanna attese che la sua ancella le stringesse il corpetto dello scomodissimo abito che stava indossando.
Trattenne il respiro mentre Aileen tirava i nastri più che poteva, desiderando essere ovunque, tranne che lì, in quel momento.
Ogni volta che era costretta ad indossare quelle odiose impalcature e a restarci dentro per serate intere, avrebbe volentieri scambiato il suo corpo con quello di uno dei suoi fratelli, per assaporare la comodità della spontaneità, per potersi comportare come più la aggradava senza dover prestare costantemente attenzione ad una marea di rigorose regole di comportamento imposte alle donne delle nobili famiglie.
Schiena dritta, pancia in dentro, petto in fuori, volto alto, mani congiunte.
- Aileen, può bastare … mi verrà da vomitare se stringi ancora … - la supplicò poggiandosi una mano sul ventre imprigionato e dolorante.
- Oh, perdonatemi, lady Lyanna. Ma sapete che i nastri andrebbero stretti ancora un po’. Altrimenti, l’effetto finale non sarà ottimo come ci si aspetta – le disse la giovane ragazza con gentilezza.
- Ti prometto che nessuno si accorgerà che non mi hai stretto i nastri quanto avresti dovuto.
A ciò, Aileen annuì e si affrettò ad allacciarle il corpetto, per poi porsi dinnanzi a lei ed osservarla.
- Siete a dir poco splendida, lady Lyanna.
Lord Baratheon striscerà ai vostri piedi. Ammalierete tutti – le disse prendendole le mani e sorridendole.
La giovane lupa ricambiò, stringendogliele a sua volta, per poi voltarsi verso lo specchio e osservare la propria immagine riflessa.
Il lunghissimo vestito blu cobalto con numerosi ricami argentati le ricadeva addosso fasciandola in alcuni punti in particolare, facendola vergognare nell’accorgersi che determinate zone del suo corpo, che ricordava diverse, fossero cambiate: il seno era molto più prominente e il corpetto soffocante lo metteva troppo in evidenza, mentre il busto stretto contrastava con la curva più accentuata che avevano acquisito i suoi fianchi.
Fortunatamente, la gonna era meno pomposa di quanto si aspettasse, e il tessuto era soffice e morbido, abbastanza pesante da tenerle caldo alle gambe nude.
Le piacevano le maniche sottili, lunghe e aderenti sulle braccia, le quali terminavano andandosi a diramare delicatamente sul dorso delle sue mani bianche, arrivando quasi fino alle dita.
Un altro elemento che trovava a dir poco scomodo a livelli ultraterreni, era l’appariscente acconciatura che teneva la sua lunga cascata di capelli neri appiccata in alto: una miriade di ciocche boccolose erano accuratamente e intricatamente intrecciate tra loro e tenute insieme da diversi nastri bianchi perlacei, rendendo la sua chioma un elegante disegno astratto, quasi uno scarabocchio ipnotico.
- Manca il tocco finale – le disse Aileen da dietro le spalle, infilandole una bellissima e delicata collana, la quale aveva una brillante pietra ovale incastonata nel ciondolo, di un blu quasi accecante.
Lyanna restò ferma dinnanzi allo specchio, attendendo che Aileen terminasse di allacciargliela dietro la nuca nuda, osservando la catenina argentea accarezzarle dolcemente le clavicole scoperte.
- Quella che sto vedendo davanti ai miei occhi è una donna, per caso?
Quella voce familiare proveniente dall’entrata della tenda la fece sbuffare e sorridere insieme.
Si voltò verso Brandon, il quale se ne stava con le braccia conserte e un fianco poggiato alla porta e la osservava con un sorriso a metà tra il tenero e il sornione.
Lo scrutò a sua volta, squadrandolo. Quell’elegantissimo completo scuro gli calzava addosso perfettamente, rendendolo ancora più aitante di quanto non fosse solitamente.
- E quello che sto osservando io è per caso un nobile gentiluomo?? – gli rispose stupita, vedendolo avvicinarsi a lei.
- Puoi andare Aileen, grazie – disse il maggiore dei lupi, attendendo che la giovane ancella si inchinasse e uscisse dalla tenda.
Brandon poggiò le mani sulle spalle di sua sorella, guardandola dall’alto.
- Sei cresciuta, Lya.
Quella voce arrivò alle orecchie della giovane lupa stranamente amara, velata da una sorta di tristezza.
- Non dire sciocchezze – gli rispose sorridendogli rassicurante, forse più per se stessa, che per lui. – Sono sempre la solita bambina spericolata e scansafatiche.
Brandon le sorrise in risposta. – Mi raccomando. Questa sera mostra a quella palla al piede del tuo promesso sposo quanto tu sia forte e indipendente. Intesi, “Doen”?
Udire quel nome le fece perdere il sorriso per un istante.
Notando ciò, Brandon scrutò attentamente il suo sguardo. – Ti manca?
Quella domanda sincera, discreta, priva di rimprovero o malizia, la fece rilassare maggiormente sotto le sue mani, mentre distoglieva gli occhi da lui e li puntava altrove.
- Non lo nego.
Non sono disposta a negarlo, a rinnegare ciò che ho provato.
Per quanto sia durato poco. Per quanto sia stato futile.
- Non devi – le rispose lui, sorprendendola. – Hai scoperto qualcosa di te. Qualcosa che ti ha aiutata, che ti ha fatta crescere e maturare.
Sii consapevole di ciò e non averne paura.
Non avere mai paura di esporti, Lya.
Forse, detto da me, tutto ciò non ha molta credibilità, ma fidati delle mie parole.
Non temere di soffrire, neanche per chi, forse, non se lo merita.
In ogni caso, sarà sempre una vittoria.
La giovane lupa guardò suo fratello con occhi pregni di stupore, luminosi.
Restarono così per un po’, fin quando Brandon non le diede un dolce bacio sulla fronte e la esortò ad uscire dalla tenda.
Fuori da quest’ultima, vi era Ned ad attenderli.
Egli guardava il cielo, con gli occhi chiari rivolti verso la luna tagliata a metà, sfoggiando inconsapevolmente e magistralmente bene un elegantissimo completo grigio scuro con ricami neri.
Distrattamente, si voltò verso di loro, mentre il vento serale gli scompigliava i capelli scuri. I suoi occhi si spalancarono non appena vide sua sorella, facendo sorridere quest’ultima e Brandon allo stesso modo.
- Lo so, anche io stentavo a crederci quando sono entrato.
Grazie a qualche sorta di miracolo divino, il nostro fratellino mancato, stasera sembra davvero una lady. Roba dell’altro mondo.
A quel commento di Brandon, Lyanna gli tirò una violenta gomitata che lo fece tossicchiare per diversi secondi.
Dopo di che, la giovane lupa si precipitò accanto a Ned, sorridendogli raggiante, con i grandi occhi che sembravano due fulgide stelle in quella serata particolarmente buia.
Il ragazzo ricambiò e le porse il braccio, attendendo che ella vi infilasse la mano, per condurla, per poi abbassarsi per sussurrarle qualcosa all’orecchio.
- Ho detto a Robert di aspettarci direttamente al castello.
Volevo accompagnarti io, almeno per stasera.
A quella rivelazione, Lyanna si sentì felice, felice come non lo era mai stata.
Strinse le dita sull’avambraccio di Ned spasmodicamente, affrettò il passo e si godette la brezza fresca accarezzarle il viso e i vestiti.  
- Andiamo a mostrare a quei nobili da strapazzo di che pasta sono fatti dei veri lupi del Nord.
 
Di certo, ogni uomo e donna presente al sontuoso banchetto avrebbero concordato su chi fosse la presenza femminile più accecante ed esteticamente disarmante di quella sera.
La bellezza della giovane Cersei Lannister era impareggiabile ed era in grado di gettare in ombra quella di tutte le altre lady, con l’elaborata acconciatura che risaltava la sua chioma d’oro e l’appariscente abito color sabbia che indossava egregiamente.
Ella rideva e si godeva ogni singolo sguardo puntato su di lei, nutrendosene, compiacendosene fino quasi ad ubriacarsene.
- Invidiosa di non essere la stella della serata, cara sorella? – disse Arthur avvicinandosi ad Ashara, la quale era in piedi accanto ad uno dei tavoli imbanditi, disposti per allietare gli ospiti in attesa dell’arrivo della famiglia reale nell’immenso salone.
Le circondò il fianco stretto nello splendido vestito di seta lilla con la mano, e attese che ella gli rispondesse con uno dei suoi soliti versi stizziti malcelati.
Tuttavia, la ragazza rimase in silenzio, ad osservare i vari ospiti che popolavano l’enorme e confusionario salone dorato dall’intensa illuminazione.
- Hai trovato il tuo fortunato cavaliere perennemente imbronciato?
A quella seconda domanda, Ashara accennò un sorriso in risposta. – Non è imbronciato.
Arthur ridacchiò. – Dunque lo hai trovato – disse ispezionando minuziosamente il salone con lo sguardo per trovare il succitato, scorgendolo in piedi e in silenzio, intento ad ascoltare Robert Baratheon parlare animatamente, accanto a sua sorella e agli altri due fratelli Stark.
- Per gli dèi, anche lui è un figurino questa sera.
Sembra quasi meno rigido e misterioso del solito, il tuo timido lupo.
- Hai intenzione di rovinarmi la serata anche oggi, Arthur?
- Quella accanto a lui è sua sorella, giusto? La promessa di Robert Baratheon.
Quando l’ho vista nell’accampamento qualche giorno fa non mi era sembrata tanto bella e seducente come stasera – osservò la Spada dell’Alba scrutando la giovane lupa.
Ashara si voltò finalmente verso di lui, con sguardo criptico. – Non dovevi rimanere con Rhaegar fino al suo ingresso in sala insieme al resto della famiglia reale?
- Sì, ma ho deciso di venire prima. Il nostro principe e la nostra principessa avevano bisogno di essere lasciati soli per un po’.
- Elia non me ne ha parlato – rispose Ashara aggrottando la fronte. – L’ho vista lievemente in ansia questo pomeriggio, ma, tutto sommato, sembrava abbastanza in agio. Un altro dei soliti battibecchi?
Arthur negò con la testa, afferrò uno dei calici dal tavolino, si versò del vino e ne prese una sorsata. – Questa mattina era preoccupata per lo stato di Rhaegar, voleva sapere cosa fosse successo durante la notte, ma lui si è ripreso velocemente, perciò poi si è rilassata.
Ashara annuì. – Suppongo sia per la gravidanza, allora.
Ultimamente il bambino non le sta lasciando un attimo di tregua, scalcia in continuazione, per quanto ella in questi nove mesi sia rimasta inaspettatamente in forze e in salute.
Inoltre, anche se non lo dà a vedere, Elia odia profondamente doversi mostrare quando non è fisicamente al massimo della sua forma.
Chi non la capirebbe? È già costantemente oggetto di sguardi e di giudizi per essere la moglie del futuro re dei sette regni e per portare suo figlio in grembo.
Non riuscire ad indossare uno degli abiti sforzosi che dovrebbe sfoggiare una principessa in celebrazioni come questa, diventa una questione di principio per lei, in tal caso.
Ho cercato di rassicurarla oggi pomeriggio, insieme a Rhaenys, quando l’abbiamo aiutata con la prova abito.
- Ora è con lui. Rhaegar sa sempre come prenderla e rassicurarla.
- Non ne sarei così sicura – controbatté Ashara.
- Perché lo pensi?
- Perché Rhaegar è Rhaegar, Arthur.
Per quanto lui possa tentare e ritentare, è egli stesso la causa delle debolezze di Elia.
Finirà sempre per farla sentire più inadeguata di quanto già si senta.
Lo dico con rammarico, fratello.
Sono e rimarrò convinta che la dannazione di Elia è stata divenire la moglie di Rhaegar Targaryen.
Prima che Arthur avesse modo di risponderle, i due vennero interrotti dall’annuncio di lord Whent dell’imminente ingresso della famiglia reale all’interno del salone.
- Che cosa ci trovi in lui? – domandò infine Arthur a sua sorella, cambiando totalmente discorso, poco prima di allontanarsi da lei.
Ashara osservò nuovamente Ned a distanza, pensandovi su.
- Credo sia un ragazzo molto dolce, a modo suo.
Ha un cuore buono ed è molto ligio all’onore.
Ho l’impressione sia uno di quei rari uomini che non tradirebbero una donna neanche per tutto l’oro del mondo.
Il primo a varcare la porta fu il re dei sette regni Aerys Targaryen, trascinandosi sui suoi stessi piedi, seguito e circondato dagli uomini della sua guardia reale e personale.
Non appena il re folle si sedette nel posto centrale del tavolo rialzato posizionato dinnanzi alla parete più grande della sala, ornata da splendidi affreschi, anche il principe e sua moglie fecero il loro ingresso, nel completo silenzio dei presenti e con altrettanti cavalieri della guardia a circondarli.
Rhaegar Targaryen attraversò il salone con sua moglie Elia Martell stretta al suo avanbraccio, e la principessina Rhaenys che camminava appena dietro di loro, con un sorrisino a settantadue denti ad illuminarle il volto e uno sfarzoso vestitino giallo limone che faceva risaltare la sua bella carnagione scura.
Il principe ereditario raggiunse l’altro tavolo, appena più in basso di quello in cui sedeva il re in completo isolamento, prendendovi posto e aiutando Elia a fare lo stesso, tenendole la mano e trattenendole lievemente la stoffa del lungo abito che indossava.
Quando anche Rhaenys si sedette, alla sinistra di suo padre, cominciarono le presentazioni delle famiglie nobili dinnanzi alla famiglia reale.
La sfilata di tutti gli ospiti presenti al banchetto durò quasi un’ora.
Giungevano dinnanzi ai tavoli del re e del principe, rivolgevano loro un riverente inchino, i lord presentavano ogni componente della propria famiglia al cospetto delle altezze reali, e se ne tornavano indietro, lasciando spazio ai prossimi.
Terminato quel consuetudinario rito, il banchetto ebbe ufficialmente inizio.
- Hai visto come l’ha guardata?? – ghignò divertito Robert, bevendo il terzo bicchiere di vino.
- Chi? – domandò Ned.
- La serpe Lannister, la figlia di lord Tywin. Quando ha sfilato in quel modo provocante e con quell’aria da reginetta mancata davanti al principe e alla principessa, la povera Martell è sbiancata! – spiegò ridendo.
- Non mi sembra Elia Martell abbia nulla da invidiare alle altre lady presenti questa sera – commentò freddamente Brandon, ricevendo una sentita stretta di assenso da parte della sua promessa, seduta accanto a lui.
- Oh, andiamo, Brandon! Ammetterai anche tu che quel pancione la arrotonda parecchio!
A Lyanna andò di traverso il pezzo di agnello che stava masticando, in seguito a quell’ultima frase del suo futuro consorte.
- È normale, Robert, sta aspettando un figlio – gli rispose atono Ned. - Oggettivamente, è ad ogni modo molto bella.
- Sì, che sia un bel vedere non è in dubbio, amico mio. Tuttavia, la Lannister sembra essere consapevole di intimorirla solo agitando quel bel fondoschiena tondo e alto dritto davanti agli occhi del suo principe d’argento!
Detto ciò, Robert sembrò prendere improvvisamente consapevolezza di qualcosa, poggiò sul tavolo il calice di vino e si voltò alla sua destra, verso la sua promessa.
- Ovviamente, è assolutamente scontato che io vi stia volutamente escludendo da ogni paragone con le altre dame presenti questa sera, milady.
Oggi siete abbagliante, mia dolce Lyanna, tanto da annebbiare chiunque – le disse prendendole la mano e baciandogliela.
La giovane lupa rimase in silenzio dinnanzi a ciò, non sforzandosi neanche di sorridergli.
- Se il principe dovesse essere tanto volubile e superficiale da farsi distrarre dalla sua amata a causa di qualche moina da parte di lady Cersei Lannister, allora non la merita – commentò Ned con decisione, scatenando nuovamente l’ilarità di Robert.
- Oh, Ned, cosa ti prende?? Stai forse facendo qualche pensiero poco casto sulla futura regina?? – lo provocò, per poi seguire la traiettoria dello sguardo del giovane lupo e scorgere una figura che si aspettava di vedere. – Come immaginavo, i tuoi occhi non sono per la Martell, ma per qualcun'altra, caro il mio Eddard – lo canzonò squadrando abbondantemente il corpo di Ashara Dayne, seduta ad uno dei tavoli più vicini a quelli della famiglia reale. – Questa sera il nostro Ned farà conquiste! Me lo sento!
Brandon si concesse di ridere a quella previsione di Robert, nonostante cercasse sempre di non dar corda al giovane cervo.
- Chi è il ragazzo che sta andando di tavolo in tavolo ad importunare gli ospiti? – chiese con voce leggermente indisposta Catelyn.
- Oh, quello è il principe Oberyn Martell, fratello di Elia – spiegò Brandon. – Un cialtrone dedito solo ai piaceri carnali e all’ozio.
- Mi chiedo come possa un uomo del genere avere lo stesso sangue di una donna posata ed elegante come la principessa Elia – commentò Catelyn.
L’attenzione di Lyanna venne distratta da suo fratello Benjen, seduto alla sua destra, intento a salutare la principessina Rhaenys a distanza.
La giovane lupa sorrise e rivolse a sua volta un cenno con la mano alla bambina, la quale ricambiò cercando di contenere la frenesia, impegnandosi a finire di masticare seduta composta ed elegante sulla sua sedia.
Dalla principessina, l’attenzione di Lyanna passò ai suoi genitori, poco più a destra.
Elia Martell sembrava quieta, sorridente e controllata, ma era palese vi fosse qualcosa a turbarla.
Il suo lungo vestito di un lucente e magnetico color melograno, le ricadeva addosso leggero, raffinato, evidenziando il pancione, ma mettendo anche in risalto le dolci e sensuali curve piene della giovane donna, oltre alla sua pelle color cacao.
I suoi lunghi capelli ricci erano intrecciati con innumerevoli fili dorati, lasciati sciolti ad accarezzarle la schiena e le spalle; mentre, un ulteriore elemento decorativo svettava intorno alle sue braccia sottili in decine di bracciali d’oro sopra e sotto i gomiti, indossati con maestria, così come i pendenti e sfarzosi orecchini che sbucavano dalle ciocche scure.
Ad un tratto, Elia attirò l’attenzione del suo sposo toccandogli il dorso della mano, e gli disse qualcosa all’orecchio.
Gli occhi curiosi della giovane lupa scandagliarono anche la figura di Rhaegar.
Egli non aveva nulla di particolarmente appariscente addosso, nessuna corona ornava la sua testa come svettava su quella del re, eppure il principe drago era il centro pulsante di quella sala.
Gli indumenti regali che gli fasciavano perfettamente il busto stretto insieme a tutta la parte anteriore del corpo slanciato, erano cuciti e realizzati con estrema cura, elemento che si riusciva a notare anche a quella distanza.
Dalla testa ai piedi, il colore che dominava i suoi indumenti era uno splendido bianco argenteo, con ricami neri e di varie altre tonalità di bianco su tutta la loro lunghezza, mentre il rosso si poteva ritrovare solamente in piccoli dettagli sul colletto e alla fine delle maniche, all’altezza dei polsi.
I suoi capelli folti e chiarissimi, lasciati liberi se non per alcune piccole ciocche intrecciate accuratamente tra loro, erano tirati ordinatamente indietro con un’elaborata spilla nera che sembrava quasi replicare la sagoma di una testa di drago stilizzata, la quale venne lievemente notata da Lyanna solo quando egli si voltò di profilo, volgendo gli occhi verso sua moglie.
La giovane lupa non seppe per quale motivo i due divennero il principale fulcro del suo interesse in quel momento.
Elia continuò a sussurrare qualcosa all’orecchio di Rhaegar, mentre con le dita gli tratteneva i capelli indietro per avere meglio accesso.
Man mano che ella parlava, lui cambiava gradualmente espressione, senza darlo troppo a vedere.
Quando terminò, egli si avvicinò a sua volta a lei per risponderle, poggiando una mano sulla sua, come per rassicurarla, per poi baciargliela.
A ciò, Elia gli accennò un sorriso, poco prima che i suoi occhi scuri seguissero una traiettoria diversa, velandosi di disagio e forse anche di tristezza.
Lyanna seguì quegli occhi, accorgendosi che la futura regina dei sette regni avesse posato l’attenzione su lady Cersei, seduta a qualche tavolo di distanza, la quale ricambiava quelle occhiate ogniqualvolta se le sentiva puntare addosso, ma con uno sguardo e una convinzione ben diversi, quasi fulminando la principessa con quelle iridi smeraldine colme di orgoglio, vanità e di qualcos’altro che la giovane lupa non riuscì ad identificare.
Forse la teoria di Robert non era del tutto sbagliata.
Sembrava essere successo qualcosa tra quei tre, o, almeno, tra Cersei e il principe drago.
Se ne convinse quando, avendo totalmente concentrato l’attenzione sulla giovane leonessa, la vide puntare i suoi diamanti verdi su Rhaegar, più e più volte, nonostante quest’ultimo sembrasse quasi non accorgersi di lei.
La giovane Lannister sembrava non preoccuparsi che i suoi sguardi persistenti venissero notati e Lyanna comprese anche il perché: i reali erano al centro dell’attenzione di tutti i presenti ad ogni incontro o celebrazione pubblica, dunque non era strano che, sia Rhaegar che Elia, catalizzassero la maggior parte delle iridi che svettavano in quella sala su di loro.
Iridi timide e discrete, per la maggior parte, al contrario di quelle di Cersei.
La giovane lupa notò uno strano gioco di sguardi in quel momento.
Elia alternava l’attenzione tra Cersei, Rhaegar e sua figlia; Cersei, dal canto suo, aveva gli occhi fissi su Rhaegar per la maggior parte; mentre l’unico oggetto che calamitava gli occhi del principe drago su di sé sembrava essere Aerys Targaryen.
Il re folle, difatti, oltre a guardare indistintamente sprezzante la folla di ospiti dinnanzi a sé, come se si trovasse davanti ad una colonia di insignificanti e fastidiose formiche, faceva spesso virare gli stralunati occhi viola verso suo figlio, quasi come stesse calibrando e controllando ogni suo movimento.
Lyanna pensò che dovesse essere estenuante vivere in un ambiente del genere.
Lei, di certo, vi sarebbe impazzita.
Poi, dopo qualche minuto, la giovane lupa si rese conto anche di qualcos’altro.
Notò che, saltuariamente e distrattamente, i propri occhi e quelli del principe si incrociavano.
Erano contatti fugaci e involontari, ne era consapevole, ma ciò servì a farle ritornare distintamente alla mente l’episodio di qualche giorno prima, quando Benjen si era ritrovato a salvare la principessina, e lei a medicarla.
Pensò che lui l’avesse riconosciuta. O forse no, non si ricordava nemmeno.
Terminò di mangiare la succulenta bistecca che aveva sul piatto, in silenzio, ignorando bellamente le sguaiate risate di Robert e i pacati commenti di Ned, cercando di farsi i fatti propri il più possibile, alzando lo sguardo solo di tanto in tanto.
- Se continui a guardarli, ti si consumeranno gli occhi – la riscosse la voce di Benjen, il quale le si avvicinò all’orecchio per sussurrarle quella innecessaria considerazione.
- Che stai blaterando, Ben?
- Il principe e la principessa. Guardi lui o lei? – cercò di indagare il più piccolo dei lupi, già sin troppo annoiato per concentrare la sua attenzione su altro.
- Non guardo proprio nessuno, Ben, tappati la bocca e mangia – lo zittì impettita.
- Guardi lui. Sicuramente. Tanto lo guardate tut- il piccolo lupo venne interrotto da sua sorella, la quale gli infilò una forchettata di verdure in salsa agrodolce in bocca a forza.
- Lya, vacci piano, per gli dèi. Così lo strozzerai – commentò Brandon con voce divertita, mentre Cat tratteneva a stento un sorriso, coprendosi elegantemente la bocca.
Lyanna ghignò soddisfatta mentre guardava il suo fratellino masticare faticosamente, poco prima che i suoi occhi si posarono su una figura che le fece allargare un grande sorriso nel bel volto candido.
- Perché sorridete in tal modo, mia amata? – le domandò Robert guardandola inebetito dal troppo vino che già ad inizio serata gli annebbiava la mente.
- Nulla, milord. Ho solo visto qualcuno che conosco, un caro amico.
- Chi è?? – domandò incuriosito Benjen vedendola alzarsi dalla sua sedia.
- A breve lo presenterò anche a te, Ben – lo rassicurò la giovane lupa, attraversando quei pochi metri che la dividevano dal tavolo in cui sedeva Howland Reed.
 
- Non credo di riuscire a rimanere ancora a lungo … - sibilò Elia dritta nell’orecchio del suo sposo.
- Ti accompagno – le rispose egli premurosamente.
- No! Sei impazzito? Sei il principe ereditario, caro.
Questo banchetto è stato organizzato in tuo onore, non per tuo padre.
Lui è solo una facciata.
Tutte queste persone sono qui per te e per il torneo che tu hai organizzato e finanziato, Rhaegar.
Devi restare.
- Non mi assenterò per molto. Giusto il tempo di starti accanto mentre attendi che i dolori si allevino – le propose lui.
- Starò bene.
Siamo solo alla quarta portata, non puoi assentarti all’inizio delle celebrazioni.
Non appena mi sentirò meglio, ritornerò – lo tranquillizzò accarezzandogli la guancia, mentre Ashara le si affiancava.
- D’accordo, se è quello che desideri – le rispose avvicinandosi e lasciandole un bacio sulla guancia.
Dopo di che, si accostò ad Ashara. – Shar, mi raccomando, fammi avere sue notizie al più presto – si raccomandò, vedendola annuire e affiancarsi alla principessa per aiutarla ad attraversare la sala e a raggiungere la porta.
Intanto, Rhaenys si avvicinò a suo padre mentre osservava tristemente la sua mamma allontanarsi. – Sta male…? – domandò attirando l’attenzione del principe drago, guardandolo dal basso.
A ciò, Rhaegar le sorrise intenerito e la prese in braccio portandola alla sua altezza, prima di risponderle. – Solo un po’, farfallina, ma non vuole che vada con lei. Tu vuoi farle compagnia?
A tali parole, Rhaenys circondò il collo di suo padre con le braccia e poggiò la guancia sulla sua. – Voglio restare ancora un po’ qui con te prima di raggiungerla.
In risposta, egli posò le labbra sulla testolina riccioluta e la baciò più volte, mentre la stringeva a sé.
Molti degli ospiti erano già in piedi, esattamente come loro, anche se vicini ai rispettivi tavoli, troppo presi dalla necessità di sgranchirsi le gambe in seguito alle abbondanti portate che lasciavano le cucine del castello ogni venti minuti, e di conversare con i loro amici e conoscenti seduti in altri tavoli.
Dopo qualche minuto trascorso a vezzeggiare sua figlia stretta a lui, la quale si godeva le carezze e osservava incuriosita tutto il salone a quell’altezza vertiginosa, Rhaegar percepì una mano posarsi sulla parte bassa della sua schiena.
Si voltò verso quella presenza e, con sua sorpresa, trovò l’esuberante fratello minore di sua moglie, ancora stranamente lucido.
- Mi complimento con voi per questo sontuoso banchetto, mio principe – gli disse il dorniano, canzonatorio.
- Hanno organizzato tutto lord e lady Whent, insieme ad Elia. Io non ho fatto nulla.
- L’unica pecca che mi sento di esporvi, è la presenza di vostro padre – continuò Oberyn, per poi avvicinarsi maggiormente a Rhaegar per sussurrargli all’orecchio mentre, con gli occhi scuri, fissava la figura di Aerys Targaryen seduto sul suo tavolo. – Dovreste esortarlo ad alzarsi in piedi e a sgranchirsi almeno le gambe. Non vorremmo mai che, rimanendo seduto tutta la serata a squadrare con sdegno ogni singola persona presente nella sala eccetto voi, qualcuno degli ospiti possa restarne turbato. Non credete? – concluse provocatorio, per poi allontanarsi dal suo orecchio e sporgersi a guardare la sua nipotina. – Detto ciò, posso avere l’onore di avere la fanciulla più incantevole della sala come mia accompagnatrice questa sera? – domandò sorridendo a Rhaenys, la quale ricambiò, voltandosi a guardare suo padre, con le manine ancora strette intorno al suo collo.
- Dopo torno con te, padre – gli promise sorridendogli raggiante.
- Non preoccuparti, vai – le rispose egli ricambiando il sorriso e cedendola nelle braccia di Oberyn.
In seguito, gli si avvicinò Arthur, osservando il salone che si estendeva dinnanzi a loro a sua volta, in silenzio, ascoltando il sottofondo degli archi e le arpe riempire le loro orecchie, unito al vociare indistinto.
- Hai detto che la popolana con la quale ti incontravi alla locanda, in realtà è la figlia di Rickard Stark, giusto? – gli domandò improvvisamente il dorniano, in tono neutro.  
- Sì, è lei – gli rispose Rhaegar, individuandola in piedi accanto ad un tavolo diverso dal suo, intenta a conversare con qualcuno. Dopo di che, guardò Arthur con la coda dell’occhio. – Perché me ne chiedi conferma, ora?
- Ne sei assolutamente sicuro?
- Sì. Ho riconosciuto il viso e la voce.
- Ho notato che, talvolta, ti guarda.
- Cosa ti sorprende di ciò, esattamente? Non è l’unica a volgere lo sguardo verso il tavolo dei membri della famiglia reale, di tanto in tanto.
- Lo so. Ma non era ciò che intendevo – disse il dorniano voltandosi a guardarlo. – Sei assolutamente certo che ella non ti abbia minimamento riconosciuto quel giorno, all’accampamento?
Il tono di allerta nella voce del suo amico lo mise in guardia sui pensieri che vorticavano nella sua mente. – Sì, Arthur, ne sono certo. Ad ogni nostro incontro ero coperto dalla testa ai piedi, irriconoscibile. Inoltre, sono stato ben attento a non parlare in sua presenza.
- Dunque, dinnanzi a lei, solo la voce potrebbe tradirti.
- Dove vuoi arrivare?
- Non serve che io ti dica che devi fare molta attenzione a non avvicinarti a lei, neanche per errore, in modo che non possa in nessun modo udirti parlare.
Stavolta, il tono di Arthur era categorico e spaventosamente serio.
Rhaegar lo osservò per qualche secondo prima di rispondergli. – Sai bene che potrei essere costretto a parlare pubblicamente, nel corso di questi giorni.
Sicuramente accadrà.
- Dunque, sai già che lo scoprirà.
Sei così tranquillo a riguardo?
- Per quale motivo dovrei allarmarmi se una ragazzina di una nobile famiglia scoprisse che girovagavo per le locande senza apparente scopo qualche notte fa?
- Nella delicata posizione in cui ti trovi, dovrebbe importarti parecchio, Rhaegar.
- Ad ogni modo, se anche dovesse spifferarlo a qualcuno, credi davvero che le crederebbero? Credi che le sue parole risulterebbero veritiere se andasse a spargere la voce che il principe ereditario visitasse di notte in notte una locanda, vestito da forestiero, per intrattenersi in lunghe conversazioni con qualche popolano?
- Potrebbe distorcere la verità e portarla a suo vantaggio. Hai almeno pensato a tale eventualità? O ti fidi talmente tanto di quella sconosciuta, da non averla neanche presa in considerazione?
Rhaegar tacque, irrigidendo la mascella.
- O, forse, ti sei addirittura adagiato sul fatto che ella sia poco più che una bambina, dunque non abbastanza acuta o astuta da poter pensare di fare una cosa del genere – persistette Arthur.
- Non lo farebbe mai – si decise a rispondere il principe drago, udendo il risolino nervoso del suo amico in risposta.
- E per quale motivo non lo farebbe mai? Perché la conosci?? Perché credi di conoscere quella ragazzina impacciata, onesta e curiosa con la quale hai parlato per quasi una settimana, usandola come banale distrazione?
- Non conosco lady Stark, ma conosco Doen. So riconoscere qualcuno che mente, Arthur, lo sai bene. Ho vissuto a corte, accanto a mio padre, per tutta la vita, oramai sono un veterano in giochetti come questo e so che non è da lei.
Perciò non angustiarti.
- Dimentichi un dettaglio fondamentale, mio principe – disse il dorniano guardandolo dritto negli occhi e avvicinandoglisi maggiormente. – Quella ragazzina si era infatuata di te, o sbaglio?
Il principe drago sapeva che Arthur fosse riuscito a portarlo dove avrebbe voluto, mettendolo con le spalle al muro.
Attese che la conclusione logica di quelle argomentazioni giungesse alle sue orecchie, mentre continuavano a guardarsi, mortalmente seri.
- Come sai che, devastata da tale scoperta e dal suo amore non ricambiato, ella non ti ricatti, chiedendoti qualcosa in cambio del suo silenzio …? – disse finalmente il dorniano.
Oramai, qualsiasi altra contestazione a tali parole non sarebbe valsa più, qualsiasi fiduciosa supposizione sulla buona fede della ragazza non avrebbe in alcun modo convinto e tranquillizzato il suo amico e protettore.
A lui servivano fatti concreti, non parole al vento.
- Non ha alcuna prova, Arthur – gli rispose, sperando di placare la sua preoccupazione in tal modo. – Non ho parlato con nessuno, eccetto con lei e con l’indovina. Si tratterebbe della parola di una ragazzina contro la mia.
A ciò, Arthur continuò a scrutarlo, ma sembrò lievemente rasserenarsi.
Da quando erano tornati al castello, dopo la notte appena trascorsa, l’umore della Spada dell’Alba sembrava divenuto stranamente cupo.
Non vi era alcun dubbio che Arthur fosse rimasto sconvolto da ciò che era accaduto nell’abitazione di quello stregone, e che si sentisse responsabile.
Tuttavia, il principe drago non credeva che essere visto in tali condizioni da lui, potesse potarlo ad allarmarsi in tal modo per qualsiasi minimo pericolo che scorgeva all’orizzonte.
Erano abituati agli attacchi alle spalle, ai tradimenti, ai subdoli agguati e a tutto il veleno al quale un membro della famiglia reale era soggetto, da anni, e avevano imparato a gestire tutto ciò con calma, lucidità e sagacia.
Ma ora, Arthur sembrava quasi ritrovarsi dinnanzi a qualcosa che lo aveva disarmato tanto, da renderlo insicuro persino di fronte a delle prove evidenti che avrebbero dovuto tranquillizzarlo.
- Stai ripensando alla notte scorsa? – gli domandò Rhaegar senza preavviso, sorprendendolo.
- È difficile non pensarvi, rinchiuderla in uno scantinato e dimenticarsene.
In quella casa ho visto una persona che non eri tu, ho visto qualcosa che mi ha … atterrito. Totalmente. Credevo di conoscere ogni lato di te, ogni sfaccettatura della tua personalità, di tutto ciò che ti tormenta da una vita.
Ma, dopo ieri notte, so che non conoscevo neanche la metà della tua natura.
- Non la conoscevo neanche io, Arthur, se ti può consolare.
- So che devo essere forte, estremamente forte e pronto a tutto se voglio continuare a starti accanto, ad essere un’armatura inscalfibile per te.
- Non ti ho mai chiesto questo.
La tua umanità è quella che mi permette di andare avanti e di allontanare ciò che mi opprime, Arthur, non la tua spavalderia o la tua forza.
A ciò, il dorniano accennò un lieto sorriso. – Mi aggrada sentirlo, tuttavia hai bisogno di tutta la protezione e l’aiuto possibile in questa battaglia esterna ed interna a te.
Non so ancora se ne sarò capace, Rhaegar, ma ci proverò.
Spero solo che tu possa trovare un barlume di pace e di felicità, in tutto ciò.
Il principe drago sorrise tristemente, di rimando. – Mi spiace tu abbia dovuto vedere quello che hai visto, ieri notte.
Immagino non sia stato un bello spettacolo.
Uno strano risolino uscì dalle labbra di Arthur. – Credimi, è stato destabilizzante e molto altro, ma mai spiacevole.
Credo che qualcuno lo avrebbe trovato persino ipnotico.
Al di là della preoccupazione che mi invadeva da capo a piedi nel vederti in quello stato, sembrava quasi che avessi un immenso bisogno di far uscire fuori quel lato bestiale in tutta la sua ferocia.
Sono certo che il Ragno non se lo dimenticherà facilmente.
Si lasciarono andare entrambi ad un sorriso divertito, in seguito a quelle parole.
- Ad ogni modo, oggi come ti senti? – riprese la Spada dell’Alba.
- Meglio. Ma non so quanto durerà. Cercherò di tenerlo a bada se le allucinazioni dovessero tornare. Ciò che mi preoccupa di più è che, talvolta, ciò che vedo mi debilita a tal punto da piegare la mia volontà, forzandomi ad agire in modi in cui non avrei agito in assenza delle allucinazioni.
- Faremo in modo che non accada – lo tranquillizzò il dorniano.
Rhaegar annuì, continuando a godersi il piacevole sottofondo melodico dei musicisti, fin quando i suoi occhi non furono attirati dalle due figure dei giovani Jaime e Cersei Lannister discutere animatamente.
Anche gli occhi di Arthur virarono sui due.
- Il ragazzo prenderà il bianco alla cerimonia di questa sera – commentò il dorniano. – Ha solo sedici anni. Sarà il più giovane della storia – aggiunse.
Rhaegar rimase ad osservare i due litigare. – Mio padre vuole vendicarsi a tal punto della fama e del prestigio acquisito da lord Tywin, da essere capace di arrivare a tanto, privandolo del suo unico erede – commentò con sdegno.
- Hai intenzione di fare qualcosa a riguardo?
A ciò, Rhaegar si voltò a guardare suo padre dietro di sé.
- Non ho alcun potere su di lui.
Lo sai bene.
 
Il banchetto proseguì animandosi sempre più alla fine delle portate, grazie alle danze.
La giovane lupa aveva ballato con Robert, con Howland, con Brandon, con Ned, con Benjen e persino con il fratello della principessa Elia, Oberyn.
Quell’unico bicchiere di vino che aveva bevuto aveva sortito i suoi effetti, rendendola più estrosa durante le danze, facendola divertire.
Tuttavia, non era riuscita ad evitare di calpestare i piedi a tutti, quello sarebbe stato impossibile.
Sorrise sfinita, riprendendo posto al suo tavolo vuoto, felice di poter finalmente riposare le gambe e i piedi, mentre osservava il salone ancora gremito di lord e dame che si dilettavano nei vari balli che si susseguivano.
Robert stava ridendo e scherzando rumorosamente con ser Richard Lonmouth; Brandon danzava lietamente con Catelyn; Benjen ballava con la dolce lady Whent, dopo esser riuscito a rubare un ballo anche alla principessina Rhaenys; Ned, invece, faceva da cavaliere a lady Ashara, dopo che la stessa Lyanna e Brandon avevano spronato la giovane Dayne, palesemente interessata anch’ella a Ned, ad invitarlo a ballare, dato che quest’ultimo non avrebbe mai trovato il coraggio di farlo di sua sponte.
Era stato esilarante.
La giovane lupa poggiò il gomito sul tavolino e il mento sul palmo della mano, contravvenendo ad ogni regola di buon costume, approfittando del fatto che quasi nessuno potesse vederla.
Forse avrebbe anche potuto addormentarsi così, con la splendida musica a cullarla, l’eco dei passi dei danzatori e le luci degli infiniti candelabri ad allietarla, se non fosse stato per quello scomodissimo corpetto che le stava comprimendo il costato.
Gli effetti del calice di vino erano spariti grazie all’ora intera che aveva trascorso ballando, tuttavia il tepore che provocava quell’amaro liquido scuro al suo corpo era rimasto.
In quel momento chiuse gli occhi e un nostalgico ricordo le ritornò alla mente.
Una delle sere nelle quali aveva incontrato Calen alla locanda, egli le aveva raccontato un sogno che aveva fatto.
Le piaceva molto ascoltare i sogni di Calen, poiché sembravano quasi provenire da un mistico libro di racconti e lui aveva quel suo modo magnetico di narrarli che le faceva desiderare di restare ad ascoltarlo per l’intera nottata.
- All’inizio, almeno fino a dove riesco a ricordare, vi era una donna, perduta in una casa di specchi.
Ella, dopo essere rimasta per mesi solo in compagnia della sua stessa immagine, decise di chiudere gli occhi e di attendere, per non impazzire.
Poi, un giorno, riaprì gli occhi.
Dinnanzi a sé non vi era più il suo riflesso, ma quello di un uomo.
Un uomo che imitava ogni singolo gesto e movimento che ella compiva, come fosse lei.
La donna si convinse di essere diventata uomo.
Sentimenti contrastanti si agitarono dentro di lei mentre osservava l’uomo riflesso sullo specchio, non accorgendosi che la propria immagine non apparisse più in nessun altro specchio.
Erano rimasti solamente lei e l’uomo.
Alla fine, la donna prese coraggio e decise di toccare il proprio corpo, per testare il cambiamento con le proprie mani.
Ma, quando lo fece, le sue dita tastarono la consistenza delle ossa.
Non vi era più nessuno strato di pelle e di carne a coprirla.
Era rimasto solo il suo scheletro, senza più alcuna protezione, nudo, duro e freddo, come era lei.
Quando rialzò gli occhi dinnanzi a sé, lo specchio era scomparso.
Lyanna riaprì le palpebre come risvegliata da un dolce sonno, ripensando alla profonda tristezza che aveva scorto nelle parole di Calen, quella sera.
Avrebbe voluto parlare con lui ancora, anche solo una volta, per scoprire cosa significava sentirsi diversi, diversi da come si era sempre stati.
Per capire cosa volesse dire crescere.
Distrattamente, la giovane lupa spostò lo sguardo verso il tavolo della famiglia reale.
Il principe ereditario era intento a risedersi al suo posto giusto in quel momento.
Il suo volto sembrava stanco, lontano, mentre si poggiava le dita sulle tempie e le massaggiava con movimenti circolari.
Mentre ballava, Lyanna lo aveva scorto discutere ripetutamente con il re, per qualche motivo riguardante il figlio di lord Tywin Lannister, aveva dedotto, dato che aveva visto coinvolto anche il ragazzo nella discussione.
Dopo di che, il principe si era assentato dalla sala, forse per accertarsi delle condizioni della principessa Elia.
La giovane lupa non sapeva se egli avesse preso parte almeno ad un ballo quella sera, probabilmente no, date le circostanze.
In quel momento, i loro occhi si incrociarono nuovamente.
Questa volta, a differenza delle altre, il contatto visivo durò più a lungo, forse perché erano effettivamente quasi gli unici seduti sui tavoli vuoti.
A ciò, egli le rivolse un sorriso accennato, confermandole che si ricordasse di lei, di quel piccolo incidente all’accampamento.
Poi, qualcosa, attirò particolarmente l’attenzione della giovane lupa.
Semplici e apparentemente banali dettagli furono in grado di farle lievemente aggrottare le sopracciglia.
Aveva avuto modo di osservare attentamente le abituali movenze di Calen durante le ore trascorse con lui.
Aveva notato che, una delle sue manie più frequenti e delle quali egli non si accorgeva, era quella di circondarsi la base del collo con le dita di una mano, talvolta, senza stringere troppo, per poi tamburellare distrattamente con i polpastrelli sul tavolino.
Era un gesto sequenziale che faceva quando era molto stanco, solitamente.
Ed ora, nonostante la distanza, la giovane lupa osservò distintamente lo stesso movimento venire compiuto in maniera identica dal principe ereditario.
Era chiaro che fosse solo una strana e inusuale coincidenza, ma ciò fu in grado di sorprendere e, per qualche motivo, di far tremare la giovane Stark.
Ora che la sua curiosità era oramai accesa, vagò con gli occhi sulla curva del collo del principe, mentre egli, richiamato da lord Jon Connington, era impegnato a conversare con lui.
Per quale motivo stava trovando qualcosa di stranamente familiare in lui?
Era solamente la sua immaginazione?
Ma per quale ragione la sua immaginazione avrebbe dovuto portarla ad associare Calen alla persona che vi era di più distante da lui in quel salone?
Sicuramente era colpa del vino, quello stesso vino che oramai avrebbe dovuto essere già stato assorbito completamente dal suo corpo.
D’un tratto i musicisti si fermarono, facendo cessare lo splendido sottofondo, mentre tutti i lord e le lady impegnati a danzare si divisero.
Sia Lyanna che Rhaegar vennero attirati da quell’interruzione repentina, così come tutti i presenti.
- Mi rivolgo a tutti voi, milord e milady, per ringraziarvi di essere presenti qui nella nostra dimora questa sera, per celebrare la nascita di mia figlia e l’inizio dell’atteso torneo che, ne sono certo, diverrà tanto celebre da passare alla storia – prese la parola lord Whent, il quale si fece largo nel mezzo della sala. – Ed è per ripagarvi della vostra gradita presenza che io, mia moglie e mia figlia, vorremmo allietare le vostre orecchie con qualcosa che non vi ricapiterà di udire di nuovo – continuò, rivolgendo poi lo sguardo sorridente verso il principe drago, ancora seduto e intento a scrutarlo confuso. – Con mio immenso onore, vorrei richiedere al nostro futuro re di suonarci e cantarci qualcosa, dato il suo rinomatissimo talento musicale, famoso in tutti i sette regni - concluse allungando il braccio verso il principe, il quale venne totalmente invaso dagli occhi colmi di concitazione e di aspettativa di tutti gli ospiti.
Lyanna vide il volto sorpreso e lusingato insieme del giovane drago alla disperata ricerca di un modo per declinare gentilmente l’invito.
Tuttavia, non lasciandogli il tempo di rispondere, colui conosciuto come la Spada dell’Alba intervenne, parlando al suo posto. – Sono certo che sua Altezza desideri con tutto il cuore accontentare voi e tutti i presenti, lord Whent; tuttavia, sfortunatamente, il nostro principe ha avuto dei problemi di voce quest’oggi, dunque è meglio che la sua gola non si affatichi eccessivamente.
- Oh, avanti, ser Arthur! Non vorrete privarci di una simile delizia ad occhi e orecchie proprio in questa occasione! – commentò spudoratamente il principe Oberyn Martell, facendosi riconoscere, come si stava adoperando a fare da tutta la serata.
Lyanna si ritrovò a sperare che il giovane drago cedesse, accettando di cantare e suonare, improvvisamente colta dalla brama di ascoltare la sua voce, per nessun motivo apparente.
- Potrete pur sempre cantare una canzone lenta, che non richieda alcuno sforzo della voce, mio signore – insistette la Vipera rossa, questa volta rivolto direttamente al principe drago.
A ciò, Rhaegar guardò il suo fedele cavaliere e gli fece cenno di non opporsi, alzandosi in piedi, decidendo di accontentare Oberyn e tutti gli ospiti in aspettazione.
Alcuni servitori posero una sedia in mezzo alla sala, accompagnata da una splendida e imponente arpa dorata, mentre il principe raggiungeva la postazione e i presenti si disponevano in un largo cerchio intorno a lui.
Lyanna scattò in piedi, affrettandosi a farsi largo tra gli ospiti per ottenere una visuale quantomeno discreta.
Le era sempre piaciuto ascoltare la musica, le parole di uomini e donne farsi spazio tra le note di uno strumento, soavi e rasserenanti, in grado di incantare e, talvolta, di spaventare.
Rhaegar si sedette, poggiò una mano sul manico dorato dello strumento, prendendovi confidenza, e con l’altra sfiorò le corde.
Si schiarì la voce e, un secondo prima di cominciare, i suoi occhi, velati da qualcosa che la giovane lupa riuscì ad associare solo alla tristezza e ad un pizzico di turbamento, guardarono dinnanzi a sé, trovandola nella sua traiettoria.
Si fermarono qualche secondo su di lei, giusto il tempo per far salire un brivido sulla schiena della giovane Stark, giusto il tempo affinché nessuno se ne accorgesse.
Poi, accadde.
Quella voce si incastonò nelle sue orecchie, esattamente come era accaduto la prima volta.
La riconobbe immediatamente.
Nonostante il turbine di emozioni indefinibili che la stavano agitando come un mare in tempesta, Lyanna si sforzò di rimanere lì dov’era, ad ascoltare quella canzone, ad inebriarsi di quella voce che aveva amato tanto da divenirne dipendente.
Le ginocchia le tremavano, la testa le pulsava, il cuore accelerava sempre più, ma lei rimase lì dov’era.
- Ad un cielo senza sole e senza stelle
Chiedeva aiuto senza ricevere mai risposta
Vedeva il bianco nel nero sconfinato
Per parlare alle creature come lui
Combatteva contro il feroce silenzio
Per vincere l’ultima battaglia.
Quando tutto dorme
Il buio incombe
Quando tutto tace
Il gelo si fa strada nella sua gola
E costringe i polmoni a respirare più forte
Marchia l’aria di vuote promesse
Promette meraviglie.
Ad un cielo senza sole e senza stelle
Giurava fedeltà squarciando il vento
Affrontava la messaggera che indossava il velo nero
Scavava per salire
Urlava per tacere
Nasceva per sparire
Per vincere l’ultima battaglia.
L’ultima e la prima.
Ad un sole senza cielo
Ad una terra senza traccia
Rivolgeva le sue preghiere
Marcendo come marcisce la luce
Morendo come muore il fuoco.
Per promettere all’aria, le stesse meraviglie – terminò il giovane drago, intonando la strofa finale mentre le sue dita muovevano le ultime corde dell’arpa.
Un canto quasi sussurrato per quanto intimo, essenziale, di una bellezza spaventosa e ammaliante.
Gli attimi di silenzio che seguirono quell’esibizione parvero dilungarsi per l’intera nottata, prima che, dalla folla di spettatori totalmente assuefatti, si innalzasse un poderoso appaluso.
Con il sottofondo di quelle infinite mani che battevano tra loro entusiaste, Lyanna ritrovò la forza di respirare.
Solamente quando Benjen attirò la sua attenzione, la giovane lupa si risvegliò da quello stato di trance. – Possa colpirmi la furia degli dèi antichi e nuovi insieme se ora tu non stai piangendo come una neonata, Lya! – esclamò il ragazzino osservando il viso coperto di lacrime di sua sorella, quasi esterrefatto.
A ciò, quest’ultima, presa da un istinto di furia, frustrazione, e dall’intera valanga di emozioni che aveva represso fino a quel momento, si asciugò violentemente il volto con i palmi, per poi afferrare un calice colmo di vino avvistato nel tavolo più vicino a loro e versarlo senza alcuna grazia sopra la testa di Benjen.
Alcuni presenti si accorsero di ciò, mentre altri continuarono ad applaudire, totalmente concentrati sul principe drago.
- Lyanna! Per gli dèi del cielo, cosa ti è preso?! – esclamò Brandon, ma non ebbe il tempo di fermarla afferrandola per il polso, poiché ella prese a correre verso l’uscita del salone, varcando la porta prima che tutti i suoi fratelli realizzassero concretamente cosa fosse accaduto.
- Ci penso io – intervenne Cat anticipando i giovani lupi, trattenendosi il bordo del lungo vestito e avviandosi verso l’uscita del salone a sua volta.
 
Non appena ebbe terminato di cantare e di prendersi i numerosi applausi, il principe drago si affrettò a distogliere l’attenzione da sé, dirigendosi nuovamente verso il suo tavolo mentre gli ospiti si disperdevano nuovamente nel salone, riprendendo a conversare.
- Tu non hai neanche idea di cosa hai scatenato – quel sibilo così vicino all’orecchio da assordarlo quasi, lo fece indisporre.
- Arthur, non ora – gli rispose in tono neutro, voltandosi di scatto e trovandoselo a neanche un palmo dal naso.
- Non credere di ingannarmi.
So che ti sei accorto di come ha reagito la tua compagna di chiacchiere sotto mentite spoglie.
Le è bastata una sillaba uscita dalla tua bocca per riconoscerti ed ora è esattamente nelle condizioni in cui mi aspettavo che fosse.
No, non ti dirò che avevo ragione, non ho intenzione di farti nuovamente presente quanto sia stato enormemente stupido ciò che hai fatto in merito a tutta la questione degli incontri notturni in quella maledetta locanda, ma ora … - il dorniano si prese una pausa, ponendoglisi dinnanzi agli occhi, costringendolo a guardarlo in volto nonostante Rhaegar facesse di tutto per mostrargli indifferenza.
- Ora devi prenderti le tue responsabilità.
Non permetterò che una ragazzina impulsiva e infatuata metta in pericolo tutto ciò che c’è in gioco ora e non lo permetterai neanche tu.
- È infuriata con me e di ciò dovresti solo ringraziarmi, poiché non vi è niente di più positivo – gli rispose Rhaegar con sicurezza.
- Cosa vi sarebbe di positivo, di grazia?
- È molto meglio che ella covi delusione e odio nei miei confronti, piuttosto che qualcos’altro. Aspetta che sbollisca un po’ e vedrai che le passerà.
Non farà nulla che possa mettere in pericolo la mia persona – gli disse venendo immediatamente artigliato per il braccio dal dorniano.
- Ascoltami bene, Rhaegar.
Ascoltami con molta attenzione.
L’ho vista correre via dalla sala in lacrime, rincorsa da un’altra lady.
Ora, io andrò là fuori e farò in modo di rassicurare la sua amica nel modo più cordiale e neutrale possibile, facendola tornare dentro e accertandomi che nessun altro l’abbia seguita.
Dopo di che, raggiungerò lady Stark, le spiegherò chi sono, le dirò che mi hai mandato tu e la condurrò in un luogo in cui voi due potrete parlare con calma, indisturbati, senza venire scorti neanche per errore da qualche occhio indiscreto.
Quando avrai il mio segnale, tu, con la tua egregia discrezione, dirai di doverti assentare dal salone per controllare le condizioni di Elia a chi te lo domanderà, e ci raggiungerai.
Nel momento in cui avrai terminato di parlare con quella ragazza, e solo e solamente dopo che l’avrai totalmente convinta con le tue doti persuasive a non dire una sola parola ad anima viva riguardo le tue gite alla locanda, lei potrà rientrare nel salone e tu potrai realmente recarti a controllare le condizioni di Elia, per evitare di destare anche il minimo sospetto in qualcuno.
Solo allora, potrai tornare anche tu nel salone e assistere alla fine della cerimonia – terminò il dorniano con voce ferma, autoritaria e calma, fissando negli occhi il principe drago con insistenza.
Sapeva che Rhaegar non lo avrebbe accontentato facilmente, e forse avrebbe dovuto inventarsi qualcos’altro per forzarlo a mettere in pratica le sue parole, ma ad Arthur non importava.
Sarebbe stato pronto a farlo.
In seguito a quella lunga ed estenuante gara di sguardi, Rhaegar cedette al volere della Spada dell’Alba, non senza riluttanza.
Tutto ciò che il dorniano aveva pianificato sembrò filare liscio agli occhi del principe drago, quando visualizzò la figura di Catelyn rientrare nel salone, la quale parve spronare Brandon a lasciare un po’ di spazio a sua sorella.
Dopo quasi un’ora, Ashara, in accordo con suo fratello, gli si avvicinò, sussurrandogli all’orecchio. – Il giardino incolto nel retro del castello – disse solamente.
Senza risponderle, Rhaegar, dopo aver rivolto uno sguardo a Rhaenys per accertarsi che fosse ancora in compagnia della piccola lady Whent, si alzò dalla sedia con tranquillità e si diresse verso l’uscita del salone.
Uscito dal castello, percorse la strada più isolata che conosceva che lo avrebbe condotto nel retro dell’imponente costruzione, laddove vi era il giardino incolto e solitamente deserto menzionatogli da Ashara.
Prima di accedere al luogo, si guardò intorno più volte nonostante il buio pesto, non individuando traccia di anima viva neanche a metri di distanza.
Dopo di che, entrò e cercò con lo sguardo la figura di Arthur e quella della ragazza.
Non appena li vide, entrambi in silenziosa attesa, li raggiunse, e il dorniano gli andò incontro. – Qui non vi troverà nessuno – gli sussurrò, per poi rivolgergli un’ultima dura occhiata di intesa, e uscire dal giardino, lasciandoli soli.
La giovane donna che conosceva come Doen era immobile, con la testa bassa.
Sembrava quasi trattenere dentro di sé una belva che smaniava per uscire.
Rhaegar era intenzionato a farla emergere.
In tal modo, nessuno dei due avrebbe più causato problemi all’altro e quel breve intermezzo tra le loro vite si sarebbe concluso con la stessa facilità con la quale era iniziato.
Attese che ella parlasse o, almeno, alzasse lo sguardo, ma non lo fece.
Tremava, teneva le braccia conserte con i pugni stretti, l’acconciatura semi sciolta, il bordo del bel vestito leggermente rovinato, forse a causa della corsa.
- Milady? – le disse dopo diversi minuti di silenzio.
Ella sembrò quasi rabbrividire di rabbia a tal richiamo.
Il principe drago si guardò intorno ma, come si aspettava, non vi era nulla dove poterla far sedere.
- Lady Stark? – ritentò con calma, vedendola vacillare ancora, ma senza alzare il viso. – Dobbiamo sbrigarci o si insospettiranno per la nostra assenza.
A tali parole, la giovane lupa si decise ad alzare il volto, ancora rosso per il pianto di poco prima.
– Per gli dèi del cielo – sussurrò. – Non voglio credere siate davvero voi … non voglio credere siate lui.
Non posso crederlo …
Voi non potete essere lui! – esclamò quell’ultima frase con un misto di rabbia, soggezione e astio, forzando se stessa a guardarlo negli occhi.
Le era sempre stato insegnato che la somma riverenza da mostrare ai reali fosse una disposizione data dagli stessi dèi del cielo.
Non sarebbe mai stato accettato un atteggiamento come quello che lei stava mostrando al principe ereditario in quell’istante.
Sarebbe dovuta esser punita milioni di volte da qualche entità sovrannaturale per aver conversato cinque o sei volte con lui in quella locanda, come due persone normali, alla pari.
Eppure, non era accaduto nulla di tutto ciò.
Eppure, ora, il futuro re dei sette regni si trovava dinnanzi a lei, disposto a darle spiegazioni.
Solamente ciò avrebbe dovuto sciogliere come neve al sole tutta la collera, la vergogna e la frustrazione che sentiva ribollirle dentro. Tuttavia, neanche ciò era accaduto.
La battaglia che si stava svolgendo dentro di lei, tra l’idilliaca consapevolezza di avere Calen dinnanzi a sé, e l’immensa confusione, incredulità e fragilità che la invadevano nel guardare il principe ereditario in piedi davanti a suoi occhi, sembrava non avere mai fine.
Più rifletteva su tutto ciò, più le sembrava impossibile da credere e da razionalizzare.
Forse era tutto frutto della sua mente e a breve si sarebbe svegliata sul suo letto, scoprendo di aver causalmente sovrapposto le due figure per puro sfizio, una sorta di fantasia contorta e ammaliante che non sapeva di avere.
Ma quel timbro di voce, quella tonalità e quel colore del suono che caratterizzava ogni sua parola pronunciata, non mentivano.
Era alto come lui, parlava come lui, si muoveva come lui.
- Perché non dite niente …? – trovò la forza di domandargli, immergendosi in quelle vivide pozze viola che la guardavano in maniera indefinibile. – Non mi avete fatto condurre qui per parlarmi? – insistette ora agitata.
- Non vi devo alcuna spiegazione – si decise a risponderle, con distacco.
Lyanna ammutolì, attendendo che continuasse.
- Ho commesso un errore nel fare ciò che ho fatto, ma ho avuto i miei motivi.
Non ho intravisto i rischi che correvo e che mi sono stati posti dinnanzi agli occhi nell’assumere un’identità sconosciuta e nell’entrare in confidenza con quella che credevo essere una popolana, per qualche notte.
Sapete che non avevo cattive intenzioni o doppi fini, siete una giovane donna intelligente e sveglia.
Non intendevo illudere, raggirare o ingannare nessuno.
Le mie ragioni erano egoistiche, ma oneste e genuine – concluse.
Lyanna restò ancora in attesa, distogliendo lo sguardo, immergendolo nel buio della notte, cercando di ricacciare giù il magone che sentiva risalirle lungo la gola e bruciarle addosso. – Cosa volete che faccia? – gli chiese con voce quasi sussurrata. – Se siete qui ora, è solo per convincermi a comportarmi in un determinato modo, giusto?
Immagino non vorrete che nessuno sappia dei nostri incontri.
Non avete nutrito e non nutrite alcun interesse per la mia reazione o il mio stato d’animo in merito a tutto ciò – concluse la ragazza.
- Eravamo delle persone diverse, poiché abbiamo scelto di essere delle persone diverse quelle notti, lady Stark.
Ne avevamo bisogno entrambi – le rispose egli con la stessa freddezza con la quale le aveva parlato fino a quel momento.
- Non posso credere siate davvero lui – ripeté la giovane lupa, questa volta con durezza, continuando a guardare altrove. – Siete totalmente diverso da Calen. Sembrate due persone differenti.
Io avevo trovato un amico in Calen. Un animo sensibile, angustiato ma luminoso, comprensivo, gentile e in grado di trattare chiunque con immenso tatto, delicatezza e accortezza – disse alzando il viso per tornare a guardarlo. – Chi siete voi…?
Dinnanzi a quella domanda, il principe non si scompose minimamente. – Un individuo che non conoscete neanche lontanamente, lady Stark.
Conservate la vostra delusione e levigatela col tempo, in modo che, in futuro, possa tornarvi utile.
Per non commettere una seconda volta lo stesso errore.
Nonostante percepisse gli occhi scalpitare per divenirle lucidi, la giovane lupa resistette, acquisendo, pian piano, consapevolezza di qualcosa, mentre guardava quel viso granitico, gelido, quasi inumano. – Voi lo state facendo di proposito – sussurrò, esplicitando quella deduzione senza timore.
Fu a quel punto che il volto del giovane drago cambiò espressione, assumendo tratti più vicini alla persona che Lyanna aveva immaginato di aver conosciuto alla locanda, benché ancora troppo lontano da lui.
Quell’inaspettata risposta lo aveva sorpreso e non era riuscito a nasconderlo, nonostante fosse magistralmente bravo in ciò, facendo emergere dai suoi occhi una rara e preziosa fragilità che la giovane lupa aveva avuto modo di vedere anche quando lo aveva osservato accorrere da sua figlia, quel giorno all’accampamento.  
A ciò, ne approfittò, sfruttando quel barlume di luce a proprio vantaggio. – Sì, è così. Voi state recitando questa farsa per cercare di atterrirmi, innervosirmi, deludermi, offendermi …
- Offendervi mai – la interruppe il giovane drago, con voce ferma e sincera.
Restarono in silenzio per un po’, ad ascoltare il vento fresco portato dalle ore notturne carezzare la pelle e i vestiti.
La prima a rompere quel momento di sospensione fu Lyanna, la quale, dopo essersi quasi incavata gli occhi nelle orbite a furia di asciugarsi ogni residuo delle gocce salate incastonate tra le sue ciglia, guardò un punto nel vuoto del giardino deserto in cui si trovavano e parlò.
– Non avrei mai detto nulla di voi.
Mai.
Anche se non foste venuto qui a convincermi di tacere questa sera.
Non avrei mai messo in pericolo la vostra reputazione e il vostro nome, neanche se mi aveste trattato come un oggetto insignificante, senza valore, invisibile ai vostri occhi.
Non avrei mai infangato o dimenticato i preziosi momenti che ho condiviso con voi, neanche se vi avessi odiato.
Il fatto che voi abbiate anche solo pensato che avrei potuto fare una cosa simile, forse è ciò che mi rattrista più di tutto.
- Mi pento amaramente di ciò che ho fatto, lady Lyanna, della sofferenza che vi ho arrecato.
- Io no – controbatté ella. – Non me ne pento e non me ne pentirò.
Ho imparato molto grazie a voi e ho scoperto lati di me stessa che non conoscevo e che, probabilmente, se non vi avessi incontrato non avrei mai conosciuto.
A prescindere da come si sia concluso il tutto, mi sento comunque di ringraziarvi, mio signore.
Vi posso rassicurare ulteriormente, poiché posso garantirvi che colui che mi ha fatto battere il cuore è stato Calen, non voi.
E come avete detto poco fa, Calen e Doen sono coloro che avevamo bisogno di essere durante quelle notti, ma non sono noi – concluse tornando a guardarlo.
In quel momento, vedendola così piccola ma così intensamente traboccante di una debolezza dolce, energica e quasi rabbiosa allo stesso tempo, a Rhaegar ricordò una bambina desiderosa di crescere in fretta, pronta ad affrontare la vita di petto, nonostante fosse totalmente ignara di ciò che l’attenderà.
La brillante e famelica curiosità e l’impetuoso coraggio che gli erano tanto piaciuti in Doen ora erano in Lyanna.
Le accennò un sorriso, dolce e riconoscente, in risposta. – Ne sono felice, lady Lyanna.
 
 
 
 
 

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Capitolo 13
*** Schiavi d'amore ***


Schiavi d’amore
 
 
La principessa continuò a vomitare l’intera colazione che aveva consumato quella mattinata, senza tregua, trattenendosi l’oramai ingombrante e pesante pancione con la mano, mentre lady Ashara le reggeva i capelli indietro.
- Elia … - la richiamò affabilmente la giovane dama, in tono allarmato. – State rigettando cibo da quasi trenta minuti. Volete che mandi a chiamare il Gran Maestro …?
- No – la interruppe immediatamente la principessa, pulendosi la bocca con il dorso della mano. – Oggi è il primo giorno del torneo. Non posso permettermi di darmi malata – rispose categorica.
- Mia signora, state male. Se continuate così non avrete le forze per reggervi in piedi durante la giostra …
- Non dovrò stare in piedi, difatti. Mi basterà rimanere seduta sulle gradinate – la rassicurò voltandosi verso di lei e accennandole un lieve sorriso.
- Siete ancora sicura di non volere che mandi a chiamare vostro marito? Si preoccuperà se verrà a sapere solo dopo il torneo quanto siete stata male.
- Non proporlo nemmeno, Ashara. Ora lo scudiero di Rhaegar lo sta preparando per la giostra, tra meno di un’ora avrà inizio.
Lui non deve assolutamente venire a conoscenza del mio attacco di questa mattina.
Dunque, mi aspetto che tu non ne faccia parole nemmeno con tuo fratello, Ashara.
Quest’ultima annuì, cercando di nascondere lo sguardo inquieto.
 
- Devi infilare prima il cosciale e poi lo schiniere! – esclamò la giovane lupa trattenendo il respiro mentre il pettorale stretto le opprimeva il seno sottostante fasciato abbondantemente con delle bende, per appiattirlo il più possibile.
Il giovane crannogmen continuò ad allacciarle il cosciale con sguardo dubbioso. – Non cambia nulla se lo infilo prima o dopo lo schiniere.
- E invece sì, te lo dico io, Howland! Dovresti prestarmi attenzione, sono molto più esperta di te in queste cose, non ho fatto altro che infilare queste assurde armature ai miei fratelli sin da quando ero piccola.
Oramai la sua soglia di frustrazione e agitazione stava raggiungendo picchi inesplorati, e la vittima di quello stato d’animo pronto ad esplodere era il povero Howland, l’unico a conoscere il suo inestimabile segreto, l’unico complice.
Aveva trascorso l’intera nottata ad allenarsi, senza chiudere occhio.
Non che non lo avesse fatto anche nei giorni prima, non appena si trovava da sola e ne aveva l’occasione, chiedendo talvolta a Ned, talvolta a Brandon, di farle da sfidante.
Di nuovo, quel groppo di senso di colpa che le invadeva la gola per non aver fatto parola della sua folle idea ai suoi fratelli le oppresse il respiro.
Tuttavia, si ripeté per l’ennesima volta che non poteva metterli in pericolo in tal modo.
La responsabilità era sua e sua soltanto.
E di Howland.
Ma di Howland non poteva fare a meno per mettere in atto ciò che aveva in mente.
Non avrebbe potuto evitare di coinvolgerlo e, oramai, il crannogmen vi era dentro quanto lei.
Guardò il ragazzino inginocchiato dinnanzi a sé, concentrato ad allacciarle quel pesante pezzo di metallo intorno alla coscia, rendendola sempre più somigliante ai cavalieri che avrebbe affrontato fuori da quella tenda, che desiderava tanto emulare.
Quando si era iscritta al torneo all’alba, quella mattina, con un ingombrante mantello a coprirla da capo a piedi, aveva dichiarato di voler partecipare per vendicare l’onore di un crannogmen.
Qualche giorno prima aveva chiesto ad Howland quali fossero i cavalieri che lo avevano maggiormente e persistentemente infastidito prima dell’inizio del torneo.
Uno di Casa Haigh, uno di Casa Blount e un altro di Casa Frey, aveva detto il crannogmen.
Li avrebbe affrontati senza timore sul campo, lo doveva ad Howland, per tutto ciò che aveva fatto per lei, per aiutarla a realizzare il suo desiderio impossibile, rischiando a sua volta di essere scoperto.
Era stato lui a reperirle tutti i pezzi necessari a comporre un’armatura completa, elencatigli minuziosamente da lei stessa, rivolgendosi ad un vecchio fabbro e supplicandolo di donargli tutti gli avanzi delle armature che aveva realizzato nel corso degli anni.
Erano vecchi catorci, ma avrebbero adempiuto alla loro funzione almeno l’indispensabile, Lyanna ne era certa, nonostante le pesassero addosso come macigni e puzzassero di metallo ossidato.
Si legò la lunga chioma di capelli in una treccia, che attorcigliò su se stessa e legò in cima alla testa.
Fortunatamente l’elmo che il fabbro aveva dato ad Howland era talmente grande da coprirle tutto il capo.
Quando il crannogmen aveva avuto la bella pensata di scolpire la sagoma di un albero cuore sul malmesso scudo che aveva reperito, alla giovane lupa era venuta una brillante idea. Il “Cavaliere dell’Albero che Ride” sarebbe stato il suo nome.
Un rimando alla sua infanzia, alla sua amata casa nelle lande del Nord che tanto le mancava, nonostante fosse giunta ad Harrenhal solo da poche settimane.
Sì, quel nome le piaceva, tanto quanto immaginava l’avrebbero odiato tutti gli altri.
La scusa che aveva rifilato ai suoi fratelli per giustificare la sua assenza al torneo era perfetta, almeno per i primi giorni.
A volte si sorprendeva lei stessa delle sue doti da bugiarda: assumendo il suo miglior sguardo afflitto, dolorante e melodrammatico si era attorcigliata alle coperte del letto e aveva cacciato malamente i suoi fratelli appena entrati nella tenda, biascicando e urlando loro di essere vittima di dolori insopportabili, poiché il sangue le era tornato ancora e loro, “poveri” fortunati, non avrebbero mai potuto comprendere i tormenti di una donna.
Poteva accadere che una donna perdesse sangue due volte al mese, di tanto in tanto, non era così strano.
Rise sotto i baffi al pensiero di quella esibizione impeccabile che aveva convinto i suoi fratelli a starle alla larga e a lasciarla a letto, senza farle pressioni per farla assistere al torneo.
Sicuramente, a suo padre, a Robert e a Cat si erano limitati a dire che la loro scapestrata sorella avesse un malore allo stomaco e nulla di più.
Quando Howland ebbe terminato di allacciarle tutte le parti dell’armatura, si rialzò in piedi e la osservò in silenzio.
- Allora…? – gli domandò in aspettativa.
- Sembri un cavaliere – si limitò a risponderle il ragazzo.
- Davvero?? Sembro davvero un cavaliere?
- Sì. Sei solo un po’ bassa, ma l’armatura ti rende più robusta, almeno.
- Beh, è già qualcosa – gli rispose sorridendogli raggiante. – Grazie di tutto, Howland. Non dimenticherò mai ciò che hai fatto per me.
- Non devi ringraziarmi – le rispose egli accennandole un sorriso a sua volta. – Tu mi hai salvato da quei ragazzi. Ti considero un’amica.
A ciò, Lyanna gli si avvicinò e lo abbracciò, stringendolo a sé, nonostante l’impalcatura che avesse addosso glielo rendesse non poco difficile.
Sì, sarebbe andato tutto bene se gli dèi l’avessero assistita.
D’improvviso, senza alcun motivo logico, un fulmine a ciel sereno squarciò il sollievo e la pace che aveva acquisito da pochi secondi.
Il ricordo della sera precedente, ancora fresco, limpido e lampante nella sua mente, le scosse le membra.
Quella mattina avrebbe rivisto il principe ereditario e, forse, lo avrebbe persino affrontato in campo.
L’avrebbe riconosciuta?
La parte di lui che era stata Calen lo avrebbe fatto? Avrebbe ricordato le parole che ella gli aveva pronunciato alla locanda?
E se avesse capito fosse lei, come avrebbe agito?
La giovane lupa non seppe trovare risposta a tali domande.
Sapeva solamente che un malessere e un fastidio alla bocca dello stomaco avessero cominciato a manifestarsi non appena aveva cominciato a pensare a lui, all’impossibile incontro che aveva avuto con il principe Targaryen solo poche ore prima, a quanto l’avesse scossa in ogni modo immaginabile ciò che aveva scoperto su colui che credeva il suo primo e intoccabile amore.
Come poteva aver creduto di amarlo?
Fino a che punto era stata accecata dall’innato fascino di quel forestiero per credersi innamorata di lui dopo quei brevi incontri?
E come poteva pretendere qualcosa di ulteriormente meraviglioso da tutta quell’assurda situazione, dopo aver sentito il cuore batterle tanto forte ed essersi resa conto di essere molto più donna di quanto si aspettasse?
Doveva esserci il risvolto della medaglia. Avrebbe dovuto immaginarlo.
Sperare che il ragazzo che avesse incontrato quelle sere esistesse davvero e aspettasse solo che lei lo trovasse, era una fantasia degna della più ingenua e stupida delle bambine cresciute a pane e fiabe d’amore.
Ma il fatto che quell’uomo, tra tutti, fosse proprio il futuro re dei sette regni, era un’informazione che ancora non riusciva a digerire, ed era convinta che mai vi sarebbe riuscita.
Era stata debole la sera prima. Debole e vile.
Era stata debole e vile per aver ceduto alla sua voce.
Lo era stata per essersi lasciata incantare e commuovere da quel bellissimo canto.
Quello con il quale aveva parlato la sera prima era un uomo che non conosceva, un estraneo, qualcuno capace di farla sentire inadatta, indegna, sciocca e senza importanza con un solo, freddo sguardo.
Improvvisamente, il suono del corno annunciò l’imminente inizio della giostra, distogliendola dai suoi pensieri, facendola allontanare da Howland.
- Devo andare.
Ma poco prima che avesse modo di infilarsi l’elmo e di accingersi ad uscire dalla tenda che li ospitava, una presenza a lei estremamente familiare piombò dentro l’abitacolo.
Per poco non urlò non appena gli occhioni chiari e spalancati di Benjen si posarono sul suo volto e sull’armatura da cavaliere che indossava.
- Lyanna …? – esalò il giovane lupo sconvolto, venendo immediatamente artigliato per le spalle da sua sorella e trascinato vicino a lei.
- Ben, per tutti gli dèi del cielo! Cosa accidenti ci fai qui?!? Non dovresti essere ad aiutare Ned e Brandon con le armature??
- Stavo girovagando nei dintorni per trovare qualcosa da fare … mi sembrava di aver riconosciuto la tua voce da fuori questa tenda, così sono entrato – si giustificò il suo fratellino.
- Benjen!!
- Che ho fatto di male?!
Lyanna scosse la testa e cercò di non urlare, per mantenere la calma e prepararsi ad uscire dall’abitacolo.
- Stammi bene a sentire, uragano: non dire una sola parola di ciò che hai visto ad anima viva, intesi? Intensi, Ben??
Questa sera ti spiegherò tutto.
 
