L'Equilibrio Segreto del Cielo

di SaraFantasy98
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Non solo stelle ***
Capitolo 3: *** Un attimo ancora ***
Capitolo 4: *** Stalattiti, streghe e pentimento ***
Capitolo 5: *** Un ciondolo per ricordare ***
Capitolo 6: *** Alla larga da quel bosco ***
Capitolo 7: *** Tutto per una promessa ***
Capitolo 8: *** Il richiamo del sangue ***
Capitolo 9: *** Destino alle porte ***
Capitolo 10: *** Inferno d'ambra ***
Capitolo 11: *** Di pietra e parole ***
Capitolo 12: *** Il Mondo Oltre l'Arcata ***
Capitolo 13: *** Komorebi ***
Capitolo 14: *** Per la follia di uno soltanto ***
Capitolo 15: *** Traditrice ***
Capitolo 16: *** Ultima notte ***
Capitolo 17: *** Una candela nel buio ***
Capitolo 18: *** Il tempo del dolore e del sospetto ***
Capitolo 19: *** Pregiudizio ***
Capitolo 20: *** Fuga da palazzo ***
Capitolo 21: *** Un giorno mi odierai ***
Capitolo 22: *** Bugie, chiarimenti, rivelazioni ***
Capitolo 23: *** Prime verità ***
Capitolo 24: *** Altair, Claire, Ophrys ***
Capitolo 25: *** Senza salvezza ***
Capitolo 26: *** Chi sei? ***
Capitolo 27: *** Yakamoz ***
Capitolo 28: *** Nel Palazzo della Notte ***
Capitolo 29: *** Verità che fanno male ***
Capitolo 30: *** Lo scrigno di Deneb ***
Capitolo 31: *** Iniziazione ***
Capitolo 32: *** Nonostante chi siamo davvero ***
Capitolo 33: *** La guardia di Komorebi ***
Capitolo 34: *** Rinascita ***
Capitolo 35: *** Tessere sparse ***
Capitolo 36: *** Più di me stesso ***
Capitolo 37: *** Chiudere il cerchio ***
Capitolo 38: *** A morte ***
Capitolo 39: *** Nient'altro che verità ***
Capitolo 40: *** Il segreto di Corylus ***
Capitolo 41: *** Da qui all'eternità ***
Capitolo 42: *** Amore e Morte ***
Capitolo 43: *** Alla fine ***
Capitolo 44: *** Tutto quello che ci aspetta ***
Capitolo 45: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Yakamoz, 10 agosto 1998
 
Non posso averlo fatto davvero.
Eppure c'è del sangue sulle tue mani, il suo sangue...
No, non posso averlo fatto davvero, io non ne sarei mai stato capace!
Era l'unica cosa che potevi fare.
No, no, no, io non sono così, non può essere vero!
Ti ha chiesto lui di farlo. Ti ha supplicato.
Sono un mostro, sono solo un mostro!
Hai salvato il mondo.
No, ho dannato la mia anima.
Stanno arrivando, corri o sarà stato tutto inutile!
No, non posso, non posso lasciarlo qui!
Lui lo avrebbe voluto, corri!
Ophrys, dov' è Ophrys?
Al Confine, più veloce!
Non può essere accaduto sul serio...
Concentrati, a quello penserai dopo.
 
Confine, 10 agosto 1998
 
No! Dopo aver perso me stesso non posso perdere anche te, non voglio perdere anche te! Fratello, fratello mio...
Non lasciarmi qui da solo, ti prego, non lasciarmi solo...
Io non la voglio questa vita ormai dannata senza di te al mio fianco, non voglio niente!
Abbiamo ancora così tante cose da fare insieme, così tante cose di cui parlare: ti prego, non andare via!
Io muoio con te, fratello mio, perché senza di te io non sono più niente...
 
***
 
Tutto è perduto, ogni speranza distrutta.
Il sangue versato inutilmente su di me sia testimone della mia anima spezzata per sempre.
Che io sia dannato, che io sia maledetto, che io possa non conoscere mai più la gioia, che io possa non conoscere più l'amore.



Note:
Buongiorno a tutti, lettori!
Dunque, inizio con il dire di essere nuova qui su EFP: prima che una mia cara amica me ne parlasse infatti questo sito lo conoscevo soltanto di nome. Grazie al suo aiuto ho imparato le principali funzionalità di questo bellissimo spazio dedicato alle storie, perciò ora sono pronta a pubblicare i frutti delle mie fatiche (e gioie) degli ultimi tempi. Spero tanto che la mia storia vi piacerà. Questo capitolo non è altro che il nucleo di tutta la vicenda: un po’oscuro, lo so, ma andando avanti ogni singola cosa si chiarirà! A presto!


 

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Capitolo 2
*** Non solo stelle ***


Wells, Inghilterra, 21 giugno 2015
 
Emma
 
Stelle.
Solo stelle.
Se penso che è questo quello che vedono molte persone quando di notte si ritrovano per caso con il naso all'insù, troppo prese da faccende "fondamentali e di vitale importanza" per godersi a pieno la bellezza e il valore veri della vita, mi convinco di essere stata fortunata a nascere così come sono.
No, io vedo di più, molto di più.
Per me contemplare il cielo notturno non è un qualcosa da fare ogni tanto, quando capita; non è una gita in campagna fatta per sfuggire all'inquinamento luminoso per godersi un momento magico, né tanto meno il partecipare ad un'attività organizzata dal planetario della propria città.
No, per me è il momento della giornata in cui tutto il resto sparisce, il momento in cui posso far scivolare via da me tutte le costruzioni e le maschere che il mondo ci cuce addosso, il momento in cui le parole, fin troppo spesso completamente inutili, smettono di avere importanza e significato.
Quali parole usano, infatti, le stelle? Nessuna.
Eppure le stelle dicono tutto, basta saperle ascoltare. Ascoltare con l'anima, certo.
Contemplare l'infinito ci rende parte di esso e cosa può esserci di più bello di sentirsi infiniti? Senza confini e allo stesso tempo così piccoli, esseri indipendenti ma parte del tutto più bello che si possa immaginare...
Solo stelle, dicono.
Per questo anche stanotte ho aperto l'abbaino della mia camera e sono sgusciata fuori, arrampicandomi fino a quella parte del tetto in cui si può stare comodamente sdraiati con il viso rivolto al cielo: per guardare le stelle, sentirmi una particella dell'universo ed entrare in quel mondo che esiste dentro di me, quel mondo che comprende in sé tutto quello che sono, tutto ciò in cui credo, tutto ciò che sogno.
Quel mondo in cui non faccio mai entrare nessuno.
Solo Jeremy, il mio gemello, ha avuto accesso ad alcune delle sue parti: lui infatti è l'unico che non ha mai avuto paura di guardare oltre il buio che sembra circondarmi, quel buio che in realtà è solo un tipo di luce diverso e più discreto, che non tutti sanno apprezzare, ma pur sempre luce.
Fuor di metafora intendo dire che sono una persona molto solitaria, una persona che sa di essere diversa e che per questo gradisce di più la compagnia di sé stessa rispetto a quella di chiunque altro.
Jeremy è il solo con cui posso essere davvero io, senza filtri: lui è l'unico che mi capisce con un solo sguardo, l'unico che non giudica, l'unico a cui affiderei la mia stessa vita.
La volta celeste stasera si sta mostrando in tutta la sua magnificenza, il cielo è limpido e la luna è nuova, accanto alle sagome nere degli alberi del giardino riesco a distinguere senza difficoltà le decine di costellazioni, stelle e pianeti che il nonno mi ha insegnato a riconoscere fin da quando ero bambina, i miei astri, quelli che solo a guardarli mi fanno scordare ogni affanno e ogni ansia.
La mia attrazione verso la notte si è manifestata subito dentro di me, fin dai miei primi anni di vita: non ho mai avuto paura del buio, anzi, il buio mi intrigava, esattamente come fa tuttora.
Da piccola quando sorgevano le stelle scappavo fuori di casa per perdermi tra le ombre, per vagare tra gli alberi del giardino con le mani sulla corteccia e lo sguardo alzato verso la luna visibile oltre i rami nodosi mossi dal vento, per lasciarmi guidare dalle stelle e dall'istinto piuttosto che dagli occhi.
Ma quel giardino mi è sempre stato troppo stretto: ogni notte sognavo che esso potesse abbattere le ringhiere di ferro che lo delimitavano per espandersi all'infinito, che potesse trasformarsi in un intero mondo tutto per me, un mondo in cui io potessi sentirmi davvero a casa, davvero me stessa, a differenza di questo.
Anche per questo amo la notte: con la sua tenue e bellissima luce ha il potere di nascondere le storture di questo mondo, le cancella, e ognuno di noi è libero di immaginare al loro posto ciò che vuole, un posto migliore, ciascuno secondo i propri sogni più profondi.
La notte abbatte i confini che ci sono imposti dal nostro essere semplici corpi mortali, la notte ci dona quell'infinità a cui la nostra anima anela fin dalla sua prima pulsione di vita, la notte è mistero, quel mistero che mi perseguita da tutta una vita e che un giorno, forse, risolverò.
«Lo sai che se la nonna venisse a sapere dove passi gran parte delle notti sbarrerebbe l'abbaino con assi di legno e chiodi, vero?» mi sorprende all'improvviso una voce che conosco bene quasi quanto la mia.
Sorrido.
«Per fortuna ho un fratello che sa tenere il becco chiuso, allora», rispondo al mio gemello appena sgusciato fuori dall'abbaino alle mie spalle.
«E poi non è pericoloso: lo faccio da anni, basta fare attenzione.»
In tutta risposta Jeremy si avvicina mettendosi a sedere accanto a me sul pianerottolo del tetto.
«Domani è il grande giorno: diciassette anni...» sussurra dopo alcuni minuti di silenzio, la voce satura di tutti quei sottintesi che non ha bisogno di pronunciare, non con me.
«A me sembra un bel traguardo», dico mettendomi a sedere a mia volta e voltandomi verso di lui.
La luce è poca, solo quella che ci è concessa dalle stelle e dalle luci della città in lontananza, ma il suo viso mi è così famigliare che nonostante il buio riesco a distinguerne senza difficoltà i tratti: la bocca sottile, il naso all'insù, la fronte ampia coperta da alcune ciocche di capelli lisci e del colore del grano, uguali ai miei tranne per il fatto che io li porto lunghi mente lui corti e sempre in disordine.
Gli occhi grandi e limpidi, in questo momento piuttosto inquieti, sono del mio stesso colore: una particolare tonalità che nessuno è mai riuscito a stabilire senza dubbi se sia da catalogare assieme ai verdi o con gli azzurri.
«Sarà anche un traguardo, ma abbiamo diciassette anni e non sappiamo ancora nulla», riprende Jeremy rabbuiandosi e rivolgendo lo sguardo alle luci della città ai piedi della collina.
«I nonni sbagliano a non dirci niente, lo so questo, ma in ogni caso siamo stati fortunati ad averli nella nostra vita: non oso immaginare dove saremmo in questo momento senza di loro», rispondo.
«Probabilmente in orfanotrofio o adottati da famiglie diverse senza sapere nulla l'uno dell'esistenza dell'altra... Hai ragione, come sempre», sussurra lui.
Terribile solo immaginarlo.
«Emma?» 
«Si?»
«Ci diranno mai la verità?»
«Devono farlo, altrimenti andremo in cerca di essa da soli, Jeremy.»
«È una promessa?»
«È una promessa.»
«Grazie Emma, ti voglio bene. Ora ti lascio alle tue stelle, a domani!»
«Buonanotte», riesco a dirgli prima di vederlo sparire all'interno della casa.

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Capitolo 3
*** Un attimo ancora ***


Jeremy

Mi decido ad aprire gli occhi solo quando percepisco il calore di un raggio di sole sfiorarmi il viso.
È giorno.
Resto per qualche istante immobile, tutto raggomitolato nelle coperte, ad ammirare la bellezza della polvere che mi danza davanti agli occhi.
Sottili fasci di luce si fanno strada tra le piccole fenditure delle persiane, creando un'atmosfera che ho sempre reputato bellissima; mi piacerebbe riuscire a catturarla in uno dei miei disegni o dipinti, ma è un soggetto troppo difficile per me.
Forse nonna Ada ci riuscirebbe: lei è una pittrice ed è molto più brava del sottoscritto. È stata lei a trasmettermi l'amore per l'arte e a insegnarmi tutto quello che so in materia, iniziando a darmi lezioni fin da quando la mia mano è stata in grado di reggere matita e pennello.
Tra l'altro fu proprio dipingendo che conobbe nonno James.
Il suo sogno da giovane era sempre stato quello di riuscire a ritrarre il suo angolo preferito di Hyde Park, a Londra, la città in cui è nata, di notte.
Naturalmente i suoi genitori non le avrebbero mai permesso di uscire da sola di sera, era il 1971, ma quando l'unica amica alla quale avesse confessato la sua cotta per un conoscente aveva avuto una relazione con il ragazzo in questione alle sue spalle, era così arrabbiata che prese cavalletto, tela e colori ed uscì di nascosto.
Voleva fare una bravata, la prima della sua vita: per una notte voleva sentirsi anche lei una ribelle.
Il destino volle che quella notte nonno James, studente di medicina all'ultimo anno con la passione per l'astronomia, bazzicasse per lo stesso parco con un piccolo telescopio sotto il braccio per studiare le stelle come faceva spesso.
I due si sposarono l'anno seguente e si trasferirono in un piccolo paesino vicino a York, città nella quale il nonno aveva ottenuto un incarico.
Lì rimasero fino a quando mia madre... Beh, non voglio pensarci ora.
Oggi è il mio compleanno, il nostro compleanno.
Scendo dal letto con un balzo -la mattina sono sempre molto attivo- e mi precipito a spalancare le persiane, venendo immediatamente inondato dall'intensa luce di questa meravigliosa mattina di giugno.
Chiudo gli occhi per un attimo gustandomi il tepore del sole sul viso, poi ammiro la mia piccola città, Wells, estendersi oltre la staccionata in ferro del giardino, perfettamente visibile dalla mia finestra: la nostra casa infatti si trova sul pendio di una bassa collina e gode di una bellissima vista.
Guardo le guglie della cattedrale gotica, i giardini del Palazzo del Vescovo, la piazza del mercato e sorrido, perché sì, io adoro vivere qui, nella città più piccola d'Inghilterra*.
Mi vesto in fretta e scendo in cucina pieno di buonumore, la malinconia di ieri sera dimenticata, dove trovo i nonni affaccendati nelle loro solite attività mattutine.
«Il festeggiato è qui!» dico entrando nella stanza illuminata dalla calda luce del sole filtrata dalle tende bianche.
La nonna, che oggi ha legato i capelli biondi anche se ormai tendenti all'argento in un elegante chignon, è intenta a togliere dal fuoco la teiera, ma non appena i suoi occhi castani si posano su di me la ripone in fretta sul tavolo apparecchiato per corrermi in contro e abbracciarmi.
«Jeremy, sei qui! Tantissimi auguri di buon compleanno tesoro!» mi dice stringendomi.
Il nonno nel frattempo ha ripiegato il quotidiano e ha alzato il suo buon metro e ottanta di altezza dalla poltrona per venirmi in contro.
Nel suo caso i capelli canuti hanno già vinto la loro battaglia contro quelli castani, ma i suoi occhi grigi hanno mantenuto la stessa luce di un tempo.
Fino a ieri avrei detto che avevano mantenuto anche la loro allegria, ma quella oggi proprio non riesco a scorgerla nei tratti del viso dell'uomo che mi sta dando una vigorosa pacca sulla spalla dicendo:
«Auguri Jeremy, ragazzo mio, sei un uomo ormai.»
«Smettila James, lui è ancora il nostro bambino, vero Jeremy?» ribatte la nonna sorridendo.
La conosco troppo bene per non capire che non dice sul serio.
Sto per risponderle scherzosamente quando mi accorgo che la sua affermazione ha improvvisamente cambiato l'atmosfera festosa di un attimo fa: il nonno si è incupito ancora di più e guarda intensamente sua moglie, il sorriso della quale ha lasciato il posto a due occhi marroni pieni di lacrime.
«Nonna ma che succede? Cosa ti ha turbata?» chiedo preoccupato e confuso cercando di capire cosa stia accadendo.
Li per lì lei cerca di balbettare qualcosa, ma viene salvata da Emma che fa il suo ingresso in cucina con ancora il pigiama addosso e sbadigliando come un ippopotamo.
"Se solo passasse le notti a dormire!" penso ridacchiando, ma mi rendo immediatamente conto che toglierle quei momenti notturni sarebbe come toglierle l'ossigeno: lei ha bisogno di viverla la notte, non di usarla per dormire.
«'Giorno a tutti!»  esclama lei con ancora la mano davanti alla bocca.
«Emma, cara, tantissimi auguri anche a te!»  le risponde la nonna ricacciando indietro le lacrime e andando ad abbracciarla seguita poco dopo dal nonno.
«Grazie tante, vi voglio bene!»  risponde lei sorridendo.
«E tanti auguri anche a te, Jeremy!» esclama rivolgendosi a me.
«Buon compleanno sorellina», le rispondo io col preciso intento di farla arrabbiare: mi ha proibito di chiamarla così già a cinque anni, è una cosa che la manda in bestia.
«Non è affatto detto che sia nato prima tu, fratellino», ribatte lei incrociando le braccia e facendo la finta offesa.
«Nonna, ti prego, risolviamo questa cosa: chi di noi due è nato per primo?»  domando scoppiando a ridere mentre ci sediamo tutti a tavola dove ci aspettano pancakes e sciroppo d'acero.
Pochi istanti di silenzio, poi la rabbia.
La sento nascere dalle viscere del mio essere più profondo e risalire facendomi serrare la mascella e stringere i pugni.
Ora basta.
Abbiamo il sacrosanto diritto di sapere come diamine siamo venuti al mondo, sono stufo di silenzi e vaghe risposte a domande che mi perseguitano da una vita!
E io so che i nonni conoscono molte delle informazioni che io e mia sorella vogliamo; non tutte, certo, ma tante sì. So che è così.
Non mi interessa davvero sapere chi tra me ed Emma sia nato prima ovviamente, ma il fatto stesso che la nonna non conosca la risposta a questa semplice domanda svela che lei e il nonno non erano presenti quando successe, contrariamente a quanto ci avevano sempre detto, e che quindi probabilmente non siamo nati nella casa di Boundary, il paesino vicino a York dove loro vivevano con nostra madre.
Eppure loro hanno sempre affermato che è proprio lì che siamo venuti al mondo.
Perché ci hanno mentito?
Perché tanto mistero?
Cosa c'è dietro?
E chi era davvero nostro padre?
«Non lo sai, non è così?»
Emma spezza il pesante silenzio che si era formato con tono freddo e duro, sorprendendomi non poco: di solito sono io quello che si arrabbia di più durante conversazioni di questo tipo, sono io ad alzare la voce; nonostante le sue parole di ieri anche lei adesso deve aver perso le staffe.
«Vi deciderete mai a raccontarci la verità su quello che successe ai nostri genitori? Cielo, conosciamo a mala pena i loro nomi, perché tanta segretezza? Io proprio non capisco!» continua lanciando sul piatto il tovagliolo che prima aveva stretto nervosamente tra le dita.
La nonna continua tuttavia a tenere lo sguardo basso: ha di nuovo gli occhi lucidi.
«Non parliamo di questo oggi, ragazzi, vi prego», interviene allora il nonno poggiando la propria mano sopra a quella della nonna.
«Ciò che successe fu un duro colpo per noi, non è facile ripensarci! Abbiate fiducia in noi, non manca molto: solo un attimo ancora di pazienza. Ada mi prendi il succo d'arancia in frigo per favore?» continua poi per cambiare discorso.
Io ed Emma ci guardiamo: solo un attimo ancora.
 
Note:
In Inghilterra con "città" si intende qualunque centro urbano munito di cattedrale. Wells, che esiste davvero, è il centro urbano munito di cattedrale più piccolo d'Inghilterra.

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Capitolo 4
*** Stalattiti, streghe e pentimento ***


Emma
 
Il mio compleanno non è decisamente iniziato nel migliore dei modi.
Mi ero ripromessa che oggi avrei tenuto tutti i pensieri negativi lontani da me per godermi appieno la giornata, volevo sentirmi una normale, per quanto possibile, ragazza di diciassette anni, fingere per un po' che ogni cosa nella mia vita fosse al posto giusto.
Ma ora si è davvero oltrepassato ogni limite: non posso passare sopra una cosa del genere, neanche se oggi è il mio compleanno.
Di solito, se ci sono grandi segreti che non si vuole siano scoperti, ci si inventa una verità alternativa, ma con noi nonno James e nonna Ada non l'hanno mai fatto: loro semplicemente non ci dicono mai nulla.
O almeno, lo credevo fino a questa mattina.
Ero sempre stata convinta che le pochissime informazioni che ci elemosinavano i nonni fossero vere, ma oggi si sono smentiti da soli: a questo punto cosa è reale e cosa non lo è?
Sono stufa di sentirmi dire di non essere ancora pronta per conoscere la verità su di me e Jeremy, sulla nostra nascita, sul perché i nostri genitori non ci sono più, ed è stufo anche mio fratello.
Tutto ciò che sappiamo, sempre che sia vero, è che la mamma, Claire, morì ad appena ventun anni poco dopo averci dati alla luce; dai pochi indizi che abbiamo accumulato in questi anni siamo poi arrivati alla conclusione che la causa del decesso non fu il parto, deve essere successo qualche settimana più tardi.
Per quanto riguarda nostro padre la faccenda si complica, i nonni sembrano non sapere quasi nulla sul suo conto; l'unica informazione che abbiamo è che si chiamava Aaron e che "molto probabilmente non ce l'ha fatta".
Le mie riflessioni vengono interrotte da Jeremy che è uscito di casa e mi sta venendo in contro.
La rabbia che ho visto prima nei suoi occhi, un attimo prima di scoppiare, sembra sparita, ma non mi inganna: so che anche lui, come me, nonostante i buoni propositi non smette mai di pensare veramente alla questione che tanto ci tormenta.
Sono seduta sotto i tigli del giardino, all'ombra –il sole sulla testa mi infastidisce parecchio- con un libro aperto sulle gambe, ma non ne ho letto neanche una pagina essendomi persa come al solito tra i miei pensieri.
«Sempre all'ombra tu! Guarda che un raggio di sole non ti uccide mica!» ridacchia mio fratello raggiungendomi sotto agli alberi e sedendosi accanto a me, sospirando.
«Lo sai come sono fatta, però devo ammettere che oggi è una bellissima giornata», rispondo tentando di sorridere e appoggiando la schiena al tronco dietro di me.
«Devo parlarti di una cosa che è successa appena prima che tu scendessi in cucina stamattina», continua, e un'ombra sembra incupire i suoi occhi verde-azzurri.
Mi racconta così lo strano avvenimento, le lacrime della nonna quando ha detto scherzosamente che Jeremy era ancora il suo bambino.
Questo è strano, molto strano.
Tento di pensare a una possibile spiegazione, ma me ne viene in mente solo una e non posso fare a meno di trattenere lo stupore per la lampadina che si è accesa nella mia testa.
«Forse hanno capito che ormai siamo grandi, che è arrivato finalmente il momento di dirci tutto; l'incupimento del nonno e la sua affermazione sul fatto che manca poco non possono voler dire altro: si sono parlati e hanno deciso di rivelarci ogni cosa... Jeremy!» esclamo all'improvviso, «Forse sarà oggi stesso, alla nostra festa! Ti ricordi che la settimana scorsa la nonna si è lasciata scappare che ci sarebbe stata una sorpresa il giorno del nostro compleanno?» azzardo io con una nuova speranza nel cuore.
«E forse è proprio per questo che hanno voluto che non invitassimo nessuno stasera!»
«Si, mi ricordo; non ci resta che aspettare e vedere quello che succede. Tu comunque non rimuginarci troppo, godiamoci questa giornata, che ne dici?»
Di solito mio fratello non mette da parte così velocemente la questione quando ne parliamo, ma il suo sguardo risoluto riesce a convincermi a non insistere.
«Hai ragione, pensarci troppo non aiuta», dico, e lo penso davvero.
Eppure dentro sono in fermento, in tensione, una morsa mi stringe le viscere per quello che stasera potrebbe finalmente accadere: io sono così, le emozioni le sento amplificate al massimo.
E penso sempre troppo.
«Cos' hai in mente per oggi?» chiedo a Jeremy per provare a distrarmi un po'.
«Ezra mi ha scritto: ci ha proposto una gita al Wookey Hole con lui ed Anne», afferma strizzandomi l'occhio e facendomi illuminare immediatamente: io adoro quel posto.
Corriamo dentro a prepararci e in un attimo siamo pronti, così salutiamo in fretta i nonni ed usciamo di casa diretti in centro, dove un autobus e i nostri migliori amici ci stanno aspettando per andare a visitare il complesso di grotte sotterranee che si trova a pochi chilometri di distanza da Wells.
Ezra e Anne sono gli unici compagni di classe con cui io e Jeremy abbiamo legato da quando abbiamo cominciato il liceo; come ho detto sono i nostri migliori amici, nonché gli unici.
Personalmente non mi dispiace per niente il fatto di avere pochi amici: per me non conta il loro numero, l'importante è che quelli che si hanno siano veri.
So per certo che invece Jeremy ne soffre: lui è un ragazzo di quelli che vorrebbero condividere ogni cosa con tutti, che hanno bisogno di gente attorno a loro.
Ha provato più volte a stringere altri legami con alcuni ragazzi del paese, a scuola o per le strade, ma alla fine nessuno lo convince ad approfondire la conoscenza; in fin dei conti lui è come me, stiamo bene solo con anime a noi affine.
Anne ed Ezra in un certo senso lo sono: semplici e un po' all'antica come noi.
Li troviamo ad aspettarci alla fermata degli autobus di fronte alla cattedrale; non appena ci vedono ci corrono in contro per farci gli auguri di buon compleanno: Anne praticamente mi salta in braccio, Ezra si accontenta di un abbraccio più discreto ma altrettanto sincero.
Voglio loro un mondo di bene.
Durante il viaggio raccontiamo ai nostri amici quello che è successo questa mattina con i nonni, loro sono infatti gli unici ad essere al corrente di tutta la nostra situazione.
Per farci coraggio affermano di essere sicuri che questa sera succederà qualcosa e io apprezzo molto questo loro tentativo, ma vorrei tanto avere la loro stessa sicurezza.
Il resto della giornata in ogni caso passa molto serenamente, Anne e ed Ezra si sforzano al massimo per farci distrarre e divertire: visitiamo le grotte piene di stalagmiti e laghi sotterranei illuminate artificialmente di mille colori diversi e "arredate" come se fossero il rifugio di una strega (con tanto di calderoni, scope e ampolle riempite di liquidi colorati), il giardino delle fate (un'area verde molto affascinante piena di statue di raffiguranti elfi e altre creature magiche) e l'area archeologica in cui sono stati rinvenuti reperti che testimoniano l'uso delle grotte da parte degli uomini primitivi.
Alla fine non poteva ovviamente mancare una visita al negozio di souvenir, stracolmo di statuette raffiguranti gnomi e fate: i nostri amici insistono per regalarcene due come regalo di compleanno.
Felici e con i nostri pacchetti sotto al braccio facciamo ritorno a Wells.
Salutiamo così Anne ad Ezra ringraziandoli per la meravigliosa giornata che ci hanno fatto trascorrere e ci dirigiamo verso casa, dove i nonni ci attendono per festeggiare con loro i nostri diciassette anni; il cuore comincia a battermi forte non appena ne intravedo il tetto da lontano.
Percorriamo la stradina in salita che conduce al cancello, attraversiamo il giardino ed entriamo, venendo subito investiti da mille profumi diversi: nonna sta cucinando.
«Andate a cambiarvi ragazzi, fra un attimo sarà pronto!» le sentiamo dire dalla cucina.
Un moto di affetto nei confronti dei nonni mi investe allora riempendomi gli occhi di lacrime: devo smetterla di prendermela con loro per via dei loro silenzi, per quelli avranno i loro motivi.
Ci hanno allevati, ci hanno dato tutto l'amore che avevano, ci hanno spinto ad essere noi stessi facendoci coltivare le nostre passioni, ci hanno fatto capire come essere persone migliori.
Mi tornano in mente tutte le nottate passate col nonno a guardare dentro il suo piccolo telescopio in ottone, le risate di Jeremy quando nei pomeriggi di primavera la nonna gli insegnava a dipingere gli alberi in fiore.
In men che non si dica mi ritrovo con il viso tutto bagnato di lacrime.
«Emma che hai?» mi chiede preoccupato Jeremy guardandomi negli occhi.
«Nulla, solo tanti ricordi...» lo rassicuro io.

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Capitolo 5
*** Un ciondolo per ricordare ***


Jeremy
 
Emma è una persona estremamente sicura di sé stessa e delle proprie convinzioni, è coraggiosa e forte, è una che ha sempre la soluzione pronta per ogni problema, una che non si lascia mai prendere dal panico ma che mantiene il sangue freddo e ragiona per risolvere la situazione al meglio.
Nonostante ciò, tuttavia, posso affermare con certezza assoluta che se dovesse scegliere chi seguire tra la testa e il cuore lei sceglierebbe senza esitazione quest' ultimo.
Mia sorella è complicata da capire, davvero tanto: la maggior parte delle volte si tiene tutto dentro e sta in silenzio, dando così l'impressione di essere una persona fredda e distaccata. Niente di più falso.
Emma dentro di sé ha un oceano di emozioni e pensieri: ogni cosa che fa, ogni persona che incontra, ogni luogo che visita e ogni cosa che la sorprende lascia dentro di lei un segno profondo e indelebile; inoltre, quando vuole bene a qualcuno lo fa senza mezze misure.
Questo turbinio di sensazioni e sentimenti è così forte in lei che e basta poco per farlo emergere in superficie, per questo non sono sorpreso quando poco dopo essere rientrati in casa vedo due grandi lacrime solcare silenziose le guance della mia gemella. Però mi preoccupo, e molto.
«Emma che hai?» le chiedo guardandola negli occhi.
«Nulla, solo tanti ricordi», tenta di tranquillizzami lei con voce tremante.
«Sei agitata per stasera?» provo a farla parlare mentre saliamo le scale.
«Sì certo, ma non è per questo... È che mi dispiace di essermi arrabbiata con i nonni questa mattina, non se lo meritano. Loro dopo tutto hanno perso una figlia quel giorno, devono sentirsi anche peggio di noi!» afferma rendendomi felice di essere riuscito a farla sfogare, ma il senso di colpa adesso prende ad invadere anche me.
Oggi ho perso le staffe in fretta pensando di averne tutto il diritto, ma le cose sono più complicate di quanto avessi pensato. Lo sono sempre state.
Il problema è che lo faccio sempre: non penso, agisco d'impulso, sbaglio e poi mi rode troppo ammettere di avere torto.
Questa è una situazione estremamente intricata e delicata, in cui ogni parola e ogni gesto vanno pesati con la massima cura e intelligenza.
Non sappiamo ciò che è successo, questo è vero, ma è ormai chiaro che deve essersi trattato di qualcosa di terribile che ha visto i nonni come protagonisti, qualcosa che li ha segnati in modo orribile ed eterno.
Se devo essere sincero quando le cose non sono lineari e chiare ma sfumate e dai confini evanescenti, come in questo caso, il mio cervello va in tilt.
Quando non c'è un sentiero lineare e ben illuminato da seguire io ho paura.
Paura di scegliere, paura di sbagliare, paura di non essere all'altezza.
Io non sono come Emma, io non ritrovo me stesso nel buio della notte e nel mistero, dove per andare avanti serve solo istinto, dove non si sa mai cosa si nasconda dietro ad ogni curva del sentiero; io ho bisogno di chiarezza, sicurezza, di una strada illuminata dal sole senza insidie nascoste.
Tento di mettere da parte questi pensieri per racimolare un po' di coraggio per affrontare la serata e per consolare mia sorella, poi, dopo una doccia calda, io e lei scendiamo per cena.
Nonna ha superato sé stessa: le portate sono davvero ottime.
La serata trascorre piacevolmente chiacchierando, ridendo e scherzando, ma non posso tuttavia fare a meno di notare come l'atmosfera sia carica di una certa tensione che traspare visibilmente dai volti di tutti.
Vedo chiaramente che Emma è tesa come una corda di violino: la conosco così bene che come al solito mi basta un'occhiata per capire come si sente.
Nonostante i nonni si sforzino a mantenere una parvenza di normalità è chiaro dagli sguardi che si scambiano di tanto in tanto che anche da parte loro c'è qualcosa che non va.
Per quanto riguarda me sono nella stessa situazione di Emma; oggi mi sono comportato da ragazzo spensierato e sereno perché volevo che mia sorella si godesse il giorno del suo compleanno senza che i fantasmi di un oscuro passato la tormentassero: lei pensa fin troppo, fino a consumarsi tra ricordi e congetture.
In realtà sono stato perseguitato tutto il tempo da una strana angoscia, come se fossi in attesa del giorno del giudizio: davvero questa sera i dubbi che ci tormentano da una vita saranno risolti?
Dopo aver mangiato anche la torta, un’ottima cheesecake alle fragole, è il momento dei regali: il nonno si alza e si dirige verso la credenza dalla quale estrae due piccoli pacchetti incartati e infiocchettati.
Dopo averceli consegnati io ed Emma li scartiamo con curiosità.
Quando apro il coperchio della scatolina che mi ritrovo tra le mani compare alla mia vista un ciondolo ovale dall'aspetto antico, color bronzo e con un elegante incisione. Lo sollevo per la catenina per esaminarlo meglio e così, notando una piccola levetta a destra del ciondolo, la faccio scattare: quello si apre rivelando un bellissimo ritratto di Emma, sicuramente opera della nonna.
Alzando lo sguardo su mia sorella capisco subito che lei ha ricevuto lo stesso, ma con il mio ritratto.
«Sono davvero meravigliosi!» diciamo io ed Emma quasi contemporaneamente.
E lo pensiamo davvero.
«Ragazzi miei, ricordatevi sempre di prendervi cura l'uno dell'altra, qualunque cosa succeda, dovunque la vita vi porterà», inizia a dire la nonna.
«Aiutatevi e supportatevi sempre, non lasciate mai che l'affetto tra di voi si affievolisca per qualche sciocca incomprensione o visioni diverse delle cose; siate sempre l'uno la roccia dell'altra, anche quando noi non ci saremo più. Promettetecelo, vi prego.»
«Lo prometto», dice subito Emma guardandomi con gli occhi lucidi.
«Lo prometto», rispondo io sorridendole mentre insieme ci mettiamo al collo il ciondolo.
«Bene, ora veniamo alla sorpresa di cui vi parlavamo la settimana scorsa», interviene il nonno.
Io ed Emma ci scambiamo uno sguardo veloce: è il momento.
«Io e la nonna abbiamo deciso di trascorrere l'estate a Boundary, nella nostra vecchia casa, quella in cui è nata e cresciuta vostra madre e in cui abbiamo abitato fino a quando siete arrivati voi. Partiremo fra tre giorni.»

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Capitolo 6
*** Alla larga da quel bosco ***


Emma
 
Spalanco gli occhi senza riuscire a dire una parola, senza riuscire a credere a quello che ho appena sentito; subito mi volto verso Jeremy che, se possibile, ha il viso contratto in un'espressione ancora più sconvolta della mia.
«No, cioè, fatemi capire...» dice improvvisamente lui, spezzando il silenzio.
«Volete passare un'intera estate nel posto in cui non avete più voluto mettere piede da diciassette anni?! Per cosa esattamente?»
Nonno James prima di rispondere guarda intensamente il nipote, poi sposta il suo sguardo su di me e comincia a darci le dovute spiegazioni, sospirando.
«Ragazzi, ormai siete grandi», comincia serio.
«È   il momento che voi vediate con i vostri occhi il luogo in cui siete nati, il luogo a cui appartenete davvero: capirete ogni cosa al nostro arrivo. E comunque, Jeremy, io mi reco a Boundary ogni anno per controllare le condizioni della casa, semplicemente non ve lo abbiamo mai fatto sapere, altrimenti avreste voluto venire con me quando non eravate ancora pronti per vedere. E sapere.»
«Vuoi dire che una volta là ci racconterete tutto?» intervengo io.
«Verrete a conoscenza della verità, sì», mi risponde il nonno abbassando lo sguardo.
Io e mio fratello allora annuiamo, ancora turbati dalla notizia.
«Bene allora: andiamo a Boundary», sentenzio io.
Prima di alzarmi dal tavolo per aiutare a sparecchiare però vedo la nonna posare il tovagliolo che fino ad un attimo fa aveva usato per coprirsi gli occhi: è sporco di mascara.
Deve averlo usato per nascondere le lacrime.
 
***
 
Nei giorni che ci separano dalla partenza per lo Yorkshire la casa è in subbuglio: tra valige e preparativi il tempo passa in fretta.
La parte più difficile è senza dubbio dire ad Ezra ed Anne che tutti i progetti che avevamo fatto per l'estate sono saltati.
«Ma non potevano dirvi tutto qui?» esclama Anne non appena le diamo la notizia.
«Dicono che abbiamo bisogno di vedere con i nostri occhi il luogo in cui siamo nati, ma non riusciamo a capirne il motivo», le risponde Jeremy con lo sguardo basso.
«Ragazzi, va bene così», interviene Ezra.
«Avete bisogno di sapere e se questo è l'unico modo ben venga! Io ed Anne ce la caveremo! Andate e tornate da noi con la verità finalmente in pugno!» 
«Grazie ragazzi, vi vogliamo bene», sussurro abbracciandoli.
 
***
 
Il venticinque giugno, all'alba, abbiamo già salutato la nostra casa e siamo in viaggio verso quella che ci ospiterà per i prossimi due mesi e che speriamo faccia finalmente da sfondo alla rivelazione che da tanto aspettiamo.
L'auto sfreccia veloce sulle strade rese bollenti dal sole dell'estate mentre noi, con lo sguardo, seguiamo il paesaggio che scorre fuori dal finestrino: campagne, piccoli centri abitati come il nostro, grandi città.
Dopo quattro ore e mezza di viaggio il nonno imbocca finalmente l'uscita dell'autostrada. 
Dopo esserci lasciati alle spalle anche York percorriamo un altro paio di chilometri ed entriamo a Boundary, che si presenta ai nostri occhi come uno sperduto paesino dalle case in pietra; io lo trovo molto carino: ha stradine tutte sconnesse, fiori su ogni balcone e molti negozietti caratteristici.
Raggiungiamo poi, ai margini del paese, una tortuosa stradina in salita che si snoda attraverso un fitto bosco.
Il cuore comincia a battermi forte quando compare alla nostra vista un'ampia radura per buona parte recintata da un’alta staccionata in ferro, finemente decorata ma parzialmente nascosta da fitti rampicanti.
Oltre al cancello si staglia una grande casa dai muri in pietra: ha ampie vetrate sulla facciata anteriore e due basse torrette dal tetto a punta; in alcune parti l'edera ha preso il sopravvento ed è cresciuta rigogliosa, dando alla casa un aspetto quasi magico.
È semplicemente la casa più bella che io abbia mai visto: la guardo imbambolata per tutto il tempo che il nonno ci impiega a parcheggiare.
Non appena scendo dall’auto chiudendo la portiera alle mie spalle vengo travolta da una strana sensazione: questo posto è semplicemente meraviglioso.
La casa, gli enormi alberi del giardino, il bosco lievemente in salita che si estende a perdita d'occhio dietro alla casa e che dà un senso di protezione e isolamento a questo luogo incantato.
La pace qui regna sovrana: il silenzio è rotto soltanto dal frusciare delle chiome sotto il lieve tocco del vento e dal cinguettio di qualche uccellino lontano.
Quando infine poso lo sguardo sul piccolo rettangolo di terra vuota in un angolo del giardino, quello che un tempo doveva essere l'orto, mi ricordo improvvisamente che in questa casa hanno passato buona parte della loro vita sia i nonni che nostra madre.
«Allora, cosa ve ne pare?»  chiede il nonno con un tiratissimo sorriso sul volto segnato dal tempo.
«È meraviglioso...»  sussurro io posando la mano sul cancello che ci troviamo di fronte, lasciando che il freddo del metallo mi penetri nella mano.
«Non riesco a trovare altre parole per descrivere tutto questo.»
«Concordo con Emma», afferma Jeremy, che sembra solo un po' meno incantato di quanto lo sono io.
«Però non vi sentivate isolati qui, come fuori dal mondo?» continua infatti lui dopo qualche istante, esponendo il suo dubbio.
«A noi piaceva, Jeremy, adoravamo la sensazione di pace che questo posto ci regalava», gli risponde la nonna facendomi intendere alla perfezione ciò che vuole dire.
A differenza del nonno lei sembra davvero molto scossa e provata: è tesissima e continua a guardarsi intorno sospettosa, come se si aspettasse che qualcosa o qualcuno ci attacchi da un momento all'altro. Dopotutto lei davvero non metteva piede qui da diciassette anni.
«Signori Baker, siete arrivati!» 
Una donna sulla quarantina appena uscita dalla casa ci interrompe venendoci in contro lungo il vialetto: apre il cancello e saluta i nonni con una stretta di mano.
«E voi dovete essere i figli di Claire! Che piacere conoscervi! Siete in vacanza con i nonni, vero? Ditemi, come sta vostra madre? È da quando si è trasferita che non la vedo!»  dice poi rivolgendosi a me e Jeremy.
Noi la guardiamo straniti.
«Non lo sa? Nostra madre è m...» prova a spiegarle Jeremy, ma il suo tentativo viene subito bloccato dall'intervento del nonno.
«Rose, è un vero piacere vederti! È tutto a posto in casa?» le chiede distogliendola da me e mio fratello.
«Sì, certo signore: ho pulito a fondo ogni stanza, preparato i letti e fatto la spesa come mi aveva chiesto», risponde lei.
«Perfetto, ecco a te la paga di quest'anno», continua nonno James porgendo alla donna una busta.
«Magari passa tra qualche settimana, quando ci saremo sistemati, così parliamo del contratto per l'anno prossimo, d'accordo?»
«Passerò di certo, grazie!»
«Grazie a te, Rose, per aver tenuto in piedi questa casa durante questi anni: non tutti l'avrebbero fatto.»
«Io non ho mai creduto a quelle leggende, signor Baker, quel bosco non mi spaventa minimamente.»
Il nonno a queste strane parole annuisce, ma non mi sfugge il colorito pallido che il suo volto ha improvvisamente assunto.
A questo punto Rose, senza attendere oltre, ci saluta e sale sulla macchina parcheggiata a fianco della nostra: prima non l'avevo notata presa com' ero ad osservare il luogo in cui ero capitata.
Quando la vediamo sparire oltre la prima curva della strada è nonna Ada a parlare per prima:
«Nessuno qui sa di vostra madre, non l'abbiamo detto a nessuno quando è successo.»
«Ah...» diciamo insieme io e mio fratello, ancora un po’ scossi.
«Di quali leggende stava parlando? La gente del paese ha paura del bosco?» chiede Jeremy esponendo un dubbio che aveva assalito anche me dopo la frase sibillina pronunciata da Rose.
«Sì, qualcosa del genere», risponde il nonno.
«La gente di qui è convinta che ci sia qualcosa di terribile tra quegli alberi, qualcosa di malvagio: nessuno di loro ci metterebbe mai piede né tanto meno verrebbe a vivere qui, a pochi passi da esso; quando ce ne siamo andati e ci serviva qualcuno che periodicamente controllasse e pulisse la casa in nostra assenza Rose è stata l'unica ad accettare.»
«E voi non avevate paura?» intervengo io estremamente incuriosita da ciò che ho appena scoperto.
«Noi non credevamo a quelle storie, Emma», spiega seria la nonna.
Io la guardo negli occhi, quegli occhi che ora stanno silenziosamente urlando la seconda parte della risposta che non è riuscita a pronunciare ad alta voce:
"Ed è stato l'errore più grande della nostra vita."

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Capitolo 7
*** Tutto per una promessa ***


Jeremy
 
Fa uno strano effetto varcare la soglia della casa: tra queste pareti non posso fare a meno di sentirmi estremamente inquieto.
Queste sono le stanze che hanno visto mia madre nascere, giocare, ridere, crescere... E non tornare più. Il solo pensiero mi fa rabbrividire.
Questo è il luogo che ha fatto da sfondo a tutto quello che successe, tutto ciò che ha sconvolto e annientato la vita normale che avrei potuto avere, e io sto per scoprire in cosa consistette quel qualcosa.
Una sgradevole sensazione di nausea mi piomba addosso assieme a mille altri pensieri: "E se non riuscissi ad accettare quello che mi verrà raccontato? Se fosse un qualcosa di così atroce da risultare insopportabile?"
No, devo essere forte, non ho aspettato tutti questi anni e percorso tutti questi chilometri per nulla.
Cominciando a guardarmi intorno per scacciare l'ansia noto che l'arredamento è raffinato ed elegante, abbastanza simile a quello della casa decisamente più piccola che abbiamo lasciato questa mattina a Wells: il buon gusto dei nonni è visibile anche qui.
«Vi accompagno di sopra, così vi sistemate», dice improvvisamente nonna Ada, mogia più che mai, rompendo il silenzio.
Io ed Emma allora la seguiamo lungo una ripida rampa di scale tirandoci dietro le pesanti valige, giungendo ad un piccolo corridoio sul quale si affacciano diverse stanze; la nonna si dirige verso una di esse e, aprendo la porta, ci invita ad entrare: si tratta di una camera molto semplice ma ben curata, nello stesso stile del resto della casa.
«Dovrete condividerla, ragazzi, a meno che uno di voi non voglia occupare quella che era di vostra madre», dice incerta la nonna.
Io ed Emma ci guardiamo: siamo d'accordo.
«No nonna, questa andrà benissimo per entrambi, non riusciremmo a stare nella camera della mamma, sarebbe troppo... Insomma nessuno di noi due se la sente», le risponde mia sorella.
«Certo, lo immaginavo, comunque se volete darci un'occhiata è quella in fondo al corridoio», dice guardando con estrema malinconia la porta che ci ha appena indicato.
«Ora disfate i bagagli, vi aspetto giù», continua prima di lasciarci soli.
«Emma, te la senti?» chiedo allora alla mia gemella cercando di non far trasparire l'angoscia che in questo momento mi sta divorando, ma fallendo miseramente.
«Siamo qui per affrontare il passato, non per fuggire da esso, Jeremy. Finalmente tutte le risposte che cerchiamo sono a portata di mano, adesso che siamo qui dobbiamo cercare di capire il maggior numero di cose possibili, quindi anche se sarà dura noi dobbiamo entrare lì dentro, sei d'accordo?» mi risponde lei guardandomi negli occhi.
Come al solito ha già capito tutto.
«Emma io non credo di farcela», le confido coprendomi gli occhi con le mani.
La verità è che mi vergogno a mostrarmi per quello che sono in realtà, nient'altro che un debole e un codardo, ma con Emma non ho bisogno di nascondermi e lei me lo dimostra anche questa volta: mi prende le mani e le allontana delicatamente dal mio viso per poi abbracciarmi.
«Tu sei più forte di quello che pensi, Jeremy, lo hai dimostrato innumerevoli volte: tu puoi sopportare questo e molto altro, io lo so», mi incita per poi staccarsi da me.
«Grazie sorellina, non so cosa farei senza di te», le rispondo grato per il coraggio che ogni giorno è capace di infondermi.
«Se mi chiami un'altra volta così te li puoi scordare gli incoraggiamenti la prossima volta!»
«Ok, ok, scusa!», rispondo alzando le mani in segno di resa.
Subito dopo chiudo gli occhi e prendo un respiro profondo, poi mi avvicino alla porta rettangolare di legno scuro e poso una mano sulla maniglia in ferro.
«Pronta?»
«Si», dice Emma sorridendomi per darmi coraggio.
Quando apro la porta compaiono alla nostra vista un letto in un angolo della stanza, una scrivania in legno, scaffali pieni di libri e una finestra che dà sul bosco dietro la casa; racimolando un po' di coraggio faccio qualche passo all'interno seguito da Emma.
Subito noto che, su una mensola accanto alla scrivania, si trova una vecchia fotografia incorniciata che raffigura un gruppo di ragazze; una di loro è minuta, ha limpidi e gioiosi occhi castani e capelli color cioccolato, mossi e corti fino alle spalle: è la mamma quando aveva la nostra età.
Nella casa di Wells sono sparpagliate molte altre foto che la raffigurano, foto che testimoniano la vita di mia madre prima di imbattersi in ciò che poi la portò via per sempre, qualunque cosa fosse, dunque per fortuna conosco molto bene il suo viso a differenza di quello di mio padre.
Di lui so soltanto che i suoi occhi erano più azzurri del cielo e del mare messi assieme.
Per i primi minuti nessuno dei due riesce a parlare: stare qui dentro fa male, tanto, ancora di più di quanto avessi previsto.
Dio, vorrei così tanto essere più forte, più sicuro di me stesso... La verità è che Emma lo è molto più di me.
Sono io quello che ha sempre paura di fare le scelte sbagliate, che non è mai all'altezza della situazione, che è terrorizzato di rimanere da solo un giorno perché abbandonato da tutti.
Era da tanto che mi sentivo così a disagio con me stesso, nell'ultimo periodo a casa pensavo che le cose stessero migliorando. Mi prendo la testa tra le mani.
Forse se i miei genitori fossero ancora qui le cose sarebbero migliori, mi darebbero coraggio e fiducia in me stesso. Non che i nonni non lo facciano, ma...
«Avrei tanto voluto conoscerla», sussurro ad un tratto quasi senza accorgermene, con voce rotta, guardando la vecchia foto di mia madre assieme a quelle che credo siano alcune amiche.
«Si, pure io. E anche il papà», mi fa eco Emma con voce altrettanto triste.
«Emma! Guarda qui!» esclamo sforzandomi di scacciare i miei cupi pensieri non appena scorgo una piccola scritta sbiadita su un pezzetto di carta, dimenticato sulla scrivania da chissà quanto tempo.
 Subito lo prendo in mano e glielo mostro.
«Aaron», legge lei.
«È il nome di papà!» dice sorpresa prima di cominciare a sorridere.
«Deve averlo scarabocchiato la mamma poco dopo averlo conosciuto!»
«Teoria interessante!» rispondo io prima di metterle in mano il biglietto.
«Tienilo tu», le propongo.
«Grazie Jeremy!» dice mettendoselo in tasca.
 
***
 
Dal momento che questa mattina ci siamo dovuti alzare molto presto, poco dopo cena siamo andati tutti a dormire, ma io non riesco proprio a prendere sonno: mi rigiro continuamente nel letto senza trovare pace, ho troppi pensieri per la testa per addormentarmi.
Oggi per me è stata una giornata davvero molto intensa: tornare qui ha fatto riaffiorare dentro di me demoni che reputavo sconfitti già da tempo; raggiungere
la verità sarà molto più difficile del previsto per me.
I respiri regolari di Emma dall'altra parte della stanza mi fanno capire che lei si è già addormenta profondamente: "Beata lei..." penso sospirando.
Ad un tratto dei rumori spezzano la quiete della notte, rumori provenienti dal corridoio, così incuriosito esco piano dal letto e mi affaccio fuori dalla mia camera.
Subito mi accorgo che la porta della stanza dei nonni, quella di fronte alla nostra, è socchiusa: sono le loro voci che ho sentito; stanno discutendo piuttosto animatamente, anche se moderando il tono per non svegliarci.
Ignorando la coscienza che cerca di convincermi a non origliare, mi avvicino di soppiatto per sentire meglio quello che sta succedendo.
È stano, i nonni di solito non litigano mai: venire qui deve averli scombussolati parecchio, sinceramente non capisco proprio il motivo della loro scelta.
«James, stiamo sbagliando tutto, non te ne rendi conto? È una follia! Non dovevamo neanche pensare di tornare qui!»
«Ada, lo abbiamo giurato, è la cosa giusta da fare anche se non ci piace! Lo dobbiamo ad entrambi, non possiamo deluderli così!»
«Ma ti rendi conto di quello che stai dicendo? Nostra figlia è morta! Morta! Non è un gioco, vuoi davvero esporli a un così grande pericolo?»
«Se non lo facciamo la morte di Claire sarà stata completamente inutile! Lei è morta ponendo fiducia nel fatto che giunto questo momento noi avremmo fatto ciò che lei ed Aaron ci hanno chiesto!»
«Possibile che non te ne importi nulla di loro? Come fai ad essere così crudele? Io non ti riconosco più, James!»
«Ada, ti prego, non piangere... Pensi davvero che non mi interessi, che io non voglia loro bene? Li amo infinitamente e tu lo sai benissimo! Ascoltami, noi non possiamo capire quello che spinse nostra figlia a fare ciò che ha fatto, sappiamo solo che teneva a quel mondo e a quella gente più che alla sua stessa vita e noi dobbiamo accettarlo.»
«Non voglio perderli, James, non voglio... Mi hanno già portato via per sempre Claire, non potrei sopportare che anche loro vadano incontro allo stesso destino pur potendo evitarlo!»
«Anche a me piange il cuore, Ada, ma sapevamo fin dall'inizio che questo giorno sarebbe arrivato, non possiamo tirarci indietro ora. Claire amava i suoi figli, se avesse ritenuto che quel mondo fosse troppo pericoloso per loro non ce lo avrebbe chiesto. Dobbiamo fidarci di lei e rispettare le sue volontà.»
«Maledetta quella volta che abbiamo comprato questa casa!» sbotta allora la nonna, stavolta alzando davvero la voce carica di disperazione.
In questo momento le assi di legno sotto miei piedi scricchiolano e così, per evitare di farmi trovare lì acquattato come un ladro, torno velocemente in camera mia e mi rimetto a letto. Sono davvero sconvolto. Di cosa diamine stavano parlando? Quali pericoli pensano che io ed Emma corriamo qui? E se questo è un posto pericoloso, perché diamine ci siamo venuti?

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Capitolo 8
*** Il richiamo del sangue ***


Emma
 
Quando mi sveglio impiego qualche secondo per capire dove mi trovo.
"Ah, già... Boundary", penso poi ancora assonata.
Mettendomi a sedere stropicciandomi gli occhi noto subito che il letto di Jeremy è vuoto: deve essersi alzato presto.
Dopo essermi alzata mi preparo in fretta sciacquandomi il viso e indossando un semplice vestito estivo bianco e giallo, poi scendo in cucina, ma lì trovo solo i nonni intenti preparare qualcosa da mangiare; sembrano tesi e davvero molto stanchi, evidentemente questa notte sono stata l'unica a riuscire a chiudere occhio.
Dopo averli salutati, in attesa che la colazione sia pronta, esco in giardino.
Il sole è caldo, il cielo più azzurro che mai, ma c'è anche un leggero venticello che fa muovere e frusciare le chiome degli alberi; inspiro profondamente godendomi la sensazione di tepore che si percepisce qui fuori.
Trovo Jeremy seduto a terra al sole, accovacciato contro il muro frontale della grande casa: scruta l'orizzonte davanti a sé con il viso contratto in un'espressione indecifrabile anche per me.
La bella sensazione di poco prima sparisce completamente, lasciando posto ad una grande preoccupazione: non è mai un buon segnale trovare Jeremy di cattivo umore al mattino.
Venire qui è stato davvero dannoso per lui, ha fatto riaffiorare pensieri che lo tormentano da ormai troppo tempo, pensieri che ero convinta lo stessero abbandonando per sempre.
«Hey, ti sei svegliato presto oggi!» provo a dirgli per cercare di capire cosa lo abbia turbato.
«Avrò dormito sì e no un paio d'ore», mi risponde lui senza muoversi di un millimetro, così non mi rimane altro da fare se non sedermi accanto a lui.
«Allora, che cos'hai?»
«Perché siamo qui, Emma?» mi chiede voltandosi finalmente verso di me.
«I nonni hanno deciso di raccontarci tutto e lo vogliono fare qui dove si sono svolti i fatti», affermo io, ma lui scuote la testa.
«No, a quanto pare siamo qui perché i nonni devono mantenere una certa promessa che avevano fatto ai nostri genitori», dice sottovoce.
Lo guardo allibita.
«Cosa?! E questa novità da dove arriva adesso?»
«Ieri notte non riuscivo a dormire, ho origliato una loro la conversazione.»
«Beh, ora questa gita improvvisa ha forse un po' più di senso», gli rispondo incerta.
«A me non sembra proprio, ora è ancora tutto più incasinato di prima!» afferma mio fratello tornando a incupirsi.
«Ragazzi, la colazione è pronta!» sentiamo gridare dall'interno della casa.
«Jeremy, manca poco, me lo sento. Non abbatterti così, ti prego, sono sicura che questi saranno gli ultimi giorni in cui brancoleremo nel buio, la verità arriverà presto, ce l'hanno promesso! E comunque non ho alcuna intenzione di tornare a casa senza avere ottenuto le risposte che vogliamo, questo te lo assicuro!»
Finalmente un lieve sorriso gli illumina il viso.
«Staremo a vedere», dice.
«Giusto», confermo io.
 
***
 
La mattinata trascorre tranquilla fino a quando il nonno ci propone di fare una passeggiata.
«Esattamente dove vorresti portarci?» chiedo io curiosa.
«Nel bosco dietro casa: c'è un bellissimo sentiero che si imbocca poco lontano, non è un percorso difficile», mi risponde lui apparendomi più agitato del solito.
«Il bosco!» esclamo allora io, sorpresa.
«Ma non era un luogo estremamente pericoloso?»
«Sono solo leggende, Emma, credenze popolari! Ho vissuto qui per anni, lo saprei se ci fosse qualche covo di banditi dietro casa mia, non credi?» tenta di rassicurarmi lui, ma io noto immediatamente che sta evitando di guardarmi negli occhi.
Brutto segno.
«Nonno stai bene? Sembri un po' strano... C'è qualcosa che non va?» interviene Jeremy in tono preoccupato.
«Sì ragazzi, sto bene, davvero, è solo che tornare qui ha fatto riaffiorare tanti ricordi. Camminare mi distrarrebbe molto, per questo ve l'ho proposto», ci rassicura lui, ma la sua espressione tradisce uno stato d'animo ben diverso.
Alla fine tuttavia lo accontentiamo, dopotutto è da quando siamo arrivati che desidero esplorare la zona: questo luogo ha un qualcosa che non riesco a spiegarmi, come un'energia che mi pervade spingendomi a desiderare di conoscere ogni suo centimetro di terra, ogni mistero che racchiude.
So di star viaggiando con la fantasia, so che ormai a questo mondo non ci sono più terre inesplorate e misteri da risolvere, eppure qualcosa di particolare qui sento che esiste: io voglio scoprire cosa.
Dopo aver indossato vestiti più comodi raggiungiamo il nonno in soggiorno.
«Pronti?» ci chiede.
«Direi di sì, possiamo andare», conferma mio fratello.
«Emma! Jeremy! Aspettate!»  sentiamo improvvisamente gridare la nonna mentre scende dalle scale.
Appena superato l’ultimo gradino ci corre in contro e ci abbraccia forte, con tanta intensità da farci rimanere entrambi interdetti dalla sorpresa; soltanto dopo lunghi istanti ci lascia andare: sta piangendo.
«Vi voglio un mondo di bene, ragazzi miei, state attenti, vi prego!» dice, ma poi è costretta a interrompersi a causa dei troppi singhiozzi.
Così, tutto d'un tratto, quello che prima mi assillava smette di importarmi di colpo: la curiosità, il desiderio di sapere, tutto; sono giorni che le condizioni della nonna peggiorano a vista d'occhio, giorni interi che non fa altro che asciugarsi le lacrime di nascosto.
Questo deve finire ora, non ce la faccio più a vedere lei e tutto il resto della mia famiglia in queste condizioni.
«Ok, adesso basta!» sbotto.
«Stare qui ci sta distruggendo, torniamo a casa immediatamente! Non so per quale assurdo motivo abbiate deciso di portarci qui, ma questa follia deve finire subito!
Dai nonna, su, andiamo a rifare i bagagli!» insisto mettendole una mano sulla spalla.
«No Emma, non dire così, va tutto bene...» ribatte lei cercando di controllarsi.
«No nonna, non va affatto tutto bene! A Jeremy fa male stare qui, al nonno fa male stare qui, a te fa male stare qui! Anche per me non è facile per quanto questo posto sia bellissimo! Non ho intenzione di passare due mesi vedendo le persone a cui voglio più bene al mondo chiudersi in una gabbia di dolore, rimpianto e chissà cos'altro! Torniamo a casa!»
«Emma ha ragione, questa casa porta con sé ricordi troppo dolorosi, andiamo via! Ci racconterete tutto a Wells», mi supporta Jeremy.
«D'accordo, forse avete ragione», cede alla fine il nonno.
«Al ritorno dalla nostra passeggiata partiremo.»
«Che bisogno c'è di camminare, nonno? Partiamo subito!» insisto io.
«Visto che ormai siamo qui ci tengo a mostrarvi una cosa, vi prego, partiremo subito al nostro ritorno!» ci supplica lui.
«D'accordo,» cede infine Jeremy, «ma non staremo via neanche un secondo in più del necessario, ok?»
«Certo», conferma il nonno.
«Tornate presto ragazzi, mi mancherete tanto», sussurra allora la nonna ancora con le lacrime che le rigano il viso e i singhiozzi che la fanno tremare. 
«Non ti preoccupare nonna, torneremo così in fretta che non ti accorgerai neanche che ci siamo allontanati», la rassicuro baciandole la fronte.
Spero che il nonno abbia un ottimo motivo per farci lasciare da sola la nonna in queste condizioni.
Così, senza poter fare altro, usciamo e ci dirigiamo verso il retro della casa; noto solo adesso che a dividere il bosco dal giardino c'è un muricciolo di pietra abbastanza alto, interrotto nel mezzo da una massiccia porta in legno.
Il nonno estrae dalla tasca posteriore dei pantaloni una grossa chiave e la fa girare nella serratura: la porta si apre scricchiolando, facendo così apparire davanti a noi il bosco tanto temuto dagli abitanti del paese e, credo di poterlo dire senza dubbi, dalla nonna.
Effettivamente ora che me lo trovo davanti, senza più nulla a dividermi da esso, sento un brivido percorrermi la schiena: gli alberi sono così alti, maestosi, antichi...
Sembra quasi che siano dei Guardiani, delle creature primordiali poste a protezione di chissà quale segreto, è come se fossero coscienti, come se ci stessero osservando.
A differenza di tutti coloro provano l'impulso di tenersi alla larga da questo posto io inspiegabilmente provo l'istinto contrario: una sete di conoscenza ancora più forte germoglia in me; io voglio sapere, voglio sapere cosa nasconde questo bosco.
C'è qualcosa, me lo sento dentro, è come un richiamo, un qualcosa di più forte dello stesso istinto, di più forte della razionalità.
Sono sempre stata attratta dai misteri e dai segreti che nessuno conosce, questo è vero, ma mai tanto come ora.
Dovrei temere questo bosco, ma la verità è che di paura non ne provo neppure un po’: è molto più forte l'eccitazione all'idea di stare per esplorare questo luogo oserei dire... Magico.
Lo so, è folle, ma è come se questo posto fosse permeato di una potente e antica magia.
Improvvisamente un corvo plana sopra le nostre teste emettendo il suo canto stridulo e suggestivo, allora il battito del mio cuore accelera e un senso di inquietudine mi assale: mi sento come fuori dal mondo, fuori dalla vita a cui sono sempre stata abituata fino ad ora, come se esistessimo solo io, mio fratello e gli alberi alti e frondosi davanti a noi, con tutte le loro promesse.
È come se fossi caduta dentro ad uno dei miei libri, uno di quelli che parlano di streghe e magie arcane.
«Emma... Lo senti anche tu?»  mi sussurra Jeremy.
«Si, lo sento, è così...»
«Ragazzi, forza, venite!» grida il nonno facendoci tornare alla realtà dalla quale ci eravamo per un attimo eclissati: eravamo così incantati che non ci eravamo neppure accorti che lui aveva ripreso a camminare, così ci affrettiamo a raggiungerlo.
Ci inoltriamo così con il cuore in gola in quest' ambiente tanto suggestivo, guardando rapiti tutto quello che ci circonda; il sentiero è lievemente in salita e si snoda attraverso le colonne degli alberi, sembra continuare all'infinito, non si riesce a scorgerne la fine.
Ad ogni passo cresce in me quel richiamo che mi spinge a continuare ad avanzare, che mi fa venire voglia di non fermarmi mai, di percorrere quel sentiero finché ho fiato in corpo; so che per Jeremy è lo stesso, lo vedo chiaramente quando lo guardo.
Dopo parecchio tempo, sono troppo fuori di me per rendermi conto di quanto esattamente, il nonno si ferma di colpo: sollevando lo sguardo noto che davanti a noi si trovano alcuni alberi diversi dagli alti, ancora più alti e nodosi, ma senza foglie.
Sono disposti in maniera strana, uno a fianco all'altro, ognuno con i rami intricati a quelli dei due alberi vicini; tutti insieme formano una lunghissima riga di archi che taglia a metà l'intero bosco.
Sembrano quasi voler segnare un confine, anche se dall'altra parte dell'arcata il bosco sembra continuare uguale a prima.
Io e Jeremy, un po' titubanti ma anche molto curiosi, ci dirigiamo così verso quello strano fenomeno della natura.
"Com' è possibile che degli alberi si dispongano in maniera così particolare naturalmente?" penso rapita continuando ad avanzare.
Un attimo prima di passare sotto uno di quegli archi però nonno James si blocca di colpo:
«Emma, Jeremy, buona fortuna. Siate coraggiosi. Io e la nonna vi aspettiamo.»
«Nonno, ma di cosa stai parlando?» chiedo io stranita voltandomi verso di lui.
«A Wells vi ho promesso che qui avreste conosciuto la verità, ragazzi: bene, oltre questa arcata di alberi la troverete. Io non posso dirvi niente di più, non posso parlare di cose che non ho mai compreso fino in fondo, rischierei di distorcerle e di compromettere tutto. Come mi chiese di fare vostro padre, lascerò che scopriate da voi ogni singola cosa.»
Detto questo, senza darci il tempo di ribattere, nonno James si avvicina a noi spingendoci con forza, facendoci cadere al di là della riga di alberi.
Perdo i sensi ancora prima di toccare il suolo.

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Capitolo 9
*** Destino alle porte ***


«James... Ti prego, dimmi che non l'hai fatto...»
«Ho mantenuto la promessa, Ada, mi dispiace.»
«Dio, no... Perché?! Perché questo è successo a me?! Non bastava togliermi per sempre mia figlia, anche i miei nipoti ho perso! Io non ce la faccio, io non...» 
«Tesoro, ti prego, non fare così! Loro ce la faranno e torneranno da noi, io lo so!»
«No che non lo sai! Non lo puoi sapere!» 
«Era la cosa giusta da fare, Ada. Questo è il loro destino e quello il luogo a cui appartengono, noi non possiamo interferire: sai bene cosa c'è in gioco...»
 
***
 
Jeremy
 
Mi risveglio di colpo.
Sbatto le palpebre più volte cercando di mettere a fuoco le chiome degli alberi che si trovano ai margini del mio campo visivo, cornice del cielo più cupo che io abbia mai visto.
Una nebbia fastidiosa mi invade la mente impedendomi per lunghi istanti di ricordare cosa sia accaduto, ma poi i pezzi ricominciano a incollarsi tra loro: Boundary... La nonna... La passeggiata... L'assurdo gesto del nonno... Emma...
Emma... Dov' è Emma?
Tirandomi su con fatica la vedo stesa a terra poco distante da me.
Mi trascino subito vicino a lei.
«Emma! Svegliati!» dico provando a smuoverla con delicatezza.
Lentamente anche lei apre gli occhi, così la aiuto a sollevarsi.
«Jeremy... Cos’è successo? Il nonno...»
«Siamo svenuti entrambi quando abbiamo oltrepassato l'arcata di alberi», provo a spiegarle passandomi una mano sugli occhi, ma un senso a ciò che è appena successo non lo trovo neppure io.
«Ma com' è possibile che sia successo a tutti e due?» insiste la mia gemella che, ormai lucida, si sta guardando febbrilmente intorno con occhi smarriti.
Scuoto la testa. Non ne ho idea.
Con cautela proviamo ad alzarci in piedi e ci accorgiamo con piacere di riuscirci senza problemi: il malessere seguito al risveglio si è già completamente dissolto.
Durante il nostro strano sonno deve essersi fatta sera: una lieve oscurità avvolge ogni cosa, ma non tanto profondamente da non riuscire a distinguere ciò che ci circonda; siamo in quel preciso momento della giornata che non si può definire né notte né giorno.
C'è qualcosa di strano nell'atmosfera però, qualcosa di indefinito che inizialmente non riesco a cogliere del tutto. Poi capisco. Il silenzio.
Profondo, assoluto, il più perfetto che io abbia mai sperimentato.
Ogni cosa qui ne è immersa, ogni cosa galleggia in esso: le scure e imponenti colonne degli alberi, i rami immobili, le felci... Noi.
Neppure le nostre voci sono forti abbastanza per scalfirlo.
Del nonno non c'è traccia.
Emma controlla l'orologio che ha al polso, ma non appena il suo sguardo si posa sul quadrante vedo chiaramente il colore rosato delle sue guance abbandonare il suo viso.
«Ma com' è possibile?! Sono le cinque! Siamo rimasti svenuti solo mezz'ora! Dovrebbe essere pieno giorno, non sera!»
A tali parole sento il mio cuore accelerare i suoi battiti, lo stomaco contrarsi e la pelle d'oca invadere ogni centimetro della mia pelle. Questo non può essere.
Questo posto mi mette sempre più a disagio, ogni istante che passa.
«Emma, così mi spaventi! Magari l'orologio si è rotto quando sei caduta!» le dico con voce tremante controllando subito anche il mio, ma pure quello segna la stessa ora.
«Cinque del pomeriggio», confermo.
Emma allora si volta, lo sguardo fisso sul sentiero che prosegue nella direzione opposta rispetto a quella da cui siamo arrivati; con gli occhi sembra setacciare ogni ombra sperando forse che qualcuna di loro risponda alla domanda più importante: cosa c'è oltre? Perché il nonno ha affermato che le nostre risposte si trovano qui?
«Torniamo a casa, Jeremy», dice poi Emma, improvvisamente.
«Vorrei tanto proseguire, Dio se lo vorrei,» continua, «ma dobbiamo tornare a casa per capire quello che è passato per la testa al nonno e tranquillizzare la nonna.»
«Ciò che ha detto il nonno prima di spingerci non ha senso! Cosa mai potrebbe esserci qui da scoprire? È solo un bosco...», dico rabbrividendo di nuovo nel ripensare ancora una volta allo strano discorso del nonno prima di abbandonarci qui. 
«Non lo so, Jeremy... Qualcosa dento di me dice che questo posto qualche segreto lo nasconde davvero, ma prima dobbiamo chiarire le cose col nonno!»
«Certo, andiamo; qui possiamo sempre tornarci in un altro momento», affermo convinto.
Mia sorella così, dopo aver annuito e avermi fatto cenno di seguirla, si incammina verso l'arcata, ma prima di riuscire ad oltrepassarla la vedo andare a sbattere contro qualcosa.
"Non ha senso, lì non c'è proprio nulla!" penso.
Lei spalanca gli occhi e allunga le mani davanti a sé.
«E questo cosa diavolo significa?!» grida meravigliata.
«Cosa c'è lì, Emma? Contro cosa sei andata a sbattere?» le chiedo sempre più confuso e a disagio.
«Contro un muro, Jeremy, un muro trasparente!» mi risponde lei quasi spaventata. Quasi.
Subito mi avvicino a lei e allungo anche io una mano: subito la sento colpire qualcosa di liscio, duro e freddo. Mi sento sbiancare.
«L'arcata di alberi deve essere una passaggio: lascia entrare ma non lascia uscire», ipotizzo mentre un brivido, l'ennesimo, mi scorre giù per la schiena.
«Questa è magia!» afferma mia sorella sgranando i suoi grandi occhi verde-azzurri con una mano ancora appoggiata al muro invisibile.
Guardandola riesco a cogliere l'istante esatto nel quale la paura abbandona completamente il suo viso per tramutarsi in stupore e meraviglia.
Emma è sempre stata attratta dai misteri, dai fenomeni inspiegabili, ma questo supera di gran lunga ogni cosa lei abbia mai potuto sperimentare durante la vita che conoscevamo fino a un'ora fa: deve sentirsi completamente elettrizzata nello scoprire che, forse, la magia non esiste solo nei libri fantasy che le sono sempre piaciuti tanto.
E io, nonostante la situazione, non posso fare a meno di esserlo a mia volta.
«Scartiamo subito l'ipotesi che possa trattarsi di qualche fenomeno naturale?»  provo a chiedere io per cercare di mantenere una certa lucidità.
Lei scuote la testa.
«Nessuna ipotesi è da scartare, tutto è possibile, però questo... Questo è davvero straordinario!» risponde voltandosi a guardarmi.
«È vero,» affermo meravigliato quanto lei, «ma intanto questo muro ci impedisce di tornare a casa», continuo, la gola stretta sempre di più da una morsa ormai d'acciaio.
«Possiamo provare a telefonare ai nonni, hai portato il cellulare?» chiede Emma tentando di mantenere, a differenza mia, il sangue freddo.
«Sì, ce l'ho!» dico estraendolo dalle tasche della felpa con mani tremanti, ma subito mi accorgo che esso non ci potrà essere d’aiuto: non c'è alcun tipo di segnale qui.
«Non c'è campo», informo mia sorella guardandola preoccupato, ma all'improvviso vengo folgorato da un ricordo di ieri notte.
 
...Claire amava i suoi figli, se avesse ritenuto che quel mondo fosse troppo pericoloso per loro non ce lo avrebbe chiesto. Dobbiamo fidarci di lei e rispettare le sue volontà...
 
«Emma... Stamattina non ti ho detto tutto», inizio, così le racconto il resto della conversazione dei nonni.                                                      
«Io credo che i nostri genitori avessero scoperto il segreto di questo luogo e volevano che anche noi lo conoscessimo! La promessa doveva essere questa: i nonni ci dovevano portare qui ad un certo punto della nostra vita affinché noi scoprissimo la verità», aggiungo poi chiudendo il ragionamento anche grazie alle ultime parole del nonno.
«Allora non ci resta altro che proseguire: volevamo delle risposte, ora ci è data finalmente la possibilità di ottenerle», afferma lei decisa voltandosi nuovamente verso la foresta scura che ora sembra quasi invitarci ad entrare per scoprire i suoi misteri.
«Ma Emma, non abbiamo né cibo, né acqua, né vestiti adeguati! E fra poco sarà notte! Come faremo a sopravvivere per chissà quanti giorni nella foresta?!»
Ormai sono sull'orlo di un attacco di panico: tutto questo è troppo per me, troppo. 
Non ho più appigli, non ho più sicurezze, niente di niente... Attorno a me c'è solo caos e io non so né gestirlo né abbandonarmi ad esso.
«Jeremy, vedi anche tu che tornare indietro non è possibile, l'unica strada percorribile è quella, ovunque essa porti. È la strada che ci condurrà alla verità che da tanto aspettiamo. Sapremo cosa ne è stato di mamma e papà, chi erano davvero!»  tenta di incitarmi Emma.
Tutto ad un tratto allora qualcosa dentro di me cambia: la mano invisibile che conosco ormai molto bene allenta la presa sul mio collo e un germoglio di coraggio fiorisce nel mio cuore.
Inspiegabilmente, mi rendo conto che sotto alla paura che mi attanaglia quello che voglio davvero è proseguire e sapere, anche se si tratta del luogo più inquietante in cui io sia mai stato. E poi un appiglio ce l'ho eccome: la mia gemella.
«Andiamo a prenderci le nostre risposte, allora», affermo sorprendendo anche me stesso.
Sono consapevole che non ci sarà nulla di chiaro e lineare in questa storia, so che dovrò sfidare e sconfiggere tutti i miei limiti, so che non potrò permettermi di sbagliare e ho paura di tutto questo, lo ammetto, ma l'euforia che mi ha invaso nel momento in cui sono entrato in questa foresta non mi ha ancora abbandonato, anzi, dopo i vari shock di questi ultimi minuti sta tornando più forte di prima.
Non sono come Emma, certo: lei aspettava un momento come questo da sempre, ma anche io ora sono pronto ad affrontare qualunque cosa accada.
Per Emma, per i miei genitori, per me stesso e le mie fobie.
Così ci voltiamo e ricominciamo a camminare dando le spalle all'arcata di alberi e alla nostra vecchia vita, perché sì, sono sicuro che questo è un nuovo inizio, il compimento del nostro destino.
Qualunque cosa sia successa ai nostri genitori è legata a questo luogo, me lo sento, per questo i nonni non hanno mai voluto parlarcene: sapevano che sarebbe giunto il momento in cui avremmo avuto la possibilità di scoprire tutto, scoprirlo sulla nostra pelle anziché tramite un racconto.
È tutto così dannatamente assurdo.
E se questo fosse un comunissimo bosco?
Se ci stessimo sbagliando?
Ma quel muro invisibile, quegli alberi, le parole del nonno...
No, qualcosa di speciale c'è, l'ho percepito ancora prima di mettere piede in questo intrico di alberi e arbusti, e lo ha sentito anche Emma.
Non ci resta che proseguire per scoprirlo.
 
***
 
Dopo mezz'ora di cammino il cielo non dà segni di voler cambiare colore: un grigio-azzurro scuro, cupo, immenso; l'atmosfera che si respira è ancora quella di quando siamo rinvenuti.
Più il tempo passa e più esso sembra non esistere più in questo luogo: ogni cosa è ferma, statica, immobile.
Non c'è un filo di vento che muova le chiome degli alberi, gli unici rumori che sentiamo sono quelli dei nostri passi, le precoci ombre che ci circondano non sembrano né volersi intensificare per dare vita all'oscurità della notte né diradarsi per riconsegnarci la luce calda e intensa che dovrebbe caratterizzare le ore pomeridiane di una normale giornata di giugno.
Finalmente giungiamo in un punto in cui il sentiero sembra emergere dagli alberi, così affrettiamo il passo per arrivare più velocemente allo slargo che abbiamo scorto più avanti.
Quando lo raggiungiamo, però, un enorme e nuovo senso di inquietudine mi assale.
Su di noi troneggia un enorme arco di pietra scura sorvegliato da due enormi statue, in pietra anch’esse, poste davanti ai due pilastri dell'arco.
Raffigurano un uomo e una donna dallo sguardo serio con un braccio alzato ad indicare il cielo.
È antico e misterioso, qui da chissà quanto tempo a testimoniare l'esistenza di una qualche civiltà sconosciuta.
Oltre all’arco il sentiero si trasforma in un'ampia strada sterrata, rettilinea, tanto lunga da non riuscire a scorgerne la fine: la vediamo proseguire fino al lontano orizzonte e poi ancora oltre.
È costeggiata sia a destra che a sinistra dalla foresta piena di ombre, immensa e senza fine pure quella, anche se tagliata in due dall'enorme strada. 
È il luogo più surreale che io abbia mai visto.
La sicurezza che ho ostentato poco fa mi sembra così poco concreta ora... In che guaio ci stiamo infilando? Sarò in grado di andare fino in fondo?
«Qualunque cosa accada la affronteremo insieme, Jeremy», mi rassicura mia sorella che evidentemente ha notato la mia espressione smarrita.
«Se non ci fossi qui tu penso che sarei già impazzito, mi sembra di essere dentro ad un sogno», ammetto.
«Anche a me sembra di essere in un sogno, ma se questo non è reale allora nient’
altro lo è stato nella mia vita. Non lo so, è come se sentissi di essere nata solo per questo momento», mi confessa lei.
«Quante volte ho fantasticato di capitare un giorno in un posto misterioso e affascinante come questo? Un luogo al di fuori di qualunque legge umana, sconosciuto, pieno di segreti e storie tutte da scoprire...» continua guardando l'arco con sguardo sognante e con la pelle d'oca sulle braccia.
«Mi piacerebbe avere il tuo stesso entusiasmo, io riesco a vedere solo difficoltà e pericoli», dico sospirando.
«Non abbiamo scelta, Jeremy. Non l'abbiamo mai avuta.»
«Lo so. Non crollerò, Emma, non questa volta. Te lo prometto.»
Senza aggiungere altro passiamo sotto all'arco di pietra e ci incamminiamo lungo l'enorme strada immersi nella penombra, sperando che non sia davvero così lunga come appare.
Mi sento a disagio qui, come se fossi troppo esposto, scoperto, osservato: gli alberi distano infatti una decina di metri da noi da entrambe le parti e il silenzio assoluto non contribuisce molto a rassicurarmi.
Mentre proseguiamo un unico pensiero comincia a martellarmi nel cervello: devo proteggere Emma.  E lo farò, lo farò ad ogni costo.
Improvvisamente avverto una sensazione strana: un risucchio, qualcosa che mi attira in avanti.
«Jeremy! Cos'è questo?» chiede Emma preoccupata.
«Non lo so, non riesco a capire!» rispondo io, confuso.
Facendo un ultimo passo in avanti mi sento mancare il terreno sotto ai piedi.
Prima di riuscire a capire quello che sta succedendo mi ritrovo trasportato altrove: sono di nuovo in mezzo alla foresta.
Emma non è più con me.

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Capitolo 10
*** Inferno d'ambra ***


Emma
 
Chilometri e chilometri di fronte a noi, una foresta che pare infinita, notte e giorno in un equilibrio eterno, testimonianze in pietra dell'esistenza di un popolo antico e rimasto sconosciuto al mondo intero.
Mentre percorriamo la lunghissima strada non riesco a pensare ad altro.
So che forse è fuori luogo, ma non posso fare a meno di sentirmi euforica: tra miliardi di persone questo sta succedendo proprio a me, a me che non ho mai smesso di sperarci, anche se mi dicevo di essere grande ormai per certe cose.
Comincio a ridacchiare tra me e me, felice.
Esiste davvero, esiste davvero... Sta succedendo a me.
Vengo strappata ai miei pensieri da una strana sensazione di risucchio, come se davanti a me qualcosa di invisibile mi attirasse in avanti.
«Jeremy! Cos'è questo?» chiedo fermandomi e iniziando a preoccuparmi.
«Non lo so, non riesco a capire!»
Con orrore, prima di poter tentare di fare qualunque cosa per fermarlo, vedo mio fratello avanzare di un passo.
È questione di un attimo, di un battito di ciglia, e Jeremy non c'è più.
L'entusiasmo di poco fa scivola via da me come acqua sulla roccia, il sorriso radioso di cui non riuscivo a liberarmi si spegne completamente senza bisogno di tanti sforzi.
«Jeremy!» urlo in preda al panico che sento crescere in me esponenzialmente ogni secondo che passa.
Lo shock rallenta il flusso dei miei pensieri, certo, ma non riesce a bloccarli: "Se faccio un passo anche io arriverò da lui, ovunque lo strano vortice invisibile lo abbia portato."
Questa è la mia conclusione.
Così prendo un respiro profondo e mi preparo a saltare, ma all'improvviso, come Jeremy è sparito in un attimo, così un'altra persona compare allo stesso modo di fronte a me.
Mi immobilizzo completamente, gli occhi ormai irrimediabilmente incastrati in quelli del nuovo arrivato: due iridi del colore dell'ambra mi stanno fissando così intensamente da farmi sentire trapassata da parte a parte, così intensi che credo riuscirebbero ad illuminare da soli anche la più buia delle notti.
Ha i capelli corti ma molto folti, ricci e neri come inchiostro: alcuni riccioli scuri gli ricadono sulla fronte, su quel viso dalla pelle diafana che solo sugli zigomi lascia spazio ad un po' di colore.
Le sopracciglia ben definite, simili ad ali di corvo, conferiscono a quel volto tanto bello quanto cupo un'espressione cristallizzata a metà tra il terrore e lo stupore.
Sotto al naso dritto la bocca è piegata in una smorfia di sorpresa ad indicare che, forse, era davvero l'ultimo dei suoi pensieri quello di ritrovarsi davanti una ragazza in questo posto.
All'improvviso però il pensiero di Jeremy riesce a rompere l'incantesimo che ci tiene incatenati da ormai troppi istanti e, non curandomi più del ragazzo davanti a me, ricomincio ad avanzare quasi correndo con l'intenzione di superarlo; i miei piani però vanno in frantumi in un lampo: un secondo prima di raggiungere il punto in cui mio fratello è sparito e il misterioso ragazzo comparso, mi ritrovo le braccia di quest' ultimo attorno alla vita. Sono bloccata.
«Lasciami andare! Devo andare da mio fratello! Io lo devo trovare, mettimi subito giù!» grido con quanto fiato ho in corpo e cercando di divincolarmi dalla presa ferrea dello sconosciuto.
«Gettandoti nel portale non ritroverai proprio nessuno, ti perderesti e basta!» sento il suo fiato caldo sul collo, un brivido di paura mi percorre la schiena.
Arrendermi però non è esattamente il mio forte, quindi con quanta forza mi rimane cerco di tirare un calcio al ginocchio del mio "sequestratore" riuscendo a centrare l'obiettivo: il ragazzo subito lascia la presa.
Prima di essere riacciuffata faccio il mio ultimo passo in avanti prima di sentire il terreno venire meno sotto ai miei piedi, ma mi rendo conto troppo tardi di avere qualcuno aggrappato al mio braccio.
Un secondo dopo mi ritrovo stesa a terra con la faccia al suolo. Fantastico.
"Ma che diamine è successo? Mi sono... teletrasportata?"
Almeno adesso non ci sono più dubbi: la magia esiste e questa foresta ne è impregnata.
Mi rialzo velocemente cercando febbrilmente mio fratello tra gli alberi che hanno ripreso a circondarmi, ma con mio rammarico accanto a me si trova solamente il ragazzo dagli occhi ambrati.
La speranza di ritrovare Jeremy al di là del portale è ormai spenta, quindi mi prendo qualche altro istante per osservare meglio lo sconosciuto che mi ha seguita fin qui per chissà quale ragione: dimostra all'incirca vent'anni ed è poco più alto di me, è vestito con dei semplici pantaloni di tessuto grigio e una giacca verde.
Quando il mio sguardo scivola sui pugnali che tiene legati alla cintura sento lo stomaco contrarsi e la pelle essere percorsa da mille brividi, per non parlare del cuore che comincia a battere ancora più furiosamente di prima.
Scappare però non aiuterebbe, di certo mi riacciufferebbe in un attimo, ne sono sicura.
«Te l'avevo detto che non avresti ritrovato tuo fratello attraversando il portale!» la sua voce blocca completamente il flusso dei miei pensieri, al momento assai intricati.
Sollevo lo sguardo di nuovo, accorgendomi solo ora dell'espressione contrariata con la quale il ragazzo mi sta guardando, mentre è ancora intento a togliersi della terra dai vestiti finita lì a causa della caduta.
«Non eri costretto a seguirmi se è per questo!» decido di ribattere con finta sicurezza incrociando le braccia, anche se di sicurezza ormai me ne rimane ben poca: lo shock per la repentina separazione da Jeremy mi fa tremare le gambe e non sono neanche in grado di formulare nella mia testa un pensiero sensato.
«Ah sì?! Avresti preferito vagare alla cieca per giorni se non per mesi in questa foresta? Ti è andata bene, fidati!» mi tiene testa il ragazzo continuando a guardarmi storto e indicando con un gesto gli alberi dalla corteccia ricoperta di muschio attorno a noi.
«Non mi farai del male, vero? Non sei un assassino o roba simile, spero...» chiedo pacata senza smettere di fissarlo, indietreggiando di un passo e stando sulla difensiva.
Lui sgrana gli occhi e ammutolisce come se le parole appena uscite dalla mia bocca lo avessero lasciato esterrefatto, o meglio, ferito.
«Ti ho seguita solo per aiutarti, ragazzina», ribatte in tono freddo dopo svariati attimi di silenzio, distogliendo lo sguardo da me proprio nel momento in cui un'ombra scura cala sul suo viso.
«Non preoccuparti, non ti farò del male. Posso aiutarti se mi racconti quello che ti è successo», riprende lui sospirando.
Il suo tono stavolta è diverso, sembra intriso di una tale tristezza... Riesco a percepirlo chiaramente.
Non può di certo essere stata solo la mia reazione a incupirlo così, era un dubbio lecito il mio, ma allora perché?
In ogni caso ora che ho la certezza che quei pugnali rimarranno al loro posto i miei muscoli irrigiditi si sciolgono un po' e il mio respiro torna regolare, anche se il mio cuore non vuole proprio saperne di rallentare.
«Allora, come ci sei finita qui?» mi incalza lui con più dolcezza tornando a guardarmi. I suoi occhi ora trasmettono così tanta sofferenza che quasi mi si stringe il cuore, tanto che l'astio che fino a pochi secondi fa nutrivo per lui scompare completamente.
"Beh, se vuole aiutarmi, perché no?" penso. "Se vive qui deve conoscere bene la foresta."
Fidarsi è sicuramente un rischio, probabilmente il più grande della mia vita, ma che alternative ho? Da sola non sopravvivrei due giorni.
Prendo così la mia decisione, sperando di non dovermene in seguito pentire amaramente.
«Io mi chiamo Emma», comincio così, il più decisa possibile.
«Io e mio fratello ci siamo persi dopo esserci... ehm... teletrasportati credo, ti prego, se conosci la foresta bene come credo, puoi aiutarmi a ritrovarlo?»
Dopo alcuni istanti di silenzio lui si decide a rispondermi.
«Lasciatelo dire, Emma, vi siete infilati proprio in una brutta situazione», dice scuotendo la testa.
«Ti prego, dimmi che puoi aiutarmi! Da sola non saprei proprio come fare», lo supplico.
«Ti devo portare a Yakamoz», sentenzia lui.
«Io con te non vengo proprio da nessuna parte se prima non ritroviamo Jeremy!» ribatto tentando di farmi valere: non voglio sprecare nemmeno un secondo di tempo.
«Tuo fratello potrebbe essere a decine di chilometri da qui, non potremmo mai trovarlo da soli», dice il ragazzo, serio, alzando un sopracciglio.
«Loro possono aiutarti molto più di quanto riuscirei a fare io, credimi», ribadisce poi cercando di calmarmi.
Capendo così che non mi resta altro da fare se non fidarmi lui ripeto tra me e me, come un mantra, le ultime parole dei nonni: «Siate coraggiosi.»
Lo sarò.
Devo esserlo.
Andrò con questo ragazzo e farò di tutto per ritrovare mio fratello.
Il mio salvatore poi, se così lo posso chiamare, deve per forza sapere tutto su questo luogo.
«Vengo con te ad una condizione», dico allora alzando lo sguardo e guardandolo in quegli occhi ambrati tanto magnetici.
«Ovvero?»  chiede lui titubando, forse timoroso di quello che potrei chiedergli.
«Voglio conoscere il segreto di questa foresta», affermo.
«Dal momento che non puoi tornare nel tuo mondo non vedo perché no. Incamminiamoci intanto, va bene?»  mi risponde rilassandosi ma tornando a incupirsi forse anche più di prima.
Per il momento mi limito ad annuire.
Lo vedo così cominciare a guardarsi intorno, probabilmente per capire la nostra posizione, per poi dirigersi con tutta sicurezza in una direzione che io non riesco a capire cos'abbia di diverso rispetto alle altre.
Camminiamo fianco a fianco senza dire niente per un po’; ogni tanto guardo di sfuggita questo ragazzo tanto particolare che mi sta facendo da guida, uscito da chissà dove.
Lo vedo avanzare in silenzio muovendosi con sicurezza in quest' ambiente per lui evidentemente molto famigliare, ma la mascella contratta rivela quanto in realtà sia teso nel trovarsi in questa situazione.
"Non dovrei essere io quella più turbata da tutta questa vicenda?" mi chiedo.
Vorrei scoprirne di più sul conto della mia guida, la curiosità che nasce in me è forte tanto da sorprendermi di me stessa, ma la priorità è ovviamente quella di capire in che posto esattamente sono finita.
Dopo un po' non ce la faccio più a tacere, ho troppe domande che mi girano per la testa; sto per chiedergli che cosa sia Yakamoz, ma improvvisamente mi viene in mente di non sapere ancora il suo nome, così glielo chiedo:
«Mi dici almeno come ti chiami?»
Il ragazzo si volta a guardarmi; sembra come indeciso se rispondermi oppure no, ma poi finalmente parla:
«Axel», dice velocemente, quasi avesse paura di pronunciare il proprio nome.
Io annuisco soddisfatta e mi preparo a porgli la mia raffica di domande:
«Fra quanto pensi che scenderà la notte, Axel?» continuo alzando gli occhi verso il cielo grigio-azzurro, sempre uguale da ormai troppo tempo.
«Non arriverà, Emma.  Le stelle ci hanno abbandonato da anni ormai, credo proprio che dovrai abituartici.»

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Capitolo 11
*** Di pietra e parole ***


Jeremy
 
Dopo aver cercato Emma in lungo e in largo sono stremato, fisicamente, certo, ma soprattutto psicologicamente; non riesco neanche più a continuare a camminare.
Come è potuto succedere? Come?!
Di una sola cosa dovevo assicurarmi: che Emma fosse al sicuro.
Neanche il tempo di rendermene conto e... Missione fallita.
Se le succede qualcosa non me lo potrei mai perdonare. Dio, sono un tale fallito...
E poi andiamo, teletrasporto?! Seriamente?!
Dovevo stare più attento, avrei dovuto fermarmi immediatamente nel momento in cui ho avvertito quella strana sensazione lungo la strada, non avanzare ancora. È tutta colpa mia.
Devo assolutamente trovare qualcuno che mi aiuti a trovare mia sorella, ci sarà pure qualche anima viva in questo bosco, giusto? Altrimenti cos' è che stavamo cercando?
Ricomincio ad avanzare in questa sera infinita con la speranza nel cuore di poter risolvere la situazione prima che succeda qualcosa di irreparabile.
Non riesco neppure a pensare a una tale eventualità, per cui cerco di tenere la mente occupata pensando ad altro.
Come se fosse possibile.
Non posso permettermi di crollare, non posso, non quando tutto dipende da me.
Stavolta sono davvero solo e devo imparare a fidarmi di me stesso e del mio intuito, non ci sarà nessuno a confermarmi di stare facendo la cosa giusta.
È arrivato il momento di dimostrare che, forse, anche io valgo qualcosa.
Qualche mese fa una consapevolezza del genere sarebbe bastata per farmi venire un attacco di panico, forse sto davvero facendo progressi.
Quando il mio orologio segna le 22:30 decido che forse è meglio riposare un po' prima di proseguire, continuare a camminare come uno zombie non sarebbe produttivo, così mi scelgo un angolo il più riparato e nascosto possibile e mi stendo appoggiandomi al tronco di un albero.
All'improvviso alcune immagini dei documentari sulla sopravvivenza che un tempo mi piaceva molto guardare assieme al nonno mi scorrono davanti agli occhi.
Dovrei accendere un fuoco per spaventare gli animali feroci? Dovrò nutrirmi di larve?
Aspetta, animali feroci? Oddio... Spero davvero che non ce ne siano. E se Emma ne dovesse incontrare uno?
Le mie paranoie miste ad un grande senso di colpa mi attanagliano la mente finché il sonno non ha finalmente la meglio.
Mi risveglio indolenzito alle cinque e trenta del mattino. Del sole neanche l'ombra.
Dunque non è stato tutto un sogno...
In questo momento vorrei tanto che il sole rischiarasse queste ombre per avere un po' di speranza in più, ma sopra ogni cosa vorrei tanto che Emma fosse qui.
Ripenso amaramente a quando davo certe cose per scontate: fino a ieri non avrei mai immaginato che mi sarebbe successa una cosa simile.
Prima di alzarmi mi levo il ciondolo che mi è stato regalato dai nonni e lo apro: il ritratto di Emma mi guarda sorridendo come se mi stesse incitando a non mollare, esattamente come farebbe mia sorella se fosse davvero qui con me.
Sento le lacrime salirmi agli occhi, ma poi le scaccio sforzandomi di continuare nel proposito che mi sono imposto ieri.
Devo essere forte.
Facendomi coraggio rimetto il ciondolo al suo posto e ricomincio ad avanzare, ma dopo poco comincio ad irritarmi nuovamente: credo di stare per impazzire, qui mi sembra sempre tutto maledettamente uguale!
Dopo più di un’ora sono talmente assorto nei miei pensieri da non rendermi neanche conto di essere finalmente arrivato in un luogo diverso da tutto ciò che ho visto da quando sono qui.
Sollevando lo sguardo il mio cuore comincia ad accelerare: davanti a me ci sono delle rovine che sembrano davvero antiche e lo sento, sento quel richiamo viscerale che avevo avvertito quando sono entrato nella foresta con il nonno ed Emma.
Qui è ancora più forte.
Allora non ci sbagliavamo, c'è qualcuno qui! O almeno c'era: quello che ho di fronte infatti non è un allegro e vivace villaggio, ma quello che un tempo doveva essere un piccolo palazzo e il suo giardino.
Come ipnotizzato scorro con gli occhi tutto quello che mi circonda: buona parte dell'edificio semicircolare in pietra è crollata e solo alcune colonne e alcuni archi sono rimasti nella loro posizione originaria; ciò che tuttavia è ancora in piedi è sufficiente per dare un'idea di come doveva apparire il palazzo ai suoi tempi d'oro.
Lo stile architettonico naturalmente è diverso, ma mi viene naturale fare un paragone tra queste rovine e quelle greco-romane che spesso si incontrano nel mondo al di là dell'arcata.
Si, suona bene: chiamerò così d'ora in poi il luogo in cui ho vissuto fino a ieri, questo deve essere per forza un mondo diverso.
Decido di avvicinarmi a quel che resta del palazzo; più avanzo e più mi ritrovo circondato da pietre ricoperte da bassorilievi, pezzi di colonne spezzate e statue in pietra morta.
Alcune sono a terra e rotte in più punti, altre mi fissano altere dai loro piedistalli, miracolosamente scampate allo scorrere del tempo ma non all'avanzare della vegetazione: rappresentano fanciulle o giovani uomini tutti in atteggiamento solenne.
I volti sono incredibilmente realistici, la semioscurità in cui sono immerse rendono i loro tratti ancora più marcati e, forse, malinconici.
La disposizione del sentiero e delle statue mostra ancora l'ordine e la simmetria che un tempo dovevano caratterizzare quest'antico giardino.
È un ambiente così affascinante, così misterioso: la foresta tutto intorno, le rovine, le statue, il silenzio... Fa pensare ad un'antica civiltà perduta e dimenticata, una civiltà rimasta sepolta nelle pieghe del tempo fino ad oggi, il giorno in cui io, con solo il rumore dei miei passi a farmi compagnia, ho rotto l'oblio che aveva per secoli sommerso ogni cosa.
Quando arrivo sotto al palazzo, anche se consapevole del rischio che qualche calcinaccio mi cada in testa, decido comunque di passare sotto all'arco che un tempo doveva fungere da ingresso principale. La curiosità è troppa.
Una volta dentro mi rendo conto che si è salvato più di quel che immaginavo: se l'ala alla mia sinistra è completamente crollata infatti quella destra ha ancora parte del soffitto e qualche parete ancora in piedi.
Facendomi strada tra le rovine arrivo in un ambiente che mi dà motivo di credere che il palazzo dovesse essere una sorta di luogo di riunione: quello in cui sono giunto infatti è un grande ed imponente salone dalla forma ovale.
Le pareti sono scolpite ad arte con motivi geometrici ancora perfettamente visibili, alcuni gradoni disposti lungo le pareti sia a destra che a sinistra della porta dalla quale sono entrato, anch'essi rivestiti in marmo come tutto il resto, dovevano servire da posti a sedere; sulla parete di fronte a me c'è una grande apertura circolare che dà sull'esterno.
Sul pezzo di parete a sinistra dell'apertura è scolpito un grande sole e sotto a quello vedo iscritte alcune parole che sembrano dei versi, altre parole si trovano a destra, ma sopra a quelle al posto del grande sole c'è una sottile ed elegante mezzaluna.
Quando mi avvicino e comincio a leggere mi rendo conto che quei versi vanno a formare due componimenti poetici, o almeno credo.
Per primo leggo in silenzio il testo sotto alla mezzaluna:
 
Il respiro della notte
sentirò sul mio corpo:
mai di nient'altro avrò bisogno.
La sapiente oscurità
che il superfluo nasconde
mi avvolgerà nel suo mantello
e sarà la luna ad illuminare il mio sentiero.
Non visto vagherò tra le ombre
seguendo le stelle che tutto sanno,
dal mio cuore il vento della sera
spazzerà via ogni inganno.
L'incanto della notte
ora mi scorra nelle vene,
sia la fusione della mia anima
con la magia del suo potere.
 
"Sembra quasi un incantesimo, o forse una sorta di giuramento", penso, e sorrido al pensiero che Emma troverebbe queste parole bellissime.
Emma... Devo assolutamente ritrovarla.
Passo poi a leggere il componimento inscritto sotto al sole:
 
La luce del giorno
sarà la mia guida,
conforto nelle avversità
che mi presenterà la vita.
Dei raggi del sole il custode sarò,
nessuna insidia nascosta mai temerò.
Avrò l'azzurro del cielo
riflesso negli occhi,
il rosso dell'alba
che il cuore mi tocchi.
La potenza del giorno
ora mi scorra nelle vene,
sia la fusione della mia anima
con la magia del suo potere.
 
