L'ultimo Codice {Fourquel di Benvenuta nella radura}

di Stillintoyou
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 21 ***
Capitolo 22: *** Capitolo 22 ***
Capitolo 23: *** Capitolo 23 ***
Capitolo 24: *** Capitolo 24 ***
Capitolo 25: *** Capitolo 25 ***
Capitolo 26: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Erano passati giorni e giorni da quando eravamo partiti per Seul.

Non ne avevo tenuto conto, e non volevo nemmeno farlo.

Temevo che se l'avessi fatto, tutta quella calma sarebbe scemata, rivelandosi essere solo un sogno e niente di più.

L'unica cosa che sapevo, era che Jorge aveva fatto un giro molto più lungo del dovuto.

Mi sembrava di vivere in un mondo parallelo, dove al momento l'unica cosa che importava davvero, era riuscire a mantenere dei rapporti stabili con i propri compagni di viaggio.

Era buffo, ora che eravamo tutti insieme e relativamente lontani dai pericolosi radar della C.A.T.T.I.V.O. – o ciò che ne rimaneva – sembrava che la tanto amata e cercata libertà non ci desse poi tutta quella scarica di adrenalina che ci dava la sua ricerca.

Anche se ora eravamo liberi, non ci davamo comunque pace. Non per tutto il giorno almeno, l'unico momento di tranquillità, era quando poggiavamo la testa sul letto per dormire.

O almeno, questo valeva per noi “giovani”, ma non per Jorge.

Lui guidava tutto il tempo, e sembrava non volersi prendere una pausa nemmeno di cinque minuti.

Gli unici momenti in cui si staccava dalla guida del mezzo, era per andare in bagno.

Dormire? No, mai, era diventato caffè dipendente, e mi chiedevo se a lui stesse veramente bene così.

Non voleva nessuno di noi in cabina, eccetto Huan, che ci stava impiegando più tempo del dovuto a decriptare i file scaricati da Nathan.

Non voleva distrazioni, ma solo guidare, così da raggiungere Seul il prima possibile.

Huan non era un peso, e non lo distraeva. Anzi, era perennemente attaccato al computer, e gli faceva praticamente da navigatore. Gli indicava le zone sicure, quelle dove non c'erano radar o il rischio di incombere in qualche zona pericolosa. La prudenza non era mai troppa.

Ma Huan non era l'unico che lavorava.

Come ho detto prima, nessuno di noi si dava pace.

Newt, per esempio, era ancora sul piede di guerra, e passava gran parte del tempo seduto al tavolino assieme a Thomas, Teresa e me, in cerca di progettare una creatura ben più temibile dei dolenti, o di qualsiasi altro essere mai stato creato in quell'inferno in terra.

Minho, invece, da quando eravamo partiti in cerca di Evangeline, sembrò essersi totalmente spento.

Come se qualcuno avesse premuto in bottone... mai, prima d'ora, avrei pensato che potesse esistere un modo per spegnere la fiamma di iper attività del mio migliore amico.

Sebbene per la maggior parte del tempo era silenzioso, tanto da non accorgerci della sua presenza in stanza, c'erano alcuni momenti in cui diventava suscettibile, e rispondeva male alla domanda anche più innocua.

Rimaneva seduto per la maggior parte del tempo, il che, per uno come Minho, era un'assurdità.

Era entrato in una sorta di stato ansioso, scattava ad ogni singola scossa della berga, ma cercava di fare finta di nulla.

Anche se non lo voleva ammettere, nonostante Minho fosse generalmente la persona più strafottente dell'opinione altrui e non temesse praticamente nulla, ora temeva l'abbandono.

C'eravamo resi conto che faceva di tutto per non rimanere solo, e noi cercavamo in tutti modi di stargli accanto, di tirarlo in ballo nei nostri progetti, di coinvolgerlo in qualche modo.

Ci faceva male vederlo così spento e sapere di poter fare veramente poco per lui.

Probabilmente, il fatto di vedere i propri migliori amici vivere le proprie relazioni in una maniera piuttosto tranquilla, non faceva altro che fargli sentire il vuoto lasciato dalla solitudine.

Quando scendeva la quiete, quell'attimo prima di addormentarci e mettere a riposo la mente, Newt e Thomas osservavano silenziosamente il comportamento di Minho, senza però farglielo notare o pesare. A quanto diceva Thomas, Minho passava ore ed ore a fissare un punto indefinito della berga, prima di addormentarsi. E questo, di certo, non giovava alla sua salute.

Newt non osava ipotizzare nulla, ma ogni volta che entravamo nel discorso, si mordeva nervosamente il labbro inferiore, rivolgendo all'amico uno sguardo preoccupato.

Anche senza che dicesse nulla, avevo capito che sospettava che Minho avesse contratto l'eruzione.

Quella possibilità mi faceva venire la pelle d'oca.

Per quanto quei comportamenti un po' lunatici in effetti dessero parecchio da pensare, noi sapevamo che non poteva succedere. Minho era immune, e lo sapevamo per certo.

Eppure, qualcosa in lui non andava.

 

Fu un brusio fastidioso a svegliarmi. Insolito, come se qualcuno stesse graffiando la superficie della berga con delle unghie appuntite.

Era tutto buio, eccetto per una piccola luce posizionata in fondo alla stanza, nell'angolino, così da non infastidire nessuno.

Ero già pronta ad accusare Thomas per quel suono fastidioso, ma ragionandoci bene, non poteva essere lui: era un suono esterno.

Il braccio di Newt era saldamente legato attorno alla mia vita, il suo respiro mi sfiorava il collo in modo delicato.

Eppure, qualcosa non andava. Per quanto il mio sonno fosse pesante, quel suono era fin troppo fastidioso.

E poi, sentivo le voci di Huan e Jorge provenire dalla cabina del pilota nonostante non stessero gridando.

Forse per via del silenzio notturno le loro voci si sentivano molto più forti di quanto dovrebbero essere.

Lentamente, facendo attenzione a non svegliare Newt, mi spostai fino a scendere giù dal letto.

‹‹ Dove vai? ›› mugugnò Newt.

A quanto pare, però, il mio tentativo di non svegliare il ragazzo, fallì miseramente.

‹‹ Di là ›› risposi sussurrando ‹‹ non preoccuparti, non sparisco ››

‹‹ Vorrei anche vedere, siamo a non so quanti metri d'altezza su una caspio di cosa che vola ›› ridacchiò sottovoce, poi si mise seduto sul materasso ‹‹ comunque, vengo con te ››

Annuii debolmente, poi, in punta di piedi, camminai verso il piccolo salottino improvvisato al centro della berga.

Ora che avevamo abbandonato la “camera da letto”, quel brusio sembrava essere sparito.

Newt accese la luce ed osservò Minho, che era sdraiato con i piedi rivolti allo schienale del divano.

Non fece una piega all'improvviso contatto con la luce, non si girò nemmeno per chiederci come mai eravamo ancora svegli.

Niente. Non disse assolutamente niente, ed io, di certo, non volevo forzarlo.

L'unica cosa che fece Newt, fu sedersi accanto a lui e guardarlo con un sorrisetto appena accennato.

Prima che potesse parlare, Minho si girò e gli sbuffò praticamente in faccia

‹‹ Fossi in te tornerei a letto ›› sussurrò Minho ‹‹ Pive ›› concluse.

‹‹ Ohw, dai, via quel broncio ›› rispose lui ironicamente, dandogli un pizzicotto sulla guancia.

E no, Minho non lo apprezzò, ma ruotò gli occhi verso il soffitto e si girò, dando le spalle all'amico.

Newt mi guardò con la coda dell'occhio, e la sua espressione, da giocosa che era, divenne preoccupata. Mi fece un cenno col capo, in una richiesta silenziosa di aiuto.

Così, mi passai una mano tra i capelli ‹‹ Minho, non hai una bella cera ››

‹‹ Sto benissimo, Beth ›› mentiva, e lo sentivo nel suo tono di voce. Non stava bene, stava da schifo.

Sapevamo tutti com'era fatto Minho, e vederlo così instabile era preoccupante.

Era come se si stesse abbandonando all'idea che ormai era tutto perduto, quando invece, finalmente, eravamo relativamente fuori pericolo.

Sospirai pesantemente, e prima che potessi parlare, sentii il pavimento mancarmi da sotto i piedi.

Il mio mento si schiantò contro il pavimento, provocandomi un forte dolore lungo il collo e i denti.

Fortunatamente non mi morsi la lingua.

Lo scossone che ebbe la berga fece spostare anche i mobili, e Minho era volato giù dal divano, cadendo sopra Newt, che imprecò a voce piuttosto alta – ed aveva tutte le ragioni di questo mondo –

Mi misi seduta a fatica, il pavimento continuava a muoversi ed i mobili ad essere sbattuti un po' ovunque. No, quello non era un buon segno.

Le spie rosse della berga cominciarono a lampeggiare, emettendo un rumore fortissimo che, per via dell'acustica del veicolo, rimbombava nelle pareti, facendo fischiare le orecchie in maniera fastidiosa.

‹‹ Ma che caspio sta succedendo?! ›› gridò Newt, sovrastando il rumore della sirena.

Minho si sforzò di rimettersi in piedi, ma traballava per via dell'instabilità del veicolo.

Thomas e Teresa ci raggiunsero, camminando poggiati alla parete che, in tutta quella situazione, era l'unica cosa di sicura.

Thomas teneva una mano poggiata sul naso, lasciando intendere che avesse tirato una facciata da qualche parte.

‹‹ Cos'è stato? ›› chiese Teresa, gridando anche lei.

Ma nessuno di noi sapeva darle una risposta.

Ci guardammo in faccia con aria confusa e preoccupata. Non sapevamo cosa stesse succedendo, ma sapevamo che non poteva essere niente di positivo.

Una turbolenza? Disattenzione da parte di Jorge?

La sirena smise di suonare, ma questo non ci fece sospirare di sollievo, considerando che, nel frattempo, Huan era corso al centro della sala.

Il suo volto era pallido, e respirava velocemente.

Gli occhi del ragazzo erano sgranati, e si guardava attorno in modo frenetico.

Tutti i mobili della stanza erano o ribaltati o spostati in punti totalmente differenti dalla loro posizione principale.

‹‹ State tutti bene? ›› chiese con un tono di voce balbettante, squadrandoci tutti dalla testa ai piedi come una mammina apprensiva. Si reggeva al muro, come se temesse che da un momento all'altro la berga avesse qualche altro sbalzo.

‹‹ Sì ›› risposi, dando una rapida occhiata ai miei amici.

Se escludevamo le facciate date al muro ed al pavimento, sì, stavamo bene.

Non avevamo nulla di rotto, infondo. Avevamo passato di peggio.

‹‹ Che è successo? ›› chiese Teresa, che ancora non aveva ricevuto risposta a quella domanda.

Huan sollevò lo sguardo al soffitto ‹‹ c'è una tempesta in corso, ed un fulmine ha colpito la berga, fortuna che questi cosi non esplodono così facilmente. Jorge sta cercando un punto abbastanza sicuro dove poter fare un atterraggio di emergenza per controllare che i motori non siano totalmente danneggiati ›› spiegò, ma appena finita la frase, le luci si spensero totalmente.

Ebbi un sussulto, ed un improvviso senso di vuoto d'aria m'intrappolò.

Da lì all'essere sbalzata in aria una seconda volta passarono veramente pochi secondi.

La sirena riprese a suonare, e l'unica luce visibile, fu quella rossa che lampeggiava.

Sentii chiaramente la berga incrinarsi, e Huan che gridava di provare ad aggrapparsi a qualcosa.

Ma come potevamo farlo, se ormai eravamo sbalzati come dei fantocci.

Sentii la mano di Newt che provava ad afferrare la mia, ma scivolò via come l'acqua tra le dita mentre il mio corpo sbatté contro il soffitto della berga.

Sembrava di stare in una scatola che rotolava giù dalle scale, con la differenza che quel posto era fin troppo grande, ed i mobili, non avendo più il pavimento stabile, si spostavano anche loro.

Nel panico, non vidi se qualcuno venne schiacciato o meno, ma sentii chiaramente il rumore di questi che sbattevano un po' ovunque, proprio come stavo facendo io.

Dall'adrenalina che avevo in corpo non sentivo nemmeno dolore, fortunatamente non avevo ancora sbattuto la testa.

L'unica cosa che sentivo era il mal di stomaco causato dal continuo volteggiare della berga e dal senso di vuoto d'aria.

La berga tremò ancora, come se stesse cercando di riavviare i motori, ma sembrò tutto inutile.

Non sentivo le voci di nessuno, e in quel buio spezzato solo da quella luce rossa, non riuscivo a vederli.

Feci leva con le braccia, o almeno, ci provai, ma la gravità mi teneva incollata a quella superficie fredda sulla quale ero poggiata.

‹‹ Quindi, questa è la fine? ›› pensai, ed accennai un sorriso tra me e me, pensando a quanto fosse ironica la cosa.

L' unica cosa che potevamo fare ora, era aspettare il momento dello schianto.

Un conto alla rovescia. E non passò troppo tempo.

Era strano, perché in un certo senso, ebbi quasi la piena consapevolezza di ciò che stava accadendo attorno a me, come se fossi esterna alla cosa e stessi guardando tutto con gli occhi di un semplice spettatore.

Provai a sforzarmi di perdere i sensi, o di trovare una sensazione di pace per potermi addormentare.

Non volevo sentire niente, volevo provare a dormire e, se proprio dovevo morire, farlo nel sonno.

Poco tempo, e poi, ecco il momento dello schianto. Il rumore assordante mi invase le orecchie, e la mia testa sbatté contro la parete.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Aprii di scatto gli occhi, prendendo una botta d'aria improvvisa.

I miei polmoni sembravano bruciare per quell'aria che li invase di colpo... o, per meglio dire, quel fumo e quella polvere.

La prima cosa che vidi davanti a me, fu il faccione di Thomas, improvvisamente rasserenato dal vedermi con gli occhi aperti. La mia testa era leggermente sollevata dalle sue mani.

Secondariamente, il mio sguardo vagò intorno, senza però riuscire a vedere nulla in particolare.

Era tutto sfuocato, ed il mio sguardo sembrava quasi andare a rallentatore.

Le mie orecchie fischiavano parecchio, la puzza di bruciato penetrava nelle mie narici assieme a parecchia polvere e fumo che pizzicava, ma niente di tutto questo era brutto quanto tutto il mio corpo che doleva in punti che non sapevo nemmeno di avere.

Inspirai profondamente, poi cominciai a tossire.

Mi sembrava di star sputando fuori della ghiaia, o qualcosa del genere, perché la mia gola raschiava come non aveva mai fatto prima.

E la cosa peggiore era che non riuscivo a smettere. Ogni colpo di tosse era come un colpo di martello lungo la spina dorsale, e pensai di lasciarci le penne considerando che non riuscivo a prendere un respiro in santa pace.

Quando la crisi di tosse mi passò, mi osservai attorno, di nuovo, ignorando – involontariamente – le domande di Thomas. Mi diedi un piccolo slancio con la schiena e, in breve, mi trovai a carponi sul terriccio. Mi sollevai lentamente sulle gambe, ed imprecai silenziosamente. Sentivo le scosse di dolore lungo tutto il corpo.

Ora riuscivo a vedere meglio le cose, e realizzai in breve tempo la gravità della situazione.

Thomas mi aveva trascinata fuori dalla berga, e forse era meglio così:

Il muso di questa era incrinato verso l'interno, i vetri della cabina del pilota completamente distrutti, il portellone era spaccato e a terra, i motori a fuoco... e non osavo immaginare cosa fosse successo all'interno.

In poche parole: era tutto distrutto.

Ero stupita del fatto che la berga, tutto sommato, non fosse messa tanto male esteriormente.

Per essersi schiantata al suono, era anche troppo intatta.

Non riuscivo a trovare un imprecazione adatta per quella visione.
Poi, sgranai gli occhi, realizzando che lì attorno, oltre me e Thomas, non c'era nessun altro.

Dov'erano Newt, Teresa, Huan, Minho e Jorge?

Apparentemente, eravamo completamente soli, e la cosa non mi piaceva affatto.

Cominciai a girarmi a destra e a sinistra più volte e velocemente, respirando ad una velocità che non credevo nemmeno fosse possibile.

Poi, Thomas mi fece girare verso di sé, e mi strinse in un abbraccio improvviso.

Mi sorprese, perché Thomas non era solito a mostrare affetto in quel modo.

Ma tremava come una foglia, e potevo giurare di aver sentito una sorta di singhiozzo. Tremava come una foglia.

Questo mi fece gelare il sangue, facendomi immediatamente presagire la risposta della domanda che ancora non avevo fatto. Eravamo soli, d'altronde... e questo era tutto un dire.

Ricambiai l'abbraccio, poi, e diedi due colpetti leggeri, che in teoria dovevano essere delle carezze.

Fino a quel momento non avevo mai riflettuto seriamente su quanto i miei abbracci facessero schifo. Ma Thomas non sembrò nemmeno farci peso, e sciolse l'abbraccio, storcendo le labbra.

Era pallido come un cadavere, ma sporco di terra e con qualche livido sul volto.

Le sue mani scivolarono sulle mie spalle, poi le strinse con forza.

In quel momento, notai anche i suoi occhi lucidi. Un po' per la preoccupazione, un po' per via del fumo. La sua espressione si fece seria, preoccupata, e mi scrutò dalla testa ai piedi.

‹‹ Stai bene, vero? È tutto okay? ›› la sua voce tremava, ma aveva l'aria di chi avesse un urgenza estrema di risposte.

‹‹ Sì, sto bene. Ho solo parecchio mal di testa, e dolori ovunque ›› risposi, poggiando una mano sul suo zigomo, dove un grosso livido aveva sostituito il classico colorito della sua pelle ‹‹ tu? ››

‹‹ è tutto okay, mi sono abituato a prendere colpi ›› rispose, ma il suo tono di voce era smorto.

‹‹ Bene così ›› mormorai, poi, col cuore in gola, presi coraggio per porgli la domanda che più stava a cuore.

Ma Thomas girò lo sguardo verso la berga, e m'interruppe ancora ‹‹ siamo nella sploff fino al collo. Quel dannato affare non potrà più partire ››

‹‹ Non lo possiamo riparare? ›› azzardai ‹‹ Magari J – ››

‹‹ Ripararlo è fuori questione ›› non mi lasciò nemmeno finire, ed ebbi la terribile sensazione che stesse evitando ampiamente di entrare nel discorso ‹‹ anche se Jorge, prima dello schianto, è riuscito a mettere “dritta” la berga così da evitare uno scoppio... Ma come vedi, non è finita ugualmente per il meglio ››

Non mi lasciò presagire niente di buono, ancora una volta.

Ma questo non poteva levarmi totalmente la poca speranza che mi era rimasta. Non potevo accettare gli aver perso tutti, un'altra volta... e magari, sta volta, in modo definitivo.

Non dopo tutto ciò che avevamo passato.

‹‹ Cosa possiamo fare, adesso? ›› provai a chiedere, inspirando profondamente – e pentendomene subito dopo, per via della tosse –

‹‹ Non ne ho la benché minima idea... temo che dovremo percorrere questa zona fino a Seul ››

‹‹ A piedi? ››

‹‹ A meno che tu non sia capace di costruire una macchina con i resti della berga, sì ›› rispose con un tono sarcastico, che non si s'addiceva per niente a Thomas. Infatti, l'unica cosa che guadagnò da parte mia, fu un'occhiataccia. Rendendosene conto, diede un finto colpo di tosse, come se nulla fosse, ed infine sospirò in modo frustrato ‹‹ siamo veramente nella sploff ›› continuò.

Lo guardai ancora, analizzando la sua espressione che, da pallida, era diventata verdognola, come se fosse sul punto di vomitare dal nervoso.

Promisi a me stessa che se non mi avesse fatto finire di parlare, gli avrei riempito la bocca col terriccio e chiusa con le mie stesse mani.

‹‹ Smettila di utilizzare il gergo dei radurai, a distanza di tempo, continui a sembrare scemo ›› lo riprese giocosamente Minho.

Mi girai, così, nella direzione di quella voce, con un improvviso senso di sollievo.

Jorge, Huan e Minho camminavano lentamente nella nostra direzione.

E Huan borbottava qualcosa in modo silenzioso.

Quando, però, poggiò lo sguardo su di noi, allargò le braccia, assumendo un espressione piuttosto offesa.

‹‹ Non c'è un cazzo. Siamo nel bel mezzo del fottutissimo nulla! ››

‹‹ Sta calmo, hermano ›› sbuffò Jorge, e dall'espressione che assunse, si poteva intendere quanto fosse stufo di ascoltare di nuovo le sue lamentele.

‹‹ Calmo? Il mio portatile è distrutto! Le mie armi! Tutto! Col mio pc è morta una parte di me. Jorge, sarò costretto a cambiare identità! ››

‹‹ Come sei tragico... ››

‹‹ Non sono tragico, sono semplicemente distrutto dalla perdita! ››

e continuarono a discutere sul valore della perdita del pc.

Guardai, poi, Thomas. Sul suo volto era comparso un sorrisetto divertito dal discutere di Huan e Jorge, ma i suoi occhi erano spenti.

‹‹ Thomas? ›› lo chiamai, e lui, senza esitazione, abbassò lo sguardo su di me, accennando un gesto del capo per farmi capire di avere la sua attenzione ‹‹ dove sono Newt e Teresa? ››

Sulle prime, il suo sorriso si congelò sulle labbra, ed il suo sguardo divenne di nuovo totalmente perso nel vuoto. Si spostò, vagando altrove, ed ebbi quella conferma silenziosa che non volevo avere veramente.

Forse non volevo sapere proprio nulla, ed in verità stavo solamente cercando di evadere dalla realtà che, però, era piuttosto palese.

Non volevo accettarlo, ma allo stesso tempo, volevo sembrare forte.

O forse, semplicemente, dentro di me avevo già metabolizzato la notizia, ma non l'avevo capito a fondo, e quindi per ora andava tutto bene.

Sentivo il cuore pesante, ma non facevo ancora fatica a respirare.

Era tutto in una zona neutrale.

Sensazioni strane, come se non toccassi terra, e quello fosse tutto solo un brutto sogno.

Temevo per il risveglio.

‹‹ Capito... ›› dissi sottovoce, con un tono piatto.

Thomas, allora, abbassò lo sguardo. Era tutto silenzioso, eccetto per il continuo discutere di Jorge e Huan.

‹‹ Mi dispiace ›› sussurrò Thomas.

Poi nient altro. Il vento cominciò ad alzarsi, sollevando così anche la polvere attorno a noi. Il poco tempo, il cielo si era annuvolato, ma non erano nuvole che minacciavano pioggia.

O forse, a causa del cielo dell'alba, era solo una cosa illusoria.

‹‹ Dobbiamo trovare un riparo temporaneo ›› disse Minho ‹‹ o comunque un modo per cominciare a camminare verso Seul ››

‹‹ Senza alcuna indicazione siamo solo dei morti che camminano. Questa zona è desertica se non per qualche ex-città fantasma. Ci sono spaccati e.. cose brutte ›› Huan storse le labbra, poi passò le dita su queste, con aria pensierosa.

Corrugai la fronte ‹‹ Cose brutte? ››

‹‹ Sì, cose brutte. Il governo coreano pensò bene di testare una medicina tutta loro in un macchinario simile a quello per la Chemioterapia, non so se hai presente... ››

‹‹ Non proprio, ma va avanti ››

‹‹ In sintesi: il paziente si sdraiava su un lettino, che poi lo portava all'interno di una macchina.

Il punto è che questa macchina produceva radiazioni che, in teoria, distruggevano le cellule malate... in pratica, invece, le cellule malate si “tranquillizzavano”, ma lentamente crescevano e si sdoppiavano e, nel giro di una settimana, peggioravi tre volte più velocemente. In più eri radioattivo. Alcune persone esposte alle radiazioni hanno sviluppato caratteristiche fisiche fuori dal normale. Poi, il problema, è che una persona malata di norma non può contagiarti. Questi cosi sono infetti, e sì, possono contagiarti ››

‹‹ “Cosi”... ›› grugnì Jorge in modo contrariato.

‹‹ Come chiameresti una persona con tre braccia, gli occhi fuori dalle orbite e la bocca deforme? ››

‹‹ Non credo che arrivino fino a quel punto. Ingigantisci troppo la questione. ››

‹‹ Un infetto adulto no. Un feto sì ›› gli fece notare Huan, poi schioccò le dita delle mani e guardò la berga ‹‹ comunque, non voglio camminare alla cieca e rischiare di farmi mordere. Sono troppo carino per essere deformato ››

‹‹ Anche io ›› brontolò Minho, che si era accovacciato per terra ed imbronciato come un bambino capriccioso.

‹‹ M'infilo nella berga e vedo se riesco a recuperare qualcosa di utile. A questo punto, giuro, mi accontento anche di una cartina ››

‹‹ E se non trovi nulla? ››

‹‹ Darò la colpa a Thomas, ovvio! D'altronde l'idea del labirinto è stata sua ›› rispose, come se fosse la cosa più ovvia di questo mondo, ed infine si avviò verso la berga.

Il vento cominciava a diventare più forte, e non mi piaceva per niente. Ricordavo bene come si stava nella zona bruciata, e mi chiedevo se lì fosse la stessa cosa. Un caldo insopportabile durante il giorno ed un freddo pungente la notte.

Attualmente, sapevo per certo che quel vento sembrava quasi penetrarmi nelle ossa come tanti piccoli chiodi.

Mi strinsi nelle spalle, sfregando le mani contro le braccia nel tentativo di scaldarmi, ma poco dopo, sentii delle braccia avvolgermi in un abbraccio da dietro, poi un mento poggiarsi sulla mia nuca.

La stretta dell'abbraccio si fece più forte, e poi, cominciò a dondolare come un bambino in attesa delle caramelle.

Mi sentii improvvisamente euforica, e cominciai a sorridere come una bambina, inondata dalla sensazione di sollievo nel sapere che Newt stava bene.

Ma, allo stesso tempo, provai una sorta di dispiacere. Perché si era allontanato, e non era lì al mio risveglio? E perché Thomas faceva finta di niente?

‹‹ Abbiamo controllato a Nord, e l'unica cosa che abbiamo trovato sono i residui di ciò che doveva essere un sottopassaggio inagibile ›› disse Teresa, con un tono deluso dal non aver trovato niente che potesse essere utile. Eravamo, quindi, punto e a capo.

Sollevai la testa, incrociando lo sguardo di Newt, che continuava a sorridere come un bambino.

Il mio sguardo, però, non era così allegro.

Ero preoccupata, seppure sollevata nel vedere che non sembrava aver subito nessun danno. O almeno, così, a prima vista, stava da Dio.

‹‹ Dov'eravate? Mi avete fatto prendere un colpo! ›› sibilai, spostandomi dall'abbraccio e girandomi completamente verso di lui, così da non dover sembrare una contorsionista.

‹‹ Io e Teresa siamo andati a controllare se trovavamo qualche indicazione, o comunque qualsiasi cosa che potesse esserci utile.... Anche se in verità eravamo piuttosto certi che saremo tornati a mani vuote... Almeno ci abbiamo provato ›› accennò un sorriso, ed inclinò la testa ‹‹ perché ti sei spaventata? ››

‹‹ Quell'idiota di Thomas mi ha fatto pensare tutt'altra cosa. Non rispondeva alla domanda su dov'eravate e prima, quando gli ho detto di aver capito, ha sussurrato “mi dispiace” ››

Newt corrugò la fronte, poi scosse la testa ‹‹ probabilmente era perché non sapeva dove fossimo. L'unica cosa che gli ho detto, prima di andare via, è stata di controllarti. Sapevo che stavi bene, ma dovevamo dividerci per controllare la zona e Thomas non era in grado di camminare. Gli è caduto addosso il tavolo. A dire il vero è un miracolo che siamo tutti interi... per così dire. Ho dolori ovunque, ma almeno cammino ancora. Tu, piuttosto, come stai? Qualcosa di rotto? ›› chiese, con tono improvvisamente premuroso, com'era solito di Newt.

Annuii ‹‹ tutto okay. Ho dolori ovunque anche io ››

‹‹ Potreste smetterla, voi due? ›› brontolò Minho.

C'eravamo isolati tra di noi, eppure non stavamo facendo nulla di male.

Teresa e Thomas erano poggiati con la schiena alla berga, anche loro, isolati. Infatti non sapevamo se Minho si stesse riferendo a me e Newt o a loro due, e ci guardammo tutti e quattro consultandoci silenziosamente. E nel silenzio, infatti, rimanemmo.

Minho non guardò nessuno, e non disse nient altro, troppo concentrato a disegnare qualcosa sul terriccio col dito. Anche Jorge lo guardò con aria incuriosita.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Passarono ore prima che Huan uscisse dalla berga annunciandoci di non aver trovato nulla. L'unica soluzione, a questo punto, era camminare alla cieca verso la città, sperando di trovarla in un modo o nell'altro.

Ero certa che ci avremmo messo ore, se non giorni.

Tentare di riparare un computer in quelle condizioni era impossibile. O meglio, si poteva tentare, ma niente poteva assicurarci una riuscita della cosa, e sarebbe stato solo tempo sprecato.

Intraprendemmo una piccola discussione, dove valutammo i pro e i contro del camminare senza sapere quale fosse la direzione esatta.

Ovviamente, i contro erano parecchi, ma non potevamo nemmeno aspettare l'illuminazione divina, ed in quella zona eravamo fortemente esposti a rischi.

Alla fine, nonostante l'idea non allettasse nessuno di noi, ci mettemmo in marcia.

Noi radurai, d'altronde, avevamo già attraversato la zona bruciata: quel posto non sarebbe stato da meno.

Camminammo per ore contro il vento, verso Sud, visto che Nord era inagibile, e dire che eravamo stanchi era dire niente in confronto a come ci sentivamo veramente.

Ma facevamo finta di nulla. Un po' per orgoglio, un po' perché ancora, nonostante avessimo percorso chilometri, non avevamo trovato niente.

A guidare il gruppo c'era Huan, l'unico lì in mezzo capace di orientarsi alla bene e meglio in quel luogo.

Nessun segno di civiltà, e nemmeno uno di quei “cosi” di cui ci aveva parlato... non che quello ci dispiacesse, ovvio. Non ci tenevamo ad incontrare uno di quei cosi.

‹‹ Forse è il caso che ci sdraiamo e riposiamo, per quanto possibile farlo con questo vento... ›› propose Thomas, guardando Teresa in cerca di qualche conferma da parte della ragazza.

‹‹ Non voglio morire col culo in ipotermia, Thomas. Possibile che a volte sei così stupido?! ›› sbottò Minho, anticipando la risposta di Teresa, che comunque, era negativa.

‹‹ Ehi, ehi! Calmati, ha solo fatto una proposta! ›› intervenne Newt.

Minho lo guardò con un espressione furiosa, tanto che le vene del suo collo per un attimo s'ingrossarono.

‹‹ Non è la prima volta che propone cose senza senso! ››

‹‹ Non è poi così senza senso. Siamo tutti stanchi, questo vento soffia troppo forte e non reggeremo ancora a lungo. Ci stancheremo e getteremo la spugna ancor prima di arrivare ad una qualsiasi forma di civiltà! ›› disse Thomas, infine, guardando l'amico ‹‹ insomma, si può sapere che caspio ti prende ultimamente? Eh? ››

‹‹ Vi date una caspio di calmata o devo sotterrarvi la faccia come degli struzzi? ›› sbuffò Huan infastidito, ma i due lo ignorarono.

Minho emise una sorta di grugnito, puntando il dito contro Thomas come se volesse accusarlo di ogni male presente sulla faccia della terra. ‹‹ Non mi prende niente, razza d'incapace! Solo che … ››

‹‹ Solo che? ››

Ritrasse il dito, abbassandolo verso il terreno sotto i nostri piedi.

Poi, poco dopo, allargò le braccia, diventando improvvisamente teatrale ‹‹ solo che non ne posso più di tutto questo! Un attimo prima eravamo su una caspio di berga, poi siamo precipitati come un uccello malandato, poi voi giocate alle allegre coppiette felici, tutti “ehi, non ti preoccupare, siamo nel bel mezzo del nulla ma ho te e quindi ho tutto”, quando fino a poco tempo fa probabilmente avreste venduto il dito medio del vostro amato “amore” per sopravvivere! Stanno cambiando troppe cose qui attorno, e tra tutti noi solo io mi sento un completo idiota tra di voi.

Voi avete i vostri piani, alcuni hanno i propri ricordi, sanno già cosa fare una volta nell'Eden.

Ed io? Io non ho niente! Non ho più niente! I miei migliori amici sono troppo impegnati a prendersi cura della propria “anima gemella”, troppo immersi nei loro piani, nel loro futuro che forse, ammettiamolo, nemmeno ci sarà! Onestamente parlando, non sappiamo nemmeno se saremo vivi domani mattina.

E stiamo andando a prendere una ragazza che probabilmente non vorrà nemmeno tornare con noi.

Ma è okay, caspio, bene così, spero che Eva sia d'accordo a tornare, perché è l'unica in questa gabbia di matti che sembra avere abbastanza cervello da vedere questo schifo di mondo come lo vedo io. ›› fece ricadere le braccia lungo i fianchi, facendole sbattere rumorosamente.

Rimanemmo tutti in silenzio di fronte a quella sfuriata, a guardarci in modo quasi imbarazzato. Apparentemente, quella sfuriata, era ingiustificata. Per altri versi, invece, era totalmente fondata.

Nessuno lì in mezzo ha mai preso le cose alla leggera. Per noi, niente era mai stato un gioco da ragazzi.

Nessuno faceva piani per il futuro, semplicemente a volte ci piaceva immaginare come sarebbe stato averne uno sicuro.

Noi, ragazzi che non hanno mia visto niente che non fosse sacrificio e prigionia. Ci piaceva immaginare un futuro senza virus, senza spaccati e senza dover per forza cercare una cura.

Dove potevamo stare lontani da eventuali rischi di contagio, senza dover vivere come topi da laboratorio; lavorare solo per guadagnare qualcosa, non per trovare una cura per l'umanità, così da salvare il salvabile.

In tutta onestà, non sapevamo nemmeno cosa fare una volta arrivati a Seul.

Ed in effetti, non sapevamo nemmeno se ci saremo mai arrivati.

‹‹ Siete tutti delle testa di sploff illuse. Creperemo qui fuori e non lo saprà mai nessuno. ›› concluse Minho, allontanandosi da noi a grandi passi.

Ci guardammo un ultima volta, senza dire una sola parola. Cosa potevamo dire? I nostri sguardi confusi ed allo stesso tempo rassegnati dicevano già tutto.

Huan si passò una mano tra i capelli, scuotendo la testa, e guardò Thomas.

Letteralmente non sapevamo cosa fare, ma la cosa migliore per il momento era chiudere gli occhi e dormire. O anche solo provare a farlo.

‹‹ Ehi, Huan? ›› Jorge provò ad attirare l'attenzione del ragazzo, che però, era troppo intento a fissare il cielo in modo sospetto.

‹‹ Huan? ››

‹‹ Sh! ›› sibilò, sollevando un dito.

Se sentiva qualcosa, aveva l'udito più fine del mondo. Ma anche se vedeva qualcosa. Aveva tutti i capelli in faccia.

Poco dopo, abbassò l'indice che aveva sollevato e guardò Jorge, facendogli un cenno col capo per fargli capire di avere la sua attenzione.

‹‹ Quel bracciale che hai al polso funziona ancora? ››

corrugò la fronte ‹‹ perché non dovrebbe funzionare? ››

‹‹ Magari si è danneggiato durante l'incidente ››

‹‹ Certo che funz – Cazzo, sì! L'orologio! Come non ho fatto a non pensarci prima! ››

Ci misi un po' a capire il motivo di tanta gioia, ma poi, probabilmente per l'espressione sollevata di Newt, ci arrivai: quell'orologio era quello che segnava le notifiche al pc di Huan.

Se gioiva così tanto, probabilmente aveva anche altre funzioni.

Incrociai le dita tra me e me, sperando che anche se il pc ormai aveva fatto ciao ciao con la manina, quell'affare fosse ancora in grado di fare qualcosa di utile.

Si gettò a terra, incrociando le gambe a mo' di indiano, e cominciò a smanettare con i piccoli tastini sporgenti. Ridacchiava tra sé e sé come un bambino il giorno di Natale, poi mise la lingua tra le labbra, e qualche minuto dopo, si rimise in piedi, indicando in modo soddisfatto o schermino – scheggiato qua e là – dell'orologio.

‹‹ Guardate! Ho la nostra posizione nella mappa. Senza una connessione è impossibile utilizzare un GPS, ma non importa! Ci basta seguire le indicazioni della mappa e arriveremo a Seul! ››

‹‹ Ma se non hai connessione, come fai a sapere che quella è la nost – ›› Huan sollevò di nuovo l'indice, sollevando, di nuovo, la testa verso il cielo, interrompendo così la mia domanda.

‹‹ Sh! ›› sibilò, corrugando la fronte.

‹‹ Okay, che c'è? ››

‹‹ Non lo sentite anche voi? ››

A quella domanda, cercai di concentrarmi su un suono – qualsiasi suono – che non fosse quello del vento.

Ma a parte questo, non sentivo niente.

Se non che, giusto poco prima di parlare, notai un suono diverso da quello del vento. Come tamburi a percussione, e si avvicinavano rapidamente.

‹‹ Elicottero. C'è un elicottero in avvicinamento. ›› disse.

Non sapevo come caspio facesse a saperlo, ma provai ad ipotizzare che fosse per via della sua esperienza militare, o qualcosa del genere.

‹‹ È una cosa positiva o negativa? ››

‹‹ Positiva, forse. Se è quello che penso io, ovviamente ›› inclinò la testa, ma non aveva un'aria molto convinta ‹‹ l'Hae ››
‹‹ E sarebbe? ››

‹‹ L'associazione a cui il governo Coreano affidò il compito di testare quella medicina di cui vi ho parlato prima ››

‹‹ Praticamente la C.A.T.T.I.V.O. coreana ›› disse Newt, toccandosi il labbro inferiore in modo nervoso. Non gli faceva piacere l'idea di avere a che fare con un'altra associazione simile, e non faceva piacere nemmeno a me.

‹‹ Più simili all'Eden. A differenza della C.A.T.T.I.V.O., mandano degli elicotteri a controllare le zone come questa per vedere se ci sono sopravvissuti o intrusi almeno una volta alla settimana. E cosa non meno importante: non vedono di buon occhio la C.A.T.T.I.V.O. ››

‹‹ Cosa significa Hae? È un nome? ››

‹‹ Significa sole ›› intervenne Minho, tornando da noi a testa bassa. Ma non era solo.

Dietro di lui c'erano due uomini parecchio alti, con il volto coperto da una maschera a gas.

Parlavano in coreano, ed in spalla avevano dei mitra.

Non capivo un caspio di ciò che stavano dicendo, ma non aveva l'aria di essere un discorso di benvenuto.

Solo in quel momento notai che Minho aveva le braccia legate, e che la sua testa non era bassa per un segno di pentimento, ma uno di quegli uomini gliela teneva così.

Quello alla destra del mio amico gridò qualcosa, spingendolo, poi, e costringendolo a mettersi in ginocchio. Gridò più forte, e lo spinse ancora.

Ero allibita. Minho non reagiva, era come se fosse morto sia dentro che fuori.

Ci guardammo tutti con aria interrogativa, incerti su cosa fare. Huan per primo non mosse un solo muscolo, e tra di noi, era di certo quello che era più in grado di gestire una situazione simile.

‹‹ Chiede di identificarvi ›› disse Minho, con un tono di voce apatico.

Huan annuì, e fece un passo avanti, sollevando le mani al cielo.

Minho li capiva, e doveva fare per forza da interprete.

Ovvio che li capiva: lui era Coreano. Anche se la sua memoria era stata praticamente disintegrata dalla C.A.T.T.I.V.O., piano piano riacquistava quei ricordi. La lingua madre non poteva morire così. Magari non ricordava tutto, ma la stragrande delle cose sì.

‹‹ Siamo Americani, fuggitivi della C.A.T.T.I.V.O.. Chiediamo di poter accedere al territorio protetto Coreano. ›› dopo che Huan parlò, i due uomini guardarono Minho, aspettando che traducesse quelle parole.

Non appena lo fece, l'uomo alla sinistra si avvicinò. Dalla cintura che indossava, tirò fuori ciò che a prima vista sembrava una pistola. Porse a Huan la mano, e gli fece cenno di porgergli una delle sue.

Huan, senza esitare, lo fece.

Poco dopo, l'uomo poggiò la pistola sul palmo della mano del ragazzo, poi schiacciò il grilletto.

L'unica cosa che fece lui, fu una breve espressione di dolore. Poi, ritrasse la mano, scuotendola in modo infastidito.

L'uomo avvicinò la pistola al viso, e da questa uscì una sorta di piccolo schermo. Farfugliò qualcosa in coreano al suo collega, e si scambiarono uno sguardo d'intesa.

‹‹ Ti fa male? ›› chiese Teresa, guardando la mano si Huan.

In sua risposta, lui scosse la testa ‹‹ no, è passato. Anche se facesse male, è una cosa da fare. È un controllo di sicurezza ››

‹‹ Una puntura? ››

‹‹ Sì. È un piccolo prelievo di sangue, la pistola analizza i livelli del sangue per vedere se siamo malati, poi ci romperanno le palle quando saremo nelle mura con controlli vari ››

‹‹ Bene così ›› brontolò Newt.

Non passò molto che quella pistola passò sulla mano di tutti noi.

E Huan aveva ragione: il dolore era questione di meno di un attimo, poi passava subito.

Da quel momento in poi, il tono di voce di quelli che avevano tutta l'aria di essere dei soldati, si calmò.

Ci invitarono a seguirli, e ci fecero salire su un elicottero completamente nero, se non per la fiancata con il simbolo del sole.

Non aveva un'aria molto stabile quel veicolo, anzi: sembrava poter cadere da un momento all'altro, ma era sempre meglio che trovarsi sulla terra ferma senza sapere doveva andare.

A bordo di quell'affare, c'erano altre quattro persone. Stavamo stretti, e c'era un odore pessimo.

Tutti loro indossavano una maschera ed indumenti militari. Era una situazione veramente scomoda.

Mi sembrava di stare in quarantena, ed avevo la netta sensazione che da lì a breve ci saremo trovati in un posto simile. Non sapevo perché, ma mi sentivo in trappola senza nemmeno aver ancora toccato terra ferma.

Se non ci fosse stato quel pessimo odore, avrei volentieri sospirato, guardando in modo malinconico fuori dall'elicottero mentre il paesaggio spoglio scorreva sotto di noi, mostrando la desolazione che aveva preso il sopravvento in quel posto. Ma non potevo, o sarei morta di asfissia in meno di un minuto.

Intanto, mi “godevo” quella visione di case distrutte qua e là, che aumentavano numericamente man mano che ci dirigevamo verso la città.

Eravamo ad una quota piuttosto alta, ma bastava per poter scorgere qualche movimento di persone.

Avrei giurato di aver visto qualcosa – o qualcuno – muoversi a quattro zampe, altri rotolare.

Niente di troppo diverso dagli spaccati, a prima vista, ma preferivo non concentrarmi troppo sui possibili dettaglio, considerando che ancora non mi ero ripresa dalla visione dei nasi strappati da Gervarso e Rose.

La maggior parte delle case – o meglio, ciò che rimaneva di queste – che vedevo, erano prive di tetto.

C'erano cumuli di macchine e cose simili. Vagamente, ricordava Denver dopo la rivolta degli spaccati. Poi, finalmente, ci fermammo all'interno di una recinzione.

Piano piano l'aereo scendeva, fino a poggiarsi al suolo di cemento armato.

Ci fecero scendere, e loro fecero lo stesso. Perché non mi sentivo ancora a mio agio?

Davanti a noi, oltre la coda dell'elicottero, c'era un portone bianco, che si spalancò con un forte cigolio.

Un uomo, vestito anche lui con indumenti militari, varcò la porta accompagnato da altri tre uomini armati.

La sua espressione era seria, e a prima vista aveva circa una cinquantina di anni. Non era alto, ma era chiaramente muscoloso. Una lunga cicatrice gli attraversava il volto dalla fronte fino alla guancia sinistra. Di quei segni distintivi da cui non riuscivi a togliere l'attenzione e non sai mai se fissarla o meno.

‹‹ Salve, americani ›› disse l'uomo, con un accento americano molto, troppo forzato ‹‹ siete in territorio coreano, ora. L'Hae vi da il benvenuto ›› fece un piccolo inchino.

Mi trovai alquanto in imbarazzo. Dovevo farlo anche io?

‹‹ Io sono Jung Seok, il capo di questo posto. Mi hanno riferito che siete fuggitivi dalla multinazionale C.A.T.T.I.V.O. è corretto? ››

‹‹ Sì, signor Seok ›› rispose Huan

‹‹ Bene. Sarà un onore parlare domani di questa questione, per ora, vi condurrò all'interno delle mura della città e provvederò a trovarvi una sistemazione. ››

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Quella mattina, la giornata era cominciata apparentemente nel modo giusto.

Seul non era poi così male, e le persone incontrate fino a quel momento avevano tutte un rispetto incredibile, inverosimile. Tutta un'altra storia rispetto a ciò che avevamo vissuto fino a quel momento.

Essere trattati da “esseri umani” era strano, quasi imbarazzante. Nessuno, a parte per alcune eccezioni, come i nostri “compagni d'avventura” e l'Eden, ci aveva mai trattati da tale.

L'appartamento che ci aveva affidato il signor Seok non era esattamente grandissimo, ma bastava per viverci insieme. Aveva due stanze da letto, e Seok aveva giustificato quello come una sistemazione più che provvisoria.

Veramente poca intimità, ma fortunatamente non eravamo persone che si mettevano a fare i vizietti.

D'altronde, fino a non troppo tempo fa, dormivamo rannicchiati all'interno del casolare, all'interno della radura. E lì si faceva a gara per una brandina dalla comodità più che discutibile.

La vista esterna, poi, era uno spettacolo, e questo compensava qualsiasi altra mancanza.

Nonostante la devastazione esterna a quelle mura, Seul era semplicemente incantevole:

La città era circondata interamente da un immensa cupola trasparente, l'aria era adeguatamente purificata, per cui era tutto nella norma e sicuro. La vista del cielo era reale, e questo era per mantenere un certo contatto con la realtà che circondava il mondo.

C'erano “torri” parecchio alte. Certo, non grattacieli, ma toccavano benissimo il soffitto di quella cupola, e le strade erano molto popolate. La maggior parte delle case aveva un tetto rosso brillante, altre color oro, e Seok ci aveva spiegato – mentre andavamo verso il palazzo dove si trova il nostro appartamento – che il rosso e il dorato erano i colori più usati all'interno di Seul, dopo che il mondo è stato colpito dall'eruzione. Era una sorta di segno di scaramanzia, essendo quelli colori caldi.

Non avevamo fatto un tour del posto, non c'era tempo, ed eravamo stanchi. Ma apparentemente, quel posto era un paradiso.

Come detto prima, la vista da nostro appartamento era spettacolare. Quello che avevamo visto durante la notte mi ricordava vagamente ciò che vedevo dalla berga, mentre gli altri erano a Denver.

Le torri, i palazzi vari, le strade erano piene di luci, e c'era vita lungo le vie, persone sempre in movimento. Quel posto non dormiva mai. Sentivamo la musica, ma non era così tanto alta da impedire un sonno tranquillo. Era musica rilassante, inoltre.

Davanti al nostro palazzo, poi, c'era un parco con degli alberi dai fiori rosa.

O come ha detto Huan “sono alberi di ciliegio”. Che io sappia, non ne avevo mai visto uno prima d'ora. Io e Teresa eravamo rimaste cinque minuti buone col naso incollato al vetro mentre li guardavamo, e per un attimo eravamo tornate delle bambine, meravigliate da così poco.

Magia svanita in pochi istanti, nel momento esatto in cui Minho ci ricordò in modo poco carino che eravamo lì per una ragione ben precisa, e non per ammirare il paesaggio.

Ovvio, avevamo la testa sulle spalle, ma ogni tanto faceva bene evitare di pensare sempre e solo al dovere.

Passammo la notte a dormire rannicchiati in quattro su un letto matrimoniale, mentre Minho passò la notte sul divano, non volendo sentirsi di troppo.

Non era di troppo, nessuno di noi aveva intenzione di “appartarsi”, per cui, il commentino era una frecciatina ovvia.

Sebbene ci svegliammo tutti intricati ed con dolori in posti sconosciuti persino a noi, come detto prima, era cominciata per il verso giusto.

Jorge quella mattina era uscito presto, dicendo che avrebbero chiesto come fare per il recupero della berga, e noi avevamo avuto il tempo per pensare ad un modo per raggiungere e trovare Eva.

Era un piacere dei sensi poter mettere qualcosa sotto i denti, e quella era stata parte che ha cominciato a far prendere una buona piega a quella giornata.

Avevo aperto gli scaffali della cucina e trovato ogni sorta di leccornia possibile ed immaginabile.

Non avrei mai pensato di essere così felice alla vista di un biscotto ricoperto di cioccolato.

Thomas, però, da quando Jorge era uscito di casa aveva assunto un espressione seria e pensierosa.

Non aveva toccato cibo dalla notte prima – e, per dire, la sua “cena” era stata una mela –, ed aveva guardato l'uomo abbandonare la stanza esattamente come se fosse una sorta di alieno.

In effetti, un po' tutti avevamo notato lo strano comportamento di Jorge da quando ci avevano portati via dalla berga, ma nessuno aveva dato peso al fatto che stesse uscendo. Sopratutto perché aveva già messo in chiaro che stava andando a chiedere cosa si potesse fare per il mezzo.

‹‹ Pive, avete notato che Jorge non ha spiccicato parola da quando siamo qui? ›› chiese, poi, Thomas, senza spostare lo sguardo dal pavimento in legno.

La sua mano scivolò sul bracciolo del divano in pelle sul quale era seduto, poi cadde sulle sue gambe, mentre sollevò lo sguardo verso Teresa, seduta accanto a lui, in cerca di una risposta almeno da parte sua – visto che nessuno aveva aperto bocca –.

Lei fece le spallucce, annuendo ‹‹ ma è Jorge, non è un gran chiacchierone ››

‹‹ Oh sì, in verità sì ›› s'intromise Minho ‹‹ e tanto per la cronaca, sembri ancora un idiota quando usi il gergo della radura. Sopratutto ora, che non siamo più nella radura da un pezzo ››

‹‹ Se cominciate a litigare sta volta vi giuro che vi chiudo in una stanza, legati per mani e piedi, fino a quando non fate la pace ›› brontolò Huan, avvisando prima che potesse scoppiare qualche lite.

Ma Thomas non aveva l'aria di chi voleva litigare, ed infatti, lasciò perdere sin da subito il commento provocatorio dell'amico.

‹‹ Non è da Jorge ›› disse semplicemente, concordando tuttavia con Minho per quella parte del discorso ‹‹ c'è qualcosa che non va ››

‹‹ Penso che abbia paura ›› azzardò Newt ‹‹ ha lavorato per la C.A.T.T.I.V.O., e a quanto ho capito, non è ben vista in questo posto ››

‹‹ Eh beh? Anche noi abbiamo lavorato per la C.A.T.T.I.V.O. ›› risposi.

Newt annuì, poggiandosi l'indice e il pollice sul labbro inferiore, cominciando a giocarci come se fosse una sorta di antistress ‹‹ sì, ma noi non eravamo così esposti. D'altronde noi ci trovavamo all'interno dei laboratori, ed eravamo degli specie di schiavi. Inoltre eravamo piccoli, Liz, non avevamo altra scelta. Se contiamo pure il fatto che siamo stati spediti nel labirinto, allor – ››

‹‹ Ti ricordo che mio padre è... era, il capo ›› gli feci notare

‹‹ Ed io e Teresa eravamo praticamente le star del loro progetto ›› aggiunse Thomas

‹‹ E tu uno dei loro scienziati più brillanti ›› puntualizzai

‹‹ Io sono un fuggitivo ›› si aggregò Huan, alzando la mano per attirare l'attenzione

Minho sollevò un pugno verso l'aria, scuotendolo avanti e indietro ‹‹ ed io sono contento di essere stato inutile. Almeno so che sei voi morite, è per quel motivo. Io mi salvo il culo marmoreo ››

Non era divertente, ma non aveva tutti i torti.

Capii il ragionamento seguito da Newt, e non potevo negarne la logica: Jorge era stato il più esposto tra noi, quello che è stato più tempo nella C.A.T.T.I.V.O. ed ha girato di più.

Potevano riconoscerlo da un momento all'altro, e niente poteva assicurare che gli avrebbero creduto, se avesse detto di non lavorare più per loro. Persino io avevo dei dubbi, prima. Anche se su Jorge non ne avevo poi così tanti, quanti, invece, su Brenda... e la cosa si era rivelata esatta.

Magari l'Hae aveva visto Jorge, o conosceva i piloti della C.A.T.T.I.V.O.... Sperai con tutta me stessa che questo non accadesse.

Magari Jorge era così taciturno per quel motivo. Magari aveva sensi di colpa, perché magari aveva fatto qualcosa contro l'Hae nei tempi passati.

Ripromisi a me stessa di chiederglielo, una volta tornato.

‹‹ E se quelli dell'Hae riconoscono che la berga di Jorge è una della C.A.T.T.I.V.O.? ›› chiese Teresa, facendoci cadere tutti in un silenzio tombale.

Non avevamo preso in considerazione anche quell'eventualità.

‹‹ Grazie Teresa, come se non fossimo già abbastanza preoccupati ›› ironizzò Newt, incrociando le braccia al petto ‹‹ in quel caso, prepariamoci a subito il doppio dei controlli ››

‹‹ Come minimo ci apriranno il cranio per controllare che nessuno di noi abbia il chip. Non voglio che qualcuno tocchi di nuovo la mia testa ›› sbuffò Thomas. Annuì, concordando silenziosamente con il mio amico.

‹‹ Ragazzi, questo è il minimo ›› Huan schioccò la lingua, tirando indietro la testa ‹‹ ma penso che non ricorreranno a metodi così rischiosi. Probabilmente ci passeranno di fronte a quei sottospecie di pannelli a raggi X e vedranno da lì se abbiamo il chip e se è attivo o meno. Lo capiranno da soli. E noi siamo puliti, quindi non vedo perché dobbiamo fasciarci la testa prima del tempo. ›› questo è ciò che disse, ma la sua espressione era preoccupata.

Sì, noi eravamo puliti... ma per Jorge era comunque un rischio.

E nello sguardo del ragazzo, c'era un velo di preoccupazione che, per quanto cercasse di mascherarlo, era ostinato a non sparire.

 

Passarono ore prima che qualcuno bussasse alla porta.

Thomas si lanciò ad aprirla, speranzoso di trovare Jorge lì fuori. Invece si presentò un uomo che ad occhio e croce aveva circa una trentina d'anni, che stringeva saldamente tra le dita grosse un computer portatile, richiesto da Huan poco prima.

Sapevamo che da lì a breve sarebbe partita una sua sessione da Hacker professionista, ma noi – almeno, io e Newt – eravamo intenti a studiare tutt'altra cosa.

Era quando avevamo abbandonato l'America che Newt cercava di studiare un piano per incastrare il braccio destro e riprendere il piccolo Chuck, ed io non potevo fare altro che cercare di guidarlo e sviare le sue idee più suicide.

Non riusciva a perdonarsi il fatto di essersi fatto fregare il bambino da sotto il naso. Così, come d'altronde non si perdonava il fatto di aver causato la strage dell'Eden.

Era stata una mossa azzardata quella di portare il bambino in quel posto, e non riusciva a perdonarlo.

Due errori in così poco tempo, ed ora non sapeva nemmeno con certezza che quel bambino fosse in vita o meno. Ma voleva credere di sì. Doveva farlo.

D'altronde, tutto ciò che voleva per quel piccolo, era garantirgli un futuro perlomeno quasi normale, per quanto potesse essere normale un posto come quello. O meglio, un epoca come quella, dove la normalità non era vivere, ma sopravvivere. Voleva provare ad evitargli di crescere com'era cresciuto lui.

Voleva troppe cose che non sapeva se poteva avere o meno. Come, per esempio, il fatto di voler incastrare il braccio destro.

Come poteva farlo? Sì, Newt era un genio... ma Nathan era un computer umano.

Credevo in Newt e nelle sue capacità, ma come poteva pensare minimamente di reggere il confronto con un intelligenza artificiale superiore? Uno di quei computer che gli avevano permesso di tornare in vita?

È ovvio che qualsiasi cosa Newt potesse pensare, Nate aveva già preso in considerazione quell'idea – qualunque essa sia – non una volta, ma dieci.

‹‹ Dovrei semplicemente buttarli lì dentro, sparare a tutti e riprendere il bambino ››

‹‹ Non puoi sparare a Nathan. Il suo cervello ci serve come punto di riferimento e per monitorare i possibili movimenti del braccio dentro ››

‹‹ Nathan è solo un mucchio di sploff inutile ›› brontolò, con lo stesso tono di voce di un bambino capriccioso ‹‹ può essere utile solo per occupare il minuscolo spazio di una bara ››

‹‹ Newt, ragiona... non possiamo buttarci alla cieca all'interno di una base che brulica di gente che non vede l'ora di chiuderci tra quattro mura ››

‹‹ E se liberassi nella base la mia creazione migliore? ››

‹‹ La tua creazione migliore è il dolente. E credo che sappiano già come ucciderne uno ››

‹‹ Intendo, ne creassi una da zero? ›› nei suoi occhi, in quel momento, brillò una strana scintilla.

Fu come se qualcuno avesse acceso un fiammifero nelle sue pupille, e di colpo, drizzò la schiena, cominciando a gesticolare in modo frenetico, ed un fiume di pensieri si fece strada nella sua testa.

Dovevano essere tante idee tutte assieme, troppe per poterle spiegare tutte contemporaneamente.

Così, alla fine, si prese un attimo per metterle assieme, tamburellando in modo eccitato le dita sul ripiano della cucina sul quale era poggiato.

‹‹ Immagina uno scorpione ››

‹‹ Prendimi per scema, ma... non ricordo com'è fatto uno scorpione. ››

Scosse la mano, facendomi capire quanto la cosa fosse superficiale per la spiegazione ‹‹ allora, immagina il corpo di un insetto. Sei zampe in tutto, tre per lato, ed una lunga, lunghissima coda che termina con un artiglio, capace di aprirsi e sfoderare lame, pungiglioni velenosi e nocivi... E deve avere delle sorte di chele dalla presa tagliente! ››

Corrugai la fronte, immaginando l'insettone. Nella mia testa, era un essere completamente metallico. Poi ricordai come fosse uno scorpione, e avrei preferito non farlo.

Continuava a descrivere la creatura, con mille dettagli piuttosto pesanti e macabri. Su quanto sarebbe stato grandioso, potente, imbattibile. Apparentemente, nella sua testa, quella creatura sarebbe stata una sorta di Dio metallico, indistruttibile, privo di punti deboli e totalmente sotto il suo controllo.

Non sapevo cosa provare di preciso, ma avevo i brividi. Un po' per il disgusto, ed un po' perché l'idea di trovarmi faccia a faccia con una sorta di scorpione come quello non mi faceva impazzire.

Ricordavo ancora cosa significava avere di fronte i dolenti.

Non avevo nemmeno idea di come avrebbe fatto a costruire quel mostro, ma sembrava deciso a distruggere e radere al suolo l'intero braccio destro, senza avere la minima pietà.
E lo capivo. Lo capivo benissimo. Ma avevo la sensazione che stesse perdendo il contatto con la realtà, ma sopratutto, il vero problema.

Sì, il braccio destro era un'altra associazione “sanguisuga”, e anche questa faceva solo il bene personale... Ma non era il male maggiore.

Radere al suolo l'intera associazione non ci avrebbe restituito ciò che avevamo perso per colpa della C.A.T.T.I.V.O., e molte delle persone che ora stavano dalla loro parte, erano nostri amici.

Anche loro avevano patito ciò che avevamo patito noi due. Ed ero certa che non tutti lì dentro erano crudeli...

‹‹ E ci pensi? Sarebbe semplicemente grandioso! E avrebbe molto altro ancora! Sarebbe una per – ››

‹‹ Perfetta macchina per uccidere. Sì, messaggio ricevuto ›› dissi, completando la sua frase mentre lo guardavo in modo abbastanza scettico. Ma non perché non fosse in effetti un ottima creazione, ma perché non riuscivo a concepire la leggerezza con cui parlava di una macchina per uccidere.

Non dopo che non riusciva a sopportare nemmeno di aver creato i dolenti.

‹‹ Che c'è? ›› chiese, notando la mia espressione.

‹‹ Non pensi che forse è... esagerato? ››

‹‹ Esagerato? ›› sgranò gli occhi. Era sorpreso, perché sapeva bene che io ero la prima a voler vendetta ‹‹ Liz, sul serio? Dopo tutto quello che abbiamo passato? ››

‹‹ Non ricordi più ciò che provavi dopo aver creato i dolenti? Tutto quel dolore che hai, anzi, abbiamo provocato? ››

Rimase in silenzio per qualche istante, fissandomi negli occhi. Cercava di capire se fossi seria o meno.
Poi, schiuse le labbra, ma prima di cominciare a parlare lasciò passare qualche attimo, in modo da mettere bene insieme le parole.
‹‹ Sta volta è diverso, Liz. Hanno ucciso delle persone ››

‹‹ E tu stai parlando di volerne uccidere altre, Newt. Molte delle persone all'interno del braccio destro sono anche nostri amici, ricordi? E sicuramente non tutti sanno cosa succede veramente. Raderli al suolo così, solo perché Nathan ha preso il bambino, Brenda è una vipera e i loro capi sono sanguisughe non mi pare una mossa molto corretta. Ne vale anche della tua coscienza ›› controbattei.
A quel punto, stette zitto. Non disse altro, ma tirò indietro la testa come se gli avessi tirato un pugno sul naso.

Sapeva che avevo ragione, ma probabilmente – anzi, sicuramente – non voleva ammetterlo. Tamburellò le dita sul tavolo, ancora, spostando lo sguardo verso Huan.
‹‹ Voglio solo redimermi dal male che ho causato. Se l'Eden è saltata un'aria è solo colpa mia ›› mormorò. Annuii. Questo lo sapevo, ma ero altrettanto certa che quello non fosse il modo migliore per vendicarsi. Non con il braccio destro. Dovevamo prendercela con i veri artefici di tutta quella pessima situazione, per quanto si fossero già scavati la fossa da soli: la C.A.T.T.I.V.O..

‹‹ Huan, che fai? ›› chiese Thomas, attirando la mia attenzione. Mi girai in direzione del ragazzo, che era poggiato di peso sulla sedia sul quale era seduto Huan.
Lui fece le spallucce, guardandolo con la coda dell'occhio come per dirgli “anche se dovessi dirtelo, non capiresti”, poi fece un sospiro, preparandosi ad una spiegazione sintetizzata.
‹‹ Cerco di mettermi in contatto con Jocelyn ›› disse semplicemente.

Ero certa che quella era una spiegazione blanda, di un'altra spiegazione blanda, di una sintesi, della sintesi di ciò che stava facendo.

Thomas sollevò le sopracciglia, annuendo ‹‹ e...? ››

‹‹ E non risponde. Questa cosa non mi piace. Dovrebbe rispondere immediatamente, o quasi... e invece non lo fa da troppo tempo. Non è da lei. Temo che sia successo qualcosa ›› poggiò una mano sul mento, fissando lo schermo.

Dall'espressione che aveva era seriamente preoccupato per la ragazza... e non potevamo dargli i torti. Jocelyn aveva salvato tutti noi, e lei era effettivamente l'unica persona che sapeva come muoversi in quel polverone infernale.

In quel momento, Minho sembrò interessarsi all'argomento. Si era accigliato a quelle parole, ma non disse nulla. Guardò semplicemente i due ragazzi con aria preoccupata.

‹‹ Senza le sue indicazioni sarà più difficile ›› concluse Huan

‹‹ Non possiamo chiedere all'Hae? Non dovrebbero avere una sorta di archivio che racchiude i nomi di tutti gli abitanti? Insomma... fanno tutti quei caspio di controlli ma poi non tengono un database dei loro abitanti? Sarebbe stupido. ›› s'intromise Minho.

Huan rimase per un attimo con un espressione vuota, fissando lo schermo del pc senza battere nemmeno ciglio.
Poi, poggiò la mano sullo schermo del portatile e lo chiuse.
‹‹ A volte non sei così stupido come sembri ››

Thomas corrugò la fronte, girando lo sguardo verso Newt, a cui era scappato un risolino per quell'affermazione.
Ciò che ci sorprese maggiormente, fu il fatto che Minho non rispose alla provocazione, se non con uno schiocco della lingua piuttosto contrariato ‹‹ grazie, faccia di sploff ›› rispose, poi, brontolando.

‹‹ Okay, però ora dobbiamo riuscire ad entrare nell'archivio ››

‹‹ Non possiamo chiedere a Seok? D'altronde ha detto che oggi ci saremo visti per parlare della questione C.A.T.T.I.V.O.›› chiese Teresa, come se fosse la cosa più ovvia.
Ed in effetti lo era, ma troppo pericolosa.
D'altronde il loro compito era quello di proteggere quel posto, e noi eravamo ancora dei novellini.

‹‹ Non contarci troppo. Sinceramente parlando, penso che quel suo “sarà un onore parlare di questa questione” fosse una semplice formula di cortesia. Credo vivamente che ci terranno semplicemente sotto controllo a distanza per vedere se faremo o meno stronzate, e se faremo un solo passo falso di faranno semplicemente saltare fuori il cervello dal cranio.
Ed in ogni caso, è più facile che si spari ad una gamba piuttosto che farci entrare nell'archivio. Non si fida ancora di noi ›› le fece notare Huan.
‹‹ Non se ci intrufoliamo. Ho esperienza riguardo l'intrufolarsi all'interno degli archivi ››

‹‹ Quoto ›› si aggiunse Thomas, indicandola con un cenno della testa ‹‹ lo facevamo sempre alla C.A.T.T.I.V.O. ››

‹‹ Ma non avete sentito cosa vi ho appena finito di dire? ›› sbottò Huan, piuttosto irritato dalle parole dei miei due amici ‹‹ una sola mossa falsa e quelli ci ridurranno a poco più di un involucro di carne! ››

‹‹ Nessuna mossa falsa. Non ci faremo beccare dall'Hae come non ci siamo mai fatti beccare dalla C.A.T.T.I.V.O. ›› controbatté Thomas.

‹‹ L'Hae non è come la C.A.T.T.I.V.O., qui i loro controlli sono maggiori. C'è un motivo se la Corea non si è ancora piegata all'eruzione, come invece è successo con il resto del mondo. Loro sono più attenti anche ai più piccoli dettagli. Non mi stupirei se avessero dei cani mutanti legati con la catena a guardia dell'archivio ››

Teresa sollevò un sopracciglio. La trovava una sfida interessante, ed in cuor mio sapevo che lei sarebbe riuscita a venirne a capo.
Non si sarebbe fermata. Tra di noi lei era probabilmente quella più ostinata e testarda, anche più di Minho. La prese come una sfida personale... ma non potevo negare di essere preoccupata per lei.

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Avevamo provato a dissuaderla, ma non c'era stato verso.

Avevo una brutta sensazione riguardo quel loro piano.

Teresa era troppo ostinata, e non me la sentivo nemmeno di farla andare da sola. Volevo accompagnarla, ma alla fine, lasciai che andasse Thomas. Non voleva perderla una seconda volta, e voleva stare il più possibile vicino a lei, nonostante sapesse benissimo che era in grado di cavarsela da sola.

Poco prima che Teresa uscisse assieme a Thomas, Minho aveva cominciato ad agitarsi in modo eccessivo, ripetendo in modo continuo che doveva stare attenta. Sembrava un vecchio disco rotto.

E per dire: Minho non era poi così tanto attaccato a Teresa.

Non stava fermo sulla poltroncina sulla quale era seduto, muoveva di continuo le gambe e le mani, osservando la ragazza mentre ripassava attentamente la strada per raggiungere l'archivio.

Borbottava su quanto Thomas gli stesse dando sui nervi con quel comportamento iper-protettivo nei confronti della ragazza, quando in tutta onestà non stava facendo nulla di male, se non osservare la cartina da sopra la spalla di Teresa.

Huan non si esprimeva al riguardo, troppo impegnato a smanettare il pc, e sembravo l'unica a curarsi di quei strani modi di fare del mio amico.

Persino Newt non diceva niente, e si limitava a guardarlo di tanto in tanto. Da quando avevano preso quella decisione di uscire per andare all'archivio, Newt non aveva detto niente.

Non aveva obbiettato, o concordato. Aveva giusto corrugato la fronte, trasalendo appena, quando Thomas disse “vado io con lei”.

Non era normale. Tutta quella situazione sembrava totalmente surreale.

 

Nonostante fosse tarda notte, decidemmo di uscire io, Minho e Newt per fare quattro passi, nella speranza lui, Minho, si calmasse.

Aveva cominciato ad agitarsi molto più di prima quando i nostri due amici erano usciti per andare verso l'archivio.

Ed il fatto che Jorge non fosse ancora tornato lo agitava anche di più. Preoccupava anche noi, ma cercavamo di pensare positivo. Ci fidavamo di Jorge.
Prendere un po' d'aria fresca e stare in mezzo alle persone ci avrebbe distratto e fatto bene.
D'altronde avevamo notato che le strade erano piene di vita anche di notte, e sarebbe stata una buona distrazione. E poi, ero seriamente curiosa di vedere com'era quel posto.

Le persone erano tutte cordiali, salutavano appena incrociavi il loro sguardo. Sorridevano, sembravano essere privi di pensieri negativi, e tutti amici di tutti.

Non c'era un angolo buio, se non per brevi tratti, e Minho cercava di evitarli come se avesse paura di essere risucchiato da quella breve oscurità.

Camminava molto più avanti di noi, ma nonostante tutto si girava per controllare che non l'avessimo lasciato solo. Restava in silenzio, le mani, nonostante la distanza, si vedeva chiaramente che tremavano. E tutto questo mi dava parecchio da pensare.

‹‹ Non mi piace ›› disse di punto in bianco Newt. Lo guardai con la coda dell'occhio. Aveva il naso per aria e le mani in tasca.

‹‹ Che cosa? ››

‹‹ Minho ›› rispose, abbassando lo sguardo per incrociare il mio. Sussurrava, così che l'amico non potesse sentirlo

‹‹ Neanche a me, sarò sincera ››

‹‹ Ed io lo sarò con te ››

Corrugai la fronte. Cosa sapeva che io non sapevo?

Fortunatamente, non ci fu bisogno di porgergli la domanda. Il mio sguardo interrogativo gli bastò per spronarlo a continuare quella frase.

‹‹ Minho è immune, questo sì... ›› cominciò, passandosi nervosamente una mano tra i capelli ‹‹ ma tra i pochi ricordi che riaffiorano, ricordo qualcosa riguardo ad una sorta di auto-condizionamento dell'immunità, o qualcosa del genere. Non so dirti bene di cosa si tratta, o su cosa si basa, come puoi immaginare da sola lo ricordo in modo piuttosto approssimativo ››

‹‹ Spiegati meglio che puoi ›› lo spronai, già immaginando che non fosse nulla di positivo. Rabbrividivo al solo pensiero di ciò che stava per dirmi.

‹‹ Nulla di troppo allarmante, diciamo. È una cosa piuttosto normale, una sorta di auto-condizionamento della persona. Si sta ammalando con le sue stesse mani perché si sente – ››

‹‹ Solo ›› conclusi la frase per lui, ma scosse la testa, sollevando l'indice per correggermi

‹‹ Abbandonato ››

‹‹ Abbandonato? Ma nessuno l'ha abbandonato! ››

‹‹ Questo è ciò che sai tu, ma lui si sente così ›› rispose, sollevando appena le spalle ‹‹ Evangeline è scomparsa, Thomas è quasi sempre e solo con Teresa, Io sono sempre con te, e lui, invece... ›› lasciò la frase sospesa, sapendo che non c'era bisogno di concluderla.

‹‹ Quindi, in pratica, è tutto nella sua testa. Ma come può ammalarsi? Non è possibile! Voglio dire... lui è immune al cento per cento! ››

Annuì ‹‹ anche se è un mune, come noi, come sai l'eruzione colpisce prevalentemente a livello celebrale. Che lo stress renda più fragile sotto ogni punto di vista una persona, è una cosa risaputa.

Considera che poi Minho, come noi, è rimasto esposto al virus per parecchio tempo... non mi sorprenderei se la sua immunità cominciasse ad andare a farsi friggere ››

abbassai lo sguardo, grattandomi la testa in modo confuso ‹‹ pensi che sia possibile? ››

‹‹ Non ci metterei la mano sul fuoco... ma date le cose che sono successe, non mi stupisco più di niente Liz ››

Sapevo che aveva ragione, e di certo la cosa non mi riempiva il cuore di gioia.

‹‹ Da quanto lo pensi? ›› domandai, abbassando lo sguardo sulla strada.

‹‹ Da quando ha cominciato a comportarsi in modo insolito. L'ho notato, ma ho aspettato a trarre conclusioni ›› spiegò, prendendo la mia mano nella sua, in modo delicato e quasi insicuro, notando quel mio cambiamento d'umore radicale. Lo lasciai fare ed incrociai le dita con le sue, ma continuai a tenere la testa bassa. Temevo per il mio amico.

Non volevo perdere una singola persona in più. Non volevo perdere il mio migliore amico.

