Storie d'inchiostro

di metformin_86
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Kamakura, anni 90 ***
Capitolo 2: *** San Diego, anni 2000 ***



Capitolo 1
*** Kamakura, anni 90 ***


Kamakura, anni ‘90
 
 
Kogure guardò annoiato il cielo quasi nero della notte di Kamakura. Si era rintanato a letto, un volumetto de "Le rose di Versailles" aperto sulle ginocchia. Era di cattivo umore ma non voleva darlo a vedere ai suoi. Tanto non avrebbero capito...
Tutto era cominciato quando erano tornati a casa dopo la partita con il Ryokufu. Akagi ci aveva tenuto ad accompagnarlo di persona, per spiegare quanto era successo. E, per un attimo, Kogure si era illuso che i sorrisi dei genitori al 'è stato fondamentale per la squadra', 'ha dato una scossa a tutti', significassero che avevano realmente compreso. Ma il tono freddo della conversazione durante la cena lo aveva ben presto disilluso.
"Papà, mamma - aveva detto ad un certo punto, stanco di quelle risposte a monosillabi - mi spiace per gli occhiali. Io...io farò più attenzione in futuro".
Tanto era bastato perché suo padre prendesse il la. Non volevano rimproverarlo, ci tenne a precisare. Era solo che un paio di occhiali nuovi non costava poco. Non che non potessero permetterseli, bene inteso. Ma si chiedevano se Kogure fosse davvero convinto che ne valesse la pena.
"Voglio dire - concluse il padre - arrivato a questo punto non faresti meglio a mettere un po' da parte il basket e a concentrarti su ingegneria?"
Ingegneria.
Kogure aveva iniziato a detestare il suono di quella parola. Non gli esami di fine anno. Non l'ammissione all'università. Sempre e solo ingegneria, come a sottolineare che quello, e niente di meno, era ciò che suo padre si aspettava da lui.
Con un piccolo fremito di rabbia, chiuse il manga e, voltatosi verso il comodino accanto al letto, prese dal primo cassetto un grosso album da disegno e un astuccio di latta, dentro al quale erano riposte alcune matite ben appuntite e alcune penne a china, rigorosamente dalla punta sottile.
Con delicatezza ripercorse all'indietro le ultime tavole che aveva disegnato e poi via via quelle più vecchie, fino a che non si ritrovò a contemplare la prima pagina dell'album. Un accenno di sorriso gli si dipinse sulle labbra:ricordava ancora il pomeriggio in cui tutto era iniziato.
 Mitsui aveva da poco lasciato la squadra e i loro compagni avevano presentato il primo reclamo contro Akagi al signor Anzai. Quel giorno Kogure aveva provato a consolare l'amico, ma Takenori, quando era giù di morale, aveva il brutto vizio di diventare aggressivo, e aveva finito per prendersi un sacco di parole.
Tornato a casa, il numero 5 dello Shohoku si era rifugiato in camera, desiderando disperatamente essere in qualunque altro posto. E pian piano, mentre guardava il soffitto una strana idea aveva iniziato a prendere forma nella sua mente. 
Si era immaginato non la Kamakura moderna, ma la città del periodo medievale. Samurai, guerrieri, messi imperiali e , in tutto questo, un ragazzo come tanti, un garzone, insomma un tipo un po’ sfigato. Con la mente lo aveva visto recarsi con gli amici nel bosco per una sfida, forse una scommessa, e lì essere abbandonato di fronte ad un misterioso arco di pietra.
Quella sera, per la prima volta, Kogure si era messo a disegnare. Dapprima si era trattato solo di schizzi buttati giù su fogli strappati ai quaderni, poi, racimolando qualche soldo qua e là, si era comprato quell’album e le prime matite serie.
Non ne aveva mai fatto parola con nessuno, nemmeno con Akagi. Forse solo il loro insegnante di arte sembrava aver intuito qualcosa e , infatti, Kogure era uno dei pochi studenti con il quale si impuntava a correggere aspetti come la posizione della mano o l’ombreggiatura. Ma , ad ogni modo, non gli aveva mai chiesto nulla di esplicito.
Da quel pomeriggio, tuttavia, una lunga avventura di carta ed inchiostro aveva preso vita e , per i tre anni successivi, non lo aveva mai abbandonato.
