Without Words

di Minako_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Consapevolezze ***
Capitolo 3: *** Sangue ***
Capitolo 4: *** Cambiamenti ***
Capitolo 5: *** Ricordi ***
Capitolo 6: *** Chiarimenti ***
Capitolo 7: *** Addii ***
Capitolo 8: *** Attese ***
Capitolo 9: *** Verità ***
Capitolo 10: *** Loro due ***
Capitolo 11: *** Incubi ***
Capitolo 12: *** Distrazioni ***
Capitolo 13: *** Abitudini ***
Capitolo 14: *** Week-end ***
Capitolo 15: *** Sguardi ***
Capitolo 16: *** Incomprensioni ***
Capitolo 17: *** Scuse ***
Capitolo 18: *** Autocontrollo ***
Capitolo 19: *** Lividi ***
Capitolo 20: *** Imprevisti ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


WITHOUT WORDS.
prologo.

Sonoko Suzuki fissò con attenzione i ragazzi agli estremi del tavolo. Inarcò un sopracciglio, cercando di sforzarsi per capire quale fosse il problema.
Ran Mouri, la sua storica migliore amica, stava mangiando il suo pranzo con sguardo basso, fissando un punto imprecisato del tavolo, le gote lievemente arrossate.
Shinichi Kudo, fidanzato della sua amica da almeno otto mesi ma tornato da un momento all’altro da sei, fissava il suo riso saltato come se avesse dovuto trovarci dentro chissà cosa.
Tutto ciò, nel più totale silenzio.
Sonoko buttò giù il boccone di salmone che aveva appena messo in bocca, cercando di capire cosa stesse accadendo, rielaborando velocemente nella sua testa l’ultimo giorno trascorso.
Appena il giorno prima tutto si era svolto come consuetudine; Ran era arrivata a scuola a fianco di Shinichi, che come ogni mattina era passato a prenderla a casa prima di dirigersi verso scuola. Fin qui, tutto normalissimo: lo faceva anche prima di fidanzarsi con lei.
Arrivavano sempre ridendo o chiacchierando, in realtà solo all’occhio attento di Sonoko le cose erano cambiate: sembravano gli stessi amici di sempre. Non erano soliti, seppur dopo la dichiarazione di Shinichi a Londra, il bacio scoccato dalla sua amica in gita e perfino il vero e proprio bacio avvenuto tempo addietro alla festa della fioritura dei ciliegi, fare troppe effusioni in pubblico, causa la loro timidezza cronica. Ma agli occhi di Sonoko non erano passate, negli ultimi quattro mesi, giochi di sguardi con annessi sorrisetti sognanti, o sfiorarsi di mano quando qualcuno non li guardava.
Tutto molto carino, insomma. Fino al giorno prima.
Perché quella mattina, senza un apparente motivo, tutto si era trasformato. Erano arrivati insieme, ma con delle espressioni strane. Lei perennemente rossa in viso, lui con lo sguardo sempre rivolto altrove. Erano arrivati in silenzio, senza guardarsi nemmeno in faccia, e ciò era durato per tutta la mattinata di lezione.
Niente scambio veloci di sguardi, di sorrisi imbarazzati, nessuno gesto affettuoso nascosto.
Niente di niente.

Sonoko mise in bocca un altro boccone, sentendosi decisamente a disagio. Il loro mutismo la stava travolgendo, creandole imbarazzo.
In quel momento, Ran fece per prendere il sale posto dinnanzi a lei sul tavolo, gesto che fece nel medesimo istante Shinichi. Quando senza volere le loro mani si sfiorarono, entrambi sobbalzarono, si fissarono, e diventarono paonazzi.
« S-scusa » balbettò Ran.
« No, no prendilo pure » ribatté Shinichi avvampando. Tornarono entrambi al loro pranzo, distogliendo lo sguardo.
Sonoko non ne potè più.
« Scusa, Ran, mi faresti dare un’occhiata ai tuoi appunti? Ho come l’impressione di aver perso un passaggio della lezione di ieri ».
Evidentemente non ne potevano più nemmeno loro, perché Shinichi tirò un sospiro di sollievo quando la sua ragazza si alzò di scatto, dimenticando perfino il pranzo, per correre dietro alla sua amica fuori dall’aula.
Una volta tornate nella classe vuota, Ran prese respiro, sollevata.
« Ma che problema avete, si può sapere?! Ieri occhi a cuoricino ed oggi?! » esclamò Sonoko, sedendosi sul suo banco. Ran la fissò di sottecchi, porgendole il suo quaderno. L’amica la guardò un attimo disorientata, poi glielo scostò.
« Ma che mi frega degli appunti, volevo solo sapere cosa diavolo sta succedendo. E poi non sopportavo più quel silenzio imbarazzante! » fece spallucce, mentre Ran la guardava con in mano il quaderno penzolante.
« Avete litigato? » incalzò la biondina, incuriosita. Ran deglutì.
« No… ».
« Ti ha detto qualcosa di brutto? »
« Ma no! ».
« Non ti piace più?! »
« No, no assolutamente. Lui è perfetto, davvero » Ran nascose il rossore abbassando ancora di più il viso.

Effettivamente, pensò, era proprio così.
Erano finiti gli anni dei battibecchi di quando erano bambini, le litigate insensate della loro adolescenza, perfino i pianti per la sua lontananza.
Da quando Shinichi Kudo era tornato nella sua vita, tutto era cambiato in un modo che non avrebbe mai neppure lontanamente immaginato.
Fece una smorfia. “Tornato”.