Non c'era Jillian, o nessun altro capace di salvare qualcuno.

‹‹ Ehi... ›› mi richiamò Newt, ma non si fermò per far fermare anche me.

Non volevamo attirare l'attenzione di Minho, o avremo dovuto dargli spiegazioni che sicuramente era meglio evitare di dargli.

‹‹ È tutto okay ›› dissi rapidamente, guardando il ragazzo con la coda dell'occhio ‹‹ sono solo preoccupata ››

‹‹ Vedrai che non gli succederà niente. Pensiamo a sbrigarci a trovare Eva, sicuramente saprà come sistemare la situazione ›› detto questo, alzò lo sguardo rapidamente e si guardò attorno.

Cercava qualcosa – qualsiasi cosa – che potesse farci cambiare argomento.

‹‹ Questo posto. Ha un'aria strana. Hai notato che sorridono tutti? ›› chiese di punto in bianco.

‹‹ Beh, perché non dovrebbero? È tutto tranquillo, i controlli funzionano... secondo me vedi il male dove non c'è ›› gli feci notare, poi sorrisi.

Sapevo che stava semplicemente cercando di cambiare discorso, per farmi distrarre.

Il solito Newt.

Non c'era nulla di cui preoccuparsi, e lo sapevamo bene entrambi.

I controlli erano ferrei, e questo c'era stato dimostrato. Quel posto era sicuro.

‹‹ Bene così ›› rispose, e sorrise, ma non in modo del tutto naturale.

Aveva ancora la preoccupazione del bambino, il pensiero problema con Nathan... e altre cose, troppe cose, tutte insieme. Si stava fasciando la testa prima di sbatterla al muro.

Inoltre, anche se cercava di rassicurare me, aveva un'aria parecchio assorta, e questo mi lasciava pensare che c'era dell'altro, ma non voleva parlarne.

All'improvviso Minho si fermò, e davanti a lui passò un piccolo robottino bianco dalla forma quadrata, che si muoveva grazie a due piccole ruote nere. Produceva un suono simile ad un fischio, ed aveva un piccolo faretto sopra la superficie superiore che emetteva una luce blu e si spostava a destra e a sinistra, come se stesse scannerizzando il terreno.

Ma Minho non si fermò per quello. Non lo fece per guardarlo, o per paura di quella luce.

Lo fece per via di una bambina, che era rimasta ferma ed immobile sotto uno dei lampioni. Uno dei pochi che non funzionava.

La sua faccia era illuminata solo per metà, grazie alla debole luce del lampione accanto a sé – ed anche questo si stava spegnendo –. Aveva una faccia spaventata. La prima faccia spaventata che avevamo incontravamo fino a quel momento. Si distingueva alle altre proprio per quel motivo.

I suoi capelli erano corti, a caschetto, e sebbene quella luce fosse veramente poca per vedere qualsiasi altro dettaglio, si capiva bene che stesse piangendo.

Quando notò che la stavamo fissando, cominciò a tremare, ma sembrava essere paralizzata dalla paura.

‹‹ La vedete anche voi? ›› chiese Minho, non appena lo affiancammo.

‹‹ Sì ›› rispose Newt, praticamente sussurrando come per paura che quella bambina, al primo suono sospetto, potesse aggredirci.

Ma non aveva l'aria di essere pericolosa. Solo spaventata dalla nostra vista.

Ci guardammo in faccia, interdetti su cosa fare. Proseguire per la nostra strada, ignorandola come se nemmeno esistesse, o fermarci e chiederle cosa c'era che non andava?

La seconda opzione era apparentemente la migliore.

Tuttavia la mia coscienza cominciava a punzecchiarmi il cuore. Era una bambina, insomma... era davvero necessario abbandonarla lì?

E come se Newt mi avesse letto nella mente, avanzò di un passo, prendendo un grosso respiro.

La bambina arretrò di poco, per quanto possibile.

‹‹ Ehi, no, no, non scappare! ›› disse.

Storsi il naso, schiudendo le labbra, pronta a dirgli che probabilmente la bambina non capiva la nostra lingua, ma mi anticipò ‹‹ capisci ciò che dico? ››

Ma lei non rispose. Semplicemente, annuì debolmente, muovendo la mano destra in un movimento che significava “così così”.

Era ancora spaventata, e sicuramente non voleva dare confidenza agli sconosciuti.

Eppure Newt non sembrava curarsi della cosa, ed anzi, avanzò ancora un pochino ‹‹ non ti faccio nulla, te lo prometto ›› sussurrò, mentre si avvicinava ancora.

Poi, però, si fermò, quando ormai era piuttosto vicino alla bambina.

Sembrò pietrificarsi, e poi si chinò sulle ginocchia, sollevando il volto per guardare quello della piccola. Tremava ancora, ma non scappava.

‹‹ Io mi chiamo Newt ›› disse lui, poggiando un braccio sul ginocchio sinistro ‹‹ e tu come ti chiami, fagiolina? ››

Quel termine mi fece sorridere. Non lo sentivo uscire dalle sue labbra da un po'.

Stava usando un tono di voce tenero, calmo. Mi ricordava vagamente quando ci siamo visti per la prima volta.

La bambina, tuttavia, era piuttosto confusa, ma sembrava essersi calmata.

‹‹ Non me lo vuoi dire? ›› chiese ancora Newt, sempre gentilmente ‹‹ dove sono i tuoi genitori? ››

Ma sembrò ancora più confusa.

Poi, nel momento in cui passò quella sorta di robottino con la luce, lei, improvvisamente, si fiondò su Newt, inginocchiandosi e stringendosi a lui il più possibile.

Aveva paura di quella macchina? Perché? La risposta arrivò piuttosto velocemente, perché la macchina si arrestò esattamente alle spalle di Newt.

Uscirono due ganci dai lati del robottino, che afferrarono le spalle di Newt e lo lanciarono lontano dalla bambina.

Questa, ritrovandosi priva di “scudo”, cominciò a gridare. I due ganci l'afferrarono e la sollevarono da terra fino a quando i suoi piedi non furono abbastanza lontani dal suono da non poterli nemmeno poggiare.

Poi, la superficie della macchina di allungò con un suono stridulo, che ricordava vagamente il rumore delle mura che si chiudevano. Si aprì come una scatola, e di colpo, buttò la bambina al suo interno, per poi richiudersi.

Non potevo credere ai miei occhi: sostanzialmente aveva appena divorato una bambina.

Newt aveva gli occhi sgranati, ma era interdetto tra l'aggredire il robot e il non fare niente.

Era quasi shoccato da quella visione.

E sebbene Newt ci stesse riflettendo un po', Minho, invece, impulsivo come al solito non ci pensò due volte.

Si lanciò contro il robot prima che questo potesse andare via e lo scaraventò a terra col proprio peso.

Uscirono altri due ganci dal corpo del robot, che cominciarono a ruotare e a farsi più appuntiti, mirando al corpo del mio amico, mentre questo colpiva la superficie e cercava il modo per aprirlo.

‹‹ Minho! ›› gridai, correndo verso di lui, e la stessa cosa fece Newt.

Riuscì ad afferrarlo per la gamba appena in tempo, prima che i ganci si scontrassero contro la sua schiena, e lo tirò praticamente sopra di sé, stringendolo saldamente con le braccia per non farlo muovere. Io, invece, frenai poco prima di cadere sopra il robot.

Questo, avendo mancato il mio amico, aveva perforato la sua stessa superficie. Non sapevo se questo era un bene o meno, ma sentivo ancora le urla della bambina.

I ganci si staccarono, ruotando ancora minacciosamente nella direzione di Minho.

La luce, che prima era blu, improvvisamente divenne rossa e si puntò su Minho, poi su Newt, ed infine su di me.

‹‹ Lasciami! ›› gridò Minho, dimenandosi. Il robot aveva cominciato ad allontanarsi.

No, non provai a fermarlo. Non era una buona idea.

‹‹ Ma sei rincaspiato nel cervello? Quell'affare ti farà a fettine! ›› lo riprese Newt, stringendo più saldamente le braccia attorno all'amico.

‹‹ Newt, caspio, lasciami andare! Devo prenderlo! Dev – ››

‹‹ Se provi ad aggredirlo un'altra volta ci condannerai tutti a morte! ››

Newt non li vedeva, perché era di spalle a Minho, che continuava a dimenarsi... ma aveva gli occhi iniettati di odio puro. Era privo di controllo, e le vene del suo collo erano ingrossate in modo mostruoso.

Mi portai una mano alla bocca, ma non dissi nulla. Lo guardai e basta.

Lui, poi, si calmò di botto. Come se avesse spento l'interruttore che aveva acceso quel momento. Si calmò. Incrociò il mio sguardo, ed il suo, divenne carico di pentimento, sensi di colpa e confusione.

Era stato tutto così veloce che nemmeno lui si rese conto a pieno di ciò che era appena successo.

‹‹ Scusate... ›› sussurrò, abbassando poi lo sguardo ‹‹ non... non volevo. Perdonatemi. Sto bene adesso ›› e diede un ultimo scrollo di spalle.

Newt però non lo lasciò subito. Voleva essere certo che lui si fosse calmato.

‹‹ Quella bambina aveva qualcosa di strano ›› disse Minho, cercando di sviare il discorso ‹‹ e che caspio era quell'affare? Perché l'ha presa? ››

Mi grattai la testa. Avevo le stesse ed identiche domande, ed il fatto di non riuscire a rispondere rendeva tutto decisamente più frustante di quanto doveva essere quella situazione.

Newt lasciò la presa su Minho, permettendo a quest'ultimo di rialzarsi.

‹‹ Newt? ›› richiamai l'attenzione del ragazzo, che si stava sistemando i vestiti, mentre guardava i robot – ancora visibile – mentre andava via indisturbato.

Fece un cenno col capo per farmi capire di avere la sua attenzione ‹‹ cosa hai visto in quella bambina? ›› chiesi, riferendomi al fatto che fosse trasalito un po' quando si era avvicinato a lei.

Lui colse il motivo di quella domanda, e si morse nervosamente il labbro.

Non sapeva se dirlo o meno, e questo probabilmente era dovuto alla presenza di Minho.

Non voleva che questo rincorresse di nuovo il robot.

La faccia del mio amico, tuttavia, si fece seria di fronte a quella domanda. Voleva saperlo anche lui.

‹‹ Beh... ›› cominciò Newt, passandosi nervosamente una mano tra i capelli ‹‹ era... molto spaventata e confusa, e questo mi ha fatto arretrare. ››

‹‹ Non dire sploffate, caspio! A chi cerchi di prendere per il culo? ›› sbraitò Minho.

Era palesemente una bugia, e lui era totalmente stanco di essere preso in giro dai suoi amici.

Lo capivo: era una cosa che odiavo anche io.

‹‹ Ti sto dicendo la verità. Non ho visto niente di male in lei. Era molto piccola, e questa cosa mi ha colpito. Mi ha ricordato Chuck, okay? ›› e sta volta era sincero.

Non voleva toccare l'argomento.

Minho tirò indietro la testa, sbuffando. Annuì, nonostante non fosse convinto delle parole del suo amico.

 

Rimanemmo poco in giro, dopo ciò che era successo.

Nel tragitto di casa notammo che la città sembrava essersi addormentata.

Improvvisamente non c'era più nessuna bella faccia allegra.

Sì, c'era ancora gente, ma erano tutti strani, quasi tristi. Le facce erano serie, con lo sguardo rivolto verso il basso. Nessun sorriso, nessun comportamento schematizzato.

Raggiungemmo la nostra “casina”.

Le luci erano spente, ma la luce bluastra riprodotta dal portatile di Huan bastava per illuminare l'ingresso.

Il pc era lì, sul tavolo, ma lui era seduto sul divano con le mani congiunte ed una lattina verde dal quale sporgeva una cannuccia, poggiata sul proprio fianco.

‹‹ Siamo tornati ›› disse Minho con un tono spento.

Newt accese la luce e si tolse il giubbotto, poggiandolo sulla sedia di fronte al portatile.

Allora, notai che Huan aveva gli occhi lucidi.

Ed era totalmente da solo.

Non mi aspettavo di certo di vedere Thomas e Teresa, che sicuramente erano ancora nell'archivio – ci avevano avvertiti che probabilmente ci avrebbero impiegato ore –.

‹‹ Dov'è Jorge? ›› chiesi, temendo la risposta.

Huan sollevò appena il mento, indicando il pc con un cenno della testa.

Quel gesto non presagiva niente di positivo, ne ero certa.

Mi avvicinai, così, lentamente.

Sullo schermo tutto blu, c'era una finestrella aperta con un triangolo giallo, con al centro un punto esclamativo. Era una scritta in coreano.

‹‹ Cosa significa? ›› chiesi.

‹‹ È l'Hae che lo manda. Ho cercato la traduzione poco fa, e dice, in poche parole, che hanno arrestato Jorge per attività sospette ››

‹‹ Devono averlo visto mentre andava alla Berga ›› dedusse Newt

‹‹ E devono aver capito che è un veicolo della C.A.T.T.I.V.O. ›› aggiunsi.

‹‹ E questo non è niente di positivo. Se prima eravamo tenuti sotto controllo, ora – ››

‹‹ Ora lo saremo ancora di più ›› conclusi.

Ora sudavo freddo per i miei amici.

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Teresa e Thomas erano tornati da poco tempo, e lei era a ferita ad una gamba. Li avevano scoperti, ma fortunatamente non li avevano visti in faccia.

Il problema era che sanguinava a fiotti, nonostante non l'avesse colpita in pieno.
La ferita era superficiale, ma qualcosa era riuscita a ferirla più gravemente di quanto sembrava.

Avevano cominciato a sparare praticamente alla cieca per via dell'oscurità che regnava nell'archivio, e Thomas la spinse via prima che un proiettile la colpisse in pieno. Nonostante quella fosse solo superficiale, era certamente preferibile quello piuttosto che un foro enorme che la trapassava da parte a parte.

Lui non voleva perdere più nessuno, e sopratutto, non voleva perdere lei. Era seriamente intenzionato a rimediare agli errori passati, e cercava di dimostrarlo ogni giorno attraverso i gesti. Era consapevole che le parole non bastavano.

O meglio, per lui non bastavano, perché si sentiva piuttosto sporco nell'animo e sapeva che aver preferito stare dalla parte di Brenda, non credendo a Teresa ed ignorandola fino alla fine, era stata la mossa più meschina del mondo. Teresa aveva sacrificato la propria vita e sé stessa per lui.

Aveva capito, col tempo – e quando ormai credeva di averla persa per sempre – che quello compiuto da lei, baciando Aris, l'aveva seriamente fatto solo per salvarlo, e ragionandoci più a fondo, aveva capito che probabilmente lui avrebbe fatto la stessa cosa.

La C.A.T.T.I.V.O., d'altronde, le aveva detto che se non avesse fatto ciò che le avevano ordinato, lo avrebbero ucciso. E Teresa non voleva rischiare una cosa del genere.

Insomma... chi non l'avrebbe fatto? Chiunque, probabilmente.

Nessuno era così sadico da sfidare la sorte, sapendo che la C.A.T.T.I.V.O. era stata – ed è – capace di cose ben peggiori.

Ed ero felice che finalmente Thomas l'avesse capito, e guardava Teresa nel modo in cui meritava.

Anche se lei cercava di far finta di niente, di fronte alla ferita, ogni tanto strizzava gli occhi infastidita dalla medicazione che le stava facendo Huan.

Il ragazzo era chino di fronte a lei, con la sua gamba poggiata sulle ginocchia per non farla sforzare troppo.

La stava semplicemente disinfettando, ma si era portato dietro delle pinzette metalliche.

Newt era direttamente dietro di lui e reggeva un rotolo di bende, guardando anche lui “l'amica” con aria preoccupata.

Dall'espressione concentrata di Huan, ma anche da tutto il sangue che fuoriusciva da una ferita così superficiale, si capiva chiaramente che c'era qualcosa di più preoccupante dietro.

La mano di Thomas era stretta saldamente attorno a quella di Teresa, e le aveva dato il permesso di stringere forte in caso il dolore diventasse eccessivo.

Il che era un rischio, c'era d'ammetterlo: Teresa aveva le unghie lunghe, probabilmente le avrebbe affondate nelle mani del poveretto.

Ma fino a quel momento non sembrava essere intenzionata a farlo. Sopportava in silenzio, come se ormai, d'altronde, la sua soglia del dolore si fosse alzata parecchio dopo tutto ciò che aveva passato.

‹‹ Questo non va bene ›› sussurrò Huan tra sé e sé, guardando il pannetto bianco col quale stava medicando la ferita di Teresa.

Io, Newt e Thomas ci sporgemmo appena, guardando la macchia sul panno.

C'era sangue. Parecchio sangue, ma in alcune zone era più scuro.

‹‹ Vedi qualcosa di strano? ›› chiese Newt, chinandosi all'altezza di Huan, e lui prese ad indicare i vari punti in cui il sangue era più scuro.

‹‹ Li vedi questi? La pigmentazione così scura non è dovuta alla presenza più abbondante del sangue, ma ad una sostanza chimica presente nei vari bossoli che si sono incastrati nella ferita ›› spiegò, e come se avesse dipinto a mano l'espressione di Thomas, questo sgranò gli occhi in modo stupito.

‹‹ Che significa “vari bossoli”? ››

‹‹ Che il motivo per cui sta sanguinando più del dovuto, per una ferita così superficiale, è che non è poi così superficiale. L'hanno sparata con un proiettile particolare che utilizzano le guardie per paralizzare gli invasori, o comunque qualsiasi forma vita cerchi di varcare la soglia della base senza autorizzazione e senza identificazione ›› poggiò il pannetto, dopo essersi accertato di aver pulito la ferita, e prese le pinzette, pizzicando l'aria per accertarsi del loro corretto funzionamento.

Le pupille di Teresa si dilatarono alla loro vista, ma si rassegnò subito all'idea che da lì a breve il ragazzo si sarebbe messo a “giocare” con la sua carne, in cerca dei maledetti bossoli.

Poco dopo, infatti, Huan si avvicinò e, dopo aver tastato un po' la ferita con le mani, avvicinò le punzette e cominciò il suo lavoro.

La mano di Teresa si stringe immediatamente a quella di Thomas, ma non emise un solo gemito di dolore.

‹‹ Siete stati fortunati che colui che ha sparato doveva essere un novellino, o comunque un emerito imbranato. I bossoli saranno al massimo tre o quattro, proprio perché la ferita è a bruciapelo.

Se avesse colpito come doveva, ne avrebbe avuto almeno una ventina in circolo, ed allora sarebbe rimasta paralizzata a terra per cinque o sei ore.

I bossoli sono fatti di un materiale che perfora la pelle e la carne, e dopo qualche minuto la superficie comincia a sciogliersi, fino ad arrivare ad un materiale che col calore del corpo si scioglie anch'esso e rilascia una sostanza chimica paralizzante. Possono essere letali in base alla zona colpita e la quantità.

Fortunatamente, Teresa, sia per il fatto che ti hanno colpita al polpaccio che per i così pochi bossoli ti disabiliteranno la gamba solo per qualche minuto ›› disse, assumendo un tono rassicurante mentre, finalmente, estraeva il primo bossolo e lo mostrava ‹‹ la superficie non è stata ancora sciolta del tutto, quindi la sostanza libera nel tuo corpo non è sufficiente a paralizzarti totalmente. ››

‹‹ A parte la deficienza di colui che mi ha sparata, è merito anche di Tom ›› si sforzò di dire lei, senza gemere dal dolore per via del fatto che Huan avesse ricominciato l'operazione “estrazione bossoli”.

Thomas accennò un sorriso, abbassando lo sguardo dagli occhi di lei.

‹‹ Anche ›› concordò Huan, andando più a fondo con le pinzette.

‹‹ Come fai a sapere esattamente dove andare? ›› domandò Newt, che sembrava essere particolarmente interessato all'operazione.

‹‹ I fori di entrata sono parecchio evidenti, se visti da un occhio attento e vicino ›› disse con un tono di voce concentrato ‹‹ e sono abituato a vedere ferite del genere ››

‹‹ E la parte divertente della ferita di Teresa è che si è beccata una pallottola per nulla, visto che siete tornati a mani vuote ›› intervenne Minho, dal nulla e con una cosa che non c'entrava niente.

Commento che sembrò irritare particolarmente Thomas, data l'occhiataccia che gli rivolse.

Minho era distante da noi, seduto sulla sedia mentre faceva.... niente.

Non stava facendo proprio niente.

Fissava il nulla sul tavolo, come se stesse ammirando un quadro, piuttosto.

Di fronte a sé aveva diversi fogli bianchi, ed accanto a questo una matita.

Aveva insistito per mezz'ora buona per avere quei fogli e quella matita, ed avevamo messo a soqquadro la casa per cercarli. Ed ora che li aveva lì, non li aveva nemmeno toccati.

Dio solo sapeva a cosa gli servivano.

‹‹ Minho, non è il momento adatto per polemizzare su questa questione ›› gli fece notare Huan, estraendo due bossoli, uno dietro l'altro, per poi riprendere subito ad operare.

‹‹ Non sto polemizzando, sto mettendo alla luce la realtà ››

Newt chiuse gli occhi, ispirando profondamente, poi rivolse uno sguardo silenzioso a Thomas, pregandolo con questo di non rispondere alla provocazione dell'amico. Ma lui non sembrava essere intenzionato a farlo.

E poi, era vero: la loro ricerca poi risultò – quasi – totalmente inutile.

Sì, avevano trovato la cartella di Evangeline, ma non c'era nessun tipo di aggiornamento riguardo lei.

Segnava solo la sua data di nascita, poi s'interrompeva tutto dopo la sua entrata alla C.A.T.T.I.V.O.. Non c'era nemmeno il luogo di nascita, o un albero genealogico.

Era come se la C.A.T.T.I.V.O. avesse cancellato ogni singola traccia di lei, lasciando solo la data di nascita e il nome completo. Ayako Evangeline Mi sun Chang. Ed oltretutto era una cosa che già sapevamo. Un buco nell'acqua, e Thomas non riusciva a perdonarsi il fatto che avessero rischiato la vita per una semplice data di nascita. Non c'era bisogno che Minho accrescesse i suoi sensi di colpa.

‹‹ Non è colpa loro se non hanno trovato niente nell'archivio ›› gli feci notare, ma dall'espressione che assunse, intuii che non gliene poteva importare di meno.

Al contrario, si preparò per dire qualcos'altro, ma quando Teresa emise un gemito – parecchio forte – si zittì.

‹‹ Ahia ›› commentò Huan, corrugando la fronte ‹‹ questo è parecchio incastrato, mi tocca farlo ruotare. Ci credo che ti fa male ›› mormorò, quasi come un bambino con i sensi di colpa.

Teresa, infatti, si lamentò più e più volte, muovendo a scatti la gamba, ogni tanto, mentre Huan si sforzava per tirare il bossolo mentre ruotava. Non la riprendeva nemmeno mentre tirava, anche se lei muoveva la gamba, perché sapeva che le faceva male e non poteva farci granché.

Non avevamo qualcosa per anestetizzarla, ed era già tanto se aveva cominciato a lamentarsi solo in quel momento, considerando che, da una ferita piccina, ora si era allargata parecchio con tutto quell'infilare le pinzette ed estrarre i bossoli – che erano anche piccoli quanto un unghia mangiucchiata –.

Passarono cinque minuti buoni prima di riuscire ad estrarlo, e dopo altri cinque minuti in cui Huan controllò e tastò la ferita, confermò di aver terminato l'estrazione di tutti i bossoli e disinfettò tutto ancora una volta, prima di cominciare a bendare la gamba.

La fronte di Teresa era imperlata di sudore, e gli occhi erano lucidi per lo sforzo di non lamentarsi troppo del dolore.

Si era totalmente accasciata contro lo schienale del divano, mentre Thomas le accarezzava i capelli, senza dire niente se non un “sei stata brava”, come per complimentarsi e rassicurarla.

Sì, decisamente, Thomas non era il massimo nel fare i complimenti, ma Teresa sembrò apprezzarlo comunque.

‹‹ Non camminare o sforzare la gamba per nessuna ragione per almeno un ora, o comincerai a sanguinare come una dannata ››

Teresa annuì, aprendo appena gli occhi, che aveva chiuso pochi istanti prima.

Aveva tutta l'aria di chi desiderava solo riposare, e non di certo di chi aveva intenzione di correre come un pazzo.

‹‹ Vuoi andare a letto? ›› le sussurrò Thomas, ma lei scosse la testa. Avrebbe significato essere presa in braccio.

Accennai un sorriso di fronte a quella scena, ed istintivamente mi girai verso Newt, che a sua volta, si girò a guardarmi con un sorriso.

Se pensava a ciò che pensavo io, si stava ricordando della radura.

Attimo quasi tenero, se non fosse che Minho schioccò la lingua in modo rumoroso, si alzò, prendendo i fogli e la matita ed andò nella camera da letto.

‹‹ Si può sapere perché caspio è così nervoso? ›› domandò Thomas, digrignando i denti per il nervoso represso.

‹‹ È stressato.

Abbiamo visto un bambina, quando eravamo in giro per la città. È stata rapita da una sorta di robot e non ha potuto fare nulla per salvarla. E poi Jorge non è tornato, è stato preso ››

‹‹ Cosa? E ce lo dite così?! ››

‹‹ Beh, caspio, se preferivi uno striscione all'entrata della casa con su scritto “Ehi Tommy, hanno rapito Jorge!” temo che avresti dovuto avvisarci almeno un ora prima, visto che dovevamo cercare il lenzuolo bianco adatto e una bomboletta rossa con cui scrivere ›› ironizzò Newt.

Thomas fortunatamente non se la prese per quell'ironia, capendo da solo che in effetti non c'erano grossi modi per dare una notizia del genere.

‹‹ Credete che lo giustizieranno o qualche caspiata del genere? ››

‹‹ No ›› intervenne Huan ‹‹ non credo, almeno. Penso piuttosto che lo terranno come ostaggio e lo costringeranno a dare loro chissà quale genere d'informazione ››

Thomas annuì, ma la sua espressione preoccupata di certo non cambiò.

‹‹ Comunque, perché hanno rapito una bambina? ››

‹‹ Non ne abbiamo idea. Ma aveva un'aria strana ›› risposi, guardando Newt per cercare uno sguardo che confermasse le mie parole, indicandolo, poi, con un cenno del capo ‹‹ lui si avvicinato di più di noi, e ha detto che aveva i polsi violacei o qualcosa del genere ››

‹‹ Aveva la stessa faccia sconvolta dei pive che si svegliavano all'interno della scatola ›› aggiunse Newt, concordando con le mie parole.

‹‹ Quindi era una fuggitiva? ››

‹‹ Probabile ››

E cadde il silenzio.

Erano troppe informazioni e tutti scompigliate, non sembrava esserci nessun filo conduttore tra loro... eppure sentivo che ci stava sfuggendo qualcosa.

Potevo capire, sotto un certo punto di vista, il “rapimento” di Jorge.

Huan stesso aveva previsto una cosa del genere, e sapevamo già che l'Hae non si fidava della C.A.T.T.I.V.O..

Ma la domanda che a tutti sorgeva era una ed era ovvia: cosa sarebbe successo a Jorge, una volta che quelli dell'Hae finivano il suo interrogatorio?

Sempre se quello a cui era sottoposto fosse effettivamente un interrogatorio.

‹‹ E se Jorge fosse sotto tortura? ›› domando Newt, come se mi avesse letto nella mente.

Ma nessuno ebbe il coraggio di rispondere. Nemmeno Huan, che teneva la testa bassa con lo sguardo rivolto verso il pavimento.

In quel momento non sapevamo cosa fare, o come aiutare il nostro amico.

Ora camminavamo veramente su un filo di seta in tensione.

‹‹ Mettiamo in conto la probabilità che non lo vedremo mai più ›› disse Huan, poi, con un filo di voce.

Probabilmente nemmeno lui voleva pensare a quell'eventualità, ma aveva ragione: era da mettere in conto.

 

 

Passarono due ore quando Minho si degnò di uscire dalla stanza.

Nessuno, nonostante il sonno premesse sulle palpebre, entrò in camera.

Preferimmo tutti lasciargli il suo spazio. Avevamo capito com'era la situazione, e Newt ci aveva aiutato a capirla meglio, essendoci passato in prima persona con l'esperienza dell'eruzione.

Potevo spiegarla anche io, ma a quanto avevo capito – col tempo – le de situazioni erano paragonabili fino ad un certo punto, poiché il cervello di Newt era stato decisamente più danneggiato, e le sue sensazioni erano molto più forti delle mie.

Anche se Minho non stava passando l'eruzione, probabilmente stava comunque affrontando l'inferno in terra.

Dovevamo solo lasciarlo sfogare e sbollire ogni volta che una crisi di rabbia prendeva possesso del suo corpo. Minho era un tipo orgoglioso e di rado ammetteva le sue colpe, per cui, probabilmente, l'ultima cosa che dovevamo aspettarci era un suo chiedere scusa ed un suo ammettere le proprie colpe.

Quando uscì dalla stanza, si poggiò al tavolo senza attirare l'attenzione di nessuno.

Poggiò sulla superficie del tavolo i fogli con la matita, e cominciò ad ordinarli in un modo ben preciso.

Noi, seduti sul divano, lo guardavamo con aria incuriosita da quel suo trafficare.

‹‹ Dovremo cambiare abitazione il prima possibile ›› disse Minho, dopo qualche minuto, capendo da solo che quel silenzio era inutile ‹‹ ho sentito i vostri discorsi ›› aggiunse, rivolgendoci lo sguardo.

‹‹ E cosa risolveremo? Tutta la città è tenuta sotto controllo. E poi, perché dovremmo? ›› chiesi, a bassa voce. Tra noi quattro solo Teresa si era addormentata, con le gambe poggiate su quelle di Thomas, e non volevo svegliarla.

‹‹ Rischiamo solo di dare nell'occhio con uno spostamento improvviso. Seok ci avrà puntato tutti i controlli addosso ››

Minho tirò indietro la testa, annuendo tra sé e sé.

In effetti Newt aveva ragione, e non aveva modo per controbattere ‹‹ bene così ›› borbottò infine, riportando la concentrazione sui fogli che aveva poggiato sul tavolo.

Huan, poi, uscì dal bagno.

Nemmeno lui aveva chiuso occhio. Voleva assicurarsi che Teresa si riprendesse senza complicazioni, per cui doveva stare sveglio.

Quando vide che Minho era seduto al tavolino, si avvicinò e guardò i fogli con aria incuriosita.

‹‹ Che cosa sono? ››

‹‹ Le mappe ››

‹‹ Di cosa? ››

‹‹ Del labirinto ››

Newt corrugò la fronte, ma non solo lui.

Anche io e Thomas.

Perché aveva mappato il labirinto? A cosa potevano servirgli, ora come ora?

‹‹ Ti stavi annoiando? ››

Minho si limitò ad annuire.

Quindi, tutti quei fogli, gli servivano per mappare i vari movimenti del labirinto?

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Newt ed io prendemmo il resto delle ore di meritato riposo, dopo che Minho ci assicurò che sarebbe rimasto in salotto.

Volevamo stare soli per poterci rilassare e – magari – coccolare un po', dato che Thomas e Teresa non erano intenzionati ad abbandonare il divano.

Ma semplici coccole, niente di più. Giusto un po' di tempo per noi, senza dover necessariamente impegnare la testa a pensare a mille soluzioni per i mille problemi che avevamo al collo.

Il problema era anche quello: i nostri discorsi, ultimamente, erano prettamente legati a tutti quei problemi.

Ma in quel momento non volevamo pensarci.

Solo coccole, gesti, sguardi e silenzi che valevano molto più di mille parole.

La pressione si faceva sentire sempre di più, ed ogni tanto era necessario godere di momenti di calma piatta come quella.

‹‹ Pensi che riusciremo mai ad avere una vita normale? ›› domandai, anche se la risposta era quasi totalmente ovvia.

Newt accennò un sorriso. Era stanco – esausto –, ma si stava sforzando di tenere gli occhi aperti per godere di quel tempo libero.

La sua mano scivolava avanti ed indietro sul mio braccio nudo, accarezzandolo delicatamente come fosse un petalo di una rosa.

‹‹ Penso che forse, in un futuro non troppo lontano, è possibile ›› rispose, lasciando salire la mano lungo la mia spalla, fino a raggiungere la mia guancia ‹‹ ma non ora e non qui. ››

Non era la prima volta che affrontavamo quel discorso, e non c'era una sola volta in cui aveva espresso amore per quel posto.

Non gli piaceva, ma non lo odiava come aveva odiato la C.A.T.T.I.V.O.. Niente batteva quel posto.

‹‹ Chissà come sta il piccolo Chuck... ›› si domandò tra sé e sé, assumendo un'aria assorta mentre fissava il soffitto.

‹‹ Ti manca così tanto? ››

‹‹ Mi manca, e sono preoccupato per lui... Liz, è un bambino... ci pensi? È stato privato della libertà già da così piccolo ›› parlava quasi più per sé che per me, e le sue labbra erano corrucciate in un espressione pensierosa e preoccupata ‹‹ non voglio che diventi come me ››

‹‹ Un genio? ››

‹‹ Un assassino ››

Capii subito a cosa si riferiva.

La creazione dei dolenti, d'altronde, aveva comportato la morte di molti radurai.

Ma non era stata colpa sua: non li aveva inventati con lo scopo di massacrare dei ragazzini innocenti.

‹‹ Ehi... ››

‹‹ So cosa vuoi dire ›› mi anticipò, sospirando ‹‹ me l'hai già detto. Ma se ci pensi, la C.A.T.T.I.V.O. non poteva usarli per i loro scopi del caspio se non li avessi creati ››

‹‹ Non potevi saperlo, Newt ›› provai a rassicurarlo.

Mi guardò con aria poco convinta, poi sospirò, scuotendo la testa ‹‹ beh, non importa...ormai è passato ›› e, detto questo, spostò le braccia attorno alla mia vita , stringendomi a sé.

‹‹ Se c'è una cosa che spero veramente, attualmente, è solo di risolvere in fretta questa situazione e andare via da qui. Questa “Hae” non mi piace granché. Sopratutto dopo che hanno arrestato Jorge ››

‹‹ Non possiamo andare via senza di lui ››

‹‹ Non fa impazzire nemmeno a me, come idea, ma non possiamo nemmeno aspettare che ce lo restituiscano, nemmeno fosse una penna ›› mi doleva ammetterlo, ma aveva ragione.

Non facevo certamente i salti di gioia al pensiero di non rivederlo. Non dopo tutto ciò che aveva fatto per me. Per noi.

‹‹ Comunque rasserenati: ci vorrà ancora del tempo, no? Ogni cosa a suo tempo. ››

 

L'indomani, però, Huan ci svegliò presto, dicendo che Seok aveva chiamato avvertendo che ci avevano trovato una sistemazione molto più adatta, spaziosa e degna di essere chiamata “casa”.

Sarebbero passati verso metà mattinata a prenderci per accompagnarci verso la nuova sistemazione.

Eppure, Minho non era molto contento e convinto di quelle parole, ed aveva cominciato ad insistere sul fatto di voler uscire prima del loro arrivo.

Secondo Newt, quel suo modo di reagire di fronte al trasferimento imminente, era semplicemente dovuto al fatto che tutto quel via vai lo stava scombussolando troppo.

Per cui acconsentimmo all'uscita, esattamente come la notte precedente, sperando che però non prendesse pieghe particolari.

Thomas e Teresa rimasero in casa. A lei faceva troppo male la gamba, e come previsto, lui non la voleva lasciare da sola. Anche se poi non era sola: c'era Huan con lei. Ma non voleva sentire storie.

Una volta fuori, ancora una volta, proprio come la notte prima, tutti gli abitanti sembravano aver recuperato le loro maschere di felicità e cortesia, sorridendo a tutti e salutandoli con aria felice.

Ora che eravamo alla luce del sole, vedevo chiaramente molti più dettagli.

C'erano telecamere ovunque, ed i muri delle case erano strani.

C'erano molte persone, poi, vestite con quella che aveva tutta l'aria di essere una divisa militare, ma non avevano con loro nessun arma – almeno, apparentemente –.

‹‹ Questo posto puzza ›› brontolò Newt. Il suo volto s'incupì.

‹‹ Nel senso che è sospetto, vero? ››

‹‹ Decisamente sì. Alla luce del giorno è molto più inquietante di com'era di notte. È tutto troppo perfetto, come se fosse tutto studiato a tavolino. Tutto troppo sotto controllo... se è davvero tutto così sotto controllo, perché mettere delle guardie in giro? ›› sussurrava.

Minho lo guardò con la coda dell'occhio, annuendo al suo ragionamento ‹‹ perché non è poi così tutto sotto controllo, ovvio ››

‹‹ Okay, sapete qualcosa che io non so e non volete dirmelo? ››

‹‹ Per il momento niente ›› rispose Newt, con uno scrollo di spalle ‹‹ però questa cosa è troppo sospetta. Ragionaci: è una zona troppo estesa, e apparentemente è tutto tranquillo, giusto? Ma ci deve essere una falla nel sistema. Il virus è invisibile. E ricordi la bambina che abbiamo visto ieri notte? ››

‹‹ Sì ››

‹‹ E se fosse stata malata, e quello fosse il motivo per il quale è stata prelevata? È da ieri che ci penso ››

All'improvviso, gli occhi di Minho s'illuminarono. Il ragionamento di Newt non faceva una piega.

Poteva essere possibile una cosa del genere, e non avevo niente da controbattere.

In effetti, c'era una grossa quantità di Muni all'interno di quella città... era possibile che fossero veramente tutti Muni? Una sorta di riserva naturale?

Persino Huan ha detto che il virus in quella zona era diverso, e noi eravamo troppo novellini per sapere come fossero gli stadi precedenti all'andata.

‹‹ Potrebbe essere... ›› sussurrai, poi mi guardai attorno

‹‹ Il nirvana calma le persone... magari l'Hae ha inventato una sorta di sostanza simile, ma meno costosa ed accessibile a tutti, che ti rende iper-attivo invece che mezzo addormentato ›› dedusse Minho, improvvisamente particolarmente interessato alla cosa.

Mi prese una sorta di sollievo nel vedere che stava impiegando la testa in qualcosa di diverso dalla rabbia immotivata.

‹‹ E questo spiegherebbe il perché ieri sembravano tutti molto meno “felici” e attivi ›› rispose Newt, concordando con l'amico. Minho si strofinò le mani, annuendo in modo soddisfatto.

‹‹ Sì, ma allora perché mettere Muni e malati tutti insieme? ››

‹‹ La C.A.T.T.I.V.O. fece la stessa cosa con noi, ricordi? Era come una sorta di – ››

‹‹ Selezione naturale ›› concluse Minho, anticipando Newt.

‹‹ Queste deduzioni stanno prendendo una piega che non mi piace per niente, vi avverto ››

perché, in effetti, erano tutte cose fattibili.

Rabbrividì a quel pensiero. Non mi piaceva 'idea di essere di nuovo una sorta di cavia da laboratorio utilizzata per chissà quale studio, e non mi piaceva nemmeno l'idea di essere esposta a chissà quale contagio.

Nessuno poteva dirmi con certezza che noi, immuni all'eruzione, fossimo immuni anche a quel virus. E a detta di Huan, il virus si contagia tramite morso.

‹‹ Liz, tutto bene? ›› domandò Newt.

Probabilmente ero sbiancata all'idea di essere morsa, o comunque di essere di nuovo in trappola.

‹‹ Sì ›› mi limitai a dire. No, non stavo bene per niente. Mi sentivo morire dentro.

‹‹ Comincio a pensare che fuggire da questo caspio di posto non sia una pessima idea ›› disse Minho, sollevando poi lo sguardo al cielo ‹‹ ma prima dobbiamo trovare Eva ››

Annuimmo sia io che Newt.

Tutti sapevamo benissimo che trovare Eva era una priorità, ma il problema rimaneva sempre che non sapevamo dove cercarla.

A pensarci bene, Jillian stessa aveva confermato che Eva era arrivata a Seul, ma sapevamo anche che Eva aveva detto di voler andare a Taegu, che però, ora, era una sorta città fantasma/palazzo degli spaccati....

Alla luce dei fatti, date tutte le nostre ipotesi, non era poi la cosa migliore a cui pensare.

Se fosse davvero a Taegu, e questa è davvero il nostro “palazzo degli spaccati”, ci sarebbe un unico motivo valido per il quale la nostra amica si trova lì. E non volevo pensare una cosa del genere.

Nessuno di noi la prenderebbe bene. Specialmente Minho.

Newt si fermò all'improvviso, di fronte ad un edificio in legno completamente pitturato di rosso.

Aveva tutta l'aria di essere un tempio o qualcosa di simile, ma la sua attenzione non erata stata attirata da quel monumento, ma dalle persone sotto di loro.

Un uomo, una donna, un bambino ed una bambina, che indossavano quelli che sembravano essere degli abiti tipici.

Lei aveva delle decorazioni rosa in testa, delle specie di catene fatte con dei fiori, e lui i capelli raccolti in uno chignon, mentre i due bambini portavano semplicemente due veli bianchi in testa.

Muovevano dei ventagli in modo teatrale, e sotto di loro c'era uno striscione bianco con dei caratteri coreani.

C'era un mucchio di gente radunata attorno a loro, osservandoli con ammirazione mentre queste persone si esibivano.

‹‹ Che c'è scritto? ›› domandai, e Minho strizzò gli occhi.

‹‹ l'Hae è libertà ›› rispose, alzando lo sguardo verso Newt, che emise un verso contrariato, ma non disse niente.

Sapevo cosa stava pensando: ricordava vagamente “C.A.T.T.I.V.O. è buono”.

‹‹ Stanno raccontando una storia, questi due ››

‹‹ Riesci a tradurci qualcosa? ››

‹‹ Non che c'interessi ›› commento Newt

‹‹ In sintesi, raccontano una sorta di leggenda per spiegare l'eruzione.

L'uomo rappresenta il sole, la donna la grande madre, la terra. I due erano marito e moglie, ed il sole era innamorato della terra, ma lei col tempo era diventata troppo impegnata a dare attenzione loro figli, ossia noi umani, per dare le giuste attenzioni al sole. Così lui, per vendicarsi, stufo dell'essere ignorato, decise di uccidere i loro figli. Solo i più forti resistettero all'ira del padre, e sono stati scelti da lui stesso. Da loro sarebbe cominciato l'inizio di una nuova era, mandata avanti solo dai più potenti e capaci di riportare l'equilibrio nel mondo. ››

‹‹ Una sorta di mito della creazione, insomma ›› borbottò Newt, incrociando le braccia al petto.

‹‹ Dicono che nell'Hae si trovano solo gli elementi più forti, i degni. Infatti l'Hae è stata fondontata in suo onore ››

‹‹ E come abbiamo già detto, significa sole. Tutto torna, insomma ››

‹‹ Esatto ›› confermò Minho ‹‹ praticamente questo teatrino è una propaganda Pro-Hae ››

‹‹ A me ricorda vagamente ciò che raccontavano prima degli Hunger Games ›› commento Newt, ridacchiando tra sé e sé.

‹‹ Che sono gli Hunger Games? ›› domandò Minho, corrugando la fronte

‹‹ È un libro che racconta di giochi mortali fatti tra fazioni povere, utilizzati per divertite quelli di alto borgo... Oh, dai, non è importante, è roba vecchia ›› scosse la mano ‹‹ onestamente non so nemmeno io come faccio a saperlo. Sono piuttosto sicuro di non aver avuto il tempo di leggere, mentre ero alla C.A.T.T.I.V.O. ››

Doveva aspettarselo che né io né Minho sapevamo di cosa stesse parlando, ma in ogni caso non era importante sul serio.

Alle nostre spalle, all'improvviso, ci fu un gran movimento. Sulle prime non capimmo il motivo, visto che parlavano tutti coreano e gridavano.

Ma era palese che fosse successo qualcosa. Stavano scappando tutti, erano palesemente terrorizzati.

Minho afferrò un ragazzo per il braccio, gli chiese qualcosa, e questo cominciò a parlare velocemente, gesticolando.

Newt, poi, di colpo, mi afferrò la mano e cominciò.

Nemmeno il tempo di chiedergli cosa stesse succedendo che mi gridò di correre.

‹‹ Perché?! ›› gridai a mia volta, ma non ebbi risposta.

Stavo per dirgli di aspettare Minho, ma il ragazzo ci aveva già raggiunti.

Correvamo così velocemente da farmi male la milza, ma non potevo fermarmi. Non volevo rallentarlo. Non sapevo perché stavamo correndo, ma non doveva essere niente di buono.

Ed il forte ruggito che sentii alle mie spalle, in quel preciso momento, ne fu la conferma. Non avevo il coraggio di girarmi a guardarmi cosa ci fosse dietro di noi, ma questo, almeno, mi spronò a correre più velocemente.

‹‹ Di qua! ›› gridò con un accento coreano il ragazzo di fronte a noi, gettandosi poi alla sua sinistra.

Seguimmo alla sua indicazione, gettandosi in quella direzione, ed uno dopo l'altro, atterrammo per terra e strisciammo verso la direzione del ragazzo, che si era appiattito contro il muro di una casa.

Io ero caduta poco più distante, trascinata a da Newt, e lui stesso mi tirò più vicina a sé, facendomi strisciare contro il marmo della strada. Mi strinse contro il suo petto e mi tappò la bocca per evitare di farmi emettere un solo suono, o una sola parola.

Sì, mi ero fatta male e probabilmente mi sarei ritrovata le ginocchia sbucciate, ma la voglia di fare domande mi passò nel momento esatto in cui vidi la creatura che ci stava inseguendo.

Rabbrividii e sbiancai di fronte a quella visione. I dolenti, a confronto di quella cosa, erano dei modelli di pura bellezza usciti da un'agenzia di moda.

Degli esseri rosei, simili a dei vermi obesi, alti almeno una quindicina di metri e con una bocca piena di denti aguzzi. Apparentemente non avevano occhi, ma non potevo esserne certa.

Ero letteralmente pietrificata.

Si muovevano con movimenti convulsi, strisciavano sul marmo come se fossero sul ghiaccio, con una leggerezza innaturale per il loro evidente peso. Dietro di sé lasciavano una striscia nauseante solo alla vista. E quegli esseri erano due, ma l'altra era più piccolo.

Una donna inciampò durante la corsa, e quel coso, il più grande, si mise in piedi e si abbassò spalancando le fauci, schiantandosi poi contro il terreno, nel punto dove c'era la donna, e risollevandosi pochi istanti dopo. Metà della donna era ancora fuori dalla sua bocca, ma l'altra metà dentro. Ed era palesemente viva. Agitava i piedi e si sentivano i suoi lamenti strazianti.

Il vermone si girò verso l'altro e si chinò alla sua altezza, e questo, subito dopo, si avventò su di lui, mordendo l'altro pezzo della donna e staccandosi poco dopo. Divisero il cibo.

Cadde un fiume di sangue sul terreno. Mi venne la nausea a quella vista, ed avrei preferito mille volte non vedere niente del genere.

Qualche attimo dopo, nemmeno fosse magia nera, sembrarono sciogliersi come neve al sole e sparirono, praticamente assorbiti dal terreno.

Il mio respiro era sospeso, probabilmente diventai di circa venti colori diversi. Nessuno di noi tre disse una sola parola. Eccetto il ragazzo coreano, che deglutì e si girò a guardarci con aria preoccupata.

‹‹ State tutti bene? ›› chiese

‹‹ Che caspio erano quei cosi? ››

‹‹ Goemul ›› rispose ‹‹ che nella vostra lingua, significa il mostro.

Compaiono almeno una volta alla settimana. Ma voi state bene? Niente di rotto? ››

Newt fece scivolare una mano sul mio ginocchio, chiedendomi silenziosamente se mi fossi fatta male. Scossi la testa. Non era niente di grave, era sopportabile.

‹‹ Tutti bene ›› rispose Newt, spostando le braccia attorno alla mia vita

Il ragazzo sorrise amichevolmente ‹‹ meno male. Io sono Yongho ››

‹‹ Parli piuttosto bene la nostra lingua ›› disse Newt, guardandolo con la coda dell'occhio.

Come al solito non si fidava.

Il ragazzo sembrò imbarazzato, e sorrise timidamente e si grattò la testa ‹‹ l'ho imparata qualche anno fa. Vi ho sentiti parlare tra di voi. Comunque, è un bene che non vi siete fatti niente. Quei cosi se sentono l'odore del sangue non vi lasciano più in pace. ››

‹‹ Perché non ci hanno fatto niente, quando ci siamo lanciati contro il muro? ››

‹‹ Perché avevano più cibo davanti a sé. Inseguivano il “branco” in corsa. ››

‹‹ Non sono comuni animali... ›› mormorai, ma non era una domanda, era più una riflessione tra me e me.

‹‹ Sono esseri creati in laboratorio ›› rispose Yongho ‹‹ non so da chi ››

E non volevo nemmeno saperlo.

‹‹ Voi siete i ragazzi fuggiti dalla C.A.T.T.I.V.O., vero? ›› domandò di punto in bianco, spiazzandoci totalmente. Nessuno di voi aveva menzionato una cosa simile al di fuori della casa.

‹‹ No ›› rispose Newt, anticipando tutti noi ‹‹ perché, ci sono fuggitivi della C.A.T.T.I.V.O. in questa zona? ›› mentiva spudoratamente. E lo faceva dannatamente bene.

Aveva uno sguardo deciso e serio, e mi ricordava vagamente la stessa espressione che aveva nella radura. Quello sguardo che mi ricordò che lui era il secondo in comando, e di conseguenza, stava facendo il suo ruolo.

‹‹ Sì. Credo. Questo è quello che ho capito, almeno... per sentito dire, intendo. Ogni tanto dall'Hae esce qualche notizia. Di recente è stato detto che alcuni vecchi soggetti fuggiti dalla C.A.T.T.I.V.O. sono stati catturati ›› sorrise, poi, ma poco dopo il suo sguardo divenne serio mentre guardava Minho. Sembrò incantarsi, poi scosse la manica della maglietta e gli porse la mano ‹‹ beh, è stato un piacere incontrarvi ›› disse, mentre Minho gli prendeva la mano. Era stato un momento piuttosto imbarazzante. Si alzò, fece un inchino, poi corse lontano. E corse parecchio velocemente.

‹‹ Che tipo strano... non mi piace ›› brontolò Newt.

‹‹ È capitato troppo al momento giusto, se mai. E parlava la nostra lingua... e guarda strano caso, ha aiutato solo noi. Troppe coincidenze tutte assieme ››

‹‹ Non sono coincidenze ›› replicò Minho, con lo sguardo basso verso le mani.

Reggeva un foglietto tutto stropicciato, con una scritta a caratteri coreani.

‹‹ Cos'è? ›› domandò Newt.

Il viso di Minho s'illuminò ‹‹ Buone notizie. ››

 

Ci avviammo velocemente verso la nostra “umile” abitazione.

Avevamo buone, anzi, ottime notizie da dare ai nostri amici, e magari finalmente avremo donato loro un pizzico di buon umore.

Lo stesso buon umore che aveva messo a noi.

Il biglietto, in breve, era una sorta di “biglietto da visita” fatto a mano, firmato “Justin”.

Un ottimo indizio sul fatto che almeno uno di loro era vivo, ed era lì.

Non sapevo il perché si trovasse in quel posto, ma sotto sotto non m'importava.

Ci avrebbe dato le spiegazioni più tardi sul perché e come.

L'importante, attualmente, era sapere che fosse vivo.

Di conseguenza, era stato lui a mandare quel ragazzo, e quindi ora sapevano che ci trovavamo lì.

C i avrebbero raggiunti, salvati, e finalmente avremo potuto studiare un modo per sopravvivere tutti insieme, ricreare l'Eden, e tornare ad avere una vita quasi normale.

O almeno, quelle erano le nostre speranze.

E si frantumarono in mille pezzi, proprio come le macerie della casa di fronte ai nostri occhi.

Della nostra casa.

C'erano degli uomini in divisa di fronte a noi, ed un mucchio di persone attorno al nastro giallo che li separava dalle macerie.

‹‹ No... no! ›› gridai, ma quando feci per correre verso la casa, Newt mi afferrò la mano, di nuovo.

Mi girai a guardarlo, implorandolo di lasciarmi andare.

Dovevo andare. Dovevo assicurarmi di non aver perso nessun altro.

Potevo giurare di aver sentito la mano di Newt tremare, e la sua espressione era appena accigliata.

‹‹ Lasciami! ›› sbraitai, cercando di liberare la mano.

‹‹ Liz... ››

‹‹ Lasciami! Devo andare a controllare! Devo – ››

‹‹ Liz, calmati! ››

Calmarmi? c'era puzza di fumo, e le materie della casa erano nere.

Era palesemente saltata in aria la casa! Come potevo stare calma?

Minho si lanciò contro uno degli uomini in divisa, e non c'era bisogno di una traduzione corretta per capire che stava chiedendo che diavolo fosse quel casino.

Newt scosse la testa, poggiandosi una mano sulla fronte con fare rassegnato.

‹‹ Come puoi essere così calmo? Eh?! ›› sbottai, quando mi avvicinai di nuovo a lui ‹‹ i nostri amici erano lì dentro, Newt! Teresa, Huan e Thomas! Hai presente? ››

sapevo che prendermela con lui era inutile, ma il fatto che sembrasse così... indolente, di fronte a quella situazione, mi urtava.

Anche se stava tremando a mala pena, ed anche se i suoi occhi erano palesemente lucidi, stava mantenendo una calma che era totalmente innaturale.

‹‹ Non capisci? ›› chiese ‹‹ se diamo di matto, daremo nell'occhio ›› sussurrò, guardando poi la guardia con la coda dell'occhio.

Minho continuava a gridare e sbraitare, mentre l'uomo lo ascoltava pazientemente.

Sgranai gli occhi. Ero confusa.

Sapevo che non era stato un cortocircuito o qualcosa del genere, e che qualcuno avesse provocato l'esplosione, ma... stava sospettando delle forze dell'ordine? Dell'Hae?

‹‹ Pensi che – ››

‹‹ Sì ›› mi anticipò. Probabilmente non voleva farsi sentire, o correre quel rischio ‹‹ ribadisco il fatto che non mi fidi di loro ››

Ed io, tra me e me, gli diedi ragione.

Sentii il rumore di qualcosa cadere di colpo. Così mi girai, osservando la scena di Minho che si passava una mano sulle nocche arrossate e l'uomo in divisa a terra, mentre teneva premuta una mano sul naso e si lamentava.

Minho gli aveva dato un pugno ben assestato sul naso, ed ora sghignazzava come un bambino felice il giorno di Natale.

‹‹ Minho! ma sei completamente impazzito?! ›› sbraitò Newt, e non ebbe nemmeno il tempo di avvicinarsi al nostro amico che questo venne accerchiato da altri due uomini in divisa mentre gli puntavano addosso delle armi veramente poco rassicuranti.

Eppure Minho non sembrò minimamente preoccupante dall'artiglieria pesante.

I suoi occhi erano spenti, iniettati di odio, ed un ghigno malvagio gli solcava le labbra.

No, quello non era Minho. Non poteva essere Minho.

Conoscevo quello sguardo. L'avevo visto nei volti degli spaccati all'ultimo stadio.

Odio, rabbia e rancore regnavano in quello sguardo, coperti da un sorriso tetro che annunciava morte.

‹‹ Andate via ›› disse in modo freddo Minho, guardando nella nostra direzione.

In quel momento, un briciolo di umanità di fece strada nel tono di voce del mio amico.

Solo quando ci rivolse quello sguardo riuscì ad intravvedere che non aveva perso del tutto il controllo.

‹‹ Minho... ›› mormorò Newt, quasi con la voce tremante.

Io scossi rapidamente la testa. L'unico gesto che riuscii a fare, presa da un improvviso senso di panico.

Non volevo lasciarlo indietro. Non volevo perdere anche lui.

Non potevo accettare di aver perso quattro dei miei amici in un solo giorno.

Avevo bisogno di sapere cosa stava succedendo, cos'era successo, cosa si erano detti.

Dovevo sapere perché Minho aveva reagito in quel modo.

Dovevo sapere troppe cose, e cose che solo Minho poteva dirci.

Rivolse un sorriso molto più addolcito verso di Newt, che chiuse gli occhi.

‹‹ Andiamo via. ›› disse in modo deciso Newt, prendendomi la mano ‹‹ o prenderanno anche noi ›› e cominciò a camminare, tirandomi via con sé.

‹‹ Cosa? No! E Minho? Che ne sarà Minho? Non possiamo lascialo qui! ››

‹‹ Quello non è Minho. Non più. ››

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


‹‹ Quello non è Minho ››

Ogni volta che chiudevo gli occhi per provare a dormire, mi sembrava di sentire quelle parole uscire dalla bocca di Newt, e di sentire il mondo piombarmi addosso come un macigno.

Magari le sentivo in una formula diversa, ma come fosse formulata la frase, il senso era sempre quello.

Sempre forte, pensante, una brutta realtà al quale ancora non riuscivo a credere.

Vedevo il volto dei miei amici sciogliersi nei miei ricordi, diventando sempre meno nitidi, come se qualcuno li stesse cancellando lentamente.

E quanto tempo era passato, ormai? Un mese e qualche settimana?

Un mese duro come pochi, oserei dire.

Ormai io e Newt vivevamo come fuggitivi. E no, Justin o gli altri non ci avevano ancora raggiunti. E come potevano farlo? D'altronde non avevamo un posto fisso, e non avevamo il tempo materiale per cercare qualcuno. Pensavamo solo a trovare un modo per sfuggire alle telecamere, o abbandonare quell'inferno senza essere ripresi dall'Hae.

Fortunatamente non eravamo delle persone viziate nel dormire, e riuscivamo a riposare nei posti più impensabili: case abbandonate – le poche che c'erano, s'intende –, vicoletti poco illuminati, rannicchiati tra qualche automobile, con i turni di veglia per evitare che qualcuno ci beccasse e, di conseguenza, ci arrestasse e poi chissà che fine avremmo fatto. Nemmeno fossimo dei barboni.

‹‹ Caspio ›› brontolò Newt, schioccandosi la schiena. Toccava a me fare la guardia, e lui si era riposato qualcosa come trenta minuti, rannicchiato dentro la casetta giocattolo nella quale c'eravamo nascosti. Era un piccolo parco giochi, e ci fece ridere il fatto che in un posto come quello, in un periodo simile, qualcuno avesse ancora voglia di avere figli.

Inoltre la casa era davvero piccola per noi, ma riuscimmo ad incastrarci, sebbene fossimo stretti ed appiccicati come acciughe in scatola. Non che la cosa ci desse fastidio: d'altronde non era la prima volta.

‹‹ Che c'è? ›› gli chiesi, assumendo uno sguardo premuroso

‹‹ Mi manca il letto. O il divano. O la brandina della radura. La mia schiena ormai è viziata... sono troppo vecchio per questo genere di vita allo sbando ››

Sollevai gli occhi al soffitto della casina, accennando un sorriso.

Persino tra me e Newt le cose non andavano esattamente da Dio, ma questo era una cosa che ormai andava avanti da un po'. Non mi piaceva ammetterlo, ma sapevo che comunque la colpa non era totalmente sua. Aveva troppe cose per la testa, tra cui i nuovi ricordi che piano piano riaffioravano.

Spesso era così concentrato per tenerli lontani che si dimenticava del fatto che, ormai, vivere nel passato non aveva senso, ed era meglio vivere il presente.

E nel presente c'eravamo noi, ed i nostri amici che... beh... non volevo nemmeno pensarci.

‹‹ Dopo, se vuoi, ti faccio un massaggio ›› ironizzai, guardando fuori dalla piccola finestrella della casa. Era tutto buio, e nel parco c'era solo un lampione dalla luce arancione.

C'era parecchio freddo, ma lamentarsi di questo non avrebbe migliorato la situazione.

‹‹ No, grazie ›› rispose, poi inclinò la testa ‹‹ vuoi dormire anche tu, Liz? ›› chiese con un tono premuroso.

‹‹ Sono apposto ›› il mio tono, invece, era distaccato.

Il fatto di aver pensato anche solo per un attimo ai miei amici non mi portò esattamente il buon umore.

E, come detto prima, non riuscivo a chiudere occhio in santa pace, perché ricordavo subito quelle parole.

Al fatto che persino Minho era andato via, ed ancora un volta non ho potuto fare nulla per impedirlo. Ora c'eravamo solo e soltanto noi.

Lo sentii sospirare, ed istintivamente mi girai nella sua direzione. Aveva uno sguardo basso, stanco, ed i vestiti sporchi e stropicciati. Eppure per me non era una visione così negativa della cosa.

Certo, una doccia non ci avrebbe fatto né schifo né male, ed anche cambiarci gli abiti... ma almeno eravamo vivi.

‹‹ Vorrei poter fare di più ›› disse di punto in bianco, interrompendo il flusso dei miei pensieri, poi sollevò la testa e si mise una mano dietro al collo, sbuffando in modo stressato ‹‹ vorrei riuscire a tirarti fuori da questo posto, piuttosto che continuare a fare la vita dei senzatetto ››

‹‹ Beh, non siamo dei senzatetto ›› indicai il soffitto sopra le nostre teste, accennando un sorriso degno della peggiore delle bambine ‹‹ guarda! Certo, questa casina è un po' piccolina e scomoda, ma sempre meglio di nulla, no? ››

‹‹ Spiritosa ›› brontolò. Tentativo di sdrammatizzare perfettamente fallito, ma era meglio di nulla.

‹‹ Forza, usciamo da qui e torniamo nell'area 3 ›› disse, aprendola la porticina accanto a sé.

Avevamo fatto una mappa mentale della città, e suddivisa in 8 grandi aree delimitate da dei precisi monumenti del luogo.

L'area 3 era delimitata da un altare enorme dedicato al culto del sole, fino alla base dell'Hae. La chiamavamo anche “zona chiave”, perché era quella dove le guardie giravano molto più spesso.

Ogni giorni, dalle 16 alle 19, partivano sei camion ad intervalli di 40 minuti.

Li avevamo contati. Facevano avanti ed indietro; E no, non avevamo ancora capito il perché, né cosa trasportavano. Erano grandi e neri, con una scritta bianca in coreano.

Le guardie erano armate fino a i denti, quindi non eravamo esattamente tentati di scoprirlo gettandoci verso di loro e gridando qualche strano slogan di battaglia.

‹‹ Perché proprio l'area 3? ››

Lo seguii fuori dalla casetta, osservandolo mentre si scioccava di nuovo la schiena ‹‹ perché ho in mente una cosa da circa una settimana ›› rispose, sbadigliando poco dopo.

‹‹ Ossia? ››

‹‹ Ricordi che Huan – lui, vero? – disse che l'Hae è una sorta di Eden? ››

‹‹ Sì, me lo ricordo ››

‹‹ Date le ultime avventure vissute con loro, torno all'idea di base: sono praticamente la C.A.T.T.I.V.O. coreana. Anzi, ne sono più che certo ›› sussurrò, praticamente, temendo che qualcuno potesse sentirlo, poi chiuse gli occhi ed inspirò profondamente, piegandosi fino a sedersi sul terriccio.

Dato che io ero ancora in piedi, afferrò la mia mano e mi tirò verso il basso, facendo chinare anche me ‹‹ sta giù, non voglio che ti vedano ››

Aveva un'aria assorta, preoccupata e, in qualche modo, confusa.

‹‹ Hai tutta l'aria di chi non ha fatto altro che pensare ›› mormorai

‹‹ Ed infatti è così ›› mi fece notare. I nostri visi erano così vicini che avevo la sensazione che, se mi ci fossi messa d'impegno, sarei riuscita a leggere nei suoi occhi ciò che gli frullava per la testa.

Per qualche strano motivo, calò il silenzio tra noi mentre ci fissavamo negli occhi. Le mani strette tra di loro come se non s'incontrassero da un sacco di tempo, e, per me, fu come se all'improvviso il mondo si fosse fermato per un po'. E non era esattamente il momento adatto per fare la romantica.

Ci fu solo una nota amara: il suo sguardo. Era spento, come se il mio sentimento fosse platonico.

Era spento, pensieroso, come se stesse guardando oltre me qualcosa che era in grado di vedere solo lui. Ed ero certa non fosse mai successo prima di quell'istante... o forse sì? Che fosse solo la stanchezza a farmi vedere certe cose?

‹‹ Liz? ›› mi richiamò, stringendo all'improvviso le mie mani ‹‹ ci sei? ››

‹‹ Sì ›› mormorai, sentendomi una stupida.

‹‹ Bene così ›› lasciò andare le mie mani. Sentii un freddo pungente penetrarmi nelle ossa.

Doveva essere solo stress e stanchezza.

Newt si sporse dietro si sé, ed afferrò un rametto. Lisciò il terreno davanti a noi e cominciò a disegnare un cerchio, con altri cerchietti più piccoli e li indicò uno ad uno man mano che spiegava ‹‹ bene, ora ti spiego da cosa deduco questa cosa ›› esordì, poi cominciò a spiegare ‹‹ pensaci bene. L'Hae ha visto che noi eravamo della C.A.T.T.I.V.O. e ci ha stranamente ospitato senza troppi controlli, poi ha cominciato a debellarci, a partire dal più anziano di noi e l'unico che poteva portarci via, e stranamente la nostra berga è precipitata e, guarda strano caso, ci hanno soccorso proprio loro ››

‹‹ La nostra berga è crollata per colpa di un fulmine ›› gli feci notare, ma scosse la testa.

‹‹ È questo il punto. Non penso sia stata una turbolenza ed un fulmine a far crollare la berga. La com'è ossessionata dalla perfezione la C.A.T.T.I.V.O., e sono quasi certo che quei bestioni non crollano così facilmente. Non ci ho mai ragionato prima, perché pensavo fossimo relativamente al sicuro, ma ora che mi ci fai pensare, Huan stesso ha detto che con – ››

‹‹ Controllano alcune zone per vedere se ci sono sopravvissuti o intrusi ›› ragionai insieme a lui, che annuì a quelle parole.

‹‹ E noi, teoricamente siamo intrusi ›› aggiunse.

‹‹ Ma allora perché farci entrare nelle mura, senza ucciderci prima? ››

‹‹ Ospitare la concorrenza non è un bene ›› mormorò tra sé e sé, come se a quella cosa, in effetti, non ci avesse nemmeno pensato. Portò una mano sul mento, picchiettandolo con l'indice. Poi sollevò lo sguardo su di me, come se avesse appena sentito l'eco della mia domanda, e prese una piccola boccata d'aria ‹‹ Non lo so. Anche se, magari, l'hanno fatto per vedere i nostri comportamenti. Questo mi sfugge, ma penso abbia qualcosa a che fare con l'area 3. Quei furgoni e tutte quelle persone armate non mi convincono, sono sicuro che dentro la base ci sia qualcosa di grosso. ›› si passò una mano tra i capelli, poi sollevò lo sguardo al cielo ‹‹ L'ho sempre detto che questo posto ha un'aria strana ››

‹‹ Perché sorridono tutti? ›› emulai le stesse parole che usò l'ultima volta che fece quell'affermazione, ed annuì in mia risposta, riabbassando lo sguardo.

Tirai, tra me e me, un sospiro di sollievo nel vedere che aveva l'espressione di chi, finalmente, era pronto a dirmi ciò che non aveva detto l'ultima volta. Probabilmente perché ora mi vedeva esposta a quel genere di dialogo, o forse perché ora Minho non era con noi per poterlo sentire ‹‹ secondo me gettano qualcosa nell'aria per fare in modo che rimangano tutti calmi. Oppure c'è qualche regola strana che impone loro di comportarsi in un determinato modo, durante le ore del giorno. Questo spiegherebbe perché, quella volta in cui stavamo tornando a casa, nessuno sorrideva più, ma il giorno dopo era tutto di nuovo nella norma ››

‹‹ Se fosse gas, allora staremo sorridendo anche noi ›› inclinai la testa ‹‹ quindi opterei di più per il lavaggio del cervello ››

‹‹ Potrebbe essere. Oppure, questo posto è pieno di persone con il virus – quello di cui ci ha parlato Huan – in circolo quel gas agisce come il nirvana, ma solo per un certo numero di ore. Questo spiegherebbe perché noi siamo immuni al suo effetto. Magari lo iniettano con quella puntura che fanno. Usano la scusa del prelievo di sangue, per vedere se sono malati, per iniettare il virus ››

‹‹ Newt... quella puntura l'abbiamo fatta anche noi ››

‹‹ Sì, ma noi siamo Muni al cento per cento. Magari con noi non ha attecchito, oppure... non lo so ››

si passò, di nuovo, la mano tra i capelli. Sta volta in modo veramente stressato.

Ero certa che si stesse soffermando su quel problema per non pensare al fatto di aver perso anche gli altri. Newt aveva il terrore di rimanere solo, ma soffermandosi su chi aveva perso, non si stava rendendo conto di avere ancora me. E no, non era gelosia: era un dato di fatto. E mi sentito totalmente, schifosamente inutile.

L'unica cosa che potevo fare ora, era alzarmi e cominciare ad avviarmi con lui verso l'area 3. Era rischioso rimanere nello stesso punto per troppo tempo, e lui lo sapeva bene. Ma era di nuovo così assorto nei suoi pensieri da non essersi nemmeno reso conto di essersi praticamente abbandonato al terreno come una marionetta gettata su una mensola.

‹‹ Forza, mancano poche ore all'alba ›› lo spronai, porgendogli la mano, che ignorò apertamente.

Si alzò con uno slancio delle gambe e, come se volesse farsi perdonare per quel gesto, si chinò per baciarmi una guancia, per poi riprendere subito dopo a camminare, facendomi cenno con la testa di seguirlo.

 

A dire il vero l'area 3 non distava poi così tanto da dov'eravamo, ma l'alba giunse in fretta, ed in poco tempo le strade si sovraccaricano di persone.

Ogni giorno che passava, sembrava che la città si svuotasse sempre di più. Non ero sicura che quello fosse un dato di fatto o solo una mia sensazione, dovuta magari al fatto che eravamo sempre di corsa e non badavo a tutto l'effettivo afflusso di persone.

Anche perché non ero poi così tanto abituata ad essere circondata da perfetti sconosciuti... in una città, poi, a piede libero e senza il rischio di incappare in qualche cannibale psicopatico.

Ma dentro di me ero certa che il giorno prima c'erano molte più persone.

A parte la sparizione delle persone, le poche persone rimanenti avevano un sorriso sempre più tirato.

Dopo quella chiacchierata fatta giusto poco prima, con Newt, mi sembrava di riuscire a vedere chiaramente quanto fosse fittizio il sorriso di quelle persone.

Le loro labbra, sì, erano ricurve in un sorriso, ma i loro occhi sembravano gridare pietà. Sembrava che qualcuno reggesse dei fili agli angoli delle loro labbra, giusto per farli sorridere.

Istintivamente inspirai profondamente, come se mi aspettassi di sentire l'odore acre di qualche strana sostanza. Ma ovviamente, non sentii niente.

‹‹ Non guardare nessuno ›› sussurrò Newt, abbassando lo sguardo verso la strada, mentre camminava. Lo feci anche io, fissando i nostri piedi che si muovevano in sincrono. Ormai conoscevo i passaggi per cercare – sperare – di passare inosservati. Per quanto due persone come noi potessero passare inosservate, in mezzo a mille coreani. Passare nell'area 3, poi, era sempre rischioso, considerando che c'erano mille telecamere di sorveglianza. Ma Newt era riuscito ad individuarle quasi tutte, per cui sapeva dove passare e dove no. Il mio “piccolo” genio all'opera.

Camminava con una tale sicurezza da dare l'impressione di farlo in modo normale, ma in verità era tutto un percorso studiato apposta per evitare le telecamere.

Ogni tanto sollevava lo sguardo, si guardava rapidamente attorno e riabbassava la testa.

Non che ci fosse niente di strano in particolare. Il solito via vai di camion, guardie e persone dall'aria fintamente felice. Niente di più e niente di meno.

“tutto apparentemente in regola”. Le guardie parlavano tra i loro, ma noi non capivamo niente.

Non capivo cosa stesse cercando in particolare, cosa si aspettava di vedere... perché io non notavo niente di strano. A parte...

‹‹ Newt? ›› sussurrai, vedendolo girare gli occhi nella mia direzione, senza però proferire parola. Ma sapevo che stava ascoltando. ‹‹ Quella bambina, poggiata al camion nero, accanto all'entrata della base... non è la stessa bambina che abbiamo visto l'altra sera? Quella che è stata prelevata da quella specie di robottino... ››

Si girò quasi di scatto, in modo anche troppo poco indiscreto per uno che cercava di passare inosservato. Sì, era decisamente lei. Si comportava in modo poco naturale.

Faceva dei movimenti a scatti con la testa, che mi ricordavano vagamente Jillian. Anche se quelli della ragazza erano palesemente robotizzati, ed invece quelli della bambina erano più dei tic nervosi. Tremava, ma i suoi occhi erano spenti.

‹‹ Non è lei ›› rispose Newt ‹‹ ma le somiglia parecchio ››

No, era proprio uguale. Le diedi un ulteriore occhiata, chiedendomi dove vedesse la differenza.

D'altronde lui, però, l'aveva vista da vicino. Probabilmente la riconosceva per quel motivo.

‹‹ Cosa stiamo cercando, di preciso? ››

‹‹ Prove ››

‹‹ Prove? ››

‹‹ Già ›› i suoi occhi guizzarono da una parte all'altra della strada. Si morse il labbro inferiore, poi poggiò una mano sulla mia schiena e spingendomi ‹‹ e ho trovato qualcosa di utile, grazie a te ››

‹‹ Grazie a me? ››

‹‹ Sì ›› sussurrò, ed aumentò il passo, al punto che divenne una corsa lenta ed un dare le gomitate di continuo a tutte le persone che ci si paravano davanti ‹‹ ora zitta e cammina ›› disse in modo secco.

