Diario di una Groupie.

di AdhoMu
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1992-1994 ***
Capitolo 2: *** 1994-1996 ***
Capitolo 3: *** 1996-1997 ***
Capitolo 4: *** 1997-1998 ***



Capitolo 1
*** 1992-1994 ***


Diario di una Groupie.
1992-1994

 


Krapets, Bulgaria, estate 1992
 
Caro Diario,
il Mar Nero è proprio un bel posto: acqua verdazzurra molto pulita, sabbia bianca e fina, un litorale brullo ma affascinante con soffici dune ricoperte d’erba smeraldina, un enorme bastimento arrugginito, rimasto incagliato nella rena bassa.
Davvero un panorama superbo, di quelli che farebbero da perfetta cornice a qualsivoglia commedia romantica o opera letteraria amorosa.
Farebbero, per l’appunto.
Peccato, infatti, che il condizionale sia d’obbligo, perché in questa landa remota, perdindirindina, non c’è un benedetto purvincolo da fare. Non ci sono magigelaterie alla moda dove incontrarsi, né sale da ballo per le matinèes fra ragazzini (magari al suono delle Sorelle Stravagarie); niente di niente, zero al quoto, calma piatta, e anzi: a ben vedere, non ci sono neppure i ragazzini.
O meglio: non ci sono i ragazzini giusti.
Qui a Krapets, in realtà, di gente della mia età ce n’è parecchia, ma si tratta per lo più di babbani, che papà e mamma ritengono sia meglio non frequentare per evitare di compiere passi falsi (a quanto pare, lo Statuto di Segretezza bulgaro è severissimo).
«Vorrei fare bella figura con i dirigenti: è da tanto che lavoro a questo progetto... » mi ha spiegato affettuosamente papà quando, per l’ennesima volta, sono andata a lamentarmi con lui per l’assenza di interessi e di compagnia.
(Babbo fa il cuoco in un importante hotel magico di Londra, il Grand Hotel Georgiano. Sono anni che spera in un incarico estivo come primo chef in una delle filiali e, finalmente, la convocazione è arrivata. Peccato, solamente, che sia arrivata da qui, ecco).
Mamma, comunque, ha subito annuito per dargli ragione.
«Cerca di portare pazienza, Romi» mi ha pregata, tirandomi indietro i capelli con una carezza. «In fondo, si tratta solo di un’estate».
Io non ho ribattuto niente.
Che cosa potevo dire?
Lo so anch’io quanto babbo tenga a questo incarico.
Quindi, per amor suo, cercherò di tenere duro e di non farmi rodere dall’invidia nel pensare alle mie amiche che trascorreranno l’estate in Cornovaglia, o sulle coste francesi e italiane.
Mi consolerò al pensiero che finalmente, a settembre, andrò ad Hogwarts, e che sicuramente, una volta approdata là, tempi migliori verranno.
 
Con un po’ di buona volontà, credo anche che mi potrò accontentare della compagnia di Mechka.
Che non è assolutamente una compagnia sgradevole, ci mancherebbe, ma che – va detto - proviene dal convivio con un soggetto che definire strano è un assoluto eufemismo.
Già, Mechka.
Che, naturalmente, non è il suo vero nome (che, pure, lui ha tentato di dirmi, ma del quale io, a causa della sua pronuncia ostrogota e dall’assurda sequenza di consonanti da lui emesse, non ho afferrato una misera sillaba), ma solo un nomignolo che, in bulgaro, significa “orso” – e che, come tale, gli si addice alla perfezione.
Mechka ha suppergiù quindici anni, ma è impacciato come un bambinetto di dieci e asociale come... come un orso, per l’appunto. Proprio per questo, il nostro primo incontro – primo di tanti, trascorsi bighellonando sulla spiaggia senza una meta precisa - è stato piuttosto peculiare.
Comunque.
Quando l’ho visto per la prima volta, sbirciando oltre il promontorio ventoso che separa la spiaggia principale dalla baietta nella quale suole rintanarsi, ho subito intuito che si trattava di un mago. L’ho capito dal modo in cui lanciava in aria e riafferrava una di quelle grosse conchiglie che, la mattina presto, costellano il bagnasciuga, imprimendo su di essa effetti di traiettoria e velocità che, per un babbano, sarebbe impossibile riprodurre.
«Ehilà» l’ho salutato, avvicinandomi speranzosa.
Il suono della mia voce deve averlo distratto: la conchiglia gli è caduta di mano ed è andata a conficcarsi di taglio nella sabbia. L’ho visto irrigidire le spalle (che, da vicino, ho scoperto essere leggermente spioventi); poi, l’ho osservato ruotare la testa e scoccarmi un’occhiata sospettosa con quei suoi occhi neri e tondi, dallo sguardo penetrante come quelli di un rapace.
«Mi chiamo Romilda» ho soggiunto, gesticolando per farmi capire. «Sei bravo in questo gioco. Mi insegni?»
Lui ha borbottato qualcosa in un tono piuttosto scocciato - reso ancor più spigoloso dal suo timbro basso e dalla sua pronuncia secca - e si è guardato intorno nervosamente, ma non mi ha allontanata.
«Sono sola» ho precisato, senza sapere bene perché ma intuendo che, per lui, doveva trattarsi di un fattore importante. E difatti, la curvatura accentuata delle sue sopracciglia folte e scure si è appianata, in modo impercettibile ma inequivocabile.
«Si chiama cherupka» ha mormorato in un inglese stopposo, chinandosi per afferrare il guscio madreperlato e poi porgendomelo affinché io ne esaminassi i riflessi iridescenti. «Shell. Conchiglia». 
«È bella» ho risposto io, tanto per dire qualcosa di incoraggiante.
L’ho guardato negli occhi e gli ho sorriso mentre lo dicevo, per fargli capire che ero sincera.
Lui è rimasto di sasso, rigido rigido come uno stoccafisso del Baltico. Da quel momento in poi, ogni suo lancio con annesso tentativo di recupero è fallito miseramente, ma direi che, tutto sommato, ci siamo divertiti.
Beh, io, almeno, mi sono divertita.
Lui... non so.
 
Hogwarts, anno-scolastico 1992-1993
 
Oliver Baston è un figo da paura.
C’è poco da dire.
Okay, mio Diario Carissimo: forse queste non sono le parole che ci si aspetterebbe da una da poco approdata alla più prestigiosa scuola di arti magiche del Regno Unito, né da una che è stata smistata, con grande soddisfazione peraltro, nella gloriosa Casa di Godric Grifondoro... ma tant’è: fra le innumerevoli meraviglie che hanno accolto il mio arrivo fra questa mura fatate, il Capitano è senz’altro la più interessante e vistosa.
L’ho notato praticamente subito, la sera dello Smistamento.
Se ne stava seduto, con molta discrezione, ad un’estremità della tavolata in compagnia di un rosso occhialuto con faccia da intellettuale (che, poi, ho scoperto chiamarsi Percival Weasley), ma era praticamente impossibile non vederlo, così alto e volitivo e incredibilmente forte.
La mia prima impressione è stata confermata in occasione dei provini di Quidditch.
Ah, Caro Diario.
E pensare che io, al campo, non avevo neanche troppa voglia di andarci... perché è vero, i giocatori di Quidditch sono la mia grande passione, ma lo confesso: non riponevo troppe speranze in un gruppetto di studentelli su scope a saggina.
E invece, quando ho visto Oliver sulla sua Oakshaft... basta, sono partita per la tangente.
Che presenza, che prestanza, che spirito da leader!
Un paio di ordini abbaiati a mezza voce e li ha messi tutti in riga: la Spinnet, la Bell, Potter; perfino quella roccia di Angelina Johnson e quei due adorabili scapestrati dei gemelli Weasley. (sìììì, si meriterbbero un pensierino anche loro, carini e intraprendenti e svegli come sono, ma insomma, Ollie è Ollie, c’è poco da fare!)
 
Chiaramente, la prima cosa che ho fatto al ritorno dal campo è stato agguantare pennino e pergamena e scrivere a Mechka per raccontargli tutto.
No, Caro Diario, non essere geloso, ti prego. Lo sai anche tu che è giusto così.
Perché insomma, mi sembra chiaro che non si può trascorrere l’intera estate lanciandosi conchiglie senza diventare buoni amici. Così, dopo avergli descritto minuziosamente ogni singolo palpito, sentimento, rossore, pensiero ardito e film mentale, ho sigillato coscienziosamente la missiva, le ho infilato un cappottino fatto all’uncinetto magico per proteggerla dal gelo e l’ho spedita a Durmstrang (Mechka studia là) per direttissima.
Poi, a cose ormai fatte, mi sono chiesta se il gufo, basandosi solo sul suo soprannome, sarebbe stato in grado di identificarlo; per fortuna, la sua pronta risposta ha svelato l’arcano. Peccato, mi permetto di osservare soltanto, che si è trattato di una risposta laconica (com suo solito) e, per giunta, del tutto insoddisfacente.
«Ma qvesto Paston» mi ha scritto – e mi sembra quasi di sentirmela rimbombare nella testa, quella sua voce angolosa «riesce a federe qvalkos’altro che non zia una Plouffha
Che rabbia, Santi Numi!
Che rabbia, soprattutto, nel constatare che quel bulgaraccio caustico ci ha preso in pieno e che Oliver, per sua natura, non è propenso a calcolare nulla che non sia un oggetto-volante-quidditch-connesso; neanche quando si tratta di una quasi-dodicenne romantica che, più o meno letteralmente, muore d’amore per i suoi bei muscoli e per il suo imperioso carattere da Tiranno dei Campi Ovali.
Non mi riprenderò mai da questa batosta, lo so (Drama Queen Moment al quadrato, sigh).
 
Krapets, Bulgaria, estate 1993
 
Krapets. Di nuovo.
Avevo sperato che, quest’anno, la Georgiano Corporation avrebbe mandato babbo in servizio a Ibiza, o a Mykonos o, che so, a Falmouth. Niente da fare, purtroppo: lo scorso anno i suoi servigi hanno riscosso così tanto successo quaggiù che, a grande richiesta, la Direzione lo ha rivoluto in Bulgaria.
Quindi: stessa spiaggia, stesso mare.
Stessa solfa di sempre.
Bel paesaggio... ma mai niente di esaltante da fare. E Babbo e mamma che continuano a proibirmi di andare a Varna a divertirmi un po’. Che pal-le.
 
Per fortuna che c’è Mechka. Benedetto ragazzo.
Sono corsa a cercarlo non appena mi è stato possibile: sapevo che lo avrei trovato rintanato nella sua caletta, a giocare (lancia e acchiappa, lancia e acchiappa, su e giù, su e giù, su e giù, ad infinitum) con tutto ciò che gli capita a tiro - conchiglie, pigne, ciottoli, monete... e difatti, una volta doppiato il piccolo promontorio, non mi ci è voluto più di un battito di ciglia per individuarlo.
Anche perché, da bravo bulgaro nazionalista, Mechka predilige indossare capi dai toni sobri quali il rosso rubino e il verde bandiera. Che non gli stanno neanche malaccio, a volerla dire tutta: perché insomma, in fondo, tolte le spalle un po’ da omino, il culo un filino troppo basso, i piedi un pochino piatti che gli conferiscono una vaga andatura da papero, le sopracciglia da mangusta e l’espressione perennemente settata sul truce, Mechka può essere considerato piuttosto carino.
A modo suo.
Certo: nulla di paragonabile a quelle due rocce da svenimento di Karl e Kevin Broadmoor, o di quello gnocco incomparabile di Basil Horton. O, tanto per rimanere in ambito locale, di quell’ammasso di trestostrerone (o come cavolo si dice) di Victor Krum, il nuovo Cercatore riserva della nazionale bulgara, del quale le riviste specializzate non fanno altro che tessere lodi sperticate.
E poco importa che io, purtroppo, questo Krum non l’abbia mai visto - perché tutte le volte che mi trovo fra le mani una sua fotografia, la sua immagine si trova fuori campo. Io lo so, lo so e basta, perché dev’essere per forza così (e le considerazioni estasiate delle mie amiche me lo confermano ogni santo giorno), che si tratta di un figo pazzesco.
Modestia a parte, c’ho il sesto senso per queste cose, io.
 
Comunque.
Se c’è una cosa di Mechka che apprezzo davvero è che, al suo fianco, è tutto più facile.
Ma anche più difficile.
Mi spiego.
Da una parte, convivere con lui è più facile, perché Mechka non si aspetta niente da me. Con lui non ho bisogno di fare per forza la burlona, la brillante, la spergiudicata, l’esagerata (l’oca?) per sembrare interessante e simpatica. Ad Hogwarts, pare che tutti si aspettino che io mi comporti così: è come una specie di ruolo all’interno del branco, e quindi io, giocoforza, mi adeguo.
Con lui è diverso. Con lui, mi posso rilassare.
Posso stare in silenzio, senza dovere a tutti i costi riempire gli spazi con chiacchiere futili, schiamazzi, battute e comportamenti ingombranti.
Posso evitare di calcare la mano, perché a lui va bene così. Posso dare spazio anche ad altri lati di me stessa, ecco.
Ed è proprio questo che però, al contempo, rende tutto più difficile, perché a volte, sprovvista della mia maschera da ragazzetta disinvolta e briosa, mi sento un po’... nuda, vulnerabile. Insicura, insomma.
Poi però mi dico: stai serena, Romi, e l’ansia da prestazione, relegala ai mesi invernali.
A Mechka non gliene frega niente se, una volta tanto, non fai la vamp. Lui è un tipo tranquillo, uno sulle sue, del tutto avulso da questo tipo di cose; in fondo, frequenta un istituto rigorosamente maschile, ragion per cui non sa niente di donne, di sentimenti e, meno ancora, di seduzione.
Mechka è inesperto e disinteressato; possiede un animo puro rinchiuso in un involucro irsuto.
A lui, semplicemente, piace passare il tempo in mia compagnia, a fare cose più adatte ad un ragazzino di dodici anni che non ad un adolescente di sedici: scrivere sulla sabbia frasi in cirillico (e chissà che cosa cavolo scrive, poi), contare le vele che passano all’orizzonte, succhiare la punta dei fili d’erba, giocare coi Frisbee Zannuti, simulare la Finta Wronski senza staccare un piede da terra (siamo patetici, lo so, ma è tanto divertente), catturare le lucciole nei vasetti immaginando che siano Boccini d’Oro.
Passatempi da bambinetti, insomma.
Ma a me, tutto sommato, va bene così.
Certo: vacanze più stimolanti, sicuramente, non mi dispiacerebbero affatto.
Eppure, tutta questa semplicità che, a prima vista, potrebbe essere sinonimo di tedio, mi fa stare... bene.
 