Solo quando finisco di leggere mi rendo conto di stare parlando ad alta voce.
Queste sono parole che mi colpiscono nel profondo, apparentemente senza una vera motivazione logica.
Amo la poesia, l'ho sempre amata, questo è vero: tanti componimenti che ho letto e studiato mi hanno fatto emozionare, com'è giusto che faccia la poesia, ma stavolta è una sensazione diversa che mi pervade: è qualcosa di ancora più intenso, come un calore che prende a scorrermi nelle vene.
Chissà cosa significa... Vorrei tanto saperlo.
Sicuramente tutto ciò è legato al segreto di questo bosco, il segreto che ha portato via per sempre i miei genitori.
Giuro a me stesso che se c'è ancora qualcuno che vive qui io lo troverò e mi farò dire ogni cosa: ho bisogno di sapere e non intendo tornare a casa prima di scoprire la verità e naturalmente prima di aver trovato Emma.
Sempre che un modo per tornare a casa esista.

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Capitolo 12
*** Il Mondo Oltre l'Arcata ***


Emma
 
«Direi che per oggi possiamo fermarci, mi sembri molto stanca.»
Non appena Axel pronuncia queste tanto agognate parole mi lascio cadere a terra. Sono esausta.
Credo di poter affermare senza sbagliarmi che questa sia stata la giornata più lunga della mia vita: mi sembrano passati secoli da quando stamattina ho trovato Jeremy accovacciato al sole fuori casa.
Jeremy... Quasi non riesco a respirare quando penso a ciò che potrebbe capitargli, a ciò che potrebbe stare passando.
Sto vivendo un incubo, l'incubo più oscuro in cui potessi mai precipitare: Jeremy è la persona più importante della mia vita, è lo specchio nel quale ho sempre ritrovato me stessa, è il mio migliore amico, è il mio gemello.
Nei momenti più difficili lui c'è sempre stato per me, ed io per lui; abbiamo vissuto tutto insieme fin da prima di nascere, ogni cosa, sempre. Sempre, ma non oggi.
È così ingiusto... Ma presto lo ritroverò, lo so, me lo sento fin dentro le ossa che tutto si sistemerà per il meglio: io e Jeremy siamo legati, lo saprei se il destino avesse deciso di portarmelo via.
Risvegliandomi per un attimo dai miei pensieri risollevo lo sguardo verso il ragazzo accanto a me.
Da quel fugace scambio di battute durante il quale avevo chiesto il nome al mio salvatore e poche altre cose io e Axel non ci siamo detti più nulla.  Fino a questo momento almeno.
Ho la testa piena di domande, certo, ma qualcosa mi frena dal porgli quelle che più mi stanno a cuore.
Ho bramato tanto queste informazioni, lo so... Quante volte ho sognato il momento in cui mi sarebbero state rivelate?
Naturalmente Axel non mi saprà dire quello che è successo ai miei genitori, ma sento che le dinamiche di questo posto c'entrano eccome con loro.
Il punto è che vorrei che il tassello iniziale mi fosse consegnato con Jeremy al mio fianco.
Se solo penso che questo sarebbe potuto essere il giorno più bello della mia vita... E invece sono qui a consumarmi dall'ansia e a pregare che non succeda a mio fratello nulla di male.
Le cose però sono andate così e io devo prendere in mano la situazione, ho atteso fin troppo.
Axel sta tirando fuori dalla sua sacca delle coperte.
"Sono davvero stata fortunata a trovarlo, cosa avrei fatto da sola?"  penso mentre una piacevole sensazione di sollievo mi pervade.
«Non sei una persona che ama parlare molto, vero?» gli chiedo improvvisamente esprimendo a voce alta un pensiero, senza riuscire a trattenerlo.
«In genere non ho molte occasioni per parlare con qualcuno, ormai mi sono abituato ad avere come unica compagnia il cielo e gli alberi e con loro non mi servono parole», mi risponde lui dopo qualche istante, sempre con quella grande malinconia che sento trafiggere anche me ogni volta che i suoi occhi ambrati si posano sui miei.
Mi piacerebbe tanto chiedergli se la sua solitudine sia il frutto di una scelta personale o di un obbligo, ma non vorrei essere troppo indiscreta: dal modo in cui mi ha risposto mi sembra di capire che sia un argomento piuttosto delicato per lui.
«Sai, anche io tendo spesso a rimanere in silenzio. Credo che si possano comunicare molte più cose con uno sguardo o con un gesto che con le parole», dico vergognandomi un po' e con gli occhi bassi.
È un'affermazione molto personale per i miei standard, me ne rendo conto, per questo parlarne mi imbarazza un po': in genere certi pensieri li tengo per me, ma per qualche strano motivo sento che Axel riuscirà a capirmi.
«Sono perfettamente d'accordo, Emma», mi risponde infatti lui, per la prima volta con una luce diversa negli occhi, ma che purtroppo non basta per farlo sorridere.
«Hai più buon senso tu che l'intera Gente del Giorno: loro classificherebbero un'affermazione del genere come stupide sciocchezze», conclude poi.
La sua risposta, nonostante il mio stato d'animo, mi fa sorridere: è piacevole essere capiti da qualcuno ogni tanto.
Ma per il momento ho preoccupazioni più grandi a cui pensare, per esempio capire cosa voglia dire "Gente del Giorno", dunque decido di proseguire con le mie domande.
«Allora, quanto ci vuole per arrivare a Yaka... Ehm, scusami non ricordo il nome che avevi pronunciato», cambio discorso con un mezzo sorriso imbarazzato sulla faccia a causa della mia improvvisa amnesia.
Quando però sono gli angoli della sua bocca a piegarsi finalmente verso l'alto per la prima volta da quando ci siamo incontrati, mi immobilizzo.
Di solito non sono una che fa molto caso all'aspetto fisico dei ragazzi, ma in questo caso mi è assolutamente impossibile rimanere indifferente: se avevo notato che Axel era bello nel momento stesso in cui mi è comparso davanti, ora che quella tristezza profonda sembra per un attimo sparita dal suo viso questa consapevolezza mi piomba addosso come mai mi era successo per nessuno.
Rimango immobile a guardarlo in quegli occhi che finalmente vedo brillare mentre lui mi risponde:
«Yakamoz, la Città della Notte si chiama Yakamoz», mi corregge quasi ridacchiando.
«Da qui ci vorranno circa sette giorni, dal momento che non avevi in mente una destinazione precisa il portale ti ha trasportata in un punto a caso di questo mondo, sfortunatamente molto lontano da entrambe le città.»
«Cosa?! Sette giorni?!»  esclamo ritornando alla realtà.
Non ci posso credere, questo proprio non me lo aspettavo.
«Axel, è troppo tempo, devo trovare mio fratello!»  continuo poi cercando di calmarmi.
«Non c'è altro da fare, Emma, mi dispiace. Non possiamo sapere dove il portale lo abbia trasportato», mi risponde sembrando sinceramente dispiaciuto per la mia situazione.
"Non mi resta che accettarlo", penso desolata.
Andrà tutto per il meglio, devo e voglio esserne convinta.
«Ok, allora mi fido di te», affermo.  Ed è la verità.
Mi sembra di leggere sul suo viso un certo turbamento causato dalla mia ultima affermazione, ma poi quell'espressione sparisce così in fretta che credo di essermela solo immaginata.
«Dunque, dal momento che siamo qui e non abbiamo altro da fare, mi spieghi in che razza di posto sono finita?» gli chiedo finalmente buttando fuori il quesito che più di tutti mi attanaglia.
Lui annuisce piano e poi, finalmente, comincia a parlare.
«So che sarà difficile crederlo, la Gente di Fuori solitamente è troppo pragmatica per concepire che il loro non sia l'unico mondo esistente, ma tu mi sembri diversa: non hai quasi battuto ciglio quando mi stavi raccontando che ti eri teletrasportata, quindi spero che mi crederai subito.»
«Hai ragione, ho visto cose che pensavo esistessero solo sui libri, ma questa, per quanto assurda, è la realtà. Sono pronta a tutto ormai, ti crederò», lo rassicuro, poi continuo:
«Quindi questo è un altro mondo? Non siamo più sulla Terra?»
«No, siamo sempre sulla Terra, ma il luogo in cui ci troviamo è separato e indipendente da tutto il resto del pianeta. Qui ogni cosa è simile ma anche estremamente diversa rispetto al Mondo di Fuori: il cielo è diverso, noi siamo diversi, le leggi naturali sono diverse.»
«Ma com'è possibile che nessuno conosca la vostra esistenza? Ormai è stato esplorato ogni angolo del mondo, come fate a rimanere invisibili?» chiedo sempre più affascinata.
«Qui ti sbagli», risponde.
«I di Fuori hanno esplorato ogni angolo del vostro mondo, non di questo.  Dall'esterno questo mondo non è visibile: la foresta che tu hai attraversato fino al Confine, ovvero l'Arcata, si estende per appena pochi ettari.
Se però qualcuno vi entra e arriva a superare il Confine, come avete fatto tu e tuo fratello, ecco che entra in quest'altro mondo, ben più esteso della piccola foresta visibile dal Mondo di Fuori, mi segui?»
«Credo di capire, sì», confermo cercando di metabolizzare tutte le sconvolgenti informazioni che mi sta dando.
«E il portale lungo la strada? Di cosa si tratta?»
«Qui ci sono portali in tutti i luoghi più importanti: attraversane uno e quello ti trasporterà ovunque tu voglia, purché si abbia bene in mente la destinazione, ovviamente.»
«E quella lunghissima strada? Aggirando il portale si può continuare a percorrerla?»
«Sì, è possibile aggirare il portale, ma dopo di esso la strada continua solo per qualche centinaio di metri: il fatto che sembri quasi infinita non è che un’illusione, un effetto ottico causato dalla presenza del portale nel mezzo di essa. La strada fu costruita moltissimi secoli fa, però non se n’è mai scoperto il reale motivo.»
«Ho capito, continua pure», dico cercando di nascondere quanto io sia sconvolta da tutto questo.
«Devi sapere che fin dalle origini della nostra civiltà coloro che vivono qui sono divisi in due gruppi: la Gente del Giorno, che risiede per lo più nella città di Komorebi, e la Gente della Notte, che invece risiede a Yakamoz.
La differenza ora sta solo nel nome e in tutta una serie di ideali e comportamenti diversi che imparerai a conoscere col tempo, ma...» esita per poi riprendere:
«La distinzione originariamente era molto più profonda.  I membri della Gente del Giorno avevano dentro di loro solo luce, gli altri solo tenebre. Questo ci permetteva di sfruttare l'energia dell'elemento che ci caratterizzava.»
«Mi stai dicendo che potevate fare magie?»  chiedo io che ormai pendo dalle sue labbra.
«In un certo senso sì, senza dubbio voi chiamereste così quello che potevamo fare», risponde paziente prima di continuare:
«La Gente di Fuori invece possiede sia una parte di luce che una di tenebre, per cui non può usufruire di alcun potere perché le due parti si equilibrano e si annullano a vicenda.»
Ok, questo va oltre tutto quello che avevo immaginato, però quello che ora finalmente ho scoperto non mi sembra assurdo o impossibile. 
È tutto estremamente logico. 
È come se una parte di me fosse già a conoscenza di tutto da sempre, come se tutto questo fosse un vecchio ricordo ormai dimenticato ora tornato a galla dal mio inconscio.
«Se tu mi vuoi portare a Yakamoz e non a Komorebi evidentemente fai parte della Gente della Notte, ho ragione?» gli chiedo.
«Sì Emma, è così», mi dà conferma di quello che già sospettavo.
«Però non vivi a Yakamoz, giusto? Altrimenti le occasioni di parlare con qualcuno non ti mancherebbero», oso chiedere non resistendo più, ma accorgendomi immediatamente di aver compiuto un passo falso: Axel sembra chiudersi a riccio nel sentire la mia domanda, abbassa lo sguardo e torna serio.
«Scusami, non intendevo essere invadente», cerco di rimediare alla mia eccessiva curiosità maledicendomi tra me e me.
"Cosa c'è di così oscuro nel passato del ragazzo di fronte a me? Cos'è che l'ha reso così solo, chiuso e triste?" non posso fare a meno di pensare.
Forse nulla, forse la riservatezza è semplicemente la parte più evidente del suo carattere; d'altra parte non lo conosco per niente, potrebbe benissimo essere così. Mi sto facendo troppi film mentali, ecco tutto.
«Esatto, non vivo più a Yakamoz. Ho una piccola casa in un angolo di questo mondo, ma molto spesso viaggio. Vago, più che altro», riprende lui, freddo, dopo alcuni istanti di silenzio, ma poi per fortuna sembra tornare l'Axel più sereno e allegro di poco fa.
«Ed esisteva una sorta di incantesimo per eliminare o la parte di luce o quella di buio da una persona che le possedeva entrambe?» cambio discorso per alleggerire ulteriormente l'atmosfera.
«Certo, esisteva. Veniva usato per coloro che avevano genitori misti e che quindi alla nascita possedevano entrambi gli elementi come i di Fuori. Una sola volta è stato compiuto su di una persona che veniva dal tuo mondo, l'unica oltre a te e a tuo fratello da spingersi tanto oltre da scoprire la nostra esistenza.»
La voce di Axel trema nel pronunciare queste ultime parole.
«Davvero siamo solo i secondi?» chiedo stupita.
«Sì, in generale la Gente di Fuori percepisce che deve tenersi lontana dalla foresta.»
«Non sareste più al sicuro se il Confine non lasciasse entrare piuttosto che non uscire? Così rischiate che chiunque si ritrovi a passeggiare per la piccola foresta scopra la vostra esistenza!  È successo poche volte, certo, ma potrebbe succedere ancora!»
«Pensa: se tu andassi a sbattere contro un muro trasparente durante una comunissima passeggiata, cosa faresti una volta tornata a casa?» mi chiede Axel serio cercando evidentemente di farmi arrivare da sola alla risposta.
Ci penso un attimo e rispondo:
«Lo direi alla mia famiglia e ai miei amici, poi li porterei a vedere con i loro occhi lo strano fenomeno.»
«E in men che non si dica la notizia si espanderebbe e arriverebbero centinaia di curiosi e scienziati a studiare la misteriosa barriera, giusto?» continua lui.
«Immagino di sì.»
«Invece...»
«Invece così anche se qualcuno entra e vede non può tornare indietro a raccontarlo», lo anticipo io comprendendo improvvisamente.
Una sensazione di gelo mi piomba addosso non appena mi rendo conto di tutte le implicazioni di ciò che ho appena scoperto.
«Quindi sono bloccata qui per l'eternità?» trovo il coraggio di chiedere in un sussurro.
«La barriera al Confine, così come i portali, non li abbiamo creati noi al tempo della magia, Emma: essi ci sono semplicemente sempre stati, sono antichi tanto quanto questo stesso mondo. Noi ci siamo limitati a segnalarli in vario modo e a costruirci attorno le nostre case e il resto, ma nessuno di noi può cambiare le loro regole.
Il Confine può essere attraversato dall'interno solamente da chi possiede uno solo degli elementi: luce o buio. Tu li possiedi entrambi perché vieni da Fuori, io e tutte le altre persone di questo mondo, da diciassette anni, non ne possediamo più nessuno.
Quindi non si può uscire, Emma, mi dispiace tanto.»

Note:
Grazie a tutti coloro che stanno seguendo la storia e che sono arrivati fin qui, spero che vi stia piacendo! Se vi va fatemi sapere cosa ne pensate, per me sarebbe davvero utilissimo ricevere qualche opinione. A presto!

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Capitolo 13
*** Komorebi ***


Jeremy
 
Continuando l'esplorazione del palazzo diroccato, oltre alla grande sala circolare trovo anche un'altra stanza ben conservata: la biblioteca.
I volumi sono tantissimi, tutti disposti sulle decine e decine di scaffali che ricoprono interamente le pareti di questo ambiente tanto suggestivo.
La sala è ampia, rettangolare, in pietra grigia come tutto il resto del palazzo.
Alzando lo sguardo mi accorgo che il soffitto della stanza, a volta e sostenuto da una decina di pilastri, è impreziosito nella sua parte centrale da un affresco: raffigura una donna e un uomo che danzano insieme sorridendo.
Lei porta ampie vesti blu scuro e un diadema con una mezzaluna nel centro, lui un ciondolo a forma di sole sopra gli eleganti abiti bianchi: evidentemente si tratta delle personificazioni della notte e del giorno.
È davvero meraviglioso e vorrei osservarlo meglio, ma non voglio perdere troppo tempo: per l'arte ci sarà tempo quando troverò Emma e usciremo insieme da questa situazione.
Avvicinandomi agli scaffali e cominciando a sfiorare le rigide copertine marroni dall'aspetto antico, improvvisamente mi sento pervadere da una strana sensazione: qui è tutto così misterioso, così affascinante...
Chissà quale popolo meraviglioso era quello che ha costruito tutto questo, chissà qual è la sua storia, le fondamenta della sua civiltà... Perché hanno voluto che nessuno sapesse di loro? Perché rimanere nascosti?
Omne ignotum pro magnifico, diceva Tacito: "Tutto ciò che è sconosciuto è sublime". Mai queste parole mi sono sembrate tanto vere.
Riportando la mia attenzione sui libri noto che alcuni volumi sembrano romanzi, altri saggi, altri ancora atlanti geografici.
Il territorio raffigurato deve essere quello del mondo in cui mi trovo, quindi decido di concentrarmi prima di tutto su questi ultimi; gli unici due centri abitati che sono indicati da tutte le mappe vengono chiamati Yakamoz e Komorebi.
"Devo raggiungere assolutamente uno dei due", penso un attimo prima di essere interrotto da una voce alle mie spalle.
«Fermo dove sei.»
Non appena sento pronunciare queste tre parole ben scandite mi volto di scatto: subito incrocio lo sguardo di un ragazzo non molto alto che mi fissa in maniera truce davanti alla porta dalla quale sono entrato io stesso poco fa; ha capelli rossicci e grandi occhi marroni, sia i pantaloni che la maglia che indossa sono bianchi.
"Allora c'è ancora qualcuno qui! Qualcuno che può dirmi tutto e che può aiutarmi a trovare Emma!" penso al settimo cielo.
«Oh, non immaginavo di trovare qualcuno!» affermo sorpreso.
«Ti prego, dimmi che puoi aiutarmi, non so dove mi trovo e mia sor...»
«Sei uno schifoso cane della notte, vero? Che ci fai qui, eh?» mi interrompe però il ragazzo in tono decisamente aggressivo.
«Cosa? No!» ribatto io alzando le mani.
«Mi sono perso durante una passeggiata!»
L'entusiasmo di poco fa si sbriciola inesorabilmente tra le mie mani... Ovviamente sarebbe stato troppo facile incontrare qualcuno di gentile e ben disposto.
«E secondo te me la bevo? Parla, cosa state tramando voialtri? Qualcosa ci deve essere di sicuro, altrimenti non ti avrebbero mandato a frugare tra i libri dell'Accademia!»
«Non so di che cosa tu stia parlando, io non sono di qui! Sono svenuto oltrepassando l'arcata di alberi spogli, mi sono teletrasportato e ho vagato per ore! Non ho idea di dove mi trovo e per di più io e mia sorella ci siamo persi!» mi difendo.
A tali parole vedo i suoi occhi scendere a osservare meglio i miei vestiti: evidentemente prima non aveva fatto caso ai miei jeans.  La sua espressione cambia di colpo.
«Ti prego, dimmi che stai scherzando, non puoi venire davvero da Fuori!» sibila in tono quasi disperato.
«Se con “fuori” intendi un mondo che non sia questa dannata foresta, sì, vengo da fuori!» ribatto cominciando a spazientirmi.
«Oddio no, non di nuovo...» sussurra tra sé e sé lui scuotendo piano la testa.
«Ascolta, non so che razza di problemi tu abbia, ma io ho bisogno di ritrovare mia sorella e di uscire da qui, quindi se non mi puoi aiutare puoi anche andartene!» dico cercando di darmi un tono.
«Non sei nelle condizioni di dettare leggi, ragazzino, ora tu vieni con me: starà ad Anthemis decidere e per tua sfortuna non credo sarà clemente come l'ultima volta», ribatte il ragazzo tornando di colpo l'arrogante di poco fa.
«Lo sai che avrai si è no la mia età, vero?» gli ringhio contro mentre lui mi afferra brutalmente e comincia a legarmi le mani dietro la schiena con una spessa corda estratta dalla piccola borsa che porta a tracolla.
Per quanto provi a divincolarmi non riesco a sottrarmi alla sua presa: è più forte di me, non c'è altro da aggiungere. Questa proprio non ci voleva.
«La tua età?! Non parlare di cose che non sai, che è meglio! Avanti, cammina!» mi urla contro cominciando a spintonarmi.
«Sì, sì, d'accordo, ma non serve essere maneschi», ribatto io cominciando a camminargli davanti.
Usciamo così in silenzio dalle rovine e imbocchiamo un ampio sentiero, procedendo dalla parte opposta rispetto a quella da cui ero arrivato; il rosso continua a spingermi in avanti ogni volta che rallento il passo.
Lo sapevo, ho sbagliato di nuovo. Non sarei mai dovuto entrare in quel palazzo, maledetta la mia curiosità. Come faccio ora ad uscire da questa situazione? Perché il destino continua a confermarmi il fatto di essere un totale fallimento?
«Mi dici almeno dove mi stai portando?» provo a chiedere per essere almeno un po' preparato a quello che mi aspetta.
«A Komorebi, ovviamente. La Città del Giorno», risponde lui, secco.
Estremamente irritato dall’antipatia del ragazzo alzo gli occhi al cielo e continuo a camminare, ma non avere scelta non è esattamente uno dei miei hobby preferiti; se non altro sto per conoscere la verità su questo luogo, o almeno credo.
Dopo un quarto d'ora circa di cammino entriamo in una piccola radura con al centro due pietre enormi, alte circa il doppio di me e posizionate una a fianco all'altra: più ci avviciniamo a quelle e più mi sembra di essere attratto verso di esse da una forza invisibile.  Stiamo per teletrasportarci ancora, me lo sento. Per lo meno stavolta sono preparato.
Come previsto, nel momento stesso in cui passiamo in mezzo alle due pietre, sento il vuoto sotto ai piedi.
Quando riapro gli occhi mi accorgo di essere finito lungo il pendio di una collina che degrada dolcemente verso il mare, un mare immenso ma spento per via della mancanza di luce e stranamente silenzioso, come se le sue onde fossero bloccate, come se fossero state private della possibilità di rifrangersi a riva col loro consueto scroscio.
Davanti a me, nella grande pianura delimitata da una catena di colline boscose e dal mare, si estende quella che evidentemente è la Città del Giorno: Komorebi.
Da qui riesco a vedere strade lastricate in pietra bianca, case e edifici di mille forme e dimensioni diverse ma tutte dello stesso, candido, materiale. E poi, giardini e fiori a non finire.
Poco sotto a noi invece, arroccato sul pendio del promontorio e in posizione dominante sia sulla città che sul mare, si trova un grande palazzo bianco dalle forme architettoniche sinuose e irregolari: sembra quasi che sia stato costruito in più fasi, senza un progetto unitario che gli conferisse una qualsiasi parvenza di simmetria.
Ogni sua parte è differente dall’altra, ogni finestra ha forme e dimensioni proprie, così come i ponti coperti e i terrazzi pieni di vasi fiori e di erbe aromatiche. Nonostante il caos della struttura tuttavia non si può di certo negarne la bellezza e il fascino.
Anche in una situazione del genere non posso fare a meno di notare quanto questo sia un luogo davvero meraviglioso; vivere qui deve essere una favola: fuori dal mondo, circondati dalla natura, una vita semplice ma anche estremamente vera.
Certo, magari se il sole decidesse di farsi vedere ogni tanto sarebbe meglio: chissà quanto risplenderebbe la pietra bianca della città sotto ai suoi raggi...
Il rosso, una volta deciso di avermi concesso abbastanza tempo per ammirare il panorama, riprende a spingermi in direzione del palazzo attraverso l'erba alta; raggiunto l’edificio percorriamo una scalinata laterale che conduce ad una grande terrazza, dalla quale si può ammirare tutta Komorebi.
«Se te lo stai chiedendo questo ingresso è solo per la famiglia del Guardiano e pochi altri eletti. Che onore hai!» mi stuzzica il rosso con ironia.
Decido tuttavia di non rispondergli a tono, tanto sarebbe inutile; cerco invece di frenare la rabbia provando a porgli qualche domanda.
«Il Guardiano è il vostro re?»
«Una specie, sì.»
«Mi stai portando da lui?»
«Da lei, vorrai dire. In assenza di eredi, dopo la morte di Corylus, il potere è passato a sua moglie Anthemis. E ora smettila di parlare che mi innervosisci.»
"Ma questo è sempre così?!" penso tra me e me con i nervi ormai a fior di pelle.
Un elegante salotto ci accoglie quando entriamo dalla porta che dà sulla parte laterale della terrazza: le pareti sono candide e lisce, curve e unite in un tutt'uno col soffitto, come se invece di una stanza fosse una grotta scavata nella roccia bianca.
Un camino, tavolini bassi di legno scuro ricoperti da stoffe colorate, divanetti e poltroncine riempiono l'ambiente assieme a vasi e ceramiche finemente lavorati.
Un'ampia vetrata si apre sulla facciata frontale dell'edificio, regalando una vista invidiabile sulla città e sul mare visibile oltre la balaustra della terrazza.
Un ragazzo, più grande del rosso ma vestito come lui, si trova di fronte alla porta dalla parte opposta della sala; appena ci vede spalanca gli occhi dalla sorpresa.
«Abies, che sta succedendo? Chi è questo?!» si rivolge al rosso indicandomi.
«Manda a chiamare Anthemis, è urgente.»
Quello annuisce ed esce correndo.
«Abies, dunque», dico per rompere il silenzio.
«Qualche problema?»
«No, figurati», borbotto sbuffando per l'ennesima volta.
Dopo interminabili minuti finalmente vedo la porta riaprirsi: fa il suo ingresso una distinta signora sulla cinquantina, elegantemente vestita di turchese; ha lunghi capelli biondi raccolti in una treccia e gentili occhi... verde-azzurri? Spero tanto che capisca la mia situazione meglio di quanto abbia fatto Abies.
«Abies, mi hai mandata a chiamare? Cosa...» inizia a dire la signora, ma non appena quella si accorge della mia presenza subito si blocca, evidentemente basita.
Dopo qualche istante di silenzio la donna sembra però riprendersi dallo stupore.
«Slegalo e lasciaci soli, Abies, grazie per averlo portato qui. Puoi andare.»
«Certo, mia Signora», risponde allora il rosso liberandomi finalmente le mani e scoccandomi uno sguardo soddisfatto, come a dire: "Ora si che sei nei guai".
Rispondo a mia volta con un'occhiataccia prima di vederlo sparire oltre la porta dalla quale è entrata la Guardiana.
«Spero che Abies non sia stato troppo scortese, è una delle guardie più in gamba e degne di fiducia che ho, ma ha un carattere decisamente migliorabile», afferma Anthemis guardandomi con intensità.
«Siediti pure e non temere», continua indicandomi uno dei divanetti.
Un po' titubante faccio come mi è stato chiesto, poi lei si sistema di fronte a me.
«Come ti chiami?» inizia.
«Jeremy, Signora», rispondo cercando di essere il più cortese possibile: è pur sempre una sorta di regina.
«Raccontami la tua storia, Jeremy. Come sei finito qui?»
E così, non potendo fare altro, racconto alla donna di fronte a me tutto quello che mi è successo in questi ultimi due giorni, i più assurdi di tutta la mia esistenza.
«Capisco...» ricomincia lei, seria, alla fine della storia.
«Fortunatamente non ho molti impegni in questo periodo, quindi se vuoi posso rispondere alle tue domande: ne avrai molte, immagino.»
«Oh sì, ve ne sarei davvero grato!» le rispondo, anche se mi dispiace tantissimo che Emma non sia qui con me ad ascoltare.
Pazientemente allora, rispondendo a tutte le mie domande su questo mondo, Anthemis mi spiega ogni cosa sulle due Genti, sulle città, sul Confine e sui portali, soffermandosi poi con particolare enfasi sull' insita tendenza al male che caratterizza la Gente della Notte, inevitabile per chi ha, o meglio aveva, solo tenebre dentro di sé.
Quando Anthemis arriva a quest'ultimo punto mi sento quasi venire meno: se davvero metà della popolazione di questo mondo è malvagia per natura, Emma è in gravissimo pericolo... E se dovesse incontrare qualcuno di loro?
Alla fine della spiegazione sono davvero basito: mai avrei immaginato qualcosa del genere.
Vorrei tanto sapere cosa c'entri tutto questo con i miei genitori, ma non credo che Anthemis possa rispondere anche a questa domanda; gliene pongo quindi un'altra, l'ultima che mi rimane:
«Mia Signora, perché non diventa mai notte o giorno qui? Perché non ci sono mai il sole, la luna o le stelle? Perché questa penombra perpetua?»
La sua espressione allora cambia di colpo, come se le mie parole l'avessero colpita come un pugnale nel cuore.
«Questo riguarda la pagina più oscura della nostra storia, Jeremy, il momento in cui tutto è cambiato», dice titubando con voce leggermente tremante guardando il mare oltre la vetrata alle mie spalle, gli occhi persi in chissà quale ricordo lontano.
«Qui non diventa mai notte o giorno perché il tempo si è fermato», dice poi tornando a guardarmi.
«Il tempo cosa?!» sbotto stranito mentre un brivido freddo mi pervade, confuso più che mai.
«Sì, Jeremy; immagino che per te questa sia una cosa difficile da prendere per vera, ma è la verità, per quanto possa risultare assurda ai tuoi occhi da di Fuori.»
«Com’ è successo?» trovo a stento la forza di chiedere.
«In questo mondo il trascorrere del tempo era scandito solo ed esclusivamente dall'alternarsi del giorno e della notte», mi risponde seria la Guardiana.
«Ora, come vedi tu stesso, qui il giorno e la notte non esistono più, dunque anche il tempo ha subito il loro stesso destino.»
«Ma, mia Signora, com’è possibile che non esistano più? È impossibile...»
«Il giorno e la notte in questo mondo esistevano solamente grazie a due Nuclei, Jeremy, due piccole sfere più antiche ancora dell'Universo, due sfere dal potere enorme che secondo le leggende furono affidate ai nostri antenati fin dall'inizio della nostra civiltà, millenni or sono. Il Nucleo del Giorno e il Nucleo della Notte però sono stati distrutti diciassette anni fa, dunque ogni cosa è morta insieme ad essi: il sole, la luna, le stelle, il tempo, la scintilla di luce o di buio che esisteva dentro di noi, ogni cosa.»
«Quindi da diciassette anni qui non invecchia o muore nessuno, ho capito bene?» chiedo sconvolto.
«Sì, è così, e anche tu e tua sorella siete nella nostra stessa condizione da quando avete attraversato il Confine, ma non pensare che l'immortalità che questa condizione ci ha "regalato" sia una consolazione. Siamo condannati ad una eterna vita a metà, senza i nostri poteri, con la nostalgia costante dei tempi passati e privati di ciò su cui si basava la nostra stessa identità: la notte e il giorno.»
Per diversi minuti non riesco a pronunciare una parola, ho assimilato troppe informazioni sconvolgenti tutte insieme: la magia, il tempo che si è fermato, i Nuclei, l'immortalità.
Solo una cosa mi dà la forza di alzare nuovamente lo sguardo su Anthemis e parlare di nuovo:
«Mia Signora, mi aiuterete a ritrovare mia sorella prima che lo faccia qualcuno della Gente della Notte?»
«Ma certo, Jeremy, non voglio che le accada nulla di male.»
«Vi ringrazio, Signora», affermo allora visibilmente sollevato.
Anthemis annuisce, poi afferra un piccolo campanello d' argento da sopra un piccolo tavolino in legno; appena quello tintinna Abies rientra nella stanza con il solito sorriso beffardo sulla faccia, accompagnato dalla stessa guardia che avevamo incontrato appena entrati nel palazzo.
«Abies, abbiamo una ragazza di Fuori da trovare ad ogni costo; potrebbe essere ovunque, ma l'ultima volta che suo fratello l'ha vista si trovava sulla Lunga Strada. Cominciate da lì, poi setacciate ovunque: la voglio qui il prima possibile. Vai e organizza le ricerche assieme alle altre guardie.»
«Certo, Anthemis», dice lui prima di uscire velocemente, ma non prima di avermi squadrato con odio un’ultima volta.
«Fagus,» continua poi la Guardiana rivolgendosi alla seconda guardia, «porta il ragazzo in una delle stanze libere del palazzo e assicurati che non possa uscire.»
A tali parole mi volto di scatto verso di lei, non potendo credere a quello che ho appena sentito.
«Cosa? Avete intenzione di rinchiudermi? Perché?» grido facendo qualche passo indietro e mettendomi sulla difensiva, inutilmente: Fagus mi ha già afferrato e bloccato le mani.
«Mi dispiace, Jeremy, ma per me il tempo della fiducia è finito per sempre: non posso permettere che un di Fuori, o peggio due, circolino liberamente per questo palazzo e questo mondo. Io e mio marito commettemmo già questo sbaglio in passato e l'unica cosa che ottenemmo fu l'essere pugnalati alle spalle. A causa di quell'unico errore io quel giorno persi non uno, ma entrambi i miei figli, tra l'altro nello stesso giorno in cui anche mio marito fu ucciso. Sono sicura che capirai il perché non posso permettermi di fidarmi di nuovo. Lo devo al mio popolo. Lo devo a me stessa. Spero comunque di farti ricongiungere al più presto con tua sorella: vi voglio entrambi sotto il mio controllo.»
Non appena la Guardiana finisce di parlare Fagus comincia a spingermi verso la porta, senza che io possa fare nulla per fermarlo.

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Capitolo 14
*** Per la follia di uno soltanto ***


Emma
 
Apro gli occhi confusa e indolenzita.
La coperta che ieri sera Axel mi ha dato prima di coricarci mi scivola giù dalle spalle dove l'avevo posizionata prima di cadere in un sonno agitato, ancora scossa dalla scoperta che per me e Jeremy sarà impossibile tornare dai nonni e nel nostro mondo una volta ricongiunti.
Sebbene questa "mattina" non sia sorto il sole per segnare l'inizio di un nuovo giorno, il sonno mi ha aiutata a interiorizzare meglio la cosa rispetto a qualche ora fa.
Per il momento ho intenzione di indirizzare tutti i miei sforzi e pensieri nel ritrovare mio fratello, poi affronteremo insieme tutti gli altri problemi; se cominciassi a pensare a tutto non riuscirei ad essere tanto forte quanto la situazione in cui mi trovo richiede.
Noto che Axel non è più nel punto in cui si era steso ieri "notte", però le sue cose sono ancora lì, per cui deve essersi solo allontanato momentaneamente.
Forse è andato a procurarci del cibo, dopotutto sono davvero troppe ore che non metto niente sotto ai denti, anche se devo dire di non avere per niente fame.
Dopo qualche minuto vedo il mio salvatore emergere dalla fitta macchia di alberi di fronte a me.
«Sei riuscita a riposare almeno un po'?» mi chiede raggiungendomi e inginocchiandosi accanto a me per rimettere le coperte nella sua sacca di pelle.
«Si, non so come ma sono riuscita ad addormentarmi», rispondo sorridendogli.
«Axel, non è che avresti qualcosa da mangiare?» continuo.
Lui mi guarda con un sopracciglio alzato: la tipica espressione di chi ha appena ricevuto una richiesta fuori dal comune.
«Ma non è possibile che tu abbia fame!»
«Infatti non ne ho, ma è da ieri che non mangio nulla e se continuo così finirò per svenirti tra le braccia e vorrei evitare!» affermo ridendo alla sua strana reazione; quando però mi rendo conto delle parole che sono appena uscite dalla mia bocca vorrei poter sparire sottoterra e non riemergere mai più.
Il calore che sento sul viso è inequivocabile: devo essere diventata rossa, sempre che la sfumatura non sia più simile al viola.
«Cioè, volevo dire, no, in realtà...» balbetto, ma grazie al cielo vengo interrotta da Axel, che sembra non aver fatto caso alla seconda metà della mia frase:
«Ah, ora capisco! Ieri eri troppo sconvolta e io non sono riuscito a concludere le spiegazioni...» dice mettendosi a tracolla la sacca e facendomi segno di seguirlo.
«Il tuo corpo non ha bisogno di cibo, Emma, non dopo aver varcato il Confine», inizia.
«Il tempo qui si è fermato, il tuo corpo ora è cristallizzato così, non ha bisogno di nutrirsi. Anche senza cibo vivrai per sempre, in eterno, senza cambiare mai.»
«Ma non è possibile...» dico flebilmente dopo qualche secondo, stravolta da una simile rivelazione.
«Dunque ora io e Jeremy siamo... immortali?» continuo, forse senza davvero rendermi conto dell’enorme portata di ciò che ho appena appreso.
«È così. Ieri ti ho detto che diciassette anni fa noi perdemmo i nostri poteri, ma non ti ho spiegato come successe... È tutto collegato...» Axel sembra in difficoltà ora, come se parlarne gli costasse una fatica atroce: ha chiuso gli occhi e serrato i pugni.
Non vorrei essere io la causa di questo suo disagio, non vorrei forzarlo a parlarmi di un qualcosa che è chiaramente così doloroso per lui.
«Axel, va tutto bene?» tento di parlargli dopo qualche istante avvicinandomi a lui e posandogli una mano sulla spalla, facendolo fermare: mi fa male vedere le persone soffrire, anche se non le conosco bene.
Lui al mio tocco apre gli occhi, ma nel farlo una lacrima gli sfugge dalle ciglia nere, andando a solcargli silenziosamente la guancia pallida.
Un attimo dopo mi ritrovo con la mano sollevata ad asciugare quella piccola goccia salata sul viso del mio salvatore, senza ricordare in che momento il mio cervello abbia deciso di compiere un gesto tanto intimo nei confronti di un quasi sconosciuto.
Ma non mi interessa, non adesso: voglio solo farlo sentire meglio come farei con chiunque altro.
Rendendomi però improvvisamente conto dell'imbarazzante situazione che ho generato ritiro di scatto la mano, ma Axel me la afferra prima ancora che io riesca a fare un passo indietro, senza smettere di guardarmi.
«Grazie...» dice piano mentre un dolce sorriso fiorisce sulla sua bocca.
«Se parlarne ti fa così male, non farlo, ti prego. Non voglio vederti soffrire a causa mia.»
«Non è per causa tua, Emma, come potrebbe esserlo? Quello è stato probabilmente il giorno più brutto della vita di qualunque abitante di questo mondo: ci fu una battaglia tra Yakamoz e Komorebi, morirono molte persone, i Nuclei furono distrutti e per questo noi perdemmo i poteri, il giorno e la notte, il tempo... Tutto quello che eravamo sparì a causa della follia di una persona soltanto.»
«Non sei costretto a raccontarmelo.»
«Voglio farlo, Emma. Non preoccuparti per me, al dolore sono abituato ormai.»
«Ma Axel...»
«Niente ma, ascoltami», dice sciogliendo con delicatezza le nostre mani intrecciate e riprendendo a camminare.
Così, mentre il Notturno accanto a me parla, vengo a conoscenza di cosa fossero i Nuclei e di tutto quello che qui è stato perso a causa della loro distruzione.
«Ma chi creò questi Nuclei? Chi li consegnò al popolo di questo mondo?» chiedo confusa ad un certo punto della spiegazione.
«Non sappiamo cosa accadde davvero, è trascorso troppo tempo per saperlo con certezza», mi risponde Axel.
«Tuttavia ci sono delle leggende, miti del nostro folklore che parlano di due creature potenti, gli dei del Cielo, che discesero sulla terra e tra gli uomini che avevano appena iniziato a camminare su di essa.»
«Aspetta, due dei?! Ti prego, non dirmi che anche la religione in cui ho sempre creduto...»
«Emma, queste sono solo leggende, rielaborazioni fantasiose della storia create dagli uomini e trasmesse di padre in figlio per secoli, non sappiamo se questo racconto corrisponda o meno alla verità! Ti posso assicurare che qui non ne sappiamo molto più di voi di Fuori su chi ci sia lassù», cerca di tranquillizzarmi Axel.
Io annuisco e con un cenno lo invito a proseguire.
«Gli dei scelsero mille persone, le più degne a loro avviso, poi crearono quest'altro mondo e lo nascosero agli occhi di coloro che erano destinati a rimanerne fuori», ricomincia lui.
«I mille eletti presero possesso di questa terra e furono divisi dagli dei in due gruppi: la Gente del Giorno e la Gente della Notte, appunto. Fu allora che i due Nuclei furono consegnati ai nostri antenati, con il compito di proteggerli a qualunque costo. Dai Nuclei infatti dipendeva l'Equilibrio stesso del cielo, il movimento dell'universo, l'avanzata del tempo. Se uno di essi fosse venuto a mancare, l'Equilibrio sarebbe andato perduto e ogni cosa sarebbe collassata per sempre. I Nuclei invece sono periti entrambi, dunque una sorta di equilibrio si è mantenuto comunque, anche se con le conseguenze che vedi tu stessa.»
«Ma è la terra a girare attorno al sole, il giorno e la notte dipendono da questo! Non sono di certo il frutto di due... sfere! Quello che dici non ha senso!» sbotto di colpo confusa, non riuscendo più a capire cosa mai nella mia vita sia stato reale e cosa no.
«Sì, nel tuo mondo è così, ma quando ti ho detto che qui il cielo e le leggi naturali sono diverse non parlavo a caso.»
«Axel... Ma se il tempo si è fermato diciassette anni fa, allora tu quanti anni hai?»
«Nel giorno del disastro ne avevo ventuno e li ho tuttora. Li avrò per sempre, Emma.»
Per parecchio tempo, se così si può dire, non riesco a dire una parola.
Ci sono un miliardo di pensieri che stanno vorticando nella mia testa in questo momento, tanto che sono costretta a fermarmi e a prendermi la testa tra le mani: "Almeno Jeremy non può morire di fame... Ma chi ha distrutto i Nuclei? Axel ha detto chiaramente "per la follia di uno soltanto", ma quale persona nata e cresciuta qui, con la possibilità di fare magie, distruggerebbe spontaneamente tutto il suo mondo?
E Axel? Ha vagato da solo senza nessuno al suo fianco per diciassette anni, come ha fatto a non impazzire? E perché lo ha fatto? E io cosa farò bloccata qui per sempre? Davvero per sempre..."
«Ma se il tempo si è fermato come puoi dire che da quel giorno sono passati degli anni?» cerco di recuperare il filo della conversazione e un poco di lucidità.
«Beh, se vogliamo essere precisi quel giorno non è mai finito, tutto è immobile da allora, ma nonostante questo noi non abbiamo mai smesso di calcolare il tempo, anzi, lo facciamo ancora più meticolosamente di prima: gli orologi continuano a funzionare e probabilmente non sono mai stati curati e osservati bene come in questi ultimi anni.
Continuare a contare i minuti e le ore che sarebbero passati se non fosse successo nulla ci tiene aggrappati a quello che eravamo, altrimenti rischieremmo di perdere noi stessi nelle pieghe di questa eternità sempre tutta uguale. Senza luna, stelle e sole abbiamo più che mai bisogno di punti di riferimento.»
«Mi dispiace, Axel. Mi dispiace per tutto quello che avete dovuto passare tu e la tua gente», sono le uniche parole che riesco a pronunciare dopo aver finalmente capito.
Lui annuisce, cupo e triste come nel momento in cui l'ho conosciuto, gli occhi di nuovo lucidi fissi su un punto indefinito: chissà quali ricordi stanno passando dietro ad essi in questo momento.
Io lo so, io lo sento che Axel quel giorno non ha perso solamente i suoi poteri: se fosse così non soffrirebbe ancora così tanto, se fosse così sarebbe rimasto a Yakamoz.
Una disperazione così profonda, tanto radicata in lui da essere visibile in ogni suo gesto ed espressione, di quale atrocità può essere il frutto? Da cosa sta scappando? Quali sono i demoni che lo perseguitano? E perché l'unica cosa che voglio in questo momento, a parte ritrovare Jeremy, è salvarlo da sé stesso e dal suo dolore?
«Per quanto riguarda la persona che è responsabile di tutto questo...» la sua voce quasi rotta mi strappa alle mie riflessioni, ma io non posso permettergli di farsi ancora del male, non dopo quello che ho capito su di lui.
«No, Axel. Basta. Mi dirai l'ultima parte della storia in un altro momento. Ora pensiamo solo a procedere e a raggiungere Yakamoz, ok?» lo interrompo decisa.
Lui mi guarda negli occhi riconoscente e con un cenno mi invita a riprendere il cammino.
Dopo qualche minuto però, parole fredde, taglienti, tanto cariche di odio da farmi raggelare il sangue escono ancora dalla bocca di Axel:
«In ogni caso non devi preoccuparti, quel bastardo è morto.»

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Capitolo 15
*** Traditrice ***


Jeremy
 
Ormai sono rinchiuso qui dentro da ore, mi sembra davvero di impazzire.
Certo, a pensarci bene poteva andarmi peggio: Anthemis avrebbe potuto decidere di rinchiudermi in una fredda cella con tanto di sbarre e catene, ma non l'ha fatto.
Ha invece preferito confinarmi in una camera da letto davvero graziosa, ma questa "gentilezza" nei miei confronti non toglie il fatto che io mi senta un topo in gabbia.
I primissimi minuti qui dentro li ho spesi a prendere a calci e pugni la massiccia porta di legno della stanza e a gridare di farmi uscire con quanto fiato avevo in corpo, ma senza ottenere risultati.
Non so per quanto tempo sono rimasto poi seduto a terra accovacciato contro il muro bianco di pietra, immobile, con una morsa attorno alla gola che non mi lasciava respirare; ero talmente angosciato da desiderare di cadere in un sonno profondo e di non risvegliarmi mai più, così da non sentire più nulla.
Solo la porta che finalmente si apriva e l'ingresso di due ragazze che portavano delle grandi brocche è stato capace di destarmi dal mio torpore: erano domestiche mandate da Anthemis.
Quelle mi hanno osservato curiose per qualche istante, poi hanno riempito di acqua calda la vasca posizionata in un angolo della camera blaterando qualcosa sul fatto che, quando il tempo scorreva ancora, avevano pure in quel mondo l'acqua corrente nelle case; mi hanno consegnato infine asciugamani, sapone e vestiti puliti prima di lasciarmi nuovamente solo.
Dopo essermi fatto il bagno e aver ripreso un minimo di lucidità e autocontrollo, ho cominciato a pensare se ci fosse un qualche modo per poter fuggire da questa gabbia dorata: mi sono affacciato alla finestra rotonda della stanza, ma questa è posizionata troppo in alto per poter uscire da lì, fuori dalla porta poi è appostato Fagus quindi sarebbe inutile provare a scassinarla.
Perse le speranze mi sono allora steso sul letto a baldacchino in ferro battuto e dai tendaggi e dalle coperte azzurre per cercare di riposare almeno un po' e da lì non mi sono più mosso.
Sinceramente ora non so più se sperare che Emma venga trovata dalle guardie di Anthemis: se andasse così cosa ne sarà di noi? Rimarremo rinchiusi qui per sempre? E se invece finisse nelle grinfie di qualcuno della notte? Cosa sarebbe meglio per lei?
E in tutto questo cosa c'entrano mamma, papà e la storia della nostra nascita?
I miei genitori davvero raggiunsero questo mondo? Sì, questa è l'unica spiegazione.
Ecco il mondo di cui parlavano i nonni l'altra notte, quello che mia madre non riteneva troppo pericoloso per noi!
Il resto del ragionamento mi esplode in testa con una tale forza da farmi balzare in piedi, sprizzando gioia e speranza da tutti pori: i nonni erano a conoscenza di quest'altro mondo! Loro sapevano! Loro sapevano!
Se i miei genitori fossero rimasti bloccati qui come me ed Emma non avrebbero mai potuto rivelarlo ai nonni, dunque una via d'uscita per i di Fuori deve esserci per forza!
Loro poi desideravano che io ed Emma vedessimo con i nostri occhi questo luogo, facendo addirittura promettere ai nonni di mandarci qui ad un certo punto della nostra vita: non l'avrebbero mai fatto sapendo che così facendo ci avrebbero intrappolati qui per sempre senza darci la possibilità di scegliere da quale parte dell'Arcata vivere!
Il sorriso stampato sulle mie labbra grazie alla conclusione a cui sono arrivato si spegne però ben presto non appena vedo una chioma rossa fare capolino nella stanza, il solito ghigno arrogante sulla faccia.
«Abies, santo cielo, che cosa vuoi ancora?»  dico esasperato incrociando le braccia.
«Non ti è bastato il trattamento che mi hai riservato prima?»
«Sai com'è, nonostante io ti avessi messo in guardia mi hanno riferito che la tua faccia nel momento in cui Anthemis ti faceva rinchiudere è stata da sbellicarsi, mi dispiace davvero essermela persa!»  mi prende in giro beffardo, cominciando a ridere.
«Cosa pensavi? Che dopo l'ultima volta Anthemis avrebbe organizzato un banchetto in onore del tuo arrivo? Dovevi rimanertene a casa, non vagabondare in luoghi da cui i di Fuori dovrebbero stare alla larga!»  mi attacca poi tornando serio e in tono decisamente aggressivo.
«Avevi già espresso prima la tua opinione sul mio conto, non serviva che tu salissi fin quassù per sbattermela in faccia di nuovo, ok? E non ho deciso io di scoprire quest'altro mondo, avevo tutto quello che desideravo anche nell'altro, è successo e basta! Puoi avere anche vent'anni più di me, ma ne dimostri la metà, Abies!» ribatto, ma mi rendo subito conto che le parole che ho pronunciato non sono completamente aderenti alla realtà: a me mancava qualcosa a casa, un pezzo del mio passato; inoltre non è stato assolutamente un caso capitare qui.
Stavolta però non sono proprio riuscito a mandare giù e a passare sopra alle sue parole offensive, dovevo pur dire qualcosa per difendermi!
«Ti posso garantire che non sarei qui se non mi fosse stato ordinato da Anthemis, sporco di Fuori. E non credo che tu sia nella posizione di usare quel tono: io ho tutto il diritto di avercela con quelli come te!» mi risponde freddo.
«Cos'è successo l'ultima volta, Abies? Chi era il di Fuori che vi ha traditi?» cerco di passare oltre al suo atteggiamento con delle domande che potrebbero tornarmi utili.
«Per mia sfortuna Anthemis ha mandato proprio me a raccontartelo. Con tutte le guardie che ha a disposizione poi non capisco proprio perché lo debba fare proprio io.»
«Per quanto la cosa mi renda assai perplesso, Anthemis ha affermato che tu sei la sua guardia di maggior fiducia. Sarà per questo», dico freddamente.
«Se fosse stato per me ti avrei tenuto all'oscuro di tutto, non avrei mai permesso che un altro di Fuori conoscesse così tante informazioni sul nostro conto, ma qui è Anthemis a dare gli ordini e io mi fido di lei.»
«Magari pensa che conoscendo cosa accadde mi passi la voglia di tradirvi pure io, anche se ve lo meritereste proprio dopo il modo in cui mi avete trattato.»
«Non ti daremo l'opportunità di farlo, di questo puoi essere sicuro», sibila lui, gli occhi ormai ridotti a due fessure.
«Avanti, dimmi cosa successe», insisto.
Così, la guardia non attende oltre e inizia a sbattermi in faccia la storia del tradimento del mio "collega":
«Una ragazza ficcanaso, ecco chi era. Al posto di farsi gli affaracci suoi nel vostro mondo ha pensato bene di andarsene in giro per la Foresta di Boundary e di oltrepassare l'Arcata.»
«Una ragazza?»
«Sì, purtroppo... Dal momento che non poteva tornare nel Mondo di Fuori per via del fatto che portava in sé entrambi gli elementi, Anthemis e suo marito Corylus la accolsero in casa loro fin da quando loro figlio, Ophrys, la portò qui dopo averla raccolta svenuta accanto all'Arcata. Una di Fuori! Ancora oggi non mi spiego come Corylus abbia potuto permettere una cosa del genere!»
Mentre Abies racconta, io mi sento sbiancare. Un presentimento si fa strada nella mia testa, ma prima di trarre conclusioni affrettate voglio aspettare la fine della storia.
«Cosa accadde poi?»  chiedo sempre più teso.
«Alla maledetta non bastò di approfittarsi della bontà del Guardiano e di sua moglie, ma arrivò perfino a sedurre Ophrys: dopo pochi mesi lui la voleva già sposare!» continua Abies sempre più scuro in volto e con i pugni serrati, per chissà quale motivo chiaramente alterato e rabbioso nel ricordare i fatti che sta esponendo.
«Anthemis e Corylus accettarono per amore di loro figlio, ma ovviamente per unirsi al futuro Guardiano di Komorebi la di Fuori doveva diventare a tutti gli effetti una di noi, doveva compiere il rito ed entrare a far parte della Gente del Giorno.  Lei accettò felice: diceva di amare questo mondo, di sentirlo come la sua vera casa, il luogo a cui era destinata da sempre. Noi abbiamo millenni di storia alle spalle e lei, appena arrivata, pretendeva già di essere una nostra pari!»  dice critico il rosso sempre più infervorato.
«Venne preparata, istruita alla nostra cultura, tutto era pronto, ma la notte prima del rito, come c'era da aspettarsi, lei tradì tutti coloro che qui l'avevano accolta e ospitata per mesi, rivelando la sua vera natura.»
"Cosa fece di così terribile?" penso io preoccupato: se i miei sospetti fossero fondati, infatti, qualunque cosa sia mi distruggerebbe...
«Scappò a Yakamoz da quei maledetti mostri della notte e diventò una di loro, nonostante fosse a conoscenza di quanto quella Gente sia corrotta e divorata dall'oscurità. Abbandonò perfino Ophrys per loro, nonostante il sentimento che affermava di provare per lui.»
«Abbandonò il ragazzo che amava per andare a Yakamoz? Ma non ha senso!»  esclamo allora io non riuscendo a trattenermi.
Gli occhi castani di Abies sembrano quasi risvegliarsi all'udire di nuovo la mia voce: «Era una pazza, nient'altro che una pazza e una traditrice, da lei non ci si poteva aspettare niente di diverso», mi risponde tornando a guardarmi, veramente serio forse per la prima volta da quando l'ho conosciuto.
A questo punto non riesco più a trattenermi, devo sapere subito se quell'idea che mi ha sfiorato la mente sia vera oppure no.
«Abies, come si chiamava la di Fuori?»  trovo il coraggio di chiedere.
«Claire. Si chiamava Claire Baker.»
All'udire quel nome mi sento mancare. Questo non è possibile, non può essere vero. La mamma, la mia mamma, una traditrice.
No, deve esserci un'altra spiegazione; scegliere volontariamente di diventare una persona piena di sole tenebre, tradire chi l'aveva accolta e il ragazzo che amava... Com' è possibile? Perché? Tutte le mie poche certezze ora sono in pezzi: avevo sempre considerato la mamma la donna migliore del mondo. E comunque nostro padre si chiamava Aaron, non Ophrys...
«Beh, perché quella faccia sconvolta?»
«Non ho nessuna faccia sconvolta!»  mento cercando di dissimulare il mio stato d'animo.
In realtà sono così devastato dentro che mi chiedo come sia possibile parlare ancora con voce ferma, ma ci riesco, forse grazie al mio istinto di sopravvivenza: se davvero sono il figlio della donna che li ha traditi in maniera così spudorata è necessario che la mia identità resti nascosta, ovviamente.
«È stata lei a distruggere i Nuclei?» chiedo, ormai quasi sicuro del fatto che la faccenda andò proprio così; grazie al cielo però vengo prontamente smentito: Abies infatti scuote la testa con espressione infastidita.
«No, non è stata Claire a distruggere questo mondo. Il responsabile si chiamava Altair, che era perfino peggiore di lei.»
«Cosa accade esattamente? Chi era Altair?» chiedo allora io, temendo con tutto me stesso la risposta.
«Anthemis ti ha detto di avere avuto due figli, giusto?» riprende Abies lasciandomi interdetto.
«Sì, lo ha detto», gli rispondo, ma senza capire come questo possa centrare con Altair.
«Bene, non è vero: solo Ophrys era davvero figlio suo e di Corylus. Per quanto riguarda l'altro, non capisco come Anthemis possa considerare ancora suo figlio quel miserabile bastardo, quel falso mezzosangue, quel traditore... Avrebbe dovuto farlo morire di stenti nella foresta dove lo trovò in fasce!», mi risponde lui trasudando odio e risentimento da tutti i pori.
«Abies! Come puoi dire una cosa del genere?! Far morire un bambino!
«Quel bambino aveva una targhetta col nome al collo, stupido di Fuori. Quel bambino si chiamava Altair.»
«Cosa?!  È stato il figlio adottivo di Anthemis a distruggere i Nuclei? Quindi è stato un Diurno!»  chiedo sconvolto dopo parecchi secondi.
«Non dire scemenze! Altair era un Notturno!»
«E Anthemis lo adottò ugualmente?»
«Credeva fosse un mezzosangue, il bastardo di qualche Diurna che se l'era spassata nei pressi di Yakamoz. Altair stesso credeva di esserlo inizialmente, a sedici anni però comprese la sua vera natura. Decise di nasconderla, di spacciarsi ancora per mezzosangue e di continuare a vivere a Komorebi come se nulla fosse, fingendo di non voler compiere il rito per diventare un Diurno perché non si sentiva pronto. Quel bastardo in realtà ogni notte scappava a Yakamoz dai suoi simili.  Fu Ophrys a scoprire la verità su quell'animale che chiamava fratello, così da quel giorno Altair se ne rimase a Yakamoz, il suo giusto posto, assieme alla di Fuori che aveva aiutato a scappare.»
«E cosa successe poi a Ophrys e Claire?» trovo la forza di chiedere, ormai nauseato da tutta questa storia.
«Ophrys...» inizia, ma improvvisamente tutto in Abies sembra cambiare quando pronuncia ancora il nome del figlio di Anthemis e Corylus: l'odio, la rabbia, l'arroganza, tutto sembra sparire dai suoi lineamenti per lasciare il posto ad un'espressione a metà strada tra il dolore e la nostalgia.
Ma dura poco: lui sembra accorgersi di aver calato troppo le difese e ricomincia a parlare riacquistando l'antipatica postura di prima, ma è troppo tardi: ormai ho visto chiaramente che quella non è che una facciata che nasconde ben altro.
"Possibile che Abies provasse qualcosa per Ophrys? Questo giustificherebbe l'odio così profondo che ancora nutre nei confronti di mia madre", penso un attimo prima che la guardia ricominci a parlare:
«Ophrys nonostante tutto rimase sempre innamorato della di Fuori, per cui il giorno della battaglia tra Yakamoz e Komorebi, lo stesso in cui Altair tradì anche la Gente della Notte distruggendo i Nuclei, lui disubbidì a suo padre e la raggiunse a Yakamoz per proteggerla. Fu uno sconsiderato...» il silenzio che segue queste parole è ancora una volta eloquente. Sì, credo che la mia teoria sia corretta.
Dopo qualche istante il rosso trova finalmente la forza di concludere quello che stava dicendo, dando così il colpo di grazia sia a sé stesso che a me:
«Ophrys e Claire furono trovati entrambi morti vicino al Confine dopo la battaglia, probabilmente uccisi per mano dello stesso Altair che, dopo aver distrutto i Nuclei, li aveva raggiunti: anche il corpo di quel mostro fu trovato nelle vicinanze, ma non si seppe mai chi lo uccise», conclude velocemente, evitando di guardarmi.
Per quanto si sforzi, infatti, ormai non è rimasto più nulla dell'Abies arrogante e antipatico di prima, e lui lo sa bene: parlare della morte della persona amata deve essere devastante, per chiunque.
«Cioè, fammi capire: Altair oltre ad aver mentito alla sua famiglia adottiva, oltre ad aver portato alla rovina tutto il suo mondo, ha anche ucciso suo fratello e la donna che amava? Che razza di persona farebbe questo?!» sussurro mentre una lacrima prende a solcare la mia guancia.
Non so cosa spinse mia madre a fare quello che fece, ma morire assassinata... Anche se sono anni che voglio sapere la verità, questa fa troppo male.
«Di che ti stupisci? Altair ha ucciso anche Corylus, l'uomo che aveva avuto il coraggio di chiamare padre, e ha ucciso Deneb, il vecchio Guardano della Notte che gli aveva insegnato ad essere un Notturno, l'uomo dal quale si recava di nascosto tutte le notti, l'uomo a cui tutti pensavamo che Altair fosse davvero fedele dopo aver saputo del suo doppio gioco. Non ha tradito solo la Gente del Giorno come avrebbe fatto un Notturno qualunque, ha tradito tutto questo mondo. Tutti i membri della Gente della Notte sono esseri senza il minimo freno, senza principi, senz'anima; loro vivono di buio, di freddo, di odio e di sangue: così li rende l'assenza della luce dalle loro vite, nessuno escluso. Altair fu semplicemente il più spietato membro che la Gente della Notte abbia mai conosciuto», conclude Abies prima di uscire sbattendo la porta, senza difese per la prima volta dopo anni, troppo scoperto per poter sopportare di rimanere ancora.

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Capitolo 16
*** Ultima notte ***


Emma
 
Un grande e profondo lago dalle acque fredde e spente come il cielo che riflettono è quello che vedo quando io e Axel emergiamo in una grande e suggestiva radura dalla forma ovale, completamente circondata da alberi.
Oltre ad esso, davanti a noi, scure montagne e picchi ghiacciati incombono all'orizzonte, immobili ed eterni come ogni cosa.
Anche le acque del lago sono ferme: non un'increspatura ne scalfisce la superficie piatta e liscia, non un'onda arriva sospinta dal vento sulla riva sassosa.
Il cielo qui mi esplode negli occhi, immenso, finalmente sgombro da quei rami attraverso i quali sono stata costretta a vederlo negli ultimi giorni: non ci sono nuvole in esso, solo un colore piatto e continuo che sembra come risucchiarti a guardarlo troppo: nulla interrompe la sua eterna e grigiazzurra uniformità.
Nonostante lo stato in cui riversa a causa dell'assenza del tempo, nonostante il grigiore e la penombra, questo luogo mi piace davvero tanto: anzi, forse è proprio questa particolare condizione a renderlo tanto suggestivo.
Sono passati sei giorni, almeno secondo gli orologi, dal mio arrivo in questo mondo.
Dal momento che con una piccolissima deviazione avremmo finalmente potuto dormire in un letto vero e riposarci un po', Axel mi ha portata qui; nelle vicinanze dovrebbe esserci la casa di un suo conoscente, un Notturno che come lui aveva deciso di non vivere più a Yakamoz: a differenza del mio salvatore però la decisione era arrivata ben prima della distruzione dei Nuclei.
Axel in questi giorni mi ha spiegato che tendenzialmente tutti coloro che fanno parte della Gente della Notte sono schivi e solitari, sono persone che amano il silenzio, la riflessione, il mistero. Sono persone che vivono dei loro sentimenti ed emozioni, persone che, fino a quando fu possibile, riuscivano a trovare sé stesse solo nel buio della notte e nei sentieri tracciati per loro dalla luce della luna.
Per questo motivo molti tra loro si sentono a disagio nel vivere in una città, anche se piena di gente simile che condivide la loro stessa visione del mondo. Hamal è uno di questi.
«Guarda, la sua casa è laggiù», dice Axel indicandomi una piccola costruzione affacciata sul lago poco più avanti, in pietra scura e dal tetto in legno.
È una casa davvero graziosa in un luogo meraviglioso: quasi lo invidio questo Hamal.
Una volta arrivati davanti alla sua porta Axel bussa rumorosamente.
«Hamal! Sono Axel! Apri!»
Pochi istanti dopo fa capolino da dietro il portoncino in legno un vecchietto canuto e mingherlino, dal naso adunco e dai profondi occhi neri; un'espressione sorpresa dipinge il suo volto non appena riconosce Axel, ma poi sorride.
«Axel, ragazzo mio! Che sorpresa!» dice uscendo di casa e dandogli qualche debole ma affettuosa pacca sulla spalla.
«Come stai? È da un po' che non passi a trovarmi!»
«Sto come sempre, Hamal, grazie. Come puoi vedere non sono venuto solo stavolta», risponde Axel indicandomi al vecchio con un cenno del capo.
«Mi chiedevo se potessi ospitarci per una notte, Emma è molto stanca e un letto le farebbe comodo.»
Hamal allora si volta subito verso di me, curioso, stringendo gli occhi come per mettermi a fuoco meglio; quando comprende che evidentemente sono una di Fuori si porta una mano alla bocca e fa un passo indietro dalla sorpresa.
«Axel, ma dove l'hai trovata?»
«Mi ha trovata sulla Lunga Strada, Hamal. Io e mio fratello abbiamo inavvertitamente varcato il vostro Confine e ci siamo divisi per via del portale. Axel mi sta portando a Yakamoz, lì potranno aiutarmi a ritrovarlo, spero», rispondo io stessa: non mi piace che la gente parli di me come se io non fossi presente.
Lo sguardo di Hamal subito si addolcisce, poi lui si avvicina sorridendo:
«Per me allora sarà un piacere accogliervi in casa mia! Potete rimanere quanto volete!» afferma convinto.
«Grazie Hamal, una notte basterà», gli risponde Axel, grato.
Il vecchio si dirige allora verso casa sua facendoci cenno di entrare.
L'interno è ordinato e pulito, arredato con estrema semplicità: un camino, un tavolo di legno, qualche sedia e tappeto; una delle pareti è ricoperta da atlanti celesti e su di una mensola, tra gli altri oggetti, spicca un vecchio telescopio impolverato.
Mi si stringe il cuore al pensiero che quel piccolo oggetto non potrà mai più adempiere alla sua funzione... Probabilmente Hamal lo conserverà come una reliquia per tutta l'eternità, fino a quando non deciderà di aver vissuto abbastanza e di non poter più sopportare di non poterlo utilizzare. È terribile anche solo pensarci.
E tutto questo per la follia di una persona soltanto...
 
***
 
Dopo essermi lavata con dell'acqua portata dal lago e fatta bollire sul camino mi sento molto meglio; Hamal è stato così gentile da regalarmi anche degli indumenti puliti appartenenti a sua figlia: lei li ha lasciati qui l'ultima volta che è venuta a fargli visita da Yakamoz, ma Hamal mi ha assicurato che anche lei sarebbe stata d'accordo.
Uscendo dalla porta del piccolo bagno ancora con i capelli bagnati mi imbatto in Axel, che evidentemente sta aspettando il suo turno per darsi una rinfrescata; è appoggiato alla parete con le braccia incrociate, serio, pensando a chissà che cosa.
Quando si accorge di me stacca gli occhi da terra e mi sorride, facendomi bloccare il respiro per un lungo istante e facendomi arrossire.
Dopo avergli confermato di aver finito con il bagno mi volto e scendo velocemente la ripida scala con un involontario sorriso che non riesco proprio a togliermi dal viso: è incredibile l'influenza che quel ragazzo ha su di me.
Giunta al piano terra ringrazio nuovamente Hamal per la sua ospitalità ed esco: sento infatti il bisogno di stare un po' da sola; in silenzio mi incammino così lungo la riva del lago facendo scricchiolare i ciottoli sotto ai miei piedi e tenendo lo sguardo all'orizzonte.
All'improvviso però, tra un pensiero e l'altro, mi sembra quasi di essere sopraffatta dalle mie stesse emozioni: in questi giorni ho subito talmente tanti sconvolgimenti, talmente tanti stimoli diversi... Ogni scoperta che ho fatto mi ha aperto dentro un abisso di pensieri e sensazioni diverse e contrastanti tra loro.
C'è così tanto caos dentro di me in questo momento che non so proprio come gestirlo; in genere ce la faccio, ma stavolta è diverso, stavolta c'è molto di più... Preoccupazione per Jeremy, euforia per la scoperta di questo mondo sofferente ma tuttavia ancora bellissimo, incredulità e dolore al pensiero che quasi certamente non rivedrò mai più i nonni, disagio al pensiero di tutte le cose che ho lasciato a metà a casa: la scuola, gli amici, la mia stessa vita.
Ma poi c'è anche la consapevolezza che questo mondo in fin dei conti lo sento già un po' mio: è davvero simile al mondo perfetto che amavo immaginare per scappare dalla realtà che conoscevo e che non ho mai imparato ad apprezzare ed accettare fino in fondo.
Devo essere sincera con me stessa, io nel Mondo di Fuori mi sono sempre sentita sbagliata, diversa, fuori posto, un tassello sbagliato nel fitto puzzle che componeva un'immagine in cui non mi sono mai riconosciuta. Qui, forse per la prima volta nella mia vita, mi sento nel posto giusto invece.
So di non aver ancora visto nulla, so di non sapere ancora troppe cose, ma io non mi sono mai sentita così. È un qual cosa che esula dalla razionalità.
Dopo tutto non sono sempre io? Io che ogni notte sognavo di risvegliarmi il mattino successivo in una realtà più aderente ai miei principi? Non sono sempre io quella che puntualmente veniva delusa ogni giorno?
Ora è successo, mi sono davvero risvegliata in un altro mondo, un mondo fin troppo simile a quello dei miei desideri, dunque perché mi stupisco di quanto in fondo io qui mi senta a mio agio? Qui è tutto come dovrebbe essere...
Certo, avrei preferito arrivare qui quando ancora il giorno e la notte esistevano ancora: come farò a sopravvivere un'intera eternità senza la mia luna e le mie stelle?
Beh, dopotutto ce la sta facendo anche la Gente della Notte, e se ci riescono coloro per i quali la notte era tutto, perché non dovrei riuscirci io?
Con un nodo a serrarmi la gola mi lascio cadere a terra a pochi centimetri dalla riva; distrattamente immergo le dita nell'acqua grigia, creando cerchi e increspature sulla superfice del lago, simile ad un'enorme distesa di mercurio.
«Ti disturbo?» chiede improvvisamente una voce alle mie spalle.
«Certo che no, Axel, non potresti mai disturbarmi», gli rispondo voltandomi verso di lui, vergognandomi un po' della mia voce leggermente tremolante.
Ora che è qui con me già mi sento più serena rispetto a qualche istante fa: lui mi fa questo effetto, riesce a darmi speranza e sicurezza anche quando esse sembrano solo un'utopia. Penso che senza di lui sarei già crollata durante tutto questo tempo senza avere notizie di Jeremy.
Devo ammettere che Axel ha su di me uno strano ascendente: c'è qualcosa in lui che non riesco a definire con certezza, un qualcosa di nascosto nel suo sguardo, o forse nei suoi rari sorrisi, che mi piace più del dovuto, più di quanto vorrei ammettere.
Accanto a lui mi sento sempre su di giri, sempre inquieta, ma in senso positivo. Della sua compagnia non mi stanco mai, a differenza di quella di molte altre persone che ho conosciuto nel mio mondo, né mai mi stanco di parlare con lui.
È una sensazione così strana e bella... Io sono strana con lui, quasi non mi riconosco più.
Forse sto solo fantasticando, forse la mia psiche è semplicemente aggrovigliata e confusa per via di tutto ciò che sto vivendo, incubo e sogno nello stesso tempo, e lui non c'entra proprio nulla. Non lo so.
«Vorrei poter rivedere le mie stelle un'ultima volta, Axel. Non ho potuto nemmeno dire loro addio...» gli confesso dopo un po' guardando le montagne davanti a noi mentre lui si siede al mio fianco, tacendo i mille altri motivi per cui sono così turbata.
«Se solo avessi saputo che quella sarebbe stata l'ultima notte della mia vita avrei fatto le cose in maniera diversa. Sai, non avevo mai concepito l'idea che un giorno mi sarebbe stata strappata via quella che consideravo la mia ricchezza, quella ricchezza che mai nessuno avrebbe potuto togliermi», continuo.
«Chiudi gli occhi», mi ordina lui senza distogliere lo sguardo dall'orizzonte.
«Perché?» gli chiedo curiosa.
«Fidati di me», dice lui tornando a guardarmi e avvicinandosi pericolosamente.
«Così», continua posizionandosi dietro di me e coprendomi gli occhi con le sue mani.
Io mi immobilizzo e quasi tremo per quest'insolita ed inaspettata vicinanza, sorprendendomi del fatto che ora sono le sue mani a sfiorare il mio viso.
Il cuore comincia a battermi forte ma non mi faccio domande, anzi, smetto di pensare e mi lascio trasportare dalle sue parole sussurrate a pochi centimetri dal mio orecchio, appoggiando la schiena al suo petto come se fosse la cosa più naturale del mondo.
«La notte non esiste più, questo è vero, Emma, ma tu falla comparire nella tua mente: immagina questo luogo non come l'hai conosciuto qualche ora fa, ma con gli occhi che hai dentro. Guarda l'oscurità che ti circonda, le miriadi di stelle sopra di te, il loro riflesso sull'acqua del lago. Lasciati guidare da loro, Emma, dalle stelle che sanno ogni cosa, e dimentica tutto il resto. Ammira la pallida luce della luna che inargenta la roccia dei monti e la linea dell'orizzonte, guarda come proietta al suolo le ombre degli alberi, come impreziosisce il cielo, come lasci vedere solo le cose fondamentali lasciando coprire dal buio tutto ciò che è superfluo e tutto ciò che mai dovrebbe essere conosciuto. Riesci a vedere tutto questo?»
«Lo vedo...»
«Allora la notte di cui mi hai parlato non è stata l'ultima della tua vita. Io ho assistito al momento in cui le stelle sono state strappate via dal cielo, Emma. Io c'ero. Oltre a tutto il resto anche io ho perso la notte quel giorno, tuttavia so che quando voglio posso chiudere gli occhi e riviverla ancora e ancora. Forse è stato proprio questo a salvarmi», conclude scoprendomi gli occhi e riportandomi, ahimè, alla realtà.
Ho il viso bagnato di lacrime.
«Grazie Axel», gli dico asciugandomi il viso mentre lui torna a sedersi accanto a me passandosi una mano tra i capelli neri.
«Il potere della fantasia è grande», affermo cercando di ricompormi.
«Sì, la fantasia ha il potere di portarci lontano, di farci dimenticare per un attimo dove ci troviamo, ciò che abbiamo fatto e ciò di cui ci pentiamo, tutto ciò che non va nella nostra vita. È una magra consolazione, lo so, ma è pur sempre qualcosa», dice il Notturno accanto a me alzando le spalle e facendomi meravigliare.
«Nella tua vita c'è qualcosa di cui ti penti, Axel?» gli chiedo allora guardandolo negli occhi, i quali però fuggono subito lontano dai miei verso l'altra sponda del lago, come ogni volta in cui gli chiedo qualcosa sulla sua vita precedente alla distruzione dei Nuclei.
«Oh Emma, non puoi neanche immaginare quante siano le cose di cui mi pento...» inizia a dire lui aprendosi per la prima volta da quando lo conosco, ma all'improvviso sentiamo un rumore, delle voci provenienti dalla foresta alle nostre spalle, così, come risvegliandoci da un incantesimo, scattiamo in piedi.
Axel sembra aver attivato la modalità segugio: sta all'erta per cercare di captare il minimo movimento sospetto.
Non capisco, di cosa può avere paura? Improvvisamente mi afferra la mano di scatto e inizia a correre verso la casa di Hamal, trascinandomi con lui.
«Axel, perché corri? Qual è il pericolo?» gli chiedo facendo fatica a stargli dietro.
«Hamal, arrivano guardie da Komorebi, coprici!» dice lui non appena entriamo in casa richiudendo subito la porta alle nostre spalle.
«Certo, voi entrate qui e non fiatate!» risponde deciso il vecchio dopo pochi secondi di stupore, indicandoci una porticina poco visibile perché nascosta dalla scala che porta al piano superiore.
«Axel, che succede? Perché dobbiamo nasconderci?»
«Emma, ti fidi di me?» mi chiede lui afferrandomi per le spalle e guardandomi negli occhi, serio.
«Certo, ma...»
«Bene, ascolta: qualunque cosa diranno quelle guardie tu non devi venire allo scoperto, ok? Ti spiegherò ogni cosa non appena se ne andranno, promesso.»
Io annuisco e subito lui mi trascina con sé nello stanzino indicatoci da Hamal, il quale fa appena in tempo a socchiudere la porta che ci tiene nascosti prima di sentire bussare fragorosamente.
Lo stanzino è talmente stretto che mi ritrovo di nuovo addosso ad Axel, che è alle mie spalle e mi tiene stretta a sé con entrambe le braccia; sento il suo respiro sfiorarmi i capelli e il suo cuore battere all'impazzata contro la mia schiena: deve essere perfino più agitato di quello che sembra.
«Aprite! Veniamo per ordine di Anthemis di Komorebi!» sentiamo dire dall'esterno.
Hamal rivolge un ultimo sguardo alla porta dello stanzino per controllare che tutto sia in ordine, poi apre la porta.
Non riesco a vedere le persone che entrano in casa, ma posso sentire ogni cosa:
«Identificati, vecchio» inizia una voce che sembra appartenere ad un ragazzo giovane.
«Mi chiamo Hamal. Gente della Notte. Sono curioso, cosa potrebbe mai volere da me la Guardiana della Città del Giorno?»
«Stiamo cercando una di Fuori che si è introdotta nel nostro mondo sei giorni fa assieme al fratello. Lui è già sotto la nostra custodia, come è giusto che sia, l'altra la dobbiamo portare a Komorebi per questioni di sicurezza. Tu hai visto niente di insolito da queste parti?»
A queste parole per poco non ho un mancamento: hanno trovato Jeremy! Vuol dire che sta bene! Un sollievo così penso di non averlo mai provato in vita mia, mi sembra di aver imparato solo adesso a respirare.
«Una di Fuori? Un'altra?! Certo che questo mondo sta andando definitivamente a rotoli! Non dovreste essere voi a controllare il Confine?»
"Ma se Jeremy è a Komorebi le guardie potrebbero portarmi da lui subito", penso, ma prima che io possa fare un solo movimento Axel mi stringe ancora di più, come se avesse intuito le mie intenzioni.
Anche se mi costa fatica rimango ferma e in silenzio: glielo ho promesso dopotutto, ma più tardi pretenderò da lui delle spiegazioni; se non altro adesso so dove si trova mio fratello con esattezza.
«Non sono cose che ti riguardano, vecchio. Avanti, sputa il rospo, ci devi segnalare qualcosa?»
«Assolutamente nulla. Di qui non è passato proprio nessuno.»
«Allora non ti dispiacerà se diamo un’occhiata alla casa.»
«Fate pure, non ho nulla da nascondere, ma non credete che io non sappia che questo è abuso di potere: io non sono tenuto a rispettare né le volontà di Anthemis né quella di nessun Diurno. Potete stare certi che la Guardiana Alhena ne sarà informata.»
«Le tue minacce non ci toccano», ribatte la guardia prima di salire le scale con i compagni.
Io e Axel rimaniamo col fiato sospeso finché anche l'ultima guardia non termina di far scricchiolare la scala sotto il suo peso; dieci minuti dopo riscendono confermando che è tutto in ordine.
Un attimo prima che quelle si congedino, però, Hamal parla di nuovo:
«Vedete di non farvi scappare anche questo, mi raccomando», dice in tono di scherno.
«Nessun altro di Fuori verrà mai più trattato da ospite a Komorebi, puoi starne certo, vecchio. Il ragazzo è un nostro prigioniero, così come lo sarà la sorella non appena la troveremo», conclude la guardia prima di uscire sbattendo la porta.
Cosa? Prigioniero?! Mio fratello un prigioniero...
Qualche minuto dopo l'uscita delle guardie di Komorebi, Hamal ci lascia uscire.
«Via libera, ragazzi.»
«Axel, perché lo tengono prigioniero? Tu lo sai?» assalgo il mio due volte salvatore non appena usciamo, agitata come non mai.
«Ricordi quando ti ho parlato della prima di Fuori che giunse qui?» comincia lui, forse un po' incerto.
«Era una donna?» esclamo sorpresa.
«Sì comunque, me lo ricordo.»
«Lei abbandonò Komorebi per diventare una di noi, una Notturna. Questo non andò mai giù alla Gente del Giorno, che la considera tutt'oggi una traditrice.»
«Perché? Una persona che ne avesse avuto la possibilità non poteva decidere liberamente a quale Gente unirsi?» chiedo perplessa.
«Normalmente sì, Emma», interviene Hamal, «ma se sei una di Fuori e per di più la fidanzata dell'erede del Guardiano del Giorno e scappi di nascosto da palazzo per unirti alla Gente della Notte, beh, questo non fu esattamente visto di buon'occhio.»
«Evidentemente Anthemis non vuole rischiare di commettere lo stesso errore di giudizio un'altra volta», aggiunge Axel.
«Lo tengono imprigionato perché pensano che anche lui essendo un di Fuori li tradisca?! È per questo?! Ma non ha il minimo senso... Axel, dobbiamo liberarlo, subito, chissà cosa gli stanno facendo passare!»
«Emma, calmati! Anthemis è una brava persona, non potrebbe mai fare del male a tuo fratello, sono sicuro di questo», cerca di tranquillizzarmi Axel.
«Probabilmente gli impediscono solamente di uscire e di circolare liberamente!»
«E tu come puoi saperlo?» ribatto quasi esasperata.
«Tu non fai parte della Gente del Giorno!»
Lui tace per qualche secondo, ma poi mi risponde:
«Tutti sanno che Anthemis è una Guardiana onesta e corretta, anche Hamal può confermartelo!»
«Ha ragione lui, Emma. Anthemis non è una persona che sbatterebbe qualcuno in una cella senza che questa abbia commesso una colpa», conferma il diretto interessato.
«Axel», comincio più calma dopo qualche attimo speso a cercare di tornare in me: «io lo so che tu non mi devi niente, so di non avere il minimo diritto di chiederti questo, anzi, mi rendo conto di star approfittando della tua gentilezza e della tua bontà, ma ti prego... Ti chiedo di aiutarmi a liberare Jeremy, in qualunque modo. So di non essere nessuno per te, solo una ragazzina sbucata fuori all'improvviso, ma se vorrai aiutarmi te ne sarei debitrice a vita, anzi, per tutta l'eternità.»
Lui a questa mia richiesta si blocca, ma senza smettere di guardarmi negli occhi; non so per quanto tempo restiamo immobili così, a fissarci, lui a riflettere se accettare o meno, io a morire dall'angoscia e dalla speranza.
L'espressione di Axel è seria, ma tradisce anche qualcosa di più: è come se la sua mente e il suo cuore lo stessero tirando in direzioni opposte, lasciandolo confuso su quale dei suoi due istinti ascoltare; vedo il dubbio passare sul suo viso, lo vedo vagliare tutte le conseguenze che ci sarebbero se lui decidesse di accettare.
All'improvviso però il suo sguardo cambia: è deciso e risoluto ora.
«Ti aiuterò, Emma. Credo di poter riuscire a tirarlo fuori da lì.»
Un attimo dopo, sono tra le sue braccia:
«Grazie Axel, grazie!» cerco di mostrargli la mia gratitudine stringendolo in un abbraccio che non avevo minimamente programmato.
«Non dire mai più di essere solo una ragazzina sbucata dal nulla, Emma, non dirlo mai più», mi sussurra lui stringendomi a sua volta.

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Capitolo 17
*** Una candela nel buio ***


Axel
 
Dopo diciassette anni, luce.
Io non so come questo sia possibile, non riesco a spiegarmelo in nessuna maniera, ma sta accadendo: il dolore non è più l'unica cosa che sento.
C'è anche qualcos' altro ora dentro di me, non so di cosa si tratti di preciso, ma c'è... Una sensazione che conosco, ma di cui non ricordo più il nome.
Tutto è iniziato quando mi sono ritrovato Emma davanti: sola, disorientata, scioccata, ma ancora abbastanza lucida da non lasciarsi prendere dal panico, coraggiosa a tal punto da sfidare l'ignoto pur di raggiungere una persona che amava.
Sarebbe una Notturna perfetta, l'ho capito dal primo momento in cui l'ho vista.
Nell'attimo stesso in cui mi sono reso conto di cosa stavano vedendo i miei occhi mi ha attraversato come una scossa: shock, incredulità, panico, tutto questo insieme mi ha spiazzato, abituato come sono a non sentire mai nulla di diverso dal dolore.
Da quel momento Emma è stata per me una candela accesa nell'oscurità, la prima dopo più di un decennio.
Ho vagato senza una meta per tanto di quel tempo, sempre circondato solamente da buio... Ma non il buio della notte: a quello ci sarei stato abituato, quello mi avrebbe dato conforto. Le tenebre dell'anima sono molto, molto più profonde.
La notte non è in alcun modo assenza di luce, questo è uno dei capisaldi dell'ideologia della Gente della Notte a differenza di quanto credono i Diurni, ma le tenebre che ho vissuto io... Quelle sì che sono assenza totale di luce. E sono terribili.
Emma con la sua luce è riuscita a rischiararle di un poco.
Finalmente ho di nuovo uno scopo, qualcosa di buono da poter fare per qualcuno. Ma Emma non è solo qualcuno, lei è diventata all'improvviso la cosa più preziosa che ho.
Forse è perché dopo anni grazie a lei non sono più solo, grazie a lei ho qualcuno che mi rivolge dei sorrisi, grazie a lei sono tornato a ridere.
Ridere.
Pensavo di essermi dimenticato come si facesse.
Non che la sofferenza si stia attenuando, questo no, sarebbe impossibile e anche sbagliato, però grazie a lei ora non ho più solo quella come compagnia.
Ma io mi merito un simile regalo dalla vita? Mi merito di ridere, io?
Quello che ho fatto... Quello che ho fatto non cambia.
Non conta il fatto che quella fosse l'unica cosa necessaria da fare, non importa se con quel gesto io abbia salvato altre vite, io l'ho fatto e per questo merito che il mio dolore assorbisca in sé tutto ciò che sono, questo non lo devo mai dimenticare.
Eppure adesso... Adesso ho solo voglia di essere di nuovo Axel, solamente Axel, giusto o sbagliato che sia.

Note:
Ciao a tutti! Scusate per il capitolo più corto del solito ma mi sembrava bello inserire anche un primo assaggio dei pensieri di Axel, senza però svelare troppo (per il momento.) Colgo l'occasione poi per ringraziare tutti coloro che stanno seguendo la storia e che sono arrivati fino a qui. Se vi va fatemi sapere cosa ne pensate, per me sarebbe importante conoscere le vostre opinioni! Un saluto!

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Capitolo 18
*** Il tempo del dolore e del sospetto ***


Jeremy
 
Dopo cinque infiniti giorni rinchiuso tra le solite quattro pareti, finalmente posso uscire.
Non che mi abbiano ridato la libertà, questo no, semplicemente Fagus mi sta scortando da Anthemis dal momento che questa mi ha mandato a chiamare. Per cosa poi, non mi è dato saperlo.
Che si tratti di Emma? Ho così tanta voglia di vederla, sapere come sta... Quest'ansia per lei mi sta uccidendo.
Ma se dovessero davvero averla trovata questo significherebbe che, come me, ora anche lei non è più libera e io non voglio questo per lei.  Ma d'altra parte cosa potrebbe mai fare in questo mondo sconosciuto da sola? Forse insieme riusciremmo a convincere Anthemis a riconsiderare la sua posizione in attesa di capire come tornare a casa.
Per raggiungere la Guardiana Fagus mi fa attraversare molte zone del palazzo, dandomi così la possibilità di esplorare meglio l'edificio da cui non esco da giorni.
L'impressione che ne ho è quella di un meraviglioso labirinto in cui nessun elemento si ripropone altrove uguale a un altro. Le pareti, mai realmente distinguibili dai soffitti, sono di opaca pietra bianca e non ce n'è una che risulti essere dritta, spigolosa o perpendicolare al pavimento: tutto è curvo, a onde sempre diverse, irregolare, come se i vari ambienti fossero stati scavati dal vento e dall'acqua nel cuore di una montagna bianca invece che costruiti dall'uomo.
È un continuo susseguirsi di passaggi stretti, corridoi ampi e ariosi, scale a chiocciola, stanzette minuscole dalle forme sempre diverse accanto a grandi sale aperte su terrazze affacciate sul mare, gradini e dislivelli, tutto senza la benché minima simmetria.
Splendidi e sottili arazzi colorati adornano le pareti candide delle sale, così come fanno i tappeti per il pavimento e le stoffe per divanetti e cuscini.
I mobili, quasi tutti in legno e ferro battuto, sono pochi ma collocati ad arte, perfettamente incastonati dell'armonia tanto sinuosa delle stanze.
Ogni sala è caratterizzata poi da un colore diverso: rosso, azzurro, giallo, verde, viola... Con la luce del sole ad illuminare il tutto doveva crearsi un'atmosfera così vivace ed allegra...
Le finestre grandi e piccole disseminate ovunque dovevano servire proprio a questo: far entrare a palazzo il giorno in tutta la sua potenza e magnificenza; ora invece, con questa penombra, tutto sembra più cupo e triste.
In ogni caso non so cosa darei per poter esplorare il palazzo liberamente da cima a fondo; probabilmente mi perderei nei suoi meandri dopo pochi minuti, ma ne varrebbe la pena.
Improvvisamente la guardia accanto a me si ferma: davanti a noi, alla fine di un lungo corridoio all'ultimo piano, si erge una grande porta a doppia anta.
Subito Fagus la apre e io vengo spinto all'interno, ma l'ambiente in cui sono finito non è nulla di simile a ciò che ho visto finora: la sala è grande e imponente, circolare, con le pareti e il pavimento bianchi.
Una decina di alberi giganteschi sono disposti in cerchio lungo le pareti, facendo scontrare e intricare tra loro i rami pieni di grandi foglie verdi: le loro radici affondano nel pavimento facendomi chiedere da dove provenga il loro nutrimento, il loro sostentamento.
Per il resto nella sala non c'è nessun colore, nessun arredo, nessuna finestra, niente di niente, tranne un grande piedistallo di marmo bianco finemente lavorato e intarsiato al centro dell'immenso spazio vuoto.
E poi, il soffitto: decine e decine di guglie di vetro disposte irregolarmente, l'una sull'altra, come enormi stalagmiti di ghiaccio puntate verso il cielo grigiazzurro.
«Grazie Fagus, puoi andare.»
La voce di Anthemis rimbomba nella grande sala, autoritaria ma gentile.
All'ordine della Guardiana la guardia mi lascia subito andare e se ne va, richiudendo dietro a sé l'imponente portone.
Guardando la donna accanto al piedistallo, a diversi metri da me, mi rendo conto di non riuscire a provare rancore: ora che conosco un po' la sua storia riesco anche a comprendere le reali motivazioni dei suoi gesti; se avessi sofferto quello che ha sofferto lei, al suo posto, probabilmente, avrei fatto la stessa cosa.
Però adesso il mio obiettivo è cercare di convincerla che io non sono come mia madre o come Altair: io non mi unirei mai a quei mostri oscuri della notte.
«Vieni pure, Jeremy, avvicinati.»
Un po' titubante faccio come mi dice e muovo i miei primi passi in questo ambiente tanto suggestivo; avanzando non posso fare a meno di alzare lo sguardo verso le irregolari e appuntite guglie di cristallo, meravigliandomi della loro bellezza.
«Sai Jeremy, con il Nucleo a rischiararla questa sala era molto più bella: i raggi di luce che esso emanava colpivano i cristalli del soffitto e venivano scissi da essi in meravigliosi colori che dipingevano completamente le pareti bianche, e i colori sembravano muoversi e rimescolarsi ogni volta che si cambiava posizione nella stanza. Era una festa per gli occhi, una festa che mio figlio ha voluto interrompere per sempre.»
«Mia Signora, perché mi avete mandato a chiamare? Si tratta di mia sorella?» vado dritto al punto.
«Tua sorella ancora non si trova, non è per questo che ti ho fatto portare qui.»
«Perché allora?»
«In questi giorni ho pensato molto al tuo caso, Jeremy, e ho capito di essere stata troppo prevenuta. Ti ho punito per dei crimini compiuti non da te ma da persone che non ci sono più già da tempo e meriti una spiegazione per questo: anche se Abies ti ha già accennato alla questione, voglio spiegartelo di persona.»
«Ditemi, vi ascolto», le rispondo sorpreso.
«Cerca di capirmi, Jeremy: ho perso mio marito ed entrambi i miei figli nello stesso giorno, e il pensiero che uno di loro abbia ucciso brutalmente gli altri due mi logora ad ogni respiro. L'unica cosa che mi fa andare avanti dopo quel giorno, l'unica cosa che mi impedisce di farla finita, è il mio popolo: la Gente del Giorno. Hanno bisogno di una guida in questi tempi difficili, e loro hanno scelto me nonostante il mio legame con Altair. Non posso permettermi di sbagliare ancora come feci con Claire, mi capisci? Lo devo alla mia gente. Non posso permettermi di rischiare.»
«Lo capisco. Claire vi ha tradito in modo spudorato, è naturale che voi e il vostro popolo non vi fidiate di un altro di Fuori arrivato all'improvviso, ma dovete credermi quando vi dico che né io né mia sorella faremmo mai una cosa del genere. Noi stiamo dalla parte del bene, non potremmo mai unirci a persone depravate e crudeli come i Notturni», affermo convinto.
Emma avrà anche una predilezione per la notte, ma da qui a legarsi a persone che vivono (o vivevano, ma non cambia) di oscurità... Sono convinto che non lo farebbe mai.
«Voglio darti una possibilità, infatti. Dal momento che in ogni caso vivrai qui per molto, molto tempo, è bene che tu impari a conoscere la città. Puoi andarci, se vuoi, anche se naturalmente accompagnato da una guardia: non dimenticare che non sei ancora libero.»
“Non sarà la libertà, ma è comunque qualcosa”, penso.
«Ci andrei molto volentieri, grazie. Posso fare una richiesta in merito però?»
«Certo.»
«Che la guardia in questione non sia Abies, per favore.»
«È così tremendo?» mi risponde la Guardiana trattenendo una risata.
«Diciamo che ha un carattere particolare,» dico sorridendo a mia volta, «ma non è per questo.»
«Perché allora?»
«Ha più motivi degli altri per odiare i di Fuori, non credo che gli farebbe piacere essere costretto a passare del tempo con me», rispondo più seriamente.
«Si è lasciato sfuggire qualcosa di troppo durante il racconto che gli ho chiesto di farti?» mi chiede con l'espressione di chi ha già capito tutto.
«Diciamo che, parlando di una certa persona, non è riuscito a non far traballare la maschera», dico cauto per assicurarmi che io e Anthemis stiamo effettivamente parlando della stessa cosa.
«Sai, nonostante lui sia davvero una delle mie guardie migliori, è proprio per questo che ho per lui un occhio di riguardo. Io sono stata l'unica ad accorgermene all'epoca, anche se a dire il vero era abbastanza evidente», inizia confermando le mie supposizioni.
«Vedevo quanto soffriva, sia prima che dopo l'arrivo di Claire, e mi dispiaceva non poter fare nulla per aiutarlo in qualche modo. Dopo la morte di Ophrys, Abies è cambiato completamente: evidentemente ha deciso che non si sarebbe mai più fatto ferire da nessuno e si è fatto crescere le spine, ma è un bravo ragazzo sotto la corazza che si è costruito.»
«Lo so, me ne sono reso conto anche io.»
«In ogni caso non preoccuparti, oggi è fuori città assieme agli altri per cercare tua sorella.»
 
***
 
Komorebi è incredibile, me ne rendo conto non appena io e Fagus, il mio carceriere ufficiale, usciamo da palazzo per tuffarci in questa rete di vicoli e strade così particolari.
La finestra della mia stanza non si affaccia sulla città ma sul retro dell'edificio, verso la foresta, per cui l'unica conoscenza che avevo di Komorebi era lo scorcio che avevo ammirato il giorno del mio arrivo.
Allora non mi ero del tutto reso conto che questa città non ha nulla a che vedere con quelle del Mondo di Fuori: sembra di essere tornati indietro nel tempo, un tempo indefinito che non riuscirei a far rientrare in nessuna epoca da me conosciuta. Ma di che mi stupisco? Io ragiono ancora con gli schemi che regolano l'altro mondo, quello dal quale arrivo.
Questo in ogni caso è un tempo senza asfalto, senza auto, senza smog, senza rumori assordanti; si sentono solo le voci delle persone, qualche risata e le grida dei bambini che si rincorrono, come una volta da noi.
Beh, non proprio bambini: anche loro sono rimasti bloccati così com' erano diciassette anni fa. Come deve essere orribile raggiungere la consapevolezza che si avranno otto anni per sempre? E i piccoli all'epoca appena nati?
Più ci penso e più le conseguenze del blocco temporale mi sembrano devastanti, per la società e non solo.
Che cosa mai può aver spinto un ragazzo che aveva tutto a compiere un'atrocità simile? Io davvero non me lo spiego. Forse la Gente della Notte non cerca motivazioni per compiere il male, lo compie a priori tanto per il gusto di farlo.
La loro perversione però giunse a un punto tale da rivolgersi contro loro stessi; se per loro compiere il male è così naturale dovevano aspettarsi che non sarebbero stati solo carnefici per sempre.
Dopo svariati minuti passati a pensare a queste cose decido di provare a concentrarmi sulla città: voglio vederne più angoli possibili.
Komorebi è molto grande, questo lo avevo capito subito: non può essere di certo paragonata ad una città come Londra, ma di certo all'interno dei suoi confini ci starebbero comodamente quattro o cinque Wells.
Le strade, per lo più strette e contorte, sono lastricate con pietre lisce e levigate, bianche tendenti al grigio. Le abitazioni e gli altri edifici sono bianchi anch'essi, ma piante rampicanti colme di fiori, oleandri e bouganville, regalano alla vista macchie colorate un po' ovunque, così come le porte decorate con pannelli di vetro blu e le ringhiere e gli scuri ognuno di un colore diverso.
Le case sono completamente irregolari, unite tra di loro tanto da non capire dove ne inizia una e dove ne finisce un'altra; le forme poi sono estremamente bizzarre: si passa da edifici quadrati ad altri completamenti asimmetrici e senza spigoli, esattamente come il palazzo della città.
Ovunque non mancano balconcini, scale esterne, terrazzi, ponticelli e corridoi di collegamento tra le varie case. Sopra gli architravi in pietra delle porte c'è sempre un sole inciso. Anche le finestre hanno le forme più svariate: tonde, quadrate, gradi, piccole... Ce ne sono davvero per tutti i gusti.
Lungo il percorso passiamo a fianco di aree verdi, fontane asciutte, piccoli negozi di utensili, libri, stoffe, erbe e piante medicinali, fiori secchi e molto altro. Si sente il profumo del mare.
Inizialmente sono così preso da ciò che mi circonda da non fare caso alle occhiate e ai sussurri che mi lascio man mano alle spalle, ma ad un certo punto essi diventano tanto persistenti che non posso più fare a meno di accorgermene.
A poco a poco comincio a sentirmi a disagio, anzi, quasi angosciato da tutti questi occhi che mi fissano.
«Fagus, le persone sanno chi sono davvero?»
«Si, la notizia del tuo arrivo si è sparsa in fretta», mi risponde la guardia in tono neutro.
«Cosa pensi che dicano di me? Credono che io sia un traditore come Claire?»
«Di certo non sono felici del tuo arrivo. Sei un mezzosangue come tutti i di Fuori, e qui nessuno è più disposto a fidarsi di un mezzosangue. Non dopo Claire. Mezza parte di buio è sufficiente per essere corrotti, lo abbiamo imparato a nostre spese.»
«Vi sbagliate. Avrò anche delle tenebre dentro di me, ma io voglio vivere nella luce.»
«Avrai tempo per dimostrarcelo, di Fuori.»
«Guardate! Quello è il di Fuori! Perché Anthemis gli permette di andarsene in giro come gli pare e piace?» una voce interrompe i bisbigli, tirando fuori il coraggio di esprimere ad alta voce ciò di cui tutti stanno parlando. Noto che si tratta di una ragazza che dimostra circa vent' anni.
«La nostra Guardiana è debole, troppo buona per il ruolo che ricopre! Conosciamo tutti la sua tendenza a non vedere il male nelle persone, in fondo è anche colpa sua se siamo in questa condizione! E ora ripete gli stessi sbagli del passato! Quegli sbagli che ci hanno portati alla rovina!» urla in risposta un uomo più anziano, facendo un passo avanti e indicandomi con atteggiamento sdegnato.
Una piccola folla si è radunata attorno a me e Fagus ora, tutti mi osservano con sospetto e diffidenza, se non con aperta ostilità. Comincio a guardarmi attorno, spaventato, senza sapere cosa poter fare per liberarmi da questa situazione: sento l'ansia invadermi il petto, le gambe tremare per l'agitazione.
Nella mia testa una voce mi grida di fare l'uomo, di ribattere alle parole di coloro che ancora mi stanno fissando, di mostrarmi forte... Ma io non sono forte, non lo sono mai stato e mai lo sarò.
Rimango bloccato, inerme, alla mercé del popolo di Komorebi e del suo odio.
«State indietro! Come potete vedere il di Fuori è ben sorvegliato, sono una guardia del palazzo! E ora lasciateci passare», interviene Fagus.
Il piccolo assembramento comincia a dileguarsi, forse perché in molti non vogliono rischiare di avere dei problemi.
Fagus si avvia allora spintonandomi verso la strada che riporta al palazzo di Anthemis sussurrandomi indispettito che la gita è finita, ma l'uomo di prima sembra non aver ancora finito:
«Dì pure alla tua Signora che se si ostina a perseverare nella sua cecità ci penseremo noi a questo qua!»
«Adesso smettila, Taxus! Nessuno poteva immaginare quello che aveva in mente di fare Altair, neanche Anthemis!» dice Fagus prendendo le difese della Guardiana.
«Lo conosci?» provo a chiedere alla guardia a fianco a me, ma invano: Fagus è troppo assorto nello scontro con l'uomo.
«Stai scherzando, vero?! Ci viveva in casa insieme, si considerava sua madre e non si è accorta di aver allevato uno sporco Notturno per vent'anni! Non si è accorta che fin da quando aveva sedici anni quell'animale scappava ogni notte per andare a Yakamoz e tornava il mattino dopo come se nulla fosse! Certo che è anche colpa sua!» non si arrende Taxus, sempre più infervorato e rosso in viso.
«Se non la smetterai di creare disordini saremo costretti a prendere provvedimenti, sappilo bene, Taxus. Non dimenticare che hai numerosi precedenti.»
Detto questo in tono più calmo ma decisamente più freddo, Fagus si volta nuovamente per andarsene e io lo seguo, sentendomi il più grande vigliacco di entrambi i mondi.