Elia piangeva di dolore da tre ore ma rifiutava di farsi preparare qualcosa dal Gran Maestro.
Era assistita da una dozzina di dame, ma non voleva per nessun motivo al mondo farsi vedere in quello stato da lui.
Gli aveva ordinato di uscire dalla camera e di lasciarla sola, in compagnia solo delle sue dame, Ashara prima di tutte.
Non aveva potuto far altro che obbedirle, senza opporsi.
Quando attacchi tanto dolorosi e di tale gravità colpivano sua moglie, si sentiva totalmente impotente, disarmato, incapace di fare altro che non fosse accondiscendere alle sue parole disperate e singhiozzate.
Quei momenti erano sin troppo familiari per il giovane drago.
Quando era bambino e udiva sua madre lamentarsi e urlare dalla sua camera, non poteva fare nulla per alleviare il suo dolore, se non tenersi a distanza quando lei voleva restare sola, o restarle accanto quando ella aveva bisogno del suo affetto e del suo amore incondizionato.
Eppure, anche se avesse provato a riaddormentarsi come lo aveva pregato di fare Elia, occupando un’altra camera del castello, sapeva perfettamente di non esserne capace.
Nulla al mondo avrebbe potuto fargli l’incommensurabile dono di un’ora di sonno profondo ininterrotta, di pace e tranquillità.
La sua testa martellava, presa d’assalto.
Le allucinazioni erano meno frequenti rispetto a prima, ma gli incubi erano più imperterriti che mai.
La teoria di Arthur e di Richard, i quali ipotizzavano che oramai vedesse quelle immagini e sentisse quelle voci in testa anche quando erano assenti, ora non gli sembrava poi così discutibile.
Dopo aver convinto Arthur a rimanere con Elia e averlo rassicurato di star bene, aveva sceso l’immensa scalinata che lo avrebbe condotto ad uno dei piani inferiori dell’enorme e buio castello, muovendosi in silenzio, nonostante i suoi passi rimbombassero sulle mattonelle dure e fredde.
Stranamente, era una notte particolarmente calda.
Il pensiero che l’indomani sarebbe stato il primo giorno di torneo e avrebbe richiesto una consistente quantità di ore di sonno non lo preoccupava minimamente.
Attraversò il salone, notando una lampada accesa in una stanzetta che si affacciava ad uno dei corridoi.
Senza pensarvi, si avvicinò a quella luce, affacciandosi alla stanza.
Al suo interno, vi trovò il Ragno Tessitore seduto a terra, a gambe incrociate, con le mani abbandonate mollemente sulle ginocchia coperte dalla tunica, lo sguardo disteso e gli occhi chiusi.
Il tappeto doveva rendergli inaccessibile il freddo del pavimento, mentre la presenza di diverse lampade ad olio sparse per la stanza allietava l’ambiente, donandogli un aspetto confortevole e caldo.
Rhaegar non disse niente, non parlò, restando a guardarlo dal ciglio della porta per qualche secondo, con sguardo neutro.
- Se avessi saputo mi avreste fatto visita, vi avrei accolto come avreste meritato, Vostra Altezza – ruppe il silenzio Varys, continuando a tenere le palpebre chiuse, muovendo solo le labbra.
- Quello che state facendo vi aiuta a conciliare il sonno? – gli domandò il giovane drago, restando a sua volta fermo, sul ciglio della porta.
A ciò, il Ragno Tessitore aprì gli occhi per guardarlo. – Quando eravate bambino avevate lo stesso problema.
Non riuscivate mai a dormire, mio principe.
- Da bambino non riuscivo a dormire per motivazioni ben differenti da quelle che mi tengono sveglio ora, lord Varys – rispose facendo vagare le iridi per la stanza, osservandola.
Il Ragno accennò un sorriso. – Nutrite nostalgia di quei tempi, a loro modo spensierati?
Rhaegar tornò a guardarlo negli occhi. – Voi la nutrite?
- Se ne avete piacere, potete entrare e provare anche voi – lo invitò. – La meditazione aiuta a liberare la mente più di quanto qualsiasi altra pratica sia in grado di fare.
- Non credo che con me sortirà l’effetto sperato – rispose il principe entrando comunque nella stanza e sedendosi a gambe incrociate a sua volta, di fronte all’altro.
- Ciò vi desta preoccupazione? Il fatto che i vostri tormenti siano rimasti, nonostante ciò che è accaduto due notti fa in quella casa.
- Oramai non più. Ho accettato la mia maledizione.
- Vostra moglie? Sa in che stato siete?
Rhaegar accennò un sorriso amaro. – Il dolore che prova ella non è comparabile al mio. La principessa ha già il suo fardello a cui pensare.
- Posso chiedervi che cosa dicono?
Il principe lo guardò interrogativo. – A chi vi riferite?
- Le voci che udite tartassarvi la mente.
Rhaegar abbassò lo sguardo. – Alcune parole sono in lingue che non conosco.
Principalmente sono le voci dei miei avi, che mi incolpano per ciò che è accaduto alla Sala d’Estate.
Ma ce ne è una in particolare, che sovrasta tutte.
- Che cosa dice?
- “Il drago ha tre teste”.
Lord Varys schiuse le labbra, come se volesse dire qualcosa, ma rimase in silenzio.
- Ho qualcosa per voi – disse dopo qualche minuto, alzandosi in piedi, mentre Rhaegar lo seguiva con lo sguardo, attendendo che continuasse.
- Come ben sapete, i miei uccellini sono pieni di risorse.
Sapevo soffriste di tali problematiche già da qualche tempo.
Recentemente ho avuto modo di far realizzare un potente siero, proveniente direttamente dalla Cittadella.
Nulla di rischioso da assumere, i Maestri sanno quello che fanno – gli disse prendono un’ampolla contenuta in un cassetto e porgendola al giovane drago.
- Se i Maestri hanno fatto il loro dovere, cinque gocce di questo siero al mattino dovrebbero aiutarvi ad affrontare il torneo lucidamente e senza distrazioni, placando quasi totalmente i mali che affliggono la vostra mente.
Purtroppo, l’effetto non è permanente, dura dalle cinque alle dieci ore, a loro detta.
Per tale motivo dovrete ricordarvi di assumerlo ogni mattina.
Rhaegar prese l’ampolla in mano, alternando lo sguardo tra questa e l’uomo dinnanzi a sé. – Da quanto state progettando di far realizzare questo siero appositamente per me?
- Da qualche mese.
Ovviamente, prima non sapevo che i vostri incubi sarebbero arrivati a tanto, ricordavo solamente i tormenti che vi avevano fatto passare intere notti insonni quando vivevate ancora ad Approdo del re, ma non avevo idea di quanto si fossero aggravati.
Tuttavia, dovrebbe funzionare comunque, poiché i Maestri l’hanno preparato al minimo dettaglio, un antidoto puro e concentrato, sotto mia esplicita richiesta.
Se siamo fortunati, la sua assunzione giornaliera vi farà tornare anche l’appetito – concluse il Ragno.
Rhaegar continuò a guardarlo in silenzio, essendo rimasto senza parole.
- Grazie, Varys – gli disse infine, rivolgendosi a lui per la prima volta senza appellativi.
- Non ringraziatemi se non volete offendermi.
È mio inequivocabile dovere e onore assicurarmi che colui che salirà al trono, governando su tutti e sette i regni, mi auguro il più a lungo possibile, sia in pace, in salute e al sicuro da ogni male che potrebbe affliggerlo.
Inoltre, vi ho visto crescere.
Vogliate credermi o no, mio principe, ma, malgrado tutto ciò che mi è accaduto e che mi ha condotto qui al vostro fianco oggi, sono ancora in grado di nutrire dei sentimenti.
- Manca solamente il mantello, Altezza, dopo di che avrò finito – il suo scudiero lo riscosse da quel ricordo di qualche ora prima, mentre era intento ad allacciargli l’ultimo pezzo dell’imponente armatura che avrebbe indossato per gareggiare al torneo quella mattina.
Il ragazzo strinse il laccio del pettorale nero e rosso che aderiva addosso al futuro sovrano, con lo stemma del drago a tre teste inciso sopra, mentre Rhaegar prendeva dimestichezza con quella sin troppo familiare corazza di metallo.
Aveva assunto le cinque gocce del siero appena sveglio, come lord Varys si era raccomandato, e, improvvisamente, quelle voci erano quasi scomparse, la spossatezza della nottata in bianco era svanita e l’appetito gli era tornato.
La fame lo aveva colto di colpo, come se dovesse ripagare al proprio corpo ogni briciolo del sostentamento che gli aveva negato in quell’ultima settimana tutto in una volta, spingendolo a consumare con impeto un’abbondante colazione composta da latte, pagnotte al burro, frutta, uova e carne.
Non mangiava così tanto a colazione da quando era bambino e aveva bisogno di energia solida per fare qualsiasi cosa.
Finalmente si sentiva in forze come lo era qualche settimana prima, con la mente libera, attiva, sveglia e lucida.
Quel siero doveva essere una miscela composta con il nettare degli dèi stessi.
Sperò solamente che l’effetto durasse almeno quanto si augurasse.
- Ecco fatto. Vado immediatamente a prendere il mantello, Maestà – disse il ragazzo ammirando il lavoro fatto su di lui, per poi volatilizzarsi fuori dalla stanza, lasciandolo solo.
Nel giro di pochi minuti il corno avrebbe suonato, annunciando l’inizio del primo giorno del tanto atteso torneo.
Improvvisamente, la serata appena trascorsa gli tornò alla mente, insieme a tutto ciò che aveva condotto ad essa.
Ripensò alla infantile e indicibilmente ignobile azione di suo padre di esiliare il giovane ser Jaime ad Approdo del re neanche cinque minuti dopo che il ragazzo aveva preso il bianco, divenendo ufficialmente un membro della Guardia reale, esattamente la sera prima dell’inizio del torneo, nel quale egli avrebbe dovuto e voluto gareggiare. Il tutto, solamente per capriccio.
Ripensò anche alla strana e inquieta conversazione che aveva tenuto con lady Stark, alla scomoda posizione in cui l’aveva messa, senza considerazione né riguardo nei suoi confronti e per i suoi sentimenti, facendole intendere di pensare solamente a se stesso, al proprio nome e alla propria reputazione.
Un pesante velo di rammarico gli adombrò totalmente il bel volto disteso e illuminato dal sole che entrava dalla finestrella in alto, facendogli ripercorrere ogni singolo errore commesso da lui nell’ultima settimana.
Un cuore buono, un animo impavido e scoppiettante come quello della ragazza che aveva avuto modo di conoscere alla locanda non sarebbe mai dovuto essere atterrito e mortificato da ciò che era accaduto tra loro, un errore perfettamente evitabile, una circostanza tra le più assurde mai createsi.
Fortunatamente, ora il tutto era terminato, quella breve parentesi che vi era stata tra loro non l’avrebbe più angustiata, volatilizzandosi come polvere al vento.
Eppure, qualcosa gli diceva che sarebbe dovuto accadere qualcos’altro.
Una stupida sensazione, nulla di più.
Quella veggente, alla locanda, aveva parlato di un destino comune tra lui e quella che aveva scoperto essere lady Stark.
Quella che poteva essere benissimo una ciarlatana, aveva sgranato per il terrore i suoi occhi stralunati dinnanzi a ciò che aveva visto, sul futuro che spettava loro.
Avrebbe mentito a se stesso se avesse negato che ciò lo allarmasse.
Il corno suonò, giusto qualche secondo prima che il suo scudiero rientrasse nella stanza con il lungo e maestoso mantello tra le mani.
La sua mente era libera, il torneo avrebbe avuto finalmente inizio, tutto sarebbe proseguito secondo i suoi piani.
Non vi era spazio per nessuna presunta profezia che determinasse il suo destino in quel momento, poichè, forse per la prima volta, se lo sentiva suo.
 
La giostra ebbe inizio.
Re Aerys restò a guardare dal punto più alto del soppalco per tutta la durata di quel primo giorno di competizione, affiancato da lord Varys.
Inaspettatamente, i quattro figli di lord Whent, palpabili vincitori, vennero disarcionati quasi subito, mentre una misteriosa figura, un certo Cavaliere dell’Albero che Ride, aveva stupito tutti i presenti, disarcionando consecutivamente ben tre cavalieri, uno di Casa Haigh, il secondo di Casa Blount e il terzo di Casa Frey.
Lo sconosciuto sembrava venuto al mondo per combattere in quel torneo, e ad Aerys ribollì il sangue nelle vene al sospetto che, dietro la sua identità nascosta, potesse celarsi quella dell’abilissimo spadaccino e combattente che aveva esiliato ad Approdo la sera precedente, quel ragazzino altezzoso e pieno di sé, figlio del suo odiato Primo cavaliere, Tywin Lannister.
Lo avrebbe strozzato e scorticato con le sue stesse mani se solo avesse potuto.
Lui, suo figlio, la puttana di sua figlia e quello scherzo della natura che aveva l’ardire di chiamare terzogenito.
Se solo la moglie del Lannister fosse stata ancora viva, sarebbe stata l’unica che avrebbe lasciato in vita.
E come se non bastasse, Rhaegar non stava muovendo un dito dinnanzi alla sprezzante audacia di quel ciarlatano che cavalcava con in mano quel rottame sul quale era scolpita la sagoma di un albero.
Se davvero si fosse trattato di Jaime Lannister, quel gesto sconsiderato, compiuto disobbedendo ad un ordine diretto del re dei sette regni, era considerato un insulto esplicito all’autorità di Aerys, punibile con la morte.
Ma Rhaegar sembrava quasi non curarsi di quel moccioso impertinente, non vedendo il pericolo che egli costituiva nonostante lo avesse ad un palmo dal naso.
Suo figlio cavalcava e combatteva come un glorioso guerriero in sella al suo possente destriero, pronto a far valere il proprio nome, il proprio onore, la propria inscalfibile aura dorata, totalmente incurante di chiunque macchiasse e infangasse il potere e la regalità di suo padre.
Ciò lo faceva imbestialire più del pensiero e della prospettiva del figlio di Tywin Lannister come vincitore del torneo.
- Lord Varys – pronunciò secco, richiamando l’attenzione del Ragno accanto a lui, facendo voltare Elia a guardarlo a causa del tono di voce platealmente indisponente e nervoso.
- Sì, Maestà?
- Andate immediatamente a riferire al principe ereditario di catturare quel ciarlatano che ha disarcionato tre avversari consecutivamente e di consegnarlo a me.
- Come desiderate, Altezza. Tuttavia, è mio dovere informarvi che ciò che desiderate voglio figlio faccia metterebbe in allarme l’intera platea di spettatori, rovinando l’atmosfera di lieta convivialità creatasi in questa prima giornata di torneo – gli comunicò il Ragno.
- Non mi interessa!!
Ti ho appena ordinato di fiondarti da mio figlio e di mandarlo ad imprigionare quel dannato Lannister insolente e traditore!! Crede che io non lo abbia riconosciuto, ma quel maledetto ragazzino non ha considerato che io non sono cieco quanto Rhaegar!!
Eseguite immediatamente ciò che vi ho detto, Ragno, o farò rinchiudere voi al suo posto!
- Subito, Altezza.
A ciò, lord Varys scese discretamente le gradinate, dirigendosi a passo spedito verso lo spazio riservato ai cavalieri partecipanti, scorgendo il principe impegnato a sistemare la sella del suo cavallo, affiancato da Arthur.
- Mio principe – richiamò la sua attenzione con urgenza, avvicinandoglisi.
- Qual buon vento – commentò il dorniano, guardandolo seccato.
- Lord Varys? Cosa ci fate qui? – gli domandò Rhaegar sorpreso.
- Vostro padre mi ha ordinato di riferirvi di catturare e di arrestare colui che si fa chiamare Cavaliere dell’Albero che Ride.
Il principe sgranò gli occhi prima di rispondere. – Parlate sul serio …?
- Sì, assolutamente. Il re crede che egli sia in realtà il giovane ser Jaime Lannister, il quale ha disobbedito ai suoi ordini ed è rimasto ad Harrenhal per partecipare al torneo sotto mentite spoglie.
Arthur rimase a bocca aperta più del principe stesso, dinnanzi a tale assurda supposizione. – Il succitato, in questo esatto istante, è sul campo e sta per partecipare ad un altro duello – lo informò, facendo voltare il viso di Varys verso il campo.
Il Cavaliere dell’Albero che Ride si ergeva sul suo destriero con abilità, reggendo la lancia con la mano e il braccio destro, pronto a guidare il suo cavallo dritto verso il suo avversario dall’altro lato dell’arena.
Improvvisamente, poco prima che i due duellanti si sfidassero alla giostra, si udì un urlo rabbioso e gracchiato provenire dalla cima delle gradinate, dalla posizione nella quale si trovava Aerys.
Il re si era alzato in piedi e stava gridando contro il misterioso cavaliere, sputando e imprecando furente. – Rivela ora la tua identità, spregevole scellerato!! Rivelala a me adesso, o ti farò bruciare vivo dinnanzi ai miei occhi!!
A tali parole, il misterioso cavaliere si allarmò e picchiettò con impeto la caviglia sulla carne del suo destriero, il quale cominciò a correre a gran velocità, portandolo lontano dall’arena.
Nessuno degli spettatori, degli altri cavalieri e degli uomini della Guardia reale sapevano cosa fosse appena accaduto, eccetto per Rhaegar, Arthur e Varys.
- Catturalo!! Portalo da me!! Ora!! – urlò Aerys, facendo comprendere al giovane drago di dover velocemente prendere in mano la situazione e sottostare a quell’ordine perentorio e delirante di suo padre, per non far peggiorare ulteriormente la situazione.
Rhaegar saltò svelto sul suo stallone e afferrò le redini. – Ristabilite l’ordine e rassicurate la platea e i partecipanti. Fate proseguire il torneo in tranquillità come è stato finora, mentre io mi occupo di quel cavaliere – si raccomandò ai due, poco prima di sfrecciare con il suo destriero fuori dall’arena a sua volta, senza attendere risposta.
Il misterioso sfidante si era diretto verso il selvaggio bosco, ben oltre gli accampamenti, andando ad addentrarsi nei meandri di quella natura frastagliata e ostile.
Il principe cavalcò con velocità e costanza, riuscendo a scorgere il suo bersaglio a distanza, ancora intento a scappare da lui agguerrito.
- Fermatevi! – provò ad esortarlo, oramai abbastanza vicino da potersi far udire, nonostante i metri di distanza che ancora li dividevano. – Non ho intenzione di farvi del male, ve lo garantisco!
Improvvisamente, in un attimo di distrazione fatale per lo sconosciuto, l’armatura di quest’ultimo si impigliò in un ramo particolarmente intricato con altri, facendolo cadere da cavallo e precipitare sull’erba.
A ciò, il giovane drago fermò il suo destriero e scese a terra a sua volta, avvicinandoglisi cautamente. Tuttavia, il fuggitivo scattò immediatamente in piedi nonostante la caduta, sguainando la spada contro il suo inseguitore.
In risposta, per stabilire un contatto visivo con la persona che gli era dinnanzi e spingerla a fidarsi delle sue parole, Rhaegar si sfilò l’elmo che aveva indossato nel momento in cui era corso all’inseguimento, facendolo cadere a terra.
Non appena mostrò il volto, notò che il fuggitivo ebbe un attimo di esitazione, vacillando.
Quella reazione confermò maggiormente le supposizioni del giovane drago.
Aveva sospettato che fosse lei sin dal momento in cui aveva saputo che un cavaliere misterioso avrebbe partecipato al torneo, quella mattina.
Poi, quando l’aveva visto duellare e battere i suoi avversari uno ad uno con una grinta, un impeto e un’impavidità fuori dal comune, aveva quasi avuto la certezza si trattasse di lei.
Come gli aveva garantito una di quelle sere alla locanda, Doen aveva davvero partecipato al torneo come cavaliere, nascondendo il suo volto e la sua identità per avere accesso alla competizione nonostante fosse una donna.
La guardò, dritto nel foro dell’elmo nel quale immaginava i suoi occhi lo stessero scrutando, sulla difensiva.
- Non vi farò nulla di male.
Avete la mia parola – tentò nuovamente, rivolgendole uno sguardo rassicurante.
Ma ogni sua speranza venne meno nel momento in cui ella parve riprendere il controllo di sé, rinforzando la presa sull’elsa della spada e puntandogliela contro, indietreggiando con decisione.
Lo attaccò per prima, forzandolo a difendersi, quasi sfidandolo a tenerle testa.
Ella sferrò una serie di attacchi particolarmente precisi e violenti, costringendo il giovane drago a contrattaccare, piuttosto che a limitarsi a difendersi, come era sua volontà.
Combatterono per un po’, in una serie di colpi di lama sferrati con forza e irruenza.
Il giovane drago comprese che il punto forte della ragazza fosse la sua implacabile energia, l’improvvisazione della sue mosse sempre diverse, la sua rabbia e la sua determinazione.
Ella invece, fu costretta a fare i conti con l’impeccabile tecnica, l’evidente abilità e maestria del principe drago nel combattimento, unita a suoi movimenti scattanti, fluidi e forti, perfettamente calibrati e puliti.
Stava provando con tutta se stessa a metterlo davvero in difficoltà, a costringerlo a combattere seriamente con lei, a difendersi con la stessa tenacia e convinzione che avrebbe mostrato per affrontare un qualsiasi altro avversario al suo livello, un cavaliere e uno spadaccino degno di quel nome.
L’unico obiettivo della giovane lupa in quell’esatto momento, era quello di vedere la fatica nel volto e negli occhi del principe drago, di scorgere delle gocce di sudore lambirgli la pelle e bagnargli il viso.
Se fosse persino riuscita a ferirlo, anche solo superficialmente, sarebbe stata una gloriosa vittoria che avrebbe portato con sé fino alla tomba.
Ma egli era forte, forte e molto capace, proprio come temeva.
Tuttavia, non si arrese. Il desiderio di vederlo arrancare dinnanzi a lei, abbassarsi, piegarsi, la animò come lava nelle vene.
- Ve lo ripeto: non voglio combattere contro di voi, né ferirvi o farvi del male – le disse ancora, mentre si difendeva senza fatica.
Irritata da quelle parole, Lyanna avanzò verso di lui, guadagnando terreno con una serie di colpi improvvisi e particolarmente violenti che egli non aveva previsto, mettendolo con le spalle contro un grosso tronco.
La sorpresa nel volto granitico del giovane principe fu come un dolce nettare sulla lingua della giovane lupa, la quale, con un portentoso movimento che neanche lei sapeva di essere in grado di compiere, gli storse il braccio con il piede, disarmandolo, per poi puntargli la lama della spada sulla gola.
Rimasero in quella posizione per quella che parve un’eternità.
Lyanna con il fiatone e la punta della spada poggiata sulla carne del collo dell’altro, mentre Rhaegar la guardava, immobile, tranquillo, senza il minimo timore a velargli lo sguardo.
- Lady Lyanna – la richiamò, facendola vacillare.
Dunque, l’aveva riconosciuta.
L’aveva riconosciuta fin da subito.
Per quanto ancora voleva provare l’inebriante brivido di avere tra le proprie mani la vita della persona più rispettata e invidiata di tutti e sette i regni? Per quanto ancora voleva abbandonarsi all’ebbrezza di aver messo con le spalle al muro colui che l’aveva sedotta, usata e ingannata?
Lyanna non seppe rispondersi, ma la mano del principe che si mosse con lentezza andando ad abbassare la lama dal suo collo la prese alla sprovvista e la convinse che poteva bastare.
Lo lasciò fare, accompagnando il suo movimento e abbassando l’arma, lasciandola scivolare distrattamente fin quando non raggiunse il terreno.
Sapeva di essere stata scoperta.
Ma quel pensiero, per qualche motivo, non la preoccupava minimamente in quel momento.
Lui avrebbe sospettato in ogni caso che il misterioso cavaliere fosse lei, anche senza l’inseguimento appena avvenuto e il confronto che ne sarebbe conseguito.
Nonostante l’immensa soddisfazione di averlo disarmato, la giovane lupa tremava ancora di rabbia.
Era rabbia ciò che sentiva quando lo guardava?
- Lady Lyanna, non sono qui per recarvi danno.
- Allora perché mi avete inseguito? – si affrettò a controbattere.
- Sono stato costretto. Mio padre è convinto che dietro quell’elmo si nasconda qualcun altro. Come sapete, egli ha il potere di farvi imprigionare e uccidere al solo pronunciare una parola.
- Dunque, mi state ordinando di smetterla con questa farsa e di assistere al torneo come tutte le altre lady presenti? – domandò indietreggiando, stringendo i pugni.
- Non lo farei mai.
- E allora perché siete qui??
- Per mettervi in guardia.
E per placare gli animi, fornendo a mio padre una ragione per restare seduto al suo posto e far proseguire il torneo senza altri innecessari deliri.
Lyanna rimase in silenzio, prendendosi ancora qualche minuto prima di decidersi a togliersi l’elmo.
Abbassò lo sguardo, involontariamente, mentre egli la guardava.
- Lady Lyanna …
Nonostante il richiamo, ella rimase con lo sguardo basso, senza muoversi.
- Lady Lyanna, non muovetevi.
A quelle parole, la giovane lupa alzò di scatto il viso verso di lui, notando quanto egli fosse allarmato mentre fissava con insistenza un punto basso, appena dietro di lei.
- Non … vi … muovete … - sussurrò scandendo bene ogni parola, facendole comprendere in che circostanza si trovasse e quale fosse il pericolo che stava correndo in quell’istante.
La giovane lupa continuò a guardarlo immobile, fissando quegli occhi chiari seguire i movimenti dell’animale che si trovava troppo vicino alla sua gamba.
- È un serpente … ? – gli domandò con un filo di voce, sentendo le foglie secche strusciare dietro di lei.
Egli annuì, guardandola negli occhi.
La paura prese il sopravvento e la giovane lupa, quasi senza accorgersene, ebbe un violento spasmo, che le costò caro.
Il serpente le circondò la caviglia e la morse sul polpaccio in un istante, affondando i denti nella carne morbida sprovvista di armatura.
Improvvisamente i sensi della ragazza si annebbiarono, facendola barcollare e perdere l’equilibrio, ma prima che cadesse a terra, il giovane drago la afferrò, affrettandosi a colpire il serpente con la lama della sua spada, per poi condurre Lyanna accanto all’albero più vicino.
- Vi prego, vi prego!! La gamba mi fa malissimo!! Il dolore è insopportabile! Vi prego, aiutatemi!! Fate qualcosa, vi scongiuro!! – delirò sudando freddo, stringendo le dita sugli avambracci di Rhaegar quasi volesse stritolarli, aggrappandosi a lui.
- Lady Lyanna, ascoltatemi! Seguite la mia voce, restate vigile! – la esortò con vigore Rhaegar, facendola sedere con la schiena poggiata all’albero. – Conosco il serpente che vi ha morso, ora state mostrando i primi sintomi. Il suo veleno non è letale, ma vi farà stare molto male, per giorni, se non lo estraggo subito. Voi dovete solo rimanere sveglia e vigile, intesi?? – le disse mantenendo la calma, mentre lei continuava a stringere la sue braccia convulsamente, tremando, sudando in preda agli spasmi e delirando.
- Vi prego!! Toglietelo, toglietelo immediatamente!!
A ciò, il principe si affrettò a strapparle il tessuto dei pantaloni nel punto in cui era stata morsa, mettendo in pratica le conoscenze che aveva acquisito tempo addietro: usò la striscia di stoffa strappata legandola stretta appena sopra la carne bucata del polpaccio per bloccare la circolazione del sangue, dopo di che, con solo l’ausilio delle dita, spremette le due ferite provocate dai denti del rettile, insistendo con forza fin quando un misto di sangue e veleno non uscì fuori dai buchi.
Lyanna urlò di dolore per tutto il tempo, continuando ad aggrapparsi a lui con le forze rimastegli, cercando con tutta se stessa di rimanere ancorata alla realtà, come il giovane drago le aveva chiesto di fare, e non vi era modo migliore per farlo se non artigliandosi a lui, ascoltare la sua voce e concentrarsi sulla sua immagine, sui suoi movimenti mentre egli la liberava da quel doloroso flagello con accortezza e lucidità.
Quando la giovane lupa riaprì gli occhi, era quasi il tramonto.
Batté le palpebre diverse volte per mettere a fuoco l’ambiente intorno a sé, realizzando di trovarsi ancora nel bosco, sdraiata sulle foglie secche, liberata dai pezzi di armatura più ingombranti, i quali erano poggiati su di lei a mo’ di coperta.
Dinnanzi ai suoi occhi vi era un bel focolare acceso, mentre, dall’altra parte del fuoco, lo scorse.
Egli era seduto sulle foglie come lei, ma con la schiena poggiata ad un grosso masso; aveva il busto coperto solo dalla casacca scura che i cavalieri usavano indossare sotto l’armatura, poiché tutta la parte anteriore di quest’ultima era assente e poggiata accanto a lui, mentre sulle lunghe gambe piegate vi erano ancora cosciali e schiniere.
Sembrava addormentato, i capelli ancora legati, gli occhi chiusi, il volto disteso e la testa poggiata al masso dietro di sé.
Era assurdo come egli riuscisse a mantenere un portamento tanto nobile anche quando dormiva.
Lyanna provò ad alzare il busto e a muovere la gamba morsa, accorgendosi, con suo grande sollievo, di sentire solo un lieve prurito sulla zona lesa.
Alzò lo strato di stoffa dei pantaloni per controllare e si accorse che vi fossero delle particolari foglie appiccicose adagiate sopra il morso.
Accennò un sorriso, domandandosi come un principe riuscisse a sapere come gestire impeccabilmente una situazione simile.
Si sciolse i capelli, liberandoli dalla costrizione di quella strettissima treccia appuntata, e se li legò con il laccio più morbidamente.
Stranamente la casacca leggera non le stava facendo patire il freddo del venticello che muoveva foglie e rami degli alberi, sicuramente per merito del focolare.
Provò a rianimarlo un po’ con un bastoncino, osservando le fiamme muoversi e intrecciarsi, emettendo quella luce tanto ipnotica che le contraddistingueva.
Improvvisamente, un movimento del principe attirò la sua attenzione.
Iniziò con un flebile lamento, un verso sommesso, il quale catalizzò gli occhi della giovane lupa sul suo volto.
Sembrava scosso da qualcosa, nel bel mezzo di un terribile incubo.
Le sue palpebre si strinsero, il volto si contrasse, il respiro divenne affannoso, mentre la testa si girava e rigirava a scatti.
Colta dalla preoccupazione, Lyanna gli si avvicinò, accovacciandosi vicino a lui, non sapendo bene come agire.
Mentre lo vedeva muoversi e lamentarsi incosciente, ebbe la tentazione di posargli delicatamente una mano sul volto, per svegliarlo e porre fine ai suoi incubi, assistendolo come egli poco prima aveva fatto con lei, ma si trattenne.
Decise invece di adoperarsi, per rendersi utile a sua volta: girò per il bosco, intenta a cercare un particolare fiore che sua madre le faceva bere quando era bambina, sotto forma di infuso, schiacciato insieme ad altre erbe calmanti.
Quel liquido dolce e profumato era sempre in grado di scaldarla e di farle dormire sonni tranquilli durante le gelide nottate di inverno che portavano con sé tempeste di neve e rumori di bestie leggendarie.
Ricordava il colore, la forma e il profumo di quel fiore, ma non il nome.
Quando il giovane drago riaprì gli occhi, svegliandosi di soprassalto da quell’ennesimo incubo che lo aveva colto all’improvviso non appena aveva ceduto alle seducenti premure del sonno, si rese conto che l’effetto del siero datogli da lord Varys fosse svanito.
Socchiuse gli occhi, colpito in volto dagli ultimi raggi di quel sole morente che scorgeva all’orizzonte, ben visibile nonostante la fitta schiera di alberi che popolavano il bosco.
Quando si guardò intorno, ricordò come era finito in quella situazione, riconoscendo il focolare che aveva acceso poco dopo che lady Stark avesse perso i sensi.
Si rese conto che il fuoco era stato ben alimentato mentre era addormentato, e che, dinnanzi a sé, dall’altra parte delle fiamme, non vi fosse più la sagoma della giovane lady dormiente.
Prima che avesse il tempo di guardarsi intorno, ancora frastornato dall’incubo che lo aveva tormentato poc’anzi, percepì una presenza avvicinarsi a lui e scorse una mano porgergli un recipiente costruito con della spessa corteccia colmo di un infuso profumato.
Si voltò e scorse lady Lyanna in piedi accanto a lui, in attesa che egli prendesse l’oggetto. Il suo volto sembrava tranquillo, in pace, colorito, molto differente rispetto a come lo ricordava qualche ora prima, quando era stata appena morsa dal serpente.
- Noto che la vostra gamba non vi reca dolore – le disse prendendo il recipiente e spostando lo sguardo sulla gamba infortunata della ragazza.
Ella si sistemò dove l’aveva posta a riposare poco prima, sedendosi a gambe incrociate.
- Sì, e ve ne sono infinitamente grata. Avete fatto un ottimo lavoro con la medicazione, non mi fa affatto male.
- Ne sono lieto.
- Voi come state? – domandò ella un po’ titubante, guardandolo in volto.
- Io?
- Vi lamentavate molto nel sonno – spiegò lei. – Ad un tratto mi sono allarmata.
- Non vi preoccupate, era solo qualche incubo – la tranquillizzò, per poi posare lo sguardo sull’infuso che aveva tra le mani, ancora inviolato. – Questo cos’è?
- Un intruglio che mi preparava mia madre quando ero piccola, serviva a calmarmi.
Fortunatamente, il fiore che lasciava in infusione cresce anche qui.
Volevo fare qualcosa per aiutarvi, così ho pensato che quello potesse farvi bene – disse alimentando il fuoco con un bastoncino, discostando lo sguardo.
A ciò, Rhaegar accennò un sorriso e bevve un sorso dell’infuso, meravigliandosi della dolcezza di quel rimedio naturale. – È molto buono. Vi ringrazio.
- Non è nulla – rispose ella. – Dove avete imparato a curare un morso di un serpente velenoso? – gli chiese poi, non riuscendo a trattenere la curiosità.
In risposta, il principe sorrise. – So bene che è convinzione frequente credere il contrario, ma avere sangue reale non implica il rimanere rinchiusi tra quattro mura per la maggior parte della vita – disse senza arroganza.
- Non intendevo dire quello, ma … sì, infondo lo pensavo – ammise Lyanna.
- Mi sono già trovato in una situazione simile, durante un’escursione. Inoltre, ho trascorso molto tempo sopra i libri, acquisendo conoscenze tra le più varie, molte delle quali sono certo non mi saranno utili nell’effettività – aggiunse continuando a sorseggiare l’infuso.
- Vi capita spesso di avere incubi che vi fanno agitare in tal modo? – azzardò la giovane lupa.
Rhaegar puntò lo sguardo altrove, sospirando impercettibilmente e facendo trascorrere alcuni minuti prima di rispondere.
- Quando sono giunto in quella locanda per la prima volta – cominciò, attirando immediatamente l’attenzione di Lyanna. – … non è stato per puro sfizio o capriccio. Avevo bisogno di distrarmi, di cambiare aria. Non dalla mia famiglia o dai miei doveri, ma da ciò che mi invadeva la mente perpetuamente – le rivelò.
- Che cosa vi invadeva la mente?
- Non lo ancora neanche io, di preciso.
O meglio, dopo aver tentato in tutti i modi di scoprire da dove venga e come liberarmene, ho capito di non potermene privare.
Dovrò convivere con questa maledizione.
- Emerge solo quando dormite? O anche quando siete sveglio?
A tale domanda, il principe si astenne dal rispondere, tornando con gli occhi su di lei.
- Raccontandovi ciò, non pretendo che voi facciate lo stesso con me.
Posso immaginare i motivi che vi abbiano spinta a vestirvi da ragazzo e ad entrare in una locanda, ne ho avuto la dimostrazione giusto oggi. E anche nel caso in cui vi abbiano mossa ragioni differenti, non intendo chiedervi spiegazioni – le disse invece.
- Non mi sento in dovere di darvene, non temete.
Tuttavia vi confermo che, come ben saprete, non avrei mai immaginato che entrare per gioco in una locanda vestita da ragazzo, avrebbe portato a quel che c’è stato, facendomi incontrare voi – rispose ella.
Trascorsero altri minuti senza che parlassero, prima che Rhaegar ruppe il silenzio.
- Infondo, vi ho creduta sin da subito, quando mi avete detto che avreste partecipato al torneo, nonostante sospettassi già foste una ragazza – le confessò, accennando un sorriso, invogliandola a fare altrettanto.
- Davvero?
Egli annuì. – C’era una determinazione senza eguali nel vostro sguardo. I vostri occhi erano animati dalle fiamme.
Di nuovo quella sensazione. Quel buco infondo allo stomaco che fece portare una mano della giovane lupa sul proprio ventre.
Anche dinnanzi a lui, si sentiva disarmata, impotente ma in modo diverso.
No, non erano la stessa persona lui e Calen, ma qualcosa li accomunava, ed era certa che anche il principe pensasse lo stesso di lei, riconoscendo alcune caratteristiche di Doen in lei.
E anche ciò che li differenziava, non la respingevano, ma la attraevano.
- Ed ora cosa credete di una ragazzina di alto rango che gioca a fare il cavaliere, irritando vostro padre e indisponendo gli spettatori del torneo? – gli domandò facendo apparire la sua voce più irritata di quel che volesse. – Vorreste che io tornassi a ricoprire il ruolo che dovrei ricoprire, suppongo, vestendo corpetto e crinolina e sedendomi su quegli spalti, lasciando che il torneo proceda senza sorprese sgradite o altri inghippi.
Il principe si alzò in piedi, stagliandosi in tutta la sua statura, liberandosi distrattamente da alcune foglie secche attaccate ai pantaloni. – Tutto il contrario – le rispose. – Se desiderate combattere, continuate a farlo e non tiratevi indietro come partecipante del torneo. So che siete incurante del rischio che ciò comporta e che siete disposta a correrlo, milady.
Semplicemente, vi presenterete nell’arena nel momento dell’inizio della competizione, ogni giorno, e ve ne andrete alla fine, prima che chiunque possa anche solo vedervi fuggire.
Posso mettere una buona parola con mio padre e rassicurarlo sulla vostra identità dicendogli che, sebbene io non sia riuscito a catturarvi, ho scorto il vostro volto e ho appurato che non siete ser Jaime Lannister come egli crede.
Quando avrà ricevuto tale notizia, non si curerà molto di voi e della vostra partecipazione al torneo.
Lyanna impiegò qualche minuto per riprendersi dalla sorpresa per tale notizia.
Si alzò in piedi a sua volta quando il principe aveva già spento il focolare e si stava accingendo a rinfilarsi la sua armatura.
- Che cosa gli direte sulla vostra assenza durata ore, dunque? – gli domandò.
- Che sono stato morso da un serpente nel bosco – le rispose con leggerezza, finendo di allacciarsi la cintura di metallo.
- Mi state davvero incoraggiando a continuare a partecipare al torneo …? – domandò nuovamente la giovane lupa, non credendo ancora alle sue orecchie.
A ciò, Rhaegar volse lo sguardo su di lei. – Io non vi sto incoraggiando a fare nulla, lady Lyanna. La scelta spetta a voi e a voi soltanto.
Io non ho la minima rilevanza nella vostra decisione.
- I miei fratelli non sanno nulla di tutto ciò – si affrettò a dire la ragazza, per precauzione, per evitare che, qualsiasi cosa fosse accaduta nel caso avesse davvero deciso di continuare con quella farsa, la sua famiglia ne avrebbe rimesso in alcun caso.
Ed era la verità, eccetto che per un piccolo e selvaggio giovane lupo che l’aveva colta in flagrante quella mattina.
Si sarebbe dovuta inventare qualcosa anche lei per spiegare la sua assenza prolungata a Brandon e a Ned, ma a quello avrebbe pensato in seguito.
- Vi credo. Non dovete preoccuparvi a riguardo – la rassicurò il principe.
- Ho ancora una domanda, se mi permettete, mio signore – azzardò nuovamente la giovane lupa, avvicinandosi a lui di un passo, oramai decisa a togliersi ogni sasso dalla scarpa, ora che lo aveva dinnanzi a sè, ora che aveva la sua attenzione, ora che erano soli.
Sicuramente non avrebbe mai più avuto un’altra occasione del genere.
A ciò, egli distolse nuovamente gli occhi dalla propria armatura oramai totalmente ultimata e sistemata, per rivolgerli a lei.
- Perché state facendo tutto questo? – gli domandò.
- Che cosa intendete?
- Ovunque nell’accampamento si vocifera che siate stato voi a finanziare il torneo di Harrenhal, per un motivo in particolare.
Mio padre si è assentato circa due o tre volte nelle scorse due settimane, insieme ad altri lord, ma nessuno di loro ha fatto parola del motivo per cui fossero spariti per circa due ore.
La ragazza non continuò, poiché la sua domanda era sin troppo esplicita.
E anche se il principe non avesse potuto risponderle, non le importava, poiché, infondo, glielo doveva, per il modo in cui aveva agito, e perché, Lyanna ne era oramai certa, egli era una persona dal cuore buono.
Forse sin troppo buono per negarle anche un’informazione del genere, dopo averle già negato il suo volto e la sua identità per un’intera settimana.
A ciò, il giovane drago si avvicinò al suo cavallo, carezzandogli la criniera con calma e delicatezza, prima di risponderle.
- Per la vostra incolumità non posso rivelarvi interamente i motivi che mi hanno spinto ad organizzare e a finanziare il torneo, lady Lyanna.
Tuttavia, come avrete già ampiamente notato, tutti noi siamo sin troppo insofferenti al comportamento che ha assunto il re, da qualche anno.
Il suo atteggiamento, le sue inclinazioni e, di conseguenza, il suo modo di regnare, sono peggiorati a dismisura, rendendolo incapace di portare avanti il suo incarico solenne.
Tutto ciò che vi serve sapere, è che, presto, la situazione migliorerà.
Lyanna spalancò gli occhi chiari a quelle parole. – State organizzando una cospirazione per detronizzare vostro padre …?
Non ricevette risposta.
No, non poteva sapere altro, la giovane lupa ne era consapevole.
Tuttavia, era a dir poco stupefatta di quanto stesse rischiando il principe ereditario nel fare ciò che stava facendo.
Una cospirazione alle spalle del re avrebbe messo in pericolo tutti, suo padre e i suoi fratelli compresi, e colui che le era di fronte si stava prendendo la responsabilità di tutte quelle vite, apparentemente senza battere ciglio.
Come si poteva rimanere tanto calmi e neutrali con quel peso sulle spalle?
- E se dovesse fallire? – non riuscì a fare a meno di chiedergli. – E se vostro padre vi scoprisse e mettesse a fuoco e fiamme tutto ciò che si troverà sul suo cammino?
Se doveste perdere in battaglia e lui dovesse trionfare, cosa accadrebbe??
Solo nel caso in cui vincereste contro il re folle, voi potreste … - si bloccò prima di terminare la frase, vedendolo voltarsi nuovamente verso di lei e guardarla.
Sul suo viso nessuna traccia di timore o turbamento.
Sì, se la fazione dei ribelli capeggiata da Rhaegar avesse vinto, a tal punto, l’uomo dinnanzi a lei sarebbe diventato re dei sette regni, ancor prima del previsto.
Un regnante buono, giusto, forte, brillante.
Un moto di fiducia la animò dall’interno, improvviso.
Avrebbero avuto il re che meritavano di avere se tutto fosse andato per il verso giusto.
Egli avrebbe mostrato misericordia, fermezza e acutezza.
Ne era certa, sentiva di esserne certa anche solo guardandolo.
Il principe raccolse da terra lo scudo con sopra inciso l’albero cuore appartenente alla giovane lupa, scansò le foglie posatisi sulla superficie e si avvicinò alla ragazza, ponendosi dinnanzi a lei e consegnandoglielo. – Fate attenzione – le disse solamente, con la stessa confidenza cui era solito parlarle Calen.
Dopo di che, egli salì sul suo cavallo e si allontanò, uscendo dal bosco.
 
Tornata agli accampamenti, la giovane lupa affrontò l’indisposizione e le lamentele dei suoi fratelli, i quali pretendevano spiegazioni su dove fosse finita per l’intero pomeriggio.
L’unica cosa che riuscì a dire loro, fu che aveva bisogno di fare una passeggiata lungo il fiume.
Nonostante le loro richieste di delucidazioni, Lyanna manifestò loro la sua volontà di essere lasciata in pace, uscendo dalla tenda.
Quella sera si incontrò con Howland e Benjen, spiegando al suo fratellino i motivi che l’avevano spinta ad assumere l’identità del Cavaliere dell’Albero che Ride per partecipare al torneo, ed informandoli della sua volontà di continuare a prendere parte al torneo.
Avrebbe avuto bisogno di più tempo per schiarirsi le idee al riguardo e per riflettere sul da farsi, ma di tempo non ne aveva.
Il principe drago le aveva donato l’irripetibile possibilità di fare ciò che voleva, di essere chi più la aggradava, e lei era intenzionata a fare buon uso di quel dono.
Howland e Benjen, dinnanzi alla sua fermezza e alle sue rassicurazioni, erano stati costretti ad arrendersi e ad appoggiarla nella sua decisione.
Dopo di che, aveva lucidato la sua armatura, aveva imbrigliato il suo cavallo e infine, con un mal di testa e una stanchezza che non la volevano lasciare in pace, Lyanna si diresse al fiume, camminando sulla riva e osservando la luna, assorta nei suoi pensieri.
Solo dopo diversi minuti si accorse di una presenza dietro di sé, intenta ad osservarla.
- Mia signora? – la riscosse quella voce rauca e poco gradita alla giovane lupa, mentre ella si voltava a guardare la fonte di quella voce avvicinarsi a lei.
- Robert? – esalò sorpresa. – Cosa ci fate qui?
Egli accorciò maggiormente le distanze, rivolgendo gli occhi alla luna. – È bellissima, non trovate?
- Sì, lo è.
- Oggi non vi ho vista sugli spalti, durante la giostra.
- Ero malata. I miei fratelli non vi hanno informato?
- Ned mi ha accennato qualcosa a riguardo, sì – disse con sguardo perso, cercando di non barcollare.
- Robert? Siete ubriaco? – gli chiese indietreggiando di un passo, inconsapevolmente.
Sapeva che il giovane cervo non le avrebbe mai fatto del male.
Tuttavia, un nodo alla gola la spinse ad allontanarsi da lui, facendole desiderare di essere ovunque tranne che in sua compagnia.
- Ho bevuto solo un bicchiere di vino. Non temete – le disse poco convincete, riavvicinandosi a lei. – Sapete, la luna impallidisce accostata a voi, lady Lyanna.
Anche ora, anche con questi abiti leggeri e senza sottoveste, con i capelli sciolti al vento e i piedi nudi.
Siete bella come nessun’altra.
- Grazie, Robert. Mi lusingate in tal modo – gli rispose cercando di far apparire la sua voce normale, provando a non allontanarsi da lui.
Perché percepiva sempre maggiormente l’opprimente desiderio di fuggire da lui, di discostarsi, di uscire dal suo campo visivo?
Perché quei complimenti non provocavano piacere in lei?
Perché l’unico istinto che percepiva mentre egli la spogliava con lo sguardo era quello di schiaffeggiarlo più forte possibile?
Conosceva la risposta, ma non era univoca.
Nulla più sembrava esserlo.
Una cosa che sapeva per certo era che non si sarebbe mai fatta toccare da un uomo senza il proprio consenso.
Non si sarebbe mai piegata al volere delle convenzioni e della tradizione se non lo avesse voluto.
Quel pomeriggio, il principe ereditario, qualcuno che possedeva tanto potere da potersi permettere di tagliarle la testa con la lama della sua spada senza dover rendere conto a nessuno, le aveva lasciato la totale libertà di scelta.
Qualcosa che non aveva mai provato nel corso della sua vita.
Ciò le aveva fatto capire che la libertà di vivere di sua volontà era un suo diritto.
Ogni donna era meritevole di averlo e di certo, ora che era giunta a tale consapevolezza, non sarebbe più sottostata ciecamente e senza battere ciglio al volere di qualcuno che le avrebbe ordinato come vivere e come comportarsi, senza alcun riguardo per i suoi desideri e le sue aspirazioni.
Lei non avrebbe sposato Robert, perché non lo amava e mai lo avrebbe amato.
- Avete un odore davvero buono, milady … riesco a sentirlo da qui – sussurrò il giovane cervo avvicinandosi maggiormente a lei, barcollando. – È da quando sono giunto qui ad Harrenhal e vi ho rivista che ho desiderato rendervi la donna più felice dei sette regni. Vi desidero come mia legittima moglie, ora, in questo momento.
Vi desidero come non ho mai desiderato nessuno, Lyanna … - continuò poggiandole i suoi pesanti palmi sulle spalle.
- Robert, non voglio – esalò la ragazza duramente, cercando di sfuggire alla sua presa.
- Cosa non volete?
- Non voglio che mi tocchiate.
Siete ubriaco, Robert.
Tornate all’accampamento – riprovò, poco prima di venire artigliata da lui in un abbraccio soffocante.
- Mi dispiace. Mi dispiace di rivolgervi un gesto tanto irrispettoso, ma non sono riuscito a trattenermi – le disse stringendola a sé.
- Robert …
- Io vi amo, Lyanna.
- Robert, vi prego …
- Non amerò nessun altro, oltre voi.
Mai.
Delle calde lacrime varcarono le guance della giovane lupa nell’udire tali parole.
Ebbe pena di lui.
Non una cattiva pena, ma qualcosa di molto più vicino alla compassione.
Come doveva essere venerare tanto ciecamente qualcuno, convincendosi di amarlo, e non essere ricambiati?
Terribile. Ne era certa.
Accarezzò la schiena di Robert quasi premurosamente, per poi riprovare ad allontanarlo, questa volta riuscendovi.
Gli prese il volto tra le mani e lo guardò negli occhi liquidi e persi nei suoi.
- Voi non mi amate, Robert.
Forse, un giorno, avreste potuto farlo.
Ma ora il sentimento che vi anima non è l’amore.
Non mi conoscete.
Non sapete chi sono.
Non potete amare qualcuno che non esiste.
Detto ciò, si allontanò da lui e tornò all’accampamento, lasciandolo solo.
 
Il principe entrò dentro la camera che condivideva con sua moglie in punta di piedi, per paura di svegliarla.
Negli ultimi giorni Elia aveva sofferto talmente tanto da non essere riuscita a chiudere occhio, dunque il giovane drago aveva deciso di spogliarsi almeno dell’armatura prima di entrare nella stanza.
Era quasi ora di cena e lui aveva fatto ritorno al castello di Harrenhal appena in tempo.
Miracolosamente, era riuscito ad evitare temporaneamente suo padre, le sue domande persistenti, il suo sguardo indagatore e raggelante, la sua arroganza e intolleranza.
Lo avrebbe affrontato in seguito, durante la cena, narrandogli tutto ciò che aveva concordato quel pomeriggio con lady Lyanna.
Ora però, sentiva il bisogno di stendersi e di accertarsi delle condizioni di Elia.
La giovane dorniana era stesa sul talamo, con una mano sul pancione e l’altra abbandonata sulle coperte chiare, il volto addormentato e consunto dalle ore di sonno mancate e dai dolori persistenti, l’abituale colorito scuro ora innaturalmente chiaro.
Una morsa di senso di colpa lo artigliò dall’interno alla consapevolezza di non essere rimasto con sua moglie durante le sue sofferenze.
Quando si trattava di Elia, il senso di colpa non faceva altro che corroderlo lentamente, e non sapeva neanche lui il perché.
Si sfilò la cintura della casacca scura poggiandola delicatamente sulla sedia di fronte al letto, gettando di tanto in tanto lo sguardo su di lei.
- Sei tornato … - bisbigliò improvvisamente la giovane dorniana, sbattendo lentamente le palpebre. – Temevo di non riuscire a vederti prima di domani mattina – aggiunse.
- Che cosa stai dicendo, cara? – le rispose egli ancor più premuroso del solito, avvicinandosi al letto e guardandola con un sorriso rassicurante. – Non ti avrei mai lasciata sola. Ora riposa, sembri molto debilitata.
- Almeno gli sporadici momenti in cui mi sento meglio non voglio passarli a dormire – gli rispose allungando la mano sul letto nella direzione del giovane drago, segnale che quest’ultimo colse senza ulteriori aggiunte.
Egli girò intorno al letto, fin quando non giunse ai piedi della principessa.
Dopo di che, poggiò un palmo sul materasso al lato sinistro del ventre gonfio di lei, e l’altro sul lato destro, per poi abbassarsi lentamente, fin quando non arrivò a sfiorarle il pancione con le labbra schiuse.
Lo scoprì dalla vestaglia setosa che lo copriva e vi lasciò sopra un bacio delicato, poi un altro e un altro ancora, risalendo verso l’alto.
Quando arrivò all’inizio del rigonfiamento, appena sotto il seno, alzò lo sguardo per puntare le iridi luminose su di lei, la quale non si era persa neanche un suo movimento.
Ella accennò un sorriso malinconico e gli poggiò una mano sulla guancia, beandosi della visione dell’uomo che aveva la fortuna di chiamare marito.
Lo osservò ancora, assuefatta, mentre egli saliva sul letto con il resto del corpo e si ergeva su di lei, con i palmi e le ginocchia puntati sul materasso, per non gravarle addosso.
Quelle intense e dolcissime premure erano sin troppo passionali e amorevoli per venire da lui.
Non che non le mostrasse il suo lato tenero, sensuale e premuroso insieme quando riusciva a convincerlo a lasciarsi andare, ma oramai la giovane dorniana lo conosceva più di quanto conoscesse se stessa e sapeva bene quando c’era qualcos’altro ad animare quegli idilliaci atteggiamenti del principe nei suoi confronti.
Si godette quel fugace e bellissimo trattamento, cogliendone ogni istante, quasi come se la sua mente le stesse giocando l’orribile scherzo di farle credere fosse l’ultimo.
- Non devi trattarmi come una bambola di cristallo perché sono stata più male del solito … - gli sussurrò, alternando dei sospiri alle parole nel momento in cui egli cominciò baciarle la mandibola con estrema lentezza. – Odio quando mi riservi queste servizievoli attenzioni … perché odio quando mi tratti come una donna bisognosa, malata, e non come tua moglie.
A tali parole, Rhaegar si arrestò e pose il viso dinnanzi a quello di lei, poggiando i gomiti sul materasso e, di conseguenza, facendo aderire il ventre piatto a quello gonfio e tondo di lei.
Elia spostò una mano su un suo fianco, facendola vagare placidamente su e giù sotto la casacca, mentre con l’altra gli sciolse i capelli dal nastro che li imprigionava.
- Ti tratto sempre come mia moglie.
- Non è vero. Quando fai così … quando mi guardi in quel modo così intenso, affettuoso e afflitto insieme … mi sento come una morente.
Una morente di cui devi prenderti cura.
Una morente di cui vuoi prenderti cura perché il tuo cuore straborda di bontà, Rhaegar, e tu non te ne rendi neanche conto.
Mi fai dono dei tuoi baci, perché non riesci a dirmi cosa senti.
Mi fai dono delle tue mani e dei tuoi occhi su di me, perché temi di non riuscire a ricambiare in altro modo il mio amore per te.
Mi accudisci come farebbe un buon medico e resti accanto a me nei momenti peggiori perché temi di svegliarti una mattina e di ritrovarmi morta.
Ti senti in dovere di farlo. In dovere dal tuo affetto. In dovere dalla tua bontà – esalò in un sussurro, infilandogli una mano tra i capelli chiari, pettinandoglieli distrattamente con le dita.
Egli la guardava negli occhi, restando fermo, in ascolto.
Lo sguardo velatamente angustiato, rammaricato.
- Che cosa senti per me? – trovò il coraggio di chiedergli la principessa, con la voce tremante.
- Ti amo, Elia – le rispose con naturalezza.
Ella negò con la testa, mentre un'altra lacrima lasciava i suoi occhi scuri.
- Sono io che amo te, Rhaegar.
Amo il tuo forzarti di tenerti tutto dentro per non fare male agli altri.
Amo la smorfia di disgusto che fai inconsapevolmente, quando assaggi una pietanza con troppo limone o troppo sale. E per te tutto ha troppo limone o troppo sale.
Amo il tuo modo di parlare sempre chiaro e preciso con chiunque, perché non vuoi risultare troppo erudito a chi ti ascolta.
Amo quella che credi essere la tua debolezza, ma che è la tua più grande forza, quando ti lasci andare a me, permetti che io ti veda distrutto, spezzato.
Amo vedere il tuo viso ogni mattina al mio risveglio e ogni sera prima di addormentarmi.
Amo attendere un’intera giornata per un tuo sorriso, che non ho la certezza arriverà.
Amo vederti leggere assorto e isolato dal mondo, amo vederti immerso nel suonare la tua arpa a nostra figlia, con due gemme al posto degli occhi mentre la guardi adulante.
Amo le tue piccole e apparentemente insignificanti dimostrazioni di affetto, quando mi accarezzi il dorso della mano in pubblico, lontano dagli occhi, o quando avvicini la bocca ai miei capelli, sorridendovi dentro.
Amo i tuoi terrori, i tuoi errori, i mostri che si annidano in te – disse tutto ciò, continuando ad immergere le dita nei suoi capelli, tuffandosi nei suoi occhi lucidi e sorpresi. – Questo è quello che sento per te, Rhaegar.
Questo è il motivo per cui ti amo, intensamente.
E tu?
Il principe rimase in silenzio, lo sguardo perso, confuso, mentre ella sorrideva tristemente e gli accarezzava le guance e le ciocche di capelli, tanto meravigliosamente bella quanto devastata dalle sue stesse parole.
- Io sono incatenata da te. E sguazzo nelle mie catene.
Io pendo dai tuoi occhi.
Pendo dalle tue labbra.
Tu, invece, sei prigioniero della mia malattia.
Schiavo della necessità di farmi sentire adeguata, voluta, amata.
Vorrei poterti liberare, mio amore.
Ma non credo ne sarò mai in grado.
 
 

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Capitolo 14
*** L'inverno sta arrivando ***


L’inverno sta arrivando
 
La seconda giornata di torneo era scorsa velocemente e senza intoppi.
La rinnovata presenza del Cavaliere dell’Albero che Ride non fu una grande sorpresa per la folla di spettatori, generando meno dissensi o lamentele di quanto il giovane drago si sarebbe aspettato.
Raggiunta la fonte d’acqua più vicina al castello di Harrenhal, Rhaegar infilò le mani nella superficie fresca, immergendosi fino ai polsi coperti ancora dall’armatura, così come il resto del suo corpo.
Si bagnò viso e collo, due delle poche parti di pelle scoperte dal pesante strato di metallo, sciacquando via almeno la polvere e la leggera patina di sudore della mattinata.
- Non puoi gironzolare senza scorta come e quando ti aggrada – lo rimproverò bonariamente Arthur, sorprendendolo da dietro.
Rhaegar non gli rispose, continuando a spalmarsi l’acqua addosso.
- Come mai questa impellente necessità di sostare in una pozza, senza aspettare di tornare al castello? – continuò il dorniano, cominciando a immergere le mani a sua volta.
- Per nessun motivo in particolare.
- Stai ancora pensando al modo in cui tuo padre fissava la tua compagna travestita da cavaliere? Credi che abbia creduto alla versione che gli hai raccontato ieri?
- Quando siamo passati a “compagna”?
- Circa da ieri, quando mi hai raccontato del vostro incontro nel bosco.
Quando passerà dalla tua “compagna” alla tua “lady”, sarà lì che dovrai preoccuparti.
Speriamo non accada mai.
Rhaegar si voltò verso di lui. – Cosa stai cercando di dirmi? Tutto ciò che ci lega è un accordo: lei non parlerà ad anima viva della cospirazione ed io la coprirò con mio padre.
- Non sto insinuando niente, difatti.
- Arthur.
- Cosa? Perché devi nutrire questa costante malafede nei miei confronti?
Il giovane drago pose le braccia conserte, in attesa, fin quando il dorniano non si decise a parlare.
- Devi essere prudente, Rhaegar.
- Ne sono più che consapevole. Qual è il punto?
- Elia potrebbe non essere l’unica ad uscirne distrutta.
Potresti ferirne molti altri.
Rhaegar si massaggiò le tempie con le dita, sospirando. – Perché ora? Perché di nuovo questa discussione?
Prevedo sin troppo bene la mole del disastro che potrei provocare se tutto ciò venisse alla luce del sole.
Ormai non posso più tornare indietro, quel che è stato è stato.
Alla fine del torneo sarà come se tutto ciò non fosse mai accaduto.
Che bisogno vi è di ricordarmi continuamente quanto io stia rischiando?
Qual è l’insano piacere che nutri nel torturarmi chiedendomi se so quante altre persone potrei distruggere?
Vuoi che te le elenchi, Arthur …? Vuoi che io ti menzioni, nome per nome, le vittime che potrei condannare ad una sola distrazione? Vuoi che ti dica il tuo nome, quello di mia figlia, quello di Elia, quello di Ashara, quello di mia madre, quello di Lyanna Stark?? – esalò cominciando a spazientirsi, percependo la testa pulsargli ininterrottamente.
- Tu – gli rispose Arthur, serio, granitico, guardandolo negli occhi. – La persona che ne uscirebbe frantumata sei tu, Rhaegar.
Io non posso proteggerti da tutto.
- Non ti ho mai chiesto di farlo – gli rispose secco, velenoso. – E comincio a convincermi di essere costretto ad ordinarti di allontanarti da me per liberarmi della tua asfissiante e stomachevole presenza – pronunciò sprezzante, facendo per andarsene, lasciando l’altro perplesso.
- Cos’è, gli dèi ti hanno maledetto prima di farti alzare questa mattina?? O le tue fantasiose allucinazioni stanno finalmente riuscendo nell’intento?! – pronunciò il dorniano mentre vedeva il principe dargli le spalle e allontanarsi da lui, la voce macchiata di sgomento misto a rabbia.
Era la prima volta che accadeva qualcosa di simile tra loro.
Il dorniano avrebbe voluto dire a se stesso che non fosse nulla, che in breve sarebbe tornato tutto alla normalità.
Ma Rhaegar era diventato imprevedibile nelle ultime settimane.
Arthur deglutì e rimase immobile, attendendo che il timore brulicante nelle sue vene si disperdesse lentamente.
 
Il principe drago rientrò nel castello in seguito alla discussione con Arthur, si precipitò nella camera reale e si spogliò dell’armatura, vestendo gli abiti di corte.
Di Elia non vi era traccia, sicuramente la principessa si trovava nello studio del Gran Maestro, pensò.
Dopo aver tentato inutilmente di calmare i nervi che sembravano volerlo animare come bestie affamate, assunse un atteggiamento composto e scese al piano inferiore.
Ciò che vi trovò, esattamente nel mezzo dell’enorme salone, lo pietrificò.
Suo padre era seduto dinnanzi all’immenso tavolo vuoto, solo, eccetto per un’altra presenza seduta accanto a lui.
La principessina Rhaenys sedeva accanto a suo nonno, sforzandosi di mantenersi pacata e posata, mentre egli le accarezzava i capelli ricci con i lunghi artigli scheletrici, guardandola con un sorriso che fece divenire ghiaccio il sangue del principe drago.
Stranamente, nessun membro della Guardia reale era nei dintorni.
Si mosse a grande falcate, raggiungendoli immediatamente, ritrovando la forza e la volontà di far assumere senso e consistenza alla sua voce. – Padre …?
I suoi occhi sgranati, le pupille inghiottivano quasi le iridi viola, il respiro pesante e la bocca schiusa.
Fissava quelle dita luride posarsi per la prima volta sull’unico inestimabile tesoro della sua vita, contaminandolo.
A ciò, Aerys si voltò distrattamente verso suo figlio. – Oh, mio diletto. Ti stavamo aspettando. Vero, mia cara? – pronunciò mellifluo, spostando una ciocca di vaporosi capelli dietro l’orecchio della bambina. – È vero che non vedevi l’ora di vedere tuo padre? – le domandò nuovamente, vedendola annuire.
- Che cosa stai facendo …? – esalò il principe drago, compiendo uno sforzo ultraterreno nel rimanere con i piedi ancorati lì dov’era, guardandoli a distanza, mentre stringeva i pugni fino a ferirsi i palmi.
- Che cosa vuoi dire, figliolo? Non è ovvio? Sto recuperando un po’ del tempo perduto con la mia adorata nipote – rispose viscido il re, continuando a carezzare la principessina. – Anche lei è lieta di trascorrere del tempo con suo nonno. Vero, Rhaenys? – le domandò guardandola.
Ella annuì di nuovo velocemente, per poi spostare gli occhioni scuri e vivaci su suo padre, lievemente turbata.
Rhaegar compì un altro inumano sforzo per non fiondarsi da lei e strapparla immediatamente dalle grinfie di quella serpe, temendo che ogni suo movimento, avrebbe potuto peggiorare la situazione, rendendola irrecuperabile.
Si sentiva delle catene legate ai polsi e alle caviglie, immobilizzato e impotente come non lo era mai stato.
- Che cosa vuoi da me…? – sussurrò duro, vibrante, non riconoscendo neanche la propria voce come la sua.
A ciò, il re folle fece virare gli stralunati occhi viola nuovamente dritti sulla figura di suo figlio. – Io? Da te?? – chiese cominciando ridere sguainato. – Io da te non voglio nulla, figlio mio! Non ho mai voluto nulla! – esclamò alzandosi in piedi e girando intorno al tavolo, facendo segno alla principessina di rimanere seduta lì dov’era.
Rhaegar se lo ritrovò davanti a sé, ma quasi non se ne accorse, poiché i suoi occhi erano perennemente puntati su sua figlia.
Aerys sorrise. – Mi sembra quasi di guardarmi allo specchio, venti anni fa – pronunciò, attirando l’attenzione di Rhaegar su di sé. – Quando qualcuno si avvicinava a te. Io perdevo il senno. Ogni parte di me rifuggiva al mio controllo, si distanziava dal mio corpo e diveniva fuoco, liquido.
Quando qualcuno ti toccava non capivo più nulla.
Dire che ero furioso è una degradante minimizzazione, poiché diventavo qualcosa di diverso da me, mi sentivo invincibile, inumano, una creatura scolpita dalle mani degli dèi per ripulire il genere umano dal suo marciume.
Tutto ciò lo provavo solamente quando qualcuno ti posava le mani addosso.
Con tua madre non accadeva lo stesso.
Quando accadeva a lei vi era solo un’incontrollabile ferocia ad invadermi, null’altro.
Ma quando eri tu ad essere contaminato da mani estranee, diventavo esattamente come sei tu, in questo momento – gli disse Aerys con una calma che non gli apparteneva, non staccando mai gli occhi dai suoi.
Il principe rimase in silenzio.
- Puoi dire tutto di me, Rhaegar. Tutto, tranne che io non ti abbia difeso da chiunque minacciasse anche solo lontanamente la tua vita e la tua incolumità.
- Chiunque … - ripeté il principe drago sorridendo sprezzante, mentre una valanga di terribili ricordi d’infanzia invadeva la sua mente, rimembrandogli il dolore dei graffi sulla pelle e degli schiaffi brucianti ricevuti dall’uomo dinnanzi a sè. – Chiunque…? – ripeté in un fil di voce.
Capendo ciò a cui si riferisse, Aerys sorrise a sua volta. – Io non conto. Io potevo e posso farti del male perché tu sei di mia proprietà. Da sempre – rispose con naturalezza il re.
- Tu eri l’unico a minacciare la mia salute fisica e mentale.
Sei sempre stato l’unico – ribatté il principe drago tra i denti.
- E dato che io ho sempre avuto tale riguardo nei tuoi confronti, il quale potrebbe sembrare possessivo visto esternamente, me ne rendo conto … - continuò il re, ignorando le parole di suo figlio. - … ho sempre creduto e preteso che anche tu mi avresti mostrato lo stesso trattamento, proteggendomi a spada tratta da chiunque avesse osato minacciare la mia vita e la mia posizione.
Ma ora … ora capisco che ho sempre commesso un immenso errore nel riporre tanta fiducia nei tuoi confronti.
A te, a te che sei sempre stato un dannato ingrato, un parassita impudente, proprio come tua madre.
Non avrei dovuto aspettarmi nulla da te. Niente.
Organizzare un alto tradimento alle mie spalle, esattamente sotto il mio naso, per sprezzo, per sfregio, per farti vanto della tua infamia dinnanzi ai miei occhi!
Tu hai sempre e solo aspirato a vedermi strisciare a terra mentre tu te ne stai seduto sul trono di spade sottratto a me!! – urlò Aerys avvicinandoglisi ad un palmo dal viso.
Rhaegar non mosse un muscolo, mantenendo il contatto visivo con suo padre, senza esitazione.
- Sai cos’è che voglio davvero da te, figliolo …? – gli domandò il re annullando ogni distanza. – … che tu abbia il fegato e la decenza di porre fine alla mia vita con le tue stesse mani, senza lasciare che un branco di viscide sanguisughe nobili si intrometta nelle nostre questioni di famiglia – gli sussurrò tagliente come una lama. – Perché, in ogni caso, è una faccenda che riguarda la nostra famiglia. È sempre una faccenda di famiglia.
E tu, tu hai voltato le spalle alla famiglia – concluse allontanandosi di poco, per guardarlo dritto negli occhi.
Detto ciò, Aerys fece cenno a ser Oswell Whent di prendere la principessina.
Alla vista delle braccia del cavaliere che avvolsero il corpicino di sua figlia, alzandola su da terra, le iridi del giovane drago si iniettarono di sangue.
Il suo corpo si animò di lava incandescente, eruttando tutto il suo fuoco corrosivo nelle falcate che lo condussero a schiantarsi dritto sul corpo massiccio del cavaliere, strappandogli dalle mani la piccola, la quale si aggrappò immediatamente alle spalle di suo padre non appena entrò in contatto con lui, come se ne andasse della sua vita.
Rhaegar, con il braccio libero dalla presa di sua figlia, colpì il cavaliere tanto violentemente da farlo atterrare sul pavimento gelido come un grosso tronco abbattuto, provocando un tonfo che risuonò per tutto il castello.
Il fiatone gli stava togliendo il respiro, tanto da farlo quasi tremare, mentre l’antidoto di lord Varys sembrava perdere il suo effetto, facendo riemergere alla sua mente, in tutta la loro imponenza, le insinuanti voci.
“Proteggi la prima testa di drago.
Proteggila.”
Rhaenys era sua figlia. Non la prima testa di drago, ma sua figlia.
E lui l’avrebbe protetta, l’avrebbe protetta sempre e comunque da qualsiasi cosa, a prescindere.
Questa volta, la voce che gli risuonava insinuante e insistente nelle orecchie, era quella di sua madre.
“Lui non sa.
Lui non conosce.
Lui non vede.
Nessuna sa, nessuno conosce e nessuno vede.
Non puoi fidarti.
Non puoi fidarti di nessuno” diceva la voce tormentante di Rhaella.
Rhaegar la ignorò per quanto possibile, carezzando venerante la guancia di sua figlia e chiedendole immediatamente come stesse.
Non appena la bambina lo rassicurò sul suo stato, il volto di Rhaegar ritornò sulla figura tronfia di insana soddisfazione di suo padre.
- Non meriti di morire per mia mano.
La morte. Un tal dono dal morbido sapore … per te, sarebbe totalmente sprecato.
Non la meriti.
Non meriti niente – esalò semplicemente, per poi voltarsi e prendere la scalinata che avrebbe portato lui e Rhaenys verso le camere.
 
Aveva bisogno di uscire da quel castello, di respirare un’aria diversa da quella che gli stava rubando dai polmoni suo padre.
Aveva bisogno di avere delle risposte immediate, per alleviare quelle voci.
Non aveva bisogno di antidoti, di svago o di mastodontici tomi. Aveva bisogno di risposte.
Per qualche motivo, lady Lyanna sembrava possedere un destino condiviso con il suo, basandosi su tutti i segnali che gli dèi gli stavano mandando.
Ella aveva un ruolo determinante, per il compimento del suo destino, quel destino crudele che l’aveva messo al mondo per uno scopo preciso.
Gli alchimisti che facevano esperimenti sotto la Sala d’Estate non c’entravano.
Non vi erano più spiegazioni logiche, non vi era più modo di riuscire a giungere alla soluzione di quel dilemma da solo.
I nervi gli continuarono a pulsare per le seguenti ore, anche quando rimase da solo in camera, quando Rhaenys venne prelevata da Ashara, quando di Elia non vi era ancora nessuna traccia.
Al calar del sole, finalmente, qualcuno bussò alla porta.
Dopo il quinto colpo di nocche privo di risposta, lord Varys aprì la porta della camera reale, affacciando solo la testa calva, rispettosamente. – Maestà? – tentò con accortezza e delicatezza, osservando la figura slanciata del principe ereditario stesa sul letto enorme a faccia in su, come un corpo morto, i diamanti viola vitrei e lucidi, rivolti verso l’alto e le labbra serrate.
- Maestà, disturbo? – ritentò il Ragno Tessitore.
Rhaegar schiuse la bocca, senza muovere un muscolo. – Sì?
- Vi sentite bene?
- Sì, benissimo – la voce totalmente svuotata di sostanza.
- Vostra moglie è ancora dal Gran Maestro a causa delle false doglie.
Ser Dayne è qua fuori da un po’ oramai. Ha chiesto a me di entrare, per sapere come state, mio principe.
- Arthur crede che io sia adirato con lui, Varys – spiegò il giovane drago, voltando lievemente il viso verso la porta dalla quale lo stava interrogando il Ragno. – Potete avvicinarvi? – gli domandò con la stessa inflessione che un bambino avrebbe usato con sua madre.
A ciò, Varys si affrettò ad obbedire, entrando totalmente dentro la stanza e chiudendo la porta dietro di sé.
Rhaegar, finalmente, tirò su il busto con estrema lentezza, per poi far scendere le gambe giù dal letto, restando in posizione seduta.
Fatto ciò, fece segno al Ragno di accomodarsi sul materasso accanto a lui.
Nonostante la strana richiesta, Varys obbedì nuovamente, prendendo posto affianco al principe e fissandolo, fissando il suo sguardo confuso, la chioma disordinata, le nocche spigolose sbiancate, la mascella perennemente in tensione, le spalle tese come quelle di un manichino.
- Dovete fare qualcosa per me – esalò il giovane drago.
- Tutto ciò che desiderate.
- Dovete far reperire un mio messaggio nell’accampamento.
- I miei uccellini saranno estremamente discreti e accorti, mio principe. Il destinatario?
- Lady Lyanna della casata Stark.
Varys annuì con solennità. – Il contenuto del messaggio, mio signore?
- “Questa sera, alla locanda” – disse semplicemente, tenendo gli occhi fissi dinnanzi a sé.
- Consideratelo fatto, Maestà.
- E un’altra cosa.
- Certamente.
- Fate entrare Arthur – terminò voltandosi a guardarlo per la prima volta, fissando la sua figura mentre usciva dalla stanza.
Quando fu la sagoma della Spada dell’Alba ad entrare nella camera, Rhaegar si alzò in piedi, avvicinandoglisi di qualche passo.
- Devi dire ad Elia che, per questa notte, dovrò starle lontano.
Non sono in grado di sostenerla nel suo dolore, non sono in grado di starle accanto.
Non stanotte.
- Rhaegar … - lo richiamò il giovane dorniano, cercando disperatamente i suoi occhi, preoccupato.
- Domani mattina mi troverà qui.
Qualsiasi cosa le accada, qualsiasi cosa accada al bambino … voglio essere avvertito, immediatamente.
- Dove andrai? Dove passerai la notte?
- Non qui. Non qui, Arthur – si limitò a dirgli, dandogli le spalle.
- Chi stringerà la mano di tua moglie nei suoi peggiori momenti di dolore questa notte…?
- Sarai tu a farlo – disse granitico il principe, voltandosi a guardarlo, pietrificandolo.
- Che cosa …? Che cosa stai dicendo? Hai battuto la testa, Rhaegar…?
- Devi starle accanto.
Non lo chiederei a nessun altro, se non a te – gli garantì il principe, addolcendo lievemente la voce, avvicinandoglisi ancora.
- Te lo sto chiedendo, Arthur.
Non te lo sto ordinando.
- E io non voglio farlo.
- Non ti sto chiedendo di infilarti nel letto di mia moglie. E, di conseguenza, anche nel mio. Voglio che tu sia per lei la sua roccia, la spalla su cui piangere, al mio posto.
È solo per una notte.
- Lei non lo accetterà mai. Senza di te, io non … noi non possiamo. Perché mi stai chiedendo questo?
- Perché io sarò con un’altra donna questa sera – fu la seconda frase che fece immobilizzare il dorniano. – Ma non per tradirla. Tuttavia, il senso di colpa per non starle accanto in questa fase particolare, mi divorerebbe, se non la sapessi affiancata dalla persona della quale mi fido di più al mondo. Inoltre, è come se saperla tra le tue braccia, possa in qualche modo ripagare il fatto che sarà un’altra a ricevere la mia compagnia stasera.
- Sei malsano … malsano – sussurrò il dorniano, non con cattiveria, ma con una profonda tristezza e vulnerabilità.
A ciò, Rhaegar gli prese la nuca con la mano e lo avvicinò a sé, facendo incontrare le loro fronti. Accennò un amaro sorriso, tanto familiare tra le sue labbra, per rassicurarlo, farlo rilassare in qualche modo.
- Perché ho la sensazione che si stia sgretolando tutto? – sibilò Arthur, trattenendo la nuca del principe verso di sé, a sua volta. – Perché ho paura che, dopo questa notte, cambierà tutto?
- Nulla cambierà nulla, Arthur.
 