Hogwarts, anno scolastico 1993-1994
 
Cedric Diggory.
Ah, Ceddidiggory!!!
Il nuovo, indescrivibile Capitano dei Tassi.
Ah, Caro Diario, che giramento di testa!
Quel ragazzo è un autentico splendore: non ci sono altre parole per definirlo. Simpatico, affabile, cavalleresco e, chiaramente, bello, bello, bello da morire (un metro e ottanta di charme un po’ retrò, occhi nocciola e taglio di capelli da bravo ragazzo, che dolce, mioddiooo!).
E ovviamente, manco a dirlo, Cercatore ec-ce-zio-na-le.
Incantevole com’è, l’avevo già notato in precedenza; ora però, dopo averlo visto in azione (ha soffiato il boccino a Potter, e poco importa vi fossero in giro quelle orribili figure incappucciate che hanno distratto il nostro Cercatore: Ceddy è di una bravura incomparabile), posso proprio dirlo a chiare lettere: lo amo follemente.
Altro che Oliver Baston.
Quello, francamente, lo lascio ben volentieri a qulla sciacquetta (tanto simpatica, per carità, ma insipidina come un sedano crudo) della Bell, perché insomma, qui siamo su ben altri livelli, perdiana (e no, non v’è alcuna acredine nelle mie parole; e tu lo sai, vero, Diariuccio Myo?)
Cedric Diggory, dicevamo.
Ecco: dopo aver informato a gran voce l’intera camerata circa le mie nuove mire, la Robins, che è Nata Babbana e che delle tecniche di abbordaggio non-magiche, grazie anche alle dritte delle sue due smaliziate sorelle maggiori non-streghe, se ne intende parecchio, mi ha ufficialmente comunicato:
«Tu sei proprio una groupie, bella mia».
«Groupie?» ho replicato io, ansiosa di saperne di più. «Che cosa vuol dire?»
«Nel mondo babbano, definiscesi groupie la balda fanciulla che insidia i membri di una banda musicale» mi ha spiegato lei, strizzando l’occhio in modo allusivo sul verbo ‘insidiare’, cosa che ha immediatamente suscitato acute risatine da parte dell’uditorio. «Ecco: tu, Calamity Vane, sei una groupie del Quidditch».
 
Come da copione, ho imbracciato carta e Prendiappunti e mi sono fiondata in Sala Comune in cerca di uno scrittoio libero per scrivere a Mechka e aggiornarlo circa le grandi news. Per accaparrarmi la postazione mi è toccato fare un paio di moine a McLaggen, ma ne è valsa la pena, primo perché McLaggen è un pollo e ci casca sempre, e secondo perché il suddetto si siede sempre vicino al camino e quindi, una volta sloggiatolo con la promessa di incontrarlo poco dopo al Platano Picchiatore (sono perfida, lo so),  ci ho rimediato la migliore poltroncina del circondario.
«Sono innamorata» ho confidato a Mechka, con grande commozione ed entusiasmo. «Stavolta è per sempre, me lo sento».
La sua risposta si è fatta attendere un pochino più del dovuto ma, alla fine, è arrivata.
«Non gli stai tando attosso, fero?» mi ha scritto, sbrigativo (e deprimente) come suo solito.
«Perché? E se così fosse?» gli ho prontamente risposto, piuttosto seccata, nella missiva seguente.
«Qvesto Kedrik, no zempra tipo ke piace qvesti metodi» ha replicato lui, lapidario. «Eppoi... le teknike di tifinazione pulgara dire che nezzuna donna zarà felice a lungo, inzieme a qvesto Tiggory».
Oh, per Godric guerriero.
Francamente, non saprei dire se è più inquietante il responso, o l’immagine di Mechka in versione Sibilla Cooman che armeggia con incensi e sferette.
 
Ecco: avrei dovuto immaginarlo.
Mi rammarica dirlo, ma Mechka ci ha preso (di nuovo).
Cedric Diggory è stato gentile ma fermo e di fatto, con cortese determinazione, ha respinto tutti i miei tentativi di abbordaggio, dai più innocenti e romantici ai più insistenti e serrati.
Alla fine, mi è toccato riporre l’orgoglio ferito nel sacco, assieme alle pive e al mio povero cuoricino sanguinante che, ne sono certa, non palpiterà mai più...
(Quante lacrime, quante lacrimeeee! Sono disidratata).
 
Ah.
È  successa una cosa strana.
Trascorso qualche giorno dal fattaccio, del tutto inaspettatamente, Mechka mi ha fatto avere un’altra lettera. Oddio, “lettera”, nel suo caso, è sempre una parolona visto che lui, stringato com’è, redige al massimo mezza pagina di pergamena quando proprio desidera strafare.
In ogni caso: il contenuto del biglietto (due righe in croce, ma sferzanti come uno schiaffo) mi ha rivoltata come un calzino.
«Riguarto altra qvestione, Rommi» mi ha scritto Mechka «Ho penzato, molto, e forze no dovrebbi parlhare, però creto ke ti defo dire: “groupie”, no è buona kosa. “Groupie”, è ragazza senza valore. E tu no è kosì, Rommi».
Che mazzata degna di Ludovic-il-biondo-Bagman, ragazzi.
E io che lo vedevo come uno status di cui essere fiera!
Ma un punto, soprattutto, mi turba: che cosa accidenti ne sa, uno come Mechka, di che cosa diavolo è una groupie?!
Deve essere andato a spulciarsi un dizionario babbano: è l’unica spiegazione.
Altrimenti, davvero, il fatto ha dell’inesplicabile.


Note.
In quella desolata valle di lacrime che è l'attuale contesto mondiale, pesantemente aggravata dal tenore delle storie che scrivo ultimamente, ho cercato d risollevare il mio morale maltrattato mettendo mano a bozze antichissime (è quasi un paio d'anni che se ne stanno spiaggiate nel mio PC) inerenti una fantomatica, quanto assurda, love-story fra Romilda Vane, la groupie per eccellenza, e Victor Krum, il delirio incarnato di qualsiasi tifosa di Quidditch. Solo che... in modo un pochino non convenzionale, ecco.

Volendo paventare una parvenza di serietà (laddove, forse, non ve n'è neppure un briciolo), questa breve storia è un inno a quell’ “io” nascosto che tanti di noi, proprio come Mechka e Romilda, nascondono dietro ad un’immagine volutamente distorta di sé, dalla quale trapela soltanto (per abitudine? Comodismo? Paura?) quello che vogliamo mostrare, e ben poco di quello che siamo.
In ogni caso, si raccomanda una lettura cauta da parte di tutti coloro che odiano le commedie romantiche stucchevoli e rigurgitanti clichés.

 

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Capitolo 2
*** 1994-1996 ***


Diario di una Groupie.
1994-1996

 


Krapets, Bulgaria, estate 1994
 
Mechka è tutto allegro, quest’anno.
Allegro e quasi... esaltato, direi.  Qualche volta non sembra neanche più lui.
Okay: capisco che possa trattarsi del fatto che la Bulgaria è in finale, ma secondo me c’è dell’altro. Ci vuole ben altro per fregarmi, a me.
Curiosa come una scimmia, ho subito cominciato ad assillarlo per carpirgli che cosa bolle in pentola, ma lui, sbrigativo (ed elusivo) come suo solito, ha inarcato quei due cespugli scuri che ha al posto delle sopracciglia e ha esclamato (in tono piuttosto monocorde, in realtà; bisogna conoscerlo bene per capire quando si tratta di un’esclamazione):
«Vinale di Koppa del Mondo. Top, Rommi. Top».
Di nuovo al punto di partenza, insomma.
In ogni caso, devo confessare che mi ha stupita il fatto di scoprirlo tanto appassionato di Quidditch perché, francamente, non mi sembra proprio il tipo. Cioè, sì, di Quidditch ne abbiamo sempre parlato, in effetti, ma lui non è che abbia mai fatto trapelare sta grande passione. Impacciato com’è, non mi sarei certo aspettata che fosse così platealmente interessato a quello sport divino, praticato da veri e propri Adoni su scopa.
(Fra parentesi: per il suo bene, mi auguro che, mai e poi mai, gli salti in mente di mettersi ad emulare gente come quella. Si ammazzerebbe, ne sono sicura. E sempre per il suo bene, ovviamente, mi sono premurata di farglielo presente. Lui ha ridacchiato discretamente, e poi si è subito ricomposto).
In ogni caso, Caro Diario, l’invidia che provo nei suoi confronti è tutt’altro che trascurabile.
E come potrebbe essere altrimenti?
Come ben sai, ho scocciato papà per mesi e mesi, nella speranza di farmi regalare un biglietto per la finale. Niente da fare, purtroppo: ogni mio tentativo si è rivelato un miserevole buco nell’acqua.
«Devo lavorare, Romi, lo sai» ha ribadito ogni volta.
«Ma non posso andarci con la famiglia di Demelza?» l’ho supplicato io, in extrema ratio.
«Mi dispiace, tesoro» la voce pacata di mamma ha chiuso definitivamente il caso. «L’Inghilterra è troppo lontana da qui, non ce la sentiamo di delegare una responsabilità così grande ai signori Robins».
«Ma compirò quattordici anni a dicembre!» ho piagnucolato io, in un tono che (debbo ammetterlo) ha significativamente neutralizzato ogni mio tentativo di spacciarmi per un’adulta.
E difatti: rien a faire.
Ahh.

Mechka, sant’uomo, ha tentato di farmi ragionare a suon di dialettica (scarna) e di byurek bulgare, divinamente cucinate, stando a quanto afferma, da lui medesimo.
«Oh, zi, lo zo» ha commentato «Vinale è ezperienza van-ta-sti-ka nela vita...»
«Non sei d’aiuto, Mechka» ho mormorato io, incaponita.
«... ma no zarà l’unnica, Rommi» ha concluso lui, senza darmi retta. «1998, ci zarà altrha».
«Sì, ma io... » ho replicato, tirando su col naso  «io, quella finale, non me la sarei voluta perdere per nulla al mondo».
E dato che lui non diceva niente, ho aggiunto:
«Quel bel manzo di Viktor Krum si troverà in campo, non lo sai?» (L’ho detto tanto per dargli un’idea dell’importanza vitale dell’essere presente all’evento). «Mi sarebbe tanto piaciuto poterlo ammirare in volo».
Alle mie parole, Mechka ha assunto la precisa consistenza di una statua di sale.
E come dargli torto? Immagino che neanche a un tipo tranquillo e out come lui piaccia veder tirati in ballo soggetti di quel calibro, con i quali si finisce puntualmente per stabilire inevitabili (e frustranti) confronti.
«Krum?» ha borbottato, cupo come non mai.
«Krum, Krum» ho confermato io, addentando con nonchalance una di quelle sue eccezionali pastelle dall’incredibile scioglievolezza. «Proprio lui. Il più giovane membro... » e giù quella spataffiata trita e ritrita circa le virtù incomparabili del prodigioso (e senz’altro bellissimo) Cercatore verderosso.
Insofferente, Mechka ha emesso un grugnito di disapprovazione.
E come per magia, le mie sinapsi si sono attivate.
«Oddio, Mechka!» ho urlato, improvvisamente colta da epifania. «Ma certo! Che stordita che sono!... Studia anche lui a Durmstrang... e tu devi conoscerlo benissimo... siete in classe insieme??»
«Il Krum ti piache?» mi ha stoppata lui, ruvido come una corteccia di abete.
«Beh, ma è ovvio!... » ho cinguettato io, ispirata. «Cioè... per dire il vero io non l’ho mai visto, neanche in foto... » (come ben sai, Caro Diario, l’immagine di Viktor Krum si ostina a rifuggire, con estremo metodo, le mie avide pupille: è sempre fuori campo o, al massimo, di spalle e distante) «... però so per certo che si tratta di uno gnocco da capogiro: ci metterei la mano sul calderone... »
I suoi lineamenti si sono sciolti un pochino ed hanno assunto un’aria riflessiva.
Dopo un paio di minuti, Mechka ha agguantato l’ennesima byurek e ha preso parola.
«Facciamo kozì, Rommi» mi ha proposto. «Io andare a Vinale, zi. Tu qui, zi. Ma ti porto regalo. Okkey?»
E va beh.
Mi dovrò accontentare del souvenir.
 
Dopo una settimana, Mechka ha fatto ritorno dall’Inghilterra.
Come c’era da aspettarsi, a discapito della sconfitta, era piuttosto elettrico (per i suoi canoni, almeno); devo dire, però, che l’ho trovato anche leggermente... sciupato, ecco.
Che abbia esagerato coi bagordi commmorativi del secondo posto?
Mah, francamente non ce lo vedrei proprio. Però, anche se così fosse, sarebbe normale. La sua squadra ha quasi vinto, in fondo. Perfino uno cui, eventualmente, non fregasse un piffero di Quidditch si esalterebbe, con premesse del genere; perché una finale, tutto sommato, è pur sempre un grande evento.
Comunque.
Pensandoci bene (sì: mi piace farmi del male), chissà quanto devono avere festeggiato, su alla Dean Forest; e io, chiaramente, mi rodo io fegato perché ritengo molto probabile che Mechka, in qualità di compagno di classe di Krum, sia stato invitato da quest'ultimo ad unirsi a lui e al resto della squadra.
E se ci fossi stata anch'io... Ah! non posso proprio fare a meno di rimuginare su come, con l'aiuto di Mechka, mi sarei potuta imbucare in un party esclusivo, e magari...
Va beh: occasione bruciata. Tanto vale mettrci una pietra sopra e piantarla di piangersi addosso.
Quando mi ha vista fare capolino oltre il promontorio, con un muso lungo così, Mechka mi ha rivolto un sorriso burbero.
«La zmettiamo, con qvesta faccia di vunerale?» mi ha apostrofata, facendomi cenno di raggiungerlo sul bagnasciuga. «Fieni dare mano, zu».
«Dove andiamo?» ho domandato io, senza reale interesse, mentre lo aiutavo a spingere nell’acqua la barchetta colorata che, ogni tanto, usiamo per realizzare piccole escursioni piratesche.
«Izolotto di Beluga, pella».
 
