Parigi 1889

di Maki Tsune
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. Villa Agreste ***
Capitolo 2: *** 2. Due Dame ***
Capitolo 3: *** 3. Buon inizio ***
Capitolo 4: *** 4. Ingegno e furbizia ***
Capitolo 5: *** 5. Il ballo ***
Capitolo 6: *** A votre santé ***
Capitolo 7: *** 7. Richiamo ***
Capitolo 8: *** 7.1 Discorso ***
Capitolo 9: *** 8. Aspettative sbagliate ***
Capitolo 10: *** 9. Idea folle ***
Capitolo 11: *** 10. dal lutto nasce vita ***
Capitolo 12: *** 11. l'abito non fa il monaco ***
Capitolo 13: *** 12. La ricerca ha inizio ***
Capitolo 14: *** 13. Il vestito di Alya ***
Capitolo 15: *** 14. La lista ***
Capitolo 16: *** 15. Fogli bianchi ***
Capitolo 17: *** 16. Confidarsi ***
Capitolo 18: *** 17. la mattina di gennaio ***
Capitolo 19: *** 18. Origini ***
Capitolo 20: *** 19. Tra padri ***
Capitolo 21: *** 20. Idee ***
Capitolo 22: *** 21. Anansi ***
Capitolo 23: *** 22. Scherma ***
Capitolo 24: *** 23. Nuova arrivata ***



Capitolo 1
*** 1. Villa Agreste ***


Parigi, 6 maggio 1889
Villa Agreste
Sera.
 
“Non ci posso credere! Ce l’abbiamo fatta!” disse con impeto il signor Adolphe Alphand, direttore generale dei lavori dell’Esposizione Universale, battendo una pacca sulla schiena del giovane uomo Adrien Agreste.
“Eppure eccoci qua a festeggiare.” Rispose educatamente, nonostante la voglia di tossire per il colpo sulla schiena ricevuto dal direttore.
Il direttore era un uomo per bene e non certo minuto, infatti ogni sua pacca era un livido certo.
Adrien lo guardò attraverso la sua maschera nera felina e notò che Alphand ne era sprovvisto. “A proposito di festeggiamenti. Questa è una serata in maschera, dov’è la vostra? Se permettete la mia curiosità.”
Alphand rise e Adrien, oltre alla schiena livida, si ritrovò sulla spalla la mano pesante del direttore. “Parbleu! Ti sembro tipo da maschere?” con l’altra mano si aggiustò i baffi brizzolati e la barba bianca. “La mia barba prende già tutta la scena. Non mi serve una maschera figliolo. Mi riconoscerebbero subito!” Rise dandogli altre pacche sulla spalla.
Adrien incassò in silenzio e mostrò un sorriso forzato. “Che ne dite allora di brindare all’Inaugurazione di oggi? E che questa Esposizione Universale possa essere un successo.” Adrien prese un calice contenente champagne da un piatto d’argento cui i camerieri servivano passando tra la gente.
Adrien guardò il cameriere di colore e gli sorrise appena in segno di gratitudine. Il cameriere, attraverso i suoi occhiali tondi, ricambiò socchiudendo gli occhi.
Voilà, Monsieur.” Adrien porse il calice mezzo vuoto al direttore.
“Oh, Merci” lo prese dalle mani del giovane uomo ed entrambi alzarono i loro calici al cielo.
“Brindiamo all’Inizio di questa Esposizione Universale e al suo successo nel tempo!” disse Alphand. “E ricordiamoci del centenario della Rivoluzione Francese, la presa della Bastiglia e il diciottesimo anniversario della Terza Repubblica.” Sorrise Adrien a un signore piuttosto compiaciuto dal suo sapere.
Cher Adrien, sei un ragazzo sveglio e di mille risorse! Ho fatto bene ad affidarmi a te per questa Esposizione e te ne sarò grato finché avrò vita.”
“Grazie per le lusinghe, ma il merito e il successo è e sarà tutto vostro. Voi avete organizzato tutto.”
Il signore rise compiaciuto. “Allora al brindisi aggiungiamo anche noi e le persone che hanno lavorato per allestirla.”
Adrien sorrise e annuì. “Mi sembra giusto. Sono pienamente d’accordo.”
I loro calici si toccarono emettono un flebile cin, nascosto dal loro “A votre santé”.
Subito dopo bevvero lo champagne.

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Capitolo 2
*** 2. Due Dame ***


Alla festa si aggiunsero due dame.
Una ragazza dai capelli neri, raccolti in una coda, si sistemò il boccolo sulla spalla libera mentre osservava da dietro la maschera rossa, ornata con pois neri e qualche piuma rossa al suo lato, gli astanti alla festa. Il suo sguardo azzurro si muoveva frenetico cercando una persona in particolare. Purtroppo, però, non lo trovò. Troppe persone con le maschere e difficili da riconoscerli. “Oh, Alya. Non riesco a trovarlo.” Disse sconfortata alla sua amica accanto a sé.
Seconda dama.
Indossava un abito più semplice rispetto al rosso scelto dall’amica, più tendente ad un arancione chiaro e del bianco. Entrambi i loro vestiti avevano maniche a sbuffo e merletti. A differenza che, il vestito della dama in rosso era in raso con merletti neri su balze orizzontali cui rispecchiavano la maschera a coccinella, mentre quello che stava indossando lei era in cotone e la maschera ad assomigliare una volpe, assieme ai capelli raccolti in varie code.
“Non preoccuparti Marinette. È il padrone di casa, sarà sicuramente qui. Basta cercarlo meglio.” Disse alzando il collo e cercandolo tra la folla. “Basta cercare un uomo alto, biondo con occhi verdi.”
Oui. E tu lo vedi? Ci sono molte persone bionde.”
“Ma molti di questi sono donne o sono bassi, di mezza età o grossi e non alti e magri.”
Marinette sorrise e guardò l’amica. “Devo dire che quella maschera ti dona. Si addice al tuo vestito.”
“Ma che strano, potrei dire la stessa cosa di te ma non voglio alzare il tuo ego visto che ne sei la creatrice.”
Marinette ridacchiò. “Meno male che sei qui, Alya. Mi dispiace di aver usato un altro materiale per il tuo vestito.”
“Non preoccuparti. Lo capisco. È la società che ci impone queste stupide regole ed etichette. Sarò anche una serva ai loro occhi, ma l’importante è quello che sappiamo noi. C’est vrai, mon amie?”
“Ben detto, mon amie.”
“E poi questo vestito nessun’altra serva potrebbe mai sognarselo. Mi sta bene così. Ed è un gran premio già partecipare a una festa del genere.”
 
Nel frattempo il signor Alphand si stava passando una mano tra i corti capelli bianchi e quasi assenti, concludendo il discorso con Adrien.
“Lasciamo che quel che accada, accada. Se sarà un successo o no lo scopriremo a fine evento.” Si guardò attorno e vide che c’erano molte belle donne alla festa e alcune adocchiarono proprio Adrien.
“Credo di aver preso troppo tempo della tua giovane vita. Meglio se mi faccio un giro al buffet, prima che a causa mia ti trasformi in un vecchio senza consorte.” Ridacchiò e gli bisbigliò. “Scegli bene. Con queste maschere non sai chi si nasconde sotto.”
“Non si preoccupi. Non è mia intenzione trovare una consorte questa sera. La festa è dedicata al nostro duro lavoro per questa Esposizione.”
Sacrebleu! Va bene impegnarsi e dedicarsi al lavoro, ragazzo. Ma non dimenticare che hai bisogno anche di divertirti. Sei giovane! Ti meriti un po’ di sano svago.” Ridacchiò ancora facendogli l’occhiolino e dandogli un’altra pacca sulla spalla. Adrien si sentì massacrato e strinse i denti. Se continua così mi ritroverò con le spalle per terra. Pensò.
“Scommetto che vostro padre sarà contento se trovaste moglie. A proposito, come sta?”
“Come il giorno in cui ha perso mia madre. Indaffarato e… esigente.”
Je suis très désolé. La morte di una madre e di una moglie non è facile da superare. Però la sua severità è ricompensata se ha cresciuto un ragazzo sveglio, colto e gentile come te.”
Adrien abbozzò un sorriso di gratitudine. “Se lo dite voi, monsieur.” Alzò lo sguardo dal calice cercando il suo amico Nino, il cameriere con gli occhiali che gli aveva servito lo champagne, sperando in un tentativo di fuga e aiuto da parte sua. Ma nulla. Non sapeva come uscire dalla chiacchierata con il signor Alphand.
Poi vide un altro degli illustri e collaboratore dell’Esposizione: Charles Garnier, consigliere dell’architettura. E riconobbe accanto a lui, un altro signore, Charles Vigreux, che si occupò dei servizi meccanici ed elettrici, dove sperimentò su vasta scala l’uso dell’elettricità in alternativa al vapore.
Sempre meglio di star qui e farmi diventare la schiena viola. Pensò.
 “Désolé Monsieur Alphand.” Ma prima che finì la frase, il direttore lo interruppe notando anche lui la presenza dei due Charles. “Ma guarda chi si presenta alla festa. I deux Charles sono qui. Spero non ti dispiaccia se li vado a salutare, n’est pas?”
Absolument. Vi auguro, dunque, un buon proseguimento di serata.”
Merci. Anche a te ragazzo. Mi raccomando, ci sono tante belle mascherine a questa festa.” Rise e gli fece di nuovo l’occhiolino come segno d’intesa assieme a un’altra pacca sulla schiena in segno di saluto.
Auf! Tossì Adrien.
Il signor Alphand andò a salutare i due collaboratori, mentre Adrien si sistemò il suo foulard ocra nel suo completo nero, stiracchiandosi da tutte le pacche avute addrizzandosi con la schiena senza farsi notare.
Vide l’assistente di suo padre, Nathalie Sancoeur, e si avvicinò a lei.
“Mio padre non si mostrerà, n’est pas?”
Nathalie sconfortata scosse la testa dandogli ragione.
Adrien sospirò. “Neanche per salutare i suoi ospiti?”
“Dice che siete in grado di cavarvela da solo e di fare anche le sue veci in sua assenza.”
Oui.” Sospirò Adrien. “Merci Nathalie.” Disse.
Poi si avvicinò a un finestrone che dava sul balcone e su Parigi, con un calice vuoto in mano, osservando un punto vuoto e nero fuori dalla casa mentre il vetro chiuso rifletteva le luci delle candele e i suoi ospiti.

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Capitolo 3
*** 3. Buon inizio ***


“Marinette. Credo che quella persona davanti alla finestra, tutto solo e con aria triste sia la persona che stai cercando.” Le bisbigliò Alya all’orecchio.
“Come?” Marinette guardò verso le finestre e quando i suoi occhi azzurri lo trovarono tra la gente, il suo cuore iniziò a scalpitare. “Oh, Alya. Guardalo. È perfetto anche quando è malinconico.”
“Spero che non glielo dirai in faccia.”
“Eh? Come? Ma no! Non potrei… cioè no… sì… non potrei parlargli… oooh” sospirò “non ce l’ho davanti e già non riesco a parlare.”
Alya ridacchiò. “Ti voglio bene, ma a volte sei proprio irrecuperabile.”
Merci beaucoup, Alya. Mi aiuti molto, sai?” disse sarcastica.
“Vuoi che ti aiuti? Che ti faccia da spalla?”
“Sarebbe gradito. Cosa potrei fare?”
“Intanto andare lì e poi chiedergli di ballare.”
“Cosa? Ballare? NO… gli calpesterei i piedi e… e…”
“E ti stai facendo prendere dall’agitazione per niente. Sei una brava ballerina. Sei talentuosa, Marinette! Abbi più fiducia in te!” Disse Alya seccata ma mantenendo un tono basso.
Marinette lo guardò ancora da lontano, rimanendo vicina all’entrata della sala.
“E se poi non fosse lui? Farei una brutta figura.”
“Allora vai lì e chiediglielo.”
“E cosa dovrei dirgli? Sei Adrien?” sospirò sognante “Il fantastico e perfetto Adrien dei miei sogni?”
“Se riesci a dirglielo.” Rise ironica. “So che ne saresti capace, ma se non vuoi che scappi ti consiglio di non farlo. Però puoi sempre scoprirlo.”
“E come?”
“Non lo so! Inventati qualcosa! Lo fai sempre. Sii te stessa ma non troppo te stessa.”
“Non sei di aiuto, Alya!”
“Ah, davvero? Vuoi un aiuto più concreto? Bien, allora respira, fatti coraggio e…” la spinse verso di lui “buttati!”
“Uaa!” la spinta di Alya la fece barcollare in avanti e, perdendo l’equilibrio, cadde per terra avvicinandosi molto ad Adrien.
“Mn?” Adrien si girò e vide una bella ragazza dai capelli corvini in un vestito rosso seduta ai suoi piedi.
“State bene?” le domandò porgendole la mano per rialzarsi.
Il cuore di Marinette sussultò e le gote presero colore mentre la mano chiusa al petto si avvicinò alla mano del suo presunto amore, con i loro sguardi che si perdevano uno negli occhi dell’altro.
“Voi siete?” chiese Adrien curioso dopo averla aiutata ad alzarsi, poiché non riuscì a riconoscerla.
“Ma-Ma-Maldestramente mortificata.”
Adrien rimase basito per un attimo. Non era quello che intendeva e la risposta lo fece sorridere.
“Per cosa? Non avete fatto nulla. L’importante è che stiate bene.”
Oui. Merci.” Disse con aria sognante, finendo di sistemarsi il vestito.
 “Allora… è tutto di vostro gradimento qui alla festa?”
Oui…t’est magnifique.” Si risvegliò “Cioè, no.. la festa… la festa è magnifica. Sì insomma, l’allestimento, i tavoli, le candele… eheh… tutto…” sospirò “magnifico..” disse guardandolo mantenendo l’aria sognante. Poi si ricordò che poteva non essere l’uomo che sperava.
Adrien era un po’ turbato. “Quindi… vi state divertendo?”
“Sì. No... Non lo so. Insomma… Sono arrivata da poco. Ho provato a far amicizia con le persone che ci sono… Ma con scarsi risultati.”
“Non le conoscete?” Adrien la guardò sorpreso.
“Con queste maschere è difficile riconoscere tutti.” Si girò per osservare i presenti e le piume della maschera solleticarono il naso del giovane uomo, cui le diede ragione poiché non riusciva ancora a riconoscere la dama dietro la maschera a pois che aveva di fronte.
Preso alla sprovvista, Adrien starnutì.
Marinette si girò verso il ragazzo e lui starnutì di nuovo.
“Vi sentite bene? Volete un fazzoletto?”
 “Non disturbatevi. È solo un’allergia.” Starnutì di nuovo.
“Oh. A me?” chiese Marinette confusa.
Adrien sorrise divertito. “Più o meno.” Fece un passo indietro e prima di starnutire riuscì a indicare e guardare le piume della maschera nel mentre si portò il braccio a coprirsi il naso.
Marinette si toccò il viso tastando la maschera. “Oh. Siete allergico alle piume? Non lo sapevo. Sono davvero, davvero mortificata. Però posso toglierle.”
“Non vorrei mai farvi rovinare una….una… a…aah…atchoo!...” Tirò su con il naso. “Scusate…dicevo… una meravigliosa maschera a causa mia.” Si schiarì la voce.
“Non è un problema. L’ho creata io e le posso sempre aggiungerle di nuovo.” Prese un fazzoletto dalla borsetta in coordinato con il vestito e lo porse all’uomo. “Ecco prendete.”
Adrien vide il fazzoletto in stoffa rosa con un merletto nero tutto attorno. Un fiore bianco e rosa vicino alle iniziali MD.
“Insisto.” Disse Marinette prima che il mascherato potesse obiettare.
Lui sorrise e annuì. “Merci.” Alzò appena la maschera da gatto nero, facendoci passare il fazzoletto da sotto, e si soffiò il naso dandole le spalle, per galanteria.
Marinette non sapeva cosa fare e si girò sperando in un aiuto dell’amica, ma ciò che vide le fu insolito e, anzi, poteva quasi rinfacciarglielo in modo amichevole.
 
“Posso servirle dello champagne?” domandò un cameriere di colore.
“Anche se sono una serva?” rispose Alya.
“Beh, lo sono anche io. Visto? Abbiamo già qualcosa in comune.” Il cameriere con gli occhiali tondi la guardò sorridendole.
“Sfacciato.” Sussurrò Alya ricambiando il sorriso.
“E avete un bellissimo sorriso, mademoiselle.”
“Cosa vi fa pensare che non sia madame?”
“Perché siete una serva. Lo avete detto voi.”
“E anche irriverente.” Ghignò sempre più compiaciuta.
“Sono irriverente se chiedo il vostro nome?”
Ci pensò. “Sì. Lo siete.”
Lui rise. “Allora non ho speranze nel saperlo?”
Sorrise ancora e cedette. “Alya. Mi chiamo Alya.”
“Un bellissimo sorriso accompagnato a un altrettanto bellissimo nome.”
“Ma voi siete qui per lavorare o per adescare le persone?”
“Non adesco nessuno, se non voi. Allora… Gradite lo champagne?” le mostrò il vassoio d’argento, ma Alya guardò esitante i calici semi vuoti.
“Avanti, è una festa!” Provò a incoraggiarla.
“Mi dite il vostro nome in cambio?” Alya allungò la mano.
“Nino.” Disse senza batter ciglio e Alya rise prendendo un calice.
“Potreste passare dei guai, sapete?”
“Per aver servito una gentildonna?”
“Per aver servito una serva. Buffo, n’est pas?”
Oui. Ma non preoccupatevi per me.” Si guardò attorno e le sussurrò “Il proprietario è mio amico.”
Alya sgranò gli occhi sorpresa.
“Un amico… davvero?” disse incredula e sarcastica.
“Lo so, può sembrare strano che uno di colore abbia un amico bianco e addirittura ricco, ma cosa posso farci se sono simpatico.”
Alya rise ancora. “Vi state sopravvalutando?”
“Affatto. Sono certo delle mie capacità e… un po’ forse lo faccio. Ma se non ci si sopravvaluta in questo mondo difficile per noi, non si riesce a guardare avanti e vedere il bello della vita.”
Alya lo guardò negli occhi sorpresa. “Una buona filosofia, ma sopravvalutarsi può essere anche pericoloso. Quando lo si è troppo e qualcosa sfugge al controllo finendo male, potrebbe essere un duro colpo al proprio ego. E forse l’ego è quello che vi fa andare avanti.”
“No. Désolé. Mi fa andare avanti la speranza. Il fatto che c’è possibilità per noi. E parte tutto nell’avere un ami che ti ritiene amico senza guardare il colore della pelle.”
Vide che Alya ci stava riflettendo e lo capì. Il suo sguardo si posò su Marinette che, in modo imbranato, stava cercando di aiutare il giovane uomo.
“Champagne?” chiese Marinette ad Adrien, ma lui lo guardò spiazzato.
“Ehm…”
“No?... Certo..no.. Meglio di no. Che sciocca, eheh. Vado a cercarle dell’acqua, forse è meglio.” Si allontanò da lui cercando dell’acqua tra il buffet, cui il cibo stava svanendo pian piano.
Alya sbuffò e sorrise. “C’est vrai. Hai perfettamente ragione. C’è speranza. Ma per la mia amica sembra di no, perciò ti devo lasciare. Almeno potrai riprendere il tuo lavoro in pace.”
“In pace sicuramente, ora che so il vostro nome, Alya.”
“Non usarlo troppo.” Rise andando verso Marinette.

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Capitolo 4
*** 4. Ingegno e furbizia ***


4.
“Cosa succede qui?”
“Oh, Alya. Meno male sei qui. Sto cercando dell’acqua da servire al ragazzo a cui mi hai spinta.” La guardò con aria d’accusa. “Non ho ancora capito se è Adrien, però sta male e pensavo che un po’ d’acqua potesse aiutarlo.”
“Punto uno, il fatto di servire è compito mio. Punto due, dovresti tornare da lui.” Disse prendendo una brocca d’acqua e versandolo in un bicchiere.
“Non posso.”
“Perché no?”
“Starnutisce a causa mia.”
Alya rise divertita. “Questa mi è nuova.”
“O meglio, a causa della maschera.”
Alya la guardò “Allora prima di andar da lui dovresti toglierla.”
“Cosa? Che senso ha togliere la maschera se è una festa in maschera! E poi potrebbe riconoscermi e farei davvero una brutta figura. No…noo… assolutamente no. Non la tolgo. È la mia ancora di salvezza dalle figuracce.”
“Ahh, Marinette, Marinette…” sospirò Alya con il bicchiere in mano e spingendola con l’altra mano sulla schiena. “Ora torniamo da lui insieme e gli porgi l’acqua. Va bien? Un passo alla volta, mon amie.”
D’accord.” Prese il bicchiere d’acqua dalla mano di Alya e si avvicinarono al giovane mascherato da gatto, ma prima che ci potessero arrivare, con le mani tremanti Marinette rovesciò l’acqua su un vestito giallo e pizzi in nero.
Oh no. Che guaio! Pensò Marinette sostenuta da Alya.
La signorina su cui versò l’acqua, inspirò pesantemente. “Come osi?!” tuonò.
Je suis très désolé, mademoiselle.”
“E lo spero bene! Sai quanto è costato questo vestito?”
“No, però è solo acqua, si asciuga senza problemi e non rimangono macchie. Siete stata fortunata che non fosse champagne.”
“Ma con chi credi di parlare?!” utilizzò un tono più regale. “Io… sono Chloé Bourgeois! E mio padre è il Prefetto di Parigi!”
Oh no. Di bene in meglio. Pensò sarcasticamente. “Le mie scuse, ma come ho detto non è successo nulla. È solo acqua.”
“Per te forse è solo acqua. Intanto io devo andare in giro così, con questa macchia sul corpetto e chi mi vedrà penserà ad altro.” Sospirò arrabbiata. “Tutto per colpa tua. La mia immagine è rovinata!”
Parbleu. Non c’è bisogno di arrabbiarsi tanto e creare una tragedia teatrale.”
“Ah sì? E allora dimmi, coccinella-so-tutto-io, come credi di risolvere eh? Per colpa tua dovrò andare a casa e cambiarmi e perdere altro tempo a scegliere il vestito perfetto per la serata.”
Marinette si guardò attorno e vide un cameriere portare dei pasti caldi riempiendo il buffet.
Ma certo. Pensò.
“Se avete la pazienza di aspettare, vi mostrerò come farò sparire quella macchia senza che torniate a casa a cambiarvi.”
Senza nemmeno aspettare una risposta, Marinette si allontanò dalla folla che si era creata attorno a loro e riconobbe il cameriere con gli occhiali che parlò con Alya. Gli si avvicinò e gli domandò “Scusatemi. Mi sapete dire dov’è la cucina?”
“Certo.” E le indicò la strada più breve da dove si trovavano. “La prima porta a destra come uscite da questa porta. Ma..” non riuscì a finire la frase “non vi è permesso entrarvi” che Marinette era già fuori dalla sala e aprì la porta indicata da Nino. Con passo veloce si ritrovò in cucina e vide il caos che vi era dentro.
O mon dieu.” Sussurrò a se stessa guardando bene il posto. Un grosso tavolo in legno al centro e i fornelli tutti attorno, con le finestre spalancate per il gran caldo, mentre i camerieri entravano e uscivano con gran attenzione senza ostacolare nessuno.
Marinette ispezionò ogni cosa con la sola vista e trovò uno straccio asciutto e pulito sul grande tavolo. Sorrise trionfante e lo prese subito facendo poi un passo indietro. Appena in tempo, poiché passo davanti a lei il cuoco con un pentolone fumante. Poi fece un giro su se stessa cercando un fornello non occupato e quando lo individuò, con un gran passo si avvicinò e fece riscaldare lo straccio vicino ai fornelli, grazie ai carboni accesi.
Non si rese conto, però, che la cucina era comunicante alla sala dove stavano tutti gli invitati. Il giovane mascherato da gatto nero, cui i starnuti erano momentaneamente passati, la stava osservando da una piccola finestrella tonda sulla porta.
“Certo. Io devo stare qui ad aspettarla, invece lei se la dà a gambe e scappa.” Protestò Chloé cercando la sua amica.
“Non devi buttare fango su persone che non conosci. Specialmente quelle che cercano di aiutare.” Ringhiò Alya in difesa dell’amica.
“Attenta a come parli, altrimenti ti faccio tornare da dove sei venuta. Intensi?”
Alya ringhiò ancora infastidita, mentre Chloé ghignò trionfante.
“Andiamo Sabrina, questa è un’inutile perdita di tempo.”
Marinette prese lo straccio caldo e se lo girò tra le mani. “uuh aahh…scotta…” sussurrò, rimboccando la stessa strada che aveva preso.
“Ecco. Ce l’ho. Uaa… come scotta…” Disse tornando nella sala magna dirigendosi verso Chloé che stava per andarsene, ma si girò per scoprire quale assurda idea volesse mettere in atto.
Marinette appoggiò lo straccio caldo sulla macchia d’acqua senza neanche chiederle il permesso di toccarla. Lo straccio bruciava troppo e per questo Marinette scosse le mani per raffreddarle.
“Siete impazzita? Così mi rovinerete il vestito! E poi scotta! Volete forse bruciarmi viva?”
“Non riuscite a pazientare un po’ e a sopportare questo piccolo calore? Uno straccio caldo che si sta raffreddando non può bruciarvi.”
Gli astanti stavano guardando incuriositi e la musica nell’aria riempiva quel momento d’attesa.
“Ancora un attimo e…” Marinette tolse lo straccio caldo ormai raffreddatosi e la macchia d’acqua non c’era più. “Voilà. Vestito tornato come nuovo.”
Chloé rimase incredula ma non lo volle dar a vedere e cercò di sminuire il suo lavoro e gli applausi che Marinette stava ricevendo, sotto i tanti bisbigli. “Oui, Oui. Ma non montarti la testa, sei solo stata fortunata, coccinella.”
“Io credo che le parole giuste che state cercando siano di ringraziamento.”
Chloé non era affatto contenta e non sapeva come rispondere. Si girò verso l’amica prima di uscire. “Andiamo Sabrina.”
Però! Ingegnosa la ragazza. Pensò Adrien che assistì a tutto.
“Ben fatto” disse Alya nell’orecchio dell’amica, godendosi l’espressione di Chloé.
Marinette le sorrise e Alya le disse ancora a bassa voce portando le mani sulle sue spalle. “Abbiamo ancora un piccolo problema da sistemare. Ti vado a prendere un altro po’ d’acqua.”
Alya si allontanò e Marinette sussultò spostando lo sguardo sul giovane mascherato che la stava guardando molto impressionato.
Marinette si sentì in imbarazzo e Alya tornò con un altro bicchiere d’acqua. “Questa volta cerca di non farlo rovesciare, va bien?”
Marinette annuì. “Ci provo.”
“Brava ragazza.” La prese per le spalle e la diresse verso il suo presunto amore Adrien.
Balbettò un po’. “Vi ho preso dell’acqua. Ma questa volta non lo rovescio. Giuro.” Gli porse il bicchiere con una mano sotto ad esso e l’altra mano a sorreggerlo.
Merci.” Sorrise e prese il bicchiere dalle sue mani, tornando ad avere un pizzichìo al naso. “Ma non è l’acqua o lo champagne il problema, mademoiselle. Sono ancora le vostre piume.”
“Oh, oui. C’est vrai.” Marinette si girò verso Alya mentre il mascherato felino bevve l’acqua.
“Puoi togliere le piume dalla maschera, s’il te plaît?”
“Perché le dovrei togliere?”
Atchoo!
Alya guardò basita il mascherato da gatto nero. “Salut!”
Merci.” Rispose come se avesse il raffreddore, pronunciando quasi tutte le lettere.
D’accord. Ho capito.” Alya prese le piume e le staccò senza difficoltà, come se le avesse strappate dalla pelle di un vero uccello.
 “Le hai tolte tutte, c’est vrai?”
 “Oui.” Mostrò loro le piume rosse e il giovane uomo si mise a starnutire di nuovo, passandosi il fazzoletto rosa sul naso.
“Oh. Pardon.” Alya bisbigliò a Marinette. “Meglio se queste piume le faccio sparire prima che le usi come repellente.”
“Buona idea. Secondo te Adrien ha problemi con le piume?”
“Non lo so. Ma di certo costui sì.” Strinse le piume rosse tra le mani e si allontanò da loro, dando un’occhiata di rimprovero all’amica alzando un sopracciglio. Marinette sorrise imbarazzata, ma non sapeva che quell’uomo, ancora sconosciuto per lei, fosse allergico alle piume.
“Ora mi sento meglio.” Disse Adrien con il naso un po’ rosso. “Ma non avevate motivo per toglierle davvero.”
“Invece sì. Vi facevano star male.”
Adrien rimase sorpreso e sorrise al suo sorriso avvilito. Poi rivolse lo sguardo al fazzoletto che aveva usato e imbarazzato non sapeva cosa fare.
“Oh. Ehm. Questo… glielo farò lavare.” Disse mettendolo nella tasca della giacca.
“Nessun problema. Ne ho altri. Se volete potete tenerlo.”
Il giovane uomo sorrise. “Oh. Come posso farmi perdonare?” Si accorse della musica che riempiva la sala. “Un ballo magari?”
“Un ballo? Perdonare? Ma cosa dite? Non avete nulla da farvi perdonare, anzi dovrei essere io a chiederle scusa.” Gesticolò.
“Giusto. Mi avete quasi ucciso con quelle piume, ma non potevate saperlo.” Ghignò iniziando a mostrare la sua vera natura.
“Come prego?” Marinette alzò un sopracciglio e iniziava a sospettare che quell’uomo non fosse il suo Adrien. Non avrebbe mai risposto senza rispetto e in modo così diretto.
“Mi avete sentito. Un ballo e sistemiamo tutto, siete d’accordo?” Le porse una mano e l’altra dietro alla schiena con un leggero inchino.
“Un ballo? Ma… ma io… non…”
“Cosa siete venuta a fare a una festa se poi non ballate? Courage, ci sono io che vi guido, dovete solo seguire me.”
Bien. Se la mettete così… Vorrà dire che se vi calpesterò i piedi non sarà colpa mia.” Appoggiò la mano alla sua.
“E questo cosa vorrebbe dire? Che non sarei capace a condurre?”
“Io non l’ho detto.” Sorrise furba.
Il giovane uomo si sentì più a suo agio non sapendo chi avesse di fronte ed era quasi certo che non lo sapesse nemmeno lei chi fosse lui.
“Miao…” sussurrò malizioso, compiaciuto dalle risposte acute della ragazza mentre si addentrarono nella pista da ballo assieme ad altri ballerini.
Iniziarono a prendere più confidenza verso l’altro e considerando che il mascherato felino si stava comportando in modo sfacciato, non trovò scuse valide perché non potesse parlare in modo diretto anche lei.
“Mani a posto, micetto. Intesi?”
Mais oui. Sono purr sempre un gentiluomo.”
Risero insieme per la battuta felina e si portarono in pista, mentre gli occhi azzurri della ragazza incrociarono quelli verdi del misterioso mascherato dai capelli dorati.

