Some of us are looking at the stars || REDDIE || It

di KindlyLight
(/viewuser.php?uid=880156)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 21 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Capitolo 1

Quella
sera erano sul tetto della veranda della casa di Eddie. Sua madre era assopita sul divano mentre al televisore passava uno di quei noiosissimi telefilm che era solita guardare lei.
Erano stesi uno accanto all'altro, i loro corpi si toccavano, si sfioravano, una vicinanza non necessaria, ma che a loro piaceva. Amavano sentire il corpo dell'altro bruciare al contatto con il proprio, amavano sentire il respiro dell'amico scontrarsi col proprio, amavano persino quel leggero pizzicorio di imbarazzo dato dai gesti che sfondavano i limiti dei contatti amicali.
Eppure loro erano così, lo erano da sempre, oltre ogni limite, oltre ogni decenza. Seguivano le loro regole.
Ormai il Club dei Perdenti ci aveva fatto l'abitudine a loro, nessuno si stupida se sedevano sull'amaca insieme, se si spalmavano uno sull'altro nei giorni in cui andavano a fare il bagno nelle acque gelide del lago, non si stupivano nemmeno quando Eddie, per infastidire Richie e prendersi la sua periodica rivincita, gli strofinava i piedi in faccia dopo una lunga camminata, nessuno faceva più caso che con la scusa del "mia madre non vuole che sudi" Eddie lasciava a casa la bici e si faceva portare in giro da Richie.
Erano così loro, gemelli siamesi, un'unica anima, un unico corpo e un'unica mente.

A volte Beverly, per prenderli in giro, li definiva amorevolmente "Due cervelli che condividono gli stessi neuroni." 
E subito Eddie rispondeva "Ecco perché Richie è così stupido, ho anche i suoi." e tutti ridevano, Richie compreso.
Peccato soltanto che, al contrario di quanto tutti pensassero, Richie non era affatto stupido, era solamente diverso.
A scuola, per quanto si vergognasse ad ammetterlo, andava meglio di tutti i membri del Club, e spesso fingeva di aver preso brutti voti solo per mantenere il suo personaggio.
Personaggio che solo Eddie era riuscito a smascherare, e ci era riuscito con tanta fatica.

"L'ho visto il tuo libretto dei voti, sai?" Disse Eddie una sera che dormivano insieme a casa di Richie.
"Cosa?" Domandò mezzo addormentato il corvino, gli occhiali riposti sul comidino e il pigiama fresco di bucato e già irrimediabilmente macchiato addosso.
"Perché dici sempre di aver preso delle D- quando in realtà hai quasi tutte B?" Riformulò la frase il castano.
"Non voglio fingere di essere più intelligente di voi solo perché vado bene a scuola." Fu la risposta del corvino.
"A noi non importa dei voti che prendi." Rispose Eddie che aspettò per diversi minuti la risposta dell'amico che, però, si era già addormentato.

Richie sorrideva sempre e Eddie amava il suo sorriso.
Li amava tutti, da quello malizioso che faceva dopo le battute su sua madre, quello da buffone dopo le battute classiche e fastidiose che faceva sempre, quello arrogante che faceva in classe con gli insegnati, ma anche e soprattutto quello gentile che riservava solo a lui, quello che faceva quando erano soli.
Perché era vero, il Club dei Perdenti era un gruppo unito, ma era vero anche che Richie ed Eddie erano amici da molto prima di quel Club.
Erano diventati amici quella volta in cui uno dei bulli aveva preso quell'orribile marsupio di Eddie e Richie, per nessun apparente motivo se non quello di aver voglia di fare una visita all'ospedale di Derry, si era messo in mezzo.
All'ospedale in effetti ci finì, ma il giorno dopo Eddie lo trascinò in gelateria per sdebitarsi dell'aiuto.
"Non avresti dovuto farlo." Disse Eddie mentre leccava il suo gelato al cioccolato.
"In effetti quel marsupio è orribile." Rispose Richie senza pensarci su.
Chiunque altro si sarebbe offeso e lo avrebbe mandato al diavolo, ma Eddie rise.
Richie aveva appena fatto una battuta sul suo vecchio e logoro marsupio nonostante fosse ricoperto di cerotti.
Anche Richie rise, perché si era appena accorto che qualcuno era in grado di sopportarlo.

"Volevo dirti una cosa." Disse Eddie mentre i suoi occhi vagavano tra le stelle.
Richie era proprio accanto a lui, disteso sul tetto della veranda, a fissare le stesse stelle.
"Non ti aiuterò a dire a tua madre che hai preso C al compito di chimica, lo sai che mi odia..." Rispose lui.
"No. È un'altra cosa." Il tono del castano era molto serio e Richie capì che la cosa doveva essere grave.
"Dimmi."
"Vedi... Sono successe tante cose ultimamente. - Il ragazzo iniziò a torturarsi le mani con ansia. - Davvero tante. Siamo cresciuti ormai. Cioè abbiamo diciassette anni cazzo. Come ci siamo arrivati?"
Richie si strinse nelle spalle. "Per me è già un enorme successo. Avevo preventivato di non superare i tredici."
"Appunto! - Esordì Eddie. - E invece siamo qui, io e te, gli altri dei Perdenti e le nostre vite ci stanno sfuggendo di mano. L'anno prossimo dovremo scegliere il college, ci separeremo e... E non voglio perderti."
Richie si girò su un fianco e lo abbracciò, sapeva in qualche modo che quella era l'unica azione giusta da fare, mentre dagli occhi del castano predero a sgorgare copiose lacrime che, però, Richie si premurò di non lasciar cadere.
"Non me ne andrò Edds. Mi diverte troppo farti incazzare per andarmene. - Disse. - E poi lo sai come dice Bev, siamo gemelli siamesi e condividiamo i neuroni, credi che te li lascerei tutti?"
Eddie sorrise, sapeva che fare ironia era l'unico modo che Richie conosceva per affrontare il dolore.
"Non era di questo che volevo parlarti comunque." Sussurrò mentre si asciugava le ultime lacrime e mentre Richie si riadagiava con la schiena contro le tegole scaldate dal sole estivo.
"Spara." Disse incrociando le braccia dietro il capo.
Eddie avrebbe potuto dire migliaia di cose, avrebbe persino potuto inventarsi una balla. Il cuore prese a galoppargli nel petto, il respiro accelerò e la paura gli attanagliò lo stomaco. "Mi piaci." Sussurrò prima di alzarsi in piedi in fretta e furia, rientrare in casa e chiudersi la finestra alla spalle lasciando un povero Richie sulla veranda da solo.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Capitolo 2


La mattina
dopo, a scuola, Eddie evitò Richie come se avesse la peste ma il castano si era dimenticato di quanto il maggiore fosse bravo a tendere imboscate.
"Perché mi hai chiuso sul tetto della veranda?" Sbottò il corvino mettendo Eddie con le spalle al muro.
"Io..."
"E perché non hai aspettato la mia risposta!" Lo interruppe il corvino.
"Pensavo che tu..."
"Pensavi cosa Eddie? Che ti avrei buttato di sotto? Sei serio?" Disse Richie mentre gesticolava cose che Eddie non riusciva ad assimilare.
Eddie prese un profondo respiro, se tutto ciò fosse successo un paio d'anni prima avrebbe avuto bisogno del suo inalatore già dieci o dodici volte. "È solo che fa schifo e lo so e..."
"E magari non mi hai chiesto cosa ne penso io." Disse Richie.
La sua voce era bassa, seria, mentre gli enormi occhi dietro le lenti degli occhiali lo fissavano con insistenza.
Eddie lo spintonò. "Ma levati Richie e smettila di prendermi in giro." Gridò il castano.
"Mi piaci anche tu coglione." Gridò di rimando ad Eddie che, ormai, si era allontanato di sei o sette passi.
Ringraziò che le lezioni fossero finite da più di mezz'ora o a quel punto tutti avrebbero avuto di cui parlare per giorni.
Quelle parole immobilizzarono Eddie sul posto che sentì le gambe farsi di legno e poi diventare pesanti come piombo e, al tempo stesso, molli come gelatina.
"Ti odio Richie. Smettila di prenderti gioco di me."
"Non mi sono mai preso gioco di te coglione. Nemmeno una volta. Perché dovrei farlo ora? - Chiese il corvino. - O forse credi che non sia in grado di provare emozioni?"
A quel punto Eddie non sapeva se essere felice perché piaceva a Richie o se odiarsi perché non gli aveva dato fiducia.
"È solo che... Che non pensavo che tu... Cioè tu... Davvero?" Richie non capì la domanda di Eddie ma, in poche falcate, si ritrovò davanti a lui e, dopo averlo preso per il colletto della maglia, lo attirò a sé in un bacio.

Anni dopo, sia Richie che Eddie ricordarono quel bacio ed entrambi erano d'accordo sul definirlo un disastro.
"Stavo soffocando." Rise infatti Eddie al solo pensiero.
"Ed entrambi baciavamo malissimo." Rise subito dopo Richie.
"Non siamo certo migliorati." Rispose di rimando il castano.
"Almeno so che nessuno si innamorerá di te dopo che lo avrai baciato." Disse quindi il corvino asciugandosi una lacrima scesa dal troppo ridere.
Eddie lo fissò per alcuni attimi sorridente. "Posso dire la stessa cosa di te."
"Sei molto fiducioso nel fatto che qualcun altro sulla terra riesca a sopportarmi, vedo."

Quando si allontanarono si resero conto di ciò che avevano appena fatto, chiunque avrebbe potuto vederli ma, soprattutto, avrebbe potuto impararlo la signora K e a quel punto sì che tutto sarebbe andato a rotoli.
Avrebbe rinchiuso Eddie in un convento e messo al patibolo il povero Richie senza nemmeno dargli la possibilità di difendersi.
"Tu... Sei pazzo... Ti rendi conto di cosa hai fatto?" Domandò Eddie sopreso mentre i suoi polmoni erano alla disperata ricerca d'aria.
"Sì, so benissimo cosa ho fatto. - Rispose Richie con sincerità. - E non me ne pento. Ma se a te non va bene..."
"Non mi va bene dici? - Gridò Eddie. - Pensavo di aver buttato tutto a fanculo ieri sera!"
"E se tu avessi aspettato esattamente trenta secondi ti avrei baciato ieri sera stupido Spaghetti." Disse Richie.
Nonostante le parole che usò era estremamente serio.
Per la prima volta dopo una vita intera, Eddie vide negli occhi di quel folle ragazzino una nota molto evidente di serietà e si rese conto che, nonostante gli occhiali sgangherati, quella camicia blu con gli ananas e i calzoncini rovinati era esattamente tutto ciò che aveva sempre desiderato.
"Ora possiamo andare a casa? Mi sta brontolando lo stomaco e lo sai che..."
"Che se ti brontola lo stomaco brontoli anche tu, si Boccaccia, lo so, non fai altro che ripeterlo dannazione." Si lamentò Eddie alzando gli occhi al cielo.

Nel tragitto verso casa non incontrarono nessuno, tutti erano troppo occupati a rimanere rintanati nelle loro fresche abitazioni per fare caso a due ragazzi sui diciassette anni che vagavano con le loro bici malridotte e le risate sguaiate.
"Posso chiederti una cosa?" Domando Eddie ad un tratto facendosi serio.
"Dimmi Eds."
"Non chiamarmi Eds. - Borbottò, più per abitudine che per altro. - Noi ora... Cioè cosa siamo?"
Richie non rispose subito, abbassò gli occhi sulle proprie vecchie e logore scarpe, non era una domanda scontata e non voleva rovinare tutto a causa della sua infantilità. "Noi... - Sussurrò. -Noi ci piaciamo, no?"
"Tu lo hai capito che non mi piaci come amico, sì?" Domandò Eddie che, per un altro attimo, ebbe il dubbio che Richie avesse veramente capito ciò che lui aveva detto.
Il corvino si immobilizzò immediatamente, costringendo anche Eddie a fermarsi. "Sì genio, l'ho capito." Disse.
"Quindi?"
Gli occhi di Eddie erano fissi in quelli di Richie, nascosti dietro quegli enormi occhiali che lo facevano sembrare ancora più buffo di quanto non fosse. Eddie vide le enormi iridi scure del ragazzo tremare e colmarsi di dubbi e, forse, paure che gli diedero la certezza che il ragazzo avesse capito alla perfezione in che situazione si trovavano.
"Quindi... - Ripeté Richie. - Potremmo stare insieme. - Sussurrò. - Se ti va."
"Cazzo sì che mi va." Disse con forse troppo entusiasmo Eddie.
Richie sorrise, uno di quei sorrisi gentili, di quelli veri che ricordavano al castano per quale motivo si fosse innamorato di quello scemo di Tozier.

Continuarono a parlare di un migliaio di cose fino a quando non giunsero davanti a casa Kaspbrak.
"La principessa è giunta al suo castello." Disse Richie con una delle sue voci che, seppur a volte più nasali e a volte più stridule, erano sempre la voce di Richie.
"Sei un coglione." Disse Eddie salendo gli scalini della veranda mentre scuoteva la testa divertito.
Entrò in casa e salutò la madre, non riuscì a pranzare, aveva lo stomaco in subbuglio per le emozioni che Richie gli aveva provocato.
Passò tutto il giorno con un sorriso ebete sul volto e, anche se sua madre non riuscì a fargli dire il perchè, fu felice per lui.
Sarebbe stata meno felice se avesse saputo che la causa di quel sorriso era Richard Tozier.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Capitolo 3


Il giorno
dopo Eddie e Beverly si incontrarono per caso a metà strada e iniziarono a parlare come al solito. Parlare con Beverly era tranquillizzante e, nonostante avesse la stessa età di tutti gli altri, riusciva sempre a dare un parere maturo e sensato.
"Come mai tutta questa felicità Eddie?" Domandò Beverly col sorriso sulle labbra.
"Non mi sembra di aver mai pianto quando mi veniva proposta un'occasione per allontanarmi da casa mia." Rispose leggermente sulla difensiva ma pur sempre sorridendo.
La ragazza scosse la testa, divertita. "E' solo che tu odi il mercoledì, abbiamo due ore di matematica e due di biologia e, per finire in bellezza, fisica, che sono tutte le materie in cui eccelli."
"Non sei simpatica. - Rispose piccato il più piccolo. - E' solo che sto cercando di rivalutare queste materie."
"E le rivaluti fumandoti due canne di prima mattina o facendoti un'endovena di crack che potrebbe stendere un cavallo?" Disse lei prendendo a ridere.
"Ripeto, non sei per niente simpatica." Sbuffò il ragazzo lasciandola da sola a ridere.
Camminarono accompagnati dalle risate di Bev per una ventina di passi, fin quando la loro attenzione non venne attirata da una pedalata che conoscevano fin troppo bene.
Era lenta e gracchiante.
"Molly Ringwald, Eddie Spaghetti, che onore incontrarvi per la strada a quest'ora." Rispose Richie con il solito tono divertito e fin troppo alto.
"Detesto essere chiamato così, lo sai." Borbottò Eddie.
"Ed è proprio per questo che continuo, lo sai Eds." Rispose Richie afferrandogli una guancia.
Eddie gli sbuffò in faccia infastidito e Richie rise.
Beverly li guardò sorridente, mesi prima Eddie le aveva raccontato molte cose, molti segreti, e fu felice che li avesse raccontati proprio a lei.

