Asphyxia

di Lost In Donbass
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo - In the loo ***
Capitolo 2: *** Bastard ***



Capitolo 1
*** Prologo - In the loo ***


ASPHYXIA

 

Sballati dentro.

Fottuti nella testa.

Distrutti nell’anima.

Non c’è niente di sano in noi, e l’abbiamo sempre detto. C’è solo il rock’n’roll, il fottuto rock’n’roll che ci rintrona da anni e che si è divorato completamente la nostra anima nera. Viviamo la musica, in una vita che voi potete solo sognarvela. Proprio come il whisky brucia, proprio come le sigarette fanno male, credo che non imparerermo mai  a vivere la vita nella quale volevano instradarci. Perché noi siamo il rock, noi siamo le rockstar, siamo la coca che sniffiamo, siamo la vodka che beviamo, siamo le sigarette che fumiamo, siamo le canzoni che scriviamo, siamo gli eroi che volevamo essere da bambini, quando eravamo chiusi in case popolari, senza amore e senza dei.

Noi siamo il rock’n’roll e non c’è niente che ci possa fermare adesso che guidiamo la nostra band nel mondo del metalcore, che suoniamo di fronte a milioni di fans, che firmiamo cd e viviamo su un grosso pullman che ci porta in giro per l’Europa.

Non ci possono fermare, dannazione. Non adesso che abbiamo conquistato il posto per cui abbiamo lottato durante tutta l’adolescenza, tra angherie e depressione.

Nessuno può frapporsi tra noi e il nostro sogno, perché noi siamo quello che cantiamo, siamo la furia, la depressione, l’amore, l’odio che buttiamo in musica tra breakdown spaccatimpani e soli di chitarra da pelle d’oca.

Non ci possono distruggere, perché noi siamo gli eroi di cui ha bisogno questa generazione di ragazzi già morti.

Non ci possono ferire, perché portiamo fieramente cicatrici di un passato che ancora adesso ci perseguita nei sogni dettati dalla coca e dalla vodka.

Non ci possono ammazzare, perché siamo dei dannatissimi dei.

Non ci possono togliere da mezzo in nessuno modo perché io noi siamo i November Cries, e nessuno, nessuno può anche solo sognarsi di smontare il nostro sogno.

Perché noi siamo il rock’n’roll.

Sfidiamo chiunque a dire il contrario.


 

PROLOGO - IN THE LOO

 

They say it all breaks down to keeping your feet on the ground
My sole intention is keeping my head in the clouds
They say that I can't last a day in the real world
I say you wouldn't survive one night in mine

[Asking Alexandria - Closure]

 

 

Denis

 

Ero seduto sul cesso a pensare. Lo facevo spesso, in realtà. L'unico posto davvero sicuro del tourbus, per esempio, era il piccolo bagno e non mi importava di far bestemmiare gli altri che dovevano svuotarsi la vescica. Negli alberghi, la prima stanza che controllavo era il bagno, dove a volte mi chiudevo per almeno un'ora. Anche quel giorno, avevo colonizzato la detta stanza e me ne stavo lì seduto, perso nei miei pensieri. Mi distraevo molto facilmente, l'avevo sempre fatto. Mi bastava un fiore, una canzone sentita per sbaglio alla radio, un paio di occhi azzurri per perdermi nel treno dei miei pensieri e inciampare in un circolo vizioso di ricordi sovrapposti, immagini, profumi e mille altre piccolezze che mi distaccavano dal mondo reale. Mi grattai la testa, e valutai che avevo mal di pancia. Come al solito, d'altronde. Forse l'aver vomitato l'anima, prima di accomodarmi, non stava aiutando il mio stomaco attorcigliato. Blaise mi urlò che se non uscivo avrebbe dovuto pisciare fuori dalla finestra, ma io non risposi, sistemandomi meglio e lasciando i pensieri vagare liberamente. Non avevo nessuna voglia di uscire. Dentro al bagno, chi poteva giudicare? Nessuno, che non fossero i saponi e gli spazzolini. Spesso, se qualche ragazza riusciva a entrare nella mia camera d'albergo, io mi chiudevo a tripla mandata in bagno finché non la sentivo mandarmi al diavolo e sbattersi la porta alle spalle. Quando questo accadeva, uscivo e mi andavo a raggomitolare tra le coperte al sicuro.

