Reve Grandier, la rosa di Normandia

di Brume
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ritorni ***
Capitolo 2: *** Una vita nuova senza di voi ***
Capitolo 3: *** DOLORE ***
Capitolo 4: *** Pensieri, Emozioni ***
Capitolo 5: *** Arrivederci Victoria ***
Capitolo 6: *** Il destino delle rose ***
Capitolo 7: *** Nell' Anima ***
Capitolo 8: *** L' imprevisto ***
Capitolo 9: *** L' Imprevisto - 2 parte ***
Capitolo 10: *** Il sogno: la mia vita sei tu ***
Capitolo 11: *** Tempeste, parte 1 ***
Capitolo 12: *** Solo noi, parte 1 ***
Capitolo 13: *** La fuga ***
Capitolo 14: *** Auxerre ***
Capitolo 15: *** Cambi di direzione ***
Capitolo 16: *** Sorprese ***
Capitolo 17: *** Al di là dei sogni ***
Capitolo 18: *** La scelta ***
Capitolo 19: *** La decisione di Alain. ***
Capitolo 20: *** La tempesta, parte 2 ***
Capitolo 21: *** Solo noi, parte 2 ***
Capitolo 22: *** Diane ***
Capitolo 23: *** Il cittadino Chartres ***
Capitolo 24: *** Trois Glorieuse, parte prima. ***
Capitolo 25: *** Trois Glorieuses, parte seconda- La rosa della Normandia ***



Capitolo 1
*** Ritorni ***


20200622-140042

5 giugno 1816

 

Non ho voluto aspettare.Ho approfittato della scarsa luce rimasta e di alcuni candelabri che ho trovato in casa, ed ho assolto il compito per cui sono giunto fino a qui: ho seppellito i miei genitor, esattamente come mi avevano chiesto.Adesso sono seduto su questo vecchio divano impolverato - che non ho ancora spogliato del suo telo bianco- e mi guardo in giro, cercando un appiglio che mi riporti alla mente un ricordo, ma nulla mi torna in mente; ero piccolo, quando sono partito con i miei genitori per Nyon.

E' tardi, e per quanto sia stanco e triste, non ho voglia e nemmeno sento la necessità di dormire.

Inizio a scrivere questo diario, queste frasi sconnesse, appoggiandomi come posso al basso tavolino di questo salotto e chissà, magari un giorno i miei figli lo leggeranno, insieme al tuo diario, papà. L' ho portato con me, sai? Come potevo lasciarlo su uno scaffale ad essere ricoperto di polvere? Non l'ho letto, non ancora, e non so se lo farò mai, perchè mi sembrerebbe di fare un torto ai tuoi segreti.

Sulla prima pagina di copertina c'è scritta una frase: “una rosa è una rosa...”.

Ancora non so il significato di questa cosa; ricordo solo che chiamavi così la mamma, le dicevi che era la “tua rosa”, e a lei brillavano gli occhi. Gli stessi occhi che ha regalato a me.

 

Posò la penna, e fissò i quadri appesi sul muro di fronte : in uno erano ritratti proprio i suoi genitori, insieme a lui, da piccolo. Forse lo avevano fatto eseguire prima della partenza: non vi era la data, magari il giorno seguente avrebbe cercato sul retro della tela qualche traccia. Sorrise. Poi, scostando i capelli lunghi e castani dal viso, riprese a scrivere.

 

Il mio nome è Laurent Reve Grandier Jarjayes. Sono il figlio di Oscar François de Jarjayes, nobildonna e militare di carriera per gran parte della sua vita, e di Andrè Grandier, suo attendente, amico e compagno prima di armi e poi nella vita. Sono nato in Francia, quando mia madre non era più giovanissima, e mio padre mi ha sempre considerato il loro miracolo , infatti, il mio secondo nome è “sogno”, proprio per questo motivo. Sono cresciuto in Svizzera, ma sono nato qui - in questa casa che per ora mi è estranea - a fine ottobre del 1793 , quando la Francia era ancora nelle sue fasi rivoluzionarie.Quando mia sorella Rose morì, i miei andarono a Nyon, un bellissimo paese di origine romana – così è quello che dicono i libri che ho letto al riguardo – sulla sponda destra del lago di Ginevra. Ho avuto una infanzia felice, nel grande palazzo che guardava direttamente sul lago; ricordo che spesso scappavo dallo studio e dagli occhi di mia madre per andarmi a tuffare in quelle acque, e papà mi diceva che ero scalmanato come lei , poi sorrideva.

Quanto avrei voluto vivere ancora un pò con voi; ma il destino ahimè non si può cambiare, purtroppo.Mi mancate tanto. Il mio cuore è colmo di dolore, anche se da fuori appaio spavaldo come sempre.

Ora gli occhi cominciano a bruciare. Credo siano le lacrime che ancora non sono riuscito a piangere per voi. Credo che smetterò di scrivere,ora; scriverò domani a Victoria, per farle sapere che sono arrivato e sto bene, e che farò ritorno, credo, verso la fine dell' estate.

R:G:J

Reve chiuse il diario, lo appoggiò vicino a quello di suo padre, sul tavolino dove aveva scritto sino a pochi attimi prima. Si alzò e si sgranchì gambe e braccia; infine si slacciò la camicia , e si stese sul divano, le braccia incrociate dietro la testa. Immerso nei suoi pensieri, poco prima dell' alba prese sonnno, finalmente.

Si svegliò di soprassalto il pomeriggio seguente, a causa dei colpi che battevano alla porta; rintronato dal sonno , corse ad aprire. Si trovò dinnanzi un ragazzo, forse più grande di lui, dal fisico ben costruito, e dall'occhio sveglio; era ben vestito e dai modi pratici campagnoli.

“buongiorno, Reve Grandier. Mia madre mi manda a chiedervi come state, visto che non siete passato da casa in mattinata. Ah, scusate : sono François Chatelet, il figlio di Rosalie e Bernard.”.

Il ragazzo rimase per un attimo senza dire niente, poi si riprese:

“perdonatemi, François. Non vi avevo riconosciuto..non ci vediamo da un pò di tempo.

Entrate.Datemi un attimo in modo che possa rendermi presentabile” rispose, richiudendo la porta dietro il ragazzo.

“Ricordo qualcosa di voi, Reve, anche se ai tempi vi chiamavamo Laurent” disse François, mentre Reve cercava di capire dove potesse trovarsi un bagno: a Nyon ne avevano uno, nel palazzo Girodelle dove vivevano. François indicò una porticina dove avrebbe potuto trovare un catino ed una brocca, almeno per lavarsi la faccia: poi andò versò la fontanella appena fuori dalla cucina e rientrò con un secchio che portò al nuovo arrivato.

“grazie, sono appena arrivato e ancora non so come è fatta questa casa” disse Reve imbarazzato prendendo l'acqua.

“non vi preoccupate.Vi attendo fuori” rispose François.

Reve si lavò in fretta e furia, saltellano infilò scarpe e giacca e raggiunse François: quindi, con il piccolo calesse, andarono verso la casa degli zii.

Durante il tragitto non parlarono molto, se non per quella minima conversazione che le buone maniere imponeva; ci sarebbe stato tempo, per conoscersi.

Il piccolo villaggio in cui vivevano gli zii era molto grazioso e aveva mantenuto il carattere tipico delle campagne normanne; aveva tutto ciò che poteva servire, ed era per quello che Bernard e Rosalie, una volta partiti i loro amici, decisero di stabilirsi lì.

“ Ecco, siamo arrivati” disse François fermando il calesse “ io sistemo il cavallo, voi entrate pure”.

Era il tramonto: aveva dormito tutto il giorno, e gli zii lo aspettavano invece dalla mattina.

Bussò, entrò e li trovò seduti in poltrona, in sala. . Bernard e Rosalie erano più giovani dei suoi genitori, di qualche anno, eppure la loro schiena era curva e le rughe solcavano il viso; conservavano però i loro bei sorrisi.

“scusatemi, mi sono addormentato all' alba e se non era per François avrei probabilmente tirato dritto fino a stanotte. Perdonatemi se vi ho fatto preoccupare” disse.

“vieni a sederti, Reve; Ameliè sta preparando la cena, sarà pronta a breve” disse Rosalie, alzandosi e andando verso di lui.

“ieri ci siamo proprio visti di sfuggita...a proposito, grazie per avermi atteso” disse Reve guardando la donna.

“non preoccuparti, figlio mio” rispose lei regalandogli una carezza “ non ti avremmo lasciato solo in questo momento.”

“Bernard, zio, voi come state? “chiese , per gentilezza e reale interesse, il ragazzo.

“Tutto sommato bene, Reve. Qualche dolore qua e la, ma bene” disse da dietro i suoi occhialetti. Natualemente erano molto provati per la morte, a poca distanza l' una dall' altro, dei loro amici, e ciò si notava da un velo di tristezza negli occhi e nei sorrisi. Ma non volevano appesantire oltre il dolore di Reve, anche se lui appariva normale e tranquillo.

Si scambiarono ancora un paio di frasi, molto vaghe;nel frattempo rientò il figlio, andò in camera a lavarsi le mani, e si ripresentò in sala insieme agli altri.

“Marie non è ancora tornata?” chise alla madre, seduta accanto a Reve.

“No, credo si fermi a cena dalla Signorina Genevieve, così almeno ricordo” rispose Rosalie.

Nel frattempo, Amelie – una ragazza del posto che dava una mano ai signori Chatellet – servì la cena, e poi rimase a mangiare insieme a loro. François si accomodò vicino al ragazzo.

“ domani, se volete, verrò a darvi una mano a sistemare casa” disse François, prendendo dal vassoio una grossa fetta di arrosto

“a patto che smettiamo di darci del voi “ rispoese Revè “ alla fine siamo come cugini, non credo che queste formalità servano ,cosa dite, zia Rosalie?”

“ dico che dovreste fare come più vi pare, siete grandi abbastanza” rispose gentile.

“va bene, allora è deciso, d' ora in poi ci daremo del tu, François. Grazie per l' aiuto che mi darai, io non ricordo nulla di quella casa, e molte cose non so nemmeno dove stanno...non so nemmeno cosa fare” disse Reve.

“Non preoccuparti ragazzo mio, ci siamo qui noi. Tu pensa a riposare per un pò; poi deciderai cosa fare. Ti fermerai fino alla fine dell' estate?”chiese Bernard.

“Credo di si. Non è che abbia molto da fare, a Nyon. Pensavo di approfittare degli eventi ed andare a Parigi. Non l' ho mai vista” disse.

“ Immagino. Nessuno di noi ci è più tornato volentieri, dopo la rivoluzione. Noi ci abbiamo vissuto per un pò, quando Oscar e Andrè rimasero feriti negli scontri ci prendemmo cura di loro...” rispose, ma venne zittito da Rosalie. Non voleva che parlasse di loro con Reve. Con il tempo, al massimo, sarebbe stato lui a chiedere notizie.

“Scusatemi, non volevo creare imbarazzo” disse.

“no, scusaci tu” disse Rosalie prendendogli la mano “ ma credo che queste cose , se ancora non le sai, dovrai essere tu stesso a scoprirle, capirle, chiederle. Credo sia giusto così” disse Rosalie.

Reve fissò la donna, pensieroso. In effetti sapeva gran poco di ciò che era successo durante la rivoluzione. Nemmeno i suoi gli avevano parlato del prima. Forse, nel diario del padre....

Lascò vagare i pensieri per qualche attimo, poi la conversazione virò più o meno inenzionalmente su François e sui suoi studi, che procedevano a rilento.

“che studi fai? “chiese Reve “ io ho avuto una formazione classica, le lezioni me le impartivano mia madre e Girodelle, ma non ho frequentato alcun collége o altro...”

“ per il momento studio esattamente come avete fatto voi , ovvero in casa, grazie a mio padre. Talvolta seguo dei corsi a Parigi, ma raramente. Non mi piace la città” rispose.

 

La serata passò così, tra un ricordo, un pettegolezzo ed progetti per la casa, sempre evitando accutatamente di parlare di Parigi e della Rivoluzione: rientrò finalmente anche Marie, che salutò il nuovo arrivato con molte scene: aveva il carattere della madre, romantico e un pò frignone, e questa improvvisa riunione la rendeva felice. Raccontò con dovizia di particolari – senza quasi entrare in casa - della cena dalla sua amica poi, finalmente, si tolse il cppellino ed i guanti e raggiunse tutti nel salotto.

La casa di Bernard e Rosalie era graziosa: più grande di quelle di gran parte del villaggio, assomigliava alla casa dei suoi avi, ma più piccola. Tutto era disposto su un piano, comodo, organizzato in maniera tale che ognuno avesse i propri spazi: vi era anche una stanza che fungeva da biblioteca ed un piccolo salottino ad uso esclusivo di Rosalie e Marie, oltre al salotto ufficiale dove si trovava anche un tavolo da pranzo.

Dopo il giro della casa Reve, vista l' ora, venne invitato a restare; per non disturbare oltre facendosi riaccompagnare nel buio , accettò e fini per spartire il letto con François. L' indomani mattina lo avrebbero riaccompagnato a casa.

 

 

che strano, che giornate” scrisse Reve su un foglietto che si fece prestare“ sono qui da un giorno ed ho giò la testa piena di pensieri, domande e preoccupazioni....Mi sa che domani, quando François mi riaccompagnerà a casa, ne approfitterò per scrivere davvero a Victoria, e consultarmi con lei sul da farsi. Magari anche suo padre potrà darmi una mano” pensò; poi si girò sul fianco, e si addormentò. Fu un sonno agitato, il suo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

NdA Disegno realizzato da me

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Capitolo 2
*** Una vita nuova senza di voi ***


 

 

Bernard e Rosalie erano usciti per alcune commissioni quando Reve si svegliò, grazie anche al russare di François:.. aveva dormito malissimo, rigirandosi nel poco spazio a disposizione, quindi si alzò facendo attenzione a non svegliarlo, recuperò i vestiti dalla sedia, e si guardò allo specchio: le occhiaie scure, frutto di quel periodo non certo felice, contornavano i suoi begli occhi.

Come tutti i giorni da 3 settimane, il risveglio era la parte peggiore della giornata: si rendeva conto che i suoi genitori non c'erano più, e che era rimasto solo al mondo e ora si trovava in un paese che conosceva poco.

Prese alcuni minuti per riprendersi e poi si vestì. Non voleva resentarsi in sala da pranzo mezzo nudo, non era a casa sua, da solo.

“Buon giorno Reve, o Laurent. Come devo chiamarti? “ chiese Marie da sotto il tavolo, quando vide arrivare un paio di stivali neri dal corridoio.

“ Buongiorno, Marie. Chiamami come desideri, per me non ci sono problemi; preferisco essere chiamato Reve , comunque. Posso chiederti cosa stai facendo sotto al tavolo?” disse guardandosi in giro e ridacchiando.

“ ho perso una cosa , e la sto cercando....”rispose Marie, alzandosi e sistemandosi le vesti. “ ti chiedo scusa, non è stato decisamente un saluto educato. Hai dormito bene? “

Reve avrebbe voluto dire che il suo era stato un sonno d' inferno, ma l' educazione non lo permetteva quindi declinò su un generico “bene, grazie”; poi chiese dove fossero Bernard e Rosalie, ma non fece in tempo a finire la frase che li vide rientrare. La ragazza, salutata la madre, andò nella sua stanza.

“ Buongiorno, Reve. François dove è, sta dormendo ancora?”.

“Si, zia Rosalie; mi sono appena alzato anche io” rispose, stirando con le mani i pantaloni un pò sgualciti.

Rosalie fermò per un istante il suo sguardo negli occhi di Reve e quindi chiese se aveva fatto colazione; Reve rispose che non aveva fame.

“Devi mangiare, figlio mio. Già sei magro come un chiodo...ricorda che puoi restare qui quanto vuoi, Reve, se non te la senti di tornare alla casa” disse, sedendosi, Rosalie.

“Grazie, ma se per te non fosse un disturbo,andrei anche adesso” rispose “ non perchè voglia fuggire, ma perchè ho davvero tante cose da fare”.

“Va bene, come desideri...sappi comunque che qui sei sempre il benvetnuto...ah, oggi fa molto caldo, ragazzo mio: fai prendere aria a quella casa, altrimenti soffocherai. Sei fortunato, sei proprio di fronte al mare...svagati un pò, e se hai bisogno di aiuto ricorda che noi siamo qui. In ogni caso, Bernard dovrebbe essere ancora sul calessino, stava controllando una cosa... stammi bene” si raccomandò la donna.

“ Certo, zia, non preoccupatevi” rispose. “Grazie ancora di tutto. Arrivederci” disse infine uscendo.

 

Un po' dispiaceva lasciarli così, di fretta, ma avvertiva il bisogno di stare solo; ci sarebbero stati altri due mesi a disposizione per vedersi, sicuramente.

“buongiorno,zio” disse salutando Bernard che stava trafficando con i finimenti del cavallo.

“buongiorno Reve...come stai? Vuoi che ti riaccompagni? “

“S, grazie. Non offendetevi, ho apprezzato molto la vostra ospitalità, ma vorrei sistemare un po' di cose...” disse.

“Nessun problema: noi siamo qui, passeremo ancora a trovarti. Dimmi piuttosto , sai calvalcare? Debbo procurarti un cavallo, per tua comodità? Credo ti servirà.... “disse Bernard, mettendosi in cammino.

Reve ci pensò un attimo: i fondi necessari li aveva, a cavallo ci sapeva andare....

“Si, mamma e papà mi hanno messo su un cavallo fin da piccolo...effettivamente, potrebbe tornarmi utile, Zio. Mi aiutereste ?” disse all' uomo, aggiungendo: “ senza fretta: quando avrete individuato il cavallo, mandatemi François, verrò io da voi”.

“ va bene, ragazzo” rispose Bernard. E partirono per quel breve tragitto.

Reve era grato di tutta questa accoglienza: come avrebbe fatto, da solo? Girodelle stesso, a dire la verità si era offerto di accompagnarlo, ma poi fu preso da alcuni dolori alla schiena, che lo costrinsero a letto... del resto, aveva oramai 70 anni e per quanto fosse in buona forma , gli acciacchi si facevano sentire così come il sole, caldo, si faceva sentire sulla pelle del ragazzo.

“ecco, siamo arrivati” disse Bernard “ in casa, come sai, hai già ciò che ti serve...”

“grazie, grazie davvero. A presto, zio” disse scendendo al volo. Attese che lo zio fosse ripartito,

quindi entrò in giardino e la prima cosa che fece fu recarsi sulla tomba, per verificare che tutto fosse a posto e che qualche animale, nella notte, non avesse fatto danni nella terra fresca e smossa.

Osservò quella croce, pensando che doveva provvedere con qualcosa di più consono, ed entrò in casa.

La sua borsa, i diari, erano sul tavolino; pensò che doveva ancora sistemare tutto, e senza indugiare, si mise al lavoro: voleva farlo prima di sera, voleva preparasi qualcosa da mangiare e magari farsi una nuotata. Poi doveva scrivere a Victoria, riferire a Girodelle del viaggio... quante cose!!!

Iniziò togliendo i teli bianchi dai mobili, che svelarono pian piano i loro colori e la loro età; aprì le finestre della sala e della cucina, e poi si occupò delle stanze. Prese il mazzo di chiavi da un chiodo appeso dietro la porta d' ingresso, e iniziò il giro. Vi erano 5 stanze in quella casa, in una vi era nato...questo pensiero lo smosse, ma cercò di restare razionale.

Partì dal fondo, dove vi era lo sgabuzzino; aprì le porte, piano, svelando i segreti di quella casa. In una delle stanze vi erano accatastate alcune cose, vecchi vestiti, alcuni libri, un paio di sedie mentre nell' altra tutto sembrava a posto, quasi non fosse mai stata usata. I letti non erano fatti, vi era solo lo scheletro, e vi erano alcune cassapanche, vuote.

Passò poi a quella successiva; appena entrato capì subito che, probabilmente, era la stanza dei nonni. Un breve ricordo passò davanti ai suoi occhi: lui, piccolo, che saltava sul letto mentre una signora con i capelli quasi grigi, ma ancora bella, rideva e cercava di prenderlo mentre un uomo dall' aspetto burbero ma dagli occhi buoni osservava la scena. Tolse il telo dal grande letto, aprì la finestra, aprì l' armadio. La sua ipotesi fu confermata; ormai ridotti a brandelli dalle tarme e dal tempo, vi erano lembi di tessuto forse appartenuti ad una divisa militare.

Chiuse le ante dell' armadio facendo attenzione, lasciando ogni cosa al suo posto, e proseguì.

“Forza e coraggio” disse ad alta voce,affrontando le ultime due porte, nemmeno al suo interno vi fosse un mostro; sapeva che una delle stanze vi era parecchio del suo passato, perchè vi era nato....

 

 

Nyon, 1800 , Oscar e Andrè, appartamenti di palazzo Girodelle

 

Quando sei nato, piccolo mio, fu una festa. La casa in Normandia è bellissima, magari qusta estate ci torneremo...Sai, Tuo padre stava diventando pazzo, mentre io attendevo che tu nascessi, stesa a letto. Non vedevamo l' ora di stringerti tra le braccia “ disse Oscar ad un piccolo Reve di 7 anni. “ Sei il nostro dono più prezioso, sai?”. Una carezza tocco le guanche tonde di Reve. Sua madre era seduta in poltrona a leggere un libro al padre, era un pomeriggio di primavera e ricordò benissimo il profumo dei fiori e ti erba appena tagliata che arrivava dal grande giardino. “ Quando sarai grande, se vorrai ascoltarmi, ti leggerò una storia...anzi no, te la racconterò. La tua storia, la nostra storia”.

Perchè non adesso, mamma? Sono grande, io” rispose mettendosi tutto impettito, ritto.

Oscar sorrise: “Quando sarai grande, ho detto. Adesso vai a giocare, piccolo mio” rispose lei, posando il libro e dandogli un bacio. Vai, vai a giocare: ma ricordati, cerca di non farti male come l' ultima volta”.

Reve uscì dalla stanza, mentre Oscar e Andrè restarono in silenzio ad osservarlo.

Andrè, abbiamo proprio fatto un piccolo capolavoro”disse lei, alzandosi e andando verso il marito.
“Già: ricordo quei giorni come se fosse ieri” rispose, poi cambiò espressione. “Davvero gli racconterai della Rivoluzione?Di ciò che è successo? ”

Andrè, prima o poi vorrà conoscere la storia della sua stramba famiglia, dove siamo in due a portare i pantaloni...è una cosa naturale, ovvia; inoltre ci terrei a fargli conoscere come sono andate le cose, rivoluzione compresa. ” rispose lei, sorridendo.

Hai ragione...come al solito” rispose Andrè, baciando la mano della sua amata. Lei gli accarezzò i capelli venati di grigio, ma sempre belli, come quando erano giovani.

Andrè, sei sempre gentile, con me. Quante te ne ho fatte passare....” disse riferendosi ai primi anni insieme, a Palazzo Jarjayes e ad Arras.

Oscar, amore mio, ora siamo qui, siamo una famiglia, siamo sereni” rispose alzandosi “vieni, andiamo a fare due passi: Reve è al sicuro, e poi staremo via pochi minuti” . Presero così a passegiare, come due ragazzini, tra le viette vicino a palazzo, godendo di quella pace finalmente ritrovata,mano nella mano.

 

 

Reve aprì anche quella porta, e fu un tuffo al cuore ; era proprio la stanza dove nacque, vent'anni prima. Tutto era rimasto intatto dalle ultime loro visite, quando lui aveva circa 10 , 11 anni: la culla in un angolo, le cassapanche, il grande letto a baldacchino, le tende linde alle finestre che davano sulla strada. Un vecchio gioco di legno sul tappeto del pavimento.

Iniziò a risistemare anche lì, ma la stanza era abbastanza in ordine e, dopo essersi seduto sul letto un attimo, si recò verso una delle cassapanchè e l'aprì, curioso. Non vi era molto, se non alcune lettere firmate da un certo Fersen, indirizzate ai genitori. Nell' altra invece trovò un suo vecchio vestitino, conciato un pò male, e gli dispiacque vederlo così. Sotto al vestito vi erano altri panni, ed una spada. La divisa di sua madre, o meglio ciò che ne restava. Il tempo aveva fatto il suo corso.

Con un tuffo al cuore chiuse quella cassapanca e pensò che per quel giorno le pulizie potevano bastare: quindi si avviò verso la cucina, e nella dispensa cercò qualcosa da mangiare. Rosalie ed Amelie avevano pensato a tutto; vi era carne sotto sale, cipolle, spezie, vino e conserve di varia natura; prese quindi alcune strisce di carne, ed andò a sedersi sugli scalini che conducevano fuori, osservando il mare apparentemente calmo; per oggi ne aveva abbastanza e sarebbe stato tranquillo, avrebbe preso una delle stanze per dormirci e sistemate le sue cose. Prima di rientrare, prese della legna e accese il fuoco; almeno, per pranzo o per cena, avrebbe preparato qualcosa di caldo.

 

 

7 giugno

Oggi ho fatto poco di quello che mi ero prefissato, e già sono stanco: non fisicamente, ma per le emozioni che sto vivendo. Sono stato dagli zii, mi sono trovato bene, ma ho voluto tornare prima per fare alcune cose; ho accolto il consiglio di zia Rosalie e ho iniziato a sistemare questa casa, ma le emozioni sono troppe.

Ho visto la stanza in cui sono nato. Ho curiosato un pò e trovato alcune cose che appartenevano alla mamma e al nonno e quello è stato un pò il colpo di grazia ai miei nervi (mio dio, parlo come una ragazzina, avevi ragione, papà....)

Mi avevi avvisato, prima di andartene, mamma, che non sarebbe stato facile tornare quì; sapevi che di li a poco avresti lasciato questo mondo, e ti preoccupavi per me, come hai sempre fatto...

 

Papà, Mamma....

 

Cominciano a riaffiorare ricordi, in me, di quando ero bambino; ricordi che sto pian piano mettendo insieme, unendoli a ciò che voi mi avere raccontato della famiglia. Mi sono ricordato del nonno e di quando lui e la nonna mi facevano giocare; poi mi è tornato in mente Fleur, la cagnolina che mi ha tenuto compagnia fino a qualche anno fa, e che mi dicevate arrivasse da qui... Poi ho visto la tua spada, mamma. Chissà come eri bella in divisa, ti immagino su un cavallo, fiera e combattiva come sei sempre stata...peccato non avere un tuo ritratto di quei tempi... non ne parlavi volentieri...e io non ti ho mai chiesto niente di più di ciò che volevi dirmi, come la mattina in cui mi parlasti di lei,della Regina.

Era bella la regina? Era bella Versailles? A quanti balli hai partecipato? Ora le cose sono leggermente diverse, lo dicevi tu stessa, chissà il mondo come si evolverà, andando avanti con gli anni....

Farò due passi, anzi, mi farò una nuotata. Poi finalmente scriverò a Victoria e magari mangerò qualcosa....

 

Reve si alzò, si tolse camicia e stivali restando con i soli pantaloni e andò verso la spiaggia; il mare, leggermente mosso da piccole onde, lo chiamava. Si spogliò e si tuffò, fece qualche bracciata e quando fu al largo osservò quella casa, il grande terrazzo, la porta della cucina, l' albero. Gli piaceva quel posto anche se gli mancavano le amicizie di Nyon e soprattutto lei, Victoria Girodelle.

Nuotò ancora un pò, poi tornò a riva e corse su per le scale verso la casa per cercare un telo; quindi lo stese, lì in giardino, e lasciò che i suoi capelli, gli stessi di Andrè persino nella forma, asciugassero al sole.

Aveva davanti a sè una intera giornata. Forse dopo avrebbe ricominciato con le pulizie, pensò, ma presto fu colto dal sonno, e si addormentò.

Non dormì molto, ma abbastanza per riprendersi e cominciare a scrivere a Victoria.

Le mancava molto, le voleva molto bene. Erano cresciuti insieme, praticamente, ed aveva un rapporto di amicizia e confidenza che entrambi i genitori avevano accettato e caldeggiato, senza interporsi in alcun modo. Le piaceva quella ragazza dai capelli rossi, ma al momento non la considerava come una fidanzata o futura moglie.

 

 

Normandia,7 giugno 1816

Buongiorno Victoria,

sono arrivato, sano e salvo, accolto dagli zii Rosalie e Bernard; forse ti ricordi di loro, qualche volta sono venuti in visita a palazzo, su invito di tuo padre che voleva far assaggiare loro i vini delle sue tenute. Ho subito fatto ciò che dovevo; per il resto, ho passato il tempo tra il villaggio e la casa, che sto cercando di sistemare al meglio. Per fortuna mia madre mi ha sempre insegnato ad essere indipendente in tutto e per tutto, altrimenti non so come farei; di questo la ringrazierò sempre.

Sono, come credo immaginerai, malinconico, stanco e confuso di questa novità, permettimi il termine. Ho qui con me il diario di papà, ed inoltre in una panca ho trovato delle lettere di un certo Fersen, credo un nobile straniero amico dei miei genitori.

Scusa se mi fermo qui, ti scriverò con più calma, tra qualche giorno.

Salutami tuo padre, spero che le sue condizioni siano migliorate.

 

A presto, Reve.

 

 

“ecco fatto “ esclamò ad alta voce “ domani, quando andrò al villaggio, chiederò agli zii di un ufficio postale, spero che ne abbiano uno” . Si rese conto che stava parlando da solo e rise, di gusto, per la prima volta dopo un pò di tempo.

“se non impazzirò, sarà un miracolo” aggiunse tra sè e sè, e poi pensò che aveva fame, e tornò in cucina. Il fuoco era a posto, le pentole c'erano...si improvvisò cuoco, come tante volte aveva provato a fare con sua madre, sperando però di non far bruciare nulla. Non era un cuoco provetto ma grazie al cielo sapeva arrangiarsi.

... “devi essere sempre indipendete,Reve, da tutto e tutti” rimbombò una voce, nella sua testa e lui, d' istinto, si girò a cerca il padre.

 

Fuori iniziò a soffiare il vento, quindi corse a chiudere le varie finestre, perchè stava divenatndo forte; chiuse anche la porta.

Il diario di Andrè finì in terra, quando Reve ci sbattè contrò, e si aprì lasciando le parole alla sua vista. Lo raccolse e istintvamente iniziò a leggere: la curiosità prese spazio alla riservatezza ed al dubbio.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 3
*** DOLORE ***


 

 

 

20 Agosto 1770

 

Mi chiamo Andrè Grandier, e sono uno dei servi di Palazzo Jarjayes.

Ufficialmente sono attendente di Oscar, una ragazzina con un nome da uomo (e che veste da uomo) per volere di un padre pazzo che , non avendo avuto figli maschi ,l' ha allevata come tale.

Sono arrivato qui da bambino, dopo la morte dei miei genitori, che a loro volta erano fattori per conto del Generale Jarjayes; la nonna, santa donna, fa la governante qui da molti anni ed ha allevato le sorelle Jarjayes al posto della madre, troppo presa a corte per occuparsi delle figlie (che a parte Oscar, appunto, sono state in ogni caso piazzate bene, a vari avvocati, militari e perfino un paio di conti)...

Sono cresciuto insieme a lei, e fino a poco tempo fa condividevo con lei tutto il tempo libero dalle mie mansioni; siamo amici, mi tratta come un suo pari, anche se il padre non è molto

d' accordo.

Da qualche tempo è stata nominata capitano delle guardie reali: a me appare tutto così strano, non riesco a farci l' abitudine. Prima passavamo il tempo a tirare di spada, a fare lunghe cavalcate o strudiare con il suo precettore, ora lei è praticamente l' ombra della Delfina, una austriaca che da poco ha sposato Luigi Augusto.

Mi dispiace non aver più tempo da passare con lei; è vero che la seguo ovunque, ma qualcosa è cambiato tra noi, non è più la stessa: è immersa nella grande corte di Versailles e comanda soldati più vecchi di lei. Comanda anche me, ed io obbedisco, senza contraddire.

Rimpiango i tempi in cui eravamo bambini. Tra qualche giorno compio 16 anni, peccato che Oscar non sarà con me a festeggiare.

 

Inziava così il diario di un Andrè giovane, ma già adulto...con una scrittura incerta ma chiara, poche frasi, e dove già si leggeva del forte sentimento, seppure di amicizia, che lo legava ad Oscar.

 

Eh si...Alla fine aveva ceduto, la curiosità o forse il bisogno di sentire ancora accanto a sè il padre, l' avevano avuta vinta sul pudore e la riservatezza .

Non aveva ancora preparato la sua stanza, come se una forza più grande di lui glie lo impedisse ma in realtà era solo la paura di dovere affrontare emotivamente quei luoghi ad avere la meglio, ma si fece forza e, lasciate quelle pagine per un attimo, prese la prima stanza che aveva visitato, recuperò delle lezuola che probabilmente aveva portato Rosalie (erano praticamente nuove) e si arrangiò in qualche modo risistemando anche quei pochi vestiti che si era portato, oltre che la veste per la notte. La madre lo prendeva sempre in giro, per il suo voler essere sempre elegante anche in casa.

 

Nyon, 1805

...“chissà da chi ha preso” disse Oscar guardando il figlio, dodicenne, che girava per casa con una veste da camera recuperata non si sapeva dove “ da me no di sicuro: io portavo camicia e pantaloni, ma non ero vestita a festa ogni volta che andavo dalle mie stanze al piano di sotto”...

credo che lo stia influenzando Girodelle, con le sue fissazioni...è sempre stato un damerino, anche quando combatteva guai se aveva un capello fuori posto” rispose Andrè, che stava accanto alla moglie...ridacchiando.

lo credo anche io” rispose lei, appoggiando la sua testa sulla spalla del marito.

si sta facendo grande: tra un pò ci supererà, in altezza... “ disse Andrè accarezzando la testa di Reve che continuava a fare avanti e indietro con alcuni libri in mano “Ehi, ragazzo mio, che stai leggendo di così interessante?”

un libro che ho trovato nella biblioteca; devo fare un resoconto della Rivoluzione a Monsieur Feroil, tra qualche giorno” rispose lui assorto. Oscar lesse l' autore del libro, e si chiese come fosse arrivato nella loro biblioteca.

forse è meglio che la rivoluzione ti venga raccontata, amore mio, perchè ci sono cose che i libri non riportano” disse la madre, dolcemente, andando con i ricordi a quei giorni

voi c'eravate, vero?” chiese Reve con i suoi grandi occhi azzurri che brillavano. Era fiero di questa cosa. Stava davanti ad Oscar e Andrè, ora, in attesa della loro risposta...

si, Reve, c'eravamo... ma di questo ti parleremo quando sarai più grande...” rispose Andrè.

ma io sono grande, mamma. Vero, papà??” obiettò il figlio

si, sei grande e anche intelligente , ma ci sono cose che non capiresti; non c'è nulla da nascondere, Reve. Solo che quando sarai più grande sarai in grado di capire meglio le cose” disse il padre.

Oscar, silenziosa, osservava il figlio deluso, ma era assolutmente d'accordo con le parole di Andrè.

 

 

Quella promessa però non fu mai mantenuta; le avrebbe scoperte da solo, le cose che cercava.

Continuò nella lettura, mentre fuori iniziava a piovere. Si alzò per mettere ancora un pò di legna nella stufa perchè iniziava a sentire freddo. “Che estate strana, che stava facendo; anche in Svizzera “, pensò” il clima è stato molto strano, già da inizio primavera”.

 

Reve lesse quel diario quasi tutta la notte, portandoselo a letto e consumando la scorta di candele che si era preparato: era immerso in un altro mondo, dove il padre parlava soprattutto di cavalli, di donne, di bettole che aveva iniziato a frequentare insieme a Jean, un altro inserviente di casa Jarjayes, e poco di Oscar. Di lei raccontava le avventure a corte di cui era messo al corrente, del padre severo; inoltre diceva quanto fosse arcigna quella vecchietta di sua nonna quando lui combinava qualcosa e lo rincorreva con i mestoli per le cucine di palazzo...in alcuni di questi passaggi, il giovane Grandier rise fino alle lacrime...ma si rese conto che questa allegria era solo superficiale e ben presto tali lacrime si trasformarono da risa a dolore, all' improvviso, come se qualcosa avesse deflagrato all' interno del suo cuore.

I ricordi, le parole, la dolcezza del viso di sua madre e la tenerezza del padre...tutto giunse all' improvviso nella sua mente grazie a quel diario, e finalmente Reve diede sfogo a ciò che portava dentro e che a nessuno mai aveva dato modo di capire e vedere, ma solo immaginare. Le pagine erano volate sotto le sue dita, fino ad arrivare alla data del gennaio 1873; si fermò qui, posò il diario perche stanco, ma ad un tratto gli parve di sentire perfino la voce di Oscar, quasi reale , aleggiare nella stanza:

Quando non ci saremo più” disse Oscar “portaci , ti prego, nella casa in Normandia....li abbiamo passato davvero tempi felici, e lì vogliamo essere sepolti” disse una sera la madre.

Mamma, cosa stai dicendo...ti pare il caso? Stiamo parlando di organizzare un viaggio in Francia e tu pensi a quando non ci sarete nè tu nè mio padre?”

Sono pensieri che una madre fa; non sono più giovane, tu ormai sei un uomo, tra poco prenderai il volo e ti costruirai una vita...”

Basta, madre mia... non dire più nulla: non voglio sentire queste cose. Ho ancora bisogno di te e del papà.Dimmi, quando andremo in Francia, torneremo anche a Parigi?”chiese Reve

Credo di si, figlio mio. Allora ti parlerò della Rivoluzione” disse lei; tossendo forte fino quasi a svenire.

 

Reve corse fuori dalla casa, sotto la pioggia, al buio. Cosa era successo? Era reale ciò che era accaduto? Un momento prima era stanco morto, poi all' improvviso quella sensazione, quella voce, nella sua anima... un calore immenso lo colpì, spaventandolo.

Corse fuori, in giardino, per il panico, sotto la pioggia battente e con il buio intorno a lui.

Si inginocchiò davanti alla tomba dei suoi genitori, e dopo un tempo infinito la tempesta si trasferì nel suo cuore, dirompendo con un fragore tale che sembrava volesse squarciare il suo petto. Pianse tutte le sue lacrime, urlando come una donnetta, finchè non crollò esanime nel fango, scosso dalla febbre che lo aveva colto.

 

Rumori. Voci. Anzi no, era solo una, la voce.

“ Reve...Reve!!! Che cosa è sucesso? “ chiese una voce, alle sue spalle.

Reve si alzò da terra, dove era crollato la notte prima, con il viso sporco e vestito per metà; davanti a lui c' era François, pallido in viso come se avesse visto un fantasma. Gli occhi verdi erano fissi in quelli dell' amico che pareva aver visto la morte a cavallo.

Il sole era già sorto, ma Reve non sentiva affatto il calore dei suo raggi.

“Cosa ci fai qui? Stai bene?” chiese avvicinandosi a Reve, che se ne stava impalato e zitto davanti a lui. Gli toccò la fronte . “ Diavolo, scotti come un tizzone, mi dici cosa è successo?” chiese ancora François, scuotendolo per le spalle.

Reve blaterò qualcosa senza senso, perchè aveva troppa vergogna di raccontare ciò che era accaduto, e mentre François lo riaccompagnava dentro casa non senza sforzo - era un bel pezzo d' uomo, come si suol dire, e trascinarlo non fu compito facile - cercò di cambiare argomento chiedendo se percaso fosse li per il cavallo, ma il ragazzo non rispose.

Una volta messo a letto Reve, François prese acqua fresca dal pozzetto e bagnò delle pezze da mettergli sulla fronte: poi disse che sarebbe andato a chiamare sua madre, ed il dottore, perchè lui non sapeva proprio cosa fare. Era passato da li per un semplice saluto, visto che si stava recando a fare alcune spese, e si era trovato dinnanzi quella scena...

“Cerca di stare tranquillo, io vado a chiamare un medico” disse il cugino, uscendo di casa.

 

François corse al villaggio come se avesse mille diavoli che lo rincorrevano: entrò in casa come un fulmine travolgendo Amelie che stava aiutando sua madre a sistemare piatti e stoviglie in un mobiletto, mandandola a gamnbe all' aria. Rosalie, impegnata ad osservare un vecchio piatto, lo fulminò con lo sguardo e mentre Amelie si rialzava , chiese al figlio il motivo di tale comportamento.

“Reve sta male, mamma! Sono passato da lui per chiedere se gli andava di farmi compagnia nelle compere che mi hai assegnato, e l'ho trovato steso accanto alla tomba dei suoi genitori; pareva un pazzo, e scottava. Credo che stanotte sia stato tutto il tempo sotto la pioggia, non capisco cosa gli sia preso.

Rosalie capiva benissimo cosa gli era preso, avendo perso la madre in giovane età e avendo passato l' inferno; si aspettava che prima o poi quell' uomo dovesse cedere lasciando posto al dolore ma non pensava potesse dirompere così.

“non dovevamo lasciarlo solo, è troppo presto: è un uomo, ma non è in grado di affrontare questo” disse fra sè , poi, rivolgendosi al figlio: “ François, chiama il dottore, senti se è disponibile; dobbiamo andare da lui subito”

“ vado, madre” rispose lui,riprendendo la sua corsa.

 

 

 

 

“Reve! Laurent! Grandier! “

 

 

... un sussurro lontano, poi queste parole sono diventate sempre più forti e vicine; ho aperto gli occhi e ho visto un viso sconosciuto, barbuto, che mi fissava. Ho cercato di mettermi a sedere ma la testa girava, quindi sono tornato a stendermi.

Sei tu Reve Grandier?” ha chiesto quest'uomo; accanto a lui ho visto François e vicino alla porta zia Rosalie. Mi doleva la testa.

Si, sono io,cosa mi è successo e cosa ci fate in casa mia?” ho chiesto subito.Ero spaventato.

Sono il medico, e sono qui perchè tuo cugino François ti ha trovato svenuto in giardino, stamane. Ricordi niente? “

no, signore...non ricordo niente” mentì lui.

sicuro? Non è successo nulla? Un evento, un malore...è importante saperlo, altrimenti non posso aiutarti” mi ha detto.

Non volevo dire nulla, avevo vergogna: sono un uomo , ho una dignità. Ma ha talmente insistito che ho dovuto raccontagli tutto, come se fosse un amico intimo.

Lui e la zia mi ha guardato, tristi, poi questo medico ha chiesto ai presenti di uscire e mi ha visitato, facendomi ulteriori domande.

Mi ha detto che sono i nervi, che il periodo è troppo pesante per me; devo stare a riposo e poi assolutamente fare si che qualcuno stia accanto a me in questi giorni, ad aiutarmi.

Mi pare di essere quel vecchio che vedevo spesso sotto i portici di Nyon, che parlava da solo.

Ma stanotte non ero solo, ho davvero sentito la tua voce, mamma.

Sono confuso: devo darmi una regolata, e smetterla di vagare nel niente, con pensieri e fatti.

Spero che Victoria mi risponda presto, e che mi dica che venga a trovarmi...sarebbe una presenza amica, mi aiuterebbe. Chissà.

Adesso riposo. Credo continuerò a leggere il diario, magari mi aiuterà...

 

 

Reve si era preso effettivamente una sorta di esaurimento nervoso (oltre che una bella febbre dovuta alla nottata sotto la pioggia) sicuramente derivato dai fatti accorsi in quell' ultimo periodo; il suo carattere ostinato, negando sempre tutto, lo aveva trasformato in una bomba ad orologeria.

 

Scrisse quelle poche righe la sera dello stesso giorno, forse l'8 giugno, quando la febbre sembrava scesa e dopo aver mangiato una minestra che François gli aveva preparato: il ragazzo era li e sarebbe rimasto con lui finchè Reve non si fosse messo in piedi. Gli faceva compagnia, in silenzio, come se fosse davvero non un cugino, ma un fratello; era preoccupato per lui.

Ogni mezzora si assicurava sulla sua salute, cambiava le pezze sulla sua fronte; probabilmente presto gli avrebbe dato il cambio zia Rosalie, disse a Reve, quindi “non dovrai preoccuparti di nulla” disse.

 

 

Per tre giorni Reve restò a letto, con la presenza di François sempre accanto; quelle giornate strane,per essere di giugno, alternavano piogge e sole cocente nel giro di poche ore, e fu anche questo a minare un pò il suo umore.

 

“Grazie, François, grazie davvero. Mi dispiace essermi fatto vedere in quello stato” disse Reve, una mattina, mentre erano seduti a fare colazione; si sentiva meglio, ma il colpo di quella notte era stato forte.

“di nulla, amico mio: mi hai fatto spaventare” disse “ non mi ero reso conto di quanto tu stessi male, altrimenti sarei stato più presente; ma sembrava volessi restare solo...”

“Mi dispiace davvero” disse Reve appoggiando la sua mano sulla spalla di François. Non credevo nemmeno io che potesse capitare tutto questo”. Una lunga pausa.

“...sai, ho iniziato a leggere il diario di mio padre, qualcosa si è smosso dentro di me...non tanto per ciò che fino ad ora ho letto, ma per la serie di emozioni che ha provocato” disse Reve, mentre mangiava della frutta che Rosalie aveva mandato il giorno prima tramite Marie.

“credo sia una conseguenza logica, Reve. Non so cosa farei io se i miei genitori morissero nel giro di poco tempo “ rispose sorridendo .”Senti: mi è venuta una idea. Se non sbaglio, mi avevi detto che non ti dispiacerebbe andare andare in città, forse anche a Parigi, a prendere alcuni libri e per sentire il parere di un avvocato per la casa, nel caso volessi venderla.

Che ne dici se, appena stai meglio, ci andiamo insieme?” disse François all' improvviso “io dovrei comunque andarci per alcune faccende legate ai miei studi, ci fermeremmo alcuni giorni...” . Continuò poi parlando di certi svaghi che forse i suoi genitori, soprattutto sua madre, non avrebbe ammesso...ed il fatto lo fece sorridere. Reve si fermò un attimo a pensare, più altro per capire come e quando; effettivamente ciò che diceva il cugino aveva senso. E non solo per quegli svaghi che tutto sommato non gli avrebbero fatto male.

“Per me va bene” disse “ora però torno a riposare, mi sento un pò stanco. Torna a casa a riposare, ora sto meglio, davvero” . Detto questo, si alzò e andò a letto.

“se non ti fa nulla allora sistemo alcune cose in giardino e poi mi metto in viaggio: tornerò per sera. Ti serve qualcosa, oltre a ciò che sicuramente mia madre e mia sorella ti manderanno?” disse

“no, grazie...anzi, aspetta, una cosa ci sarebbe : potresti controllare se è arrivata della posta per me? “

“nessun problema; ora và, riposati, penserò io a sistemare qui” disse François alzandosi.

 

Reve , mentre colui che ormai chiamava cugino era in giardino a sistemare legna, fiori e non sapeva quali altri lavoretti, si rilassò; e visto che stava meglio, decise di riprendere il diario perchè voleva continuare a leggere. Tanto , peggio di come che era stato non poteva essere ed in effetti affrontò quelle pagine sereno, senza più quel peso; lo sfogo forse era servito per rimetterlo un pò in equilibrio, in sesto.

Penso di amare Oscar vi era scritto in una delle ultime pagine lette da Reve ” ma lei non dovrà mai saperlo, almeno per ora. Anche perchè credo che sminuirebbe il tutto, come al solito...”

Questa frase regalò una immensa tenerezza al ragazzo. Sarebbe mai stato capace di vivere un amore così grande?

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 4
*** Pensieri, Emozioni ***


 

 

 

Normandia, fine giugno 181
Sono disteso in un mare verde, di erba color smeraldo, godendomi un pò il tepore di queste giornate.

Tra una decina di giorni partirò per Rouen con François, e sto facendo mente locale di tutto ciò che può servirmi, cosicchè possa partire senza dimenticare nulla.

Sto meglio, ora, molto meglio: la crisi che mi ha colto quella notte era forse

l' apice di un percorso che mi ha cambiato; mi sento libero dalle catene che mi ero legato , da me, intorno a corpo e anima.

Sicuramente un momento simile doveva accadere prima o poi, ma non pensavo facesse così male...però ora devo guardare avanti senza tergiversare ulteriormente e pensare al mio futuro; i miei genitori non vorrebbero vedermi così.

Victoria e Florian non hanno ancora fatto avere loro notizie, e ciò mi dispiace perchè mi avrebbe fatto piacere averli vicini, ma probabilmente Florian non è in grado di muoversi e quindi preferiscono prendere le cose con calma.

Ho deciso che partirò comunque, perchè devo sistemare questa faccenda della casa e, a dire la verità, sono molto curioso di vedere Parigi, la tappa che seguirà a Rouen.

Bernard e Rosalie ci daranno il loro calesse, poi vedremo se prendere dei cavalli; non porterò Juliet, la mia baia , perchè è troppo giovane, troppo imprevedibile; vedremo man mano cosa fare.Continuo a leggere il tuo diario, papà, e sono felice di averlo fatto, perchè mi mostra quella parte di te , mamma e della famiglia che conosco solo in parte; spero di non farti torto, e di non trovarci cose imbarazzanti...

Adesso mi sa che tornerò a casa: si sta facendo brutto, tanto per cambiare, e Juliet sente il tempo, sta scalpitando nervosa.

Mi mancate ogni giorno di più.