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Capitolo 5
*** 5. Il ballo ***


La musica riempiva la sala da ballo con “Giselle Valse (act 1) di Adolphe Adam” e pronti per il ballo, Marinette mise una mano sulla spalla del giovane uomo e l’altra nella sua mano mentre il mascherato felino la stringeva dolcemente a sé con la mano sul fianco e iniziò a guidarla trasportati dalla musica.
Marinette arrossì e si lasciò andare, anche se ogni tanto gli calpestò davvero un piede.
“Forse non sono così bravo a condurre.” Ironizzò.
Désolé. Sto ancora pensando al momento di prima, dove ho tenuto testa alla figlia del Prefetto, e non me ne capacito ancora.”
“E perché no? È buono che non vi fate mettere i piedi in testa da nessuno. E poi senza di voi quella ragazza non si starebbe divertendo ora.” Alzò lo sguardo verso Chloé.
Fecero una giravolta e Marinette la vide ballare con un ragazzo senza maschera, Kim. Un ragazzo atletico, snello e con capelli corti castani. Ma Chloé non aveva un viso molto felice. Sembrava stesse cercando qualcuno tra la folla.
“Senza di me non si sarebbe nemmeno bagnata il vestito.” Rispose la dama in rosso.
Adrien abbassò lo sguardo verso di lei e per conforto la strinse dolcemente a sé facendo un’altra piroetta abbracciati.
“Non siate triste. Alla fine avete sistemato tutto ed è quello che conta, non credete anche voi?”
Marinette sussultò e guardò nei suoi occhi verdi, ammirando le sue labbra stese in un sorriso sincero mentre i loro piedi andavano in sincrono, avanti e indietro e di lato, giro e di nuovo uguale.
La dama in rosso non poteva dargli torto. Coraggiosa, astuta e con riflessi pronti. Aveva dimostrato a se stessa che poteva farcela e quella maschera l’aveva aiutata un po’ nell’affrontare Chloé.
Marinette sorrise e seguì il gatto nero mascherato senza più calpestargli i piedi, ritrovando la sua fiducia e forza interiore.
Trés bien. Imparate in fretta.” Disse il giovane sorpreso.
Mais oui. Una mia amica dice che sono talentuosa, probabilmente ha ragione.”
“Talentuosa? Per il ballo vi darei… quasi 8 punti su 10. Visto che state migliorando.”
“Allora i mancanti 2 punti sono colpa vostra.” Sogghignò.
Adrien spalancò la bocca senza parole. “Questo è un colpo basso perfino per un felino. Ma almeno non avrò altri lividi importanti, tralasciando spalle e schiena ormai viola.”
Marinette ridacchiò. “Avete avuto a che fare con Monsieur Alphand?”
Sgranò gli occhi. “Sì! Esatto! È incredibile come si faccia riconoscere con le sue…”
“Amorevoli pacche” Dissero insieme e risero entrambi.
“Sì. Lui le chiama così.” Ridacchiò ancora la dama in rosso.
“Però di amorevole non hanno proprio niente. Sono massacranti.” Rise il giovane. “Pensavo di lasciare le braccia sul pavimento stasera.” Risero insieme e il giovane proseguì. “No, davvero. Avete mai provato una sua pacca? Spero tanto di no, per la vostra salute.” Sogghignò.
“Fortunatamente no. Ma le ho sentite. Ogni volta che arriva una pacca si sente il ciocco.” Risero insieme.
“Ricordo una volta, quando entrò nel nostro negozio a ordinare una torta e mio padre gli diede le spalle con la torta in mano. Non lo avesse mai fatto! Monsieur Alphand gli diede una pacca sulla spalla e, mio padre è abbastanza robusto ma non se lo aspettava! Il braccio si spostò e la torta volò sul volto di mia madre.” Raccontò Marinette mentre Adrien non sapeva se esserne dispiaciuto, però era alquanto divertito e non riuscì a nasconderlo.
“Ooh.. nooo..” risero insieme. “L’ho sempre detto che sono distruttive.” Disse il felino.
Risero ancora e si trovarono più abbracciati rispetto a prima.
Calmarono il respiro dopo le risate e i loro sorrisi rimasero sui loro volti mentre la musica ebbe un passo più allegro e veloce.
“Quindi… avete un negozio?”
Marinette sgranò gli occhi. “Sì… cioè… niente di straordinario…”
“Avete detto torte. È una pasticceria?”
Boulangerie-Patisserie. Una cosa comune qui a Parigi. Ce ne sono tanti.”
“Se siete qui, vuol dire che avete partecipato all’organizzazione dell’Esposizione Universale?”
“Esatto.”
Adrien rimase un attimo in silenzio. Si rese conto che non era educato fare troppe domande, ma voleva saperne di più e si morse il labbro non sapendo come proseguire il discorso visto che il divertimento tra i due tornò nella serietà e nell’imbarazzo, costatando che il ballo stava per finire.
Così, per conoscerla meglio senza farle altre domande, le fece un complimento.
“Indossate un bel vestito, mademoiselle. Ma non credo di riconoscerne l’autore.”
Il viso di Marinette diventò rosso come il vestito. “Perché… l’ho fatto io.”
C’est vrai.Trés désolé. Me lo avevate accennato.” La allontanò da sé tenendola per una mano dando un altro sguardo al vestito che svolazzava e poi la riabbracciò proseguendo la danza. “Allora avete davvero un talento. Un dono innato. Oltre al negozio di dolci, avete una vostra boutique?”
Merci beaucoup per il complimento. Purtroppo no, ma mi piacerebbe avere una boutique tutta mia un giorno.”
“Se volete, posso parlare con mio p… uhm… una persona di mia conoscenza.”
“Per far cosa?”
“Per aiutarvi a realizzare il vostro sogno.”
“E voi chi sareste per farlo? Un genio che esaudisce i desideri? Non avete motivo per fare questo per me.”
“Diciamo che mi piace aiutare le persone.”
“Gentile da parte vostra, ma chissà.. magari un giorno verrò a chiederle aiuto se mi servirà. Prima, però, vorrei provarci con le mie sole forze se permettete.”
Il giovane uomo sorrise compiaciuto dalla determinazione della ragazza. Di solito a chi offriva aiuto, l’altra persona accettava sempre per rendere più facile il percorso. Invece, questa dama in rosso aveva rifiutato e la situazione lo intrigava ancora di più.
“Un buon talento emerge sempre.”
Merci. Come vi avevo detto, forse la mia amica ha ragione.”
“Dovrei conoscere la vostra amica e dirle che ha assolutamente ragione.”
Marinette sorrise imbarazzata.
“Siete diventato un adulatore adesso?”
“Preferisco ritenermi il vostro cavaliere per adesso.”
Marinette divenne paonazza.
Il mascherato felino però pensò alla sua domanda ”Ma toglietemi una curiosità: Perché? Prima cos’ero?”
Marinette sogghignò. “Un gatto nero misterioso.” Ridacchiò. “Insolita scelta.”
“Perché insolita?”
“Le credenze popolari dicono che porti sfortuna.”
“Questo mi fa intuire che voi non ci credete, n’est pas?”
“E voi sì?” Marinette socchiuse gli occhi dubbiosa.
“Mnn… direi di lasciare le credenze popolari a loro.”
“Come immaginavo” ridacchiò.
“E con questo cosa volete dire?”
“Beh, avete avuto il coraggio di vestirvi da gatto nero, questo significa già che non ci credete più di tanto.”
Adrien rimase colpito dal suo intuito. Questa donna è geniale. Semplicemente geniale. Pensò mentre la musica si fermò di colpo e si fermarono anche loro sul posto ancora con le braccia in posizione base.
“Pensandoci, forse, vi ha portato davvero sfortuna questa sera.”
“Perché dite così?” Adrien la guardò incantato.
“Avete avuto un brutto episodio con le piume a causa mia, poco fa.” Sorrise divertita.
“Oh quello…” ridacchiò. “Ma avete compensato con la vostra fortuna.”
“La mia fortuna? Ma no… sono maldestra, non sono fortunata.”
“Il vestito dice il contrario.” La musica riprese e anche i loro piedi ripresero a muoversi in sintonia.“Se la mia scelta è insolita allora la vostra lo è di più.”
“Perché?” domandò quasi offesa.
“Oh, non ho niente contro le coccinelle, ma sono insolite rispetto a un gatto.”
“Più di un gatto nero? Non ne sarei così convinta.”
“Un gatto, che sia nero, bianco o di un altro colore, è sempre più facile da trovare nelle feste rispetto a una coccinella. Su questo non ho dubbi. Ho partecipato a molte feste, ma di una coccinella… mai vista. Fino ad oggi.”
“Oh, quindi siete un festaiolo. E secondo voi è un male? Dovrei portare qualcosa di più.. facile da trovare?” ripeté le sue parole.
“No. Parbleu. No! Mi piacciono le feste in maschera perché puoi essere te stesso e scoprire la fantasia delle persone. Insomma, usano maschere che li rappresentano di più.”
“E il vostro cosa dovrebbe significare? Vi sentite sfortunato?”
La guardò un po’ malinconico pensando alla sua situazione familiare, ma poi le sorrise ammirandola. “Non sono stato più fortunato di stasera.”
Marinette arrossì visibilmente. “Beh… allora… lieta di avervi portato fortuna.”
Il ballo finì e il gatto mascherato si inginocchiò con la gamba sinistra che mantenne il peso del corpo e la gamba destra e il braccio destro steso indietro mentre l’altra mano teneva teneramente quella della dama, cui aprì il braccio sinistro verso l’esterno in modo leggero e aggraziato.
Adrien e Marinette avevano il fiato corto ma continuavano a guardarsi negli occhi, come se ci fosse una qualche sintonia tra di loro.
“Se io sono il vostro… uhm… chat noir. Sì, chat noir! Allora voi siete…”
“Ladybug. Semplicemente Ladybug.”

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Capitolo 6
*** A votre santé ***


Il ballo finì e Adrien si rialzò e accompagnò la sua compagna di ballo nella sala adiacente per rinfrescarsi entrambi al buffet.
“Ladybug eh? Allora milady, lasciate che vi offri qualcosa.”
Je suis très désolé, la serata è stata molto piacevole ma… in realtà vorrei continuare la ricerca di una persona e vorrei trovarla.”
“Chi per l’esattezza? Potrei aiutarvi.” Disse prendendo uno stuzzichino, dandogli un morso.
“Oh beh… Cercavo il proprietario di questa villa.” Adrien iniziò a tossire.
“Oh, parbleu! State bene? Volete un altro po’ d’acqua?”
Adrien si diede qualche colpo al petto e si schiarì la voce. “Désolé.” Fece un’altra tosse e si schiarì nuovamente la voce.
“Volete riprendere tutto da capo? Con acqua e tosse al posto delle piume?” ridacchiò Marinette.
Oui. Divertente.” Sorrise ironico. “Perché…uhm… state cercando il proprietario?” chiese nervoso.
“Perché…ecco…sì… volevo salutarlo. Insomma… è scortese non salutare no?” si spostò una ciocca dietro l’orecchio e abbassò appena la testa.
Per il modo in cui stavano interagendo non credeva possibile che dietro il mascherato da gatto nero potesse nascondersi il suo amato Adrien. Un ragazzo dolce e rispettoso, intelligente, gentile e affascinante.
Il felino la guardò intimidita e abbozzò un sorriso sempre più colpito da quella dama in rosso. “Beh forse, è il proprietario a essere stato scortese nel non aver salutato tutti i suoi ospiti, non credete?”
“Cosa? Ma no… certo che no.. Adrien non lo farebbe mai. O almeno credo… lui….lui…” sospirò cercando di non balbettare. “Lui… se non l’ha fatto avrà avuto senz’altro un motivo. Insomma… guardate quanti ospiti. Nemmeno io potrei sapere se li ho salutati tutti o no, poi con queste maschere non è semplice. Perciò… ecco… come dire… come aiuto e per cortesia sarebbe giusto che sia io ad andare da lui… non mi sorprenderebbe se non avesse notato una persona come me.”
Lui rimase senza parole. “Fidati. Ti ha notato.” Sussurrò.
“Come? Avete detto qualcosa?” chiese Marinette non avendo sentito a causa dei borbottii altrui e dalla musica che riprese a echeggiare dalla sala da ballo.
“Uhm… avete ragione. Ma è meglio se vi rinfreschiate un po’ prima di andarlo a cercare.” Le porse un calice di champagne preso dal buffet.
Marinette rimase colpita e prese il calice tra le sue mani mentre Adrien ne prese un altro.
“Volete brindare con me, milady?”
“A che cosa? All’Esposizione?”
“Lasciamo da parte l’Esposizione per adesso. Io direi di brindare a questa festa. A questa serata e… perché no? A chat noir e ladybug.”
Marinette lo guardò confusa. Non sapeva se fosse serio o se la stesse prendendo in giro, ma l’idea la divertiva e sogghignò. “D’accord. A Chat noir e Ladybug.”
Il giovane non pensava che avrebbe accettato e si meravigliò ancora. Con il sorriso nel cuore e sulle labbra, i due calici si toccarono. “A votre santé.” E bevvero lo champagne tutto d’un fiato.

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Capitolo 7
*** 7. Richiamo ***


Ladybug salutò il felino con una riverenza dopo aver bevuto lo champagne e tornò a cercare nella folla il proprietario della villa.
Chat noir, come la vide allontanarsi da lui, sparì subito e si fece spazio tra la folla della sala da ballo cercando di raggiungere le scale e l’orchestra posta ai lati di esse. Nel suo tragitto iniziò a togliersi il foulard ocra, si sistemò i capelli scompigliati dal ballo e, una volta arrivato vicino le scale tolse la maschera da gatto dando le spalle a tutti e nascose foulard e maschera vicino al violoncellista accanto la scalinata.
Il musicista continuò la sua esibizione talmente concentrato che non si accorse di cosa stesse combinando il ragazzo e specialmente non si accorse chi era QUEL ragazzo.
Adrien si girò guardando i suoi ospiti che ballavano insieme e fece cenno a Nino di avvicinarsi a lui.
Nino adocchiava subito le persone e non poteva non notare il suo amico che si sbracciava sul primo scalino richiamando la sua attenzione, cercando di non richiamare quella degli astanti.
Nino si avvicinò. “Che c’è ami..uhm… Sì signore? Desiderate qualcosa?”
“Esatto.” Adrien allungò la mano sul vassoio che il cameriere portava e afferrò un calice. “Grazie Nino”
De rien” rispose.
Adrien salì un altro scalino e si affacciò al parapetto parlando con i musicisti. “Scusatemi, signori…”
Ma la musica era molto alta e non lo sentirono. “Scu…scusatemi…signo..signori…” provò di nuovo, ma nulla. Allora provò a schiarirsi la voce in modo esagerato. Ma nulla anche in questo modo.
Nino si spazientì e salì pochi gradini, restando lo stesso al di sotto di Adrien. “Lo sai? Dovresti essere più convincente e più sicuro di te. In quel modo non attireresti nemmeno una mosca.” Gli fece un occhiolino e gli sorrise. “Guarda e impara come si richiama l’attenzione di queste persone con le orecchie dure – riferendosi all’orchestra – e ad altre sovrappensiero.”
Nino prese fiato e, conoscendo il brano che stavano suonando i musicisti, aspettò una nota bassa prima di espellere un forte fischio raggiungendo il suo obiettivo. L’orchestra si fermò per capire cosa fosse successo e di conseguenza, non sentendo più della musica nella sala da ballo, gli astanti fermarono i loro piedi e si girarono verso quei due giovanotti in piedi sulla grande scala.

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Capitolo 8
*** 7.1 Discorso ***


Marinette stava ancora cercando nella piccola sala ricevimento dove c’era allestito il buffet. Dopo il fischio, la sua ricerca si bloccò e guardò Alya accanto a lei.
Si guardarono e si lessero negli occhi che nessuna delle due sapeva cosa stesse accadendo.
Si avvicinarono all’ingresso della sala da ballo adiacente, ma non videro nulla. Troppe persone e la voce era lontana da loro.
Alya però riconobbe la voce che stava parlando, le cui pareti la riportavano in tutta la sala. Un leggero sorriso fiorì sulle labbra della giovane ragazza vestita da volpe e prese per il braccio la sua amica, trascinandola nella folla per non perderla di vista.
Marinette non riusciva a capire quella furente voglia di portarsi avanti a tutti e ad ogni loro passaggio brusco, la dama in rosso continuava a chiedere scusa in nome di entrambe.
Quando Nino fu sotto lo sguardo di Alya e in uno spazio abbastanza largo, sentirono pronunciare a Nino le seguenti parole: “Vi ringrazio per la vostra cortese attenzione e vi lascio nelle mani del nostro beniamino per questa Esposizione, nonché il nostro amato proprietario e signorino Adrien Agreste.”
Un boato fatto di applausi riempì la sala e Adrien si mostrò intimidito davanti a tutte quelle persone e cercò di placare quell’entusiasmo. Si sistemò il colletto senza foulard nel mentre Nino scese dalla scala lasciando tutto lo spazio a chi di diritto.
“Va bene, va bene. Grazie. Ho capito. Grazie di cuore.” Disse Adrien sventolando una mano cercando di smorzare gli applausi che andarono scemando.
Un silenzio innaturale piombò subito dopo.
Adrien sospirò non sapendo da dove far partire il suo discorso e si grattò la testa nervoso.
“Uhm… come ben saprete, grazie anche all’esordio di Nino… Io sono Adrien Agreste.” Prese un respiro e si lasciò andare con parole sincere.
“Ho organizzato questa festa per tutti voi, in segno di ringraziamento per il lavoro svolto per questa pazza e folle scommessa.” Ridacchiarono tutti. “Voi avete contribuito a rendere grande questa Esposizione Universale e credo che la parola grande si farà sentire negli anni a venire; perché avete tentato qualcosa di altamente improbabile con tante innumerevoli e valide idee realizzandole su vasta scala.” Fece una breve pausa per riprendere fiato e tutti erano lì ad ascoltarlo. Anche Marinette era lì a contemplarlo. “Come ben sapete, anche io ho partecipato alla realizzazione di questo evento e l’ho seguita con occhi pieni di fascino e di speranza dall’inizio della sua vita presa su un foglio fino alla sua realizzazione e posso dirvi con certezza che voi avete iniziato un’Era nuova di progetti e invenzioni che porteranno la vita di tutti a essere una vita più facile da…vivere.” Sogghignò il ripetersi delle parole continuando a gesticolare mentre parlava. “Credo davvero che questa Esposizione sarà quella più discussa tra tutte quelle avvenute e ringrazio di cuore il direttore generale che ha preso parte a questo evento facendo in modo che tutto andasse secondo i termini stabiliti: il signor Alphand.” Adrien applaudì facendo attenzione al calice che aveva in mano e gli ospiti lo imitarono, inondando la sala di applausi. Il signor Alphand si commosse e ringraziò tutti con un leggero inchino del capo.
Ma Adrien non aveva ancora terminato il suo discorso, aspettando che gli applausi andassero scemando ancora una volta.
“Oltre a questi ringraziamenti, vorrei porgere le mie scuse a tutti i presenti a cui non sono riuscito salutare. Una festa in maschera, con numerose persone… ecco… è difficile capire se ho salutato tutte le persone o se rischio di salutarle più di una volta.” Si misero a ridere per la battuta e Adrien trovò con gli occhi la dama in rosso che lo stava guardando. “In realtà, salutare tutte le persone mi sembra quasi impossibile, anche se in questi mesi abbiamo realizzato davvero idee e sogni che sembravano irrealizzabili, perciò sono giunto a una conclusione… questa sera ho fatto il possibile per essere il più ospitale e cortese a nome mio e di mio padre con tutti voi, ma allo stesso tempo, ciò che non mi è stato possibile fare ma doveva essere fatta perché era il destino a volerlo.. è venuto da me.” Sorrise alla dama in rosso e distolse lo sguardo verso il mare di gente nella sala da ballo.
Marinette si sentì il cuore in gola e le sue gote divennero rosse, pensando che lui stesse parlando direttamente a lei.
Adrien alzò il calice che aveva in mano. “Ora voglio fare un brindisi. A questa Esposizione Universale, che possa brillare come le persone che l’hanno realizzato. A votre santé mes amies!”
A votre santé Adrien!” Urlò la folla riempiendo la sala più della musica stessa.
Natalie era presente al discorso di Adrien e si commosse un po’ applaudendo assieme agli altri, mantenendo la sua serietà professionale.
Marinette lo stava contemplando ancora senza perderlo di vista, accanto alla sua amica Alya.
“Ah, Alya. Non è fantastico?” disse sognante, guardando Adrien imbarazzato sullo scalino che si prendeva gli applausi degli ospiti.
“Dovresti andargli vicino prima che lo perdi di nuovo di vista.”
“EH? E cosa gli dico? NO! Potrei balbettare!”
“Vuoi un’altra spinta o ci vai da sola?” domandò Alya con sguardo furbo da volpe, cui vestiva.
“No. Grazie. Niente spinte, non voglio fare altre figuracce. Ci andrò da sola.” Prese un grosso respiro e fece un passo. Si bloccò e tornò da Alya.
“Non ce la faccio! Sono un disastro. E se poi cercasse una scusa per andarsene e non parlare più con me? Non mi rivolgerà più la parola.”
“Sei sempre così esagerata. Se non ci provi non lo saprai mai. E poi io sarò nei paraggi nel caso avessi bisogno di nuovo di me. Stai tranquilla. Rilassati, prendi un bel respiro e non pensare a nulla. O meglio, inizia ad interagire con lui, magari parlando del discorso che ha fatto. È un buon modo per iniziare la conversazione no? E poi hai la maschera che ti protegge dalle figuracce o sbaglio?”
Marinette sorrise. “Hai ragione. Devo provarci e prendere coraggio. C’è la maschera che mi protegge, no? Basta essere me stessa e respirare.”
“Sì, brava. Ma non troppo te stessa. Ricordati di respirare quando gli sei davanti.” Ridacchiò.
“Non è divertente. Sai quanto è difficile per me.”
“Non ci pensare, Marinette. Vai lì e complimentati con lui. Se non ci vai adesso con le tue gambe tremolanti, ti ci spingo di nuovo. Cosa preferisci?”
“Le mie gambe mi reggono ancora, per tua informazione. Perciò vado con queste gambe e senza i tuoi spintoni. Stai a vedere.” Fece un grosso respiro per calmarsi e poi si diresse verso Adrien.
Sentiva il cuore che voleva lasciarle il petto per quanto forte batteva. Una volta davanti ad Adrien, ciò non migliorò e rimasero a guardarsi per un lungo istante, come se i loro occhi parlassero al posto delle parole.

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Capitolo 9
*** 8. Aspettative sbagliate ***


Adrien era sceso dalla scala ed era di fronte alla dama in rosso.
Le sorrise incantato e cordialmente. “Buonasera mi…ehm.. mademoiselle.”
“Buon Salve.. sera… ehm… Bonsoir a voi…” cercò di non balbettare e di calmare il galoppo del suo cuore.
“Come posso aiutarvi?” domandò Adrien.
“O nulla. Non mi serve nulla. Ecco… io… volevo…” si interruppe non sapendo se proseguire il discorso.
“Volevate qualcosa?”
Marinette si morse il labbro inferiore. “Volevo dirti che ti… am… ammiro, sì! Ecco, ti ammiro! Hai fatto un bel discorso e molto motivazionale. Sono sicura che avrà successo grazie all’impegno di altre persone.” Disse d’un fiato.
Adrien sorrise e la musica riprese a risuonare nella sala, spaventando entrambi. Il ragazzo si tappò l’orecchio sinistro che gli fischiò per essere troppo vicino all’orchestra.
“Ti ringrazio per le parole!” disse Adrien.
“Come? Non ti sento!” rispose Marinette alzando la voce.
“Vuoi un ballo lento? Va bene.” domandò Adrien fraintendendo. Alzò la mano verso l’orchestra e fece un segno lento verso il basso per far capire di rallentare l’andamento.
Il suono si abbassò e potevano finalmente parlare.
“Dunque… accettate questo ballo lento?” Chiese Adrien porgendole la mano.
Marinette non credeva ai suoi occhi e per poco non sveniva per quel gran sogno se… non si fosse trasformato in incubo.
“Adrien caro! Finalmente ti ho trovato!” Una dama in giallo e bionda si intromise tra di loro e prese la mano offerta verso Marinette. “Vieni, andiamo a ballare. È tutto il giorno che ti cerco, non puoi non ballare con la tua migliore amica e qualcosa di più, n’est pas?”
“Chloè?!” Dissero entrambi ma con toni totalmente diversi.
La bionda trascinò il ragazzo in pista costretto a ballare con lei.
Marinette rimase vicino all’orchestra con le orecchie che fumavano dalla rabbia.
“Chloè, io stavo proponendo il ballo ad un’altra persona, non puoi intrometterti così. Non è giusto.”
“Cosa? Volevi ballare con quella-senza-stile? Ma è una plebea!”
“Non è una plebea. E se anche fosse, mi dispiace che tu la debba trattare in questo modo. Qui ci sono tutti i parigini che hanno contribuito a rendere grande questa idea. Non posso credere che ti credi superiore a loro.”
“Invece posso, Adrien caro. Ricordi che sono la figlia del Prefetto? E comunque, può aspettare il suo turno, ora stai ballando con me.”
Adrien non era molto contento e guardò vicino le finestre della sala che la dama in rosso stava parlando con la sua amica vestita da volpe. E Alya sembrava più agitata di Marinette.
 
“Non ci posso credere che quella smorfiosa si sia intromessa! Ma come si permette! Quella screanzata. Vedrai che il fato si abbatterà su di lei e in modo contrario alla fortuna.”
“Lo spero Alya. Ma intanto ho parlato con Adrien e mi ha fatto davvero piacere. Almeno sa che sono stata qui e l’ho potuto salutare e…” arrossì.
“E?” domandò maliziosa l’amica.
“E… niente. Mi stavo per dichiarare ma non ce l’ho fatta. E poi non voglio farlo vestita così.” Si mise le mani sul viso, coprendoselo con imbarazzo.
Alya non se lo aspettava. “Ma bene! Quindi volevi fare il passo più lungo della gamba nonostante ti serve una spinta per camminare?”
“Non scherzare ti prego. Anzi, meglio se torniamo a casa. Non ho più voglia di rimanere qui.”
“Ci credo. Ci sono persone che ti fanno passar la voglia di restare.”
Entrambe guardarono Chloè e Adrien danzare un lento in mezzo la folla.
“Andiamo Alya. Non abbiamo più motivo per restare qui. Mio padre ci starà aspettando.”
“D’accordo. Però stasera dovrò tornare a casa dalle mie sorelle.”
“Va bene. Nessun problema. Vai pure Alya e grazie per la tua compagnia.”
Alya le sorrise e uscirono dalla villa Agreste richiamando la loro carrozza, nel mentre Adrien concluse il ballo e cercò la dama in rosso con gli occhi.
Vide Nino. “Nino hai visto le due ragazze vestite da coccinella e da volpe?”
“No non le ho più viste dopo che ho attirato l’attenzione per te. Pensi che se ne siano andate?”
“Se fosse così mi dispiacerebbe molto non averla salutata.”
“Anche a me” abbassò lo sguardo. “Ehi aspetta un attimo. Salutato chi delle due?”
“Uhm?! Ehm… entrambe. Ovvio.” Adrien deglutì imbarazzato.
“Vado a vedere se le trovo.”
“No, Nino. Non fa nulla. La festa continua e io sono il padrone di casa. Non posso soffermarmi solo su due ospiti, ce ne sono tanti altri.”
“Sì, ma… non sono due ospiti qualunque.”
Adrien guardò Nino dandogli ragione. Si avvicinò alla finestra e guardò meglio appoggiando le mani sul vetro, in modo da togliere il riflesso delle luci della sala. Vide le due giovani donne salire sulla carrozza e poco dopo, questa si avviò per riportarle a casa.
“Beh. Adesso sono davvero dispiaciuto.”
Nino lo vide avvilito e si avvicinò alla finestra vedendo solo le tracce delle ruote nel terreno morbido.
“Mi dispiace amico.” Osò in pubblico senza rendersene conto, fortunatamente la musica coprì la loro conversazione.
“Anche a me.” Sospirò. “Come ho detto, ci sono anche altri ospiti. Vado a recuperare il mio travestimento e proseguiremo la serata come da programma.”
“Agli ordini.” Disse sarcastico.
“Nino…”
Il giovane arabo guardò l’amico. “Uhm? Cosa?”
“Grazie. Almeno ci sei tu in questa festa.”
Nino sorrise. “Puoi sempre contare su di me… fratello.”