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Capitolo 19
*** Pregiudizio ***


Emma
 
«Voi siete pazzi!» afferma Hamal scuotendo la testa veementemente non appena io e Axel ci stacchiamo.
«Ragazzo, come pensi di poter entrare come nulla fosse in un palazzo che non conosci e uscirne vivo con un prigioniero?! Con tutte quelle guardie poi!»
«Entrare nel palazzo?» lo guardo sbigottita distogliendo di scatto lo sguardo da Axel, mentre ancora le mie mani sono sulle sue spalle.
«No! Io intendevo chiedere aiuto alla Guardiana di Yakamoz o a qualcun altro, trattare con questa Anthemis, convincerla insomma! Non chiederei mai ad Axel di rischiare così tanto! E poi sarebbe pericoloso anche per Jeremy stesso! Se la Guardiana è così corretta come dite...»
«Emma, introdurci nell'edificio è l'unico modo», risponde il ragazzo accanto a me, lasciandomi andare.
«Anche se chiedessimo aiuto ad Alhena e lei ce lo concedesse, sarebbe inutile: Anthemis non è in alcun modo tenuta ad obbedire ad una Notturna, e in ogni caso non lascerebbe mai andare via Jeremy così come nulla fosse, ne va della sua reputazione presso i Diurni. La sua posizione è già abbastanza debole, non può rischiare di mostrarsi troppo accondiscendente.»
«Axel, ma ti stai sentendo? Un Notturno che fa scappare un prigioniero di Fuori dalla Città del Giorno?» ribatte Hamal.
«Non ti ho mai visto così poco prudente, tu che sei la prudenza fatta persona! Vuoi forse scatenare un'altra guerra tra Komorebi e Yakamoz?! Se in ciò che ha fatto quel figlio di puttana di Altair c'è qualcosa di positivo, questo qualcosa è stato proprio l'aver portato la pace!»
«Altair?» chiedo confusa.
«Non glielo hai detto?!» dice Hamal sempre più esasperato guardando Axel, il quale distoglie lo sguardo, rabbuiandosi.
«Questo ora come ora non è importante!» intervengo.
«Decidiamo prima come agire! Axel, ci deve pur essere un altro modo! Dobbiamo solo pensare meglio a come fare!» continuo convinta.
Lui scuote la testa: «Se vuoi liberare tuo fratello, questa è l'unica strada, Emma. Fidati, se ci fosse un altro modo lo saprei.»
«Che sia l'unico modo non ci piove, ma non puoi essere serio, ragazzo... Vuoi davvero rischiare così tanto? E per cosa?! Una di Fuori che consci da quanto, cinque giorni?! Con tutto il rispetto, Emma, ma qui c'è in ballo qualcosa di molto grosso!»
A queste parole rimango in silenzio.
Sono consapevole di non poter rischiare di riaprire delle ostilità placate ormai da anni, ma non posso nemmeno non tentare di fare tutto il possibile per aiutare Jeremy.
«Non scoppierà un'altra guerra, Hamal», ricomincia Axel.
«Non c'è più niente per cui combattere ormai. Far fuggire Jeremy non cambierà le cose: Anthemis non riaprirebbe mai il conflitto e Alhena non ne avrebbe motivo.»
«Come puoi esserne così sicuro, Axel?» insiste il vecchio.
«Lo sono e basta.»
 
***
 
Hamal alla fine si è lasciato convincere da Axel e così ho fatto anche io. Mentirei se dicessi di non essere spaventata all'idea di ciò che stiamo per fare, ma se questo mi porterà a liberare Jeremy, ben venga.
Abbiamo trascorso la "notte" in casa di Hamal come avevamo stabilito e io ho potuto finalmente riposare come si deve: in un letto vero e con la consapevolezza che, nonostante la situazione, Jeremy almeno è vivo.
Io e Axel siamo ripartiti questa mattina alla volta di Komorebi.
Io e il mio salvatore, al quale ormai devo tantissimo, stiamo costeggiando il lago per raggiungere il portale che utilizzeremo per arrivare nella Città del Giorno.
Se ieri non fossero sopraggiunte quelle guardie, lo stesso portale lo avremmo attraversato per raggiungere invece Yakamoz: questo era il nostro itinerario.
«Non ti ho mai chiesto come mai il giorno in cui ci siamo incontrati stavi andando al Confine», chiedo ad Axel mentre lui mi aiuta a scavalcare un tronco d'albero caduto in mezzo al sentiero.
«Ci vado spesso, praticamente ogni giorno a dire il vero. L'Arcata per me è un luogo particolare, davanti ad essa sono successe molte cose che hanno segnato profondamente la mia vita, sia cose belle che cose brutte», mi risponde lui sollevando le spalle, cupo.
Sto per intervenire nuovamente sull'argomento, curiosa, ma lui non me ne lascia il tempo:
«Emma, ascoltami, fra un paio d'ore arriveremo al portale, ma quando lo attraverseremo non ci trasporteremo nelle immediate vicinanza della città, altrimenti qualche passante potrebbe vederci.»
Mi volto verso di lui e annuisco.
«Sì, è la cosa migliore», dico.
«Quando entreremo in azione?»
«Passeremo la "notte" poco lontano da Komorebi e domani mattina entrerò nel palazzo.»
«Entreremo, vuoi dire», non ho la minima intenzione di rimanere nascosta in qualche cespuglio mentre Axel e Jeremy rischiano tutto da soli.
«Emma, è troppo pericoloso, non posso lasciartelo fare!»
«Voglio aiutarti, Axel, è già tanto quello che sei disposto a fare per me, non rimarrò ferma a guardare! E poi non credo che arriverebbero ad ucciderci, giusto?»
«No, credo di no, ma non si può mai sapere cosa potrebbe succedere in situazioni come questa! Non è un gioco, le guardie sono comunque armate. E non dimenticare che sono un Notturno, molti Diurni non esiterebbero a farmi fuori se ne avessero la possibilità.»
«Non scorre buon sangue tra le due Genti, vero?» chiedo riflettendo sul tono usato dalle guardie di Komorebi contro Hamal e su tante piccole cose che mi ha riferito Axel in questi giorni.
«Inizialmente non era così... Per secoli la Gente del Giorno e la Gente della Notte hanno convissuto in pace e armonia, senza pregiudizi e odio. C'era perfino una scuola dove i bambini di Komorebi e quelli di Yakamoz studiavano insieme ogni giorno, assieme anche ai mezzosangue che si apprestavano a fare la loro scelta una volta compiuti i sedici anni. Ma ormai sono tempi così lontani...»
«Cos'è che ha rovinato tutto questo?» gli chiedo pensando a quanto dovesse essere bello un mondo così.
«Col tempo le due Genti hanno cominciato ad incancrirsi ognuna sulla propria ideologia, sulle proprie specificità, cominciando a ritenere le diversità che caratterizzavano l'altro popolo non una ricchezza per il nostro mondo, ma qualcosa da disprezzare e ritenere inferiore. Nessuno riusciva più a comprendere le motivazioni che spingevano gli altri a vivere la loro vita in un modo rispetto ad un altro.  Progressivamente le due Genti si staccarono sempre di più, andando a creare diciamo una reciproca antipatia, ma nulla più di questo. Le due città collaboravano ancora, i Guardiani si consultavano periodicamente sulle questioni più importanti, ci si scambiava merci, le persone di una Gente potevano entrare senza problemi nella città dell'altra», continua Axel con gli occhi spenti e tristi rivolti sul lago, calciando con la scarpa alcuni sassolini.
«Pensi che potrà mai tornare ad essere così? Insieme forse la disgrazia che la colpito questo mondo potrebbe risultare meno dolorosa.»
«Sarebbe sicuramente così, Emma, ma ormai è troppo tardi. Sono decenni che viene inculcato nelle menti dei Diurni che noi Gente della Notte siamo esseri malvagi e senza scrupoli, corrotti dalle tenebre che avevamo dentro noi. Ormai non ci reputano neanche più esseri umani a causa della mancanza di luce che ci caratterizzava. Ma noi non siamo la Gente del Buio e la Gente della Luce, sono cose molto diverse! Noi non siamo mai stati devoti alle tenebre, ma a un tipo diverso di luce, un tipo di luce che non feriva gli occhi, che non rendeva tutto così evidente, una luce che non tradiva ma anzi, ti proteggeva, una luce che regalava misteri ed emozioni...»
«...la luce della luna e delle stelle», concludo al suo posto.
I suoi occhi ambrati scattano su di me e un sorriso torna a dipingergli il volto:
«Se fosse ancora possibile scegliere, tu sceglieresti la notte, vero?» mi chiede istintivamente, e io non ho bisogno di pensare prima di rispondere. Conosco da sempre la risposta:
«Sceglierei la notte sempre e comunque, a qualunque costo», affermo avvicinandomi di un passo ad Axel.
Lui però all'improvviso si incupisce di nuovo, piegando il bel viso in una smorfia di dolore.
«Ma non potrai scegliere, Emma, non potrai perché un pazzo te l'ha impedito, un pazzo che poteva essere fermato prima.»
«Non appena salveremo Jeremy vorrei sapere cos'è accaduto esattamente quel giorno, Axel. Se tu non te la senti a raccontarmelo potrai portarmi da qualcuno che lo faccia?»
«Ma certo, Emma. Hai ragione, ormai devi sapere.»
«Bene, ma non pensiamoci più per oggi, ok?»
«Ok.»
«Dicevamo... Chi ha sparso quelle voci sui Notturni a Komorebi?» riprendo la conversazione di prima dal punto in cui l'avevamo interrotta.
«Corylus, l'ex Guardiano di Komorebi. Il marito di Anthemis che è stato ucciso da Altair il giorno della distruzione dei Nuclei.»
«Ma perché fare questo? Perché spingere un'intera città a odiare i Notturni con delle calunnie?» rispondo sconcertata.
«Capisco l'antipatia reciproca che poteva esserci stata tra le due Genti, ma l'odio...»
«Questo non lo so, Emma. Nessuno è mai riuscito a capire cosa passasse per a testa di Corylus, da dove derivasse tutto quell' odio nei nostri confronti. Ha cominciato a diffondere le sue idee su di noi già prima di diventare Guardiano, arrivando perfino a dire che era stato il Guardiano di Yakamoz ad uccidere suo padre durante un incontro, cosa assolutamente falsa!»
«Però la Gente del Giorno ci ha creduto...»
«E ci crede tutt'ora, crede ad ogni singola parola che Corylus disse contro di noi nei suoi trent'anni di governo. Ciò che ha fatto Altair poi, che era un Notturno, è apparso ai loro occhi come la prova della malvagità insita in ogni membro della Gente della Notte.»
«Cioè a causa di una mela marcia vedono marcio l'intero frutteto. Questo però non è giusto.»
«I Diurni sono così, non possono sopportare il fatto che qualcosa non risulti immediatamente chiara, perciò quando le cose iniziano a complicarsi loro le semplificano a forza, impuntandosi di avere ragione e reputando ignoranti tutti coloro che osano contraddirli. La verità è che hanno paura delle cose che non comprendono, che non riescono a vedere chiaramente al primo sguardo. Noi Notturni invece siamo diversi, essendo programmati per vivere di notte per noi è naturale sapere che non tutto è come appare, per noi è naturale cercare la verità sepolta nel buio, per loro no invece.»
«Axel...» sussurro quando lui finisce di parlare, folgorata da un pensiero che mi per nulla rassicurante.
«Pensi che abbiano riempito anche la testa di Jeremy con tutte queste idee sbagliate sui Notturni?»
«Sì, Emma, è quasi certo», mi risponde lui senza capire dove voglio andare a parare.
«Jeremy caratterialmente è più simile ai Diurni che ai Notturni, lui al contrario di me non esiterebbe mai a scegliere il giorno... Io mi sarei rifiutata di credere che la Gente della Notte, la notte che tanto amo, fosse malvagia, ma temo che Jeremy si sia lasciato persuadere.»
«Non preoccuparti di questo, Emma, capirà da solo la verità quando vi accompagnerò a Yakamoz», tenta di rassicurarmi lui.
«Se entri da solo nel palazzo di Anthemis, Jeremy non ti seguirà, Axel, anzi, opporrebbe resistenza. Non si fiderebbe mai di te dopo tutto quello che gli hanno raccontato sui Notturni», affermo convinta. Conosco Jeremy come le mie tasche, so come reagirebbe.
«Se invece ti vedesse con me si fiderebbe, è questo che vuoi dire?» chiede il ragazzo dagli occhi ambrati incrociando le braccia al petto.
«No, non se ne parla», continua testardo.
«Vuoi davvero rischiare che tutto quanto fallisca?» tento di convincerlo.
«Axel, in questi giorni ti ho ripetuto molte volte che mi fido di te, ed è vero, ma ora ti chiedo di essere tu a fidarti di me. Portami nel palazzo e avremo una probabilità di successo più alta!»
«Se davvero tuo fratello reagisse come dici, purtroppo devo darti ragione. Non avrei il tempo di fermarmi a convincerlo a seguirmi, la velocità d'azione è tutto in una missione come questa», ammette sconfitto.
«Dunque è deciso.»
«Emma io non voglio che ti accada nulla!»
«E io non voglio che accada nulla a te, ci aiuteremo a vicenda!» insisto, riuscendo finalmente ad avere la meglio.
Resisti Jeremy, stiamo arrivando.

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Capitolo 20
*** Fuga da palazzo ***


Jeremy
 
Inutile dire che quanto accaduto tra le strade di Komorebi non abbia reso per nulla felice la Guardiana della città. Non che lei addossi su di me la colpa: è perfettamente consapevole dello stato d'animo in cui riversa il popolo del giorno, tuttavia, pur non essendosi rimangiata la parola datami sulla mia semi-libertà, ha sospeso seduta stante le mie visite turistiche.
In ogni caso, dal momento che molte aree del palazzo sono da me visitabili liberamente, in questi giorni la mia occupazione principale è stata spulciare tra i libri della biblioteca per cercare di assimilare il maggior numero di informazioni possibili sul mondo in cui mi trovo.
La biblioteca è una sala meravigliosa, cilindrica, dalle pareti ondulate sulle quali si aprono a distanza regolare le une dalle altre tantissime nicchie che ospitano i volumi dalle copertine colorate, inframezzati da ceramiche e maioliche dall'aspetto prezioso.
Sul soffitto un'apertura circolare chiusa da un pannello di vetro permette alla poca luce di penetrare all'interno; al centro della stanza spiccano un divanetto e due porticine: l'angolo lettura.
Non credo che la risposta alla domanda di cui più mi interessa trovare una risposta sia tra le pagine di questi libri, ma tentar non nuoce.
C'è davvero un modo per attraversare il Confine pur avendo in sé entrambi gli elementi o nessuno? Prima di conoscere la verità ero sicuro che i miei genitori non ci avrebbero mai intrappolati qui senza una via di fuga, ma se la mamma era una Notturna... beh... non sono più così sicuro delle sue intenzioni.
In questi giorni non riesco proprio a darmi pace: da un lato la preoccupazione per ciò che potrebbe essere capitato ad Emma, dal momento che le guardie non la trovano da nessuna parte, dall'altra, appunto, la storia di mia madre.
Ora conosco un pezzo della vicenda, certo, ma ci sono ancora troppe cose che non quadrano. Chi era nostro padre, Aaron? Quando lo conobbe? Prima o dopo la storia con Ophrys? Era di questo mondo oppure dell'altro? Dove siamo nati noi?
Il nonno ci disse che era ora che vedessimo il luogo al quale apparteniamo davvero, dunque deve essere qui che siamo venuti al mondo. Io ed Emma, in ogni caso, siamo mezzosangue, dunque nostro padre era un Diurno? O la mamma ci concepì quando ancora non aveva compiuto il rito? Ormai mi scoppia la testa con tutte queste domande.
E poi, mi sento solo più che mai: non ho nessuno con cui parlare qui, qualcuno che mi capisca... Non so per quanto riuscirò a resistere ancora.
 
Stanco e amareggiato decido di chiudere il libro dall'arzigogolata copertina in pelle che ho tra le mani e di alzarmi dal divanetto per riporlo dove l’ho trovato, poi mi dirigo verso la mia stanza.
Camminando lungo i corridoi silenziosi del palazzo i miei passi riecheggiano rumorosamente, ma all'improvviso sento un rumore nuovo, passi affrettati e un concitato vociare che non avevo mai sentito prima qui dentro.
Sta succedendo qualcosa, ne sono sicuro. Affretto il passo per arrivare in camera il prima possibile, ma non appena imbocco l'ultimo corridoio che mi rimane da percorrere vedo venirmi in contro quattro guardie con addosso delle espressioni ben poco rassicuranti.
«Eccolo finalmente! Prendetelo!» ordina una di quelle, e Abies, che è tra loro, esegue.
«Si può sapere dove ti eri cacciato?!» mi grida contro lui prendendomi per un braccio e cominciando a tirarmi.
«Questa faccenda di un di Fuori che scarrozza liberamente a palazzo è una vera follia!»
«Abies, si può sapere cosa sta succedendo? Dove mi portate ora? Non ho fatto nulla...» chiedo basito cercando con fatica di non inciampare mentre quello mi trascina velocemente lungo il corridoio.
«Temiamo che qualcuno si sia introdotto illecitamente a palazzo, dunque tu devi stare dove possiamo trovarti: un di Fuori tra i piedi durante un'emergenza è l'ultima cosa di cui abbiamo bisogno!»
«Cosa?! Un'intrusione?! Ma come...»
Senza degnarmi di un'ulteriore risposta Abies apre la porta della mia stanza e mi spinge all'interno; sento la chiave girare nella serratura e il rosso ordinare a un collega di rimanere di guardia, poi i passi affrettati delle altre guardie allontanarsi correndo.
Ancora confuso per quanto accaduto mi lascio cadere sul letto.
Chi potrebbe mai essere? Dei Notturni forse? I minuti passano lenti e la mia agitazione sale. Improvvisamente sento la guardia fuori dalla mia porta gridare. Alzo la testa di scatto, il cuore a mille. Strani rumori, grida, colpi alla porta. Qualcuno sta cercando di entrare. Resto immobile, incapace di reagire, finché la porta non cede:
«E tu chi saresti?» esclamo facendo un passo indietro.
Il ragazzo davanti a me non ha il tempo di rispondere perché un'altra persona lo supera entrando nella stanza e fiondandosi su di me.
Quando la vedo il cuore mi esplode di gioia:
«Emma, sei qui, grazie a Dio stai bene!» grido stringendola a me; non ho più intenzione di lasciarla andare, mai più. Se penso a come poteva finire questa storia... Invece Emma ora è qui, ora finalmente tutto andrà bene, lo so.
«Jeremy, non sai quanto sono stata in pena per te!» mi risponde lei staccandosi e sorridendomi.
«Dunque le guardie ti hanno trovata?» le chiedo, ma lei fa di no con la testa.
«No, noi siamo stati più veloci di loro!»
«Noi? Emma ma come...»
«Emma, dobbiamo andare via subito, presto!» le dice il ragazzo di prima, interrompendoci.
«Jeremy, siamo qui per liberarti, devi seguirci subito!» afferma mia sorella prendendomi per mano e voltandosi verso lo sconosciuto, ma io la fermo.
«Come scusa? Siete stati voi ad entrare di nascosto nel palazzo? E soprattutto, chi è questo?» chiedo indicando il ragazzo.
«È stato lui a salvarmi, Jeremy, puoi fidarti!» tenta di rassicurarmi lei sorridendo e facendo un segno di intesa al suo accompagnatore.
Questa cosa non mi piace per niente...
«Ora però dobbiamo andare», continua tornando a guardarmi.
«Emma, non abbiamo un posto dove andare oltre a questo!» rispondo scettico.
«Certo che ce lo abbiamo! Andremo a Yakamoz, lì saremo liberi!»
«A Yakamoz?! Ma sei impazzita?! Questo qui non ti ha raccontato nulla sui Notturni? Oh aspetta, non dirmi che è un Notturno pure lui...» sbotto spaventato.
«Sì, lo è, Jeremy, ma la Gente della Notte non è come la descrivono qui, devi fidarti di me!» cerca di insistere lei.
«Dobbiamo andare, Emma, presto!» insiste ancora il Notturno.
«Emma, non ti rendi conto del pericolo che hai corso a stare tutto questo tempo da sola con un Notturno, chissà quante fandonie ti avrà raccontato! Anthemis può aiutarci! Rimaniamo qui!» la prego io, quasi scongiurandola.
«Jeremy!» grida lei afferrandomi per le spalle e guardandomi intensamente:
«Ti fidi di me?»
«Certo, l'ho sempre fatto...»
«Allora seguici, ti racconterò ogni cosa quando saremo fuori da qui! Fallo per me, Jeremy! Fidati, ti prego!»
Il suo è uno sguardo sicuro e risoluto, lo sguardo di una persona che è assolutamente convinta di quello che sta facendo: Emma non è il tipo da credere a qualunque cosa le venga detta, per cui se lei si fida di questo ragazzo io mi fido del suo giudizio, ma credo sia una vera follia voltare le spalle all'unica persona che potrebbe aiutarci e dimostrare alla Gente del Giorno di essere i degni figli di nostra madre.
Ma d'altra parte che alternative ho? Non voglio in alcun modo separarmi nuovamente da mia sorella e se questo è l'unico modo... va bene.
È folle, ma lo faccio per Emma. Lei di solito sa sempre quale sia la cosa giusta da fare, spero che sia lo stesso anche questa volta; se poi mi accorgerò che davvero è stata ingannata farò di tutto per salvarla.
«D’accordo, spero davvero tanto che tu abbia ragione», accetto lanciando un'occhiata al Notturno dagli occhi ambrati.
Effettivamente a guardarlo non sembra cattivo, d'altra parte però neanche Altair doveva sembrarlo se ha ingannato due intere città per anni.
Usciamo velocemente dalla stanza in fila indiana, il più silenziosamente possibile per evitare che le guardie che stanno setacciando il palazzo ci trovino; accanto alla porta la guardia che mi stava sorvegliando giace a terra, immobile.
«Tranquillo, è solo svenuto, Axel non gli ha fatto del male!» mi rassicura Emma notando il mio sguardo sgomento.
Tale "Axel", come lo ha chiamato mia sorella, inizia così a guidarci attraverso il palazzo: sembra sapersi muovere molto bene qui dentro.
Emma spesso si volta verso di me per assicurarsi che io stia bene, ed io ogni volta glielo confermo, ma in realtà sto morendo di paura: se ci trovassero adesso cosa ne sarebbe di noi? Cosa ci farebbe Anthemis ora che non siamo più così innocenti?
Per molto tempo la nostra fuga non incontra intoppi. Ci troviamo al piano terra del palazzo ora, quello destinato alle domestiche e alle guardie: ci siamo arrivati per miracolo essendoci nascosti più volte per non farci vedere dai manipoli di guardie che corrono a destra e a manca.
«Emma, loro sanno che qualcuno è entrato illecitamente, avranno sicuramente messo guardie a tutte le uscite!» le sussurro a bassa voce mentre entriamo velocemente in una stanza laterale per non essere visti da una domestica con delle lenzuola tra le braccia che ha appena svoltato l'angolo.
«Quella a cui sto pensando è l'ultima porta alla quale penseranno, se siamo fortunati sarà libera», mi risponde invece Axel controllando che non ci sia più nessuno.
«Se lo dici tu...» gli rispondo scettico.
Finalmente arriviamo nelle cucine, ovviamente deserte dal momento che sono inutilizzate da anni. Davanti a noi, la porta d'uscita.
Tutti e tre corriamo verso di quella, ma prima di poterla raggiungere una voce che conosco bene, troppo bene, ci blocca.
«Fermi!» grida Abies, facendoci voltare di scatto, ad un passo dalla libertà.
Il rosso stavolta è davvero furente, fuori di sé: animante per la corsa con la quale ci ha cercati per tutto il palazzo, sudato, gli occhi castani iniettati di sangue, il pugnale stretto in mano puntato verso di noi.
«Non muovetevi», dice lentamente.
«Fra una manciata di secondi arriveranno tutte le guardie del palazzo: ho ordinato loro di scendere qui immediatamente quando ho capito il vostro giochetto. Nessuno conosce il palazzo meglio di me, nessuno!» continua.
«Emma, Jeremy, voi andate, ci penso io a lui!» afferma il Notturno spingendo mia sorella dietro di sé e sfoderando anche lui il pugnale che teneva allacciato alla vita.
«Presto!» insiste senza distogliere lo sguardo da Abies.
«No! Non ti lascerei mai qui da solo!» afferma Emma invece di scappare come mi stavo preparando a fare io. Sta scherzando, vero?
«Emma! Andiamocene prima che arrivino altre guardie!» insisto io cercando di spingerla fino alla porta, ma lei oppone resistenza in maniera del tutto sconsiderata.
«No! Jeremy, lasciami subito!» grida, e immediatamente Abies approfitta del momento di confusione per balzare in avanti contro Axel.
Emma si porta le mani alla bocca per non gridare quando i due si scontrano, vedo chiaramente quanto sia terrorizzata all'idea succeda qualcosa al suo Notturno.
Penso di non aver mai visto mia sorella affezionarsi così velocemente a una persona in vita sua; d'altra parte Axel l'ha aiutata in un momento di disperazione, quindi posso anche capirla.
La lotta tra Abies e Axel intanto continua a suon di pugni, schivate e fendenti: si vede chiaramente che entrambi sono estremamente abili nell'arte del combattimento. La tensione è talmente elevata che comincio a tremare dall'agitazione anche io mentre sorreggo mia sorella, la quale fissa la scena davanti a noi come in trance.
Improvvisamente l'equilibrio che sembrava esserci tra i due contendenti si spezza quando Abies ferisce di striscio Axel sulla gamba: subito quello cade malamente portandosi una mano sulla ferita, sul viso una smorfia di dolore. In un attimo Abies gli è addosso.
«Axel, no!» grida Emma gettandosi in avanti mentre due grosse lacrime le scendono dagli occhi spalancati dal terrore: io la trattengo, ma Abies non appena sente il grido si volta verso di lei con un'espressione confusa sul viso, dando così il tempo ad Axel di colpirlo con la gamba sana allo stomaco.
 Subito il rosso si piega in due dal dolore e il Notturno balza in pedi.
«Via, presto!» grida iniziando a correre verso di noi anche se con fatica per via della ferita alla gamba.
Tutti e tre ci precipitiamo fuori; oltre alle imprecazioni di Abies già si sentono le grida delle altre guardie che stanno per irrompere nelle cucine.
Corriamo, corriamo a perdifiato su per la collina a picco sul mare che domina Komorebi fino ad immergerci nella foresta e poi ancora oltre: ci fermiamo solamente davanti ad un arco creato con rami di legno intrecciati tra loro, uno dei portali della Città del Giorno.
Axel prende per mano Emma e me per un braccio trascinandoci con sé chissà dove, lontano dal pericolo delle guardie e dalla sicurezza che solo Anthemis poteva offrirci.

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Capitolo 21
*** Un giorno mi odierai ***


Emma
 
Per i primi secondi nessuno dei tre riesce a muoversi o a parlare: io stessa rimango immobile a fissare un punto imprecisato davanti a me con la mano ancora stretta a quella di Axel per lunghi istanti, cercando di riprendermi dallo shock.
Davanti agli occhi mi continua a scorrere in loop la scena di quella guardia di Komorebi con il pugnale alzato pronto a colpire Axel, una scena che poteva concretizzarsi in un qualcosa di atroce che non mi sarei mai e poi mai potuta perdonare.
«Ce l'abbiamo fatta, è tutto finito...» dice improvvisamente il mio, anzi nostro, salvatore rompendo il silenzio, come se ancora non ci credesse nemmeno lui.
Un secondo dopo lo sto abbracciando, ancora tremando come una foglia.
«Hey, è tutto a posto, va tutto bene...» cerca di calmarmi Axel stringendomi a sé; il calore che mi trasmette col suo corpo, il suo profumo e il suo cuore che sento battere veloce sul mio petto mi concedono un sollievo così grande che la tensione mi abbandona subito, facendomi scoppiare in un pianto liberatorio.
«Stai bene, stai bene davvero, sei qui tutto intero», riesco a dire tra i singhiozzi col viso sprofondato nel suo collo, ancora tremando per via del terrore provato.
«Non è successo niente, Emma, sono qui.»
«Non me lo sarei mai perdonata se... se...»
«Niente di ciò che poteva succedere sarebbe stato colpa tua, sono stato io a voler fare le cose in quel modo! Ora non pensiamoci più.»
«La tua gamba, Axel, bisogna medicarla, bisogna...»
«Sto bene, Emma, è solo un taglio poco profondo, stai tranquilla!»
«Ok...» rispondo sciogliendo il nostro abbraccio e sorridendogli, annegando nell'ambra dei suoi occhi, sentendomi invadere il petto da un calore che non riesco a comprendere del tutto.
«E grazie, io e Jeremy te ne saremo debitori per sempre», aggiungo.
«Se avete finito io avrei bisogno di qualche spiegazione.»
Il tono di Jeremy è così secco e freddo da farmi voltare subito verso di lui, sorpresa: ha le braccia incrociate e uno sguardo tagliente puntato su me ed Axel. Soprattutto su Axel.
«Certo, abbiamo un sacco di cose da raccontarci! È bellissimo essere di nuovo assieme!» gli dico asciugandomi le ultime lacrime dalle guance, ancora scossa dalla miriade di emozioni che mi stanno sconquassando.
Dopotutto capisco la sua reazione, è ancora convinto che i Notturni, e quindi anche Axel, siano malvagi.
«Sediamoci qui e parliamo», propone Axel indicandoci un gruppo di rocce in un angolo della piccola radura nella quale siamo finiti.
«È sicuro rimanere qui? Fra poco avremo tutte le guardie di Komorebi alle calcagna», gli chiedo prima di fare come dice.
«Sì, sarebbe stato più rischioso andare direttamente a Yakamoz, quello sarà il primo posto dove andranno a cercarci. Aspetteremo qui fino a domani, poi chiederemo ospitalità ad Alhena e a quel punto non potranno più farci nulla.»
«Io continuo a credere che sia una pazzia! Emma, come puoi credere ad un Notturno senza uno straccio di prova?! Chi ci garantisce che a Yakamoz non ci uccideranno o non ci terranno prigionieri in maniera molto peggiore di come avrebbe fatto Anthemis?! Tu non sai le cose che mi hanno raccontato sui Notturni, sono sicuro che lui non te le ha dette!» interviene mio fratello indicando Axel, il quale fissa Jeremy con un'espressione indecifrabile sul viso.
«Se ho ragione non ti avrà neanche detto tutte le atrocità che ha compiuto Altair per non svelarti la vera natura della Gente della Notte!» conclude infervorato.
«Jeremy, adesso smettila! Sei tu a non sapere nulla! Sei tu quello che è stato ingannato e che ha creduto a tutto ciò che gli veniva detto senza pensare che forse le cose siano più complicate di quanto non sembri! Dovresti ringraziare Axel per quello che fatto per te senza neppure conoscerti, non inveirgli contro!»
È la prima volta in vita mia che alzo la voce contro Jeremy, e questo mi fa stare malissimo, ma devo fargli capire come stanno le cose. Questa volta è troppo importante.
«Bene allora, dimmi, quale sarebbe la verità? Eh? I Notturni sono i buoni e i Diurni i cattivi che si inventano tutto sul loro conto? È questo che ti ha raccontato?
«Anche i Diurni sono stati ingannati! È stato il loro vecchio Guardiano, Corylus, a diffondere quelle voci!» insisto.
«Emma, io non ti riconosco più! Da quando in qua ti fidi ciecamente di una persona che conosci da una settimana?! Dunque io non dovrei credere a ciò che pensa una città intera perché tu non vuoi mettere in discussione ciò che ti ha detto una persona soltanto?!»
«Jeremy, non ti chiedo di fidarti di me basandoti solo su parole,» interviene Axel senza la minima traccia di risentimento nei confronti di mio fratello, «ti chiedo di sospendere il tuo giudizio per due giorni, finché non arriveremo a Yakamoz. Allora capirai da solo qual è la verità.»
«Io non so cosa tu abbia fatto a mia sorella, ma ti consiglio di stare attento d'ora in poi!» lo attacca di nuovo lui, facendomi perdere del tutto la pazienza.
«Jeremy adesso basta! Axel mi ha sempre e solo fatto del bene! Evita di parlare di cose che non sai!»
«Ah è così?! Una settimana che non ci vediamo e già uno sconosciuto è più importante di tuo fratello?!»
«Non ho mai detto questo, Jeremy! Come puoi pensare una cosa simile? Pensi che gli avrei fatto rischiare la vita se l'avessi considerato più importante di te?» grido fuori di me.
Possibile che non riesca a capire? Jeremy mi ha sempre capita, sempre sostenuta... Perché questo cambiamento?
«Emma,» interviene Axel notando che la conversazione tra me e mio fratello si sta facendo più accesa, «io vi lascio soli, avete bisogno di chiarire. Per qualunque cosa mi trovate da quella parte», dice indicando un piccolo sentiero che si dirama tra gli alberi della foresta.
Io annuisco e dopo un rapido cenno di incoraggiamento lui si allontana nella direzione indicata.
Voltandomi nuovamente verso mio fratello noto però che la sua espressione è cambiata: sembra più triste e stanco che arrabbiato ora.
«Perdonami Emma. Ho esagerato», dice.
«Sai che ti voglio bene, tutto quello che ho detto l'ho detto perché non voglio che ti succeda nulla di male.»
«Lo so, Jeremy, anche io ti voglio bene e questi giorni senza di te, senza sapere cosa ti fosse capitato, sono stati i più brutti della mia vita. Se non ci fosse stato Axel io davvero non ce l'avrei fatta a sopportarlo.»
«Ti piace davvero tanto questo Axel...»
«Sì, è una persona fantastica», rispondo arrossendo, «e spero che lo capirai anche tu prima o poi.»
Jeremy mi guada in silenzio per qualche istante, e io penso di sapere in che direzione stiano andando i suoi pensieri, il punto è che non so dove mi stiano portando i miei. In questi giorni la preoccupazione per Jeremy mi rendeva impossibile concentrarmi su ciò che sentivo, ma ora, soprattutto dopo la mia reazione a ciò che stava per accadere, dopo il sollievo provato quando Axel è stato in salvo...
«Ascoltami,» ricomincia Jeremy, «a questo punto non rimane altro da fare che proseguire per il cammino che abbiamo scelto, per cui lo faremo insieme. Accetto di fidarmi del Notturno e di ciò che mi hai detto sulla sua Gente fino a quando saremo a Yakamoz, ok?»
«Sarebbe meraviglioso, Jeremy!» gli rispondo grata.
«Bene, ora dimmi esattamente quello che ti è successo in questi giorni», mi domanda sedendosi finalmente su una delle rocce.
Così, di nuovo in pace tra di noi, racconto a mio fratello tutte le mie avventure di questi giorni, tutto, tranne qualche piccolo dettaglio. Non ho mai provato imbarazzo nel parlare con Jeremy, di qualunque argomento di trattasse, ma stavolta è diverso.
«Quindi hai conosciuto anche un altro Notturno!» si stupisce Jeremy quando gli racconto di Hamal.
«Sì, ed è stata una persona squisita, gentilissima. Fidati quando ti dico che i Notturni sono vittime dei pregiudizi della Gente del Giorno, che non li comprende!»
«Spero davvero tanto che sia così, dal momento che ho scoperto una cosa.»
«Che cosa?»
«Un pezzo della storia di nostra madre.»
Io spalanco gli occhi dalla sorpresa e subito Jeremy inizia a parlarmi della sua avventura, fino ad arrivare a ciò che Abies gli ha riferito sulla mamma.
Quando finisce sono basita.
«Dunque è la mamma la prima di Fuori arrivata qui... Axel mi aveva accennato al fatto che fosse una donna, ma non mi aveva neanche sfiorato il pensiero che potesse essere lei!»
«A Komorebi è considerata da tutti una traditrice, Emma, la odiano. Io sto malissimo al pensiero che la mamma si sia rivelata una persona del genere, non capisco come abbia potuto tradire così chi l'aveva accolta e Ophrys, come abbia potuto scegliere le tenebre al posto della luce. Certo, ora mi consola il fatto che probabilmente i Notturni non sono malvagi ma solo incompresi, però il gesto che ha compiuto non cambia.»
«Io avrei fatto lo stesso, Jeremy. Non avrei mai creduto che la Gente della Notte fosse cattiva, avrei voluto accertarmene con i miei occhi prima scegliere irrimediabilmente il giorno, perché la notte sarebbe stata sempre la mia prima scelta.»
«Evidentemente allora è da lei che hai preso», afferma sorridendomi.
«È terribile pensare che sia stata ammazzata», dico triste.
«A quanto pare Altair non ha fatto del male solo alla gente di questo mondo.»
«Già...»
«E papà?» continuo io.
«Non ne ho idea; dobbiamo trovare qualcuno che ne sappia di più, Emma, dobbiamo scavare e trovare la verità.»
«Possiamo iniziare col chiedere ad Axel, magari lui sa qualcosa o conosce qualcuno che possa aiutarci», propongo io.
«Sì, possiamo provare», mi risponde Jeremy, anche se non mi sembra molto entusiasta della cosa.
«Bene, allora vado a cercarlo, ok?»
«Vai dal tuo Notturno, sì. Io vi aspetto qui.»
«Non è il mio Notturno!»
«Sì, certo», dice ironicamente con l'espressione di chi la sa lunga, facendomi desiderare di sprofondare.
Io alzo gli occhi al cielo e sbuffo, poi mi volto iniziando a seguire lo stesso sentiero lungo il quale si è allontanato Axel.
Man mano che proseguo mi accorgo che l'ambiente attorno a me sta cambiando: ora gli alberi attorno a me non sono più quelli a cui ormai mi sono abituata in questi giorni; sono circondata da salici adesso, meravigliosi salici rigogliosi dalla chioma azzurrina e luminescente.  La loro luce rischiara la penombra della foresta, creando attorno a me un'atmosfera quasi surreale.
Inizio così a vagare tra questi alberi, rapita, come se fossi dentro a un sogno, un bellissimo sogno; improvvisamente però sento qualcuno prendermi per le spalle e il mio cuore accelerare il ritmo: non dallo spavento, no, ma perché so esattamente di chi si tratta.
«Ti piace?» sento chiedermi dolcemente.
«È la cosa più bella che io abbia mai visto», gli rispondo voltandomi verso di lui con un sorriso, che però si spegne subito non appena i miei occhi incontrano i suoi.
«Axel... Cos'è successo? Perché hai pianto?» gli chiedo preoccupata vedendo chiaramente le sue iridi ambrate circondate da rossore e profonde occhiaie segnargli il viso.
«Non credevo che le parole di Jeremy ti avessero ferito tanto... Mi dispiace!
Sappi che non lui non...»
«Emma, no, non è per tuo fratello. Non mi sarei mai potuto sentire offeso da ciò che ha detto, so bene che la colpa è della Gente del Giorno, non sua», mi interrompe subito.
«Allora perché, Axel? Perché? Odio vederti così.»
«Io... ecco...» tenta di dire distogliendo lo sguardo dal mio, ma io non glielo lascio fare, non stavolta: delicatamente gli sfioro il viso per far sì che mi guardi ancora.
«Axel, io so che tu stai male per qualcosa, me ne sono accorta fin dal primo momento», gli dico allora avvicinandomi ancora un po' di più a lui.
«Se me ne vuoi parlare, ricordati sempre che io sono qui, sappi che su di me potrai sempre contare», concludo.
«È che mi sento responsabile, Emma. Sento di essere una persona orribile, di non meritare niente. Potevo evitarlo, io potevo evitarlo ma non ho fatto nulla, nulla. Non mi sono accorto di nulla. Ho agito troppo tardi, quando ormai ogni cosa era già perduta, quando ormai tutte le persone più importanti della mia vita erano morte, compiendo un'azione che non riuscirò mai a perdonarmi. È tutta colpa mia...» scoppia lui con voce nuovamente rotta e prendendo la mia mano tra le sue.
«Axel, devi sfogarti! Ti sei tenuto tutto dentro per diciassette anni, finirai per distruggerti se continui così!» affermo convinta non appena mi rendo conto che il suo dolore è ben più grande di quanto immaginassi.
«Sono già distrutto, Emma. Non c'è più niente da salvare in me.»
«Ma non ti accorgi di quanto tu sia speciale, Axel? Non ti accorgi che chiunque altro non avrebbe retto tutto questo tempo con un peso del genere sul cuore?»
«Io conoscevo il responsabile della distruzione dei Nuclei, Emma! Lo conoscevo e non mi sono accorto di nulla di ciò che stava progettando! L'ho fermato quando ormai era troppo tardi, quando già a causa sua avevo perso tutto ciò a cui tenevo, tutto. Se solo lo avessi capito prima loro sarebbero ancora vivi e questo mondo avrebbe ancora un futuro!» confessa terreo in volto.
«Conoscevi Altair e lo hai ucciso?» trovo il coraggio di chiedere in un sussurro.
Lui mi guarda stranito, ma dopo qualche istante annuisce, titubante.
«Se fossi stato più attento avrei potuto evitare di arrivare a tanto. Ho macchiato le mie mani di sangue, sangue che mai sarà lavato via.»
«Axel... Hai liberato questo mondo da un mostro, te ne rendi conto, vero? Jeremy mi ha raccontato le atrocità compiute da Altair, era una cosa che andava fatta, a maggior ragione dal momento che ha ucciso così tante persone!»
"Tra cui mia madre..." penso tra me e me.
«Se lo sapessero, ti accoglierebbero come un eroe sia a Yakamoz sia a Komorebi!» concludo.
Cogliendomi di sorpresa, lui al sentire le mie parole chiude gli occhi e appoggia la fronte sulla mia:
«Come ho fatto a sopravvivere tutto questo tempo senza di te?» sussurra a pochi centimetri dal mio viso.
E io mi sento invadere da un'emozione che mai avevo provato prima, un'emozione che mi prede il petto e lo stomaco, che mi mozza il respiro e mi fa tremare le gambe.
E in questo momento lo sento, limpido come l'acqua di un torrente di montagna, impetuoso come una tempesta: per la prima volta sento il desiderio di annullare qualunque tipo di distanza tra di noi.
Possibile che i miei sentimenti abbiano preso proprio quella direzione? In così poco tempo?
Senza rendermene davvero conto mi ritrovo a lasciarmi trasportare da questo folle istinto, senza pensare, senza riflettere sulle conseguenze del mio gesto, ma quando penso ormai di stare per morire dall'emozione, a pochi millimetri dalle sue labbra, Axel fa un passo indietro riportandomi di colpo alla realtà, lasciandomi sola e tremante di vergogna di fronte a lui.
«Sc... scusami, io non so cosa mi sia preso, io...» balbetto senza trovare la forza di alzare lo sguardo su di lui.
Come mi starà guardando adesso? Con rabbia? Con disgusto? Con compassione? Possibile che abbia frainteso così profondamente le sue intenzioni nei miei confronti?
Non voglio saperlo, non ho la forza di scoprirlo. Devo andarmene, devo andarmene subito.
«Perdonami ancora», dico sempre con gli occhi inchiodati a terra prima di iniziare a camminare velocemente via da lì, superandolo senza guardarlo.
Lui però non mi lascia andare, anzi, mi afferra la mano di colpo facendomi voltare verso di lui.
«Emma, guardami», dice senza lasciare andare la mia mano.
Non so come, ma trovo la forza di sollevare lo sguardo.
I suoi occhi ambrati mi stanno guardando non con pietà o repulsione come avevo immaginato, ma con tristezza, una tristezza profonda di cui non riesco a capire l'origine: sono stata io quella che si è resa ridicola, non lui.
«Emma, non hai fatto niente di sbagliato... Il problema sono io, non tu.»
Vorrei rispondergli qualcosa, qualunque cosa, ma non trovo la voce per farlo. Continuo invece a fissarlo con gli occhi lucidi aspettando che continui a parlare, aspettando di vedere se ha qualcos’ altro da dirmi.
«Ci sono ancora delle cose che non sai, Emma. Lasciarti avvicinare così tanto a me prima che tu le conosca sarebbe come ingannarti e io tengo troppo a te perché ciò accada», continua dolcemente.
«Sei meravigliosa, Emma, non pensare neanche per un secondo che io non volessi lo stesso!»
«Non mi interessa ciò che sei stato prima, mi interessa solo ciò che sei adesso», dico piano rendendomi ridicola ai miei stessi occhi, ma evidentemente non a quelli di Axel che infatti si avvicina di nuovo, serio, fermandosi a pochi centimetri di distanza da me.
«Un giorno mi avresti odiato se lo avessi lasciato succedere», dice guardandomi intensamente, gli occhi ambrati in fiamme.
«Non potrei mai odiarti», ribatto io ritrovando un po' di coraggio, decisa.
«Sì invece, lo faresti eccome.»
«Me ne assumo la responsabilità allora. Non potrò dire di non essere stata avvisata», dico afferrandogli la stoffa della giacca senza distogliere lo sguardo dal suo.
Dentro ai suoi occhi vedo per un attimo combattersi tra loro razionalità e desiderio, poi, un secondo dopo, le labbra di Axel sono sulle mie.
E il mondo si ferma, una vertigine violenta mi percorre da cima a fondo, sconvolgendomi più di qualunque altra cosa io abbia mai sperimentato.
Axel mi bacia intensamente, lasciandomi a stento respirare di tanto in tanto; e io gli rispondo con altrettanta foga, desiderio, impeto, nonostante tutta la fragilità della mia inesperienza.
Respiri mescolati, labbra che si cercano in continuazione, cuori martellanti e gonfi di euforia, mani che scorrono sulle spalle e tra i capelli.
Dopo non so quanto tempo mi ritrovo con la schiena appoggiata al tronco di uno dei salici, ansimante, mentre Axel inizia a disseminare baci sul mio collo regalandomi mille brividi di piacere.
Quando troviamo la forza di fermarci e aprire gli occhi ci guardiamo come mai avevamo fatto prima, fronte contro fronte, fremendo d'emozione, dicendoci con quello sguardo ciò che a parole non avremmo mai potuto.
“Da quanto tempo desideravo tutto questo?” mi chiedo.
Avere Axel così vicino a me ora, con le labbra ancora gonfie dal nostro primo bacio, è una sensazione così bella e profonda che non sarò mai in grado di descriverla, lo so.
E lui mi bacia ancora, stavolta con più calma e dolcezza, un bacio che ci lascia tutto il tempo di assaporarci, respirarci, conoscerci.
Le sue labbra sono così dolci e morbide mentre si muovono piano sulle mie, ancora e ancora, così tanto da farmi scordare qualsiasi altra cosa: esistiamo solo noi adesso, noi e le fronde azzurrine del grande salice che ci sovrasta, illuminandoci e nascondendoci dal mondo per un lungo momento dal sapore di eternità.

Note:
Bene, direi che siamo arrivti ad un punto cruciale: Jeremy ed Emma si sono finalmente ritrovati e sono pronti per il prossimo passo del loro viaggio, ovvero scoprire cosa successe davvero a Claire, loro madre, e chi sia Aaron, loro padre. Alcune risposte arriveranno presto, ve lo prometto! A parte questo Emma e Axel hanno compreso che qulcosa di più profondo di una semplice amicizia/affinità li unisce, anche se Axel in questo fa fatica a lasciarsi andare del tutto... Spero che la storia continui a piacervi, fatemelo sapere se vi va! A presto!

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Capitolo 22
*** Bugie, chiarimenti, rivelazioni ***


Jeremy
 
Questo da Emma non me lo sarei mai aspettato.
Perdere la testa per un ragazzo di cui sa poco o nulla, fidarsi ciecamente di lui dimenticandosi completamente di bilanciare testa e cuore, difenderlo a spada tratta pur non avendo in mano alcun tipo di garanzia che provi la sua onestà.
Io davvero spero che non si stia sbagliando e che queste siano tutte mie paranoie, anche perché se non fosse così saremmo in guai molto, molto grossi.
Emma si è allontanata per andare a chiamare Axel un bel po' di tempo fa ormai, non capisco proprio perché ci stiano mettendo così tanto; spero almeno che quando si degneranno di tornare il Notturno potrà esserci utile nel ricostruire la storia dei nostri genitori, ovvero ciò che i nonni ci hanno mandati qui a fare.
Dopo altri dieci minuti di attesa mi alzo intenzionato ad andare a controllare che fine abbiano fatto: non mi fido a lasciare mia sorella in balia di quel ragazzo senza prima aver chiarito le sue reali intenzioni.
Non appena muovo i primi passi all'interno della piccola radura però una strana sensazione mi piomba addosso: è come se mi sentissi osservato, come se migliaia di occhi sinistri e minacciosi si fossero posati improvvisamente su di me tutti insieme.
Mi guardo attorno cautamente, ma non vedendo nulla di strano tra gli alberi che mi circondano decido di ignorare le mie stupide fantasie e di proseguire.
Dopo non molto tempo mi accorgo però che c'è davvero qualcosa che non va qui: le ombre della foresta attorno a me si stanno scurendo, sempre di più, fino ad inghiottire ogni cosa. Sento la paura stringermi le viscere e un brivido di freddo scorrermi giù per la schiena, irradiandosi per tutto il mio corpo: ci sono solo tenebre a circondarmi ora.
Allora grido, grido con quando fiato ho in corpo, nella speranza che mia sorella torni e mi salvi da questo incubo di gelido terrore e da questo buio.
“Cosa sta succedendo, cosa mi stanno facendo?” penso terrorizzato prima di non sentire più neanche la terra sotto ai piedi; inizio a fluttuare nell'aria nera senza una direzione, urlando e divincolandomi alla cieca, non capendo più nulla.
Improvvisamente comincio a sentirmi stanco, stanco come non lo sono mai stato in tutta la mia vita, come se qualcuno mi stesse risucchiando via qualunque tipo di energia.
Dopo non so quando tempo non mi rimane neppure la forza di urlare, la voce ridotta ad un fioco sussurro. Un dolce torpore allora mi invade le membra ghiacciate, cercando di indurmi a chiudere gli occhi e a non riaprirli mai più.
È questa dunque la mia fine? Riesco a pensare un attimo prima di abbandonare ogni sforzo di rimanere cosciente.
Tutto d'un tratto però i rumori e la poca luce ritornano e io cado a terra rovinosamente; lo sguardo terrorizzato di mia sorella sopra di me è l'ultima cosa che vedo prima di perdere i sensi.
Rinvengo di colpo qualche minuto dopo, steso a terra con la testa posata sulle gambe di Emma; lo sguardo di Axel, in ginocchio accanto a me, è preoccupato tanto quanto quello di mia sorella, ma entrambi sembrano rilassarsi quando si accorgono che ho ripreso conoscenza.
«Cos'è successo?» chiedo tirandomi su.
«Era tutto buio, mi sentivo stremato...»
«Jeremy, come ti senti? Ci hai fatti spaventare a morte!»
«Sto meglio adesso, grazie Emma, anche se sono un po' confuso...»
«Sì, anche io lo sono», afferma mia sorella guardando storto il suo Axel.
Ok, questo è strano.
«Axel, quello che hai fatto... era magia?» gli chiede guardandolo negli occhi, seria.
«Sì, lo era, ma...»
«Mi avevi detto che la magia aveva smesso di esistere dopo la distruzione dei Nuclei, questo significa che mi hai mentito?» continua lei, visibilmente ferita.
«No, Emma! Te lo avrei detto il prima possibile, ma non volevo mettere troppa carne al fuoco! Ancora non sai molte cose su questo mondo, non volevo caricarti di troppe informazioni!» ribatte il Notturno.
«Fermi per favore,» mi intrometto io, «prima spiegatemi quello che è successo!»
«Ti abbiamo sentito gridare, siamo corsi subito qui e ti abbiamo visto fluttuare in aria, circondato da un'aura scura... Subito Axel ha fatto dei movimenti con le mani, l'ombra ti ha lasciato andare ed è stata rinchiusa in una sfera trasparente, poi è sparita», tenta di spiegarmi Emma.
«Cos'era quella roba?» domando in tono freddo al ragazzo accanto a me senza neanche guardarlo in faccia.
«Erano anni che non ne vedevo uno, io non so come sia stato possibile!» inizia lui.
«Cos' era?!» insisto io.
«Sono Creature d'Ombra, mostri spietati formati da pure tenebre con il potere di distruggere qualunque forma di luce. Quando ancora esisteva il potere del giorno ce n'erano moltissimi in giro, specialmente attorno a Komorebi. Non aspettavano altro che avventarsi su più Diurni possibili per succhiare via da loro il loro elemento, uccidendoli. Siamo sempre stati noi Notturni a difendere la Città del Giorno: il nostro potere infatti era l'unico in grado di annientare questi esseri, poiché anch'esso in parte composto da tenebre. Dopo la distruzione dei Nuclei sono spariti dal momento che non avevano più alcuna luce da distruggere», spiega Axel.
«Ma la Gente del Giorno sapeva che facevate questo per loro? Sapeva che li avete sempre protetti dall'annientamento?» chiede Emma.
«No, abbiamo sempre tenuta nascosta l'esistenza di questi mostri ai Diurni, anche quando uno di loro uccise il Guardiano di Komorebi, il padre di Corylus, e lui incolpò il Guardiano della Notte.»
«Ma non ha senso! Forse se lo sapessero cambierebbero idea sul conto della Gente della Notte», continua lei.
«No, non credo. Riuscirebbero a ribattere che le nostre intenzioni non erano pure, magari anche che eravamo noi a scatenare contro di loro le Creature.»
«Se erano spariti dopo la distruzione dei Nuclei, perché uno di loro mi ha quasi ucciso?» intervengo spazientito.
«Evidentemente ha percepito la parte di luce che porti in te: tu ed Emma venendo da fuori siete gli unici ad avere dentro di voi entrambi gli elementi. Però i mostri non hanno mai attaccato i mezzosangue, la loro luce è troppo debole per poter essere avvertita... Davvero non so come sia potuto accadere!»
«E ciò che hai fatto per scacciarlo, Axel? Io voglio delle risposte!» afferma mia sorella.
«La magia legata ai poteri del giorno e della notte è davvero stata annientata assieme ai Nuclei, Emma. La magia che ho utilizzato io è di un tipo diverso, una magia che attinge la sua forza dall'energia stessa che c'è in tutte le cose. Non ti sei chiesta perché la barriera al Confine e i portali continuino a funzionare nonostante il resto della magia sia sparita da questo mondo? È perché quelli attingono il loro potere da quest'altra fonte di magia, che non è stata distrutta e mai lo sarà.»
«Né Anthemis né Abies mi hanno mai parlato di questo, qui c'è qualcosa che non quadra», affermo scettico.
«Solo io so sfruttare a mio vantaggio quest'altra forma di magia, Jeremy: me lo ha insegnato mio padre, che era il consigliere più fidato di Deneb. Era stato il vecchio Guardiano a scoprire che si poteva sfruttare direttamente quest'energia e a dirglielo. Mio padre ha violato il giuramento fatto a Deneb insegnandomelo, perciò non ho mai potuto rendere partecipi le due Genti di questa scoperta: non voglio che la memoria di mio padre venga macchiata da un'accusa di tradimento.»
«Io ho bisogno di stare sola per un po'», sussurra mia sorella alzandosi in piedi con un'espressione tra le più turbate, se non sconvolte, che io le abbia mai visto addosso.
«Emma, io...»
«No, Axel, ti prego, lasciami stare», alza la voce Emma, senza neanche sollevare lo sguardo sul Notturno, e allontanandosi da noi a passo svelto fino a scomparire dietro a una macchia di alberi.
Axel rimane fermo a fissare la direzione in cui mia sorella si è allontanata con sguardo spento e stanco, almeno finché io non decido di spezzare il silenzio calato su di noi.
«Si può sapere quello che è successo tra voi due? Emma non si è mai comportata così prima!» gli dico in tono accusatorio.
 Questa storia mi piace sempre meno.
Il Notturno neanche si degna di rispondermi, semplicemente si volta e sia allontana in direzione opposta rispetto a quella di Emma lasciandomi ancora una volta solo in questa radura.
Spero almeno che il mostro di tenebra si sia già saziato a sufficienza della mia luce e non torni.
 
***
 
Dopo quasi un'ora la mia pazienza è conclusa.
Dal momento che nessuno si è più fatto vedere nella radura sarò io ad andare a cercare Axel e a chiedergli se sa qualcosa dei miei genitori. Emma non la voglio disturbare, so che è meglio lasciarla sola in certi momenti.
Dopo pochi minuti di cammino scorgo il Notturno seduto ai piedi di un grande abete, con le mani a coprirgli il viso. Quando si volta verso di me, i suoi occhi arrossati e la faccia ancora stravolta dal pianto mi fanno capire che, forse, il ragazzo non è poi così male: sembra soffrire davvero tanto per il fatto di aver mentito ad Emma.
«Hey, scusami se ti disturbo», inizio un po' titubante.
«Che vuoi, Jeremy? Accusarmi ancora di essere un criminale dopo tutto quello che ho fatto per te? Dopo aver rischiato una nuova guerra tra le due Genti pur di tirare fuori da Komorebi un di Fuori?» mi risponde lui sfregandosi gli occhi con una mano, ma in tono estremamente freddo e fermo.
«No, niente di tutto questo. Anche se sinceramente penso che tu lo abbia fatto più per Emma che per me, o sbaglio?» dico sorridendo, cercando di alleggerire l'atmosfera.
«Su questo ti do ragione», afferma lui più bonariamente.
«Allora, dimmi, cosa volevi chiedermi? Basta che non siano domande su me ed Emma, quelli non sono affari tuoi, a meno che non sia lei stessa a parlartene», continua guardandomi storto.
«Anche tu pensi che i di Fuori siano dei poco di buono?» mi accerto prima di espormi e rivelargli chi sia in realtà nostra madre.
Axel sbarra gli occhi e mi fissa stranito, come se avessi detto l'assurdità più grande dei due mondi.
«Jeremy... Pensi davvero che vi avrei aiutati, che mi sarei esposto così tanto per voi se la pensassi così? La prima di Fuori che arrivò qui è stata una delle mie più care amiche, voi stessi mi dimostrate che le dicerie sui di Fuori sono sbagliate e ... Jeremy stai bene?» si interrompe Axel notando lo stupore sul mio viso.
«Tu... tu conoscevi Claire?»
«Sì, l'ho conosciuta a Yakamoz quando abbandonò la Gente del Giorno. Perché questa domanda?» mi chiede il Notturno sempre più confuso.
«Emma non ti ha detto come siamo finiti qui?»
«Ha detto che camminavate nella foresta e avete attraversato il Confine.»
«No, è stato nostro nonno a condurci all'Arcata e a spingerci oltre, perché voleva che scoprissimo la verità sulla nostra nascita», spiego scuotendo la testa.
«E a Komorebi ho scoperto che Claire, la prima di Fuori, è nostra madre, la madre che io ed Emma non abbiamo mai conosciuto.»
A queste parole Axel scatta in piedi di colpo, il volto completamente esangue, gli occhi di chi sembra aver visto la morte corrergli incontro.
«No, non è possibile... Questo non è vero, non è vero, non può essere vero...» inizia a dire sempre più agitato, tra un respiro trafelato e un altro, indietreggiando fino a sbattere la schiena contro l’albero dietro di lui.
«Axel, calmati, ti prego! So che è una cosa assurda, ma...»
«Non può essere, non può essere, io vi ho visti morti, lo so, io... io so quello che ho visto... Claire, Aaron e i bambini...» grida ancora più stravolto con le mani tra i capelli, continuando a fissarmi intensamente, come se mi vedesse davvero per la prima volta.
«Hai detto Aaron? È il nome di nostro padre! Conoscevi anche lui?» tento di chiedergli sperando in una sua reazione più calma, che fortunatamente arriva.
«Tu ed Emma siete... gemelli?» chiede dopo aver respirato a fondo per un po', tenendo chiusi gli occhi.
«Certo, mia sorella non te l'ha detto?»
«Jeremy... Va da Emma, dille che io so tutto e che posso raccontarvelo. Vi raggiungo tra un po'», dice prima di correre via, lasciandomi con più domande di quante ne avessi soltanto un'ora fa.

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Capitolo 23
*** Prime verità ***


Emma
 
«Hey, non ti pare di essere qui da sola da un po' troppo tempo?»
A queste parole sollevo il viso, fino a un attimo fa posato sulle mie ginocchia piegate, e tento di sorridere al mio gemello, che nel frattempo si è seduto di fronte a me osservandomi attentamente.
«Avanti, dimmi tutto, come hai sempre fatto. Che hai combinato con Axel?»
«Oh Jeremy...» inizio con voce ancora rotta e l'animo pesante.
«Io... Noi... Ci siamo baciati, prima, quando sono andata a chiamarlo. Non so che mi sia preso!»
«Hai una cotta per lui, questo è evidente», continua mio fratello in tono dolce e comprensivo dopo qualche istante, lasciandomi interdetta per un attimo.
«Io non lo so, in fondo lo conosco da pochissimo e non so quasi nulla sul suo conto, come prima ho avuto modo di sperimentare, eppure...»
«Eppure lui ti fa provare cose che non avevi mai sentito per nessuno, giusto?» mi precede.
Non posso che annuire. Ormai è chiaro quale direzione abbiano preso i miei sentimenti.
«È stato bello almeno?» continua maliziosamente, facendomi diventare rossa e imbarazzata come non mai.
«Jeremy!» grido distogliendo lo sguardo e puntandolo a terra, anche se non posso impedire che un grande sorriso si apra sul mio viso.
«Allora? Sto aspettando.»
«Si, è stato molto bello», affermo convinta tornando a guardarlo negli occhi.
«Certo che lui è stato davvero uno stronzo a baciarti sapendo di starti tenendo nascoste ancora troppe cose...» riflette mio fratello ad alta voce facendomi sospirare e scuotere la testa.
«No, lui la prima volta mi ha fermata proprio per questo motivo... È che a me non è importato e l'ho fatto lo stesso», confesso vergognandomi di me stessa.
«Ho seguito solo il cuore dimenticando completamente la testa, anzi, la testa proprio non si è fatta sentire. È tornata in vita solo quando ho visto Axel fare quella magia per salvarti.»
«Beh, Emma, mi dispiace dirtelo ma allora la colpa è solo tua, non puoi di certo essere arrabbiata con Axel dal momento che è stato così onesto con te, non ti pare?»
«Hey ma non eri tu quello che lo odiava e non si fidava di lui?» dico ridacchiando e gettando addosso a mio fratello delle foglie secche, facendolo scoppiare a ridere.
«Dico solo che se fosse stata una cattiva persona si sarebbe approfittato di te e dei tuoi sentimenti senza tanti scrupoli, invece non lo ha fatto. Questo per me gli fa guadagnare un bel po' di punti!»
«Sì, hai ragione, qui la colpa è soltanto mia», affermo sollevando le spalle.
«Dopo gli parlerò.»
«Abbiamo anche qualcos'altro di cui parlare col caro Axel, credo», dice Jeremy tornando serio.
«Prima gli ho parlato, gli ho detto chi era nostra madre. Lui la conosceva, Emma, ha detto che lei è stata una delle sue più care amiche. E conosceva anche papà.»
Per i primi quindici secondi, non riesco a proferire parola.
«Cosa?» riesco a dire poi in un sussurro.
«Era sconvolto, ha completamente perso le staffe quando ha capito chi siamo davvero. Ha cominciato a blaterare che era sicuro di averci visti morti accanto ai nostri genitori quel giorno, che non era possibile che noi fossimo davvero figli di Claire e Aaron. Si è convinto davvero solo quando mi ha chiesto se siamo gemelli. A proposito, perché non glielo hai detto?»
«Non mi è neanche venuto in mente, non pensavo fosse importante specificarlo...» dico, ancora piuttosto scossa.
«Vedi, lui allora non è l'unico ad averti tenute nascoste delle cose!» ci tiene a sottolineare.
«Comunque ha detto che ci racconterà tutto al suo ritorno.»
«Quindi Axel ci ha visti quando eravamo ancora in fasce? Prima che venissimo affidati ai nonni?»
«Credo proprio di sì, Emma. Pensa, probabilmente ti ha anche tenuta in braccio!» afferma scoppiando a ridere mentre io torno ad arrossire.
«Hey non c'è niente da ridere! È imbarazzante!» Lo rimprovero decisamente a disagio. Questa cosa mi fa sentire davvero strana.
«Emma, pensaci un attimo, fra pochissimo conosceremo tutta la verità su mamma e papà, ci pensi?» cambia fortunatamente discorso Jeremy placando le risa e tornado serio.
«Già, alla fine ce l'abbiamo fatta», confermo un attimo prima di sentire la voce di Axel che ci chiama.
Subito il mio povero cuore accelera il suo ritmo, le mie guance tornano ad imporporarsi al sentire di nuovo la sua voce e la mia mente non può fare a meno di farmi passare davanti agli occhi la scena del bacio di appena qualche ora fa, di farmi sentire ancora la sensazione delle sue labbra sulle mie e le sue braccia che mi stringevano a lui.
"È stato semplicemente il primo bacio che ogni ragazza sogna", non posso fare a meno di pensare con gli occhi lucidi mentre io e il mio gemello ci dirigiamo verso la piccola radura che farà da sfondo, finalmente, alla verità che abbiamo trovato dopo una ricerca durata tutta la nostra vita.
 
***
 
Non appena i miei occhi si posano su Axel capisco subito che qualcosa non va:
due occhiaie profonde gli contornano i bei occhi ambrati, sul suo viso non c'è l'ombra di un sorriso e le sue mani sono ferite come se avesse preso a pugni qualcosa o qualcuno fino allo sfinimento.
Sembra stanco, sfinito, più tormentato del solito.
È perché ora sa chi siamo, ne sono sicura.
E questo potrebbe cambiare tutto.
«Sedetevi», ordina serio senza neanche guardarmi in faccia.
«Axel, che hai fatto alle mani? Hai bisogno di essere medicato!» dico agitata facendo un passo verso di lui, ma vengo bloccata subito da un suo gesto:
«Non preoccuparti di questo, sto bene», afferma mentre prendiamo posto.
«Prima di tutto... Emma, perché diavolo non mi hai detto che Jeremy era tuo gemello? E perché hai taciuto il fatto che è stato vostro nonno a portarvi all'Arcata? Io avrei capito subito la verità e sarebbe stato molto meglio per entrambi!» continua in tono di rimprovero lasciandomi non poco sorpresa e amareggiata.
«Per quanto riguarda Jeremy, ho dato per scontato il fatto che fossimo gemelli e al nonno e alla volontà di scoprire la verità sulla nostra nascita poi non volevo pensare prima di aver ritrovato mio fratello. Volevo affrontare un problema alla volta. Perdonami Axel...»
«Non scusarti, non ne hai motivo», mi risponde lui più dolcemente scuotendo la testa.
«Adesso siamo pari», conclude.
«Ora, Jeremy, dimmi esattamente quello che ti è stato riferito a Komorebi», dice poi rivolgendo la sua attenzione a mio fratello, che comincia subito a raccontare.
«Innanzitutto voglio sottolineare che nessuno nella Città del Giorno sa chi siamo davvero, non ho detto nulla mentre Abies mi ha raccontato la storia di nostra madre», inizia.
«Questo è un bene, Jeremy, davvero», conferma Axel sospirando, probabilmente per il sollievo.
«Abies ha detto che Claire è stata trovata da Ophrys svenuta oltre l'Arcata, così lui l'ha portata a Komorebi dove è stata accolta da Corylus e Anthemis. Qualche mese dopo i due si innamorarono, o almeno, Ophrys si innamorò, dal momento che nostro padre si chiamava Aaron, non Ophrys...»
Mentre Jeremy parla io non riesco a distogliere lo sguardo dal mio Axel, che ora sembra più sofferente che mai: guarda a terra tenendo i pugni serrati, una smorfia contratta sul volto, come se stesse trattenendo le lacrime.
Quante gliene ho viste versare da quando sono qui? C'è mai stato un risveglio tra i pochi che abbiamo condiviso in cui i suoi occhi non fossero arrossati?
E quante volte mi sono chiesta cosa gli passasse per la testa quando d'improvviso ammutoliva con lo sguardo perso a fissare il vuoto?
“Perché una persona sola deve patire tutto questo?” mi chiedo.
Dio, vorrei così tanto che mi raccontasse tutto, che si sfogasse.
Certo, prima lo ha fatto e sono felice di questo, ma davvero tutti i suoi tormenti sono dovuti al fatto di aver vendicato nell'unico modo possibile la rovina del suo mondo? Mi risulta difficile crederlo.
Certo, prova del senso di colpa per non aver anticipato le azioni di Altair, ma da qui a tormentarsi in questo modo dopo tutti questi anni...
«Sbagliato», dice improvvisamente Axel interrompendo Jeremy e distogliendomi dalle mie riflessioni.
«Vostra madre amava Ophrys, lo amava con tutta sé stessa: se quello non era amore, allora l'amore non esiste.»
«Ma allora perché nostro padre...» provo a chiedere.
«Ophrys è vostro padre», mi interrompe Axel facendoci sgranare gli occhi.
«Aaron è un soprannome che gli diede Altair quando erano piccoli, era il nome segreto con cui solo lui lo chiamava durante i loro giochi da bambini e poi anche una volta cresciuti. Non vi so dire il perché, ma evidentemente vostro padre ha voluto usare il suo soprannome per presentarsi ai vostri nonni quando Claire lo mandò ad avvertirli che era bloccata in un altro mondo.»
«Ma quindi Anthemis è nostra nonna! E Corylus era nostro nonno...» dice Jeremy ancora sconcertato dalla rivelazione.
«Sì, è così», conferma Axel, serio.
«Ecco perché gli occhi della Guardiana mi avevano ricordato tanto i nostri», riflette mio fratello rivolgendosi a me, che a differenza sua non riesco a proferire parola.
«Un attimo...» chiede poi improvvisamente Jeremy aggrottando le sopracciglia, evidentemente appena folgorato da un dubbio.
«Come mai non ci hai riconosciuti dai nostri nomi? Se eri così amico dei nostri genitori avresti dovuto conoscerli!»
«Claire e Ophrys vi diedero altri nomi: Emma e Jeremy devono essere quelli più adatti al Mondo di Fuori che vi diedero i vostri nonni», risponde Axel.
«Ma allora quali sono i nostri veri nomi?» chiedo inquieta.
«È così strano pensare che il nome a cui sono sempre stata solita rispondere sia falso...»
Axel allora mi guarda intensamente, tacendo e mordendosi il labbro inferiore come se proferire quei due nomi gli costasse una fatica enorme, come se fosse consapevole che, una volta pronunciati, non sarà più possibile tornare indietro.
«Adhara e Jasione: il nome di una stella per Emma e quello di un fiore per Jeremy, nomi tipici rispettivamente della Gente della Notte e della Gente del Giorno», sbotta alla fine chiudendo gli occhi e stringendo i pugni, facendo ripiombare il silenzio.
"Adhara", penso incredula, "il nome di una stella, io porto il nome di una stella, un nome da Notturna..." Questa constatazione ha il potere di togliermi il fiato.
Questo è il nome che mamma e papà volevano che io portassi, un nome meraviglioso che richiama gli astri a cui tanto sono devota, un nome di cui andrei fierissima sempre.
Ma io non lo posso portare, ormai è tardi perché mi appartenga davvero: io sarei stata Adhara se fossi cresciuta qui, se i Nuclei non fossero mai stati distrutti, se mamma e papà ci fossero ancora.
Se tutto fosse andato per il verso giusto io sarei una persona completamente diversa, sarei Adhara, ma le cose non sono andate così: il destino mi ha portato ad essere Emma, un destino che non posso ignorare o fingere che non sia mai esistito.
«Io sono Emma, sono sempre stata Emma, è questo il mio nome: non voglio essere chiamata diversamente», dico allora sollevando lo sguardo e spezzando il silenzio.
«Idem per me», dice prontamente mio fratello, annuendo.
«Io sono Jeremy.»
«Allora sarete Emma e Jeremy per sempre, ragazzi, e nessuno potrà mai dirvi che questi non sono i vostri veri nomi, perché li avete scelti», dice Axel, chiaramente sollevato dalla nostra decisione.
«Axel, ti prego, raccontaci tutto dall'inizio: la faccenda è più complicata di quanto pensassi e mancano ancora molti pezzi» continuo io.
Il ragazzo dagli occhi ambrati annuisce, poi comincia a parlare.

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Capitolo 24
*** Altair, Claire, Ophrys ***


Jeremy
 
«Innanzitutto dovete sapere che vostro padre e Altair sono cresciuti non solo come fratelli, ma anche come migliori amici: erano inseparabili, da bambini così come una volta cresciuti. Facevano sempre tutto insieme: si supportavano, si difendevano, si divertivano a combinarne di tutti i colori.
Anthemis trovò Altair abbandonato nella foresta ai margini di Komorebi quando era solo un neonato e non ci pensò due volte a portarlo a casa. All'epoca non riusciva a concepire e temeva di non riuscire a dare un erede a Corylus, così quel bambino le sembrò una manna dal cielo; se non fosse riuscita ad avere un figlio, sarebbe stato Altair il futuro Guardiano di Komorebi. Anthemis però si preoccupava per nulla: neanche un anno dopo l'arrivo di Altair nacque Ophrys.»
«Non possiamo cominciare dall'arrivo di nostra madre?» chiedo spazientito interrompendo il Notturno. Sinceramente la biografia di Altair non mi interessa in questo momento.
«No Jeremy, tutte le cose che vi sto raccontando sono come pezzi di un puzzle: solo le li avrete tutti riuscirete ad avere chiara l'immagine completa», controbatte lui.
«Axel, mi dispiace che tu sia costretto a parlarne. So quanto sia difficile per te», interviene mia sorella fissando intensamente il ragazzo di fronte a noi.
«Grazie, Emma. Lo apprezzo molto, davvero, ma è ora che voi sappiate tutto», risponde lui prima di riprendere il racconto.
«Quando fu trovato Altair aveva al collo una catenina con una targhetta che riportava il suo nome: il nome di una stella, dunque tipico della Gente della Notte. Non c'era però dubbio che il bimbo fosse un mezzosangue: diversamente sarebbe stato circondato da un'aura scura durante le ore del giorno, così come tutti i Notturni.»
«Fammi indovinare, la Gente del Giorno invece era circondata da un'aura luminosa durante la notte?» chiedo.
«Sì, esattamente» conferma Axel mentre Emma si lascia scappare un sincero "wow".
«Lo stesso Altair era convinto di essere un mezzosangue e lo fu fino all'età di sedici anni», continua.
«Un giorno, mentre era di guardia da solo al Confine, la catenina che portava fin dal ritrovamento e che non era mai riuscito a togliere cadde da sola. In quell'attimo avvertì il potere della notte dentro di sé e comprese ogni cosa: non era mai stato un mezzosangue, ma era sempre stato un Notturno; era stata la catenina a tenere repressi i suoi poteri per tutto quel tempo.
Altair sapeva bene che non esistevano oggetti stregati o incantesimi che riuscissero a smorzare i poteri di una persona, eppure l'evidenza dei fatti non mentiva: chi lo aveva abbandonato doveva avere una conoscenza delle leggi magiche fuori dal comune.
Altair aveva sempre saputo di preferire la luna e le stelle al sole, inoltre non aveva mai creduto alle parole del padre adottivo, ma di questo non aveva mai parlato con nessuno, neanche con Ophrys. Quella notte stessa decise così di scappare di nascosto e di recarsi a Yakamoz: voleva imparare ad essere un Notturno, voleva seguire la sua vera natura.
Nella Città della Notte si imbatté in Alhena, la nipote del Guardiano di allora, Deneb; fu lei a portarlo dallo zio. Altair raccontò ogni cosa al vecchio Guardiano, il quale gli promise di aiutarlo: gli avrebbe insegnato la cultura dei Notturni e ad usare i poteri della notte. Deneb gli propose anche di stabilirsi nel suo palazzo, di abbandonare Komorebi, ma lui non ne volle sapere: riallacciandosi al collo la catenina poteva fingere ancora di essere un mezzosangue, così preferì iniziare a fare il doppio gioco, avere una doppia vita, mentire a tutti coloro che gli volevano bene.»
«Come sai queste cose, Axel?» chiede Emma pensierosa.
«Le cose che vi sto raccontando me le ha riferite lo stesso Altair quando lo conobbi a Yakamoz, quando ancora nessuno poteva immaginare cosa sarebbe diventato. Se solo lo avessi capito prima...»
«Era impossibile capirlo, Axel! Altair ha ingannato tutti, non è colpa tua!» dico sinceramente.
Lui, anche se non mi sembra molto convinto, annuisce e riprende a parlare:
«In ogni caso, qualunque fosse il motivo, Altair prese a trascorrere il giorno a Komorebi e la maggior parte delle notti a Yakamoz. Non rivelò a nessuno della sua famiglia la sua doppia vita, neppure ad Ophrys.
A Yakamoz pochissimi sapevano chi fosse davvero: solo Deneb e Alhena all'inizio, poi anche io quando stringemmo amicizia; tutti gli altri lo credevano un Notturno che veniva da fuori città, uno come Hamal.
Così passarono ben quattro anni, durante i quali tutti a Komorebi lo credevano ancora un mezzosangue e lo incitavano a compiere il rito per entrare a far parte della Gente del Giorno, ma lui ogni volta rifiutava affermando di voler mantenere fede ad entrambe gli elementi, di voler restare un mezzosangue. Poi arrivo Claire», dice bloccandosi per un attimo.
«Vostra madre era speciale, ragazzi, una vera forza della natura», riprende.
«Dovete sapere che le cose non andarono esattamente come le ha riferite quella guardia a Jeremy, infatti Claire e Ophrys si conobbero ben prima che lei varcasse il Confine.»
«Prima?!» esclamiamo contemporaneamente io ed Emma, che ormai pendiamo dalle sue labbra.
«Vostra madre era sempre stata attratta follemente da quella foresta di cui tutti parlavano nel suo paese, ma nella quale nessuno si era mai inoltrato: aveva giurato a sé stessa che un giorno lo avrebbe fatto, un giorno avrebbe svelato il segreto di quel luogo, quel segreto che nessuno a Boundary aveva mai avuto il fegato di scoprire. Si sentiva inesorabilmente legata a quegli alberi che si estendevano dietro casa sua, come si in mezzo ad essi fosse celato il suo stesso destino.
Era così. Un giorno, mentre i suoi genitori non erano in casa, si addentrò nella foresta», prosegue Axel, stanco e spento più che mai.
«In quel periodo Ophrys aveva iniziato a uscire dal Confine per bravata, così, tanto per l'adrenalina del rischio; lo faceva quando era di guardia all’Arcata con Altair, così poteva lasciare il fratello a coprirlo. I vostri genitori si conobbero così.»
«Due teste calde insomma», dice Emma sorridendo dolcemente nell'immaginarsi i nostri genitori al loro primo incontro.
«Oh sì, decisamente» conferma Axel mentre anche le sue labbra guizzano per un attimo verso l'alto.
«I due furono subito attratti l'uno dall'altra,» prosegue, «così per qualche settimana continuano a vedersi di nascosto, con la condizione posta da Ophrys a Claire di non rivelare mai a nessuno di lui e di non chiedergli mai nulla sul luogo da cui veniva.
Lui era consapevole di star compiendo un azzardo, di non starsi comportando in maniera responsabile dal momento che era destinato a diventare un Guardiano, ma non aveva mai provato nulla di simile per nessuno, non voleva, non riusciva ad allontanarsi da Claire.
Un giorno però lei si stufò della situazione e decise di seguire di nascosto vostro padre, ma quando attraversò la barriera svenne, come accade sempre a chi lo fa per la prima volta. Non sapendo che altro fare Altair e Ophrys la portarono a palazzo, dicendo che non erano riusciti a impedirle di varcare l'Arcata; naturalmente tacquero sul rapporto che già precedentemente lei e Ophrys avevano stretto.»
«Beh, da qui in poi direi che è tutto chiaro», affermo serio ripensando alla fine di questa storia e trattenendo a stento le lacrime.
«No, non è affatto tutto chiaro, lasciami continuare», mi contraddice Axel sorprendendomi.
«Claire col passare dei mesi non si innamorava sempre di più solo di Ophrys, ma anche di questo mondo; tuttavia, qualcosa non le tornava: non riusciva a credere che i Notturni fossero malvagi così come li descrivevano tutti a Komorebi a causa di Corylus.
Lei, dentro di sé, sapeva di essere predisposta più alla notte che al giorno, dunque prima di scegliere definitivamente la luce del sole decise che sarebbe andata in cerca della verità a Yakamoz: non avrebbe mai potuto spegnere la sua vera natura senza prove, neanche per amore.
Vostra madre era molto furba, riuscì dove l'intera famiglia del Guardiano aveva fallito per quattro anni: osservando Altair aveva intuito la verità. Gli chiese aiuto, gli chiese di portarla nella Città della Notte: sapeva che Ophrys non glielo avrebbe mai permesso, infatti anche lui inizialmente credeva a suo padre.»
«Dunque non fu affatto un tradimento!» affermo sollevato.
«Certo che no, ma i Diurni questo non l'hanno mai capito», dice Axel prima di proseguire.
«A Yakamoz lei scoprì la verità, ovvero che i Notturni non sono malvagi per natura, sono semplicemente diversi dai Diurni. Claire, anche se di certo non rispecchiava affatto le caratteristiche di una tipica Notturna, capì che era quello il suo vero posto, così con l'aiuto di Altair e di Deneb si preparò a compiere il rito.»
«E nostro padre come la prese?» chiede Emma.
«La notte in cui Altair aveva portato Claire a Yakamoz, Ophrys li vide uscire da palazzo insieme e si convinse che tra i due ci fosse qualcosa. Era furioso, distrutto, si sentiva tradito e umiliato dalle due persone che amava di più al mondo, quel mondo che gli sembrava improvvisamente caduto addosso.»
«Ma non era così, giusto? Non c'era niente tra loro, spero!» chiedo allarmato.
«Certo che no!» esclama il Notturno scuotendo la testa, chiaramente ancora più turbato di noi nel pensare ad una tale situazione.
«Ophrys però sapeva solo ciò che aveva visto, dunque li aspettò per tutta la notte ai margini della foresta, ma poco prima dell'alba tornò soltanto Altair. Mentre il Notturno cercava di spiegare al fratello la situazione, mentre cercava di spiegare le ragioni di Claire, il sole sorse. E Ophrys si sentì morire per la seconda volta nel giro di poche ore: Altair aveva scordato di rimettersi la catenina.
Così Ophrys ebbe la prova che suo padre aveva davvero ragione: i Notturni erano mostri spietati. Altair gli aveva mentito per anni nonostante il loro legame e le loro avventure, nonostante lui non gli avesse mai nascosto nulla, nonostante lui lo avesse sempre trattato più come un'estensione di sé stesso che come un fratello. Urlò ad Altair di andarsene, che non lo avrebbe voluto vedere mai più, poi tornò  a Komorebi dove rivelò a tutti il duplice tradimento di Altair e di Claire.»
«E noi allora quando siamo nati?» intervengo confuso.
«Ci sto arrivando, Jeremy. Quando vostra madre fu pronta per il rito, qualche settimana dopo, Altair fece arrivare un messaggio al fratello invitandolo a partecipare ad un momento tanto importante per Claire. Ophrys nonostante tutto non aveva smesso di amarla, dunque andò.
A Yakamoz anche lui comprese ogni cosa e si riappacificò sia con vostra madre sia con Altair. Nei mesi successivi vostro padre prese a venire spessissimo nella Città della Notte, di nascosto, per incontrare la sua ragazza e suo fratello: tutti insieme studiavano un modo per far capire a Corylus e alla Gente del Giorno la verità sui Notturni. Fu in quel periodo che io lo conobbi e che Claire capì di aspettare un bambino», dice Axel.
«Ah...»
«Quando nasceste, nove mesi dopo, la situazione era rimasta pressoché invariata, a parte per il fatto che a Komorebi cominciavano a succedere cose strane: tutta la Gente del Giorno aveva delle amnesie strane, le persone si risvegliavano improvvisamente in luoghi che non ricordavano di aver raggiunto, buchi interi di memoria sparivano.
Corylus diede la colpa ai Notturni, convinse tutta Komorebi che il responsabile fosse Deneb, il quale secondo lui stava sperimentando delle nuove tecniche magiche su di loro al fine di distruggere la Gente del Giorno.
Prese ad organizzare un attacco a Yakamoz, arruolò uomini e li preparò... Voleva radere al suolo Yakamoz sulla base di accuse infondate.»
«Ma se non fu Deneb a fare quelle cose alla Gente del Giorno, chi fu il responsabile?» interviene Emma.
«Questo purtroppo non è mai stato chiarito, dopo la distruzione dei Nuclei quei fenomeni cessarono così com'erano arrivati», risponde Axel paziente prima di continuare:
«Ophrys naturalmente ci avvisò dell'attacco imminente ed avemmo il tempo per organizzarci, ma nessuno si rese conto che il vero nemico si trovava lì a Yakamoz con noi: il giorno dell'attacco Altair mise in pratica il piano a cui pensava da chissà quanto tempo», continua terreo in volto.
«Senza che nessuno se ne fosse accorto in precedenza si era recato a Komorebi e aveva rubato il Nucleo del Giorno, poi era tornato e aveva preso anche quello della notte. Il giorno dello scontro combatté e uccise Corylus piantandogli a sangue freddo un pugnale nel petto; un attimo dopo, in qualche modo, distrusse anche il Nucleo che aveva con sé: il giorno venne strappato via dal cielo e scese la notte, notte che sarebbe stata eterna se Altair si fosse limitato a quello.
Subito, mentre ancora tutti i presenti erano intenti a cercare di capire cosa fosse successo, mentre i Diurni tentavano invano di usare ancora i loro poteri, Altair si voltò e uccise anche Deneb, che era accanto a lui, e distrusse il secondo Nucleo. Anche la notte così venne strappata via per sempre.
Nel frattempo i vostri genitori vi avevano salvati: appena prima della battaglia vi avevano portati dai genitori di Claire, pregandoli di prendersi cura di voi finché loro non sarebbero tornati a prendervi. Se non fossero tornati affatto i vostri nonni avrebbero dovuto crescervi finché non sareste stati pronti a conoscere la verità: quando sarebbe arrivato il momento avrebbero dovuto riportarvi al Confine e farvi entrare in questo mondo per farne parte, nel bene e nel male, in qualunque modo si fosse risolta la battaglia imminente. Non potevano sapere che nessuno avrebbe vinto quel giorno. Al loro rientro in questo mondo vennero sorpresi da Altair: lui li stava aspettando appena oltre l'Arcata.
Io, nonostante il caos che regnava dopo che anche la notte era sparita, nonostante avessi appena assistito alla morte di mio padre in battaglia e al folle atto di Altair, lo vidi scappare dalla folla che lo inseguiva e inoltrarsi nella foresta, così lo seguii: speravo di poterlo prendere più velocemente degli altri.
Lo raggiunsi troppo tardi, quando già aveva affondato il coltello nei cuori di Ophrys e Claire. In quel momento non ci vidi più... Attaccai quel mostro, lo sconfissi e lo uccisi. Poi fuggii. La mia mente era talmente sconvolta da tutto ciò che era accaduto che sono stato convinto fino a qualche ora fa di aver visto anche i vostri corpi accanto a quelli dei vostri genitori quel giorno. Evidentemente ciò che ho visto era solo la coperta nella quale eravate avvolti... Pensavo che Altair avesse ucciso loro e voi prima che essi riuscissero a portarvi nel mondo di Fuori, invece evidentemente è successo al loro ritorno.»
Alla fine del racconto, né io né mia sorella riusciamo a pronunciare una parola, neanche una qualsiasi.
Teniamo invece lo sguardo fisso al suolo, senza però guardarlo davvero: davanti ai nostri occhi scorrono le immagini degli ultimi istanti di vita dei nostri genitori, morti per mano della persona della quale si fidavano di più al mondo.
Ma Axel non ha ancora finito, no, deve ancora darci il colpo di grazia.
«C'è di più...» dice titubando leggermente.
«Prima di portarvi fuori da questo mondo Claire e Ophrys fecero una richiesta a Deneb: in quanto il Guardiano della Notte era un grande studioso di arti magiche gli chiesero di compiere su di voi il rito, di rendere te, Emma, una Notturna e te, Jeremy, un Diurno. Lui lo fece, poi utilizzò su di voi il blocco dei poteri con una magia simile a quella della catenina di Altair, in modo tale che nel mondo di Fuori non accadesse nulla di sospetto.
Voi eravate nel mondo di Fuori quando i Nuclei sono stati distrutti, dunque la luce e il buio puri dentro di voi si sono salvati: se troviamo un modo per rimuovere il blocco, possiamo far ripartire questo mondo.»

Note:
Ciao a tutti, lettori! Direi che siamo arrivati ad un punto molto importante: finalmente moltissime cose si sono chiarite e tanti dubbi hanno trovato una soluzione! Naturalmente non vi anticipo nulla, ma vi assicuro che ci sono ancora moooolti aspetti da chiarire relativi alla storia che ha raccontato Axel... Curiosi? Spero di sì! A prestissimo!

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Capitolo 25
*** Senza salvezza ***


Emma
 
Axel e Jeremy dormono.
Io no, non potrei mai disconnettere la mente dopo le sconcertanti informazioni appena ricevute, dopo aver appreso di essere legati al Mondo oltre l'Arcata molto più profondamente di quanto avremmo mai potuto immaginare.
Il punto di non ritorno è stato superato, anzi, tale punto non è proprio mai esistito: nel bene e nel male io e Jeremy facciamo parte di questa realtà, la patria natale di nostro padre e patria del cuore di nostra madre.
Forse avremmo potuto capirlo prima che il Mondo di Fuori non è mai stato la nostra vera casa, che noi lì eravamo due pesci fuor d'acqua, creature strappate al loro habitat naturale, farfalle private delle proprie ali.
Tutto ha improvvisamente acquistato un senso, la nebbia che ha sempre intorpidito la mente mia e del mio gemello si è dissipata lasciandoci scorgere finalmente in maniera chiara e inequivocabile il destino che ci aspetta: salvare il nostro mondo.
Improvvisamente siamo diventati la speranza a cui nessuno crede più, l'unica ancora a cui Yakamoz e Komorebi possono aggrapparsi per ricominciare.
Mentirei se dicessi di non avere alcuna domanda che bussa alle porte del mio pensiero: sono perfettamente consapevole che ci sono innumerevoli altri aspetti da chiarire su ciò che è accaduto ai protagonisti della generazione precedente alla mia.
Innanzi tutto: chi abbandonò Altair? Nella mia mente una risposta c'è, ma non riesco ad accettarla fino in fondo: se fosse vero le azioni del distruttore dei Nuclei risulterebbero essere ancora più atroci.
E poi c'è la questione che più mi tocca da vicino: perché i miei genitori decisero di negare la scelta dell'elemento a me e a Jeremy? Perché scelsero al posto nostro se la legge prevedeva che tutti i mezzosangue avrebbero dovuto entrare a far parte della Gente prescelta solo a sedici anni?
Quando chiesero a Deneb di compiere su di noi il rito non potevano certo sapere quello che Altair avrebbe fatto di lì a poco, si fidarono di lui fino all'ultimo istante, dunque non posso giustificarli pensando che presero quella decisione perché altrimenti noi saremmo rimasti mezzosangue per sempre.
Certo, non che io possa lamentarmi dell'elemento che mi è toccato in sorte: sono una vera Notturna, una donna predisposta a vivere immersa nella luce della luna, a vivere nella contemplazione delle stelle e nel mistero delle ombre, in fin dei conti nel modo in cui ho sempre vissuto. 
 Penso a quando Axel mi spiegò il carattere dei membri della Gente della Notte, carattere nel quale mi sono rispecchiata completamente, senza mezze misure, e sorrido.
Io ce la farò, riporterò la notte in questo mondo e Jeremy vi riporterà il giorno, tutto tornerà ad essere così com' era prima ed io potrò tornare a salutare i nonni e i miei amici; chiuderò tutte le faccende in sospeso e poi tornerò qui, a vivere la vita che mi aspetta. È questo ciò che desidero, ciò che ho sempre desiderato, anche se inconsciamente.
Guardando Jeremy dormire con la testa appoggiata alla radice di una grande quercia mi lascio scappare un sospiro: in questo momento desidero con tutto il mio cuore che i suoi progetti per il futuro siano simili ai miei. Non riesco ad immaginare una vita senza di lui al mio fianco.
«Emma, non dormi?» sento dire un attimo prima di voltarmi e di perdermi ancora una volta in due occhi color dell'ambra che mi scrutano attentamente, con calore.
«Come potrei dormire? Dopo tutto quello che ci hai detto...»
«Non devi preoccuparti, andrà tutto bene, vedrai. Ci riusciremo.»
«Axel, perché Claire e Ophrys volevano a tutti i costi che i nonni ci riportassero qui? In fin dei conti loro non potevano sapere come sarebbe finita la battaglia, non sapevano come sarebbe cambiato questo mondo. Non hanno reputato troppo pericoloso per noi farci gettare in pasto all'ignoto?» gli chiedo cercando di dare voce a un altro tra i molti dubbi che non mi lasciano pace.
Axel mi guarda per un po' rimanendo in silenzio prima di parlare.
«Non lo so, Emma», comincia poi, serio.
«Loro mi riferirono ciò che avevano deciso senza spiegarmi le motivazioni delle loro scelte. Eravamo amici, sì, ma non erano tenuti a giustificarsi. Voi eravate loro figli, era compito loro pensare a cosa fosse meglio per voi.»
«Beh, l'importante è che la scelta che presero si sia rivelata essere quella giusta!» rispondo senza neanche provare a fermare il sorriso fioritomi sulla bocca.
«Riavremo la notte, Axel, e il giorno e il tempo e l'allegria... Riesci a credici? La sofferenza per questo mondo è quasi giunta al termine», continuo, l'entusiasmo ormai giunto a quelle stelle che presto rivedremo.
Ma Axel non si mostra gioioso come immaginavo, anzi, mi sembra quasi che si sia incupito ancora di più nell'ascoltare le mie parole. Questa constatazione fa perdere il sorriso anche a me.
Quello che ha passato Axel è stato terribile ed io sono consapevole che non sarà mai più quello di diciassette anni fa, so che il ricordo di quel giorno sarà sempre come un marchio stampato col fuoco nella sua mente e nella sua anima, ma come può non esultare davanti ad una così concreta speranza di salvezza? Ci deve essere senz' altro qualcos'altro sotto, per cui provo a indagare.
«Axel, c'è qualcosa che ti turba?» butto fuori dopo le mie rapide riflessioni, spostandomi per mettermi a sedere accanto a lui.
«Tu non puoi capire quanto felice io sia per ciò che stiamo per fare, Emma!» afferma veementemente sollevando lo sguardo.
«Erano anni che il mio cuore non provava un sollievo così grande, anni trascorsi da solo con me stesso a colpevolizzarmi di tutto ciò che era successo, con la consapevolezza che non c'era la minima speranza di aggiustare le cose. Ora le cose potranno essere aggiustate davvero, anche se non l'avrebbe mai creduto nessuno, solo che...» 
«Solo che cosa, Axel? Dio, perché non riesci a lasciarti andare alla felicità neanche adesso che è così vicina?! Devi lasciare andare il passato, non puoi permettere che esso continui a trascinarti verso il fondo ancora e ancora! Ciò che hai dovuto fare quel giorno per salvare questo mondo è stato difficile e tragico, questo è vero, ma devi cercare di superarlo!» affermo decisa a farlo stare meglio, a salvarlo da sé stesso.
Ma forse è troppo tardi per salvarlo e io non voglio rendermene conto, acciecata come sono da ciò che provo per lui.
«Tu non sai niente di niente, Emma!» grida infatti Axel scattando in piedi e puntandomi un dito contro, il volto deformato dall'ira, sentimento che mai prima di questo momento avrei potuto associare al Notturno di fronte a me.
Rimango immobile e pallida mentre lui mi sbraita contro ancora, senza forse rendersi conto della ferita che mi sta aprendo nel petto.
«Tu non hai il diritto di parlarmi in questo modo, non hai il diritto di giudicare i miei stati d'animo, non hai il diritto di decidere quello che devo o non devo fare! Tu non sai quello che ho passato io, quello che sono stato costretto a fare, tu non lo sai!» conclude.
«Axel... Perdonami, non volevo essere invadente! Volevo solo aiutarti, farti sentire meglio!» dico con voce tremante alzandomi a mia volta, mentre il cuore minaccia di uscirmi dal petto da quanto forte batte.
Dopo i primi istanti di stupore nei confronti del suo sfogo, però, la rabbia comincia ad invadere anche il mio spirito: no, io non merito questo trattamento, non merito di essere trattata come una ragazzina invadente.
«Sai quel è il tuo problema, Axel?» sollevo lo sguardo sfidandolo apertamente, i pugni serrati e un'espressione severa sul viso.
«Sei solo un egoista, ecco cosa sei! Pensi davvero di essere l'unico a soffrire, l'unico a cui sono successe cose brutte? Non sei speciale, Axel, tutti convivono quotidianamente con le loro sofferenze, con i loro demoni, ma a differenza tua loro cercano di venirne fuori, cercano di salvarsi!  So che quello che hai passato tu è stato terrificante, che sarà un ricordo che farà sempre male e che ti accompagnerà per sempre, ma se esso è ancora una ferita aperta e non ancora una cicatrice questa è soltanto colpa tua! Sei tu a opporti a qualunque tipo di guarigione, Axel, solo tu che non accetti l'aiuto di nessuno!»
Dopo aver detto ad Axel ciò che penso, ciò che lui ha bisogno di sentire, mi prendo qualche secondo per cercare di calmarmi, poi torno a concentrarmi su di lui.
Il Notturno mi fissa immobile, ancora nella stessa posizione di quando ho cominciato ad alzare la voce, gli occhi ambrati sgranati fissi su di me; rimaniamo così a fissarci per lunghissimi secondi, poi lui abbassa lo sguardo, vinto.
«Anche se questo mondo guarirà, loro non torneranno. Questo mondo somiglierà a quello di un tempo, ma non sarà mai più lo stesso di prima, perché loro non ci saranno. Tutti riprenderanno le loro vite lì dove Altair le aveva interrotte, ma come potrei farlo io, Emma? Mi mancano troppo», sbotta passandosi una mano sul viso e appoggiando la schiena a un tronco.
«Loro chi, Axel? Chi ti manca così tanto?» gli chiedo nel tono più dolce e comprensivo che riesco a trovare, felice che abbia cominciato finalmente ad aprirsi con me, di essere riuscita a penetrare un po' quel ghiaccio che circonda il suo cuore da ormai troppo tempo.
«Ophrys, Claire, mio padre...»
Nonostante io ci provi, non riesco a nascondere del tutto lo stupore che si è impossessato di me all'udire quella carrellata di nomi. Poi, mi si scioglie il cuore.
«Oh Axel...» dico.
«Sai, quando mi avevi detto che non sarei mai potuta uscire da questo mondo, il mio primo pensiero è andato ai nonni e ai miei migliori amici. L'aspetto della mia situazione che mi faceva più male non era il rimanere qui per sempre, no: questo mondo è perfetto per me; ciò che non riuscivo a sopportare era che in questa nuova vita non avrei avuto accanto le persone che amo, che non avrei mai più potuto vederle, abbracciarle, sapere come stavano. Non mi sono data pace fino a poche ore fa, quando ho scoperto che un giorno potrò uscire. Dunque so come ti senti adesso, lo so, e so che è terribile.»
«Sì Emma, ma loro non sono semplicemente in un mondo diverso da questo come i tuoi cari, un mondo dove stanno bene: loro non ci sono più. Sono morti e non potranno più godere di tutto ciò che la vita può offrire e questo non è giusto. Io non riesco a sopportarlo, non riesco ad accettare il fatto che non li rivedrò mai più. Dopo tutto quello che abbiamo passato insieme, dopo il bene che ho voluto loro...» si sfoga ancora Axel stringendo i pugni e guardando un punto lontano.
«Loro non ti lasceranno mai, non sarebbe giusto dimenticare, ma ricominciare si può, Axel, è possibile rinascere, solo che tu non hai mai neanche voluto tentare, mi capisci? Provare a smettere di stare male ti è sempre sembrato come un tradimento nei loro confronti, un insulto alla loro memoria, ma non è così! Pensi davvero che loro avrebbero voluto questo per te?» lo consolo ancora avvicinandomi a lui per poter raccogliere con le dita la piccola goccia salata appena sgorgata dai suoi occhi.
Così, rivivendo la scena di quel primo giorno insieme, ci ritroviamo di nuovo con i nostri sguardi incatenati l'uno a l'altro, vicini come poco prima del nostro primo bacio.
Cercando di contenere i battiti frenetici del mio cuore faccio scivolare le mani sulle sue spalle forti, mentre una morsa mi stinge lo stomaco e il petto comincia a bruciare di un piacevole calore che si irradia lungo tutte le mie membra.
«E poi,» dico sorridendo sollevando il viso facendo così sfiorare i nostri nasi, «chi dice che loro non siano davvero in un altro mondo e che stiano bene? Per me non c'è alcun dubbio che sia così!»
Un secondo dopo mi ritrovo le braccia di Axel attorno alla vita e le sue labbra contro le mie. Le gambe mi cedono, ormai incapaci di reggere il mio corpo pervaso da brividi, ma non cado: Axel mi stringe a sé ancora di più.
Riprendendo un minimo di autocontrollo mi aggrappo ancora più forte a lui, cominciando a sfiorargli delicatamente il collo e le spalle. I suoi capelli corvini mi solleticano la fronte, le sue ciglia le guance: sentirlo ancora una volta così vicino e percepire il suo profumo addosso a me è la mia fine, vado completamente fuori di testa. Improvvisamente mi domando se il mio cuore reggerà il peso di tutte le emozioni che sta provando in questo istante.
Quando la mia vita era ancora normale mi ero chiesta molto spesso cosa si dovesse provare in certe situazioni, ma mai avrei pensato che potesse essere un qualcosa di così potente.
Intanto le mani di Axel scorrono lentamente tra i miei capelli, sulla schiena e sui miei fianchi, fino ad arrivare a quella parte di pelle nuda che la mia maglietta, sollevandosi un po', aveva lasciato scoperta.
Un gemito esce dalla mia gola quando lo sento soffermarsi su quel punto così vulnerabile, mentre ancora le nostre labbra sono unite e i respiri mescolati. Ma lui in quell'attimo, come se quel tratto di pelle lo avesse ustionato, si stacca di colpo da me voltandomi le spalle, lascandomi tremante e ansimante, con gli occhi sgranati, le gambe molli e lo stomaco attorcigliato su sé stesso, con la stessa sensazione addosso di una persona a cui è appena stato strappato via un arto.
«No!» grida il Notturno facendomi sobbalzare e tirando un pugno al tronco di fronte a sé.
«Non posso, non posso, non posso...» continua, e ogni parola scava in me una voragine sempre più profonda, mentre gli occhi mi si riempiono di lacrime.
«Axel... Che ti prende?» chiedo a voce tremante temendo la risposta con tutta la mia anima.
«È sbagliato, Emma! Sbagliato! Mi sono lasciato prendere dal momento, ma non sarebbe dovuto succedere, non dovrà accadere mai più!» afferma lui voltandosi, gli occhi ambrati fissi su di me che sembrano bruciare nella penombra.
«Perché dici così? Cosa c'è di così sbagliato?» dico ormai in lacrime.
«Ti ho praticamente vista nascere, Emma! Ero amico dei tuoi genitori, volevano addirittura che fossi il vostro padrino! Mi ucciderebbero se sapessero che... che ti fatto questo! Ti rendi conto di cosa saremmo noi se non si fosse fermato il tempo?! Non possiamo...» butta fuori tutto d'un fiato.
«Ma il tempo si è fermato, Axel! È successo, così come è successo tutto il resto! Come può essere sbagliata una cosa tanto bella?! Io sono sicura che loro...»
«No, Emma, ti prego, non rendiamo le cose più difficile di quanto già non siano! Dimentica tutto, fingi che tra di noi non sia mai successo nulla di tutto questo!» mi interrompe deciso lasciandomi completamente inerme a fissarlo allontanarsi, senza la forza di cercare argomentazioni che possano convincerlo a restare con me.
 