In realtà, non se ne era mai andato. Lo aveva scoperto quel grigio pomeriggio di sei mesi prima, con le mani legate dietro la schiena e un fazzoletto in bocca, mentre un uomo vestito di nero infilava quella strana pastiglia in bocca a Conan. Il suo Conan.
Dovevano appurare si trattasse di lui, di Shinichi. Così, fra l’incredulo e lo spaventata, aveva visto Conan essere colto da spasmi incontrollati, dolori così lancinanti che le erano venute le lacrime agli occhi. Da lì in poi, il vuoto. Tutto ciò che era accaduto dopo, la trasformazione, lo sguardo colpevole in quei occhi blu, l’avvento rumoroso della polizia, era tutto cessato quando aveva sentito urlare il suo nome come una voce così agghiacciata che ancora dopo tutto quel tempo le faceva venire un brivido lungo la schiena.
Shinichi l’aveva urlato, con uno strazio così profondo, che per qualche secondo non aveva nemmeno capito cosa stesse accadendo di così tragico. Si chiese perché avesse strillato così, perché lei non avvertì nulla.
Si rese conto che qualcosa non andava quando, riprendendosi da un momento di totale caos, si era ritrovata Shinichi addosso, a sporcarle le mani e il petto di sangue, il suo.
Gin, in un ultimo, veloce momento prima di essere ucciso anch’esso niente meno che da suo padre, le aveva mirato alla pancia.
Ciò che aveva colpito, era stata la schiena di Shinichi.

Ran cercò di mandare via quel ricordo, così doloroso, così ancora terribilmente vivido. Tornò a fissare una Sonoko terribilmente confusa, cercando di trovare le parole giuste.
« Ecco, diciamo che ieri è successa una cosa » iniziò il discorso battendo le dita sul banco di fianco a lei, in imbarazzo più totale.
« Ok… » disse lentamente la sua amica, fissandola. « …ma non avete litigato? » ripetè alzando un sopracciglio.
« No, per niente! Anzi… » Ran ormai aveva la voce che tremava.
« Dopo scuol- »
La campanella suonò, interrompendola.
« Senti, ne parliamo dopo, ok? » abbassò la voce, mentre ritornavano in classe i loro compagni. Velocemente, tornò al suo posto.
Sonoko, fra il frastornato e il dubbioso, la guardò mentre lanciava occhiate nervose alla porta, per poi veder far capolino sul suo viso un rossore incontrollabile. La biondina si girò e vide Shinichi sulla porta, entrare a testa bassa e dirigersi senza guardarla al suo posto. Esausta, alzò gli occhi al cielo, prendendo posto anch’essa.
Io non li capirò mai.

***
 

Con grande sollievo per la curiosità di Sonoko, l’ultima campana suonò, e in fretta e furia ripose tutto nella sua cartella. Si girò per parlare con Ran, ma quest’ultima era ancora seduta suo banco, Shinichi di fronte a lei che si fissava i piedi.
« Vado con Sonoko a fare merenda » la sentì dire con voce incerta.
« Ah ok, allora ci vediamo domani » rispose lui in fretta.
« S-sì » replicò lei, lanciandogli un’occhiata. Lui anche la guardò finalmente, e per un attimo a Sonoko parve che volesse sporgersi per darle un bacio sulla guancia. Ma quando si sporse verso Ran, notò che lei si era agghiacciata, e al quella reazione lui si ritrasse indietro.
« Beh, allora, ciao… » sussurrò con una nota di tristezza misto imbarazzo, per poi darle le spalle e, con un cenno a Sonoko, uscire dall’aula.
« Ti giuro che questa davvero non la sto capendo » affermò sinceramente colpita Sonoko.
« Non eri così nemmeno quando era lontano » sentenziò, mentre nel totale silenzio Ran sistemava le sue cose nella cartella.
« Ti giuro, ci ho pensato per tutta la mattina, ma se non ci hai litigato, non ha fatto niente di male, tu lo ami ancora come una adolescente alla prima cotta » nel dirlo aveva alzato mano a mano le dita, con fare pensieroso.
« Cioè, cosa può essere successo? Tuo padre lo ha minacciato di morte? » rise. Ran la fulminò con lo sguardo.
« Ah » disse Sonoko. « Centra tuo padre? » riprovò. Ran sospirò.
« Senti, andiamo a mangiare qualcosa. Il pranzo di prima neanche l’ho finito ».
Terribilmente curiosa, Sonoko si morse la lingua per evitare di continuare con i suoi sproloqui.

Il tragitto dal Liceo Teitan al loro bar preferito le parve infinito.

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Capitolo 2
*** Consapevolezze ***


WITHOUT WORDS.
consapevolezze.
 

Una Sonoko molto impaziente fissò la sua amica senza proferire parola, mentre questa giocherellava con una fetta di torta alla frutta ormai ridotta ad una poltiglia. Erano sedute nel loro locale preferito da almeno mezz’ora, ma Ran ancora non si era pronunciata.
Sonoko ne aveva abbastanza.
« Quindi? » iniziò impaziente. Ran distolse lo sguardo dal suo dolce, e la guardò.
« Hai intenzione di raccontarmi oppure no?! » sbottò infine, esasperata. Ran sbuffò, con le gote che si tingevano lievemente di rosa.
« Non è proprio semplice spiegarlo » ammise.
« Io me ne vado » esclamò Sonoko, e fece per alzarsi, quando una mano la bloccò. Si voltò, sorridendo interiormente. Forse a quel punto Ran si sarebbe decisa.
Si voltò e vide la sua migliore amica con gli occhi sgranata, tenendo la presa ben salda al suo braccio, semi sporta verso di lei.
« Ok, va bene » soffiò, per poi risedersi. Sonoko prese di nuovo posto dinnanzi a lei, aspettando.
Ran sospirò, e iniziò a raccontare.