"Sai Bev, credo che tu sia la mia migliore amica." Disse Eddie una sera mentre stavano tornando a casa insieme.
"Sono l'unica che hai." Rispose lei, alludendo al fatto che gli altri del gruppo fossero tutti maschi.
Eddie ridacchiò, aveva sempre avuto una risata gentile e graziosa e se lo ricordava bene perchè Richie non faceva altro che prenderlo in giro per questo.
"Credo di doverti dire delle cose..." Sussurrò.
"Perchè le hai già dette agli altri?" Domandò le mentre i suoi occhi vagavano sull'orizzonte ormai aranciato.
Eddie scosse la testa. "E' questo il punto, mi devi giurare di non dirlo agli altri, soprattutto non lo devi dire a Richie."
Lo disse con un tono così serio che a Beverly vennero i brividi nonostante quel giorno non facesse poi così freddo.
"Te lo giuro, muta come un pesce." Disse con la stessa serietà mista a paura.
Non era sicura, infatti, di voler sapere un segreto così grande da essere sconosciuto persino al migliore amico del ragazzo.
"Vedi... E' un po' di tempo che sono confuso. - Iniziò. - Non riesco a capire bene perchè ma... Ma non credo che mi piacciano le ragazze, ecco."
Fece una lunga pausa e, a quel punto, Beverly parlò. "Ti vorremo sempre bene Eddie, sei nostro amico prima di qualsiasi altra cosa e non è certo chi ti piace a dire chi sei."
Eddie sorrise appena, un sorriso sconsolato. "Non credo che Richie la prenderebbe allo stesso modo."
"E' il tuo migliore amico, non sopravvivrebbe tre ore senza di te, siete fatti per vivere insieme." Cercò di rassicurarlo Beverly.
Il ragazzo, però, scosse la testa facendo ondeggiare i suoi capelli perfettamente pettinati nonostante fosse tutto il giorno che scorrazzava in bici con gli altri Perdenti. "E' questo il problema Bev. Io non voglio essere amico di Richie." La sua voce era ridotta ad un mormorio indistinto che la ragazza faticò a capire.
"Secondo me hai una possibilità con lui." Azzardò Beverly.
"Non credo. Ma grazie del pensiero. - Disse Eddie. - E grazie per avermi ascoltato."
Eddie era sinceramente felice che qualcuno lo avesse ascoltato senza giudicarlo, senza urlargli contro che il suo essere faceva schifo e che non meritava assolutamente nulla se non un esorcismo e un biglietto di sola andata per una di quelle folli cliniche di cura.
"Ciao Eddie, buona serata."
"Anche a te Bev."
Da quel giorno, da quel segreto, Beverly si sentì molto più unita ad Eddie di quanto non fosse prima e scoprì anche che mantenere segreti che potrebbero rovinare la vita di qualcuno completamente era molto più complicato di quanto sembrasse.

"Dunque dunque dunque. Come affronterai questo mercoledì Eddie Spaghetti?" Domandò Richie col un sorriso beffardo sul viso.
"Sarà molto più dura sopportare te." Rispose Eddie sbuffando.
Non erano ancora arrivati a scuola che aveva già voglia di prenderlo a schiaffi, ma poi si ritrovò a pensare se prendere a schiaffi il proprio fidanzato fosse una cosa giusta e, soprattutto, se quello non fosse il modo che Richie aveva per nascondere i suoi sentimenti.
"Comunque sia sono sempre molto più simpatico di tua madre." Rispose il corvino mentre girava in cerchio attorno ad Eddie e Beverly in sella alla sua bici tenuta in piedi da fil di ferro e parecchio scotch.
"Almeno mia madre non dice cose da coglione." Rispose Eddie.
Ormai erano arrivati a scuola e Bev andò incontro a Ben, ormai erano fidanzati da un po' ma ogni volta che Ben la vedeva arrivare la sua faccia diventava rossa, come se fosse appena stata immersa nell'alchermes.
Richie e Eddie lo salutarono da lontano e si incamminarono verso la rastrelliera per la bici.
"Come hai dormito?" Domandò Eddie con un sussurro mentre scivolavano tra la folla di studenti distratti e assonnati.
"Tu hai dormito? Io ho passato tutta la notte a pensare se quello che è successo ieri era vero o no. - Rispose Richie con un soffio divertito. - Ma recupererò durante le ore di quella di biologia..." Disse.
"Quindi è vero sul serio." Bisbigliò Eddie mentre un leggero sorriso gli increspò il volto.
"Già, a quanto pare abbiamo detto sì entrambi."
"In che casino ci siamo messi..." Disse Eddie scuotendo la testa.
"Il migliore degli ultimi diciotto anni." Rispose con un enorme sorriso Richie.
Eddie lo guardò stranito. "Abbiamo diciassette anni Rich."
Richie si strinse nelle spalle, sul viso dipinto il suo solito sorriso da buffone. "Lo so, ma sicuramente ho combinato qualche casino anche prima di nascere."
Mise il lucchetto alla bici e insieme al castano si avviarono in classe.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


"Ehi Molly Ringwald, hai una sigaretta?" Domandò Richie arrivandole accanto di corsa.
Erano al solito muretto, quello in cui si incontravano quando fumavano, ci si incontravano da anni ormai.
"Certo." Rispose lei porgendole il tabacco, le cartine e i filtri.
In poche e semplici mosse Richie ebbe completato la sua sigaretta fatta a mano, erano economiche, certo, ma era davvero noioso mettersi a farle una ad una.
"Scusa, ho dimenticato le mie." Disse il corvino prima di metterla tra le labbra e accenderla.
"Te ne ho chieste così tante io che non potrei dirti di no nemmeno se lo volessi." Rispose lei con un sorriso.
Richie sorrise di rimando.
Negli ultimi anni erano diventati buoni amici, soprattutto da quando avevano iniziato a racimolare i soldi per i pacchetti di sigarette insieme o a ballare al ritmo della loro musica preferita nel parco dietro scuola.
"Mi ha sempre fatto piacere dartele." Rispose il corvino.
Passando così tanto tempo insieme erano arrivati ad un livello di confidenza superiore, non pari a quello che il corvino aveva con Eddie, certo, ma era tale da far velare gli occhi di Richie da un velo di serietà non indifferente e, Beverly, era riuscita a capire che dietro quell'aria da buffone c'era in realtà un ragazzo come tanti, con paure ed insicurezze che però non avrebbe mai ammesso.
Dalla bocca di Richie uscì un alito di fumo, vedergli sbuffare nuvolette all'odore di nicotina faceva pensare a Beverly quanto potesse essere pericoloso, eppure nessuno glielo impediva. Perchè lui era il ragazzo sbandato, quello di cui nessuno si sarebbe mai preso cura.

Quella sera Eddie era andato al bar di Derry, aveva litigato con Richie.
Non una delle loro solite discussioni, avevano litigato pesantemente, Richie se n'era andato arrabbiato con le stanghette degli occhiali più storti del solito perchè lui, Eddie Kaspbrak, gli aveva dato un pugno.
Era al bancone, davanti a lui un boccale di birra da quasi un litro che, per quasi metà, era vuoto. Normalmente una birra non avrebbe fatto ubriacare nessuno, forse nemmeno due, ma lui era Eddie e non toccava alcol da quando era nato, perciò dopo nemmeno due sorsi aveva iniziato a vederci doppio e a balbettare come Bill nei momenti d'ansia peggiori.
Aveva la testa appoggiata sul ripiano e, ad un tratto, vide qualcuno avvicinarsi a lui.
"Eddie cosa stai facendo?" Riconobbe subito la voce, era quella di Beverly.
"Bevo birra, mi sembra ovvio." Singhiozzò lui.
"Ti conviene smetterla coglione, se tua madre impara che non ti ho fermato mi spara in una gamba." Quello era Richie, ne era certo. Eppure era anche certo che avessero litigato e che il corvino non volesse più parlargli.
Eddie agitò una mano. "Beverly mi sembra che sia qui." Brontolò il castano mentre sentiva delle mani sollevarlo dal bancone.
"Chi?"
"Richie."
"Perchè non dovrebbe?" Chiese lei mentre si passava un braccio del ragazzo attorno alle spalle.
Eddie piagnucolò qualcosa che Beverly non capì, ma in fondo era ubriaco e perciò, probabilmente, non era un'informazione di troppa importanza.
Camminarono per un po', l'aria fresca della serata autunnale aiutò il castano a riprendersi, almeno un poco, dalla sbronza che si era preso e, sicuramente, non avrebbero potuto riportarlo a casa in quelle condizioni.
"Dovremmo fargli una foto, quando lo rivediamo Eddie ubriaco?" Domandò Beverly cercando di spezzare quel silenzio che si era creato.
"E magari ci metto pure i filtri..." Disse con una nota molto evidente di sarcasmo il corvino.
"Oh amore, sei come la birra, buona anche non filtrata." Rispose Eddie ridacchiando tra sé e sé.
"Ma smettila Eds, l'alcolizzato tra i due sono io."
Solo Beverly rimase sorpresa dal fatto che Eddie avesse chiamato il ragazzo amore anche se a lei, in effetti, Eddie aveva già svelato il suo segreto.

"Cos'hai da dire?" Chiese Beverly prima di aspirare dalla sigaretta.
"Nulla."
"Quando non hai nulla da dire dici stronzate." Gli ricordò la ragazza.
Richie fece una smorfia. "Non mi piaci, sei troppo intelligente." Sentenziò il corvino.
"Forza, spara."
"Mi stavo solo chiedendo come faccia Eddie ad essere sempre così gentile. Cazzo io la gente la prenderei a pugni in faccia e lui arriva, sorridente, a dire al mondo che bisogna volersi bene."
"Be' una volta ti ha dato un pugno." Ricordò Beverly.
"Si e dopo si è ubriacato perchè si sentiva in colpa." Disse Richie scuotendo la testa.
Beverly rimase in silenzio, se Richie aveva qualcosa da dirle glielo avrebbe detto, non lo avrebbe forzato e, principalmente, agiva in quel modo perchè lei per prima odiava le domande invasive.
"Sai, Eddie mi piace. E' sempre gentile e anche se si porta appresso quel nauseante odore di chimico non è male." Disse Richie, ormai la sua sigaretta stava per terminare, ma non sembrò farci caso.
"Be' sì, è molto gentile con tutti, non mi stupisce che ti piaccia." Disse Beverly con noncuranza.
"No ma che hai capito. - Disse divertito il corvino. - Mi piace... Mi piace proprio."
Beverly rimase sorpresa da quella dichiarazione, ma in fondo neanche così tanto. Era sempre stato davanti agli occhi di tutti il loro amore.
"Solo, ti prego, odiami in silenzio, non voglio che gli altri lo sappiano, non riuscirei a vivere." Continuò Richie spegnendo finalmente la sigaretta contro un mattone del muretto.
"Non ti odio. - Disse la ragazza. - E credimi, da me non lo saprà nessuno."
Richie sorrise. "Allora ci vediamo dopo dai ragazzi." Disse allontanandosi mentre la salutava con un gesto distratto della mano.

Beverly se la ricordava bene la prima volta che lo aveva visto, ancora prima di sapere il suo nome aveva capito che era un piccolo piantagrane.
Lo aveva capito grazie ad una cosa in particolare, si era messo in mezzo tra Bowers e la sua combricola e un ragazzino più piccolo.
Richie da solo non avrebbe potuto fare nulla contro quei bulli, lo sapeva anche lui, eppure con la sua faccia da disastro ambulante li aveva sfidati, uno per uno.
Beverly ricordò sempre le condizioni pietose in cui si trovava Richie alla fine delle scontro, ricordò anche che il ragazzino sputò un grupo di saliva mista a sangue e rise, non appena la combricola smise di prenderlo a calci e pugni.
"Che hai da ridere stronzetto?" Domandò Bowers con cattiveria.
"Picchiate come delle bambine." Rispose semplicemente prima riprendere a ridere.
L'unica cosa che lo salvò dal farlo diventare un hamburger fu una vedetta della polizia che passava di lì per caso.
Non appena ebbero tagliato l'angolo, Richie si rialzò e, zoppicando un poco, si diresse verso la propria bici e nel farlo passò accanto a Beverly.
"Pezzenti, credono che basti così poco a farmi stare zitto?" Ridacchiò tra sé e sé prima di salire sulla sua bici scassata e andarsene.
La ragazza pensò che fosse pazzo, dannatamente pazzo, e al tempo stesso quel genere di persona che lei avrebbe voluto avere per amico.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


CAPITOLO 5

Erano
passati quasi tre mesi da quando Richie ed Eddie avevano iniziato a frequentarsi non più da amici.
I due si trovavano ai Barrens quel pomeriggio, avevano dato appuntamento a Beverly una buona oretta prima che gli altri arrivassero.
"Pronto Rich?" Domandò Eddie con un sasso piatto in mano.
"Sono nato pronto. - Rispose il corvino. - E tu sei pronto a fare cilecca come le pillole anticoncezionali di tua madre?"
Eddie, dalla sua posizione di lanciatore-di-sassi-sul-filo-dell'acqua si alzò in posizione eretta.
"Dannazione Richie stiamo insieme da quanto? Tre mesi? E ancora non riesci a smetterla di fare battute su mia madre!" Brontolò Eddie con le mani appoggiate sui fianchi e un'espressione accigliata sul viso.
"Ti ho mai detto che sei carino quando ti arrabbi?" Domandò invece Richie inclinando appena la testa di lato.
Il viso di Eddie si tinse di rosso. "Ti ho detto un'infinità di volte che non sono carino!"
"Ok Carino, ma sappi che sei molto carino. - Rispose Richie prima di lanciare il proprio sasso. Sette rimbalzi. - Fa di meglio se sei capace Eddie Spaghetti."
"Dannazione ti odio."
"Non dicevi così l'altra sera."
"Probabilmente perché non esiste nessuna altra sera." Disse sconsolato il castano.
Era impossibile avere una vittoria in una conversazione con Richie e, dopo tutti gli anni in cui aveva avuto a che fare con quel ragazzo, pensava di averlo capito, eppure ogni volta ci provava.
Beverly, che era arrivata in silenzio, aveva assistito a tutta la scena, stupefatta.
O sapevano che lei era lì e la stavano prendendo in giro, o era una delle loro solite scenette, o stavano insieme per davvero. Beverly si ritrovò a sperare vivamente la terza.
"Ciao ragazzi!" Disse avvicinandosi rumorosamente ai due.
"Ciao Bev!" Salutò Eddie alzando anche la mano in segno di saluto.
Richie, dal canto sui, rimase in silenzio. Si aggiustò un paio di volte gli occhiali sul naso e si passò una mano tra i capelli, tutti segni del suo nervosismo.
"Come mai mi avete chiesto di venire prima?" Domandò Beverly incuriosita.
"Ecco, vedi, io e Richie abbiamo una cosa da dirti." Disse Eddie facendo seguire le parole da una risata imbarazzata.
"Però non scandalizzarti." Fece eco Richie poco dopo.
Beverly annuì mentre un'espressione curiosa si faceva strada sulla sua pelle lentigginosa.
"Vedi... È un po' che io e Richie abbiamo questa cosa da dire. Vorremmo dirla a tutti, un giorno, e tu ci sembri la migliore da cui iniziare."
Le parole di Eddie scaldarono il cuore della ragazza, la ritenevano davvero importante, molto più di quanto avrebbe mai potuto credere.
"Va bene, te lo dico io che se no Eddie fa un discorso presidenziale. - Tagliò corto il corvino. - Io e Eddie stiamo insieme." Disse secco.
Sia Eddie che Richie sapevano che alla ragazza non dava fastidio il fatto che provassero attrazione verso lo stesso sesso, ma un conto era l'idea che potessero stare con qualcuno, un conto era starci veramente.
Beverly rimase in silenzio alcuni attimi, poi le sue labbra si piegarono in un enorme sorriso e, subito dopo, avvolse entrambi in una abbraccio.
"Ragazzi, sono davvero così felice per voi! E' una cosa bellissima!" Disse lei mentre li teneva stretti fra le proprie braccia.
Richie tirò un sospiro di sollievo, per la prima volta da quando era nato non aveva parole e ciò lo metteva a disagio, così decise semplicemente di lasciarsi trasportare dalla felicità del momento.

In quei tre mesi, in effetti, qualcosa tra loro era cambiato.
Si toccavano molto meno, quasi imbarazzati, anche se le parole continuavano a volare senza paura, soprattutto da parte di Richie che, in fatto di parole, era un vero campione.