Giornate storte, vittorie gloriose, compiti in classe impossibili , litigate: tutto nella mente di Kogure veniva preso, trasfigurato e trasformato in episodi di quella strana avventura fantastica. Il compito sugli integrali del professor Koike era un labirinto popolato di sfingi che parlavano un linguaggio incomprensibile, la vittoria sullo Shoyo una battaglia epica contro un esercito di giganti di fango e la volta in cui Mitsui e la sua banda lo avevano rincorso lungo la strada di casa, all’inizio del suo secondo anno, aveva buttato giù alcune tavole cupe su di una banda di demoni capitanata da un samurai colpito da una maledizione.
In quei tre anni il numero 5 aveva amato e odiato quelle tavole a momenti alterni.
A volte ciò che usciva dalla sua penna gli sembrava talmente bello da stupirsi di esserne proprio lui, Kiminobu Kogure, il sesto uomo, ad averlo concepito. A volte ciò che la sua fantasia gli suggeriva gli sembrava brutto e banale, un’accozzaglia di idee scopiazzate e prese dai troppi film e libri fantasy che riempivano la sua camera. Qualche volta un sogno pericoloso gli era balenato nella mente. Qualcosa che aveva a che fare con lui ai festival del fumetto, seduto su uno sgabello alto, intento ad autografare prime stampe del suo ultimo lavoro.
Non durava mai a lungo. Il più delle volte era Kogure stesso a scacciarlo, ripetendosi di tenere i piedi per terra.
In quegli ultimi giorni tuttavia aveva smesso di disegnare del tutto. E il problema stava proprio lì, in bella vista, su quell’ultima tavola rimasta incompleta, un bozzetto a matita, tracciato con mano leggera.
C’era di nuovo il suo samurai maledetto, oramai libero dalla maledizione. Lui e il protagonista erano immobili ai piedi delle rovine di un tempio presso cui avevano appena affrontato il loro principale nemico, il signore dei demoni d’acqua, perdendo miseramente, ma riuscendo a salvarsi la vita grazie ad un gesto coraggioso del protagonista, che era ruzzolato giù dall’alta gradinata pur di recuperare l’amuleto che li avrebbe protetti.
Ed ora eccoli lì, fermi su quelle pietre antiche. Il protagonista era ferito e il samurai gli era accorso accanto. Gli aveva sollevato la teta, così che i loro occhi si erano incrociati.
E nel dipingere quello scambio di sguardi la mano di Kogure aveva tremato.
C’era qualcosa di strano nel modo in cui il protagonista fissava il samurai. Kogure non aveva avuto il coraggio di cancellarlo ma nemmeno di inchiostrarlo. Sapeva che nel momento in cui quell’immagine fosse stata resa definitiva dalla china non avrebbe più potuto mentire a se stesso.
Quasi spaventato, aveva riposto l’album da disegno e le matite nel cassetto, ripromettendosi di non guardarlo più per un po’, di prendersi una pausa dal disegno.
E tuttavia, quasi ogni sera, si ritrovava lì, a contemplare quell’ultima tavola lasciata in sospeso.
A volte quell’immagine sembrava suggerirgli una sorta di speranza , altre volte, come in quella sera in cui suo padre ci aveva tenuto ad affrontare l’argomento ‘ingegneria’, quell’immagine lo faceva semplicemente sentire giù di morale, come la metafora di una vita compiuta a metà.
Forse, si disse incoraggiante, avrebbe dovuto semplicemente inchiostrarla e passare oltre, senza pensarci su. Forse, ma non ci riusciva…
Il rumore di colpi contro il vetro della finestra lo scosse dai suoi pensieri. Kogure sussultò, come gli succedeva sempre quando qualcosa lo strappava all’improvviso dal suo mondo fantastico. Guardò verso la finestra, aspettandosi di vedere un ramo o magari una lattina, trasportati dal vento, ma il respiro gli si bloccò per un istante. Fuori dalla finestra c’era una persona.
E , se non fosse stato troppo intontito per la sorpresa, forse Kogure avrebbe potuto accorgersi di come il suo cervello riconobbe prima le fattezze del suo samurai maledetto e , solo in un secondo momento, quelle di Hisashi Mitsui.
 