Il suo tono di voce era nervoso, ed aveva afferrato la mia mano, stringendola in modo così forte da farmi quasi male. Mi stava strattonando accanto a sé, ma faceva finta che fosse una cosa normale.

Non avevo capito il motivo di quell'improvviso aumento del passo, fino a quando, poi, non mi resi conto che le persone, lentamente, si stavano mettendo volontariamente in mezzo al nostro cammino, come se ci volessero rallentare. E la cosa peggiore era che ci stavano riuscendo.

Volevo voltarmi, ma il mio buon senso mi diceva di non fare niente del genere e di cercare di tenere il passo di Newt senza dare troppo nell'occhio.

Pessima, pessima idea venire qui!, pensai, ed una parte di me si stava rispondendo con “Ma no, non mi dire!”.

Mi portai una mano alla bocca e cominciai a mordere nervosamente l'unghia del pollice, guardando Newt come se sperassi in qualche singola parola di conforto. Ma era fin troppo occupato a scansare le persone, per badare al mio nervosismo.

Mi sentivo in trappola, e sola. Se le persone si stavano comportando così, probabilmente eravamo nella sploff.

‹‹ Ascoltami ›› cominciò Newt, stringendo ancora la mano, come se all'improvviso si fosse ricordato della mia presenza ‹‹ la vedi quella macchina rossa davanti a noi? ››

Corrugai la fronte ‹‹ Sì, perché? ››

‹‹ Corri in quella direzione e imbocca il vicolo accanto ad essa. Nasconditi, io vado dall'altra parte in modo da distrarre le guardie ››

Le guardie? Ci stavano seguendo le guardie?

Certo che ci sono, idiota. È l'area 3, ne è pieno!; pensai, poi mi realizza le parole del ragazzo, che cominciava a spingermi verso quella direzione. Frenai con i piedi, rallentando per evitare di sorpassarlo.

No, assolutamente no. Non lo avrei mia lasciato fare una cosa simile, rischiando di perdere lui e, di conseguenza, ogni singola cosa.

Non di nuovo. Non potevo permettermi di perdere anche lui. Sopratutto lui.

‹‹ Cosa? Non se ne parla nemmeno! ›› sibilai a denti stretti, stringendogli la mano.

No, sta volta non lo avrei lasciato fare una cosa così suicida ed idiota. Sapevo che si sarebbe arrabbiato, ed infatti lo sentii grugnire in modo contrariato, pronto a controbattere. Poi uno sparo passò esattamente tra me e lui, con una precisione degna di un cecchino, e gli sfiorò la guancia.

I miei occhi si sgranarono alla vista del sangue che colava giù dalla piccola ferita sotto l'occhio, riportandomi alla memoria il taglio che gli aveva procurato il dolente.

La saliva mi si asciugò in bocca. Se avesse mirato un pochino meglio, lo avrebbe colpito in pieno.

Newt si girò dalla parte da cui provenne il colpo, e la folla di persona fece un semicerchio attorno a noi, rivelando un ragazzo che infossava una maschera, che gli copriva tutto il volto.

Non diceva niente, ma ci puntava addosso un fucile. Aveva una posa sicura mentre reggeva l'arma, e tutta l'aria di chi non avrebbe mai sbagliato un colpo. Sicuramente quello era solo un avvertimento, per farci capire che eravamo stati individuati.

Avevo il cuore in gola, e le mani mi tremavano.

Deglutii. Non sapevo cosa fare, cosa potevo fare, e nella mia testa scattò una sorta di conto alla rovescia.

Il ragazzo, lentamente, spostò il fucile nella mia direzione, ed il mio cuore, per un secondo, si fermò nel momento in cui premette il grilletto e Newt si scagliò contro di me, spingendomi a terra.

Rotolai su me stessa, e con un'agilità che nemmeno sapevo di avere, scattai dritta con la schiena, guardando il ragazzo chino sulle ginocchia.

Non parlai, sentivo la lingua paralizzata e tutto il corpo che tremava.

Guardai l'uomo che caricava il fucile e – probabilmente – imprecava mentre l'arma sembrava essersi inceppata, ed approfittai di quei pochi attimi per scattare in piedi ed affiancarmi a Newt, chinandomi sulle ginocchia. Strizzava gli occhi, e il braccio sinistro, nell'avambraccio, era impregnato di sangue.

‹‹ Ti prego, alzati! ›› lo implorai, con un tono fin troppo disperato. Lui scosse la testa, poggiò una mano sul mio addome e mi spinse, e prima che potesse dire una singola parola sul fatto che dovessi andare via, digrignai i denti e, afferrandogli il braccio sano e facendo forza, lo costrinsi a mettersi in piedi, sentendolo imprecare per il dolore dello sforzo ‹‹ Io non ti lascio qui, quindi chiudi quella caspio di bocca e muoviamoci! ››.

Non aveva l'aria di chi fosse d'accordo con quelle parole, ma annuì. Nemmeno il tempo di cominciare a correre, che sentimmo un altro sparo, che sfiorò la mia gamba. Sentii una scossa risalire lungo la gamba, e subito dopo la mano di Newt afferrò il mio braccio, impedendomi di cadere.

Così cominciammo a correre più velocemente del solito. In poco tempo le persone si erano di nuovo sparpagliate attorno a noi, cercando di impedirci di muoverci.

Era come se fossero... ipnotizzati. Come se qualcuno avesse dato l'ordine dall'alto.

Ma non ci fermavano, nonostante il dolore degli spari ci stesse lentamente consumando.

Sentivo la gamba pulsare così forte da darmi la sensazione che si potesse staccare da un momento all'altro.

E correvamo. Non sapevo dove, e nemmeno importava. Sapevo solo che dovevamo andare via, ed ero estremamente preoccupata per quella striscia di sangue che gli rigava la guancia.

Svoltammo più di una volta in diversi vicoli che lui, apparentemente, conosceva come le sue tasche.

Stava soffrendo come un cane, ma non diceva nulla.

Appena la situazione sembrava essersi calmata, e fummo lontani dall'area 3, ci poggiammo contro un muro, in un vicolo nascosto da tante scatole accavallate.

Dovevamo riprendere fiato, e sembrava impossibile farlo per via delle ferite.

Newt era chino su sé stesso, con una mano poggiata sulla guancia mentre cercava di pulire via il sangue che, nel frattempo, si era asciugato sulla guancia ed era colato lungo il collo, poi sul braccio, unendosi a quello che fuoriusciva dallo sparo.

‹‹ Brucia, porca merda! ›› sibilò tra i denti, e non era da lui lamentarsi, quindi doveva effettivamente fare male.

‹‹ Anche a me... ›› mi lasciai scivolare lungo la parete, guardando la ferita attraverso il pantalone strappato. Newt si accovacciò accanto a me, e la guardò anche lui ‹‹ Spero che non ci siano quei famosi mini-proiettili ››

‹‹ Lo spero anche io. Ci mancherebbe solo un infezione, caspio! ›› poggiò la testa contro la parete, chiudendo gli occhi ‹‹ questa sul braccio è terribile! ›› e, detto questo, si portò una mano alla bocca.

Sfilandosi la maglietta e lasciandola cadere a terra.

Non era esattamente il momento adatto per fare uno spogliarello, ed allo stesso tempo, sperai che non stesse per fare quello che immaginavo. Non da solo, e non senza gli strumenti adatti.

Ma quando lo vidi mettersi la mano in bocca, mordere, e portare l'altra al braccio, i miei sospetti furono confermati.

‹‹ Newt, no, fermo! ›› lo ripresi, ma non mi ascoltò, ed infilò due dita nella ferita, cominciando a muoverle.

Strizzò gli occhi e lo vidi mordere più forte la mano, emettendo lamenti soffocati per evitare di dare troppo nell'occhio.

Le vene del suo collo s'ingrossarono, e la sua faccia divenne rossa per lo sforzo. Il suo respiro divenne pesante, affannato, e non riusciva a stare fermo con il corpo mentre cercava, con le dita, il proiettile nella ferita. Mi dava fastidio guardarlo, quindi girai gli occhi.

Allo stesso tempo, non potevo stare con le mani in mano mentre faceva quel lavoro.

Presi il coraggio a due mani e mi avvicinai al suo braccio, fermandogli la mano.

Allora, aprì gli occhi, levandosi la mano dalla bocca.

Aveva le lacrime agli occhi per il dolore, e la sua mano era diventata violacea. Sotto il braccio si era creata una macchia di sangue, che era colato lungo il suo braccio.

‹‹ Liz, ch – ››

‹‹ Faccio io, così facendo peggiorerai solo le cose ››

rimase in silenzio per un attimo, osservando la mia espressione per decifrarla.

Io, nel frattempo, osservavo la ferita. Il proiettile non era profondo, anzi, era parecchio visibile e già estratto in modo superficiale. Bastava un po' di pazienza e l'avrei tirato fuori... anche se fargli del male non mi faceva impazzire.

‹‹ Non penso che riuscirai ad estrarlo ›› disse. In risposta, sollevai un sopracciglio e gli presi la mano che stava mordendo, avvicinandogliela alle labbra.

‹‹ Posso farcela, invece. L'hai già tirato fuori... per metà, almeno. Ci vorrà poco. Indubbiamente non faccio i salti di gioia al pensiero che ti farà male, ma sempre meglio che stare qui a guardarti, con le mani in mano, mentre ti macelli il braccio da solo ››.

Mi guardò ancora, in silenzio, poi, senza dire niente, infilò di nuovo la mano in bocca.

Presi coraggio e, dopo essermi “pulita” le mani contro la maglietta, afferrai i bordi del proietti e cominciai a tirare.

Mi venne voglia di fermarmi appena lo sentii gemere di dolore, ma non potevo farci granché. D'altronde era incastrato, e dovevo fare leva per tirarlo via. Lo vidi drizzare la schiena e lo sentii tremare, anche se cercava di non farlo.

Non riuscivo nemmeno a parlare, ma avevo voglia di piangere nel vederlo in quelle condizioni. Ed era colpa mia. Ancora una volta, era colpa mia.

Deglutii, e feci più forza, estraendolo totalmente. Non avevo nemmeno il coraggio di guardare la ferita, perché era in condizioni davvero pessime: lo squarcio era allargato dal momento in cui lui aveva cominciato a “scavare” nella carne per afferrarlo, in modo da poterlo estrarre, e mentre lo tiravo via io avevo contribuito a quel macello. Estraendo il proiettile, poi, avevamo dato via ad una mini emorragia. Mi veniva da vomitare. Mentre lui si accasciava contro la parete e riprese fiato, ignorando totalmente lo scorrere del sangue, io afferrai il lembo del mio pantalone e ne strappai un bel pezzo, lo scossi per pulirlo dalla polvere e lo legai ben stretto attorno all'avambraccio, in modo da tamponare la ferita.

Girò la testa, in modo parecchio pigro verso la mia direzione. Non diceva niente, ma aveva tutta l'aria di chi, da quel momento in poi, volesse solo accoccolarsi in sé stesso e riposare un attimo. Ma sapevamo benissimo di non poterci permettere quel lusso.

Incrociai il suo sguardo, e dopo pochi attimi, lo vidi sorridere.

La sua fronte era imperlata di sudore, ed il suo sorriso era sincero. Veramente sincero. Mi strappò un sorriso anche a me, ed incuriosita, inclinai la testa.

‹‹ Che c'è? ››

‹‹ Nulla. Pensavo che sei brava come medicale, per essere una fagio ›› soffocò una risatina, che si trasformò in un gemito di dolore poco dopo, che cercò di camuffare mentre sollevava la testa verso l'alto e strizzava gli occhi ‹‹ caspio sploffato ›› imprecò, quasi come un ringhio.

‹‹ Scusa, è colpa mia ››

‹‹ Ci guardiamo le spalle a vicenda, com'è giusto che sia. E la colpa non è tua, ma mia. Sono stato io a dare l'idea ›› riaprì gli occhi, inspirando profondamente ‹‹ e poi, ho promesso che ti avrei protetta da qualsiasi cosa, quando eravamo nella radura. Quella promessa vale ancora. ››

accennai un sorriso a quel ricordo. Non che nella sua memoria, quei piccoli momenti erano ancora presenti.

‹‹ Sarai il mio cavaliere dall'armatura lucente? ›› imitai la stessa domanda, e lui annuì, ridacchiando – in modo forzato per via del dolore –

‹‹ Mettiamola così ›› rispose, imitando, anche lui, quella risposta.

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


Apparentemente il braccio di Newt era okay.

O almeno, così sembrava, insomma. Non si lamentava quasi mai per evitare di farmi preoccupare, ma ero comunque attenta come non mai. Il pezzo di pantalone che aveva legato attorno all'avambraccio aveva una grossa macchia di sangue alquanto preoccupante, ma nonostante tutto continuava a dire di stare bene.

Lavare la ferita con l'acqua di quel posto era totalmente fuori discussione. Non ci fidavamo, ed in ogni caso non avevamo tempo per fermarci a lavarci, ed anche avendocelo le fonti di acqua erano troppo esposte per poterci permettere di farlo.

Mentre camminavamo ancora una volta verso l'ignoto, i Goemul avevano fatto la loro apparizione settimanale e mangiato un paio di persone. La cosa ormai non ci faceva nemmeno più effetto, e non ci eravamo scomposti poi così tanto.

Non la vedevo poi come una cosa così negativa, il fatto che fossimo relativamente indifferenti di fronte a quella situazione. Alla fine, dopo tutto quello a cui avevamo assistito, quello era niente.

Eravamo diventato abbastanza apatici di fronte a quel genere di strage.

In ogni caso, eravamo contro la parete e nascosti già da prima della loro apparizione, e tali eravamo rimasti.

L'unica cosa in cui pregavo, era la speranza che non sentissero l'odore del sangue di Newt.

Ma il fatto che fossero strisciati affianco a noi, ignorandoci totalmente, probabilmente era segno che il loro pasto era sufficiente.

Per cui, una volta che i Goemul furono abbastanza lontani, ci alzammo dalla parete e cominciammo, di nuovo, a camminare per l'ignoto.

‹‹ Cos'hai scoperto grazie a me? ›› domandai, ma lui non rispose.

Il suo viso era contratto, ed il suo respiro abbastanza pesante.

Era dolore? O stava riflettendo sul dirmelo o meno?

C'era veramente motivo di tenere tutto quel mistero?

Di colpo, il suo viso divenne più rilassato e rassegnato. Capì, probabilmente, che tanto tenere dei segreti in una situazione come la nostra, dove ormai esistevamo praticamente solo noi, non serviva a molto.

‹‹ La bambina ›› si decise a dire, infine. Si fermò, si piegò sulle ginocchia e diede un colpo di tosse.

Corrugai la fronte, guardandomi le spalle.

‹‹ Tutto bene? ›› mormorai, dandomi poco dopo dell'idiota.

Era OVVIO che non andava tutto bene.

‹‹ Sì ›› io ero un'idiota e lui un bugiardo.

Prima che potessi controbattere, si rimise in piedi. Si appiattì un po' di più contro il muro, e riprese a camminare.

Ad ogni passo sembrava che la sua pelle s'imperlasse di sudore. Era attribuibile tutto al caldo, ma sentivo che c'era molto di più.

‹‹ Dicevo, la bambina. Il posto. Le persone. Siamo tutti chiaramente controllati... ›› mormorò, dandosi uno sguardo attorno ‹‹ e questa era una cosa abbastanza ovvia, giusto? ››

‹‹ Sì ››

‹‹ E tutti quei camion neri... quella bambina... il rapimento del robottino... ›› sembrava un elenco di cose sconnesse. Sembrava delirante.

‹‹ Non sto capendo. Dove vuoi arrivare ››

‹‹ Manie di controllo ››

‹‹ Manie di controllo? ››

‹‹ Sì, mani di controllo. Pensaci bene: tutti sorridono durante la giornata, ma la notte sono “liberi” di essere loro stessi e non sorridono più. I camion... potrebbero trasportare delle persone, no? E la bambina con gli scatti strani? E se fosse una fuggitiva? Tutte quelle guardie, poi, a cosa servono in un posto dove, in teoria, nessuno è malato? A controllare cosa? E perché nell'area 3 ci sono più controlli che mai? Okay, è una base... però... ››

‹‹ Newt, calmati. ›› corrugai la fronte. Le sue vene del collo si stavano gonfiando in modo sorprendentemente veloce.

Che stesse cominciando a cedere alla pressione?

‹‹ Sono calmo ›› disse in un sussurro, continuando a camminare senza nemmeno guardarmi.

Aveva lo sguardo fisso di fronte a sé, ed aveva tutta l'aria di chi era totalmente assorto nei propri pensieri.

‹‹ Okay... allora spiega tutto con calma, perché non ho capito nulla.

O meglio, ho capito l'elenco, ma non ho capito a cosa vuoi arrivare ››

Sbuffò in modo frustrato, e si portò una mano tra i capelli biondi, scompigliandoli appena ‹‹ Non sei tu che non capisci, è che la teoria che ho in testa è così criptica che non riesco nemmeno ad esporla. Tutti i tasselli sembrano raccontare una cosa diversa ››

‹‹ Prova a spiegarmeli uno ad uno, no? ››

Scosse la testa ‹‹ No. Ci vorrebbe troppo tempo, e non ne abbiamo così tanto a disposizione ››

corrugai la fronte.

‹‹ Non abbiamo tempo? ››

Scosse la mano, facendomi capire che quella discussione era terminata ed ora doveva passare a qualcosa di decisamente più importante ‹‹ tutto ciò che abbiamo visto fino ad ora... penso che questa città, in realtà, non si altro che un mini-test per qualcosa di più grande. Se ci pensi attentamente, tutto torna. Qui sono tutti controllati, evidentemente dalla mattina alla sera, no? Non so come, non so perché e non so com'è effettivamente il test più grande. Non è molto su cui lavorare, lo so... ma... ›› sospirò ‹‹ non lo so, magari non è nemmeno così e sono io che sto diventando paranoico ››

serrai le labbra, guardandolo attentamente.

La sua teoria poteva essere esatta, ma sembrava priva di fondamenta e filo logico.

‹‹ Intendi, per caso, che la città sia una sorta di fase? Un po' come – ››

‹‹ La zona bruciata ›› mi anticipò, annuendo ‹‹ esattamente ››

‹‹ Questo farebbe di noi dei topi da laboratorio ››

‹‹ E se ci pensi, spiegherebbe anche il perché ci hanno tenuti, nonostante siamo della C.A.T.T.I.V.O.. Vogliono arrivare a dove loro non sono arrivati, con noi, tenendoci anche se sanno che siamo Muni ››

Si portò rapidamente la mano alla bocca e diede un colpo di tosse apparentemente così forte da farlo piegare in due. Si poggiò al muro, inspirando profondamente più e più volte, per poi tossire di nuovo. Quando spostò la mano, cominciò a tremare alla vista del sangue.

Stava sputando sangue ad ogni colpo di tosse.

Aveva gli occhi lucidi, e la pelle sorprendentemente pallida. Sudava.

In quel preciso momento, sentii come se qualcuno mi avesse improvvisamente gettato addosso un secchio pieno di ghiaccio

Feci per aprire bocca, ma lui solleva la mano per impormi il silenzio, mentre con l'altra si pulì la bocca dal resto del sangue.

‹‹ Sto bene, non allarmarti inutilmente. ››

‹‹ Newt... ››

‹‹ Ti ho detto che sto bene. ››

Non stava bene per niente, e non mi andava di essere presa per il culo in quel modo.

Abbassai lo sguardo, guardando la mano sporca di sangue mentre cercava di pulirla sui vestiti.

Come poteva dire di stare bene, quando era abbastanza palese che non era vero? Perché si stava comportando in quel modo?

Cercai di appellarmi al buon senso, e di capire che, probabilmente, se stava nascondendo veramente qualcosa, era semplicemente per non farmi preoccupare.

Magari non era veramente nulla...

Sospirai.

No, non poteva non essere nulla.

Sputare sangue non era una cosa normale come lo era respirare o dare dei semplici colpettini di tosse, magari dovuti alla polvere.

‹‹ Cosa mi stai nascondendo? ››

chiedi di punto in bianco. Lui si girò, poggiandosi al muro e guardandomi con aria quasi di sufficienza.

‹‹ Niente. ››

Non sapevo perché, ma ebbi la sensazione di cadere giù da un precipizio.

Perché mi stava nascondendo qualcosa? Perché continuava a dirmi delle bugie così palesi?

Avevo degli occhi anche io, e fortunatamente funzionavano abbastanza bene da vedere da sola che qualcosa non andava per il verso giusto.

Non era normale sputare sangue. Non era normale la sua pelle così pallida.

Che avesse un infezione in corso, per colpa del proiettile? O c'era ancora qualcosa che non mi aveva detto, riguardo l'Hae

 

Quella, in ogni caso, fu l'ultima conversazione lunga tra di noi.

Non pensavo che potesse essere possibile mantenere il silenzio quasi totale tra due persone, per una settimana buona. Sopratutto considerando che eravamo soli, e di certo non potevamo chiacchierare con i sassi.

Sentivo crescere tra di noi un muro invisibile, che tagliava i fili che ci legavano, ed io non me la sentivo più di arrampicarmi sulla parete per raggiungerlo. Sopratutto vedendo che lui non sembrava impegnarsi come me.

Non sapevo come o quando fosse successo, cosa di preciso ci stava facendo allontanare.

Ne avevamo affrontate tante, ed anche ben più gravi di quelle... insomma... forse più gravi no, però potevamo dire con certezza che il nostro rapporto era stato messo alla prova più e più volte.

Forse era il segreto che si stava portando dentro ad averci fatto allontanare, o il fatto che lui si stesse comportando come una persona che, ormai, non aveva più sentimenti. Non che non mi controllasse, perché ero certa che se mi fosse successo qualcosa, comunque, si sarebbe fiondato ad aiutarmi... ma a volte avevo la netta sensazione che mi stesse tenendo accanto per non rimanere totalmente solo.

Si era spento totalmente. Era come se il Newt che conoscevo io, ormai, fosse morto assieme agli altri. Non credevo fosse possibile, perché neanche quando aveva l'eruzione era così tanto spento.

Facevamo ancora i turni per dormire, e le poche volte in cui ci rivolgevamo più di un ciao, era proprio per decidere a chi toccava passare la notte in bianco.

Ma io, quando toccava a me, osservavo i suoi cambiamenti.

La sua pelle diventava sempre più pallida, le labbra sempre più violacee ed i suoi occhi erano contornati dalle occhiaie. A momenti sembrava addirittura zoppicare.

Caratterialmente, sembrava stesse subendo una regressione al vecchio Newt insensibile.

 

Quella notte il turno di guardia spettava a me.

Per quanto fossi terribilmente tentata di toccargli il volto, o i capelli, o qualsiasi altra parte del suo corpo, mi trattenni. Non volevo infastidirlo, anche se mi mancava un sacco la sensazione del suo tocco sulla mia pelle, e le varie piccole attenzioni giornaliere. Non ci sfioravamo nemmeno più le mani. Nemmeno per errore. Era come se lui stesso calcolasse la distanza dal mio corpo e la mantenesse in modo rigido e costante. Sembravamo due semplici conoscenti, ed io mi sentivo un'idiota a preoccuparmi ancora per lui e per quel suo stato da zombie apparente.

Perché, sì, sembrava uno zombie con quelle occhiaie e quel colorito.

Ma era più forte di me: lo amavo, anche se ormai la cosa sembrava essere abbastanza platonica.

Avevamo buttato via il pezzo di pantalone intriso di sangue, ma la ferita era ancora evidente e faticava a rimarginarsi. Anche perché mangiavamo poco e male.

Come mangiavamo? Beh... semplicemente rubavamo dai negozi, o dai ristoranti – gli avanzi – … certo, non era il massimo della vita, ma dovevamo pur sopravvivere. Il problema era bere. Perché rubare del cibo era più semplice di rubare dell'acqua.

Immersa in quel pensieri, sobbalzai al rumore di passi fin troppo vicini al vicolo nella quale eravamo nascosti.

Mi girai di scatto in direzione del suono, sgranando gli occhi alla vista della luce di una torcia non troppo lontana.

Dovevamo spostarci da lì.

‹‹ Newt... ›› sibilai vicino al suo orecchio. Sapevo che era in un perenne stato di dormiveglia, per cui chiamarlo in quel modo era più che sufficiente per attirare la sua attenzione.

Aprì gli occhi, ancora assonnato, e sollevò lo sguardo.

‹‹ Dimmi, che c'è? ›› mormorò.

Sotto solo la luce lunare, i suoi occhi erano strani. Sperai che fosse, appunto, semplicemente causato dalla fin troppa poca luce della luna e da quella debole del lampione lontano da noi.

‹‹ Ci sono delle guardie. Dobbiamo andare via di qui ››

‹‹ Guardie? ›› mugugnò, poi si sforzò di mettersi in piedi ‹‹ guardie di cosa? ››

‹‹ Ma come di cosa? ›› domandai, corrugando la fronte, alzandomi a mia volta.

Si sfregò una mano tra i capelli, poi si guardò attorno. Sembrava totalmente spaesato, e tremava sulle gambe.

‹‹ Ti senti bene? ››

‹‹ S-sì ›› non stava bene per niente. Come sempre.

Si poggiò al muro ed inspirò.

Sebbene, come detto prima, c'era veramente poca luce, era fin troppo visibile la sua pelle perlata dal sudore.

Ma quello non era il momento per soffermarsi su quei dettagli.

‹‹ Dobbiamo andare via di qui ›› dissi rapidamente. Ma lo vedevo fin troppo mogio contro quel muro, che mi guardava quasi rassegnato.

‹‹ Newt! ›› lo richiamai, e vedendo che continuava a starsene fermo, istintivamente, gli presi la mano e cominciai a tirarlo con me. A quel punto fu letteralmente costretto a seguirmi, senza fare troppe storie.

Cominciammo a correre il più lontani possibile, attaccati ancora alle pareti. Feci ben attenzione a non fare troppo rumore e – apparentemente – lui stava facendo la stessa cosa.

 

Quando fui abbastanza sicura di averci portati in salvo, lasciai la sua mano.

Era l'ennesimo vicolo buio.

‹‹ Avresti dovuto lasciarmi lì ›› sbuffò lui, poggiandosi contro il muro e lasciandosi scivolare.

‹‹ Ti sei bevuto il cervello? ››

‹‹ No ›› rispose, raggomitolandosi su sé stesso. Tremava ancora, ed aveva una mano poggiata sulla fronte.

Corrugai la fronte, ed a quel punto mi sorse un dubbio spontaneo. Fanculo se stavo distruggendo di nuovo la sua barriera da “non tocco Liz”, dovevo assicurarmi di una cosa.

Mi sporsi, spostai la mano e poggiai la mia sulla sua fronte.

‹‹ Che caspio, Newt! Scotti! Perché caspio non me l'hai detto prima?! ››

‹‹ Che importanza ha? Non abbiamo delle medicine dietro! ›› spostò con un colpo secco la mia mano, poi sbuffò.

Ritrassi la mano contro il mio petto, guardandolo con aria preoccupata.

Capivo, comunque, che avendo la febbre da chissà quanto, ormai aveva il limite di sopportazione sotto le scarpe.

Forse, nella penombra, vide la mia faccia ed un po' si ammorbidì.

Sospirò, poggiando la testa contro la parete, mentre chiudeva gli occhi ‹‹ scusa, okay? Non volevo farti preoccupare inutilmente ››

‹‹ Non fa niente ›› ed io, invece, non volevo portare avanti una discussione che probabilmente sarebbe giunta ad un punto morto. Quindi, semplicemente, lasciai cadere il discorso.

‹‹ Sono una testa di caspio ›› o almeno, ci provai ‹‹ non sono stato capace di proteggere nessuno. Né me stesso, né gli altri, ed ora non sto proteggendo nemmeno te. Mi sento spesso così – ››

‹‹ Solo. Lo so. Il problema di tutto questo è che tu non sei solo, Newt, ficcatelo in quella caspio di testa, maledizione. ›› Sbottai. E non era il caso, ne ero consapevole ‹‹ stiamo fuggendo da chissà quanto tempo, quando siamo dei dannati topi in trappola! Siamo solo io e te, eppure continui a tenere dei segreti con me! Ti rendi conto, maledizione, che ci stiamo allontanando? ››

‹‹ Lo so. ››

‹‹ E allora perché continui a fare così?! ›› involontariamente stavo alzando il tono della voce, ma sembrava che in quel momento non era importante

‹‹ Vuoi sentirti dire la verità? Okay ›› prese un grosso respiro, e si sporse in avanti, in modo da avere una visione migliore del mio viso ‹‹ Penso che il proiettile fosse avvelenato, o qualche sploffata simile. Ma il problema non è neanche tanto quello, perché, come avrai notato, ho cominciato ad allontanarmi già da prima. Il fatto è, Liz, che comincio seriamente a pensare che tutto ciò che è successo tra noi, i miei sentimenti per te, fossero semplicemente... il niente. Forse era qualcosa dettato dal mio sentirmi inconsciamente solo in mezzo a tutte quelle persone, o forse era tutto un piano della C.A.T.T.I.V.O. per capire come funzionava il mio cervello, o qualcosa del genere. Fatto sta che sono confuso, non so quasi più cos'è vero e cosa no ›› trattenni il respiro. Fu come una pugnalata al petto ed un pugno nello stomaco.

Lui si prese un attimo di pausa, poi riprese a parlare ‹‹ il fatto è che non provo più niente per te. O meglio... non so più cosa provo ››

‹‹ Mi stai lasciando? ››

Si prese un attimo di tempo per pensarci. Mi girava la testa. L'attesa dell'inevitabile era snervante.

Perché? Perché ora? ‹‹ praticamente sì ›› si accasciò di nuovo contro il muro, prendendo un altro respiro ‹‹ in un'altra vita, probabilmente, avrei fatto in modo che tutto questo non succedesse. Avrei fatto in modo che vivessimo tranquillamente all'interno della base. Avrei evitato la rivolta e sarei rimasto chiuso in quelle mura. Ti avrei incontrata e tutto, magari, sarebbe andato meglio.

Avrei capito, sinceramente, se i miei sentimenti erano reali o meno ››

ero troppo confusa per capire cosa stesse succedendo attorno a noi. Nemmeno le sue parole riuscirono a distruggere l'improvvisa barriera immaginaria che mi si era creata attorno.

Lui era confuso, e non sapeva più se ciò che provava per me era reale o meno, ma io ero certa di ciò che provavo per lui. O forse no? Forse non lo ero nemmeno io?

Soffocai una risatina isterica, poi lo guardai. Mi tremavano le mani dall'improvvisa isteria che mi prese.

‹‹ M-magari è solo lo stress, no? Magari è per quello che – ›› provai a dire, ma lui scosse la testa

‹‹ Non lo so, Liz. ››

e da lì in poi, ogni singola parola, ogni singolo rumore divenne il nulla.

Mi spensi, come se qualcuno avesse staccato la spina del mio cervello.

Non mi resi nemmeno conto dei passi delle persone che si stavano avvicinando, o quando effettivamente ci trovarono. Non mi resi conto di quanto tempo passò.

Mi resi conto solo del momento in cui, una delle guardie, gridò qualcosa. Sentii uno spintone, ed ebbi un déjà vu.

Newt sopra di me, come scudo umano, ed un colpo di pistola.

Sgranai gli occhi, ritornando improvvisamente alla realtà.

‹‹ Newt! ››

dalle sue labbra colò del sangue, ed accennò un sorriso amaro.

‹‹ Va via di qui ›› disse, con un rantolo che mi fece accapponare la pelle.

Sentii le mie guance umide.

‹‹ Non vado via senza di te ›› mormorai. E lui lo sapeva che non me ne sarei mai andata.

Così si sforzò di mettersi in piedi.

Le guardie non erano così vicine come sembrò al mio udito, ma non erano nemmeno tanto lontane.

Mi misi in piedi a mia volta, cominciando a correre assieme a lui, ed ecco un altro colpo di pistola, che lo colpì di nuovo.

Ma le guardie non avanzarono di un solo passo. Erano pistole ad alta precisione?

Mi girai appena sentii il tonfo, vedendo che Newt si era lasciato cadere sulle ginocchia.

‹‹ Ma che fai? Alzati! Ti prego, alzati! ›› mi chinai a mia volta, cercando di aiutarlo ad alzarsi.

Lui poggiò le mani sulle mie spalle, poi mi guardò. Ora il lampione, lo illuminava un po' di più.

Le sue labbra erano intrise di sangue. Mi sembrava di assistere ad un film horror.

‹‹ Corri. Va via almeno tu ››

‹‹ Non ti lascio qui. Preferisco morire, piuttosto che andare via senza di te! ›› accennò un sorriso, e sentii la sua stretta alleggerirsi sempre di più.

Spostò una mano sulla mia guancia, accarezzandola lentamente ‹‹ se potessi tornare indietro, rifarei tutto da capo, con te ›› un altro colpo di pistola, che fece sussultare il suo corpo ed alleggerire, ancora di più, la sua presa.

Si sforzò di non tossire, per evitare di sputarmi il sangue in faccia. Rapidamente, afferrai il suo viso tra le mani, pregandolo silenziosamente di non abbandonarmi ancora

‹‹ Ed io perderei la memoria anche mille volte, se necessario, solo per re-innamorarmi di te ›› sussurrai. Lo vidi sorridere ancora, poi la sua mano scivolò lentamente

‹‹ Va via ›› sussurrò, mentre le sue palpebre si chiusero lentamente, ed il suo corpo si accasciò contro il mio.

Non ci riuscivo. Non riuscivo ad abbandonarlo un'altra volta.

Sentii le guardie gridare qualcosa.

Le luci si moltiplicarono, e solo in quel momento notai che le guardie di fronte a noi erano ben tre, ed ora altri tre li stavano raggiungendo.

Non avevo molta scelta.

A malincuore, mi spostai dal corpo di Newt, presa da una morsa al petto che quasi m'impediva di respirare.

Cominciai a correre, e non avevo idea di dove stavo andando.

Ormai ero come un coniglio in trappola.

Sembrò, all'improvviso, che l'intera città avesse cominciato a girare, e la strada sotto i miei piedi fosse diventata un tapis roulant.

Da quanto tempo correvo? Non lo sapevo nemmeno io, ma sentivo comunque i passi dietro di me.

Le guardie mi inseguivano, ed io non ero poi così tanto certa di reggere ancora.

Ne fui certa, però, quando inciampai come un'idiota tra i marciapiede e la strada, cadendo di faccia e colpendo l'asfalto col mento. Sentii il sapore del sangue prendere possesso della mia bocca, e da lì, capii che per me era finita.

‹‹ Ferma lì! ›› gridò una delle guardie, con un forte accento coreano.

Mi girai sul fianco, con la mano sulla bocca per non gridare dal dolore.

Avevo il fiatone, e ad ogni respiro mi sembrava di respirare fuoco.

In poco tempo mi ritrovai circondata da più guardie di quelle che avevo calcolato. Da quanto tempo mi, anzi, ci seguivano?

Formarono un cerchio attorno a me, poi, al centro, si fece strada un uomo di mezza età, che indossava un cappotto nero ed una maschera, armato di una pistola argentata.

‹‹ Che noia, questi ragazzini ›› disse, caricando la pistola ‹‹ non poteva pensarci Seok? No, ci devo pensare direttamente io. E dato che voi siete degli incapaci, visto come avete ridotto l'altro.... a lei ci penso io. ›› detto questo, si avvicinò di più, puntando la pistola contro il mio petto, poi sparò.

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


Sentivo voci quasi lontane, distorte, ma non riuscivo a capire le loro parole. Erano confusionarie, la lingua a me era sconosciuta, ma sorprendentemente non ero spaventata.

Era tutto buio attorno a me, e mi sentivo cadere nel vuoto. Stavo dormendo? Se sì, di certo non stavo sognando. Era come se fossi una presenza che vagava nel vuoto.

Non potevo muovere un solo muscolo, ero persa nella mia testa, che in quel momento era... vuota.

Cos'era successo poco fa?

Le voci s'interruppero. Ora c'era di nuovo silenzio. Proprio come fino a pochi attimi prima.

In tutta onestà non avevo idea di cosa fosse successo, né di quanto tempo fosse passato.

Era come se il mio essere fosse stato spento e riacceso.

Da quel silenzio, e quella quiete, si passò ad improvviso senso di vuoto d'aria.

Come se qualcuno aprisse aperto una botola sotto di me, ed io caddi nel nulla, risvegliandomi all'improvviso da quello che, apparentemente, era un sogno.

Il pavimento sotto di me era freddo, metallico, ed ero chiusa tra quattro mura in uno spazio claustrofobico totalmente illuminato di bianco.

Dov'ero? Cos'era successo? La mia mente era sovrastata da mille domande.

Come, ad esempio, perché non riuscivo a ricordare niente delle ultime ventiquattro ore?

Com'ero finita in un posto del genere? Non c'era nemmeno lo spazio per mettersi in ginocchio.

Potevo solo stare sdraiata, col petto contro quella sorta di pavimento.

Provai a parlare, ma dalla mia bocca non uscì un solo suono. Ero nel panico.

Chiusi gli occhi e cercai di calmarmi. Mi sforzai con tutta me stessa di ricordare ogni singola cosa.

Le domande erano troppe, e per quanto non avessi le risposte a tutte, ciò che mi rodeva di più il fegato era solo l'assenza di una risposta.... qual'era il mio nome? Non ricordavo niente di me.

Come mi chiamavo, quanti anni avevo, com'ero... niente.

Chiusi gli occhi. In quel momento, realizzai che il posto in cui stavo, stava andando verso l'alto.

Era una sorta di... ascensore. Forse era quello il nome adatto a quel coso nella quale mi trovavo.

Tristemente, realizzai di non sapere come fosse un'ascensore, ma sapevo che serviva per spostarsi dall'alto verso il basso e viceversa. In tutta onestà, non ricordavo molte cose anche della vita di tutti i giorni. Ma prima di quel momento avevo effettivamente una vita?

La struttura tremò. Ebbe un piccolo balzò, che mi fece picchiare la testa contro quello che, in teoria, era un soffitto, poi le luci bianche si spensero.

Ora ero al buio. Presi un grosso respiro e implorai me stessa di stare calma, perché quello non era il momento di farsi prendere dal panico.

Provai a pensare a cose positive. Prova a ricordare qualcosa... qualsiasi cosa.

Ma l'unica cosa che mi prese, fu un senso di malinconia. La mancanza di qualcosa che ormai non c'era più, ed il mio cuore sembrò crollare a pezzi. Qualcosa mi fece male, e nemmeno io sapevo cosa.

Sentii di nuovo delle voci in lontananza. Sta volta, però, erano differenti, ed erano ovattate.

Lentamente il tettuccio sopra la mia testa si aprì, permettendo così l'entrata di una forte luce esterna.

‹‹ Ragazza. ›› disse una voce femminile ‹‹ Ve l'avevo detto che era una di noi! ››

‹‹ Che palle queste femmine! ›› sbuffò un ragazzo ‹‹ Ma è viva almeno? ››

‹‹ Credo di sì ››

Feci leva sulle braccia per mettermi almeno seduta.

La mia schiena fece diversi scricchiolii, facendomi arricciare il naso per il fastidio.

‹‹ Sì, è viva ››

‹‹ Ma è ovvio che è viva, no? Dubito che i creatori ci avrebbero mandato una ragazza morta ›› questa era la voce di un altro ragazzo ‹‹ e poi, a che scopo? Farci paura in modo da poter lavorare meglio? ›› fino a quel momento non avevo alzato la testa per guardarmi attorno, ma appena notai che quel ragazzo era entrato all'interno del piccolo ascensore, presi coraggio ed alzai la testa. Si chinò sulle ginocchia, incrociando il mio sguardo.

Ebbi la sensazione di déjà vu.

‹‹ Tutto bene? ››

mi incantai per un attimo. Tutta quella situazione mi sembrava mi averla già vissuta.

‹‹ Sì ›› mi sforzai di dire, storcendo poi il naso nel sentire la mia voce.

Non pensavo potesse essere così... femminile.

Sul volto del ragazzo si formò un sorriso appena accennato ‹‹ è strano sentire la propria voce per la prima volta, vero? Tranquilla, ci sentiamo tutti così la prima volta che ci ritroviamo qui. ›› inclinò la testa, portando la propria attenzione sul mio collo. Con una mano, ed un po' di titubanza, spostò i miei capelli da lì, ed i suoi occhi si sgranarono.

Pensai di avere qualche insetto addosso, o robe del genere, ma me ne sarei resa conto... no?

‹‹ Vieni... ti aiuto ad uscire a qui ›› detto questo, si mise in piedi, porgendomi la mano.

Non sapevo perché, però sentivo di potermi fidare di lui. Come se fosse un viso conosciuto. Ma non lo era. Non lo era per niente. Più lo guardavo, più cercavo di capire chi fosse.

Così afferrai la mia mano e mi alzai, uscendo da quel mini ascensore incavato nel terreno.

Attorno a me c'era una schiera di ragazzi e ragazze che bisbigliavano qualcosa sul mio conto.

Troppi commenti tutti differenti l'uno dall'altro.

C'erano ragazzi di tutte le età, tutti diversi: dai capelli rossi a quelli biondi, dagli occhi tondi e grandi a quelli piccoli e a mandorla.

Il ragazzo davanti a me cominciò a camminare, facendomi cenno di seguirlo.

Nessuno sembrò avere qualcosa da ridire sul fatto che mi stessi allontanando con lui, il che non sapevo se fosse una cosa positiva o negativa. Magari mi stava portando in qualche posto privato per abusare di me o qualcosa del genere.

Ero tremendamente confusa, e sentivo di star dimenticando qualcosa in particolare.

Quel posto, poi, aveva un'aria totalmente familiare: un'intera distesa di prato verde, con alberi enormi, apparentemente secolari; un fiumiciattolo che scorreva vicino a tre... palazzi? Insomma. Non avevano l'aria di essere così tanto sicuri, ma almeno si reggevano in piedi.

Un cielo azzurro, con un bellissimo sole che risplendeva e mi scaldava la pelle... e cose del genere.

Insomma, era pieno di tanti piccoli edifici rudimentali, ma avevano tutta l'aria di essere stati costruiti da mani poco esperte. E tutto quello continuava a darmi la sensazione di qualcosa di già vissuto.

‹‹ Dove mi stai portando? ›› mi decisi a chiedere, finalmente.

Il ragazzo si girò, guardandomi con la coda dell'occhio ‹‹ da un pive ››

quella parola. Quell'ultima parola. L'avevo già sentita.

‹‹ “Pive?” ››

lui annuì, ridacchiando ‹‹ non so che significhi, ma alcuni di noi la usano. Tu fai parte dei “pive speciali”, e quindi sei assegnata ad una zona diversa dagli altri ragazzi. Come vedi ci sono diversi edifici ›› spiegò, poi si fermò non troppo distante da uno dei tre “edifici” ‹‹ ci sono tre “casolari”: uno per i maschi – che ti sconsiglio di visitare, per via della puzza –, uno delle femmine ed infine questo ›› fece un piccolo cenno col capo, in direzione dell'edificio designato ‹‹ che è quello dei i pive speciali, come te, e come me. Ne stanno costruendo un altro, così da dividere maschi e femmine ››

‹‹ Perché siamo speciali? ››

‹‹ Hai un tatuaggio sul collo, che ti identifica come A6, l'ancora. Ne ho uno anche io. Non sappiamo ancora l'utilità, ma abbiamo la netta sensazione che ci colleghi a qualcosa di importante. ›› spiegò, poi si abbassò il colletto della maglietta grigia che stava indossando e inclinò appena il collo.

Il tanto giusto per concedermi di vederlo.

Soggetto A2,

deve essere ucciso dal gruppo B

 

Alla vista di quella scritta, trasalì come una scema.

Che significava? Perché quei tatuaggi? Perché io ero identificata come l'ancora?

Schiusi le labbra, guardando il ragazzo di fronte a me.

Lo squadrai dalla testa ai piedi, cercando di capire chi fosse, e perché, dopo aver letto quella scritta, mi era ancora più familiare di prima.

I capelli scuri, gli occhi altrettanto scuri... quelle labbra...

Tutto di lui mi ricordava qualcuno. Qualcuno che non doveva essere dimenticato, o lasciato indietro. Qualcuno che per me era importante.

‹‹ In quanti siamo? Noi pive speciali, intendo... ››

‹‹ Parecchi. Sono uscito solo io a controllare chi fosse il nuovo arrivato. Gli altri si stanno occupando di altre faccende ›› vago, il ragazzo ‹‹ a capo del gruppo ci siamo io ed una ragazza. Ci hanno messo gli altri, anche se io sono nuovo di qui ›› detto questo, ridacchiò, scuotendo poi la testa ‹‹ anche se qui il tempo sembra non passare mai. Sono qui da... circa un mese, credo, o forse meno ››

‹‹ Quindi... tu hai qualche ricordo in più? ››

‹‹ No. Non t'illudere, non ti tornerà la memoria. So che non ricordi niente di te. Niente del tuo passato, del tuo aspetto, o il tuo nome... cose così, insomma. Ma non preoccuparti, il nome te lo ricorderai a breve. E con un po' di fortuna, ricorderai anche la tua età ››

‹‹ Tu ricordi il tuo nome? ››

‹‹ Oh... giusto, non mi sono presentato ›› accennò un sorriso cordiale, mentre apriva la porta di quello che lui aveva chiamato “casolare”

‹‹ Mi chiamo Thomas. Solo Thomas. Nessuno ricorda il cognome, qui... sempre se ne abbiamo mai avuto uno ››

‹‹ Capisco.. piacere ››

Quel nome, per qualche strana ragione, nel sentirlo mi provocò una sensazione di sollievo.

Thomas.

Sbirciai all'interno dell'edificio, interdetta tra l'entrare o meno.

Anche senza entrare totalmente, riuscii ad intravvedere circa altre tre persone.

‹‹ Posso chiederti un ultima cosa? ›› lui scrollò le spalle, annuendo ‹‹ dove mi trovo? Insomma... che posto è questo? ››

Thomas arricciò le labbra

‹‹ noi la chiamiamo radura ››

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


Eppure quella parola non mi era per niente nuova.

Per qualche strano motivo, una volta che Thomas la disse, mi vennero i brividi lungo tutto il corpo.

Perché?

Nella mia testa non c'era niente al riguardo. I miei pensieri erano... privi di senso logico.

Seppure mi stessi veramente sforzando di ricordare qualcosa, riguardo una possibile radura, i miei pensieri slittavano direttamente altrove.

Era come se stessi correndo verso un punto preciso, ma dovessi frenare per colpa di un dirupo scivoloso, che però mi trascinava comunque giù poiché inevitabile.

Perché? Perché non riuscivo a ricordare proprio niente del mio passato? Avevo un passato? Com'era?

Thomas schioccò le dita a pochi centimetri dalla mia faccia, riuscendo perfettamente a catturare la mia attenzione con quel piccolo gesto.

Mi sorrise in modo dolce, compassionevole.

Io non volevo la compassione di nessuno.

‹‹ So come ti senti. Tutti eravamo così all'inizio ›› disse con un tono tenero, per poi darmi una pacca sulla spalla.

‹‹ Uhm? Una fagiolina? ›› una delle tre persone all'interno dell'edificio finalmente, si era degnata di notarci.

Era una ragazza con i capelli a caschetto. Quasi saltellava alla nostra vista. Ad occhio e croce, avrà avuto circa 10 anni. Si lanciò contro Thomas, abbracciandolo in modo così forte da darmi un senso di claustrofobia solo a guardarli.

‹‹ Iseul? Che ci fai qui? ›› chiese Thomas, senza scomporsi più di tanto. Poggiò la mano sulla sua testa, accarezzandola come se fosse sua sorella.

E data l'evidente differenza dei due, non lo erano certamente.

‹‹ Teresa mi ha fatta venire qui dicendomi che aveva bisogno di un medicale in più. I feriti sta volta sono veramente troppi, e non bastano nemmeno tutti e 23 medicali esperti... ››

Thomas storse leggermente il braccio, poi fece spostare la bambina – che già cominciò a farlo da sola – ‹‹ comunque, lei è la nuova fagiolina, giusto? È un'altra “pive speciale”? ››

Accennai un sorriso, interdetta su come comportarmi.

Non sapevo perché, ma avevo una strana sensazione mentre la guardavo negli occhi.

Aveva un viso tondo, le guancia arrossate, come se qualcuno le avesse tinte e disegnate, e dei grossi occhioni castani, pieni di innocenza rubata ed ingenuità ‹‹ Io mi chiamo Iseul! ›› disse con fin troppo entusiasmo, porgendomi una mano.

La presi con delicatezza, quasi col terrore di spezzarla, tanto che era fine.

‹‹ Sì ›› rispose infine Thomas ‹‹ lei è uno dei pive speciali. Il soggetto A6 ››

‹‹ Soggetto A6, uhm? ›› sollevai di scatto la testa. Non mi ero resa conto che un altro ragazzo, affiancato da una ragazza, si erano avvicinati.

Lei aveva un'aria distrutta, i capelli neri arruffati e la fronte imperlata di sudore. Era poggiata al braccio del ragazzo, tenendogli occhi chiusi. Anche lui aveva la fronte imperlata dal sudore, ma sembrava essere decisamente meno affaticato di lei.

‹‹ Quindi un numero in meno del mio ›› disse il ragazzo, girando poi lo sguardo nella mia direzione.

Il mio cuore fece un balzo di gioia. Gli occhi a mandorla scuri, ma pieni di vitalità, mi diedero un'improvvisa sensazione di sollievo. E non era la prima volta. Mi sentii quasi a casa.

Quasi. Anche se non avevo idea di come fosse casa mia.

Mi porse la mano ‹‹ io sono Minho. Sono uno degli intendenti dei ragazzi ››

‹‹ Un'intendente? ›› domandai, girandomi verso Thomas. Lui si grattò la nuca, arricciando il naso

‹‹ Ah, sì, beh... non ti ho spiegato bene questa cosa.

Nella radura non ci sono molte regole, ma solo tre e sono strettamente necessarie per mantenere un equilibrio:

Fai la tua parte, nessuno deve rimanere con le mani in mano! Tutti dobbiamo lavorare, senza nessuna eccezione; rispetto per i tuoi compagni, maschi e femmine, qui trattiamo tutti allo stesso modo senza fare sessismo... ma la regola più importante è quella di non oltrepassare mai quelle caspio di mura che ci circondano. Mai. Per nessuna ragione. Solo i velocisti ed i ricercatori sono autorizzati ad uscire ››

‹‹ Ed io sono il velocista capo dei maschi ›› aggiunse Minho, con aria fiera ed un sorriso sgargiante ‹‹ io metto alla prova i pive che sembrano essere degni di fare il velocista ››

‹‹ E tu cosa sei? ›› domandai, rivolgendomi a Thomas

‹‹ Te l'ho detto, io sono a capo del gruppo dei pive speciali. Al di fuori di questo, però, sono l'intendente degli intendenti. ››

Annuì, pronta a fare un'altra domanda, ma la ragazza poggiata al braccio di Minho si svegliò e cominciò a fissarmi in modo ambiguo.

Minho abbassò lo sguardo su di lei, incuriosito da quel modo di fare, ma prima che potesse chiederle il motivo, lei si spostò e m'indicò in modo quasi accusatorio.

Ma nel suo sguardo non c'era traccia di rabbia, o qualcosa del genere.

Era rilassata, ma incuriosita.

Cominciò a scuotere l'indice, poi lo fermò di nuovo ‹‹ Io ti conosco! ›› squittì una voce allegra.

Quel suono, quella voce, mi diedero una sensazione di Déjà vu.

Tirai appena indietro la testa, come se mi avesse tirato un cazzotto sul muso.
‹‹ Ehm... ›› In effetti non era un volto nuovo. Ma se dovevo essere sincera: fino ad ora, nessuno dei volti visti era nuovo.
‹‹ Sì... cioè, non proprio. È una sensazione, okay? ›› mi sembrava di aver già sentito tutte quelle parole.

‹‹ Credetemi, pive, non mi stupisce la cosa ›› s'intromise Thomas, dando un finto colpo di tosse.

‹‹ Già, è così per tutti ›› aggiunse Minho, poi indicò Thomas ‹‹ e comunque continui a sembrare uno scemo quando usi il gergo della radura ››

Thomas ridacchiò, scuotendo la mano per fargli intendere che non gli interessava.

‹‹ Comunque, io sono Evangeline. L'intendete delle velociste ›› mi porse la mano, e per un attimo ebbi la sensazione di crollare dalle nuvole.

Sempre in quell'attimo, qualcosa scattò nella mia testa, mentre allungavo la mano per afferrare quella della ragazza.

‹‹ Eva? ›› mormorai. Cosa stavo dimenticando? Perché vedere quella ragazza mi dava una così strana sensazione di gioia mista a preoccupazione?

‹‹ Sì? ››

‹‹ No... niente ›› mormorai. Cosa potevo dirle?

C'era qualcosa che stavo tralasciando.

‹‹ Okay... ›› lei sembrò essere più inquietata di me.

‹‹ Comunque, Eva oltre ad essere l'intendente dei velocisti, adesso, è anche la ragazza capo. Quella che ti ho accennato prima ››

Evangeline annuì, sbadigliando pochi istanti dopo ‹‹ ragazzi, scusatemi, ma io vado a riposarmi un po'. Tenere fermi i ragazzi in preda alla mutazione mi ha stancato parecchio. Oggi erano più di dieci... Iseul, vieni con me? ››

‹‹ Oh, sì! ››

Non sapevo di cosa stesse parlando, ma anche quelle parole mi provocarono i brividi.

La testa mi faceva tremendamente male, tanto che non avevo nemmeno badato alle ultime parole di Evangeline, mentre questa abbandonava la stanza assieme alla bambina.

Minho poggiò una mano sulla mia spalla, accennando un sorriso rassicurante.

‹‹ Ehi, è tutto okay. Ti capisco ›› e non avevo ancora detto niente ‹‹ tutti noi abbiamo questa sensazione di déjà vu continuo. Piano piano ti ci abituerai. Pensa ad un fatto comico. Io sono qui da poco e sapevo già di essere un intendente dei velocisti. Fortuna – per me – vuole che il vecchio intendete è deceduto due giorni prima del mio arrivo ››

‹‹ Com'è morto? ››

‹‹ È stato morso da uno di quei cosi che ci sono lì fuori ›› rispose Thomas, indicando l'esterno del casolare.

Presumibilmente, stava indicando le mura che circondavano la radura.

‹‹ Cosa c'è là fuori? ››

‹‹ Ci sono dei cosi che i creatori hanno chiamato “dolenti”. Quelli sono pochi e rari. Ne ho visto qualcuno di sfuggita, ma sono il male minore e ce ne sono di due tipi. Quelli relativamente piccoli, e quelli enormi che fanno quasi fatica a muoversi tra quelle mura claustrofobiche.

Poi, ci sono i vermoni, che i creatori hanno chiamato Goemul... so è Coreano e significa mostro.

I Goemul vivono nel labirinto, strisciano e fanno parecchio rumore, ma sono veloci e voraci. Una volta alla settimana spariscono per un po', poi tornano e dormono per due o tre giorni. Non sappiamo dove vanno, ma stiamo organizzando un gruppo di ricerca tra i velocisti ed i ricercatori ››

‹‹ Cosa sono i ricercatori? ››

‹‹ Sono un gruppo di ragazzi che esplorano ogni singolo angolo della radura, in modo da sapere perfettamente com'è strutturata e se c'è una via d'uscita. Loro, come detto prima, sono autorizzati ad uscire, ma solo ed esclusivamente con i velocisti. Ora però basta con le domande, finiremo solo con l'incasinarti la testa. Stai assimilando troppe informazioni e tutte insieme, finirai con l'impazzire. ›› sentenziò infine Thomas, lasciandomi con un senso di amaro in bocca.

Volevo sapere ogni cosa di quel posto. Ero affamata di conoscenza.

Tuttavia, annuii, abbassando lo sguardo sulla punta delle mie scarpe.

‹‹ Comunque, ti ho portata qui per un buon motivo, ricordi? Devo portarti da un pive ›› riprese a parlare, dando poi un finto colpo di tosse, facendo cenno, poi, a me e Minho di seguirlo.

 

Attraversammo un lungo corridoio, ricco di piccole stanze.

La struttura non era perfetta, ma vivibile, anche se parecchio affollata. Pensare che quelli erano tutti pive speciali, come me, quasi mi fece sentire sollevata. La maggior parte di loro non erano visi conosciuti, altri sì, anche se non sapevo dar loro un nome preciso.

Le pareti del casolare erano irregolari, con alcuni buchi. Era tutto interamente fatto in legno, e tra me e me, mi domandai quanto tempo c'era voluto per mettere in piedi quella struttura.

Mentre camminavamo, Minho mi metteva al corrente di come funzionavano lì le cose.

I vari settori lavorativi, i nomi degli intendenti, i nomi delle zone ed una spiegazione generale della radura.

I nomi dei lavori erano particolari, e dentro di me ero piuttosto sicura che non me li sarei mai ricordata. Ma piuttosto, io in cosa potevo essere brava? E quando avrei cominciato a cercare il mio posto nella radura?

‹‹ Ci siamo ›› disse Thomas, fermandosi di fronte ad una porta rovinata, dalla quasi fuori usciva un piccolo alone di luce giallastra.

Minho si grattò la nuca, inspirando profondamente.

‹‹ Perché siamo qui? ›› domandai.

Sapevo che se anche me lo avessero detto, probabilmente non avrei capito.

Minho fece le spallucce, facendo scivolare la mano che aveva riposto dietro la nuca, giù per la spalla ‹‹ ricordi che ti ho parlato dei Medicali, giusto? ›› certo che lo ricordavo, è stata l'ultima figura lavorativa di cui ha parlato. Annuì, guardando il ragazzo ‹‹ ecco. Dietro questa porta c'è una ragazza, di nome Teresa, che è stata assegnata come intendente dei medicali dei pive speciali ››

‹‹ Oltre che essere una ricercatrice ›› precisò Thomas, poi aprì appena la porta e ci lasciò fuori, senza darci una spiegazione precisa, ma Minho non sembrò esserne preoccupato.

‹‹ E con lei ci sono altri medicali. Ovviamente ci sono anche molti – troppi – radurai in pessime condizioni ››

‹‹ Mi avete portata qui per farmi fare una prova come medicale? ››

‹‹ Questo non lo so, fagio ›› assunsi un'espressione stupita di fronte a quel termine.

Minho scosse la mano, in modo assai poco virile, e ridacchiò tra sé e sé ‹‹ fagio è l'abbreviazione di fagiolino e fagiolina. Lo usiamo per i ragazzi novellini ›› accennai un sorriso. Sapevo il significato di quel termine anche senza che lui lo dicesse, e non ne sapevo il motivo.

Tuttavia, lasciai cadere quel fatto, per concentrarmi sul possibile motivo per il quale eravamo di fronte a quella porta. Cominciai a torturarmi le mani, in preda ad un po' di ansia.

In tutta onestà, non volevo avere a che fare con i malati o con i feriti. Non mi trovavo a mio agio con quell'idea.

Erano troppe cose in troppo poco tempo, e forse Thomas aveva ragione: tutte quelle informazioni in così poco tempo non stavano giovando alla mia salute mentale.

Onestamente parlavo, volevo solo chiudere gli occhi e sperare di risvegliarmi in un posto differente da quello.

‹‹ Spero non sia così ›› mormorai, e Minho, in risposta, scrollò le spalle.

La porta si aprì, e Thomas ci fece cenno di entrare.

Con un po' di titubanza, feci piccoli passi, fino a varcare la soglia della porta.

La stanza era illuminata da una sola lampadina che pendeva dal soffitto irregolare.

Era ampia, ma affollata. Ad occhio e croce, c'erano una decina di letti, tutti separati da... delle specie di tende – mi pare chi chiamino così, quelle specie di tele appese ad una sbarra di ferro incrinata – tra un letto e l'altro.

Non vedevo se sopra c'erano delle persone o meno, ma davo per scontato di sì, dati i gorgoglii rivoltanti.

Di fronte a noi, seduta su una sedia, c'era una ragazza che reggeva in mano un foglio giallastro e mordicchiava il tappo di una penna.

Thomas era di fronte a lei, ma rivolgeva lo sguardo a noi.

La ragazza era veramente bella: aveva una pelle pallida, anche se con qualche graffio in faccia, e dei lunghi capelli nero corvino.

Le labbra rosee ed uno sguardo intenso e concentrato sul contenuto del foglio che reggeva tra le mani.

Dietro Thomas c'era un mucchio di vestiti, probabilmente di qualche paziente gravemente ferito, dato il sangue presente sugli indumenti, visibile anche da lontano.

‹‹ Teresa, lei è la fagiolina di cui ti ho parlato ››

La ragazza sollevò rapidamente lo sguardo dal foglio, e mi rivolse un sorriso ampio, come se avesse aspettato una vita intera per vedermi arrivare.

‹‹ Ehi! ›› esordì, alzandosi dalla sedia e venendomi incontro. Allungò la mano, ed io l'afferrai.

Aveva la pelle morbida e liscia. Sembrava di toccare una bambola. L'ennesimo oggetto di cui ricordavo di più il nome che la forma.

‹‹ Mi chiamo Elizabeth ›› mormorai, messa in soggezione dallo sguardo di lei.

Non era malvagio, ma quegli occhioni azzurri erano così magnetici da mettermi quasi a disagio.

Sperai con tutta me stessa di avere degli occhi simili.

‹‹ Teresa. Soggetto A1. Tu sei il soggetto A6, giusto? ››

‹‹ Sì... mi pare di sì ›› risposi, guardando Thomas per chiedergli conferma. Lui annuì, grattandosi sotto il mento.

Teresa inclinò appena la testa, guardando con la coda dell'occhio Thomas ‹‹ avevi ragione. Mi sembra di conoscerla ››

‹‹ Te l'avevo detto ››

corrugai la fronte. Era circa l'ennesima volta, in un giorno, ma prima che potessi proferire parola, la mia attenzione venne catturata dal rumore della porta in fondo al corridoio, che si aprì con un cigolio fastidioso.

Chiunque l'avesse aperta, l'aveva letteralmente sbattuta, in modo piuttosto violento, contro la parete accanto. Probabilmente anche involontariamente. Era un ragazzo, fasciato dal collo fino all'addome, che camminava in modo piuttosto difficoltoso e a testa bassa, tenendo una mano sulla nuca mentre si grattava. Era calato il silenzio totale mentre si avvicinava.

La pelle imperlata di sudore, le vene del braccio sporgenti ed evidenti.

Nella mia testa, in fondo, conoscevo quei dettagli. Non ricordavo il motivo, ma sapevo che non erano niente di buono.

Lui sollevò la testa, ma teneva gli occhi chiusi. Mancavano pochi passi per raggiungere il lettino accanto alla quale ci trovavamo.

Aveva le labbra violacee, delle profonde occhiaie.

Il mio cuore fece un balzo, e mi venne un groppo alla gola. Perché?

Si fermò. Aveva raggiunto il lettino.

Si grattò ancora una volta dietro la nuca, poi si voltò nella direzione di Teresa ed aprì gli occhi.

Uno sguardo stanco.

‹‹ Come ti senti? ›› chiese lei

‹‹ Dopo aver fatto una bella doccia, ed essermi cambiato di nuovo le bende, decisamente meglio ›› rispose lui ‹‹ anche se, in tutta onestà, non vedo l'utilità di rimanere bendato. Non sanguino. Sono solo cicatrici ormai ››

‹‹ È per sicurezza, per prevenire eventuali infezioni o riaperture ››

‹‹ Dubito che accadano ››

‹‹ Prevenire è meglio che curare, no? ›› rispose lei, incrociando le braccia contro il petto.

Lui sollevò gli occhi al soffitto, gonfiando le guance in modo capriccioso.

Ed i miei occhi continuavano a scrutare quel ragazzo in ogni minimo dettaglio.

Non aveva badato a noi. Forse per distrazione, o forse non gli interessava proprio.

Forse ormai era abituato al classico via vai, e quindi non pensava che potesse esserci qualcuno in più. Qualcuno di nuovo, come me. Poi si girò. Sgonfiò le guance e posò lo sguardo su di me. Sgranò appena gli occhi.

‹‹Lei è la fagio ›› disse Thomas, facendo un cenno con la testa nella mia direzione ‹‹ è una di noi. Soggetto A6, si chiam– ››

‹‹ Elizabeth? ›› disse con un tono sorpreso e sollevato allo stesso tempo.

Non sapevo come reagire. Come faceva a conoscere il mio nome? Chi era?

Indietreggiai appena con la testa, ma senza spostarmi di un solo centimetro.

Sentirlo dire il mio nome mi aveva fatto uno strano effetto, e non ero nemmeno sicura che fosse una sensazione buona o meno. Il mio stomaco si era attorcigliato, ed il mio cuore aveva cominciato a battere all'impazzata.

Sì, aveva anche lui un'aria tremendamente familiare. Una buona parte di me voleva andare lì ad abbracciarlo, ma non avevo una ragione precisa per farlo. Così, semplicemente, rimasi ferma a guardare la figura di quel ragazzo biondo.

Lui stesso sembrò sorpreso di quella frase, e cominciò a mordersi nervosamente il labbro inferiore.

Thomas sollevò un sopracciglio ‹‹ Come fai a – ››

‹‹ Non lo so ›› tagliò corto, senza permettergli di finire la frase.

Minho tamburellò un piede per terra, poi batté le mani sulle gambe ‹‹ Beh, comunque lui è il soggetto A5, Newt ››

Newt. Perché mi faceva quello strano effetto?

‹‹ Piacere ›› riuscii a dire, semplicemente.

Lui fece un piccolo cenno col capo, poi, apparentemente, deglutì, riportando lo sguardo su Teresa.

‹‹ Lui è il pive dalla quale dovevo portarti ›› disse Thomas. Newt lo guardò con la coda dell'occhio, incuriosito ‹‹ lui è il secondo in comando. È arrivato molto recentemente, in tutta onestà. Il secondo in comando – quello che c'era prima – è morto pochi giorni prima del suo arrivo, e Newt sapeva già che quello era il suo ruolo ››

‹‹ Come per Minho ›› mormorai tra me e me. O almeno, pensai dai averlo fatto tra me e me. In verità mi avevano sentita tutti.

‹‹ Esatto ›› rispose Minho, infatti, mettendomi un braccio attorno alle spalle. Già tutta quella

confidenza? Eppure lo lasciai fare, stringendomi nelle spalle ‹‹ che bello, sembriamo una vecchia famiglia riunita! Ma ci pensate? Tutti, bene o male, abbiamo avuto la sensazione di conoscerti già da appena incontrati! ››

Teresa annuì, alzando lo sguardo verso Thomas. Forse pensavano che quella non era una cosa così positiva. Per me, sotto sotto, lo era. Ma volevo sapere perché.

Volevo sapere cosa stava succedendo, e volevo sapere, sopratutto, il perché non riuscivo a ricordare cos'era successo prima di finire lì. Perché non riuscivo a ricordare quale tipo di legame c'era con quelle persone, se le conoscevo?

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


Thomas mi aveva fatto fare un giro per il casolare e per la radura, mostrandomi i vari luoghi e spiegandomi le loro “funzioni”.

A dire il vero erano cose che già sapevo, o, per meglio dire, sospettavo. Ma Thomas era stato così gentile che proprio non me la sentivo di dire di no a quel giro turistico. Così, semplicemente, annuivo e fingevo di essere totalmente stupita da quel posto.

Anche se, sotto sotto, lo ero.

Aveva un bel paesaggio, parecchio verde e l'aria sembrava essere così pulita che i miei polmoni sembravano cantare di gioia.

Non sapevo se prima di allora avessi mai visto un posto del genere, ma ero felice di vederlo ora.

‹‹ Allora... ›› cominciò Thomas, mentre mi riaccompagnava al casolare.

Era notte, ormai, ed avevamo finito totalmente quel giro enorme del posto.

Ora stavamo attraversando un sentiero delineato da delle piede, che ci avrebbe condotti al centro della radura, dove poi avremmo imboccato la strada per andare al casolare.

‹‹ Allora...? ›› lo istigai a continuare, e lui si schiarì la voce con un finto colpo di tosse

‹‹ Conoscevi Newt, prima di questo posto? ››

‹‹ A dire il vero... non lo so. L'hai detto anche tu, no? Non recupererò la memoria... ››

‹‹ Vero, giusto ›› sul suo volto si dipinse un velo di tristezza, e rivolse uno sguardo sul terreno.

Gonfiò le guance come un bambino, poi le sgonfiò ed inspirò profondamente ‹‹ a volte dimentico questo dettaglio fastidioso. Noi pive speciali sappiamo di essere legati da un unico filo conduttore – o, almeno, è quello che sospettiamo – ma la cosa fastidiosa è che non abbiamo la benché minima idea di quale sia. Siamo come.... anime in pena ››

Mi passai una mano sul collo, poi annuì.

Anche io avevo quella sensazione sin da quando avevo incrociato gli occhi di Thomas, e dentro di me, sapevo che c'era qualcosa di profondo a legarci.

E poi, quel pive... Newt, che sapeva il mio nome senza che io glielo dicessi.

‹‹ Comunque, perché ti interessa? ›› domandai, per poi vederlo storcere il naso.

‹‹ Semplice curiosità, non preoccuparti ››

‹‹ Ti piace Newt? ›› domandai ancora, di getto. Thomas si fermò sul posto, quasi si pietrificò, e le sue guance avvamparono.

‹‹ Cosa? No! Oh, Dio, che caspio... ›› si tastò le guance, bofonchiando qualche altra parola apparentemente priva di senso.

Ridacchiai sotto i baffi. Ci avevo preso?

‹‹ Oh, andiamo, non preoccuparti ››

‹‹ No, giuro che non è così! Ma questo genere di domande m'imbarazzano ›› brontolò. Poggiai una mano di fronte alle labbra, nascondendo un sorrisetto divertito. Avevo la sensazione che quella non era la prima volta che affrontavo un discorso del genere.

Eppure, sempre dentro di me, avevo la sensazione di chiusura dello stomaco.

Come se quella fosse... gelosia? Nei riguardi di Thomas o nei riguardi di Newt?

Perché, sotto sotto, volevo piangere di fronte a quella reazione?

Mi spensi. Non avevo più voglia di ridere. Decisi, però, di far finta di nulla. Semplicemente abbassai lo sguardo, mantenendo un sorriso fintissimo sulle labbra.

‹‹ Comunque, sono felice che sei arrivata tra noi ›› disse Thomas, riprendendo a camminare. Lo seguii, con un passo un po' più lento di quello di prima.

‹‹ Perché? ››

‹‹ Perché ora ho la sensazione che siamo di nuovo tutti insieme, anche se non so cosa facevamo prima. Io e Teresa, inizialmente, ci sentivamo totalmente persi. Ci siamo svegliati insieme dentro la scatola, ma eravamo così confusi e spaventati che l'unica cosa che siamo riusciti a fare, durante la salita, è stato guardarci con aria terrorizzata. Teresa è bellissima. Anche da spaventata. Aveva gli occhi di una cerbiatta di fronte ad un cacciatore ››

E non sapendo cosa fosse una cerbiatta, ipotizzai fosse un animale dall'aria innocente.

‹‹ Oh, allora è Teresa, quella che ti piace ›› mormorai, acchiappando una ciocca di capelli.

Thomas accennò un mezzo sorriso, poi scrollò le spalle ‹‹ diciamo che io e lei sentiamo di avere un legame profondo. È più complicato di ciò che sembra. In ogni caso, direi che non abbiamo il tempo per pensare a questo genere di ragazzate ›› si passò una mano tra i capelli, poi sospirò ‹‹ e comunque, ora Teresa si deve preoccupare di Newt. Fino ad ora è stato il pive messo peggio, dopo Minho ››

‹‹ Cioè? ››

‹‹ Quando è arrivato Minho, era semplicemente pieno zeppo di colpi di frusta... o comunque segni di quel tipo, lui non sapeva da cosa fossero causati. Ma comunque non era niente di irrimediabile, facili da curare. Evangeline è stata l'unica persona che, per qualche strano motivo, ha voluto accanto durate tutto il periodo di guarigione. Si sono trovati subito in sintonia, quei due.

Mentre invece Newt... beh, era pieno di fori di sparo lungo la schiena e il petto. Nessun proiettile, quindi abbiamo dato per scontato si trattasse di semplici proiettili-sedativi, di quelli che non arrivano tanto in profondità da ammazzarti, ma il tanto giusto per addormentarti. ››

‹‹ Come fai a sapere che erano proprio quel tipo di proiettile? ››

Scrollò le spalle, ed abbassò lo sguardo verso il terreno. Il suo sguardo si rabbuiò, e mantenne il silenzio, mentre fissava con aria assorta la punta delle scarpe, man mano che camminava. Il suo sguardo era assorto.

Poi prese un respiro profondo, risollevando la testa, ma senza fissare un punto preciso di fronte a sé ‹‹ non lo so. Io, semplicemente, so cose che gli altri non sanno, ma non so come faccio a saperle, e perché. O meglio, le riconosco. Per esempio, so che i dolenti sono creature pericolose, enormi, e vivono fuori dalla radura, all'interno del labirinto che c'è lì fuori ›› indicò con un cenno del capo le mura dietro di noi ‹‹ ma non ho idea del loro aspetto. So che esiste una cura contro la puntura dei dolenti, che viene spedita attraverso la scatola dai creatori, e so che ha effetti collaterali.... ›› poi si zittì, sfregandosi una mano contro gli occhi ‹‹ ma onestamente non so nemmeno se tutte queste cose che ricordi a mala pena, sono o meno collegate a questo posto. Non sono l'unico a saperle. Teresa sa le mie stesse cose ››

‹‹ Allora... ›› socchiusi appena gli occhi, fermandomi. Mancavano pochi metri al casolare.