Dopo quella cocente rivelazione, i tre si sdraiarono all'ombra adagiati sull'erba fresca. Il sole estivo filtrava dai fitti rami degli alberi favorendo qualche chiacchierata vaga e superficiale.
"Avete intenzione di dirlo agli altri?" Domandò Beverly ad un certo punto rendendo l'atmosfera seria tutta a un tratto.
"Prima o poi... Sono nostri amici, non vogliamo rovinare tutto." Disse Eddie.
Lui e il corvino, infatti, nonostante fossero sdraiati uno accanto all'altro, si sfioravano appena, come intimoriti da quella consapevolezza di amarsi.
"Sono sicura che non smetteranno di volervi bene. - Disse la ragazza. - Ma rispetto il vostro voler mantenere il segreto. E' una cosa complicata in fin dei conti."
Beverly, infatti, pensava a quando lei e Ben avevano dovuto dire agli altri Perdenti di essersi fidanzati; avevano usato tutto il loro coraggio e fino all'ultimo avevano pensato di tornare indietro, quindi poteva solamente immaginare quanta paura provassero loro due in una situazione del genere.
"Grazie Bev, per tutto." Disse Eddie, la voce bassa e il viso rivolto verso di lei. Era sincero, in fondo, Eddie era sempre sincero.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Erano passati quasi quattro mesi da quando avevano detto a Beverly della loro relazione, quattro mesi da quando l'avevano resa partecipe del loro piccolo peccato.
Erano sette mesi che stavano insieme e, dopo parecchia fatica, erano tornati ad avere la loro fisicità, la loro voglia di avere contatti anche quando era assolutamente non necessario, finalmente erano tornati Richie ed Eddie.
In quei sette mesi avevano passato tantissime giornate insieme, ancora di più rispetto a quando erano solamente amici, a volte perdevano la cognizione del tempo e tornavano a casa a notte fonda.
Come quella sera d'inverno.
Richie lo accompagnava sempre fino a davanti a casa, si fermava con la bici sul vialetto e aspettava che entrasse, era a conoscenza da sempre dell'immensa paura che Eddie aveva dello stare fuori da solo a quegli orari improponibili.
Il castano stava cercando di infilare la chiave nella toppa senza fare rumore, aprì la porta e fece per entrare, ma poi si voltò.
"Vieni." Bisbigliò facendogli un cenno con la mano.
"Cosa?" Domandò stupido il corvino senza capire.
"Molla quell'affare a vieni dentro." Spiegò brevente il castano.
Richie, senza fiatare, fece come gli era stato detto ed entrò in casa.
La madre di Eddie era sdraiata sulla poltrona, il televisore acceso davanti a lei e una qualche telenovela spagnola in onda ad accompagnare i respiri profondi di chi è addormetato.
"Cosa stiamo facendo? - Chiese Richie mentre saliva le scale. - Vuoi farti uccidere?"
"No. - Disse con ovvietà il castano. - Ma i tuoi sono fuori città e tu saresti a casa da solo."
"E allora?" Chiese il corvino mentre entrava nella camera di Eddie.
Eddie lo guardò con un cipiglio quasi arrabbiato. "E allora? L'ultima volta che i tuoi erano fuori città hai passato una settimana al bar."
"E' stato un caso."
"Un caso che si ripete da almeno quattro volte."
"Dai, sul serio Eddie, è tardi, cosa vuoi?" Domandò il corvino che era visibilmente assonnato.
Eddie era sul punto di ripensare al suo piano tanto fantastico quanto improvvisato.
"Cambiati." Ordinò lanciandogli in mano i primi panni puliti che trovò prima di uscire dalla stanza per andare a cambiarsi anche lui.
Quando Eddie tornò, Richie si era cambiato, aveva posato i propri abiti sulla sedia girevole e si era seduto a gambe incrociate sul letto.
"Pensavo fossi scappato dalla finestra." Ridacchiò il corvino quando Eddie rientrò in camera.
Il castano chiuse la porta a chiave, era diventata un'abitudine con cui anche la madre aveva dovuto fare i conti ormai, e si avvicinò al proprio letto.
"Forza sdraiati, è ora di dormire." Disse stendendosi sul letto.
"Cos'è tutta questa freddezza Eddie Spaghetti?" Domandò il corvino stendendosi accanto al ragazzo.
Eddie gli sfilò gli occhiali dal naso e Richie batté un paio di volte gli occhi per cercare di abituarsi al non-vederci e il castano ne approfittò per lasciare un leggero bacio sulla fronte del compagno prima di accoccolarglisi accanto.
Quasi senza rendersene conto i due si addormentarono.

Quando Richie si svegliò era ancora notte fonda, aveva il respiro accelerato e si rese conto di non essere a casa propria e, in quel momento, gli salì il panico.
Si portò a sedere sul letto cercando i propri occhiali o, almeno, un punto di riferimento, il suo battito cardiaco non accennava a diminuire nonostante le immagini di quell'incubo divenuto frequente sbiadivano.
"Richie, che ti prende?" Domandò Eddie sbadigliando assonnato e rigirandosi nel letto.
"Eddie?" Chiese il corvino stringendo gli occhi per scorgere i suoi lineamenti.
Il diretto interessato gli lanciò uno sguardo interrogativo. "Certo, sei a casa mia Rich." Rispose strofinandosi un occhio.
Solo a quel punto il corvino riuscì a tirare un sospiro di sollievo e a tranquillizzarsi.
"Tutto bene? E' successo qualcosa?" Chiese Eddie quando Richie tornò a stendersi accanto a lui.
Il maggiore, semplicemente, scosse il capo, lasciando ondeggiare i propri ricci resi ancora più ribelli dal sonno appena finito.
"Non ti credo, altrimenti staresti già straparlando."
"Magari appena sveglio sto zitto." Ipotizzò Richie.
"Bill ha detto che appena sveglio sei ancora più irritante del resto della giornata, me lo ha raccontato dopo quella volta che sei rimasto a dormire da lui per quel progetto di letteratura." Spiegò Eddie in tutta calma.
Richie lo odiava. Odiava il modo così tranquillo che aveva di esporre ogni cosa, lo faceva con naturalezza e invitava chiunque a raccontargli ogni cosa e Richie sapeva bene di non potergli raccontare tutto.
"E' solo un incubo... Lo faccio spesso ma... Passerà." Disse il corvino prendendo un respiro profondo.
"Che incubo?" Domandò invece Eddie girandosi su un fianco per poterlo guardare meglio.
Richie aveva le ciglia estremamente lunghe e il viso ricoperto di lentiggini, Eddie non aveva mai fatto caso a quanto fossero carine quelle lentiggini.
"Una cosa che è successa tanti anni fa... Non so nemmeno perchè me la ricordo ancora." Cercò di sminuire la faccenda Richie.
"Magari te lo posso dire io perchè te lo ricordi ancora." La voce di Eddie era un sussurro e il corvino sentiva il suo respiro sulla pelle.
Richie sospirò. "Era il periodo di quel follo clown che si aggirava per Derry, ricordi?" Chiese.
"Come posso dimenticarmi di quel tizio?" Domandò Eddie di rimando.
"Bene. - Sussurrò Richie. - Noi dei Perdenti avevamo litigato, ognuno andava per i fatti propri. - Ricordò il corvino. - E io era nella sala giochi insieme a Connor, non sapevo chi fosse a quel tempo, era simpatico e sapeva giocare alla grande al mio gioco preferito, peccato che quel giorno ho scoperto che... Be' Connor era il cugino di Bowers e..."
"Intendi il ragazzino biondo che ha fatto qui a Derry solo un anno?" Chiese Eddie.
"Lui. - Annuì il corvino. - Semplicemente, ad un certo punto entrò dentro la sala tutta la banda di Bowers e... E suo cugino chiese come fosse possibile che questa città fosse piena di froci e Bowers mi disse... Mi urlò di andarmene."
Eddie non disse nulla, semplicemente strinse a sé Richie e gli lasciò un leggero bacio tra i capelli. Voleva essergli vicino, ma sapeva bene che nessuna parola sarebbe bastata a far sparire quell'orribile sensazione di inadeguatezza che, troppe volte, lui stesso aveva provato.
Dopo un periodo di tempo che Eddie non seppe quantificare, Richie parlò. "Mi piace stare qui. - Sussurrò. -Dovremmo farlo più spesso."
Eddie sorrise contro la guancia di Richie. "Dovremmo davvero." Disse prima di lasciargli un bacio sul viso e addormentarsi insieme a lui.

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Quel pomeriggio, Bill e Beverly stavano ripassando la lezione per il giorno dopo quando al ragazzo tornò in mente una domanda che gli vorticava in testa da tempo ormai.
"Lo hai notato anche tu che Richie e Eddie sono strani ultimamente?" Domandò Bill mentre finiva di sottolineare le ultime righe di un paragrafo.
"Cosa intendi?" Chiese lei a sua volta cercando di non sembrare agitata.
"E' solo che... Non lo so. - Disse il ragazzo. - Lo sai come sono no? Tutti insulti e botte, spinte e cose così, poi ad un certo punto avevano smesso anche di guardarsi e ora hanno ricominciato e sono ancora peggio."
Beverly annuì. "Magari avevano litigato."
Il ragazzo, a quelle parole, scosse gravemente il capo. "Quei due litigano anche per l'aria che devono respirare ma non riescono a stare arrabbiati per più di trenta secondi tra loro."
"Magari, - Disse Beverly. - e dico magari, potrebbero essersi resi conto di qualcosa che noi non sappiamo."
"Hanno dei segreti dici?"
"Come tutti? - Rispose lei. - A me per esempio viene in mente che per un po' io e Ben vi abbiamo tenuto nascosto che stavamo insieme."
Bill sorrise. "Magari hanno capito che sono fatti per stare insieme quei due coglioni."
La ragazza rimase stupita da quelle parole.
Sapeva bene che Bill era una delle persone più gentili del mondo, ma era vero anche che una relazione tra due ragazzi non è così facile da accettare, nemmeno se si è tra amici di così vecchia data come loro.
"Perchè mi guardi così? - Domandò il ragazzo. - A te non andrebbe bene?" Chiese.
"Oh no, sarebbe perfetto." Disse lei mentre un enorme sorriso le iniziava ad illuminare il volto.

Qualche pomeriggio dopo, il club dei Perdenti stava andando verso Barrens con passo lento a causa delle infinite chiacchiere ma, per loro sfortuna, incontrarono la banda di Bowers che, prontamente, li fermò.
"Oh guarda te, la ragazzina si sta ancora lamentando." Rise Belch.
Eddie, che pensava di aver superato l'odio per quel soprannome, si ritrovò immensamente disgustato e cercò prima di fermarsi e, poco dopo, di passargli il più lontano possibile.
"Magari dovresti farti i cazzi tuoi Huggins." Quasi ringhiò Richie.
"Guarda che è a te che piace il cazzo frocetto. - Disse Moose, la sua voce più simile al latrato di un animale che ad altro. - O magari ti piace il cazzo perchè il tuo è lungo quanto una tic-tac."
A quelle parole gli altri della banda di Bowers si ritrovarono a ridere anche se, sopra alle loro risate, si sentì la voce di Richie. "Già, è per questo che l'alito di tua madre ha sempre un buon odore."
Moose non sembrò capire immediatamente la frecciatina ma, purtroppo per Richie, ci pensarono gli altri che iniziarono ad avvicinarsi a passo svelto e, ben presto, i Perdenti iniziarono a pedalare molto più in fretta di quanto non avessero mai fatto.
Arrivati alla loro base segreta ripresero fiato dopo la fuga, o come avrebbe detto Eddie ritirata strategica.
"Sei un coglione Boccaccia. Un. Dannato. Coglione." Disse Mike mentre ancora boccheggiava.
"Ma solo io mi sono concentrato sul fatto che Richie ha difeso Eddie?" Domandò Ben.
Tutti lo guardarono in silenzio per alcuni attimi, Richie, tra l'altro, in cagnesco, tanto che il povero ragazzo si trovò a pensare se fosse meglio essere picchiato da Richie o dalla banda di Bowers.
Poco dopo tutti si concentrarono su Eddie e Richie, non sembravano arrabbiati, più che altro sorpresi.
"Lo sapete com'è Richie, lo chiamiamo Boccaccia mica per niente..." Cercò di giustificare la situazione Eddie anche se con scarsi risultati.
Bill stava quasi per dire che la situazione era chiusa. "Mi dispiace che ti abbiano insultato."
"Be'... In realtà non è un insulto, nel senso, lo è ma è anche vero." Rispose Richie rivolgendo lo sguardo verso un punto indefinito sul pavimento.
Si creò un profondo silenzio, nessuno si aspettava una dichiarazione del genere, non in quel momento e non con quelle parole.
"In effetti avrei una cosa da dire anche io. - Disse Eddie attirando tutta l'attenzione su di sé. Richie gli disse, in labiale, che non era obbligato. - Anche a me piacciono i ragazzi." Sussurrò.
Il silenzio si fece ancora più pesante, sembrava quasi che nessuno osasse neanche respirare, l'unico rumore era quello della pioggia che aveva iniziato a cadere a fiotti.
"Cavolo ragazzi pensavo che fosse successo qualcosa di grave." Disse Ben tirando un sospiro di sollievo e appoggiandosi ad una colonna.
"Ma infatti, vi fate tutti questi problemi per una cazzata del genere? Scopatevi un po' chi vi pare. - Disse Stan prima di andare a sedersi sull'amaca. - E' mia per i prossimi dieci minuti."
Bill li osservò per qualche attimo. "Se ci dite anche che state insieme così facciamo bingo e la finiamo?" Chiese con una nota di bonario sarcasmo.
"Be' potremmo dirtelo..." Disse Eddie.
"... Perchè sarebbe vero." Concluse la frase Richie.
"Ok questa giornata mi ha dato troppe emozioni non credo di starci capendo più nulla." Disse Mike lasciandosi scivolare contro una delle colonne.
Alla fine, quel pomeriggio, lo passarono a fare giochi da tavolo rintanati sotto le coperte calde che avevano portato nella loro base segreta, risero e scherzarono come se non fosse successo nulla perché in fondo, Richie ed Eddie, si comportavano da fidanzati già da molto prima di rendersi conto di amarsi.

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


Più il tempo passava più si rendevano conto di amarsi.
Eddie, in quei mesi che erano ormai diventati un anno, aveva scoperto lati molto profondi di Richie.
Ogni mattina, per esempio, passava davanti a casa sua e aspettava fin quando non usciva di casa per andare a scuola insieme, aveva quasi smesso di fare battute sulla madre di Eddie e, a volte, si divertiva a fargli delle sceneggiate che comprendevano dei fiori.

-Rich, sono bellissimi questi fiori. Sono bellissimi perchè vengono dal mio giardino.- Disse Eddie prendendo quel mazzolino da cui ancora cadevano grumi di terra.
-E' il pensiero che conta Eddie Spaghetti, nient'altro.-
-Se lo dici tu.-

Era arrivato il momento di scegliere il college e, l'unica certezza che avevano entrambi, era che si volevano allontanare da Derry.
Non ne parlavano quasi mai, era sempre fonte di tristezza, soprattutto per Richie che, nella sua vita, aveva avuto davvero poche persone disposte a stargli accanto.
Quella sera, però, ogni cosa stava andando a rotoli, dalla C in biologia in quell'importante periodo dell'anno alla cena bruciata a casa di Richie, fino alle grida dei due che avevano cominciato a rimbombare per la casa con violenza inaudita.
"Quindi è mia la colpa? - Chiese Eddie gridando. - Io ho sbagliato e quindi la colpa è mia!"
"E' così che funziona Eddie. Se sbagli hai la colpa. Se sbaglio ce l'ho io. E' semplice!" Rispose a tono Richie che, dopo aver cercato di mantenere la calma, aveva completamente perso la voglia di provare a farlo ragionare.
"Potresti anche cercare di sistemarle le cose, ogni tanto, e non lasciarle andare in malora."
"Dovresti piantarla di crederti perfetto e intoccabile Kaspbrak, ma sei come tutti gli altri e, magia, persino come me." Gridò Richie, ormai stanco di quel comportamento da perfetto saputello del ragazzo.
"Fuori da casa mia Tozier. Ora!" Strillò Eddie.
"E' casa mia coglione!" Fu l'unica risposta che diede Richie prima di vedere Eddie uscire da casa sua correndo.
In una giornata normale si alzato in piedi e in un lampo lo avrebbe raggiunto, sapeva bene quanta paura avesse Eddie di camminare da solo per strada di notte, ma era troppo arrabbiato anche solo per buttare quel pezzo di arrosto carbonizzato che era uscito dal forno.
"Fanculo Kaspbrak, abbiao chiuso." Disse andando verso la sua camera e, nonostante non lo volesse ammettere, le lacrime che gli solcavano il volto non erano di rabbia.