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Capitolo 10
*** 9. Idea folle ***


Nella carrozza si potevano sentire gli zoccoli dei cavalli che battevano sul terreno e sui ciottoli, il passaggio delle ruote su di essi sballottavano le due ragazze sedute una di fianco all’altra.
“Allora, vuoi tenere il muso per il resto della notte?” domandò Alya.
“Come? Oh, no non ho il muso!”
“Giusto. Hai la testa tra le nuvole come sempre. Indovino: un gattino si è intromesso tra il principe biondo e la bella corvina?” Ridacchiò.
“Cosa? NO! Come ti salta in mente! Come puoi paragonare quel gatto nero al perfetto Adrien? Ha tutt’altri modi…”
“Davvero? Hai parlato con Adrien solo per qualche minuto mentre con il ragazzo mascherato hai ballato per una intera sinfonia.”
“Per questo ti dico che non era Adrien. Aveva un comportamento diverso.”
“Ah Marinette. Non puoi esserne certa. Entrambi hanno occhi verdi e sono biondi, magari anche Adrien si sente più a suo agio dietro una maschera.” Le lancia un’occhiata pensando a come aveva risolto con risolutezza la questione con il vestito di Chloé.
Marinette sorrise timidamente. “Hai ragione, non posso esserne sicura. Ma è difficile essere qualcun altro se hai un carattere che prevale e una educazione.”
Touché. Ma almeno sei riuscita a parlare con Adrien… anche se fosse stato dietro una maschera, hai acquisito sicurezza nel parlare con il presunto amore della tua vita.”
Marinette si mise le mani sulle guance, pensando di aver parlato e ballato con Adrien al posto di Chat Noir.
“Alya! Non devi dire certe cose! Poi la mia mente viaggia…”
Alya rise divertita. “La mia idea è solo una possibilità. Però se sei sicura che non fosse Adrien…” rimase in sospeso e fece spallucce.
“Viaggiamo molto per idee noi due” Risero insieme e continuarono a parlare della serata, tant’è che Marinette si incuriosì delle avance fatte all’amica.
“E tu cosa mi racconti? Hai fatto colpo con il ragazzo che lavora lì.“
“Probabile. Ma non posso dire nulla finché non lo conosco bene. E poi non credo avrò la possibilità di rivederlo.”
“Perché no?”
“Marinette, sei sveglia? È uno schiavo e lavora per Agreste. Quante altre possibilità ci sono di vederlo? Senza offesa ma, fai fatica anche tu nel vedere Adrien. Noi… siamo persone normali. Insomma… capisci? Non tutti vedono le persone di colore come me come un amico, come fai tu. Per gli altri sono una schiava. E gli schiavi non possono avere un futuro certo.”
Il cuore di Marinette si strinse a quelle dure parole.
“Il mondo cambierà questo pensiero. Siete persone come noi, non schiavi. Gli uomini, tutti senza distinzione comprese le donne, sono nati liberi. Un giorno lo capiranno.”
Alya abbozzò un sorriso poco convinto. “Lo spero tanto, Marinette. Se accadrà, non credo succederà tanto presto. Però hai ragione, viaggiamo troppo con la mente.” Sogghignò divertita prendendosi una gomitata dalla sua amica in rosso.
“Marinette, parlando seriamente, vorrei ringraziarti dal profondo del cuore per la tua amicizia e per avermi portata con te al ballo questa sera. Addirittura creando per me questo vestito straordinario. Hai un talento innato.”
L’amica le sorrise e si grattò la testa in imbarazzo. “Sono piccole cose, Alya. Non devi ringraziarmi.”
Alya sorrise e l’abbracciò al collo intenerita. “Per questo sei una persona speciale.” La guardò negli occhi. “E ti assicuro che un giorno anche Adrien se ne accorgerà, vedrai.”
“Lo credi davvero?”
“Sicuro!” Le fece l’occhiolino.
La carrozza rallentò e girò l’angolo di una strada dove emergeva un grosso cancello cui venne aperto da due persone di colore.
Il cocchiere parcheggiò la carrozza e fece scendere le due dame. Poco dopo slegò i cavalli mettendoli nella loro stalla per farli riposare.
Bien. Mi cambio e torno dalle mie sorelle.”
“Sicura di tornare a casa da sola? È buio. Se vuoi posso chiedere…”
“No grazie. Conosco scorciatoie per tornare a casa prima, sana e salva. Non preoccuparti per me.” Sorrise.
“Va bene, come vuoi…” Rispose poco convinta.
In camera di Marinette le dame si tolsero i vestiti di gala e li posarono sul divanetto lungo. Marinette si mise una vestaglia come pigiama mentre Alya indossò un vestito stropicciato marrone e logorato al bordo della gonna. Indossò le ballerine nere che avevano i tacchi consumati e un buco nella scarpa destra che le inzuppava i piedi quando pioveva o quando finiva dentro una pozzanghera.
Marinette la guardò e sospirò. Voleva tanto aiutare l’amica, tant’è che si era proposta nell’aggiustare il vestito visto che non voleva che le facesse uno nuovo. Alya rifiutò sempre, non voleva sentirsi privilegiata rispetto le altre persone nella sua stessa situazione.
Vederla sorridente nel vestito da volpe e poi nel vestito quotidiano, rese Marinette pensierosa. Voleva fare qualcosa. Doveva fare qualcosa.
Doveva battersi per loro anche se le avrebbero voltato tutti le spalle. Questo significava che i profitti potevano crollare a picco e mettere in difficoltà i suoi genitori. Non voleva mettere nessuno in difficoltà, ma come poteva aiutare?
Alya la risvegliò dal suo pensiero. “Torno a casa. Merci Marinette. À demain.”
Oui. A domani. Bon nuit!”
Si abbracciarono calorosamente e Alya uscì dall’abitazione Dupain-cheng.
Marinette si guardò attorno volendo rispondere alla sua domanda. Come poteva aiutare?
Prese i vestiti dal divanetto per rimetterli al loro posto.
Un’idea le accese la mente e fu invasa da una grande sensazione di euforia.
Dalle piccole cose, come hanno iniziato in tanti. Ecco la risposta!
Marinette aprì una porta che comunicava con la camera da letto.
Era uno studio, dove lei creava i suoi vestiti con tutto il materiale che le serviva. Aveva un grande armadio dove riponeva i vestiti e in quell’armadio mise il vestito della volpe e quella da coccinella.
Guardò i tavoli in ordine, con il necessario per il cucito. Girò attorno a un manichino e ridacchiò.
“Quanto mi costerà creare vestiti per una rivoluzione silenziosa?” pensò sul momento. “Beh, per adesso pensiamo alla famiglia di Alya, poi penserò agli altri.”
Sapendo le misure di Alya, creò una bozza del vestito su foglio durante la notte con molte candele accese.
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Di solito non lo faccio per non rovinare la storia ma... è necessario...
Nota autrice: rieccomi qua con un altro capitolo dopo tanto tempo. Chiedo scusa per l'attesa, ma ho voluto finire prima una storia con il poco tempo a disposizione. A breve dovrebbero cambiare le cose e dovrei avere più tempo per la scrittura. Chiedo scusa e vi ringrazio per il vostro supporto!
Se volete seguire gli aggiornamenti delle storie potete seguirmi su Tumblr: maki-ink-dreams. Potete farmi anche domande...insomma saremo più a contatto. Se invece preferite di più facebook, posso provvedere ad aggiornare le storie anche lì. Ditemi voi quale preferite di più tra facebook e tumblr.
Al prossimo capitolo!

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Capitolo 11
*** 10. dal lutto nasce vita ***


La festa si concluse a notte inoltrata e tutti gli ospiti andarono via.
Adrien sospirò con aria avvilita.
Una mano toccò la spalla di Adrien e lui si girò. “Natalie…”
“Avete agito come un buon padrone di casa e il discorso che avete fatto ha commosso molte persone. Si vede che vi ha fatto bene prendere parte a questo progetto. Eravate ispirato.”
Alle ultime parole, gli tornò in mente la dama in rosso e abbozzò un sorriso ironico.
Oui… ispirato… peccato che mio padre non c’era.” Poi aggiunse quasi in un sussurro. “Come sempre da quando è morta la mamma.” Sospirò affranto.
“Vostro padre è stato informato. Sapete che… Non voleva essere circondato dalle persone.”
Adrien si girò guardando la tutrice. “Eppure è il suo lavoro essere al centro dell’attenzione e circondato dalle persone. La vita va avanti anche se fa male. Cosa crede? Di essere l’unico a soffrire per la morte della mamma?” la sua voce si spezzò. “Sono passati anni ormai dalla sua morte ed è ancora rinchiuso nel suo ufficio ad elaborare il lutto invece di pensare che ha ancora un figlio in vita.” Strinse i denti e si allargò il nodo del foulard. Gli occhi lucidi e la voce rotta commossero Natalie capendo le sue parole. “Forse a te darà ascolto.” Disse Adrien camminando verso la camera da letto con i singhiozzi che gli invasero il petto.
Il giovane uomo si chiuse la porta alle spalle e la schiena contro essa. Il viso basso e i singhiozzi del pianto lo assalirono facendolo piangere e sfogare in modo silenzioso. Ormai era un uomo, non poteva farsi sentire piangere come un bambino, ma la situazione lo frustrava parecchio.
Aveva perso la mamma durante un viaggio con il padre.
Adrien aveva 12 anni quando successe e dopo 10 anni il padre era ancora in lutto come fosse il primo giorno.
Adrien gli diede tutto il tempo necessario per potersi riprendere, ma si accorse che non si sarebbe mai ripreso da quella perdita. Una perdita che Gabriel Agreste ancora non riusciva a capire come fosse accaduta.
Pensò che il padre volesse punirsi rimanendo nel dolore, come fosse stata colpa sua ciò che successe e niente lo aiutò a cambiare idea.
Da quel momento, il padre cambiò carattere e atteggiamento verso il figlio. Divenne più severo e protettivo a discapito di Adrien che si sentì prigioniero; si rinchiuse nel suo studio alimentando la sua assenza e la solitudine di Adrien, il quale non voleva altro che sentirsi amato dal padre. Eppure, Gabriel divenne più distaccato anche se in cuor suo amava il figlio, poiché era l’unica cosa al mondo che gli fosse rimasto di più caro.
Adrien non riusciva più a capire il comportamento del padre. Dava tutto il rispetto per il dolore di una perdita e nemmeno lui riusciva ancora ad accettare l’assenza della madre che dava un colore in più nelle loro vite. Sentiva la sua mancanza, ma non poteva fermarsi al lutto. Era sicuro che sua madre non voleva questo per lui, e per nessuno di tutti e due.
Adrien provò a superare il lutto facendo sempre qualcosa di nuovo e che gli potesse interessare oltre a fare le veci del padre in un qualche evento. Voleva avere amici e dopo che ebbe il consenso di comunicare con la servitù, trovò un amico in Nino.
Sapeva che chiudersi in una stanza e sommergersi di lavoro, non avrebbe aiutato il suo spirito e cercava spesso di aiutare il padre ad uscirne, ma senza risultato. Tant’è che ci rinunciò e accettò questa condizione. Si sentiva come se avesse perso due genitori invece di uno, ma questa volta era pesante da digerire.
Le lacrime e i singhiozzi lo stavano soffocando nella disperazione e frustrazione. Tossì più volte e si asciugò la faccia e il naso strofinando sui manici del costume.
“Ah, sono un disastro.” Sussurrò calmando il pianto, strofinando gli occhi con i polsi e asciugandosi le lacrime con i palmi delle mani.
Tirò su con il naso e in automatico la mano andò al taschino per prendere un fazzoletto. Quando lo tirò fuori, tutto il suo corpo si calmò. Un fiore ricamato assieme alle lettere MD.
Rimase un attimo a fissare il fazzoletto ed a carezzare il tessuto leggero e bianco. Lo portò al naso e chiuse gli occhi. Sentì un leggero profumo di pulito.
“Milady.” Sussurrò.
Sulle sue labbra fiorì un dolce sorriso, immaginando il ballo avuto con la dama in rosso. Ridacchiò per i suoi buffi modi con le piume e rimase incantato per come rimediò alle piume e al vestito di Chloè, ma di più per le sue parole e i suoi pensieri.
La rabbia e la delusione trovarono la pace e il benessere solo guardando quel fazzoletto.
“Ho deciso. Devo trovarla.” Pensò convinto.
Ma da dove iniziare?

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Capitolo 12
*** 11. l'abito non fa il monaco ***


Il profumo di cornetti appena sfornati, lo scricchiolio del pane appena spezzato, fecero alzare la testa di Marinette dal tavolo su cui si era addormentata.
“Mnn. J’adore ça parfume” sussurrò riconoscendo il profumo e cercando di aprire gli occhi, ancora chiusi per la stanchezza, come se fossero sigillati con un qualche tipo di colla.
Essere la figlia del fornaio più richiesto di Parigi portava a qualche vantaggio nel campo della colazione.
Socchiuse gli occhi e si guardò attorno, assonnata. Si strofinò gli occhi e si rese conto di essersi addormentata nello studio.
“Oh, parblue. Ho dormito sul lavoro e non me ne sono resa conto. Almeno ho finito il vestito per Alya.” Guardò il manichino di fianco al tavolo, vestito con l’abito di Alya. Lungo; la gonna azzurra con qualche balza più chiara a coprirle le scarpe senza farla inciampare; una maglietta bianca sotto una camicetta arancione chiaro; da quando notò alla festa come le stesse bene l’arancione, decise di osare e usarlo. Aggiunse qualche ricamo più chiaro qua e là per dare luce e sobrietà al tutto; infine aggiunse due tasche laterali alla gonna, nascoste tra le balze, per aiutarla a trasportare ciò che le serviva.
Sperava potesse piacerle, perché aveva intenzione di creare i vestiti delle bozze per più persone possibili, partendo dalla famiglia Césaire.
Sarebbe passato il messaggio di umanità e rispetto tramite i vestiti?
L’apparenza inganna, ma un buon vestito può far ricredere le persone. Se una persona è vestita per bene crea fiducia e legami al contrario di chi è vestito di stracci cui allontanerebbe la persona. Per questo Marinette ci teneva nel creare vestiti per tutti, nuovi, puliti e con una certa classe che la caratterizzava. La gente non doveva più vederli come persone inferiori, sporche, rozze o peggio: schiavi. Attraverso i nuovi vestiti, il giudizio doveva cambiare in modo da rendere più sicuri e socievoli gli aristocratici, per parlare con loro e giudicarli per il proprio carattere e non per l’aspetto.
Aveva intenzione di cambiare i vestiti della servitù, nome sgradito per lei. Preferiva chiamarli collaboratori, visto che aiutavano il padre dietro il negozio e in casa.
Con l’acquolina in bocca per il dolce profumo, uscì dallo studio e si diresse al piano terra, al forno.
Papi…” assaporò i cornetti con l’olfatto e ne prese uno ancora caldo. Li adorava appena usciti dal forno, una morbidezza unica assieme al croccante che si scioglieva in bocca.
“Mnn… j’adore.” Sussurrò masticando il cornetto.
“Marinette, finalmente sveglia. Ti sei divertita alla festa?” domandò la madre.
Oui. Magnifique. Dovevate esserci, era tutto gigantesco e le parole di Agreste, non il padre lui non c’era, ma c’era il figlio e le sue parole hanno incantato tutti. Musica, balli e cibo, tutto come doveva essere.”
“Sono contenta. Grazie per aver preso il nostro posto, purtroppo non potevamo rimandare il nostro impegno.”
Pas problem. So quanto vi ha tenuti impegnati la lotteria, alla fine siamo parte degli sponsor per questi eventi.” Marinette si gustò il cornetto vuoto assaporando la pasta. “Papi est génial. Ses croissants sont trop bons. La mamma ridacchiò “Lo dovresti sapere. Altrimenti non avremmo tutta questa clientela.”
Vrai. A proposito, hai visto Alya? Ho qualcosa da mostrarle. Ci ho lavorato tutta la notte e non può dirmi di no.”
“Non credo di averla vista.”
“Questo mi preoccupa. Forse è meglio se vado a controllare…”
“Marinette. Siete tornate tardi a casa, c’è la possibilità che stia ancora dormendo per la stanchezza della serata. Lasciala riposare, magari verrà nel pomeriggio. Anche tu ti sei svegliata tardi.”
Touché.” Finito il cornetto prese una mela, diede un bacio sulla guancia della madre e tornò nel suo studio. In piedi, guardò i disegni sul suo taccuino mentre sgranocchiava la mela e guardava le bozze con una intensità e concentrazione mai vista prima. Teneva il taccuino appoggiato all’avambraccio sinistro che le funzionava come leggio e con l’altra mano si portò la mela alle labbra.
Voleva mostrare ad Alya i suoi lavori e doveva convincerla del suo progetto. Per farlo, doveva dimostrare la sua ferrea volontà e le servivano altri vestiti.
Lasciò la mela morsa solo da un lato, fino al torsolo, sul tavolo assieme al quaderno, si sciacquò le mani nella bacinella per togliere il succo della mela rimasto sulle dita. Se le asciugò su un asciugamano ricamato da lei, si alzò le maniche e iniziò a prendere i suoi rotoli di stoffa, stenderli su un altro tavolo e con un sasso bianco ci disegnò il contorno dei pezzi dei vestiti che doveva ritagliare.
Lavorò senza sosta fino all’ora di pranzo. Non aveva più toccato la mela, che nel frattempo si ingiallì.
“Marinette! È ora di pranzo, vieni a mangiare?”
J’arrive, Papi! Solo un momento!” urlò dal suo studio.
Sistemò i pezzi ritagliati su una parte del tavolo dove si era addormentata e andò a pranzare con la sua famiglia mangiando della zuppa assieme al pane che ogni giorno preparavano.

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Capitolo 13
*** 12. La ricerca ha inizio ***


Nella villa Agreste, Adrien stava pranzando da solo, quando al cancello d’ingresso qualcuno suonò il campanello. Natalie andò a controllare e diede il consenso di aprire il cancello e di tenere la porta aperta.
“Chi è Natalie?” chiese Adrien alzandosi dalla sedia e parlandole dalla sala accanto, quella da pranzo.
“Il signor Alphand.” Natalie lo guardò e vide il piatto mezzo vuoto, segno che non aveva finito di mangiare.
“Me ne occupo io, tornate pure a pranzare, signorino.”
“Mangiare da solo non aumenterà il mio appetito, tanto meno la presenza di Alphand mi rassicura a quest’ora.”
Natalie fece cenno con il capo in segno di scuse e Adrien si avvicinò alla tutrice cui era avanti alla porta d’ingresso.
C’era una gran distanza da percorrere a piedi dal cancello alla porta e permise a Natalie e Adrien ad avere quella piccola discussione, poco prima che Alphand arrivasse alla soglia per pulirsi i piedi sul tappeto prima di entrare.
Bonjour Madame.” Disse salutando Natalie.
Mademoiselle.” Lo corresse senza minima espressione facciale, severa e impassibile come sempre.
Lui si schiarì la voce imbarazzato e fece cenno di scuse con il capo.
Poi si rivolse ad Adrien appena lo vide “Oh, ragazzo mio! È una gioia per me averti trovato! Bonjour Adrien.
Bonjour a toi. Cos’è successo?”
“Cosa ti fa pensare che sia successo qualcosa?” Disse Alphand togliendosi la giacca e cappello, dandoli a Natalie.
Lei sì sentì presa come un attaccapanni, ma per cordialità rimase impassibile e prese la giacca del signore “Perdonate, vi suggerirei di parlarne comodamente nel soggiorno. Gradite qualcosa Monsieur Alphand?”
“Oh Oui, merci Natalie. Non ho ancora avuto il tempo di pranzare in effetti…”
Prima che concludesse la frase, si aggiunse Adrien “Allora è deciso, pranzerete con me. Io non ho ancora finito.” Sorrise cordialmente.
Merci Adrien, ma non voglio approfittare della vostra gentilezza.”
“Non lo state affatto facendo. Sono io che ve lo propongo, perciò per me è un piacere avervi a pranzo con me. Fa sempre piacere avere compagnia.”
L’ultima frase fu una frecciatina che Natalie colse perfettamente e si sistemò l’occhiale. “Vedo subito di aggiungere un posto a tavola.”
Bien, merci beaucoup Adrien.” Disse Alphand sistemandosi il panciotto.
“Venite, vi faccio strada.” Adrien allargò un braccio per fargli segno di passare nella stanza accanto e lui lo seguì. Entrò nella sala da pranzo, tutto molto bianco e nero con un tavolo lunghissimo al centro, apparecchiato con pane, frutta, acqua, vino, una zuppiera e posate necessarie. Notò il pranzo poco consumato di Adrien e si dispiacque.
“Adrien, mi dispiace averti disturbato nell’ora di pranzo, ma è importante che tu sappia.”
“Nessun disturbo, mon ami. Come ho detto è un piacere avere compagnia. Prego, accomodatevi.” Spostò appena la sedia per il suo ospite e Alphand sorrise per tale cordialità. Si sedette al tavolo e dei camerieri di colore aggiunsero una tovaglietta e l’occorrente per farlo mangiare assieme ad Adrien, poi sparirono dalla porta da dove erano apparsi.
Adrien si sedette al suo posto: capotavola. Sistemarono entrambi le loro sedie e comodamente mangiarono assieme.
“Cosa volevate dirmi?” Domandò Adrien immergendo dei pezzi di pane nella zuppa.
“Volevo parlarti dell’Esposizione. In una sola mattinata, abbiamo avuto molte visite.” Sorrise contento sotto i baffi a cui fece attenzione di non sporcare con la zuppa.
“Un’ottima notizia! Però direi di aspettare qualche giorno per vedere come sono i risultati effettivi.”
“Adrien, non è finita qui. La Tour Eiffel sta riscuotendo successo e anche l’invenzione della elettricità! Hai avuto ragione quando parlavi di progresso. Sento nella mia pancia che andrà bene.” Rise contento. “Certo, abbiamo speso più del previsto ma è per questo che abbiamo creato anche una lotteria per finanziare l’evento grazie all’aiuto della Baking House. E fortuna che sei un ragazzo convincente, altrimenti non so come sarebbe andata a finire.”
“Beh, diciamo che hanno capito che l’investimento era necessario. Ho fatto un po’ leva sul loro lato patriottico e avendo ben tre feste da celebrare, doveva per forza essere qualcosa in grande. In più, l’aiuto del Prefetto è servito più del mio.” Abbozzò un sorriso e raccolse la zuppa con il cucchiaio; per poco non si sporcò dato il peso inaspettato sulla sua spalla che si strinse con presa decisa.
“Ragazzo, ascolta questo vecchio che ti vuole bene come un figlio, non sottovalutare mai ciò che sai fare. Hai tante qualità e sei pieno di doti. Non sottovalutare mai la tua persona. Intesi? Non sei il tipo che si nasconde dietro i soldi. Hai idee e cuore. Valori importanti, figliolo.” Tolse la mano dopo avergli dato qualche scossone e riprese a mangiare la zuppa.
Adrien si sentì apprezzato. Si commosse per quelle parole che lo scossero più della presa alla spalla.
La fame andò via una volta per tutte e cercò di trattenere la frustrazione dentro di sé. Si schiarì la voce bevendo dell’acqua e fece un profondo respiro per non far tremare la voce. “Grazie per le sue parole, significano molto per me.”
“Lo penso davvero, ragazzo. Ho lavorato con te abbastanza a lungo per capire come sei fatto. Sei cresciuto davvero bene.” Sorrise per poi pulirsi i baffi con un tovagliolo di stoffa.
“Grazie per la tua ospitalità, ma devo proprio andare. Ti terrò aggiornato sull’Esposizione.”
“Non resta a mangiare con me? C’è ancora la frutta…”
“Zuppa squisita amico mio. Come vedi devo mangiare poco se voglio perdere un po’ di peso.” Si toccò la pancia tonda. “Altrimenti non entrerò nei vestiti e le fanciulle non mi vorranno più.” Ridacchiò.
Adrien sorrise e poi gli venne in mente una domanda. “Ah, Monsieur Alphand, mi permetta di chiederle una cosa: per caso abbiamo una lista delle persone che hanno partecipato all’Esposizione?”
Il Signor Alphand si era alzato dalla sedia e si era appoggiato con le mani sullo schienale di essa. “Insolita domanda da parte tua, ma credo ci sia. Se ti interessa tanto proverò a cercarla. Cosa devi cercare? Forse posso aiutarti se questa memoria non fa cilecca.” Ridacchiò.
Adrien distolse lo sguardo e sorrise imbarazzato mentre si grattava la testa. “Ecco….”
Alphand si accorse del suo atteggiamento ancora più timido e ridacchiò di gusto. “Stai cercando qualcuno?”
“Sì…” esitò a lungo non sapendo se era un bene dirglielo o stare zitto. In ogni caso, cercò di essere generico. “Devo restituire un oggetto a una persona… incontrata… alla festa…”
“HOH! Parbleu! Alla fine sei riuscito a trovare una donzella per te? Lo sapevo! HAH! Le feste sono le migliori per incontrare qualcuno. E dimmi, è speciale?”
“Non correte così in fretta. Non ho detto che si tratti di una donna.” Sorrise divertito.
“Ah, che peccato. Avrei preferito si trattasse di una fanciulla. Almeno le cose si facevano più interessanti HOHOH!” Ridacchiò con le mani sulla pancia, mentre Adrien si coprì il viso con una mano per l’imbarazzo.
D’accord. Lasciate stare, proverò in un altro modo…” disse Adrien.
“No, figurati. In qualche modo mi devo sdebitare. Chi stai cercando?”
“Una patisserie-boulangerie. Ne conosci qualcuna?”
“Ah... ragazzo… una ricerca difficile. Ce ne sono a bizzeffe a Parigi. Abbiamo spedito gli inviti a tutti e la maggior parte hanno risposto in positivo e fanno parte dell’Esposizione. Non potevano mancare a un evento così importante.”
“Mi stai dicendo che forse la incontrerò all’Esposizione?” non voleva alimentarsi di speranza.
Oui, c’est possible. Attend. Quindi è una fanciulla come speravo.” Sorrise di cuore.
Il sorriso speranzoso di Adrien si affievolì e si grattò la testa in silenzio. Ad Alphand non servivano altre parole e proseguì “ Però ti dirò una cosa: come ben sai l’Esposizione è molto grande e servono molti fornai per gestire la fame delle persone in visita. Dovrai setacciare tutto se vuoi cercare la tua persona.”
“Se c’è all’Esposizione ho risolto il mio problema.” Sorrise.
“E se non c’è, non restarci male, Adrien. Intanto vedo se abbiamo la lista con gli espositori.”
Merci Alphand. Per tutto.” Adrien si alzò dalla sedia e si abbracciarono tenendosi stretti per una mano.
La forza di Alphand era come sempre decisa e forte, come il suo abbraccio stritolatore.
La cameriera portò la giacca e il cappello e Alphand uscì dalla villa Agreste.
Natalie ne fu informata e si presentò alle spalle di Adrien. “Di cosa avete parlato?”
Adrien guardò Natalie e sospirò “Del buon inizio dell’Esposizione. Tutto qui. Ah, Natalie. Io vado nella mia stanza, puoi far sparecchiare la tavola.”
“Detto fatto, signorino.”
Adrien si ritirò in camera e si sedette sul divano. Prese il fazzoletto dal taschino e lo guardò pensieroso.
“Alla fine il signor Alphand aveva ragione. Credo di aver trovato una fanciulla durante la festa.” Sussurrò tra sé. “E giuro che ti troverò, milady. A costo di cercare in tutta Parigi.”

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Capitolo 14
*** 13. Il vestito di Alya ***


Parbleu!” Marinette si strofinò i capelli raccolti in due codini bassi, frustrata e impaziente nel mostrare il vestito ad Alya. “Ma quanto tempo ci mette? Siamo nelle prime ore del pomeriggio e ancora non si è fatta vedere. Questo mi preoccupa.” Sospirò parlando a sé ad alta voce come aveva abitudine di fare, specialmente quando doveva riflettere.

“Ieri, mi ha detto che ci saremo viste oggi e invece niente. Non è da lei. Certo, ogni tanto le capita di far tardi, ma in ogni caso cerca il modo di avvertire se non viene più o in ogni caso non ha mai fatto così tardi.” Si portò il lato dell’indice appoggiato al labbro inferiore e il pollice sotto al mento, per pensare meglio mentre vagava per la camera, facendo avanti e indietro.

“Basta! Ho deciso! Vado da lei e nessuno mi ferma!” aprì la porta della camera e chiese ad un aiutante di preparare per lei la carrozza. Poi ci pensò: “Hmm… quasi quasi… le porto il vestito direttamente a casa.” Sorrise all’idea. “Sì, deciso. Le farò una sorpresa. Un regalo che non potrà rifiutare. Intanto speriamo non sia successo niente.”

Nel frattempo che la carrozza venne preparata con due cavalli, Marinette trovò una scatola azzurra sufficientemente grande per mettere all’interno il vestito preparato per Alya e legato con un fiocco rosa.

Et voilà. Parfait.” Sorrise prendendo la scatola, scese le scale e uscì dal negozio salendo sulla carrozza pronta. “Merci”. Marinette ringraziò l’aiuto che ricevette dal suo staff per salire nella carrozza.

Poi parlò al cocchiere. “Alla casa di Alya Césaire, s’il vous plaît.” E così il cocchiere fidato partì verso il luogo richiesto.

Marinette appoggiò sulle gambe la scatola azzurra mentre saltellava nella carrozza a causa di alcune strade dissestate con buche o a volte per strade fatte di ciottoli. Poche erano le strade lisce, di solito erano quelle al centro città, ma lei stava andando in periferia.

Guardava fuori dietro la tendina della carrozza e si stupì nel vedere la Torre Eiffel in lontananza. Doveva ancora abituarsi a quella opera d’arte.

Il tragitto non fu tanto lungo in carrozza, ma certamente doveva esserlo a piedi. L’unico mezzo che Alya poteva servirsi.

Nel pensarci, ci rimase male nel sapersi più fortunata dell’amica e delle persone che stava osservando in mezzo alla strada, quasi alla periferia di Parigi, dove vivevano gran parte delle persone sfortunate. Divenuto un quartiere malfamato e di certo non per persone altolocate o di semplici persone con bei vestiti, come Marinette in quel momento.

Non era una persona altolocata come poteva esserlo Chloé, era una semplice ragazza che non pretendeva troppo dalla vita ma anzi accettava quello che aveva. Essere la figlia di un fornaio non la pesava in alcun modo, grazie a questo riusciva a vedere la semplicità come un dono ma spesso si vedeva più fortunata di altri e credeva fosse dovuto alla quantità di clientela che la pasticceria aveva. Se non avesse avuto tutta quella clientela, forse sarebbe ancora più semplice come altri fornai, senza collaboratori. Come Marinette li chiamava. Non a caso, la sua pasticceria-panetteria era considerata tra le favorite del popolo. Ottima qualità, accessibile a tutti.

Marinette spostò lo sguardo sulla scatola che aveva sulle gambe.

Quanto avrebbe cambiato la vita di Alya? Lo avrebbe migliorato o peggiorato?

Non era più così convinta che fosse una buona idea portarle il vestito a casa.

Ora capiva perché Alya rifiutava sempre i vestiti che le voleva regalare. Perché si sarebbe sentita privilegiata rispetto ad altri, come le aveva detto. Forse rischiava di essere vista in un modo non bello da quelle persone vestite di stracci che la circondavano in quel quartiere.

Era ancora certa di voler avviare una rivoluzione silenziosa tramite i vestiti? Non poteva crearne uno alla volta, e non poteva partire da solo una famiglia. Potevano venire cacciati per invidia.

Immaginò la famiglia Césaire con i bei abiti che avrebbe preparato per ognuno di loro. Vestiti così, andando in giro per il quartiere dove vivevano, con gli occhi di tutti puntati su di loro e magari aggrediti pensando potessero avere qualcosa di prezioso o ricattati perché volevano le stesse cose. Oppure per invidia a causa dell’amicizia nascosta tra Alya e Marinette, pensò che potessero essere cacciati perché si sentivano traditi dalla loro fortuna nell’avere una persona con le possibilità economiche in grado di aiutarli.

No. Non voleva dare loro nessun guaio.

 

Un urlo femminile distolse Marinette dai suoi pensieri e guardò fuori.

Assistette ad una scena che non le piacque per niente e chiese al cocchiere di rallentare, per non dare troppo nell’occhio. Una carrozza che si ferma sulla strada all’improvviso poteva attirare poche belle persone.

Un uomo rozzo schiaffeggiò una donna di colore e la spinse nel fiume, lei urlò, distraendo Marinette che corrugò le sopracciglia. Sentì l’uomo ridere con cattiveria urlandole contro “Ben ti sta, putain!

L’uomo sputò verso la donna in acqua e si allontanò dal piccolo porto e sparì senza scrupoli.

Marinette lo guardò indignata e fermò il cocchiere. Lasciò la scatola sul sedile e uscì dalla carrozza dirigendosi verso il fiume, incurante di essere vista da altri, cui alcuni si sorpresero nel vedere una carrozza e una ragazza così giovane e ben vestita.

 

Marinette scese di fretta alcune scale che portavano a un marciapiede a stretto contatto con il fiume. Si avvicinò al bordo e l’acqua era almeno venti centimetri più basso del marciapiede. Guardò da un lato e l’altro e alla sua destra vide la giovane ragazza che si stava ancora tenendo a stento alle fessure del muro, aggrappata con le unghie ai mattoni per non essere portata via dalla corrente. Era in lacrime e impaurita, non sapeva cosa fare e singhiozzava con la testa contro il muro.

Marinette cercò di attirare la sua attenzione. “Ehi! Signorina! Mi raccomando non lasci la presa.”

La ragazza di colore si sorprese che qualcuno stesse parlando con lei e nel distrarsi allentò la presa. Lo scorrere del fiume provò a portarla via di nuovo e la spostò dal suo punto di alcuni centimetri, per lo spavento si agitò cercando un nuovo appiglio con le mani, afferrando di nuovo con le unghie altre fessure. Arrestando la sua corsa.

“Tu! Cosa vuoi?!”

“Oh! Che modi! Sto cercando di aiutarti!” rispose Marinette.

“E come? Facendomi strascinare dalla corrente? Non ho bisogno di aiuto!” Riprese a piangere. “Merito di morire nel fiume. Ha ragione.”

“Eppure ti stai aggrappando in tutti i modi per poter uscire dalla situazione in cui ti trovi. Quindi non direi che te lo meriti solo perché un villano di poco conto te lo dice. Ora fammi pensare.”