“Che ci fai qui?” chiese preoccupato, aprendo la finestra
“Io…io…posso entrare?” rispose esitante Mitsui
Kogure annuì, facendosi da parte. Con aria guardinga, osservò il numero 14 scavalcare agilmente il basso davanzale della finestra e calarsi in camera sua.
“Che succede?” insistette gentilmente il numero 5.
Mitsui gettò uno sguardo alla stanza, deglutendo più volte, prima di posare infine gli occhi su Kogure.
“Io – borbottò – io avevo bisogno di…io…io volevo solo vedere se stavi bene”
Kogure si sforzò di sorridere in modo rilassato “Ma certo che sto bene – mentì – ho solo rotto gli occhiali. I miei non erano proprio contentissimi ma…ma alla fine non mi hanno veramente rimproverato”
Ripetè la stessa menzogna che il padre gli aveva rifilato durante la sua predica serale, sentendosi vagamente sporco dentro.
Quelle parole, ad ogni modo, non sembrarono produrre l’effetto sperato. Mitsui abbassò gli occhi a terra  e scosse leggermente il capo.
“Scusami – disse a voce bassa – scusami è stata colpa mia”
Kogure sgranò gli occhi “Colpa tua? Mitsui ma che stai dicendo?Non ha senso…”
“Tu..tu ti sei fatto male per passarmi la palla..”
“No” lo interrupe deciso il numero 5
“No cosa?” chiese stupito Mitsui
“No, non è andata così – insistette fermo Kogure – Ho fatto il tiro e poi sono corso dietro al pallone perché Hanamichi non ha preso il rimbalzo. Tu…tu non c’entri nulla con quell’azione”
“Ah ok” disse il numero 14 in tono leggermente deluso e , come in cerca di un appiglio, si mosse all’interno della stanza.
Con un balzo al cuore, Kogure lo vide avvicinarsi al letto e prendere in mano l’album da disegno nero.
“Senti , Mitsui – disse precipitosamente, cercando di correre ai ripari – Io non voglio essere scortese ma…”
Si bloccò. Realizzò di non avere davvero cuore di mandarlo via.
Dandosi dell’idiota, chiuse gli occhi e aspettò , ascoltando il rumore delle pagine che venivano sfogliate, che il suo segreto venisse messo a nudo.
Nel momento in cui sentì il numero 14 trattenere il respiro, seppe che tutto era finito.
Mitsui l’aveva vista. La tavola che testimoniava che lui…che lui…
Riaprì gli occhi.
Il numero 14 sedeva dandogli la schiena. Le spalle gli tremavano leggermente. Stava ansimando piano.
Kogure sentì un peso scivolargli sullo stomaco. Certo, si era aspettato che Mitsui reagisse male al vedere quell’immagine, ma vederlo addirittura arrabbiato lo ferì. In fondo, realizzò ,mentre sentiva a sua volta la rabbia montargli dentro, non aveva fatto nulla di male: quelle erano le sue pagine, il suo mondo, la sua storia.
“Non era una cosa che avrei voluto fari vedere – precisò secco – Mi spiace che la cosa ti abbia dato tanto fastidio, ma avresti dovuto chiedermelo, prima di…”
Il numero 14 si voltò di scatto e subito Kogure si zittì. Mitsui aveva il viso deformato da una strana espressione, come se qualcosa gli stesse facendo profondamente male. Con una stretta al cuore il numero 5 realizzò dove aveva visto per l’ultima volta il compagno così: era stato in palestra il giorno della rissa, quando Mitsui era scoppiato a piangere davanti al signor Anzai, chiedendogli di poter tornare nel club.
“Perché…- chiese Mitsui a fatica- …perché mi hai preso in giro?”
Quelle parole a Kogure arrivarono come una pugnalata. Davvero gli sembrava eccessivo. Non aveva preso in giro nessuno. Si era semplicemente portato dentro quel segreto, proprio come si era portato dentro il segreto di quell’album da disegno.
“Non ero tenuto a dirtelo -  protestò – E’ la mia vita e scelgo io…”
Ma di nuovo Mitsui scosse la testa “Cinque minuti fa hai detto che non era colpa mia – disse amareggiato – E guarda cosa hai disegnato”
Solo allora il numero 5 comprese. Si precipitò accanto a Mitsui e gli tolse l’album dalle mani, a metà tra l’incredulo e il sollevato “Non è…non c’entra nulla con la partita di oggi – spiegò in tono gentile ; forse il peggio era stato evitato – è…è ispirato al nostro passaggio durante la partita cola Kainan. Ti ricordi?Quando io…”
“Certo che mi ricordo le nostre azioni, stupido!” lo rimproverò il numero 14.
Tacquero entrambi. Dopo qualche istante l’ombra del dubbio tornò a dipingersi negli occhi di Mitsui.
“Però l’hai disegnata da poco – osservò, indicando la tavola a matita – voglio dire…questa non l’hai ripassata a penna”
“A china – lo corresse, senza rendersi conto, Kogure – E comunque l’ho disegnata da un po’. E’ solo che – proseguì abbassando la voce – non sapevo se cancellarla”
“Perché?”
La domanda di Mitsui aveva un suono strano, come se contenesse in sé mille altre domande. Il numero 5 non sapeva bene cosa rispondere.
“E’ perché non sapevi se lo volevi davvero?” insistette di nuovo Mitsui. Il tono della voce vibrò leggermente,come a mostrare appena appena un attimo di fragilità.
Solo allora Kogure iniziò a intuire il perché di quella visita notturna del numero 14.
“Perché non sapevo se lo volessi tu” confessò abbassando il capo.