La mattina dopo Richie non si presentò a scuola e Eddie non sapeva dove fosse, per quanto lo negasse, per quanto lo odiasse per il loro litigio, era preoccupato con lui.
Quando finalmente l'ultima campanella suonò si precipitò a casa per pranzare e, subito dopo, sarebbe andato a casa del ragazzo. 
Qualcosa, però, non andò come previsto.
Il telefono prese a squillare e Eddie, contro voglia, rispose sotto ordine della madre.
"Pronto, casa Kaspbrak, chi parla?"
"Sono Richie." La voce del ragazzo era estremamente seria.
"Richie io..."
"Sta' zitto. Abbiamo chiuso io e te."
"Mi stai lasciando?" Chiese con un sussurro il castano.
"Sì."
Richie riagganciò la cornetta senza dargli la possibilità di replicare, il cuore di entrambi si spezzò, forse nello stesso momento, forse uno dei due era già frantumato da tempo. 
O magari, entrambi, erano destinati ad essere solamente amici, o magari neanche quello.

Il mondo di Eddie crollò. 
La cornetta gli scivolò di mano, le labbra presero a tremare e gli occhi ad appannarsi, scivolò in ginocchio mentre le mani andavano a coprirgli il viso su cui stavano scivolando copiose lacrime.
Si ritrovò a faticare a respirare, non trovare abbastanza aria da immettere nei polmoni nonostante fosse consapevole che era sempre stata tutta una farsa. 
Per la prima volta da tempo desiderò avere ancora con sé il suo inalatore, ne avrebbe usato tre o forse quattro cariche, ma almeno avrebbe ripreso a respirare.
Sua madre non si accorse di nulla, non si accorgeva mai di nulla. 
Rimase lì, a piangere, con la fronte appoggiata contro il muro, fin quando non sentì la testa fargli male dalla stanchezza causata dal pianto e, solo a quel punto, raccolse quel poco che restava della sua anima frantumata e si alzò da lì per dirigersi verso la propria camera.
Ricominciò a piangere col viso premuto contro il cuscino, sperando soltanto di addormentarsi in fretta.

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


Richie, però, nel suo terribile egoismo, pensava di averlo fatto solamente per Eddie.
Voleva soltanto che un ragazzo fantastico come Eddie fosse libero dal peso dell'ancora che poteva essere lui; uno di quei ragazzi di cui nessuno si interessa perchè sono troppo incasintati, troppo irrequieti, per essere veramente capiti e Richie si era illuso. 
Si era illuso che Eddie fosse quello giusto, che lui fosse il ragazzo adatto a lui, a riportarlo sulla giusta strada, quando in realtà, semplicemente, Richie lo stava trascinando a fondo con sè.
Dopo aver chiuso la chiamata si lasciò scivolare lungo la parete, le gambe tirate al petto e gli occhi puntati chissà dove.
"Ora sei libero di scegliere il college che preferisci. - Sussurrò. -Ora potrai vivere la vita che vorrai."
Lo disse mentre sul suo viso cominciarono a scorrere una marea di lacrime amare, così tante che avrebbero fatto invidia all'oceano intero.

Per giorni e giorni Richie non andò a scuola, non voleva incontrare Eddie.
Eddie, dal canto suo, lo cercava sempre tra le teste degli studenti, persino di spalle lo avrebbe riconosciuto, quella zazzera di capelli scuri e aggrovigliati gli era ormai familiare, eppure non lo vide.
Non voleva costringerlo a fare pace, non voleva costringerlo nemmeno a spiegarsi, voleva solamente parlargli e, magari, se si fosse presentata l'occasione, tirargli un pugno, ormai era diventato bravo nel farlo, soprattutto perchè Richie, invece, non avrebbe mai alzato le mani su di lui.
Finalmente, dopo due settimane di assenza, Richie si presentò a scuola. Ignorò ogni singolo membro del gruppo, persino Beverly e Eddie.
Non andò a sedersi con loro a mensa, non andò da loro all'intervallo, non si unì a loro quando fu ora di tornare a casa.
Eddie, dal canto suo, quando lo vide sentì le farfalle allo stomaco come la prima volta e si odiò per questo.
Aveva deciso di odiarlo e, invece, si era ritrovato immobilizzato davanti a quel ragazzo che per anni era riuscito ad incuriosirlo e sedurlo senza alcun problema, e ci stava riuscendo anche in quel momento in cui lo stava ignorando.

Eddie odiava Richie, in quel momento. 
Lo odiava perchè riusciva a farlo sentire come aveva sempre desiderato. Lo faceva sentire felice all'inverosimile, gli bastava uno sguardo per capirlo e un gesto per fargli capire quanto lo amasse.
Eddie odiava Richie anche in quel momento, anche quando riuscì a fargli dimenticare, per un attimo, quanto lo odiasse, ma appena se ne ricordò quella fiammata che produce l'odio gli salì violenta per lo stomaco fino a fargli ardere la gola e arrossirgli il volto.
Eddie, però, odiava anche se stesso.
Forse Eddie odiava Eddie molto più di quanto odiasse Richie.
E si odiava perchè, in fondo, sapeva di non poter veramente odiare quel ragazzo sbandato che gli aveva rubato il cuore con così tanta facilità e, nonostante glielo avesse rilanciato indietro con estrema cattiveria, ne aveva ancora la polvere sulle mani e, le impronte delle sue mani, erano rimaste impresse sul cuoricino del minore.

"Ricordi quando quella di letteratura ci parlò del mito dell'Androgino?" Chiese Richie.
Erano distesi sul letto del minore, uno accanto all'altro, le dita delle mani intrecciate in una stretta leggera e dolce.
"Sinceramente no. Di cosa parlava?" Domandò quindi Eddie, anche se lo fece più perchè amava sentire la voce del ragazzo che non per l'interesse verso il mito in sè.
"Platone, nel Simposio, scrisse un mito secondo cui originariamente gli esseri umani avevano due teste, quattro braccia e quattro gambe. Queste creature potevano essere due uomini, due donne o un uomo e una donna. Chiaro?"
"Chiaro."
"Questi esseri, però, erano molto fiduciosi nella propria forza e molto audaci, decisero quindi di sfidare gli dei e cercarono di raggiungere l'Olimpo."
"Non è mai una buona idea..." Commentò Eddie mentre cercava di concentrarsi anche sulla storia.
Richie annuì, trovandosi d'accordo con quell'affermazione. "Zeus decise infatti che, per punirli della loro insolenza, li avrebbe tagliati a metà e li avrebbe costretti a cercare in eterno la loro anima gemella. Solo ritrovandola avrebbero riacquistato la perduta forza."
"E' una cosa molto romantica."
"Già, ma c'è un'altra questione molto importante che viene affrontata da questo mito." Disse Richie con una certa gioia nella voce che, ovviamente, non passò inosservata alle orecchie di Eddie.
"Quale?"
"Secondo il mito le coppie possono essere due donne, due uomini o un uomo e una donna." 
"Quindi?"
"Quindi, secondo le teorie di Aristofane, l'amore che nasce quando una coppia si riunisce non è finalizzato a procreare, ma vale solo ed unicamente per se stessa, senza badare alle conseguenze."
Eddie stava osservando il profilo del corvino mentre questo parlava, notò che il suo viso era molto rilassato.
Si era incantato a fissarlo, nella sua lentigginosa perfezione.
"Tutto bene?" Chiese quindi Richie voltandosi verso di lui, gli occhiali si spostarono a causa del movimento.
"Non siamo sbagliati." Sussurrò quindi Eddie prima portargli la mano libera al viso e di lasciargli un leggero bacio a fior di labbra.
"Non può essere sbagliata una cosa che ci fa stare così bene." Rispose Richie prima di baciarlo a propria volta.

Quando Eddie arrivò a casa, quel giorno in cui aveva rivisto Richie dopo così tanto tempo, si buttò sul letto senza neanche esser sfiorato dal bisogno di ingerire cibo o studiare.
Ma, quando si girò di lato, si ricordò delle parole del corvino.
"Non può essere sbagliato se ci fa stare bene. - Sussurrò. - Eppure te ne sei andato."










P.S
Scusate se è tardi ma oggi mi sono completamente persa nella regolazione genica...
KindlyLight

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


Dopo quasi due settimane che non si parlavano, Eddie trovò il coraggio di affrontarlo.
Richie era sempre stato sfuggevole, era impossibile prenderlo o trovarlo se non voleva che accadesse, ma il minore aveva anche imparato a conoscerlo in quegli anni e, con un po' d'astuzia, lo sorprese ancora prima che riuscisse ad uscire dall'aula che frequentava all'ultima ora di quel giovedì.

"Eddie, cosa vuoi?" Chiese cercando di rimanere il più atono possibile.
"Cosa voglio? Spiegazioni."
"Cosa c'è da spiegare? È semplice. Non stiamo più insieme."
Fare un discorso serio come quello chiusi dentro i bagni della scuola dopo il suono dell'ultima campanella era veramente disgustoso, ma era l'unico posto in cui Eddie era riuscito a trovarlo.
"No. Intendo... Perché lo hai deciso?" Eddie si era giurato che non avrebbe pianto. Non davanti a lui per lo meno. Se Richie senza di lui stava bene, Eddie stava bene senza Richie, almeno all'apparenza.
"Perché..."
"Perché?" Ripeté Eddie.
Voleva farla finita il prima possibile, mettere in chiaro come stavano le cose.
"Perché così potrai fare quello che vorrai della tua vita. E poi c'è quella ragazza... Come si chiama? Myra credo. Ti fissa da anni. Dovresti chiederle di uscire, assomiglia a tua madre. Magari con lei sarà tutto perfetto e vi amerete alla follia per sempre e così non dovrai nemmeno abbandonare l'immagine della donna che ti ha rovinato la vita e..."
"Sei geloso di lei?" Chiese.
"No. Sono solo stanco di essere un peso per tutti Eddie e lo sai benissimo che con me attorno non andrai da nessuna parte."
"Cosa stai blaterando? - Chiese Eddie - Da dove escono tutte queste puttanate? Eh? Chi te le ha ficcate in quella testa Richie?"
Richie abbassò un poco lo sguardo e strinse i pugni, stava cercando di mantenere la calma, di farsi scivolare tutto addosso senza farci caso ma era evidente ad entrambi che non ci stesse riuscendo.
"Credi che non lo sappia? - Domandò. - State tutti programmando il college."
"Anche tu lo devi scegliere."
"Che college credi che possa seguire io? Quello per clown. Ecco. Andrò a lavorare in un circo e... E... E sarò un fallito capisci Eddie?"
"No, sinceramente non capisco quello di cui stai parlando."
Richie non rispose subito, ma abbandonò completamente l'idea di andarsene in fretta da quel posto schifoso e così decise di sedersi sul ripiano del lavandino.
"Tu, Ben, Bill, Bev, persino Mike e Stan che dicono sempre che non vogliono allontanarsi da questo schifo di città si stanno preparando per il college. - Disse. - Lo sai, no?"
"Sì."
"E io no, io non ci voglio andare, al college. Voglio lavorare. Ok? Andarmene da questa città grazie ai miei sforzi."
"Va bene, fallo. Ma perché mi hai lasciato? Io cosa c'entro con tutto questo?"
"Che tu e io siamo troppo diversi. I tuoi sogni e i miei non... Non possono coesistere."
Ormai Richie aveva smesso di guardarlo in faccia, non ne aveva più il coraggio.
"Non ti sei chiesto cosa volessi io?"
"Tu vuoi andare al college e farti una vita."
"E magari nella mia vita vorrei anche te."
Richie sbuffò una risata amara. "Lo sai che nessuno mi vorrebbe nella propria vita."
"Io non sono nessuno. Non lo sono mai stato. - Disse Eddie avvicinandosi a lui di un passo. - E sai una cosa? Mi odio. Mi odio da morire."
"Cosa?"
"Mi odio perché vorrei prendete a pugni quella brutta faccia che ti ritrovi ma non ci riesco. Non ci riesco perché quando ti guardo ripenso a tutte le cose che mi hai detto e che hai fatto per me. - Disse Eddie, la sua voce era un sussurro teso e roco. - Perché in questi giorni ci ho pensato sai, a tutte le cose che mi hai detto. E non mi hai mai fatto promesse di eternità, non mi hai mai detto che mi ami, me lo hai sempre e solo dimostrato."
"Le avrei infrante, come vedi." Disse allora Richie accompagnando le parole con un gesto, come per sottolineare il fatto che tutto di lui non fosse altro che un fallimento.
"No, non le avresti infrante, perché anche se fai così, anche se ti ostini a dire cazzate come che non vali niente o rovini tutto, in realtà non è vero."
"Non mi sembra che la nostra relazione sia finita bene." Disse con ironia.
Eddie scosse la testa. Era sempre stato così Richie, cocciuto come un somaro.
"Le relazioni finiscono quando si smette di provare qualcosa per l'altro. Ma io ti amo."
"Come puoi amarmi dopo tutto quello che ti ho fatto?"
"Perché quello che mi hai fatto di male è sempre e comunque meno del bene che hai portato nella mia vita. - Disse Eddie. - E tu? Mi ami?"
Richie non disse nulla ma, se possibile, allontanò ancora di più lo sguardo dal ragazzo che aveva di fronte.
"Lo so che mi ami. - Disse. - Altrimenti non avresti fatto tutto questo casino. - Continuò. - Perciò sono arrabbiato con te, ma al tempo stesso vorrei baciarti."
"Sei matto Eds. Completamente fuori di testa."
Eddie sorrise e, per la prima volta, non lo corresse per averlo chiamato Eds.
"Muoviti zuccone, c'è una ricerca di biologia da fare."
"Non la devi fare con Myra?"
"Le dirò che mi ero dimenticato di averti già detto che l'avrei fatta con te."
"Che bugiardo patentato."

Eddie era ancora arrabbiato con Richie e Richie non si sarebbe mai perdonato l'aver fatto soffrire Eddie in quel mondo, ma quando uscirono da quel bagno, qualcosa in loro si era riaggiustato.
Eddie, per esempio, aveva capito che tutte le sciocchezze che il corvino aveva fatto, le aveva fatte per lui, pensando di fargli del bene.
Richie, invece, aveva capito che qualcuno era in grado di amarlo davvero, soprattutto perché era persino andato a cercarlo.