Poggiai una mano sul collo, sospirando in modo frustrato. Thomas si fermò a sua volta, poggiando le mani sui fianchi.

‹‹ Allora...? ›› m'istigò a continuare, sollevando un sopracciglio

‹‹ Allora, quando hai detto che non sarebbe tornata la memoria, mentivi? ››

‹‹ In parte sì ed in parte no. È vero che non torna la memoria, ma i pive come noi sembrano ricordare alcune sfumature del passato, anche se in modo molto superficiale. Minho, ad esempio, ricorda gli orari di apertura e di chiusura delle mura del labirinto e – ››

‹‹ Aspetta... cosa? Mi stai dicendo che quei caspio di muri si aprono e si chiudono da soli? ››

Thomas corrugò la fronte, poi annuì.

Io, quando parlava di “velocisti che corrono fuori”, pensavo esistesse una sorta di porticina o qualcosa del genere, non che le mura potessero aprirsi e chiudersi a loro piacimento.

M'irrigidì.

‹‹ Ma... se le mura si aprono, non c'è il rischio che quei mostri vengano nella radura? ››

‹‹ Hanno orari precisi, e apparentemente non sono interessati ad invaderci ›› indicò di nuovo le mura, sta volta con l'indice, ed accennò un sorriso rassicurante ‹‹ in ogni caso, le mura sono così strette che fanno quasi fatica a passare. Verso l'entrata per la radura persino i velocisti ci passano in fila indiana perché è troppo stretta. Le mura, poi, sono così alte che a quanto pare non hanno voglia di arrampicarsi ›› accennò un altro sorriso, abbassando la mano e riprendendo a camminare verso il casolare, facendomi cenno di seguirlo ‹‹ la radura è totalmente sicura. ››

Quelle parole, in teoria, avrebbero dovuto rassicurarmi.

Eppure io avevo la sensazione che sì, quel posto era sicuro, ma quelle parole mi erano familiari e sapevano troppo di “le ultime parole famose”.

 

Pareti ricoperte di edera, strette, lunghe, alte. Terribilmente alte. Non si vedeva la fine, e non passava nemmeno così tanta luce in quel posto. L'edera rampicante ricopriva la maggior parte della parete.

Immagini sfocate, ansimavo. Di fronte a me vedevo un cartello arrugginito: Catastrofe Attiva Totalmente: Test Indicizzato Violenza Ospiti.

Un corridoio infinito, ed un odore intenso di erba. Rumore metallico, grida strane, inumane, che mi provocarono la nausea. Ero affaticata. Stavo correndo.

Provai a guardarmi alle spalle Non c'era niente, al momento, ma sapevo che stavo scappando da qualcosa di pericoloso. Qualcosa di mortale.

‹‹ Corri! Seguimi! ›› gridò la persona di fronte a me. Mi voltai di nuovo. Erano Minho.

Annuì. Non sapevo perché stavamo scappando, ma ero sicura che quel momento l'avessi già vissuto. Mi fermai, cominciando a tastare l'edera che camminava lungo il muro.

Un'idea geniale barcollò nella mia testa. Levai l'edera attorno ai polsi, poggiai un piede sulla parete e cominciai a far leva per salire. Forse mimetizzarmi nell'edera, o almeno provarci, avrebbe aiutato in qualche modo ‹‹ Minho, vieni, ho un piano! Correre è inutile! ››, insistetti.

Il ragazzo, che si era fermato ma continuava a correre sul posto, scosse la testa e rise in modo isterico. Ero certa, certissima di aver già vissuto qualcosa del genere. Sentivo che il pericolo era vicino.

‹‹ È inutile anche arrampicarsi sul muro, ti sei rincaspiata tutta d'un botto? Non hai visto che si arrampicano sul muro come se nulla fosse! Corri caspio, prima che ci raggiungano del tutto! ››.

Chi? Da cosa stavamo scappando? Annuì, perché sapevo che aveva ragione.

Alzai lo sguardo verso l'alto. Il muro era altissimo. Che posto era quello?

‹‹ Il labirinto ›› sussurrai tra me e me, rispondendo da sola. L'edera si spaccò, prima ancora che io potessi provare a scendere, e cominciò la mia caduta verso il basso. Sembrò essere eterna.

Il pavimento sotto di me era scomparso, e le mura del labirinto sembravano estendersi verso l'infinito. La luce del sole brillò in modo così intenso da abbagliarmi.

Le grida. Quelle erano le grida dei dolenti? Perché risuonavano così limpide nella mia testa?

Perché quella scena mi sembrava di averla già vissuta? Forse era in modo differente, però. Anzi, ero certa che le cose non fossero andate esattamente in quel modo.

Quando toccai finalmente la fine di quel buio nella quale stavo cadendo, la mia schiena si scontrò col pavimento duro del casolare. Mi svegliai, circondata da persone di cui a stento ricordavo il nome. Non ero l'unica sveglia: anche Newt lo era, ed era poggiato alla parete, mentre guardava fuori dalla finestra. Forse fissarlo in quel modo era veramente da maleducati, ma lui non stava prestando attenzione a me. Aveva un espressione persa, mentre guardava fuori da quella finestra.

Era tutto buio, ma la luce della luce gli illuminava il volto, donandogli un'aria misteriosa.

Aveva le braccia incrociate sul petto, che si muoveva in modo regolare ad un ritmo dettato dai suoi respiri.

Più lo guardavo, più ogni dettaglio di lui mi dava una strana sensazione al petto.

Sempre quella nostalgia immotivata.

Il silenzio che c'era nella stanza – silenzio per modo di dire, dato che qualche ragazzo russava – venne interrotto da un suo sospiro pesante, mentre si girava totalmente nella mia direzione e cominciò a camminare, scavalcando le persone che dormivano.

Poi si rese conto che lo stessi fissando, ma sembrò non darci nemmeno peso. O meglio, mi fissò per qualche secondo, e quasi sbuffò. Mi odiava, forse?

E dentro di me ricomparve la stessa domanda di sempre: che tipo di passato avevamo?

‹‹ Non riesci a dormire, fagio? ›› chiese, una volta che ormai mi aveva totalmente oltrepassata.

‹‹ Ho fatto un incubo ›› tagliai corto. Parlare con lui continuava a mettermi a disagio. Chiusi gli occhi, cercando di auto-provocarmi di nuovo il sonno.

Il mio cuore batteva all'impazzata per l'agitazione causata dall'incubo, se poi buttavamo in mezzo anche il fatto che stessi parlando con Newt... beh... la cosa di certo non aiutava.

‹‹ Capisco ›› rispose, poi sentii dei passi nella mia direzione, che si fermarono a pochi centimetri dalla mia testa.

Aprii gli occhi, e il volto di Newt era a pochissima distanza dal mio. Si era chinato sulle ginocchia.

Riuscii quasi a sentire il suo respiro sfiorarmi la fronte. Ringraziai infinitamente il buio del casolare ed il fatto che la luce lunare non sfiorasse nemmeno di un millimetro la mia pelle, perché ero piuttosto sicura di essere arrossita.

‹‹ Dobbiamo parlare, fagio ›› disse, praticamente con un sussurro inudibile.

‹‹ Di cosa? ››

Mi porse il lembo di un lenzuolo, preso probabilmente da una delle “mensole” che c'erano in fondo alla stanza, che erano piene di coperte e cose del genere ‹‹ Seguimi e lo scoprirai ››

 

Ero totalmente avvolta nel lenzuolo, mentre camminavo fuori dal casolare, affiancata dal biondino. Per quanto nel casolare ci fosse caldo, probabilmente per via di tutte le persone al suo intero, lì fuori c'era più fresco del previsto. Ed io che mi lamentavo di non volermi coprire.

C'era qualche raduraio buttato sul prato, apparentemente ubriaco, ma per il resto il posto era abbastanza tranquillo.

‹‹ Di cosa mi vuoi parlare? ›› domandai, mentre sollevavo il bordo del lenzuolo per permettermi di camminare senza inciampare.

Newt s'infilò le mani in tasca, tenendo lo sguardo rivolto verso il cielo

‹‹ Tu sai qualcosa riguardo noi? ›› il suo tono di voce era totalmente assorto, perso. Come se la sua testa fosse altrove, mentre il suo corpo era presente in quella situazione. Mi sentivo una cretina senza averne motivo.

‹‹ Non so niente, se parli di me e di te... per quanto riguarda ricordi generali, so solo che sicuramente ci siamo incontrati tutti, prima di venire qui ›› anche se avrei voluto sapere qualcosa in più. Lo avrei voluto con tutta me stessa.

Sapevo che eravamo tutti legati da qualcosa. Qualcosa di profondo ed importante.

Ma forse doveva rimanere un mistero. Forse, in verità, era decisamente meglio così. Magari tutto quel rapporto che sentivo di avere con loro, era solo frutto della mia fantasia.

Lui annuì, anche se la mia risposta, sicuramente, non era quella che voleva sentire.

‹‹ Sì, quella sensazione è una cosa che proviamo tutti ›› cominciò, spostando la mano con un gesto secco ‹‹ comunque, sta notte non sei l'unica ad aver avuto un incubo. Per questo sono sveglio. In ogni caso, penso sia dovuto alla sensazione di oppressione che ho da quando mi sono risvegliato all'interno di quella scatola. ›› si passò una mano tra i capelli, in modo più che frustrato, con tanto di sospiro.

Capivo quella sensazione. Fino ad allora non ci avevo mai fatto caso. Beh... d'altronde non era passato poi così tanto tempo dal mio risveglio...

‹‹ Nel mio incubo... ›› riprese, afferrandosi un braccio e sfregandoselo, come per scaldarsi ‹‹ fuggivo dai dolenti. Avevano appena invaso la radura. Ero in ansia per qualcuno. Dovevo portarlo in salvo. ›› chiuse gli occhi, poi scosse rapidamente la testa, come se volesse cancellare quel pensiero ‹‹ alla fine del sogno, però, avevo trovato un nascondiglio e mi chiudevo dentro con una persona. È sempre lo stesso incubo, ma ancora non riesco a vedere a faccia della persona con me. So solo che sto bene quando vedo che è lì vicino ›› parlandoci in modo così tranquillo, Newt sembrava essere una persona veramente d'oro.

‹‹ Nel mio incubo, ero assieme a Minho. Fuggivamo da qualcosa, ed eravamo nel labirinto ››

Newt accennò un sorriso, voltandosi nella mia direzione.

Sembrava un bambino che aveva appena fatto un dispetto ‹‹ questo, probabilmente, è perché hai parlato con Thomas delle regole della radura ››

‹‹ Probabile. Non è mia intenzione entrare nel labirinto, in ogni caso ››

‹‹ Non puoi andare, anche volendo ›› divenne improvvisamente serio ‹‹ a questo proposito, mi devi promettere una cosa ››

‹‹ Che cosa? ››

Mi indicò, poi sollevò l'indice, come se volesse puntualizzare le parole che stava per dire

‹‹ Non dovrai mai, per nessuna ragione, cercare di entrare nel Labirinto. Sopratutto da sola. ›› disse, infine, con un tono serio.

Déjà vu.

‹‹ Okay... ›› riuscii solo a rispondere.

Non era mia intenzione farlo, comunque.... ma dopo quelle parole, ne avevo ancora meno intenzione.

Fece una faccia strana, poi poggiò una mano sulla mia spalla, dandogli un leggero colpetto.

‹‹ Forza... torna dentro. Domani si festeggia il tuo arrivo ››

‹‹ Una festa? ››

Newt annuì sbadigliando ‹‹ ogni volta che arriva un nuovo fagiolino lo si festeggia. La chiamano “la festa del raggio”. La radura è il centro del sole, ed ogni raduraio è un raggio. Un modo come un altro per definirci una grande famiglia, o come qualcosa d'importante ››

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***


Il tempo sembrava scorrere terribilmente lentamente. Avevo provato a trovare il mio posto nella radura, ma l'unica cosa in cui sembravo non andare totalmente male, era la cucina.

Non che non mi piacesse passare il tempo rinchiusa tra quattro mura, sostanzialmente a lavorare per poche ore al giorno, ma...forse era stata semplicemente la mia testardaggine a prendere il sopravvento, perché quella era stata la mia prima scelta sin dalla spiegazione dei vari intendenti.

Ma, comunque, non mi avevano lasciata cominciare subito, perché Evangeline riteneva più opportuno che cominciassi a prepararmi dalla mattina a ciò che mi avrebbe aspettata la sera.

Ma come avrei dovuto prepararmi? Fissando, tutta la sera, il grandissimo movimento che c'era fuori dal casolare? Perché non avevo fatto altro in tutto il giorno.

E non era poi così divertente fissare le persone.

Anzi, mi aveva dato fin troppo tempo per pensare, cercare di ricordare e riflettere su quella situazione. Era tutto troppo confuso, tutto un enorme Déjà vu a cui non sapevo dare né una collocazione nella memoria, né una spiegazione logica.

Sapevo solo che vedere Minho, Evangeline, Teresa e gli altri, fuori dalla finestra, mi rendeva più tranquilla. Tranne la vista di Newt, che mi faceva accapponare la pelle e contorcere lo stomaco. Cos'erano quelle emozioni? Non ci avevo fatto caso fino al momento in cui mi ritrovai rinchiusa lì, a pensare. Perché Newt mi inquinava così tanto il cervello? E lui, poi, non sembrava nemmeno calcolarmi. A parte quel piccolo attimo in cui mi fece promettere di non mettere piede nel labirinto.

Cosa che, comunque, non avevo alcuna intenzione di fare. Non mi piaceva l'idea di lasciarci la pelle.

 

Le ore passarono ancora, ed ormai era calata la notte all'interno della radura. Dovevo ammettere che in quell'atmosfera così festosa, ero quasi riuscita a scordare totalmente che, tutto sommato, ci trovavamo imprigionati da delle mura enormi.

I radurai avevano fatto un ottimo lavoro addobbando quel posto, e nella mia testa risuonava la parola “festa di halloween”, per via di quei colori che si altalenavano tra il buio notturno e l'arancione delle lanterne appese qua e là, per illuminare quel posto.

Lo spettacolo era veramente stupendo, e tutti ridevano e chiacchieravano, come se fossimo tutti un'unica famiglia.

Anzi, forse, ormai quella era effettivamente una famiglia.

Alcuni radurai suonavano degli specie di strumenti musicali costruiti a mano, altri cantavano. In ogni caso, tutti intrattenevano tutti come meglio si poteva.

Anche in quell'occasione ognuno aveva il suo ruolo, ma sta volta era diverso. Era tutto mirato all'unione, a passare una piacevole serata tutti assieme.

‹‹ Ehi, festeggiata! Dai, bevi! ›› mi spronò Evangeline, dopo avermi messo una coroncina di fiori in testa. Simbolo che io ero il nuovo “raggio festeggiato”.

Era stata lei a trascinarmi fuori dal casolare, assieme ad altre ragazze coreane.

Mi avevano finalmente permesso di guardare il mio volto, cicciotto per i miei gusti.

Finalmente avevo potuto scoprire quale fosse il mio aspetto.

E... non mi piacevo.

I miei occhi azzurri mi ricordavano qualcosa di finto, il mio volto lo vedevo cicciotto, il mio naso mi ricordava un... carlino, forse si chiamava così quel cane con naso schiacciato – e non avevo nemmeno la benché minima idea di dove avessi mai visto un cane simile –, i capelli castano scuro era troppo... scuro, ma non erano nemmeno neri.

Insomma, probabilmente ho trovato più di mille difetti in pochi secondi.

Ma, comunque, cercai di non demoralizzarmi... per quanto Evangeline fosse mille volte più bella di me. Ed anche Teresa. Forse tutte.

‹‹ Allora? Ne vuoi? ›› mi spronò Eva, scuotendo di fronte alla mia faccia un bicchiere con una bibita dalla provenienza piuttosto sconosciuta.

A dire il vero, reggeva in mano due bicchieri: uno palesemente per me, e l'altro per lei.

Era un ragazzo di colore – che, se la memoria non m'ingannava, il suo nome era Frypan – che stava distribuendo quelle bibite, ed erano alcolici dai dubbi ingredienti preparati da lui.

Oltretutto, quello era il mio intendente.

‹‹ No, grazie. Non mi va ››

‹‹ Non accetto un no! Sei la festeggiata. Quindi tieni ›› affermò con tono sicuro, passandomi la bibita. Allora perché me l'aveva chiesto? Formula di cortesia, forse.

Osservai la bibita, storcendo il naso in modo abbastanza schifato.

Il colore era ignoto, scuro, e ricordava vagamente una pozzanghera. Ma Evangeline sembrava mandarlo giù senza problemi, quindi decisi di fidarmi di lei, provando a berne un sorso.

Anche il sapore ricordava il fango.

‹‹ Fa schifo, eh? ›› disse lei, senza assumere un espressione particolare.

‹‹ Sì. Come caspio fai a berla? ››

‹‹ Abitudine! ›› il suo sguardo era perso nel vuoto.

Almeno, apparentemente. In verità era puntato di fronte a noi.

Lì, c'era un ragazzo, apparentemente coreano, che stava cucinando su una sorta di barbecue improvvisato. Ma lei stava guardando oltre lui

C'era un falò, non troppo distante da noi, proprio dietro quel ragazzo.

Minho era lì, seduto attorno al fuoco, assieme ad altri radurai. Reggevano anche loro dei bicchieri, ridevano e scherzavano.

‹‹ Non sono carini? ›› chiese lei, incrociando il mio sguardo poco dopo ‹‹ così spensierati... e pensare che domani tornerà tutto normale. Vorrei che, serate di questo genere, ci fossero tutte le sere. Siamo tutti amici, in fondo, chi più chi meno ›› il suo tono di voce divenne quasi nostalgico, ed anche il suo sguardo cambiò.

Si spense, praticamente.

‹‹ Ma se ci fossero tutte le sere, questa non sarebbe più un occasione speciale, no? ››

‹‹ Sì, appunto ›› storse il labbro ‹‹ non dovrebbero esistere le occasioni speciali. Penso che, dal momento che siamo qui, tutte le sere siano speciali, considerando che siamo vivi ››

quella frase... sentii come una fitta al petto, nel sentirla pronunciare.

Quante persone erano morte, prima di me?

In effetti, dato che c'era stato bisogno di allestire l'angolo “facce morte”, probabilmente.... fin troppe. Chissà quante persone, poi, erano morte nel labirinto.

Decisi di distrarmi, guardando di nuovo il fuoco.

‹‹ Ti piace qualcuno di quei pive? ›› chiese Eva, notando il mio sguardo fisso. In verità stavo fissando il fuoco, ma, guardando meglio, attorno al falò non c'era solo Minho, ma anche Thomas e Newt.

‹‹ Uhm... no, nessuno in particolare ›› mormorai, imbarazzata, sentendo lo sguardo della ragazza addosso.

‹‹ Che ne dici di Newt? ›› mi morì la saliva in gola.

‹‹ No ››

‹‹ Thomas? Thomas è bello. E sembra che tra voi due ci sia intesa. No? Sbaglio? ››

‹‹ Caspio, Eva! Penso che sia impegnato con Teresa, poi ›› brontolai, guardando il ragazzo moro.

Era seduto accanto a Newt, muovendo il bicchiere. Sorridevano entrambi, e, dovevo ammetterlo, avevano dei sorrisi veramente stupendi.

Ad un certo punto, Minho disse qualcosa. Data la risata che scappò ad entrambi, probabilmente era una battuta. Poi, i loro sguardi s'incrociarono. I loro sorrisi sembrarono non voler sparire, ed i loro occhi assunsero un'aria particolare. Onestamente, sembravano due fidanzatini.

‹‹ O... gay? ›› e, mentre Eva diceva quella frase, i due avvicinarono i volti, e le loro labbra si incontrarono. Si stavano seriamente baciando.

Ad Eva scivolò il bicchiere dalle mani, finendo, chiaramente, col rovesciare l'intera bibita per terra.

Io, invece, per un attimo sentii il terreno scivolarmi via da sotto i miei, ed istintivamente si formò un nodo nella mia gola. Strinsi i pugni, digrignando i denti. Gelosia?

Sentii la rabbia esplodermi nel petto. O forse era delusione? Perché, Thomas, stava baciando Newt?

Volevo esserci io al posto di uno di loro?

‹‹ Oh cazzo ›› sussurrò Eva ‹‹ io... li shippo! ››

‹‹ Eh? ›› mi girai di scatto nella sua direzione. Che diavolo voleva dire quella parola?

‹‹ Niente, lascia stare, però, caspio, guardali! Non sono carini? ›› si buttò su di me, prendendo il mio viso e puntandolo in quella direzione. Voleva proprio che fissassi la scena.

Fortuna volle che le loro labbra si fossero già staccate, ed ora stessero ridacchiando come due vecchi innamorati.

‹‹ No. ›› sbottai, spostando la mano della ragazza.

‹‹ Oh, oh... sento puzza di gelosia! ››

‹‹ Ebbene, senti male ›› No, no... ci sentiva benissimo.

‹‹ Oh, dai, vuoi un bacio anche tu? se vuoi ti bacio io! ›› gettò le braccia dietro il mio collo, assumendo un espressione da cucciola. Era ubriachissima.

Sporse le labbra nella mia direzione, schioccando un bacio all'aria, poi rise.

‹‹ Sei tanto bella, e Thomasino non capisce niente! ››

‹‹ Ti ho detto che sicuramente è impegnato con Teresa ››

‹‹ Beh, beh, non sapevo che Teresa avesse un pene e fosse biondo ›› sbuffai, spingendola via. Fortuna volle che Eva fosse dotata di un buon equilibrio.

Lei dondolò un po', decidendo, poi, che fosse un'ottima idea trascinarmi tra di loro.

Afferrò il mio polso e mi tirò con sé, mentre saltellava nella loro direzione.

Era proprio l'ultima cosa che volevo fare, onestamente. Sentivo il mio petto vuoto, e la mia testa era per aria. Non capivo, sinceramente, perché me la fossi presa tanto a cuore.

E non capivo nemmeno se ero più offesa con Newt o con Thomas. Ma, la risposta silenziosa, arrivò inconsciamente, quando lo sguardo di Newt s'incontrò col mio.

‹‹ Ehi, Teresa! Vieni qui con noi! ›› la ragazza era parecchio distante da noi, priva di bicchiere e priva di divertimento. Il suo sguardo era piatto, preoccupato, e quando sentii la voce del ragazzo si precipitò verso di noi.

‹‹ C'è qualcosa che non va ›› disse lei, ricavandosi un posto tra due radurai.

Onestamente ero talmente concentrata sulla scena del bacio gay, che a stento mi resi conto che, attorno al falò, c'erano anche altri tre sconosciuti.

‹‹ Rovina feste! Bevi e non pensarci! ›› disse Eva, porgendole uno dei tanti bicchieri pieni sparsi attorno al falò.

‹‹ No, no, pive, sul serio, c'è un grosso problema! ›› solo Thomas, in quel momento, sembrò crederle.

Il suo sguardo divenne serio, incrociando gli occhi azzurri della ragazza. Sembrò essersi fatto passare la sbornia in meno di un secondo solo per ascoltare le sue parole.

‹‹ Che succede? ››

‹‹ Le porte delle mura non sono totalmente chiuse. Me ne sono accorta adesso. Stavo andando verso i bagni, quando ho notato le porte erano socchiuse. Mi sono detta “okay, forse è solo colpa dell'alcool”, ma per sicurezza mi sono avvicinata per controllare meglio e... no, non era la mia immaginazione. Ad ogni minuto che passa, le mura si aprono di qualche centimetro. ›› disse tutto d'un fiato, come se qualcuno le stesse puntando una pistola addosso ‹‹ questo significa che tra qualche ora potrebbero essere totalmente aperte. E mi chiedo: possibile che qui nessuno si sia accorto di niente? Siamo solo noi ad accorgerci di questi dettagli? Voglio dire.... voi siete scusati, d'altronde siete lontani, ma... non sono l'unica ad essere passata accanto alle mura! ››

corrugai la fronte, guardando gli altri. Avevano assunto tutti un espressione pensierosa.

‹‹ Aspetta... ›› cominciai, riflettendo a voce alta. Sollevai l'indice, poi, cominciando a scuoterlo nervosamente, mentre cercai di organizzare le parole per esprimere una preoccupazione che mi era appena barcollata per la testa ‹‹ ma se le mura si stanno aprendo... Vuol dire c– ››

‹‹ Attenzione, cade dall'alto! ›› gridò qualcuno, non troppo distante da noi. Poi un tonfo a terra, che fece vibrare il terreno sotto i nostri piedi. Persino il fuoco davanti a noi vibrò, rilasciando scintille che toccarono il terriccio attorno ad esso.

Il grido particolare, artificiale ma assordante, interruppe il suono degli strumenti musicali, poi attorno a noi si generò il panico.

Scattammo tutti in piedi nel sentire quel suono, e Teresa e Thomas si scambiarono uno sguardo d'intesa. Il petto della ragazza si muoveva avanti ed indietro velocemente, ed i suoi occhi azzurri erano sgranati come quelli di un gatto

‹‹ Questo era – ››

‹‹ Un dolente ›› disse Thomas, terminando la sua frase.

Era appunto quella la mia paura. Le mura ci salvaguardavano dai pericoli esterni, no? E se le mura erano aperte, allora loro avevano libero accesso, no?

Il problema era che quel coso era praticamente piovuto dal cielo. Aveva scavalcato per balzare lì dentro?

Le mie poche informazioni e convinzioni erano state asfaltate in pochi secondi.

Ora come avremmo fatto? C'era un modo di salvarsi, tra quelle quattro mura?

‹‹ Ne arriva un altro! ›› gridò qualcun altro, e poco dopo, ecco un altro scossone del terreno.

Un altro grido metallico. Poi, da lì, altre grida.

Tutti avevano cominciato a correre in preda al panico, mentre quelle creature cominciarono a muovere, facendo tremare il terreno.

I loro ganci, lunghi e appuntiti, si muovevano in modo circolare, colpendo tutto ciò che c'era accanto a loro. Ne arrivarono altri, che appena entravano, si appallottolavano e giravano in torno, colpendo e distruggendo tutto ciò che incrociavano anche per sbaglio.

Avevo già visto qualcosa del genere, ne ero certa.

‹‹ Come nel mio incubo ›› mormorò Newt, corrugando la fronte.

‹‹ Correte! ›› ordinò Minho, afferrando il braccio di Evangeline mentre si avviavano nel casolare.

Newt si sporse in avanti, cercando di afferrare l'amico, ma lui era più veloce ‹‹ Pive, fermi! Non vi salverete lì dentro! Quei cosi si – ››

neanche il tempo di finire la frase, che uno dei dolenti balzò sul casolare, perforando le pareti con i bracci metallici.

Quando li estrasse, trascinò fuori i corpi – trapassati da parte a parte – di due radurai. Uno per braccio.

Poi spalancò quella che, in teoria, doveva essere una bocca, ed i cadaveri scivolarono all'interno di questa.

‹‹ Oh... Oh caspio! ›› balbettò Minho, fermandosi nella sua corsa. Persino Evangeline s'impalò di fronte a quella scena. Entrambi sembrarono sbiancare.

‹‹ Non avevano mai mangiato nessuno, prima d'ora ›› mormorò Teresa, stringendosi nelle spalle. Lei e Thomas non avevano cominciato a correre, come se anche loro sapessero che i dolenti erano in grado di arrampicarsi. A dire il vero, era una cosa abbastanza scontata, dal momento che si trovavano lì. Quando feci per commentare, il terreno tremò un'altra volta.

Sta volta in modo molto più forte di prima.

Dell'aria, alle nostre spalle, mosse i miei capelli, ed un suono pesante ed assordante mi trapanò i timpani.

Mi girai in direzione di quel suono, e la prima cosa che vidi, furono le mura del labirinto che si spalancavano ad una velocità impensabile, data la loro grandezza.

Ma non fu quello a colpire la mia vista ed il mio stupore, quanto quell'enorme creatura che, apparentemente, somigliava a quei dolenti che avevamo visto fino a poco fa. Ma era molto più grande, e molto più particolare.

Era lievemente piegata in avanti, e scuoteva quella che doveva essere la sua testa, come infastidita da qualcosa. Aveva degli enormi denti appuntiti.

‹‹ Che cos'è questo?! ›› domandò Thomas, indietreggiando assieme a Teresa.

Quel mostro, qualunque cosa fosse, spalancò la bocca ed emise un suono simile ad una sorta di ruggito metallico, attirando l'attenzione degli altri dolenti, che risposero con un suono simile, ma più leggero. Poi, finalmente, cominciò a muoversi.

Ero pietrificata. Si muoveva nella mia direzione, e non sembrava avere per niente buone intenzioni.

Non riuscii a muovermi. Cercavo di ricordare dove avessi già visto quella creatura.

Eppure, nonostante l'aspetto minaccioso ed il fatto che non sembrasse esattamente un cucciolo pronto a giocare col padrone, non riuscii ad avere paura. Ero pietrificata, sì, ma non per la paura nei suoi confronti.

‹‹ Liz! ›› gridò Newt, ed attirò la mia attenzione come se fosse un campanello d'allarme.

Mi girai di scatto, e lo vidi correre verso di me, ma si fermò prima di raggiungermi.

Quella creatura ormai mi aveva raggiunta.

Il suo muso era così vicino al mio volto da permettermi di sentire la sua puzza.

Nonostante avesse i denti fuori, in modo minaccioso, non sembrava volermi fare qualcosa.

Sembrava incuriosita.

‹‹ Tu... ›› mormorai, e sentivo che qualcosa cercava di uscire dalla mia testa. Il ricordo vago, un dolore allo stomaco.

Quella cosa, di fronte a me, emise un verso che ricordava vagamente il lamento di un cucciolo, ed uno dei suoi enormi ganci si fece lentamente avanti verso di me. Non era minaccioso, ma sembrava quasi un invito ad essere accarezzato. Premettendo che quel coso era più grande della mia mano.

Titubante, avvicinai la mano per sfiorarlo.

‹‹ Liz, vieni via da lì! ›› sbraitò Newt. Mi girai a guardarlo, e la stessa cosa la fece quell'essere, mentre il ragazzo correva nella mia direzione, pronto a spingermi via in caso di un attacco da parte di quell'essere.

Ma il dolente, nel vederlo arrivare, non mosse nemmeno un gancio. Anzi, sembrò piegare la testa per una sorta d'inchino, quasi intimorito dalla presenza del biondo.

‹‹ Ma che... che caspio succede? Si può sapere cosa avete fatto, voi due?! ›› sbraitò Minho, sbalordito della reazione da parte di quella creatura.

Bella domanda. Non sapevo nemmeno io cosa diavolo stesse succedendo.

Newt osservava quella creatura, ed i suoi occhi ricordavano vagamente sue scanner. Sembrò fissarla così intensamente da riuscirne a vedere lo scheletro.

Non ne era spaventato, in quel momento, sembrò aver riconosciuto in lei qualcosa del passato.

‹‹ Che c'è? ›› sussurrai, notando la sua espressione stupita. Aveva notato qualcosa di particolare.

‹‹ La scritta ›› mormorò, facendo qualche passo in avanti ‹‹ ha una scritta su una delle “zampe” ›› senza timore, ormai, avanzò ancora. Sorprendentemente, quella creatura gli permise di avvicinarsi senza nessun problema. Anzi: quando Newt indicò la zampa “incriminata”, lei stessa la avvicinò, come un cane ammaestrato, sotto lo stupore dei “nostri amici”.

‹‹ Che c'è scritto? ›› chiesi, assottigliando lo sguardo per cercare di vedere meglio.

Newt si girò di scatto nella mia direzione, assumendo uno sguardo confuso e, allo stesso tempo, quasi accusatorio ‹‹ D2MH.... e il tuo nome ›› l'ultima frase, fu quasi un sussurro. Forse non voleva essere sentito dagli altri.

Di colpo, la creatura si agitò, sollevando i ganci e le braccia metalliche. Non era colpa di Newt.

Praticamente ci scavalcò, ed assunse una posizione di attacco.

Entrambi capimmo dopo il motivo: Thomas si era fatto avanti, e il... D2MH, non sembrò accettare quel gesto.

‹‹ No, fermo! ›› gridai, ma sembrò non volermi ascoltare. Affondò i ganci nel terreno, cercando di colpire Thomas, ma lui fortunatamente li evitò.

‹‹ Fermo! ›› gridai ancora, correndo nella sua direzione. Thomas, nel correre via, incrociò i gli altri. Spinse via Teresa, lontana da lì, perché lei stava cercando di stare al suo passo, non volendo lasciarlo da solo nei guai. La ragazza cadde col muso verso il terreno, chiamandolo con fare disperato, e si rimise in piedi.

‹‹ Razza di rincaspiato, te l'avevo detto di non fare niente! ›› sbottò lei, cominciando a corrergli dietro.

 

Poi si fermò, sgranando gli occhi quando notammo che direzione aveva preso.

‹‹ Thomas! ›› gridai anche io, lanciandomi all'inseguimento. Fu Newt a fermarmi, sta volta riuscendo ad afferrarmi.
Era un suicidio. Un vero e proprio suicidio. Non riuscivo a rimanere con le mani in mano, impalata, con quelle radici immaginarie piantate nel terreno.

‹‹ Non andare! ›› sbottò lui, e temendo che potessi liberarmi, legò le braccia attorno alla mia vita.

Il D2MH ruggì – se così si poteva chiamare quel verso – richiamando a sé anche gli altri dolenti.

‹‹ Vado con lui ›› gridò Minho, cominciando a correre.

‹‹ Vengo con voi! ›› disse Eva, facendo per seguire il ragazzo

‹‹ No, tu sta qui! Vado io! Devi rimanere qui per mantenere l'ordine e far partire i lavori di ricostruzione. Chiaro? Non ti muovere da qui! ›› la riprese Minho, continuando a correre.

La ragazza sgranò gli occhi, incerta su cosa fare, e guardò Teresa. Lei non aveva parole. Riusciva solo a guardare Thomas e Minho, che correvano verso il labirinto inseguiti dai dolenti, mentre le mura si richiudevano velocemente.

‹‹ Moriranno lì fuori ›› fu l'unica cosa che riuscì a dire Eva.

Ed in cuor mio, avevo la stessa ed identica convinzione.

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Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***


Eva era troppo sconvolta e preoccupata per far partire immediatamente i lavori di ricostruzione, e aveva obbligato tutti a smettere di festeggiare... per ovvi motivi, insomma.

Anche se, c'era da dire che in verità, nessuno di loro ne aveva più voglia. Erano – eravamo – tutti preoccupati, sconvolti, distrutti nel vedere quel posto in quelle condizioni.

Nessuno aveva più voglia di festeggiare. Non ne avevamo più motivo.

Il sacrificio compiuto da Thomas e Minho effettivamente era servito a qualcosa: i dolenti non c'erano più, ma la radura... era distrutta.

Non potevamo dormire nel casolare, per cui ci arrangiammo col dormire fuori, all'aperto, coperti dai sacchi a pelo e coperte varie.

Non che qualcuno avesse effettivamente sonno, ma anche se avessimo provato a dormire, i lamenti del dolore e di chi, invece, piangeva la morte di qualcuno, erano sufficienti a far passare il poco sonno che poteva arrivare.

L'indomani mattina, Evangeline fece una sorta di appello con quello che sembrava essere un megafono, per contare quante persone erano morte, disperse o chissà che.

Il movimento nella radura fu immediato, e c'erano persone che cercavano nelle macerie, altre che invece cominciarono a cercare nei posti più nascosti, in cerca di corpi o qualsiasi cosa potesse ricondurre ad una persona. La speranza maggiore, chiaramente, era quella di trovare le persone vive, e la priorità andava alle persone ferite.

Quella, probabilmente, era la mattinata più triste che la radura avesse mai affrontato, e la faccia distrutta di Eva ne era la prova.

I suoi occhi erano coperti da un velo di tristezza, gli occhi infossati dalla stanchezza e le labbra che tremavano visibilmente ad ogni nome pronunciato.

I suoi occhi guizzavano da una parte all'altra della radura, e la mano che reggeva il megafono sembrava in preda ad un attacco epilettico.

Man mano che diceva il nome dei presenti, tutti loro avevano l'ordine assoluto di contribuire immediatamente alla ricerca di quelli assenti, e, non appena i nomi finirono, la realtà mi crollò addosso.

La notte precedente, non avevo assolutamente realizzato quante persone erano assenti. E non avevo nemmeno ben capito in quale momento i dolenti avessero attaccato i radurai. Quando era accaduto tutto quello? Cos'era successo? Come?

Nessuno voleva parlare dell'accaduto, e tutti sembravano un ammasso di robot senza vita, creati solo per lavorare.

Anche io, come gli altri, avevo l'ordine di cercare i miei compagni, ma.... non riuscivo a fare altro che guardarmi attorno, in maniera sconsolata e confusa. Quella situazione l'avevo già vissuta. Eppure, in cuor mio, ero certa che era totalmente differente.

In pochi minuti, al centro della radura, ci fu un ammasso di corpi accatastati l'uno sull'altro.

Sembrava l'inizio di un muro di cadaveri umani, che cresceva ad ogni secondo.

I corpi, martoriati e grondanti di sangue, sembravano usciti direttamente da un film horror, e l'aria si riempiva di un odore acido e nauseabondo. Una cosa che nessuno avrebbe mai voluto vedere.

Mi strinsi nelle spalle, guardando altrove. Non riuscivo a sopportare quella visione.

Istintivamente, camminai in direzione delle mura dalla quale erano usciti i miei due amici.

Teresa ed Evangeline erano proprio lì, sedute con le gambe incrociate, con la speranza che queste si aprano da un momento all'altro. Teresa, in effetti, era l'unica assente all'appello, ed Eva non l'aveva nemmeno nominata. Non osai avvicinarmi più di tanto a loro, ma già da lontano, riuscivo ad immaginare le loro espressioni ricche di speranza. In cuor mio, ero vicina a loro.

‹‹ Ehi, fagio! ›› mi voltai, capendo da sola che quel termine era rivolto a me.

Dietro di me, che mi fissava a braccia incrociate, c'era il mio “intendente”. L'unico che fino a quel momento non aveva le occhiaie fino a terra. Segno che, almeno lui, era riuscito a chiudere occhio per qualche attimo ‹‹ piuttosto che stare con le mani in mano, che ne dici di unirti ai lavori? Tutti quei caspio di stomaci non si riempiranno da soli ›› storse il naso, voltandosi in direzione della catasta di corpi, che continuava a crescere di secondo in secondo ‹‹ sempre se con questo schifo di puzza qualcuno avrà effettivamente fame. Ma, nel dubbio... ››

‹‹ Sì, sì... arrivo... ››

 

Persino nella cucina si respirava una certa tensione, e l'odoraccio che proveniva da fuori, non ci permetteva di tenere le finestre aperte. Sorprendentemente, la cucina era rimasta intatta.

O meglio, l'unico danno ricevuto, erano gli oggetti sparsi un po' ovunque.

Il resto, era abbastanza intatto. I muri un po' crepati, la porta con diversi tagli... ma niente di eccessivamente spaccato.

Nonostante questo, molti dei miei “colleghi” non facevano altro che toccare i muri in maniera ossessiva, tanto da mettermi l'ansia che questi potessero spaccarsi da un momento all'altro e seppellirci vivi, e questo mi portò ad uscire più volte durante i lavori, per prendere una boccata d'aria – puzzolente – e, già che c'ero, curiosare per vedere come procedevano i lavori.

La scena, anche a distanza di ore, era sempre la stessa: un film horror.

Il muro di cadaveri ormai era diventato incredibilmente alto, ma aveva smesso di crescere.

In assenza di una stanza per i medicali, i radurai avevano improvvisato delle brandine con i sacchi a pelo, e i sopravvissuti feriti erano stati distesi lì sopra. Molti di questi avevano le vene ingrossate, e si contorcevano dal dolore. Per essere ridotti in quello stato, forse, era meglio essere morti.

In mezzo a tutto quel casino, tra i medicali che correvano a destra e a sinistra e le persone distese, Newt camminava in modo sorprendentemente tranquillo e lento. Sembrava essere una figura totalmente estranea, una comparsa. Era come se quella situazione non lo spaventasse, perché aveva visto cose ben peggiori. Era tranquillo, in quel mare di disperazione, ed in quel quadro di sofferenza, era come un raggio di sole in mezzo al buio più totale. Anzi, per dirla tutta, sembrava... un angelo che attraversava nell'inferno.

Si fermò accanto ad un medicale, vicino ad uno dei radurai sdraiato su un sacco a pelo, e cominciò ad indicare chissà cosa sul suo petto. Il suo sguardo divenne serio mentre parlava di chissà cosa, ed il medicale lo ascoltava con attenzione. Ma, le loro facce, diventarono preoccupate.

Un senso di angoscia cominciò a farsi strada nel mio cuore, come se in fondo sapessi benissimo di cosa stessero parlando, ed allora decisi di portare il mio sguardo sugli altri lavoratori.

Come se sperassi in uno scenario migliore.... ma la cruda verità, era che ovunque guardassi, l'unico scenario era la devastazione totale.

Quella situazione sembrava essere totalmente surreale, e non capivo il motivo. Molti lavoravano come se avessero delle macchine al posto del corpo. Era, forse, un incubo ad occhi aperti?

Quando tornai per l'ennesima volta dentro la stanza, notai che Frypan era l'unico che non stava cucinando. Era poggiato al tavolo, fissando fuori dalla finestra chiusa ermeticamente per evitare che la puzza prendesse possesso di quella poca aria respirabile.

Apparentemente, il suo sguardo era rivolto alle mura, ed istintivamente guardai anche io.

Ora, lì, era rimasta solo Eva.

Probabilmente Teresa si era unita alla ricerca dei corpi e dei feriti, o forse ora stava aiutando i medicali da qualche parte della radura.

Decisi di approfittarne ‹‹ posso chiederti una cosa? ›› domandai, avvicinandomi al mio intendente.

‹‹ Dimmi, fagio ›› rispose, con aria assorta

‹‹ Pensi... pensi che Thomas e Minho riusciranno a salvarsi?

‹‹ Ti dirò la verità: non lo so. Però... tutta questa situazione... è da ieri che ci penso ›› a quel punto, si girò, grattandosi la fronte ‹‹ è come se avessi già affrontato questa situazione. C'è qualche sploffata sotto... non riesco a smettere di pensarlo. Non so se quei due pive riusciranno a cavarsela, ma c'è una parte di me che dice di sì perché... è come se fosse un film già vissuto e – ››

‹‹ E qui ci sono gli spoiler ›› la voce di Newt riecheggiò tra le pareti di quella stanza, mentre entrava con passo deciso nella stanza. Ci girammo nella sua direzione, nel momento esatto in cui schiaffò sul tavolo un ammasso di fogli disordinati.

Li fissava con odio, come se la causa di tutta quella situazione, fosse scritta nero su bianco su quei cosi.

‹‹ Cosa sono? ››

‹‹ Mappe ›› rispose Teresa, entrando con un passo molto più lento e tranquillo di quello di Newt.

‹‹ Mappe? ›› domandai ancora, guardandola.

Aveva due occhiaie parecchio profonde attorno agli occhi, ma... rimaneva comunque bellissima. Ed ancora una volta, sentii la mia autostima suicidarsi e gridare di voler entrare nel labirinto assieme ai dolenti.... okay, pessimo paragone, data la situazione.

‹‹ Sì, mappe. Non ci sono tutte, ma queste bastano ›› mentre Teresa parlava, Newt disponeva in un determinato ordine i fogli che aveva portato.

Frypan guardava il ragazzo con aria confusa, ma non disse nulla, a parte un “spero che quella roba sia pulita”.

‹‹ Dove avete preso questa roba? ›› domandai, guardando Teresa ed affiancandomi a Newt

‹‹ È roba del velocisti ›› rispose distrattamente, aiutando Newt a disporre il tutto in un'ordine preciso ‹‹ mentre io ed Eva chiacchieravamo per distrarci da ciò che sta succedendo in questo momento... beh, ho ricordato un sogno. Era un sogno particolare... come un – ››

‹‹ Ricordo perduto ›› completò Newt la frase ‹‹ siamo tutti nella stessa barca ››

‹‹ E in questo ricordo, io, Newt ed altre persone osservavamo le mappe, e le disponevamo in maniera strana. Quindi sono andata a cercare nella stanza dei mappatori, ma ovviamente era andata distrutta... ma le casse no››

‹‹ Quindi mi è venuta a cercare ›› Newt si tirò su con la schiena, incrociando le braccia al petto, mentre guardava ciò che aveva fatto con Teresa.

‹‹ In quel sogno, sovrapponendo le mappature del labirinto, si ottenevano dei... codici, diciamo... ›› continuò Teresa ‹‹ che poi ci aiutarono ad uscire dal labirinto... ma, onestamente, questa volta la situazione sembra diversa. ›› mi misi nella loro stessa posizione, ad osservare i fogli come facevano loro. Sembravano formare tutto, fuorché una parola, o anche solo una lettera.

Ciò che vedevo io, era un ammasso informe di linee storte e traballanti.

‹‹ Pive, dateci un taglio, o finirete con l'impazzire anche voi tra queste mura ›› mormorò Frypan, scuotendo la testa ‹‹ capisco che vogliate distrarvi da questa pessima situazione in cui si sono cacciati Minho e Thomas, ma... andiamo, un codice nelle mappe? E a cosa servirebbe, poi? ››

‹‹ Servì per trovare una stanza oltre la scarpata del labirinto... o qualcosa del genere.

Erano una sorta di codice d'accesso. L'ordine nella quale si inserivano queste parole, portava, poi, in un ulteriore stanza dove si trovavano i creatori ›› rispose Teresa. Frypan rimase in silenzio, guardandosi attorno in maniera spaesata.

L'unico suono che aleggiava nella stanza, ora, era quello degli altri lavoratori che continuavano le mansioni che erano state loro affidate. Ancora una volta, quella strana sensazione...

‹‹ Secondo me vi si sta sploffando il cervello. Teresa, cara... cerchiamo di essere realisti ›› Frypan indicò i fogli sul tavolo, quasi in maniera accusatoria ‹‹ questa roba... ti sembra anche solo lontanamente un codice? Perché a me, personalmente, sembra la suola di una scarpa rovinata.

Il tuo sarà stato solo un sogno... o un incubo. Dipende.››

‹‹ Non era un incubo ›› s'intromise Newt ‹‹ anche io ho sognato la stessa cosa ››

‹‹ Bene, io no ›› alzò le braccia al cielo ‹‹ quindi me ne lavo le mani, e non voglio saperne delle vostre sploffate di cervello ››

‹‹ Io vi credo... ›› mormorai, guardando il biondo. Lui abbassò rapidamente il volto verso di me, con le labbra schiuse. Mi guardò dall'alto in basso, ma non in modo negativo. Era quasi come per chiedermi se fossi seria. Feci un cenno col capo, e lui lo ricambiò, toccandosi poi nervosamente il mento.

Frypan fece le spallucce ‹‹ ripeto: secondo me vi state sploffando il cervello ››

‹‹ Ma anche tu hai questa sensazione, no? ›› provai ad intervenire ‹‹ che tutto questo sia stato giò vissuto. L'attacco dei dolenti, il martirio, la distruzione... tutto! L'hai detto tutto stesso poco fa, no? Ed ora ti vuoi rimangiare la parola? ››

‹‹ No, ma... ››

‹‹ Io penso che dietro tutto questo ci sia qualcosa di molto, molto più grande! Penso che oltre quelle mura ci sia una cosa che noi dobbiamo trovare. Penso che... non lo so. Penso che qualcuno ci stia osservando. Ho la netta sensazione di essere come un topo da laboratorio per qualcosa che non possiamo nemmeno lontanamente immaginare ››

‹‹ Anche io ›› mormorò Newt. Indietreggiò, poggiandosi al piano cottura alle sue spalle ‹‹ e non riesco a levarmi questo caspio di pensiero dalla testa ››

‹‹ Perché sicuramente è così ›› mormorò Teresa, passandosi una mano tra i capelli ‹‹ ma io non voglio fare il fottuto topolino da laboratorio. Io voglio uscire da qui. Io voglio trovare Thomas e... vivere, non sopravvivere ››

Newt rimase in silenzio per un attimo, poi inspirò profondamente ‹‹ ed io voglio capire cosa diavolo mi manca ›› già... lo volevo capire anche io ‹‹ è come se mancasse un enorme tassello nel mio cervello ››

‹‹ Quello manca a tutti ›› commentò Frypan, afferrando un mestolo e cominciando a girare qualsiasi cosa ci fosse dentro quell'enorme pentolone sul fuoco ‹‹ la nostra memoria è andata a puttanzole ››

‹‹ Non intendo quello ›› sbuffò, poi guardò sul tavolo quei fogli di carta inutili, a quanto pare, e cominciò a raccattarli ‹‹ e comunque... secondo voi, i creatori manderanno qualcosa per curare i feriti? ››

‹‹ Il dolosiero, intendi? ››

‹‹ Il... dolosiero? ›› domandò Newt, corrugando la fronte ‹‹ Come fai a conoscere il dolosiero? ››

corrugai la fronte a mia volta, guardando il ragazzo come se mi avesse fatto la domanda più stupida sulla faccia della terra ‹‹ me ne hai parlato tu, non ricordi? ››

‹‹ Sono abbastanza sicuro di non aver mai accennato al dolosiero in vita mia, Liz... e nessuno, a parte noi due ›› indicò sé stesso e Teresa ‹‹ sa cos'è un dolosiero, qui dentro ›› eppure io ero fortemente convinta di averne già sentito parlare, e non potevo essermelo inventata, se anche lui ne era a conoscenza.

Frypan lasciò cadere il mestolo dentro la pentola, sospirando. Poggiò la mano sulla propria fronte, poi contrasse la mascella. Di colpo, si girò verso di noi in maniera rabbiosa, ed indicò la porta ‹‹ Okay, fuori da questa stracaspio di cucina! ››.

‹‹ Fry – ›› provò ad intervenire Teresa, ma Frypan diede un colpo così forte al tavolo da spostarlo di qualche centimetro

‹‹ Fuori, ho detto! ›› gridò.

In tutto questo, nessuno degli altri ragazzi fece qualcosa. Tutti continuarono a lavorare, battere i pugni sui muri, cucinare. Come se non stesse accadendo niente, attorno a loro.

Come se tutto quello fosse normale.

 

Usciti dalla cucina, fummo costretti a separarci.

Teresa si scusò per l'inutilità delle mappe, e quindi andò a metterle a posto, ed io e Newt decidemmo di andare a dare una mano agli altri radurai nella ricerca dei nostri compagni.

Camminammo verso le facce morte, evitando rami vari e cose simili.

Quella zona, già lugubre di suo, ben presto sarebbe diventata ancora più affollata...

‹‹ Elizabeth... ›› sentii sussurrare alle mie spalle. La voce di un bambino.

Corrugai la fronte, e mi girai di scatto. Non c'era niente.

‹‹ Che c'è? ›› brontolò Newt, fermandosi dal camminare solo per guardarmi ‹‹ che ti prende, ora? ››

‹‹ Mi era sembrato di aver sentito una voce... ››

‹‹ Capita spesso, in questa zona. A me, almeno ›› scrollò le spalle ‹‹ certe volte, mi viene istintivo chinarmi da queste parti e cercare tra i cespugli ›› riprese a camminare, senza nemmeno aspettarmi.

Non che fosse complicato raggiungerlo, però... un minimo di educazione, insomma.

‹‹ Tra i cespugli? ›› domandai, corrugando la fronte.

‹‹ Sì ›› il suo, fu quasi un mormorio. Il suo passo rallentò ‹‹ non so perché. È come se tra i cespugli ci sia qualcosa che devo assolutamente trovare. Comincio a camminare, camminare e camminare, mi chino, sposto rami e cose varie, ma poi... niente... non trovo niente. Ed è una cosa frustrante ›› i suoi occhi divennero improvvisamente lucidi. Strinse i pugni, e ne portò uno contro le labbra, che cominciò a torturare nervosamente ‹‹ e sento che, qualsiasi cosa ci sia nascosto tra i cespugli, era qualcosa di importante... ››

‹‹ Magari... un nascondiglio? ›› ipotizzai, guardandolo.

Si fermò, corrugando la fronte ‹‹ forse... ›› i suoi occhi sembrarono diventare ancora più lucidi.

Che fosse un ricordo particolarmente importante, per lui? Qualsiasi cosa fosse, non riuscivo a vederlo in quel modo.

‹‹ Vuoi che ti aiuti a cercarlo? ››

‹‹ Sarebbe inutile ormai, no? E comunque, ho già cercato in ogni singolo angolo di questo posto ››

‹‹ Newt... ›› istintivamente, non so perché, mi venne naturale prendergli una mano e guardarlo dritto negli occhi. La mano era stretta a pugno, e al tatto, ruvida e calda. Lui corrugò ancora la fronte, ma non la ritrasse ‹‹ lascia che ti aiuti a cercarlo. Okay? Sento che... è importante, per te ››

rimase in silenzio, guardandomi negli occhi. Sentii il mio cuore fare una sorta di balzo, e mi venne un improvvisa voglia di perdermi nei suoi occhi, così pieni di malinconia e così familiari. Lucidi, come il cristallo, arrossati per via di una pianto trattenuto.

Perché quegli occhi sembravano parlarmi dritti al cuore, e mi veniva una tremenda voglia di gridare, senza nemmeno saperle il perché? La presenza e la vicinanza di quel ragazzo mi causavano una forte malinconia, e...

‹‹ Okay... bene così ›› disse, ritraendo la mano ‹‹ aiutami pure... ›› ora, il suo tono di voce sembrò essere cambiato. Sembrava più una richiesta di aiuto, ed il suo sguardo, improvvisamente, mutò. Si addolcì. Pochi minuti, e ci ritrovammo in tutt'altra zona delle facce morte.

Mi lasciai guidare da lui, spostando i vari cespugli, senza che lui mi dicesse quale di preciso.

Cercammo in ogni singolo cespuglio, ma niente. Non sembrava esserci assolutamente niente. Eppure, per qualche attimo, ero quasi riuscita ad illudermi di poter trovare qualcosa.

Alzai gli occhi verso la chioma degli alberi, inspirando profondamente quello schifo di fetore che arrivava direttamente dalle facce morte.

‹‹ Te l'avevo detto, qui non c'è niente ›› mi fece notare Newt, con una punta di amaro nella voce

‹‹ Ehi, scusa se ho provato a fare qualcosa di carino per te ›› sbottai ‹‹ posso dirti una cosa, senza che ti offenda? ›› lui annuì, sbuffando ‹‹ a volte ho la sensazione che tu mi odi da morire, e non capisco il perché. Voglio dire... magari sei solo geloso, ma – ››

‹‹ Geloso? ›› corrugò la fronte ‹‹ perché mai dovrei essere geloso? ››

‹‹ Perché da quando sono qui, ho passato molto tempo con Thomas e... beh, hai una cotta per lui no? Insomma... vi siete baciati, ieri notte... ›› sgranò gli occhi, facendo cadere, di peso, un braccio lungo il fianco.

‹‹ Eh? ›› corrugò la fronte, poi sollevò lo sguardo ‹‹ che sploffate vai dicendo? Era un gioco che abbiamo fatto tra di noi. Obbligo o verità. Non abbiamo molte verità da dire, visto che non ricordiamo praticamente niente, quindi è scontato che si cada nell'obbligo.

Sinceramente, Liz, non ho idea di come tu sia potuta cadere in questa strana teoria della gelosia ››

‹‹ Era l'unica cosa che mi bloccava dal pensare che tu mi odi a prescindere, dato che... sei un po' strano nei miei confronti ››

‹‹ Io... non ti odio, Liz ›› sospirò ‹‹ in verità, mi fai un po' paura ››

‹‹ Paura? ››

annuì, ed improvvisamente, le sue guance si tinsero di un lieve rossore, e guardò altrove, sperando, sicuramente, di riuscire a camuffarlo ‹‹ Sì... quando ci sei tu nei paraggi, mi sento strano. Quella sensazione di vuoto cresce maggiormente. Ho paura che quella sensazione mi divori. ››

La sensazione di vuoto cresceva per colpa mia? Allora... forse, non ero l'unica a sentire qualcosa, vicino a lui. Non ci davo poi così tanto peso, alla fine... ma, in effetti, anche io provavo una sorta di vuoto, se così lo si poteva chiamare.

In ogni caso, qualsiasi cosa fosse, io.... volevo salvarlo. Non volevo vederlo così strano.

I suoi occhi viaggiavano ancora di albero in albero, di cespuglio in cespuglio, sicuramente ancora in cerca di quel famoso nascondiglio.

‹‹ Mi dispiace ›› mormorai, allora, girandomi una ciocca di capelli dietro l'orecchio ‹‹ non so perché ti senti così... ma non voglio che tu stia male per colpa mia. Quindi... se è questo il problema, ti aiuterò a cercare questo famoso nascondiglio, e poi sparirò dalla tua vista ››

quasi si pietrificò, e girò rapidamente lo sguardo verso di me. I suoi occhi si sgranarono, come se quel pensiero fosse anche peggio della sensazione precedente.

Notando il mio sguardo incuriosito, allora cercò di comportarsi in maniera normale, e sussurrò un “okay”, per poi abbassarsi e cominciare a tastare il terreno ‹‹ anche se ti ho già detto che qui non c'è niente ››

‹‹ ma come mai sei convinto che qui ci sia qualcosa? Insomma... non potrebbe essere ovunque? ››

‹‹ Te l'ho detto ›› cominciò e quando feci per abbassarmi, lui si rimise immediatamente in piedi, e cominciò a camminare, facendomi cenno di seguirlo – cosa che, chiaramente, feci – ‹‹ è qui che ho cominciato a cercare le cose, perché... ›› sospirò ‹‹ ricordi di averti raccontato quel sogno dove fuggivo con qualcuno? Ho detto di essermi nascosto da qualche parte, e... pensandoci bene, era in questa zona... e voglio capire chi fosse quella persona. Perché quel posto... sono sicuro che possa aiutarmi ››

‹‹ Perché è così tanto importante trovarla? ››

‹‹ Perché sono sicuro che fosse una persona importante per me. Voglio sapere se è qualcuno che ho già visto qui... qualcuno che è ancora vivo ›› si fermò, alzando lo sguardo verso l'alto ‹‹ ma... che strano... quando diavolo è cresciuta questa roba? ››

‹‹ Che roba? ›› domandai, vedendolo poggiare la mano sul muschio che ricopriva la corteccia dell'albero. Appena lo toccò, corrugò la fronte

‹‹ È sorprendentemente fresco... sembra quasi umido... ››

‹‹ Beh, che c'è di strano? È solo muschio. Mi saranno altri alberi come questo, no? ››

‹‹ No. Perché mai dovrebbe crescere del muschio qui? ›› si guardò attorno, poi si avvicinò ad un albero accanto e strappò un pezzo di corteccia, con la quale poi cominciò a grattare via il muschio dall'albero.

Tempo di qualche minuto, e si scoprì l'inganno: sotto quel muschio c'era una placca di metallo.

Una placca di metallo, per cosa? Su un albero?

‹‹ Che caspio...? ›› mormorò, guardando me, come se io potessi avere la spiegazione ad una cosa del genere.

 

 

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Capitolo 15
*** Capitolo 15 ***


‹‹ È qui ›› disse Newt, continuando a fare strada in maniera quasi totalmente inutile. Non per altro, ma perché camminavamo in cerchio, senza sosta e senza trovare quel maledetto albero.

Dopo averlo visto, andammo a chiamare Evangeline, che sembrava essere parecchio scocciata da quel camminare in cerchio. In effetti, sembravamo un serpente che si mordeva la coda ininterrottamente.

Camminavo accanto alla ragazza, e le sue espressioni di noia riuscivo a vederle chiare e tonde. d

Era bianca cadaverica, ancora in ansia per il non ritorno di Minho e Thomas, ed ormai era palese che cercava di arrampicarsi sugli specchi pur di non credere a quel dato di fatto.

Alla fine, stufa, Eva si fermò, battendo un piede sul terreno per attirare l'attenzione ‹‹ fermati, Newt. Che diavolo mi vuoi mostrare? ››

‹‹ Il caspio di albero che abbiamo trovato prima io e Liz ›› disse lui, fermandosi a sua volta ‹‹ era qui, ne sono certo. Solo che... ››

‹‹ Che, cosa? Gli alberi non si spostano, e qui non c'è niente ›› era innegabile quel dato di fatto, ma allora, perché prima lo abbiamo visto? ‹‹ te lo sarai sognato ›› aggiunse, scuotendo le spalle.

‹‹ No... no! Non posso averlo sognato. Vorrebbe dire aver avuto un sogno di coppia, ed è impossibile! ››

‹‹ È vero... l'ho visto anche io ›› dissi, affiancando Newt. Riuscii a vedere una nota di gratitudine nel suo sguardo, ed incrociò le braccia.

‹‹ Beh... fatto sta che ora non c'è. Per cui, come me lo spiegate? Gli alberi non camminano ›› non era poi così complicato immaginare un albero camminare da quelle parti, considerando che c'erano degli esseri enormi e mostruosi che giravano tranquillamente fuori da delle mura labirintiche, in un posto che era tutto fuorché normale, no?

Poggiai una mano sulla fronte, grattandola in maniera nervosa. Eva scosse le spalle, infilando le mani in tasca ‹‹ sentite, non sto dicendo che non vi credo. È anche possibile che abbiate visto qualcosa del genere, ma al momento, capite da soli che ci sono problemi ben più grossi di una placca metallica su un albero. Anche vedendola cosa vi aspettate che faccia? Che dia l'ordine di abbattere l'albero ed esaminarlo? Con quale strumentazione, poi? ››

Alzai lentamente lo sguardo verso Newt. Gli ballava la mascella dal nervoso, ed inspirò profondamente in un tentativo di recuperare la calma.

‹‹ Hai... ragione. Scusa Eva ›› mormorò

‹‹ Non c'è niente per cui chiedere scusa, ma... vi prego, se dovete cercare l'albero, fatelo da soli e cercatemi solo se avrete le idee chiare su cosa fare ›› e, detto questo, girò e si allontanò.

Forse era stata un po' rude e brusca, ma... alla fine, sapevamo il motivo di quelle risposte così fredde.

Non avevamo tempo da perdere in ricerche inutili, considerando com'era fragile la situazione.

E poi, era indubbiamente ancora in ansia per i due radurai lì fuori.

Newt, comunque, non si dava per vinto. Non appena Eva fu lontana, cominciò a toccare tutti gli alberi attorno a lui, in cerca di quello che avevamo visto prima.

‹‹ Newt... ››

‹‹ Aiutami ›› disse lui, con un tono fermo.

‹‹ È inutile, non è qui! ››

‹‹ Ma deve essere qui, Liz! Gli alberi non camminano! ››

‹‹ E se avessimo sbagliato zona? ››

‹‹ No, sai benissimo anche tu che eravamo qui! ›› e, in preda ad un improvviso attacco d'ira, diede un pugno contro la corteccia dell'albero davanti a sé. La sua mano divenne immediatamente rossa, e le nocche delle mani si spaccarono, ma lui non sembrò provare dolore.

Poggiò le mani alla testa, stringendo i pugni tra i capelli ed abbandonandosi ad un lamento, che doveva essere un grido soffocato. Il suo volto divenne rosso, e le vene del suo collo si gonfiarono in una maniera che non credevo fosse possibile.

‹‹ Newt! ›› lo richiamai, avvicinandomi di più a lui.

Istintivamente, presi le sue mani, facendogliele spostare. Aveva gli occhi chiusi, ma li aprì lentamente non appena le mie mani si poggiarono sulle sue.

Per pochi, pochissimi attimi, fui certa di aver visto le sue pupille dilatarsi. Aveva gli occhi lucidi, la fronte corrugata. Era come se stesse lottando contro sé stesso, e qualcosa stesse gridando di voler uscire. Cosa stava succedendo dentro la sua testa?

‹‹ Calmati... ›› mormorai, con un tono di voce basso.

Il suo volto riprese lentamente un colorito umano, e le sue mani, tese fino a poco fa, sembrarono rilassarsi, e lasciò quindi cadere le braccia lungo i suoi fianchi.

Annuì lentamente, poi, lentamente, avvicinò il volto al mio. Non mi mossi nemmeno di un centimetro, ma sentii il mio cuore cominciare a battere molto più velocemente del normale.

Poggiò la fronte contro la mia, come se quello fosse un gesto naturale da parte sua, ma a me mandò in tilt il cervello e il cuore.

Quella sensazione... quel vuoto. Perché improvvisamente sentii un groppo alla gola? Perché non riuscivo a ricordare chi fosse la causa di quel vuoto nel petto?

‹‹ Io... non ce la faccio più. Mi sento impazzire ›› mormorò, mentre le sue mani si poggiarono sulle mie spalle.

‹‹ A.. fare cosa? ››

‹‹ A sopportare tutto questo ›› poi arretrò all'improvviso, rendendosi conto di quel gesto ‹‹ mi... mi sento impazzire. Ogni giorno che passo qui, sento che qualcosa non va. Tutto questo è sbagliato.

Il fatto che non ricordi questa persona, il fatto che i miei migliori amici siano dispersi nel labirinto e, oh, non illudiamoci... sono certo che non torneranno indietro vivi! Lì fuori nessuno sopravvive, ed Evangeline si sta solo illudendo come una scema, se spera di rivedere Minho. Stessa cosa vale per Teresa. E pure tu, se credi che rivedrai quelle facce da sploff! Anzi... anzi... ›› si passò la mano tra i capelli, poi la spostò, osservandola con attenzione. Aveva cominciato a sanguinare. Il colpo di prima, indubbiamente, gli aveva recato di tagli.

Sospirai e, con delicatezza, gli presi la mano ‹‹ dobbiamo andare a farla vedere dai medicali. Questo è sicuramente il posto meno ideale dove ferirsi ›› era arrossata, sanguinante e gonfia.

Doveva aver messo tutto l'odio che aveva in corpo, per farsi un taglio simile solo con un pugno

‹‹ Sto bene, è solo un taglietto ››

‹‹ No, non stai bene! ›› sollevai lo sguardo, corrugando la fronte ‹‹ non stai bene. Non mentirmi, Newt! Odio quando mi menti! ››

‹‹ Ehi, non ti ho mai mentito, quindi non dirlo come se mi conoscessi da chissà quanto tempo! ››

Già... era quello il punto. Gli lasciai la mano, stringendomi nelle spalle.

Il silenzio fu il suono dominante di quel posto per qualche attimo. Fu quello che ci circondò, ma nella mia testa c'era il caos. La scena di Newt, con quel nervoso in corpo, regnava sovrana e cercava di richiamare qualcosa alla mia mente.

L'unica cosa che riuscivo a ricordare vagamente, fu... il buio. Delle luci lontane, e qualcuno che parlava e fumava nel buio della notte. Qualcuno di importante.

Qualcuno per la quale avrei dato la vita.

Perché, però, ci pensavo ora?

‹‹ Liz...? ››

Perché non riuscivo a ricordare qualcuno di così importante?

Dov'era adesso? Perché mi aveva lasciata da sola?

‹‹ Liz? ››

Era forse morto? Avevo fallito miseramente nel mio tentativo di proteggerlo?

Che fosse questa la vera ragione per la quale il mio cervello aveva una sorta di blocco?

Forse... forse, era morto per colpa mia. Forse....

‹‹ Liz, ehi! ›› le mani di Newt furono attorno al mio volto, come se stesse tenendo tra queste qualcosa di fragile. Il ciclo dei miei pensieri, improvvisamente si fermò, ma il mio respiro... il mio respiro, era così pesante da darmi la sensazione di soffocare ‹‹ che c'è? perché stai piangendo? ››

il suo sguardo era così preoccupato da provocarmi i sensi di colpa.

Però, sensi di colpa o no, non riuscivo a parlare. Avrei voluto gettarmi tra le sue braccia, in cerca di un conforto che probabilmente non sarei riuscita a trovare così facilmente.

Eppure, quel gesto minuscolo, riuscì comunque a bloccare la mia testa.

Certo, il vortice di pensieri era ancora presente, ma si era calmato rispetto a prima.

‹‹ Non sei l'unico che odia questo posto ›› fu l'unica cosa che riuscii a dire. Praticamente era la metà della metà della metà delle ragioni, ma... non era tenuto a saperle tutte, e probabilmente nemmeno gli interessavano.

‹‹ Vuoi uscire da qui...? ››

‹‹ Non preoccuparti per me ›› poggiai delicatamente le mani sulle sue, spostandogliele ‹‹ pensiamo, piuttosto, ad andare dai medicali per farti vedere questi tagli ››

accennò un sorriso all'angolo delle labbra, ed inclinò la testa ‹‹ non preoccuparti per me ›› rispose, ironizzando sulla mia risposta di poco fa.

Sorrisi a mia volta, ed abbassai lo sguardo, lasciando andare le sue mani ‹‹ non farmi il verso, sono seriamente preoccupata per te. Non voglio che ti faccia infezione ›› cominciai a camminare nella stessa direzione dalla quale eravamo arrivati, e lui mi seguii

‹‹ Non dovresti farlo ››

‹‹ Mi viene naturale ›› mormorai, intimidita ‹‹ non so perché ››

‹‹ Magari, prima di trovarti qui, eri qualcosa come un'infermiera ››

‹‹ No... non credo ››

 

Nella radura i lavori di ristrutturazione non si erano ancora fermati.

Con le mai così tagliate, decidemmo di riposarci un attimo, e di chiuderci dentro la cucina.

Tanto, i miei “colleghi”, non avrebbero fatto storie.... anche perché non erano lì.

Restammo seduti sul tavolo, subendo per qualche minuto gli sbuffi di Frypan, che intanto si lamentava del fatto che fossimo entrati lì dentro con le scarpe sporche di terra.

I medicali avevano curato e disinfettato i tagli di Newt, sostenendo che non fosse niente di grave, ma di evitare di aggravare la situazione toccando terra o cose del genere.

‹‹ Scusa ›› disse Newt, spezzando quel silenzio pesante.

‹‹ Uhm? Per cosa? ››

‹‹ Non penso veramente quelle cose. Ciò che ho detto prima, riguardo Minho e Thomas ››

‹‹ Ah, quello... beh, tranquillo ›› scrollai le spalle. Era semplicemente preso dal nervoso, dire certe cose era più che normale ‹‹ è okay, lo capisco. Lo stress e le cose così... non devi chiedere scusa, Newt ››

‹‹ Loro sono forti. Sopravvivranno. Probabilmente, io morirei lì fuori ››

‹‹ Tu sei forte, Newt ›› dondolai le gambe. I miei piedi non toccavano il pavimento, quindi mi sentivo come una bambina su un'altalena. E non sapevo nemmeno cosa fosse un'altalena.

‹‹ Come puoi dirlo? ››

‹‹ Beh, lo sai... sono sicura che, prima di ritrovarci qui, io e te avevamo un rapporto speciale ›› annuii con convinzione ‹‹ compagni di squadra, o robe così ››

Lui annuii, sollevando lo sguardo al soffitto ‹‹ sì, lo penso anche io ›› poi accennò quel suo sorriso sarcastico, ed inclinò la testa nella mia direzione ‹‹ o qualcosa di più ››

sgranai gli occhi, corrugando la fronte ‹‹ cioè? ››

‹‹ Magari eravamo amanti, o – ››

‹‹ Newt! No! Figurati! Oh, caspio, ma come diavolo ti viene in mente una cosa del genere?! ›› mi tastai le guance. Incredibile: ero arrossita come una cretina.

Scoppiò a ridere in una risata fragorosa.

Io non ci trovavo niente da ridere, anzi... volevo dannatamente affondare sotto il tavolo.

‹‹ Dai, sto scherzando! ›› disse, vedendomi scendere dal tavolo come se qualcuno mi avesse appena lanciata giù ‹‹ credo che me la ricorderei una cosa del genere, no? ››

‹‹ E io che ne so! ›› risposi di getto, dandogli le spalle. Mi poggiai al mobile della cucina, sperando vivamente che Newt non decidesse di raggiungermi, o avrebbe visto le mie guance rosse come i pomodori pelati che avevo di fronte, chiusi dentro un barattolo di vetro.

Maledizione, il mio cuore... di nuovo quella tachicardia. Ma sarebbe mai passata?

‹‹ Beh, fatto sta che c'era qualcuno nella mia vita, e ne sono certo ›› sospirò ‹‹ non so se era qualcosa di ricambiato o no, però... sono certo che esisteva. E sono certo ch – ››

‹‹ Avresti dato la tua vita, per questa persona? ›› provai ad anticiparlo.

‹‹ Sì... e che ho combinato un casino, prima di perderla. Ma non so cosa, ed è questo quello che pi mi distrugge... spero che, qualsiasi cosa fosse, non sia qualcosa di irrecuperabile ›› concluse, poi inspirò ‹‹ ed, in ogni caso, il mio obbiettivo è di trovarla. Voglio uscire da queste mura, in qualche modo. E voglio cercarla ››

‹‹ Vuoi cercare qualcuno di cui non ricordi nemmeno il volto? Come farai? ››

‹‹ Non lo so. Mi lascerò guidare dal mio istinto ››

In un certo senso... capivo il suo ragionamento, quindi annuii.