Fu un attimo. Kogure sentì la mano di Mitsui posarsi sulla sua guancia. Alzò gli occhi, solo per trovarsi le labbra del numero 14 premute contro le sue. Sentendo uno strano senso di calore che lo pervadeva , iniziò ad assaporare quella strana sensazione di morbidezza tiepida, che era la bocca di Mitsui.
Era un’esperienza nuova,inattesa e inaspettata.
Sarebbe potuto andare avanti per ore solo così, ma Hisashi voleva di più.
Sentì la lingua dell’amico premergli contro il bordo dei denti e, un po’ impacciato, dischiuse le labbra.
 Se prima la sensazione era stata quella di toccare un velluto morbido, ora la lingua di Mitsui si mosse ruvida e umida, esplorandolo e facendogli correre delle piccole scosse elettriche attraverso l’addome.
Le mani del numero 14 gli premettero gentilmente contro i fianchi, costringendolo a sdraiarsi sul futon. Kogure si lasciò andare, senza mai staccare gli occhi da Mitsui, poi, con un cenno della testa, fece segno al compagno di sdraiarsi accanto a lui. Ripresero a baciarsi, le gambe intrecciate e le braccia intente ad accarezzare le une la schiena dell’altro.
Fu un primo bacio lunghissimo ma, per qualche strana ragione, quella sera nessuno dei due premette per andare oltre. Quando alla fine furono soddisfatti, rimasero semplicemente sdraiati a fissare il soffitto.
Passò qualche minuto, poi Mitsui si alzò di scatto.
“Cielo, Kimi, il tuo album”
Agitato Kogure si tirò a sua volta a sedere. Si mossero con cautela, fino a che non individuarono la copertina nera. L’album era rimasto incastrato sotto una gamba di Mitsui. Con mani tremanti, Kogure lo prese e lo esaminò, poi il suo viso si rilassò. Qualche pagina era rimasta un po’ spiegazzata ma nessun foglio si era strappato. Era un buon prezzo da pagare, pensò, considerato quanto era appena successo.
Ci mise un attimo ad accorgersi che anche il numero 14 stava toccando l’album.
“P…posso? – chiese titubante Mitsui , prendendoglielo dalle mani – Posso leggerlo?”
Stupito e lievemente imbarazzato, Kogure annuì “Però non è un granchè, ti avverto”
Ignorandolo, Mitsui aprì delicatamente alla prima pagina. Passò quasi un’ora a sfogliare quelle pagine, soffermandosi su ogni tavola, spesso con lo sguardo stupito, talvolta ridacchiando.
“Tetsuo demone centauro – sorrise , accarezzando con le dita l’immagine dell’episodio in cui compariva per la prima volta il samurai maledetto – Devo assolutamente fargliela vedere. La adorerà”
Kogure lo guardava quasi trattenendo il fiato. Se il bacio di prima era stato emozionante, quello lo era in un certo senso quasi di più. Era come mettere tra le mani di Mitsui gli ultimi tre anni della sua vita e lasciare che li esaminasse.
“E’ bellissimo” disse infine Mitsui, fermandosi per qualche attimo a guardare l’ultima tavola rimasta incompiuta, prima di richiudere l’album.
“Ruffiano” lo rimproverò Kogure. Ma il numero 14 scosse la testa.
“No, dico davvero – insistette – ho sempre saputo che eri bravo a disegnare ma fino a questo punto…”
“E come l’hai saputo?”
“Scusa?”
“Hai detto che hai sempre saputo che ero bravo a disegnare – insistette deciso Kogure – come facevi a saperlo?”
Mitsui sgranò gli occhi sorpreso “Ma che mi prendi in giro? – chiese un po’ risentito – Ogni anno il prof di arte appende in aula i dieci lavori migliori dell’anno. Sono tre anni che il tuo non manca mai”
Kogure chinò la testa ridacchiando. “E’ incredibile” disse
“Cosa?” chiese perplesso Mitsui.
“Sei la prima persona che se ne accorge – spiegò gentilmente Kogure – E non sei neppure della mia sezione. Nemmeno Akagi ci ha mai fatto caso”
“Io beh…-deglutì Mitsui – diciamo che era…che in quegli anni è stato il mio modo di…Io, io penso di averti sempre cercato, ecco.”
Era una mezza confessione, che lasciò Kogure senza parole.
Titubante posò una mano sulla spalla del numero 14. “Hisashi…” mormorò.
“E’ per questo che sono venuto qui stasera – confessò Mitsui – Quando Katsumi si è messo a blaterare quel mare di sciocchezze sul fatto che noi del terzo non avremmo più giocato in inverno, io ho realizzato che…che il tempo stava passando e io non ti avevo ancora detto niente. E…e che forse ti avrei perso di nuovo”
Abbassò gli occhi a terra, imbarazzato da quei sentimentalismi. Si chiese da 1 a 10 quanto si fosse appena reso ridicolo con quel discorso.
Come a rassicurarlo, la stretta di Kogure sulla spalla si fece più salda.
“Hai fatto bene – lo tranquillizzò – Non…non mi perderai te lo prometto”
Il volto di Mitsui si aprì in un sorriso. “Grazie – disse, chinandosi brevemente a dare un bacio a Kogure – grazie”
Rimasero ancora un attimo in silenzio.
“Mi sa che è meglio se vado” disse  infine Mitsui, a malincuore.
Kogure annuì, mordicchiandosi il labbro. Si alzarono entrambi. Sentendosi un po’ Giulietta, il numero 5 riaccompagnò Mitsui alla finestra e , apertala, gli diede un ultimo bacio.
“Ci vediamo domani agli allenamenti” disse in tono dolce.
Mitsui annuì e fece per scavalcare nuovamente il davanzale, quando, a un tratto, si bloccò.
“Mi fai solo una promessa?” chiese
Kogure lo guardò perplesso.
“Qualunque cosa ci riservi il futuro, non cancellare quel disegno”
E, senza aspettare risposta, uscì dalla finestra e si allontanò di corsa nella notte.
 