Ecco: io adoro quando io e Mechka andiamo all'Isolotto dei Beluga, perché amo passare il tempo con quei deliziosi cetacei bianco-panna, soprattutto quando si fa vivo anche Boris, il più giocherellone di tutti, che ogni santa volta ci inzuppa d’acqua da capo a piedi con i suoi schizzi di coda. I beluga sono così intelligenti e simpatici che, all'inizio, avevo addirittura pensato fossero creature magiche.
Tutto questo per dire che, al di là del muso lungo (prontamente svanito), mi sarei facilmente e felicemente accontentata dell'escursioncina, ecco.
Non mi aspettavo certo la sorpresa che poi è venuta.
Perché è vero: prima di partire, Mechka aveva accennato ad un ipotetico regalo, ma questa volta, devo proprio dirlo, si è davvero superato.
Infatti, dopo avermi aiutata a scendere dalla barca, è venuto a sedersi accanto a me sul moletto; e poi, senza dire nulla, dal taschino di una delle sue leggendarie camicie col collo a fratino (quelle che lui non si toglie mai, neppure per entrare in acqua!) ha estratto, afferrandolo con tre dita, un piccolo oggetto sferico e  brillante.
E a quel punto... ah, Caro Diario, non riuscivo quasi a crederci.
«È un Boccino d'Oro» ho mormorato con un filo di voce, lapalissiana da far paura.
«No è UN Poccino» mi ha corretta Mechka, tutto serio e orgoglioso. «Qvesto è IL Poccino, Rommi».
Io ho spalancato gli occhi, sbalordita.
«Cioè, tu mi stai dicendo» ho boccheggiato, incredula « che questo... che questo è il Boccino catturato da... da... da... Krum?!»
(Devo aver fatto la figura dell'ingenua, lo so. Ma per un momento, ci ho creduto davvero...)
Mechka ha sbuffato leggermente come a dire "che palle 'sto Krum" e mi ha guardata un po' scorato, come si guarda un caso perso. Poi, però, ha sorriso e ha brandito la bacchetta:
«Reducto».
Il Boccino ha assunto le dimensioni di una biglia: una bellissima biglia dorata e sberluccicante.
«Qvi, piccolo rikordo di qvando Bălgarija ha qfasi vinto Koppa» mi ha detto facendo passare una catenella attraverso un gancetto precedentemente saldato sull'aurea sferetta, per poi stendere (un po' goffamente, che tenero) le braccia ed infilarmela sulla testa.
In questa operazione le maglie della catenina mi hanno estirpato un po' di capelli, ma io non ci ho neanche fatto caso e, anzi, me la sono subito sistemata intorno al collo, felicissima, perché davvero, non credo di aver mai ricevuto un regalo così bello.
Per... per il valore simbolico, più che altro.
Perché Mechka è stato così adorabile, con questo pensierino che tanto si discosta al suo temperamento abituale, che, in sua presenza, farò finta di credere che si tratta davvero del Boccino di Krum - e non di paccottiglia (per quanto assai ben fatta, questo va detto) per turisti grullini e tifosi creduloni.
 
Ilvermorny, States, anno scolastico 1994-1995
 
Oh yesh, my Deary (dear+diary, hahaha), here we aaaaare!
Calamity Vane alla conquista degli States, urrah!
Ah, Caro Diario, che bellezza. Che bellezza trovarsi qui, finalmente nel posto giusto e al momento giusto, pronta e carica come non mai, per trascorrere uno sfavillante anno di interscambio scolastico!...
Nel momento esatto in cui i portoni di ottone di Ilvermorny si sono chiusi alle mie spalle, ho provato una gratitudine infinita nei confronti di mamma e papà che, dopo tante insistenze (e anche grazie al trasferimento temporaneo di babbo al Gramo’s di Chicago), hanno acconsentito a farmi fare questa incredibile esperienza!
Inutile dire che le mie amiche sono schiattate d’invidia quando le ho informate dei fatti... e che cosa posso farci: sarò una stronzetta ma, una volta tanto, questa cosa mi ha ringalluzzita troppissimo! ♥
 
Ah, Diario Mio, che mestizia.
Ormai è ufficiale: sono una sfigata senza speranza.
Che amarezza, che amarezza infinita!... Il mio momento di gloria è durato meno di ventiquattro miserrime ore,  ci crederesti?
Eppure è così.
Non ho fatto neanche in tempo a godermi il mio primo risveglio in terre americane, seguito da lauta colazione nel salone della scuola: l’arrivo dei gufi postali ha prontamente e impietosamente annichilito, riducendolo a meno della metà, l’entusiasmo che provavo ieri.
In pratica: ad Hogwarts, quest’anno, si terrà un torneo (“Torneo Tremaghi”, l’ha chiamato la Robins nel suo tempestivo – e forse compiaciuto, ma potrebbe essere una mia impressione -biglietto).
E, per prendere parte a questo benedetto torneo, sono arrivate le delegazioni di due importanti istituti magici europei: Beauxbatons e... Durmstrang.
E nella delegazione di Durmstrang c’è anche... lui.
Viktor Krum.
Il quale, secondo quanto confermatomi sempre dalla Robins, è altero e bello come un sole ombroso – e accidentaccio alle sue immagini sfuggenti: attanagliata dall’esasperazione, ho trascorso il resto della giornata a fargli la posta, piantata davanti al poster che ho appeso sopra al letto, ma niente, non sono riuscita a vederlo, e mi sono pure dovuta sorbire l’espressione velatamente ironica di Mechka che, dalla foto affissa a fianco (quella che abbiamo scattato insieme l’ultimo agosto), sembrava quasi godersi la scena e farsi beffe di me.
 
Inutile dire che quindi, punta dal demone che spinge la gente a sfogare la rabbia sulle creature paciose, ho cominciato a tormentare Mechka (il quale, ovviamente, fa parte della delegazione: ma porca di quella pupazza, oltre il danno la beffa!) con lettere chilometriche, rigurgitanti dettagli assolutamente gratuiti circa l’avvenenza e l’appeal dei bei giocatori di Quodpot che circolano ad Ilvermorny.
L’ho fatto –non me ne vanto, ma sono abbastanza onesta da ammetterlo – al puro scopo di infastidirlo, primo perché so che Mechka, il Quodpot, lo considera una porcheria, e secondo perché so anche, avendomelo lui ripetuto più volte, che lui non approva quando mi esprimo in modo così frivolo, sciocco, inopportuno e svenevole (da gŭska, “oca”, dice lui).
E probabilmente, questa volta, devo proprio avere esagerato perché, fatto inedito, Mechka mi ha risposto per le rime (in modo sottile ma diretto, quasi chirurgico, direi), cogliendomi in assoluto contropiede.
«Ho conosciuto ragazza interessante, qvi a Hokfarts» mi ha scritto, senza alcun giro di parole. «Molto carina, di tua Casa, capelli molto ricci, intellighentissima. Vorrei molto infitare lei al Yule Ball».
Caro Diario, te lo confesso: la notizia mi ha letteralmente scioccata.
Immaginare Mechka che propone ad una ragazza di andare con lui ad un ballo è, già di per sé, qualcosa di inconcepibile. Se poi questa ragazza è quella secchia di Hermione Granger (la descrizione non lascia adito a dubbi, ahimè)... bah, io getto la spugna, davvero.
 
Krapets, Bulgaria, estate 1995
 
L’estate è incominciata un po’ sottotono, purtroppo.
E non potrebbe essere altrimenti, non è vero, Diario Mio?
Il mio anno ad Ilvermorny è stato piacevole, foriero di belle amicizie (ma zero baci: su quel fronte, perdiana, rimango sempre a secco); tuttavia, come ben sai, non è passato giorno in cui non rivolgessi per lo meno un pensiero amareggiato agli eventi in corso ad Hogwarts e a tutto ciò che mi stavo perdendo.
Poi, chiaramente, la stangata in seguito alle notizie pervenutemi a giugno. Non posso pensare a Cedric senza che gli occhi mi si riempiano di lacrime amare, e di sicuro non sono la sola.
 
Anche Mechka mi è sembrato piuttosto malinconico, poverino.
Un po’ per il fatto di aver presenziato personalmente ai fatti. E un po’, credo, a causa della sparizione del suo Direttore – da quanto ne so, Mechka apprezzava molto il professor Karkaroff, nonostante la sua reputazione tutt’altro che benigna.
E c’è dell’altro.
Un giorno di questi, mentre facevamo il bagno nella caletta, un’onda un po’ più forte gli ha messo in disordine la camicia ed io, che per combinazione stavo guardando proprio da quella parte, ho intravisto un brutto segno scuro sulla pelle del suo torace; un’ecchimosi che a me, personalmente, ha subito ricordato l’aspetto (il professor Lupin è stato molto preciso a riguardo) di un livido da Schiantesimo.
Insomma: mi sa che il povero Mechka si è beccato una fattura coi fiocchi da qualcuno, lassù ad Hogwarts.
 
Inutile dire che la mia fantasia ha immediatamente preso a galoppare, più sfrenata che mai.
Soprattutto perché, modestia a parte, sono sempre stata brava a fare due più due; e quindi, cucendo insieme le varie informazioni in mio possesso, sono giunta alla seguente conclusione: lo Schiantesimo, a Mechka, gliel’ha appioppato Krum (il quale, secondo quanto riferitomi dalla Robins, si è aggiudicato – robe da matti! Fermate il mondo, voglio scendere! – la compagnia della Granger al Ballo del Ceppo).
Le mie teorie sono state confermate, seppur indirettamente, da Mechka stesso.
«E con quella ragazza che ti piaceva... com'è andata a finire, poi?» gli ho domandato un giorno, con quel tono vago di chi discorre del più e del meno.
Lui ha fatto spallucce.
«Niente fare. Herr-mioni piace un altro. Zolo amici, con lei».
Ebbè.
Il confronto (non solo teorico, a quanto pare) con quel bel fusto di Krum deve proprio averlo indotto a farsene una ragione.
Come volevasi dimostrare, insomma.
 
E poi... boh.
Non saprei proprio spiegarmene la ragione ma, con l’avanzare dell’estate, un’idea balzana ha cominciato a profilarsi fra le pieghe della mia fervida mente.
All’inizio ho cercato strenuamente di ricacciarla indietro, ma niente: la malandrina ha continuato a riaffiorare, prendendo via via una forma più precisa finché, alla fine, non si è consolidata, conficcandomisi in testa come un post-it rosa schocking affisso con uno spillo.
E i risultati sono stati... ma lascia che ti racconti tutto con calma, Caro Diario.
 
Le premesse erano semplici: io e Mechka: due sfigati sentimentali.
Ma nel contempo: io e Mechka: due persone che, tutto sommato, si fidano l’una dell’altra (o almeno, io mi fido, ma credo anche lui).
E quindi: perché non unire l’utile al dilettevole?
Voglio dire: non sta scritto da nessuna parte che gli amici non servano anche a questo.
La cosa urgente, naturalmente, era trovare un escamotage che facesse sembrare il tutto più semplice e naturale. Ho pensato a varie soluzioni, ma nessuna mi sembrava adatta; e così, alla fine, ho visto bene di vestire i panni della Buona Samaritana, che è sempre di moda.
E quindi oggi pomeriggio – mentre io e Mechka, stravaccati sulla duna, attendevamo il tramonto – ho rotto gli indugi.
«Senti un po’, Mechka» gli ho detto, senza staccare gli occhi dal cielo né sollevare la testa, perché un po’ mi vergognavo ma non volevo che lui lo subodorasse. «Tu lo sai che, su di me, puoi sempre contare, vero?»
Parlando, giocherellavo nervosamente con la Biglia d’Oro appesa alla mia catenella.
«Ma certo ke lo zo» ha risposto lui dopo una manciata di secondi.
«Be-benissimo» ho balbettato io, agitata ma fermamente determinata ad andare al punto. «Perché vedi, avrei deciso di farti un regalo per dimostrartelo in modo più... concreto».
Il suo volto corrucciato ha invaso il mio campo visivo.
«Ah zì?».
«Se ben ti conosco immagino che, alla soglia dei vent’anni» ho continuato, obbligandomi a guardarlo in quei suoi occhi scuri e acuti come quelli di un falco «tu non abbia mai baciato una ragazza... » (e poco importa che gli anni siano, in realtà, diciotto; la calcata di mano era voluta).
Mechka ha messo su una faccia alquanto perplessa, che io mi sono sforzata di ignorare.
«... e quindi ecco» ho concluso «io... io sarei disposta ad insegnarti come si fa. Una sorta di favore fra amici, insomma».
Per tutta risposta, lui mi ha scoccato una delle sue consuete occhiatacce torve, nella quale, però, ho rintracciato un non troppo sottile velo di scherno.
«Tu... vuole fare favore. A me. Aham».
(Pure spocchioso, il ragazzo!)
Mechka ha ritirato giù la testa ed è tornato a stendersi sulla duna, a pochi centimetri da me. Io mi sentivo le guance in fiamme, perché con lui è molto, molto più difficile ostentare comportamenti da donna vissuta (senza in realtà esserlo) di quanto non lo sia con chiunque altro; ciononostante, ho deglutito e sono andata fino in fondo.
«Non devi sentirti inibito solo perché quella sciocchina della Granger ti ha preferito Viktor Krum... sono cose che succedono, suvvia».
L’ho sentito sbuffare.
Poi, per la seconda volta nel giro di pochi secondi, il suo volto mi si è parato davanti agli occhi.
Mechka mi è rotolato vicino e ha piantato il palmo della mano libera a terra, oltre il mio collo.
E non si è fermato lì.
È sceso, col viso.
E si è arrestato a pochi millimetri dalle mie labbra.
«Tu... proprio mooolto generoza, Rommi» ha sussurrato, in un alito caldo e profumato di alloro. «... e  qvindi chi zono, io, per dirhe di no?»
E così detto, ha colmato il vuoto.
E il bacio che mi ha dato... ah, Godric Santo.
Come faccio a descrivere su carta ciò che estrapola il mio pensiero, da tanto intenso e perfetto?
Il modo in cui le sue dita si sono annodate ai miei riccioli, sospingendo la mia nuca verso l’alto, il modo in cui la sua lingua e le sue labbra hanno accarezzato le mie, il modo in cui i nostri respiri si sono fatti un tutt’uno e il suo aroma familiare mi si è insinuato su per le narici, fin nel profondo... come faccio ad esprimere ciò che ho provato?
Ah, Caro Diario.
Parola mia: se questo è baciare, ossia, se un assoluto principiante è capace di fare ciò che ha fatto Mechka... non oso immaginare come deve essere baciare qualcuno che sa il fatto suo.
 