Si guardò attorno e studiò un modo per aiutarla. Non c’era nulla di utile. Guardò l’altra sponda e vide che l’architettura era organizzata nello stesso modo in cui si trovavano. Scale, marciapiede, muro a causa del ponte e poi di nuovo scale, marciapiede. La sequenza era la stessa. “Ma certo!” Marinette si affacciò tenendosi al muro e parlò alla ragazza. “Ho un’idea. Ma ti devi fidare di me. Quando te lo dico, conta fino a venti e poi lascia la presa.”

“Oh che bella idea.” Disse sarcastica. “Da quello che hai detto pensavo che non me lo meritassi.”

“E infatti lo penso ancora e so che lo pensi anche tu, altrimenti saresti alla deriva. Perciò, fidati di me. Appena te lo dico inizia a contare, sarò ad aspettarti più avanti.”

Marinette salì le scale di corsa, mentre la ragazza in acqua si chiese cosa avesse in mente e perché dovesse fidarsi di una ragazza che non conosceva.

Marinette si affacciò dal ponte e la guardò dall’alto con il fiatone “Ora! Inizia a contare!”

La ragazza alzò lo sguardo intravedendola e poi sparì di nuovo. Sospirò e iniziò a contare come le disse. Non sapeva perché, ma le ispirò fiducia.

Marinette correva veloce nelle sue ballerine nere costeggiando il muro, tenendosi la gonna rosa leggermente alzata per non inciampare.

“Diciotto, diciannove, venti.” Pensarono entrambe le ragazze e quella in acqua lasciò la presa lasciandosi trasportare dal fiume.

Il cocchiere rimase a guardare la scena sulla carrozza, tra il meravigliato e il confuso. Decise comunque di seguirla e ripartì, mentre un’altra ragazza di colore che stava passeggiando tranquillamente vide sfrecciare una ragazza dai capelli scuri e una gonna rosa, inseguita da una carrozza. Questa si fermò un attimo pensando “Una carrozza qui?” poi si girò quando la carrozza e la ragazza la superarono. “Aspetta, ma quella carrozza e quella persona mi sono familiari. Dove li ho già visti?” Si grattò la testa e le venne un’illuminazione. “Possibile? Che sia… nah...” Guardò di nuovo.

 

Marinette rallentò la corsa per il fiatone ma doveva farcela. “Mademoiselle, salga. Con dei cavalli sarà più facile correre.” Il cocchiere le offrì la mano, rallentando l’andatura.

Marinette sorrise e salì sulla carrozza vicino al cocchiere. “Presto, dobbiamo arrivare prima dell’altro ponte.”

“E prima della ragazza in acqua, suppongo.” Rispose il cocchiere con un sorriso fiero.

Marinette ricambiò il sorriso con un po’ di imbarazzo.

Tout de suite.” Spronò i due cavalli che corsero facendo ballare la carrozza, per poco non si ribaltava per la strada dissestata e fecero attenzione a non investire le persone che passavano di lì, cui la strada era fortunatamente poco trafficata. Arrivarono a destinazione prima del successivo ponte e il cocchiere arrestò la corsa dei cavalli tirando le redini. I cavalli sbuffarono per la corsa mentre Marinette era saltata giù dalla carrozza poco prima che essa si arrestò del tutto.

Marinette scese le scale di fretta e si inginocchiò al bordo del marciapiede. Si affacciò per vedere dove si trovasse la ragazza e quando la ragazza vide Marinette, il suo cuore era colmo di speranza.

Marinette allungò la mano e la afferrò. Per poco non la trascinò con sé nel fiume, ma resistette e la tirò su aiutandola a salire sul marciapiede. La ragazza boccheggiò cercando ossigeno, essendo affondata più volte e avendo bevuto acqua pur di rimanere a galla e vicino al muretto.

Riprese a piangere stesa sul marciapiede riscaldato dal sole, ma questa volta il suo pianto era di gratitudine e lentamente si sedette accanto a Marinette che la guardò con un grande sorriso, anch’essa seduta.

La ragazza di colore vide i vestiti della sua salvatrice e abbassò la testa. “Mi dispiace averle parlato in quel modo, mia signora.”

Marinette la guardò confusa e un po’ si dispiacque per quel cambio repentino nel modo di parlare, solo perché si rese conto dai vestiti di Marinette che veniva da un altro quartiere.

“Non dispiacerti. E non sono la tua signora. Ti ho vista in difficoltà e ho voluto salvarti.”

“Se posso chiedere, perché avete voluto salvare una persona come me?”

Marinette rimase spiazzata per quella domanda. “Come perché? Perché è giusto. È così che si fa tra persone. Non sei diversa da me, solo perché hai un colore di pelle diverso dal mio. Siamo più simili di quel che pensi. Se ti senti diversa solo perché la società dice che lo sei, allora sono diversa anche io perché non penso allo stesso modo della società.” Sorrise dolcemente.

Notò la guancia rossa della ragazza a causa dello schiaffo e si alzò. Marinette si diresse verso la carrozza, aprì la portiera e dal suolo aprì una piccola botola dove c’era tutto l’occorrente per le emergenze. Prese un vasetto di crema e richiuse il piccolo scompartimento segreto. Lo sguardo cadde sulla scatola azzurra.

Il suo sguardo si addolcì ulteriormente. Prese la scatola e il vasetto e tornò dalla ragazza che nel frattempo si alzò e gocciolò ovunque.

“Prendi queste cose, ti serviranno.”

“Mia signora, non posso accettare. Avete già salvato la mia vita.”

“Insisto. Ti servirà sicuramente un cambio e questo vestito nuovo potrà aiutarti appena toglierai quelli inzuppati che hai addosso. Inoltre penso proprio che sia della tua misura. La crema mettila sulla guancia, toglierà via almeno il dolore e forse anche il rossore.

La ragazza di colore abbassò la testa imbarazzata, portandosi timidamente e tristemente le dita sulla guancia rossa.

“Non pensare a quel villano. Non è un uomo se si comporta in quel modo, qualsiasi sia la ragione.”

“Mi ha chiesto qualcosa che… non mi sentivo di fare...” singhiozzò.

“Ora è tutto finito. Se n’è andato. Ma se mi capita di nuovo sotto gli occhi, ti prometto che verrà arrestato. Non farti carico dell’ignoranza di certe persone. Sii te stessa e ragiona con la tua testa.” Le porse scatola e vasetto e la ragazza li accettò.

Mademoiselle, dobbiamo andare.” Il cocchiere l’avvertì.

Oui. Merci. J’arrive.” Salì le scale.

Merci mademoiselle.” Disse tra le lacrime la ragazza inzuppata.

De rien.” Rispose Marinette chiudendo lo sportello e salutando con la mano dal finestrino.

Il cocchiere fece girare i cavalli guidandoli con le redini e tornarono nelle vicinanze dove tutto ebbe inizio. Si allontanarono troppo dalla casa Césaire.

 

La ragazza di colore che stava passeggiando, si ritrovò di nuovo la stessa carrozza passarle accanto. “Ma cosa…? Di nuovo?”

Poi vide che svoltò in un angolo a lei interessato. “Forse ho ragione...” sogghignò e iniziò a correre.

La carrozza si fermò in una piazza piccola perché non poté proseguire oltre. Così Marinette scese dalla carrozza e iniziò la sua passeggiata verso la casa di Alya.

Durante il percorso vide quanto soffrivano le persone in quel posto e le si strinse il cuore. Se avesse potuto, avrebbe aiutato tutti. Ma non ne era ancora in grado. Non ancora.

Di certo, l’esperienza appena avuta, l’aiutò a riaccendere la voglia di ribellione verso la società altolocata e sarebbe stata dalla loro parte. Dai diritti umani.

Un fischio di adulazione e una successiva risata fecero fremere Marinette e cercò di fare finta di nulla continuando per la sua strada.

“Cosa ci fa una persona del tuo rango da queste parti?”

Marinette non rispose e cercò di alzare il passo. Era quasi vicina alla casa di Alya, ma non voleva di certo portare quell’uomo scomodo da lei.

“Perché non rispondi? Ti credi di essere chissà chi e non merito le tue attenzioni?” per il fastidio, l’uomo grezzo e ubriaco già dal pomeriggio, afferrò il polso di Marinette che si spaventò, ripugnata dall’uomo.

“Lasciatemi!” Disse con tono imperativo.

“Allora la lingua l’avete. Ora merito la vostra attenzione?”

Non finì di parlare che ricevette un pugno improvviso sullo zigomo e lasciò la presa.

Marinette guardò il suo salvatore.

“Certo. Hai tutta la mia attenzione Umbert. E non dovresti toccare una signorina con le tue mani sudice.”

O meglio… salvatrice.

L’uomo sputò per terra. “Guarda chi è arrivata. La paladina delle signorine.”

“Nora!?” Esclamò Marinette con sollievo misto a incredulità.

“Sparisci Umbert. O con il prossimo pugno ti faccio sputare un dente.”

Lui sghignazzò. “Va bene, va bene. Non ne vale la pena con te.”

“Certo. Perché sai che potrei farti male, mentre tu non hai il coraggio di picchiarmi perché sono una donna.”

“Attenta con quella lingua. Prima o poi troverai pane per i tuoi denti.”

“Sarò pronta a sfamarmi se accadrà.” Sogghignò.

Umbert girò al largo barcollando come un ubriaco quale era.

 

“Che ci fai qui?” chiesero a vicenda.

“Io ci vivo. Tu?”

“Ehm, sono venuta per trovare Alya. Doveva passare oggi, ma non l’ho vista.”

“Tranquilla. Ha avuto un contrattempo con le gemelle. Dovrebbe essere ancora a casa con loro. Ti faccio strada.”

“Ricordo dove vivete, anche se ci sono venuta poche volte. E comunque, ti ringrazio per prima, Nora.”

“Figurati. Con certe persone è la lingua giusta da usare. Se no non capiscono altro.”

“Non ti ricordavo così violenta.”

“Non lo sono. Ma è la realtà dei fatti. A volte gli uomini si capiscono meglio a pugni e poi sono sempre stata affascinata da quel mondo. Il mondo del pugilato, intendo.”

Arrivarono a casa Césaire e Nora aprì la porta dando la precedenza a Marinette.

Alya stava rincorrendo le sorelle per casa.

“Oh Nora, sei tornata...” guardò verso la porta. “Marinette?” Alya rimase immobile.

“Bonjour, Alya. Che bella accoglienza.” Ridacchiò Marinette.

“Oh, scusa. Ma non me lo aspettavo proprio. Come mai sei venuta fin qui?”

“Oh beh, non ti ho vista arrivare e mi sono preoccupata. Pensavo ti fosse successo qualcosa nel tornare a casa ieri sera, ma mia madre mi ha detto di aspettare perché forse eri stanca per la serata. Così… ho aspettato… ma ero impaziente di...” pensò un attimo al vestito che le aveva fatto e abbozzò un sorriso.

“Vederti. Volevo vederti per assicurarmi che non fosse accaduto nulla. Ecco. Sì, proprio così.”

“Certo che sei strana a volte. Però ti ringrazio per la tua premura nei miei confronti. Come vedi sto bene e sono impegnata con le gemelle. Non ho potuto mandarti nessuno perché non sapevo se i miei genitori avrebbero fatto in tempo a tornare a casa prima di poter venire da te, ma a quanto pare…” sospirò.

“Potevi mandare Nora” ridacchiò Marinette.

“Cosa? Sai benissimo che non faccio da messaggera a nessuno.” Ribatté la sorella maggiore di Alya.

“Certo. Anche volendo non avrei potuto visto che è da ieri sera che non si fa viva. È tornata proprio adesso, con te. A proposito, perché siete insieme?”

Marinette e Nora si guardarono a vicenda poi Nora spiegò alla sorella. “L’ho vista per caso, poi Umbert si è messo in mezzo e le ha prese.” Rise di gusto.

“Umbert? Ancora quell’ubriaco fradicio gira da queste parti?”

Nora alzò le spalle. “Ora che sono tornata, starà lontano da questo quartiere per un po’ di tempo.”

Marinette ascoltò la conversazione. A quanto pare era una persona che conoscevano.

Alya sospirò. “Scusa Marinette. Appena avrei potuto, ti avrei avvisata.”

“Oh non fa niente. Ora sono qui, se vuoi posso darti una mano con le gemelle.”

“Grandioso! Così non avrai bisogno di me e posso stare fuori ancora un po’.”

“Nora! Non ci provare! È il tuo turno!”

La sorella maggiore alzò le spalle. “Non ti sento...”

“Ah sì? Allora dirò a nostro padre che vai ancora agli incontri...”

“SSH!” Nora le tappò la bocca. Alya la guardò con ricatto e tolse la mano della sorella dalla sua bocca. “Vedila in questo modo, se mi darai il cambio adesso, avrai tutto il tempo dopo per fare quello che vuoi.”

“Questo significa che posso stare fuori anche stasera senza che spifferi tutto?”

“Se sarai in grado di non farti beccare da mamma e papà, rimarrò muta.”

Nora e Alya si strinsero la mano. “Affare fatto. Divertiti con la tua amie, ma non tornare a casa troppo tardi o ti vengo a cercare.”

Alya sorrise e abbracciò le sue sorelle.

“Andiamo Marinette, respiriamo un po’ d’aria. Conosco un posto dove possiamo stare tranquille.”

Casa Césaire conosceva il rapporto di amicizia tra Alya e Marinette e non avevano nulla in contrario, anche se sembrava inusuale. A causa di questo, decisero tutti di tenere nascosta la loro amicizia. Potevano mettere in pericolo entrambe. Così, in luoghi sicuri come le loro case, si comportavano da amiche. Ma all’esterno e davanti alla servitù cercavano di mantenere i loro ruoli di padrona-schiava.

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Capitolo 15
*** 14. La lista ***


Adrien si mise alla ricerca della ragazza e iniziò dalla Prefettura di Parigi dove richiese la lista dei partecipanti dell’Esposizione Universale.

Era nell’anticamera ad aspettare il suo turno attendendo la visita con il Prefetto, padre di Chloé.

Adrien era in piedi e batteva il piede per terra impaziente e con il cuore che batteva speranzoso nella possibilità di avere una pista da seguire.

All’improvviso uscì dall’ufficio del Prefetto, la figlia. Chloé Bourgeois.

“Non voglio sentire ragioni. O fai quello che ho detto o vado via con la mamma.” Infuriò aprendo la porta per andare via.

Quando si ritrovò Adrien Agreste davanti a sé, la ragazza si calmò subito. “Papi, perché non mi hai detto che stavi aspettando Adrien. Lo avrei intrattenuto ben volentieri.” Sventolò il ventaglio guardando il ragazzo con aria adulatrice, rimanendo sulla soglia.

“Gli affari di cui parlo con Adrien non sono nel tuo interesse.”

“Quando si parla di Adrien, tutto è nel mio interesse, dovresti saperlo ormai, papi..

“Vorrà dire che ti terrò informata sull’andamento dell’Esposizione se davvero ti interessa.”

“Ah, a pensarci non fa per me. Ma visto che Adrien caro è qui, aspetterò.”

“Fuori, intendi?” chiese il padre, in piedi dietro la sua scrivania.

“Non è necessario, farò subito.” Intervenne Adrien. “Sono solo venuto per richiedere la lista dei partecipanti dell’Esposizione. Vorrei dare un’occhiata se è possibile.”

Passò vicino a Chloé da quella porta grande a sufficienza per due persone, sorridendole e facendole un cenno con la testa per rispetto e come segno di scuse per averla oltrepassata con impazienza senza averle chiesto il permesso di entrare.

“Ah sì, la segretaria me l’ha detto e mi ha portato i fogli. Sono un bel mucchio di persone, dovresti essere contento del successo che sta avendo.” Disse il Prefetto mentre cercava i fogli tra i vari plichi sulla sua scrivania, rimanendo in piedi.

“Certamente. Non ci aspettavamo di certo questa quantità di persone, ma da una parte è comprensibile visto che ci sono più di 30 Paesi partecipanti.”

“35 se non ho contato male. In effetti hai ragione. Immagino tu voglia tenere tutto sotto controllo e che proceda senza intoppi.”

Adrien arrossì leggermente e balbettò. “Uhm… Sì… certo. È così.” In parte era così, ma la vera ragione lo mise in leggero imbarazzo.

“Ma dove li ho messi?” continuò a cercare tra i documenti in pila e tra quelli sparsi sulla scrivania nel mentre lo intrattenne con altri argomenti. “In questi giorni mi sono chiesto la fine che farà quella torre rossa, così maestosa e luminosa.”

“Oh, parla della Torre Eiffel. Non si preoccupi per quella, è prevista la sua rimozione dopo l’evento.”

“Tutto quel tempo per costruirla per l’Esposizione e altrettanto per smontarla. E per cosa?”

“Per dimostrare come l’energia elettrica cambierà la vita di ogni cittadino. E penso che ci metteranno il tempo che servirà, magari la sua rimozione richiede minor tempo avendola già costruita, sapranno anche come smontarla.”

“Acuta osservazione, ragazzo. Osservazione che in questo momento mi sfugge...” sfogliò dei documenti.

“E invece devo ricredermi. Eccoli!” Disse prendendo il plico, assicurandosi che ci fossero tutti i fogli e li mise dentro una busta da documenti. “Ammiro la tua devozione a questo progetto, il tuo impegno è ben gradito. Ma fai attenzione con quei fogli, sono originali e non ci sono altre copie.”

“D’accordo. Grazie per avermelo detto, farò ancora più attenzione del solito.” Prese dalle mani del Prefetto la busta con i documenti che gli stava porgendo.

Il cuore di Adrien batté all’improvviso più forte appena ebbe la busta tra le mani.

Avrebbe trovato la sua Ladybug?

 

Chloé gli saltò al collo. “Adrien caro, la prossima volta che ti servirà qualcosa di urgente, fammelo sapere e lo avrai all’istante.” Avvicinò le labbra verso la sua guancia, ma Adrien che non l’aveva nemmeno abbracciata, prese i polsi di Chloé e tolse la presa al suo collo.

“Ti ringrazio Chloé, se mi servirà, per la prossima volta lo terrò a mente. Ma ora devo proprio andare, ho del lavoro che mi aspetta.” Si allontanò da lei mostrandole la busta e salutò entrambi.

“Grazie per la vostra disponibilità, come sempre.” Disse Adrien chinando appena la testa in segno di rispetto e gratitudine verso il Prefetto.

Il signore sorrise “Per ragazzi grati come te, questo è nulla. Se solo ce ne fossero altri.” Lui guardò di sfuggita la figlia e la figlia colse la frecciatina che punse come un ape. Spalancò la bocca senza dire nulla, ma quella espressione diceva tutto: come osi!

Adrien salutò anche Chloé rimanendole distante. “Chloé, alla prossima. Passate entrambi una buona serata.”

Adrien attraversò l’anticamera, un lungo corridoio pieno di porte e uffici, scese delle scale e uscì dalla Prefettura, respirando aria pulita che gli gonfiò i polmoni. Assaporò il momento. L’ossigeno fresco pompò il suo cuore impaziente nel scoprire qualcosa. Qualunque cosa su quella ragazza misteriosa, che di certo lo aveva rapito sentimentalmente.

Ancora davanti alla Prefettura, scese alcuni gradini dove la carrozza lo aspettò e Adrien vi ci salì. Ordinò al cocchiere, cui era anche la sua guardia del corpo, di ritornare a casa.

 

“Cosa volevi dire con quella affermazione? Che sono una figlia ingrata? Se la pensi così allora partirò tout de suite con la mamma! Appena questa… buffonata dell’Esposizione finirà! È ridicolo! Assolutamente ridicolo!” sbottò Chloé nell’ufficio del padre, incrociando le braccia.

“Non volevo dire che sei ingrata, sai quanto ti adoro figlia mia.”

“Bene. Se è così...” pensò a come potesse farsi perdonare e sogghignò. “Perché non annunci il mio fidanzamento con Adrien?”

“Fidanzamento? Ma non state nemmeno insieme...”

“Sì, lo so. È proprio questo il punto. Sia io sia Adrien abbiamo delle doti favolose e nessun altro le merita se non noi stessi.” Ridacchiò. “Insomma, ho un’età dove dovrei avere già un marito e come compagno di vita voglio il mio Adrien caro. Lui è perfetto. Lo adorano tutti. Ha una buona dote come ho già detto. E se lui è perfetto, vuol dire che è perfetto per me. Vedi di combinare qualcosa di buono con il padre, alla fine dei conti ci conosciamo da quando eravamo bambini. D’altronde, chi, è più adatta di me per lui?” Rise di gusto mentre continuava a gesticolare mentre parlava. “Quindi provvedi e cerca di non fare danni. Adesso ho cose più importanti da fare.” Tornò seria sventolando il suo ventaglio giallo e bianco in coordinato con il suo abbigliamento: ballerine bianche con bordo nero nascoste da una gonna lunga bianca impreziosita da un corsetto bianco e nero a righe, da sopra un coprispalle giallo di fattura pregiata; e se ne andò anche lei con aria altezzosa.

Il Prefetto si lasciò cadere sulla sedia della sua scrivania.

In che guaio si era messo?

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Capitolo 16
*** 15. Fogli bianchi ***


Adrien arrivò a casa e si affrettò nel prendere carta e penna da un mobiletto posto all’ingresso, ignorando Natalie.

“Se posso darle una mano, signorino.”

“Uhm…?” Adrien si girò. “Oh, grazie Natalie. Al dire il vero, sì. Non voglio essere disturbato. Ho del lavoro da svolgere e forse mi servirà tutta la sera. Per la cena falla portare in camera mia. Dubito che mio padre si farà vivo e anche volendo, scoprirà cosa significa mangiare da soli mentre qualcun altro è impegnato nel lavoro.”

“Siete un po’ duro, signorino.”

“Forse...” Ci pensò. “Un po’ sì, lo so. Non che mi piaccia, ma come ho detto, non credo verrà a tavola a mangiare, non è cambiato nulla da quando...” sospirò avvilito. “Lasciamo stare. Sono stanco della solita situazione. Per favore, non voglio essere disturbato. Ora, vado in camera mia.”

Prese la busta e la penna con dei fogli che aveva trovato nel cassetto e fece ciò che aveva detto. Si rifugiò in camera sua: ampia, tanto da ospitare un pianoforte dove vi ci esercitava e più in là un letto matrimoniale dove accanto al muro vi era una lunga scrivania, cui era diretto. In più, c’erano delle scale che portavano a una libreria al piano superiore e se si affacciava poteva vedere il suo confortevole divano davanti alle enormi finestre, dove faceva accomodare alcuni ospiti, per parlare con loro mostrando il panorama su una parte del giardino e della città. Fredda, come il resto della casa con i suoi colori chiari ed eleganti ed a causa della situazione che si respirava da quando la madre non c’era più.

Si avvicinò alla sua scrivania, poggiando carta e penna, poi prese dei fiammiferi da un tiretto e accese una candela. Gli fece uno strano effetto accendere una candela, dopo tutte quelle prove viste con l’innovazione dell’elettricità era come se non fosse più abituato a quel gesto quotidiano. Chissà come sarebbe cambiata la vita, usando l’elettricità anche in casa. Mise la scatola dei fiammiferi vicino i documenti urtando la penna cui iniziò a rotolare verso la fine della scrivania. Si sedette sulla sedia e sorrise al pensiero immaginando per un attimo il futuro. L’elettricità nelle case, all’esterno e altre innovazioni che aveva portato quell’Esposizione.

Si risvegliò dai suoi pensieri, sentendo il tonfo della penna sul pavimento.

Lui la guardò e la raccolse piegandosi dalla sedia e i pensieri tornarono sulla persona che stava cercando.

Aprì la busta con cautela, cercando di non rovinare i documenti. Iniziò a guardare il primo foglio, poi il secondo e il successivo. Erano pieni di nomi scritti a mano, ordinati uno sotto l’altro, divisi meticolosamente in ordine alfabetico dalla provenienza dei Paesi, con i rispettivi partecipanti e con cosa partecipavano.

Ad esempio, tutti i partecipanti del Belgio erano sotto la B di “Belgique” e al di sotto c’erano i nomi della persona o della famiglia partecipante di quel Paese, di fianco al nome c’era scritto cosa avessero o cosa facessero, che potesse essere utile all’Esposizione Universale.

Quindi: nome del Paese.

Al di sotto: Nome della persona o della famiglia, qual era il loro mestiere, e/o con quale invenzione, innovazione o novità portassero all’Esposizione.

A volte era semplice cibo da far assaggiare ai Paesi esteri che non potevano viaggiare e scoprire nuovi sapori.

Adrien contò quei fogli pieni di nomi.

Erano minimo 20 fogli, se non di più. Sospirò e parlò tra sé. “Sapevo che erano in molti, ma non mi aspettavo così tanti. Forse tutta la serata non mi basterà. Probabilmente prenderò anche parte della notte, se non tutta.”

Abbozzò un sorriso divertito. “Guarda cosa mi tocca fare per cercare una singola persona. E non so nemmeno se fa parte di qualche altra nazione. In tal caso cosa farei?” si bloccò per un momento.

“Un passo alla volta. Prima troviamola.”

E iniziò a cercare tutte le persone che avessero le lettere M e/o D, come riportate sul fazzoletto che custodiva gelosamente nel suo taschino. In più, con le informazioni che aveva ricevuto da lei al ballo, aggiunse alla lista chi avesse una pasticceria, una panetteria e chi si occupava di tessuti, moda e ciò che ne fece parte.

Sui fogli bianchi, riportò i nomi che gli interessavano.

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Capitolo 17
*** 16. Confidarsi ***


Alya e Marinette assaporarono la primavera durante la loro passeggiata pomeridiana, sotto al sole caldo e piacevole e dalla fresca brezza.

Parlarono dell’impresa eroica di Marinette accaduta qualche ora prima per poi parlare della festa del giorno prima, delle figuracce di Marinette davanti al biondo misterioso; della sua rivincita con Chloé; del cameriere che adulò Alya.

“A proposito, non mi hai più detto nulla. Ti interessa quel ragazzo? Nino, n’est pas?”

Alya ridacchiò. “Come può interessarmi? Non lo conosco nemmeno.”

“Ma avrai percepito qualcosa. Da quello che mi hai detto sembra che tra voi ci sia dell’intesa.”

Alya ci pensò. “Forse.”

Marinette trattenne dei gridolini e provò a contenersi. Erano ancora in mezzo alla strada, alla portata di tutti.

“Insomma, sembra simpatico e divertente. Si è mostrato vivace e sicuro di sé. E...” Non sapeva se dirglielo in quel momento o aspettare.

“E?” Chiese Marinette impaziente.

“E… sembra che su certi argomenti importanti la pensiamo allo stesso modo. O meglio, abbiamo la fortuna di avere una persona che ci considera più di quello che siamo.” Alya la guardò intensamente cercando di farle capire cosa volesse dire.

Marinette ebbe un sussulto al cuore e spalancò appena la bocca. Si guardò attorno e Parigi era piena di passanti e turisti.

“Torniamo indietro. Vieni a casa mia Alya. Così possiamo parlarne tranquillamente sulla mia veranda speciale. Poi ti farò accompagnare e non accetto un no questa volta. Non voglio crearti problemi con Nora.” Ridacchiò.

Alya si lasciò convincere e tornarono indietro, dal cocchiere.

“Non ho paura di mia sorella. Al contrario, se mi darà problemi farò altrettanto con lei.”

 

Si affrettarono nel raggiungere la carrozza, evitando il flusso di persone.

“Non mi ricordo di vedere così tanta gente a Parigi.” Commentò Alya.

“Nemmeno io. Credo che il merito sia dell’Esposizione Universale.”

“E di Adrien.” Aggiunse Alya di proposito.

Sentendo quel nome, per poco Marinette non inciampò nei suoi stessi piedi. Barcollò un po’ in avanti ma riprese in tempo l’equilibrio.

Alya ridacchiò. “Ma com’è possibile che solo sentendo quel nome ti distrai e inizi ad essere più maldestra del solito?”

“SSH! Alya!” Disse Marinette in imbarazzo. “Non è colpa mia se è così perfetto.”

Alya rise sommessamente.

Arrivarono al cocchiere e Alya mantenne il sorriso. Salirono sulla carrozza e Marinette diede il nuovo indirizzo d’arrivo. Casa sua.

Il cocchiere obbedì e fece partire i cavalli.

Marinette e Alya regolarizzarono il loro respiro affannato dovuto nell’evitare le persone. Se fosse stato uno sport, avrebbero ricevuto una medaglia per la destrezza. Non essere trascinate dalla folla che andava contro corrente e urtare poche persone, non fu più una passeggiata piacevole.

All’improvviso Alya si ricordò di una cosa. “A proposito, anche tu non mi hai detto qualcosa sulla persona che ti piace.”

Marinette arrossì. “Di che parli?” Fortunatamente gli zoccoli sul selciato e il rumore delle ruote, coprivano il suono delle loro parole all’esterno.

“Ricordo che all’improvviso hai iniziato ad interessarti ad Adrien ed a ogni sua parola o gesto tu eri assente dal mondo reale. Ma non mi hai mai detto com’è iniziato questo interesse. Devo sapere qualcosa? O vuoi continuare a nascondermelo?”

“Ma cosa dici? Non ti nascondo nulla. Al massimo… evito di dirti certe cose….” Disse Marinette abbassando sempre di più la voce. E la fortuna del rumore esterno è che copriva anche le parole basse.

“Come? Non ti ho sentita.”

Marinette era in evidente imbarazzo. “D’accordo te lo dirò, ma solo quando arriviamo sul mio terrazzo.”

“Certo. Devi prima trovare il modo per parlarne, altrimenti inizi con la tua lingua immaginaria come fai davanti a lui.” Scherzò.

“Alya! Oggi sei un po’ cattiva. Sai che non posso farci niente. Vado in confusione quando ce l’ho davanti. Mi sudano le mani, ho il cuore che corre più di un cavallo in aperta campagna e il mio cervello perde il contatto con la realtà.” Sospirò affranta. “Non ho speranze con lui.”

Alya ridacchiò. “Non dire così. Non ci hai ancora provato e vuoi mollare? Che fine ha fatto l’eroica Marinette che salvò una compaesana di cui mi stavi parlando?” lo disse come se stesse accennando un titolo di un’opera.

“Affondata nel fiume.”

Alya rise. “Marinette, perdonami se rido. A volte sei buffa e divertente e ti voglio bene. Però devi sapere che sei una persona speciale. Fai tanto per le persone che ti stanno a cuore e ti prometto che un giorno, ti noterà.” Mise una mano sulla sua spalla per consolarla.

“Lo credi sul serio?”

“Certamente.”

Marinette le sorrise dolcemente. “Grazie Alya.”

 

Il tragitto fu impervio dal traffico e dalla folla, ma dopo qualche peripezia lungo la strada, riuscirono ad arrivare a destinazione.

Era quasi ora di cena e i genitori di Marinette si offrirono nel preparare la cena anche per Alya, oltre che al resto dei loro collaboratori.

Il cocchiere portò i cavalli nelle stalle e li fece mangiare e abbeverare, prima che tornassero di nuovo operativi.

Alya e Marinette, invece, salirono in camera della ragazza e raggiunsero il tetto dove si poteva vedere Parigi dall’alto. Una specie di balcone a terrazzo, lo aveva arredato con piante, sedie e un tavolino.

“Qui possiamo essere sicure che nessuno ci ascolterà. Aspettiamo che ci portano dell’acqua e dei panini dolci, poi possiamo parlare tranquillamente.” Suggerì la padrona di casa, mentre sistemò alcuni attrezzi da cucito.