Comunque, ero sul cesso e non me ne sarei spostato tanto presto. Di là mi ripeté di uscire, ma di nuovo lo ignorai. Ero un po' anchilosato, ma non mi importava. La mia pancia brontolò ancora un po', ma la porta si aprì. Feci una smorfia, perché pensavo di aver chiuso a chiave.

-Ti vuoi alzare, una buona volta? Devo pisciare, dannazione.

Blaise mi guardava con odio malcelato, i jeans già mezzi slacciati ma io feci spallucce

-Falla fuori dalla finestra.

-Sei qui dentro da un'ora. Alzati.- ribatté lui. Poi storse il naso e assottigliò gli occhi – Hai preso, tipo, dei lassativi?

-Forse. Non so. Magari me li sono confusi con altra roba. Lasciami stare, comunque. Come vedi ho più bisogno io del bagno di te. Bagna le piante.- conclusi io e agitai la mano scompostamente per dirgli di uscire.

-Dovresti piantarla con quella roba. Ti stai ammazzando con le tue stesse mani.- entrò senza farsi problemi e chiuse la porta.

-Lasciami stare.- ripetei, avvolgendomi le braccia attorno alla vita. Non ero molto convinto mentre lo dicevo.

Lo guardai mentre si svuotava la vescica nella vasca da bagno. Cercai di non concentrarmi su di lui, mentre si tirava su i jeans e si sedeva sul bordo della vasca. Mi guardò fisso negli occhi e io arrossii. Non mi piaceva quando la gente invadeva il mio spazio personale, in questo caso, il bagno. E poi mi stava tornando il mal di pancia e la nausea.

-Puoi uscire?- borbottai.

-Che problemi hai, Den?- mi disse invece, grattandosi il collo – Dico sul serio. Sei sfasciato, ragazzo.

-Non ho problemi.- mentii io, muovendo i piedi. Mi faceva strano parlare con un mio amico mentre ero seduto sul cesso. Ma forse è questo quello a cui servono gli amici. Parlare, anche in questi momenti. Anche se io, di parlare, proprio non ne avevo voglia – Senti, lasciami stare. Va tutto bene. Devo solo aver confuso le pastiglie.

-Cristo, ragazzo, vomiti come una donna incinta.- lui alzò un sopracciglio – Non sarebbe meglio farti vedere da qualcuno? E poi, dai: sei fuso. Ammettilo.

-Asher non è meglio di me.

-Che vuol dire, nemmeno io sono meglio di te. Ma noi non vomitiamo l'anima e non stiamo ore seduti sul cesso, come fai tu.

-Ho mal di pancia, lasciami stare.

-Potrei registrare i rumori molesti del tuo intestino e diventeremo una band grindcore di livello.

-Fa schifo il grind. Noi facciamo metalcore. Già abbiamo messo elementi elettronici, ci manca pure che prendiamo un tastierista.

-Sei poco elastico, amico.

Ridemmo un pochino tutti e due, poi il mio intestino gorgogliò più forte e io feci una smorfia.

-Forse non sarebbe meglio se uscissi?

-Se avessi bisogno di parlare con qualcuno, io ci sono.- disse invece, passandosi una mano tra i capelli. Non sembrava importargli che io fossi in condizioni un po' patetiche e un po' private. Ma lui non si scandalizzava mai di niente, e poi, dopo tutti gli anni di tour e i lunghissimi mesi passati a vivere tutti insieme in un furgoncino parcheggiato abusivamente, era raro che uno di noi si formalizzasse a vedere un altro nudo o in bagno o vestito da donna – Quanti anni è che ci conosciamo?