***
 
«Hey...»
«Jeremy! Mi hai spaventata!» sussulto all'udire la voce del mio gemello.
«Oh Jeremy...» dico poi distogliendo lo sguardo dal punto in cui Axel è sparito, punto che ancora stavo fissando da non so quanto tempo in stato di trance, e gettandomi tra le sue braccia familiari.
«Mi dispiace», sussurra lui cercando di darmi conforto, dimostrandomi ancora una volta che solo lui è in grado di capirmi così profondamente.
«Lui... lui non può fare così! Non può baciarmi in quel modo e poi mettersi a gridare che è una cosa sbagliata! Lui non può!» mi sfogo bagnandogli di lacrime la maglietta, piangendo in maniera quasi isterica.
«Calmati, Emma, ti prego... Non risolverai nulla così.»
«Aspetta... Ma tu hai sentito tutto?!» grido staccandomi da lui e fissandolo spalancando gli occhi, rossa come non mai.
«Beh, sai, avete cominciato a parlare a voce molto alta ad un certo punto e io...» cerca di difendersi lui cominciando a guardarsi intorno, a disagio.
«Jeremy!» dico indignata, ma non arrabbiata.
«Che dovevo fare?! Segnalarvi che ero cosciente rovinandovi il momento?!» si giustifica mio fratello alzando le spalle, per poi tornare a fare il serio.
«Senti, Axel non ha poi tutti i torti...» inizia.
«Ma Jeremy, cosa può esserci di sbagliato? Lo vogliamo entrambi e abbiamo la maturità per...»
«Frena, Emma! Immagina per un attimo che per un qualche scherzo del destino io e un'ipotetica figlia di Ezra ci conoscessimo e avessimo all'incirca la stessa età: ti sembrerebbe normale che io ci provassi con lei?» cerca di farmi ragionare.
«Beh, no... Però Axel ha conosciuto mamma e papà solo pochi mesi prima che morissero, non avevano un'amicizia di anni alle spalle come noi con Ezra! Mi chiedo anzi come sia possibile che loro abbiano chiesto proprio ad Axel di essere il nostro padrino...» rispondo con gli occhi bassi.
«Evidentemente hanno legato velocemente, Emma, non è poi così strano! Ascolta, Axel prima non sapeva chi tu fossi davvero, ma ora sì... Cerca di metterti nei suoi panni!» 
«Ma non è giusto!»
«Ascolta, sei ancora in tempo: cerca di non pensare più a lui in quel modo, rimetti le distanze. Sarà meglio per entrambi, fidati!» dice dolcemente, ma confondendomi ancora più di prima.
«Io... io non so se sono ancora in tempo, Jeremy», ammetto con lo sguardo perso nel vuoto, ribellandomi con ogni particella del mio corpo e della mia anima ad una tale soluzione, cercando disperatamente di leggere dentro di me, di trovare un segnale che mi dica cosa davvero provo per Axel, invano.
Io non mi sono mai innamorata prima, non mi è neanche mai interessato un ragazzo prima d'ora, non so cosa si dovrebbe provare! Non ho alcun tipo di punto di riferimento in questo.
L'unica cosa che so per certo è che non riesco più ad immaginare una vita privata della possibilità per me di specchiarmi nei suoi occhi, privata della sua voce, dei suoi rari sorrisi, di tutti quei suoi piccoli gesti che lo rendono lui, del nodo allo stomaco ogni volta che le sue mani sfiorano le mie.
«Bene, vedo che siete svegli entrambi ora», ci sorprende la voce di Axel, appena tornato.
«Coraggio, in marcia: tra poche ore saremo a Yakamoz», dice raccogliendo le sue cose senza neanche alzare lo sguardo verso la nostra direzione.
Io lancio un'ultima occhiata a mio fratello, occhiata che lui mi fa intendere di aver compreso benissimo.
Per me, i guai sono appena iniziati.

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Capitolo 26
*** Chi sei? ***


Jeremy
 
L'atmosfera è tesa, molto.
È da un po' che siamo in cammino ormai e i miei due compagni di viaggio non si sono mai neppure rivolti una parola; entrambi continuano ad avanzare immersi in un imbarazzante silenzio, cercando di evitare ogni possibile contatto visivo tra loro.
Io ho provato a fare conversazione ora con l'uno ora con l'altra, ma dal momento che ricevevo solo monosillabi come risposta a qualunque domanda ho smesso di provarci.
Mi dispiace davvero tanto per quello che sta passando Emma, questo non le ci voleva proprio; come me ha già abbastanza problemi da affrontare senza che ci si metta di mezzo anche il cuore. Spero soltanto che riuscirà a farsi passare presto la cotta fulminante che le sta togliendo il sonno: prima succederà e prima si sentirà meglio.
Per quanto riguarda Axel, devo dire che la mia prima impressione su di lui si è rivelata sbagliata: si vede che è una brava persona e che non meritava le mie parole taglienti; i miei genitori poi si fidavano di lui e per me questo vuol dire tanto.
Inoltre, dopo aver scoperto che la mia gemella è una Notturna, non posso di certo mettere in dubbio ciò che lui ci ha detto: la Gente della Notte non è intrinsecamente cattiva; Emma infatti non è cattiva, è la persona migliore che conosca. Non mi servono altre prove.
Se la situazione fosse diversa, se il destino non si fosse messo in mezzo, sarei stato contento che tra lui ed Emma fosse nato qualcosa, mi sembra il ragazzo giusto per lei, ma purtroppo le cose stanno così e non si possono cambiare.
In ogni caso questa camminata imbarazzante ha il suo lato positivo: il poter esplorare un po' meglio questo mondo. Per raggiungere la Città della Notte dal punto in cui ci trovavamo abbiamo attraversato foreste rigogliose, costeggiato il fiumiciattolo che scende dalle montagne alte e grigie che si vedono all'orizzonte, ancora ricoperte di ghiaccio, seguito il sentiero che si snoda attraverso dolci colline sgombre di alberi, erbose e piene di fiori.
È tutto così dannatamente bello qui che non posso fare a meno di provare ancora una volta rabbia e profondo odio nei confronti di Altair, quel mostro che oltre ad avermi strappato mamma e papà ha rubato anche a questo luogo la possibilità di poter risplendere sotto i raggi del sole, la possibilità per la gente di correre serena attraverso questi prati con il cielo azzurro sopra la testa e il vento tra i capelli.
Adesso invece tutta questa bellezza è immersa in un'atmosfera plumbea, grigia, fredda e malinconica, tutto è immobile ed estremamente silenzioso, serio, per nulla gioioso.
Ma noi possiamo far cambiare le cose adesso, possiamo far tornare ad essere questo mondo quello meraviglioso e spensierato che rubò il cuore a mia madre, quello dove vivere sereni senza tutte le storture del mondo nel quale sono cresciuto, quel mondo dove regna soltanto il profitto e in nome di esso si compiono le barbarie più atroci sia contro il prossimo sia contro il pianeta, dove se non produci denaro sei solo una mosca da schiacciare, dove c'è sempre più asfalto e sempre meno aria buona, dove la tecnologia sta alienando dalla vita vera sempre più persone, dove il ritmo della vita è accelerato a dismisura.
Dobbiamo solo cercare e trovare tra le carte di Deneb la formula che scioglierà l'incantesimo che tiene quiescenti i poteri miei e di mia sorella, così il potere del giorno e il potere della notte si manifesteranno ancora all'interno di questo mondo facendo ripartire il tempo: come ci ha spiegato Axel, fungeremo noi stessi da Nuclei.
In seguito dovremo ricreare i due Nuclei originari a partire dai due elementi dentro di noi, altrimenti alla nostra morte tutto tornerebbe ad essere così come è adesso, ma a questo penseremo più avanti.
Improvvisamente, alzando ancora una volta lo sguardo per contemplare il paesaggio collinare attorno a me, vengo preso dall'angoscia nel momento in cui un pensiero si fa strada tra gli altri con impeto maggiore:
«Axel, le guardie di Anthemis ci stanno cercando, non è poco prudente stare così allo scoperto?» chiedo immobilizzandomi e guardandomi attorno nervosamente.
Ci troviamo in uno spazio completamente aperto, senza alcun tipo di riparo; attorno a noi ci sono solo basse colline tondeggianti ed erbose: la foresta l'abbiamo lasciata indietro un bel po' di tempo fa ormai e all'orizzonte si scorgono solamente le montagne ormai vicinissime. Unico punto di riferimento è il sentierino sotto ai nostri piedi.
«Questa è la via più rapida, ci avremmo impiegato molto più tempo a passare per la foresta. Le guardie di Komorebi non sono così numerose, sarebbe una casualità troppo grande che alcune venissero a setacciare questa zona proprio in questo momento», mi risponde il Notturno senza fermarsi.
«Speriamo bene...» borbotto ricominciando a camminare.
«Non preoccuparti, Axel sa quello che fa», tenta di rincuorarmi Emma sorridendomi debolmente.
«Rilassati Jeremy, fra un paio d'ore al massimo saremo a Yakamoz», interviene il diretto interessato, il viso decisamente più arrossato del solito.
"Ok, la situazione è più grave di quanto penassi tra questi due..." penso alzando gli occhi al cielo.
Nel frattempo siamo giunti sulla cima dell'ennesima collinetta: le montagne incombono vicinissime su di noi, giganti e ghiacciate; da qui finalmente posso vedere in lontananza il punto in cui il terreno torna pianeggiante e si tuffa nuovamente nella foresta. Poco oltre si vedono emergere dagli alberi le sommità di alte torri di pietra.
«Quella è....» dice emozionata la mia gemella.
«Sì Emma, quella è Yakamoz», le risponde Axel mentre un sorriso nostalgico si apre sul suo viso.
«Bene, muoviamoci!» esclamo io ricominciando a camminare e superandoli, interrompendo così la loro contemplazione del primo scorcio della Città della Notte.
"Komorebi deve essere di certo più bella!" penso ridacchiando tra me e me.
 
***
 
Una volta raggiunta la foresta che avevamo scorto dalla collina, un paio d'ore più tardi, vi ci immergiamo con prudenza per evitare di finire in qualche agguato: temiamo infatti la possibilità che le guardie di Anthemis ci stiano aspettando proprio ai confini della Città della Notte. Fortunatamente non c'è nessuno qui per noi.
Una volta oltrepassata la prima fila di tigli, mi accorgo subito che questo pezzo di foresta deve essere per la città un luogo dove svagarsi e incontrarsi, una sorta di parco: sentieri di terra battuta si diramano ordinatamente in tutte le direzioni, panchine di legno sono disposte un po' ovunque, lungo le stradine o in cerchio in qualche radura naturale circondata da aiuole fiorite.
Alcuni fiumiciattoli percorrono la zona zigzagando in tutte le direzioni: quando uno dei sentieri inciampa in uno di essi, un grazioso ponticello ricurvo di legno e ferro battuto permette di non interrompere il percorso.
Ciò che maggiormente cattura l'attenzione sono però le centinaia di lanterne che pendono dai rami sopra di noi, ognuna contenente una fiammella che rischiara la penombra perpetua in cui il tutto qui è immerso, talmente tante che non si riesce a scorgere il punto della foresta in cui esse si interrompono. Sembrano quasi stelle scese sotto alle chiome degli alberi come omaggio alla Gente della Notte.
«Alhena si ostina a tenerle accese», dice Axel osservando le centinaia di luci che sembrano fluttuare nell'aria sopra alle nostre teste.
«Effettivamente non servirebbero, si vedrebbe bene lo stesso, però sono molto belle. Regalano un po' di conforto secondo me», dice Emma con il viso ancora rivolto verso l'alto e il riflesso dei fuochi negli occhi verde-azzurri.
«Prima di Altair, la Gente della Notte amava ritrovarsi qui. Era bellissimo, ogni notte i sentieri si riempivano di uomini, donne, ragazzi e bambini che chiacchieravano, giocavano, ridevano e danzavano sulle note dei musicisti che sempre venivano a suonare flauti e arpe per rallegrare l'atmosfera. Tutti erano così felici allora, con i volti sereni illuminati dalla luce dorata delle lanterne...» continua il Notturno con occhi lucidi.
«E poi, quando si era stanchi del rumore e della luce, si prendeva con sé gli amici più cari e si andava sulle colline, quelle che abbiamo appena attraversato, ad ascoltare stesi nell'erba i grilli frinire e a guardare le stelle sorgere dalle sagome scure delle montagne, con solo la luce della luna a rischiare il mondo.»
«E tornerà ad essere così. Grazie a noi», affermo convinto e risoluto, toccato nel profondo da ricordi così nostalgici e pieni di magia, quella che solo la memoria di un tempo felice può lasciare addosso.
«Per riuscirci dovrete darmi retta», dice Axel tornando a guardarci.
«La formula che ci serve per togliere il blocco che impedisce ai vostri elementi di manifestarsi si trova in un cofanetto sigillato in possesso di Alhena. Dobbiamo trovarlo senza che lei sappia chi voi siete davvero.»
«Perché tanta segretezza? Se Alhena sapesse che possiamo far tornare il tempo ci aiuterebbe con gioia!» afferma Emma piuttosto perplessa.
«Lei non sa cosa contiene il cofanetto: solo Deneb, i vostri genitori, Altair ed io sapevamo», risponde Axel aggrottando le sopracciglia nere.
«Inoltre lei non ha mai potuto aprirlo, perché solo il tocco di uno di voi due può farlo. Era una misura di sicurezza presa da Deneb, così nessuno avrebbe potuto sciogliere l'incantesimo mentre eravate nel mondo di Fuori, neanche per sbaglio.»
«Perché Alhena non venne informata della situazione? In fondo era l'erede del Guardiano...» chiedo.
«Oh no, lui non ha mai avuto intenzione di nominare Alhena come erede, per quanto lei e tutta Yakamoz ne fossero convinti. Per quanto bene volesse a sua nipote, Deneb non ha mai voluto coinvolgerla in vicende troppo delicate.»
«Ma Deneb non aveva figli, chi altri avrebbe potuto nominare?» ribatto io.
«Altair...» sussurra Emma, facendomi voltare di scatto la testa verso di lei dalla sorpresa.
«Altair era figlio di Deneb», continua mia sorella.
«Hai ragione, Emma. Non ti sfugge niente», conferma il Notturno annuendo e sorridendole, facendomi sgranare gli occhi.
«Deve essere nato dalla relazione di Deneb con una Diurna, ma lui sapeva che la Gente della Notte non avrebbe mai accettato un mezzosangue come futuro Guardiano dato l'odio della Gente del Giorno contro di loro, così ha compiuto il rito su di lui appena neonato per farlo passare poi come purosangue», ipotizza Emma.
«Ha poi bloccato i poteri di Altair grazie alla catenina per abbandonarlo nei pressi di Komorebi: solo lui aveva una conoscenza magica tale da poter fare una cosa del genere, la stessa che ha ripetuto poi con me e Jeremy, anche se in forma perfezionata, senza ciondoli o scadenze. Sedici anni dopo la catenina si sarebbe tolta e sarebbe stato Altair stesso ad andare da lui, per questo quando Altair si recò da Deneb lui si offrì subito di aiutarlo e gli propose di rimanere a Yakamoz: era suo figlio, il suo erede.»
«Ma perché abbandonarlo a Komorebi? Non era sufficiente dire subito a tutti che aveva avuto un figlio da una Notturna di cui non voleva dichiarare l'identità?» domando confuso.
«Deneb naturalmente avrebbe voluto fare così, avrebbe voluto dire fin da subito che il piccolo era suo figlio,» dice Axel, «ma come hai detto tu stesso questo significava mentire sull' identità della madre, dire a tutti che fosse una Notturna. Alla madre di Altair questo non andò giù, non voleva che le fosse negata la maternità, così prese il bambino e fuggì: se lei non avrebbe potuto essere mamma, neanche Deneb sarebbe stato papà. Non poteva però di certo tornare dalla sua famiglia a Komorebi con in braccio il figlio avuto da un Notturno: con il clima che c'era all'epoca nella Città del Giorno i suoi genitori non l'avrebbero mai riaccettata in casa, così lo abbandonò ai margini della città dove lo trovò Anthemis. Deneb rivelò la verità ad Altair solo pochi giorni prima della battaglia e lui lo confidò a me e ai vostri genitori. Nessun altro lo sa.»
«Ma se Deneb voleva rivelare subito che Altair era suo figlio, perché la catenina? Perché fingere che fosse un mezzosangue se era proprio quello che voleva evitare?» chiede Emma, perplessa quanto me.
«Originariamente Deneb mise al collo di Altair quella catenina per evitare che la madre si accorgesse che il rito era stato già compito sul bambino: lei non sarebbe stata d'accordo nel negare la scelta al figlio. Per Deneb tuttavia il trucco della catenina si rivelò utilissimo quando il figlio gli venne portato via: grazie ad essa era infatti consapevole che Altair stesso un giorno sarebbe tornato da lui.»
«D'accordo, questo spiega il perché Alhena non conosca il contenuto del cofanetto,» dico cercando di tornare al punto da cui eravamo partiti, «ma non capisco ancora perché non possiamo dirle tutto noi stessi: risparmieremmo un sacco di tempo!»
«E come giustifichereste il fatto di sapere chi siete davvero?» cerca di farmi ragionare Axel.
«Diremo che ce lo hai detto tu! Lei ti conosce, giusto?» insisto.
«Appunto: di coloro che sapevano della vostra esistenza solo io e Alhena siamo sopravvissuti, dunque se voi le direte che sapete chi siete sarà ovvio ai suoi occhi che sono stato io a rivelarvelo. Il problema è che lei non si fida di me: ero amico di Altair, crede che io fossi a conoscenza dei suoi piani e che lo abbia aiutato a realizzarli. Lei mi vuole morto.»
«Ma è folle!» interviene Emma.
«Sì, ma Alhena è testarda, molto, non cambierà mai idea sul mio conto. Se sapesse che sono stato io a chiedervi di farvi dare il cofanetto penserebbe che io abbia in mente qualcosa e che voi siete miei complici. Non ve lo darebbe mai. Per questo assumerò le sembianze di un'altra persona agli occhi suoi e a quelli di tutti i Notturni, così nessuno mi riconoscerà. Solo voi due continuerete a vedermi per quello che sono davvero.»
«Intendi usare la tua magia speciale?» chiede Emma in tono canzonatorio.
«Sì, Emma. Fingerò di essere un Notturno che abita fuori città, dirò di averti trovata e di averti aiutata a liberare Jeremy. Le diremo che siete dei semplici di Fuori.»
«D'accordo, e una volta trovato il cofanetto? A quel punto come ci giustificheremo?» dice la mia gemella.
«A quel punto faremo ripartire il tempo, così Alhena avrà la prova della mia buona fede e non servirà più mentirle: le diremo tutta la verità e io verrò allo scoperto. Non potrà più dubitare di me dal momento che avrò contribuito a salvare il mondo!»
«D'accordo allora, è deciso», sentenzia Emma annuendo mentre un senso di gelo mi piomba addosso.
Le bugie hanno le gambe corte, se venissimo scoperti per noi sarebbe la fine: troppe cose potrebbero andare male in questo piano! Ma ormai l'azione è decisa e io devo adeguarmici.
«Axel, che aspetto assumerai? Credo che sia meglio saperlo per noi, così da non incepparsi nei discorsi», chiedo al Notturno.
«Lo stesso che ho assunto per entrare nel palazzo di Komorebi.»
«A Komorebi tutti ti vedevano diverso da come ti vedevamo noi?!» grida Emma indignata.
«Sì, avevo già pensato che avrei dovuto accompagnarvi a Yakamoz dopo la fuga e avevo bisogno che i conti tornassero per tutti! Se le guardie di Komorebi avessero descritto ad Alhena il mio vero aspetto lei avrebbe capito chi sono e non ci avrebbe offerto protezione!»
«E chi mi dice che anche quello che vedo io non sia una maschera? Chi mi dice che sia questo il tuo vero aspetto, Axel?! Per quanto ne so potresti avermi mentito per tutto questo tempo!»
«Emma, come puoi credere questo?! Non potrei mai farti una cosa del genere!» si difende Axel, impallidendo e guardando intensamente Emma, il viso contratto in un'espressione addolorata.
«Non lo so più, Axel... Non lo so più», sussurra Emma mentre una lacrima le sfugge dalle ciglia, facendomi stringere il cuore per lei.
«Emma...» provo a dire, ma lei volta le spalle a entrambi e si avvia in silenzio verso la Città della Notte, imboccando uno dei tanti sentieri a nostra disposizione.

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Capitolo 27
*** Yakamoz ***


Emma
 
La prima immagine della Città della Notte che mi si presenta davanti è completamente sfocata: i miei occhi infatti sono pieni lacrime trattenute, lacrime che premono tanto da far male e che a stento mi fanno deglutire per via del nodo in gola che non accenna a lasciarmi tregua.
Siamo arrivati ormai alla fine del sentiero: davanti a noi si stagliano le mura che circondano Yakamoz, in pietra grezza ricoperta da muschio profumato; saranno alte circa sei o sette metri, ornate sulla sommità da merli perfettamente squadrati e simmetrici. Proprio di fronte a me un’apertura sormontata da un arco di pietra permette l’ingresso in città.
Dopo essermi assicurata che i ragazzi siano ancora alle mie spalle, una decina di metri più indietro, mi appresto ad oltrepassare l’apertura e a immergermi tra le strade della città in cui sono nata.
Per un attimo cerco di mettere da parte il pensiero delle parole di Axel, che ancora sento rimbombare nella testa, per provare a godermi appieno la vista di Yakamoz; mi strofino così gli occhi con le mani, respiro profondamente e inizio a guardarmi intorno.
Gli edifici sono costruiti in pietra come le mura, un susseguirsi non simmetrico ma decisamente armonico di graziose casette una diversa dall’altra, ma sempre nello stesso stile che ricorda molto quello medievale del Mondo di Fuori.
Ognuna ha la sua torretta dal tetto appuntito oppure un’altana sostenuta da eleganti colonnine bianche, finestre a sesto acuto circondate da cornici di mattoni rossi con tende ricamate che ne nascondono l’interno; balconcini in legno, scale rampanti e affreschi geometrici blu e bianchi ornano molti dei muri esterni, impreziosendo ulteriormente le abitazioni della Gente della Notte assieme a piante rampicanti di edera e gelsomino.
Le strade, se così si possono chiamare, sono lastricate con grandi pietre scure levigate, distanziate l’una dall’altra dall’erba che si è fatta strada tra di esse. Alcune delle costruzioni più grandi possiedono alte torri con grandi orologi dalle lancette in ferro sulla cima, visibili da tutti, perfettamente funzionanti e sincronizzati uno con l’altro.
Ogni piazzetta è impreziosita da antiche fontane, pozzi di pietra, grandi alberi o statue di personaggi che naturalmente non riconosco, ma tutte dal volto e dall’atteggiamento schivo e misterioso. Alcune case, le più belle e imponenti, sono circondate da eleganti ringhiere in ferro battuto, dietro alle quali splendidi giardini ne nascondono parzialmente l’aspetto.
Non c’è molta gente in giro, ma i pochi che vedo sembrano aggirarsi come pallidi spettri tra le vie di questa città dal sapore antico, misterioso e sfuggente. Alcuni sembrano vagare senza una vera meta, altri si avvicinano silenziosamente alle botteghe o alle bancherelle che vendono stoffe raffinate, strane ampolle contenenti non so quali intrugli e bellissime pietre preziose e minerali di ogni forma, colore e dimensione.
«Bella signorina, vuole provare alcuni gioielli? Le pietre vengono dalle grotte sotto le montagne, le ho raccolte io stesso!» tenta di attirarmi verso la sua mercanzia un anziano ma furbo venditore, vestito di una lunga tunica rossa, avendo evidentemente notato il mio volto meravigliato nel vedere oggetti così belli.
Prima di potergli rispondere negativamente, però, mi sento chiamare:
«Emma, sbrigati!» grida Jeremy, e io mi volto appena in tempo per vedere Axel tirargli una discreta gomitata e lanciargli un’occhiata truce. Subito mi muovo per raggiungerli, ma la voce del venditore mi costringe nuovamente a rivolgergli la mia attenzione:
«Emma, che nome singolare! Sicuramente non originario di Yakamoz...» 
«Mi scusi, devo andare», lo congedo il più in fretta possibile allontanandomi a passo svelto, comprendendo improvvisamente il perché del gesto di Axel.
Dobbiamo stare attenti con i nostri nomi qui: la Gente della Notte porta i nomi delle stelle così come la Gente del Giorno quello di erbe, piante e fiori; Emma e Jeremy di certo non appartengono a nessuna delle due categorie.
“Aspetta, neppure Axel corrisponde ad una delle categorie”, penso, ma mi sono già guastata a sufficienza la giornata a causa sua per aumentare ancora di più il mio malumore, dunque decido di chiudere questa nuova deduzione in un cassetto della mia mente per riprenderla in mano in un altro momento.
Quando raggiungo i ragazzi Axel sta ancora sgridando Jeremy per aver urlato il mio nome ai quattro venti.
«Scusami, Axel, non ci ho pensato!» si difende Jeremy sbuffando e incrociando le braccia, facendomi provare un moto d’affetto nei suoi confronti e sorridere, anche se debolmente.
Poco dopo entriamo in una piazza più grande e imponente delle altre: subito mi rendo conto che l’edificio che spicca maggiormente tra quelli che vi si affacciano deve essere il palazzo di Yakamoz, casa di Alhena e di Deneb prima di lei, luogo che ha assistito alla nascita mia e del mio gemello.
A differenza del palazzo di Komorebi, che si trova in posizione rialzata e periferica rispetto al resto della città, sul fianco di una collina, questo si trova invece in pieno centro, anche se isolato dalle altre abitazioni da un muretto in pietra che delimita il perimetro del giardino che lo circonda: un piccolo viale alberato conduce all’edificio, che spicca certamente sia per grandezza che per bellezza.
Lo stile richiama quello delle altre abitazioni delle città, fuorché il tetto: sulla cima del palazzo infatti sorgono numerose e grandi cupole di vetro, senza strutture metalliche a sorreggerle; sembrano quasi bolle di sapone appena posate a terra in procinto di scoppiare.
A presidiare l’ingresso al viale alberato ci sono due giovani uomini vestiti in modo molto simile alle guardie della Città del Giorno, ma in blu: guardie di Yakamoz, suppongo. Non appena ci scorgono ci vengono incontro lentamente, senza dare troppo nell’occhio.
«Vi stavamo aspettando, di Fuori. La Guardiana Alhena vuole vedervi», sentenzia il primo, un ragazzo di circa vent’anni alto e spigoloso, dai profondi occhi neri.
«Come sapete che siamo proprio noi quelli che cercate?» chiede Jeremy mentre un sopracciglio gli scatta verso l’alto.
«Stavamo aspettando due gemelli biondi e molto somiglianti tra loro accompagnati da un Notturno: mi sembra che voi corrispondiate abbastanza bene alla descrizione», interviene la seconda guardia, più bassa e robusta della prima, in tono decisamente più freddo e lanciando un’occhiata di sottecchi ad Axel.
«Vacci piano, Castore, sono ospiti! A noi i di Fuori non hanno mai fatto alcun male», lo rimprovera subito il collega, sorridendoci.
«Seguitemi», continua poi incamminandosi oltre il cancello del muretto di confine.
Nonostante io cerchi di trattenermi, mentre ci incamminiamo verso il palazzo non riesco a fare a meno di voltarmi verso il Notturno accanto a me, quello che fino a poco tempo fa avrei chiamato “il mio salvatore”.
Mi sento spinta da un istinto quasi incontrollabile, come se i miei occhi bramassero di guardarlo ancora, perché da troppo tempo privati della vista di quel volto.
Senza rendermene conto mi ritrovo ad accarezzare con lo sguardo il profilo perfetto del suo viso, trattenendo il respiro, indugiando e perdendomi in ogni dettaglio, eclissandomi da tutto il resto: i riccioli neri che gli ricadono sulla fronte chiara e che lui continua a scacciare indietro nervosamente, come fa spesso, l’arco ben definito del sopracciglio, gli occhi più luminosi delle stelle che si guardano attorno con attenzione e quelle labbra di cui ora conosco così bene il sapore...
E quando lui si volta facendo scontrare i nostri sguardi, in quell’attimo sento il mio cuore saltare un battito e qualcosa trafiggermi il petto: una fitta bruciante che mi fa girare la testa e tremare la terra sotto ai piedi, mentre ogni cosa fuorché l’immagine di lui perde i suoi contorni.
In una qualunque altra situazione avrei distolto di scatto lo sguardo, vergognandomi di essere stata colta in flagrante, ma in questo momento non ce la faccio, sono completamente bloccata mentre mi sento arrossire fino alla punta delle orecchie e buttare fuori tutta l’aria trattenuta, cercando miseramente di far trasparire il meno possibile all’esterno la confusione generatami dalla strana e avvolgente sensazione che provo: come se una potente energia mi avesse invaso lo stomaco per poi continuare a  risalire fino al cuore per poi tornare ancora giù, togliendomi il respiro.
«Emma, stai bene?» mi chiede Axel dolcemente rallentando il passo, mentre una ruga di preoccupazione gli si disegna sulla fronte; il resto del gruppo avanza lasciandoci di un po’ indietro.
A questo punto riesco a distogliere lo sguardo, ancora scossa, confusa e per niente lucida.
«No... io non sto bene...» sussurro.
A queste parole il mio Axel si blocca, facendo fermare anche a me prendendomi per le spalle e facendomi voltare verso di lui, senza forse rendersi conto dei brividi che mi sta procurando a causa di questo nuovo e improvviso contatto.
«Emma, ti prego... So che hai tutte le ragioni per essere arrabbiata con me, ma ti supplico, non stare male per colpa mia, non riuscirei a sopportarlo! Perdonami per non averti detto niente, perdonami! È che sai... non sono più abituato a condividere i miei pensieri, i miei piani con qualcuno», dice guardandomi con un’intensità travolgente, facendo vibrare dentro di me corde di cui mai prima d’ora avrei sospettato l’esistenza.
“Come posso non stare male, Axel?” penso.
“Come posso dal momento che l’unica cosa che voglio in questo momento è stringermi a te il più possibile, sentire le tue braccia avvolgermi come questa mattina e ieri sera... Come posso stare bene quando non desidero altro che te, ma tu non me lo permetti?”
«Emma, dì qualcosa... Cominci a spaventarmi!»
«Axel...» riesco finalmente a dire coprendo le sue mani ancora su di me con le mie:
«Non ce la faccio ad essere arrabbiata con te, non ci riesco. Anzi, ti chiedo perdono: arrivando qui ho pensato solo a me stessa e al fatto di quanto mi avessero ferito le tue parole, senza riflettere su come ti devi sentire tu nel tornare qui dopo tanto tempo, dove tutto è successo, dove hai perso tutti coloro che amavi, dove Alhena non ti vuole»,  dico a bassa voce per non far sentire le mie parole alle guardie che ci stanno aspettando, assieme a Jeremy, in prossimità del portone d’ingresso del palazzo.
«Io sto bene, Emma, davvero! Non devi preoccuparti per me, io...» inizia Axel.
«Mi preoccupo invece e lo farò sempre», lo interrompo arrossendo un po’, ancora col fiato corto e le gambe molli, ma guardandolo con decisione.
«Possiamo tornare ad essere quelli di prima, due persone simili che si sono incontrate in un momento di bisogno e che ora si stimano e aiutano a vicenda. Non voglio perderti anche come amico, Axel. Non allontanarmi», insisto, avendo appena compreso che ormai i fatti sono questi: voglio Axel nella mia vita, in un modo o in un altro. Nel modo in cui lui vorrà.
«Non ho mai avuto intenzione di farlo, Emma. Tu sei la mia salvezza, non potrei mai e poi mai tagliarti fuori dalla mia vita! Non posso più farlo ormai, perché non voglio farlo!» afferma con voce incrinata e gli occhi lucidi fissati dentro i miei.
«Solo che...» esita.
«Solo che non possiamo fare parte della vita uno dell’altra in quel modo», concludo io fingendomi serena, nascondendo il peso sul cuore che mi causano simili parole.
«Va bene, Axel, non c’è problema. Fingiamo che quei due episodi non si siano mai verificati e ricominciamo, ci stai?» continuo cercando di sorridere e di sembrare convincente, stringendo con maggiore intensità le sue mani.
«Certo», conferma lui sorridendo a sua volta: un sorriso che però coinvolge solo le labbra, un sorriso che non arriva ad illuminargli gli occhi.
 
***
 
L’interno del palazzo di Yakamoz è stupefacente: camminando per raggiungere il salone nel quale ci sta aspettando Alhena percorriamo stanze e alti corridoi dai soffitti a volta gotica, scalinate di marmo, balaustre dalle ringhiere di ferro.
Le pareti e le colonne dai capitelli finemente decorati sono in pietra grigio-chiara e lucida, i pavimenti in marmo più scuro, quasi nero. Ci sono mobili intarsiati in legno, soffitti affrescati di lapislazzulo e decorati con schemi di costellazioni e fasi lunari e arazzi blu notte.
Ciò che però risulta davvero incredibile sono le numerose sale circolari sormontate dalle cupole di vetro, talmente trasparenti da risultare invisibili: l’effetto è quello di stare in ambienti scoperchiati, senza soffitto.
“Per guardare le stelle direttamente da casa”, penso estremamente meravigliata guardando in alto verso il cielo grigiastro.
A differenza del palazzo della Città del Giorno qui tutto è caratterizzato da corridoi dritti, pareti perpendicolari ai soffitti ed angoli ben definiti, da forme geometriche perfette per quanto sinuose ed elaborate, da un ordine e una simmetria quasi maniacale: un paradosso, conoscendo a grandi linee il carattere di entrambe le Genti.
La Gente del Giorno è pragmatica, concreta, realistica, ferma fino al feticismo sulle proprie posizioni, timorosa nei confronti di tutto ciò che sa di non poter comprendere con la razionalità, ma nonostante questo il palazzo del loro Guardiano è ciò che di meno razionale possa esistere.
Il palazzo di Yakamoz è invece un inno di proporzioni e armonia, un luogo dove tutto è lì dove dovrebbe essere, un luogo dove non si riuscirebbe a perdersi neanche immersi nel buio più impenetrabile: e questo nonostante il fatto che la Gente della Notte viva di istinto, passione, pulsioni dettate dal cuore e dall’anima piuttosto che dalla mente, nonostante essa si senta a proprio agio solo se protetta dalle ombre, da ciò che non si riesce ad afferrare al primo sguardo.
Evidentemente, nonostante lo neghino, anche i Diurni hanno bisogno del loro caos quotidiano, mentre i Notturni si fanno bastare quello che sperimentano nel buio della notte, dove niente è mai davvero come sembra.
Finalmente anche l’ultima porta a doppia anta si apre davanti a noi: subito entriamo in una stanza con ampie finestre a sesto acuto lungo tutto il perimetro, incorniciate da pesanti tende di velluto blu impreziosite da arzigogolati arabeschi dorati.
Accanto ad un camino di pietra sta in piedi una ragazza: la prima cosa che noto di lei è lo sguardo risoluto e sicuro di sé che ostenta, gli occhi grandi e nerissimi fissati su di noi.
Dimostra all’incirca tre o quattro anni più di me e Jeremy, è alta e molto magra, fasciata da un bellissimo abito al ginocchio color pervinca; lunghi capelli castano scuro e mossi le incorniciano il viso, mentre la bocca è piegata in un sorriso soddisfatto.
«Vi devo fare i miei complimenti, di Fuori! Non è da tutti riuscire a sfuggire alle guardie di Komorebi all’interno del loro stesso palazzo e farla franca. Ottimo lavoro, grazie a voi mi sono goduta una gran bella soddisfazione quando Anthemis è stata costretta a rivelarmi ciò che era accaduto!» dice dopo averci studiati per alcuni istanti.
«Mia Signora, sono lieto di fare la vostra conoscenza,» dice Axel facendo un passo avanti.
È teso più che mai, lo vedo chiaramente: teme che nonostante l’incantesimo Alhena possa riconoscerlo. Nonostante questo, però, mi stupisco di quanto riesca a sembrare convincente.
«Mi chiamo Axel e sono un Notturno che vive fuori città», continua lui provocando un moto di perplessità sia in me che in mio fratello.
“Perché non mente anche sul suo nome? Alhena potrebbe fare due più due!” penso, ma subito mi torna in mente il fatto che prima di scappare da Komorebi ho gridato forte il suo nome, ho gridato “Axel”: non può inventarsene un altro adesso. Spero davvero tanto che esista una stella a me ignota che chiamata Axel, cosicché Alhena non si insospettisca troppo. Purtroppo, pare che non sia così.
«Axel... Posso chiederti perché non porti uno dei nostri nomi tradizionali? Semplice curiosità!» dice la Guardiana inarcando un sopracciglio, ma sempre in tono amichevole.
Voltandomi verso Jeremy noto che è diventato estremamente pallido.
«Ero un mezzosangue, dunque i miei genitori mi diedero un nome neutrale come accade quasi sempre in certi casi. Il giorno del rito, a sedici anni, preferii non assumerne uno nuovo. Ero affezionato a quello vecchio», spiega Axel senza battere ciglio, facendomi domandare quanto ci sia di vero in questa storia.
«Comprendo, e sono felice che tu abbia scelto la notte, Axel», risponde Alhena tranquillamente. Grazie a Dio non sospetta nulla.
«Se Anthemis è già stata qui saprete già ciò che è accaduto», continua lui con voce ferma.
«Speravamo di trovare aiuto e protezione da parte vostra, mia Signora: questi ragazzi sono stati strappati per sempre al loro mondo, non meritano di essere anche privati della libertà.»
«Sei furbo, ragazzo. Hai aspettato un giorno intero prima di portarli qui per non finire dritti nelle grinfie delle guardie del giorno. Hai fatto bene i tuoi conti, se ne sono già andate, così come Anthemis, che è voluta venire di persona a chiedermi di restituirvi a lei quando sareste arrivati», dice la Guardiana con un sorriso furbetto sul viso.
«E voi cosa le avete risposto?» chiede Axel mantenendo la tranquillità, mentre io e il mio gemello tratteniamo il respiro.
«Ho risposto che è Komorebi ad avere problemi personali con i di Fuori, non Yakamoz, e che se foste venuti qui sareste stati miei graditi ospiti. Siete sotto la mia protezione adesso», afferma convinta mentre io e Jeremy veniamo investiti dal sollievo.
«Mia Signora, vi siamo infinitamente grati!» dico mentre tre paia di occhi si puntano su di me.
«Ma posso chiedervi perché lo fate?» continuo non riuscendo a trattenermi.
«Per un reale desiderio di aiutarci o per fare un torto alla Gente del Giorno?»
«Per entrambe le cose, ragazza. Per entrambe le cose», risponde lei.
 
***
 
Mi trovo nella camera assegnatami da Alhena, sola con me stessa per la prima volta dopo non so quanto tempo. Dopo esserci presentati alla Guardiana, questa ci ha accompagnato nelle stanze che aveva già predisposto affinché ci accogliessero: saremo suoi ospiti finché le acque non si placheranno, così ha detto.
Appena sola mi sono fatta un bagno e cambiata i vestiti, indossando quelli che Alhena aveva fatto preparare per me precedentemente, poi mi sono immediatamente infilata sotto alle coperte per riposarmi davvero dopo le intense emozioni e le lunghe camminate di questi ultimi giorni.
Dopo un sonno agitato durato qualche ora, sono rimasta sdraiata a fissare il soffitto e a far viaggiare la mente.
Non riesco a smettere di pensare ad Axel: ogni volta che chiudo gli occhi il suo viso mi compare davanti, nitido sotto le palpebre, come se il suo ritratto vi fosse stato marchiato col fuoco.
E ogni volta, nei recessi più profondi di me, qualcosa si torce dolorosamente mozzandomi il respiro. Vorrei che lui fosse qui in questo momento, vorrei che venisse da me e mi parlasse, che mi guardasse come faceva prima di sapere chi sono davvero... La figlia dei suoi migliori amici.
“Ma ormai non è più possibile, lui l’ha messo subito bene in chiaro”, penso mentre un nodo mi si forma in gola e due grosse lacrime salate mi sgorgano dagli occhi nonostante i miei sforzi per trattenerle.
Incapace di reggere oltre comincio a singhiozzare cercando di fare il minor rumore possibile, affondando il viso nel cuscino e raggomitolandomi su me stessa mentre forti spasmi mi scuotono il petto e gli occhi cominciano a bruciare terribilmente.
Io, Emma Baker, sto piangendo per un ragazzo.
Quante volte nel corso della mia vita precedente ho sognato il momento in cui sarebbe successo, il momento in cui qualcuno sarebbe arrivato e avrebbe spazzato via tutte le mie resistenze, tutte le mie paure di espormi così tanto nei confronti un'altra persona?
Ogni volta che ci pensavo immaginavo che sarebbe stato tutto bellissimo, che sarei stata davvero felice, che tutto sarebbe stato semplice. Poi quella persona è arrivata, certo, ma subito mi è stata tolta brutalmente senza che io potessi fare nulla per impedirlo, lasciandomi ferita e triste invece che sprizzante gioia come una qualunque ragazza innamorata. “Perché proprio a me?” mi chiedo. A me, che aspetto questo momento da un sacco di tempo.
Aspetta, ho davvero pensato “ragazza innamorata”?
I miei pensieri e i miei singhiozzi vengono interrotti da un rumore alla porta: qualcuno sta bussando. Con la voce più ferma che riesco a trovare dico di aspettare un attimo, anche se l’effetto è quello di una cornacchia a cui hanno pestato la coda.
Velocemente cerco di darmi un contegno: mi alzo, tolgo la vestaglia, indosso un abito azzurro chiaro e mi sciacquo il viso, poi prendo un respiro profondo e apro la porta.
Axel se ne sta davanti a me in una posizione rigida e imbarazzata, le braccia dietro alla schiena e un lieve rossore sugli zigomi. Il mio cuore fa una capriola: non mi sarei mai aspettata di trovarmelo davanti alla porta della mia stanza.
«Axel...» sussurro dopo qualche istante, pietrificata, per la prima volta imbarazzata nel parlare con lui.
Lui apre la bocca per dire qualcosa, ma poi la richiude senza emettere suono, lo sguardo preoccupato che scorre sul mio viso; forse voleva chiedermi il motivo delle mie lacrime, i segni del pianto sul mio viso infatti sono ancora ben visibili, ma evidentemente ha cambiato idea: probabilmente pensa di non essere più nella posizione per poter farmi domande così personali.
Mi sta allontanando, proprio quello che gli avevo scongiurato di non fare. “Meglio così”, tento di consolarmi: non avrei saputo cosa rispondergli altrimenti.
Mi accorgo solo ora che anche lui si è cambiato gli abiti: ora ne indossa di più eleganti e raffinati che gli stanno una meraviglia.
«Emma... Posso entrare per favore?» chiede lui spezzando l’imbarazzante silenzio in cui eravamo immersi da un po’. Io annuisco e apro di più la porta, scostandomi per farlo passare.
Una volta dentro Axel si guarda attorno, poi riporta l’attenzione su di me.
«Allora, ti piace Yakamoz? Ti trovi bene qui?» chiede.
«Sì, la città e il palazzo sono meravigliosi e la camera accogliente», rispondo a disagio:
avere il ragazzo per cui piangevo fino a qualche minuto fa qui dentro mi manda completamente in confusione.
«Sei riuscita a riposare un po’?» continua lui.
«Oh sì, ho dormito un paio d’ore. E tu?»
«Sì, anche io.»
«Avevi ragione comunque: Alhena ci ha aiutati senza indugio. Come lo sapevi?» gli domando per tentare di rendere l’atmosfera meno tesa e strana, dal momento che lui sembra non avere intenzione di dire altro.  Axel sembra pensarci un attimo prima di rispondere.
«Mio padre ha servito Deneb per moltissimi anni, io stesso conoscevo bene l’ex Guardiano. So come ragionano le persone che hanno tra le mani potere e responsabilità: non è difficile prevedere le loro mosse se si hanno presenti le condizioni in cui essi si trovano a lavorare e, a grandi linee, anche il loro carattere», dice poi sorridendo un poco.
«Sei bravo a mentire, Axel: Alhena non si è resa conto di nulla, non si è accorta di conoscerti già», affermo.
Evidentemente ho toccato un punto sensibile, un nervo scoperto, perché subito lui si rabbuia e distoglie lo sguardo da me.
«Non lo faccio mai a cuor leggero, Emma. Mai. Mento solo se è necessario farlo, solo se serve per proteggere qualcuno a cui tengo molto o se è fondamentale per poter fare poi la cosa giusta, ma vorrei non doverlo fare mai.»
«Certo, non l’ho mai messo in dubbio,» rispondo subito, «intendevo dire che senza di te noi ci saremmo fatti beccare subito, quindi grazie.»
I tratti del suo viso si addolciscono a queste mie parole e gli occhi ambrati tornano ad illuminarsi di più mentre un ricciolo scuro gli ricade sulla fronte.
“Dio, è così bello...” penso arrossendo.
E la sento di nuovo, quella spinta che mi attira verso di lui come se io fossi una falena e lui una lanterna nella notte, il desiderio irrefrenabile di...  Sospiro.
Non so neppure io di cosa, forse semplicemente di lui, ma so di non poterlo fare, dunque rimango ferma al mio posto mentre un fuoco mai provato prima mi consuma dall’interno.
«Axel,» dico invece, «cosa c’è di vero nella storia che hai raccontato ad Alhena, quella sul tuo nome? Eri davvero un mezzosangue?» gli chiedo.
«Sì, quella parte era vera, ero un mezzosangue. Mia madre era una Diurna, ma non l’ho mai conosciuta: ha abbandonato me e mio padre appena dopo la mia nascita», mi confessa lui.
«Mi dispiace tanto, Axel, so quanto sia dura crescere senza un genitore. Io stessa non ho mai conosciuto i miei e, anche se i nonni non ci hanno mai fatto mancare nulla, ho sofferto comunque tantissimo per questo, come anche Jeremy.»
«Grazie, Emma, so che tu mi capisci come nessun altro potrebbe mai fare.»
«Bene,» cambio discorso io, «allora, dove pensi che sia lo scrigno?»

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Capitolo 28
*** Nel Palazzo della Notte ***


Jeremy
 
«Axel, sei sicuro che sia proprio in questa stanza?» chiedo spazientito quando, guardando dietro all'ennesima fila di libri, noto a malincuore che si tratta di un altro buco nell'acqua.
«No, non sono sicuro. Potrebbe essere ovunque, anche se la biblioteca mi pareva un buon punto di partenza», mi risponde il Notturno senza smettere di frugare nei ripiani più bassi delle librerie, quelli chiusi da spessi pannelli di legno intarsiato.
«Se qui non troviamo niente bisognerà cercare nello studio di Alhena e infine nella sua camera da letto: quella sarà la parte più complicata», interviene Emma dalla sua postazione accanto alla porta, pronta ad avvisarci subito in caso arrivasse qualcuno.
«Beh, mi auguro vivamente che salti fuori ben prima che sia necessario frugare tra le mutande della Guardiana!» sbotto io cominciando a scostare i libri di un nuovo ripiano mentre mia sorella e Axel trattengono a stento le risate.
«Jeremy, concentrati!» mi riprende Emma scherzosamente continuando a sbirciare nel corridoio antistante la biblioteca.
È il terzo giorno che siamo arrivati a Yakamoz, ma solo il primo che abbiamo cominciato a cercare lo scrigno di Alhena, quello che contiene la formula di Deneb che permetterà agli elementi dentro di noi di riemergere: iniziare subito a passare tutto il nostro tempo in biblioteca sarebbe saltato troppo nell'occhio.
In questi due giorni, o meglio, notti, ci siamo ambientati a palazzo e abituati un poco a dormire durante le ore che secondo gli orologi sarebbero quelle diurne e a stare svegli durante quelle notturne, come sono abituati a fare qui a Yakamoz.
Inoltre abbiamo conosciuto meglio Alhena che, almeno dal mio punto di vista, si è rivelata essere un'ottima e attenta interprete dei bisogni della sua città, oltre che una ragazza estremamente sicura di sé e delle proprie capacità, una leader nata.
Secondo me Deneb si sbagliava a volerla tenere fuori dagli affari di governo, ad escluderla a priori dalla successione, ma evidentemente era accecato dall'affetto provato per il figlio ritrovato, accecato come tutti coloro che ad Altair volevano bene: Anthemis, Corylus, mio padre.
Soprattutto mio padre, dal momento che lo considerava il suo migliore amico oltre che suo fratello.
Alhena ci ha permesso fin da subito di usufruire liberamente di tutte le aree del palazzo: ha chiarito subito che qui siamo ospiti, non prigionieri. Ho dovuto dunque dare ragione ad Emma ed Axel: rimanere a Komorebi si sarebbe rivelato un errore; qui se non altro siamo liberi.
A volte bisogna lasciare il sentiero che appare più sicuro per trovarne uno migliore, bisogna perdere l'equilibrio per un attimo e rischiare di cadere per fare un passo avanti. È questo che devo imparare a fare io: rischiare, anche se ora so il perché mi risulta tanto difficile: ce l'ho nel DNA, sono un Diurno.
Questa "sera", poco dopo esserci alzati, senza farci notare troppo ci siamo diretti in biblioteca per iniziare le ricerche, biblioteca che si è rivelata essere una sala rotonda molto ampia e alta, con una cupola di vetro trasparente per soffitto. Attorno alle pareti di pietra sono collocate le librerie che ospitano i volumi, talmente tante da arrivare quasi fino al soffitto, mentre al centro della sala si trovano due eleganti divanetti rivestiti di stoffa blu e un tavolino sotto ad un tappeto dello stesso colore.
«Axel, quante candele consumavate qui a Yakamoz quando c'era ancora la notte? Sai, una città intera che viveva col buio...» chiedo curioso, stimolato dall'idea che quei divani servissero evidentemente per sedervisi a leggere.
«Candele?» risponde lui, perplesso.
«Non ne avevamo bisogno! La pietra grigia con cui è costruita tutta quanta Yakamoz diventava traslucida quando si faceva notte e ogni mattone emanava una fioca luminescenza azzurrina.»
«Ragazzi, Alhena!» ci avvisa improvvisamente Emma scostandosi subito dalla porta.
Cinque secondi dopo, quando la Guardiana fa il suo ingresso, Axel è seduto composto su uno dei divanetti, Emma è appoggiata alla parete dietro di sé e io sono in piedi accanto ad uno scaffale a sfogliare un libro con apparente tranquillità.
«Vorrei salutarvi augurandovi una buona serata come sempre, ragazzi, ma non penso che oggi sia il caso», dice Alhena, gli occhi neri che esprimono chiaramente quanto sia infastidita da qualunque cosa sia venuta a riferirci.
«Cosa succede, mia Signora?» chiede Emma, preoccupata, avvicinandosi a lei, mentre lo stesso facciamo anche io ed Axel.
«Anthemis è di nuovo qui,» dice seria, «ma non per voi, di Fuori: vuole parlare con Axel.»
«Con Axel?» esclamiamo quasi contemporaneamente io ed Emma, mentre il Notturno a fianco a noi sbianca di colpo.
«Con me?» balbetta il diretto interessato dopo qualche istante, con voce fioca e incredula.
«Mia Signora, Axel gode della vostra protezione esattamente come me e Jeremy, vero?» si assicura Emma avvicinandosi al Notturno di qualche centimetro, forse inconsapevolmente.
«Non ne ha bisogno, Emma. Anthemis non può rivendicare alcun diritto su un membro della Gente della Notte, a prescindere dalle sue azioni», dice.
«Dunque, Axel, se deciderai di parlare con lei non devi temere», continua rivolgendosi direttamente al Notturno.
«Non sei obbligato a farlo!» gli dice mia sorella toccandogli il braccio e fissandolo intensamente.
«Parlerò con lei», sentenzia tuttavia Axel dopo qualche istante di riflessione, ancora estremamente pallido.
«Bene, seguimi allora. Ti porto da lei», dice la Guardiana voltandosi e uscendo dalla biblioteca.
Dopo un ultimo sguardo lanciato ad Emma, Axel le va dietro.
«Tutto questo non ha senso!» affermo una volta rimasto solo con la mia gemella, decisamente più preoccupata di me per questa strana richiesta di Anthemis.
«Cosa potrà mai volere da Axel, Jeremy?» mi chiede infatti lei, gli occhi verde-azzurri inquieti, lasciandosi cadere nello stesso punto del divano su cui era seduto il suo Axel fino a pochi attimi fa.
«Probabilmente vuole capire il perché ci abbia aiutati», rifletto.
«In ogni caso non devi preoccuparti, hai sentito Alhena: nostra nonna non può fargli nulla.»
«Non chiamarla così, ti prego, mi devo ancora abituare all'idea!» mi rimprovera lei prendendosi la testa tra le mani.
Improvvisamente sentiamo un vociare provenire dalla stanza attigua alla biblioteca, quella che Axel ci ha spiegato essere l'ex studio di Deneb, quello in cui si dedicava ai suoi studi. Una porticina di legno metteva in comunicazione i due ambienti al tempo del vecchio Guardiano, ma Alhena l'ha fatta chiudere a chiave.
Io ed Emma ci lanciamo subito verso di quella e appoggiamo un orecchio sul legno scuro: subito riconosco le voci della Guardiana del Giorno e di Axel.
«Dunque saresti tu ad aver fatto irruzione nel mio palazzo e ad esserti preso gioco delle mie guardie e della mia autorità!» dice freddamente Anthemis.
«Sono io, Signora. Tuttavia non volevo prendermi gioco di nessuno, solo rimediare a quella che chiaramente era un'ingiustizia», le risponde Axel, pacato.
«Un'ingiustizia?! Volermi assicurare della buona fede di un di Fuori prima di concedergli la libertà nel nostro mondo sarebbe stata un'ingiustizia alla luce di quanto accaduto in passato? Che Guardiana sarei stata se avessi agito diversamente?!» sbotta lei, chiaramente furente.
«Claire non fece nulla di ingiusto nei vostri confronti, Signora: è stato Altair a tradirvi, non lei.»
«Pretendi di sapere meglio di me come si svolsero i fatti, ragazzino?! Che ne sai tu di cosa accadde davvero, eh?! C'eri forse quando i miei figli portarono Claire in casa mia? C'eri quando lei promise di diventare una Diurna? C'eri quando disonorò il nome di mio figlio Ophrys e quello della mia famiglia?»
Dopo qualche secondo di silenzio durante il quale Axel non risponde, la Guardiana parla ancora, stavolta in tono più pacato anche se altrettanto freddo e tagliente.
«Se fossi un Diurno saresti già stato punito adeguatamente, ma non sono qui per questo», dice.
«Da quanto mi hanno raccontato le mie guardie più fidate, risulta evidente che sai muoverti molto bene nel palazzo di Komorebi: conosci passaggi, disposizione delle stanze, scalinate secondarie. Com' è possibile questo?»
«Effettivamente me lo ero chiesto anche io», sussurro ad Emma.
«Tu sai come può conoscere così bene il palazzo?» le chiedo, ma lei scuote la testa.
«Non sono tenuto a rispondere ad alcuna delle vostre domande, Signora», dice Axel oltre la porta, gelido.
«Come preferisci, Axel», sibila allora la Guardiana, calcando particolarmente sull'ultima parola.
«Vogliate scusarmi», dice infine il Notturno con l'evidente intenzione di uscire dalla stanza: pochi istanti dopo sentiamo infatti richiudersi la porta oltre la parete.
«Abies si sbaglia... Lo avrei capito subito altrimenti», dice piano Anthemis una volta rimasta sola, facendomi chiedere quale sia il significato di tali parole.
Emma si stacca subito dalla porta e inizia camminare avanti e indietro per la biblioteca:
«Abies è la guardia che si è scontrata con Axel prima che noi fuggissimo, vero?» mi chiede poi fermandosi al centro della stanza.
«Sì, è la guardia che mi ha trovato nel palazzo diroccato, quella che mi ha raccontato di nostra madre», dico.
«A proposito, era innamorato di papà», aggiungo.
«Come scusa?» Emma si volta stralunata verso di me.
«Hai capito bene, ma era solo una curiosità: questo non ci aiuta a capire cosa Abies abbia riferito ad Anthemis; è chiaro infatti che la Guardiana sia tornata qui solo dopo che lui le ha esposto una sua teoria a proposito di Axel», spiego.
«Devo parlare con lui, voglio sapere cosa ne pensa di questa faccenda», sentenzia mia sorella dirigendosi verso l'uscita.
«Ci vediamo dopo», mi saluta poi richiudendo la porta.
 
***

Aspettando che Emma ed Axel tornino mi sono spostato in un'altra stanza del palazzo, un salotto sormontato da una delle cupole e con pareti grigie scolpite a formare grandi semicolonne e archi.
La finestra alla quale sono appoggiato dà sul retro del palazzo: da qui si riesce a vedere uno scorcio di Yakamoz, le mura in lontananza e, oltre a quelle, la foresta che sale fino a lasciare spazio alla roccia delle montagne che incombono maestose sulla città, così vicine che sembra possibile toccarle solo allungando una mano.
"Sono stanco", penso passandomi una mano tra i capelli biondi e arruffati. La mia vita ha preso una piega talmente improvvisa e inaspettata che devo ancora abituarmi all'idea che nulla di ciò che avevo prima d'ora in poi sarà lo stesso.
Anche se riuscissimo a sbloccare il tempo, a salvare questo mondo, a tornare dai nonni... Cosa succederebbe dopo? Di certo non potremmo tornare a Wells e ricominciare la vita di prima come se nulla fosse.
L'idea di andarmene un giorno da qui infatti non mi dà né speranza né un qualche senso di gioia, ma solo angoscia: è come se questo posto mi fosse entrato dentro, sotto la pelle, come se un filo invisibile tenesse legato qui il mio cuore.
Questa è la mia terra, che io lo voglia o meno: sono nato qui, mio padre e la metà dei miei antenati hanno vissuto qui le loro vite fin dall'inizio dei tempi, mia madre l'ha scelta come sua nuova patria. Questa è casa mia, nonostante tutte le mie paure e i miei timori, nonostante la sensazione di non avere più un terreno stabile sotto ai piedi.
So che qui non ci sarebbe nulla di sicuro per me, nulla di scritto, nulla di certo, però è anche vero che qui la mia vita sarebbe totalmente nelle mie mani, mia come mai potrebbe esserla nel Mondo di Fuori. Come potrei tornare alla mia vecchia esistenza dopo aver conosciuto questo nuovo modo di vivere, questo mondo speciale? Come potrei accettare la vita frenetica e spesso vuota del Mondo di Fuori sapendo che esiste un'alternativa, una bellissima alternativa?
Sento così tanta vita dentro di me adesso, un desiderio così grande di superare qualunque mio limite, qualunque ostacolo creato dalla mia mente, qualunque barriera... il desiderio di prendere in mano la mia esistenza e renderla meravigliosa, qui.
Sono sicuro poi che Emma abbia già deciso: lei rimarrebbe di sicuro da questo lato dell’Arcata; è troppo tempo che aspettava che le succedesse una cosa del genere, senza contare quello che prova per Axel.
Devo dire di essere un po' preoccupato per lei: da quando siamo arrivati a Yakamoz non la riconosco più, è sempre distratta, taciturna, distante, con la testa mille miglia lontana da qui.
So che è sempre stata una ragazza molto riflessiva, la conosco, ma adesso c'è qualcosa di diverso, lo sento... È come se stavolta il pensiero che la tormentasse fosse solamente uno, un pensiero che, sinceramente, credo di conoscere già alla perfezione. Devo parlare con lei il prima possibile.
«Sei qui tutto solo?» mi sorprende improvvisamente una voce alle mie spalle.
«Mia Signora, salve», saluto la Guardiana di Yakamoz appena entrata nel salotto. "È la prima volta che mi ritrovo solo con lei", penso lievemente a disagio.
«Chiamami pure Alhena, Jeremy. In genere apprezzo i formalismi, ma non con le persone che abitano nella mia stessa casa», dice sorridendo furbescamente.
«Oh, d'accordo. Grazie Alhena», le rispondo un po' sorpreso.
«Anthemis se ne è andata?»
«Sì, l'ho accompagnata al portale del palazzo non appena ha finito di parlare con Axel. Colloquio assai breve, tra l'altro, non capisco proprio perché si sia scomodata tanto», dice sollevando un sopracciglio.
«In ogni caso non penso abbia ottenuto ciò che voleva sapere», affermo.
«Immagino di no, Axel è uscito dallo studio neanche un minuto dopo esserci entrato», constata Alhena.
«Sai, questa è una delle mie stanze preferite,» cambia poi discorso, «da piccola venivo sempre qui a giocare mentre mia madre e zio Deneb chiacchieravano tenendomi d'occhio», continua sorridendo e guardandosi intorno.
«Axel mi ha spiegato come diventava il palazzo quando si faceva notte: doveva essere bellissimo», le rispondo immaginando una bambina dai capelli scuri seduta a giocare sul tappeto, circondata dalla tenue luce azzurrina, con la luna e le stelle visibili oltre la cupola.
«Oh sì, lo era davvero. Mi manca molto tutto quello che avevamo, sai? La magia, le avventure in solitaria tra le ombre della foresta, il palazzo e le case dell'intera città trasformati in costruzioni simili a ghiaccio splendente, illuminati quel tanto che bastava per vederci ma senza oscurare le stelle», confessa.
«Ma anche a te deve mancare molto il tuo mondo. Mi dispiace per ciò che è accaduto a te e tua sorella», continua guardandomi comprensiva.
«In realtà mi mancano di più le persone che facevano parte della mia vecchia vita: i miei nonni e i miei migliori amici. Per il resto, secondo me, questo mondo è migliore dell'altro», rispondo sincero.
«Presto di stuferai di questa penombra, Jeremy, talmente tanto che maledirai il giorno in cui sei arrivato qui», dice lei guardando oltre il vetro della finestra con espressione dura.
Di certo non posso dirle che probabilmente questa situazione ha le ore contate, manderei all'aria il nostro piano, dunque mi limito a sollevare le spalle.
«Si vedrà, Alhena», dico.
«Ti piace Yakamoz?» mi chiede poi la Guardiana dopo poco, senza distogliere lo sguardo dalle montagne.
«È una città stupenda, ma...» mi blocco, rendendomi conto troppo tardi che forse dire la verità non sarebbe molto vantaggioso per me.
«Ma preferisci Komorebi», mi anticipa lei voltandosi nuovamente verso di me e facendomi sgranare gli occhi.
«Ecco, io...» provo a giustificarmi, ma lei mi ferma subito con un cenno.
«Va bene, Jeremy, è normale! L'ho capito subito che in te c'è più predisposizione al giorno che alla notte e questo non è un male. Di per sé la Gente del Giorno non ha nulla che non vada, semplicemente la maggior parte di essi si reputano superiori a noi Notturni, angeli dalla parte della luce, e questo solo perché non ci capiscono, perché sono stati convinti a pensarla così: ai loro occhi noi saremo sempre delle creature oscure. Ma tu non c'entri con loro, tu sai la verità: saresti un ottimo Diurno, Jeremy.»
«Ne sono lusingato», dico rassicurato.
«Emma invece è una Notturna nata, su questo non ci sono dubbi», continuo sorridendo.
«Oh sì, me ne sono accorta!» risponde lei ridendo.
«A proposito... Tra lei e Axel c'è qualcosa? Non ho potuto fare a meno di notare che tra loro ci sia un'intesa particolare», mi chiede la Guardiana.
«È complicato», affermo dopo qualche secondo di esitazione: questi sono affari di Emma, non voglio dire nulla ad Alhena sull'argomento.
«Quale storia d'amore non lo è, Jeremy?»
«Alhena, mi chiedevo...» cambio discorso per evitare che lei insista nel fare domande a cui non sarebbe giusto che io rispondessi:
«A Komorebi ho avuto modo di vedere la sala del Nucleo del Giorno e mi piacerebbe molto vedere anche quella del Nucleo della Notte. Me la potresti mostrare?» dico la prima cosa che mi passa per la testa.
Lei sembra sorprendersi alla mia richiesta, ma non tanto da insospettirsi:
«Quello è un posto davvero molto triste, Jeremy, è il simbolo di tutto ciò che abbiamo perso...» dice titubante.
«Certo, me ne rendo conto, la mia era pura curiosità estetica. Dimentica la mia richiesta, Alhena, è stata fuori luogo», mi scuso; l'importante è che abbia distolto la sua attenzione da Emma e Axel.
Lei però sembra rifletterci su e poi cambiare idea:
«Ma no, figurati, non hai detto nulla di sbagliato; vieni, te la mostro volentieri: entrarci in compagnia sarà sicuramente meno dura che farlo da sola come al solito», dice sorridendo e avviandosi fuori dalla stanza.
Io la seguo subito, sorpreso ma davvero incuriosito di scoprire se la sala del Nucleo della Notte sia bella quanto quella del Nucleo del Giorno.
Alhena mi guida attraverso il palazzo fino ad arrivare ad una grande porta scura a doppia anta situata all'ultimo piano; qui si leva dal collo la catenina dorata che già le avevo notato addosso, catenina che regge una chiave prima nascosta dal corpetto del vestito.
Alhena fissa per un attimo quel piccolo oggetto tra le sue mani, poi lentamente infila la chiave nella toppa e la fa girare: la serratura scatta e la porta si apre.
Una volta dentro mi ritrovo in un ambiente grande, circolare, dalle pareti e dal pavimento rivestiti di un marmo scuro dalle venature blu e verdi.
Gran parte della sala è occupata da una un'enorme vasca a forma di mezzaluna a livello del pavimento, piena d'acqua fino all'orlo. Dall'acqua emerge un piedistallo vuoto simile a quello di Komorebi nella forma, ma costruito con lo stesso marmo bluastro del resto della sala. Sopra di noi, l'ennesima cupola trasparente.
«Come vedi qui le pareti non sono di pietraluce come nel resto del palazzo: bastava la luce blu scura del Nucleo per rischiarare la stanza, oltre a quella della luna che si rifletteva nell'acqua della vasca creando una bellissima atmosfera madreperlacea», spiega Alhena.
«Doveva essere meraviglioso», dico sinceramente colpito continuando a guardarmi intorno.
«Sai, c'è un motivo se la sala del Nucleo è stata strutturata proprio così: nella nostra lingua antica, la lingua dei nostri antenati, la parola "yakamoz" aveva un significato ben preciso», continua la Guardiana.
«Ovvero?» le chiedo guardandola, rapito da tali parole.
«Riflesso di luna sull'acqua*», risponde lei sorridendo flebilmente.
«Allora direi che questo posto sia la concretizzazione più efficace possibile di quella parola», dico davvero colpito.
«Oh, anche a Komorebi sono stati altrettanto bravi», confessa lei.
«Vuoi dire che anche la sala del Nucleo del Giorno riflette il significato della parola komorebi?»
«Esatto: "komorebi" significava "luce del sole che filtra tra le foglie degli alberi*".»
È in questo momento che mi accorgo di una cosa, una cosa che cattura immediatamente tutta la mia attenzione: il piedistallo al centro della vasca non è vuoto. Sopra di esso c'è qualcosa: una piccola scatola di legno che prima non avevo notato.
«Alhena, cosa c'è sopra il piedistallo?» chiedo immediatamente alla Guardiana, cercando di non far notare l'entusiasmo che mi ha appena assalito.
«Oh, quello...» risponde lei incupendosi.
«È una lunga storia, Jeremy, e non una delle mie preferite.»
«Non me la devi raccontare se non vuoi», dico, ormai già sicuro di cosa contenga quello scrigno.
«Sai, da quando sono Guardiana non ho mai ho mai raccontato a nessuno di quella scatola: è legata a dei ricordi di cui mi vergogno molto», confessa.
«D'altra parte prima di oggi non avevo neanche mai fatto entrare nessuno in questa stanza, dunque...» continua.
«Se vuoi sfogarti io sono qui», dico il più dolcemente possibile: ora non si tratta più della scatola, voglio davvero ascoltare la storia solo per fare stare meglio la ragazza accanto a me.
«Devi sapere che prima di quel maledetto giorno, quello della distruzione dei Nuclei, ero molto diversa da come sono ora: molto più sciocca e immatura, sempre convinta di essere una spanna sopra agli altri», inizia.
«Il giorno della battaglia tra Komorebi e Yakamoz, poco prima che arrivasse l'esercito di Corylus, ascoltai di nascosto una conversazione tra Deneb e Altair: mio zio stava rivelando a quel mostro di essere il suo vero padre e che la successione sarebbe toccata a lui. Io non ci vidi più dalla rabbia, ero sempre stata convinta come tutti che Deneb non avesse figli e che sarei stata io la futura Guardiana della città. Piombai nella stanza facendo una sfuriata e strappai quello scrigno dalle mani di Altair, pur non sapendo cosa contenesse, basandomi solo sul presupposto che Deneb doveva averlo appeno averlo dato ad Altair come una specie di simbolo della successione», continua.
«In quel momento arrivarono in città Corylus e i suoi uomini, così mio zio e Altair si precipitarono fuori per combattere, ma non prima che Deneb mi comandasse di prendermi cura di quello scrigno: disse che conteneva la chiave della salvezza del nostro mondo. Non so cosa intendesse dire con quelle parole, non sono mai riuscita ad aprire quella maledetta scatola, anche se di certo mio zio non poteva aver previsto ciò che avrebbe fatto suo figlio di lì a poco, altrimenti non avrebbe di certo messo la chiave della nostra salvezza nelle sue mani. Si sarà trattato di una sorta di arma per sconfiggere Corylus, probabilmente. Sai anche tu come finì quel giorno: né Deneb né Altair fecero ritorno e io fui nominata Guardiana. Da allora tengo qui lo scrigno in attesa di trovare un modo per aprirlo, aggrappandomi alla speranza che mio zio avesse davvero previsto le azioni di Altair e che avesse pensato ad un modo per rimediare», conclude lasciandomi basito e senza fiato.
"L'ho trovato io", non posso fare a meno di pensare nonostante le mie buone intenzioni.
Ho trovato lo scrigno di Deneb.

Note: 
In realtà yakamoz e komorebi sono due parole veramente esistenti e il loro significato è davvero quello riportato, tuttavia la prima viene dal turco e la seconda dal giapponese.

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Capitolo 29
*** Verità che fanno male ***


Emma
 
Inizialmente ero convinta che Axel sarebbe tornato da noi in biblioteca dopo il colloquio con Anthemis, così l’ho aspettato nel corridoio antistante alla porta di quest' ultima. Dal momento che non si decideva a tornare poi mi sono messa a cercarlo io stessa per tutto il palazzo, continuando a rimuginare tra me e me, e ancora non l’ho trovato da nessuna parte.
Mentre i minuti passano la mia mente continua a vagare in cerca di una teoria plausibile, una spiegazione logica al perché Axel conosca così bene perfino i passaggi secondari di quel labirinto che è palazzo di Komorebi: "Quando mai il figlio del consigliere del Guardiano della Notte avrebbe potuto avere occasione di visitarlo?" mi chiedo. Visitarlo davvero molto a fondo, da quel che ho potuto constatare io stessa.
Quest'idea mi aveva sfiorato la mente anche mentre seguivo Axel lungo i meandri candidi del Palazzo del Giorno, ma presa com'ero a gestire l'adrenalina e la speranza di tirare fuori da lì mio fratello non ci avevo riflettuto più del dovuto.
Poi c'è stata la fuga, Abies che per poco non ammazzava il mio Axel, il bacio... Così mi ero completamente dimenticata di quel dettaglio, che poi solo un dettaglio non è dal momento che è servito a fare venire in mente ad Abies chissà quale teoria.
Io mi sono resa conto fin dal primo momento che Axel nasconde dentro di sé qualcosa, un qualcosa che è avvenuto quel giorno maledetto e che ha distrutto per sempre la persona che era prima, che l'ha fatto scappare dalla sua città e non tornare più, che l'ha fatto vivere solo e lontano da tutti per anni con il suo dolore come unica compagnia.
In seguito lui stesso mi ha rivelato che quel qualcosa fu l'aver ucciso Altair, l'aver macchiato di sangue le proprie mani, per quanto quel sangue fosse colpevole di crimini atroci; ha aggiunto inoltre che si sentiva in colpa per aver fermato Altair troppo tardi anziché intuire in anticipo ciò che aveva in mente.
Durante il nostro litigio però è emerso un altro dettaglio: Axel mi ha chiaramente urlato contro che io non avevo idea di ciò che lui era stato costretto a fare quel giorno.
Dunque non si tratta solo del fatto di aver ucciso Altair, non si tratta solo dell'aver perso suo padre e i suoi migliori amici nello stesso giorno, ma c'è di più.
C'è un dettaglio che Axel non riesce a tirare fuori, un qualcosa che si ostina a tenere nascosto, il vero nucleo delle sue pene, delle sue lacrime, dell'oscurità senza fondo che si porta dentro da diciassette anni.
Forse quello che gli accadde quel giorno non avvenne casualmente, forse un aspetto della sua vita precedente l'ha portato a fare ciò che ha fatto, qualunque cosa sia, e forse questo qualcosa è collegato al fatto che il palazzo di Komorebi per lui non ha segreti.
"Quanto poco conosco il ragazzo per cui provo così tanto..." penso avvilita mentre, stufa di cercare a vuoto, inizio a domandare a domestiche e guardie se abbiano visto Axel da qualche parte.
Dopo quasi venti minuti di ricerche mi viene indicata una scala a chiocciola stretta e ripida: credo si snodi internamente ad una delle torrette del palazzo fino all'altana.
Sperando fortemente di non star compiendo un azzardo percorro a mia volta la scaletta di pietra, risalendo la torre: sottili feritoie nella pietra fanno penetrare lame di fiochissima luce, appena sufficienti per non farmi inciampare sui gradini.
Una volta in cima apro con il cuore in gola la porta che trovo sulla sommità: mi ritrovo così in un piccolo spazio esagonale sopraelevato, una terrazza coperta da un tettuccio a punta sorretto da sei colonnine di marmo.
Axel è qui, ma il vederlo in questo stato penoso equivale per me a ricevere un pugno nello stomaco: se ne sta infatti seduto a terra con le ginocchia al petto, il corpo scosso da violenti tremiti e brividi, gli occhi arrossati persi nel vuoto.
Pochi secondi dopo sono inginocchiata accanto a lui.
«Axel, per Dio, cosa ti ha ridotto così?» gli chiedo fuori di me per la preoccupazione prendendolo per le spalle, gli occhi verde-azzurri spalancati.
«Hai avuto un attacco di panico, vero?» dico più a me stessa che a lui: ormai so riconoscerne uno, non si contano le volte in cui ho aiutato Jeremy durante le sue crisi.
Ma lui non sembra né ascoltarmi né vedermi: continua invece a fissare il vuoto, la profondissima sofferenza che gli scava dentro scritta a chiare lettere sul viso contratto, i capelli completamente spettinati come se ci avesse passato le mani decine di volte, sempre che non abbia tentato di strapparseli.
«Axel, ti prego, guardami... parlami...» insisto ancora scuotendolo leggermente e accarezzandogli il viso, mentre sento il cuore che mi si spacca di dolore nel vederlo in queste condizioni.
Se solo potessi in questo momento prenderei su di me il suo dolore senza esitare, se non tutto almeno la metà, per aiutarlo a portarlo, per farlo stare meglio... Ma non posso farlo se lui si ostina a tenersi dentro quel mostro che lo divora pezzo dopo pezzo da anni.
«È stato il vedere Anthemis a farti tanto male?» provo a indovinare ormai in lacrime, riuscendo finalmente a scuoterlo.
«Emma», dice con una voce che stento a riconoscere come sua.
«Ti prego, vattene, lasciami qui da solo.»
«No Axel, io resto con te! Non permetterò mai più che tu attraversi l'inferno da solo, l'hai già fatto per troppi anni! Adesso ci sono io!» affermo abbracciandolo e posando la testa sulla sua spalla, sentendomi improvvisamente nel posto più giusto, l'unico in cui potrei stare ora, l'unico in cui voglio stare ora: accanto a lui.
Ma Axel non ne vuole sapere:
«Emma, vattene, ti prego, non ce la faccio a sopportare anche questo adesso! Ti supplico: non costringermi a mentirti ancora, non riesco più a sopportarlo!» sussurra con un filo di voce, come se fosse sfinito, spingendomi via.
«Mentirmi di nuovo? Ma Axel, cosa significa?» chiedo alzandomi in piedi e indietreggiando, ferita nel profondo da quei coltelli che sono state le sue ultime parole.
«Emma, ti prego, se davvero ci tieni a me, vattene via!» grida rimanendo senza fiato, piegato su sé stesso dal dolore che lo sconquassa dall'interno.
E io, non riuscendo a sopportare ulteriormente quella vista, faccio come dice: lo guardo un'ultima volta e imbocco la porta iniziando a scendere le scale di corsa, scoppiando a piangere non per ciò che mi ha detto, ma perché ormai la sua sofferenza è diventata la mia, nonostante io non ne conosca tutte le cause.
Scoppiando a piangere perché ora so di non essere abbastanza forte per salvarlo.
 
***
 
«Emma, la devi smettere! Non puoi continuare così, in questo modo fai solo del male a te stessa!» mi rimprovera Jeremy sedendosi sul letto accanto a me.
Siamo in camera mia, dove mi sono rifugiata dopo lo scontro con Axel: ci ho impiegato più di un'ora a calmarmi, ma il senso di impotenza che mi sento addosso non passa, così come il peso che sento sull'anima al pensiero di quanto la vita di Axel sia stata distrutta da un qualcosa che io non posso cambiare.
Qualche minuto fa è venuto a cercarmi il mio gemello e, avendomi trovata in condizioni pietose, mi ha costretto a raccontargli cosa fosse successo.
«Non sto dicendo di abbandonarlo a sé stesso o di non preoccuparti per lui, sto solo cercando di farti capire che non è normale soffrire così per una persona che conosci da pochissimo!» insiste.
«Sai bene cos'è successo tra di noi, Jeremy! Axel non è una persona qualunque!» dico appoggiandomi al cuscino dietro di me e tirandomi le gambe al petto.
«So anche io che non è normale, ma cosa ci posso fare se provo questo? Cosa ci posso fare se ho cominciato a volergli bene fin dal primo istante in cui l'ho visto? Cosa ci posso fare se vederlo soffrire mi spezza il cuore?» cerco di giustificare il mio stato d'animo.
Jeremy si passa una mano tra i capelli dorati, sospirando.
«Dovresti essere arrabbiata, Emma, non stare male», dice.
«Ti ha rivelato chiaro e tondo che in passato ti ha mentito, perché non dai importanza a questo fatto invece di tormentarti?»
«So a cosa si riferiva: Axel mi aveva fatto credere che le sue pene fossero causate dall'aver ucciso Altair e dal fatto di aver perso tutte le persone a lui più care, ed è così, ovviamente, ma non mi ha detto che c'è di più: ha tenuto per sé qualcosa che è avvenuto il giorno della battaglia. Non sono arrabbiata con lui per questo: non è stata una bugia, solo un'omissione. Non posso avercela con lui solo perché non se l’è sentita di parlarmi di un qualcosa che per lui è chiaramente un trauma!»
«Emma, questa è una tua ricostruzione! Non puoi essere certa che intendesse dire proprio questo!» sbotta Jeremy quando termino il mio discorso.
«Ok, adesso basta pensare a questo!» dico alzando le braccia in segno di resa.
«Cos'eri venuto a dirmi?» gli chiedo cercando di scacciare via per un po' dalla mente quei due occhi ambrati vuoti e spenti.
«Ho trovato lo scrigno», dice lui alzando le spalle.
«Cosa?!» grido portandomi una mano alla bocca.
«E perché diamine non l'hai detto subito?» dico scattando in piedi come una molla, sentendo l'euforia montarmi dentro e farsi spazio tra i sentimenti diversi e contrastanti che già prima mi riempivano.
«Mi hai aperto la porta in lacrime, Emma! Questo mondo ha aspettato diciassette anni, poteva aspettare ancora qualche minuto mentre cercavo di fare stare meglio mia sorella!» afferma sorridendomi.
«Grazie, Jeremy. Ti voglio bene», dico sincera sorridendogli a mia volta, sentendomi per un attimo la ragazza più fortunata del mondo ad avere accanto un fratello tanto speciale.
«Adesso però parla: cos'è successo da quando sono uscita dalla biblioteca?» gli chiedo sempre più impaziente.
Quando Jeremy finisce di raccontare tuttavia mi sento decisamente più preoccupata che euforica.
«Questo è un problema! Come possiamo entrare nella stanza del Nucleo dal momento che l'unica chiave disponibile è appesa al collo di Alhena?»
«A questo penseremo, Emma, ma prima c'è qualcos'altro che devi sapere», continua Jeremy, decisamente preoccupato.
«Di che si tratta?»
«Alhena mi ha spiegato anche come è entrata in possesso dello scrigno: c'è qualcosa che non mi torna in quella storia», confessa.
«Alhena dice di aver strappato di mano il cofanetto ad Altair per gelosia, perché aveva origliato la conversazione in cui Deneb gli rivelava di essere suo padre e gli prometteva la successione. In quel momento arrivò l'esercito di Corylus e non ci fu più tempo per discutere, ma prima di uscire a combattere, Deneb disse ad Alhena di aver cura dello scrigno perché conteneva la chiave della salvezza di questo mondo.
Ora, anche se Alhena non lo sa, quello scrigno contiene davvero la chiave della salvezza di questo mondo, ma la vera domanda è: come poteva Deneb saperlo prima che Altair distruggesse i Nuclei?» continua mio fratello facendomi sbiancare.
«Ma non può essere!» sbotto.
«Né Deneb né i nostri genitori sapevano che il compiere il rito su di noi e il mandarci nel Mondo di Fuori avrebbe significato la salvezza di questo mondo: l'hanno fatto solo per proteggerci dalla battaglia! È stato un caso, una fatalità a far sì che gli elementi puri dentro di noi si salvassero!» dico, ma ormai questa versione non convince più neppure me.
«Eppure Deneb sapeva che facendo così questo mondo si sarebbe salvato», insiste Jeremy.
«Emma... E se il Guardiano avesse anticipato le azioni di Altair? Se avesse convinto i nostri genitori a negarci la scelta e a mandarci nel Mondo di Fuori precisamente con l'intento di salvaguardare il giorno e la notte dentro di noi affinché un giorno sarebbe stato possibile ricreare i Nuclei?»
«Se fosse così avrebbe un senso la promessa che mamma e papà strapparono ai nonni: avrebbero dovuto farci venire qui quando saremo stati pronti non per far parte di questo mondo nel bene e nel male, a prescindere dall'esito della battaglia, ma per salvare questa terra», rifletto sconvolta.
«Sì, così tutta la vicenda risulta più credibile», conferma mio fratello, inquieto quanto me.
Io scuoto la testa.
«Ma Jeremy, Alhena ha sentito Deneb dire ad Altair di essere suo padre, gli ha sentito promettergli la successione pochi minuti prima della battaglia, quando già mamma e papà erano partiti per portarci fuori da qui! Se avesse saputo quello che stava per fare suo figlio, perché dirgli delle cose del genere? Perché non fermarlo in quel momento? E non dimenticare che lo scrigno era nelle mani di Altair, non di Deneb! Se il Guardiano sapeva, perché mettere la chiave della salvezza di questo mondo nelle mani di chi lo stava per distruggere?» rifletto sempre più confusa.
«Non lo so, Emma... Mi sta scoppiando la testa!» dice mio fratello prendendosela tra le mani.
«Pure a me, non ci capisco più nulla!» concordo con lui lascandomi cadere sulla sedia accanto alla scrivania in legno.
Dopo qualche instante di silenzio, Jeremy alza di nuovo la testa con un'espressione strana:
«E se Axel avesse mentito proprio su questo punto?» dice.
«Magari pure lui era al corrente di tutto, ma per un qualche motivo ha preferito fingere che l'averci negato la scelta e l'averci portati dai nonni fosse solo un idea dei nostri genitori per proteggerci!»
«No, Jeremy! Se fosse così vorrebbe dire che lui era a conoscenza di ciò che stava per fare Altair prima che lo facesse, mentre uno dei fattori che lo fanno soffrire tanto è proprio il non essere stato in grado di anticiparlo! Mi rifiuto di credere che mi abbia mentito su una questione del genere!» dico convinta, senza ammettere repliche.
«Ok, come vuoi» dice sospirando.
«Per il momento non pensiamoci più, adesso la priorità è prendere lo scrigno!»
«A proposito di questo... Penso di avere un idea», affermo.
«Che hai in mente?» chiede Jeremy affilando lo sguardo.
«Vedrai!» gli rispondo semplicemente prendendo una mantellina scura e gettandomela sulle spalle.
«Vuoi uscire dal palazzo?! Ma sei impazzita?» dice lui scattando in piedi.
«Tu va nel salone: se qualcuno chiede di me dì che mi trovo nella mia stanza perché non mi sento molto bene e che non voglio essere disturbata», dico finendo di sistemarmi.
«Fidati di me!»
 
***
 
Le strade di Yakamoz sono silenziose mentre le percorro con la testa china e il cappuccio della mantellina calato sulla testa; so che nessuno mi riconoscerebbe come la di Fuori appena arrivata in città, a parte forse il venditore di pietre preziose, quello che aveva fatto caso al mio nome il giorno del mio arrivo, ma è meglio non prendersi troppi rischi.
Lungo il percorso che mi separa dalla bottega di filtri e pozioni a cui sono diretta percorro vie strette ed altre più ampie, piccole piazzette che si fanno spazio a stento tra gli edifici in pietra alti ed antichi e una zona della città caratterizzata da case ben separate le une dalle altre, ognuna con un piccolo cortile attorno e vari orti ora completamente spogli.
Dopo aver sbagliato strada un paio di volte giungo finalmente nello slargo che ricordavo dal giorno del nostro arrivo, così mi dirigo subito verso il piccolo negozio quasi nascosto all'angolo tra due stradine.
Prima di entrare do un'occhiata alla merce esposta nella vetrina e cerco di convincermi di stare facendo la cosa giusta, ma poi pensando all'importanza del risultato finale della missione rompo gli indugi: abbasso la maniglia in ferro della porta e la apro facendo risuonare un tenue tintinnio.
Uno strano odore dolciastro mi fa arricciare il naso non appena metto piede nella bottega, mentre i miei occhi cercano di abituarsi alla fitta penombra della stanza.
Dopo qualche istante riesco a mettere a fuoco le pareti pieni di scaffali, ognuno con sopra decine di boccette di ogni forma e dimensione, ognuna catalogata da un'etichetta scritta a mano con un'elegante calligrafia.
«Mi dica, signorina, cosa le serve?»
Una voce attira improvvisamente la mia attenzione, così il mio sguardo si alza di scatto: con mia grande sorpresa noto una ragazza della mia età, forse un po' più piccola, uscire da una porticina che evidentemente è quella del retrobottega.
È piuttosto bassa e mingherlina, una folta chioma di ricci rossi le ricade sulle spalle esili e due grandi occhi le illuminano il volto, ma non saprei dire quale sia il loro colore esatto: la luce qui dentro è troppo fioca per poterlo capire. Indossa un semplice vestito blu stretto in vita da un cordoncino dorato, le braccia e le dita sono piene di bracciali e anelli.
Cercando di dissimulare la mia sorpresa spingo indietro il cappuccio scoprendomi la testa, tentando di sorridere.
«Se mi servisse una pozione soporifera, sarei nel posto giusto?» chiedo cauta.
La ragazza mi fissa per qualche istante, poi un sorriso divertito le si apre sul viso:
«Il potere delle erbe è potente, non serve neppure un briciolo di magia per ricavare da esse sostanze in grado di procurare qualunque effetto si desideri: tutti i Notturni lo sanno, siamo ottimi erboristi», dice.
«Naturalmente, lo so!» tento di mostrarmi sicura, ma inutilmente.
«Io non credo, altrimenti avresti saputo che una pozione soporifera è ciò che di più banale si possa trovare in una bottega del genere», dice sollevando le spalle.
«Sei una Diurna in cerca di avventura?» mi chiede poi a bassa voce continuando a sorridere, evidentemente sicura di aver scoperto la verità.
«No, sono solo una Notturna nata fuori città», invento sul momento una storia plausibile.
«So che molti Notturni sanno lavorare le erbe, naturalmente, ma non ero mai entrata prima in una bottega di filtri: non sapevo cosa aspettarmi», continuo.
«D'accordo, perdona la mia curiosità allora», dice la ragazza, anche se non mi sembra per nulla convinta dalla mia recita.
«Una pozione soporifera hai detto, giusto?» chiede poi dirigendosi verso uno scaffale alle sue spalle.
«Per quanto tempo desideri che tenga addormentati?»
«Due ore dovrebbero bastare», affermo.
Lei continua a frugare nello scaffale facendo tintinnare tra loro le boccette, fino ad estrarne una piuttosto piccola contenente un liquido azzurrino.
«Ecco a te!» dice porgendomela.
«Ti ringrazio», dico prendendo quel piccolo oggetto tra le mani e riponendolo in una delle tasche del vestito.
«Quanto ti devo?» chiedo poi tirando fuori il sacchetto pieno di monete datomi da Alhena al nostro arrivo: "Per qualunque necessità", aveva detto.
«È gratis se mi dici il tuo vero nome: non me la bevo la storia della Notturna nata fuori città!» mi sorprende lei incrociando le braccia.
Per fortuna non devo mentirle:
«Mi chiamo Adhara», dico sorridendo.
«Va bene, hai vinto. Ti credo», si convince infine la rossa facendomi quasi sospirare di sollievo, anche se il senso di colpa non manca di farsi sentire.
«Posso farti una domanda io adesso?» le chiedo non riuscendo a frenare la curiosità.
«Certo, te lo devo dopo il terzo grado che ti ho fatto subire!» risponde subito lei, ridacchiando.
«Gestisci questo posto da sola?» le chiedo, ma il suo sorriso si smorza al sentire la mia domanda.
«È stato mio padre ad aprire questa bottega e ad insegnarmi tutto ciò che so sulle erbe e i filtri: dove raccogliere le piante, come curarle, gli effetti di ognuna, come combinarle tra loro... Sia lui che mia madre sono morti il giorno della battaglia, così io ho continuato da sola a fare pozioni e a venderle: avevo imparato tutto ciò che c'era da sapere in merito, dunque non ho esitato», dice distogliendo lo sguardo.
«Mi dispiace tanto. Anche io ho perso entrambi i miei genitori quel giorno», le confesso sincera, sentendomi un po' più leggera per averle detto un'altra cosa vera sul mio conto.
Dopo qualche istante lei torna a spezzare il silenzio:
«Perché non passi a trovarmi di nuovo, Adhara? Mi farebbe davvero piacere parlare ancora con te, avere un po' di compagnia», mi chiede sorprendendomi non poco.
«Certo, farebbe molto piacere anche a me!» le rispondo annuendo.
«A proposito, io sono Denebola» dice tendendo la mano.
 
***
 
Al mio rientro per fortuna non incrocio nessuno lungo i corridoi che mi dividono dalla mia stanza: tenendo sul braccio la mantellina cammino velocemente fino a chiudermi la porta alle spalle, sospirando di sollievo.
Subito infilo la mano nella tasca anteriore del vestito ed estraggo la boccetta, soppesandola tra le mani; la mia idea è quella di somministrarne il contenuto ad Alhena per poterle prendere agevolmente la chiave, approfittando del fatto che la Guardiana, nonostante non abbia bisogno di mangiare o bere, in questi anni ha continuato a farsi preparare una certa tisana che le è sempre piaciuta molto.
Una domestica gliene porta una tazza ogni sera, senza eccezioni, come abbiamo potuto constatare.
Controllando l'orologio noto che non manca molto alle cinque, l'ora in cui ogni notte noi e Alhena ci troviamo nel salone con la cupola per conversare, l'ora in cui Alhena si fa portare la sua tisana.
Velocemente rimetto a posto la boccetta e mi ci dirigo tentando di comportarmi il più normalmente possibile; non posso permettermi di sbagliare: la posta in gioco è troppo alta, per me e per tutto questo mondo.
Una volta arrivata, senza esitare, spingo la porta del salone ed entro.
La prima cosa che noto è la presenza di Axel: se ne sta in piedi accanto ad una delle grandi finestre a sesto acuto assieme a Jeremy, perfettamente in sé, almeno a vedersi.
Se non lo avessi visto con i miei occhi accovacciato su sé stesso nell'altana, ora stenterei a credere che solo poche ore fa le sue condizioni fossero così disperate: si deve essere evidentemente dato una sistemata e calmato del tutto, anche se non mi sfugge che la consueta cupezza in cui è immerso sembra essere leggermente più accentuata del solito.
Quando varco la soglia i suoi occhi si fissano immediatamente nei miei, senza lasciarli andare per svariati secondi; sembra quasi volermi comunicare qualcosa con quello sguardo, come se volesse tacitamente chiedere scusa.
E mentre il cuore mi si ferma per un attimo nel ritrovare l'ambra dei suoi occhi addosso a me, gli sorrido dolcemente e annuisco. Ho capito, ti perdono.
Alhena, avendo intercettato lo sguardo di Axel, si volta subito verso la porta dalla poltroncina su cui è seduta.
«Emma, ti sei ripresa?» mi chiede non appena si accorge del mio arrivo.
«Sì, ora sto molto meglio, vi ringrazio», rispondo prontamente mentre lo sguardo mi scivola sul tavolino accanto a lei e sulla consueta tazza fumante sopra di esso.
Senza soffermarmi a riflettere troppo mi dirigo verso il divanetto al centro della stanza; nel farlo passo volutamente accanto a Jeremy, che continua a lanciarmi occhiate preoccupate da quando ho messo piede qui dentro.
«Distrai Alhena», gli sussurro il più discretamente possibile passando dietro di lui e accomodandomi su uno dei soffici cuscini blu, in tempo per vederlo sgranare gli occhi e guardarsi intorno nervosamente.
«Alhena, mi chiedevo...» inizia a dire Jeremy, titubante.
Spero vivamente che non combini un disastro.
«Quel mappamondo cosa rappresenta?» continua poi più sicuro fissando lo sguardo su una grande sfera di vetro blu montata su di un piedistallo in un angolo della stanza.
«Insomma, non può rappresentare il Mondo di Fuori, giusto?» continua.
«No, infatti. Quella sfera rappresenta la volta celeste, vi sono ripotate tutte le stelle e le costellazioni note», risponde tranquillamente la Guardiana.
«Vieni, ti faccio vedere», continua poi alzandosi e dirigendosi verso la sfera, seguita da Jeremy.
Le mani cominciano a tremarmi mentre mi assicuro che Alhena sia posizionata di spalle e intenta ad illustrare le caratteristiche di quell'oggetto tanto bello che io avevo notato fin dal primo giorno, ma non mi fermo.
Sotto lo sguardo confuso di Axel prendo la boccetta e la stappo, poi verso interamente il contenuto azzurrino nella tazza ancora piena di Alhena, tornando a sedermi immediatamente con il cuore a mille e il fiato corto.
Mai nella mia vita avrei pensato che un giorno avrei fatto una cosa del genere.
«Emma, ma che fai?!» sibila Axel sgranando gli occhi e sedendosi accanto a me.
«Cos'era quella roba?»
«Jeremy ha trovato lo scrigno, è nella stanza del Nucleo. Zitto ora e stai a vedere!» gli sussurro facendogli l'occhiolino.
Lui, anche se piuttosto agitato, annuisce.
«Ok, mi fido di te», dice poi facendomi arrossire.
«Emma, a proposito di ciò che è successo prima...» continua dopo qualche attimo abbassando gli occhi, approfittando di questi pochi attimi di privacy.
«Perdonami, è stato terribile da parte mie mandarti via in quel modo, quando volevi solo aiutarmi e starmi vicina...»
Io non posso che trattenere una risatina.
«Stiamo per far andare in catalessi la Guardiana di Yakamoz, rubarle la chiave che ha appesa al collo e recuperare lo scrigno e tu ti preoccupi di chiedermi scusa?»
«Noi stiamo per fare cosa?!» sobbalza raddrizzando di scatto la schiena.
«Ma siete impazziti?!»
«Funzionerà, Axel, stai tranquillo», cerco di calmarlo.
«In ogni caso quello che volevo dire è che... Sì, insomma, quando ho detto che non volevo mentirti di nuovo...» prova a prendere in mano il discorso, ma io lo fermo subito.
«Axel, basta. So cosa intendevi dire: quel giorno è successo anche qualcos'altro che non mi hai detto e va bene così, non sei obbligato a dirmi nulla che tu non voglia. La prossima volta però metti in chiaro subito le cose, non fare finta di avermi detto tutto quando non è così, d'accordo?»
Ma Axel non fa in tempo a rispondermi perché sono di ritorno Alhena e Jeremy, quest'ultimo pallido come un lenzuolo.
«Allora piccioncini, di che parlavate di tanto segreto? Vi si sentiva bisbigliare fin dalla parte opposta della stanza!» dice Alhena tornando a sedersi al suo posto, prendendo in mano la tazza e guardando me ed Axel con un sorriso furbetto sul viso.
Io avvampo, senza sapere cosa dire.
«Vi state sbagliando, mia Signora: io ed Emma siamo solo amici», afferma al posto mio Axel in tono piatto, facendomi raggelare, mentre Alhena beve il primo sorso di tisana senza distogliere lo sguardo da noi.
Nonostante Axel avesse già espresso quel concetto, non posso fare a meno di sentirmi trafiggere all'udire quelle parole uscire dalla sua bocca con tanta naturalezza, come se fosse la cosa più ovvia del mondo, come se non fosse mai successo niente tra di noi.
"Fa male. Tanto male", penso mentre sento le mie mani stringersi a pugno attorno alla stoffa che riveste il divanetto.
«Oh, suvvia ragazzi! Si vede chiaramente che...» prova a ribattere la Guardiana iniziando a sbattere le palpebre lentamente, come se faticasse a tenerle aperte. Pochi istanti dopo Alhena è adagiata allo schienale della poltrona, addormentata, la tazza a terra sul tappeto.
«Era questo che avevi in mente?!» sbotta Jeremy indicando Alhena.
«Le hai messo qualcosa nella tisana?!»
«Sì, esatto. Presto adesso, la chiave!» dico scattando i piedi.
Axel prontamente afferra la catenina dal collo della Guardiana e gliela sfila delicatamente, rivelando la chiave in metallo finemente lavorata.
«Jeremy, sei proprio sicuro che fosse lo scrigno giusto quello che hai visto nella sala del Nucleo?» chiede poi a mio fratello soppesandola tra le mani.
«Sicurissimo: Alhena mi ha raccontato come ne è venuta in possesso, non ci sono dubbi», conferma Jeremy.
Un lieve pallore si impossessa allora del viso di Axel, ma forse è solo una mia impressione. Sì, deve esserlo per forza.
«Bene allora, ormai è fatta, andiamo», afferma il Notturno.