Il giovane principe, di nuovo dentro il travestimento di Calen dopo quei pochi giorni che erano parsi secoli, con l’ingombrante cappuccio a coprirgli quasi tutto il volto, entrò nella locanda oramai familiare.
La prima cosa che si premurò di fare, fu dirigersi verso il bancone, quella sera particolarmente affollato.
Si infilò in uno spazio rimasto vuoto tra due popolani che si muovevano animati da un’incontenibile ebbrezza, e si rivolse alla solita locandiera dietro al bancone, intenta a ridere sguaiata e a riempire l’ennesimo boccale, con i ciuffi sudati di capelli lunghi che le ricadevano sulle guance purpuree.
- Shaileene – la richiamò per nome, che aveva conosciuto all’incirca alla quarta o alla quinta serata che aveva trascorso lì.
A quel richiamo, la donna si voltò verso di lui, sorridendogli con i suoi denti grigi e le labbra piene. – Oh, guarda chi si rivede! Mi sei mancato, mio bel forestiero, sai? Dove eri finito?? Non credi che oramai quel cappuccio sia di troppo? Dovresti riuscire a farne a meno dopo un’intera settimana che ci conosciamo! – gli disse allegra e genuinamente maliziosa, come sempre.
- Ho bisogno di una stanza per dormire stanotte. Ne avete una libera? – le domandò, sapendo che quella locanda ospitasse anche per la notte.
- Stai scherzando, tesoro? Una stanza? Per te?? Posso riservartene anche dieci se vuoi! Ti basta solo chiedere – gli garantì lanciandogli un bacio. – Certo, però, che devo ammettere che è una strana richiesta da te!
- Grazie, Shaileene. Hai visto l’anziana donna che sedeva con me e Doen alcune sere?
- La vecchia pazza?? Si è sempre fatta trovare qui, ogni sera, ad aspettarvi, da quando avete smesso di venire, tu e il ragazzino. Sono sicura che arriverà anche stasera!
A ciò, il giovane drago sotto mentite spoglie si fece strada tra la folla al bancone per riuscire ad allontanarsi dall’accalcamento e si guardò intorno, per controllare se lady Stark fosse già arrivata.
La individuò seduta sul solito tavolo, leggermente isolato, con gli abituali abiti cenciosi da ragazzo, i capelli legati e gli occhi tempestosi fulgidi e in attesa.
Si diresse verso di lei prendendo un bel respiro, fin quando non la vide aguzzare lo sguardo e animarsi, non appena si accorse di lui.
- Continuiamo ad usare le nostre false identità, come al solito. Non corriamo rischi – si affrettò a dirle prima che lei aprisse bocca.
Lyanna annuì, vedendolo sedersi di fronte a lei, come era abituata a vederlo fare, quando ancora non sapeva chi fosse.
Ora era tutto diverso. Sapeva chi aveva dinnanzi, conosceva la celeberrima identità del giovane dinnanzi a sé.
Conosceva il suo volto, quel volto che aveva tanto bramato conoscere.
Era davvero tutto diverso?
Dovette ripetersi più volte, mentalmente, che davanti a lei non vi era Calen, bensì Rhaegar, l’erede al trono, il cavaliere che l’aveva salvata dal morso di un serpente, che aveva mantenuto il segreto del Cavaliere dell’Albero che Ride con il proprio padre, il re, e che stava cercando di salvarli tutti da quest’ultimo, rischiando la vita nell’intento.
Tuttavia, era anche colui che le aveva spudoratamente mentito, facendole credere di essere al suo livello, illudendola di essere capita e di poter capire lui.
Il giovane drago si strofinò le mani, voltandosi verso l’esterno, in cerca di qualcuno.
- Perché mi avete fatta venire qui? – trovò la forza di domandargli Lyanna. – Credevo fosse una storia passata, terminata, oramai.
- I nostri destini sono legati, Doen – le disse, facendola rabbrividire. – Lo avete sentito anche voi, dalle parole dell’indovina. Ho bisogno di rivederla, per ricevere delle risposte. Non posso più andare avanti senza sapere.
- E io a cosa vi servo?
- Riguarda anche voi, in prima persona. Siete coinvolta quanto me in questo futuro scritto per noi, che ancora non conosciamo.
- Non condividiamo la stessa opinione riguardo al futuro, Calen – si affrettò ad informarlo ella. – Il mio futuro non verrà definito da nessuno.
A tali parole, Rhaegar sorrise, un sorriso amaro e disilluso. – Siete così giovane.
Quella frase non suscitò altro che l’effetto di far adirare la giovane lupa di una frustrazione, una rabbia e una tristezza quasi incontenibili.
Strinse il legno del tavolo fino a farsi sbiancare le nocche, cercando di trattenersi. - Che cosa intendete dire con questo, ora?? Solamente perché non condivido le vostre convinzioni io sarei solo una bambina che vive nel mondo dei sogni?? Sapete che cosa ho dovuto passare per riuscire a partecipare a quel torneo sotto mentite spoglie?! Sapete quanto devo combattere ogni giorno per farmi valere con gli imponenti e ostinati uomini della mia famiglia e della mia vita?! Sapete qualcosa di me, che possa davvero portarvi ad affermare che io ragioni come una bambina??
Non sono una bambina – concluse riprendendo fiato, calmandosi gradualmente, accortasi di aver attirato qualche sguardo intorno a loro.
Dopo qualche secondo di pausa che pesò come un macigno sulle spalle della giovane lupa, il principe drago schiuse le labbra per parlare, con tutta la tranquillità del mondo: - Proprio a causa di questa reazione, riaffermo più convinto di prima, che siete ancora troppo giovane.
- Troppo giovane per cosa …? Per comprendere che non posso cambiare il corso degli eventi, neanche se lo volessi con tutto il cuore?
 - Mi piace stare con voi proprio per questo motivo.
La vostra innocenza. La vostra fiducia. Per il futuro.
I sentimenti che vi colorano le guance con tanta impetuosità, rendendovi trasparente.
La vostra ingenua curiosità e combattività.
Crescendo, cambierete, come siamo cambiati tutti.
I vostri occhi non saranno più così limpidi come li sto vedendo e ammirando ora.
Vi renderete conto di non poter mai agire direttamente su una vita che non vi ha mai lasciato alcuna possibilità di scelta, dalla nascita alla morte.
Vi accorgerete di non riuscire più ad amare un uomo.
Gli occhi della giovane lupa si fecero improvvisamente lucidi. – Parlate come se aveste vissuto tre vite messe insieme. In realtà, avete pochi anni in più di me.
Quando vi siete reso conto di non essere in grado di amare una donna, mio principe?
Quell’appellativo usato all’improvviso fece irrigidire il giovane drago. – Vi avevo detto di non …
- Non posso accontentarvi – lo interruppe lei. – Ho realizzato di non riuscire a considerarvi come due persone diverse, Rhaegar e Calen. Non chiedetemi più di farlo – rispose con decisione.
I due rimasero in silenzio per un po’, fin quando il principe non lo ruppe. – Non posso costringervi a stare qui. Non è giusto, né rispettoso nei vostri confronti. Siete ovviamente libera di andarvene quando volete, se non volete rimanere qui – affermò, facendola irrigidire, sapendo di averla messa con le spalle al muro.
- Siete sleale – disse ella in un sussurro.
- Non lo sono. Vi sto rendendo noto quel che dovrebbe essere già noto.
- Come avrei potuto ignorare la richiesta del futuro re dei sette regni …?!
- Da quei pochi incontri che ci hanno visti protagonisti, a volti scoperti, avete avuto modo di conoscere almeno un minimo il mio atteggiamento nei confronti dei miei “sudditi”. Sapete che non vi sarebbe stata alcuna conseguenza se non aveste acconsentito alla mia richiesta questa sera.
- Volete che ammetta che volevo rivedervi? E voi? Vi era davvero il bisogno di rendermi noto il destino che ci accomuna, stasera? – lo ripagò con la stessa moneta.
- Vi volevo al mio fianco – ammise egli, sorprendendola. – Vi volevo vicina quando avrei saputo ciò che attendo da una vita di sapere, poiché abbiamo condiviso tanto e non posso negarlo, neanche a me stesso.
Dopo qualche minuto di silenzio, anche Lyanna si espose. – Volevo vedervi. Volevo rivedere Calen, ma volevo rivedere anche voi. Per questo non posso più dividervi, nonostante, talvolta, mi sembriate tanto diversi.
Improvvisamente, l’attenzione dei due venne attirata dalla figura familiare della vecchia indovina, la quale varco la porta della locanda, guardandosi intorno con i suoi occhi stralunati.
Quando li individuò seduti su quel tavolino, il suo sguardo non sembrò sorpreso come si aspettavano. Ella si avvicinò a loro autonomamente, prendendo posto accanto al giovane drago.
- Mio principe – lo salutò questa volta.
- Immagino voi abbiate saputo sin da subito – dedusse Rhaegar.
Ella si limitò a sorridere in risposta, per poi posare lo sguardo anche su Lyanna. – Siete tornati per interrogarmi ancora, miei giovani amanti sfortunati?
Lyanna rise istericamente, ancora indecisa se reagire a ciò piangendo, urlando o infuriandosi, o tutte e tre insieme. – Il vostro scopo è condurci ad avverare le vostre previsioni, spingendoci verso di loro con il solo rivelarle?? Cos’è, ora volete raccontarci un’altra favola come quella di Amore e Psiche??
Le proteste della ragazza non fecero altro che divertire l’anziana donna. – Senza che sia io a dirvelo, sapete, in cuor vostro, che avrete tutto il tempo necessario per innamorarvi di lui ardentemente e per accettare l’idea di amarlo, selvaggia condottiera.
Lyanna ammutolì.
- E voi, figlio del fuoco che tutto rade al suolo – continuò voltandosi nuovamente verso il principe. – Sarete voi a portarla a farlo. Non potete opporvi a questo. Le voci che vi parlano e richiedono la vostra attenzione hanno bisogno di essere ascoltate da voi, per placarsi definitivamente.
Arriverà, un giorno, un male peggiore di quello che, nei secoli andati, fino ad ora, i figli degli uomini hanno mai lontanamente sperimentato.
Il fato viene plasmato dalle azioni degli uomini e gli uomini vengono plasmati dal fato.
È un circolo vizioso che non può essere spezzato.
Senza la vostra unione, la minaccia futura che incomberà sui sette regni, potrebbe portare all’estinzione della vita umana.
Non importa se voi non riuscite ad amare – gli disse la donna, posandogli una mano sulla guancia coperta. – Non importa più. L’importante, è che lei, la lupa, la culla della vita che porterà in grembo, sia in grado di farlo.
- Quale sarà, questa minaccia? – domandò Rhaegar, deglutendo il groppo in gola formatosi alle parole della donna, cercando di mantenere un tono fermo.
- Non è vostro dovere conoscerlo. Neppure io riesco a vederlo. Ma lo sento. Lo tocco. Lo percepisco, incombente.
Il Nord ulula da un po’ oramai, consapevole … consapevole che l’inverno sta arrivando.
- Io non vi credo – affermò la voce tremante e rotta di Lyanna.
-  Leggervi dentro, non ne sono in grado, bambina – le rispose la donna. – Ma potete farlo voi. L’amore e la forza guiderà le vostre azioni dolorose, facendovi prendere scelte disastrose ma necessarie. Amerete la vita che ospiterete nel ventre più di voi stessa, mentre crescerà dentro di voi.
E l’unica cosa che odierete … sarà di non esservi pentita di nulla, di non esservi pentita di aver amato troppo, né di esser scappata da una vita che non vi apparteneva, né di aver contribuito all’avverarsi delle parole di una povera vecchia come me.
- E tutte le persone che si ritroveranno nel nostro cammino? – domandò improvvisamente il principe. – Che ne sarà di loro?
- Dovranno adattarsi.
Salvare tutti non lo si può, ma non condannare a morte un’intera specie, questo sì.
Detto ciò, la donna fece per alzarsi.
- Aspettate – la bloccò Rhaegar. – “Il drago ha tre teste”. Vi dice qualcosa?
A ciò, la vecchia sorrise ancora. – La vostra mente tormentata sta distorcendo ciò che le voci maledette le urlano accanitamente. Quante teste sono necessarie per generarne una nuova? Di quante teste il drago ha bisogno, per venire al mondo?
Padre, madre e figlio.
Ogni uomo nascituro e perituro ha tre teste.
Così come ogni drago.
Ci rincontreremo – concluse l’indovina, andandosene, sparendo dalla loro vista.
Dopo un tempo che parve loro infinito, in totale trance mentale e fisica, la locandiera di loro conoscenza attirò l’attenzione dei due.
- Ehi, morti viventi … cos’è questo spirito?? Vi porto qualcosa o volete continuare a rimanere imbambolati?
Rhaegar fu il primo a rinsavire. – No, grazie. Il mio amico se ne sta andando.
A ciò, Shaileene girò i tacchi e si diresse da un altro paio di clienti.
Lyanna si riprese a sua volta, guardando il suo interlocutore. – Voi restate qui?
- Dormirò qui questa notte. Non tornerò al castello.
La ragazza annuì, alzandosi in piedi, ancora scossa.
- Buonanotte, principe Rhaegar.
- Buonanotte, lady Lyanna.
La giovane lupa uscì dalla locanda, andando incontro al venticello freddo serale, con un turbinio di pensieri in testa, vorticanti come un uragano.
Mentre camminava al buio, ripensò ad ogni singola parola che aveva scambiato con il principe, e ad ogni sillaba uscita dalla bocca dell’indovina.
Tremò, per il freddo, per la paura, per la malinconia, per l’esigenza, l’esigenza di rivederlo per discutere di cosa avevano appena udito.
Non aveva mai creduto a stregoni e a indovini. Mai.
Eppure, nessuno sembrava averla scrutata dentro come quella donna.
Avvertì una fastidiosa nausea che le fece avere un conato di vomito, costringendola a fermarsi in mezzo alla strada per tossire la saliva.
Aveva bisogno di tornare da lui per parlargli, per comprendere cosa avesse intenzione di fare.
Cambiò direzione e prese a camminare spedita, nuovamente diretta verso la locanda.
Non seppe per quanto tempo era rimasta fuori, quanta strada avesse fatto, se fosse quasi arrivata all’accampamento quando aveva deciso di tornare indietro, o se avesse mosso a malapena dieci passi.
Il tempo sembrava aver perduto spessore.
Rivarcò la porta, con uno stato d’animo totalmente diverso rispetto a quando l’aveva varcata poco prima, non trovando la figura incappucciata del giovane drago da nessuna parte.
Il fatto che la locanda si fosse radicalmente svuotata le fece comprendere che, effettivamente, fosse trascorso più tempo di quanto si aspettasse da quando era uscita.
Attraversò il salone semivuoto, che sembrava molto più grande senza l’affollamento di persone che lo riempiva abitualmente, e raggiunse il bancone, dietro il quale Shaileene stava iniziando a pulire e a sistemare le caraffe di vino vuote, insieme ad altre locandiere.
- Shaileene – la richiamò attirando la sua attenzione, accorgendosi di non aver arrochito la voce come al solito.
- Ehi, dolcezza. Che ci fai di nuovo qui? – le domandò lei, apparentemente non accortasi che la voce del giovane popolano dinnanzi a sè fosse più acuta e dolce del solito, somigliante più a quella di una ragazza. Doveva essere molto stanca anche lei.
- In che camera alloggia Calen? – chiese a bruciapelo.
A tal quesito, gli occhi della locandiera sembrarono affilarsi lievemente. – La porta per raggiungere le camere è quella laggiù – le disse indicandogliela con la mano. – È nella terza sulla sinistra – rispose senza fare ulteriori domande.
- Grazie – le disse avviandosi verso la porta indicatale e imboccando il corto corridoio che divideva le cinque camere di destra dalle altre cinque di sinistra, percependo una veemente fretta muoverle con decisione i passi veloci.
Bussò alla terza porta di sinistra più volte, senza attendere che egli rispondesse, temendo che dormisse già. – Calen! – lo richiamò, per non rischiare che gli ospiti delle altre camere udissero ciò che non avrebbero dovuto udire. - Calen, sono io! Sono Doen! Ho bisogno di parlarti, ti prego.
Dopo qualche secondo, la porta si aprì.
La giovane lupa si ritrovò dinnanzi alla figura scoperta del principe, libera dall’ingombrante mantello e dal cappuccio.
Egli indossava solamente dei morbidi pantaloni e una tunica senza maniche come sottoveste, con un lungo spacco aperto sul davanti, terminante a metà torace.
Era lì, dinnanzi a lei, senza alcun ornamento, né orpello innecessario, svestito di ogni maschera e in senso letterale.
Forse, sin troppo svestito.
La ragazza ingoiò a vuoto, non lasciandosi distrarre.
Lo guardò nei grandi occhi vividi, immergendosi nelle sue iridi viola abbaglianti, rimembra dell’ultima volta che le aveva viste, il giorno prima in mezzo al bosco, col sol calante.
Riprese a respirare normalmente solamente quando lui le fece cenno con la testa di entrare, spostandosi lievemente con il corpo, per lasciarle spazio.
Muovere il primo passo per entrare in quella stanza richiese uno sforzo inumano, pregno di tutta la sua forza di volontà.
Non appena fu dentro la piccola camera modesta, provvista solo di uno spazioso letto singolo, di un comodino e di una candela, dovette aggrapparsi al tessuto spesso della propria casacca, per reggersi a qualcosa.
- Eravate … - esalò bloccandosi, rimanendogli di spalle, rivolta verso il letto e le coperte scomposte sopra di esso, mentre lui si accingeva a richiudere la porta dietro di lei. - Eravate a letto?
A ciò, egli la superò, dirigendosi verso il giaciglio. – Sì. Ma non stavo dormendo – le disse facendole segno di sedersi.
Ella prese posto sul materasso, rimanendo a testa bassa, mentre il giovane drago le si sedeva accanto.
Nonostante i loro corpi non fossero in contatto, quell’inaspettata vicinanza provocò delle piccole scosse sulla pelle della ragazza.
I battiti le mancarono più volte mentre con la coda dell’occhio scorgeva le braccia nude del giovane drago in tensione, con i palmi della mani stretti alle ginocchia.
Non era l’unica ad essere agitata.
Quelle inopportune sensazioni, quegli invadenti segnali che il suo corpo le stava mandando nell’averlo tanto vicino, così sensibile e reattivo alla presenza di lui, contrastavano enormemente con il devastante spaesamento e il turbamento per ciò che aveva udito pronunciare dall’indovina.
E non andava bene, no, non andava bene sentirsi così, provare quelle incontrollate sensazioni, perché si sarebbe fatta del male, e lo avrebbe fatto alle persone che aveva accanto.
Non andava bene sentirsi deboli, vulnerabili, in tal modo.
Non andava bene essere tanto insicuri riguardo al proprio futuro, avere ogni certezza gettata in fumo.
Ma, forse, almeno in quello, non era l’unica a sentirsi tanto impotente dinnanzi ad un avvenire fuori dalla propria portata.
Lentamente e discretamente, voltò lo sguardo verso di lui, verso il suo profilo.
Egli fece lo stesso, facendo nuovamente incontrare i loro sguardi.
Era la prima volta che lo vedeva perso, spaesato.
Eppure, restava comunque fermo e stabile nella sua instabilità, qualcosa di totalmente inconcepibile per la mente della giovane lupa.
- Cosa avete intenzione di fare d’ora in avanti? – chiese con un fil di voce Lyanna, timorosa di udire la risposta, qualsiasi essa fosse stata.
- Non lo so – le rispose sinceramente quello che, per la prima volta, le parve come un ragazzo di ventidue anni, lacerato e consumato dalla tempesta che era una vita divorante, troppo affamata di lui. – Non lo so, Lyanna.
- Neanche io. Ho paura – ammise ella, stringendo il tessuto dei propri pantaloni con le dita, riabbassando lo sguardo. – Quello che ha detto … è fuori da ogni concezione, da ogni previsione ...
- Ha parlato di una minaccia incombente.
Lyanna tornò a guardarlo a quelle parole, fissandosi sul suo profilo delineato dalla luce fioca della candela sul comodino. – Credete che sia vera?
- Sì – rispose con convinzione egli. – L’ho visto nei suoi occhi. C’era … una sorta di terrore mentre lo diceva. Un tipo di terrore che non ho mai visto negli occhi di nessun altro.
Calò qualche minuto di pausa tra i due, spezzato da Rhaegar. – Per quanto riguarda tutto il resto, stento anche io a crederci. Secondo le sue parole … è come se fossimo quasi costretti ad amarci.
Lyanna pietrificò di nuovo. – Si può amare una persona dopo pochi giorni che la si è conosciuta? – domandò.
- No, non si può. Serve tempo, dolore e sacrifici. E poi, voi siete …
- … troppo giovane? – terminò la frase lei per lui, facendolo lievemente sorridere.
- Secondo lei non lo sono, per amare in tal modo.
- E voi? Voi come vi sentite? – le domandò voltandosi a guardarla.
Ecco la domanda che la giovane lupa temeva.
Era finalmente giunta.
- Volete davvero saperlo? Volete sapere cosa provo accanto a voi? – rispose ella.
Amore … ora che ti ho visto, dopo tanta attesa, solo ora ti vedo davvero, dentro e fuori.
Vedo tutto di te e comprendo molte cose.
E, disgraziatamente, non c’è niente che non mi spinga ad avvicinarmi ancora.
Mai provai qualcosa di simile, nella mia breve esistenza.
Rhaegar non rispose a quella domanda.
- Per quale motivo non riuscite ad amare una donna? – domandò dopo qualche minuto Lyanna, sorprendendo il giovane drago.
- Non so spiegarmi neanche questo.
- Vale anche per vostra moglie?
- Sì – ammise sommessamente il principe.
- Ella ama voi?
Egli annuì, guardandola.
- Lo immaginavo – disse Lyanna riabbassando lo sguardo sulle sue gambe, per poi rialzarlo di nuovo. – Sicuramente, vi starete pentendo di avermi conosciuta – aggiunse.
- No – affermò con convinzione il principe. – Di questo non mi pentirò mai. Siete una ragazza molto coraggiosa.
- Io non mi sento affatto coraggiosa.
- Lo siete, credete alle mie parole. Siete la persona più coraggiosa, determinata e sensibile che abbia mai conosciuto.
Sono fiero di aver avuto modo di incontrare un animo raro come il vostro.
In quel momento, calò come un sipario su di loro, che li rinchiuse in una dimensione senza tempo, o almeno, fu così che la percepì la giovane lupa.
Si ritrovò ancor più vicina a lui, senza capire né ricordarsi di essersi mossa.
Voltati uno verso l’altra, si guardarono, guardarono il viso e il corpo l’uno dell’altra.
Lyanna fece vagare le iridi per la prima volta impudicamente, impunemente su di lui, sui suoi capelli sciolti, sugli occhi, sulle labbra, sul collo e sul petto, percorrendo sempre traiettorie diverse.
Di nuovo, le scosse e i brividi divennero maggiormente prepotenti, dominando il suo corpo appena sbocciato, ancora vergine e inesperto, impaurito e curioso insieme, mentre le preoccupazioni venivano piano piano sommerse, alleviate, per lasciarle un breve attimo di tregua.
Tuttavia, tutte quelle emozioni e sensazioni insieme stavano provocando qualcosa di inaspettato in lei, fuori dal suo dominio.
Tante domande affollavano la sua mente, tanti dilemmi e dubbi che avrebbe voluto soffocare dando sfogo a quei dolci e seducenti istinti che avevano preso il controllo del suo corpo, assecondando la voglia di saggiare quella pelle chiara, liscia e dal buon profumo, e di lasciarsi toccare da lui.
Ma quello stesso corpo, imprevedibile e contraddittorio, agì senza il suo consenso, senza avvertirla, non riuscendo a gestire quella valanga di impulsi e sensazioni sconnesse.
Improvvisamente, i suoi occhi si inumidirono, divenendo sempre più lucidi, fin quando dei grossi lacrimoni non fecero capolino da essi, piombando sulle guance arrossate.
Rhaegar sgranò gli occhi a tale vista. – Lady Lyanna? Lyanna, va tutto bene? Perché state piangendo?
Ella si asciugò frettolosamente, vergognandosi, ma, al contempo, non riuscendo a trattenere altre lacrime, non conoscendo neanch’essa, di preciso, il motivo specifico di quello sfogo improvviso. – Non è niente …
- Non può non essere niente. Che vi succede?
- Non lo so. Non so cosa fare, né cosa dire … non so come comportarmi, come agire d’ora in poi … non so cosa sento, non capisco che succede in me … è vero, è vero, sono una bambina che non vuole crescere, probabilmente avete ragione …
Ma se diventare adulti significa questo, non voglio farlo! Non voglio dover scegliere di far soffrire delle persone, non voglio scegliere di scappare … non vorrei neanche desiderare di fuggire da una vita che non voglio, non voglio dover credere alle nefaste parole di quella donna … non voglio rendermi conto che sposerò un uomo per cui non provo altro che ribrezzo, mentre con tutta probabilità, dopo il torneo, non rivedrò mai più l’uomo che fa battere il mio cuore in maniera inumana!
Nell’udire tali parole, il giovane drago non poté fare a meno di far fronte alla sorpresa, mettendosi da parte per lasciare spazio solo all’anima dolce, sensibile e scheggiata dinnanzi a sé.
Le si avvicinò e la avvolse tra le sue braccia, offrendole tutta la consolazione e il conforto di cui avesse bisogno, carezzandole la testa con una mano.
In risposta, Lyanna sfogò il suo pianto premendo il viso sul petto del principe, e stringendo la sua tunica sulla schiena convulsamente, lasciandosi cullare.
- Troveremo il modo di far andar bene le cose. Ve lo prometto. Ci penserò io, al da farsi. Voi dovete solo non pensare a ciò che avete udito questa sera e a terminare questo torneo a cui avete tanto desiderato partecipare, in qualità di Cavaliere dell’Albero che Ride. Dovete pensare solo a vincere il torneo e a null’altro. Non pensate a me, né all’indovina. Ne riparleremo. Ci rincontreremo a tempo debito e ne riparleremo con calma. Abbiamo tutto il tempo per farlo, non temete. Ora pensate solo al torneo e a stare con la vostra famiglia – detto ciò, si staccò da lei e si pose con il viso davanti al suo, asciugandole le ultime lacrime sulle guance, per poi premere le labbra sulla sua fronte, lasciandovi un lungo bacio.
Nel mentre, Lyanna posò timidamente le dita fredde sui suoi polsi in tensione, senza stringerli troppo, ma carezzandoli con delicatezza.
- Posso rimanere a dormire qui anche io, per stanotte? – domandò improvvisamente la giovane lupa, ancora reduce di tutte le emozioni provate.
A ciò, Rhaegar la guardò in volto e le sorrise premurosamente. – Tornate a casa, milady. I vostri fratelli si preoccuperanno se non vi troveranno nel vostro letto domani mattina.
La giovane lupa annuì e, dopo qualche altro minuto che impiegò a riprendersi, si rialzò in piedi e uscì dalla stanza e dalla locanda, riprendendo la strada verso l’accampamento.
 
La mattina seguente, all’alba, il giovane principe rientrò nella camera reale, nel castello di Harrenhal.
Tutte le sue speranze che Elia fosse riuscita ad appisolarsi almeno qualche ora in sua assenza, nonostante i dolori, andarono in fumo non appena la vide seduta davanti alla finestra che lasciava entrare le prime luci mattutine, di schiena.
Non appena il principe entrò in stanza, richiudendosi la porta dietro di sé e avvicinandosi di qualche passo a lei, la principessa si alzò immediatamente dalla sedia, gli andò incontro e gli riversò un violento schiaffo sulla guancia, il quale gli fece rigirare la testa di lato.
Rhaegar rimase impassibile, immobile, come se lo aspettasse.
Quando si rivoltò verso di lei, le trovò la faccia stravolta dalla nottata insonne e rigata di lacrime secche.
La giovane dorniana, con espressione granitica, lo fulminò con i suoi occhi scuri. - Dove sei stato? Per quale crudele scherzo divino hai chiesto al tuo cavaliere personale di restare con me per le notte, al tuo posto? Volevi che colmasse la tua assenza …? Volevi che ti sostituisse come si sostituirebbe una bambola per una bambina …?
Credi davvero che io possa accettare la presenza di qualcun altro che non sia tu …?
Credi che io possa sopportare qualcosa come quello che è accaduto stanotte?
Rispondimi, Rhaegar.
Il principe la guardò negli occhi scuri con uno sguardo indefinibile, immergendosi prima in uno, poi nell’altro, con estrema lentezza, senza aprire bocca.
Le labbra della principessa tremarono quando le aprì di nuovo.
- Dove sei stato, stanotte …? – ripeté, scandendo bene ogni singola parola.
- Sono stato con una donna – le disse, facendola impietrire. – Ma non è accaduto nulla tra noi. Niente di niente.
- Come posso fidarmi delle tue parole …?
- Fidarti o no, sta solo a te, amore mio.
- Non chiamarmi così … - sussurrò tra i denti, colpendolo al petto con i pugni, spingendolo lontano da lei, senza successo.
A ciò, Rhaegar le permise di sfogare ancora un po’ della sua rabbia, lasciandosi colpire di nuovo, poi le afferrò i polsi sottili tra le dita e la avvicinò a sé all’improvviso, baciandola come non la baciava da molto, con veemenza, passione, sensualità e un’impetuosità da farle rabbrividire le membra dall’interno.
Elia provò a divincolarsi dalla sua stretta ai polsi solo per un istante, poi arrendendosi a lui, lasciandosi baciare e ricambiando quel potente contatto con la stessa energia trascinante e vincolante.
Quando il principe staccò la bocca dalla sua, rimanendo così vicino da farle ancora sfiorare tra loro, le sussurrò a fior di labbra. – Mi dispiace di non poterti dare ciò che desideri che io ti dia … mi dispiace di non esserne in grado … ma ti giuro, sugli antichi dèi e su quelli nuovi, ti giuro sulle gesta dei miei antenati e sulla cosa più bella che abbiamo, sulla meravigliosa, unica, piccola donna che dà senso alle nostre vite … ti giuro su tutto questo, che, se potessi, se ne fossi in grado, te lo darei, ti darei tutto quello che desideri, che meriti e che vorrei darti.
Lo darei a te, amore mio e a nessun altro … - sibilò con la voce rotta, portandosi immediatamente una mano della donna sulle labbra, baciandogliela febbricitante, mentre delle calde lacrime bagnarono inaspettatamente i suoi zigomi definiti.
Atterrita, sconvolta, rincuorata e animata insieme, Elia prese quel viso che amava ardentemente tra le mani, perso e bagnato da quelle sottili gocce luminose e salate così rare su di lui, e gli asciugò le guance con premura e dolcezza.
Quella mattina, il principe drago raccontò tutto alla sua sposa.
Ogni singolo dettaglio, tutto ciò che era accaduto nella settimana passata, fino a quel momento, non mancò di narrarglielo.
La principessa dorniana venne a conoscenza dei suoi incontri alla locanda con Doen, di lady Lyanna, del Cavaliere dell’Albero che Ride, dell’incidente nel bosco, della maledizione che Visenya aveva tramandato a lui, dei suoi tentativi di scongiurarla, di ciò che le voci nella sua mente gli ripetevano strenuamente, della profezia dell’indovina.
Ascoltò tutto in silenzio, seduta sul talamo accanto a lui, mentre il sole, gradualmente illuminava le loro figure, scaldandoli.
 
Quella stessa notte, quando Lyanna tornò finalmente nella sua tenda, in punta di piedi per non svegliare Aileen, si tolse i vestiti da ragazzo, indossò la sua sottoveste, liberò i capelli dalla costrizione dei nastri stretti, e si infilò nel suo letto, sotto le coperte spesse, cercando di ignorare il terribile mal di testa che le faceva pulsare gli occhi e le tempie.
Dopo qualche secondo, con la coda dell’occhio, intravide l’ombra di qualcuno avvicinarsi alla sua tenda ed entrare.
La sagoma buia e familiare si avvicinò al suo letto silenziosamente, rivelandosi a lei.
Lyanna sorrise a suo fratello Ned, mentre lo vedeva sedersi in fondo al suo letto.
- Ehi – le sussurrò lui, con lo sguardo insonnolito e preoccupato insieme. – Sono andato a urinare e ti ho vista rientrare furtivamente nella tenda. Aileen ti ha coperta, dicendo a tutti che volevi coricarti presto oggi. Dovresti erigere un piedistallo per quella ragazza.
Lyanna sorrise lievemente in risposta, accucciandosi tra le coperte. – Lo so. È fantastica.
- Non voglio farti la predica, né chiederti dove sei stata. Voglio solo sapere se stai bene, Lya.
A ciò, la giovane lupa lo guardò adorante, imprimendosi ogni dettaglio di lui e del suo volto tanto amato a fuoco nella mente. – Oh, Ned …
Cosa farei senza di te…?
- Parlami, Lya. Sono qui.
- Ned … se io scomparissi, all’improvviso … tu che cosa faresti?
- Ti cercherei fino in capo al mondo.
E ti troverei.
Ti troverei ovunque.
 
 
 
 

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Capitolo 15
*** La principessa del sole e la lupa selvaggia ***


La principessa del sole e la lupa selvaggia
 
- Da dove viene questa strana passione per le profezie? – aveva chiesto Doen a Calen, poggiando i gomiti al bancone della locanda.
- Non la chiamerei proprio una “passione” – aveva risposto Calen prendendo un sorso dal boccale.
- Lo vedo che cerchi sempre l’indovina con lo sguardo quando sei qui.
A ciò, Calen si voltò verso di lei. – Fin da quando ero bambino, mia madre mi ha letto moltissimi libri. Mi leggeva di tutto e di più, senza distinzione, per permettermi di decidere da solo quale lettura avrei preferito maggiormente.
Ella sedeva con me e mi guardava leggere, dandomi modo di sfogare la mia fantasia.
Quando mi addentrai in alcune letture sulle pratiche occulte, ne rimasi molto affascinato.
- Hai un bellissimo rapporto con tua madre – commentò Doen, con lieve amarezza.
- Non è lo stesso per te, presumo.
- Io e mia madre non siamo mai stati molto affini. Lei ha sempre preteso qualcosa da me che io non sono in grado di darle.
La sento lontana, così come sento lontano mio padre, spesso – disse, per poi rialzare gli occhi plumbei su Calen. – E tu, con tuo padre?
A quella domanda, Doen ebbe modo di vedere Calen impietrire palesemente, nonostante il cappuccio del mantello a coprirlo.
- Se ho fatto una domanda che ti ha infastidito, ti prego di scusarmi. Talvolta, non riesco a trattenermi – si scusò ella, tornando con gli occhi sul bancone dinnanzi a sé.
- Non lo conosco.
- Cosa hai detto? – chiese conferma Doen, credendo di aver capito male.
- Non conosco mio padre – ripeté Calen, con voce distaccata.
- Oh … mi dispiace. Mi dispiace tanto di averlo chiesto – si affrettò a dire mortificata la ragazza.
- Va tutto bene, Doen – la rassicurò Calen voltandosi verso di lei e sorridendole.
Doen sorrise di rimando, per poi porgli un’altra domanda. – Hai mai avuto altri contatti con una strega o un’indovina prima d’ora?
- Sì – rispose egli con convinzione, vedendo Doen sgranare gli occhi a tale risposta.
- Come? Quando? Com’è stato??
Calen sorrise nell’osservare la sua genuina sorpresa e curiosità. – Quando avevo quindici anni, una strega ha predetto il mio futuro.
Dopo quella volta, è stato come se stregoni e indovini fossero gli unici in grado di rispondere a tutte le mie domande.
Mi fidavo ciecamente delle parole di tutti i maghi ciarlatani a cui mi rivolgevo, poiché avevo il bisogno di sapere.
Erano davvero in pochi coloro che erano in grado di predire qualcosa di reale che mi riguardasse.
Con il tempo e l’esperienza, sono diventato abile nel distinguere i truffatori dai veri praticanti di arti occulte.
- Non hai mai avuto paura? Di queste figure oscure? Una vecchia donna, amica di famiglia, mi ha sempre raccontato storie nefaste su stregoni e indovini.
- No. Non sono mai stato davvero spaventato da loro.
Non ho mai voluto giudicare il vissuto di quelle persone, per quale motivo si siano ritrovati a leggere dentro l’anima di sconosciuti, a nutrirsi delle storie degli altri.
Un dettaglio che ho notato, che ho notato spesso, è che è come se non volessero mai lasciarti andare, come se volessero portarsi la tua storia con loro, come se, in qualche modo, gli appartenesse.
- E tu gliel’hai permesso? Hai permesso loro di appropriarsi della tua storia?
- Non c’è nessuna storia, di cui possano appropriarsi.
Sento come se, il mio cammino, non portasse mai da nessuna parte.
 
 
Il parto durò meno di quanto si sarebbero aspettati.
Elia entrò in travaglio il terzo giorno di torneo e le doglie durarono solo qualche ora, a differenza di quanto era accaduto per Rhaenys.
Rhaegar restò con lei per l’intera durata del travaglio e del parto, accanto a lei, a stringerle la mano, mentre la levatrice aiutava il principino a trovare la strada per raggiungere la luce esterna.
A notte fonda, quando finalmente una principessa sfinita e immersa nelle lacrime di gioia, riuscì a prendere tra le braccia il biondissimo neonato dalla pelle di porcellana che piangeva a squarciagola, ringhiando come un vero drago, ad Harrenhal venne annunciata la nascita dell’erede al trono.
Il giorno seguente, Elia ebbe finalmente modo di riposarsi, con il suo bambino a dormirle tra le braccia e il tepore di suo marito a riscaldarle il corpo e il letto, facendola piombare in un idillio quasi irreale.
Per rimanere accanto a lei, a suo figlio e a sua figlia, Rhaegar si era assentato per metà della quarta giornata di torneo, concordando con gli altri gareggianti che avrebbe partecipato alla seconda metà.
Elia non l’aveva mai visto e sentito tanto vicino a loro, a lei, come quel giorno.
Li aveva accuditi dolcemente, lei, Aegon e Rhaenys, come non riusciva mai a fare da mesi, causa i vari impegni e la testa altrove.
Quel giorno, con la vicinanza tanto bramata del suo sposo, Elia aveva avuto modo di riflettere su tutto ciò che era accaduto nelle ultime due settimane, specialmente su tutto ciò che aveva avuto modo di apprendere da Rhaegar due sere prima.
Aveva ragionato molto, si era letteralmente scervellata sul da farsi, su come avrebbe potuto e dovuto gestire quella situazione, le complesse circostanze che si erano andate a creare, su cosa fosse davvero meglio per Rhaegar e per i suoi figli, mettendosi totalmente da parte.
Elia non era mai stata una persona egoista, tutto il contrario.
Anche quando era una ragazzina e viveva a Dorne, metteva sempre prima i bisogni dei suoi fratelli e della sua famiglia.
Semplicemente, non era nella sua natura pensare a se stessa.
Specialmente quando erano implicate le persone che amava più di se stessa e di qualsiasi altra cosa al mondo.
Le persone per le quali si sarebbe gettata tra le fiamme ardenti senza pensarci due volte, pur di evitare che venisse fatto loro del male.  
Tali persone erano i suoi figli, il suo sposo e la sua famiglia.
E, dato che la questione riguardava Rhaegar in prima persona, come sempre,  poiché da quando si era unita al giovane drago tutto girava intorno a lui, la strada tracciata dinnanzi a sé cominciava ad assumere dei confini chiari e spaventosi ai suoi occhi.
Mettere al primo posto gli altri significava pensare al loro bene, prima che al proprio, dunque, mettere da parte il proprio eterno amore, se questo era ciò che richiedeva la situazione.
Rhaegar veniva prima di tutto. Aegon e Rhaenys venivano prima di tutto.
Così era e così sarebbe sempre stato.
La sua forza stava in quello, nel comprendere cosa fosse meglio per gli altri e nell’affrontare la paura di agire in tal senso.
Se Rhaegar non fosse stato abbastanza forte e lucido da compiere ciò che avrebbe dovuto compiere, allora lo sarebbe stata lei per entrambi.
Era così che funzionava tra marito e moglie.
L’amore carente in uno dei due, veniva colmato dall’altro.
La prontezza e la razionalità che mancava ad uno dei due, veniva mostrata doppiamente dall’altro.
Rimuginò più e più volte su ciò che avrebbe dovuto fare, parlandone solamente con Ashara e con nessun altro.
Per far in modo di concretizzare ciò su cui aveva accuratamente riflettuto per tutta la mattinata, richiese ad Ashara, in grande discrezione e segretezza, di invitare lady Stark al castello di Harrenhal, per prendere il the con lei, nell’orario in cui il castello era vuoto, poiché tutti erano impegnati ad assistere al torneo.
Rhaegar avrebbe partecipato alla seconda metà della quarta giornata di torneo, perciò il pomeriggio inoltrato sarebbe stato un momento perfetto.
L’assenza della principessa tra gli spettatori sarebbe stata giustificata dalla debolezza per l’appena avvenuto parto; mentre, la temporanea assenza di qualche ora di lady Stark, non sarebbe stata molto probabilmente neanche notata.
 
Ashara si aggirò per l’accampamento nell’ora di pausa tra i duelli della mattina e quelli del pomeriggio, durante quei preziosi minuti di aria che servivano ai gareggianti per sgranchirsi le gambe e rifocillarsi, prima di riprendere con la seconda parte della giornata di torneo.
Con il cappuccio di velluto mogano tirato su, a nasconderle parzialmente il volto, non avrebbe attirato l’attenzione quanto temeva.
Difatti, i cavalieri erano troppo occupati a riprendersi, a medicarsi e ad allenarsi, per interessarsi ad una ragazza incappucciata che si aggirava per l’accampamento.
Quando raggiuse la sua destinazione, attese che la figura che gli interessasse incontrare uscisse dalla tenda.
Udì la sua voce calma e placida da fuori, conversare con suo fratello maggiore probabilmente, e solo ciò le fece perdere un battito.
Dannò se stessa e il suo interesse per il lupo grigio, per essere arrivato a tal punto.
Inizialmente era solo banale curiosità nei suoi confronti, poi, da quando avevano ballato insieme al banchetto, la curiosità si era tramutata in interesse e forse in qualcosa di più.
Non aveva mai provato nulla di simile per i molteplici spasimanti che le avevano fatto la corte, da quando era ragazzina.
“È il fascino dell’uomo del Nord” le aveva detto suo fratello Arthur.
E forse aveva in parte ragione, era anche per quello, ma non solo.
Ned riusciva a guardarla e a trattarla in un modo che Ashara non credeva possibile.
Ad ogni modo, in quel momento non era lì per incontrare Ned, ma per qualcosa di ben più importante.
Quando, finalmente, il giovane lupo Stark che attendeva di vedere uscì dalla tenda, con alcune parti dell’armatura sudata semislacciate e i capelli scuri bagnati dall’acqua che aveva usato per rinfrescarsi, entrambi rimasero immobili, l’uno di fronte all’altra.
Ned sgranò gli occhi chiari, solitamente rilassati e tranquilli, non appena scorse i lineamenti del volto della Dayne sotto l’ingombrante cappuccio.
- Lady Ashara …? Cosa ci fate qui, milady? – le domandò a metà tra il sorpreso e lo scosso. Neanche in quel caso egli riusciva a nascondere la sua dolce timidezza. - Questo non è posto per una lady come voi, in questo orario particolare – ebbe il coraggio di dirle, con la sua solita premura, mentre, con gli occhi attenti, scrutava il resto dell’accampamento gremito di soli cavalieri.
- Sono qui per parlare con voi, Ned – gli comunicò la ragazza, senza mezzi termini. - Possiamo trovare un posto più appartato? – lo spronò ella, vedendo il suo sguardo farsi più serio.
- Nella nostra tenda ci sono ancora Brandon e mio padre – le disse, riflettendo, per poi porgerle il braccio e condurla nel retro della tenda, senza destare l’attenzione.
Quella porzione nascosta dell’accampamento sembrava totalmente vuota.
A ciò, Ashara si tolse il cappuccio. – Vi ringrazio per avermi dedicato del tempo.
- Non ringraziatemi, vi prego, milady – rispose lui abbassando lo sguardo.
Ashara accennò un lieve sorriso, tenero e lusingato, prima di cominciare a parlare. - Mio signore, mi manda la principessa Elia.
A tali parole, il giovane Stark rialzò immediatamente lo sguardo su di lei, di scatto, quasi impietrendo. – Sua altezza reale…? Per quale motivo la futura regina vorrebbe avere a che fare con …?
- Come sapete, sono la dama più cara e vicina alla principessa. Ella, in gran segreto, mi manda a richiedervi di riferire un messaggio a vostra sorella.
- A … mia sorella? Cosa desidererebbe mai la principessa da Lyanna?
- Non posso riferirvelo, purtroppo. Tuttavia, mi fido di voi, Ned, nonostante vi conosca da poco – gli disse ella con i grandi occhi luminosi, vedendolo quasi annaspare dinnanzi a lei. – So che siete un uomo d’onore. E che mantenete sempre le vostre promesse. Ned, dovete promettermi che non farete parola di questo incontro tra la principessa e vostra sorella con anima viva. Elia è stata molto chiara con me. Deve essere fatto tutto in discrezione. La principessa attenderà Lyanna dentro il castello di Harrenhal, nell’orario in cui il castello si svuoterà, anche di guardie e ancelle: nel tardo pomeriggio di oggi.
- Ma il tardo pomeriggio è esattamente l’orario in cui si terranno le giostre e in cui parteciperà anche il principe Rhaegar.
- Esattamente – gli confermò Ashara, facendogli comprendere che persino il principe drago non sapesse nulla di tale incontro tra sua moglie e un’umile ragazza Stark.
- Dovete fare in modo che nessuno noti l’assenza di vostra sorella tra gli spalti, la quale potrebbe durare due ore al massimo. Quando Lyanna mi vedrà prendere posto sulla prima fila degli spalti, ella capirà che dovrà raggiungermi. A quel punto, ci dirigeremo insieme verso il castello, dove solamente io, la principessa Elia e le altre dame della principessa la vedranno, nessun altro. Dovete promettermi che riferirete tutto ciò a vostra sorella e che non ne farete mai parola con nessuno, Ned. Mai.
Il giovane lupo, ancora immerso negli occhi abbaglianti della dorniana, annuì. – Avete la mia parola – le garantì.
A ciò, Ashara gli donò un raggiante sorriso. – Ve ne sono grata, mio signore. Ero certa di potermi fidare di voi. Sono felice di avervi rivisto – gli disse sinceramente, vedendolo annaspare di nuovo e distogliere lo sguardo da lei, per fissarlo verso il tessuto della tenda.
- Anche io sono felice di avervi rivista.
 
Lyanna entrò dentro l’imponente castello di Harrenhal, un tempo appartenuto ad Harren il Nero.
L’ultima volta che aveva messo piede al suo interno, era stato il giorno del banchetto.
Ora, visto di giorno e spoglio della massa di nobili e cavalieri, sembrava molto più grande e tremendamente vuoto, quasi da intimorirla.
Si era infilata un mantello e un cappuccio come aveva fatto Ashara, per sicurezza.
La giovane lupa seguì la Dayne, salendo le scale a chioccola di pietra, fin quando non si ritrovò in una saletta, piccola ed elegantemente arredata, intensamente illuminata dalla presenza di molte finestre.
Fuori, il cielo era di uno splendido colore rosso carminio, pronto al tramonto.
In mezzo alla saletta, vi era un tavolo imbandito con ogni sorta di prelibatezza: tortini al limone e alle arance, focaccine, pasticci di frutti rossi, crostate e frutta fresca a volontà.
Seduta al tavolo, vi era già la figura elegante e aggraziata della principessa del sole, la quale sembrava stare bene, nonostante il parto del giorno prima: ella indossava un abito lungo e leggero, di uno splendido grigio perla e con ricami dorati sulla scollatura sul petto, all’altezza del bacino e alla fine delle maniche fascianti.
Elia alzò i grandi occhi scuri su di lei non appena la vide entrare nella stanza, con i suoi caldi e lunghi capelli ondulati che le ricadevano addosso, sulle spalle e la schiena, nonostante fossero in parte legati in una elaborata acconciatura.
Lyanna si sentì estremamente piccola e in difetto in sua presenza, dinnanzi ad una bellezza tanto luminosa e raffinata. Mai come in quel momento si era sentita tanto inadeguata, uno sporco lupo selvaggio in un prato fiorito.
Pensò che ella fosse proprio adatta a stare accanto al principe drago, che si meritassero a vicenda.
Lyanna era l’unica nota stonata, fuori luogo, e se l’intoccabile principessa del sole l’aveva convocata quel giorno, era per comunicarglielo chiaro e tondo, pensò.
Non vi era alcun dubbio che ella avesse scoperto qualcosa o che fosse stato proprio il principe Rhaegar a rivelarglielo.
La vergogna e l’imbarazzo improvvisamente la invasero, quasi da non farle rendere conto che la principessa le avesse fatto cordialmente segno di avvicinarsi e di sedersi al tavolo di fronte a lei, per ben due volte.
- Lady Stark? – la riscosse nuovamente la voce carezzevole di Elia Martell.
- Sì, mia principessa?
- Avvicinatevi.
A ciò, Lyanna si tolse il mantello, il quale venne recuperato da una delle dame e riposto altrove. Dopo di che, si avvicinò al tavolo, con lo sguardo basso, prendendo posto di fronte alla dorniana.
- Vi porgo i miei migliori auspici, per la nascita del principino – le disse trattenendo gli occhi bassi.
- Vi ringrazio – le rispose la giovane principessa. - Ben presto le mie dame ci porteranno il the e il latte caldo – la informò poi, mostrandole un sorriso cordiale e impenetrabile. - Sono lieta che abbiate accettato di incontrarmi, lady Lyanna.
- Vi prego, non ringraziatemi, Maestà.
- Oh, no, niente formalismi – la esortò. – Suppongo vogliate sapere il motivo per il quale vi ho invitata qui. All’insaputa di mio marito.
Quell’ultima frase aggiunta fece raggelare il corpo della giovane lupa da capo a piedi.
Sapeva che nessuno fosse a conoscenza del loro incontro per ovvi motivi, tuttavia, era rimasta sorpresa nell’apprendere che persino Rhaegar ne fosse all’oscuro.
In quel momento, una delle dame si avvicinò al tavolo con un’imponente caraffa in mano, versando del the caldo e fumante sulle tazzine prima della principessa, poi della lupa.
- Volete aggiungere del latte? – le domandò la bella ragazza in abito di velluto verde, dopo aver aggiunto giusto due gocce di latte nella tazzina della futura regina.
- No, grazie – le rispose Lyanna, per poi avvicinare la tazzina al viso e soffiarvi all’interno.
- Spero non abbiate una particolare urgenza di seguire il torneo, oggi – disse Elia, sorseggiando il suo the.
 - No, nessuna urgenza.
- Bene. Il motivo per cui ho voluto incontrarvi oggi, risiede in ciò che è accaduto nelle ultime due settimane, lady Lyanna.
Due giorni fa, mio marito mi ha parlato dei vostri incontri alla locanda, del fraintendimento che si è creato per il fatto che vi ha inevitabilmente nascosto la sua identità.
Mi ha parlato anche di ciò che è avvenuto dopo, quando voi avete scoperto si trattasse di lui.
Dunque, ora la principessa sapeva davvero tutto.
Probabilmente Rhaegar le aveva anche raccontato del Cavaliere dell’Albero che Ride.
Lyanna impietrì non appena il pensiero che egli le avesse parlato anche dei sentimenti che ella nutriva per lui le attraversò la mente.
Alzò il volto per scorgere il viso della principessa, decidendo di affrontare tutto ciò che sarebbe avvenuto da lì in avanti, a testa alta, nonostante avrebbe continuato a mostrarle il rispetto dovuto.
D’altronde, era stata la principessa Elia stessa a convocarla lì.
La dorniana sembrava pronta a studiare ogni sua reazione, con tranquillità quasi ultraterrena.
- Zucchero? – le chiese la futura sovrana porgendole il vasetto contenente le zollette di zucchero.
La lupa lo accettò e ne inserì due nella sua tazzina con il cucchiaino.
- Non sentitevi giudicata o sotto accusa, Lyanna – la rassicurò, consapevole che servisse a ben poco, considerando quanto fosse agitata la ragazza di fronte a lei.
- Se avessi saputo fin da subito si trattasse di lui, principessa, di certo non mi sarei neanche avvicinata a …
- Lo so, lo so bene – la interruppe Elia, serenamente. – Siete promessa ad un altro uomo, d’altronde. Deduco non nutriate alcun sentimento nei confronti di lord Baratheon.
Di nuovo, quella stretta allo stomaco fece desiderare alla giovane lupa di rigettare fuori quel poco the che aveva ingerito.
- Vi ripeto, non sono qui per giudicarvi o per accusarvi.
Voglio parlarvi in totale calma, franchezza e informalità.
Non dovete sentirvi in colpa.
- Come potrei non sentirmi in colpa … ? – ebbe la forza di esalare Lyanna.
Elia affilò lo sguardo, per poi spostare gli occhi altrove, verso la finestra dalla quale entravano dei fievoli raggi rossi che le illuminavano la pelle olivastra.
- Non voglio pensiate che io abbia mai voluto mancarvi di rispetto, principessa. Quello che provo per il principe svanirà in breve tempo o, in ogni caso, morirà seppellito con me.
Non ho mai voluto portarvelo via …
- Lady Lyanna …
- E anche se avessi voluto portarlo via da voi, non ci sarei mai riuscita, poiché lui è legato a voi da un sentimento inestimabile, da qualcosa che nulla e nessuno potrà mai sostituire o eguagliare.
Lui è vostro e vostro rimarrà – disse tutto d’un fiato, rendendosi conto solo alla fine di aver stretto convulsamente il tessuto del suo abito tra le dita, all’altezza delle ginocchia piegate.
- Lo so bene – la risposta convinta e granitica della principessa la riscosse, facendole rialzare gli occhi di ghiaccio su di lei.
- Rhaegar ha minimizzato i sentimenti che voi provate per lui – continuò Elia. - Mi ha detto semplicemente che eravate ingenuamente affascinata dalla sua figura quando non sapevate chi fosse, e null’altro.
Ma ora, voi mi avete appena dato la conferma alle mie supposizioni.
Lyanna impietrì di nuovo, capendo di essersi tradita da sola.
Avrebbe dovuto aspettarselo, o quanto meno lasciare il beneficio del dubbio al principe drago. Lui non era quel tipo di uomo. Non era il tipo di uomo che rivela per filo e per segno informazioni che potrebbero far del male a chi le ascolta, incurante dei sentimenti degli altri.
Non era neanche il tipo di uomo che riconosceva di essere amato, amato in tal modo, probabilmente.
Elia accennò un altro sorriso, questa volta velato da una strana malinconia. – Ciò che provate per lui è più forte di quello che mi aspettavo. Lo leggo nei vostri occhi lucidi, nel tremolio delle vostre iridi di tempesta ogni volta che parlate di lui.
Credevo fosse una mia prerogativa, quella di amarlo al di là del suo aspetto e della sua corazza esterna.
Pensavo foste convinta di provare dei sentimenti nei suoi confronti, perché ammaliata dalla sua bellezza e dal suo atteggiamento, ingenuamente assuefatta da caratteristiche puramente superficiali, come la maggior parte di coloro che hanno la fortuna di incontrarlo.
Invece, vedo che c’è qualcosa di più profondo nel vostro sguardo.
Avete avuto modo di vedere qualcosa che vi ha colpito, vi ha colpito profondamente, in lui.
Non fraintendetemi, lady Lyanna: non vi sto parlando mossa dalla gelosia.
Ho dovuto lottare e vincere contro quel sentimento molto tempo fa, già da quando ho attraversato la Sala del trono della Fortezza Rossa per la prima volta, con indosso un abito bianco, da quando lui ha cominciato a guardarmi come sua moglie.
Vi sto parlando come si parlerebbero due donne intelligenti, consapevoli e indipendenti nel compiere le proprie scelte.
- Sapete che egli non prova niente per me, vero? I miei sentimenti non sono mai stati ricambiati – ci tenne ad informarla Lyanna, sperando fosse già ovvio per lei.
Elia la guardò di nuovo con occhi indecifrabili, ma per nulla risentiti o minimamente infastiditi. – So che non vi ama. Tuttavia, io so leggerlo, so leggerlo molto bene oramai, e ciò che ho potuto notare distintamente, è la sua grande e pura affezione nei vostri confronti.
Siete importante per lui, non nel modo in cui lui lo è per voi, ma ciò basta per spingermi a condividere almeno parte di quel riguardo che lui mostra nei vostri confronti.
Lyanna rimase genuinamente e positivamente sorpresa da tale informazione.
- Cosa c’è? Il vostro sguardo mi suggerisce che non pensavate di ricoprire anche voi un piccolo posto nel suo cuore – aggiunse Elia accennando un tenero sorriso. – Avete passato molto tempo insieme, in quella locanda, lady Lyanna. Rhaegar non è solito regalare gratuitamente il suo tempo e la sua compagnia alla prima persona che incontra. Avrebbe abilmente evitato di trascorrere quelle sere con voi, se non gli fosse stata gradita la vostra presenza. Se voi stessa non gli foste stata gradita.
Lyanna riabbassò lo sguardo, questa volta meno agitata, più serena.
- Sono venuta a conoscenza anche della profezia dell’indovina. Questo è il motivo principale che mi ha spinta ad invitarvi qui a sua insaputa.
Quelle parole fecero trasalire la giovane lupa, la quale si rimmerse in quelle iridi profonde ed espressive. – Principessa …
- Vi prego, lasciatemi parlare – la esortò. – In questi anni che ho trascorso al suo fianco, ho vissuto le sue paure e i suoi demoni con lui, dall’inizio alla fine, rendendoli anche miei. Egli si fida ciecamente di me, anche perché sa che gli credo e che non ho mai minimizzato il tormento che sta vivendo dentro di sé, a causa dell’incombenza delle profezie, delle voci che sente tartassargli la mente.
Udire da lui le parole che ha pronunciato quell’indovina, mi ha distrutta, lo ammetto.
Non mi sarei mai aspettata di sentire delle parole simili, tanto tremende alle mie orecchie.
Io credo in ciò che avete udito.
Lyanna rimase sconvolta da ciò. – Voi credete alla profezia pronunciata da quella donna…?
- Sì. Sono la prima a voler credere si tratti di una ciarlatana, dispensatrice di menzogne. Tuttavia, tanti sono gli indizi che mi portano a credere che le parole di quella donna siano il coronamento di tutti i segnali che il mio consorte ha ricevuto sino ad ora, fin dalla tenera età.
Dovreste crederci anche voi, milady.
Lyanna schiuse la bocca, annaspando, non sapendo più cosa fare o cosa dire.
- Impiegherò molto più tempo ad accettare la strada che prenderà inevitabilmente il corso degli eventi.
Soffrirò, soffrirò atrocemente, come non ho mai sofferto sinora.
Ma dovrò abituarmi a ciò, metabolizzare in silenzio tale consapevolezza, poiché è tutto ciò che posso e che devo fare.
Non posso oppormi, se il destino ha deciso in tal modo.
Non posso oppormi, se oppormi significasse condannare un’intera generazione per una minaccia che non possiamo ancora figurarci nella mente.
Sarei solo un’egoista, un’illusa egoista, se lo facessi, se seguissi ciò che il mio cuore mi urla di fare.
Io amo mio marito. Continuerò ad amarlo, sempre, anche quando sarà lontano da me, anche quando sarà costretto a lasciarmi, anche quando dovrà affrontare l’enorme fardello del destino segnato per lui.
So già che tutto ciò lo schiaccerà, lo porterà all’esasperazione, uccidendolo lentamente, ma l’unica cosa che mi rassicura in tutto ciò, è che, almeno, non sarà solo.
Condividerà questo letale fardello con voi.
Con poco più che una bambina, ahimè – terminò di dire la donna, con gli occhi lucidi. - So che tutto ciò non era nei vostri piani. Non lo era nemmeno nei miei. Avreste dovuto poter scegliere di vivere la vostra giovinezza come desideravate.
Lyanna lasciò che i propri occhi si inumidissero a sua volta, negando con la testa. - Non avrei comunque avuto modo di vivere la vita che volevo.
Non avrei comunque avuto scelta, anche senza la profezia, anche senza le parole dell’indovina, anche senza il principe Rhaegar.
Sarei comunque stata condannata a vivere una vita scelta da altri, per me, senza alcuna possibilità di ribellarmi.
Noi donne non abbiamo scelta. Non l’abbiamo mai, vero …? Non l’abbiamo neanche nel più fortunato dei casi, neanche nel caso in cui coronassimo il nostro amore con l’uomo che amiamo, neanche nascondendoci dietro una maschera per avere l’opportunità di fare ciò che solo agli uomini è concesso di fare.
Elia ricambiò il suo sorriso amaro, trattenendo le lacrime.
Dopo qualche minuto trascorso in silenzio, in cui il sole tramontò su di loro, scurendo lievemente la stanza, Elia riprese. – Non dite nulla a Rhaegar riguardo il nostro incontro. Non riferitelo a nessuno.
- Avete la mia parola, principessa.
 
Il giovane drago si accostò alla culla nella quale sonnecchiava beatamente il bellissimo neonato dalla pelle d’avorio, candida e perfetta come le nuvole del primo mattino, quasi perlacea.
Suo figlio dormiva beato nel suo primo giorno di vita in quel mondo che avrebbe preteso troppo da lui, mantenendo la sua aura immacolata di eterea purezza e innocenza.
Gli canticchiò una melodia a bocca chiusa, mentre faceva scorrere i polpastrelli della mano delicata sui bordi di legno della culla.
- Il mio cuore è tuo, Aegon – gli sussurrò con un fil di voce, mentre la luna alta in cielo illuminava discreta la sua figura.
Nonostante indossasse degli indumenti comodi ora, il dolore alle sue membra indolenzite, provocato dalle innumerevoli percosse ai duelli e dall’armatura d’acciaio che sembrava quasi gravargli ancora addosso, stretta e pesante, non accennava a diminuire.
Sfiorò la testolina colma di capelli bianchi del neonato, valutando se assumere un’altra dose dell’intruglio di Varys, nonostante negli ultimi giorni ne avesse enormemente abusato, pur di tenere a bada quelle voci.
Tuttavia, queste sembravano perseverare ancora, martellandolo imperterrite, dunque, non avrebbe potuto fare altrimenti.
Aprì il cassetto del comodino dalla sua parte del letto, afferrò l’ennesima boccetta colma del liquido miracoloso, e ne ingerì interamente il contenuto, senza riprendere fiato.
Dopo di che, si sedette, posizionando la sedia accanto alla culla, il peso della testa a gravare sulla sua mano, il gomito puntato sul ginocchio piegato, e il piede poggiato al bordo inferiore della culla a dondolo, smuovendola piano in tal modo, per conciliare maggiormente il sonno del neonato.
Un definito “toc toc” con quel ritmo cadenzato familiare alle orecchie del principe, lo riscosse dai suoi pensieri.
- Entra, Arthur – gli disse forse troppo piano per essere udito, ma il dorniano doveva aver sentito comunque, poiché entrò nella stanza richiudendosi la porta alle spalle.
- Hai gareggiato bene oggi – gli disse, quasi come se quella fosse l’unica cosa che Rhaegar si volesse sentir dire in quel momento. Quest’ultimo si voltò a guardarlo, scostando le iridi viola dalla finestra, assumendo una lieve smorfia, stanca e contrariata.
- A cosa devo il piacere? – gli domandò accennando un sorriso, poiché, malgrado le apparenze, era lieto di vederlo, come lo era sempre.
In risposta, la Spada dell’alba gli si avvicinò, prendendo ad osservare a sua volta il visino placido e rilassato del principino dormiente.
- Ti somiglia – disse sorridendo, non riuscendo a farne a meno.
- Elia e Rhaenys non fanno altro che ripeterlo, che mi somiglia – rispose Rhaegar, osservandolo intenerito a sua volta.
- Se sarà cocciuto, sagace e intelligente quanto te, ci sarà da mettersi le mani tra i capelli. Ci farà impazzire – commentò il dorniano sorridendo, per poi posare gli occhi sulla figura del principe drago. – Hai visto? Questa volta è andata bene. Il parto è stato veloce e non troppo sofferto.
- Già. Lo è stato.
- Come ti senti?
Quella domanda non sorprese troppo il giovane drago. – Sto bene.
- Rhaegar.
- Cosa c’è?
- Non trattarmi da idiota. Almeno quando parli con me, pretendo che dalla tua bocca esca la verità – lo ammonì serio il dorniano.
Rhaegar sospirò in risposta, stringendosi le ciocche argentee tra le dita. – Ho assunto sette boccette dell’intruglio di Varys ieri. Oggi ne ho bevute otto.
Solo quando il suo amico pronunciò quelle parole, Arthur notò che le sue dita chiare strette alla chioma fossero schiave di un lieve e costante tremolio. – Devi diminuire le dosi – annunciò categorico.
- Non è così semplice.
Il parto di Elia ha completamente catalizzato la mia attenzione, distogliendomi dalla profezia di quella maledetta indovina. Tuttavia, ora che so che lei sta bene, che il bambino sta bene e che nessuno di loro corre pericoli, sono di nuovo in balìa delle voci. Sembra che, più il mio stato di ansia si intensifichi, maggiormente loro trovino terreno fertile per insinuarsi in me e non lasciarmi tregua.
- Non mi sorprende – commentò Arthur, sospirando a sua volta, sentendosi totalmente impotente in quella situazione, una sensazione che non gli piaceva per niente.
Ultimamente, si stava sentendo troppo spesso impotente, di fronte agli eventi. – Hai intenzione di rincontrare la ragazza? Di scambiare nuovamente due parole con lei? - gli domandò con cautela.
- Sono stato io stesso a rassicurarla e a dirle di non pensare a tutto ciò che abbiamo udito, di provare a dimenticare quell’indovina almeno per qualche giorno, di svagarsi da me, dalla locanda e da Doen.
- Hai intenzione di caricarti tutto sulle spalle per illuderla di potersi godere ancora un briciolo di spensieratezza e libertà fanciullesca?
- Arthur, è una bambina cresciuta troppo in fretta.
- Come tutte.
- Sì, come tutte, ma ciò che implicano le funeste parole di quella strega è qualcosa di immensamente più grande di me, di lei, di tutti noi.
Arthur abbassò lo sguardo, riflettendo.
- Hai avuto più notizie da qualcuno dei lord coinvolti nella cospirazione? – domandò dopo infiniti minuti di pausa il dorniano.
- Vorrei averne avute. Ho cercato di mettermi in contatto con loro appena ho potuto - rispose il principe, riportando gli occhi alla finestra. – Ma dopo che la notizia delle esplicite minacce che mi ha rivolto mio padre qualche giorno fa si è diffusa nell’accampamento, nessuno di loro ha più osato avvicinarmisi.
Sono terrorizzati da lui, dall’ombra che lui proietta su di me, da sempre.
- Aerys non li ha minacciati direttamente, ma ha minacciato te.
E tutti sanno quanto valgano le minacce di Aerys rivolte a un membro della sua stessa famiglia. Specialmente nei tuoi confronti – provò a rassicurarlo e rassicurarsi Arthur.
- Arthur ...
- No, fermo – lo interruppe il succitato. – Se stai per dire qualcosa di tanto assurdo, stupido e insensato come ciò che hai detto l’altra sera, sta’ zitto.
Rhaegar sorrise in risposta, vedendolo fare altrettanto di rimando.
- Chi lo avrebbe mai detto … che da quando avresti varcato quella locanda per la prima volta, tutto sarebbe cambiato.
In quel momento, i due vennero interrotti dal rumore delle nocche sbattute sulla porta.
- Entrate – disse Rhaegar in modo da farsi udire, scorgendo la figura del Ragno Tessitore fare capolino e avvicinarsi a loro a passetti spediti.
- Mio principe.
- Che cosa c’è, Varys?
- I miei uccellini mi hanno parlato, dopo aver volato nei pressi dell’accampamento: le famiglie che avevano accettato di prender parte alla nostra cospirazione si sono tirate indietro, per il terrore della furia incontrollabile di vostro padre, il re.
Mi dispiace, Maestà.
- No, Varys.
Dispiace a me.
 


 

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Capitolo 16
*** Regina d'Amore e di Bellezza ***


Regina d’Amore e di Bellezza
 
L’ultimo giorno di torneo era giunto.
Il giorno che avrebbe decretato la fine della pace nei sette regni.
L’inizio della guerra, una guerra che il Principe drago si era figurato in maniera del tutto diversa qualche mese prima, quando non era ancora giunto ad Harrenhal, in quel luogo che aveva cambiato tutto, spazzando via ogni certezza, ogni pilastro del suo già traballante terreno.
Rhaegar lasciò, per l’ennesima volta, che il suo scudiero lo aiutasse ad allacciarsi l’armatura stretta, placcata di nero e rosso, lucida e splendida nella sua imponenza, tanto da dargli il voltastomaco.
Non meritava di indossarla.
Non meritava nulla di ciò che aveva.
Negli ultimi due giorni, aveva combattuto contro se stesso, contro la prospettiva di ciò che avrebbe dovuto fare quell’ultimo giorno di torneo.
Aveva trascorso quasi giorno e notte ad allenarsi, in quegli ultimi due giorni, usando le brevi pause autoimposte per stare vicino ad Aegon, a Rhaenys e ad Elia.
Era riuscito a sfinire e a sfiancare Arthur con tutti quegli allenamenti a ripetizione.
Ma doveva farlo.
Glielo doveva. Lo doveva ad Elia.
Quel giorno, il principe d’argento avrebbe vinto il torneo di Harrenhal, uno dei più lunghi tornei mai tenutisi nei sette regni, da secoli.
Uno dei più lunghi, uno dei più sfinenti e catastrofici.
Lyanna non sapeva nulla di ciò che sarebbe successo quel giorno, e, forse, era meglio così.
Sarebbe rimasta sorpresa, tanto sorpresa da impietrire e sbiancare, facendo capire a tutti quanto fosse ignara di tutto ciò.
In parte, e solo in parte, lo era davvero.
Non l’aveva più vista, né aveva parlato con lei, da quella sera alla locanda.
Le uniche volte in cui si erano intravisti di sfuggita, erano state al torneo.
I loro sguardi si erano incrociati in pubblico, non potendo fare a meno di stazionare l’uno nell’altro per qualche breve secondo, per poi spostarsi altrove.
Il giovane Baratheon sembrava sempre più possessivo nei suoi confronti, nei modi in cui la stringeva a lui negli spalti, in cui pretendeva che ella si aggrappasse al suo braccio per fare ritorno all’accampamento alla fine di ogni giornata.
Forse il cervo aveva fiutato qualcosa, o forse no.
Ad ogni modo, da quel giorno, ciò non sarebbe importato, poiché Robert Baratheon avrebbe capito ogni cosa.
Avrebbe capito più di quello che ci fosse davvero da capire, come il restante degli spettatori provenienti da ogni angolo del regno.
Il suo cuore pulsava dolorosamente sotto il metallo.
Doleva, sanguinava, per quanto desiderasse non dover fare ciò che era costretto a fare.
Ferire i sentimenti di qualcuno, di chiunque si trattasse, era sempre stato qualcosa che aveva evitato in ogni modo, poiché lo odiava, lo odiava più di tutto.
Avrebbe desiderato ferocemente che qualcun altro vincesse il torneo al suo posto, quel giorno.
- Ho terminato, mio principe – gli comunicò il ragazzo, riportandolo alla realtà, porgendogli l’elmo di drago.
Rhaegar gli accennò un sorriso, ringraziandolo, prendendo l’elmo tra le mani e dirigendosi verso l’uscita della stanzetta.
Ma prima che potesse uscire dalla porta, proprio poggiata con la spalla sull’uscio, trovò sua moglie, che lo guardava con gli occhi lucidi.
La fissò a sua volta, avvicinandosi lentamente a lei, fin quando non le si pose dinnanzi, guardandola dall’alto.
Elia alzò il viso su di lui, quel viso forte, determinato, distrutto e colmo di mille emozioni, e gli passò le mani sulle spalle coperte dall’armatura, fino alle braccia e ai polsi.
Per l’ennesima volta, Rhaegar pensò a quanto fosse coraggiosa la donna che aveva avuto l’onore di sposare. Lo pensò, mentre la sua mente tornò a due giorni prima:
Era la mattina del quinto giorno di torneo, precisamente l’alba, quando Elia si alzò prima di lui, sedendosi sul bordo del letto che condividevano, svegliandolo dolcemente ed esortandolo ad alzarsi, per sedersi accanto a lei.
Prima che potessero iniziare a parlare, il piccolo Aegon si svegliò a sua volta dal suo sonno, perciò Rhaegar andò a prenderlo nella culla per porselo tra le braccia e cullarlo, per poi sedersi accanto ad Elia, la quale guardò prima il neonato, poi Rhaegar, con occhi colmi di tristezza.
- Che ti succede, mia sposa? – le aveva domandato il principe, allarmandosi a causa di quell’espressione.
Elia distolse lo sguardo, portandolo alla finestra, prendendo un profondo respiro, facendogli in tal modo comprendere quanta importanza ricoprisse ciò che gli stava per dire. – Mio amato, c’è un favore che devo chiederti.
- Che favore?
- Non ti piacerà – lo avvertì, ritornando con gli occhi scuri sui suoi chiari e in aspettativa.
- Dovrai vincere questo torneo. A tutti i costi.
Rhaegar dubitava che fosse solo quella la bizzarra richiesta di sua moglie. Le rivolse un’occhiata sorpresa, ad ogni modo. – Si tratta solo di questo? Perché vuoi che io vinca?
- Perché … - Elia si bloccò, ricacciando indietro le lacrime con forza sovrumana, mentre stringeva le lenzuola sotto le dita e Rhaegar continuava a cullare il pargolo. - Perché c’è una cosa che devi fare. Devi incoronare la Regina di Amore e di Bellezza.
Rhaegar accennò un sorriso confuso a tali parole. – Desideri così tanto ricevere quella corona, mia principessa? Se è questo quello che vuoi, quella splendida corona sarà tua entro tre giorni, te lo prometto.
- No, Rhaegar … - la voce della dorniana si spezzò ancora, vacillando tremendamente. - Non so se ci riesco … non so se riuscirò a chiedertelo … - sussurrò stringendosi le mani tra loro, prendendo un altro doloroso respiro.
- Elia? Mi stai preoccupando …
- Dovrai incoronare Lyanna.
In seguito a quelle parole, il più terribile gelo e silenzio calò nella stanza.
Rhaegar era convinto, quasi del tutto certo, di aver capito male, mentre Elia sapeva che non sarebbe molto probabilmente stata in grado di ripeterlo.
L’unico singolo e flebile suono che li teneva ancorati alla realtà, erano i respiri sottili e regolari di Aegon.
- Dovrai incoronare Lyanna Regina di Amore e di Bellezza – ripeté Elia, mettendo insieme tutto il coraggio e la forza rimastele, riuscendo a posare nuovamente gli occhi sullo sguardo esterrefatto del Principe drago.
Non lo aveva mai e poi mai visto tanto allibito, confuso e spaventato insieme, in anni di matrimonio.
- Che cosa stai dicendo …? Elia … che significa…?
- Significa quello che ho detto … voglio che tu incoroni lei. Per questo voglio che tu vinca. Per incoronarla.
- Smettila di ripeterlo.
- Devo. Devo farlo per autoconvincermene ancora di più, per trovare la forza di rimanere ferma nella mia scelta.
- Perché …?? Per quale oscuro e infausto motivo me lo stai chiedendo …?
- Perché so come andranno le cose. E devi imparare ad accettarlo anche tu, mio amore.
Devi imparare ad accettare, come sto imparando a farlo io.
Tramite questo gesto, tremendo e doloroso per me, il mio cuore sarà in grado di fare un grande passo avanti, nell’accettazione.
- Quale accettazione??
- Rhaegar, ti prego. Questo è l’ultimo favore che ti chiedo.
L’ultimo. Consideralo come un dono, un dono per me – gli disse sforzandosi di sorridere.
- Elia, mentre me lo chiedi, ti stai costringendo, con tutta te stessa, a non crollare in lacrime, lo vedo chiaramente. Come potrebbe essere un dono per te …? Come…? Perché vuoi farti del male? Io non voglio farlo. Non lo avrei mai fatto di mia spontanea volontà, mai. Io non la amo, e anche nel caso in cui il sentimento che mi legasse a lei fosse amore, non mi sarebbe mai passato per la mente di disonorarti in tal modo in pubblica piazza! Tu sei mia moglie!
Elia gli posò le dita tremanti sul braccio, abbassando gli occhi. – Cosa sono io per te? - gli domandò.
- Sei un tesoro prezioso. Il mio tesoro prezioso, insieme a Rhaenys e al bambino che sto stringendo tra le braccia.
La donna sorrise, rialzando lo sguardo, decisa. – Allora, se significo davvero così tanto per te, voglio che tu me lo dimostri. Devi fare quello che ti ho chiesto. Se farai questo, per me, sarà la dimostrazione più grande e pura che potrai darmi.
Vinci per me, Rhaegar. E incoronala per me. Per far abituare la mia anima a ciò che verrà, a piccoli passi. Per farmi soffrire di meno, quando ti vedrò allontanarti per sempre da me.
- Che cosa stai dicendo …? – le chiese sconvolto, scattando in piedi e indietreggiando di qualche passo, mentre continuava a guardarla.
- Lo sai cosa accadrà.
- No, non lo so. Non so cosa pensi, non so in quali vorticosi pensieri è piombata la tua mente da quando ti ho detto ciò che è accaduto in quella locanda, ma non erano queste le mie intenzioni.
- Tu non c’entri, mio principe. Tu non c’entri. Il Fato ha voluto questo. Il Fato ha deciso di separarci e di condannarci, in modi diversi.
Noi non possiamo nulla. E prima lo accettiamo, meglio sarà per entrambi.
Tu ci lascerai.
Ci lascerai e scapperai via.
- Per quale motivo dovrei fare qualcosa di tanto assurdo e crudele…?
- Perché ogni drago ha tre teste. Me lo hai detto tu, riportando le parole dell’indovina: madre, padre e figlio. Il discendente, tuo e di lady Stark, è la terza testa del drago. Tu e lei siete le prime due. Egli sarà l’unico in grado di contrastare la minaccia che avverrà.
- Elia, non puoi credere ad ogni parola che ha detto quella donna … e poi, l’indovina non ha detto che io e Lyanna scapperemo insieme.
- Non potrà accadere altrimenti.
- Perché mai??
- Perché devi sposarla! – enunciò in un boato la principessa, stringendo i denti, facendo nuovamente calare il silenzio tra loro.
- Dovrai rinnegare me come moglie … e sposare lei… così che chiunque dubiti della legittimità della discendenza del ragazzo, quando egli crescerà, avrà la prova che suo padre era il principe ereditario Rhaegar della casata Targaryen e sua madre lady Lyanna della casata Stark.
“Era”. Sembrava che Elia fosse oramai giunta ad un livello di consapevolezza e di accettazione molto più alto e avanzato del suo.
Sapeva già che il mondo sarebbe crollato loro addosso, in ogni maniera possibile.
Che la guerra che sarebbe scaturita da tutto ciò, avrebbe portato alla loro morte, alla morte di tutte le persone a loro care.
Forse, solo Rhaenys e Aegon sarebbero riusciti a scampare a ciò.
Elia ci credeva, altrimenti non gli avrebbe parlato in tal modo, con tale decisione nella voce.
Una decisione in procinto di frantumarsi, in realtà, poiché la vedeva spezzarsi sempre di più, ogni istante che passava.
- Il bambino non deve essere frutto di un rapporto illegittimo.
Non dovrà essere un bastardo - ribadì ella, alzandosi in piedi a sua volta, per avvicinarglisi.
- Tutto ciò … verrà visto agli occhi dei molti come un rapimento.
Semplicemente perché non esiste, nella concezione comune, che una donna, una semplice dama, possegga un minimo di libertà di scelta nella sua vita, che non sia semplicemente succube degli eventi.
Tu sei un principe, puoi tutto.
Egli è solo la figlia di un lord, una giovanissima fanciulla, e in confronto a te non può nulla.
Per questo verrà visto come un rapimento.
Sarai etichettato come un rapitore, un traditore del reame – le lacrime finalmente fecero capolino negli occhi scuri della dorniana, mentre ella posava le mani sulle guance del suo amato, il quale la fissava sbigottito, incredulo, terribilmente destabilizzato.
- L’incoronamento della Regina d’Amore e di Bellezza sancirà l’inizio di tutto.
L’inizio del crollo.
Dobbiamo farci trovare pronti.
Tu, io e lei dobbiamo comprendere che è così che andranno le cose.
Se non asseconderemo tutto ciò …
- … la minaccia … - esalò Rhaegar interrompendola, terminando la frase. - … la tremenda minaccia che verrà, spazzerà via ogni forma di vita nei sette regni.
- Esatto. Io ho fatto di tutto, per darti un erede, mio amore.
Sono stata una brava moglie, una buona madre, e ti ho amato, ti amo in un modo che non credevo possibile prima di conoscerti.
Perché, prima di conoscerti, non avrei sperato in niente di talmente bello e inestimabile.
- Elia …
- Sono felice, intensamente felice per i figli meravigliosi che ci siamo donati.
Se tornassi indietro e avessi possibilità di scelta, non farei nulla diversamente.
Il principe drago, con gli occhi chiarissimi e sperduti che lo facevano sembrare più giovane di quanto già non fosse, poggiò il palmo della sua mano su quello di sua moglie, ancora adagiato sulla propria guancia, mentre con l’altra mano reggeva il fagottino al petto.
- Lo farai per me, amore mio? – gli ripeté Elia. – Vincerai per me?
- Sì. Vincerò per te.
Anche la mente di Elia sembrò tornare a quella conversazione, mentre indugiava sui suoi occhi, osservandoli in silenzio.
– So che quello che ti ho chiesto non è affatto facile.
So quanto ti faccia male dovermi ferire. Perché a me fa un male atroce.
Perciò, ti ringrazio, ti ringrazio ancora, per aver accettato di realizzare la mia richiesta - gli disse la principessa.
In risposta, Rhaegar la strinse a sé, inglobandola nel suo abbraccio, depositandole più baci sulla testa colma di capelli sciolti, per una volta libera da acconciature.
Il metallo duro dell’armatura era doloroso premuto sul volto della principessa, ma ella non se ne accorse nemmeno in quel momento, mentre ricambiava la stretta con forza.
- Ci vediamo alla fine del torneo – le sussurrò egli sciogliendo l’abbraccio dopo infiniti attimi, superandola per dirigersi verso l’uscita del castello.
 