-Sei.- risposi – Di cui uno passato su Julius.

Julius era il furgoncino abusivo che avevamo gelosamente custodito anche una volta che la fama era arrivata a porgerci la corona d'alloro. Continuavamo a parcheggiarlo abusivamente, ogni tanto, giusto per ricordare i vecchi tempi. A volte mi ci nascondevo ancora dentro, ricordandomi di quando dormivano sui sedili troppo duri e bollivamo l'acqua per il the nel bollitore a gas che rischiava sempre di esploderci in mano.

-Appunto. Sei anni di convivenza, praticamente. Non ti devi vergognare di dire quello che provi. Den, hai ventisei anni. È normale che sei perso. È normale che non capisci da che parte sta la giustizia. Saremo anche la band rock più in voga del momento ma nessuno ci ha mai spiegato come si vive. E non te lo spiegano le sigarette, il gin o le pastiglie. Quindi, se vuoi sfogarti, puoi sempre parlare con me. Con Asher. Con Crow.

Mi disse tutto questo mentre io me ne stavo lì seduto, e mi guardava con i suoi occhi più chiari del cristallo e io mi chiedevo perché dovessimo fare sti discorsi in bagno, perché fossimo così dannatamente soli nonostante la fama, i soldi, la musica, perché io vomitassi l'anima e perché ci impasticcassimo come se ne andasse della nostra stessa vita.

-Avevo promesso alla mamma che non avrei più vomitato.- mormorai.

-Io avevo promesso alla mia che non sarei diventato un alcolizzato, ma eccomi qui.- mi sorrise, e non feci fatica a capire come mai tra di noi fosse quello che beccasse più ragazze, dio, il suo sorriso era celestiale – Den, non importa più chi siamo stati, ma chi siamo adesso. Incarniamo il rock'n'roll. Siamo il Rock. Abbiamo firmato il patto col diavolo, dannazione, e dobbiamo vivere questa fama fino in fondo. Chissene frega dei noi del passato. È il presente che conta.

-Ho mal di pancia.

-Fatti coraggio, ragazzo.- si alzò e mi scompigliò i capelli – Siamo sbalorditivi. Credici.

-Faresti meglio a uscire adesso.

Mi sorrise di nuovo e uscì, chiudendosi la porta alle spalle. Io rimasi lì seduto, la pancia gorgogliante e una smorfia pensierosa. Già, eravamo il rock'n'roll, ce lo dicevano tutti. Mi chiesi oziosamente se tutti i nostri fan sapessero che i loro idoli prendevano lassativi per sbaglio. O forse no. Forse non l'avevo preso per sbaglio. Forse lo volevo davvero. Non l'avrei mai saputo, mentre concludevo i miei affari e mi perdevo di nuovo a pensare. A cosa, poi, nemmeno io lo sapevo.

 

Quando uscii finalmente dal bagno, Blaise era stravaccato sul divano che giocava con la playstation. Vivevamo insieme in un grande loft londinese. Non sapevo nemmeno io perché avessimo deciso di condividere la casa, avevamo abbastanza denaro per poter avere ognuno il proprio appartamento, ma preferivamo stare così. Io avevo paura a stare da solo, lui si annoiava se non aveva qualcuno in giro. C'era solo il problema del bagno, a volte, ma per il resto la convivenza andava alla grande.

-Mi togli una curiosità?- chiesi io, sprofondando sul divano insieme a lui.

-Dimmi.- non mi guardava e continuava ad ammazzare mostriciattoli sulla tv.

-Perché avevamo dei lassativi in casa?

-Li ha portati Asher.

-E perché Asher ha portato dei lassativi?

-La prossima volta gli dirò di evitare.

-No, davvero, ero curioso.

-Non lo so, Den. Avrà voluto testare quanto sei fuso tra il prendere una pasticca e un lassativo. Direi che il test è andato a buon fine, sei fuso come non so cosa.