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Capitolo 30
*** Lo scrigno di Deneb ***


Jeremy
 
Siamo davanti alla porta della stanza del Nucleo.
Mentre Axel inserisce la chiave nella serratura ed Emma controlla che non arrivi nessuno, io sto sudando freddo, con il cuore a mille.
Troppe cose potrebbero andare storte e... E ormai sono stufo io stesso di starmi a sentire.
Sono sempre gli stessi pensieri, sempre le stesse paure. “Adesso basta, voglio dimostrare di non essere un vigliacco”, penso.
Cerco così di racimolare tutto il coraggio che riesco a trovare, riuscendo dopo qualche istante a calmarmi un po’ e a sentirmi più fiducioso, anzi, sentendomi quasi elettrizzato mentre la porta si apre di fronte a noi.
È una bella sensazione, anche se non so quanto possa durare.
Una volta entrati mia sorella prende subito a guardarsi attorno febbrilmente: forse cerca lo scrigno, forse è rapita dalla bellezza della stanza, più probabilmente tutte e due le cose insieme.
«È sul piedistallo al centro della vasca», affermo indicando il punto in cui si trova lo scrigno, appena visibile sopra il marmo scuro pieno di venature.
«Ora lo vedo!» esclama Emma osservando entusiasta il piedistallo.
«Chi si tuffa?» aggiunge poi voltandosi verso di noi.
«Non ce ne sarà bisogno», risponde Axel con un mezzo sorriso sulle labbra tendendo una mano di fronte a sé e chiudendo gli occhi.
Mentre io ed Emma tratteniamo il respiro lo scrigno si solleva nell’aria, leggero, cominciando ad avanzare lentamente verso la mano tesa di Axel sorvolando la vasca piena d’acqua e il pavimento di marmo.
Voltandomi istintivamente verso Emma per esprimere la mia sorpresa noto che mia sorella non sta fissando lo scrigno fluttuante come mi sarei aspettato; no, lei sta fissando Axel con un’espressione che non le avevo mai visto addosso.
È uno sguardo talmente carico di sentimenti, uno sguardo così intimo, che l’istinto mi ordina subito di voltarmi da un’altra parte, anche se prima di riuscire a farlo lo scrigno arriva a destinazione ed Emma distoglie di scatto gli occhi dal ragazzo accanto a noi, tornando a fissare il pavimento e asciugandosi frettolosamente dal viso una piccola lacrima solitaria che aveva fatto capolino dalle sue ciglia.
«Eccolo qui», afferma Axel aprendo gli occhi e guardando quella piccola scatola di legno come se fosse il tesoro più prezioso del mondo, cosa che in effetti è.
«Perfetto, e adesso? Dobbiamo fuggire dal palazzo altrimenti quando Alhena si sveglierà...» dico, ma una voce familiare mi interrompe mentre la Guardiana della Notte fa irruzione nella sala come una furia, facendomi immobilizzare dal terrore: non ho neanche il coraggio di voltarmi verso i miei complici per saggiare le loro reazioni.
«Per vostra sfortuna sono già sveglia! Si può sapere cosa pensavate di fare, eh?! Tradire così la mia fiducia dopo tutto quello che ho fatto per voi!» grida fuori di sé, mentre nessuno di noi osa proferire parola.
«Se non fosse per me adesso sareste prigionieri a Komorebi e voi che fate?! Mi drogate! Almeno dovevate fare meglio i vostri conti! Voi non avete idea di quante pozioni soporifere io abbia preso dopo quel dannato giorno per riuscire a dormire, non lo sapete! Stavo impazzendo, non riuscivo a chiudere occhio, così ne prendevo una ogni giorno, fino a rendere il mio organismo così assuefatto di quella dannata sostanza che il suo effetto su di me dura appena qualche minuto!» continua a sbraitare gesticolando nervosamente, gli occhi neri iniettati di sangue.
Il suo sguardo poi si sposta su di me, passando di colpo dall’adirato al deluso:
«Jeremy...» dice piano.
«Ti ho fatto delle confidenze, pensavo di potermi fidare di te! Perché mi hai fatto questo?» continua visibilmente ferita, facendomi sentire nel profondo una persona davvero orribile.
«Alhena, ti prego, possiamo spiegare!» dico cercando di far sembrare le nostre azioni meno gravi di quello che sono in realtà.
«Spiegare cosa?! Il perché vi interessa quella dannata scatola?!» sbotta lei indicando lo scrigno tra le mani di Axel.
«Deneb ti disse che quello scrigno conteneva la salvezza di questo mondo e aveva ragione! Ti prego Alhena, lasciaci spiegare», la supplico.
La Guardiana spalanca gli occhi, sorpresa e allo stesso tempo confusa:
«Come puoi saperlo, Jeremy? Nessuno è mai riuscito ad aprire lo scrigno e tu hai scoperto l’esistenza di questo mondo praticamente l’altro ieri! Non prendermi in giro!» ribatte lei tornando ad alzare la voce. 
«Questo non è vero, mia Signora», interviene Emma facendomi voltare di scatto verso di lei. “Cos’ha in mente?” penso sempre più nel panico.
«Io e Jeremy non abbiamo oltrepassato l’Arcata per sbaglio, lo abbiamo fatto consapevoli del fatto che facendolo saremmo finiti qui: sono stati i nostri nonni a parlarci di questo mondo», continua lei con sicurezza.
«Questo non è possibile! Nessun di Fuori conosce la nostra esistenza!» le dà contro Alhena.
«Siamo i figli di Claire e Ophrys», sbotta infine Emma facendo defluire di colpo tutto il colore dal viso della Guardiana.
«Come?»  sussurra Alhena dopo svariati istanti lasciandosi cadere le braccia lungo i fianchi.
«I nostri genitori ci portarono fuori da qui prima della battaglia, ci portarono dai nostri nonni, facendo loro promettere di mandarci qui a diciassette anni in caso loro non fossero più venuti prenderci. Così è stato», dice ancora Emma.
«Deneb compì il rito su di noi prima di mandarci via, ma bloccò i nostri poteri per non far insospettire eventuali di Fuori che fossero venuti a contatto con noi. Quando i Nuclei furono distrutti io e mio fratello eravamo fuori da questo mondo, dunque gli elementi dentro di noi si sono conservati: la notte in me e il giorno in Jeremy! Quello scrigno contiene la formula per sciogliere il blocco dei nostri poteri: se la apriamo possiamo far ripartire tutto!» conclude Emma mentre Axel assume uno strano colore verdastro: chiaramente è terrorizzato all’idea di uscire allo scoperto e non posso biasimarlo.
«No, no, no... Non è possibile!» geme Alhena indietreggiando.
«Se anche fosse vero, voi non potreste sapere comunque cosa contiene lo scrigno, eravate solo dei neonati!»
«Ma i nostri genitori lo sapevano, così lasciarono ai nonni una lettera per noi in cui spiegavano ogni cosa nel caso in cui non fossero tornati a prenderci. Io e Jeremy siamo qui precisamente con l’intento di prendere quello scrigno e salvare questo mondo», afferma Emma avvicinandosi alla scatola intarsiata tre le mani di Axel.
«Guardate, mia Signora, lo scrigno è progettato proprio per esse aperto solamente da me o da mio fratello», continua poi toccando il coperchio della scatola.
Nel silenzio della stanza rotto solo dai nostri respiri affannati si sente un click, poi lo scrigno si apre rivelando al suo interno un foglio di carta ingiallita arrotolato e tenuto insieme da un nastro rosso.
La Guardiana, ricevuta la conferma della nostra buona fede, crolla in ginocchio portandosi le mani alla bocca per non gridare, in lacrime.
«Siamo salvi, siamo salvi davvero!» dice con voce spezzata.
«È tutto vero, Alhena», intervengo io avvicinandomi alla Guardiana e offrendole una mano per aiutarla a rialzarsi.
Lei la afferra e, ancora scossa, si rialza in piedi.
«I gemelli... I figli di Claire e Ophrys...» dice continuando a fissarmi, senza lasciare la mia mano.
«Vi credevo morti, ero convinta che Altair avesse ucciso anche voi... Ma perché mi avete mentito? Perché fare le cose di nascosto? Se mi aveste detto subito la verità vi avrei aiutati immediatamente!» chiede poi confusa rivolgendosi a tutti noi.
«Abbiamo sbagliato, Alhena, perdonaci. Avremmo dovuto coinvolgerti fin da subito, ma pensavamo che non ci avresti creduto», le dico.
Non mi è mai piaciuto mentire, la trovo una cosa spregevole, però ormai il danno è fatto e bisogna continuare per questa strada nonostante le remore morali: Emma non permetterebbe mai di mettere Axel in pericolo. Bisognerà aspettare di ricreare i Nuclei per una completa sincerità.
«Dobbiamo parlare meglio di tutto quanto, ci sono troppe cose da chiarire», afferma Alhena ancora decisamente scossa, come se dopo un primo momento di euforia non credesse già più che ciò che tutti reputano impossibile stia per succedere davvero.
Probabilmente non vuole farsi illusioni: una nuova speranza infranta la spezzerebbe, come farebbe con qualunque abitante di questo mondo.
«Certo, possiamo tornare nel salone o in biblioteca», afferma la mia gemella sorridendo, anche se io vedo chiaramente che è molto tesa per la situazione in cui ci siamo infilati.
«Per prima cosa voglio indietro la chiave di questa sala», ordina seria Alhena incrociando le braccia, così Axel, che da quando la Guardiana ha fatto il suo ingresso non ha proferito parola, gliela porge tenendola dalla catenina.
«E anche lo scrigno», ribatte lei afferrando la catenina e strappando contemporaneamente la scatola dalle mani del Notturno.
«Bene, ora andiamo in biblioteca», conclude girando i tacchi e avviandosi fuori dalla porta.
Noi tre ci lanciamo un ultimo sguardo preoccupato, poi la seguiamo.
 
***
 
«Ma se fosse così, questo significherebbe che Deneb, Claire e Ophrys sapevano ciò che Altair stava per fare... Vorrebbe dire che era tutto un piano per salvare il mondo e questo non può essere vero! Altrimenti perché non fermare Altair prima?» dice Alhena dopo essersi fatta ripetere tutta la storia con più calma e ordine, dal nostro ingresso in questo mondo in poi.
Per fortuna Emma ha un’ottima memoria che le ha permesso di non cadere in contraddizione con quello che ha affermato prima.
Siamo in biblioteca, soli, circondati da libri, polvere e penombra; la grande cupola di vetro sopra di noi ci mostra il solito cielo grigio-azzurro, lo stesso di quando a inizio serata io e gli altri abbiamo iniziato a cercare lo scrigno, lo stesso cielo sempre identico a sé stesso da ormai troppo tempo, lo stesso cielo che adesso potrebbe avere davvero le ore contate.
«È così, mia Signora,» dice Emma, «anche se non abbiamo idea del perché non prevenirono le azioni di Altair anziché curarne le conseguenze in seguito.»
«Personalmente credo che non avessero altra scelta», intervengo io.
«Dovevano sapere qualcosa che a noi sfugge, sapevano di non poter fermare Altair prima e hanno così cercato un modo per rimediare.»
«Sì, è l’unica spiegazione», ribadisce mia sorella.
«Direi che questo ora è secondario», sbotta Axel attirando la nostra attenzione.
«Mia Signora, avete tra le mani ciò che potrebbe salvarci tutti, cosa aspettiamo a leggere il contenuto di quel foglio di carta?» insiste giustamente.
«Sì, hai ragione, Axel: rivangare il passato alla ricerca di spiegazioni che non troveremo mai è completamente inutile», gli dà ragione la Guardiana di Yakamoz tornando a guardare lo scrigno aperto posato sulle sue ginocchia.
Dopo qualche secondo di esitazione, dovuto evidentemente alla paura di una cocente delusione, Alhena afferra il rotolo di carta e prende a sciogliere il nastro rosso con mani tremanti.
Il cuore di tutti noi comincia a battere forte quando quello viene srotolato e la Guardiana inizia a leggere ad alta voce.
                       
                                                                                                                                                                                                                                               Yakamoz, 3 agosto 1998
 
«Io, Deneb, figlio di Sirio e Guardiano del Nucleo della Notte e della città di Yakamoz, dichiaro di aver compiuto volontariamente il rituale di iniziazione sui fratelli gemelli Adhara e Jasione, figli di Ophrys, principe di Komorebi, e della sua consorte Claire Baker, Notturna, in pieno accordo con le volontà dei loro genitori.
Dichiaro di aver reso Adhara, figlia di Ophrys, una membra a tutti gli effetti della Gente della Notte e di aver reso Jasione, figlio di Ophrys, un membro a tutti gli effetti della Gente del Giorno.
Inoltre, a causa dell’incerta situazione che ci stiamo ritrovando a vivere in seguito alle false accuse rivolte al mio popolo e alle ignobili azioni compiute dal Guardiano del Nucleo del Giorno e della città di Komorebi, Corylus, figlio di Oxalis, e attendendo un attacco immediato da parte di quest’ultimo, dichiaro di aver compiuto un secondo incantesimo sui gemelli, rendendo quiescenti i loro poteri con lo scopo di portare al sicuro dall’imminente battaglia nel Mondo di Fuori loro e gli elementi puri che si portano dentro, in modo da poter ricreare un giorno i Nuclei a partire da essi.
Riporterò qui di seguito le formule necessarie a sciogliere il secondo incantesimo compiuto sui gemelli, necessarie per sbloccare la loro vera natura e per reintegrarli nel nostro mondo nel momento in cui vi rientreranno una volta ristabilita la pace.
Inoltre, per evitare che nel tempo in cui Adhara e Jasione si troveranno al di fuori dei nostri confini qualcuno distrugga tale formula in malafede, chiuderò questo documento in uno scrigno che solo il tocco di uno dei gemelli potrà aprire.

                                                                                                                                                                                                           Deneb                
 
«Beh, direi che questo conferma il fatto che Deneb e i nostri genitori sapessero di Altair», affermo dopo la lettura della prima parte del documento.
«Altair qui non viene nominato, anche se è chiaro che loro sapessero che Nuclei sarebbero stati distrutti», nota Alhena.
«Si parla di Corylus, delle sue false accuse e dell’imminente attacco, dice poi dei riti compiuti su di voi e del loro scopo, ma non specifica che sarebbe stato Altair a distruggere la notte e il giorno.»
«Mia Signora, la formula per favore», supplica Axel sempre più impaziente.
«Sì, leggiamo questa formula, è inutile soffermarsi su teorie indimostrabili», lo sostiene Emma.
La Guardiana annuisce e inizia a far scorre di nuovo lo sguardo sul foglio, stavolta in silenzio.
«È scritta nella lingua dei nostri antenati, la più indicata per gli incantesimi», dice poi senza staccare gli occhi dalle parole scritte in nero con un elegante calligrafia.
«Il problema è che dovrete recitarla voi stessi, ragazzi, perché solo a voi è rimasto il potere per compiere un incantesimo, per quanto tale potere sia al momento bloccato.»
«Anche se non conosciamo la lingua, possiamo imparare a memoria le parole», affermo alzando le spalle.
«Sì, certo, faremo così», conferma Alhena.
«Per il resto non so dirvi molto, non sono un’esperta in questo genere di cose. Mio zio lo era invece: lo dimostra il fatto di essere riuscito a ideare un rituale di iniziazione in cui non sia l’iniziato stesso a pronunciare le parole dell’incantesimo. Lo fece con Altair all’inizio, poi con voi...  È un uso scorretto della magia, ma almeno stavolta porterà a qualcosa di buono. Di molto buono», continua.
«Mia Signora, potrei vedere la formula? Mio padre di incantesimi se ne intendeva e qualcosa mi ha insegnato», chiede Axel.
Alhena lo guarda sorpresa, ma poi annuisce e gli consegna il foglio.
«Le formule sono due, una per Emma e una per Jeremy, e sono davvero molto simili a quelle che pronunciavano gli iniziati per diventare Notturni o Diurni: anche questi sono incantesimi che vanno a rimuovere luce o buio dall’anima di una persona che li possiede entrambi. Penso che il blocco ideato da Deneb consistesse nell’innestare un po’ dell’elemento contrario al vostro dentro di voi, cosicché andasse ad annullare gli effetti prodotti dall’elemento puro. Questo incantesimo serve a rimuovere quella piccola parte di luce in Emma e di buio in Jeremy», spiega il Notturno dopo aver dato un’occhiata.
«Axel, tu puoi insegnarci le parole della formula?» chiede Emma.
«Certo.»
«Non ci posso ancora credere che dopo diciassette anni tutto tornerà come prima», esclama Alhena commossa.
«Riavrete tutto quanto: la notte, il giorno, la magia...», dico entusiasta come lei, come tutti noi.
«Dobbiamo avvertire Anthemis, questo evento riguarda tutto il nostro mondo!» continua la Guardiana.
«Spero davvero che questo sia l’inizio di un’epoca nuova, un’epoca di pace e rispetto tra le due città e i due popoli. Dovranno capire che noi Notturni non siamo malvagi dal momento che avremo contribuito a salvare il mondo!»  
«Lo spero tanto anche io», dice Axel annuendo.
«Bene ragazzi, pronti a rivedere vostra nonna?» chiede Alhena alzandosi in piedi.
 
***
 
«Andrà tutto bene, Jeremy, non temere. Hai detto tu stesso che Anthemis è una persona corretta, ci perdonerà quando saprà la verità!» dice Emma.
Siamo ancora in biblioteca in attesa dell’arrivo della Guardiana del Giorno, nostra nonna, che Alhena ha mandato a chiamare con urgenza senza però riferire il motivo della convocazione.
«Sì, ne sono convinto anche io», interviene Axel guardandosi attorno nervosamente, chiaramente inquieto.
Dato ciò che gli è accaduto all’ultimo incontro con Anthemis, evidentemente non è tranquillo all’idea di rivivere l’esperienza.
«Vi ricordate tutti la versione da riferire ad Anthemis, giusto?», chiede poi mia sorella.
«Sì, tranquilla, lo sappiamo», la rassicuro io più in ansia che mai per ciò che sta per accadere in questa stanza.
E se Anthemis non ci credesse? E se poi vorrà comunque punirci per essere scappati? E se non dovesse accettarci come nipoti? Se vorrà prove più concrete?
«A proposito, Emma, grazie per aver improvvisato quella storia per proteggermi», dice improvvisamente Axel sedendosi accanto a lei, facendola arrossire e sorridere.
«Hai detto tu stesso che se Alhena avesse saputo chi sei davvero non ci avrebbe mai creduto e non ci avrebbe aiutati», gli dice lei di rimando.
«Anche dicendo la verità lei sarebbe stata costretta a credervi, il documento nel cofanetto è una prova inconfutabile, come anche il fatto che quello si sia aperto al tuo tocco. Per voi sarebbe stato perfino più conveniente dire la verità, ma non l’avete fatto. Ve ne sono grato», insiste lui rivolgendosi ora a entrambi.
«Non avrei mai potuto tradirti, Axel, lo sai. Tu per noi avresti fatto lo stesso», afferma Emma coprendo la mano di Axel con la propria, facendo calmare un po’ il ragazzo accanto a lei.
La porta della stanza cattura la nostra attenzione aprendosi proprio in questo momento, facendoci scattare tutti in piedi: fa il suo ingresso Alhena, seguita a ruota da Anthemis, che sembra avere un diavolo per capello.
«Adesso basta, Alhena, sono stanca dei tuoi giochetti! Prima ti rifiuti di consegnarmi i di Fuori solamente per prenderti gioco di me e della mia autorità, poi mi convochi qui senza uno straccio di spiegazione! Quando la smetterete di...»
«Anthemis, ti prego, capirai tutto fra poco. Questo è l’inizio di una nuova era», la interrompe Alhena indicandoci.
La Guardiana del Giorno alza lo sguardo, accorgersi così improvvisamente di noi.
«Oh, ci siete anche voi», dice fulminandoci tutti e tre con lo sguardo, con voce carica di biasimo e delusione, rivolgendosi però in particolare modo a me: sono stato io a giurarle di non essere come mia madre, a giurarle che non mi sarei mai schierato con la notte, per poi fare tutto il contrario.
Tuttavia, anche se mi sento estremamente a disagio nell’ incontrare per la prima volta dal mio “tradimento” la Guardiana, non mi sento in colpa: se non avessi seguito Emma e Axel non saremo qui, oggi, pronti a salvare questo mondo, il nostro mondo.
«Dobbiamo parlare tutti assieme, non ti pentirai di essere venuta, Anthemis. Siediti pure», dice Alhena prendendo posto a sua volta.
«Tu devi essere Emma», afferma la Guardiana del Giorno rivolgendosi a mia sorella, la quale annuisce piano.
«Mi ricordi tanto qualcuno, Emma, sai? E non mi riferisco a tuo fratello, anche se gli assomigli moltissimo», continua poi Anthemis affilando lo sguardo e lasciandosi cadere sul divanetto di fronte al nostro.
«C’è un motivo se Emma vi ricorda qualcuno, mia Signora. Lasciatemi spiegare», dico: credo di dover essere io a spiegare le cose ad Anthemis, d’altra parte sono quello che lei conosce meglio.
«Avanti, parla Jeremy, ma non pretendere di essere creduto da me. Faccio errori grandi, questo è vero, ma non li faccio mai due volte», mi risponde lei, seria.
«Mia Signora, cogliendo l’occasione per scusarmi con voi per il mio inqualificabile comportamento dell’ultima volta, vi chiedo di credere a ciò che stiamo per dirvi: è la verità, non potremo mai mentire su una questione così importante e delicata», interviene Axel tenendo gli occhi bassi, la mascella contratta e i pugni chiusi.
«Prima parlate, poi valuterò se credervi», ribatte la Guardiana.
«Per quanto riguarda te, piccolo Notturno, non ho potere su di te, ma se c’è lo avessi saresti già stato punito severamente per la tua mancanza di rispetto», sbotta poi, chiaramente irata.
«E ora parlate, mi sto stufando di tergiversare!»
«Prima di tutto dovete sapere che io e mia sorella, anche se vi sembrerà impossibile, abbiamo il potere per far tornare il giorno e la notte: possiamo far ripartire questo mondo, perché gli elementi puri si sono salvati dentro di noi», dico facendole sgranare gli occhi.
«Non prendetemi in giro!»  sbotta subito lei scattando in piedi.
«Non sono venuta qui per sentirmi dire queste baggianate!»
«Non sono menzogne, mia Signora, ve lo giuro! Io ed Emma siamo nati qui, non nel Mondo di Fuori: alla nostra nascita Deneb ha compiuto il rito su di noi, poi ha bloccato i nostri poteri come aveva fatto con Altair e i nostri genitori ci hanno portati fuori prima della distruzione dei Nuclei.»
«Vorreste farmi credere che una famiglia del nostro mondo abbia vissuto nel Mondo di Fuori per diciassette anni?! Non può essere!» grida Anthemis tornando a sedersi, mostrando forse un primo segnale di cedimento.
«Non una famiglia, solo noi. Mamma e papà sono tornati qui a combattere dopo averci lasciati dai nostri nonni materni, ma non sono più tornati a prenderci», continuo a spiegare.
«Nonni materni nel Mondo di Fuori?! Ma cosa stai dicendo, Jeremy?»
«I genitori di Claire», affermo infine.
«Io ed Emma siamo figli di Claire e di vostro figlio Ophrys.»
A queste mie parole la stanza piomba in un silenzio surreale; tutti tratteniamo il respiro in attesa della reazione di Anthemis.
Tutto nella Guardiana del Giorno si è immobilizzato, fuorché gli occhi così simili ai nostri che continuano a spostarsi da me ed Emma in continuazione, febbrilmente, come se cercasse una prova, un indizio della veridicità della mia dichiarazione.
«Io non so chi vi abbia ricordato Emma, mia Signora, ma vi prego di considerarla una prova della mia, della nostra sincerità», insisto io.
«Mi ricorda me stessa da giovane, ecco chi», dice finalmente Anthemis con voce spezzata lasciandosi cadere in ginocchio di fronte a noi, due grosse lacrime che gli scavano le guance arrossate.
«Quale miracolo è mai questo? Ho dei nipoti, figli del mio Ophrys, non sono più sola...» continua singhiozzando, prendendo le nostre mani tra le sue.
«Non tutta la mia famiglia è distrutta, questo è un miracolo», ribatte facendoci stringere il cuore.
Un secondo dopo sia io che Emma siamo per terra al suo fianco, abbracciandola, tentando di farle percepire che quello che sta vivendo non è un sogno, che noi siamo reali.
«Mia Signora, ci dispiace di essere fuggiti così da Komorebi, ma...» dico dopo qualche minuto, ma vengo subito fermato dalla Guardiana:
«Jeremy, sono tua nonna, ti prego, basta formalità! E vale anche per te, Emma, nipotina mia...» dice Anthemis facendo una carezza a entrambi.
«Raccontatemi tutto, vi prego, voglio sapere tutto! Perché Ophrys non mi ha detto di voi? Perché non mi ha detto che Claire era incinta? Dove siete stati per tutto questo tempo?» chiede poi dopo essersi calmata un po’.   
Così, una volta tornati sui divanetti, io ed Emma ci alterniamo nelle spiegazioni attenendoci il più possibile alla verità, a parte in quelle questioni sulle quali abbiamo mentito anche ad Alhena.
Parliamo dell’incontro dei nostri genitori fuori dall’Arcata, della richiesta fatta da nostra madre ad Altair, del malinteso in cui Ophrys era incappato vedendo uscire assieme Claire e suo fratello, della successiva comprensione della vera natura dei Notturni da parte di nostro padre, dei mesi che precedettero lo scontro.
Parliamo del piano di Deneb e dei nostri genitori, della sua attuazione, del fatto che avevano capito già prima ciò che stava per fare Altair, della loro missione per portarci fuori da questo mondo, della loro richiesta ai nonni, della loro morte.
Passiamo poi alla parte difficile: il dover mentire; ma lo facciamo, non avendo altra scelta.
«Ma è stato un Notturno ad uccidere il padre di mio marito, è stato un Notturno a distruggere i Nuclei! Quando era possibile vivevano sempre nell’oscurità, ombre tra le ombre... Come posso pensare che la Gente della Notte non sia corrotta dalle tenebre?» chiede Anthemis, scossa come mai l’avevo vista.
«Mia madre e Deneb erano Notturni, eppure diedero la vita pur di garantire un futuro a questo mondo», le risponde Emma.
«Axel è un Notturno, eppure mi ha aiutata senza mai lasciarmi un istante da quando sono qui, rischiando perfino di entrare nel palazzo di Komorebi per me. Alhena è una Notturna, eppure ci ha ospitati senza esitare in casa sua quando gli abbiamo chiesto protezione, ti ha avvisata subito non appena ha saputo la verità su di noi. Io stessa sono una Notturna, eppure sono qui pronta a pronunciare quella formula, pronta a rimediare alle azioni dell’unico malvagio di questa storia, Altair. La Gente della Notte non è malvagia, Anthemis, è soltanto diversa: non è buio quello che abbiamo dentro, ma luce delle stelle.»
«Deneb voleva prendere il controllo di Komorebi, ha fatto degli esperimenti sulla mia Gente! Per settimane tutti continuavamo ad avere dei vuoti di memoria, a risvegliarci improvvisamente in posti diversi senza ricordare di averli raggiunti, pezzi interi di giornate sparivano dalle nostre menti! Era un incubo, per questo Corylus ha attaccato Yakamoz! Deneb voleva la fine di questo mondo così come lo conosciamo, voleva che la notte dominasse sul giorno spezzando l’Equilibrio! Non sarebbe arrivato a fare ciò che poi ha compiuto mio… suo figlio, ma non posso credere che Deneb avesse a cuore la salvezza di questo mondo!»  insiste Anthemis scuotendo la testa.
«No Anthemis», interviene Alhena.
«Mio zio non ha mai fatto quegli esperimenti magici su voi Diurni, te lo giuro! Improvvisamente ci siamo ritrovati a dover fronteggiare una guerra di cui non conoscevamo le ragioni: se non fosse stato per Ophrys non avremmo neanche saputo quali erano le accuse che ci muoveva Corylus! Tuo marito si sbagliava, Anthemis, si è sempre sbagliato, e questo l’aveva capito anche tuo figlio: noi Notturni non siamo cattivi, noi Notturni vogliamo l’Equilibrio di notte e giorno esattamente quanto voi! Solamente Altair era diverso, solamente lui aveva idee diverse! Io non so cosa successe alla Gente del Giorno quando viveste quelle amnesie, ma io ero qui al fianco di mio zio quando accadde: lui era stupito quanto tutti noi di ciò che stava succedendo. A parte le parole di tuo marito, quali altre prove ci sono contro Deneb? Quali altre prove ci sono, a parte le azioni di Altair, contro l’intera Gente della Notte?»
«Io amavo Corylus, mi fidavo di lui, credevo a tutto quello che mi diceva… Come posso disonorare la sua memoria cominciando a credere che tutte le sue affermazioni sui Notturni fossero false? Che motivo poteva avere per inventarsi tutto?» dice la Guardiana del Giorno ormai vinta, cercando di affrontare la nuova consapevolezza che, oltre ad Altair, la sua famiglia contava un altro membro poco onesto.
«Questo non lo so, Anthemis», le rispondo, «ma forse tuo marito credeva davvero in ciò che diceva, forse non ha mai avuto intenzione di mentire inventandosi tutto. Per qualche ragione odiava i Notturni e questo lo portava ad avere idee completamente sbagliate sul loro conto, idee alle quali lui credeva fortemente, purtroppo.» 
Alla fine riusciamo a convincere Anthemis, la quale, dopo essersi calmata, sorride fiduciosa e piena di speranza come non lo era da diciassette anni.
Komorebi e Yakamoz dopo decenni sono finalmente alleate di nuovo e questa è la cosa migliore che potesse mai capitare a questo mondo.

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Capitolo 31
*** Iniziazione ***


Emma
 
Nei giorni appena successivi alla chiacchierata con Anthemis ci siamo impegnati tutti quanti a preparare nel dettaglio le prossime mosse: la prima necessità è senza dubbio quella di annunciare a tutto questo mondo la sua salvezza, raccontare la verità ad entrambe le due Genti e dire loro quando accadrà il miracolo.
Anthemis e Alhena hanno scritto una lettera con tutte le informazioni necessarie, lettera che a breve sarà letta contemporaneamente sia a Komorebi che a Yakamoz dalle uniche guardie informate di tutta la questione, alcune tra le più degne di fiducia secondo le due Guardiane.
Dall’altana di una delle torri del palazzo di Yakamoz vedo frotte di persone accorrere verso il parco delle lanterne appena fuori dalle mura, spazio dove è solita riunirsi la Gente della Notte per ascoltare le proclamazioni ufficiali del palazzo.
«A breve scoppierà il putiferio, credetemi», dice Jeremy osservando a sua volta la macchia verde sotto alla quale centinaia di persone stanno per ricevere la notizia che hanno atteso senza speranza per diciassette anni.
«Ci crederanno? I Notturni crederanno a tutta la storia?»  chiedo un po’ preoccupata.
«I Notturni sì, senza ombra di dubbio», risponde Axel, appoggiato alla balaustra alle nostre spalle.
«La Gente della Notte amava Deneb e stimava Claire e Ophrys, non avranno difficoltà a credere che avessero studiato un piano per salvare questo mondo. È la Gente del Giorno a preoccuparmi invece.»
«Speriamo che Anthemis non debba ritrovarsi a sedare una rivolta», dice Jeremy, serio.
Improvvisamente un boato di grida e strepiti risuona per le strade deserte della Città della Notte, arrivando fino a noi sulla torre: ora tutti sanno chi siamo.
 
***  
 
Jeremy aveva ragione: è scoppiato il putiferio.
Dopo la rivelazione di ciò che sta per accadere la gente si è riversata per le strade per festeggiare: dalle finestre del salone si vedono uomini, donne e bambini correre a destra e a manca, gli uni incontro agli altri, gruppi di persone che discutono animatamente, altri danzare e saltare al suono degli strumenti a corda e a fiato che alcuni musicisti si sono messi a suonare nelle piazze e agli incroci.
«Era troppo tempo che questo mondo non provava una felicità simile», afferma Axel, felice, proprio nel momento in cui nella stanza entrano Alhena e Anthemis, che è appena arrivata da Komorebi.
«Anthemis, com’è andata?» chiede subito mio fratello, preoccupato per come la notizia sia stata accolta dalla Gente del Giorno.
«Si sta festeggiando anche a Komorebi, non preoccupatevi! In molti hanno anche creduto al fatto che i Notturni non siano malvagi e che tutto sia stato un enorme malinteso. Non sono mancate contestazioni, ma me lo aspettavo», risponde la Guardiana.
«Ci sono stati disordini?»  intervengo io.
«Niente di serio, la notizia che presto il giorno tornerà è bastata a far dimenticare presto tutto il resto», mi risponde lei.
«Ora torno nella mia città, ci vediamo domani per gli ultimi dettagli», conclude la Guardiana.
 
***
 
La voce di Axel assume tonalità bellissime nel pronunciare ancora e ancora le formule che dovremo recitare io e Jeremy nel momento dell’iniziazione, ovvero fra poche ore: sembra davvero che stia cantando la più dolce delle melodie anziché leggendo le parole di una lingua antica.
Io e mio fratello ci stiamo esercitando da ore assieme a lui per cercare di memorizzare correttamente le formule con le giuste tonalità, il che non è semplice dal momento che non possiamo ripeterle ad alta voce: se lo facessimo l’incantesimo si attuerebbe all’istante, mentre Alhena e Anthemis hanno deciso che ciò deve avvenire durante una cerimonia solenne sotto lo sguardo di entrambe le due Genti al completo.
Il tutto avverrà alle nove del mattino presso le rovine dell’Antica Accademia, il luogo dove Abies aveva trovato Jeremy intento a frugare tra i vecchi libri impolverati della biblioteca.
Le Guardiane ci hanno spiegato che quel luogo è per eccellenza il simbolo della concordia perduta tra Diurni e Notturni: l’edificio e il giardino infatti venivano usati anticamente come scuola per bambini e ragazzi di entrambe le Genti, era un luogo di pace, fratellanza e serenità. Esso poi andò distrutto durante uno scontro tra le due Genti, quando ormai i rapporti tra esse si erano fatti tesi, già secoli prima che Corylus li distruggesse completamente.
Quale miglior posto dunque per sancire una nuova alleanza? Quale miglior posto per regalare a questo mondo una nuova alba? (Io e Alhena avremmo preferito regalare un nuovo tramonto, ma alla fine Anthemis e Jeremy hanno avuto la meglio: i Notturni dovranno aspettare parecchie ore prima di avere indietro le loro ombre e le loro stelle).
«Ok, adesso basta! L’ho memorizzata, Axel, fidati», sbotta Jeremy all’ennesima lettura delle formule da parte del nostro “insegnante”.
«Sei sicuro? Sai, sarebbe abbastanza spiacevole interrompere la cerimonia di fronte a migliaia di persone perché tu non ti ricordi le parole esatte», dice Axel sollevando un sopracciglio.
«Così non sei per niente d’aiuto!» ribatte mio fratello alzandosi in piedi dal divanetto della biblioteca dove siamo stati seduti fin dal tardo pomeriggio.
«Non preoccuparti, Axel, le abbiamo imparate», dico alzandomi a mia volta e sgranchendomi la schiena.
Lui si limita a scrollare le spalle e a sollevare lo sguardo verso il cielo oltre la cupola, sospirando.
«Hey, sei agitato?» gli chiedo sedendomi nuovamente accanto a lui mentre Jeremy esce in silenzio dalla sala, lasciandoci soli.
Axel sorride voltandosi verso di me:
«Non puoi neanche immaginare quanto. È come se non riuscissi a credere che tutto stia accadendo davvero, che presto riavremo il mondo di prima, le abitudini di prima, la vita di prima... Beh, non proprio come prima: loro non ci saranno, e quello che è accaduto quel giorno non cambia, però forse posso provare ricominciare anche io, nonostante tutto.»
«Certo che puoi, Axel: tutti meritiamo una seconda opportunità. Ti sei punito per diciassette anni pensando di essere dannato, pensando di non meritare più niente, ma non è così: ti conosco, sei una persona fantastica, nessuno più di te merita un po’ di felicità adesso. Oggi tutto cambierà e io sarò qui con te per aiutarti», dico felice, col cuore pieno di gioia al pensiero che finalmente Axel veda un nuovo futuro davanti a sé.
«Dunque hai deciso di rimanere qui?» esclama il ragazzo accanto a me spalancando gli occhi, speranzoso.
«Certo... Ho trascorso tutta la mia esistenza nella speranza di incappare un giorno in un mondo migliore rispetto a quello in cui pensavo di essere nata, e poi, contro ogni mia aspettativa, è successo davvero. Come potrei abbandonare questo posto, il mio mondo, la mia vera casa, adesso che l’ho finalmente trovata?» affermo.
“Come potrei abbandonare te?” aggiungo tra me e me.
Il viso di Axel si apre in un luminoso sorriso nell’ascoltare le mie parole, il sorriso più vero e sincero che io gli abbia mai visto fare, e io mi sento andare a fuoco al pensiero che sia stata io, proprio io, a fargli questo effetto.
«Emma...» sussurra Axel senza smettere di sorridere e sollevando una mano per sfiorarmi il viso, come per assicurarsi che io sia reale e non solo un frutto della sua immaginazione.
Il cuore mi batte forte mentre intreccio le mie dita alle sue, ancora ferme sulla mia guancia arrossata. Pochi istanti dopo siamo ancora più vicini, fronte contro fronte, lottando con tutta la nostra forza di volontà per non annullare completamente la distanza che resta tra di noi.
Io lo so che Axel prova quello che provo io: lo sento ogni volta che mi guarda, ogni volta che siamo soli, ogni volta che mi è vicino; inoltre me lo ha dimostrato innumerevoli volte aiutandomi là dove nessuno l’avrebbe mai fatto.
Eppure lui continua a persistere nel suo folle intento di mantenere le distanze, quando in realtà non ci riesce davvero nemmeno lui.
Un tempo era amico di mio padre, e allora? Il tempo si è fermato permettendoci di incontrarci qui, ora, due anime così simili che si sono riconosciute tra tante contro ogni probabilità del destino: perché rinunciare a questo regalo dell’universo?
Ma questa è una decisione che deve partire da lui.
Non importa quanto ci vorrà, io sarò qui ad aspettarlo.
Sempre.
 
***
 
Sono nella mia stanza, davanti allo specchio.
La mia immagine riflessa sorride emozionata, vestita di tutto punto con uno dei più bei abiti da cerimonia di Alhena, la quale me l’ha prestato per l’occasione: si tratta di un vestito blu scuro, colore sacro per i Notturni così come il bianco lo è per i Diurni.
L’abito di Jeremy è infatti proprio bianco, glielo ha portato poco fa Anthemis da Komorebi. Era di nostro padre: mio fratello si è quasi commosso nel riceverlo.
I miei pensieri vengono interrotti da un insistente bussare alla mia porta, così mi affretto ad aprire.
«Ti sta perfettamente, ero sicura che avessimo la stessa taglia», dice Alhena entrando nella stanza con un cofanetto tra le mani.
«Grazie a voi per avermelo prestato, mia Signora, è meraviglioso», le rispondo grata.
«Chiamami pure Alhena e dammi del tu, Emma: basta con queste formalità, dopotutto anche tu fai parte di una famiglia di Guardiani», afferma lei strizzandomi l’occhio.
«Ti ho portato una cosa», aggiunge poi porgendomi la scatola che tiene tra le mani.
«Oh, grazie Alhena!» dico sorpresa prendendola e sollevando delicatamente il coperchio.
Ai miei occhi compare un bellissimo diadema d’argento, fine e raffinato, con una mezzaluna nella sua parte centrale ricoperta di piccole pietre preziose dello stesso colore del vestito.
Non riesco a dire una parola, posso solo ammirare quest’oggetto tanto bello tra le mie mani in silenzio, sentendolo pieno di un’energia che non riesco a spiegarmi del tutto.
«Era di tua madre, Emma. Lo indossò il giorno in cui compì il rito e scelse la notte, seguendo la sua vera natura invece delle regole di Komorebi. Avrei voluto portarti anche il suo vestito, ho conservato anche quello, ma lei era più bassa di te, non ti sarebbe andato bene», confessa la Guardiana.
Due grosse lacrime mi scendono dagli occhi nel momento stesso in cui mi rendo conto di cosa sto tenendo tra le mie mani.
«Grazie Alhena, è la cosa più bella che potessi fare per me», dico con voce spezzata, posando la scatola e sollevando il diadema.
«Aspetta, lasciati aiutare», dice lei facendosi dare il diadema e ponendolo tra i miei capelli biondi, incastrandolo alla perfezione nell’ acconciatura raccolta che poco fa mi ha portato via un sacco di tempo.
«Ecco fatto, adesso sì che sei perfetta.»
«Grazie Alhena, grazie infinite per tutto», dico incrociando gli occhi neri della Guardiana dentro lo specchio.
«Farai venire un infarto al caro Axel, ne sono sicura!» afferma lei facendomi arrossire imbarazzata.
«Ti lascio sola, ci vediamo più tardi», conclude poi sorridendomi e dirigendosi verso la porta.
Quando la Guardiana esce mi siedo sul bordo del letto, fissando un punto indeterminato oltre la finestra.
“Fra pochissimo sarò una vera Notturna”, penso.
Una magia autentica scorrerà dentro di me, sarò ciò che ho sempre desiderato essere, ciò che sono sempre stata anche se non me ne rendevo conto.
Quanto ho invidiato i protagonisti dei miei libri in questi anni? Quante volte ho fatto scorrere le dita tra le pagine desiderando con tutto il cuore di essere catapultata dentro a quelle scritte scure? Volevo essere io ad esplorare mondi nuovi e bellissimi, lontani anni luce dal posto in cui mi trovavo, un mondo pieno di cose meravigliose, sì, ma anche di tante, tantissime cose orribili: l’avidità, la corruzione, l’inquinamento, la falsa libertà che incatena l’esistenza di tutti, costringendo a seguire una modalità di vita ben precisa, senza la possibilità di un’alternativa.
Ora invece sono qui, tutti i miei desideri realizzati.
O meglio, quasi tutti: vorrei tanto che mamma e papà fossero qui a vedere che il loro sacrificio fatto per me e Jeremy non è mai stato inutile...
Ma va bene lo stesso. Loro ci sono comunque, io lo so.
 
***
 
Busso tre volte alla porta della camera di Jeremy: lo conosco, so che in questo momento è in ansia per ciò che sta per succedere, dunque voglio stargli vicino.
Dopo pochi istanti mio fratello apre la porta; il vestito che era di nostro padre gli sta a pennello: pantaloni morbidi di raffinata stoffa bianca con ricami dorati e una casacca dalle ampie maniche con una fascia dorata sul petto, sulla quale ricade il ciondolo regalatogli dai nonni.
Anche io indosso il mio, non ho voluto altri gioielli se non quello per impreziosire la scollatura dell’abito.
«Io così non ci esco», sentenzia Jeremy indicandosi i vestiti.
«Non dire così, erano di papà!» affermo io ridacchiando ed entrando nella stanza.
«E poi sono gli abiti tipici della nostra terra, dobbiamo onorarli», aggiungo sedendomi sul bordo del letto, attenta a non stropicciare il vestito.
«Facile dirlo per te! Il vestito di Alhena è bellissimo... Voi donne siete sempre le più fortunate in queste cose», dice mio fratello incrociando le braccia.
«Vuoi un vestito da donna anche tu per caso? Sono sicura che Alhena ne abbia altri nell’armadio!» gli rispondo ironicamente, sforzandomi di non ridere.
Lui alza gli occhi.
«Non intendevo questo, Emma! Dicevo solo che una ragazza difficilmente risulta ridicola con un vestito addosso, per noi ragazzi è diverso!» sbuffa lui.
«Non sei ridicolo, Jeremy, ti sta benissimo», dico tornando più seria.
«Lo so, Emma, era solo per alleggerire la tensione... Sai che non potrei che essere onorato a portare il vestito di papà», dice sorridendo.
Io annuisco.
«Come stai, Jeremy? Ti senti pronto?» gli chiedo.
«Sì, certo, ho ripetuto mentalmente la formula ancora un paio di volte e me la ricordo bene.»
Sospiro.
«Sai a cosa mi riferisco, non fingere con me.»
«Sto bene, Emma», risponde lui dopo qualche istante, sedendosi accanto a me.
«Più di quanto credessi all’inizio», aggiunge.
«Quando Axel ci ha rivelato la nostra vera natura, quando ha detto che io sono sempre stato un Diurno, mi sono sentito strano, come se non mi riconoscessi più, come se mi sentissi un estraneo dentro la mia stessa pelle. Poi però quella sensazione è passata, adesso voglio diventare a tutti gli effetti ciò che sono sempre stato», conclude sollevando lo sguardo su di me.
«Lo sai che non si torna più indietro, vero?»
«Lo so, è quello che voglio», afferma solennemente.
«Alla fine quest’avventura ti ha aiutato tantissimo, Jeremy», gli dico abbracciandolo.
«Non sei più prigioniero di te stesso, io lo vedo.»
«Lo sento anche io, Emma, anche per questo non voglio tornare indietro, anche per questo voglio restare qui: in questo mondo mi sento libero, mi sento sereno. Non voglio rinunciarci per niente al mondo», dice sciogliendo l’abbraccio.
«Promettimi una cosa, Jeremy.»
«Tutto ciò che vuoi.»
«Stiamo per diventare a tutti gli effetti creature diverse, opposte: uno fedele alla luce del sole e alla ragione, l’altra alle ombre della notte, alle stelle e all’istinto. Saremo diversi, più di quanto siamo mai stati, ma ti prego, promettimi che questo non cambierà le cose tra di noi. Promettimi che saremo sempre uniti, che ci aiuteremo sempre l’un l’altra, che se sarà necessario saremo noi due contro tutti, nonostante le diversità e le visioni diverse delle cose. Promettimi che saremo sempre Emma e Jeremy, fratelli gemelli, e mai nemici», dico stringendogli le mani.
Jeremy sorride al sentire la mia richiesta, un sorriso dolce e affettuoso.
«Non ricordi? Ti ho già promesso tutto questo il giorno del nostro compleanno, dopo aver ricevuto i ciondoli», dice sorprendendomi e facendomi rivivere quel momento nella cucina della casa di Wells che ora sembra lontano anni luce, come se quella promessa ce la fossimo scambiata non poche settimane fa, ma addirittura in una vita precedente. In un certo senso è proprio così: questa per noi è una vita diversa da quella che abbiamo conosciuto nel mondo di Fuori.
Le promesse però sono eterne, valicano qualunque tipo di confine sia spaziale che temporale, esattamente come l’affetto che unisce me e mio fratello.
«Oh, sì, lo ricordo.»
 
***
 
«Sai, poco prima che Abies mi trovasse nella biblioteca dell’Accademia mi ero soffermato a guardare un affresco bellissimo», dice Jeremy mentre insieme ci dirigiamo verso il salone del Palazzo della Notte.
«Tu e la tua passione per l’arte, anche nei momenti più critici», ridacchio io aggiustandomi il diadema della mamma sulla testa.
«Raffigurava due ragazzi vestiti all’incirca come lo siamo noi adesso: un Diurno e una Notturna, ora lo so, che danzavano insieme, in armonia», continua lui.
«Secondo te questo giorno riuscirà a riportare la gioia di un tempo a questo mondo? Riuscirà quello che stiamo per compiere a far tornare notte e giorno a danzare insieme senza più odio, senza più diffidenza?»
«Tu e la tua passione per la poesia, anche nei momenti più critici», sospiro.
«Che posso dirti, Jeremy, lo spero con tutto il cuore. Ma sai una cosa? Anche se far ripartire il tempo non cambierà la situazione, potremmo sempre cercare di risolvere la questione successivamente, in altri modi. Potremmo dedicare la nostra vita a curare le ferite che nostro nonno ha contribuito ad aprire», gli rispondo sentendomi addosso tutta la responsabilità delle mie parole.
«Sarebbe una vita ben spesa», afferma il mio gemello aprendo la porta del salone, dove le Guardiane ci stanno già aspettando.
Anthemis ci corre incontro:
«Ragazzi, siete bellissimi!» afferma con gli occhi lucidi dall’emozione, stampandoci un bacio a testa sulle guance.
«Mai avrei pensato di vedere questo giorno», continua la Guardiana i Komorebi portandosi una mano alle labbra.
«È arrivato, invece, è arrivato davvero», affermo io, sorridente.
Sono sempre stata abituata a pensare di avere una sola nonna, nonna Ada, inoltre in un primo momento sentivo di odiare Anthemis per ciò che aveva fatto a Jeremy; dopo averla conosciuta di persona però, dopo aver compreso a fondo ciò che ha passato, non ho potuto fare altro che cambiare idea su di lei. Sono certa che col tempo imparerò a volerle bene, chissà, forse addirittura a chiamarla nonna. Improvvisamente sentiamo Alhena ridacchiare nell’osservare un punto alle nostre spalle.
«Tutto bene, Axel?» dice la Guardiana senza neppure cercare di dissimulare la nota di divertimento nella sua voce.
Nel sentire quel nome, naturalmente, mi volto di scatto: Axel se ne sta fermo davanti alla porta, gli occhi ambrati sorpresi e inequivocabilmente fissi su di me.
Subito distolgo lo sguardo, avvampando fino alle radici dei capelli, e l’occhiolino d’intesa che Alhena mi rivolge non contribuisce a migliorare la situazione.
«Certo, tutto bene», dice Axel avvicinandosi, palesemente imbarazzato.
Per la prima volta da quando siamo qui mi chiedo come sia il falso aspetto che mostra a tutti fuorché a me e a Jeremy. “In ogni caso non potrebbe mai essere più bello del suo vero volto”, penso sorridendo tra me e me.
 
***
 
Arriviamo alle rovine dell’Antica Accademia alle otto e trenta del mattino, dopo aver oltrepassato il portale privato del palazzo di Yakamoz scortati da un consistente manipolo di guardie vestite di blu.
Dopo la ormai consueta sensazione di vuoto sotto ai piedi riemergiamo alle spalle del palazzo diroccato, poi ci muoviamo per raggiungere una grande sala ovale dalle pareti scolpite a bassorilievi geometrici, con ampi gradoni sia a destra che a sinistra della porta di ingresso, al momento presidiata da guardie in uniforma bianca.
Sulla parete curva di fronte ai gradoni si apre un’enorme finestra circolare che lascia correre lo sguardo fino al giardino della scuola: i sentieri contornati da statue sono gremiti di persone che evidentemente stanno attendendo il permesso di entrare nella sala, uno dei pochi ambienti dell’Accademia che si sono salvati dalla distruzione assieme alla biblioteca e a pochi altri.
Non tutti potranno entrare, non c’è abbastanza spazio, ma forse saranno in molti a preferire di stare all’aperto nel momento in cui il tempo ripartirà, per vedere il cielo tingersi finalmente di azzurro dopo diciassette anni.
Ai lati della grande finestra sono incise due formule, una sotto a una mezzaluna e una sotto a un sole scolpiti in bassorilievo: le formule che i mezzosangue recitavano per scegliere a quale gente unirsi, versioni un po’ diverse di quelle che reciteremo io e Jeremy tra pochissimo tempo.
Lo stomaco mi si stringe nel pensare a ciò che stiamo per fare e un entusiasmo mai provato prima mi inizia a scorrere nelle vene.
Cerco tra gli altri lo sguardo di Axel, che sta sorridendo come un bambino; i nostri occhi si incrociano per un lungo istante, un lungo istante di pura magia in cui ci confidiamo tutto ciò che al momento non possiamo affidare alle parole.
Attorno a noi le guardie di entrambe le corti sono in fermento, così come gli spettatori sulle gradinate: tutti sanno ciò che sta per succedere.
Mi accorgo solo ora di una figura appoggiata alla parete non molto distante da noi, un ragazzo piuttosto basso e smilzo dai capelli rossi e dagli occhi ardenti come braci scure: Abies.
Ci sta fissando con il volto contratto in un’espressione che non riesco a decifrare del tutto, anche se è chiaro che mille emozioni diverse lo stanno attraversando.
Mi torna in mente ciò che Jeremy ha detto sul suo conto, ovvero che durante il suo servizio come guardia di palazzo si era innamorato di nostro padre, all’epoca scapestrato erede della famiglia che lui serviva.
Ora anche Abies sa chi siamo davvero io e Jeremy: non mi sorprende che sia turbato nel riconoscere in noi i figli del suo amore impossibile e ormai perduto per sempre.
C’è poi la questione della sua teoria su Axel: spero almeno che Anthemis lo abbia persuaso a desistere dal covare sospetti, qualunque essi fossero.
«Emma», mi sento chiamare all’improvviso mentre una mano mi sfiora delicatamente il braccio lasciato scoperto dall’abito, che non esita un attimo a ricoprirsi di pelle d’oca.
«Emma, ti senti pronta?» mi chiede Axel sottovoce ma senza smettere di sorridere.
«Lo sono, non preoccuparti. Fra poco sarò come te», gli rispondo scostandogli dal viso un ricciolo nero.
«Lo sei sempre stata», afferma lui attirandomi improvvisamente verso di sé e stringendomi: un ultimo abbraccio prima che tutto cambi per sempre.
Nonostante la sorpresa iniziale il mio corpo e la mia anima reagiscono immediatamente al contatto con lui, un contatto che senza che me ne rendessi conto mi era mancato più di quanto ritenessi possibile. Per molti secondi mi godo la sensazione di trovarmi avvolta dalle sue braccia, con la testa posata sul suo petto e il suo profumo addosso, finché non sento le sue labbra lasciare un bacio tra i miei capelli.
«Buona fortuna, Emma», sussurra poi lasciandomi andare e dirigendosi verso la prima fila di gradoni, già gremiti di persone.
Tutti fissano insistentemente me è mio fratello sulla pedana, forse cercando di riconoscere in noi i tratti dei nostri genitori per chi di loro li conobbe o li vide almeno una volta, o forse semplicemente perché sanno che il loro futuro è nelle nostre mani.
Alle nove in punto Anthemis prende la parola.
«Possiamo iniziare», dice mentre la sala piomba nel silenzio.
«Come sapete oggi siamo qui perché questa giornata sarà ricordata come l’inizio di una nuova era», dice lasciando poi la parola ad Alhena.
«Oggi siamo qui grazie al sacrificio che diciassette anni fa fecero due ragazzi e un Guardiano: Claire, Ophrys e mio zio Deneb. Siamo qui oggi perché loro misero in gioco le loro stesse vite pur di garantire un futuro a questo mondo, il loro mondo», afferma la Guardiana della Notte ricevendo in cambio sguardi ben poco amichevoli da parte dagli abitanti di Komorebi, seduti tutti assieme sui gradoni alla destra della porta.
Alhena però non si lascia intimorire e continua imperterrita.
«Siamo qui oggi perché loro avevano capito ciò che voleva fare Altair e, sapendo di non poterlo fermare, organizzarono un piano per poter rimediare alle sue azioni. Oggi siamo qui per mettere in atto ciò che loro avevano architettato, oggi siamo qui perché il loro sacrificio porti finalmente suoi frutti, oggi siamo qui per far ricominciare a vivere questo mondo, siamo qui per riportare la notte e il giorno, siamo qui per far tornare questo mondo quello che era un tempo!»  dice con voce alta e solenne.
Non appena le labbra di Alhena si chiudono, un boato scuote la sala: tutti si alzano in piedi ad applaudire, anche la maggior parte dei Diurni, tutti quelli stufi di provare un odio completamente ingiustificato nei confronti dei Notturni, quelli che hanno solo voglia di ricominciare a vivere.
«È con immenso piacere che vi presento Emma e Jeremy, non di Fuori come tutti pensavamo al loro arrivo, ma ragazzi nati qui, i miei nipoti ritrovati!» interviene Anthemis presentandoci al pubblico ancora esultante.
Prima di fare un passo avanti io e il mio gemello ci sorridiamo per farci coraggio, ma prima di poterci muovere di un solo centimetro nella sala scoppia il caos.
Circa una ventina di persone di entrambe le Genti si alzano in piedi e cominciano a correre nella nostra direzione senza darci il tempo di reagire, senza darci il tempo di capire quello che sta per succedere.
In un attimo due uomini ci sono addosso: afferrano me e Jeremy con brutalità sollevandoci da terra, mentre la sala piomba nel caos. Tutti iniziano a gridare mentre io cerco di divincolarmi urlando a mia volta di lasciarmi andare, urlando il nome di Jeremy e di quello di Axel, cercando per quanto possibile di mantenere la calma nonostante il panico crescente.
Nella foga dei movimenti vedo che altri uomini hanno bloccato le Guardiane, mentre in due si sono avventati sul mio Axel pur di tenerlo fermo: lo vedo dibattersi come un forsennato per cercare di liberarsi dalla presa ferrea dei due, inutilmente, gridando il mio nome.
A quella vista inizio a scalciare ancora più forte, ma l’uomo che mi tiene ferma mi tappa la bocca con la mano, impedendomi di urlare e di respirare, finché tutto diventa nero.
«Non ci porterete via l’immortalità, stupidi ragazzini», è l’ultima cosa che riesco a sentire prima che il nulla mi inghiotta.

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Capitolo 32
*** Nonostante chi siamo davvero ***


Axel
 
Ricordo bene il giorno, o forse la notte, in cui mi imbattei per la prima volta nei Custodi dell'Eternità.
I giorni e i mesi di questi ultimi diciassette anni sono stati per me pressoché uno uguale all'altro, è vero, ma quel momento fu diverso: è infatti ancora inciso nella mia memoria, limpido come una sfera di cristallo.
Riesco ancora a sentire sulla pelle i brividi provati quando vidi per la prima volta i loro riti, mentre mi nascondevo alla loro vista e udivo il loro canto.
Accadde pochi anni dopo quel giorno, durante una delle mie peregrinazioni senza meta in questo mondo.
Cercavo come sempre di fuggire da me stesso, dal mio passato, dalle mie azioni, dal rimorso e dal dolore che mi sconquassava il petto penetrandomi nella carne fino al cuore, invece trovai loro.
Ero nella foresta, poco lontano dal cimitero dei Querceti Ardenti: ero andato a trovare mio padre, Ophrys e Claire.
Udii i loro schiamazzi in lontananza, musica e canti gioiosi, di quelli che si eseguivano durante i tempi felici alle feste di matrimonio dei pastori, nelle radure e nelle selve sotto alle montagne.
Quella gioia giungeva alle mie orecchie come un insulto, come uno schiaffo al lutto che stavo portando e che porto tuttora marchiato dentro.
Mi chiesi chi potesse essere così allegro da organizzare una festa dopo quello che era successo, dopo quello che ognuno di noi aveva perduto, così mi avvicinai.
Ad ogni passo un brivido mi percorreva la schiena.
Vidi una casa, o meglio, una villetta diroccata nascosta dalla vegetazione e dall'edera; davanti ad essa erano stati allestiti tavoli ricolmi di cibi e di crateri pieni di vino.
Un gruppo di uomini e donne vi intingevano coppe e scodelle, così da bere fino a stordirsi per poi ballare e cantare in cerchio, tenendosi per mano, indossando maschere mostruose, dalle fattezze infernali: le maschere usate dagli attori e dai danzatori nelle feste campestri della Gente del Giorno.
Ma quelli non erano attori, erano solo dei pazzi in preda all'ebbrezza del vino che brindavano e inneggiavano all'immortalità che la distruzione dei Nuclei aveva donato.
Nauseato da quella vista, da quelle persone che festeggiavano un evento che aveva portato soltanto morte, la loro morte e la mia, mi voltai e corsi via, il più lontano possibile.
Ed ora eccoli ancora, arrivati a rovinare il giorno che avrebbe dovuto segnare la fine di tutto il male, il giorno della rinascita, il giorno in cui la mia vita sarebbe dovuta ricominciare assieme a quella di migliaia di altre persone, il giorno in cui tutto ciò che ho fatto, tutto ciò che perso, avrebbero acquistato un senso, forse anche una giustificazione.
Sono stato uno stupido a pensare di essere anche io meritevole di una seconda opportunità, di poter ricominciare nonostante il passato; sono stato punito per la mia presunzione, sono stato punito e per colpa mia tutti ora ne subiranno le conseguenze.
Le cose che ho fatto non possono essere perdonate, l'ho sempre saputo, indipendentemente dal loro fine.
Me ne sono dimenticato solo per qualche istante, ma è bastato perché mi venisse portata via la cosa più preziosa che avevo, lei, lei che credevo mi fosse stata mandata dal destino per farmi capire che la mia agonia, forse, avrebbe potuto avere fine.
Quei pazzi hanno portato via la mia Emma, quei maledetti sono riusciti a scappare e io non riesco a muovermi: sono immobile, a terra dove mi hanno scagliato quei bastardi prima di saltare a loro volta nel portale oltre l'apertura circolare della sala.
La mia magia non ha funzionato. Ero troppo fuori di me per concentrarmi abbastanza. Non mi sarebbe importato di essere scoperto, no, avrei fatto qualunque cosa pur di spaccare la faccia a quel verme che si è portato via la mia Emma, anche rivelare la mia vera identità, anche lavare via l'incantesimo che nasconde a tutti il mio vero volto.
Ma non ha funzionato.
«Axel...» mi sento chiamare all'improvviso.
Alhena è china sopra di me, gli occhi scuri pieni di lacrime.
"Ma cosa diamine sto facendo!" penso alzandomi in pedi di scatto.
"Devo andare a cercarli, devo assolutamente trovare Emma e Jeremy, devo salvarli e so di essere l'unico a potercela fare: conosco il loro covo, sempre che sia rimasto sempre lo stesso."
«Axel, sei ferito?» mi chiede la Guardiana della Notte
«Io sto bene, dobbiamo muoverci in fretta però, dobbiamo trovarli subito!»
La sala è nel caos: le guardie rimaste stanno cercando di spingere fuori tutte le persone che attonite hanno assistito a tutta la scena, molte delle quali continuano a gridare e a piangere, a chiedere cosa succederà adesso.
Anthemis sta gridando, dice di stare tranquilli, che si sistemerà tutto, ma la sua voce la tradisce: è isterica almeno quanto la mia.
«Chi erano quelle persone?» sbotta poi furente quando tutti fuorché io, le Guardiane e le guardie sono usciti.
«Dove hanno portato i miei nipoti?!» grida di nuovo lasciandosi andare ad un pianto isterico, portandosi le mani sul volto per coprirsi quegli occhi che conosco così bene. Mi fa male vederla in queste condizioni, e mi si stringe il cuore al pensiero di quanto abbia sofferto in questi anni, forse anche più di me, ma non ho tempo di pensarci ora, adesso devo agire.
«Io so chi sono, mia Signora», affermo mentre l'attenzione di tutti i presenti si sposta su di me.
Lo sguardo della Guardiana del Giorno incontra il mio, furente, forse immaginando che io centri qualcosa con l'accaduto, così mi affretto a spiegare quello che vidi quel giorno di molti anni fa nel cuore della foresta.
«In questi ultimi anni devono aver raccolto molti nuovi adepti, tanto che molte guardie di entrambe le città hanno abbracciato il loro credo», concludo velocemente.
«Quello stronzo di Fagus mi ha immobilizzato per impedirmi di intervenire», dice Abies rivolto alla sua Guardiana.
«Da lui non me lo sarei mai aspettato! Maledetto...»
«Almeno metà delle guardie che erano qui, sia tra quelle di Yakamoz che tra quelle di Komorebi, sono state complici. Ci hanno impedito di intervenire e poi se la sono data a gambe oltre il portale», dice una guardia della notte di cui non conosco il nome.
«Hanno organizzato bene la cosa», dico.
«Ancor prima di afferrare Emma e Jeremy due di loro mi hanno bloccato, sapevano che sarei intervenuto subito in difesa dei gemelli: devono essere state le guardie di Yakamoz a riferire tutto.»
«Abbiamo visto tutti come si sono svolte le cose!» sbotta Alhena.
«Basta parlare di questo, bisogna salvarli adesso, non sappiamo che intenzioni abbiano!»
«Se il loro scopo è davvero quello di vivere per sempre allora Emma e Jeremy sono il loro peggior nemico: non esiteranno a farli fuori, così da eliminare qualunque possibilità di far tornare il tempo. Bisogna trovarli in fretta», interviene di nuovo Abies facendomi gelare il sangue.
«Mandate me!» mi propongo subito.
«So dove si nascondono e so combattere, posso salvarli!»
«Ma per favore!» sibila Abies fulminandomi con lo sguardo.
«Stavo per farti a pezzi a Komorebi, non ne saresti uscito vivo se non mi fossi distratto! Come pensi di cavartela contro tutte quelle persone?!»
«Ho i miei assi nella manica, Abies. Non preoccuparti di questo», affermo di rimando guardandolo storto mentre lui si stupisce del fatto che io conosca il suo nome.
Devo fare più attenzione a ciò che dico.
«Guardie, uscite tutti dalla sala, è un ordine» sbotta improvvisamente Anthemis alzando la voce.
«Tranne te, Abies, tu rimani.»
«Noi non prendiamo ordini da voi, Signora», puntualizza una guardia della notte in tono freddo, facendo così intervenire Alhena.
«Fate come dice. Fuori», dice autoritaria.
Senza aggiungere altro il piccolo manipolo bianco e blu si allontana, contrariato.
«Non mi fido delle guardie, alcune di loro potrebbero far parte dei Custodi dell'Eternità ed essere rimaste qui per riferire loro come intendiamo muoverci», spiega Anthemis.
«Sono d'accordo, hai fatto bene a farle uscire... quasi tutte», dice Alhena fissando dubbiosa Abies.
«Di Abies mi fido, so che lui non avrebbe mai potuto tradirmi», specifica la Guardina del Giorno.
«Bene allora», annuisce Alhena.
«Abies ha ragione, non puoi andare da solo, Axel», riprende il discorso Anthemis.
«Un gruppo troppo numeroso attirerebbe l'attenzione, su questo sono d'accordo: dobbiamo coglierli di sorpresa, dunque andrete voi due, insieme. Subito», ordina la Guardiana.
«Cosa?!» sbottiamo io e Abies contemporaneamente, spalancando gli occhi.
«Non possiamo fidarci di nessun altro: le altre guardie sono off-limits al momento, dovrete farlo voi. Unite le forze e portate a casa sani e salvi i miei nipoti, mi sono spiegata?»
«Sì mia Signora, ai vostri ordini», dice subito Abies.
«D'accordo», confermo anche io.
L'idea di collaborare con Abies non mi entusiasma, lo ammetto; con lui presente non potrò permettermi di usare la mia magia: lui capirebbe tutto e io sarei finito. So infatti che cova già dei sospetti.
Certo, se dovesse essere l'unico modo per salvare Emma e suo fratello, lo farò comunque senza esitare.
«Li salveremo, mia Signora: tengo a loro esattamente quanto voi, non permetterò che venga fatto loro del male», aggiungo deciso.
«Lo so, Axel, me ne sono accorta: per questo oggi mi fido anche di te», dice Anthemis.
«Andate adesso, noi vi aspetteremo nel palazzo di Komorebi.»
Io e Abies ci guardiamo per un attimo, quel tanto che basta per stipulare una pace provvisoria in nome del bene più grande.
«Al cimitero dei Querceti Ardenti», gli dico prima di saltare nel portale.
 
***

Tornare nel cimitero dei Querceti Ardenti non è mai semplice per me: le crisi peggiori le ho avute proprio qui, piegato dal dolore e dal rimorso sopra alle loro tombe.
Il nome del cimitero deriva dalle querce che circondano questo grande spazio pieno di lapidi e statue di pietra, querce che per un motivo che nessuno è mai riuscito a capire, prima che il tempo si fermasse, producevano ogni anno foglie rosso fuoco anziché verdi.
Ed eccole lì, immobili come ogni cosa, rosse come il sangue delle vittime di omicidio sepolte qui, a ricordarmi alcuni dei momenti peggiori della mia vita.
«Che ci facevi qui il giorno in cui hai scoperto i Custodi dell'Eternità?» mi chiede Abies, appena comparso al mio fianco.
«Ci vengo spesso, mio padre è sepolto qui», rispondo misurando le parole.
«È stato ammazzato?» continua lui in tono di scherno, facendomi ribollire il sangue dalla rabbia.
«Non prendermi in giro, sai benissimo che è così: se fosse morto nel suo letto sarebbe sepolto a Yakamoz, non di certo qui», sibilo tra i denti lanciando al mio compagno un'occhiata di fuoco.
«Che cosa faceva tuo padre, Notturno?» insiste Abies mentre ci avviamo insieme verso il sentiero che ricordo di aver percorso quel giorno di molti anni fa.
Abies non è uno stupido, so cosa sta cercando di fare.
Ha dei dubbi su di me e sta cercando di farmi cadere in trappola con le mie stesse parole: dopo che Emma ha gridato il mio nome a Komorebi deve avere intuito la verità.
Devo stare attento, lo so, ma se di una cosa sono certo è di essere sempre stato più furbo di Abies.
«Lavorava per Deneb», dico asciutto ripetendo la stessa bugia che ho raccontato anche ad Emma e Jeremy, superandolo senza degnarlo di uno sguardo.
«Quel maledetto figlio di puttana», sibila allora il rosso alle mie spalle facendomi seriamente rischiare di perdere il controllo. Ma non posso. Devo salvare Emma prima di tutto.
«Deneb non ha mai fatto nulla di male, sono tutte menzogne inventate dai Diurni per giustificare quelle amnesie e tutte ciò che non capivano», dico stringendo i pugni.
«Stai forse insinuando che Corylus abbia mentito? Lo so di che pasta siete fatti voi Notturni, solo capaci a mentire ed ingannare. Se fossi stato in Anthemis non ti avrei mai permesso di andare alla ricerca di due persone tanto importanti per questo mondo!»
Un secondo dopo queste parole ho già sbattuto Abies contro un albero: lo sto tenendo fermo con tutte le mie forze.
«Adesso facciamo come dico io», dico freddo a pochi centimetri dalla sua faccia.
«Tu te ne stai zitto e mi segui senza dire una parola finché Emma e Jeremy non saranno al sicuro. Un'altra parola contro i Notturni o contro Deneb e non mi importerà cosa mi farà Anthemis quando dovrò giustificarmi per il tuo omicidio, mi sono spiegato?» continuo.
Non ho alcuna intenzione di ucciderlo, naturalmente, ma ho bisogno che non dica altro che potrebbe infrangere la mia concentrazione.
Trattare con Abies da pari a pari è una vera tortura, specialmente in un momento come questo. Quanto rimpiango i tempi in cui potevo dargli degli ordini.
«Lasciami. Andare. Subito», scandisce lui, così dopo averlo spinto contro il tronco con ancora più forza mollo la presa e riprendo a camminare.
La sceneggiata purtroppo lo fa stare zitto solo per pochi minuti. Dovevo aspettarmelo.
«So che ora anche Anthemis è convinta che i Notturni non siano i mostri che dipingeva suo marito, ma credo anche che sia stata indotta a pensarla così dato che ha scoperto di avere una nipote Notturna. Vuole credere che sia vero. Anche se stimo Anthemis non credo a ciò che ha detto quel giorno davanti a tutta Komorebi. I Notturni sono mostri.»
Avrei una battuta pronta per provocarlo ora, oh se l'avrei... ma tirare in ballo il fatto che sia stata proprio una Notturna a fare innamorare Ophrys mi scoprirebbe troppo.
«Abies, hai mai perso una persona a cui tenevi tantissimo, una persona che amavi e che non sei riuscito a salvare nonostante fosse in tuo potere farlo?» gli chiedo invece in maniera più calma possibile, pur conoscendo già la risposta.
«Sì», risponde semplicemente lui, serio.
«Bene, allora in nome di quello che hai provato il giorno in cui hai perso quella persona, ti chiedo di smetterla di provocarmi e di cercare di collaborare con me. Se oggi non riesco a salvare Emma e Jeremy io proverei lo stesso, e so bene che il dolore che si prova in quella certa situazione non lo si augurerebbe neppure ad un cane. Dunque aiutami, a meno che io per te non valga meno di una bestia. Se oggi non riesco a salvarli è la volta buona che la faccio finita, non reggerei un'altra sofferenza di quel genere.»
Abies sembra sorpreso dal mio discorso, come se fosse estremamente stupito dall'avere appreso che noi Notturni possiamo provare sentimenti quali il senso di colpa, l'empatia, il dolore, l'amore.
Corylus ha fatto più danni con le sue parole che con le sue azioni, questo è sicuro.
«Tu la ami, vero?» dice Abies guardandomi per la prima volta con occhi diversi.
Non ho bisogno di pensarci, conosco da sempre la risposta.
«Sì, con tutto me stesso. Anche i Notturni sanno amare, Abies.»
«Ti aiuterò, Axel. Ma solo perché Anthemis me l'ha ordinato e perché voglio che tutto ritorni come prima», afferma lui ritornando a parole il solito Abies di sempre.
«Grazie Abies», gli rispondo semplicemente, consapevole della sua non completa sincerità.
Il ragazzo accanto a me annuisce, un'espressione ancora tesa, seria e pensierosa sul viso.
Forse anche la guardia più fidata di Anthemis comincia a credere a quello che già sa la sua padrona: i Notturni non sono cattivi, i Notturni sono esseri umani tanto quanto i Diurni.
 
***
 
Dopo una decina di minuti trascorsi correndo arriviamo alla villa diroccata che ricordavo, ma con orrore mi rendo conto che qui non è rimasta anima viva.
Tavoli, sedie e anfore sono sparpagliati nella radura antistante all'edificio, ricoperti di sterpi. La villa è ancora più inghiottita dai rampicanti di quanto ricordassi, la porta d'ingresso di legno intarsiato e smalto colorato è completamente divelta dai cardini.
«Qui non c'è un bel niente», dice Abies mentre io impallidisco, iniziando a sudare freddo. Il cuore mi batte forte per la paura, paura di non arrivare in tempo.
«Sono passati anni dall'ultima volta che li vidi riunirsi qui, nel frattempo devono aver cambiato posto. D'altra parte così vicini al cimitero non erano abbastanza nascosti», affermo velocemente cercando di rimanere lucido.
«Proviamo ad entrare, magari troviamo qualche indizio su dove possono essersi "trasferiti"», consiglia il Diurno.
Ci precipitiamo così di corsa verso la villetta, poi scostiamo alcuni rampicanti per riuscire ad entrare. L’interno è buio: la pochissima luce che c'è all'esterno non riesce a penetrare all'interno per via della vegetazione che ricopre il vetro opaco delle finestre.
Cominciamo ad arrancare nel buio finché i nostri occhi non si abituano un po' all'oscurità, facendoci in fine scorgere un ampio salone impolverato dalle pareti affrescate.
Il silenzio è assoluto.
«Dividiamoci: tu prendi la porta a destra, io quella a sinistra», dico dopo qualche secondo.
Abies annuisce, poi entriamo in azione.
Per qualche momento visito l'edificio cercando di essere attento e veloce allo stesso tempo, ma dopo più di venti minuti di ricerche non ho ancora trovato nulla. Frustrato e in ansia più che mai sto per tornare nel salone d'ingresso per chiamare Abies, ma improvvisamente sento delle grida. Subito mi precipito a controllare.
Arrivo nella grande sala appena in tempo per vedere Abies trascinare fuori da una stanza un uomo con delle carte tra le mani.
«L'ho trovato dentro ad un vecchio armadio, deve essersi nascosto quando ci ha sentito entrare», spiega il Diurno tenendo fermo l'uomo minuto e tremante che non si azzarda a proferire parola.
«Bene, portiamolo fuori; senza dubbio saprà dirci qualcosa», dico con molta più speranza nel cuore rispetto a pochi istanti fa.
Una volta all'aperto mi prendo alcuni secondi per studiare meglio il nostro "prigioniero": dimostra circa cinquant'anni, è calvo e indossa abiti piuttosto consunti. Sembra parecchio spaventato.
Abies lo trascina fino ad uno degli alberi che delimitano la piccola radura e lo fa sedere con uno spintone, iniziando poi a legargli le mani dietro al tronco.
«Non essere manesco, Abies! Finché collabora non ha alcun senso fargli del male!» rimprovero la guardia di Komorebi lanciandogli un'occhiataccia.
«Abbassa le ali, Notturno. Dobbiamo collaborare, certo, ma questo non significa che tu sia il capo!» ribatte lui facendomi alzare gli occhi al cielo.
Decido di non rispondere e di concentrarmi sull'uomo che abbiamo catturato.
«Allora, sei un Custode dell'Eternità?» gli chiedo nel tono più autorevole che riesco a trovare, inutilmente: l'uomo rimane immobile e zitto senza neanche guardarmi in faccia.
In tutta risposta, Abies lo colpisce in pieno volto.
«Parla, imbecille, o non ne esci vivo! Sei un Custode dell'Eternità oppure no?»
«Lo ero», risponde quello sputando un grumo di sangue.
«Bene, cominciamo a ragionare», dice Abies.
«Dove hanno portato i gemelli? Parla immediatamente e forse ti lasceremo andare.»
«Non lo so, non frequento i Custodi da mesi! Sono venuto qui solo per portare via delle cose che potevano fare risalire a me le guardie delle due città! Dopo quello che è successo ai figli del principe Ophrys non volevo essere coinvolto!»
Un pugno ancora più forte del precedente si abbatte sulla mascella del malcapitato.
«Abies, vacci piano!» sbotto.
«Sta parlando!»
«Sì, ascolta il tuo amico, è più saggio di te», dice l'uomo riuscendo a stento a sollevare la testa.
Senza pensarci un attimo estraggo il mio pugnale dalla cintura, chinandomi per puntarlo sul collo del prigioniero.
«Se non gli do il permesso di colpirti di nuovo è solo perché ho bisogno che tu sia in grado di parlare; non pensare neanche per un secondo che lo faccia perché mi importi qualcosa di te», dico in tono freddo con lo scopo di spaventarlo ancora di più.
«Adesso parla, so che sai qual è il nuovo covo dei Custodi!» insisto facendo penetrare il coltello di qualche millimetro nel suo collo, fino a far sgorgare un rivolo di sangue: se era un Custode dell'Eternità deve avere una gran paura di morire.
Sono sufficienti infatti pochi secondi per farlo capitolare.
«Il Bosco di Far!» grida.
«È il covo dei Custodi da anni ormai!»
«Come facciamo a sapere che dici la verità? Insomma, è il posto più inquietante di questo mondo, non mi sembra molto adatto per strani rituali e banchetti», dice Abies inarcando un sopracciglio.
«Lo avevamo scelto proprio perché è un posto temuto da tutti: sapevamo che nessuno vi si sarebbe avventurato. Speravamo di essere al sicuro lì!»
«Hai delle prove? Puoi dimostrarci di averci indicato il posto giusto e non il luogo più lontano al covo a cui sei riuscito a pensare?» intervengo io ormai sull'orlo di una crisi di nervi.
«Nella tasca della mia giacca c'è un fiore di ossa. Sapete bene che crescono solo lì. L'ho raccolto durante uno degli incontri dei Custodi.»
«Cosa ne pensi, ci fidiamo?» chiede Abies estraendo un sacchetto dalla giacca dell'uomo davanti a noi e mostrandomi il contenuto: una sorta di pietra dai bordi frastagliati simili ai petali di un fiore.
«Abbiamo alternative?» rispondo allontanando la lama dal collo dell'uomo.
«Andiamo allora, dobbiamo tornare al cimitero: lì c'è un portale», dice la guardia dai capelli rossi iniziando a correre verso il sentiero di prima.
«Hey, avevate promesso di liberarmi!» grida l'uomo ancora legato all'albero.
«E rischiare che tu vada ad informare i tuoi amici nel caso in cui non fossero nel Bosco di Far? Scordatelo! Torneremo a prenderti solo dopo che i Custodi saranno stati sconfitti», dico prima di voltarmi e raggiungere Abies.
 
***
 
La corsa fino al portale del cimitero dei Querceti Ardenti mi sembra non finire mai: ogni passo che faccio mi porta più vicino a Emma, più vicino alla sua salvezza.
Io e Abies ci scagliamo a tutta velocità sotto all'arco formato dalle spade incrociate di due statue enormi, poste una di fronte all'altra nel centro del cimitero: il portale.
È la prima volta che sfreccio accanto alla tomba di Ophrys e Claire senza degnarla di uno sguardo: mi perdoneranno, devo salvare i loro figli ora.
Abies prima ha detto bene, il Bosco di Far è davvero uno dei luoghi più inquietanti che si possano immaginare: lì gli alberi sono morti, tutti morti. Non una goccia di linfa scorre all'interno dei loro tronchi e rami.
Nonostante questo quegli ammassi legnosi, grossi e nodosi fino a quando il tempo scorreva continuavano a crescere, diventando sempre più grandi. Oltre a questo, già abbastanza spaventoso di per sé, sugli alberi morti si formavano in continuazione delle strane protuberanze biancastre, spesso a forma di fiori. Uno studio più approfondito di quelle escrescenze aveva rivelato che erano costituite dallo stesso materiale delle ossa umane.
Perfino noi Notturni con il nostro amore per i misteri ci siamo sempre tenuti lontani dal Bosco di Far: è un posto che fa accapponare la pelle solo a sentirne parlare, figuriamoci andarci di persona.
Io stesso mi rifiutai di inoltrarmici troppo l'unica volta in cui vi fui trascinato per pura bravata da Ophrys.
Ma ora è diverso, adesso devo farlo, per Emma e il suo gemello.
Una volta superato il portale io e Abies ci ritroviamo direttamente al centro del Bosco.
Siamo circondati da enormi tronchi nodosi e butterati, da rami ricoperti di fiori bianchi uno più inquietante dell'altro.
Mentre cerco di reprimere il brivido che mi percorre la schiena sento delle voci, un canto, quel canto. Lo stesso che avevo sentito al cimitero dei Querceti Ardenti anni fa. L'uomo ci ha indicato il posto giusto.
Dopo esserci scambiati uno sguardo d'intesa io e la guardia di Komorebi ci mettiamo a correre verso il punto da cui proviene la musica, facendoci strada tra le ramaglie con le mani e con i coltelli.
Ci fermiamo solamente ai margini di una grande radura; quello che vedo mi fa provare il più grande sollievo della mia vita e disperare allo stesso tempo: Emma e Jeremy sono legati uno all'altra, schiena contro schiena, al centro del grande spazio vuoto. Sono vivi, ringraziando il cielo, anche se Jeremy è pallido come i fiori di ossa della foresta che ci circonda mentre Emma continua a guardarsi in torno febbrilmente, aspettando forse che qualcuno venga a salvarla.
Indossano ancora gli abiti da cerimonia, ormai completamente stracciati, e ad Emma chissà come è rimasta sulla testa la coroncina di sua madre, anche se tutta storta.
"Sono qui amore mio, sono qui", penso mentre la guardo e mi si scioglie il cuore.
Attorno a loro ci sono almeno un centinaio di persone, tutti con addosso le maschere dalle fattezze mostruose che ben ricordavo.
Tutti cantano, tutti si muovono in cerchio attorno a loro con fiaccole accese tra le mani. Con orrore mi rendo conto che i gemelli sono in ginocchio sopra ad una pira di legno scuro.
La consapevolezza di ciò che questi pazzi vogliono fare mi colpisce dolorosamente, assieme a quella di essere arrivato appena in tempo.
«Axel, sono troppi, non riusciremo mai a sconfiggerli tutti! E se anche tentassimo, mentre noi saremmo impegnati a combattere, qualcun altro accenderebbe la pira!» constata Abies con voce alterata dalla paura di perdere l'unica speranza di salvezza di questo mondo davanti ai suoi occhi, forse anche dalla paura che anche i figli di Ophrys vadano in contro ad una sorte simile a quella del padre.
Solo io posso fermarli. Io e la magia che mi ha insegnato adusare mio padre.
Posso fermarli tutti, subito. Devo farlo. Immediatamente. Nonostante la presenza di Abies qui con me, nonostante la certezza che una volta a Komorebi racconterà tutto ad Anthemis. Ma non è importante quello che succederà a me: l’unica cosa che conta è salvare Emma e Jeremy.
«Abies, fidati di me. Quello che sto per fare ti sembrerà strano, lo so, ma è l'unica chance che abbiamo», dico senza distogliere lo sguardo dai gemelli.
«Stai per estrarre i tuoi assi dalla manica?» chiede lui piuttosto dubbioso.
«Sì, ti spiegherò ogni cosa quando sarà tutto finito.»
«D'accordo allora», dice.
Bene, adesso è il momento di concentrarmi: non posso permettermi di perdere il controllo sui miei poteri come accaduto nella sala dell'Accademia.
Chiudo gli occhi e respiro profondamente cercando di ricordare le parole che mio padre mi ripeteva quando ci esercitavamo insieme nella biblioteca del palazzo di Yakamoz, poi protendo la mano di fronte a me:
 
“Tutte le cose sono collegate tra loro, un filo invisibile le unisce.
Concentrati, percepisci i fili che ti collegano al tutto e muovili a tuo piacimento.
Puoi già controllare l'energia che è in te, quando sarai pronto potrai controllare anche quella delle altre persone attorno a te.”
 
Quando riapro gli occhi tutti i Custodi dell'Eternità sono a terra, svenuti.
«Che diamine hai fatto? Come ci sei riuscito?» grida Abies, ma io non ho né il tempo né la voglia di ascoltarlo.
Comincio a correre a perdifiato verso il centro della radura, verso Emma, che quando mi vede inizia a gridare il mio nome.
Non appena li raggiungo estraggo il pugnale e taglio le corde che li tengono legati da chissà quanto tempo, concedendomi finalmente un sospiro di sollievo.
«Axel, sei qui... Sei venuto a salvarci», dice Emma scoppiando a piangere e saltandomi in braccio, facendomi esplodere il petto di gioia e d' amore nel momento stesso in cui la stringo a me, nel momento in cui la sento finalmente sana e salva tra le mie braccia.
«Stai bene? Emma stai bene?» le chiedo allontanandola da me quel tanto che basta a guardala negli occhi.
Lei annuisce sorridendomi, decretando così la mia rovina.
Senza pensarci un secondo di più, senza riuscire a trattenermi, mi chino su di lei e la bacio, sentendomi così finalmente rinascere.
E lei mi bacia a sua volta stringendosi forte me, come se fossi io la sua ancora di salvezza anziché lei la mia.
Mi godo la meravigliosa sensazione delle sue labbra morbide addosso alle mie, mi godo il loro sapore così dolce dopo essermene privato tanto a lungo, chiedendomi solo ora come ho potuto resistere senza per tutto questo tempo.
La bacio senza ritegno, senza preoccuparmi minimamente del fatto che Jeremy e Abies ci stiano guardando, accantonando tutti i motivi che fino ad ora mi avevano trattenuto.
La bacio nonostante io sia perfettamente consapevole di chi siamo davvero io ed Emma. E questo rende il mio gesto ancora più sbagliato, lo so, ma non sono abbastanza forte per fermarmi.
La bacio anche se la meravigliosa ragazza che amo è la figlia di Ophrys, la figlia di Aaron: non un ragazzo che ho conosciuto pochi mesi prima del giorno della distruzione dei Nuclei, ma colui che per tutta la vita ho considerato mio fratello, anzi, più di un fratello: un'estensione di me stesso.
La bacio tentando di dimenticare tutte quelle volte in cui le ho mentito pur di proteggere la mia vera identità, in cui le ho detto che mio padre era un fantomatico consigliere di Deneb anziché Deneb stesso.
La bacio e lei ancora è all'oscuro del fatto che per un bene più grande sono stato costretto ad uccidere sia il mio padre naturale, Deneb, sia l'uomo che mi aveva cresciuto, Corylus.
La bacio nonostante io non le abbia mai detto che l'incantesimo che nasconde il mio vero volto non serve solo a non farmi riconoscere da Alhena, ma da ogni singolo abitante di questo mondo.
La bacio senza che lei immagini che se so muovermi così bene nel palazzo di Komorebi è perché ci sono cresciuto, e che se ho avuto un attacco di panico dopo avere incontrato Anthemis è stato perché rivedere per la prima volta dopo diciassette anni la donna che mi ha fatto da madre e trattarla con freddezza mi ha fatto soffrire, tanto da spezzarmi.
La bacio nonostante lei creda ancora che Axel sia il mio vero nome e non il nome segreto con cui mi chiamava Ophrys quando eravamo bambini e poi anche da ragazzi.
La bacio amandola più che mai, anche se lei ancora non sa che io in realtà mi chiamo Altair.

Note:
Senza dubbio uno dei miei capitoli preferiti. Vi è piaciuto il colpo di scena?
Vi informo che da qui in poi ci saranno molti più capitoli dal punto di vista di Axel, o meglio, di Altair... A presto!

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Capitolo 33
*** La guardia di Komorebi ***


Jeremy
 
Mi alzo in piedi lentamente, tremante, ancora senza riuscire a rendermi conto che è davvero tutto finito. Le gambe mi sorreggono a stento mentre scalcio via le corde e mi allontano velocemente dalla pira, cercando di mettere più spazio possibile tra me e quell'ammasso di legna scura.
Ero convinto di essere giunto alla fine della mia vita.
Ero convinto che sarei morto.
Se non fosse stato per Axel a quest'ora lo sarei, così come lo sarebbe Emma.
Attorno a noi decine di persone giacciono a terra, prive di sensi. Sono vive, credo: ad alcune di loro il petto continua visibilmente ad alzarsi e abbassarsi.
Dopo aver ripreso un minimo di lucidità mi rendo conto di essere stato raggiunto da una vecchia conoscenza: Abies sta riprendendo fiato accanto a me, gli occhi spalancati che continuano a guardarsi attorno.
Certo, come tutti anche lui non sa nulla della magia non legata al giorno e alla notte, la magia scoperta da Deneb che Axel sa padroneggiare grazie a suo padre.
"Axel ha usato la sua magia davanti ad Abies", mi rendo allora improvvisamente conto.
"Nonostante ciò che potrebbe fargli Alhena se venisse a sapere che è il figlio del consigliere di Deneb, ha rischiato di essere scoperto per salvarci. Beh, per salvare Emma, soprattutto", penso guardando lui e mia sorella baciarsi e stringersi uno all'altra senza curarsi del resto del mondo.
Deve proprio essere innamorato per aver rischiato tanto, almeno tanto quanto Emma è pazza di lui.
Nonostante la situazione così particolare, nonostante gli scherzi che ha dovuto compiere il destino pur di rendere possibile la loro storia, sono felice che si siano trovati. Non a tutti, nella vita, è concesso un grande amore.
Di certo però Axel deve decidere cosa vuole: se non ha intenzione di amarla per via della sua conoscenza con nostro padre, non può continuare ad illudere così mia sorella. Se la farà soffrire dovrà vedersela con me, anche se mi ha salvato la vita.
«Secondo te ne avranno ancora per molto?» sbotta improvvisamente Abies incrociando le braccia.
«Axel mi deve alcune spiegazioni. Le deve a tutto questo mondo.»
«Immagino che sì, ne avranno ancora per molto; dopotutto entrambi oggi hanno temuto di non rivedersi mai più», ribatto voltandomi a guardarlo.
«Tu come stai, di Fuori?» cambia discorso il rosso.
«Ormai lo sanno tutti che non sono mai stato un di Fuori, Abies», ribatto spazientito.
«Questione di abitudine. Te lo chiedo solo perché, per quanto io odi la cosa, il ritorno del giorno e della magia ad esso legata, la mia magia, dipende esclusivamente dalla tua sopravvivenza.»
«Penso di potermela cavare fino al pronunciamento della formula lasciata da Deneb, non temere», ribatto alzando gli occhi al cielo.
«Dobbiamo andarcene da qui prima che si sveglino», ci sorprende d'un tratto la voce di Axel: lui ed Emma stanno infatti venendo verso di noi tenendosi per mano, entrambi rossi in viso e con gli occhi ancora lucidi dall'emozione.
«Non così in fretta, Notturno: prima devi dirci come diamine hai fatto!» afferma Abies indicando i corpi attorno a noi.
«Non abbiamo tempo per questo, Abies! Spiegherò tutto dopo! Adesso dobbiamo tornare subito a Komorebi, dobbiamo mandare qui guardie che arrestino tutti i Custodi prima che scappino», ribatte Axel scostandosi nervosamente un ricciolo nero dalla fronte.
«D'accordo, sbrighiamoci allora, ma non pensare neanche per un momento di passarla liscia così», acconsente Abies dopo qualche secondo di riflessione.
«Non lo farà, Abies, adesso però andiamocene!» interviene Emma.
Tutti ci dirigiamo così di corsa verso il limitare della radura, pronti a immergerci in quella che ho sentito chiamare dai Custodi "Bosco di Far".
Prima di riuscire a raggiungere gli inquietanti alberi spogli e i loro fiori ossei, però, un grido lancinante squarcia l'aria alle nostre spalle, facendoci voltare tutti di scatto.
Abies, che era rimasto qualche passo dietro a noi, si trova ora in ginocchio a pochi passi da me, una lunga lama che gli esce dal petto squartato.
Alle sue spalle, a reggere l'elsa della spada, un Custode dell'Eternità con ancora addosso la maschera rituale.
Sento Emma gridare alle mie spalle mentre il custode inizia a sfilare lentamente la lama dal corpo di Abies, il quale cade a terra vomitando sangue, gli occhi terrorizzati ormai vitrei.
Io invece non riesco ad emettere suono, non riesco a muovermi di un millimetro neanche quando l'uomo prende ad avanzare verso di me con la spada ancora sporca del sangue di Abies tra le mani.
Per la seconda volta nello stesso giorno mi convinco che per me sia finita, invece il Custode, ormai a pochissimi metri da me, cade di botto a terra con un rantolo, un pugnale di ferro piantato dritto nel cuore.
Mi giro appena in tempo per vedere Axel abbassare il braccio con il quale ha compiuto il tiro ed emettere un sospiro di sollievo.
Un istante dopo siamo tutti e tre attorno ad Abies; Emma gli solleva delicatamente la testa, i capelli rossi incrostati di sangue, mentre Axel si toglie la maglia e con quella prova a tamponare la ferita, ma la realtà dei fatti è davanti a noi, ineluttabile: nessuno può sopravvivere a una ferita del genere.
La guardia però è ancora viva: trema convulsamente tentando di tenere gli occhi aperti, combattendo per la vita che ormai sta scivolando inesorabilmente via da lui.
Sotto al suo esile corpo una macchia di sangue scuro si allarga sempre di più, arrivando a sporcare le ginocchia a tutti noi che siamo piegati sopra di lui.
«Abies», sussurro io mentre un forte dolore m'invade il petto.
Abies non è mai stato gentile con me, lo so questo, ma so anche che il vero Abies non ha nulla a che fare con il ragazzo scontroso e arrogante che ho conosciuto.
È solo un ragazzo a cui la vita ha riservato troppo poche cose belle, un ragazzo che adesso avrebbe potuto ricominciare a sperare in qualcosa ma che invece non arriverà mai a vedere di nuovo il sole, soltanto per poche ore.
«Mi... mi dispiace», dice lui debolmente, gli occhi castani rivolti al cielo grigio e spento sopra di noi.
«Mi dispiace di essermi comportato così, Jeremy.»
«Non ha importanza, Abies, non ha importanza... Non devi scusarti», dico con la voce più calma e rassicurante che riesco a trovare.
«Dite ad Anthemis, ditele che spero di averla servita bene in questi anni», continua lui sempre più debolmente.
«Sono certa che non potesse desiderare un servitore migliore di te, Abies», lo rassicura Emma.
«Axel... Io so chi sei... Nessun altro avrebbe potuto fare ciò che hai fatto tu oggi.»
«Abies, risparmia le forze, non sforzarti a parlare», dice Axel dolcemente, con voce incrinata.
«Sei davvero tu?» insiste la guardia.
«Sì, Abies, sono io.»
«Lo sapevo, lo sapevo... Però c'è qualcosa che non va nella storia che tutti raccontano... La persona che ho conosciuto oggi non può essere la stessa che... che... Mi farò raccontare la verità da Ophrys. Quando lo vedrò, te lo saluterò...»
Axel a queste parole annuisce, mentre una lacrima solca la sua guancia contratta, l'espressione di chi sta cercando di trattenere un pianto furioso.
«Grazie Abies», sussurra, ma ormai la guardia di Komorebi non può più sentirlo.
 
***
 
«Come ha fatto quel Custode a risvegliarsi?» trovo il coraggio di chiedere mentre, ancora estremamente scossi, ci dirigiamo fuori da questo maledetto e inquietante bosco diretti al portale più vicino.
Dopo la morte di Abies, non potendo fare ormai più nulla per lui, abbiamo spostato il suo corpo in un luogo nascosto in attesa di tornare a prenderlo assieme alle guardie che manderemo ad arrestare i Custodi ancora dormienti.
«Ognuno reagisce in maniera diversa alla magia,» mi risponde Axel, «evidentemente quell'uomo era più resistente degli altri ad essa. Dio, mi dispiace così tanto...»
«Anche a me dispiace, non se lo meritava proprio», dico tristemente.
«Quello che più mi fa stare male è che sia successo per colpa nostra, che Abies sia morto per salvare noi; se fossimo stati più attenti, forse...»
«Non dire sciocchezze, Jeremy, non è stata colpa vostra!» mi interrompe subito Axel scuotendo la testa.
«La colpa di tutto qui è da imputare ai Custodi e a loro soltanto! E a me, forse, per non aver compiuto un incantesimo abbastanza potente da tenerli addormentati tutti per il tempo necessario», continua abbassando lo sguardo.
«Ora sei tu a dire delle sciocchezze, Axel», interviene Emma, parlando per la prima volta da quando abbiamo lasciato la radura.
«Tu hai fatto tutto il possibile! Senza di te saremmo morti e con noi la possibilità di salvare questo mondo! La colpa per quanto capitato ad Abies, come hai detto tu stesso, è dei Custodi dell'Eternità. Dei Custodi e di Altair, più precisamente: se quell'essere non fosse mai esistito niente di tutto questo sarebbe mai accaduto. A differenza di Abies, lui sì che si meritava la fine che tu gli feci fare: una lama nel cuore.»
Alle parole di mia sorella Axel reagisce semplicemente annuendo, terreo in volto.
«A proposito, non ti ho ancora ringraziato per avermi salvato due volte la vita, Axel. Ti sono doppiamente debitore», intervengo rivolgendomi al Notturno accanto a me.
«Non mi devi nulla, Jeremy, davvero, lo avrei fatto per chiunque. L'importante è che tu stia bene», mi risponde lui mentre Emma mi rivolge un triste sorriso, come a dirmi: "Sono triste per ciò che è capitato ad Abies, ma almeno tu sei ancora qui con me."
«Axel, cosa intendeva Abies quando ha detto che sapeva chi eri davvero? Lo conoscevi già prima di scontrarti con lui nel palazzo di Komorebi?» chiedo qualche minuto dopo volendo fare chiarezza anche su quest' ultimo punto.
D'altra parte Axel conosce benissimo il Palazzo del Giorno, dunque non mi stupirebbe se in passato avesse avuto a che fare con alcune guardie del palazzo stesso.
Il Notturno lascia passare qualche istante prima di rispondere.
«Sì, quando mio padre lavorava per lui Deneb mi mandava spesso a Komorebi come messaggero. Si fidava di me. Quando arrivavo al Palazzo del Giorno era sempre Abies a scortarmi da Anthemis: è sempre stato lui la guardia preferita della Guardiana», spiega poi, sospirando.
«Credo che Anthemis la prenderà parecchio male», dice Emma proprio mentre raggiungiamo il portale, situato pochi passi fuori dal termine del Bosco di Far.
«Ve la sentite di saltare da soli questa volta?» chiede allora Axel lasciando la mano di Emma, che aveva stretto costantemente fino a questo momento.
«È semplice, basta visualizzare nella mente il posto che si vuole raggiungere», continua rivolgendoci un fugace sorriso d'incoraggiamento.
«Va bene, proviamoci», afferma Emma ricambiando il sorriso e arrossendo un po'.
«Dove andiamo?»
«A Komorebi, appena fuori dal palazzo.»
 