 

24h prima…
 

« Dov’è tuo padre? » chiese curioso Shinichi, entrando nello studio dell’Agenzia investigativa Mouri. Si guardò intorno, e non vedere il suo caro Oji-san alla scrivania con una bella birra in mano quasi stonava in quell’ambiente divenuto per lui così familiare.
« Mi ha detto che aveva da sbrigare dei fogli in centrale » rispose Ran, buttando la cartella distrattamente sul divano.
« Sono letteralmente terrorizzata per il compito di venerdì » disse affranta, passandosi una mano sul viso preoccupato.
« Ma smettila » ribatté Shinichi, allungando il collo per leggere dei fogli che Kogoro aveva lasciato sul tavolino. A quanto pare in quel periodo se la stava cavando anche senza di lui.
« Uff » sbuffò Ran, dirigendosi al tavolino, per poi estrarre dalla sua cartella due grossi tomi e vari fogli di appunti scritti fitti fitti. Shinichi si voltò, e sorrise alla vista della sua ragazza. Come poteva essere spaventata da un banale compito in classe, dopo tutto ciò che avevano affrontato sei mesi prima?
A volte invidiava come Ran aveva reagito e affrontato tutta la situazione, con una forza che lui non poteva vantare di possedere. Spesso gli capitavano dei flash a occhi aperti, e doveva sforzarsi con tutte le sue forze per non lasciare che il panico si impossessasse di lui. Eppure, almeno all’apparenza, la sua ragazza non pareva così fragile, così debole. Gli dava fastidio, doveva ammetterlo. Ma erano ormai rare le notti in cui non si svegliava in un lago di sudore, con incubi ricorrenti e quella maledetta cicatrice sulla schiena che gli pulsava. A volte pensava fosse solo nella sua testa, che in realtà non era tanto dal lato fisico quanto da quello mentale che stava patendo. Ma ovviamente raccontarlo a Ran era fuori discussione; aveva sofferto già abbastanza.
Stette quindi al gioco, e si buttò sul divano a fianco a lei, prendendo in mano alcuni fogli che precedentemente lei aveva preso dalla cartella. Inutile dire che era rimasto indietro con così tante materie che faticò a capire di cose stessero parlando gli appunti presi diligentemente dalla sua ragazza, e men che non si dica si distrasse senza neanche accorgersene. Il suo sguardò vagabondò annoiato per la stanza, per poi soffermarsi di sottecchi su Ran.
Quando era diventata così estremamente bella?
Lo è sempre stata, pensò di istinto. Ma ultimamente nei suoi confronti sentiva una tale scarica da non riuscire a controllarsi. Era quasi fastidioso e doloroso trattenersi dal prenderla e stritolarla, ma non poteva certo fare una cosa del genere.
Oltre ad essere sconveniente, non voleva certo passare per pervertito. Deglutì, rosso in volto. Che quei ormoni fossero colpa del tempo perso mentre era un bambino? Si era perso qualche passaggio adolescenziale mentre era Conan? Si vergognava perfino a pensarci. Eppure prima di rimpicciolire riusciva a mantenere una dignità, ma ultimamente, pensò bene, era molto difficile. Non riusciva più a vederla con occhi chiari, ogni volta si soffermava in zone che prima non si sognava nemmeno lontanamente di fissare. Eppure accadeva sempre più spesso, e ringraziò il cielo che lei non se ne fosse mai accorta.
Prima vedeva Ran, la sua amica, carina, dolce, ma la sua amica. La bambina che gli stava sempre appiccicata, la ragazzina pacata che giocava con lui a nascondino, la ragazza che sembrava quasi un maschiaccio.
Da quando si era trasformata in una donna?
Non la riusciva più a vedere così, da quando era tornato. Sbuffò, cercando di scacciare certi pensieri, non accorgendosi che la ragazza al suo fianco lo stava fissando di sottecchi anch’essa.
Da quando Shinichi era tornato nella sua vita, Ran si sentiva strana. Molto, molto strana.
Nei suoi confronti.
Aveva sempre avuto quel fisico longilineo? Quella altezza a sovrastarla? Quella spalle larghe, quei ciuffi ribelli sugli occhi?
Ran deglutì. Averlo così vicino non era mai stato un problema, né durante l’infanzia, né prima che la trasformazione in Conan cambiasse tutta la loro vita. Prima era normale per lei averlo accanto, stuzzicarlo, prenderlo in giro. Tutto era concesso, quando erano amici.
Ma da quando, in gita, si erano messi insieme e dopo la lotta all’Organizzazione, lei non capiva perchè, tutto era cambiato. Averlo vicino le faceva scendere dei lunghi brividi lungo la schiena, e si chiese se fosse sempre stato così dannatamente bello.
Lo guardò meglio. Era seduto mollemente sul divano, a fissare quei maledetti appunti.
Forse, lo stava guardando davvero molto meglio, perché Shinichi si rese conto dei suoi occhi puntati sul suo profilo, e si voltò a guardarla a sua volta.
Prima, l’avrebbe presa in giro. Le avrebbe tirato un pugnetto, chiedendole se si fosse imbambolata. L’avrebbe trattata come una amica.
Ma quando i loro occhi si incrociarono, rimasero a guardarsi per un tempo infinito.
Shinichi sentì quella sensazione di volerla per sé così forte che irrigidì tutti i muscoli per evitare di fare gesti compromettenti.
Stavano insieme, certo.
Lei gli aveva scoccato un bacio sulla guancia, e più avanti gliene aveva dato uno sulla bocca, durante la festa dei ciliegi in fiore.
Lui spesso quando erano soli giocherellava coi suoi capelli distrattamente, mentre guardavano un film.
Lei gli prendeva la mano, quando era certa che fossero soli.