Era una giornata particolarmente calda.
Ogni sfidante che si batteva a duello nella giostra, il giorno che avrebbe decretato il vincitore del torneo, grondava di sudore e di adrenalina dentro l’armatura.
Ogni lady che sperava che il proprio consorte, futuro consorte o corteggiatore, vincesse il torneo per essere incoronata Regina di Amore e di Bellezza, era raggiante e con gli occhi vivaci e puntati fissi sulla competizione.
Sotto sotto, ognuna voleva essere incoronata, anche coloro che non credevano di rientrare nelle mire o nell’interesse di qualcuno dei cavalieri sfidanti.
Forse, alcune, speravano segretamente di ricevere le attenzioni di uno degli aitanti giovani che si contendeva il titolo.
Sicuramente, Lyanna non era tra loro.
Gli uomini sposati non erano soliti dedicare pubblicamente le loro attenzioni ad una donna che non fosse la loro consorte.
Specialmente se qualcuno di questi uomini corrispondesse alla figura del principe ereditario.
Gli ultimi quattro cavalieri, gli ultimi sfidanti, si susseguirono uno dopo l’altro, uscendo tutti sconfitti dal giovane drago.
La folla aveva dato il meglio di sé quel giorno, dinnanzi all’abilità, all’eleganza e alla letale bravura del Principe d’argento, persino più del solito.
Era stato potente, preciso, veloce e impeccabile quando aveva disarcionato ognuno dei rispettabilissimi sfidanti che lo avevano affrontato a duello: lord Yohn Royce, Brandon Stark, ser Arthur Dayne e ser Barristan Selmy, infine.
Gli applausi di approvazione, gli incoraggiamenti audaci, le acclamazioni concitate, le urla di ovazione gli giunsero tutti ovattati da sotto l’elmo ingombrante, che lasciava modo solo a poche parti del suo viso di respirare.
Aveva vinto. Ce l’aveva fatta, per la gioia del grande pubblico, del popolo che tanto lo adulava e osannava, degli amati sudditi che era costretto a tradire e ad abbandonare.
Aveva soddisfatto il desiderio della donna che glielo aveva richiesto, come dono.
Ora, mancava la parte più difficile.
L’incaricato scese in campo, porgendo la corona composta di magnetiche e profumate rose azzurre al giovane drago, ancora in sella al suo bellissimo destriero.
Il principe si tolse l’elmo, liberando il viso, prese la corona e fece voltare il suo cavallo, guidandolo verso gli spalti.
Lo sguardo fermo, impassibile, deciso a non lasciar trasparire nulla dell’uragano che aveva dentro di sé.
Quando passò davanti ad Elia, non poté fare a meno di far indugiare gli occhi su di lei, trasmettendole tutto ciò che voleva trasmetterle con lo sguardo:
Ho fatto ciò che mi hai chiesto. Per te, per la tua anima sofferente, mia principessa.
La dorniana, decisa anch’essa a non tradire alcuna singola emozione dinnanzi alla folla, per non far crollare la maschera che aveva abilmente cucito addosso quel giorno, gli rivolse un impercettibile cenno con il volto; ma, con gli occhi, gli espresse tutto quanto.
Gli spettatori non sembrarono quasi accorgersi del loro velocissimo scambio di sguardi, poiché la loro attenzione fu attirata da ben altro: quando il venerato principe ereditario sorpassò sua moglie, calò un silenzio glaciale e irreale negli spalti.
I cavalieri ammutolirono, le dame si immobilizzarono, i lord pietrificarono.
Il cavallo di Rhaegar, guidato da lui, si avvicinò al punto in cui sedeva lady Lyanna Stark, affiancata da un raggelato Robert Baratheon.
Lyanna sgranò quasi inumanamente i suoi grandi e tondi occhi dalle iridi di neve e ghiaccio, quando il giovane drago si sporse lievemente, poggiandole in grembo la corona di rose blu.
La corona della Regina d’Amore e di Bellezza.
Dopo aver fatto ciò, dopo che quegli occhi viola incandescente si intrecciarono ai suoi, indecifrabili e illeggibili, la giovane lupa vide il giovane drago scostare lo sguardo e allontanarsi da lei in sella al suo destriero.
Ella restò a guardare la sua schiena diventare sempre più piccola, man mano che la distanza aumentava, sconvolta, totalmente pietrificata, incapace di muoversi, di parlare, di respirare.
Solo dopo infiniti attimi che le parvero secoli, Lyanna si accorse degli sproloqui infuriati di Robert, sedutole accanto, e delle decine e decine di paia di occhi puntati fissi sulla propria figura, esterrefatti, giudicanti, guardinghi, invidiosi, calcolatori.
Gli unici occhi che la guardavano, come se già sapessero, privi di negatività e colmi di consapevolezza, erano quelli della principessa Elia Martell.
Sfiorò i morbidi petali di rosa con le dita, d’istinto, senza quasi rendersene conto, mentre quegli occhi continuavano a perforarla, diramandosi in un vociferare indistinto e caotico che, per qualche motivo, non fu in grado di toccarla, così come la rabbia e la gelosia di Robert, né di avere alcun effetto su di lei, sulle indicibili e indescrivibili sensazioni di cui il suo corpo era invaso, caduto dolcemente e amorevolmente prigioniero.
 
- Io lo sgozzo! Sgozzerò quel vile e impertinente serpente, Ned!! Lo giuro sugli dèi antichi e su quelli nuovi! Siatemi testimoni!! – sbraitò furioso il portento del giovane cervo, una volta giunto nella tenda condivisa dai membri della famiglia Stark.
- Non mi importa che sia il dannatissimo futuro re dei sette regni e che suo padre giuri di incenerire a fuoco e fiamme chiunque lo sfiori!!!
- Robert, ti prego di calmarti ora – ritentò per quinta volta Ned, con tutta la pazienza del mondo che lo contraddistingueva e che lo differenziava dai comuni esseri umani.
- Calmarmi?!? Mi stai chiedendo di calmarmi, Ned?! Mi stai chiedendo di calmarmi dopo che quel maledetto Targaryen ha platealmente dichiarato di voler rubare la mia donna?!?!
- Per gli dèi del cielo, Robert, le ha solo poggiato una corona di fiori sulle gambe - intervenne Brandon, sul punto di spazientirsi a sua volta, già attonito e spaventosamente confuso a causa di ciò a cui aveva assistito, reso ancor più nervoso dalla furia cieca del giovane cervo, il quale era intento a sbraitare e a urlare per tutta la tenda, facendosi udire dall’intero accampamento.
- Come se ogni singolo uomo e donna ad Harrenhal non stesse già sparlando abbastanza su ciò che è accaduto e su di noi … - aggiunse stringendosi la selvaggia chioma scura tra le dita.
- E che parlino!!! Che tutti parlino e sentano chiaramente che io, IO, Robert, della casata Baratheon, truciderò quel lurido drago a mani nude!!
Lyanna, isolatasi da qualsiasi voce e presenza, per quanto le fosse possibile, era seduta sul suo giaciglio, con le mani congiunte e la testa bassa, mentre Cat, seduta accanto a lei, unico contatto che aveva con la realtà, le accarezzava le spalle e la schiena dolcemente, con il suo tocco delicato da sorella premurosa.
Desiderava comprendere per quale motivo egli avesse compiuto una follia simile.
Desiderava ardentemente conoscere la motivazione che si celava dietro a quel gesto tanto sconsiderato, inaspettato, distruttivo quanto enormemente simbolico.
Che cosa stava cercando di dirle con ciò?
Perché la principessa sembrava già sapere che la corona sarebbe andata a lei?
Perché Rhaegar non le aveva detto nulla a riguardo?
Qual era il segnale che stava cercando di mandare a lei e a tutti i sette regni?
Rhaegar era troppo arguto e profondamente responsabile per non conoscere le esorbitanti e incontenibili conseguenze che avrebbe provocato quell’azione.
Allora perché?
Perché…?
La giovane lupa non aveva mai desiderato, in cuor suo, di ricevere quella corona.
Non vi aveva mai riflettuto in generale.
Era solo una bambina quando ne aveva sentito parlare la prima volta, d’altronde.
Mai avrebbe pensato, in tutta la sua vita, che la felicità data da qualcosa di tanto stupido e frivolo, sarebbe stata in grado di scaldarla in tal modo, dall’interno, nonostante cominciasse già ad intravedere le crepe nel cielo sopra di lei.
Era stata vista, riconosciuta, per la prima volta.
E anche se colui per cui provava dei sentimenti tanto destabilizzanti aveva agito spinto da ragioni ben precise che ancora non conosceva, egli aveva fatto qualcosa che, in ogni caso, nessun altro sarebbe mai stato in grado di fare: le aveva dato importanza.
Non un’importanza futile e superficiale, come quella che si dà quando si chiede ad una dama di ballare, ma un’importanza diversa, come una legittimazione che non credeva di aver bisogno di ricevere.
Lei era Lyanna Stark, era una giovane donna, non più una bambina succube del volere dei suoi genitori. Era in grado di essere sia un abile cavaliere, che una rispettabile dama, era capace di tracciare la sua via secondo il proprio volere, così come era in grado di attirare l’attenzione di un uomo che non fosse il suo promesso sposo scelto dalla sua famiglia.
Avrebbe voluto sapere cosa fare o come reagire, ma non lo sapeva.
Non lo sapeva, e Robert continuava ad urlare, Ned continuava a tentare di calmarlo, Cat continuava ad accarezzarle la schiena, la situazione era sempre la stessa e lei non sapeva come risolverla.
Perché era felice di aver ricevuto un riconoscimento che non valeva nulla, che la faceva rimanere impotente come era sempre stata…?
A cosa serviva una corona? Una corona di Amore e di Bellezza?
Lyanna sorrise amaramente, strappando i fiori e i petali, frantumandola.
Incoronata.
Incoronata sarebbe rimasta, fino alla fine dei suoi giorni, la regina fanciulla, dall’animo in tempesta, il cuore innamorato e la vita stroncata.
 
 
 
 

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Capitolo 17
*** - Fuga a Dorne – PARTE 1 “Non importa cosa mi costerà, io ti rivedrò ancora” ***


- Fuga a Dorne – PARTE 1
“Non importa cosa mi costerà, io ti rivedrò ancora”
 
I vessilli di casa Stark diretti verso Delta delle Acque, nelle Terre dei Fiumi, dirompevano magnifici nel cielo terso.
Brandon Stark galoppava con uno strano quanto fastidioso groppo ad opprimergli il cuore.
Avrebbe finalmente sposato la giovane donna che aveva cominciato a fargli battere il cuore come nessun altra, da ben più tempo di quanto fosse disposto ad ammettere.
Eppure ... eppure vi era qualcosa, negli ultimi eventi susseguitisi nel corso di quell’ultimo anno, dalla fine dell’infausto torneo di Harrenhal, a turbare il suo sonno.
Aveva deciso di recarsi da solo a Delta delle Acque, per sposare Catelyn, considerando che i suoi familiari avevano già molto a cui pensare.
Suo padre Rickard aveva delle questioni da sbrigare con alcuni lord che avevano giurato fedeltà alla famiglia Stark; Ned, essendo il secondogenito maschio della famiglia, sarebbe dovuto restare al suo fianco per assisterlo; mentre Benjen si stava preparando a partire per niente meno che la Barriera di ghiaccio che divideva il mondo degli uomini da quello dei non-uomini, per diventare un Guardiano della Notte. Sempre se la loro madre glielo avrebbe permesso, considerando che fosse profondamente contraria, un po’ come lo erano tutti loro.
Eppure, era stata una sua scelta. E come tale, avrebbero dovuto rispettarla. La sua prima scelta da uomo.
Un velo di malinconia adombrò il volto già turbato del giovane e prestante lupo dagli occhi cristallini, i quali, tra la leggera nebbia di quel luogo, rifulgevano ancor più di quanto facessero di solito: anche il suo fratellino stava crescendo, prendendo la sua strada.
Improvvisamente, quasi ogni certezza che aveva il primogenito e futuro lord di Grande Inverno, gli sembrava vacillante.
Continuò a convincersi fosse solo una sua sensazione.
C’era qualcosa di strano nell’aria.
Per quanto riguardava Lyanna, invece ... sua sorella sembrava drasticamente cambiata dalla fine di quel maledetto torneo.
Non era più la ragazzina allegra, impertinente e profondamente spensierata che era prima.
Non era più la pazza imbizzarrita che si faceva sgridare da sua madre nove volte su dieci per il suo comportamento selvaggio e irrimediabilmente inadeguato ad una fanciulla di alti ranghi.
Sua sorella, la sua folle, impavida, ingenua e indomabile sorella, era stata sostituita da una giovane donna cresciuta di colpo, troppo in fretta, improvvisamente consapevole dei suoi doveri, del peso che il mondo richiedeva portasse sulle spalle, alle soglie del suo imminente matrimonio con il lord di Capo Tempesta, il quale sembrava inquietarla più di qualsiasi altra cosa.
Era successo qualcosa a Lyanna durante quelle settimane ad Harrenhal, oramai Brandon ne era più che certo.
Ne aveva parlato più volte anche con Ned; tuttavia, egli sembrava attribuirgli meno importanza di quanta gliene desse Brandon, nonostante riconoscesse fosse avvenuto un consistente cambiamento in lei.
Forse, il suo silenzioso e assennato fratello era troppo assorbito dagli obblighi che avevano improvvisamente cominciato a gravare anche su di lui, da quando Rickard aveva iniziato ad affidargli degli incarichi degni di un uomo maturo, più che di un ragazzo appena affacciatosi all’età adulta.
Il cambiamento più visibile era decisamente avvenuto dopo quel giorno, l’ultimo giorno del torneo, il giorno che sarebbe rimasto impresso nelle menti di ogni abitante dei sette regni.
Il giorno in cui, inspiegabilmente, il Principe ereditario aveva poggiato la corona di Amore e di Bellezza sul grembo di Lyanna, facendola impietrire.
E come lei, ogni altro presente in quell’arena.
Brandon ripercorse per l’ennesima volta tutti gli eventi accaduti durante quelle settimane piene, bizzarre e irripetibili, cercando di carpire qualcosa che era disgraziatamente sfuggito alla sua attenzione.
Un giorno, mentre narrava a Catelyn le sue preoccupazioni riguardo Lyanna, la sua promessa gli aveva raccontato un evento strano accaduto la sera del banchetto di inaugurazione del torneo.
A sua detta, quella sera, la sera in cui Lyanna era corsa via dalla sala in lacrime dopo aver ascoltato il commevente canto del principe Rhaegar, e in cui Cat stessa era uscita fuori a cercarla per consolarla e riportarla dentro, vi era stato qualcosa che l’aveva lievemente insospettita, ma a cui aveva deciso di non dar peso.
A detta di Cat, la fidata guardia personale del Principe drago, la Spada dell’Alba, era stato molto accorto e meticoloso nel raggiungerla e rassicurarla, esortandola e convincendola a tornare dentro, senza preoccuparsi per Lyanna, in quanto, quella zona era rigorosamente sorvegliata da numerose guardie armate, dunque Lyanna non avrebbe corso alcun rischio se fosse rimasta un po’ da sola all’esterno, riprendendosi dal suo pianto di commozione.
Apparentemente non vi era nulla di sospettoso in quell’accaduto.
D’altronde, il canto soave e malinconico del principe sembrava aver commosso anche i tavoli e i candelabri in quel salone; eppure, qualcosa non quadrava, Brandon se lo sentiva, e Catelyn sembrava d’accordo con lui.
La sua giovane promessa sposa. Era una vita che non la vedeva ...
Brandon sospirò, impaziente di riaverla tra le sue braccia e di appropriarsi di quelle morbide e rosse labbra che aveva sognato per mesi interi, quando finalmente sarebbero stati marito e moglie.
Solo qualche altra ora avrebbe dovuto attendere, il giovane e impetuoso lupo.
Ricordò le parole dell’ultima lettera che si erano scambiati, rimembrando quanto sembrasse impaziente anche la giovane Tully di unirsi a lui in matrimonio.
Almeno quello, se gli dei glielo avessero concesso, sarebbe andato per il verso giusto.
Brandon ripensò improvvisamente a quel forestiero incappucciato alla locanda, al quale sua sorella sembrava assueffata nei loro primi giorni ad Harrenhal.
Non aveva avuto più modo di chiederle di lui.
Non le aveva chiesto come fosse, se avesse più riparlato con lui o avesse avuto modo di vederlo in volto.
Se se lo fosse dimenticato.
E poi c’era stata tutta la misteriosa questione del Cavaliere dell’Albero che Ride e le strane assenze di Lyanna tra gli spalti, durante le prime giornate di torneo.
L’affascinante sconosciuto alla locanda, il pianto di commozione al banchetto, le assenze al torneo, e, infine, il principe Rhaegar che incorona Lyanna regina di Amore e di Bellezza, sorpassando sua moglie senza degnarla neanche di un cenno.
I pezzi di quel mosaico sembravano non volersi incastrare nella mente di Brandon, eppure, lui avrebbe continuato a pensarci e ripensarci, fin quando non sarebbe giunto alla soluzione, alla verità che tanto lo tormentava.
Perchè il futuro re dei sette regni aveva agito in tal modo, disonorando sua moglie in pubblica piazza? Per quale motivo un giovane uomo della sua rinomatissima posizione aveva anche solo degnato di attenzione qualcuno come sua sorella?
I due avevano avuto già modo di incontrarsi prima, all’insaputa di tutti? E per quale motivazione?
Qualcuno sapeva? Qualcuno li aveva già visti o era a conoscenza della loro ... interazione? Magari la principessa Elia, ser Arthur Dayne, lady Ashara, il principe Oberyn o peggio ... il re stesso.
Da quando la cospirazione alle spalle del re era stata sventata, Brandon aveva ipotizzato fin da subito fosse un atto estremamente incoscente, quello di sciogliere il loro concilio segreto e di smettere di appoggiare il principe drago, troncando in tal modo ogni possibile rivendicazione sul nascere.
La paura, la codardia di tutti loro, di tutti i lord che avevano con tanta decisione preso parte alla cospirazione portata avanti da colui che sarebbe stato un regnante infinitamente migliore di suo padre, e che avrebbe garantito una pace quantomeno stabile ai sette regni, li aveva fatti nuovamente precipitare in quel baratro in cui erano piombati da quando il Re Folle e sanguinario era salito al trono.
Ed ora, si ritrovavano a raccogliere gli ingloriosi frutti che avevano seminato.
Forse ... forse, se avessero continuato ad appoggiare Rhaegar e la sua cospirazione, a prescindere dalle minacce e dalle azioni di Aerys, ora sarebbero in una situazione migliore.
Starebbero combattendo. Per la loro libertà, e i loro diritti.
Tuttavia, oramai, ciò che era fatto era fatto e scritto nei libri sacri dalle mani degli dei.
Improvvisamente, qualcuno interruppe bruscamente il flusso di pensieri del giovane lupo, galoppando a gran velocità verso di lui, tagliandogli la strada.
- Dannazione, siete impazzito?! – imprecò Brandon frenando in tutta fretta il suo destriero, sgranando gli occhi chiari verso il trafelato messo che si trovava dinnanzi a lui con sguardo mortificato.
- Mio signore! Porto notizie da Grande Inverno, signore!! Si tratta di una questione di assoluta importanza! – esclamò quello che doveva essere poco meno che un ragazzo, forse persino più giovane di Brandon stesso, porgendogli una pergamena.
Ripresosi dallo spavento, Brandon l’afferrò, facendo per srotolarla, mentre si rivolgeva al ragazzo. – Non potevano mandare un corvo a Delta delle Acque? D’altronde, è lì che mi sto recando per sposare la mia promessa. Lo avrei letto appena arrivato a destinazione – commentò accingendosi a leggere.
- È una notizia troppo importante, signore. Sono stato incaricato personalmente da vostro padre il lord di Grande Inverno di portarvi il messaggio prima che giungeste a Delta delle Acque.
Le parole del messo gli scivolarono fuori dalle orecchie come acqua piovana, non appena i suoi occhi si posarono sulle lettere impresse sulla carta frettolosamente e impetuosamente da quell’inchiostro pieno di schizzi e sbavature causate dall’ansia e dall’agitazione della mano che lo aveva tracciato.
La calligrafia di Ned ... di un Ned totalmente fuori di sè.
“... Lyanna, la nostra amata sorella, è scomparsa questa mattina all’alba. La septa è andata nelle sue stanze a svegliarla e non l’ha trovata. Le coperte sul suo letto erano immacolate e in ordine, quasi come se non avesse neanche sfiorato il suo giaciglio la sera prima. Non vi è alcuna traccia di lei in tutto Grande Inverno.
Solo un indizio è stato lasciato, per informarci su chi ha compiuto l’ignobile atto di portarla via da noi: una corona di rose blu sul suo cuscino. La corona della Regina d’Amore e di Bellezza.”
La pergamena cadde a terra dalle mani tremanti del giovane lupo, atterrando inesorabilmente sul terriccio umido e freddo.
Il cielo si era fatto improvvisamente scuro.
Solo una manciata di parole si susseguirono spasmodicamente nella mente esterrefatta di Brandon Stark: “Le coperte sul suo letto erano immacolate e in ordine, quasi come se non avesse neanche sfiorato il suo giaciglio la sera prima ... Le coperte sul suo letto erano immacolate e in ordine, quasi come se non avesse neanche sfiorato il suo giaciglio la sera prima... Le coperte sul suo letto erano immacolate e in ordine, quasi come se non avesse neanche sfiorato il suo giaciglio la sera prima...”
Improvvisamente, il mosaico fu completo dinnanzi ai suoi occhi.
Non gli importava cosa fosse accaduto tra quei due, non gli importava quale dei due fosse stato più stupido, incoscente, ingenuo e irresponsabile: si sarebbe ripreso sua sorella, nel bene o nel male, anche se fosse stato necessario versare del sangue.
L’avrebbe ripresa con sè, l’avrebbe riportata a casa e le avrebbe dato una bella strigliata di orecchie.
“Uomini!!” esclamò improvvisamente, attirando l’attenzione dei pochi uomini che erano con lui in viaggio. “Cambiamo rotta! Siamo diretti ad Approdo del Re!! Alzate al cielo i vessilli e sguainate le spade contro il futuro re dei sette regni!”.
 
La bambina era sveglia da un po’ oramai, gli occhi scuri sonnecchianti ma attenti, le narici colme di un buon profumo a lei familiare, nonostante quello non fosse il letto in cui era cresciuta e nel quale amava maggiormente dormire.
La sua vista era pregna di colui che era in grado di infornderle una sicurezza, un amore e una gioia senza eguali.
Il giovane uomo dinnanzi a lei sorrise, continuando a canticchiare la solita ninnananna che sapeva Rhaenys preferisse, accarezzandole i folti ricci dolcemente, infilando le dita affusolate nella chioma morbida con la massima delicatezza e cura, come se stesse maneggiando un’opera d’arte di immenso valore.
Eppure, nonostante Rhaenys amasse quel venerante riguardo, quel modo dolcissimo di essere trattata da lui, desiderava che egli, per una volta, la stringesse forte proprio come faceva sempre lei con lui, la stritolasse a sè senza paura di farle male, per inglobarla a sè.
La piccola fece uno sforzo per tenere gli occhioni maggiormente aperti, mentre veniva coccolata tra le coperte, invasa da quell’odore e da quella vista rassicuranti e desiderati.
Alzò le iridi per far entrare nel suo campo visivo l’intero viso triste di suo padre, piuttosto che solamente la parte inferiore e il petto.
- Shhhh, non ti sforzare di rimanere sveglia, mio amore – le sussurrò lui con quella voce che Rhaenays amava alla follia.
- Ma io voglio farlo ... – rispose ella imperterrita, poggiando una manina paffuta su quella spigolosa e raffinata di suo padre. – Voglio rimanere sveglia con te – insistette.
A ciò, Rhaegar le rivolse un sorriso gioioso e bellissimo, che fu in grado di farla svegliare completamente.
- Perchè ho l’impressione che tu te ne stia andando, padre ...? – gli domandò innocentemente, facendolo ammutolire.
- Che cosa te lo ha fatto credere, farfallina?
- Lo sento. Lo sento dentro. Perchè ti conosco troppo bene, padre. Ti conosco meglio di tutti – rispose ella spiazzandolo.
- Sì ... sì, è vero.
Sai, mia dolce Rhaenys ... vorrei che fossi tutta mia. Vorrei che fossi tutta mia almeno per un altro po’.
- Ma io sono tua. Sempre.
Egli le rivolse uno di quei sorrisi inteneriti velati da una dolorosa malinconia, avvicinando maggiormente il viso al suo, per bearsi della vista della sua bambina, della sua fragranza e della sua morbidezza.
Voleva imprimersela nella mente per pensare sempre a lei, in ogni momento, nel sonno e nella veglia.
- E tu...? – domandò lei fissandolo in aspettativa. – Anche tu sei mio?
- Certo. Lo sono – le confermò baciandole prima i capelli folti, poi la fronte ampia, per poi passare al nasino lievemente schiacciato. In quel punto, le lasciò più baci, lievi e prolungati.
- Sei tanto caldo – sussurrò lei chiudendo gli occhi beata. – Mi piace stare al calduccio con te. Puoi rimanere ancora e ancora qui, a scaldarmi?
A quelle parole, egli cedette, i diamanti viola gli si fecero lucidi e la strinse a sè fortissimo, trattenendo qualsiasi gemito e verso che avrebbe potuto tradire tutta la sua paura, la sua disperazione nell’abbandonarla.
Rhaenys si beò di quel contatto, cercando di non pensare, di non pensare a niente, se non a lui e a quel momento così perfetto ed eterno.
Lo strinse a sua volta e immerse il visino nei suoi vestiti caldi.
In quel momento, quella calma senza tempo venne interrotta dalla porta della grande camera che venne aperta dolcemente.
A ciò, Rhaegar si voltò di poco, per controllare chi fosse entrato, senza allontanarsi di un millimetro dalla sua bambina.
Nel visionare la figura della sua amata madre, magrissima e altissima nel suo vestito di seta bianco perlato, schiuse la bocca per dire qualcosa, ma ella gli fece immediatamente segno di fare silenzio, avvicinando il lungo indice al proprio naso, accennando un sorriso, mentre richiudeva la porta dietro di sè nel massimo silenzio e si avvicinava lentamente e a passo felpato al grande letto in cui erano sdraiati suo figlio e la sua nipotina, stretti e intrecciati tra loro.
Rhaegar la vide avvicinarsi al lato del letto opposto al suo, alzarsi delicatamente l’orlo del lungo abito per facilitare i movimenti, e salire sul materasso colmo di coperte leggere e disordinate, esercitando il minimo peso nell’occupare quello spazio libero che sembrava quasi fatto apposta per lei.
Rhaegar vide il volto della donna che tanto amava e che lo aveva cresciuto lieto e in pace, nonostante tutte le sofferenze subite e che ancora era costretta a subire, mentre si beava del familiare e comodo giaciglio che la ospitava.
Quanto le era mancata durante la sua permanenza a Rocca del Drago.
Rhaegar aveva amato la sua casa e la sua vita a Roccia del Drago, ma, se solo avesse potuto, avrebbe portato con sè anche sua madre in quel luogo.
Sua madre che era stata costretta a vivere da sola lì, in quella fredda Fortezza Rossa, con la sola compagnia del suo carnefice e di un bambino suo, ma che stava venendo plasmato da quelle mani sudice e velenose che lo artigliavano a sè, proprio come avevano provato ad artigliare lui, quando aveva la stessa età.
Al tempo, quando ancora l’antica forza della sua giovinezza le scorreva nelle vene, Rhaella era stata in grado, con la sua sola determinazione e ostinazione, a rubare il suo primogenito dalle grinfie di quel mostro.
Ma ora, con il secondo, ora che le pene, i dolori e i primi segni della vecchiaia si erano già fatti strada in lei, non vi era più riuscita.
Rhaella, sdraiata esattamente dietro Rhaenays, riaprì gli occhi chiarissimi per fissarli in quelli del suo amatissimo figlio, poggiando una mano magra e bianchissima sopra la riccioluta chioma di sua nipote.
- Te lo ricordi? – sussurrò con voce soave e ovattata la regina. – Questa era la tua camera di quando eri bambino. Ti ricordi quanti ricordi sono custoditi qui? – gli domandò, immersa nei ricordi, quasi in trance.
Rhaegar scavò in fondo nella sua anima a sua volta, continuando a ricambiare la stretta soffocante di Rhaenys.
A ciò, Rhaella avvicinò il volto ai capelli della piccola, facendole notare la sua presenza, prendendo a depositare dei sottili baci sulla sua testa.
- Nonna...? – sussurrò la piccola, con il volto premuto sul petto del padre.
- Sì, piccola mia. Perdonami, non volevo disturbarvi. Hai sonno? – le chiese in un sibilo.
- No – mentì la piccola.
A ciò, Rhaegar accennò un sorriso, mentre Rhaella spostò lo sguardo nuovamente su di lui, prendendo ad osservarlo.
- Sei stanco, mia luce – gli disse, attirando i suoi occhi su di lei. – Sei tremendamente stanco – appurò addolorata, allungando una mano sulla sua guancia. – Che cosa ti è successo? Che cosa ti hanno fatto?
Rhaegar chiuse gli occhi, godendosi quel tocco, rimanendo in silenzio.
Soltanto dopo un tempo indefinito li riaprì, accorgendosi che la mano di sua madre fosse ancora ferma sulla sua guancia.
- Sarò preda dell’odio di ogni uomo e donna di tutti e sette i regni, madre.
Deluderò le speranze e le aspettative di chiunque.
Lo farò perchè il Fato ha deciso questo per me.
Ed io ... io che sono nato nella distruzione e nella morte, non posso oppormi.
Rhaella inclinò il bel volto, sorridendo ammaliata. – Se non puoi opporti, la colpa non è tua, Rhaegar. La colpa non sarà mai tua.
Avrei voluto averti qui.
Avrei voluto aver modo di consolarti e rassicurarti quando ne avevi bisogno.
Ma non potevo permettere che ti avesse anche lui.
Non potevo.
Mi perdonerai mai per questo ...? – gli sussurrò, con voce rotta, facendo scorrere la mano vellutata dalla sua guancia, alla mascella, e poi al collo in tensione.
Rhaegar abbassò lo sguardo, trattenendo nuovamente le lacrime, sfuggendo agli occhi della donna. Le prese la mano che lo stava accarezzando e la baciò, più e più volte.
- Prenditi cura di lei – le sussurrò sul palmo della mano, senza quasi emettere suono. – Prenditi cura di loro ... proteggile in mia assenza.
Rhaella annuì senza esitazione, guarandolo ancora e sorridendogli, non riuscendo a staccare gli occhi da lui, neanche volendo. Poi, Rhaegar si staccò dolcemente dalla sua bambina, oramai quasi totalmente addormentata, lasciandola tra le dolci braccia di Rhaella, la quale la abbracciò a sè, stringendola come prima aveva fatto Rhaegar, e cullandola.
Il principe restò a guardare la scena per un po’, in piedi accanto al letto, fin quando un piccolo rumore non attirò le sue orecchie verso la porta.
Si voltò ancora verso l’entrata della camera e trovò la porta semiaperta, con una piccola presenza per metà dentro e per metà fuori.
Rhaegar sorrise dolcemente, inclinando il volto per scorgerlo meglio. – Viserys? – sussurrò richiamandolo.
A ciò, il principino, il quale, nonostante la giovanissima età, era alto quasi come un giovanotto, si affacciò nuovamente alla stanza, timidamente.
Non era da lui, quella spontanea timidezza, poichè, già a quell’età, Viserys mostrava una sicurezza in sè e un portamento degni di un regnante.
Rhaegar lo squadrò e si avvicinò a lui: i suoi abiti regali cuciti su misura per il suo corpicino affilato, uniti ai suoi capelli argentei acconciati indietro, lo facevano sembrare il ritaglio di un dipinto.
Vyseris alzò gli occhi su di lui, indeciso se parlare o no.
A ciò, Rhaegar lo anticipò, accovacciandosi per arrivare alla sua altezza. – Lo sai che sembri proprio un principe già formato e cresciuto, fratellino? Non mi ero abituato a vederti già così maturo – gli disse guardandolo con fierezza.
- Nostro padre mi ha insegnato ad esserlo – gli disse il bambino, accennandogli un debole sorriso. – Te ne stai andando? Di nuovo? – gli domandò poi preoccupato. – Mi avevi promesso che avremmo passato del tempo insieme, quando saresti tornato. Perchè non resti un po’ qui? – gli domandò speranzoso, facendolo sciogliere dinnanzi a quello sguardo.
- Vy ... – esalò ponendogli le mani sulle spalle sottili. – Avrei tanto voluto ... neanche immagini quanto lo vorrei. Poterti stare accanto ... vederti crescere.
- E allora perchè non lo fai?
- Un giorno, ti prometto che capirai.
- Sarai tu a spiegarmelo.
Rhaegar gli sorrise ancora, tristemente. – Dovrai essere pronto, Vyseris, quando sarà il momento.
- Essere pronto per cosa ...?
- A prendere il suo posto. A diventare re.
Quella notizia spiazzò il bambino, il quale sgranò gli occhi. – E ... e tu?? Sarai tu a diventare re.
Rhaegar negò con la testa.
- E Aegon...? Se non sarai tu, allora sarà Aegon ...
- Aegon è ancora molto piccolo. Avrà bisogno del tuo appoggio, del tuo supporto. Lo farai? Ti terrai pronto, se sarà necessario...?
A ciò, pregno di quel senso di responsabilità che lo animava come fuoco dall’interno, Vyseris annuì con vigore, facendo sorridere nuovamente suo fratello.
- Bravo il mio ragazzo – gli disse infine, avvicinandosi e abbracciandolo.
Dopo ciò, Rhaegar uscì dalla stanza e si diresse verso un’altra camera nella specifico, quella che condivideva lì nella Fortezza Rossa con sua moglie, la madre dei suoi figli, colei che lo aveva spinto a fare tutto ciò che stava per fare.
Percorse la scalinata e bussò alla porta, ricevendo il permesso per entrare.
La trovò seduta sul grande talamo nuziale, intenta ad allattare Aegon, il fagottino di oramai un anno.
Richiuse silenziosamente la porta dietro di sè e le si sedette accanto, con il volto rivolto dinnanzi a sè.
- La piccola dorme? – ruppe il ghiaccio la principessa, con voce apparentemente atona.
- Mia madre si sta assicurando che non si risvegli.
- Bene. Non voglio che sia sveglia quando te ne andrai.
Vorrei potermi permettere di non esserlo neanche io, quando accadrà.
Rhaegar si voltò verso di lei. – Puoi farlo. Puoi stenderti sul letto e provare a dormire.
Elia negò vigorosamente con la testa. – Mai. Voglio esserci. Fino all’ultimo.
- D’accordo.
Elia inspirò ed espirò, cercando di calmarsi, ponendo il fagottino tra le braccia di Rhaegar, il quale colse l’occasione per ammirare per l’ultima volta anche lui, beandosi del suo profumo di miele e della sua vicinanza a sè.
Poi, quando il principino cominciò a reclamare il latte della sua mamma, in dormiveglia, lo porse nuovamente tra le braccia della sua consorte.
- Elia – provò per l’ultima volta Rhaegar, sapendo che sua moglie fosse tuttavia inamovibile al riguardo. – Sei sicura di non voler venire via da qui anche tu con i bambini? A Dorne ci sono un sacco di luoghi in cui sareste al sicuro, l’hai detto tu stessa. Inoltre, è casa tua. Mi hai convinto a dirigermi lì con Lyanna proprio per tale motivo, poichè ti fidi di loro, della tua famiglia, e vorresti che anche io mi fidassi.
Lo farò. Te l’ho promesso. Ci sarà anche Arthur a mediare per noi, d’altronde.
Ma non sono tranquillo a saperti qui. Voglio sapervi al sicuro, Elia ... È la sola cosa che voglio.
A ciò, Elia si voltò verso di lui, con la striscia di due lacrime secche a rigarle le guance olivastre. – Non possiamo, te l’ho già detto. Dobbiamo attenerci al piano iniziale, quello proposto da Varys.
- Non mi fido di Varys.
- Fidati di me, allora – lo spronò lei. – È la cosa giusta da fare, Rhaegar: se scappassimo anche noi, saremmo costretti a vivere da fuggitivi. Rhaenys e Aegon sono troppo piccoli, non hanno bisogno di questo.
E poi ... non ce la farei. Non ce la farei a saperti così vicino ... con lei ...
La voce le si spezzò e si fermò, per riprendere fiato ed inspirare ancora, facendosi forza.
- E, cosa più importante: tuo padre deve avere la certezza che noi siamo dalla sua parte. Che Dorne è dalla sua parte. Questo è di fondamentale importanza. Se fuggissi anche io con i suoi nipoti, gli si frantumerebbe anche questa certezza.
Egli non sa che tu sarai a Dorne con Lyanna.
Egli non deve sapere nulla.
Dunque, è essenziale che ci abbia vicini. Me, i nostri figli, tua madre e tuo fratello.
Tuo padre non farebbe mai del male ai suoi nipoti – disse con convinzione.
Trascorsero alcuni attimi di silenzio, nuovamente interrotti da Elia.
- Hai la pergamena? – esalò con un filo di voce.
A ciò, Rhaegar tirò fuori la pergamena arrotolata su se stessa da una tasca. – Varys è riuscito a recuperarla per miracolo – le rispose porgendogliela.
A ciò, con la mano rimasta libera, Elia prese la pergamena e la srotolò, leggendo il proprio nome e quello dell’uomo che amava incisi ad inchiostro sulla carta.
Uniti per sempre.
- Ricordi quel giorno? – gli chiese dolorosamente nostalgica. – Quel giorno di quando eravamo solo due fanciulli inconsapevoli, che trascrissero il proprio nome su questo foglio, poichè costretti a farlo?
- Il giorno delle nostre nozze – rispose Rhaegar, fissando i loro nomi su quel foglio a sua volta.
- Tu non mi guardavi neanche. Non mi hai quasi mai posato gli occhi addosso, tranne ... – Elia si bloccò, poi riprendendo. – Tranne quando il Gran Maestro ha legato i nostri polsi insieme, con il nastro, dichiarandoci marito e moglie.
In quel momento, i tuoi occhi viola mi folgorarono con la loro luce accecante per un solo attimo, disarmandomi completamente, rendendomi incapace di ragionare, di realizzare dove mi trovavo, di accorgermi di tutti coloro che ci circondavano, atterrita e irradiata da qualcosa che non riuscivo a comprendere e che mi spaventava ... tanto quanto mi stregava.
Esistevi solo tu.
Sei sempre esistito solo tu da quando ho messo piede in quella sala immensa, colma di persone, e ti ho visto solo da lontano, per la prima volta.
La giovane principessa sorrise amaramente, proseguendo. – Mi avevano descritto quanto fossi bello. Perciò, in parte, ero preparata a ciò che mi sarei trovata dinnanzi agli occhi. Ma, nonostante tutto, fosti in grado di lasciarmi a bocca aperta, sconvolta.
Ero convinta di non piacerti, nemmeno un po’, a ragione.
Ero convinta di disgustarti. Avevo il terrore di disgustarti.
Una lacrima solitaria rigò anche il volto del Principe drago, nell’ascoltarla.
Elia sorrise, riprendendo e rimmergendosi nei ricordi. – Tutti quegli occhi fissi su di te, su di noi, su di me... dei presenti in quella sala... quegli occhi giudicanti ... quegli occhi invidiosi ...
Mi hanno fatto sentire sbagliata per tanto, tanto tempo.
Eppure, mi sentivo comunque la ragazza più fortunata del mondo.
E mi ci sono sentita ancor di più quando mi hai guardata quella prima volta, con quello sguardo gelido e con quelle iridi annientatrici.
Ero felice.
Mi hai resa felice, da quel giorno.
Tu non lo volevi e, infondo, neanche io, poichè, nonostante fossi un principe, volevo avere l’opportunità di scegliere colui con il quale avrei trascorso il resto della mia vita autonomamente, senza costrizioni, esattamente come te.
Eppure, da quel giorno ... è cambiato tutto.
Non credevo sarebbe stato così facile amarti, amarti davvero.
Si fermò di nuovo, poi riprese a viaggiare tra i meandri della sua memoria. – Ricordo ancora come fosse ieri l’odio che ho provato verso le dame che mi avevano fatto quell’orrenda acconciatura a nido di uccelli che tanto piaceva a mio padre ...
- Eri meravigliosa – la interruppe lui, facendola voltare di scatto a guardarlo. – Quel giorno, di quasi sei anni fa, eri meravigliosa.
No, non ti ho guardata quel giorno, perchè la bellezza non ha mai avuto un grande effetto su di me, neanche allora.
Ma quando alzai lo sguardo su di te, in quell’unico istante, accorgendomi che tu non mi avessi mai staccato quegli occhi scuri e intensi di dosso, mi sentii inspiegabilmente bene, al sicuro, rincuorato di avere accanto te. Te, e nessun altra.
- Rhaegar ... – mormorò ella con un fil di voce. – Non puoi dirmi queste cose ora ... mi fai del male in questo modo ... io ... ho fatto tanto, ho fatto tanto per rassegnarmi all’idea di lasciarti andare. Di doverti guardare andartene da me ... non puoi farmi questo.
Lui le prese il viso tra le mani, scostandole delle ciocche di capelli dietro le orecchie, riassaporando sulla pelle il calore, la consistenza e la familiarità di quel contatto sotto i palmi, cercando di impremersi nella memoria tutto.
Elia se ne accorse e accennò un sorriso distrutto. – Arrivi tardi, mio principe – disse finatamente canzonatoria. – Io ho passato gli ultimi dieci mesi a imprimermi nella memoria ogni cosa di te, più di quanto già non faccia di solito.
Detto ciò, spostò gli occhi sulla pergamena abbandonata sulle proprie gambe. – È arrivato il momento.
È arrivato il momento che tu la distrugga – disse con una forza che non sapeva di avere.
A ciò, Rhaegar prese coraggio a sua volta e, staccando i palmi da lei, prese la pergamena, si alzò in piedi, accese una piccola fiaccola e avvicinò il pezzo di carta alla fiamma, vedendola bruciare.
Ora, da quel momento in avanti, lui non sarebbe stato più suo e lei non sarebbe stata più sua.
Entrò in uno stato di trance che non lo fece accorgere di cosa accadesse nell’ambiente che lo circondava, isolandolo.
Quando non rimase altro che cenere ai suoi piedi e una fiaccola nella sua mano, Rhaegar si rese conto che Elia si fosse alzata e spostata dal letto a sua volta, raggiungendolo.
Aveva già posato Aegon nella culla e si era avvicinata alle sue spalle.
Percepì le sue braccia nude e morbide avvolgerlo da dietro, circondando il suo addome definito.
Il bel volto della principessa si incastrò tra le sue scapole, respirandovi sopra.
- Scrivimi – gli sussurrò tra i vestiti, facendogli rabbrividire la schiena. – Scrivimi sempre, non appena potrai.
- Non devi neanche chiedermelo.
Ti scriverò sempre, mia sposa.
E attenderò con ansia una tua risposta.
Così come attenderò di rivederti, sana e salva – disse, facendo tremare palesemente la donna dietro di sè.
Si voltò nel suo abbraccio e si abbassò per baciarla, sentendola sciogliersi come neve al sole, per l’ultima volta, sotto di sè.
- Addio, amore mio.
 
Il cavallo galoppava tra il terreno roccioso delle terre del Nord, mentre quei ricordi riaffioravano nella mente del Principe Drago.
Quelle terre erano addirittura più fredde di quanto si sarebbe mai aspettato.
Erano ancora troppo lontani dalla nave che li avrebbe condotti a Dorne.
Arthur, dinnanzi a lui, guidava la combriccola.
Lyanna, appena dietro il principe, guardava la schiena davanti a lei con sguardo vuoto e assente.
Oramai non sarebbe più potuta tornare indietro.
Presto la notizia si sarebbe sparsa.
A quell’ora del mattino, la septa che solitamente saliva nelle sue stanze a svegliarla, doveva essersi già accorta della sua assenza.
A quell’ora, la stavano sicuramente cercando per tutto Grande Inverno e per le città adiacenti.
E pensare che non era lontana nemmeno cinque o sei ore da casa ...
- Dovrai imparare a combattere come un vero soldato, se vuoi andare alla Barriera – aveva detto la giovane lupa al cucciolo del branco, il quale sembrava aver già preso una decisione affatto da cucciolo.
Benjen sorrise innocentemente, continuando ad affilare la spada, accanto a lei, mentre ella persisteva nell’osservarlo.
Quanto le sarebbe mancato, non era neanche lontanamente quantificabile.
Quanto le sarebbero mancati tutti.
“Non cercatemi” cominciò a pensare, a sperare, a desiderare ardentemente.
“Non cercatemi”
“Abituatevi alla mia assenza, a non avermi qui.”
“D’altronde, se fossi rimasta e avessi fatto ciò che avreste voluto che facessi, sposando Robert Baratheon, la situazione non sarebbe poi stata tanto diversa: sarei stata lontana, molto lontana da voi, in ogni caso” si ripetè, mentendo a se stessa.
- Scrivimi, Ben – riattirò improvvisamente la sua attenzione, alzandogli il mento ancora del tutto morbido e liscio. – Scrivimi sempre.
- Non so nemmeno quando mi faranno partire, Lya – la rassicurò incerto. – Non so se mi faranno partire. Nostra madre non sembra decisa a cedere. Potrebbero volerci anni, sai? Rimarrò qui a casa ancora per un po’ e dovrai sopportarmi, non temere.
“A casa”. Sì, a casa.
Lyanna sorrise amaramente.
- Sei strana, sorellina – gli disse il lupacchiotto. – Ce ne siamo accorti tutti, sai?
- Sono solo pensierosa, tutto qui.
- Sei pensierosa dalla fine del torneo di Harrenhal? – la stuzzicò.
- Il mio stato non ha nulla a che vedere con il torneo di Harrenhal – rispose alzando gli occhi su di lui. – È solo che sono cresciuta.
E in parte era vero. Era cresciuta, durante quelle intense settimane.
- Quindi significa questo? – riprese Benjen. – Significa questo diventare donna?
Lyanna venne riscossa da un lamento del cavallo che la stava ospitando.
Un cavallo che non conosceva e con il quale non aveva instaurato ancora un legame.
Un cavallo che avevano portato il principe drago e il suo fidato cavaliere, per lei.
Le lettere segrete che si erano scambiati lei e Rhaegar in quei lunghi e freddi mesi dopo il torneo per accordarsi sul da farsi, erano gelide, meccaniche, distanti.
Lui si era rivolto a lei quasi come fosse un condannato, costretto ad andare al patibolo ma ligio e fermo nei suoi doveri, e lei gli aveva risposto di conseguenza.
Era come se, nel corso di quasi dodici mesi, fossero ritornati due estranei.
Posò lo sguardo su di lui, accorgendosi di averlo quasi raggiunto e affiancato col suo destriero.
Anche egli era immerso nei suoi pensieri, isolato dal mondo.
Lyanna rifletté mentre lo guardava, ripensando a quanto gli fosse mancato in quei lunghi mesi di distanza.
Gli era mancato e, al contempo, non avrebbe voluto più vederlo.
Non capiva cosa le stava succedendo, per provare sentimenti tanto discordanti tra loro.
Non credeva di poter provare qualcosa di lontamanete simile, per qualcuno.
Lo aveva sognato, per più notti, e aveva sognato ciò che spettava loro, ciò che aveva letto in quelle lettere, nelle parole tracciate da lui con quella calligrafia tanto tagliente e allungata, in quella carta che odorava di fuoco e di cenere.
Temeva per ciò che Robert avrebbe potuto fargli in preda all’ira, nel corso di quei mesi, prima di dare inizio al piano.
Sapeva che non avrebbe dovuto allarmarsi, d’altronde il principe ereditario era la persona più protetta e al sicuro dei sette regni; tuttavia, si era più volte ritrovata a dover rassicurare il suo promesso sposo quasi spasmodicamente, per lettera, considerando che l’aveva lontana, e, quando erano lontani, la gelosia del cervo si intensificava a dismisura.
Di certo, l’incoronazione di Regina d’Amore e di Bellezza, non aveva affatto aiutato.
E lo scoprire tardivamente che fosse stata un’idea e un’esplicita richiesta della principessa Elia, aveva sconvolto la fanciulla non poco.
Lyanna, dal canto suo, non provava alcuno stralcio di gelosia nei confronti del giovane cervo.
Robert avrebbe potuto giacere con dozzine di ancelle diverse ogni giorno a Capo Tempesta, e a lei non sarebbe importato.
Ritornò in sè, ritrovandosi nuovamente accanto al destriero di Rhaegar Targaryen, il quale guardava dinnanzi a sè, con il suo cappuccio a celargli quasi tutto il volto, senza degnarla di uno sguardo.
Anche il suo cappuccio le celava parzialmente la vista. D’altronde, dovevano mostrare la massima cautezza poichè, se solo li avesse intravisti qualcuno, tutto il loro piano architettato magistralmente al minimo dettaglio, sarebbe andato in frantumi.
- Posso? – domandò dopo aver bussato alla porta del salone nel quale sapeva si trovasse la sua nemesi al maschile, da solo, da almeno due ore.
- Vieni pure – le rispose Ned con una nota di dolcezza nella voce, nonostante fosse ancora concentrato sulle carte che stava sfogliando.
- Dovresti prenderti una pausa, fratello – lo esortò ella, osservando preoccupata tutte le infinite carte che si trovavano sparse sopra il tavolo, con Ned ad esaminarle.
Si sedette di fronte a lui, osservandolo e sorridendo.
Quando Ned se ne accorse, almeno dopo dieci minuti, alzò finalmente gli occhi azzurri su di lei, inarcando un sopracciglio folto. – Che c’è?
- Nulla – rispose lei con finta indifferenza e un sorrisetto a fare capolino sulla bocca delicata.
Ned pose le braccia conserte e abbandonò la schiena allo schienale della sedia, scrutandola. – Lya, va tutto bene?
- Sì, certo.
- Sai che con me puoi parlare di tutto, vero?
Ella annuì, cercando di non incrociare i suoi occhi.
Oh, Ned.
Ned sarebbe sempre stata la sua perdita più grande.
- Allora? Vuoi dirmi cos’hai? – le ridomandò paziente, non intenzionato a lasciar perdere.
- Nulla, davvero, non è ... – riflettè, scegliendo la prima cosa che le passò per la testa, per giustificare la lacrima traditrice che le stava percorrendo la guancia nivea. – È solo che ... sono angustiata per Ben. Non voglio che vada in quel luogo. Non credo che divenire Guardiano della notte sia la strada giusta per lui – disse asciugandosi il volto velocemente.
- Hai ragione. Condivido anche io. Vorrei convincerlo anche io a cambiare idea ma ... - Ned si bloccò, attirando gli occhi di sua sorella su di sè. – Ha quella luce negli occhi. Quando qualcuno sceglie la sua strada, sceglie la sua strada con tale forza e determinazione come sta facendo lui ... credo che nessuno possa fare nulla per impedire che gli eventi seguano il loro corso. È giusto così.
- Già. Già, hai ragione.
“Quando qualcuno sceglie la sua strada con tale forza e determinazione ...”
Lyanna deglutì a vuoto.
Cosa stava facendo? Cosa avrebbe voluto davvero? Perchè ciò che avrebbe voluto sarebbe sempre stato fuori dalla sua portata, in ogni caso?
Perchè l’alternativa allo sposare un uomo che non amava e al vivere una vita che avrebbe odiato corrispondeva allo scappare via dai suoi cari e dalla sua famiglia, abbandonandoli, per sposare in segreto colui che le aveva rubato il cuore e la giovinezza e vivere da fuggitiva con lui?
Un giorno intero trascorse, cavalcando su quel cavallo affiancata dai due, nel quasi totale silenzio.
Altri tre giorni trascorsero in mare, su una nave discreta e di piccole dimensioni, senza minimamente rivolgersi la parola.
Era freddo.
Si stavano avvicinando al Sud, eppure era più freddo di quanto fosse mai stato negli inverni più rigidi che la giovane lupa aveva vissuto e patito in quindici anni di vita.
 
Dorne era la terra più calda su cui sia Rhaegar che Lyanna avessero mai messo piede, Arthur ne era certo.
Per tale motivo, i due soffrivano terribilmente il caldo di Lancia del Sole, tanto da trovarlo torrido, nonostante tanto torrido poi non fosse, secondo gli standard della Spada dell’Alba, che in quel luogo ci aveva passato l’infanzia.
Specialmente la lupa delle gelide lande sembrava al limite della sopportazione, dinnanzi a quel sole cocente che la faceva ansimare, sudare e faticare solamente a mettere un piede dopo l’altro.
Per quanto la situazione fosse paradossale e tesa come la lama di un fioretto, ad Arthur venne da sorridere.
Sarebbe stata una lunga permanenza, la loro...
Il piano, per il momento, sembrava essere andato liscio come l’olio, esattamente come avevano concordato con Elia, Varys, Oswell e Ashara.
Neanche lui era felice degli eventi che si prospettavano loro dinnanzi, della piega che avevano preso le circonstanze, i loro destini intrecciati, dopo quel torneo.
Tutto era cambiato. Nulla sarebbe più stato come prima.
Eppure, tutti loro avevano avuto molto tempo per metabolizzare tutto ciò, organizzare la fuga e abituarsi all’idea che, ciò a cui avrebbero dato inizio, avrebbe fatto scoppiare una guerra senza pari.
Ognuno aveva attraversato tutte le fasi necessarie: il rifiuto, la realizzazione, la rabbia, l’evasione, l’accettazione.
Sua sorella Ashara, come era prevedibile, l’aveva presa in maniera molto più razionale di lui; poichè così era sempre stato: egli era il Dayne più focoso e irruento di temperamento, mentre lei era la Dayne equilibrata, dal sangue freddo.
Per tale motivo, molto spesso, gli atteggiamenti di Rhaegar le ricordavano quelli di lei.
Nel ripensare al centro pulsante di tutta quella catastrofe che si stava andando a generare, Arthur posò lo sguardo su di lui, di sottecchi: in tutto il viaggio, oltre a non aver esalato una parola, non aveva nemmeno degnato la giovane lupa di una singola occhiata.
Ella, al contrario, nonostante sembrasse angosciata e turbata quanto Rhaegar, lo aveva guardato, più volte, provando ad instaurare un contatto visivo con lui.
Ma Rhagear era una statua di marmo ibernata da quando avevano lasciato Approdo del re una volta per tutte, per giungere a Grande Inverno a “rapire” la sua futura sposa.
Non era leale nei confronti della ragazza, essere trattata in tal modo, considerando il trauma profondo e il tormento che doveva star vivendo anche lei silenziosamente.
Quell’atteggiamento inanimato e glaciale del drago stava cominciando a dare i nervi anche ad Arthur stesso.
Giunti dentro l’imponente quanto caldo e lussuoso castello sede dei principi di Dorne, Doran Martell e sua moglie Mellario di Norvos, i tre vennero accolti con tutti i riguardi riservati a dei regnanti, ovviamente, grazie alla presenza del Principe drago tra loro.
I figlioletti del principe Doran e di sua moglie, Arianne e Quentyn, girovagavano curiosi e vispi dentro l’immenso salone illuminato dalla luce esterna dell’accecante sole, osservando le tre nuove presenze senza timore di risultare irrispettosi.
Ashara e Oswell li attendevano accanto ai principi, circondati da una schiera di giovani schiave e schiavi dal bellissimo aspetto, con gli occhi truccati di nero, i corpi sinuosi e formosi baciati dal sole e coperti da veli semitrasparenti dai toni caldi, agghindati con i più bei accessori che Lyanna avesse mai visto: bracciali, anelli, collane, cavigliere, orecchini, ghirigori, tutti rigorosamente dorati.
Sembravano quasi creati e plasmati appositamente per puro piacere visivo, splendidi soprammobili scelti.
Tuttavia, in quell’istante, guardandosi intorno genuinamente incuriosita, la giovane lupa si rese conto che fossero esattamente loro tre, in mezzo alla sala, i rarissimi pezzi di arredamento che attiravano gli sguardi di tutti.
Lyanna alzò lo sguardo, portandolo sulla parete in fondo alla sala, esattamente sopra le teste dei principi, dove imperava il meraviglioso dipinto dello stendardo dei Martell: un enorme e luminoso sole trafitto da un giavellotto dorato.
Arthur, da sempre abituato al delizioso e appariscente sfarzo della corte dei Martell, non si stupì di nulla, nonostante fossero anni che non mettesse piede in quel luogo. Si guardò intorno con circospezione, cercando delle figure in particolare, e tirò un sospiro di sollievo quando appurò che nè la Vipera Rossa, nè l’“amabile” amante di quest’ultimo, fossero nei paraggi. Se gli dei avessero voluto far loro almeno quel dono, avrebbero trascorso qualche giorno senza la presenza di Oberyn Martell e delle sue manie di protagonismo.
Fu Doran il primo a prendere la parola, non appena i tre furono al loro cospetto.
Il maggiore dei principi di Dorne accennò un sorriso cordiale. – È la prima volta, da anni, che un drago mette piede qui – disse senza alcun tono di accusa o malizia.
Mellario sorrise a sua volta. – Potete togliervi i cappucci e mostrarvi a noi, ora che siete qui. Il castello è circondato dalle cinta murarie. Lancia del Sole è l’ultimo luogo in cui qualcuno vi cercherebbe, tantomeno vi troverebbe. Non temete – li esortò con voce calma e soave.
A ciò, Arthur, Lyanna e, infine, Rhaegar, si abbassorono i cappucci dei rispettivi mantelli, rivelando i loro volti.
In seguito a ciò, Doran si alzò in piedi, si avvicinò di qualche passo e, con fare sinceramente umile, si inchinò dinnanzi a Rhaegar, lasciandolo spiazzato.
- Vi prego, principe Doran, no. Non vi è alcun bisogno – lo pregò di alzarsi il giovane drago, attirando anche i fulgidi occhi della giovane lupa su di sè, la quale rimase a dir poco sorpresa di risentire la sua voce per la prima volta, dopo sin troppo tempo.
- Rimanete pur sempre il principe ereditario, figlio del legittimo re dei sette regni – gli disse l’uomo rialzandosi in piedi e indietreggiando nuovamente, per riprendere posto accanto a sua moglie.
Mellario, notando gli sguardi circospetti e attenti di Arthur intorno a sè, capendo a cosa fossero dovuti, prese la parola. – Vi rassicuro, ser Dayne: Oberyn Martell non è qui. Non ancora, per lo meno. Elia ci ha avvertiti, come ben sapete, spiegandoci tutto per lettera, per filo e per segno, con infinita accuratezza e accoratezza, oserei dire – disse, passando poi a guardare il Principe drago. – Lei è d’accordo con quello che state facendo. A noi basta questa garanzia per prendere le vostre parti e difendervi da chiunque voglia mettere a repentaglio i vostri intenti, a costo della vita – concluse.
- Inoltre, non vorremmo mai inimicarci vostro padre il re, mio principe – aggiunse Doran. - Ovviamente, anche Oberyn è a conoscenza dei vostri piani oramai, e anch’egli è stato notevolmente rassicurato da nostra sorella, riguardo il suo totale consenso, e la sua piena volontà che voi veniate accolti qui, ospitati con ogni agio e protetti da qualsiasi minimo pericolo.
- E come ha reagito egli? – domandò Arthur senza remore.
Doran si scambiò uno sguardo indefinibile con sua moglie, prima di rispondere nuovamente, rivolgendosi a Rhaegar, in piedi e impenetrabile davanti a lui. – Non bene. Ma ci penseremo noi a tenerlo a bada – si limitò a dire, osservando con attenzione la reazione del principe drago a tale informazione, non notando quasi alcun cambiamento nel suo sguardo neutro e svuotato.
Trascorso qualche minuto di silenzio, fu proprio il giovane drago a prendere la parola. - Mi rendo conto che il nostro arrivo qui sia tutt’altro che gradito. Sono ben consapevole anche dei trascorsi che vi sono stati tra Dorne e la corona e, in particolare, tra la mia famiglia e la vostra. Vi stiamo esponendo ad un incommensurabile pericolo. Voglio che sappiate che non era affatto mia intenzione mettervi in questa scomoda e delicata posizione, caricandovi di un fardello tanto grande.
Tuttavia ... sia il mio più fidato amico qui di fianco a me, Arthur Dayne, sia la mia dolce e saggia consorte, hanno insistito affinchè ci nascondessimo qui, nella loro e nella vostra magnifica terra.
Dinnanzi alla loro insistenza e alla vostra premura e sin troppo servizievole ospitalità, non posso far altro che ringraziarvi umilmente e di cuore.
So bene che non è facile. Non lo sarebbe per nessuno – concluse, non curandosi delle dozzine di paia d’occhi nella sala puntati su di sè, rivolgendo la sua attenzione solamente a Doran e a Mellario.
Quest’ultima, in seguito a tali parole, inclinò la testa, prendendosi il suo tempo per scrutarlo, prima di rispondergli. – Oh, mio principe. Parlate di fardello? Chi è colui che sta portando sulle sue sole spalle il fardello più grande di tutti se non voi stesso? Perciò, non ringraziateci – gli disse sorprendendolo. – Vostra moglie vi ama. Immensamente. Immagino ne siate consapevole, giusto? – gli domandò senza alcuna intenzione di farlo sentire in colpa o in torto. Solo perchè voleva essere davvero convinta di quanto e fino a che punto egli ne fosse a conoscenza.
Il Principe drago annuì.
- Siete molto giovani, ma dimostrate qualche anno in più dell’età che avete, entrambi - commentò Doran guardando prima Rheagar e poi Lyanna.
- Quanti anni avete, milady? – chiese Mellario alla giovane lupa.
- Quindici – rispose questa.
- Praticamente una bambina. Sarete molto stanca per il viaggio, cara.
Presto, la nostra servitù vi accompagnerà nella stanza che è stata preparata per voi.
- “Stanza”? Una sola? – domandò Rhaegar.
- Sì – rispose Doran alzando un sopracciglio in dubbio.
- Vorremmo due stanze, una per uno – rispose il principe drago parlando a nome di entrambi senza il consenso di Lyanna.
Ashara e Arthur lo guardarono in cagnesco, ma egli li ignorò.
- Capisco. Dato che, ben presto, voi e lady Stark vi unirete a nozze, abbiamo dato per scontato che preferiste dormire nello stesso giaciglio – spiegò Mellario. – Ma se ciò non vi è gradito, faremo immediatamente preparare due camere separate.
- Vi ringrazio.
- Prego, seguiteci – si intromise, a tal punto, una delle avvenenti schiave presenti nel salone, volgendo un’eloquente occhiata al drago e alla lupa, facendo loro strada, mentre Arthur si avvicinava ad Ashara.
Quando i due si trovarono dinnanzi all’unica stanza precedentemente preparata per loro, Lyanna si affacciò ad essa, osservandola meravigliata. Era grande il triplo della sua a Grande Inverno, e luminosa dieci volte tanto. Il sole batteva su di essa rendendola ancora più calda del resto del castello.
- Prendetela voi, questa – le disse Rhaegar dietro di lei, facendola sussultare per la sua vicinanza improvvisa e inaspettata. Ora che aveva modo di scorgerlo da più vicino, Lyanna alzò lo sguardo verso di lui e notò che aveva delle profonde occhiaie nere che risaltavano notevolmente sulla sua pelle d’avorio, e il colorito tanto spento da avvicinarsi a quello dei suoi folti capelli, legati morbidamente, talmente chiari da sembrare bianchi.
 - È troppo grande per me – gli rispose, attirando le sue biglie viola su di lei.
- Non importa. È vostra. Io andrò nell’altra.
- Stiamo preparando un’altra degna e spaziosa stanza per voi, mio principe – riattirò la sua attenzione la schiava, accorgendosi di non essere stata seguita.
- Grazie. Vi raggiungerò in un momento – le rispose egli.
Lyanna si chiese come mai, d’improvviso, dopo quattro giorni di totale silenzio da parte sua, il principe drago le stesse prestando attenzione.
Non fece in tempo a chiederselo, che percepì qualcosa toccarle la gambe e infiltrarsi sotto il suo mantello.
In totale apparente indifferenza, Rhaegar le stava porgendo una daga da sotto il mantello.
Lyanna l’afferrò e la nascose tra le sue vesti. – Perchè? – gli domandò solamente. - Non vi fidate di loro?
- Di loro mi fido. È di Oberyn che non mi fido. Fate attenzione a lui – le rispose in un sussurro, voltando i tacchi e allontanandosi.
 
Prima di venir condotto nella stanza fatta preparare per lui, a sua insaputa, Rhaegar venne condotto in una stanza colma di fumi e incensi, nei piani più alti del castello.
Entrando, vi trovò ad attenderlo Arthur e uno dei giovani e aitanti schiavi che aveva già visto affiancare i principi dorniani nella sala principale del castello.
Il suo fidato amico si voltò verso di lui e verso la ragazza che lo aveva accompagnato.
- Grazie, Iris. Puoi andare ora – le disse cordialmente, vedendola inchinarsi a loro, per poi tornare indietro, lasciandoli soli.
- Cos’è questo posto? – chiese il principe, mentre il ragazzo presente nella stanza, di soppiatto giunto dietro di lui, gli poggiò le mani delicate sulle spalle e cominciò a slacciargli e a sfilargli il mantello.
- Elia deve aver rivelato loro anche qualcos’altro – gli rispose Arthur sorridendogli incoraggiante. – Rilassati, Rhaegar, non ti stanno per risucchiare l’anima fuori dal corpo. Gli schiavi della corte del principe Doran posseggono molte doti, tra le più varie. Il giovane che è qui con noi è stato cresciuto da degli stregoni.
A tali parole, gli occhi del principe drago si illuminarono di una fievole speranza.
- Abbiamo un piccolo abitacolo lì sulla destra, in cui abbiamo preparato degli abiti leggeri per voi, adatti al clima afoso di Dorne. Con quelli che avete addosso starete soffrendo terribilmente il caldo – esordì il ragazzo, rivolgendogli un lieve inchino.
- Tu puoi ... tu puoi alleviare i miei tormenti? Puoi farle tacere ...? – gli domandò immediatamente il principe quasi interrompendolo, voltandosi verso di lui, con un tono di voce accorato opposto a quello che aveva mostrato sin dal suo arrivo.
Sembrava quasi essere fuori di sè.
Da ciò, fu subito chiaro al ragazzo quanto la situazione fosse grave.
- Vi farò stare meglio. Avete la mia parola, mio principe.
A ciò, il giovane drago si andò a cambiare i vestiti nell’abitacolo, in fretta e furia, per poi tornare nella stanza con gli abiti più leggeri e seguire le indicazioni del giovane, il quale lo esortò a mettersi comodo, seduto a gambe incrociare sul morbido tappeto presente sul pavimento.
L’aria della stanza era resa ancora più afosa dai numerosi e vari fumi e incensi che la colmavano.
Arthur li osservava cercando di riabituarsi a quella nuova temperatura, così diversa da quella di Approdo e di Rocca del Drago.
Il ragazzo sembrava sapere quello che faceva e Arthur fu immensamente grato di ciò, dato che le voci nella mente di Rhaegar sembravano essere divenute più ingombranti, invadenti e asfissianti del solito, a giudicare dallo stato mentale del drago; tanto che neanche i rimedi fatti preparare da Varys sembravano sortire più alcun effetto.
Le voci si nutrivano di lui e di qualsiasi rimedio egli provasse ad ingerire.
La maledizione stava divenendo un tutt’uno con l’uomo che la ospitava .
Tuttavia, Rhaegar era forte, era sempre più forte, Arthur lo sapeva: la sua mente sembrava comunque sempre trovare il modo di isolarsi e di non risentire in maniera irreversibile di quel tormento che cercava di piegarla e sottometterla.
La situazione in cui si trovavano di certo non aiutava, inoltre.
La Spada dell’Alba non nutriva dubbi riguardo all’efficacia dei “metodi” alternativi utilizzati dai guaritori di Dorne. D’altronde, la sua città era l’intermezzo più vicino e il collegamento più prossimo che i sette regni avevano con Essos e la magia antica che quelle terre veicolavano.
Il ragazzo, dagli occhi contornati di nero affilati e le iridi vivaci e scure come due gemme di pece, fece chiudere le palpebre a Rhaegar e si avvicinò a lui, facendogli respirare alcuni fumi in particolare, dall’odore pungente.
Il principe non sembrò avere alcuna rezione a ciò.
Quando il giovane si dispose dietro di lui e cominciò ad esercitare una particolare pressione su due zone specifiche del collo del drago, marmoree e tese come una corda d’arpa, quest’ultimo sussultò visibilmente, emettendo un verso a metà tra il fastidio e il sollievo.
Il ragazzo spinse ancora con le dita esperte su quei punti, compiendo dei movimenti quasi ipnotici sul collo e la schiena del giovane drago, coperta dagli abiti di tela leggera di ottima fattura.
I suoi movimenti erano a metà tra dei massaggi e i colpi netti di uno scultore sulla sua statua di creta plasmabile.
Ad un tratto, cominciò a sussurrare qualcosa tra sè, in una lingua semisconosciuta, forse con delle contaminazioni di valyriano.
Rhaegar sembrò parzialmente comprendere ciò che egli diceva, mentre si lasciava maneggiare ad occhi serrati.
Alla fine, per completare il rito, il giovane dagli occhi vispi e magnetici gli afferrò il collo con entrambe le mani colme di anelli e glielo flettè improvvisamente da un lato, poi dall’altro in modo quasi innaturale, facendogli poi compiere degli ampi giri circolari.
Se solo avesse applicato un minimo di forza in più, avrebbe potuto ucciderlo in meno di un secondo con quel movimento.
Se Arthur non si fosse fidato ciecamente dei suoi conterranei e della famiglia Martell, avrebbe di certo estratto istintivamente Alba dal suo fodero sul fianco.
Nonostante il vigore che stava applicando per muoverlo e maneggiarlo, un’energia evidentemente richiesta dalla procedura, lo schiavo stava utilizzando un tocco estremamente delicato e riverente nei confronti di Rhaegar.
Quando, con le dita della mano, scese verso il basso, percorrando tutta la lunghezza della sua sua spina dorsale in lungo, per poi tornare verso l’alto e sfiorargli per l’ennesima volta i capelli legati, Rhaegar sembrò risvegliarsi improvvisamente da una sorta di sonnambulismo, apparentemente prima di quanto il giovane schiavo si aspettasse: spalancò i grandi occhi accecanti di scatto e ansimò di spavento, afferrando il braccio del ragazzo dietro di sè ad una velocità tale che, nè Arthur nè lo schiavo stesso, furono in grando di registrarlo.
Si immobilizzarono.
Quando Rhaegar sembrò tornare in sè, dopo qualche secondo, lasciò andare il polso dell’altro, cercando di regolarizzare il respiro.
- Che cosa hai visto? – non tardò a domandargli Arthur avvicinandosi.
- Nulla. Ero come assente – rispose il principe, massaggiandosi la fronte mentre il ragazzo tornava a sedersi dinnanzi a lui. – Sembrano essersene andate. O, per lo meno, ora le sento molto più lontane, come se non riuscissero a raggiungermi – disse rivolgendosi allo schiavo. – Come hai fatto?
- Ammetto che non è stato facile – rispose il ragazzo con sincerità. – Non avevo mai avuto a che fare prima con qualcuno come voi, mio principe.
La principessa Elia ci ha informati riguardo la vostra problematica; tuttavia ... le energie che mi sono trovato a fronteggiare quando ho provato a penetrare di poco l’aura che scherma la vostra mente, erano estremamente resistenti e negative.
Hanno provato a consumare anche me quando sono riuscito a mettermi in contatto con voi. Vi posseggono.
Grazie all’aiuto degli dèi, sono riuscito a tenerle a bada, per ora.
Dovremo fare altre sedute nei prossimi giorni, quando si ripresenteranno.
- Non so come ringraziarti – gli disse il giovane drago rivolgendogli uno sguardo di puro riconoscimento. Finalmente, il suo viso era lievemente più rilassato rispetto a prima.
- Non dovete ringraziarmi, mio signore. Sono stato incaricato di fare questo, di allietare le vostre pene, di compiacervi e servirvi, tutti noi lo siamo stati.
Dunque, di qualsiasi cosa abbiate bisogno, non esitate a rivolgervi a me.
Arthur, oramai sul punto di intervenire per condurre una volta per tutte Rhaegar nella sua stanza, venne anticipato da un messo che giunse in gran fretta nella stanza.
- Abbiamo appena ricevuto notizie da Nord!
- Quali notizie?? – si affrettò a chiedere Rhaegar rimettendosi in piedi.
- Brandon Stark, non appena ha saputo del rapimento della sorella da parte vostra, ha cambiato direzione, e invece di dirigersi a Delta delle Acque per sposare Catelyn Tully, si è diretto verso Approdo del re con tre suoi compagni. A quanto sappiamo, la sua intenzione è quella di affrontarvi per riprendersi lady Lyanna; in quanto egli non sa che non siete ad Approdo del re.
- Come ci aspettavamo che accadesse – commentò Arthur, cercando di rassicurare il principe, ma non riuscendo a fare a meno di rabbuiarsi a sua volta.
- Sì – rispose anche Rhaegar, riflettendo per qualche secondo. – Lyanna ... – sussurrò poi, in tono allarmato, prendendo a camminare a gran velocità fuori dalla stanza, diretto verso quella della giovane lupa.
Non appena il principe drago arrivò nella stanza della fanciulla, trovò la porta già aperta.
Ella era seduta sull’enorme materasso della stanza, accasciata su se stessa quasi innaturalmente, simile ad un animale in cattività. La testa colma di lunghe e spesse ciocche nere sciolte, completamente riverse verso il basso come tentacoli, le mani piccole e tirate che trattenevano il capo, con le unghie affondate dolorosamente nella fronte.
Tremava e piangeva silenziosamente, senza dire una parola.
- Lyanna ... – tentò, con voce afflitta e col massimo della discrezione, varcando la porta della stanza.
Ella non rispose, restando nella stessa posizione.
A ciò, Rhaegar avanzò ancora, rimanendo a debita distanza da lei, dall’altra parte del letto. – Lyanna, così vi farete del male. Alzatevi, vi prego.
Ancora nessuna risposta.
- Guardatemi – le chiese.
- Perchè dovrei ...? – rispose ella con voce rauca e distorta, un timbro che non aveva mai sentito da lei. – Perchè dovrei, dopo che, in quattro giorni interi, non mi avete degnata nemmeno di un briciolo di misera considerazione...?
- Avete ragione.
A quel punto, Lyanna alzò finalmente il volto, volgendo lo sguardo stralunato e distrutto verso la causa di tutti i suoi mali.
- Non sarebbe successo nulla se non ti avessi mai conosciuto ... Non sarebbe accaduto nulla di tutto questo, se non fossi entrata in quella locanda quella sera ... Ora non sarei qui e la mia famiglia non sarebbe sul punto di scatenare una guerra suicida se solo non avessi ... se solo non avessi voluto seguire Brandon quella sera, per passare una manciata di ore in più in sua compagnia!!! – urlò scattando in piedi, facendo uscire fuori tutta la sua rabbia.
- Mi hai rovinato la vita ... hai rovinato tutta la mia vita, tutti i miei piani, i miei progetti ...
Rhagear rimase fermo, in silenzio, ad ascoltarla.
- Quale razza di creatura mostruosa e maledetta sei tu, Rhaegar Targaryen...!? Tutto ciò che incrocia il tuo cammino diventa preda della dannazione che porti con te!
La lasciò sfogarsi, come era giusto che fosse, restando immobile, preda della sua rabbia cieca.
- Ora, mio fratello è diretto ad Approdo del re, credendo di trovarti, di trovarMI lì. E invece, troverà solo tuo padre. E solo gli dèi sanno cosa gli succederà poi!! Mio fratello, Rhaegar!! Il mio fratello maggiore! Colui che mi ha sempre fatto da padre quando il mio era troppo impegnato in tutt’altro per curarsi di me! Colui che sarebbe disposto a farmi scudo col suo corpo pur di proteggermi!!!
- Hai ragione. Hai ragione su tutto – le rispose, mentre ella riprendeva fiato prima di inveirgli di nuovo contro, e piangeva, al contempo.
- Per quale motivo mi hai portata qui...? Per quale dannato motivo mi hai fatta portare qui?!?! – esclamò piangendo e stringendosi i capelli fino a strapparseli quasi.
- La mia famiglia sta soffrendo!! Sta soffrendo per me!! – esclamò saltando in piedi sul letto per avvicinarsi a lui e per riuscire a fronteggiarlo dall’alto, da privilegiata, da una prospettiva di cui non aveva mai avuto la fortuna di usufruire.
Avanzò, affondando i piedi nel morbido materasso, che ora le sembrava coperto di bracieri ardenti. – Tu!! Tu hai potuto salutarli!!! Tu hai potuto dire loro addio!!! Mentre io ... io non ho potuto neanche ...!! Io non ho potuto dire loro le mie ultime parole, prima di fuggire da loro!! Non è giusto!!
Questo non è giusto!!! Perchè?!? Perchè è accaduto tutto questo?!?
- Lyanna ... – tentò egli, venendo subito zittito da lei con un dito puntatogli contro.
Oramai la giovane lupa iraconda era in piedi sul bordo del letto, esattamente ad una manciata di centimetri da lui.
Ella lo guardò negli occhi, sorridendo di rabbia e di disperazione.
- Voi mi avete portato qui ... solo per fecondarmi, giusto...?
Sono stata costretta a disonorare, a ferire e ad abbandonare la mia famiglia, che amo più di ogni cosa, solo per portare in grembo il salvatore dell’umanità profetizzato da un’indovina, giusto...?
Rhaegar rimase in silenzio a quelle parole, sapendo che, qualsiasi sillaba avesse esalato, avrebbe rischiato di attizzare maggiormente quel fuoco distruttivo e divampante che era la giovane ragazza dinnanzi a lui.
- Che cosa aspettate, allora ...? – sussurrò tagliente e sdegnosa. – Cosa aspettate per fare quello che dovete fare...? Infondo, siete obbligato dal Fato anche voi, esattamente come me, giusto...? Avanti, allora!
Rhaegar indietreggiò, sgranando gli occhi per la rabbia che sentiva montargli dentro a sua volta, e il disprezzo per le parole che aveva appena udito. – Non dite mai più qualcosa di simile, vi supplico. Voi non siete un capo di bestiame, un semplice contenitore da utilizzare e da gettare! Non parlate mai più così di voi stessa e del vostro corpo!
- Ma è a questo che servirò!
- No!
- A cosa allora?!? – gli urlò contro, sporgendosi ancor di più verso di lui. – A cosa vi servirò?? Voi non mi volete qui! Non mi avete neanche mai lontanamente voluto accanto! E fate bene! La vostra vita è altrove!! Se è questo che alla fin fine dovrete farmi, ingravidarmi per permettere al sangue del ghiaccio e del fuoco di mischiarsi e al salvatore dei sette regni di venire al mondo, allora che cosa aspettate?!?
- No!!
A ciò, Lyanna sorrise di rabbia e amarezza. – Oh, se siete reticente perchè avete paura di fare violenza sul mio corpo, che io non lo voglia, vi rassicuro su questo: vi desidero dal torneo di Harrenhal e lo sapete bene! Perciò non temete! Avanti! Fatevi avanti!! – lo sfidò, sull’orlo dell’esasperazione.
- Avete bisogno di calmarvi ora!!
- Io non ho bisogno di niente!! Ho solo bisogno di sapere che la mia famiglia starà bene e che a mio fratello non succederà nulla di male!!
- Lo sapete che non posso promettervelo!
- Non voglio più avervi dinnanzi alla mia vista!!
- Lyanna...!
- No!! Vorrei odiarvi!!! Non avete neanche idea di quanto io desideri odiarvi ora, ma non ci riesco!!! Che cosa mi avete fatto?!? Che cosa mi avete fatto???
Anche gli occhi del principe drago si fecero lucidi nel vederla in quello stato e nel non poter far nulla per aiutarla, consolarla, farla stare meglio, anche solo di poco.
I suoi occhi esprimevano tutta la frustrazione, l’amarezza, la rabbia e il senso di colpa viscerale che lo divoravano, pezzo per pezzo.
Quando Lyanna se ne accorse, la sua crisi di pianto aumentò ancor di più. - Prendetemi ora o mai più. Prima lo faremo, prima saprò che avrò compiuto ciò per cui stiamo facendo tutto questo. Prendetemi nel modo più violento possibile e fatemi dimenticare tutto il dolore che sto provando ora ... – gli disse con voce svuotata, abbassandosi verso di lui, circondandogli il collo con un braccio per trascinarlo più vicino a sè.
Ma egli la allontanò come scottato, prontamente e senza esitazione, gesto al quale Lyanna rispose istintivamente con uno schiaffo in pieno volto.
Il principe drago rimase fermo dov’era, con il volto girato da un lato, mentre la giovane lupa si lasciò cadere sul letto, accartocciandosi su se stessa e seppellendo il viso tra le mani, urlando e piangendovi dentro. – Se non volete ingravidarmi e fare ciò per cui siete qui, allora uscite immediatamente dalla mia vista!!
A ciò, Rhaegar si decise a lasciare la stanza, lasciandola sola con il suo dolore.
 