Hogwarts, anno scolastico 1995-1996
 
Roger Davies.
Il Capitano di Corvonero.
Ah, perdincibacco, che grandissimo fregno.
Un vero e proprio Incanto Confundus incarnato su scopa, quel benedetto ragazzo.
Non che la cosa non fosse già ampiamente risaputa, ovviamente: sono anni che quel monello vince alla stragrande tutti i concorsi di bellezza (più o meno ufficiali) indetti all’interno delle mura del castello, fra cui il disputatissimo Mister Sorriso Hogwarts, che lui regolarmente si aggiudica esibendo con grazia assoluta il suo strepitoso sorriso di perla.
Roger Davies.
Che, stando a quanto si dice in giro, bacia da Dio.
Non riesco proprio a pensare ad altro; non ora, almeno, che sono tutta ringalluzzita dalla mia edificante esperienza estiva.
Che è durata un pomeriggio soltanto, va detto, perché, nonostante la serie di baci che hanno fatto seguito al primo (“Non ho capito bene...” “Riprofiamo?” “Direi di sì...” “Ciusto. Amici zervono a qfesto”. E giù a screpolarci le labbra a vicenda), all’indomani dell’accaduto io e Mechka abbiamo ostentato contrizione esemplare e siamo docilmente rientrati nei rispettivi ranghi, che poi abbiamo coscienziosamente mantenuto fino al termine dell’estate.
Amici come prima, insomma.
 
Ora: a fronte della situazione attuale, un innegabile vantaggio, effettivamente, c’è.
Perché se, da una parte, Roger Davies è bello come la perdizione, altrettanto vero è che conquistarlo, stando a quanto si vocifera nei corridoi, è un assoluto gioco da ragazzi.
Roger Davies non si risparmia. È bello, sa di esserlo, e non dispensa servigi alle sue ammiratrici.
In una parola: Roger Davies è un ragazzo facile.
Il che, per una santa volta, gioca a mio favore...
 
... o forse no.
Perché, come si suol dire, anche il troppo stroppia, giusto?
E dire che Mechka, Sant’Orsolo, mi aveva avvisata.
«Conosko soggetto, Rommi» mi ha ammonita, quando gli ho scritto per raccontargli del mio ultimo crush. «Qvello Devis zolo fuole una kosa. E no è bacio. Mio consighlio? SKAPPA».
Ovviamente mi sono ben guardata dal dargli ascolto.
Mi son detta: Mechka è proprio un puritano, quando ci si mette (okay, cerchiamo di non rivangare i baci che mi ha dato lui, o la mia teoria va dritta dritta al Creatore).  E poi magari, sotto sotto, è pure un filino geloso.
E invece no: aveva perfettamente ragione.
E i risultati si sono visti.
Convincere Roger a darmi una chance è stato come offrire un pesciolino succulento ad un beluga affamato. Non solo, sorridendomi con quei suoi denti candidi come neve (tanto per rimanere in tema beluga), mi ha fatto un sacco di complimenti, facendomi sentire una bellezza ai limiti del raro; in aggiunta, al termine della nostra breve conversazione, lo strepitoso Corvonero mi ha anche dato appuntamento per la sera stessa, in loco segreto.
E qua sono cominciati i guai...
Infatti quando, col cuore a mille all’idea di ripetere l’esperienza bacereccia con un nuovo partner,  l’ho raggiunto all’interno di quella curiosa stanzetta che io, stordita come sono, non avevo mai notato, il belloccio non ha perso un minuto di tempo. Mi si è letteralmente incollato addosso, sottoponendomi quasi a forza (non che io non volessi, però che diamine, neanche uno stringato ‘buonasera’!) ad uno dei suoi leggendari french kisses che tanto fanno fangirlare la componente femminile della scuola.
E poi, è successo il finimondo.
Perché mentre Davies si dava da fare come un ossesso ad infilarmi la lingua in bocca (che imbarazzo, a ripensarci), io, immediatamente sgomenta, ho avvertito distintamente la sua mano che mi si infilava sotto la camicetta e che, in una carezza furtiva, scivolava verso l’alto.
E a quel punto io... mi sono scostata bruscamente e gli ho rifilato uno schiaffo a cinque dita.
Oddio.
E quando lui, premendosi il palmo sulla guancia pulsante, mi ha guardata a bocca aperta, io... mi sono messa a piangere.
Come una bimbaminkia della peggior specie. E solo perché Davies ha cercato di toccarmi una t... oddio, non riesco neanche a scriverlo. Non ce la faccio. Mi vergogno troppo.
In ogni caso, per fortuna, una volta passato il cancan iniziale siamo riusciti ad uscirne in modo piuttosto dignitoso (ecco, Mechka sicuramente non sarebbe d’accordo quanto a tale definizione, ma pazienza).
Perché Davies è senz’altro un ragazzaccio, ma, quando vuole, sa anche essere una persona di buon cuore.
«Que pasa, Vane?» mi ha chiesto, avvicinandosi con in mano un fazzoletto (pulito, per fortuna) appena evocato.
«Io... io... oh, ma che figure di merda, pergiove...»
Lui mi ha guardata con fare comprensivo.
«Quello che si dice in giro di te non è vero, mi sa» mi ha detto, sorridendo appena. «Tu, di scafato, non hai un bel niente, vero?»
Ho annuito e mi sono asciugata gli occhi col fazzoletto, rossa di vergogna.
«Io non sono il tipo da costringere una ragazza a fare quello che non le va di fare. E ci mancherebbe... » ha aggiunto lui dopo qualche tempo. «Però senti... ti dispiacerebbe se evitassimo di riferire quanto è veramente successo qui dentro? Ne va... ne va della mia reputazione, sai».
Io, ansiosa di porre fine a quella situazione incresciosa, gli ho subito assicurato che, da parte mia, la sua fama di latin lover poteva considerarsi bella che salva. E che avrei confermato, ben più che volentieri, qualsiasi pettegolezzo, scoop e diceria riguardanti qualsivoglia fantomatica nottata di fuoco gli fosse venuto in mente di raccontare in giro.
 
Morale della favola: ci siamo salutati con una casta stretta di mano all’imboccatura delle rispettive torri.
E io... va beh, alla fine ci ho rimediato un bacio.
Che però, a me, non ha fatto poi tutto questo grande effetto.
L’ho trovato un tantino... esagerato, forzato... scenografico, certo, ma senza spessore.
Non so. Non che io, alla fine, disponga di chissà quale metro di paragone (o forse sì? Naah, ma che cosa vai a pensare, Romi), però boh: a mio avviso, a Davies, gli manca qualcosa.
Non chiedermi che cosa, Caro Diario, perché questo, purtroppo, non lo so.
 
 
Note.
Anzitutto, consiglio vivamente a tutti gli appassionati di gastronomia di dare un’occhiata (meglio ancora: un assaggio) alle byurek, che qua da me vengono chiamate burekas e che io ho avuto il privilgio di conoscere grazie al menù sopraffino della mitica Casa Bulgara di Bom Retiro.
Riguardo invece i beluga, credo sia giusto specificare che il litorale bulgaro non fa parte della loro abituale distribuzione geografica; tuttavia, negli anni ’90, fece scalpore la storia di Palla di Neve, un delfino beluga addestrato dai militari sovietici che, al termine di accese battaglie ambientaliste, venne liberato, per l’appunto, nel Mar Nero.
Passando ora alla storia: qualcuno può dare una svegliata a quella stordita della Vane, per favore?
Voglio dire: Mechka-Krum ha catturato il Boccino per lei (eeee! ora sappiamo il vero motivo per cui si è intestardito nel volerlo acchiappare, nonostante il vantaggio incolmabile degli irlandesi!) e la tonta pensa sia un semplice souvenir.
L’assoluta assenza di perspicacia da parte sua mi getta nello sconforto ma, al tempo stesso, mi fa riflettere circa l’opinione che Romilda ha di se stessa: la realtà dei fatti è lì, tutta da vedere (basterebbe volerlo fare), ma lei proprio non ci arriva... o forse il suo inconscio senso di inferiorità esclude a priori una possibilità per la quale non si sente all’altezza?
In ogni caso, bravo Mechka che, da esimio Cercatore, sa bene quando è il caso di prendere al balzo la sua pallina sciocchina.
 
Per capire meglio il personaggio di Roger Davies, bisognerebbe aver letto le mie altre storie in cui compare, ma credo sia piuttosto comprensibile anche così.

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Capitolo 3
*** 1996-1997 ***


Diario di una Groupie.
1996-1997

 


Krapets, Bulgaria, estate 1996
 
Quest’anno, per la prima volta da quando conosco Mechka e frequento la sua caletta segreta, arrivando vi ho trovato qualcun altro che non fosse lui.
Avevo appena doppiato il promontorio che separa il suo cantuccio dallo spiaggione di Krapets, impaziente di continuare le scorribande per sabbia e per mare inaugurate a inizio estate quando – la sua casetta dalle pareti foderate di ciottoli marini e conchiglie distava ancora un centinaio di metri -, con mia grande sorpresa, ho udito la sua voce bassa e pacata, inconfondibile, che contrappuntava con un’altra dal timbro soave e cristallino, inequivocabilmente femminile.
Inutile dire che ci sono rimasta di sasso; e così, senza pensarci troppo, mi sono appiattita fra gli arbusti e mi sono messa in ascolto.
Ora: nonostante le numerose estati trascorse in Bulgaria ammetto che, col fatto che Mechka parla (magari non benissimo, ma lo parla) l’inglese, io mi sono sempre approcciata con un certo (colpevole, lo so) lassismo alla lingua locale, della quale padroneggio sì e no una ristretta manciata di frasi masticate.
Cosicché, purtroppo, della conversazione in atto fra Mechka e la sua misteriosa interlocutrice ho afferrato poco, molto poco, e in maniera senz’altro disomogenea.
Riporto qui un resoconto approssimativo, tanto per darti un’idea della figuraccia che ho fatto.
«Questo posto è davvero incredibile» stava dicendo la tipa. Attraverso uno spiraglio fra le fronde riuscivo a cogliere il movimento ondoso della sua chioma serica, così chiara da sembrare fatta di crine di unicorno. «Ed eccezionalmente riservato, oltretutto. Non mi stupisco che non ti abbiano mai scovato, Yuri».
Yuri?!
Mechka si è stretto nelle spalle, ha sorriso e ha risposto qualcosa che non sono riuscita a capire.
«Parola mia: li stai facendo impazzire» ha continuato lei in tono scherzoso. «Non sanno più dove cercarti: sono ormai alla disperazione, rabbiosi come cani da punta che perdono l’usta di una preda ambita».
Lo ammetto: non riuscivo a capirci un purvincolo secco, ma l’idea di un Mechka nei panni del ricercato (che cosa avventurosa, da vero eroe romantico!) mi ha intrigata al punto da spingermi ad avvicinarmi ancora un pochino, per non perdere il minimo dettaglio. 
Chi diavolo erano questi fantomatici loro? E perché gli facevano la posta?
«Mi raccomanda, Clara» ha ribattuto Mechka, guardandosi intorno con fare guardingo. «Acqua in bocca, eh».
Oh.
«Ma certo, ci mancherebbe» ha subito convenuto lei. «Ho promesso sulla Bandiera, lo sai».
Eh?!
Mentre parlava, la ragazza (continuavo a vederne soltanto le spalle) gli si è avvicinata facendo ondeggiare i capelli di luna.
«Sono davvero contenta, Yuri, di potermi affidare a te» gli ha detto ancora mentre io, avida, tendevo le orecchie fino allo spasmo. «Del resto, ormai lo so più che bene, le tue mani hanno un tocco speciale; non potrei pensare di darla a nessun altro che non sia tu».
Dal mio anfratto ho visto che Mechka le si avvicinava a sua volta, tendendo le braccia verso di lei.
Oddio.
Caro Diario, non sapevo proprio che cosa fare. Ovviamente ero fuori strada, ma tu sai come sono: la mia fantasia, quando scioglie gli ormeggi, è assolutamente irrefrenabile. Insomma, senza troppi giri di parole: ci ho visto l’inciucio. Logico, no? E la cosa, lo ammetto, mi ha un po’ sconvolta (molto sconvolta, in realtà).
Al punto che, pervasa dall’agitazione più bieca, ho commesso un grave errore, aggrappandomi con imprudenza ad un ramo secco e del tutto incapace di sostenere il mio peso. Morale della favola: sono rotolata a terra con fragore, in un baccano assordante di rami spezzati, volatili in fuga, imprecazioni (mie) ed esclamazioni di sorpresa (loro).
«Rommi!?»
Mechka ha aggirato la bionda e mi ha raggiunta di corsa, afferrandomi poi una mano per tirarmi su ed affrettandosi a rimuovere le foglie e i rametti che mi si erano infilati fra i riccioli.
«Ehilà» ho pigolato io, sforzandomi di suonare disinvolta (probabilmente il mio colorito tendeva al viola, ma okay). «Delizioso pomeriggio, eh?...»
Imbarazzata, ho guardato prima Mechka e poi la ragazza - la quale, nel frattempo, si era girata dalla mia parte. La sua bellezza eterea mi ha lasciata letteralmente senza fiato (eppure tu lo sai, Diario Mio, che io prediligo i bei giovini!); ciononostante ho subito notato che, fra le dita sottili, reggeva il manico di una scopa da corsa dall’aspetto costosissimo.
«E così» ha sorriso costei, rivolgendosi a Mechka in bulgaro «questa è la famosa Rommi...» (famosa?) «Molto piacere» ha detto poi in un inglese fluido e aggraziato, avvicinandosi a noi per stringermi la mano. «Io sono Clara».
«Il piacere è tutto mio» ho borbottato io, cercando di darmi un tono.
Clara mi ha sorriso e ha fatto un cenno a Mechka, cui ha consegnato la scopa.
«Beh, direi che si è fatto tardi» gli ha detto, accingendosi a partire. «Te la lascio qui... mi auguro vivamente che troverai la soluzione: mi fido ciecamente, lo sai. Grazie mille in anticipo, e... » mi ha guardata di nuovo e ha estratto penna e quadernetto «ti lascio l’autografo, cara. Mi sei proprio simpatica!»
Un secondo prima di smaterializzarsi (operazione al termine della quale Mechka ha eseguito un misterioso e complicatissimo incantesimo del quale, francamente, mi è sfuggita la formula da tanto ero confusa), la bella mi ha piantato in mano un fogliettino con su scritto: “A Rommi con simpatia. Clara Ivanova”.
Clara Ivanova? ho pensato io. 
E chi diavolo è?!
 