***
 
Un attimo dopo aver superato il portale ci ritroviamo tutti e tre sulla terrazza esterna del palazzo di Komorebi, così ci affrettiamo ad varcare la stessa porta da cui entrai accompagnato da Abies durante il mio primo giorno qui.
Anthemis e Alhena sono sedute una di fronte all'altra su due poltroncine rivestite di cuscini azzurri, la testa tra le mani, ma non appena ci vedono scattano in piedi per venire verso di noi.
«Emma, Jeremy, siete qui! Grazie al cielo!» grida Anthemis abbracciandoci felice, lasciandosi andare a un grande sospiro di sollievo.
«Ma... Dov'è Abies?» sentiamo dire ad Alhena mentre ancora la Guardiana del Giorno ci sta stringendo a sé.
Nel sentire queste parole Anthemis ci lascia andare di scatto e comincia a guardarsi intorno, spaventata.
«Già, dov' è Abies?» chiede a sua volta con una nota di preoccupazione nella voce, dal momento che non vede comparire davanti a sé la guardia dai capelli rossi.
«Mi dispiace tantissimo, Anthemis... Abies non ce l'ha fatta», inizia a dire Emma.
«Un Custode dell'Eternità l'ha colpito al petto con una spada, non abbiamo potuto fare nulla per aiutarlo se non mettere al sicuro il suo corpo dopo che... dopo che se ne è andato.»
Ad Anthemis subito si riempiono gli occhi di lacrime, tanto da doversi voltare per tentare di nasconderle.
Quando trova la forza per parlare di nuovo, però, alla Guardiana del Giorno non trema la voce: anzi, le sue parole sono ferme e taglienti, cariche di rabbia.
«Axel, dove sono tutti i Custodi ora? Sono fuggiti?»
«No, li troverete tutti addormentati nella radura centrale del Bosco di Far. Uno è morto, quello che ha ucciso Abies», dice il Notturno stupendo sia me che Emma per il fatto di aver detto la verità: come intende giustificarsi adesso?
«Tutti addormentanti?! Com' è possibile? La magia deve ancora tornare in questo mondo!» dice Alhena mentre Anthemis torna a voltarsi di scatto verso di noi.
«Se ve lo ricordate, mia Signora, a Yakamoz vi dissi che mio padre di magia se ne intendeva», inizia a spiegare Axel.
«Durante i suoi studi era riuscito a capire come poter utilizzare direttamente quell'energia grazie alla quale esiste la barriera al Confine e i portali, quell'energia che non è collegata al potere del giorno e della notte, come dimostrato dal fatto che essi non sono andati persi quando i Nuclei furono distrutti. Mio padre capì che tale energia è presente anche in ognuno di noi e che con un po' di pratica si può imparare a controllarla e a manipolarla, così mi insegnò come fare. È grazie ad essa se quando sono arrivato con Abies nel bosco di Far sono riuscito a far svenire tutti i Custodi prima che accendessero la pira sulla quale erano stati legati Emma e Jeremy.»
Entrambe le Guardiane rimangono basite nell'ascoltare la spiegazione di Axel, la quale, tra l'altro, non è altro che la verità, tranne per il fatto che tale scoperta fu fatta da Deneb, non dal padre di Axel, che era solo il suo consigliere e assistente.
Ma d'altra parte, se Axel avesse rivelato questo dettaglio, non avrebbe potuto giustificare il fatto di sapere utilizzare quella magia senza rivelare anche la sua identità, dunque non lo biasimo.
«Axel, tuo padre avrebbe dovuto parlarne subito con il Guardiano della Notte! È una scoperta epocale questa, come ha potuto pensare, come avete potuto pensare di tenerla nascosta?!» sbotta Alhena adirata e rossa in viso.
Per fortuna Axel con le bugie se la cava molto bene, così ne offre subito una perfetta ad Alhena.
«Io e mio padre ci recammo da Deneb subito, mia Signora, e gli spiegammo ogni cosa. Fu lui a ordinarci di non farne parola con nessuno. Anche dopo la morte del vecchio Guardiano non ho mai voluto rompere la promessa. L'ho fatto solo ora perché sono stato costretto ad utilizzare quest'altra magia per salvare i gemelli.»
Io ed Emma ci guardiamo di sottecchi: ormai le menzogne ci stanno sommergendo fino al collo. Speriamo di non doverci un giorno annegare.
«D'accordo, Axel, scusa se ho alzato la voce prima di conoscere l'intera vicenda: hai mantenuto la parola data a mio zio, il quale di certo sapeva quale fosse la cosa giusta da fare essendo stato lui stesso un grande esperto e studioso di magia.»
«Di questa cosa si dovrà discutere più approfonditamente di sicuro, ma non ora», interviene Anthemis, risoluta.
«Adesso dobbiamo mandare delle guardie nel Bosco di Far per arrestare quei maledetti: devono pagare per quello che hanno fatto ad Abies e per quello che hanno tentato di fare a voi, ragazzi miei. Non la passeranno liscia», dice suonando un piccolo campanello preso da sopra un basso tavolino in legno.
Subito una guardia vestita di bianco e una vestita di blu entrano nella stanza, pronte ad eseguire gli ordini delle loro Guardiane.

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Capitolo 34
*** Rinascita ***


Emma
 
«Emma, dobbiamo parlare», dice Axel non appena quasi tutte le guardie sono uscite da palazzo per dirigersi verso il Bosco di Far.
Sospiro.
Sono ancora molto scossa da tutto ciò che ho appena vissuto: a stento riesco a trattenere il tremore che pervade il mio corpo fin dal momento in cui mi sono risvegliata sopra a quella pira, legata, circondata da uomini e donne con maschere mostruose.
Poi c'è stato il bacio, la morte di Abies... il sangue.
Ne ho l'abito impregnato: riesco ancora a sentirne l'odore ferroso che mi pizzica il naso. L'ennesimo brivido mi scorre giù per la schiena.
"Non sono ancora pronta ad affrontare Axel", penso con il viso abbassato, le braccia strette attorno al mio stesso corpo.
In questo momento non riesco neppure ad immaginare di dovermi sobbarcare, oltre a tutto il resto, anche il peso del suo ennesimo: "E' stato uno sbaglio dettato dal momento, non dovrà riaccadere mai più."
So infatti che è di questo che vuole parlare, non mi faccio illusioni. Anche se ora vorrei solamente togliermi questi vestiti e dormire nella camera assegnatami da Anthemis, tuttavia, decido di annuire.
"Sarà meglio togliermi questo pensiero subito", tento di convincere me stessa mentre seguo Axel fuori dalla sala d'ingresso del palazzo di Komorebi, sotto lo sguardo di Jeremy e Anthemis: Alhena è infatti già ripartita per Yakamoz per ordinare alle sue guardie di aiutare i colleghi del giorno a catturare i Custodi.
Una volta arrivati sulla terrazza affacciata sulla città e sul mare, alzo lo sguardo sul Notturno dall'aria bella e dannata di fronte a me.
Non pronuncio una sola parola, non ne ho la forza, semplicemente rimango in attesa del suo discorso pregando di avere energie a sufficienza per digerirlo senza troppo danno. Sono proprio un’illusa.
«Come stai?» inizia lui dopo qualche istante d'esitazione, sospirando.
«Come vuoi che stia, Axel?» gli rispondo guardando oltre la sua spalla, verso il mare immobile che si estende senza fine davanti a noi.
«Mi sento completamente sottosopra... Troppe emozioni diverse tutte nello stesso giorno: l'ansia prima del rituale, la paura del rapimento, il puro terrore quando mi sono risvegliata sulla pira, l'amore quando mi hai baciata, lo shock e il dolore per la morte di Abies...» continuo tutto d'un fiato, rendendomi conto troppo tardi delle parole che ho appena pronunciato.
Ma non me ne importa niente: la vita non dura che un fottuto secondo, oggi me ne sono resa conto come mai prima d'ora. È inutile oltre che dannoso imporsi troppi filtri, tenersi dentro parole ed emozioni solo per paura, paura di cosa poi? Del giudizio degli altri? Che sciocchezza.
E poi Axel sa perfettamente quello che provo per lui, così come io so che lui prova lo stesso per me, anche se non ne abbiamo mai parlato apertamente. Come ho sempre sostenuto da quando ho memoria, in molte situazioni le parole sono completamente inutili. Questa è una di quelle situazioni.
Axel al mio sfogo reagisce chiudendo gli occhi e annuendo. Poi ricomincia a parlare.
«Non posso più continuare così, non te lo meriti. Ti sto facendo solo del male e questa cosa deve finire. Io ti amo, nonostante tutto, e ti devo la verità, Emma, tutta la verità dall'inizio alla fine. Ti dirò chi sono davvero, ti dirò quello che ho fatto, ti dirò le bugie con le quali ti ho sommersa. Saprai ogni cosa. Allora deciderai tu cosa ne sarà di me, solo tu. Stabilirai se tenere per te le cose che ti dirò oppure no. Io accetterò ogni tua singola decisione, perché, in tutta sincerità, sono stanco. Davvero tanto stanco di questa farsa.»
«Axel, ma di cosa stai parlando?» sbotto spalancando gli occhi, non riuscendo ad afferrare neppure la metà delle cose che sta cercando di dirmi. Non è esattamente il discorso che mi aspettavo, questo è certo.
Tra tutto, senza ombra di dubbio, non mi aspettavo quel ti amo che mi ha fatta tramare ancora più forte.
«Lo so che non puoi cogliere completamente ciò che ti sto dicendo, Emma, ma quando verrai a conoscenza di ogni cosa lo capirai, te lo assicuro», dice Axel sfiorandomi il viso con le dita, mandandomi definitivamente in brodo di giuggiole.
"Non sono lucida, non sono lucida", penso frustrata rendendomi conto di non stare dando il minimo ascolto alla testa, la quale mi sta urlando da un po' di fare caso anche alle altre cose che Axel ha detto oltre a quel ti amo, per esempio al fatto di avermi sommersa di bugie.
"Perché anche un momento come questo, il primo in cui parliamo chiaramente dei nostri sentimenti, deve essere gravato da un simile macigno? Perché deve essere tutto così dannatamente complicato?" penso con un nodo in gola.
A malincuore faccio un passo indietro, sfuggendo alla sua carezza.
«Bene allora: parla. Dimmi ogni cosa», lo esorto guardandolo in quei bellissimi occhi tormentati che si ritrova.
«Non adesso, Emma. Lo farò, te lo giuro, ma prima voglio far tornare la notte e il giorno. Voglio essere sicuro che ogni cosa sia risolta prima di mettere la mia vita nelle tue mani», afferma.
«Come vuoi», sussurro allora senza nemmeno cercare di dissimulare la confusione e la delusione che mi attanagliano lo stomaco.
«E di quello che siamo noi adesso, Axel? Neanche di questo vuoi parlare?»
«Quando saprai la verità, Emma, non avrai più dubbi. Quando saprai ogni cosa smetterai di amarmi all'istante e inizierai a odiarmi. E per quanto adesso ti sembri impossibile, ti assicuro che non lo sarà. Non lo sarà affatto. Ti avevo già detto che sarebbe successo, ed è giusto così. In fondo l'ho sempre saputo.»
Detto questo Axel mi volta le spalle e rientra nel Palazzo del Giorno, lasciandomi sola ad annegare tra mille dubbi e speranze, alla sola presenza del cielo e del mare.
 
***
 
Il vestito nero che porto è decisamente meno bello di quello indossato un paio di giorni fa per il rito, tuttavia dentro mi ci sento decisamente più a mio agio.
Dicono che il nero appaia tale perché non può fare a meno di assorbire in sé tutta la luce che lo colpisce, trattenendola interamente al suo interno. Anche io mi sento così: sono sopraffatta dalle emozioni e dai ricordi che mi colpiscono come pugnalate, ma mi ostino a tenermi tutto dentro.
Dopo la conversazione con Axel non ho voluto parlare con nessuno, non ho voluto sfogarmi con nessuno, neppure con Jeremy. Mi sono chiusa in un silenzio rotto solamente da qualche monosillabo di cortesia rivolto a mio fratello e ad Anthemis, che ci ha ospitati in questi giorni.
Axel da parte sua, convinto com'è che potrei davvero iniziare a odiarlo da un momento all’ altro quando mi rivelerà, finalmente, la verità, non mi ha più rivolto la parola.
Sono davvero preoccupata per ciò che potrebbe dirmi. Se fosse davvero qualcosa di così terribile? E in che modo la sua vita sarà nelle mie mani nel momento in cui lo saprò?
Ma ora, per quanto possibile, non voglio pensarci. Non sarebbe corretto nei confronti di Abies che, in questo momento, avvolto in un sudario bianco con ricami a forma di abeti, in memoria del suo nome, sta per essere calato nella terra umida che sarà per sempre il giaciglio del suo corpo ormai spento.
La sua anima invece la immagino finalmente libera. Libera da quella rabbia e da quella frustrazione che l'avevano accompagnato fin da ragazzino.
Attorno a noi, un piccolissimo gruppo di figure nere al centro del cimitero dei Querceti Ardenti, si sentono solamente le note tristi di un flauto lontano e i gemiti di una donna giunta oramai alla morte del terzo figlio, perché questo era diventato Abies per Anthemis dopo la morte di Altair e Ophrys.
È così ingiusto. Nessuno dovrebbe sopportare tanto dolore nel corso della propria vita. Nessuno.
 
***
 
Alla fine le guardie non hanno avuto problemi nell'arrestare tutti i Custodi dell'Eternità: al loro arrivo nel Bosco di Far erano ancora tutti senza conoscenza, tranne alcuni che si guardavano attorno spaesati cercando di capire cosa fosse accaduto. Sono stati trasferiti ciascuno nelle celle della propria città in attesa che le Guardiane decidano cosa farne di loro.
Ma questo per il momento può aspettare: adesso è tempo di pensare solo a far tornare il tempo e tutto il resto.
In questi giorni ci siamo dovuti rendere conto che la disavventura con i Custodi ha portato anche a qualcosa di positivo: le guardie delle due città hanno avuto modo di collaborare per il bene di questo mondo, così quelle di Komorebi hanno accettato con maggiore consapevolezza la verità sui Notturni, che da parte loro stanno cominciando a farsi scivolare via di dosso l'astio nei confronti di coloro che li hanno ingiustificatamente odiati per anni.
Ma il beneficio senz’altro più importante è stato quello di capire che la foga e la fretta di compiere il rito aveva fatto scordare a tutti di adottare alcune precauzioni importanti.
Far tornare il tempo a scorrere comporterà naturalmente che tutti riprendano ad aver bisogno di cibo e acqua: in queste ore Anthemis ed Alhena si stanno assicurando che ci siano riserve di grano per tutti, conservate intatte da diciassette anni, oltre che animali da macellare nelle fattorie ed ex contadini pronti a riprendere il lavoro per gli anni a venire.
Oltre a questo si è deciso che il giorno più esatto per sbloccare questo mondo sia il dieci di agosto, l'anniversario della distruzione dei Nuclei, in modo tale da non sfasare in partenza l'equilibrio che presto sarà ristabilito.
Giorno dopo giorno mi rendo conto di starmi riprendendo sempre di più: sto tornando ad essere la Emma piena di speranza e gioia che ero fino a quel tentativo fallito di pronunciare la formula. Certo, il macigno sul cuore c'è ancora e ci sarà fino a quando Axel non mi parlerà, ma sto imparando a conviverci.
 
***
 
È il dieci di agosto. Alla fine, il momento è arrivato.
Ovviamente la cosa è stata organizzata diversamente dall'ultima volta: siamo sempre nell'Antica Accademia in rovina, nella solita sala circolare con i giuramenti incisi sulla pietra, ma questa volta siamo soli.
Io, Jeremy, Alhena, Anthemis, Axel e alcune guardie.
Il resto della popolazione di questo mondo sta aspettando il nuovo inizio o nel parco qui fuori, attorno alle rovine, oppure in città o dovunque essi preferiscono. Per precauzione a nessuno è stato dato il permesso di entrare nella sala.
Il cuore mi batte forte mentre guardo negli occhi Jeremy, che è qui di fronte a me vestito in modo simile all'ultima volta, come me, del resto. Attorno a noi tutti si zittiscono e Anthemis, con occhi lucidi di commozione, ci fa cenno di cominciare: sono le cinque e trenta del mattino, l'ora dell'alba in questo periodo dell'anno.
Il primo a iniziare è Jeremy: dopo aver preso un respiro profondo ed avermi sorriso, inizia a parlare. La formula lasciataci in eredità da Deneb comincia a fluire dalle sue labbra, uguale a come ce l’ha insegnata Axel.
"Tutto sta per cambiare per sempre", penso stringendo forte le mani di mio fratello, il quale continua a parlare senza esitazione, consapevole quanto me che il nostro futuro comincia adesso.
Come concordato Jeremy termina di recitare la sua formula saltando l'ultimo verso, quello che pronunceremo assieme quando anche io avrò terminato di recitare la mia parte.
Prima di iniziare a mia volta mi prendo il tempo per chiudere gli occhi, mi prendo il tempo per guardarmi dentro, per rivivere nella mia mente ogni singolo passo che mi ha condotta fin qui. Non ne rimpiango nessuno.
Lancio un'occhiata ad Axel, un po' in disparte rispetto agli altri spettatori: sorride. Un sorriso sereno che sembra farlo ringiovanire, che sembra togliergli dalle spalle questi ultimi diciassette anni che, se non nel volto, lo hanno di certo segnato profondamente nell'anima. Oggi è anche il suo nuovo inizio.
Senza più esitare inizio a recitare le parole senza paura, semplicemente non vedendo l'ora che ogni cosa sia compiuta.
Quando anche la mia parte giunge al termine io e Jeremy ci guardiamo ancora e, in perfetta sincronia, pronunciamo insieme l'ultimo verso.
Subito un grande dolore mi invade il petto, per poi sparire così in fretta da non darmi neppure il tempo di aprire la bocca per urlare. Una strana energia prende allora a scorrermi dentro, un’energia potente che mi parla di ombre tra le ombre, che mi parla della luce delle stelle.
Quando apro gli occhi noto immediatamente di essere circondata da una strana aura scura, come se tutta la poca luce di questo mondo spezzato non riuscisse più a raggiungere la mia figura.
Improvvisamente mi tornano in mente le parole di Axel, quelle parole pronunciate per spiegarci il perché Anthemis fosse certa del fatto che Altair fosse un mezzosangue:
“Non c'era però dubbio che il bimbo fosse un mezzosangue: diversamente sarebbe stato circondato da un'aura scura durante le ore del giorno, così come tutti i Notturni.”
"Ha funzionato", penso con il cuore a mille un secondo prima che un grande boato rompa il silenzio.
Tutti ci portiamo le mani alle orecchie, spaventati, ma ogni turbamento sparisce non appena ci accorgiamo che il cielo visibile oltre l'apertura circolare della sala sta cambiando colore: il grigio-azzurro a cui tutti qui ormai sono abituati si sta tingendo di blu, un blu profondo come il mare, mentre pennellate rosse e arancioni colorano l'orizzonte a oriente.
Il giorno è tornato, la notte arriverà stasera, il tempo è ripartito.
La folla nel parco attorno all'Accademia inizia a gridare di gioia, ad esultare, a piangere, ad abbracciarsi. È il momento di tornare a vivere.
Ma non è ancora finita: adesso dobbiamo ricreare i Nuclei. Per fortuna Deneb ha lasciato precise istruzioni anche su questo nel suo scrigno.
Nonostante le grida all'esterno dell'Accademia, la sala dove ci troviamo è ancora immersa nel silenzio; ognuno qui dentro sa infatti quanto questo sia il momento più delicato di tutti: un solo errore e io e Jeremy potremmo morire, su questo l'ex Guardiano di Yakamoz è stato molto chiaro nei suoi scritti.
Ancora mi sembra di vedere la faccia di Axel quando, durante lo studio degli appunti di Deneb, aveva letto ciò che il Guardiano aveva scritto a proposito di questa seconda parte del rituale.
Axel era sbiancato, poi aveva cominciato a dire che era troppo pericoloso per noi, che bisognava trovare un altro modo, che non avrebbe permesso di farci correre un pericolo così grande e concreto. Ma ben presto si era reso conto anche lui che questa è l'unica possibilità che abbiamo.
Cercando di scacciare dalla mente il ricordo di quegli occhi ambrati così spaventati, torno a concentrarmi il più possibile. Jeremy fa lo stesso.
"Ti prego, non sbagliare fratello mio. Non potrei sopportare di perderti", mi concedo di pensare un attimo prima di sedermi a gambe incrociate e chiudere gli occhi assieme a Jeremy.
Anthemis, Alhena, Axel e tutte le guardie trattengono il fiato.
Io comincio a percepire la nuova energia che ha preso a scorrermi dentro, la sento fluire nelle vene e dentro le ossa, concreta più che mai: mi rendo conto di poterla controllare.
Come mi è stato spiegato, senza esitare, cerco di far confluire più energia possibile in un unico punto dentro di me, per poi proiettarlo all'esterno con tutta la forza di cui sono capace. Dopo un tempo che non saprei quantificare mi rendo conto di sentirmi stremata: l'energia rimasta dentro di me deve essere ormai davvero poca.
Cerco di resistere ancora un po', stringendo i denti, finché non capisco che insistere ancora finirà col prosciugarmi completamente; così, mollo la presa.
Di colpo riapro gli occhi accovacciandomi su me stessa: ho il cuore a mille e il fiato corto, come se avessi corso per chilometri. Quello che vedo di fronte a me, però, riesce a ripagarmi di tutto: tra me e Jeremy, stremato e sorridente quanto me, volteggiano due piccole sfere luminose, una bianca e l'altra blu.
Subito le poche persone attorno a noi si portano le mani al petto, colpite da un dolore improvviso, forse da una scossa: gli antichi elementi sono rinati anche dentro di loro adesso. Come prova di ciò Alhena, Axel e le guardie della notte vengono circondati dalla stessa aura scura che ha avvolto anche me poco fa.
Dopo essersi concesse qualche istante per riprendersi, le due Guardiane si avvicinano cautamente a noi con due scrigni tra le mani: lentamente racchiudono al loro interno i due nuovi Nuclei, pronti finalmente ad essere riportati nelle loro stanze nei palazzi di Komorebi e Yakamoz.
Ce l'abbiamo fatta. Tutto è compiuto. Altair, anche se dopo diciassette anni, ha perso.
Voltandomi verso le persone che mi circondano noto come grandi sorrisi e occhi lucidi siano presenti sui volti di ognuno, sia su quelli illuminati dai raggi del sole nascente sia su quelli che da essi non saranno mai toccati: Alhena, Axel, le guardie di Yakamoz ed io. Io. La luce del sole non toccherà più la mia pelle perché sono una creatura della notte ormai. Non si torna più indietro. E se anche si potesse tornare, io non lo vorrei.
Improvvisamente, in mezzo alla confusione che si sente provenire dall'esterno e al silenzio della grande sala, dove tutti sono troppo emozionati per pronunciare anche solo una parola, un pensiero mi fulmina la mente: oltre a tutto il resto è tornata anche la magia.
Un po' titubante mi guardo i palmi delle mani, muovendo piano le dita e chiedendomi quali immense possibilità mi si sono appena aperte di fronte. Sorrido tra me e me. Per questo ci sarà tempo, tutto il tempo che voglio.
Non appena i Nuclei sono al sicuro nei loro scrigni Axel si avvicina, inginocchiandosi al mio fianco.
«Emma, come stai? Tutto a posto?» domanda preoccupato.
«Ce la fai ad alzarti?»
«Sì, Axel, grazie», gli rispondo tirandomi in piedi con il suo aiuto.
Mi sento stanca, questo è vero, ma non eccessivamente: l’energia che ho perso durante il rituale si sta già ricreando dentro di me grazie ai nuovi Nuclei. Per Jeremy è lo stesso.
«Grazie ragazzi, grazie davvero. Ci avete salvati. Nessuno di noi, nessun abitante di questo mondo, potrà mai ripagarvi abbastanza per ciò che avete fatto oggi. Vi saremo debitori per sempre», dice improvvisamente Anthemis rompendo il silenzio con voce incrinata dall'emozione, guardando orgogliosamente me e Jeremy.
 I suoi nipoti ritrovati. La sua famiglia.
«Non devi ringraziarci. Noi ci siamo semplicemente ritrovati dentro a questa vicenda all'improvviso, ma ogni cosa era già stata scritta dai nostri genitori e da Deneb. Sono loro i veri eroi questa storia», le risponde Jeremy, i capelli dorati splendenti nella luce dell'alba.
«Certo, loro sono stati degli eroi, ma lo siete anche voi, Jeremy. Loro hanno progettato la cosa, ma voi l'avete compiuta. Non è cosa da poco questa», interviene Alhena, raggiante.
«E ora?» dico dopo qualche secondo di silenzio.
«Adesso che succederà?»
«Siete liberi di fare ciò volete, Emma. Siete parte di questo mondo ormai, non dovete fare altro che vivere nel modo che preferite la vostra nuova vita», inizia Anthemis.
«Tu e Jeremy potreste vivere al palazzo di Komorebi, nulla mi farebbe più felice che avervi con me. Certo, tu sei una Notturna, dunque capirò se alla Città del Giorno preferirai Yakamoz», continua.
«La stessa cosa vale per me, Emma», interviene Alhena.
«Se vuoi vivere a Yakamoz sei la benvenuta: mi farebbe piacere un po' di compagnia», conclude annuendo.
«Vi ringrazio tanto entrambe...» rispondo allora io, un po’ titubante: dentro di me infatti non so proprio cosa fare.
Da un lato non mi sento ancora pronta a perdere Jeremy, anche se mi rendo conto che pur vivendo separati potremmo comunque vederci tutti i giorni, dall'altro voglio davvero imparare ad essere una vera Notturna e so che solo vivendo a Yakamoz potrei riuscirci davvero.
"Già, Yakamoz è la scelta migliore", mi convinco alla fine.
"Così come per Jeremy la scelta migliore è Komorebi."
«Andrò a Yakamoz», annuncio convinta.
«Ma non temere, Anthemis: se vuoi posso venire a trovarti a Komorebi anche tutti i giorni», concludo sorridendo a mia nonna.
«D'accordo allora. E tu, Jeremy?» dice lei rivolgendosi al mio gemello.
«Io scelgo Komorebi, dopotutto voglio essere un Diurno fino in fondo. Voglio conoscere ogni cosa e voglio vivere lì dove è cresciuto mio padre. Prima però io ed Emma abbiamo ancora alcune questioni da risolvere: dobbiamo tornare a casa e parlare con i nostri nonni di Fuori. Anzi, direi che è la prima cosa da fare in assoluto, cosa ne pensi?» conclude Jeremy rivolgendosi a me.
Non posso che annuire.
«Hai perfettamente ragione, dobbiamo tornare da loro il prima possibile. Domani stesso andrebbe bene», concordo con lui.
«Bene, dunque faremo così: per qualche giorno rimarrò a Yakamoz con Emma, poi, quando tutto sarà risolto, mi trasferirò stabilmente a Komorebi», dice Jeremy.
«D’accordo», conferma Alhena.
«E tu, Axel? Tu cosa farai? Qualunque sarà la tua decisione sappi che a Yakamoz ci sarà sempre un posto anche per te: se non ci fossi stato tu a quest'ora Emma e Jeremy sarebbero morti e con loro ogni altra speranza. Inoltre vorrei saperne di più su quella tua magia, dunque se restassi almeno per un altro po' ne sarei felice. E non solo io, immagino», afferma la Guardiana della Notte senza risparmiarsi l'ennesima frecciatina.
Il mio sguardo allora si sposta su Axel in attesa della sua risposta, che non tarda ad arrivare.
«Vi ringrazio, mia Signora. Sarei felice di trattenermi a Yakamoz ancora per un paio di giorni, dopo di che si vedrà. Tutto dipende da cosa succederà nelle prossime ore», risponde lui lanciandomi un'occhiata penetrante, di quelle che dicono tutto senza bisogno di pronunciare una sola parola.
E io sento un macigno invadermi lo stomaco: Axel sta davvero per rivelarmi ogni cosa, come promesso, dopo di che la sua vita sarà nelle mie mani. Qualunque cosa questo voglia dire. 

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Capitolo 35
*** Tessere sparse ***


Jeremy
 
Ora che tutto è cambiato posso affermare con assoluta certezza che era questo che avevo sempre desiderato, anche se inconsciamente.
Il Mondo oltre l’Arcata sotto ai raggi del sole è sfolgorante: tutto sembra essere dieci, venti volte migliore rispetto a quando era immerso in quel grigiore che è ormai solo un ricordo.
Quando io e gli altri ci tuffiamo nel portale oltre l’apertura circolare della sala per riemergere a Komorebi, ad accoglierci è una città molto diversa da quella che abbiamo lasciato appena poche ore fa. Questa è una Komorebi in festa.
La pietra bianca degli edifici brilla sotto la luce del sole, il vento che ha ripreso a soffiare ci avvolge con la sua brezza leggera, profumata di mare e di allegria.
Di fronte a noi le onde hanno ricominciato a rifrangersi sugli scogli e sui ciottoli grigi della spiaggia: il loro sciabordio di sente fin da qui, fin dalla terrazza del palazzo dove per diciassette anni non si era sentito altro che silenzio e pianti.
Per qualche istante chiudo gli occhi e mi godo il tepore del sole sulla pelle, una sensazione che non provavo da più di un mese e che mi era mancata moltissimo: non so proprio come abbiano fatto i Diurni a sopportare l’assenza del sole per anni interi. Quando riapro gli occhi vedo che Anthemis sorride guardando dall’alto sua città finalmente tornata alla vita.
Pure Emma sorride, anche se lei il tepore del sole non potrà percepirlo mai più: una strana ombra infatti circonda tutta la sua figura, ugualmente ad Axel ed Alhena, anche se non tanto scura quanto mi immaginassi inizialmente. Certo, mi ci vorrà un po’ per abituarmici.
«Ragazzi, prima di andare a Yakamoz vorrei fare un giro per Komorebi, magari arrivare fino alla spiaggia, mi accompagnate?» spezza il silenzio Emma guardando me e Axel, speranzosa.
«E me lo chiedi pure?» le rispondo scoppiando a ridere.
«Su, corriamo a cambiarci», continuo fiondandomi dentro il palazzo seguito dai miei compagni d’avventura.
Neanche mezz’ora dopo tutti e tre stiamo correndo tra i vicoli di Komorebi, ridendo e scherzando, davvero leggeri e spensierati come non lo eravamo da troppo, troppo tempo. Perfino Axel sembra essere disteso e rilassato, se non felice oserei dire almeno sereno, in pace con sé stesso, il che è già un grande passo in avanti.  
Al nostro passaggio in tanti riconoscono me ed Emma, tutti ci acclamano e ci ringraziano come se avessimo salvato loro la vita. E io mi sento invadere di un’euforia senza tempo, una felicità tale da farmi sentire le farfalle nello stomaco, che mi fa pensare: “Non mi importa di ciò che accadrà domani o tra due anni, adesso voglio solo godermi tutto questo assieme alla mia gente.”
Passiamo accanto a profumatissimi alberi in fiore, rampicanti sulle pareti candide degli edifici irregolari, attraversiamo piazze dove tutti si abbracciano e ballano assieme, dove dalle fontane è tornata a zampillare l’acqua che presto tutti dovranno riabituarsi a bere.
L’unica nota dolente sono alcuni sguardi astiosi rivolti ad Emma ed Axel: ora per loro è impossibile nascondere il fatto di essere Notturni; non dobbiamo pensare che l’odio tra le due città sia finito, non ancora. C’è ancora moltissimo lavoro da fare, ma ci penseremo a tempo debito.
«Ragazzi, venite, il mare è da questa parte!» grida Axel svoltando in una delle strade principali della città.
Subito io ed Emma lo seguiamo e corriamo dietro di lui fino ad arrivare alla spiaggia di ciottoli che fino ad ora io e la mia gemella conoscevamo solo per averla vista dall’alto delle finestre e dalla terrazza del Palazzo del Giorno.
Il vento qui è più forte, tanto che i capelli di Emma le si stanno muovendo in tutte le direzioni, ma lei non sembra farci caso.
Fermiamo i nostri passi solo pochi centimetri prima di raggiungere l’acqua azzurra e cristallina; per alcuni minuti rimaniamo in silenzio davanti a questo spettacolo, riempiendoci gli occhi di bellezza.
«Quanto mi è mancato questo suono», spezza poi il silenzio Axel chiudendo gli occhi e crollando in ginocchio, mentre una piccola lacrima sgorga dalle sue ciglia e un lieve sorriso gli compare sul viso.
«Anche a vostro padre piaceva tanto il mare», aggiunge poi senza smettere di fissare la linea dell’orizzonte davanti a noi, dove il blu del mare e quello del cielo si incontrano mescolandosi tra loro.
«Cosa c’è oltre questo mare, Axel?» mi ritrovo a chiedere mentre io ed Emma ci mettiamo a sedere togliendoci le scarpe per poterci bagnare i piedi nell’acqua fresca.  
«Non lo so. Non lo sa nessuno, Jeremy. Non siamo un popolo di navigatori o esploratori, tutto ciò di cui abbiamo bisogno si trova qui. Sinceramente non credo neppure che ci sia qualcosa oltre tutta quest’acqua», mi risponde lui.
«Non ti viene voglia di andare a controllare tu stesso se davvero non ci sia nulla?» interviene Emma guardando sorridendo il suo Notturno.
«Sarebbe la risoluzione di un grande mistero. E io ho una gran fame di misteri.»
Axel sembra pensarci un po’ su prima di rispondere.
«Tutti i Notturni hanno fame di misteri, Emma. Anche io ce l’avevo prima che tutto cambiasse, e forse ne ho ancora, tuttavia non credo avrò più il tempo di andare a caccia di essi come facevo un tempo. Sinceramente penso solo a godermi gli ultimi momenti di pace che mi sono concessi.»
A queste parole Emma si incupisce, lasciandomi intendere che sotto a tutto questo discorso ci sia qualcosa di cui io non sono al corrente.
Perché Axel parla in questo modo? Forse intendeva semplicemente dire che per ora non vuole far altro che godersi il sollievo portato dalla salvezza di questo mondo. In ogni caso, questi sono affari di Axel e di mia sorella.
«Bene, chi viene a fare il bagno?» propongo allora balzando in piedi e iniziando a spogliarmi.
Emma per fortuna torna subito a sorridere: pochi minuti dopo stiamo tutti e tre nuotando nell’acqua azzurra, con gli occhi rivolti al cielo.
 
***
 
Il sole sta per tramontare quando facciamo ritorno al palazzo di Komorebi: subito ci dirigiamo nelle nostre stanze per prendere i nostri effetti personali, poi ci dirigiamo verso il portale del palazzo per recarci a Yakamoz, come stabilito. Alhena ci aspetta.
«Emma, Jeremy, fate attenzione domani nel Mondo di Fuori. Ricordate, ora siete un Diurno e una Notturna a tutti gli effetti, nessuno a parte i vostri nonni deve vedervi. Mi fido di voi, fate in modo che non me ne debba pentire. Andate e tornate presto da me, ragazzi», ci ammonisce Anthemis prima di permetterci di varcare il portale.
Un secondo dopo ci troviamo appena fuori dalle mura della Città della Notte. Le ombre attorno a noi si stanno infittendo, tanto che per un istante ogni cosa sembra essere tornata così com’ era fino a ieri, ma non dura molto: il cielo già si sta tingendo di blu e la prima stella della sera è comparsa sopra di noi.
È in questo momento che, mentre Emma lancia un piccolo grido indicando la stella ad Axel, mi rendo conto che la mia pelle sta cambiando: una strana luminescenza ha preso a circondarmi, come se un faro invisibile stesse proiettando la sua luce solo su di me.
“A questo mi ci vorrà ancora di più per abituarmi”, penso sorridendo mentre Emma corre da me per guardare meglio la mia luce.
Axel invece se ne sta impalato con il viso rivolto a quell’unica grande e bellissima stella, senza curarsi di nient’altro al mondo.
 
***
 
Inoltrandoci nella Città della Notte, io ed Emma abbiamo modo di scoprire per la prima volta il vero volto di Yakamoz.
Più le tenebre si fanno fitte, più la pietra grigia delle case e dei palazzi dall’aspetto antico e fiabesco sembra farsi evanescente: ogni singola pietra inizia a diventare traslucida come cristallo e ad emanare una tenue luminescenza azzurrina, sufficiente per illuminare vicoli e strade senza per questo oscurare il vero colore del cielo notturno. Devo ammettere che è un vero incanto per gli occhi: è il luogo più magico in cui io sia mai stato in vita mia.
«Come ti sembra, Emma?» sento chiedere Axel a mia sorella, la quale semplicemente non trova le parole per esprimere ciò che sta provando. Lo vedo dalla sua espressione.
«È perfino meglio di quanto immaginassi», gli risponde infine lei quasi commossa, prendendo Axel per mano.
I due si sorridono per qualche istante, poi insieme riprendiamo a camminare in questo labirinto di cristallo luminoso.
C’è molta gente per le strade, tuttavia il baccano è minore rispetto a quello di oggi a Komorebi: senza dubbio i Notturni preferiscono esprimere la loro gioia in modi meno espansivi, tuttavia anche qui non mancano musica e risate, abbracci e pianti di commozione. Gli occhi di tutti poi continuano a correre al blu sempre più scuro del firmamento, sempre più carico di stelle, talmente tante che perfino io rimango a bocca aperta nell’osservarle.
La Via Lattea è infatti perfettamente visibile, così come le costellazioni tanto care ad Emma, e la cosa non mi sorprende: qui l’inquinamento luminoso neanche sanno cosa sia.
Nonostante la bellezza della città quando le guardie della notte ci fanno entrare nel palazzo di Yakamoz tiro un sospiro di sollievo: per le strade mi sentivo decisamente troppo osservato, luminoso come sono diventato.
Avviandoci lungo i corridoi e le sale del palazzo noto come esse siano ancora più imponenti e belle ora che loro pareti sembrano essere composte da cristallo luminescente, ora che le stelle sono ben visibili oltre le cupole di vetro: colonne di marmo, archi e statue sono immerse in un’atmosfera così suggestiva...
Mentre camminiamo in silenzio un brivido mi percorre la schiena.
Il palazzo è affascinante e misterioso, tanto che non riesco a scrollarmi di dosso l’impressione di essere finito dentro ad un sogno, uno di quelli in cui si è soli in luoghi antichi, abbandonati e sconosciuti, luoghi pieni di segreti nascosti in ogni angolo, luoghi da percorrere fino in fondo per riuscire infine a trovare sé stessi.
Non credo però che amerei viverci, mi ci sentirei costantemente inquieto.
Queste cose non fanno per me: io ho bisogno di luce, molta più luce di così.
 
***

Dopo essere passati ad avvisare Alhena del nostro arrivo riprendiamo possesso delle nostre vecchie stanze; prima di entrare nella mia per andare a dormire, però, saluto mia sorella.
«Domani mattina torniamo a casa, allora», dice Emma, forse un po’ inquieta.
«Sì, prima andremo meglio sarà: dobbiamo tranquillizzare i nonni, fare loro sapere quello che è successo. E poi ho una gran voglia di rivederli», le rispondo.
«Certo, anche io voglio rivederli. Però, ecco... Lo so, è un’assurdità, ma ho paura che una volta tornati nel Mondo di Fuori poi non riusciremo più a trovare la strada per tornare qui», si sfoga lei, seria.
«Torneremo Emma, di questo non devi preoccuparti. Domani sera al massimo saremo di nuovo a Yakamoz. Non è stato un sogno, tutto questo è reale e non sparirà di certo in poche ore.»
«Infatti. Questo mondo è reale ed è qui che vi aspetta», interviene Axel.
«Lo so ragazzi, lo so. Sono solo sciocche paure, però sapete, quando i sogni si realizzano si ha sempre il timore che tutto possa sparire, sgretolarsi tra le dita.»
«Non si sbriciolerà nulla, Emma, te lo prometto», la rassicuro.
«Già. Buonanotte Jeremy, a domani», dice la mia gemella abbassando la maniglia della propria camera e sgusciando dentro dopo un rapido cenno di saluto ad Axel.
«Tu non andrai a dormire, vero?», chiedo allora al Notturno prima di entrare in camera a mia volta.
«Direi proprio di no», mi risponde lui.
«Erano anni che aspettavo questa notte: non potrei mai perdermela. Riposerò domani, quando voi sarete nel Mondo di Fuori.»
«Lo immaginavo. A domani allora.»
«Buonanotte, Jeremy», si congeda Axel avviandosi lungo il corridoio, ma non prima di aver lanciato uno sguardo alla porta della camera di Emma, un’espressione dubbiosa sul viso.  
Senza attendere oltre mi chiudo la porta alle spalle: velocemente mi spoglio e mi infilo sotto le coperte. Sono davvero molto stanco: oggi è stata una giornata intensa, per quanto meravigliosa.
Mezz’ora dopo, tuttavia, non ho ancora preso sonno: continuo a rigirarmi nel letto e a pensare, ad aprire gli occhi per guardare il mio corpo illuminato e le mie mani, teoricamente ora in grado di compiere cose straordinarie.
Rigirandomi su un fianco per l’ennesima volta lo sguardo mi scivola oltre il vetro della finestra, verso il profilo nero delle montagne e il cielo stellato, così mi alzo per avvicinarmi al davanzale. Da qui non riesco a vedere le strade della città, ma solo uno scorcio del giardino che circonda il palazzo.
“Chissà quale sarà la vista che avrò quando mi trasferirò definitivamente a Komorebi”, penso. Anthemis mi permetterà di scegliere la camera che più mi piace? Non lo so e francamente non mi importa. Ogni angolo di Komorebi è stupendo: la città, le colline, il mare; qualunque cosa andrà bene.
E mentre il cuore mi si riempie di entusiasmo al pensiero di come sarà la mia vita da qui in avanti, decido che provare a dormire è completamente inutile.
Senza Emma e Axel non voglio avventurarmi in città, ma posso sempre fare un giro per le sale del palazzo.
Così mi rivesto ed esco, cercando di fare il meno rumore possibile per non disturbare Emma che dorme nella stanza di fianco alla mia.
In silenzio percorro stanze e labirintici corridoi, scalinate e balconate, lentamente, senza fretta, sfiorando con le dita al mio passaggio la pietra resa liscia come vetro dal buio della notte. La luce azzurrina è sufficiente a mostrare chiaramente gli affreschi del soffitto e quelli sopra alle porte ad arco: costellazioni e motivi astrologici, ed è sufficiente per non inciampare nei miei stessi passi.
Improvvisamente mi accorgo di essere inconsapevolmente arrivato davanti alla porta di una delle grandi sale del palazzo, quella in cui Alhena giocava sotto gli sguardi della madre e di suo zio Deneb.
Senza rifletterci troppo decido di entrare.
Lo sguardo subito viene catturato dalle stelle visibili oltre la grande cupola di vetro, splendenti come diamanti, per cui non mi rendo subito conto di non essere solo qui.
«Un Diurno che vaga per il palazzo di Yakamoz in piena notte. Dopo Ophrys pensavo che non avrei mai più visto nulla di simile», mi sorprende una voce facendomi sobbalzare dallo spavento.
«Alhena, perdonami, non credevo di trovare qualcuno qui», dico alla Guardina, seduta sola su uno dei divani al centro della stanza.
«Perché non sei fuori a festeggiare il ritorno della notte?»
«Lo so, fuori posso sembrare una persona solare ed espansiva, ma dentro rimango una Notturna, Jeremy. Certi momenti ho bisogno di viverli da sola, riflettendo tra me e me. Sono felice, tanto da scoppiare, ma non mi andava ancora di condividere la mia gioia con qualcuno. So che tutto ciò può sembrare assurdo agli occhi di un Diurno, ma noi Gente della Notte siamo fatti così», afferma lei sollevando le spalle.
«Non è assurdo, lo capisco perfettamente, in fondo sono cresciuto con Emma. Perdona ancora l’intrusione, ti lascio sola», dico con l’intenzione di riprendere il mio strano vagabondare, ma Alhena, sorprendendomi, mi trattiene.
«Jeremy, aspetta! Rimani qui se vuoi, mi farebbe piacere», dice.
Così, un po’ titubante, mi avvicino alla Guardiana prendendo posto accanto a lei.
La luce della pietra, insieme a quella delle stelle, le illumina il viso facendo proiettare alle sue lunghe ciglia ombre che fanno sembrare i suoi occhi neri ancora più grandi e profondi; i capelli sciolti le ricadono sulle spalle, profumati di lavanda.
Devo ammettere che di notte la bellezza di Alhena risulta essere perfino superiore al normale.
Improvvisamente inizio a sentirmi a disagio, o meglio, agitato. Per la prima volta in vita mia non so bene cosa dire, ho paura di fare qualcosa di sbagliato.
“E perché Alhena mi ha chiesto di restare nonostante il suo desiderio di solitudine?” non posso fare a meno di pensare.
«Allora, come ci si sente ad essere diventato una lampadina?» rompe il silenzio lei distogliendomi dai miei pensieri.
«Davvero sai cos’è una lampadina?» dicono le mie labbra in tono stupito, senza capire esattamente quando il cervello abbia dato loro un simile input.
Alhena ridacchia.
«Certo, conosciamo molte cose sui di Fuori, Jeremy. La loro storia, le loro varie culture, il loro progresso nel corso dei secoli. Un po’ di tutto, insomma. Tempo fa venivano mandate Fuori alcune persone ben addestrate perché studiassero tutte queste cose, poi tornavano e riferivano. Certo, la nostra conoscenza si ferma a diciassette anni fa», spiega.
«Oh, capisco. Ho ancora tante di quelle cose da imparare su questo mondo...» affermo riprendendo lucidità.
«Vedrai, vivendo qui imparerai in un attimo. Sono sicura che Anthemis ti istruirà per bene, dal momento che sei il suo erede.»
«Cosa?!» sobbalzo al sentire simili parole, lo stomaco annodato dall’ansia.
«Come sarebbe a dire che sono il suo erede?»
«Beh, sei il figlio di Ophrys, il nipote di Corylus. Sei l’ultimo discendente Diurno della famiglia dei Guardiani del Giorno: non c’è nessun altro», ribadisce Alhena, forse un po’ sorpresa dalla mia reazione.  
«Non ci avevi mai pensato?»
«No, mai», le rispondo sinceramente.
«Non avevo mai messo in conto che un giorno sarei potuto diventare Guardiano, una specie di re. È così strano pensarci...  Non credo che ne sarei in grado.»
«Non devi preoccupati di questo: tua nonna ti insegnerà ogni cosa e tu stesso con il tempo acquisirai fiducia in te stesso. Sarai un ottimo collega», tenta di rassicurarmi Alhena strizzandomi l’occhio.
«Non credo proprio che sarò mai bravo quanto te», dico ridendo, iniziando a sciogliermi un po’.
«Non pensare che per me sia stato semplice all’inizio, Jeremy. Quando la gente di Yakamoz mi nominò Guardiana dovetti sostenere questa città durante il suo periodo più nero, senza avere preparazione alle spalle, senza avere punti di riferimento. Ero sola, giovane e inesperta: Deneb infatti non mi insegnò mai a governare, anzi, tendeva sempre a tenermi fuori dalle situazioni più importanti e delicate. Io pensavo sempre che avrebbe cominciato presto a trattarmi come una vera erede, che era solo questione di tempo... Ma poi non succedeva mai niente.»
«Aspettava l’arrivo di Altair...»
 «Già... Io però al tempo non capivo perché mio zio si comportasse in quel modo. Ed ero così arrabbiata, così frustrata, quando poi Altair arrivò davvero... In appena poche notti tutte le attenzioni di Deneb che avevo sempre desiderato per me ora erano per lui. Se ne stavano ore nello studio di mio zio, da soli, a studiare la magia: a nessun altro Deneb diede mai il privilegio di condividere le sue scoperte, mai. E io ero così gelosa per questo... Ho odiato Altair ben prima che si rivelasse il mostro che era.»
«Perdona lo sfogo, Jeremy», aggiunge infine.
«Beh, oltre che ad Altair, Deneb confidò le sue scoperte anche al suo consigliere, giusto?» chiedo alla Guardiana ricordandomi improvvisamente del padre di Axel.
«Consigliere? Mio zio non aveva alcun consigliere. Deneb era un uomo estremamente riservato: prima di Altair nessuno mai era venuto a conoscenza dei suoi studi», mi risponde lei, perplessa.
E io mi sento di colpo impallidire, mi sento mancare il terreno sotto i piedi e la testa girare.
“Non è possibile. Non è possibile”: solo questo riesco a pensare mentre la mia testa cerca di trovare la soluzione che colleghi la versione da Axel e quella di Alhena, invano.
E improvvisamente, tutti le tessere del puzzle sembrano incastrarsi alla perfezione: tessere che erano sempre state sotto i nostri occhi, ma che né io né mia sorella avevamo mai provato ad assemblare.
«Jeremy, cos’hai? Sei bianco come un fantasma, che ti è preso?», si preoccupa la Guardiana avvicinandosi ancora di più a me.
«E soprattutto: chi ti ha raccontato di questo fantomatico consigliere?»
«Axel...» trovo la forza di dire, ancora confuso, ancora scioccato.
«Axel? Ma non ha senso, lui...»
«Alhena... Emma, Emma è in pericolo, in gravissimo pericolo! Chiama le guardie, ti prego, dobbiamo arrestare Axel!» sbotto improvvisamente alzandomi in piedi di scatto, agitato più che mai.
«Ma cosa ti prende, Jeremy? Sei forse impazzito?» dice Alhena alzandosi a sua volta.
«Axel... Axel ha sempre detto a me e ad Emma di essere il figlio del consigliere di Deneb. Ha sempre affermato che la magia diversa che conosce in realtà fu scoperta proprio dall’ex Guardiano, e che fu suo padre a insegnargliela di nascosto da Deneb, ma se questo consigliere non è mai esistito ed Altair è l’unico con cui Deneb si confidava, allora...»
«Altair è morto, Jeremy! Abbiamo trovato il suo cadavere accanto a quello dei tuoi genitori, lo abbiamo bruciato! E poi Axel non assomiglia minimamente a quel mostro, non dire sciocchezze!» afferma Alhena non appena capisce dove voglio andare a parare, anche se sento chiaramente quanto paura e sgomento si siano già insinuati anche in lei.
«Quello che vedi tu, quello che vedete tutti a parte me ed Emma, non è il vero volto di Axel... Lui può creare l’illusione di avere un aspetto differente. Diceva di adottare questa precauzione perché tu lo volevi morto in quanto sospettavi fosse complice di Altair, ma...»
«Ma in realtà lo faceva perché lui stesso è Altair... E il cadavere che abbiamo bruciato aveva solo l’illusione del volto di Altair», conclude per me Alhena portandosi una mano alla bocca, stravolta quanto me dalla rivelazione.
«Jeremy... Com’è il vero volto di Axel?», chiede poi con voce tremante.
«Capelli neri e ricci, occhi ambrati...» non faccio in tempo a concludere che la Guardiana è già corsa fuori dalla stanza.
Con il cuore a mille la seguo con lo stomaco accartocciato, disgustato oltremodo per aver trattato da amico l’assassino dei miei genitori, il distruttore dei Nuclei, quel viscido doppiogiochista. Dio, mi viene da vomitare... Ed Emma... Lei che con lui... No, non ci posso neanche pensare.
«Guardie! Guardie!» grida nel frattempo Alhena lungo i corridoi del palazzo.
Finalmente un gruppo di ragazzi vestiti di blu accorre verso di noi, attirato dal grido della Guardiana; mentre Alhena parla con loro io proseguo la mia corsa verso la stanza di Emma, con il cuore in gola.
Deve sapere, deve sapere il prima possibile.
Dopo minuti che mi sembrano infiniti giungo finalmente alla sua porta: senza neanche curarmi di bussare abbasso la maniglia e spalanco le ante, ma nella stanza non c’è nessuno.
Il letto di mia sorella è vuoto.
Quello di Axel a pochi passi da qui, pure.

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Capitolo 36
*** Più di me stesso ***


Axel
 
Non appena sento chiudersi la porta della stanza di Jeremy, mi blocco. Improvvisamente tutto ciò che fino ad un attimo fa non vedevo l’ora di fare smette completamente di avere importanza: volevo uscire, volevo correre nella notte sotto le stelle e tra le ombre, volevo ascoltare il silenzio interrotto solamente dal frinire dei grilli e dal gracchiare delle rane negli stagni, volevo un’ultima, estrema notte per me, prima di rivelare ad Emma chi sono davvero.
Ma senza di lei tutto questo non ha più senso: vorrei che venisse con me, vorrei mostrarle le meraviglie di questo mondo immerso nella notte. Ma non posso.
Quando lei saprà ogni cosa mi odierà a morte; e se anche comprenderà il perché ho fatto ciò che ho fatto, il suo odio sarà generato dal fatto di averle mentito per tutto questo tempo. Avrà voglia di vendicarsi, dunque potrebbe tranquillamente andare a denunciarmi ad Alhena o a mia madre: a quel punto per me sarebbe la fine.
“Ora che è tutto risolto e che Emma e Jeremy sono al sicuro dovrei uscire da questo palazzo e non tornare mai più, dovrei correre via senza voltarmi indietro. Mi nasconderei come ho fatto in questi diciassette anni, da solo. Potrei farcela, ormai sono abituato alla solitudine”, penso sospirando.
Ma ogni cellula del mio corpo si ribella ad una simile prospettiva: no, meglio la morte piuttosto che tornare a vivere come prima.
Ora che la mia vita è cambiata, ora che ciò che ho fatto ha finalmente portato i suoi frutti, per quanto insanguinati, ora che ho imparato a sorridere di nuovo, ora che ho conosciuto l’amore... Non posso più tornare indietro, è fuori discussione.
E poi Emma si merita la verità, non posso sparire così senza lasciare tracce: le spezzerei il cuore. Glielo spezzerò comunque rivelandole la verità, questo è vero, ma almeno ne conoscerà il motivo.
Improvvisamente un pensiero prende a stuzzicarmi: “E se le chiedessi comunque di venire con me? Passeremmo un’ultima notte insieme, le ultime ore tranquille prima che ogni cosa bella tra di noi venga distrutta dalla verità.”
Forse però il mio è solo egoismo: non riesco ad accettare che tra poco Emma non avrà più sorrisi e carezze da dedicarmi e voglio approfittare del suo non sapere un’ultima volta.
Non è giusto nei suoi confronti, lo so. Ma ho fatto cose peggiori nella mia vita.
Senza soffermarmici troppo a pensare busso leggermente alla porta di Emma: qualche istante più tardi eccola comparire in corridoio, bella e radiosa nella soffusa luce azzurrina.
«Axel...» dice incerta e sorpresa di trovarmi lì.
«È la prima notte di una nuova era, Emma: ti va di condividerla con me? Vorrei che passassimo ancora un po’ di tempo insieme prima di dirti la verità, prima che tutto tra noi cambi per sempre, ci stai?» le chiedo speranzoso, tenendo gli occhi bassi.
«Dammi un minuto», dice lei dolcemente dopo qualche istante di riflessione, rientrando in camera per poi uscirne con le scarpe ai piedi e i capelli raccolti in una lunga treccia.
«È un sì?» chiedo, ancora un po’ titubante.
«No, mi sono messa le scarpe per tornare a dormire», afferma lei sarcastica chiudendosi la porta alle spalle e iniziando a percorrere il corridoio verso la scalinata. Ed io non riesco a trattenere un sorriso mentre mi volto per seguirla.
Una volta usciti dal palazzo guido Emma tra le viuzze di Yakamoz, ancora piene di gente, in direzione della porta nord della città: la più vicina alle montagne. Più ci allontaniamo dal centro cittadino più le persone che incontriamo diventano rade: ad ogni passo aumenta il silenzio che ci circonda.
Non so esattamente dove mi stiano portando i miei passi: la mia idea è quella di seguire l’istinto, come facevo un tempo, un tempo ormai così lontano...
Ricordo ancora le mie prime sortite notturne appena dopo avere scoperto di non essere mai stato un mezzosangue, dopo che la catenina che avevo sempre avuto al collo mi era rimasta improvvisamente tra le dita, sciolta, e un’ombra scura mi aveva avvolto per la prima volta.
Quanta libertà, quale completezza di spirito avevo provato in quei momenti.
Durante tutta l’infanzia e l’adolescenza avevo sempre saputo quale fosse la mia reale inclinazione, lo avevo saputo ancora prima di rendermene conto razionalmente, però non ne avevo mai parlato con nessuno: non so cosa mi avrebbe fatto Corylus se avesse conosciuto i miei pensieri, i miei desideri.
Neppure con Ophrys avevo mai accennato alla questione, né prima né dopo avere scoperto la verità su me stesso, neppure quando presi a scappare a Yakamoz ogni notte. Di questo, lo so, non riuscirò mai perdonarmi del tutto, mai, anche se lui stesso trovò la forza di farlo e di dirmi: “Ora basta, facciamo tornare le cose come prima: senza di te niente a più lo stesso sapore, fratello mio, nonostante tutto.”
Se tuttavia solo ripenso alla sua espressione quando scoprì la verità che gli tenevo nascosta da anni interi, anzi, da tutta la vita, mi sento ancora morire.
Nella mia memoria riesco ancora a vedere nitidamente ogni particolare di quel momento, uno dei più dolorosi della mia esistenza, quello in cui credetti di avere perso per sempre l’unica persona a cui tenevo più che alla mia stessa vita.
Riesco ancora a vedermi mentre spiego a mio fratello che tra me e Claire non c’è mai stato nulla, cercando di fargli capire il perché ho portato l’amore della sua vita a Yakamoz, il perché lei mi avesse chiesto aiuto. E poi il primo raggio di sole portato dall’alba, il mio corpo che si adombra, l’improvvisa consapevolezza della catenina rimasta nella mia tasca.
E il viso confuso e scioccato di Ophrys, che più i secondi passano e più si trasforma in una maschera di dolore e rabbia, i suoi occhi azzurri carichi di lacrime che sembrano lanciare saette, i capelli castani, quasi neri, spettinati dalla brezza del primo mattino. Le grida, gli insulti.
“Io mi fidavo di te! Mi fidavo più di te che di me stesso, Altair!”
Riesco ancora a sentire la sua voce delusa e ferita rimbombarmi nella testa. Ancora. Dopo tutto questo tempo.
Oh Aaron. Come reagiresti oggi se fossi qui? Sarebbero ancora peggiori le cose che mi urleresti contro sé sapessi che tua figlia è qui con me? Se sapessi che lei si è innamorata di me e io di lei, che io desidero cose a cui non dovrei neanche minimamente pensare? Questa volta, fratello mio, neppure tu troveresti la forza di perdonarmi.
È tua figlia, poco importa se il sangue che portiamo non è lo stesso.
Sono solo un’anima dannata, ecco cosa. Forse che Emma vada a denunciarmi, a questo punto, sarebbe la cosa migliore per tutti, anche per me.
«Axel, dove andiamo?» spezza il silenzio Emma distogliendomi dal dolore dei miei ricordi: senza rendermene conto mi sono fermato al limitare della foresta, appena superata la Porta Nord.
«Andiamo dove vuoi, Emma. Scegli tu la strada questa volta, segui l’istinto; dopotutto è la tua prima notte da vera Notturna, è il momento che inizi a vivere come tale.»
Come se non stesse aspettando altro allora la ragazza che ha salvato la mia vita e che presto potrebbe anche porvi fine si volta e inizia a camminare tra gli alberi, trascinandomi con sé.    
Le ombre della notte attorno a noi sono scure, ma non eccessivamente: la luna è appena sorta e si staglia limpida e grande, in fase calante; la sua luce inargenta i tronchi degli alberi attorno a noi, proiettando sul terreno umido e soffice del sottobosco le ombre dei rami nodosi e intricati sopra di noi, tra i quali sono visibili piccoli frammenti di cielo trapunti di stelle.
I miei piedi si muovono agilmente nell’oscurità nonostante le invisibili insidie del terreno, così come non ho bisogno di vedere un certo ostacolo di fronte a me per aggirarlo: è tutta questione di istinto, un istinto risvegliatosi in me assieme alla notte e alla magia ed essa legata. Quanto mi era mancato tutto questo.
Per Emma naturalmente è lo stesso: la vedo muoversi agilmente quanto me tra le ombre e il buio, sicura e senza paura.
Ricordo bene la prima volta che provai queste sensazioni: fu la notte in cui mi recai per la prima volta a Yakamoz da solo, per capire davvero come poter essere me stesso fino in fondo. Una volta arrivato là, però, avevo già la mia risposta.
Proseguiamo sempre più velocemente e senza dire una parola, io e la mia Emma, vivendo solo di sensazioni, di emozioni; ci fermiamo solo quando un rumore di acqua gorgogliante giunge alle nostre orecchie: siamo arrivati alle sponde del fiume, l’unico corso d’acqua degno di questo nome in questo mondo.
Una volta emersi dalla vegetazione camminiamo sulla ghiaia chiara e fine fino a raggiungere l’acqua che scorre facendosi strada tra i ciottoli e le pietre; oltre ad essa, sull’altra sponda, incombono le pendici delle montagne inargentate dalla luce della luna.
Ora che il cielo è sgombro dai rami degli alberi mi prendo del tempo per osservare ancora la volta celeste, per trovare e riconoscere le mie stelle del cuore.
«Emma, guarda là: vedi la costellazione del Cane Maggiore?» chiedo poi quando trovo ciò che cerco.
«Sì, la vedo», mi risponde lei socchiudendo gli occhi, il volto rivolto verso l’alto.
«L’ultima stella a destra: quella è Adhara, la tua stella», le dico indicando quel puntino azzurrino così luminoso.
«Sai, noi Notturni crediamo che la stella con cui condividiamo il nome abbia il potere di influenzare positivamente la nostra vita: è una protettrice, un aiuto prezioso contro le sfortune e i mali dell’esistenza.»
Emma al mio racconto sorride nel buio, annuendo.
«E a te non dispiace di non avere la tua stella protettrice, Axel?» mi chiede poi voltandosi a guardarmi.
Vorrei tanto poterle dire che pure io ho la mia stella, una stella che ogni abitante di questo mondo ha maledetto, là, nella costellazione dell’aquila.
Ma non ancora. Lo farò al nostro ritorno al palazzo.
«No, non mi dispiace. Non la ritengo una cosa così importante», mento allora, sperando che sia davvero una delle ultime volte in cui sarò costretto a farlo.
«Ti ricordi quel giorno sul lago, accanto alla casa di Hamal?» cambia poi discorso Emma andandosi a sedere su di una grande roccia ai margini del fiume, evidentemente rotolata qui dalle montagne.
«Ti dissi che ero triste perché ero convinta che non avrei mai più potuto rivedere le stelle, così tu mi hai fatto chiudere gli occhi per mostrarmele lo stesso. Guardaci adesso, Axel: non c’è più bisogno di immaginare niente. Stavolta è tutto vero.»
«Se in quel momento qualcuno mi avesse detto come si sarebbero sviluppate le cose da lì in avanti, non ci avrei mai e poi mai creduto», ammetto andando a sedermi accanto a lei, tanto vicino che le nostre gambe incrociate si sfiorano, tanto vicino da far aumentare il ritmo del mio cuore stanco, stanco di desiderare ciò che non potrà mai avere.  È sempre stato così per me, sempre.
Volevo cose impossibili da raggiungere, soffrivo, poi incredibilmente le ottenevo davvero, ma solo per alcuni attimi fugaci prima che tutto mi si sgretolasse tra le dita, inesorabilmente.
Volevo essere un Notturno: scoprii di esserlo davvero e poi dovetti distruggere la notte con le mie stesse mani.
Volevo conoscere il mio vero padre: Deneb mi rivelò la verità e quello stesso giorno mi supplicò di ucciderlo.
Volevo che Ophrys mi perdonasse per ciò che gli avevo nascosto: lo fece, ma poco dopo morì assieme alla sua Claire.
Adesso vorrei solo poter amare Emma: anche lei vorrebbe lo stesso, ma fra poche ore sarò costretto ad allontanarla da me per sempre.
Perché, mi chiedo, la mia vita è stata maledetta in questo modo?
«Sei meno loquace del solito stasera», mi fa notare improvvisamente lei rompendo di nuovo il silenzio, facendomi rendere conto di quanto tutti questi pensieri mi stiano rovinando la possibilità di godermi appieno questo ultimo, estremo momento di felicità; cerco dunque di scacciarli al meglio che posso.
«Hai ragione, scusa, sono solo sommerso da tanti pensieri», la rassicuro tornando a concentrarmi solo su di lei, guardando i suoi lunghi e morbidi capelli tra i quali vorrei far scorrere le dita, gli occhi grandi così limpidi e luminosi, il naso lievemente all’insù e quella bocca che vorrei così tanto sentire un’ultima volta sulla mia...
E come se i miei desideri si fossero tramutati in parole, come se il suo subconscio li avesse percepiti, Emma si avvicina ancora di più per appoggiarsi a me, per posare la testa sulla mia spalla e contro il mio collo.
«Ti amo», dice poi accoccolandosi ancora di più contro di me, abbracciandomi, facendomi provare tanto di quell’amore nei suoi confronti da bloccarmi il respiro, così tanto da mettere a dura prova il mio autocontrollo.
Esistono delle cose, tuttavia, che nessuno è in grado di controllare, cose che nessun essere umano riuscirebbe mai a negarsi. Nessuno. Nemmeno io.
«Vieni qui», dico a bassa voce prima di sollevare leggermente Emma per farla sedere sulle mie gambe, prendendola tra le braccia e affondando il viso tra i suoi capelli, per respirare il suo profumo e lasciarle lievi baci sul collo.
 Sento il suo cuore battere forte contro il mio petto, sento le sue braccia circondarmi le spalle, le sue mani tra i capelli.
«Ti amo, Emma. Non sai quanto ti amo.»
Le parole fluiscono fuori dalla mia bocca senza che io trovi la forza di fermarle mentre risalgo per lasciarle un bacio anche sullo zigomo, un altro sulla fronte.
I nostri occhi allora si incontrano, vicini, senza lasciarsi andare per infiniti istanti, fino a quando non si chiudono da soli perché, senza sapere chi dei due si sia mosso per primo, ci stiamo baciando di nuovo. Un bacio dolce e lento, senza fretta, a cui dovrei oppormi, ma non lo faccio. Non posso farlo.
«Ti prego, Axel, non dire nulla. Non dire che domani me ne pentirò o altre cose così. Questa notte è ancora nostra, non roviniamola», dice Emma quando ci separiamo, svariati minuti più tardi.
E io non posso far altro che annuire e stringerla a me ancora più forte, consapevole che tra poco dovrò lasciarla andare per sempre.
Rimaniamo così per molto tempo, stretti uno all’altra, a scambiarci sussurri presto portati via dal vento della notte, carezze e altri mille baci.
Questo e nient’altro, anche se per ben più di una volta entrambi siamo stati ad un passo dal perdere definitivamente il controllo, spinti dalla necessità di perderci definitivamente uno nell’altra, ma con quel macigno che incombe davanti a noi, quella verità tanto orribile, non avrei mai potuto permettere che accadesse.
Quando il sole ricompare ad illuminare questo mondo e le nostre figure unite si adombrano, a malincuore, decidiamo che è meglio rientrare a Yakamoz.
«Andiamo, Emma, torniamo al palazzo. È il momento che tu sappia ogni cosa», trovo il coraggio di dire alzandomi in piedi, le gambe leggermente tremanti.
«D’accordo, andiamo», mi risponde lei tornando seria, consapevole che la magia di questa notte ormai è finita, consapevole che è il momento di guardare in faccia la realtà, adesso.
Pure io me ne rendo conto: al pensiero di ciò che sto per fare vorrei solo piangere.
“Coraggio, Axel, devi farlo. Forse l’amore che lei prova per te farà sì che ti perdoni, come fece anche Ophrys”, penso in preda alla disperazione e all’ansia che ha preso a invadermi lo stomaco.
“Ma anche se mi perdonasse stare insieme rimarrebbe una cosa sbagliata”, continua a macchinare la mia mente per via dell’abitudine, anche se non posso fare a meno di pensare che questa notte abbia cambiato tutto: come può essere sbagliato un legame tanto profondo? Se un sentimento così bello e potente è sbagliato, cosa c’è al mondo di corretto e giusto?
“Ti odierà, non farti illusioni”: alla fine è questa la frase che continua a rimbombarmi nella testa fino a quando non avvistiamo in lontananza le mura di Yakamoz.
Nel percorrere le strade della città noto come queste siano particolarmente deserte, tuttavia non do troppo peso alla cosa: tutti sono stati in piedi fino all’alba, l’intera città sarà sotto le coperte in questo momento.
Una strana sensazione di disagio però non mi abbandona fino al momento in cui percorriamo il vialetto antistante al portone d’ingresso del palazzo.
“Non ci sono guardie a sorvegliare l’entrata”, noto improvvisamente mentre un brivido mi scorre lungo la spina dorsale.
«È successo qualcosa, Emma, tutto questo non è normale!» dico iniziando a correre verso l’ingresso seguito a ruota da lei.
Subito spalanco le pesanti ante del portone, ma non appena vedo cosa si nasconde dietro ad esse mi rendo conto che non sarei dovuto essere così precipitoso: l’immenso atrio del palazzo è infatti gremito di guardie, sia bianche che blu, disposte a semicerchio attorno alle pareti.
Al centro della sala stanno in piedi Alhena, Jeremy e Anthemis; tutti hanno volti pallidi e tesi, forse spaventati, tuttavia è mia madre quella chiaramente più scossa: sembra essere invecchiata di anni in poche ore.
Il silenzio che si respira qui dentro è surreale, gli occhi di tutti sono puntati dritti su di me.
«Ma che diamine sta succedendo?» sbotta Emma raggiungendomi dentro l’atrio e rendendosi conto della situazione.
«Emma!» il grido di Jeremy spezza ulteriormente il silenzio: subito si getta in avanti afferrando sua sorella, trascinandola di forza lontano da me tra i suoi lamenti di protesta.
«Jeremy, ma che fai?! Cosa sta succedendo?! Lasciami andare subito!» grida Emma fino a quando suo fratello non riesce a tirarla a distanza di sicurezza per poi abbracciarla.
«Emma, grazie al cielo stai bene... Emma, non sai quanto mi dispiace, ti prego, devi essere forte», le dice lui, tremante, senza avere il coraggio di rivelarle la verità, quella verità che avrei dovuto dirle io stesso molto, moto tempo fa. Ora è troppo tardi.
“Per me è la fine, lo hanno capito da soli”, è l’ultima cosa che riesco a pensare prima che due guardie del giorno protendano le mani verso di me: senza che io abbia il tempo di reagire da esse scaturiscono all’istante lunghi filamenti spessi e luminosi che si avvolgono attorno al mio corpo in poche frazioni di secondo, immobilizzandomi e facendomi cadere a terra dopo avermi fatto sbattere dolorosamente contro le ante del portone, nel frattempo richiuse da altre guardie.
L’impatto è talmente forte da farmi perdere lucidità per alcuni secondi: solamente quando riesco a riprendermi sento le grida di Emma che chiede spiegazioni, che ordina vanamente di lasciarmi andare. E l’unica cosa che riesco a pensare, con dolore, è che fra poco lei verrà a conoscenza di chi sono davvero non dalla mia bocca come avrei voluto, ma da coloro che mi dipingeranno come una sorta di demone senza sapere niente. Ho paura anche per me stesso, certo, molta di più di quanto non pensassi all’inizio: per quanto ci si possa preparare psicologicamente alla morte, non si è mai veramente pronti per essa, anche se la vita che si è avuta è stata la più miserabile che si possa immaginare. Adesso lo so.
Uno strattone improvviso mi coglie di sorpresa: due guardie mi hanno afferrato brutalmente e tirato in ginocchio, un pugnale pronto sulla mia gola.
Nonostante la testa che pulsa dal dolore mi costringo ad aprire gli occhi: Jeremy sta tenendo ferma Emma, che cerca di divincolarsi dalla sua presa chiedendo spiegazioni che non arrivano, mentre Alhena e Anthemis incombono su di me.
 È la Guardiana della Notte a parlarmi per prima, afferrandomi i capelli per farmi sollevare lo sguardo su di lei.
«E così, per tutto questo tempo, sei stato vivo. Puoi pure sciogliere l’incantesimo che ti tiene nascosto, tanto ormai sappiamo la verità; la festa è finita, Altair», dice con voce impastata di disgusto, la bocca contratta in una smorfia di odio puro, un odio che cova per me da ben prima che io distruggessi i Nuclei.
«Ma Alhena, cosa stai dicendo?!» sbotta Emma gridando.
«Quello è Axel, non Altair! Altair è morto! Ma cosa vi prende a tutti quanti?!» continua imperterrita a difendermi, invasata e rossa in viso, continuando a divincolarsi.
«Emma...» dico debolmente, stremato dal dolore alla testa, dalla paura e dalle parole che sto per pronunciare.
«Calmati, ti prego. Hanno ragione loro, è questa la verità che ti tenevo nascosta. Io sono Altair», dico dopo qualche attimo di esitazione, lasciando contemporaneamente scivolare via dal mio viso l’illusione che mi teneva nascosto a tutti fuorché ai gemelli. 
L’intera sala immediatamente si riempie di grida di sorpresa, forse di paura, non saprei dire con esattezza.
Anche Anthemis emette un gemito portandosi le mani alla bocca per non gridare, gli occhi verde-azzurri pieni di lacrime, il volto talmente pallido da sembrare di porcellana.
Emma invece è crollata in ginocchio, senza emettere un fiato, senza divincolarsi e gridare più: i lunghi capelli biondi le sono ricaduti sul viso, ma lei non muove un dito per spostarseli da lì. Se ne sta semplicemente immobile, sorretta da Jeremy, gli occhi persi e vacui puntati su di me, come se non mi riconoscesse più.
«Portatelo via», ordina allora Alhena freddamente, ma mentre le guardie iniziano a strattonarmi trovo ancora il coraggio di parlare, di cercare di difendermi, un ultimo ed estremo tentativo.
«Emma, io posso spiegare ogni cosa! C’è un motivo, c’è un motivo se ho fatto ciò che ho fatto! Vi prego, lasciatemi spiegare! Non ho mai ucciso Ophrys e Claire, mi sarei tagliato la gola da solo piuttosto che fare una cosa del genere! Mamma, tu lo sai questo! Tutto il resto lo posso spiegare! Se fossi malvagio come credete, perché vi avrei aiutati a ricreare i Nuclei?!» ma nessuno nel grande atrio è ormai più disposto ad ascoltarmi. Potrei fornire loro tutte le ragioni, potrei raccontare loro tutta la storia, ma tutti continuerebbero a sentire quella a cui hanno creduto per diciassette anni.   
«Emma, ti prego...» faccio un ultimo tentativo prima di essere trascinato fuori dal grande atrio.
«Io mi fidavo di te, mi fidavo più di te che di me stessa...» è tuttavia l’unica cosa che sussurra lei, il tono freddo e distaccato di chi è appena stato distrutto.
Parole pronunciate sommessamente, certo, ma che mi cadono addosso come la più potente delle bombe. Per la seconda volta nella mia vita.    
 

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Capitolo 37
*** Chiudere il cerchio ***


Emma
 
Un giorno mi avresti odiato se lo avessi lasciato succedere”, mi disse un tempo Altair, un tempo che ora mi sembra così lontano da stentare di credere che sia esistito davvero.
“Non potrei mai odiarti”, gli avevo risposto io, completamente offuscata dal sentimento che provavo per lui.
“Sì invece, lo faresti eccome.”
“Me ne assumo la responsabilità allora. Non potrò dire di non essere stata avvisata.”
Quanto stupida, quando infantile ero stata in quel momento... Solo adesso me ne rendo conto.
È sbagliato, Emma! Sbagliato!” da ore ormai la voce del ragazzo che amavo mi rimbomba nella testa, facendomi ricordare di tutte quelle volte in cui ero stata messa in guardia, ma che non avevo voluto ascoltare.
“Non può essere vero, non può esserlo: fra poco mi sveglierò nel mio letto, sì, fra poco mi sveglierò. È tutto un incubo, deve esserlo”, cerco di scacciare quelle voci ripetendo queste parole come un mantra, fissando il vuoto.
Vuoto. È Questo che sento dentro di me, solo vuoto.
Mi sento rotta, spezzata, dentro di me qualcosa si è infranto per sempre e so, so che mai potrà più essere riaggiustato: una ferita del genere, così profonda, io non l’avevo mai ricevuta prima.
Mi sento così sciocca, mi sento così ingenua... Ho porto io stessa la lama a quelle mani che mi hanno sventrato il cuore, forse l’anima intera.
“Io gli ho dato il coltello, certo, ma lui non si è fatto scrupoli ad usarlo”, penso mentre l’ennesima ondata di lacrime mi preme sugli occhi chiedendo di uscire, ma anche se quelli mi fanno un male cane, come anche la gola stretta da un nodo infernale, non permetto loro di sgorgare fuori.
Non piangerò per lui, non piangerò per l’assassino dei miei genitori, per una persona che ha ucciso entrambi i suoi padri a sangue freddo e che ha consapevolmente portato alla rovina il suo stesso mondo.
Se solo penso a noi che... che quasi... Dio, mi sento così sporca, così usata, così stupida. Come potrò mai riprendermi da un colpo simile?
Semplice, non lo farò. Non sarò mai più la Emma di prima, quella ragazza è stata distrutta assieme all’immagine che mi ero costruita di Axel, un’immagine che non ha mai corrisposto a verità, un simulacro che si è crepato fino ad andare in frantumi in un secondo quando lui ha confermato tutto: Hanno ragione loro, è questa la verità che ti tenevo nascosta. Io sono Altair.”
«Emma, ci stai ascoltando?» una voce dolce e piena di comprensione riesce a riscuotermi, facendomi così tornare a sentire il ticchettio della pioggia contro il vetro della cupola della biblioteca.
“Oggi fa dannatamente freddo”, penso mentre l’ennesimo tremore mi invade il corpo.
O forse il gelo che sento proviene da dentro di me, non da fuori. Sì, è più probabile che sia così.
«Perdonami Anthemis, ero distratta», dico allora incrociando gli occhi della Guardiana, stanchi e tesi quanto i miei; dopotutto l’essere rinchiuso nelle celle del Palazzo della Notte è suo figlio, o almeno lei lo ha sempre considerato tale, quel figlio che credeva morto e che ora è tornato in vita, quel figlio che ha assassinato tanto suo marito quanto il suo figlio naturale, disintegrando la sua famiglia.  Cosa starà provando nei confronti di Axel, in questo momento? E cosa sto provando io?
«Emma, sappiamo quanto sia dura per te, ma devi reagire, non puoi continuare a non mangiare, a non parlare... Anche io sono stravolta, ti capisco nipotina mia, però adesso dobbiamo riprenderci», insiste Anthemis circondandomi le spalle con le sue braccia.
A questo punto per me è impossibile trattenermi ancora: un singhiozzo mi sfugge dalle labbra mentre lacrime calde iniziano a scorrermi giù per le guance.
«Cosa succederà adesso?» chiede Jeremy mentre io do finalmente sfogo a quella bestia di dolore che mi porto dentro da giorni.
«Vogliono la sua testa, in entrambe le città», afferma Alhena, seria, appoggiata ad uno degli scaffali ricolmi di libri della biblioteca. 
«Le guardie faticano a tenere la folla lontana dalle porte del palazzo: vogliono fare a pezzi Altair con le loro stesse mani. Io sarei ben propensa ad accontentarli, devo essere sincera, ma dobbiamo decidere insieme il da farsi. Anthemis, nonostante tutte le atrocità che ha commesso, quello è tuo figlio: secondo me sei tu che devi avere l’ultima parola.»
A questo discorso, nonostante tutto, mi sento raggelare.
La diretta interessata invece, che nonostante la sua sofferenza sta ancora sostenendo e cercando di consolare la mia, impallidisce ancora di più mentre due profonde rughe le si disegnano sulla fronte.
«Se lo giustiziassimo, in che modo saremmo migliori di lui?» afferma poi cercando di tenere salda la voce.
«Questa è la mia idea, però sono anche consapevole di essere troppo implicata nella cosa per poter prendere una decisione davvero giusta. Nonostante ciò che ha fatto non potrei mai dare io stessa l’ordine di... di far ammazzare mio figlio, il mio primo figlio, anche se questa fosse la cosa giusta da fare», conclude la Guardiana del Giorno, provata come non mai.
«No, Anthemis, hai ragione», intervengo io cercando di riprendere il controllo.
«Se lo ammazzassimo ci porremmo al suo stesso livello.»
«Altair ha pugnalato i nostri genitori, ti rendi conto di questo, vero? Non stiamo parlando di giustiziare Axel, ma Altair. Axel è già morto, anzi, non è mai esistito», mi fa notare allora Jeremy.
«Ne sono perfettamente consapevole!» gli rispondo io, freddamente.
«Non sono stupida a tal punto da pensare che sia stato tutto un enorme malinteso e che Axel in realtà sia buono e da perdonare! Lo amavo, questo è vero, ma amavo qualcuno che esisteva solo nella mia mente. Quello che voglio dire è che prima di compiere un’azione tanto brutta e definitiva come quella di cui si sta parlando, quell’azione che in gran parte del Mondo di Fuori è già stata abolita, dobbiamo essere certi di ogni singola cosa. Pensateci un attimo: Axel davvero ci ha aiutati a ricreare i Nuclei, anzi, senza di lui noi saremmo morti per mano dei Custodi dell’Eternità e ogni speranza sarebbe stata distrutta per sempre. Dobbiamo chiarire il perché lo abbia fatto: magari faceva tutto parte di un piano ancora più malvagio del precedente, ma può essere anche che volesse davvero rimediare ai suoi errori. Se fosse così, Altair va punito, certo, ma non ammazzato», dico attingendo la forza per farlo da chissà dove.
«I nostri genitori...» insiste però Jeremy.
«Altair ha ammesso di non averli mai uccisi. Forse le cose sono andate davvero diversamente da come abbiamo sempre pensato», interviene Anthemis.
«So di non aver mai capito molte cose su mio figlio: non mi sono mai accorta che non fosse un mezzosangue, non mi sono mai accorta che per quattro anni nel suo letto ci ha dormito davvero poco... Ma una cosa la so per certa: Altair e Ophrys si volevano bene. Quell’affetto che chiunque poteva vedere esserci tra di loro non può essere una bugia.»
«Ma vi state ascoltando?! È di Altair che stiamo parlando! Di Altair!» sbotta Alhena alla fine del discorso, iniziando seriamente ad alterarsi.
E tutti rimaniamo in silenzio, incapaci di trovare qualcos’altro da dire.
«In questo mondo non c’è nulla che possa assomigliare ad un processo?» chiede alla fine Jeremy.
La pioggia nel frattempo si è fatta sempre più forte, tanto che a guardare in alto, verso la cupola, sembra di essere sott’acqua.  
«In genere è il Guardiano a dover giudicare i reati compiuti dalla sua Gente, ma quando il caso è particolarmente grave e delicato si può ricorrere a una giuria composta da membri sorteggiati della Gente in questione», ammette Alhena.
«Allora è fatta», continua mio fratello.
«Convocate due giurie, una per la Gente del Giorno e una per la Gente della Notte: lasciate decidere loro cosa farne di Altair. In fin dei conti lui ha fatto del male ad ogni singolo abitante di questo mondo: è giusto che sia il popolo a giudicarlo. Inoltre, in questo modo, nessuno potrà dire che il giudizio sarà stato incorretto per via del legame di Altair con Anthemis ed Emma. E anche con te, Alhena: Axel è pur sempre tuo cugino, anche se in molti non lo sanno ancora.»
«Cosa ti dicevo, Jeremy? Un giorno sarai un ottimo Guardiano», afferma Alhena dopo averci riflettuto per un po’, annuendo, evidentemente d’accordo con la sua proposta.
«Senza dubbio», conferma anche Anthemis, accettando con un cenno.
«Coraggio, abbiamo del lavoro da fare.»
 
***
 
La pioggia ha appena smesso di cadere quando io e Jeremy compariamo sulla Lunga Strada per la prima volta dopo il giorno del nostro arrivo in questo mondo.
Il posto in cui persi Jeremy, il posto in cui vidi Axel per la prima volta.
“No, non Axel. Altair”, mi costringo a pensare.
Le grosse nuvole scure che fino a poco fa invadevano completamente il cielo si stanno aprendo per lasciare posto all’azzurro e ai raggi del sole, i quali fanno sembrare l’ombra che mi circonda ancora più compatta. La foresta attorno a noi è ancora umida: grosse gocce d’acqua cadono dai rami fino al terreno molle e coperto da muschio.
Stiamo tornando a casa, dai nonni; le Guardiane infatti hanno pensato che per noi sarebbe stato utile allontanarci per un po’, almeno finché i preparativi per il processo non saranno completati.    
«So che chiedertelo è stupido, però... Come stai?» dice mio fratello, preoccupato, mentre ci avviamo verso il grande arco di pietra all’inizio della strada.
«Non è stupido, Jeremy, anzi, ti ringrazio di preoccuparti così per me; però non sto bene, questo penso sia chiaro: ciò che è successo è stato destabilizzante. Io provavo un sentimento così grande nei suoi confronti... E ora l’odio che provo è altrettanto grande. Odio per avermi mentito, odio per avermi usata per tutto questo tempo. Poi però ripenso a tutto quello che abbiamo passato, a quanto in fin dei conti lui ci abbia aiutati, e mi sembra talmente impossibile che fosse tutto una recita... Ma lo era, lo era, e questo è duro da accettare», cerco di spiegare il mio stato d’animo attuale.
«Lo so, Emma, lo so, e non sai quanto mi dispiace. Lo sapevo che non dovevamo fidarci, sentivo che c’era qualcosa che non andava, ma non ho voluto dare ascolto al mio giudizio iniziale. Avrei dovuto proteggerti meglio.»
«Non dire così, non c’era niente che tu potessi fare! Tu provavi sempre a mettermi in guardia, ma io ero cieca e sorda, non volevo stare a sentire nessuno.»
«Siamo stati tutti ciechi e sordi, non solo tu, Emma. Ma ora è finita», conclude il mio gemello proprio nel momento in cui, per la seconda volta nella nostra vita, passiamo sotto all’arco di pietra rituffandoci nell’ultimo tatto di foresta che ci divide dall’Arcata.
Ora che i nostri elementi sono stati sbloccati non dovremmo avere problemi ad oltrepassarla.  
Ed eccola comparire di fronte a noi, alta ed imponente, con i suoi scuri alberi spogli e nodosi collegati uno all’altro, lunga a perdita d’occhio; dall’altra parte, la foresta di Boundary: simile e allo stesso tempo così diversa da quella in cui ci troviamo adesso. Il Mondo di Fuori.
Così, ripensando alla persona che ero quando giunsi qui più di un mese fa, una ragazzina che non sapeva niente sulla propria storia, e ciò che sono diventata adesso, compio gli ultimi passi che mi dividono dal luogo in cui ho vissuto per diciassette anni.
Nell’attimo stesso in cui passo tra due dei grandi tronchi, un lampo sembra invadere tutto il mio campo visivo: un secondo dopo sono dall’altra parte con Jeremy al mio fianco.
È strano, improvvisamente infatti inizio a sentirmi a disagio, inquieta, come se la mia anima percepisse che luogo in cui sono giunta non è più quello a cui appartengo.
Guardandoci intorno per essere certi che non ci sia nessuno, senza dire niente, io e Jeremy riprendiamo a camminare.
Al pensiero che tra pochissimo rivedremo nonna Ada e nonno James un lieve sorriso, il primo da giorni, riesce a conquistarsi un posto sulle mie labbra.
Inconsapevolmente mi porto una mano al petto per afferrare il ciondolo con il ritratto di Jeremy regalatomi dai nonni quella sera che sembra ormai appartenere ad un'altra epoca: quante volte l’ho stretto tra le mani, quante volte l’ho guardato quando avevo perso Jeremy e non sapevo se l’avrei più rivisto? E poi, quando lui è tornato sano e salvo al mio fianco, lo guardavo e toccavo ugualmente per ricordarmi di loro, di coloro che mi hanno cresciuta facendomi diventare quella che sono adesso.
Non vedo l’ora di riabbracciarli.
 
***
 
Il muretto di pietra sul retro della casa appare improvvisamente alla nostra vista, così acceleriamo il passo per raggiungerlo il più in fretta possibile, con il cuore che batte forte. La porta che avevamo oltrepassato quel giorno con il nonno è davanti a noi: loro l’hanno lasciata aperta. Ci stanno spettando davvero.
Io e Jeremy ci sorridiamo, poi entriamo nel giardino, e in un attimo siamo davanti alla porta d’ingresso della grande casa.
Prima di riuscire a sollevare una mano per bussare, però, quella si spalanca di colpo:
«Siete tornati... Siete tornati davvero», dice nonno James sorridendo, le lacrime che gli arrossiscono i profondi occhi grigi.  
L’attimo dopo lo stiamo abbracciando, stringendolo forte, con una gioia autentica nel cuore.
«Ce l’abbiamo fatta, nonno!  Sappiamo finalmente ogni cosa e anche il nostro destino è compiuto: adesso capiamo perché non ci avete mai potuto dire nulla», dice Jeremy un attimo prima che un grande baccano di ceramica in frantumi riempia la stanza.
Nonna Ada, entrando nella sala d’ingresso e vedendoci, ha lasciato cadere a terra la teglia che aveva tra le mani, cacciando un urlo e correndo da noi.
Ha un aspetto così stanco ed emaciato... Ma la forza con cui ci stringe è la stessa di un tempo, così come il suo grande sorriso.
«Emma, Jeremy... Amori miei, siete qui, siete qui! Ero convinta che la foresta avesse ucciso anche voi, come uccise Claire! Credevo che vi avesse portati via per sempre!»
«Non è stata la foresta ad uccidere la mamma, nonna. Ma di questo ci sarà tempo per parlare», affermo io mentre i suoi occhi prendono a scorrere su di me.
«La stessa ombra che circondava Claire... Dunque, ormai, anche voi appartenete a quel posto», constata lei, tornando per un attimo ad incupirsi.
«Siamo sempre appartenuti a quel mondo, nonna, solo che prima non lo sapevamo. Diventare uguali alle persone che abitano là era l’unico modo per salvare quella terra, ma noi lo avremmo fatto anche a prescindere da questo», dice Jeremy.
«Ma voi non dovete preoccuparvi di questo», aggiungo io.
«Anche se la nostra vita è laggiù, per voi ci saremo sempre. Non ci perderete come avete perso la mamma.»
«Lo sappiamo, ragazzi, va bene così», dice il nonno annuendo, capendo ogni cosa.      
«Adesso però raccontateci tutto, cos’è successo davvero?»
«Per questo ci vorrà un po’di tempo, sarà meglio sederci», gli risponde mio fratello lanciandomi un’occhiata preoccupata.
“Cosa vuoi che dica su di te ed Axel?” questo vuole chiedermi Jeremy in silenzio: non mi servono parole per capirlo, così come non servono a lui per afferrare la mia risposta.
 
***
 
Quando ci accomodiamo in salotto sono io a parlare per prima.
«Nonno, nonna, prima di cominciare vorremmo sapere da voi una cosa: raccontateci esattamente cosa accadde il giorno in cui vi fummo consegnati. Solo voi possedete questo tassello del puzzle, uno degli ultimi che ci mancano, tra l’altro.»
«Partiamo pure dal principio, Emma, non devono più esserci segreti tra di noi», mi risponde la nonna.
«Claire aveva vent’anni quando scomparve nel nulla. Quel giorno stavo tornando a casa dopo l’inaugurazione della mia nuova mostra a York, tranquilla e felice, convinta che presto avrei aperto la porta di casa e avrei trovato mia figlia e mio marito seduti in cucina ad aspettarmi, come accadeva spesso. Quando arrivai, però, al tavolo era seduto solo James, con le mani tra i capelli», inizia a raccontare lei guardando il nonno, che continua il racconto.
«Ero tornato a casa da poco anche io dopo aver chiuso lo studio medico in cui lavoravo. Mi bastò uno sguardo per capire che qualcosa non andava: la casa infatti era vuota e buia. Il giorno prima Claire mi aveva detto che l’indomani sarebbe rimasta in casa tutto il pomeriggio, dunque la cosa mi sembrò strana. La cercai ovunque, senza trovarla da nessuna parte. Controllando in giardino, però, mi accorsi che la porta che dava sul bosco era aperta: immaginai che Claire fosse andata a fare una passeggiata, dunque un po’più tranquillo rientrai in casa per aspettarla. Il tempo però passava, si fece buio, e lei ancora non tornava. Stavo per uscire a cercarla nel bosco quando entrò Ada.»
«Uscimmo nel bosco con delle torce, cercammo per ore, ma non trovammo niente», riprende la nonna, il tono più triste che mai.
«Andammo dalla polizia quella sera stessa, pieni di paura, ma lì ci dissero che dovevano passare almeno quarantotto ore dalla presunta scomparsa prima di poter fare qualunque cosa.  Quella fu la notte peggiore. Svegli, abbracciati, in attesa. Quando sentimmo bussare alla porta, il mattino successivo, per poco il cuore non ci schizzava fuori dal petto; corremmo ad aprire, ma dall’altra parte non c’era la nostra Claire.»
«C’era invece un ragazzo dai capelli scuri e gli occhi azzurri, i vestiti tutti bianchi e decisamente fuori moda», interviene ancora il nonno.
«“Mi chiamo Aaron”, ci disse. “Non dovete preoccuparvi, Claire sta bene ed è al sicuro, ma non può tornare a casa.” Giuro, stavo per prenderlo a pugni dalla rabbia, ma lui, prima che potessi muovermi, estrasse una lettera e ce la porse; la calligrafia era inconfondibile, era quella di nostra figlia. Ci scriveva di fidarci di quel ragazzo, che ci voleva bene, che non sarebbe mai sparita così volontariamente, di non avvertire la polizia e di stare ad ascoltare la storia che ci avrebbe raccontato Aaron. Di nostra figlia ci fidavamo, così lo facemmo entrare in casa. Quello ci parlò di quest’ altro mondo in cui tutti potevano entrare, ma da cui solo chi vi apparteneva totalmente poteva uscire; ci parlò di due città, ci parlò del potere del giorno e della notte e ci promise che se Claire lo avesse voluto, un giorno, sarebbe potuta tornare da noi. Quando se ne andò credevamo di aver sognato tutto, ma non potevamo di certo aver sognato la stessa cosa entrambi. Così, disperati, aspettammo.»   
«Aspettammo un anno», continua nonna Ada con voce nuovamente spezzata.
«Aaron veniva spesso a tenerci informati, a portarci lettere di Claire, ma più il tempo passava più noi diventavamo diffidenti e spaventati: iniziammo a pensare che nostra figlia fosse prigioniera da qualche parte e che fosse costretta a scriverci quelle lettere rassicuranti. Stavamo per tornare dalla polizia quando Aaron arrivò per l’ennesima volta affermando che lui e Claire avevano intenzione di sposarsi: portava con sé un tesoro prezioso, quello che ci convinse definitivamente. “Non potrei mostrarvi la magia del giorno, se la mia Gente lo scoprisse mi lincerebbe e mio padre mi diserederebbe. Ma me lo ha chiesto Claire, dunque...” disse, poi dalle sue mani prese vita una sostanza simile a del fumo bianco e luminoso: fluttuò in aria fino a prendere la forma di un’immagine, l’immagine di Claire. Quasi ci si fermò il cuore quando quella prese poi a muoversi: era una sorta di video, ma proiettato direttamente nell’etere. L’immagine di nostra figlia sembrava davvero felice mentre affermava che presto sarebbe tornata a trovarci assieme ad Aaron, l’amore della sua vita, così lo chiamava. Effettivamente, qualche mese più tardi, Claire finalmente tornò davvero e ci raccontò tutto, ormai però lei apparteneva anima e corpo a quel posto e noi ce ne rendevamo conto perfettamente: la foresta di Boundary ce l’aveva portata via per sempre, così come ha fatto con voi.»
«Nonna, torneremo spessissimo a trovarvi, lo sai questo», cerco di giustificarmi, soffrendo per il fatto di arrecare ancora dolore alla nonna.
«Oh, anche Claire tornò a trovarci spesso i nove mesi successivi, durante la gravidanza. Ad un certo punto, però, non tornò più. Mai più», mi risponde lei, seria.
«Aaron e Claire non si facevano vedere da un po’, ormai», riprende il nonno dal momento che la nonna si è ammutolita.
«Sapevamo che le tensioni tra le due città erano forti, Claire ci aveva informati della situazione, ma non eravamo minimamente preparati a quello che stava per succedere. Il dieci agosto del 1998 sentimmo bussare alla porta. Era Aaron. Aveva due bambini tra le braccia, il volto stravolto, il corpo scosso da violenti spasmi e singhiozzi.
“Claire”, disse soltanto, e noi capimmo ogni cosa. Nonostante questo lui si sforzò a spiegare, disperato: “I bambini, prendeteli, sono i vostri nipoti, Adhara e Jasione, nati il ventidue giugno. C’è una battaglia in corso, Claire è stata ammazzata mentre venivamo qui: io devo tornare indietro, ma se sopravvivrò verrò a prendere i miei figli. Soltanto la morte potrà impedirmi di tornare. Se non mi vedrete più, cresceteli voi, dite loro che mamma e papà li amavano tanto. Quando saranno pronti fate in modo che scoprano da soli la verità, fateli tornare nel loro mondo: solo loro potranno salvarlo. Solo loro potranno far tornare la notte, il giorno e il tempo. Giuratelo! Giurate che li rimanderete oltre l’Arcata! Se non lo farete, Claire sarà morta invano.” Così giurammo e Aaron sparì per sempre. Il resto della storia lo conoscete già.»
 
***
 
Si è fatta sera. Ci sono volute ore per raccontare ai nonni tutto quanto, o meglio, quasi tutto: non ho voluto che Jeremy parlasse anche della mia storia con Axel, per cui in alcuni punti mio fratello ha lievemente piegato la verità per tenere fuori qualunque riferimento di questo tipo.
Il grosso del racconto l’ha fatto Jeremy, io sono intervenuta a dire qualcosa solo di tanto in tanto; non mi andava di né di parlare né di raccontare, in verità, né tantomeno di dover rivivere ogni cosa, ogni singolo ricordo.
Dopo la lunga chiacchierata sono uscita a prendere una boccata d’aria e presto mi sono ritrovata seduta nell’erba, appoggiata al tronco di uno dei grandi alberi del giardino, accanto all’orto che in questo mese e mezzo il nonno ha riportato in vita.
Nel silenzio della sera sollevo lo sguardo verso il cielo che comincia a coprirsi di stelle, visibili tra le fronde dell’albero, mentre un corvo vola gracchiando sopra di me.
Sospiro e chiudo gli occhi cercando invano di svuotare la mente, cercando di cacciare via l’immagine di quei dannati occhi dorati, ma non ce la faccio.
Improvvisamente mi ritrovo a pensare a ciò che di nuovo sappiamo grazie al racconto dei nonni: prima eravamo convinti che la mamma e il papà giunsero qui insieme per affidarci ai nonni e che fossero stati uccisi nello stesso momento al loro rientro nel Mondo oltre l’Arcata; adesso invece sappiamo che nostra madre fu uccisa prima e che nostro padre compì l’ultimo tratto di strada da solo, per poi tornare indietro ed essere ucciso a sua volta. Se morirono in due momenti diversi è davvero possibile che fu Axel l’assassino? E di chi era il corpo a cui Altair diede le sue sembianze prima di fuggire?
«Allora, Emma, me lo dici cosa c’è che non va?» mi sorprende la voce della nonna, la quale mi ha appena raggiunta e si è seduta con un po’ di fatica accanto a me.
«Va tutto bene, nonna, non preoccuparti; il mio sogno si è finalmente avverato, sono felice, davvero», mento spudoratamente per evitare di spargere ulteriore preoccupazione tra le persone a cui voglio bene.
«So riconoscere gli occhi di una persona dal cuore spezzato, ragazza mia. Ci sono passata anche io, tanto tanto tempo fa.»
Le sue parole mi fanno sbarrare gli occhi dalla sorpresa: è davvero così evidente?
«Jeremy non mi ha detto niente, lui non c’entra, ma pensi davvero che non mi sia accorta della tua espressione mentre tuo fratello ci parlava di questo Axel? O Altair che dir si voglia?» continua lei.
«Nonna, io...» balbetto trovandomi improvvisamente scoperta e senza difese di alcun tipo.
«Non devi giustificarti di niente, Emma: quella che ti è successa è la cosa più naturale del mondo, capita a tutti prima o poi. Delle volte va bene, altre va male, ma in ogni caso non bisogna mai pentirsi di ciò che si è provato di buono per una persona, anche se questa ci ha pugnalato, tradito, ferito. Non pentirti mai di aver amato, Emma.»
«Ma nonna...  È dell’assassino dei miei genitori che stiamo parlando! Come posso non pentirmi di aver provato del bene nei suoi confronti?»
«Io non so se questo Altair abbia effettivamente ucciso Deneb e Corylus e se abbia effettivamente distrutto quelle sfere, ma una cosa la so per certa: non fu lui ad uccidere mia figlia e mio genero», afferma con sicurezza facendomi sollevare di scatto la schiena dal tronco dell’albero.      
«Come puoi dire questo? Spiegati, ti prego!» la supplico afferrandole le mani.
«Tuo nonno non si è ricordato esattamente le ultime parole che pronunciò tuo padre prima di correre via per l’ultima volta, ma io le ricordo bene, io le ricordo perfettamente. Non disse semplicemente: “Devo tornare indietro”, disse: “Devo tornare indietro ad aiutare mio fratello”. Dimmi, che senso avrebbero avuto tali parole se il fratello in questione avesse ucciso Claire qualche minuto prima?»  
«D’accordo, questo forse può provare che non fu Altair ad uccidere mamma e papà, ma fu comunque lui a compiere tutto il resto...»
«Ma se queste altre cose fossero state compiute per pura malvagità, perché Aaron avrebbe rischiato la sua stessa vita per aiutarlo a portarle a termine? Il male ha sempre una motivazione, Emma, il male non ha mai come ultimo fine sé stesso, questo ricordalo sempre.»
«Vuoi dire che Axel distrusse i Nuclei e uccise Deneb e Corylus per un motivo ben preciso? E che mio padre e magari anche mia madre ne fossero al corrente? Che fosse tutto un piano?»
«Io credo di sì, Emma. Adesso però dovete scoprire quale fosse questo motivo, se fu un motivo valido oppure no, prima che sia troppo tardi.»
«Il processo si terrà tra più di una settimana...»
«Tornate indietro il prima possibile, non si sa mai. Dovete chiudere il cerchio.»  
Allora io annuisco, scossa e in agitazione più che mai: quello che dice la nonna infatti ha senso, tutto tornerebbe così.
Io, Jeremy e le Guardiane abbiamo già dimostrato che i nostri genitori e Deneb erano a conoscenza delle intenzioni di Altair, ma non abbiamo mai capito il perché non lo avessero fermato: e se fossero davvero stati tutti d’accordo? Se sotto ci fosse qualcosa di più grande? Di molto più grande? Ecco perché Deneb promise ad Altair il trono il giorno stesso della battaglia, ecco perché era lui ad avere tra le mani lo scrigno, ecco perché Axel ci ha aiutati a riportare tutto alla normalità.
Se la motivazione sotto a tutto fosse buona e valida, ciò significherebbe che Altair non ha mai tradito tutto il suo mondo, ciò significherebbe che Axel non è un mostro.
Dobbiamo tornare indietro. Subito.