Brandon preparò il suo destriero per il viaggio, sfregandosi le mani tra loro, per evitare che si ghiacciassero troppo.
Riconobbe immediatamente i passi dietro di lui, sottili e impetuosi insieme, in un modo tutto loro.
- Il lieve strato di neve a terra non ti ha fermata dal venire a rovinarmi la mattinata prima della partenza, vero, cara sorella? – domandò il ragazzo con un sorriso sornione ad ornargli il viso, senza ancora voltarsi verso di lei.
La sentì sorridere e avvicinarsi al cavallo.
- Dunque, entro qualche giorno, sarai un uomo impegnato – commentò la giovane lupa, carezzando la criniera del fidato cavallo di Brandon. – Dovrò avvertire tutte le tue spasimanti disseminate in ogni angolo del Nord che dovranno mettersi l’anima in pace. Quanti cuori spezzati.
Quest’ultimo sorrise divertito, guardandola di sottecchi. – Mi dispiace che non verrai con me.
Lyanna alzò le spalle in risposta, cercando di nascondere il suo sguardo afflitto. – Non verrà nessuno di noi, d’altronde. Mi sarebbe piaciuto vedere te e Catelyn. Lei mi piace, lo sai. E ti ama. E tu ami lei. Siete praticamente perfetti insieme – disse voltandosi a guardarlo, accennandogli un sorriso sincero velato da una patina di tristezza che a Brandon non sfuggì.
- No, Bran, non guardarmi così. Non chiedermi che cos’ho, di nuovo, come hai fatto negli ultimi mesi, per favore – lo pregò, facendolo sorridere.
- Ricordi cosa ti dissi la sera del banchetto di inaugurazione del torneo di Harrenhal, prima di andare? – le domandò inaspettatamente.
- Che ero cresciuta e che, dentro quell’abito spezza-busto, per una volta non sembravo la solita bambina brava solo a combinare guai.
Brandon vi pensò su, sorridendo di nuovo.
Lyanna pensò che sarebbe rimasta a guardare il suo sorriso per ore, proprio come quando era piccola e lui rideva per le sue marachelle fino a farsi venire il mal di stomaco, e solo dopo aver riso abbastanza la sgridava e la rimetteva in riga.
Il sorriso di Bran la rassicurava e la rendeva felice, sempre.
- Non ricordo di aver usato esattamente queste parole, ma ... in ogni caso, no, non intendevo questo – le disse, per poi porre le mani sulle sue spalle e continuare. – Ti dissi di mostrare a Robert quanto tu fossi forte e indipendente.
Ti dissi che, quella sera, quando mi hai accompagnato alla locanda, hai scoperto qualcosa di te, e che non avresti dovuto aver paura di ciò che ti ha aiutata a crescere e a maturare.
- Mi dissi di ricordarmelo e di non averne paura.
Di non avere mai paura di espormi – aggiunse Lyanna, tremando al solo ricordo dell’effetto che le avevano provocato quelle parole.
- Ti dissi di fidarti delle mie parole.
Di non temere di soffrire, neanche per chi, forse, non se lo merita.
Che, in ogni caso, sarà ...-
- ... sarà sempre una vittoria – concluse ella, sorridendogli con gli occhi lucidi.
- Esatto – le rispose lui, sorridendole ancora e avvicinandosi a lei, lasciandole un dolce bacio sulla fronte. – Sarà sempre una vittoria, Lya. Ricordatelo sempre. Tu sei una vittoria – le sussurrò, per poi montare sul suo destriero. – A presto, sorellina – la salutò partendo al galoppo seguito dai suoi compagni, allontanandosi da Grande Inverno.
Le lacrime calde cominciarono a scendere incontrollabili, bagnando le guance della fanciulla.
- Ti rivedrò, fratello mio.
Non importa cosa mi costerà, io ti rivedrò ancora.
Perchè, senza di te, non so più a cosa mirare.
 
 
 

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Capitolo 18
*** - Fuga a Dorne – PARTE 2 Desideri della carne ***


- Fuga a Dorne – PARTE 2
Desideri della carne
 
Dopo la sfuriata della giovane lupa alla notizia di suo fratello diretto ad Approdo del re e la litigata con il principe drago, dovettero intervenire alcuni membri della servitù, in compagnia di Arthur e Ashara, per calmarla.
In seguito a tale evento, Doran ritenne di dover fare qualcosa di concreto per essere di aiuto alla sua ospite, in qualche modo. O meglio, nell’unico modo che conosceva, il solo che si era rivelato ottimale e infallibile in ogni occasione in cui lo aveva utilizzato.
Era indubbio che Dorne, la sua meravigliosa ed esotica terra, fosse conosciuta per i piaceri della carne.
Ogni inibizione, preconcetto e convenzione riguardo la sessualità e l’intimità, adottata nei sette regni, a Nord come a Sud, era quasi totalemente scardinata dalla terra del sole.
Era certo che il principe Rhaegar non avesse avuto modo di sperimentare ciò in prima persona, nonostante avesse per moglie Elia, in quanto era sicuro che sua sorella si fosse totalmente amalgamata alle usanze consetudinarie che vi erano fuori da Dorne, soprattutto considerando che fosse andata in sposa a niente meno che l’erede al trono dei sette regni.
Nonostante la giovane età, prima del fidanzamento improvviso con Rhaegar Targaryen, Elia aveva avuto numerosi partner sessuali, come la maggior parte delle fanciulle dorniane.
Ella non aveva mai avuto una preferenza in particolare sugli uomini che giacevano con lei, così come non aveva mai preteso delle attenzioni particolari, nè tanto meno fedeltà da parte loro.
Tutto ciò, prima che arrivasse il principe drago nella sua vita, a sconvelgerla da capo a piedi.
Dunque, Rhaegar l’avrebbe sperimentato ora, così come l’avrebbe sperimentato la giovane Stark.
Andavano placati e calmati i tormentati animi di entrambi.
D’altronde, avevano notato tutti quanto fossero tesi i rapporti tra i due, giunti a Dorne.
La giovane lupa, in particolar modo, sarebbe caduta presto in una crisi nervosa senza precedenti se nessuno fosse intervenuto.
Fu per tale motivo che, quella sera, la seconda sera che Lyanna trascorse al castello dei Martell, chiusasi in quella camera grande e troppo luminosa, in totale contrasto con il suo umore, la giovane sentì bussare alla porta.
Quando andò ad aprire in leggera vestaglia da notte, convinta si trattasse sempre dell’incaricato di portarle i pasti, spalancò i tondi occhi di tempesta non appena intravide ben altre presenze.
- Chi ... chi siete voi? – domandò la fanciulla al gruppo di giovani bellezze semisvestite giunte alla porta della sua stanza.
Osservandole, arrossendo lievemente per la loro seminudità che emergeva dai veli che indossavano, Lyanna si accorse che fossero tutte donne, se non per la presenza di un solo ragazzo tra loro, bello almeno quanto loro, se non di più.
Colei che era davanti a tutte, le sorrise con estrema confidenza. Si trattava di una fanciulla dalla pelle olivastra, dai corti capelli ricci color cacao, il volto piccolo e androgino, due occhi da cerbiatta dalle seducenti iridi nocciola, una piccola bocca a cuore e il corpo tonico e poco curvilineo, ma non per questo meno attraente, anzi, su di lei era un valore aggiunto.
- Siamo qui per servirvi – le disse senza filtri la ragazza, con voce carezzevole e candida, la quale non si addiceva ai suoi modi voluttuosi.
Non capendo ancora pienamente per quale motivo quei bellissimi schiavi fossero proprio alla sua porta, Lyanna indietreggiò di un passo, portando istintivamente le braccia bianche a nascondere inutilmente il busto coperto solamente da quella sottile vestaglia di seta pervinca.
- Non capisco ... – sussurrò incerta.
- Il principe Doran ci ha personalmente incaricate di portarvi il suo dono – commentò un’altra di loro, dai capelli più lunghi e la pelle più scura della prima.
- Quale dono...?
- Noi – rispose senza esitazione una terza schiava.
A ciò, Lyanna sgranò gli occhi costernata, distogliendo lo sguardo incosciamente. - Che cosa vorrebbe dire questo ...?
- Il nostro signore ritiene che abbiate bisogno di ... distrarvi un po’ da tutti i pensieri turbinosi e cupi che vi vorticano in testa al momento. Tutti abbiamo bisogno di svagarci un po’, di tanto in tanto – spiegò la schiava che le aveva parlato per prima, riprendendosi la sua attenzione, avanzando di qualche passo. – Non siete d’accordo, milady? E quale modo migliore per far svuotare la mente se non quello di sfruttare i piaceri della carne e i bei corpi che gli dèi ci hanno tanto generosamente donato?
- Ma ... – balbettò Lyanna indietreggiando ancora, mentre anche le altre quattro e l’unico ragazzo entravano nella stanza. Non sapeva se considerare ciò un’offesa, un affronto a Rhaegar o qualcos’altro. Sapeva che ciò che era solitamente considerato inadeguato, impertinente ed eccessivo nel rapporto tra uomo e donna a Westeros, non lo fosse affatto a Dorne. Dunque, ciò che stava succedendo doveva essere normale per loro. Forse, davvero il principe Doran credeva di poterla aiutare in quel modo.
Aiutarla a non pensare ... a non pensare a Brandon, a non pensare alla sua famiglia. A non pensare a Rhaegar.
- Voi pensate troppo – le disse canzonatoria la ragazza dai capelli corti.
No, in realtà non stava pensando affatto. Quelle nuove e sconosciute presenze nella sua stanza non le stavano permettendo di fare un ragionamento sensato ...
- ... perchè il vostro principe ha deciso di mandare quasi solo donne se anche io sono una donna? – decise di domandare il quesito che più di tutti le martellava nella mente, nel modo più innocente possibile, facendo sorridere tutti gli altri.
- Il nostro signore crede che provare qualcosa di nuovo e che difficilmente proverete ancora, potesse contribuire a rendere l’esperienza il più elettrizzante, rigenerante e catalizzante possibile – fu l’unico ragazzo a rispondere questa volta.
- Ma... come sapete che io...
Lyanna arrivò a sedersi sullo spazioso letto nel quale aveva poltrito per due giorni, poichè lo spazio per indietreggiare era terminato.
A ciò, la schiava dai capelli corti le rivolse l’ennesimo sguardo seducente, persino più provocatorio di quelli di prima, tirando fuori da uno dei veli che le copriva qualche piccola porzione di corpo una boccetta con del denso liquido incolore all’interno. - Confidiamo nel fatto che l’atmosfera che creeremo intorno a voi, i nostri corpi desiderabili e le nostra navigata esperienza in materia possano contribuire a farvelo piacere. Altrimenti ... – disse scuotendo lievemente la boccetta che aveva in mano, prima di riprendere. - ... avremo bisogno di un piccolo aiutino. Nulla di troppo invasivo e annebbiante, non temete.
Dunque, quello che la ragazza aveva in mano doveva essere un lieve afrodisiaco.
A tale consapevolezza, Lyanna arrossì immediatamente, facendo ancora sorridere la ragazza che maggiormente stava comunciando con lei, mentre gli altri, gradualmente, si stavano spogliando.
- Io mi chiamo Ryash – si presentò ella, prendendo posto sul letto accanto a lei.
- ... Lyanna.
Ryash sorrise e Lyanna notò solo in quel momento quanto sembrasse più piccola quando sorrideva. – Lo so come vi chiamate, lady Lyanna. Posso parlarvi in modo informale, ora che siamo in intimità?
- Ma non siamo ancora in intimità ...
- Ma tra poco lo saremo. Questa è la prima volta per te, Lyanna, non è vero?
Dopo qualche secondo di reticenza, la giovane lupa si arrese, abbassò di poco le sue difese, alzò lo sguardo su di lei e annuì timidamente.
- Sai, non sono mai stata con una ragazza del Nord, provieniente da quelle lande gelide di cui ho solo sentito storie su storie tremende.
Storie di mostri, di giganti, di selvaggi, di non-morti, di tempeste mangia- uomini.
- Stai parlando dell’estremo Nord, oltre la Barriera. Io non provengo da lì. Quel luogo è abitato solo dai bruti e da creature indefinite. Il luogo in cui sono nata e cresciuta è Grande Inverno.
- La Barriera ... credo di averne già sentito parlare una volta. Ma non credevo esistesse veramente. La Barriera è quel luogo presidiato dai guerrieri vestiti di nero che hanno il divieto di dormire con le donne?
- Sì. La Barriera esiste davvero. Così come esistono davvero i guerrieri vestiti di nero di cui hai sentito parlare – le confermò, sorridendo tra sè per quella bizzarra descrizione ricevuta da Ryash, rilassandosi un po’.
- Ho sentito anche parlare di voi donne e uomini del Nord. Si dice siate gelidi e rigidi come le temperature nelle quali siete abituati a vivere.
La pelle bianca come il latte ... – le sussurrò accarezzandole le spalle delicate e nude, per poi catalizzare l’attenzione sui capelli, spostandole una ciocca dietro l’orecchio. – La chioma corvina, nera come l’inchiostro ... – poi passò agli occhi. – Le iridi di ghiaccio ... e le labbra rosse e carnose.
- Non siamo tutti così ... – balbettò Lyanna, sfuggendo al suo sguardo voluttuoso. - Non abbiamo tutti questo aspetto e questo atteggiamento ...
- Sei bellissima, Lyanna. Lo sai?
Quelle parole la fecero arrivare all’apice dell’imbarazzo, rendendo le sue guance infiammate.
Glielo aveva mai detto nessuno, eccetto Robert, accecato da una riverenza immotivata, o i suoi fratelli, poichè erano suoi fratelli?
Qualcuno le aveva mai detto qualcosa di simile con tale sincerità e spontaneità, con quella dolcezza ipnotica nella voce?
Forse quella ragazza era stata costretta a dirlo.
Le era stato ordinato di trovarsi lì, a sedurla, a farla sciogliere.
Eppure ... quelle parole, in quel particolare momento di debolezza e di subbuglio della sua vita, furono in grado di scaldarle il cuore.
La mano gentile e setosa della ragazza vagava ancora sulla sua pelle, in una discreta esplorazione.
Ella non avrebbe fatto nulla che lei non avesse voluto e che l’avesse fatta sentire scomoda, Lyanna ne era certa.
Si concentrò sul percorso di quelle dita sulla propria pelle chiudendo gli occhi.
Quando lì riaprì, Ryash era nuda accanto a lei.
Era magra, slanciata, tonica e perfetta.
La sua pelle olivastra, i suoi seni piccoli, la sua vita snella e piatta e le sue gambe lunghe avrebbero fatto sicuramente impazzire di lussuria gli occhi e le mani di qualsiasi uomo.
L’invidia per quel corpo fece capolino mentre la guardava, un sentimento così inadeguato in un momento come quello.
Ryash, inconsapevole, le sorrise, allungando con cautela le mani sulle spalline della sua vestaglia, facendole scorrere lentamente giù, fino alle braccia della giovane Stark, fin quando l’indumento non le scivolò addosso, lasciandole la parte superiore del corpo nuda, a sua volta.
Lo sguardo bruciante di Ryash sui suoi seni tondi e prosperosi, non seppe cosa le provocò esattamente.
Piacere? Esaltazione? Sicurezza in se stessa?
Nessuno l’aveva mai vista nuda, e ciò la faceva sentire estremamente a disagio.
Eppure, quella ragazza era in grado di metterla a suo agio come nessun altro vi era mai riuscito.
Poi, quando finalmente giunse il momento tanto temuto, e Ryash si avvicinò con il volto a lei, sovrastandola e poggiando le labbra sulle sue fredde, tremanti e inesperte, Lyanna si immobilizzò, quasi congelandosi.
Non se lo aspettava così, il suo primo bacio.
L’aveva immaginato e sognato più e più volte, con colui che dominava incontrastato i suoi pensieri da oramai un anno.
Se il primo contatto lo avesse avuto con lui, avrebbe provato le stesse sensazioni che stava provando in quel momento con Ryash, o sarebbe stato diverso, più forte e più intenso? Che cosa stava provando, esattamente, in quel momento?
Lui non c’era, ora.
Lui non c’era, e, al suo posto, c’era una ragazza che le stava dedicando tutte le attenzioni possibili, ricoprendola di riguardo e riverenza, e facendo di tutto per farla sentire bene e rilassarla.
Una ragazza bellissima, che ora la stava toccando come aveva sempre immaginato sarebbe stata toccata da un uomo.
Quando la bocca incollata alla sua provò, senza fretta, a muoversi e a violarle le labbra con la lingua umida, Lyanna si staccò di colpo, senza allontanarsi.
- Scusami ... – le disse imbarazzata, non sapendo come bisognasse comportarsi, rossa in volto.
- Non devi scusarti – la rassicurò Ryash accarezzandole una guancia. – Abbiamo tutto il tempo del mondo.
All’improvviso, mentre Ryash la sovrastava, Lyanna prese improvvisamente coscienza dell’ambiente intorno a lei, dal quale si era isolata durante gli ultimi minuti.
Dei suoni distinti e non più ovattati, le giunsero alle orecchie, suoni lascivi e bagnati, che le fecero venire una tremenda voglia di sporgersi oltre il corpo della ragazza, per osservare cosa stesse avvenendo dietro di lei, sopra il letto.
Le sue iridi curiose e improvvisamente fameliche si puntarono sul ragazzo nudo piegato sopra il letto, completamente riverso su un’altra delle fanciulle, la quale lo stava trascinando a sè, standogli avvinghiata addosso assetata, con le gambe nude agganciate sul corpo lungo e atletico di lui, dalle forme spigolose e meravigliose da guardare agli occhi della giovane lupa, la quale non riusciva a staccare gli occhi da quella scena.
Egli, con le mani esperte, si aggrappò alle cosce di lei avvinghiate ai suoi fianchi, e si inarcò sulla ragazza, sdraiata sul letto, la quale aveva le braccia strette alla sua schiena, anch’ella nuda.
I loro respiri intensi e febbricitanti si mischiarono, così come i loro mugolii e ansimi, mentre le loro lingue vorticavano invadendo la bocca l’uno dell’altra in una battaglia all’ultimo sangue, in una danza magnetica e sensuale.
- Ti piace quello che stai guardando? – le domandò improvvisamente Ryash, con voce suadente, riscuotendola. – Puoi continuare a guardare loro, se ti piacciono tanto, mentre io penso a te ... – le sibilò dritto nell’orecchio, leccandole il lobo e facendola tremare, mentre ella continuava a fissare i due, incantata.
Il movimento che seguì, fu qualcosa che stregò e al contempo spaventò la giovane lupa: la ragazza sospirò di godimento, inarcandosi totalmente sulle coperte, mentre lui compiva un movimento con i fianchi seducente e rude al contempo, un misto tra una cavalcata e una danza.
Ella lo seguiva in quel turbinio di movimenti cadenzati e sciolti, nel ritmo di quelle stoccate bagnate e vigorose.
Allora era così che accadeva ... tra un uomo e una donna.
Si rese conto di star sospirando anche lei mentre continuava a fissarli, solamente quando realizzò anche che la bocca esploratrice di Ryash su di sè avesse cominciato a portare avanti il suo viaggio verso il basso, passando dalla bocca, al collo, sino ai seni.
La ragazza gliene stava succhiando una e palpando un’altra con la mano, ma Lyanna continuava a restare concentrata sulla scena dinnanzi a sè, la quale stava pervenendo ad un crescendo continuo.
C’era qualcosa che non andava.
Sentiva ci fosse qualcosa che non andasse, mentre Ryash continuava a toccarle quelle zone delicate, provocandole un piacere vacuo, forzato.
Si sentiva scomoda nel fissare quella scena indubbiamente ipnotica dinnanzi a lei, nel venire toccata in quel modo così intimo, per la prima volta, mentre vi era un altro desiderio represso in lei, un desiderio talmente ardente da farle perdere la ragione, talvolta.
Il desiderio rivolto tutto verso una persona in particolare, la quale non si trovava in quella camera, ma a qualche stanza di distanza.
Si sentiva bagnata, troppo bagnata, immersa in quella saliva, scomoda anch’essa.
Poi, avvenne qualcosa che le fece comprendere di non poter continuare: il ragazzo di fronte a lei, che stava cavalcando passionalmente la fanciulla sotto di lui, con il volto accaldato e provocante, si voltò verso di lei, sicuramente accortosi che ella li stava fissando da un po’ oramai.
Egli le sorrise, puntando i suoi occhi scuri sui suoi di ghiaccio, e fu lì, che Lyanna si irrigidì inevitabilmente. Fu quando vide dei diamanti viola incandescenti sostituirsi a quelli dello schiavo, un corpo che immaginava differente da quello del ragazzo di fronte a lei rimpiazzarlo, così come quella sudata pelle olivastra improvvisamente schiarirsi e divenire d’avorio.
- Non ce la faccio ... – sussurrò Lyanna serrando immediatamente gli occhi e allontanandosi un po’ dalla bocca divoratrice di Ryash. – Non ce la faccio ... mi dispiace ... – ripetè.
- Non preoccuparti, è normale essere spaventati – la rassicurò ella con la sua abituale voce suadente. – Devi solo abituarti – aggiunse allungando una mano verso il comodino sopra il quale aveva lasciato la boccetta chiusa e prendendola. – Possiamo usare un aiutino. Non temere, ne bastano poche gocce per farti sciogliere – le disse aprendola con una mano e avvicinandola alla bocca della giovane lupa, la quale la guardò dapprima diffidente.
Sentiva di star sbagliando.
Sentiva che, molto probabilmente, se ne sarebbe pentita.
Tuttavia ... tuttavia, ripensò a Brandon e al dolore che le risucchiava le viscere al solo pensiero di saperlo diretto ad Approdo. Pensò a Ned divorato dall’ansia, intento a cercarla. Pensò a Benjen, improvvisamente allontanatosi dal suo sogno di diventare un Guardiano della Notte per colpa sua, per la preoccupazione per la sua sparizione. Pensò a quei due giorni interi che aveva passato chiusa in quella stanza, sola e isolata, con i suoi terrori e i suoi rimorsi.
Poi pensò ancora a lui.
A colui che le aveva sconvolto la vita, senza avvertirla su quanto sarebbe stata pericolosa e catastrofica la sua sola vicinanza.
Pensò alla litigata che avevano avuto il giorno prima, alle cose terribili che si pentiva di avergli urlato addosso.
Pensò al fatto che non la volesse, e che non l’avrebbe mai voluta.
Allora, si decise.
Avrebbe svuotato la mente da tutti i pensieri.
Avrebbe trovato la via di fuga a tutto il suo dolore, in tal modo.
Prese la boccetta dalle mani di Ryash e ne bevve qualche sorso, sentendo quel liquido denso percorrerle la gola quasi bollente.
Inghiottì, non percependone nemmeno il sapore sulla lingua.
A ciò, Ryash sorrise, le prese la boccetta dalle mani per riappoggiarla sul comodino, e riprese a dedicarsi al corpo della giovane lupa.
Le sfilò finalmente tutta la vestaglia, facendola scendere giù per le gambe, e le aprì le cosce con lentezza.
Lyanna percepì un incompente calore risalirle sulle zone basse, un po’ per l’afrodisiaco che stava facendo effetto, un po’ per sentirsi così esposta senza preavviso.
Ma proprio nel momento in cui il volto di Ryash stava per affondare tra le sue gambe, un improvviso pensiero colpì come un fulmine a ciel sereno la mente della giovane Stark.
Un pensiero che sarebbe dovuto sopraggiungere già ben prima di quel momento.
- Ryash ... – la richiamò ansimando a causa dell’effetto dell’afrodisiaco.
- Sì? – le rispose questa bloccandosi col viso ad una spanna dalla sua apertura, rialzandolo verso di lei.
- Il tuo signore ... il tuo signore ha ordinato che venisse fatto lo stesso anche con il principe Rhaegar ...? Si sono presentati degli schiavi di piacere anche alla sua porta...? - domandò improvvisamente angustiata.
Notando tale cambio drastico di umore, Ryash cercò di farla rilassare ancora, prendendole una mano e stringendola sulla sua. – Non pensate a lui ora ... – le rispose semplicemente, riprendendo la sua discesa verso l’antro caldo della giovane lupa.
- Dunque è così ... anche lui ora è con loro ... – constatò amaramente, percependo un soffocante groppo in gola mozzarle il fiato, un fastidio misto a rabbia e a qualcosa di ben distinto, ma che non ebbe il coraggio di ammettere a se stessa, accartocciarle lo stomaco e farle svanire qualsiasi desiderio o piacere effimero stava provando fino a quel momento.
Il solo figurarsi nella mente un’immagine simile, la mise totalmente in subbuglio.
Quando la lingua umida ed esperta di Ryash si posò sulla sua apertura, provando a compiere dei movimenti lenti e calibrati, il piacere che avrebbe dovuto provare contrastò completamente con lo stato d’animo sopraggiuntole in quel momento, facendole provare solamente una sensazione di sporco e di rigetto.
Strinse le lenzuola leggere sotto i suoi pugni stretti e sbiancati inumanamente, mentre stringeva anche i denti e gli occhi, sottoponendosi a quella che, pian piano, si stava trasformando in una tortura.
- Basta così – interruppe quella discesa nell’al di là, una voce che Lyanna riconobbe dopo qualche secondo in cui riuscì a riprendersi e a realizzare.
La moglie del principe di Dorne, Mellario di Norvos, una donna matura, splendida e sicura di sè, era appena entrata nella stanza, trovandosi dinnanzi a quell’osceno spettacolo.
Ritornando improvvisamente in sè e alla sua abituale ed elevata pudicizia, Lyanna scattò indietro, allontanandosi da Ryash, afferrando immediatamente la vestaglia abbandonata accanto a lei e usandola per coprirsi almeno il minimo indispensabile dinnanzi a Mellario.
- Mia signora ... mi dispiace – le disse, non sapendo neanche il perchè si stesse scusando, dato che la moglie di Doran doveva sicuramente essere in accordo con lui nella decisione di far svagare i loro ospiti in tal modo.
- Ragazze e Derich, uscite dalla stanza e lasciateci sole, grazie – disse gentilmente agli schiavi, i quali eseguirono senza fiatare e se ne uscirono dalla camera.
A ciò, attendendo che Lyanna si rinfilasse la vestaglia, Mellario prese tempo, chiuse la porta dietro di sè e si sedette accanto a lei.
L’imbarazzo per essersi fatta trovare in quel modo non voleva ancora lasciare le guance della ragazza.
- Non dovete vergognarvi per cose simili, milady. Non qui – la rassicurò, sapendo che ciò non sarebbe servito a molto.
Lyanna annuì e abbassò lo sguardo.
- Quando combatto, quando sono un guerriero, vestendo dei panni che non dovrebbero appartenermi, divento un fuoco, un uragano, una bestia feroce e spavalda.
Ma ... quando si tratta di vestire i panni che dovrebbero essermi comodi ... quelli di donna ... non so mai come comportarmi – ammise inaspettatamente la giovane Stark, sorprendendo la donna.
- Eppure, sono entrambi i vostri panni. Vi appartengono allo stesso modo, il vostro lato da guerriera e quello da donna. Non si escludono l’un l’altro, sapete?
- Ma non riesco ... non riesco a gestirli insieme.
Ho il terrore di sbagliare quando mi trovo a calpestare terreni che non conosco ... come in questo caso.
- Siete molto coraggiosa nell’ammetterlo.
- Per quale motivo ci avete interrotti? Non è stato vostro marito ad ordinare loro di fare quello che stavamo per fare? – riuscì a domandarle.
- Sì, è stata un’idea di Doran.
Tuttavia, io non ero d’accordo.
- Come mai?
- Semplicemente, ritengo che una donna debba avere il sacro diritto di perdere la verginità con la persona di cui è innamorata.
Tali parole spiazzarono, imbarazzarono e allietarono insieme Lyanna, la quale sgranò gli occhi.
- E, a quanto pare, avevo ragione – constatò Mellario. – Non eravate a vostro agio e non stavate provando piacere, giusto? Esattamente il contrario di quello che era il proposito di Doran. Egli non conosce le donne abbastanza bene, continuo a ripeterglielo – disse facendo lievemente sorridere la ragazza.
- Tuttavia, continuo a ripetervi che non dovete vergognarvi di qualcosa di tanto naturale come il sesso.
Lyanna arrossì al solo sentir pronunciare quella parola e nel ripensare a ciò che stava per succedere.
- Ho assunto un afrodisiaco ... – disse con voce pregna di senso di colpa.
- Dunque? Cosa vi sarebbe di male? Si tratta di un leggero afrodisiaco, non vi darà effetti strani, di certo non vi farà stare male se non soddisfarrete le vostre voglie. E poi ... non so cosa vi abbiano insegnato a Nord a riguardo, ma non è affatto considerato un male assumere i nostri afrodisiaci, anzi, tutt’altro: non annebbiano i sensi, ma li amplificano, rendendovi più lucida, ma priva di inibizioni e di tutte le paure che prima vi impedivano di agire e di volere.
- Ditemi, Mellario ... anch’egli ora è con qualcuno? – chiese timorosa di udire la risposta, pentendosi subito di averlo domandato.
La donna, capendo immediatamente a chi la ragazza si stesse ovviamente riferendo, sorrise di sottecchi, intenerita. – Ho visto come lo guardate, sapete?
- Non sono certo l’unica.
- Lo siete. Siete l’unica che lo guarda con gli occhi tormentati da un sentimento che scava dentro come un disastro naturale e che fa passare notti insonni.
Gli altri lo guardano con occhi affascinati, gli occhi del desiderio.
Ma solo voi e un’altra donna lo guardate come se, la sua sola assenza, potesse privarvi dell’aria che respirate e costarvi la vita.
- Immagino, dunque, non siate l’unica ad esservene accorta.
- Vi angustia tale consapevolezza?
- No. Mi angustia che sia un sentimento destinato a rimanere a senso unico, insoddisfatto.
- Se può consolarvi, è qualcosa di molto più comune di quanto immaginate, non venire ricambiati – la informò la donna.
- Non avete risposto alla mia domanda – riprese Lyanna dopo qualche attimo di silenzio.
- Cambierebbe qualcosa se confermassi le vostre supposizioni? Vi sentireste meglio nell’averne la certezza?
- No – rispose sinceramente la giovane lupa. – Ma vorrei saperlo ugualmente.
- Doran ha fatto mandare qualcuno anche nelle sue stanze, sì. Non so se sia ancora in compagnia.
Il volto di Lyanna si rabbuiò visibilmente. - Egli, forse, riesce a svuotare la mente in tal modo come Doran crede, al contrario mio.
- I vostri sono due casi diversi, milady. Difatti, se il mio istinto non mente, Doran ha fatto mandare solamente uno schiavo di piacere alla camera del vostro principe.
- Per quale motivo?
- Rhaegar ha molta più esperienza sessuale di voi, Lyanna. Non è la sua prima volta.
Ha già provato ogni tipo di gioia e piacere che può donare il rapporto con una donna.
Per farlo davvero evadere e liberargli la mente, gli serve qualcosa di completamente nuovo e inatteso, esattamente come con voi, ma nel suo caso, per riuscire in ciò, non è necessaria più di una persona, una persona molto esperta e che sa cosa fare e come farlo.
- Se questo può davvero servire a farlo sentire meglio ... – esalò a malincuore la ragazza, sforzandosi di vedere il lato positivo in tutto ciò.
- Tuttavia, vi rivelo qualcosa: potrebbe essere solo una mia impressione, ma sono abbastanza sicura che il principe drago non sia disposto a sperimentare una cosa simile.
Forse, in questo momento, si trova esattamente come vi trovate voi, solo con se stesso sul suo letto, a struggersi per qualcosa che non può cambiare.
- Non fraintendetemi, mia signora. Io penso sempre alla mia famiglia e a quanto mi senta male per essere stata costretta a lasciarli senza dire una parola.
Non era la mia intenzione, quella di “dimenticarmi” temporaneamente di loro grazie a qualcosa come ... ho solo pensato che, forse, avrei davvero potuto svuotare la mente come credono tutti, tramite qualcosa che mi è tanto sconosciuto quanto ...
- Allettante ai vostri occhi? – terminò la frase per lei Mellario. – Il sesso è sempre allettante per coloro che non lo hanno mai provato. Per molti, continua ad esserlo anche dopo.
- Come dovrei agire, secondo voi?
- Dovrete solo attendere che lui venga da voi.
- Non accadrà.
- Abbiate fiducia, Lyanna. Come io sto parlando con voi, Ashara si occuperà di parlare con lui e di fargli prendere coscienza di un paio di cose.
Rhaegar è un giovane uomo brillante e sveglio, ma sin troppo tormentato ed eccessivamente razionale per prendere le giuste scelte, quando queste gli si pongono chiare ed evidenti davanti agli occhi.
Non lo conosco, ma l’ho capito dal primo momento che l’ho visto.
Le giuste decisioni, quelle davvero giuste, necessitano di equilibrio tra razionalità e irrazionalità. Non credete anche voi?
 
Oramai era il tramonto della seconda sera che trascorreva in quella terra torrida, la terra della donna con la quale aveva condiviso tutto negli ultimi anni.
Di colei che era stata in grado di dargli due bellissimi figli.
Della guerriera che aveva combattuto con le unghie e con i denti per guadagnarsi quel posto accanto a lui, difendendolo da chiunque osasse minacciarlo, da chiunque non la ritenesse abbastanza degna, forte, coraggiosa e intelligente.
Un posto che, in realtà, era da sempre stato suo.
Erano giorni che non la sentiva.
Sapeva che, a breve, gli sarebbe giunta una sua lettera, per chiedergli aggiornamenti su ciò che gli stava accadendo e su come si sentisse, e per informarlo su come stessero loro, i suoi meravigliosi bambini.
Il Principe drago fissò gli occhi chiari e luminosi verso il sol ponente, intento a nascondersi dallo sguardo degli uomini, rischiarando il cielo circostante di milioni di tonalità di rosso distinte.
Non sapeva da quanto tempo stesse fissando il debole sole rimasto all’orizzonte, senza distogliere mai lo sguardo, in piedi, con le braccia conserte e privo di qualsiasi appoggio, dritto come una colonna apparentemente inscalfibile dinnanzi al tavolino che vi era appena sotto la finestra.
Nonostante il sole stesse morendo e non emettesse neanche metà della sua luce ed energia, le iridi sin troppo chiare del giovane drago esercitavano comunque una certa fatica nel rimanere fisse su di esso.
Un lieve spiffero di aria calda gli attraversò il corpo vertiginoso, facendolo rabbrividire, infilandosi nella vestaglia di seta cremisi che indossava, lunga quasi fino alle caviglie, aperta sul davanti e tenuta legata in vita da un semplice laccio morbido, l’unico elemento che teneva chiuso quel lucido pezzo di stoffa, come un sipario, coprendogli tutto ciò che in un uomo vi fosse da nascondere.
Quell’indumento così leggero e sottile gli aderiva addosso come una seconda pelle, senza consistenza, facendolo sentire quasi totalmente nudo.
Fortunatamente, era quanto di più adatto esistesse da indossare, per affrontare il caldo di Dorne, al quale si stava cominciando ad abituare più in fretta di quanto credesse.
Un lampo, un bagliore come di fiamma accecante, gli attraversò gli occhi, destabilizzandolo lievemente.
Le allucinazioni, apparentemente, erano state sostituite da quegli improvvisi quanto intensi bagliori saltuari, durante quegli ultimi due giorni.
Il ragazzo che lo aveva temporaneamente liberato da quelle presenze opprimenti sembrava aver compiuto un miracolo.
Un miracolo che non sapeva quanto sarebbe realmente durato.
Un miracolo che non aveva alcun effetto sul dolore insopportabile che gli consumava, giorno dopo giorno, l’animo e lo spirito, per dover fare ciò che il suo destino aveva tracciato per lui e per tutti coloro che gli erano accanto.
Innumerevoli volte, nel corso di quell’ultimo agghiacciante anno, aveva desiderato di non essere mai nato, piuttosto che di ritrovarsi nella posizione in cui si ritrovava.
Tutte quelle ossessioni riguardo le profezie e le sue origini, il mistero riguardante la sua nascita.
Tutto ciò era andato a collimarsi in quello.
Nella fuga.
Nel drago a tre teste.
Nel salvatore, una sorta di principe promesso con il sangue del lupo e del drago mischiati insieme.
La minaccia più grande dell’umanità, oltre la Barriera ... Rhaegar avrebbe voluto vederla con i suoi occhi, per avere davvero la conferma inconfutabile che stesse agendo nella maniera giusta, che non stesse sbagliando ogni cosa.
Le persone che gli stavano accanto si fidavano ciecamente di lui.
E lui? Lui si fidava di se stesso?
La risposta a quella domanda l’aveva sempre saputa e non prometteva nulla di buono.
Tutto ciò era tremendamente paradossale per quanto ridicolo.
I suoi antenati avevano dato fuoco alla Sala d’Estate per errore, strerminando decine e decine di innocenti, solamente per soddisfare la loro sete di potere, per ricreare ciò che la natura e il corso degli eventi aveva deciso di estinguere: i draghi.
Gli alchimisti stavano facendo esperimenti su delle uova di drago morte, sotto la Sala d’estate, mentre sua madre era in preda alle doglie per metterlo al mondo.
La sua stirpe si dannava per ricreare qualcosa che non esisteva più da secoli, pur di non accettare ciò che era stato; mentre, dall’altra parte del mondo, una minaccia di origini ultraterrene stava risorgendo dalle ceneri e avanzando, pronta a fare tabula rasa di qualsiasi cosa si trovasse sulla sua strada.
E i Targaryen provavano capricciosamente ad animare lo stemma che con tanta becera fierezza sventolavano al cielo e al sole, pensò sorridendo amaramente, disgustato dal suo stesso sangue.
Forse, i draghi sarebbero davvero serviti a qualcosa, per contrastare la minaccia mortale che il suo futuro figlio avrebbe dovuto sventare, ipotizzò il giovane drago.
Ma i suoi consanguinei non lo sapevano.
Nessuno lo avrebbe saputo davvero se non avessero avuto a disposizione tra le loro mani la leggendaria creatura sputafuoco.
Immerso tra tutte quelle intricate elucubrazioni, il giovane drago non si accorse che qualcuno avesse bussato alla porta della sua stanza.
Alla quinta o sesta bussata, Rhaegar prese coscienza di quel rumore esterno e, senza voltarsi nè muoversi minimamente, diede il permesso a chiunque fosse all’esterno di entrare.
Aveva dato per scontato fosse Arthur, nonchè quasi l’unico che aveva visto negli ultimi due giorni, a parte la servitù incaricata di portargli i pasti e di preparargli la vasca da bagno.
Un altro bagliore interno alla sua mente lo accecò più dei precedenti, facendolo sbilanciare lievemente in avanti. Appoggiò le mani alla sedia dinnanzi al tavolino, per avere almeno un perno stabile su cui far leva, nel caso fosse stato colpito da vertigini ancor più intense.
I passi della persona che era entrata in stanza neanche li udì, cominciando a sospettare non si trattasse di Arthur, considerata l’abituale camminata rumorosa dell’amico.
- Aspettavate qualcuno, Altezza? – gli domandò quella voce virile e morbida insieme.
La riconobbe senza troppa fatica: si trattava del ragazzo che lo aveva liberato dalle voci che lo tormentavano, il giorno prima.
Cosa ci facesse lì, gli era ancora all’oscuro.
- No, non aspettavo nessuno – gli rispose atono, senza girarsi, come se le sue iridi fossero oramai incollate al sole da una maledizione.
A ciò, lo schiavo, continuando ad avvicinarsi cautamente a lui, osservò la sua schiena perfettamente fasciata dalla vestaglia, poi si concentrò su tutta la lunghezza di quell’intero corpo statuario, prendendosi tutto il suo tempo per osservarlo, seppur gli desse le spalle.
- Sei qui per rinnovare il tuo trucco, o qualsiasi cosa tu abbia fatto per allietare la mia mente dalle catene della mia dannazione? – gli domandò il principe drago senza alcuna inflessione nella voce.
- Non esattamente.
Rhaegar alzò un sopracciglio, cominciando seriamente a domandarsi per quale altro motivo uno schiavo scelto della corte dei Martell fosse nella sua stanza, mentre anche gli ultimi raggi del sole iniziavano lentamente a sfuggire alla sua vista.
- Secondo voi ... per quale ragione potrebbero avermi incaricato di venire qui? – gli domandò con voce ora più profonda e intensa, lievemente arrochita.
Un lampo di consapevolezza attraversò la mente del giovane drago, lasciandolo, tuttavia, meno sorpreso di quanto si aspettasse. – Il principe Doran vuole farci evadere dai nostri tormenti grazie ai suoi strumenti di piacere carnale? – ipotizzò. – Dato che io e la mia futura sposa non ci approcciamo tra noi, vuole farci approcciare ad altri.
- Non ne sembrate così sorpreso ... – sussurrò la voce profonda dello schiavo. – Il mio nome è Adham, ad ogni modo – disse il ragazzo, decidendo di rimanere ancora a distanza di sicurezza, restando ad ammirarlo, per ciò che gli era concesso.
Rhaegar accennò un sorriso di circonstanza, continuando a negargli la vista del suo viso. – Mi dispiace, Adham. Non ho nulla contro di te, ma il tuo signore dovrà rassegnarsi al fatto di non poter infierire in tal maniera con l’umore del suo ospite.
- Avete mai avuto esperienze simili? Siete mai entrato in intimità con un altro uomo, mio principe? – gli domandò non riuscendo del tutto a mascherare quel pizzico di curiosità e impazienza nella voce. – Non rispondete dicendomi che nessun uomo vi ha mai posato gli occhi addosso o non si è mai approcciato a voi, poichè non sono nè cieco, nè tanto meno stupido a tal punto: non potrò mai credere che una tale abbagliante e divina bellezza non sia stata oggetto di infinite ed estenuanti lusinghe da parte di uomini e donne indistintamente. Così come non crederò che qualcosa come il vostro intoccabile rango sia bastato a impaurire i più impavidi e determinati.
- Non ho la forza per affrontare una conversazione simile con te, Adham.
Mi piaci come persona, così come mi piacciono i miracoli che sei in grado di fare con le energie oscure che mi tormentano.
Ed era vero. Il giovane drago si sentiva estremamente stanco, come se le forze vitali stessero, gradualmente, abbandonando il suo corpo.
Non aveva voglia di doversi imporre, di doversi ripetere, di dover insistere nel declinare, rifiutare, rigettare qualcosa o qualcuno.
Si sentiva spossato.
- Siete stato sempre fedele a vostra moglie, mio principe? – gli domandò provando ad avvicinarsi ancora di un passo alla sua schiena.
- Sì.
- E intendete rimanerle fedele anche ora, dopo essere scappato da lei con una fanciulla del Nord?
- Tu non mi conosci, Adham.
Non ho mai usato i rapporti carnali come valvola di sfogo o come rifugio dal mio dolore.
- È un vero peccato – sussurrò compiendo un azzardo, sfiorandogli la colonna vertebrale con un dito, percorrendogliela lentamente. – Potreste avere tutto ciò che volete, senza neanche fiatare. Potreste avere chiunque e qualsiasi cosa desiderate.
Appena vi ho visto, l’ho subito pensato.
Stranamente, Rhaegar non si scostò, ragion per cui Adham si sentì ancor più bramoso di osare. – Guardatevi allo specchio, mio principe, e capirete il motivo per il quale vi sto pronunciando queste parole.
- Non amo sentirmi adulato.
- Allora dovreste fuggire via dal mondo abitato e vivere da eremita, isolato da tutti.
Fin dove si sarebbe spinto quello schiavo, Rhaegar non seppe più dirlo.
In particolar modo, ne prese coscienza quando percepì improvvisamente il corpo del ragazzo dietro di lui aderire alla sua schiena, le sue mani posarsi non troppo delicatamente sui propri fianchi, e qualcos’altro, di ben evidente e decisamente troppo duro, premergli all’altezza del fondoschiena.
Ciò lo sorprese non poco, facendolo immediatamente irrigidire.
- Non agitatevi, mio principe, vi prego ... – gli sussurrò mellifluo il ragazzo, accostando le labbra alla sua schiena, annusando a fondo la vestaglia oramai ben impregnata del suo odore. – Non mi muoverò e non farò nulla che non vogliate, fin quando non riceverò il vostro permesso ... sarei pronto a vivere questa tortura per l’eternità, che gli dèi mi siano testimoni.
- Adham – tentò nuovamente il principe drago, senza muoversi nè scomporsi. – Non riceverai il mio permesso.
- Perdonatemi, se sono già in queste condizioni indignitose... – sussurrò lo schiavo con voce più lucida di quanto si aspettasse egli stesso, permettendosi di far vagare i famelici palmi delle mani sull’addome slanciato e scolpito del principe drago, coperto solo da quel lievissimo strato di stoffa che non lasciava quasi nulla all’immaginazione; mentre la presenza dura ed esigente che premeva sul suo fondoschiena si faceva sentire maggiormente. – Posso rassicurarvi: la prima volta è doloroso sì, ma il principe Doran ha deciso di mandare appositamente me per voi, poichè sono il più esperto e dotato della sua corte. L’ho fatto innumerevoli volte, tanto da conoscere qualsiasi più recondito segreto per renderlo il più piacevole e meno sofferente possibile, ve lo garantisco.
Rhaegar serrò le dita attorno ai polsi che si stavano muovendo e contorcendo sul proprio addome, bloccandoli. – E con coloro che hanno rifiutato i tuoi distinti servigi? - gli domandò.
- Ho accettato qualsiasi rifiuto senza alcun rancore.
- Dunque perchè con me dovrebbe essere diverso? Per caso, il tuo signore ti ha ordinato di forzarmi a farlo, anche contro la mia volontà?
- Il mio signore non si permetterebbe mai di farvi una cosa simile. Se sto tentando ancora di convincervi con tutti i mezzi che ho, nonostante il vostro divieto di continuare, è solo colpa dell’insormotabile attrazione che il vostro corpo esercita sul mio. Non riesco a sottrarmi – ammise rinforzando la presa sui suoi fianchi, stringendo e assaporando le sue carni sotto i palmi, e non dandogli neanche il tempo di realizzare, poichè, scattante, lo rigirò verso di sè, animato da una forza e da un impeto esplosivi, che non riconosceva quasi come suoi.
Il suo corpo stava agendo per lui, le sue mani e i suoi occhi erano i carnefici, non la sua anima ...
Non avrebbe potuto violarlo neanche volendo, poichè il giovane drago, nonostante fosse mentalmente debilitato, rimaneva un forte guerriero perfettamente in grado di difendersi, e le guardie fuori da quella porta sarebbero state pronte ad intervenire da un momento all’altro.
Perchè le sue membra non volevano ascoltarlo e accogliere quel rifiuto come avrebbe dovuto fare?
Adham se lo domandò.
L’unica alternativa, l’unica opzione che aveva, era quella di convincerlo, per assecondare i bisogni essenziali del proprio corpo.
In quel momento, averlo era un bisogno primario e vitale.
Lo guardò dritto in quei cristalli viola ora spalancati, perdendosi in quel volto serafico e accuratamente levigato, troppo bello per essere davvero reale, non rendendosi minimamente conto di stargli stringendo eccessivamente i fianchi fino a lasciargli dei segni, di starlo spingendo troppo verso il bordo del tavolo dietro di lui, di stargli addosso come una bestia famelica e ansimante, nonostante guardasse il principe dal basso, data la non troppa differenza di altezza tra i due.
Rhaegar, immobile in quella presa artigliante e dolorosa, fissò quelle iridi scure combattute e assetate di lui, comprendendo la battaglia che si stava svolgendo dentro il ragazzo.
- Devi lasciarmi andare, Adham ... Potrebbe finire male se non fai ciò che ti ho detto. E non vorrei che finisse male, credimi.
Non sono adirato con te, puoi leggerlo nei miei occhi – gli disse con calma, cercando di farlo tornare alla ragione.
- Non lo sareste neanche se andassi contro la vostra volontà e osassi violarvi? – gli sussurrò quasi a fior di labbra, pendendo da queste, mentre avvicinava il viso al suo.
A ciò, Rhaegar afferrò ora con più forza i polsi che gli stavano stritolando i fianchi, facendo fatica ad allontanarlo, accorgendosi che quello schiavo fosse più forte di quanto credesse.
- Mi dispiace. Vi convincerete. Vi piacerà, è una promessa ... – gli sussurrò puntando ora gli occhi sulla porzione di petto scoperta appena sotto le clavicole del principe, laddove la scollo a V della vestaglia permetteva di viaggiare con la fantasia. Proprio mentre stava per immergere il volto sul suo petto d’alabastro, la porta della stanza si spalancò, rivelando la figura di un trafelato ed infuriato Arthur Dayne.
Il cavaliere si fiondò sullo schiavo e lo atterrì con un colpo dell’impugnatura della sua spada sul capo.
Il ragazzo cadde a terra dolorante, mentre Arthur imperava su di lui.
- Ringrazia tutti gli dèi del cielo, ignobile e lurido verme, che io oggi mi sia svegliato di buon umore e abbia deciso di colpirti con l’elsa della mia spada, e non con la lama!! – esclamò sputandogli addosso, per poi rifilargli un vigoroso calcio sulla schiena.
- Arthur ... Arthur, fermati. Basta così – lo fece rinsavire Rhaegar, poggiandogli una mano sul braccio in tensione.
A ciò, ancora non del tutto in sè, Arthur si voltò a guardarlo, imprecando e passandosi una mano nervosa e fremente tra i capelli biondi. – Per gli inferi! Ti ha messo le mani addosso!! – esclamò avvicinandosi maggiormente a lui, prendendolo per le braccia. - Che cosa ti ha fatto?? Ti ha fatto del male?! Rispondimi!
- No, non mi ha fatto niente. Sto bene, Arthur, davvero.
- Ti rendi lontanamente conto di cosa stava per fare ...? Sei cosciente di cosa stava per accadere se non fossi arrivato qui in tempo?!
- Mi sarei comunque difeso da solo. Stavo cercando di farlo ragionare senza passare alla violenza ...
Una risata frustrata e sprezzante si innalzò dalla bocca del Dayne. – “Senza passare alla violenza” hai detto?! E che cos’altro si meriterebbe se non la violenza di una brutale e atroce castrazione, un simile individuo?!? – esclamò l’uomo indicando lo schiavo ancora a terra con sfregio. – Per anni ho cercato in ogni dannato modo di tenerti il più lontano possibile da elementi come lui!! Sin da quando eri un ragazzino di quindici anni e te ne gironzolavi per le strade malfamate di Fondo delle Pulci con solo un cappuccio a nasconderti il viso, quasi come fossi immune dagli sguardi e dalle male intenzioni di chiunque!! Ci mancava solamente quell’incosciente di Doran a rovinare tutto ora!
- Le intenzioni del mio signore erano nobili ... – si azzardò a commentare lo schiavo, facendo per rialzarsi in piedi.
- Ho notato quanto fossero nobili!! – gli rispose Arthur ridendo disgustato e rifilandogli un calcio che lo fece ripiombare a terra.
- Arthur, per gli dei, placati! – lo riscosse nuovamente Rhaegar. – Doran avrà sicuramente mandato qualcuno anche da Lyanna. Avrà pensato di riuscire ad aiutarci a sciogliere la tensione e ad avvicinarci, in questo modo. Tu stesso hai vissuto qui e sai bene come funzionano questo genere di pratiche a Dorne. Me lo hai sempre detto tu, così come me ne ha parlato Elia. Ero preparato.
- No, non sei preparato e non lo sarai mai! L’oscenità di ciò che si consuma in questo palazzo e in questa terra ... non ne sei preparato, e credimi, questa sarà la prima e ultima volta: non abbasserò più la guardia. Ho sbagliato a credere che, almeno in una complessa e delicata circostanza come questa, avrei potuto evitare di preoccuparmi di una simile superficialità, considerando che siamo alle porte di una guerra! Per gli dei, sei il marito di sua sorella, nonchè il principe ereditario, che cosa gli è saltato in mente?!
L’eccessivo istinto di protezione connaturato in Arthur nei suoi confronti, gli fece accennare un impercettibile sorriso.
- Questo animale ... – riprese Arthur non appena lo schiavo riuscì a rialzarsi in piedi e a indietreggiare, indicandolo ma continuando a rivolgersi al principe drago. – Ha continuato a insistere nonostante il tuo rifiuto. Dico bene...?
Rhaegar non rispose, cercando di trovare le parole giuste per evitare la punizione più dura possibile nei confronti del ragazzo.
A ciò, Arthur sospirò, provando a calmarsi e a bloccare i tremori di nervosismo che lo stavano facendo fremere dalla voglia di rompere il setto nasale e parecchie altre ossa all’individuo in piedi accanto alla porta. Allo scopo, fortunatamente, contribuì anche Ashara, giunta improvvisamente anch’ella alla porta della stanza.
- Che sta succedendo qui? – domandò la ragazza, già intuendo quasi interamente gli eventi che potevano essersi susseguiti fino a quel momento, soltando nell’osservare suo fratello furioso e trafelato, il principe drago scosso e con solo una vestaglia addosso, e lo schiavo di piacere che Doran aveva mandato alla camera del Targaryen ferito e adombrato dai sensi di colpa.
Arthur posò gli occhi su sua sorella, sospirando. – Shar, ci ho già pensato io qui – le disse con voce decisamente più calma rispetto a poco prima, poi passando nuovamente allo schiavo. – Non ti avvicinerai mai più a lui, neanche lontanamente, nè tanto meno lo toccherai per compiere quella sorta di rito a cui lo hai sottoposto appena giunti qui. Dovrai sentirti fortunato anche solo nel poter scorgere la sua figura a metri e metri di distanza. E ora sparisci dalla mia vista, prima che cambi idea e decida di punirti sul serio, verme – lo minacciò con voce schifata e velenosa.
Senza farselo ripetere due volte, lo schiavo obbedì, uscendo dalla stanza.
- Potresti lasciarci soli per un po’, caro fratello? – domandò Ashara con voce dolce, avvicinandosi ad Arthur e massaggiandogli le spalle come sapeva gli piacesse.
Quest’ultimo annuì, volgendo un ultimo sguardo a Rhaegar. – E tu vedi di tenere gli occhi e i sensi bene all’erta, e di non farti più cogliere di spalle.
Mi fido di queste persone, ma la prudenza non è mai abbastanza: tieni una daga sempre a portata di mano, non mi importa se te la dovrai infilare in gola per nasconderla, l’importante è che tu ce l’abbia sempre con te. Sono stato chiaro?
Rhaegar annuì, vedendolo poi avviarsi verso l’uscita della stanza e lasciarli soli.
Il principe drago fece volgere gli occhi verso la sorella del suo più fidato amico, in attesa che ella facesse o dicesse qualsiasi cosa.
Sembrava passata una vita intera dall’ultima volta che aveva avuto modo di rimanere da solo con Ashara.
La giovane Dayne era una delle poche che, esattamente come suo fratello, fosse in grado di trattarlo alla pari, di confrontarsi con lui dicendogli esattamente come stavano le cose, senza filtri, nè orpelli.
Con la differenza che, al contrario del suo focoso e talvolta ruvido fratello, Ashara era perfettamente in grado di mantenere la sua stoica e ammirevole freddezza e razionalità in qualsiasi occasione, riuscendo a vagliare tutto con il suo sguardo oggettivo.
Non vi erano mai stati momenti di disagio, di imbarazzo o di silenzio scomodo tra lui e Ashara.
Nonostante si incontrassero e avessero modo di parlare davvero molto poco, se non quasi mai, i due sapevano tutto l’uno dell’altra.
Rhaegar non aveva avuto ancora modo di sapere da Ashara cosa ne pensasse lei di tutta quella situazione, come si stesse sentendo nel vivere tutto ciò.
Come si sentisse nell’aver abbandonato Elia a sua volta, per seguirli in quella follia.
La ragazza prese posto sullo spazioso letto, ponendo lo sguardo verso la finestra, dalla quale, oramai, emergeva un cielo blu con le prime stelle.
Rhaegar accese qualche candela e la dispose in zone specifiche della stanza, per renderla più illuminata.
- Mi dispiace che sia andata in questo modo, con lo schiavo – esordì ella.
- Lo so. Immagino tu non fossi d’accordo con la decisione di Doran – ipotizzò il principe, conoscendola.
- No, non lo ero, così come non lo era sua moglie. Quest’ultima ora si trova nella stanza di Lyanna.
Rhaegar annuì nell’apprendere quell’informazione, poggiando la schiena ad una parete e ponendo le braccia conserte. – Com’è andata con Lyanna? Lei ha accettato il dono di Doran?
Ashara si limitò a negare con la testa. – Credo ci abbia provato, però. Un tentativo che tu non hai neanche preso in considerazione di fare. Non c’è bisogno che mi spieghi nulla, conosco bene tutte le motivazioni che ti hanno spinto a rifiutare quel ragazzo, così come avresti rifiutato qualsiasi compagnia femminile allo stesso modo.
In altre circostanze, ti direi che Elia sarebbe fiera di te.
Ma, ora come ora, lei non avrebbe alcun diritto di esserlo. Tu non sei più di sua proprietà.
A tali parole, lo sguardo del giovane drago prima perso nel vuoto, si puntò negli occhi chiari ed espressivi di Ashara. Uno sguardo nostalgico, velato di dolore.
- Dovresti essere con lei ora. Sei una tra le sue amiche più fidate tra le sue dame – commentò egli. – Non dovresti essere qui a Dorne.
- Sono stata io a decidere di venire con voi, Rhaegar – gli rispose con voce ferma e convinta. – Non mi pento della mia scelta. Avevo bisogno di affiancare mio fratello in questo viaggio. Un viaggio che lo distruggerà, forse più di quanto distruggerà te, Elia e Lyanna.
Lui ha bisogno di me. E ha bisogno di te – disse, tornando a guardarlo.
- Lo so, lo capisco.
- Ad ogni modo, dovresti scrivere a Elia cosa è accaduto. Credo che apprendere del tentativo fallito di suo fratello potrebbe donarle un sorriso divertito, malgrado tutto.
Se fosse stata qui, di certo non si sarebbe fatta alcun problema nel trascinare via per i capelli quel povero schiavo e nello strapparglieli uno ad uno, non prima di averlo cacciato dalla corte a calci – rifletté sorridendo al pensiero, e facendo sorridere anche Rhaegar di rimando.
Dopo qualche minuto di silenzio, fu Rhaegar a riprendere la parola. – Come sta Lyanna?
Ashara vi riflettè su, trovando le giuste parole. – È confusa. E spaventata. Si sta autoincolpando per qualsiasi cosa.
Rhaegar non rispose, restando con lo sguardo fisso sul cielo stellato.
- Dovresti andare da lei – gli disse a bruciapelo la ragazza.
- Per dirle cosa?
- Per rassicurarla. Per farle capire che non è sola e che condividerete questo supplizio insieme, come era preparata a credere.
- Non credo che le mie parole possano avere un’influenza tale sul suo stato d’animo.
- Non riesci davvero a rendertene conto, vero ...?
Rhaegar le rivolse uno sguardo interrogativo, avvicinandosi e prendendo posto seduto accanto a lei.
Ashara prese un bel respiro. – So quanto tu tenga ad Elia, quanto tu sia affezionato a lei, a ciò che avete costruito insieme.
Il rapporto che vi lega è meraviglioso, dico davvero.
L’ho sempre invidiato, nel profondo.
Quell’informazione sorprese non poco il principe drago.
- Ho sempre sognato di possedere una tale complicità, un rispetto reverenziale e al contempo così intimo, sincero e accorato, con un uomo – continuò la Dayne. – So bene quanto lei ti ami e quanto le costi saperti qui, lontano da lei, con Lyanna. Eppure, la sua forza d’animo, il suo coraggio e tutto l’amore che nutre nei tuoi confronti, le hanno permesso di mettersi completamente da parte.
Elia ti ha sempre amato senza pretendere nulla in cambio. Mai.
Non ha mai sperato davvero che la ricambiassi.
Il principe drago si rese conto che delle calde lacrime gli stessero rigando gli zigomi solo quando le percepì scottargli sulla pelle.
Improvvisamente, le dita della mano fredda di Ashara si intrecciarono alle sue, in un gesto di solidarietà che apprezzò di cuore.
- Lei ha accettato di lasciarti andare, Rhaegar.
Lo ha accettato per te. Lo ha accettato per il futuro dei vostri figli e il bene dei sette regni.
Ora tocca a te accettarlo.
Il giovane drago abbassò la testa, stringendo i pugni sulle ginocchia.
- Devi compiere il passo in più – insistette ella calma, senza alcuna costrizione, nè tono di rimprovero nella voce.
- Non ci riesco. Non sono forte come lei. Neanche lontanamente.
Sono debole, Ashara. Non mi sono mai sentito così debole come ora.
- Tipico tuo, autocommiserarti in questo modo, nonostante tu abbia il mondo a credere in te e a seguirti ciecamente.
- Io non ho bisogno che credano in me e mi seguano ciecamente – esalò gelido.
- Non puoi tradirla, Rhaegar.
Non siete più marito e moglie.
Non tradirai lei, così come non tradirai noi, nè te stesso, se ti approccerai a Lyanna.
- Shar, la mia mente e il mio corpo si rifiutano.
Anche se ci provassi, io non ... – puntò i gomiti sulle ginocchia e si prese la testa tra le mani, stringendosi le ciocche di capelli sfuggiti al nastro che li teneva legati.
- Dovrà succedere.
Prima o poi dovrà accadere.
È il destino che lo ha deciso per voi.
E prima accadrà, prima sapremo che non avremo fatto tutto questo invano.
Non deve essere qualcosa di automatico, veloce e indolore come per togliersi il pensiero. Non gioverebbe a nessuno dei due.
Devi approcciarti a lei come faresti con quella ragazza travestita da ragazzo che hai conosciuto alla locanda, e che era in grado di guarirti dai tuoi tormenti solamente con le sue chiacchiere impacciate e con la sua innocenza impetuosa.
Rhaegar rialzò il volto, rimmergendosi in quei ricordi che ora gli sembravano troppo lontani per essere accessibili.
Ricordi preziosi, che custodiva con cura, nonostante tutto ciò che era accaduto in seguito.
- Dovete ritrovare quella complicità e quella genuina amicizia che vi legava quando eravate ad Harrenhal, ignari delle vostre rispettive identità.
- Ho conosciuto Doen, e me ne sono immediatamente affezionato.
Tuttavia, anche quando ho conosciuto Lyanna, ho intravisto in lei qualcosa che mi ha fortemente scosso, forse addirittura più di quanto abbia fatto Doen – rifletté, separandole nella sua mente. – In altre circostanze, probabilmente non ci saremmo neanche notati. Eppure, conoscendo le persone che abbiamo finto di essere, abbiamo finito per conoscerci l’un l’altra più intimamente e profondamente di quanto ci conoscono coloro che ci sono accanto da una vita intera – constatò. – Da quell’ultima notte alla locanda, quando l’indovina ci ha informato sul da farsi, è cambiato tutto tra noi.
- Non devi amarla necessariamente – disse Ashara con semplicità. – Sai meglio di me che l’amore non serve per forza, in questi casi. Basta che lei sia importante.
- Lo è. Tengo moltissimo a Lyanna e amo trascorrere il mio tempo insieme a lei - ammise senza esitazione.
- Dunque, hai già la risposta che cerchi – concluse Ashara, stringendogli ancora la mano. – Va’ da lei, Rhaegar. Ella aspetta solo il più piccolo segnale da te. Datevi un’occasione. Trovatevi l’un l’altro. Ritrovate ciò che avevate un anno fa e che avete perso e rendetelo più forte, più intenso.
Un altro velo di reticenza adombrò il volto del giovane drago, venendo subito interpretato da Ashara. – Credo di sapere a cosa stai pensando – gli disse, facendolo voltare a guardarla.
- È solo una ragazzina .. – sussurrò egli, confermando le sue ipotesi.
- Come lo sono tutte le altre lady che vengono promesse ai ricchi figli di lord, appena adolescenti.
Ella ha due anni in meno di quelli che avevi tu quando hai sposato Elia.
Non è molto meno “ragazzina” di quanto lo fossi tu quando hai acconsentito a qualsiasi fosse il piano di tuo padre per te, al tempo.
Aerys ti ripeteva che avresti sposato la prima sorella che tua madre avrebbe messo al mondo per te, da quando avevi sei anni; e ragionava di svenderti al migliore offerente già da quando ne avevi dodici e tua madre collezionava un aborto dopo l’altro.
Nessuno è mai pronto. Eppure, dobbiamo esserlo, perchè gli eventi ce lo richiedono - gli disse schietta e senza filtri, alzandosi dal letto e rivolgendogli un ultimo lieve sorriso.
- Shar – la richiamò, realizzando qualcosa che aveva momentaneamente rimosso.
- Sì? – rispose ella rivoltandosi a guardarlo.
- Credi che saresti potuta arrivare ad amarlo? – le domandò, vedendola leggermente irrigidirsi. – Eddard Stark. Se le cose fossero andate diversamente e ne avessi avuto l’occasione, ti saresti innamorata di lui?
Ashara sorrise malinconica, stringendo i pugni fino a farsi quasi male, per poi lasciarli andare. – Ha davvero importanza ora...? – rispose, prima di sparire dietro la porta, leggiadra, bellissima e silenziosa.
 