Rimanemmo qualche secondo in silenzio, solo il rumore dei videogiochi a rovinare l'atmosfera. Scalzai le calze e mi sdraiai sul divano, stringendo un cuscino. Mi piaceva guardare le travi del soffitto.

-Hai la vena creativa?- mi chiese Blaise, facendomi il solletico ai piedi.

-Forse. Vado a prendere la chitarra, chissà che non ne esca qualcosa di buono.

-Attento che il grind è dietro l'angolo.

-Idiota.

Era un periodo creativo, quello. Scrivevamo pezzi, li rimaneggiavamo, li registravamo tra una birra e una sigaretta, ci sentivamo pronti a regalare al mondo il disco dell'anno. Le parole le scriveva principalmente Asher, era quello più in gamba con la poesia. Io, Crow e Blaise ci destreggiavamo con la musica. Due punti cardine: pesante, ma di qualità. Vibrante, ma musicale. Dannazione, forse Blaise aveva ragione quando diceva che eravamo i migliori sul campo. I ragazzi di ogni parte del mondo ci osannavano, ma in fondo, cos'eravamo? Quattro coglioni che avevano avuto la fortuna di saper strimpellare due strumenti e di riuscire a buttare giù qualche canzoncina carina. Ma tra alcol, pastiglie, depressione e anoressia, chi eravamo davvero? Non sapevo bene ritrovarmi nella fama che di colpo ci era caduta addosso come una secchiata d'acqua. Non ero come Asher, che la faccia della rockstar maledetta ce l'aveva anche quando vivevamo su Julius. Non ero come Blaise, che sapeva sfruttare la situazione. Non ero come Crow, che se ne fregava. No, io non ero come loro, ero solo un povero ragazzo ucraino che si faceva troppi problemi e non sapeva gestire il mondo della musica. A volte scrivevo anche io qualche testo per le nostre canzoni, ma li scrivevo in russo, e Asher non riusciva a pronunciare le parole, quindi lasciavamo perdere. Forse era meglio così. Che sentire i tuoi eroi che urlavano “meglio morire che vivere così”, “ho smesso di mangiare perché ero troppo stanco” o frasi del genere, beh, forse non era il massimo.

-Però sei magro, Den.- commentò Blaise, dal divano – Cioé, non che prima fossi un barile, ma adesso sei davvero ossuto.

-Sarà lo stress.

-Fatti vedere da qualcuno, ragazzo.

-Sto bene, Blaise.

-Den.- si voltò verso di me e così facendo perse il gioco – Non è non mangiando che le cose miglioreranno.

Assottigliai gli occhi e mi strinsi nelle spalle, sulla difensiva

-Non è con la musica che ci salviamo.

-Non ti capisco. Eri il più convinto quando eravamo su Julius. Eri quello che ci ha convinti a non mollare quando tutto andava veramente male. Perché adesso fai così? La musica ci ha salvati, Den.

Scossi la testa e mi avvolsi le braccia attorno al corpo, cercando quel calore che nessuno mi aveva più dato.

-Avrà salvato voi. Non me.

Mi trascinai verso la cucina per mettermi su un the caldo, e speravo che lui continuasse a giocare così da non costringermi a misurarmi con i suoi occhi pallidi, ma si era già avvicinato. Girava sempre in mutande, in casa, a volte non si metteva nemmeno quelle, ma c'ero abituato. Aveva un fisico di tutto rispetto. Blaise avrebbe eccitato anche il più etero degli uomini.

-Senti, bello, ne uscirai. Te lo prometto. Troveremo un modo per tirarti fuori da sto casino dove sei finito da solo.- mi diede un buffetto sulla guancia e poi mi strinse in un abbraccio spezza ossa – Stai con me, Den.- mi sussurrò.

Non ricambiai l'abbraccio, ma sentii gli occhi inumidirsi. Non volevo piangere. Mi morsi solo a sangue il labbro e mi scostai quando l'acqua per il the cominciò a bollire.