 

R:G:J

 

 

 

Reve si alzò, si ripulì i pantaloni e la camicia e piegò la coperta che aveva usato per sedersi sull' erba; osservò l' orizzonte, e vide nubi grigie e pensanti. Aveva circa un' ora di strada per arrivare a casa, quindi prese Juliet e si avviò di gran lena, per evitare di prendersi una bella lavata.Arrivò giusto in tempo per sistemare la cavalla nella piccola stalla che François aveva costruito insieme a lui quando piccoli pezzi si ghiaccio cominciarono a scendere, violenti, mentre il cielo si illuminava di scariche improvvise.Con una corsa entrò in casa, senza nemmeno notare il calesse vicino casa, e si prese quasi un colpo quando vide, davanti a sè, Victoria. Bellissima e sorridente, come sempre.

“Victoria!!! Mi hai fatto prendere un colpo!!!! “ esclamò poggiando il palmo della mano sul petto e illuminando il suo viso con un sorriso. Poi, senza mille cerimonie, l' abbracciò forte e la tenne stretta a sè baciandole i capelli.

“Buon pomeriggio, Reve “ rispose lei ricambiando quell' abbraccio che per loro era la normalità, essendo cresciuti insieme, quasi come parenti.

“Sono davvero felice di vederti “ disse Reve “ mi sei mancata molto!...ma...Florian dove è?” chiese guardandosi in giro “... a proposito, scusa se non ero qui ad aspettarti, ma non ho mai ricevuto vostre notizie”.

“Reve, non servono cerimonie tra noi, non preoccuparti” disse lei, molto spiccia, lasciando quell' abbraccio e mettendosi a sedere ; “ sei molto gentile e devi essere tu a scusarmi, per essermi intrufolata in casa senza che tu fossi presente...ma François mi ha detto che saresti tornato a breve, visto il tempo ....”

“François?” chiese lui, curioso

“Quando io e papà siamo arrivati, lui ha voluto passare innanzitutto e trovare Bernard e Rosalie che non vedeva da anni, come ben sai... è a casa loro, in questo momento, probabilmente a rimembrare i tempi andati. Ha pensato lui di mandarmi qui, per avvisarti che siamo tutti al villaggio, e di raggiungerli quanto prima. “

 

Victoria era una ragazza pratica, spiccia, sebbene l' estrazione sociale; Girodelle l' aveva cresciuta bene,da solo, dopo che la madre se n'era andata appresso ad un musicista italiano , quando la bambina aveva poco più di due anni. L'aveva cresciuta senza alcun problema, aiutato da istitutori ed istitutrici, e occupandosi personalmente di qualsiasi cosa la riguardasse. I ragazzi avevano studiato insieme, e Victoria era molto legata ad Oscar, al punto che diventata grandicella, aveva preteso dal padre di poter indossare i pantaloni, e non quegli scomodi abiti che la legavano nei movimenti; completava il quadro un bel personale, mai ovvioi e una bellezza discreta ed elegante come quella di Florian. Gli occhi scuri, grandi e profondi, erano circondati da lentiggini, e da una chioma di capelli rossi che raramente riusciva a domare. Reve si perse per un attimo in quei ricci.

“Ehi, a che stai pensando, Laurent Reve Grandier Jarjayes?” chiese la ragazza, vedendo l' amico perso nei suoi pensieri. “Vieni qui accanto a me, siediti...”

“Mi stavo chiedendo dove fosse François... e smettila di chiamarmi così, assomigli a mia madre quando si arrabbiava....” rispose con un velo di malinconia, mentre cercava il cugino.

“Sono qui” disse spuntando dalla cucina mangiando una mela “visto che è da un pò che non vi vedete, ho creduto fosse meglio lasciarvi soli. Sarò anche campagnolo ma conosco le buone maniere. Dimmi Reve, come è andata Juliet, oggi?” disse appoggiandosi con la spalla allo stipite della porta. Reve lo saluto e sorrise.

“non male, ma credo non la porterò con noi, è ancora troppo irrequieta e non vorrei ci causasse disastri...”

“Dove dovreste andare?”chiese Victoria, sgranando gli occhi, sorpresa.

“Io e François partiremo tra una decina di giorni per Rouen, poi verso Parigi...per la casa...sai, mi servirà un parere legale, se voglio venderla...”rispose Reve. Prese la mano di Victoria e la baciò “ mi dispiace , ma non ho avuto risposte alla lettera...e mi sono organizzato”.

Victoria rispose con molto garbo “non preoccuparti Reve, papà ha altri programmi; ci fermeremo comunque, presso Rouen, da alcuni vecchi amici...quindi, credo che senza farlo apposta staremo comunque insieme per un pò”.

“meglio così” rispose Reve.

“ adesso però credo sia ora di andare, papà ci aspetta da Bernard e Rosalie” disse.

“dammi un attimo, mi cambio e sono da voi”.

 

sei sempre bella e diretta, Vic, Per questo mi piaci tanto “ pensò Reve mentre andava in camera a cambiarsi “avevo voglia di vederti, anche se è passato meno di un mese da quando ti ho salutato a Nyon” .

 

Reve si fermò a ripensare a ciò che gli era passato per la testa: non aveva mai fatto pensieri simili su di lei, ma forse questa lontananza aveva risvegliato sentimenti sopiti, chi lo sa. In ogni caso, per non fare aspettare troppo, indossò al volo i primi abiti trovati e tornò in sala.

“e' davvero bello questo quadro “ disse Victoria osservando il ritratto di famiglia di Reve “ mancano anche a me, sai?”

Reve osservò il quadro, poi prese per mano Victoria e disse “ andiamo, forza, non facciamoli attendere oltre” .

François li attendeva in giardino, quindi i ragazzi salirono sul calesse e tornarono al villaggio. La grandine si era tramutata in pioggia fine fine, e dalle acque del mare spuntava un arcobaleno.

 

Florian Girodelle sedeva elegante, come suo solito, su una delle poltrone di casa Chatelet. Sembrava che i vari dolori alla schiena non avessero lasciato postumi, ma si notava una certa insofferenza, infatti non si alzò per salutare Reve, ma lo accolse comunque a braccia aperte.

Sapeva benissimo che il periodo appena passato non era stato facile, e non perchè glie lo avesse comunicato qualcuno, ma perchè conosceva fin troppo bene il carattere di quel ragazzo, così simile a quello di sua madre che lui aveva tanto amato in gioventù.

Nonostrante gli anni conservava ancora la sua bellezza altera, che aveva fortunatamente passato alla figlia; i capelli non erano più lunghi e liberi da costrizioni come un tempo, ma si erano adeguati all' età.

“Sono contento di vederti, Florian! “disse Reve, emozionato, andando verso l' uomo.

“anche io, ragazzo mio. Bernard e Rosalie mi hanno detto che non sei stato troppo bene; sono contento di vederti in forma, e sorridente.”

Reve osservò gli zii, seduti anch' essi sul divano, sorridendo teneramente.

“E' grazie a loro ed a François e Marie se mi sono ripreso abbastanza bene, mi hanno curato e tenuto d' occhio come un figlio” rispose Reve.

“ tu sei un pò anche nostro figlio...sai, per un periodo, dopo essere fuggiti da Parigi , abbiamo vissuto per un pò insieme ai tuoi genitori ed ai tuoi nonni...Io, Bernard, Alain...bei tempi...poi me ne sono andato...ed il resto della storia la conosci” disse sorridendo e sorseggiando della cioccolata.

Reve annuì, fermandosi per un attimo ad immaginare quella combriccola, ma poi si rese conto di non conoscere affatto uno di loro, Alain.

“Chi è Alain, zio Bernard?” chiese, istintivamente

“Alain Soisson era un compagno d' armi di tuo padre; ha servito nella guardia cittadina francese sotto il comando di Oscar. La sua famiglia era di origini nobili, ma lui ha sempre vissuto in povertà. E' stato uno dei compagni più fidati che abbiamo mai avuto, anche se l'ho capito dopo.” disse Girodelle. Reve annuì.

“capisco; mi avrebbe fatto piacere conoscerlo” disse, pensando inoltre che ancora non aveva letto di lui sul diario.

Passarono i minuti che li separavano dalla cena parlottando dei suoi malanni, finchè Rosalie non avvisò che la cena era pronta.

Al grande tavolo,Victoria era seduta accanto a Marie; le due sembravano amiche di vecchia data, non smettevano un attimo di parlare di cappellini, di scarpe, della moda di Nyon; Girodelle , Bernar e Rosalie erano verso capotavola, e lui si ritrovò accanto al fido François a parlare ancora del viaggio.

 

“Che bello assaggiare di nuovo il tuo vino, Girodelle” disse Reve, giunto al quarto bicchiere, a metà della cena.

“grazie, ma non abusarne. Io e te dobbiamo parlare, dopo, e vorrei vederti lucido” disse l' uomo strizzando l' occhio al giovane. So che vuoi andare a Parigi e stai pensando di vendere la casa...” disse Florian

“Vedo che ti hanno aggiornato...” rispose con un sorriso, senza alcuna stizza.

“ sei molto importante per noi, Reve, quasi come se fossi nostro figlio..dovresti saperlo”

“si, e ve ne sono molto grato”.

“Forza, mangiamo, ora. E assaggiamo questo buon vino! “esclamò Bernard.

 

Quando finì la cena, Victoria e Marie stavano ancora parlando; Reve pensò che non si ricordava una Vic così loquace.

François era intento a curiosare i loro discorsi; Reve ed Girodelle quindi si alzarono, e con la scusa di una passeggiata, uscirono da casa nel piccolo giardinetto antistante.

Girodelle si accompagnava con un bastone, e camminava lento; era silenzioso ma non triste. Reve gli offrì il braccio.

“credevo di non vedervi, a causa della tua schiena” disse Reve aiutando il vecchio militare a camminare; mi ha fatto piacere , non immagini quanto. Non sarei partito sereno senza vedervi, ci tenevo molto”

“Grazie, figliolo...Ma non perdiamo tempo: volevo sapere come stavi, davvero. Quando Rosalie mi ha mandato quel biglietto , mi sono preoccupato, e mi sono pentito di averti lasciato venire qui da solo. Non furono i miei malanni a fermarmi dall' accompagnarti, ma credevo che questo viaggio per così dire obbligato, ti sarebbe servito per staccare un pò e conoscere i posti in cui sei nato. ” disse bonariamente. “sai, amavo molto tua madre. Ho perfino chiesto di sposarmi, ma era talmente orgogliosa ..e poi credo fosse già innamorata di Andrè...ma le ho sempre voluto bene. Quando sono morti, pensavo di tenerti con me formalmente; tuttavia mi sono reso conto che il tuo destino non è a Nyon, ma qui”

“veramente, Florian, io devo ancora capire cosa fare della mia vita. Ad essere sincero, sto ragionando giorno per giorno...l' unico programma che ho fatto è quello di informarmi bene sulla casa, nel caso la volessi vendere...e poi vedere Parigi....” disse Reve, guardandolo negli occhi .

“E' sempre stata una tua fissazione, Parigi; ma ti capisco. E' giusto che tu voglia approfondire alcune cose. Oscar, prima di morire, mi ha confessato di esserai pentita per non averti parlato prima della Rivoluzione. Credo che tu abbia capito, perchè sei un uomo, che non ci sono motivi particolari per cui non te ne abbia parlato...ma aspettava che tu fossi grande. Parlare della Rivoluzione, del prima e del poi, comprende svelare alcune cose che non saresti stato in grado di capire perchè non hai vissuto quei tempi. ”

 

Reve era senza parole per quelle parole così intime, e non nascose di avere un certo imbarazzo;i suoi occhi erano umidi,sentiva le lacrime salire ma le ricacciò indietro. Era grato a Florian per ciò che aveva detto e fatto.

 

“Ancora non sono arrivato alla rivoluzione, ma ho iniziato a leggere il diario di mio padre, e ho visto con i suoi occhi come era la Francia prima di quella data...ho fatto male, Florian? “ chiese Reve. Si alzò, si sgranchì le gambe, e restò in piedi a braccia conserte davanti all' uomo.

“no, credo tu abbia fatto benissimo; in ogni caso sono decisioni intime, personali, ed io non posso metterci naso...così come non ti dirò cosa fare con la casa. Ma pensaci bene.” disse l' uomo.

“ora, per favore, aiutami ad alzarmi...vorrei andare alla locanda dove abbiamo preso alloggio” disse il vecchio, dopo un silenzio pieno di emozioni.

Reve aiutò Girodelle ad alzarsi.

“siete davvero sicuri di non volere stare da me? Io ne avrei piacere...le camere non mancano!”

“ti ringrazio ragazzo, ma credo sia meglio così; del resto, ci fermeremo poco, poi anche noi verremo a Rouen. Devo sistemare alcune cose, trovare alcuni amici e parenti.” disse . Reve annuì, e rientrarono in casa ma quando Girodelle si fermò sulla porta, e voltandosi, disse a Reve “credo che Victoria voglia parlarti. L'ho vista molto strana quando ha saputo che saresti andato a Parigi. Credo volesse stare con te per un pò”.

“ Le parlerò, Florian. Quando vorrà” rispose Reve.

 

Fu stupito da quelle parole, perchè pensava che alcuni pensieri fossero a senso unico; quindi rimase in attesa di un cenno di Victoria, per capire cosa volesse.

L' occasione propizia fu la loro visita due giorni dopo

Dopo averli accolti e fatti accomodare,mentre Girodelle sedeva sotto le chiome dell' albero che conservava le spoglie dei suoi cari amici, Reve prese Victoria sottobraccio, scendendo verso la spiaggia.

“Vieni, Vic, ti porto a vedere un posto davvero bello: la spiaggia” disse lui, entusiasta e felice di averla al suo fianco.

“E' bellissimo, qui” disse lei osservando le rocce, la spiaggia e l'acqua verde azzurro “ ora capisco perchè mio padre mi parlava spesso di questo posto” . Era estasiata, continuava a guardarsi in giro, raccogliendo ogni minimo particolare come dovesse farne un disegno.

“Si, è molto bello. Ma anche molto doloroso, per me...anche se il peggio è passato...per questo sono indeciso sul da farsi”.

Con lei poteva essere franco, quindi prese la palla al balzo anche per le altre questioni:

“tuo padre mi ha detto che vorresti parlarmi” .

Si fermarono l' uno di fronte all' altra.

Victoria guardò Reve con sorpresa .

“In realtà volevo dirtelo con calma, magari sulla strada per Rouen, ma visto che ci siamo...ecco, Reve, ho pensato molto al fatto che tu potresti scegliere di vivere qui, e questo mi ha provocato una strana sensazione. Sono molto confusa. “ disse lei, con un certo imbarazzo. “abbiamo vissuto a stretto contatto fino ad un mese fa, condividendo tutto, perfino le reciproche cotte quando eravamo più giovani.

I nostri genitori ci hanno spronato a portare avanti il nostro rapporto qualsiasi sfumatura potesse prendere e non ci siamo mai fatti domande. Ora...ora questa sensazione che ho provato,mi ha lasciata davvero basita. Non ti nascondo che ho anche pianto, pensando di non rivederti più...sono proprio una ragazzina!!!“.

 

no, non lo sei...stai qui davanti a me, sostenendo il mio sguardo, senza mai abbassare la testa...per questo mi piaci, Vic “ pensò Reve.

Lui e Victoria erano in piedi, l' uno davanti all' altra, immobili nei loro pensieri.

 

All' improvviso lui le prese le mani, come era solito fare quando voleva che lui la ascoltasse attentamente.

 

“Credo che la naturale evoluzione di quello che dici e che proviamo entrambi sia imparare a conoscerci sotto occhi diversi...e quando tornerò dal mio viaggio, potremo riparlarne con calma...” disse Reve. Si stupì delle sue parole, un tempo sarebbe rimasto immobile ed impacciato a pensare romanticherie varie senza darne alcun seguito.

Victoria strinse le mani dell' uomo.

“credo tu abbia ragione, Reve Grandier.

L' unica cosa da fare ora , per capire cosa fare, è vivere queste sensazioni e vedere dove ci portano. Intendevi questo, vero?” rispose lei.

Lui le prese e la portò accanto a sè, trovandosi a pochi centimetri dai suoi occhi e dalla sua bocca. Gli occhi di lei erano pieni di domande, per nulla spaventati, e si illuminarono quando Reve avvicinò la sua bocca per rubarle un bacio, che lei ricambiò senza falso pudore.

 

“Esatto, Vic. Vivere queste sensazioni e vedere dove ci portano” rispose lui, una volta staccatosi da lei. Victoria annuì, prese la mano di Reve, e continuarono così la loro passeggiata in cui altri baci ed altre carezze furono rubate, prima di rientrare a casa, un paio di ore dopo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 5
*** Arrivederci Victoria ***


 

 

6 luglio 1816

 

Tra qualche giorno partirò.

Sono emozionato per quesa nuova avventura, e mi dispiace lasciare questa casa, anche per poco tempo, in cui mi sto abituando pian piano a vivere.

Ogni giorno passo qualche ora con Victoria: dopo il nostro primo incontro, dopo questa sorpresa, mi sono accorto che non riesco a stare senza di lei.

Lo so, sono stato io a dire di fare le cose con calma, ma al cuore non si comanda, ed il mio non mi ascolta proprio: credo di essermi innamorato.

 

Avevo anche pensato di chiederle di veniere a Parigi con noi, ma non penso sia il caso; si sentirebbe a disagio, in mezzo a due uomini perennemente presi da faccende pratiche, uffici e librerie...anche se, conoscendola, farebbe finta di nulla e ci seguirebbe senza fiatare...non so....

 

Nel frattempo, quando non sono con lei, preparo tutto ciò che può servirmi; soprattutto incartamenti , mi pare sempre di dimenticare qualcosa. Bernard mi ha dato una mano, fornendomi alcuni certificati di cui ho bisogno; del resto alcune cose le ho portate con me da Nyon, altre le sto pian piano trovando qui in casa.

Proprio cercando alcune carte, ho trovato in un cassetto dei vecchi fogli ingialliti, scritti dal nonno: questa casa è piena di sorprese, davvero!!!

Mi piacerebbe avere il tempo per leggere tutto, ma purtroppo non ne ho, ed a dire la verità, non vorrei scoprire qualcosa che poi faccia più male che bene.

L' unica cosa che leggo è il tuo diario, papà....che mi regala emozioni, tante emozioni. Nelle ultime pagine che ho letto hai scritto di essere stato salvato da una condanna a morte proprio da mamma... non oso immaginare quei momenti, ma sorrido teneramente perchè leggo un amore immenso, inimmaginabile. Grazie!!!

 

Ora chiuso queste pagine, ahimè...gli altri mi aspettano.

 

 

 

“Arrivo, amici miei” disse Reve chiudendo il suo diario; era d' accordo con loro per andare a fare una scampagnata, forse l' ultima prima di partire.

Amelie aveva preparato dei cestini con del pane, del prosciutto, alcune quiche e del vino; a loro non restava che salire a cavallo, e cercare un posto dove rilassarsi un pò.

“Vieni, Reve, i cavalli sono pronti” disse Victoria osservandolo uscire di casa. Era bellissima, vestita con i suoi pantaloni verdi che contrastavano con i capelli rossi come il rame; per un attimo restò estasiato da quella visione. “ma era così bella anche prima??”

“Forza, andiamo” disse François, che aveva seguito la scena e se la rideva sotto i baffi; porse le redini all' amico che con un balzo salì in groppa, e si avviarono nelle praterie. Era bello sentire il vento tra i capelli e sul viso; Reve si sentiva felice, e non era poco.

Finalmente, dopo circa una mezz'ora di trotto, trovarono un posto adatto che andasse bene a tutti: non proprio appartato, ma nemmeno in mezzo alle pecore. Stesa una sorta di tovaglia, si misero a sedere senza tante cerimonie.

 

“ la vita dovrebbe essere sempre così” disse Francois infilando la mano in uno dei cestini e mangiando una fetta di quiche.

“Cosa intendi, cugino?” chiese Reve. Era steso su un fianco, accanto a Victoria, e masticava un filo d'erba come in un tipico quadretto bucolico.

“ Intendo questo: godersi gli attimi, gli istanti, possibilmente in compagnia di buoni amici e parenti” rispose. François era una persona semplice, con una gran bella testa, ma non aveva costanza; un giorno voleva fare il filosofo, il giorno dopo l' ingengnere, il tecnico...aveva anche iniziato a studiare qualcosa, ma non aveva portato a termine nulla.

“hai ragione amico mio, hai proprio ragione” rispose lui, allungando la mano per prendere un fiore e donarlo a Victoria “ ma purtroppo la vita non sempre ci ascolta...”.

“non essere triste o pensieroso, Reve “ disse la ragazza “ ora pensiamo solo a noi, a goderci le cose. Non sei forse stato tu,per primo, a dirmi questa cosa qualche giorno fa?”

“si, è vero; comunque non sono triste, comunque e la mia è una pura constatazione....” rispose, tranquillo. “mio cugino è troppo filsosofo, a volte” disse prendendolo in giro.

Victoria sorrise, prendendo la mano di Reve e tenendola stretta. Nessuno dei presenti chiese o fece allusioni riguardo ai loro sentimenti, e nessuno notò quelle mani unite se non Marie, che fece un cenno al fratello, person nei suoi pensieri.

“noi andiamo a fare due passi, vero François?” disse Marie, invitandolo con un cenno del capo “ voi cosa fate? “

Reve e Victoria si guardarono, e ovviamente risposero che li avrebbero attesi li. Marie schiacciò l' occhio a Reve, e prese sottobraccio suo fratello, perso nei pensieri. Quando furono soli e fuori dalla vista dei due, Reve prese Victoria tra le sue braccia baciandola con passione, e lei non si fece pregare, anzi. Non riuscivano mai a stare soli completamente, e questa era una occasione d'oro.

 

“Victoria” disse Reve mentre la teneva stretta a sè accarezzandole i capelli scompigliati dal vento “ per un momento ho pensato di invitarti a venire con noi a Parigi...ma non credo accetterai, non penso che tuo padre lo permetterebbe”

Victoria lo guardò, seria.

“ hai pensato bene” disse, triste “ io ti avrei seguito volentieri, ma non credo che mio padre sarebbe d' accordo. Per quanto mi abbia cresciuta libera ed indipendente, rimango una ragazza nubile, insieme a due uomini, per una città che non conosciamo...” rispose, abbassando gli occhi.

“ ...esattamente ciò che pensavo io...e mi dispiace, sai? Abbiamo appena iniziato questa avventura e tra pochi giorni dovremmo già separarci...”

 

Reve si mise a sedere, il capo chino anch' esso.

“una soluzione ci sarebbe!!! fidanziamoci!” disse lui, d' impulso, entusiasta.

“Reve, ma ti senti?”rispose Victoria, quasi urtata da quelle parole “ giusto poco tempo addietro mi dici che dobbiamo prendere le cose con calma e vedere come va, vivendo giorno per giorno, e oggi mi proponi questa cosa?”. Era seria, tremendamente seria, e anche se parlava con voce calma, le sue parole erano taglienti come lame.

Reve la fissò negli occhi. E' vero che avevano parlato di prendere le cose con calma, ma una proposta del genere avrebbe fatto felice qualsiasi ragazza: invece lei aveva reagito in quel modo, nemmeno l' avesse toccata con un tizzone ardente.

Si alzò; fece due passi, poi si girò verso di lei.

“Non credevo di avere detto una cosa così brutta” disse, quasi bisbigliando

“ e non credo alle mie orecchie...ma credevo che una proposta del genere ti avrebbe fatto felice...mi hai appena detto che mi seguiresti volentieri...”

Lei si alzò, gli andò vicino e gli accarezzò il viso. Lo abbracciò posando la testa sul suo petto, lasciando che l' abbracciasse.

“Scusami, Reve, non volevo essere scortese. Non credere che non provi dei sentimenti per te...ma un fidanzamente porta al matrimonio, di solito, ed io in questo momento non ho proprio intenzione di legarmi a nessuno...non conosciamo nemmeno noi stessi, come puoi solo pensare una cosa del genere? Abbiamo bisogno di tempo....”

“no, Victoria...io avrò anche sbagliato a proporre una cosa simile, mi sono lasciato prendere dall' entusiasmo, ma...davvero non vorresti nemmeno fidanzarti? “ disse.

 

Era incredulo.

 

“no, Reve, in questo momento no. E neppure tu lo vuoi, per come ti conosco. Abbiamo deciso di provare a vedere come va, e allora facciamolo. Io ti aspetterò, anche se tu dovessi tornare tra 2 anni, e allora ne riparleremo....” rispose .

Lui si sciolse da quell' abbraccio. Era sempre più confuso.

“E' colpa mia, Victoria. Mi sono innamorato di te, ecco quale è il mio sbaglio...”

Reve fece alcuni passi, andando verso il ruscello vicino; si chinò a bere dell' acqua ed a rinfrescarsi, vista la giornata calda.

Quando si girò Victoria era sparita. In un secondo, era balzata a cavallo ed ora la vedeva, all' orizzonte, sollevare la polvere.

 

 

“certo che è strana “ disse François, cavalcando vicino a Reve e facendo attenzione a non farsi sentire da Marie che li precedeva di qualche metro. Victoria era tornata a casa almeno da una oretta.

“Non capisco, davvero. Io sarò stato precipitoso, ma una reazione del genere...quando è stata lei a fare il primo passo, parlandomi, qualche giorno fa”....rispose, lui, ancora basito per l' accaduto

“Una ragazza dovrebbe essere felice di una tale proposta...lei invece è scappata come un fulmine....ma su, amico mio, non pensarci. Faremmo il viaggio insieme fino a Rouen, avrai modo per chiarire le cose, il tempo lo si troverà” rispose François .

“Sarà...ma io non la riconosco, davvero” rispose Reve, guardando lontano.

 

 

 

Rientrati a casa, Reve salutò gli amici, e cercò di preparasi un bagno e cambiarsi; nel frattempo mise l' acqua a scaldare sulla stufa e poi sistemò

Juliet e la piccola stalla.

Ripensava ancora a quelle parole ed a quella fuga, ma decise di non fare alcunchè al riguardo, fino al giorno della partenza; si concentrò sul lavoro che stava facendo, peccato che non aveva nemmeno finito di pensare quelle cose, quando trovò Victoria davanti a sè.

 

“ e tu che ci fai qui?” chiese sorpreso dalla vista della ragazza, molto duramente.

“ ti aspettavo in casa, nella tua stanza. Non volevo farmi vedere dagli altri” rispose.

“non credo sia il caso che tu rimanga, Vic...sei stata molto chiara, prima...”rispose Reve.

Lei gironzolò un attimo, poi si sedette su una balla di fieno li accanto, in silenzio, mentre lui sistemava i finimenti.

“sono stata presa dal panico” disse “non credevo che tu fossi innamorato di me”

 

Reve stava cominciando a non capirci più nulla.

 

“perdonami, Vic...” disse girandosi di scatto “ ma è un male essere innamorati di qualcuno, o credere di esserlo? Non hai messo in conto che ciò poteva succedere, in questo viversi ogni giorno? E poi, non sai stata forse tu a dirmi che senza di me ti mancava qualcosa, che le cose per te erano cambiate...” disse .

Era parecchio alterato e faticava a trattenersi.

Victoria non sapeva più dove guardare.

“Si... e ho anche messo in contro che avremmo potuto innamorarci...ma non così presto” rispose a voce bassa.

Reve iniziò a camminare nervosamente su e giù per la piccola casupola, sollevando polvere e fieno ad ogni suo passo. Sudava per il caldo e per la rabbia, che lo aveva scombussolato. Anche Juliet sentiva la tensione.

 

“non credo a ciò che sento” disse, gettando a terra le redini che stava controllando , e fissandola con gli occhi pieni di fuoco “ tu arrivi qui, mi dici tante belle cose, io finisco – credo- per innamorarmi di te, ti faccio una proposta e tu mi dici che non è tempo? Ti dico io una cosa: vai via di qui, lasciami solo. Non rivolgermi più la parola, nemmeno quando saremo in viaggio per Rouen. Credevo di avere trovaro un sogno, sto vivendo un incubo”

 

Non posso averle detto questo..non ne sarei mai stato capace...eppure la sto osservando mentre va via, galoppando, da me...ma che succede? Avevo trovato il paradiso, ora mi trovo ancora all' inferno? No, non può essere che la mia vita dipenda così dagli altri: non lo permetterò piu!”

Reve tirava pugni al muro, mentre diceva questo. Le mani dolevano. Era arrabbiato, non deluso o triste: arrabbiato come non mai. Victoria era sempre stata, prima di tutto, una amica fedele...e perdere sia un amore che una amicizia non se lo sarebbe mai aspettato. Questo faceva male forse più del rifiuto.

Rientrò in casa; prese tutto ciò che gli capitava a tiro, gettandolo per terra.

Poi preparò il bagno e si infilò nella tinozza, lavandosi via polvere e pensieri; infine si stese sul letto, e li passò il resto del pomeriggio, rivestendosi solo per cena. Un paio di mele, in giardino.

Come al solito,accanto a lui il diario.

Man mano che procedeva, nella sua mente si delineava non solo la storia d' amore dei suoi genitori, appena sbocciata, ma veniva catapultato in un mondo a parte, in una dimensione parallela dove, oltre al ricordo, si parlava di storia.

Quante cose erano cambiate, in nemmeno 30 anni; prima la Rivoluzione, poi l' Impero di Napoleone, ora, ancora l' Ancien Régime, anche se con qualche variazione.

Gli sforzi di tutti erano quindi stati vani?

Sua madre e suo padre, Girodelle e Bernard, avevano fatto questo per nulla?

Andrè aveva perso un occhio combattendo con Bernard, quando ancora non lo conosceva, eppure non aveva risentimento e poi si erano trovati dalla stessa parte; Bernard aveva perso il lavoro, per la causa. Non poteva essere tutto vano. Girodelle aveva di fatto disertato, e si era unito alla causa.

All' improvviso Reve si sentì parte di un qualcosa più grande di lui. Vuoi per la rabbia che ancora aveva in corpo, vuoi per le riflessioni scaturite dalle letture, dai ricordi e dalla storia della sua famiglia che man mano si delineava, prese d' impulso una decisione che covava da tempo e che aveva negato a sè stesso per un pò di tempo. Forse furono le parole del padre o gli eventi di quei giorni...non voleva più farsi domande.

Il suo posto era lì, in Francia, e ci sarebbe rimasto. Si sentì fiero, felice, contento per avere preso questa decisione, perchè si era appena reso conto che stava cominciando a vivere, e non avrebbe aspettato più nulla.

Stappò una bottiglia di vino, andò in camera dei suoi genitori, prese la spada di sua madre e la portò sul grande mobile vicino al divano, dove appoggiò anche al divano. Diede uno sguardo fuori, all' albero di Andrè, Oscar e Marie e alzò il calice in loro onore.

 

 

 

 

Sera, al tramonto.

 

“hai deciso di restare? E quando? Ma il viaggio a Parigi?” chiese François, balzando in piedi dalla sedia dove era seduto.

“non sei felice, cugino? “ chiese Reve ridendo mentre l' altro passeggiava su e giù per la stanza.

“Certo che lo sono, e che diamine: solo mi chiedevo se il viaggio a Parigi volessi ancora farlo....”

“ma certo, non preoccuaparti: devo comunque mettere a posto le cose, chiarire la mia posizione e le questioni ereditarie...quindi sia Rouen che Parigi non saltano....” disse Reve continuando a seguirlo con lo sguardo.

“Un attimo” disse François fermandosi di colpo, avvicinandosi e guardandolo negli occhi “ e Victoria?”

“Victoria cosa?” disse Reve, facendo finta di nulla.

“Lo sanno anche i polli della signora Moliere che c'era del tenero fra voi quindi non fare finta di nulla con me, ragazzino” disse.

“a parte il fatto che hai qualche anno più di me “rispose Reve “ Victoria ha preso le sue decisioni ed io le mie...a suo tempo, te ne parlerò.”

“ma c' entra lei con questa decisione? No perchè io non ti sto più dietro, nelle tue elucubrazioni, valutazioni e decisioni” rispose il cugino, sedendosi di nuovo e aspettando risposte

“ Si. Ma non ne è la causa. Diciamo che è stata la miccia” rispose Reve.

Dal terrazzo arrivava l' odore del sale, ed in lontananza di vedevano alcune navi solcare l'orizzonte nel tramonto.

Reve si appoggiò alla balaustra, osservando la scena. François lo raggiunse, si mise vicino a lui, guardando lontano.

“ Reve Grandier, a volte penso che tu sia pazzo. Ma se il tuo sangue mantiene le promesse, riserverai grandi sorprese a tutte. “ disse.

Reve lo fissò, poi i due scoppiarono a ridere.

“Andiamo a tuffarci?” disse Reve, poi.

“Stavo giusto parlando di pazzia.... sta bene” rispose l' altro mentre già iniziava a svestirsi e correva per le scale verso la spiaggia.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 6
*** Il destino delle rose ***


 

 

Rouen, 9 luglio 1816.

 

 

Siamo arrivati ieri, in tarda serata, ma ero troppo stanco per prendere penna e calamaio; il viaggio in diligenza, nonostante una breve pausa per pranzare, mi ha rotto un po' le ossa (e ho appena 22 anni,immagino Girodelle). Nonostante tutto, e mi riferisco anche a Victoria, il viaggio non è andato male, e ci siamo adeguati alle circostanze limitando le nostre interazioni a discorsi vaghi e generali.

Il signor Dubois ci ha personalmente atteso, davanti a casa, e ci ha subito fatto sentire a nostro agio; la casa si trova nel centro di Rouen, non è grandissima ma davvero bella: appartiene alla sua famiglia da qualche secolo e quando lui non ci sarà verrà sicuramente lasciata ai figli, sempre che decidano ti ritornare in Francia (uno è nel nuovo mondo, l' altro in Inghilterra).

Sarà lui ad aiutarmi in questi primi passi, compreso il fatto di regolarizzare la mia posizione di cittadino straniero, anche se sono nato qui.

Visto che ho deciso di restare, non mi servirà molto, ma dovrò comunuque mettere a posto molte cose. Mi ha detto che il viaggio a Parigi, di fatto, non sarà necessario ma io e François ci andremo comunque.

Tra un po' la colazione sarà pronta, devo sbrigare a vestirmi, e svegliare quel poltrone di François, che se potesse dormirebbe tutto il giorno. Oggi ci aspetta una giornata di svago, a dire la verità; per le altre questioni, avremo a disposizione comunque molto tempo.

 

 

 

 

Quando Reve ed il cugino arrivarono nella sala da pranzo, erano già tutti presenti, tranne Victoria che si scusava per un gran mal di testa che non le permetteva nemmeno di uscire dal letto. Reve sapeva che non era una bugia, perchè conosceva bene queste sue emicranie, ma il dubbio che non avesse voglia di vederlo o che non volesse ancora trovarsi in imbarazzo, comunque, gli venne.

Passati i soliti convenevoli, la compagnia si preparò per una buona colazione: sarebbero stati fuori tutto il giorno, serviva parecchia energia.

François era elettrizzato; per quanto si adattasse – e gli piacesse – la vita di campagna, aveva una mente curiosa, perennemente in movimento, era curioso, voleva conoscere il mondo. Nei suoi occhi verdi vi era un fuoco, sempre acceso...Ecco perchè lui e Reve, per quel poco che si erano frequentati, erano sempre andati d' accordo: anche Oscar e Andrè la pensavano così, fin da quando li osservavano, da piccoli....

 

Normandia, quasi venti anni prima.

Ci daranno dei grattacapi, quei due” disse Andrè alla sua Oscar, accarezzandole il grembo e indicando Reve e François che giocavano sulla spiaggia.

L' ho notato anche io: hanno entrambi un bel carattere...François lo sa tenere sotto controllo, Reve, non tanto....è impulsivo, incostante a volte, cambia umore spesso...”rispose Oscar osservando il figlio.

chissà da chi ha preso” rispose Andrè, ridendo forte.

Perchè ridi,papà?” chiese il figlio, con la sua vocina infantile

Sono felice, Laurent, ecco perchè rido” rispose lui, alzandosi in piedi ed andando verso il figlio per prenderlo in braccio “sono felice di avere un figlio come te, ecco tutto !!!”

 

Oscar osservò quel quadretto, speranzosa che il futuro potesse portare, d' ora in poi, solo che cose belle.

 

 

“E' tutto di vostro gradimento?” chiese Dubois, finendo di bere la sua tisana, a capotavola.

“Si,signore. Grazie ancora per la sua ospitalità e per l' aiuto che saprà darci” disse Reve, con un sorriso.

“Bene. Spero vi siate nutriti a dovere, perchè oggi credo vi porterò a spasso per qualche ora...sempre che Girodelle se la senta” disse Dubois, osservando

l' amico.

“ci proverò , amico mio; potremo sempre servirci di qualche carrozza, nel caso, ma non vedo l' ora di fare due passi con voi” risposte.

Girodelle , nonostante tutto, sembrava in forma: forse, il fatto di trovarsi in Francia e tornare nei vecchi luoghi conosciuti, lo stava curando più di qualsiasi altro tonico contro il mal di schiena.

Fu così che la combriccola partì per quella giornata di svago, libera, dove i ragazzi poterono osservare le bellezze del luogo, compresa Notre Dame, la cattedrale , che un famoso pittore avrebbe ritratto più volte, verso la fine di quel secolo..

Erano estasiati, si fermarono un bel po' ad osservarla, con François che fungeva da cicerone e spiegava ai presenti – e anche a qualche cittadino curioso- le varie tecniche di costruzione adoperate .

“non smetti mai di stupirmi” disse Reve al cugino, quando finita la “lezione” ripresero a passeggiare, questa volta alla ricerca di refrigerio e di una taverna dove bere qualcosa. Dubois e Girodelle camminavano dinnanzi a loro, probabilmente intenti a ricordare i vecchi tempi, e parevano sereni.

“Perchè mai? Mi reputi un villano ignorante?” chiese François, sarcastico.

“certo che no...ma che dici? Intendo che dovresti prenderti un po' più sul serio, a volte” rispose Reve.

François lo fissò, poi scoppiò a ridere. “ah, amico, cugino, fratello...io sono fatto così, e sono felice: non mi cruccio delle cose, mi faccio gli affari miei, studio i miei libri...dovresti fare così anche tu: ti prendi troppo sul serio” rispose.

Reve rimase basito ma si, in fondo lui aveva ragione, forse avrebbe dovuto godersi un po' più la vita.

“...Dici? Forse hai ragione....ma a parte ciò, che dici di farci una bevuta? Ho la gola completamente arsa, questo tempo mi manda alla follia, un giorno fa caldo,uno freddo, stamattina faceva fresco e ora....”

“va bene, Reve, non c'è bisogno di tutto sto giro di parole per dirmi che vuoi berti uno, due tre o forse quattro calici di vino” disse François.

“allora è deciso... fammi dire a Girodelle ed al nostro ospite che ci fermiamo qui....Florian! Monsieur Dubois! Noi vorremmo fermarci qui, alla ricerca di una taverna o una locanda dove bere qualcosa: vi unite a noi? “ disse Reve

Gli uomini si girarono all' unisono, e declinarono l' invito: avrebbero proseguito ancora per qualche tempo, poi sarebbero tornati a casa in carrozza.

Si accordarono quindi che i due giovani non andassero persi, e quindi ognuno proseguì per la sua strada.

François e Reve camminarono ancora un bel po', sempre con il naso per aria, finchè non trovarono un posto di loro gradimento, ed entrarono.

“Finalmente” disse Reve, sedendosi al tavolo della taverna “ non sono più abitutato a camminare così tanto” disse stendendo le gambe sotto il tavolo e lamentandosi di avere sbagliato calzatura.

“...sembri mio padre!!! “ disse François leggendo su un pezzo di carta scritto a mano il menu “ dunque, che cosa ci facciamo portare?” chiese l' amico, notando che l' oste si stava avvicinando. Era quasi ora di pranzo: quindi, decisero di mangiare e si fecero portare sidro, moules frites, altri frutti di mare, e per finire del sidro e del vino.

“finiremo per scoppiare” disse Reve quando l' oste si allontanò con la comanda.

“si , ma saremo felici” rispose François-

 

Nel frattempo, si guardarono intorno; la taverna era piena di gente, di qualsiasi estrazione sociale, anche se la gran parte dei presenti era costituita da borghesi o comunque classi medio alte.

“cosa stai pensando?”chiese François seguendo con lo sguardo Reve.

“ nulla, stavo osservando in giro” .

François rimase in silenzio, giocherellando con il bicchiere ormai vuoto di sidro; conosceva il cugino, e sapeva che nella sua testa stavano passando un pò di cose.

“ Credi che sia giusto così?” chiese Reve, indicando i tavoli intorno ai loro.

“così come? A cosa ti riferisci?” chiese François.

“guardati in giro...ci sono solo che uomini e donne di un certo tipo, non vedo gente comune....”

“ancora non capisco dove vuoi andare a parare,Reve : cosa intendi?”

“voglio dire che, anche se ora insieme al Re c'è una costituzione che dovrebbe regolare le cose, in realtà non è cambiato nulla. I poveri e le classi meno abbienti sono sempre fuori da qualsiasi contesto.... la rivoluzione cosa è stata servita, se non si è imparata davvero la lezione? Eh si che sono stati spesi testi e testi, sull' argomento....” rispose, infervorato.

“Reve, abbassa la voce...non vorrei passare dei guai” disse François capendo benissimo le parole dell' amico; nel frattempo l' oste arrivò con i piatti, ed i due iniziarono a mangiare, di gusto.

“Capisco cosa intendi, ora, e sono d' accordo con te, anche se tu hai proprio sta fissa, della Rivoluzione...” disse poi ad un tratto François, mentre ingurgitava dei frutti di mare.

“Una fissa?” disse Reve, alterato, picchiando il pugno sul tavolo e trattendendo a stento la rabbia-

“Si, hai capito bene: una fissa. Non puoi, in ogni cosa che fai e che trovi, metterti a questionare...ci sono modi e tempi per farlo: ascoltami bene, cerchiamo di non passare dei guai. Ti ho chiesto solo questo. Stai calmo” . François disse le cose in modo pacato, e fissava Reve negli occhi, per riportarlo alla ragione. Sapeva di avere sbagliato a dire così, e si scusò, anche se la reazione del cugino gli diede da pensare; ma visto la crisi che lo aveva colto qualche settimana prima, non diede peso al tutto.

I due uomini continuarono il loro desinare più o meno tranquillamente, grazie al sidro ed al vino: quindi, pagarono il conto ed uscirono dal locale, per riprendere il loro cammino e forse anche la loro discussione, se non fosse per

una voce interruppe il loro proseguire.

“scusate, signori” disse qualcuno alle loro spalle “ ehi, dico a voi, una parola, per favore”

I due si girarono, e si trovarono davanti un uomo, ben vestito, dall' aspetto nobile e ricercato. Aveva un accento inglese, ma parlava comunque un francese impeccabile. Gli occhi erano azzurri come uno dei laghi alpini che Reve aveva visitato, ed i capelli erano un biondo chiaro, ma non troppo. Si, era decisamente straniero.

“mi chiamo Alexander Carter Shaw, sono un cittadino inglese di origine svedese. Vi chiedo perdono per avervi disturbato. Ero seduto ad un tavolo di distanza dal vostro, con altri due uomini, ed ho ascoltato la vostra conversazione. “ disse, d' un fiato. Reve inizò a sudare freddo: che il cugino avesse ragione? Si erano appena messi nei guai?

L' uomo probabilmente vide i due sbiancare in volto, quindi fece cenno di spostari a lato della strada, distanti dalla gente di passaggio.

“non preoccupatevi:non voglio farvi del male. Vi ho sentito parlare di una argomento che sta a cuore anche a me, più di quanto pensiate...inoltre il vostro viso non mi è nuovo” disse indicando Reve

“mi dispiace, signore, ma io credo proprio di non conoscervi” rispose lui, sempre più stupito della piega che stavano prendendo gli eventi “ non so davvero come aiutarvi”.

“Chiedo scusa, forse mi sono sbagliato: in ogni caso, volevo avvisarvi di stare attenti, perchè danno la caccia a chi come noi vorrebbe un mondo nuovo” disse.

Reve e François si guardarono in viso l' un l' altro. “in realtà Monsieur Carter Shaw noi non siamo nessuno, le mie erano considerazioni fatte d' impeto...”disse Reve.

Quello strano uomo li osservò ancora un attimo, poi li salutò e girò sui tacchi, scusandosi ancora per l' accaduto.

 

 

 

***

 

 

 

“Oggi, in una taverna, un uomo ci ha fermati. Ha detto di chiamarsi Alexander Carter Shaw e di essere cittadino inglese di origine svedese. Ha ascoltato alcune nostre conversazioni, e quando siamo usciti, ci ha seguiti” disse Reve,mentre beveva del cognac insieme a Girodelle, nel salottino di casa Dubois. Victoria era seduta insieme a loro. La cena era già stata servita e i presenti si erano trovati un attimo per fare un pò conversazione sulla giornata passata.

Girodelle, sorpreso, fissò i suoi occhi dentro quelli del ragazzo.

“E cosa voleva? Vi ha minacciati?” chiese, preoccupato.

“no, assolutamente!” disse François.

“infatti...è stato molto gentile, si è presentato dicendo che aveva ascoltato la nostra conversazione e probabilmente ci ha preso per altre persone....” disse Reve.

“scusami, ma di cosa stavate parlano?” chiese Girodelle, sempre più stupito e curioso. Anche Monsieur Dubois aveva le orecchie ben tese.

“stavo facendo alcune considerazioni insieme a François, riguardo al fatto che in quella locanda vedevo solo persone abbienti, e che certi privilegi ancora non vengono concessi a chi possiede poco o nulla...e ho accennato alla Rivoluzione” disse Reve, posando il bicchiere sul tavolo ed andando verso il caminetto. Rimase quindi li, fermo, ad aspettare una qualsiasi reazione.

Girodelle, cambiò colore in viso.

“Reve, devi stare molto attento, santo cielo!!! “disse, alzando la voce.

Reve rimase sconvolto da quella reazione. Anche Victoria , a giudicare dai suoi occhi sgranati.

“Perdonami, Florian...” disse il ragazzo, a testa bassa e sorpreso dalla reazione del vecchio.

 

“signori, vi pregherei di lasciami solo con Reve....no, tu resta pure, Marcel” disse ai presenti e a Dubois, già sulla porta per andre con gli altri in salone.

 

I tre restarono in silenzio un bel pò.

 

“Reve, ora siediti: dobbiamo parlare” disse infine Girodelle. Prese ancora un sorso di cognac. Reve si mise a sedere, proprio di fronte a loro, pronto ad ascoltare.

 

“Tua madre e tuo padre ci hanno, di fatto, chiesto di farti da tutori, e questo – almeno per quanto riguarda me – credo che tu già lo sapessi. Cerca di capire la nostra preoccupazione. Hai l' indole e il carattere di un purosangue, come lo era tua madre, e l' ardore e la tenacia di tuo padre; hai passato un brutto periodo e posso comprendere le tue reazioni ed i tuoi pensieri, affanciandoti e prendendo consapevolezza di te, delle cose, della tua famiglia.

Reve, ti ho visto crescere, non voglio che tu corra pericoli. Per quale motivo credi che non abbiano aspettato a parlarti così tanto della Rivoluzione? Perchè avevano dei segreti personali da nascondere? Probabilmente si, e va bene così; ma sappi, che hanno sempre tergiversato perchè ti conoscevano. Sapevano che avresti preso le cose di petto, e ti hanno protetto. Sei sangue del loro sangue. Tu non c'eri sulle barricate, o davanti alla Bastiglia, quando li hanno quasi uccisi e tuo padre , disperato, ha tenuto tra le braccia tua madre morente sperando che si salvasse – come per fortuna è accaduto- ; non c'eri a vedere cosa è successo dopo, le persone che scomparivano solo perchè volevano dire la propria opinione, o il vagare da un posto all' altro per non esser scoperti. Io, Dubois, Bernard, Alain e molti altri abbiamo salvato parecchie di queste persone, rischiando la propria vita “ disse Girodelle, con le lacrime agli occhi “ Reve, porta pazienza, e cerca davvero di ascoltare le parole sconnesse e istintive di un vecchio. Andrè e Oscar hanno fatto questo per non farti passare quello che hanno passato loro... lo hanno fatto per amore, solo per amore ...”

Reve ascoltava in silenzio, con le lacrime agli occhi. Non disse nulla, perchè la sua mente tornava a Nyon, alla serenità di quei giorni fatta di passeggiate, di cene, di corse a cavallo, di duelli con la spada, di letture, e di amore.

Non sapeva cosa dire, perchè aveva molte cose in testa, oltre a questi ricordi.

Tergiversò per un attimo cercando le parole adatte, e dopo un attimo si alzò, iniziando a fare avanti e indietro per il salottino, con le mani dietro la schiena.

“io vi ringrazio... queste parole sono molto importanti per me, perchè vanno ad unirsi a tutti i vari tasselli dispersi qui e là nel mio animo e nel mio cuore, costruendo la mia identità. Mi scuso se con il mio comportamento vi ho fatto preoccuapare, e vi sono grato, dal profondo del cuore, di avermi parlato così francamente. Rispetto le volontà di mio padre e mia madre, che mi hanno cresciuto tenendomi lontano dai pericoli e dalle sofferenze....ma..sono un uomo, ora. Lasciate che faccia le mie esperienze...lasciatemi libero di farle” disse, d' un fiato, mentre le lacrime rigavano il suo volto.

 

“sapevo che sarebbe arrivato questo momento e conoscevo il rischio delle mie parole “disse Girodelle, chinando il capo. “ ma va bene così.