In quel momento non sapeva se parlare del suo progetto ad Alya o se tenerlo segreto finché non si fosse decisa, con le idee più chiare sul da farsi.

Arrivò una collaboratrice portando un vassoio con una caraffa piena d’acqua, due bicchieri, un piattino con dei panini dolci. Li appoggiò sulla scrivania dove Marinette indicò e poi uscì dalla sua camera.

Aspettarono qualche istante, il tempo di portare il vassoio sul terrazzo.

“Dai a me, prima che fai qualche danno.” Disse Alya. Con fare sicuro e pulito, portò il vassoio sul tavolino esterno senza danni.

Le ragazze si sedettero sulle sedie. Istintivamente, Alya riempì i loro bicchieri e offrì del pane dolce a Marinette che accettò volentieri e ringraziò.

“Adesso puoi parlarmi di quel momento mentre mi riempio la bocca con questi squisiti panini che tuo padre ci ha preparato.” Alya si sdraiò comodamente sulla sedia.

“Sì...” rispose timida. “Però prima tocca a te. Se ho capito bene, quel ragazzo viene trattato bene.”

Alya sorrise dolcemente. “Ha detto che il suo padrone è suo amico. Sinceramente questo, mi interessa di più. Lascia che mi spieghi...”

Marinette fu la prima a tirare un morso al panino.

“Non pensavo ci potessero essere persone che ci rispettassero come essere umani. Poi ho incontrato te, pensavo che il tuo modo di essere fosse solo una facciata per dimostrarti buona e altolocata con tutti, poi ho capito che sei veramente così e ti ho apprezzata perché sei una persona vera. Non hai bisogno di etichette, mostri come sei davvero e oltre a nutrire un bene nei tuoi confronti, ho potuto ricredere nell’umanità, che forse una speranza per noi, di non sentirci diversi e di essere trattati da essere umani e non come schiavi potesse diventare realtà. E ritrovare questo mio piccolo pensiero in un’altra persona, mi ha sbalordita. Da piccolo pensiero, può diventare grande, può diventare realtà. Pensare che oltre a te c’è un’altra persona che ci tratta degnamente, lo fa diventare possibile. Persone che possono prendere la nostra parte e avere una voce importante, anche se poche, sono preziose e speciali. E non mi importa se vivo nella sporcizia o in un quartiere malfamato, perché grazie all’esistenza di queste persone, posso credere e avere speranza che un giorno tutto questo finirà e se non lo vedrò con i miei occhi, lo auguro alle persone dopo di me. Di trovare quelle persone, battersi insieme a loro, dare voce a tutti in ogni parte del mondo e guadagnarci il diritto e il rispetto di cittadini del mondo. E di vivere insieme, tutti, allo stesso modo, senza più barbarie e schiavitù. Con pari diritti.”

Marinette rimase incantata a guardarla. Commossa. Con la bocca aperta, presa dal suo discorso profondo e sentito. Il panino in mano con solo il segno del primo morso.

Ne era sicura. La chiave della sua rivoluzione, era Alya.

La sua decisione ormai era presa e Alya le diede la sicurezza nell’affrontare quel serio problema. Sembrava fosse il momento giusto per parlare della sua rivoluzione silenziosa, ma Alya sciolse il ghiaccio mettendo di nuovo in mezzo Adrien.

 

“Ora che ti ho detto ciò che pensavo, devo dire che mi ha portato una sensazione di leggerezza. Ora, aspetto la tua storia. È il mio turno.” Disse mostrando il panino per poi dargli un morso.

Il coraggio che assunse dalle parole dell’amica, si sciolse al sole riportando la timidezza e l’imbarazzo.

“Sì, hai ragione. Ora tocca a me parlare. Dunque...da dove inizio...”

“Dall’inizio.” Suggerì l’amica con la bocca piena. “E non balbettare, voglio capire e voglio i dettagli.”

Marinette sorrise divertita “Oui. D’accord. Dall’inizio.” Si portò le mani sul viso e prima di parlare bevve un bicchiere d’acqua e fece un profondo respiro. Come se dovesse affrontare una sfida.

Iniziò a ricordare quel giorno e le sembrò di riviverlo di nuovo quando glielo raccontò, con tono imbarazzato, a volte divertito e pieno di amore e dolcezza.

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Capitolo 18
*** 17. la mattina di gennaio ***


Marinette si svegliò presto in quella mattina fredda di gennaio.

Fuori era ancora buio, ma il profumo del pane arrivò fino in camera sua al piano superiore alimentando l’acquolina e la fame.

Come ogni mattina, Marinette si diresse in bagno, dipinto da lei stessa con colori tendenti al rosa e al bianco per dare continuità alle stanze, procedendo verso il lavabo sostenuto da un sostegno decorato in ferro battuto dove al di sotto vi erano gli asciugamani. Si guardò allo specchio appeso al muro sopra il lavabo e si sistemò i suoi capelli scuri, lisci e sciolti sulle spalle.

L’acqua fredda la svegliò dal suo sonno e si sciacquò la bocca.

Tornata in camera si vestì con abiti creati da lei, indossando un vestito con la gonna rosa a balze, un corpetto bianco a maniche corte e un coprispalle nero a maniche lunghe. Per scarpe delle ballerine in tinta alla gonna che venivano coperte da essa.

Si avvicinò allo specchio grande che aveva in camera e si guardò avanti e dietro concordando con lo stile che aveva scelto e si legò i capelli in due codini bassi.

Una volta pronta, uscì dalla camera e scese le scale raggiungendo la cucina e il salotto. Non c’era nessuno, ma il profumo del pane appena sfornato era più forte e invitante assieme ai croissants ed ai les éclairs che la chiamavano dal banco della cucina.

Fece colazione con i pasticcini e un buon latte caldo prima di scendere ancora verso il negozio, dove il padre stava già lavorando e la madre lo stava aiutando, per essere pronti all’orario di apertura.

Bonjour” disse Marinette poco dopo.

Bonjour” risposero i genitori, mentre la madre Sabine stava allestendo il bancone con i dolci e riempiendo i cesti alle spalle con del pane di ogni tipo e forma.

Marinette guardò il padre Tom che stava impastando con le mani per fare dei panini dolci. “Ti posso aiutare, papi?”

Merci, Marinette. Ma non vorrei che ti sporcassi di farina quel bel vestito.”

“Al dire il vero c’è qualcosa che puoi fare per noi” Si aggiunse la madre.

Oui? Cosa posso fare per voi?”

“Dovresti andare in Prefettura e compilare un modulo per l’iscrizione all’Esposizione Universale, altrimenti non possiamo più partecipare. La scadenza per iscriversi è vicina.” Informò Sabine.

“Oh, allora bisogna fare in fretta. Appena apre mi recherò subito alla prefettura, ma non è una cosa che posso fare adesso visto che aprono più tardi rispetto a noi. Potrei aiutarvi con il negozio nel frattempo.”

“E i tuoi vestiti? Non hai dei modelli da dover cucire?” chiese il padre.

“In realtà… sono alla ricerca di ispirazione.”

“Ho capito. Ti sei bloccata un’altra volta.” Sorrise la madre sistemando nella vetrina dei croissant con gusti diversi.

“Sembra sia una prerogativa degli artisti.” Scherzò il padre.

“Oh, non me ne parlate. Tornerò a cucire abiti, ma per adesso vorrei fare qualcosa e aiutarvi qui in negozio se mi è possibile.”

D’accord. Allora appena apriremo mi darai una mano con la cassa mentre tuo padre finisce di guarnire alcuni dolci.”

Bien sur, mamon.”

E così fece.

 

All’apertura del negozio, c’era un flusso di clienti che non finiva più. La maggior parte andava presto alla mattina per trovare ancora il pane caldo e alcuni ghiotti di dolci fecero piazza pulita dei biscotti e pasticcini che li invitavano dalla vetrina del bancone.

Marinette e la madre si divisero i clienti e facevano a turno alla cassa, operando con professionalità e cortesia. Ma la cortesia stava per svanire a Marinette quando entrò Chloé in persona.

Era verso tarda mattinata e Chloé entrò nel negozio con aria superiore e presuntuosa, superando la fila di poche persone cui erano in attesa del proprio turno.

“Chi è il padrone qui?” domandò avvicinandosi al banco.

“Io mademoiselle.” Disse Sabine.

“Allora prendi nota. Dicono che siete i migliori qui a Parigi e io voglio solo il meglio. Voglio una torta.” Si guardò attorno e vide le persone che stavano facendo la fila. Per il suo livello di giudizio c’erano dei poveretti vestiti di stracci e alcune persone normali ma sempre inferiori a lei.

“Mi dispiace, ma dovreste fare la fila come tutti.” Intervenne Marinette.

“Come prego? Sono la figlia del Prefetto, ho la precedenza assoluta.”

“Non nel nostro negozio. Qui rispettano tutti la fila e se vuoi essere servita dovrai fare come fanno tutti gli altri. Non sei l’unica ad avere impegni.” Rispose Marinette sostenendo lo sguardo di Chloé, ma la madre prese il braccio della figlia. “Non ti preoccupare. Io servirò la ragazza, tu occupati degli altri clienti. Va bene?”

“Ma… mamma. Non puoi darle vinta...”

“Marinette.” Sabine la guardò e il tono disse tutto: ordini sono ordini.

Poi Sabine guardò Chloé. “Lasciate che mi occupi io della vostra torta.”

Chloé sogghignò. “Vedo che c’è qualcuno con cui essere ragionevoli in questo posto.”

Marinette la fulminò con lo sguardo prima di servire una giovane donna di colore che aveva un vestito logoro e con qualche strappo.

Chloé riprese a descrivere la torta che voleva. “Mia madre, la più grande stilista di tutti i tempi sta per tornare a casa e io voglio una torta che la rappresenti in tutta la sua grandezza. Oltre ad essere una persona famosa, ricordatevi che è anche la moglie del Prefetto.”

Senza farlo apposta, nel mentre la giovane donna stava per pagare con i suoi pochi risparmi, urtò Chloé nell’avvicinarsi alla cassa.

“Oh, mi scusi mademoiselle.” Disse a voce e testa bassa facendo un lieve inchino.

“Oh, che orrore! Hai osato toccarmi con i tuoi sudici vestiti! Certo che qui accogliete proprio tutti. Non mi sorprenderebbe trovare dei topi visto che li state anche servendo!”

“Come ti permetti!” disse Marinette.

“Mi permetto eccome. Io posso.”

“Basta così. Mamma, mi dispiace, ma non posso permetterti di prendere i soldi di questa persona. Offende il nostro lavoro e i nostri clienti. Dovrà farsi fare la torta da un’altra parte. Abbiamo una reputazione ma anche una dignità da far rispettare e di rispetto io ne vedo ben poco. Non mi piace che si trattino i clienti in questo modo, nel nostro negozio.”

“Hai ragione. Le persone vanno rispettate, indipendentemente dal loro stato sociale. Mi dispiace, ma devo rifiutare la sua offerta...”

“Come osate! Non sapete chi sono io...”

“...anche se siete la figlia del prefetto” Sabine la precedette.

“Voi… aspettate che mio padre verrà a sapere come mi avete trattata e vi farà chiudere!”

“Allora noi riapriremo. Questo non ci impedirà di fare del bene e saziare Parigi!” Marinette incrociò le braccia sicura di sé, stufa delle sue polemiche e offese.

“Tsk. Poco importa. Sicuramente non siete gli unici e nemmeno i migliori di tutta Parigi se servite anche questa plebaglia. Non valete il mio tempo e soprattutto il mio denaro. Sarò io ad andare via e non perché lo volete voi.”

“Credilo pure se ti fa piacere. Ci sono abbastanza testimoni per affermare il contrario.” Marinette alzò un angolo delle labbra come segno di sfida e di vittoria.

Chloé assottigliò lo sguardo e uscì dal negozio con rabbia mantenendo il suo aspetto di superiorità.

Marinette guardò la signora che era stata umiliata a causa del suo vestito malconcio. “Mi dispiace per questa scenata e per esserci andata di mezzo. Le assicuro che non capiterà più.” Marinette stava pian piano smaltendo la rabbia.

“Oh, sicuramente non capiterà più dopo quello che è successo. Siete riuscita a tenerle testa e vi faccio i miei complimenti oltre a ringraziarvi per aver preso le mie difese.” Le porse la moneta ed a Marinette le fece un po’ pena.

Alzò la mano in segno di rifiuto e le diede la busta con del pane all’interno. “Tenete la vostra moneta, mi pagherete un’altra volta. Questo è un omaggio della casa per chiedervi scusa del comportamento a cui avete assistito.” Alzò un attimo la testa e notò alcuni sguardi di disapprovazione, poi guardò la madre.

Aveva combinato un guaio?

Sabine sorrise per il buon cuore della figlia. “Sapete, per tutti i clienti che hanno assistito a questa brutta scena, avranno un pane in omaggio.”

Marinette sorrise e tirò un sospiro di sollievo mantenendo il sorriso verso i clienti e verso quella signora che fece inchini di ringraziamento finché non uscì dal negozio. Poteva dirsi di aver risparmiato quella moneta per un altro giorno di pane.

 

Sabine guardò l’orario e sobbalzò. “Marinette, prima che ci dimentichiamo, devi andare in Prefettura.”

Marinette realizzò e appena finito di servire il suo ultimo cliente, uscì di corsa richiedendo la carrozza.

Aspettò il tempo che serviva per prendere due cavalli e si fece trovare pronta, salendo a bordo e partendo verso la Prefettura.

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Capitolo 19
*** 18. Origini ***


Marinette arrivò in Prefettura e stava cercando l’Ufficio per iscriversi. Quando lo trovò, aspettò nell’anticamera il proprio turno, avendo avanti a sé altre quattro persone.

Rimase in piedi ad aspettare, mentre passarono davanti a lei due signori, uno più giovane dell’altro.

Monsieur Alphand, mi avevano detto che mi stavate cercando. Cosa posso fare per voi?”

“Ah ragazzo! Voglio sapere come procedono i preparativi. Abbiamo le partecipazioni?”

“Sì, le abbiamo. Ma manca ancora una settimana prima di raccoglierli tutti.”

“Una settimana? Parbleu. Pensavo che fosse già passata. Sicuro che la scadenza non sia oggi?”

“Sicuro, come il fatto che sono biondo e ho gli occhi verdi. Si fidi di me monsieur, ho tutto sotto controllo.”

Marinette stava per entrare nell’ufficio ma non poté far a meno di sentire la loro conversazione. All’improvviso sentì una voce che le mise i brividi e con passo veloce si affrettò nell’entrare nell’ufficio.

“Adrien caro! Finalmente sei arrivato.” Chloé apparve da un corridoio raggiungendo i due signori e mettendo le sue braccia attorno al braccio del ragazzo. “Ho riconosciuto la tua voce dal corridoio, non potevo non salutarti. Mi avevano detto che saresti venuto ed eccoti qui.” Disse sorridendo.

“Uhm… Bonjour Chloé. Io non mi aspettavo di vederti. Cosa ci fai qui?”

Lei ridacchiò. “Che sciocchino. Sono la figlia del Prefetto è chiaro che passo del tempo anche qui.”

“Sei amico di Chloé?” domandò Alphand sorpreso.

Chloé non lo sentì perché fu distratta dalla vista di Marinette che uscì dall’ufficio d’iscrizione che stava ringraziando l’addetta al lavoro, “La ringrazio Madame Bustier per il suo tempo extra”, prima di chiudere la porta. Poi si diresse verso il bagno due porte più in là rispetto l’ufficio.

Poco dopo uscì anche la signora dai capelli rossi, addetta all’iscrizione, chiudendo la porta e andando a pranzo.

Chloé sorrise mefistofelica.

“Scusate, mi sono ricordata che ho una cosa urgente da sbrigare. A tra poco Adrien caro. Saluti monsieur.”

Disse Chloé accorgendosi tardi della presenza dell’uomo e dirigendosi velocemente all’ufficio d’iscrizione.

Adrien si chiese cosa stesse facendo nell’ufficio e la seguì mantenendo in sospeso la domanda del signor Alphand.

 

Chloé si diresse alla scrivania noncurante di essere vista da altri, trovò subito quello che cercava.

La scrivania era in ordine e pulita, la sua mano si diresse sul primo foglio del plico e lesse i dati per assicurarsi che fosse il modulo giusto.

“A quanto pare avevo visto giusto.” Sussurrò Chloé. “Bien. Non avranno modo di partecipare.” Ridacchiò strappando il modulo d’iscrizione che Marinette aveva appena concluso, in più parti.

Adrien si affacciò all’ufficio e vide l’amica con dei fogli strappati in mano.

“Chloè. Cosa stai facendo?” Le si avvicinò per scoprire il motivo della sua presenza in quell’ufficio.

“Oh Adrien caro, ho dovuto dare una lezione a delle persone che mi hanno trattata malissimo questa mattina.”

“E non avevi altra scelta?” Adrien prese i fogli strappati dalle mani di Chloé, cercando un modo per rimediare.

“Insegno loro a rispettarmi, tutto qui.”

Marinette uscì dal bagno e si guardò a sinistra e destra, attirata poi dal signor Alphand sull’uscio dell’ufficio che stava rimproverando una voce che conosceva.

“Come si permette di negare un’opportunità solo per capriccio? Si rende conto di quello che ha fatto?” Alphand era molto adirato da quel gesto.

“Non è capriccio. Mi hanno umiliata davanti a molte persone, non meritano di partecipare.”

Marinette si avvicinò all’ufficio. “Scusate… cosa succede..?” non terminò la frase e guardò all’interno della stanza.

Adrien teneva dei fogli strappati tra le mani e vide Chloé accanto a lui. “Cosa…? Cosa state facendo qui dentro? La signora Bustier è assente...” si avvicinò ad Adrien prendendogli dalle mani i coriandoli ancora leggibili, avendo un sospetto. Chloé iniziò a ridere.

“Oh. Bene ho capito, complimenti a tutti e tre.” Guardò Adrien e lui provò a spiegarle. “No, non hai capito. Stavo pensando come risolvere.”

“Ah, davvero?” disse sarcastica e strinse i foglietti tra le dita. “Tu sei amico di Chloé, giusto?”

“Perché me lo chiedi anche tu?” chiese a bassa voce.

“Ora capite a cosa mi riferivo?” disse Chloé ridendo.

Marinette mise il broncio e uscì dall’ufficio dirigendosi verso l’uscita con il modulo strappato tra le mani. Nel mentre pensava dove avesse già visto quel ragazzo biondo.

Chloé sorrise soddisfatta. “Ora posso andarmene felice, è stata una giornata estenuante. Au revoir.” Li salutò dirigendosi all’uscita anche lei.

Il signor Alphand guardò Adrien. “Perché alla ragazza non hai detto che è stata Chloé?”

“Conosco Chloé da quando eravamo bambini. Lo so che ha un sacco di difetti, ma è la mia unica amica e non volevo tradirla.”

Alphand sorrise di cuore. “Caro ragazzo, è ora che tu ti faccia dei buoni amici. Io sarò uno di quelli, puoi contarci.”

Adrien sorrise e ringraziò.

Marinette si bloccò davanti all’uscita della prefettura. Non aveva l’ombrello con sé e aveva iniziato a piovere pesantemente. Sentendo dei passi dietro di sé si mise al lato della porta per far passare le persone, ma quando vide Chloé accompagnata dalla sua amica e aiutante Sabrina, le diede le spalle incrociando le braccia e voltando la testa per non vederla.

“Dupen-cheng. Spero che questa lezione ti basti per farti capire che non devi metterti contro di me.”

“Ah no, Chloè. Sei tu che non devi metterti contro di me, non pensare di averla vinta. Io parteciperò a quella Esposizione in un modo o nell’altro e non potrai farci niente. Sono ancora in tempo per iscrivermi.”

“Non hai capito che essendo la figlia del Prefetto ho anche il potere decisionale qui dentro? Posso chiedere ogni giorno il tuo modulo d’iscrizione e strapparlo nuovamente oppure meno faticoso per me, posso vietare la tua partecipazione. Voglio proprio vedere in quale modo ti iscriverai, la scadenza è ormai prossima.” Rise di gusto mentre Sabrina aveva aperto l’ombrello per non far bagnare Chloé.

Marinette digrignò i denti e strinse la carta che aveva in mano, mentre la sua rivale se ne andò servita da Sabrina.

 

La carrozza di Marinette non si vedeva ancora e rimase sulla soglia guardando la pioggia cadere sul suolo di Parigi. “Ma certo. È il figlio di Gabriel Agreste. Il mio stilista preferito. Ecco dove l’ho visto.” Si disse a bassa voce. “Ed è amico di Chloé...”

Il signor Alphand e Adrien si diressero verso l’uscita e notarono la ragazza ancora in attesa.

“È lei.” Disse Alphand ad Adrien. “È ancora qui. Vai a parlarle.”

“E cosa devo dirle?”

“La verità. Volevi farti degli amici, n’est pas?

Adrien abbozzò un sorriso e salutò Alphand con una stretta di mano. Poi si avvicinò a Marinette.

Bonjour.”

Marinette lo vide e subito dopo distolse lo sguardo ancora offesa.

Il sorriso di Adrien sparì per un momento. “Volevo dirti che prima, stavo davvero cercando un rimedio. Te lo giuro. Non sono bravo con le relazioni sociali, ho avuto un’istruzione privata. Anche quello che sto facendo, per me è una novità.”

Marinette rimase ad ascoltarlo e percepì la sua sincerità, nei suoi occhi e nel suo gesto.

Adrien prese la mano di Marinette, lei sussultò e aprì appena la mano dove Adrien prese un foglietto strappato. Dal taschino interno della sua giacca prese una penna stilografica che portava con sé assieme all’orologio e sul foglietto, appoggiato sulla sua mano, Adrien iniziò a scrivere in grande PASS e sotto aggiunse Esposizione Universale con la sua firma Adrien Agreste.

Porse il foglietto scritto a Marinette con un lieve sorriso. Lei guardò ciò che aveva scritto e le sue guance si sfumarono di rosso.

“Con questo biglietto non avrai bisogno di fare alcuna iscrizione per partecipare all’Esposizione Universale. Basta presentarti e potrai accedere senza problemi.”

“Ma..s-se dovessi perderlo?”

“Spero non accada. Ma se dovesse accadere basta tornare da me.” Si rese conto della insolita frase. “Intendo dire che posso rifare il pass senza problemi. Puoi chiedere a Natalie, la mia assistente.”

Arrivarono le carrozze di entrambi e da quella di Adrien scese Nino con un ombrello che aprì appena arrivò alle scale.

Adrien guardò Nino con l’ombrello aperto. “Ah, voilà. Potresti accompagnare la signorina alla sua carrozza? Io attenderò qui.”

“Certo signorino.” Rispose Nino con cordialità e fece strada a Marinette.

La giovane ragazza balbettò “M-merci.”

De rien. Ci vediamo all’esposizione.” Adrien la salutò.

“S-sì, certo. C-ci v-v-vediamo...” disse Marinette stringendo a sé il foglietto scritto e si domandò perché iniziò a balbettare.

Nino sorrise e scesero insieme le scale, aprì la portiera della carrozza di Marinette e l’aiutò a salire. Richiuse la portiera e tornò da Adrien in cima alle scale.

Marinette guardò Adrien scendere le scale e salire sulla carrozza davanti alla sua, spiando dalla fessura della tenda che impedì alla pioggia di entrare all’interno della carrozza. Sorrise a quel ragazzo dolce e cortese che l’aiutò nell’impresa e conquistò il suo cuore.

A quel punto, le carrozze partirono verso le rispettive dimore, andando in direzioni opposte.

 

 

“E questo è quanto.” Concluse Marinette con un cuscino tra le braccia e Alya che si leccò le dita dal panino dolce.

“Conoscendoti avrai perso il biglietto.” Sogghignò.

“Ehi!” Marinette la colpì al braccio con il cuscino.

“Ragazze! La cena è pronta! Alya, ti fermi da noi vero?” domandò il padre di Marinette, in attesa in camera della figlia.

Oui. Merci beaucoup Monsieur.”

Bien. Allora vi aspetto a tavola. Non fate raffreddare la cena.”

Va bien, papi.”

Tom tornò in cucina mentre Marinette si alzò dalla sua sedia. “On y va?” chiese.

Oui. Ma non mi hai detto se alla fine hai perso il biglietto.” Alya sorrise e si alzò anche lei dalla sua sedia.

Marinette sbuffò. “Sai anche tu che la risposta è sì.”

Alya rise per quella risposta così naturale e ovvia.

“Pensavo che avendotelo dato Adrien, avresti fatto più attenzione. Anche se eri agli inizi. A quanto pare mi sbagliavo. Mi dirai come hai fatto?”

“Sai anche questo. Con la mia sbadataggine.”

“Ma hai il PASS. Come l’hai preso?”

“Semplice, con la mia goffaggine.”

“Sei andata da Adrien?”

“Sì, ma non sono riuscita ad avvicinarmi a lui, era molto impegnato così ho parlato con la sua assistente e come mi aspettavo non mi ha creduta.”

“E tu cosa hai fatto?”

“Nulla. Ho aspettato. Credo abbia informato Adrien chiedendogli se fosse vero e lui avrà risposto di sì. A quel punto ho ricevuto da Natalie il PASS che ho adesso.”

Alya ridacchiò. “Sicuramente molto meglio del precedente. Mi chiedo ancora come hai perso il foglietto.”

Le ragazze tornarono nella camera e si prestarono a scendere le scale per raggiungere gli altri per la cena.

“Ecco, diciamo che con la mia solita aria sognante, persa nel mio posto speciale di sopra, stavo ammirando la calligrafia di Adrien e all’improvviso una forte folata di vento lo ha fatto volare via dalle mie mani.” Disse rassegnata alla vergogna.

“Ora capisco. Sei seguita un po’ dalla sfortuna.”

“Dai, non credo a queste cose. È brutto da dire.”

“Ti serve un po’ più di fortuna. Come la coccinella che hai creato per il tuo costume. Sembra ti abbia portata fortuna, tutto sommato.”

“Non credo proprio. Ho fatto disastri anche quella sera.”

“Sì, ma ti hanno comunque portata da Adrien. Gli hai parlato o ricordo male?”

“Mnn… Alya, se dici queste cose divento scaramantica.”

“Meglio andare a cena, prima che si raffreddi.” Ridacchiò.

Le ragazze raggiunsero i genitori di Marinette e alcuni collaboratori che mangiarono con loro.

 

Anche per Adrien arrivò l’ora di cena.

Si fece portare il piatto in camera e senza rendersene conto, preso dalla ricerca e dalla trascrizione dei nomi, la sua cena si raffreddò e passò la serata senza cenare.

Con il mal di collo e mal di schiena, una volta finito di trascrivere i nomi che gli interessavano, guardò il piatto, il Boeuf Bourguignon, seduto sulla sua sedia davanti alla scrivania.

Appena la sua mente guardò lo stufato e si rese conto di non aver mangiato, il suo stomaco brontolò. Adrien sorrise imbarazzato e si strofinò i capelli.

“Talmente concentrato sull’amore che ho tralasciato la fame. Davvero l’amore sazia?” Prese il piatto e consumò la cena fredda durante la notte. Con lo stomaco pieno e dandosi il tempo di digerire, controllò i nomi scritti.

“E domani, un controllo generale sul posto a questi nomi. Chissà se avrò successo o se sarò sfortunato.” Pensò sbadigliando.

La pancia piena e soddisfatta gli fece chiudere gli occhi lentamente, assieme alla stanchezza della giornata e della nottata.

Se ne andò a letto e dormì sognando quei nomi e la dama misteriosa.

“Milady” sussurrò nel sonno.

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Capitolo 20
*** 19. Tra padri ***


Gabriel Agreste, il padre di Adrien, conosciuto come il più grande stilista di Parigi e non solo, aveva ricevuto una visita inaspettata a casa sua nel mentre stava lavorando nel suo ufficio. Natalie bussò alla porta.

“Mi scusi signore, c’è una visita per lei.”

“Per me? Non ho appuntamenti di nessun tipo. Di chi si tratta?”

“Del Prefetto. Il signor Bourgeois.”

Gabriel Agreste era pensieroso, in piedi davanti a un manichino con un completo da donna elegante, per le uscite di sera. L’abito blu cobalto e rosso cadeva sul tournure su cui vi erano posti strascichi a fiocco con entrambi i colori scelti. Le maniche tre quarti con fronzoli e il busto, nella zona centrale, era rossa a dolce vita e ai lati blu. Avanti, il tessuto blu leggero venne raccolto e fissato ai lati per mostrare il tessuto rosso che fungeva da gonna e copriva i piedi, lasciando un piccolo margine da terra in modo da rendere le camminate più semplici senza inciampare nel vestito.

“Fallo entrare.”

Natalie fece entrare nello studio il signor Bourgeois.

“Quale sorpresa. A cosa devo la vostra visita?” Gabriel gli andò contro e fece segno con il braccio di accomodarsi su una poltrona.

“Ho una questione da sottoporti.”

Nell’ufficio c’era un piccolo salottino con due poltrone bianche rivolte verso la finestra e leggermente diagonali al tavolino in ferro elaborato che vi era al centro. Bourgeois si sedette sulla poltrona direzionata verso l’ingresso dell’ufficio. Come se volesse scappare il prima possibile.

“Sono tutto orecchi. Posso offrirti qualcosa?”

Gabriel si recò verso un tavolino che fungeva da bar dove teneva le bottiglie di liquori e dei bicchierini in cristallo, vicino alla finestra. In modo che potesse tenere d’occhio gli ospiti dal riflesso della finestra mentre versava da bere.

“Sì grazie. A tuo gusto.”

Gabriel gli diede le spalle e alzò appena un sopracciglio per quella risposta. Ma come disse, decise Gabriel per entrambi.

Versò nei bicchierini uno dei suoi liquori preferiti, il Bénédictine.

Prese i bicchierini e ne porse uno al Prefetto.

“Di cosa si tratta?” domandò Gabriel sedendosi sull’altra poltrona e accavallando le gambe.

André tenne tra le mani il bicchierino e guardò il colore ambrato del liquore e annusò per scoprire gli odori e se era forte di alcol.

L’olfatto venne pervaso da spezie ed erbe che non conobbe e prima di assaggiare rispose: “Dei nostri figli.”

Gabriel aveva portato il bicchierino alle labbra e stava per bere. A quelle parole si bloccò un attimo, poi bevve un sorso.

Le spezie e le erbe orientali si diffusero sulla lingua rinfrescando la bocca con i suoi sapori mielati.

André strizzò appena gli occhi quando bevve il liquore. Non si aspettò il gusto dolce e particolare.

“Cosa vuoi da Adrien?” chiese schietto.

“Che prendesse la mano di mia figlia. Che si fidanzassero.”

Gabriel abbozzò un sorriso divertito che sparì subito sul suo volto. “Non stanno nemmeno insieme, perché mai dovrebbero fare un passo del genere?”

“Serve davvero? Insomma, si conoscono da quando sono bambini e si frequentano tutt’ora. Sia Adrien sia Chloé hanno una buona dote. Direi che sono perfetti insieme. Se non tra di loro, con chi dovrebbero stare? E poi mia figlia ha dell’interesse verso tuo figlio.”

Gabriel rimase in silenzio e rifletté sulla proposta di André, mentre agitava lentamente il bicchierino tra l’indice e il pollice.