‹‹ Ti capisco ›› mormorai, cominciando a giocare con le mie dita. Sentii Newt balzare giù dal tavolo. Ormai non ero più così rossa, e quindi non mi misi per niente il problema

‹‹ È così anche per te? ›› annuii, ancora, e quando mi girai, Newt era esattamente di fronte a me. Molto vicino.

‹‹ Sono certo che lo ritroverai ›› disse, poi il silenzio per qualche attimo.

Attimo strano, particolare e già vissuto. Almeno, in parte.

Non era un momento imbarazzante ma... particolare. Il rossore era tornato, nel momento in cui i nostri sguardi rimasero fissi l'uno nell'altro, come se ci stessimo guardando dentro, leggendo chissà quale particolare storia.

La malinconia di quell'attimo, nei suoi occhi, quella voglia di trovare una verità nemmeno lui conosceva.

Poi, la sua mano scivolò sulla mia guancia. L'accarezzò.

‹‹ Smetti di piangere, fagio ›› sussurrò.

Piangevo? Sul serio? Abbassò di più il volto, fino a raggiungere la mia altezza.

Che fare? Che stava succedendo? Mi sentito totalmente pietrificata.

Ma forse non c'era niente a cui pensare. Non più. Depositò un bacio sulla mia guancia, ma il suo volto rimase vicino al mio.

‹‹ S-scusa... ›› mormorai, imbarazzata. Lui annuì, in mia risposta, e si allontanò lentamente, e fece per parlare, quando sentimmo le mura del labirinto aprirsi.

Ci guardammo, poi, come se qualcuno ci avesse dato la scossa, corremmo fuori.

Tutti, dal primo all'ultimo, corremmo nella stessa direzione: le mura principali, ma io e Newt cominciammo a spintonare tutti pur di stare in prima fila, riuscendoci senza troppa fatica.

Accanto a noi c'erano Eva e Teresa, che si tenevano le mani pronte a consolarsi a vicenda se, per disgrazia, qualcosa fosse andato storto.

Aspettammo qualche minuto, prima di riuscire ad intravvedere due persone correre lì fuori.

Minho e Thomas erano vivi, ma gravemente feriti.

Si reggevano a vicenda, e del sangue incrostato sporcava la loro fonte. I loro vestiti erano logori, ma da quella distanza non erano visibili eventuali ferite troppo gravi.

Era visibile, però, che le mura stavano già cominciando a richiudersi.

‹‹ È normale? ›› domandai, girandomi verso Newt

‹‹ Che le mura si stiano chiudendo? No ›› disse, contraendo la mascella, poi cominciò a gridare per incoraggiare i suoi amici. Di quel passo, non sarebbero mai riusciti ad uscire in tempo.

Ecco perché, prese dall'ansia, Teresa ed Eva cominciarono a correre nella loro direzione.

Li raggiunsero, nonostante le grida da parte degli altri radurai, che cercarono di convincerle a tornare indietro prima che fosse troppo tardi.

Anche Thomas gridò per provare ad allontanarle, ma entrambe erano troppo testarde per dar loro retta, e li raggiunsero in non troppo tempo.

Teresa prese il braccio di Thomas, Eva quello di Minho, e cominciarono a correre tutti insieme, sotto i continui lamenti dei ragazzi su quanto fossero entrambe delle irresponsabili sconsiderate.

Che poi, era buffo un tale rimprovero da parte loro, considerando il loro sacrificio.

Diedero una spinta finale verso l'ultimo, con una corsa che li condusse, poi, a cadere stremati a terra. Poco dopo, le mura si chiusero.

Thomas stese a pancia all'aria, respirando con la bocca aperta, per riprendere fiato, e accanto a lui c'era Teresa, che in poco tempo si raggomitolo contro il fianco del ragazzo, senza dire niente.

Thomas, allora, notando quel gesto, si girò per circondarle la vita con un braccio e stringerla contro di sé.

Minho ed Eva, invece, si limitarono a guardarsi negli occhi e a recuperare le energie. Era come se stessero discutendo telepaticamente.

Attorno a noi c'erano solo grida e fischi, ma probabilmente nessuno avrebbe festeggiato il loro ritorno. C'era davvero da festeggiare? Forse, in altre occasioni, sì. Ma lì...

‹‹ Fate spazio, forza! ›› brontolò uno dei medicali, mentre si avvicinava ai due velocisti. Il primo che controllò, fu Minho. Visto da così vicino, era parecchio visibile un taglio che scendeva dal collo e arrivava fin sotto la maglietta. Thomas aveva sangue sulla fronte, ma apparentemente non aveva niente di grave... almeno, così ad occhio nudo.

‹‹ Riprendetevi, poi venite a farvi controllare... ›› ordinò il medicale, e Thomas annuì, facendo le veci anche di Minho.

Il ragazzo si mise seduto, e Teresa fece la stessa cosa, senza scollarsi da lui. In altri casi, probabilmente non sarebbe stata così “appiccicosa”. La folla attorno a noi si diradò molto velocemente, e... era strano. Era stato molto strano.

‹‹ Ci avete fatto preoccupare, razza di pive spericolati ›› disse Newt, infilandosi le mani in tasca.

‹‹ Ne siamo consapevoli ›› rispose Thomas, accarezzando i capelli di Teresa ‹‹ perdonateci, ma... ››

‹‹ Abbiamo trovato una cosa molto interessante, nel labirinto. Oltre che avere rischiato le nostre fantastiche chiappe ››

‹‹ Che cosa? ›› chiese Eva

‹‹ Mentre eravamo fuori e scappavamo dai dolenti, abbiamo trovato una parete finta ››

‹‹ Una parete finta? ›› Eva corrugò la fronte, poggiandoci una mano sopra ‹‹ cioè? Come una sorta di passaggio segreto? ››

‹‹ Circa ›› Minho poggiò il dito sul terreno e cominciò a disegnare, man mano che spiegava ‹‹ mentre cercavamo, appunto, di scappare per salvarci le chiappe, Thomas ha pensato di arrampicarsi sull'edera delle mura. Ebbene, l'edera si è spezzata e Thomas ha rischiato di dover richiedere ai creatori una protesi per il sedere. Ma, a parte questo, abbiamo notato che il pezzo che si è staccato nascondeva sotto del muschio ››

‹‹ Muschio? ›› Newt corrugò la fronte, incrociando le braccia mentre ascoltava il suo amico, che annuì

‹‹ Muschio. E questo ha reso la parete particolarmente scivolosa. Quando Thomas si stava arrampicando, durante la caduta ha raschiato via un po' di muschio, ed ha svelato sotto un– ››

‹‹ Una placca metallica ›› anticipò Newt, poggiandosi una mano sulle labbra, mentre guardava me con la coda dell'occhio ‹‹ e se fossero collegate? ››

‹‹ Di cosa state parlando? ›› domandò Minho, tirandosi su ‹‹ che avete scoperto? ››

‹‹ Mentre andavamo alle facce morte... abbiamo visto un albero con del muschio, che copriva una placca metallica ››

‹‹ Questo, però, sicuramente era un intero muro, non una placca e basta ››

‹‹ Però a ragione ›› cominciò Thomas, alzandosi lentamente, seguito da Teresa. La ragazza aveva gli occhi arrossati e il volto gonfio, da un pianto silenzioso alla quale si era abbandonata. Non era intenzionata a lasciar andare il ragazzo, ed anche quando lui fu in piedi le sue braccia si legarono immediatamente attorno alla sua vita ‹‹ potrebbero essere collegati. Pensaci bene, Minho: ogni cosa qui dentro ha una sua funzione. Non do per scontato che l'ipotesi di Newt sia errata ››

‹‹ Sì, ma... anche se fosse, qual è lo scopo? Qual è la funzione? ››

‹‹ Beh... questo dobbiamo ancora scoprirlo ››

‹‹ Ma quando Newt mi ha portata a vedere questa famosa placca, non c'era nessun albero con tale aggeggio attaccato ›› fece notare Eva ‹‹ per cui, anche se avesse chissà quale funzione mistica, probabilmente non lo scopriremo mai ››

‹‹ Ma gli alberi non camminano ›› disse Minho, corrugando la fronte. Questa cosa che gli alberi non camminano era stata ripetuta sin troppe volte in troppo poco tempo.

‹‹ Ma questo posto è capace di far sparire qualcosa del genere ›› Thomas poggiò una mano sotto il mento, arricciando il naso.

‹‹ Non avete preso in considerazione una cosa ›› intervenne Teresa

‹‹ Che cosa? ››

‹‹ È ovvio che l'albero non sia sparito... ma, questo non toglie che potrebbe essere stato coperto di nuovo dal muschio ›› scrollò le spalle ‹‹ quindi, io propongo di andare a cerca di nuovo per indagare. Siamo in sei, è più facile dividerci per cercarlo, no? ››

‹‹ E anche dopo averlo trovato, cosa faremo? ››

‹‹ Agiremo di conseguenza ››

Eva non sembrava per niente convinta dalle parole della ragazza, e quindi cercò l'approvazione da parte di Minho. Ma lui, a sua volta, sembrò cercare l'approvazione da Newt.

‹‹ Io ci sto ›› rispose lui ‹‹ non ho niente da perdere ››

‹‹ Allora perfetto. Se siamo tutti d'accordo, andiamo, no? Ma prima... andiamo dai medicali ››

 

 

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Capitolo 16
*** Capitolo 15 ***


Fermata dai Medicali. Controlli generali. Niente di troppo grave, da quello che avevo capito, e questo mi rendeva in qualche modo tranquilla. Non ci mettemmo molto tempo a riprendere la strada per tornare di là, senza nemmeno fiatare per la stanchezza.

Indubbiamente, avremmo preferito che i nostri amici riposassero almeno un po'... ma c'era l'urgenza di scoprire qualcosa di cui nemmeno noi sapevamo l'esistenza.

Non sapevamo effettivamente cosa aspettarci da quella ricerca, ma eravamo affamati di verità.

Ormai eravamo abbastanza motivati dal voler arrivare fino in fondo alla storia. Volevamo scoprire tutto ciò che potevamo, e sentivo in me quella voglia matta di vedere la luce in fondo a quel tunnel di misteri. Una parte di me, si sentiva vicina a quel passato che avevo dimenticato.

L'altra, però... beh, l'altra, in un certo senso, voleva rimanere all'oscuro. Troppo spaventata da ciò che non potevo conoscere, o da ciò che potevo aver fatto o commesso.

Però... volevo capire.

Alla fine, la cosa che mi premeva di più, era capire le cose del mio passato. O meglio, gli affetti che avevo.

Il perché Newt, Teresa, Thomas, Minho ed Eva erano così vicini al mio cuore. Cosa ci legava... e cose così.

Mentre camminavamo verso le facce morte, mi venne naturale guardare gli occhi dei miei amici.

Teresa camminava accanto a Thomas, senza però sfiorarlo, ma teneva su di lui uno sguardo vigile, come se fosse pronta ad intervenire al primo accenno di dolore.

Eva, invece, camminava con un passo sicuro e svelto, affiancata da Minho, che si guardava attorno in maniera attenta, girando la testa non appena sentiva un minimo rumore “sospetto”.

Newt... beh, Newt aveva uno sguardo deciso. E lo vedevo: ogni tanto, il suo sguardo cadeva su di me. Così come il mio cadeva su di lui, come se ci stessimo guardando le spalle a vicenda.

E sapevo, in un certo senso, che quella non era la prima volta.

Solo al pensiero di quelle sensazioni provate poco fa, sentivo il mio petto scaldarsi, e venivo attanagliata dalla sensazione strana di nostalgia. E, oltretutto, la voglia ancora più intensa di ricordare ciò che avevo rimosso.

Ma perché.... perché continuavo ad avere la sensazione che quello era sbagliato?

‹‹ Da che parte? ›› chiese Minho, girandosi alle nostre spalle. Poi, di colpo, sul suo volto comparve un sorriso.

‹‹ A destra ›› rispose Newt ‹‹ che c'è? Che hai da sorridere? ›› sembrò terribilmente scocciato.

Forse... la cosa non era così per entrambi.

Sbuffò ed incrociò le braccia al petto.

‹‹ Oh, niente ›› rispose rapidamente Minho, totalmente indifferente alla reazione dell'amico.

Poi afferrò il fianco di Eva, e si chinò per sussurrarle qualcosa all'orecchio.

Lei, poi, si voltò nella nostra direzione, per poi girarsi un'altra volta.

Erano veramente poco discreti: era abbastanza ovvio che stessero parlando di noi.

“Noi”. Ma quale noi?

 

Camminammo per chissà quanto, ancora, ed avevo la netta sensazione che stessimo camminando a vuoto. Ed invece, sorprendentemente, Newt riuscì a ritrovare quell'albero.

Teresa aveva quasi totalmente ragione: era stato nuovamente ricoperto, ma effettivamente l'albero aveva cambiato locazione. Era possibile? D'altronde “gli alberi non camminano”.
Io ed Eva, intanto, controllavamo che negli altri alberi non ci fosse niente del genere, mentre Minho e Newt, con l'aiuto di un pugnale che Minho aveva con sé – non volevo sapere il motivo –, cominciarono a grattare via il muschio dalla placca metallica-

‹‹ La terra è lievemente smussata attorno al tronco ›› mormorò Teresa, inginocchiata accanto alle radici ‹‹ è come se qualcuno avesse scavato e piantato l'albero. Guarda le radici.... sono strane. Lo vedi? Attorno ad esse la terra è un po' sollevata ››

‹‹ È impossibile ›› mormorò Thomas, poggiandosi una mano attorno alle labbra ‹‹ anche se fosse, non possono aver ripiantato quest'albero. Ci vorrebbero diverse persone per fare una cosa del genere. È logica! Chi può avere una tale forza d– ››

‹‹ Nessuno, ovviamente ›› anticipò Newt, mentre, assieme a Minho, cominciarono a forzarla.

‹‹ Questa caspio di cosa...! ›› Minho imprecò un paio di volte, e Newt alla fine, per quanto ostinato, mollò la presa. Tirare era inutile.

Fu allora che Minho guardò il suo coltello, e fece la cosa più logica, in effetti: sulle prime, fu tentato di forzare la placca con il coltello... ma era logico che si sarebbe spezzato. Per cui, cominciò ad intagliare tutto interno alla placca.

Indubbiamente questo richiedette fin troppo tempo, ma scoprimmo che fortunatamente questa era solo superficiale, e non totalmente saldata. Bastò levare qualche strato di legno per rimuoverla poi con più facilità del previsto.

Quando la tolse, tutti ci affrettammo a guardare ciò che ci si presentò davanti: fili su fili, tutti intrecciati e di tutti i colori, ed uno spazio enorme e vuoto al centro.

Troppe cose che, però, il mio cervello riusciva a riconoscere. Sapevo dare i nomi corretti e collegare la loro funzione a quasi tutti i fili che vedevo. Ma non era questo l'importante.

‹‹ Che diavolo...? ›› mormorò Eva, corrugando la fronte ‹‹ sembra una specie di motore... vero? ››

‹‹ Non saprei ›› commentò Thomas ‹‹ forse... che sia un motore o no, mi chiedo perché abbia questi fili... ›› la sua mano si fece strada oltre Minho, fino a toccare i cavi. Minho si spostò, così da permettergli di arrivare meglio a qualsiasi cosa fosse quell'affare.

Teresa assunse una strana espressione, e corrucciò le labbra, mentre Thomas toccava i fili. Solo dopo qualche minuto si decise a spostarli per leggere ciò che c'era inciso sul metallo, ed in quel momento, si rese conto che dietro ad un'intera fascia di fili, conficcata dentro il metallo, c'era una leva.

Thomas abbassò la leva, ed un coro di “NO!” si alzò da parte mia, di Newt, Teresa, Eva e Minho.

Il ragazzo schiuse le labbra ed arrossii, dandosi una manata in piena faccia per quel gesto.

‹‹ Scus- ›› un rettangolo si aprì al centro della placca. Là, dove c'era lo spazio tra i cavi.

Un piccolo braccio metallico uscì, mostrando un piccolo schermo nero.
Poco dopo si udì un suono particolare. Era sordo, ed era come se qualcuno stesse trascinando un mobile pesante. Era lo stesso ed identico suono prodotto dalle mura quando si apriva, ma questo non era successo.

Proveniva da esattamente dietro le nostre spalle, nella stessa direzione di una delle mura che circondavano la radura. Quindi... quella leva indicava veramente l'apertura del muro che avevano scoperto Minho e Thomas?

‹‹ Presto. ›› sbottò di colpo Minho, cominciando a camminare a grandi falcate verso la radura ‹‹ non c'è ulteriore tempo da perdere ›› ed era strano vederlo con quel tono autoritario.

‹‹ Che cosa? Che vuoi fare? ›› Eva corrugò la fronte. Fui sorpresa di vedere che Minho ci stava lasciando lì da soli, ma per fortuna si fermò. Ma non tornò indietro. Semplicemente, aspettò che anche noi lo raggiungessimo. Cosa che facemmo senza troppe obbiezioni.

‹‹ Ordinerò ai velocisti migliori di andare nel labirinto ›› cominciò Minho, una volta raggiunto, e riprese a camminare ‹‹ devono assolutamente trovare lo stesso ed identico muro. Non dovrebbe essere difficile. Se è aperto, loro dovranno tornare indietro per comunicarcelo ››

‹‹ E sei sicuro che ce la faranno in due ore? Quanto tempo ci avete messo voi a trovarlo? ›› domandai. Minho sembrò irrigidirsi a quella domanda.

‹‹ Troppo tempo ›› lo anticipò Thomas ‹‹ molto più di due ore ››

‹‹ Ma loro devono trovarlo in meno tempo. Se necessario, qualcuno rimarrà di vedetta ed abbasserà la leva ogni due ore, in modo che i velocisti abbiano il tempo per trovare il muro e tornare indietro. Devono farlo. È probabilmente la nostra unica speranza per uscire da questo caspio di posto! ››

‹‹ Ma i velocisti non possono passare la notte nel labirinto, Minho. Sarebbe come chiedere loro di suicidarsi! ›› Eva aveva ragione. Non lo stava dicendo per fermarlo, perché anche lei, come gli altri, aveva intenzione di uscire da lì.

‹‹ Non chiederò loro niente del genere... ecco perché dirò loro di farlo in due ore ››

‹‹ Minho ha ragione. Qualcuno deve pur farlo ›› Teresa cominciò a torturarsi i capelli in maniera nervosa.
‹‹ È probabile che rispondano “perché non vanno Minho e Thomas, visto che ci sono già stati? ›› Eva gonfiò la voce, per fare l'imitazione dei suoi compagni. Un modo per ironizzarci su, che fece comparire sul suo viso un sorriso un po' più rilassato ‹‹ riesco già a sentirli ››

‹‹ In quel caso, dirò loro che devono smetterla di fare le teste puzzone e butterò uno di loro lì dentro. Il primo che mi capita sotto il naso ››

 

Ma, fortunatamente, niente di tutto quello sembrò essere necessario.

La mini “squadra di ricerca” selezionata da Minho, partì dentro il labirinto senza troppe storie, dopo le indicazioni date da lui per poterle raggiungere.

Io, Newt e Minho rimanemmo di guarda a quel mini schermo, mentre scorreva il tempo. Dovevamo essere pronti a farlo ripartire. Quello era stato un avanti e indietro quasi inutile, a pensarci bene.

Eva e Teresa, assieme a Thomas, per qualche strana ragione, insistettero per andare a ricontrollare le mappe.

“È una sensazione, okay?” insistette Teresa, e Thomas l'assecondò. Thomas l'avrebbe sempre assecondata, a quanto pare

‹‹ È così strano, non trovate? ›› commentò di punto in bianco Minho, mentre teneva la testa ed un piede poggiato contro il tronco dell'albero, con la testa sollevata verso la chioma.

‹‹ Cosa? Questo meccanismo? ››

‹‹ No... o meglio, anche... ›› sospirò, passandosi una mano tra i capelli ‹‹ in un certo senso, sono combattuto. Ora che so che siamo così vicini a scoprire la verità, in un certo senso... sento di dover fare qualche passo indietro. Non è così anche per voi? ››

‹‹ Per me no ›› rispose in modo secco Newt ‹‹ ho bisogno di risposte ››

‹‹ Riguardo quella persona? ›› quindi Minho lo sapeva. Il suo sguardo, poi, si posò su di me. Sorrise in un modo che, certamente, avevo già visto. Non l'aveva mai fatto in quel modo, però.

Il mio cuore fece un balzo, e la mia mente si eclissò per qualche attimo. Aveva già sorriso in quel modo in passato. Tornai con i piedi per terra solo perché sapevo che non era il momento adatto per deconcentrarsi. Avevamo da controllare quella leva, ed il timer scorreva ad una velocità paurosa. Scossi la testa. Non potevo permettermi una sola distrazione.
‹‹ Riguardo ogni cosa ›› rispose Newt, dopo qualche attimo per pensare.

‹‹ Sì... ma, la mia domanda ora è un'altra ››

‹‹ Oh, ti prego, Minho ›› Newt si girò lentamente verso il ragazzo, fulminandolo con lo sguardo, come se avesse già capito che domanda volesse fargli ‹‹ non ora ››

eppure, l'espressione di Minho era giocosa. Aveva la faccia da “io ho già capito”, ed io invece mi sentivo una specie di terzo incomodo.

‹‹ Volete che me ne vada? ›› domandai, titubante.

‹‹ No ›› sbuffò Newt ‹‹ non ti spostare da qui ››

‹‹ Sì, così possiamo parlare ›› controbatté Minho ‹‹ Newttino mi deve raccontare una cosa. A quanto pare ›› dondolò, camminando verso il biondino ‹‹ c'è qualche nuova fiamma nel tuo cuore, che sostituisce il fantasma del tuo passato? ›› poggiò le mani sulle sue spalle.

Mi sentii, per un attimo colpita ed affondata.

Come se mi fossi in qualche modo illusa, e come se mi sentissi ampiamente toccata.

Newt, con un colpo secco, allontanò le mani di Minho e schioccò rumorosamente la lingua ‹‹ ti sembra il momento di discutere di queste tue sploffaggini? Ma, dico, ti si è rincaspiato il cervello tutto d'un colpo? Minho... sul serio. ›› sbuffò.

S'innervosì di colpo, ma non si allontanò di troppo. Il tanto che bastava per prendersi un po' di spazio per sé. Qualche passo distante, insomma, ed ora io e Minho eravamo in un certo senso “soli”.

‹‹ Tanto so che ho ragione io ›› disse, con un tono fiero. Poggiò le mani sui fianchi, e girò il volto verso di me ‹‹ che bello essere tornati tutti insieme ››

‹‹ Cosa? ››

‹‹ Te lo spiegherò quando saremo fuori di qui ›› e mi fece l'occhiolino.

Corrugai la fronte. Stava cercando di dirmi qualcosa in particolare?

‹‹ Stai recuperando la memoria? ›› azzardai.

Lui scosse la testa ‹‹ no... magari. Però ho un buon intuito ›› si picchiettò la fronte con l'indice ‹‹ e, per quanto, in realtà, abbia la netta sensazione che il mondo esterno a queste mura non sarà esattamente rose e fiori, sono sicuro che lì avremo delle risposte anche sul nostro passato.

Ne sono certo. ››

‹‹ Ehi, Pive ›› Newt fece “retromarcia” verso di noi. Non era solo. Con lui, c'era uno dei velocisti che erano andati in spedizione.

A dire il vero, non era messo così bene: il suo labbro inferiore era spaccato, ma non sembrava provare dolore. Aveva gli occhi spenti, ed era pallido come un cadavere.

‹‹ Che succede? Perché sei già tornato? Avete trovato la parete? ›› domandò Minho, avvicinandosi rapidamente al ragazzo.

‹‹ Sì ›› disse. Il suo sguardo era totalmente perso chissà dove, come se stesse guardando delle immagini lontane ‹‹ abbiamo seguito le indicazioni che ci hai dato ››

‹‹ Quindi? ››

‹‹ Non abbiamo trovato solo la parete. Abbiamo trovato i Goemul, affamati come non mai. La metà di noi sono morti, l'altra metà sono stati punti dai dolenti in maniera quasi involontaria e solo due non si sono fatti niente. Io e un altro, che però è troppo shockato anche solo per pensare di camminare.

Quella cazzo di parete che ci avete fatto cercare, sicuramente è la fottuta tana di quei cosi, capisci, intendente? ›› il ragazzo sembrò riprendersi di punto in bianco da quello stato di trans nella quale era apparentemente caduto, ed indicò Minho in maniera accusatoria.

Minho indietreggiò con la testa ‹‹ Morti? ››

‹‹ Morti. Mangiati. Punti. Punti dai dolenti, capisci? ››

‹‹ Cosa significa che li hanno punti in maniera involontaria? ›› domandai, confusa ancora da quell'affermazione.

‹‹ Era come se le due creature stessero lottando per il territorio ›› tagliò corto, poi scosse la mano, facendo intendere che quelli erano dettagli superflui ‹‹ il fatto è che la spedizione non ha dato dei frutti interessanti, se non a confermare che uscire nel labirinto è impossibile ››

Minho rimase in silenzio. Riuscivo a leggere i sensi di colpa nei suoi occhi.

‹‹ Siete tutti nella radura, ora? ››

‹‹ I sopravvissuti sì ›› rispose, parecchio alterato ‹‹ e, apparentemente, i Goemul e i dolenti non sono intenzionati a venire qui. ››

‹‹ Quando c'è quella parete aperta, quindi... si liberano i mostri ›› sussurrò tra sé e sé Newt, ma dalla sua espressione, capii che qualcosa non gli tornava.

Non aveva senso, in effetti. Seguii Newt con lo sguardo, mentre si avvicinava all'albero con il palmare. Ci stava sfuggendo qualcosa. Lo raggiunsi, e per un attimo mi sentii una stalker.

I suoi occhi scrutavano ogni singolo dettaglio di quella sorta di motore che aveva davanti, e sembrava di vedere ogni collegamento che faceva, come se si potesse leggere il suo ragionamento.

L'espressione seria e concentrata, di chi si sforzava di scoprire le cose, di chi aveva fame di conoscenza e di verità. Lo ammiravo da morire, ed amavo quel modo di fare. O forse...

‹‹ Qualcosa... c'è qualcosa che non abbiamo visto ›› mormorò, notando che il mio sguardo era fisso su di lui. Certo... ovvio che se n'era accorto, ma faceva finta di niente.

‹‹ Dici? ››

‹‹ Dico ›› guardò la leva e la sfiorò con le dita senza abbassarla ‹‹ se i dolenti hanno attacco i Goemul perché li vedono come esseri che invadono il territorio, allora questo fa crollare tutto ciò che abbiamo creduto fino ad ora. Ossia che quei mostri hanno convissuto fino ad ora ›› inspirò, spostando la mano ‹‹ però questo significa anche che qualcuno li liberava.

Attraverso quest'albero... per farlo senza correre rischi, devi assicurarti che questo non venga scoperto.
Se ci pensi, ha senso. Altrimenti com'è che non ci siamo mai accorti di quest'albero? È l'unico con del muschio, in mezzo ad altri mille che invece ce l'hanno... non esiste che qualcuno non ci abbia mai fatto caso. Qualcuno sapeva di questo... per forza. Magari quel qualcuno veniva qui tutti i giorni e lo copriva in qualche modo per camuffarlo... in modo che rimanesse un segreto ››

‹‹ Sì... okay, ma dove vuoi andare a parare? ››

‹‹ Che c'è una talpa nella radura, ossia qualcuno che lavora per i creatori e libera quei cosi ››

una talpa? Un doppiogiochista? Mi veniva complicato crederlo ‹‹ ma, se ci pensi, per fare il doppiogiochista devi avere un modo per poter parlare con loro, no? ›› odo, ma dati gli ultimi avvenimenti, non ha avuto il tempo per farlo... non so. O magari è morto. ››

capii subito a cosa volesse andare a parare. Secondo Newt, c'era un ulteriore modo per poter uscire nel labirinto, senza liberare quei mostri. Ma quale?

Quindi, in due, cominciammo a studiare meglio quel piccolo motore. Altre leve, magari. Controllammo dietro i cavi, sotto la leva, un po' ovunque. Uno spazio così ridotto non poteva avere centro leve. Tastammo e picchiettammo contro il tronco più e più volte, e in tutto questo tempo, Minho continuava a discutere con quel velocista. Quindi non avevamo altri occhi sui cui contare.

Controllammo anche gli altri alberi, ma niente: di altre leve per eventuali ulteriori passaggi, non ce n'era nemmeno l'ombra. Poi, non so... l'istinto, forse, mi disse di ricontrollare nell'albero.

Osservai attentamente il palmare, e mi ricordai, come un eco lontano e confuso, una frase simile ad un “non fidarti delle apparenze”. Il mio cervello, per qualche attimo, andò di nuovo in blackout.

Osservai ancora quello schermo del palmare, e...

‹‹ Minho... mi dai il coltello? ›› domandai, girandomi verso il mio amico. Lui scosse la testa, prendendolo per passarmelo. Lo afferrai e fissai lo schermo.

‹‹ Ehi, novellina, non vorrai spaccare quel coso, vero?! ›› quasi mi sbraitò contro, e quando sollevai la mano col coltello, cominciò a corrermi incontro, schivando ampiamente Minho. Ma non mi toccò. Newt lo spinse via prima.

Altro piccolo blackout, e mi venne da pensare “come era successo con George”. Strinsi la mano attorno al coltello.

Perché il mio cervello, solo in quel momento, cominciò a ricordare cose a caso.

Frammenti di memorie che non sentivo nemmeno mie.

‹‹ Allora?! Mi rispondi?! ›› sbraitò il ragazzo. Aveva parlato fino a quel momento, ma non gli avevo dato peso.

‹‹ Non voglio romperlo ›› dissi rapidamente, cercando di accantonare quel nome che ora mi rimbombava in testa.

Chi era George?

‹‹ E allora cosa vuoi fare con quell'affare? ›› ridacchiò ‹‹ tagliare un pezzo di corteccia per mangiarlo? ››

‹‹ Minho, posso sbattere il tuo sottoposto nella gattabuia? ›› domandò Newt, girandosi poi verso di me, ma guardando il ragazzo con la coda dell'occhio. Ricordava vagamente un predatore che minaccia la sua preda.

‹‹ Fa' di lui ciò che meglio credi ›› rispose Minho, con un tono di voce piatto. Doveva essere ancora avvilito dall'errore commesso. Ma non poteva sapere come se sarebbe andata, no? Non era colpa sua. Incidenti del genere, nella radura, erano abbastanza frequenti e normali.

‹‹ Voglio svitare questo ›› dissi, indicando una vite che sporgeva appena sotto lo schermo.

Non ci avevo badato prima, ma il mio istinto mi diceva che quella era una piccola risposta... oppure, in caso contrario, era solo una mia illusione data dalla disperazione.

Ma ormai tanto valeva tentarsele tutte, no?

‹‹ E se lo rompi? Non ci pensi? Magari, rompendolo rischi di lasciare la porta aperta in eterno e permetterai a quei cosi di girovagare nel labirinto, impedendoci di andare in – ››

‹‹ Non può rompere il meccanismo della porta. Quello è dato dalla leva, non dal palmare ›› spiegò Newt, che mi prese le mani con la quale tenevo il coltello per aiutarmi a sistemare meglio la punta di questo nell'incavo della vite.

Sapevo farlo anche da sola, ma apprezzai il fatto che stesse cercando di darmi una mano, in modo da non fallire e subire ulteriori parole velenose da parte del velocista.

Gli ringraziai con un cenno della testa, poi cominciai a far ruotare la vite per svitarla.

‹‹ Sì, ma – ››

‹‹ Senti, coso, chiudi la bocca ›› sbuffò Newt ‹‹ e temo che i dolenti ti abbiano punto eccome, data questa tua improvvisa isteria. Guarda le tue vene! Si stanno gonfiando ››

Minho lo guardò con la coda dell'occhio ‹‹ mi ricorda uno spaccato, a dire il vero ››

‹‹ Un che? ›› Newt corrugò la fronte, e a me cominciò a battere il cuore a quelle parole.

‹‹ Uno spaccato... non so cosa sia, ma... mi è venuto naturale ››

Uno spaccato... cos'era uno spaccato? Perché quelle parole mi terrorizzavano?

Il fatto che il mio cervello non ricordasse l'immagine, il significato o qualsiasi cosa ci fosse dietro, ma sapesse che non era niente di buono... era ancora più terrorizzante.

Mi affrettai a far girare la vite, poi la tolsi e mi girai per riconsegnare il coltello a Minho.

Guardai Newt. Anche lui aveva la stessa espressione stranita.

Forse anche a lui ricordava qualcosa, ma non voleva dirlo.

Poi, mentre lo guardavo, vidi un foto da sparo al centro della sua fronte, e le sue vene gonfiarsi di colpo. I suoi occhi iniettati di sangue, e la pelle imperlata di sudore.

Non riuscii a muovermi, ma trattenni il respiro. Chiusi gli occhi. Li strinsi, poi li riaprì.

Newt era ancora lì, con la fronte corrugata dalla preoccupazione.

‹‹ Tutto okay? ››

Era un'allucinazione ovviamente. Ma perché?

‹‹ Sì ››

‹‹ Bene così ›› si passò una mano tra i capelli, poi, entrambi, portammo l'attenzione su quello schermino. Sporsi la mano per levare lo schermo svitato... e niente. Non si levò, ma si aprì a “sportello”, ed al suo interno era presente una piccola tastiera, composta da lettere e numeri.

‹‹ Numeri e lettere... ›› Newt sorrise. Il sorriso trionfante di chi aveva ragione ‹‹ quindi, dobbiamo trovare un codice d'accesso. Se ciò che penso io è vero, allora – ››

‹‹ Abbassare la manopola così è sbagliato ›› lo anticipai, poi mi girai verso di lui ‹‹ bisogna inserire prima il codice, poi la manopola. In quel modo, magari – ››

‹‹ I mostri non usciranno ›› mi anticipò a sua volta ‹‹ magari si apre un'altra via ››

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Capitolo 17
*** Capitolo 17 ***


Minho decise che portare il velocista psicopatico nella gattabuia non era poi una cattiva idea.

Mentre eravamo lì, sembrava peggiorare ad ogni minuto che passava.

Ad un certo punto aveva cominciato a prendere a testate un albero... dal nulla. Parlava in coreano e chissà cosa diceva. L'unica persona a capirlo, tra di noi, era proprio Minho... e data la sua faccia, di certo non erano complimenti.

Io e Newt, invece, tornammo indietro. Non c'era silenzio tra di noi, ma c'era un confronto d'idee che mi faceva sentire, in un certo senso, nostalgica. Sempre la solita nostalgia di qualcosa che nemmeno ricordavo. C'era già capitato, in passato, di collaborare in quel modo?

‹‹ Il problema maggiore, alla fine, è “dove possiamo trovare questo codice”? Ormai è scontato che l'uscita da questo caspio di posto si trovi nel labirinto ››

‹‹ Forse in qualcosa di abituale. Forse stiamo solo sbagliando il modo di guardare le cose ››

Newt si fermò di colpo, e mi guardò con gli occhi sgranati.

‹‹ Newt? ››

‹‹ Torno all'albero. Devo tornare di là ››

‹‹ Perché? ››

‹‹ Ricordi? Quando siamo andati via, l'albero non era più nella stessa posizione. Io torno di là, tu vai dagli altri ›› improvvisamente fui colta da una sorta si senso di nausea e terrore. Fece qualche passo nella mia direzione, fino a ritrovarsi esattamente di fronte a me, e poggiò le mani attorno al mio viso, chinando il volto all'altezza del mio ‹‹ vai, poi torna da me. Okay? ››

‹‹ Non ti voglio lasciare da solo ›› mormorai

‹‹ Non mi stai lasciando da solo, stai facendo ciò che ti sto chiedendo. Ascoltami, per una volta. Ho la sensazione che è una cosa che hai fatto molto poco spesso ››

io, invece, avevo la sensazione che fosse una cosa che più di una volta ha comportato enormi ed orribili rischi.

Poggiai una mano sulla sua, annuendo lentamente ‹‹ ti prego... fa attenzione, okay? ›› non avrei sopportato perderlo... un'altra volta. Lui annuì, poi cominciò ad allontanarsi, senza nemmeno girarsi indietro. Sentii il mio cuore sprofondare in un abisso, al sol pensiero di averlo perso già una volta. Non sapevo come, ma ero certa che fosse successo.

Ed ancora una volta mi ritrovai a chiedermi cosa avessimo attraversato insieme, e perché guardarlo andare via mi recava uno squarcio al petto?

 

Corsi come una dannata, a per di fiato, fino alla radura. La puzza era incredibile, ed uno sciame si mosche girava allegramente per tutta la radura. Dava il voltastomaco in una maniera pazzesca.

‹‹ Eli! ›› gridò Teresa. Mi girai nella direzione della sua voce, e la vidi: teneva in mano una sorta di piccolo forziere, ed un sorriso a trentadue denti le segnava il volto.

‹‹ benissimo, ci servirebbero proprio un altro paio di occhi! ››

‹‹ Perché? ›› cominciai a seguirla, mentre lei camminava spedita verso la solita stanza occupata dai mappatori.

‹‹ Prima abbiamo incrociato Minho ›› ah, quindi era arrivato nella radura prima di me... con quale diavolo di passo stava correndo? ‹‹ e ci ha spiegato alla bene e meglio del codice che vi serve. Ricordi le mappe che abbiamo analizzato? Ecco... diciamo che la cosa non era del tutto inutile.

Io e Thomas abbiamo ricordato una cosa. Non so spiegartelo bene, ma... è stata come una specie di visione del passato, ed era abbastanza chiara ››

‹‹ Taglia corto, per favore ›› ne avevo già abbastanza di ricordi mischiati e cose non perfettamente chiare.

‹‹ Sono certa che tra le mappe c'è il codice che ci servirà ad aprire il passaggio ›› aprii la porta, per aiutarla a passare indisturbata, e mi guardai attorno.

I miei amici erano radunati attorno al tavolo rotondo, ed al centro di queste c'erano già altre mappe accatastate. Minho ed Eva le spostavano come meglio credevano, in cerca di sistemarle in modo da avere una parola completa, ma dati i loro volti, non sembravano avere chissà quali risultati.

Eppure questa volta nel loro sguardo c'era una scintilla differente. C'era qualcosa in più: il presentimento di essere ad un passo netto dalla fuga da quella prigione.

‹‹ Ecco... queste dovrebbero essere le ultime mappe trovate ››

‹‹ Dove le hai trovate? ›› chiese Thomas, corrugando la fronte

‹‹ Gliele ho indicate io ›› rispose Minho, distratto ancora dalle mappe sul tavolo ‹‹ quando non c'è spazio qui, le portiamo nel casolare ››

‹‹ Pessima idea, ribadisco oggi come allora ›› aggiunse Eva, poi batté un pugno sul tavolo ‹‹ non è possibile, maledizione! Non se ne cava piede! ››

‹‹ La calma è la virtù dei forti! ›› provò a calmarla Teresa, tirando fuori tutti i fogli ed unendoli a quelli già presenti sul tavolo.

‹‹ Dov'è Newt? ›› chiese Minho, rendendosi conto solo in quel momento della mancanza dell'amico.

‹‹ È voluto tornare all'albero per paura che questo sparisca di nuovo. Ho provato a dirgli di venire, ma – ››

‹‹ È testardo, lo sappiamo ›› terminò Thomas, poggiandosi una mano sulle labbra, e lasciò intendere che c'era qualcosa in più, oltre quelle parole, ma di cui comunque non voleva parlare. E quindi, optammo per concentrarci su quei fogli.

E passarono ore, prima di riuscire ad avere una mezza idea di come fare.

Se non riuscivamo ad avere delle parole dalle forme singole dei disegni, allora, forse, sovrapponendoli nella giusta posizione, allora avremmo ottenuto delle lettere... o, almeno, qualcosa che minimamente somigliasse ad una lettera.

‹‹ Forse ci stiamo troppo fissando su una singola cosa ›› mormorò Thomas, che cominciava ad essere sconsolato quanto Eva, che annuii ‹‹ eppure io... ricordo questa cosa. Anche Teresa la ricorda... non è possibile ››

‹‹ Pive, lasciati dire che è abbastanza sospetto il fatto che tu e Teresa stiate cominciando a ricordare qualcosa ››

‹‹ Tutti ricordiamo più o meno qualcosa ›› gli fece notare Thomas ‹‹ e questo, secondo me, significa solo che c'è qualche falla nel metodo dei creatori ››

‹‹ O forse è volontario ›› Eva picchiettò l'indice sulle labbra ‹‹ vedendoci in difficoltà, hanno deciso di lasciarci alcuni “suggerimenti” tramite le nostre vecchie memorie ››

‹‹ Sì, ma perché proprio a loro due? ››

‹‹ Perché... ›› cominciai, e parlai senza nemmeno pensarci, stupendo persino me stessa ‹‹ loro erano la chiave di qualcosa di molto importante, prima ››

‹‹ Ossia? ››

‹‹ Io... non lo so ›› il vuoto totale.

Mi venne in mente cianografia, zona bruciata, cose così, ma senza un apparente motivo.

Minho sospirò, allora, grattandosi la nuca ‹‹ fatto sta che questa roba per ora non sta portando a niente di buono ››

Teresa annuì, storcendo le labbra. Poi, di colpo, si immobilizzò.

Come un gatto che fissa la sua preda, vedendola muoversi.

Allungò all'improvviso le mani verso i fogli, cominciando a spostarli altrove e sparpagliarli sul tavolo.

‹‹ Ragazzi, come diavolo abbiamo fatto a non pensarci prima?! ›› sorrise in maniera soddisfatta, e sollevando gli occhi poco dopo.

E riecco quella scintilla di speranza, che fece brillare i suoi occhi azzurri, rendendoli improvvisamente quasi blu zaffiro.

‹‹ Sapete perché non abbiamo trovato niente fino ad ora? Perché stavamo cercando la parola in inglese! Sbagliamo! ›› spinse i fogli verso Eva e Minho ‹‹ dobbiamo cercare una parola in Coreano! Doveva essere molto palese come ragionamento, dal momento che presumibilmente ci troviamo in Corea! ››

Non chiesi nemmeno il motivo di quel “ci troviamo in Corea”, perché, in effetti, anche io a pensarci bene avevo quella sensazione: la maggior parte delle persone nella radura aveva tracci asiatici, e bene o male parlavano tutti in coreano.

Il ragionamento di Teresa non sembrava così tanto sbagliato, e le uniche persone che, comunque, potevano accertare quella sua intuizione, erano Eva e Minho.

Per lasciarli lavorare in pace, io, Teresa e Thomas decidemmo di uscire dalla stanza, ma tuttavia non ci allontanammo da lì.

Eravamo seduti per terra, praticamente a non fare niente, se non pensare e chiacchierare ogni tanto.

Guardarsi attorno metteva un'ansia assurda, e non si capiva bene il motivo. C'era aria di tensione, devastazione e cose simili. Niente di positivo, comunque.

Teresa era sdraiata a terra, con la testa poggiata sulle gambe di Thomas, mentre questo giocava con i suoi capelli.

La mia testa, invece, era letteralmente occupata da pensieri a cui non riuscivo a dare un senso. Non riuscivo a capire il motivo dei miei ricordi bloccati, e invidiavo parecchio quelli di Thomas e Teresa, che adesso cominciavano a sbloccarsi.

E poi....

‹‹ Thomas... prima, volevi dire qualcosa riguardo Newt, vero? ››

‹‹ Quando? ››

‹‹ Sul fatto che sia testardo ›› inclinai la testa. Thomas non voleva parlarne, e lo capii dall'espressione che assunse di fronte a quella domanda.

Diede un finto colpo di tosse, e cominciò a grattarsi nervosamente dietro la nuda ‹‹ ho paura a parlarne, sinceramente... non so come prendere questo ricordo. Se fraintenderlo o no ››

Teresa alzò lo sguardo, poi scosse la testa ‹‹ se è quello che penso io, non credo sia il caso di parlarne finché non avremmo certezze ››

‹‹ No... adesso lo voglio sapere. ››

‹‹ È una cosa molto delicata, Elizabeth ››

‹‹ C'entro anche io? ››

si creò un attimo di silenzio, composto da sguardi tra i due. Sguardi confusi ed impauriti.

‹‹ Non direttamente ›› disse infine lui ‹‹ senti... io te lo dico, ma giurami che non comincerai a sbraitare... okay? Non piace nemmeno a me ››

annuii, anche se non ero più così sicura di volerlo sapere.

‹‹ Ricordo... più o meno, un posto. Era completamente devastato, e non è per niente un ricordo nitido, okay? Però... sono certo che Newt una volta mi ha chiesto di spararlo. E non era tranquillo. So che non volevo farlo, e poi... ricordo la tua voce. Tu non volevi che lo sparassi, ma io l'ho fatto. Un colpo in piena testa ›› un foro sulla fronte ‹‹ E poi il vuoto più totale. Non so dirti altro... ››

‹‹ Ma ora sta bene, no? Questo è l'importante. Magari è solo un sogno! ›› provò a salvarlo Teresa.

Io ero senza parole. Non sapevo cosa dire.

Sentendo quelle parole, quasi si sbloccò un pezzo della mia memoria. Ricordavo il sangue.

Ricordavo il dolore. Ricordavo quasi la sensazione di reggere quel corpo morto tra le braccia, e lo strazio del momento. La rabbia, l'odore della morte, la voglia di piangere in maniera incontrollata, ma la coscienza dell'inutilità nel farlo. Eppure... perché tutte quelle sensazioni?

‹‹ Mi dispiace... ›› disse infine Thomas, allungando poi la mano per toccare la mia spalla ‹‹ non volevo parlartene perché non ho idea di che situazione fosse... mi fa paura pensare di aver compiuto un gesto tanto critico. Io... non so cos'eravamo prima ››

‹‹ Non lo so nemmeno io... e vorrei saperlo. ›› dissi, scrollando le spalle con un gesto secco ‹‹ vorrei sapere perché ho questa sensazione orribile. È come se in passato, ovunque mi girassi, ci fosse solo uno scenario tetro ››

‹‹ La morte alle calcagna... ››

‹‹ E distruzione... ››

‹‹ E mi viene spontaneo chiedermi quante persone abbiamo perso in passato, di cui ora nemmeno ricordiamo il volto ››

‹‹ Forse è meglio non saperlo... ›› mormorò Teresa

‹‹ Non è meglio! Anche se sono morti, si tratta comunque di un pezzo importante della nostra vita, no? Perdere qualcuno non significa perderlo per sempre. Rimarrà sempre qualcosa di lui, o lei, con noi. Che si tratti di ricordi o insegnamenti... qualcosa che comunque ci ha cambiati in qualche modo... pensaci. Preferisci rimanere nel dubbio, o portare almeno un ricordo di quella persona? ››

ed in quel momento, lo sguardo di Thomas si spense.

Abbassò lo sguardo verso una sua mano, e deglutì a forza.

‹‹ Ricordo a mala pena la voce di un bambino ›› disse, sorridendo in maniera un po' triste e amara, causato probabilmente dal ricordo svanito ‹‹ non so chi sia, ma sono certo che fosse un mio amico... un bambino ››

Teresa abbassò lo sguardo, poi si mise seduta, lisciandosi i capelli con una mano ‹‹ capisco il vostro punto vista, e lo accetto, ma... sinceramente, mi fa paura il pensiero di ricordare queste persone. Vorrei farlo, ma allo stesso tempo, qualcosa mi frena ››

‹‹ Forse la paura di soffrire... direi che è normale ››

‹‹ O magari io non ho nessuno da ricordare ›› mormorò in maniera così bassa da aver fatto persino fatica a sentirla.

‹‹ Ragazze... ma vi ricordate per caso dov'era situata la catasta di corpi? ››

‹‹ Segui la puzza, Tom ›› rispose in maniera disinteressata Teresa, quasi scocciata dall'improvviso cambio di discorso.

Thomas corrugò la fronte, indicando un punto impreciso della radura ‹‹ era lì, no? ››

seguii con lo sguardo la direzione che aveva indicato e sì, era lì.

Era, appunto. Non c'era più.

No... non poteva essere sparita.

Mi alzai di scatto, così come gli altri due, e ci guardammo attorno in cerca di quell'enorme catasta. Possibile che, oltretutto, non avesse fatto rumore? Non c'era nemmeno la traccia di questi. L'odore era ancora lì, ma non c'era nemmeno l'ombra di un corpo.

‹‹ Non può essersi volatilizzata così! ›› dissi ‹‹ quando è successo?! ››

‹‹ Non... non ne ho idea! ››

benissimo. Se prima eravamo confusi, dopo quello era anche peggio.

‹‹ Ragazzi, trovato! Caratteri Hangul! ›› Eva e Minho uscirono dalla stanza, reggendo in mano alcuni fogli, ed Eva sembrava particolarmente soddisfatta del loro operato.

‹‹ Caratteri cosa? ››

‹‹ L'alfabeto Coreano. La parola è Raggio, e – … dov'è la catasta di cadaveri? ››

‹‹ Ce lo stiamo chiedendo anche noi... ›› Thomas corrugò la fronte ‹‹ qui non sta succedendo niente di buono ››

‹‹ Pensi? ›› ironizzò Eva, guardandolo, poi si portò i capelli sulla spalla ‹‹ comunque, ora che abbiamo il codice, non ci resta altro ch – ››

‹‹ Moriremo! Moriremo tutti quanti! Il sole ci brucerà! Le braccia di deturperanno, le dita di apriranno, e ci usciranno altre teste dalla bocca! ›› cominciò a gridare qualcuno al centro della radura. Ci venne istintivo girarci in quella direzione, e sfortunatamente assistemmo alla scena in cui questo raduraio cominciò a colpirsi ripetutamente lo stomaco con un machete, gridando di non voler morire “là fuori”.

Non era l'unico ad agire in modo strano. Cominciammo a guardarci attorno, ed ovunque posavamo lo sguardo, c'era qualcuno che si comportava in maniera a dir poco anormale.

Certo, non tutti si affettavano qualcosa, ma per lo più sbattevano la testa o si picchiavano da soli.

‹‹ F-forza... andiamo... ›› disse Eva, cominciando a tirare il braccio di Minho, per metterci in cammino.

Teresa non riusciva a chiudere la bocca, ma camminava affiancata a Thomas... io, invece, avevo la netta sensazione di aver già visto una scena simile, e camminavo assieme a loro, sentendomi quasi fuori posto.

Due radurai si erano gettati contro uno secchio della mondezza e stavano litigando per un pezzo di pane ammuffito... perché, poi?

Tra di loro, alcuni radurai rimanevano normali ed esterrefatti da quella visione.

Per esempio, riuscii ad intravvedere Frypan, che l'unica cosa che colpiva erano i radurai quando si avvicinavano troppo a lui, gridando qualcosa come “statemi lontani, psicopive!”.

‹‹ Che strano... ›› Minho corrucciò le labbra ‹‹ si sono tutti rimbambini quando – ››

‹‹ abbiamo parlato del codice ›› concluse Eva ‹‹ sì, l'ho notato anche io ››

‹‹ Non è detto che le due cose siano collegate... la catasta di corpi è sparita prima. Penso che sia più probabile che sia collegato a quello ›› ragionò Thomas ‹‹ ma c'è un tassello che mi manca ››

‹‹ Per il momento, pensiamo a raggiungere Newt. Ora sono più preoccupata per lui, che per i radurai. È solo ›› dissi, aumentando il passo. Era un pensiero forse egoista, il mio, ma sentivo che qualcosa non andava. Non volevo lasciarlo solo, dopo quello che avevo visto nella radura.

Quasi cominciai a correre, divorando tutta la strada che avevo davanti, seguita dai miei amici che tenevano la mia stessa velocità. Ed io, di norma, non correvo, ed infatti il mio fiato era corto ed affannato. Andai lievemente nel panico quando mi resi conto di far fatica a trovare la strada per andare all'albero, ma poi, poco dopo, intravvidi il mio amico poggiato all'albero.

Reggeva in mano un coltello, se lo rigirava tra le mani come se fosse acqua.

‹‹ Ehi, piccolo angelo biondo! Abbiamo il codice! ›› esordì Minho, ricevendo un'occhiataccia da Newt.

‹‹ Sai che odio quando usi questi nomignoli del caspio ›› brontolò, poi si spostò di qualche centimetro ‹‹ e, comunque, non siamo soli ››

‹‹ Cosa intendi? ››

‹‹ Questo ›› fece cenno con la testa dietro di sé, poi si spostò.

C'era un bambino.

Avrà avuto, ad occhio e croce, circa 6 o 7 anni. Era trasandato, denutrito, malconcio, come se qualcuno lo avesse picchiato prima di arrivare. Il suo naso sanguinava, ed il suo occhio destro era gonfio e violaceo, pieno di sangue.

I vestiti erano stracciati, logori e decisamente più grandi del normale.

‹‹ E questo...? ›› Eva lo indicò stupita – come gli altri – da quella vista, ma questo non la fermò dal camminare verso l'albero e controllare il pannello.

Newt la raggiunse, mostrandole il pannello, così che potesse inserire il codice.

‹‹ Non lo so, è sbucato fuori all'improvviso ››

‹‹ Vi prego, non abbassate la leva! ›› sbraitò il bambino, vedendo che Eva era pronta a digitare le lettere ‹‹ se lo fate, il passaggio si chiuderà! Moriremo tutti quanti! ››

‹‹ Ehi, calmati piccino.. ›› provò a calmarlo Teresa ‹‹ e dicci da dove vieni ›› Eva rimase parecchio interdetta su cosa fare, cercando il sostegno nello sguardo di qualcuno di noi. Nessuno fece un solo cenno con la testa, e quindi abbassò la mano.

‹‹ Mi chiamo... Jinho, e vengo dal labirinto... sono riuscito a venire qui attraverso il portale, per dirvi di non digitare niente lì! ›› indicò il palmare ‹‹ la vostra unica via di fuga si chiuderà... ››

‹‹ No, piccolo ›› cominciò Eva, poco convinta dalle parole del bambino ‹‹ quella è la nostra unica via di uscita, e non si chiuderà ››

‹‹ Dovete solo abbassare la leva! ››

‹‹ Faremo uscire i mostri... non siamo scemi. ›› si abbassò, e Minho fece un passo in avanti, verso Eva, che guardava la creatura con uno sguardo predatorio ‹‹ qui non stiamo giocando, scricciolo ››

‹‹ Vi sto dicendo la verità, signorina... ››

‹‹ Eva... lo stai spaventando... ›› sussurrò Minho, poggiando una mano sulla spalla della ragazza.

Lei non era convinta... ed in tutta onestà, non lo ero nemmeno io.

Il bambino cominciò improvvisamente a piangere, sfregandosi i pugni contro gli occhi ‹‹ io... non sono qui con cattive intenzioni. Sono dovuto scappare dai creatori per raggiungere questo posto.

Io voglio aiutarvi, perché non voglio vedere altre persone morire come sono morti i miei amici e i miei genitori! Quindi... mi sono dovuto fare forza, come Minho! ››

Minho tirò indietro la testa e si indicò, corrugando la fronte ‹‹ come me...? ››

‹‹ Sì, signore! I nostri nomi si somigliano! Tra noi bambini sei molto famoso! ››

‹‹ Tra noi bambini...? intendi dire che ci sono altri bambini come te? ››

‹‹ Tantissimi! Centinaia! ››

‹‹ Che diavolo di storia è mai questa? ›› corrugò la fronte Teresa

‹‹ E comunque, sono dovuto fuggire dai mostri, e... beh... uno di loro mi ha punti qui ›› si indicò l'occhio pestato ‹‹ e non vedo più ›› però non sanguina. Non più almeno.

‹‹ Non mi fido di questo bambino, sinceramente ›› decretò senza problemi Newt, avvicinandosi poco dopo a me ‹‹ quindi... io propongo di mettere comunque il codice ››

‹‹ Io non dico le bugie! ›› gridò il bambino, puntando i piedi a terra ‹‹ perché avrei dovuto fare tutto questo, altrimenti?! ›› calò il silenzio per un attimo. Nessuno sapeva cosa fare, e nessuno osò dire una sola parola.

‹‹ Per favore... credetemi... dovete solo abbassare la leva ››

Newt chiuse li occhi, inspirando profondamente ‹‹ No. ››

‹‹ Cosa avete da perdere, tanto? I vostri compagni a breve moriranno tutti! ›› disse ancora il bambino, grattandosi il braccio e perdendo – letteralmente – pezzi di pelle facendolo ‹‹ il gas da loro alla testa, come al solito. Se abbassate la leva, allora avete ancora possibilità che si salvino! ››

‹‹ Che cosa? ›› Newt sgranò gli occhi ‹‹ cosa sta dicendo? ››

‹‹ Non si stanno mangiando a vicenda... non ancora almeno ››

‹‹ Di che diavolo state parlando?! ››

‹‹ Al campo... i radurai hanno cominciato a comportarsi in maniera strana... ›› spiegai ‹‹ ma non capisco il collegamento con il gas ››

‹‹ È per i creatori. Stanno facendo esperimenti con voi. Il gas reagisce solo con alcune persone! Voi... voi forse siete immuni! ›› il bambino si scagliò contro di me, per qualche strana ragione. Mi afferrò le mani e cominciò a saltellare, poi fermò e cominciò a scuotermi, mostrando un sorriso fin troppo innocente alla mia vista. Newt poggiò una mano sulla sua testa, spingendo verso il basso, così che il bambino smettesse di saltellare come una molla, poi lo spinse via.

‹‹ Staccati. ›› disse con un tono secco e parecchio irritato. Forse un po' troppo brusco.

‹‹ Io... voglio veramente aiutarvi. Perché siete cattivi con me?! Io posso condurvi fuori di qui attraverso il labirinto, se solo voi abbasserete quella leva! ››

mi sfregai le mani sulle gambe, guardando Newt in maniera piuttosto grata, ma lui non ci fece nemmeno caso. Era troppo intento a squadrare quel bambino dalla testa ai piedi, veramente troppo poco convinto di quel suo modo di fare.

Qualcosa continuava a dirgli che non c'era da fidarsi... e quel qualcosa, evidentemente, lo stava dicendo a tutti noi.

‹‹ Da dove hai detto che sei passato? ›› domandò Eva

‹‹ Dal labirinto ››

‹‹ Okay, va bene, facciamo così ›› si frugò nelle tasche, e tirò fuori un coltello. Lo spunto dritto alla gola del bambino, assumendo un espressione fredda e glaciale ‹‹ noi abbassiamo la leva e racattiamo i radurai. Tu ci condurrai al tu famoso passaggio attraverso il labirinto. Ma, se stai mentendo.... pagherai con la tua stessa vita. È chiaro, bamboccio? ››

Lui sorrise, ancora in quel modo innocente. Era irritante.

‹‹ Chiarissimo ››

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Capitolo 18
*** Capitolo 18 ***


Doveva seriamente fidarci di un bambino?era una decisione saggia? Non potevamo darci una risposta chiara e precisa. Nessuno di noi ne era fermamente convinto.
Quel bambino camminava dritto davanti a noi, con un passo poco più svelto del nostro, ma Eva, esattamente dietro di lui, non gli permetteva di andare talmente veloce da rischiare di perderlo di vista. Inoltre, anche se ci avesse provato, lei conosceva perfettamente quel luogo, e non perdeva l'occasione di ricordargli che al primo errore gli avrebbe affettato il collo col suo coltello.
‹‹ L'idea di dover passare attraverso il labirinto sinceramente non mi fa impazzire ›› commentò Newt, sottovoce, non appena Thomas gli fu abbastanza vicino da poterlo sentire.
Tuttavia, era chiaro che non volesse farsi sentire dai due velocisti davanti a noi.
‹‹ Che io sappia, quel posto è una trappola mortale ›› aggiunse, poi rivolse lo sguardo a Thomas, che annuì.
‹‹ Non è di certo il posto più felice del mondo ›› rispose lui
‹‹ La tua memoria magica ti suggerisce qualcosa al riguardo? ››
‹‹ Non molto. Ma sono sicuro che in qualche modo effettivamente la risposta a questo casino si trovi esattamente lì dentro ››
‹‹ Bene così ››
‹‹ Io concordo ›› aggiunsi ‹‹ ma non mi fido di questo bambino. Sento che non è una cosa saggia affidarsi completamente alle sue parole... è arrivato dal nulla. Chi ci dice che non ci sta bluffando? Insomma... dati i comportamenti nella radura, niente ci può assicurare che questo bambino non sia del tutto psicopazzo e che in realtà non si sia ficcato da solo un ramo nell'occhio ››
‹‹ Certo è che è sbucato fuori dal nulla. Nemmeno io mi fido di lui ›› Newt incrociò le braccia ‹‹ io lo farei fuori. Anche se è un bambino. Questo mondo è crudele con tutti, nessuna eccezione ››
‹‹ E se, però, ciò che dice fosse vero? ›› Teresa s'intromise, ma le sue parole erano vere ‹‹ ha dato una spiegazione semi-plausibile a ciò che sta accadendo nella radura ››
‹‹ Ma non ci ha dato informazioni fondate sul passaggio nel labirinto ›› fece notare Newt ‹‹ e se andando lì fuori crepassimo come beste? Anche uccidendolo dopo, ormai saremo tutti in trappola ››
‹‹ Alla fine... l'unico modo per scoprire la verità, è seguire le sue indicazioni... ››
‹‹ Non facendolo, saremo comunque spacciati ›› concluse Thomas.
Il discorso era valido da entrambe le parti. Era vero che forse andare così alla cieca era sbagliato, ma anche tornare indietro e, eventualmente, inserire il codice sarebbe stato rischioso, se le parole del bambino fossero state vere.
L'unica cosa da fare, alla fine, era il classico "chi vivrà vedrà".
Lo sguardo di Newt, comunque, non era per niente convinto. Il dubbio era sovrano nei suoi occhi, e non era l'unico.

Raggiunta la radura, lo scenario era ovvio: diversi morti in giro, molti feriti mortalmente agonizzavano per terra in un mare di sangue, ed altri, invece, ancora vivi, rimanevano rannicchiati contro le pareto o nascosti in luoghi improponibili (come nel letame, o nelle pattumiere giganti), con il terrore impresso nel volto.
La cosa che però mi metteva i brividi, era il fatto che nessuno di noi, in realtà, fosse impressionato.
Questo mi fece chiedere, un'altra volta, quanto terrore e quanta morte avevano visto i nostri occhi, per permetterci di rimanere così tanto indifferenti di fronte alla morte?
‹‹ Che schifo... ›› commentò Eva, poi afferrò il braccio del bambino e lo spinse verso Minho ‹‹ tienilo fermo, mentre io cerco di radunare i sopravvissuti a questo scempio ›› 
‹‹ Faccia presto, signorina ›› disse il bambino ‹‹ non voglio che i creatori si arrabbino ancora di più e liberino i mostri mangia uomini ››
Eva lo guardò con totale diffidenza, poi inspirò ‹‹ per favore, datemi una mano a richiamarli tutti qui.... se è vero ciò che dice, non riuscirei mai a richiamare tutti da sola ›› con un cenno di consenso da parte di tutti, decidemmo di separarci.
I sopravvissuti, in realtà, non erano molti... erano molto meno della metà, e sembrava quasi impossibile riuscire a farli spostare dal punto in cui erano.
Non potevo fare una stima del tempo che ci impiegammo, ma... era troppo.
Quando riuscimmo a riunirci finalmente tutti in un punto, il terreno sotto di noi cominciò a tremare. Fu subito il panico totale. Le grida inondarono la quiete della radura, e le persone cominciarono a disperarsi, colpendosi a vicenda in un tentativo di fuggire chissà dove.
Già... dove volevano andare? Non c'era più un posto sicuro.
Eva, da sopra una scatola rovesciata, cominciò a gridare di mantenere la calma.
Agitarsi era inutile. Ma, per quanto avesse ragione, non poteva pretendere la calma totale.
Il bambino, che aveva le braccia bloccate nella presa di Minho, era la calma fatta a persona. Guardava Evangeline con un'espressione quasi rassegnata.
Avevo perso di vista Thomas e Teresa, in quel casino, ed avevo intravvisto solo Newt, che si faceva strada tra le persone che continuavano a spintonarsi.
Quando arrivò, mi afferrò per un braccio, costringendomi ad uscire dalla mischia.
‹‹ Che fai? Non dobbiamo allontanarci! ››
‹‹ Dobbiamo stare davanti alla mischia, non al centro ›› spiegò ‹‹ non dobbiamo separarci ››
‹‹ Ascoltatemi, per favore! ›› gridò Eva. In pochi la guardarono, e questo cominciò a mandarla nel panico.
Riuscimmo a raggiungerla, ma non potevamo fare granché.
‹‹ I Goemul... i Goemul ci divoreranno! ›› quel bambino cominciò a darmi sui nervi. Le persone erano già agitate di loro, non c'era bisogno che contribuisse a quel panico.
Si buttò a terra, per quanto Minho continuasse a tenere le mani strette alle sue braccia.
Leggevo negli occhi di Minho la voglia intensa di prenderlo a pugni.
‹‹ I Goemul.... i Goemul! ››
‹‹ Eva... ›› la chiamò Newt ‹‹ tu... parla. Dii loro che dobbiamo uscire da qui, prima che quelle bestie sbuchino fuori dalla terra ››
‹‹ Non mi ascoltano... forse dovremmo... ›› non finì la frase, ma capimmo ugualmente.
Andare via dalla radura senza delle altre persone, però, avrebbe comportato una perdita troppo grande, ed un colpo basso nel suo orgoglio. Lei, anche se era molto severa, voleva comunque il bene di ognuno di loro.
‹‹ Parla ugualmente ›› continuò Newt, poggiando le mani sulla scatola sulla quale si trovava Eva. Il suo sguardo era freddo, per quanto la sua fronte fosse imperlata di sudore ‹‹ qualcuno ti ascolterà di certo. La situazione è abbastanza critica. Quando alcuni di loro cominceranno a camminare con noi, gli altri seguiranno ››
‹‹ E se non lo facessero? ››
‹‹ Non possiamo prendere per il colletto tutti uno ad uno per spiegargli la situazione di sploff in cui si trovano. Chi rimarrà qui, diventerà una delle tante facce morte. Per quanto non ti piaccia, è così. È la vita... ››
‹‹ Newt... ›› mormorai. Mi guardò con la coda dell'occhio.
‹‹ Se questa è davvero una prova da parte dei creatori, vuol dire che stanno facendo una sorta di selezione naturale, e vogliono mettere alla prova le qualità di leader di Evangeline ›› era stato forse troppo duro, ma, in qualche modo, sembrò bastare.
Se fosse stata davvero una prova, in quel caso... mi sentivo il peggior topo da laboratorio del secolo.
‹‹ Dobbiamo uscire da qui, prima che i Goemul escano dal terreno. Se ci seguirete troverete la salvezza... abbiamo trovato un modo di abbandonare questo buco di posto. Vi prego... vi prego, seguiteci! ›› gridò. Gridò più forte che potesse fare, poi saltò giù dalla scatola.
Mi sembrava di assistere alla scena di qualche incubo.
Minho sollevò di forza di bambino, costringendolo a stare in piedi. Apparentemente, gli sussurrò nell'orecchio di collaborare pacificamente e di guidarci... ma, in realtà, probabilmente lo minacciò.
Man mano che camminavamo per raggiungere le mura del labirinto, ogni tanto si sentiva il grido da parte di qualche raduraio, che avvisava che ci stavamo muovendo. Qualcuno che diceva di seguire la massa.... e fui grata del fatto che Newt avesse ragione.
La terra continuava a tremare, e per quanto le persone sembrassero spaventate dalla cosa, continuarono a camminare.
Le grida erano ancora alte, ed ogni tanto si udiva un grido più forte.
Avevo i brividi lungo la schiena.
Quando fummo esattamente di fronte alle persone delle mura, mi sentii come libera da un peso.
Feci per parlare, ma le parole sembrarono morirmi in gola.
Il suono di qualcosa che si schiantava contro il muro mi fece accapponare la pelle, e riuscii a provocarmi la nausea. Non ebbi il coraggio di guardare in alto.
Newt, invece, lo aveva fatto, ma non riuscii a parlare.
Le persone trattennero il respiro. Rimanemmo tutti impietriti, e questo mi fece capire che alzare lo sguardo poteva rivelarsi una pessima idea.
Altri schianti. Poi fu come se stesse piovendo. Vedevo chiaramente il terreno macchiarsi di rosso.
Altri schianti.
Poi le grida. Le persone cominciarono a spingere per entrare nel labirinto, come se improvvisamente questo rappresentasse l'unico punto di salvezza.
Capii. I Goemul erano arrivati silenziosamente. Non volevo sapere da dove, come e quando... ma erano arrivati, ed invece di divorare, stavano lanciando i cadaveri... almeno, nel mio subconscio, sperai che quelli che stavano lanciando, fossero effettivamente dei morti, e non dei sopravvissuti.
Eva gridò qualcosa, che probabilmente altro non era che un invito a correre, ma lo stavano già facendo.
Rischiai di cadere così tante volte che cominciai a temere per la mia vita, solo perché ero conscia che se fossi caduta, mi avrebbero schiacciata.
Il labirinto era tetro, freddo e buio, e quei vicoli erano stretti. Troppo stretti. Davano un senso di claustrofobia e di soffocamento. Non sapevo dove stessimo andando, ma decisi di fidarmi di Eva.
Dopo diversi metri, il rumore sordo delle mura che si chiudevano alle nostre spalle, ci fece fermare.
‹‹ Da quanto si stavano chiudendo dietro di noi? ›› chiese Newt.
Solo in quel momento mi resi conto del fatto che Newt avesse preso la mia mano durante la corsa, ed era ancora stretta attorno alla mia.
La sua mano era calda, un po' sudata per la corsa, ma non la lasciai. Mi calmava, e mi sentivo più sicura.
‹‹ Non lo so ›› rispose Eva. Non erano distante da noi ‹‹ però pare che i Goemul non siano più alle nostre calcagna. Questo è ciò che importa di più ››
‹‹ Magari lo sono ancora... non griderei vittoria tanto presto... ›› rispose il bambino. Minho non mollò la presa nemmeno per un attimo. Era ancora il bambino a guidarci ‹‹ ora dovremmo camminare uno ad uno. Oltre quel sentiero ›› indicò un punto preciso ‹‹ la strada diventa estremamente stretta, e sotto di noi ci sarà uno strapiombo. Non possiamo passare in gruppo, per cui siamo costretti ad andare in fila indiana ››
‹‹ Non pensare che ti lascerò andare ›› sbuffò Minho ‹‹ ti terrò per il polso ››
Forse ora era un comportamento esagerato. Dove mai sarebbe potuto andare? Era nella sploff quanto noi.