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


In fondo lo avevano capito anche loro, uno senza l'altro non potevano vivere e, quella mattina, quando Eddie aprì la porta e non se lo trovò davanti ne fu la prova finale.
Tornò in case e, velocemente, digitò il numero del telefono di casa Tozier mentre la madre gli gridava qualcosa dal soggiorno.
"Casa Tozier, chi parla?" Una voce di donna, gentile, rispose dall'altro capo del telefono.
"Sono Eddie... Kaspbrak..."
"Oh certo, un amico di Richie."
Ed Eddie si ritrovò a pensare Un amico, un amico certo.
"Esatto, per caso Richie è ancora a casa?" Domandò mentre il cuore gli palpitava nel petto.
"Oh mi dispiace caro, Richie ha una brutta febbre da ieri sera, non verrà a scuola oggi."
Eddie rimase in silenzio qualche attimo. "Da ieri sera?"
"Si, da quando è tornato a casa dopo esser stato al fiume."
"La ringrazio e... E scusi il disturbo."
Eddie riagganciò la cornetta, salutò nuovamente sua madre e uscì di casa, diretto verso scuola.
Aveva un passo lento e agonizzante. Era la prima volta da quando aveva memoria di conoscerlo che Richie si ammalava così tanto da restare a letto.

"Richie! Cosa ci fai qui?" Domandò Eddie, la voce acuta di un bambino e gli occhi sgranati dalla felicità.
"Sono venuto a salutarti ovviamente."
"Tua madre ha detto che hai la febbre."
Richie rise e, in preda alle risate, gli si mossero tutti gli occhiali, storzandodi irrimediabilmente di lato. "Credi davvero che un po' di febbre mi fermerà?" Disse senza smettere di ridere.
"Evidentemente no." Rispose mentre prendeva la palla il più piccolo, anche quel pomeriggio avrebbero giocato insieme.
Quando finalmente Richie smise di ridere parlò con un tono stranamente serio per un bambino e, soprattutto, per un bambino come lui. "E poi, ti avevo promesso che sarei venuto, non potevo deluderti."
Nessuno dei due, a quel tempo, ne era veramente cosciente, ma il loro amore nacque proprio da lì.

Quella giornata passò così lentamente che Eddie quasi si addormentò sul banco di storia e, senza Richie a tenerlo sveglio col suo chiacchiericcio, sarebbe sicuramente sprofondato in un sonno senza fine.
"Allora, com'è la quiete senza Boccaccia?" Chiese Stan visibilmente rilassato, anche se era chiaro a tutti che mancasse anche a lui quel ragazzo così cocciuto.
"Dannatamente lenta. - Rispose Beverly. - Rendiamoci conto, ho dovuto ascoltare per davvero la lezione di storia."
"Tu Eddie? L'hai ascoltata?" Chiese Ben.
"Cosa?"
"Storia Eddie. Storia. L'hai ascoltata?" ripeté Stan.
Eddie scosse la testa. "Credo di essermi quasi addormentato."
"Ma ci credete che quando Richie è qui e ci prende in giro vorremmo che fosse a casa e quando è a casa preghiamo affinché torni?" Domandò Ben.
"Io non chiedo mai che non ci sia." Obiettò Eddie.
"Neanche quando non stavate insieme?" Chiese Mike che, nella sua ingenuità, non aveva fatto caso al poco tempo trascorso da quando si erano lasciati.
"No, sinceramente no Mike." Rispose Eddie cercando di non sembrare troppo offeso.
Per fortuna, però, arrivò Beverly a cambiare discorso. "Ci vediamo ai Barrens?"
"No oggi non riesco. Ci vediamo domani." Disse Eddie svoltando velocemente verso casa sua.
Tutti, colti di sopresa da quel così repentino cambio di direzione di Eddie, non fecero in tempo a fermarlo o a parlargli.
"Ho sbagliato?" Chiese Mike non capendo se era colpa sua o meno.
"No, tranquillo, voleva solo una scusa per andare da Richie." Disse Bill sorridendo.

Quando Eddie arrivò a casa mangiò velocemente quello che la madre gli aveva preparato e, poco dopo, tornò ad uscire, era così preso dai suoi pensieri che neanche fece caso alle parole della madre che gli chiedevano un saluto degno di tale nome.
Prese la sua bici scassata, ma mai quanto quella di Richie, e si mise a pedalare verso la casa del corvino.
Dopo meno di quanto pensasse si ritrovò davanti alla porta della casa del ragazzo.
Era arrivato lì, ma con che scusa avrebbe potuto bussare a quella porta?
Senza rendersene conto vi si trovò davanti, le nocche appoggiate contro la tavola legnosa e il bussare ritmico contro di essa, quando si accorse di cosa aveva fatto era troppo tardi.
Pensò se fosse il caso di scappare, ma poi la voglia di incontrare Richie gli inchiodò i piedi a terra; magari avrebbe potuto usare la scusa dei compiti, ma non aveva dietro nemmeno un foglio; forse poteva chiedergli come stava, è una cosa che fanno i fidanzati chiedere come si sta quando si è malati.
Eddie cercò di autoconvincersi che essere lì fosse la cosa giusta.
Dopo un tempo che sembrò infinito sentì la serratura scattare e, quasi per magia, dimenticò tutte le parole che doveva dire.
"Eddie. -Fu la prima esclamazione di Richie. - Ti farò ammalare, che ci fai qui?" Domandò.
"Volevo... Io... Sapere... Solo come... Si come stai..." Disse.
"Bene. - Rispose per abitudine Richie che, però, notando lo sguardo perplesso del minore e la sensazione di naso gocciolante si corresse. - Meglio, tranquillo."
Eddie annuì gravemente. "Sei a casa da solo?"
"Si, i miei sono a lavorare..." Disse.
Eddie fece qualche passo e Richie, per istinto, ne fece alcuni indietro permettendo così al più piccolo di entrare nella casa.
Il castano si guardò un po' attorno, ogni cosa era sempre al suo posto, mai un solo oggetto veniva spostato.
"Eddie, tutto bene?" Domandò il castano accorgendosi che stava fissando qualcosa che, però, lui non riusciva a vedere.
Senza prestare troppa attenzione alle parole di Richie si avvicinò ad un mobiletto, era pieno di cornici; c'erano dei parenti della famiglia Tozier, sia da parte di madre che di padre, c'era Richie insieme ad altri ragazzi e ragazze, alcuni più grandi, altri più piccoli, ma una in particolare colpì Eddie e, senza neanche chiedere il permesso, la sollevò.
Era una foto un po' sbiadita, con i bordi rovinati, non era dentro una cornice ma era semplicemente appoggiata lì.
Stampati in nero su bianco c'erano proprio Richie ed Eddie, al compleanno del primo.
Avevano forse undici o dodici anni, davanti a Richie c'era una torta, probabilmente fatta da sua madre, ma a parte Eddie, non c'era nessuno.
Eppure il corvino sorrideva, uno di quei sorrisi che aveva imparato a conoscere, quel sorriso che faceva solo a lui. Il minore credeva che quei sorrisi, quei modi di essere del ragazzo che lo stava osservando, fossero nati solo nell'ultimo periodo, e invece, evidentemente, erano sempre esistiti.
"Cosa c'è che non va?" Domandò Richie.
"Niente. Assolutamente nulla. È solo che... Me ne ero dimenticato." Rispose Eddie senza smettere di guardare la fotografia.
"Di cosa?" Domandò Richie senza capire, forse a causa della febbre o forse perché Eddie non sapeva spiegarsi.
"Di quanto tu fossi carino da piccolo. - Rispose il ragazzo. - E poi adoravo quando avevi le lenti più spesse." Terminò il minore.
Sul viso del corvino si dipinse una smorfia quasi di disgusto ed Eddie fu sul punto di pensare che dovesse vomitare. "Odio gli occhiali."
Eddie sorrise e, poco dopo, riappoggiò la foto esattamente dove si trovava prima.
"Forza, a risposare." Disse facendo cenno a Richie di andare in camera sua.

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


Richie, seguendo in maniera precisa e puntuale l'indicazione di Eddie, andò in camera propria seguito dal ragazzo.
"E ora che siamo in camera mia?"
"Ora ti sdrai, mi sembra ovvio." Rispose Eddie, il tono di voce era allegro e rilassato, molto tranquillo.
"Magari ora mi canti anche una canzone per farmi addormentare?" Chiese ironicamente Richie mentre si stendeva sotto le coperte che, in effetti, gli erano mancate in quel breve lasso di tempo che aveva trascorso in salotto con Eddie.
"Se vuoi te la canto per davvero."
"No non non lo farai."
Eddie ridacchiò a quella risposta e si avvicinò a propria volta al letto su cui era disteso Richie.
Il corpo del castano ebbe un fremito quando vide che Eddie si stava sdraiando accanto a lui e, preso dall'ansia di quel contatto che tanto desiderava eppure temeva.
"Hai freddo?" Chiese il castano notando che stava tremando.
"Ehm... No io... Ora passa."
Eddie gli sorrise e, quel sorriso, in effetti, riuscì a scaldarlo da dentro, come se vedere Eddie felice, lì accanto a lui, fosse come stendersi sul prato ai primi raggi del sole primaverili che, finalmente, sanciscono la fine del freddo inverno e lasciano già quel calore confortevole sulla pelle.
"Ti ho già detto che sei carino quando sorridi?" Domandò Eddie allungando una mano verso il viso di Richie che, a quelle parole arrossì sensibilmente.
"A volte."
"Devo dirtelo più spesso. - Disse. - Soprattutto quando sorridi senza accorgertene, come ora."
La mano di Eddie era appoggiata sulla guancia del ragazzo che aveva il viso di profilo per poter guardare il castano. In confronto alla temperatura del viso del corvino, la mano di Eddie era gelida.
"Mi dispiace." Sussurrò Eddie, non stava più sorridendo, ma si stava attorcigliando una ciocca dei capelli di Richie su un dito.
"Per cosa?" Domandò il corvino appoggiando la propria mano su quella del compagno.
"Che noi siamo costretti a vivere qui, così."
"A me piace qui e così." Disse Richie.
Eddie sospirò. "Si ma... Ma nessuno lo accetterà mai."
Richie abbassò lo sguardo. Sapeva alla perfezione che il ragazzo aveva ragione, che nessuno li avrebbe mai accettati e che, probabilmente, Bowers e gli altri se lo avessero imparato avrebbero usato le loro ossa come affila coltelli dopo avergliele spezzate.
Eddie, probabilmente, notò di aver rattristato il proprio ragazzo perché si sforzò di sorridere e gli carezzò dolcemente il volto.
"Sei bellissimo anche con gli occhiali, comunque." Disse prima di sfilarglieli con delicatezza.
Richie lo lasciò fare, si fidava abbastanza di lui da lasciarglieli toccare senza paura che andassero in mille pezzi.
Eddie se li rigirò un paio di volte tra le mani, per osservarli meglio, poi se li infilò.
Gli stavano alla perfezione, come se fossero fatti appositamente per lui, o almeno così aveva pensato Richie vedendolo tutto sfocato ma con gli occhi ingranditi a dismisura.
"Allora? - Domandò Eddie. - Come sto?"
"Sei bellissimo, come sempre." Sussurrò Richie prima di avvicinarsi a lui e baciarlo.
E Eddie, neanche per un attimo, ebbe il dubbio di volersi ritrarre da quel bacio, in quel momento non pensò ai germi, ai batteri o all'influenza che avrebbe potuto prendere, pensò solamente a quanto fosse dolce quel bacio e, perchè no, anche fresco, anche se questa sensazione era probabilmente dovuta al dentifricio del corvino.
Eddie non pensò neanche per tutto il pomeriggio a quella sua insensata paura, come l'aveva definita Richie più di una volta, non ci ripensò nemmeno quando quella sera tornò a casa dopo che la madre del corvino era arrivata alla propria abitazione.
"Ciao Eddie! Resti a cena?" Domandò la donna vedendolo uscire in fretta dalla camera di Richie seguito dal ragazzo.
"Oh no signora Tozier, mi dispiace, ma mia madre mi aspetta a casa e ho già fatto più tardi del previsto." Disse sinceramente dispiaciuto il ragazzo che sapeva bene quanto fosse brava a cucinare la donna.
Richie era rimasto in piedi, sulla porta che dava nel corridoio che portava alle camere da letto, il viso leggermente arrossato, forse dalla febbre o forse dall'imbarazzo, ma sorrideva mentre salutava Eddie che stava uscendo dalla porta mentre, in labiale, gli intimava di non avvicinarsi perchè avrebbe potuto prendere freddo.
Eddie non pensò ai batteri neanche mentre ripensava a quel pomeriggio che avevano trascorso uno accanto all'altro, a baciarsi e ad abbracciarsi, erano stati bene e il ragazzo si ritrovò a pensare che, se per qualche motivo quello che loro stavano facendo era un peccato, sarebbe stato il peccato più dolce del mondo.








P.S.
In questo capitolo non accade nulla ma mi piaceva, dunque eccolo qui.
A Presto

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***


Nell'ultimo periodo Richie andava a dormire da Eddie quasi una volta a settimana e ogni volta che Sonia chiedeva per quale motivo quello scapestrato rimaneva a dormire a casa sua Eddie rispondeva sempre allo stesso modo Pensa che è sabato sera e potremmo uscire e andare insieme ai nostri amici a qualche festa pericolosissima, e invece rimaniamo qui in casa nostra a ripassare la lezione di biologia. E Sonia Kaspbrak ogni volta annuiva e pensava che, in fondo, a casa loro erano al sicuro.

Una di quelle domenica mattina Richie, sovrappensiero, uscì dalla casa di Eddie con la propria maglia del pigiama, una di quelle con le righe orizzontali bianche e rosse, ma slavata e vecchia di diversi anni che, però, su Richie sembrava riprendere colore.
Eddie, dopo averlo accompagnato fuori, tornò poi al piano superiore, in camera propria e, per non svegliare la madre, si chiuse la porta alle spalle e si diede una veloce occhiata in giro.
Guardò il letto ancora sfatto e pensò che non si sarebbe arrabbiato nessuno se si fosse disteso un'altra ventina di minuti.
Solo quando si fu seduto su di esso si rese conto che, appeso allo schienale della sedia, c'era un indumento che non gli apparteneva e che mai sua madre gli avrebbe comprato.
Preso dalla curiosità, quindi, si alzò e andò a guardarlo da vicino.
Era una di quelle camicie che Richie amava tanto, quelle con le stampe strane e, quella in particolare, era bianca con delle palme sottili e stilizzate, di colore azzurro.
Provava il forte desiderio di indossarla e non riusciva nemmeno a capire il perché, come quando si dice ad un bambino di non toccare il forno perché brucia e lui lo fa proprio perché gli era stato detto di non farlo e, allo stesso modo, Eddie provava l'irrefrenabile desiderio di farsi avvolgere da quella camicia sbiadita.
Senza nemmeno accorgersene si stava sfilando la maglia e, un po' più coscientemente, ma neanche così tanto, si infilò la camicia.
Sentì la tela ruvida solleticargli la pelle e aderirgli al corpo, si spostò poi davanti ai vetri chiusi che, grazie alle persiane scure, riflettevano la sua immagine perfettamente.
Quella camicia gli stava un po' lunga, Richie era diversi centimetri più alto di lui, ma non era scomoda.
Senza volerlo si ritrovò ad inspirare, conosceva il profumo di Richie, avrebbe saputo riconoscerlo ovunque perché non era un odore banale, era... Di Richie. Eppure, al tempo stesso, non sarebbe riuscito ad associarlo a qualcosa di concreto.
Inspirò una prima volta, profondamente, dopo essersi portato un lembo di stoffa vicino al naso.
"Quelle maledette sigarette. - Sussurrò. - Perché il loro odore deve attaccarsi a ogni cosa?" Si lamentò verso nessuno in particolare.
Inspirò ancora, lentamente, senza fretta. "Mele. - Disse. - Richie adora la mele. - Pensò a tutte le volte che lo aveva visto con una mela per merenda, a volte persino per pranzo, e le mangiava sempre con gusto, come se ogni mela avesse sempre un sapore diverso. - Secondo me sanno di legno... E sono tutte uguali." Bisbigliò.
Provò ad inspirare una terza volta, ma quella volta sentì un odore particolare, che non gli ricordava nulla se non Richie stesso.
Poi ripensò ad una delle lezioni di biologia che il corvino gli aveva spiegato.
Ricordava che ogni essere umano aveva un odore di base, quello della specie umana per così dire, e sopra questo odore ogni persona ci tesse il proprio, che lo rendeva unico.
Ecco, Eddie era sicuro di star percependo quel delicato profumo che Richie emanava.
Con riluttanza tolse la camicia e la piegò, voleva restituirgliela e lo avrebbe fatto la mattina seguente a scuola.