“abbiamo ritenuto opportuno parlartene... ora che sai, valuta tu come vuoi vivere...noi non possiamo impedirtelo” disse infine Dubois. “ora hai un quadro della situazione, ma prima che tu decida cosa fare della tua vita, devi renderti conto che la Francia sta vivendo un momento particolare...ci sono persone come noi, per così dire liberali, che vorrebbero cambiare le cose, e non sono viste di buon occhio.”

“io non so di cosa voi stiate parlando, monsieur Dubois, ma state sicuro che non mi metterò nei guai. Voglio solo visitare la Francia, andare a Parigi, vivere fino in fondo la storia della mia famiglia.... Ora scusatemi, andrei a riposare....” rispose, uscendo dalla porta. Non era stato molto cortese e se ne rendeva conto, ma aveva fretta di raggiungere una persona.

 

Girodelle e Dubois si guardarono.

“noi il nostro compito lo abbiamo sempre fatto, rispettando le volontà di Oscar e di Andrè; non possiamo però metterci contro il destino, e se Reve vuole questo, è giusto che sia così” disse Dubois.

“gia “ rispose Girodelle “non possiamo metterci contro il destino, soprattutto quello delle Rose”

Piano piano si alzò, e , accompagnato dall' amico, tornò in salone con gli altri.

 

Reve non andò a dormire, ma con una scusa qualsiasi, uscì e cercò di raggiungere la taverna dove qualche ora prima, aveva incontrato quell' uomo. Prese una carrozza, ed in poco tempo raggiuse il luogo; vi era un gran viavai di gente, ma non riusciva a scorgere Alexander. Aveva voluto andarci solo, senza dire niente nemmeno a François, perchè era una questione sua.

Passeggiò per circa mezz'ora per la piazzetta antistante il locale, poi finalmente lo vide, e questa volta fu lui a fermarlo.

“Monsieru Shaw” chiamò, prima sottovoce e poi più forte.

“Si?” disse l' uomo, voltandosi

“Mi chiamo Reve Grandier, ci siamo incontrati oggi. Ho una curiosità, perdonatemi” disse. Alexander si avvicinò, guardandosi intorno

“ditemi pure...”rispose l'uomo.

“mi avete detto, oggi, che vi pareva di avermi visto da qualche parte, in un quadro, forse. “

“si, è così” rispose l' uomo, rilassandosi “ assomigliate molto ad una persona ritratta in quadro che si trova nella casa di famiglia. A dire la verità, è proprio identico a voi. Questa cosa mi ha incuriosito parecchio...”

“ vi ricordate se vi era un nome, un riferimento? Per mera curiosità, nulla di chè” rispose Reve, sorridendo cercando di mettere Alexander a suo agio.

“Si, ricordo qualcosa. Mio zio teneva molto a quel quadro, ritraeva un suo caro amico, che non ha più rivisto. So che voleva mandargliero, ma poi tornò partì, girovagò un po' e tornò in Svezia, cosicchè il quadro rimase a casa nostra. “ rispose Alexander.

Reve era curioso, a questo punto.

“Che strana storia” disse “ non vi ricordate niente altro?

“si, il nome che vi era sul ritratto. Andrè Grandier” rispose Alexander, fissandolo negli occhi, serio.

Reve gelò.

“Come si chiamava, Vostro zio?” chiese con un filo di voce

“Fersen. Era il conte Hans Axel di Fersen”.

 

 

 

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Capitolo 7
*** Nell' Anima ***


 

 

23 Luglio 1816, Parigi.

 

 

Spesso cammino per le strade di questa grande città, ci cammino per ore, osservando tutto ciò che mi è dato vedere; lo faccio da giorni, attraverso le vie principali, ma anche nei vicoli, nelle taverne, lungo la Senna, davanti Notre Dame, nelle botteghe artigiane.

In qualsiasi luogo vada, io vi sento vicini, sento che siete con me, nei miei piedi, nei miei occhi, nel mio cuore.

E' una sensazione strana, ma che mi rende felice.

Dovunque vada mi chiedo: ci saranno mai stati, qui? E mi do subito anche la risposta: ma che domande fai, Reve Grandier? Certo che ci sono stati, tua madre era capitano della gurdia cittadina, e tuo padre era con lei...sono nati e vissuti qui...!

vi immagino, giovani e pieni di forza, ormai decisi nelle vostre scelte, combattere con il vostro cuore e tu mamma, combattere contro la tua famiglia, da sempre leale ai sovrani... e poi riuscire a seguire ciò che volevi fare.

 

Ho incontrato nuova gente, sapete? Ho incontrato chi mi ha parlato di voi. E' stato bellissimo.

 

Alexander, attraverso i racconti di suo zio, mi ha descritto la vita di quell' uomo nel quadro.. papà! ... quanto devi avere sofferto,non riesco ad immaginarlo! Abbiamo passato una notte intera a parlare di voi e l' ho ringraziato, per avermi permesso di riscostruire un tassello della mia, della vostra vita.

Anche lui è qui a Parigi, ha raggiunto suo fratello Maximilian, e spesso ci incontriamo...Sono bravi ragazzi, mi hanno promesso che quel quadro potrà essere mio,se lo voglio, ed io non vedo l' ora che venga spedito, anche se ciò non avverrà subito perchè al momento attuale ancora non so dove andrò a stare. Parigi mi tenta.

 

 

Un altro incontro che ho fatto, e questo credo sia opera di Girodelle affinchè potessi “chiudere il cerchio” riguardo alle mie curiosità , è Alain.Che sorpresa!

Mamma, papà, l'ho incontrato. E' vivo , sta bene, e volete sapere una cosa? Vive nella locanda dove alloggio: sua figlia Diane la gestisce, mentre Alain osserva e controlla tutto ciò che passa in quelle stanze.

Quando mi ha spiegato chi era, ho preso un colpo. Mi osservava da un paio di giorni; una sera ha preso una bottiglia e una vecchia divisa, ormai a brandelli, e si è seduto al tavolo dove io e François stavamo mangiando. Mi ha guardato ancora, a lungo. Poi ha versato il vino, ha alzato il calice e brindato a voi...quando ha iniziato a parlare, e non ha più smesso. Alla fine mi ha abbracciato, forte. Aveva le lacrime agli occhi.

Papà, so che era uno dei tuoi migliori amici: ti voleva molto bene, non c'è un attimo in cui non mi parli di te, delle vostre avventure, di ciò che vi passava nella testa in quei giorni di giugno e luglio, delle vostre paure. Mi ha raccontato anche di Londra, ma non è voluto entrare nei dettagli riguardo alla tua fuga da mamma ed io lo ringrazio, perchè è giusto che alcune cose rimangano solo vostre.

A volte le lacrime scendono, quando parliamo , soprattutto se parlo degli ultimi giorni, e di come tu, papà, abbia raggiunto la mamma dopo solo una ora dalla sua morte. Scendono dal mio viso, da quello di Alain. Piangiamo tutti come bambini, quando parliamo di voi.

Perchè ogni cosa, davvero, mi parla di voi, volente o nolente.

Siete stati dei genitori straordinari, stupendi, ma ancora di più eravate persone straoirdinarie, fuori dal comune; ciò che per me era normale, per molti non lo era, e solo ora me ne rendo conto.

Non posso e non voglio entrare nella vostra testa, non voglio andare oltre ciò che mi è concesso sapere. Voglio solo dirvi grazie per quello che avete fatto per me, perchè mi avete fatto conoscere il significato di libertà.

 

Sono stato anche a Palazzo Jarjayes, mamma. Mi ci ha portato la persona che mi hanno indicato Girodelle e Lamarche. Con me c'era François. Quando mi sono trovato li ho sgranato gli occhi, ho osservato quel giardino, quella casa, ed in lontananza Versailles.

Siamo entrati, e ci sono subito venuti incontro dei bambini, che ci hanno detto di vivere li; strano, perchè il posto è ormai diroccato. Andando avanti ho trovato una donna che ripuliva alcune aiuole e le tombe dei nonni ; si è spaventata, vedendomi, e anche io mi stavo chiedendo cosa facesse li. Lamarche voleva farli cacciare, perchè era evidente che fossero dei vagabondi, ma io l'ho fermato. Ho parlato con quella donna e con il marito, dicendo di essere uno dei discendenti nonchè proprietario, e ho detto loro di fermarsi finchè ne avranno bisogno: sono stato stolto a fidarmi, ma il cuore mi diceva di fare questo, e io l' ho seguito. Le tombe dei nonni sono curate, e anche quello di una signora, penso sia la nonna di papà, è davvero bella. Ho lasciato delle monete a quella gente, così che possano prendersi cura del palazzo o meglio, di ciò che ne resta.

Ho fatto male? Sono stato troppo ingenuo? Non mi importa: io con la mia anima sono a posto, eventualmente saranno loro a fare i conti con la propria. Comunque, tornerò presto a fare loro una visita.

Ho anche vagabondato per grande giardino, pieno di rose , di fontane, ho visto le stalle, dove erano tenuti i vostri amati cavalli. Ho immaginato voi, bambini, correre in quello spazio.

Poi sono salito in casa, facendomi largo tra porte divelte, mobili vecchi, e tracce di chi nel frattempo ha occupato la casa. Sono andato nei vecchi saloni, su per le scalinate rimaste in piedi non so come, ho girato per le stanze.Da un mangifico terrazzo si vede Versailles. Chissà quante volte lo avete osservato da qui.

Immaginavo il nonno dare ordini e tu , mamma, nella stanza a leggere. Immaginavo il papà nelle stalle, immagino le vostre bevute belle bettole parigine, immaginavo i giorni precedenti alla rivoluzione. Immagino cosa passasse per le vostre anime tormentate e mi chiedo come siate riusciti a mantenere la serenità che leggevo nei vostri occhi, perlomeno in mia presenza.

François è stato accanto a me senza mai dire una parola, e lo ringrazio per questo, perchè ha rispettato il mio silenzio ed i miei pensieri.

E' un uomo d' oro. Avevo invitato anche Alexander, ma non se l'è sentita, ha detto che era una cosa mia. Lo rivedrò comunque nei prossimi giorni.

 

 

Mi fermerò a Parigi per un pò, ormai ho deciso; ho lasciato a Rosalie e Bernard tutto ciò che serve per la casa in Normandia.

Cosa farò della mia vita, però ancora non lo so.

Ho provato a costruire qualcosa con Victoria, ma ho corso troppo e lei vuole essere libera. Ti assomiglia, mamma; ti assomiglia tanto. Le hai dato un buon esempio, direi! In ogni caso le vorrò sempre molto bene. Avevo immaginato di venire qui con lei, ma pazienza. Rispetto la sua scelta, perchè come mi avete insegnato voi, ognuno deve essere libero, uomo o donna.E' un qualcosa di sacrosanto.

 

 

 

 

Mi mancate tantissimo.

A volte chiedo a Dio, semmai esista, come mai non mi ha lasciato ancora un pò di tempo con voi, avremmo potuto passare molti giorni ancora, insieme, e magari tornare qui, insieme.

A volte lo odio, questo Dio, per ciò che ha fatto.

A volte vorrei strapparmi il cuore, dal male che fa.

Ma questa è la vita, ed io la accetto, o almeno ci provo.

 

 

Rimarrò a Parigi ancora un pò. Poi credo andrò ad Arras, dove ci sono le altre tenute dei Jarjayes. Ci penserò man mano, a cosa fare, ma di una cosa sono sicuro: la vostra memoria andrà avanti. Ciò che avete fatto andrà avanti, dentro di me e nelle parole degli uomini che sento parlare quando vado con Alexander. Uomini che non vogliono più sottostare a nessun re.

 

Ora sono stanco, molto stanco. Non scrivevo da tempo, e stasera avevo proprio voglia di “parlare” con voi.

Siete sempre nel mio cuore e nella mia anima, in ogni respiro.

 

 

Reve.

 

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Capitolo 8
*** L' imprevisto ***


 

 

 

19 settembre 1820

 

Reve camminava ormai da ore, immerso nei suoi pensieri, tanto che non si accorse che aveva iniziato a piovigginare. Guardò il cielo grigio e scuro, che non prometteva nulla di buono, e chiamò Xavi con un fischio. Il cane arrivò

all' istante, trotterellando, e si mise seduto in attesa di una carezza, come faceva di solito.

“andiamo, Xavi, sta facendo buio” disse Reve, parlando al suo cane come se fosse un cristiano; quindi, si avviarono sulla strada del ritorno sperando di non prendersi un bell' acquazzone come era successo qualche giorno prima.

Camminava con le mani in tasca e lo sguardo a terra, pensando alla sua vita, a tutto ciò che era cambiato e che stava cambiando, a ciò che faceva, alla libreria, alla associazione, alla scuola Grendier- Jarjayes; un turbinio di pensieri, voci, idee occupava costantemente la sua testa. Pensò anche di fermarsi alla Locanda, prima di andare a casa: voleva salutare Alain, che si ostinava a restare lì, nonostante a palazzo lui e Diane potessero offrirgli stanze e conforti vari.

Reve era felice. Felice come non mai. Da due anni, ormai, si era stabilito a Parigi dopo un andirivieni tra la città e la Normandia durato altrettanto tempo e da qualche mese aveva sposato Diane; in totale, quattro anni erano passati, da quando, insieme a François, era arrivato in città per la prima volta.

 

Ad un tratto, poco prima di girare l'angolo della piazza dove si trovava la locanda, si fermò: aveva visto un ombra che si muoveva, accanto a lui, furtiva: “forse un ladro” pensò tra sè, accelerando il passo.Tuttavia, quell' ombra e quella sensazione sgradevole non lo abbandonarono: quindi decise di prendere il toro per le corna, e si girò di scatto, trovandosi davanti la lama di un coltello che, nel giro di pochi secondi, lo trafisse facendolo cadere a terra.

Nemmeno il tempo di capire cosa stesse succedendo e tutto divenne più nero della notte.

 

Sono morto? Dove sono? Cosa sono queste voci intorno a me? Xavi, dove sei? Diane, dove sei?” pensò, mentre il sangue scorreva dalla ferita che l' uomo gli aveva inferto al petto e che scorreva caldo nella sua mano.

che strana sensazione, sono steso qui a terra, non riesco a muovermi, ma sono in pace...spero solo che tutto questo passi in fretta, nel bene e nel male”.

Xavi leccò il viso di Reve, senza però risvegliarlo. Quando trovarono Reve, il cane era steso accanto a lui.

 

 

“Dove lo avete trovato?” chiese Alain, appena entrato a Palazzo Jarjayes.

“ Vicino alla locanda, proprio dietro l' angolo. Era riverso in una pozza di sangue, ne ha perso molto, ma per fortuna è vivo: la persona che lo ha accoltellato non ha leso organi vitali” rispose François, pallido come un cencio.

Era seduto accanto a colui che reputava un fratello, con le lacrime agli occhi, controllando costantemente ogni movimento di Reve.

Alain prese posto anch' esso su una delle poltrone della stanza, e rimase lì, pensieroso, con il viso tra le mani.

“ Hai idea di chi possa essere stato?” chiese Alain.

Nel frattempo, arrivò anche Alexander, trafelato.

“non saprei, Alain. Certo i suoi articoli sul giornale e la sua scuola qui a palazzo non sono amate ed apprezzate da tutti, ma arrivare ad ammazzarlo o tentare di farlo...non saprei proprio” rispose

“ purtroppo era un rischio calcolato” intervenì Alexander, salutando i presenti e togliendosi il cappotto. “ da tempo riceveva minacce...vi ricordate qull' articolo riguardante i moti in Italia e Spagna? Si era scagliato contro alcune associazioni francesi...forse qualcuno di loro...” disse. Ma non era il momento, quello. Ora dovevano pensare a lui.

I tre uomini rimasero in silenzio per un attimo, osservando Reve che gemeva, nel letto. Il dottore era andato via da poco, lasciando un pò di speranza e qualche intruglio con cui curarlo; la ferita non era bruttissima, ma sicuramente tutto ciò non avrebbe avuto una risoluzione veloce.

Xavi era steso ai piedi del suo padrone, al quale rivolgeva uno sguardo, di tanto in tanto, aspettando il suo risveglio.

“non ci resta che sperare” disse Alexander, camminando avanti e indietro per la stanza. “Se credessi in Dio, prenderei in considerazione anche la preghiera, in questo momento”.

In quel momento entrò anche Diane:Era appena arrivata dalla visita ad una sua amica che aveva appena avuto un figlio. T

rafelata e pallida come un cencio, si mise accanto al suo uomo, tenendogli la mano e unendosi al silenzio degli altri presenti. Iniziò a piovere.

 

 

 

***

 

 

François osservava Palazzo Jarjayes che prendeva forma, e non vedeva l' ora che arrivasse Reve. Aveva finito. Il lavoro iniziato un anno prima, finalmente, era terminato e la casa di Oscar era finalmente tornata agli antichi splendori; con qualche modifica ovviamente, dettata dal progetto di Reve.

La scuola che avrebbe dovuto nascere era un sogno realizzato, che anche François condivideva: quante notti insonni avevano passato , i due amici, a parlare di questa cosa con Alexander e gli altri della compagnia...il ragazzo non le contava, perchè erano davvero tante.

Reve sarebbe arrivato una volta chiusa la libreria che da alcuni mesi gestivano e che serviva anche da sede per l' associazione ed il giornale di liberi pensatori che , insieme a Alexander, avevano creato lui e François.

 

Finalmente lo vide arrivare: trafelato, come al solito, con i capelli -che si ostinava a tenere lunghi - appiccati alla fronte; portava, sotto il braccio, un involucro voluminoso.

“buongiorno Reve. Ti aspettavo” disse con un largo sorriso François, aiutandolo con le briglie di Justine e prendendo l' involucro tra le mani “ma cosa ci hai messo dentro? Credevo fosse il mio pranzo” concluse, ridendo.

Reve osservò il Palazzo.

“E' finito?” chiese Reve, cercando di rimettersi in sesto i capelli e sistemandosi la camicia.

“Si. Come ti ho detto stamattina,ero sicuro di concluderlooggi; addirittura , anche prima di sera” rispose FrançOis.

Reve abbracciò l' amico ringraziandolo per i suoi sforzi: quella scuola, quel sogno, erano anche suoi. François lo condusse infine all' interno del grande palazzo e gli mostrò gli ambienti.

Dove una volta vi erano i saloni, erano state ricavate tre aule che dovevano essere ancora arredate, ovviamente; la cucina era rimasta al suo posto, ed era stato aggiunto, li accanto, un piccolo refettorio per il pranzo.

Al piano superiore invece i luoghi erano rimasti gli stessi; François aveva fatto dei semplici lavori di restauro; quella sarebbe stata la casa di Reve.

“Sei stato davvero bravo, non ho parole...hai preso i nostri sogni e li hai fatti diventare reali “ disse Reve, entusiasta.

François era davvero molto bravo. Aveva sempre avuto un dono per questo genere di lavori, e si vedeva. Aveva decismente trovato la sua strada.

I due amici si abbracciarono, e poi scesero e uscirono fuori.

“ma cosa c'è in quell' involucro?”chiese François, indicandolo.

Reve lo prese, e aprì il tutto: era una targa.

 

Agli uomini e donne

che hanno fatto la Storia

ed a quelli che la faranno

 

SCUOLA DEI LIBERI PENSATORI

O. JARJAYES

A. GRANDIER

1818

 

 

 

“mio Dio Reve, è bellissima!!! “ esclamò François, commosso; quando la videro anche gli altri lavoranti, apprezzarono molto. Tuti i presenti erano, in fondo, figli, fratelli o cugini della Rivoluzione.

“quanto vorrei che i miei genitori fossero qui” sussurrò all' amico che, silenzioso, lo guardò e sorrise.

Nel frattempo, arrivò al galoppo anche Alexander: aveva saputo da Diane che i lavori erano finiti, e decise di portare da bere e mangiare per tutti; infatti, dietro di lui, arrivò un carretto con ogni ben di Dio, di cui gli uomini e le donne presenti furono ben felici.

.

Alexander di unì alla compagnia, felice. Che grande giornata!!!

 

I tre amici rimasero a palazzo ancora qualche ora, poi i rispettivi doveri li richiamarono :François si preso un meritato riposo, mentre Alexander e Reve tornarono alla libreria; tra le altre cose Reve avrebbe divuto scrivere un articolo, entro sera, e non aveva ancora iniziato.

Giunto alla libreria in anticipo, quindi decise di mettersi al lavoro: avrebbe parlato della scuola, del libero pensiero, dei passi in avanti che la società avrebbe dovuto fare per essere davvero libera. Non erano parole semplici e nemmeno facili le sue, ma era ciò che sentiva, ciò in cui credeva e che condivideva con tutte le persone della associazione oltre che con i suoi amici.
Restò su quell' articolo per circa tre ore,finendolo ; poi, stanco, fece due passi sistemando alcuni libri sugli scaffali; era immerso nei suoi pensieri quando entrò Diane. Era bella come il sole.

“Ciao,Reve! Pensavo saresti passato dalla locanda, ma non ti ho visto arrivare...” disse, entrando.

“Ciao, Diane! Hai ragione, ti prego di scusarmi, anche con Alain...ci verrò stasera, però: dobbiamo festeggiare. Abbiamo finito i lavori” esclamò.

Diane sorrise, ne era felice anch' essa; poi si mise a sedere in una delle poltroncine da lettura presenti nella stanza.

“sono davvero felice, Reve; per te, ma anche per ciò che sarà. Sono sicura che tutto andrà bene. “ disse “ tieni, ti ho portato un cestino con qualcosa da mettere sotto i denti...”

“Lo spero anche io, Diane; ci ho messo e ci sto mettendo l' anima, in ciò che faccio” rispose “ e grazie, per avermi portato un pò di cibo...cominciavo a sentire le rane nella pancia”.

Reve provava, con qualche battuta, a rendere l' atmosfera leggera ma era in imbarazzo, da solo con Diane. Provava per lei un sentimento profondo, nuovo, qualcosa che andava oltre l' amicizia. Non era solo attrazione, la sua, ma era un misto di pensieri, di sensazioni. All' improvviso, trangugiato l' ultimo boccone di prosciutto, prese coraggio. Era il momento giusto.

“Diane, credo che dovremmo parlare” disse, d' un tratto. Si alzò in piedi, iniziando su e giù per la stanza.

“E ora cosa c'è? Ci sono problemi? Il prosciutto non era buono?”chiese lei, senza scomporsi.

“no, Diane cara. Il tuo pranzo è buonissimo. Vorrei solo dirti alcune cose...e sento che sia il momento giusto”

Diane era silenziosa, e sorpresa. Lo guardava negli occhi,il suo sguardo penetrante brillava.

“Vorrei avere l' occasione di poterti frequentare. Credi sia possibile?”chiese

l' uomo; Diane restò in silenzio. Reve rimase lì impalato davanti a lei in attesa di una risposta.

“Ti aspettavo, Reve. Ti aspettavo da un pò, e finalmente ti sei deciso, anche se avresti potuto dirlo con parole più semplici” rispose lei con il suo solito modo di fare, lasciandolo senza fiato davvero.

Reve sorride e si avvicinò, prendendole la mano; era felice, voleva parlarle da un pò; ma soprattutto non voleva fare le cose in fretta e tantomeno mettere premura a Diane.

“Non credevo che la tua risposta fosse già pronta” disse “ e ne sono immensamente felice. Non voglio avere fretta, ma lasciare che le cose si costruiscano man mano” . I suoi occhi erano sinceri. Diane, che non era persona di molte smancerie, prese per la vita Reve:

“ adesso però baciami, Reve, altrimenti poteri cambiare idea: parli troppo, pensi troppo...devi agire! “ disse , ridendo; una risata contagiosa che prese anche il suo uomo, che l' abbracciò forte, e la baciò, dolcemente, mentre il cuore sembrava uscirgli dal petto.

Restarono occhi negli occhi a vivere questo momento che entrambi desideravano non finisse mai; poi la realtà tornò a bussare alla porta, sottoforma di Alexander che, impacciato, prima si prodigò in mille scuse , poi si congratulò con i due: “ scusatemi ancora, ragazzi, non volevo crearvi imbarazzo” continuava a ripetere senza sosta, diventando rosso ogni volta.

“Alexander, se non la pianti, ti sbatto fuori” disse infine Reve “ e' la quinta volta che ti ripeti”. I presenti scoppiarono a ridere.

 

“Prima però devi dirmi una cosa: Reve, è pronto l' articolo?”chiese Alexander.

“Si, è sulla scrivania:dagli una occhiata e dimmi cosa ne pensi, come al solito. Penso di avere calcato la mano, prendendo in giro alcuni esponenti..ma se lo meritano” rispose lui.

Alexnder sorrise.

“Senti Reve, ho un regalo da farti” disse, serio, cambiando argomento.

“ma ancora non ho parlato di matrimonio” rispose Reve, buttandola in battuta. Anche Diane rise.

“Dai, sii serio” rispose Alexander “ finalmente è arrivato”

“arrivato cosa?”chiese. Era curioso, e non capiva proprio a cosa stesse pensando l' uomo.

“il quadro. Te lo porterò stasera...” rispose “ ci vediamo stasera alla locanda” disse uscendo.

 

Il quadro di suo padre. Guardò Diane, che si era fatta seria; poi ognuno riprese le proprie incombenze. Reve chiuse bottega appena dopo il tramonto, e si avviò verso la locanda, distante una decina di minuti ; fatti due passi, però, si accorse di qualcosa in terra, accanto ad un vecchio ubriacone. Era un cagnolino, un cucciolo di pochi mesi, che non sembrava passarsela bene.

“Ehi! Ehi” sveglia, Marc!!! Dove hai trovato questo cane?” disse Reve, scuotendo per le spalle l' uomo, che dormiva con una bottiglia in mano.

L' uomo lo guardò malissimo, svegliatosi di soprassalto, e borbottò qualcosa. “Marc, è tuo? Non vedi che sta male?” disse Reve. Si piegò sulle ginocchia e accarezzò il cucciolo; tremava. “ah, quel sacco di pulci...Prendilo, se vuoi. Me lo ha regalato un uomo che mi doveva due bottiglie. Devi pagarmi, però” disse l' uomo, che non aveva perso tempo a guadagnarsi ancora qualche bevuta; il suo alito emanava una puzza incredibile e Reve faticò a non dare di stomaco. Senza nemmeno contare, gettò all' uomo alcune monete, dicendogli anche di tornare a casa invece che buttare la sua vita in quel modo. Prese il cane, lo corpì con la sua giacca, e andò alla locanda.

Senza farsi vedere, salì in camera sua e si diede una sistemata: prese il cucciolo, lo mise vicino al caminetto acceso, poi prese un pò di acqua e lo pulì; infine, lo riprese con sè coprendolo di nuovo, e scese per la cena.

“Oddio, e questo cosa è?” chiese François, appena lo vide.

“L' ho preso a quell' ubriacone che spesso si apposta a pochi metri dalla libreria...credo sia ammalato, comunque ha molta fame..cosa potremo fare?” chiese.

François guardò il cagnolino teneramente. “ tienilo al caldo, appena di riprende penseremo al cibo. Credo abbia almeno 4/5 mesi, quindi potrebbe mangiare di tutto...” rispose “ a parte ciò, tutto bene? “

“si, grazie...”rispose “ più tardi devo darti anche una novità, amico mio”. Reve strizzò l' occhio e sorrise.

“D'accordo, resisterò fino alla fine della serata...ah, ecco Diane! Buonasera Diane, come stai? Come sta Alain?”

“bene, grazie” rispose sorridendo facendo finta di niente “ papà sta riposando un attimo, ma sta bene. Stasera vi faccio compagnia: non ci sono molte persone, ci penserà Josephine alle cose da fare.”

Reve sorrise, era felice di questa occasione. Gli uomini si alzarono, fecero accomodare Diane e aspettarono Alexander, che doveva essere li a momenti. Reve prese la mano di Diane, senza farsi notare da François; pareva di essere tornato adolescente, ai primi ardori, con tutti questi piccoli segreti.

Stavano parlottando facendo finta di niente quando il fagottino accanto a Reve si mosse. Lui guardò Diane, con aria finto colpevole.

“L'ho portato via ad un vecchio ubriacone. Non sta molto bene, poverino...” disse “ non ti disturba se lo tengo nella mia stanza, vero?”

Diane osservò prima il cane e poi Reve. Sorrise e accarezzò entrambi.

“Avrei fatto la stessa cosa. Hai fatto bene. Tienilo al caldo, poi cercherò per lui qualcosa da mangiare” disse.

In quel mentre, arrivò Alexander, recando con sè un involucro di medie dimensioni, avvolto da uno spesso strato di carta e legato con della corda. Reve si alzò e gli andò incontro.

“Eccomi,Reve. Come promesso. E' tuo” disse, mentre con una mano sosteneva il quadro e con l' altra cercava di levarsi la giacca.

Reve prese l' involucro e lo aprì piano, quasi avesse paura di romper qualcosa. Piano piano vide comparire una tela dallo sfondo chiaro, in cui spiccava un giovane uomo dai capelli neri che scendevano coprendo metà viso, vestito beno e con un sorriso che apriva il cuore.

 

 

“papà” sussurrò Reve, accarezzando quel viso “ papà, finalmente sei tornato a casa...ora ho un pezzo di te”. Il suo cuore era pieno di gioia.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 9
*** L' Imprevisto - 2 parte ***


Reve osservò il quadro che l' amico gli aveva appena donato.

Suo padre era li, davanti a lui; giovane, anche se già segnato dalle avversità che aveva provato sulla sua pelle. I capelli corvini coprivano metà del suo viso, chiaramente dove si trovava la cicatrice che gli aveva procurato Bernard, ai tempi in cui si dilettava a rubare ai ricchi per donare ai poveri. Il viso era disteso, gli occhi brillavano, quasi come smeraldi.Andrè era vestito elegantemente ma senza ostentazioni particolari e aveva un sorriso sereno; osservando la data, pensò Reve, doveva essere stato dipinto qualche mese prima che Andrè reincontrasse Oscar e tornasse in Francia.

 

Commosso, tornò a sedersi appoggiando il quadro accanto a lui, come fosse una reliquia; quindi iniziarono a cenare, scambiandosi ancora quattro chiacchiere sul dipinto e festeggiando la riuscita di Palazzo Jarjayes.

“ quando pensi di trasferirti?” chiese François, mentre mangiava

“Appena mi darai la tua approvazione: alcuni mobili li ho già acquistati, altri arriveranno dalla casa di Nyon... da mesi sono in contatto con Girodelle,e nelle scorsa lettera mi ha assicurato che sarebbero presto.” rispose.

“Ah, Girodelle...alla fine è tornato a Nyon? Credevo volesse restare a Rouen” disse Diane; “ ah proposito, non ho più avuto notizie di Victoria”

“nemmeno io, a dire la verità” rispose Reve, imbarazzato, anche se il tutto era acqua passata ed i due si erano lasciati in maniera tutto sommato cordiale.

“Credo che Girodelle sia tornato a Nyon per i suoi vigneti...penso li voglia vendere” disse François “ me lo ha scritto Victoria, e me lo hanno riferito anche i miei genitori...è passato da loro prima di partire”.

 

François? Victoria? “ pensò Reve.

 

“Come stanno?” chiese Reve “ è molto tempo che non torniamo in Normandia...

“... sono un po' acciaccati, ma tutto sommato le cose procedono bene. Sono presi dal matrimoni di Marie:dovrebbe sposarsi tra un paio di mesi...credo a novembre” rispose François.

“Direi che potremmo aspettare, allora, e tornarci tutti insieme. Diane, sarai dei nostri?”

Diane venne presa alla sprovvista, ma rispose affermativamente; avrebbe accompagnato il padre, in ogni caso.

“Certo, Reve, con molto piacere” disse poi, sentendo dei movimenti, fece cenno a Reve che il cane si era risvegliato e pareva anche stare meglio

“Ciao, piccolino” disse lei, prendendolo tra le braccia “ vi presento...come lo chiamerari, Reve?”

“non ne ho idea: chiamiamolo Cane, per ora, poi vedremo” disse accarezzandolo.

“Questa poi...dove lo hai trovato? Lo terrai?” disse Alexander osservando con tenerezza il piccolino.

“Storia lunga....e si, lo terrò...verrà con me a Palazzo, vero ?”

Il cagnolino, sentendo il calore delle mani e delle voci, prese a scodinzolare, diventando ben presto la mascotte della locanda.

 

***

 

“Allora Reve, cosa volevi dirmi? “chiese François, salendo le scale.

“Vieni dentro: ti dirò tutto” disse, facendo accomodare l' amico nella sua stanza.

Lasciò che Cane vagasse in lungo ed in largo; era come rinato, e di questo ne era felice perchè proprio non ci aveva sperato, vendendolo tutto raggomitolato su sè stesso. Prese il piatto di carne che gli aveva dato Diane e lo diede dal piccolo, restando a guardare mentre divorava tutto voracemente.

“François, ho chiesto a Diane di poterla frequentare. E' da un pò che ci penso, e oggi alla libreria ho preso coraggio. Le voglio molto bene, mi piace davvero” disse, mentre sistemava il quadro accanto al suo letto per non fare notare le sue guace rosse.

“ ah!” esclamò François allegro. Credeva di conoscere Reve, ma a quanto pare così non era. Lo stupiva sempre.

“Cosa dici? Ho fatto bene?” chiese

François si mise a sedere accanto al piccolo scrittoio.

“Hai passato i vent' anni, direi che sarebbe anche ora di una relazione e di un matrimonio “ rispose ridendo “ Ma Victoria? Sei proprio sicuro che con lei sia chiuso tutto?”

François lo fissava negli occhi, per scorgere ogni minimo segnale.

“Si, François; da parte mia si, e credo anche da parte sua” rispose

“Hai intenzione di sposare Diane, prima o poi?”

“Beh, direi che è un pò prematuro pensare a questo...non voglio commettere lo stesso errore che ho fatto con Victoria”

François annui. “Reve, scusa la franchezza e non prendermi a male parole ma... quindi se io volessi corteggiare Victoria tu non avresti nulla in contrario?”

“E perchè dovrei, amico mio? Anzi: ne sarei felice!” esclamò con un grande sorriso e con forti pacche sulle spalle.

 

I due rimasero a chiacchierare per almeno una oretta buona; poi Reve scese, voleva salutare Diane prima di ritirarsi.

La trovò seduta nel salottino, da sola, mentre leggeva un foglio.

“Reve, accomodati. Stavo leggendo questo” disse, mostrandoglielo “ pare che ci siano venti di rivolta un pò dappertutto...”

Reve prese il foglio e gli diede una scorsa.

“ E' inevitabile... anche se per la Francia, la vedo dura. Passeranno almeno altri 10 anni, prima che le cose cambino davvero...ma noi non dobbiamo mai smettere di combattere, con le uniche armi che abbiamo: la parola “ disse.

“Sarà più dura del previsto, prevedo. La prossima riunione quando ci sarà?”

“tra una settimana, fuori Parigi. Ci verrai ?” chiese lui

“si, ci sarò...Diane, ascolta...sei sempre dell' idea di volermi frequentare? Non sono un tipo facile, sono spesso impegnato, non posso prometterti nulla...”

Diane si alzò e prese le mani di Reve, stringendole forte.

“Reve, ti conosco e mi piaci per questo. Non dire nulla. Non servono parole, davvero.

Con me puoi sentirti libero: io, per prima, desidero libertà ed indipendenza, figurati se posso imporre il contrario a qualcuno.”

Diane baciò Reve con passione, per sigillare quelle parole, e lui sentì il fuoco, dentro; dovette trattenersi a fatica nel prenderla in braccio e portarla nella sua stanza , ma ritenne giusto aspettare.

“Oh, Diane” sospirò, guardandola negli occhi “....”

“non dire nulla...tienimi stretta a te” disse, sottovoce “ per tutto il tempo che vorrai”

 

 

11 agosto 1818

 

Credo di provare per Diane un sentimento forte, che ho quasi paura a definire; da un pò di tempo il mio cuore sobbalzava ogni volta che la vedevo...così ho preso coraggio e mi sono dichiarato ...un pò impacciato devo dire, ma gli ho chiesto di frequentarmi e vedere cosa succede. Sono un disastro, lo so; il tempo mi ha cambiato un poco, e non in meglio, direi.....

Ho anche un nuovo amico, che penso terrò con me perchè mi ricorda molto la mia infanzia; un tenero cagnolino che ho trovato per strada, vicino a quell' ubriacone di Marc...gli ho gettato qualche moneta e me lo sono preso. Credevo morisse tanto stava male, fortunatamente un pò di calore gli è bastato per riprendersi, povera bestiolina. Al momento l' ho chiamato semplicemente Cane...ci penserò con calma ad un nome appropriato o semplicemnte ad un nome che mi piace.

Per il resto, le cose procedono bene: tra qualche giorno presumo arriveranno alcuni mobili della casa di Nyon, finalmente potrò trasferirmi a palazzo Jarjayes e pensare ad aprire la scuola...poi starò a vedere se l' idea funziona. Alla libreria ci penseremo insieme io,François ed Alexander...mi sa che d' ora in poi i viaggi in Normandia saranno molto rari, purtroppo. Non vedo l' ora di andarci in occasione del matrimonio di Marie, voglio portare un fiore sulla tomba dei miei genitori e di mia sorella.

 

Sono un pò stanco ma felice della strada che ho intrapreso e che voglio percorrere fino in fondo, in qualunque posto mi porterà....

Guardo sempre avanti, e accetto il mio destino!

 

 

Come aveva preventivato, i mobili ed altre minuzie arrivarono fa Nyon su alcuni carri, tutto in buono stato, nel giro di alcuni giorni: finalmente, potè sistemare le cose a palazzo Jarjayes anche se per ora non ci avrebbe abitato. Diane era sempre con lui laddove gli impegni glie lo permettevano; François era preso da altri lavori e talvolta sostituiva Reve alla libreria.I due erano veramente felici ma soprattutto stavano vivendo questa esperienza senza alcuna fretta e senza alcun problema; restava solo da mettere al corrente Alain, sempre che non l' avesse già capito da solo...

“Diane, cosa ne pensi?” chiese Reve, osservando la posizione di un mobile che aveva sistemato in camera sua. Era una grossa liberia che aveva fatto restaurare, appartenuta a sua madre ed alla quale da mezz'ora stava cercando collocazione. La donna, intenta a pulire un tavolino, alzò lo sguardo ed osservò il tutto. Faceva caldo quel pomeriggio.

“secondo me stava già bene dove era prima, ma anche li non è male. “ disse

“non so..ho paura che risulti troppo pesante, forse era meglio metterla in una delle aule” disse l' uomo.

“Reve, non ti facevo così esteta. Lasciala dove è, per me sta bene. Sei sempre a tempo a cambiare” disse lei, riprendendo a pulire .In casa, oltre a loro, vi era tutta la combriccola, impegnata negli ultimi lavori di sistemazione.

Reve decise di seguire il consiglio, anzi l' ordine di Diane, e ridacchiando si avvicinò a lei, stampandole un bacio mimando passi di danza.

“non ti ho mai visto così: allora sei davvero felice, Reve Grandier...”

“non immagini quanto...anche se dentro di me come al solito sembra stia crescendo un uragano...ma è una cosa buona, positiva: queste sensazioni sono il mio motore....” rispose lui. Andarono a finire sul terrazzo, il terrazzo dove spesso Oscar si rintanava e dal quale si vedeva Versailles. Un' ombra attraversò gli occhi dell' uomo, che si appoggio alla balaustra con le braccia, osservando il panorama. Cane gironzolava per il giardino annusando tutto.

Non provava odio o rancore verso la monarchia, non odiava proprio del tutto quel mondo; in quel momento, si immedesimò nella madre e pensò alla sua vita. Diane se ne accorse e cinse le sue spalle in un abbraccio, restando, in silenzio, accanto a lui.

“e' un momento importante per te, e sono felice di esserti accanto...ti ho visto soffrire, ridere, piangere in questi due anni... e osservarti qui, finalmente realizzato, non può che farmi felice” disse Diane. Reve guardava lontano, ma quelle parole gli arrivarono al cuore. SI girò verso Diane con occhi pieni di lacrime.

“Grazie, Diane. Sapevo di avere trovato in te una grande amica, ora so di avere anche una grande compagna. Tu mi capisci senza che parli, ascoltanto direttamente il mio cuore e leggendo la mia anima...”.

“ mi viene naturale, soprattutto con le persone che amo” rispose lei

Reve non si rese subito conto di quelle parole, ma nel momento in cui lo fece, i suoi occhi presero a brillare più del solito.

“si, hai sentito bene, Laurent Reve Grandier. Ti amo, e provo questo dal primo momento che ti ho visto; l'ho tenuto per me, però, per discrezione. Ho preferito averti accanto con la tua amicizia piuttosto che perderti ,dicendotelo. Se tu non mi avessi detto nulla, forse avrei lasciato passare del tempo, ma ti avrei parlato io” disse lei. Era fiera, anche se la voce tradiva l'emozione; era sollevata, e felice, perchè tutto stava andando bene. Reve non disse nulla, anche se le parole erano a migliaia: la prese tra le braccia, tenendola stretta, baciandola. Il suo corpo la reclamava, ma ancora una volta, tenne a freno le sue pulsioni per non rovinare tutto.

Diane fu molto più sveglia di lui, o forse più coraggiosa; chiusa la porta della stanza, lo condusse sul letto.

“Ti amo, Diane Soisson” disse lui,prendendola tra le braccia.

 

 

La sera, quando rientrarono alla locanda, nessuno disse nulla a parte Alain che lamentò il fatto di non aver visto la figlia per tutto il giorno; François e gli altri probabilmente, capendo l' andazzo , se ne erano andati senza dire nulla.

“Allora, avete finito?” chiese Alain con il suo sorrisino beffardo

“Si, Alain. Ora è tutto a posto. Tra qualche giorno mi trasferirò....” disse Reve.

“e porterai via la mia bambina?” chiese, semiserio.

“Alain...io...ecco, vedi....” tentennò Reve

“Mi pare di essere davanti ad Andrè quando gli parlavo di Oscar ...” disse ridendo “ ogni volta che lo prendevo in contropiede, la lingua diventava di burro”

Reve arrossì, ma gli fece piacere sentire quelle parole.

“Alain non volevo mancarti di rispetto , non ti ho detto nulla perchè volevo aspettare il momento giusto”.

In quel momento arrivò Diane, e Alain strizzò l' occhio a Reve, come a rimandare il colloquio ad un momento più consono; la donna riprese le sue mansioni, e Reve andò nella sua stanza, insieme a Cane; sistemò il cucciolo e tornò alla cena.

 

 

***

I giorni, quando sono felici, volano: si ritrovarono così, in men che non si dica, alla vigilia del matrimonio di Marie.

La locanda era stata chiusa, e tutta la combriccola era partita per la Normandia; la scuola di Reve ancora non era attiva, quindi non ci furono problemi di gestione.

Reve sedeva accanto a Diane, mentre di fronte si trovavano Alain e François; il cane, a cui finalmente avevano trovato un nome, stava in braccio a quest' ultimo, e si godeva il tepore di quella carrozza.

Reve non vedeva l' ora di tornare in Normandia; era forse uno dei suoi ultimi viaggi nella regione, almeno per un pò di tempo visto i prossimi mesi lo avrebbero visto perennemente a Parigi. Mentre viaggiavano, non parlò molto; era immerso nei suoi pensieri.

Diane, invece, era molto loquace e chiedeva spesso come fosse il posto; François si prodigava in descrizioni, facendo trasparire l' amore per la propria terra ed Alain, invece, aveva lo sguardo perso, lontano: forse pensava al momento in cui avrebbe visitato la tomba dei suoi più cari amici. A metà percorso fecero una sosta; era tardi, i cavalli erano stanchi. L' indomani sarebbero ripartiti, più freschi, e forse per il pomeriggio sarebbero arrivati al villaggio.

 

“Finalmente!!!” esclamò François riconoscendo gli ambienti a lui cari; erano arrivati, questione di una mezzì'ora e avrebbe rivisto le sue terre. La prima tappa fu il villaggio, dove Rosalie e Bernard vivevano, anche se spesso facevano la spola tra la casa sul mare e la loro abitazione; quando arrivarono, inutile dirlo, ci furono abbracci e sorrisi. Il clima, nonostante fosse novembre, era ancora abbastanza gradevole; il freddo non era ancora arrivato e le giornate con il sole scaldavano ossa e cuore.

“Bernard, Rosalie, sono felice di rivedervi.... è passato un pò di tempo, dall' ultima volta” disse Reve, abbracciandoli forte.

“Reve, ci sei mancato molto: fatti vedere, ogni volta che ti vediamo ti fai sempre più simile ad Andrè...” disse Rosalie accarezzando il suo viso...” questa giovane donna è Diane, la figlia di Alain? ”

“si, zia, è lei” rispose Reve.

Rosalie la prese fra le braccia, come fosse una nuova nipote, ma lei era fatta così; buona e gentile; Diane l' aveva vista in una occasione ma era un bambina, ed ora...una donna, una bellissima donna.

“Buongiorno Rosalie “ rispose Diane “ e congratulazioni per il matrimonio di Marie”

“Grazie, mia cara...ma venite, accomodatevi...tuo padre deve essere già entrato in casa insieme a Bernard e François; forza, seguitemi. Sistemiamoci un attimo, poi quando vorrai, Reve, potrai andare a casa tua”.

I nuovi arrivati, Xavi compreso – Xavi era il nome trovato al cane- entrarono in casa e si accomodarono; Marie non era ancora arrivata, poichè si trovava dalla sarta a fare gli ultimi ritocchi all' abito. Sarebbe arrivata insieme al suo futuro sposo, Marc Duval, nel giro di un paio d' ore.

Reve si consolò, in quella casa a lui cara, parlando con lo zio Bernard; si raccontarono le ultime novità mentre passeggiavano nel piccolo giardino.

“sono fiero di te, Reve, e lo sarebbero anche Oscar e Andrè” disse Bernard, commosso “ tu e François mi state dando davvero tante soddisfazioni. La scuola non è ancora partita, ma credo inizieremo, tra poco...perchè non vieni da me, con Rosalie, qualche giorno?”

“e chi baderà a casa tua?”

“ potrebbe pensarci Marie, se non le fa nulla” disse

“ Buona idea...lasciamole passare questi giorni di festa, poi glie lo proporrò” disse Bernard.

“ ne sarei veramente felice! “

 

Gli uomini camminarono ancora un pò, poi decisero di fare un salto a casa di Reve: Marie tardava, e Reve voleva fare visita ai suoi genitori: a cena si sarebbero ritrovati.

Partì dunque, insieme a Diane e Alain, e nel giro di poco arrivarono. Rivederla provocò una forte emozione; scese dal carro, e si avviò subito alla tomba. La semplice croce era stata sostituita, da Bernard, con una nuova, e i fiori parevano freschi. Alain non guardò nulla intorno a lui ma si inginocchiò subito vicino alla tomba. Reve entrò in casa a prendergli una sedia; ma lui restò fermo li, immerso nei suoi pensieri. Reve e Diane entrarono in casa, lasciandolo solo.

“Io sono nato qui, Diane, e ci sono rimasto per due anni circa; sono tornato da pochi anni in Francia, ma la storia già la conosci...loro sono i miei genitori” disse indicando il quadro “ e loro, invece, i miei nonni”. La sua voce pareva un soffio, e aveva al suo interno tutto l' amore del mondo. L' uomo accarezzò il viso della madre e del padre e Diane abbracciò il suo uomo, in silenzio; poi si lasciò condurre nelle diverse stanze, e sul grande terrazzo dove potevano vedere il mare e dove i loro sguardi ed i loro si persero.

 

“E' bellissimo qui: come fa a piacerti Parigi?” chiese lei, togliendosi il cappellino che le copriva i capelli

“ in verità amo questi due luoghi allo stesso modo...ma Parigi è la città dei miei genitori, è...tutto!!! da qui è partito il loro amore, la loro storia....” rispose

“ Si, riesco a capirti: anche io ho vagato un pò, prima di arrivare a Parigi; ma quella città ti entra nel sangue e nell' anima e pure io faticherei a lasciarla, ora come ora” disse.

Reve rimase in silenzio per un pò; poi rientrò, e si mise a sedere, pensieroso.Diane lo raggiunse, preoccupata per lui.

 

“Cosa c'e'?” chiese sedendosi sul divanetto.

 

“ Diane, cosa ne diresti se, nel momento in cui decidessimo di sposarci, faremo la cerimonia qui?” disse.

 

Diane si illuminò. “ Ne sarei felice, Reve Grandier.

 

 

 

 

 

 

***

 

 

20 settembre 1820

 

Diane osservava i presenti, con gli occhi pieni di lacrime. Non erano passati nemmeno 6 mesi di matrimonio, e rischiava di perderlo.

“Dove lo avete trovato? Cosa è successo?” chiese, ancora trafelata: non si era nemmeno tolta il cappotto leggero che indossava.

 

François si avvicinò alla donna, mesto.

“Diane, la ferita non è bellissima, ma il dottore ha detto che non ha leso organi vitali: deve prendere questa medicina e riposare. Tornerà tra qualche ora, per controllarlo.

Diane osservò François; era anche lui pallido, e stanco: logicamente ciò che era accaduto lo aveva scosso parecchio. “ l' ho trovato io; ero di ritorno da un sopralluogo e stavo tornando alla locanda per un saluto ad Alain: domani sarei dovuto partire per Rouen: Victoria mi aspetta, per definire il matrimonio. Le ho mandato una lettera poco fa, attraverso Marcel. Non preoccuparti, resterò qui”.

Diane annuì, e lo ringraziò: ormai era divenuto un fratello anche per lei.