«Quella Clara è proprio una gran bellezza, non è vero?» ho buttato lì a Mechka oggi pomeriggio, incapace di estirparmi dalla testa il tarlo che, nonostante l’equivoco parzialmente chiarito, mi assillava fin dal giorno del nostro triplice incontro.
In sottofondo, soffusa ma udibile, la voce dello speaker di Futuradio MF (MagiFrequenza 66.6), la stazione di cui siamo da anni affezionati e avidissimi ascoltatori (adoriamo scoprire in anteprima i successi musicali ancora a venire):
«Ed ecco a voi, carissimi utenti, direttamente dal 2001, i Cake, con Short Skirt and Long Jacket!...»
Mechka, intento a piallare con la punta della bacchetta (opportunamente trasformata in una piccola spatola) il manico della strepitosa Firebolt della Ivanova, si è interrotto e ha tirato su la testa.
«Molto pella, zi» ha grugnito, facendo spallucce.
«Aham» ho replicato io, caustica.
«E no potreppe ezzere altrhimenti» ha continuato lui, con un fare ovvio assolutamente fastidioso. «Del resto, lei è Veela... e loro, è kosì».
E ha ripreso il suo lavoro, come se niente fosse.
Non avrei voluto, Caro Diario, ma non ho potuto evitarlo: mi sono visibilmente accigliata.
«Già. Davvero impossibile non cadere ai suoi piedi, eh, Yuri?...» ho sillabato, in un tono un po’ troppo mordace.
Lui si è interrotto di nuovo.
«Yuri è soprannome russo» mi ha spiegato, con infinita pazienza. «Amici mi kiama kosì, perkè mio zecondo nome è Georgi, e perkè nukleo di mia bakketta è: fibra di drakon».
«Oh».
Mica le sapevo, tutte queste cose.
«E comunqve, no» ha continuato Mechka, serio «Veela no ha effecto, su me». Ha sollevato la massiccia bacchetta di carpine per farmela vedere meglio. «Primo, quattro anni fa, Signore Gregorovitch ha fatto infuso di crine di Veela su lei. Secondo: Clara esce con Vulchanov. Amichizia è sakra. E terzo» ha concluso guardandomi fissa un secondo di troppo, per poi rimettersi a limare la scopa «Clara no è mio tipo. Preferisco altro ghenere, zi».
Mi sono leggermente imporporata, ma ho subito recuperato il raziocinio.
Ah, già. Il tipo Hermione Granger.
Ma porca di quella pup...
La voce di Mechka ha interrotto la risacca montante dei miei pensieri pericolosamente tendenti al truce.
«Finito» ha annunciato, sollevando soddisfatto la scopa della Ivanova. «Lo foghliamo profare, qvesto cioiellino?»
Ah, Diario Caro.
Si salvi chi può!
«Ad una condizione» gli ho risposto, cauta. «Che, per il bene comune, lasci guidare me».
Non volevo assolutamente offenderlo, ma che diamine, siamo entrambi troppo giovani per morire schiantati al suolo, dico bene?
Mechka non se l’è presa assolutamente.
Ha ridacchiato piano, questo è vero, ma poi, con un gesto da gran signore, ha ordinato Zu! , mi ha fatto cenno di precederlo sulla scopa che già si librava leggera a un metro da terra e mi ha detto:
«Dopo te, pella».
 
Questa cosa la sanno in pochi, ma è un dato di fatto - e Madama Bumb me l'ha ripetuto spesso: io, a cavallo delle scope, non me la cavo affatto male. Non tanto da ambire ad un posto in squadra, certo, ma poco male: in fondo, ho sempre anteposto le tribune al campo, forse perché io, i giocatori di Quidditch, ho sempre preferito potermeli guardare (e gustare) con calma, piuttosto che giocarci assieme.
Va beh.
Tutto questo per dire che, al proporre a Mechka di guidare la scopa, avevo la precisa intenzione di pavoneggiarmi un po', mostrandogli qualcosa in cui pos magari non posso definirmi brava, ma almeno bravina - oltre al fatto, chiaramente, di non essere così temeraria da permettere a lui di governare il manico.
Così, con studiata nonchalance e senza preoccuparmi troppo della gonnellina del prendisole, sono saltata a cavallo della scopa. Mechka, un'espressione indefinibile dipinta sul volto olivastro, ha raccattato la radiolina dal suo ripiano, se l'è messa in tasca e si è accomodato dietro di me, molto vicino, accostando le cosce alle mie. Con una mano mi ha spostato delicatamente i capelli, sistemandomeli tutti sulla spalla sinistra (per evitare di mangiarseli durante il volo, immagino io); e poi, facendomi sussultare leggermente, mi ha fatto scivolare le braccia attorno ai fianchi, andando ad allacciare le dita all'altezza del mio ombelico.
Merlino Benedetto! 
Che cosa te lo dico a fare, Caro Diario? 
Questo suo gesto, ancorché perfettamente comprensibile in vista dell'imminente decollo, mi ha fatta sudare freddo. Perché fra me e Mechka, nonostante i lunghi anni di conoscenza reciproca, il contatto fisico superiore alla stretta di mano per aiutarsi reciprocamente a fare qualcosa (scendere dalla barca, risalire il promontorio) è sempre stato una specie di tabù - infranto, come ben sai, una sola ed unica volta. E quindi, insomma, sentirlo così vicino, col torace snello ma tonico accostato alla mia schiena e il mento a sfiorare la mia spalle destra coperta solo dalla sottile spallina del prendisole mi ha... sconvolta.
Letteralmente.
E così, mentre lo speaker di Futuradio annunciava a gran voce il prossimo successo ("Ed ora ecco a voi Beck, con Dreams, una hit del 2015!") e Mechka, chinandosi in avanti, affiancava la sua guancia ruvida alla mia gettandomi nel panico più nero, io non ho trovato nulla di meglio da fare se non puntare i piedi a terra e imprimere alla scopa una spinta che definire "vigorosa" è un eufemismo di delicatezza rara.
«Pronti, partenz... aaaaaaaahhhhhhhhhh!!!!!!»
Che figura barbina, tanto per cambiare.
Perché, accidenti a me, ho scoperto una cosa che avrei dovuto sospettare: e cioè che, definitivamente, una Firebolt NON È una Scopalinda Sette.
L'accelerazione è stata a dir poco spaventosa; credo proprio che, se il corpo di Mechka non si fosse trovato dietro al mio e non avesse frenato la mia caduta, probabilmente sarei capitombolata malamente all'indietro in una serie di salti acrobatici dalla scarsa armonia, e mi sarei spiaccicata al suolo. 
Mentre salivamo a velocità inaudita mi sono accorta che il petto di Mechka, al quale la mia schiena si trovava ancora strettamente incollata, sussultava su e giù perché lui, in preda ad un inedito ed irrefrenabile attacco di sguaiata ilarità, stava ridendo a crepapelle, ma proprio fino alle lacrime, come se non ci fosse un domani.
Non la smetteva più.
«Santo Vasiliî» ha mugugnato dopo svariati minuti ed altrettanti tentativi di tornare serio (credo che, ormai, avessimo raggiunto la ionosfera o giù di lì). «Lascia me farhe, Rommi».
Si è chinato ancora un pochino, spingendomi in avanti, e con le mani ha afferrato il manico della scopa che, subito, ha abbandonato la curva esponenziale per portarsi in una più confortevole posizione orizzontale.
«Prafa pampina» l'ha vezzeggiata Mechka, facendola decelerare. La scopa ha eseguito, docile. Solo a quel punto mi sono azzardata ad aprire gli occhi, del tutto impreparata alla vista superba che mi si parava davanti. Il cielo e il mare, striati di arancione, mi sono parsi immensi, fusi insieme in uno splendido connubio di cirri e di onde senza soluzione di continuità.
Ruotando leggermente il capo ho sbirciato il profilo tagliente di Mechka che si stagliava contro il cielo infuocato.
E siccome, per una volta, non ho trovato nulla da dire, me ne sono stata zitta e mi sono rigirata in avanti, per godermi la bellezza del paesaggio e l'alito fresco della brezza del tramonto.
In perfetto silenzio Mechka ha continuato a condurre la scopa, facendola librare fra le correnti ascensionali e zigzagare lentamente fra le nuvole. E mentre io, meravigliata e un po' frastornata, mi domandavo da dove diavolo provenisse la sua inspiegabile (quanto stupefacente) dimistichezza con quel tipo di pratica, l'ho sentito staccare le mani dal manico e farle scivolare verso l'alto per stringermi in un abbraccio solido come acciaio.
«Qvesto kielo. Piace te, Rommi?» mi ha chiesto, posando con delicatezza il mento sulla mia spalla.
«È... bellissimo. Davvero bellissimo, Mechka» ho mormorato, accostando istintivamente la guancia alla sua.
Lui ha avvicinato il naso al mio orecchio.
«Fieni qva, pella» mi ha detto soltanto, imprimendo una leggera pressione sul mio busto per farmi girare di nuovo dalla sua parte. Facendo bene attenzione a non cadere (ma non ho avuto paura, neppure per un secondo: sapevo che Mechka non avrebbe mai permesso che mi facessi del male) ho scavallato la gamba per sedermi 'all'amazzone'; e poi, respirando profondamente, l'ho guardato dritto dritto in quei suoi occhi scuri e severi da falco.
Un secondo dopo le sue labbra si trovavano sulle mie; le sue dita callose intrecciate ai miei riccioli scuri; le sue braccia solide a stringermi a sé; il respiro affannoso mescolato al mio. Ed io ho accarezzato il suo viso ruvido, la sua nuca vellutata laddove i capelli tagliati corti si fanno morbidi come piumino, la sua schiena magra, i fianchi snelli.
«Riportami giù» l'ho pregato in un sospiro. Mechka si è mosso appena, e la Firebolt ha obbedito. Poco dopo eravamo di nuovo a terra, più avvinghiati di prima.
"È oggi, Morgana cara" ho pensato, abbandonandomi languidamente al tocco sublime delle sue labbra sulla pelle indifesa e sensibile del collo. "Oggi, finalmente, succede quella cosa".
E... beh, sarò sincera: non saprei spiegartene il perché, ma il pensiero che quella cosa sarebbe successa proprio con lui mi ha subitaneamente riempita di commozione, di gratitudine e di gioia.
 
Se non che...
Ah, Godric santo. Niente di fatto, ovviamente; e ti pareva?
Che disperazione, che frustrazione, miseria nera! E dire che probabilmente, conoscendo il soggetto, avrei dovuto aspettarmelo. Perché Mechka non è... va beh. Ci siamo capiti.
Ma che ci sperassi, che lo volessi, con tutta me stessa, è assolutamente indubbio.
Dico solo che quando, ad un certo punto, gli ho infilato le mani sotto la camicia per accarezzargli piano la pelle del torace e dell'addome (e oh, Gesù Bambino dei Babbani, quanta grazia sotto ai miei polpastrelli deliziati!), l'ho sentito irrigidirsi di colpo e ringhiare un'imprecazione in bulgaro, incomprensibile ma inequivocabile. E quando ho accennato a far scivolare il primo bottone fuori dall'asola... basta, Mechka si è staccato da me e mi ha afferrato i polsi per tenermeli fermi.
«No, Rommi» ha ansimato. «No».
«Ma... ma perché?» gli ho chiesto, un po' confusa.
Lui ha teso una mano per spostarmi i capelli dal viso, inspirando fondo per regolarizzare il respiro.
«Perké... no è ciusto».
«Ma perché?!» 
«Troppo presto, non voghlio che...»
«Ma che cosa caspita dici!?» ho urlato, costernata e ferita. «Compirò sedici anni a dicembre!»
Lui mi ha rivolto un sorriso ovvio, che mi ha mandata su tutte le furie.
«Apunto».
«Tu... tu non mi vuoi bene!» l’ho accusato, col labbro tremulo.
«Al contrario» mi ha corretta lui, cupo. «È propio perké ti volio be...»
L’ho zittito con un gestaccio.
Che cosa ti devo dire, Caro Diario? Ci sono rimasta... malissimo.
Fortunatamente, però, io sono un tipo reattivo. E così, per una volta, mi sono risparmiata la scenata da mocciosetta.
«Aspettami qui» ho sibilato al suo indirizzo con tutta l'ironia che sono stata in grado di raccimolare. «Vado a prendere le formine, così, da bravi bambini, giochiamo un po' con la sabbia».
 
Ho deciso che sparirò per il resto della settimana e che mi accomiaterò via gufo. Che se ne stia là da solo nel suo brodo, quell'orso ingrato.
 
Hogwarts, anno scolastico 1996-1997
 
Tempo fa, voci di corridoio affermavano che il percorso formativo di Durmstrang includeva l’insegnamento delle Arti Oscure.
Ecco: io, per anni, questa cosa l’ho sempre considerata una panzana grande così; una sorta di leggenda metropolitana del Mondo Magico, insomma.
Ora, invece, posso dire di aver cambiato radicalmente idea. Non solo, infatti, ritengo che ciò realmente accada, ma anzi: lo so per certo. Ne ho le prove.
Parlo per esperienza personale, sulla base di quanto vivo sulla mia stessa pelle dalla scorsa estate; da quando, cioè, Mechka mi ha apposto un implacabile incantesimo oscuro che, nonostante tutti i miei strenui tentativi di resistenza, mi impedisce di smettere di pensare a lui.
 