La mattina seguente, proprio davanti al cancello d'ingresso, si rese conto di essersela dimenticata, ma Richie non gliela chiese e così decise che, fino a quando non gliela avrebbe chiesta, l'avrebbe tenuta.
Forse era un po' strano, se ne rendeva conto persino lui stesso, ma avere qualcosa di Richie vicino prima di andare a dormire e, soprattutto, prima di svegliarsi gli migliorava notevolmente la giornata.







P.S.
Scusate il ritardo ma ieri ero troppo presa dal festeggiare il mio, appena preso, nove in latino che non sono stata in grado di pensare ad altro.

A Presto
KindlyLight.

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***


Richie non si accorse di essere arrivato a quei pensieri fin quando non sentì la porta dell'ingresso aprirsi.
Era sdraiato sul proprio letto, le braccia incrociate dietro la testa e gli occhi fissi sul soffitto, stava ripensando a quando, molti anni prima, Eddie si era fratturato il braccio.
In realtà non stava pensando a quell'evento, anche se gli venne la pelle d'oca non appena quel ricordo gli sfiorò la mente; stava pensando a Gretta che si era proposta di firmare per prima il gesso del castano e, invece, vi aveva scritto sopra "Loser".
Ricordò anche che Eddie era arrivato a casa sua nonostante non avesse il permesso della madre, stava trattenendo le lacrime proprio come quando si ruppe le ossa, solo che appena Richie lo fece entrare in casa scoppiò in un pianto incontrollato e non riuscì a spiegargli cosa fosse successo di così grave e, cosa ancor peggiore, il corvino non aveva la benché minima idea di come consolarlo.
L'unica cosa che fece, quindi, fu farlo sedere sul divano verdino della sala e sedersi accanto a lui, lo attirò poi in un abbraccio e non disse una sola parole.
Semplicemente lo tenne vicino a sé mentre, con dolcezza, gli passava una mano su tutto il braccio, con movimenti lenti e regolari.
Quando finalmente Eddie riprese fiato gli spiegò tutto, anche se a volte si ritrovò a singhiozzare e a dover raccogliere qualche lacrima con una mano.
Richie ascoltò tutto il racconto in silenzio e, quando il minore ebbe finito di narrare i fatti, rimase a pensare per qualche attimo prima di alzarsi, sempre senza emettere una sola parola, per andare in cucina.
Aprì un paio di cassetti e vi frugò dentro, poi tornò in salotto con in mano un pennarello rosso, di quelli indelebili.
"Ora sistemo tutto io." Disse mentre faceva cenno a Eddie di porgergli il braccio ingessato.
Quando ebbe completato la sua opera, sul gesso di Eddie, non c'era più scritto "Loser" ma "Lover", perchè la "S" era sovrastata da una "V" rossa.
Eddie si ritrovò a ridacchiare.
"Amante di chi scusa?" Chiese.
"Il mio ovviamente! - Rispose Richie indicandosi prima di scivolare a terra, in ginocchio. - Vuoi tu, Eduardo Spaghetti Kaspbrak, detto Eds, sposarmi?" Chiese fingendo di aprire una scatolina con dentro un anello.
"Sì." Rispose Eddie prima si scoppiare a ridere seguito da Richie stesso.

"Richie, tesoro, vieni al telefono per favore." Disse la voce della madre.
Il ragazzo, controvoglia, si alzò dal letto e, strisciando i piedi sul pavimento, arrivò fin davanti al telefono.
"Chi è?" Domandò con voce annoiata.
Avrebbe di gran lunga preferito continuare a pensare a quel pomeriggio, avevano riso così tanto alla fine, nonostante tutto ciò che stava succedendo.
"Sono Eddie. - Rispose. - Lo so che è tardi e forse hai già qualcosa da fare ma sta uscendo al cinema quel film che mi avevi detto che ti sarebbe piaciuto vedere e ci sono passato davanti poco fa e ho pensato di dirtelo e forse ci possiamo andare, se ti va, tipo stasera. O domani. O quando hai voglia insomma." 
Eddie, in tutto il suo discorso, non fece nemmeno una pausa e Richie fece quasi fatica a stare dietro al suo ragionamento.
"Ti va stasera?" Domandò.
"Davvero? Va bene stasera? - La voce di Eddie era molto felice. - Ci vediamo davanti al cinema?" Domandò.
"Si certo, a che ora inizia?"
"Alle otto e un quarto."
"Potremmo vederci lì alle otto, così prendiamo i biglietti e facciamo due chiacchiere."
"Allora a dopo."
Quando Richie riappoggiò la cornetta, la prima cosa che chiese la madre fu dove andasse quella sera e Richie, con un tono un po' troppo sognante, le rispose che si sarebbe incontrato con Eddie per un film.
La donna, però, o non ci fece caso o decise deliberatamente di ignorare quel tono.
Anche perchè, in fondo, per lei l'importante era solo che lui fosse felice.

 

 

 

 

 

 

P.S.
Volevo scusarmi con quei pochi che leggono questa storia (e in particolare con Longriffths) per non aver pubblicato per queste due settimane ma vi giuro che non me ne sono accorta. 
Le giornate mi sono sembrate lunghissime ma la verità è che il tempo mi è scivolato tra le dita senza che me ne accorgessi.
Comunque sia, mercoledì ho l'ultima interrogazione della mia vita e poi il 17 inizio con l'esame di maturità, perciò non so se riuscirò a pubblicare sia l'otto che il quindici ma ci proverò, cercando magari di non farmi prendere troppo dall'ansia.
Un abbraccio (da lontano -non solo per motivi di covid-19) a tutti.
A presto

P.P.S. 
Probabilmente presto dovrò cambiare ratings, non so ancora bene quanto sarà intensa la sfumatura, ma mi sa decisamente che succederà.
E, giusto per dovere di cronaca, ho una visione della loro storia un po' distorta perciò non stupitevi troppo. 

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Capitolo 15 ***


Disclaimer: I personaggi non mi appartengono e non ho alcuna intenzione di lucrare su di loro. Tutto ciò che viene descritto in questa storia e, in particolare, in questo capitolo è frutto della mia immaginazione.
I temi trattati in questa parte 15 della storia sono temi particolari e, a tratti, espliciti. Non sono scene di violenza ma potrebbero urtare la sensibilità di qualcuno perciò se si è facilmente impressionabili/troppo piccoli chiedo cortesemente di non proseguire nella lettura e passare alla parte 16 (quando verrà pubblicata).
Grazie.

Era notte fonda quando uscirono dal cinema, era un film meno scadente di quanto il castano pensasse, non solo un'accozzaglia di effetti speciali messi a caso per simulare lo spazio, c'era anche una buona trama che non gli dispiacque affatto.
Alla fine decisero di andare a casa di Richie e Eddie, per una volta, disse che avrebbe raccontato una menzogna a sua madre la mattina dopo. Ben presto si ritrovarono sdraiati sul letto del corvino, si stavano baciando.
Non quei baci che erano soliti darsi prima di entrare in classe dietro la baracchina delle bici o quando erano gli ultimi ad andarsene dai Barrens, quelli che stavano a significare "Ti amo, ci vediamo dopo a pranzo" o un semplice "ci vediamo domani, buona notte".
Quelli erano decisamente baci diversi.
Baci intensi, profondi, con le lingue che danzavano una attorno all'altra, come se si inseguissero, come se lottassero. Una lotta che nessuno dei due avrebbe perso, a costo di strappare quella dell'altra con i denti.
Richie per un attimo ci pensò di mordere quella del compagno, ma poi decise che, se doveva fare qualcosa, se doveva rovinare un momento, doveva farlo per bene e così interruppe il bacio.
Entrambi aveva il respiro corto, ma sul viso di Eddie era comparsa un'espressione mista tra lo stupito e l'orgoglioso, finalmente, per una volta, non era stato lui a separarsi dalle labbra dell'altro per primo.
Richie spinse un poco Eddie che, da adagiato su un fianco com'era si ritrovò sbilanciato e appoggiato con tutta la schiena sul materasso morbido.
Eddie non riusciva a capire cosa stesse realmente succedendo, sapeva solo che Richie si stava prendendo tutte le libertà che desiderava, come sempre, e che lui si fidava abbastanza di quel corvino squinternato da lasciarlo fare senza troppi problemi.
Sentì il materasso muoversi e vide Richie iniziare a baciarlo mentre si sistemava in una posizione a lui comoda, sentì le sue gambe sfiorargli i fianchi mentre le mani andavano a posizionarsi sul suo viso e, lentamente, scorrevano fino ai capelli.
Dal canto suo, Eddie, iniziò a carezzare le cosce del corvino che erano lasciate scoperte dai pantaloncini corti che portava per andare a dormire e ad Eddie balenò nella mente che quella fosse tutta un'improvvisazione.
Richie non era seduto sul busto di Eddie, era ben consapevole che il proprio peso avrebbe potuto infastidirlo, ma Eddie sentiva con piacere il leggero calore che emanava il corpo del corvino, un calore confortevole che, per un po', gli faceva dimenticare tutti i problemi delle loro vite, che gli rimaneva dentro, proprio all'altezza del petto, che lo rassicurava a lungo.
Richie smise di baciargli le labbra e iniziò a lasciare piccoli baci lungo la mandibola, non era molto pronunciata, ma era comunque un punto che Richie amava, e dall'angolo della bocca, su per la mandibola, arrivò a baciare la base dell'orecchio, prese a baciargli anche l'orecchio, il sinistro, e poi a lasciare dei leggeri morsi, umidi.
Le mani di Eddie percorrevano la schiena e l'addome del corvino, ci riusciva alla perfezione da quella posizione dato che, per baciarlo, Richie aveva messo il proprio corpo quasi perfettamente parallelo a quello disteso del castano.
Richie soffiò sull'orecchio umido del castano, a cui vennero dei brividi e a cui sfuggì un gemito, forse di impazienza o magari spazientito da quel suo modo di fare sempre così lento nei momenti meno opportuni, quegli stessi momenti in cui mescolava la lentezza al suo immancabile essere irritante, non tanto perchè ad Eddie non piacessero quelle attenzioni, ma perchè usava dei trucchetti subdoli per farlo rabbrividire sotto le sue mani.
Eddie aveva preso a carezzarlo ovunque e, un pezzo alla volta, aveva iniziato a togliere gli abiti di dosso a Richie, la t-shirt rossa, la canottiera con le maniche, di quelle bianche tipicamente "alla Eddie" come diceva il corvino, poi i pantaloncini, fu più complicato, Richie lo distraeva in ogni modo, con le mani, con le labbra, col suo odore, ma lui era perseverante e ci riuscì con meno difficoltà di quanto l'altro sperasse.
Anche Richie, intanto, aveva iniziato a spogliare Eddie, lentamente, in maniera snervante, tanto che Eddie stesso, ad un tratto, gli strappò i bottoni della camicia dalle mani mentre, per distrarlo da quel gesto, aveva reclamato le sue labbra e Richie fu ben felice di accontentarlo.
Quando entrambi si furono svestiti, completamente, Eddie fece quella mossa che faceva sempre e che faceva letteralmente impazzire Richie, gli faceva perdere la testa in tutti i sensi, ad Eddie, ogni tanto, piaceva avere l'ultima parola e quello era uno di quei casi.
"Quella mossa" consisteva nel ribaltare le posizioni in una maniera così semplice e naturale che Richie quasi non se ne accorgeva.
Eddie, con le ginocchia attorno a bassoventre del corvino, mentre non gli lasciava nemmeno un momento per respirare, allungò una mano oltre il letto, aprì velocemente il cassetto e prese quei due semplice oggetti.
Eddie fece tutto da solo, gli piaceva così, e chi era Richie per impedirgli di fare ciò che voleva?
Erano abituati, entrambi, a quel genere di cose, non erano più bambini e, a dirla tutta, ci avevano pensato a lungo prima di farle per davvero.
Richie era pronto, lo era da quando aveva iniziato a baciarlo dopo averlo fatto sdraiare, un sospiro uscì dalle sue labbra, ma venne ben presto inghiottito da quelle di Eddie che avevano ripreso a baciarlo con cura.
Faceva movimenti lenti ma decisi.
"Non azzardarti a lamentarti di... - Un sospiro. -... Di me la prossima volta...- Un gemito mezzo strozzato, non gli avrebbe dato quella soddisfazione. -... Hai capito?" Disse Richie.
Eddie ridacchiò contro le sue labbra prima di prendere a mordicchiargliele. Era bravo, Richie lo doveva ammettere, non che avesse mai avuto qualcuno con paragonarlo, ma lo avrebbe definito il migliore.
Richie, quasi per abitudine, o forse perché lo eccitava farlo, gli carezzava la schiena, prima con dolcezza e, poco dopo, con forza, prima solo con i palmi, poi anche con i polpastrelli e infine con le unghie, a seconda di come Eddie cambiava il ritmo dei propri movimenti; Eddie non aveva bisogno di guardarsi per sapere che, una volta finito, si sarebbe ritrovato i segni dei graffi di Richie su tutti i dorsali.
La camera, lentamente, si riempì di gemiti soffocati, nella stanza accanto c'erano comunque i genitori del corvino, che spesso, però, neanche i baci potevano contenere, respiri pesanti e l'odore dei loro corpi che si mescolava in una miscela perfetta.
Raggiunsero il culmine insieme, si conoscevano abbastanza da soddisfarsi alla perfezione l'un l'altro, senza timore, senza imbarazzo.
Eddie si sdraiò accanto a Richie, ansimavano e gli occhiali di quest'ultimo erano appannati, la scena totale, col viso di Richie arrossato, un po' dall'emozione e un po' dai baci, il petto che si alzava e abbassava freneticamente e gli occhiali fecero ridacchiare Eddie.
"Cosa c'è di divertente?" Chiese Richie mentre si tirava addosso una coperta.
Trovava bellissimo guardarsi i corpi giovani e, in parte, ancora acerbi, l'un l'altro, ma il gioco era bello solo fino ad un certo punto e lui detestava particolarmente i brividi dovuti al freddo che lo assaliva poco dopo la fine dell'amplesso.
"È solo che sei bellissimo." Rispose Eddie.
Richie lo guardò negli occhi per alcuni attimi e gli sorrise, prima di riprendere a baciarlo, era un bacio passionale ma senza fretta.
Rimasero in silenzio a lungo, con la testa di Richie poggiata scompostamente sulla spalle di Eddie, i capelli corvini sparsi ovunque solleticavano il viso del minore. Eddie pensava, pensava a quanto gli piacessero gli occhi così neri ed intensi di Richie, a quanto amasse la sua faccia dolce anche se si ostinava comportarsi come se fosse il contrario, era una faccia innocente, pulita, da bravo ragazzo, anche se lui cercava di nascondere quel tratto sotto tonnellate di battute.
"Ti amo." Sussurrò Eddie lasciandogli un leggero bacio tra i capelli prima di addormentarsi accanto al proprio ragazzo.

 

 

 

 

P.S. Ora che finalmente dato l'esame di maturità e ho come unico pensiero quello di decidere l'università (sono ancora in alto mare, ma ce la farò) posso finire di pubblicare questa storia, ovviamente ogni lunedì, come è successo fin ora.
Buona estate a tutti e a lunedì prossimo.