Oramai era quasi notte fonda, ma la giovane lupa non riusciva ancora a prendere sonno dopo la conversazione che aveva avuto con Mellario e gli strani eventi che si erano susseguiti quel pomeriggio.
Se ne stava semisdraiata sull’enorme materasso, a guardare la luna.
Non aveva neppure cenato, eppure il suo stomaco non reclamava nulla.
Qualcuno bussò alla porta e la sua attenzione si ridestò.
Quando si alzò, si premurò di indossare un leggero coprispalle, per non farsi trovare nuovamente con solo con quella sottoveste striminzita, da chiunque vi fosse dietro la porta.
Andò ad aprire e si immobilizzò sul posto.
- Spero di non averti disturbata – le disse quella voce che aveva amato dal primo momento in cui l’aveva udita. – Se ti ho svegliata, ti chiedo perdono.
- Non stavo dormendo – si affrettò a rispondere Lyanna, quasi interrompendolo, riscuotendosi dal subbuglio che la sola visione di lui davanti alla sua porta le aveva provocato. – Prego ... – gli fece segno di entrare, scostandosi dalla porta, per lasciargli spazio.
Distolse lo sguardo, mentre Rhaegar Targaryen si accingeva ad entrare nella sua camera.
Richiuse la porta dietro di lui e lo scorse osservare la stanza.
- Ti piace restare alla luce, anche di notte – osservò il principe drago, notando quanto la stanza fosse estremamente illuminata nonostante la tarda ora. – Hai acceso innumerevoli candele e lampade ad olio ovunque, qui.
La giovane lupa annuì, andando a sedersi sul materasso. – Quando ero bambina, a me e ai miei fratelli venivano raccontate storie del terrore, che riguardavano le tremende creature che abitavano il Nord, oltre la Barriera – spiegò. – Ci dicevano che ... di notte, nei lunghi inverni che duravano sette o otto anni, si sarebbero fatte vive queste creature, sfruttando il buio più nero per avanzare nelle nostre stanze, quando meno ce lo saremmo aspettati.
Il principe accennò un sorriso a metà tra il divertito e l’incerto. – Vi raccontavano storie simili quando eravate bambini..?
- Per tale motivo mi piace tenere sempre qualche luce accesa, anche quando sto per addormentarmi.
Rheagar prese posto sul letto accanto a lei.
- Mi dispiace per tutte le cattiverie che ti ho urlato ieri – gli disse di getto Lyanna, mortificata. – Ero arrabbiata e disperata, per la questione di Brandon.
- No, Lyanna, non devi scusarti.
- Ma come ho reagito nei tuoi confronti è stato davvero ...
- Lyanna – la interruppe lui, attirando gli occhi della ragazza su di sè. – No. Sono io che devo scusarmi.
- Non è tua la colpa per tutto ciò che sta accadendo. Non devi biasimare te stesso.
- Mi sono comportato terribilmente con te – ammise. – L’indifferenza è la lama più tagliente di tutte. Puoi accettare le mie scuse?
- Certo – rispose ella senza esitazione.
- Ho parlato con Ashara poco fa – la informò. – Il principe Doran ha mandato qualcuno anche da te, non è vero?
A tale domanda, le guance della ragazza si colorarono di rosso di nuovo. – Sì. Non è successo niente tra noi, tuttavia – gli rispose, per poi tornare a guardare il suo profilo. - E a te? – ebbe l’ardire di domandargli.
- Non è andata bene – si limitò a risponderle. – Sono venuto qui, nella tua stanza, perchè vorrei provare a sistemare le cose, Lyanna – le disse, sorprendendola.
- Sistemare le cose ..?
- Da quando abbiamo scoperto le nostre rispettive identità, il nostro rapporto è radicalmente cambiato. Avevamo costruito qualcosa di davvero raro e prezioso durante quelle sere senza tempo, passate in quella locanda, colmi e appagati solo della compagnia l’uno dell’altra.
 Lyanna annuì, sorridendo nostalgica. – Dobbiamo ritornare loro due. È come se dovessimo ritornare sempre Doen e Calen per riprenderci ciò che avevamo, per non farlo svanire nel nulla.
Mi sento come la fanciulla del racconto dell’indovina.
- Quale fanciulla?
- Psiche era il suo nome.
Quando ella ha scoperto il volto e l’identità del suo Amore, uscendo dall’ignoranza, ne ha pagato le amare conseguenze, soffrendo il suo inevitabile allontanamento.
È accaduto esattamente lo stesso.
- Possiamo riaverlo – disse lui con una voce profonda e rassicurante insieme. - Possiamo riaverlo, anche essendo Rhaegar e Lyanna.
Una lacrima solitaria varcò la guancia destra della giovane lupa. Questa strinse gli occhi, prendendo un bel respiro.
- Rhaegar e Lyanna non sono degni di avere quello che avevano Calen e Doen ... – esalò la ragazza. – Sono troppo diversi, hanno vite troppo diverse ... sono lontani anni luce l’una dall’altro.
- Eppure ... ora siamo qui, insieme – la rasserenò lui, facendola morire dalla voglia di voltarsi ancora a guardarlo.
Indossavano entrambi dei vestiti da notte, leggerissimi e ancorati al corpo, la calura di Dorne li rendeva inevitabilmente accaldati, erano seduti vicini, nella stessa stanza, nello stesso letto.
La sola consapevolezza di tutto ciò mise in allarme Lyanna e il suo animo sensibile.
Il cuore della ragazza cominciò a battere all’impazzata, senza che lei potesse impedirlo.
- Lyanna ... guardami – la incoraggiò, e Lyanna si concentrò solamente sulla sua voce calda, bellissima e scolpita nel tempo.
- Guardami negli occhi – insistette con calma.
- No – si rifiutò lei.
- Voglio provarci.
La lupa spalancò gli occhi di ghiaccio di colpo, dimenticandosi immediatamente quella piccola imposizione che si era fatta qualche secondo prima.
- Cosa ...? – domandò, sicura di aver capito male, fissandosi in quelle iridi intense.
- Hai capito bene. Voglio farlo. Tu lo vuoi?
Lyanna deglutì, restando a guardarlo.
- Ma non voglio che accada automaticamente.
Voglio che sia bello per entrambi, per te in particolar modo.
- D’accordo ...
- D’accordo?
- Sì, ovvio. Certo che lo voglio.
Il principe accennò un lieve sorriso divertito.
- Mi sei mancato – confessò improvvisamente lei, liberandosi di quel peso e di quella consapevolezza ancora difficile da accettare.
- Mi sei mancata anche tu – rispose egli, sorprendendola non poco.
- Tuttavia, io non so nulla su come si faccia ... – lo mise in guardia la ragazza, sapendo di ribadire l’ovvio, ma volendo comunque denotarlo.
- Ci sarò io a guidarti. Passo per passo. Dovrai affidarti totalmente a me.
- Lo farò – sussurrò lei, oramai quasi del tutto assuefatta dall’atmosfera creatasi tra loro, dalla forma delle sue labbra, dal suo profumo e dal calore che emetteva il suo corpo, malgrado la vestaglia lo trattenesse.
La fanciulla si avvicinò cautamente a lui, i suoi occhi vagarono dal suo petto semi scoperto, sul suo collo, sino ai suoi capelli e al suo viso.
Quando anche il volto del principe si abbassò verso di lei, con una lentezza esasperante, Lyanna riuscì quasi a percepire il suo sapore, nonostante le loro labbra non si stessero ancora toccando, ma solo sfiorando.
Egli la guardò negli occhi un’ultima volta, vedendola completamente persa.
Alzò una mano e la poggiò delicatamente su una guancia bollente della ragazza, azzerando finalmente l’esigua distanza che oramai li divideva.
Fu un bacio casto, timido, uno di quelli che sarebbero stati meravigliosi da immortalare su una tela. Un contatto dolce, febbricitante, atto solo ad assaporarsi e a inebriarsi dell’odore e del calore l’uno dell’altra.
Poi, Rhaegar mosse lentamente le labbra, senza aprirle, e Lyanna lo seguì.
Il contatto divenne pian piano più passionale, intenso e profondo.
Dopo quelli che a Lyanna parvero come troppi pochi secondi, il principe drago si staccò piano da lei, lasciando la bocca della ragazza neanche lontanamente sazia, ingorda di quel contatto improvvisamente negatole.
Lyanna riaprì di poco le palpebre, leccandosi le labbra inconsciamente.
Se egli non l’avesse tenuta per la guancia con una mano, la giovane lupa era del tutto certa che gli sarebbe morta addosso, tanta era l’emozione, l’accaldamento e l’immensa eccitazione che sentiva scalpitarle nel basso ventre, un’energia che non aveva mai e poi mai provato prima.
Lo vide alzarsi in piedi e andare a spegnere alcune candele, per rendere l’atmosfera della stanza più soffusa.
Mentre lo osservava tornare verso il letto, la ragazza si accorse di qualcosa.
Toccando per sbaglio la superficie del letto sopra cui era seduta, notò che le coperte fossero umide di qualcosa.
Si chiese cosa fosse, confusa. – Le coperte sotto di me si sono bagnate – lo informò, sperando che egli avesse una risposta a ciò.
Rhaegar, ancora in piedi accanto al letto, osservò la porzione di coperta in questione e la vestaglia della ragazza in quel punto, all’altezza della sua intimità, notando fosse umida anch’essa. – È del tutto normale – iniziò a rassicurarla, sedendosi di nuovo accanto a lei. – Sei stata tu, è normale che accada le prime volte.
- L’ho bagnata io...? – domandò ella ancora confusa.
- Sì. Vuol dire che ti è piaciuto. Quando ti abituerai, quando il tuo corpo si abituerà a queste sensazioni, non succederà più così presto – la rassicurò ancora, premuroso.
A ciò, ella annuì, sentendo le guance imporporarsi ancor di più mentre lo vedeva avvicinarsi lievemente, di nuovo.
Stavolta si sarebbe fatta trovare più preparata a quelle sensazioni nuove, bellissime ed improvvise, riuscendo a godersele maggiormente, senza avere il terrore che terminassero troppo in fretta e senza preavviso.
Il corpo della giovane lupa fu nuovamente attraversato da un potente fremito quando Rhaegar le spostò qualche ciocca di capelli dietro l’orecchio, per guardarla meglio in volto.
- Segui me, d’accordo? – le domandò in un sussurro caldo e dolce.
Ella annuì, non perdendosi neanche un singolo movimento del magnetico giovane uomo dinnanzi a sè.
La bocca di Lyanna era uguale a quella di un’assetata rimasta nel deserto, senz’acqua, per giorni, o di un bambino che, per la prima volta, aveva provato la sua pietanza preferita, non volendosene più privare.
Quando Rhaegar le concesse un contatto più approfondito con la propria bocca, guidandola come un maestro esperto in quella danza di labbra e di lingue, Lyanna non riuscì a contenersi, dimostrando tutto il suo impetuoso, intrepido e vergine entusiasmo, agguantando e addentando con la bocca tutto ciò che poteva. Il ragazzo si scostò più volte, insegnandole a procedere con più calma ed equilibrio, senza strafare e lasciarsi prendere dalla foga inestinguibile che aveva cominciato ad animarla, infuocandola dall’interno.
– Se mi piace troppo ... – sussurrò ella in un ansimo, tra un bacio e l’altro. – Se mi piace troppo, bagnerò tutto il materasso...? – chiese innocentemente, facendo inevitabilmente sorridere il ragazzo sulla sua bocca, la quale venne assaltata nuovamente da quella di lei.
Quando Rhaegar le posò una mano sul fianco, ricordandole di possedere anch’ella due mani, sudate, frementi e pronte all’uso, l’attenzione del suo corpo da donna trepidante, invaso da mille sensazioni diverse, venne acceso anche dal desiderio di toccare e saggiare con le mani tutto ciò che aveva avuto modo di toccare e saggiare solamente con gli occhi, prima di quel momento.
Ora poteva.
Ora potevano tutto.
Lyanna non tardò a posargli una mano sulla nuca, immergendola nei morbidi capelli legati, tastandoli a fondo. L’altra mano, la più curiosa e impavida, si posò invece sul collo, per poi scorrere in basso sulla pelle liscia, fino a poggiarsi all’inizio del petto, percependo sul palmo già la consistenza della muscolatura delineata.
Staccò la bocca dalla sua per guardarlo e per riprendere fiato, notando una strana ombra sui suoi occhi.
- Che succede ...? – gli domandò allarmata e offuscata, cercando di riacquisire contatto con la realtà, anche se a fatica.
- Non ci riesco ... – sussurrò lui prendendosi la testa tra le mani. – Non ce la faccio, Lyanna... mi sembra di tradirla. Ho il suo volto sconvolto dalla sofferenza in mente ... so che Elia lo ha accettato, ma sono anche consapevole che soffre, che soffrirebbe terribilmente nel vederci così ... non posso farlo, se penso a lei e a tutto il dolore che sta provando – le disse, invaso dai sensi di colpa, mostrandosi nella sua più profonda debolezza dinnanzi a lei.
La ragazza, non sapendo cosa dire, addolorata a sua volta, gli posò una mano delicata sulla schiena ricurva.
- Non so come aiutarti ... – sibilò.
- Credimi, ci sto provando.
- Lo so, lo vedo. Non preoccuparti. Forse, andando avanti, riuscirai a non pensare a lei.
- Se il mio corpo è inconsciamente concentrato sui miei sensi di colpa e sul tradimento, reagisce di conseguenza.
Non possiamo andare avanti se non trovo una soluzione.
- È solo questo il problema? – domandò lei, facendolo voltare verso di sè.
- Cosa intendi?
- Ti ... sta piacendo? – gli chiese incerta.
- Certo, Lyanna – le rispose guardandola, sorpreso da tale domanda. – Mi sta piacendo - la rassicurò di nuovo. – Tuttavia, non riesco a toccarti. Non riesco a toccare il tuo corpo se ho questi pensieri per la testa. Capisci cosa intendo?
La ragazza annuì, riflettendo.
Dopo qualche minuto di silenzio, realizzò qualcosa.
Forse, di dirlo a parole, non avrebbe avuto la forza, perciò, poggiò una mano sull’avambraccio del principe per richiamare la sua attenzione, e fece un cenno verso il proprio comodino accanto al letto.
Rhaegar guardò cosa vi fosse poggiato sopra il mobiletto, e individuò una boccetta colma di un liquido incolore.
Inizialmente non comprese di cosa si trattasse; poi, le guance bollenti e cremisi della ragazza gli fecero capire cosa fosse.
Sorpreso, osservò la boccetta, combattendo contro l’indecisione solo per brevi attimi.
Si guardarono entrambi negli occhi e concordarono tacitamente che quella sarebbe stata la soluzione.
Rhaegar si alzò in piedi, raggiunse il comodino, prese la boccetta e la aprì.
- Ne bastano poche gocce – lo ragguardò Lyanna.
Prima di portarsi l’afrodisiaco alla bocca, il giovane drago si voltò verso di lei. – Vuoi berlo anche tu?
Ella negò, poco prima di venire invasa dal ricordo delle parole di Mellario: “... non è affatto considerato un male assumere i nostri afrodisiaci: non annebbiano i sensi, ma li amplificano, rendendovi più lucida, ma priva di inibizioni e di tutte le paure che prima vi impedivano di agire e di volere.”
Rhaegar bevve due sorsi dalla boccetta, per poi accingersi a riappoggiarla sul comodino; ma, prima di farlo, venne bloccato dalla mano della ragazza, che si posò sul suo polso. Ella prese la boccetta a sua volta e ne bevve solo un sorso.
Rhaegar la guardò, poi si avvicinò alla finestra della stanza, fissando il cielo.
- Raccontami una delle tue storie – disse improvvisamente Lyanna sdraiandosi sul letto, rilassandosi. – Sai quanto amo ascoltare la tua voce e le tue storie.
- Sì, lo so bene – rispose egli accennando un fugace sorriso. – Cosa vuoi che ti narri, milady?
Lyanna vi pensò un po’ su. – Avevi detto di conoscere anche tu la storia di Amore e Psiche, giusto?
Rhaegar annuì.
- Cosa accadde a Psiche dopo aver perduto Amore, prima che i due riuscissero a riunirsi? - domandò incuriosita.
A ciò, Rhaegar sorrise di nuovo. – Psiche venne sottoposta a numerose prove dalla madre di Amore, la dea della bellezza.
La sua determinazione, unita all’aiuto di esseri divini, le fecero superare brillantemente tutte le anguste prove.
Tranne l’ultima.
Lyanna lo guardò in aspettativa, con il capo ancora immerso nel cuscino.
- Come ultima prova, a Psiche venne chiesto di scendere negli Inferi e di prendere un po’ della bellezza della dea dell’oltretomba.
La ragazza riuscì a prendere la boccetta, credendo contenesse la bellezza della dea, ma le venne severamente vietato di aprirla.
- E lei l’aprì..?
Rhaegar annuì.
- Che stolta! Perchè lo fece?! – domandò Lyanna delusa dal comportamento dell’eroina.
- Perchè ... – le disse egli compiendo qualche passo verso il letto. – ... come non era riuscita a resistere alla dirompente curiosità di scoprire il volto e l’identità del suo sposo, allo stesso modo, non si trattenne dal desiderio di osservare da vicino cosa contenesse la boccetta... nonostante le fosse stato già detto cosa vi fosse all’interno – la sua voce ora era più calda e ancor più seducente del solito.
- E, invece, cosa conteneva davvero la boccetta ...?
- Un potentissimo siero soporifero – oramai era giunto ai piedi del letto, in piedi e illuminato solo dai fiochi raggi delle ultime candele rimaste accese.
Lyanna alzò il busto dal letto, ponendosi seduta, rivolta verso di lui.
- E che cosa le accadde, poi ...? – gli domandò alzandosi in piedi come spinta da una forza inumana che la attraeva a lui, necessitando di averlo vicino, il più possibile.
Si avvicinò al ragazzo, affondando i piedi nel materasso, fin quando non gli fu di fronte, esattamente nella stessa posizione in cui si erano ritrovati il giorno prima, quando lei gli aveva urlato addosso le peggiori accuse, supplicandolo di prenderla violentemente, con tutta l’ira e la frustrazione che aveva in corpo.
Egli alzò lievemente il volto, guardandola dal basso, comprendendo quanto quella rara posizione facesse sentire potente la giovane lupa, come se avesse il controllo della situazione.
Decise di lasciarle quel piccolo-grande privilegio, non distogliendo mai lo sguardo da lei, mentre il suo corpo, gradualmente si infiammava dall’interno, partendo dal basso ventre.
Lyanna resse con tutta se stessa quello sguardo debilitante, senza distogliere l’attenzione, nè lasciarsi cedere le gambe.
Si avvicinò di un altro passo al bordo del letto, verso di lui, annullando le distanze.
Come se oramai qualsiasi timore l’avesse abbandonata definitivamente, libera da ogni catena che la imprigionava, infilò una mano tra i suoi capelli biondissimi, sciogliendo con impeto il laccio che li teneva legati, liberando quella chioma che amava da morire tastare e guardare. Poi, infilò le mani, non più tremanti, nè intimorite, ma sicure e spavalde, sulla sua nuca, aggrappandovisi e stringendo come se ne andasse della sua vita.
La risposta del giovane drago non tardò ad arrivare.
I due assaltarono le loro rispettive bocche fameliche in un bacio bagnato, profondo e frenetico, da togliere il fiato.
Il principe drago le afferrò le cosce ed ella non tardò ad arpionargli il busto con queste ultime, saltandogli in braccio, mentre continuava ad esplorare ogni singolo meandro di quella bocca che era già divenuta una droga per lei.
Percepì la schiena aderire ad una parete, mentre egli la reggeva ancora di peso, con le sue braccia forti.
Infilò impunemente le sue mani dentro la vestaglia di lui, dietro la sua schiena, stringendo e graffiando la pelle, volendone sempre di più.
Vederlo e sentirlo così caldo e impetuoso addosso a lei, prenderla e maneggiarla con tale maestria, la animò ancor di più, fino ad un punto di non ritorno; tanto che, solamente quando la sua schiena sbattè al muro un po’ più forte, la giovane lupa si rese conto di star gemendo senza ritegno già da diversi minuti.
A malincuore, la lupa si staccò dalla bocca del drago, da quella presenza e da quel sapore intossicante, ma solo per assaltargli il mento, la mascella e il collo, per poi compiere la traiettoria inversa, verso su e verso giù, non stancandosi mai di passare la lingua ovunque.
Le piaceva da impazzire, e, la fanciulla non ne sarebbe mai stata del tutto certa, ma avrebbe osato dire che stesse piacendo anche a lui.
Sentì una mano del ragazzo infilarsi sotto la sua vestaglia e premersi sulla sua schiena, mentre l’altra era ancora stretta all’altra coscia, reggendola in alto, alla sua altezza.
Non appena Lyanna percepì le proprie cosce sudate scivolare giù, sul tessuto di quella fastidiosa vestaglia di seta che ancora copriva il corpo del principe, rinforzò l’abbraccio delle sue gambe allacciate ai fianchi di lui.
- Sei troppo alto ... – gli ansimò dritto dentro l’orecchio, affondando il viso tra i suoi capelli e stringendolo a sè per le spalle.
Lo sentì sorridere, per poi spostarsi dal muro e portarla invece verso il letto, adagiandola sopra il materasso sfatto.
Rhaegar la sovrastò, beandola della sua vista sopra di sè, e, prima che il ragazzo potesse farlo autonomamente, ella portò le mani impazienti sul laccio che teneva la vestaglia del principe ancora chiusa, slacciandola e lasciando che si aprisse.
Ansimò pesantemente alla visione del suo corpo, del suo busto sinuoso e scolpito, trovandolo ancor più attraente di quanto si fosse immaginata.
Quella visuale non le permetteva, tuttavia, di vedere ciò che vi era sotto l’ombelico.
Egli avvicinò il volto alla ragazza, riprendendo fiato e calmandosi, cercando di far rallentare anche lei. Le baciò la fronte con una dolcezza totalmente fuori luogo in quel momento.
- Rhaegar ... perchè ti sei fermato? – sussurrò ella febbricitante.
- Farà male ... – le bisbigliò lui tra i capelli, facendola immobilizzare solo per un istante.
Solo in quell’attimo, Lyanna sembrò ricordare improvvisamente cosa sarebbe avvenuto dopo.
Tutte le paure e i timori che aveva da sempre a riguardo, su quel fatidico momento, vennero discretamente placati dall’afrodiasiaco, ma non totalmente.
A ciò, la ragazza deglutì, rinforzò la presa di una mano sulla schiena di lui, mentre l’altra venne afferrata prontamente da quella di Rhaegar, il quale la strinse sulla sua.
- Ora rilassati ... – la spronò lui con quella voce incantatrice, che la fece tremare di voluttà e aspettativa.
Per farla rilassare ancor di più, il giovane drago le baciò il collo lentamente ed estenuamente, sfiorandole il viso con i suoi capelli.
Lyanna restò a guardarlo assorta, lasciandosi cullare e coccolare da quel profumo così buono, e da quel tocco da capogiro.
Poi, la mano della ragazza rinforzò la presa sulla parte bassa della schiena di lui, stringendo la carne sotto i palmi, lanciandogli un chiaro segnale che non ce la facesse più ad aspettare.
Lo voleva. Lo voleva più di ogni cosa.
Non importava quanto avrebbe sofferto, poichè nessun tipo di dolore le avrebbe fatto cambiare idea.
- Sei pronta ...? – le domandò egli in un’ultima conferma, puntando i suoi occhi viola vividi e liquidi su quelli di ghiaccio lucidi e trasognanti della ragazza sotto di sè.
Lyanna annuì con vigore, non staccando mai le iridi dalle sue.
Così, avvenne.
La giovane lupa avrebbe ricordato ben poco da quel momento in poi, tanta era l’eccitazione che le infiammava i lombi.
Il dolore che percepì inizialmente, le fece spalancare gli occhi e la bocca, in un urlo muto; ma la cura, l’infinita pazienza, l’accortezza e la discrezione di lui, l’aiutarono ad assaporare e a godersi quel momento come solo nei suoi sogni aveva sperato.
Si mosse con lui, lo guardò riempirla completamente, e sovrastarla con tutta la sua sola presenza, fino all’ultimo secondo, amando, amando e amando ogni cosa, beando tutti i suoi sensi come mai avrebbe lontanamente immaginato.
Lyanna sorrise, sorrise e pianse, ma non per il dolore.
Quando lui se ne accorse, le accarezzò le guance con premura e le asciugò le lacrime con le sue dita leggere come petali di rosa, donandole, ancora una volta, se stesso.
Forse la felicità, la giovane lupa non l’avrebbe mai raggiunta.
Ma un piacere tanto grande e un appagamento talmente intenso, non l’avrebbe ottenuto neanche sedendo fianco a fianco degli dei.
 
 
 

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Capitolo 19
*** Il drago e la principessa del Sole - Il primo incontro ***


Il drago e la principessa del Sole – Il primo incontro
 
- Madre, non puoi farmi questo! Avresti dovuto prima consultarmi!! – urlò la fanciulla fuori di sè.
- Non una parola in più, Elia. Non osare. Hai almeno la vaga di quante lady all’interno dei sette regni e persino fuori di essi, desidererebbero essere al tuo posto? – le rispose senza scomporsi la maestosa Lady di Dorne.
- Non mi importa di cosa desiderano le altre donne!
- Dovrebbe invece.
Odiava quel modo di sua madre di restare sempre composta durante i litigi.
Era come se il suo volere fosse superiore a quello degli altri a prescindere, e ognuno dovesse prostrarsi a soddisfare i suoi capricci.
Per lo meno così appariva dall’esterno.
In quanto unica figlia femmina della Lady di Dorne, Elia avrebbe dovuto adempiere ai suoi doveri senza fiatare.
Così le era stato detto.
Così le era stato insegnato.
Ma così non aveva mai fatto.
Ella, al contrario, era sempre stata uno spirito libero, come il vento.
Per lo meno, così era stato fino al compimento dei suoi diciannove anni.
Era oramai un anno che sua madre continuava a dirle che aveva passato l’età da matrimonio, e che cercava di affibbiarla al primo figlio di lord che le capitava sottotiro.
Prima Jaime Lannister, poi addirittura suo fratello Tyrion.
Ma ora sua madre sembrava averla sistemata davvero e, dalle sue parole e dal sorriso inquietantemente soddisfatto sul suo volto, sembrava averla promessa al miglior partito esistente sulla faccia della terra.
Ma qualunque esso fosse, la fanciulla sapeva già che Oberyn non sarebbe stato d’accordo.
Vi era sempre stato un rapporto sin troppo stretto tra lei e suo fratello.
Talmente tanto che, qualsiasi uomo provasse seriamente a fare la corte alla bellissima principessa di Dorne, la Vipera Rossa gli metteva inevitabilmente i bastoni tra le ruote.
Elia ne aveva rifiutati in molti, a causa sua.
Talvolta, le malelingue definivano persino il loro rapporto “ambiguo”, alla maniera di quello che si vociferava esserci tra Cersei Lannister e il suo gemello Jaime.
Elia odiava quelle voci.
Era cosciente che il rapporto tra lei e Oberyn potesse sembrare un po’ morboso dall’esterno, ma tra i due non vi era mai stato nulla, oltre ad un’intensa complicità fraterna.
Ed ora.. ora sembrava che avrebbe dovuto rinunciare per sempre a quella libertà.
Sapeva che il momento sarebbe presto arrivato.
Ma non sarebbe mai stata pronta.
Si lasciò ricadere sul letto, arrabbiata e frustrata come non lo era mai stata.
Si torturò le mani e cominciò ad immaginarsi a quale figlio di lord rimasto ancora scapolo nei sette regni sua madre avesse promesso la sua mano.
- Allora? Hai intenzione di tenere quel muso lungo ancora per molto o vuoi sapere a chi andrai in sposa?
- Oberyn sarà furioso.
- Non vuoi saperlo? D’accordo, non te lo dirò.
- Voglio saperlo – disse sbuffando, arrabbiata e in tono indifferente. – Tanto, chiunque egli sia, non avrà alcuna importanza...
- Al principe ereditario Rhaegar Targaryen.
Il mondo si fermò per un attimo, e la fanciulla dalla foltissima chioma riccia dovette aggrapparsi al bordo del proprio talamo per non ruzzolare a terra a causa delle vertigini piombatele addosso per la sorpresa.
Le sue labbra tremarono e i suoi vividi occhi scuri si spalancarono all’inverosimile.
Sua madre attese qualche minuto, con ancora un largo sorriso sulle labbra, prima di riprendere la parola e riportarla alla realtà. – Ehi? La mia bambina si è ingoiata la lingua da sola? Capisco di averti profondamente sconvolta, ma non ero mai riuscita a lasciarti senza parole.
Allora? Non dici nulla?
- Stai mentendo...?
- Non sto mentendo, Elia. Re Aerys ha acconsentito alla mia proposta dopo che sua moglie ha partorito un altro figlio maschio e non una femmina come si aspettava. Se fosse stata femmina, il principe d’argento avrebbe sposato sua sorella, come è consuetudine per la casata Targaryen.
- Vuoi dire ... il figlio del Re Folle?
Colui che odia chiunque non faccia parte della dinastia Targaryen?
L’uomo che brucia vivi donne e bambini a proprio piacimento, e che si dice abbia arredato la sala del trono di teschi di drago...?
I Targaryen? Gli stessi che hanno messo a ferro e fuoco i sette regni per secoli e secoli?
- Ora non essere così tragica.
- Mesi fa avevi detto che si vociferasse che Cersei Lannister fosse stata promessa al principe Targaryen...
- Re Aerys non avrebbe mai ceduto la mano di suo figlio ad una Lannister.
- Beh per quale motivo l’ha ceduta ad una Martell, allora...?
Per avere la gioia di vedermi bruciare a puntino davanti ai suoi occhi non appena ne verrà voglia...?
La Lady di Dorne roteò i suoi splendidi occhi perfettamente truccati al cielo, e pose le braccia conserte. – Qualcos’altro...? Avanti, dimmi tutto ciò che di negativo ti venga in mente in questa unione, sono tutt’orecchie.
- Il fatto che lui sia più giovane di me, per esempio...
Il fatto che sia l’essere umano più intoccabile su questa terra e che sarà sicuramente l’opposto di me in qualsiasi cosa...
Il fatto che, nel profondo, potrebbe essere come suo padre..
Il fatto che sarò costantemente esposta ad una lente di ingrandimento, perpetuamente esposta a giudizi..
Il fatto che sarò letteralmente trascinata via da casa mia, e costretta a vivere in un covo di serpenti..
Il fatto che non sarò mai all’altezza..
Il fatto che dovrò partorire i legittimi eredi al trono di spade...
Il fatto che non avrò più una vita...
- Potrai restare qui a riversarmi addosso ogni tua peggiore ansia o timore fino a domani all’alba, Elia, ma io ti risponderò sempre nello stesso modo ... – le disse sua madre avvicinando il volto al suo fino a far toccare i loro nasi e a mischiare i loro profumi. - Sarai regina dei sette regni. Siederai sul trono di spade, Elia Martell.
Mi hai udito bene?
La fanciulla tremò ancora come una foglia, sentendosi mancare, mentre fissava negli occhi sua madre.
- Fai finta di non sapere nulla stasera a cena.
Tuo padre ci tiene a comunicarti la notizia per primo.
Quella notte Elia urlò, sfogando tutto ciò che provava sul cuscino di seta del suo talamo.
Oberyn la udì e la raggiunse, pronendole qualsiasi piano o stratagemma pur di farla sfuggire a quel destino che nessuno dei due voleva che lei vivesse.
Addirittura, le propose di scappare via quella notte stessa, di andare dove nessuno li avrebbe trovati, di vivere da fuggiaschi.
Ma Elia rifiutò la sua proposta.
Per quanto fosse ancora sconvolta, agitata, un cumulo di ansia e timore, sapeva quali fossero i suoi doveri.
Sapeva quale fosse il suo posto.
Oberyn allungò una mano colma di ricercati anelli sulla guancia di sua sorella, nel buio della notte, con il caldo afoso che entrava dalla finestra della camera di Elia.
Il cuscino era ancora bagnato delle lacrime della ragazza.
- Ogni donna desidererebbe essere al mio posto – sussurrò la fanciulla, guardando suo fratello negli occhi. – Ogni donna, Oberyn... eppure è toccato a me.
Il giovane principe dorniano le lasciò un lieve bacio sulla punta del naso. – Non ti lascerò mai a lui. Mai. Avrei preferito che cadessi tra le mani di un vecchio bavoso d’alti ranghi piuttosto che tra le grinfie di un Targaryen.
- Oberyn..!
- Non dicevo sul serio. Riguardo al vecchio bavoso. Ma i Targaryen sono il peggio del peggio. Lo sai. Li abbiamo sempre odiati. Ed ora andrai in moglie ad uno di loro.
- Le hai sentite almeno? Tutte le voci che girano su di lui? – gli domandò la ragazza, persa nei suoi pensieri.
Aveva gli occhi fissi nei suoi ma non lo guardava veramente.
- Sin troppe, Elia.
Una valanga di false adulazioni che mi danno solo il voltastomaco.
- Già la vedo l’espressione sui volti di tutte le mie cugine, le mie dame, di tutte le lady che incrocerò d’ora in avanti.
- Che espressione?
- “Come ci si sente, ad essere andata in sposa alla creatura più bella di tutti i sette regni?”
Oberyn rimase in silenzio per un po’, senza risponderle.
- Potrà anche esserlo. La creatura più bella di tutti i sette regni.
Ma non sarà comunque mai e poi mai alla tua altezza, sorella.
Elia gli sorrise dolcemente, allungandosi per lasciargli un fraterno e abituale bacio a fior di labbra.
- Stasera chiamerai Qoren a farti compagnia prima della partenza...? Oppure Wyl? O Mariah? Mi è sembrato di capire che Qoren sia il tuo preferito.
Elia negò con la testa, accucciandosi maggiormente alla spalla del fratello. – Nessuno di loro.
- Ma come..? Ho udito bene?? Sorella, domani partirai. Quando sarai andata in sposa al Targaryen non potrai più concederti tutto questo. Non vuoi goderti neanche un’ultima notte di piacere sfrenato?
- Quest’ultima notte.. voglio trascorrerla con mio fratello. Solo con lui – detto ciò, Elia poggiò la testa sul suo petto e i due rimasero stesi insieme, e si addormentarono in quel modo, beandosi del calore l’una dell’altro.
 
 
Rhaella strinse i lacci del corsetto sull’addome di suo figlio con le sue dita delicate.
Avevano avuto pochissimo tempo a disposizione per preparare le nozze: Aerys aveva preso accordi con la Lady di Dorne appena due settimane prima, e i rispettivi figli si sarebbero dovuti sposare non appena Elia fosse giunta ad Approdo, nel giro di pochi giorni.
Motivo per cui molti lord con le loro famiglie, di casate amiche alla corona, non sarebbero riusciti a partecipare alla cerimonia a causa delle ristrette tempistiche.
Rhaella pensò che fosse meglio così, meglio che fossero in pochi, nonostante il matrimonio dell’erede al trono fosse un evento più che eclatante per i sette regni.
Avevano deciso di agire tempestivamente e di farli sposare immediatamente per motivazioni differenti: la Lady di Dorne perchè temeva che Aerys avrebbe cambiato idea, e non aveva tutti i torti considerando quanto fosse volubile Aerys; mentre quest’ultimo perchè voleva che suo figlio piantasse il suo seme nel ventre di una donna il prima possibile, e non avendo Rhaella generato una femmina come egli sperava, si era dovuto accontentare dell’alternativa meno peggio.
Ma tutti sapevano quanto suo marito fosse incline alla lunaticità, e quanto fosse contrario all’idea di concedere suo figlio ad una donna che non fosse di stirpe Targaryen, dunque quanto quella situazione fosse critica e precaria.
Rhaella temeva persino che, rendendosi conto dell’“errore commesso”, suo marito potesse prendersela addirittura con lo stesso Rhaegar, succube del suo volere, poco prima o poco dopo la cerimonia.
A proposito di quest’ultima, Rhaella si era letteralmente fatta in quattro per riuscire, con l’aiuto di tutte le sue dame e le sue ancelle, ad organizzare una splendida cerimonia e un maestoso banchetto nonostante il poco tempo a disposizione.
Ritornando a concentrarsi su Rhaegar, non riusciva ancora a credere ai propri occhi mentre aggiustava qualsiasi piccolo dettaglio fuori posto che notava nel vestiario di suo figlio. Si allontanò di un passo, solo per osservare la figura slanciata del ragazzo che, seppur ancora diciassettenne, era già più alto di lei. Le septe e le sarte avevano fatto davvero un ottimo lavoro. Fu fiera di se stessa e della tempestività con cui era riuscita a radunare ad Approdo tutte le sarte migliori dei sette regni per realizzare i vestiti per il matrimonio di suo figlio. Quelle donne avevano fatto un vero e proprio miracolo, prendendo le misure maniacalmente accurate del corpo del ragazzo, e realizzando quegli abiti pregiatissimi, con dei tessuti talmente rari, belli e ricercati da fare quasi male agli occhi. E tutto in soli pochi giorni.
L’argento e il bianco perlato erano proprio i colori che donavano di più a Rheagar. Era surreale quanto tutto in lui fosse estremamente candido, accecante: i vestiti, la pelle, i capelli. Solo gli occhi, di un vivido viola, due macchie di colore su quella distesa chiarissima, destavano l’attenzione di chi lo osservasse in maniera violenta.
Rhaella osservò il volto di suo figlio, provando dolore al cuore non appena si accorse che mostrava sempre la stessa, identica espressione, da circa due settimane, nonchè da quando aveva scoperto che suo padre gli avesse trovato una moglie.
Gli occhi vuoti, vacui, spenti, cupi; lo sguardo freddo, gelido, assente, indifferente, privo di espressività. Una e vera e propria maschera di ghiaccio.
Non parlava più del necessario, non diceva nulla.
Si limitava a compiere il suo dovere come aveva sempre fatto, senza opporsi.
Persino quando suo padre gli aveva comunicato la notizia per la prima volta, Rhaegar era rimasto impassibile, non si era opposto, nè lamentato minimamente; nonostante quella fosse l’ultima cosa che volesse, Rhaella lo sapeva benissimo.
- Tesoro? – tentò di richiamarlo, con il suo abituale tono carezzevole. – Non hai detto una parola da quando siamo qui – gli disse. – Sai, credo proprio che ti troverai bene con la principessa di Dorne. Ho udito dire che è una ragazza dolce. Dolce e passionale. Inoltre, dicono anche sia molto bella. Rhaegar?
Gli occhi del ragazzo erano ancora distanti da lei.
Decise di guardarla, per accontentarla, e Rhaella ne fu lieta.
- Non devi andare a controllare Viserys?
- Ho lasciato tuo fratello con le balie, non preoccuparti. Non potevo lasciare che fossero le septe a preparare mio figlio per le sue nozze, per niente al mondo – disse accarezzandogli una guancia.
Dopo di che, posò le mani sulle sue spalle e lo portò a voltarsi verso lo specchio di fronte a lui, restandogli dietro. – Sai cosa vedo, tesoro?
Rhaegar attese che lei parlasse, senza dire nulla.
- Vedo un giovane uomo pieno di tutta l’energia che il mondo possiede.
Vedo il fuoco, il fuoco dell’intelligenza, della determinazione, della bontà, dell’audacia, della forza e del talento.
Tu bruci, mia luce. E continuerai a bruciare, non importa cosa accadrà.
Rhaegar si voltò a guardarla, rivolgendole la prima vera espressione da giorni. Le accennò un sorriso lieve, che però a Rhaella bastò.
- Tuo padre vuole vederti prima di condurti all’altare.
- Sono già arrivati tutti gli invitati?
- Sì. È tutto pronto. Manchi solo tu. E la sposa.. ovviamente.
Egli annuì e le baciò il dorso della mano.
- Ti aspetto di là – gli sussurrò ricambiando il bacio, per poi uscire dalla stanza.
 
Rhaegar si recò nelle stanze di suo padre, in cui l’uomo lo attendeva.
Notò già immediatamente quanto fosse agitato e indisposto, dal modo in cui le sue mani ossute tremavano e le sue gambe scalpitavano, seppur sedute.
In quella stanza vi erano solamente Ser Barristan Selmy, il più fidato membro della guardia personale del re, e il Ragno Tessitore Varys.
Quando Rhaegar entrò e si chiuse la porta dietro di sè, rivolse un lieve inchino a suo padre e aspettò che egli parlasse.
Dopo essersi mangiato le unghie per un intero minuto, Aerys si decise ad alzare lo sguardo su di lui, spalancando gli occhi incavati e rimanendo senza parole.
Si alzò in piedi, gli si avvicinò e gli poggiò pesantemente le mani sulle spalle, restando ad ammirarlo.
- Guardati ... stai benissimo.
- Grazie, padre.
- Ma questo non ti esonererà dall’essere in ritardo. Avevo richiesto la tua presenza qui circa trenta minuti fa. Ora, per colpa del tuo ritardo, faremo tardi alla cerimonia.
- Sono stato fino ad ora con mia madre. Si è occupata lei del vestiario.
- Quella strega poteva impiegarci di meno e smettere di trattenerti senza ragione!! - esclamò già sfuriando, poi cercando di ricomporsi.
- Ti rendi conto di quanto sia importante questo giorno, figlio mio? – disse poi.
- Sì, padre.
- Questo è il giorno ... in cui cederò mio figlio... il mio primogenito... l’erede al trono... a quelle bestie dei dorniani.
Rhaegar non disse nulla, continuando a guardare avanti a sè, ignorandolo, così come fecero gli altri due presenti in stanza.
- Come siamo arrivati... come siamo arrivati ad un punto di tale degrado...? Quella cagna di Dorne crede che io ti abbia ceduto a loro... io abbia ceduto te, sangue del mio sangue, a quella baldracca della figlia... consapevolmente.
- E non è quello che hai fatto? – si azzardò a rispondergli.
- No!! Per tutti i draghi di Aegon! Come avrei potuto?? Ero fuori di me quando ho acconsentito.
- Credevo che avessi acconsentito per farmi avere un erede al più presto, e perchè sono in età di matrimonio oramai. Oltre al fatto che mia madre non ha generato una sorella da farmi sposare – disse pungente.
Aerys iniziò a ridere istericamente, per poi riprendere. – Credi che la colpa sia solo sua? Di quella puttana di tua madre, per aver generato un altro inutile maschio? Avevo bisogno di un erede maschio, sì, ma solo di uno, non me ne faccio niente di due figli maschi! Poteva nascere femmina tuo fratello, come potevi nascere femmina anche tu, dannato! – esclamò rabbioso, artigliandolo per il colletto del corsetto. – Perchè sei nato maschio, eh?? Dimmelo!
- Non è qualcosa che avrei potuto controllare o scegliere.
- Mi stai rispondendo con sufficienza per caso? Stai utilizzando quel tono strafottente e presuntuoso che usi sempre con me, quando dico qualcosa che non ti sta bene, Rhaegar?! Rispondimi!! Perchè sai, sai benissimo che odio quando ti credi più intelligente e furbo di me! Non lo sei!! Non lo sei e non lo sarai mai!
- Lo sanno tutti che l’intelligenza è la tua qualità più lucente, padre. Non mi permetterei mai.

- Tu dovevi fermarmi... dovevi fermarmi non appena ti ho proposto tale assurdità... dovevi farmi rinsavire... era tuo compito farlo! – disse il re crogiolandosi e stringendosi i capelli con disperazione.
- Cosa intendi?
- Intendo che avresti dovuto farmi cambiare idea quando eravamo ancora in tempo, e convincermi a non farti sposare quella cagna dorniana che ti sta aspettando impaziante nella sala del mio trono!! A cosa mi servi se non riesci neanche a far rinsavire il tuo re??
- Sai bene che odi quando mi oppongo a te!
- Avresti dovuto fermarmi!! – ripetè, continuando a strattonarlo verso di sè.
- Nessuno mai sarebbe in grado di fermare la tua follia, e sta’ certo che farmi sposare una donna che non conosco è la follia minore e più innocua che la tua mente deviata sia stata in grado di generare, perciò tranquillizzati, padre!!
Varys e Barristan Selmy raggelarono a quelle parole del principe, così come impietrirono anche dinnanzi a quello che avvenne subito dopo.
Aerys aveva colpito suo figlio con un violento schiaffo in pieno volto, facendogli voltare completamente la testa dall’altra parte.
I due uomini notarono distintamente come i pugni del ragazzo si strinsero per trattenersi dal ricambiare il colpo ricevuto con gli interessi, considerando quanto facilmente sarebbe riuscito nell’intento. Suo padre aveva il corpo debole come quello di un vecchio, avrebbe potuto persino farlo cadere a terra con una sola spinta.
Tuttavia, suo padre era anche il re.
Ed ogni volta che suo padre alzava le mani su di lui, doveva trattenersi.
Doveva ricordarsi di subire in silenzio e senza fiatare la sua ira ingiustificata e immotivata, il suo odio, le sue paranoie, le sue folli ansie e paure, attendendo che si calmasse, esattamente come quando era piccolo.
Barristan, che si trovava alla destra, verso la direzione in cui la testa del principe si era voltata per lo schiaffo, notò distintamente un evidente taglio farsi largo nel labbro inferiore del ragazzo, traboccante di sangue vivo.
Il cavaliere sbiancò decidendo di intervenire prima che fosse troppo tardi. – Sire, gli invitati stanno tutti aspettando con impazienza l’arrivo dello sposo, nella sala del trono. Sarebbe il caso di evitare di deturpare il volto del principe proprio il giorno del suo matrimonio, poco prima che egli si mostri ad un’intera folla di persone che sono giunte qui per vederlo.
- Già, sarebbe opportuno non farli aspettare ancora, Eccellenza – andò in suo aiuto anche Varys.
A ciò, Aerys sorrise sprezzante, velenoso.
- Ma certo.
Vai, figlio mio. Va’ da loro, a farli morire tutti di invidia come solo tu sai fare.
Ti voglio fuori dalla mia vista.
 
La prima cosa che Elia registrò non appena mise piede dentro la sala del trono di Approdo del re, era uno strano profumo.
Un profumo che le entrò nelle narici con incombenza, come di un’infinità di candele profumate e di fiori.
Effettivamente, non era strano, dato che l’intera sala era ricoperta di mazzi di fiori ovunque.
Quel luogo era quanto di più maestoso la principessa dorniana avesse mai visto.
La struttura, la costruzione, le colonne, l’imponente trono di spade di cui aveva udito parlare dalle leggende, gli enormi finestroni che illuminavano l’ambiante di una calda luce, e che le davano quasi l’illusione di stare all’esterno, i bellissimi fiori sconosciuti e dai colori caldi sparsi per tutto il salone. L’unica nota che stonava un po’ con tutto quell’incantevole e maestoso scenario, erano le teste di drago che occupavano tutta la fiancata destra, motivo per cui tutti gli invitati erano stati distribuiti sulla sinistra. Tuttavia, nonostante tutto, anche quelle riuscivano ad ammaliare e a commistionarsi con tutto il fascino che suscitava quel luogo.
Elia fissò quei teschi rapita.
Questo solamente prima di posare gli occhi, a distanza, sul giovane ragazzo che avrebbe a breve sposato.
Nel momento in cui i suoi occhi si posarono su di lui, tutte le altre presenze sparirono da quel salone.
C’erano solo loro due. Lei e lui.
Lei che lo stava raggiungendo, lui che la aspettava.
Improvvisamente, si sentì quasi mancare.
Più lo guardava, più le insicurezze che la affliggevano sin da quando aveva scoperto che lo avrebbe sposato cominciarono a moltiplicarsi esponenzialmente.
Si sentì orribile, inadatta, troppo semplice, troppo banale e modesta.
Un pallido fiore dinnanzi ad un meraviglioso rubino.
Mentre varcava la navata e si accorciava la distanza che la divideva dal principe drago, cominciò a percepire una miriade di sguardi pesarle addosso, su di lei, ma soprattutto su di lui. Gli sguardi su di lui gli diedero più fastidio di quanto avrebbero dovuto.
Il vestito strettissimo le stava stritolando il busto sino a toglierle il respiro, quell’acconciatura intricatissima era talmente stretta e pesante, che la stava facendo sbilanciare, provocandole un gran mal di testa, soprattutto a causa dell’elevata presenza di spille che le appuntavano i ricci; lo scollo a V dello sfarzoso abito era troppo eccessivo, non la faceva sentire a suo agio; per non parlare dei piedi, che stavano perdendo di sensibilità dentro quelle scarpe flagellanti.
Nonostante tutto, non poteva svenire, non poteva mostrare esitazione, debolezza, nè qualsivoglia segno di umanità e cedevolezza, non dinnanzi al re, non dinnanzi al giovane principe da cui non riusciva a staccare gli occhi di dosso.
Quando riuscì a portare a termine la sua camminata infinita, e a giungere finalmente dinnanzi a lui, il suo primo istinto spontaneo, fu quello di abbassare la testa verso il pavimento, e di non guardarlo più per il resto della cerimonia.
Se lo ritrovò davanti, ed era ciò che di più spaventosamente perfetto vi fosse sulla faccia della terra.
Non poteva essere umano, l’unica spiegazione era che fosse ultraterreno, pensò la ragazza, in quanto nessun aggettivo umano avrebbe potuto descrivere l’eccezionalità della sua sconfinata bellezza.
E nonostante tutto ciò la mettesse estramamente a disagio, la dorniana non riuscì ad interrompere il contatto visivo con lui.
Rimase fissa, a scandagliare ogni suo movimento e lineamento, mentre lui, seppur avesse quei fari viola puntati su di lei per buon abito, in realtà non la guardava davvero.
Elia si accorse immediatamente che avesse la mente altrove.
Teneva la testa alta, come sicuramente gli avevano insegnato a fare, e come gli veniva anche naturale; e non aveva una singola cosa fuori posto.
Le sue movenze erano di un’eleganza che la fanciulla non aveva mai visto in altri. Certo, non aveva visitato altri luoghi dei sette regni, in quanto era rimasta sempre nella sua amata Dorne; e sapeva anche che la nobiltà di atteggiamento e di aspetto era risaputa tra i Targaryen.
Tutte le caratteristiche che la stregavano di quel principe erano già risapute e ben diffuse nelle bocche di tutti.
Tuttavia, Elia non riusciva comunque a capacitarsene.  
L’uomo che avrebbe consacrato la loro unione, alla loro sinistra, iniziò a parlare.
Elia si concentrò maggiormente sullo sguardo del suo consorte, e quel suo totale distacco le fece male.
Probabilmente egli era nell’ultimo luogo in cui desiderava stare, e lei non poteva dargli torto, in quanto, in parte, anche lei desiderava trovarsi ovunque tranne che lì.
La loro unione era ciò di quanto più surreale e assurdo potesse esistere, dal suo punto di vista.
Tuttavia, quel ragazzo riusciva a nascondere ogni sua emozione magistralmente bene, una dote che Elia gli invidiò.
Era serafico, granitico, mentre ascoltava le parole dell’uomo e la guardava negli occhi, impassibile.
Sin da quando lo aveva raggiunto e se lo era ritrovato davanti, Elia aveva anche notato che avesse un taglio, una ferita fresca sul labbro.
Non vi aveva dato peso all’inizio, ma ad un certo punto la ferita iniziò a colmarsi di sangue, perciò non riuscì ad evitare di guardarla e di chiedersi come se la fosse fatta, in quanto sembrava un taglio ben più profondo di quanto credesse inizialmente.
- Principessa Elia della casata Martell di Lancia del Sole, giurate voi solennemente, dinnanzi agli antichi dèi e a quelli nuovi, di amare, di sostenere e di onorare il vostro unico e solo consorte, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia, nella pace e nelle difficoltà che il Fato vi porrà dinnanzi, finchè la morte non si frapporrà fra voi?
- Sì, lo giuro – pronunciò guardandolo negli occhi.
- E voi, Principe Rhaegar della casata Targaryen di Roccia del Drago, giurate voi solennemente, dinnanzi agli antichi dèi e a quelli nuovi, di amare, di sostenere e di onorare la vostra unica e sola consorte, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia, nella pace e nelle difficoltà che il Fato vi porrà dinnanzi, finchè la morte non si frapporrà fra voi?
- Lo giuro – la sua voce era determinata, calda e suadente.
A ciò, l’uomo fece avvicinare i loro polsi, sovrapponendoli, legandoli insieme con il sacro nastro.
- Il vostro legame è solido – disse.
- Il vostro legame è solido – ripeterono in coro tutti i presenti.
- Dinnanzi agli dèi, vi dichiaro marito e moglie.
Elia resistette fino all’ultimo dal farsi cedere le gambe, a causa di quelle scarpe, del vestito, e dell’immensa agitazione.
Trovò la forza di resistere grazie agli occhi viola del suo sposo puntati nei suoi.
Ora che la parte che credeva fosse quella difficile era stata superata, Elia non fu più sicura di potersi davvero rilassare.
Vi erano ancora i festeggiamenti, il banchetto, ma soprattutto tutti quei maledetti occhi puntati su di loro.
Inoltre, dovevano ancora rimanere soli.
Come sarebbe stato quando sarebbero rimasti soli loro due?
Ora era il momento del cambio d’abito, la sua dama di compagnia si era già avviata verso la stanza in cui si era già cambiata e preparata prima della cerimonia, e la attendeva.
La sala si svuotò, in quanto tutti i presenti vennero immediatamente condotti verso la sala in cui si sarebbe tenuto il banchetto e i festeggiamenti.
Elia fece per congedarsi momentaneamente dal suo sposo, non appena il nastro che li univa venne sciolto, giusto per andare a cambiarsi d’abito e a privarsi di quel supplizio che le stava togliendo il respiro.
- Dove andate?
Quella voce le penetrò l’anima.
Si voltò verso il principe drago, rivolgendogli uno sguardo ingenuamente interrogativo.
- Dobbiamo firmare la pergamena. Entrambi. Finchè non la firmiamo non saremo ufficialmente sposati.
Elia si diede mentalmente della stupida per averlo dimenticato, ma quel giorno la sua razionalità e lucidità sembrava pericolosamente traballare, specialmente con lui vicino.
Un Gran Maestro comparve nel loro campo visivo, sorridendo loro cordialmente. - Maestà, vi prego di seguirmi. Vi condurrò nella stanza in cui dovrete firmare la pergamena.
A ciò, i due obbedirono e seguirono il vecchio.
Non appena giunsero nella stanzetta vuota, l’uomo si rivolse di nuovo a loro. - Attendete pazientemente qui, sire. A breve vi porteremo la pergamena – detto ciò, se ne uscì dalla stanza, lasciandoli soli.
Trascorsero almeno dieci minuti di silenzio tombale tra loro, che Elia percepì come un’eternità.
Non ce la faceva più a reggere quel silenzio e quella tensione, perciò parlò, dicendo una cosa che voleva dirgli da circa mezz’ora. – Il vostro labbro sanguina.
Un pessimo modo di rompere il ghiaccio, se ne rese conto, ma sempre meglio di nulla.
Anche perchè quel taglio sembrava sempre ingigantirsi ogni volta che lo guardava, o forse era solo una sua impressione.
- Dovreste almeno disinfettare la vostra ferita. Immagino sia fastidioso il costante sapore ferroso in bocca – continuò lei, notando che lui non rispondeva e non la guardava. Se ne stava in piedi, in attesa, senza muoversi nè fiatare. Sembrava nulla riuscisse a toccarlo – Forse dov-
- È solo uno stupido graffietto, non serve medicarlo – la interruppe lui, degnandosi di rispondere.
- A me non sembra – rispose sinceramente la fanciulla. – Avete le labbra tutte sporche di sangue. Sembra molto fresca. Ve la siete fatta poco prima della cerimonia?
- Possiamo ... evitare di parlare e aspettare semplicemente che ci portino la pergamena? – le chiese gentilmente, in quel tono che nascondeva del palese fastidio.
- Se lasciaste che vi pulisca la ferita, non fiaterei più – la dorniana non si arrese, oramai la considerava quasi una questione di principio.
Come era possibile che le avesse chiesto di non parlare?
Erano sposati oramai.
Prima o poi avrebbero necessariamente dovuto iniziare a parlare.
E prima ciò sarebbe accaduto, meglio sarebbe stato.
Ma quel ragazzo sembrava essere un muro.
Elia non lo avrebbe mai ammesso, ma quelle parole e quell’atteggiamento da parte sua la ferirono, nonostante, sotto sotto, se li aspettasse e non la sorpresero.
La sua assenza di risposta la agitò ancora di più.
Come se non bastasse, il vecchio sembrava sparito, l’aria in quella stanzetta era stantìa, e il vestito e le sue scarpe le stavano stringendo a tal punto da aver portato la sua soglia di sopportazione al limite.
Non ce la faceva più.
Improvvisamente, la testa le girò così violentemente da farla sbilanciare all’indietro.
Si aggrappò alla superficie solida che trovò più vicina, nonchè un tavolino dietro di lei, per non precipitare a terra.
Fu in quel momento che il suo novello sposo le si avvicinò talmente tanto da stordirla col suo profumo.
- State bene? Milady, vi sentite male?
Il suo tono così appresivo fu un vero e proprio elisir per il suo umore a terra.
Improvvisamente, quel volto divino era troppo vicino e mostrava uno sguardo allarmato.
La principessa dorniana accennò un sorriso, e decise di prendersi una piccolissima rivincita.
Nonostante sentisse di aver ripreso le forze, finse di avere un altro mancamento, questa volta più serio e grave del primo, accovacciandosi a terra e iniziando a tremare e ad ansimare lievemente.
A ciò, il principe drago si abbassò accanto a lei, preoccupato, non sapendo minimamente cosa fare.
- Vi prego, ditemi cosa devo fare. Cosa vi prende? Vi sentite male? Volete che chiami un Gran Maestro? Qui ad Approdo ne abbiamo a volontà, posso andare a chiamarne uno immediatamente e ... cosa c’è? – fermò il suo flusso di parole e la guardò confuso nel momento in cui lei non riuscì a resistere un secondo di più e iniziò a sorridere di sottecchi, colpevole, con lo stesso sguardo che avrebbe avuto una bambina beccata con le mani dentro una ciotola di zucchero.
Nel simulare quell’innocente scherzo, le si era anche disfata lievemente l’elaborata e fastidiosissima acconciatura.
Lui, in cambio, dall’alto della sua statura le rivolse lo sguardo più truce e pericoloso che la principessa avesse mai visto e che qualcuno le avesse mai rivolto, tanto da spaventarla quasi.
- Siete impazzita per caso..? – le disse severo.
- Mi dispiace. Vi garantisco che non era mia intenzione, inizialmente. Mi sono sentita davvero male, poco fa.. ho solo esagerato un po’. Vi prego di perdonarmi.
Lui la guardò ancora in cagnesco, tanto che si sentì improvvisamente in colpa.
- Non si scherza con argomenti simili.. pensavo che sareste svenuta davanti ai miei occhi da un momento all’altro.
- Mi dispiace, mio principe.
Era la prima volta che lo chiamava così e si sentì arrossire fino alla punta dei capelli, senza alcun motivo razionale.
- D’accordo – cedette lui.
A ciò, Elia gli rivolse uno sguardo interrogativo, non capendo.
- Se avete un fazzoletto con voi, vorrei pulire il taglio. Sto ingoiando sangue da quasi un’ora per cercare di farlo smettere – ammise egli, dandole quella piccola-grande soddisfazione.
La ragazza sorrise internamente soddisfatta, e tirò fuori dalla tasca del suo abito il suo fidato fazzoletto di seta. – Ne porto sempre uno con me. Lasciate che faccia io – gli disse avvicinandosi a lui e allungando una mano verso la sua bocca, pulendo con delicatezza e accortezza tutto il sangue ancora fresco che macchiava le sue labbra.
Cercò di non vacillare, nè di guardarlo negli occhi, mentre aveva il suo volto tanto vicino, e il suo buon odore che le invadeva di nuovo i sensi.
- Non volete dirmi chi è stato a provocarvelo..? – le venne spontaneo sussurrarglielo, mentre gli puliva il taglio e ne osservava l’entità.
Ma i due vennero interrotti dal Gran Maestro, che tornò finalmente con la pergamena in mano.
I due ragazzi firmarono in silenzio, ufficializzando totalmente la loro unione, per poi separarsi in silenzio, e dirigersi verso le rispettive stanze per il cambio d’abiti.
 
 
Giunti al banchetto, i novelli sposi ovviamente vennero posti seduti vicini.
Tuttavia, non si scambiarono una parola per tutta la serata.
Quando finalmente giunse il momento dei balli, Elia poté finalmente sgranchirsi un po’ le gambe e svagarsi dall’agitazione che ancora la invadeva.
Si alzò in piedi non appena si aprirono le danze, e anche numerose altre dame con i rispettivi accompagnatori si misero in posizione in mezzo al salone.
La dorniana si voltò a guardare Rhaegar, il quale sembrava non avere la minima intenzione di alzarsi in piedi.
Per tutta la serata, il ragazzo era rimasto a rivolgere sguardi di odio, misto a preoccupazione, verso suo padre il re, il quale sembrava non staccargli mai gli occhi di dosso a sua volta.
Elia si chiese cosa succedesse tra i due, in quel momento avrebbe fatto di tutto per scoprire cosa gli passasse per la mente.
- Voi non ballate? – gli domandò, distogliendo i suoi fari viola dal sovrano.
- No, sto bene qui.
- Allora resto qui anche io – disse riprendendo posto seduta, accanto a lui.
- Voi andate – la incoraggiò il principe, sorprendendola.
- Senza il mio cavaliere non andrò a ballare – gli rispose guardandolo contrariata, come se stesse sottolineando l’ovvio.
Provava un gran desiderio di ballare con lui in quel momento.
Per stabilire almeno un minimo contatto. Verbale o visivo. Qualsiasi cosa sarebbe andata bene, per lenire quella freddezza.
Aveva davvero creduto che si sarebbe alzato anche lui per ballare, dato che si erano appena sposati, e le persone non volevano altro che vedere i giovani sposi, il principe e la principessa ereditari, ballare insieme come coppia.
Ma, a quanto pare, Rhaegar Targaryen non aveva intenzione di accontentarli, così come non aveva alcuna intenzione di accontentare lei.
Sembrava totalmente disinteressato all’opinione di tutte quelle illustri presenze che puntavano gli occhi su di lui.
In seguito a quella frase, il principe drago le aveva accennato un fievole sorriso e le aveva dato la risposta che temeva: – Potete scegliervi un altro cavaliere, milady.
Lo disse con una naturalezza agghiacciante.
Era appena stata rifiutata. Doveva aspettarselo.
Il principino doveva essere un tipo a cui si doveva correre dietro. O meglio, che ti costringeva a corrergli dietro.
Già risentiva la voce di Oberyn penetrarle nelle orecchie con impudenza: “È solo uno spocchioso ragazzino viziato”.
La ricacciò via, cercando di non farsi sopraffare da stupidi pregiudizi.
Lo guardò negli occhi, cercando di studiarlo, per quanto possibile, nonostante la folla, nonostante la confusione, nonostante non fossero ancora soli.
Quelle iridi la rapirono in una morsa dolorosa.
Quegli occhi nascondevano qualcosa di oscuro, di profondo, che la ragazza sapeva di non poter comprendere. Per lo meno non ancora.
Sarebbe stata lunga, la strada.
Ma non aveva intenzione di darsi per vinta.
La dorniana era sempre stata una fanciulla tenace, parecchio combattiva, nonostante le sue condizioni fisiche cagionevoli potessero far presupporre il contrario.
- Vorrei ballare con voi, mio principe – gli disse schietta, riuscendo a provocargli un moto di sorpresa in quegli occhi impenetrabili, restandone fiera. – Se me lo concederete. Magari non ora, ma entro fine serata – aggiunse con un piccolo moto di speranza.
Voleva portarlo via da quel tavolo, farlo alzare e sottrarlo dalle attenzioni palesemente sgradite di suo padre.
Egli accennò un altro sorriso, che nascondeva un’amara nota di tristezza. – Non voglio privarvi di qualcosa che volete fare solo perchè non voglio farla io. Andate – le disse semplicemente, quasi costringendola ad andare con il suo sguardo.
A ciò, Elia fece come le aveva detto.
Si alzò e raggiunse il salone.
Iniziò a ballare con le altre dame, poi si divisero a coppie.
La sua mano venne catturata, così come il suo ventre, dalle mani di un aitante cavaliere dai capelli scuri. Probabilmente si trattava di ser Richard Lonmouth. Sua madre le aveva fatto una piccola lezione di ripasso su tutte le personalità e i nobili di spicco che avrebbe dovuto saper riconoscere una volta trasferita ad Approdo del re, costantemente scandagliata dall’occhio critico dei Targaryen.
Fu fiera della sua buona memoria.
Ser Lonmouth era un tipo che sorrideva spesso e metteva a proprio agio, tuttavia non si scambiarono molte parole.
Poi, cambiò cavaliere.
Al secondo giro, capitò con un giovane uomo dai capelli biondo cenere, la presa forte, e dall’aspetto e l’aura stranamente familiari.
Avrebbe saputo riconoscere un suo conterraneo da chilometri di distanza, la principessa Elia.
- Voi siete...?
- Ben ritrovata, principessa.
L’ultima volta che vi ho vista, credo abbiate avuto poco più di quindici anni, e vostro padre vi aveva appena beccata ad aver giaciuto insieme a due dei vostri affascinanti servi da compagnia, se non erro. Ricordo fu una scena esilarante – commentò quello che ebbe la conferma essere Arthur Dayne.
Elia gli sorrise sardonica. – Arthur Dayne. Ora vi chiamano con il lusingante appellativo “Spada dell’Alba”, giusto? Che strano rivedervi qui. Se voi siete qui, sicuramente c’è anche vostra sorella Ashara. Da che ricordo, siete inseparabili.
- Non temete, avrete modo di vederla anche sin troppo mia sorella, dato che sarà una delle vostre dame di compagnia.
- Davvero? – chiese conferma rallegrandosi.
Arthur annuì e la guidò abilmente nella danza.
- Vi trovo cambiato, ser Arthur. 
- Approdo del re cambia la maggior parte di coloro che vi passano anche solo un breve periodo, mia signora. Inoltre, anche voi siete cambiata, e considerevolmente cresciuta, se mi è permesso dirlo.
- Noto che il vostro atteggiamento è piacente e fastidiosamente lusingante come al solito – ghignò la ragazza, internamente felice di aver trovato, persino in quel luogo sconosciuto, qualcuno che le ricordasse casa.
- Anche quel cialtrone di vostro fratello è venuto qui ad assistere al vostro matrimonio? - le domandò poi, facendole fare una fluida giravolta su se stessa.
- No, solo i miei genitori sono presenti. Oberyn è rimasto a Dorne. Non sopportava l’idea di ... tutto questo.
- Immaginavo. Da quel poco che conosco vostro fratello, ho avuto modo di notare bene quanto gli sia indigesto Approdo del re, e tutto ciò che ha a che fare con la corona, specialmente se si tratta di capelli d’argento e stirpe di drago.
- Oberyn odia i Targaryen – confermò Elia leggermente affranta. Chissà quando avrebbe convinto il suo amato fratello ad innalzare bandiera bianca e ad abbandonare tutti i suoi pregiudizi, per convivere in pace con il principe drago e venirla a trovare lì ogni quanto ne avesse avuto voglia.
- Appunto. Per questo sono felice che non sia venuto qui. Se la memoria non mi inganna, egli aveva una vera e propria ossessione per la famiglia reale. Non faceva altro che sputare odio immotivato sul vostro oramai consorte, oltre che su suo padre.
- Biasimate qualcuno che nutre odio nei confronti del re folle?
- Di Aerys non potrebbe importarmi di meno.
Piuttosto, biasimo qualcuno che nutre odio nei confronti del principe Rhaegar solo per il sangue che gli scorre nelle vene, e per partito preso – rispose il cavaliere senza esitazione, lasciandola stupita. In quel momento, ad Elia venne in mente per quale motivo Arthur Dayne si fosse stabilito ad Approdo già da anni, ma soprattutto le voci che correvano su di lui. – Inoltre... – continuò il giovane in tono amichevolmente ammonente, avvicinandosi al suo orecchio. - vi consiglio di non chiamare il nostro re in quel modo quando quest’ultimo è solo a pochi metri di distanza da voi, principessa. O forse, farei meglio a chiamarvi “futura regina dei sette regni”.
- Chiamate in questo modo anche il nostro principe d’argento, ogni volta che vi rivolgete a lui? Non è un po’ lungo e ridondante come appellativo? – gli domandò lei, facendolo sorridere di sottecchi. – A proposito del mio consorte, ser Arthur.. – riprese la ragazza, posando di tanto in tanto lo sguardo verso il soggetto del suo discorso, a distanza, come stava facendo da quando si era alzata e aveva lasciato il suo fianco per recarsi a ballare. – Le voci corrono. Si dice che voi e il principe siate molto vicini, e che in poco tempo siate riusciti a diventare affiatati. Sembra che voi non lasciate mai il suo fianco.
- Sono la sua guardia personale, mia signora. Non potrei mai lasciare il suo fianco neanche se lo volessi.
- Ser Arthur? Siate sincero con me. Dovrei preoccuparmi di voi? Nutrite un interesse di un certo tipo nei suoi confronti?
- Principessa, potrei farvi nomi e cognomi di tutta la sfilza di scudieri, di cavalieri, di guardie reali rispettabili, impettite e tutte d’un pezzo che lo guardano con sguardi languidi che lasciano ben poco all’immaginazione. Ma posso garantirvi con tutta certezza, che io non ho mai avuto e mai avrò quelle intenzioni. Tutt’altro. Sono qui per proteggerlo da ogni male, per guardargli le spalle, qualsiasi cosa accada. Il legame che mi rende impossibile stargli lontano, è fondato sulla pura e semplice amicizia fraterna.
- La vostra lealtà e il vostro zelo sono a dir poco ... ammirevoli – si meravigliò la ragazza. – Ma d’altronde, avrei dovuto dedurlo, che non aveste determinati gusti, considerando quante volte mio fratello abbia tentato un qualsiasi tipo di approccio con voi, poi fallito miseramente.
Arthur sorrise divertito, insieme alla principessa, la quale poi, ritornò all’argomento principale. – Ditemi, Arthur, dato che lo conoscete così bene... come mi devo comportare con lui? Cosa devo aspettarmi?
- Cosa intendete?
- Ci siamo appena sposati. Eppure lui non mi degna neanche di uno sguardo. Non vuole ballare con me, non vuole parlare con me, sembra non voglia nemmeno avermi vicina. Capisco che siamo sostanzialmente due estranei, e che questo matrimonio improvviso e sgradito deve averlo scosso anche più di quanto abbia scosso me; tuttavia vorrei sapere come comportarmi con lui. Per non fare passi falsi.
- Vi do un consiglio, mia principessa, che spero prenderete a cuore fino al resto dei vostri giorni con lui, che mi auguro possano essere infiniti: abbiate pazienza. Abbiate molta pazienza, procedete con calma e accortezza, e non smettete mai, mai di tentare con lui – le disse in tutta sincerità, sorprendendola. – Vi sono molte questioni irrisolte, molti demoni invisibili e non, che affliggono il nostro principe e questo luogo dal fascino sinistro. Presto, imparerete a muovervi tra i draghi anche voi, come ho imparato a fare io. Non sarà facile, ci vorrà del tempo, ed io in primis ho dovuto sputare sangue per riuscirci. Ma vi posso giurare che ne vale la pena. Per lui ne vale la pena.
A ciò, la fanciulla  posò nuovamente gli occhi sul principe drago, accorgendosi che il ragazzo si fosse alzato dal suo posto, e ora fosse in piedi, accanto all’imponente sedia in cui era accomodato suo padre il re. Aerys sembrava adirato, e stava letteralmente stritolando il polso di suo figlio, il quale lo stava fulminando con lo sguardo a sua volta.
Elia ebbe quasi il timore che i due si sbranassero a vicenda da un momento all’altro, esattamente come i pericolosi rettili di cui le teste ornavano la sala del trono.
Il re strattonò il braccio di suo figlio ripetutamente, cercando comunque di non dare troppo nell’occhio dinnanzi alla modesta folla di invitati.
Per sua fortuna, la maggior parte delle persone erano impegnate a ballare, come lei, o a guardare gli altri ballare, per far caso a quella scena.
Elia provò del malcelato fastidio nell’osservare le mani artiglianti di quell’uomo afferrare il polso del figlio in modo tanto violento.
Vi erano solo loro lì, in quanto la regina era sparita.
Probabilmente era andata ad occuparsi del neonato che aveva da poco messo al mondo, nelle stanze reali, pensò Elia.
- Arthur? – lo richiamò cessando di ballare, facendo fermare anche lui.
- Sì?
- Che sta succedendo lì? Credo che dovremmo intervenire – disse con convinzione la fanciulla, facendo voltare anche il cavaliere verso Aerys e Rhaegar.
I due stavano litigando per qualcosa, ma la musica alta dei musicisti copriva le loro parole rabbiose e fendenti.
Senza pensarci due volte, Arthur si avvicinò ai due con l’intenzione di domandare se andasse tutto bene, ma padre e figlio si divisero prima che il dorniano li raggiungesse, in quanto Rhaegar si liberò dalla sua presa.
D’improvviso, lord Tywin Lannister interruppe i balli e i musicisti, innalzando la voce, facendo così cessare anche il chiacchiericcio di sottofondo: - Mio principe – iniziò, facendo voltare tutti quanti verso il succitato, il quale era ancora in piedi vicino alla sedia del re. – Perchè non allietate i vostri ospiti e la vostra meravigliosa sposa con il suono della vostra arpa e della vostra splendida voce? Io so bene di cosa siete capace, e sono certo che anche i numerosi invitati qui presenti non vedono l’ora di ascoltare di persona uno dei prodigiosi talenti per cui siete famoso.
Ad Elia la richiesta del leone di Castel Granito non piacque per nulla, in quanto le sembrò che lord Tywin lo avesse fatto appositamente per attirare l’attenzione di tutti i presenti su ciò che stava avvenendo tra il principe e il re.
Ma Rhaegar non esitò a rispondergli per le rime, nella maniera più nobile possibile: - Sono lusingato per i vostri elogi, lord Tywin. Tuttavia, al momento ho un gran mal di testa. Credo che andrò dal Gran Maestro a chiedere uno dei suoi rimedi, e mi congederò nelle mie stanze. Ad ogni modo, la musica dei musicisti selenzionati da mia madre è già molto buona, da come ho potuto notare. Non sarà certo un dispiacere continuare ad allietarvi con loro.
- Ma, Altezza – richiamò la sua attenzione la Lady di Dorne, facendo congelare sul posto Elia, ancora in piedi in mezzo alla sala. – Non avete ancora ballato con la vostra sposa.
Nonostante Elia avrebbe volentieri fulminato con gli occhi sua madre in quel momento, per quel commento poco opportuno, voltò lo sguardo verso il giovane drago, il quale la stava guardando a sua volta.
Egli, con passo lento ed elegante, si avvicinò a lei e le porse la mano.
- Mia principessa – le disse, paralizzandola per la sorpresa. – Avreste piacere di venire con me?
Non credendo ai suoi occhi per quel gesto inaspettato e per quella richiesta, la dorniana posò la mano sulla sua. – Certamente.
A ciò, Rhaegar la strinse con delicatezza, per poi dirigersi verso l’uscita della sala senza fretta, portando la principessa via con sè.
Elia lo seguì, con ancora la mano sulla sua, su per le scalinate a chiocciola che li avrebbero condotti alle loro stanze.
La ragazza deglutì rumorosamente, senza volerlo.
Il solo pensiero di rimanere da sola con lui, per lo più in quella che sarebbe divenuta la loro camera matrimoniale, in quanto coniugi, la agitò notevolmente, provocandole innumerevoli brividi lungo la schiena.
Quando giunsero dinnanzi alla porta, trovarono due uomini di guardia fuori dalla camera.
Rhaegar li ignorò ed entrò, ed Elia con lui.
Quando il principe drago si chiuse la porta dietro di sè, provvide poi ad accendere alcune candele per illuminare la stanza, e a spargerle in giro.
La dorniana si guardò intorno, trovando quella stanza meravigliosa: una grande finestra dava su una splendida mezzaluna, e sulle migliaia di stelle che coprivano il cielo quella notte; un venticello fresco entrava, muovendo le sottili tende bianche; le pareti erano di un bel color pesco chiaro; le candele dal gentile profumo di rosa donavano all’ambiente un aspetto soffuso e ipnotico; vi erano anche due tavoli di legno pregiato, accompagnati da due raffinate sedie, adiacenti a due delle pareti; e per finire, vi era il loro talamo nuziale.
Il letto che avrebbero condiviso era il più grande che Elia avesse mai visto. Dei veli di diverse tonalità di bianco scendevano giù dalla struttura sopra l’enorme letto, su cui sarebbero tranquillamente entrate otto persone, il materasso era ricoperto di una quantità spropositata di cuscini, di morbide coperte color pesca e di petali di fiori differenti, i quali davano alle lenzuola un profumo buonissimo.
- Chi ha fatto questo? – domandò spontaneamente la dorniana, sfiorando i petali sul materasso, piacevolmente meravigliata.
- Le vostre dame, e quelle di mia madre, suppongo – rispose neutro il principe, il quale aveva appena terminato di accendere tutte le candele.
A ciò, Elia lo osservò, vedendolo sedersi sul materasso e abbassare lo sguardo.
La principessa lo imitò, accomodandosi di fianco a lui.
Rimasero in silenzio per un po’.
La prima notte di nozze.
Era giunto il momento.
Ora erano davvero soli.
E come ogni matrimonio che si rispetti, la sacra unione andava consumata nel talamo nuziale.
Tuttavia, il suo giovane consorte non sembrava intenzionato a muovere un singolo muscolo in quel momento.
Elia credeva che l’avesse invitata ad unirsi a lui per quel motivo.
Non doveva esserci altra spiegazione. Altrimenti, che altra ragione avrebbe avuto per invitarla a seguirlo?
In ogni caso, sia che l’avesse seguito, o no, quel momento sarebbe prima o poi giunto nel corso di quella nottata.
Di nuovo, la ragazza si sentì invadere da un’agitazione che non le apparteneva e che non le era mai appartenuta.
Certo, era normale essere pervasi dall’ansia, considerando la leggendaria figura che aveva seduta di fianco.
Tuttavia, Elia dovette anche ammettere che quella non poteva essere una scusante, in quanto, alla fin fine, il principe drago era un ragazzo umano, normale, esattamente come lei.
Fece virare gli occhi verso di lui, silenziosamente, osservandolo di sottecchi.
Le candele gettavano delle ombre bizzarre sul suo volto e sui suoi pregiati abiti, che gli calzavano a pennello, mettendo dettagliatamente in evidenza il torace e il busto snello, slanciato, dalle curve perfette.
Salì in alto e arrivò al collo, delicato, d’avorio, che sembrava quasi fatto di ceramica.
Infine il volto. Il suo profilo pareva un dipinto per quanto etereo.
I capelli d’argento, oramai sciolti, gli ricadevano disordinatamente ovunque, sulle spalle, sulle guance e sulla fronte, in sottili ciocche, incorniciando il tutto.
Ma ciò che la colpì di più furono i suoi occhi. Erano fissi, immobili, verso un punto nel vuoto, dei fari liquidi, lucidi, che sembravano schiarirsi e scurirsi a intermittenza in base all’inclinazione della luce delle candele e della luna.
Era giovane e ridicolmente bellissimo.
Più giovane di lei, e molto più bello di lei.
Il disagio avrebbe dovuto prevalere in lei, invece, stranamente, fece un passo indietro.
Non le importò.
Non le importò di cosa potessero pensare gli altri, per un attimo.
Pensassero ciò che desideravano, si disse.
In ogni caso, non sarebbero potuti entrare nella sua testa, non avrebbero potuto impedirle di fare ciò che stava per fare, non avrebbero potuto frapporsi tra lei e il suo sposo.
Lo ammise a se stessa, ma infondo già lo sapeva da ore, da quando aveva varcato la sala del trono su quell’abito massacrante, per raggiungerlo.
Aveva voglia di consumare quella notte di nozze con lui.
Di esplorarlo, di sentirselo addosso, di sentirselo dentro e di fare e provare un’infinità di cose su quella pelle, che neanche i suoi più primitivi istinti avrebbero spiegato quell’eccesso di fuoco dentro di lei.
La sua fantasia stava viaggiando senza sosta, immaginando scenari che non si era mai figurata prima.
Sicuramente molte di quelle sensazioni erano suscitate dalla curiosità, dalla scoperta del nuovo, e dall’atteggiamento tanto criptico del Targaryen, che la istigava maggiormente a voler scavare dentro di lui, ad insegnargli a dimenticare tutti i demoni che sembravano non lasciargli tregua.
Prese l’iniziativa, e scivolò con la mano suadente sul suo petto, sfiorando la stoffa del corsetto.
Si avvicinò nuovamente a lui, riscoprendo ancora una volta il buon odore che emanavano la sua pelle e i suoi capelli.
Il principe non ebbe il tempo di realizzare pienamente, prima che Elia gli posasse una mano sulla mascella e gli voltò il viso dolcemente verso di lei.
- Non vi ho chiesto di venire con me per questo – disse lui, rovinando l’atmosfera creatasi.
Elia spostò la mano e ristabilì la distanza tra loro. – E allora perchè?
- Per salvare le apparenze. Vostra madre sembrava cercare delle conferme.
- Cercava delle conferme perchè è tutta la serata che cercate di evitarmi – decise di essere schietta con lui, sperando che quella conversazione non sfociasse in una litigata. Non sarebbe stata di buon auspicio una discussione già durante la prima notte di nozze.
Tuttavia, forse era proprio ciò di cui avevano bisogno, per uscire da quell’intricato labirinto in cui l’atteggiamento del principe drago li aveva rinchiusi.
- Ascoltate... io non vi conosco e voi non conoscete me. Nessuno di noi due voleva questo matrimonio, ma nessuno di noi due si sarebbe mai potuto concedere il lusso di sposare l’amore della sua vita. Non è così che va la vita, per nessuno, e per voi soprattutto, immagino – disse la dorniana, con calma e tutta d’un fiato. – Non è da me perdere le staffe, e non ho intenzione di farlo. Tuttavia, non sono neanche il tipo di donna che rimane in silenzio sempre e comunque, accettando a testa bassa qualsiasi situazione scomoda. Perciò, concedetemi umilmente di dire che il vostro atteggiamento di oggi avrebbe messo in agitazione e fatto sentire insignificante qualunque lady fosse capitata al vostro fianco al mio posto. Può darsi che molte altre al mio posto avrebbero sopportato la cosa senza dire nulla, rimanendo totalmente in balìa del vostro umore e dei vostri silenzi. Io non ce la faccio. Non è da me. E per quanto ci provi, devo e voglio dirvi quello che sento. Credetemi, mio principe ... per quanto neanche io desiderassi questo matrimonio... non c’è cosa che vorrei di più al mondo che le cose tra noi due vadano nel verso giusto e funzionino, al momento. Non importa se non mi amerete mai, ma voglio almeno che ci sia rispetto e comprensione tra noi.
Perciò, vi prego, siate chiaro con me.
Oramai ho intenso bene che il mio aspetto non vi sia affatto gradito.
Probabilmente avete altri standard...
Fu in quel momento che il principe drago si voltò a guardarla, facendole mozzare le parole in gola, a causa del suo sguardo confuso e contrariato.
La guardava come se avesse appena detto la più ridicola delle menzogne.
- Voi... credete che il vostro aspetto fisico non mi sia gradito?
- Beh, è abbastanza evidente. Non lasciate intendere altrimenti. Mi avete appena rifiutata.
- E tutti coloro che vi hanno rifiutata lo hanno fatto perchè non erano attratti da voi, secondo la vostra esperienza..? – dal suo tono, emergeva quanto il ragazzo trovasse quel ragionamento assurdo.
- In realtà, non sono mai stata rifiutata – disse con una certa vergogna. – Siete il primo finora. Ma non mi aspettavo nulla di diverso.
- E per quale motivo non vi aspettavate nulla di diverso?
- Non lo so... forse si tratta solo di insicurezza, tutto qui.
- Milady – richiamò la sua attenzione su di sè, e la fanciulla lo guardò, attendendo con impazienza. Aveva atteso letteralmente tutto il giorno che parlasse, ed ora stava accadendo. – So che sono più giovane di voi, perciò probabilmente vi risulterà strano sentirvi dare una lezione, per quanto piccola, da me. Ma posso garantirvi che se un uomo rifiuta di dormire con voi, tal gesto non presuppone che voi non gli siate gradita - continuò il giovane drago, parlando con naturalezza. – Se volete saperlo, vi trovo a dir poco bellissima.
Elia rimase attonita di fronte a quella rivelazione, non riuscendo a nascondere il rossore che le imporporò inevitabilmente le guance, mentre egli la guardava negli occhi nel pronunciare tali parole.
- A quanto pare, avevate bisogno di saperlo – continuò il ragazzo. – Ho dato per scontato che sapeste già ampiamente e senza ombra di dubbio quanto siate bella. Mi dispiace di non avervelo fatto notare e di avervi, anzi, fatto intendere il contrario, non avrei mai voluto – disse sinceramente desolato, facendola sciogliere come neve al sole.
- Allora... posso sapere come mai mi avete rifiutata poco fa? – trovò il coraggio di domandargli. – Sapete che è consuetudine che la prima notte di nozze i due sposi consumino la loro unione, per essere benedetti dagli dèi, oltre che per favorire il concepimento di un erede.
- Non voglio farlo. Non mi importa delle consuetudini – le disse semplicemente lui. - Avremo tutto il tempo del mondo per concepire un erede. Ma questa notte non ce la faccio.
Elia rimase nuovamente perplessa, ma stavolta non si scompose.
Provò a comprendere il suo punto di vista.
Era chiaro come il sole che il giovane principe dinnanzi a lei non avesse una buona concezione dell’atto fisico e carnale, per lo meno non come ce l’aveva lei.
Probabilmente era anche una differenza di consuetudini e di credenze inculcate, ma non solo.
Egli riusciva a vedere l’atto sessuale solo e solamente come un dovere impostogli, e non come un’occasione di piacere e di liberazione. 
Sarebbe stato suo compito, in quanto sua moglie, farlo ricredere, guidarlo e portarlo a scoprire quanto si sbagliasse, e quanto potesse trarre giovamento dal fare l’amore.
Dal fare l’amore con qualcuno con cui avesse complicità e sintonia.
Forse sarebbe stato difficile, più difficile di quanto si aspettasse, ma alla fine, era certa che vi sarebbe riuscita, e ne sarebbe valsa totalmente la pena.
E non vi era persona più adatta della principessa dorniana per iniziarlo alle infinite e idilliache gioie che solo l’unione tra corpi poteva donare.
Tuttavia, ora, era assolutamente il caso di occuparsi della mente, e di lasciare l’argomento “corpo” da parte fino a data indefinita.
Elia inclinò il volto per guardarlo, e i suoi occhi scuri, da gatta, si affilarono, ritornando sul taglio secco e rosso scuro che imperava sul labbro inferiore del principe drago.
In quel momento le ritornò in mente la scena che aveva visto poco prima, degli artigli del re folle che si richiudevano violentemente sul polso del proprio figlio, strattonandolo, mentre discutevano su chissà cosa.
Si diede della stupida per non averci pensato prima, per essersi concentrata sulle proprie stupide e superficiali insicurezze, senza aver dato peso alla questione, che evidentemente doveva aver avuto una consistente influenza sul giovane principe.
- Potete tornare di sotto – le disse improvvisamente il ragazzo, rialzandosi in piedi e dandole le spalle, riscuotendola dalle sue elucubrazioni e lasciandola, ancora una volta, a bocca aperta come una statua di sale.
- Che cosa..? Cosa vi prende ora?
- Vi ho chiesto io di venire qui con me, ma non ho intenzione di fare ciò che vi aspettavate di fare, e sicuramente avreste voluto rimanere ancora un po’ a festeggiare e a ballare, di sotto. Non era mia intenzione privarvi di ciò. Se volete andare, andate - concluse ponendo le braccia conserte, continuando a negarle la sua vista.
A ciò, anche Elia si alzò in piedi, raggiungendolo, ma rimanendo comunque a qualche passo di distanza. – No, non ho intenzione di tornare là sotto. Ciò vi crea problemi? Perchè se siete voi a voler rimanere solo, e state cercando un modo gentile e delicato per dirmi di andarmene, ditemelo schiettamente – disse senza alcun tono di accusa.
Fortunatamente, il suo atteggiamento pacato sortì l’effetto sperato, e il giovane drago si voltò di nuovo verso di lei. – Non sto cercando di mandarvi via. Ero sincero.
- Bene. Allora resterò qui con voi, se permettete.
- D’accordo.
 - Cosa è successo là sotto con vostro padre?
Non riuscì a pentirsi di quella domanda improvvisa e probabilmente inopportuna, nonostante lo vide palesemente irrigidirsi.
Eccolo il suo unico punto debole, lo aveva scovato e non ci era neanche voluto molto: quando si trattava di suo padre, era l’unico caso in cui sembrava non riuscire a nascondere affatto i suoi stati d’animo.
Era chiaramente nervoso, agitato, infastidito.
Elia lo considerò un gran passo avanti.
- Nulla – rispose lui.
- So che non sono temi che mi riguardano. Ma è chiaro che la questione vi turbi.
- Allora perchè volete parlarne?
- Perchè sono rimasta qui con voi e per voi, perchè voglio cercare di capire.
- Cosa volete cercare di capire?
- Come approcciarmi a voi: abbiamo già appurato che la rendete un’impresa impossibile, degna del più temerario marinaio e avventuriero – gli disse, sorridendo appena, per sdrammatizzare un po’.
- Non siete costretta a farlo.
- Siete una persona impossibile, sapete? Ve lo hanno già detto?
- Sì, diverse volte – ammise lui, senza ombra di ironia nella voce.
- Come ve lo siete fatto quel taglio? – insistette.
A ciò, esasperato dal suo perseverare, il principe drago reagì, fronteggiandola. - Dovevate convincerla ad annullare le nozze!
- Che cosa..? Cosa state dicendo?
- Avreste dovuto convincere vostra madre ad annullare le nozze con me..! Se voi aveste convinto lei, vi sareste risparmiata questo inferno! – esclamò riponendo le braccia conserte e cominciando a camminare per la stanza, allontanandosi da lei.
La ragazza era sempre più stupita. – E.. secondo voi come avrei potuto farlo, dato che l’occasione che è capitata tra le mani di mia madre, era quanto di più vantaggioso e surreale avesse mai potuto sperare per sua figlia?
- Vantaggioso..?? Vostra madre non ha idea... voi non avete idea... nessuno di voi ha idea di come sia vivere al suo fianco!
- Imparerò a farlo!
- Non potete farlo!