Per non parlare di ciò che era accaduto in biblioteca settimane prima... no, quello era davvero troppo da rivangare, perciò scacciò prepotentemente quel ricordo dalla sua testa, avvampando.
No, erano entrambi davvero troppo, esageratamente timidi.
Erano stati amici per così tanto tempo, che altri gesti sarebbero stati difficili da sostenere. Erano andati avanti così per sei mesi, tanto che per i loro compagni di classe poco era cambiato esternamente. Sembravano gli amici di sempre, non sembravano neanche fidanzati.
Non capivano quanto fosse difficile, già lo era per il giapponese medio esternare affetto, figurarsi per loro.
Deglutirono.
Che fosse difficile esternarli, tuttavia, non voleva dire che non sentissero l’esigenza di altro. Ma chi avrebbe fatto la prima mossa, era un mistero.
Almeno, fino a quel momento.
Ran non seppe dire cosa sentì, ma la vista di Shinichi che la guardava con quello sguardo, le diede coraggio. O incoscienza, non seppe spiegarselo nemmeno a lei.
Di slancio, e col cervello momentaneamente in tilt, si sporse verso di lui, sedendosi in ginocchio sul divano al suo fianco. Gli prese il viso fra le mani, e lo baciò a stampo sulle labbra. Lui ricambiò dopo un attimo, interiormente felice come solo lei riusciva a renderlo ultimamente.
Si staccò leggermente, sentendosi totalmente inebriato dalla sua vicinanza. Non sapeva che in quel momento il cervello di Ran, a sentire le sue labbra contro le sue, perse l’ultima razionalità rimasta.
Ritornò a baciarlo, con delle fitte di adrenalina che le pervasero il corpo e la mente, lasciandola così intontita che chiuse gli occhi e si lasciò totalmente a lui. Shinichi, sentendola rilassare così tanto, la prese di istinto come per non farla cadere. La tenne saldamente, per poi accarezzarle la schiena mentre lei continuava a baciarlo.

Basta, pensò Shinichi. Stai esagerando, si ripetè. Forse.
Senza rendersene conto fece scivolare una mano dalla schiena alla coscia, per poi accarezzargliela. Ran rabbrividì, ma non ci fece caso.
In un altro momento, nel passato, gli avrebbe assestato un bel calcio nei denti. Ma non  gliene importava niente in quel momento.
Se era sbagliato. Se erano nel salotto di casa sua. Se erano piccoli, imbranati. Se lui era Shinichi, e così da lui non si era mai fatta toccare.
Stiamo insieme, si ripetè nella testa. E’ normale, si fece forza mentalmente.
Fece scivolare le mani che fino a quel momento erano rimaste sul suo viso, per andarsi a posizionare su suo petto.
Dannazione, da quando aveva quei muscoli. C’erano sempre stati? Perché ora improvvisamente il suo fisico era così importante?
Gli accarezzò il petto, e non seppe come, iniziò a sbottonargli la camicia, allentandogli prima la cravatta della divisa.
Il bacio casto, dolce, che gli aveva regalato per prima, ormai non esisteva più. Shinichi si era imposto su di lei, mosso da un coraggio sconosciuto, e mentre con una mano continuava ad accarezzarla una coscia, l’altra salì sulla sua pancia.
Si sentiva improvvisamente così liberato, così felice.
Tutto quel tempo rinchiuso in un corpo non suo, quel maledetto corpo che non gli aveva mai permesso di poterla tenere a sé in quel modo. Ma ora poteva, si disse. Quasi la stava usando come giustificazione per ciò che stava accadendo. E non si costrinse a fermarsi, specialmente quando sentì le dita di Ran sulla sua pelle, la camicia sbottonata a metà.
Il suo cervello, così razionale, si perse completamente, quando infine una sua mano sfiorò il petto della sua ragazza. Lei sussultò a quel tocco, e lui si immobilizzò, aprendo finalmente gli occhi.
Aveva esagerato.
Ma dopo essersi guardati con espressione confusa, qualcos’altro li costrinse a terrorizzarsi totalmente.
« Ma certo Megure! Venga pure, facciamoci una birretta fresca! Ce la meritiamo! ».
Le urla di Kogoro si risvegliarono totalmente dal momento offuscato di poco prima. Ran rimbalzò lontana da Shinichi, cadendo quasi dal divano. Si guardò, e si sentì in imbarazzo come mai prima.
Aveva la gonna così tirata su da lasciar intravedere davvero troppa coscia, e la camicetta tirata fuori da quest’ultima era ancora stropicciata dove Shinichi aveva lasciato scivolare la mano. Se avesse potuto, si sarebbe seppellita viva.
Si alzò in piedi, aggiustando il salvabile, mentre al suo fianco, in silenzio, Shinichi stava cercando di richiudersi la camicia.
In quel momento, la porta si aprì, rivelando un Kogoro già bello arrossato, segno che prima di arrivare lì aveva già fatto qualche tappa intermedia di birra. Dietro, l’ispettore Megure che non aveva molta voglia di accompagnarlo in questo suo tour alcolico, ma che si era sentito costretto dall’accompagnarlo a casa, vista la piega assunta quel pomeriggio dall’amico investigatore.
« Papà » esclamò Ran, prendendo in mano i libri come a mò di scusa. Kogoro si voltò a guardarla, per poi fare una smorfia quando, con lo sguardo un pò velato, si accorse di Shinichi, ora in piedi a fianco di sua figlia.
« Figliola, che fai? Studi? » chiese. Ran non sapeva bene cosa fare, così guardò di istinto Shinichi, per poi rabbrividire quando si rese conto di come era conciato. Nel fare in fretta, aveva saltato un bottone della camicia. Notando lo sguardo sbigottito di Ran, Shinichi si guardò a sua volta, sbiancando. Erano entrambi in uno stato così chiaro, che solo la semi sbornia di Kogoro li salvò ai suoi occhi, ma non a quelli di Megure che, quando li notò rossi, spettinati, e coi vestiti stropicciarti, arrossì a sua volta…

 

***
 

Sonoko aveva la bocca ancora aperta, quando Ran terminò di raccontare. Era rossissima, quasi sudava. Ma era finalmente riuscita a rivelarle il motivo dell’imbarazzo di quella mattina fra lei e Shinichi. Si sentì così sbagliata e in ansia che non osò fissare la sua amica.
Chissà cosa penserà di me, pensò.
Ma ciò che non sapeva, era che Sonoko stava esultando interiormente.
FINALMENTE QUEI DUE.