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** Capitolo 16 ***


La loro relazione andava bene, nascosta sotto quell'amicizia piena di insulti e battibecchi.
Era passato tutto l'anno scolastico, tutti stavano partendo per il college.
Richie aveva scoperto che nello stesso college in cui sarebbero andati lui e Eddie sarebbe andata una loro vecchia compagna di classe, Myra.
Richie non era stupido, sapeva bene che Myra non gli aveva mai fatto nulla di male, ma la odiava. Profondamente. E nemmeno lui riusciva a capire come o perchè, ma il solo incontrarla per strada gli faceva venire voglia di cambiare direzione, strada, città.
Si era anche reso conto che il suo problema non erano le donne in generale. Lui non odiava le donna. Odiava solamente lei.

Quel pomeriggio era sdraiato sul letto del dormitorio del college, la camera era buia, aveva detto ad Eddie che avrebbe cercato di dormire, il mal di testa lo stava uccidendo, ma alla fine il dolore era così intenso da averlo tenuto sveglio e si ritrovò a pensare dove fosse il proprio fidanzato.
Con Myra, avevano un lavoro da fare. Disse una vocina nella sua testa.
E improvvisamente si ricordò per quale motivo la odiava.
Anni prima aveva scoperto che a lei piaceva Eddie.
Il suo Eddie.
Lo stesso Eddie a cui lui aveva detto che, magari, che poteva uscire con lei tranquillamente perchè non ci sarebbero stati problemi.
Fece per alzarsi ma la porta si aprì, Eddie era sconvolto, i capelli erano sempre in perfetto ordine ma in netto contrasto con gli occhi, sgranati e così fuori dalle orbite da dare l'impressione a Richie che sarebbero potuti cadere da un momento all'altro.
"Cos'è successo?" Domandò mettendosi a sedere.
Forse l'aspirina stava iniziando a fare effetto finalmente.
"Ho visto un ragazzo." Sussurrò.
Richie inclinò un poco la testa di lato, non capiva. "Quindi?"
"Lo stavano picchiando. I ragazzi della squadra di football. Lo stavano picchiando."
"Perchè?"
Eddie lo guardò negli occhi per qualche attimo, si era torturato le dita così a lungo da far sanguinare la pelle in prossimità delle unghie.
"Perchè lo avevano visto baciare un ragazzo ad una festa.- Rispose. -Probabilmente non è neanche gay. Probabilmente era solamente ubriaco e loro..."
Richie non aveva nulla da dire. 
Cosa avrebbe potuto dirgli, in fondo? 
Tranquillo, andrà tutto bene. La nostra storia d'amore sarà perfetta e nessuno ci farà del male.
Sapeva alla perfezione che loro, come tutti gli altri, potevano essere presi di mira. Loro, come tutti gli altri, potevano esser picchiati per il solo fatto di aver trovato qualcuno da amare. Loro, come tutti gli altri, si sarebbero ritrovati con la faccia premuta contro il cemento o l'asfalto mentre qualcuno li prendeva a calci nello stomaco o nei reni, magari anche in volto. 
Richie lo sapeve. 
Sapeva quanto era facile prendere di mira Eddie a causa dei suoi modi gentili, il suo viso delicato e i suoi vestiti sempre così stirati, come se sua madre vivesse dentro l'armadio e glieli stirasse lei personalmente ogni giorno.
Sapeva anche quando fosse facile prendere di mira lui stesso, sembrava uno stuzzicadenti pallido e con gli occhiali. Chi non prenderebbe a calci uno con la sua faccia? 
Per un momento ripensò ad Henry Bowers, a quanto fosse facile scappare da lui e dal suo gruppo, erano solo cinque o sei in fondo, e poi ripensò alla vita, quella vera, quella fatta dalla massa e al fatto che fosse pressochè impossibile fuggire dalla massa.
La massa ti ingloba, ti calpesta, di distrugge e alla fine, quando ti rialzi, sei un nuovo membro della massa stessa.
"Richie... Richie... Richie perchè stai piangendo?" Domandò Eddie spostandogli un po' gli occhiali per potergli asciugare almeno qualcuna delle lacrime che stavano scendendo sul suo viso pallido costellato di lentiggini.
"Per così tante cose che non saprei dirti quale." Sussurrò lui prima di abbracciarlo. 
Eddie rimase in silenzio e lo abbracciò. Neanche lui avrebbe avuto qualcosa da dire. Forse Bill, o magari Beverly avrebbero saputo cosa dire.
Loro sicuramente avrebbero trovato qualcosa.
Ma loro non erano nè Beverly nè Bill. Sapevano di non essere loro.

Qualche mese dopo, sdraiati uno accanto all'altro, si ritrovarono a parlare di tutto ciò che era accaduto da quando erano arrivati al college.
"Dobbiamo trovare un modo. - Sussurrò Eddie. -Troveremo sicuramente un modo."
"Lo sai che non esiste nessun modo." Disse Richie.
"Solo perchè gli altri non capiscono non significa che noi..."
"Non si tratta di questo. - Disse Richie. -Si tratta del fatto che se vuoi avere un lavoro stabile, se non vuoi correre il rischio di essere picchiato ogni volta che volti un angolo, che se vuoi essere tranquillo, non puoi amare qualcuno del tuo stesso sesso."
Eddie non poteva dire che quella fosse una bugia. "Non è giusto."
"Non è giusto, eppure è così.- Disse il corvino. - Ti immagini se tra cinquant'anni tutti potremo amare chi vogliamo? Non sarebbe bellissimo?"
"Sarebbe davvero fantastico. -Rispose. -Forse troppo bello per essere vero."
"Ma sarebbe umano."
"Magari non esisteremo più."
"Magari vivremo su Marte."
Richie era sempre stato un po' più positivo, più propenso a vedere il divertente, ma forse lo faceva solamente per non lasciarsi cadere nell'infinito baratro di disperazione che sembrava volerlo inghiottire ogni volta che provava a guardare realmente in faccia la realtà.

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** Capitolo 17 ***


Sarebbe stato tutto più semplice, pensò Eddie, se lo avesse odiato come aveva detto così tante volte da ragazzino, ma lui, nella sua vita, non poteva avere nulla di semplice.
A partire dalla morte del padre per quella terribile malattia, il continuo esser iperprotettiva della madre, le fobie più disparate, il suo amore per un ragazzo.
Un ragazzo.
Eddie fissò la foto che aveva tra le mani. Il treno su cui si trovava era così lento da spaventarlo, quasi. Ogni secondo in più su quell'affare era un secondo in più in cui era solo con se stesso e lui odiava essere solo, era così abituato ad avere Richie al suo fianco che sentirlo così lontano gli faceva male, quasi come se qualcuno gli stesse infilando tanti spilli all'altezza del petto mentre, al tempo stesso, i polmoni gli si stessero riempiendo di sassi che, ad ogni respiro, grattavano le pareti gelatinose di quei sacchetti pieni d'aria, quegli stessi sacchetti che per anni aveva creduto malati ma che, in realtà, non avevano nulla.
Stava tornando a casa per le vacanze, da solo, Richie era rimasto al collage e, forse, era stato meglio così.
La foto che aveva tra le mani si macchiò, una gocciolina stava colando lungo la superficie e, Eddie, si affrettò ad asciugarla per non farle rovinare troppo i colori.
Guardò, con la vista appannata dalle lacrime, l'enorme valigia che aveva con sé. Ci aveva infilato dentro tutto, alcune cose anche un po' a caso e altre, era certo di questo, appartenevano a Richie anche se, nella fretta, non ci aveva badato troppo.
Gli aveva lasciato una lettera sul cuscino della camera che, per metà, era spoglia.
Non si sarebbero visti mai più e, nella lettera, aveva anche dato un'infinità di motivazioni sensate, almeno a parer suo, eppure su quel treno tutte le sue motivazioni sembravano perdere di importanza.
Ogni cosa aveva perso importanza.
"Perchè ti ho lasciato?" Sussurrò a se stesso.
La risposta, in realtà, non ce l'aveva. Lo aveva fatto per sé, per egoismo. Perchè vivere in una società dove due uomini che si tenevano per mano per strada venivano picchiati e uccisi non faceva per lui, non avrebbe sopportato gli sguardi, le voci.
Era sempre stato debole rispetto a Richie, lui incassava tutto e, l'unica cosa importante, era avere Eddie accanto, ma per Eddie no, ad Eddie faceva paura e, come il codardo che era, se n'era andato senza neanche il coraggio di dirglielo in faccia.

Quei giorni che trascorse a casa della madre, che si era trasferita pochi mesi prima lontano da Derry, passarono tra l'ignorare una chiamata di Richie e ignorare la madre.
Rimase sdraiato su quel letto così tanto da fargli prendere, in poco tempo, la sua impronta mentre dagli occhi scorrevano fiumi di lacrime.
Si ritrovò a pensare se mai Richie avesse già saputo che non sarebbe tornato al collage, non a quello che frequentava con lui quanto meno, si chiedeva cosa stesse pensando di lui in quel momento, quanto dolore stesse provando.
La verità, però, era che Eddie lo stava facendo per lui. Lo stava facendo per Richie e, con gli anni, ne era certo, lo avrebbe capito anche il corvino che era stato un bene, in fondo trovare una moglie, fare una famiglia, essere felice, per una persona come Richie, non sarebbe mai stato complicato.
No, non lo sarebbe stato, continuava a ripetersi Eddie cercando di autoconvincersi che fosse tutto per lui, anche se, una vocina nella sua mente glielo sussurrava costantemente, lo hai fatto per te stesso, vigliacco, egoista. Solo per te lo hai fatto. 
Avrebbe davvero aver avuto il coraggio di guardare il mondo a testa alta come Richie, con la sfrontatezza a brillargli negli occhi, le spalle dritte e la dolcezza nel cuore, eppure lui non era Richie, lui era solo Eddie.
Solo Eddie.
Si giurò che mai, mai più lo avrebbe incontrato.
Che così sarebbe stato meglio per entrambi, nonostante il dolore iniziale sarebbe tutto passato e, magari, l'essersi fatto odiare avrebbe fatto andare avanti Richie con più facilità. Lo sperava. Sperava davvero che Richie potesse essere felice, senza di lui, libero di essere l'uomo fantastico che sarebbe sicuramente diventato.

Eddie si odiò sempre per ciò che aveva fatto, a volte faticava persino a guardarsi allo specchio da tanto si sentiva marcio dentro, però Richie, col tempo, aveva smesso di chiamare, gli piaceva pensare che si fosse dimenticato di lui, che fosse felice.
Solo col pensiero di saperlo felice riusciva ad andare avanti.






P.S. Credo che questo capitolo mi "costringa" a chiedere delle scuse per... Be' un po' per tutto quello che c'è scritto.
A Presto

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** Capitolo 18 ***


Aveva pianto, Richie.
Aveva gridato, Richie.
Aveva preso a pugni quel dannato muro che era stato testimone di così tanti peccati, Richie.
Era arrivato, addirittura, a strappare quei poster che aveva sempre conservato con tanta cura, Richie.
Aveva anche strappato tutte le foto che li ritraevano insieme, Richie.
Le aveva strappate tutte, calpestate, bruciate, buttate. Non voleva più avere nulla a che fare con lui.
Lui.
Eddie.
Ogni volta che quel nome, per qualche motivo, gli tornava in mente, si sentiva così vuoto da credere di non esser mai esistito.

Un po' come quella volta in cui, sotto consiglio di uno dei peggiori amici che avesse mai potuto incontrare, si era trovato una ragazza.
Era carina, gentile, un po' strana ma, tutto sommato, per nulla male.
Si ricordava come se ce l'avesse avuta davanti anche in quell'esatto attimo il momento in cui lei le propose, nel 1960, di andare a vedere il film dedicato ad Eddie Sachs, il cui titolo era, esattamente, "Eddie".
Ricordava perfettamente anche la propria reazione.
L'aveva lasciata.
Letteralmente.
L'aveva fatta scendere dalla macchina su cui si trovavano e se n'era andato dicendole di non cercarlo mai più. Non la sentì più nominare, ma gli andava bene così.

Nonostante tutto, però, era riuscito ad andare avanti.
Le sue strane voci erano servite a qualcosa, era diventato uno dei comici più famosi al mondo. Al mondo. Aveva una casa bellissima, su una collina, gli piaceva guardarla e ricordarsi che era tutto frutto del suo lavoro.
Il suo duro lavoro, il suo sacrificio, il suo sangue e, soprattutto, le sue lacrime. 

A volte si fermava a pensare che per Eddie avrebbe rinunciato a tutto, ad ogni cosa, persino a quella bellissima casa e alla fama.
Avrebbe venduto al diavolo anche la sua stessa anima se solo questo gli avesse permesso di passare la sua vita con il suo piccolo e amato Eddie.

Gli tornò in mente, Eddie, dopo la telefonata di Mike. 
Non che ricordasse molto di Derry e di quel periodo della sua vita, solo che era, in qualche strano modo, felice.
Andò nello studio dopo aver rimesso nella tazza del water persino la cena di lavoro della settimana prima e aprì la cassaforte.
Ci trovò dentro esattamente ciò che si aspettava, il denaro che aveva così gelosamente e inconsciamente accumulato e custodito.
Prese i mazzetti perfettamente ordinati e legati con degli elastici e iniziò a metterli nel borsone in cui, poco dopo, avrebbe messo anche gli abiti, aveva quasi finito ormai e, nonostante il disagio crescente e la bocca dello stomaco così stretta da fargli male, stava andando tutto bene.
Stava.
Sotto tutto quel denaro era rimasto nascosto per quasi vent'anni l'unico oggetto che lo legava ad Eddie.
Prese tra le mani quei due pezzetti di carta. Li sollevò con cura, facendo attenzione a non rovinarli ancora di più, rovinati dal tempo e dall'odio.
Originariamente era una fotografia ma, Richie lo ricordava bene, lui stesso l'aveva strappata e, per chissà quale motivo, rinchiusa lì dentro, come se non volesse permettere ad Eddie, il suo Eddie, di abbandonarlo.
Richie accostò i due lembi di foglio e osservò la foto nel suo insieme. Sorridevano e, probabilmente, era il compleanno di uno dei due.
Erano così felici che quasi gli sembrò di esser stato teletrasportato in quella serata, di sentire ancora l'odore di popcorn e torta troppo zuccherata; pochi momenti dopo, però, si fece largo nel suo petto un incredibile dolore, la straziante consapevolezza che, da quel giorno in cui Eddie lo aveva abbandonato, non era più stato veramente felice.
Abbandonato, non lasciato. 
Abbandonato come un cane sul bordo della strada. Abbandonato come il peggiore dei criminali. Abbandonato come se non valesse più nulla.
Allontanò i due lembi di foto, ecco, ora avevano molto più senso, rispecchiavano molto di più la realtà.
Ognuno era felice per la propria strada.
Eddie era felice con Eddie e Richie era felice con Richie, almeno all'apparenza.

Fissò i due lembi per un po', doveva decidere cosa farne, doveva decidere in fretta.
Mike aveva espressamente detto che non c'era tempo da perdere.
Sovrappose i due pezzetti, Eddie sopra.
Guardò per un momento quel gesto inconscio che aveva fatto.
Eddie sopra.
Era sempre stato sopra ogni cosa Eddie, più importante di tutto il resto, persino più importante di se stesso.
Infilò i due pezzi di carta dentro la tasca dei jeans, ci avrebbe pensato più tardi a cosa fare di quel ricordo, non aveva tempo, Mike aveva bisogno di aiuto e lui, nonostante il terrore, si sarebbe presentato.
Era sopravvissuto ai bulli, agli omofobi, alle discriminazioni, non avrebbe certamente avuto paura ora.
Una sola, in effetti, era la cosa che poteva fargli paura.
Il volto di Eddie.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** Capitolo 19 ***


Eddie, per tutto quel tempo, aveva cercato di ignorare la sensazione di nervosismo alla bocca dello stomaco; si era sentito un completo idiota, un ragazzino di tredici anni alle prese con la sua prima cotta e quella fastidiosa e insistente vocina nella sua testa sembrava quasi cantargliela la verità. 
"E' la tua prima cotta di quando avevi tredici anni, piccolo sciocco."
Glielo sbatteva in faccia con una tranquillità tale da lasciarlo sconcertato perché, lui, non voleva saperla la verità.
Voleva continuare a pensare che fossero due sconosciuti, cosa che, in fondo, erano.
Dopo vent'anni che non incontri qualcuno non puoi semplicemente abbracciarlo e dirgli "Ma quanto tempo che non ci vediamo", no, non puoi. Non puoi, soprattutto, se la persona che non incontri da vent'anni è il tuo ragazzo, quello da cui, ufficialmente, non hai mai rotto, ma che hai semplicemente mollato in una camera del collage con la stessa tranquillità con cui si lascia la sciarpa sul portaoggetti dell'autobus a fine corsa in un tranquillo pomeriggio estivo.