 
 
 

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Capitolo 2
*** San Diego, anni 2000 ***


San Diego, anni 2000
 
Anche se era la sua quinta volta al Comic-con, Kogure trovava quell’evento sempre emozionante.
 Con una certa tenerezza, ricordò la prima volta che aveva ricevuto l’invito.
“Incredibile. Vado in America” aveva ripetuto per mezz’ora buona,saltellando in salotto, sotto lo sguardo divertito di Mitsui.
Quella sera il giocatore dei Sun Rockers aveva portato fuori il suo ragazzo a festeggiare nel ristorante più costoso di Tokyo.
 Non importa che non c’entrasse il basket, Mitsui non vedeva nessuna differenza tra quel traguardo e la convocazione in NBA di Rukawa. E , fu felice di constatare, gli altri ex compagni di squadra la pensavano esattamente come lui.
“La presenterò brevemente io, signor Kogure – disse il chairman, distogliendo l’ex numero 5 dai suoi ricordi – poi lasceremo direttamente le parole al pubblico. E, infine, faremo la sessione autografi”
“Va bene, grazie” acconsentì gentilmente Kogure e, estraendo dalla tasca dei jeans l’astuccio di latta che portava con sé dalle superiori, controllò brevemente che le penne a china fossero tutte al loro posto.
Non si limitava mai ad un semplice autografo. Gli piaceva l’idea che tutte quelle persone, venute fin lì solo per incontrarlo, se ne andassero portando via qualcosa di unico, una scena, un’immagine che sarebbe rimasta loro per sempre.
Forse anche per questo, Kogure era uno degli ospiti più amati del comic-con.
 