Come aveva preannunciato il bambino, la strada diventò sempre più stretta, e sotto di noi si presentò uno strapiombo terribile. All'iniziò, alla fine dello strapiombo, si vedevano delle spunte metalliche enormi. Man mano che avanzavamo, cominciò a non vedersi più nemmeno il fondo, e la stradina sulla quale camminavamo, diventava via via più stretta.
La mia mano aveva lasciato quella di Newt da un bel po', ma volevo riprenderla, come se potesse conferirmi stabilità. Ma non ero così cretina. Oltretutto, c'era il rischio che uno dei due cadesse giù... ed io volevo uscire da quel posto. Volevo uscire con tutti loro.
Finalmente quella via stretta finì, e finalmente riecco una strada normale.
Era arrivato tutto il gruppo. Tutti interi.
‹‹ Eccoci. Ora devo toccare il muro per cercare la rientranza ››
‹‹ Cioè? ›› chiese Eva, incrociando le braccia ‹‹ c'è una porta invisibile? ››
‹‹ Perché la cosa non mi stupirebbe? ›› era la voce di Teresa.
Tirai un sospiro di sollievo.
Ero talmente presa dalla situazione che non mi ero nemmeno più messa il problema di dove fossero i miei amici.
‹‹ No ›› il bambino cominciò a camminare verso il muro, attentamente seguito da Minho, pronto ad afferrarlo al primo tentativo di fuggire ‹‹ nella parete c'è un mattone preciso, che se tu premi rientra. In realtà è un tasto che attiva un meccanismo che fa aprire uno spiraglio nel muro. Una volta dentro, ci ritroveremo in un lungo scivolo che conduce all'uscita da questo posto ››
Qualcuno cominciò a ridere in una maniera isterica.
Successivamente, questa si propagò tra i radurai alle nostre spalle.
‹‹ Quindi... è finita? ›› chiese qualcuno da lontano, continuando a ridere. Era lo sfogo dell'adrenalina. Nessuno poteva credere che quell'incubo fosse finalmente giunto al termine.
Il bambino cominciò a tastare il muro, camminando appiccicato ad esso.
Molto, tanto tempo. Tempo in cui Eva, stufa di aspettare, cominciò a fare la stessa cosa. Poi cominciammo ad aiutare anche noi. Il muro era freddo e vischioso, faceva quasi senso.
Ci vollero diversi minuti prima che, finalmente, uno dei radurai premette il mattone giusto.
Ed ecco sparire diversi mattoni, lasciando spazio ad una sorta di stanza priva di luci.
‹‹ Ecco qui! ›› il bambino indicò l'entrata ‹‹ è da qui che sono passato. Ora... se entrerete lì, ci sarà l'uscita ›› 
‹‹ Ehi... aspetta. Entra tu per primo ›› disse Eva, incrociando le braccia ‹‹ non abbiamo il cervello così squagliato da entrare lì dentro per primi ››
‹‹ Oh, andiamo, chi se ne frega! Io voglio uscire da qui! ›› sbottò un ragazzo alle nostre spalle, spingendomi in avanti per poter passare. Caddi con la faccia a terra. Sentii un forte dolore al naso, dato che diedi una terribile faccia contro il pavimento, fatto di mattonelle sconnesse tra loro e sporgenti... e dato il colpo, potevo assicurare che fossero anche estremamente dure.
Cominciai a tirarmi su a fatica, massaggiandomi il naso con una mano. Non era rotto, ma era particolarmente dolorante.
‹‹ Liz, tutto okay? ›› chiese Newt, ed annuì in sua risposta. Lo sentii sospirare di sollievo.
‹‹ Scusa ›› bofonchiò quel raduraio, non realtà interessato a ciò che aveva fatto. Si piazzò di fronte a quell'uscita indicata dal bambino, che, nel frattempo, era tornato sotto il "controllo" di Minho.
‹‹ Vado io per primo ›› disse il raduraio, indicandosi. Non era asiatico, ed era bello grosso. Non ci avevo fatto caso prima.
‹‹ Sei sicuro? ››
‹‹ Meglio che stare qui a cercare di convincere un marmocchio, no? Tagliamo la testa al toro ››
‹‹ Non vi pare strano? ›› disse improvvisamente Thomas ‹‹ non faccio altro che pensarci da quando abbiamo cominciato ad attraversare la stradina. È stato tutto troppo semplice ››
‹‹ Non fasciarti la testa, Tommy. È tutto calmo perché non è ancora buio ››
‹‹ Sarà... però... ››
Intanto, quel raduraio, si sfregò le mani e poi le poggiò ai lati della fessura, pronto ad entrare.
Si ritrasse immediatamente, cadendo all'indietro.
Una persona con indosso una mascherina nera si affacciò dal buco, rapido come una lepre, ma non uscì.
I suoi occhi sembravano sorridere, e respirava molto rumorosamente.
‹‹ Ciao! ››
‹‹ Una... persona? Non avevi detto che c'era uno scivolo? ››
Il bambino sembrava sorpreso tanto quanto noi.
‹‹ Volete uscire, eh? ›› quella persona poggiò una naso sulla propria guancia, puntando i gomiti sui bordi. Ci guardava con una sorta di aria sognante.
Mi sembrava di conoscerlo, ma non avevo la benché minima idea di chi fosse. Non era qualcuno che avevo incontrato nella radura, anche perché non avrebbe avuto senso incontrarlo proprio in quel buco nel muro.
‹‹ Beh? Non parlate? Ma come siete asociali. Sapete, dalle mie parti non si parla molto.
Il massimo che puoi fare è un castello di sabbia? A voi piace la sabbia? ›› rise, ed inspirò di nuovo. Così forte da ruotare gli occhi al contrario. La sua pelle era giallastra, con diversi tagli sul viso. I capelli.... estremamente corti. In alcuni pezzi, sembravano proprio mancare ‹‹ a mio cugino Tom, una volta, la sabbia finì negli occhi. Ah, sapete, brucia! Brucia tantissimo! Brucia così tanto che ti sembra di perdere la testa! E quindi... quindi, io, gliene buttai ancora di più, dicendo "ehi, amico cugino Tom, se lancio la sabbia sugli occhi dove già hai della sabbia sono sicuro che la sabbia ti caccerà via la sabbia, sai? Come quando la palla ti si incastra nell'albero dove c'è la tua palla incastrata e quindi usi un'altra palla per far cadere la palla dall'albero sulla quale è incastrata la palla! ›› e cominciò ad uscire da quel buco.
Nel farlo, cadde a terra come un corpo morto. Ma lui rideva. Rideva di gusto.
Cominciammo chiaramente tutti ad indietreggiare. A me veniva quasi da vomitare, tanto che sentivo il mio cuore battere all'impazzata. Indossava una camicia a quadri scolorita, tutta spaccata, e dei vecchi e stinti jeans stracciati ai bordi.
‹‹ E poi... gli ho lanciato così tanta sabbia che gli è finita nel naso. Aveva cominciato a respirare sabbia! Da noi fa caldo, sapete? La sabbia ci fa stare freschi! Così l'ho riempito di sabbia! E poi ho cominciato a lanciarmi la sabbia anche io! La sabbia poi mi è finita nel naso! ›› si tirò su, con la testa bassa ‹‹ ora ho anche io un bel naso come quello del cugino Tom! ›› si abbassò lentamente quella mascherina. E scoprì il suo naso... o, almeno, quei due buchi, in cui un tempo c'era un naso... già... era come se glielo avessero staccato a morsi. Alcuni pezzi di carne, o chi sa cosa, erano ancora attaccati ad esso. Dava il voltastomaco. Non aveva nemmeno le labbra normali. Erano tutte tagliuzzate, ed alcuni pezzi di carne viva era ben visibile sulla sua guancia.
Era come vedere uno zombie.
Ora volevo vomitare ancora di più.
‹‹ Era così bello che... che... mi è stato rubato! Da Gervaso! Oh il nostro amico Gervaso! Voi lo conoscete Gervaso? Gervaso! Gervaso mi ha rubato il naso, non fateci caso! Era così bello il mio naso! Pieno di sabbia! Ora il caldo mi ha preso! Mi ha dato alla testa! Oh il caso, sarà ora di fare festa? Se vi prendessi uno ad uno! Forse, uno ad uno! Forse uno ad uno potrei prendervi il naso, prendervi il naso! Un naso nuovo! Non avrò più caldo! ›› erano frasi disconnesse. Illogiche.
Gervaso, quel nome... non mi era nuovo.
Mentre quell'uomo, completamente folle, si gettò contro il bambino, da quel buco sul muro cominciarono a saltar fuori quelli che apparentemente erano tanti piccoli ragni metallici, ed un crepaccio si aprì proprio vicino al buco. Crollò letteralmente un pezzo della pavimentazione.
Una trappola, proprio come avevano temuto.
‹‹ Presto, andiamocene! ›› gridò Minho, indicandoci la strada che avevamo appena percorso.
Nessuno si mosse.
Eva spinse via quell'uomo, sperando di farlo cadere nel crepaccio, ma quello... quell'essere, non sembrava umano.
Nessuno si mosse ancora. Forse... il panico? 
Eva acchiappò il bambino di peso, ma lui aveva uno sguardo perso nel vuoto. Ci corse incontro, mentre quella persona continuava a ridere. Si buttò a terra, rotolando su sé stesso come una trottola.
‹‹ Gervaso mi ha rubato il naso, non fateci caso! Gervaso mi ha rubato il naso, non fateci caso! Gervaso mi ha rubato il naso, non fateci caso! Gervaso mi ha rubato il naso, non fateci caso! ›› gridò ripetutamente quella persona, ridendo a crepapelle. I ragni, intanto, cominciarono a riempire le mura. Salivano, si appostavano, ma non si mossero.
Entrare nel buco, in ogni caso, era tutto meno che nelle nostre intenzioni.
‹‹ Che fate qui impalati? Muovetevi! ›› gridò Eva. E finalmente cominciarono a camminare. Di nuovo. Uno dietro l'altro.
Ma dovevamo farlo con un certo ordine... e con una certa fretta.
I ragni e l'uomo non si muovevano dalla loro posizione, e nonostante non avessi comunque il tempo di cincischiare, i radurai se la prendevano bella comoda.
Notai solo in un secondo momento le loro facce... assenti,come quella del bambino, che però, ora, diventata quasi bianca. La pelle del bambino, stretto nelle braccia di Eva, s'imperlava di sudore, ed i suoi occhi di un panico che non esprimeva.
Intanto, i radurai avanzavano. La metà era lì su.
Alcuni di loro sembravano recuperare finalmente una sorta di coscienza che prima non esprimevano. Si guardavano attorno confusi. Altri, invece, no.
Alcuni, confusi, si attaccavano al muro, avanzando, improvvisamente consapevoli della situazione.
Continuavano ad avanzare, fino a quando finalmente non cominciammo a farlo tutti. Dovevamo allontanarci da lì... il più in fretta possibile.
‹‹ Dove andremo? che piano abbiamo, ora? ›› domandai
‹‹ Lo avevo detto che era tutto troppo tranquillo ›› disse Thomas ‹‹ sono preoccupato per quei ragni. Sono usciti ma non hanno ancora fatto niente ››
‹‹ Te lo giuro, Thomas ›› cominciò Minho. Ora eravamo tutti vicini ‹‹ con tutti il bene che ti voglio, se uno solo di quei ragni fa una singola mossa in questo preciso istante, giuro che una volta fuori di qui ti tirerò un pugno dritto dritto nelle palle, così forte che un domani non potrai avere marmocchi. Chiaro? Prega che non si muovano! ››
‹‹ torneremo... all'albero ›› mi rispose Eva ‹‹ ed eseguiremo il piano iniziale. Tu, bambino schifoso.... ti appenderò all'albero e ti lascerò mangiare da i Goemul ››
Quel bambino, ora, era tenuto tra Eva e Minho... sollevato. Non camminava. Si lasciava trascinare come un bambolotto inanimato.
‹‹ Mi hanno mentito. I creatori... ››
‹‹ Piantala con queste puttanate! Dovrei accoltellarti! ››
‹‹ Mi hanno mentito... ›› continuò il bambino
‹‹ Dimmi la verità, tanto ormai non ti cambia nulla... è stata la leva a liberare quei mostri? ››
Non rispose. Annuì debolmente.
‹‹ Dovevano prendermi dal buco, liberarmi... ›› disse debolmente.
‹‹ Lode al sole... lode all'Hae! ›› gridò di colpo un raduraio che avanzava. Poi si lanciò nel vuoto.
Altri ripeterono le stesse parole, seguendo il compagno. Alcuni, che ancora non avevano cominciato ad avanzare, si lanciarono.
Alcuni che avevano ripreso conoscenza, vennero attaccati dai ragni, che piovevano su di loro con la stessa violenza di un proiettile.
I ragni si lanciavano rapidamente, colpendo anche non necessariamente le persone. I pezzi di muro cadevano e colpivano ovunque.
Cominciò una corsa verso la salvezza, ma era troppo piccolo.
Rischiai di scivolare diverse volte.
Non potevamo vedere bene per via della nube causata dalla polvere del muro che si disintegrava.
I radurai cadevano nel vuoto, con grida agonizzanti. Quelli che gridavano, non erano quelli che si lanciavano di propria volontà.
Sotto di noi era scivoloso per via del sangue. Tra la polvere e quest'ultimo, diventava una vera e propria corsa per la vita.
Riuscii finalmente ad intravvedere la fine di quel muro.
Eva e Minho erano salvi, ma con loro, di quella quarantina di persone che erano di fronte a noi, ne rimasero ad occhio e croce quindici.
Altri ragni si lanciarono contro il muro. Questo, per un attimo, sembrò vibrare. Altre grida. Altra morte. Quante persone erano rimaste sul muro, a parte noi quattro?
Non dovevo girarmi. Non potevo.
‹‹ Nasi! Nasi, nasi, nasi, nasi, nasi, nasi, nasi! ››
Quell'uomo. Era ancora lì.
‹‹ Sta correndo! Cristo, correte! Vi prego, correte! ›› gridò qualcuno da lontano. Di fronte a me c'erano ancora quattro persone.
Altri ragni. Qualche centimetro ancora eravamo arrivati. Due persone di fronte a me.
Ragni. Grida di persone che cadevano.
‹‹ Nasi, nasi, nasi, nasi! Voglio mettervi la sabbia nel naso! ››
e scivolai.
Nella fretta di correre in avanti, non appena ebbi solo una persona davanti, non mi resi conto di quella pozza scivolosa di sangue e polvere che c'era sotto di me.
Era semplice sangue, poi... sembrava una sostava vischiosa.
Sentii il mio corpo cadere pesante. In quel momento, durante la caduta, mi sembrò di vedere tutto a rallentatore. Non realizzai immediatamente di star cadendo. Il mio istinto di sopravvivenza mi porto ad a slanciarmi appena in tempo per acchiappare la sporgenza sulla quale stavamo camminando, e Newt si fermò appena in tempo prima di schiacciarmi la mano.
‹‹ Fermi! Non spingete! ›› gridò Teresa.
Nessuno sul muro poteva muoversi.
‹‹ Nasi! Nasi! Che bello, state fermi! Arrivo! ›› 
Sentivo le mani sudare. Il mio corpo era attirato verso il basso. Era troppo pesante.
Non avevo nemmeno abbastanza forza per tirarmi su.
Dovevo forse mollare la presa?
Dovevo farlo per il loro bene?
‹‹ Muovetevi! Ma che cazzo vi prende! Quel mostro umano ci mangerà! ›› gridò un raduraio.
Dovevo mollare.
Non potevano morire per colpa mia.
Newt provò a chinarsi per aiutarmi, ma era troppo, troppo stretto quello spazio.
Anche se fosse riuscito a prendermi, non ci sarebbe stato abbastanza spazio per tirarmi su.
‹‹ Va! ›› dissi, scuotendo la testa. Le mani mi tremavano, e sentivo le braccia doloranti.
‹‹ Non mollare la presa. Non ti azzardare a mollare quella caspio di presa! ›› Newt digrignò i denti, fissandomi dritto negli occhi. Avevo già visto quello sguardo disperato. Lo avevo visto più di una volta.
Dovevo mollare la presa?
‹‹ Non ti azzardare a morire, chiaro? ››
‹‹ Ti prego... non farmi fare promesse che non so se sarò in grado di mantenere ›› pensai.
Ma dovevano avanzare, ed ero certa che non si sarebbe mosso da lì fino a quando non avessi detto di sì.
‹‹ Scavalcate le sue mani! ›› gridò Newt, e lui fu il primo a farlo.
‹‹ Resisti... okay? ›› disse Teresa, cercando di essere il più premurosa possibile.
‹‹ Nasiiiii! ›› non era lontano.
Rimanere appesa cominciava a diventare terribile.
Altre dieci persone mi scavalcarono.
Volevo mollare la presa. Non ce la facevo più. Era un tortura.
Le ultime persone passarono.
Quanti erano? Quanto tempo era passato?
Sentivo i passi di quella persona vicini, ormai.
Mi mordevo il labbro così forte da sentire il mio stesso sangue pulsare per uscire.
‹‹ Eli, cerca di venire verso qui! ›› sentii la voce di Minho
‹‹ Non ci riesco! ›› dissi, a fatica.
‹‹ Prova! Sto venendo verso di te! ›› Minho era forte... forse il più forte tra tutti noi.
Ma non sarebbe bastato. Sarebbe morto anche lui.
Decisi comunque di provare a fare come voleva lui. Provai a mettere tutta la forza nelle braccia, mi aiutai cercando di puntare anche i piedi contro il muro. Ma quella lì sotto era tutta principalmente terra... e scivolavo.
Tuttavia, riuscii a muovermi un po'.
Minho, però, era ancora lontano.
Sentii vibrare quella sorta di pavimento a cui ero appesa. La voce di quella persona era sparita, lasciando spazio a gemiti di piacere emessi da quel tipo. Un suono rivoltante.
Scivolai ancora, e sentii la pressione sulle dita. Non potevo durate. Ero troppo pesante.
‹‹ Andate ›› dissi con un tono spezzato. Scivolai definitivamente.
Per qualche istante, vidi il volto dei miei amici.
Abbassai il volto, abbandonandomi alla gravità che mi spingeva giù. Era tutto buio. Le spine erano veramente grosse. Mi domandai, mentre cadevo, quanto dolore avrei provato, prima di morire.
Quanto tempo ci avrei impiegato. Sarei morta sul colpo, o avrei avuto il tempo di sentire la lama perforarmi completamente?
I cadaveri degli altri radurai erano un po' ovunque, chi perforato completamente, chi invece solo punti vitali.
Nel momento in cui sbattei fortissimo la testa contro il muro in terriccio smisi di pensare a questo genere di cose. Sperai, in qualche modo, che la botta mi facesse svenire.
Sentii una stratta fortissima al polso sinistro. Nella caduta, avevo lasciato le braccia sollevate in alto.
La mia caduta era stata fermata, nonostante fosse durata abbastanza.
L'altro braccio era rivolto verso il basso. Il mio fiato era ormai corto, e le mani erano indolenzite. L'adrenalina cominciò a darmi alla testa, anestetizzando quei dolori.
Sollevai il volto. La stretta di Minho era salda. Il suo corpo era completamente dentro lo strapiombo, ed era tenuto per le gambe da... non so da chi, ma riuscivo a vedere che qualcuno lo teneva.
‹‹ Eli, dammi l'altra mano! ›› disse, porgendomi la sua ‹‹ ehi! Voi, lì su! Cominciate a tirare! ›› afferrai la sua mano. Lentamente, con grossa fatica, risalimmo.
Non avevo idea di quanto tempo passò, ma una volta su, vidi che tutti i radurai si erano fatti forza per spingere. Una catena umana che faceva forza per aiutarsi a vicenda.
Dell'uomo senza il naso era rimasto soltanto il corpo spiaccicato contro il muro, perforato da uno dei ragni metallici.
‹‹ Non... farlo mai più! ›› disse Minho, col fiatone, indicandomi.

 

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Capitolo 19
*** Capitolo 19 ***


Ero inginocchiata, col cuore che batteva così forte da darmi la sensazione di capogiro ed il fiato corto. L'adrenalina era così tanta da darmi un senso di nausea, ormai. Ero confusa, e non sapevo nemmeno più dove rivolgere il mio sguardo.
I radurai mi guardavano con un senso di sollievo dipinto negli occhi, ed i miei amici, invece, respiravano a pieni polmoni. Erano i primi ad essersi uniti a quella catena umana, a quanto pare, mentre altre due persone tenevano ben saldo quel bambino, che aveva ancora un'aria persa e confusa. Era pallido in una maniera paurosa, ma onestamente una buona parte di me desiderava ardentemente buttarlo in mezzo alle spine.
La causa principale di quel martirio era lui... ed ero certa che, invece, Eva non si sarebbe data pace per l'accaduto.
‹‹ Scusa... ›› mormorai, guardando Minho. Lui inspirò, porgendomi una mano per aiutarmi ad alzarmi.
Mi sistemai la maglietta, ma era più che altro un gesto per non incrociare lo sguardo degli altri. Le mie gambe non avevano voglia di collaborare. Non sapevo dove andare, cosa guardare, a cosa appellarmi. Mi sentivo completamente disorientata.
‹‹ Forza, andiamo ›› disse Eva, andando a recuperare il bambino assieme a Minho ‹‹ prima abbandoniamo questa trappola mortale, meglio è. Non so voi, ragazzi, ma non mi fido a stare troppo vicino a quei ragni metallici ›› detto ciò, afferrò il bambino assieme a Minho e cominciarono a camminare.

Il punto è che nessuno si mosse ulteriormente. C'erano diversi sussurri tra le persone... le poche rimaste.

Anche senza cercare di capire le loro parole fu piuttosto chiaro e palese che nessuno di loro volesse camminare per rischiare la vita come prima.

Ciò che sperai io stessa che loro riuscissero a capire, era che non erta colpa di Eva. No. La colpa era di quel bambino.

Ma la domanda sorse spontanea anche a me...
‹‹ Dove? Dove vuoi che andiamo? ›› domandai, corrugando la fronte. Improvvisamente, gli sguardi di tutti i radurai caddero su di me ‹‹ tornare indietro, Eva... sul serio? Non ricordi com'era quel posto? I Goemul sono sicuramente ancora lì ad aspettarci! Torniamo lì senza un piano? Praticamente è come chiederci di andare al patibolo! ››
‹‹ Hai un'idea migliore? Perché rimanere qui aspettando che l'oscurità piombi totalmente su di noi è più o meno la stessa cosa! ››

Altri sussurri alle nostre spalle.

‹‹ Però... ›› cominciò Teresa ‹‹ la cosa più saggia da fare, è effettivamente tornare indietro ››
‹‹ Morirete ›› disse il bambino ‹‹ per certo ››

‹‹ Sta zitto. Questo casino è solo colpa tua! ›› sbottò Eva, ringhiando, praticamente, contro il bambino. Era pallido... pallidissimo. Quel suo occhio violaceo era ancora più acceso in tutto quel pallore.

Solo in quel momento cominciai effettivamente a pormi delle domande su di lui.

Era stato tradito dai “creatori”, quindi...

Quelle parole mi sembravano così familiari, ed allo stesso tempo diverse. Tradito da qualcuno di cui si fidava.

‹‹ Sentite... l'unica soluzione, comunque, è continuare ad avanzare. Eva ha ragione. Tornare alla radura è l'unica soluzione fattibile. Da lì, semplicemente, faremo ciò che era giusto fare sin dall'inizio ›› continuò Teresa ‹‹ ovviamente, come ha detto Elizabeth, andare lì senza un piano è un suicidio. Per cui cammineremo e penseremo tutti assieme. Siamo abbastanza cervelli da poter elaborare un piano decente... dobbiamo solo collaborare tutti assieme. Nessuno dei qui presenti vuole morire. So che sembra una missione impossibile, ma.... possiamo farcela. Ne sono sicura ››
Le parole di Teresa sembrarono smuovere, in effetti, qualcosa.

I borbottii chiaramente erano contrastanti.... ma almeno, ora, cominciammo a camminare.

 

Il labirinto, in ogni caso, era sempre più tetro e pieno di suoni tutto meno che rassicuranti.

Minho, Thomas ed Eva rimasero davanti a noi per guidarci.

Ovviamente, cercammo di fare ciò che aveva suggerito Teresa, ma... in tutta onestà, non ricavammo molto. Una zuppa di cose confuse.

Qualcuno doveva correre dentro, andare nell'albero, mettere la password, tirare la leva e poi tornare indietro per poi andare chissà dove... o una cosa così.

Ma avevamo trovato almeno dieci cose che non andavano bene in quel piano, tra cui il “nessuno vuole fare la persona suicida” e “sì, ma poi dove andiamo?”.

E si continuava a discutere abbastanza accesamente, e spesso partivano insulti persino abbastanza pesanti.

Nel frattempo, la mia attenzione era sempre concentrata su quel bambino. Sembravo una predatrice.

Lo guardavo con quel suo corpo minuto, e notavo che c'era qualcosa di troppo spento in lui.

Troppo. Camminava strisciando i piedi, totalmente rassegnato alla fine preannunciata da Eva.

‹‹ Sembra una scena già vista ›› disse di punto in bianco Newt, inspirando.

Alzai lo sguardo verso di lui. Mi girava attorno come un cane da guardia, controllando che stessi bene. Non lo diceva, faceva finta di niente, ma per me era una cosa piuttosto palese.

‹‹ Che cosa? ›› chiesi, riportando lo sguardo sul bambino

‹‹ Il modo in cui Jinho viene trascinato verso la sua fine. Sono certo di aver già visto, in passato, una scena simile ››

‹‹ Già... anche io ››

‹‹ Mi chiedo ormai quanto siano oscuri tutti i miei ricordi ›› fu quasi un mormorare tra sé e sé. Una riflessione a voce alta. Ma era quello che effettivamente ci domandavamo tutti quanti.

‹‹ Io, invece, ora come ora mi chiedo quale sia la vera natura di quelle cicatrici. Perché è così malconcio? E se, uscendo da questo inferno, ci fosse un inferno ben peggiore? Insomma... pensaci un attimo. Quell'uomo era come un morto vivente! ›› poggiai le mani attorno al volto ‹‹ quell'immagine è quasi riuscita a farmi passare la voglia di abbandonare questo posto ››

‹‹ Penso che sia quello che vogliono i creatori ››
‹‹ Ehi, voi due, la smettete di brontolare qui dietro? Mi state facendo venire i complessi! ›› sbuffò Minho ‹‹ cervelloni ››

‹‹ Ehi, sentite, io propongo di mandare il bambino a mettere la password e fare tutti quei cosi strani di cui stavate parlando prima ›› disse qualcuno alle nostre spalle

‹‹ Il bambino? ›› chiesi, corrugando la fronte ‹‹ no! Insomma... ci ha traditi una volta. Nessuno ci assicura che non lo farà una seconda ››

‹‹ Questo schifo farà da esca per i Goemul ›› disse freddamente Eva ‹‹ deve andare una persona veloce e dai riflessi pronti. Uno dei mappatori, insomma ››

‹‹ Potrei andare io ›› disse Thomas ‹‹ sono in grado di farlo, insomma... ››
‹‹ Se dovessimo perdere te, certamente perderemo un grosso punto d'appoggio. Non credo che sia una buona idea, Thomas ››
Ma continuare a parlare di questo, ormai, era inutile. Fare la conta su cui mandare era una perdita di tempo.

Questo perché, una volta giunti di fronte a quella che un tempo era l'entrata, ci rendemmo conto che questa era ancora chiusa. Nessuno mosse un dito. Ci fu il gelo totale in ognuno di noi.

Poi, qualcuno rise in modo isterico.

Eravamo fregati... un'altra volta. Un buco nell'acqua.

‹‹ Moriremo... nel labirinto. Moriremo come dei topi ›› disse la stessa persona che rideva.

Nessuno disse niente... perché non c'era niente da dire.

‹‹ Ehi... ci sono altre uscite, giusto? ›› disse Eva, guardando Minho con la coda dell'occhio.

Lui annuì, ma sospirò ‹‹ sono troppo lontane da questo punto, ed anche raggiungendole, l'albero è altrove. C'è il rischio troppo grosso che anche mettendoci in marcia, o moriamo nell'andata o morirebbe Thomas nel tentativo di raggiungere l'albero. È un rischio troppo grande... ››
‹‹ È... è vero, ma, se non proviamo, noi – ››

‹‹ Eva, ascoltami. Ipotizza che riusciamo ad arrivare all'altra uscita sani e salvi, okay? Mandiamo Thomas all'albero, e muore divorato. Come possiamo sapere che è morto, e provare a mandare qualcun altro? E se morisse qualcun altro? ›› sul volto di Eva si dipinse la totale consapevolezza dell'errore che rischiava di commettere.

Il labbro inferiore cominciò a tremare. Avevamo fallito, ed ora eravamo in trappola.

Newt scosse la testa, battendosi rumorosamente le mani sui fianchi ‹‹ grandioso. Abbiamo qualche idea, allora? ››

‹‹ Beh... potremmo provare a tornare indietro e passare dal buco ›› azzardò lo stesso raduraio che suggerì l'utilizzo del bambino

‹‹ Intendo, un'idea che non ci faccia ammazzare in un nanosecondo ›› ribatté Newt ‹‹ non ci tengo ad essere spappolato da uno di quei ragni ››

‹‹ Personalmente mi sento completamente priva di idee... mi dispiace, ragazzi... è colpa mia ›› non poteva prendersi la colpa di tutto. In effetti quella situazione era tragica.

Eva lasciò il braccio del bambino, portandosi le mani tra i capelli. Aveva gli occhi lucidi, e riuscivo a capire il suo senso di fallimento. Ero certa di averlo provato anche io.

Forse, tutti lì in mezzo avevamo provato quello che lei stava provando in quel momento... ma, allo stesso tempo, non potevamo capirla. Sulle spalle aveva la vita di tutti noi. Ma non era colpa sua.

‹‹ Eva... ›› mormorò Teresa.

Thomas afferrò la spalla di lei, prima che potesse andare verso Eva. Non c'erano parole in grado di consolarla, in quel momento.

‹‹ Che casino... ›› mormorai

‹‹ In qualche modo ne verremo fuori ›› rispose Newt ‹‹ siamo tutti stanchi e scossi. In teoria dovremmo semplicemente dormirci su ››

‹‹ Dormire? Per avere gli incubi? Oh, beh... ›› sbuffai ‹‹ io sognerò di morire, dopo quello che ho passato ››

Newt mi guardò con la coda dell'occhio, assottigliando lo sguardo ‹‹ sogno allegro ››
‹‹ Meglio di altri, questo è certo. Ah... che caspio di situazione ›› sospirai.
Newt accennò un sorriso ‹‹ non sei credibile col linguaggio della radura, Pive ››
‹‹ Ho già sentito questa frase ›› brontolai, sollevando la testa ‹‹ ma chi se ne frega, mi viene naturale. ››
‹‹ Ma che caspio fai, sei impazzito?! Fermati subito, razza di rincaspiato! ›› gridò Minho.

Ci girammo verso Minho, cercando di capire il motivo della sua improvvisa reazione abbastanza nervosa.

Pensammo immediatamente che qualcuno dei radurai fosse impazzito di colpo e avesse cominciato a mangiarsi una gamba o cose così, dato il suicidio di massa avvenuto poco fa.

Ma, invece, si trattava del bambino.
Non gridava, ma si mordeva le labbra in maniera furiosa, mentre prendeva a testate il muro.
Lo avevamo mollato qualche attimo, sia Eva che Minho, ed ora prendeva a craniate il muro come un matto. Che fosse il trauma o cose così, non lo sapevamo.
Minho, così, cercò di fermarlo afferrandolo per le braccia e tirandolo, ma niente. Non si muoveva di un solo centimetro.
‹‹ Ehi, marmocchio, ti ho detto di ferm– ›› a quel punto, il bambino si allontanò, cominciando a gridare come un pazzo.
Il suo occhio, prima così violaceo, improvvisamente si aprì. Da esso fuoriuscì quella che sembrava essere una biscia completamente fatta di metallo, che si lanciò contro il muro di fronte al bambino.
Cominciò a percorrere il muro in direzione verticale, scalandolo con una velocità paurosa.

La striscia invisibile tracciata dal verme cominciò ad illuminarsi, ed il suono di una sirena risuonò in maniera assordante, portandoci a coprirci le orecchie.
Era fastidiosa, e sentivo le orecchie fischiare terribilmente. Per un attimo temetti di perdere l'udito a causa di questo.
Le mura cominciarono ad aprirsi, ed una luce bianca, calda... troppo calda, quasi scottante ed accecante si fece strada. Dovetti coprirmi gli occhi. O, almeno, così credevo.

Non mi resi conto di quello che stava

 

Quando aprii gli occhi, era tutto piuttosto confuso.
Quel posto... il rumore di una rampa che si sollevava... e Newt. Lui era lì, seduto su una poltroncina, che leggeva qualcosa.

‹‹ Se ne sono andati? ›› disse.
Cos'era quel posto. Perché eravamo lì?

‹‹ Sì ››

‹‹ E tu no... ›› sospirò. Dove dovevo andare? Da quel “Hans”? Chi era Hans? ‹‹ speravo che avessi cambiato idea, mentre li guardavi andare via ››

‹‹ Ti prego, non cominciare ›› sollevai gli occhi al soffitto ‹‹ non voglio discutere ulteriormente per questa storia ›› che storia? Di che stavamo parlando?

‹‹ Non capisci... ››

‹‹ Cosa c'è da capire? ›› allargai le braccia ‹‹ illuminami a questo punto! ››

alzò lo sguardo dal foglio, ma non disse una parola. Perché, quello sguardo, era così... sofferente?
Cosa diavolo stava succedendo? Nessuna risposta. Niente. Senon un sospirò pesantemente
‹‹ Lascia stare ›› disse, infine.

‹‹ Hai intenzione di ignorarmi per tutto il tempo in cui staremo chiusi qui dentro? ›› sbottai infastidita.

‹‹ vuoi che appenda dei festoni per tutta la berga con scritto “Elizabeth rimane con me qui su, che bello!”? ››

‹‹ No, ma.. ››

‹‹ Perfetto, allora basta. Ti ho già detto come la penso, non voglio più parlare di questo. ›› contrasse la mascella, riabbassando lo sguardo sul foglio per l'ennesima volta.
Non sapevo... non ricordavo.
Quello era un sogno, o un ricordo? Non potevo guardarmi attorno, ogni azione, ogni parola era già stata detta. Quindi... sì, il frammento di un ricordo.
Perché lo sentivo così carico di sofferenza? Cosa stava succedendo? Chi erano quelle due persone....?
Guardai Newt, seduto su quella poltrona.
Sapevo, dentro di me, che non era lui a parlare. Sapevo che c'era qualcosa di brutto, dietro quel dialogo.
Mi spezzava il cuore. Cosa avevamo passato io e lui? Cosa ci legava al punto dal portarmi a rinunciare a qualcosa?
Pochi istanti dopo, lui abbassò il foglio, corrugando la fronte e spostandosi una mano sugli occhi, prendendo un grosso respiro.

Stava per... piangere?

Mi sedetti sul bracciolo della poltroncina in maniera molto cauta, e mi poggiai al suo braccio, col mento sulla sua spalla.

Lo sentii prendere un grosso respiro, poi cominciò a sfregare le dita contro gli occhi.
Depositai un bacio sulla sua spalla.

Mi sentii il petto pesante, come se fossi improvvisamente carica di ogni sorta di preoccupazione. Non sapevo cosa stesse succedendo, ma sapevo che... lui, era importante, ed io dovevo fare qualcosa per proteggerlo da... qualcosa di troppo grande per entrambi.
Poi si fece tutto sfocato, e fu come se qualcuno avesse accelerato il tempo.
Non riuscii a seguire il filo del discorso.
Si indicò il cranio. Il paragone con un'altalena difettosa.
Era preoccupato. Ma poi dissi qualcosa di carino, a quanto pare, e lo feci sorridere.
Si girò nella mia direzione. Aveva accennato un sorrisetto. Qualche altra parola, poi

‹‹ “Newt è un buon amico” ›› disse lui, che cercò di imitare il mio tono di voce

‹‹ Ehi, è vero, lo eri! ›› feci finta di imbronciarmi. Allora arricciò il naso, guardandomi dalla testai ai piedi.

‹‹ Mi stai dicendo che non lo sono più? ›› sollevò un sopracciglio.

‹‹ Forse ›› scrollai le spalle.

‹‹ Già, non sono più il tuo buon amico. ›› si alzò dalla poltroncina, porgendomi la mano poco dopo.

La presi e mi alzai. Mi tirò verso di sé. Ora era calmo. L'atmosfera era più leggera.

‹‹ Esatto, ora sei il mio migliore amico ››

‹‹ Sei rimasta sulla berga con me, perché sono il tuo migliore amico? ››

‹‹ I veri amici si vedono nel momento del bisogno, no? ›› gli feci l'occhiolino.

‹‹ Giusto ›› fece le spallucce, e legò le braccia attorno alla mia vita. L'ennesimo respiro profondo, poi poggiò il mento sulla mia nuca, ed io, invece, lo strinsi di più a me.
‹‹ Sai perché non ho insistito ulteriormente? ›› riprese Newt, sciogliendo l'abbraccio

‹‹ Perché tanto era come parlare con un muro? ›› risposi

‹‹ Anche. ma anche perché so' bene che tanto troveresti il modo di tornare qui. Sarebbe stato inutile. È ciò che avrei fatto io. ››

Mi sfregai una mano contro il volto, inspirando.
I ricordi ora erano confusi... ma la puzza che sentivo... no, quella non lo era per niente.
‹‹ Dove...? ›› mormorai, confusa, prima di aprire gli occhi.
Un sogno... o un ricordo? Era confuso, ora. Però mi aveva lasciato l'amaro in bocca, ed una sensazione di vuoto.

Ero su una superficie fredda che... beh, vibrava. Aprii gli occhi. Apparentemente, ed abbastanza imbarazzata, notai di essere poggiata sulle gambe di Newt con la testa, e la schiena su quello che doveva essere il “pavimento” di un... furgone, credo.
Newt dormiva, ed una mano, invece, era stretta nella mia. Okay, ora ero ancora più confusa.
Tutti dormivano, in tutta onestà. Non c'era molta luce, se non un piccolo spiraglio che veniva dal soffitto.
Quanto tempo era passato? Dove eravamo diretti, ora? Eravamo salvi? Cos'era successo? C'era anche la metà di noi... ancora. Eravamo ancora di meno.
Mi sollevai lentamente, mettendomi seduta. Sperai di non svegliare il ragazzo, ma... a quanto pare non ero capace di una cosa del genere.
‹‹ Scusa ›› bofonchiai. Lui scosse la testa, sbadigliando. Il furgoncino si fermò.
‹‹ Dove siamo? ››
‹‹ Non chiedermelo, non so risponderti ›› disse, poggiando la nuca alla parete ‹‹ siamo svenuti tutti quanti e molti di noi – tra cui io – si sono svegliati già fuori dal labirinto. ››
‹‹ Quindi... avete visto l'esterno? ››
‹‹ No. Abbiamo visto una sorta di anticamera luminosa, ma poi ci siamo riaddormentati ››

‹‹ Quindi... non sai dove siamo diretti, giusto? ››

‹‹ Per quanto mi sia svegliato un paio di volte, no... non ho sentito niente, se non te che mi chiamavi, per cui mi sono avvicinato ›› non entrò nei dettagli... e non sono molto sicura di volerlo sapere. Diedi un colpo di tosse piuttosto finto e mi diedi una rapida occhiata attorno.
‹‹ dove sono gli altri? ››

‹‹ Credo che in fondo a destra ci sia Minho. Non mi sono guardato molto attorno, sinceramente ››.
Non avrebbe comportato a niente continuare a chiedere a Newt... non sembrava sapere niente.
Le porte del furgoncino si aprirono di colpo, ed ecco una luce fortissima che entrava. Ma sta volta era diversa. Era bianca, sì, ma... non bruciava.

Fuori dal furgoncino c'erano diversi uomini, tutti armati di maschera, tranne uno. Un signore parecchio.... formoso, diciamo così, che sorrideva in maniera fin troppo cordiale. Mi faceva venire i nervi.
Tutte le persone all'interno del furgoncino, in quel momento, colpiti da quella luce, si svegliarono. Erano tutti intontiti, e le domande non erano assenti. Borbottii, domande, dubbi, confusione... era tutto dentro quelle mura. Cose lecite e normali.
‹‹ Calmi, calmi. Siete al sicuro ora. Vi do il benvenuto, miei amati raggi di sole ›› disse. Sorrideva. Alzò le braccia, come se volesse quasi autoproclamarsi qualcosa ‹‹ voi... voi siete il futuro! Voi siete sopravvissuti. Il sole vi ha scelti. Siete speciali... tutti voi! Chi più, chi meno, ma siete il nostro futuro. Appartenete, tutti voi, ad un progetto più grande, che porterà la razza umana a sopravvivere e rinascere sotto la grande luce guidatrice dell'Hae.
Io sono Jung Seok, il capo di questo posto, ed il vostro salvatore e guidatore verso un mondo fatto di luce benevola. ››

Quel nome non mi era nuovo. Per niente.

‹‹ Forza, amici. Scendete pure, raggiungete i vostri compagni ››.
Tutto troppo cortese.

Ci fecero scendere, raggiungere i nostri compagni... c'erano tutti. Ci guidarono lungo un lunghissimo corridoio tutto illuminato ed arredato in maniera impeccabile, fino a giungere in una enorme stanza con delle tavolate cariche di cibo.
Ci fecero, quindi, mangiare, bene, rilassare... eppure, a me, quel posto non piaceva. Mi sentivo terribilmente a disagio, e nella mia testa non faceva altro che rimbombare il pensiero di “voglio andare a casa”. Ma quale casa?
‹‹ Allora, vi state godendo questo momento? ›› era la domanda che ripeteva di continuo il signor Seok, mentre passava di tavolo in tavolo.
Era veramente troppo cordiale.
Sì, mi stavo godendo il cibo (era indubbiamente migliore della sbobba servita da Frypan), però c'era quel non so che di strano. Newt, che era accanto a me, sembrava avere lo stesso pensiero.
Mi guardai attorno, intanto, mentre mangiavo quella coscia di pollo che tenevo tra le mani come se fosse qualcosa di buonissimo – ed in tutta onestà, non era niente di che. Era piuttosto molliccio e sembrava gomma da masticare –. Le luci a led bianche rendevano i muri di un colore azzurrino particolare, ed era pieno di schermi di televisori ovunque che indicavano statistiche.
L'unico suono nella stanza, erano i chiacchiericci dei radurai.
Giravano diverse persone per quella stanza, tutti con indosso camici bianchi e cartelle, ed ogni tanto annotavano qualcosa.
‹‹ Non mi piace. Non mi piace... ›› dissi tra me e me, poggiando la coscia di pollo sul tavolo.
‹‹ Davvero? Allora dalla a me! Viziatella! ›› disse il ragazzo accanto a me, che mi diede nemmeno il tempo di ribattere sul fatto che non intendessi il “cibo”.
Lo guardai molto contrariata, ed allora sbuffai ‹‹ non intendevo quello, eh... schifoso ingordo ››
‹‹ Tieni ›› disse Newt, sospirando, prendendo l'altra coscia di pollo che aveva nel piatto e passandomela.
Quasi mi vennero gli occhi a cuoricino, ma tutto quel momento magico scemò e subentrarono i sensi di colpa.
‹‹ Non sei obbligato ›› dissi, spingendo via, dolcemente, la sua mano, per non sembrare troppo scortese ‹‹ d'altronde non avevo nemmeno così tanta fame... ››
‹‹ Ho fatto un sogno strano ed ora non ho fame. Quindi, sinceramente, mi stai solo facendo un favore. E poi, il viaggio in macchina mi ha nauseato. Penso di non essere abituato ai mezzi di trasporto o qualche caspiata simile ››
‹‹ Anche tu hai avuto un ricordo in macchina, uhm? ››
‹‹ Non me lo ricordo. Cioè, più o meno. Voglio sperare che fosse solo un sogno. L'unica cosa che mi ha lasciato e tristezza e vuoto ››
‹‹ Vuoi raccont– ››
‹‹ No. E sopratutto, non qui ›› tagliò corto. Mi guardò con la coda dell'occhio ‹‹ non sono arrabbiato con te, tranquilla. Scusa, sono un po' nervoso ora... è che questo posto mi mette a disagio. Mi sa tanto di... ospedale, o qualcosa così. Mi sembra quasi di sentire l'odore dell'alcool con cui hanno pulito questi tavoli ››.
No, non ero l'unica a provare disagio. Decisamente non lo ero.
‹‹ A me piace l'alcool. Tanto! Mi piace sbronzarmi ››
‹‹ Senti, Rantolo, collega il cervello. Non stiamo parlando di quello da bere, ma di quello con cui disinfetti le cose ››
‹‹ Non sono a stessa cosa? ›› chiese il ragazzo, con la bocca piena di quella che un tempo era la mia coscia di pollo.
‹‹ No, rincaspiato ››
‹‹ …. Rantolo? ›› domandai, confusa.
‹‹ Sì. È il suo soprannome. La notte rantola come un dannato e tiene sveglio chiunque si trovi vicino a lu – ››
‹‹ Siete Newt ed Elizabeth, giusto? ›› la voce di Seok arrivò direttamente alle nostre spalle. Subito dopo, la mano dell'uomo si poggiò sulla mia spalla, facendomi accapponare la pelle ‹‹ venite con me, prego. ››

Seguimmo l'uomo fuori dalla stanza, sotto lo sguardo curioso degli altri radurai. Ci ritrovammo, a breve, in un corridoio. L'ennesimo corridoio apparentemente infinito. Con noi c'erano anche Thomas e Teresa. Non ci fu un singolo suono tra noi. Niente. Solo sguardi confusi.
Il corridoio non era tanto grande quanto lungo, e camminavamo tutti molto, troppo, ravvicinati. Le mie mani sfioravano quelle di Newt, ed i capelli di Teresa mi finivano in faccia a causa dello spostamento d'aria.
Quanto tempo dovevamo ancora camminare? Saranno passati almeno almeno 10 minuti.
‹‹ Vi prego di portare un po' di pazienza. Vi stiamo accompagnando nel vostro appartamento privato. È solo per voi quattro. I più speciali tra gli speciali ››
‹‹ Eh? In che senso? ›› chiese Newt ‹‹ appartamento speciale? ››
‹‹ Oh, tranquillo, Newt. Avete quattro stanze separate. È comodo, sapete? È un bellissimo appartamento con tutti i comfort di cui avrete bisogno. So che siete abituati ad una vita rudimentale, ma qui cambierete idea! Vi tratteremo come dei re! ››
‹‹ Dov'è la fregatura? ›› chiese Thomas
‹‹ Non c'è nessuna fregatura. Voi, però ›› ecco, appunto ‹‹ lavorerete per noi. Abbiamo bisogno del vostro cervello. Il vostro intelletto. ›› giungemmo ad un'enorme andito vuoto. Solo due corridoi, una sorta di fontana al centro ed una porta.
‹‹ Perché? ››

‹‹ Voi eravate l'élite, prima, alla C.A.T.T.I.V.O.. Certo, ora non ricordate granché, ma... voi eravate le loro promesse! ›› sorrise. Quel sorriso mi dava la nausea ‹‹ facevate il bene. Facevate il futuro! ››

lo sguardo di Thomas e Teresa era... strano. Qualcosa non tornava a loro, e di conseguenza nemmeno a me. Loro erano quelli che si ricordavano di più.

‹‹ Ovviamente non vi chiederemo di fare le stesse cose che facevate lì ››
‹‹ Non... ricordiamo quelle cose ››

‹‹ La C.A.T.T.I.V.O. era una grossa, grossissima multinazionale che studiava per scoprire una cura per l'Eruzione ›› disse Seok, annuendo ed assumendo un'espressione triste ‹‹ secondo loro, la cura per l'eruzione si trovava dentro una determinata formula. Per cui dava loro delle pillole che stimolavano il flusso sanguigno. Le pillole funzionavano! Ma poi gli androidi e i cybor che avevano inventato si ribellarono. E li distrussero... in maniera completamente ingiustificata. Non facevano del male a nessuno... ma noi dell'Hae siamo qui, oggi, a completare il loro lavoro. Noi.. abbiamo trovato una cianografia perfetta. Abbiamo bisogno di voi! ›› Seok si avvicinò, poggiando le sue mani prima sulle spalle di Thomas, e poi passò alle spalle degli altri, uno ad uno.
‹‹ Voi... eravate gli scienziati preferiti. Alla vostra giovane età avevate compiuto dei miracoli! Voi... voi! L'orgoglio e la salvezza dell'umanità! Voi siete stati scelti per aiutarci a salvare tutti noi.
Dentro l'appartamento troverete tutte le cose necessarie per il vostro lavoro. Ora... andate! Dentro il cassetto, sotto il televisore. La porta si apre solo col riconoscimento facciale di ognuno di voi. ››
Detto questo, ci accompagnò sotto la porta per assicurarci che entrassimo... ed una volta dentro, andò via.
Non avevamo scelta, quindi... ed a nessuno di noi tornava nessuna delle sue parole. C'era qualcosa in più... e quel qualcosa in più, sicuramente, non era niente di buono.
 

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Capitolo 20
*** Capitolo 20 ***


Da quando eravamo lì dentro non facevamo altro che pensare alle parole dette da Seok.
“Eravate gli scienziati preferiti. Alla vostra giovane età avevate compiuto dei miracoli!”, ma che genere di miracoli? Perché fino a quel momento, tutto ciò che vedevo di miracoloso era collegato a qualcosa di estremamente mortale.

Più passava il tempo chiusi tra quelle mura, più analizzavamo i documenti fornitoci, più vedevamo solo cianografie di morti su morti... tutti dovuti al labirinto.

Erano quelli i generi di miracoli alla quale eravamo destinati? In cuor mio speravo di non aver creato, in passato, cose del genere. Non avrei mai chiuso occhio al pensiero di una cosa simile.

‹‹ Ecco, questo è l'ultimo ›› disse Newt, lasciando cadere rumorosamente una pila di fogli sopra il tavolo.

Teresa leggeva della documentazione lasciata da Seok, l'ennesimo foglio, e Thomas, invece, fissava fuori con un'aria abbastanza persa nei propri pensieri.

‹‹ Da dove arrivano questi? ›› chiesi a Newt, mentre quest'ultimo si scrocchiava il collo

‹‹ Non ne ho idea ›› rispose, battendosi le mani sui pantaloni ‹‹ quelle guardie armate me le hanno consegnati e basta. Non vogliono farmi uscire da qui, ma non mi danno spiegazioni al riguardo. Comincio a chiedermi se capiscono la mia lingua o fanno semplicemente finta... il che non mi stupirebbe poi tanto ››

‹‹ Siamo chiusi in quattro mura, sai che grande novità ›› rispose sarcasticamente Teresa ‹‹ non mi stupisco più ››

‹‹ Beh, Seok ci ha detto che possiamo uscire da qui ›› corrugai la fronte, poggiandomi le mani sotto il mento ‹‹ magari stanno facendo dei lavori o cose così, e non possiamo uscire perché è pericoloso o robe simili ››

‹‹ Più pericoloso di ciò che c'è lì fuori? Quei... spaccati, o come caspio si chiamano? ›› rispose Newt, lasciandosi scappare una risatina ‹‹ scusa, ma trovo ironico il fatto che lì fuori ci sia un virus che ti sploffa il cervello e quei rincitrulliti lì fuori si mettano dei problemi per dei lavori in corso. Non sono così testa di sploff da buttarmi proprio in mezzo ai lavori, andiamo ››

‹‹ Beh, la mia era solo una supposizione ›› gli feci notare.

Già... avevamo parlato degli spaccati. Seok ci aveva lasciato anche dei documenti per approfondire la questione del virus, dato che noi non ne sapevamo niente fino a quando non lo aveva nominato lui.

C'erano foto del virus al microscopio, foto dei vari stadi di un malato, con tanto di spiegazioni e schemi che mostravano l'avanzamento del virus su un soggetto “normale”, stressato o sotto nirvana, che era una sorta “droga”, tagliando corto, che affievoliva i sintomi e lo rallentava di poco (da quello che avevamo capito).

Ragionando sulle foto, avevamo capito che quello incontrato nel labirinto era uno di loro.

Eppure, a quella scoperta, per qualche strano motivo, non mi sentivo spaventata, disorientata, distrutta... non sentivo nulla. Nessuno di noi sembrava esserne turbato. Cos'era quella? Pazzia? Shock talmente grande da non essere sentito? O una consapevolezza inconscia? Cosa avevamo visto prima di tanto terrificante da non permetterci nemmeno di essere terrorizzati da una che effettivamente era terririzzante?

Insomma... l'umanità era stata demolita da un virus... non c'era niente per cui stare allegri o tranquilli.

L'unica cosa che mi aveva quasi scossa, erano tutti i dati raccolti anche durante lo studio della famosa cianografia dell'Hae. Più che altro, ero confusa: come poteva una pillola che stimolava il flusso sanguigno curare una cosa che s'infiltrava come un parassita all'interno del cervello?

Da qualche parte quel virus doveva uscire... e se era nell'aria, allora sarebbe sopravvissuto all'esterno ed anche all'interno. Doveva esserci un altro modo per distruggerlo... non bastava di certo il flusso sanguigno.

Anzi, probabilmente quello lo avrebbe persino aiutato a diffondersi più rapidamente.

Era anche su quello che riflettevamo in quei giorni, e più andavamo avanti con lo studio di quella cianografia e l'analizzare quei documenti, più capivamo che le cose non tornavano... oppure erano tutti degli idioti tali da non accorgersi che la cura che stavano studiando non poteva assolutamente funzionare.

‹‹ Comunque, questo non toglie che l'idea di rimanere chiusa di dentro non mi pare molto buona. Ed evidentemente possiamo gironzolare per i corridoi solo quando va bene a lui ›› Teresa si spostò i capelli dietro l'orecchio, alzando lo sguardo verso di me ‹‹ Ho bisogno di aria fresca, non facciamo altro che guardare documenti su documenti. Sono solo una lunga ripetizione di formule e schemi, dati raccolti durante la prova del labirinto... sono schifata da tutto questo. Non voglio nemmeno pensare al fatto di essere stata parte di questa prova malsana. Quale razza di essere umano senza cuore può pensare una cosa così tanto disumana? Applicata a dei bambini, praticamente... è inumano ed impensabile... anche se questo, secondo la loro stupida teoria, avrebbe portato ad una sorta di cura ››

‹‹ Sono più malati loro che le persone che hanno effettivamente contratto questo fantomatico virus, a dire il vero ›› Thomas scosse la testa

‹‹ A questo proposito, è emerso qualcosa? Qualche dato interessante? ››

‹‹ Poco e niente ›› disse Teresa, poi fece un cenno con la testa in direzione dei fogli ‹‹ in questi ultimi fogli c'è più una lista di nomi che dice che tra i radurai c'erano muni e non muni ››

‹‹ Muni? ››

‹‹ L'abbreviazione di Immuni. Le persone che non posso in alcun modo contrarre il virus ›› spiegò Thomas ‹‹ noi quattro siamo tra questi ››

‹‹ Ti correggo: non tutti e quattro ›› specificò Teresa, guardando Thomas, che corrugò la fronte ‹‹ in questo foglio ci sono più dettagli riguardo noi sopravvissuti. Ci sono specificati i valori. Risulta che io, te ed Elizabeth siamo completamente immuni ad virus dell'eruzione... Newt no ›› quasi lo sussurrò.

Sentii il cuore fare una sorta di balzo a quelle parole. Per un attimo fu come se mi fossi isolata nel buio ed il tempo si fosse fermato.

Newt non era immune? Quindi Newt poteva essere ucciso dal virus, diventare uno spaccato?

‹‹ Cosa significa, quindi? È malato? ›› dissi rapidamente, ma avevo lo sguardo perso nel vuoto.

‹‹ Significa solo che posso ammalarmi ›› tagliò corto Newt, scuotendo la testa ‹‹ niente di che ››

Sgranai gli occhidi fronte a tutta quella indifferenza.

Non poteva essere serio. Non doveva essere serio.

Lo guardai. Il suo volto era freddo, apparentemente tranquillo come suo solito.

Incrociò le braccia e tirò indietro la testa, inspirando.

‹‹ Come sarebbe “niente di che”? Newt, ma che dici? ››

‹‹ Non è niente di grave ›› scosse le spalle, piegando il volto nella mia direzione ‹‹ Liz ›› e tornò a guardare davanti a sé, poggiandosi una mano sulle labbra.

‹‹ Non dire sploffate! Certo che è grave! Io – ››

‹‹ Ehi, ehi! qui è al sicuro! ›› provò a calmarmi Teresa ‹‹ questo posto è sterilizzato, il virus non può avere accesso! In ogni caso Newt ha resistito in maniera egregia durante la prova del labirinto. Da questi dati sembra che il suo sistema immunitario non abbia subito danni nonostante non sia immune ›› Non sapevo nemmeno cosa pensare, e non m'interessava nemmeno farlo. Continuavo a guardarlo in maniera preoccupata. Sembrava ancora tranquillo, ma era strano. Il suo sguardo era perso altrove.

Poi scosse la testa, spostando anche la mano da davanti alle labbra ‹‹ sentite, anche se dovessi ammalarmi, la cosa non m'interesserebbe. Non voglio la vostra pietà o quella di qualcun altro.

Se dovesse accadere, fatemi fuori e basta. Okay, Tommy? Ti prego ›› guardò Thomas. Quest'ultimo sgranò gli occhi, indicandosi

‹‹ Io? ››

‹‹ Sì, tu ›› inspirò ‹‹ non voglio diventare come quel coso che abbiamo incontrato ›› fu come vederlo gelare. Stessa cosa mi sembrò fare il mio sangue di fronte a quelle parole.

Calò il silenzio per un attimo. Un attimo che sembrò durare un eternità.

‹‹ Non ci pensare nemmeno. Non posso fare una cosa del genere. Newt, io non posso ucciderti... sei uno dei miei migliori amici, praticamente un fratello per me ››

‹‹ Ed invece cosa dovrei fare, secondo te? Lasciarvi guardare mentre impazzisco lentamente? Fare finta di niente mentre nella mia testa cresce un qualcosa che mi corrode dall'interno? ›› sentii un groppo in gola. No, non era tranquillo per niente. Quella facciata stava cadendo. Il suo volto si rabbuiò, e notai che le sue mani cominciarono a tremare in modo quasi impercettibile, causato dalla rabbia, forse, o dalla paura che non avrebbe mai ammesso di avere.

Perché Newt, alla fine, era solo un ragazzo... era avere paura era normale.

Indicò Thomas, poi, passandosi l'altra mano sul labbro inferiore, poi la lasciò ricadere sul fianco, annuendo un paio di volte ‹‹ Se dovesse succedere... se sei davvero mio amico, uccidimi ›› disse.

Thomas sembrò gelarsi sul posto, mentre guardava Newt uscire dalla stanza.

Prese una sedia e, poco dopo, si sedette accanto a Teresa, portandosi le mani sulle tempie.

Non avevo idea di cosa stesse passando per la testa di Thomas in quel momento, ma sicuramente una parte di lui era sotto shock... e come dargli torto?

Mi passai una mano tra i capelli, inspirando. Battei un paio di volto il piede a terra, poi, alla fine, mi decisi a raggiungere Newt.

Non era andato lontano. Era solo andato nella sua stanza... era ovvio. D'altronde l'appartamento non era chi sa quanto grande.

Una volta di fronte alla porta della sua camera, bussai aspettai una sua qualche risposta.

Ma non arrivò. Aprì direttamente e mi guardò per qualche attimo senza dire una sola parola.

Poi, inspirò, spostandosi per permettermi di entrare, ed appena lo feci la richiuse.

‹‹ Che c'è? ›› chiese, ma sapeva già la risposta.

Si poggiò alla porta, incrociando le braccia.

‹‹ Perché hai detto quella cosa a Thomas? ››

‹‹ Sentivo che era giusto farlo ›› Newt sollevò una mano ‹‹ non posso prendere la decisione di morire prima che sia un dannato virus a rendermi qualcosa simile ad un morto vivente, capace di far fuori anche i propri amici? È così sbagliato? ››

‹‹ Ehi, non voglio che dici certe cose... ››

‹‹ Ti da così tanto fastidio sentire la verità dei fatti? Liz, non sono mune. Prima o poi mi ammalerò anche io, fattene una ragione ››

sgranai gli occhi, e scossi rapidamente la testa ‹‹ no... non è così. Non per forza. ››

‹‹ Quasi certamente, in ogni caso. E se dovesse succedere, voglio che sia Thomas a farlo. Lui e nessun altro... e nessuno, a parte noi, deve venire a sapere di questa cosa ››

‹‹ Perché? Perché Thomas, poi? ››

‹‹ Thomas è il mio migliore amico, oltre Minho... ma Minho non lo farebbe mai ››

‹‹ E cosa credi, invece, che Thomas accetterà? ›› quasi risi, scuotendo la testa ‹‹ nessuna persona con un minimo di umanità lo farebbe ››

‹‹ No, una persona che ha dell'umanità in corpo capirebbe che è meglio morire piuttosto che lasciarsi abbandonare e divorare da un virus mortale come quello! E comunque... Thomas è il vero leader ›› chiuse gli occhi ‹‹ ricordo questa cosa. Sa prendere le decisioni giuste. Ne sono certo. Quella frase significa qualcosa, ed io voglio fidarmi ›› improvvisamente aveva deciso di voler recuperare i ricordi? Voleva affidarsi a loro? Erano queste, per caso, delle piccole arrese che si concedeva?

‹‹ Newt, noi ci teniamo a te ››

‹‹ Non è col “tenerci” che diventerò improvvisamente un mune come te. Non potete fare nulla ››

‹‹ Possiamo trovare una cura! O almeno provarci! Non buttare così la spugna ››

‹‹ Non sto buttando la spugna, Liz ›› scosse la testa ‹‹ sto solo dicendo le cose come stanno. Onestamente parlando, più leggo quei caspio di documenti, più penso che siamo lontani anni luce dalla cura ›› schioccò la lingua ‹‹ non possono pensare di abbattere un virus del genere solo con flusso sanguigno. È fuori discussione. Loro sanno qualcosa che non vogliono dirci, ed io non mi fido di questi qui ›› e Newt era più intelligente di quanto lui stesso volesse ammettere.

‹‹ Lo so... concordo con te ›› sospirai, stringendomi nelle spalle e portando una mano sul gomito. Abbassai lo sguardo, provando una sorta di morsa al livello della bocca dello stomaco ‹‹ però... non voglio che tu ti arrenda. Io mi preoccupo per te ››

‹‹ Non ne hai motivo ›› fu quasi una risposta senza nemmeno lasciarmi il tempo di finire la frase. Come se già sapesse che stessi per dire quella frase.

Non potevo farci niente... era una cosa che mi portavo dietro sin da quando lo avevo visto nel labirinto. Sin da subito.

Ero consapevole che Newt non avesse certamente bisogno della mia protezione, però...

‹‹ Lo so... lo so, scusa ›› mi passai una mano tra i capelli, spostando il ciuffo dall'altro lato.

Sospirò, ed anche lui si passò la mano tra i capelli, mordendosi poco dopo il labbro inferiore.

Fece qualche passo per avvicinarsi a me, e poco dopo mi avvolse tra le braccia, stringendomi a sé.

Rimasi stupita. Sgranai gli occhi, ed in quel momento non sapevo nemmeno cosa fare. Non sapevo se ricambiare o no l'abbraccio.

‹‹ Senti, lo apprezzo, okay? Davvero ›› il suo tono di voce si fece più basso, estremamente calmo e rilassato ‹‹ però non voglio semplicemente essere di peso a nessuno. Chissà quante altre cose ci sono lì fuori, ben peggiori di me che esco lentamente fuori di testa. Non voglio che il mio problema diventi un problema di tutti ››

Se eravamo davvero una famiglia, quello era già un problema di tutti. Lo sentivo sulla mia pelle come se si stesse attaccando a me... ormai, lo sentivo già un problema personale.

Lentamente, feci salire una mano sulla sua schiena, stringendo la sua maglietta tra le dita.

‹‹ Io non ti lascio morire, sia chiaro... levatelo dalla testa, Newt ›› dissi, affondando il volto contro il suo petto. Lo sentii irrigidirsi per un attimo. Non era abituato a quel genere di contatto, evidentemente... e nemmeno io. Eppure mi venne completamente naturale. Inoltre, in quel momento, avrei preferito sprofondare direttamente in lui per proteggerlo.

Mi pizzicavano gli occhi, ma cercai di trattenermi dal piangere. La sola idea di vederlo morire era come una pugnalata. Una ferita aperta. Non volevo nemmeno immaginarlo.

Erano solo ipotesi ed io già volevo escluderla.

‹‹ Cercherò di fare in modo di non morire, allora. Perché stai tremando ora? ›› sciolse appena l'abbraccio, il tanto di guardarmi in volto non appena lo sollevai. Onestamente non mi ero nemmeno accorta di star tremando. Scossi la testa, optando per fare finta di niente. Non volevo perderlo. Ero terrorizzata dall'idea.

‹‹ No... nulla ›› dissi, quasi mormorando. Il suo volto era tremendamente vicino al mio, tanto da sentire il suo respiro, ed una marea di sensazioni strane invasero il mio corpo. Strinsi la sua maglietta, di nuovo, ed in quell'attimo fu come se avessi isolato ogni singola altra cosa che ci circondava.

Non avevo mai realizzato, fino a quel momento, quanto potesse essere bello visto così da vicino.

Studiai in pochi attimi ogni singolo dettagli del suo viso, così familiare ed allo stesso tempo così sconosciuto. Avrei voluto accarezzarlo anche solo per qualche attimo, eppure mi trattenni, come se avessi le mani completamente levate.

Quando i miei occhi tornarono sui suoi, fu come avere delle calamite puntate addosso. Mi sentii persa lì dentro, ma non volevo nemmeno farmi trovare. Eppure, i suoi occhi nascondevano qualcosa. Qualche attimo dopo accennò un sorriso un po' amaro. Avevo già visto quel sorriso in passato. Mi sentii sprofondare nel vuoto.

‹‹ Ora va meglio ›› disse lui. Non tremavo più. ‹‹ Fagio ››.

 

Quando tornammo indietro, era apparentemente tutto normale. Thomas era ancora al tavolo con Teresa.

I suoi occhi erano gonfi, arrossati e lucidi. Aveva chiaramente pianto, e sapevamo tutti i motivo. Non potevamo nemmeno dargli torto... chiunque avrebbe avuto quel genere di reazione più che umana.

Newt chiese scusa per il comportamento, ma nessuno sembrava essersela presa.

Capivano – e capivo – il perché. Era umano... era un ragazzino.

Tuttavia, in quel momento, Thomas ci spiazzò tutti: accettò la proposta di Newt.

Il volto di quest'ultimo sembrò cambiare radicalmente in un'espressione di sollievo, come se quello fosse di vitale importanza per lui.

Non riuscivo ancora a capire quel discorso sul fatto che Thomas fosse il vero leader, ma... capivo, alla fine, il discorso sull'umanità.

Forse era vero... era meglio morire rapidamente, piuttosto che una lenta e dolorosa.

Ma l'idea che potesse abbandonarci mi distruggeva.

Lo guardai mentre parlava in modo sereno. In quel momento pensai semplicemente che avrei voluto fare qualsiasi cosa fosse in mio potere per trovare una maledetta cura.

Avrei fatto il possibile per dargli più tempo.

Ed in un attimo quella sensazione fu uno schiaffo inaspettato.

Mi sedetti automaticamente sulla sedia attorno al tavolo, proprio come Newt, ed il mio sguardo rimase perso per un attimo. Ogni suono fu isolato, e sentii solo quello del battito del mio cuore.

Cosa significava il volersi prendere cura di qualcuno, ignorando il resto? Ero forse un'egoista?

Da quando Newt era così importante per me? E perché? Il mio battito aumentò, e per qualche attimo sentii come se tutto il mio sangue sparisse dalle vene e la mia lingua si asciugasse completamente.

Era amore, quello?

Fui come trafitta da una sensazione al cervello, e questo mi fece sfuggire un gemito di dolore e piegare su me stessa.

‹‹ E-ehi, Liz? ›› la mano di Newt si poggiò sulla mia spalla, ed immediatamente si alzarono tutti.

Sentivo il mio cervello pulsare dal dolore.

‹‹ Sto bene ›› dissi, alzando gli occhi.

Quella fitta... quel vorticare continuo di pensieri che non riuscivo ad acchiappare... cose familiari.

No, non stavo bene, sentivo come se il mio cervello si stesse sciogliendo. Ma non valeva la pena crearsi dei problemi per quello. Non avevamo tempo.

Newt era tranquillo e quella era la cosa che più mi premeva. Non doveva provare niente di negativo. Non doveva provare rabbia. Doveva stare tranquillo.

Sentii il mio petto scaldarsi, come se qualcuno stesse rovesciando dell'acqua calda sul mio cuore.

Se quello era veramente amore, non era il momento di lasciarlo uscire. Non potevamo permetterci il lusso di quei sentimenti. La mia curiosità che avanzava mi portava a chiedermi se fossero residui del passato, se lui provava quello che provavo io, o se era semplicemente tutto nella mia testa.

Ma per il momento tenerlo lontano dalle grinfie del virus era la mia priorità.

‹‹ Sicura? ›› domandò Teresa, corrugando la fronte ‹‹ se ti fa male qualcosa posso guardare dove ci sono le medicine un rimedio... ››

‹‹ No, sul serio. È tutto okay, mi è venuta solo una piccola fitta alla testa. Magari è il sonno arretrato, niente di preoccupante insomma ›› annuii tra me e me, ed in quel momento qualcuno bussò alla porta.

‹‹ Beh... in ogni caso, vado a prendere qualcosa da bere. Poi, se siete tutti d'accordo, propongo di finire di analizzare le ultime cose e riposarci un po'. Tom, apri tu? ›› Thomas annuii, e mentre Teresa andava ad aprire il frigo in cerca di chi sa cosa, lui aprì la porta.

Un uomo sulla sessantina, accompagnato da Seok, indossava un camice lungo e bianco ed uno sguardo che non sembrava esprimere alcun genere di emozioni.

Aveva l'aria di chi non aveva nemmeno la voglia di respirare, ma reggeva con mano sicura una scatola bianca decorata con dei fiori neri – abbastanza discutibili –.

‹‹ Buona sera, signori miei. Scusatemi se vi interrompo, vi stavate preparando per andare a dormire, vero? ›› chiese Seok, entrando nell'appartamento insieme all'uomo accanto a lui.

Dormire? Ma a che ora andavano a dormire quei tizi? Era fin troppo presto per pensare a dormire, anche volendolo fare.

‹‹ A dire il vero no, stavamo per riprendere analizzare quei documenti dato che abbiamo quasi finito. Poi, magari, dormire non sarebbe un male ››

‹‹ Oh, bene, bene. Benissimo! Perché, vedete, domani stesso vi assegneremo dei... compiti di coppia, diciamo così. Un nostro impiegato ci ha fornito delle informazioni molto interessanti riguardo la vostra vecchia posizione alla C.A.T.T.I.V.O... cose che in realtà sapevamo già, ma volevamo conferma e più informazioni. È riuscito ad accedere ad uno dei computer della sede ››

corrugai la fronte. Non erano andati distrutti? ‹‹ per cui ›› riprese ‹‹ Teresa e Thomas lavoreranno insieme al loro progetto. Dovrete studiare nello specifico il virus ed il labirinto. Voi due prima eravate una coppia imbattibile sotto quel punto di vista. Una bella ricongiunzione al lavoro non sarà un male! Ma un bene, certamente! ››

‹‹ Perché? Abbiamo già studiato la cianografia! ›› Thomas corrugò la fronte ‹‹ non c'è altro da fare! Sappiamo tutto quello che c'è da sapere sul labirinto! ››

‹‹ Allora vorrà dire che vi studierete dei vecchi progetti del labirinto, e scoprirete cosa si poteva ricavare e come avrebbe funzionato. Voglio che scopriate i pro, i contro e le probabilità. Non deve sfuggire niente.

Mentre Newt ed Elizabeth, invece, voglio che studiate le creature del labirinto. I dolenti, sonde magnetiche ed altri. Voglio che pensiate ad altre creature ed al loro funzionamento. Non avete lavorato insieme alla C.A.T.T.I.V.O., ma facevate le stesse cose. In ogni caso, insieme, sarete certamente delle fonti preziose! ››

Corrugai la fronte, guardandomi la mano come se sopra ci fosse scritto qualcosa.

‹‹ Cosa sapete del nostro passato alla C.A.T.T.I.V.O.? ›› chiesi istintivamente ‹‹ perché voi potete sapere qualcosa di noi, ma noi non possiamo? È una cosa crudele! ›› eppure io, in un certo senso, non ero così sicura di volerlo ricordare.

‹‹ I ricordi sono una cosa inutile, non vi aiutano a concentrarvi sul presente, signorina Elizabeth.

Vi basta sapere che eravate dei grandi scienziati, grandi persone e la speranza dell'umanità. E dovete ricordare una cosa: C.A.T.T.I.V.O. è buono. ››

‹‹ C'è indubbiamente da fidarsi di una cosa che si chiama cattivo, che afferma di essere buono ›› ironizzò Newt, poi tirò indietro la testa. Seok arricciò le labbra ed emise un verso scocciato, ma lasciò perdere quella frecciatina da parte del ragazzo.

Thomas, invece, assottigliò lo sguardo ‹‹ Signor Seok, comincio a pensare che ci stiate scambiando per dei progettatori. A che serve fare ciò che ci state dicendo? Volete che apportiamo delle migliorie correggendo i vostri errori? ›› indicò i documenti ‹‹ Mi pare che questo in ogni caso siano abbastanza futili per la causa, no? Un labirinto... a cosa dovrebbe servire analizzarlo, se non a quello che ho proposto? esattamente, che volete farci fare? ››

Seok rimase praticamente impassibile di fronte a quelle affermazioni. Poi sorrise... e lo fece in un modo fastidioso ‹‹ io vi sto solo indirizzando a fare le cose per cui siete più portati per non sentirvi inutili ››

‹‹ Non era questa la mia domanda ›› ribatté Thomas ‹‹ a cosa serve analizzare i documenti, Seok? ››

‹‹ Scovare gli errori. Sì, voglio che li correggiate ››

‹‹ Avete intenzione di creare un altro labirinto, non è così? Non vi basta la cianografia già raccolta? Volete seminare altra morte e disperazione? ››

‹‹ No, no. Certo che no. Sarebbe uno spreco di vite umane preziose, e noi vogliamo salvare l'umanità, non decimarla più rapidamente ›› ma era quello che voleva chiaramente fare. Voleva usarci per progettare la morte.

Altrimenti, perché chiederci di correggere e migliorare ciò che era già stato creato? Non avrebbe avuto senso sprecare le energie dietro quelle cose.

Guardai in direzione di Newt, e poi in quella di Teresa, che era tornata indietro con dei picchieri di acqua fresca.

‹‹ Comunque, vi ho portato queste ›› l'uomo col camice aprì la scatola che aveva in mano, poi la poggiò sul tavolo ‹‹ vedo che avete portato dei bicchieri d'acqua, sembra fatto di proposito! ›› sorrise ancora in quel modo particolare.

Nessuno di noi era convinto delle sue parole precedenti, e volevamo ancora delle risposte al riguardo.

‹‹ Cosa sono? ›› chiese Newt, alzandosi dalla sedia. Guardò all'interno della scatola e storse il naso ‹‹ delle pastiglie? ››

‹‹ Sì, come puoi vedere tu stesso ›› incrociò le braccia al petto, indicando con un cenno della testa la scatola. Mi sporsi per guardare anche io.

Apparentemente erano delle pastiglie normali con i nostri nomi incisi sopra.

‹‹ A cosa servono? ››

‹‹ Sono degli integratori. Vi vedo abbastanza stanchi, per cui ho fatto studiare ad altri scienziati una formula che potesse permettervi di rimettervi in sesto rapidamente. Bevetele con l'acqua, come vedete sono abbastanza grosse, ma vi faranno bene ››

‹‹ E se non volessimo farlo? Io sto bene così ›› serrò i denti. Non dovevamo fidarci. Non volevo berla... o meglio, nessuno di noi voleva farlo.