- Voi ci siete riuscito!
- Io non ci sono riuscito! – si arrese lui, ponendosi dinnanzi a lei, con il volto più vicino di quanto lo fosse mai stato in tutta la giornata. I suoi occhi brillavano come due diamanti infuocati, pervasi dal dolore. – Non ci sono riuscito e mai ci riuscirò. E sono suo figlio... avete anche solo una vaga idea di cosa possa significare vivere con lui, per una persona che non è del suo stesso sangue?
- Rhaegar ... – si azzardò a chiamarlo per nome. Aveva bisogno di scuoterlo almeno la metà di quanto la stesse scuotendo lui, disarmandola.
- Se mia madre avesse messo al mondo una bambina, avrei sposato lei non appena mia sorella avesse avuto l’età minima per concepire dei figli – le disse secco, facendola rabbrividire, per poi continuare: – Un marito di vent’otto anni con una moglie di undici, per lo più consanguinei. Come lo vedete questo quadretto?
Non lo capite, ancora..? Lui vi vede solo come carne al macello, un capro espiatorio per mettere al mondo i miei figli, i figli della stirpe Targaryen, che in ogni caso saranno contaminati dal vostro sangue, perchè non può fare altrimenti!
Sono certo che, se solo non fosse stato così geloso di mia madre, mi avrebbe fatto concepire dei figli con lei, pur di portare avanti la stirpe pura e incontaminata!
- Vi prego, smettetela..
- No, siete qui per comprendere, dunque dovete sapere, è un vostro diritto.
Sappiate che oggi avete appena firmato la vostra condanna.
Diventare mia moglie vi costerà la vostra intera libertà, la vostra felicità, la vostra indipendenza, e la vostra sanità e stabilità mentale.
Non vi è niente di positivo in ciò che è avvenuto oggi.
Niente.
Posso accettare che torturi costantemente me e mia madre, ma non posso mandare giù il fatto che renderà la vita impossibile a qualcun altro all’infuori di noi, solo ed esclusivamente per il fatto di esservi unita a me in matrimonio.
Non posso.
Per questo avreste dovuto convincere vostra madre quando eravate ancora in tempo.
Io avrei voluto farlo con lui, ma non ho potuto, perchè è letteralmente ossessionato da quest’idea di me, suo legittimo erede, che devo piantare il mio seme dentro qualcuno, per far proseguire la stirpe Targaryen.
Se avessi provato a contraddirlo non avrebbe sortito alcun effetto, eccetto provocare la sua ira incontrollata, che avrebbe sfogato tutta su di me, su mia madre, o su chiunque altro avesse voluto torturare, in base al suo stato d’animo momentaneo.
Dovrete rinunciare a tutto, a causa sua.
- Vorrà dire che rinuncerò a tutto.
Rinuncerò a tutto, ma manterrò comunque la mia identità, la mia indipendenza e il mio onore. Troverò un modo.
- No, non lo farete, non ve lo permetterà! Non esiste un modo!
Siete spacciata, Elia, perchè non riuscite a capirlo?!

Ora, solo ora, la principessa dorniana riuscì a vederlo veramente: era svuotato, distrutto, consunto.
Solo in quel momento la fanciulla comprese fino a che punto si fosse spinto il re folle.
Le voci non gli rendevano giustizia, in quanto la realtà era molto peggio delle dicerie che circolavano su quel mostro.
E colui che ne stava risentendo sicuramente più di tutti, era proprio suo figlio.
Vittima della sua morbosità, del suo amore contorto, della sua ira asfissiante, delle sue aspettative impossibili, costantemente oggetto e spettatore di violenza continua, frutto del sangue del proprio sangue, a danno di persone innocenti e di coloro che amava, come sua madre.
Spettatore impotente e passivo, di fronte ad un’insania che non avrebbe potuto controllare, su cui non aveva alcuna influenza.
Aerys Targaryen bruciava a ferro e fuoco il suo regno, e Rhaegar Targaryen non poteva fare altro che stare a guardare.
Ma vi era anche qualcos’altro che aveva trafitto il cuore della ragazza così in profondità, da aver lasciato una dolcissima cicatrice in esso, da quando quel coraggioso e sensibile principe aveva iniziato ad urlarle addosso: egli continuava a ripetere che, con lui, lei sarebbe stata condannata.
Ciò che gli faceva più male, tanto da portarlo quasi alle lacrime, era non poter salvare lei, una persona che non conosceva, dalle grinfie di suo padre.
A lui non importava cosa era costretto a subire egli stesso.
Era preoccupato per lei e per la vita che sarebbe stata costretta ad avere al suo fianco.
Era afflitto dal pensiero di non saperla più libera, di doverla veder soffrire, come tutti gli altri, senza poter far nulla per evitarlo.
Sarebbe stato disposto a privarsi della possibilità di avere una moglie e dei figli, pur di non dover condannare qualcun altro allo stesso enorme e consumante fardello che portava lui.
Il suo cuore traboccava di bontà e di altruismo, mascherato da mille altre cose, che non erano importanti.
Elia lo guardò, lo guardò e gli sorrise, non riuscendone a fare a meno.
In un solo giorno, quel ragazzo era stato in grado di farle provare di tutto.
L’aveva resa sua, inconsapevolmente, nonostante avesse fatto di tutto per tenerla lontana e per farsi odiare.
L’aveva resa sua in ogni modo possibile.
- Perchè state sorridendo...? Non avete ascoltato nulla delle parole che vi ho appena detto?
- Sì, le ho ascoltate, con attenzione. E come vi ho già detto, sarà un problema a cui penseremo strada facendo e che affronteremo insieme – disse con convinzione.
- Quell’uomo vi brucerà su una pira e vi guarderà morire ridendo, subito dopo che mi avrete dato un erede maschio.
Riuscite a capirlo? O devo dirvelo in altro modo?
Elia deglutì a vuoto e non si lasciò scoraggiare, continuando a guardarlo con determinazione, senza vacillare.
- Dovete ancora concedermi un ballo – disse poi all’improvviso, lasciando il suo sposo letteralmente senza parole.
Lo vide schiudere la bocca per la sorpresa, e spalancare i suoi fari viola, non sapendo cosa risponderle.
- Siete seria..? Dopo tutto quello che vi ho detto..?
- Sono serissima – rispose allungando una mano e porgendogliela.
Rheagar restò a guardarla per un tempo che parve infinito.
Dopo di che, si arrese, sospirando e regalandole un sottilissimo sorriso.
Le prese la mano e si avvicinò a lei, infilandole elegantemente un braccio dietro la schiena, mentre l’altra mano rimaneva stretta a quella di lei, rialzata.
Elia fece lo stesso, alzando il volto verso l’alto per guardarlo, e poggiandogli la mano sinistra sulla spalla.
Gli sorrise, poichè non poté fare a meno di farlo, quando cominciarono a muoversi piano, senza alcun sottofondo musicale a guidarli, solamente seguendosi a vicenda nei passi, illuminati dalla luce delle candele e della luna.
Il clima di Approdo del re era fresco di sera, qualcosa alla quale la principessa non era avvezza, e che le fece provare qualche brivido di freddo di tanto in tanto.
Ma i brividi si placavano subito grazie al calore che emanava il corpo del suo consorte, attaccato al proprio.
- Siete incredibile – le disse improvvisamente il suo principe, con voce calma e serena.
- Per quale motivo? – gli domandò sussurrando, mentre continuavano a ballare lentamente.
- Perchè non vi arrendete mai. E non vi spaventa nulla.
Siete una forza della natura.
La principessa del Sole aprì gli occhi, con la mente ancora riempita e appagata da quel lontano e paradisiaco ricordo.
Era notte. I suoi bambini avevano fatto fatica ad addormentarsi.
Ora erano tutti e tre su quell’enorme letto nuziale che l’aveva tanto sorpresa e meravigliata, quella prima volta.
La giovane donna era sdraiata su un fianco, rivolta verso i suoi due tesori.
Questi ultimi erano entrambi rivolti verso di lei a loro volta, ma si trovavano in una posizione da far contorcere l’animo per la tenerezza: la più grande, Rhaenys, era più esterna, e inglobava il suo fratellino in un abbraccio protettivo, quasi come fosse la sua personale corazza, il suo scudo; Aegon invece, si lasciava abbracciare beatamente, e aveva una manina tesa, che sfiorava la guancia di sua madre, e l’altra poggiata sopra le braccia di sua sorella, che gli stringevano il busto.
Il cespuglio di scuri capelli ricci di Rhaenys era sempre più imponente e selvaggio, facendola sembrare ancor più una leonessa quando dormiva, e ricoprivano tutto il cuscino, e il collo di suo fratello, in parte. Tutto il contrario era il cespuglietto di lisci e folti fili d’argento di Aegon, che stavano crescendo anch’essi a vista d’occhio, esattamente come lui.
Avevano i volti bellissimi, rilassati, in pace, intoccabili.
D’improvviso, Elia iniziò ad intonare una melodia, talmente bassa da risultare impercettibile, per non svegliarli.
“Non dimenticare la mia anima fragile
Non dimenticare mai quel che è stato
E anche se il sole non sorgesse più su di noi ...”
La voce le si bloccò in gola, i ricordi presero a farsi confusi e il sonno prese il sopravvento.
Poi, improvvisamente, ecco che una vocina che aveva imparato oramai a riconoscere si stagliò con impeto sui suoi sensi, nonostante fosse poco più che un sussurro in dormiveglia: - Canta ancora... canta ancora... – sibilò Aegon, con le palpebre semichiuse e quella pronuncia incerta di chi stava imparando sin troppo velocemente a parlare, nonostante la tenera età.
Elia sorrise, ammirandolo.
- Una forza della natura... che non si spaventa di fronte a nulla.
 
 

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Capitolo 20
*** Sacrifici ***


Sacrifici
 
- La sera dopo l’esecuzione di Rickard e Brandon Stark -
 
“Ritorno con una nuova lettera, mio inestimabile amore.
Torno a scriverti con un po’ di ritardo, a causa della miriade di eventi accaduti negli ultimi giorni.
Mi ha riscaldato il cuore sapere dalla tua ultima e accorata lettera, che stai cercando in ogni modo di isolarti da ciò che sta succedendo in tutti i sette regni, dalla guerra che sta prendendo piede sempre più incalzante, dopo la vostra scomparsa. Dopo ciò che abbiamo fatto.
Continua a farlo, Rhaegar, te ne prego. Cerca di stare lontano da tutto ciò, almeno tu che puoi, isolato in quella piccola porzione di idillio che è la mia amata casa.
Il solo pensiero che ora tu sia al sicuro, nella mia adorata terra che avrei tanto voluto farti visitare e vivermi pienamente con te, mi dona una gioia che neanche immagini.
Forse Dorne, è l’unico luogo in cui tu e Lyanna potete trovare un po’ di pace, malgrado l’apocalisse che Robert Baratheon sta scatenando.
So bene che, se solo tu scoprissi un briciolo di ciò che siamo stati in grado di provocare con la nostra decisione, che sono certa mai nessuno riuscirà a comprendere prima di qualche secolo, ti struggeresti, ti flagelleresti crudelmente come so bene sei in grado di fare. Ne moriresti.
Perchè, ahimè, una tua caratteristica che ho avuto la fortuna e sfortuna di scoprire standoti a stretto contatto nei nostri pochi anni di felicità trascorsi insieme, è quanto tu riesca ad essere infinitamente buono, altruista e misericordioso con tutti gli altri all’infuori di te, e, al contrario, quanto tu riesca a diventare terribilmente crudele solo con te stesso.
Perciò, ti supplico, resta nella tua bolla confinata ancora e ancora, e lascia che io sia il tuo unico contatto con la realtà.
Sono costretta a rivelarti qualcosa, tuttavia. Qualcosa che, nonostante i tentativi di rimanere all’oscuro di ciò che sta accadendo, sicuramente verrai a sapere tra qualche giorno, forse poco prima o poco dopo che la mia lettera ti giunga tra le mani. Poichè riguarda direttamente e molto da vicino la giovane lady che sta trascorrendo ogni giorno in tua compagnia al momento.
Questo pomeriggio è accaduto un evento atroce.
Un evento che è stato in grado di mettere in dubbio ogni mia convinzione riguardo la battaglia che io, te e Lyanna stiamo portando avanti.
Quest’oggi, nella sala del trono, vi è stata l’esecuzione di Rickard Stark, e di Brandon Stark.
Avrai sicuramente udito che i due si erano presentati qui ad Approdo con una manciata di uomini non appena hanno ipotizzato un assurdo rapimento della sorella e figlia da parte tua. Riguardo ciò, stanno girando voci aberranti lungo i sette regni, voci diffuse principalmente dal cuore tronfio, ferito e orgoglioso di Robert Baratheon, voci che mi stanno facendo accaponare la pelle. Le dicerie riguardano uno stupro, perpetuato da te, alla giovane Lyanna.
Ovviamente, chiunque ti conosca anche solo lontanamente, o ti ammiri, nonchè la stragrande maggioranza dei tuoi sudditi provenienti da ogni parte dei sette regni, non crede a tale oltraggio del tuo nome e della tua persona.
Eppure, più il tempo passa senza la tua presenza, più i cuori della gente cominciano a vacillare.
Ed io, io, nella mia posizione, nella posizione di moglie abbandonata e regina tradita agli occhi dei più, non posso fare nulla per aiutarti.
Non posso fare nulla.
Non ho potere.
E questo, questo è ciò che mi fa soffrire di più, secondo solo alla profonda mancanza che sento nei tuoi confronti.
L’impotenza a cui mi costringe tuo padre e la necessità cieca di proteggere i nostri bellissimi e preziosi tesori, mi impone di obbedire, di stare rinchiusa qui, in questo castello, proprio come tuo padre mi ordina, senza fiatare.
Senza la dolce e amorevole presenza di tua madre, che mi ricorda ogni giorno sempre più te, non so davvero come farei.
Senza Rhaenys e senza Aegon, non so come farei.
Sto andando avanti nel nostro proposito grazie alla mia inesauribile determinazione.
Una determinazione che oggi ha vacillato terribilmente, quando ho visto con i miei occhi cosa quel mostro di tuo padre ha fatto a quel povero ragazzo.
Nei suoi occhi del colore dell’oceano, per un attimo, ho visto quelli di Oberyn. Ed è lì che ho capito davvero come si sentirà la povera anima di Lyanna, non appena lo verrà a sapere.
Non credo assisterò mai più ad uno spettacolo simile.
Non ho visto tutto, altrimenti, non credo sarei mai più stata in grado di chiudere occhio, da qui ai giorni e ai mesi avvenire.
Fortunatamente, ser Jaime era presente, e ha avuto la divina lucidità di portarmi via con la forza dalla sala del trono, richiudendomi nelle mi stanze, mentre udivo, nonostante le pareti e le porte chiuse, i tremendi e agghiaccianti urli del giovane e coraggioso lupo del Nord, squarciato nel profondo del suo animo.
Non sarò mai abbastanza grata a ser Jaime per ciò che ha fatto. Quel ragazzo sta affrontando tutto ciò che sta accadendo con una maturità e una saggezza che contrastano tutte le dicerie che girano su di lui, e che mi fa sperare per il meglio per lui.
Oh, amore mio, siamo sicuri di star facendo la cosa giusta?
Se altre persone saranno costrette a soffrire come oggi hanno sofferto il giovane Brandon e suo padre, siamo sicuri che il nostro nobile fine, giustifichi i disumani mezzi per raggiungere il nostro obiettivo?
Eppure ... eppure sono stata io stessa a convincerti a farlo.
L’idea è partita da me, e non posso, non posso tirarmi indietro proprio ora.
Non posso dare adito a dubbi dopo tutto ciò che abbiamo fatto.
Devo rimanere ferma e salda nella mia strada, senza ripensamenti.
Eppure ... eppure, mi sembra che il mondo mi stia crollando addosso.
Sembra che il mondo stia finendo, da quando te ne sei andato.
Rhaegar, abbiamo sbagliato? Stiamo davvero facendo la cosa giusta, che ci permetterà di salvare il nostro regno da una minaccia molto più grande di questa, in futuro?
Non vedo l’ora di leggerti e leggerti ancora, per venire rassicurata dalle tue salde parole, per sentirti più vicino a me.
Nella scorsa lettera mi hai detto che Lyanna sta cominciando ad ambientarsi bene lì, e anche tu.
Sono felice di sentirlo. Sono felice di sentire anche che il vostro rapporto sia migliorato.
Sai, stanotte ho fatto un sogno, bello e triste insieme.
Ho sognato che il nostro Aegon, abbastanza grande per parlare, si voltasse a guardarmi da una distesa bianca, mentre io provavo a raggiungerlo.
Mi ha sorriso, talmente bello da accecarmi quasi, ma il suo sorriso aveva una nota turbata, distorta.
Mi ha chiesto dov’eri. Come mai non ti riuscisse a vedere.
A quel punto, io gli ho risposto che ti avrebbe visto molto presto.
E lui ha negato con la testa, dandomi della bugiarda.
Questo sogno mi ha fatto riflettere.
Non potrò mai vederlo cresciuto, il nostro piccolo Aegon, lo so, così come non potrò mai vedere Rhaenys diventare donna. Morirò prima di allora, mentre loro continueranno a vivere ancora a lungo.
Questo è tutto ciò che mi auguro.
Allora, perchè questo sogno?
Nella scorsa lettera mi hai chiesto come stanno.
Stanno bene. Aegon non fa altro che crescere a vista d’occhio, almeno ai miei occhi, mentre Rhaenys chiede spesso di te, e di uscire di qui.
Forse lei è quella che sta crescendo di più in questa situazione.
Ha smesso di fare i capricci, ha smesso di pretendere, di insistere, di manifestare i suoi sentimenti.
Ma non angustiarti, amore. Lei sa il motivo per cui stiamo facendo tutto questo, credo lo abbia capito. E lo sta accettando. La nostra bambina è troppo intelligente, una qualità che ha preso da entrambi, ma da te in particolar modo.
Ed io non posso fare altro che starle sempre accanto e ammirarla, guardarla non lasciare mai il fianco di Aegon, come assuefatta e incantata da lui.
Mi hai anche chiesto come sto io...
Passo il mio tempo a sognare ad occhi aperti.
Immersa nei ricordi passati e futuri.
So che senti la mia mancanza, e leggerlo dalle tue parole non fa altro che confermarlo.
So che non è necessario che io ribadisca di nuovo quanto sia arduo starti lontano e che per me sarà impossibile abituarmi alla tua assenza.
Ti amo. Sempre.
E dì alla tua futura sposa, che anche il suo impavido e inarrestabile fratello l’amava moltissimo. L’ho visto chiaramente dai suoi occhi lucidi pochi attimi prima che la vita lasciasse per sempre il suo corpo.
                                                                    
                                                                                          Tua, Elia”
 
 
La stanza del castello dorniano di Lancia del Sole in cui si trovava il principe drago pullulava di particolari tipi di incenso e di energie irrequiete e vive, almeno quanto lo erano coloro che si trovavano all’interno di quello spazio dal lusso esotico.
Una pratica che liberava i pensieri, negativi e positivi, da poter essere esercitata da chiunque, ma che, se messa in pratica da chi era letteralmente maledetto e dominato da innumerevoli energie maligne e tormentose, antiche di secoli, assumeva un’efficacia e un significato ampiamente diversi.
Rhaegar era seduto a gambe incrociate sopra il morbido tappeto in mezzo alla stanza, mentre Adham, seduto di fronte a lui, supervisionava attentamente ciò che il principe stava facendo.
Vi era sempre una consistente percentuale di rischio nell’usare la magia antica proveniente dal continente orientale in tal modo, con tale libertà e manualità; specialmente se si trattava di un Targaryen dal sangue maledetto come mai lo schiavo ne aveva visto uno.
Essendo lui l’esperto, il compito di controllare l’operato dell’ormai abile principe ereditario spettava a lui, una consapevolezza che lo allietava.
Rhaegar aveva gli occhi socchiusi, rivolti dinnanzi a sè, ma non lo guardava davvero, poichè le pupille erano totalmente vuote.
Egli non era lì mentalmente.
Le iridi chiare si capovolsero totalmente all’indietro e, un istante dopo, i suoi occhi si chiusero e la testa si riversò in avanti, senza vita, mentre il busto restò stranamente dritto.
Stava imparando egregiamente a dominare i suoi spiriti invadenti e ossessivi.
La concentrazione verso il principe drago non lo fece quasi accorgere dell’arrivo di una presenza oramai sempre più spesso spettatrice delle loro sedute spiritiche, la quale restò a guardarli dall’uscio della porta.
Solamente il rumore dei suoi passi felini ma riconoscibili, fece prendere coscienza allo schiavo della sua presenza.
- Avete bisogno di qualcosa, mia signora? – le domandò Adham in tono lievemente provocatorio, senza voltarsi a guardarla, attirando anche l’attenzione di Ashara, l’altra presenza nella stanza, concentrata a scrivere su un tomo.
Ella era una donna alta, che sembrava più matura dell’età che aveva, complice anche il suo sguardo sicuro di sè e provocante, con gli occhi scuri e famelici velati da un pizzico di saccenza, la pelle color cacao, le labbra carnose, il corpo snello e la lunga cascata di capelli neri lasciati selvaggiamente sciolti fino al fondoschiena, nonostante il caldo torrido.
La donna si voltò a guardare prima Ashara, non degnandola di una parola, poi tornò a posare il suo sguardo incuriosito sul principe drago.
Ultimamente, quell’abitudine era diventata frequente.
Probabilmente, se l’uomo con il quale condivideva la vita e quattro figlie l’avesse scoperto, gliel’avrebbe fatta pagare amaramente.
Poteva comprendere il motivo per il quale Oberyn odiasse tanto il giovane principe Targaryen su cui i suoi occhi erano concentrati al momento, soprattutto dopo gli ultimi eventi che avevano portato allo scatenarsi di una guerra, che li avrebbe visti tutti vittime e carnefici.
Eppure, non riusciva a condividere quel sentimento anche lei.
Aveva avuto modo di intavolare diverse e lunghe conversazioni con quel giovane uomo di cui parlavano tutti, trovando la sua compagnia interessante, molto gradevole, tanto da permetterle di instaurare una strana complicità con lui.
In poche parole, la donna aveva iniziato ad osservarlo durante le sue sedute spiritiche non solo per rifarsi adeguatamente gli occhi.
Un animale unico e ipnotico, appariva alle sue iridi scure e irrequiete.
Era diventato molto bravo a padroneggiare quelle arti che non gli appartenevano, si rese conto compiaciuta.
Improvvisamente, il corpo del giovane drago cominciò a tremare, tutte le candele accese della stanza si spensero da sole di getto, mentre, evidentemente, lui combatteva con gli spiriti che infettavano la sua anima.
Adham rimase impassibile e Ashara anche, abituati oramai da un po’ a quello spettacolo.
La testa riversa in giù di Rhaegar piombò tutta all’indietro, gli occhi ora spalancati ma ancora vuoti, le mani frementi, che sfuggivano al suo controllo, la voce, ora terribilmente macchiata e diversa dalla sua.
Una voce dura, scura, roca e agghiacciante, che cambiava continuamente, cominciò a pronunciare a velocità inumana una serie di formule in valyriano antichissimo e in altre lingue morte.
- Non riesco ancora a credere come sia possibile che abbia un’estensione vocale del genere... – commentò la donna sull’uscio.
- Dentro di lui è come se abitassero più persone insieme – le rispose Adham, dovendo alzare la voce a causa del flusso di parole costante e intenso che usciva dalla gola del principe.
- Non trattarmi come una sciocca che non ha mai usufruito delle arti magiche – gli rispose stizzita. – Non è comunque normale che la voce vari così tanto in tal modo.
Con un po’ di esercizio e l’aiuto di Adham, Rhaegar aveva anche imparato a non ferirsi durante quel processo, come invece era accaduto la prima volta, con Varys e Arthur a casa dello stregone ad Harrenhal.
Quando il flusso di parole terminò, esalò un pesante sospiro arrochito, privo di fiato.
Strinse i denti e riprese fiato, a fatica, portando le mani a stringersi il collo.
Infine, riportò la testa in avanti riacquistando coscienza pian piano, ricquisendo anche la visuale della stanza e il controllo sul proprio corpo.
Nel momento in cui le sue mani si artigliarono sul collo, la donna potè notare che egli aveva delle nuove rune disegnate su polsi e braccia, probabilmente più potenti di quelle dei giorni precedenti.
Senza attendere, Ashara porse al principe drago un bicchiere colmo di un infuso freddo, con disinvoltura.
Rhaegar lo afferrò e lo bevve lentamente.
Oramai, quei tipi di rituali sul suo corpo non sembravano più stancarlo e spossarlo come prima ma, inizialmente, non era stato facile.
In quel momento, dopo sostanziosi minuti di ripresa, Rhaegar si rese conto della presenza della donna sull’uscio, incrociando il suo sguardo.
- Ellaria – la salutò, ormai senza più ombra di fiatone, con il suo tono di voce stabilizzato.
- Principe Rhaegar – ricambiò lei accennando un sorriso. – Com’è stata la vostra sessione oggi? Stancante?
- Non più del solito – le rispose rialzandosi in piedi e cominciando a sciacquarsi braccia e collo con l’acqua fredda di una bacinella.
- Ditemi – iniziò Ellaria entrando finalmente nella stanza e avvicinandosi. – Chi avete visto oggi, principe? Chi ha preso possesso del vostro corpo?
Rhaegar iniziò a riaccendere qualche candela casualmente mentre la ascoltava con un lieve cipiglio divertito nello sguardo glaciale. – Me lo chiedete ogni volta. Volete entrare voi dentro la mia mente per guardare con i vostri occhi ciò che io non riesco a vedere?
- Se fosse possibile ... lo farei eccome – rispose lei con convinzione, per poi posare lo sguardo sulle rune nere che macchiavano la pelle chiara dell’avambraccio del giovane drago. Gli afferrò il polso per guardarle meglio. – Dovete mostrare attenzione a queste – gli disse ora più seria. – Quando ero bambina, ho assistito alla morte per suicidio di una persona che era marchiata con queste rune, in preda ad un tremendo attacco.
A ciò, il principe sfilò il braccio dalla sua presa, guardandola negli occhi. – So quello che faccio.
- Ne sono certa.
Dopo di che, Rhaegar si accinse a spegnere anche l’incenso, preparando la postazione anche per Ashara.
- Anche la Dayne dal cuore di pietra oggi si accingerà a sottoporsi alla seduta? – commentò Ellaria avvicinandosi mellifluamente ad Adham e lasciandogli un lungo e lento bacio sulle labbra. – Se non sei impegnato, più tardi, passa nelle mie stanze – gli sussurrò direttamente in bocca.
- Quante volte devo ripeterti di non farlo davanti a me? – si lamentò Ashara distogliendo l’attenzione dal suo tomo. – E per risponderti alla domanda di poco prima: ho bisogno anche io di svuotare la mente di tanto in tanto, Sand.
Intanto, Rhaegar si era già rintanato dietro l’abitacolo per cambiarsi i vestiti.
- Oh, meravigliosa Ashara, sai che la richiesta è sempre rivolta anche a te, se solo tu accettassi le mie lusinghe una volta tanto – la provocò di nuovo Ellaria sorridendo. – E per quale motivo ti trovo sempre qui ogni volta che il nostro rinomato ospite fa una delle sue abituali e pericolose sedute spiritiche con Adham? – domandò sinceramente incuriosita.
- Perchè, altrimenti, mio fratello non avrebbe mai permesso che l’uomo contro cui ti stai strusciando al momento, si avvicinasse ancora una volta a Rhaegar, dopo ciò che ha fatto.
- Ah! Ora capisco! Lo stai tenendo d’occhio! Stai supervisionando che il nostro Adham tenga le mani, gli occhi e gli attributi apposto quando è in presenza del principe d’argento, per poi riferire tutto al tuo amato fratello – commentò sorridendo di gusto, per poi afferrare una mela dal cesto di frutta e addentarla. – Ad ogni modo, tocca a me ora parlare con il Targaryen.
- Di cosa volete parlarmi? – le domandò il succitato, uscendo dall’abitacolo con dei vestiti puliti, larghi e di un leggero e rinomato tessuto color carne.
- Avete dimenticato cosa sia l’intimità, principe? Andiamo, usciamo di qui – gli disse ammiccandogli complice, per poi rivolgersi agli altri due. – Con permesso.
Quando anche Rhaegar fu fuori dalla stanza, cominciarono a camminare per i corridoi del castello.
Quel giorno la temperatura era addirittura più afosa del solito.
- So che siete impaziente. Posso percepire ondate della vostra impazienza solo camminandovi accanto – gli disse voltandosi a guardarlo.
- Mi avete fatto uscire dalla stanza proprio perchè volevate parlarmi.
- Vi ho fatto uscire da quella stanza perchè l’incenso mi stava perforando le narici.
Rhaegar accennò un sorriso semi esasperato.
- Stanotte ho fatto un sogno – riprese Ellaria, facendo alzare un sopracciglio del principe drago.
- Che tipo di sogno?
- Ho sognato voi – disse la donna bloccandosi dinnanzi ad una delle grandi finestre che davano sul sole cocente della città. – Indossavate un’armatura nera, con un drago a tre teste di rubino rosso sul petto e sulla forma dell’elmo.
Combattevate contro un uomo possente, dalla folta barba nera.
Voi con uno stallone nero, lui color sabbia.
Sotto di voi si estendeva un fiume.
Voi con una spada e lui con un grosso martello.
Rhaegar continuò a guardarla, in attesa.
- Il continuo preferireste non saperlo – la voce della donna era incrinata, turbata come mai gliel’aveva sentita.
Ellaria, nel voltarsi a guardarlo negli occhi a sua volta, credette di trovarlo almeno minimamente trafelato, credeva di veder trasparire da lui un pizzico di preoccupazione, di ansia o agitazione.
E invece, lo trovò spaventosamente calmo.
- Avete avuto altre volte sogni premonitori? – le chiese con voce neutra.
- Sì – rispose sinceramente lei, continuando a studiare il suo sguardo. – Dovete sbrigarvi – aggiunse.
Lui la guardò affilando lo sguardo.
- Credete di avere ancora molto tempo a disposizione, ma non lo avete – spiegò.
- Non credo affatto di avere molto tempo.
- Non mi stavo riferendo a voi, in particolare. Capisco la vostra volontà di lasciar vivere almeno a lei una permanenza tranquilla e spensierata, ma prima o poi le notizie di ciò che sta succedendo al di fuori di qui arriveranno anche a lei, e tutti i vostri tentativi di isolarvi e tenerla isolata dalla guerra che si sta scatenando a causa vostra non saranno valsi a nulla. Ve lo ripeto: capisco cosa state facendo. Vi state caricando di tutto il peso delle vostre azioni per lasciare libera lei. Molto nobile da parte vostra. Come ci si aspetterebbe.
- Non scambiate la mia premura a affetto per nobiltà. Tengo molto a lei – la corresse, portando lo sguardo lontano, verso l’orizzonte.
- Non lo metto in dubbio – gli rispose continuando a guardarlo, ma cambiando posizione, dando le spalle al paesaggio e facendo un balzo all’indietro, per sedersi sopra il davanzale della spaziosa finestra che dava sul giardino esterno.
Prima di incontrarlo, si era sempre considerata una donna alta, abituata a guardare gli uomini alla loro stessa altezza.
Con Rhaegar invece, si era dovuta ricredere.
Non sopportava dover alzare gli occhi per guardarlo. Da quella posizione, invece, era finalmente alla sua altezza.
- Ma dovete comunque sbrigarvi. Non avete tempo.
Rhaegar le rivolse uno sguardo che le fece immediatamente capire cosa le stesse per rispondere.
- Sì, ho saputo che il medico l’ha visitata questa mattina per controllare se aspettasse questo tanto atteso bambino figlio del ghiaccio e del fuoco, ma ha detto che, avendo Lyanna avuto recentemente il sangue, è improbabile che in questo periodo riusciate a concepire, anche se ti infilassi tra le sue cosce ad ogni ora del giorno.
Lui la guardò disgustato ed esasperato, facendole sgranare gli occhi.
- Che c’è?! – si lamentò Ellaria. – E pensare che sono stata il più delicata possibile nel dirlo, e che lo avrei detto in decine di modi diversi se non mi fossi trattenuta.
- Capisco perchè Arthur non possa fare a meno di usare questo linguaggio. Siete la sua dannata copia al femminile, sapete?
- Cosa?! Oh no, non ditelo mai più! – rispose contrariata e indispettita, facendolo sorridere di gusto, una visione alquanto rara.
- Ad ogni modo, quello che volevo dire, è che dovete darvi da fare.
Maledizione, non so come altro dirlo: lo so che voi siete un pezzo di ghiaccio e che vivete il sesso quasi come una sorta di costrizione, mi è già stato riferito da diverse fonti, ma dovete farlo ugualmente.
- Ellaria
- So anche che non volete che Lyanna la viva come una costrizione o un’imposizione, e che lo faccia solo quando ha voglia di farlo ...
- Ellaria
- Ma se siamo tutti qui, mentre là fuori scoppia una guerra, è solo e solamente per questo. Perciò ...
- Ellaria – richiamò la sua attenzione per la terza volta, questa volta alzando di più la voce.
- Che c’è?
- Posso parlare o volete continuare a infilarmi le parole in bocca?
Lei rimase in silenzio, capendo che qualsiasi commento sarebbe stato fuori luogo.
- Bene – continuò lui. – Ci stiamo provando, d’accordo? Senza offesa, ma per quanti pettegolezzi possiate udire, non siete in camera con noi e non sapete come io e Lyanna viviamo la nostra vita sessuale al momento. Arriverà. Questo bambino arriverà al più presto, posso giurarvelo sul mio onore e su tutto ciò che mi è caro. D’altronde, è solo ed esclusivamente per questo che sono qui, è per questo che sto rischiando tutto, è per questo che ho abbandonato la donna che amo e i miei figli, è per questo che sto mettendo in pericolo il mio regno e i miei sudditi sui quali dovrei regnare e di cui dovrei garantire la massima sicurezza. Sto facendo tutto ciò che sto facendo in funzione di questo. Perciò non venite a fare discorsi simili a me, in quanto sono la persona meno indicata.
- Ehi, ehi, rilassatevi, non volevo farvi innervosire – cercò di sdrammatizzare la donna. - Mi spiace, non avrei voluto – ammise poi, lievemente mortificata, provocando un genuino sorrisino compiaciuto tra le labbra d’avorio del principe drago.
- Cos’è quel sorriso?
- Nulla, è che avete la fama di essere una donna che non si scusa mai – le rivelò.
Lei si voltò fintamente stizzita, posando lo sguardo sul giardino sottostante, notando Lyanna e Arthur che si sfidavano ad un duello con la spada all’ultimo respiro.
- È brava la ragazza-lupo – commentò continuando a guardarli interessata. - Solitamente quel dannato Dayne è imbattibile. Persino da voi, a quanto ho sentito. Eccetto al Torneo di Harrenhal. Quel giorno, si dice che avreste vinto anche nel caso in cui vi avessero sfidato gli dèi in persona.
A ciò, il giovane drago guardò in basso a sua volta, accorgendosi solo in quel momento di Lyanna e Arthur intenti a battersi tra loro, come facevano oramai ogni giorno.
- Perdonate la domanda indiscreta, ma ... mi sono sempre chiesta a cosa sia servito, dal primo giorno in cui ho udito la storia che oramai penso abbia fatto il giro del mondo, della “Regina di Amore e di Bellezza”.
Quella richiesta lo aveva irrigidito notevolmente, Ellaria se ne accorse, ma non per questo si placò. – Non posso dire di conoscervi. Tuttavia, so che non siete perfido, nè crudele, questo posso dirlo con certezza. Eppure ... per le usanze e la morale coniugale che vige a Westeros, ciò che avete fatto quel giorno nei confronti di Elia, simboleggia un vero e proprio gesto di tradimento, di oltraggio e umiliazione pubblica. Un’azione che vi ha fatto apparire come un brutale e insensibile infame.
Rhaegar serrò la mascella, senza dire nulla.
- Che bisogno vi era di farlo? – insistette lei, senza demordere.
- L’ho fatto senza pensarci – le rispose gelido.
- Non ci credo. Voi non fate mai nulla senza riflettervi su trenta volte. Ditemi la verità.
- Questa è la verità, Ellaria. Non c’è una spiegazione.
La donna affilò lo sguardo, per nulla convinta. – Vi piace mentire. Perchè lo fate bene. Ma non me la bevo affatto. Per quale motivo vi state prendendo tutta la colpa, Rhaegar?
- Perchè la colpa è mia. Sono stato io a farlo. Sono stato io a scatenare la guerra, e malgrado le motivazioni che mi spingano siano nobili, la causa di tutto questo male sono e rimarrò solo io.
A tali parole, Ellaria sembrò realizzare improvvisamente. – Non posso crederci ... è stata lei. È stata lei a chiedervi di farlo...? È stata lei a chiedervi di apparire come un uomo spregevole e di umiliarla davanti a centinaia di persone? È così?
- No.
- E invece sì.
Egli si voltò a guardarla, capendo di non poter più controbattere.
- Per quale motivo vi state prendendo la colpa al suo posto, se è stata Elia a volerlo? Non riesco a capire ...
- Voi non capite – le rispose sorridendo amaramente e scuotendo la testa.
- Allora provate a spiegarmi.
Egli continuò a restare in silenzio, facendola irritare.
- È perchè lei già sapeva cosa sarebbe accaduto, giusto..? Lo avevate pianificato? O ha pianificato tutto lei, anche in quel caso?
- Elia aveva bisogno che io lo facessi. È stata l’ultima richiesta che mi ha fatto, e, sinceramente, sapendo cosa avrei dovuto farle, se in quel momento mi avesse chiesto di ammazzare un innocente e di portarle la sua testa, l’avrei fatta senza fiatare – le disse lapidario, con i pugni stretti al davanzale, continuando a guardare fuori.
Ellaria rimase senza parole.
- Non oso immaginare cosa voglia dire amare una persona ... nello stesso modo in cui lei ama voi – esalò la donna dopo un tempo indefinito, riattirando la sua attenzione. - Non riesco neanche lontanamente ad immaginare cosa significhi. È triste rendersene conto.
Rheagar la guardò senza risponderle, fin quando un rumore proveniente dal giardino non catturò l’attenzione di entrambi: Lyanna era stata battuta da Arthur, finendo col fondoschiena a terra. Ma, in un batter d’occhio, in un balzo, si era rialzata in piedi, ricominciando a combattere ancora più agguerrita di prima.
Improvvisamente, quella visione rilassò l’atmosfera, riportando la tranquillità ad entrambi.
- Combattere l’aiuta a sfogarsi, la fa stare bene e le piace da impazzire – commentò Rhaegar sorridendo addolcito nel guardarla.
- Allora, per quale motivo non lo fate con lei? – lo punzecchiò la donna. – Ora che ci penso, non vi ho ancora mai visto combattere.
- Non fanno altro che chiedermelo anche loro, sia Arthur che Lyanna, quasi come se si fossero alleati. Mi stanno tartassando, ma ultimamente non ho nessuna voglia di pensare a tutto ciò che riguarda il combattimento, che sia per gioco, per allenamento o nella realtà – ammise il principe drago.
- Entrambi vi si stanno contendendo – ghignò Ellaria continuando ad osservarli divertita. – D’altronde, il Dayne è abituato ad avervi tutto per sè solitamente, mentre la lupa sta cominciando a provare l’ebbrezza solo ultimamente.
Detto ciò, Ellaria scese dal davanzale con un balzo. – Quando deciderete di riattivarvi, voglio che mi concediate un duello con la spada – pretese.
- Voi combattete? – le domandò Rhaegar piacevolemente sorpreso.
- Talvolta – rispose lei tirando fuori da una sacca che aveva con sè un libro, e porgendoglielo.
Rhaegar la guardò interrogativo, prendendolo in mano.
- È quello che stavate cercando quando siete rimasto in biblioteca per ore, qualche giorno fa. L’ho trovato per voi. Così potrete acquietare almeno un po’ il fuoco che vi anima – gli disse ammiccandogli e facendo per andarsene.
- Ellaria! – la richiamò lui, vedendola voltarsi di nuovo. – È arrivata una lettera da Elia? - le domandò non riuscendo a nascondere un pizzico di apprensione.
A ciò, ella gli sorrise a trentadue denti. – No, ma sono certa arriverà molto presto.
- Come fate a saperlo?
- Potrò anche non conoscere voi, ma conosco Elia. E so che vi scriverà molto presto – gli disse, per poi ostentare un sospiro frustrato e divertito insieme. – Due donne brillanti e splendide hanno perso la testa per voi. Cosa darei per avere una simile fortuna!
Rhaegar le sorrise in risposta, vedendola allontanarsi.
 
 
La giovane lupa percorse in silenzio e a piedi nudi i pochi metri di corridoio che dividevano la sua sua stanza da quella del principe drago, cercando di non svegliare nessuno, essendo notte fonda.
Nonostante il buio, non ebbe alcuna difficoltà nel trovare subito la porta della stanza del suo amante, oramai conosceva bene quel castello che li ospitava, in quella terra più calda del sole stesso.
Bussò alla porta più volte con vigore, temendo stesse dormendo.
Vedendo che non apriva, non si arrese e riprovò altre due volte, decisa, per poi guardarsi intorno con circospezione, quasi stesse commettendo un peccato imperdonabile.
Non ti vergogni nemmeno un po’?
Rhaegar aprì finalmente la porta della sua stanza, rivelando la sua figura dal ciglio dell’uscio. Indossava la sua leggera camicia da notte, aveva gli occhi totalmente insonnoliti e i capelli in disordine.
- Ti ho svegliato? – gli domandò, nonostante sapesse già la risposta ad una prima occhiata.
- Lyanna... è quasi l’alba. Cosa ci fai in piedi a quest’ora? – le domandò dormendo in piedi, trattenendosi palesemente dal non sbadigliare.
- Volevo venire qui – gli rispose semplicemente, avvertendo il senso di colpa montarle dentro sempre di più.
Non ti vergogni nemmeno un po’? Sei qui con lui mentre la tua famiglia viene massacrata.
Ignorò quella voce dentro di sè, che man mano sembrava sempre più reale, tanto da farle dubitare che fosse solamente nella sua testa.
Egli le accennò un sorriso, ancora faticando a tenere gli occhi aperti, e le fece spazio per entrare nella sua stanza.
Lyanna ricambiò il sorriso ed entrò. – Mi ripeti come mai abbiamo mantenuto le camere separate? – gli domandò stuzzicandolo, con un pizzico di sarcasmo nella voce. Si sentiva più sveglia che mai. Forse perchè la notte era l’unico momento in cui Dorne era più fresca. Il fresco le ricordava casa.
Rhaegar arricciò il naso, cogliendo la lieve frecciatina e ponendo le braccia conserte. - Per mantenere la nostra propria intimità, nonostante il nostro rapporto sia ... evoluto.
- Mi stai sottilmente dicendo che non riusciresti a vedermi per ventiquattro ore al giorno?
Cerchi lui, mentre i tuoi fratelli soffrono e rischiano la vita per te. Non meriti niente.
- Ti sto “sottilmente” dicendo che abbiamo entrambi bisogno di mantenere i nostri spazi, almeno per il momento – la corresse, sapendo che ella avesse già capito, ma si divertisse a stuzzicarlo un po’.
A ciò, Lyanna si rialzò in piedi, avvicinandoglisi e alzando il volto per guardarlo. – E se accadesse anche altre notti?
- Se accadesse cosa?
- Che io voglia trascorrere la notte con te ... – sussurrò, passando dal fissargli gli occhi al fissargli le labbra.
Provo solo pena per te. Ignobile, lurida, ingrata.
Ignorò di nuovo quella voce, provando a concentrarsi solo su di lui e sul suo desiderio di averlo addosso e accanto.
Si accinse a fare la prima mossa, ma, sorprendentemente, la fece lui per primo: abbassò il volto alla sua altezza e aprì la bocca, cingendole le labbra nel modo in cui sapeva l’avrebbe fatta immediatamente sciogliere come neve al sole.
Lyanna, da amante dei baci quale era e aveva scoperto di essere grazie a lui, ricambiò con ardore, abbandonandosi a quella meravigliosa sensazione di cui non riusciva più a fare a meno.
Gli infilò le dita dietro la nuca, stringendogliela, e la danza si ripetè come sempre.
Lei gli artigliò i fianchi e lui la strinse a sua volta, prendendola in braccio.
Si ritrovarono sullo spazioso giaciglio in pochi istanti.
I respiri ansanti non erano mai abbastanza, i tocchi mai profondi quanto voleva, avrebbe voluto prendersi tutto senza aspettare, ma, al contempo, godersi tutto, ogni singolo attimo e dettaglio, dal primo all’ultimo.
Avevi già uno sposo ad attenderti. Un consorte con cui condividere il letto e la vita.
Cosa direbbe lui se ti vedesse ora?
Una puttana accaldata, che muore e risorge ogni volta che viene sfiorata da un uomo non suo. Dall’uomo di un’altra.
Si concentrò solo su di lui, continuando ad ignorare la voce, sentendosi, tuttavia, sporca, inadatta, mentre provava quel piacere proibito, dal quale si sentiva totalmente dipendente.
Lo spinse sotto di sè, capovolgendo le posizioni, assumendo quella che le piaceva più di tutte: lo guardò dall’alto, seduta a gambe aperte sul suo bacino nudo, e si perse come sempre a lambire con gli occhi il suo torso scolpito, asciutto e slanciato abbandonato tra le lenzuola, le spalle forti, il collo elegante e il viso semistravolto, con la chioma bionda scarmigliata immersa e irradiata nel cuscino. Gli occhi erano ancora semichiusi, ma leggermente più aperti di prima, con il luccichio delle iridi che si intravedeva a intermittenza, come una lucciola dispettosa.
Si concentrò su di lui, su quello che stavano facendo, che riusciva sempre a distrarla così bene, che le piaceva da morire. Si concentrò sulla persona che amava, ora completamente soggiogata a lei.
Si mosse prima lui, facendola gemere di piacere.
Non lo meriti. Non meriti questo piacere. Non meriti la vita. Non meriti lui, nè la tua famiglia. Non meriti nulla.
Il ritmo si fece più serrato.
Lyanna si sporse su di lui mentre continuavano a muoversi convulsamente su e giù, si baciarono a lungo, stretti l’uno all’altra, quando all’improvviso, Rhaegar avvicinò le labbra al suo orecchio per sussurrarle qualcosa, all’apice del piacere: - Vergognati. Non meriti niente. Tuo fratello è alla gogna per te, e guarda cosa stai facendo. Mi ripugni.
La giovane lupa si svegliò di soprassalto da quel sogno, con il fiatone, sudata, tra le coperte del letto della sua camera.
Guardò fuori dalla finestra, cercando di riprendere fiato.
La luna era alta in cielo ma non sembrava notte inoltrata. Per lo meno non quanto lo fosse nel suo sogno. Doveva essersi addormentata presto.
Si legò i capelli, sciacquandosi via il sudore con della piacevole acqua fredda, e si cambiò vestaglia.
Quel sogno l’aveva turbata molto.
Restando sola sapeva che i pensieri infausti avrebbero avuto la meglio su di lei, così decise di andare da lui.
Uscì dalla sua camera e si diresse verso la sua, lontana pochi metri.
Bussò due volte, attendendo di udire il rumore dei suoi passi avvicinarsi.
Non gli ci volle molto per aprirle, sporgendosi dall’uscio, esattamente come nel sogno, ma con un’apparenza diversa, più composta e molto meno insonnolita.
Lyanna gli accennò un sorriso colpevole. – Ho dei pensieri bui al momento. Ti disturbo se resto un po’ con te? – glielo chiese per cortesia, per gentilezza, ma sapeva benissimo che lui non glielo avrebbe mai negato, non glielo negava mai.
La cosa frustrante era non sapere se non glielo negasse per semplice compassione e premura, o perchè davvero gli piacesse trascorrere il tempo in sua compagnia, almeno quanto a Lyanna piaceva trascorrerlo con lui.
Le fece cenno di entrare, sorridendole.
La camera era immersa nelle candele, sul tavolino un libro aperto, mentre il letto era ancora perfettamente composto e in ordine.
- Avevi intenzione di leggere fino a tardi? – gli domandò la giovane lupa, affacciandosi per sbirciare le pagine aperte del libro. – Che cos’è?
- Narra di alcune tecniche di esperimenti condotti dagli alchimisti nell’ultimo secolo. Su esseri viventi, animali e umani – le disse con naturalezza, come se lei potesse capire ciò che le stesse dicendo.
Lyanna lo guardò accigliata. – E cosa starebbe a significare?
Considerando che tutto ciò che di soprannaturale conosceva riguardasse solamente il mondo oltre la barriera di ghiaccio che separava le terre civilizzate da quelle antiche e barbare, era una domanda legittima.
A ciò, paziente, il giovane drago si risedette sulla sedia e sfogliò qualche pagina prima di riprendere. – Gli alchimisti sono una sorta di stregoni, che non amano identificarsi come tali. Ho avuto modo di scoprire che hanno commesso atti a dir poco repellenti negli ultimi anni – fece una pausa di troppo. – Mio nonno ... si era circondato di individui di tale fama, negli ultimi anni del suo regno e della sua vita.
A ciò, Lyanna realizzò. – Stai indagando su ciò che è accaduto quella notte, a Sala dell’Estate? La notte della tua nascita?
- Abbastanza prevedibile da parte mia – si commentò da solo Rhaegar abbandonando il volto sul suo palmo aperto, mentre un sorriso amaro delineava i suoi tratti illuminati dalla candela. – Non fanno altro che dirmi che sono ossessionato da questa storia, tutti coloro che mi sono accanto.
- Beh, sì, forse lo sei – rispose sinceramente Lyanna, avvicinandosi maggiormente al tavolino. – Ma, forse, è anche normale esserlo, considerando ciò che è accaduto. Ho udito solo leggende riguardanti quella notte, troppo distorte o ingigantite, per farmi davvero un’idea a riguardo. A Nord veniva vista come una storia per spaventare i bambini e per rendere il nome Targaryen ancor più divinizzato e intimorente di quanto già non fosse.
- Mia madre ha sempre fatto fatica a parlarmene. Ricorda poco, di quella surreale notte, soprattutto a causa del parto. Mentre mio padre ... non vi è bisogno che dica che non ne ho mai parlato con lui.
- Credi che in questo libro ci siano le risposte che cerchi?
- Non lo so. In vent’anni non ho mai trovato le risposte che desideravo, nonostante io le abbia cercate con corpo ed anima, assiduamente. Ne ho trovate altre, molte altre, ma questa... questa è sempre rimasta un mistero irrisolto.
- Magari questa volta sarà diverso. Trovi ci sia qualcosa di diverso in questo libro, rispetto agli altri?
Rhaegar sfogliò altre pagine, distrattamente. – Qui sono annotati e descritti nomi e biografie di alcuni personaggi, alchimisti specifici, vissuti in quel periodo nella corte del re. Non avevo mai conosciuto le loro identità precise prima d’ora.
- Cosa ... – Lyanna si bloccò, provando uno strano timore nel domandarlo. – Cosa cercavano di fare?
Rhaegar si bloccò, prendendosi del tempo per rispondere.
- Cercavano di replicare i poteri di un drago, trasponendoli in un essere umano.
Quella risposta fu in grado di pietrificarla totalmente.
Quale uomo avrebbe mai potuto anche solo pensare una cosa simile?
Dissacrare in tal modo il valore di una vita, qualunque essa sia, che si tratti di vita animale o vegetale.
Quanto sarebbe potuta essere spregevole l’anima di coloro che avevano non solo pensato, ma anche messo in pratica un obbrobrio simile?
Provò pena, tanta pena, tanto dolore e al contempo odio, per quegli uomini.
Prima di quel momento, era sicura non fosse possibile provare quelle tre emozioni tutte insieme.
Lyanna amava, amava profondamente tutto ciò che la vita donava.
Era completamente innamorata della vita.
Un gran merito in ciò, lo avevano sicuramente i suoi fratelli.
Eppure ... eppure era qualcosa che sentiva dentro sin da bambina, una luce strana che non riusciva bene ad identificare, a tenerla così attaccata alla vita e a tutto ciò che, come lei, mostrava quel luccichìo inconfondibile, il respiro.
- Che cosa ami della vita? – domandò improvvisamente, non rendendosi neanche conto di aver aperto bocca per parlare e averglielo chiesto davvero.
Rhaegar si voltò di scatto a guardarla, spalancando gli occhi.
Il fatto che non lo avesse mai visto tanto confuso, spaesato e in difficolà come in quel momento, la paralizzò, almeno quanto la lasciò costernata.
Colui che non si era fermato dinnanzi a nulla, che avrebbe guidato una guerra sanguinaria contro il suo stesso padre senza pensarci due volte, colui che aveva scelto consapevolmente di abbandonare tutto e rischiare tutto per una profezia. Colui che, ora, era agghiacciato da una semplice domanda come quella.
- Rhaegar ... che cosa ho chiesto di tanto terribile? – aggiunse, vedendo di non ricevere risposta da parte sua, se non uno sguardo sempre più spaesato, a tratti come spaurito.
- Che cosa ... ami ... della vita? – gli domandò di nuovo, nonostante la sua reazione la stesse spaventando. Non poteva essere. Non poteva reagire in questo modo.
Non poteva non conoscere la risposta a quella domanda.
Lui che sapeva sempre tutto, da quando lo conosceva. Talvolta, aveva creduto fosse quasi onnisciente.
A quanto pare, conosceva i misteri del mondo e dieci lingue diverse, ma non conosceva ancora se stesso.
E forse, mai si sarebbe conosciuto. Una consapevolezza spaventosa per la giovane lupa.
No, non lo avrebbe permesso. – Che cosa c’è?? Che cosa senti?? Ti prego, parlami ... che cosa ho detto di male..? – gli domandò inginocchiandosi dinnanzi a lui.
- Non lo so, Lyanna. Non lo so ...
- No.. non puoi non saperlo, è impossibile.
- Non lo so.
- Ti ho fatto una domanda semplice. Una domanda alla quale tutti saprebbero rispondere.
- Ma non io.
- Non è possibile!
- Lo è!
Si agitarono entrambi, alzando la voce.
Vi furono degli attimi eterni di silenzio, in cui si guardarono negli occhi, provando un interscalare di sensazioni diverse, fin quando non fu Lyanna a rompere di nuovo la calma.
- Non puoi non amare nulla della vita. Ti saresti tolto la vita molto tempo fa, se così fosse stato.
- E come avrei potuto, secondo te...? – le rispose, spaventandola ancor di più. – Come avrei potuto farlo quando ogni speranza, ogni responsabilità era riversata e proiettata da chiunque conoscessi o incrociassi anche solo per strada, esclusivamente su di me? – le rispose schietto, duro, per una volta senza preoccuparsi di usare le parole giuste.
Lyanna lo guardò con le lacrime agli occhi, negando con la testa e aggrappondosi alle sue mani, stringendogliele.
Lui aveva già pensato di togliersi la vita, in passato. Forse più di una volta. E lei, lei non poteva capire come si sentisse, perchè un pensiero del genere non le era passato di mente neanche lontanamente, neanche per errore.
- Tu sei in grado di amare – gli disse decisa. - Mi hai sentito bene? Tu sei in grado di amare, come tutti.
Egli non rispose, continuando a guardarla con espressione sconvolta, in attesa. – Se tu non lo sai, allora sarò io a dirti cosa ami della vita: ami svegliarti la mattina e bearti dei raggi del sole su di te, ami cavalcare in libertà e con la mente svuotata, ami suonare e cantare, ami sapere che le persone che ti sono accanto, quelle davvero importanti per te, stanno bene, sono al sicuro. Ami combattere, leggere, sapere, scoprire, ami sorridere quando sei solo e non hai alcun motivo per farlo. Ami guardare il cielo, di notte e di giorno, e affaticarti nel tentativo di guardare il sole il più possibile senza distogliere lo sguardo. Hai visto...? Io lo so, e dovresti saperlo anche tu.
Perchè sono infinite le cose che possiamo amare finchè esistiamo ancora su questo mondo, e ognuno dovrebbe saperle riconoscere.
A ciò, Rhaegar le rivolse un sorriso sincero e bellissimo, e le baciò il dorso della mano. - Come fai a insegnarmi lezioni di vita di questo tipo, a soli quindici anni? – le domandò facendola sorridere a sua volta.
Sapevano che entrambi sentissero profondamente la mancanza di coloro che avevano lasciato. Eppure, sapevano entrambi che, se fossero rimasti insieme, quelle ferite profonde che scavavano dentro di loro, avrebbero fatto meno male del previsto. Si sarebbero curati a vicenda, ancora e ancora, finchè ce ne fosse stato bisogno.
A ciò, Lyanna si alzò in piedi, poggiò le mani sui poggiamano della sedia su cui era seduto, e si abbassò su di lui.
Egli le si avvicinò a sua volta, sporgendosi. Le inglobò il viso tondo tra le mani, accarezzandolo delicatamente, e fece toccare i loro nasi.
- Vuoi dormire qui, stanotte? – le domandò lui in un sussurro, sapendo già perfettamente quale sarebbe stata la risposta.
Lyanna annuì energicamente, azzerando le distante e dando inizio a quel bacio tanto agognato.
Fu dolce, infinitamente dolce e lento, senza un pizzico di fretta o voracità.
Continuarono per lunghi minuti, allontanandosi di tanto in tanto per riprendere fiato, fin quando le loro bocche non proseguirono la loro amabile e intima danza anche tra le lenzuola, sino al momento in cui il sonno li pretese a sè e si addormentarono.
 
Era notte fonda quando qualcuno bussò alla porta della stanza del principe.
Il ragazzo, dal sonno leggero, aprì gli occhi, riconoscendo quasi subito a chi appartenesse quella bussata.
Scese dal letto facendo attenzione a non svegliare Lyanna, e si diresse verso la porta, aprendola adagio.
- Ehi
- Ehi – gli rispose Arthur in un sussurro, sforzandosi di sorridere in un modo quasi doloroso da guardare. – Mi dispiace di averti svegliato..
- Che succede, Arthur?
Senza dire nulla, l’uomo gli pose una pergamena tra le mani.
Rhaegar la prese, guardandolo interrogativo.
- È giunta questa sera da alcuni nostri collaboratori ad Approdo – gli spiegò, lasciando che l’aprisse.
Poche righe, dirette e lapidarie, passarono davanti agli occhi del principe drago come un fulmine a ciel sereno, facendogli quasi cedere le gambe.
Restò per un tempo indefinito a fissare quelle lettere incise sulla carta.
- Rhaegar ... – lo richiamò alla realtà Arthur, o almeno tentando di farlo.
Il giovane drago alzò gli occhi ora più chiari che mai verso di lui, divenuti lucidissimi.
Schiuse le labbra ma non disse nulla, voltando invece lo sguardo verso la ragazza che dormiva beatamente ignara sopra il suo letto.
Rhaegar si coprì la bocca con una mano, stringendo la pergamena con l’altra.
- Rhaegar ...
- Ha sofferto ...? – gli domandò a bruciapelo, con la voce tremante e bassissima.
Arthur non rispose, abbassando lo sguardo afflitto e avvilito.
– Qui non c’è scritto altro, Arthur ... tu lo sai? Ti hanno detto se ha ... sofferto? Come li ha uccisi? Arthur ... ti prego, rispondimi.
A ciò, Arthur lo afferrò per il polso e lo trascinò fuori dalla stanza, in modo da poter parlare ad alta voce senza il terrore di svegliare Lyanna, chiudendo la porta della camera dietro di loro.
Gli fece aderire la schiena al muro e gli si pose di fronte. – Ascoltami bene e guardami negli occhi – cominciò, vedendolo obbedire, sperando di riuscire a continuare il suo discorso senza mostrare alcun segno di debolezza. – Ce lo mettevamo in conto. Ricordi? Sapevamo sarebbe potuto succedere ...
- Arthur ...
- Non sarà l’ultimo, lo sai bene. In tanti faranno la stessa fine ...
- Era suo fratello!
- Lo so bene! – rispose Arthur per le rime, stringendogli le braccia per farlo rimanere saldo, e per aggrapparsi anche lui, per non vacillare. – Credi che non lo sappia ...? Credi che non sappia come si sentirà lei, quando lo scoprirà...?
- No, non lo saprai mai. Non lo saprai tu e non lo saprò io ... Nessun conforto le sarà dato, da persone che non sanno minimamente cosa voglia dire perdere un fratello.
- Invece lo so, perchè posso sentire quel dolore vivo nella mia carne se provo anche solo a figurarmelo. Posso sentire il mondo in cui vivo perdere di ogni valore, la terra crollarmi sotto i piedi e il dolore trafeggermi come una lama infuocata, se provo anche solo ad immaginare di svegliarmi una mattina e scoprire che tu o Ashara non ci siete più – disse zittendolo, prendendosi una lunga pausa prima di continuare. – Quindi, lo immagino, Rhaegar, cosa voglia dire perdere un fratello.
- Sarà costretta a soffrire da sola ... lontana da chiunque ami ...
- Ma ci sarai tu lì con lei.
A quelle parole, il principe drago sorrise con rabbiosa amarezza. – Stai parlando sul serio ...?!
- Sì, sono serissimo! È te che ha ora, così come tu hai lei! Non potete fare nè sperare altrimenti. Siete voi due. Ora, dimmi: ti sei forse pentito della scelta che hai compiuto dando inizio a tutto questo? – gli domandò ostentando una cruda durezza che non gli apparteneva, non con lui.
A ciò, Rhaegar scacciò via ogni fragilità e innalzò la sua corazza di gelida freddezza, rispondendogli come Arthur sperava e temeva gli rispondesse: - No. Non me ne pento e non me ne pentirò.
- Bene. Perchè non me ne pentirò mai neanche io – replicò il dorniano mollando la presa sulle sue braccia.
- Puoi lasciarmi solo?
- Certo – rispose Arthur forzandosi a voltargli le spalle e ad allontanarsi, tornando verso la sua stanza.
 
La locandiera aveva appena spiegato loro come si giocasse a quello strano gioco con le bacchette, ed ora Doen era a dir poco concentrata a batterlo.
Vedendo che stesse riversando tutte le sue attenzioni lì, Rhaegar decise di coglierla di sorpresa, ponendole una domanda inaspettata: - Ditemi, qual è la persona che ammirate e stimate più di tutte? Quella alla quale aspirate, il vostro modello.
A ciò, Doen sembrò perdere un poco la sua concentrazione, ma fece di tutto per non buttare all’aria tutti i miglioramenti che aveva raggiunto fino a quel punto della partita. Lo guardò di sottecchi, rimanendo tuttavia concentrata sulle stecche in equilibrio. - Intendete segretamente? – gli domandò sorprendendolo.
- Ammirate questa persona segretamente, dunque? – le domandò conferma Rhaegar.
- Siete sleale, Calen! – si lamentò la ragazza, vedendolo sorridere sornione. – Insomma, pormi queste domande impegnative mentre stiamo giocando non è leale!
- Potete non rispondere se non volete – le disse facendo la sua mossa a sua volta, essendo il suo turno ora.
- Se ciò implica che posso porre la stessa domanda a voi dopo, allora risponderò – gli disse poggiando il viso sui palmi delle sue mani, mentre osservava le dite affusolate del suo avversario muovere le stecche con fermezza e delicatezza. – Non devo pensarci su, poichè la risposta è semplicissima e la conosco sin dalla tenera età: il mio fratello più grande.
A ciò, Rhaegar la guardò, rivolgendole uno sguardo incuriosito che lei non poteva scorgere.
- Sì, è decisamente lui il mio modello più grande a cui aspirare. Me ne rendo conto ogni volta che lo guardo e che passiamo del tempo insieme. Lui è tutto ciò che potrei desiderare di avere al mio fianco e che potrei desiderare di diventare – disse con ammirevole convinzione, facendogli provare un briciolo di invidia nei confronti del loro unico e prezioso rapporto.
- E voi, invece? Avete un modello al quale aspirate da tutta la vita, Calen?
 
Quel ricordo gli incise la mente con dolore, facendolo crollare a terra, la schiena che si trascinava giù con lentezza, fino a toccare il pavimento duro.
Strinse la pergamena al petto convulsamente e serrò i denti e la mascella, trattenendo e ricacciando indietro le pericolose lacrime che minacciavano di uscire dai suoi occhi da quando Arthur gli aveva posto tra le mani quel pezzo di carta.
Alzò il volto verso l’alto e chiuse gli occhi, prendendo un lungo respiro, catalizzando su di sè tutto il dolore e la cieca disperazione che la giovane lupa avrebbe provato il giorno seguente, non appena lo avrebbe saputo.
- Mi dispiace, Brandon.
 