Era così felice che sorrise a trentadue denti, e si lasciò andare ad un urletto di gioia. Ran sobbalzò, guardandola con gli occhi lucidi.
« Oh, Ran » disse Sonoko, quasi commosa. « La mia Ran » ripetè orgogliosa.
« Tu… » cominciò Ran in imbarazzo.
« Io » sottolineò Sonoko « Non vedevo l’ora arrivasse questo momento! » quasi urlò, facendo girare parecchi clienti del bar a fissarle.
« Ma cosa dici?! » Ran ormai rasentava il bordeaux.
« State insieme da otto mesi, Ran! Carini i bacetti, ma ormai basta, su! Avete diciotto anni! » rise.
« E siete così imbranati da non parlarvi per esservi un pò toccati? ».
« ABBASSA LA VOCE! ».

Sonoko rise fragonosamente, sorseggiando il suo succo di frutta.
« Siete assurdi, davvero ».
« Quindi, secondo te non c’è niente di sbagliato? » Ran era nervosa.
« Si, c’è di sbagliato che non l’avete fatto prima ».
Sonoko rise nuovamente, quasi esaltata. Solo quei due potevano essere così imbranati, davvero. Ed estremamente lenti.
« Cavolo, Ran! Vi conoscete da sempre, vi amate da sempre, già ci avete messo una vita a dirvelo, non vorrai metterci una vita anche ad andare “oltre” » le fece un sorrisetto malizioso.
« Ma io, ecco » balbettò Ran. « Non so se lui vuole » concluse.
Sonoko strabuzzò gli occhi. Era un caso senza speranza.
« Ran » iniziò lentamente. « Si è preso una pallottola nella schiena, per te ».
Lo stomacò di Ran si chiuse. Al solito ripensarci, le veniva da vomitare.
« Credi che non ti ami abbastanza? ».
« Sì, lo so che mi vuole ben- ».
« AMARE RAN, lui ti ama » la corresse dolcemente Sonoko. Ran deglutì.

Ti amo.

La voce di Shinichi le riecheggiò nella testa. Glielo aveva detto, così, a bruciapelo, quando si era risvegliato dopo l’intervento. Poi, in realtà, da quel giorno non glielo aveva più sentito pronunciare, quindi talvolta non le sembrava neanche vero che glielo avesse detto una volta.
« Beh, so che mi ama » era difficile perfino ammetterlo a voce alta « Ma è diverso l’altro discorso… » iniziò titubante. Sperò che Sonoko capisse a cosa alludesse senza doverlo spiegare, era troppo imbarazzante. Ovviamente, la sua amica capì bene.
« Ran » disse esasperata, alzando gli occhi al cielo.

« Pensi che lui non si attratto da te? ».
Ran si fissò le scarpe.
« O cielo! Ma ti sei vista? Ti sei mai lontanamente vista allo specchio?! » sbuffò Sonoko.
« E, fammelo dire, Shinichi è un essere umano. Un uomo, Ran. Con delle pulsioni, e non solo, spero, per i cadaveri! » concluse.   
Ran fece un sorrisino. Era davvero così? Shinichi era attratto da lei, come lei lo era da lui, specialmente nell’ultimo periodo?
Una nuova consapevolezza di sé la travolse, rendendola improvvisamente sicura di se.
« Dovrà accadere prima o poi » riprese Sonoko.
« Siete fidanzati, e anche se in questo paese nessuno lo ammette, i fidanzati fanno queste cose ».
Era normale sentirsi così. E, se l’aveva ricambiata, e toccata, anche lui la voleva.
Ran sorrise, con gli occhi lucidi.

Non erano più, decisamente amici.

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Capitolo 3
*** Sangue ***


WITHOUT WORDS.
sangue.
 

Parlare con Sonoko le aveva fatto davvero bene. Improvvisamente, la verità l’aveva travolta così prepotentemente che non poteva che sentirsi felice.
Sorrise, arrossendo un poco, mentre si fermava al semaforo rosso. Dondolò sul posto con una scarica di entusiasmo a travolgerle l’animo.
I fidanzati fanno così, Ran.
E’ normale! Altrimenti, sareste ancora solo amici!