Seguendo i cenni del chairman, l’ex numero 5 salì sul palco e prese posto davanti al microfono. Dietro di lui numerosi loghi dell’evento lo scrutavano con sguardo vigile.
La prima volta, ricordò Kogure, tutti quegli occhi lo avevano fatto sentire in soggezione. Ora invece lo facevano sentire protetto, quasi a casa.
Il chairman accese il microfono.
“Benvenuti a tutti voi! – disse – anche quest’anno abbiamo con noi uno degli ospiti più amati. Kiminobu Kogure, disegnatore dello studio Ghibli da ormai molti anni, ha dato il suo contributo ad alcuni film che tutti noi amiamo come ‘Il castello errante di Howl’, ‘I racconti di terramare’, ‘Arietty’. Ma allo stesso tempo in tutti questi anni è sempre rimasto un virtuoso della carta stampata. Dopo manga di successo come ‘La maledizione del samurai’ e ‘Basket di periferia’, quest’anno ha iniziato una nuova avventura con la pubblicazione dei primi numeri di ‘Tokyo – bianco e nero’. Non desidero dilungarmi oltre ma vi chiedo un applauso prima di lasciarlo alle vostre domande”
Kogure chinò leggermente la testa per nascondere le guance arrossate, aspettando che lo scroscio di applausi andasse pian piano scemando.
 Ecco , dopo cinque anni, quella era la parte che trovava ancora difficile. Poi finalmente il fischio di un microfono lo avvisarono che le domande del pubblico stavano per iniziare.
Quello era in assoluto il momento che Kogure preferiva.
 Proprio perché intendeva la sua arte come un raccogliere, trasformare e raccontare vite, trovava quei momenti di incontro con facce, volti e nomi sconosciuti ,stimolanti quanto le ore passate in solitudine nel suo studio davanti ai fogli bianchi.
La prima ad avvicinarsi fu una ragazza di quindici, forse sedici anni. Portava jeans scoloriti e una canotta bianca, in testa una coppola a scacchi  azzurri e bianchi. Il pensiero di Kogure volò immediatamente alle protagoniste di High School Musical.
“Signor Kogure – iniziò la ragazza, ma fu interrotta da un suono acutissimo – mi…mi spiace non sono molto brava con la tecnologia”
“Siamo in due” la incoraggiò sorridente Kogure.
“Signor Kogure – riprese lei – io seguo da anni il suo lavoro e proprio…beh…proprio grazie a lei ho scelto di studiare illustrazione. Volevo…volevo sapere se avesse qualche consiglio da darmi. A parte ovviamente di impegnarmi nel disegno”
Kogure ci pensò su “Tieni duro – disse infine – e tieni d’occhio le offerte da McDonald’s”
La platea rise. Appoggiato ad un cartonato in fondo alla sala, Mitsui sorrise a sua volta.
 Sapeva che Kimi non diceva così tanto per dire. Ricordava perfettamente l’ultimo semestre delle superiori, dopo che i genitori di Kogure lo avevano buttato fuori di casa, allorchè aveva detto di non voler più fare ingegneria e di voler continuare a giocare a basket. Ricordava i turni serali al banco gelati del bowling, il lavoro durante il weekend a casa dell’anziana signora Ishikawa.
Ricordava l’appuntamento per  i loro primi sei mesi assieme, quando tutto ciò che si erano potuti permettere era stato un Happy meal da McDonald’s.
A quei tempi ogni yen era contato. E ci erano voluti almeno due anni prima che Kogure potesse fargli un regalo che non fosse uno dei suoi disegni. Eppure Mitsui aveva amato e custodiva ancora gelosamente ognuna di quelle tavole.
 