“Adrien Agreste e Chloé Bourgeois. Fidanzati.” Disse Gabriel senza nessun tono. Solo pensieroso. Cosa gli avrebbe fruttato un’unione del genere?

La moglie di André aveva scoperto il talento di Gabriel nel settore della moda e grazie a lei ha avuto successo e fama. Adrien e Chloé giocavano insieme fin da piccoli e non avevano bisogno di conoscersi, come poteva accadere ad altre coppie prima del fidanzamento. In più, Chloé Bourgeois è la figlia del Prefetto di Parigi ed è anche il proprietario di un prestigioso albergo. Adrien avrebbe potuto ereditare la catena alberghiera oltre al settore della moda e l’esperienza che stava vivendo con l’Esposizione Universale lo avrebbe aiutato anche per questi futuri scopi e possibilità.

L’idea piacque a Gabriel e al suo spirito ambizioso.

“Ne parlerò con Adrien e vi faremo sapere la nostra risposta.”

André si costrinse a finire il liquore poi aggiunse. “Spero il prima possibile. Mia figlia è impaziente e poi dovremmo preparare per i festeggiamenti del fidanzamento e quelli del matrimonio che verrà.”

“Lo capisco. Mai far aspettare troppo una donna. Appena Adrien rientra in casa ne parlerò con lui. Massimo tre giorni e avrete una risposta.”

Parfait. Lo apprezzo molto.”

André lasciò il bicchierino sul tavolino davanti a loro e si alzò. “Ora scusami ma ho molte cose di cui occuparmi. Ah, e mi congratulo con te. Hai un figlio eccellente in tutto. Dovresti esserne orgoglioso.”

“Lo sono. Ma sono anche convinto che può dare ancora di più.” Disse Gabriel alzandosi e lasciando il bicchierino sul tavolino con ancora un po’ di liquore all’interno.

I due genitori si strinsero la mano in segno di saluto e André andò via dalla villa Agreste.

Gabriel guardò un attimo la porta chiusa del suo ufficio, riprese il bicchierino e si avvicinò alla finestra notando André oltrepassare il cancello in ferro battuto. Mandò giù di colpo il restante liquore e chiamò Natalie a gran voce.

Natalie aprì la porta dopo pochi secondi. “Sì, signore?”

“Dov’è Adrien?”

“Adrien è all’Esposizione Universale per controllare come sta procedendo. Non è ancora rientrato in casa.”

Gabriel rimase un secondo in silenzio e si diresse verso il tavolino.

“Quando rientra fammelo sapere, devo parlargli il prima possibile.”

“Sì, signore. Come rientra le verrà comunicato.”

Lasciò il bicchierino vuoto sul tavolino accanto all’altro.

“E fai venire una donna delle pulizie. Che lavasse questi bicchieri.”

“Subito signore. Posso fare altro?”

“No, grazie Natalie. Puoi andare.”

Natalie uscì dall’ufficio e comunicò alla donna delle pulizie cosa dovesse fare. La donna obbedì e senza che Gabriel se ne accorgesse, per non distrarlo dal lavoro sull’abito a cui stava lavorando, la donna prese i bicchierini con passo felpato e se andò in cucina.

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Capitolo 21
*** 20. Idee ***


Adrien era all’Esposizione alla ricerca della sua dama tra gli stand di ogni parte del mondo con il suo taccuino e i nomi stilati.

Ad ogni stand senza risultato, tracciò una linea sul nome stilato con la sua penna stilografica. E man mano che la lista diventata più corta, lui sospirò.

Era giunta sera e tracciò l’ultimo nome sul suo taccuino.

“Com’è possibile?” sussurrò guardando tutti i nomi segnati da una lunga linea nera.

Abbassò taccuino e penna lungo i fianchi e si guardò attorno.

Gli era sfuggito un nome? Era sicuro di aver controllato tutti? Guardò la lista per l’ultima volta e sospirò. “Forse sono davvero sfortunato.”

Ripose taccuino e penna nel taschino interno della giacca e passeggiò tra gli stand. Guardò ogni nome e poi si diresse nella zona francese. Gli salì un certo languorino e pensò di mangiare qualcosa.

Guardò gli stand con poca speranza e più attratto dai cibi e dagli odori che stuzzicavano l’appetito. All’improvviso sentì un buon profumo di croissant e lo scricchiolio del pane fresco. Si girò verso lo stand che lo aveva attratto per lo stomaco e socchiuse gli occhi.

“Una Boulangerie-Pâtisserie? Ma...” si affrettò nel prendere il taccuino. “Come? Non ricordo di averlo visto.” Guardò la lista e non c’era nessun nome. Che gli sia sfuggito dalla lista originale?

Adrien si avvicinò sospettoso per quella presenza non comunicata e si avvicinò allo stand che lo inebriò di profumi dolci e salati. Sorrise per la fame e guardò i proprietari dello stand.

Una donna asiatica dai capelli corti e scuri e un signore francese con i baffi e capelli marroni.

“Scusatemi signori, posso sapere come mai non c’è scritto il vostro nome sulla lista degli ospiti?”

I proprietari lo guardarono.

“Oh, beh è semplice. Ci hanno dato il PASS.”

“Il PASS?”

“Sì, il signorino Agreste ha dato il PASS a nostra figlia e ora siamo qui.” Si aggiunse la donna. “Qualche problema, signor…?”

Adrien rimase a bocca aperta, ricordando del pass e sorrise. “Ah… pardon. Adrien.” si presentò facendo un lieve inchino con la testa e i suoi occhi si posarono sul logo “TS” del bancone e la sua speranza che era fiorita, appassì di nuovo.

“Adrien? Un momento.” Tom prese il PASS avvolto al suo collo e lo girò leggendo la firma Adrien Agreste.

“Adrien… Agreste? Siete voi?” domandò Sabine.

Oui. C’est moi.” Sorrise incuriosito dal fatto che non lo avessero riconosciuto e notò l’imbarazzo dei proprietari che diventarono un po’ impacciati.

“Prego, prego. Come possiamo sdebitarci? Vuole del pane farcito? Un dolcetto? Qualsiasi cosa, per lei è gratuito.” Disse Tom.

“Non voglio abusare della vostra bontà, ma in effetti avrei fame.”

“Oh, très bien! Alors, consiglio una mia specialità. Vedrai che andranno a ruba.”

“Tom, non vorrai davvero usare il signor Agreste come cavia per i tuoi esperimenti culinari.”

“E con chi sennò. È giovane, con la mentalità aperta. Perché non dovrebbe provare i miei croissant salati?”

“Come prego? Salati?” Intervenne Adrien.

“Hai capito bene ragazzo mio. Vedrai che sarà un successone.”

“Ho qualche dubbio. I parigini non sono ancora pronti per novità del genere.” Disse Sabine.

Adrien sorrise. “Sì lasci stupire, madame. Siamo all’Esposizione Universale, dove è pieno di innovazione.”

Sabine sorrise al ragazzo. “Oui. C’est vrai ça.

Tom gli servì il croissant salato più grande del normale e farcito di insalata, pomodori e mozzarella. “Et voilà.” Disse servendolo.

Adrien rimase piacevolmente sorpreso e provò quella novità.

Tom e Sabine erano in tensione.

Adrien addentò un pezzo e la sua faccia era poco convinta. “Uhm. Insolito. Ma… non male.”

Tom ridacchiò felice. “Visto? Gli piace.” Disse alla moglie.

“Ha detto che non è male.”

“Ma il significato è lo stesso.” Gongolò Tom.

Preso dalla fame e dal croissant salato, Adrien si dimenticò di chiedere della figlia. E poi, notando le lettere “TS” capì che non avevano nulla a che fare con le lettere “MD” che stava cercando.

“Vi ringrazio per questa esperienza innovativa e vi faccio i miei auguri per l’Esposizione. Vi ringrazio per aver partecipato.”

“Siamo noi a doverla ringraziare. Se non fosse stato per voi, non avremmo avuto il PASS.”

Adrien sorrise e li salutò.

Tornò a casa per l’ora di cena e disse di aver già cenato perciò si sarebbe chiuso in camera e iniziò a riflettere e guardare la lista originale confrontandola con quella del taccuino.

Si buttò sdraiato sul divano con gli occhi puntati sul soffitto e il taccuino sul petto.

“Dove sei milady?” sussurrò sognante.

Qualcuno bussò alla sua porta distraendolo. Si sedette composto sul divano e “Avanti.”

Nino entrò in camera e chiuse la porta alle sue spalle.

“Ho sentito che hai saltato la cena. Sicuro di star bene?”

“Certo. Ho mangiato all’Esposizione e sono sazio.”

“E quella faccia?”

“Quale faccia?”

“Quella da cane bastonato. Come se è tornato a casa senza l’osso.”

“In effetti. Non ho trovato quello che cercavo.”

“Posso aiutarti?”

Adrien lo guardò e gli fece spazio sul divano. Nino si sedette e lo guardò in attesa.

“Mi prometti che non lo dirai a nessuno?”

“Certo, amico. Puoi contare su di me. Avanti, dimmi di cosa si tratta.”

Con aria imbarazzata e grattandosi la testa disse “Sto cercando una persona. Una donna, per l’esattezza.”

“Cosa??”

“SSH! Nino!”

“Scusami...” abbassò il notò ma con lo stesso stupore. “Cosa?? Adrien alla ricerca di una donna? Questa mi è nuova.”

“Cosa vorresti dire?”

“Non è da te. Insomma, anche se sei un ragazzo affascinante e tutte le donne ti cadono ai piedi, sapere che sei tu a cercare qualcuno è un po’ insolito. Non ti sei mai interessato alle donne, cos’è successo? Quando?”

Adrien sorrise per la faccia sorpresa e buffa di Nino. “Alla festa. Per l’inaugurazione.”

“Ooh, ora capisco.” Sorrise sognante poi si risvegliò. “Un momento. Non è la stessa donna che ho visto io, vero?”

“Cosa? No. Non credo. Un momento, anche tu stai cercando una donna?” sorrise divertito.

“Oh. Dovevi vederla. Era un sogno. Era mascherata da volpe rossa.” Tornò con aria sognante. “Una bellissima renard. Rena rouge.

Adrien rise. “Tranquillo, non è lei colei che cerco. La mia era vestita da coccinella. Insolito, vero?”

“Non saprei, amico. È più insolito che tu la cerchi. A proposito, dove l’hai cercata? All’Esposizione?”

“Sì, esatto. La festa era solo per i partecipanti e ho girato tutti gli stand con le informazioni che avevo, ma a quanto pare non l’ho trovata. Non ci sono nemmeno andato vicino!”

Prese il taccuino mostrandoglielo sotto al naso e lo buttò sul tavolino avanti a loro, alzandosi in piedi e portandosi le mani ai capelli.

“Ho fatto un lavoro per niente. E questo mi innervosisce. Non so più cosa fare. Non so come trovarla, dove cercarla. Sono….” sospirò. “Disperato...” abbozzò un sorriso divertito.

“Non avrei mai pensato che una donna potesse fare un certo effetto. Ho bisogno di trovarla. Voglio conoscerla.” Si buttò sul divano.

“Ti capisco. Quanto vorrei tornare a quel momento e fermare il tempo.” Sognò Nino ad occhi aperti.

Adrien rifletté su quelle parole. Poi sgranò gli occhi e scattò in piedi. “Ma certo!” Si girò verso Nino con le braccia aperte. “Sei un genio! Nino, tu sì che sei un genio!”

Si piegò in avanti con le mani sulle spalle dell’amico e il viso riacceso di speranza e idee.

“Cosa ho detto? Cosa ho fatto?”

Adrien ridacchiò. “Amico mio, ridaremo una festa in maschera.” Gli sorrise raggiante.

“Cosa? Un altro? E con quale motivazione questa volta?”

Adrien spostò lo sguardo di lato, pensando al motivo della festa. “All’andamento dell’Esposizione?”

“Non è un po’ prematuro? Siamo a fine mese, non vorrai festeggiare troppo in anticipo?”

“Perché no?” Adrien si rimise retto e con le mani sui fianchi.

“Perché porta sfortuna festeggiare in anticipo. Hai ancora molti mesi, prima che finisca l’Esposizione.”

“Sfortuna eh… sembra che un po’ mi perseguita.”

“Sì, e vestirti da gatto nero non mi pare ti abbia portato buoni risultati.” Scherzò divertito.

Adrien ne fu contagiato. “Ah-ha divertente. Ma almeno mi ha fatto conoscere la mia Ladybug.”

“Ladybug...? Non male.”

Adrien sorrise e qualcuno bussò alla porta. “Ancora?” sussurrò Adrien.

Nino si rialzò in fretta e tornò nella sua posizione di servo.

“Avanti” disse Adrien.

Natalie sbucò da dietro la porta. “Signorino Adrien, suo padre la cerca.”

“Mio padre? Cosa? Perché?”

“Deve parlare con lei. È urgente.”

Va bien. D’accord. J’arrive.

“Non ce n’è bisogno.” Disse Gabriel entrando nella camera del figlio. Adrien ne fu sorpreso.

“Deve trattarsi di qualcosa di serio se sei venuto in camera mia.” Il figlio studiò il padre.

“Esattamente. Ho ricevuto una proposta interessante e questa proposta riguarda te.”

Adrien sussultò non sapendo cosa aspettarsi e rimase in attesa che il padre continuasse.

Gabriel guardò Nino e gli disse “Puoi andare.”

Nino mosse un passo ma poi si bloccò. “No, lui resta. Non ha finito quello che doveva fare e non ho problemi se ascolta. Di cosa si tratta?”

Gabriel li guardò in silenzio poi parlò. “Oggi mi ha fatto visita il padre di Chloé Bourgeois, credo che tu lo conosca bene.”

“Certo. È il prefetto e un amico di vecchia data. Cosa c’entra con me… Un momento...”

Adrien iniziò a ragionare e il padre gli diede conferma.

“Mi ha chiesto un matrimonio combinato. Tu e sua figlia, fidanzati.”

“COSA?! No! Mai! Non posso farlo. Chloé è solo un’amica per me. Niente di più. Spero tu abbia rifiutato.”

Il padre rimase in silenzio.

“State scherzando? Non avrete già consentito vero?”

“Ti sembra che stia scherzando? No, non ho ancora risposto. L’ho lasciato sulle spine. Per queste cose non bisogna essere troppo precipitosi, ma considerati impegnato.”

Adrien rimase a bocca aperta. “No. Non potete farmi questo. Sono io che decido. Si tratta di me, parbleu!

“Modera il tono! Sono io tuo padre e finché abiti sotto il mio tetto, decido io cosa è buono per te e non voglio sentire altro. Hai un’età e sei un uomo ormai, comportati da tale.”

Adrien rimase un attimo in silenzio elaborando la frustrazione. “Comportarmi da uomo? D’accordo.” Adrien era arrabbiato. “Mi comporto da uomo e rifiuto la proposta di fidanzamento. Padre, vi rendete conto di ciò che mi state chiedendo di fare?”

Adrien non ce la faceva più. Doveva togliersi quel peso e anche se iniziò a tremare leggermente, ebbe la forza di sfogarsi affrontando il padre, cercando di rimanere rispettoso senza ferirlo ulteriormente.

“Avete controllato la mia vita in ogni cosa da quando è morta la mamma e non ti permetto di controllare anche il mio futuro. Ne ho abbastanza di questo tuo comportamento chiuso e protettivo. Se davvero sei convinto che io sia un uomo, allora lascia che le decisioni le prenda da me. Se davvero vuoi fare qualcosa di buono per me, allora dovresti avere a cuore ciò che io decido per me. E la risposta è no.”

Adrien sostenne lo sguardo del padre, anche se aveva l’affanno che tratteneva le sue emozioni negative.

“Vedrò di farti cambiare idea.”

“No, padre. Sarò io a farvi cambiare idea. Se volete vedermi sistemato e sposato, lasciate che mi sposi con la donna che amo.”

Gabriel alzò le sopracciglia leggermente sorpreso. “Ti sei innamorato?”

“Sì, padre.” Il tono di Adrien si abbassò, più timido per la confessione.

“Posso sapere chi è?”

Adrien abbassò la testa e chiuse gli occhi per un attimo. “È complicato.”

“Cosa è complicato? Non dirmi che è una serva.” Disse quasi con disgusto e Nino percepì il tono. Gli si strinse cuore e stomaco, stava per ribattere al posto del suo amico. Cosa ci sarebbe stato di male se fosse stata una serva?

Adrien rispose prima che Nino aprisse bocca. “No, padre. Non lo è. Il fatto è che non la conosco.”

“Non la conosci. Quindi sono fantasie.”

“Non sono fantasie. L’ho conosciuta alla festa e la sto cercando.”

“Torna con i piedi per terra. Non hai speranze di trovarla se non sai nulla di lei. E non voglio perdere tempo. Ti fidanzerai con Chloé.”

“No. Non lo farò. Hai detto che non hai ancora dato una risposta, ho tempo per trovarla. Dammi la possibilità di poter vivere un amore come quello che tu hai avuto con la mamma. Non desideri questo per me? Per tuo figlio?” Adrien si sentì il fiato corto. Stava lottando contro il padre e contro se stesso con tutte le forze.

Gabriel rimase in silenzio per un lungo momento.

D’accord. Hai tre giorni. Poi bisogna dare una risposta ai Bourgeois. E se non la trovi, ti fidanzerai con Chloé.”

“E se invece di fidanzarmi con lei, avessi il tempo per conoscerla meglio?”

“Cosa vorresti dire? La conosci da quando siete bambini.”

“Sì, è vero. Ma non l’ho mai vista come qualcosa di più di un’amica. Forse, se passassi più tempo con lei, potrebbe fiorire qualcosa nel caso non trovassi la donna che cerco. Anche se non lo posso garantire. Dovrei almeno avere la possibilità di corteggiare Chloé in modo da… dimenticare il sentimento che provo per questa donna sconosciuta e rimpiazzarlo per Chloé.” Non poté credere alle sue stesse orecchie. Ma doveva trovare un accordo con il padre per avere tempo nelle sue ricerche e nel caso avesse fallito, nell’uscire da quella posizione difficile con Chloé senza dare scandalo e ferire nessuno.

“Sembri convinto.”

“Sì, lo sono padre.”

Il cuore di Gabriel si strinse al petto. Non poter più avere sua moglie accanto nonostante l’amore per lei continuasse ad esserci e non cessava, lo portava in quella disperazione in cui si era rinchiuso da anni.

Non voleva che Adrien provasse il suo stesso dolore, lo stava proteggendo da esso.

Non poteva immaginare come sarebbe stato vivere con una persona che non amava, ciò che stava chiedendo al figlio di fare con Chloé. Ma credeva che non amandola con tutto il cuore, potesse soffrire di meno se gli fosse stato riservato lo stesso destino del padre in futuro, cosa che sperava non si verificasse mai. Però, non poteva negargli il vero amore.

“Tre giorni.” Sottolineò il padre.

Adrien lo guardò grato. “Sì padre. Merci” Sorrise. “Bonne nuit.

Gabriel rispose con “Bonne nuit.” E se ne tornò in camera sua.

Natalie uscì dalla stanza seguendo Gabriel e lasciò nuovamente Nino e Adrien da soli.

I due giovani si guardarono in faccia.

Nino iniziò la conversazione. “Com’era la storia che nessuno doveva saperlo?” Sperò di risollevare l’amico, ma Adrien intrecciò le braccia al petto e guardò Nino quasi con rimprovero.

“Ok, che ne pensi di questa. Cosa stavi dicendo della sfortuna? Solo un po’?”

Adrien assottigliò lo sguardo. “Ho solo tre giorni per trovarla, te ne rendi conto?”

“Lo so. E sembra divertente. Almeno guarda il lato positivo, hai già provato un’idea che avevi per cercarla e non ha funzionato, quindi nei tre giorni che ti restano puoi tentare altro. Come la festa.”

“Esatto... Devo trovare un modo per ridare la festa.”

“E come credi di fare? Come motivazione cosa metti? Fidanzamento con Chloé?” Nino sogghignò.

Adrien non lo trovò affatto divertente. “In questo caso spero che la mia Ladybug mi porti un po’ di fortuna.” Sospirò pensando ad una soluzione e come tornare alla sua ricerca. “Intanto dobbiamo rifare gli inviti alle stesse persone e bisogna aggiungere di vestirsi mascherati come all’Inaugurazione.”

“Se festeggiassimo senza motivo? Insomma, bisogna per forza trovare un motivo per creare delle feste? Stare in compagnia non è già un buon motivo?”

“Fosse così semplice, Nino. Ma a queste persone non basta. Una festa senza motivo insospettirebbe e non voglio dare nell’occhio.”

“Allora oltre ad invitare i partecipanti dovresti invitare anche altre persone. Ti sarà più facile trovare un motivo che non sia legato all’Esposizione. Non esiste solo quello.”

Un’altra idea venne in mente ad Adrien.

“Hai ragione. Non esiste solo quello. Oggi sei in forma Nino, il tuo genio mi sta sorprendendo.” Diede qualche pacca sulla spalla dell’amico.

Sorrise. “Ma questa volta cosa ho detto?”

Adrien rise. “Ah Nino, se non ci fossi tu, come farei a vivere qui dentro?”

“Vuoi che ti risponda sul serio?” Nino abbozzò un sorriso.

“Non è necessario amico mio. Ma… possiamo festeggiare il centenario della Rivoluzione francese e della presa della Bastiglia oppure il diciottesimo anniversario della Terza Repubblica.”

“Sì, da patriottico. Oppure festeggi i centenari e poi farai una terza festa per la Terza Repubblica come altra scusa per passare il tempo con la dama coccinella.”

Adrien fece spallucce. “Tutto è possibile. Però hai ragione. Meglio tenere la Terza Repubblica come asso nella manica nel caso mi servirà in futuro.”

Nino rise. “Non dirai sul serio...” guardò l’amico e gli sparì il sorriso. “No, perché io non stavo dicendo sul serio.” Nino si preoccupò.

Adrien ridacchiò. “Non hai niente da temere. Solo, devi rispolverare il vestito.”

“Quello da gatto nero? Sicuro che non vuoi cambiare?”

“Ne abbiamo già discusso sulla scelta dell’animale. Se cambiassi c’è la possibilità che non mi riconosca.”

Touché. Ci ho provato. Consideralo fatto, Adrien.”

“Bene. Io preparo gli inviti. La festa bisogna farla entro tre giorni.”

“Adrien, perdona la mia curiosità ma… come fai a stare dietro a tutti gli impegni che hai?”

“Oh beh, c’è Natalie per questo.” Poi pensò e sorrise. “Credo che una buona organizzazione del tempo a disposizione sia la chiave per non sprecare nemmeno un secondo. Ma non credere che la vita programmata sia semplice.”

“Non credo sia semplice, ma senz’altro aiuta.”

“Sì, aiuta molto. Ma ti toglie del tempo che vorresti passare in altro modo.” Sospirò. “Sai, a volte vorrei fuggire dalla mia vita per vivere la giornata così come viene. Senza appuntamenti e organizzazione. Libero. Come te.”

Nino sussultò. “Non credo di essere molto libero.”

Adrien mise le mani in tasca iniziando a rilassarsi, camminando un po’ per la stanza, sciogliendo i muscoli e far sì che i tremori sparissero. “Cosa intendi?”

“Adrien, avrai anche una vita frenetica ed agiata, ma almeno tu non vieni visto come un topo di fogna perché ti reputano inferiore e diverso dal colore della pelle. Non ti devi preoccupare se riuscirai o no a mettere cibo in tavola, tu hai sempre il piatto pieno ogni giorno, noi dobbiamo far durare il pezzo di pane e se ha la muffa o è duro, si mangia lo stesso se si ha fame e nient’altro. Sei rispettato e amato e colto perché sei un aristocratico con la pelle bianca che ha avuto la possibilità di studiare. Forse avrò la libertà di girare per il paese, ma tu lo fai su una carrozza e non con scarpe rotte o a piedi sotto la pioggia. Scusa se parlo con franchezza, ma sei sicuro che stiamo parlando di libertà?”

Adrien abbassò lo sguardo. “Nino, questa fortuna che vedi è come le apparenze delle persone cieche che ti giudicano solo dall’aspetto. Sembra bella, ma è una trappola. Non puoi essere te stesso. Sei sempre sotto gli occhi di tutti e appena fai qualcosa subito parlano, specialmente se dici una parola di troppo rischi di infangare il nome della famiglia ed è una brutta macchia da togliere. Devi sempre fare attenzione a quello che fai, come lo fai e cosa dici. Sottostare alle richieste degli altri senza che nessuno si preoccupi di chiederti se il pensiero è uguale al loro oppure no. È vero, ci sono delle agevolazioni non di poco conto, come il cibo sempre presente o bei vestiti puliti. Però, non la considero vita.”

“Adrien, cosa darei per essere al tuo posto. Con quello che hai, sai quante persone potrei aiutare?”

“E io vorrei essere al tuo. Tu vivi la vita così com’è: aspra e dura. Giorno per giorno senza programmi.”

“Lo dici solo perché non hai provato sulla tua pelle la fame, altrimenti cambieresti idea e la tua vita ti piacerebbe così com’è.”

“Lo credi davvero? Pensi che mi piaccia fare tutto ciò che dice mio padre? Fargli da vice in ogni cosa che lo riguarda? Mi sembra di vivere la vita di qualcun altro. Non la mia.”

“Quello è il minimo dei problemi. Hai dimostrato di tenergli testa. Puoi farlo ancora.”

Adrien si sedette sul divano, con la schiena curva in avanti e le braccia sulle ginocchia. “Non sai quanto mi è costato.” Continuò a fissare il pavimento. “Non voglio farlo star male, ha già perso una moglie e non voglio deluderlo. Capisco che il dolore è molto forte per lui e ciò che fa, lo fa per proteggermi. Ma mi sento in gabbia da anni. Questo non se ne rende conto. Dandomi il progetto dell’Esposizione, fare scherma, studiare cinese, posare come modello per lui, tenendomi impegnato, pensa di darmi la libertà e un motivo per non pensare alla morte della mamma. Ma non è così, sembra di aver perso due genitori in quell’incidente. È come se non vuole uscire da quel buio della disperazione per punizione.”

“Adrien. Sei un ragazzo dal cuore giusto, gentile e non solo. Vedrai che tuo padre prima o poi lo capirà e se non lo vuole capire, o glielo dici tu o lo faccio io.”

Adrien sorrise. “Sai, hai sollevato una questione a cui avevo pensato tempo fa ma non ci avevo mai ragionato troppo sopra. Credo che i miei soldi li userò per aiutare gli altri invece di vivere nel lusso. Tutto quello che vedi appartiene a mio padre. Una piccola parte è mia.”

“Questa stanza?”

Adrien rise. “Sì… questa stanza.” Ironizzò.

“Non male! È comunque molto più grande della mia stessa casa, non ti è andata male.”

Sorrisero insieme ritrovando nuovamente il sorriso fino a che Nino non gli rivolse un’altra domanda.

“Se non ci fosse stata questa dama coccinella, avresti accettato il fidanzamento con Chloé?”

Adrien rimase in silenzio a lungo pensando alla domanda e alla risposta.

Nino era rimasto tutto il tempo in piedi e Adrien gli fece segno con la mano di sedersi accanto a lui. Nino lo fece.

“Credo che avrei accettato per non fare polemiche, come succede sempre, eccetto stasera. Però metterei in chiaro con Chloé che non posso dargli ciò che spera. Direi ciò che ho detto a mio padre stasera. L’ho vista sempre come un’amica e mai come qualcosa di più. Non riuscirei a vederla come mia compagna, mi sembra di avere caratteri totalmente opposti, opinioni e interessi diversi. A maggior ragione ora, non posso illuderla. Ecco, credo che questo non sarebbe mai cambiato. Fidanzati o no, non potrei mai ignorare i miei veri sentimenti e illudere una persona. Perciò se Chloé parteciperà alla festa glielo dirò. Non posso stare con lei come lei desidera, perché il mio cuore è già impegnato verso un’altra persona.”

“E se il cuore di questa persona è già impegnata?”

“Allora soffrirò molto e poi cercherò qualcun’altra, ma non Chloé.”

“Chiarissimo. Mi sembra sensato. Sempre se non ti verrà imposto.”

“Imposto cosa? Il matrimonio con Chloé? Se non è la mia scelta, non possono decidere per me. Ci sarà qualcun’altra al suo posto e a mio padre andrà bene se significa vedermi sistemato.”

“Sì, a patto che non sia una serva.” Quel commento di Gabriel gli diede molto fastidio e sbuffò.

“Nino, ma cosa dici? Sai bene che a me certe cose non interessano. All’amor non si comanda. E c’è una grande possibilità che anche se fosse una serva l’amerei ugualmente a costo del mio buon nome.”

“Vedremo amico...”

Adrien stirò le labbra. “Non mi interessa chi si nasconde dietro la maschera. Io amo quella ragazza.”

“Allora troviamola.”

Adrien guardò Nino e sorrise. “Merci Nino.

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Capitolo 22
*** 21. Anansi ***


Marinette si fece forza e decise di parlare seriamente con Alya su una questione importante.

Era tarda mattinata e Marinette era nel suo studio con Alya che la stava aiutando per una commissione richiesta dalla madre, per una persona che conosceva, e le misure erano le stesse di Alya.

Alya era in cima ad un piedistallo rotondo mentre Marinette stava cucendo l’orlo del vestito e improvvisò la conversazione.

“Alya, questo vestito ti starebbe molto bene. Che ne pensi se ne facessi uno per te?”

“Ancora con questa storia? Te l’ho detto, non mi serve.”

“Sì, sì… lo so… me l’hai detto… ma… se i vestiti nuovi li avessero tutti nel tuo quartiere?”

“Cosa?” Alya abbassò lo sguardo verso la ragazza che distoglieva i suoi occhi da Alya come se stesse nascondendo qualcosa e Alya riconobbe il tono da: sai com’è. È un’idea.

“Cosa stai tramando Marinette?”

“Cosa? Io…? Ma nulla, figurati se tramo qualcosa. Tramo soltanto il design dei vestiti.”

“Ah-ha, non fare giochi di parole con me per sviare il discorso. Parla. Cosa mi vuoi dire?”

“Ecco… c’è un’idea che ho in testa da molto tempo e vorrei realizzarlo con te.”

“Uhm-hum… e di cosa si tratta esattamente?”

“Uhm… diciamo che vorrei creare vestiti per tutto il tuo quartiere come inizio di una rivoluzione silenziosa per pari diritti….” disse abbassando sempre più la voce e parlando più in fretta.

“COSA?!”

“AHI!”

“Marinette!”

“Cosa? Alya! Mi hai spaventata. Mi sono punta il dito con l’ago.” Si mise l’indice in bocca lamentandosi di nuovo a bassa voce. “ahi.”

“Ripeti un po’ cosa hai detto?”

Marinette ripeté farfugliando a bassa voce.

“Marinette Dupen-cheng. Parla, o l’ago è l’ultimo dei tuoi problemi.”

Marinette sospirò. “E va bene.” Fece scendere Alya dal piedistallo e si sedettero un attimo vicino a un tavolo, su due sedie.