 

Diane prese in mano la situazione, per quanto poteva, e chiese alla moglie di Paul, il portiere della scuola se potesse preparare qualcosa per i suoi ospiti, visto che la nottata sarebbe stata lunga; era contenta che fossero tutti li, intorno a lei: probabilmente, da sola, non avrebbe retto. A turno, gli uomini scesero, e portarono anche a lei qualcosa, che rifiutò, visto che la bocca dello stomaco le si era completamente chiusa.

Osservava Reve, senza mai lasciargli la mano: il suo respiro era lento, impercettibile, ed il suo bel viso era segnato da rivoli di sudore; la febbre iniziò a salire, quindi andò a prendere delle garze e dell' acqua fredda, per fargli alcuni impacchi.

“Reve, ti prego, resisti” mormorò Diane “ti prego, resta con me.”

Poi si alzò, fece qualche passo per sgranchirsi, accarezzo Xavi. In piedi, a braccia conserte, osservava Reve, le sue ferite; per ora non avrebbe chiesto null' altro che riaverlo con sè, ma poi avrebbe sicuramente fatto di tuto per cercare i colpevoli, o il colpevole.

 

 

 

 

Reve sentiva le sue parole; lontane, ma le sentiva.

Era immerso in una sorta di sogno in cui si trovava in Normandia, insieme ai suoi genitori ed a Rose Marie, che pareva cresciuta , ed era una bellissima ragazza dai capelli biondi.

Aveva contatto con il suo corpo, perchè percepiva chiaramente il dolore ed il calore, ma la mente era altrove. Cercò di combattere contro queste sensazioni, poi, sfinito, si affidò al sogno, lasciando riposare le membra doloranti. Viveva un senso di pace; stava osservando i suoi genitori e sua sorella, ed il cuore era colmo di gioia.

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 10
*** Il sogno: la mia vita sei tu ***


Reve galleggiava in una sensazione di pace. No, non era morto: era in un sogno, un sogno che aveva sempre sperato di fare, e che non era mai giunto in quegli anni. Normandia. Oscar, Andrè e sua sorella erano davanti a lui; giovani, bellissimi, nemmeno sfiorati dalle ingiurie del tempo anzi. Stavano ridendo, mentre passeggiavano nel giardino della casa che li vide felici per qualche tempo; la loro tomba non c'era. Al suo posto cresceva, accanto all' albero, un rigoglioso e grande cespuglio di rose bianche che di tanto in tanto Andrè annusava e poi coglieva, per donarle alle due donne. Reve provò a muovere alcuni passi per andare da loro: la terra si sollevò, sotto i suoi piedi; era vivo, era li. Non sapeva come, perchè, ma era lì. Il respiro era lento, tranquillo, e la ferita che aveva sul petto non sanguinava più. I suoi genitori e sua sorella si voltarono all' unisono: erano sorpresi di vederlo li. Sorpresi e felici: le lacrime sgorgarono come cristalli dagli occhi limpidi dei presenti, che, nel caso di Andrè, non erano più feriti o stanchi. Anche i capelli dei suoi genitori non erano piu' velati di grigio....e sua sorella...che splendore: pareva una divinità, tanto era bella. Reve provò a parlare, ma i suoni si strozzarono nella gola, come a sottolineare il fatto che le parole, in quel contesto, erano davvero superflue. Oscar fu la prima ad avvicinarsi. “Reve, mio dolce Reve....” disse accarezzando il viso del figlio, ormai uomo, e raccogliendo le lacrime che scendevano e trasformandole in cristalli. “ Mamma... “ riuscì a dire Reve “ mamma, è un sogno questo? O sono morto?” “ No Reve, non sei morto. Non so come mai ci troviamo qui, insieme, adesso: ma è bellissimo. Un dono, ecco cosa è.” rispose, Oscar, volgendosi verso Andrè che, tenendo per mano Rose Marie, si avvicinava a loro. “Figlio mio...” disse lui, con la sua voce dei vent' anni “ figlio mio, sei diventato uno splendido uomo, anche se a prezzo di un dolore immenso...se noi avessimo potuto farlo, avremmo evitato tutto questo...ma il destino è scritto e dobbiamo solo accettarlo” disse, per poi girarsi verso la figlia “ Rose, ecco Reve...” Rose era la copia di sua madre; era splendida, diafana, pareva un angelo. Reve la guardò a lungo, poi l' abbracciò, sotto lo sguardo dei suoi genitori: una scossa lo pervase, come a segnare e rinnovare un legame, da molto tempo assopito nell' angolo dei ricordi. La famiglia così si riunì, in quella dimensione senza tempo ; si poteva sentire il profumo del mare, il calore del sole e Reve avrebbe voluto restare per sempre insieme a loro, ma sapeva che non era possibile, almeno per il momento. Si godeva quel regalo, pensando a Diane, al dolore che la sua donna stava provando, al suo cappezzale, in quel momento. “no, non è tempo per stare con noi” disse ancora Andrè “ tornerai dalla tua donna, tornerai da lei. Vi amate molto, vero? ” Reve lo osservò. Andrè sorrideva felice. “Si, Papà...lei è la mia vita” sospirò Reve. Andrè sorrise, come a dire che lo capiva benissimo, perchè quel sentimento lo conosceva bene. “ ti leggo nel cuore, figlio mio. L' ho sempre fatto, anche quando ero accanto a te, fisicamente. Sei una anima pura: lasciati guidare dal cuore, come hai fatto fino ad ora; anche se fa male, e lo stai provando sulla tua pelle...tutto andrà per il meglio” disse Andrè. I pensieri e le parole, talvolta sibilline, andavano e venivano veloci in quel sogno, esattamente come le onde del mare che lambivano i loro piedi scalzi. Quante cose avrebbe voluto dire, in quel momento; in realtà, furono i sentimenti a parlare. Una sensazione così non l' aveva mai provata; il calore, la gioia, la felicità e la malinconia riempivano il suo corpo e la sua anima. Ma come tutte le cose, anche quel momento ebbe un termine. “Ora vai” disse la madre mentre guardavano il cielo terso “ torna da lei, e sii felice. Ci rivedremo ancora, ne sono sicura.” Erano sulla spiaggia che amavano tanto: il vento iniziò a soffiare, e loro, pian piano, scomparirono. Reve sentì un dolore al centro del petto, e poi il buio. *** Diane guardava il suo grande amore, steso nel letto. La febbre iniziava a scendere, ed il respiro si faceva costante. Era notte fonda , ormai, e tutto intorno a loro vi era silenzio: solo il fuoco scoppiettava, nel camino, mentre la pioggia continuava a scendere lenta. La donna scostò i capelli di Reve, poggiando per l' ennesima volta la sua mano sulla fronte; prese una pezza fresca, per dargli sollievo. “abbiamo ancora tante cose da fare, Reve. Dovunque tu si, svegliati, torna da me, ti prego” sospirò, piangendo. Ripensò al giorno di sei mesi fa , in cui si erano sposati; Reve aveva mantenuto la sua promessa e si erano recati in Normandia. Accanto alla tomba dei suoi genitori, accanto allo stesso albero, si erano detti “SI” , pieni di emozione e sogni per il futuro che già si delineava felice e soddisfacente. Ripendò all' emozione di quel giorno e di quella prima notte insieme, ripensò alle lacrime di Alain, ai ricordi degli anni che furono; rivide tutti, seduti a quella tavola, ridere, mangiare, bere, scherzare. Rivide i colori puliti e tersi dei fiori, il loro profumo; l' incedere lento verso il suo sposo che l' attendeva , con quel vestito bianco e oro, leggero, mosso dal vento. No, non poteva finire tutto così. Diane venne colta da un sonno profondo ad un certo punto della notte, e crollò esausta; tanto era stanca che non si accorse di Alexander, entrato nella stanza con una tazza di cioccolata. Le occhiaie segnavano il viso dell' uomo creando dei solchi violacei; anche il viso di Diane era comprensibilmente segnato e tirato. “ Tieni..ti ho portato della cioccolata, Diane. Come sta Reve?” chiese “Grazie, Alexander...Reve si è agitato un pò, ma dopo è scesa la febbre ed è riuscito a riposare, finalmente. Guardalo, sembra stia sognando, tanto è rilassato, ora “ disse lei con tenerezza. Alexander si avvicinò all' amico, mormorando qualcosa di incomprensibile, poi si voltò verso la donna. “il dottore passerà in mattinata. Vuoi andare a darti una rinfrescata, Diane? Resterò io con lui.” “Grazie, sei molto gentile. Penso seguirò il tuo consiglio, se a te non fa nulla” rispose lei, bevendo un sorso dalla tazza. Il sole stava sorgendo in quel momento; era stata una lunga nottata e Reve pareva tranquillo, quindi la donna tornò nelle sue stanze per farsi un bagno e cambiarsi d' abito. Nel frattempo, la casa parve risvegliarsi; Xavi chiese di poter uscire nel giardino, gli uomini e le donne, in cucina e nelle stalle, presero a lavorare. Gli alunni non ci sarebbero stati, ma vi erano comunque alcuni appuntamenti da onorare; se ne sarebbero occupati François, Alexander e Louis, un amico comune. Il dottore arrivò intorno alle dieci; Diane preparò ciò di cui aveva bisogno e poi si mise a sedere, per non intralciarlo nella visita. Reve pareva stare meglio, ma la ferita, ovviamente, era piuttosto brutta. Il medico confermò la diagnosi del giorno precedente, afferamando che non vi erano lesioni interne: era stato fortunato, e si sarebbe trovato solo una brutta cicatrice. Tuttavia vi era il pericolo di una sepsi e, naturalmente, eventuali – purtroppo – imprevisti potevano presentarsi da un momento all' altro. “Abbia fiducia, madame Grandier; suo marito ha la pelle dura.Sono positivo, credo di riprenderà: ma la strada è ancora lunga” disse, prima di uscire. I punti di sutura tenevano bene, la ferita era gonfia ma abbastanza bella. “grazie, dottore. Alexander le farà avere l' onorario, lasci la parcella a lui” disse Diane. “non si preoccupi” rispose lui, uscendo. Diane ritornò al suo posto: accanto a Reve. Presa dalla stanchezza si assopì, ancora, non riuscendo a vedere il timido movimento della mano di Reve, che cercava forse inconsciamente lei. Reve si ritrovò ancora in un sogno. Dopo il buio ed il torpore, all' improvviso si trovò insieme ad Andrè, a Parigi. Il padre portava una divisa, quella della guardia cittadina; accanto a lui vi era un altro uomo, che pareva la sua ombra: Alain. Giovani. Andrè si girò per osservare il figlio; lo vide, e lo tirò in un vicolo, al sicuro. “La rivoluzione, Reve. Mi hai chiesto molte volte della Rivoluzione: eccola. Non preoccuparti: è un sogno, un sogno strano, nulla può accaderti. I tre uomini passeggiarono per la città; una città piena di gente, di soldati, di morti. La Bastiglia non era lontana; la vi era sua madre, la vide, in mezzo alla folla. Andrè raggiunse Oscar facendosi largo tra soldati, popolani, cavalli scossi, gente morente. Le urla erano strazianti, perforavano i timpani e anche l' anima. I soldati stavano tentando uno degli ultimi affondi: la Bastiglia stava per cedere. Sua madre incitava la folla ed i suoi soldati, stando in piedi ad un cannone, con la spada verso la prigione. Rumori, spari, urla ed uno squarcio infine irruppe nell' aria e nei corpi. Polvere ovunque.Lamenti. Il panico entrò in Reve, immobile in mezzo a tutte quelle persone. Dopo un tempo che sembrava infinito, rivide i suoi genitori. Andrè teneva tra le braccia Oscar: era inerme e sembrava quasi morta. Anche lui era ferito, e ricoperto di sangue. Era disperato. Andrè guardò il figlio. Reve tentò di avvinarsi, ma qualcosa lo trattenne, lo bloccò. Nemmeno la voce riusciva ad uscire dalla sua gola. “Ora vai, Reve” disse il padre sussurrando quelle parole nella tua mente “tornerò; tornenermo. Vai.” Poi, cercò di sollevare Oscar, ma cadde, svenuto, a terra. Reve, questa volta, non fu immerso in un turbine buio, ma riaprì gli occhi e si trovò nella camera da letto. Diane dormiva profondamente. Passo i primi dieci minuti a capire cosa stava succedendo, poi si tranquillizzò e guardò Diane. “bambina mia, chissà come stai soffrendo” disse fra sè “ perdonami, non volevo farti questo, non è stato colpa mia” pensò, guardandola. Era troppo debole per muoversi e per parlare; quindi Reve rimase lì, immobile, in attesa che la moglie si svegliasse. La guardava con tenerezza; quella donna così forte, decisa ed intraprendente ed allo stesso tempo dolce era l' esatta metà della sua anima. Era la sua salvezza, il suo tutto, il suo mondo. Avrebbe dato la via per lei. Era quasi pomeriggio: in casa si sentivano pochi rumori, solo i passi degli aiutanti e le voci di François e Louis che al piano di sotto parlavano animatamente di alcune attività. Diane finalmente aprì gli occhi. “buongiorno, amore mio” disse Reve, sorridendo. “Reve...sei sveglio...sei vivo!!!” rispose lei, con le lacrime agli occhi, sotto shock. Prese le mani del suo uomo e le strinse forte. “ Ho temuto che tu mi lasciassi, Reve...” disse, ancora “ ho pensato di perderti....” “no, Diane. Credo che resterò ancora un pò con te, abbiamo troppe cose da fare insieme...un figlio, per esempio”. Le parole uscirono a fatica dalla sua bocca, ma chiare e limpide. Diane sorrise. “Ma come, sei stato ad un passo dalla morte e la prima cosa che vuoi fare è un figlio? Non credo tu sia abbastanza in forma....” Reve voleva ridere, ma la ferita gli dava troppo dolore . “Sei sempre la solita, Diane. Irriverente e ironica. Ti amo anche per questo! “ disse; cercò di mettersi comodo, voleva baciarla, ma il suo corpo era fatto di cemento, in quel momento; quindi fu Diane ad avvicinarsi, regalando alle labbra del suo uomo un bacio lunghissimo. “mi sei mancata, amore mio”. Reve e Diane rimasero in silenzio, l' uno negli occhi degli altri, tenendosi la mano.

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Capitolo 11
*** Tempeste, parte 1 ***


Durante la convalescenza, Reve ebbe modo, finalmente, di leggere gran parte di quelle scartoffie che, per mancanza di tempo, non era riuscito nemmeno a sfiorare con lo sguardo. Erano incartamenti di varia natura, nulla di urgente: bozze di alcuni libercoli, proposte di legge, aggiornamenti sulla situazione internazionale. La popolazione di alcune città si erano ribellate, stanche dei vecchi regimi voluti dalla restaurazione; dai fatti di Cadice erano passati parecchi mesi e l' assedio francese in Spagna si era concluso a fine agosto. In Piemonte, vi era un principe interessante, che inizialmente pareva essere dalla parte del popolo; poi vi erano i fatti della Sicilia, Napoli.... :queste prime rivoluzioni non ottennero tutto ciò che si erano prefissate, anzi, finirono per la maggior parte nel sangue; ma qualcosa si era mosso. Certro, iil popolo, sicuramente, andava edotto. Non bisognava mollare, se si voleva ottenere qualcosa. “Reve! Cosa ci fai in piedi? “ chiese Diane, arrivando in camera e vedendolo sulla grande terrazza . “Ero stanco di stare a letto , amore mio” rispose lui con piglio allegro “ oggi mi sento particolarmente bene e avevo voglia di andarmene un po' in giro...” Diane lo fissò come era solita fare quando lui combinava qualcosa: ritta, mani sui fianchi e con quel suo bel sorriso sghembo che usava in tali occasioni.“...Sta bene. Ma non affaticarti troppo...” rispose lei, dolcemente, avvicinandosi a lui. Si scambiarono un bacio e, con mille cautele, Diane abbracciò il marito. “ Come procede, al piano di sotto?” chiese lui riferendosi alle lezioni e ai vari incontri previsti per la giornata. “Tutto bene, Reve. Sono passati a trovarci Pierre, Martin, Caroline e Didier; volevano avere tue notizie. Dicono che al giornale è tutto a posto e Alexander sta facendo un pò le tue veci” rispose lei. Reve si giroò, per tornare a sedere, poichè era stanco. “Alexander è un bravo ragazzo...se la caverò, non dovessi più tornare al giornale o alla libreria” disse. Diane lo guardò sorpresa. “Cosa avresti intenzione di fare? “ “nulla, Diane: voglio dedicarmi a te, in questo momento. A noi. Quando mi sarò ripreso, vorrei fare un viaggio.” rispose lui, rientrando e sedendosi in poltrona; dopo essersi girato e rigirato finalmente trovò una posizione consona che lo fece rilassare un pò e allungò le gambe. “ Ma cosa ti passa per la testa?” chiese lei. Non era arrabbiata: era molto sorpresa. “ E' solo una ipotesi: volevo lasciare Parigi per qualche tempo... conoscere altre persone come noi, con le quali scambiare idee e pensieri per un nuovo ordine pubblico” rispose “stavo ripensando ai fatti di Cadice ed agli ultimi eventi accaduti in Europa in questi mesi” rispose lui, rilassato. “Tutto questo lo hai meditato mentre te ne stavi a letto?” chiese “sai che devono ancora trovare il tuo o i tuoi assalitori? E tu pensi alle sorti della Francia e dell' Europa?” “Perchè Diane, tu cosa faresti? Mi stupisce sentire questo da te, considerando la famiglia dalla quale provieni...” rispose lui , non credendo alle parole di sua moglie. “la famiglia...sempre la famiglia...fai tutto per la famiglia...ed alla tua? Ho rischiato di perderti, tu pensi alla causa?” disse. Aveva cambiato espressione. Reve rimase in silenzio: non si aspettava di sentire parlare Diane in questa maniera, ma non ribattè e nemmeno si arrabiò: sapeva che era la stanchezza ed il dolore a parlare, non la sua mente o il suo cuore. Lasciò correre, quindi e prese la mano della sua sposa, che stava in piedi accanto a lui, baciandola. “non parliamone più, amore mio... vieni qui, siediti in braccio a me” rispose lui. “Sei sicuro ? Non ti farò male?” chiese lei “No, Diane.Vieni” disse, picchiettando sulla sua gamba. Diane sorrise e si sedette sulle gambe di Reve; a finire il quadretto familiare, per ora, arrivò Xavi, che si accucciò ai loro piedi, chiededo la solita dose di carezze per poi gironzolare tutt' intorno. I due giovani restarono abbracciati così, senza parlare, per un pò. Non si parlò di ciò che era successo prima. Reve voleva Diane accanto a sè. “amore mio, non sai quanto ti desidero! “ sussurrò “Reve, anche io ti desidero...ma non credo sia il momento....” rispose, dispiaciuta, scostando i lunghi capelli del marito dalle spalle. “resistiamo ancora un lò, finchè non starai meglio...dovrai riprenderti al meglio: voglio un figlio, Laurent Reve Grandier” Reve sorrise. “non c'è bisogno di aspettare che sia in forma...” “cosa ti passa per la testa, rivoluzionario?” chiese Diane mentre Reve armeggiava con il suo vestito. “lo scoprirai tra poco” rispose lui, armeggiando con il vestito e tutti quei nastri. Finalmente io e Diane abbiamo fatto l' amore. La desideravo molto: negli ultimi tempi, tra il mio incidente e impegni di entrambi, raramente siamo andati oltre il bacio della buonanotte e qualche languida carezza. La desideravo molto, desideravo il suo corpo, la sua bocca, i suoi movimenti sopra di me...è stato davvero stupendo ritrovarci in questa passione che sembrava non avere freni...Diane è la mia vita, il mio tutto...chissà se avremo delle sorprese, mi piacrebbe tanto un figlio...un piccolo Reve o una piccola Diane... “Reve, non credevo ...” disse Diane, stesa accanto a lui, nuda. Dalla poltrona, si erano trascinati sul pavimento, e poi sul letto. Ora, stanchi e felici, giacevano abbracciati . La cicatrice di Reve dava un pò di fastidi, ma in quel moment proprio non ci pensò: il dolore venne sovrastato dal piacere. “Nemmeno io, Diane, ma avevo troppo desiderio di te...” disse, girandosi su un fianco, anche se a fatica. La cicatrice, rimarginata, stava ormai guarendo , ma il dolore c'era, eccome. Una fitta improvvisa bloccò il respiro di Reve per un attimo, ma fece finta di nulla. I due intrecciarono le loro mani e restarono occhi negli occhi per un attimo, poi pensarono che forse era il caso di sistemarsi. L' orario di cena si avvicinava, e Reve pensò bene che potesse anche scendere, per cenare tutti insieme, come erano soliti fare. Si rivestirono e ripresero un minimo di contegno, ridacchiando tra loro; poi, scesero el scale e raggiunsero gli altri. “Reve!!! “ esclamò Alexander, appena lo vide comparire sull' ultimo gradino “ stavo per salire a salutarti.Come stai?” chiese, sorridendo. Lasciò per un attimo perdere le carte che stava scrivendo e si ricompose, aggiustando i capelli biondi che evidentemente aveva torturato ed aggrovigliato mentre era preso dalla scrittura. “Decisamente meglio: stasera mangio con voi..se mi volete ancora” disse, ridendo. “Sono felice di vederti in piedi, amico mio. Mi hai fatto penare” disse. Prese la giacca e si unì alla coppia, premurandosi prima di non disturbare. “Grazie, Alexander...grazie, amico mio. François è ancora fuori città?” disse Reve “no, deve essere qui intorno: il matrimonio è stato rimandato, quindi è restato a Parigi per finire alcune cose con calma...anzi, magari è in giardino, potremmo andarlo a cercare” rispose. I tre uscirono, quindi. Che bello, respirare l' aria ed il profumo dell'erba bagnata da qualche goccia di pioggia. Reve inalò a pieni polmoni l' odore di erba e di terra bagnate; si guardò intorno osservando la vita che continuava, il suo cane che rincorreva un gatto, i cavalli che poco più in la mangiavano agitando le loro criniere e le loro code. “Quanto vorrei risalire a cavallo!” pensò a voce alta. “non ci pensare nemmeno, almeno per qualche mese” disse François, comparendo a sorpresa , da dietro una quercia, e allargando le braccia per accogliere l' amico. "ti credevo a Rouen, François!!! ” disse Reve abbracciandolo, con le dovute cautele. “ in realtà dovevo partire qualche giorno fa, ma ci sono stati dei lavori che mi hanno tenuto impegnato, quindi partirò la settimana prossima. Dimmi, Reve, come stai?” disse François, camminando insieme a loro. “sono ancora intero” rispose ridendo “ e presto tornerò a rompervi le scatole con le mie considerazioni...ho una idea in testa...ne parlerò a tempo debito” “Ora sono curioso. Di cosa si tratta?” chise Alecander. Reve non rispose e si limitò ad un sorriso. Ci pensò Diane, ad informarli. “Volete sapere cosa si è inventato? Appena starà meglio, vorrebbe fare un tour in Europa, come se non avessimo abbastanza guai qui....” disse lei ridendo. Reve la guardò , fulminandola. “mi pareva avessimo chiuso il discorso, prima...” disse invece lui con un tono secco . Aleander e François, imbarazzati, non dissero nulla e cercarono di sviare il discorso; il silenzio, quindi, avvolse marito, moglie ed amici. Reve volle rientrare subito per andare a ritirarsi nel suo studio privato, al piano terra, dove un tempo si trovava la stanza di suo padre Andrè; Diane lo seguì. Entrarono e lei chiuse la porta . “Si può sapere cosa ti prende?” chiese, senza nemmeno guardarla in faccia “mi pare che tu stia esagerando ,Diane. Il discorso mi pareva concluso... la mia era solo una idea” disse. Diane restò in silenzio. Non ci furono scuse. “non mi va che tu te ne vada; non mi va proprio” rispose. “ ...forse ho sbagliato momento e tono, ma ho preso l' occasione per capire cosa ne potessero pensare i nostri amici. “ “ Potevi farlo in una maniera diversa. Non sono un bambino , Diane. Quando mi hai conosciuto e poi sposato sapevi benissimo come la pensassi ,come ero e come sono. “ “Si, è vero..ma ci stai perdendo il senno, Reve. E hai rischiato anche di perdere la vita.” “Ancora...!!! ma Diane, io sono vivo, è acqua passata... e poi, questi sono i rischi di ciò che facciamo” disse, rimarcando il tutto. “FACCIAMO. Chi? Io mi sento messa da parte. Prima viene la politica, poi la tua famiglia, poi io....non mi hai mai coinvolta fino in fondo...” Reve non credeva alle sue orecchie. “Diane, Cristo Santo, ma che ti salta in testa? E poi lascia stare la mia famiglia, te l' ho già detto, non toccare questo tasto....”disse. Era deluso, confuso, arrabbiato; seduto alla sua scrivania, con le braccia conserte sul petto, i capelli scarmigliati ed il viso tirato. Lei non rispose, anzi: girò sui tacchi e uscì, sbattendo la porta. Reve si prese la testa fra le mani, guardando il soffitto, ripensando a ciò che era successo. Diane era la sua vita, e soffriva perchè non capiva questo comportamento. Forse era stanca, troppo occupata....erano parole dettate da questo,e non dalla cattiveria, le sue. Reve si pentì di essere stato così severo e fermo. Era cambitato, questo è vero; le responsabilità lo avevano reso più intransigente e spesso faticava a non varcare il confine tra vita privata ed i suoi sogni, pensieri e doveri. Diane era sempre stata accanto a lui, anche in questo. Ora si stava comportando solo come una moglie; vi erano confidenze, condivisione di pensieri ed ideali quasi come prima, ma -pensò- " ora si comporta solo come Madame Grandier e non come Diane Soisson". Era immerso in questi pensieri quando bussarono alla porta. "Reve, posso entrare?" chiese François, attendendo una risposta. . “Certo, vieni pure” rispose. François entrò e vide la faccia dell' amico. “ Cosa succede, se è lecito saperlo?” “un battibecco con Diane “ disse Reve “ amico mio, io non la riconosco...le ho detto che appena sto meglio vorrei andre in Europa, un piccolo viaggio, per conoscere le varie realtà di questi tempi...e lei è sbottata dicendomi che sto perdendo il senno dietro a queste faccende. LEI! Figlia di Alain Soisson, che ha fatto la rivoluzione insieme ai nostri genitori!!! “ Reve si alzò, e si girò dando le spalle all' amico; guardava fuori dalla finestra, osservando un cespuglio di fiori. “Non so cosa dirti...sicuramente è la stanchezza che parla... ma il viaggio...lo faresti insieme a lei?” “in realtà ho pensato, ed avrei potuto anche proporglielo...me ne avesse lasciato il tempo.” rispose. “Vedrai che andrà tutto a posto. Vieni a cena, adesso...la cuoca ha preparato uno stufato con patate che è la fine del mondo” disse François “Non ho fame: mangerò qui. Perdonami...avremmo un' altra occasione” disse Reve. “Come vuoi...ma stai tranquillo. Le cose si sistemeranno” rispose l' amico, uscendo e lasciando la porta socchiusa. Reve sorrise, e tornò a sedersi. Osservò una vecchia uniforme di sua madre – che aveva trovato miracolosamente a palazzo – e pensò ai suoi genitori. A quei sogni. Martin, uno dei figli dei vari lavoratori a palazzo, poco dopo portò un vassoio con del cibo; lo lasciò sulla scrivania senza dire nulla, ed uscì. Reve si pentì di essere rimasto lì, ma non aveva voglia di eventuali discussioni; preferiva rimandarle a dopo, se proprio si fossero ripresentate. Mentre mangiava, osservò i libri e fogli che aveva disposti in una piccola vetrinetta; non vedeva l' ora di tornare al lavoro. Xavi arrivò a dargli un momentaneo sollievo dai pensieri; si accucciò ai suoi piedi e li ci restò, finchè il suo padrone non uscì dalla stanza per andare in giardino. Il cane lo seguì, stando al passo, alzando il muso per annusare l' aria della sera. Pensò a Diane. "Prima o poi doveva arrivare, un litigio" pensò fra sè, ricordando i battibecchi dei genitori " le passerà!!!" I giorni passarono lenti, in quell' atmosfera sospesa di cose non dette. Pur comportandosi normalrmente, i due non avevano più ripreso il discorso e mantenevano una certa distanza. Reve soffriva parecchio, e così Diane, ma erano entrambi molto testardi e nessuno andò oltre , nessuno volel chiarire, volle riaprire il discorso. La ferita di Reve tardava a sistemarsi; ogni tanto Reve si trovava a letto con un pò di febbricola, ma niente di chè. Aveva ripreso , partecipando a qualche riunioine, alla vita della Scuola, ma il suo animo era inqueto. "Alexander" disse, un giorno, mentre erano intenti a preparare i volantini per una riunione che si sarebbe tenuta di li ad una settimana" credo che dovremmo cambiare registro ALexader sollevò lo sguardo dal suo lavoro, posò penna e inchiostro e si ricompose, pronto ad ascoltare Reve. "Cosa intendi, Reve?" chiese " stiamo sbagliando qualcosa, con il nostro approccio" rispose, con lo sguardo assorto " non c'è entusiasmo, c'è solo indottrinamento" Alexander lo guardò , attento. I due restarono, meditabondi, sospesi nei loro pensieri finchè non entrò François insieme a Gustave. Reve riprese a parlare. " forse dovremmo approcciarci al popolo, ed a tutte le persone che vi ascoltano e vogliono migliorarsi insieme a noi, in modo più semplice. Citare Rousseau, Montresquieu e compagnia bella è fondamentale, ma non dobbiamo basare tutto su questo. Dobbiamo creare menti che siano in grado di essere critiche,non dotte" disse, d' un fiato. "Hai ragione, Reve " intervenne François " ma ciò significherebbe avvivinarsi a quelle società che promuovono lo scontro armato...e noi non lo siamo" "non lo siamo e non lo saremmo mai...." disse Alexander "infatti amici io non voglio cambiare modi e tempi, semplicemente vorrei che le cose fossero rese più semplici e dirette. Da noi vengono figli di contadini, borghesi, insomma un pò tutti... tralasciando i bambini piccini , che bisognano solo di educazione scolastica, credo che meno filosofia farebbe bene a tutti..." Alexander e François si guardarono. "dovresti lasciarci il tempo di elaborare le cose, ma credo sia fattibile... comunque, fratello mio, con te non ci si annoia mai" rispose François, smorzando un pò la serietà di quel momento. "Ah proposito François, ti ho visto accompagnare Diane con la carrozza, stamettina presto. Non mi ha detto che avesse impegni..." disse Reve. François lo guardò sorpreso. "Ma come, non ti ha detto che andava dal medico? Eì' già da qualche tempo che non sta bene" disse Reve rimase di marmo. Non si era accorto di nulla, e lei non aveva parlato di alcun malanno. François si rese conto della cosa e non aggiunse altro; aspettò che gli altri uscirono per le rispettive commissioni e poi si avvicino all' amico. "Reve, Diane aspetta un figlio....non te lo ha detto?" chiese incredulo "No" rispose Reve. François impallidì, e si scusò. Ma Reve non lo stava ascoltando. Livido di rabbia, salì in camera sua . Non poteva ancora sfogarsi con una cavalcata: lo fece con ciò che gli passava a tiri. Perchè questo segreto? Era suo marito, il suo amico, il suo amante. Offuscato dalle lacrime che scendevano copiose, prese a pugni i muri, ribaltò le poltrone, riuscì a rompere anche la toeletta della moglie, procurandosi tagli profondi quando spaccò lo specchiol. Nessuno osò disturbare la sua rabbia, nemmeno la vista di Xavi riuscì a calmarlo. Sfinito, si stese sul letto, unica cosa rimasta intatta insieme al quadro di suo padre.

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Capitolo 12
*** Solo noi, parte 1 ***


 

 

22 ottobre 1820

 

E' un momento strano, questo.

Ho saputo, da poco, che diventerò padre: avevo sognato una passeggiata in riva al fiume, una cena tra noi soli, una serata davanti al caminetto.

Invece no, sono venuto a saperlo da François: la sua faccia è diventata trasparente, quando ha capito che Diane non mi aveva detto nulla.

Da un periodo non facciamo che litigare per qualsiasi cosa; è iniziato quando lo ho detto del mio viaggio, ma credo ci sia altro.. anche se non ho capito cosa.

Ciò che mi ha deluso profondamente è che mi sono sentito, in un certo senso tradito e inadeguato: io e lei abbiamo sempre condiviso e vissuto tutto insieme, abbiamo le stesse idee , gli stessi pesieri...o almeno così credevo. All' improvviso si è messa a farmi una filippica sul fatto che la sto trascurando, tiro sempre in ballo la mia famiglia ed il fatto che vivo troppo nei ricordi.

Ho cercato di parlarle ma lei è testarda, non apre bocca. Gli ho chiesto perchè non mi avesse detto nulla: mi ha risposto che era sottosopra per quella gravidanza che non credeva arrivasse così presto, la pensava più lontanta. Lei, che per prima mi ha parlato di figli.

Sono davvero confuso.

Mi sento in colpa, perchè davvero la sto trascurando, non riusciamo mai a stare da soli; ma che ci posso fare? Quello che ho costruito, che abbiamo costruito insieme, è troppo importante.

 

Lei ha paura. Paura del futuro, paura di sbagliare, paura di non essere adeguata.

Anche io, se è per quello: ma le cose si affrontano...ci siamo riavvicinati, questo è vero, ma io non so più come prenderla, sembra un altra persona.

 

Non ho chiesto consiglio a nessuno, perchè sono cose nostre e non voglio coinvolgerli;François ha un matrimonio da preparare, Alexander sta già facendo abbastanza e gli altri sono presi tra mille cose. Alain ovviamente non mi sembra il caso di coinvolgerlo.

Intanto io me ne sto qui, all' ombra della quercia grande, e osservo il palazzo che prende vita. I ragazzini entrano contenti, a scuola, ed i genitori spesso si fermano a parlottare e accarezzare Xavi; in cucina si sono già messi al lavoro. Diane non l'ho ancora vista: mi sono alzato e sono sceso subito; credo dorma ancora.

 

Mamma, papà, ditemi un pò voi che debbo fare, perchè io non ci capisco niente.

 

 

***

“da quanto tempo ti senti così?” chiese il medico a Reve.

Era passato da lui per un controllo, poi, mettendosi a parlare del più e del meno, si era sfogato parlando di questa sua confusione e della situazione a casa. Era stanco, fisicamente e mentalmente, e non riusciva più a portare a termine nessuno dei compiti e degli impegni che si prefissava.

“ ...da quando ho iniziato a discutere con mia moglie...” rispose Reve, da dietro il paravento.

Il medico rimase per un istante sovrappensiero, osservando l' uomo davanti a sè.

“non credo sia solo per questo, Reve. Posso continuare a darti del tu, vero?” esordì il dottore. Reve rispose affermativamente.

“Dicevo, caro ragazzo...che non credo sia solo per una serie di litigi che tu ti senta in questo modo. Hai un carattere sanguigno, impetuoso, prendi tutte le cose di petto. Hai corso parecchio, in questi anni, da ciò che mi hai raccontato”.

“Si, è vero. Una serie di situazioni mi hanno portato,in 4 anni, ad un ritmo di vita abbastanza frenetico...”rispose, finendo di vestirsi e andando verso l'uomo “quante cose, sono successe, in questi anni...la morte dei miei genitori, la loro eredità – e non parlo di beni immobili o meno - ...essere figlio della rivoluzione, per me, non è stato facile”.

“Ecco; ci stai arrivando da solo...sono troppe, le cose accadute in questi anni. Io stimo la tua persona e ciò che stai tutt' ora costruendo, ma ti consiglio di fermarti, per un pò. Vedrai che non succede nulla.” rispose il vecchio.

“E Diane? Puoi dirmi qualcosa?So che è stata qui. Perdoni la mia domanda, ma da lei in questo momento non riesco a sapere nulla.” chiese Reve, ora seduto di fronte al dottore.

Il dottore esitò, un attimo.

“ Diane è stanca quanto te. Ha ceduto prima di te, a questi rimti, ecco il motivo del comportamento strano. E questa gravidanza la spaventa; ha paura che vada a finire come l' altra volta.”

“quale altra volta? Cosa devo sapere, ancora? Perchè non mi ha detto niente?”

Reve si sentì avvampare, in viso, non per la rabbia, ma per lo sconforto.

“L' anno scorso ha perso un figlio: era appena all' inizio. Purtroppo sono cose che possono capitare, se non si segue un adeguato riposo. Devi avere pazienza con lei. Prendetevi qualche giorno, e fate finta che non sia successo nulla. Avete bisogno di serenità, adesso. “ disse il dottore.

“lei sta bene?”

“Si, Reve. Pare vada tutto bene. Ad aprile, se non ho sbagliato i calcoli, sarai padre” disse sorridendo.

Reve ringraziò il medico ed uscì dallo studio; prese il calesse e ritornò verso casa, ripensando a quelle parole.

Il giorno del suo compleanno si stava avvicinando. Decise che lui e Diane avrebbero preso qualche giorno per loro; voleva proporle di andare ad Arras e dintorni, dove aveva alcune proprietà. Lì forse avrebbero avuto modo di parlare, con calma.E di stare insieme, ovviamente.

 

 

Quando rientrò a casa, quindi, la prima cosa che fece fu di andare a cercare Diane nelle sue stanze, ma non la trovò; passò al piano inferiore e non la vide ancora. Restava solo il giardino. Dopo qualche vagare, la trovò che leggeva un libro seduta su una piccola panchina in legno, lontano da tutti. Si avvicinò piano, per non distrarla, e quando le fu vicino, accarezzò i suoi capelli.

“Fa freddo, Diane. Cosa dici di rientrare in casa?” disse Reve , dolcemente.

Lei lo guardò sorpresa, ma serena.

“Dove sei stato?”chiese “ quando mi sono svegliata, eri già uscito”. Chiuse il libro appoggiandolo sulle sue gambe.

Reve decise di dirgli la verità...perlomeno per ciò che lo riguardava.

“sono stato dal medico, a farmi dare un tonico. Mi ha trovato molto stanco e mi ha detto che dovrei riposare.” rispose; poi buttò lì la sua idea: “potremo andare ad Arras e dintorni, se lo vuoi. Insieme. Se ancora mi ami” disse lui.

Ormai non era più sicuro di nulla.

Si, all' improvviso quell' uomo fece riemegere il ragazzo indeciso e complicato che era stato, e tutti i dubbi dell' universo comparirono uno dietro l' altro nella sua testa.

 

Diane lo guardò e si alzò. Prese Reve per le mani – un gesto che non compiva da qualche tempo – e lo fissò per un tempo immemorabile.

“Reve, cosa dici? Certo che ti amo. Non ho mai smesso un solo istante, di amarti, con tutta me stessa” rispose lei. Lui si sentì meglio, libero da un peso.

“...questi tempi non siamo stati di certo sereni, perdonami se ho espresso questo mio dubbio” disse lui.

Nel frattempo, Diane aveva preso a cammincare, senza mai lasciarlo.

“Amore , di questi tempi siamo stati un pò troppo presi da noi. Perdonami tu, amore mio. So di non essermi comportata bene e di esserti sembrata una pazza. Ma sento una eredità pesante, come se a volte vorresti creare una famiglia non nostra, bensì a copia e somiglianza di quella che hai perso” disse lei.

Era dunque questo il motivo della sua crisi? Come era stato stupido a non accorgersene, pensò fra sè. Diane aveva ragione. L' eredità ricevuta dai suoi genitori non sarebbe stata facile da portare per nessuno; ma davvero, davvero non si era reso conto che, inconsciamente, voleva ricreare quel “nido”.

Diane e Reve si osservarono per un tempo infinito, che sembrava non finire mai. Le loro anime si intcontrarono attraverso i loro occhi e tutta la rabbia ed il risentimento accumulati se ne andarono, lasciando il posto solo all' amore che li aveva sempre legati. Nelle gole di entrambi erano racchiuse parole che non trovavano modo di uscire, perchè qualsiasi suono non avrebbe retto la melodia che tali parole esprimevano. Era qualcosa di alto, di grande.

Diane capì che non vi era bisogno di una risposta, e si riavvicinò a Reve; la mano di lui corse al suo ventre, alla vita che c'era .

Non avrebbe chiesto niente altro, quel giorno, Reve. Andava bene così.

 

 

 

***

 

 

“Sei mai stato qui, Reve? “chiese Diane al marito, man mano che si avvicinavano ad Arras.

“no, mai. Nemmeno sapevo che papà e mamma possedevano qualcosa, qui, finchè non mi è stato detto da Florian e Monsieur Dubois...” rispose lui

“e come fai ad avere già le chiavi a disposizione?” chiese

“non le ho: devo passare all' hotellerie, le ha in consegna Madame Fois... così mi è stato comunicato ai tempi” rispose. Osservavano, a vicenda, i vari paesaggi che arrivavano davanti ai loro occhi; fiumi, piccoli boschi, e poi campi nei quali i contadini lavoravano, spezzando la fatica ed i pensieri con il canto.

“Credi cambieranno mai le cose, per questa gente?” domandò Diane al marito.

“Spero di si: altrimenti, significa che stiamo lavorando per niente...e non solo noi, ma anche tutti gli altri che si stanno muovendo, in Europa, per cambiare le cose. Ma non parliamone, Diane. Questi giorni sono per noi.”

Diane osservò Reve.

Quando era arrivato a Parigi, qualche anno prima, era un ragazzotto pieno di sogni ed un grosso macigno sul cuore, che lui prima aveva rifiutato e poi accolto, buttandoci dentro la sua vita,senza riserve..

Come era stata stupida, con quei discorsi...ma la paura di perdere un amore davvero grande , ti fa fare cose strane,a volte; ancora, per esempio, non gli aveva detto del bambino che avevano perso...

Diane fu presto distolta dai suoi pensieri quando finalmente vide davanti a se un edificio, grande rispetto al resto delle casupole li intorno; era l' hotellerie, e la carrozza si fermò.

Reve scese per primo, aiutò la sua Diane a scendere ed entrarono nella locanda.

Essendo un giorno lavorativo, di pomeriggio, gli avventori erano pochi; quella che doveva essere Madame Fois era intenta a sistemare delle brocche su un vassoio e non li vide subito. Era una donna sulla settantina, ma ancora in forma, a giudicare dall' aspetto pingue e roseo del suo viso, con i capelli grigi raccolti in una crocchia.

“Ditemi, signore” disse, appena lo vide, salvo poi impallidire all' istante.

“Buongiorno, Signora...Fois? E' lei?” disse Reve, non capendo quella reazione.
“ si, sono la signora Fois..ma lei....Andrè, sei tu?” chiese lei, ancora stupita, con lo sguardo sbarrato.

“Mi chiamo Laurente Reve Grandier Jarjayes; sono il figlio di Oscar e Andrè, signora...” disse , avvicinandosi a lei.

Madame Fois oltrepassò il bancone, si asciugò le mani nel grembiule e si avvicinò a quell' uomo.

“Perdonatemi, Monsieur: la somiglianza è tale che ho preso un abbaglio. Come sta vostro padre? E vostra madre? Non li vediamo da anni...sapete, abbiamo più o meno la stessa età, spesso giocavamo insieme...”

“Madame, mi duole dirlo, ma sono morti entrambi, quasi 5 anni fa” rispose lui, mesto.

La signora si scusò per la domanda inopportuna, ma Reve la mise subito a suo agio: non avrebbe potuto saperlo, visto che Oscar e Andrè non passavano da Arras da poco dopo la rivoluzione, prima che lui nascesse.

Chiarito l' equivoco e concluse le presentazioni, i tre si misero a sedere. Reve chiese se le chiavi erano ancora in suo possesso; lei rispose affermativamente, adducendo però che una delle case non vi era più mentre l' altra, quella di sua madre, sarebbe stata agibile dopo una bella ripulita. Si offrì quindi di accompagnarli, tanto alla locanda sarebbe rimasta la figlia Leonor.

“Grazie, Madame” disse Diane, seguita da Reve “ ma non deve scomodarsi per noi”

“Non vi preoccupate, non ci sono problemi “ rispose lei con un sorriso gentile.

Reve aiutò le donne a salire in carrozza, poi si mise a cassetta insieme a Jean Baptiste.

Trovare la casa fu semplice, data la descrizione: era molto vicino all' hotellerie. Era una casa di modeste dimensioni, più o meno come quella in Normandia; aveva un giardino, intorno, e naturalmente i campi annessi. Non era messa male; con un pò di olio di gomito l'avrebbero sistemata per ciò che a loro serviva; ci avrebbero pensato poi al resto.

Madame mostrò e spiegò ai presenti tutto ciò che vi era da sapere, spiegando che nel frattempo era stata abitata dalle famiglie di attendenti che operavano per conto dei Jarjayes: da dieci anni era vuota. Lei e altre famiglie la tenevano comunque pulita almeno un paio di volte l' anno, anche se ammise che non lo facevano tanto per devozione ai Jarjayes, ma per affetto verso la madre di Oscar, che era sempre stata una donna buona e affabile, pronta ad aiutare il prossimo.

Dopo circa una mezz' ora andò via, accompagnata da Jean Baptiste, che si sarebbe fermato alla locanda.

 

 

Reve prese per mano Diane, guardando la casa.

“C'è sempre da lavorare, insomma” disse lui piegando la testa su un lato, in quel modo buffo che piaceva a lei”.

“E pensare che oggi è anche il tuo compleanno... “ disse lei.

“AH! Te ne sei ricordata? Credevo che solo Xavi si ricordasse, quando stamani è passato a farmi le feste” disse , osservando il cane che già stava prendendo possesso del luogo.

Diane guardò Reve e insieme entrarono in casa, ridendo sereni.

 

 

Ecco, una bella ondata di ricordi è proprio quello che mi serviva” disse Reve fra sè, osservando i mobili ricoperti da teli bianchi e i quadri , accatastati in un angolo: la famiglia Jarjayes, Oscar e le sorelle da piccole, i nonni e altro parentado vario.

Forza e coraggio, Reve, cerchiamo almeno un letto, per questa notte” disse infine, iniziando ad esplorare le stanze.

 

 

***

 

 

Dopo essersi rimboccati le maniche, erano riusciti a sistemare una stanza; non avevano considerato le altre stanze, anche perchè non ne avevano bisogno. In un angolo avevano messo una tinozza , separata dal resto da un separè scricchiolante ma che compiva egregiamente la sua funzione; il letto ed i materassi per fortuna in buono stato, avevano avuto bisogno solo di un pò d' aria. Le candele, presenti in grande quantità, erano disseminate quà e là su piattini d' argento.

Quando finirono, Reve accese il camino e appurato che tutto funzionasse a dovere, uscì a prendere un pò d' acqua. Aveva bisogno di un bel bagno, prima di andare a cena alla locanda.

Rientrò, svuotò i secchi dentro la tinozza; ripetè il viaggio un paio di volte ed infine mise un pò di acqua a scaladare; poi iniziò a spogliarsi, a favore degli occhi di Diane.

“Come sei bello, Reve” disse, guardando il suo corpo nudo e perfettamente proporzionato, sulle cui spalle ricadevano quei bellissimi capelli corvini, liberi da ogni nastro. Amava i suoi capelli, e nonostante la moda imponesse ben altre pettinature, lui decise di non tagliarli ma di conservare quel legame così stretto con il padre. Come, Sansone; erano la sua forza.

Reve sorrise e si avvicinò alla moglie, accarezzando il suo viso: poi la prese in braccio, la spogliò e insieme a lei entrò nella tinozza.

“stiamo stretti” sussurrò lei

“non importa, amore mio...così stiamo più vicini, tutti e tre” disse lui, accarezando i capelli di Diane.

Erano stretti,nudi e avvinghiati nell' acqua tiepida, mentre il sole iniziava a tramontare riflettendo i suoi raggi d'oro ovunque si posasse; un momento sacro, infinito, in cui il tempo di fermò lasciando che il silenzio li avvolgesse, raccogliendo il loro amore e le parole nei loro cuori e dei loro corpi.

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Capitolo 13
*** La fuga ***


Nota dell' autore: per un pò, potrei non pubblicare più aggiornamenti costanti; ho alcuni progetti da sviluppare e vorrei rivedere tutte le storie, dotandole di una parte grafica. Alcuni disegni li ho pronti, altri li vorrei fare.

Grazie a chi mi legge! Buona lettura, a presto. B.

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Pomeriggi autunnali carichi di pioggia: ecco cosa aveva riservato Arras a Diane e Reve, dopo averli accolti con cieli azzurri sconfinati nonostante l' avvicinarsi dell' inverno.

 

“Siamo qui già da 10 giorni, e siamo ancora vivi” disse Diane, ridacchiando, mentre Reve guardava fuori dalla finestra impaziente di poter uscire. Stare fermo, alla lunga, per lui era impossibile; dopo tre giorni filati di pioggia aveva decisamente perso la pazienza.

Reve si girò verso la sua amata.

“Vorresti dire che ti stai annoiando?” chiese, ridendo “oppure ti riferisci alla mia impazienza?”

“ alla seconda, amore mio: come potrei annoiarmi, con te?” rispose Diane serenamente, accanto a lui “ fa quando siamo qui non facciamo altro che poltrire, fare l' amore, mangiare e bere: ci farei la firma!”