Un bimbo di massimo otto anni prese il posto della ragazza “signor Koghiur – gli occhi dell’ex numero 5 si accesero divertiti a quella storpiatura – perché nella ‘maledizione del samurai’ il protagonista se ne va con il capo dei briganti, anche se il samurai gli aveva promesso che sarebbe tornato a prenderlo?Perchè non mantiene la promessa fatta al suo amico?”
Di nuovo Mitsui sorrise, stavolta con un’ombra di tristezza.
Mentre Kogure cercava le parole giuste per spiegare a un ragazzo delle elementari che, a volte, le persone sono semplicemente stupide, anche se non sono cattive, l’ex numero 14 ripescò con la mente quel primo nerissimo anno a Tokyo, quando, dopo aver contato e ricontato ogni centesimo, erano giunti alla conclusione che Mitsui avrebbe dovuto partire alla volta della capitale da solo e Kogure, senza genitori che pagassero un affitto e senza nessuna borsa di studio per il basket, sarebbe dovuto restare a servire gelati, almeno per un altro po’.
Si erano ripromessi che quella cosa non li avrebbe divisi.
E , dopo otto mesi, Kogure lo aveva chiamato in lacrime, confessandogli che, in un momento di rabbia, aveva dato un bacio al suo collega che serviva gli hot dog e supplicandolo di lasciarlo all’istante per il suo stesso bene.
Mitsui gli aveva sbattuto il telefono in faccia, urlandogli che era uno stronzo e che se ne doveva andare a quel paese. Lo aveva richiamato un secondo dopo. Gli aveva urlato in faccia tutto il suo disprezzo. Gli aveva detto che tra loro era finita.
E , la sera dopo, si era presentato al bowling e , sotto lo sguardo incredulo del titolare, aveva preso per mano Kimi,scosso dai singhiozzi, e lo aveva trascinato letteralmente via da quel banco gelati.
Contro ogni evidenza e buonsenso, e contro il suo stesso orgoglio, lo aveva portato a Tokyo e quella era stata la loro salvezza.
 Da lì a poco Kogure aveva trovato il suo primo stage retribuito, presso la Shonen Gaosha. E, sempre presso la storica casa editrice, aveva pubblicato il suo primo manga.
Poi erano venuti gli anni dello studio Ghibli e, con essi, il mutuo per il loro primo appartamento.
 
Una donna sulla quarantina si avvicinò al microfono. Anche Mitsui, che non era certo un osservatore al pari di Kimi, si accorse immediatamente che quella signora stava passando un brutto momento. Aveva i capelli tinti grossolanamente di biondo e indossava una maglietta troppo larga sopra a pantaloni della tuta di un rosa shocking improponibile.
Un divorzio recente, pensò Mitsui.
“Signor Kogure – chiese la donna con voce grave – nel suo ultimo fumetto lei ha messo una coppia gay che adotta un bambino, una vedova di ottant’anni che si risposa e un ragazzo di strada che si riscatta e viene preso addirittura nell’NBA. A leggere le sue storie sembra che lei creda davvero che l’amore possa tutto”
Le guance di Kogure si tinsero di rosso. Mitsui non aveva mai capito perché il suo ragazzo si imbarazzasse ogni volta che saltava fuori il fatto che era romantico
“E’ così – confermò, guardando gentilmente la donna – ci credo moltissimo o, almeno….cerco di crederci sempre”
Per tutta risposta lei lo fissò scettica.
“Molte di quelle storie – insistette Kogure – sono ispirate a persone realmente esistite”
“Anche quelle che ho appena citato?”  chiese dubbiosa la donna
L’ex numero 5 annuì.
“Cioè esiste davvero un ex teppista pentito che è diventato una stella del basket?” chiese ancora lei.
“Si giri” disse gentilmente Kogure.
A quelle parole Mitsui sentì le gambe diventargli di pietra. Non uno ma un centinaio di paia di occhi si fissarono su di lui.
“Signori – disse Kogure in tono divertito – posso presentarvi il mio futuro marito?”
 