-Che fai stasera?- chiesi.

-Vado a cercarmi una compagnia per la notte. Tu che fai?

-Sto a casa.

-Den …

-Non faccio casini. Giuro.- lo guardai mentre pucciavo la bustina nella tazza – Non prendo pasticche, non prendo lassativi e quando tornerai non sarò in bagno.

-Non vuoi venire con me?- tentò. Fece per prendermi una mano ma io la infilai nella tasca dei pantaloni e bevvi un sorso.

-No. Ma ti giuro che andrà tutto bene. Promesso.

Non era convinto ma non mi disse niente e andò di là fischiettando una canzone. Immaginavo andasse a prepararsi. Io preferii sprofondare nel divano e mettere Mosca Non Crede Alle Lacrime, un film sovietico degli anni '80 che guardavo ogni volta che ero giù per piangere tutte le mie lacrime e sognare fino ad addormentarmi sul divano.

Finì che mi ridussi a masturbarmi sul divano come quando avevo quindici anni e vivevo in Ucraina con mia madre. Lo feci senza voglia, senza emozione, guardando senza vederle le immagini che si susseguivano in televisione. Sporcai sia la mano che il plaid con cui mi ero coperto ma rimasi lì, i pantaloni della tuta mezzi abbassati e una smorfia triste sul viso. Mi chiesi se forse non fossi caduto in depressione seriamente, e se non fosse il caso di farmi vedere da uno psichiatra, magari di assumere antidepressivi, anche se sapevo che Asher me li avrebbe scambiati con i lassativi, ma poi decisi che no, aveva ragione Blaise, eravamo il rock'n'roll. Se ero depresso dovevo tenermi la mia depressione e andare avanti con una bottiglia di gin in una mano e la chitarra elettrica nell'altra. Ero un dannato sbandato anoressico e depresso. Però avevo il rock'n'roll dalla mia. Sì, dannazione, avevo il rock'n'roll.

***
Qui troverete tante cose brutte, come la depressione, l'anoressia, l'autolesionismo e la tossicodipendenza, ma troverete anche cose belle, come l'amicizia incrollabile, l'amore e la musica metalcore. Il rating potrebbe alzarsi, e le tematiche saranno molto delicate, ma se vi piace il rock, il metal e l'emo allora dovete assolutamente leggere.
E recensire.
Stay metal ragazzi, che in questo periodo ci vuole
Un bacio
Anastasia 

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Capitolo 2
*** Bastard ***


CAPITOLO SECONDO: BASTARD

Sometimes I've been losing my mind
Running out of faith
Lonely, I've been feeling lonely
Put me in my place

[Palaye Royale – Little Bastards]

 

Asher

 

Lui odiava che io fumassi. Diceva che mi sarei distrutto i polmoni, ma a me non importava. Avrebbe dovuto, visto che ero il cantante della band metalcore più in voga del momento, ma, di nuovo, avevo di meglio da fare che pensare alla mia salute. Avevo sempre preferito l'autodistruzione, in fondo. Mia madre, quelle poche volte che l'andavo a trovare ad Ashford, mi guardava e piangeva. Mi diceva “ma come ti sei ridotto, bambino mio?” e io la ignoravo, tornando nella camera della mia infanzia, quella dove la notte soffocavo lacrime amare nel cuscino e meditavo sia il suicidio sia una strage di tutta la scuola. Mio padre aveva un fucile, in cantina, e io mi chiedevo se alla fine mi sarei sparato come Cobain, anche se io i Nirvana non li ho mai ascoltati, oppure se mi sarei presentato a lezione per far saltare il cervello a tutti. Alla fine, non avevo fatto nessuna delle due cose. Ero partito per Londra, avevo incontrato i ragazzi, avevamo rubato Julius ed era iniziata l'avventura. Ora ero osannato da milioni di ragazzi e ragazze in tutto il mondo, ma ancora non ero contento. Volevo di più, avevo sempre voluto di più.