 

Serenità: che gran bella parola, pensò Reve, osservando tutto ciò che di prezioso possedeva: una donna con cui finalmente aveva fatto pace , un tetto sulla testa, una vita di cui lamentarsi sarebbe stato peccato. Finalmente, dopo anni, respirava a pieni polmoni quella serenità che mancava da tempo, ed era davvero felice. Gli venne una idea.

“Diane, cosa dici se invece di tornare a Parigi , si andasse a Rouen a trovare Victoria e François? Credo che ormai sia arrivato lì anche lui, ci saranno molte cose da fare per il matrimonio, e anche Girodelle dovrebbe essere tornato.

“mi piacerebbe, Reve, ma la scuola? I tuoi impegni?” disse lei

“C'è Alexander: mi fido ciecamente di lui” rispose sicuro “ e penso che potrà fare le mie veci. Inoltre, se ci fosse qualcosa di urgente, credo che in un pomeriggio potrebbero raggiungerci senza problemi....”

“Per me va bene, Reve: io al momento non ho problemi..solo qualche nausea, come hai potuto notare, ma niente di chè. “

“E Alain?” disse Reve.

“Mio padre se la caverà egregiamente ancora per qualche giorno: ormai deve solo stare a controllare che i Richard non combinino guai....” disse.

“allora è deciso....!!” disse lui, prendendola in braccio e posandola sul letto, per ricoprirla di baci.

 

***

 

Si, stiamo facendo la cosa giusta. Stare da soli non può farci che bene, siamo felici; felici a tal punto che mi chiedo chi me lo fa fare di tornare a Parigi. Ma la nostra vita è la, ed io non posso lasciare perdere tutto ciò che ho costruito e per cui ho rischiato la vita. Credo che anche Diane, nonostante la sua sfuriata di qualche tempo fa, la pensi come me.

Stiamo per avere un figlio, tra qualche mese sarò padre, devo darmi una calmata, o almeno provarci.”

“Reve! Ci sei? A cosa stai pensando?” chiese Diane mentre si recavano alla locanda. Reve stava giocando con il cane ed era zitto, pensieroso.

“Cosa? Ah Diane...pensavo a voi, a te e al bambino” rispose una volta avvicinato alla moglie

Diane sorrise dolcemente, mentre i suoi bellissimi occhi azzurri fissavano Reve.

“ Adulatore. Lo so che pensavi a Parigi e alla nostra vita , ti conosco e ti leggo dentro” rispose lei mantenendo sempre il sorriso.

Reve sorrise. “ Diamine, la devi smettere di leggermi nel pensiero...o sarò costretto a denunciarti per stregoneria” rispose scherzando.

“No, non lo farai, perchè farei un incantesimo che ti bloccherebbe la lingua” rispose lei

“lo hai già fatto, Diane, lo hai già fatto. Ma non mi hai bloccato la lingua, bens' incatenato il cuore” rispose lui baciando la moglie.

Arrivarono all' hotellerie prima di quanto pensassero; non erano ancora le sei e Madame Fois fu sorpresa di vederli li. Nella grande stanza erano presenti Jean Baptiste e altri tre uomini, più alcuni contadini passati a bere del sidro fresco.

“buonasera signori” disse Reve, come suo solito, togliendosi il soprabito leggermente bagnato e appoggiandolo vicino al fuoco.

Gli uomini salutarono quel viso che ormai avevano imparato a conoscere, e poi tornarono alle loro chiacchiere; Diane e Reve si accomodarono al primo tavolo dispobile ordinando della birra.

“E' presto per la cena, signori, sarà pronta non prima di un' ora “ disse Leonor, vedendoli.

“non importa, mademoiselle, aspettermo tranquillamente...eravamo stanchi di stare rinchiusi in quella vecchia casa!” esclamò pronta Diane

I tre uomini si girarono verso la coppia, borbottando qualcosa; Diane e Reve si osservarono, silenziosi, poi guardarono gli uomini facendo un cenno di saluto.

“speriamo non arrivino guai” disse Reve sottovoce alla moglie, aspettandosi un cenno dai tre.

“non credo, magari erano solo curiosi di capire chi siamo” rispose lei.

“sarà...” disse Reve, con un occhio fisso sul giornale e uno verso di loro.

Madame Fois, che aveva colto quegli sguardi, si avvicinò con una scusa ai Grandier, portando del formaggio e del pane. “ è brava gente, non preoccupatevi; sono solo curiosi di capire chi è il proprietario delle terre che coltivano” disse.

Reve, sorpreso, la osservò.

“Vi sono ancora vincoli di questo genere? Loro sarebbero i contadini che curano le terre dei Jarjayes?” chiese.

“Si, Monsieur” rispose madame Fois.

Reve rimase in silenzio un attimo, poi parlò, stupendo anche Diane.

“Signori, posso offrirvi da bere? Sono venuto ora a conoscenza del fatto che voi siate le persone che si occupano delle terre dei miei nonni materni...vorrei solo ringraziarvi” disse.

Gli uomini, dopo un attimo di diffidenza, si avvicinarono al tavolo di Diane e Reve, e così fecero i contadini presenti.

“Voi siete un Jarjayes?” chiese il più vecchio dei tre, forse sulla settantina.

“Si, Monsieur... mia madre era figlia del Generale. Oscar, si chiamava Oscar. Mio padre, Andrè, è nato e cresciuto qui” rispose Reve.

Il vecchio annuì.

“Conoscevo la famiglia Grandier e ho lavorato con loro...” disse “ ho qualche anno in più di vostro padre e vostra madre, ma ricordo bene...e così...siete tornato a reclamare le vostre terre?”

Reve non sapeva come interpretare quella domanda. Bevve un sorso di birra fresca, attese un attimo e rispose.

“no, in realtà non ci avevo nemmeno pensato. Sono venuto a conoscenza solo da qualche anno di avere queste proprietà.”

“ Parlate sinceramente, mi sembra di capire. Scusateci, noi non ce l' abbiamo con Voi o con la vostra famiglia, siamo solo un pò stanchi” rispose l' uomo, che disse di chiamarsi Jacques “ auguro a voi e madame una buona permanenza”

“Grazie, Monsieur. Sappia che noi, io e mia moglie, siamo comunque dalla stessa parte.Salute!!” rispose Reve, alzando la pinta.

Quando l' uomo e la combriccola si allontanò, Diane tirò un sospiro di sollievo: aveva timore si venissero a creare incomprensioni. La gente non sapeva più di chi e cosa fidarsi,ma Reve era riuscito a mettere chiarezza subito. Continuarono quindi la loro bevuta, tubando come piccioncini finchè finalmente, Leonor, arrivò con la cena: una buona zuppa di verdure e un paio di stinco di maiale che i due divorarono sonoramente lasciando a malapena l' osso. Sazi, Reve e Diane si rilassarono; erano inoltre rimasti soli, anche Jean Baptiste si era rintanato, dopo aver giocato ai dadi con uno degli uomini di nome Gilbert.

Si era fatto buio, e Madame Fois stava sistemando; l' hotellerie avrebbe chiuso di li a poco. Diane e Reve pagarono il conto e anche la stanza di Jean Baptiste, poi si avviarono a casa.

“Certo che quella gente ne abbia passate tante; non hanno torto a guardarci di traverso. Se fossi stato al loro posto, avrei fatto lo stesso.” disse Reve mentre imboccavano il vialetto di casa.

“Lo credo anche io,amore mio. “ rispose lei. “ ora non pensiamoci, andiamo a riposare...domani è un altro giorno, ci penseremo allora”

Reve annuì, ma la sua mente stava ancora rimuginando; si sforzò a non pensarci più, e si dedicò completamente a Diane.

 

 

***

Il fuoco scaldava corpi e anime con fiamme lente e colorate. Reve e Diane erano a letto, in vena di confidenze dopo aver fatto l' amore.

 

“Reve, quando eri incosciente ti sentivo spesso parlare nel sonno” disse Diane, quando furono a letto. Lui se ne stava con le mani incrociate dietro la testa e lo sguardo nel vuoto; si destò, a quelle parole, e si girò sul fianco tenendosi la ferita che ancora gli faceva scherzi , con certi movimenti.

“ Seriamente?” chiese curioso.

“Si, Reve. Non è mai successo prima; hai cominciato a farlo quando stavi male.”

Reve pensò al sogno. Aveva accennato a Diane ciò che era successo, ma non era mai andato nello specifico.

“Se ti dicessi una cosa, mi prenderesti per pazzo?” disse serio, talmente serio che Diane fece una faccia strana.

“Sono curiosa, ora. Dimmi” rispose lei. Si era messa a sedere con le gambe incrociate, i capelli fluenti che coprivano i seni nascosti dalla camicia da notte.

“ Ho sognato i miei genitori. Mi sembrava di essere li. Non so cosa sia accaduto ma ero vivo, in un altra dimensione, e loro erano li con me; ci ho parlato, riso, pianto. C'era anche Rose Marie” disse, inziando a sentire quella punta di dolore che lo coglieva ogni volta ripensava a quei momenti. “e' stato bellissmo, e non avevo alcun dolore. Mia madre e mio padre erano giovani, mia sorella invece era cresciuta. Ho interagito con loro, sembrava leggessero nella mia mente. E' stato bellissmo, sono stati loro a dirmi che non sarei morto”.

Reve aveva le lacrime agli occhi. “Ma è ...meraviglioso” disse Diane, emozionata “ ...ma.. non hai avuto paura?”

“All' inizio si, perchè non sapevo dove mi trovavo...poi mi sono reso conto che avevo due risposte: o era il paradiso, o era un sogno. Ed entrambe, in quel momento, andavano benissimo, anche se avrei provato un dolore infinito a perderti. Ma era bello, stare li con loro. Non sai come vorrei averli vicini anche ora. Ma il destino ha scritto altro e, come dici tu, dovrei smetterla di restare ancorato al passato”

“Amore, quelle parole erano piene di rabbia; ciò che intendevo dire, è che spesso restare troppo nel passato fa male. E' giusto conoscerlo, lo è altrettanto guardare avanti” rispose lei, serena.

Diane accarezzò i capelli lunghi e sciolti di Reve, accarezzò il suo viso, silenziosa. Sembrava volesse dire qualcosa, ma dalla sua bocca non uscirono parole. Poi, finalmente, prese coraggio:

“ Ho anche io qualcosa da dirti. Quando eri li, incosciente, mi sono pentita di non averti detto del bambino. Nemmeno di quello che ho perso” disse Diane, prendendosi il viso tra le mani.

“Diane, amore mio, non ti devi preoccupare. Ora lo so e per me questo conta. Però, se me lo avessi detto, forse ti avrei aiutato. E' tutto passato. Devi avere sofferto molto, e mi dispiace non esserci stato” rispose lui.

No, non mi distoglierà più nulla da te: o faremo le cose insieme, o non le faremo pensò lui, abbracciando la moglie. Sei troppo importante per me, Diane.”

Reve e Diane si addormentarono abbracciati anche quella notte, con il sorriso sui loro volti sereni. Ne avrebbero parlato ancora, sicuramente, ma per ora andava bene così.

 

 

L' indomani mattina, Diane era sveglia presto; quando Reve si svegliò era già vestita e stava rientrando nella stanza con Xavi.

“Diane, perchè non mi hai svegliato?” bofonchiò Reve mettendosi a sedere, con i capelli sconvolti e gli occhi ancora semichiusi.

“Dormivi benissimo, parevi un angelo. Non ho voluto svegliarti” rispose lei salutandolo con un bacio. Aprì le finestre, poi: era una giornata serena, finalmente, e avrebbero potuto fare lunghe passeggiate.

Reve prese del tempo per stiracchiarsi, poi andò dietro al paravento, si lavò e si vestì; era anche affamato, e quindi non vedeva l'ora di mettere piede alla locanda.

Partirono,tutti e tre, per andare da Madame Fois; il sole era sorto da un paio d'ore e c'era del movimento sulla strada. Era giorno di mercato, e non se ne erano ricordati: ecco il perchè di quell' andazzo.

Reve e Diane arrivarono alla locanda, affamati; Leonor era già uscita per le spese e la solita Madame Fois li accolse.

“non siete andati al mercato?” chiese appena li vide entrare , sorridente come al solito

“ no Madame, ci siamo ricordati solo ora di questa cosa...facciamo colazione e ci andiamo...abbiamo perso anche quello della settimana scorsa” rispose Diane “ora però abbiamo una fame da lupi...”

“vi porto subito qualcosa: latte fresco, pane, sidro. E' ciò che mi è rimasto.” disse

“va benissmo” rispose Reve, che in quel momento avrebbe mangiato anche le gambe del tavolo, di legno spesso.

 

Erano intenti a mangiare, quando entrarono alcuni uomini. A giudicare dall' espressione di Madame Fois erano forestieri, perchè li salutò con deferenza e si mantenne seria. Non avevano l' aria di essere malintenzionati; forse erano guardie, a giudicare dalla divisa. Reve e Diane non ci fecero caso, e continuarono a mangiare.

Poco prima di uscire, chiesero alla signora dove fosse la tenuta Jarjayes.

“Chi cercate? La tenuta è disabitata da tempo” disse lei, ricominciando a svolgere le sue funzioni.

“ Un uomo. Un nemico del Re. Un giornalista che ha combinato fin troppi danni. Lo cerchiamo da una settimana, da quando ci è arrivato la soffiata. Si chiama Reve Grandier.”

 

Per poco, a Reve non andò di traverso la colazione.

Nemico del re? Ma se non ho mai osato dire nulla contro di lui. E' vero, alcuni miei articoli erano abbastanza pesanti, ma addirittura le guardie...non sono un assassino, dico solo ciò che provo” pensò Reve, mentre cercava di mantenere la calma e fare finta di niente.

 

“Si, ora ho capito chi è. E' andato verso Calais, per imbarcarsi. Era da solo e aveva fretta. Credo che ormai sia in Inghilterra a quest' ora. “ disse Madame, spiazzando tutti. Le guardie ringraziarono, diedero una occhiata in giro, e poi uscirono. Li sentirono parlare: uno di loro si sarebbe recato al paese più vicino per mandare un dispaccio, gli altri due sarebbero andati fino al porto di Calais, per informarsi sulla fuga.

Madame osservò Reve e Diane con un viso serio, che si sciolse subito dopo in un sorriso.

“non so cosa tu abbia fatto, Reve Grandier, ma da questo momento mi stai più simpatico” disse “ e credo ti convenga fuggire al più presto. Non voglio sapere cosa tu abbia combinato, ma fuggi. Prendi il cavallo che c'è nella stalla: me lo hanno lasciato come pagamento, non so cosa farmene. E' giovane e veloce. Diane, conviene che tu aspetti qui qualche giorno , e poi partirai con Baptiste.”

Reve osservò la donna. “ Madame, non so come ringraziare di tutto questo” disse. Poi si girò verso Diane, zitta e seria.

“Credo che il nostro giro al mercato e le nostre vacanze finiscano qui. Mi dispiace, amore mio. Ora parto: tra tre gironi al massimo ti aspetto a Parigi” disse, baciandola. Diede una carezza a Xavi e seguì la signora nelle scuderie.

Meno di cinque minuti dopo, lo sentirono partire al galoppo.

Passò tutto il pomeriggio in sella a quel cavallo, arrivando a Parigi a notte fonda. Non andò a casa, ma tornò da Alain, alla locanda, facendo attenzione a non essere visto.

Quandò entrò, trafelato, negli appartamenti di Alain, l' uomo lo stava aspettando.

“Vorrei capire cosa sta succedendo!” esclamò, senza nemmeno salutare. Alain, seduto sulla sua solita poltrona, lo osservava in silenzio.

“Hanno portato via tutti. Solo François si è salvato, perchè è a Rouen da Victoria. Ho mandato Jerome da lui, per dirgli di stare lontano da Parigi e dalla Normandia.” disse con un filo di voce.

Reve non credeva a ciò che sentiva.

“Chi li ha presi? Cosa è successo?” chiese, sempre più confuso.

“I monarchici reazionari. Hai pestato i piedi alla persona sbagliata, che a quanto pare è anche quella che ha tentato di ucciderti. Puoi essere un pericolo per lei, per loro. Devi andare via al più presto. “ disse lui.

“Alexader? Louis? I nostri aiutanti alla scuola?” chiese Reve sapendo già la risposta

“ Li hanno presi e non ne ho saputo più nulla. Ora va, preparati, fuggi al più presto. Cerca di raccogliere tutto ciò che ti serve e parti. Penserò io a Diane, è in pericolo anche lei.” disse.

Reve si sentì gelare.

Abbracciò il suocero, lo guardò a lungo negli occhi, con il dolore nel cuore. Non sapeva quando si sarebbero rivisti. Non sapeva quando avrebbe rivisto Diane.

Come se avesse il diavolo alle calcagna, cercò di tornare a palazzo, per prendere dei soldi e dei vestiti; fortunatamente non vi era nessuno quindi, con molta attenzione, si intrufolò in casa e prese ciò che serviva. Prima di partire guardò il quadro di suo padre, lo nascose come poteva e risalì a cavallo.

 

 

 

Insomma, eccomi di nuovo in viaggio” pensò Reve “ Era destino, a quanto pare.

Sapevo che doveva accadere prima o poi...ma non ero pronto. Diane, perdonami, ti ho messo nei guai. Perdonatemi tutti, amici miei.”.

Un ultimo sguardò alla scuola, a Parigi, e Reve sparì nella notte, con il volto rigato di lacrime e  senza sapere dove andare ma seguendo solo il suo istinto.

 

 

 

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Capitolo 14
*** Auxerre ***


Stravolto.Mai aggettivo fu più azzeccato per descrivere Reve in quel momento. In cuor suo sapeva che prima o poi sarebbe successo, perchè quando parli con il cuore in mano, prima o poi i nemici te li fai, e ne aveva avuta prova qualche tempo prima...ma non credeva e pensava che tutto potesse succedere così in fretta, all' improvviso, in un momento in cui tutto era relativamente calmo. Eppure, era accaduto, e l'avevano organizzata proprio bene, questa retata. Il suo pensiero era rivolto alla moglie, ma anche ad Alexander e François... chissà come stavano, dove erano. E Alain? Girodelle?

Chi era, o erano, a volerlo arrestato o addirittura morto?

Reve pensava a questo, mentre cavalcava a spron battuto lungo vie che l' istinto gli suggeriva, fuori da sentieri conosciuti e frequentati.

Aveva deciso di andare verso sud, proseguendo per sentieri poco battuti e dormendo dove capitava senza mai dare nell' occhio; sarebbe tornato in Svizzera: in Italia era impensabile, essendoci di mezzo problemi di vario genere così come in Austria.

Era agitato e distrutto: aveva la felicità tra le mani, ed ora era tutto appeso ad un sottilissimo filo. Il suo cuore e la sua mente erano rivolti a Diane ed al figlio che doveva nascere.

Intorno ad un fuoco di fortuna, abbracciava le ginocchia posando il capo su di esse, lasciando che le lacrime corressero senza sosta sul suo viso sporco e stanco. Poi, preso il diario, cominciò a scrivere.

 

6 novembre 1820

Non ora, non ora.

Se esisti, Dio, fa che tutto vada bene; ora che ho trovato pace e felicità non portarmi via ciò che amo e ciò che ho fatto.

Non credo di aver mai fatto male a nessuno e ti prego di non portarmi mai ad imbracciare una pistola o un fucile, ma sappi che sarò pronto a farlo, se le cose si metteranno male.

Diane, amore mio, perchè sono partito senza di te?

Vorrei tornare indietro e prenderti, caricarti a cavallo, vorrei che tu fossi qui.

Ma le cose sono andate diversamente.

Spero che questo finisca presto e di rivederti: muoverò mari e montagne, ma tornerò da te e da nostro figlio.

Mamma, papà...aiutatemi.

 

 

Reve chiuse il diario, si guardò in giro e si preparò per la notte; ma aveva calvalcato per almeno 4 ore e non aveva idea riguardo a dove potesse trovarsi..ma bosco lo poteva proteggere, per un pò, sicuramente.Si appoggiò quindi ad un masso li accanto, e si addormentò, distrutto.

Il mattino si risvegliò poco prima dell' alba; buttò nella sacca la coperta e sellò il cavallo, quindi si guardò intorno e iniziò il suo cammino, prendendo per le redini l' animale. Si trovava in pianura, in un posto che non gli sembrava di conoscere; non vi erano abitazioni ma solo radure, boschetti e strade che parevano più sentieri.

Sospirò.

“Andiamo, forza e coraggio “ disse a sè stesso ed al cavallo, dopo avere percorso qualche centinaio di metri a piedi. Saltò in sella,vagò con lo sguardo lontano, e decise di continuare su quella strada, come se fosse in viaggio di piacere; la sua andatura era lenta e pacifica. Il cielo cangiante di azzurro e linee rossastre prometteva una giornata fresca e serena.

Fortunamente tutto proseguì liscio come pensava; percorse un paio d' ore e poi, intravisto un villaggio, girò intorno ad esso per capire se ci fossero pericoli e solo quando fu sicuro di non intravedere niente di strano vi entrò; aveva assolutamente bisogno di mangiare qualcosa.

Il villaggio era davvero piccolo, e la gente era indaffarata ad i soliti lavori, anche se nei campi non vi era molto da fare.Seduti sull' uscio di case vi erano massaie con i bambini e uomini intenti ad aggiustare finimenti, pentolami, e via dicendo. Si fece coraggio e chiese dove poteva trovare una locanda o una taverna; dopo alcuni sguardi diffidenti, riuscì finalmente ad avere una risposta.

“Andate da Gilbert, laggiù. Ha buon vino e sempre qualche piatto sul fuoco, se avete da pagare” disse un vecchio dalla barba bianca. “ da dove provenite, signore?”

“ Da Pas de Calais. “ rispose Reve “ e devo raggiungere la Svizzera. I miei genitori stanno molto male”

Il vecchio lo squadrò da capo a piedi; Reve restò calmo.

“Andate là, e buona fortuna. ” disse

“Grazie, monsieur...”

“... Cristian Lefevre” rispose l' uomo.

“Grazie, Monsiur Lefevre.” disse Reve; quindi condusse il cavallo verso il posto che gli avevano indicato, lo legò ad un anello a muro, e cercò di darsi una ripulita come poteva.

Non vi era nessuno a parte l' oste, un uomo corpulento con baffi e barba nera che coprivano gran parte del suo viso bianco e rosso.

“Buongiorno signore” disse, asciugando un bicchiere e appoggiandolo sul bancone, in attesa di una risposa.

“buogirono a voi. Vorrei della birra e se possibile mangiare qualcosa” chiese Reve

“Avete da pagare”?

“ Certamente” disse mostrando qualche moneta che lanciò sul banco.

“Ne bastano due. Sedetevi, vi porterò del latte caldo , del pane e della frutta che ho in casa, se vi accontetate” rispose l' oste.

“Va benissimo, vi ringrazio” rispose Reve, andandosi a sedere al primo tavolo che trovò, senza nemmeno togliersi la giacca. Appoggiò i gomiti sul tavolo e prese la testa tra le mani; si toccò il viso, sentì la pelle ruvida e secca e la barba, si sfregò gli occhi. Era stanco, e una giornata doveva ancora iniziare.

“siete in viaggio da molto?” chiese l' uomo, servendogli la colazione. Reve alzò il viso e guardò l'oste.

“Si. Devo tornare in Svizzera, i miei genitori stanno molto male. Ieri sera devo aver perso l' orientamento....” disse lui afferranso subito il pane

“Perchè dite così? Siete sulla strada giusta:, anche se non vicinissmo al confine.

“ Era buio, ed ero stanco...probabilmente non mi sono accorto....! “ rispose, sorridendo “ devo arrivare in Svizzera il prima possibile e sto cercando la strada migliore.

La recita andava avanti bene.

l' oste, in assenza di altri avventori, prese una sedia e si mise accanto a Reve.

“Sentite: a un paio d' ore da qui vi è un altro paese, dove potrete trovare un servizio di diligenze. Sarete pià comodo e potrete raggiungere i vostri cari senza problemi. Purtroppo qui non abbiamo stanze, ma se volete rendervi presentabile posso farvi preparare una tinozza , nella stanza sul retro. Potete anche radervi, se volete. “

Reve ci pensò su, perchè ormai sospettava di tutto e tutti, ma decise di accettare: sicuramente avrebbe dato meno nell' occhio se avesse mantenuto un certo ordine. Alla fine decise di prendersi del tempo e disse all' uomo di preparare il bagno.

“Sono proprio conciato , eh?” pensò ad alta voce.

“Pare sia stato inseguito dal diavolo, Monsieur. Non si preoccupi. Qui ce ne stiamo zitti, qualunque sia il motivo del vostro viaggio a me non importa. Non ha l' aria di essere uno di quelli” rispose l' oste, che aveva ripreso a trafficare tra botti di birra e formaggi.

Reve rimase basito.

“scusate, cosa intendete ?” chiese.

“non sembrate un aristocratico , quindi a me va bene così. Da queste parti, se ne troviamo uno, lo appendiamo all' insegna della taverna” rispose, severo.

Reve lo fissò, serio. Poi sorrise e scosse la testa.

“no, non sono un aristocratico” rispose con un filo di voce e aggiunse “ha visto beme. Le sarò grato, per la comprensione e l' aiuto” . Lasciò altre monete sul tavolo.

L' oste le prese e le nascose in tasca.

“Andate: credo sia pronto “ disse “ e prendetevi cura di voi. Avete l' aria di essere un brav' uomo. Quando avete finito, vi porterò il cavallo nel retro”.

Reve non poteva credere alle sue orecchie.

Certo, era sempre all' erta, ma solo per un attimo decise di fidarsi, e si rilassò dentro quel bagno caldo.

Gli tornò in mente Diane; sembravano passate settimane, invece era trascorso qualche giorno. Avrebbe voluto scriverle, ma come? Dove poteva indirizzare la corrispondenza? Forse era troppo pericolo, farlo ora.

 

Diane, mi manchi tantissimo. Cosa starai facendo ora? Stai bene? Ho ancora nelle narici il profuo della tua pelle, e nelle orecchie risuona la tua risata argentina... verrò a riprenderti, lo giuro, fosse l' ultima cosa che faccio! E insieme scopriremo chi ha voluto questo....” pensò Reve “Dovevo fermarmi solo qualche settimana.... invece eccomi qui.... madre, padre, aiutatemi, ve ne prego!!!”

 

Eh già...erano passati 4 anni ed era una persona completamente diversa, sia nel fisico che nell' animo; si era trasformato in un bellissimo uomo nel corpo e nello spirito, anche se in quel momento Reve non era esattamente al massimo della forma.

Dopo essersi rilassato un pò, si lavò e infine prese lo specchietto li vicino, si osservò e ammise a sè stesso che sembrava davvero scappato dal demonio, altrochè!

Decise di darsi una regolata, fare la barba e tornare accettabile; si lavò e poi cambiò gli abiti mettendo qualcosa di più semplice e che non lo facesse sentire nè un damerino nè un borghese e

poi, soddisfatto, legò i capelli ancora bagnati , sistemò la sacca e aspettò l' oste seduto su una vecchia panca del giardino sul retro.

“Siete pronto? “chiese l' uomo

“Si, Monsieur....non so come ringraziarvi, sono in debito con voi.” disse

“Lasciate stare” si schernì l' uomo “ piuttosto, adesso statemi a sentire:manca ancora un bel pezzo prima che possiate arrivare ad Auxerre, dovrete oltrepassare almeno 4 villaggi, piccoli paesi nei quali consiglio di non fermarvi: Perthes, Arbonne e Ury sono covi di monarchici.

Ad Auxerre andate all' hotellerie Sauver: è di mio cugino. Ditegli che vi mando io. “

“non so davvero cosa dire...mi ricorderò di voi, Monsieur!” rispose Reve salendo a cavallo e riprendendo il suo cammino.

 

 

***

 

Dopo un tempo che pareva interminabile ed avere oltrepassato campi, piccole colline, vallate e foreste, finalmente Reve arrivò alle porte di Auxerre: cresciuta sul fiume Yonne, era decisamente una bella cittadina di origine medievale e nella quale vi era abbazia dedicata a Saint- Germaine, mèta di pellegrinaggi . Reve si guardò in giro, si mischiò ai pellegrini e gironzolò per la città, alla ricerca dell' hotellerie Sauver. Dopo un tempo che pareva non passare mai, finalmente vide l' insegna di legno, ed entrò; era molto diversa da quella locanda di campagna. Una cameriera chiese se volesse pranzare, ed è ciò che fece perchè dopo giorni e giorni a cibarsi di ciò che trovava (si era perfino costruito una piccola trappola, come gli aveva insegnato suo padre, per catturare qualche animaletto) non vedeva l' ora di mettere nello stomaco del cibo decente.

“Vorrei anche una camera. Mi manda Gilbert” disse alla cameriera quando gli portò il pasto .

“dovete parlare con Monsieur Sauver, lo chiamo subito” rispose la ragazza, girandosi verso il bancone e facendo un cenno verso l' uomo addetto alla mescita del vino.

“Buongiorno, ditemi” chiese l' uomo, arrivando al tavolo facendo zig zag tra i clienti.

“ Buongiorno, mi manda Gilbert. Avete una camera per un paio di notti? Ho da pagare” chiese Reve, mostrando il denaro .

L' uomo annuì. “Quando avete finito il vostro pranzo venite al banco, vi condurrò nella vostra stanza. Avete anche un cavallo?”

“Si, Monsieur. L' ho legato qui fuori” rispose Reve

“Manderò il garzone a prenderlo e lo porterò nelle stalle; vi costerà qualche soldo in più” disse Gilber.

“Per me va bene. Merci” rispose , riprendendo a mangiare la sua zuppa e guardandosi intorno.

 

***

Reve fu condotto in una stanza al primo piano ,che dava sulla strada, con una finestra che gli mostrava l' andirivieni delle persone ed il traffico cittadino. Era una stanza modesta ma con tutte le comodità, compresa una toilette nascosta da un paravento, un piccolo camino, un letto comodo e una poltrona. Finalmente, dopo 13 giorni di viaggio, era riuscito mangiare decentemente e ora non voleva far altro che mettersi a mollo nella tinozza; ma il sonno prese il sopravvento e come appoggiò la testa sul cuscino, cadde stremato in un sonno profondo.

 

 

Dormi, figlio mio. Riposati. Una lunga strada di attende. Io e tuo padre staremo al tuo fianco ad ogni tuo passo” .

 

 

 

 

 

 

 

 


 

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Capitolo 15
*** Cambi di direzione ***


 

18 gennaio 1821

 

Mia cara sposa, finalmente ho trovato il modo per farti ricevere questa mia: sono stato molto impegnato con i miei mercati e credo che mi fermerò qui ad Auxerre ancora per qualche tempo, perchè le entrate sono buone. Sono arrivato qui dopo aver fatto un buon viaggio , e ho trovato subito il mio vecchio amico dell' hotellerie che mi riservato una stanza per il tempo che vorrò fermarmi; il cibo è buono e la stanza è pulita, con tutto ciò che mi serve.

Mi manchi molto, mi manca tutto di te; non vedo l' ora di riabbracciarti così come non vedo

l' ora di ritrovarci insieme ai nostri fratelli ...a proposito, hai avuto loro notizie? Qui non ho ancora ricevuto nulla e tantomeno saputo qualcosa del loro viaggio forzato.

...e mio suocero, è ancora a Parigi?Spero stia bene.

Quando avrò finito i miei mercati, deciderò cosa fare, se arrivare in Svizzera o tornare da te. Credo la seconda, ovviamente!

 

A proposito, credo di avere capito chi mi ha portato sfortuna; si tratta di VLE .

Appena capirò qualcosa di più, ti racconterò.

 

Ti amo moltissimo, mia dolce sposa. Dai una carezza al pancione da parte mia.

 

Tuo, Laurent”

 

 

Reve scrisse la lettera di fretta, seduto al tavolo della sala da pranzo durante una pausa in quella lunga giornata; davanti a lui vi era Daniel, un mercante di Arras che presto avrebbe fatto ritorno nella regione del Pas de Calais .Aspettava il foglio da consegnare a Madame Fois.

“grazie, Daniel” disse Reve, dandogli una moneta per il disturbo.

“Lascia stare, Laurent “ rispose l' uomo tornadogli l' obolo “per me non è un problema, torno comunque a casa”. Il suo sguardo era serio.

 

Laurent... Reve aveva deciso di farsi chiamare così, con il suo primo nome, per evitare problemi; anche a quel ragazzotto si era presentato con il nome di Laurent Saunier, la copertura che usava da ormai un paio di mesi.

 

“Grazie, davvero! Fai buon viaggio” rispose Reve, stringendogli forte la mano e alzandosi per andare in camera a darsi una rinfrescata.

“arrivedervi, Signori” disse il mercante, salutando i presenti e prendendo l' uscita.

Reve lo osservò partire: quanto avrebbe voluto andare con lui, anche nascosto in una botte di birra per tutto il viaggio...ma era troppo presto, troppo rischioso. Avrebbe aspettato la risposta di sua moglie – era sicuro avrebbe decifrato quella strana lettera in poco tempo – e poi avrebbe deciso.

“ Monsieur Sauver, se non vi dispiace tornerei in camera” disse Reve, più per cortesia che per chiedere il permesso.

“Vai pure, ragazzo; ricordati di scendere verso le cinque, chè devo mandarti a fare alcune commissioni” rispose, senza distogliere lo sguardo dal conto che stava preparando.

Reve salì le scale e tornò nella sua stanza, stanco ma finalmente felice di poter allungare le gambe su un letto;la mattina aveva trottato abbastanza, e le scarpe gli facevano male.

Entrato in camera, si preparò subito un bagno, mettendo l' acqua del secchio a bollire nel paiolo, sul fuoco; poi si tolse quelle maledette scarpe, lanciandole, e si buttò sul letto.

Fuori la giornata proseguiva uguale agli altri giorni: gente che andava e veniva , pellegrini, visitatori; lo strillone con i giornali e le tate a spasso con infanti e bambinetti. Lui era li da due mesi, e la vita era sempre la stessa.

 

Due lunghi mesi...una eternità, mi pare.” pensò “ però sono stato fortunato, fino ad ora...Sauver è un brav'uomo, dovrò ricordarmi di lui” .

 

Dopo essersi riposato un pò, Reve si preparò il bagno e si lavò, poi restò raccolto nei suoi pensieri per un pò; infine prese il suo diario ed aggiunse un' altra pagina alle molte che aveva scritto in questo periodo di stasi...era un modo per mantenere l' equilibrio mentale, che altrimenti lo avrebbe condotto a fare qualche pazzia.

 

Oggi ho avuto un colpo di fortuna: durante il pranzo, ho servito un cliente che ho poi saputo essere un mercante di Arras, Daniel Court; quindi, gli ho chiesto la cortesia di far avere una lettera alla mia amata Diane. Sembra un uomo a posto, ma sono stato comunque attento, e ho scritto in modo molto vago in una sorta di codice.

Il mio cuore è più leggero, ora; so che tra una settimana o poco più la mia amata riceverà la mia lettera,sempre che sia ancora da madame Fois e che stia bene...ma a queste eventualità non voglio pensarci, preferisco essere ottimista. Non vedo l' ora di ricevere una risposta, perchè stare qui senza fare nulla – per la causa, intendo- e soprattutto stare lontano da lei potrebbe condurmi alla pazzia.

Chissà come sta, e come sarà la sua pancia adesso...quanto vorrei essere li...invece sono fermo ad Auxerre, e davvero non so quando ripartirò. Per fortuna ho trovato una persona gentile ed amica, che mi ha offerto un lavoro e una copertura finchè vorrò: il padrone dell' hotellerie, il parente di Gilbert. Non ho mai lavorato così tanto in vita mia, ma non mi preoccupo e nemmeno mi lamento visto che tutto ciò mi permette di avere un tetto sulla testa e qualche moneta in tasca...non posso del resto andare nelle botteghe con le mie lettere di credito e farmi riconoscere.

Sono stanco e continuo a pensare a cosa ne è stato dei miei amici: nemmeno da loro ho più ricevuto notizie. François, Alexander, Louis, Victoria, Alain, Girodelle...chissà come stanno. Mi mancano. Spero non abbiano passato guai.

Mi mancate tanto.

Anche voi, mamma e papà, mi mancate tanto. Vi ho sempre nel cuore”.

 

L' uomo restò con la mano quasi sospesa sopra la tavola appoggiata sopra la tinozza, come se dovesse scrivere ancora chissà cosa; ma la stanchezza prese il sopravvento. Mise a posto la penna, spostò la tavola per uscire e prese un telo, asciugandosi e poi mettendosi seduto accanto al fuoco mentre il campanile vicino suonò le tre e mezzo.

Reve si addormentò e si svegliò solo quando Helene, una delle ragazze, bussò alla porta per dirgli che il capo lo cercava. Si rivesti alla svelta e scese le scale, pronto per un altro turno di lavoro.

Cacciò indietro le lacrime che improvvisamente facevano capolino nei suoi occhi smeraldini, si sistemò camicia e giacchino, e tornò al lavoro, con il sorriso stampato sul volto e il cuore sempre più a pezzi.

 

***

 

“Padre, ho avuto notizie di Reve” disse Diane, sventolando il biglietto sotto il suo naso.Era felice, finalmente il suo amore le aveva scritto, era sano e salvo.

Nella locanda non vi era nessuno, Madame Fois si era andata a stendere un attimo; Alain era arrivato quella mattina e si sarebbe fermato un paio di giorni.

“Forza piccola, dimmi un pò che dice” chiese il vecchio soldato, preparando una sedia per la figlia e facendole cenno di accomodarsi.

Diane si sedette vicino al padre, e gli diede il foglio; Alain diede una scorsa e lo richiuse. Un sorriso illuminava il volto.

“Sono felice che stia bene ....e spero che vada avanti così, perchè non credo tornerà a casa presto. Se la persona che lo vuole prendere è chi penso io, dovrai rassegnarti a non vederlo per anni” disse Alain, mesto.

“...padre...cosa ....che cosa dici?” disse Diane, con la voce spezzata e gli occhi pieni di pianto.

“ DIA....Caroline – questo era il nome che Diane aveva preso a copertura- il conte di Villèle è un uomo spregevole, ultraconservatore, un gran rompiscatole. Non è pericoloso ma può comunque farvi del male, anzi, farci del male. Crede che Luigi XVIII e la sua monarchia siano moderate e morbide, troppo liberali...non credo voglia togliere di mezzo il re ma tutti gli altri liberali, sicuramente, sì” disse d' un fiato.

Diane rimase senza parole.

“non vi è proprio modo di aggirare le cose e far tornare Reve, dunque?”

“no, mia cara bambina, non credo. Vallèle sta iniziando ora la sua scalata al potere e non credo si concluderà presto. “ rispose; e non aveva tutti i torti, visto che quell' uomo sarebbe rimasto al potere almeno per altri 7 anni.

 

Diane e Alain rimasero in silenzio, pensierosi e tristi.

“...e di Alexander , Maximilian, insomma...di tutti gli altri hai saputo qualcosa?” chiese la donna. Aveva paura a fare questa domanda, ma doveva sapere la verità.

Alain prese una lunga pausa,e senza sollevare la testa, rispose, con un filo di voce:

“Jerome mi ha riferito che Alexander è morto, lo hanno preso a botte finchè non ha esalato l' anima. Suo fratello è stato reso libero a patto di non tornare più sul suolo francese. François e Victoria sono a Rouen e si stanno preparando per tornare in Svizzera insieme a Bernard e Rosalie. Siamo tutti in pericolo, chi più chi meno.”

Diane pianse calde lacrime: il suo uomo lontano, Alexander morto, gli altri presto in una sorta di esilio volontario...cosa poteva fare?

Alain prese un sorso i birra; poi, messo il mantello, uscì all' esterno per una passeggiata. La figlia lo seguì.

“cosa dovrei fare, padre, considerando che tra pochi mesi darò alla luce un bambino?” chiese.

Vi era sempre stata molta confidenza tra i due; lui aveva cresciuta la figlia da solo, dopo che la moglie lo abbandonò, molti anni prima.

Camminarono lungo il sentiero che portava a palazzo, con Xavi che faceva avanti e indietro correndo dietro a piccoli animali; camminarono in silenzio finchè Alain trovò una piccola panca sulla quale sedersi. Curvo, con le mani sul pomello del bastone da viaggio a sostenere la testa , guardava lontano.

 

Certo sono passati un pò di anni, ma le cose che abbiamo fatto qualcosa hanno mosso.,.. Andrè, Oscar, abbiamo lasciato una bella eredità ai nosri figli, ma soprattutto dovremmo gioire perchè abbiamo passato loro l' amore per la libertà e la giustizia. I nostri figli ora combattono per i loro figli e per noi: non è bellissimo?

Dobbiamo esserne fieri.....pensò Alain.

 

“Papà...cosa devo fare?” chiese Diane, supplicandolo.

“Diane, bambina mia...devi fare ciò che ti dice il cuore. Sei una donna forte, hai un bel cervello. Segui il tuo istinto, fai attenzione al figlio che hai in grembo...scegli quello che è meglio per voi. Stai attenta, però, non è una passeggiata e dovremmo organizzarci al meglio” rispose Alain.

Diane fu sollevata, e felice.

“Domani o dopo, se Daniel Court passerà di qua, consegnerò una lettera per Reve....” disse Diane.

Alain fissò la figlia; poi si alzò e ricominciò a camminare, con accanto Xavi.

A braccetto con la donna, proseguirono ben oltre il cancello della tenuta di Reve, andando verso il ruscello.

“Bambina, questo Daniel è un uomo fidato?” chiese, mentre passeggiavano

“Credo di si, padre. Per quanto lo conosca, si. Madame Fois dice che è un tipo strano, ma sa tenere la bocca chiusa...non vuole guai, ed è onesto”.

“Siamo fortunati, allora” rispose il vecchio.

Diane lo fissò.

“Prepara i bagagli, Diane. Presto andremo ad Auxerre.” disse Alain, sorridendo.

 

 

***

 

“Siete dei folli” disse Madame Fois, quando Diane le parlò del piano “

“ Sophie, non ho molta scelta. O rimango qui ad aspettare non so nemmeno io cosa, chi e per quanto tempo oppure parto. Dai, non è un brutto piano. Ci sarà mio padre con me” disse Diane parlando con la padrona.

“ Non è che mi consoli molto, saperlo” disse Madame osservando Alain” però meglio che niente. E quando vorresti partire?

“appena Daniel Court sarà pronto. Ancora dobbiamo parlargli” rispose Diane, prendendo le birre e portadole ai tre fratelli Bonnèt, intenti a giocare a carte.

“ Come farai con quel pancione? Mancano pochi mesi...forse due...cosa farai se ti succede qualcosa per strada?” chiese la padrona , preoccupata.

“ ci penseremo. Parlerò con Daniel e vedremo. E' una occasione che non voglio sprecare” rispose

Madame Fois restò in silenzio.

“Porta queste al tavolo con quei tre ragazzi... poi, potrai ritirarti.” disse ad un certo punto Sophie Fois “ avrai molte cose da preparare, devi tenerti pronta in qualsiasi momento”

Diane sorrise, gli occhi le brillarono.

Reve, amore mio, presto sarò da te”.

La sera era scesa ad Arras.

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Capitolo 16
*** Sorprese ***


 

(Arras, 22 gennaio 1821, tardo pomeriggio)

 

 

“Allora Daniel, che ne pensate? “ chiese Alain, dopo avergli parlato riguardo alla possibilità di un viaggio insieme a lui spiegandogli l' indispensabile.

“Non so, Monsieur. Io voglio stare fuori dai guai, e in questo momento ne sento la puzza . Voglio stare tranquillo. Da me non uscirà mai alcuna parola perchè sono un gentiluomo, ma...sono molto indeciso.” rispose lui, gettando nella disperazione Diane. Non aveva tutti i torti, Alain lo comprese benissimo, ma volle provare a convincerlo.

“Sentite, non vi nego che potrebbero esserci degli intoppi, ma posso assicurarvi che casomai succedesse qualcosa, faremo finta di non conoscervi. Non dovete preoccuparvi. Noi non siamo nè ladri nè assassini. Siamo un padre e una figlia che vogliono raggiungere Auxerre per toglierci momentaneamente da alcuni problemi. Siamo dalla vostra parte, dalla parte del popolo, e se ci stanno cercando è perchè abbiamo avuto il coraggio di esporci e dire la nostra” disse Alain .

 

Gli uomini presero un sorso di birra e mangiarono del formaggio, mentre Diane teneva d'occhio

la sala e Madame Fois, nel caso servisse qualcosa.

 

“Devo dormirci sopra...facciamo così. Io partirò stanotte alle 4; in ogni caso passerò di qui , e vi darò una risposta”. Poi prese il suo mantello ed uscì, dopo avere pagato il conto a Diane.

Alain lo guardò uscire, e non disse nulla; quando la figlia si avvicinò sconsolata, sorrise.

“Non preocuparti piccola. Credo che ci porterà con lui” disse

“ E se non lo farà?” chiese

“ Ci inventeremo qualcosa. Ora vado a dormire, passi a salutarmi?” chiese

“Certo, padre. A più tardi.” rispose.

 

 

Diane finì di lavorare intorno alle 23; chiuse la porta della sala e finalmente si tolse il grembiule, che appoggiò al suo solito posto. Madame Fois come al solito stava finendo la contabilità.

“Vado, Madame.” disse

“D' accordo, Diane. A propostito, come è andata con Daniel?” chiese.

“Domattina lo sapremo” rispose la donna, mentre si incamminava per raggiungere la stanza del padre.

Bussò.

“Vieni, Diane” rispose Alain

“Padre, io ho finito: mi faccio un bagno caldo e mi metto a letto. Non ho nulla da portare con me, a parte una veste di ricambio....e Xavi.” disse accarezzando il cane, ormai diventato la mascotte del posto.

“D' accordo, figlia mia. Cerca di dormire stanotte: ci aspetta, nel caso, un lungo viaggio. Ti chiamerò io. Stai tranquilla: andrà tutto bene.” rispose, mettendosi a letto.

Diane diede un bacio al padre, e poi si ritirò nelle sue stanze.

L' indomani mattina , Diane ed il padre attendevano speranzosi l' arrivo di Daniel che, con qualche minuto di ritardo, li accontentò palesandosi alla loro vista mentre sbadigliava sonoramente.

“buongiorno Daniel, bentrovato” disse Alain, chiuso nel suo mantello.

“Buongiorno a voi signori” rispose il ragazzo fermandosi. Diane non gli lasciò il tempo di parlare, e subito chiese se avesse deciso. Lui si stropicciò gli occhi, si grattà la faccia, e finalmente rispose:

“ Signori, se non vi sbrigate,salterà la mia tabella di marcia “ disse con un sorriso, raro sul suo viso, facendo posto a cassetta; “Voi potete mettervi nel retro, Madame. Ho ricavato una nicchia tra le botti e quelle casse di vino” disse. Diane fu molto sorpresa di questa cosa, e lui lo notò. “Sarò anche uno zotico , un mercante, ma so come trattare le signore, tantopiù se sono in stato interessante”

“Ben gentile, Daniel. Vi ringrazio” disse salendo, aiutata dal padre. Xavi la raggiunse con un balzo.

“Bene, andiamo! La prima tappa sarà piuttosto lunga, e dormiremo all' aperto....ma non preoccupatevi, poi ci fermeremo in alcune locande” disse.

“Se fosse per me dormirei anche nelle stalle, pur di andare ad Auxerre “ rispose lei, accomodandosi.

Alain prese posto accanto al mercante, e la carovana iniziò il suo viaggio.

“Daniel, voi non sapete quanto sia importante per noi. Vi saremo grati per sempre” disse Alain “e naturalmente vi pagheremo il disturbo”

L' uomo non disse nulla, fece solo un cenno con la testa, e lasciò andare lo sguardo lontano.

 

 

 

(Auxerre, 25 gennaio)

 

Alexander e Louis sono morti,Max è stato messo in libertà ed è tornato in Inghilterra... e io sono un uomo distrutto. I miei amici non ci sono più, e questo perchè il conte di Villèle non è riuscito a sapere dove mi trovo...non oso pensare a ciò che potrebbe fare a Diane, dovesse cadere in mano sua.

Sono a pezzi, non smetto di piangere e di tormentarmi. Non credevo si arrivase a questo...proprio noi, che vogliamo solo aiutare gli altri, e non abbiamo mai fatto male a nessuno.

Me la pagherà, quell' uomo. Non so quando e come, ma me la pagherà!!! “

 

Reve era riuscito a scrivere solo queste poche righe sul suo diario, quando Pierre e Marie passarono a chiamarlo per sentire come stava; lo avevano visto andare via di fretta dopo il servizio, stringendo tra le mani un foglio di carta, sconvolto.

“Venite, è aperto” rispose, posando penna e calamaio e chiudendo il diario.

“Laurent, stai bene? “ chise timidamente Marie, sulla porta.

“Te ne sei andato via sconvolto: è successo qualcosa di grave?” chiese Pierre, facendole eco.

Reve invitò i due ad entrare, portò loro le sedie e si mise a sedere sul letto.

“Purtroppo si. Due miei carissimi amici sono morti” rispose, mesto.

Pierre , il figlio di Sauver, balbettò una frase di circostanza che comunque fece piacere a Reve e Marie, invece, non disse nulla.

“Grazie Pierre, grazie Marie. “ rispose Reve “ non preoccupatevi per me, sarò presente al servizio si stasera...ho solo bisogno di stare un pò da solo. Sapete, ho condiviso molte cose con loro, erano quasi fratelli per me.”

Pierre e Marie annuirono.

“Senti, se hai bisogno di qualcosa, ti copriamo noi stasera” disse Marie.