“Questa me la paghi” bofonchiò Mitsui, andando incontro a Kogure, non appena questi ebbe finito di firmare l’ultimo autografo.
Kogure lo fissò divertito “Al massimo, se vuoi, ti pago la cena”
L’ex numero 14 lo fissò torvo.
“Eddai, Hisashi – lo rimproverò gentilmente Kimi – Tu mi hai presentato persino agli addetti che vi puliscono la palestra. Il pubblico del comic-con è un po’ la mia famiglia, lo sai”
Mitsui addolcì lo sguardo. Era vero, si disse. Dopo aver saputo dell’omosessualità del figlio, quella frattura, iniziata con il rifiuto di Kimi ad abbandonare il club di basket, era diventata insanabile. Suo padre se n’era andato di infarto un paio di anni prima, odiando il figlio. E sua madre, come eredità del marito, sembrava essersi sentita in dovere di raccogliere su di sé tutto quell’odio.
Dal giorno del funerale, anche i rari messaggi che mandava al figlio erano cessati del tutto.
Kogure aveva sopportato la cosa a pugni stretti, sfogando la rabbia in lunghe notti insonni tra le braccia di Mitsui e riversandola , come sempre, sulla carta.
Era tutto lì, tra la quinta e l’ottava pagina del primo numero di ‘Tokyo-bianco e nero’.
Come intuendo i suoi pensieri, Kogure  si alzò tranquillo dalla sedia e, a passi calmi, si avvicinò a Mitsui. Gli prese le mani e lo fissò negli occhi.
“Tu sei la mia storia più bella – disse gentilmente – Lasciamela raccontare”
Mitsui lo fissò per qualche istante poi , all’improvviso, si mise a ridacchiare.
“E va bene dannato scribacchino – cedette, stringendo Kogure a sé – hai vinto tu. Ma – precisò, con una nota di delusione nella voce – c’è un piccolo errore”
“E sarebbe?” chiese incuriosito l’ex numero 5
“Io e te non ci stiamo per sposare” disse deluso Mitsui.
“Questo lo dici tu” lo rimbeccò in tono soddisfatto Kogure.
Gli occhi di Mitsui si sgranarono. “Kimi ma che…?”
“Ho noleggiato una macchina – rispose imbarazzato Kogure, abbassando gli occhi a terra – Secondo il navigatore, se partiamo ora per domattina alle sei saremo a Las Vegas. Io …ehm…avrei prenotato alla Chapel of Love, per le 8”
“Cioè – balbettò Mitsui – vuoi dire che ci sposerà un tizio vestito da Elvis?”
Le guance di Kogure si fecero lievemente più rosse “Beh sì – disse – E poi se ti va ho pensato che potremmo tagliare una fetta di torta alla Cheesecake factory”
“Tutto qui? – chiese Mitsui – E poi saremo semplicemente sposati?”
Alzando coraggiosamente lo sguardo, Kogure annuì.
“Ma se ti sembra una cosa da poco – aggiunse abbassando nuovamente gli occhi a terra – possiamo annullare. P..possiamo fare una cosa in Giappone, con tutti gli ospiti e una cena al ristorante”
“Kimi” lo interruppe deciso Mitsui.
“Sì?”
“La torta alla Cheesecake Factory è un finale perfetto” disse in tono gentile.
Un’emozione indecifrabile corse tra di loro, poi gli occhi di Kogure si accesero di allegria.
“Sapevo che ti sarebbe piaciuta” disse soddisfatto.
Si presero per mano e , assieme, si avviarono verso l’uscita del comic-con.
 In parcheggio, poco prima di salire sull’auto noleggiata da Kogure, Mitsui si bloccò. Era solo un piccolo dettaglio ma, per qualche strana ragione, l’ex numero 14 sentiva che, se non lo avesse messo in chiaro, non sarebbe potuto salire in macchina.
“Kimi” chiamò con una certa urgenza.
Allarmato, l’ex numero 5 si voltò a guardarlo “Che c’è?” chiese preoccupato
“Non solo il finale – disse Mitsui – Tutta…la nostra storia mi è sempre piaciuta tutta”
Togliendo per un attimo la chiave dalla serratura, Kogure gli si avvicinò e , afferratolo per le spalle, lo tirò a sé e lo baciò a lungo.
“Anche a me – lo rassicurò, staccandosi infine dalle sue labbra- Anche a me”
 
 
 
 
 
 
 
 

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