“Ho pensato molto a quello che hai detto e alle ragioni per cui non vuoi un vestito. Perciò ho pensato di fare le cose in grande e dimostrare alle persone che non bisogna giudicare per l’aspetto. O meglio, è ciò che le persone fanno da sempre, ma nel vedere tutti vestiti allo stesso modo può far capire alla gente che ognuno ha pari diritti. Che non bisogna giudicare ma apprezzare la persona per i valori che ha. In questo modo credo che la nostra voce può farsi sentire, in modo silenzioso perché le persone lo noterebbero, senza il bisogno di manifesti e manifestanti. Chi vuole intendere, intenda. E pensavo a te come capo di questa “ribellione o rivoluzione dei vestiti”. Hai detto che vuoi fare qualcosa e ti voglio aiutare in qualche modo. Solo perché mi sembra giusto che non vi vedano come persone sporche e inferiori, ma come persone di pari diritti senza il colore della pelle come ostacolo. Diverso non vuol dire sbagliato.”

“Oh… Marinette...” Alya andò ad abbracciarla commossa e grata.

“Ti ringrazio di cuore per questo tuo pensiero, ma non devi farlo. Sai quante persone come me ci sono a Parigi? Come pensi di riuscire a fabbricare innumerevoli vestiti da sola per così tanta gente. Non ti preoccupare per noi, il tempo arriverà.”

“E se il tempo è proprio oggi? Se il tempo parte da te e me? Che la nostra amicizia sia un segno? Hai detto che persone come me sono preziose in questa causa, per l’aiuto che possiamo dare. Allora permettimi di farlo. Non ho problemi nel fabbricare vestiti, basta solo organizzarsi.”

“Marinette, come farai con i tessuti? Con il loro costo? Con le misure di ogni persona? Vuol dire vestire bambini, maschi, femmine, anziani. Tutti, Marinette. In queste cose così grandi non bisogna essere da sole, quante persone avranno da ridire perché scontenti? E fidati, io li conosco bene, possono lamentarsi per qualsiasi cosa. Dovrai pure tenere il tuo nome intatto, potresti passare dei guai per aver innalzato una questione così delicata. Non voglio che tu rischi, non senza averci pensato bene.”

“Quindi se tutte queste tue preoccupazioni avessero una soluzione, tu lo faresti? Saresti dalla mia parte?”

“Certo che sarei dalla tua parte, ma è un rischio troppo grande da correre da soli.”

“Non solo da sola. Intanto, ho te. Poi ho sempre delle collaboratrici.”

“Sì. E cosa diranno nel vedere così tanti vestiti senza un guadagno e le voci che gireranno di beneficenza? Capiranno subito che si tratta di te.”

Marinette rimase in silenzio per qualche secondo. “Alya, se ti fidi di me troverò le soluzioni ad ogni problema che si manifesterà. Prima, però, hai ragione. Devo coprire la mia identità. Non voglio causare guai a nessuno, tanto meno ai miei genitori. Questa cosa rimarrà segreta. Posso contarci, vero?”

Alya sorrise e annuì rialzandosi dalla sedia. “Intanto vedi di finire questo vestito. Anzi, se proprio sei convinta del tuo progetto, dovrai cronometrarti in modo da capire quanti vestiti riesci a fare al giorno.”

“Buona idea. Possiamo già risolvere alcuni intoppi mettendoci in pratica e capendo cosa va e cosa no. In questo modo possiamo organizzarci e se non va come pensiamo, possiamo lasciare il progetto se è troppo grande per noi senza illudere nessuno. Che ne pensi?”

“Direi che può andare. Prima risolviamo il risolvibile e poi si decide.”

“Allora diamo spazio alla creatività!” Disse Marinette sorridente.

Alya tornò sul piedistallo dopo aver cercato un orologio da taschino e cronometrò Marinette con il vestito in corso.

Per curiosità, nel frattempo che Marinette si occupò del vestito, Alya pensò alla sua proposta e chiese all’amica. “Dimmi un po’, hai in mente come nascondere la tua identità?”

“Non lo so ancora, non vorrei sembrare una bandita e nemmeno imbarazzarmi per come potrei conciarmi. Insomma, voglio poter fare le cose anche alla luce del giorno visto che la notte è più pericoloso.”

“Giusto. Quindi dovrai vestirti in modo riconoscibile per la causa ma non troppo.”

“Tu hai idee?”

“No. Per adesso non me ne vengono. Ma sono certa che qualcosa ti verrà in mente.”

Marinette sorrise e finì di conciare l’orlo. “Ho finito. Quanto tempo ci ho messo?”

Alya guardò l’orologio e poi ci pensò. “Dovremmo cronometrarti dall’inizio della lavorazione e non verso la fine. Non ha senso.”

“D’accordo. Allora tu tieni il tempo e io inizio un altro vestito. Ho la scusa per iniziare con qualcuno e avere proprio il piacere di partire con te!”

“Ah Marinette. Dammi il tempo di togliere almeno questo vestito. Ma quanto pesa? Quanti strati di stoffa hai messo? Uff, mi fanno male le gambe. Fammi scendere da qui.” Alya si appoggiò alla spalla di Marinette scendendo dal piedistallo. “Ma davvero le persone usano vestiti così pesanti?”

“Sì Alya. È un vestito da cerimonia, non potevo non renderlo grazioso.”

“Grazioso lo sarebbe stato lo stesso anche senza questi chili di troppo, dati dal vestito si intende. Hai un talento meraviglioso per non renderlo più leggero e pratico.”

“Sai Alya... Credo proprio che il vestito per nascondermi dovrà avere le caratteristiche che dici tu. Deve essere pratico e rendermi agile nel caso dovessi scappare dalla polizia. Non troppo pomposo perché alcune strade hanno vicoli stretti e potrei incastrarmi. Non troppo lungo così non si sporca tutte le volte. Direi che ci vorrebbe una maschera per nascondere il viso, ma non troppo da farmi sembrare una bandita, insomma devo essere amichevole anche con una maschera che mi copre il viso e non devo essere riconoscibile dopo due secondi. Non dovrei nemmeno sembrare né aristocratica né povera altrimenti potrei sembrare la paladina di uno e non dell’altro. Deve rappresentare l'eguaglianza.”

“Sì, hai ragione. Sono d’accordo con te su tutto. Ti serve solo sapere quale soggetto prenderai d’ispirazione.”

Alya venne aiutata da Marinette nel togliere quel vestito ingombrante e finalmente poté tornare a respirare. Si vestì con i suoi vestiti consumati e fissò Marinette che sistemò sulla gruccia il vestito rosa tenue con qualche tinta albicocca sul busto.

Marinette aprì l’armadio dove riponeva le sue creazioni in modo che non si rovinassero e rimase a fissare i due vestiti che c’erano all’interno. Uno rosso e nero e l’altro arancione. Le sue labbra si stirarono in un sorriso e si alzò in compagnia anche un sopracciglio.

“Bene, bene. Che abbiamo qui? Forse i nostri vestiti per questa occasione?” Disse Marinette illuminata mentre ripose nell’armadio il vestito rosa.

Alya sbirciò nell’armadio rimanendo dietro l’amica e la guardò. “Stai seriamente pensando di riutilizzare questi vestiti? Questi sono l’opposto del pratico che intendevi.”

“Non li riutilizzeremo, li rifarò nuovamente ma mettendoci della praticità e perché no? Anche qualcosa di innovativo, mai visto.” Sorrise Marinette girandosi verso l’amica.

“Credo che questa Esposizione ti abbia un po’ contagiata nell’ambito innovativo.”

“Tu dici? Magari è l’ora di cambiare le cose.”

“Sì. Probabile. L’importante è che al posto della coccinella non ti scambiano per un alieno.”

Marinette ridacchiò. “Tranquilla. Fidati di me. Ci serve un simbolo che può trasmettere positività e anche un po’ di fortuna per questo progetto. È il momento di creare qualcosa di nuovo.”

Marinette fu presa dall’ispirazione e prese il suo blocchetto dove disegnava i bozzetti di ogni sua creazione di moda. Iniziò a bozzare il vestito della coccinella e uno nuovo della volpe.

Alya stava pensando che la sua amica era brava nel cacciarsi nei guai così com’era brava nel creare vestiti. Non era certa del grande progetto che Marinette aveva in mente ma la sua preoccupazione cercò di non mostrarla davanti a Marinette. Voleva pensarci bene prima di finire nei guai con la sua amica.

“Ascolta Marinette, io andrei a casa. Visto che sei presa dal disegno ne approfitto per dare il cambio a Nora con le gemelle. Ci vediamo domani, d’accordo?”

Oui, d’accord. Vuoi un passaggio?”

“No grazie. È una bella giornata, preferisco camminare. E poi potrei guardarmi meglio attorno per il progetto che hai in mente.”

“Oh. Sì, è una bella idea. Sempre meglio mettersi avanti! Merci Alya!”

De rien mon amie. A demain.

A demain.” Marinette alzò gli occhi dal foglio per salutarla con un gran sorriso speranzoso e Alya fu ancora più titubante.

Alya andò via dalla tenuta Dupen-cheng e si diresse verso casa, usando i borghi e le scorciatoie che conosceva.

 

Durante il suo passaggio tra i rioni di Parigi si accorse di quante persone avessero bisogno di aiuto e di quanto aiuto lei volesse donare alla sua gente.

A braccia conserte si diresse verso casa, pensierosa sul da farsi e il suo umore sempre allegro si rattristò un po’. Un progetto del genere voleva dire essere la portavoce di tutte le persone che ne avevano bisogno.

Si sentiva in grado di esserlo? Cosa sarebbe accaduto se fosse andato tutto storto? Avrebbe rivisto la sua famiglia? Poteva rischiare così tanto?

Tante domande e nessuna risposta.

“Sono a casa.” Disse Alya varcando la soglia di casa e chiudendo la porta in legno, pieno di buchi e spifferi, dietro di sé.

“Finalmente!” Disse Nora vicino ad un camino, con la fiamma che riscaldava una pentola cui bolliva della zuppa.

Nora vide la sorellina molto pensierosa e distaccata. “Cosa succede?”

“Cosa intendi?”

“Hai una faccia poco felice. E di solito sprizzi felicità.”

“Non è niente. Posso avere anche io dei momenti no o devo essere felice tutto il giorno?” sbottò Alya.

“Che caratterino. Hai litigato con la tua amica?”

“No. Con Marinette va tutto bene. Più che bene. Benissimo direi.”

Nora ridacchiò sommessamente. “Certo. Se lo dici tu. Sappi che la tua sorellona può difenderti se è successo qualcosa e sono capace anche di ascoltare.”

“Sicuro. Ascolti solo quello che vuoi tu. Questa tua indole protettiva è peggiore dell’istinto materno.”

“Non è vero. Cosa c’è di male nel voler proteggere la propria famiglia?”

“Che non è compito tuo! Non puoi proteggere tutti!” gli occhi di Alya si velarono di lacrime e alzò la voce per il nervoso, trattenendo il tremolio nella sua voce.

Nora la guardò e rimase in silenzio. Si mise a girare la zuppa.

Con dolcezza e serietà Nora disse alla sorella rimanendo seduta davanti al fuoco e ogni tanto girando la zuppa. “Alya, ascolta. So che non è compito mio protegge la famiglia, ma essendo la più grande e non avendo fratelli, non posso lasciare questo incarico solo sulle spalle di nostro padre. Mi sento responsabile. Sento di avere un dovere nei confronti delle persone che amo. E non è di certo questa assurda etichetta del “solo l’uomo può” che mi fermerà. Io voglio e devo proteggervi.”

Alya rimase in silenzio elaborando le sue parole e provò a calmarsi. Si asciugò le lacrime e si sedette accanto a lei con le braccia attorno alle ginocchia. “Hai un dovere, dici? C’entra qualcosa con la boxe?”

Nora stirò solo un angolo delle labbra. “La boxe è una passione nata all’improvviso. Vedere quello sport dove gli uomini si picchiano, mi ha trasferito un’immensa carica ed energia. Poi provando a praticarla, ovviamente mi sono fatta male alle mani all’inizio senza un buon allenamento alle spalle, ma mi ha permesso di sfogarmi. E da allora non ho più voluto lasciarlo. Mi permette di incanalare la frustrazione nei pugni, la rabbia nelle braccia e la carica nel petto. È una sensazione fantastica. Senti una libertà, dopo esserti scaricata di tutto, che ti permette di respirare di nuovo. In più mi dà la sensazione di forza e potenza, come se fossi in grado di poter far tutto. Ma a me non interessa quel tutto, a me interessa che mi dia la possibilità di proteggervi.”

“Non è papà a dire che con i pugni non si risolve nulla?”

“Papà vede i pugni come violenza, non come mezzo per proteggere o sfogarsi. Capisco che con la violenza attiri altra violenza, ma alcune volte è la sola lingua che gli uomini sanno parlare. È come se attraverso i pugni, sanno con chi hanno a che fare. E sembra strano ma, poi ti danno anche rispetto.”

Nora sorrise divertita.

Alya si mise a pensare a quelle parole. Specialmente al dovere verso le persone che ama.

E lei quale dovere si sentiva di avere? Doveva aiutare le persone perché amava la sua gente? Era compito suo o poteva lasciare quel compito a qualcun altro? Poi pensò alle parole di Marinette ed a quelle che lei stessa aveva pronunciato a Marinette tempo fa.

“Nora, come fai a essere sicura che quel dovere spetti a te? Ci sono altre persone che potrebbero farlo.”

“E chi? La mamma? Tu? Siamo solo noi, Alya. Nessun altro può aiutarci. Nemmeno la tua amichetta.”

“Non è quello che intendevo. Voglio dire, se ci fosse un progetto a cui tieni ma che risulta pericoloso, come fai ad essere sicura che quel dovere spetti a te?”

“Ti sei messa nei guai?”

“No, Nora. Rispondi per favore.” Si spazientì.

“Direi da quello che senti dentro. Dalle viscere. Se quel progetto è così importante che ti spinge a farlo, non importa quanto può essere pericoloso. Perché quel pericolo può non essere così grande come pensi. Nel caso lo fosse, basta esserne coscienti e fare attenzione.”

Alya sorrise e Nora la guardò.

“Perché mi fissi?” domandò Alya.

“Stavo pensando che stasera verrai con me.”

“Dove? Agli incontri di pugilato? Neanche per sogno, non fanno per me.”

“Dai che ci divertiremo.”

“E con le gemelle come facciamo? Ce le portiamo dietro?”

“Non è male come idea, ma no. Papà finirà prima stasera perciò ci starà lui con le gemelle. Problema risolto ancor prima di essere un problema. E ormai è deciso, non puoi tirarti indietro.”

“Nora!”

“Alya! Fidati di me.” Le sorrise.

Et va bien.”

Fantastique!” Nora avvolse il braccio attorno le spalle della sorella e la strinse a sé con forza.

“Nora, così mi spezzi il collo. Stai attenta, mi fai male!”

Pardon.” Lasciò la presa, ma era entusiasta.

Quando la zuppa fu pronta, le quattro sorelle si misero a tavola mangiando la zuppa di cipolle con alcune fette di pane.

 

Arrivata sera inoltrata, Nora e Alya uscirono di casa lasciando il padre con le gemelle.

Con il mantello sulle spalle, le due sorelle si addentrarono nei borghi di Parigi e Alya cercò di non perdere di vista la sorella.

Aveva paura ed era buio. Solo alcune strade erano illuminate dalla fioca luce delle candele dei lampioni.

“Nora, ma dove mi stai portando?”

“Vedrai.”

Si avvicinarono sempre di più nel luogo dell’Esposizione, ma rimanendo nei paraggi.

La Torre Eiffel rossa, spiccava per la sua grandezza e lasciò Alya senza fiato nel vedere una forte luce partire dalla punta della torre.

Nora guardò il viso della sorella a bocca aperta, rivolto verso l’alto. Ridacchiò di gusto, sapendo che Alya difficilmente usciva di sera.

“Alcuni dicono che questo è il futuro.” Disse Nora.

“È… magnifique.” Disse Alya con lo sguardo verso la luce data dall’energia elettrica.

“Allora, sei pronta ad entrare nel mio mondo? Ci sarà un bel po’ di casino. Non perderti.”

“Allora ogni tanto controlla alle tue spalle se non vuoi perdermi. Ricordati che stasera non sei da sola, Nora.”

“Ah, un’altra cosa. Quando entreremo nella zona della boxe e nei dintorni, non chiamarmi Nora. Chiamami Anansi.”

“Anansi? E che nome è? Perché dovrei chiamarti Anansi?”

“Quante domande, sorella. Loro mi conoscono così e voglio farmi conoscere con questo nome. Anansi è un ragno e ci sono molte storie a riguardo.”

“E dove le hai sentite? Perché poi un nome di un ragno?”

“Con questa Esposizione Universale non si smette mai di imparare. Un africano che viene dagli Stati Uniti mi ha raccontato varie storie su Anansi. Mi aveva paragonata a questo ragno e si sorprese che non ne sapessi nulla, così iniziò a raccontarmi alcune storie.”

“Del tipo?” chiese curiosa la sorella.

“Per la sua visione, intelligenza e saggezza è una delle figure più importanti nella mitologia dell’Africa dell’Ovest. È considerato un truffatore, anche se in realtà non è umano ma è un ragno, con una personalità che insegna moralità, etica, politica e valori sociali basati sull’abilità di indurre una persona alla verità attraverso esempi, indovinelli, e il meno previsto, aggira il destino. Oltre a questo ci sono molte altre storie, come il fatto che si crede sia il responsabile della creazione del Sole, della Luna, delle Stelle e dei Pianeti. In altre storie, ha portato la scrittura, l’agricoltura e la caccia sulla Terra, insegnando agli umani come prendersi cura di sé stessi in un mondo circondato da campi e foreste. Anansi era molto intelligente, si dice abbia deciso di donare intelligenza e saggezza a tutti gli umani e non solo ad uno, poiché risultò improduttivo. E poi c’è un’altra storia che mi piace, forse che più s'addice a me.”

Nel frattempo che parlava con entusiasmo, si avvicinarono ai borghi illuminati dalla luce della Torre Eiffel e sempre più chiassosi.

“Racconta, ormai mi hai incantata con queste storie di Anansi, non sapevo nemmeno io facessero parte della nostra cultura.”

“Perché molte storie sono andate perdute e dimenticate. Ma questa è quella che mi piace di più.”

Nora si fermò prima di entrare nel borgo e le raccontò la storia in modo che potesse sentirla nella tranquillità e non nel chiasso.

“In una versione della storia, Anansi, nella sua forma ragno, andò da Nyame, il creatore e dio del cielo. Anansi gli chiese di nominarlo il Re di tutte le storie di saggezza. Nyame era impressionato dall’audacia di Anansi e se aveva il coraggio di parlargli in quel modo, così diretto, poteva avere una possibilità di mettersi alla prova.

Nyame disse ad Anansi “se tu riuscirai a catturare il Giaguaro che ha i denti affilati come pugnali, i Calabroni che pungono come un fuoco selvaggio, la Fata invisibile della Foresta, sarai il Re di tutte le storie di saggezza.”

Nyame pensò che la sfida data ad Anansi venisse rifiutata, perché le probabilità di successo erano scarse per chiunque. Ma Anansi accettò la sfida.

Anansi andò dal Giaguaro e gli chiese se volesse giocare con lui permettendogli di legarlo con una corda. Il Giaguaro accettò e Anansi prese la corda e lo legò. Poi ingannò i Calabroni dicendo che stava per piovere, infatti Anansi poté far piovere, e lui prese i Calabroni e li nascose in una zucca a fiasco che aveva preparato per loro. Una volta entrati nella zucca, Anansi chiuse con il coperchio. Infine chiese alla Fata se poteva risolvere una situazione scivolosa, e quando lei lo fece, rimase bloccata nel catrame e non riuscì a scappare.

Con sicurezza, Anansi diede tutte le sue prede a Nyame e gli mostrò con successo tutto ciò che gli aveva chiesto di fare. E fu così che Nyame nominò Anansi il Re di tutte le storie di saggezza. Nessun altro fu capace di superare la sua saggia personalità.”

“Direi che hai ragione sul coraggio e l’audacia ma oltre a questo non so se reputarti saggia.” Alya sorrise divertita e Nora ridacchiò.

“Oggi ti ho dato consigli, quindi ho una parte saggia dentro di me.”

“Sì, una parte molto profonda. Si nasconde bene.”

“Già, come un ragno. Poi esce fuori quando serve.”

Alya rise. “D’accord.”

“E poi non è solo per la saggezza, ma per tutto l’insieme. Anansi dà esempi da seguire sia in ambito sociale che etico e morale ed è importante per me.”

“Non me lo aspettavo, visto che appari superficiale. Ma apprezzo la storia di Anansi e il tuo interessamento.”

Merci. Ora, possiamo entrare e guardarci un bell’incontro.” Nora batté le mani e poi le strofinò eccitata.

“Perché vuoi guardare un incontro con me? Di solito lo fai da sola.”

“Perché voglio che ti dia la carica che ti serve e che cerchi le risposte alle domande che hai dentro.”

Nora prese Alya per mano, in modo da non perderla tra le persone accalcate nei rioni stretti di Parigi. Finché non arrivarono ad un locale da cui si poteva sentire le urla dei tifosi.

Alya vide l’ingresso in pietra chiara e si girò un attimo verso il vicolo, vedendo una scena irreale con tutta quella luce che illuminava a giorno. Persone sedute sugli scalini delle proprietà che bevevano birra, chi rideva con qualche donna vestita in modo appariscente e con scollature profonde, tutti contro i muri in pietra degli edifici lasciando una via ancora più stretta per passare.

All’improvviso Alya si sentì strattonare ed entrò nel locale con la sorella maggiore.

Un immenso ring al centro della stanza con una debole luce calda che illuminava il ring e i lottatori. Tutti i tifosi attorno, seduti sulle sedie in ferro e alcune in legno, che urlavano incitando il loro campione, avendo scommesso dei soldi su chi fosse il possibile vincitore.

Nora si mise in disparte e in lontananza con la sorella a guardare l’incontro e con il sorriso stampato sulle labbra, iniziò a urlare anche lei lasciando la mano della sorella e mettendole a coppa attorno alle labbra cui la voce si mischiava alle altre mascoline.

Alya guardò l’incontro irritata dai fischi e dal chiasso, ma dopo qualche minuto si lasciò andare nel vedere la sorella presa dallo sport.

Alya iniziò a descrivere l’incontro come una cronista esperta e Nora si sorprese, ricordando un piccolo sogno che Alya nutriva da piccola.

“Alya, sei molto brava a descrivere cosa sta succedendo e sei anche veloce!”

“Grazie, mi allenavo da piccola sentendo gli urlatori che consegnavano il giornale per strada.”

“Ricordo che volevi raccontare le notizie della gente.”

“Davvero? Io non ricordo. Ricordo solo che volevo urlare più forte di lui.”

Si misero a ridere nonostante le loro voci venissero coperte e per comprendersi si parlavano all’orecchio.

“Credo che dovresti coltivare quel tuo sogno.”

“Quale?” chiese Alya.

“Essere una giornalista.” Rispose Nora.

Alya la guardò con il sorriso sparito e pensieroso. Tutte le domande che aveva dentro ebbero la loro risposta all’istante.

Ritrovò il sorriso dopo essersi resa conto che le parole dette a Marinette e quell’istinto di dover aiutare le persone, era perché davvero amava la sua gente e voleva essere la loro voce. Dare notizie e tenere tutti informati, divulgando la verità era per lei una cosa fondamentale. Era nelle sue vene e quelle ingiustizie non le tollerava. Doveva far uscire la verità. I diritti umani sono di tutti. E non ci sono classi o distinzioni.

“Grazie Nora. Proverò a fare come dici tu, anche se non credo riuscirò in questo mondo di “soli uomini”.”

“Non devi credere di riuscirci. Devi farlo. Pensi che sarei riuscita ad entrare qui dentro come spettatrice se mi avessi fatto domande del “forse” o “anche se”? Bisogna lottare per ciò che credi giusto e non se ce la fai o no, quello viene da sé.”

Alya abbracciò la sorella e ritrovò la determinazione.

Insieme si godettero l’incontro e un lottatore finì al tappeto concludendo il round finale, con il viso pieno di sangue e il naso rotto.

“Ora possiamo tornare a casa.” Disse Nora.

“Sì. Devo ammettere che mi sono divertita e spero tanto che non finirai anche tu con il naso rotto, prima o poi.”

Nora rise. “Me lo aggiusterà il dottore di turno, come sta facendo quel dottore con il lottatore infortunato. Doveva tenere la guardia alzata e trovare il momento giusto per controbattere. Per questo mi piace guardare gli incontri, impari dagli errori altrui e non hai bisogno di farti male.”

Risero sommessamente e tornarono a casa senza problemi, respirando l’aria fresca e ascoltando le cicale e lo scorrere della Senna.

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Capitolo 23
*** 22. Scherma ***


Adrien riuscì a stampare in tempo record i biglietti, contando i 35 Stati e un migliaio di persone in più, per la festa patriottica che avrebbe dato al suo ultimo giorno disponibile per trovare la dama.

Seduto sul divano di camera sua con una caviglia sul ginocchio e con un bicchiere in mano che, girando dolcemente, faceva muovere il vino rosso al suo interno, guardò il foglietto di carta piccolo quanto una cartolina e rigida quanto una copertina di una rivista. Raffigurava, a disegno colorato e nel lato sinistro, due persone che ballano in maschera e aveva richiesto che i due protagonisti fossero vestiti da gatto nero e coccinella. Non li rispecchiava affatto. A destra c’era la scritta in grande e trionfante di colori francesi “Celebriamo la Francia!” più in piccolo, al di sotto del titolo, c’era la scritta “festa in maschera alla Villa Agreste ore 20.00” e ancora sotto c’era una nota importante “i partecipanti dell’Inaugurazione all’Esposizione Universale sono pregati di vestirsi in maschera utilizzando i vestiti di quella sera.”

Adrien si fissò su quel disegno con il vestito rosso a pois neri e il viso si irradiò nella speranza di rivederla.

“Credo che così possa andar bene. Ora è il momento della consegna.”

Si avvicinò al tavolino e lasciò il foglietto sulla superficie, mentre si portò alle labbra il bicchiere nello stesso tempo cui la sua schiena si appoggiò di nuovo al divano. Sorseggiò con gusto e assaporò, riempiendo la sua testa di pensieri.

 

L’avrebbe vista davvero? Cosa avrebbe fatto se la dama si fosse presentata? Il suo cuore iniziò a battere più velocemente al solo pensiero. “Ah! L’amour!” Sospirò Adrien.

Poi pensò a Chloé ed alla discussione con il padre. Non poteva amarla, il suo cuore era già impegnato.

 

Finì di bere il suo vino e lasciò il bicchiere sul tavolino vicino all’invito.

Si alzò dal divano guardando gli oggetti sul tavolino e si mise le mani sui fianchi. “Mia cara milady, spero tanto tu mi possa portar fortuna. Almeno salvami dal matrimonio con Chloé, se non posso avere il tuo amore.” Sorrise amaramente pensando alla possibilità che il suo amore non venisse ricambiato dalla coccinella.

Si strofinò gli occhi e il viso, dirigendosi verso il letto con l’altra mano ancora sul fianco. Si spogliò di giacca, cravatta, gilet e camicia mettendoli su una sedia in modo che non si sgualcissero e lasciò lì accanto anche scarpe e calze. A piedi nudi e a torso nudo, vestito solo di pantaloni, tolse la coperta che copriva il letto e si sdraiò comodamente con la testa sul cuscino morbido. La sua testa sprofondò lentamente nel cuscino e quella sensazione di benessere, con i muscoli che si rilassavano, lo coccolarono in un sonno tranquillo.

 

Il giorno dopo Adrien venne svegliato da Natalie che gli ricordava i suoi impegni giornalieri.

Assonnato e stiracchiandosi ancora nel letto, si girò dando le spalle a Natalie e mettendosi il cuscino sulla testa.

“Signorino, sa benissimo che non può mancare ai suoi impegni, inoltre tra meno di un’ora inizia la sua lezione di scherma.”

Adrien spalancò gli occhi e si sedette di scatto facendo volare via il cuscino al suo lato. “È vero! Me ne ero dimenticato! Ha anticipato la lezione, oggi.” Si mise le mani tra i capelli e di fretta scese dal letto king size dirigendosi verso il bagno.

“Per questo motivo la sveglio ricordando i vostri impegni.” Sottolineò Natalie avvicinandosi al bagno senza entrare.

“Grazie Natalie. Sai benissimo che lo apprezzo anche se a volte vorrei dormire un po’ di più.” Rispose dal bagno, facendo scorrere l’acqua dal rubinetto e lavandosi faccia e denti.

“Basta andare a letto presto. Faccio sempre in modo che, in base alla giornata, riesca a dormire il giusto tempo per poi ricominciare la giornata riposato.”

“Natalie non te ne sto facendo una colpa. Solo che, ogni tanto, vorrei non avere troppi impegni.” Disse uscendo dal bagno a torso nudo com’era entrato e andando a mettersi la camicia lasciata sulla sedia.

“Mi pare difficoltoso visto le innumerevoli attività e impegni che si prende da solo. Io cerco solo di gestirli al meglio.”

“Innumerevoli attività? Sono così tante?” Disse sedendosi sulla sedia e mettendosi le scarpe.

“Sì, se vuole contare le lezioni di scherma, karate, pallacanestro, poi le lezioni di cinese, di altre lingue come l’alfabeto morse, essere modello per suo padre, le lezioni di pianoforte, la sua istruzione culturale e in aggiunta essere partecipe dell’Esposizione Universale. E potrei aggiungere altro visto che ogni giorno ha qualcosa di nuovo, come per esempio l’organizzazione di questa festa patriottica.”

“Non mi aspettavo che me li elencassi tutte. Ma in effetti hai ragione, me le cerco da solo.” Si sistemò il gilet da sotto la giacca e la cravatta.

Natalie lo aiutò, sistemandogli il colletto e pulendogli le spalle rendendolo perfetto.

“Le consiglio di fare colazione se vuole avere le forze per la scherma.”

“Hai ragione. Come sempre. Ma tutto ciò mi mette fretta.”

“Non ne ha motivo, è ancora in tempo.” Disse Natalie estraendo dal suo giacchetto un orologio e osservando l’orario. Poi lo rimise al suo posto e guardò il giovane dai suoi occhiali. “Ha il tempo per fare colazione e subito dopo verrà accompagnato alla sua lezione di scherma.”

“Allora vado a fare colazione e me ne vado. Devo solo chiederti un’ultima cosa. Gli inviti della festa vanno consegnati prima di tutto ai partecipanti dell’Esposizione e questa deve essere una priorità. I rimanenti vanno consegnati agli amici, collaboratori e qualche altro conoscente. Puoi farlo?”

“Me ne occuperò io, signorino.”

“Ti ringrazio, Natalie.”

Adrien andò a fare colazione come di consuetudine, da solo sul lungo tavolo. Appena finito uscì e venne accompagnato alla lezione da un uomo che gli faceva anche da guardia del corpo. Un uomo nella media con capelli brizzolati, spalle larghe, muscoloso e raramente sorrideva.

 

Una volta arrivato a lezione, il professore Armand D’argencourt presentò i nuovi partecipanti.

All’improvviso si presentò una nuova persona vestita con l’abbigliamento da scherma ma al posto di essere bianco era rosso. Chiese di potersi unire con il resto della squadra ma le venne rifiutato.

Questa risposta non venne accettata e insistette ancora proponendogli un accordo.

“Fatemi battere con il migliore del vostro corso e se lo sconfiggerò, mi meriterò il posto che vi sto chiedendo.”

“Non si tratta di questo. Sono già al completo e non posso prendere un allievo in più. Le iscrizioni sono concluse ieri sera, dov’eri se ci tenevi tanto a partecipare?” Domandò l’insegnante.