Eddie aveva pensato fino all'ultimo di non andare, di trovare in Myra, la stessa Myra con cui aveva fatto così tante ricerche al collage da iniziare ad odiare le biblioteche, la stessa Myra che si era sempre ripromesso di non incontrare mai più, una scusa, di chiamare Mike e dirgli qualcosa del tipo: "Scusa, mia moglie sta avendo un attacco di cuore, non posso venire, devo starle vicino", eppure non lo aveva mai fatto.

Per un attimo, Eddie, pensò a Myra.
Quella Myra che era stata solo un enorme e imbarazzante ripiego.
Perché dopo Richie ci aveva provato ad avere qualche ragazza ma tutte, tutte, si erano rese conto che cercava in loro qualcosa di impossibile.
Le scrutava tutte con sguardo critico, dettagli come gli occhiali, i capelli corvini, il taglio di capelli un po' più corto, l'audacia di fare battute e, subito, si ritrovavano con davanti una statua di sale apatica.
Tutte tranne Myra che, della sua apatia, se n'era bellamente fregata.
Quel modo di comportarsi della donna non fece nascere in lui una passione maggiore, non gli fece dire: "Magari lei è quella giusta", semplicemente si disse: "Ok, lei è perfetta, non si è accorta che amo un'altra persona".
Certamente aveva imparato ad apprezzarla, col tempo, e il fatto che assecondasse tutte le sue paturnie lo tranquillizzava, ma per il resto, tutto il resto, non aveva mai incontrato nessuno di neanche lontanamente paragonabile a lui.

E lo vide.
Lui.
L'unico e inimitabile.
Gli occhiali storti sul naso, il modo di fare un po' eccentrico, quella dannata camicia bianca con le palme azzurre, i jeans.
Era decisamente lui.
Forse aveva avuto dei dubbi su chi fosse quell'uomo muscoloso che si era presentato insieme alla bellissima Beverly che, nonostante gli anni, aveva ancora gli occhi e il sorriso di un tempo, ma sicuramente su Richie non aveva avuto dubbi.
Era lui.
Quando lo vide, quasi, gli sembrò di non averlo mai lasciato.
Sentì gli occhi pizzicargli e il naso prudere, ma si costrinse a ricacciare tutto indietro, costringendosi a resistere.
Si chiese se sarebbero stati diversi se avessero vissuto insieme.
Magari avrebbero avuto un sorriso simile, o alcuni tic in comune; avrebbe dato qualsiasi cosa per condividere con Richie il tic di battere il dito sul tavolo al ritmo della loro canzone preferita perché, ne era certo, avrebbero trovato una canzone tutta loro da cantare a squarciagola e stonati, ma non gli aveva dato il tempo di trovarla.

Richie lo sorprese.
Si sedette lontano da lui, ma, in fondo, avrebbe dovuto aspettarselo. Eddie lo aveva pugnalato alle spalle, non poteva credere che, nonostante il sorriso e il saluto che gli aveva rivolto, lo avesse sinceramente perdonato.
Sorrise amaramente, guardandolo.
Era bellissimo. 
Di quella bellezza che non sfiorisce mai.

Eddie lo amava ancora e non sapeva cosa farci.
 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** Capitolo 20 ***


Eddie stava iniziando a ricordare qualcosa dei suoi amici, di Beverly e di tutte le cose che le aveva raccontato, di Ben e di tutte le volte in cui quei dannati bulli gli stavano addosso, di Mike e del fatto che andasse ad un'altra scuola, di Bill e della sua innata capacità di guidarli, Stan e il suo continuo essere incerto, e di Richie.
Di Richie stava iniziando a ricordare ogni cosa.
A partire dal suo gusto di gelato preferito fino ad ogni centimetro di pelle del suo corpo, a partire dalla curva del suo collo, il solco degli addominali dovuti al suo corpo esile.

Era diventato più alto, Richie, ma per il resto era identico a come lo ricordava, o forse erano falsi quei ricordi magnifici che gli tornavano alla mente.

-Eds, tutto bene?- Domandò l'uomo. L'unica persona che aveva incontrato in tutta la sua vita che si divertiva a storpiare il suo nome per puro divertimento.
Eddie sbuffò appena a quelle parole, ma sorrise.
-Tutto bene, sì.- Rispose con un soffio.
Erano così vicini che Richie poté sentire il respiro caldo del più piccolo sulla pelle, mentre le loro mani si sfioravano.
Quel tono di voce, quel nome, lo fecero sentire a casa nonostante si trovasse in una camera di un vecchio hotel della città.
Non avrebbe mai saputo spiegare il perché, ma nonostante la fastidiosa sensazione che provava al centro del petto quando Richie faceva battute su di lui, sul suo nome, sui loro amici o qualunque altra cosa, era sempre accompagnata da uno strano senso di sollievo.
E ogni volta, Eddie, si chiedeva da cosa si sentisse sollevato quando Richie diventava così molesto e, anche se non lo avrebbe mai ammesso, conosceva la risposta.

Si sentiva sollevato perché il tono di voce del corvino gli riportava alla memoria tutti i momenti più felici della sua infanzia, della sua adolescenza e, a detta di Eddie stesso, persino della sua intera vita.

Erano ancora in quella camera, la camera di quel vecchio hotel in cui Bill li aveva portati e, ne era quasi certo, Bill e Beverly avevano appena fatto esattamente come loro. 
Richie e Eddie si erano sdraiati su quel letto con le migliori intenzioni, parlare del più e del meno, delle loro vite, magari anche dare sfoggio del fatto che, nonostante gli anni, ricordassero ancora così tante cose uno dell'altro.
Eddie gli raccontò di Myra e il corvino lo ascoltò, in religioso silenzio, senza interromperlo; poi toccò al maggiore raccontare, l'operazione peggiore della sua vita, la paura di non riuscire a ricominciare dopo di essa, il sentirsi solo e vuoto. 
Non era pianificato.
Non lo era affatto.
Eddie lo baciò.
Un bacio ne tirò un altro e, alla fine, si ritrovarono proprio come Bill e Beverly, nudi in quel letto, dopo aver tradito tutte le persone delle loro vite, ma felici.
Così dannatamente felici che, in fondo, i sensi di colpa non li sfiorarono neanche.
E ora erano lì, in silenzio, con Richie che, come sempre, si preoccupava per lui mentre lui fissava distrattamente il muro della camera.
-Sicuro di stare bene?- Chiese ancora.
-Sì, davvero.-
-Se non volevi farlo...-
-Ho iniziato io, Richie, se non avessi voluto non lo avrei fatto, no?- 
Richie annuì nel buio. -Giusto.-
Eddie gli carezzò il fianco con fare gentile, probabilmente non aveva mai usato quella dolcezza con Myra, non che lui ricordasse almeno.
Gli era mancato il corvino, gli era mancato come l'aria quando vai in apnea sott'acqua e senti i polmoni bruciare e, quando torni in superficie, ti senti vivo di nuovo. Ecco, Eddie in quel momento si sentiva vivo di nuovo.

 

 

Eddie sentì un leggero fruscio, guardò nello specchio, alle proprie spalle, la porta era socchiusa anche se lui, ne era certo, l'aveva chiusa perfettamente.

L'unica cosa che ricordò, una volta che ebbe ripreso coscienza del suo corpo, fu una lotta. Non ricordava bene come, ma quel bagno era diventato un disastro, c'era sangue ovunque e il suo braccio, il suo povero braccio, era di nuovo in frantumi.
-Dobbiamo andare in ospedale e...- La voce di Richie era assordante, gli stava trapanando le orecchie per quanto era forte, ma avvertì una persistente nota di preoccupazione.
-No...- Sussurrò Eddie.
-Cosa?- La voce di Richie gli arrivò dritta alle orecchie. -Come no? Lo hai visto il tuo braccio?-
In effetti no, non lo aveva guardato. Sapeva bene che se avesse messo gli occhi sul proprio arto avrebbe vomitato e sarebbe svenuto, o magari prima svenuto e poi avrebbe vomitato e, in quest'ultimo caso, probabilmente si sarebbe soffocato col suo stesso sangue e, decisamente, non era il caso di lasciare quell'idiota di Richie da solo con i loro amici.
-Prendete le bende e le garze e immobilizzatelo, basterà.- Disse. Mostrava una sicurezza che, pensandoci bene, non aveva. Ma non poteva certo mostrarsi debole davanti a loro, davanti a quel clown maledetto che, per anni, aveva guidato le loro vite.

Richie e Beverly fecero come gli era stato detto da Eddie, il braccio immobilizzato e, finalmente, erano pronti per cominciare a dare la caccia a quel dannato mostro che viveva nelle fognature di quella dannata città.

 

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 21
*** Capitolo 21 ***


ATTENZIONE!! : Spoiler sul finale del libro.







Era successo tutto, davvero, non era uno stupido incubo inscenato da quel pagliaccio assassino, non era uno scherzo della sua mente dovuto alla stanchezza e alla fame, non era la paura che, come quando era piccolo, gli faceva vedere mostri dove c'erano solamente ombre.
No.
Era la realtà.
Quell'orribile e spaventosa realtà che si portava dietro da ventisette lunghissimi anni. La stessa realtà che ora gli aveva portato via l'unica cosa bella della sua vita per lasciargli un vuoto al centro del petto.
Eddie lo sapeva. Lo aveva sempre saputo che quel ragazzo, quell'uomo, era un completo e totale idiota, eppure non credeva che sarebbe mai stato in grado di compiere una scemenza simile e così irreversibile.
Lo guardò, Eddie, con le guance rigate di lacrime e il respiro che iniziava a farsi pesante e sibilante, sapeva che in quell'esatto momento avrebbe dovuto usare il proprio inalatore, ma lo aveva usato per colpire uno degli occhi di It fino a poco prima e non aveva idea di dove fosse finito, non che ci stesse realmente pensando, in fin dei conti.
Stava scuotendo il corpo di Richie, gli strattonava la camicia con forza nel vano tentativo di fargli aprire gli occhi.
Le sue grida erano più alte di quelle che avevano riempito il posto fino a poco prima, erano anche terribilmente spaventose. Nessuno si immaginava che una persona gracile come lui potesse mai avere tanto fiato; neanche i suoi vecchi amici riuscivano a credere che quelle grida strazianti al punto da lacerare i loro timpani e la loro anima provenissero proprio da Eddie, il loro pacato Eddie.
Bill si rese conto che quelle fogne stavano crollando, che dovevano sbrigarsi ad uscire da quel buco prima che travolgesse anche loro. Il corpo di Richie era lì, immobile, diventava sempre più freddo mentre anche il sangue aveva smesso di sgorgare dal braccio che era stato tranciato di netto, creando un alone rossastro nelle acque scure della fogna.
Bill e Ben dovettero trascinarlo via da lì, non voleva lasciare il corpo di Richie in quel posto, sapeva che non gli sarebbe piaciuto.
Sapeva bene che a Richie piacevano i prati e l'aria fresca, non quel buco buio e gelido in cui si trovavano in quel momento, Eddie lo guardava mentre qualcuno, contro la sua volontà, lo trascinava via.
Si agitava con tutta la forza che aveva nel suo esile corpo e, in quel momento, non gli importava del fatto che avrebbe potuto portare alla morte se stesso o qualcun altro, non aveva più nessun motivo di pensare, parlare o agire se l'unica persona per cui lo faceva era appena morta.
Nulla aveva più senso ai suoi occhi.
Nemmeno la sua stessa vita valeva più nulla ora.
Quando furono usciti da quella vecchia fogna, la casa in cui si trovava il pozzo crollò portandosi dietro tutto. Paure, It, il corpo di Richie.
Eddie cadde in ginocchio, sul volto aveva dipinta la disperazione mentre si chinava in avanti e, strattonando l'erba secca del giardino, si lasciava andare ad un grido tormentato, così profondo che, a tutti i rimasti, parve quasi di sentire la terra tremare e quel tremore si sparse ovunque.
Nell'aria, negli alberi, facendone ondeggiare le foglie con forza, nelle loro ossa costringendoli a reggersi a qualcosa per non cadere e, mentre tutto tremava, qualcosa si ruppe.
Finalmente poterono concedersi il lusso di piangere, di angosciarsi anche loro.
Avevano appena perso un loro amico, due dei loro amici non erano riusciti a giungere al termine di quella terribile impresa.
Loro che avevano desiderato fermare quel mostro proprio per impedire a qualcuno di perdere i propri cari avevano perso due delle persone più importanti della loro vita.
Quella terra secca e arida, cosparsa di sterpaglie e bottiglie rotte, fu inondata di lacrime, lacrime amare, di dolore, ma anche liberatorie, anche se in tragedia, era appena finito un incubo.

Bill tornò da Audra, sua moglie, le loro carriere sembrarono decollare da quel momento in avanti ed entrambi, insieme sembravano felici.
Ben e Beverly partirono insieme per un viaggio lontano da Derry, con la consapevolezza che mai più avrebbero rimesso piede in quella città maledetta.
Mike riprese il suo lavoro come bibliotecario a Derry, per qualche motivo si sentiva legato a quella città, come se si sentisse in dovere di difendere quella piccola cittadina tanto dannata.
Eddie, invece, tornò a casa propria, ma non riuscì più a guardare sua moglie, Myra, ma non riuscì più a guardarla come prima, la sentiva diversa, estranea, leggeva nei suoi occhi una folle consapevolezza, come se anche lei sapesse.
In un tempo forse fin troppo breve, tutti iniziarono a dimenticare Derry, dimenticare It e tutto ciò che aveva fatto loro, sembrava quasi che tutto stesse tornando normale, migliore degli ultimi ventisette anni appena passati.
Eppure Eddie, seppur senza ricordare gli avvenimenti con precisione, come se fosse stato tutto nascosto da una nebbia fitta e fredda, ricordava perfettamente Richie.
Richie e le sue battute, i suoi comportamenti soliti, il suo gusto preferito di gelato e i su che lato del letto preferiva dormire.
Aveva dimenticato il suo cognome, ma non la sua voce, non il suo viso.
Senza accorgersene, Eddie, aveva iniziato a comportarsi come lui.
Le battute sarcastica rivolte a Myra e a tutte le persone che conoscevano, gli occhiali, portati leggermente storti sul naso, le camicie dalle fantasie particolari che non aveva mai indossato prima.
Myra lo aveva visto, quel cambiamento, ma lo amava troppo per lasciarlo.
Eddie non si era accorto di esser cambiato, ma sentiva la mancanza di qualcosa, qualcuno, che cercava di colmare con quei comportamenti e con Myra stessa.

 

 

 

Note:
Sono consapevole del fatto che questo ultimo capitolo non è per nulla coerente con il finale del libro, ma far andare tutto com'era andato nel libro mi sembrava... Non so, banale, ecco.
Quindi ho preferito cambiare ma tenendo alcuni tratti narrati nell'originale.
Ad esempio Eddie usa il proprio inalatore contro uno degli occhi di It, Richie (e non Eddie) muore perché gli viene strappato il braccio nelle fogne, tutti si dimenticano di Derry dopo aver sconfitto It e Eddie (e non Richie) inizia a comportarsi (per certi versi) come l'amico/partner morto.

Spero vi sia piaciuta questa storia che è giunta al termine.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3885617