Mi appoggiai alla balaustra del terrazzo e lasciai uscire una voluta di fumo. Era il compleanno di Darren, ma non avevo nessuna intenzione di andare alla sua stupida festa. Poi mi ricordai che ci sarebbero stati i ragazzi, e gente importante che dovevamo per forza conoscere. Tipo, Chris Cerulli della Babylonian Records. Storsi il naso, al pensiero di quell'uomo tanto volubile quanto diabolico, e di quanto ci sarebbe fruttato sottoscrivere un accordo con la sua casa discografica. Mi morsi il labbro inferiore: forse, dopotutto, dovevo andarci alla festa. Al diavolo Darren, dovevamo raggirare Cerulli in tutti i modi. Solo che tra un depresso, un idiota, un anoressico, e un tossico, cosa avremmo mai potuto fare? Asher Sykes, la rockstar maledetta, dicevano le riviste. Non era vero. Ero solo un povero idiota che si faceva di ketamina per vedere quanto il suo fisico avrebbe retto prima dello schianto finale. Ero un mezzo depresso sadico a cui piaceva scambiare le pastiglie con i lassativi, che insultava pubblicamente il proprio fidanzato e che rideva in faccia ai tormenti della propria madre. Non meritavo niente, non meritavo l'ammirazione dei miei fans. Meritavo la forca. O un buono psichiatra, mi dissi, mentre gettavo la sigaretta giù dal balcone e fissavo la gente passare indaffarata per strada, in mezzo a taxi, macchine e autobus. Anche io da ragazzo avevo sempre fretta. Fretta di crescere, di diventare grande, fretta di avere la ragazza, fretta di farmi per la prima volta, fretta che arrivasse la notte per non pensare ai miei tormenti. Ora che avevo vent'otto anni mi sentivo peggio di quando ne avevo diciotto. Ancora più sbandato, misantropo e acido del me ragazzino che sognava di dare fuoco a tutta l'Inghilterra. Sei un fottuto psicopatico, mi diceva sempre Blaise. Lo ero. Non ci stavo tutto con la testa, non c'ero mai stato. Ero un relitto.

Mi scostai i capelli dal viso e roteai gli occhi al cielo quando sentii la voce lamentosa di Darren chiamare il mio nome. Non me ne capacitavo, ma non riuscivo a lasciarlo andare.

-Ash, Ash tesoro, dove sei?

Lo vidi vagare nella stanza da letto senza vedermi. Non era fatto, perché lui usava solo roba leggera, ma era proprio fuso di natura.

-Sono qui, idiota.- grugnii e lui sorrise, correndomi incontro e gettandomi le braccia al collo. Non ricambiai né l'abbraccio né i baci appiccicosi che mi disseminò per la faccia. Lo guardai solo con occhio critico, avvolto nella vestaglia di mussola rosa, i capelli arruffati e gli occhi vuoti.

-Ash, tesoro, stasera … oh … stasera … - si ciucciò il dito, guardandomi con aria persa.

-Stasera cosa, Daz?- sospirai rumorosamente, togliendogli il dito dalla bocca e facendolo gentilmente rientrare in camera.

-Stasera ci sarà anche la mamma.- riuscì a sillabare, dopo averlo fatto sedere. Mi guardò con gioia dipinta nei grandi occhi violetti, il labbro appena sbavato e io mi ritrovai a sospirare. Ricordai la prima volta che lo vidi, a qualche premiazione musicale. Era là, bellissimo nella sala, squisito, gli occhi di tutti erano puntati su di lui. Ma la silfide, aveva scelto me. Una bambola stupenda che era finita nella mia rete. A volte però mi chiedevo se non fossi io a essere caduto nella sua, di rete. Non sapevo che problemi avesse, non me ne era mai importato. Bipolare, schizoide, forse solo ritardato, io inciampavo nei suoi sbagli e lui inciampava nella mia rabbia. Lo guardavo, la notte, nudo e angelico tra le coperte e mi chiedevo chi diavolo sono io per averlo ridotto così. Poi guardavo me stesso, col mio corpo completamente tatuato per nascondere i terrori adolescenziali, e scoppiavo a ridere, perché io ero un caso perso e la musica non mi avrebbe salvato come credevo da ragazzino.