Ho cercato di distrarmi, Caro Diario.
Ci ho provato davvero.
Ho cominciato a dare, lettaralmente, la caccia ai ragazzi della scuola; ne ho baciati a decine, più o meno consenzienti, con risultati variabili e talvolta sorprendenti (6 meno meno a Blaise Zabini, tutto fumo e niente ciccia; 9 pieno a Colin Canon, un vero e proprio kiss revelation; un onesto 8 a Finnigan, buona tecnica ma un po’ esitante; e così via).
Niente da fare.
Disperata, le retine mentali stazionarie sul profilo aquilino di Mechka, ho pensato bene di ricorrere all’artiglieria pesante.
“Qua ce ne vuole uno che estrapoli l’ordinario”, mi sono detta.
E lo sguardo mi è caduto su Harry Potter, il Ragazzo Che É Sopravvissuto.
Niente male davvero, anche se forse, a mio parere, un po’ insipido, checché ne dica la Weasley che, fin da quando abbiamo messo piede qui ad Hogwarts, ne tesse le lodi in un’ininterrotta serie di manfrine senza capo né coda - con una piccola pausa ora che è impegnata ad inciuciarsi con Dean Thomas (per rispetto a lei, ho evitato di includerlo nella mia test list).
Per tutta una serie di equivoci, comunque, il tentativo di accaparrarmi Potter non è andato... molto bene, diciamo.
Per mia grande sfortuna, infatti, i cioccolatini battezzati all’Amortentia sono finiti prima nelle mani e poi nell’incavo orale della persona sbagliata; e pare anche che quell'ingordo di Weasley VI abbia fatto indigestione, o una cosa così, e se la sia vista assai brutta.
Inutile dire che, a cose ormai fatte, quella pittimina della Granger abbia voluto togliersi la soddisfazione di venirmi a fare la morale (perché guai a chi glieli tocca, i suoi due amichetti del cuore).
«Ma sei impazzita, Vane?» mi ha apostrofata, sigillandosi alle spalle la porta del dormitorio del quinto anno. «La vuoi smettere, una buona volta, di fare la cretina?!»
Il ricordo delle parole pronunciate da Mechka al suo indirizzo mi ha fatto salire il sangue al cervello.
«Vedi di non rompermi le palle, Hermione, o non rispondo di me» ho ringhiato, estraendo la bacchetta. «E vedi di farti gli affari tuoi, razza di perfettina ipocrita che non sei altro!»
Lei mi ha guardata stranita.
«Hai avuto un ragazzo d’oro ai tuoi piedi, ma tu gli hai preferito il Grande Campione» ho inveito, inviperita. «Già: proprio come tutte le altre, me compresa, cui ti senti sempre così tremendamente superiore!»
Lei è rimasta ferma e zitta per una manciata di secondi; poi, guardandomi con una certa pena, ha mormorato:
«Okay. Sapevo che la cosa era grave, ma non immaginavo lo fosse fino a questo punto».
E senza aggiungere altro, ha lasciato la stanza.
Con un diavolo per capello ho deciso allora di giocarmi la mia ultima carta e, per l'ennesima volta, ho afferrato carta  e penna.
"Ho bisogno del tuo aiuto" ho scritto in fretta e furia ad una mia vecchia conoscenza.
 
Che dire?
Il Corso di Seduzione Accelerata che Roger Davies ha acconsentito a darmi durante l'ultimo weekend libero ad Hogsmeade è stato quantomeno illuminante.
«Del resto te ne devo una, bella mia» mi ha sorriso, vedendomi arrivare. «Spara: qual è l'inghippo?»
Io ho subito vuotato il sacco.
Roger assentiva concentrato mentre gli raccontavo tutto; e quando gli ho riferito che Mechka è immune al fascino delle Veela, ha fatto tanto d'occhi  ed ha emesso un fischio di ammirazione.
«Caramba! Davvero?» ha commentato, grattandosi  il mento. «Qui abbiamo un duro di prim'ordine, non c'è che dire!»
Io ho annuito, un po' scoraggiata.
«Ma sai cosa ti dico, chica?» ha subito esclamato lui, con il consueto entusiasmo. «Io adoro le sfide. E dunque, ti chiedo: sei pronta per apprendere i Sei Passi Infallibili per Sedurre un Mago?»
«Credevo fossero dodici, i passi» ho osservato io, stupita.
Roger ha riso e ha tirato su le mani, come per scusarsi.
«Quello è per le streghe. Suvvia, Vane. Per conquistare un uomo ci vuole, in media, meno della metà dello sforzo. Lo sanno tutti, dai».
 
Krapets, Bulgaria, estate 1997 (I° parte)
 
La mia personalissima battuta di Caccia all'Orso è cominciata non appena ho rimesso piede in Bulgaria, poche ore fa.
"Regola Numero 1, Vane. Valorizza i tuoi punti forti. Che, secondo il mio modesto e infallibile parere, sono gambe e capelli".
Forte dei consigli di Roger ho quindi passato l'argan per domare i riccioli, ho indossato una vestina comprata sotto sua scrupolosa supervisione presso la rivendita segreta di Madama Rosmerta e, già che c'ero, ho laccato di rosso tutte le unghie disponibili, eccezion fatta per l'indice della mano destra, che ho smaltato in verde per creare il perfetto contrasto bulgaro ("Regola Numero 2: adulalo, ma con astuzia e sottigliezza").
Così combinata, mi sono avviata verso la caletta in cerca di Mechka.
"Mi raccomando: la regola Numero 4 è importantissima."
"Sarebbe?"
"Tienilo sulle spine".
"Ma non era la 3, questa?"
"Sì, ma è che è importantissima, te l'ho detto. Tanto importante che, in effetti, si ripete tale e quale anche al punto 5".
"Ah... va bene, allora".
"Ottimo. E non dimenticare, mi raccomando, la Numero 6".
"Che è...?"
"Cucinalo a fuoco lento. In nuce: fallo ammattire senza che se ne renda conto. In men che non si dica lo avrai in pugno, vedrai".
Quando mi ha vista arrivare Mechka mi ha rivolto uno sguardo duro, rimproverandomi tacitamente per le lettere non risposte; io però, con intima soddisfazione, non ho potuto fare a meno di notare una sua rapida deviazione corneale verso il basso.
Ignorando il suo cipiglio l'ho quindi raggiunto per salutarlo con un bacio sulla guancia, breve ma umido il giusto, oltreché sufficiente per sfiorargli il viso coi capelli profumati.
Al mio tocco, mi è parso di sentirlo fremere leggermente.
E la partita è cominciata.
 
 
Ah, Caro Diario.
Caro, Caro Diario.
Le cose, qui, sono evolute in fretta; non sono praticamente riuscita a scriverti una riga, ed ora, a cose fatte, devo proprio dire che... ma lascia che ti racconti con calma, su.
Nei giorni che hanno seguito il mio arrivo ho scrupolosamente mantenuto la stessa condotta, alternando con attenzione e sagacia ("Il timing è tutto, Vane!") momenti di riserbo a piccole provocazioni, buttate lì mascherandole da quisquilie apparentemente non volute ma assolutamente preterintenzionali.
A me, sinceramente, sembrava che il piano stesse funzionando; lo capivo da come Mechka mi fissava,  nonché dai suoi tentativi maldestri di mantenere le distanze puntualmente smentiti dal suo accostarmisi ogni tre per due, sempre per motivi assolutamente banali e secondo modalità che, per i suoi parametri, potrei definire piuttosto ravvicinate. Io gli ho dato corda, ma solo fino ad un certo punto, ingegnandomi, il più delle volte, a sgusciargli fra le dita all'ultimo momento, proprio come farebbe un Boccino fuggiasco che si sottrae alla presa di un Cercatore.
Ora: quello che avrei dovuto capire, ovviamente, è che Mechka non è Roger Davies e che, pertanto, un piano elaborato da quest'ultimo presentava fin dall'inizio grandi possibilità di fallimento.
Il che, in un certo senso, è di fatto avvenuto - anche se, in effetti, solo per metà. Una sorta di pareggio, insomma.
Perché dai, Mechka può anche giurare e spergiurare  che lui nooo, certe cose non se le fila neanche di striscio, ma è innegabile che una minigonna ben piazzata fa sempre la sua porca figura, checché lui ne dica (Parola di Davies, Libro I, versetto 2).
 
Sta di fatto, comunque, che ieri pomeriggio l'ho trovato piuttosto irrequieto, il che mi ha fatta supporre che, ormai, fosse cotto a puntino.
E così quando, sul far della sera, Mechka è rientrato in casa per prendere i vasetti in cui inserire le lucciole, io l'ho seguito di soppiatto, mi sono intrufolata oltre l'uscio e, con un salto ed una scrollata di capelli, mi sono seduta sul ripiano della scrivania.
Indi, ho accavallato le gambe e gli ho rivolto un sorriso (credo) parecchio allusivo.
E lui... mi  ha impietosamente freddata. 
«Fogliamo zmetterhla, Rommi» ha bofonchiato, cupo «con qvesta pantomima di 'femme fatale'? Tu no è kosì».
L'ho guardato a bocca aperta, imporporandomi all'istante; da un secondo all'altro mi sono sentita sciocca ai limiti del tollerabile, tutta convinta di stare agendo in modo impeccabile e astuto; e ciò, chiaramente, mi ha fatta infuriare.
«Io ti giuro, Mechka, o Yuri, o come diavolo preferisci che ti chiamino» l'ho minacciato allora, imbufalita «che, se ti azzardi a respingermi di nuovo, io ti affatturo  con la  mia stessa bacchetta!»
Lui mi ha guardata fissa per un secondo. Poi si è girato come una furia, ha chiuso di scatto la porta e mi ha raggiunta in due falcate.
«Zi da il caso» mi ha detto, stringendo appena gli occhi in un lampo di luce scura «che io no ha minima intentione di rhezpincere nessuno, perké qvesta è Rommi ke voghlio».
Bizzosa, melodrammatica  e spontanea, insomma. Al naturale. E con, all'attivo, quei quasi diciassette anni che fanno la differenza.
Tanta fatica per nulla, ohibò!...
Me lo sono ritrovato addosso in men che non si dica, con la forza di una folata di vento impetuosa; e se il tocco delle sue mani mi ha fatto ardere la pelle, quello delle sue labbra ha innescato il delirio.
Ecco: per riserbo, non mi dilungherò in descrizioni troppo dettagliate; sappi solo, Caro Diario, che il ricordo di quanto è avvenuto in seguito mi accende le viscere al solo pensiero.
Le mani di Mechka hanno lunghe dita, un po' callose ma agili e delicate come ali d'uccello. Dita che mi si sono annidate fra i riccioli, strattonandoli piano; dita che mi si sono insinuante sotto le spalline del vestito, facendomelo scivolare a terra; dita che mi hanno accarezzata, facendomi fremere di desiderio e piacere; dita che, ad un certo punto, sono scese oltre l'elastico delle mie ardite mutandine (rosse: e questo dettaglio, però, lo ha apprezzato, eccome se lo ha apprezzato, il puro di cuore) in cerca di qualcosa - e quando questo misterioso qualcosa è stato trovato, io ho visto le stelle e ho soffocato a stento un urlo.
«Rommi» ha ansimato Mechka sulle mie labbra «io ti defo... defo dire te, kosa molto importante...»
L'idea di starlo  ad ascoltare non mi è passata neppure per l'anticamera del cervello. 
«Non adesso» ho decretato, volitiva, tappandogli la bocca con la mia - e, beh: l'aver baciato, nell'ultimo anno, decine e decine di ragazzi deve aver proprio giocato a mio favore perché, nel giro di un minuto, Mechka è definitivamente capitolato. Imperterrita e impertinente, gli ho letteralmente strappato di dosso quel poco che ancora lo celava al mio sguardo; e un'unica occhiata, nonostante tutta la mia imbarazzante inesperienza, mi ha rivelato un corpo maschile più che pronto e desideroso di proseguire - e al diavolo l'arte della buona conversazione.
Mi sono adagiata sulla scrivania e me lo sono trascinato addosso, beandomi del contatto con la sua pelle calda e del tocco morbido ed impetuoso dei suoi baci.
E quello che è avvenuto dopo... ah, quello è stato anche meglio.
 
 
 
Note generali.
Clara Ivanova è una Cacciatrice bulgara, unica strega della squadra, presente alla finale del 1994. Vulchanov è, invece, uno dei due Battitori. Da quanto sappiamo, Viktor e Hermione si scrivono, da buoni amici, quindi presumo che lei sia, a grandi linee, al corrente della situazione. Per quanto riguarda l’aspetto fisico del nostro Mechka, lungi dal disdegnare l'attore scelto per interpretarlo nei film, devo dire che io lo immagino più come è descritto nei libri, e cioè alto e, nonostante la sua forza, piuttosto magro, con la pelle olivastra e il naso aqulino (ereditato, se non sbaglio, dal padre).
 
Note sulla storia.
Okay, lo ammetto... mi sono lasciata prendere la mano - o, come dice Mau, mi è scattato il rating, anche se poi, con molto sforzo, sono riuscita a mantenerlo piuttosto basso (credo). Come spesso accade, in fase di revisione ho aggiunto un po' di dettagli che hanno allungato il brodo, e così ho deciso di spezzare in due parti l'estate 1997 per non sforare le 10 pagine. Almeno gli lascio un po' di gioia, ai due fringuelli... anche perché (spoiler), in breve, una certa verità verrà a galla (Viktor ci ha pure provato, a confessare, ma non era proprio il momento) e ci sarà un bel po' di trambusto.
Grazie di cuore a chi persevera nella lettura!

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Capitolo 4
*** 1997-1998 ***


Diario di una Groupie.
1997-1998

 
 
 
Krapets, Bulgaria, estate 1997 (II° parte)
 
Lo so, Caro Diario, lo so: ultimamente, ti trascuro tantissimo.
Ma tu lo sai, vero, che non è per cattiveria?
E che la mia latitanza si deve a motivi molto, molto importanti?
Ah, Diario Mio: in mio cuoricino trabocca di allegria. Lascia, quindi, che ti racconti qualcosina.
Quel primo tentativo sulla scrivania, seppur forse non comodissimo, è stato... sublime. Fosse per me, le cose potrebbero ripetersi tali e quali ogni volta, ecco. Però, dal momento che “la vita è bella perché è varia”, io e Mechka abbiamo tacitamente deciso di ricorrere, con grande creatività (dettata, il più delle volte - sarò onesta -, da un’assoluta incapacità di trattenersi), a locations diverse, dalle più ovvie - come un letto, ad esempio - alle più fantasiose, in base alla disponibilità del momento: la duna, il molo, il prato, il fondo della barca tirata a secco, la carena della barca rovesciata... no, per motivi di sicurezza la scopa no, anche se a dire il vero, a me, la cosa non dispiacerebbe. Su questo spcifico punto, però, Mechka è stato categorico.
E va beh.
Tutto questo preambolo per dirti, Caro Diario, che io e lui siamo ormai inseparabili, indistricabili, attualmente impossibilitati a toglierci reciprocamente le mani di dosso e... felici.
Io e Mechka siamo maledettamente felici.
 