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Capitolo 38
*** A morte ***


Jeremy
 
«No, Emma, mi dispiace. Non posso credere al fatto che mamma e papà fossero d’accordo con quel pazzo: è assolutamente fuori discussione! Questi sono solo scherzi che ti gioca la mente per difendersi dal dolore!»
«È stata la nonna ad aprirmi gli occhi, io non mi sono inventata nulla! Ma mi stai ascoltando? Jeremy, dobbiamo tornare a Yakamoz, dobbiamo scoprire la verità prima del processo!» insiste per la milionesima volta mia sorella.
«Quelle parole di nostro padre sul fatto di dover tornare indietro ad aiutare Altair potevano voler dire qualunque cosa, non provano niente!» ribatto io cercando di mantenermi lucido, ma ormai le mie certezze stanno crollando sotto il peso delle parole di Emma.
«Papà sapeva che Axel avrebbe distrutto i Nuclei, questo è certo! Dunque la sua affermazione non può voler dire altro: cancellare il giorno e la notte era necessario a causa di una qualche ragione che dobbiamo scoprire! L’unica alternativa è che mamma e papà fossero complici della malvagità di Altair, cosa che escludo a prescindere!» dice.
«Puoi per favore smetterla di considerare ancora Altair ed Axel come due entità distinte?!» sbotto improvvisamente, irritato e agitato per le novità emerse questa sera, novità che potrebbero cambiare tutte le carte in tavola. Di nuovo.
Nonostante le mie resistenze in fondo so che Emma ha ragione: se quello che ci ha riferito la nonna è vero dobbiamo assolutamente indagare per capire cosa accadde veramente: è nostro dovere farlo.
Solo quell’ultimo tassello ci dirà chi fossero davvero Ophrys e Claire. E anche Altair.
«Hai ragione, scusa», dice Emma smorzando tutta la carica che aveva caratterizzato il suo ruolo in questa nostra discussione fino ad ora, spegnendosi di colpo.
«Scusami tu, Emma», dico infine sospirando.
«Hai ragione, dobbiamo tornare indietro, ma tu non riaccendere vane speranze nel tuo cuore, d’accordo? Non c’è ancora nulla di scritto.»
«Credimi, Jeremy, non lo voglio fare perché tra me ed Axel le cose tornino come prima: anche se davvero un motivo valido c’era, questo non toglie che lui mi abbia mentito per tutto il tempo. Un vaso rotto rimane rotto, aggiustarlo vorrebbe dire ritrovarsi con un fragilissimo contenitore tra le mani, il che non è proprio ciò di cui ho bisogno io. Voglio solo la verità, la voglio per mamma e papà, la voglio perché una persona sia giudicata in maniera giusta, avendo tutte le informazioni necessarie per poterlo fare. Solo questo», afferma lei, forse cercando di convincere più sé stessa che me.
«Certo, è come dici tu», decido di darle corda.  
«Domani mattina allora torneremo a Yakamoz», concludo sporgendomi verso il comodino per spegnere l’abat-jour che rischiara la nostra camera; per fortuna l’alone luminoso che mi circonda sembra non disturbare Emma che, dopo avermi dato la buonanotte, si gira su di un fianco nel letto dall’altra parte della stanza per provare a dormire. Dubito che stanotte qualcuno di noi ci riuscirà.
 
***
 
La mattina seguente veniamo svegliati dal rumore di un cellulare che squilla; io ed Emma ci tiriamo a sedere ancora assonati, scambiandoci un’occhiata stranita nella pallida luce del primo mattino.
Poi improvvisamente ricordo: ieri sera per curiosità ho messo a caricare il mio telefono, che ora deve essersi acceso; mi affretto dunque ad afferrarlo, ma ormai chiunque mi stesse chiamando ha desistito.
Per la prima volta dopo un mese allora faccio scorrere le dita sullo schermo, un gesto che un tempo per me era estremamente naturale, mentre ora lo sento come un qualcosa di estraneo, un qualcosa che non vorrei mai più tornare a fare centinaia di volte al giorno.
“Perché diavolo lo usavo così tanto?” penso un attimo prima che centinaia di notifiche appaiano sullo schermo, sia tra le chiamate perse che tra i messaggi; dovevamo aspettarcelo... Anne ed Ezra hanno insistito nel provare a contattarci ogni singolo giorno dalla nostra partenza.
Un moto di tristezza mi invade il petto nel pensare a loro... Chissà cosa avranno pensato di noi in questo mese.
«Allora, chi era?» mi chiede Emma dal momento che sto fissando da parecchi secondi la sfilza di messaggi pieni di richieste di spiegazioni alla nostra sparizione.
«Ezra... Lui ed Anne hanno provato a contattarci in tutti i modi durante il nostro “viaggio”» le spiego.
«I nostri unici amici... Cosa facciamo, Jeremy? A questo punto è ovvio che noi non torneremo a Wells, non possiamo farlo, così come non possiamo dire loro la verità, ma non sarebbe neanche giusto sparire così, non se lo meritano!» afferma lei alzandosi e venendosi a sedere sul bordo del mio letto.
«E se a loro lo dicessimo? Che male potrebbe esserci in questo? Sono solo due persone in fondo...» rifletto non riuscendo ad accettare fino in fondo la cosa.
«Non mi va di mentire loro, né tantomeno sparire così dalle loro vite», concludo infatti.
«Pensa come un Guardiano, Jeremy: Anne ed Ezra sono solo due di Fuori, questo è vero, ma sono due di Fuori che possono parlare, raccontare. Potrebbero anche giurarci di non dire nulla a nessuno, anzi, sono certa che lo farebbero e che sarebbero sinceri, ma il rischio è troppo grande, non credi?» cerca di farmi riflettere mia sorella, a ragione.
«È vero che ai nonni era stato raccontato tutto, ma stavolta è diverso.» 
«Già... Non dobbiamo dimenticare che l’unica difesa del Mondo oltre l’Arcata è una barriera che lascia entrare chiunque», ammetto.
«Però qualcosa dovremmo pur raccontare per giustificare il nostro comportamento, la nostra scelta di non tornare più...»
Emma allora apre la bocca per dire qualcosa, ma non fa in tempo a pronunciare una sola sillaba perché il cellulare inizia a squillare ancora: questa volta è il nome di Anne a comparire sotto ai nostri occhi.
A me ed Emma basta allora un solo sguardo per prendere una decisione: con mano tremante pigio il bollino verde, inserendo al contempo il vivavoce.
«Pronto», diciamo contemporaneamente, agitati più che mai.
«Cosa... Emma, Jeremy... Siete davvero voi?!» grida dopo qualche istante l’acuta voce squillante di Anne: la sua emozione è palpabile, è chiaro che non si aspettava una risposta.
«Ezra, corri, hanno risposto! Hanno risposto!» grida lei ancora.
«Anne, sì, siamo noi», dice allora Emma mentre un sorriso nostalgico le si apre sul viso.
«Oh ragazzi, ma si può sapere che cazzo è successo lassù a York?! Voi non potete capire quanto siamo stati in pena! Un mese e mezzo senza uno straccio di segnale di vita... Credevamo che vi fosse successo qualcosa di orribile!»
«Ragazzi, ma allora siete vivi! Porca puttana che sollievo!» si inserisce improvvisamente la voce di Ezra.
«Non sapete quanto ci dispiace di essere spariti così, ma ecco, vedete, durante tutto il tempo siamo stati in un posto dove nessun tipo di cellulare avrebbe mai potuto funzionare», dico cercando di misurare le parole.
«Non c’era campo? I vostri nonni vi hanno per caso portati a fare campeggio tra le montagne?!» ci chiede allora Anne, chiaramente confusa.
«Anne, ora come ora questo non è importante!» interviene Ezra.
«Piuttosto, diteci, avete scoperto la verità?» ci chiede poi senza giri di parole.
Io ed Emma ci scambiamo uno sguardo e sospiriamo, poi lei prende la parola.
«Anne, Ezra, ascoltatemi. Quando siamo arrivati qui ci è successa una cosa, una cosa davvero molto grande che ci ha portati a trovare la verità, questo sì, ma che ci ha condotti anche a tanto altro. Abbiamo capito il perché i nonni non ci hanno mai potuto dire la verità, ed è un motivo valido, questo ve lo assicuro, ma è anche lo stesso motivo per cui anche noi adesso siamo obbligati a non dire niente a voi.»
«Se lo facessimo molte persone sarebbero in pericolo... E poi lo abbiamo giurato», intervengo io.
«Ci dispiace, ragazzi, davvero. Se dipendesse da noi non vi nasconderemmo niente, ma non è così purtroppo», continuo.
«Ci state per caso prendendo per il culo?» sbotta allora Ezra, iniziando ad alterarsi.
Il suo tono ci fa male, certo, ma mai quanto le nostre parole ne stanno facendo ai nostri amici di una vita, di questo ne siamo entrambi consapevoli.
«Che cazzo vuol dire tutto questo? I vostri genitori facevano parte di una sorta di setta a cui adesso vi siete aggiunti anche voi?!» continua lui dall’altro capo della linea.
«Ezra, no...» dico.
«È vero, i nostri genitori facevano parte di qualcosa a cui ora ci siamo uniti anche noi, ma non è nulla che somigli ad una setta; più di questo non posso dire, perdonami.»
Per lunghissimi secondi è solo silenzio ciò che io ed Emma sentiamo provenire dai nostri amici. È evidente che nessuno dei due trova più qualcosa da dire.
«Quando tornate?» spezza infine il silenzio Anne, la voce rotta dal pianto.
«Non possiamo tornare, Anne, almeno non per il momento. La nostra vita non appartiene più a questo mondo, è qualcosa di più grande di noi a renderlo necessario», dice Emma con voce altrettanto spezzata, lasciandosi scappare quel qualcosa di troppo che però potrebbe convincerli a desistere.
«Ma voi lo volete? È davvero ciò che volete fare parte di questa cosa dei vostri genitori? Non vi stanno costringendo a fare nulla, vero?» continua lei, preoccupandosi per noi anziché arrabbiarsi come Ezra: ed io per questo le sono infinitamente riconoscente.
«Oh, no, nessuno ci costringe: qui abbiamo trovato la nostra strada, il posto a cui apparteniamo davvero. Noi vogliamo con tutto il cuore fare parte di tutto questo», le spiego io. 
«Allora va bene... Ma non possiamo neppure venire a trovarvi?» ci chiede lei.
«Con le dovute precauzioni, non vedo perché voi un giorno non possiate venire a Boundary», afferma la mia gemella.
«Questo non è un addio, ragazzi, un giorno ci rivedremo, questo lo sento dentro, nell’anima. Non potremo raccontarvi molto, ma vedervi ancora ci riempirebbe il cuore di gioia», conclude.
«Allora voi aspettateci, così come noi aspetteremo voi. Un giorno ci abbracceremo ancora, questa è una promessa!» dice Anne con solennità.
«Sì, è una promessa», ci sorprende anche la voce di Ezra.
«Grazie della comprensione, ragazzi, siete gli amici migliori che potessimo mai desiderare. A presto», dico chiudendo la chiamata.
 
***
 
Dopo aver salutato ancora una volta i nonni, ovviamente promettendo loro di fare ritorno il prima possibile, ci siamo rimessi in marcia per Yakamoz.
Non abbiamo un’idea precisa di quello che faremo una volta arrivati là, ma immagino che chiederemo ad Alhena il permesso di parlare con Altair, spiegandole le ragioni dei nostri dubbi.
L’odio della Guardiana nei confronti del Notturno è però veramente molto forte: speriamo davvero che ci conceda almeno di provare a investigare, speriamo che si persuada del fatto che la verità potrebbe essere diversa da come tutti l’hanno conosciuta finora.
Oltrepassare nuovamente il Confine per fortuna non ci fa perdere i sensi come la prima volta, ma l’effetto di stordimento che si abbatte su di noi ci accompagna per diversi minuti, almeno finché non raggiungiamo il portale invisibile sulla Lunga Strada.
Questa volta decidiamo di recarci direttamente nel cuore della Città della Notte per non perdere troppo tempo; dopo averlo stabilito io ed Emma saltiamo contemporaneamente nel vortice che ci attira verso di sé segnalando così la sua presenza.
Quello che ci aspetta a Yakamoz tuttavia non è assolutamente quello che ci aspettavamo.
«Perché tutta questa gente per le strade?» dice Emma, confusa quanto me.
«Oltre ai Notturni ci sono anche un sacco di Diurni. Questo non ha senso, a meno che...» le rispondo mentre un dubbio mi colpisce, lo stesso dubbio che ora anche Emma mostra di aver intuito.
«Alhena ci ha assicurato che il processo si sarebbe tenuto non prima di una settimana... Non può averci mentito così! Vorrebbe dire che la sua insistenza nell’allontanarci era dovuta al fatto di non volerci qui durante l’emissione della sentenza!» riflette lei impallidendo di colpo.
«Pensi davvero che Alhena ci abbia fatto una cosa del genere? E Anthemis? Se davvero fosse così anche lei doveva essere d’accordo», dico turbato.
«Forse hanno pensato che per noi sarebbe stato troppo penoso assistere all’eventuale esecuzione di quello che credevamo un nostro amico», afferma Emma provando a dare un’interpretazione dei fatti.
«Non è importante il perché, Emma! Se davvero il processo è in corso dobbiamo muoverci!» dico afferrando mia sorella per un braccio e trascinandola con me seguendo il fiume di gente che sembra dirigersi verso una delle piazze principali della città.
«Signore, potrebbe dirmi dove si svolgerà il processo?» chiedo ad un Notturno con una bimba sulle spalle che come noi sta cercando di farsi largo tra la folla.
Quello non appena vede me ed Emma sgrana gli occhi.
«Voi... Voi non siete i figli di...»
«Sì, siamo noi, però adesso abbiamo molta fretta, la prego, ci dica dove stanno processando Altair!»
«Non volete perdervi l’esecuzione dell’assassino dei vostri genitori, vero? Lo immagino, per voi deve essere stata così dura! Ad ogni modo vi devo ringraziare a nome di tutta la mia famiglia per...»
«La prego, ci dica dove!» insisto io con forza interrompendo nuovamente i suoi discorsi completamente inutili.
«In Piazza dei Rubini, ma...»
«Grazie!» grido allora per poi ripartire assieme ad Emma facendomi strada tra quest’impressionante marea umana, con il cuore in gola.
Emma se possibile è ancora più agitata di me e posso capirne il motivo: se dovessimo arrivare tardi...    
Finalmente dopo minuti che paiono interminabili raggiungiamo la piazza indicataci, effettivamente la più Grande di Yakamoz; delle transenne sorvegliate da guardie tengono la folla lontana dal centro di essa, spazio in cui sono stati montati due palchetti in legno: su ognuno di essi stanno una decina di persone, Notturni da una parte e Diurni dall’altra, capitanati ognuno dalla propria Guardiana.
Lo sguardo di Alhena è duro e freddo, mentre quello di Anthemis sembra urlare la sua sofferenza più forte di qualunque grido: possibile che nessuno se ne accorga? Come si può essere tanto crudeli da mettere una madre in questa posizione? A presiedere una giuria ad un processo già scritto contro il proprio figlio? Perché Alhena non le ha consigliato di delegare qualcuno in sua vece? Da un lato Altair è pur sempre suo figlio, dall’altro è l’omicida di suo marito e forse anche del suo primogenito naturale... Come potrebbe non sentirsi spezzata in due?
Mentre penso a tutto ciò lo sguardo mi si posa su di una figura accovacciata più in basso, sul selciato della piazza: inginocchiato ai piedi dei due palchi, legato con quelle strane corde bianche e luminose che avevo già visto nel momento della sua cattura, si trova Altair. Ormai ciò che rimane di lui non è altro che l’ombra di quello che era stato: ha i vestiti a brandelli, i capelli sporchi e annodati, il viso gonfio e tumefatto da scuri lividi violacei, il labbro spaccato e sanguinante; tiene gli occhi aperti a stento, da un momento all’altro potrebbe lasciarsi cadere a terra per non alzarsi più, questo è evidente... Nelle celle di Yakamoz le guardie devono essersela spassata parecchio in questi giorni.
Anche se non sono ancora certo della sua innocenza non posso fare a meno di provare una grande pena per lui, oltre che rabbia.
Rabbia nei confronti di coloro che hanno compiuto quelle violenze e nei confronti di chi le ha permesse.
Nessuno merita un trattamento del genere, specie prima dell’emissione di una giusta sentenza. Capisco l’odio degli abitanti di questo mondo nei confronti di Altair, covato nel cuore per anni interi di penombra e assenza di magia, ma questo non doveva succedere. Questo mondo è bellissimo, sì, ma ha bisogno di migliorare ancora, questo è fuori discussione.
Gli occhi di Emma nel momento in cui si posano su di lui si riempiono istantaneamente di lacrime e le sue mani si stringono forte attorno alle transenne di legno: in cuor suo è già convinta dell’innocenza del suo Axel, questo è chiaro.
Se fosse così potrebbe non perdonarlo per le sue bugie, certo, ma senza dubbio non lo vorrebbe mai né morto né ridotto in quello stato.
«Jeremy, dobbiamo fare qualcosa! Dobbiamo fermare tutto!» afferma Emma, agitata ma allo stesso tempo risoluta.
«Calma, Emma... Non possiamo di certo bloccare tutto così! Innescheremmo una rivolta istantanea! La gente aspetta da anni questo momento e di certo non crederà a nessuna delle nostre perplessità circa lo svolgimento dei fatti! Hai sentito il Notturno di prima: dava Axel già per condannato!»
«Non possiamo di certo rimanere qui a guardare senza fare niente mentre Axel viene condannato a morte senza tutte le prove!» sbotta lei.
«Dobbiamo parlare con Alhena, anzi, soprattutto con Anthemis!  Lei è l’unica che fermerebbe tutto se sapesse che abbiamo delle prove che potrebbero scagionare e riabilitare suo figlio! Inoltre ha l’autorità per farlo: se riuscissimo ad avvicinarla senza per questo interrompere il processo...»
«Hai ragione», le rispondo io.
«Dobbiamo raggiungere la scala del suo palco: le guardie ci faranno passare quando ci riconosceranno!»
«Bene, andiamo allora!»
Così ricominciamo a farci strada tra la massa di persone per fare il giro della piazza, ma ogni passo conquistato ci costa minuti interi di spintonamenti e gomitate.
Non siamo ancora a metà strada quando la voce della Guardiana della Notte riempie la piazza, dando inizio al processo.
«Siamo qui oggi per stabilire quale sia la migliore pena da far scontare al qui presente Altair, figlio adottivo di Corylus, il quale diciassette anni fa si macchiò dei crimini che tutti conoscete, ma che per correttezza ricapitoleremo. Nel giorno infausto dello scontro tra Yakamoz e Komorebi, il suddetto Altair rubò e distrusse i due oggetti più sacri del nostro mondo, pienamente consapevole delle conseguenze che i suoi atti avrebbero avuto tanto sulla Gente del Giorno, che lo crebbe, tanto su quella della Notte, a cui apparteneva e si diceva fedele.
Oltre a ciò quello stesso giorno, sotto agli occhi di tutti, pugnalò a morte Corylus, Guardiano del Giorno e suo padre adottivo: questo fatto tuttavia, per quanto estremamente riprovevole dal punto di vista umano, non può considerarsi punibile in quanto accaduto durante una battaglia in cui i due soggetti in questione combattevano su schieramenti opposti. Tuttavia, il secondo omicidio da lui perpetrato è assolutamente giudicato meritevole di condanna: Altair, dopo avere assassinato Corylus, colpì a morte anche Deneb, Guardiano della Notte e, è bene che ormai tutti voi lo sappiate, suo padre biologico.»
A queste parole di Alhena un enorme boato scuote la piazza, tanto che io ed Emma siamo costretti a portarci le mani alle orecchie.
«A morte! A morte!» inizia a gridare la folla, ormai inferocita, impedendoci di proseguire nella nostra lenta avanzata verso il palco dei Diurni.
La situazione ormai si sta facendo sempre più critica.
«Silenzio!» grida allora Anthemis dalla sua posizione rialzata e dominante, talmente forte che mi chiedo se stia usando una qualche magia per amplificare il volume della propria voce. Incredibilmente quasi tutti ubbidiscono all’ordine della Guardiana del Giorno, tacendo e calmandosi.
«Non è vostro compito stabilire la sentenza! Saranno le giurie qui presenti a farlo in vostro nome! Giurie che, come sapete, sono state scelte estraendo a sorte tra tutti i membri adulti delle due Genti!» continua lei, imperterrita, tentando di dare sfoggio di tutta la sua forza e, soprattutto, imparzialità.
Solo adesso capisco. Anthemis ha precisamente voluto salire su quel palco: la sua posizione di Guardiana era già fragile per via del suo legame con Altair, non prendere parte al processo avrebbe fatto pensare a molti che si fosse schierata al fianco di suo figlio. Per lei allora sarebbe stata la fine.
«Jeremy, forza, continuiamo a camminare finché la gente è calma!» mi incita Emma, così riprendiamo ad avanzare.
«Bene», riprende Alhena.
«Altair, prima che le giurie si esprimano, hai qualcosa da dire in tua discolpa? Hai la possibilità di provare a difenderti.»
Continuando ad avanzare io ed Emma tendiamo le orecchie per cogliere le parole di Axel, sperando che dica qualcosa, che spieghi come stanno le cose in realtà... Ma niente di tutto questo succede: per lunghissimi secondi non una sillaba esce dalla bocca del Notturno al centro della piazza.
«Non ho niente da dire», afferma infine facendo perdere un battito sia a me che a mia sorella, che ci guardiamo allibiti: possibile che la speranza della sua innocenza ci abbia tratto così tanto in errore? Possibile che la nonna ricordasse male?   
“Ma no, è impossibile, Axel stesso aveva affermato di poter spiegare ogni cosa! Perché non lo fa adesso che ne ha la possibilità?” penso senza fermare la mia avanzata.
Poi però ripenso al tono con cui il Notturno ha appena pronunciato quelle poche parole: il tono di una persona che non ha più niente per cui vivere.
Se davvero Axel dovesse essere in qualche modo innocente, in ogni caso è consapevole che nessuno ormai gli crederebbe: l’odio nei suoi confronti è troppo alto. Inoltre ha dovuto vivere in totale isolamento per anni, con tutto il suo mondo che malediva il suo nome per un crimine che era necessario, un crimine che magari quel mondo lo aveva pure salvato. Oltre a tutto questo anche il dolore per la morte di Ophrys, suo fratello e migliore amico, e la recente consapevolezza del fatto di aver perso per sempre anche Emma.
Se davvero Axel è innocente, è ovvio che ormai la morte gli appaia come l’unica strada da percorrere per liberarsi da tutta questa sofferenza.
O forse è semplicemente colpevole, ma questo deve essere accertato prima della sentenza.
«D’accordo, Altair, hai avuto la tua occasione», dice Alhena, visibilmente soddisfatta della piega che stanno prendendo le cose.
Sollevando lo sguardo su Anthemis, invece, scorgo su di lei solo una grande delusione: probabilmente sperava che Axel esponesse delle motivazioni che lo avrebbero scagionato. Ad ogni modo ora è lei ad essere costretta a prendere la parola.
«Giuria del Giorno, Giuria della Notte, è il momento di votare. Le opzioni sono tre: assoluzione, carcere perpetuo, oppure... oppure morte», dice, non potendo non esitare su quell’ultima parola.
«Chi vota a favore dell’assoluzione dell’imputato?» domanda poi proprio nel momento in cui, finalmente, io ed Emma raggiungiamo le transenne ai piedi del palco, nel punto in cui si trova un passaggio sorvegliato da una guardia del giorno, un uomo di circa trent’anni alto e ben piazzato.
Nessuna mano si solleva.
«Siamo i nipoti di Anthemis, lasciaci passare, dobbiamo parlare urgentemente con la Guardiana!» dice Emma rivolgendosi alla guardia, la quale però non sembra intenzionata a lasciarsi persuadere.
«So chi siete, ma non sono autorizzato a farvi passare. Non potete di certo interrompere il processo! Mettetevi comodi e godetevi la condanna di quel assassino invece di fare tante storie!»  dice quello, guardando trucemente Emma.
«Bada a come parli, guardia!» sbotto allora io, non vedendoci più dal nervoso e dall’angoscia che mi divora.
«Siamo i figli del principe Ophrys ed io sono l’erede di Anthemis, non ti permetto di mancarci di rispetto! Facci passare, è un ordine!» 
«Chi vota invece per il carcere perpetuo?» continua nel frattempo la voce della Guardiana del Giorno, un po’ meno salda di prima; anche questa volta nessuna mano si solleva.
«Da quanto mi risulta Anthemis non ha ancora fatto alcuna dichiarazione ufficiale a riguardo. Potete dire qualunque cosa, ma io non prenderò mai ordini dalla puttana di Altair o da suo fratello!» la guardia non riesce neanche a terminare la frase perché Emma lo colpisce senza esitare con un manrovescio.
«È solo grazie a noi se questo mondo è ripartito e se tu hai avuto indietro i tuoi poteri, maledetto stronzo!» grida poi, furente e punta nel vivo.
«Chi vota per la condanna a morte?» dice infine Anthemis, a stento controllando la voce. Tutte quante le persone facenti parte delle due giurie sollevano una mano. Alhena sorride.
«Questa me la paghi, troia!» grida la guardia portandosi una mano al viso, ma ormai la nostra attenzione non è più minimamente rivolta a lui.
È troppo tardi. Ormai solo una cosa rimane da fare: io ed Emma ci guardiamo per un attimo, poi iniziamo a gridare.
«Fermi! Anthemis! Ascoltaci, abbiamo delle cose importanti da riferirti!»
Di colpo tutta l’attenzione della piazza si rivolge verso di noi: centinaia di occhi ci fissano basiti, più di tutti quelli delle due Guardiane.
Anche Axel ha sollevato il viso nella nostra direzione: la sua espressione è talmente sorpresa che probabilmente starà pensando di avere un’allucinazione.
«Emma, Jeremy...» dice Anthemis spezzando l’innaturale silenzio che è si è venuto a creare.
«Guardia, lasciali passare!» ordina dopo alcuni secondi, riprendendo il controllo della situazione.
L’uomo in bianco allora non ha altra scelta che scansarsi dall’apertura fulminandoci con lo sguardo.
Rapidamente saliamo i pochi gradini che conducono al palchetto e ci avviciniamo ad Anthemis, sotto gli sguardi sorpresi di buona parte della popolazione di questo mondo.
«Ragazzi, ma siete forse impazziti?! Che cosa ci fate qui?» ci chiede a bassa voce affinché nessuno possa sentire.
«Anthemis, abbiamo buoni motivi per credere che ci fossero delle cause ben precise sotto alle azioni di Altair! Non fu pura malvagità, era tutto un piano di cui erano a conoscenza anche i nostri genitori e Deneb! Dobbiamo indagare più a fondo prima di condannarlo!»   
Alle nostre parole un lampo di speranza si accende negli occhi verde-azzurri di Anthemis, un lampo che subito contagia anche noi: forse non è troppo tardi.
Tutto questo però ha vita breve: la Guardiana infatti torna presto ad incupirsi.
«Ma ragazzi... Come potete dire questo? Altair stesso non ha detto nulla in sua difesa, ed io ero presente quando lui uccise Corylus e Deneb, io ho visto!» afferma la Guardiana, una disperazione crescente nella voce.
«Non stiamo dicendo che non fece le cose di cui è accusato! Stiamo dicendo che c’era un motivo dietro a tutto! Un motivo che potrebbe essere più che valido a giustificare Altair! Nostra nonna ha affermato che Ophrys, dopo averci consegnati in fasce a lei e al nonno, quando Claire già era stata uccisa, disse di dover tornare ad aiutare suo fratello!» insisto io.
«Dobbiamo almeno provare a farci ascoltare! Non possiamo permettere che Altair venga ammazzato senza essere certi della verità!» afferma poi Emma, decisa.
«Questo è sicuro, Emma. Se le cose stanno così questa sentenza non può essere valida!» afferma Anthemis tornando ad illuminarsi.
«Lasciate fare a me.» 
La Guardiana allora torna a voltarsi verso il suo popolo, pronta a tentare il miracolo.
Axel invece continua a spostare lo sguardo tra me, Emma, ed Anthemis, confuso e terrorizzato.
«Gente del Giorno, Gente della Notte, illustri giurie, ascoltate. Ho appena appreso che questa sentenza va annullata immediatamente: sono emerse infatti nuove prove da vagliare attentamente e con cognizione di causa. Procederemo a nuove indagini, in seguito le giurie saranno riconvocate.»
«Anthemis ma che diamine stai dicendo?» sbotta furibonda Alhena dall’altro palchetto mentre la folla inizia a gridare il suo disappunto.
«A morte subito! A morte subito! Vuoi solo prendere tempo per salvare quel cane di tuo figlio!»
Prima che chiunque di noi riesca a fare qualunque cosa, scoppia il caos.
«Se non lo ammazzate voi ci penseremo noi!» urla ancora la folla mentre in molti cercano di scavalcare le transenne, trattenuti a stento dalle guardie che tentano di difendere il perimetro. Sfere di energia, sia blu che bianche, iniziano a volare per la piazza, scagliate sia dai ribelli sia dalle guardie che tentano di fare del loro meglio per arginare il pericolo. Coloro che vengono colpiti rimangono al suolo.
Nonostante la loro maggiore preparazione in ambito di magia e combattimenti, tuttavia, le guardie sono in netta minoranza.
Axel in tutto questo continua a non reagire: se ne sta inginocchiato, immobile, lo sguardo spento e vuoto piantato al suolo, il corpo scosso da leggeri brividi.
«Che cosa facciamo adesso?!» dice Emma portandosi le mani tra i capelli, impaurita quanto tutti noi.
Ma proprio mentre Anthemis sta per aprire bocca, forse per proporre qualcosa, la gente nella piazza, non riuscendo a sfondare le difese delle guardie, inizia a scagliare contro Axel tutto ciò che capita a tiro, arrivando addirittura a strappare pietre e ciottoli dal selciato.
«Assassino! Parricida!» gridano tutti, ma il Notturno non sembra neppure sentirli.
Pochi istanti dopo, tuttavia, molti oggetti tra cui qualche pietra arrivano a colpirlo, facendolo stramazzare al suolo.
«Axel, no!» grida allora Emma impallidendo di colpo.
Così, senza che io possa fare niente per fermarla, in un attimo salta giù dal palco per raggiungerlo, cercando di proteggersi la testa dai colpi a cui ora è esposta tanto quanto lui.

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Capitolo 39
*** Nient'altro che verità ***


Axel
 
Quando il primo oggetto scagliato dalla folla mi colpisce mi rendo conto che per me è davvero finita.
Non che prima non lo sapessi, sia chiaro: sono giorni che questa consapevolezza fa parte di me, fin da quando sono stato scoperto, catturato, e né Emma né Anthemis sono più venute a parlarmi.
Se una di loro fosse apparsa alla grata della cella dove sono stato rinchiuso in questo periodo avrei potuto spiegare, avrei potuto provarci... Ma solo le guardie e la loro voglia di vendetta c’erano a tenermi compagnia.
Sono così stanco. Sono così rotto.
Ormai la paura è sparita, sì... Adesso voglio solo addormentarmi, voglio non svegliarmi più, purché tutto questo sparisca.
Voglio riposare, voglio trovare pace: sono troppi anni che combatto contro i miei demoni, sono troppi anni che fuggo. Ormai la pena è stata scontata, il debito ripagato.
Solo un posto può darmi quello che cerco, un posto dove potrò rivedere tutte le persone che ho amato e che ho perso, tutti i miei fantasmi: non chiedo altro che diventare uno di loro.
Per questo quando Alhena mi ha chiesto di difendermi sono rimasto zitto. Parlare, tentare di spiegare, avrebbe solo prolungato l’agonia: tanto nessuno mi avrebbe creduto. Forse solo mia madre, a dire il vero, ma il suo giudizio non potrebbe mai bastare: quello che è appena successo l’ha dimostrato.
Rivedere Emma, pochi istanti fa, è stato il regalo più bello che il cielo potesse farmi: adesso sì che sono pronto a morire.
Quando sento qualcosa di estremamente duro e pesante ferirmi la fronte mi lascio scivolare a terra, accovacciandomi su me stesso, pensando a quali prove la mia Emma e il suo gemello possono aver trovato, ma solo per un attimo... Ormai tutto ciò non ha più importanza.
“Presto sarà tutto finito”, penso mentre ogni parte del mio corpo inizia a dolere.
All’improvviso però una voce più vicina delle altre mi riporta indietro, no, non una voce qualunque...  Quella voce, la sua voce.
Senza neanche rendermene conto mi ritrovo a sollevare le palpebre pesanti e doloranti per via dei pugni delle guardie e della folla, a cui più volte i miei carcerieri mi hanno lasciato in pasto durante il tragitto per venire qui.
Inizialmente credo di stare sognando: sì, deve essere così, non ha senso che Emma sia venuta qui da me, esponendosi al pericolo e alle pietre, rovinandosi per sempre la reputazione davanti a gran parte della popolazione di questo mondo.
Invece, dopo qualche secondo, devo ammettere a me stesso che è proprio così: Emma è china sopra di me, sta cercando di proteggere sé stessa e me dai colpi della folla che ormai sta per sfondare la linea difensiva delle guardie.
«Axel, ti prego, reagisci!» grida scuotendomi e tentando di sollevarmi, liberandomi le braccia dalle corde, ma io non riesco a muovermi, sono completamente bloccato nel mio torpore.
«Tu sei matta, Emma! Corri al riparo, lasciami andare!» riesco a dire debolmente, cercando di spingerla via con le poche forze che mi restano.
«Se non vuoi farlo per te stesso fallo almeno per me!» insiste però lei proprio nel momento in cui una sfera di energia bianca arriva a sfiorarle il viso, lasciandole un’ustione sulla pelle sulla quale subito lei posa una mano, stringendo i denti.
Così, in questo istante, capisco che non posso arrendermi adesso. Non ancora.
Cercando in me l’ultima flebile fiamma di forza, di speranza, mi tiro a sedere, gemendo dal dolore, trovandomi faccia a faccia con Emma per la prima volta dopo il mio arresto.
Il tempo allora sembra quasi fermarsi, i rumori, le grida, ogni cosa s’acquieta mentre l’ambra dei miei occhi annega nel mare dei suoi, così com’è sempre stato tra di noi, fin dal primo istante.
«Altair...» dice allora Emma prendendomi per le spalle, ma quel nome pronunciato dalle sue labbra mi sembra così sbagliato, così profondamente fuori luogo.
Io ormai non riconosco più come mio quel nome, quel nome tanto maledetto e bestemmiato da tutti.
Vorrei che almeno lei, guardandomi, non vedesse il mostro che tutti credono che io sia. Vorrei che guardandomi non vedesse Altair, ma soltanto Axel, ciò che sono stato dal momento in cui lei è entrata nella mia vita: una persona libera da ogni colpa, da ogni accusa. Ma ormai questa è un’utopia, non posso cambiare quello che sono.
«Altair, io credo davvero che le cose che hai fatto avessero una ragione! Voglio che tu mi racconti la verità! Voglio giudicarti avendo tra le mani tutte le informazioni per poterlo fare correttamente!» continua lei, infondendomi con queste parole così tanto coraggio e germogli di verde speranza da stupirmi.
Forse non ho perso davvero tutto. Forse Emma potrà davvero perdonarmi e tornare a vedere in me solo Axel...
Nel frattempo altre sfere ci sfiorano sibilando, anche se per fortuna nessuna ci colpisce direttamente: chissà di quali improvvisati incantesimi sono il frutto.
Improvvisamente però la situazione precipita: la folla riesce a superare le guardie, ormai stremate, e a caricare verso di noi; solo pochi secondi dividono la loro furia e violenza da me e soprattutto da Emma, la quale, gridando spaventata, si getta su di me stringendomi forte.
Così, stringendola a mia volta, l’istinto di protezione che ho nei suoi confronti fin dal primissimo istante, quell’istante che era bastato per gettarmi assieme a lei in un portale senza destinazione, prende il sopravvento.
Non permetterò che un solo capello le venga strappato. Non a lei. Perché lei è mia.
In poche frazioni di secondo sento montarmi dentro quell’energia di cui ho bisogno adesso, l’energia che mio padre Deneb mi insegnò a controllare in quelle notti così lontane, l’unica che posso usare ora che i miei poteri da Notturno sono bloccati dalle corde di luce della Gente del Giorno.
Questa volta non ho neppure bisogno di concentrarmi come nel Bosco di Far, il tutto avviene quasi spontaneamente: l’ondata di energia del sonno che come un vento impetuoso prende a soffiare in tutte le direzioni, le grida che gradualmente si estinguono, le persone che cadono a terra, le corde bianche e luminose che vanno in frantumi come cristallo.  
Tutto questo per salvare la vita alla donna che amo, l’unica creatura al mondo che poteva infondermi tanta energia da permettermi di fare una cosa del genere, quando appena pochi minuti fa non avevo neanche la forza per sollevarmi da terra.
Lei è ancora aggrappata a me, i pugni serrati attorno alla stoffa della lacera giacca che indosso, così delicatamente la scuoto.
«Emma, è finita», le dico, così lei mi lascia andare e riapre gli occhi, ancora tremante.
«Sei stato fantastico», afferma poi guardando la massa di corpi attorno a noi.
«Se davvero vuoi ascoltare la mia storia dobbiamo andare via subito!» affermo mettendomi in piedi tra mille dolori ed aiutando anche lei ad alzarsi.
«Aspetta... Jeremy! Hai colpito anche lui!» grida lei in ansia voltandosi verso il palco della Giuria del Giorno, dove giacciono a terra tanto Anthemis quanto suo fratello, e correndo in quella direzione.
Una volta raggiunto Jeremy mi basta un tocco per farlo svegliare: quando il ragazzo riapre gli occhi alzandosi in piedi di scatto non servono parole per spiegargli l’accaduto: gli basta guardarsi attorno per capirlo.
Dopo esserci assicurati che né Anthemis né Alhena abbiano riportato ferite cadendo corriamo via tutti e tre, di nuovo, rivivendo come un déjà-vu la nostra fuga dal palazzo di Komorebi.
Quella volta tuttavia non eravamo neanche lontanamente tanto in pericolo come lo siamo ora.
 
***
 
Solo dopo aver oltrepassato il portale più vicino ci concediamo di fermarci a riposare.
Grazie al cielo nessuno ci ha fermati durante la nostra corsa disperata lungo le vie di Yakamoz: a quanto pare l’incantesimo che sono riuscito a compiere è stato così potente da far cadere in oblio l’intera città. Cose da non credere.
Tutti e tre ci prendiamo alcuni minuti per riprenderci, seduti a terra sulla riva sassosa del mio laghetto tra gli alberi, senza dire niente.
“Sono scappato di nuovo”, penso tra un respiro e l’altro mentre lentamente l’adrenalina prende a calare, conferendomi così la razionalità per comprendere quanto questa follia abbia messo in pericolo Emma e Jeremy.
Quando tutti si risveglieranno passeranno dall’essere considerati salvatori a miei complici: neanche per loro potrà esserci più perdono. Dio, cosa abbiamo fatto...
Ma che alternative c’erano? Se non avessi fatto nulla sia io che Emma saremmo probabilmente stati linciati.
«Dove ci hai portati?» mi chiede improvvisamente lei spezzando il silenzio, guardandosi attorno, ancora col fiato corto.
«Al margine nord-occidentale di questo mondo, ai piedi delle montagne. Pochissime persone arrivano a spingersi fin quassù, l’intera zona è circondata da paludi che veramente in pochi avrebbero voglia di farsi a piedi, e voi sapete bene che un luogo che non si conosce bene è impossibile da raggiungere tramite portale. Dovremo essere al sicuro qui», le spiego.
«Tu invece lo hai fatto, a quanto pare. Attraversare le paludi, intendo», nota Jeremy, senza dubbio il più stravolto e spaventato dei tre.     
«Avevo bisogno di un posto sicuro in cui stare; attraversare le paludi poi diventa semplice se impari come fare: io avevo tutto il tempo che volevo per esercitarmi», gli dico distogliendo lo sguardo per scrutare il riflesso delle chiome degli alberi sulla superfice del piccolo laghetto, che per la prima volta vedo illuminato dai raggi del sole.
Ho passato talmente tanti giorni di solitudine qui, sotto all’albero più grande di tutti, quello i cui rami sono così lunghi da coprire buona parte del laghetto, che contarli sarebbe impossibile.
Fin dai primi mesi della mia latitanza questo posto è stata la mia tana, il mio rifugio, l’unica casa che conoscessi, l’unico luogo in cui mi sentissi davvero al sicuro.
Qui vicino c’è anche una grotta scavata nella roccia e una piccola sorgente lì accanto: era lì che tenevo le mie poche cose prima dell’arrivo dei gemelli. Con il tempo l’avevo resa una vera e propria stanza al coperto, con tanto di pagliericcio e porta di legno. Non avevo bisogno di altro: l’acqua per lavarmi non mi mancava, di cibo non avevo bisogno. In città andavo rarissimamente, sotto mentite spoglie, per procurarmi vestiti, sapone e poco altro.
In quelle occasioni ne approfittavo per andare a trovare Hamal, che avevo conosciuto per caso arrivando alla sua casa al lago durante una delle mie peregrinazioni; non avevo alcun incantesimo a nascondere le mie vere fattezze in quel momento, dunque quando lo vidi venire verso di me pensai che per me fosse la fine.
Fortuna volle che il vecchio avesse frequentato Yakamoz talmente poco negli anni precedenti che non si era mai imbattuto in me prima, dunque non mi riconobbe come Altair. Hamal è stato il mio unico amico in questi diciassette anni.
«Altair, se sei pronto puoi cominciare a parlare. Avanti, raccontaci la tua verità: siamo qui per questo», afferma Emma distogliendomi dai miei pensieri.
«Ti prego, non chiamarmi così, io lo odio quel nome! Altair ormai rappresenta solamente quello che la gente crede che io sia, non quello che sono davvero: non una vittima innocente, certo, ma neanche un mostro.»
«Dimostracelo», interviene Jeremy, più calmo e freddo rispetto a prima.
«Raccontaci la tua versione dei fatti, poi decideremo noi se chiamarti di nuovo Axel oppure Altair.»
Così annuisco, preparandomi a tirare fuori per la prima volta quella verità che ormai giace sepolta solamente dentro di me, talmente nel profondo che molte volte, specialmente durante l’ultimo periodo, la scordavo iniziando a credere anche io alle dicerie della gente sul mio conto.
Ma adesso non più. Ora è tempo di farla tornare in superfice.
«Partiamo dall’inizio», affermo dopo qualche istante.
«Come già sapete fui trovato in fasce da Anthemis ai margini della foresta attorno a Komorebi. Una catenina che reggeva una targhetta col mio nome si trovava al mio collo, un monile impossibile da rimuovere», inizio il racconto estraendo dalla tasca interna della giacca quella stessa catenina per mostrarla loro, quell’oggetto da cui non mi sono mai separato, quell’oggetto che mi ha sempre ricordato chi sono davvero.
«Corylus e Anthemis mi adottarono credendomi un mezzosangue bastardo, poi una decina di mesi più tardi nacque Ophrys: crescemmo come fratelli noi due, legati uno all’altro da un vincolo indissolubile. Per tutti quanti io ero il principe Altair, anche se giustamente ero considerato il secondogenito. Corylus era l’unico a sottolineare spesso il mio non essere davvero sangue del suo sangue, pur senza farmi mai mancare nulla, tanto meno gli onori dovuti ai membri della famiglia del Guardiano.»
«Per questo lo hai ammazzato?» mi interrompe Jeremy, facendomi seriamente alterare e meritandosi un’occhiata di fuoco da parte di Emma.
«No, non l’ho fatto per questo», sibilo cercando di contenermi prima di continuare.
«Anche io crebbi convinto di essere un mezzosangue, ma a sedici anni la catenina che portavo mi si slacciò dal collo da sola rivelandomi così la verità su me stesso, quella verità che avevo sempre conosciuto, ma che avevo scambiato per una semplice predisposizione del mio animo alla notte. Sapevo tuttavia che non avrei mai potuto sceglierla, sapevo che avrei dovuto rinunciarci per via dell’odio di Corylus e di tutta Komorebi. Scoprendomi già un Notturno a tutti gli effetti però non mi rimaneva altro che vivere fino in fondo come tale, scoprendo se davvero la Gente della Notte fosse così malvagia come la descrivevano tutti i Diurni.
Mi recai a Yakamoz quella notte stessa, di nascosto, dove Alhena accettò di accompagnarmi da suo zio Deneb. Il Guardiano mi propose subito di restare a vivere nel Palazzo della Notte, mi promise di prendermi sotto la sua protezione... Ma io sapevo che se avessi accettato tutti a Komorebi avrebbero saputo la verità, anche le due persone a cui tenevo di più: mia madre e Ophrys. Credevo che se avessero scoperto la mia vera natura avrebbero cominciato ad odiarmi e non riuscivo ad accettarlo, il solo pensare a quell’eventualità mi mozzava il fiato, così presi la mia decisione: non l’avrei detto a nessuno, sarei stato un mezzosangue durante il giorno e un Notturno di notte.
Andai avanti così per quattro anni, senza che nessuno intuisse la verità: tutti notarono che ero sempre stanco, naturalmente, e sempre più chiuso in me e taciturno, ma pensarono a un mio cambiamento personale, forse dovuto alla fine dell’adolescenza, nulla più.
L’unica a capire fu Claire, che mi chiese aiuto per scappare da Komorebi e per seguire la sua vera natura. Non credo l’avrebbe fatto davvero, ma mi minacciò di rivelare a tutti il mio segreto se non l’avessi aiutata... Così lo feci, anche se il vero motivo fu che lei mi ricordava tanto me stesso: stavamo vivendo la stessa situazione in fondo.
Dopo averla accompagnata a Yakamoz e affidata a Deneb tornai a Komorebi per parlare con Ophrys: avevo deciso di rivelargli anche la verità sul mio conto oltre che annunciargli la decisione di Claire. Ero così stanco di dovergli mentire... E poi ero convinto che lui avrebbe cambiato idea sul conto della Gente della Notte ora che Claire si sarebbe unita ad essa, ero convinto che non mi avrebbe odiato.
Ma Ophrys già mi stava aspettando ai margini della foresta di Komorebi: aveva visto me e Claire uscire di nascosto, così mi accusò di averla sedotta, di avergliela strappata. Io gli spiegai come stavano davvero le cose, ma proprio mentre lui si stava per convincere sorse il sole: io non mi ero rimesso la catenina, così mio fratello venne a conoscenza della verità nel modo peggiore possibile, senza lasciarmi l’opportunità di spiegare nulla.
Così io tornai a Yakamoz e lui, pieno di rabbia e dolore, a Komorebi, dove acciecato dal rancore disse a tutti che io e Claire avevamo tradito la Gente del Giorno.
Successivamente riuscii a fargli avere un biglietto in cui lo invitavo al rito d’iniziazione di Claire e lui, spinto dall’amore per lei e forse anche dall’affetto per me, venne, capendo così la verità e arrivando a perdonarmi per avergli mentito per tutto quel tempo. Durante i mesi successivi Ophrys prese a venire di nascosto a Yakamoz praticamente tutti i giorni.»
«D’accordo, è stato interessante ascoltare tutto ciò dal tuo punto di vista, ma non ci hai detto niente di nuovo! Queste cose le conoscevamo già!» sbotta allora Jeremy, perplesso, mentre anche Emma annuisce a questa affermazione.
«Lo so, ragazzi. Ho voluto ripercorrere tutta la storia per farvi capire come l’ho vissuta io, sulla mia pelle... Così spero che quando arriverò a parlare di ciò che non sapete crederete alla mia buona fede», mi difendo.
«In ogni caso, le differenze con la versione ufficiale arrivano adesso», continuo.
«Un giorno Ophrys arrivò nella Città della Notte con delle notizie inquietanti: mezza popolazione di Komorebi si era svegliata nel cuore della notte per le strade della città, senza che nessuno si ricordasse di essersi alzato dal letto, come se un’epidemia di sonnambulismo avesse colpito i Diurni. Anche ad Ophrys stesso e ad Anthemis era capitato.
Il fenomeno si ripeté più volte in seguito, finché Corylus non accusò Deneb di stare sperimentando un nuovo tipo di incantesimo sulla sua Gente.
Mio padre tuttavia era il più grande conoscitore vivente della magia e di tutte le sue dinamiche, perciò sapeva benissimo che un sortilegio capace di controllare le persone nel sonno era al di là delle possibilità di chiunque, perfino al di là delle sue.
Così un dubbio lo assalì, un dubbio che se si fosse rivelato corretto avrebbe significato la catastrofe più grande a cui potesse andare incontro questo mondo; poco dopo rese partecipi della sua teoria anche me e i vostri genitori.
Deneb aveva intuito che l’unico modo per controllare le azioni e gli spostamenti delle persone di una certa Gente fosse quello di intervenire sull’elemento che le caratterizzava, in questo caso il giorno.
E l’unico modo per manipolare dall’esterno la scintilla di luce del giorno dentro a ciascun Diurno era sfruttare il potere del Nucleo da cui quelle scintille dipendevano.»
«Vuoi dire che qualcuno stava sfruttando il potere del Nucleo del Giorno per controllare i Diurni come burattini?» cerca di fare chiarezza Emma.
«Esattamente: quel qualcuno era Corylus», le rispondo io facendo strabuzzare gli occhi ad entrambi.
«Come diamine ci è riuscito?» chiede allora Jeremy, pallido come uno straccio.
«È questo il vero problema... il come», dico sorridendo amaramente.
«L’unico modo per controllare il Nucleo è diventare il Nucleo: assorbirlo dentro di sé per fonderlo alla propria anima, indissolubilmente. Questo aveva fatto Corylus, acquisendo così tanto potere da diventare praticamente immortale come il Nucleo dentro di sé. Naturalmente questa rimase solo una teoria fin quando Ophrys non andò a controllare di persona la stanza del Nucleo a Komorebi: era vuota. Oltre a questo prese a spiare suo padre: lo seguì di nascosto e lo vide praticare magie inimmaginabili per una persona qualunque.
Nel frattempo Corylus, con la scusa delle amnesie fatte ricadere su Deneb, stava preparando la spedizione contro Yakamoz; il suo scopo probabilmente era distruggere il Nucleo della Notte affinché solamente il giorno regnasse incontrastato, schiavizzare i Notturni senza più magia e regnare per sempre come sovrano assoluto in un giorno eterno. Ora, sarete d’accordo con me con il fatto che Corylus andasse fermato, spero.»
I gemelli annuiscono, ancora stravolti da quella che non è altro che la verità.
«C’era un problema, però», ricomincio dopo una breve pausa.
«L’unico modo per fermare Corylus era eliminarlo fisicamente, altrimenti, potente com’era diventato, sarebbe riuscito nel suo intento: avrebbe distrutto l’Equilibrio del Cielo, il che avrebbe portato in breve al collasso tanto di questo mondo tanto di quello di Fuori, forse dell’intero universo. Evidentemente a questo Corylus non aveva pensato, bramoso di potere e vendetta com’era.
Tuttavia, uccidendolo, con lui sarebbe perito anche il Nucleo del Giorno ormai inesorabilmente fuso con la sua anima, andando comunque a spezzare l’Equilibrio. L’unica soluzione era quella di distruggere anche il Nucleo della Notte per tentare poi di ricrearli. L’importante era mantenere l’Equilibrio, mantenere allineati i due piatti della bilancia.
Così Deneb convinse i vostri genitori a privarvi della scelta dell’elemento e ideò lo stratagemma di mandarvi nel Mondo di Fuori nel momento i cui i Nuclei sarebbero stati distrutti, per poi tornare a prendervi quando tutto sarebbe stato finito.»
«Ma perché Deneb decise di non dire niente alla Gente della Notte? Perché avete mantenuto segreto il crimine compiuto da Corylus? Avreste avuto dalla vostra parte non solo i Notturni, ma anche i Diurni!» dice Emma, non capendo.
«Per due motivi», le rispondo pazientemente.
«Se avessimo parlato, Corylus avrebbe saputo di essere stato scoperto, avrebbe intuito che il nostro scopo era quello di ucciderlo e non sarebbe sceso in battaglia. Affrontarlo sul campo era l’unico modo che avevamo per avvicinarci così tanto a lui da affondare il colpo, oltre che il momento più propizio: di certo non avrebbe potuto usare magie troppo potenti davanti a tutti, altrimenti i sospetti si sarebbero accesi.
Inoltre, suvvia... Pensate davvero che i Diurni ci avrebbero creduto?»
«No, certo che no», afferma Jeremy scuotendo la testa.
«In ogni caso il giorno della battaglia giunse prima del previsto: Corylus mobilitò le sue truppe a sorpresa, così Ophrys fu costretto a fingere davanti a tutto l’esercito del giorno di scappare a Yakamoz per proteggere Claire pur di correre subito ad avvisarci, altrimenti suo padre lo avrebbe voluto al suo fianco in prima linea, assieme anche ad Anthemis.
Appena arrivò per darci l’allarme lui e Claire partirono con voi per il mondo di Fuori, augurandoci buona fortuna. Fu l’ultima volta che li vidi vivi», dico mentre un nodo prende a comprimermi la gola.
Quando loro furono usciti, negli ultimi momenti che ci rimanevano, Deneb mi rivelò di essere il mio padre biologico, mi raccontò la storia della mia nascita e del mio abbandono, mi disse che dal giorno seguente sarei stato io il Guardiano di Yakamoz.
In quel momento entrò Alhena, furibonda, e mi strappò di mano lo scrigno con le formule che avrebbero salvato questo mondo. Pochi istanti dopo giunse in città l’esercito di Corylus. Mentre io e Deneb correvamo fuori mi stupii del fatto che anche mio padre volesse combattere: avevamo infatti stabilito che lui sarebbe rimasto a guardare lo scontro dalla balconata del palazzo con il Nucleo tra le mani, pronto a distruggerlo quando mi avrebbe visto uccidere Corylus.
Fu allora che mi rivelò la verità: c’era solo un modo per distruggere il Nucleo, ovvero fonderlo ad un corpo mortale ed uccidere l’ospitante. Qualunque altro tentativo sarebbe risultato vano.
Deneb aveva già assorbito in sé il Nucleo ed era pronto a suicidarsi quando anche Corylus sarebbe caduto; non l’aveva detto a nessuno perché sapeva che avremmo provato a fermarlo, ma lui era il Guardiano, disse, questo era un sacrificio che toccava a lui e a lui soltanto. Così fui costretto ad accettare che quel giorno avrei perso mio padre, quel padre che tanto avevo cercato e che avevo appena ritrovato... Lo ringraziai e gli dissi addio con le lacrime agli occhi, poi uscimmo a combattere.
La mia vera sciagura però non era ancora giunta a compimento.
Durante la battaglia io e Deneb arrivammo davvero allo scontro diretto con Corylus: le sue guardie personali erano state sbaragliate dagli uomini della notte, così quando gli fummo addosso non ebbi difficoltà ad infliggergli il colpo fatale. Non si aspettava questo da me, era ovvio, non da me che ero cresciuto in casa sua. Moralmente fu molto, molto difficile farlo, anche se non tanto quanto ciò che avrei compiuto di lì a poco.
Quando Corylus morì si udì un boato, la luce sparì di colpo e calò la notte, perché il Nucleo era perito insieme a lui: tutti iniziarono a gridare, specialmente i Diurni, che avevano appena visto morire il loro Guardiano e non riuscivano più ad usare i loro poteri. Il sole appena sorto era sparito.
In quella confusione, ancora con le mani lorde di sangue, sconvolto per quello che avevo appena fatto, intercettai lo sguardo di Anthemis, poco lontana.
Non dimenticherò mai la sua espressione, la sua bocca aperta in un grido muto, il dolore dei suoi occhi, il dolore di una donna che aveva appena visto morire suo marito per mano di suo figlio. Quanto avrei voluto andare da lei e spiegarle tutto... Ma non potevo ancora farlo, c’era un’altra faccenda da sistemare.
Mi voltai di scatto verso Deneb, il quale si era portato la lama del pugnale alla gola, ma quella non lo trafiggeva, sembrava che il Guardiano non avesse più il controllo dei suoi arti.
“Altair, il Nucleo dentro di me fa resistenza, non mi permette di suicidarmi! Devi farlo tu, subito, l’Equilibrio deve essere ristabilito immediatamente! Fallo Altair! Fallo!” gridò allora lui, disperato, porgendomi l’arma, supplicandomi.
Ma io come potevo uccidere il mio vero padre? Come potevo macchiarmi di una colpa così grande? Amavo Deneb, non potevo e glielo dissi... Ma sapevo anche quello che sarebbe successo di lì a breve se non lo avessi fatto, dunque... Dunque uccisi anche lui», confesso, rendendomi conto solo ora di avere il viso bagnato di lacrime.
«Anche la notte sparì, tutto divenne grigio, tutti si bloccarono. Molti avevano visto ciò che avevo fatto, anche Alhena. La sparizione del giorno e della notte non poteva voler dire altro che qualcosa era successo ai Nuclei, così di tutto fui accusato io.
Iniziarono a rincorrermi, Diurni e Notturni insieme, capitanati da Alhena che mi urlava contro: “Parricida, maledetto mostro infame, che hai fatto ai Nuclei?”
Così abbandonai i corpi dei miei due padri e fuggii: dovevo raggiungere Ophrys e Claire al Confine, dire loro ogni cosa.
Riuscii a buttarmi in un portale prima di venire catturato, ma non ero minimamente preparato a ciò che vidi una volta arrivato all’Arcata.
Claire giaceva in una pozza di sangue, la coperta che vi avvolgeva era a terra, poco lontana. Una guardia di Komorebi stava in piedi a pochi metri di distanza, una lunga lama piantata nel petto di Ophrys, che già si stava accasciando a terra.
“Maledetto traditore! Solo questo ti meriti per essere scappato da quella sgualdrina a Yakamoz invece di marciare con tuo padre!”, disse un attimo prima di sfilare la spada. A quel punto gridai, estrassi dalla cintura un pugnale e lo scagliai contro quella guardia con quanta più forza potevo, completamente accecato dal furore e dal dolore; quel verme morì all’istante ed io corsi da Ophrys, che ormai non aveva più neanche la forza per parlare.
Lo supplicai di non lasciarmi solo, lo supplicai di restare, gli dissi di non volere più la vita dannata che mi rimaneva se avessi perso anche lui... Ma niente e nessuno poteva trattenerlo su questa terra. Mi morì tra le braccia e con lui morì anche una parte di me stesso, con lui morì la persona che ero stata fino ad allora.
Non so per quanto tempo rimasi a piangere e ad urlare sopra al suo corpo, ma ricordo che mi alzai solamente quando sentii delle grida che si avvicinavano.
Fui tentato di rimanere fermo ad aspettare che le due Genti mi uccidessero, lo ammetto: come avrei potuto vivere dopo aver assassinato il mio vero padre, dopo aver dannato la mia anima, dopo che tutte le persone importanti della mia vita o erano morte o mi credevano un mostro?
“Ma io sono un mostro”, dissi a me stesso in quel momento.
“Se muoio ora non avrò l’opportunità di scontare alcuna pena... Vivrò e soffrirò in eterno, questo farò. Questa sarà la mia condanna, vivere.”
Così, con la magia che mi aveva insegnato mio padre e che ancora funzionava, diedi le mie sembianze alla guardia che avevo ucciso e fuggii senza voltarmi indietro, convinto che se avessi sollevato quella coperta avrei visto anche i vostri cadaveri oltre a quelli di Ophrys e Claire. Dopo diciassette anni sono stato smentito dal vostro arrivo.» 

Note:
Ed eccoci finalmente arrivati alla tanto attesa verità! Sono ormai poche le cose ancora da scoprire, pronti al gran finale? Spero di sì! Se vi va fatemi sapere cosa ne pensate del capitolo e della storia in generale. A prestissimo!

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Capitolo 40
*** Il segreto di Corylus ***


Emma
 
«Perché, Axel?» domando frustrata e sollevata allo stesso tempo non appena il racconto termina, non appena la verità tanto cercata e sofferta finalmente emerge in superficie.
«Perché non ci hai raccontato fin da subito la versione corretta dei fatti?» continuo.
Dio, sono così arrabbiata... Axel è stato con me fin dal mio primissimo giorno nel Mondo oltre l’Arcata: perché allora sono venuta a conoscenza di tutto questo soltanto adesso, mesi dopo quel momento? Perché ha deciso di farmi soffrire così tanto per lui quando poteva dirmi la verità fin dal primo istante? Perché ha deciso di mentirmi?
Alle mie parole il Notturno sospira e il suo volto livido si contrae in un’espressione afflitta, forse anche estremamente stanca.
«Prima di conoscere la vostra vera identità per me eravate solo due sfortunati di Fuori da aiutare a raggiungere Yakamoz, due di Fuori che presto non avrei mai più rivisto. Quando grazie a Jeremy capii chi voi foste davvero, ormai vi avevo già mentito su svariate questioni, Emma. Appena poco tempo prima ti avevo detto di avere ucciso Altair, di avere ucciso me stesso, quando in realtà con quel “vero colpevole” non intendevo altri che Corylus. Se a quel punto vi avessi raccontato la verità voi avreste perso ogni fiducia in me, anche perché voi stessi associavate già il mio vero nome al responsabile di ogni male. E io avevo bisogno della vostra fiducia per riuscire ad aiutarvi a ricreare i Nuclei... Così vi raccontai la stessa versione che avreste sentito anche una volta giunti a Yakamoz», spiega Axel.
«Perdonatemi, ragazzi. Per ogni singola cosa», aggiunge poi abbassando lo sguardo.  
«Tutte le cose sbagliate che ho fatto, le ho fatte a fin di bene; so che questo non giustifica le mie azioni, ma vi chiedo di mettervi nei miei panni e di pensare: “Io cosa avrei fatto al suo posto?”» conclude.
Un lungo silenzio segue le sue parole, mentre io e Jeremy ci scambiamo uno sguardo carico di incertezza.
Da parte mia non posso negare che l’aver scoperto la buona fede di Axel, la sua assoluta non cattiveria, mi ha alleggerito il cuore talmente tanto che mi sembra di essere tornata a respirare solo adesso dopo giorni di apnea.
Ora che so quanto ha sofferto quel giorno e tutti quelli a venire, ora che sono consapevole di tutte le perdite che ha dovuto affrontare in completa solitudine ed isolamento, per lui non provo altro che comprensione.
L’unica sua colpa è stata quella di aver salvato il mondo, ad un prezzo molto alto, è vero, ma quali sarebbero state le conseguenze se lui non avesse avuto il coraggio e la prontezza di pagare comunque quel prezzo?
Tuttavia, ci sono anche le bugie che ci ha propinato da tenere in considerazione: per quelle non posso che ritenerlo responsabile, anche se capisco le sue motivazioni, anche se sono consapevole che la situazione era estremamente delicata, tanto che in ballo c’era la salvezza di questo mondo.
Comprendo che non abbia voluto rischiare sfidando la sorte: in fondo neanche io so come avrei reagito a queste informazioni se conosciute prematuramente, non so se allora ci avrei creduto sapendo di udirle da Altair stesso.
Poi c’è la questione di quello che è successo tra di noi: Axel ha permesso che tutto quanto avvenisse nonostante la mia inconsapevolezza. Ma di questo posso incolpare solo me stessa: lui mi aveva avvertita fin dal primo momento, sono stata io a volerlo comunque.
“Io voglio perdonarlo. Io voglio che tutto torni come prima”, mi ritrovo improvvisamente a pensare. Così prendo la mia decisione: una decisione difficile, certo, una scelta che mi fa mettere da parte l’orgoglio e che mi fa rischiare ancora una volta, ma che spero mi porterà ad essere felice.
Solo seguendo il cuore si raggiungono certi risultati: è sempre stata questa la mia filosofia di vita. Non la tradirò proprio ora.
«Io ti perdono, Axel. Ti perdono per ogni bugia detta e per ogni verità taciuta, perché ne comprendo i motivi e credo che tu abbia già pagato a sufficienza, per tutto quanto», dico allora convinta, guardandolo in quegli occhi che alle mie parole tornano ad illuminarsi e a splendere assieme al sorriso fioritogli sulla bocca.
Così, in questo momento, mentre l’antica fiamma torna ad accendersi dentro di me, quella fiamma che credevo esseri congelata per sempre, so di avere fatto la scelta giusta.
«Tuttavia, Axel, sappi che se solo mi mentirai un'altra volta, su un qualunque argomento, anche sul più sciocco e inutile, mi avrai persa per sempre. Non tornerò mai più indietro un’altra volta, d’accordo?» aggiungo.
«Te lo giuro, Emma. Mai più», sentenzia lui senza spegnere la sua nuova felicità, annuendo sincero.
«D’accordo, ti perdono anche io, ma alle stesse condizioni di Emma», afferma allora Jeremy, convincendosi anche lui.
«Grazie ragazzi, grazie per questa seconda possibilità», dice sollevato Axel, rivolto ad entrambi.
«Bene, veniamo ora alla questione cruciale», riprende Jeremy.
«Come facciamo a far sapere la verità a tutti gli abitanti di questo mondo scagionando così finalmente Axel e noi stessi?»        
«Non credo ci sia un modo, Jeremy», afferma il Notturno.
«In questi diciassette anni ho pensato ogni singolo giorno a come poter spegnere l’odio della gente nei miei confronti, ma ogni piano che studiavo aveva sempre troppe imperfezioni, troppi fattori che avrebbero potuto far collassare ogni cosa.»
«Non ho la minima intenzione di scappare nel Mondo di Fuori o di passare il resto della mia vita in latitanza, Axel, dunque ora non ci muoveremo da qui finché non ci verrà in mente qualcosa!» ribatte il mio gemello con forza, categorico.
«Secondo me per provare la tua buona fede bisogna prima di tutto dimostrare la colpevolezza di Corylus», rifletto allora io, perfettamente d’accordo con Jeremy.
«Dimostrarla non a parole, certo, ma con delle prove concrete. Un punto di partenza può essere il movente: perché Corylus odiava a tal punto la Gente della Notte? Non posso credere che un tale sentimento fosse ingiustificato! Una volta una persona mi disse che il male ha sempre una ragion d’essere, per quanto ingiusta, sempre. Come le avevi tu, Axel, anche Corylus deve aver avuto le sue motivazioni, per quanto senza ombra di dubbio meno nobili delle tue», concludo.
«Nessuno ha mai capito il motivo di quell’odio, mai. L’unica cosa che posso dirvi è che Corylus teneva comizi anti-Notturni fin da prima di succedere a suo padre, quindi attorno ai diciotto, vent’anni. Quando Oxalis fu ucciso da quella Creatura d’Ombra durante una riunione con il Guardiano della Notte di allora, il padre di Deneb, Corylus gli diede la colpa nonostante quello avesse invece provato a salvare Oxalis», mi risponde Axel, riflettendo.
«Dunque il movente non fu la morte di suo padre, perché l’odio era già scoppiato prima», dice Jeremy.
«Forse si tratta di un qualcosa che affonda le radici nell’infanzia di Corylus... Axel, sai se esiste qualcuno che lo conobbe da bambino con cui potremmo parlare?» chiedo.
«Beh... Corylus e Anthemis praticamente crebbero insieme, le loro madri erano migliori amiche, dunque i due si incontravano spessissimo. Se c’è qualcuno che conosce l’infanzia di Corylus quella è lei, perché ne faceva parte», risponde lui.
«Allora dobbiamo parlare con Anthemis, a tutti i costi. Lei già voleva fermare il processo quando le abbiamo detto di avere delle prove in favore della tua innocenza, sono sicura che ci ascolterebbe! In fondo lei ti considera ancora suo figlio, non ha mai smesso di farlo», affermo io.
«A proposito, quali erano queste prove?» chiede Axel, sollevando dubbioso un sopracciglio.
Io sorrido.
«Te lo raccontiamo strada facendo.»
 
***  

«Ora sì che comprendo quel discorso sulle paludi», sbuffa Jeremy tirando fuori il piede che per la quarta volta gli è finito dentro ad una pozza di fango.
«Non c’erano portali vicino al laghetto?»
«Pensi che vi avrei fatto fare tutta questa fatica se fosse così?» il tono di Axel è eloquente.
«Quindi ti facevi tutta questa strada ogni giorno?» chiedo cominciando a sentirmi di nuovo davvero molto stanca.
Abbiamo trascorso la notte nella piccola grotta di Axel, per riprenderci dalle intense emozioni della giornata di ieri e per far calmare un po’ le acque, ma quelle poche ore di sonno è chiaro che non siano bastate a nessuno.
Abbiamo anche pensato di aspettare più tempo, qualche giorno o forse di più, ma non dobbiamo scordare che a differenza di prima ora il tempo scorre, e noi abbiamo bisogno di cibo: non avremmo potuto rimanere rintanati in quel posto troppo a lungo, luogo che avrebbe potuto offrirci solo acqua e qualche frutto selvatico.
«No, non tutti i giorni, però spesso», mi risponde Axel, che sta aprendo la strada mostrandoci, non sempre proficuamente, dove posare i piedi.
«Ragazzi, siamo sicuri di non stare andando in contro alla nostra fine? Come facciamo ad entrare nel Palazzo del Giorno senza essere presi dalle guardie?» chiede Jeremy portando alla luce le sue giuste preoccupazioni.
«Non sarebbe possibile farci trasportare da un portale direttamente all’interno?» propone poi lui.
«No, questo non è possibile: i due palazzi e molti altri edifici hanno protezioni   particolari che impediscono questa possibilità; tu però dimentichi chi vi sta accompagnando», dice Axel senza nascondere un sorrisetto compiaciuto.
«Come pensi che abbia fatto ad entrare e a uscire dal palazzo quasi ogni notte per quattro anni? Come pensi che siamo riusciti ad entrare io ed Emma per salvarti?» chiede poi.
«Stai insinuando che esiste un qualche passaggio segreto?» dice Jeremy piegandosi per evitare un ramo particolarmente basso.
«Esattamente, fratellino», dico ricordando quel corridoio sotterraneo buio e umido che io ed Axel avevamo percorso fino all’interno del palazzo di Komorebi.
«Ma lo hai visto il palazzo all’interno? Non crederai che tutti i suoi labirintici meandri non nascondano alcun segreto, spero!» afferma Axel.
«Sapete, io e Aaron ne eravamo ossessionati: da piccoli eravamo convinti che ci fossero delle ali del palazzo ancora sconosciute, tutte da esplorare, così passavamo giornate intere a percorrere tutti i corridoi più improbabili, ad aprire ogni singola porta che trovavamo, a sgusciare sotto le più piccole aperture. E arrivammo in stanze nascoste che per ritrovarle una seconda volta bisognava annotarsi il percorso, questo sì, ne trovammo tante: era lì che ci nascondevamo per sfuggire alle ramanzine di nostra madre, era il nostro segreto. Ma scoprimmo anche un passaggio, un corridoio che passava sotto al palazzo e che sboccava in una piccola grotta poco lontana ma ben nascosta, nella foresta attorno a Komorebi. Quella sarà la nostra porta d’ingresso.»
«E a quel punto preghiamo che Anthemis ci ascolti», aggiungo io.
«Lo farà. Ne sono certo», conclude Axel.
 
***
 
È ormai mezzogiorno quando raggiungiamo il primo portale oltre le paludi; qui non siamo più al sicuro, ovviamente, per cui con un rapido gesto delle mani Axel muta l’aspetto di tutti e tre per occhi che non siano i nostri.
Senza aggiungere altro il Notturno ci guida dentro alla stretta spaccatura sul tronco di un grande e nodoso salice, il nostro portale: un attimo dopo siamo immersi nella penombra di una grotta rocciosa aperta sul verde del bosco: si sente il rumore del mare.  
Voltandomi dalla parte opposta rispetto all’entrata lo sguardo mi si perde nelle tenebre, lunghe e profonde, che come l’ultima volta mi sembrano condurre dritte alle porte dell’inferno.
«Sicuri che di qua si arrivi al palazzo?» osa chiedere Jeremy mentre l’eco della sua voce si propaga rimbalzando sulle pareti del tunnel roccioso, assieme al ticchettio delle gocce d’acqua.
«Questo posto lo conosco fin troppo bene, fidati», gli risponde lui con amarezza facendomi stringere il cuore.
Non vedo veramente l’ora che tutto questo finisca, non vedo l’ora che tutti capiscano chi è davvero la persona che hanno odiato sterilmente per tutto questo tempo. Voglio che tutti si rendano conto che Altair ha salvato le vite di ognuno di loro, voglio che ciascuno si mangi le mani dal dispiacere di aver pensato e detto ogni male su di lui, la persona più straordinaria che esiste al mondo, la più forte, la più spezzata, la più umana, la più bella.
La persona di cui ancora sono innamorata adesso che so che non è mai stata un mostro spietato. Ma di questo avrò modo di pensare più avanti, spero.
«Axel, ma chi ha costruito il palazzo di Komorebi? E quello di Yakamoz? Da quanto tempo esistono?» chiede Jeremy distogliendomi dai miei pensieri.
«Il palazzo di Komorebi, a differenza di quello di Yakamoz -che è stato ricostruito integralmente qualche secolo fa dopo l’incendio che distrusse il precedente- esiste fin dalle origini di questo mondo: in seguito quasi ogni Guardiano del Giorno lo fece restaurare o ampliare, aggiungendo o modificando gli ambienti già esistenti. Ad un certo punto non ci sentiva neanche più dei veri Guardiani se non si interveniva sul palazzo: per questo il suo interno è tanto caotico e labirintico, a differenza di quello di Yakamoz. È una stratificazione di interventi architettonici ormai indistinguibili uno dall’altro», gli risponde lui.
Dopo qualche minuto ci decidiamo ad avanzare lungo lo stretto corridoio roccioso, ma ben presto la luce proveniente dall’imboccatura della grotta si assottiglia sempre di più, lasciandoci quasi al buio: Jeremy e il suo alone luminoso è l’unica cosa che si riesce a distinguere.
«Jeremy, sei tu il Diurno qui», afferma Axel quando ormai nessuno dei tre è più in grado di avanzare se non a tentoni.
«Vuoi che faccia luce qui dentro? Ma non ho mai fatto alcun tipo di magia, non so come si fa!» ribatte mio fratello scuotendo il capo.
«È la cosa più semplice che un Diurno possa fare, la prima cosa che si insegna ai bambini del giorno nell’iniziare ad istruirli alla magia; coraggio, prova!» dice la voce di Axel poco distante dal punto in cui mi trovo, mentre la sua figura rimane celata dalle tenebre della grotta, come anche la mia.
A tali parole vedo lo sguardo di Jeremy accendersi: subito tende una mano di fronte a sé provando a concentrarsi. L’attimo successivo, fluttuante sopra il suo palmo, compare una sfera candida, irradiante luce, che schiarisce di colpo l’ambiente attorno a noi e le pareti rocciose del corridoio. L’espressione esterrefatta di Jeremy è così spontanea e divertente che se potessi gli scatterei all’istante una foto.
Proseguiamo così il nostro cammino mentre mio fratello continua a borbottare tra sé e sé qualcosa come: “Sono stato io a fare questo, proprio io...”
Finalmente riusciamo ad arrivare, svariate centinaia di metri più tardi, ad una piccola porta di legno rinforzata da stipiti di metallo: ogni cosa è esattamente come me la ricordavo. Se ripenso a tutte le cose che non sapevo l’ultima volta che sono stata qui... Quanto sono cambiata da allora? E quanto è cambiata la mia vita?
«Pronti?» ci chiede Axel.
Io e Jeremy annuiamo, forse un po’ titubanti, così il Notturno abbassa la maniglia e apre la porta generando un lungo e forte cigolio, rumore che di certo nessuno ha udito a parte noi: tale porta infatti si trova in un’ala del palazzo talmente remota e complicata da raggiungere rispetto alle sale principali che praticamente nessuno ne conosce l’esistenza.
Senza esitare entriamo insieme in una piccola stanzetta quadrata e vuota, dalle pareti in pietra bianca come di consueto e un’apertura circolare sul soffitto che risale fino ad una piccola finestrella circolare sul tetto.
Di fronte a noi si trovano due aperture ad arco, una che porta ad un ulteriore stanzetta, questa volta circolare e senza aperture verso l’esterno, e un’altra che conduce ad un piccolo corridoio con finestre quadrate che danno sul mare, ad appena pochi metri sopra la superfice dell’acqua.
L’ultima volta che sono stata qui Axel mi aveva spiegato che dall’esterno tali finestrelle sembrano semplici fenditure sulla roccia del promontorio su cui sorge il palazzo.
Nonostante la profondità a cui ci troviamo, la luce del sole arriva a far risplendere ogni ambiente che attraversiamo grazie agli stratagemmi architettonici più disparati, che hanno permesso di avere uno sbocco verso l’esterno alla maggior parte delle stanze.
Quest’ala del palazzo non ha una sua utilità, è evidente: non ci sono infatti né mobili né arredi di alcun tipo, a parte qualche vaso di ceramica colorata di tanto in tanto sulle nicchie scavate un po’ovunque sulle pareti. Si tratta solo di un susseguirsi di sale, corridoi e scale dalle forme e dimensioni più disparate: un labirinto scavato nella roccia bianca, costruito da un genio per chissà quale ragione.
Mentre camminiamo non riesco a fare a meno di pensare a quale potrebbe essere la storia dietro a tutto questo, a quale Guardiano possa aver avuto bisogno di una simile struttura nascosta e semi sotterranea.
Seguendo Axel, parecchi minuti dopo, raggiungiamo l’ultima porta che ci rimane da aprire per entrare a tutti gli effetti nella zona abitata e conosciuta del palazzo: questa si affaccia su un piccolo sgabuzzino scarsamente utilizzato dalle domestiche, le quali evidentemente non hanno mai avuto abbastanza curiosità da aprire quelle ante che quasi si confondono con la parete stessa, curiosità che invece ebbero i due principi di Komorebi così tanti anni fa.
«Speriamo di non incrociare nessuno e di arrivare dritti da Anthemis», dico sospirando dopo aver constatato che nello sgabuzzino non ci sia anima viva.
«A proposito, come facciamo a sapere dove trovarla? Magari in questo momento non è neppure qui», continuo.
«Dovremo andare a tentativi, suppongo», risponde Axel guardandosi furtivamente intorno.
«Inoltre confido che la maggior parte delle guardie siano fuori a cercarci.»
«Beh, anche se ci prendono le guardie ci porteranno comunque dalla Guardiana, giusto?» interviene Jeremy passandosi nervosamente le dita tra i capelli biondi.
«Sì, ma a quel punto Anthemis sarà obbligata ad informare Alhena... Le guardie altrimenti parleranno», spiega Axel.
«Speriamo vivamente che ciò non avvenga, allora», affermo socchiudendo piano la porta dello sgabuzzino.
 
***
 
Axel a quanto pare aveva ragione, la stragrande maggioranza delle guardie non è dentro al palazzo: nella nostra ricerca infatti non incrociamo quasi nessuno, a parte qualche domestica che riusciamo ad evitare facilmente sgusciando dentro a porte laterali o dietro a pesanti tendaggi coloratissimi.
Dopo quasi un’ora di ricerche, quando ormai penso di aver raggiunto il picco d’adrenalina sopportabile dal mio fisico, arriviamo davanti alla camera da letto di Anthemis, uno degli ultimi posti che ci mancano da controllare.
Senza troppe remore apriamo la porta e sgusciamo dentro, trovandoci finalmente faccia a faccia con la Guardiana; il suo enorme stupore ci dà i secondi necessari per fiondarci su di lei a tapparle la bocca prima che possa urlare, poi Axel rimuove l’incantesimo che fino ad ora ha modificato i nostri tratti somatici.
Anthemis, che abbiamo colto seduta sul bordo del grande letto a baldacchino con la testa tra le mani, non appena ci riconosce si affloscia per il sollievo, facendoci cenno di lasciarla andare.
«Ragazzi... Non potete rendervi conto della catastrofe che avete combinato!» sono le prime parole che la Guardiana ci rivolge quando Jeremy allontana le mani dal suo viso. Il suo tono tuttavia non è di rimprovero, no: Anthemis in fondo è felice quanto noi del fatto che Altair abbia evitato la condanna, questo è certo.
«Possiamo immaginarlo», le rispondo io.
«Anthemis, ci dispiace, ma era l’unico modo per salvare tuo figlio. Adesso sappiamo la verità: Altair è innocente!» affermo poi mentre lei si volta verso Axel con le lacrime agli occhi e una mano sulla bocca.
«Altair... Io però ti ho visto fare le cose per cui sei accusato, io c’ero... Come puoi negarlo?» riesce infine a dire Anthemis, con voce rotta.
«Non nego niente, mamma. Ho fatto precisamente ciò che mi hai visto fare, ma dietro alle mie azioni c’era un motivo: lascia che te lo racconti», dice Axel avvicinandosi a lei e cadendo in ginocchio ai suoi pedi, il viso abbassato.       
«Avanti allora, parla. Ma ti prego, se tutto questo è solo l’ennesimo inganno, se almeno un po’ mi hai voluto bene durante la tua infanzia, risparmia questo dolore a tua madre.»
«Non mentirò mai più, mamma. Questo te lo giuro», sentenzia il Notturno, serio e solenne come solo un principe potrebbe essere.
Così, quella verità tanto a lungo taciuta sgorga fuori dalle labbra di Axel per la seconda volta in due giorni.
Quando tutto finisce Anthemis, ormai senza più lacrime da versare, si lancia verso Axel stringendolo forte, tentando di compensare con quell’abbraccio tutti quelli che negli ultimi diciassette anni non aveva potuto dargli.
«Oh Altair... Figlio mio... Se penso a quanto hai dovuto soffrire in questi anni solo perché io ho creduto a ciò che diceva la gente e non a quello che mi suggeriva il cuore! Sapevo che Corylus nascondeva qualcosa durante l’ultimo periodo della sua vita, me ne rendevo perfettamente conto, ma Corylus aveva sempre avuto i suoi segreti, sempre, segreti che avevo imparato a rispettare, a non indagare mai! Se avessi anche solo immaginato che un simile intento si celava nella sua mente... Sapevo che i miei occhi dovevano avermi ingannata, che il mio Altair, anche se ci aveva traditi coi Notturni, non avrebbe mai potuto compiere azioni simili! Ma non ho ascoltato quella voce dentro di me, scambiandola per il folle lamento di una madre che non voleva guardare in faccia una realtà troppo dolorosa da sopportare. Mi sono comportata da pecora seguendo la massa, senza neanche provare ad indagare più a fondo... Figlio mio, potrai mai perdonarmi?»
«Basta sensi di colpa, mamma, basta! Adesso è tutto finito. Ti voglio bene, te ne ho sempre voluto tanto», dice Axel piangendo a sua volta, stringendo sua madre come senza dubbio sognava di poter fare da tanto, tanto tempo.
«Però devi anche renderti conto che non sono del tutto innocente», continua lui.
«Io li ho davvero uccisi, le mie mani sono ancora sporche del loro sangue.»
«Altair, no. Corylus si è ammazzato da solo il giorno in cui ideò quel folle piano, tu hai solo fatto ciò che era necessario fare! La colpa sarebbe stata tua se non avessi avuto il fegato di andare fino in fondo: ti rendi conto che se avessi esitato entrambi i mondi non esisterebbero più? E il sacrificio di Deneb fu volontario, me lo hai detto tu stesso! Sei innocente, figlio mio. Innocente!»
«Grazie, mamma», dice Axel staccandosi da lei e asciugandosi le lacrime, sorridendo.
«Anthemis, in realtà noi siamo qui anche perché per scagionare Axel ci servono le prove della colpevolezza di Corylus», affermo sedendomi accanto a lei.
«Axel... Il nome segreto che ti aveva dato Ophrys...» dice lei rivolgendosi a suo figlio.
«Io non mi ero mai accorta di questo gioco tra di voi, me lo ha riferito Abies quando mi ha esposto i suoi dubbi su di te. Preferisci essere chiamato così, adesso?»
«Sì, decisamente. Altair ormai porta con sé immagini troppo negative, io voglio ricominciare», afferma sicuro il diretto interessato.
«D’accordo allora» dice Anthemis sorridendogli.
«Per quanto riguarda Corylus, Emma, come pensate che io  vi possa aiutare in questo? Non mi sono accorta di niente pur vivendo nella sua stessa casa...»
«Parlaci di quando eravate bambini: ricordi il momento esatto in cui Corylus cominciò a odiare i Notturni? E il perché?»
«Conoscevo Corylus fin dalla nascita, le nostre madri praticamente ci hanno fatti crescere insieme», inizia lei, perdendosi in ricordi così lontani.
«Inizialmente era un bambino normale: giocavamo insieme, eravamo sciocchi, ingenui e felici così come tutti i bambini dovrebbero essere. A mano a mano che crescevamo, però, lui diventava sempre più inquieto, introverso, tormentato. Non c’è stato un momento in cui tutto questo è cominciato, fu semplicemente un processo in crescita.
Io nonostante tutto gli avevo sempre voluto molto bene, era il mio migliore amico, anche se dei suoi pensieri più profondi non mi rendeva mai partecipe. Io, forse da sciocca, ritenevo affascinante questo lato tanto inafferrabile del suo carattere... E con il tempo finii per innamorai di lui.
Ad esprimere le sue idee contro i Notturni iniziò attorno ai sedici anni, quando il suo evidente tormento interiore aveva raggiunto vette inimmaginabili, anche se io non lo volevo vedere presa com’ero da ciò che provavo per lui.  
Da quel momento fu un crescere di maledizioni ed ingiurie contro la Gente della Notte, e le sue tesi sembravano così fondate e veritiere che tutti gli credemmo, tutti, specie quando tornò a Komorebi con il corpo di suo padre tra le braccia affermando che fosse stato ucciso dal Guardiano della Notte e da suo figlio Deneb.»
«No, fu una Creatura d’Ombra...» affermo io, ricordandomi solo dopo che nessun Diurno è a conoscenza di quei mostri da cui i Notturni li hanno sempre difesi.
«Da cosa?» ribatte infatti Anthemis, confusa.
«Te lo spieghiamo dopo, mamma. Continua pure», interviene Axel.
«Poco dopo la sua nomina a Guardiano del Giorno, Corylus mi chiese di sposarlo: anche lui alla fine aveva iniziato a ricambiare il mio sentimento. I primi mesi di matrimonio furono i più felici: Corylus sembrava più tranquillo e sereno del solito, mi riempiva di attenzioni, mi sembrava di vivere un sogno. Quel periodo felice si concluse però quando mi accorsi di non riuscire a concepire: avevo il terrore di non riuscire a dare un erede a mio marito, di non poter diventare madre come sognavo.
Oltre a questo, più passavano le settimane e più Corylus tornava ad essere quello di sempre. Io però lo amavo, dunque decisi di rispettare i suoi momenti bui quando questi arrivavano senza chiedergli nulla: le poche volte in cui avevo provato a parlarne con lui infatti non mi avevano mai portato a nulla.
 In ogni caso riuscimmo a trovare il nostro equilibrio, che perdurò anche dopo l’arrivo di Axel e Ophrys.
Ora che ci penso Corylus non mi fece mai pressioni sul fatto di avere un figlio, a lui sembrava non importare... Mi dicevo che lo faceva per me, per non farmi sentire in colpa, ma forse alla luce dei fatti... Insomma, a cosa poteva servirgli un erede se la sua idea era quella di regnare in eterno?»
«Sì, è probabile che fosse per questo», dice Jeremy.
«In ogni caso, dall’arrivo dei nostri figli in avanti, le cose rimasero pressoché invariate, fino a quando mio marito non decise di mettere in atto il suo folle piano», conclude Anthemis.  
«Dunque il suo odio contro i Notturni sembra quasi non avere origine. Magari c’è semplicemente sempre stato, però mi sembra talmente impossibile...» rifletto io.
«Corylus non ha lasciato niente di scritto? Un diario magari, o degli scritti, dei documenti che ci aiutino a capirne di più sui suoi pensieri?» interviene Jeremy camminando avanti e indietro per la stanza.
«Non che io sappia, però forse possiamo trovare qualcosa nel suo vecchio studio, quello in cui si rintanava sempre, quello in cui a tutti era estremamente vietato entrare», riflette la Guardiana.
«L’unico problema è che un incantesimo blocca la porta, un incantesimo che solo Corylus era in grado di spezzare. Io ci ho provato alcune volte, sia prima della distruzione dei Nuclei con aluni incantesimi sia manualmente dopo la scomparsa della magia, ma non ci sono mai riuscita da sola, e di chiedere aiuto a qualcuno non mi andava proprio. Alla fine decisi che avrei lasciato perdere i segreti di mio marito e non ci provai più.»
«Mostraci quella porta, mamma: forse con la magia della notte o con quella scoperta da Deneb potremmo riuscirci!» dice Axel, speranzoso.
Anthemis annuisce, poi si alza per socchiudere la porta: dopo qualche istante ci fa cenno di uscire.
«Axel, modifica i vostri aspetti, se incontriamo qualcuno lungo la strada lasciate parlare me.»
 
***
 
La strada non è molta, così per fortuna riusciamo a raggiungere la stanza su cui si affaccia la porta incriminata abbastanza in fretta e senza incrociare nessuno.
«Anthemis, ma le guardie dove sono finite?» le chiedo sembrandomi strano che a palazzo non ce ne sia davvero più nessuna.
«Le ho mandate tutte a cercarvi, dalla prima all’ultima. Qualcuno si è offerto di rimanere in mia difesa, ma mi sono rifiutata: speravo infatti che così per voi sarebbe stato più facile raggiungermi di nascosto», spiega lei.
«Dunque ci stavi aspettando!» dice Jeremy.
«Certo che sì! In ogni caso questa è la porta», afferma la Guardiana, indicandola.
Axel si mette subito al lavoro; la magia della notte sembra non avere alcun effetto, mentre usando l’altra magia l’uscio sembra indebolirsi sempre di più.
Alla fine, grazie ad un incantesimo particolarmente potente, quello si spalanca con un tonfo, andando a sbattere.
Oltre alla porta però non si trova una stanza come ci aspettavamo, ma un corridoio dal soffitto ondulato che svolta a destra dopo qualche metro: un altro labirinto, a quanto pare.
«Corylus l’ha nascosta proprio bene la sua tana», nota Jeremy spezzando il silenzio sconcertato che ci circonda.
«Se ci imbuchiamo lì dentro senza conoscere la strada rischiamo di metterci ore, se non giorni, ad uscire» riflette Axel.
«Come quella volta in cui io ed Ophrys ci infilammo nei meandri sotterranei del palazzo e ci rimanemmo per due giorni, costringendo Corylus a mandare tutte le sue guardie a cercarci in ogni angolo di questo mondo.»
«Per tutto quel tempo eravate sperduti all’interno del palazzo?» sbotta Anthemis sbarrando gli occhi.
«Sciocchi, non sapete quanto mi avete fatto spaventare quella volta! E inoltre non voleste neppure dirci dove eravate stati!»
«Beh, ora lo sai», le risponde Axel ridacchiando.
«Come facciamo adesso?» chiede Jeremy fissando il corridoio di fronte a noi.
«Filo d’Arianna?» propongo io, sembrandomi questo il modo più veloce di ritrovare la strada di ritorno.
«Il cosa?» chiedono insieme Anthemis e Axel.
«Ve ne mancano ancora di cose da sapere sul Mondo di Fuori!» dico sorridendo per poi raccontare loro il mito del Minotauro e lo stratagemma ideato dalla figlia di Minosse.
Afferrando il concetto, Anthemis pronuncia alcune parole che non riesco ad afferrare, forse nell’ antica lingua del Mondo oltre l’Arcata; subito una sorta di nastro luminoso sgorga fuori dalle sue mani, nastro che io mi lego ad un polso per iniziare la ricerca.     
«Andate voi, ragazzi, io vi aspetto qui per tenere il filo e per coprirvi nel caso arrivasse qualcuno», dice, così noi cominciamo ad immergerci nel secondo labirinto della giornata, questa volta sconosciuto perfino ad Axel.
Ci mettiamo quasi mezz’ora, ma alla fine, svolta dopo svolta, riusciamo ad arrivare all’unica altra porta chiusa di questo posto. Con nostra sorpresa notiamo che nessun incantesimo ne trattiene la serratura: i cardini cigolano non appena Axel abbassa la maniglia in ferro battuto.
Una piccola stanza appare alla nostra vista, una stanza con una grande finestra quadrata sulla parete di fondo e dal soffitto piuttosto basso.
Non appena i nostri occhi vedono quello che questo ambiente contiene, rimaniamo tutti basiti e a bocca aperta.
Gran parte della parete alla nostra sinistra è occupata da una grande mappa astronomica riportante il nome e lo schema di tutte le costellazioni esistenti e delle stelle che le compongono. Un telescopio in ottone è posizionato sotto alla finestra, in piedi sul suo cavalletto a tre piedi. La scrivania alla nostra destra è piena di scartoffie e appunti, tra i quali spicca un modellino metallico del sistema solare.
Insomma, il tipico studio di un Notturno innamorato dell’astronomia. Nel cuore del Palazzo del Giorno.
«Vi prego, trovatemi una spiegazione logica a tutto questo, perché io sinceramente non ce la faccio», sbotta Jeremy dopo alcuni minuti spesi a fissare immobili la stanza.
«Le carte sulla scrivania, iniziamo da lì», dice Axel spingendosi dentro allo studio di Corylus cercando di mantenere calma e lucidità.
In mezzo a quella confusione riusciamo a trovare un quaderno: esattamente quello che cercavamo. Le annotazioni dell’ex Guardiano del Giorno iniziano nel 1960, quando lui aveva appena quindici anni, per finire nel 1998, anno della sua morte.
Con il cuore in gola cominciamo a leggere, andando così a svelare, basiti, il segreto di Corylus:
 
15 aprile 1960
Inizio a scrivere qui per la mia salute mentale, perché altrimenti, non potendo parlare con nessuno di quello che mi sta capitando, rischio davvero di impazzire.
Questo diario sarà un segreto, mai nessuno dovrà venirne a conoscenza, mai, questo è fondamentale.
È ormai da molto tempo che ho capito ciò che vorrei più di ogni altra cosa al mondo, ma mi rendo perfettamente conto che tali desideri sono per me vani, vuoti, irrealizzabili. E tutto questo mi logora l’anima, giorno dopo giorno.
Questi desideri sono il mio pensiero fisso, il mio tormento, la mia rovina.
Io sono un Diurno, il figlio del Guardiano del Giorno perfino, il suo erede: il mio destino è quello di guidare la città di Komorebi nelle avversità e nella fortuna fino alla mia morte, ma soprattutto di vegliare sul Nucleo del Giorno, fonte di tutta la magia legata alla luce nonché secondo piatto della bilancia che tiene l’intero universo in equilibrio. Peccato che io non voglia niente di tutto questo. L’unica cosa che desidero è scappare nella notte, contemplare le stelle, venerare la luna, vivere nella magnifica Yakamoz. Ma non posso avere questo, sia a causa della mia natura sia a causa dei miei doveri.
Forse un giorno riuscirò ad accettarlo, magari questi sono solo stupide voglie adolescenziali, ma qualcosa dentro di me mi fa gridare: “No, è questo quello che sei e che sarai sempre: un anima notturna dentro un corpo da Diurno”.
 

18 luglio 1961
Sto cambiando, questo lo vedono tutti: i miei genitori, Anthemis, perfino me stesso.
“Sei sempre così cupo, Corylus! E ridi ogni tanto!”, mi dicono. Vorrei proprio sapere se loro riderebbero se portassero sulle spalle il peso della sventura che grava sulle mie. Se solo conoscessero l’inferno che sto passando, maledizione!
Mi sento incatenato, prigioniero in una vita che non desidero, in una vita che ripudio e rinnego. Di notte le cose vanno anche peggio: me ne sto nella mia stanza a guardare il cielo stellato mentre ogni cellula del mio corpo vorrebbe uscire fuori, scappare e non tornare più indietro. Ma sono costretto a rimanere fermo. Sarò costretto a rimanere fermo per sempre.
Quanto invidio tutti coloro che possono avere ciò che io invece non possiederò mai.
Odio i mezzosangue: loro hanno quella scelta che a me invece è stata negata, hanno la possibilità di decidere della loro vita, possibilità che a me, nato Diurno, non sarà mai concessa! È così sbagliato, questo, così ingiusto! Perché loro sì ed io no?
È strano, lo so, ma io odio perfino i Notturni: loro più di tutti! Loro che possono essere sé stessi senza alcuna restrizione, loro che hanno ciò che io bramo e che non avrò mai, mai!
 
13 dicembre 1963
Fuori è freddo, oggi, ma mai tanto quanto lo è dentro di me. Mi sento così arido, ormai, così svuotato di ogni felicità, di ogni gioia, che ormai l’unica cosa che provo è la rabbia, il furore. Ogni giorno è più difficile da superare del precedente, costantemente.
Ho desiderato così tanto l’impossibile che ora le uniche cose che mi restano sono l’amarezza e l’odio, odio per ciò che prima amavo, odio per chi possiede ciò che ho sempre voluto anche io. Perché loro sì ed io no, continuo a chiedermi. Ormai è un tarlo che non se ne va mai.
Ogni notte è sempre la stessa storia: soffro e soffro sempre di più, tanto che vorrei che le stelle e la luna sparissero per sempre, così che non mi ricordino più la mia disgrazia! Vorrei che la notte sparisse, sì, è questo che voglio! Così nessuno avrebbe mai più ciò che io non posso avere, così la fonte stessa del mio dolore sparirebbe per sempre!
Non posso essere un Notturno? Bene, allora che nessuno lo sia ma più! Sono nato Diurno, che solo il giorno regni, allora!

 

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Capitolo 41
*** Da qui all'eternità ***


Jeremy
 
Dopo aver letto solo alcune tra le prime annotazioni di Corylus, un Corylus ancora molto giovane ma già avvelenato dal rancore e dall’invidia, sappiamo già tutto quello che ci serviva scoprire.
Queste parole riportano una verità talmente sconcertante da farci inizialmente dubitare dell’autenticità del quadernetto; la stanza in cui ci troviamo è tuttavia un’ulteriore prova a favore di questa versione dei fatti, stanza che, prima di noi, nessuno ha mai più visitato dopo la morte dell’ex Guardiano.
«Per quanto assurdo possa sembrare dunque il movente di Corylus era l’invidia... Per tutta la vita ha desiderato ciò che non poteva avere e ciò è degenerato col tempo in feroce odio e brama di vendetta», afferma Emma, ancora sconcertata come tutti noi.
«Era un pazzo, solo un pazzo! Chi mai vorrebbe distruggere ciò che ama più di ogni altra cosa solo per il fatto di non possederla?» sbotto io.
«Saresti sorpreso e terrificato nel conoscere il numero di tutti coloro che la pensano così, Jeremy», mi risponde Axel chiudendo il diario, serio, e scuotendo la testa.
«Dobbiamo tornare da Anthemis, non c’è tempo da perdere», interviene Emma.
Così, seguendo il corso del filo di luce che ci eravamo lasciati alle spalle, riemergiamo dalla porta davanti alla quale ci sta ancora aspettando la Guardiana.
«Allora, trovato qualcosa?» ci chiede subito lei, capendo la risposta dai nostri volti pallidi e scossi.
«Mamma, devi leggere questo. Qui c’è la spiegazione ad ogni cosa», dice Axel porgendole il vecchio diario di suo marito. Anthemis  lo afferra, girandoselo tra le mani per qualche istante, con espressione assorta.
«Andiamo in biblioteca, lì staremo più tranquilli», dice infine facendo sparire il filo e dirigendosi in fretta fuori dalla stanzetta.
 