La voce di Sonoko le rimbombava nelle orecchie. Rise da sola, attirando l’attenzione delle persone accanto a lei.
Sospirò, e quando il semaforo divenne verde attraversò la strada.
In quel momento, incrociò però due occhi di ghiaccio, fissarla mentre le passava accanto.
« Ciao » disse la voce infantile della bambina al suo fianco. Ran annuì, ricambiando il saluto.
Nel vedere Ai Haibara passarle al suo fianco, o meglio, Shiho Miyano, la mente di Ran si perse un attimo. All’improvviso la felicità che l’aveva travolta scemò, e il sorriso di poco prima le morì in viso.
Perché lo stai facendo?
Ran cercò di scacciare le nuove, prepotenti parole che le tornarono alla mente. Ma invano. Il viso di Shiho Miyano le si parò dinnanzi nella testa, così nitido, così forte.
Anche tu lo ami, no?
Scosse la testa. Non aveva voglia di ripensarci, decisamente no. Doveva pensare ad altro, e mentre evitava accuratamente di farsi notare da Ayumi, Genta e Mitsuhiko che correvano dietro ad Ai, prese una scorciatoia per tornare a casa. Una volta rimasta da sola in un vicolo poco trafficato, si appoggiò alla parete, prendendo fiato.
Si, è così.
Deglutì. Nauseata riprese a camminare. Ormai il ricordo della chiacchierata con Sonoko era lontano, e non le provocava più alcun entusiasmo. Ogni volta che le capitava di incrociare quella ragazzina, tutti i ricordi di sei mesi prima la investivano così prepotentemente da lasciarla senza fiato.
Non lo aveva mai detto a Shinichi, quanto in realtà tutta quella situazione l’avesse cambiata nel profondo. Non poteva, non doveva. Ne aveva passate abbastanza, ma a volte si svegliava nel cuore della notte, alla ricerca di conforto, e non trovare nessuno con cui sfogarsi era ancora peggio. Sorrise amaramente.
Conan le mancava. Non poteva immaginare che potesse mancarle così tanto. Sapeva bene la verità, ma avere Conan e pensare fosse il suo tenero fratellino, l’aveva fatta sentire per così tanto tempo al sicuro che ora risvegliarsi nel cuore della notte sola era un’improvvisa e terribile realtà.
Riavere Shinichi, perdere Conan.
Era davvero assurdo pensarci. Per di più essendo consapevole che fossero la stessa persona. Sbuffò.
Non voleva ripensarci, davvero. Riprese a camminare, e senza accorgersene si ritrovò a casa, stremata dalla lunga giornata. Salì le scale e neanche si affacciò nell’agenzia di suo padre: voleva andare a distendersi.
Aprì la porta di casa sua, si tolse le scarpe e si trascinò in camera. Si buttò senza forze sul letto, e con la testa che le martellava, si addormentò...
 

***


Sangue. Un corpo addosso a lei. Grida in lontananza. Sangue.

Ran strabuzzò gli occhi, sorpresa e confusa, mentre tentava di tenere su quel corpo così terribilmente pesante. Quello stesso corpo che le si era parato di fronte, tenendola per i fianchi, per un tempo che le parve infinito.
Calore. Qualcosa di caldo le stava scivolando addosso, tanto caldo e nello stesso momento viscido.

Un gemito. Ancora un altro.
Ritornò in sé quando sentì Shinichi iniziare a tossire, e finalmente i suoi occhi misero a fuoco.
Il peso che sentiva era lui.
I gemiti che sentiva uscivano dalla sua bocca.
Il calore che sentiva, era il suo sangue, che traboccava da non seppe dirsi qualche parte del suo corpo.
I loro occhi si incrociano così velocemente che quasi le girò la testa. Shinichi, tossendo sangue, sorrise debolmente. Poi avvicinò le labbra al suo orecchio destro, i loro volti a pochi centimetri di distanza. Un odore di sangue la travolse, facendole venire da vomitare.
« Perdonami »
Non sembrava neanche la voce di Shinichi quella che le sussurrò questa singola parola all’orecchio, prima di lasciarsi scivolare senza più forze su di lei. Ran tentò di tenerlo su, non poteva, non voleva che cadesse a terra. Ma le mani ormai insanguinate non l’aiutarono e il suo corpo le scivolò di mano senza accorgersene.
Shinichi Kudo cadde a terra con un tonfo sordo, come una bambola di pezza, mentre Ran lo fissava ai suoi piedi con sguardo sbarrato, le mani insanguinate e il le labbra tremanti.
Un urlo riecheggiò nel magazzino abbandonato, e solo dopo un tempo infinito Ran si rese conto che fosse suo. Lo aveva sentito lontano, rimbombarle nelle orecchie così forte che tutto intorno a lei si fermò.
Si buttò a terra, girò Shinichi col viso all’insù, cominciando ad accarezzarlo. Non capiva, non capiva perché non si svegliasse. Lo stava chiamando, sentiva la sua voce alla orecchie anche se non sentiva più nessuna parte del suo corpo muoversi o parlare.
Lui era lì, con gli occhi chiusi, il sangue che usciva prepotentemente dalla sua schiena, la stessa schiena che aveva preso quella pallottola al suo posto.
Pensò che il tempo si fosse fermato, mentre cercava di fermare il sangue uscire da quella maledetta ferita, le mani ormai rosse scarlatte.
Non seppe dirsi quando Yukiko Kudo si inginocchiò al suo fianco, ma sentì chiaramente le sue urla disperate e altre due mani che toccavano il suo Shinichi.
Era colpa sua.
Shinichi si era preso quella pallottola per difendere lei.
Una improvvisa realtà la colpì così prepotentemente. Era morto per lei. Per lei.
« C’è l’ambulanza! » sentì gridare qualcuno.
« Fatevi in là, per favore! » un'altra voce sconosciuta le arrivò alle orecchie.
« No » mormorò con voce tremante, mentre qualcuno la separava da quel corpo esanime al suo fianco.
« Ran, Yukiko, per l’amor del cielo, lasciate che lo portino via! »
Chi parlava? Si voltò, annebbiata. Oh. Yusaku la afferrò per le spalle.
Yusaku, che era la copia di Shinichi.
Suo figlio.
Per colpa sua ora forse non lo aveva più, un figlio.
Tremava Yusaku, mentre teneva Ran per le spalle e Kogoro afferrava Yukiko sotto shock.
Ran si alzò in piedi, lasciandosi tenere da quest'ultimo, mentre in lontananza le sirene della polizia e delle ambulanze si facevano più forti. Tre uomini si inginocchiarono sul corpo di Shinichi, così immobile, così troppo immobile.
Yusaku lo fissò un’ultima volta, stranamente incapace di parlare. Da che avesse memoria, Ran non aveva mai visto Yusaku Kudo rimanere a corto di parola o perdere la sua proverbiale calma. Ma in quel momento, pareva completamente sotto shock, come tutti loro.
« E' vivo ».
Il suo cuore esultò per poco. Sorrise debolmente, sua moglie che gli lanciò un’occhiata carica di speranza. Si voltò allo stesso modo verso la ragazza che stava tenendo su per le spalle, ma questa non ricambiò alcun sorriso. Ran era imbambolata, come se non stesse capendo cosa stesse accadendo. Deglutì.
« Kogoro, prendi Ran. Ci vediamo in ospedale », disse, mentre Kogoro annuiva e prendeva per la vita sua figlia.
Prendendo per mano sua moglie, la fissò.
« E’ forte », disse con la bocca asciutta.
« Lo so », ribatte lei con le lacrime che silenziose le rigavano il volto.
Come riuscì a guidare dietro quella ambulanza impazzita, non lo seppe mai. Ma in meno di trenta minuti, si ritrovò in ospedale.