 
 
 

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Capitolo 22
*** "Per questa notte e per tutte le notti a venire" ***


Per questa notte e per tutte le notti a venire
 
 
Il ragazzo salì sull’impalcatura che lo avrebbe condotto in cima alla barriera, stringendosi nel suo mantello di pelliccia.
Oramai il freddo sferzante di quel luogo non aveva più lo stesso effetto su di lui.
Così come non lo avevano molte questioni che riguardavano il mondo là fuori, a Sud della Barriera di Ghiaccio.
“Cala la notte e la mia guardia ha inizio. Non si concluderà fino alla mia morte. Io non avrò moglie, non possiederò terra, non sarò padre di figli.”
Ripetè dentro di sè il giuramento che aveva fatto pochi giorni prima, davanti all’albero diga, inchinandosi dinnanzi agli antichi dèi, mano sul cuore.
Ora era ufficialmente un ranger dei Guardiani della notte, esattamente come voleva.
Era scontato che venisse nominato ranger, persino i suoi nuovi amici e confratelli Reedly e Florian ne erano certi.
A dir la verita, tutti i suoi compagni sapevano che Benjen Stark, legittimo figlio del lord di Grande Inverno Rickard Stark, sarebbe stato nominato ranger.
L’educazione al combattimento e alla spada che aveva ricevuto un piccolo lord come lui era nettamente superiore a quella della miriade di bastardi, delinquenti, poco di buono e contadinelli che finivano alla barriera, costretti dalle proprie famiglie o dalla legge.
Un’altra cosa che il giovanissimo Benjen apprezzava dell’essere un confratello, era il fatto che, una volta preso il nero, esattamente come gli avevano garantito, non contasse più nulla quello che sei, o chi sei.
Non conta nulla che tu abbia una sorella rapita, sparita chissà dove, tra le grinfie di un principe fuorilegge che, secondo le voci, l’aveva stuprata.
Non conta nulla che tuo fratello e tuo padre, due delle persone più importanti della tua vita, siano morti, orribilmente bruciati vivi da un uomo che, più che un uomo, era un mostro disumano, che aveva persino il coraggio di farsi chiamare re.
“Non porterò corona e non vorrò gloria.”
Quando Benjen l’aveva scoperto, cosa Aerys avesse fatto a suo padre e suo fratello, era scappato via di notte, di nascosto, con tutta l’intenzione di unirsi alle fila di suo fratello Ned e di Robert Baratheon, per combattere quella guerra al loro fianco, rinnegando il suo onore e la sua morale che gli imponeva di non diventare un disertore ancor prima di aver prestato giuramento.
Fortunatamente, quella notte, Reedly, Florian, Scott e le altre reclute con cui aveva condiviso pasti, allenamenti e nottate in bianco a guardia della barriera durante quelle ultime settimane, erano andati eroicamente in suo soccorso, facendolo ragionare, e convincendolo a tornare indietro. Era il più piccolo del gruppo, e se lo erano preso particolarmente a cuore.
Fortunatamente, nonostante la giovane età che avrebbe potuto suggerire un irrequieto temperamento, Benjen, come ogni Stark che si rispetti, era sempre stato un ragazzino ragionevole.
E da buon ragionevole, aveva capito che, se solo non avesse assencondato le volontà di quelli che oramai considerava suoi amici a tutti gli effetti, probabilmente il lord comandante Mormont avrebbe a breve scoperto della mancanza non solo sua, ma anche di tutti loro, e avrebbe fatto tagliare la testa a tutti con l’accusa di diserzione.
Fortunatamente, nessuno di loro aveva ancora prestato giuramento, ed era stato questo a salvarli.
“I bei culi dei nobili non ricevono un diverso trattamento dai culi degli stupratori qui alla barriera” diceva sempre Reedly, con la saggezza che contraddistingueva i suoi quindici anni appena compiuti.
E infatti era stato così: Mormont li aveva scoperti la mattina seguente, quando erano già rientrati furtivi nei loro letti, ma non aveva risparmiato a tutti loro una bella strigliata di orecchie e un mese intero di pulizie forzate nelle cucine, che Benjen e gli altri stavano ancora scontando.
Per quanto potesse sembrare un vecchio orso burbero, Mormont teneva ai suoi ragazzi.
Così come quello strano personaggio che si era rivelato essere Maestro Aemon, un vecchio cieco appartenente alla stirpe Targaryen, avente preso il nero anni prima, dunque avendo rinnegato la sua stirpe e le sue origini, decidendo di presiedere nella biblioteca come un vecchio corvo albino.
Benjen era interessato a lui, e anche Maestro Aemon sembrava avere un lieve debole per Benjen, ma forse era solo la sua immaginazione.
Ad ogni modo, ora che aveva fatto il giuramento, a maggior ragione, nulla avrebbe potuto distoglierlo dagli obblighi che aveva lì alla Barriera, nemmeno le costanti lettere di sua madre, che lo supplicava di tornare, o quelle di Ned, che lo aggiornava minuziosamente su ogni mossa in battaglia di lui e Robert, il rabbioso cervo che oramai era diventato la sua ombra.
Per quanto avesse desiderato combattere al loro fianco quando era preda dell’ira e del dolore per la morte di Brandon, a Benjen non era mai piaciuto Robert.
E per quanto avesse voluto vendicare il torto arrecato a sua sorella dal principe Rhaegar, doveva ammettere, a malincuore, che, in circostanze normali, avrebbe preferito mille volte seguire in battaglia uno come il principe Rhaegar, piuttosto che quel tronfio lord immotivatamente traboccante di supponenza quale era Robert Baratheon.
Oramai non era più una questione che riguardava solo Lyanna.
Ma Robert sembrava non capirlo, o meglio, faceva finta di non capirlo.
Ora, di mezzo, c’era l’assassinio atroce e ingiusto di suo fratello e suo padre, nonchè il futuro erede di Grande Inverno e quello che era l’attuale lord di Grande Inverno.
Non si trattava più solo del rapimento di Lyanna. O della sua fuga.
Nonostante i sentimenti contrastanti che Benjen provava per sua sorella al momento, avrebbe letteralmente dato qualsiasi cosa per poterle scrivere qualche lettera, e potergliela inviare.
Robert non la conosceva nemmeno, Lyanna.
Robert stava combattendo una battaglia che stava rivendicando come sua, ma che non gli apparteneva.
Robert e le sue manie di protagonismo, Robert e il suo presunto “onore macchiato”, Robert e il suo fasullo “amore” per Lyanna, che era più rivendicazione di possesso e proprietà su un oggetto, contro un altro uomo.
Se poi, di mezzo a quel disonore arrecatogli dal rapimento di un premio che gli era stato promesso, avesse anche potuto fare battaglia contro i Targaryen, che gli erano sempre stati poco simpatici, e al contempo aspirare addirittura ad usurpare loro il trono, perchè no, valeva la pena scatenare una guerra sanguinosa, urlando al mondo che erano gli dèi a volerlo.
Questo era Robert Baratheon.
E suo fratello Ned era troppo preso dall’improvvisa e inaspettata investitura come lord di Grande Inverno, dai suoi immensi doveri, e dall’imponente influenza che Robert stesso esercitava su di lui per ragionare razionalmente.
Senza contare la questione che riguardava Catelyn Tully.
Ora Cateylin era sua.
Una fanciulla spezzata e distrutta dalla morte del suo primo e intenso amore, che Ned non sapeva letteralmente come maneggiare, e a cui non aveva tempo da dedicare.
“Io vivrò al mio posto e al mio posto morirò.
Io sono la spada nelle tenebre.
Io sono la sentinella che veglia sulla Barriera.”
E poi c’era lui.
Che non stava muovendo un dito, perchè oramai era un confratello e la sua famiglia non era più quella.
Esattamente come Aemon Targaryen, che se ne stava rintanato nella sua biblioteca mentre suo nipote e suo cugino venivano attaccati da ogni angolo dei sette regni.
Lui, a cui, a ritmi sfinenti, veniva chiesto come mai avesse deciso di buttare alle ortiche il suo titolo, il nome della sua famiglia, la sua nobiltà, per prendere il nero.
“Solo i rifiuti umani di questa terra rischiano la vita qui, sulla Barriera di ghiaccio dimenticata dagli dèi, ai confini del mondo. Solo i rifiuti umani, non i figli di lord” diceva sempre Scott, che di malfamazione se ne intendeva, dato che era figlio di un fabbro accusato più volte di assassinio, e di una puttana che non ricordava nemmeno il suo nome.
Nessuno si capacitava della scelta di Benjen.
Forse, nemmeno Benjen stesso.
Eppure... eppure era certo che quella fosse la decisione migliore della sua vita.
- Ehi BJ – lo richiamò la voce familiare di Florian, bloccandolo poco prima che entrasse dentro l’impalcatura che l’avrebbe condotto in cima, nel punto più alto del mondo.
Benjen si voltò di malavoglia verso di lui, osservando i suoi denti che battevano per il freddo, i capelli biondi tendenti al ramato mossi dal vento gelido.
Florian veniva da Sud, perciò non si era affatto abituato al gelo di quel luogo.
Eppure non se ne lamentava.
Anche perchè, se qualche recluta o confratello avesse provato anche solo a lamentarsi di qualcosa, la risposta dei “piani alti” sarebbe stata un bel calcio su per il fondoschiena.
- Che c’è? – domandò al biondo.
- Non fare quella faccia – gli disse il ragazzo, accennando un ghigno furbo. – So che non hai voglia di gelarti il culo lassù.
- Dalla tua espressione deduco che qualcuno mi cerca.
- Se speravi in una bella fanciulla, resterai deluso, BJ.
Ok, sei il più giovane e il più “carino” tra tutti noi, e ne hai avuto dimostrazione quando abbiamo attraversato Città della talpa e quelle due puttane ti hanno fatto gli occhi dolci, ma non montarti la testa ora.
Benjen sbuffò un sorriso stanco, divertito, ma al contempo desideroso di arrivare al dunque. – Chi mi cerca?
- Tuo fratello.
Benjen sgranò gli occhi chiari a tale risposta. – Ned..?
- Proprio lui. Che, per inciso, ha una faccia da mortorio.
Si vede che è più grande di te.. ma voi Stark assumete tutti quella faccia da depresse statue di ghiaccio quando raggiungete la maturità? Spera per te che non sia così, BJ.
- Dov’è?? – gli domandò Benjen con un certo fomento.
- Sta venendo qui – lo informò il biondo, guardando dietro di sè, come cercandolo con lo sguardo. – Ad ogni modo, ha richiesto la tua presenza anche Maestro Aemon. Sei molto richiesto, BJ.
- Quando avrò finito con mio fratello andrò anche da lui – gli rispose, affacciandosi a sua volta, per osservare la figura di Ned delinearsi lentamente ai suoi occhi mentre avanzava verso di loro, appurando che sì, era vero, suo fratello era davvero venuto fino a Castello Nero per vederlo. – Cosa diavolo gli è venuto in mente.. – sussurrò più a se stesso che a Florian, il quale si stava già defilando.
- Vi lascio soli.
- A dopo, Florian.
Non appena il ragazzo se ne andò, Ned apparve già davanti ai suoi occhi, serio e glaciale come una statua.
- Ehi, fratellino – gli disse dopo un tempo che parve infinito, accennandogli un lieve sorriso che, su quei lineamenti ora così duri, stonava non poco.
Benjen doveva ancora abituarsi ai cambiamenti nel corpo di suo fratello, dovuti un po’ alla crescita, un po’ al peso del mondo caricato sulle sue spalle.
- Ned – lo salutò a sua volta, ricambiando quel debole sorriso, che nascondeva tutta la gioia che stava provando nel rivederlo. – Cosa ci fai qui?
- Non che avessi voglia di farmi andare qualche arto in cancrena, ma... volevo parlarti, Ben.
A ciò, Benjen gli fece segno di salire sull’impalcatura con lui. – Ho il turno di guardia alla barriera – gli spiegò, vedendo suo fratello annuire solenne mentre lo seguiva.
- Qual è la prossima tappa? – domandò poi, attivando la leva che li avrebbe portati in cima, con movimenti consapevoli e oramai abituali.
- Ashford. I Tarly e i Tyrell. Quando avremo privato Aerys di ogni alleato, Rhaegar non potrà tirarsi indietro, se non vuole che suo padre e tutta la sua famiglia muoiano sotto assedio. La nostra speranza è che esca allo scoperto. A quel punto, il Principe d’Argento sarà nostro, e, con un po’ di fortuna, anche nostra sorella – pronunciò Ned.
- Ottimisti – commentò il più giovane, guardandolo di sbieco. – Non ci credi neanche tu che sarà così facile.
- In questo momento, devo credere che verranno sacrificate meno vite possibili, Ben. Devo crederci.
- Autoconvincerti ti aiuterà a portare avanti questa guerra senza capo nè coda?
- Puoi atteggiarti ad adulto quanto ti pare, Ben, ma sai benissimo che, in cuor tuo, vuoi vendicare nostra sorella, Brandon e papà quanto me.
- Io oramai sono un confratello dei guardiani della notte, Ned – rispose con decisione Benjen, uscendo dall’impalcatura, seguito da Ned, dato che oramai erano arrivati in cima.
Un deserto di ghiaccio scosso da venti turbolenti si estendeva sotto di loro, e Ned lo guardò incantato.
Di certo quello non era un luogo per chi soffriva di vertigini.
- E tu ti trovi davanti... questo... ogni giorno?
Benjen annuì, scoprendosi il capo dal cappuccio e godendosi il vento gelido tra i capelli folti e scuri.
“Io sono il fuoco che arde contro il freddo,
la luce che porta l'alba,
il corno che risveglia i dormienti,
lo scudo che veglia sui domini degli uomini.”
- Nostra sorella non è morta – disse improvvisamente Ben, sottolineando l’ovvio.
- Cosa..? – commentò Ned, confuso da quell’ovvia constatazione.
- L’hai messa in mezzo, elencandola in una lista di morti, poco fa – spiegò Benjen. – Ma lei non è morta. Lyanna è viva e vegeta. Il principe Rhaegar non oserebbe torcerle un capello, sa quanto lei sia importante in questa battaglia.
- Lo credo anche io..
- E allora perchè sostieni e appoggi il tuo “migliore amico” Robert quando urla ai quattro venti che nostra sorella è stata stuprata e disonorata, con la convinzione di un dio?
Ned si ritrovò senza parole.
Osservò ciò che si trovava oltre la barriera ancora un po’, poi riprese la parola. – Robert ha bisogno di credere quello di cui ha bisogno di credere, Ben. Nulla spinge la volontà di un uomo alla guerra più del male che è stato fatto alla donna che ama. Immedesimarsi in quel dolore è facile, per tutti. Le sue parole dure, per quanto esagerate ed estreme, servono ad incoraggiare i nostri uomini, servono a fomentare i cavalieri delle nostre fila, a combattere al meglio la nostra battaglia.
- “La nostra battaglia”? O la sua battaglia? – gli domandò Benjen.
- La nostra battaglia – rimarcò Ned.
- E cosa pensi che accada dopo che avremo riavuto Lyanna e fatto pagare al principe Rhaegar per ciò ha fatto, dopo aver ucciso lui e suo padre?
- Robert salirà sul trono – rispose Ned.
- Ed è davvero quello che vuoi? Noi Stark ci siamo mai immischiati in questioni che riguardano il trono, Ned? Ci siamo mai schierati così violentemente?
Ned guardò suo fratello: Benjen era cresciuto molto, nel corso di quei lunghi mesi.
Non parlava più come un bambino, bensì come un uomo.
Ned ne fu immensamente fiero.
- Robert è mio amico, Benjen. Ha dimostrato fedeltà alla nostra causa, e grazie a lui posso cominciare a sperare che vinceremo questa guerra, riavremo nostra sorella e vendicheremo Bran e nostro padre.
- Dunque è per questo? Ti sta facendo sentire in debito con lui. Ti ha preso sotto la sua ala ed è riuscito a plasmare persino un animo duro come il tuo.
Sono davvero meravigliato – commentò il più giovane, con una nota amara e sarcastica nella voce. – Solo... sta’ attento, Ned. Non mi fido di lui.
- Lo vedo.
- Ci sta trascinando in qualcosa di più grande di noi.
E non sono nemmeno sicuro che Lyanna vorrebbe questo – si lasciò sfuggire.
- Cosa intendi dire? – indagò il maggiore.
- Dalla fine del torneo di Harrenhal.. tutti ci siamo accorti che qualcosa non andasse in Lya – sospirò Benjen, fissando le persistenti nuvolette di aria condensata uscirgli dalle labbra.
- Sì.. lo so.
- È tutto quello che hai da dire? Anche Bran nutriva dei sospetti.
Vuoi dirmi che la strana storia del “fuggiasco senza volto” da cui lei era totalmente assuefatta e che la spingeva a tornare sempre a quella locanda di nascosto, non ti è puzzata?
O, peggio: vuoi dirmi che la storia della corona della “Regina di Amore e di Bellezza” donata dal principe Rhaegar a Lyanna non ti ha fatto porre più di qualche domanda??
Ned serrò le labbra, abbassando lo sguardo mesto. – Lyanna era in conflitto con se stessa negli ultimi tempi, era evidente.
- Era in conflitto con se stessa.. per colpa di qualcuno.
E, molto probabilmente, anche quel qualcuno era in conflitto con se stesso.
- Cosa stai supponendo, Ben?
- Quello che supponi anche tu, Ned, ma che non hai il coraggio di dire ad alta voce, specialmente dinnanzi al tuo nuovo amico del cuore Robert – disse secco, facendo una breve pausa, per avere la forza di esprimere quel pensiero ad alta voce. – Nostra sorella potrebbe essere scappata di sua volontà con Rhaegar Targaryen. Potrebbero aver orchestrato tutto insieme, per mesi, alle nostre spalle...
- No – negò deciso Ned.
- “No”? “No” cosa?
- Lyanna non ha deciso di scappare di “sua volontà”.
Potrà non averla rapita, ma sono certo che lui  l’abbia sedotta e manipolata.
- Lyanna?? La nostra Lyanna sedotta e manipolata..?
Quella che da piccoli ci convinceva a restare a giocare fuori fino a violare il coprifuoco, con la promessa che avrebbe mentito a mamma e papà per coprirci le spalle? E che nove volte su dieci ci riusciva?
Quella Lyanna? A quanto pare non conosci minimanente nostra sorella per parlare in tal modo, Ned.
- La conosco, forse meglio di tutti, Ben.
Ma ho avuto modo di osservare anche Rhaegar Targaryen, in quei brevi giorni di torneo. Così come conosco tutte le voci che circolano su di lui.
Il principe drago è il giovane uomo più ambito, ammirato e apprezzato in tutti i sette regni.
Attira lo sguardo di tutti su di sè quando è una stanza, non si può fare a meno di non guardarlo per l’aura che emana, per il fascino che suscita in qualsiasi persona.
Un ragazzo che, fin da piccolo, è sempre stato idolatrato come un dio per la sua bellezza, che ha sempre avuto la terra sotto i piedi baciata da chiunque lo incontrasse.
Un giovane uomo che... sa bene l’effetto che è in grado di fare sulle donne.
E che è sin troppo intelligente per non sfruttarlo.
Sa che può ottenere di tutto.
Lyanna non ha mai avuto interesse per nessun uomo, ma si è sempre comportata lei stessa da uomo.
Solo una persona come Rheagar Targaryen avrebbe potuto stregarla in tal modo.
- Nel tuo scenario, dunque, nostra sorella sarebbe un fantoccio, una vittima inerme tra le grinfie di un vanesio approfittatore, un subdolo manipolatore.
- Suggerisci altrimenti?
- Te lo ripeto, con parole più chiare: ritengo che tu stia sottostimando nostra sorella.
- Qual è la tua versione dei fatti, dunque?
- La prima domanda da porsi, innanzitutto, è questa: per quale motivo un principe, un giovane uomo tanto potente, amato e venerato come Rhaegar, ha buttato alle ortiche tutto quello che aveva per scappare con Lyanna?
Il principe è sempre stato un calcolatore, un ragazzo dedito alla ragione e alla riflessione, a detta di tutti.
Non ha mai agito d’impulso. Così come non è stato mai violento con nessuno, tutt’altro, è sempre stato descritto come un animo calmo, infinitamente gentile.
E di ciò possiamo fidarci, in quanto, se avesse alzato le mani o mostrato qualsiasi altro tipo di violenza anche solo una volta, la voce si sarebbe sparsa in tutti i sette regni in un batter d’occhio, considerando quanto la sua vita sia sotto una spessa lente di ingrandimento.
Questo dovrebbe entrare in testa al tuo amico Robert, se solo fosse in grado di ragionare con la mente e non con quello che ha dentro i pantaloni: come può un uomo simile stuprare senza pietà una donna? Per di più una ragazzina quindicenne?
A quale pro, poi?? Rhaegar ha una moglie bellissima, potrebbe avere tutte le donne del mondo se solo lo volesse, senza aver certo bisogno di adescarle.
Per quale motivo proprio Lyanna?
Ci dev’essere qualcosa sotto.
- Stai viaggiando troppo con la fantasia, fratellino.
- Sarà, Ned.. Ma c’è qualcosa che non mi quadra in tutta questa storia assurda, e mi sorprendo di essere l’unico a pensarlo, arrivati a questo punto.
Inoltre, a mio avviso, Lyanna non è una succube.
Lyanna non è mai stata succube di nessuno, e neanche Rhaegar Targaryen può cambiare questo.
Nostra sorella agisce di sua volontà, lo ha sempre fatto e continuerà a farlo.
- Stai insinuando che nostra sorella... la nostra Lyanna ci ha traditi... ha tradito Robert e noi.. decidendo di sua sponte di fuggire senza spiegazioni, incurante del fatto che sarebbe scoppiata una guerra per lei?
- Io credo... che nella sua visione delle cose.. qualsiasi essa sia.. lei abbia avuto le sue ragioni. Oppure creda di averne. Ma di certo non è stata manipolata da lui per scappare.
Magari lo ha fatto perchè non voleva sposare Robert.
- Per quanto Lyanna sia scalmanata e ribelle, sa quali sono i suoi doveri.
Non può essere per questo.
- C’è solo un’opzione che mi rimane, considerando la situazione generale – concluse Benjen. – Nostra sorella e il principe drago potrebbero essersi innamorati l’una dell’altro.
- Amore..? Stiamo davvero parlando di amore, dinnanzi ad una guerra?
Stiamo davvero parlando di due persone pienamente ragionevoli e dedite al loro onore, che scappano via insieme per amore..?
- Hai ragione. Rhaegar non può aver abbandonato tutto e aver agito in modo tanto estremo per un motivo come questo.
E lo stesso Lyanna.
Non avrebbe messo in pericolo le nostre vite solo per essersi innamorata di un principe.
Nè tanto meno per scappare da Robert.
Ci dev’essere dell’altro.
- Altro.. cos’altro? – domandò Ned, frustrato da quell’intera conversazione, che sembrava non venir a capo di nulla.
- Non lo so, Ned. Non ho le risposte a tutto.
Ti sto solo esponendo quello che vedo, come appare la faccenda ai miei occhi esterni.
- I tuoi occhi non sono esterni, Ben.
- Ora che ho fatto il giuramento sì, Ned – disse serafico quel ragazzino che dimostrava molto più dell’età che aveva, voltandosi a fronteggiare il fratello maggiore, quel fratello che tanto amava, l’unico che gli era rimasto.
“Io consacro la mia vita e il mio onore ai Guardiani della Notte.”
- Ora che sono un confratello dei Guardiani della notte, sì, sono esterno.
Non posso combattere al tuo fianco, fratello.
- Non te lo avrei comunque permesso.. – sussurrò Ned, con la voce velatamente rotta, fissandolo in quegli occhi chiari. – Sei troppo piccolo per mettere piede su un vero campo di battaglia.
- Troppo piccolo per te, forse. Qui alla Barriera sono un ranger. Sono abbastanza grande per combattere bruti, giganti ed estranei oltre la Barriera – gli rispose per le rime Benjen, accennandogli un sorriso sghembo, un sorriso che avrebbe voluto trasmettergli tutto ciò che non era in grado di dirgli a parole:
Sto bene.
Staremo bene.
Fa’ attenzione.
Ci rivedremo presto.
Vi penso sempre.
Sarete sempre la mia famiglia.
Vinceremo la guerra.
Si risolverà tutto.
Mi mancate.
Nostra sorella non è stata stuprata.
Vi voglio bene.
Ti voglio bene.
Ned si avvicinò a lui con un sorriso a increspargli le labbra solitamente serie e serrate, afferrandogli la nuca e facendo scotrare le loro fronti, in una delle rarissime dimostrazioni d’affetto targate Eddard Stark.
- Siamo solo io e te – gli sussurrò il più grande.
- Siamo solo io e te – ripetè Benjen.
“Per questa notte e per tutte le notti a venire”
 
 
Il principe bambino varcò le porte della Fortezza Rossa con i capelli argentei tutti scompigliati, i pregiati vestitini regali sporchi e un ginocchio tutto sbucciato, neanche fosse appena stato in lotta con una mandria di gatti inferociti.
E lo scenario non era molto lontano da quello concreto:
Era andato a giocare nei giardini reali da solo, come era sempre, dato che suo padre non faceva avvicinare nessun bambino della sua età a lui, accompagnato solo da una guardia reale. Aveva iniziato a rincorrere le piccole bisce innocue che si nascondevano sul terriccio, serpentelli striscianti che gli sfuggivano sempre dalle manine, tanto erano rapidi nei movimenti. Poi, la guardia reale era stata richiamata all’ordine da suo padre stesso, per un compito di seria importanza, e lo aveva lasciato solo, promettendogli che sarebbe tornato nel giro di venti minuti.
Ma quei venti minuti erano bastati al piccolo Rhaegar di quattro anni per incontrare un feroce gatto randagio, soffiante e diffidente, che gli era saltato addosso, spaventato sia dalla biscia che da lui stesso. Il felino, che era grande e grosso quasi quanto il bambino, lo aveva spinto per terra senza grazia, provando a graffiarlo, e Rhaegar, per sfuggirgli, aveva indietreggiato all’improvviso, cadendo e sbucciandosi tutto il ginocchio, il quale ora era un groviglio sanguinante pieno di terriccio e sassolini.
Il bambino camminò con tranquillità, come se nulla fosse successo, dirigendosi verso l’entrata del palazzo.
Nel suo cammino, incrociò qualche septa e ancella, che lo guardarono sconvolte, coprendosi la bocca con le mani non appena notarono il suo stato e la sua ferita al ginocchio.
Probabilmente temevano più per la reazione del padre, che per la salute del principino stesso.
Rhaegar continuò a camminare, ignorando la servitù che lo richiamava rispettosamente, chiedendogli cosa fosse accaduto.
Il ginocchio gli bruciava tantissimo e per quanto non fosse un atteggiamento adatto ad un principe piangere, voleva comunque stare tra le braccia di sua madre al momento, e farsi medicare da lei.
Si aggirò per il castello, salendo le scalinate, diretto verso le stanze dei suoi genitori, quando un rumore, proveniente da una delle decine di camere inutilizzate del castello, non attirò la sua attenzione.
Il principino si avvicinò quatto quatto alla stanza, aprendo la porta pianissimo e sbirciando al suo interno.
Ciò che vide quel giorno... lo lasciò senza fiato.
Sapeva che i suoi genitori non andassero d’accordo e litigassero sempre.
Tuttavia, nella sua mente pura di un bambino di quattro anni, credeva che si amassero comunque, e che quello fosse un loro strano modo di dimostrarsi amore.
Quel giorno capì quanto si sbagliasse.
Rhaegar udì dei sospiri, che più che sospiri sembravano lamenti sofferenti di una voce flebile, femminile, mischiati ai ringhi di suo padre, che parevano quelli di una belva morente.
Si affacciò ancor di più, per vedere meglio la scena, e si pietrificò sul posto, con le gambe molli e il corpo tremante, non appena vide, stesi sopra quel letto a baldacchino, suo padre il re che sovrastava la figura di Joanna Lannister, dama di compagnia di sua madre.
Erano entrambi nudi, Joanna stesa sul letto, con le mani strette alle coperte sotto di sè, fino a farsi sbiancare le nocche. La sua espressione era di puro tormento e sofferenza.
Ma ad Aerys sembrava non importare, in quanto quell’uomo, come una bestia affamata, si spingeva in lei con vigore, ringhiando di piacere, respirandole in faccia, tirandole i lunghi capelli biondi dorati, fino a strapparglieli quasi.
Lei non si muoveva. Rimaneva ferma, immobile, inerme sotto di lui, con il corpo in tensione, come se non vedesse l’ora che finisse.
Eppure, Rhaegar non riuscì a concetrarsi sul dolore di lei, quasi non la vide, in quanto era troppo concentrato sull’espressione di sinistro appagamento dipinta sul volto di suo padre, quell’uomo che troppo spesso dominava i suoi incubi, anche a quell’età.
Il piccolo Rhaegar lo guardava schifato, esterrefatto, sentendosi tradito almeno quanto si sarebbe sentita tradita sua madre.
Nella sua candida mente era inconcepibile un atto simile.
Così come era inconcepibile che lady Joanna si prestasse a ciò, senza negarsi.
E pensare che era anche amica di sua madre.
Non riusciva ancora a comprendere quali pericoli avrebbe corso lady Joanna se solo avesse osato negarsi al re.
Ai suoi occhi, quella donna era una traditrice quanto lo era sua padre.
Schifato e angustiato, corse via, non facendo più attenzione ai rumori che emetteva.
Aerys, troppo preso dal piacere, non si accorse di nulla, mentre Joanna si voltò di scatto verso la porta, trovandola socchiusa.
Il principino corse nella sua cameretta e rimase chiuso lì dentro senza dire niente a nessuno.
Diverse dame e septe provarono a bussargli, per entrare e medicarlo, ma lui rifiutò l’aiuto di tutte, ripetendo con decisione che voleva essere lasciato solo.
Si appisolò, essendo abituato a dormire qualche ora il pomeriggio, restando con il ginocchio incrostato di sangue pieno di sassolini, e i vestiti tutti sporchi.
Quando si svegliò, era quasi il tramonto.
Scese dal letto e uscì dalla stanza, diretto nuovamente verso la stanza di sua madre, deciso a non fare deviazioni questa volta.
Ma, arrivato a destinazione, fuori dalla porta lasciata socchiusa, udì delle voci provenienti dal suo interno.
- Voglio andare a controllare come sta, mio signore – aveva detto la voce dolce e implorante di sua madre. – Le septe hanno detto che lo hanno visto aggirarsi con tutto il ginocchio sbucciato.
- Sicuramente qualche tua dama lo avrà già medicato – rispose la voce pretenziosa di Aerys. – Dopo penseremo a lui e mi accerterò personalmente che sia stato medicato a dovere. Se così non fosse stato... farò bruciare qualcuno – commentò ghignando sardonicamente.
- Non scherzare su tali faccende, Aerys..
- Non sto affatto scherzando – le rispose lui afferrandola per un braccio e tirandola a sè.
- Non tutti coloro che toccano nostro figlio vogliono fargli del male, Aerys.
Lo lasci toccare a malapena dalle mie dame..
Capisco che tu voglia essere prudente, però..
Egli era seduto sul loro immenso letto avvolto di coperte di seta candida, mentre lei era in piedi, con il corpo sporto in direzione della porta.
Ignorando totalmente le parole della moglie, l’altra mano del re, quella non stretta dolorosamente al polso di lei, si allungò sulla vita stretta della donna, sfiorando le anche sporgenti e sensuali, il ventre magro e lungo, coperto da uno splendido vestito di raso rosato.
Aerys sospirò, continuando a far vagare le mani su di lei, sotto gli occhi attenti del principino nascosto dietro l’uscio.
- La tua bellezza annebbierebbe quella di una dea – le disse Aerys, con un tono di voce roco, famelico, mentre le sue carezze diventavano sempre più pesanti su di lei. – Il sangue della stirpe Targaryen scorre in te, puro al cento per cento, facendo splendere su di te tutti i doni che ci hanno concesso gli dèi.
- Ti ringrazio, mio re – rispose sorridendo sommessamente lei.
I suoi sottili capelli di luna erano legati in una treccia a lisca di pesce, che scendeva morbida sulla schiena delicata.
- Servi il tuo re, sorella – le ordinò. – Poi ti lascerò andare da Rhaegar. Ma solo se mi avrai soddisfatto – la ricattò.
- Ogni tuo desiderio è un ordine – si prostrò lei, sedendosi accanto a lui sul letto, guardandolo spogliarsi dei suoi indumenti.
Lei, al contrario, rimase vestita.
Il re le prese la mano e gliel’appoggiò senza grazia sul suo membro floscio, in un muto ordine.
A ciò, la giovane regina iniziò a muovere la mano sul quella protuberanza moscia, cercando in tutti i modi di provocare il suo piacere.
Da movimenti lenti e calcolati, passò a gesti più cadenzati, vigorosi e ritmici, sperando che almeno in quel modo l’erezione di suo marito si sarebbe manifestata.
Invece, il membro continuava a restare annoiatamente moscio, sotto lo sguardo borioso e infastidito del re, nonostante tutto l’impegno della regina.
- Sei bella...
Ma non ci sai proprio fare con questo.
Sei totalmente negata nel dare piacere ad un uomo.
Dovresti prendere lezioni da alcune delle tue dame da compagnia, Rhaella – le disse umiliandola, guardandola provare in tutti i modi a farglielo indurire, a testa bassa, senza successo.
- Avanti, continua.
- Ci sto provando...
- Non ci stai provando nel modo giusto!! – le urlò schiaffeggiandole la mano e poi la faccia.
Il piccolo Rhaegar aveva voglia di vomitare.
Un conato di vomito lo colpì in pieno dinnanzi a quella scena che gli stava facendo ribollire il sangue.
- Mio principe.. – quel sussurro, quella voce familiare lo distolse per un attimo dalla scena:
Lady Joanna, ora di nuovo ordinata e vestita di tutto punto, lo guardava con sguardo apprensivo. La donna si accostò all’uscio a sua volta, ma non ebbe bisogno di sbirciare all’interno a sua volta per capire cosa stesse succedendo lì dentro, in quanto era uno spettacolo che si ripeteva sin troppo spesso. Inoltre, i suoni e le voci che provenivano da lì dentro parlavano chiaro.
La giovane dama deglutì a vuoto e si avvicinò di un altro passo al principino.
- Mio principe.. venite con me. Allontaniamoci di qui – sussurrò.
- No – disse duramente lui, puntando i piedini a terra e continuando a guardare quella scena che gli stava facendo venire il voltastomaco.
- Vi prego..
- Ho detto di no.
Non ci vengo con voi.
Nel bel volto di Joanna si dipinse un’espressione confusa e lievemente ferita, che Rhaegar ignorò bellamente, ancora totalmente concentrato su ciò che stava accadendo dentro la stanza.
- Perchè non volete venire con me..? – gli domandò spaesata. Poi le tornò improvvisamente in mente la porta socchiusa di qualche ora prima, e immediatamente comprese, provando un intenso senso di vergogna.
- Mio principe – ritentò accovacciandosi affianco a lui per essere alla sua altezza, mentre i rumori dentro la stanza si trasformavano in urla di dolore maltrattenute.
Rhaegar continuava a guardare la scena, senza prestare attenzione a Joanna.
- Vostra madre non vorrebbe che vediate quello che state vedendo.
- Io con voi non ci vengo.
- Ma ora ci sono io qui, non c’è un’altra dama.
Perciò, potreste farmi il favore di allontanarvi da qui e di venire con me..? – ritentò dolcemente. – Avete il ginocchio ferito da ore, presto si infetterà. Andiamo a medicarlo in camera vostra.
- Ho detto che non ci vengo con voi! – esclamò, e fortunatamente le urla di Rhaella dentro la stanza coprirono il grido di suo figlio, al quale venne immediatamente tappata la bocca da Joanna Lannister.
Rhaegar tentò di liberarsi dalla sua presa e di esclamare un “lasciatemi” senza successo, in quanto la sua voce era attutita dalla mano morbida e fresca della dama.
Era troppo piccolo, troppo debole rispetto alla donna adulta dinnanzi a lui, per riuscire ad averla vinta.
Si sentì tremendamente impotente.
Ma, al contempo, nulla desiderava di più al mondo in quel momento, di essere portato via da quella scena raccapricciante.
Nonostante non volesse avere a che fare con lady Joanna, era internamente sollevato che lei lo stesse trascinando via, altrimenti aveva il sentore che avrebbe iniziato a vomitare e a piangere contemporaneamente, se fosse rimasto su quell’uscio un minuto di più.
Lei lo prese in braccio senza fatica, continuando a tappargli la boccuccia senza fargli male, e si diresse verso la camera del principino.
Lui, dopo un po’, smise di ribellarsi e la lasciò fare.
- Vi siete un po’ calmato? – gli domandò lei con calma, richiudendosi la porta dietro di sè non appena furono dentro la camera.
Rhaegar era a testa bassa, seduto su quel letto che era grande venti volte lui, con le gambe a penzoloni.
Joanna gli si avvicinò cautamente, prendendo una sedia e ponendola di fronte a lui.
- Avanti, fatemi dare un’occhiata a questa ferita – disse con il suo solito tono gentile, prendendogli una gamba e poggiandosela sulla propria coscia. Gli tolse la scarpa e tagliò i pantaloni con le forbici, partendo da sopra il ginocchio.
La donna prese una bacinella piena di acqua limpida, un panno immacolato fresco di lavaggio e iniziò a medicare la sbucciatura semi-infetta, togliendo tutta la sporcizia dal suo interno.
- Come ve la siete fatta? – tentò, ma Rhaegar non rispose, restando muto.
Non voleva parlarle.
Era deciso a protestare con il silenzio, quel bambino ostinato già in tenera età.
- Deve avervi fatto molto male – commentò ancora Joanna, guardandolo di sottecchi, ma di nuovo non ricevette alcuna risposta.
- Perchè le fa del male? – domandò improvvisamente Rhaegar sorprendendo la Lannister, non appena ella ebbe finito di medicargli la ferita.
Il bambino aveva gli occhi lucidissimi ma non piangeva.
Non piangeva quasi mai, ora che Joanna vi rifletteva, neanche quando era un pargolo in fasce.
Il visino cosparso di folti capelli chiarissimi e scarmigliati, mostrava già una lieve ombra dei tratti che avrebbe avuto da grande. Gli zigomi erano già alti, ma venivano resi più infantili dalle guance paffute che possedeva ogni bambino in tenera età.
A Joanna si strinse il cuore, in seguito a tale domanda.
- Talvolta... le persone non capiscono quando stanno facendo del male a qualcuno.
- Ma come fa a non capirlo? Si vedeva che stava soffrendo. Si vedeva che non le piaceva. Che non stava bene.
A tali parole, Joanna deglutì a vuoto. – Voi siete una persona molto sensibile, empatica e sveglia, mio principe. Alcune persone.. alcune persone non hanno questa facoltà, e non riescono a vedere il dolore che provocano agli altri.
- Ha fatto del male anche a voi – disse improvvisamente Rhaegar, facendola impietrire. Ed era come se Rhaegar realizzasse in quel momento stesso, che la colpa non era di Joanna. Non era mai stata di Joanna. Perchè anche lei stava male e non poteva fare nulla per impedire al re di farle del male. O di farlo alla regina.
- Vi ho visti, prima – le spiegò, guardandola finalmente in faccia, accorgendosi che gli occhi verdissimi ed espressivi di lady Joanna fossero lucidi, almeno quanto i suoi.
- Vostro padre è il re, mio principe.
Lo sapete, vero?
Ed era come una richiesta. Il piccolo Rhaegar ebbe come l’impressione che fosse una tacita richiesta di rimanere in silenzio, di non raccontare a nessuno ciò che aveva visto.
Nè riguardo Rhaella, nè riguardo lei stessa.
- Un re deve essere servito e rispettato – aggiunse.
- Anche se fa cose sbagliate?
Joanna deglutì a vuoto, di nuovo. – Anche se fa cose sbagliate – ammise, maledicendosi interiormente.
Rhaegar ci riflettè su. – Ma non ha alcun senso.
- Lo so, mio principe. Non ha alcun senso..
Ad ogni modo, vostro padre, a modo suo, vi vuole molto bene.
- Pensavo che la amasse – disse Rhaegar. – Pensavo che la amasse. È così che si ama qualcuno..? – le domandò sull’orlo delle lacrime. – Perchè se è così che funziona.. quando due persone si amano.. allora non voglio farlo. Mai. Non amerò mai una donna. Non amerò mai nessuno.
- Non dite così, vi prego.. – tentò Joanna, dovendo fare uno sforzo inumano per non scoppiare in lacrime a sua volta. – Ci sono tanti, tantissimi altri modi per amare, non ne avete neanche idea. Non esiste solo il male. Quando due persone si amano e si toccano.. non esiste il male tra loro. Voi non farete del male a nessuno e nessuno farà del male a voi.
- Non voglio farlo.
Non voglio farlo mai – ripetè Rhaegar, come fosse un mantra. – Mai.
 
 
- La prossima tappa è Ashford.
Considerando la direzione che ha preso la guerra di ribellione sinora, c’è la grande probabilità che Robert Baratheon acquisisca ancor più consensi – affermò Gerold Hightower.
- Presto saranno diretti verso Approdo.
Il re non sta facendo assolutamente nulla per difendersi a dovere – commentò ser Oswell Whent.
Doran annuì con sguardo mesto, studiando la mappa stesa sul tavolo, colma di puntine che segnavano le tappe e roccaforti più importanti ottenute dagli Stark e dai Baratheon.
Come al solito, il caldo a Dorne era asfiassiante.
Con il sopraggiungere dell’estate oltretutto, la situazione peggiorava ulteriormente.
Il sudore impregnava gli abiti di tutti i nobili, cavalieri e principi presenti nella stanza, nonostante molti di loro non indossassero i vestiti ufficiosi, bensì abiti semplici, e quanto più ariosi possibili.
- Quanto gli ci vorrà, facendo una stima..? – domandò improvvisamente Arthur Dayne.
- Per ottenere il consenso anche dei Tyrell o per giungere ad Approdo? – domandò Whent.
- Per giungere ad Approdo.
- Non possiamo dirlo con precisione, ora come ora.
Poi, la voce che non si era ancora espressa sino a quel momento, assorta nelle sue considerazioni e concentrata all’ascolto, prese finalmente la parola:
- Vuole che io esca allo scoperto – disse Rhaegar, fissando un punto indefinito situato nella mappa.
Era seduto dinnanzi al tavolino, con le braccia conserte, e anche lui indossava abiti di tela e di lino, larghi e leggeri.
- Proprio per questo motivo uscire allo scoperto è l’ultima cosa che farai – gli disse Arthur con convinzione, vedendo il principe catapultare lo sguardo su di lui a quell’affermazione, la quale era quasi più una minaccia che una considerazione.
- Nelle sue lettere, Elia dice che stanno trattando bene lei e i bambini, ma che vi sono sempre delle guardie dinnanzi alla loro porta, come per assicurarsi che non escano dalla stanza, se non per mangiare. Mio padre li sta tenendo prigionieri in casa loro - disse Rhaegar, a nessuno dei presenti in particolare.
- Non abbiamo notizie certe sullo stato della principessa e dei vostri figli, mio principe, a parte le lettere della principessa stessa – gli disse ser Hightower.
- Per quale motivo Aerys non sta chiedendo aiuto ai Lannister? Sono l’ultima spiaggia che gli è rimasta.. – osservò Doran grattandosi il mento.
- Perchè non vuole abbassarsi a quel livello.
Preferirebbe morire piuttosto che elemosinare l’aiuto dei Lannister – gli rispose Rhaegar, sospirando.
- Non dobbiamo escludere il fatto che, sotto deduzione di persone sicuramente più intelligenti del cervo stesso, Baratheon arrivi a scoprire che i Martell vi stanno sostenendo, o peggio, vi stanno ospitando nella loro dimora – si azzardò a dire lord Whent, sollevando quell’argomento delicato.
- Già. Sta diventando pericoloso rimanere qui, per voi e Lyanna, mio principe. Così come lo sta diventando per il principe Doran e la sua famiglia – lo appoggiò Hightower.
Rhaegar annuì, sapendo che i due lord avessero ragione.
- Per me non è un disturbo ospitarvi qui. Io, mia moglie e i miei figli siamo lieti di avervi – ci tenne a ribadire Doran al principe drago. - Tuttavia, a questo punto credo sia meglio non rischiare, nè per voi, nè per me, mio principe.
- Vi serve un luogo isolato, qui a Dorne. Un luogo in cui Lyanna possa vivere la sua gravidanza in pace e privata di ogni preoccupazione – suggerì Arthur. – Per lei è sicuramente la cosa migliore da fare, dato che sembra che questo posto la renda irrequieta e scalmanata.
Da quando è incinta non fa altro che mettersi nei pasticci – aggiunse la Spada dell’Alba, portando lo sguardo su Rhaegar. – Un posto tranquillo e isolato potrebbe aiutarla a calmarsi e a rilassarsi, per far procedere la gravidanza senza pericoli.
Credo sia la scelta migliore, dato che il figlio che porta in grembo lady Lyanna è il motivo per cui siamo qui e per cui abbiamo fatto scoppiare una guerra.
- Sono d’accordo – lo appoggiò Doran.
- E, ovviamente, tu andrai con lei – spiecificò Arthur rivoltò a Rhagear, non lasciandogli possibilità di ribattere alcunchè. – Andrai con lei, la sosterrai e le starai accanto in questi lunghi mesi, in quanto lei ha bisogno di te. Non importa se ora siete in guerra voi due...
Il principe drago rimase in silenzio, senza ribattere.
- C’è una torre – propose Doran, guadagnandosi lo sguardo interrogativo del principe drago. – Nei pressi delle Montagne Rosse, sul Passo del Principe. Si tratta di un luogo isolato, tranquillo, in cui non vi troverannno facilmente – spiegò Doran.
- Direi che è perfetto – rispose Arthur per lui. – Io e Ashara verremo con voi: serve qualcuno a sorvegliare il luogo, e Lyanna ha bisogno di una compagnia femminile.
Come tu hai bisogno di una compagnia maschile aggiunse mentalmente Arthur, trasmettendo le sue tacite parole a Rhaegar solo con lo sguardo.
I cinque vennero improvvisamente interrotti da una schiava, la quale bussò alla porta ed entrò tutta trafelata. – Lady Lyanna si è ferita mentre si esercitava a combattere!
A tal annuncio, la preoccupazione di tutti volò alle stelle.
- Che cosa ha fatto?! – esclamò Rhaegar scattando in piedi e raggiungendo subito la porta, diretto verso la stanza della giovane lupa.
 
La giovane lupa emise una smorfia di dolore mentre la donna che si occupava delle arti mediche a castello le muoveva la caviglia distorta, seduta ai suoi piedi.
La ragazza era accomodata sul grande letto e la lasciava fare, cercando di sopportare il dolore.
Ma la cosa che le faceva più male al momento (anche più del dolore) era lo sguardo severo di Rhaegar puntato su di lei.
- Ti rendi conto di cosa avresti potuto rischiare? – le ripetè il principe, con la schiena poggiata al davanzale della finestra di fronte al letto, in piedi, con le braccia conserte.
- Sì, sì, lo so – minimizzò lei. – Ho un bambino in grembo, perciò devo fare attenzion-
- Non devi solo fare attenzione, Lyanna.
Devi limitare ogni attività di questo tipo e concederti tutto il riposo che ti serve, e che le levatrici ti hanno raccomandato più volte di prenderti!
Fortunatamente, hanno detto che sembra tutto apposto, ma che è ancora troppo presto per fare una stima di qualche eventuale danno..
Ti rendi conto che la sopravvivenza di questo bambino è il motivo per cui siamo isolati qui?
- Certo che me ne rendo conto!
E anche se così non fosse, e questo nostro bambino non fosse un buon motivo per far scatenare una guerra, in ogni caso non farei mai del male al sangue del mio sangue!
- A me non sembra.
Non fai che comportarti come una bambina.
Ti metti in pericolo, continui a fare sessioni di combattimento estenuanti nonostante tu sappia quanto sia pericoloso.
- Sai che combattere mi tiene la mente impegnata...
- Impegnala con qualcos’altro allora.
- Se tu non mi evitassi come fossi una malattia contagiosa, Rhaegar, potrei fare qualcos’altro che mi impegna la mente! – gli gridò risentita, facendolo zittire.
Da quando Lyanna aveva saputo della morte di suo fratello e di suo padre, non era stata più la stessa.
Era come se non fosse in grado di gestire tanto dolore in una sola volta, perciò aveva dovuto immediatamente trovare un modo per pensare a tutt’altro, per tenersi impegnata la mente costantemente, per tutto il giorno, per non pensare.
Da quel momento in poi aveva iniziato a combattere tutto il giorno, l’unica cosa che amava fare in quel luogo così distante e diverso da casa sua, battendosi con ogni essere respirante presente a Lancia del Sole, in grado di impugnare una spada.
Si era battuta con tutti, tranne che con Rhaegar, in quanto egli si rifiutava di impugnare una spada (anche di legno) dalla fine del torneo di Harrenal.
Con il principe drago, tuttavia, faceva altro.
La seconda cosa che Lyanna aveva scoperto di amare alla follia, era fare l’amore con lui.
Dunque, aveva intrapreso quei ritmi insani che si scandivano in: esercitarsi con la spada contro chiunque durante tutto il giorno, saltando anche i pasti, e dilettarsi in intense e lunghe sessioni di sesso la sera e la notte con il principe drago.
Inizialmente, lui si fece andar bene tutto ciò, in quanto avrebbe fatto di tutto per farla stare e sentire meglio, per non farle provare quel dolore atroce.
E se era questo che riusciva a far star meglio Lyanna.. l’avrebbe accontentata senza batter ciglio.
Poi, tuttavia, aveva cambiato idea.
Lyanna diventava sempre più ossessiva, più irritabile, più irragionevole, persino possessiva con lui.
Era stanca, stremata, estraniata da qualsiasi cosa.
Il principe drago capì che non andava affatto bene, e che la situazione andava cambiata.
E quando la levatrice comunicò loro che la giovane lupa fosse rimasta finalmente incinta, Rhaeger ebbe la spinta che cercava: parlò a Lyanna e le disse di smettere di combattere a quei ritmi estenuanti, di provare ad affrontare quel dolore in maniera differente, dato che oramai erano passate settimane.
Ma lei non accettò.
A ciò, Rhaegar, per provare a farla ragionare, o per punizione, iniziò a negarsi a lei: non l’avrebbe più toccata e lei non avrebbe più potuto toccare lui, neanche in semplici effusioni.
Tal decisione venne presa dalla giovane lupa come un affronto diretto, come una dichiarazione di guerra.
Da quel giorno si parlavano a malapena, si incrociavano nei corridoi solo per lanciarsi occhiate poco rassicuranti, e si evitavano come potevano.
- Vorrei ricordarti che non esistono solo queste due attività al mondo – ribattè lui con severità, stanco di tornare sempre sugli stessi discorsi.
- Sono isolata dal mondo, in una terra straniera, con persone a me per lo più estranee e non vengo nemmeno minimamente informata sul finemondo che sta succedendo nel mondo là fuori perchè “No, Lyanna, sapere cosa sta succedendo nei sette regni al momento ti farebbe sentire inutilmente in colpa, ti farebbe esasperare per una situazione che non puoi cambiare, ti farebbe stare ancora peggio” – mimò la sua voce. - Non mi importa nulla di stare ancora peggio! Io voglio sapere! Non puoi isolarmi e tenermi all’oscuro di tutto! – si sfogò lei, facendo gelare la donna che le stava medicando la ferita silenziosamente, a disagio per l’andazzo della discussione tra i due.
- Vedendo come hai reagito alla notizia di tuo fratello e tuo padre, posso affermare con certezza che sono sempre più deciso a tenerti all’oscuro di ciò che sta succedendo in guerra – disse lui, facendola totalmente impietrire.
- Questo... non dovevi dirlo – spirò la lupa, con una voce che non riconosceva come propria per quanto greve e bassa.
 A ciò, Rhaegar cercò di calmarsi interiormente e di tentare con un altro approccio:
- Non è mai stata mia intenzione farti guerra, Lyanna.
Lo capisci che sei stata tu a comportarti in tal modo, a mettere il broncio come una bambina da quando io ho deciso di non concedermi a te?
- Credi davvero che un’altra persona al mio posto avrebbe reagito diversamente?? Le motivazioni per le quali lo hai fatto sono quanto mai stupide.
- Il fatto che tu continui a considerarle stupide dimostra quanto la mia scelta sia stata giusta. Ti rendi conto che oggi stavi per perdere il nostro bambino perchè non sai limitarti e non fai che combattere da mattina a sera..? Cos’è, una forma di protesta per caso??
- Non mi sembra che anche giacere con un uomo faccia male alla gravidanza.
Dopo quella risposta, il principe drago se ne sarebbe tranquillamente uscito dalla stanza senza dire nulla, lasciandola sola.
Ma fece violenza a se stesso e restò lì, reprimendo l’istinto di risponderle davvero male, malissimo; esattamente come faceva con Elia a suo tempo.
- Dato che oramai sono diventato solo uno sfogo in camera da letto per te.. – iniziò lui, velenoso, avvicinandosi di qualche passo al letto. - ... per quale motivo non lo fai con qualcun altro? Questo posto è pieno di bellissimi schiavi di piacere come ben sai, avresti l’imbarazzo della scelta.
Il proposito di non risponderle male non era andato esattamente a buon fine.
- ... che cosa intendi? – gli domandò Lyanna con un fil di voce, confusa e spaesata.
- Ti sto suggerendo di sfogarti sessualmente con qualcun altro, milady.
- Stai parlando seriamente, Rhaegar?
- Mai stato più serio.
- Sei completamente impazzito? – la ragazza era a dir poco scioccata, costernata e offesa da quella proposta, totalmente indecente dal suo punto di vista.
- Che male ci sarebbe? Siamo qui per dovere, no? Non ci lega nulla, di fatto – le disse, più duramente di quanto avrebbe voluto, sapendo di starle mentendo.
- A parte un imminente matrimonio, prima che il bambino nasca. A parte questo bambino. A parte un destino comune – sussurrò lei, con voce tremante, ferita.
- Non intendevo.. – il principe drago si bloccò, rendendosi conto di essersi spiegato male e di averla ferita. Si risentì in testa la voce di Arthur che lesta gli ripeteva con costanza:“Mi chiedo come faccia quella povera ragazza a ripararsi da tutto l’acido che sputi addosso”.
- Quello che voglio dire, Lyanna, è che per me non farebbe differenza – e dicendo ciò, si rese conto di aver peggiorato ancor di più la situazione. – Non che non mi importi di te e di quello che abbiamo e che siamo.. ma sto cercando anche di comprendere quali siano le tue esigenze. Non approvo il fatto che tu usi il combattimento e i rapporti sessuali come sfogo per non pensare ad altro. Non è un comportamento sano, te l’ho già detto, e preferirei che tu urlassi, urlassi contro di me e contro tutti quelli che incontri per buttare fuori tutto il dolore che hai, piuttosto che estraniarti così.
- I momenti di intimità con te non sono mai un mero sfogo, Rhaegar. Significano molto di più.
- Quello che sto cercando di dirti è che, oltre ad allentare la corda col combattimento.. dovresti anche prendere in considerazione l’idea di provare ad approfondire il tuo orizzonte sessuale con qualcun altro. D’altronde, hai conosciuto solo me, sei sempre stata solo con me, perciò non sai come sarebbe esplorare questo lato di te con qualcuno di esterno a noi. Non è sempre un male variegare. Noi abbiamo una mentalità ristretta, figlia degli insegnamenti che ci sono stati imposti nelle nostre terre e dai nostri padri, ma i dorniani non la vedono in questo modo: per i dorniani non è tradimento. Potresti provare ad ampliare il tuo pensiero anche tu a riguardo.
- Non mi vuoi più perchè ormai hai piantato il tuo seme in me e ora non ti servo più, non è vero..? – gli domandò lei con voce arrochita dal dolore e dalla delusione.
- Non è assolutamente così.
- E allora perchè??
- Te l’ho appena detto. Se tu lo desiderassi, io sarei d’accordo. Voglio lasciarti libera, nel meglio delle mie possibilità, nonostante tu sia costretta qui.
- Ma io, io non sarei d’accordo! – gridò la giovane lupa sull’orlo delle lacrime.
- Sto solo cercando di aiutarti, Lyanna.
- Ma non mi aiuti affatto così!
Non mi aiuti perchè io voglio te.
Voglio solo te, te e nessun altro.
- Per quale motivo?
- Perchè ti amo!
Quel grido di disperazione ammutolì e pietrificò entrambi.
La donna che si occupava della caviglia della giovane lupa li lasciò soli, volatilizzandosi dalla stanza afosa e pregna di tensione.
Vi fu un silenzio surreale, prolungato, in cui entrambi si guardarono, dalle loro postazioni, ancora troppo distanti per leggere i rispettivi volti.
Poi, Lyanna, con voce rotta e dolorosamente maliconica, ruppe il silenzio:
- Come altro te lo dovrò dimostrare...?
Quante altre indovine dovranno ripetertelo?
Quante altre persone dovranno dirtelo?
Come posso farti capire, una volta per tutte, che ti amo?
Tu potrai anche non essere in grado di amare, ma io sì, sono in grado di amare.
E devi ringraziare gli dèi che io ti ami, perchè, altrimenti, sarebbe stato tutto molto più difficile.
Certo... l’amore per te, da solo non sarebbe comunque bastato a farmi fuggire come una ladra.. a farmi fare ciò che ho fatto alla mia famiglia, senza una valida motivazione dietro.
Tuttavia.. ha aiutato. Se non ti avessi amato... sarebbe stato tutto molto più difficile da sopportare.
Perciò mi dispiace, potrai anche decidere di indossare la cintura di castità a vita, ma non farebbe alcuna differenza: io non cercherò mai nessun altro, non mi farò toccare e non toccherò mai nessun altro oltre te – concluse la giovane lupa, prendendo un sospiro stanco, esasperato, desiderando solamente urlare al cielo e sparire dalla faccia della terra.
Rhaegar rimase in silenzio, in piedi, paralizzato.
Senza dirle una parola, se ne andò dalla stanza, certo di star commettendo uno degli errori più grandi della sua vita.
 
Trascorsa qualche ora, Arthur bussò alla porta della stanza del principe.
Rhaegar non gli rispose, ma l’amico entrò comunque, come al solito.
Lo trovò in piedi davanti alla finestra, nella sua classica posizione riflessiva che assumeva quando si stava tormentando e isolando dal mondo circostante.
Arthur si sedette sul letto e prese a guardargli la schiena, in attesa.
- Te lo ricordi Tyrion Lannister?
Tra tutte le frasi con cui avrebbe potuto esordire Rhaegar Targaryen in quel momento, Arthur annoverava tra le più probabili “Voglio rimanere solo, evita di invadere i miei spazi” o “Esci da questa stanza o sarò costretto a trascinarti fuori io”, ma non di certo una domanda sul folletto Lannister.
- Il bambino di otto anni..? Come accidenti ti è venuto in mente ora Tyrion Lannister? – gli domandò il dorniano, dando voce alla sua confusione, alzando un sopracciglio.
- Sì, lui.
- Ti sei rinchiuso qui per pensare a lui, invece di riflettere sul comportamento da ragazzini impettiti che state adottando tu e la Stark l’uno con l’altra?
Rhaegar si voltò verso di lui, mostrandogli il suo volto serio e in pieno stato riflessivo, con gli occhi affilati e lo sguardo concentrato. – Quando Joanna Lannister è rimasta incinta del suo ultimo figlio Tyrion.. era ancora una dama di compagnia di mia madre.
- Sì, lo ricordo. Dunque? Quali strani e complessi ragionamenti sta macchinando la tua brillante testolina?
- A quattro anni ho scoperto che mio padre stuprava Joanna Lannister periodicamente, quando non era impegnato a violentare, picchiare e umiliare mia madre – sputò quell’informazione all’improvviso il principe, facendo impallidire e zittire la sua guardia personale. Rhaegar spostò lo sguardo su Arthur, trovandolo sin troppo sconvolto. - Che c’è? Tutti lo sapevano.
- Sì, lo so che tutti lo sapevamo – rispose Arthur. - ...ma non credevo che tu lo avessi scoperto così presto..
- Li ho visti, un giorno. Anche Tywin ha iniziato ad avere sospetti e a credere alle voci. Tywin ha sempre odiato Tyrion, e ha sempre avuto una predilezione per Jaime.
- Beh, la cosa non mi sorprende dato che il suo ultimo figlio è un nano. E, in più, gli attribuisce la colpa per la morte di sua moglie, dato che Joanna è morta per metterlo al mondo – spiegò con ovvietà Arthur. – Continuo a non capire dove vuoi arrivare.
- Il motivo di tale odio potrebbe anche essere un altro... – ipotizzò il principe drago, osservando il volto dell’amico cambiare completamente espressione, assumendone una ai limiti del sorpreso. – Pensaci, Arthur-
- No – lo interruppe la Spada dell’Alba. – Non può essere. Tyrion Lannister non può essere il tuo fratellastro, non può essere figlio di tuo padre.
- Perchè no? Ho sentito che il colore dei suoi capelli è molto più chiaro del dorato caratteristico dei Lannister. In più, come hai ben detto, Tyrion è un nano.
- Il fatto che sia un nano dovrebbe dimostrare che è un Targaryen..? Non mi sembra che tu e tutta la tua famiglia siate nani, a meno che non esistano nani alti quasi un metro e novanta, a mia insaputa.
- Ragiona, Arthur! – lo esortò Rhaegar. – Noi Targaryen ci siamo accoppiati tra noi per secoli, mischiando il nostro sangue per non “macchiare” la purezza della stirpe: fratelli e sorelle, cugini e cugine, persino padri e figlie. I Maestri della Cittadella dicono che accoppiarsi tra consanguinei comporta una serie di grandi rischi, tra cui la grande probabilità che i figli nascano con delle gravi deformità fisiche o mentali.
- Un pericolo che non mi sembra così probabile, a questo punto.
- Lasciami finire: accoppiandoci tra noi per secoli, è probabile che noi Targaryen abbiamo invertito questa conseguenza naturale portandola a nostro favore. Anni e anni di accoppiamenti tra consanguinei potrebbero aver “abituato” l’organismo ad accettare il suo stesso sangue per riprodursi, e, al contrario, a rigettare sangue estraneo. Quello che sto cercando di dire, è che potrebbe essere che l’unione tra mio padre e Joanna Lannister abbia dato alla luce un bambino con una deformità fisica grave quanto il nanismo, proprio per questo motivo. È raro trovare nani nei sette regni.
Arthur lo guardava quasi come se gli stesse parlando di un’imminente invasione di non-morti, giganti e mostri talpa.
- Arthur? Mi stai seguendo?
- Se anche così fosse... mettiamo che, per assurdo, tu abbia ragione.. per quale motivo, allora, l’accoppiamento tra te ed Elia non ha generato dei figli con deformità? Sia Rhaenys che Aegon sono perfettamente sani e in salute.
- Quella potrebbe essere stata una casualità..
- E il figlio che porta in grembo Lyanna? Potrebbe essere che lui.. o lei, possa nascere deformato?
- Io non lo so, Arthur, non posso saperlo.
- Perchè questa realizzazione sembra averti assorbito in questo modo, proprio ora?
- E se.. e se stessimo sbagliando tutto?
Se le tre teste del drago non fossero.. i miei tre figli, bensì io e.. due miei fratelli? Oppure solamente i miei fratelli più giovani: Viserys, Tyrion e.. un fratello o una sorella che non è ancora nato/a?
Arthur si alzò in piedi e gli andò incontro, avvicinandosi con uno sguardo a metà tra il monaccioso e l’allibito. – Che accidenti di deliranti stramberie stai partorendo..?? Le tre teste del drago, Rhaegar, siete tu, Lyanna e vostro figlio, lo sai bene.
Tyrion Lannister non deve neanche affacciarsi al tuo cervello come pensiero.
Non puoi avere ripensamenti ora. Non puoi. Mi hai sentito bene?
- Non sto avendo ripensamenti. So qual è il mio dovere – affermò deciso Rhaegar guardandolo fermamente negli occhi, a distanza ravvicinata. – Mi sto solo chiedendo se non abbiamo sbagliato tutto a causa di errori dovuti all’ignoranza.
- È tardi per chiederselo.
- Perchè sei qui? – gli domandò il Targaryen, allora.
- Per farti tornare nella stanza della tua futura moglie e aggiustare qualsiasi cosa non vada nella tua caotica testa, mio principe.
- Stavo andando da solo. Mi stavo solo prendendo del tempo.
- Quanto tempo, Rhaegar?? Oramai siete due stati in guerra da settimane tu e lei, e per quanto sia comprensibile e anche umano come rapporto, ma soprattutto come inizio di una relazione, essere in conflitto in questo momento non va bene, dato che ne abbiamo già uno là fuori, di conflitto che imperversa. Lyanna ha bisogno di pace, di serenità, ma soprattutto di amore, amore sincero. Ha bisogno di sentirsi rassicurata, perchè è una giovane ragazza lontana da casa, che è stata costretta a tradire la sua intera e amatissima famiglia, che sa bene di essere l’origine di una guerra in atto, che porta un bambino in grembo e che è innamorata di un mascalzone che non la ricambia.
- Il “mascalzone” te lo potevi evitare.
- Hai afferrato il concetto, comunque.
Qualunque sia il problema tra voi due, risolvetelo.
Non vale la pena che sprechiate il vostro tempo in questo modo.
Non sappiamo quale sarà l’esito di questa guerra, Rhaegar.
Baratheon sta trovando sempre più consensi e se continuerà così, le cose non si metteranno bene.
Non credo tu voglia perdere tempo dietro discussioni infantili e senza fondamento.
Rhaegar distolse lo sguardo da lui, puntandolo nuovamente verso la finestra. – Sto solo cercando di farle capire che non può autodistruggersi solo perchè non riesce ad affrontare il suo dolore.
- Ci sono altri metodi, meno dolorosi, per farglielo capire.
Con i tuoi metodi ci addestrano i guerrieri bruti al di là della Barriera.
Rhaegar alzò un sopracciglio, scettico. – Con l’astinenza sessuale addestrano i bruti?
- Era un modo di dire – minimizzò Arthur. – Il punto è che ha bisogno del tuo sostegno e delle tue attenzioni, non delle tue punizioni. Se c’è qualcuno che può farle capire che combattere fino a sfinirsi non è il modo giusto per non soffrire, quello sei tu, ma lo devi fare con i giusti modi. Non trattarla come una bambina, non lo è più, ormai.
Se vuole sapere della guerra, informala, anche lei è parte di tutto questo.
So che tieni a lei, Rhaegar. Lo vedo.
Per quanto il tuo rigetto verso i contatti fisici non richiesti sia sempre presente, con lei sei riuscito a placarlo, ad ammansirlo.
Non è una cosa da poco. Ad Elia ci sono voluti anni per riuscire nell’impresa.
- Non è stato facile.
- Lo so, lo so bene – gli disse mettendogli una mano sulla spalla, accennando un lieve sorriso, uno dei suoi vecchi sorrisi che somigliavano più a dei ghigni furbi.
- Malgrado tutto, malgrado il putiferio in cui ci troviamo... sono contento che tu e lei siate riusciti ad appartenervi, giovane drago – gli sussurrò, guadagnandosi il suo sguardo, a metà tra il riconoscente e il malinconico.
Amava quello sguardo.
Così come amava il giovane uomo che lo possedeva, in una maniera tanto totalizzante e trascendentale da non poter essere spiegata a parole.
- Grazie, Arthur. Per tutto.
- Smettila di ringraziarmi. Non è ancora il momento per i ringraziementi.
- Ma io te ne devo molti, troppi. E mi sembra sempre di non averti ripagato abbastanza per tutto quello che hai fatto, e che fai per me.
- Non devi. Lo faccio perchè voglio, Rhaegar. Lo faccio perchè ne ho bisogno.
Non ho rinunciato a nulla per te, se non a ciò a cui avrei rinunciato comunque, per trovare me stesso.
Senza di te, io non sono me. Non sarei più Arthur Dayne senza Rhaegar Targaryen.
Il principe drago rimase in religioso silenzio dinnanzi a quelle parole, impallidito.
- Oggi siamo poetici... – commentò in un sussurro infine, vedendo Arthur allontanarsi lievemente da lui, abbandonando la sua spalla.
- Già. Colpa tua.
E ora va’. Va’ da lei.
- Arthur?
- Sì?
- Riguardo la torre isolata di cui ci ha parlato Doran..
- Partiremo presto. Il prima possibile, io, te, Lyanna e Ashara.
Faresti meglio ad informare la tua giovane lupa il prima possibile, in modo che possa preparare una sacca con le sue cose da portare.
Saranno mesi lunghi, caldi e pieni di sorprese.
 
Lyanna sentì bussare alla porta.
Era semi sdraiata sul suo letto, con la caviglia fasciata a riposo, intenta ad osservare il tramonto in silenzio. Da sola, con i suoi pensieri.
La giovane lupa si voltò verso la porta, vedendola schiudersi lentamente.
- Posso? – le domandò il giovane uomo con cui aveva litigato giusto qualche ora prima.
La ragazza annuì, vedendolo entrare dentro.
Rhaegar si sedette sul letto della ragazza a sua volta, restando con le gambe a terra.
- La prossima tappa è Ashford – esordì, lasciandola confusa.
- Cosa..?
- La prossima tappa di Robert Baratheon è Ashford – la informò, sorprendendola per il fatto che glielo stesse rivelando.
- E dopo Ashford? – ebbe il coraggio di domandare lei.
- Non lo sappiamo ancora.
Lyanna fissò lo sguardo sul proprio ventre, ancora piatto.
- Loro... non sanno che io sono incinta, vero? – domandò, nonostante sapesse già la risposta.
- Nei sette regni si dice che io ti abbia rapita con la forza e stuprata.
- Assurdo. Oltremodo assurdo. Come fanno le persone a credere ad un’assurdità simile? – domandò lei stranita.
A ciò, Rhaegar si voltò a guardarla, rivolgendole un debole sorriso, il primo dopo settimane. – Perchè io sono un uomo, milady. E tu, sei una donna. Dai secoli dei secoli gli uomini si approfittano delle donne, fanno loro del male, spesso per assecondare i propri istinti animali.
- Tu sei ciò che vi è di più lontano dagli istinti animali, Rhaegar, e il popolo lo sa bene - rispose fermamente.
- Lo sa? Il popolo non mi conosce, Lyanna – le disse, mettendosi nella stessa posizione di lei, inaspettatamente: stese le gambe ancora con gli stivali ai piedi sul letto, e poggiò la schiena sulla parete dietro di loro, accorciando lievemente le distanze, ma restando con lo sguardo lontano da lei. – Mio padre è un uomo violento, uno stupratore, un sadico, un pazzo. Non c’è nessuna legge naturale che stabilisce che il figlio non sia come il padre, anzi, tutt’altro.
- Il popolo sa che sei diverso – ripetè lei, con ancor più convinzione. – Quella bestia di Robert sta cercando di vendicarsi per il torto subìto.. diffondendo queste voci. Per far credere a tutti che io sia la vittima indifesa, la damigella da salvare, un’immagine di me che lui ha sempre avuto ma che non corrisponde affatto alla realtà. Potresti avere chiunque tu voglia, e lui sta affermando che, tra tutte le donne a disposizione, tu abbia rapito proprio me, una lady già impegnata, con l’unico scopo di seviziarmi per allietare i tuoi desideri carnali e... che altro? Fare uno smacco a Robert Baratheon per offenderlo?? Si crede davvero così importante da essere preso anche solo in considerazione da te??
Rhaegar si voltò a guardarla, studiandola.
- Per quanto tu possa odiarlo, e non ti biasimo.. vedila in questo modo: ti considera talmente bella... da spingere un uomo come me a rapirti, per averti per sè – le disse, sorprendendola e imbarazzandola.
- Lyanna, mi dispiace di essere scappato via, prima.
- Non fa niente.
- E mi dispiace di averti fatto sentire usata e poco apprezzata, essendomi negato a te. Non era quella la mia intenzione.
- Non fa niente – ripetè lei. – Ho compreso il motivo per cui l’hai fatto. È in parte colpa mia, in verità. Hai ragione: non posso continuare così. Stavo quasi per ... far del male al nostro bambino oggi, e io no, non sono così – disse accarezzandosi il ventre coperto. – Voglio cambiare, in meglio.
- Non devi cambiare – le rispose dolcemente. – Devi solo comprendere cosa è meglio per te e per il bambino. Tutto qui.
- Non combatterò più.
- Non c’è bisogno di essere tanto drastici. Combattere ti piace molto, ti fa sentire te stessa, e non ti hanno mai dato l’opportunità di farlo abbastanza, in quanto donna. Non devi negarti questo piacere. Basta capire i limiti del tuo corpo in un momento tanto delicato e non strafare.
Lyanna annuì, trovando la forza di guardarlo a sua volta, accanto a lei.
- Io .. – iniziò la ragazza, inghiottendo a vuoto. – Credo di aver esagerato.. costringendoti implicitamente ad accontentare tutte le mie voglie, i miei desideri carnali.. perdonami.
Lui negò con la testa, poggiando la mano sulla sua. – Non fa niente. Non è stata una costrizione.
- Non negarlo. So che lo è stata, in parte.
- Milady.. – iniziò il principe, cercando di trovare le parole giuste per affrontare quell’argomento. – Devi sapere che non ho mai vissuto bene l’idea del sesso, di un approccio intimo con qualcuno. Sin da piccolo, a causa di ciò che ho visto fare da mio padre, a causa della sofferenza di mia madre e dell’ossessione di mio padre nel volermi far piantare il mio seme nel ventre di una mia presunta sorella, o di qualsiasi altra donna per generare degli eredi... l’ho visto sempre come un atto forzato, doveroso, sbagliato, talvolta persino inumano. Ma, col tempo, ho imparato a gestirlo. Ho imparato a scoprire i piaceri che può donare l’atto sessuale e a goderne a mia volta.
Evitò saggiamente di aggiungere grazie ad Elia, si bloccò in tempo.
- Non è comunque la mia attività preferita da svolgere, non lo sarà mai – aggiunse il principe. – Però non lo vivo come un supplizio, su questo puoi rasserenarti. Anche a me piace stare con te, Lyanna – le rivelò, non avendo più paura di ammetterlo. – In ogni senso possibile.
A ciò, la ragazza fissò involontariamente la bocca del suo principe, non riuscendo a farne a meno.
Gli mancava. Gli mancava così tanto un contatto con lui.
Contro ogni aspettativa, Rhaegar suggellò la pace fatta tra loro, con un bacio, dolce e febbricitante al tempo stesso, allietante e denso come il miele.
Lyanna schiuse la bocca e lo accolse, ricambiando con un sospiro di godurioso sollievo.
I loro sapori oramai erano familiari l’uno all’altra, tanto graditi da potersene saziare al posto del cibo, talvolta.
- Questa notte... – sussurrò lui tra le labbra di lei. – Dormiremo insieme – disse, facendola tremare da capo a piedi, per quell’implicità promessa che le faceva già infiammare i lombi e scaldare il cuore.
- Presto ci trasferiremo in una torre, non troppo lontana da qui, ma isolata – aggiunse poi il principe, osservando il suo sguardo confuso. – Solo io e te. E Arthur e Ashara.
- Credi che qui potrebbero trovarci, o metteremmo in pericolo Doran e la sua famiglia? – ipotizzò la ragazza, affondando nei suoi occhi d’ametista, poichè illuminati da un sole aranciato, in procinto di tramontare.
- Non solo. Abbiamo bisogno di rilassarci. Tu soprattutto.
Staremo bene, vedrai – le promise accarezzandole i morbidi capelli neri. – Appena puoi, prepara le tue cose. Partiamo entro qualche settimana.
- D’accordo.
C’è una cosa.. che volevo chiederti.
- Ti ascolto, milady.
- Posso... far arrivare una lettera a mio fratello?
A tale richiesta, gli occhi di Rhaegar si spalancarono all’inverosimile.
Lyanna sapeva che Ned fosse tra i ranghi di Robert, sempre al suo fianco, e che stesse combattendo per lui.
Fargli arrivare una lettera, seppur anonima e con scritto nulla di sospetto, sarebbe stato un grande rischio.
- Lyanna, Ned è-
- No Ned – lo interruppe lei. – Benjen. Mi riferisco a Benjen.
Rhaegar rimase un attimo sbigottito, poi riprendendosi subito e dandosi dello stupido: Lyanna teneva moltissimo anche al suo fratellino minore, era risaputo. Per lui nutriva un istinto materno che, probabilmente, nemmeno la loro madre nutriva per Benjen.
Era naturale che Lyanna volesse sapere come stesse, dopo aver preso il Nero. La Barriera era un luogo pericoloso, pieno di insidie, di minacce sconosciute e oscure.
- Devi fare molta attenzione a quello che scrivi. Non deve capire che si tratta di te e non deve neanche poter riconoscere la tua calligrafia, perciò sarà qualcun altro a scriverla per te. Mi dispiace, ma non possiamo rischiare che...
- Lo so – lo interruppe di nuovo lei, sorridendogli riconoscente. – Lo so bene, non preoccuparti. Farò attenzione.
Lui ricambiò il sorriso accennato e si alzò dal letto, dirigendosi verso la porta, ma non uscì. Si fermò sull’uscio e si voltò a guardarla, trovandola intenta ad accarezzarsi il ventre, con uno sguardo dolcissimo che non le aveva mai visto in volto.
- Perdonami, amor mio..
Quello che è successo oggi non accadrà più.
È una promessa.
Starai bene.
Se non sarò io a prendermi cura di te... sarà qualcun altro a farlo.
Ma tu starai bene. Starai bene.
Ti amo. Tua madre ti ama anche se non sei più grande di una lenticchia, ancora.
Rhaegar sorrise d’amarezza, avvertendo un groppo formarsi alla base della gola.
Ti amo anche io.
Chiunque tu sia, Figlio del ghiaccio e del fuoco.
- La tua caviglia.. – disse il principe schiarendosi la voce dall’uscio, riattirando l’attenzione della giovane lupa. – in che condizioni è?
- In realtà non è grave come pensavamo. Posso ancora camminare, correre addirittura.
- Bene. Allora vieni con me.
 
Lyanna venne condotta nel giardino sottostante, quello in cui si batteva sempre in duelli durante il giorno, prevalentemente contro Arthur.
La ragazza guardò il principe drago con la confusione in volto, aspettando un qualsiasi segnale da lui.
- Perchè siamo qui? – gli domandò infine, lasciandosi prendere dalla curiosità.
Il tramonto rendeva l’aria meno afosa e più respirabile.
Rhaegar, con un movimento fluido e calcolato, fece roteare una lunga spada di legno in una mano. Poi ne prese un’altra e la lanciò a Lyanna, la quale la afferrò con prontezza.
La giovane lupa sgranò gli occhi di tempesta. – Rhaegar... tu non hai mai voluto impugnare una spada dalla fine del torneo-
- Un duello con regole semplici: perde chi finisce prima col fondoschiena a terra – la interruppe, senza darle alcun tipo di spiegazione.
A ciò, Lyanna comprese che non serviva alcuna spiegazione.
Lui aveva deciso di combattere contro di lei.
Qualcosa che non facevano da quell’unica volta, nel bosco, la volta in cui il Principe drago perse un intero pomeriggio all’inseguimento del Cavaliere dell’Albero che Ride.
Fu come fare l’amore per la prima volta.
Lui le sorrise a distanza mettendosi in posizione, sicuro di sè e calmo, nonostante non combattesse da un bel po’.
Fu Lyanna la prima ad attaccare, con un gran sorriso a modellarle i bei tratti del volto giovane ed energico.
Sferrò un attacco che venne abilmente parato dal principe, che le diede fin da subito del filo da torcere.
Positivamente sorpresa, Lyanna incespicò sui suoi piedi e si spostò da davanti il viso la lunga cascata di capelli neri.
Comprese che no, il principe d’argento, a quanto pareva, non aveva perso affatto la sua eccezionale tecnica.
Come si aspettava, Arthur poteva anche avere un modo di combattere imbattibile e impenetrabile, ma Rhaegar dalla sua aveva l’impressionante velocità, la flessibilità e la precisione.
- I movimenti del polso devono essere più fluidi – le disse lui a distanza, tra un colpo e l’altro. – La spada è un prolungamento del braccio, sentilo tuo e muovilo come muoveresti una mano. Avanti, sì continua così. Sposta il piede più dietro quando attacchi frontalmente...
Continuò a darle consigli.
Si misero in difficoltà a vicenda, ridendo e divertendosi.
Alla fine, vinse lui.
Ma non importò, perchè Lyanna promise che avrebbe avuto la sua rivincita. Magari tra tre giorni, o quattro, o quando ne avrebbe avuto voglia.
Ad ogni modo, avevano ancora del tempo a disposizione.
Non sapevano ancora quanto, ma ne avevano.
E i due erano intenzionati a non sprecarlo, per nulla al mondo.
 
 
 

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