“In viaggio. Sono arrivato nella notte dal Giappone e devo poter entrare in questa scuola. Lasciatemi provare. Se non sono degno di farne parte allora me ne andrò, ma se lo sono, vi assicuro che non vi deluderò come allievo ed avere una persona in più non sarà un problema, anzi alzerà il vostro prestigio.”

“Uhm. Sembri sicuro di te. D’accord. Vediamo come te la cavi. Adrien, ti sfiderai tu con questo nuovo arrivato, sei il migliore della classe.”

Oui Monsieur.”

I due sfidanti si misero uno di fronte all’altro e il professore fece da arbitro. Stabilirono che aveva solo una possibilità per far punto sull’avversario e il professore diede il comando “En garde.

I due si misero in guardia e appena ebbero il via iniziò la sfida.

Il nuovo arrivato non esitò a colpire e Adrien si ritrovò a difendersi con difficoltà. Si rese conto della bravura del suo avversario perché era agile e veloce con gli attacchi e aveva dei buoni riflessi sia in attacco che in difesa. Non riuscirono a restar fermi davanti all’insegnante, era lecito spostarsi purché uno dei due facesse punto rimanendo nelle regole.

Non era più un’esercitazione come nei momenti di lezione, era un vero e proprio scontro.

Finirono a combattere in più stanze della scuola immensa, cui era anche proprietà privata dell’insegnante D’argencourt. E proprio Armand faceva fatica a stare al passo dei due schermidori, che combattevano come se andasse della propria vita. Finché non finirono fuori dalla scuola e i passanti li guardavano sorpresi mentre continuavano a combattere con affondi, parate, attacchi e i loro corpi di allungavano rendendo il fioretto un’estensione del loro corpo.

Il professore li seguì fuori dalla scuola ma era lontano da loro e questo non andava bene, perché era l’arbitro a dover decretare il punto e il vincitore.

Attention!” urlò Adrien ai passanti, schivando i colpi e parandoli, continuando a far attenzione che gli spettatori non si facessero male, abbassando appena la guardia verso l’avversario.

Volendo concludere l’incontro, i due schermidori ormai stanchi, osarono un attacco combinato e i due si toccarono con la punta del fioretto.

Ma chi aveva colpito per primo l’altro?

 

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Capitolo 24
*** 23. Nuova arrivata ***


Marinette si era alzata presto quella mattina. Era talmente entusiasta nel poter creare un vestito per Alya che non riuscì nemmeno a dormire bene.

Prese il quaderno con gli schizzi e guardò il disegno che aveva fatto per l’amica. Un corsetto a maniche corte a sbuffo con una fantasia a quadri bianco e arancione con un pizzico di indaco; una gonna lunga azzurra, ballerine bianche con un po’ di nero sui bordi.

“Non vedo l’ora di iniziare. Prima però devo capire se ho tutto l’occorrente.” Iniziò a guardare tra le sue stoffe la quantità e se avesse tutto il necessario. Ormai conosceva bene le misure di Alya, l’ha usata come modella più di una volta.

Però si rese conto che non aveva tutta la stoffa per la fantasia a quadri. “Accidenti dovrò comprarla.” Controllò anche per il vestito da coccinella e da volpe che doveva rifare. “Ecco, per l’appunto. Devo comprare anche gli accessori.” Guardò l’orario ma i negozi erano ancora chiusi. “Vorrà dire che farò colazione e poi mi avvierò a piedi. In questo modo posso controllare i borghi parigini.”

E così fece.

Una volta scesa nella cucina, prese una pesca e dei dolcetti mangiando prima la frutta e poi si addolcì la bocca con i pasticcini del padre, mandando giù con del latte tiepido.

“Una colazione ottima.” Sorrise a se stessa.

Si preparò e uscì di casa a piedi, facendo una passeggiata in quella giornata poco nuvolosa.

Camminò con calma, in questo modo dava tempo ai negozianti di aprire in tranquillità e aveva la possibilità di guardare gli abitanti che si svegliavano con Parigi stessa.

Arrivò all’altezza della scuola di scherma, ignara che Adrien stava già facendo lezione, e osservò la struttura immensa. Si bloccò giù per le scale guardando il portone e sorrise al pensiero che Adrien facesse scherma in quel posto.

“Adrien...” sospirò innamorata.

“Marinette?”

Marinette si spaventò “Aah! Chi è?” si guardò attorno e rilassò il respiro. “Ah, sei tu Rose. Mi hai spaventata.”

“Perdonami, non volevo.” Sorrise raggiante.

“Figurati. Cosa ci fai qui a quest’ora?”

“Stavo giusto venendo da te, Marinette.”

“Da me? Perché?”

“Io e Juleka abbiamo partecipato a dei concorsi di canto e musica e, non ci crederai mai, ma ci hanno prese! Sono molto emozionata! Faremo parte di una orchestra e io del coro. È fantastico!”

“Oh caspita! Sono davvero felice per voi! Congratulazioni!”

“Grazie mille! Solo che io e Juleka non abbiamo degli abiti adatti e sai benissimo che per Juleka è complicato trovare dei vestiti che la rispecchiano. Così abbiamo pensato se potessi essere tu la creatrice dei nostri vestiti per queste occasioni! Ci farebbe davvero piacere. Hai un talento particolare e sai bene cosa ci piace. Sai qual è il nostro stile. Che ne dici?”

“Oh davvero? Caspita. Non me lo aspettavo. Sono… sono davvero contenta che abbiate pensato a me. Volentieri. Mi farebbe piacere. Giusto una curiosità, per quando vi servirebbero questi vestiti?”

Rose esitò un po’ prima di darle una risposta a fior di labbra. “Domani.”

“Cosa? Scusa credo di non aver sentito bene, ho capito domani. Eheh” ridacchiò nervosamente.

Rose la guardò con i suoi occhioni grandi e azzurri e le mani una sull’altra appoggiate al petto.

Il sorriso di Marinette sparì per un attimo. “Domani?”

Rose annuì.

Marinette chiuse gli occhi per un attimo pensando a quello che doveva fare. Poi li riaprì guardando Rose. “Ascolta, non voglio prometterti nulla. Non so se ce la farò, ma ci posso provare. Stavo giusto andando al negozio a comprare della stoffa, se vuoi puoi venire con me così puoi già scegliere il materiale per i vestiti. Che ne dici?”

“Volentieri! Oh merci beaucoup, Marinette! Sapevo che potevo contare su di te!” L’abbracciò e Marinette ne fu sorpresa, ricambiando l’abbraccio.

Rose si allontanò, mantenendo le mani sulle spalle di Marinette. “Perché non vieni nel pomeriggio a casa di Juleka? Ci incontriamo lì, così puoi già prendere le misure.”

“Nel pomeriggio? Ecco, io… se devo fare due vestiti, il pomeriggio mi servirà per intero, se non anche la notte.”

“Allora vieni prima di pranzo. Mangiamo tutte insieme da lei e poi inizi con i vestiti.”

“Sicura che a Juleka stia bene? Insomma, mi stai invitando a mangiare in una casa non tua….”

“Figurati! A Juleka farebbe molto piacere, specialmente se sei tu. Se vieni anche con Alya non ci sono problemi, ci divertiremo di più assieme.”

 

Marinette sorrise nel sentir pronunciare anche il nome di Alya.

Rose e Juleka erano una l’opposta dell’altra e sapevano benissimo come ci si sente ad essere derisi e sottovalutati. Apprezzavano Alya per la sua naturalezza e le dicevano sempre di non comportarsi con loro come se fosse una schiava. Che con loro poteva essere ciò che era.

Rose veniva vista come una bambina ingenua, nonostante l’età, una bambina sognatrice e romantica, con una esagerata passione per il rosa e per le cose belle. In più, per l’aspetto fisico l’associavano ad una bambola di porcellana, con quella pelle candida, i capelli corti biondi e gli occhi grandi azzurri.

Pensavano che non sarebbe mai cresciuta e per questa sua innocenza e ingenuità potesse finire nelle mani di un malcapitato qualunque. E le persone si diedero ragione quando la videro in compagnia di Juleka.

Juleka non era ben vista. A volte la paragonavano alla figlia di Dracula. La pelle così pallida, i capelli corvini e gli occhi chiari. Tra l’altro si vestita sempre di nero, con uno stile gotico e non usciva quasi mai. I capelli lunghi e lisci le coprivano il viso come se fosse un fantasma. Spesso la evitavano perché iniziarono a pensare che potesse portare sfortuna.

Fortunatamente Marinette non era come le altre persone. Aveva conosciuto Rose in un corso di disegno. Rose stava cercando una via d’espressione e provò con l’arte, ma ogni volta che disegnava canticchiava. Marinette si avvicinò a Rose, la conobbe meglio e le propose di fare canto visto che canticchiava e aveva una bella voce. Di conseguenza conobbe Juleka e strinse amicizia anche con lei, per stessa sorpresa di Juleka.

 

“Per pranzo, allora. Avverto i miei genitori e informerò Alya. Non garantisco per la sua presenza, ma glielo dirò senz’altro.”

“Ottimo!”

“Un’altra cosa, Rose. È la prima volta che vado a casa di Juleka, mi sai dire dove abita?”

“Certamente! Su una barca ormeggiata sulla Senna.”

“Una barca?” sorrise Marinette. “Non ci sono mai stata su una barca.”

“Allora sarà una giornata memorabile!”

 

Appena Rose pronunciò quelle parole, le porte della scuola di scherma si spalancarono con violenza e passarono due avversari in lotta.

Marinette e Rose si allontanarono, una dalla parte opposta dell’altra.

Marinette sentì un “Attention!” e guardò lo schermidore vestito di bianco. “Adrien?” sussurrò Marinette corrugando la fronte.

E lentamente si avvicinò ai due sfidanti, continuando a guardarli incantata ad una distanza non troppo lontana.

All’improvviso i due schermidori si toccarono con la punta del fioretto.

Chi aveva toccato per primo l’altro?

La sfida si bloccò e lo schermidore in rosso chiese “Chi ha fatto punto?” vide che l’arbitro stava arrivando correndo nella loro direzione e poi guardò Marinette che era vicino a loro. “Tu. Cosa hai visto? Chi ha segnato per primo?”

“S-segnato?”

Adrien si tolse la maschera e stava riprendendo fiato. Il viso sudato e i capelli leggermente bagnati.

Marinette rimase per un attimo a bocca aperta, incantata.

“Sì, segnato. Chi ha toccato l’altro per primo?” chiese ancora lo schermidore in rosso.

“Ah… ecco… è stato tutto così veloce. Non saprei… forse.. Adrien?”

Adrien guardò Marinette e la riconobbe. “Ne sei sicura?” domandò lui.

“No. Come ho detto siete stati veloci, come posso esserne sicura.”

“Chi? Chi ha vinto?” domandò l’insegnante D’argencourt. “Tu l’hai visto?” domandò a Marinette.

Lei esitò.

“Ho perso.” Disse lo schermidore in rosso con la maschera bassa.

“No, non è vero. Monsieur, sono sicuro che è stato lui a toccarmi per primo, sono io che ho perso.”

“No, non lo fare. La ragazza ha visto e ha detto che ho perso, perciò per onore all’accordo non posso partecipare.”

“Aha! Lo sapevo. Non puoi partecipare al mio corso, il numero è chiuso.”

Lo schermidore in rosso si tolse la maschera e rimasero tutti e tre sorpresi nel vedere che sotto quella maschera c’era una donna dai capelli scuri e corti.

“Una donna! E pensi che questo avrebbe portato prestigio alla mia scuola? Sarei diventato lo zimbello di tutti. A maggior ragione non parteciperai.”

“Cosa c’è di male se una donna fa sport da uomini? Sbaglio o ha tenuto testa al migliore della vostra classe?” domandò Marinette con rabbia cercando di difendere la nuova arrivata.

Parbleu. Non pretendo che una ragazzina capisca un discorso da uomini come lo sport.” Disse l’insegnante tornando dentro dalla sua classe.

“Come si permette...” sussurrò Marinette con enorme fastidio.

Adrien appoggiò la mano sulla spalla di Marinette e tutta la sua rabbia sfumò all’istante come vino in una padella.

“Non prendertela, non ha una visione ampia.”

“Ti ringrazio per avermi difesa, ma non c’era bisogno.” Intervenne la ragazza asiatica.

Marinette la guardò. “Mi dispiace davvero tanto. Non sapevo fosse così importante.”

“Non fa niente. In ogni caso non mi avrebbe accettata sapendo fossi una ragazza. Ma speravo davvero che mostrando le mie abilità avrebbe sorvolato sul mio aspetto fisico.” Lasciò cadere il fioretto e si allontanò.

“Aspetta. Tu hai davvero talento. Non andartene. Marinette non l’ha fatto apposta.” Disse Adrien.

“Certo che no.” Rispose lei. “Adrien?”

Lui si girò verso Marinette, che la vide raccogliere l’arma.

“Credo che questo dovresti ridargliela.”

Lui sorrise e annuì. Tenne sotto braccio il casco e nella mano il fioretto. Con l’altra mano libera prese la spada offerta da Marinette. “Ti ringrazio.” E Adrien seguì la nuova ragazza.

Marinette si rattristò un po’ e Rose si avvicinò lentamente a lei.

“Tutto bene?”

“Non credo proprio. Credo di aver combinato un casino come so fare di solito. E mi dispiace davvero tanto. Forse dovrei vedere come posso risolvere la questione. Ci vediamo più tardi Rose.”

“E con la stoffa come facciamo?”

“Hai detto che conosco i vostri gusti, quindi fidati di me. D’accord?”

D’accord. Se vuoi passo io da te, così andiamo insieme da Juleka.”

“Va bene. Come vuoi tu. À plus tard, Rose.”

À plus tard.

Marinette si diresse verso Adrien e la nuova arrivata. Vedendoli parlare, si nascose dietro un cespuglio che abbelliva il marciapiede, avvicinandosi pian piano di soppiatto e ascoltando la loro conversazione.

“Io sono alquanto sicuro che quel punto lo hai segnato tu. Marinette non conosce le regole della scherma, non è nemmeno sicura lei stessa di quello che ha visto.”

“Ti piace molto quella ragazza?”

“Se mi piace? Non la conosco molto, ma da quello che ho visto so che è una bella persona. È gentile, sempre disponibile con tutti e credo possa piacere anche a te se le darai una possibilità. Non l’ha fatto apposta. Ha anche dimostrato che voleva aiutarti. E dovresti riprendere la tua arma.”

La ragazza guardò la sua spada tra le mani del ragazzo, cui glielo stava offrendo.

“E a quale scopo?”

“Per una rivincita.”

“Rivincita?”

“Esatto. Dovrai darmi la possibilità di una rivincita, perché ammetto di essere stato sconfitto. Per una rivincita serve la stessa spada con cui mi hai battuto.”

La ragazza rimase a fissarlo per un attimo. Indecisa, allungò la mano verso la spada e su un dito aveva un anello con lo stemma di famiglia. Adrien se ne accorse e cercò di memorizzarlo per una futura ricerca.

La ragazza prese la spada e fece un lieve inchino in avanti.

“Accetto la spada e l’idea della rivincita.”

“E la mia amicizia?” domandò il giovane uomo. Adrien allungò la mano “A proposito, io sono Adrien.”

Lei sorrise e strinse la sua mano. “Kagami.”

“Bene, Kagami. Hai detto che sei arrivata di recente, che ne diresti di partecipare ad una festa? Potresti conoscere delle persone per iniziare ad ambientarti e magari faresti altre amicizie.”

“Una festa?”

“Sì. È per celebrare gli anniversari di alcuni eventi accaduti in Francia e ci saranno molte persone. Sarà alla mia villa alle 20. Domani. Ah, prima che mi dimentico, è una festa in maschera. Non so se ne hai qualcuno visto che sei arrivata da poco...”

“Non so come fate qui le feste in maschera e sinceramente non ho mai nemmeno partecipato ad una festa. Verrò volentieri. Villa Adrien?”

Lui sorrise. “Villa Agreste. Se vuoi, ti faccio venire a prendere o ti posso consigliare qualche negozio che vende dei vestiti pronti per tale occasione. Giusto per ambientarti un po’.”

Lei sorrise. “Non credo di avere un conducente inesperto. Essendo di Parigi credo sappia dove sia la Villa Agreste e i negozi di cui parli. Posso cavarmela da sola, ma ti ringrazio per i suggerimenti e l’aiuto.”

Adrien sorrise imbarazzato. “Hai ragione.”

“Per quanto riguarda i vestiti in maschera, come sono da queste parti?”

“Come vuoi tu. Ho visto tanti vestiti particolari che potrebbero rappresentare le persone. Scegli quello che più ti piace.”

“Quindi potrei venire anche come schermidore?”

Adrien sorrise divertito e cercò di mascherarlo notando che lei aveva posto una domanda seria. “Aha… Forse non è proprio l’abbigliamento adeguato, molte persone saranno vestite con abiti colorati e non vorrei che tu venga presa in giro o trovarti a disagio...” si trovò leggermente in difficoltà. Ancora più del solito.

Lei sorrise. “Credo di aver capito cosa intendi. Ti ringrazio Adrien. Ora me ne torno a casa. La mia carrozza mi sta aspettando dietro la scuola.”

“D’accordo. Vedrò di farti recapitare l’invito, in qualche modo...”

Lei annuì e sorrise andando via. Adrien andò dalla parte opposta tornando alla scuola per cambiarsi. Non incrociò Marinette perché lui camminò per strada e non sul marciapiede, ma lei lo vide andar via e rimase pensierosa. “Quale festa?”

Possibile che non era stata invitata? In effetti, come anche lui aveva detto, non la conosceva molto bene.

 

Si alzò da dietro il cespuglio e si diresse al negozio di tessuti. Aspettò pochi minuti prima dell’apertura e una volta all’interno, passò molto tempo e cercò il materiale che le serviva per i vestiti di Alya, Juleka e Rose e per i due vestiti in maschera. Comprò anche qualche accessorio e si diresse verso casa con delle scatole e a malapena riuscì a vedere dove andava.

Passò di nuovo davanti alla scuola di scherma e Adrien la vide in difficoltà.

Una volta che Adrien rientrò nella scuola, prima di andarsi a cambiare e andarsene, si mise a parlare con l’insegnante di quello che era successo ma non voleva sentire ragioni e per punizione per la sua insistenza gli diede degli esercizi in più da fare e se non li avesse eseguiti sarebbe stato cacciato. Adrien assecondò la richiesta in silenzio facendo i suoi esercizi nel mentre l’insegnante continuava la sua lezione con gli altri allievi.

La fine della lezione finì per tutti nello stesso tempo e Adrien si era andato a cambiare togliendosi un po’ di sudore con un asciugamano bagnato.

All’ingresso della scuola si stava sistemando la cravatta, quando vide Marinette che camminava lentamente e un po’ goffa con delle scatole una sull’altra che le coprivano parzialmente la visuale.

Lui sorrise divertito e si avvicinò a lei.

Bonjour, Marinette.”

Bonjour à toi… monsieur…?” Si girò appena e lo vide sorridere “Adrien...” sussurrò e arrossì.

“Mi permette di aiutarla?”

“Ah...vuole aiutare me? Perché?”

“Mi sembrate in difficoltà. Dove avete la carrozza?”

“Nessuna carrozza. Sono a piedi.”

Adrien alzò le sopracciglia. “Ah….uhm… posso sapere per quale motivo siete senza carrozza nonostante queste innumerevoli scatole?” Adrien prese quelle in alto e le ridiede la visuale sulla strada.

“In realtà non dovevano essere così tante, ma ho incontrato un’amica per strada, mi ha chiesto un favore e per questo si sono aggiunte delle scatole non previste quando sono uscita di casa.” Deglutì a stento. “Ah, per favore, potete darmi del tu. Se gradite.”

Lui sorrise. “Allora se gradisci, anche tu puoi darmi del tu.”

“Oh. Oui. Merci.”

Si sorrisero a vicenda e Marinette rimase un attimo incantata. Adrien la risvegliò. “E dove dobbiamo portare queste scatole? Dov’è casa tua?”

“Oh...certo… più avanti. Venga le faccio strada...”

“Che fine ha fatto il tu che ci siamo dati?”

“Oh, ha ragione… hai ragione… è la forza dell’abitudine. Ma davvero vuole camminare con me? Non saranno pesanti per lei? Ha appena finito di fare scherma giusto?”

Sorrise per aver ripreso a dargli del lei. “Non preoccuparti. Sono più che felice di fare una passeggiata, con queste carrozze è diventato più difficile camminare.”

“Sì… però sono utili. Ti portano da un punto all’altro in minor tempo rispetto al cammino. Specialmente è utile per chi è di fretta e indaffarato.”

Lui mantenne il sorriso. “Hai perfettamente ragione. Ne so qualcosa. Ma di recente hanno studiato una macchina che non ha bisogno di cavalli.”

“Davvero? E come fa a muoversi?”

“Tramite un motore. Sembra che l’evoluzione sia che da vapore ora vada a scoppio. Se ti interessa puoi venirlo a vedere all’Esposizione Universale. Tu ne fai parte?”

“Io? Oh no. Io non partecipo, ma i miei genitori sì. Anzi, la ringrazio ancora per il PASS, alla fine sono riuscita davvero a perderlo.” Strinse per labbra per l’imbarazzo.

Lui ridacchiò. “E non me ne capacito ancora. Ma sono felice che partecipiate. Tuo padre è un fornaio? Mi pare di averlo visto.”

“Sì è un fornaio e mia madre lo aiuta nell’attività.”

Camminarono lentamente e Marinette non sapeva cosa dire.

Il conducente di Adrien rimase fermò sul posto e allargò le braccia. Adrien gli fece segno con la testa di seguirlo con la carrozza mentre lui accompagnava Marinette a piedi.

Adrien guardò le scatole che aveva tra le mani e poi guardò quelle che portava la giovane donna alla sua sinistra.

Alcune scatole erano colorate a tinta unita. Una era rosa pastello, un altra azzurro tenue e anche una giallo chiaro, tutte le altre erano bianche e di vari altezze. Quella rosa e azzurra erano rettangolari e larghe, più grandi di tutte e per questo alla base. Poi sulla piramide che portava Marinette c’erano due scatole bianche. Una rettangolare ma più piccola rispetto quelle colorate e sopra essa un’altra scatola quadrata. Lui invece portava una scatola bianca e alta il doppio di quelle colorate, una gialla rettangolare molto più piccola e quattro scatole bianche quadrate. Apparentemente nessuna portava un logo del negozio, così si potevano riutilizzare per fare dei regali.

Marinette deconcentrò Adrien chiedendogli della nuova arrivata.

“Per la donna asiatica di prima, volevo sapere se potevo fare qualcosa per lei. Sono tremendamente dispiaciuta. Non volevo rattristarla.”

“Ah, parli di Kagami. Credo che le sia passata. Le ho offerto un nuovo incontro. Una rivincita. Me l’ha concessa e quindi non dovrebbero esserci più problemi. Perciò non preoccuparti per lei.”

“Se lo dici tu, vedrò di non pensarci più. In effetti ho tante altre cose per la mente.”

“Sei una persona indaffarata?”

“Ultimamente sì.” Ridacchiò. “Forse dovrei usare più spesso la carrozza.”

Ridacchiarono insieme per il ragionamento fatto prima.

Marinette intravide il padre a metà strada tra la casa e dove si trovavano, “Papi” lo chiamò e provò a far segno con la mano agitandola in aria, ma nel farlo rischiò di far cadere le scatole.

“Oh no. No ti prego, non cadete...” Marinette prese goffamente le sue scatole tra le braccia ma quella più piccola in alto le sfuggì. Adrien si piegò mantenendo l’equilibrio delle scatole con la mano e con l’altra afferrò la scatolina prima che toccasse terra. “Presa.” Disse in leggera difficoltà, ma le scatole erano contro il suo petto e non gli sfuggì nulla.

“Ah, grazie mille. Mi hai salvata. Sei perfetto come sempre. Cioè, perfetto il salvataggio... come sempre… hai salvato...la scatola...” il cuore di Marinette si agitò.

“Forse è meglio se anche questa scatolina la porto io.”

“Oh no, state...” notò l’occhiata e si rese conto del lei… “Uhm… stai portando già molto peso, lascia che quella la porti io. Mettetela qui sopra.” Era più forte di lei. Ogni tanto gli dava il tu quando se ne accorgeva, altre volte gli dava il lei in automatico.

Adrien guardò la scatola che vi era al di sotto e c’era un logo che riconobbe.

“Anche tu ti rifornisci da loro?” domandò Adrien.

Marinette guardò il logo sulla scatola. Un luna crescente. “Da midi-lune? Oui. Ma prendo solo qualche accessorio, il resto è troppo costoso per me.”

“Anche mio padre si rifornisce da loro. Per accessori come nastri colorati, lacci, accessori per capelli, spille e bottoni, cose di questo genere. Raramente prende i loro tessuti. Non li reputa tutti di buona qualità per i suoi lavori.”

“Davvero? Non lo sapevo. Per la qualità dei tessuti intendo, per gli accessori lo sapevo. Me ne ero resa conto.”

“Davvero?”

“Sì. Gabriel Agreste è il mio stilista preferito...” si rese conto che stava parlando con il figlio e si interruppe.

Lui sorrise. “Mi fa piacere. Se vuoi, se ti serve qualcosa, come qualche consiglio o hai domande per lui, posso vedere se riesco ad avere le risposte.”

“Cosa? Lo faresti davvero?”

“Certamente.”

“E perché dovresti farlo?”

“Oh beh… ci vuole per forza una spiegazione? Mi piace essere d’aiuto, quando posso.”

Marinette rimase senza parole e arrossì con il cuore che le batteva forte.

Il padre di Marinette si avvicinò alla figlia. “Ciao Marinette. Hai bisogno d’aiuto vero?”

“Ah, oui papi. Puoi prendere le scatole che ha Adrien, per favore? Così può tornare ai suoi impegni.”

“Oh Adrien. Che piacere rivederti, lascia che le prenda io queste scatole. Le porto dentro così ti liberi.”

Merci Monsieur.” Adrien diede le scatole al padre.

“Cosa ti fa credere che io abbia altri impegni?”

“Oh beh. Non è così?”

Lui annuì. “Sì è vero. Ma non ho problemi ad aiutarti. Marinette, se vuoi le porto io queste altre scatole a casa tua.” Si offrì ancora una volta il giovane uomo.

“Oh, per questi ce la faccio. Sono forte io, eheh.”

Adrien sorrise. “Come vuoi tu, allora. Ci vediamo in giro.”

“Sì, merci beaucoup.”

De rien.” Adrien si diresse verso la sua carrozza mentre il padre di Marinette si incamminò verso casa. Lei si bloccò sul posto vedendo Adrien andare via. “A-Adrien...”

Lui aveva un piede sul gradino della carrozza e si girò guardando la ragazza che aveva lasciato le scatole per terra ed era andato verso di lui. Mise una mano sulla spalla del ragazzo e gli diede un bacio sulla guancia alzandosi sulle punta dei piedi. “Grazie Adrien. Per tutto l’aiuto che mi hai dato fino ad oggi. Sei davvero un ragazzo dolce e gentile.”

Adrien venne preso alla sprovvista e rimase a guardarla per un attimo. “Ah. Non c’è di che.” Sorrise dolcemente “Spero di rivederti, Marinette.” Il cuore di lei sussultò a quelle parole e lui salì sulla carrozza salutandola con la mano e andò via. Giusto in tempo, perché il suo viso era diventato rosso.

Si rese conto del bacio che gli aveva dato e delle ultime parole che le frullavano nella testa.

“Oddio è successo davvero?” Si tirò un pizzicotto alla guancia in fiamme. “Ahi. Questo è un sì.”

Sprofondò nella vergogna. “Oddio che disastro. Non mi guarderà più in faccia. Quella frase era solo di circostanza. Sicuro. In realtà l’ho messo a disagio, non mi conosce nemmeno. Che figuraccia!” Prese le scatole da terra e le alzò fin sopra il viso mentendole sulle braccia. “Brava Marinette. Hai rovinato tutto prima ancora che accadesse. Sei senza speranze. Oddio, ma perché sono così maldestra?”

Arrivò a casa e portò le scatole in camera sua e poi nel suo studio. Si sciacquò il viso riprendendo il suo colorito roseo e respirò di nuovo. “Si vedrà quel che accadrà, non posso fasciarmi la testa adesso prima ancora di essere caduta. Anche se ho fatto davvero una caduta di stile….oh che vergogna! ….Va bene, ora basta. Ho altre cose più importanti da fare.”

 

Tornò giù, in cucina, e trovò la madre che stava preparando per il pranzo.

Mamon, per me non cucinare. Rose mi ha invitata a mangiare a casa di Juleka. Mi ha chiesto se posso fare un vestito per loro, quindi passerò un po’ di tempo da loro e prenderò le misure che mi servono per fare i vestiti.”

“Ti hanno messa a lavorare.” Sorrise la madre.

“Si può dire così. Non le farò pagare, sono mie amiche.”

“Marinette, tesoro mio, capisco il tuo punto di vista, ma i soldi per il materiale lo metti tu di tasca tua e passi anche delle ore per fare un vestito meraviglioso. Perché non le fai pagare, ma invece del prezzo pieno, le fai uno sconto?”

“Ammetto che è una bella idea, ma non so nemmeno se se lo possono permettere, anche a metà prezzo.”

“Come vuoi figlia mia. Ma ricordati che ogni lavoro ben fatto deve essere pagato. È frutto degli sforzi fatti, ricordatelo sempre.”

Mais oui. Merci Mamon. Ah, se passa Alya anche lei verrà con me.”

“Alya è sul retro. È arrivata mentre tu non c’eri.”

D’accord. Vado da lei.”

Attend. È arrivato un invito. Avverti Alya che domani dovete andare alla festa.”

“Cosa? Quale festa?”

La madre prese l’invito e lo porse alla figlia. Lei lo prese tra le mani e notò i due ballerini vestiti da gatto nero e coccinella. Se stava sprofondando nell’imbarazzo, ormai era finita sotto terra.

Che fosse un messaggio nascosto?

“Perché dobbiamo andare io e Alya? Questa volta potete andarci voi.”

“Non è possibile. C’è scritto nella nota, leggi bene.”

Marinette lesse la nota e sgranò gli occhi. Diede un bacio sulla guancia alla madre e uscì sul retro facendo visita ad Alya che si stava prendendo cura dei cavalli nella scuderia.

“Alya!” Marinette la chiamò e lei si spaventò.

“Marinette! Non farlo più! Venirmi alle spalle e farmi spaventare, che modi sono? Avrei potuto far del male al cavallo. O il cavallo a farsi male.”

Marinette rise e abbracciò l’amica. “Ho delle novità da dirti. Per prima cosa tu ed io pranzeremo da Juleka assieme a Rose. Per seconda cosa, non sai cos’è successo con Adrien. Per terza, domani c’è una festa a cui dobbiamo partecipare per forza.” Le mostrò l’invito.

“Cooosaa?? Aspetta un attimo. Parti dall’inizio, altrimenti non ci capisco nulla. Dai racconta!” Guardò l’invito sorpresa nel vedere i due ballerini e diede un’occhiata d’intesa a Marinette.

Marinette fece finta di nulla e le raccontò l’accaduto sia con Rose sia con Adrien e quando arrivò il momento, Rose andò a prendere Marinette con la carrozza e tutte e tre insieme si diressero sull’imbarcazione di Juleka.

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