Lo stavano operando. Era ancora vivo.
Yukiko sospirò, le braccia di suo marito a cingerle la vita. Si guardarono in silenzio, non pronunciando una parola.
Il loro bambino.
Erano così tante le informazioni da assimilare che avevano entrambi un forte mal di testa. Erano passate tre giorni da quando l’FBI li aveva chiamati a Los Angeles, avvisandoli che loro figlio era stato tratto in inganno nel quartier generale della associazione mafiosa più invisibile e sanguinosa del Giappone. Di corsa avevano preso quel dannato aereo, e avevano partecipato in prima persona all’assalto da parte delle forze speciali in quel vecchio capannone appena fuori Tokyo. Sapevano bene che loro figlio era rinchiuso li dentro da già quattro giorni, e cosa fosse successo non potevano nemmeno lontanamente immaginarlo.
Non potevano immaginare che Conan fosse finito lì per puro caso, insieme a Kogoro e Ran per un invito alquanto singolare. Un invito, come si accorse solo quando ormai era tardi, che non era altri che una trappola. L'avevano praticamente subito sedato, perciò presto perse il senso del tempo, mentre loro gli prelevavano dei campioni di sangue senza che potesse realmente opporre resistenza. Così si ricordava solo alcuni flash, alcuni dei quali che ritraevano Ai, la quale nei rari attimi di lucidità gli aveva spiegato come l'avessero anestetizzata davanti casa e portata via senza che il dottor Agasa se ne accorgesse. Fu così che trascorse quei lunghi giorni, finchè ad un certo punto lo avevano sbattuto in una stanza con Ran, solo ed esclusivamente per il loro sadico divertimento. I loro dubbi erano fondati, così senza tanti preamboli gli avevano dato quel prototipo di antidoto per appurare con assoluta certezza che quel moccioso altri non fosse che Shinichi Kudo.
Yukiko e Yusako Non sapevano che Conan si era trasformato, così, dinnanzi a quella ragazza sotto shock, che quest’ultima, una volta tornata in se, aveva iniziato a piangere così forte, a urlare che lo odiava, che per lei era morto.
No, non lo sapevano. Lo sapevano solo Shinichi, Ran e lei.
Quella stessa ragazza che gli andò incontro, con una andatura che non lasciava trasparire alcun tipo di paura o insicurezza, quel caschetto così terribilmente composto anche dopo gli ultimi due giorni passati sotto atroci torture.
Sherry aveva assistito a tutto. Anche a lei avevano dato quella pastiglia, spacciandola per antidoto. Ma lei sapeva bene quanto non fosse niente del genere, se non una blanda pastiglia che momentaneamente le avrebbe ridato il loro corpo.
Glielo aveva anche sputato addosso, a quella ridicola ragazzina che aveva preso il suo posto nel reparto chimico, quanto facesse pena quella specie di antidoto. Lei da sola, nel corpo di una bambina, era riuscita nella sua cameretta a crearne di migliori. In risposta le era arrivato un pugno allo stomaco, che le aveva fatto mancare il respiro e fatto sputare la saliva.
Si fermò a fissare Yusako e Yukiko.
« E’ vivo? » si informò con voce neutrale. Yukiko annuì, mentre li raggiungevano anche Eri e Kogoro.
« Sì, lo stanno operando ora », rispose a voce bassa.
« Chi è rimasto laggiù? », solo in quel momento la sua voce ebbe un tremito.
« L'FBI, la CIA, il dipartimento di polizia ed Hattori-kun... appena ha saputo di Shinichi, è corso da Osaka », spiegò lentamente Yusaku con voce grave.

Shiho tirò un sospiro di sollievo, e sentì di poter tornare a respirare. Da quando aveva visto Shinichi correre, ed essere colpito da Gin, aveva smesso di respirare.
Riprese compostezza, e si guardò intorno. All’improvviso, un lampo le attraversò la mente.
« Dov’è Ran? ».
I presenti caddero tutti dalle nuvole, cominciando a guardarsi intorno. Shiho fissò i volti confusi dei presenti, e, impaziente, cominciò a guardarsi intorno e camminare a passo spedito. Quasi corse, finché non la vide.