‹‹ Dovete farlo, è per il vostro bene. Inoltre, se proprio vi interessa, queste pastiglie contengono delle sostanze che vi autoimmunizzeranno ad alcune cose... oltre che rafforzare le vostre difese immunitarie nei confronti del virus ››

Newt sollevò un sopracciglio. Accennò un sorrisetto, poi si rimise a sedere con noncuranza ‹‹ e allora perché non fornite questa miracolosa pastiglia a tutto il mondo, visto che è così miracolosa? Risparmieremo tempo e vite umane, no? ››

‹‹ Perché è una cosa in via del tutto sperimentale, Newt. Non fare domande inutili ››

‹‹ Io non bevo una cosa che non so nemmeno cosa sia. Non sono così fesso. Sarò anche giovane, ma credo di aver affrontato cose abbastanza mortali da rendermi piuttosto diffidente di una cosa col mio nome scritto sopra. Inoltre, come mai queste quattro pastiglie hanno ognuna i nostri nomi? ››

‹‹ Non avete tutti gli stessi bisogni. Hai questo caratterino con tutti? ››

‹‹ Newt, smettila ›› lo guardai con la coda dell'occhio ‹‹ non è il caso di provocarlo, non otterremo nulla ›› non dovevamo nemmeno farci mettere i piedi in testa, questo era vero... ma rendercelo nemico non avrebbe in ogni caso migliorato la situazione.

Newt inspirò profondamente, sbuffando poco dopo

‹‹ Va bene ›› borbottò

‹‹ E se avessi voluto uccidervi, lo avrei già fatto ›› nessuno di noi avrebbe voluto ascoltarlo e assecondarlo ‹‹ ora, bevetela qui, davanti a me ›› ma fummo obbligati a farlo.

 

Qualche ora dopo aver bevuto quella pastiglia, apparentemente, era ancora tutto normale.

Avevamo ripreso a lavorare sui documenti, e tutto sembrava andare per il verso giusto.

Anzi, lavoravamo quasi il doppio, senza stancarci troppo.

Eravamo più in forma, concentrati nel nostro lavoro di coppia, e c'era una fortissima intesa col partner.

Due giorni dopo, invece, lentamente la carica cominciava a sparire.

Per la maggior parte del tempo eravamo stanchi ed affaticati, oltre ad avere un perenne mal di testa, come se qualcosa scavasse nel nostro cervello.

Avevamo tutti finito finalmente la dose giornaliera di documenti, ed ora eravamo buttati su sedie e divani come se fossimo mezzo morti.

Io ero seduta su una sedia, con una tazza di tè caldo in mano mentre fissavo sostanzialmente il nulla cosmico.

Con la testa, da quella mattina, non facevo altro che pensare al sogno che feci durante la notte.

Era strano come ultimamente sognavo molto spesso di stare chiusa in una stanza con delle luci a led ed un ragazzo biondo. Sembravamo essere molto legati da qualcosa, ma non sapevo cosa, e non sapevo chi fosse.

Strinsi tra le mani la tazza, come se temessi che potesse cadermi dalle mani.

Era un ragazzo che compariva particolarmente spesso nei miei sogni, da quando eravamo chiusi in quella struttura. Ma purtroppo non riuscivo a ricordarne il nome, le origini o qualsiasi altra cosa potesse essere collegata a lui.

Niente di niente. Era un fantasma del mio passato, forse. Di certo, lui, era qualcuno che dovevo ricordare.

‹‹ Sì, ora lo faccio, non c'è bisogno di farlo immediatamente. Non essere così affrettata, in ogni caso non sono così stanco ›› disse Thomas, reggendo saldamente il computer che aveva sul grembo, nonostante non avesse altro lavoro da fare.

Sullo schermo c'erano delle immagini di radiografie del cervello di uno spaccato.

Era particolarmente affascinato da come agiva questo, e c'era da ammirare questa sua estrema curiosità che lo spingeva a fare continue ricerche, stanco o meno che fosse.

Teresa, che era in totale silenzio. scosse la testa stupita, corrugando la fronte poco dopo.

‹‹ Perché mi guardi così? ›› domandò lui

‹‹ Perché non ho detto niente ›› gli fece notare.

‹‹ Hai appena finito di dire che dovrei spegnere il computer e riposarmi un po', non fare finta di nulla ››

‹‹ Thomas... io l'ho solo pensato ›› ora fu Thomas a sgranare gli occhi.

Ci fu un attimo di silenzio imbarazzante nella stanza.

‹‹ Telepatia... ›› mormorò Teresa ‹‹ come nel mio sogno... ››

‹‹ Non devono essere per forza collegati ›› rispose rapidamente Thomas, poggiando il computer sul tavolino ed alzandosi ‹‹ Se cominciassimo a pensare che ogni singolo sogno che facciamo sia un ricordo, allora... no, non voglio nemmeno pensarci ››

Capitava spesso che finissimo col “confessarci” riguardo i propri sogni.

Era un modo per esorcizzare questa paura che potessero trattarsi di ricordi, un modo per non impazzire lentamente essendo in balia dei fantasmi del passato senza, però, saperne la vera origine.

Tutto questo perché spesso non erano praticamente mai niente di buono.

In quasi tutti i nostri sogni c'erano morte, distruzione... il labirinto.

I miei erano relativamente calmi, ultimamente, ma non capivo comunque il loro senso.

Prima quel ragazzo... poi, magari, sognavo di trovarmi nella radura, circondata da un sacco di volti maschili a cui però non sapevo dare un nome. Ma allo stesso tempo tutti loro, per me, erano quello che tutti chiamano famiglia. La radura, in quei sogni, era come la mia casa.

I sogni in teoria erano l'unico luogo in cui potevamo essere al sicuro, lontani dalla realtà, ma eravamo arrivati ad un punto in cui non sapevamo nemmeno noi cosa di quelli fosse reale e cosa invece fosse frutto dello stress e della nostra immaginazione, ma Thomas aveva indubbiamente ragione: non dovevamo pensare che fossero tutti dei ricordi.

Se così fosse, significherebbe aver perso più persone di quello che pensiamo.

‹‹ Che sogno? ›› chiese Newt, tamburellando le dita sul bracciolo della poltroncina su cui era seduto ‹‹ vi dispiacerebbe metterci al corrente anche a noi? ››

‹‹ Ho sognato di esercitarmi alla telepatia con Tom in un edificio moderno. Era complicato per lui... e non eravamo soli. Poi parlavamo anche in altri posti.. come la radura ››

‹‹ La radura? Sapevate farlo anche nella radura e voi due ci avete nascosto che parlavate telepaticamente? ››

‹‹ No, no! Era un'altra radura. Eravate per la maggior parte uomini... tranne me ››

‹‹ Peccato, ero già pronto a definirvi telepatetici. In ogni caso, quello è certamente un sogno. La nostra radura non era composta da soli uomini ››

Alzai la mano timidamente, attirando la loro attenzione – gesto inutile e lo riconoscevo anche io –

‹‹ Io ricordo una radura come la tua... ma l'unica donna ero io. Cioè, ricordo di averla sognata ››

Newt sollevò gli occhi al cielo ‹‹ fantastico, e siamo a quota due. Quindi esistevano più radure? ››

‹‹ O magari... tu eri riuscita a scappare ›› ipotizzò Teresa

‹‹ Non so dire altro, ho i ricordi del sogno abbastanza offuscati... ››

‹‹ Sentite... io credo nel fatto che ormai i ricordi si presentino sotto forma di sogni, ma... questa storia della telepatia improvvisa non mi torna per niente. Mi sembra una puttanata ›› Newt scosse la mano ‹‹ insomma, ora voi due pive avete dei poteri? ››

‹‹ Viviamo in un mondo distrutto da un virus e popolato prettamente da esseri praticamente mutati interamente da questo e tu trovi assurdo che due persone sviluppino la telepatia, Newt? ›› Teresa ridacchio tra sé e sé, poi scosse la testa. Si fermò di colpo, poi si poggiò una mano sulle labbra ‹‹ un attimo... io non ho più mal di testa. ››

Ed ha pensarci bene, nemmeno io.

‹‹ Nemmeno io... quindi? ›› rispose Newt. Ma in poco tempo, tutti riuscimmo a trovare una risposta ancor prima che Teresa parlasse.

‹‹ E se la pastiglia servisse a darci questo? ››

‹‹ Per quale ragione, scusa? ››

‹‹ Non lo so... qualcosa di malato, sicuramente. Elizabeth, prova a parlare con me telepaticamente ›› Teresa si alzò, sedendosi sulla sedia accanto alla mia.

Mi sembrava una perdita di tempo, comunque, ma valeva la pena provare.

‹‹ Come si fa? ››

‹‹ Non lo so. Nel sogno... uhm, allora... prova a concentrarti su di me. Chiudi gli occhi ed immagina di avermi davanti ››

‹‹ Non faccio prima a guardarti...? ››

‹‹ E se dovessimo parlare a distanza? Prima di facilitare le cose, proviamo a passare direttamente allo stadio successivo. Una volta fatto pensa chiaramente a cosa vuoi dirmi. Una cosa che vuoi tu, completamente a caso ››

inspirai, e decisi fare come voleva lei.

Mi concentrai, immaginando il suo volto.

‹‹ Mi senti? ›› Non ricevetti risposta

Provai un'altra volta.

Niente.

Il silenzio.

‹‹ Allora? ›› chiese lei

‹‹ Non mi hai sentita? ››

‹‹ No... ››

Newt alzò le mani al soffitto ‹‹ vedi? Un mucchio di sploffate fantascientifiche ››

‹‹ A meno che, dal momento in cui le pastiglie portavano il nome di ognuno di noi, non siamo collegati come coppia e non come gruppo... quindi io con Teresa e tu con Elizabeth ›› ipotizzò Thomas.

Allora guardai Newt, mentre indicava Thomas e provava ad argomentare per negare la sua teoria.

‹‹ Mi senti? ›› pensai, fissandolo.

Niente. Continuava a parlare.

‹‹ Newt! ›› pensai ancora, corrugando la fronte.

Voltò gli occhi verso di me, poi lentamente tutto il volto.

I suoi occhi balzarono da una parte all'altra della stanza.

Mi aveva decisamente sentita, ed ora non sapeva come comportarsi.

‹‹ Confermato? ›› chiese Thomas. Annuii e basta.

‹‹ Bene, ora non ci resta ch – ›› il campanello suonò. Mi vennero i brividi alla schiena in quel momento, come se qualcosa me la stesse toccando con un cubetto di ghiaccio ed una brutta, orribile sensazione s'impadronì del mio corpo.

Thomas, sbuffando perché ormai sembrava essere diventato il nostro portinaio, si alzò ed andò ad aprire.

Come al solito, niente di cui stupirsi, era Seok. Il suo sorriso irritante gli fece piegare le poche rughe che aveva sul volto, e batté le mani tra loro, strofinandole come se fosse soddisfatto di chi sa che cosa.

‹‹ Newt, Thomas... prendete le vostre cose. Voi due vi sposterete in un altro appartamento.

Comincia la vostra nuova fase di lavoro. Immagino che avrete già scoperto del nostro nuovo regalino per voi ››

‹‹ La telepatia? Già... potevate avvisarci, però... e perché dobbiamo spostarci? ››

‹‹ Questa fase di chiama lavoro a distanza. Vogliamo vedere come svolgete i vostri compiti a distanza dal partner ›› questa storia non mi piaceva per niente ‹‹ solo ascoltando la voce. Come se foste al telefono, insomma ›› proprio per niente. C'era qualcosa di più sotto, e lo si poteva capire da quel finto sorriso così tirato da far venire i nervi.

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Capitolo 21
*** Capitolo 21 ***


[- 12 ORE]

 

La casa era totalmente un mortorio senza di loro.

Non c'era più nulla di quello che utilizzavano. Non c'erano più le loro sedie, armadi... niente. Avevano portato via ogni cosa.
Era come se non avessero mai vissuto in quell'appartamento.

Ma la vita andava avanti, no? Ed i giorni passavano. Più lenti, ma passavano.
Era passato un mese ormai. Il computer era pieno zeppo di dati. Tutti uguali. O meglio, c'erano alcune cose che cambiavano, ma sostanzialmente per lo più i dati erano uguali e si ripetevano di continuo.

Non capivamo ormai nemmeno il motivo per cui continuavamo a guardarli e studiarli. Alla fine i risultati cambiavano di rado e mai in modo radicale, o comunque con qualche significato preciso e rilevante.

Era notte, ed era giunto finalmente il motivo di andare a dormire.
Per quanto ci fossero i nostri due letti e le nostre due stanze, Io e Teresa avevamo optato per dormire insieme, unendo i letti nella stanza più grande, così da colmare quell'enorme silenzio e vuoto che già regnava nella casa.

Era dura stare completamente sole, dopo che comunque, ormai, eravamo abituate al casolare... o comunque ad avere qualche persona in più. Dormire sole nelle camere da letto era fin troppo silenzioso.

‹‹ Qualcosa di nuovo? ›› domandai, cambiandomi i vestiti per infilarmi nel pigiama. Teresa era già a letto, e reggeva in mano un libro trovato nella libreria. Qualcosa di leggero, a detta sua, che l'aiutava a riposare la testa dopo tutti quei dati.

‹‹ Niente di troppo sconvolgente. Almeno ora non si tratta più di guardare solo il labirinto. Ma onestamente non capisco cosa stiamo osservando adesso. Anche Thomas è confuso ››

‹‹ Non ve l'hanno detto? ›› corrugai la fronte, camminando verso il letto per poi sedermi sul bordo. Io e Newt sapevamo che ora stavamo guardando i dati raccolti dalle scacertole nella radura. Perché per loro, invece, era rimasto un segreto?

‹‹ No... non ce l'hanno detto. Sappiamo solo che sono file delicati che non possiamo modificare ››

‹‹ Altrimenti? ››

‹‹ Non ci hanno detto le conseguenze, e non vogliamo rischiare ››

‹‹ Non lo trovate... sospetto? ›› sapevo che Teresa non era stupida. Ero certa che sia lei che Thomas stessero cercando di venire a capo della questione.
‹‹ Abbastanza, ma... d'altronde non abbiamo molta scelta, no? Siamo rinchiusi come topi da laboratorio. Cosa possiamo fare se non lavorare ? ››

Non aveva tutti i torti ‹‹ e comunque, anche sapendo cosa stiamo facendo, non abbiamo scelta che continuare a farlo. Se ci rifiutassimo di lavorare chi sa che cosa sarebbero in grado di fare a ... ›› si zittì, ma bastò a farmi capire cosa volesse dire. Non era un rischio disposta a correre.
L'ultima cosa che voleva fare era fare del male a Thomas. Quella distanza era troppo pesante...
Inspirai. La capivo, e lei lo sapeva.
‹‹ Voi avete un piano? ››

‹‹ Che piano? ›› chiese, sollevando appena lo sguardo ‹‹ non c'è nessun piano ››
‹‹ Vorresti dirmi che due cervelloni come voi non hanno minimamente pensato ad un piano su come distruggere la barriera? ››
‹‹ Quella barriera è fatta con una sostanza simile a quella dei dolenti. È morbida, ma quando entra in collisione con qualcosa – qualsiasi cosa – s'indurisce. È fatta per evitare le invasioni ed evasioni ››

‹‹ Quindi... non avete nessun piano, uhm? ›› la guardai attentamente, aspettando una sua qualsiasi reazione.

Sospirò, scuotendo la testa ‹‹ Thomas vorrebbe corrompere una guardia in qualche modo, ma allo stesso tempo sa benissimo che non è possibile farlo. Quindi vuole trovare un modo per uscire dalla stanza ed esplorare il posto ››

Non c'era concesso fare nemmeno quello. Non c'era concesso allontanarci dalla propria stanza.
Non c'era concesso vederci. Non c'era concesso fare niente, se non parlare telepaticamente.
Ora i nostri due appartamenti, che erano già lontani e divisi da corridoi vari, in tutto circa 11 minuti di camminata, erano ulteriormente divisi.
Al centro perfetto del corridoio principale che conduceva all'appartamento l'uno dell'altra, avevano eretto un enorme muro spesso e trasparente. Tutto per assicurarsi che fossimo divisi. Il fatto che fosse trasparente era, per loro, una dolce tortura evidentemente. Anche se fossimo riusciti ad uscire dai nostri rispettivi appartamenti per correrci incontro, potevamo vederci, ma non toccarci.
Potevamo parlare, ma non sentirci, se non telepaticamente.
Tenendoci chiusi in casa eravamo fuori dal contatto visivo... ma era comunque una tortura.

 

[ -10 ORE ]

 

‹‹ Liz... sei sveglia? ›› la voce di Newt risuonava nelle mie orecchie proprio come se fosse nella stanza, alle mie spalle.

Capitava ormai abbastanza spesso di finire col concederci qualche attimo di chiacchierata fuori dal lavoro. Piccole pause meritate.

Facevo in modo di assicurarmi che non perdesse la lucidità in quel modo, ed oltretutto la sua voce riusciva a rilassarmi i nervi e farmi smettere di pensare al fatto che non fossimo altro che topi da laboratorio.

‹‹ Sì. Non riesco a dormire. Non riesco a smettere di pensare ››

‹‹ Siamo in due ››

‹‹ Tu dorresti riposare, invece ››

‹‹ Solo perché sto per diventare uno spaccato non significa che debba necessariamente mettere un freno alla mia insonnia ›› scherzava. Si capiva dal suo “modo” di parlare... ma non volevo comunque pensare a quell'immagine. Volevo continuare a vederla come una cosa impossibile e lontana.

‹‹ Non lo diventerai. Ma comunque non è per quello. Hai lavorato più di me ››

‹‹ Sono una macchina da lavoro inarrestabile ›› ironizzò. Lo eravamo tutti.

Inspirai, stringendo il cuscino.

‹‹ Non riesco a smettere di pensare a quello schifo di muro ››
‹‹ Ti piace così tanto? ››
‹‹ Mi fa veramente ribrezzo. Ricordi quando l'ho toccato? Era come... gelatina, ma anche premendo non riuscivo ad oltrepassarla ››
‹‹ Ha comunque una piccola parte solida al suo interno. Io e Thomas l'abbiamo studiata ››
‹‹ Come? Avete trovato i file della costruzione? ››
‹‹ Sì, diciamo così. A Thomas è arrivata una mail con quelli al suo interno, c'era scritto di studiare bene la composizione e migliorarla ››
‹‹ Capisco... pensi che prima o poi ci permetteranno i riunirci tutti e quattro?
››

‹‹ Non lo so... spero di sì. Magari una volta terminata questa storia dell'esperimento del muro ››
‹‹ A voi hanno detto quando finirà? ››
‹‹ No. Comincio a sospettare che non finirà mai. Ho sentito la guardia parlarne, e nemmeno loro sanno a cosa serve di preciso. Forse per testare quanto è potente la telepatia, o forse semplicemente serve seriamente per assicurarsi che noi restiamo separati. O magari è per assicurarsi che una volta impazzito non tenti di ammazzarli
››

‹‹ Sei sempre così pessimista, uhm? ››

‹‹ Prova a darmi torto ›› non potevo nemmeno provarci, perché aveva tutte le ragioni per esserlo.
‹‹ Sono sicura non sia per quest'ultima cosa. Non avrebbe senso, avrebbero separato anche Thomas... ››
‹‹ Vai a capire cosa frulla per la testa di questi rincaspiati... magari hanno preso quest'appartamento come se fosse un'arena e quello che sopravvive diventerà il nuovo inseminatore dell'umanità, così che prosperi e crei tanti altri piccoli muni. O infetti. Dipende da chi sopravvive tra me e Thomas ››

‹‹ Newt, smettila... vedrai, è solo per vedere quanto è forte la nostra telepatia ››

‹‹ Bene... perché non voglio prendermi la responsabilità di condannare i miei figli a questa vita del caspio dove vai a dormire col pensiero che non sai se, una volta sveglio, sarai ancora in te ››
‹‹ Newt.... ››
‹‹ Forse dovrei chiedere agli scienziati di castrarmi o cose così. Non tutti quei laboratori avranno pur qualcosa che fa al caso mio ››
‹‹ Vuoi smetterla con le fesserie? ››
‹‹ Sono serio... io vorrei anche avere una famiglia, magari, un domani... ma se averla significa condannarla, allora meglio di no ››

Non sapevo cosa rispondergli. Anche io, fossi in lui, probabilmente la penserei allo stesso modo.
Ma lui, come Thomas, Teresa, Minho ed Eva per me... erano una famiglia. La mia famiglia.
Strinsi i pugni. Non avevo dimenticato Minho ed Eva, ed il pensiero che non sapessi minimamente dove fossero.... era agghiacciante.

‹‹ Ti capita mai di avere la sensazione che il tempo scorra troppo velocemente? ›› domandò Newt di colpo.

Sì. Avevo spesso quella sensazione, ed ero sicura di averla avuta anche in passato. Quella sensazione di impotenza di fronte al tempo. Come se dovessi essere una semplice vittima del fato... una marionetta.

‹‹ Sì... ›› anche in quel momento era così. Strinsi, un'altra volta, la mano contro il cuscino. Inutile. Mi sentivo inutile.

‹‹ Io ho la sensazione che il tempo stia per scadere... e non so precisamente il perché. Il tempo di cosa, poi? ››

‹‹ Sarà semplicemente lo stress, Newt... te l'ho detto, hai bisogno di riposare ››

‹‹ No, non è semplicemente un problema di stress... questa sensazione è più forte da quando è arrivata una mail a Thomas ››

‹‹ La mail del muro ››

‹‹ No, un'altra. Non ho idea di cosa dicesse. Non me l'ha fatta leggere ››

‹‹ Domani mattina prova a chiederglielo ››

‹‹ Già... sì, lo farò ›› prese una pausa di qualche minuto, e pensai quasi che stesse per addormentarsi ‹‹ sono felice che tu sia qui ››

sgranai gli occhi. Ancora quella sensazione di calore nel cuore. Avrei voluto seriamente essere lì con lui.

‹‹ Anche io ››

‹‹ Quando non avremo più il muro... voglio riuscire a portarti fuori da questo posto ››
‹‹ Mi stai chiedendo un appuntamento, Newt? ››
‹‹ Ti sto dicendo che voglio fuggire da qui con te ››
poi, come, come se la frase gli sembrasse strana, si corresse rapidamente ‹‹ e gli altri, ovvio ›› o meglio, specificò.
‹‹ Ci riusciremo... vedrai... ››
‹‹ Già... ora provo a dormire. Buonanotte Liz ››

‹‹ Buonanotte, Newt... ›› C'erano così tante cose che avrei voluto dirgli, e sentivo che c'era qualcosa in più da dire anche da parte sua. Probabilmente erano solo dei miei stupidi pensieri o desideri.

O paura, forse... ma cosa poteva fare così tanta paura a qualcuno che aveva affrontato la morte faccia a faccia, in quel labirinto? Lasciai che il mio corpo si abbandonasse al sonno, sperando che in quel modo riuscissi a spegnere i miei pensieri.

 

[ -20 Minuti]

 

‹‹ Buongiorno ›› mugugnò Teresa. Si era alzata inspiegabilmente tardi, ed il suo aspetto era più trasandato del solito.
Mi ero svegliata per prima, forse per via del mio essere rimasta sveglia fino a tardi.
Il suo viso era scavato da occhiaie, ed il mio passo, quella mattina, era un po' più lento.
Sarà forse il cambio di stagione – che non sapevo che stesse cambiando? –, o forse l'appetito che attanagliava lo stomaco?
Era stata una mattinata più pesante del solito, ed era cominciata fin troppo tardi.
‹‹ Hai sentito i ragazzi, oggi? ›› chiese Teresa. La sua voce era assonnata
‹‹ No, non ho ancora sentito Newt. Perché? ››
‹‹ Thomas non mi ha svegliata e non mi ha dato il buongiorno ›› trascinò i piedi fino al frigorifero, aprendolo pigramente per poi tirare fuori un cartone di latte ‹‹ è strano. In genere è lui a svegliarsi per primo ››
‹‹ Magari non – ››
‹‹ Liz! Uscite! Uscite da quella stanza! ››
‹‹ Eh? ››

‹‹ Che succede? ›› chiese Teresa, corrugando la fronte mentre versava il latte nella tazza di fronte a sé e cominciava a bere.
‹‹ Newt ha detto di uscire ››
‹‹ Mi hai capito benissimo! Uscite! ›› continuò Newt. La sua voce rimbombava nella mia testa. Stava gridando, e riuscivo a percepire tutta la sua preoccupazione. Traboccava limpida come l'acqua di sorgente ‹‹ Muovetevi! ››
‹‹ Teresa sta facendo colazione, perché tutta questa fretta? Non possiamo uscire, oltretutto. Ci sono le guardie, Newt ››
‹‹ Toglile la tazza. Liz, non farla mangiare, non farla bere, uscite e basta, okay? Correte verso la parete, trov – ››

Teresa crollò a terra, rovesciando la tazza che si ridusse in mille pezzi a contatto col pavimento.
‹‹ Teresa! ›› la chiamai, ma lei giaceva con gli occhi chiusi. Le sue labbra cominciarono ad assumere una colorazione violacea. Tutti in pochi attimi.
Mi avvicinai rapidamente a lei, sollevandole di poco il busto. Le occhiaie erano violacee quasi quanto le labbra. Afferrai la tazza e controllai il contenuto. Niente. Era latte. Avvicinai la tazza al naso per provare a sentirne l'odore. Niente di sospetto. Ero tentata di assaggiarlo, ma non ero idiota fino a quel punto ed il mio istinto di sopravvivenza era decisamente più forte della mia curiosità.
‹‹ Teresa è – ››
‹‹ Morta? ››
‹‹ Svenuta... credo. Respira ancora ››
‹‹ Merda. Tu come stai? Capogiri? Riesci a camminare? ››
‹‹ Sì, ci riesco ››
mi sollevai, sollevando con me anche Teresa, facendole passare un braccio attorno al mio collo. Pesava, okay... ma capivo che forse era il caso di seguire le istruzioni di Newt.
‹‹ Liz, ascolta attentamente ciò che ti sto per dire. Sappiamo il perché del muro. Hanno fatto passare, giorno dopo giorno, del gas nei vostri condotti dell'aria. Tra meno di 15 minuti ne libereranno una grossa dose ››
‹‹ Gas? ››
avanzai verso la porta. Il pavimento cominciò ad ondeggiare, ma cercai di tenere l'equilibrio.

‹‹ Gas col virus, sì. Ma questo è diverso, è frutto del laboratorio sperimentale. O ti infetta o ti ammazza, funge anche da potente veleno. Voi siete muni, il virus non può infettarvi, quindi... ››

‹‹ Perché? ›› non riuscivo a girare la maniglia. Scivolava. Non riuscivo a sbloccare la porta con la carta. Non riuscivo a trovare il modo per aprirla.
‹‹ Il test... è questo. Rimani con me. Resta concentrata. Vorrei dirti di non respirare ma è impossibile non farlo per tutta la strada, moriresti ancor prima di raggiungere il muro... quella dose, però, se non esci subito da lì ti farà morire di agonia. Teresa ha mangiato, quindi in lei è già sotto l'effetto soporifero... la seconda fase sono i dolori, la terza il mal di testa, come se ti stessero sciogliendo il cervello, ed il quarto emorragia interna ed infine... ››
Ed io dovresti restare calma? Era più facile a dirsi che a farsi... mi stava prendendo un panico assurdo.
‹‹ Quanto tempo dura la fase soporifera? ››
‹‹ Non lo so, penso vari da individuo ad individuo ››

Bene.
Inspirai, cercando ancora di aprire la porta. Ora cominciava a muoversi anche la maniglia. Era nauseante.
Scossi la testa, cercando di concentrarmi.
‹‹ Perché tutto questo? ›› Forse sapevo già la risposta, ma dovevo trovare un modo per restare concentrata.

‹‹ Vogliono che assistiamo alla vostra morte senza poter fare niente per aiutarvi. Vogliono vedere cosa prova il cervello quando effettivamente sei completamente impotente di fronte agli avvenimenti come questi, sopratutto quando riguarda le persone a cui teniamo ››
Perché? Questo era giocare con la vita delle persone. Questa non era una cosa umana.
Non che fossi seriamente stupita di una cosa simile... bastava pensare a quella trappola mortale che era il labirinto... Inspirai in modo isterico. La mano mi tremava dal nervoso che stavo accumulando
‹‹ Newt... la porta non si apre... ››
‹‹ Non c'è nessuno che la blocca. Hanno completamente sgomberato la vostra area. Deve aprirsi per forza ››
Aveva il tono di voce di chi stava cercando di convincere sé stesso. Cercava di rimanere calmo.
‹‹ Ci sto provando, ma non – ››
Si sentii il “clack” della porta sbloccarsi. Feci un passo indietro, aspettandomi che si aprisse e qualcuno entrasse in stanza.

Ma niente.
La aprii, affacciandomi. Il corridoio era vuoto.
‹‹ Si è aperta ››
‹‹ Mancano 11 minuti... corri ››
Il tempo necessario a raggiungere il muro.
‹‹ Ti prego, Liz ... non morire. ››
 

[ - 0 minuti ]

Newt aveva ragione. Non c'era nessuno nei corridoi. Era tutto silenzioso, tutto apparentemente normale. Raggiungere quella parete fu troppo semplice. Le gambe mi facevano male. Il corpo di Teresa era pesante, ma feci il possibile per raggiungere in fretta quel muro. Non sapevo quanto mancava.
Newt era lì, con Thomas alle sue spalle che reggeva in mano un fucile a scariche elettriche.
Mi fissava, ma io lo vedevo sfocato.
‹‹ Come ti senti? ››
‹‹ Stanca... e non vedo bene. È tutto sfocato ›› forse avrei dovuto mentire ‹‹ qual è il piano? ››
‹‹ Spareremo contro il muro finché non imploderà per il sovraccarico di corrente. Abbiamo già sparato dei colpi, e ci siamo procurati 4 fucili con cariche elettriche ››
‹‹ E le guardie dove sono? ››
‹‹ Abbiamo aperto la porta con facilità... abbiamo notato che non c'era nessuno nemmeno da noi. Non lo sappiamo, ma abbiamo trovato questi cosi nella stanza delle guardie vicino all'appartamento ››
poggiò la mano sul muro ‹‹ e non m'interessa nemmeno sapere dove siano. Spero siano crepati quei bastardi ››
Poggiai la mano a mia volta, poi, pochi attimi dopo, vidi Thomas mirare contro il muro.
Dal labbiale intuì che stesse dicendo un “allontanatevi” e così feci, reggendo saldamente Teresa.
Poco dopo lo sparo, l'intera parete si colorò di saette gialle e blu. Affascinante, ma i miei occhi ne risentivano sempre di più. Sentivo le forze abbandonarmi lentamente, ma dovevo tenere duro.
Ogni tanto il corpo di Teresa veniva scosso da tremiti.
Thomas continuava a sparare contro la parete.
Un colpo... due colpi... tre colpi....
Teresa di svegliò. Era confusa, e solo in quel momento notai che la sua pelle era imperlata di sudore.
‹‹ Il muro...? ›› era confusa. La voce impastata. Strizzava gli occhi, ma non si lamentava.
‹‹ Che succede? ›› chiese, ancora confusa ‹‹ quello è Thomas? ››
‹‹ Ci vedi? ››
‹‹ Discretamente... ho mal di testa... e mi fanno male le gambe, ma perché siamo nei corridoi? ››
‹‹ L'Hae a quanto pare ci ha avvelenate tramite i condotti dell'aria... ››
‹‹ Ho voglia di vomitare ›› lo disse con una tale calma che sembrava essere morta già a priori. Le sue occhiaie erano ancora ben visibili, le labbra praticamente nere come se si fosse messa del rossetto e la pelle pallida.... più pallida del solito pallore di Teresa ‹‹ sto morendo, quindi? ››
‹‹ No... no! Thomas e Newt stanno cercando di far saltare in aria la parete. Ce la faranno, vedrai! ››
‹‹ Con delle misere scariche elettriche? Patetico anche per loro ›› diede un colpo di tosse ‹‹ un patetico tentativo di liberarci da qui ›› si diede una piccola spinta, sperando che in questo modo potesse rimanere in piedi. Cadde a terra in ginocchio, a peso morto, e sbatté il viso. Un altro colpo di tosse. Il muro continuava ad illuminare la stanza con le saette. Ora anche Newt aveva cominciato a sparare. Teresa diede un colpo di tosse. Uscì del sangue dalla sua bocca.
Si trascinò fino al muro, poi ci poggiò sopra la mano ‹‹ vedi? L'elettricità non ci tocca. Stanno elettrificando solo la loro parte, ma senza fargli nulla. È immune a questo genere di cose. La materia l'assorbe, le particelle si allargano e muovono, ma torneranno tutte al loro posto una volta che avranno smesso di sparare. S'induriranno per qualche tempo, e poi... fine. Punto e a capo. E asciugati il naso, sta sanguinando ›› non me ne ero resa conto, ma... che importanza aveva?
Mi avvicinai al muro a mia volta, poggiandoci la mano una seconda volta.
Il tempo era certamente scaduto, ormai. Gli effetti detti da Newt poco fa non arrivarono. Forse era tutto sbagliato. Forse quel virus era diverso, o forse ci eravamo ammalate.
Sentivo dei dolori, in realtà, ed il sapore di metallo... ma niente di più. Il sangue fuoriusciva dal naso, ma tutto sommato... stavo bene.
Thomas e Newt abbassarono i fucili. Erano palesemente sudati. Forse quei cosi pesavano.
La mia vista era appannata, ma vedevo di fronte a me l'immagine del ragazzo biondo, che si avvicinava al muro.
M'inginocchiai.
Dovevo essere uno spettacolo osceno. Sentivo il sangue gocciolare sul pavimento, seppure con un suono distorto. Non sapevo nemmeno da dove stava uscendo, ma sentivo tutto il volto umidiccio.
Il muro al tatto era freddo, sembrava giaccio. Teresa aveva ragione. Si era indurito, ma non si era scalfito.
Non vedevo più Thomas, vedevo solo Newt, in modo sfocato ed impreciso.
Intravvidi un sorriso amaro. Sentivo in lontananza la sua voce nel mio cervello, insieme ad altri mille suoni simili a dell'acqua che scorre. O meglio, era come fossi all'interno dell'acqua.
‹‹ Ti prego, ti prego, non morire... ›› poggiai la fronte contro il muro. Il sapore del sangue che mi allagava la bocca cominciava persino a nausearmi ‹‹ ti prego... ›› cosa poteva uccidermi veramente, dall'interno, se quel momento? Forse ero morta ed ancora non lo sapevo. No... anzi, non lo ero ancora. Meglio morta, però, che in quel limbo in cui non potevo fare niente, se non guardare – per quel poco che vedevo – e sentire in lontananza la preghiera di Newt.
Chi era inutile in quel momento? Poteva esistere sulla terra qualcuno di più banale ed inutile di me? Dietro una parete. Chiusa in una casa ad 11 minuti di distanza da coloro che ritenevo l'unica famiglia mai avuta, e non ero stata in grado di fare niente per evitare che collassasse al suolo come stava collassando il mio corpo. Girai lo sguardo verso Teresa. Ora eravamo più vicine che mai. Ora toccavo il pavimento con tutto il corpo, ma non ero morta.
Pregavo qualsiasi Dio di portarmi via la vista. Teresa era lì, accasciata in preda a spasmi ininterrotti. Vedevo Thomas dall'altra parte del muro che gridava e tirava pugni. Le sue nocche insanguinate.
Mi sforzai di girarmi un'altra volta. Anche Newt dava pugni con entrambe le mani. Schizzi di sangue contro la parete trasparente.
Mi sentivo stupida. Inutile. Triste per avergli reso la vita un inferno... per fargli vivere quell'inferno.
‹‹ Me lo ricordo ›› pensai tra me e me ‹‹ me lo ricordo, quel giorno ››.
Ma che senso aveva ricordare ora quel giorno?
Quando sentii il mio stesso battito cardiaco accelerare, mentre Newt, chino, mi teneva tra le sue braccia. Aveva gli occhi lucidi anche quel giorno, ma oggi piangeva.
Quel giorno, come oggi, guardarlo negli occhi e non avere abbastanza forze per dire anche una sola parola era la tortura peggiore che un essere umano, o un essere dalle sembianze umane, potesse infliggermi. Cosa era cambiato oggi, rispetto a quel giorno?
Quel giorno la sua voce tremava, cercava di farsi forza, ma ogni suo singolo gesto tradiva il panico che cercava di trattenere.
m'implorava di non abbandonarlo, quel giorno... parole chiare ancora oggi “No, no, no, no... Liz... ascolta la mia voce.”.
Ma poteva toccarmi. Potevo provare conforto nel suo tocco, non solo nella sua voce. Ora avevo solo lo spettro di questa, ed un vago ricordo delle sue mani sulle mie guance.
Quante volte mi aveva vista morire? Quanto tempo durerà ancora questa tortura?
Perché questo mondo era così crudele? Cosa avevamo fatto di male?
Poggiai ancora la mano contro il muro. Non lo sentivo. Non sentivo la sensazione di freddo che mi dava prima. Sentivo solo la pressione del tocco. Il buio prendeva lentamente il sopravvento della luce sfocata, poi un altro colpo di tosse. Il buio. Un suono assordante. Non sentivo più niente. Non sentivo calore. Non sentivo pressione. Non sentivo sollievo, dolore, pace, odio, rancore... niente.

Era tutto buio.
 

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Capitolo 22
*** Capitolo 22 ***


‹‹ No, tranquillo. Non è niente di permanente ››

‹‹ Senti, pive... non sono ancora così tanto sicuro di potermi fidare di te ››

‹‹ Beh, allora, facciamo che credi bene a ciò che ti pare. Mi piace come il tuo essere diffidente non sia cambiato poi granché in questo schifo di buco. Dovresti comunque perdere questo vizio di metterti immediatamente sulla difensiva con tutti ››

Era tutto piuttosto ovattato, tutto piuttosto confuso e distorto, ma... bene o male riuscivo a seguire i discorsi. Non avevo ancora la forza di aprire gli occhi, mi sentivo ancora molto stanca e debole, ma... ero viva, e questo era importante.

Sentivo la voce di Newt, senza che fosse nella mia testa e... questo era una cosa buona.

O ero morta, ed ora ero uno spirito, o qualcosa aveva funzionato.

‹‹ quanto tempo, quindi? ›› la voce di Newt proveniva da sopra la mia testa. Ero poggiata su qualcosa. Non avevo il senso del tatto, ma sentivo la mia guancia schiacciata contro qualcosa.

‹‹ un'ora o due ›› non sapevo di chi fosse l'altra voce, ma aveva un qualcosa di confortante.

Non riuscivo nemmeno a parlare. Ero come dentro una bolla di sapone.

‹‹ Per entrambe? ›› questo era Thomas. Più distante da me.

‹‹ Teresa è più grave ››

‹‹ Teresa ha fatto colazione... Elizabeth non ha fatto in tempo a fermarla. Il cibo di quel posto era contaminato, come hai detto tu ››

‹‹ Hanno fatto questa cosa da quando siete andati via voi. Per un bel po' di tempo hanno mangiato piccole dosi di veleno, quella è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. I sintomi, però, su di loro sono stati differenti ›› un sospiro, poi dei passi nella mia direzione ‹‹ quindi questo significa che ogni soggetto reagisce in maniera differente ››
‹‹ Ehi, non la toccare. ›› disse Newt con un tono fermo e freddo ‹‹ giuro che ti taglio quella mano se solo ci riprovi ››

‹‹ Newt, ragiona, è grazie a lui se siamo qui ›› intervenne Thomas ‹‹ non è contro di noi ››

‹‹ Non significa che sia con noi ››

‹‹ Credi davvero che se fossi un vostro nemico vi avrei aiutato? Se avessi voluto farvi fuori, o fare del male alle ragazze, non vi avrei aiutato. Deficiente ››

‹‹ Idiota ››

‹‹ La volete smettere? Non sarebbe meglio concentrarci ora sulla seconda fase? ››

‹‹ Il problema è trovare la zona bruciata di questa zona. E voi senza ricordi non siete granché utili. Oh, sì, intendo, con i vostri pochi ricordi. ›› quest'ultima frase pesava una dose massiccia di sarcasmo. Chi sa da quanto tempo discutevano ‹‹ Inoltre il mostro esterno alle mura è piuttosto vasto per essere sondato così rapidamente. Il passo di un velocista è rapido, ma anche inesperto da queste parti. È completamente diverso da ciò che conoscevano tra le mura. Più ampio, con più scelte e, oltretutto, nettamente più pericoloso. Onestamente non so nemmeno come abbiate fatto la prima volta ad affrontare la zona bruciata...››
Piccolo attimo di silenzio.
‹‹ Minho se la sa cavare. Ed anche Eva ››

‹‹ Sì, ma amico, lì fuori ci sono gli spaccati ed esseri che nemmeno vorreste mai incontrare nella vostra vita. Esseri mostruosi mutati. Il virus qui è lievemente diverso dalla zona di Denver e compagnia allegra... qui la gente è matta. Ma matta sul serio. Avete visto ciò che vi ho mandato, no? ›› c'è stato un altro attimo di silenzio. Qualche click.

Per quel poco che sentivo col tatto, ero certa che il sangue mi si fosse gelato nelle vene.

Non sapevo dov'ero. Non sapevo cosa stesse succedendo.

Ma... Minho ed Eva, quindi, non erano al sicuro. Sapevo solo questo.

Quella “zona bruciata” mi fece tornare in mente la sabbia soffice, il caldo... la puzza, sangue, paura.. sensazioni negative.
Qualcuno mi passò accanto e si allontanò. Altri click, presumibilmente quelli erano rumori di una tastiera. Riuscii a capirlo ora, tanto che i miei sensi erano confusi.
‹‹ Vedi? ››

‹‹ Avrei preferito di no ›› rispose Thomas, con un tono di voce disgustato ‹‹ seriamente. Ma grazie per avermelo amichevolmente ricordato ››

‹‹ Quindi cosa possiamo fare? ›› intervenne Newt ‹‹ aspettiamo che i nostri amici vengano trucidati ed usati per degli esperimenti? ››

‹‹ Comincia a calmarti, Newt ››

Newt inspirò rumorosamente, mi sembrò quasi di sentirlo ringhiare ‹‹ Pive, mettiamo le cose in chiaro. Io non prendo ordini da te. Solo perché il muro si è spostato quando sei arrivato non fa di te il mio salvatore e Dio. Non mi va di affidarmi ad un tizio che compare dal nulla vestito da guardia che afferma di essere un mio vecchio amico. Uno con la faccia da caspio come la tua riuscirei a ricordarlo piuttosto bene ›› rise in modo sarcastico, inspirò, poi riprese ‹‹ ma, nonostante tutto quello che è successo, io sono seduto con il culo in salvo in un fottuto camion mentre i miei amici sono lì fuori, persi chi sa dove, e tu vieni a dirmi di calmarmi? ››

‹‹ Non possiamo fare altro che aspettare ››

‹‹ Cosa? Che muoiano? Che il virus mi divori il cervello? ››

chiunque stesse parlando con Newt emise una sorta di grugnito, poi un sospiro.
‹‹ Cielo, quanto sei testardo e pessimista. Guarda ch- ›› poi fu come fosse saltata improvvisamente la corrente. Nessun suono. Un attimo che sembrava un tempo infinito.

Di nuovo, ero sola.
Sentii come se il mio corpo vorticò su sé stesso. Poi diedi una botta improvvisa a terra.
Ero inginocchiata contro il terreno, e sentii chiaramente la mia faccia bruciare per via della botta.
Mi alzai dal pavimento pieno di polvere sulla quale mi trovavo.
Un vento fortissimo mi scompigliava i capelli, ed il caldo era tremendamente afoso. C'erano edifici, persone con qualcosa di strano. Somigliavano a zombie... si comportavano da zombie.
Il cartellone di fronte a me recitava le parole “centro di contenimento”, e nemmeno io sapevo perché riuscissi a leggere quei segni che sembravano tutto meno che lettere.
Il caldo era terribile. Mi resi conto sono in quel momento di star correndo. Verso dove? Perché?
‹‹ C.A.T.T.I.V.O. è buono ›› una voce nella mia testa, e pochi attimi dopo mi sentii investire dall'acqua alle spalle. Affogavo.
Una donna che mi guardava attraverso un vetro come se fossi in una sorta di teca.
Schemi. Schermi. Era tutto così soffocante. Le luci di un posto così strano, come se fosse tutto così estremamente tecnologico. Affascinante.
Molto affascinante, ma allo stesso tempo tremendamente soffocante e triste.
C'erano in ballo delle vite, sapevo solo quello. Perché, poi... ormai non mi chiedevo più niente. Non avevo motivo di farlo.
Ero lì solo per assolvere un mio compito, no?
Mi girai alle mie spalle in seguito ad una folata di vento talmente forte da scompigliarmi completamente i capelli.
‹‹ Per favore, Tommy... ›› la voce di Newt che pregava Thomas, e poi uno sparo.
Il calore così intenso da bruciarmi la pelle. Le mani impegnate di sangue.

Le mie mani.
L'odore inconfondibile di qualcosa che sta andando lentamente in decomposizione, ed infine abbassai lo sguardo verso le braccia.
Il volto di Newt, gli occhi spenti.
Era andata così? Aveva quell'espressione serena?
No, forse ricordavo male. Caddi all'indietro.
Acqua.
Galleggiavo. Il volto alto, a pelo dell'acqua, mentre fissavo il soffitto.
Ero in una piscina, e l'acqua era così profonda e nera da ricordare il vuoto.

I miei occhi fissavano quel soffitto buio che regnava sopra di me. Aguzzai la vista. Chiusi gli occhi per qualche secondo, riaprendoli poco dopo.

Il soffitto diventò una sorta di cielo stellato. Era ancora nero come il petrolio, ma ora sembrava essere più rassicurante. Mossi lievemente le gambe dentro quell'acqua nera e profonda.

Non avevo paura di quello che poteva esserci al suo interno.

‹‹ Non c'è niente di cui aver paura. Persino la morte è migliore di questo posto infernale ›› il mio cuore fece un piccolo sussulto nel sentire quella voce. Inspirai, chiusi gli occhi e girai il volto in quella direzione. Li riaprì, osservando la figura che galleggiava accanto a me ‹‹ meno caotica, comunque. Tutta una questione di un battito di ciglia. Poi silenzio. Poi non c'è niente. Solo riposo eterno ed una strana sensazione ›› poi sorrise in modo amaro. Gli occhi erano pieni di lacrime, la pelle pallida come il latte, ma le guance circondate di un dolce rossore ‹‹ nessuno si merita un destino così miserabile, non è vero, Eli? ››

‹‹ Nessuno meritava questo, Chuck ›› sussurrai.

‹‹ Ti ricordi di me? ››

Rimasi in silenzio. Guardai quel sorriso. La mia mente giocava brutti scherzi.

Ricordavo di Chuck? sì... poco, e solo in quel momento.

Nella mia memoria più remota il volto del bambino era ancora limpido.

Allungai la mano, sfiorando la sua guancia. Era fredda... proprio come quella di un morto.

I suoi ricci scendevano dolci lungo quel suo viso paffuto.

‹‹ Sì ›› risposi.

Lui sorrise ancora una volta, poi alzò il volto.

Era così bello e pacifico lì.

‹‹ Il mondo esterno non è così bello come tutti speravamo, vero? ››

‹‹ Per niente. Davvero. È una delusione ››

‹‹ Eppure io ci speravo ›› tutti ci speravamo.

Le nostre speranze, però, erano sotto la visione infantile di un bambino che non ricordava niente e non conosceva altro che le quattro mura. Eravamo come dei cuccioli in cattività.

Conoscevamo solo quel mondo.

Chiusi gli occhi. Quanto avrei voluto rimanere ferma così? In un posto pacifico... ma impossibile da mantenere? Forse, se avessi ceduto... forse, se mi fossi lasciata andare, sarei potuta restare in quel limbo eterno.

Forse... ma la realtà era diversa.

Cosa c'era sotto quell'acqua nera che avvolgeva il mio corpo?

Altro non poteva esserci, se non la vastità di morti che aveva seminato la C.A.T.T.I.V.O.

‹‹ Nemmeno questo... ›› mormorai e portai indietro il mio corpo, immergendomi completamente, decidendo di abbandonarmi a quelle acque. Non potevano farmi alcun male. Non più di quanto non avessero già fatto ‹‹ nemmeno questo, che altro non è che il mio cervello, è un posto pieno di pace. Sono solo ricordi confusi, no? Solo questo. Non ricordo niente di troppo preciso... e forse è meglio così. È una maledizione? Una punizione? ›› aprii gli occhi. Pezzi di vetro galleggiavano attorno a me. Il volto delle persone che conoscevo era perfettamente impresso in quei cocci.
‹‹ Forse sono morta ed ancora non lo so ›› pensai, ancora. Respiravo sotto quell'acqua così pesante ‹‹ no... non sono morta ›› Perché io non avevo il diritto di vivere una vita normale? O era questa la nostra realtà? Tutto questo.... aveva un senso?
 

Quando la luce colpii il mio viso, non sapevo nemmeno dove fossi. La spirale di ricordi sembrava essere svanita. Sembrava. Non mi sarei stupita di trovarmi di nuovo intrappolata dentro uno di questi.

In ogni caso, il fantasma di questi era ancora Re all'interno della mia testa.

Più lontani e meno nitidi rispetto a prima. Ormai non sapevo più nemmeno come sentirmi al riguardo.

La mia mente era veramente un posto così buio da farmi terrore da sola... non volevo ricordare, ma allo stesso tempo qualcosa mi teneva con le spalle al muro. Non avevo modo di sfuggire a questi. Dovevo ricordare. Dovevo sapere cosa c'era alle mie spalle. Chi avevo lasciato indietro e perché.

Ero certa che ci fossero un sacco cose e persone... un sacco di morti. Non avevano modo di continuare a vivere se non attraverso la nostra memoria.

Non era corretto nei loro confronti lasciarli indietro, cancellarli definitivamente.

Oltre al chiasso nella mia testa, fuori da questa, c'era silenzio.

Volevo perdermi in questo anche solo per qualche minuto.

Una mano mi accarezzava i capelli, e la superficie sulla quale il mio corpo ero poggiato si muoveva di continuo.

Fredda, dura... traballante. Eravamo chiaramente all'interno di una vettura.

‹‹ Un camion ›› pensai. La mia testa, però, era poggiato su qualcosa di lievemente più comodo.

Capii praticamente subito di essere poggiata su delle gambe. Il tessuto era caldo e lievemente ruvido, ma non fastidioso.

Aprii gli occhi lentamente, riconoscendo praticamente subito i pantaloni di Newt.

Aveva la testa poggiata contro la parete alle sue spalle. Gli occhi chiusi, ma chiaramente non dormiva, dato che la sua mano continuava ad accarezzarmi i capelli.

Inspirava profondamente, proprio come se fosse in procinto di addormentarsi.

I suoi occhi erano circondati da delle profonde occhiaie, e mi sorse spontanea la domanda di quanto tempo fosse passato.

Mi mossi appena, giusto il tanto da sistemarmi un po', e lui aprì gli occhi di scatto.

Spostò le mani, sfregandosele poi sul volto.

Mi sollevai e mi guardai attorno.

Thomas era dall'altra parte, sdraiato vicino a Teresa. Il volto della ragazza era ricco di venature bluastre e le labbra del medesimo colore... non ero poi così impaziente di scoprire il mio aspetto, allora.

Era tutto buio, se non per una torcia poggiata su una scatola e rivolta verso l'alto. Era abbastanza forte da illuminare quantomeno noi.
‹‹ Come ti senti? ›› sussurrò Newt, lasciando cadere pesantemente le mani contro le sue gambe.
Sentivo la lingua pesante.
‹‹ Bene ›› sì, stavo bene, ma ero tutta ancora intorpidita.
‹‹ Bene così ›› mormorò, poi sbadigliò

‹‹ Sei rimasto sveglio fino ad ora? ››

‹‹ Non importa, l'importante è che tu stia bene ››

Mi sentivo in colpa, dato che doveva riposare. Storsi le labbra, consapevole che tanto cominciare a dirglielo era solo uno spreco di fiato. Era testardo, e quella era una sua decisione ‹‹ dove siamo? ››

‹‹ Fuori dall'Hae per puro miracolo. Dei pive hanno fatto irruzione ed hanno disattivato il sistema del muro, poi l'hanno buttato giù appena in tempo ›› inspirò ‹‹ e ci hanno fatto fuggire da lì e caricati in questo... coso su quattro ruote. ››
‹‹ dove fiamo viretti? ›› okay, la mia lingua ogni tanto s'incantava mentre parlavo, ma poteva andare decisamente peggio.
‹‹ Non sono di molte parole. Solo uno di loro parla con noi, ma è fuori già da qualche ora. Hanno dato degli antidoti a te e Teresa, ma lei non sta reagendo molto bene... personalmente, sono molto preoccupato... ›› abbassai lo sguardo, scuotendo la testa. Non volevo che finisse nemmeno la frase.

‹‹ Doveva succedere anche a me ›› mormorai ‹‹ dovevo finire come lei ››

‹‹ Non dire così. Non è colpa tua... è stato solo un caso ››

Sì... forse era vero.

‹‹ Pensi che ce la farà? ›› domandai, nonostante in realtà non fossi così sicura di voler sapere la risposta. Lui scosse le spalle.

Quel silenzio bastava.

 

Passò quasi un giorno, ad occhio e croce. Non avevo contato il tempo, e nemmeno potevo farlo.

Ma tra una dormita e l'altra, il tempo era certamente passato. Silenzio.

Solo il rumore delle ruote che solcavano chi sa quale strada diroccata. Ogni tanto qualche sasso colpiva l'auto, qualche dosso, qualche urto. Ma oltre questo, niente.

Newt finalmente aveva preso sonno, ed io ero più sveglia che mai mentre fissavo il vuoto.

Non sapevamo niente.

Né dove fossimo diretti, né quanto tempo ci avremmo impiegato a raggiungere quel posto – qualunque fosse –.

Per tutto il tempo non ho fatto altro che rimanere seduta a fissare quel soffitto dall'aria veramente poco rassicurante. Il mio respiro ogni tanto diventava pesante, a momento faticavo ad inspirare, ma non volevo far preoccupare ulteriormente il povero Newt, che finalmente si era concesso quell'attimo di riposo. Si era raggomitolato in sé stesso. Sembrava un gattino.

A parte il mio respiro, per il resto non potevo lamentarmi.

Rispetto a Teresa ero certamente messa meglio: non avevo venature evidenti in volto... quantomeno, non rialzate come le sue, a detta di Newt.
Respiravo molto meglio, non mi lamentavo dei dolori – se non per un lieve mal di testa – e non rantolavo nel sonno.

Un tonfo da sopra le nostre teste mi fece sobbalzare. Alzai il volto. Sembravo essere l'unica ad averlo sentito.

Thomas, Teresa e Newt non fecero una sola piega.

Qualche passo, poi una sorta di portellone dal “soffitto” si abbassò, facendo entrare i raggi solari.

Una scala si calò fino a toccare il pavimento, e qualcuno entrò.

Indossava una sorta di maschera scura.

Tirò fuori dalla tasca un telecomando, premette un tasto e la scala tornò su, chiudendo anche lo sportellone.

La tolse e si chinò fino a raggiungere la mia altezza.

‹‹ Ben svegliata, Aurora ››

‹‹ Aurora? ›› domandai, corrugando la fronte ‹‹ Temo che tu mi stia confondendo ››

‹‹ Aurora è la bella addormentata nel bosco. È una favola, parla di una principessa che – … ah, niente, lasciamo stare ›› scosse la mano, poi mi sorrise in maniera così naturale da farmi quasi venire un senso di nostalgia. Aveva due occhi azzurri come il cielo della radura. Il volto era sporco di nero, terribilmente abbronzato. Sotto quell'elmo verde militare, s'intravvedevano i capelli scuri.

‹‹ Sono contento che tu sia viva, Elizabeth ›› disse, allungando la mano verso i miei capelli e scompigliandoli ‹‹ molto, molto felice. Sopratutto del fatto che siamo riusciti ad arrivare in tempo. E poi... ›› fece un cenno con la testa in direzione di Newt ‹‹ almeno il biondino qui si da una rilassata. Era un cane rabbioso ››

Abbassai lo sguardo in direzione di Newt. Non ero stupita dalle parole del ragazzo, in tutta onestà. Conoscevo Newt abbastanza bene da capire che quella situazione, indubbiamente, lo avesse reso nervoso ‹‹ come ti senti, comunque? ››

‹‹ Bene ›› tagliai corto ‹‹ ma... tu, chi sei? Parli come se ci conoscessimo ››

‹‹ Noi ci conosciamo, infatti ›› si lasciò cadere all'indietro col sedere, sedendosi di fronte a me ed incrociando le gambe. Sorrise in modo quasi malinconico, ma cancellò quasi immediatamente sorriso e si grattò la nuca ‹‹ Mi chiamo Huan. Da quando l'Hae ci ha separato è andato tutto a puttane. Non ti ricordi di me... lo so. Stiamo lavorando per ottenere una formula abbastanza potente da eliminare il siero ›› diede un piccolo colpo di tosse, poi inspirò.

‹‹ Okay, Huan ›› ero confusa da quel nome così strano. Sembrava... coreano, insomma, asiatico. Ma lui aveva i tratti che ricordavano tutto meno che un asiatico.

‹‹ Ci stiamo mobilitando, inoltre, per ritrovare Minho ed Eva. Io e gli altri eravamo fuori fino a poco fa. Un elicottero sta monitorando la zona ››

corrugai la fronte ‹‹ E l'hae? ››

‹‹ Quel mucchio di idioti non sono un problema per noi. Io sono più fico di loro ›› sollevai un sopracciglio. Quel tizio era strano.

‹‹ Okay...? ››

‹‹ La mia mente è chiaramente più intelligente della loro ›› cominciò ‹‹ posso nascondere la presenza dell'elicottero ai loro fottuti monitor da quattro soldi. Abbiamo anche qualche aiutino in più che loro non hanno previsto ››

‹‹ Del tipo? ››

‹‹ Non preoccuparti, lo scoprirai a breve ›› alzò il volto in direzione del soffitto.

‹‹ Puoi dirmi dove siamo diretti? ››

‹‹ Al salto nel cielo ›› corrugai la fronte. Huan si alzò, passandosi le mani sui pantaloni. Notando la mia evidente confusione, scosse lievemente la mano, schiarendosi poi la voce ‹‹ è il posto dove si nascondono i fuggiaschi dell'Hae ››

‹‹ Non ha un nome rassicurante ››

‹‹ Non è il nome che deve rassicurare, ma le persone al suo interno ›› il veicolo si fermò quasi di colpo.
La testa di Newt scivolò giù dal braccio sulla quale era poggiata, sbattendo contro il “pavimento”. Imprecò, poi si sollevò lentamente, massaggiandosi la fronte.

Guardò il ragazzo di fronte, grugnì infastidito – probabilmente dalla sua presenza –.

Chiunque ci fosse al volante, seriamente, faceva schifo nelle frenate.

Ma Huan era tranquillo, quindi rimasi tranquilla anche io.

Senza dire nulla, Huan si alzò e si apprestò ad avvicinarsi a Thomas e Teresa.

Era come una sorta di mammina, in quel momento. Teresa aveva il volto gonfio, rantolava, e le sue mani andarono a cercare immediatamente quelle di Thomas.

Nel vedere quella scena, seppure breve, mi sentii quasi mancare l'aria dal pugno di sensi di colpa che colpì il mio stomaco. Avrei dovuto fermarla. Avrei dovuto fare qualcosa di più.

‹‹ Siamo arrivati? ›› chiese Newt con la voce impastata.

‹‹ Credo di sì ››

‹‹ Bene così ›› Newt si mise in piedi, stiracchiandosi. Le sue ossa emisero un suono talmente forte da permettermi di sentirlo nonostante fossi abbastanza distante da lui.

Sentii delle voci arrivare dall'esterno del camion.

Huan camminò verso una delle pareti e, rapidamente, cominciò a girare manopole e cose simili. La mia attenzione, però, venne catturata da Thomas. Mi avvicinai a lui rapidamente, pronto ad aiutarlo a sollevare Teresa, ma Huan mi anticipò.

Non era per niente invogliata a camminare. Non sembrava nemmeno esserne in grado. Le sue vene erano ingrossate all'inverosimile. Sembrava essere fatta di plastica.

‹‹ Ehi, spostati. Ci penso io ›› disse Newt, poggiando una mano sulla spalla di Huan ‹‹ apri quel coso, piuttosto, così possiamo uscire da questo forno ››

La frase era impostata come se fosse un ordine, ma il suo tono di voce era calmo.

Sotto sotto, Newt era evidentemente grato.

Quando Huan aprii quell'enorme portellone e la luce entrò in stanza, la pelle di Teresa sembrò quasi brillare.

Ora la sua pelle pallida era ancora più accesa rispetto a quelle venature.

‹‹ Resisti ›› sussurrò Thomas, poggiando la fronte contro quella della ragazza ‹‹ ora ti cureranno. Tra poco sarà tutto finito ››

Strinsi i pugni. Newt prese Teresa sotto braccio, così come fece Thomas, ed in due cominciarono a scendere dalla rampa poggiata all'uscita del portellone, trascinando la ragazza che, intanto, rantolava senza dire una singola parola.

Ma a me la domanda sorgeva spontanea: dovunque stessimo andando... potevamo seriamente fidarci?

Dubitare era più che normale, date le esperienze passate.

Deglutii, poi inspirai. Tanto ormai non potevo andare da nessun'altra parte, anche se fosse.

Non potevo fare altro che lasciarmi trascinare dagli eventi, da brava marionetta quale mi ero rivelata essere.

Cominciai a camminare anche io all'esterno.

Un passo dietro l'altro, lento e tremante. Sentii una folata di vento caldo. Terribilmente caldo.

Quando arrivai sulla rampa, la prima cosa che vidi fu un enorme cartellone. Distrutto.

Arrugginito. Le lettere sbiadite.

“Benvenuti al salto nel cielo”.

Dietro questo c'era un enorme edificio grigio, pieno zeppo di finestre rotte.

Rimasi imbambolata di fronte a quella scritta.

‹‹ Qui sarete al sicuro ›› disse Huan, poggiando una mano sulla mia schiena per spingermi a scendere dalla rampa. Mi voltai alle mie spalle. Altri mille edifici completamente distrutti.

Una sorta di città fantasma, quindi.

Newt e gli altri, intanto, continuavano ad avanzare, accompagnati da altri due ragazzi – apparentemente – che indossavano abiti militari.

Il camion alle mie spalle, dopo un segno da parte di Huan, si mise in movimento per andare altrove, abbandonando la rampa che, nel cadere, emise un suono fastidiosissimo.

‹‹ Che posto è questo? ›› chiesi, cominciando a seguire Huan mentre prese a camminare. Non potevo fare altro che seguirlo, quindi...

‹‹ Un punto d'incontro per berghe e simili. Prendilo come un aeroporto ›› s'infilò le mani nelle tasche, poi sollevò lo sguardo al cielo ‹‹ Come vedi, siamo circondati da palazzi distrutti... apparentemente ›› indicò il palazzo verso la quale stavamo camminando ‹‹ in modo esterno, quel coso sembra reggersi per miracolo. In maniera molto più interna ci sono dei vetri spessi ed oscurati. L'interno è piuttosto sicuro, ma non potevamo permetterci di dare nell'occhio con lavori di manutenzione e simili. La nostra fortuna è che quegli scemi dell'Hae non si preoccupano di fare accertamenti. Vedono un edificio distrutto ed è tutto in regola. Per quello che ne sanno, questo posto potrebbe essere semplicemente abitato da spaccati e simili. Invece, beh... qui passano berghe ed elicotteri ogni volta che ce n'è bisogno, eccetto quando ci sono i giri di ricognizione di quegli idioti. Ovviamente sono monitorati, altrimenti a quest'ora ci avrebbero già scoperti ››

Corrugai la fronte ‹‹ e dove sono diretti? ››

‹‹ Alla nuova base dell'Eden. È l'unica vera associazione che si preoccupa di fare qualcosa di concreto. Voi non ricordate questo posto, ma eravate qui prima ›› scosse la testa ‹‹ o meglio... eravamo. Al momento, comunque, questo punto d'incontro – il salto nel cielo – si preoccupa di prendere i ragazzini da quel posto e portarli in salvo. Mi dispiace essere arrivato tardi da voi, ma avevo bisogno di un occasione precisa per potervi prendere.

Pensa che avrei dovuto aspettare persino più tardi. In teoria eravate tutti destinati alla fase due, insieme a Minho ed Eva, ma qualcosa ha fatto cambiare loro idea ››

‹‹ Il fatto che fossimo coinvolti in qualche modo nella creazione del labirinto, forse ›› mormorai, sperando che lui non mi avesse sentito. Speranza vana, ovviamente.

Corrugò la fronte.

‹‹ Forse ›› rispose ‹‹ qualcosa la ricordi, quindi ››

‹‹ Qualcosa qua e là ››

Un ragazzo con i capelli blu camminava a grandi falcate nella nostra direzione. Sembrò spuntare completamente dal nulla, ma in realtà, sicuramente, proveniva dall'edificio di fronte.

In pochi attimi, arrivò di fronte a noi. Mi sorrise. Anche lui, sicuramente, mi conosceva.

‹‹ Elizabeth. Huan. Sono felice che siate qui. Prego. Seguitemi. Vi sta aspettando ››

Tutto troppo veloce.

Avevo fin troppe domande, ancora. Domande che necessitavano di una risposta.

‹‹ Lui è Nathan ›› disse Huan.

Come se avesse avuto un comando preciso, il ragazzo – Nathan – cominciò a camminare..

‹‹ Sembra una bambola, ma è molto di più ›› aggiunse Huan, guardandomi con la coda dell'occhio, poi lo indicò con un cenno della testa, mentre cominciava a seguirlo (ed io a mia volta).

Quel Nathan, in effetti, sembrava fin troppo perfetto.

La pelle pallida, che quasi brillava a contatto con la luce. Gli occhi blu elettrico, i capelli dello stesso colore... era fin troppo perfetto. Persino il suo passo aveva qualcosa di non umano.

‹‹ È molto teso oggi, da quando ha saputo del vostro arrivo. A detta sua non vi siete lasciati nel migliore dei modi. Ero stupito. Non pensavo che i cybor come potessero ancora provare emozioni simili, tipo la vergogna ››

‹‹ Che diavolo è un Cybor? ›› mi sentivo stupida, ma a me certi vocaboli sembravano completamente essere assenti.

Huan sbuffò ‹‹ è vero, ora siete come dei bambini a cui bisogna insegnare le basi ›› schioccò la lingua ‹‹ alla faccia dei “bambini prodigio” ››

‹‹ Ehi! Vorrei vedere te al posto mio! ››

accennò un sorriso, poi mi guardò. Poco dopo, allungò la mano e prese tra due dita la punta del mio naso, portandomi a scuotere lentamente la testa ‹‹ ti sto prendendo in giro, scema. Comunque, sono degli esseri umani a cui sono stati impiantati circuiti e simili. Ad alcuni di loro – come il caso di Nathan – sono stati sostituiti interi organi. A Nathan, con l'ultimo aggiornamento, per così dire, hanno estratto un pezzo del cervello e sostituito con un pezzo artificiale. È il motivo di base per cui sono riusciti a prendere Chuck. Non ha potuto fare niente per impedirlo. ››

‹‹ Chuck? ›› nella mia mente, per un attimo, si era palesata la faccia del bambino riccioluto.

Strinsi la mano per un attimo.

‹‹ Chuck... ›› ripetei sottovoce ‹‹ conoscevo un bambino con quel nome... ma non so che tipo di rapporto c'era... a stento ricordo la sua faccia. Sono sicura di averlo sognato da poco ››

Huan rimase in silenzio ad ascoltarmi, senza dire una parola.

‹‹ Non ricordo il rapporto precedente con nessuno di voi. Non del tutto. Qualcosa di Newt e gli altri... ma, per esempio, di te no ››

Annuì. Non sembrava triste. Sembrava conoscere bene quella situazione.

‹‹ Ti ho sentita parlare di Chuck solo una volta, insieme a Thomas. Era un bambino conosciuto nella radura. Era grassottello ed ingenuo. Sicuramente troppo giovane per la radura. Thomas ha detto che è morto prima di riuscire ad uscire definitivamente dal labirinto, ma non ha mai parlato del perché.

Sicuramente non era nulla di bello. Pensa che Newt, tanto che non voleva sentire l'argomento, aveva completamente abbandonato la stanza. Povero bambino... la sua morte non doveva essere delle migliori ››

Abbassai lo sguardo. Quindi, Chuck doveva essere uno dei nomi presenti nella mia lista delle persone morte.

Se era vero quello che suggeriva la mia memoria, allora, io facevo parte veramente di coloro che avevano creato quell'inferno di labirinto.

‹‹ So cosa stai pensando ›› continuò ‹‹ ma non puoi colpevolizzarti. Fidati. Vivere nel rimorso non ti aiuterà... in ogni caso, non c'entri con la sua morte. I creatori hanno tutte le colpe di questo mondo... voi siete stati solo degli strumenti nelle loro mani. Non avevate alcuna scelta. E, comunque, tu e Newt non c'entrate con la struttura in sé. Siete i creatori dei dolenti, è una questione diversa ››

‹‹ Abbiamo comunque contribuito a quello schifo... e stavamo continuando. Non ho idea di cosa stessimo esaminando, ma – ››

‹‹ La C.A.T.T.I.V.O. è stato il vero schifo, non voi ›› intervenne Nathan. Quindi aveva sentito tutto ‹‹ ciò che ricordi in maniera sparsa è l'associazione peggiore del mondo. L'Hae era una brutta copia, ma si spacciava per buono. È una cosa buona che la sua vera faccia è uscita allo scoperto. Ciò che stavate esaminando erano i corpi dei velocisti nella zona bruciata. Dati sempre uguali, con poche differenze, no? Le differenze sono gli stress mentali. Quando alti, significa che il virus nel loro corpo sta reagendo al calore e allo stress. Tecnicamente Minho ed Eva sono muni. Praticamente il virus in questa zona è evoluto. I dati che raccoglieva l'Hae erano piuttosto errati. Hanno provato in diversi modi a capire come e dove agisse questo genere di virus, ma si basavano sulla falsa via della C.A.T.T.I.V.O. ›› finalmente giungemmo ai piedi dell'enorme palazzo. Varcammo la soglia diroccata e, sempre con passo rapido, giungemmo all'entrata. Il portone era distrutto, apparentemente.

Una volta aperto, di fronte a noi, trovammo una porta metallica con una tastiera accanto.

Nathan premette una serie di bottoni numerati, poi uno più grande senza numero o lettere, e questo diventò Rosso.

‹‹ Per quanto rude, il metodo di ricerca della C.A.T.T.I.V.O. aveva dato i suoi frutti ›› riprese Nathan, entrando – seguito da noi – in quello che si rivelò essere un ascensore una volta che la porta si aprì ‹‹ ma si tratta, appunto, di un virus più “basilare” rispetto a quello evoluto (per mano loro, perché sono chiaramente idioti). I risultati che ottenevano erano di base. Sottoporre un corpo a quel tipo di stress, utilizzando bene o male gli stessi metodi della cattivo, li portavano di continuo agli stessi ed identici risultati. Sempre uguali. Le differenze dei test erano pochi: altri mostri, creature diverse, diversi labirinti – sì, non eravate gli unici – misti tra maschi e femmine di diverse “etnie”, ma... sempre le stesse cose. Sempre la stessa pappardella ›› premette il tasto col piano a cui eravamo destinati, poi inspirò ‹‹ gli altri labirinti avevano solo altri geni all'interno. Ma il vostro era il favorito solo perché c'eravate voi al suo interno. Non a caso era il più numeroso ed il più pericoloso sotto il punto di vista “test”. Recuperare addirittura i D2MH è stato, wow, scenico. Erano talmente disperati da tentare di smuovere qualcosa in voi anche attraverso quello. Patetici ››

‹‹ Se non riuscivano ad ottenere dei risultati, allora perché continuare quei test? ››

‹‹ Erano disperati. Non li voglio giustificare, ma l'essere umano è in grado di provare qualsiasi cosa, senza guardare in faccia nessuno, pur di ottenere dei risultati ›› chiuse un attimo gli occhi, poi li riaprì ‹‹ ecco perché erano arrivati ad utilizzare i bambini per i loro test ››

‹‹ Bambini? ›› nella mia mente, immediatamente, si palesò la faccia del bambino all'interno del labirinto. Mal concio, denutrito... e subito realizzai, ancor prima che Nathan spiegasse.

‹‹ Conducevano esperimenti atroci sui bambini ››

‹‹ L'immagine che ho mostrato a Thomas e Newt riguardavano questo, oltre che schemi sulle fasi e su ciò che accadeva nel vostro appartamento ›› la porta dell'ascensore si aprì, e Nathan uscì, facendoci cenno di seguirlo.

‹‹ Preferisco mostrartelo direttamente di persona, però... ti spiego ›› i corridoi che stavamo attraversando erano tutti completamente illuminati. Non c'era segno di finestre o chi sa che. Sembrava di stare in un infinito corridoio d'hotel (per quello che potevo ricordare di un hotel). Tante porte una attaccata all'altra, una moquette rossa sotto i nostri piedi e delle pareti color legno.