“no, grazie cherie, non ce n'è bisogno” rispose Reve facendo arrossire la ragazza.

 

Appena uscirono, riprese a scrivere: aveva un fiume in piena, dentro la sua testa.

 

Quando Luc mi ha chiesto di andare in quella bettola con lui, mi sono detto perchè no; da tempo non ho uno svago. Siamo andati nei bassi e ci siamo fatti qualche pinta; prima di uscire l' occhio mi è caduto sul giornale...il giornale per cui scrivevo era a terra, calpestato da stivali e zoccoli.

L' ho raccolto , era sporco, e l'ho messo in tasca. Non l' ho letto fino a stamattina perchè me ne ero dimenticato...e appena ho capito cosa è accaduto, ho faticato a finire il servizio... però ce l' ho fatta, e ora finalmente posso dare sfogo al mio dolore.

Ancora non ci credo...non so proprio cosa succederà, ora. Il conte ha davvero oltrepassato il segno, non doveva arrivare a questo...e si merita una punizione...si, ma quando? Come? Io sono qui, e lui e potente. Ucciderlo...non ci riuscirei nemmeno a volerlo, potrei chiedere a qualcuno di farlo...ma rischierei di peggiorare le cose.

Dio mio, che discorsi sto facendo... devo darmi una regolata.

L' unico pensiero positivo che ho è che tra al massimo una decina di giorni arriverà il mercante, quel Daniel, e se tutto va bene avrà notizie per me. Non vedo l' ora, spero di non restare deluso.

Se tu fossi qui, madre mia, cosa faresti? E tu, padre? ”


Reve chiuse il diario e si alzò per sgranchirsi le gambe. Pensò a sua madre e suo padre, ai loro visi a volte stanchi ma sempre sereni. Pensò alle serate passate a parlare con lei, Oscar, e si accorse che a malapena ricordava la sua voce. Da un pò non li sognava.

Camminò su e già per la stanza, poi scese in sala; il servizio per la cena era lontano, ma lui aveva bisogno di fare qualcosa, per non impazzire. Nessuno disse nulla quando lo videro scendere e presentarsi, sorridente come se nulla fosse.

“Eccomi, sono sceso prima. Avete qualcosa da farmi fare, Monsieur Sauver?” chiese, appoggiandosi al bancone.

“no, Laurent, qui sono a posto. Hai fatto quelle consegne che ti ho schieso? “ rispose l' oste

“si, signore. Mi sono anche permesso di ordinare della carne, ho visto che stava finendo. Spero non le dispiaccia”

“Molto bene, Laurent...ritieniti libero, allora. Oggi non abbiamo molte persone. Ci vediamo tra tre ore, per la cena” disse Sauver.

Reve , sorpreso, ringraziò e , preso alla sprovvista, decise che si sarebbe fatto un giro lungo il fiume quindi prese il mantello ed uscì. La giornata era tranquilla anche per la strada, e lui si incamminò senza una meta per raggingere lo Yonne; salutò il ciabattino, la venditrice di fiori ed il garzone della latteria...per ognuno di loro aveva una parola gentile ed un sorriso, nonostante tutto.

Con i soldi che aveva in tasca prese del pane e del formaggio , e partì alla ricerca di un angolo tranquillo dove sedersi e lo trovò, accanto alla baracca di un pescatore. Una volta seduto, cominciò a mangiare e pensò a Diane. Al da farsi.

La logica impoveva un profilo basso e la calma, ma Reve aveva portato pazienza fino ad ora, e si stava quasi stancando... doveva trovare una soluzione al più presto, ma prima doveva aspettare

l' arrivo di Court, il mercante. Poi avrebbe trovato una soluzione, ma di restare li ad agonizzare mangiandosi il fegato per la rabbia e la tristezza, non ne aveva voglia.

Mentre stava pensando, spiluccando il pane ed il formaggio che aveva preso, passatono alcuni bambini insieme alle loro madri; andavano alla funzione della chiesa poco più in là, paralndo chiassosamente.

 

Chissà come sarò, se sarò un buon padre...sarà un bambino o una bambina? Mi piacerebbe avere una bambina...speriamo non sia chiassosa come questi, però. Le insegnerei a leggere e scrivere fin da subito; ad andare a cavallo,quando ne avrà l' età... “ pensò Reve , immaginandosi il viso della creatura che tra pochi mesi sarebbe nata.

 

 

 

****

 

In viaggio, 28 gennaio , Alain, Diane, Daniel e Xavi

 

“io non ne posso più” esclamò Diane, scendendo dal carro dopo l' ennesima buca che , questa volta, ruppe l' asse e la ruota. Alain ridacchiò.

“ portate pazienza, Madame” disse Daniel, scendendo e guardando i danni. Senza perdere tempo, si mise subito al lavoro per riparare il tutto.

Diane, nel frattempo, pensò che quel viaggio non era stato per nulla noioso, solo un pochino pieno di sfortune varie, e iniziò a ridere, ripensandoci....

 

La tenda, la prima notte, ad un certo punto aveva deciso di collassare addosso a padre e figlia, facendo prendere loro un colpo; la sera seguente, quando avrebbero dovuto trovarsi al caldo in una locanda, Daniel si era confuso alcune indicazioni e invece che dormire in una stanza dormirono sotto le stelle, al freddo, facendo la guardia a turno per i lupi. Le notti seguenti, invece, Alain e Diane l' avevano passata ascoltando i lamenti dell' uomo, ubriaco, mentre si intratteneva con una signorina nel retro della locanda dove erano alloggiati....ed i giorni seguenti non erano stati migliori...tuttavia, si stavano avvicinando sempre più ad Auxerre: un paio di giorni e sarebbero arrivati. Diane, nonostante la situazione, non si era mai persa d' animo e questo fu molto importante.

Alain era invece più pensieroso: si chiedeva spesso se avrebbero trovato Reve, o avrebbero dovuto riprendere un altro viaggio verso chissà dove. Reve gli mancava...quell' uomo che aveva tenuto in braccio e con cui giocava spesso, in Normandia, era come un figlio per lui. Un pensiero corse ad Oscar, ed al suo fedele amico Andrè.

“Ecco, ho fatto” rispose Daniel, dopo circa due ore; per fortuna aveva sempre con sè il materiale per eventuali riparazioni, e quindi il guaio si sistemò alla svelta.

“grazie a Dio” disse Diane, alzandosi dal tronco dove si era seduta. Si sistemò i vestiti ed il mantello e risalì sul carro... ora finalmente sperava di riposarsi; le doleva la schiena.

Daniel si avvrò a cassetta; ma Alain lo fermò.

“Se non vi dispiace, continuo io” disse, serio“ma...signore” obiettò l' uomo “ voi sapete condurre un carro?”“ ho condotto gli assalti alla Bastiglia, trent' anni fa: credi mi faccia problemi a condurre un cavallo?” rispose, ridendo.Daniel non profferì parola: prese la sacca con i viveri, e si mise a mangiare del pane raffermo.

“andiamo, forza!” esclamò Alain spronando il ronzino. “ Voglio essere ad Auxerre il prima possibile!”.

 

 

***

 

(Auxerre, 1 febbraio)

 

Non capisco: il mercante avrebbe dovuto arrivare ieri, ma ancora non si vede...ed io sono impaziente, davvero, non riesco più a pensare ad altro che non sia una lettera dalla mia Diane!

Lavoro come un automa, cerco di tenermi occupato e di non pensare ad Alexander, François, Victoria, Girodelle...insomma, a tutti..ogni ora spio fuori dalla porta, e se sono in stanza, dalla finestra...niente!!...Sto diventando matto, fa che arrivi presto” pensò Reve, mentre apriva

l' hotellerie quella mattina.

Reve fece tutto con la massima attenzione, ripetendo i gesti che giorno dopo giorno compiva ormai in automatico: salutava i bottegai ed i garzoni, faceva due chiacchiere sul tempo e chiedeva notizie del o della tale; poi, rientrò.

“Strano che Daniel non sia ancora arrivato...sto finendo le scorte di vino e di birra, ed i miei clienti vogliono solo la sua, ormai” dise Sauver asciugando un bicchiere.

“Ci stavo pensanto anche io. Ho chiesto di portarmi notizie dal nord” confessò Reve “ non sto più nella pelle”

“Laurent, sta tranquillo. Vedrai che arriverà e avrai le tue notizie. Agitarsi non serve a nulla” disse

l' uomo . Poi riprese “hai una moglie, giusto?”

“si, signore, e siamo in attesa del primo figlio” rispose.

“Congratulazioni, ragazzo.. e quando dovrebbe nascere?” chiese

“ A marzo, se non ricordo male....” rispose Reve.

“Ti piacerebbe avere una femmina o un maschio?”

“Onestamente? Una femmina. Ma va bene comunque, purchè stia bene”rispose Reve.

L' uomo si avvicinò a Reve e gli mise una mano sulla spalla.

“solo tu puoi sapere cosa stai passando, io non voglio chiederti nulla. Ma se hai bisogno di parlare,Laurent, ci sono. I tuoi genitori sono in vita?”

Reve non parlò, mosse solo la testa.

“nossignore...sono morti quasi 5 anni fa...” rispose “ ed io mi sono trovato solo...ma piano piano sono riuscito a costruirmi una vita”. Non voleva parlarne, più di tanto, perchè era già provato dal dolore di quegli ultimi mesi ma era contento dell' aiuto che Sauner gli offrì.

“Grazie, signore, per le Vostre parole” rispose “ le terrò a mente. Ditemi ora, che devo fare? Se non vi sono urgenze andrei a finire quel lavoro”

“Va pure, Laurent. Ti chiamerò se ho bisogno ...” disse.

 

Reve uscì sul retro e si avviò verso il banco da lavoro dove stava aggiustando una porta, cosa che gli aveva insegnato Pierre; lo avrebbe tenuto impegnato per un pò. Indossò il grembiule, si sistemò la sciarpa sul collo, e iniziò a lavorare il legno.La porta procedeva bene; si stupì, osservandola, di saper fare anche questo. Aveva seguito alla lettera i consigli di Pierre, e sebbene non avesse mai armeggiato determinati attrezzi, imparò quasi subito. Soddisfatto, passò lo straccio per ripulirla da poveri e residui e poi andò a riposarsi sedendosi su una cassetta di legno.

Faceva freddo, sebbene il cielo fosse di un azzurro limpido ed il sole cominciava a scaldare le ossa, ma era pur sempre febbraio; magari nel pomeriggio sarebbe tornato sullo Yonne, ad osservare le barche e la gente di passaggio...oppure si sarebbe fatto una bella dormita.

 

Stava giusto pensando a questo quando vide entrare , dalla porta, un cane.

Xavi? Non è possibile, ma gli assomiglia molto” pensò tra sè con il cuore che batteva forte.

Reve non aveva mai visto cani nella locanda, se non qualche piccolo ed isterico animaletto portato in braccio dalla padrona imbellettata; ma questo...questo assomigliava davvero al suo Xavi...quindi

si avvicinò all' animale e lo accarezzò, provando a chiamarlo...ed il cane, dopo averlo annusato, cominciò a fargli le feste, guando. Il cuore di Reve sembrò sbalzare fuori dal petto; era scosso ed emozionato...tanto che non si accorse di Daniel a pochi metri da lui.

“Madame, pare che vostro marito sia qui, vivo e vegeto!!!” disse Daniel presentandosi sulla porta e sorridendo. “buongiorno monsieur, credo che abbiate visite!”

 

Diane apparve dietro di lui.

Reve non riuscì a dire una parola.

Gli occhi dei due innamorati si incontrarono, ed iniziarono a parlarsi, silenziosi. Quegli sguardi contenevano felicità, gioia, amore...Reve non credeva a ciò che vedeva... si avvicinò per toccarla, per capire se era un sogno o stava impazzendo... : sfiorò la pancia che ormai era diventata grande, sfiorò il viso della sua donna e lei sorrise, mettendogli le braccia al collo e lasciando che lui la sollevasse. Era lei. La sua Diane.

“Amore mio, sono diventata più pesante” sussurrò all' orecchio di Reve mentre una lacrima scendeva dal viso.

“Sei leggera come una piuma, mia dolce sposa” rispose lui, avvicinando la sua bocca alla sua guancia per raccogliere quella lacrima “ ti amo, Diane. Ora non ti lascerò mai più.”

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Capitolo 17
*** Al di là dei sogni ***


 

 

Attenzione: potrebbe contenere SPOILER

 

 

 

 

Hai visto, Andrè? Te lo avevo detto: Reve ha un carattere forte e combattivo, riuscirà ad uscire anche da questo impasse” disse una Oscar poco più che trentenne, osservando il marito seduto all' ombra del grande albero, più o meno dove erano sepolti i loro resti.

Non avevo dubbi, Oscar, del resto ha i nostri caratteri, come non aspettarsi un simile vulcano?”.

Rise, Andrè, gettando indietro la testa ed i suoi capelli lunghi, corvini, senza la minima traccia di un filo d' argento. Oscar sorrise e si girò verso la figlia:

Rose Marie era lontana, passeggiava sulla sabbia della spiaggia giocando con pesciolini colorati che si avvicinavano a riva.

 

In quell' universo alternativo, in un momento assolutamente privo di tempo, dolori, Oscar e Andrè guardavano dentro l' anima di quel loro frutto, intensamente voluto, ed erano immersi nelle loro elucubrazioni.

Certo che per un momento ho avuto paura che ci raggiungesse; è perennemente sul filo di un equilibrio precario, oltre il quale c'è l' abisso e ci sono scelte dalle quali non potrà tornare indietro” disse Andrè, facendo rinvenire Oscar, avvicinandosi a sua moglie e conducendola verso la spiaggia.

cosa intendi, Andrè?” chiese , guardandolo negli occhi

Credo che stia combattendo contro sè stesso. Lui sogna un mondo nuovo, pulito, libero dal dolore... in cui il dialogo ed il confronto sono alla base di qualsiasi cosa e relazione... un mondo in cui tutti siamo uguali e possiamo essere educati dalla cultura ed alla gentilezza...tuttavia ora si sta rendendo conto che , purtroppo, il mondo è anche fatto di gente che non si fa problemi ad ammazzarti pur di avere potere” rispose, pensando a ciò che era accaduto al ragazzo.

Oscar rimase in silenzio , osservando le onde del mare, lontane, e sua figlia che ora saltava in mezzo ad esse.

Hai confermato perfettamente il mio pensiero, Andrè...” rispose, sospirando “dovremo fare qualcosa per lui, ma non possiamo....”.

In silenzio, i due raggiunsero la riva.

I capelli dorati di Oscar ondeggiarono leggermente alla brezza, così come le sue vesti leggere che coprivano a malapena le sue forme; ad Andrè parve una dea dalla pelle di alabastro, e si fermò sognante, in adorazione. Lei sorrise, nel momento in cui si girò e lo vide, innamorato, allungare la mano per sfiorare le sue spalle nude.

ricordi, amore mio, quei giorni prima della battaglia, sulla strada di ritorno da Parigi?” sussurrò Andrè all' orecchio della donna

Come potrei dimenticarla, Andrè...”rispose, chiudendo gli occhi.

Quanto tempo abbiamo perso...ma poi ci è stato donato ben altro....” disse lui.

perchè te ne esci con questi discorsi, Andrè? Vorresti tornare indietro?” chiese lei, sorridendo.

No, mia cara: sono felice, qui, senza patemi, dolori e paure. Ma non nego, a volte cerco di immaginare come sarebbe stata la nostra vista se le cose fossero andate in un' altro modo. Avermo potuto dare un destino diverso anche a Reve” rispose lui.

Amore, il destino è scritto e lo hai constatato anche tu: sarebbe comunque finita così. Io sono felice del tempo che abbiamo passato insieme, in vita. E lo sono anche qui, nella morte. “ rispose lei “...ora, però, dobbiamo pensare a nostro figlio.”

ma non possiamo interferire...lo sai...” disse Andrè, triste

no, ma possiamo entrare nei suoi sogni” disse Oscar.

Il tempo, anche in quella dimensione senza tempo, stava cambiando. Iniziò a salire un vento forte, che sollevò le anime di Andrè ed Oscar , portandole dal figlio.

 

 

 

Reve stava dormendo profondamente, dopo quella giornata piena di sorprese in cui Diane si era palesata davanti ai suoi occhi. Era stata una giornata intensa, colma di abbracci, baci, e anche di parole. Quelle dovute a Sauner, per esempio, che venne messo al corrente non solo della identità di Reve, ma anche del suo lavoro e del suo ruolo; quelle dovute a Daniel , quelle dedicate agli amici morti ed infine, quelle che si scambiarono i due innamorati, sul letto disfatto dall' amore.

Le emozioni, la gioa, la tristezza , la rabbia erano entrate in un immenso calderone lasciando le anime dei presenti cambiate, come nuove, come se per tutti dovesse partire qualcosa di nuovo, forse anche una nuova vita, un nuovo modo di pensare e fare.

Era stanco, Reve, e lo erano anche sua moglie e suo padre: dopo avere festeggiato, si erano rintanati nelle stanze; non avrebbe lavorato, l' uomo, per quel giorno.

In quel sonno profondo, Reve si trovò immerso ancora in quella strana dimensione dove sua madre e suo padre lo attendevano, tenendosi per mano. Una distesa immesa , violacea, si apriva e li circondava; un immenso oceano di lavanda.

 

bentornato, Reve” disse Oscar “non avere paura, avvicinati”

madre...padre...vi ho chiamati, implorati a lungo...dove ci troviamo?” rispose Reve. Non aveva paura, ma era ovviamente stranito da questi sogni così veri, così strani.Ma rivedere i suoi genitori lo riempiva di gioia.

Siamo in Provenza. Un luogo che io e tuo padre avremmo voluto tanto visistare, ma non ci siamo mai riusciti. Ti piace?” rispose Oscar, prendendo per le mani il figlio.

Si, moltissimo...c'è pace, qui” rispose Reve; riusciva persino a sentire il profumo dei fiori, e questo lo tranquillizzò.

La pace è ciò di cui tu hai bisogno, amore mio; ti aspetteranno tempi duri, cambiamenti....no, non succederà nulla a Diane, o alla tua prole” rispose Andrè ancitipando la domanda, con la sua voce dolce.

mi avete chiamato a voi per questo?” chiese Reve

Ti abbiamo chiamato a noi per stare con te, e per rispondere alle domande che ci sono nella tua testa” disse Oscar.

 

Reve rimase in silenzio; fece alcuni passi verso il campo di lavanda, ne raccolse alcuni steli, li portò al viso. Rimase estasiato dal profumo, ancora una volta.

Non so come andare avanti” iniziò Reve “ sono ad una svolta della mia vita, ho paura, ma voglio andare avanti. Sono sconvolto, però, perchè per la prima volta ho pensato di uccidere un uomo. Non è il mio modo di fare, di vedere il mondo.” Le sue parole uscivano come un fiume in piena dopo giorni di piogge, travolgendo tutto ciò che stava intorno; per attimi interminabili egli diede forma a tutto ciò che c'era nell sua mente e nel suo cuore.

Andre ed Oscar si guardarono, poi si allontanarono e andarono a sedersi sotto un alberello, solitario, accanto a quella strada sterrata. Li raggiunse.

Dopo un attimo, il padre lo guardò.

Reve, penso di avere capito il tuo dilemma....e ti dico questo: nemmeno a noi è mai piaciuto impugnare le armi. Ma siamo nati e cresciuti a metà di un secolo in cui la spada ti veniva messa accanto, nella culla. Non ho, anzi non abbiamo – nè io nè tua madre – ucciso persone senza che ci fosse un motivo, ma le nostre lame sono affondate sempre nella carne di chi ci aveva o ci stava facendo del male. Non è una giustificazione: è un pensiero per farti capire che la decisione è personale, difficile, e spetta solo a te, in base a ciò che pensi e vivi. Sappi che però ogni tua azione avrà delle conseguenze.”

Tuo padre ha ragione, Reve. Io ho maneggiato spade da quando ero bambina, mio padre prima di me, e via dicendo. Ma non è facile. Anche quando sei nel giusto, ti trovi a chiederti se quello che hai fatto è bene o male. E' un prezzo da pagare.” dise Oscar.

Come vorrei che tutto fosse più semplice” disse Reve, passandosi una mano tra i capelli “ il mio istinto, ora, sarebbe quello di vendicarmi, di cambiare le cose, di dare una nuova impronta alla mia vita ed a ciò che voglio fare”. I suoi occhi guardavano lontano, verso nuvole nere dalle quale emerse una scarica bianca , lucente.

nulla è semplice; ma non è poi nemmeno così brutto come sembra...” disse Andrè, osservando il fulmine viaggiare verso la terra.

 

I tre rimasero in silenzio, pensierosi, per molto tempo. Un tempo in cui si respirava amore puro.

 

Poi tornò il vento.

 

E' ora di andare, mio amato. Sta arrivando una persona, dovremmo accoglierla” disse Oscar, tendendo la mano ad Andrè.

Poi, rivolgendosi al figlio: “ricorda ciò che abbiamo detto, Reve. Nulla è facile e nemmeno scontato. Cerca sempre la strada migliore per te, in quel determinato momento. Tutto è scritto. A presto, amore mio.”

 

 

Reve si svegliò di soprassalto, sudato seppure il fuoco fosse ridotto ad una brace e quella stanza cominciava ad essere fresca. Guardò Diane dormire serenamente, di lato, con il braccio appoggiato sul suo petto, il viso rivolto a lui. Fuori, la città dormiva, finalmente,e dalla finestra si potevano osservare le stelle che brillavano come diamanti.L' uomo non si mosse, per non svegliare Diane; restò a fissare il soffitto, pensando a quel sogno e sentendo, all' improvviso, quella fragranza di lavanda intorno a sè e alla frase di sua madre: chi era, la persona che dovevano accoglire?

 

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Capitolo 18
*** La scelta ***


 

 

Nyon, giugno 1821

 

..ritrovo queste pagine bianche,intonse, dopo moltissimo tempo in cui, per forza e per necessità, non ho avuto tempo di scrivere altro che aggionrnamenti e saltuari sfoghi. Ora che Diane dorme insieme ai nostri bambini, ora che siamo apparentemente tranquilli e la mia mente è libera, voglio dare voce ai miei pensieri di questi ultimi tempi.

Non è stato facile lasciare Auxerre; li ho trovato davvero un posto ideale dove ritirarmi mentre le acque si facevano più calme; li ho trovato amici.Ma restare sul suolo francese, in questo momento, è pericoloso...tanto più che sono diventato padre di due magnifici bambini: Adrien e Aurore...devo proteggerli, devo proteggere me stesso e Diane, ed i pochi rimasti di noi, dopo i fatti di Villèle.

 

Non sono più l' uomo che è partito in fretta e furia da Arras.

Non sono più quell' uomo pieno di utopie e sogni, anche se non li rinnego perchè hanno fatto parte di me.

Sono un uomo che ora deve difendere con i denti sè stesso, la sua famiglia, i suoi cari e gli amici e, naturalmente, un uomo che vuole fare qualcosa per il paese che gli ha dato la vita. Per Oscar e Andrè. Sono un uomo che ha deciso il suo destino, una volta per tutte.

Non so quando sia avvenuto questo cambiamento; in realtà, probabilmente, era già dentro di me ma quando ho visto gli occhi di Adrien e Aurore è successo qualcosa... Un infinito amore si è impossessato della mia anima e del mio cuore, ed allo stesso tempo la rabbia di non poter dare loro, in questo momento una vita serena mi ha portato ad una rabbia e alla consapevolezza che non potrò continuare all' infinito a fuggire...dovrò trovare un modo per combattere tutti gli uomini come Villèle che credono di poter disporre a loro piacimento di tutto e tutti, solo perchè non la pensano come lui.

Ora siamo a Nyon, e ci siamo tutti. Tutti i superstiti, tutti coloro a cui voglio bene. Siamo tornati qui, dove ho passato la mia infanzia, perchè al momento è il posto più tranquillo ed è ciò di cui abbiamo bisogno per riprendere le forze Girodelle, Victoria e François, io, Diane e Rosalie.

Bernard no. Bernard non c'è più. E' morto un mese fa, cadendo da cavallo. Ha raggiunto mia padre e mia madre, ha raggiunto i suoi amici , forse li ha raggiunti in quel campo di lavanda che ho sognato...o almeno così voglio immaginarmelo io. Mi mancherà, mi mancherà tanto....non trovo le parole, per descrivere cosa provo quando penso che non lo rivedrò più.

Il dolore che proviamo tutti è immenso dinnanzi a questa morte, soprattutto Rosalie e François.

L' una, non credo si riprenderà mai. François cerca di reagire, grazie anche alla sua amata Victoria.

 

Ora, tuttavia, è il momento di ripredere le forze. E Godersi questa nuova vita, nella quale rivedo me, nella quale rivedo gli occhi di mio padre.

Adrien, Aurore, Diane: la mia vita è vostra.

 

 

 

Si erano trasferiti da pochi giorni nel vecchio appartamento che così bene conosceva e che aveva lasciato qualche anno prima per portare in Francia i resti di Oscar e Andre, dopo averlo ripulito e sistemato; lui e Diane erano arrivati da Auxerre insieme ad Alain a bordo di una carrozza mandata da Girodelle, dopo uno scambio frenetico di messaggi; il giorno in cui realizzò che erano vivi, che stavano bene, fu uno dei più belli in assoluto. Avevano deciso, dato l' avvicinarsi del parto, di partire quanto prima; ma alcune complicazioni costrinsero la coppia ed il suocero a rimanere ad Auxerre nei pressi dell' hotellerie, al sicuro ...ed i bambini nacquero li, di prima mattina come il padre, nella stanza che aveva occupato sin dal suo arrivo. Fu un parto un pò complicato, in cui però Diane si comportò egregiamente senza mai perdere la calma; Alain e Reve attesero ore, senza nè mangiare nè dormire, finchè un vagito ruppe il silenzio di un 23 marzo ; quasi persero i sensi, capendo che non era l' unico. Furono attimi in cui Reve pensò di svenire davvero ma Alain, recuperando un pò di lucidità e con una delle sue solite battute – che facevano parte del suo repertorio – lo riportò alla realtà. Il neo papà non aspettò che il medico avesse finito, ed entrò, impaziente. Davanti a lui vi erano due fagottini dai capelli chiari e gli occhi verdi: si immobilizzò, quindi, scoppiando in un pianto che lasciò andare tutta la gioia e la tensione accumulata. Alain aspetto alcuni minuti e poi entrò.Con quegli occhi azzurri e stanchi che avevano visto un pezzo di storia, osservò le nuove vite ripensando alla sua vita e chiudendosi anch'esso in un pianto-

Quando i bambini furono abbastanza in forma per intraprendere un viaggio, la carrozza andò a prendere la compagnia premurandosi di inviare con essa tutte le comodità...così giunsero, a fine maggio, a Nyon; il giorno del loro arrivo fu una festa, anche se turbata dagli avvenimenti di quegli ultimi mesi. Fu un momento intenso fatti di molti abbracci e poche parole, e naturalmente mille sorrisi per quelle nuove vite.

 

***

 

 

Reve si destò dai suoi pensieri e dal suo diario, si alzò dalla scrivania del suo studio cercando di fare meno rumore possibile, visto che Diane ed i bambini dormivano; si levò le scarpe e camminò fino alla terrazza, dove Xavi lo attendeva e si crogiolava al sole. Vide François e Victoria passeggiare mano nella mano nei giardini del palazzo mentre Rosalie ricamava, all' ombra. Sembrava davvero un quadretto idilliaco e avrebbe voluto che le cose continuassero in questo modo, ma sapeva benissimo che prima o poi sarebbe arrivato il momento di parlare e di affrontare la realtà; godette, quindi, di quella calma apparente e sorseggiò dell' acqua fresca che si era portato dalle cucine.

“Tutto bene? Perdonami, non mi sono annunciato, non volevo disturbare il riposo di Diane e dei tuoi figlio” disse una voce alle sue spalle.

“Alain, vieni. Sarei passato da te più tardi” disse Reve versando dell' acqua anche per Alain

“Credevo di stare fuori di più, invece il giro è durato meno del previsto” rispose il suocero.

“Come mai Florian non è venuto con te?” chiese

“Credo avesse un impegno con i responsabili delle sue vigne...quelle rimaste” rispose Alain.

Reve , seduto mollemente su una poltroncina, non aggiunse altro, continuando a guardare lontano. Sapeva che Alain aveva altro da dirgli.

“Stasera credo che Florian voglia parlare..con noi tutti” disse Alain dopo pochi minuti.

“Me lo immaginavo...lo stavo giusto pensando , qualche minuto fa” disse Reve

“E' inevitabile, mio caro ragazzo...per capire come difenderci. Qui siamo al sicuro, ma per quanto?” disse Alain.

“Avrei preferito godermi i miei figli, senza pensieri, ancora per qualche giorno...tuttavia mi rendo conto che già questi giorni sono stati un regalo” disse mettendosi a sedere meglio, inarcando la schiena in avanti e appoggiando i gomiti sulle ginocchia.

Alain restò in silenzio: come non condividere quel desiderio? Mise una mano sulla spalla di Reve e la strinse forte.

Reve appoggiò la sua mano su quella del suocero, come a rincuorarlo e dirgli che aveva inteso. Sarebbe andato all' incontro, ovviamenre.

Ma prima voleva fare una cosa: stendersi accando alla moglie, assaporare un momento di pace e di dolcezza accanto a lei ed ai bambini. Senza alcun pensiero.

Si avviò nella stanza, quindi, ma prima di entrare si soffermò sulla porta, appoggiando la spalla sinistra allo stipite, osservando la scena che gli riempiva il cuore. Diane dormiva profondamente, vestita solo di un abito leggero ed accanto a lei , i bambini. Erano bellissimi: si avvicinò e delicatamente si unì a loro, girandosi sul fianco in modo da osservare i suoi beni più preziosi. Ad un certo punto Diane aprì gli occhi e sorrise, trovandosi davanti il marito. Reve allungò la mano verso quella della moglie, intrecciando le dita , chiudendo così il cerchio di quelle vite.

 

 

 

***

 

 

“Accomodati, Reve” disse Victoria, aprendo la porta al salone. Non era arrivato ancora nessuno.

“Grazie, Victoria” disse lui, sorridendo.

“ François sarà qui tra un attimo, insieme a mio padre...io , al momento, preferisco stare in disparte. Se Diane volesse partecipare posso tenere io i bambini...naturalmente se me lo permettete” disse.

“Grazie, Victoria, sei molto gentile ma credo che Diane voglia comunque stare con Adrien ed Aurore...in ogni caso raggiungila e chiedigli conferma tu stessa, magari ha cambiato idea” rispose Reve.

 

Victoria, il suo primo amore, la sua prima amica del cuore.

Per un momento aveva pensato di sposarla, poi, il destino e la sua voglia di indipendenza avevano ribaltato le carte in tavola. Chi l' avrebbe mai detto che si sarebbero ritrovati, ancora in quella casa, con la vita completamente cambiata?

Reve osservò l'amica.

“Vic...” disse Reve

“ Dimmi, Laurent Reve Grandier Jarjayes” rispose lei sorridendo

“ l' avresti mai pensato?”

“Che cosa, Reve?

“Che ci saremmo trovati ancora qui....” rispose lui.

“onestamente? No. “

“Nemmeno quando partìì ?” chiese, sorpreso

“no, Reve. In cuor mio sapevo che dopo la tua partenza nulla sarebbe stato come prima” rispose lei.

“Come mai ne eri così sicura?” chiese lui

“Perchè ti conosco come le mie tasche” rispose lei, sorridendo. Poi, diventanto seria: “ sono felice, però, di essere tornata qui, insieme a te, Diane e François”.

“ a proposito, dove è?” chiese Reve guardandosi in giro “ come mai non è ancora arrivato?”

“Dopo la nostra passeggiata, è uscito a fare una commissione” rispose lei “ ma dovrebbe essere qui a minuti”.

Effettivamente, così fu: François raggiunse la sala di lì a poco.

“Siete già qui” disse, salutando con un bacio la sua amata, con ancora il fiatone dovuto alla corsa.

“Si, io sono sceso subito altrimenti mi sarei addormentato sulla poltrona della biblioteca...dormono ancora tutti, ai piani alti” disse ridendo.

Nel giro di pochi istanti Florian e Alain comparvero, e dietro di loro arrivò Philippe, l' uomo di fiducia di Girodelle, con un paio di bottiglie, del pane, del formaggio e molta frutta.

“avete intenzione di passarci la notte, chiusi qui dentro?” chiese Victoria ridendo

“non credo, figlia mia... vuoi uniriti a noi?” chiese Girodelle.

“no, grazie padre; andrò da Diane, nel caso servisse qualcosa” rispose lei, chiudendosi la porta alle spalle.

Gli uomini presero posto al tavolo, ad eccezione di Alain e Florian che rimasero in piedi, l' uno per il mal di schiena e l'altro per potersi guardare in giro.

“figli miei, mi dispiace turbarvi così presto, ma dobbiamo assolutamente parlare della situazione” disse Florian, seriamente. “ Il conte di Villèle sta prendendo decisamente potere , e anche se non è particolarmente apprezzatto dall' attuale re francese – che preferisce non avere reazionari che gli causino danni – lui sta facendo di tutto per avere ruoli e potere. Quello che ha fatto ad Alexander e Louis è solo un assaggio; mi è stato riferito che ha messo a ferro e fuoco, senza complimenti, qualsiasi associazione, luogo o persona che non sia monarchica, sia a Parigi che a Tolosa, la sua città natale. Nonostante stia pensando di dimettersi dal gabinetto di Richelieu, sono sicuro che ha in mente piani ben più alti. E' un osso duro, una persona vecchio stampo, assolutamente fedele ai Borbone. “ disse Girodelle senza girare intorno alla questione.

Reve e François erano in silenzio, ma lividi di rabbia al ricordo dei loro amici, ammazzati di botte nelle cantine del palazzo di Villèle. Alain li notò, così come Florian, che ricominciò a parlare.

“ Al momento, siamo al sicuro su questo suolo, ma solo perchè ho determinate amicizie che mi aiutano; vi ho chiamato perchè dobbiamo tenerci pronti, nonostante tutto, a reagire in qualsiasi momento. François, hai con te la missiva?” chiese

Il ragazzo si alzò e consegnò un foglio, ripiegato in quattro e chiuso da uno stemma anonimo, dandolo a Girodelle, che la aprì.

“Questa è la missiva di un mio caro amico, del quale non posso dirvi altro per la sua salvaguardia e la vostra, e mi ha confermato ciò che pensavo: il nostro conte al momento è impegnato in faccende personali che lo terranno lontano da Parigi per qualche tempo, ma i suoi sono comunque sempre attivi sul territorio. Per ora sono tranquilli, hanno smesso di cercarti, Reve. Ma non so fino a quando durerà. “ disse.

Reve tirò un sospiro di sollievo, ma non si lasciò andare: sarebbe stato da stupidi.

“Cosa dovremmo fare, Florian? “ chiese Alain

“al momento dobbiamo cercare di condurre una vita quanto più anonima possibile, a mio parere. Restare defilati. Non usare il proprio nome, naturalmente, ma una nuova identità: solo io ed Alain resteremo tali. Voi, ragazzi miei, e le vostre mogli o future mogli – disse riferendosi al prossimo matrimonio di François e Victoria- avrete una nuova identità.”

“Speriamo bene” sussurrò François.

“Speriamo bene davvero... sono stanco di scappare” gli fece eco Reve, allungando la mano per prendere della frutta e del pane.

Il silenziò calò su quella piccola combriccola.

“ per me è tutto, ragazzi” disse Florian, congendandoli. “Ah, d' ora in poi dovrete girare armati.”

Reve e François lo fissarono, silenziosi, quasi stupiti. Ci avevano pensato, è vero, ma sentirselo dire da Girodelle...

“Alle armi?siamo arrivati davvero alle armi?” chiese François.

“Temo sia necessario, fratello mio” rispose Reve, stupendo tutti; poi si alzò, all'improvviso, come preso da un fuoco. Fissò negli occhi uno per uno, quegli occhi che per un attimo parsero quelli di Oscar davanti alla Bastiglia.

“ L' unico modo per risolvere le cose è andare verso una nuova rivoluzione. Ci arriveremo, vedrete, ci arriveremo. I tempi nono ancora maturi, non del tutto. Ma tra qualche anno, non molti, tutto ricomincerà. Ed allora saremo pronti, e se sarò vivo io sarò in prima fila. Come avete fatto tu, Florian e tu, Alain. E come hanno fatto Oscar e Andrè. Ci abbiamo provato, a fare le cose , a fare i sognatori, vero François? “ . Tratteneva a stento le lacrime.

François , che aveva chinato il capo, lo sollevò e osservò il suo amico, rapito dalle sue parole.

“Io vorrei un tetto per ogni uomo, del pane per ogni bocca, educazione per ogni cuore e luce per ogni intelligenza”^ disse, con la voce rotta “ io voglio dare questo ai miei figli e a tutti color che verranno dopo... e se è necessario usare le armi, lo faremo. Tutti dovranno vivere liberi ed uguali”.

 

Alla porta comparve Diane.

I due si fissarono per un attimo.

“Sarò al tuo fianco” disse lei, avvicinandosi e prendendogli la mano, mentre si sollevava come un presagio il vento.

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Capitolo 19
*** La decisione di Alain. ***


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1821

François e Victoria si sposarono la terza settimana di luglio, nel magnifico giardino di casa Girodelle dove i due ragazzi pronunciarono i loro voti , emozionati, davanti ad un prete che in via del tutto eccezionale accettò di entrare in quella casa senza molte storie anche se la pancia di lei cominciava a vedersi. Era una giornata di festa dove nulla fu risparmiato per renderla indimenticabile sotto molti aspetti; l' unico viso triste era quello di Rosalie, che li guardava commossa, forse ripensando a quel giorno di moltissimi anni fa in cui lei e Bernard pronunciarono gli stessi voti: erano anni pesanti, vivevano in poco spazio, si bastavano a vicenda...quante volte riuscivano a malapena a sfamarsi , quante ore passate a cucire o in ufficio...poi quella parentesi, in Normandia, con Oscar e Andrè...si erano ritrovati tutti. Tempi che non sarebbero più tornati; non sarebbe più tornato quel giovane rivoluzionario che con le sue parole aiutò molte persone e con il suo fucile salvò la vita a molti, nelle vie adiacenti la Bastiglia.

...

“Rosalie...zia Rosalie!” disse Reve con voce dolce, vedendola assorta e pensierosa. Lei sollevò la testa, osservando gli stessi occhi di Oscar e restando, per un momento, con il fiato sospeso.

“Rosalie, so che Bernard ti manca...manca a tutti, in primis a François....” disse Reve, mentre cullava Adrien per farlo addormentare, seduto su quelle panchette in mezzo al prato.

“Mio caro ragazzo...perdonami, ero immersa nei miei ricordi” rispose lei, cercando di ricomporsi e lisciando nervosamente la gonna dell' abito; Reve le prese la mano e Diane, seduta sull' altro lato, posò un braccio intorno alle sue spalle; tutti e tre osservarono la cerimonia, silenziosi.

François, emozionato, osservava la donna dai capelli rossi della quale si era innamorato pazzamente, ricambiato. Reve pensò alla sua infanzia, a loro da bambini, alla forte amicizia che li legava; pensò a ciò che era successo ed alle decisioni che avevano preso, ed a tutto ciò che era successo dopo. Sorrise, pensando a quanto erano cresciuti; poi tornò in Normandia, alla prima volta che incontrò François ed al nascere di quella amicizia che li aveva resi quasi fratelli. Che grazia aveva ricevuto la sua vita, nonostante tutto; una famiglia, un grande amore, amici fidati.

“Ehi, Reve, che fai? Ora è il tuo turno?” chiese Diane, sorridendo, notando gli occhi lucidi di lui.

“Ma che dici” rispose, ridendo, stando attendo a non svegliare il piccolo “ stavo solo pensando ad una cosa”.

Diane sorrise, si sistemò i capelli e continuò a seguire la cerimonia , che stava ormai volgendo al termine.

 

Erano tempi felici, quelli; Victoria e François avevano coronato il loro sogno, e anche se alcune nuvole si stavano palesando all' orizzonte, non pensarono al futuro ma solo a godere di quegli attimi . Rosalie, Reve, Diane ed i bambini, Girodelle e Alain erano tutti li davanti a loro e danzavano felici a piedi nudi, sul prato.

 

1825

Dalla finestra dello studio dove spesso si rintanava a leggere, soprattutto durante l' autunno, Reve osservava il lago, le sue acque calme; guardava i monti, nemmeno tanto lontani, e l' andiririvieni di carrozze, persone, animali. I bambini, cresciuti, scorrazzavano per le stanze facendo impazzire Diane, che spesso li trovava sotto il letto o negli armadi a combinare disastri, o peggio, a fare impazzire quel povero cane, che si faceva fare di tutto, senza mai lamentarsi...

In quello studio talvolta i bambini venivano a cercarlo, e lui se li prendeva sulle ginocchia, prima l' uno e poi l' altra, raccontandogli favole o semplicemente costruendo discorsi assurdi che solo i bambini ti fanno fare.

 

“Papà, chi sono quei signori? E quel bambino?” chiese il bimbo con la sua voce incerta, un giorno, indicando il quadro che ritraeva lui, Oscar e Andrè appena arrivati a Nyon.

Reve, che stava parlottando con Diane riguardo ad una notizia che aveva appena ricevuto da Martin, si girò e cercò di capire cosa intendesse; vide Adrien avvicinarsi alla parete dove era appeso il quadro. Il piccolo ripetè la sua domanda.

“Papà...chi sono..questi signori?”

Reve si avvicinò, lo prese in braccio.

“Adrien, loro sono i tuoi nonni” rispose lui, con la consueta gentilezza.

“ma io il nonno ce l' ho già, è nonno Allo!” disse , storpiando il nome e facendo una faccia buffa.

“Adrien, papà intende dire che sono gli altri nonni..” disse Diane, prendendogli la manina. Il bimbetto li guardò con occhi interrogativi, passando dal viso di Reve e quello di Diane. Per non compicare ulteriormente le cose – la genealogia era un tantino prematura, per quei due frugoletti – Reve lo prese con se.

“Ascolta, Adrien, ora ti racconterò una storia. Vuoi?”

Il bimbo , curioso, accennò con il suo visino; Reve si sedette, e prese la mano del bimbo, indicandogli le figure.

“Adrien, quella signora bionda è la mia mamma, e quello accanto il mio papà..ed in mezzo ci sono io; la mia mamma si chiamava Oscar e per tanto tempo è stata un soldato, sai? Il primo soldato donna. Non ci credi? Chiedi a nonno Alain; sia lui che il mio papà, Andrè, hanno fatto i militari con lei. Si sono innamorati, proprio come me e la mamma; poi sono nato io.” disse Reve. Quanta dolcezza nelle sue parole. Il piccolo Adrien rimase affascinato, soprattutto dalla figura di Oscar.

“Ma papà, la nonna era un soldato? Davvero? “ chiese senza staccare gli occhi dalla figura.

“Si, Adrien. Davvero”. Rispose ancora lui “ lo erano sia la nonna che il nonno...te l' ho detto, quando sarai grande ti dovrò dire tante cose”.

“E quando diventerò grande?” chiese il bimbo

Alain spuntò dalla porta , tenendo per la mano la piccola Aurore.

“Chiedevi la stessa cosa ai tuoi genitori, ogni santo giorno” disse Alain a Reve, ridacchiando.

“nonno, nonno, è vero quello che mi ha detto il mio papà?” chiese il piccolo; Alain si piegò sulle ginocchia non senza fatica e lo chiamò a sè. “Si, piccolo mio. Io c'ero, ho conosciuto i tuoi nonni, sai? E mi ricordo anche di quando nacque il tuo papà. E' tutto vero, posso giurarlo” rispose Alain, prendendo la manina di Adrien e baciando le piccole dita paffute.

“E dove sono, ora, i nonni?” chise Aurore, con la sua vocina.

“Sono volati in cielo, sopra le nuvole. ” disse rivolto ai bambini.

Adrien e Aurore fissarono quel vecchio dagli occhi azzurri, e poi, come solo i bambini sanno fare, buttarono le braccia al collo. “Però tu non andare via” disse Aurore “resta sempre qui con noi. Non andare sulle nuvole”.

Reve, alzatosi, si avvicinò a Diane e guardarono quella tenera scena.

“no, non andrò mai via di qui” disse Alain “..ehi...che dite, andiamo in giardino a raccogliere i fiori?” disse lui, tenendosi stretti i nipoti, chiudendo le braccia come a proteggerli; poi rivolgendosi a Diane e Reve, sottovoce:

“ragazzi, tengo io i bambini. Prendetevi un pò di svago” disse Alain, rivolgendosi ai due adulti.

“sei sicuro, papà?” chiese Diane,

“ Andate, non preoccupatevi; nel caso, ci sono le domestiche, se dovesse servirmi qualcosa. Prendetevi un pò di respiro. “Aurore , Adrien, che ne dite se poi ci rotoliamo anche nel prato?” disse facendo loro l' occhiolino; i bambini, entusiasi, lo trascinarono giù per le scale canticchiando allegramente.

 

In riva al lago.

“Diane, che bello, un momento solo per noi” disse Reve sedendosi al tavolino di un caffè.

“ Ci voleva, vero?” rispose lei, aggiustandosi il cappellino ed la gonna “ io li amo, ma a volte vorrei avere davvero più tempo per noi...ora che possiamo permettercelo” .

Reve allungò la mano a prendere la sua.

“ Spero che sia così ancora per molto tempo, mia cara... questi ultimi anni sono stati davvero una corsa dietro l' altra... “ rispose lui.

Il cameriere portò loro un succo di mela e della limonata, insieme ad una fetta di torta; intorno a loro la vita scorreva tranquilla. Le loro chiacchiere si fermarono solo un attimo.

“ si, hai ragione, Reve....chi lo avrebbe mai detto che la nostra vita avrebbe preso una piega tale...” rispose lei “ abbiamo poco più di trent' anni e mi sembra di averne viste già abbastaza”.

“Diane, non so cosa avrei fatto senza di te.” disse serio lui, allungando la mano per accarezzargli i capelli che fuoriuscivano dall' acconciatura; lei lo fissò e non disse nulla; osservò quell' uomo cresciuto in fretta, arrivato a Parigi per fuggire da chissà cosa, con molte domande ancora nella testa e un destino già scritto. Osservò i suoi capelli neri sui quali spuntavano qua e la sfumature grigio chiaro, accarezzò con lo sguardo la pelle e quell' accenno di barba ma soprattutto fissò quegli occhi forti, poteti.

Reve non era destinato a cose normali, lo conosceva, lo sentiva. Prima rassegnata e poi fiera di quella famiglia così presente, di un destino forse già scritto.

“Ti manca Parigi?” chiese Diane. Reve lasciò vagare lo sguardo, prima di rispondere.

“Mi manca ciò che stavo costruendo. Mi mancano i miei sogni. La scuola, la libreria, il palazzo. Mi manca Alexander, tantissimo” rispose lui.

“manca anche a me” disse Diane.

“ chissà che fine hanno fatto tutti quelli che conoscevo....Villèlè ci è andato giù duro fino ad ora ed il nuovo re, Carlo, non promette bene... ma credo che non manchi molto , la gente è stanca. Martin mi ha scritto dicendo che è sempre peggio e che ci si avvia verso una seconda rivoluzione”.

Diane mangiò un pezzo di torta, lasciò che i pensieri di entrambi vagassero.

“Qualsiasi cosa accada, promettimi di non lasciarmi mai. Ti amo, ti seguirò ovunque andrai. So che i tempi non saranno sempre così felici, purtroppo, e che quando torneremo in Francia dovremo affrontare molte cose. Ma ti prego, non fare nulla senza di me. Voglio condividere tutto, con te” disse lei all' improvviso.

“Ma Diane,che dici? Certo che staremo sempre insieme...qualsiasi cosa accada! “ esclamò Reve, facendo girare un paio di avventori che lo guardarono di traverso.

“Sai cosa intendo. So che quanto torneremo in Francia tu non starai fermo, ma andrai diritto dove vuoi arrivare...ti conosco, amore mio” rispose lei con un sorriso che illuminò gli occhi.

Il vento del tramonto iniziò a soffiare. “Mi leggi dentro, Diane. Non posso nasconderti niente, e non voglio farlo. Si, quando torneremo riprenderò ciò che ho abbandonato... ma tu e i nostri figli non dovrete temere, vi difenderò con i denti, vi proteggerò da qualsiasi cosa. Quello che abbiamo fatto e che faremo è anche e soprattutto per loro” disse.

Prese la mano della moglie e la tenne stretta, fino a farle male; poi lasciarono alcune monete sul tavolo e si alzarono.Camminarono insieme lungo la riva del lago, come due persone qualsiasi.

Un ragazzino, ben vestito, strimpellava una chitarra fischiettando una melodia lenta e dolce, rivolgendosi ad una ragazzina seduta accanto a lui, che lo fissava con gli occhi liberi e profondi della giovinezza appena iniziata. Fu un incanto vederli, tutto si fermò in quell' istante.

 

 

1828

Avevano appena finito di cenare, tutti insieme come ogni giovedì sera; le donne di servizio si erano appena ritirare insieme ad Aurore, Adrien e Bernadette ,la figlia di Victoria e François. Le lezioni con l' istitutrice e con l' insegnante di musica – cosa sulla quale Girodelle aveva insitito parecchio – li rendevano, a ora di sera, completamene esausti.