Le mie colazioni non sono mai state così veloci.
Un caffelatte, un dolcetto preparato da papà e via; non mi si vede più fino a sera. Non che, le scorse estati, le cose andassero in modo molto diverso. Ma adesso... beh, adesso è tutta un’altra cosa. Perché è vero, trascorrere le giornate insieme a Mechka è sempre stato bello, però è indiscutibile che ora esistano vantaggi extra.
Fra i quali, chiaramente, va annoverato il Lato B della giornata, quello segreto, del quale siamo a conoscenza soltanto noi due (e te). E che, in parole povere, consiste in questo: la sera, all’ora stabilita, mi presento puntualmente all’hotel per cenare con mamma. Mi trattengo per qualche ora con lei e poi, quatta quatta, raggiungo la mia stanzetta in solaio, laddove Mechka, paziente, mi aspetta seduto sul tetto, proprio accanto al lucernario.
La metà delle volte mi limito semplicemente a farlo entrare, perché addormentarsi l’una accanto all’altro è diventata una priorità irrinunciabile; l’altra metà, invece, salgo dietro di lui sulla vecchia Tinderblast, gli cingo i fianchi con le braccia (lui posa sempre una mano sulle mie, mentre voliamo), accosto la guancia alla sua schiena e via, mi godo il vento notturno nei capelli mentre facciamo ritorno alla caletta per dormire nella sua casetta di ciottoli e conchiglie.
 

 
Caro Diario, è appena successa una cosa che... ma andiamo con ordine (o, per lo meno, proviamoci).
Dunque.
Nessuno meglio di te sa quanti chilometri di pergamena e quanti litri d’inchiostro io abbia sprecato, nel corso degli anni, per scrivere lettere fanatiche ai miei idoli del Quidditch: non esagererei se affermassi che, per sostenere quest’immane attività scrittoria, ho investito l’equivalente ad un piccolo patrimonio.
Ecco.
Altrettanto bene, credo, tu sai che l’investimento a nulla è valso, e che nessuna, nessuna di tutte quelle numerosissime lettere ha mai ricevuto risposta; né dai Broadmoor, né da Horton, né da Lynch e ovviamente, men che meno, da... Viktor Krum. Il quale, tanto per aggravare la situazione, si è sempre
 scrupolosamente sottratto al mio sguardo – non importa quante riviste, poster, foto pre-autografate, quadernetti e quant’altro io mi ostinassi a comprare: quel benedettissimo ragazzo (che pure, fra un mugugno e l’altro, Mechka ha definito più di una volta “una brava persona” – e se lo dice lui, io ci credo) si è sempre, sempre nascosto, tanto che, probabilmente, io sono la sua unica ammiratrice, a livello mondiale, che lo venera semplicemente sulla fiducia.
Insomma: tu immaginerai la mia assoluta costernazione quando poco fa, alle prime luci dell'alba, rientrando di soppiatto nella mia cameretta dopo essermi accomiatata da Mechka, ho trovato un messaggio di mamma infilato sotto la porta:
Romi, è arrivato un gufo per te. Non ti volevo svegliare.
E, fissato al suo bigliettino con una graffetta, un piccolo plico di pergamena grigina con un vistoso sigillo di ceralacca verde e rossa.
Quando l’ho aperto, mio Caro Diario, sono rimasta letteralmente a bocca aperta.
 
Gentile signorina Vane (c’è scritto a macchina, in un inglese assolutamente impeccabile) sto approfittando del tempo libero per rispondere alle gentili missive inoltratemi dai miei tifosi. Non volendo fare torto a nessuno, vorrei anzitutto scusarmi per il ritardo; spero lei capirà che, purtroppo, la lista d’attesa è piuttosto lunga. In ogni caso, avendo appurato che lei, nel corso degli anni, mi ha mandato svariate lettere, credo di doverle un ringraziamento speciale. Così dato che, secondo fonti sicure, so che lei si trova attualmente in Bulgaria, le vorrei proporre di incontrarmi domani, 21 luglio, alle ore 19.00 presso il Faro Magico di Krapets per una chicacchierata fra amici.
Con affetto e stima,
Viktor G. Debeljanov Krum
 
Ecco, Caro Diario.
Credo di non essermi ancora ripresa dal colpo.
Perché non avrei mai pensato di arrivare a pensare una cosa simile, ma tant’è: questo invito inaspettato non mi ha resa felice, non mi ha esaltata, non mi ha fatto battere il cuore. Niente di tutto questo.
Eppure, in questa risposta, ci ho sperato così tanto, e così tante volte. Vedermela recapitare ora, proprio ora che dentro di me, di spazio per cose come queste, non ce n’è più, mi sembra una specie di scherzo del destino.
 
Londra, agosto 1997
 
La vita è una palude di fiele.
Come vedi, Caro Diario, mi trovo a casa. A Londra.
Dalla Bulgaria me ne sono andata già da qualche giorno (dal giorno seguente, cioè, al mio incontro con quel... ma aspetta, lasciami raccontare); non ce l’ho proprio fatta a restare. Tuttavia, date le circostanze, mi ci è voluto del tempo per cominciare a digerire (la metabolizzazione completa non avverrà mai, temo) l’accaduto prima di mettere mano alla penna.
Sappi solo – e stavolta non esagero, te l’assicuro – che la mia felicità si è sbriciolata nell’aere come gesso troppo calcinato. Perché guarda un po’ che cosa ho scoperto:
Mechka e Viktor Krum sono la stessa persona.
No, non sto delirando. È proprio così.
All’incontro propostomi da Krum, alla fine, ci sono andata; per pura curiosità, più che altro - e, soprattutto, fermamente intenzionata, nell’improbabile eventualità in cui lui si fosse comportato in modo sconveniente, a fargli presente che il mio cuoricino già appartiene ad un altro.
Avevo anche deciso che, dopo qualche decina di minuti, me ne sarei andata, e che avrei raggiunto Mechka per dichiarargli a chiare lettere quanto provo nei suoi confronti – cosa che fintanto, un po’ per timidezza e un po’ per avversione alla smanceria zuccherosa (proprio io, parlo! Ma con lui è diverso, Caro Diario: ormai l’avrai capito) non avevo mai avuto il coraggio di fare.
Vabbè.
 
Avvicinandomi al faro, ho scorto in lontananza una sagoma maschile vestita di rosso. 
Capelli corti e scuri, pelle olivastra, profilo affilato, spalle leggermente spioventi. Nonostante si trovasse girato di tre quarti, l’ho subito trovato familiare; e infatti, una volta raggiuntolo, il mistero si è risolto da solo.
«Mechka!» ho esclamato, un po’ sorpresa di ritrovarmelo lì ma assai contenta di vederlo.
Perché lui, in realtà, era al corrente dell’incontro: io glielo avevo raccontato subito, al puro scopo di evitare fraintendimenti; e lui si era limitato a sorridere, per nulla contrariato, ma non aveva manifestato alcuna intenzione di accompagnarmi. (“Aspettami in casa: appena ho finito, vengo da te per dirti una cosa importante”. “Okkey, pella”).
«Zdraveĭte, Rommi» mi ha salutata lui.
Io ho allungato il collo.
«E il tuo amico Krum, dov’è?» gli ho chiesto, incuriosita.
«Io ha detto lui girare largo» ha sorriso lui, fingendosi feroce. «Che tu, già impegnata».
«Scemo».
L’ho raggiunto e mi sono seduta vicino a lui sulla base del faro, per ammirare la bellezza del paesaggio.
«Ecco, per dire fero» ha continuato lui dopo qualche minuto «Esserci kosa ke...»
L’arrivo improvviso di una famigliola di turisti (mamma, papà e due figlioli) l’ha interrotto nel bel mezzo della frase; e quanto è avvenuto dopo è stato... il finimondo.
Non appena hanno avvistato Mechka i due ragazzini, incuranti dei richiami dei genitori (“Iván! Dimitar! Lasciate in pace il signore!”), gli si sono letteralmente lanciati addosso urlando come degli ossessi indemoniati:
«Viktor Krum! È Krum! É Krum!»
«Viktor Krum! Un autografo, la prego!»
Da un secondo all’altro, in uno schiocco di dita, i miei occhi si sono aperti.
E finalmente, dopo anni trascorsi a negare tutta una serie di indizi a dir poco cristallini, il mio inconscio è stato costretto ad issare bandiera bianca e ad arrendersi all’evidenza. All’evidenza di essere stata raggirata, per tanto tempo, come la più stupida delle stupide.
Allora, semplicemente, mi sono alzata e me ne sono andata.
Lui ha piantato in asso i mocciosi e mi è corso dietro.
Io l’ho aggredito.
Non riporterò qui tutto quello che gli ho vomitato addosso, né tenterò di descriverti come mi sono sentita (e ancora mi sento).
Fa troppo male.
 
Hogwarts, anno scolastico 1997-1998
 
Caro Diario, credo ti sarai accorto che, ultimamente, non ti ho più scritto una riga.
Perdonami, ti prego.
La situazione qui a scuola, purtroppo, non è tale da potersi permettere di annoverare, all’interno delle dinamiche quotidiane, alcun tipo di svago. Mi trovo ad Hogwarts da quasi due mesi... e niente è più come prima.
Siamo in guerra, Diario Mio.
Ogni giorno, attraverso canali improvvisati e complicati giri di parole (i gufi, tanto in entrata quanto in uscita, vengono sistematicamente intercettati e, se necessario, censurati) apprendiamo che, fuori di qui, la situazione è a dir poco critica.
L’affermazione del Regime ha scatenato un continuo susseguirsi di persecuzioni ai dissidenti, di cacce ai Nati Babbani, di ritorsioni sulle famiglie di chi tenta di opporsi.
Mamma e papà, a fine estate, hanno deciso di rimanere in Bulgaria; immaginerai quanto io sia sollevata sapendoli laggiù, al sicuro. Le loro convinzioni politiche, di sicuro, non sarebbero state loro propizie...
Ah, Merlino caro; che situazione.
Inutile dire che il riflesso di congiunture così disastrose si avverte, forte e chiaro, anche qui dentro. Demelza, Dean, Colin e tutti i provenienti da famiglie non magiche non sono tornati a scuola, a settembre, e chi si trova qui ha dovuto imparare a cavarsela.
 
Grazie all’impegno della Weasley, della Lovegood e di Paciock, la Resistenza interna si è organizzata velocemente, ma dobbiamo stare attenti, perché le punizioni dei Carrow (i nuovi direttori) sono... tremende. Proprio l’altro giorno la Abbott ci ha riferito che Macmillian, che era stato sorpreso in pieno coprifuoco mentre tentava di inviare un gufo clandestino a non so chi (probabilmente a Finch-Fletchley, suo grande amico), è tornato in Sala Comune con la schiena interamente ricoperta di scudisciate sanguinolente e dall’aspetto dolorosissimo.
Paradossalmente, tutti noi ci impegnamo il più possibile a mettere i bastoni fra le ruote al sistema; ciascuno fa la sua parte, in base a ciò che gli riesce meglio. Anche i Direttori e il resto del personale della scuola, quando possono, ci danno una mano; ma loro devono stare anora più attenti perché, essendo adulti, rischiano il doppio di noi. Non più di una settimana fa, il professor Lumacorno ha salvato in corner Finnigan, mentre questi sgattaiolava fuori dalla presidenza dopo aver lasciato, nascosto sotto le braci del caminetto, un pacchetto di Polvere Pirica Lepricanica.
Immaginerai il casino che si è scatenato qualche ora più tardi, e cioè quando, a fine giornata, la cara Alecto è salita per farsi un tè.
 
La vendetta si è fatta attendere, ma alla fine è arrivata.
Oh, se è arrivata.
Impossibilitata a risalire al vero colpevole, la Carrow ha letteralmente sparato alla cieca. Stamattina, in pieno orario di lezione, due rappresentanti di ciascuna Casa sono stati convocati in Presidenza: Smith e Jones, Patil e Goldstein, Greengrass e Pritchard, io e Peakes. Astoria e Graham, i due Serpeverde, sono stati rilasciati quasi subito; probabilmente, per rispetto nei confronti delle loro famiglie. Entrambi avrebbero voluto rimanere, ma a nulla sono valse le loro proteste: poco dopo, infatti, si trovavano di nuovo nelle rispettive classi.
E quanto a noialtri...
Ah, Caro Diario.
Non mi va di descriverti per filo e per segno la punizione che ci è stata inflitta. Dirò solo (rischiando di suonare tremendamente lapalissiana, lo so), che si è trattato di una sessione lunga e molto, molto dolorosa.
Quando sono tornata in camera era notte fonda, ormai. Le mie compagne, preoccupatissime, mi aspettavano sveglie in Sala Comune; io, però, mi sentivo talmente spossata che le ho salutate appena, ho tirato dritto, ho raggiunto il dormitorio, mi sono buttata sul letto ancora vestita e ho chiuso le tende del baldacchino per leccarmi (letteralmente) le ferite in solitudine.
E mentre me ne stavo lì, infilata sotto le coperte ad abbracciarmi le ginocchia e ricacciare indietro le lacrime e tremare di freddo e di indignazione, ho captato, con la coda dell’occhio, un movimento veloce.
Ho tirato su la testa...
... ed eccolo lì, ad occupare, per la prima volta, quel riquadro di carta ancora appeso (per abitudine, più che altro) sopra il mio letto; qul poster che, per tanti anni, non mi ha restituito altro che l’immagine di un cielo cupo, nuvoloso e talvolta percorso da saette pulsanti, così simile ad una finstra in un giorno di temporale.
Mechka (o meglio: Viktor Krum), perfettamente visibile nel suo sgargiante uniforme rosso rubino, ha eseguito un paio di rapide giravolte a cavallo della sua Firebolt Thráki [in bulgaro, “Tracia”, la provincia romana cui corrisponde l’attuale Bulgaria, N.d.A.] e poi, zigzagando, si è avvicinato al bordo. Non mi ha detto niente - perché le fotografie, al contrario dei quadri, non parlano; eppure, lo sguardo che mi ha rivolto è stato più eloquente di mille parole.
C’era commozione, nei suoi occhi scuri e nobili da rapace. C’era preoccupazione. C’era tristezza.
Soprattutto, però, c’era un messaggio ben chiaro. Un pensiero la cui disarmante sincerità mi ha scossa nel profondo facendo sgorgare tutte le lacrime che, fintanto, avevo strenuamente trattenuto.
“Sono con te, Rommi”.
E non se n’è più andato.
 