***   
 
Dopo aver letto in silenzio alcuni stralci del diario, Anthemis si mostra sconvolta come tutti noi.
«Oh Corylus... Se solo ti fossi sfogato con qualcuno, se solo non ti fossi tenuto dentro quel mostro che ti lacerava l’anima... Se ti fossi fidato di un fratello, di un amico o di me magari niente di tutto questo sarebbe capitato», dice la Guardiana richiudendo il quadernetto dalle pagine ingiallite dal tempo e dalla rabbia che Corylus ci riversò sopra per gran parte della sua vita.
«Ora conosciamo il movente di Corylus e le azioni da lui compiute, ma come facciamo a dirlo a tutti quanti? Secondo voi il diario è una prova sufficiente?» chiedo cercando di pensare ad un modo per organizzare le cose di qui in avanti.
«Se quelle pagine fossero reputate autentiche tutti sarebbero costretti a crederci», afferma Axel.
«Vi sono contenuti tutti i pensieri di Corylus, i suoi progetti, il percorso che lo ha portato a sviluppare quel piano che infine riuscì ad attuare. C’è scritta davvero ogni cosa, ma purtroppo non conosco un modo per provare l’autenticità di quelle pagine agli occhi delle due Genti.»
«Già, potrebbero dire che sono state create ad hoc da noi per provare l’innocenza di Axel», riflette Emma, sospirando.  
Improvvisamente, nel silenzio venutosi a creare, un’idea mi balena nella mente, così ne rendo subito partecipi gli altri sperando che possa almeno essere un buon punto di partenza.
«Axel, ascoltami. Se il giorno della distruzione dei Nuclei il piano di Deneb fosse andato completamente a buon fine, come pensavate di informare la popolazione? Ci hai detto che non rendeste noti a nessuno i crimini di Corylus prima della battaglia perché avevate bisogno che lui non sapesse che voi lo avevate smascherato, ma se tutto fosse filato liscio e i nostri genitori non fossero morti, cosa avreste fatto dopo per spiegare quello che era successo?» chiedo.
«Certo!» esclama Emma.
«Deneb sapendo di dover morire e che non avrebbe potuto difenderti in prima persona deve per forza aver pensato ad un modo per salvare la tua reputazione! Era un uomo estremamente intelligente ed astuto, di sicuro aveva immaginato quello che avrebbero capito, erroneamente, entrambe le Genti!»
«Un piano credo ci fosse, ragazzi», ci risponde il Notturno..
«Il problema è che io non lo conosco: io e Ophrys ci dividemmo i compiti nell’aiutare Deneb a progettare il piano per sconfiggere Corylus. Io lo aiutavo con la strategia bellica, mentre Ophrys lo aiutava a pensare ad un modo per rendere nota la verità quando tutto avrebbe avuto fine.  Come sapete siamo stati attaccati da Corylus prima del previsto, dunque né Ophrys né Deneb fecero in tempo a comunicarmi ciò che avevano deciso.»
«Quindi, a meno che papà non appaia dall’aldilà a dirci tutto, siamo al punto di partenza», dice Emma rattristandosi.
Ognuno di noi annuisce, frustrato: a quanto pare il piano di Deneb è morto assieme a Ophrys.
«Ragazzi...» rompe improvvisamente il silenzio Anthemis con voce un po’ tremante e insicura, lo sguardo puntato al suolo e il tono di chi non sa se continuare a parlare o rimanere in silenzio. 
«Devo confidarvi una cosa. In qualunque altra circostanza non lo farei, tanto tempo fa giurai infatti di portarmi nella tomba questa verità, come sarebbe stato giusto, ma dal momento che potrebbe essere la nostra unica possibilità...» continua la Guardiana sollevando lo sguardo e puntando gli occhi verde-azzurri su di noi, ora glaciali e determinati come mai glieli ho visti addosso.
«E se vi dicessi che in realtà parlare con Ophrys non fosse così impossibile?» bisbiglia infine.
A una tale affermazione tutti sgraniamo gli occhi, stupiti e malfidenti.
«I morti non parlano, mamma» le risponde infatti Axel, corrucciato, non credendo a ciò che chiaramente reputa una falsa speranza.
I suoi occhi tuttavia, come i nostri, a tali parole hanno brillato per un attimo: parlare con Ophrys e magari anche con Claire? Sarebbe un sogno per ciascuno di noi. Ma come? Neanche la magia del Mondo oltre l’Arcata può tanto, di questo sono convinto.
Ma a quanto pare Anthemis non lo è altrettanto.
«Da giovane avevo un precettore privato», inizia infatti a spiegare lei, continuando a giocherellare con l’anello che porta al dito.
«Era un uomo molto sapiente ed estremamente curioso; questo lo aveva spinto ad indagare i misteri più grandi che avvolgono da sempre i poteri che ci sono stati concessi dai Nuclei: poteri che nessuno è mai riuscito a comprendere fino in fondo. Le sue ricerche lo avevano spinto ad ipotizzare che il potere della notte, in linea teorica, avrebbe potuto perfino evocare le anime dei defunti. Non so come lo capì, né tanto meno quale fosse il ragionamento che lo aveva portato a stipulare una simile idea, ma lui ne era convinto. Durante una nostra discussione sui limiti della magia si lasciò scappare un po’ troppe cose, mi disse di aver trovato una persona che gli aveva dimostrato la correttezza della sua ipotesi: un vecchio eremita talmente potente da riuscire a compiere l’impensabile. Il maestro, mentre accennava vagamente al loro incontro, sembrava quasi spaventato da lui tanto ne era rimasto impressionato.
“Sono pratiche magiche al limite della razionalità, al limite della naturalità e della correttezza etica, Anthemis, pratiche di cui è meglio tenere tutti all’oscuro. È pericoloso, giurami che terrai questa cosa per te e che non ci penserai più!” mi disse lui. Ed io giurai davvero, senza più pensare a quel vecchio eremita e alle sue capacità per anni; tuttavia, quando persi tutta la mia famiglia in un giorno solo, senza avere avuto la possibilità di dire loro addio... beh, mi fu impossibile non tornare a rifletterci.
Sapevo che la magia della notte era perita assieme al Nucleo, ma se questo eremita era davvero così potente, perché non tentare comunque? Un ragionamento senza senso, lo so, ma era la disperazione a spingermi.
Chiesi così ad Abies di andare a cercarlo, raccontandogli la verità, e lui, coltivando la speranza di poter parlare a sua volta un’ultima volta con Ophrys, accettò.
Ci mise anni, ma alla fine tornò da me vittorioso: lo aveva trovato.
Così Abies mi accompagnò da lui, in quel posto così inquietante. L’eremita mi guardò e capì tutto prima ancora che io parlassi, dicendo che non poteva aiutarmi: la sua magia era potente, vero, ma pure quella dipendeva dal Nucleo della Notte che era stato distrutto. Così me ne tornai a casa, delusa e amareggiata. Adesso però la magia della notte è tornata, ragazzi: posso mostrarvi dove trovare l’eremita.»
Un brivido mi corre giù per la schiena quando Anthemis finisce di parlare, un grande turbamento mi assale. Quel precettore aveva ragione, queste sono cose al limite dell’umano: a disturbare i morti non si sa mai cosa potrebbe capitare.
Tuttavia, parlare con mamma e papà... Sapendo che esiste una tale possibilità come possiamo non coglierla al volo? Inoltre questa sembra essere la nostra unica possibilità per provare a scagionare Axel e noi stessi: dobbiamo tentare.
Alla stessa conclusione sembrano arrivare anche Emma e Axel, che, pur pallidi in volto, annuiscono.
«Mostraci una mappa, Anthemis, lo troveremo», afferma mia sorella.
 
***
 
«Axel, secondo te è una buona idea?» non posso fare a meno di chiedere quando il portale ci fa riemergere nel punto conosciuto dal Notturno più vicino al luogo indicatoci da Anthemis: parecchi chilometri più a sud della nostra meta.
Prima di partire, dopo aver mangiato e riposato un po’, abbiamo chiesto alla Guardiana se volesse venire con noi per poter parlare con suo figlio come avrebbe voluto, ma lei ha rifiutato. Non poteva sparire così da palazzo, inoltre rivedere Ophrys per poi perderlo una seconda volta le avrebbe fatto troppo, troppo male: adesso se ne rendeva conto.
Mi chiedo se lo stesso non capiterà ad Axel: io ed Emma in fondo non abbiamo mai conosciuto i nostri genitori, mentre lui sì, e sappiamo quanto fossero importanti per lui, sappiamo quanto la loro fine lo abbia lasciato distrutto.
«Io non lo so, Jeremy, ma è l’unica opportunità che abbiamo», mi risponde lui dopo un attimo di incertezza.
«Inoltre, rivedere Ophrys e Claire... Io... Come posso non provarci?»
«Axel, secondo te Deneb sapeva di questa possibilità offerta dal potere della notte?» chiede Emma mentre incominciamo a camminare tra gli alberi dai tronchi bianchi e dalle foglie scure, quasi nere, che caratterizzano questa zona al limite nord-occidentale di questo mondo.  
«Se lo sapeva, a me non l’ha mai detto», afferma lui incupendosi.
Camminiamo così per ore finché il sole non sparisce dietro all’orizzonte lasciando spazio alle ombre della sera, quelle ombre a cui presto si fonderanno le aure scure che hanno circondato Emma ed Axel per tutto il giorno.
Attorno a noi nel frattempo la foresta si fa sempre più fitta, sempre più intricata, sempre più nera.
Io che non possiedo lo stesso istinto dei Notturni per muovermi agilmente nel buio sono costretto a rallentare e talvolta ad illuminare il cammino con una sfera di luce.
A mano a mano che avanziamo un certo senso di inquietudine ci assale: è un brivido che ci pervade le membra, un’energia che comincia a vibrare dentro di noi senza sosta.
È un luogo carico di un’atmosfera strana, questo, pervaso da una vibrazione che chiunque potrebbe percepire: credo che qui ogni filo d’erba, ogni foglia e ogni goccia di rugiada sia satura di magia della notte.
Il mio istinto da Diurno continua a suggerirmi di voltarmi e di correre via, veloce, il più lontano possibile. Mi sento estremamente a disagio qui, estremamente fuori luogo, in un territorio nemico, ostile a quelli come me.
Questo posto è l’incarnazione stessa della notte: io non dovrei essere qui.
Ma nonostante questo me ne sto zitto e continuo a camminare dietro ad Emma ed Axel, turbati, certo, ma di sicuro non tanto a disagio quanto me.
Ogni sfida che ho affrontato da quando sono entrato in questo mondo mi ha fatto crescere, mi ha fatto superare i miei limiti, mi ha reso una persona più sicura di sé e coraggiosa... Se supererò vittoriosamente anche questa, beh, credo che potrò dire di non essere davvero più quello di una volta. Devo essere forte, adesso più che mai, se voglio dimostrare di essere il degno erede di Anthemis, il degno erede di mio padre, che ebbe il coraggio di schierarsi contro la sua stessa gente per ciò che riteneva giusto.
Il cielo ha appena cominciato a schiarirsi quando finalmente giungiamo al punto indicatoci da Anthemis: non che ci serva ricontrollare la mappa, è palese che siamo arrivati nel luogo esatto.
È una radura spoglia ad accoglierci: uno spazio perfettamente circolare circondato da alberi neri e fitti, al cui interno enormi monoliti di pietra vanno a formare un anello che delimita un ulteriore area circolare al centro della radura.
Su di quelli se ne stanno appollaiate varie decine di grossi corvi neri: alcuni uccelli percependo la nostra presenza si alzano in volo gracchiando, macchie alate ancora più scure del cielo sul quale si stagliano.
La strana sensazione che non mi ha abbandonato per tutta la notte qui è perfino più forte, tanto che non riesco a trattenere un tremito.
«Chi siete? Perché venite a disturbare la mia solitudine?» una voce squarcia il silenzio della notte, una voce somigliante al rumore del vento durante una tempesta, una voce che sembra antica quanto il mondo stesso, la voce di una creatura che non può essere del tutto umana.
Io e gli altri ci stringiamo uno all’altro, a disagio, non capendo da quale direzione la voce sia arrivata e senza vedere nessuno.
Il cuore di tutti inizia a battere freneticamente, ma nonostante questo Axel trova comunque la forza di parlare.
«Sono Altair, figlio di Deneb, e questi sono Emma e Jeremy, figli di Ophrys. Siamo qui per chiedere il tuo aiuto: abbiamo bisogno di conoscere una verità che solo i defunti possono comunicarci. Né va della nostra vita. Ti prego, aiutaci.»
Improvvisamente una figura scura emerge dalla foresta dall’altro lato della radura, avvicinandosi a noi sempre di più, senza fretta.
Solamente quando quella arriva a pochi metri di distanza da noi riusciamo a distinguerne le fattezze: si tratta di un vecchio alto, imponente, dal viso scavato da profonde rughe. Una lunga barba grigiastra gli ricade sul petto assieme agli scompigliati capelli dello stesso colore. Indossa una lacera tunica marrone legata in vita da una cintura e sandali di cuoio, in mano tiene un lungo bastone.
I suoi occhi, che al buio della notte appaiono neri come il carbone, sono profondi e incavati, senza età: trasmettono una sensazione di profonda saggezza e di grande, grande potere.
«Altair, figlio di Deneb», dice il vecchio eremita con la sua roboante voce.
«Distruttore dei Nuclei e due volte parricida. Come posso esserti d’aiuto?»
«Io... io non», inizia a dire turbato lui, chiaramente spaventato e in soggezione.
«Neghi forse le tue azioni, figlio di Deneb?» insiste il vecchio.
«No, io non le nego, ma voglio poter dimostrare le mie buone intenzioni», afferma Axel ritrovando la voce e un briciolo di audacia.
«Per questo ho bisogno di parlare con mio fratello. So che in questo tu puoi aiutarmi», continua.
«So che non sei colpevole, figlio di Deneb, lo leggo nella tua anima.»
«Tu leggi le anime?»  chiede allora Axel, piuttosto turbato.
«Il potere della notte mi permette di vedere ogni verità sepolta nel buio, ogni verità nascosta, ogni verità non palesemente manifesta: ogni Notturno possiede questa capacità di vedere oltre l’apparenza, questo desiderio di andare oltre il visibile, oltre l’ovvio, a differenza dei Diurni.  Io ho sviluppato meglio di tanti altri questa dote, che ora mi permette di vedere cose senza neanche cercarle.»
«Per tutta la vita ho creduto che fosse mio padre il più grande conoscitore della magia. A quanto pare mi sbagliavo.»
«Tuo padre ne sapeva abbastanza, non dubitarne. Avrebbe potuto uguagliarmi se lo avesse voluto, ma per farlo avrebbe dovuto dedicarsi anima e corpo allo studio e alla pratica: il suo ruolo da Guardiano glielo impediva. Inoltre si faceva troppi scrupoli, glielo ripetevo in continuazione.»
«Tu... Tu lo conoscevi di persona?» sbotta Axel, basito dalla rivelazione.
«Lo conoscevo: molte delle cose che sapeva gliele ho insegnate io stesso», risponde il vecchio. 
«Ma veniamo al motivo per cui siete qui», prosegue.
«Volete parlare con Ophrys, magari anche con la prima di Fuori, giusto? Bene, li evocherò per voi, ma dovete essere consapevoli che c’è un prezzo da pagare.»
«Qualunque cosa», afferma Emma, sicura di sé come sempre, attirando su di sé l’attenzione del vecchio eremita.
«La ragazza è determinata, vedo. Ora ascoltate, voglio che siate consapevoli di ciò a cui andate incontro. La magia della notte mi permette di evocare i morti per una ragione precisa: noi Notturni non possiamo controllare la vita terrena degli esseri viventi come i Diurni, che hanno la capacità di curare i corpi con la magia o di far crescere dalla terra piante ed erbe di ogni tipo. No, noi abbiamo il controllo della vita spirituale, la vita che si accende tra le tenebre della morte, brillante come una stella nel buio della notte. Vita terrena, visibile a tutti, brillante e certa come la luce del sole, ai Diurni. Vita spirituale ai Notturni. Così come posso sfruttare il potere di una certa stella che brilla nel buio, così posso evocare una vita che brilla nella morte.»
«Lo capiamo», dico trovando, non so come, il coraggio di parlare a mia volta. 
«Ma qual è il prezzo da pagare?»
«Evocare uno spirito sulla Terra significa strapparlo temporaneamente alla Morte, la quale reclama indietro qualcosa come risarcimento alla momentanea perdita di un’anima. Potrebbe strapparvi un ricordo, un sentimento o una dote innata, qualunque cosa a suo piacimento, per tutto il tempo che vorrà. Ci potrebbero volere ore, giorni, mesi o anni prima che vi venga restituita: accettate di rischiare?»
Io e gli altri ci guardiamo: non abbiamo scelta, anche se ognuno di noi è chiaramente preoccupato di perdere qualcosa di importante, qualcosa che fino ad ora abbiamo reputato indispensabile per la nostra vita. Ma ormai non possiamo più tornare indietro.
«Accettiamo», diciamo tutti e tre insieme, ad una voce.
«Bene. Seguitemi.»
Detto questo il vecchio si volta e inizia a camminare, fermandosi poi al centro del cerchio di pietre.
«Fermi!» grida verso di noi alzando un braccio nella nostra direzione, facendoci immobilizzare. Tutti iniziamo a sudare freddo e a tremare.
Sopra di noi il cielo, pieno di grosse nuvole cariche di pioggia, è ormai visibile grazie ai primi raggi del sole che a breve emergerà dall’orizzonte.
Senza attendere oltre il vecchio chiude gli occhi e solleva in aria il bastone, iniziando a cantilenare muovendo ritmicamente le braccia: attorno a noi, improvvisamente, compaiono delle ombre scure che iniziano a ruotare sempre più velocemente, sollevando un gran vento.
In pochi instanti la radura sparisce e la voce dell’eremita si smorza: ora ci siamo solo noi, circondati dal muro roteante di tenebre e sovrastati dal cielo grigio in cui i corvi continuano a volare in quella che pare una danza, gracchiando cupamente.
Dopo alcuni minuti durante i quali nessuno dei tre ha il coraggio di dire una parola, finalmente, accade qualcosa: due piccole luci sferiche compaiono davanti a noi, luminose come due piccoli soli. All’improvviso quelle iniziano ad ingrandirsi, sempre di più, fino a diventare due silhouette candide dalla forma umana inginocchiate di fronte a noi.
Il cuore sembra volermi uscire dal petto quando infine la luce delle due figure si smorza gradualmente, rivelando ai nostri occhi sconcertati e pieni di meraviglia e speranza i tratti e le fattezze di Ophrys e Claire, i miei genitori, vestiti con delle leggere tuniche candide.
L’emozione che provo in questo istante è indescrivibile, semplicemente la più potente che mi abbia mai investito: gli occhi mi si riempiono di lacrime non appena riconosco il viso di mamma, conosciuto grazie alle tante fotografie mostrateci dai nonni, e quando vedo per la prima volta in vita mia il volto di mio padre.
Mamma e papà: strani nomi da associare a due ragazzi evanescenti che sembrano avere appena quattro o cinque anni in più di me e di Emma, ma guardandoli non posso fare altro che pensare a quanto sono orgoglioso di essere figlio loro.
Claire è una ragazza esile e minuta: la sua forza e il suo coraggio, gli stessi che l’hanno caratterizzata in vita, si vedono stampati a chiare lettere sul suo viso dolce e risoluto ad un tempo. Ha caldi occhi color cioccolato, capelli dello stesso colore mossi e corti fino alle spalle, il naso leggermente all’insù come il mio; la bocca sottile è tesa in un grande sorriso.
La prima cosa che invece si nota in Ophrys è lo sguardo irriverente e carismatico che parte dai suoi occhi azzurri come il cielo di maggio, colore evidenziato ancor di più dalle lunghe ciglia nere appena più scure dei suoi capelli corti e scompigliati.
Anche lui sorride, un sorriso luminoso come una stella.
Ci vogliono parecchi attimi affinché lo shock cali abbastanza da riconsegnarci le facoltà linguistiche e motorie, ma non appena questo succede tutti e tre ci inginocchiamo davanti alle due anime, così da poter parlare con loro faccia a faccia.
Per quanto gli animi di tutti noi siano in subbuglio credo che sia Axel il più toccato e commosso nel profondo: se ne sta in ginocchio davanti a Ophrys con gli occhi sgranati e pieni di lacrime, mentre la sua bocca continua ad aprirsi e chiudersi senza emettere suono.
Mio padre allora allunga le braccia verso quello che era suo fratello, afferrandolo per le spalle.
«Oh Axel, sono coì felice di vederti!» dice Ophrys altrettanto commosso, facendomi così ascoltare la sua voce per la prima volta, quella voce che tante volte avevo provato ad immaginare senza risultato.
Adesso che la sento davvero una strana sensazione mi pervade, come un déjà-vu, come se avessi appena ritrovato un ricordo che la mente aveva perduto, ma il cuore conservato con tutta la cura possibile.
«Aaron, perdonami, io... io... se solo fossi arrivato prima...» trova finalmente la forza di dire Axel, afferrando a sua volta il fratello per le braccia.
«Niente di ciò che è successo è stata colpa tua! Niente! Ti sei tormentato l’anima per diciassette anni invano! Avrei così tanto voluto esserci per sostenerti e aiutarti, Axel! Mi ha spezzato il cuore vederti sempre in quelle condizioni e non poter fare niente! Ma io c’ero, noi c’eravamo! Ci siamo sempre stati!» dice Ophrys accennando a Claire, che inizia a parlare a sua volta suscitandomi dentro le stesse emozioni di poco fa.
«Ha ragione lui, Altair. Tu sei una persona meravigliosa, non hai colpe! Ciò che è accaduto semplicemente doveva accadere, tu hai avuto il coraggio di pagare il prezzo della salvezza! E soprattutto hai aiutato i nostri bambini a compiere il loro destino», dice nostra madre spostando lo sguardo su di noi.
«Emma, Jeremy, venite qui!» dice poi lei tendendo le braccia verso di noi, mentre Axel si fa rispettosamente da parte.
Io ed Emma allora ci guardiamo per un attimo, come facciamo sempre un secondo prima di buttarci a capofitto in qualcosa di importante, facendo incontrare i nostri occhi emozionati come a dire: “Avresti mai pensato che un giorno non solo avremo saputo la verità su di loro, ma li avremo addirittura abbracciati?”
Un secondo dopo mamma e papà ci stanno cullando tra le loro braccia, cercando di comunicarci con quella stretta tutto l’amore che in questi anni non hanno potuto darci.
«Siamo sempre stati anche accanto a voi, luci dei nostri occhi, ad ogni vostra tappa importante noi c’eravamo, sempre, cercando di infondere in voi la forza e il coraggio necessari ad affrontare la vita», dice papà.
«Siete stati bravissimi, ragazzi, eccezionali. Avete portato magnificamente a compimento il vostro destino, avete salvato il nostro mondo. E avete ancora così tanta vita davanti a voi!» interviene la mamma.
«Vi abbiamo cercati così tanto», dice allora Emma.
«Abbiamo cercato la verità fin da quando siamo stati grandi abbastanza da capire, sempre, e quando l’abbiamo trovata abbiamo compreso davvero quanto siete stati, e siete ancora, speciali. Siamo orgogliosi di essere figli vostri, vi vogliamo bene.»
«E noi ne vogliamo a voi, non potete neanche immaginare quanto!»  risponde papà.
Non so per quanto tempo poi rimaniamo così, stetti uno all’altro, ma alla fine i nostri genitori ci lasciano andare per tornare a guardarci negli occhi.
«Emma, Jeremy, Axel, ascoltate» inizia Ophrys.
«So perché ci avete cercati in questo modo, so cosa vi serve. Avete ragione: io e Deneb davvero preparammo un piano per svelare la verità alle due Genti e per salvare la reputazione di Axel. Il Guardiano mi rivelò che l’unico modo per salvare l’Equilibrio era che lui inglobasse in sé il Nucleo e si sacrificasse, mi rivelò anche di essere il vero padre di...»
«Tu lo sapevi fin da subito?!» lo interrompe Axel sgranando gli occhi.
«Certo che lo sapevo! Deneb lo disse soltanto a me perché lo aiutassi a preparare il piano per il dopo-battaglia, un piano in cui lui non avrebbe avuto alcuna parte», gli risponde il fratello.
«Lo sapevi e non mi hai detto niente?» insiste sconvolto il Notturno.
A questo punto Ophrys guarda Axel sollevando ironicamente un sopracciglio, per poi sghignazzare trattenendosi a stento.
«Ehm, fratello, forse ti sfugge un piccolo dettaglio... Sì, insomma, tu mi avevi tenuto nascosto ben di più e per molto più tempo, se non ricordo male! Ho pensato che tenerti all’oscuro di ciò per pochi giorni non fosse la fine del mondo! Un po’ te lo meritavi, ammettilo!» dice facendogli l’occhiolino.
«Ok, devo dire che questo lato di te non mi è mancato affatto!» afferma Axel imbronciandosi.
«Bugiardo, guarda che ti ho visto mentre frignavi disperato sulla mia tomba!» ribatte papà facendoci scoppiare tutti a ridere, Axel compreso.
«Ad ogni modo», continua poi tornando serio.
«Dopo avermi svelato la verità e avermi fatto giurare di non dirti niente prima del tempo, Deneb mi chiese di tornare a Komorebi per catturare alcune immagini con la magia del giorno: scattare delle foto e fare dei video, direbbero i di Fuori.
Documentai così la stanza vuota del Nucleo e le magie fuori dal comune di mio padre, spiegando nel mentre tutta la verità. Tornato a Yakamoz aggiunsi alle riprese un’immagine di Deneb che raccontava ciò che era necessario fare per salvare l’Equilibrio, includendo nel discorso anche la sua intenzione di nominare te, Axel, suo erede in quanto figlio naturale. Una volta finito io e Deneb trasferimmo le immagini catturate in due copie dentro a delle sfere di vetro che, una volta rotte, avrebbero riprodotto nell’aria tutte le immagini davanti alle due Genti.
Per tenere le due sfere al sicuro durante la battaglia decidemmo di portarle nel Mondo di Fuori assieme a voi, ragazzi, così prendemmo due ciondoli e le inserimmo al loro interno, legandoveli al collo. Quando vi consegnai a Ada e James dissi loro che, se non fossi tornato a prendervi, avrebbero dovuto mandarvi qui quando sareste stati pronti, ma categoricamente con quei ciondoli addosso. Ada ha aggiunto al loro interno le placchette con i vostri ritratti, ma al di sotto di quelle troverete ciò che cercate.»
Appena nostro padre finisce di parlare io e mia sorella ci sfiliamo i ciondoli, sconcertati: così tutte le risposte sono sempre state con noi, a portate di mano, per tutto il tempo, fin dall’inizio...
Febbrilmente apriamo i ciondoli e solleviamo le placchette coi ritratti: al di sotto di essi compaiono ai nostri occhi due piccole sfere azzurrine, incastonate nel corpo del ciondolo.
«Dunque basta romperne una e una sorta di documentario verrà proiettato nel cielo?» chiede Emma, ancora abbastanza scossa.
«Esattamente tesoro», interviene mamma.
«Rompetene una a Yakamoz e una a Komorebi: tutti saranno costretti a credervi! La magia del giorno non può mentire, le immagini catturate in questo modo non possono essere manipolate, lo sanno tutti.»  
«Bene, ora avete ciò che cercavate. È giunto il momento di salutarci, adesso», dice Ophrys.
Così annuiamo, mogi e tristi, in attesa di un addio a cui nessuno di noi è minimamente pronto.
«Emma, sei una ragazza coraggiosa e sicura di te, sai quello che sei e sai quello che vuoi: non cambiare mai, tesoro mio, mai. Segui sempre le tue idee e il tuo cuore, continua a servire i valori in cui credi: se farai così non potrai mai perderti!» dice Claire abbracciando teneramente sua figlia, per poi rivolgersi a me.
«Jeremy, figlio mio, da quando hai scoperto le tue vere radici e da quando hai dovuto affrontare situazioni e difficoltà che prima ti sembravano insormontabili ti sei davvero trasformato. Hai finalmente capito che anche tu vali, che anche tu sei speciale! Non dimenticarlo mai, non lasciarti mai abbattere dalla paura di non essere abbastanza! Vorrei che tu potessi vederti con i nostri occhi, allora capiresti davvero che non esiste situazione che tu non possa affrontare con successo!»
«Grazie mamma, lo ricorderò», le rispondo stringendola ancora a mia volta.
Anche nostro padre ci attira a sé per un ultimo saluto, affermando di essere il padre più fortunato del mondo ad avere noi come figli.
Quando alla fine ci separiamo anche da lui lo sguardo di Ophrys cerca nuovamente Axel: colui che un tempo era stato e sarà per sempre il suo migliore amico, suo fratello, anzi, di più: un’estensione di sé stesso.
Così i due si avvicinano uno all’altro e si stringono la mano, specchiandosi uno negli occhi dell’altro per un’ultima ed estrema volta.
«Axel, prima di andare devo dirti ciò che non ho potuto mentre ero in vita: grazie per la nostra infanzia e per la nostra amicizia, grazie per tutte le volte in cui mi hai aiutato e sostenuto, grazie per tutte le volte in cui mi hai fatto ridere e anche per quelle in cui mi hai fatto piangere e gridare dalla rabbia. Grazie per aver provato a salvarmi e per avermi stretto la mano durante il mio ultimo viaggio. Soprattutto, grazie per avere aiutato e salvato i miei figli. Ti voglio bene, fratello, da qui all’eternità. Un giorno saremo di nuovo insieme: spero per te il più tardi possibile.»
«Grazie a te, Aaron, e perdonami se non sono stato un fratello esemplare: ti ho deluso profondamente, tanto profondamente che credevo di averti perso per sempre. Vorrei non averlo fatto, fratello. Addio, per ora: un giorno saremo ancora insieme, stavolta per sempre.»
Detto questo anche Axel si alza e fa un passo indietro, mentre i corpi eterei ma concreti di Ophrys e Claire tornano a risplendere di luce.
Prima di sparire del tutto, però, un lampo sembra attraversare gli occhi di Ophrys, che ricomincia a parlare.
«Ah, un’ultima cosa! Axel, dal momento che questo scherzetto temporale ha messo le cose in un certo modo, e solo per questo, credo che mia figlia non potesse finire in mani migliori delle tue, dunque, per favore, basta paranoie! Godetevi insieme questa vita, cogliete il dono che è questo amore per voi! Un amore sano e sincero non può mai essere sbagliato, non può mai essere un errore. Ricordatelo sempre!» dice facendo così aprire due enormi sorrisi nei volti di Axel ed Emma.
L’attimo dopo Ophrys e Claire non ci sono più.  

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Capitolo 42
*** Amore e Morte ***


Axel
 
Non appena Ophrys e Claire ci lasciano per fare ritorno in quel luogo a cui ora appartengono, quel luogo a cui prima o poi tutti noi saremo legati, le ombre attorno a noi prendono a rallentare sempre di più fino a dissiparsi completamente; l’ombrosa foresta dal fogliame nero come inchiostro torna visibile tutta attorno alla radura circolare, il vento si placa.
Non ho la minima concezione di quanto tempo possa essere durato l’incontro con mio fratello e Claire: potrebbero essere passati pochi minuti quanto ore intere da quando il vecchio eremita ha iniziato il rituale di evocazione.
Se solo penso a quello che è appena successo mi sento lo stomaco annodarsi e contorcersi su sé stesso, piacevolmente e dolorosamente allo stesso tempo: la mia testa deve ancora razionalizzare la cosa, probabilmente la reale consapevolezza del fatto che il mio desiderio più profondo si sia veramente realizzato mi raggiungerà solo più tardi, quando l’adrenalina sarà calata.
Per ora riesco solo a sorridere, felice come credo di non essere mai stato prima: ho rivisto Ophrys dopo diciassette anni, ma quando ci siamo parlati, quando ci siamo toccati, sembravano essere passati solamente pochi secondi.
È stato così assurdo, così straordinario... Adesso so per certo che lui e Claire non sono spariti per sempre, adesso so che loro non mi hanno mai lasciato davvero, adesso so che un giorno saremo di nuovo tutti insieme, come una volta.
“I giorni bui della mia vita sono finiti”, mi rendo improvvisamente conto mentre il cuore ancora non vuole saperne di rallentare, mentre sollevo il viso verso il cielo plumbeo e la prima goccia di pioggia mi colpisce la fronte.
Mi era mancata, la pioggia.
Non mi sono mai sentito tanto vivo, tanto desideroso di ricominciare un’esistenza serena, nuova, diversa... Con Emma.
Perché ora sì, non c’è più nulla a trattenermi, nulla: dopo mesi trascorsi a cercare di reprimere inutilmente ciò che provavo e a dannarmi l’anima dietro ad un sogno che sapevo essermi proibito, adesso sono libero. Libero di amarla fino al mio ultimo respiro.
Sempre che lei mi voglia ancora, certo, sempre che lei riesca ad andare oltre le bugie che le ho raccontato: un conto è l’avermi perdonato, un altro è concedermi nuovamente la sua fiducia, di questo sono consapevole.
Mentre l’eremita si muove per raggiungerci le lancio un’occhiata di sfuggita per tentare di capire il suo stato d’animo: Emma ha le guance arrossate e gli occhi verde-azzurri che le luccicano ancora per la gioia appena provata grazie all’incontro con i suoi genitori, mentre con le mani sta cercando di sistemarsi i bellissimi capelli biondi che il vento di prima le ha scompigliato.
È così bella... Veramente una creatura del genere soltanto una settimana fa ha affermato di amarmi? Amare me?
Mentre ancora sono immerso in tali pensieri tuttavia un improvviso turbamento sembra comparire sul viso di Emma che, forse in risposta ad esso, si volta di scatto verso di me: trovandomi già lì a fissarla però, grazie al cielo, torna subito a rilassarsi.
Senza far separare i nostri sguardi Emma si avvicina, mi prende le mani, se le porta alle labbra e dolcemente le bacia, una dopo l’altra, mentre una lacrima le scivola giù dallo zigomo fino al mio palmo.
Così, ad un gesto del genere, il mio cuore sembra quasi spaccarsi dalla tenerezza e dalla gioia, dal troppo amore che contiene: vorrei afferrarle il volto e baciarla qui, adesso, anche se con il vecchio a pochi passi da noi non sarebbe molto appropriato.
Ma non importa, abbiamo tutta la vita per farlo, adesso lo so: Emma mi ha fatto capire ogni cosa senza pronunciare una sola parola. Mi limito dunque a sfiorarle il viso per asciugare quell’umida scia lasciata dalla piccola goccia salata, indugiando qualche istante sull’angolo del suo sorriso.
Solo quando l’eremita ci parla di nuovo torniamo a rivolgere a lui la nostra attenzione, a malincuore, senza però separare le nostre mani.
 «Avete ottenuto ciò che cercavate?» ci chiede il vecchio appoggiandosi al lungo bastone di legno nodoso, osservandoci e studiandoci attentamente.
«Lo abbiamo trovato, sì» gli risponde Jeremy annuendo.
«Bene, ricordatevi tuttavia che quando uscirete da questo recinto sacro alla notte possiederete qualcosa in meno rispetto a quando ne siete entrati: il debito è già stato saldato, presto vi renderete conto con quale moneta.»  
«Lo terremo a mente», afferma Emma.
«Prima di andarcene ci tengo a ringraziarti, vecchio: senza di te staremmo ancora brancolando nel buio», intervengo infine io.
«Ma vorrei anche chiederti: perché lo hai fatto? Perché ci hai aiutati senza esitare?»
Lo strano personaggio prima di rispondere mi fissa a lungo con quegli occhi che paiono carboni ardenti, un’espressione furba sul volto rugoso.
«Dovevo un favore a tuo padre, ragazzo: se tornerai qui un giorno magari ti racconterò quella storia. C’è del potenziale in te, figlio di Deneb, lo sento: potrei insegnarti molto se tu lo volessi; in caso, ora sai dove trovarmi.»
Senza darci altro tempo per ribattere l’eremita si volta e, senza guardarsi indietro, si inoltra nella foresta da cui era emerso al nostro arrivo.
«Il tizio più strano che io abbia mai incontrato in vita mia, questo è certo», sbotta Jeremy non appena quello sparisce dalla nostra vista.
«Adesso cosa facciamo?» interviene Emma accennando alle sferette di vetro tenute in mano da suo fratello.
«Dobbiamo tornare da Anthemis e organizzare un piano», le rispondo voltandomi nella direzione da cui siamo arrivati.
Riprendiamo così a camminare lasciandoci questo posto tanto strano alle spalle, ma ben presto ci rendiamo conto di avere tutti quanti un gran bisogno di riposo: la marcia di andata è stata dura e senza dubbio non riusciremmo a ripercorrerla tutta a ritroso in giornata.
Quando dunque troviamo un angolo di foresta abbastanza protetto e riparato dalla pioggia, che nel frattempo ha iniziato a cadere copiosa, ci sistemiamo per provare a dormire un po’ appoggiati a qualche radice come ai vecchi tempi.
«È meglio che modifichi i nostri volti, Axel, così se qualcuno ci trovasse non avremmo troppi problemi», suggerisce Jeremy, giustamente prudente.
Apprestandomi dunque a concentrarmi per compiere l’incantesimo che ormai mi risulta facile quanto respirare, però, mi accorgo che qualcosa non va: non riesco più a controllare quell’energia dentro di me, quella che mio padre mi aveva insegnato a riconoscere e ad utilizzare a mio favore.
Quella è lì dove è sempre stata, la sento, ma non riesco a smuoverla, non riesco a raggiungerla, esattamente come accadeva le prime volte in cui ci provavo mentre stavo imparando.
«Ragazzi, non ci riesco... Non ci riesco più...» dico in panico mentre i gemelli mi fissano confusi.
«Axel... il prezzo da pagare! La Morte potrebbe aver preso la tua magia!» Emma è la prima ad arrivarci.
Immediatamente provo ad evocare alcune sfere di tenebra per assicurarmi che almeno la magia della notte, la più importante, mi sia rimasta; con un sospiro di sollievo mi rendo conto che quella non mi è stata portata via.
«Per un po’ di tempo dovrò farne a meno, a quanto pare», affermo scuotendo le spalle, anche se a dire il vero l’aver perso una di quelle cose che mi ricordava sempre mio padre e il tempo passato insieme mi dispiace molto.
«Preferisco che mi sia stata tolta un po’ di magia piuttosto che un ricordo o un sentimento, senza dubbio», affermo tuttavia ricordandomi che poteva andarmi molto, molto peggio.
«Volete che facciamo dei turni dal momento che non possiamo più nasconderci?» propone allora Jeremy.
Io ed Emma annuiamo, così lui accetta di stare sveglio per primo.
 
***
 
Mi sveglio intorpidito e col collo dolorante dopo un paio d’ore, umido e infreddolito per via della pioggia che, anche se non copiosamente, riesce comunque a raggiungerci.
Sto per mettermi a sedere quando sento dei bisbigli: Emma e Jeremy stanno parlando a bassa voce, evidentemente per non svegliarmi.
Non dovrei origliare, lo so, ma mi è impossibile non ascoltare ciò che si stanno dicendo ad appena un metro di distanza da me.
«Anne ed Ezra... Non riesco più a ricordare i loro volti», sta dicendo tristemente Jeremy, sospirando.
«È talmente strano... Ricordo il giorno in cui ci siamo conosciuti, tutte le avventure trascorse insieme, il nostro ultimo saluto, tutto: ma non il loro aspetto.»
«Non è così grave; la prossima volta che torneremo a trovare i nonni rimetteremo in funzione il cellulare così da riguardare le foto che ci siamo fatti insieme. E poi potremmo invitarli a Boundary, così da rivederli dal vivo», cerca di consolarlo Emma. 
«Già, faremo così: l’importante è che non mi sia dimenticato della loro esistenza o delle cose fatte assieme», continua Jeremy.
«E tu? Hai già capito cosa ti è stato tolto?»
La risposta di Emma tarda un po’ ad arrivare, facendomi subito preoccupare.
«Non appena mamma e papà se ne sono andati mi è successa una cosa stranissima», dice infine lei.
«Per alcuni secondi mi sono sentita come svuotata, come se qualcuno mi avesse strappato via da dentro qualcosa di importantissimo a cui non riuscivo a dare una forma, un’identità. Poi, con orrore, ho capito: era il mio amore per Axel che la Morte si era presa.»
Udire tali parole per me equivale ad una secchiata di acqua gelida in piena faccia: il tempo sembra dilatarsi allungandosi all’infinito, il respiro mi si blocca completamente, il corpo si irrigidisce.
“No... Ti prego... No.…” è l’unica cosa che riesco a pensare rifiutandomi nel contempo di credere alle mie orecchie, supplicando me stesso di svegliarmi da quello che deve per forza di cose essere un incubo.
Poi, dopo quelle che mi paiono ore, Emma riprende a raccontare.
«Subito mi sono voltata verso di lui per capire se la Morte gli avesse richiesto lo stesso pedaggio, ma quando l’ho fatto ho trovato Axel già lì a osservarmi... In quell’attimo, non appena i nostri sguardi si sono incrociati, il mio cuore e la mia anima sono tornati a riempirsi dello stesso identico sentimento di prima, anzi, di un sentimento ancora maggiore, se possibile. Il vuoto in me sarà durato all’incirca quattro, cinque secondi al massimo, non di più, ma sono stati senza orribili. Non so come sia potuto accadere una cosa del genere!»
«Io invece credo di saperlo», le risponde pacatamente il fratello mentre il sollievo che mi pervade rischia quasi di farmi svenire.
«La Morte ha cercato di portarti via il tuo amore, ma l’Amore è l’unica cosa al mondo in grado di sconfiggere la Morte. Ecco quello che è successo.»
«Omnia vincit amor», gli sussurra in risposta Emma, dolcemente: parole di una lingua che non comprendo, ma il cui senso, in qualche modo, riesce a raggiungermi ugualmente: l’Amore vince ogni cosa.
 
***
 
«Axel, svegliati, è il tuo turno», dice Emma scuotendomi delicatamente e facendomi svegliare di nuovo. Questa volta mi metto seduto sul serio.
«Mi dispiace che ti sia toccato il turno centrale, spezzare il sonno non è il massimo», affermo stiracchiandomi e appoggiando la schiena ad un tronco dietro di me, pronto per tenere gli occhi aperti in vista di qualunque pericolo al posto suo.
La pioggia per fortuna ha terminato di cadere almeno per oggi: i raggi del sole ormai prossimi a tramontare donano quel tepore di cui ormai sentivo davvero il bisogno.
«Non ha importanza, riposerò adeguatamente quando tutto sarà finito», mi risponde lei trascinandosi accanto a me e appoggiando la testa sulla mia spalla, strappandomi un sorriso.
«Adesso puoi dormire, approfittane», le dico divertito.
«Mhh... Non posso farlo qui? Si sta così comodi...» ribatte lei già assonnata accovacciandosi ancora di più contro di me.  
«Certo che puoi, tutte le volte che vuoi», le rispondo allora io lasciandole un bacio tra i capelli e cingendole le esili spalle con un braccio, per sentirla più vicina ancora: gesti semplici, spesso scontati, ma che per me sono un vero e proprio miracolo.
Emma però non si mette a dormire, non ancora: prima solleva il viso verso di me facendoci ritrovare vicini come non lo eravamo da prima che la verità su di me fosse scoperta.
Dopo qualche istante solleva una mano per giocherellare con una ciocca dei miei capelli, senza allontanarsi di un millimetro da me e senza distogliere lo sguardo dai miei occhi, per poi passare ad accarezzarmi il viso.
«Mi sei mancata tanto», le sussurro allora io godendomi quel suo tocco così leggero che finalmente posso accettare senza senso di colpa alcuno.
«Mi sei mancato anche tu, amore mio. Ti prego, promettimi che d’ora in poi niente e nessuno potrà dividerci, mai...»
«Mai, te lo giuro», le rispondo immediatamente con voce spezzata dall’emozione, per poi annullare la già poca distanza che ci divide, non resistendo più, facendo scontrare le nostre labbra in quello che per noi è un nuovo primo bacio, il primo vissuto senza alcun peso sul cuore, senza alcuna barriera a dividere le nostre anime.
Pochi istanti dopo lei è a cavalcioni su di me ed io la sto stringendo forte, forse troppo, mentre mi ebbro del suo odore e della sensazione del suo corpo caldo contro il mio, del sapore dolce delle sue labbra, quelle labbra che mi ritrovo improvvisamente a mordere tra i sospiri divertiti di lei, tanto le desidero.
Non credevo che provare tanta felicità tutta insieme fosse umanamente possibile, ma evidentemente mi sbagliavo: io ho la mia Emma adesso, non ho bisogno di nient’ altro al mondo.
«Emma...» dico non appena ci separiamo, mentre lei continua ancora a darmi leggeri baci a fior di labbra rischiando davvero di farmi impazzire.
«Emma, vuoi essere mia? Mia per sempre?» riesco a pronunciare la domanda che non riuscivo più a trattenere tra un rapido bacio e l’altro.
«Sono stata tua fin dal primo istante, Axel, e lo sarò finché anche l’ultima stella in cielo non si spegnerà. Ti amo», mi risponde lei fermandosi e sprofondando il viso nell’incavo tra la mia spalla e il collo, stringendomi a sé.
«Anche io sono tuo, amore mio, fai di me ciò che vuoi.» 
 
***
 
Quando arriviamo nei meandri sotterranei del palazzo di Komorebi è ormai notte fonda: come stabilito Anthemis ci sta aspettando davanti alla porta che lo mette in comunicazione con il passaggio segreto che le abbiamo mostrato prima di andarcene.
«Ragazzi, come è andata?» ci chiede subito lei non appena ci vede fare capolino da essa, tesa e pallida alla fioca luce della sfera che tiene in mano.
«Lo avete visto? Ci avete parlato?»
«Sì mamma, lo abbiamo visto: sta bene, sai? È con Claire e non ci perde di vista un secondo», le rispondo io, annuendo.
«Sono così felice di sentirlo, così felice!» continua lei.
«Ma dite, Ophrys vi ha spiegato il piano di Deneb?»
«Sì, lo ha fatto», conferma Jeremy aprendo nel contempo davanti a sé il palmo della mano per mostrarle le due sferette, spiegando poi più nel dettaglio lo svolgersi dell’incontro e il piano stesso.
«Pensi che sia possibile radunare la Gente del Giorno in un unico luogo così che più persone possibili vedano le immagini?» chiede infine lui concludendo il suo discorso.
«Idea tanto semplice quanto ingegnosa: tipico di Deneb, in effetti. In ogni caso credo di sì, radunare i Diurni non dovrebbe essere troppo complicato. Il vero problema credo lo avremo con i Notturni: come possiamo convincere Alhena a farli radunare senza spiegarle il motivo?» gli risponde Anthemis.
«Credi che parlando con lei non si potrebbe tentare di farla ragionare? Se sapesse tutta la storia come la sappiamo noi penso che almeno accetterebbe di mettere in discussione la colpevolezza di Axel!» interviene Emma.
«Mentre siete stati via Alhena ha continuato a mandare le sue guardie a cercarvi ovunque, terrorizzando inoltre la popolazione con supposizioni assurde sui prossimi crimini che potrebbe compiere Altair. Io mi sono recata a Yakamoz per provare a discuterne, dicendo che forse le cose non erano così come ci sono sempre apparse, ma lei non ha voluto sentire ragioni: crede che ogni mia parola in favore di Axel sia dovuta al legame che ho con lui, che non sono lucida.»
«Ad Alhena conviene che tutti credano alla mia colpevolezza», faccio notare io.
«Se venisse provato il contrario la sua posizione come Guardiana verrebbe messa in discussione all’istante, e sapete quanto lei tenga a quel ruolo: anche se alcuni dubbi su ciò che è davvero accaduto se li è fatti venire, non lo ammetterà mai.»
«Ma Axel... Tu vorresti diventare Guardiano della Notte?» mi chiede Emma: domanda più che lecita a questo punto, ma che mi lascia comunque spiazzato.
Guardiano, io? È dal giorno in cui Deneb mi rivelò la mia vera identità che non ripenso ad una tale evenienza. Quel giorno stesso fuggii con alle calcagna tutte e due le Genti e il loro odio nei miei confronti, convinto che mai più sarebbe arrivato il momento di decidere se accettare o meno quel ruolo, convinto che tale possibilità per me fosse sparita per sempre.
Ricordo altrettanto bene però che, nel breve tempo trascorso tra l’investitura annunciatami da mio padre e la fine di ogni speranza, era euforia quella che provavo all’idea di ciò che sarei diventato un giorno: per me si trattava un sogno che si avverava.
Quando ero piccolo sapevo che a succedere a Corylus sarebbe stato Ophrys, non io, e ne capivo le ragioni; quando tuttavia pensavo a mio fratello come futuro Guardiano, ogni tanto, non posso negare di essermi sentito... beh... forse un po’ invidioso. Sarebbe assurdo affermare che non me ne sia mai importato nulla, perché non è la verità. Certo, nel momento in cui capii di preferire la notte al giorno quel vano desiderio si smorzò in favore di un altro più concreto: diventare semplicemente un vero Notturno, ma quando Deneb mi rivelò di essere mio padre quell’antico sogno non poté fare a meno di tornare in luce, anche se solo per poche ore.
Già fantasticavo su di me e mio fratello seduti sui troni delle due città, a costruire insieme un futuro migliore per questo mondo all’insegna della concordia tra le due Genti... Per due fratelli uniti come noi, quale destino poteva essere migliore? Quanto sciocco ero stato allora: quello fu il mio ultimo sogno fino all’arrivo di Emma.
Adesso però tutto si riapre, tutto è rimesso in gioco nuovamente... Ma come potrei anche solo pensare di prendere le sorti di un popolo intero sulle mie spalle quando quella stessa gente mi ha odiato senza mezzi termini per anni? Anche se capissero la verità, si fiderebbero di me?
E poi c’è Alhena: per quanto la simpatia tra di noi non sia mai stata tanta non posso negare che durante il periodo nero di questo mondo abbia svolto un ottimo lavoro; come posso prendere il suo posto basando la mia pretesa su di un diritto di nascita così vuoto di motivazioni concrete?
E dopo tutto questo, come rispondere ad Emma?
«Lo vorrei, sì, ma sono anche consapevole che ciò potrebbe non essere facile né tantomeno giusto», mi decido a dire alla fine.
«In ogni caso questo aspetto al momento è il meno rilevante: adesso conta solo scagionare me e voi dalle accuse di tutti. Se ci riusciremo avrò una vita meravigliosa anche se sarà Alhena a rimanere seduta su quel suo amatissimo trono.»
“In fondo io ho già te”, vorrei aggiungere, ma la presenza di Anthemis mi fa frenare la lingua: dopotutto lei ha sempre considerato me ed Ophrys come fratelli di sangue, non so quanto accetterebbe di buon grado la cosa. Quando sarà tutto finito dovrò parlarle, questo è certo. So che lei si era già accorta che tra me ed Emma ci fosse qualcosa, ma questo era prima che scoprisse chi fossi veramente: dopo quel momento lei non ha più sollevato la questione, non ce ne è mai stato il tempo, ma se tutto filerà liscio giungerà anche il tempo dei chiarimenti. Ma a questo penseremo a tempo debito. 
«Dunque cosa facciamo?» Jeremy riprende il nodo della questione.
«Io avrei un’idea», afferma Emma sollevando lo sguardo.
«Se davvero le due Genti sono così terrorizzate, organizzare un’assemblea generale con Diurni e Notturni assieme in cui le Guardiane fanno il punto della situazione per tranquillizzare tutti non dovrebbe risultare troppo strano, neanche agli occhi di Alhena. Se riuscissimo ad organizzare la cosa avremo buona parte della popolazione di questo mondo radunata in un unico luogo, così noi dovremo solo rompere una delle sfere per sistemare tutto.»
«Sì, può funzionare», affermo immediatamente comprendendo il potenziale di un piano del genere.
«Rivelare la verità a tutti in un unico luogo, con Alhena stessa presente, sarebbe senza dubbio la cosa migliore!» continuo cominciando a vedere, forse, un poco di luce in fondo al tunnel.
«Cosa ne dici, Anthemis?» interviene Jeremy.
«Credi di riuscire a convincere Alhena e ad organizzare la cosa?»
La Guardiana del Giorno sembra rifletterci bene prima di rispondere, forse per essere certa di stare prendendo in considerazione tutti i possibili rischi, ma alla fine sembra decidersi.
«Sì, Jeremy, credo di poterlo fare; in fondo è vero che la mia gente è spaventata, così come quella di Alhena: sono troppi giorni che nessuna delle due emette dichiarazioni ufficiali, troppi giorni che nessuno là fuori sa cosa stia succedendo veramente. Indire un’assemblea generale per rassicurare gli animi e per riconfermare a tutti la ancora stretta alleanza tra le due città apparirebbe come una mossa naturale e ovvia. Alhena accetterebbe di sicuro, credo.»    
«Ottimo allora. Così sia», dico cominciando nel mentre a sentirmi davvero molto preoccupato: se le cose andassero male per me non ci sarebbero più speranze di vivere una vita serena qui nella mia terra, così come non ce ne sarebbero più per Emma e Jeremy, ormai considerati miei complici.     
«I Diurni accetteranno di buon grado la notizia dei crimini del loro amato ex Guardiano?» chiede dopo qualche istante di silenzio Emma, sollevando infine anche questa questione.
«L’ho accettata io che ero sua moglie, l’ha accettata Ophrys che era suo figlio: perché loro non dovrebbero? Sono i fatti stessi a parlare», afferma convinta Anthemis.
«Speriamo davvero che siano ragionevoli», mormora Jeremy.
«Lo saranno, fidati di me», lo rassicura mia madre.

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Capitolo 43
*** Alla fine ***


Emma
 
Dopo esserci accordati sulle prossime mosse, Anthemis ci accompagna in una polverosa ala del palazzo praticamente inutilizzata, sconosciuta a guardie e domestiche tanto quanto quella che abbiamo appena lasciato.
Quasi tutte le guardie in bianco sono ancora fuori a cercarci: ordini della Guardiana per non destare sospetti, così siamo liberi di muoverci attraverso il palazzo con sufficiente tranquillità.
Arrivati in uno stretto corridoio su cui si affacciano due porte, Anthemis apre una di quelle introducendoci in una camera abbastanza grande con due letti addossati alle pareti: il posto in cui aspetteremo i giorni necessari all’organizzazione dell’assemblea. Insieme aiutiamo Anthemis a stendere sui materassi le lenzuola appena recuperate dall’ armadio di una delle camere degli ospiti più utilizzate al piano di sopra.
«È la stanza più remota a cui sono riuscita a pensare», si giustifica Anthemis lanciando uno sguardo ai piccoli e stretti lettini che ci costringeranno a stenderci a turno.
«Va benissimo così» la rassicuriamo insieme tutti e tre.
«Abbiamo dormito in posti decisamente più scomodi», le ricorda inoltre Jeremy sollevando le spalle.
Così nostra nonna annuisce sorridendo, cercando di apparire il più serena possibile.
«Bene, ora cercate di riposare. La stanza accanto è un bagno: vi porterò il prima possibile asciugamani, sapone e vestiti puliti, oltre che qualcosa da mangiare naturalmente. Per l’assemblea lasciate fare a me», dice infine per poi uscire lasciandoci soli.
«Stare qui a palazzo non sarà troppo rischioso?» chiedo agli altri sospirando e lasciandomi cadere su uno dei due lettini.
«Probabilmente è il posto più sicuro: chi mai si aspetterebbe che tre   traditori ricercati da un centinaio di guardie in tutto il Mondo oltre l’Arcata si trovino proprio sotto al naso di tutti?» mi rassicura Axel sedendosi a sua volta accanto a me, ma apparendo in realtà chiaramente molto teso.
«E poi in quest’ ala del palazzo effettivamente non ci viene mai nessuno, neanche le guardie di ronda», continua.
«Avanti Axel, parla: cosa ti turba?» gli chiede Jeremy quasi togliendomi le parole di bocca e prendendo possesso dell’altro letto, quello sotto alla finestra semicircolare.
«Non ti convince il piano?»
«Oh, no, quello lo trovo perfetto», gli risponde il mio, ora ufficialmente, Axel volgendosi verso di lui.
«È solo che, adesso che manca solo un piccolo passo perché ogni singolo aspetto della mia vita si aggiusti definitivamente, ho così tanta paura che qualcosa vada storto... Anche perché, se non ce la facessimo a convincere tutti, anche voi non avreste più alcuna speranza di vivere serenamente qui, in questo mondo, come volete fare.» 
«Non angustiarti così, Axel, ti prego! Aspettiamo di vedere come andrà prima di montarci la testa», cerco di tirarlo un po’ su sollevandomi poi per schioccargli un bacio sulla guancia, riuscendo così a farlo sorridere.
Ad un tale gesto da parte mia Jeremy sembra per un attimo rimanere sorpreso, ma poi prende ad annuire tra sé e sé con un mezzo sorriso sulle labbra, capendo improvvisamente tutto.
«Sì, hai ragione. Cerchiamo di vivere questi pochi giorni in maniera ottimistica, sarà la cosa migliore», risponde Axel facendo intrecciare le nostre dita sopra alla coperta azzurra su cui siamo seduti.
Sinceramente al momento non riesco neanche a pensare a quello che succederà nel prossimo futuro, sono ancora troppo occupata a rivivere ciò che è successo negli ultimi due giorni, i più straordinari della mia vita: ho incontrato mamma e papà, li ho toccati, li ho abbracciati, ho avuto la conferma che da qualche parte, in qualche tempo, loro esistono ancora e che un giorno li rivedrò.
Mio padre poi mi ha fatto il regalo più grande che potesse: ha dissipato le paure di Axel che finalmente si è lasciato andare non appena ha capito che glielo avrei permesso, tanto da chiedermi di stare insieme, di essere sua. Dio, se penso a quanto ho sofferto per lui... Ma ora credo di poter affermare senza dubbio che ne sia valsa la pena: la gioia provata nel momento in cui capito che non esisteva più alcun ostacolo al nostro amore è stata talmente forte e totalizzante che non riuscirei a trovare le parole adatte per descriverla neanche in un milione di anni.
Ora, per completare la nostra felicità, non mi rimane altro da fare che portare a termine questa missione: far capire a tutti l’errore in cui sono incappati per diciassette anni e liberare il ragazzo che amo dalla trappola dell’odio della gente.
 
***
 
Trascorriamo qui dentro ben due giorni e due notti, avendo come unica attività possibile quella di passeggiare avanti e indietro per la stanza o lungo il corridoio, ad aspettare il grande momento.
Anthemis ieri notte è venuta a comunicarci che Alhena ha accettato di organizzare la cosa, anche se in un primo momento, paranoica come è diventata da quando ha scoperto che Altair è ancora vivo, aveva sospettato che la Guardiana del Giorno stesse tramando qualcosa in nostro favore. Per fortuna poi Anthemis è riuscita a recitare bene, riuscendo a rassicurarla.
Il giorno stabilito per l’assemblea è domani, alle sei di sera, presso i giardini dell’Antica Accademia. La nostra attesa sta per terminare.
«Allora sorellina, come stai?» mi chiede improvvisamente Jeremy mentre Axel è nell’altra stanza a farsi un bagno, distogliendomi dalle pagine di un romanzo che Anthemis ci ha portato assieme ad altri libri questa mattina.
È così strano leggere storie ambientate in questo mondo e non nell’altro... Mi fa capire che ci sono ancora tantissime cose che non conosco su questo luogo: le sue tradizioni più particolari, le sue leggende, la sua storia più antica, la sua letteratura.
Ma spero davvero che da domani avrò tutto il tempo che vorrò per scoprirle, impararle e viverle.
«Domani, se filerà tutto liscio, potrò dirti di stare così bene come non lo sono mai stata, Jeremy», rispondo a mio fratello chiudendo il libro e tirandomi a sedere.
«E tu?»
«Beh, direi che la stessa cosa vale per me: domani, in qualunque modo andranno le cose, inizierà un nuovo capitolo della nostra vita.»
«Andrà tutto bene, lo sento... Deve andare bene! Non possiamo avere fatto tutta questa strada per inciampare proprio sulle ultime decine di metri, giusto?»
«Lo spero tanto, Emma,» mi risponde lui annuendo, «per tutti e tre.»
«Comunque vorrei farti notare che stavolta non ti sei arrabbiata con me, sorellina», continua lui sciogliendo un po’ la tensione e facendomi alzare gli occhi sorridendo.
«Sarò sempre la tua sorellina, Jeremy, qualunque cosa accada», gli rispondo poi cambiando per la prima volta le regole di questo nostro gioco e andandogli vicino per abbracciarlo.
«Anche quando tu vivrai a Yakamoz con Axel ed io qui a Komorebi con Anthemis?»
«Sempre, Jeremy: non saranno di certo i chilometri a dividerci, giusto? Se no i portali a che li hanno creati a fare? Conoscendoci, non passerà giornata senza che uno di noi ne attraversi uno per raggiungere l’altro, anche per i motivi più banali. Perché noi siamo questo.» 
«Lo so. Ti voglio bene Emma.»
«Ti voglio bene anche io, fratellino.»
 
*** 
 
«Io allora vado. Voi sapete ciò che dovete fare», afferma Anthemis guardandoci intensamente, tesa ma anche determinata.
Per l’assemblea la Guardiana del Giorno ha scelto un semplice abito verde scuro con maniche a tre quarti, lungo fino a metà polpaccio, abbinandolo ad una sottile catenina composta di piccoli smeraldi.
«Non c’è nulla che possa andare storto, state tranquilli: questa sera sarete liberi da qualunque accusa. Ma se disgraziatamente le cose invece precipitassero, non disperate: ricordatevi che io non vi abbandonerò. Cercheremo assieme una nuova soluzione e vi aiuterò fino in fondo, mi costasse anche la vita!» continua.
«Grazie mamma. Grazie per tutto», le risponde Axel, annuendo.
«Axel, figlio mio, da stasera tutti sapranno la verità, tutti sapranno cosa hai dovuto fare per salvare le loro vite e il loro mondo. Da loro nemico sarai il loro eroe. E te lo meriti, tesoro mio! Hai sofferto troppo in questi anni, adesso è giunto il momento di dire basta.»
«Lo spero tanto, davvero. Ora va’, o farai tardi!»
Così, dopo un ultimo cenno di incoraggiamento, Anthemis ci lascia soli nella stanza del palazzo.
Sono le cinque e mezzo del pomeriggio: l’assemblea all’Antica Accademia inizierà alle sei in punto, orario in cui in genere sia Diurni che Notturni sono in piedi.
Aspettiamo così il tempo necessario senza fiatare: in questo momento infatti il palazzo è pieno di guardie tornate appositamente per accompagnare e proteggere la Guardiana durante l’assemblea. Potremo arrischiarci a uscire solamente dopo le sei, quando saremo sicuri che la stragrande maggioranza di esse se ne sarà andata assieme ad Anthemis.
Per via della tensione durante l’attesa continuo a giocherellare con la sferetta di vetro che tengo nella tasca dei pantaloni neri che indosso, mentre io e gli altri continuiamo a lanciarci occhiate cariche di agitazione.
Alle sei e dieci, quando tutto fuori dalla porta della nostra stanza sembra silenzioso e tranquillo, ci decidiamo ad uscire.
Anthemis, per facilitarci le cose, ha ordinato alle uniche tre guardie che è stata costretta a far rimanere “a protezione del palazzo” di sorvegliare solo le porte d’accesso: quella che dà sulla balconata, quella nelle cucine e quella principale, tutte posizionate abbastanza lontano dai corridoi che dobbiamo attraversare per giungere alla stanza del portale del palazzo.
Con un sospiro di sollevo ci chiudiamo la porta di tale stanza alle spalle senza avere incontrato nessuno durante il nostro percorso; guardandomi attorno noto che il portale è segnalato da due piccoli pilastri di marmo bianco striato di verde al centro della stanza, per il resto vuota.
«D’accordo... Siete pronti?» ci chiede Axel fissando i due segnacoli, mentre l’espressione agitata e nervosa di un attimo fa lascia il posto ad un’altra decisamente più sicura di sé, pronta ad agire e ad andare fino in fondo.
«Sì, andiamo», afferma Jeremy.
Prima di procedere io ed Axel ci lanciamo uno sguardo, sorridendoci per un attimo, poi saltiamo nel portale.
Compariamo qualche centinaio di metri dietro all’Accademia, dalla parte opposta rispetto ai giardini colmi di gente in cui tutti stanno ascoltando le parole delle loro Guardiane che, grazie ad un incantesimo di amplificazione dei suoni possibile grazie alla magia della notte, riescono ad arrivare fino a noi.
Potere delle immagini ai Diurni, potere dei suoni ai Notturni: altra cosa che ho imparato in questi giorni.
Ovviamente Anthemis sta facendo finta di nulla, comportandosi come ci si aspetterebbe da lei in un’occasione come questa.
Il cielo è limpido questa sera, le ombre degli alberi attorno a noi si stanno allungando sempre di più alla luce del sole che a breve tramonterà. Se piovesse potremmo nasconderci meglio sotto ai cappucci delle maglie che indossiamo, giustificati dall’acqua, ma se lo facessimo ora attireremmo soltanto di più l’attenzione.
Qualcuno nelle vicinanze c’è, come avevamo previsto: Diurni e Notturni ritardatari che compaiono e prendono a correre in direzione dei giardini dall’altro lato delle rovine dell’Accademia.
Noi ci muoviamo lentamente e con cautela, ovviamente, stando il più lontani possibile da tutti: per fortuna nessuno sembra fare caso a noi, sono tutti troppo presi dal dirigersi al punto di incontro. Di certo poi nessuno si aspetta che le tre persone di cui tratta l’assemblea stessa siano proprio qui.
Solo una bambina di tre o quattro anni, una piccola Diurna per mano a suo padre, punta dritta gli occhi su di noi, senza riconoscerci.
Finalmente riusciamo ad arrivare alle basse mura che delimitano il perimetro dell’Accademia, così, guardandoci intorno per assicurarci che nessuno ci veda, le scavalchiamo agilmente ritrovandoci in mezzo alle rovine, tra archi di pietra crollati e lunghe pareti ancora in piedi per quanto senza copertura.
Dobbiamo arrivare alla balconata da cui stanno parlando Anthemis ed Alhena, possibilmente senza farci prendere dalle guardie, per interrompere il loro discorsetto e rompere una delle sferette davanti a tutti, indicando di guardare il cielo là dove le immagini di mio padre e di Deneb risolveranno finalmente le cose.
Purtroppo non potevamo farci portare dal portale direttamente sulla balconata: anche all’Accademia sono presenti le stesse protezioni attive anche nei due palazzi.
Il fatto di non avere più la possibilità di cambiarci l’aspetto poi ci complica ulteriormente le cose, indubbiamente: se la Morte non avesse richiesto proprio quel pedaggio ad Axel saremmo tutti molto più tranquilli.
Se le guardie ci trovassero, in quel caso, potremmo fingere di essere tre ragazzi che si sono infilati qui per bravata, cosa che di certo ora non possiamo affermare. Durante questi giorni d’attesa Axel ha provato ad insegnare a me e Jeremy come controllare quell’energia di cui parla sempre, ma né io né mio fratello ci siamo riusciti: d’altra parte Axel stesso ci mise mesi ad imparare, come potevamo noi riuscirci in poche ore?
Mentre ci dirigiamo verso l’unica ala del palazzo ancora in piedi, verso la scalinata che ci porterà alla balconata, ci rendiamo conto che arrivarci con le nostre gambe sarà molto, molto complicato: se Anthemis infatti ha ordinato alle sue guardie di stanziarsi sulla parte anteriore dell’Accademia, tra essa e la folla nei giardini, lo stesso non si può dire di Alhena. Le guardie di Yakamoz infatti sembrano essere state scelte per presidiare il retro: sono ovunque.
Seguendo i passi di Axel per un po’ riusciamo ad evitarle nascondendoci dietro a mozziconi di colonna e pareti crollate, ma più avanziamo più quelle aumentano di numero.
«Non ce la faremo mai, dannazione!» sussurra Jeremy dopo aver evitato per miracolo l’ennesimo gruppetto di guardie blu.
«Non era previsto che fossero così tante!»
«Evidentemente Anthemis non è riuscita a convincere Alhena a schierare le guardie sul davanti come lei», faccio notare io.
«Senza dubbio anche la scala per la balconata sarà presidiata: come faremo in quel caso?»
Né Jeremy né Axel però fanno in tempo a rispondermi perché, durante la conversazione, da sciocchi, ci siamo distratti: un manipolo di guardie senza che ce ne rendessimo conto ci è arrivato alle spalle, cogliendoci di sorpresa.
Da un momento all’altro ci ritroviamo bloccati da delle spesse corde, talmente strette da toglierci il respiro; diversamente da quelle che avevano lanciato i Diurni contro Axel al suo arresto queste non sono bianche e luminose, ma nere: magia da Notturni.
Io non sono abbastanza esperta da riuscire a liberarmi da esse, e per Jeremy che è un Diurno sarebbe impossibile, Axel però potrebbe farlo, potrebbe riuscirci tranquillamente, lo so, ma pure lui non si muove di un millimetro dopo essere stato stretto dalle corde come noi.
“Perché non fa nulla?!” penso in panico nel vedere le guardie di Alhena correre per raggiungerci, mentre le mie speranze crollano in frantumi e sento la disperazione e la paura crescermi dentro.
«Ragazzi, ho un piano. Non preoccupatevi, possiamo farcela anche così», riesce a sussurrare Axel un secondo prima che le guardie ci siano addosso.
«Chi siete, cosa ci fate qui?!» gridano quelle afferrandoci e spingendoci a terra violentemente, evidentemente prima di riconoscerci.  
Non appena quelli ci guardano in faccia infatti strabuzzano gli occhi, scioccati, forse non capacitandosi di essere stati proprio loro a catturarci.
Guardandoli risulta palese che siano terrorizzati da Axel: per tutti questi anni lo hanno reputato praticamente alla stregua di satana, evidentemente credono che se si liberasse non esiterebbe ad incenerirli all’istante.
Mentre le guardie continuano a fissarci, irrequiete e dubbiose, noi tre rimaniamo fermi e in silenzio; il cuore mi batte all’impazzata per lo spavento e l’adrenalina, Jeremy ed Axel credo siano nelle mie stesse condizioni.
A questo punto la nostra unica speranza è il piano d’emergenza di Axel: ma io mi fido di lui, so che ci tirerà fuori da questo casino, so che se volesse potrebbe liberarsi all’istante.
 «Bene, direi che la questione è risolta a questo punto», afferma uno del gruppo osservandoci freddamente, quello che appare più sicuro di sé, attento tuttavia ad ogni nostra eventuale mossa.
«Cosa facciamo adesso, Rigel?» chiede allora titubando un altro del gruppo alla guardia che ha parlato per prima.
«Li facciamo vedere a tutti, naturalmente», afferma quello sorridendo tra sé e sé, palesemente soddisfatto più che mai di sé stesso: chissà quale ricompensa spera di ottenere per essere stato colui che ha catturato Altair e i figli traditori di Ophrys e Claire.
«Coraggio, prendeteli: li portiamo alla balconata», continua Rigel afferrando lui stesso le corde che tengono fermo Axel e iniziando a spingerlo in avanti verso la scalinata di marmo, quella che avremmo salito anche da soli se il nostro piano non avesse incontrato intoppi.
Subito due guardie eseguono l’ordine del loro collega iniziando a strattonare anche me e Jeremy: ben presto, sotto gli sguardi basiti di tutte le altre guardie di Yakamoz, ci ritroviamo a salire quei ripidi gradini che si inoltrano in uno dei pochi monconi dell’Accademia ancora rimasti in piedi.
Alla fine di essi si trova un lungo ballatoio con aperture che permettono l’accesso alla terrazza esterna, sulla quale Alhena ed Anthemis stanno parlando alla marea umana ammassata nei giardini sotto di loro, tra le antiche fontane e le statue austere: c’è perfino più gente di quella venuta ad assistere al rito per ricreare i due Nuclei.
Senza preoccuparsi del fatto di star interrompendo la sua Guardiana, Rigel esce sulla terrazza trascinandosi dietro Axel, seguito a ruota dai due colleghi e da me e Jeremy.
«Mie Signore, vi ho portato un regalo», afferma quello: la sua voce subito viene catturata dall’incantesimo che amplifica le voci, risuonando chiara e forte per tutta l’enorme radura.
Anthemis e Alhena allora si voltano di scatto, interrompendo immediatamente ogni discorso intrapreso.
Non appena vede le condizioni in cui ci troviamo Anthemis sbianca di colpo, tanto visibilmente da farmi temere che tutti se ne accorgano; Alhena invece, dopo un primo momento di smarrimento, sembra riprendersi dalla sorpresa sospirando di sollievo.
La folla sotto di noi intanto prende a rumoreggiare sonoramente, forse chiedendosi cosa sia appena successo sulla balconata.
Le guardie di Yakamoz ci costringono ad inginocchiarci mentre Alhena prende a fissarci con severità, odio, quasi con disgusto.
«Gente del Giorno, Gente della Notte! Non avete più nulla da temere! Le mie fidate guardie hanno appena catturato Altair e i suoi complici!» annuncia Alhena alla folla voltandosi verso di essa, chiaramente soddisfatta per come le cose alla siano andate a finire.
Le due Genti ad un tale annuncio iniziano ad esultare e a gridare di gioia e di sollievo, mentre io prendo a scoccare istericamente occhiate ad Axel e ad Anthemis, entrambi evidentemente intenti a pensare ad una possibile soluzione per risolvere le cose.
Tra i due è però Axel ad intervenire per primo.
«No, non sono stato catturato», grida infatti lui di colpo facendo risuonare ovunque la sua voce, zittendo all’istante tutte le migliaia di persone sotto di noi.
«Se sono qui all’Accademia oggi è perché era mia precisa intenzione esserci! Sono qui perché finalmente possiedo le prove che dimostreranno a tutti che non sono mai stato io il cattivo di questa storia!  Prove inconfutabili che ognuno di voi potrà vedere coi propri occhi, prove che vi faranno capire quanto siete stati ingenui a fidarvi soltanto dei vostri occhi quel giorno di diciassette anni fa!»
«Come puoi affermare questo, mostro che non sei altro?!» ribatte allora Alhena, gli occhi neri ormai fumanti per la rabbia.
«Come puoi negare ciò che tutti ti hanno visto fare?»
«Non nego nessuna delle mie azioni! Nego le motivazioni per le quali voi credete che io le abbia compiute! Lasciate che vi mostri le mie prove: sarà il popolo a giudicarmi!»
ribatte Axel mettendo in tali parole tutta l’anima che possiede, mentre i suoi occhi ambrati sembrano prendere fuoco.
Mai come ora Axel mi è parso tanto bello, tanto fiero, tanto nobile, tanto potente: in questo istante, chiunque potrebbe vederlo, non avrebbe nulla da invidiare al più grande degli eroi tragici.
«D’accordo, Altair, mostraci queste prove se ci tieni tanto», afferma dopo qualche istante Anthemis in tono falsamente freddo e duro, capendo improvvisamente come poterci aiutare stando al gioco di Axel.
«Cerca nelle mie tasche, Anthemis», intervengo io.
«Vi troverai una piccola sfera di vetro: prendila e rompila scagliandola a terra!»
«È un’assurdità, Anthemis! È solo un trucco per ingannarci ancora! Non essere così sciocca da lasciarti abbindolare da loro!» ribatte Alhena mentre il popolo segue basito la conversazione che si sta svolgendo sopra alle loro teste.
«So che vorresti che colui che hai cresciuto come figlio non si rivelasse il mostro che è, così come anche i tuoi nipoti, ma è questa la verità!»
«La verità verrà stabilita soltanto una volta che tutte le prove saranno state vagliate con attenzione, non prima!» sbotta in risposta la Guardiana del Giorno in un tono che non ammette repliche.
Senza dare alla Guardiana della Notte il tempo per ribattere, Anthemis si china su di me infilandomi una mano in tasca. Quando la sferetta azzurrina compare alla vista di Alhena un grande turbamento sembra assalirla, tanto da non farle dire più nulla per provare a fermare quello che sta per accadere. Se ne sta semplicemente immobile con gli occhi fissi su quel pezzetto di vetro, un’espressione preoccupata sul viso contratto.  
Senza attendere oltre, mentre tutte le migliaia di persone qui riunite trattengono il fiato, Anthemis scaglia a terra la sfera.
Subito una bianca nuvola di fumo prende a sollevarsi dai cocci rotti sul pavimento della terrazza, roteando su sé stessa e salendo sempre più in alto, ingrandendosi fino ad occupare una buona porzione di cielo sopra alle nostre teste.
Improvvisamente, all’interno di essa, una figura inizia a prendere forma diventando sempre più nitida a mano a mano che passano i secondi.
Quando la folla riconosce quella figura, specialmente i Diurni, grida meravigliate si sollevano da ogni parte:
«È il principe Ophrys! È il principe Ophrys!»
Alla fine, non appena l’immagine risulta completamente formata, mio padre comincia a parlare riuscendo a zittire all’istante buona parte della popolazione di questo mondo. 
«Per coloro di voi che non mi conoscessero, mi presento: sono Ophrys, figlio di Corylus e principe di Komorebi», inizia, mentre la sua voce prende a rimbombare per tutta la radura.
«Oggi è il primo di agosto del 1998: fra qualche giorno mio padre Corylus attaccherà la città di Yakamoz per vendicare gli esperimenti di Deneb, ma questo voi lo sapete già. Se state guardando queste immagini significa infatti che ogni cosa è già avvenuta: i Nuclei sono già stati distrutti, il tempo e la magia vi sono già stati strappati via, così come il giorno e la notte stessi.
Come posso io sapere tutte queste cose prima che avvengano? Beh, sono qui proprio per spiegarvelo. Voglio però iniziare col dire che Altair, mio fratello adottivo, che voi a breve vedrete uccidere mio padre Corylus e che accuserete di aver distrutto i Nuclei, è in realtà innocente.»
A queste parole un boato scuote le due Genti ammassate nei giardini dell’Accademia, facendo nel contempo sorridere e annuire soddisfatti tutti quanti noi.
Alhena invece è diventata pallida come la morte nel fissare le immagini in cielo: tiene gli occhi sbarrati e le mani aggrappate alla balaustra della terrazza tanto forte da farsi sbiancare le nocche.
Quella sorta di video creato da mio padre prosegue intanto con la spiegazione a chiare parole di tutta quanta la storia, dall’inizio alla fine, soffermandosi soprattutto sul piano di Corylus e su come esso sia stato scoperto da Deneb.
La scena poi cambia: le immagini iniziano a mostrare prima la stanza vuota del Nucleo, in seguito un uomo di mezz’età abbastanza basso, dalla carnagione pallida e dai capelli neri striati di bianco, gli occhi così scuri da sembrare pozzi senza fondo circondati da profonde occhiaie. Corylus è ripreso di nascosto nel fitto di una foresta, sorpreso a tentare magie e incantesimi inimmaginabili.
Un alone di candida luce abbagliante improvvisamente prende a circondargli tutto il corpo, che inizia a sollevarsi da terra e ad essere scosso da violenti spasmi, dovuti evidentemente al troppo potere dentro di lui.
La folla ora non mormora più: tutti sono zitti e immobili con lo sguardo rivolto verso l’alto.
«Ora sapete chi è il vero colpevole di questa storia, gente di questo mondo: credeteci, sono stato costretto a farlo perfino io che sono suo figlio», termina Ophrys intristendosi.
«Ora continuate ad ascoltare: anche Deneb, il Guardiano di Yakamoz, ha qualcosa da dirvi.»
Ed ecco apparire una nuova scena sulla bianca nuvola in cielo: si tratta di un uomo di circa sessant’anni, alto e dai capelli che ancora mostrano il colore ramato della giovinezza, così come la barba che gli circonda le guance e il mento. I suoi occhi sono azzurri, profondi e saggi. Deneb.
«Ascoltatemi, Genti di questo mondo. Il principe Ophrys già vi ha spiegato in quale pericolo ci troviamo in questo momento: la gravità della situazione credo sia ormai chiara a chiunque. Vi starete chiedendo perché non siate stati informati dei crimini di Corylus prima della battaglia stessa: bene, ora è arrivato il momento di rendervi partecipi del perché della mia scelta.»
Il padre di Axel inizia così a spiegare quale fosse l’unico modo possibile per riuscire a rimediare alle azioni di Corylus, senza tralasciare nessun dettaglio, aggiungendo alle spiegazioni anche il piano per ricreare i Nuclei una volta che tutto si sarebbe concluso.
«Per questo motivo Corylus va ucciso: è l’unico modo per separare la sua anima dal Nucleo, anche se questo comporterà la distruzione del Nucleo stesso! Dunque non biasimate Altair per quello che farà, perché lo farà con la sola intenzione di preservare l’Equilibrio che, come sapete, è l’unica forza che tiene in piedi entrambi i mondi.
Se le cose andranno come ho programmato mi vedrete suicidarmi durante la battaglia: se accadrà questo, ora ne conoscete il motivo. Se invece, come temo che avverrà, il Nucleo in me opporrà resistenza, sarà Altair stesso a dovermi uccidere. Non biasimatelo neanche per questo: lo farà per mio ordine e soprattutto per salvare la vita a tutti voi e ai vostri figli», conclude il Guardiano.
«Un’ultima cosa prima di andare: approfitto di questa possibilità che ho di parlare con tutti voi per fare un annuncio. Altair, che tutti voi conoscete come principe di Komorebi, è in realtà mio figlio biologico: il figlio che avevo perduto ma che alla fine, come speravo, ha trovato la strada per tornare da me. Fin dalla sua nascita era mia intenzione nominarlo mio erede, ma ora che l’ho conosciuto e che ho avuto modo di insegnargli più cose possibili ne sono certo: Altair sarà il mio degno successore. Dopotutto fra pochi giorni contribuirà a salvare le vite di ognuno di voi: si merita questo e altro. Addio, popolo del Mondo oltre l’Arcata, e addio a voi, Gente della Notte: vi lascio in buone mani.»
Così, dopo aver annunciato la sua ultima volontà, l’immagine di Deneb sparisce di colpo dissolvendosi nell’aria, così come la nuvola di fumo bianco che la conteneva.
Tra la folla scoppia il caos.
«Ce l’abbiamo fatta», dico allora io cominciando a ridere dalla felicità, senza riuscire più a fermarmi.
«È tutto finito, tutti sanno la verità!» continuo a dire esultando nonostante le corde che ancora mi avvolgono: se potessi mi metterei a saltare qui, ora, davanti a tutti.
Voltandomi verso i miei compagni di avventura noto come un enorme sorriso stia già illuminando il viso di mio fratello, mentre due grosse lacrime solcano le guance di Axel che ancora sta fissando il punto dove fino ad un attimo fa stava l’immagine di suo padre; anche lui tuttavia, come noi, riesce a stento a contenere la gioia che trabocca da ogni poro della sua pelle.
A questo punto non ha più senso fingere: Axel con un leggero movimento delle braccia spezza le corde nere che lo circondano e si alza in piedi per liberare anche me e Jeremy, poi si getta su di me abbracciandomi tanto forte da sollevarmi da terra.
«Emma, è tutto finito, tutto finito, ti rendi conto?» esulta ridendo come un bambino per poi rimettermi a terra.
Le guardie dietro di noi, Rigel compreso, non muovono un dito per intervenire: sono troppo occupate come tutti gli altri a scuotere la testa, basiti, e ad osservare Axel con occhi completamente nuovi.
Un attimo dopo Anthemis ci corre incontro, raggiante, abbracciando forte prima suo figlio e poi me e Jeremy.
«Siamo stati grandi, ragazzi!» ci sussurra.
«Ora siete liberi!»
E mentre ancora siamo intenti a goderci la vittoria, i Diurni e i Notturni nei giardini dell’Accademia iniziano a gridare insieme, ad una voce, il nome di Altair.
«Vai Axel, vogliono te: che ti avevo detto? Sei il loro eroe adesso», afferma Anthemis.
«Io... io non credo che sia una buona idea», balbetta però Axel, da troppo tempo abituato all’idea che tutti lo vogliano morto per accettare fino in fondo la nuova ammirazione e gli omaggi della sua stessa gente.
«Oh sì invece, è un’ottima idea!» afferma Jeremy prendendolo per un braccio e trascinandolo aiutato da me sulla balaustra.
Grida e applausi da parte di tutti ci accolgono quando ci affacciamo ad essa, guardando in giù la marea umana che sta acclamando colui che fino a pochi minuti fa odiava e temeva tanto.
Axel guarda la scena davanti a sé con espressione incredula, quasi sognante, forse chiedendosi se tutto questo sia reale; io allora faccio scivolare la mia mano dentro alla sua, stringendola forte, per fargli capire che io sarò con lui in questo momento e in tutti quelli a venire.
Axel allora si volta verso di me, provando a comunicarmi con un solo sguardo tutto ciò che a parole non potrebbe: abbiamo vinto noi, adesso sì che possiamo essere felici, insieme.
Nel frattempo Alhena se ne sta in disparte senza dire niente, un’espressione indecifrabile sul viso ancora chiaramente molto scosso.
Guardandola risulta chiaro che il suo insistere nell’accusare Axel non fosse dovuto al mantenimento della sua posizione: lei semplicemente non aveva mai messo in dubbio la malvagità di Altair. La rivelazione di oggi l’ha fatta cadere dalle nuvole come ha fatto con tutti gli abitanti di questo mondo.
Prima di distogliere lo sguardo da lei per riportarlo sulla folla, tuttavia, vedo l’ombra di un sorriso passarle sul viso.

Note:
Ciao a tutti! Innanzi tutto scusate l'attesa un po' più lunga del solito per questo capitolo, ma in questi gorni sono stata fuori casa dunque non mi è stato possibile aggiornare. Ad ogni modo eccoci qua, spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto. Ormai siamo agli sgoccioli, alla fine della storia mancano solo due capitoli. Fatemi sapere cosa ne pensate! A presto!

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Capitolo 44
*** Tutto quello che ci aspetta ***


Axel

«Axel, io non so cosa dire...» afferma Alhena non appena ci chiudiamo alle spalle la porta di uno dei bei salotti del palazzo di Yakamoz, fuori dalla portata degli occhi e delle orecchie della gente.
Dopo la nostra vittoria avvenuta su quella terrazza dell'Antica Accademia io e gli altri abbiamo capito che sarebbe stato meglio chiarire subito e definitivamente ogni cosa con Alhena, così tutti e cinque abbiamo attraversato il portale del luogo per giungere qui.
«Io non potevo immaginare come stessero davvero le cose! Zio Deneb non mi disse mai nulla a riguardo, così come non mi diceste nulla tu, Claire e Ophrys! Nei giorni precedenti alla battaglia sapevo che stavate tramando qualcosa, ma pensavo soltanto a delle strategie per sconfiggere Corylus, non di certo questo...»
«Non prendiamoci in giro, Alhena!» sbotto allora io, abbastanza irritato dall'atteggiamento di mia cugina.
«Tu mi hai sempre odiato, mi hai sempre visto come un usurpatore arrivato dal nulla a prendere il tuo posto! Ed è stata questa tua gelosia a spingerti quel giorno a gridare ai quattro venti la tua interpretazione dei fatti, istigando le due Genti ad inseguirmi senza darmi né il tempo né il modo di provare a spiegare!»
«Me ne rendo conto, Axel, e ti chiedo perdono per questo», mi risponde lei apparendo davvero pentita e rammaricata.
«Prima della distruzione dei Nuclei ero una ragazza molto diversa, lo sai: ero frivola, sciocca, egoista, interessata solo al potere e al vanto che la posizione di Guardiana mi avrebbe concesso. In questi anni però è cambiato tutto... Essere veramente Guardiana di Yakamoz mi ha fatto capire quanto infantili fossero i miei sogni di gloria, mi ha fatto capire il perché Deneb non avesse mai visto in me una potenziale erede. Guidare un popolo in un momento tanto difficile, essere responsabile per loro, mi ha fatta cambiare: mi ha aperto gli occhi sul reale significato di questa carica.»
«Suvvia, ora non esagerare», le rispondo io calmandomi e mostrandomi il più accomodante possibile.
«Sei stata un'ottima Guardiana per i Notturni in questi anni bui, nessuno potrebbe mai negarti questo merito. E in ogni caso non devi preoccuparti: nonostante l'annuncio di mio padre non intendo neppure provare a prendere il tuo posto, non sarebbe giusto.»
A queste parole Alhena sorride amaramente, scuotendo la testa.
«Per tanto tempo ho desiderato diventare Guardiana, Axel, e alla fine sono stata accontentata davvero: niente però è stato come me lo aspettavo, niente. Sinceramente, arrivati a questo punto, devo dire di essere davvero stanca di tutto questo: sono stanca di responsabilità, di doveri, di preoccupazioni, di avere così tanto peso sulle mie spalle e soprattutto di essere così sola per la distanza a cui mi tengono tutti per via di questa posizione! Se vuoi diventare Guardiano, Axel, il mio posto è tuo», si sfoga così Alhena facendo sgranare gli occhi tanto a me quanto ai gemelli e ad Anthemis.
«E poi è giusto così: sei sempre stato tu l'erede di Deneb, mai io.»
«Se è davvero quello che vuoi, allora va bene», mi ritrovo a dire senza neanche pensarci: infondo so che è questo quello che il mio cuore desidera.
«Sì, è ciò che voglio!» afferma lei sicura come non mai.
«Dammi qualche giorno per raccattare le mie cose, poi me ne andrò.»
«Nessuno ti sta cacciando dal palazzo, Alhena! Puoi tranquillamente restare a vivere qui, ci mancherebbe altro!» ci tengo a sottolineare subito.
«Ti ringrazio, ma per il momento ho davvero bisogno di andarmene via per un po': dentro queste mura mi sento soffocare, voglio cercare aria nuova, magari un nuovo inizio», mi rassicura lei, apparendo in questo momento tanto leggera e spensierata quanto non l'avevo mai vista.
«Forse un giorno tornerò a chiederti ospitalità, chi può mai saperlo, ma non a breve, questo è sicuro», conclude sorridendo.
«Ricorda che questa sarà sempre casa tua, Alhena, e buona fortuna: ti auguro di trovare tutta la serenità che cerchi.»
«Buona fortuna anche a te, Axel: ne avrai bisogno», conclude lei lasciando la stanza.

***

Jeremy

Nell'entrare nel palazzo di Komorebi senza Emma e con le mie poche cose sotto al braccio mi sento improvvisamente assalire da una profonda malinconia.
Sapevo che sarebbe successo, ho avuto il tempo di prepararmi alla cosa, ma fa comunque strano, fa comunque un po'male.
Mi rendo conto tuttavia che adesso sia io che mia sorella abbiamo le nostre strade da iniziare a percorrere, strade diverse che ognuno di noi ha scelto.
So che questo non cambierà niente tra di noi, ma l'idea che la fase della nostra vita che ci ha visti insieme sempre, quasi come un'entità unica, sia finita... beh, non è semplice da mandare giù.
«Siediti qui un attimo, Jeremy», mi riscuote Anthemis dai miei pensieri indicandomi una poltroncina verde a fianco di quella su cui si è lasciata cadere lei.
«So che è tardi e che sarai molto stanco, ma ti prego, ho bisogno di parlarti per un attimo; dopo ti accompagnerò a scegliere una stanza: quella che più ti piacerà.»
«Certo Anthemis, dimmi pure», le rispondo io sedendomi a mia volta, già intuendo l'argomento che la Guardiana ha tanta fretta di affrontare.
«Ascoltami, nipote mio», inizia infatti lei.
«Tu ti rendi conto di essere l'unico erede Diurno della famiglia dei Guardiani di Komorebi, vero?»
«Sì, me ne rendo perfettamente conto», le rispondo io rabbrividendo per un attimo nel percepire la solennità di tali parole.
«Dunque sai che il mio posto un giorno sarà tuo», continua mia nonna.
«Il punto della questione è: tu vuoi diventare Guardiano, Jeremy? Sappi che se non è questo ciò che desideri per la tua vita nessuno ti costringerà: la tua felicità per me è la cosa più importante. Tuttavia se invece accettassi...»
«Accetto, nonna: voglio diventare il degno erede di mio padre. Insegnami come guidare bene questa città e questo popolo: ti prometto che darò il mio meglio per imparare e mettere in pratica i tuoi consigli», le rispondo subito, convinto, facendola annuire soddisfatta.
«Per me sarà un piacere guidarti, Jeremy! Non appena sarai pronto io mi ritirerò e tu diventerai Guardiano!»
«Spero davvero che sarò in grado di reggere su di me il peso di una tale carica», affermo distogliendo da lei lo sguardo, iniziando a sentirmi forse un po' spaventato.
«Sono certa che lo sarai! Tutti i tuoi antenati sono stati Guardiani, esserlo a tua volta è il tuo destino.»
«Ed io lo accetterò con gioia», concludo iniziando a sentirmi finalmente molto più sereno rispetto a prima, oserei dire addirittura entusiasta per la vita che mi aspetta da domani in poi.
Il mio futuro in questo istante appare ai miei occhi brillante e invidiabile: improvvisamente non vedo l'ora che esso bussi alla mia porta.

***

Emma

Dopo aver annunciato alle guardie di Yakamoz il cambio di regime assieme ad Alhena e dopo aver accompagnato Jeremy ed Anthemis al portale del palazzo, io ed Axel siamo rimasti soli.
Non abbiamo bisogno di parlarci per decidere come impiegare questa notte: ci basta uno sguardo, una breve corsa per recuperare una coperta ed un piccolo salto.
Riaprendo gli occhi dopo il viaggio attraverso il portale mi rendo conto che il posto scelto da Axel è una spiaggia circondata da alti scogli e da una fitta macchia di vegetazione alle nostre spalle: un boschetto dagli alberi bassi che frusciano al passaggio del vento tra i loro rami e da cui proviene il dolce rumore del frinire dei grilli.
Sopra di noi le stelle sono uno spettacolo unico: miliardi e miliardi di piccoli puntini luminosi che illuminano i nostri volti assieme ad un sottile spicchio di luna appena sorto all'orizzonte. Le onde del mare continuano a rifrangersi calme sulla battigia.
«Ti piace?» mi chiede Axel arrivando alle mie spalle e cingendomi la vita dopo avere steso l'ampia coperta sulla sabbia soffice, a pochi passi dal mare.
«È bellissimo, amore mio, semplicemente meraviglioso», gli rispondo io togliendomi di fretta le scarpe e stendendomi sulla coperta, trascinando Axel subito giù con me tra le risate di entrambi.
«Ma tu sei più bello.»
La foga e il desiderio che entrambi proviamo l'uno per l'altra non ci impiegano molto a farci perdere definitivamente il controllo: d'altra parte credo che entrambi ce lo aspettassimo dal momento che non esiste più alcun ostacolo al nostro amore.
Adesso siamo liberi di farlo bruciare. E così facciamo.
Alla fine non ho la minima idea di quanto tempo possa essere passato da quando siamo arrivati qui, quello che so è che non dimenticherò mai tutte le emozioni e le sensazioni provate in questo che sarà per sempre "il nostro posto", il posto dove ci siamo amati davvero in ogni modo possibile per la prima volta.
Ancora stesi uno tra le braccia dell'altra, con i vestiti sparpagliati ovunque e i capelli arruffati, volgiamo così lo sguardo al cielo felici e finalmente sazi di noi, sereni e spensierati.
«Da domani dunque dovrò chiamarti "mio Signore"?» chiedo ad Axel ricordando improvvisamente ciò che oggi è diventato.
«Non ci provare neanche!» mi risponde lui ridacchiando e baciandomi la fronte.
«Non sei spaventato al pensiero di ciò che ti aspetta ora che sei Guardiano?»
«No, non finché avrò te al mio fianco.»«Allora non ti devi preoccupare: comunque vadano le cose, Axel, io sarò con te.»


Note:
Ci siamo, è quasi tutto finito: manca solo l'epilogo, che arriverà a brevissimo. Intanto spero che questo capitolo un po' particolare vi sia piaciuto. Essendo l'ultimo ho voluto dare la parola a tutti e tre i miei protagonisti, che adesso sono pronti ad affrontare la loro nuova vita. A presto per il gran finale!

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Capitolo 45
*** Epilogo ***


Yakamoz, 21 aprile 2023
 
Non posso averlo fatto davvero.
Eppure ci sono i miei stessi tratti sul suo viso, e il colore degli occhi è lo stesso...
No, non posso averla creata io una creatura tanto bella, perfetta e pura, io non ne sarei mai stato capace!
È senza dubbio la cosa migliore che potessi fare, assieme alla mia Emma.
 
E così, in questa notte di luna crescente, dopo cinque anni di matrimonio, è nata la nostra bambina. È il vent’uno di aprile.
Le levatrici, dopo avere concluso il loro lavoro, hanno finalmente lasciato soli me ed Emma assieme al nostro piccolissimo tesoro: il frutto di un amore che brucia da otto anni senza il minimo cenno di cedimento, anni trascorsi in parte nel Palazzo della Notte come Guardiani di Yakamoz - se infatti ufficialmente sono io a ricoprire quel ruolo, in realtà è sempre insieme che governiamo - e in parte fuori ad esplorare e a goderci il nostro mondo. Adesso però le cose per noi sono cambiate.
Credo di poter affermare senza dubbio alcuno di essere l’uomo più felice dei due mondi in questo momento, senza eccezioni.
Emozionato e senza trovare voce per parlare mi siedo accanto a mia moglie, la quale al momento non ha occhi che per il fagottino di coperte che tiene adagiato al petto e che culla dolcemente canticchiando una ninnananna.
«Abbiamo dato la vita ad un capolavoro, Axel», mi dice lei con voce tremolante volgendosi a guardarmi, gli occhi pieni di una luce nuova, grande e meravigliosa.
«Pendila: è tua figlia.»
 Così, attento a non combinare qualche disastro, sollevo la mia bambina tra le braccia mentre Emma, con un po’ di fatica, si tira a sedere dai cuscini su cui era adagiata per guardarci.
Due grandi occhi dal colore ancora indecifrabile - ma che già comincia ad assomigliare all’ambrato - mi guardano teneramente, occhi che si sono appena aperti al mondo e alla vita; sulla sua testina già si trova della morbida peluria rossiccia ereditata da nonno Deneb.
Incantato da una simile visione mi chino per baciare la fronte di mia figlia, provando così per la prima volta la disarmante emozione di essere padre.
D’ora in poi non vivrò più solo per me stesso, per Emma e per la mia Gente: da adesso vivrò anche per lei, soprattutto per lei, per proteggerla, amarla, farla crescere, insegnarle ad affrontare ogni ostacolo rimanendo sempre sé stessa. La nostra bellissima bambina.
Così, delicatamente, riconsegno il fagottino tra le braccia di sua madre per potermi spogliare e infilarmi sotto alle coperte con loro, le mie ragioni di vita. Emma si accoccola subito contro di me e si lascia baciare, modo con cui cerco di comunicarle la misura della felicità che mi ha regalato da quando è entrata nella mia vita, salvandola e rendendola meravigliosamente perfetta, la misura dei tutto il mio amore.
«Ti ricordi la prima volta che ci siamo incontrati, Emma? Quanta strada abbiamo percorso da allora... Ti rendi conto?» le dico poi non appena riportiamo l’attenzione alla nostra bimba, ora profondamente addormentata.
«Una strada non sempre semplice, ma l’unica che, se tornassi indietro, non esiterei a imboccare mille e mille volte ancora, amore mio», mi risponde lei accarezzandomi il viso.
«Allora, come la chiamiamo?», mi chiede poi facendomi l’occhiolino.
«Domani tutti vorranno saperlo.»
«Te lo chiedo un’ultima volta: sei sicura di non volerla chiamare Claire?» le chiedo.
«Sono sicura, Axel», afferma lei senza esitare.
«Voglio che nostra figlia abbia un nome tutto suo, non uno che le ricordi sempre di persone che ormai hanno compiuto il loro tempo anni prima che lei nascesse. Le racconteremo la storia di Ophrys e Claire un giorno, certo, e anche la tua, la mia, la nostra storia: le diremo quali persone fantastiche e insostituibili ci hanno lasciati così presto, le faremo capire quanto speciali fossero per noi. Ma per lei voglio un nome fresco, un nome nuovo», continua, facendomi desistere del tutto.
«Inoltre la nostra piccola è una Notturna, in fondo: ha bisogno del nome di una stella.» 
«Nashira», dico allora io senza sapere esattamente da dove mi sia venuto fuori un tale nome, il nome di una stella, sì, ma usato davvero di rado dai genitori di Yakamoz: un nome fresco e nuovo, adatto ad una donna speciale come di sicuro sarà lei.
«Nashira», ripete allora Emma sorridendo dolcemente a nostra figlia.
«È semplicemente perfetto», aggiunge.
«Allora è deciso», affermo soddisfatto.
Così, dopo aver riposto la piccola Nashira nella sua culla accanto al nostro letto, io ed Emma ci sdraiamo sotto alle coperte, uno nelle braccia dell’altra come sempre, per provare a dormire almeno un po’ prima che la nostra bambina cominci a piangere: cosa che accadrà di sicuro, lo sappiamo, ma a cui siamo preparati.
Domani cominceranno ad arrivare tutti, ovviamente: nonna Anthemis, zio Jeremy - da poco nuovo Guardiano di Komorebi -, Alhena e tutti le altre persone che in questi anni sono entrate a far parte della nostra vita. Sarà meglio essere riposati per allora.
Con un rapido gesto della mano creo una cupola d’ombra sopra al letto per smorzare la luce azzurrina della pietraluce, poi, cullato dal respiro già calmo e regolare di mia moglie, chiudo gli occhi anche io.
Prima di addormentarmi del tutto l’immagine un ragazzo mi compare sotto alle palpebre, per un attimo, un ragazzo solo piegato su sé stesso dal dolore e dal peso di troppe lacrime versate, di troppe perdite subite, di troppi sogni infranti, di troppe colpe credute imperdonabili.
Poi penso a chi è diventato oggi quel ragazzo distrutto.
E sorrido.

Note:
Siamo arrivati alla fine. Vorrei davvero ringraziare di cuore tutti coloro che hanno letto la mia storia fin qui e anche coloro che lo faranno in seguito. Spero davvero di avervi regalato dei piacevoli momenti di lettura. Una vostra opinione sarebbe per me davvero preziosa, dunque se vi fa piacere lasciatemi una recensione! Un saluto a tutti!
Sara

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