François si avvicinò a Reve. “Villèlè si è dimesso” disse, mostrandogli un foglio di giornale.

Reve, intento a leggere ben altro,sobbalzò dalla sedia.

“Cosa dici, François?” chiese, lasciando ciò che stava facendo per ascoltarlo.

“I liberali hanno fatto pressioni, lui ha fatto un pò di numeri ed ha richiesto le elezioni, ma ha perso...e ieri, 5 gennaio, si è dimesso” disse François indicandogli le parole esatte.

Reve prese il giornale e iniziò a leggere, poi lo posò. Diane, Victoria, Girodelle e Alain lo guardarono. Non riusciva a trattenere le lacrime...era finita: potevano tornare in Francia, senza particolari paure; quell' uomo ed i suoi compari, che lo avevano preso di mira, finalmente era fuori dai giochi. Non era scomparso, ma si sarebbe ritirato a vita privata, probabilmente lontano da Parigi, tornando nella sua città natale, Tolosa.

“Reve, non sarà facile, ma possiamo tornare in Francia... tra le altre cose, sembra che la rivoluzione si avvicini. Ciò che pensavano si sta avverando. Il popolo si è stancato. Possiamo tornare a continuare ciò che abbiamo lasciato in sospeso e vendicare i nostri” disse François, infervorato, gli occhi accesi.

I due uomini, occhi negli occhi, lasciarono calmare i batitti dei loro cuori. Reve si alzò, fece alcuni passi, mise le mani in tasca.

“François, abbiamo dei figli ora, sei sempre dell' idea di proseguire? Perchè io andrò avanti” disse Reve girandosi verso i presenti ma soprattutto verso Diane. “ La mia strada è quella. Voglio stare vicino al popolo e finire ciò che hanno iniziato i miei genitori”.

“Io ti seguirò; sei mio fratello. I miei genitori lo erano dei tuoi. “ disse François. Victoria non disse nulla, ma si allontanò con una scusa.

Girodelle, dal canto suo osservava i ragazzi, silenzioso, volgendo di tanto in tanto lo sguardo verso Alain ma senza dire nulla.

“Seguite il vostro cuore, ragazzi. Avete avuto tempo per pensare e per organizzare le cose. So che tu, Reve, sei riuscito a rimetterti in contatto con alcuni dei tuoi, qualche tempo fa. Hai già parlato loro ?” disse Alain.

“Si, ho ripreso i contatti con Maurice, Luc, Martin....” rispose lui “ e Diane ha sentito anche le loro compangne; ci siamo conosciuti alla scuola....”

“François? ” chiese Girodelle

“ Io andrò con Reve...” rispose l' uomo “ potremmo partire non appena la neve ci dia tregua...”

“ ...e mia figlia? Verrà con te?”

“Questo non lo so, Florian...non mi ha mai espresso nulla al riguardo” rispose François con un velo di tristezza sugli occhi.

“E sia...” disse Girodelle;la sua voce era stanca, debole. Anche il suo corpo lo era. Ma il suo spirito continuava a dare forza a quella nuova generazione, che lo rendeva fiero.

Si, sapeva che quell' idillio di quegli anni non sarebbe stato un “per sempre” ma si trattava di una meritata e dovuta parentesi in cui mettersi in salvo e in cui tutti poterono assaporare uno stralcio di vita per così dire normale...ma non pensava che le cose sarebbero state così improvvise.

L' uomo si girò verso Alain.

“Siamo vecchi, Alain” disse girandosi verso l' amico “ a noi non resta che stare a guardare i nostri ragazzi....”.

“No, Girodelle. Se servirà , io darò una mano ai miei ragazzi. Sono nato soldato, e se serve, morirò da soldato” rispose, lasciando a bocca aperta tutti.

“Che tu fossi pazzo, l' ho saputo dal momento in cui ti ho visto nei soldati della guardia metropolitana “ disse Girodelle con un sorriso “ ma ricordati, gli anni sono passati per tutti...anche se sei più giovane di me, Oscar e Andrè, sei sicuro che le tue ossa reggano?”

“Mi sono fatto nei bassifondi, Girodelle” rispose riprendendo il tono leggero dell' amico.

“Papà, ne sei certo?”

“non dire niente altro, Diane. Si, ne sono certo Sono scappato abbastanza, nella mia vita,per fuggire ad alcuni ricordi; ma sono nato soldato e, se devo, la concluderò come l'ho iniziata, con un fucile in mano”. Rispose, serio.

 

***

“Temo che mio padre sia davvero convinto” disse Diane, girandosi sul fianco verso Reve, che si era appena seduto sul letto e si stava infilando la camicia per la notte.

“Lo temo anche io. Ma non so che dire. Se quello è il suo volere, lo rispetterò” rispose lui, infilandosi nel frattempo sotto le coperte.

Diane si avvicinò al marito, che la accolse sul suo petto, tenendola stretta.

“Diane, mi dispiace averti trascinato in questa storia... te lo chiedo l' ultima volta: tu ed i bambini volete rimanere qui? Per me non ci sono problemi...” disse.

Diane si sollevò e si mise a sedere, lasciando che i suoi capelli sciolti andassero a posarsi sulla camicia da notte , e lo fissò seria.

“Spero tu stia scherzando...sai come la penso...e te l'ho anche ripetuto”

“Allora è deciso. Torniamo in Normandia” disse lui “ cosa ne dici?”

Lei non rispose; la luce delle candele si andava affievolentendo su quella giornata, lasciando che la notte avvolgesse qualsiasi cosa, comprese le parole ed i gemiti dei due amanti stretti in un abbraccio senza fine.

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Capitolo 20
*** La tempesta, parte 2 ***


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1828

 

La Francia in cui tornò Reve era ancora governata da CarloX, che in quegli anni consentì di nominare un primo ministro a metà strada tra liberali (che erano in maggioranza al parlamento francese) e ultrarealisti. Semi- liberale e semi- autoritario erano definiti i ministeri...ma l'intenzione di Reve , François , Alain e di altre migliaia di persone era rendere la Francia libera, una volta per tutte, dai ricordi di Versailles.

Un pò ovunque le acque si stavano muovendo; il clima, in Europa, era a dir poco elettrico. Reve non avrebbe fatto lo sbaglio dell' altra volta, pensando che la cultura poteva salvare il popolo; certo, la cultura era fondamentale, ma per fare capire le cose ad alcune persone era necessario usare la forza. Pur non essendo un guerrafondaio, anzi, cominciò a considerare l' uso delle armi; era un discreto spadaccino e altrettanto bene sapeva tirare con la pistola. Alain aveva pensato a completare l' opera iniziata dai suoi genitori.

Lui e François , ad Auxerre, avevano ben pensato di viaggiare da soli, lasciando Alain e Diane con i bambini su un' altra carrozza al sicuro; il viaggio, per fortuna, fu tranquillo. Dalla finestra di quella carrozza Reve osservava il paesaggio, che man mano diventava famigliare, finchè le distese che tanto amava non si presentarono davanti ad i suoi occhi , facendoli brillare. François non riuscì a trattenere l' emozione , una lacrima rigò il suo volto.

I due uomini sapevano che il loro ritorno li avrebbe tenuti impegnati, che sarebbero stati tempi duri; si sentivano già vecchi, talvolta ridicoli a rincorrere questo sogno, a parlare sempre delle solite rivoluzioni, del passato ma poi osservando i loro figli tutte queste paturnie passavano come le nuvole passeggere attraversano il cielo nelle giornate d' estate. Avevano imparato sulla propria pelle che a volte i sogni di infrangono, ma volevano ritentarci; i tempi erano maturi.

Grazie a identità che cambiavano di volta in volta ed a una fitta corrispondeza , Reve era riuscito a ricostruire una rete di contatti con i suoi vecchi amici che avevano resistito, in qualche modo, alle avversità; una volta giunti in Normandia, sarebbero stati necessari parecchi incontri per rimettersi al pari con i vari gruppi sovversivi. Forse Reve non avrebbe visto Diane ed i figli per un pò; era pericoloso tornare a Parigi, sarebbero rimasti in Normandia con Rosalie mentre lui e François avrebbero fatto la spola fino alla città. Questi erano i piani.

 

 

***

Febbraio 1828

“Siete pronti, quindi?” domandò Rosalie al figlio ed a Reve, mentre portava in tavola la cena , aiutata da Diane. I bambini correvano intorno al tavolo, mentre Alain tentava di tenerli a bada.

“ Si, quasi” rispose Reve “ prima però passeremo ancora qualche giorno qui “ rispose osservando i bambini.Diane sorrise; richiamò i figli e finalmente si trovarono tutti seduti intorno al tavolo, ridendo e scherzando; i discorsi seri erano rimandati a più tardi, magari davanti al fuoco e ad un bicchiere di liquore.

Reve mangiò, posò la forchetta e appoggiò i gomiti al tavolo, mettendo i tuoi pensieri e la sua testa nei palmi della mani, mentre i figli tornavano a giocare urlando come ossessi.

“Mi ricordi Andrè: hai la sua stessa espressione svagata. Quando pensava ad Oscar potevano sfiorarlo i cannoni che lui non si sarebbe accorto di nulla” disse Alain. Reve si destò e sorrise.

“Hai raccolto una bella eredità, figlio mio” disse Alain.

Reve non disse nulla; lasciò che tutti finirono di pranzare, limitandosi a conversare di alcune cose pratiche con François; poi, prese in braccio Aurore, che voleva dormire tra le braccia di suo padre e si dedicò alla bambina. Accarezzò i capelli castani e mossi, lunghi ormai fin oltre le spalle.

“papà, tra qualche giorno andrai via, ma torni, vero?” chiese lei, con la voce stropicciata di chi ha sonno.

“Certo che torno, Aurore” rispose “ starò via solo due giorni, con lo zio François...vi porteremo dei piccoli regali, va bene?”

Il viso della bambina si illuminò in un sorriso che sciolse il cuore di Reve; poi, piano piano, si addormentò. Lui si girò verso Diane.

“Glie lo hai detto tu, Diane?”

“Si. Sono grandi, avevano già capito qualcosa...ho preferito parlarne subito” disse lui.

Lui restò fermo a cullare la sua principessa.

 

Si, starò via qualche giorno... e saranno giorni lunghissimi. Ma lo faccio per voi,lo faccio per te e Adrien” pensò Reve fra sè “.... ora posso capire, mamma...papà...ora posso capire le vostre parole dette sottovoce, il volermi tenere al riparo da tutto e tutti.....”

 

“Reve, allora siamo d' accordo? Partiremo dopodomani, ci sarà Maurice ad aspettarci...” disse François.

“...Cosa??...ah, si certo “ rispose

L' amico lo guardò e poi si allontanò, cercando sua madre Rosalie.

“A cosa pensavi?” chiese Diane.

“A voi” disse lui, diretto

“Saremo al sicuro” rispose lei.

“Lo spero tanto amore mio, lo spero” rispose, lasciando andare un sospiro.

 

 

 

Una settimana dopo

I mantelli in spalla ed il passo svelto, Reve e François si stavano recando alla sede del giornale per parlare con Martin, quando videro in lontananza alcune guardie. I due mantennero la calma; si fermarono lungo la strada, mettendosi a parlare del più e del meno, lasciando che le guardie passassero oltre lanciando a loro una semplice occhiata, poi proseguirono.

Erano arrivati a Parigi tre giorni prima e alloggiavano in una delle moltissime locande che sorgevano nella zona accanto al luogo in cui decenni prima sorgeva la Bastiglia; avevano trovato un clima di benessere superficiale, ma notavano comunque – soprattutto nelle ore notturne – una discreta attività di gente che entrava e usciva da anonime case. Maurice li riportò nei vecchi ambienti, presentandoli anche non vi era bisogno: tutti conoscevano quel giovane che aveva provato a realizzare un sogno utopico; quasi tutti avevano avuto a che fare con Villélé e con i fedeli di Re Carlo.Avevano orami abbandonato l' idea di una repubblica, ma chiedevano quanto meno che si andasse verso un,per così dire, “parlamentarismo” come quello inglese; la loro richiesta, lecita, sarebbe stata risolta solo un paio di anni dopo.

 

Reve e François rientrarono in Normandia ben oltre i tempi previsti e con alcuni contatti che si trovavano nella zona, ma sarebbero tornati a Parigi dopo tre settimane circa; gli uomini di Maurice e quelli di Martin erano fidati, sapevano cosa fare. Decisero, i due uomini, di non coinvolgere per ora Diane e Alain, restando sul vago; non avrebbero detto tutto ma solo una parte delle cose: meglio così, per ora. Avrebbe portato il rimorso delle proprie azioni da solo.

Reve non voleva che sua moglie ed i suoi figli sapessero che, per la prima volta in vita sua, aveva ucciso deliberatamente due persone ed i suoi uomini si apprestavano a ucciderne altre...ma lo aveva promesso ad Alexander...ed ogni promessa, è debito.

 

Quando arrivarono a casa, François restò a casa di Reve e Diane. Alain notò subito che vi era qualcosa che non andava, ma non domandò nulla e lasciò che suo genero coccolasse i figli e donasse loro i piccoli balocchi presi da un artigiano sulla via del ritorno. François , da parte sua, restava in disparte la maggior parte del tempo.

Solo quando si trovarono soli, prima che Reve si ritirasse con Diane, parlò.

“Stai bevendo troppo” disse il vecchio con la sua voce roca e sedendosi in faccia all' uomo.

Reve sollevò la testa.

“ho ucciso un uomo, Alain. Anzi, due. Probabilmente avevano famiglia e figli, proprio come me” rispose lui “ e mentre i miei bambini ridono contenti di aver rivisto il loro padre, loro lo staranno piangendo” .

Erano fuori, in giardino, coperti dai loro mantelli. La neve cominciava a scendere ma le due generazioni rimasero ferme, immobili, nel silenzio. Alain sapeva cosa provava Reve e lo lasciò parlare, poi si versò del vino e lo trangugiò d' un fiato.

“E' il prezzo da pagare, figlio mio. Per te, per loro” rispose senza mezzi termini “ e andando avanti, sarà ancora peggio. Ma Alexander è stato vendicato” disse Alain, gli occhi taglienti e freddi.

Reve annuì.

“Non doveva finire così” disse.

Alain cambiò colore. Le stesse parole di Andrè , sotto la Bastiglia.

“Deve ancora iniziare, Reve. E quello che vedrai non ti piacerà.” disse.

Prese la bottiglia, si alzò e andò verso la spiaggia, mentre il genero osservava l' uomo piegarsi sempre più su sè stesso nei suoi singhiozzi: Diane uscì in quel momento e stava per scendere, preoccupata, ma Reve la fermò con un braccio.

“no, Diane, lascialo solo” disse

“Cosa è successo?” chiese.

“Ricordi.” rispose; poi si voltò ed entrò in casa, passò nella stanza dei figli per un bacio fugace e poi si gettò nel letto vestito

Quasi quarant' anni di uomo urlarono il dolore e la fatica dentro la federa di un cuscino, finchè non sentì la mano soffice di Diane sfiorarlo.

“Reve...” sussurrò

“Diane...non pensavo fosse così...” disse, asciugando il suo viso e vergognadosi per essersi mostrato in quel modo.

Diane restò in silenzio, prese le mani del marito e le porto sul suo cuore.

 

***

 

I mesi che seguirono furono un continuo andirivieni da e verso Parigi, ma non mancarono contatti un pò ovunque; Reve si trovò a viaggiare , insieme a François, Martin e Maurice, per portare ovunque il pensiero e trovare sempre più persone disposte a invadere Parigi; non faticarono molto, visto che in trent' anni poco era cambiato.

Reve, i suoi discorsi e la sua passione entrarono da subito nel cuore delle persone.

La Rosa di Normandia, venne presto chiamato; la sua storia, quella dei suoi genitori, era raccontata un pò dappertutto; lui si faceva voler bene perchè era un uomo semplice, che non nascondeva la passione ed i sentimenti, che parlava chiaro, e che solo come ultima risorsa usava le armi.

Diane per un periodo restò in Normandia; ma presto tutto ciò cominciò a pesarle. Dopo avere parlato con Rosalie, decise che avrebbe raggiunto il marito, insieme al padre Alain, in qualsiasi parte del mondo. I suoi figli sarebbero stati al sicuro, lì, ed era questo il pensiero che la fece partire, in un certo senso, serena.

 

***

 

Novembre 1828

Fu così che una sera, di ritorno dall' ennesimo comizio, una figura coperta da un mantello avvicinò Reve Grandier. Lui si irrigidì, pensò al peggio, prese il coltellino che aveva in tasca e si preparò mentre un rivolo di sudore freddo comparì sulla fronte.

“Monsieur, dove siete diretto? Ho ascoltato il vostro comizio...” disse la voce. Una donna.

Reve si girò di scatto cercando il viso della sconosciuta, ma venne trattenuto da quella soffice mano. Lei si tolse il cappuccio ed il mantello, i suoi occhi cerulei guardarono il marito.

“Sono qui, Reve “ disse.

Reve lasciò andare un sospiro.

“Diane!!!” disse mentre il suo cuore mancava di un battito dalla sorpresa “ cosa ci fai qui?” disse cercando di non urlare. Era felice come non mai; prese le mani della donna.

“Vieni, andiamo. Dove alloggi? Ti spiegherò tutto” rispose lei guardandosi intorno.

Reve indicò una insegna ed i due si incamminarono, in silenzio.

“Diane....” disse l' uomo, mentre camminavano

“Cosa c'è?”

“Ti amo” rispose lui.

 

I due si fermarono, un uomo passò zoppicando vicino a loro, canticchiando una canzoncina.

“Anche io ti amo, Reve. “ rispose lei.

Si avvinghiò al marito, che la trascinò in un vicolo lì vicino, e nascosti nell' ombra come due adolescenti si amarono senza respiro, incuranti di tutto e tutto.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 21
*** Solo noi, parte 2 ***


Quell' ultimo anno fu particolarmente impegnativo, per Reve,Diane e tutti coloro che erano impegnati a lottare per la causa; da un pò di tempo, almeno un paio d' anni, il popolo sapeva che che sarebbe arrivata un' altra rivoluzione. Ormai lo avevano capito tutti, e guardavano al futuro tenendo conto delle esperienze passate, pronti a tutto. Reve era ormai diventato, a gennaio del 1829, l' uomo che avrebbe davvero smosso qualcosa in quel marasma di personaggi - tutti esperti in materia e sicuramente volenterosi, ma che si perdevano in troppi discorsi senza mai passare all' azione- ; la rosa della Normandia, così era chiamato, era conosciuta ovunque. Lui, come la madre, non amava molto i riflettori e preferiva vivere nel completo anonimato; anche Oscar , quando veniva riconosciuta dalle persone che combatterono vicine a lei il 14 luglio, faceva finta di nulla, regalando comunque un sorriso. Quante cose erano cambiate, in quegli anni passati in Francia.Quasi quindici... Quindici anni in cui Oscar e Andrè gli facevano compagnia, ogni tanto, nei sogni ; quindici anni passati dal giorno in cui un ragazzino di 20 anni era arrivato in Normandia con una borsa ed un diario appartenuto al padre e che ora si ritrovava qualche capello grigio, gli occhi azzurri incorniciati da qualche ruga, una ferita sul petto. “A cosa pensi, Reve?” chiese Diane, vedendolo vagare con lo sguardo oltre la finestra. Lei era sempre la solita Diane, dai capelli neri e lo sguardo pungente, pratica e sanguigna. La sua metà di cielo, che condivideva la sua strada senza battere ciglio e con molto entusiamo. “Diane, non ti avevo sentito rientrare” rispose lui alzandosi dalla poltrona in cui si era, originariamente, seduto a rileggere un discorso. “Comunque stavo pensando a noi ed a tutto quello che è successo da quando sono arrivato in Francia” rispose, senza girarci intorno “ e, naturalemente, ai nostri figli. Hai scritto a Rosalie che abbiamo deciso di andare a prenderli?” “Si, già una settimana fa. Credo che l' abbia ricevuta, a quest'ora. Comunque, mancano anche a me...ma non sarà pericoloso, farli arrivare fino a Parigi?” . Diane si era seduta poco distante da lui, tenendosi la pancia, ormai diventata piuttosto ingombrante. “ Si, ci ho pensato” rispose lui, alzadosi e dirigendosi verso la moglie “ ci ho pensato parecchio, amore mio...ma ho molta più paura a lasciarli in Normandia. Tuo padre e François arriveranno a breve...sempre che François non debba andare in Svizzera” . Le sue mani sfiorarono delicatamente la nuova vita che stava crescendo dentro Diane, per poi spostarsi verso il suo viso. Reve sorrise ed inclinò la testa, guardando negli occhi la moglie. Un bacio dolcissimo unì le loro labbra. “A volte credo che siamo stati troppo egoisti” disse lei, abbassando il suo bel viso. Reve la guardò, si sedette accanto e le prese le mani. “Diane, abbiamo fatto ciò che pensavamo fosse meglio per loro, cercando di tutelarli...” rispose “ non preoccuaparti quindi, sono sicuro che capiranno tutto questo”. In realtà, Reve non era sicuro di nulla, ma sperava che i ragazzi li seguissero senza troppe domande, cercando di adeguarsi alla vita che avrebbero fatto a Parigi. “Credi? Speriamo bene. Non vorrei che ci rinfacciassero tutto questo, una volta cresciuti” disse lei. “Adrien è un ometto, fin troppo maturo per la sua età” disse Reve “ ed Aurore non è da meno, visto che ha preso da sua madre” rispose lui. Diane sorrise e poco dopo si eclissò nelle sue stanze per farsi un bagno, mentre Reve continuava a pensare ai suoi bambini cercando di organizzarsi per andare a prenderli. “A che ora ci sarà la riunione stasera? Dove sarai? “ chiese Diane, dalla stanza. “ Ci troveremo fuori casa di Jacques, credo andremo nella taverna lì accanto. Ultimamente girano più guardie del solito...” rispose Reve .. “Dovrò essere presenta anche io? “chiese “No, Diane, non preoccuparti, ci andrò anche da solo” rispose. Si alzò e si avvicinò alla stanza da toeletta. Aprì la porta e vide la moglie stesa nella tinozza. “Apettami, arrivo anche io... o avete altri programmi, madame Grandier Jarjayes? “ chiese malizioso mentre si sfilava la camica. “Siete incorreggibile, Laurent Reve Grandier Jarjayes” rispose lei ridendo. “Mi fai paura quando mi chiami con il mio nome per intero” disse lui fingendo di rabbrividire ed infilandosi nell' acqua tiepida e profumata di lavanda e timo. La sera stava scendendo a Parigi, e quanto avrebbe voluto chiudersi in casa con lei, senza pensare a nulla, se non a sfiorare la sua pelle e le sue labbra... ma gli impegni chiamavano e prima che la campana suonasse le otto, Reve , coperto dal suo mantello, era per strada pronto a quell' ennesimo incontro in una taverna. Martin lo avrebbe aspettato fuori, per fare due chiacchiere prima di entrare e per definire le ultime cose; questa era la loro solita prassi. Reve tirò su il bavero della giacca e sistemò la sciarpa, si guardò in giro e svoltò l' angolo finchè non trovò casa l ' insegna: ormai era diventato esperto di taverne, locande, locali vari. Andava dove c'era il popolo, si fermava a parlare con loro e magari beveva anche qualche bicchiere parlando dell ' espansione del suffragio universale e di politiche economiche; era l' unico ad ascoltarli, a dare fiducia al calzolaio come al becchino o al panettiere, non si ergeva mai su un piedistallo. Lui aveva fiducia nel popolo, tutto. Per questo piaceva. Spesso ad ascoltarlo c'erano vecchi amici e conoscenze che ora scrivevano per qualche giornale liberale, di fatto l' unico punto di incontro tra borghesia e ceti poveri; anche quella sera riconobbe visi amici. Salutò Martin ed entrarono attraverso la porticina verde. “non ti sei ancora stancato,Reve Grandier Jarjayes?” gli chiese vedendolo Pierre Simon. “Mai” rispose lui, sorridendo al vecchio amico e stringendo la mano che gli aveva allungato. “Ti credevo disperso in Normandia” disse Pierre, avvicinandosi con un boccale di birra e dandogli una pacca sulle spalle. “No, sono sempre rinchiuso in casa...” rispose lui. “posso unirvi a voi?” chiese Pierre indicando un tavolo. “Ma che domande..vieni, andiamo. Gli altri devono ancora arrivare...”rispose Reve. “ci sono parecchie guardie in giro, stasera” disse l' amico,, osservando gli avventori del locale. “ Ho visto...beh, aspetteremo un attimo “ disse rivolto a Martin “ e poi ci organizzeremo”. Martin fece un cenno con i capo. Si alzò e andò alla porta, pronto per qualsiasi evenienza. “ Come sta Diane?” “Bene, sta crescendo sempre di più” rispose Reve con gli occhi che brillavano “ presto avremo un altro figlio...o figlia, chi lo sa?” Pierre lo osservò. “E lo vorresti fare nascere a Parigi, di questi tempi?” chiese semiserio “'perchè mai?” domandò Reve. Posò la birra. “no, niente, era una mia opinione! Se mi ascolti, però, faresti meglio a prenderti un pò di riposo e tregua, almeno quando nascerà...sono tempi bui, chissà cosa ci aspetta.” rispose Pierre. Reve mangiò la foglia. “C'è qualcosa che non so? Perchè dovrei sparire?...per intenderci...già pensavo di tornare in Normanda a prenderli, tu mi dici che dovrei restarci per un pò? “ chiese prendendo Pierre per il braccio. “ No Reve, non ho davvero nulla da aggiungerti, non vi sono altri motivi...solo un consiglio” rispose lui, bevendosi un altro boccale. Pierre Simon era un cane sciolto, uno di quelli a cui non piaceva avere una etichetta, ma era assolutamente affidabile perchè se sceglieva una causa, gli era fedele. Non era un mercenario al soldo di qualcuno; ciò che faceva lo faceva perchè gli andava, e basta. Reve lo conosceva da qualche anno e avevano stretto una amicizia importante, mai invadente. Assomigliava molto, come pensiero, ad Alexander Fersen. “ Credo che seguirò il tuo consiglio” disse, avendo recepito l' antifona. Pierre sorrise. “Anche se non mi vedrai, sappi che puoi contare su di me” disse. Gli occhi neri di Pierre erano sinceri. Reve annuì. Reve si guardò in giro; era arrivata parecchia gente. “Credo sia arrivato il mio turno” disse Reve, alzandosi e facendo un cenno con la mano. Pierre Simon si alzò e andò a raggiungere Martin, vicino alla porta. *** “Mamma! Papà! Siete arrivati!! “ Aurore si trovava nel piccolo giardino di casa Chatelet, quando li vide arrivare; la sua vocina squillante coprì subito i rumori del cirondario e richiamò Rosalie dalle cucine in cui si trovava con Adrien a pulire alcune verdure. Reve aprì la porta della carrozza, aiutando a scendere Diane: Aurore corse subito incontro a sua madre e restò a bocca aperta vedendo quella pancia davvero grande. Diane si chinò in qualche modo verso la figlia. “Amore mio, siamo tornati” disse accarezzandole il viso “ “Mamma! “esclamò la bambina “ ma hai la pancia come la zia Marie!!!” esclamò vedendola “Si, tesoro, qui c'è il tuo fratellino o la tua sorellina” rispose lei alznadosi “sei contenta?” Aurore iniziò a saltellare intorno alla madre, mentre Reve s prendeva le piccole borse da viaggio; poi si volse verdo la figlia, vedendo che nel frattempo erano arrivati anche Adrien e Rosalie. “Andiamo dentro, fa freddo qui! “ disse la donna, sorridendo alla coppia e ricacciando in casa Adrien e Aurore; il paesino era coperto di neve, ed il vento che aveva iniziato a soffiare entrava fino nelle ossa. La famiglia entrò in casa , ed al tepore del camino finalmente poterono salutarsi con calma. “Non vi aspettavamo” disse Rosalie “E' stata una bellissima sorpresa, sono felice di vedervi!” “Anche noi, Zia Rosalie” rispose Reve “ come saprai volevamo comunque tornare...diciamo che abbiamo anticipato un pò “ Rosalie allungòn la mano verso Diane, tenendo lo sguardo sempre fisso su Reve. La ragazza che dava una mano in casa, ormai diventata donna e madre, entrò portando del tè caldo. “Spero non sia successo nulla di grave” disse Rosalie. “no, zia, non angustiarti, non ci sono problemi “ rispose Reve “ vogliamo solo goderci un pò di calma, prima di ripartire. Prendere tempo solo per noi. Le cose non si stanno mettendo bene a Parigi, tanto per cambiare... Carlo sta tirando un pò troppo la cord....Ehi, Adrien, finalmente ti degni di salutarci?” Reve fissò il figlio, che si era avvicinato a lui,richiedendo le sue attenzioni. Accarezzò il suo visino e lo ascoltò attentamente. “Papà, poi ci porterete con voi?” chiese il piccolo ometto. “Certo, Adrien. Staremo insieme, non devi preoccuaparti” rispose stringendolo a sè. Rosalie sorrise. “Tu come stai?” chiese Reve “Marie? François?” “Sono ripartiti entrambi l' altro ieri” rispose “ Marie è tornata dal marito, e François ha avuto un contrattempo...sembra che Girodelle non stia bene...riguardo a me...io sto bene, figli miei. Sono solo un pò preoccupata. Ma ora non pensiamoci: forza, andiamo, vi accompagno a casa vostra. Faremo una bella sorpresa al nonno Alain, vero bambini?” . Rosalie si alzò in piedi; i suoi occhi erano tritsti. Reve e Diane non capivano il perchè, ma non fecero domande. I bambini, entusiasti, si aggrapparono alla sua gonna e cominciarono a saltellare felici. Finalmente erano riuniti insieme, dopo tutto quel tempo separati. Reve si avviò verso la piccola stalla dove sapeva si trovava il vecchio calesse; sistemò il tutto, e si avviarono verso casa, carichi di speranza affinchè potessero godersi appieno quei giorni di pace. “Ehi, Alain! Siamo arrivati” disse Reve scendendo al volo dal calesse. Alain era seduto su una sedia, proprio fuori dalla porta d' ingresso. Era chino e aveva la testa appoggiata al suo solito bastone. Lentamente, appena sentì quelle voci, alzò gli occhi ed il capo ed un sorriso si allargò ad illuminare la sua persona. “Padre!” esclamò Diane appena fu a terra, aiutando a scender i bambini che nel frattempo corsero incontro al nonno. Alain si alzò un pò traballante sulle ginocchia e andò incontro ai suoi ragazzi, piccoli e grandi. “non vi aspettavo così presto...” disse, abbracciando Reve e Diane, soffermandosi sulla pancia di quest' ultima, uno sorpresa anche per lui. “E' un viaggio fuori programma: andiamo, ti spiegherò tutto dopo cena” rispose Reve, cingendogli le spalle. *** Marzo 1829 Quei giorni in Normandia furono un toccasana. Certo, occhi e orecchie erano spesso a Parigi; Reve aveva responsabilità e non poteva sparire completamente, per tutti; ma non era in ogni caso sottoposto a tutti gli impegni che quotidianemante spuntavano davanti ai suoi occhi. Una volta a settimana Martin passava da lui. “Alain, sono felice di avere ascoltato il consiglio di un animo ed essere sparito per un pò” disse Reve un pomeriggio , sorseggiando del vino in compagnia del suocero. Martin era ripartito da due ore, “Sono felice anche io di avervi rivisto...sai, stavo per partire quando ho ricevuto la lettera di mia figlia nella quale mi annunciava la vostra intenzione di riprednere i bambini con voi...così vi ho aspettato qui attendendo altre notizie...ed eccovi qui. Davvero una bella sorprea” rispose Alain bevendo dal suo calice. Reve, sorrise, anche se i suoi occhi erano pensierosi; si alzò e fece alcuni passi. La sua figura sembrava quasi essere diventata più massiccia ed i capelli che continuava a tenere abbastanza lunghi ondeggiavano alla brezza. Fece alcuni passi avanti e indietro, a braccia conserte, mentre Alain lo seguiva con lo sguardo. “Devi dirmi qualcosa, figliolo?” chiese il suocero dopo alcuni minuti di silenzio, rimandendo al suo posto “ Se è così siediti e parla, perchè mi stai facendo diventare ubriaco davvero con questo tuo camminare”. Reve si voltò e seguì il suo consiglio. “Alain, vorrei che tu rimanessi qui. Io e Diane siamo preoccupati per te, non vogliamo che rischi la vita” disse, d' un fiato. Il vecchio lo osservò. “E' fuori discussione!”rispose, con la sua voce forte. Poi si alzò, prese sottobraccio Reve e si allontanò dal giardino. Scesero verso la spiaggia, continuando a parlare. “Senti Reve, ascoltami bene e non mi interrompere “ disse “ non mi rimane moltissimo tempo da vivere; anzi, se proprio devo essere sincero, secondo i medici dovrei essere già morto e sepolto da tempo. I giorni che sto vivendo sono un regalo mandato da non so chi. Il medico mi ha parlato di un male per il quale non vi è cura. Mi sono fatto bastare queste parole ed una diagnosi di massima e non l'ho pià visto” disse Alain senza mai volgere lo sguardo a Reve, che chinò la testa senza proferrire verbo. Scesero tutti gli scalini, e finalmente arrivarono sulla spiaggia. “Non chiedermi niente di più, figlio mio: sappi solo che se devo morire,che non voglio sentire altri pareri e che questa è una mia scelta...e se devo morire, come ti ho già detto una volta, vorrei farlo come ho sempre vissuto: combattendo”. Gli occhi di Alain erano fieri, lucidi e determinati: Reve non fece altro che fissarli a lungo, senza dire nulla. Abbracciò quel vecchio e camminarono un altro pò, mentre le lacrime rigavano il suo viso. “Ci vedono?” chiese Andrè, guardando le due figure camminando nella loro direzione. “no, non stanno sognando. Al massimo vedranno qualche riflesso sulle onde, nulla di più” rispose Oscar carezzando la mano del marito. “come è invecchiato, Alain” disse Oscar, osservando l' uomo (comunque più giovane di loro di qualche anno) . “Presto verrà da noi” disse Andrè. I due, seduti su uno scoglio a pochi metri da riva, osservavano il proprio figlio e l' amico di una vita con gli occhi lucidi. “come lo sai?” chiese Oscar, guardandolo e aggiustandosi le vesti. “come fai a sapere tu alcune cose? Le sento,e basta” rispose lui. “Allora non riuscirà ad aiutare Reve nel suo cammino... “ “No, Oscar, non lo farà. Ma lo avrà accanto: saremo tutti accanto a lui. Oscar e Andrè si alzarono, e si trovarono sulla spiaggia, accanto ai due uomini. Li videro passare accanto , allungarono le mani per sfiorarli. “Mi dispiace, sai, amore mio” disse Oscar guardando il figlio “ sarà davvero dura per te”. “Oscar non preoccuparti, noi gli saremo sempre accanto” disse Andrè. La prese accanto a sè e l' abbracciò forte, senza mai togliere lo sguardo dai due uomini sulla spiaggia. “Alain, mi dispiace” disse Reve alla fine di quella camminata, quando passarono accanto al punto in cui vi erano gli scogli. “non dire niente, Reve. Fai come se non tu non sapessi davvero nulla. Anche con Diane. Dovrà avere il vostro bambino senza altri pensieri” disse Alain guardando il mare. Reve seguì il suo sguardo. All' imporovviso un brivido prese entrambri, ma non fu un brivido di freddo o di paura, bensì qualcosa che regalò, per un istante, un momento di pace infinita. “Voglio essere seppellito qui” disse Alain “ vicino ai tuoi genitori. Questo è quanto. Non toccheremo più l' argomento”. Alain girò su sè stesso e staccò Reve, che rimase immobile a fissare la sua figura senza potere aggiungere nulla.

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Capitolo 22
*** Diane ***


 

Reve e Alain non parlarono più; rientrarono in casa tranquillamente, cercando di far finta di nulla.

 

“Ehi, nonno, dove sei andato con il papà?” chiese Adrien, in cima alle scale, con lo sguardo dolce tanto uguale a quello di Andrè, al quale assomigliava moltissimo.

“Siamo andati a fare due passi, a parlare un pò” rispose Alain accarezzando la testolina di capelli scuri. “Ma sei da solo? Dove è tua sorella?”. Alain si guardò in giro.

“E' dentro: la mamma non sta bene, si è stesa nel letto. Ha male alla pancia” disse il piccolo.

“Mi sa che è ora, Reve. Corri da lei” disse sottovoce Alain . Poi, rivolto ad Adrien: “vieni con me... Credo che tra qualche ora vedrai tuo fratello o tua sorella” . Adrien iniziò a saltellare felice, poi diede la mano ad Alain ed i due tornarono sulla spiaggia, dove presto arrivò anche Aurore, emozionata.

Reve corse invece dalla moglie.

“Diane, eccomi” disse Reve entrando nella stanza “devo andare a chiamare il medico?”

“credo di si, forse è meglio” rispose lei “ penso che non manchi molto....” . Era stesa sul letto, aveva indossato una camicia da notte e legato i capelli con un nastro.

Rosalie era con lei; aveva già pensato a scaldare l' acqua e stava preparando pezze e lenzuola. Il suo era un continuo andirivieni. Ad un certo punto si fermò davanti a Reve, ancora fermo sulla porta.

“Reve, secondo me dovresti partire subito. Quando arrivi al villaggio vai anche da Francine l' ostetrica, e dille di portare le sue erbe lenitive e tutto ciò che può essere utile” disse senza togliere lo sguardo da ciò che stava facendo.

Il tempo di baciare la moglie e regalarle un sorriso, poi l' uomo andò nella piccola stalla a sistemare il calesse; si mise in viaggio quindi , veloce come un fulmine, tanto agitato da non sentire la pioggia che all' improvviso cominciò a cadere.

Arrivò al paese come fosse inseguito da un intero esercito: balzò dal calesse e bussò alla porta di Francine, poi senza spiegare più di tanto andò dal dottore, chiedendo di seguirlo; quindi, ripartirono.

“Vi prego di scusare la mia maleducazione e la mia fretta, ma credo che mia moglie stia per avere un figlio, e mi ha chiesto di fare presto” disse una volta che si furono messi in cammino; i due ospiti non dissero nulla, abituati a simili prassi.

 

Il parto di Diane, tuttavia, non fu così veloce come previsto, anzi; durò anche più di quello precendente. Reve era preoccupato e non faceva altro che correre da una parte all' altra della stanza; poi, finalmente, un vagito ruppe quel silenzio. A Reve mancò il fiato, dall' emozione: attese ancora un attimo, poi bussò, per avere notizie.

“Attenda” disse l' ostetrica con voce ferma “ ci sono state alcune complicazioni, sua moglie ha perso conoscenza.”.

“Co...come dite...? Cosa è successo? Parlate, per favore” esclamò lui in preda al panico.

In quel mentre, Rosalie fece un cenno alla donna e si avvicinò a Reve.

“Ci penso io, Francine” disse pacata; poi, prese Reve sottobraccio e andarono verso il salone.

Reve percorse quei metri come se dovesse andare al patibolo, facendosi trascinare, continuando a girare la testa verso la stanza da letto. La stessa dove lui era nato.

“Reve, siediti” disse Rosalie.

“Rosalie ti prego, dimmi cosa sta succedendo a Diane” chiese lui cercando di mantenere la calma, muovendo convulsamente le mani.

“Diane ha avuto un parto difficile, figlio mio. Ha perso molto sangue, il medico sta facendo il possibile per salvarla. Ascoltami, ora dobbiamo pensare alla piccola...è una femmina...tu devi andare al più presto a cercare una balia. Tua figlia deve mangiare e nelle sue condizioni Diane non può fare nulla”. Una lacrima scese sulle guance di Rosalie.

“non ce la faccio: voglio restare con lei” disse l'uomo trattenendo le lacrime.

“va bene... allora cerca Hervè e raccomandagli di andare da Madame David; lei indicherà la persona giusta” rispose Rosalie senza troppo insistere.

Reve si alzò e andò a cercare il ragazzo sul retro di casa, vicino alla piccola stalla e nel frattempo vide sopraggiungere Alain ed i suoi due ragazzi.

“come sta la mia bambina? “ chiese, felice; ma il sorriso si smorzò quando vide l' espressione del genero. I bambini diventarono subito seri.

“Vieni” rispose Reve, una volta comunicato ad Hervè il suo compito.

“Reve, dimmi la verità, ti prego” disse il vecchio mentre entravano in casa... ma Reve non disse nulla, gli indicò la porta.

Rosalie accorse appena li vide, e prese con sè i bambini; i due entrarono.

Il medico stava seduto in un angolo , con la sua borsa in mano, senza dire una parola, la faccia tirata. Con la mano libera torturava un lembo della sua giacca.

“Vi prego di perdonarmi, Monsieur” disse con un filo di voce.

“Per quale motivo, Dottore? Voi avete fatto il possibile...” rispose Reve

“ Ha perso molto sangue, ha rischiato di perdere sua figlia. Con un filo di voce, sua moglie mi ha chiesto di salvare la piccola, se le cose si fossero messe male.

Reve impallidì pià di quanto già lo era. Non riusciva a stare fermo e tantomeno seduto.

Guardò fuori dalla finestrella; continuava a piovere. Hervè spuntò all' improvviso, fradicio.

Alain, invece, era perso nel volto della figlia, che respirava a fatica. La piccolina era accanto alla madre, ed il nonno si avvicinò per dare una carezza ad entrambe. Ad un certo punto, prese e se ne andò: non riuciva a sopportare quella vista, quell' agonia.

 

 

 

La bambina, stesa vicino a Diane, era davvero bella. I capelli biondissimi parevano quasi bianchi e gli occhietti cangianti tipici dei piccoli appena nati apparivano di un azzurro intenso. Era piccola, dalla pelle diafana, e Reve la osservava con attenzione, ma sul suo viso non vi era nè gioia nè tenerzza:non voleva avere niente a che fare con quella creatura che meno di 10 minuti prima aveva portato via la sua Diane.

Si; la sua Diane non era più. In un ultimo atto di pietà, la piccola – alla quale non era ancora stato dato un nome e che aveva appena finito di mangiare - era stata posta accanto alla madre, nella speranza potesse risvegliarla da quella agonia grazie a qualche sorta di miracolo...miracolo che purtroppo non avvenne.

Alain, Reve, la balia, il medico...erano tutti stretti intorno a quel letto di dolore, senza che nessuno dicesse una parola, fermi immobili in una dimensione senza tempo. In silenzio.

All' improvviso comparve Rosalie, tenendo per mano i gemelli. Era esausta.

Aurore corse verso la madre e la sorella, zitta e pallida. Adrien si avvicinò al padre, con lo sguardo serio, senza far trasparire la minima emozione.

“La mamma non c'è più, bambini. E' volata in cielo, insieme a Nonna Oscar e Nonno Andrè...ora è tra le sue braccia” disse Reve, forse facendo un discorso un pò troppo grande per quei due ragazzini, carezzando i capelli neri di Adrien.

“non tornerà più da noi?” chiese Aurore in mezzo ai singhiozzi che strozzavano la sua voce.

“No, piccola mia.” rispose Reve.

Aurore si allontanò dal letto e tornò dal fratello; lo prese per mano e si riavvicinarono ; insieme crollarono in un pianto infinito,mentre il padre li raggiungeva per prenderli tra le braccia.

Un tuono squarciò il silenzio; lentamente, le persone presente in quella stanza la lasciarono.

Reve e Alain , tornato al capezzale della figlia poco prima che spirasse,si trovarono così; soli, con i bambini e la donna che entrambi amavano; i loro cuori distruti.

“E' ora che andiate, bambini” disse ad un certo punto Alain “ lasciamo solo il papà un attimo”.

Si avvicinò alla figlia, la baciò sulla fronte ed uscì, con i nipoti.

Reve restò solo con moglie e figlia, che agitava le sue manine paffute per aria, cercando un contatto umano che non ricevette ancora dal padre, il cui cuore si era improvvisamente chiuso: poi si avvicinò alla sua Diane; prese la bambina e la mise bella culla che le era stata preparata e si stese vicino alla donna.

Steso su un fianco, osservava i suoi lineamenti, distesi in un sonno eterno, che parevano quasi rilassati; accarezzò il viso, i capelli, prese le sue mani e le baciò. Pensò a quante serate avevano trascorso insieme, chiacchierando a letto, dopo che i bambini si erano addormentati.

Non sentì più alcun rumore; nè i tuoni, nè lo strepitare dei figli e nemmeno il pianto della nuova arrivata. Si abbandonò al dolore, urlandolo contro un cuscino, rannicchiandosi come un bambino. Le sue urla furono comunque sentite, ed arrivarono come una lama nel cuore delle perone che, silenziose, si aggiravano per quella casa.

Rimase così per un tempo indefinito, finchè il sonno non lo prese.

 

 

 

“Reve, svegliati” disse una voce ferma, ovattata, in una dimensione senza tempo.

L' uomo restò per un attimo in un dormiveglia in cui non capiva ancora cosa stesse succedendo; poi aprì gli occhi. Si trovava nella stanza degli ospiti ed il panico ricominciò a diffondersi attraverso ogni fibra del suo corpo.

“Diane...è un incubo, vero? La mia Diane non è morta, vero?” cominciò a balbettare, mettendosi a sedere sul letto. Alain scosse la testa.

“Reve, devi reagire” disse piegato dalle lacrime “ fallo per i tuoi figli....”

Reve si alzò. Era ormai sera, aveva smesso di piovere e nella casa non si sentiva nessuno. Un dolore acuto partì dal petto, lasciandolo senza fiato. La sua Diane non c'era più, non era un incubo ma la triste realtà.

Alain andò verso il genero, allargando le braccia per accoglierlo in un abbraccio, al quale Reve si abbandonò senza riserve, come un bambino. I due uomini, finalmente, versano tutto il loro dolore in lacrime che scorrevano a fiumi; senza parole, si aggrapparono l' uno all' altro quasi a farsi male.

 

 

 

Oscar osservava il figlio, tra le braccia di Alain.

come vorrei essere in carne ed ossa e farti sentire il mio amore” disse, allungando una mano impercettibile verso i capelli di Reve.

Andrè osservava la scena silenzioso, accanto alla moglie.

Doveva per forza andare a finire così? Non potevano lasciarti un pò di felicità?” chiese Andrè al vento, senza che nessun essere superiore riuscisse a dare una risposta. Sapevano benissimo ciò che sarebbe successo, ma non credevano di vivere un dolore così; anche se i loro cuori non battevano più le loro anime, che sostenevano lo spirito, erano ben presenti e soffrivano senza riserva.

Cosa potremo fare per lui?” chiese Oscar, asciugandosi lacrime di cristallo e guardando Andrè.

Nulla, Oscar, lo sai” rispose lui prendendola per mano.

Restiamo qui, tutti. Anche tu, Marie: dovrai occuparti della bambina, d' ora in poi. La proteggerai tu” rispose Oscar.

La famiglia rimase tutta la sera con Reve, intorno al suo letto, cercando di sollevarlo da quel macigno sul cuore.

 

 

 

 

François e Victoria raggiunsero Reve in Normandia due settimane dopo; avrebbero voluto rendersi utili ed arrivare prima, ma una febbre aveva costretto a letto la piccola Bernadette.

Diane era stata sepolta il giorno dopo la sua morte, nel cimitero del villaggio; Reve avrebbe voluto tenerla accanto a sè nel grande giardino, ma le rigide norme non lo permisero. Il funerale fu officiato dal parroco locale che allo stesso tempo battezzò la bambina.

Reve, dopo alcuni giorni di totale rifiuto verso quella creatura, sembrò tornare in sè e finalmente la prese tra le braccia, chiedendole perdono per le cattiverie che aveva pensato e per le colpe che le aveva affibiato. Decise di chiamarla Oscar, come la nonna, alla quale sembrava davvero assomigliare moltissimo e per ovviare al nome maschile aggiunse quello di sua sorella, Marie.

 

François lo trovò proprio accanto alla piccola, quando arrivò in Normandia; Aurore e Adrien seduti poco distante da lui , intenti a giocare piccoli animaletti di legno.

“Reve, mi dispiace tanto” disse avvicinandosi all' amico e abbracciandolo cercando di non fare del male ad Oscar; lui lo guardò con occhi ancora pieni di lacrime, poi però abbozzò un sorriso. Più in la, dietro François, vide Victoria con la piccola.

“Sono felice di vederti qui, anche se l' occasione non è affatto piacevole” disse alla donna.

La sua amica, colei insieme alla quale era cresciuto, si avvicinò; osservò la bambina e chiese di prenderla in braccio. Reve la lasciò tra le sue braccia, poi le diede un bacio sulla guancia.

“grazie amici miei “ disse “ sono contento che siate arrivati”.

Li invitò ad entrare in casa, seguiti dai bambini che subito presero Bernadette per mano e andarono nelle loro camere a giocare.

“Siete già stati da Rosalie?” chiese Reve , sedendosi.

“Si, in realtà siamo arrivati ieri sera...” rispose François “ ma abbiamo preferito riposare...tanto ci fermeremo parecchio....

“Mi ha dato un grande aiuto...senza di lei e Alain a quest' ora sarei perso” disse Reve; François sorrise e mise una mano sul braccio dell' amico. In quel mentre Hervè uscì dalla cucina chiedendo se servisse qualcosa, altrimenti si sarebbe ritirato.

“No, grazie, vai pure” rispose Reve, salutandolo .