-Oh.- dissi – E allora?

-Magari te la presento.- mi rivolse un largo sorriso innocente e io mi affrettai a scuotere la testa.

-Darren, stasera io e i ragazzi dobbiamo parlare con Chris Cerulli. Non ho tempo di parlare a tua madre.

Ci rimase male, ma non disse nulla. Lo guardai alzarsi e cominciare lentamente a spogliarsi per indossare la sua mise estrema comprata apposta per la festa. Ne studiai il corpo delicato e fine, i capelli corvini portati appena sotto il mento che pettinava e acconciava meticolosamente. Mi avvicinai e gli avvolsi le braccia da dietro, salendo con le mani a massaggiargli il petto e a pizzicargli i capezzoli da sopra la maglietta. Lui rimase immobile tra le mie braccia, mentre io mi strusciavo contro la sua schiena, muovendo le mani sul suo corpo perfetto. Lo guardavo nello specchio che avevo davanti, guardavo i suoi occhi grandi e incerti, il suo viso di porcellana, i ciuffi di capelli che gli incorniciavano un ovale squisito.

-Mi vuoi, amore?- gli sussurrai nell'orecchio, facendo scivolare la mano sempre più in basso, verso i boxer neri. Annusavo il profumo del suo collo e mi chiedevo che razza di mostro ero, a volere da lui solo il corpo, quando era un angelo, un dannato angelo.

-Non so, Ash.- mormorò lui, appoggiandosi al mio petto e scostandomi la mano, premendosela sulla pancia – Cosa cerchi da me?

-Tutto, tesoro.- gli baciai il collo con forza, succhiando la pelle pallida e la mia mano riprese la strada verso giù – Sei stupendo, Daz, ecciteresti chiunque con quei tuoi occhi vuoti.

-Mi devo vestire, Ash.- ribatté debolmente, cercando di districarsi dal mio abbraccio e dalle mie attenzioni. Non contavo nemmeno tutte le volte che l'avevo tradito con ragazze ben più scafate e ragazzi ben più aitanti, per poi ricadere sempre nelle trame della sua innocenza stupita. Darren si era sempre fatto fare tutto dal sottoscritto, affrontando il mio sadismo con un sorriso spento. Era quello che adoravo di lui: la sua sottomissione.

-Dimmi che mi vuoi, Daz.- biascicai, riuscendo finalmente a insinuare la mano nei suoi boxer – Dai, soddisfami …

-No, Ash.- si staccò da me, e, afferrando i vestiti, corse via dalla stanza.

Io mi lasciai cadere sul letto, una mezza erezione negli skinny jeans di chi voleva essere soddisfatto ma aveva fallito l'impresa.

-Darren.- urlai, lasciando l'eco della mia voce rimbombare nell'appartamento.

Vidi il suo viso di porcellana sbucare dalla porta, gli occhioni tristi e il dito in bocca. Aveva i capelli acconciati splendidamente.

Ci guardammo a lungo, prima che io sussurrassi

-Lasciami perdere, Daz.

Lui si avvicinò timidamente, i jeans stracciati e la maglia di rete addosso e mi accarezzò il viso con una mano. Aveva le dita umide, segno che le aveva succhiate, magari spaventato dal mio atteggiamento di prima.

-Io non ti lascio perdere, Ash. Io ti amo.

-Non devi amarmi.- gemetti, le mani sugli occhi – Darren, dovresti odiarmi.

Sentii le sue braccia avvolgermi e le sue labbra posarsi sulla mia guancia.

-Non importa. Non ti lascio, Ash.