‹‹ All'interno dei loro laboratori hanno un sacco di bambini, per lo più legati e mal nutriti. Alcuni vengono dati in pasto ai loro mostri, per vedere se in determinate circostanze il virus si ribella al punto di portarli ad uccidere i mostri, o sviluppare capacità in grado di combattere. Altri vengono sottoposti a cicli giornalieri di punture con il virus, per vedere se il corpo reagisce creando una sorta di immunità, ad alcuni viene prelevato qualcosa, ad alcune bambine (o ragazzine), viene indotta una gravidanza per poi iniettare il virus e vedere se, in quel modo, il bambino nasce immune, perché nato già esposto al virus. 2 bambini su 20 sono nati immuni, altri sono malati sin dalla nascita o nati morti ›› si fermò di fronte ad una porta ‹‹ questi sono solo alcuni esempi. In quelle stanze abbiamo visto lo schifo dello schifo ››

‹‹ Non sono sicura di voler vedere con i miei occhi questo genere di cose ›› avevo la voglia di vomitare solo a sentirlo con le mie orecchie. Non potevo credere a quello schifo. Non volevo.

E dire che ero nello stesso posto in cui accadevano quelle cose. Sotto il mio stesso tetto.

E non ne sapevo niente.

Nathan, che era pronto ad aprire la porta, ritrasse la mano ‹‹ se non vuoi, non ti costringo ››

‹‹ No.. non voglio ›› sarò suonata egoista, forse. Ma non volevo.

Avevo seriamente i brividi lungo tutto il corpo.

‹‹ Va bene ›› guardò Huan, come se stesse cercando un consenso da parte sua. Lui annuii, passandosi una mano tra i capelli, e prese parola.

‹‹ Avete scoperto qualcosa? ››

‹‹ Su chi, in particolare? ››

‹‹ La posizione degli altri. Abbiamo esplorato un pezzo della zona bruciata, mentre venivamo, ma non abbiamo trovato nulla ››

‹‹ Si sono spinti molto oltre la zona che avevamo previsto. L'Hae ha nuovamente spostato il loro punto di ritrovo. Anche in questo si è differenziata dalla C.A.T.T.I.V.O.. Quando loro ›› mi indicò col capo ‹‹ hanno affrontato la zona bruciata, il punto del porto sicuro era già stabilito ››

‹‹ Abbiamo affrontato la zona bruciata? ››

‹‹ Ovviamente sì ›› rispose, scuotendo le spalle per farmi capire che, in quel momento, non era una domanda appropriata ‹‹ qualcosa deve averli spinti ad allungare ulteriormente la prova. In questo momento ci sono delle persone che stanno muovendo dei droni in zona per trovarli. Non penso ci metteranno più di qualche ora, sempre che la tempesta di sabbia non decida di colpirci ››

‹‹ Che abbiano scoperto qualcosa? ››

‹‹ Dubito, nessuno di loro ha fatto un esame del sangue. Si stanno limitando al cervello. Continuando sulla cianografia della C.A.T.T.I.V.O.. Non hanno capito che il virus, qui, attacca anche il sangue ›› ecco, quindi, quella famosa differenza ‹‹ o, se l'hanno capito, escludono anche ph della pelle, organi, muscoli e occhi. Hanno fatto un bel casino col virus, e non lo stanno monitorando per niente. Probabilmente è per questo che hanno allungato il percorso... dobbiamo trovarli prima che decidano di allungarlo ancora, o tutti i soggetti moriranno strada facendo. Questo posto è pieno di mutati e malati ››

 

 

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Capitolo 23
*** Capitolo 23 ***


‹‹ Ehi... come mai ancora sveglio? ›› domandai, andando a sedermi sul divano in pelle nera che si trovava al centro di quella sottospecie di dormitorio.

In quella base ci avevano fornito delle camere private, un letto comodo, un bagno privato... trattati come re, insomma. Un sollievo.

Newt si girò. In mano reggeva una bottiglia di chi sa cosa, ormai oltre la metà. Inspirò.

‹‹ Pensieri notturni ››

‹‹ Sei un gran pensatore come sempre, mh? ››

‹‹ Sta volta è diverso ›› portò la bottiglia vicino alle labbra, rilassandosi sul divano ed affondando ancora di più in esso. Bevette un sorso, poi inspirò ‹‹ sono felice di trovarmi qui, e di poter in qualche modo mettere fine a questa storia, ma... non so. Non ne sono sicuro... cioè, sì, voglio mettere la parola fine a tutto questo, ma... ››

‹‹ Ma...? ››

‹‹ Cosa accadrà dopo? ›› poggiò la bottiglia. L'etichetta di questa era strappata per metà, ma il liquido al suo interno era trasparente ‹‹ cosa faremo? Huan ha anche detto che recupereremo la memoria persa. Dice che ne varrà la pena, e che saremo felici... eppure... ››

‹‹ Se non vuoi recuperarla non sei costretto a farlo ›› capivo la sua paura... la capivo benissimo.

Recuperare la memoria significava certamente ricordare cose che forse era meglio aver dimenticato.

Anche io ne ero terrorizzata.

Newt scosse la testa ‹‹ forse devo ›› inspirò, poggiandosi una mano sul collo. Poi, in modo frustrato, sollevò la testa al soffitto ‹‹ forse alcune cose voglio ricordarle. Ma altre no. Chiaramente non c'è modo di scinderle, ed è questo che mi preoccupa ››

‹‹ Cosa hai paura di ricordare? ››

‹‹ Cose che ho fatto in passato ›› arricciò il naso. Per quanto riabbassò il volto, riuscii chiaramente a vedere il suo sguardo perso altrove. Talmente intenso da darmi la sensazione di poterci vedere attraverso ciò che la sua mente stava esplorando

‹‹ Nei piccoli tratti di flashback che ho... vedo solo morte, dolore, sofferenza... e a volte ›› abbassò lo sguardo sulle proprie mani. La sua espressione assunse una sfumatura di puro disgusto misto a terrore ‹‹ ho la sensazione di avere le mani sporche di sangue, in quei flashback... sangue non mio.

Ed a volte, invece... è tutto buio. In uno dei miei ultimi flashback sentivo freddo, ed era tutto buio. Era come se fossi morto ››

Deglutii e spostai rapidamente lo sguardo.

La sensazione simile a quella era piuttosto comune, a quanto pare. Ero certa di aver vissuto qualcosa di simile anche io.

‹‹ Se scoprissi di aver ucciso delle persone, probabilmente, non mi darei pace ››

‹‹ Sai benissimo che non era una nostra scelta... magari – ››

‹‹ Si trattava di un male minore per un bene maggiore ›› completò la frase, ma scosse la testa ‹‹ non esiste, non è una giustificazione ››.

Ci fu un silenzio terribile per qualche secondo.

Poi, inspirò per l'ennesima volta.

‹‹ Ricordi che quando stavamo mangiando, un po' di tempo fa, ti dissi di aver avuto un sogno terribile per cui non avevo molto appetito? ››

‹‹ Quando mi hai dato la coscia di pollo? ››

‹‹ Sì... bene. Ho sognato un palazzo enorme... ero chiuso lì, in mezzo a tanti spaccati. Non so bene perché ero lì, ma c'eri anche tu. C'era una puzza terribile. Poi c'era una rivolta in corso ›› scosse la testa ‹‹ ed altre cose che non voglio ricordare. Erano chiaramente dei ricordi. Forse sono sempre stato uno spaccato ed ora ho del calmante nelle vene. Forse – ››

Poggiai una mano sul suo volto, scuotendo la testa ‹‹ non è niente del genere. Ne sono sicura, Newt... se fosse stato tutto così semplice, come iniettarti un calmante nelle vene, allora avrebbero già trovato una cura, non pensi? Anche solo un placebo ››

‹‹ Allora come mi spieghi questa visione? ››

‹‹ Non la spiego... non so cosa ci sia dietro questi frammenti di memoria, ma se proprio vuoi arrivare fino in fondo a questa storia, allora... dovresti veramente valutare l'idea di recuperare i ricordi. Altrimenti lascia stare ›› sposai la mano, ma lui la riafferrò rapidamente, riportandosela sul volto. Chiuse gli occhi, come se volesse sentire meglio quel tocco.

‹‹ L'unica cosa che vorrei seriamente ricordare... è il legame che c'era tra noi ›› lasciò la mano, a quel punto, riaprendo gli occhi ‹‹ penso seriamente che prima fossimo amanti ››

‹‹ Cosa? ››

‹‹ Hai capito bene cosa ti ho detto ››

forse sbiancai ed arrossì allo stesso tempo. Il mio cuore cominciò a battere come un pazzo. Perché era giunto ad una conclusione simile? Su quale base?

Lui indietreggiò, andando a recuperare la bottiglia. Sembrava fin troppo tranquillo, ma c'era qualcosa, nei suoi movimenti, che tradiva quella calma.

Forse il modo in cui afferrò la bottiglia per il collo, come se fosse semplicemente un modo per trattenersi dal fare qualcos'altro.

‹‹ Io vado a letto ›› disse, senza girarsi. Mi stava dando le spalle.

‹‹ A-aspetta! Perché lo pensi? ››

‹‹ Lo penso e basta ›› fece un cenno con la mano ‹‹ non te lo so spiegare. È così e basta... ora non ho voglia di parlare di questo, scusami. Ho troppe cose per la testa ››

‹‹ Non puoi gettare un idea simile e poi fare finta di niente! ›› perché?

Perché ero così insistente, ora?

Eppure, ero pietrificata.

Parlavo, ma non mi muovevo.

‹‹ E cosa dovrei fare, secondo te? ›› sbuffò, girandosi di nuovo ‹‹ l'unico che potrebbe sapere qualcosa è Huan, al momento. Ma diciamo che non è tra le nostre priorità adesso, Liz ››

‹‹ Lo so... lo so, scusa ›› in effetti... cosa mi aspettavo?

Lui scosse la testa, girandosi ancora. Un altro cenno per salutarmi, e poi si avviò verso la sua camera.

Non era una risposta. Non poteva esserci una vera risposta. Era solo una supposizione.

Parlarne con Huan in quel momento sarebbe stato un gesto idiota.

Non era quella la priorità.... gli altri lo erano.

Certo, c'era qualcosa... fino a quel momento non mi ero mai concentrata su un pensiero simile.

Io e Newt amanti? Perché?

Sì, era un bel ragazzo.

Sì, lo sentivo vicino... molto vicino. Sentivo che c'era qualcosa tra noi, ma... amanti?

Nella radura era tutto teso come un filo tirato...

 

Durante la notte non avevo praticamente chiuso occhio.

Mi era stata data una pastiglia che mi permetteva di respirare, ma avevo sudato tutta la notte. Mi avevano avvertita riguardo quell'effetto collaterale... ed era l'unico modo per aiutarmi a controllare quelle venature e quella sensazione pessima. Avrei dovuto prendere quella medicina per un mese. Era uno schifo, ma almeno appena sveglia ero in grado di guardarmi allo specchio senza avere i conati di vomito alla vista di tutte quelle vene.

Mi ero recata in una stanza insieme a Newt e Tommy. Dovevamo incontrare Huan e compagnia cantante.

Sembravamo tutti degli zombie... ed io non riuscivo ad incrociare lo sguardo di Newt. Mi sentivo ancora strana.

‹‹ Allora, ho buone notizie e cattive notizie ›› Huan, il ragazzo dagli occhi di ghiaccio, aveva un malloppone di fogli in mano. Eravamo seduti attorno ad un tavolino. L'unico che sembrava riposato, dentro quella stanza, era proprio Huan.

‹‹ Quale volete sentire per prima? ››

‹‹ Fai tu ›› rispose Newt, giocando a far roteare una penna di fronte a sé

‹‹ Okay, la prima buona notizia è che Minho, Eva e gli altri velocisti sono in salvo ››

Tutti sollevammo le spalle. Un sorriso si disegnò sulle mie labbra, ed ero prontissima ad alzarmi per andare ad abbracciare il ragazzo. La situazione si era ribaltata di colpo.

Ma ovviamente

‹‹ La cattiva, è che a tirarli in salvo è stato l'Hae ›› niente è come sembra.

‹‹ Cosa...? Non avevi detto che saresti riuscivo a – ››

‹‹ Sì, lo so quello che ho detto ›› borbottò, arricciando le labbra ‹‹ a quanto pare c'è stato l'ennesimo cambio di programma ››

‹‹ Andiamo a riprenderli, allora, no? ›› Newt quasi ringhiò pronunciando quelle parole, ma l'espressione di Huan era tutto fuorché preoccupata.

‹‹ Non è così semplice ›› disse tranquillamente ‹‹ c'è una nota positiva nel loro ritiro. Sappiamo dove si trovano, quindi sappiamo dove andarli a prendere... ma non dobbiamo farci prendere dall'emozione della cosa. L'Hae ha incrementato le misure di sicurezza. Dobbiamo muoverci con cautela se non vogliamo saltare in aria come l'ultima volta ››

Corrugai la fronte. In che senso?

‹‹ Ed è qui che entra in gioco Chuck. Anche se è piccolo ha un intelligenza incredibile. È il baby cyborg più potente che si sia mai visto... ha pezzi di Jillian in sé, e questo ci faciliterà con la tracciatura di Eva attraverso le telecamere di sicurezza all'interno della base dell'Hae. Nathan si occuperà di comandare le berghe in modalità attraverso il pilota virtuale, Chuck di disattivare i sistemi di sicurezza... ma ci vorrà un po' di tempo per questo. Bambino prodigio o no, sono un ammasso di codici particolari... dovrà analizzare molte cose contemporaneamente, e sfortunatamente ha un pessimo senso della collaborazione. Quindi, pensavo che forse se tu ed Elizabeth rimaneste con lui durante il processo, lui comincerebbe ad essere più collaborativo. Si ricorda di voi ››

 

 

Da quel giorno, l'operazione “recupero” cominciò.

Io e Newt fummo accompagnati nella piccola stanza con il bambino.

Un bimbo con le guance grosse, rosee, gli occhi gialli. Sembravano emanare scintille. I capelli erano biondini. Sorrise ed allungò le braccia in direzione di Newt, appena lo vide. Sembrava aver visto chi sa cosa.

Il bambino con noi interagiva in maniera attiva. Camminava per stanza – male, ma lo faceva –, ci portava oggetti, penne, matite, provava a parlare.

I giorni trascorrevano in modo tranquillo, e lui non si opponeva nemmeno quando dicevamo “ora basta giocare”. Capiva, rimaneva in silenzio e fissava il vuoto – apparentemente –. I suoi occhi, a quel punto, diventavano scuri.

Rimaneva più tempo ad elaborare i dati solo quando io e Newt restavamo vicini. Quindi si creavano situazioni imbarazzanti, perché, ancora, non avevamo parlato di ciò che aveva detto.

Finivamo col chiacchierare di tutt'altro.

Come, per esempio, di Teresa e Thomas, di come si stesse riprendendo la ragazza...

Evitavamo anche di chiederci cosa avremmo fatto una volta recuperati anche Minho ed Eva.

Era come se la prospettiva del futuro fosse bassa.

A me, in effetti... spaventava a morte.

Non parlavamo più nemmeno del virus dentro il suo corpo. Ogni tanto abbandonavamo la stanza a turni, per fare controlli vari, riposini, pausa bagno. Ma qualcuno rimaneva sempre col bambino. Non poteva stare solo.

‹‹ Adesso basta, Chucky ›› disse Newt, poggiando il bambino sulla poltroncina a forma di orso ‹‹ sai cosa devi fare. Poi, quando hai finito, andiamo a dormire. Che ne dici? È tardi, sai? ›› Newt era sorprendentemente bravo con quel bambino. E lui pendeva dalle sue labbra.

Io mi sentivo decisamente negata.

Chuck ridacchio, poggiando le sue mani paffute sulle guance di Newt ‹‹ Nanna! ››

‹‹ Sì, dopo ››

Non parlava molto, ma quando lo faceva, in genere, era solo con lui.

New spostò delicatamente le mani del bambino, ed a quel punto lui capì. La sua espressione cambiò radicalmente, ed entrò nella sua solita trans. Newt, quindi, si spostò accanto a me.

Incrociò le braccia, ed evitò accuratamente il mio sguardo.

‹‹ Quindi... lo prenderai? ›› chiese Newt.

Sulle prime non capii, ma poi ricordai.

Non avevamo parlato nemmeno più dei nostri ricordi.

Huan, giusto q quella mattina, aveva menzionato la quasi completezza del siero per eliminare quello del blocco. Non mi ero ancora soffermata a pensarci.

‹‹ Sì ›› dissi infine, ma di getto. In realtà dovevo ancora rifletterci su.

‹‹ Bene così ›› rapidamente, voltò lo sguardo. Appena in tempo, cominciai a guardare dritto. Ma perché mi sentivo così idiota nel fissarlo?

Probabilmente perché, la notte sopratutto, mi mettevo a rimuginare sulle sue parole ma non avevo il coraggio di dirglielo.

Eppure... realizzai che quella sensazione e quel pensiero, in realtà, barcollarono nella mia testa più di una volta.

Amanti. Fidanzati? O solo un'avventura? Eppure io non ricordavo nemmeno di aver dato il primo bacio, figuriamoci di aver fatto sesso.

‹‹ Ti auguro di ricordare solo cose positive. Non hai la faccia di una che fa cose stupide ›› poggiò la mano sulla mia testa, battendoci delicatamente la mano ‹‹ anche se ne hai fatte parecchie ››

‹‹ In che senso? ›› brontolai, corrugando la fronte

‹‹ A partire dal fatto che continui ad evitare il mio sguardo da quando ti ho detto della mia teoria sul fatto che fossimo amanti ›› incrociò le braccia contro il petto, poi, chiuse gli occhi ‹‹ ed altri dettagli che ricordo un po' sparsi qua e là. Il tuo esserti lanciata dentro il labirinto, per esempio ››

‹‹ Tu non prenderai il siero? ››

‹‹ Alla fine ho deciso di no. Deciso definitivamente ›› riaprì gli occhi ‹‹ diciamo che, considerando che dovrò morire, voglio farlo senza avere memoria delle cazzate fatte prima ››

‹‹ Newt, non m – ››

‹‹ Sì, invece ›› il suo sguardo si fece tagliente, come per farmi capire quanto fosse serio ‹‹ Non c'è una cura reale a questa cosa. Huan mi ha raccontato che ero già un non mune da prima di entrare nel labirinto. Ha detto che il mio corpo ha già subito gli effetti devastanti dell'eruzione, prima di venire qui in corea... non è entrato nei dettagli. Mi ha solo detto che avevano trovato un modo per guarirmi. Il mio corpo probabilmente era provato, e venire qui ha risvegliato qualcosa ›› eppure, il suo aspetto era del tutto normale.

Boccheggiai e, nervosamente, afferrai una ciocca dei miei capelli, cominciando a rigirarmela tra le dita ‹‹ ci dev'essere un modo... ››

‹‹ Per il momento no. Il fatto che gli effetti stiano tardando la vedo come una nota positiva, ma non è una garanzia. Vuol dire solo che su di me ha un effetto più lento. Ma comunque, questo non cambia la promessa che mi ha fatto Tommy. Appena i sintomi cominceranno a prendere il sopravvento sulla mia sanità mentale, voglio che mi uccida. Non voglio farvi correre nessun rischio. La mia vita, comparata alla vostra che siete muni, vale meno di zero ››

rimasi in silenzio, ma con lo sguardo incatenato al suo.

Provare a fargli cambiare idea era inutile, e questo lo avevo capito. Eppure, anche se le sue parole erano estremamente fredde, riuscivo a vedere qualcosa nel suo sguardo. Paura, forse... in fondo anche lui, come me, era solo un ragazzino. Anche lui meritava della pace.

Eravamo stati costretti a crescere in fretta, ad affrontare cose terribili contro la nostra volontà, e chi sa quante altre cose avevamo affrontato e non avevamo la minima memoria.

‹‹ Non ti posso obbligare a cambiare idea... capisco che è una tua scelta, ed è giusto che tu la faccia. Non sei più un bambino... e se questo è ciò che vuoi, va bene. È una tua scelta anche il non voler prendere il filtro ›› accennò un sorriso alle mie parole, annuendo.

 

 

Passarono due giorni.

Tutto era stato schematizzato. Tutto era pronto.

Il piano era far infiltrare Thomas, Newt e Huan. Solo loro. A detta loro bastavano.

Identità false, nel dubbio. Sarebbe andato tutto bene,

 

 

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Capitolo 24
*** Capitolo 24 ***


Sarebbe andato tutto bene.

Huan aveva con sé una sorta di orologio digitale... apparentemente. In realtà mi disse che si trattava di un mini computer contenente tutti i codici e la mappa della base.

Mancavano meno di due ore all'inizio dell'operazione.

Intanto io, Thomas e Teresa eravamo seduti in una piccola sala d'attesa. Teresa era migliorata. Poco, ma era migliorata. Ora respirava, ma parlava a fatica.

Newt non c'era. Preferiva stare con il bambino... ed in ogni caso, non era interessato a recuperare la memoria. Lo aveva già messo in chiaro. Noi eravamo lì solo per quello.

Gli scienziati del posto facevano avanti e indietro, senza ancora chiamarci. L'attesa era più lunga del previsto, e tutto perché volevano assicurarsi di non commettere errori, e quindi avevano ben deciso di dare un'ultima revisione.

Ero piuttosto in ansia, ma non per il dover prendere il siero: dopo quell'ora, Newt, Thomas e Huan avrebbero messo piede all'HAE. Di nuovo.

Solo loro.

In quella base non conoscevano solo il volto di Huan, per cui Newt e Tommy avrebbero avuto accesso alla base come guardie, coperte da capo a piedi.

Huan si sarebbe spacciato per uno scienziato, ed avevano creato un documento identico a quello che utilizzano all'interno della base.

Sarebbe andato tutto bene.

Continuavo a ripetermi in loop quella frase come se fosse un mantra.

Sarebbe andato tutto bene.

Ma... sarebbe stato veramente tutto così facile? Perché fino a quel momento non c'era stata una singola cosa così facile.

Avrei solo voluto passare quell'ora insieme a Newt per assicurarmi che stesse bene.

‹‹ Ragazzi, potete entrare. Vi prego... uno alla volta. ›› disse uno degli scienziati.

Un ragazzo biondo con un paio di occhiali dal dubbio gusto ed un enorme cicatrice sull'occhio destro che scendeva fino al mento ‹‹ chi vuole entrare per primo? ››

‹‹ Teresa, vai tu ›› disse Thomas, alzandosi per porgere la mano alla ragazza ‹‹ così poi potrai andare a riposare. Sei molto debole, restare sveglia ed in piedi non ti aiuterà ››

‹‹ Okay ›› brontolò la ragazza.

Era ancora debole e mogia, ma non prese la mano di Thomas per alzarsi. Camminò con passo sicuro verso lo scienziato, entrando nella stanza non prima di aver fatto un cenno con la testa verso di noi.

Fino a quel momento lei e Thomas avevano discusso per la decisione del ragazzo di infiltrarsi nell'Hae senza di lei.

Teresa aveva capacità quasi superiori a quelle di Thomas.

Era più sveglia e molto più perspicace, ma chiaramente non era d'aiuto ridotta in quello stato.

Io non potevo andare solo perché dovevo stare con bambino, per assicurarmi che rimasse concentrato.

‹‹ Pensi che farà male? ›› chiesi, guardando Thomas.

Il ragazzo era talmente perso nei propri pensieri che a stento era riuscito a sentire la mia domanda. Infatti, ci mise un po' a rispondere.

‹‹ No. Ma penso che molte cose probabilmente non vorremmo nemmeno ricordarle.

Nei flashback ho visto cose molto brutte. Lo interpreto come una preview di quello che mi aspetta ››

‹‹ Già... anche io ››

‹‹ Mi dispiace che Newt non voglia ricordare niente ››

annuii. Non avevo una vera risposta.

D'altronde era una scelta sua... e potevo capirla.

Dall'altra... non avevo fatto altro che continuare a rimuginare sul fatto di essere amanti.

C'era un vortice di sensazioni attorno alle parole. Sensazioni vissute, ma di cui non avevo memoria.

Una mancanza.. un vuoto.

Un qualcosa che non riuscivo a spiegarmi. Il fatto che da quel giorno in poi avrei avuto la conferma o meno di quella teoria mi rendeva euforica ed allo stesso tempo spaventata.

Sarei stata l'unica a saperlo e ricordarlo... Avrei potuto dirlo anche a lui, ma poi... l'unica a ricordare qualcosa sarei stata comunque io.

Eppure, c'era anche un grosso macigno che non capivo.

Un blocco, e non era causato solo dalla memoria assente.

Era anche quello a spaventarmi.

No, c'era qualcosa di ben diverso.

‹‹ Bene, ora a chi tocca? ›› Teresa uscì dalla stanza.

Mi alzai prima che potesse farlo Thomas.

‹‹ A me ›› dissi.

Volevo togliermi subito il pensiero.

‹‹ Sicura? ›› chiese Thomas, seguendo Teresa con lo sguardo mentre andava a sedersi accanto a lui. Aveva un grosso cerotto sulla tempia.

‹‹ Sì ›› risposi, ed entrai nella stanza.

Era tutto bianco e puzzava di alcool.

Al centro della stanza c'era una poltrona color panna, circondata da lampade e attrezzi medici.

Eravamo solo io e quello scienziato... faceva piuttosto impressione.

‹‹ Siediti, Eli ›› obbedii.

Almeno la poltrona era comoda.

Mi guardai attorno, mentre lui si avvicinava ad un piccolo carrello vicino alla porta con sopra diverse fiale con un liquido azzurrino. Nella sua mano reggeva una siringa piuttosto lunga.

Quindi... considerando che Teresa aveva un cerotto sulla tempia, il liquido veniva iniettato direttamente... lì?

Sgranai gli occhi.

Improvvisamente non volevo più stare lì dentro.

‹‹ Tranquilla, è indolore. Ti farei addormentare, ma mi servi sveglia e reattiva. Un solo errore e ti trasformo in una rincaspiata a vita ››

‹‹ Non ho idea di come una puntura alla tempia possa essere indolore ›› mormorai

rise tra sé e sé, per poi rivolgermi uno sguardo ‹‹ ti assicuro che il dolosiero fa molto più male. Hai sentito, per caso, grida da parte di Teresa? ››

‹‹ Teresa ha una soglia del dolore decisamente più alta della mia ›› ed era verissimo.

Lui scrollò le spalle, premette un po' sulla siringa, fino a far uscire del liquido. Ecco, era pronto.

Poggiò la siringa un attimo e si cambiò i guanti, poi, prese un pezzo di cotone e lo imbevette nell'alcool. Con calma si avvicinò a me, prese il mio viso e me lo fece girare di lato, poggiato allo schienale della poltroncina. Ero rigidissima, e riuscivo chiaramente a sentire tutti i miei nervi e muscoli tesissimi. La vista di quell'ago, anche se ora era lontano da me, mi metteva i brividi. Era piuttosto lungo.

‹‹ Mi dispiace, so che non è il metodo migliore. Stiamo lavorando per renderlo delle pastiglie, ma... è palese che in voi quelle non basteranno. L'unico modo per toglierlo da voi è agire direttamente sul problema con una siringa. Devi stare immobile, okay? Vuoi che ti leghi? ›› disse, passando il cotone bagnaticcio sulla tempia.

‹‹ Posso svenire? ››

‹‹ Preferirei di no. Mi servi sveglia, ma comunque ti assicuro che è tutto indolore. Forse sentirai solo una sorta di pizzico, ma Teresa non mi ha detto niente. Se vuoi possiamo parlare, così ti distraggo ›› Certo, deve essere proprio facilissimo distrarsi con un ago lunghissimo nel cervello. Inoltre, nelle condizioni in cui si trovava Teresa, certamente non avrebbe sentito una puntura del genere ‹‹ ma devi stare immobile, okay? ›› si spostò andando a recuperare l'ago. Spruzzò una seconda volta il liquido, ed io mi sentii il cuore balzare fuori dal petto.

‹‹ Ecco ›› pensai ‹‹ ora muoio ››

Si avvicinò. Ai miei occhi stava camminando a rallentatore.

Tutta quella scena, nella mia testa, la stavo vivendo lentissima.

Una volta davanti a me, deglutii, e strinsi con le mani i braccioli della poltroncina.

‹‹ Quali sono i tuoi primi ricordi? ›› chiese Justin, tastando un ultima volta la tempia con il cotone.

‹‹ Nella scatola... quando sono arrivata nella radura ››

‹‹ Soli uomini? ››

‹‹ Misti ››

Sentii chiaramente il rumore dell'ago che perforava la pelle. Chiusi gli occhi.

Bruciava. Li strizzai.

La pressione si sentiva tantissimo.

‹‹ Non hai ricordi relativi alla prima radura? ››

Mi sforzai di non svenire, ma sentivo i suoni in maniera strana.

‹‹ Non molti. Perlopiù confusi... ››

‹‹ Beh... forse da una parte è meglio, sai? Dall'altra è un peccato. Quando eravamo nella radura il mondo era più semplice. Era un posto piccolo, ma accogliente a modo suo. Anche se c'era puzza di... beh, di maschi. Le docce c'erano, ma immagina a fine giornata, quando avevamo tutti sudato come dei maiali ››

‹‹ Tu eri lì? ›› chiesi ‹‹ ci conoscevamo? ››

‹‹ Ci conoscevamo già prima di arrivare lì. Sono Justin, eravamo colleghi alla C.A.T.T.I.V.O., diciamo così. Ti ricorderai di me più tardi. Spetta a te se gioire o meno nel rivedermi ››

‹‹ In quanto tempo agirà? ›› iniziavo a provare una certa nausea.

E calore.

Eccessivo calore.

‹‹ inizierai a ricordare le cose tra un'ora. Entro un massimo di quattro ore o poco più ricorderai tutto. Potresti avere un bel po' di mal di testa, ma per te non sarà un problema, ti darò delle medicine da prendere... il problema sarà per Thomas. Vedrò di dargli qualcosa di liquido che potrà bere anche in missione ››

Questo sì che era rassicurante.

Estrasse l'ago piuttosto lentamente e con altrettanta attenzione di quando l'ha “immerso”, poi, passò il cotone nel punto bucato ‹‹ fatto. Com'è stato? ››.

‹‹ Non male come temevo, ma è stato fastidioso ›› borbottai. Mi alzai lentamente dal divano. Il pavimento sotto di me sembrava essere fatto di gelatina.

Era terribile. Mi sentivo... drogata.

‹‹ Tieni questo ›› Justin allungò la mano verso di me. Reggeva un piccolo contenitore grigio.

La sua mano sembrava muoversi in modo buffo.

Presi il contenitore, arricciando il naso ‹‹ è la medicina? ››

‹‹ Sì. Prendila con l'acqua, mi raccomando, ma prima mangia qualcosa. Ora ti sentirai come se avessi mal di mare, quindi, per favore, fa come Teresa e siediti per almeno dieci minuti, poi potrai camminare quanto vorrai ››

Mal di mare? Era come se fossi sulle giostre o dei tappetini elastici!

Non mi sentivo nemmeno più le gambe, camminavo perché sapevo di essere in piedi, ma era come se stessi fluttuando e scivolando allo stesso tempo.

La mia vista era completamente distorta. Vedevo ogni cosa come fosse fatta di plastilina e la stessi modellando. Era terribile.

Comunque, annuii. Thomas, vedendomi sicuramente in difficoltà, mi venne incontro. Prese la mia mano e mi condusse fino alla poltroncina. Il mio sedere non fu mai così contento di poggiarsi su una superficie come in quel momento.

 

Lasciai passare quei beneamati dieci minuti... ma ne passarono venti prima che riuscissi a muovere un solo muscolo senza sentirmi come se fossi uno fatta di melma.

Non avevo spiccicato parola. Mi sentivo decisamente stupida. Non mi ero nemmeno resa conto che, durante quei venti minuti, Teresa aveva preso le forze per tornarsene in camera sua a dormire e Thomas era dalla stanza.

Ora quello mezzo collassato sul divano era lui.

Aveva le labbra schiuse, la testa poggiata contro il muro alle sue spalle ed il viso rivolto verso l'alto.

Tutti i muscoli del suo corpo erano accasciati, morbidi. Sembrava sotto effetto di qualche strana e potentissima droga.

M'imbarazzai tantissimo all'idea che probabilmente io, fino a qualche attimo prima, fossi nelle sue stesse identiche condizioni.

Arricciai le labbra ed annuii tra me e me. Ora potevo andare da Newt.. .considerando, soprattutto, che mancava veramente poco alla partenza.

Con passo sicuro – nonostante ogni tanto le pareti ed il pavimento, ai miei occhi, tornassero un po' sfasati – camminai in direzione della stanza con Newt ed il bambino.

Non era distante, ma affrettai comunque il passo per raggiungere la stanza il prima possibile.

Cosa avrei fatto, durante quel tempo? Quei pochi minuti che avremmo passato assieme.

La mia testa era carica di pensieri, e ogni volta... passare del tempo con lui, per quanto facessi fatica ad ammetterlo, diventava complicato per la mia testa.

Soprattutto da quando lui aveva tirato fuori quella sua teoria.

Quando aprii la porta, Newt era seduto su una sedia, col busto disteso lungo il tavolino. Il bambino era per terra che giocava con delle costruzioni. Sembrava una scena da famiglia.

Non volevo svegliarlo, comunque: mi bastava stare lì anche se Newt dormiva beato... era giusto che si riposasse prima di partire.

Quindi, facendo attenzione a non fare rumore, mi sedetti sulla sedia accanto alla sua.

Le labbra erano schiuse appena. Era nettamente meno sgraziato di Thomas in modalità “drogato”.

Il suo viso era rilassato, e notai solo in quel momento un segno di una piccola cicatrice sul suo volto. Chi sa quando se l'era fatta... e perché.

Tuttavia, fissarlo in quel modo mentre dormiva mi faceva sentire una stalker, ma non feci in tempo a muovermi che il bambino, probabilmente di proposito, fece chiasso sbattendo le costruzioni per terra e con forza.

Newt sobbalzò sul posto, sfregandosi poco dopo le mani contro gli occhi.

Avrei voluto rimproverare Chuck, ma mi limitai a guardarlo in modo contrariato. La sua risposta, fu un sorriso sgargiante.

‹‹ Com'è andata? ›› chiese Newt, con la voce impastata, e poco dopo sbadigliò.

‹‹ Non ha fatto poi così male. Tutto bene, direi. Tra qualche ora dovrei ricordare tutto ››

‹‹ Bene così ›› si stiracchiò. Sentii chiaramente il rumore delle sue ossa ‹‹ spero che saranno solo cose positive. Sinceramente, ne hai bisogno ››

Tutti ne avevamo bisogno. Anche lui ne aveva bisogno.

Il suo sguardo balzò rapidamente verso l'orologio appeso alla parete. Sentivo quei minuti pesare sulla mia testa come se fossero mattoni accavallati.

Più il momento della sua partenza era vicino e peggio era.

Non volevo che partisse.

Non volevo che tornasse nel raggio dell'hae. Volevo andare con lui...

‹‹ Sei preoccupato? ››

‹‹ No ›› accennò un sorriso ‹‹ sono carico. Ho affrontato un labirinto, questo, in confronto, non è niente ›› si alzò dalla sedia. Il suo corpo sembrava quasi tremare. Forse era l'adrenalina. Il suo tono di voce risultava calmo e normale come sempre, eppure...

No, forse erano solo le mie paranoie ‹‹ la mia unica preoccupazione, è quella di non riuscire a salvare i nostri amici. Tutto qui. E poi, mi chiedo cosa succederà, alla fine di tutto questo. Ma sotto sotto sono piuttosto convinto che farsi delle aspettative levi tutto il divertimento dell'avventura, no? Tanto, ormai, ho capito che niente andrà mai secondo i miei piani in questo caspio di posto ›› schioccò rumorosamente la lingua contro il palato ‹‹ quindi in realtà farsi delle aspettative diventerebbe solo una delusione ››

‹‹ Beh, io penso che dopo tutto questo, semplicemente, potremmo vivere delle vite in modo relativamente normale ›› scrollai le spalle ‹‹ e fare cose normali. Conoscere delle persone nuove, crearsi un futuro... cose così ››

‹‹ Ovviamente chiusi tra quattro mura ›› Newt si portò una mano sulle labbra, ed improvvisamente il suo sguardo sembrò mutare. Diventò pensieroso, e per qualche secondo si spense completamente.

Si accigliò.

In effetti non potevo nemmeno sapere cosa fosse una vita normale, quando io la normalità probabilmente non l'avevo mai conosciuta.

Per me era normale anche stare in quella stanza con lui.

Cos'era la normalità, se non un concetto soggettivo, in quel mondo? Chiusi tra quattro mura per evitare i contagi, circondati da scienziati che faceva avanti ed indietro 24 ore su 24 ad analizzare delle cose per scoprire un vaccino ad un virus mortale.

Era quella la nostra normalità, no?

‹‹ Sempre meglio che essere là fuori... se proprio devo dirtela tutta, non mi piace l'idea che tu a breve sarai lì ››

‹‹ Per poco ››

‹‹ Non importa, promettimi che cercherai di tornare indietro sano e salvo ›› annuì, poi accennò un sorriso.

Si avvicinò, abbassandosi appena per avere il viso alla stessa altezza del mio. La sua espressione era uguale a quella di un bambino con l'intenzione di combinare qualche pasticcio.

‹‹ Ehi, sono seria ›› borbottai, incrociando le braccia ‹‹ cerca di non rendere più reali le mie paranoie ››

sollevò un sopracciglio ‹‹ ti stai preoccupando troppo. Ti ricordo che sono positivo al virus ››

‹‹ Non mi interessa. Sei ancora sano, non sei una pedina. Sei un mio amico, vedi di non farti ammazzare mentre sei lì ››

‹‹ Un amico? ››

‹‹ Un amico ››

‹‹ Un amico ›› si rimise su, sbuffando ‹‹ questa cosa l'ho già sentita una volta. Sinceramente non mi è nuova ›› si grattò la nuca ‹‹ beh, non importa ora ›› la sua espressione tornò completamente seria, Avvicinò le mani a dei documenti poggiati sul tavolo, e sollevò il primo foglio.

Era una serie di codici. Lettere e numeri. Lo indicò, guardandomi ‹‹ comunque, questi che vedi qui sono dei codici. Durante i momenti morti in cui tu non c'eri ho passato il tempo a provare a ricordarli ››

‹‹ Che codici sono? ›› domandai, sistemandomi una ciocca di capelli dietro l'orecchio.

‹‹ Chuck li ha memorizzati e li analizzerà dopo la missione. Intanto, prima di tutto, è grazie a lui che sono riuscito a ricostruirli, essendo frammenti di memoria passata. Non so “quanto” passata, però, e non so nemmeno esattamente cosa siano... penso che siano legati comunque a qualcosa su quella “C.A.T.T.I.V.O.”... o qualcosa del genere ››.

Annuii.

La memoria di Newt nascondeva un sacco di cose interessanti... eppure lui continuava a non voler ricordare nulla. Spostai gli occhi dal foglio, guardando i suoi. Il suo sguardo, mentre guardava quei codici come se li vedesse la prima volta, era pieno di dubbi. Sicuramente anche lui si era soffermato a pensare di nuovi al voler recuperare o meno la memoria, ma chiaramente il blocco principale era quello del provare dolore ed i sensi di colpa per ciò che il "Newt del passato" aveva fatto.

In cuor mio ero certa che non potesse aver fatto nulla di male. Newt... era una bellissima persona, da tutto quello che avevo potuto vedere nei suoi modi di fare, nelle sue attenzioni e nel suo modo di badare al prossimo. Era disposto a mettere in gioco la sua vita per salvare il proprio migliore amico. Come poteva aver fatto qualcosa di orribile, al punto di non voler ricordare? Okay... i dolenti non erano certo dei cuccioli, ma nessuno poteva darci la colpa per quelle bestie.

Uno come lui non poteva aver commesso niente di orribile.

Senza memoria continuava comunque a vivere con dubbio delle proprie azioni, ed il non riuscire a ricordare tutto quanto lo avrebbe portato inevitabilmente a dei sensi di colpa. I Flashback erano brevi e poco chiari anche nei sogni, con una facilità terribile nel fraintenderli.

Sospirò, tirando indietro la testa. Deglutì.

‹‹ Continuo ad avere la sensazione di aver fatto cose sbagliatissime e di avere le mani sporche di sangue ›› disse, poi, poggiando di nuovo il foglio sul tavolo ‹‹ ma dato che mi rendo conto da solo che potrei avere tra le mani delle informazioni importanti... valuterò l'idea di recuperare la memoria. Senza questa potrei metterci più tempo a ricordare certi passaggi ››

accennai un sorriso ‹‹ se te la senti... okay ››

‹‹ Diciamo che sto cercando un altro valido motivo per cercare di non morire lì. Forse morire senza ricordarmi niente non è poi tanto bello. Se ho fatto qualcosa di buono, almeno, potrò morire ricordandolo, no? ››

‹‹ Cerca di non morire e basta ››

‹‹ Nel dubbio... ›› con una mano, delicatamente, mi fece sollevare il volto, e subito dopo poggiò delicatamente le sue labbra sulle mie. Non mossi un solo muscolo, confusa da quel gesto. La sensazione era piuttosto familiare, ed il mio corpo venne percorso da una scossa.

Non ero dispiaciuta, ma piacevolmente confusa. Durò qualche attimo, anche se a me era sembrato moltissimo tempo.

Quando le sue labbra furono ormai lontane dalle mie, sentii di nuovo il vuoto prendere il sopravvento sul mio corpo. Vuoto o meno, comunque, mi sentivo andare a fuoco.

‹‹ Perché...? ›› chiesi, praticamente sussurrando. Ero imbarazzata e confusa. Avrei voluto durasse di più.

‹‹ Non voglio avere rimpianti, se qualcosa dovesse andare male. E comunque, ci pensavo già da un po'... ora vado. Resta con Chuck. Farò in modo di tornare.... te lo prometto ››.

Senza dire altro, uscì, quasi agitato da ciò che aveva fatto.

 

 

Quando i ragazzi abbandonarono la base, passarono un bel po' di ore prima riuscire a raggiungere l'Hae.

Nei caschi indossati da Newt e Thomas c'era una telecamera nascosta, per cui questo permetteva una visione anche a noi altri. La stanca con Chuck ora era affollata da altre persone, tra cui Justin e Nathan.

Secondo Nathan era meglio non lasciarmi sola col bambino durante il recupero della memoria, potrei avere degli svenimenti e cose simili che avrebbero portato ad una deconcentrazione e agitazione del bambino. Quello, in realtà, non aiutava alla mia calma. Thomas stava attraversando lo stesso processo... ma era in missione.

‹‹ Okay... sono dentro ›› disse Nathan, incrociando le braccia ‹‹ Minho ed Eva dovrebbero trovarsi al diciottesimo piano inferiore, se non hanno cambiato le posizioni ››

‹‹ C'è questa possibilità? Loro lo sanno? ›› chiesi, corrugando la fronte

‹‹ Huan sa tutto ›› mi rassicurò Nathan ‹‹ ha preso in considerazione da subito l'ipotesi che qualcuno potesse sospettare di una loro intrusione, o che qualcuno potesse notare una manomissione... sono comunque una potenza mondiale ed all'intero di queste strutture è pieno di scienziati ed Hacker professionisti ›› certo che quello non era ulteriormente d'aiuto.

Mentre Huan e gli altri camminavano, Nathan aveva preso in mano i fogli con i codici trovati da Newt.

Il bambino non distoglieva lo sguardo dagli schermi, assorto, però, nei suoi pensieri. Era silenzioso, mentre i suoi occhi brillavano di un azzurro intenso.

Era parecchio interessante vedere quei processi dal vivo, e vedere il modo in cui i colori cambiavano nei suoi occhi.

Mentre il tempo passava, la mia testa cominciava a pulsare. Ad un certo punto fui costretta a sedermi, ma mi rifiutai di allontanarmi.

Dovevo stare in quella stanza. Non potevo fare niente per aiutarli, certamente, ma volevo essere presente durante la missione, seppure in modo indiretto.

Huan, Newt e Minho furono fermati più volte da più persone. Parlavano in coreano, per cui non capivo nulla... io, ma Huan, fortunatamente, sì.

Le stanze che attraversarono, man mano che scendevano, erano sempre peggio.

Inizialmente, nei primi piani, ci furono stanze dedicate alle piante, erbe...

Più scendevano, più sembravano uscite dai peggiori horror.

C'era una stanza rossa, con carne – non volevo assolutamente sapere della natura di quella carne – appesa come se fossero all'interno di una cella frigorifera di una macelleria. Nella mia testa, si fece spazio il ricordo di Winston. La puzza delle faccemorte. L'odore dei nasi all'interno della “casa” di Gervaso e Rose... gli spaccati.

La testa mi pulsava. Il corpo lo sentivo percorso dai brividi di freddo.

Cominciai ad avere come dei buchi di memoria. Attimi in cui non ero lucida. Chiudevo gli occhi e subito dopo la stanza dove si trovavano Huan e gli altri era cambiata. Piano piano, però, sentivo come se la mia testa stesse diventando bollente.

‹‹ Il battito di Thomas è in aumento ›› disse Justin. Non sapevo nemmeno da quanto tempo avesse sott'occhio quel computer.

‹‹ L'importante è che non perda i sensi ›› rispose Nathan ‹‹ il resto è normale ››

Chiusi di nuovo gli occhi.

Riguardai lo schermo.

Erano dentro una cella.

Ricordai di George nella gattabuia. Le labbra di George... l'odore del sangue.

Justin.

Mi girai rapidamente in direzione del biondo.

I ricordi legati a lui esplosero. Tutto quanto.

Non potevo odiarlo... non era cattivo.

Non c'era niente di veramente cattivo in lui... eravamo tutti dei semplici pupazzi. Strumenti per arrivare a qualcosa di ben peggiore della morte.

Le mie orecchie cominciarono a fischiare. Sentii una marea di voci nella testa, interi dialoghi confusi tra loro. Mi sembrava di impazzire. Chiusi gli occhi.

Una marea di immagini mi passarono davanti come se fossero parte di un film mandato alla velocità massima.

Era tutto agitato. Era come essere chiusi all'interno di una bolla.

Era buio.

Era freddo.

Era notte.

Le sue labbra, quelle di Newt, erano insanguinate.

‹‹ Non ti lascio qui. Preferisco morire, piuttosto che andare via senza di te! ››

‹‹ Se potessi tornare indietro, rifarei tutto da capo, con te ››

‹‹ Ed io perderei la memoria anche mille volte, se necessario, solo per re-innamorarmi di te ››

I colpi di pistola. Il suo corpo che perdeva le forze. Il suo sguardo. Le mie preghiere per non vederlo morire un'altra volta.

Erano quelli i miei ultimi ricordi.

Era quello il motivo di quella sensazione di vuoto.

Mi sentivo come se qualcuno si fosse seduto sul mio petto, cercando di impedirmi di respirare. Ero un bagno di sudore, confusione, nausea.

Il mio corpo non era più in sé.

I rumori attorno a me erano definitivamente distorsi, le immagini offuscate, troppo chiare. Il corpo lo sentivo pesante.

Sentii chiaramente solo una cosa.

‹‹ Merda, abbiamo perso il contatto. Il segnale è completamente assente. ››

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Capitolo 25
*** Capitolo 25 ***


In che senso il segnale era assente?

Chuck piangeva, Nathan era agitato, Justin premeva dei tasti a caso sulla tastiera e le luci dentro la stanza sembravano particolarmente accecanti in quel momento.

Nonostante il mio corpo fosse vittima di un capogiro, mi affrettai ad alzarmi per prendere in braccio il bambino. Ogni movimento del mio corpo richiamava un ricordo. Mi sentivo febbricitante, ma non avevo tempo di preoccuparmi di quel dettaglio.

Lo cullai, lo strinsi a me, ma ogni mio movimento sembrava inutile. Era agitato, le vede sulla sua fronte erano evidenti ed i suoi occhi brillavano.

Le sue piccole mani erano strette attorno alle mie spalle, sudate e tremava. Era agitatissimo.

Non ero io quella brava con i bambini... Chuck era particolarmente legato a Newt, forse perché era stato lui a salvarlo.

Inspirai e continuai a cullarlo.

‹‹ Com'è possibile? ›› chiese Nathan, battendosi l'indice sulle labbra ‹‹ perché il segnale è saltato? ››

‹‹ Forse è perché sono molto in basso, ma comunque non è una cosa positiva. Da qui non possiamo aiutarli in nessun modo... ›› e questo di certo non aiutava a calmare né me né il bambino.

Ma dovevo pur fare qualcosa.

Il bambino era importante, no? Quindi...

lo feci sedere sul divano, inginocchiandomi, poi, di fronte a lui.

Inspirai.

Il suo viso era gonfio, arrossato, gli occhi cambiavano colore ad ogni secondo.

Aveva il broncio e si spingeva in avanti con le manine, chiedendomi silenziosamente di essere preso di nuovo in braccio.

‹‹ Chuck, tesoro, ascoltami un attimino, okay? ›› cercai di essere il più calma possibile. Non volevo spaventarlo o agitarlo di più.

‹‹ Cerca di recuperare il segnale... quando tutto questo sarà finito ti prometto che andremo a fare una bella passeggiata o... qualcosa. Qualunque cosa divertente ››

‹‹ Una bella passeggiata in mezzo agli spaccati mi sembra proprio l'ideale ›› disse sarcasticamente Nathan. La sua voce mi dava sui nervi, ora che ricordavo ciò che era successo prima.

Certo, sapendo effettivamente l'accaduto, attualmente, non potevo prendermela troppo con lui.

‹‹ E comunque, sicuramente ora è stanco. Magari l'errore di segnale è dovuto anche a questo suo affaticamento ››

‹‹ Non puoi prendere il suo posto? ›› il bambino avevo smesso di piangere, ma o suoi occhi continuavano ad emanare luci di colori diversi senza fermarsi. Il suo sguardo era perso il nel vuoto.

‹‹ No, solo Chuck può entrare in un sistema così complesso. Il problema è che è comunque un bambino ›› Nathan si passò una mano tra i capelli ‹‹ Jillian avrebbe probabilmente retto di più ››

‹‹ Già, diciamo che Jillian non avrebbe fatto molte cazzate che invece sono state fatte ›› sbuffai

‹‹ Presumo che la tua memoria sia tornata ››

‹‹ Tu credi? ›› a quel punto mi alzai. Presi il bambino in braccio, spostandomi da lì ‹‹ voglio provare a farlo dormire un po'. Tu cerca di sostituirlo ››

‹‹ Non ne sono in grado ›› ribatté Nathan ‹‹ non posso farcela. È come cercare di volare con una bicicletta! ››

‹‹ Beh, allora lo terrò lontano da questa stanza. Rimanere qui al momento non credo sia utile per la sua concentrazione, no? ››

‹‹ Ma – ››

‹‹ Lasciala andare ›› sbuffò Justin ‹‹ ha ragione. Chuck qui è preso da altro, vedendo noi agitati non lo calmerà più di tanto e non gli permetterà di rimanere concentrato ›› poi, distolse un attimo lo sguardo dal pc, girandosi nella mia direzione.

Lo sguardo di Justin lo ricordavo molto più tagliente. Era gentile, ora, preoccupato.

Mi chiesi a quel punto cosa fosse successo dopo l'incidente con l'Eden.

Cos'era successo a tutti noi?

Perché eravamo lì?

Avevo mille domande da fare.

‹‹ stai nei paraggi, per favore ›› disse gentilmente.

Annuii.

Le mie domande avrebbero avuto delle risposte in un momento certamente meno critico rispetto a quello.

 

Camminavo lungo i corridoi col bambino in mano. Nettamente più calmo e silenzioso, ma che giocava con le ciocche dei miei capelli.

Era più un antistress per lui. Erano passati almeno trenta minuti ormai.

Più passava il tempo, più nella mia testa si susseguivano immagini.

Non potevo certamente lasciarmi andare, in quel momento, a tutte quelle sensazioni.

Al senso del vuoto e del dolore per la perdita di amici cari... perdite a cui io, in realtà, spesso non avevo nemmeno assistito.

Come per Alby... o per Chuck.

Chi sa cosa avrebbe pensato Alby di tutta quella situazione strana.

Sicuramente sarebbe stato un ottimo leader... si sarebbe gettato in prima linea per salvare tutti. Un leader saggio... un padre, un fratello.

Il piccolo Chuck invece avrebbe certamente pensato a mangiare.

I bei tempi d'oro della radura, quando tutto era più semplice.

Pensare che avevo rivissuto per poco tempo quel periodo... mi fece male.

Non era niente in confronto a quei giorni.

Non c'erano le stesse cose, non c'erano le stesse persone... l'unica cosa che era rimasta, ironicamente parlando, era quello che provavo per Newt.

Forse, il fatto che non ricordasse nulla, era un bene. Non poteva ricordarsi quindi della rottura.

Avrei dovuto dirglielo?

Ovvio... tanto, ovviamente, lo avrebbe ricordato una volta tornato. Aveva detto che voleva recuperarla per via dei codici, no?

I codici...

E se quei codici combaciassero con i progetti in corso della C.A.T.T.I.V.O.? E se tra quei codici si nascondesse il prototipo di una cura?

Mi fermai nel mio commino verso il nulla.

Sgranai gli occhi.

La cura... Newt era stato curato all'Eden, risultava immune... allora, perché aveva perso la sua immunità?

Che fosse temporanea? Aveva senso, d'altronde non esisteva niente di ufficiale, ma... se così non fosse? Se fosse stata solo una cosa fatta credere dall'Hae per riportare tutto ad uno stadio iniziale e condurre il loro stupido piano copia della C.A.T.T.I.V.O.?

‹‹ Elizabeth! Corri, presto, questo lo devi vedere! ›› le urla arrivavano dalla fine del corridoio, apparentemente.

La voce era chiaramente quella di Justin.

Anche se non fosse arrivata da lì, certamente la mia meta era la stanza.

Mi affrettai a camminare. Il bambino rimase fermo. Non giocava più nemmeno con i capelli, ma le sue mani si strinsero saldamente contro le mie braccia.

Una volta dentro la stanza provai a staccarlo dal mio corpo, ma non sembrava averne nessuna intenzione.

‹‹ Che c' – ›› le parole mi morirono in bocca.

Lo schermo aveva recuperato il segnale.

‹‹ Sono riuscito ad alleggerire un po' il carico del segnale di Chuck. Ho fatto una manovra per cui ora siamo in due “ad averne il peso”, però questo guasta un po' la qualità visiva... ma forse è meglio così ›› le immagini proposte erano quelle di capsule enormi con all'interno dei corpi.

I corpi di tutte le persone morte durante le prove.

Tra cui Alby.

Chuck.

Winston.

… Jorge.

Newt era immobile di fronte al corpo di Alby.

La sua mano era poggiata contro il vetro della capsula. Il corpo era come mangiato da chi sa cosa, la pelle pallida e sul volto aveva una maschera. I suoi occhi erano spalancati e senza vita, gli mancava il braccio dentro ed era completamente intubato.

Chuck aveva tubi ovunque, le sue guance rosee erano ormai pallide e sciupate, ma aveva un sorriso dipinto in faccia.

Era Thomas quello fermo a guardare quella capsula.

Tremava. Poi Huan.

Era immobile, di fronte alla capsula contenete una ragazza. I capelli si muovevano morbidi nel liquido della capsula... era molto bella e giovane.

Inizialmente non capii perché fosse immobile lì di fronte, poi ricordai di sua sorella.

‹‹ perché...? ›› chiesi. Capii improvvisamente il comportamento del bambino.

Lui vedeva quelle cose.

‹‹ Non lo so, ma non sono gli unici. Ci sono proprio tutti ›› disse Nathan ‹‹ quello che mi chiedo, piuttosto, è perché siano lì? ››

‹‹ C'è anche George ›› disse Justin ‹‹ ci sono tutti quelli che sono morti nell'incidente dell'Eden. Ho catturato tutte le immagini... cioè, sto registrando tutto, in modo da analizzare tutto con calma ››

‹‹ Justin... ›› mormorai. Era scosso. Le sue mani tremavano, ma non capivo se fosse rabbia, frustrazione o tristezza.

Il suo corpo tremava, il suo sguardo, invece, era spento.

Era logico... non poteva certamente gioire di una cosa simile.

‹‹ Dobbiamo andare... ›› disse Huan. Thomas e Newt annuirono e, a malincuore, si spostarono, lasciandosi alle spalle il peso di quelle morti e quei corpi.

‹‹ Possiamo sempre provare a portarli via da lì... ›› provò a dire Nathan, poggiando una mano sulla sua spalla ‹‹ possiamo provare a riportarlo tra noi... ››

Justin quasi tremò a quel contatto, ma poi scosse la testa ‹‹ non voglio più giocare ad essere Dio ›› disse, inspirando ‹‹ la morte fa parte dell'uomo... ››

‹‹ Possiamo provare a trasferire la sua memoria in un altro corpo... possiamo provare a renderlo anche un cyborg ››

‹‹ E questo cosa sarebbe, agli occhi di un uomo? Vivere o un'altra evoluzione dello sopravvivere in questo posto? No... no, Nathan. Apprezzo seriamente il tuo sforzo di provare a farmi stare meglio, ma a questo punto forse è meglio così ›› inspirò, poi, poggiandosi una mano sulla fronte ‹‹ in fondo lui odiava vivere in questo mondo e non posso biasimarlo. Ha fatto delle cose orribili e si odiava a morte ›› forse, quelle parole, erano dettate anche dal suo senso di colpa per ciò che aveva fatto in passato... per ciò che aveva fatto fare a George.

Tuttavia capivo il suo pensiero.

Forse George avrebbe certamente voluto così... d'altronde Justin conosceva George meglio di chiunque altro lì dentro... certamente non parlava tanto per dare aria alla bocca.

 

Mentre il tempo passava, avevamo avuto modo di vedere cose orribili all'interno dell'Hae.

Non c'era stato niente di troppo facile o troppo difficile.

Il segnale saltava ogni volta che provavano ad entrare in una stanza.

Quando poi entrarono nel piano dei bambini, quasi mi venne il voltastomaco.

I bambini di cui mi aveva parlato Nathan.

Ormai non c'era più traccia di loro... almeno, nessuna traccia viva. Doveva essere successo qualcosa mentre eravamo stati presi e portati in salvo.

Nathan e Justin non sembrarono sorpresi da quella visione.

Sicuramente loro l'avevano vista da prima di me.

Nemmeno loro (Newt, Thomas e Huan) sembravano essere particolarmente presi da quella visione.

Sembravano particolarmente... insofferenti.

Dovevo essermi persa un mucchio di cose durante quei flashback, ed in quel momento, in tutta onestà, speravo di ricaderci in pieno.

Era tutto un lago di sangue, le pareti sembravano essere dipinte a pennello. Gli schermi erano schizzati di sangue, i vetri pieni di manate, i cadaveri erano a mucchi.

Cos'era successo in quel posto? Perché tutto quello ormai sembrava essere un'immensa barzelletta? Il fatto che fossi quasi abituata a vedere quel genere di disastro mi provocò il voltastomaco.

Huan si voltò verso Thomas, ma guardava dritto verso la telecamera ‹‹ da qui credo che ci sarà l'ennesimo blocco di segnale. Dobbiamo fare un cambio di rotta ››

‹‹ Va bene ›› rispose Nathan.

Un cambio di rotta?

‹‹ Non è pericoloso? ›› domandai.

Nathan scosse la testa ‹‹ mi fido di Huan ››

 

E fece bene a fidarsi.

Il piccolo cambio di rotta servì per cercare quante più persone possibili.

Altri componenti dell'Eden, superstiti dei labirinti, altri velocisti... ma non trovò niente.

Solo elenchi di nomi dei morti, ciò che accadde loro, i motivi delle morti... e delle fiale.

Tante fiale.

Circa un'ora dopo, Huan, Newt, Eva, Minho e Thomas furono su una berga in ritorno verso la base.

Gli altri velocisti erano stati usati come vittime sacrificali “per il bene più grande”, stando a ciò che dicevano i referti.

Il motivo per il quale, tutto sommato, andò tutto bene, si capì una volta tornati lì.

L'HAE aveva gettato i piani all'aria.

Non capivamo precisamente il perché di questo, ma l'unica spiegazione plausibile che riuscimmo a dare, fu una non riuscita del loro intento.

Forse la “nostra fuga” aveva messo loro del panico. La fuga dei soggetti principali... questa fu l'unica ipotesi che potevamo dare.

Minho ed Eva in realtà non avevano voglia di parlare, e l'unica cosa che fecero una volta tornati alla base, fu recarsi silenziosamente nella stanza per poter recuperare la memoria.

Nemmeno il tempo di dire anche solo ciao.

Il bambino aveva cominciato a leggere i codici, come promesso, e Newt invece leggeva quei documenti riportati dalla base dell'Hae.

Huan e gli altri erano andati ad analizzare le fiale, mentre dei filmati se ne stava occupando Nathan.

Newt aveva detto che sarebbe andato per ultimo a ristabilire la memoria, ma non aveva detto nient altro fino a quel momento.

L'unica cosa che chiese fu “hai ricordato qualcosa?” ma non chiese approfondimenti né altro.

Era scosso ed aveva la testa completamente altrove.

Dopo tutto quel silenzio, nel vedere i suoi occhi lucidi ed i suoi tic nervosi nel mordersi le labbra, optai per domandargli a cosa stesse pensando.

‹‹ Alby ›› fu l'unica risposta che diede.

Ed era strano, perché dato che la sua memoria era assente, non avrebbe nemmeno dovuto ricordare il nome.

Inspirai e, dato che aveva una mano libera e stesa lungo il tavolo, poggiai delicatamente la mia sopra la sua.

‹‹ Ricordi di Alby? ››

‹‹ Poco. Non ricordavo nemmeno il nome fino a quando non l'ho visto. So che era un mio caro amico... e ricordo la sua morte ›› il suo sguardo rimase perso per un attimo ‹‹ il bambino sta analizzando quei codici, ma mentre eravamo lì abbiamo visto di tutto.

Quei codici, se non ho capito male da ciò che ho visto di là, corrispondono ai soggetti. A tutti noi, Liz ›› rise nervosamente ‹‹ siamo schedati come se fossimo dei fottuti codici numerici. È questo ciò che siamo sempre stati per loro. Ci pensi? Dei numeri. Solo dei numeri. Se un numero è difettoso, allora creiamo un problema e siamo da eliminare... così come hanno fatto con gli altri ›› poggiò le mani sulle proprie tempie, massaggiandole delicatamente. Era palesemente stanco ‹‹ mi domando, a questo punto, cosa riservi seriamente la mia memoria ››

‹‹ Se è come la mia, non tutto fa poi così tanto schifo, Newt ›› mormorai, spostando le mani dalle sue tempie ‹‹ vedrai. Sarà piena di alti e bassi, ma ci saranno anche cose positive. Ne sono certa. Da quello che ricordo io, tu eri un grandissimo scienziato. Uno dei migliori alla C.A.T.T.I.V.O., ed un ottimo vicecapo nella radura ›› provai a rassicurarlo.

Un sorriso amareggiato si dipinse sulle sue labbra, poi scosse la testa ‹‹ ed invece, per quanto riguarda noi? ››

‹‹ Preferisco non esprimermi ›› dissi rapidamente. Non potevo dirgli le ultime cose prima di perdere la memoria ‹‹ preferisco sia tu a scoprirlo da solo ››

‹‹ Wow, presumo quindi che farà schifo. Bene così ›› disse, sollevando le sopracciglia ‹‹ dovevo essere proprio un pessimo amante ››

‹‹ Non è questo il punto, è solo meglio che sia tu a scoprire queste cose... tutto qui. Non voglio che ora ti fai delle aspettative al riguardo... né positive né negative ››

arricciò il naso in modo giocoso, poi annuì.

Stava solo scherzando... o, almeno, questo era ciò che voleva farmi credere.

Diede due piccole pacche sulle mie spalle, poi annuì ‹‹ lo apprezzo. Ma voglio sapere qualcosa, per almeno prepararmi un po' psicologicamente ›› disse, poi inspirò ‹‹ come, per esempio... sul labirinto. Sul ragazzo che ho visto dentro al laboratorio... cose così ››

‹‹ Alby, intendi? Eravate molto legati. Purtroppo io non so come sono morti molti di loro... ero già “andata via” diciamo così. Il labirinto non era poi così diverso da quella della radura dove siamo stati fino ad ora ›› si passò una mano tra i capelli in modo frustrato.

‹‹ Sono queste le cose che in realtà non vorrei ricordare ››

‹‹ Sono sicura che non ti pentirai di queste cose! ›› mi affrettai a dire.

Già... forse me ne sarei pentita io, visto che gli ultimi ricordi, prima di perderli, erano proprio quelli dove rompevamo.

Ma non doveva avere paura dei ricordi con Alby, nonostante fosse morto.

Così come non doveva temere quelli con Chuck.. o con Jorge.

Ancora non riuscivo nemmeno a credere al fatto che fosse morto.

Come? Quando? Perché? Non avrei mai avuto delle risposte al riguardo.

Non avevo nemmeno avuto il tempo di dirgli addio.

Chiusi gli occhi.

Non dovevo farlo preoccupare proprio in quel momento, o come minimo si sarebbe posto ancora più domande di prima. Tuttavia, silenziosamente, mi avvolse in un abbraccio.

Rimase in silenzio, ma riuscii a sentire la calma che voleva infondermi ed un affetto che avevo sentito poche volte, così forte, da parte sua.

Istintivamente, poggiai le mani sulla sua schiena e mi strinsi a lui. Le lacrime iniziarono ad uscire senza che nemmeno me ne accorgersi.

Il pensiero di aver perso anche l'ultimo affetto “familiare”, sotto sotto, mi distruggeva.

Sì... la mia seconda famiglia, era lì.

Newt era lì... ma sarebbe stato ancora lì, dopo i ricordi?

Avrei voluto dire a Jorge almeno un grazie... solo quello.

Ero certa che Nathan avrebbe potuto fare qualcosa.. come aveva proposto a Justin.

Ma aveva ragione quest'ultimo: basta giocare a fingere di essereDio.

 

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Capitolo 26
*** Epilogo ***


Il tempo passava, le ricerche portavano i giusti risultati.

Ogni giorno eravamo sempre più vicini ad una soluzione reale. Magari non definitiva, ma quantomeno questo ci dava la speranza per un futuro più vivo.

I primi a sperimentare la cura reagivano in maniera perfetta, il vaccino non dava segni di negatività o reazioni sbagliate.

L'eden, intanto, aveva ristabilito una base.

Era passato ormai praticamente un anno.

Non era tutto completamente finito, ovviamente, ma piano piano anche quello stava nascendo.

Non eravamo più in corea, ma in un posto isolato in Inghilterra.

La città aveva una parte sotterranea ed una no, ma questa volta il rischio di attacchi era a zero.

La zona era perfettamente controllata e sicura, ed il “governo” aveva riconosciuto il progetto e l'associazione”, ma il progetto ufficiale, il metodo, non era stato svelato, così da evitare eventuali fughe d'informazione o tentativi di rubare tutto.

Questa volta, le cose erano diverse.

La realtà che stavamo vivendo, finalmente, era degna di essere vissuta.

Non era ovviamente tutto rose e fiori.

Gli alti e bassi, i litigi, le discussioni, lo stress era sempre presente, ma almeno sta volta sapevamo benissimo dove saremmo andati e dove avremmo sbattuto il muso.

Svegliarsi la mattina, adesso, era meno stressante, insomma.

Potersi svegliare in una casa tranquilla, in un letto comodo ed accanto al ragazzo che amo, almeno era una buona paga per tutto ciò che avevamo alle spalle.

Sì, avevamo di nuovo ripreso la convivenza, ormai.

La casa non era gigante, ma era accogliete.

E comunque non avevamo bisogno di enormi spazi per stare bene. Ci bastava, più che altro, restare un po' distanti dai laboratori nella quale lavoravamo, continuando le nostre ricerche ed i nostri esperimenti.

Infatti, i laboratori stavano nel sottosuolo.

“La città scientifica”, così la chiamavano, era situata prettamente giù. Molti degli scienziati stavano lì. E, sempre lì, si trovava anche “il cimitero dei martiri”. Non erano riusciti a recuperare tutti i corpi, per cui avevano costruito un enorme parete su cui poi, grazie a dei robottini, avevano inciso tutti i nomi delle persone che non erano riuscite a recuperare.

Per quanto Justin e gli altri non fossero d'accordo col “giocare ad essere Dio”, alcuni scienziati, sotto le direttive accurate di Nathan, avevano provato comunque una rianimazione, sostituendo organi importanti (tra cui il cuore) per riportare indietro alcuni radurai... come Alby.

A me, essendo il parente diretto di Chuck, hanno chiesto il consenso.

Avrei voluto provare e... onestamente, ci pensai per giorni interi.

Il mio rifiuto fu definitivo solo una volta visto che su Alby non aveva funzionato.

Era tutto un forse, d'altronde, essendo loro morti moltissimo tempo fa.

Per quanto ogni singola cosa era stata mantenuta intatta dalla tecnologia della C.A.T.T.I.V.O., era davvero un tentativo disperato.

Ma Justin aveva ragione: basta giocare ad essere Dio.

Ogni giorno il cimitero era pieno di via vai di ex radurai che andavano a trovare i compagni defunti. I fiori di fronte alle loro tombe erano sempre perfettamente sani, intatti, profumati, ed il posto era verde e ben curato. Sembrava di stare in paradiso, e forse era proprio quello ciò che si immaginavano. Quel posto, quella città sotterranea, rappresentava ciò che tutti noi speravamo di trovare al di fuori delle mura di quell'inferno.

Newt faceva fatica ad entrare nel cimitero, ma si sforzava.

D'altronde, per lui, era difficile andare a trovare le loro tombe.

Di tutti i radurai della , praticamente, solo Io, Minho, Teresa, Frypan e Thomas eravamo ancora in vita. Tutti gli altri erano lì dentro.

Era difficile accettare una realtà simile, e spesso sentiva il peso delle loro vite sulle spalle.

Per quanto sentisse la mancanza anche di Alby, per esempio, ciò che a quanto pare gli faceva più male era il vedere la tomba di Chuck.

Sapevo quanto si sentisse in colpa per lui, essendo il più piccolo di quel posto. Ne sentiva letteralmente il peso della morte, al punto che, da quando avevano portato il corpo, per un paio di notti era rimasto in piedi a pensarci e ripensarci, ed il gli avevo fatto compagnia. Certo, poi l'indomani eravamo due stracci, ma almeno lui si era sfogato, raccontandomi cose di cui io non ne sapevo nulla.

La prima volta che Chuck aveva messo piede nella radura, cosa era successo dopo che ero andata via, il modo in cui, una volta, aveva tirato una testata a Gally e questo, per ripicca, aveva cominciato ad inseguirlo con una trave di legno.

Piccole cose che, anche se facevano male, almeno gli stampavano un sorriso sulle labbra.

Anche Thomas e Teresa erano stati male per Chuck, ma il loro modo di soffrire era un altro.

Thomas, comunque, non lo conosceva come Newt e Minho.

Minho ed Eva visitavano spessissimo il cimitero.

Del secondo labirinto, però, i martiri erano aumentati solo dopo la distruzione dell'Eden. Di loro, nel nuovo Eden, avevamo incontrato solo Harriet e Sonya, ma da quanto avevamo capito, oltre loro del gruppo B erano rimaste altre sei ragazze compresa Eva.

Le cicatrici lasciate dal nostro passato sarebbero state indelebili, e col passare del tempo, oltretutto, le cicatrici aumentavano.

Col tempo, tutti noi avevamo cominciato a ricordare molte cose molto più dettagliate.

Il tempo passato a studiare certe cose... o i nostri genitori e fratelli.

Newt e Sonya avevano letteralmente scoperto dall'oggi al domani di essere fratelli, ma, nonostante tutto, non sembravano intenzionati a mantenere un rapporto simile, forse per via di tutto il tempo trascorsi separati. Oltre questo, Newt diceva di non ricordare altro. Né i suoi genitori né il suo vero nome, e nonostante tutto, non sembrava minimamente interessato alla cosa. Ormai il passato era passato, ed anche se avesse ricordato il suo vero nome, ormai, per lui, il suo nome era semplicemente Newt. A detta sua, il suo vecchio io, era morto insieme a ciò che si era lasciato alle spalle una volta entrato nella radura. E con questo, sicuramente, intendeva anche Sonya.

Anche Huan visitava il cimitero... insieme ad Harriet. I due avevano cominciato a frequentarsi, nonostante, apparentemente, fossero di carattere completamente diverso.

Lo stesso, comunque, valeva per Justin.

Ricordava molte più cose di me, a quanto pare, ma a differenza di Newt e Sonya, non riusciva ad andare così facilmente avanti.

Nonostante il dolore per la perdita di George e i sensi di colpa per le sue pessime decisioni, comunque, era riuscito ad intraprendere una relazione con Nathan.

Niente di ufficializzato dai due, ma era abbastanza palese.

 

Non avremmo mai dimenticato, comunque, tutto ciò che avevamo affrontato per arrivare a dove siamo arrivati ora. Dal labirinto fino ad adesso.

Non avremmo mai dimenticato chi ci ha aiutato di più, e fatto da padre e consigliere: Jorge.

Mancava a tutti noi ogni singolo giorno, con la sua allegria ed i suoi consigli.

Era anche merito suo se eravamo tutti vivi.

E sicuramente sarebbe stato orgoglioso di noi.

Tutto il percorso che abbiamo fatto per arrivare alle porte per un futuro migliore, per arrivare alle persone migliori che siamo diventati.

Eravamo dei bambini a cui sono stati tolti i giochi e sostituiti con strumenti per creare macchine della morte.

Eravamo ragazzi a cui è stata tolta la possibilità di un'adolescenza normale.

Ma siamo giovani adulti che possono mirare ad un futuro dove altri bambini e ragazzi possono godersi ciò che a noi è stato tolto.

Noi siamo il futuro.

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