 

Un silenzio imbarazzante scese tra loro; nessuno sapeva cosa dire, perchè tutto sembrava indelicato e fuori luogo. Victoria cullava la bambina, che nel frattempo si stava addormentando.

“Ha appena mangiato, la balia è andata via poco prima del vostro arrivo” disse Reve osservando teneramente la figlia “ ...tornerà tra qualche ora. E' una brava ragazza. Vuole molto bene ad Oscar”.

“Oscar? L' hai chiamata come tua madre?” chiese sorpreso François

“Si...Oscar Marie” rispose

“E' un bel nome” disse Victoria accarezzando le guance morbide.

“Pensavo di chiamarla Diane...ma non avrei retto a sentire ancora quel nome, troppo dolore” rispose Reve rattristandosi.

I tre amici rimasero in silenzio, gli occhi fissi sulla bambina.

Il ricordo di Diane riempì quella stanza.

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 23
*** Il cittadino Chartres ***


 

Fine dicembre 1829

 

Reve aveva appena messo a dormire Oscar.

 

Era stata una giornata nevosa, i bambini si erano divertiti moltissimo nel giardino della casa in Normandia: avevano fatto bellissimi pupazzi di neve, giocato, corso. All' ora di cena aveva faticato a fargli mangiare un po' di zuppa e prosciutto; Adrien era letteralmente crollato con la testa nel piatto ed Aurore, poco dopo, l' aveva seguito. L' unica sveglia pareva Oscar.

L' uomo passeggiava avanti e indietro con la bambina in braccio, tenendola per la manina e avviando con lei conversazioni che solo loro capivano, fatta di versi e sorrisi.

 

Un' altra giornata era andata: una giornata iniziata con il pensiero di Diane che poi si era trasformata in un tran- tran di impegni inderogabili; ora, stava finendo nello stesso modo. Pensando a lei, a quanto sarebbe stato bello se avesse visto crescere i suoi figli. Reve aveva faticato a legare con Oscar all' inizio, perchè la riteneva colpevole di ciò che era successo alla moglie, ma grazie a Victoria e Rosalie riuscì ad affrontare anche questo, uscendo dal circolo vizioso in cui era sprofondato...e finalmente era riuscito ad amare e farsi amare da questa figlia che di colpe, in realtà, non ne aveva.

 

Perso nei suoi pensieri, Reve non si accorse della carrozza che si era fermata davanti a casa, e nemmeno dell' uomo in livrea che, con una lanterna, cercava di fare strada ad un altro uomo dalle vesti semplici ma dal portamento aristocratico; infatti, quando bussarono trasalì.

Con la bimba in braccio, andò ad aprire, senza avere prima messa in tasca una pistola, che teneva per ogni evenienza.

“Buonasera, signori. Come posso esservi utile?” disse, subito dopo avere aperto la porta.

“Buonasera, Monsieur Grandier. Possiamo entrare? Le assicuro che non siamo malintenzionati, il mio nome è Daniel Chevalier e lui è il mio assistente Monsieur Lebeinz.” disse l' uomo più vecchio, ritto e fermo davanti all' uscio in attesa di una risposta.

“Come fate a conoscere il mio nome? Come posso fidarmi di voi?” chiese Reve

“Se voi non mi credete, non posso obbligarvi; posso spiegarvi tutto anche qui, ma abbiate il buonsenso di non far prendere troppo freddo a vostra figlia” rispose l'uomo, con fare gentile.

Dopo alcuni secondi di indecisione, Reve fece entrare in casa i due uomini e li fece accomodare nella grande sala; adagiò Oscar nella piccola culla accanto al divano e tornò da loro.

“Chi viaggia di notte, di solito, o ha molta fretta oppure è un malvivente” disse, sedendosi a sua volta “scusate la franchezza, ma non sono più avvezzo all' etichetta da parecchi anni”.

L' uomo più vecchio posò bastone e mantello sul divano, senza troppe cerimonie; lo stesso fece il suo segretario, un ragazzo sulla ventina dall' aspetto mite.

“Ne avete tutte le ragioni, una spiegazione vi è dovuta. Vi conosco, Reve Grandier, perchè vi ho seguito parecchio nelle vostre avventure; ho avuto anche il piacere di ascoltarvi e di leggere i vostri articoli, già parecchi anni fa. Sono sempre stato dalla vostra parte, Grandier...o forse dovrei chiamarla con il suo nome completo, Grandier – Jarjayes?”

“Chiamatemi come desiderate, Monsieur: siate però chiaro e venite subito al punto.” rispose lui.

Monsieur Chevalier si mise a suo agio sul divano, come a sottolineare il fatto che il discorso non sarebbe stato breve; Reve lo osservò bene, era sicuro di averlo già visto da qualche parte, forse proprio ad uno dei suoi incontri nelle bettole parigine? Chi era quest' uomo?

“Vi chiedo innanzitutto la cortesia di un bicchiere d' acqua; il viaggio è stato lungo e non abbiamo fatto molte soste. Ma non preoccupatevi oltre, non ci serve un posto dove dormire” mise in chiaro Chevalier. Reve si alzò e prese sia acqua che una bottiglia di vino , insieme a tre bicchieri e del formaggio; l' uomo ringraziò, e prese subito una gran sorsata di acqua, mentre l' altro non toccò nulla.

“Grazie Monsieur. Dunque, vorrei parlarvi di una questione che mi sta a cuore”.

“Ditemi pure, senza alcuna riserva” rispose Reve.

“Se sono qui, è per una questione della massima importanza. Da un po' non vi vedevo a Parigi, così ho chiesto di Voi, ed il suo amico Simon mi ha riferito quanto le è accaduto. Prima di andare avanti, vogliate accettare le mie condoglianze.” l' uomo chinò il capo.

“Vi ringrazio. Andate pure avanti” rispose Reve, accavallando le gambe distese e incrociando le braccia sul petto.

“ Simon mi ha anche riferito il vostro indirizzo, dicendomi che, nel caso non vi avessi trovato a Parigi, avrei dovuto recarmi in Normandia. Così ho fatto. Non vi ho scritto e non mi sono fatto preannunciare da lettere o altro perchè la questione è delicata.”

Reve stava perdendo la pazienza ma era curioso di sentire ciò che Chevalier aveva da dire.

“Dovreste tornare a Parigi. Sapete cosa sta succedendo, ultimamente?” disse Monsieur Chevalier alzandosi ed iniziando a passeggiare con le mani dietro la schiena.

“Onestamente, no; le notizie mi arrivano, ma non le considero più di tanto, ormai. Mi sono dedicato ai miei figli. La causa può aspettare” rispose Reve, curioso.

Il vecchio si girò dandogli uno sguardo severo.

“Temo di no, Monsieur. Temo non sia più possibile aspettare oltre.” disse; il suo sguardo non ammetteva repliche.

Reve lo fissò per un momento senza dire nulla.

“Cosa intendete?” chiese, mettendosi a sedere e appoggiando i gomiti sulle gambe.

“Temo che entro un anno cambieranno parecchie cose in Francia: forse anche prima. Credo che voi, seppur lontano, siete rimasto informato, un minimo.”

“In effetti qualcosa so, ma come vi ho detto prima, non so cosa stia succedendo in questo momento. Ho avuto dei mesi intensi, come ben sapete.” rispose Reve.

“Ovviamente” rispose Chevalier.Un silenzio imbarazzante scese nella stanza. Reve aprì la bottiglia di vino e ne versò nei bicchieri. Il vecchio si avvicinò e ne prese uno per sè.

“Voi siete un uomo valido,Grandier. Sapete vero che Carlo X questa estate ha licenziato Martignac ed al suo posto ha messo il principe di Polignac ?” disse Chevalier bevendone un sorso

“Si, e questa sua nomina mi ha messo i brividi. Se ragiona come la madre, siamo a posto...” rispose; poi si alzò, richiamato da Oscar che pareva essersi già risvegliata dopo nemmeno una oretta di sonno. Prese in braccio la figlia e tornò a sedersi davanti a Chevalier.

“Polignac con è il fanatico che descrivono, lui in realtà sarebbe favorevole alla monarchia costituzionale, ma non la ritiene fattibile e nemmeno compatibile con la libertà di stampa, a meno che questa non sia limitata da alcuni provvedimenti”. Il vecchio sbuffò, lo stesso fece Reve.

“Se dovesse fare un passo falso in questa direzione, sarebbe sicura una nuova rivoluzione” rispose quest' ultimo. “Non credo che glie la farebbero passare liscia.”

“Esattamente, Monsieur”.

Il vecchio si alzò, fece alcuni passi verso Reve e chiese di poter accarezzare la bambina; sorrise, chiese notizie degli altri due figli, poi disse al segretario di avvisare il cocchiere che sarebbero ripartiti, quindi indossò il mantello e si avviò verso la porta.

“Monsieur Grandier, pensateci. Se non volete farlo per voi, fatelo per i vostri figli. Lasciategli un posto migliore” disse sull' uscio. “Ah, una ultima cosa: il mio nome non è Chevalier. Molti mi conoscono come cittadino Chartres. Non preoccupatevi: non ho alcun rapporto con Carlo, mi ha di fatto cacciato, vista la mia antipatia verso il nostro comune amico Villéle e Jacques de Polignac. Forse diventerò Re: mi ricorderò di voi, sappiatelo, e di quello che avete fatto per la Francia.”

Detto ciò, girò sui tacchi e riprese la carrozza e sparì, insieme al suo assistente.

Reve non disse nulla; ma si spiegò dunque dove lo avesse visto, e non fu sorpreso di sapere la vera identità. Di certo non era un suo fervente ammiratore, ma innegabilmente saperlo dalla propria parte non lo lasciava indifferente. Inoltre, il fatto che si fosse scomodato per arrivare sino in Normandia , gli fece pensare che tanto male non era.

Ancora sopreso dagli ultimi avvenimenti, chiuse la porta di casa e tornò nella stanza da letto, non prima di aver controllato che Adrien ed Aurore dormissero tranquilli; posò Oscar nella piccola culla accanto al letto e si avviò verso la toeletta, preparandosi per la notte.

Ovviamente non dormì molto: le parole scambiate con Chartres risuonavano nelle orecchie. Già da tempo Reve pensava al suo futuro. Solo con tre figli, come avrebbe fatto a portare avanti le cose? Non poteva sempre contare sugli altri e tornare a Parigi a fare comizi con una figlia al collo non era il massimo. Ne avrebbe parlato con François, l' indomani; ora doveva assolutamente cercare di dormire.

 

 

 

 

“Cosa hanno appena sentito, le mie orecchie? Mi stai dicendo la verità?” chise François spalancando gli occhi , tenendo il bicchiere a mezz'aria.

“Si, ti sto dicendo la verità. Non ho bevuto e nemmeno sono matto” rispose Reve.

Si trovavano alla locanda del villaggio; la neve continuava a scendere senza sosta. Aveva lasciato i bambini da Rosalie e, scusandosi con Victoria, le aveva momentaneamente rubato il marito: era una questione della massima importanza e necessitava di una certa dose di tranqullità...la locanda, semivuota, faceva proprio al caso loro.

“François , te lo giuro” riprese Reve “ Me lo sono trovato davanti stanotte; si è presentato come Monsieur Chevalier ed aveva con sè un segretario, assistente, insomma ci siamo capiti”.

L ' amico non era ancora persuaso.

“Cosa ti ha detto, di preciso” chiese François.

“ vorrebbe che tornassi a Parigi” rispose Reve, addentando la bistecca “ E' convinto che la rabbia del popolo sia molto vicina ad una rivoluzione...Polignac sta tirando troppo la corda. “

“Indubbiamente questa persona ha ragione “ rispose non ancora persuaso François “ e supponendo che tu voglia tornare, sapresti come organizzarti? Dove andrai? Ed i bambini?”

“François “ disse Reve mettendosi comodo sulla sedia “ io ancora non ho deciso nulla. Mi sono tormentato tutta la notte...da quando è morta Diane penso a cosa fare... ma ancora non ho deciso nulla. Vorrei lasciare perdere tutto...”

“Amico mio, posso solo immaginare il dolore che porti ancora dentro di te...ma anche nel caso in cui tu non volessi tornare a Parigi, non potresti di sicuro passare la vita a fare l' eremita nella tua casa sulla spiaggia...” disse François “questo devi averlo ben chiaro”.

L' oste passò chiedendo se volevano ancora del vino o del cibo; non vi era nessuno, e se a lorsignori non disturbava, avrebbe chiuso la locanda e si sarebbe ritirato.

“Monsieur, voglia scusarci, ci siamo dilungati in chiacchiere e abbiamo perso la congnizione del tempo” rispose Reve, alzandosi ed andando a prendere il pesante cappotto.

François lo seguì.

La neve cadeva ancora, copiosa ed i due rimasero fermi fuori dalla porta, lasciando che la bufera sferzasse i loro visi. Il discorso lasciato in sospeso non ebber una conclusione; decisero quindi di tornare da Rosalie.

 

“Papà, finalmente sei tornato” disse Adrien “ mi stavo annoiando , qui da solo: Aurore e nostra cugina non fanno che giocare con le bambole, ed io mi sto addormentando!”

Reve allargò le braccia avvolgendo Adrien, che si lasciò andare sulle sue spalle.

“Hai aiutato zia Rosalie e zia Victoria?” chiese, dando un buffetto sulle guance del bambino.

“Si,sono stato bravo” rispose facendo una faccia seria e gonfiando il petto.

Reve lo baciò sulla guancia, e lo stesso fece con Aurore, appena lo vide. Oscar dormiva beata, invece, tra le braccia della balia.

François , entrato dopo di lui, andò diretto verso il divano, osservando Reve, pensieroso.

“ Rosalie, devo chiederti un favore” disse quest' ultimo, attirando l' attenzione di tutti “ devo tornare a Parigi per alcuni affari urgenti”.

Rosalie ed i presenti lo osservarono curiosi.

“posso venire anche io, papà?” chiese Adrien.

“No, Adrien. Ma non preoccuparti, papà tornerà presto.” disse.

“Cosa avresti intenzione di fare? Sei da solo ed hai dei figli, ora” disse Rosalie “ e poi cosa sarebbe questa novità, cosi all' improvviso?

“Nulla che possa creare danni” rispose lui, sorridendo “Davvero, Rosalie, devo andare a Parigi ma non starò via molto. Al massimo quattro o cinque giorni. Senti, Alain non verrà con me; non è stato molto bene, ultimamente. Non voglio coinvolgerlo, non sono sicuro che un viaggio in carrozza fino a Parigi possa fargli bene. Potresti riportare i bambini da lui, domani? François, mi daresti una mano?”

François lo guardò, sorridendo.

“Vai, Reve. Ci penseremo noi ad i ragazzi. Ti aspettiamo presto” disse.

Reve rimase sulla porta ancora un pò, osservando il calore di quella che era la sua famiglia. Dopodichè, senza indugi, non aspettò oltre. Prese il cavallo e si mise sulla strada per Parigi.

quel ragazzo si metterà nei guai” pensò la donna, sospirando.

Lo avrebbe rivisto 8 mesi dopo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 24
*** Trois Glorieuse, parte prima. ***


Questo è l' ultimo capitolo, che ho preferito dividere in due parti, altrimenti  ne sarebbe uscito un nuovo racconto =) .
Dedicato a Tetide, le cui recensioni mi hanno sempre spinto a continuare e che mi ha ispirato proprio questo finale....e non solo (ma ora non mi sbilancio, magari vedrete pubblicato qualcosa di nuovo, più avanti.). Grazie!!! B.

 

 

Trois Glorieuses, parte prima

 

 

 

29 dicembre 1829

 

Galoppò giorno e notte, per arrivare a Parigi.

All' improvviso, dopo mesi di torpore e dolore, si era improvvisamente risvegliato e aveva deciso di fare un salto in città per capire come fosse la situazione; non era prorpio convinto delle sue azioni e cavalcò per chilometri con il senso di colpa che gli opprimeva petto togliendogli il respiro... ma ormai era in ballo, e non restava che ballare.

Non poteva fare altrimenti.

 

Parigi si aprì ai suoi occhi allo stesso modo in cui si aprì agli occhi di Andrè ed Oscar il 14 luglio di quarantuno anni prima: mattina presto, il delirio. Il popolo era per strada; no, nessuna corsa agli armamenti e nessun cannone da rubare , ma tanta, tanta rabbia pervadeva le strade, ora come allora piena di disperati, di sporcizia, di forconi e di vetrine infrante. Alcuni quartieri erano più puliti e calmi di altri, ma ovunque campeggiavano caricature di Carlo X e dei suoi fedelissimi, laddove anni prima vi erano i fantocci di Maria Antonietta e Luigi. La crisi economica che aveva colpito la Francia negli ultimi 3 anni aveva sino ad ora risparmiato le città come Parigi, ma alla fine era arrivata anche li e senza tanti sconti.

 

Reve camminva piano, mantenendo una andatura leggera, di modo che avesse il modo di guardarsi in giro. Era stanco e carico di pensieri, infreddolito e nervoso. Si infilò nella prima locanda che apparve; non se la ricordava affatto. Sperò non fosse una bettola malfamata ed entrò, spingendo la pesante porta.

“Vorrei una camera, per favore...e se fosse possibile, gradirei anche mangiare” disse appoggiandosi al bancone.

La donna che gli stava davanti, dalla cui cuffietta spuntavano ricci chiari, chiamò un uomo, forse il marito o il figlio.

“Etienne, per favore, conduci il signore alla camera “ disse dandogli le chiavi” Quanti giorni desidera fermarsi? Il pagamento è anticipato”.

“ almeno una settimana” rispose, chiedendo il dovuto e mettendo i soldi direttamente sul bancone,. Lasciò una mancia anche al ragazzo che lo avrebbe accompagnato.

“Perfetto. Vogliate seguirmi” disse Etienne, un giovane sui vent' anni dai capelli rossicci; prese il misero bagaglio dell' ospite e lo portò al secondo piano, indicandogli la seconda porta a sinistra.

“Siete arrivato, Monsieur. Nella stanza dovrebbe esservi tutto quello che può servirvi. Dovesse mancare qualcosa , lo dica a mia madre quando scenderà per mangiare” disse come un automa. Chissà quante volte ripeteva la stessa frase.

Infilò la chiave nella toppa e aprì la porta.

Era arrivato.

Ancora una volta, Parigi.

Il cuore a pezzi. Le ossa anche.

Svogliatamente, appoggiò il bagaglio per terra e prese gli indumenti di ricambio, quindi si diede una lavata veloce ,cambiò la camicia e scese per mangiare qualcosa visto che il giorno prima non aveva mangiato nulla.

Finita la colazione, restò seduto stendendo le gambe sotto al tavolo e incrociando le braccia. La sua mente era sgombra, stanca, vuota. Si sforzò di stare sveglio, osservò la vita intorno a lui tuttavia presto si trovò con la testa ciondoloni sul petto.Decise allora di risalire in camera e stendersi un attimo e dormì fino a pomeriggio inoltrato, crollando come un sasso appena posata la testa sul cuscino, mentre la mente ancora tentava di lavorare senza sosta.

Quando si risvegliò, la sera era scesa. Il giorno era passato, così, nel nulla totale; si mise a sedere sul letto, prendendosi la testa tra le mani, chiedendosi cosa diamine avesse fatto...poi riprese il suo vecchio diario, che portava sempre con sè, insieme a quello del padre. Dopo anni, ricominciò a scrivere.

 

 

Parigi, 30 dicembre 1829

Sono a Parigi, Diane... ho lasciato soli i nostri figli ed i sensi di colpa mi divorano senza sosta...Non avrei dovuto farlo; ma il richiamo alla giustizia è stato più forte di qualsiasi altra cosa. Tu forse me lo avresti impedito, ma so che avresti compreso cosa passasse nella mia testa.

Te ne sei andata da me troppo presto, ho ancora bisogno di te, lo abbiamo tutti...Oscar, Adrien, Aurore...io ho bisogno di te, come se avessi bisogno di aria. Mi hai portato via un pezzo di cuore, pomoni, anima.

Sto annaspando, amore mio; sto ricominciando a vivere, anche se è dura.

 

Rivedo il tuo sorriso ed il tuo viso accanto a me; sento la tua voce, avverto la tua presenza.

Ricordo il giorno del nostro matrimonio, le nostre liti...ricordo il tuo sorriso quando ,ogni tanto, riuscivi a recuperarmi nelle bettole e nei luoghi più disparati dove puntualmente mi perdevo per ore a parlare.

Ricordo il nostro primo incontro, e la mia proposta di matrimonio. Sei stata una pazza a sposarmi...ma del resto, pazzo lo ero anche io, di te....mio dolce amore.

Ora non ci sei più, amore mio, sono rimasto solo.

Ho deciso di tornare a Parigi per cercare di dare un futuro ai nostri figli. Abbiamo rischiato tanto, insieme; ho rischiato la vita, quella sera sul Lungosenna...abbiamo rischiato entrambi, molte volte.

Abbiamo sacrificato il nostro tempo, per questa causa. Non posso lasciar perdere. Tuo padre voleva venire con me, ma non sta molto bene...anzi, io credevo che a quest' ora fosse già morto...ovviamente, spero in un miracolo, anche se la religione è assai lontana da me. Credo mi raggiungerà François, tra qualche tempo, se non mi vedrà arrivare in tempi consoni.

Questo è l' accordo.

Ora non so cosa farò di preciso, mia dolce Diane. Credo andrò a cercare i vecchi amici, so dove trovarli, e mi unirò a loro...e credo andrò a fare una visita anche al cittadino Chartres...

Stammi vicino, amore mio. Ne ho un bisogno folle.

 

Ti amo, ti amerò per sempre. Reve.

 

 

 

3 gennaio 1830

 

Reve si era messo in strada presto, quella mattina. Il giorno precedente aveva cercato in lungo ed in largo alcuni dei suoi vecchi amici, sperando di trovarli; aveva girato tutte le bettole dei faubourg dove pensava di trovarli, ai confini e oltre le mura della città: Saint- Antoine, Saint – Honoré, Saint- Germaine e molti altri. Nulla.

Si spostò verso il centro, cercò di passare inosservato. Il lungo mantello era ormai fradicio di pioggia e neve, così come il cappello. Camminava, camminava senza sosta e nemmeno si fermava a mangiare o bere...aveva occhiaie profonde e scure, la barba sfatta. Quando riuscì ad osservarsi in una vetrina capì di avere toccato il fondo; le lacrime salirono agli occhi, ma le ricacciò indietro seduta stante. Li accanto vi era una grande scalinata. Si sedette, lasciandosi andare come un sacco vuoto, senza badare alla sporcizia che vi era per terra; spostò il mantello, appoggiò le braccia sulle gambe divaricate. Osservò la punta dei suoi stivali, ormai lisi. Si passò una mano tra i capelli e fu lì, nel momento in cui rialzò la testa, che li vide.

“Avete bisogno di una ripulita, Grandier” disse Simon.

“Credo che il nostro amico abbia bisogno anche di una bevuta e di buttare qualcosa nello stomaco” rispose l' altro. Il Cittadino Chartres.

Reve si alzò, stupito, accogliendo l' abbraccio che Simon gli diede.

“Siete conciato non male, ragazzo mio. Permettete che vi aiuti” disse l' Orleans, dandogli la mano e stringendola forte. “Venite, alzatevi. Non vi chiederò cosa vi passava per la testa, vi dico solo che ho un calesse qui vicino. Andiamo al caldo. Ho un appartamento qui vicino, potrete rifocillarvi...dove sono i vostri effetti?”

“ ...sono felice di rivedervi. E sono felice di vedere anche te, Simon....da due giorni cerco te e gli altri. Salute anche a voi, cittadino Chartres.”

Simon sorrise.

“Abbiamo cambiato zona. Ci ritroviamo negli appartamenti che il Cittadino ci mette a disposizione” rispose lui. “ ....li possiamo riunirci con calma”.

 

Era così, dunque? Si erano piegati alla possibilità di una monarchia parlamentare, e Chartres sarebbe stato il fututo re? Si stava comprando tanti bei voti? Pensò Reve.

 

“Reve, mi state ascoltando? “chiese Chartres; lui annuì. “Bene, vogliate seguirmi...sempre che lo desideriate”.

Reve annuì. Era curioso.

 

L' appartamento si trovava non molto distante dal luogo del loro incontro; era arredato sobriamente, ma gli oggetti erano di buona fattura. Gli uomini tolsero i rispettivi mantelli e andarono a sedersi; Simon prese da bere da un tavolinetto.

“Tenete” disse Chartres allungando la mano verso Reve e mostrandogli un foglio.

“Cosa è?” chise Reve, senza nemmeno osservarlo; lo prese e gli diede una scorsa.

“Conoscete Adolphe Thiers, non è vero?” disse Simon.

“Certo. E' un avvocato, ha qualche anno in meno di me...l' ho conosciuto nei soliti ambienti. So che si diletta a scrivere...e se non mi sbaglio un paio di anni fa pubblicò L' Histoire de la Révolution française. ” rispose Reve.

“...dove ha dedicato, se ricorderete, bellissime parole ai vostri genitori....” aggiunse il cittadino “In ogni caso...adesso leggete bene il nome dei direttori, allora. Questo è un nuovo giornale e lui è uno dei fondatori, nonchè mio protetto e amico. Credo che gli farebbe piacere rivedervi.” rispose il vecchio.

Reve prese il cognac e ne bevve un gran sorso; non era più abituato, e la gola gli andò in fiamme.

“effettivamente, era una delle persone che cercavo...” rispose tra sè, a bassa voce.

“Grandier, ascoltatemi: ci stiamo avvicinando, a grandi passi, alla rivoluzione. Non deve perdere altro tempo e mettersi in contatto con lui. Simon cercherà di riunire gli altri. Ah: Vi prego, accettate il mio aiuto; so che siete orgoglioso e forse non vi piaccio fino in fondo, ma qui vogliamo tutti la stessa cosa.” disse l' uomo.

“Datemi tempo per pensare. Tornerò alla locanda, ci possiamo vedere qui domani, vi comunicherò la mia decisione” rispose Reve.

“Perfetto. Fermatevi qui quanto volete. Vi lascerò il mio calesse a disposizione nel caso vogliate recuperare i vostri effetti. Ora scusatemi, ho davvero un impegno urgente” disse, ed uscì dalla porta mentre Simon, invece, restò lì.

Reve si alzò, fece due passi per la stanza, osservò la strada dalle grandi finestre.

“Dimmi un pò Simon, come stanno le cose?” chiese Reve girandosi di scatto e fissandolo negli occhi.

“Così come ha detto....sarà nobile, ma non bugiardo. Ha combattuto la sua famiglia, se non ricordi male. Ovviamente vuole un posto per sè...ma sai, di questi tempi quello che propone è la cosa più plausibile.” rispose, accendendosi la pipa.

“Tu dici?”

“ Si. Manchi da un pò, Reve. Qui si stanno muovendo tutti. Gli studenti, il proletariato, alcuni nobili che non sopportano più Carlo e compagnia bella. Ma la gente ha anche capito che non siamo pronti per la repubblica, e che il male minore, la monarchia parlamentare, possa essere una soluzione.” concluse Simon.

“Sempre schietto...ti ringrazio, Simon”disse Reve, prendendosi il mento tra pollice ed indice.

Simon tirò del tabacco dalla pipa e ne buttò fuori grandi nuvolette; poi si avvicinò a Reve, e posando la pipa sul tavolo, gli tese una mano.

“Ho saputo di tua moglie. Sono dispiaciuto. Come stanno i tuoi figli?” chiese, stringendo la mano che Reve gli porse.

“E' per loro che faccio questo. Mi fermerò il necessario e tornerò in Normandia....” rispose.

Simon rimase in silenzio.

“Temo non sarà possibile, Reve. Tra non molto ti renderai conto di non avere nemmeno il tempo di farti un bagno. “ rispose. “ mi dispiace essere sempre foriero di notizie spiacevoli...”

Reve meditò sulle sue parole poi un' ultmi occhiata e preso il mantello, scese le scale , deciso a tornare alla locanda.

 

 

 

28 febbraio 1830

 

La strada per arrivare a Parigi era ancora lunga.

In una delle carrozze, François cercò di risposare mentre Victoria era intenta a tenere a bada i bambini, esagitati; nell' altra invece vi era molta più calma. Florian e Alain erano svegli, ma silenziosi .

Alain , stanco e malato, non aveva voluto sentire ragioni quando François disse che sarebbe tornato a Parigi accompagnando i figli di Reve, così come quest' ultimo aveva richiesto. “Fosse l' ultima cosa che faccio in vita mia! “ urlò dietro al ragazzo. Girodelle, invece, era piombato in Francia all' imporovviso, con i suoi quasi 80 anni, cogliendo di sopresa la figlia, alla quale venne un colpo quando sentì che voleva recarsi da Reve....ma dopo due giorni di liti, presero quella carrozza e partirono.

Osservarono malinconici i paesaggi che sfilavano davanti ai loro occhi, consci che non sarebbero tornati preso o , alcuni di loro, non sarebbero tornati affatto; ma una promessa era stata fatta, anni addietro. Erano stanchi, i vecchi, e lo erano anche i giovani: gli unici pieni di fervore erano i ragazzi, contenti di rivedere il loro padre; soprattutto Adrien,che disse subito al nonno di voler combattere al suo fianco.

“Ne parleremo” lo aveva liquidato Alain mentre il sangue gli si gelava.

Nove anni sono troppo pochi per vedere una guerra e la gente morire ma Adrien no, non aveva proprio colto o , meglio, non voleva sentire ragioni. Nove anni sono pochi per affrontare la storia; altri lo avevano fatto, ma non gli era stata data altra scelta se non quella di morire per un pezzo di pane.

 

 

1° marzo 1830

Noi ci saremo, Reve.

Saremo vicini a te, in qualsiasi momento; io, Andrè, Rose Marie, Bernard e Diane saremo accanto a te, a voi, qualunque sia la vostra scelta. Saremo nei vostri cuori, nei vostri pensieri.

Solleva il tuo cuore, figlio mio, solleva la tua anima e lasciati guidare dall' istinto, perchè non sbaglia.

Non tutto cambierà subito, ma tu potrai dire di avere cambiato qualcosa, potrai dare una nuova linfa e nuove speranze al popolo francese.

Vai, Reve, e non guardarti indietro.”

Reve si alzò di scatto, cercando la direzione di quelle voci. Era sudato fradicio.

“Dannazione, ho anche le allucinazioni, ora” disse prendendo la bottiglia di cognac lasciata cadere sul pavimento la sera prima “ ...e di sicuro questa non aiuta!”. Fissò la bottiglia vuota e la lanciò lontano, mandandola in frantumi.

Gli era sentito, quasi, di sentire la voce di sua madre: non era la prima volta ed un pò questa cosa gli faceva paura, ma alla fine decise di conviverci. Questi sogni, queste voci, gli davano anche forza.

Guardò l' orologio.

Le cinque del mattino: in mattinata, probabilmente, sarebbero arrivati; erano in viaggio da un pò, pensò.

Si alzò controvoglia – era andato a dormire tre ore prima, quando la riunione si era conclusa – e cercò la luce, a tentoni; poi si avviò verso la toeletta, lavandosi con l' acqua gelata. Prese vestiti puliti e meno di mezz' ora dopo era vestito, pettinato, pronto. Restò in camera ancora per un pò, forse un' ora.

Alla fine, aveva accettato la proposta di vivere in quella casa, anche se probabilmente avrebbe dovuto lasciarla presto visto che di quei tempi non era consigliabile fermarsi molto in un posto. Se ne sarebbe andato forse tra una settimana, una volta accolti i suoi ospiti ed i suoi figli.

 

Decise di uscire, era stanco di aspettare; scese le scale ed uscì, rialzò il bavero della giacca e si incomminò per la strada, verso la bottega del panettiere. Prese del pane appena sfornato e ne addentò un pezzo, famelico; poi, comprò anche dei biscotti: ai bambini sarebbero piaciuti sicuramente. Proseguì, quindi, fino all' angolo della strada dove vi era la posta per le carrozze, ed attese, leggendo il giornale che aveva comprato pochi minuti prima dallo strillone.

 

Dopo un' attesa che sembrò interminabile, vide arrivare due carrozze; si alzò in piedi.

“Papà!!!” urlarono i bambini sfuggendo dalle mani e François e Victoria che rimasero fermi impalati a godersi la scena. Oscar allungava le sue manine paffute.

Reve si inginocchiò allargando le braccia e accogliendo i bambini, che si lasciarono andare nel pianto; li strinse talmente forte che per un attimo pensò di romperli. Gli erano mancati tantissimo:

“non vi lascerò più, piccoli miei” disse accarezzando le loro testoline e guardando la piccola Oscar che, in braccio a Victoria, reclamava suo padre. Gli parve fossero cresciuti, anche se non li vedeva da soli tre mesi: Adrien poi, sembrava un ometto mentre Aurore si stava trasformando in una bellissima ragazza. Tutta sua madre, pensò sorridendo.

Reve li tenne stretti a sè, poi si alzò, diede una carezza ai piccoli e li prese per mano, compiendo pochi passi per andare da Oscar; afidò quindi i ragazzi a François e prese tra le braccia la bambina, riempiendola di baci e lacrime; il suo profumo gli riempì il cuore.

“Ben trovato, Reve” disse poi una voce. Si voltò.

Girodelle. Alain.

Reve rimase di sasso, e stava per arpire bocca quando il suocero lo anticipò.

“Non dire niente, ragazzo: siamo qui, abbiamo una promessa da mantenere” disse Alain, sempre più magro e pallido. I loro occhi restarono gli uni negli altri per molto, molto tempo.

 

 

 

 

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Capitolo 25
*** Trois Glorieuses, parte seconda- La rosa della Normandia ***


 

Prima della lettura, una nota : alcuni aspetti storici sono stati interpretati liberamente, senza seguire l' esatta cronologia.

 

 

 

 

 

Paris 25 luglio 1830

 

Io, Laurent Reve Grandier Jarjayes, figlio di Andrè e Oscar Grandier Jarjayes , nel pieno delle mie facoltà mentali e fisiche scrivo queste poche righe nel caso non sopravvivessi alle battaglie di questi giorni. Dispongo che miei figli Adrien, Aurore e Oscar debbano essere affidati alle esclusive cure di François e Victoria Chatellet, o nel caso venissero a mancare questi ultimi, mandati presso Palazzo Girodelle in Nyon, Svizzera, dove si prenderanno cura di loro.

Non ho possedimenti, ma quel poco che ho è depositato presso il Notaio Dubois, sito in Rouen ; vorreri fosse venduto e distribuito per la causa, eccezion fatta la casa in Normandia dove riposano i miei genitori. Quella rimarrà alla famiglia Chatellet.

E' tutto. RJG.

 

 

Reve scrisse le proprie disposizioni almeno una decina di volte , ogni volta accartocciando il foglietto perchè mai soddisfatto...ma questa no, gli parve adeguato e diretto; quindi con fare deciso si alzò dalla scrivania accanto alla finestra e , piegato il foglietto, lo cacciò in tasca: fosse successo qualcosa, sarebbero risaliti alla sua identità e agito di conseguenza. Questo pensiero lo fece restare un attimo senza fiato e quindi si fermò immobile ad ascoltare il battito del suo cuore, accelerato all' inverosimle, poi tornò alla scrivania e si lasciò andare sulla poltrona. Dei passi dietro di lui ed il suono di un bastone trascinato sul parquet lo fecero voltare.

“Ciao, Alain” disse sorridendo al suocero, giunto a Parigi insieme a François, ai suoi figli ed a Girodelle qualche tempo prima.

Alain lo osservava da giorni, sempre affannato in mille cose, pregando che il cuore e la mente di Reve reggessero al trambusto;si avvicinò al genero e gli posò una mano sulla spalla...era una mano stanca, tremolante, ma ancora calda e forte. Reve, rigirandosi verso la finestra, posò la sua mano su quella del suocero, stringendola forte.

“...Ho passato notti simili a questa, molti anni fa, davanti a quella grande sala dove si svolsero gli Stati Generali. Ero insieme a tuo padre e tua madre...ricordo che pioveva a dirotto, anche se era la metà di luglio; eravamo stanchi, i turni ci stavano massacrando. Ancora non ci eravano ribellati agli ordini dei nostri superiori... “ disse, ricambiando la stretta di quella giovane mano.

Reve spalancò gli occhi, sentendo quelle parole. Girò il viso fino a raggiungere gli occhi di Alain, il suo viso stanco e magro. Si girò e si alzò, accompagnandosi a quel vecchio.

“Vieni, Alain. Andiamo sul divano. Beviamo.” rispose. I bambini dormivano nelle loro stanze, al sicuro; non sapeva però che anche François e Girodelle erano immersi in ricordi e pensieri simili a questi, nel buio delle loro stanze.

“Tieni” disse Reve dandogli un bicchiere colmo di cognac e prendendone uno per sè. Tergiversò con la bottiglia in mano, per un attimo, ma poi la lasciò sul tavolo. Alain riprese a parlare, curvo nei suoi ricordi, tenendo il bicchiere con due mani e facendolo scorrere.

“Io mi ricordo tutto di quella notte, intendo quella prima della Bastiglia. Tuo padre e tua madre erano distrutti, come noi tutti. Distrutti perchè nessuno si risparmiava nemmeno loro che a ben vedere potevano avere dei privilegi. Credevamo in ciò che si faceva. La nostra vita era in pericolo costantemente, visto che si era braccati dagli altri reggimenti e da chi non ci vedeva di buon occhio...insomma, da chiunque . Ma abbiamo resistito. Reve, dovevi vederla tua madre, quando declinò gli ordini dei suoi superiori. Era la figlia di Marte in persona. Non ha mai abbassato gli occhi, mai una volta. I suoi occhi ardevano costantemente di un fuoco, come dire, sacro. E' stato grazie a lei se la Bastiglia è caduta. Andrè era la sua ombra, silenzioso e fedele, fino all' ultimo. Mai un lamento: solo devozione”. Alain si fermò a riprendere fiato, mentre Reve era fisso, in piedi, davanti a lui. “Sai, tutti noi ci siamo trovati in qualcosa di più grande. Io, i tuoi genitori..tutti siamo stati feriti più o meno gravemente; ma non abbiamo mai mollato. Io sono sempre stato al loro fianco, li ho cercati sotto le mura, dopo gli scoppi. Sono stato con loro in attesa che guarissero, ci hanno messo molto tempo. Lo ho accompagnati gran parte della mia vita”aggiunse. Pausa. “Mai avrei pensato di rivedere qualcosa di simile”. Le lacrime fecero capolino dai suoi occhi.

“Amavo tua madre. Ho rinunciato a lei, perchè l' amicizia e la lealtà verso tuo padre erano molto più importanti. Non ho mai confessato questo a nessuno, non avrei dovuto dirlo nemmeno a te.” disse ancora, il vecchio.

Reve prese il bicchiere dalle mani di Alain, lo posò sul tavolo riprese quelle mani ossute e stanche. Alain piangeva, tornato indietro nel tempo; i suoi occhi riflettevano i pensieri ed i ricordi di quei giorni e nemmeno Reve riusciva più a mantenere il controllo, perchè le lacrime scesero sul suo viso. No, non aveva mai saputo tutto questo; sopreso, confuso , si guardò intorno: non avrebbe saputo spiegare tutto questo ai suoi figli.

“Non volevo rattristarti, erano solo ricordi” disse Alain.

“non fa niente Alain: ti sono immensamente grato di queste tue parole” rispose Reve “ tu non sai nemmeno quanto....”

“mi sono lasciato trascinare... sono solo parole sconnesse di un vecchio che sta morendo... “.

Reve lo fissò.

“ Alain non dire questo. Tu vivrai” disse per fargli forza, ma in cuor suo speandolo veramente.

“Non dire tu bugie, figlio mio” disse Alain mimando un sorriso “ Io sono giunto alla fine, lo so. Se mi sbaglierò ringrazierò in buon Dio per avermi fatto passare un paio di giorni in più sulla terra con te ed i miei nipoti...ma sono comunque pronto a riabbracciare la mia Diane, e tutti coloro che saranno con lei. “ rispose.

 

Reve si alzò, slacciandosi la camicia, tornando a quella finestra oltre la scrivania. Sospirò.

Diane....” mormorò. Poi di nuovo, una serie di ricordi passò nella sua testa. Si mise una mano sul petto, come a volersi strappare il cuore. Il respiro, ancora una volta, sembrò mancare.

“...non ora, figlio mio....Tu vivrai, devi vivere.Per noi.”. Alain si era alzato, avvicinandosi. Lo strinse forte a sé.

“Che giorno è? Ho perso la congnizione del tempo” disse Reve.

“Il 25 luglio, figliolo” rispose Alain. “SIamo alla resa dei conti”, aggiunse.

Già, ad una nuova rivoluzione” pensò Reve tra sè, sciogliendosi da quell' abbraccio paterno.

 

Ciò che in un certo Reve e gran parte dei Parigini si aspettavano accadesse era dietro la porta di casa. Pensò a come fossero arrivati a quel punto; pensò al gioco di Carlo X, alla sua uscita infelice “Le mie risoluzioni sono immutabili” aveva infatti detto Carlo X, rispondendo alle richieste dei deputati riguardo alla loro richiesta di sostituire Polignac ed alla richiesta di modificare la Carta . Aveva firmato la sua fine.

Eh si...Carlo era convinto che nessuno potesse comprenderlo, poveretto, e si sentì quasi offeso...ma gli offesi, in quel momento, erano i poveri. Non i borghesi, non gli studenti. Il popolo, la gente comune. Quella che Oscar aveva appoggiato e difeso, insieme al suo grande amore Andrè, senza battere ciglio e rischiando la vita. Offesi da questo re che aveva buttato all' aria gli sforzi del 1789.

 

Reve, si versò ancora un bicchiere , mentre Alain silenzioso lo osservava; poi tornò alle sue riflessioni. Ripensò a tutto ciò che era accaduto quel pomeriggio.

Come al solito, lui e François erano in giro a controllare e coordinare le cose; Alain camminava a poca distanza da loro, seguito dal vecchio Girodelle. I due si erano ostinati a volerli seguire.

Ad un certo punto, Reve si fermò; Simon lo aveva chiamato da parte, in un vicolo.

“ Sono arrivati i soldati. Sono circa ottomila, Reve. Ma non hanno ordini precisi. Credo che non faranno nulla...Marmont non si muoverà inutilmente ...sa che li superiamo abbaondantemente” disse l' uomo.

“Noi quanti siamo, Simon?” chiese Reve..

“Credo sessantamila. Tutte le classi sociali” rispose, snocciolando nomi e cognomi di personaggi più o meno conosciuti.

Reve lasciò andare i ragazzi da Alain, poco lontano, dicendo loro di stare attenti.

“ Bene, amico mio. Che a nessuno salti in testa di dare i numeri” rispose Reve, sperando che le cose di risolvessero per il meglio senza ulteriori spargimenti di sangue, anche se sapeva che ciò era impossibile.

“ hai sentito le novità di Carlo?”

Simon lo aveva spiazzato; Reve si era distratto a controllare dove fossero i figli. “Non dovevo portarli con me” disse fra sè. “Accidendi ad Adrien ed alle sue insistenze.

“Reve, mi senti? Carlo ha firmato le Ordinanze di Saint Cloud. Ha vietato la libertà di stampa, e vorrebbe tornare a votare. Naturalmente sono i proprietari terrieri avranno questo diritto” disse Simon.

“Ma come....ma....” Reve fu talmente colto di sorpresa che balbettò “ questo vuole davvero la guerra...”

“Direi di si, amico mi....” .

Simon aveva tranciato la sua frase, colpito da una pallottola vagante. I suoi occhi in quelli di Reve, che lo aiutò a stendersi, furono le ultime cose che vide.

Terrorizzato, Reve si guardò in giro. Alain e gli altri si erano nascosti poco lontano tenendo al sicuro i bambini. Le guardie. Accidenti! Se la stavano prendendo con un paio di persone colpevoli di non avere loro lasciato il passaggio, sparando a casaccio; altri poi gli si erano fatti tutt' attorno, stroncati però dai fucili dei soldati le cui pallottole avevano appena centrato anche la faccia di Simon.

“Andate via di li” urlò ad Alain, pallido in volto, mentre cominciava ad arretrare nel vicoletto di fronte, poi uscì allo scoperto, pistola alla mano, e approfittando della disattenzione di uno dei soldati, lo ferì facendolo cadere da cavallo; lo stesso fece con il suo compagno. I due uomini , sanguinanti, vennero portati via dai popolani, che finirono il lavoro. Reve li lasciò fare.

 

Da quando sono fatto così?” meditò nel silenzio di quella notte, calda e umida, senza darsi una risposta. Altro cognac scese nella sua gola.

 

Tornò poi a pensare alla giornata che si era appena conclusa.

Al momento in cui, dopo quello scontro, lui scappò via e raggiunse le altre persone ed altre barricare, e poi ancora altre ancora. Ripensò al momento in cui, stanco e stremato, finalmente tornò a casa dove i figli di Reve lo aspettavanosilenziosi, sulla porta della loro camera. Ricordò di avere preso dalle braccia di Aurore la piccola Oscar e di averla stretta a sè ricoprendola di baci.

Adrien e Aurore avevano abbracciato le sue gambe, chiedendo la sua attenzione. Lui si era chinato e li aveva tenuti stretti.

Dio, ti prego, dammi ancora del tempo con loro” aveva pensato.

Il cuore dell' uomo era un insieme di sentimenti in confusione: felicità per una nuova era, paura, confusione e tristezza... ma ora...era li, a godersi uno sprazzo di normalità, e tanto bastava.

Victoria andò a preparare qualcosa da mettere sotto i denti: sicuramente non mangiavano da molte ore. Alaine Girodelle comparvero in quell' istante dalla porta d' entrata, andando incontro a Reve e François, abbracciandoli forte. Non ci fu bisogno di parole. I suoi figli, quella compagnia, il calore di una famiglia era tutto ciò di cui aveva bisogno.

 

 

“Andiamo a dormire, ora. Cerca di riposare.” disse Reve ad Alain che cercò di alzarsi; ma le gambe, nel dormiveglia, cedettero, e ricadde a terra. Reve lo aiutò a rialzarsi e rimettersi a letto, poi raggiunse i figli nella loro camera ma.... Una voce, dalla strada, lo distolse. Corse alla finestra che aveva appena lasciato.

“ Carlo X vuole fuggire, si pensa che possa lasciare la città, anzi, alcuni già pensano sia fuggito!!!” urlò una voce.

Il cuore di Reve mancò un battito. “François!! Sveglia... Svegliatevi, tutti...sembra cheil re abbia lasciato Parigi” urlò, facendo cadere ogni cosa trovasse intorno a lui nel lungo corridoio. Bussò alla porta di Girodelle, andò da Alain. François comparve sulla porta; i figli corsero dai rispettivi padri e Adrien balzò a sedere sul letto, chiedendo con la bocca impastata cosa fosse successo.

In un attimo fu un caos di abbracci, con gli occhi che ancora chiedevano lumi; la gioia pervase gli animi di uomini e donne dentro quella casa; il tempo di vestirsi, e tutti scesero per strada, dove la gente si era riunita nel giro di due secondi, ed il silenzio aveva lasciato il posta a grida di giubilo. La notte, scura, era illuminata dalla fioca luce di alcune fiaccole e dei lampioni.

Finalmente, finalmente i loro sogni si erano avverati: l' ultimo baluardo dell' Ancien Régime li stava per lasciare, scappando come un ladro nella notte.

Reve si mise ad abbracciare tutti coloro che incontrava e che vedeva, dagli amici ai conoscenti; preso dalla gioia non si accorse però dell' uomo che si stava avvicinando con una pistola in mano.

Una voce, uno sparo.

Un colpo che non arrivò mai al cuore di Reve, dove era diretto, perchè si fermò in quello di Alain che aveva con i suoi occhi attenti seguito la scena e con uno sforzo immane aveva fatto da scudo alla persona che reputava come un figlio.

Il sangue si gelò immediatamente nelle vene di Reve, anche se il sudore scendeva dalla sua fronte; gli occhi si spalancarono, vedendo la macchia rossa allagarsi sulla camicia di Alain. Una mano sconosciuta gli mise un fucile tra le braccia e fu un attimo: senza pensarci, la rosa della Normandia si alzò e centrò in pieno la testa della persona che voleva ucciderlo e che stava fuggendo.. Dopodichè, il silenzio; le urla di gioia si spensero mentre si inginocchiava a terra, prendendo tra le braccia Alain.

Girodelle arrivò appena in tempo per dare l' ultimo saluto al vecchio amico, e poi, silenzio; in quella calda notte, dove tutto stava finendo ed iniziando allo stesso tempo, un refolo di aria fredda arrivò al viso di Reve, che sollevò la testa e per un attimo, in quel vicoletto davanti a lui, vide dei giovani Alain, Andrè, Oscar e Bernard orsservarlo...e poi sembrò di scorgere anche lei, Diane. Una carezza delicata giunse al suo viso, come un alito di vento leggero, ancora una volta.

 

“Alain, ti devo la vita. Dovunque tu sia, grazie. Abbraccia i miei genitori per me, e dai un bacio a Diane. Dille che mi manca. Mi mancate tutti” sussurrò Reve al viso, freddo, dell' uomo, chiudendo i suoi occhi al mondo.

 

Nello stesso istante, Alain veniva accolto dalle braccia di sua figlia e dei suoi amici, che lo attendevano da tempo; insieme, osservarono Reve rialzarsi, giurando che Parigi si sarebbe ribellata senza dare scampo a nessuno.

Il 30 luglio 1830 si concluse la Rivoluzione di luglio, Les trois glorieuses.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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