Sospirai e ricambiai stancamente l'abbraccio. Non me lo meritavo, non me l'ero mai meritato. Eppure, nella mia acidità, nella mia cattiveria, continuavo a stargli addosso come un cancro quando lui avrebbe dovuto essere libero. Ma io, io non ero ancora pronto a lasciarlo andare.

 

Volevo fumare, ma non potevo ancora uscire dalla sala. Darren mi stava appeso al braccio, ossuto e truccato e mi indicava le sue colleghe, la sua famiglia, e tutti i vari artisti che presenziavano al suo sontuoso compleanno. Non lo ascoltavo, troppo impegnato a guardarmi intorno per trovare i miei bandmates.

-Andiamo dalla mamma, Ash?- pigolò Darren, tirandomi il bordo della camicia.

Scossi la testa, scrollandomelo di dosso senza tanti complimenti. Avevo visto Blaise e Denis entrare nella sala. Senza prestare più ascolto alle parole del mio ragazzo, mi diressi di corsa verso i miei amici. Blaise si guardava attorno col suo sorriso migliore, e Denis gli veleggiava affianco. Storsi il naso. Il mio chitarrista sembrava appena essere uscito dall'inferno, ma Denis, Denis era un caso perso. L'anoressia se lo stava mangiando vivo, e il suo rifiutare ogni aiuto era un impiccio. Non mi importava che non mangiasse: a me importava solo di avere nella mia band il chitarrista migliore sul campo. Li raggiunsi e venni stritolato dall'abbraccio spezzaossa di Blaise e da quello lacrimoso di Denis.

-Hey, ragazzi. Avete già individuato Cerulli?- chiesi, notando con malcelato disgusto che Denis puzzava di vomito. Chissà quanto aveva sboccato prima di venire qui.

-Io ho individuato la vodka.- commentò Blaise, afferrando una bottiglia e bevendo a canna, senza preoccuparsi delle occhiate schifate degli altri ospiti – Dov'è Darren? Gli facciamo gli auguri.

-Che ne so.- grugnii io – E' sempre più fuso.

-Sei tu che non lo sostieni come dovresti.- mi congelò Denis, barcollando e aggrappandosi a Blaise per non cadere – Ash, sei un bastardo. Mi viene da vomitare.

-Den, basta.- Blaise lo prese per le spalle e gli massaggiò la schiena – Datti una regolata. Siamo a una festa. Pensa a bere, a sdraiarti sul divano e stai lontano dal cesso. Okay? Ti controllo, piccolo bastardo ucraino.

-Lasciami perdere …

-Non ti lascio perdere, idiota. Sei il mio migliore amico.

Li guardai, e non potei nascondere l'invidia che provavo nei loro confronti. Io non avevo mai avuto un “migliore amico”; avevo la mia band, certo, ma li avevo sempre chiusi fuori dai miei problemi personali, sempre troppo impegnato ad essere “di più” per poter pensare di abbassarmi al loro livello. Ma io non ero “di più”: ero solo un idiota che maltrattava il proprio ragazzo e giocava col fuoco sapendo che prima o poi sarebbe arso vivo.

Denis barcollò ma si strinse a Blaise e insieme caracollarono verso Darren che li accolse con un largo sorriso stupido. Feci una smorfia, guardando gli abbracci lacrimosi del mio ragazzo e quelli rock dei miei bandmates e mi voltai alla ricerca di Chris Cerulli e del mio agognato contratto con la Babylonian Records. Volevo fumare, dannazione. Mi scrollai di dosso Darren senza tanti complimenti, Darren, il mio piccolo, dolce, stupido Darren con i suoi occhi violetti e i suoi vestiti volgari e mi avviai a grandi passi verso l'uscita.

Ero solo un bastardo, e lo sapevo, ma non avevo ancora capito come uscirne fuori. Forse avevo solo bisogno di essere salvato; io, che salvavo con le mie canzoni milioni di ragazzini emo, io ero quello più bisognoso di una spalla che mi consolasse. Mi ricordai che non piangevo da dieci anni, e mi chiesi se avessi disimparato a farlo.

 

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