Quanto sono stata sciocca, Diario Mio.
L’ho accusato di avermi ingannata, e in effetti così è stato; eppure, a voler guardare bene, non aveva forse un briciolo di ragione anche lui?
«Folevo piacerti per qvello ke sono» mi ha detto quella sera, mentre io lo accusavo a gran voce.
Io me la sono presa a morte; mi sono sentita tacciata di insulsaggine e leggerezza. Come se, giustificandosi in questo modo, Mechka volesse imputarmi una deplorevole incapacità di assorbire valori profondi.
Ma non sono sempre stata un po’ così, in effetti?
Non mi sono sempre premurata di mostrarmi – spesso anche in sua presenza - disinvolta e futile, smaliziata e superficiale, attratta dal successo, dalla fama e dai muscoli come... come una perfetta groupie del Quidditch?
Oh, sì; Mechka, in me, ha visto molto altro.
Ha messo da parte la diffidenza, ha imparato a volermi bene ed è riuscito... a farsi amare.
Senza fama, senza galeoni, senza Firebolt. Senza tuta purpurea, senza medaglie.
È riuscito a farsi amare per quello che era.
Schivo, laconico, a volte goffo; eppure premuroso, limpido, con un cuore grande così.
Ma Viktor Krum, perseguitato a vista da legioni di fan impazzite e da esse tormentato fino allo sfinimento - quel Viktor Krum che, per riuscire a starsene un po’ tranquillo, trascorre le sue estati segregandosi dal resto del mondo -, ha avuto paura.
E del resto, come dargli torto?
Obiettivamente: se io lo avessi conosciuto nei panni di Viktor Krum, sarei riuscita a conoscerlo così bene, e a vedere in lui ciò che vedo ora?
Ah, se solo potessi chiedergli scusa.
 
Ahiahi, Diario Caro... sono nei guai.
In preda alla smania, irrazionale e incontenibile, di ricucire in qualche modo lo strappo, ho agito (come mio solito) in maniera avventata; e presto, ahimè, ne pagherò le conseguenze.
Per fortuna che, in questa celletta angusta, posso consolarmi – almeno un pochino – scrivendo a te dato che da qualche settimana, in un raro scatto di lungimiranza, ho preso a portarti sempre con me, nascosto in un Sacchettino a Scomparsa Apparente, per paura di un’ispezione a sorpresa nel mio dormitorio (ci sono troppi nomi, troppe informazioni in queste pagine: meglio non correre rischi).
Dicevo: sono nei guai.
Per giorni sono stata punta dal desiderio quasi disperato di scrivere a Mechka (Viktor, ecchecca**o!) per chiedergli perdono; però, nell’impossibilità di mandargli un gufo (ormai le procedure autorizzative sono complicatissime e prevedono, peraltro, una fedina penale pulita – che io, come ben sai, non ho), non sapevo proprio come fare.
Mi sarei arrovellata fino allo sfinimento se per puro caso, durante una riunione segreta nel dormitorio dei ragazzi del settimo anno, l’occhio non mi fosse caduto su una fotografia appartenente a Potter e da lui abbandonata sul comodino; un’immagine risalente ai tempi della finale di Coppa del Mondo del 1994, ritraente un Viktor Krum col naso fratturato e gli occhi da panda intento a stringere, fra tre dita della mano destra... il Boccino d’Oro.
La consapevolezza dell’accaduto mi ha colpita come uno schiaffo.
Sono saltata in piedi come punta da un Fiammagranchio; e a Neville che, un po’ preoccupato, mi ha subito chiesto che cosa diavolo avevo, ho indirizzato un criptico e frettoloso devo andare.
Mentre correvo su per le scale della Torre di Astronomia – la più alta di tutte -, incurante del coprifuoco e dei rischi ad esso annessi, non riuscivo a smettere di pensare.
“Per me. L’ha catturato per me”.
 
I Boccini hanno memoria tattile.
Lo sanno anche i sassi.
Una volta raggiunta la piattaforma di osservazione mi sono strappata via dal collo la catenella, dalla quale ho sfilato, con grande delicatezza, la mia piccola biglia dorata – quella che, nonostante tutto, non ho mai avuto il coraggio di gettare via. Poi ho estratto la bacchetta e l’ho brandita:
«Engorgio!»
La biglia ha riassunto le dimensioni originali. Ed eccolo lì, davanti ai miei occhi abbagliati, il Boccino autentico, quello della Finale del 1994; quello che, alla faccia di tutti i magicollezionatori che, disperati, ne cercano disperatamente le tracce da anni, è sempre stato con me.
Cercando di fare in fretta ho evocato un pezzettino di pergamena, ci ho scribacchiato sopra quanto avevo da scrivere, l’ho bucato e l’ho assicurato alla catenella, che ho poi riinfilato nel gancetto del Boccino.
«I Boccini hanno memoria tattile» gli ho ripetuto a mezza voce, mentre lui dispiegava pigramente le alucce. «Trovalo. Ti prego».
E mentre le raffiche di vento gelido mi frustavano i capelli, depositandomi nei riccioli piccoli frammenti di neve e di ghiaccio, la sferetta ha prima preso a ronzare sommessamente; poi, dopo un paio di frulli d’ala frenetici, ha preso il volo e si è allontanata zigzagando nella notte, portando con sé il mio messaggio:
Perdonami.
Ho fatto per girarmi e tornare al dormitorio, ma la voce rasposa di Alecto Carrow mi ha congelata sul posto.
«Non si azzardi a muovere un passo, signorina Vane. È già abbastanza nei guai così com’è, gliel’assicuro».
E così, ora, non mi resta che attendere.
La professoressa McGranitt ha tentato in tutti i modi di trarmi d’impaccio (“Suvvia, Amycus: la signorina Vane è un’animella sciocchina e romantica: stava solo scrivendo al fidanzatino!...” – e grazie per il tentativo, eh, Minerva), ma non c’è stato niente da fare: secondo il nuovo Decreto Didattico, infatti, il Reato di Comunicazione Clandestina è considerato gravissimo, e va punito con la massima pena applicabile in contesto scolastico.
Che non so esattamente quale sia... ma forse, ecco, preferisco non saperlo.
 
Krapets, Bulgaria, febbraio 1998
 
Caro Diario,
il Mar Nero, d’inverno, ha proprio un fascino particolare.
Riabbracciare babbo e mamma, farmi coccolare dalle loro mani e dalle loro voci come quando ero piccola, trascorrere con loro lunghe serate davanti al camino, passeggiare in loro compagnia sullo spiaggione ventoso e deserto; tutto, alla luce dei fatti trascorsi, ha assunto un significato particolare e profondo.
Ci sono volute settimane affinché il mio corpo smettesse di tremare  e la mia mente cessasse di partorire incubi. La serenità ha fatto ritorno a poco a poco (non è ancora tornata del tutto, ma siamo sulla buona strada nonostante la preoccupazione per i miei amici, lassù in Inghilterra, continui ad assillarmi senza sosta), grazie alle cure premurose elargitemi dai miei e dalle byureks cucinate con tanto amore da papà.
Non appena mi sono sentita pronta, comunque, ho dispiegato il trafiletto di giornale locale che mamma ha conservato per me e che, fin dal mio arrivo, attendeva paziente sul mio comodino.
 
Eroi nazionali - ho letto, dopo aver apposto un Incanto Translator – e non solo entro i confini del campo ovale. Grazie all’intervento tempestivo dei nostri beniamini - Vikor Krum, Clara Ivanova e Nikolay Vulchanov -, la vita di una giovane strega londinese è stata risparmiata. I genitori, commossi, l’hanno riabbracciata stamane presso il Georgiano di Krapets.
«Erano settimane che tentavamo una toccata e fuga clandestina sul territorio britannico, ma tutte le entrate ci erano precluse, perché le frontiere inglesi sono sigillate» ha dichiarato Ivanova ai nostri reporter. «Per fortuna, dopo l’ennesimo tentativo, Yuri (V. Krum, N.d.R.) ha ricevuto un messaggio tramite un oggetto magico che, in seguito, ci ha mostrato la via».
L’identità dell’oggetto magico in questione non è stata resa nota.
Sta di fatto, comunque, che, non fosse stato per l’azione del trio, Romilda Vane, 17 anni, studentessa presso la Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts se la sarebbe vista assai brutta.
Non è la prima volta, ormai, che ci giungono notizie circa i metodi punitivi assai poco ortodossi che, in seguito all’instaurarsi del Regime, vengono puntualmente inflitti agli studenti dell’istituto inglese. Approfittiamo di questo articolo per reiterare il nostro ripudio nei confronti di tali pratiche, che consideriamo aberranti.
 
Io, di quei momenti, ricordo poco; forse perché, quando Mechka e gli altri hanno fatto irruzione attraverso la finstrella della torre, la punizione era già cominciata.
Ricordo soltanto il fragore dei vetri in frantumi, le esclamazioni dei Carrow e le urla di Clara, in quel momento più simile ad un’arpia terrificante che ad una donna irresistibile, mentre questa si scagliava contro Alecto. E ricordo l’espressione spaventosa di Mechka nel vedermi riversa sul pavimento, e di come il suo sguardo si sia fatto duro, e il lampo di luce nera che, fuoriuscito dalla punta della sua bacchetta, è andato a sbaragliare la fattura di Amycus Carrow.
Ecco: se mai dovessero chiedermi se, a Durmstrang, insegnano la magia oscura, penso dovrei rispondere di sì.
Colpito in pieno petto, il professor Carrow è stato sbalzato con violenza contro la parete opposta.
E... ecco, è strano dirlo trattandosi di lui, ma credo anche che, se non fosse stato per Vulchanov - che lo ha prontamente richiamato all’ordine -, Mechka lo avrebbe ammazzato. Non credo di averlo mai visto in quello stato e, francamente, spero proprio che la cosa non si ripeterà.
I miei salvatori mi hanno raccattata alla bell’e meglio, proprio mentre i Marchi Neri dei fratelli Carrow cominciavano a pulsare per chiamare a raccolta i loro loschi compari, prontamente accorsi qualche istante dopo.
Alcuni di loro hanno anche tentato di seguirci, ma diciamocelo pure: che cosa possono fare dei miseri sbuffi di fumo nero contro delle sfolgoranti Firebolt professionali? Beh: oltre che mangiare polvere atmosferica, niente di niente.
E per fortuna, direi.
 
Ritrovare Mechka è stato...
Beh, innanzitutto devo proprio ammetterlo: non mi sono ancora abituata a chiamarlo Viktor; e forse, chissà, non mi abituerò mai.
Comunque.
Quando mi ha vista fare capolino oltre il promontorio innevato, il mio controverso ragazzuolo ha abbandonato il tepore della sua dimora invernale e mi è venuto incontro. Non mi ha detto niente, limitandosi soltanto a stringermi forte, accostare la fronte alla mia e affondare le dita fra i miei riccioli indurtiti dal gelo.
Poi, tenendomi per mano, mi ha portata dentro.
«Mio nome è Viktor» mi ha detto, non appena il suo infuso caldo di erbe ha cominciato a colorirmi le gote. «Viktor Georgi Debeljanov Krum. Per amici, Yuri. Nato a Sofia, in 10 agosto 1976. Amo Qvidditch, molto. Da qvando pampino. Odio popolare. Mio colore preferito: rosso rubino, come di tua Casa, e di mia Nationale».
Il racconto è andato avanti a lungo e ha toccato, più o meno, tutti i punti per lui importanti; ed io, per una volta in silenzio (perfettamente contraltante con la sua inedita parlantina), l’ho ascoltato fino alla fine, senza interromperlo mai.
«Io zpagliato non dire te, Rommi» ha concluso, dopo svariate ore di seduta.
A quel punto, io mi sono sentita in dovere di intervenire.
«Ma io ho capito perché l’hai fatto» l’ho rassicurato, tendendo una mano per intrecciare le dita alle sue. «E da sbagliatrice seriale, ti dico: capita a tutti di fare errori».
Lui mi ha rivolto un sorriso puntuale, un lampo affettuoso nei suoi occhi severi.
«Kosa puona è ke no tutti errori sono male» ha commentato, stringendomi a sua volta la mano.
Io gli ho rivolto un’occhiata incuriosita.
«Qfasi sei anni fa» ha replicato lui – e stavolta il suo sorriso si è aperto davvero, come un raggio di sole che squarcia le nuvole - «io ha dimenticato riattivare Incanto Fidelius, su mia caletta, su qui. È stato errore; però, se io avessi ricordato fare... » e mi è venuto vicino, per scostarmi delicatamente i capelli dal viso «no avrei mai conosciuto mia Musa.».
 
Che le sue labbra avessero un buon sapore, me lo ricordavo.
Ma che fossero proprio così tanto buone...
Ah, per Godric Santissimo!
Io giuro, qui ed ora, che se, da qui in avanti, una di quelle luride groupies (quelle svergognate!) osa mettergli gli occhi addosso... l’affatturo all’istante!!



Note.
Ed eccoci giunti alla fine...
Per prima cosa, ringrazio di cuore tutti coloro che hanno seguito questa breve storia fino alla fine, senza scandalizzarsi troppo per il carattere della nostra cara Romilda. Che fosse un personaggio parecchio sui generis lo avevamo capito anche dai libri, però ecco, spero di non averla esasperata in modo esagerato. A sua discolpa, e andando a ledere ciò che resta della mia reputazione, posso dire di avere attinto a piene mani ai passi meno lusinghieri dei miei diari adolescenziali - e di essermi divertita molto nel farlo (e anche parecchio vergognata, ma se lo scopo principale era quello di ridere un po'... beh, posso dire di averlo raggiunto in pieno).
Non so se questo capitolo finale risulta all'altezza delle aspettative. Per non farlo stridere troppo con il tenore generale della storia, ho deciso di non calcare troppo la mano sul clima cupo del periodo 1997/98 in Inghilterra (e ho volutamente interrotto la narrazione prima della Battaglia, per evitare di proporne l'ennesima versione. Battaglia alla quale, ne sono sicura, Romilda e Viktor parteciperanno - ma questa parte di storia la lascio ad altri). Però, ecco, per forza di cose un minimo di contestualizzazione dei fatti ci voleva, o il tutto sarebbe risultato fin troppo avulso. Spero proprio di non aver fatto un casino.
Il caro Viktor, devo dirlo, si è conquistato un posto speciale nel mio cuoricino. Immaginarlo che, qualche giorno dopo il fattaccio, si reca al matrimonio di Bill e Fleur con il chiaro proposito di sfogare l'incazzatura (senza alcun successo, peraltro) mi ha fatta ridere tantissimo.
E questo è quanto... grazie mille ancora, e alla prossima! AdhoMu, luglio 2020

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