Ran era seduta negli ultimi posti della sala d’attesa vuota, le gambe al petto tenute su dalle braccia tremanti. Lo sguardo perso nel vuoto, i capelli incollati al viso da sangue.
Tanto sangue.
Troppo.
Tutti la fissarono scolvolti, e l’unica che riuscì a reagire fu Shiho, che lentamente si avvicinò a lei.
Era letteralmente coperta di sangue.
« Oh, Ran », singhiozzò sottovoce Eri, portandosi una mano alla bocca. Fece per avvicinarsi, ma la ragazza bionda la bloccò.
« Voi state qui, e fateci sapere di Shinichi. Penso io a lei ».
Eri non l’aveva mai incotrata, quella ragazza. Ma le parlò con un tono di voce così perentorio che non osò controbattere. In realtà, aveva quasi paura a farlo. Ad avvicinarsi a sua figlia, ricoperta da un sangue non suo, cosa avrebbe potuto dirle? Per la prima volta in vita sua, Eri Kisaki era rimasta senza parole.
Shiho, dal canto suo, si avvicinò a Ran, che si accorse della sua presenza solo dopo alcuni minuti.
« Che cosa vuoi », disse con voce bassa, lo sguardo ancora fisso a terra.
« Devi cambiarti, Ran », disse Shiho.
« Perché dovrei? », finalmente distolse lo sguardo da terra, per guardare con occhi penetranti la ragazza di fronte a lei.
« Non puoi rimanere così », ribatte stizzita l’altra.
« Non mi muovo da qui ».
« C’è un bagno in fondo al corridoio ».
Se avesse potuto, Ran le avrebbe tirato uno schiaffo. La odiava. La odiava così tanto.
Non aveva mai provato un simile sentimento per qualcuno.
Lei lo sapeva.
Lei, sapeva di Conan. E lei, Ran, no.
Perché lei sì? Chi diavolo era? E sopratutto, perché era così dolosamente bella?
Li aveva visti parlare sottovoce, lei e Shinichi. E chissà quanto tempo trascorso come Conan e Ai!
Sapeva bene quanto fosse stupido da parte sua fare la parte della gelosa in quel momento, ma lo sguardo che quella ragazza aveva continuamente lanciato a Shinichi nelle ultime ore non le avevano lasciato il segno di un dubbio.
Lo sapeva, perché quello sguardo era lo stesso che aveva anche lei quando guardava quello stesso ragazzo.
Come faceva male, la gelosia. Rise amaramente.
Shinichi stava morendo, e lei riusciva a pensare solo a quello. Alla gelosia nei confronti di quella ragazza, quella bambina che gliela aveva fatta sotto il naso.
Chissà cosa non sapeva, di loro due ancora.
« Non vorrai che tua madre e tuo padre ti vedano ancora così coperta di sangue, vero? ».
Odiava che avesse ragione, ma quando finalmente guardò oltre Shiho e vide i suoi genitori, le venne il voltastomaco.
Erano bianchi, sporchi, ma sopratutto non riuscivano a sostenere il suo sguardo.
Doveva essere davvero ridotta male. Si guardò per la prima volta le mani.
Erano rosse.
Le venne da vomitare, quando tutto cominciò ad essere lucido nella sua mente.
Era il sangue di Shinichi. Tossì, cercando di trattenere la nausea prepotente che aveva fatto capolino dopo un’ora che era in quello stato, ma non se ne era ancora mai realmente accorta.
« Andiamo », disse perentoria Shiho, trascinandola per un braccio verso il fondo del corridoio. Ran si lasciò fare, troppo debole per poter dire o fare qualcosa.
La guardò meglio.
Era davvero bella. Quante volte aveva chiesto a Conan se si fosse preso una cotta per Ai. Quanto era stata stupida. Probabilmente quella deduzione era stata l’unica giusta in un mare di silenzi e bugie.
Rinvenne dai suoi pensieri solo quando Shiho chiuse la porta alle loro spalle. Fu allora che vide il suo riflesso in uno degli specchi del bagno.

Aveva i capelli incrostati di rosso, il viso sporco e sul petto, dove Shinichi si era appoggiato prima di cadere al suolo, coperto di sangue. Un conato di vomito si impossessò di lei, e prima di rendersene conto iniziò a vomitare nel lavandino.
Shiho corse a sostenerla, mentre si teneva su con le braccia al lavandino.
Le spostò i capelli da davanti il viso, mentre Ran sputava l’ultimo conato che le salì in gola
« Perché lo stai facendo? », biascicò Ran, pulendosi la bocca con la manica della maglia.
« Perché mi stai aiutando? », continuò, rialzandosi e togliendosi le sue mani dal viso.
Shiho la fissò, e Ran sostenne con finta dignità il suo sguardo.
« Ti piace, no? », incalzò Ran. « E allora perché mi stai aiutando? ».
Glielo aveva detto. Doveva sapere, voleva sapere la verità.
Shiho sorrise.
« Sì, è così », sospirò, aprendo l’acqua per ripulire il lavandino con fare disinteressato. A Ran, al sentire quelle parole, tornò da vomitare.
« Ma lui ama te, quindi quale è il problema? », la sua voce era diventata un sibilo, mentre si lavava le mani come se nulla fosse.
« Dimmi la verità », la incalzò Ran, stringendo i pugni.
« Questa è la verità. O pensi che prendersi una pallottola nella schiena per evitare che tu te la prendessi nella pancia non è una dimostrazione d’amore abbastanza convincente per te? ».
 

***
 

Ran si risvegliò si colpo. Si mise a sedere così velocemente che le girò la testa, mentre scombussolata cercava di capire dove si trovasse. Si voltò e vide il tramontò fuori dalla finestra di camera sua.
Si era addormentata. Si portò una mano alla testa pulsante. Di nuovo, aveva fatto di nuovo quell’incubo.
Incubo. Tzè.
Ricordi.
Maledetti ricordi che tornavano così vividi quando meno se ne rendeva conto.
Lentamente il suo fiato tornò normale, mentre cercava di scacciare via quelle immagini.
Altri flash le tornarono in mente.
Shiho che, dopo averla aiutata a ripulirsi e cambiarsi in religioso silenzio, era stata colta da spasmi incontrollati.
La terrificante paura che anche Shinichi in quel momento si stesse trasformando in Conan, davanti a una equipe medica nell’esatto momento in cui lo stavano operando.
La corsa fuori dal bagno, non sapendo bene cosa fare, e invece vedersi il medico, che si avvicinava loro dicendo che Shinichi era vivo per miracolo, ma momentaneamente in coma.
Shinichi, che non era tornato ad essere Conan, mentre Shiho era tornata Ai.
E’ quasi morto dissanguato.
La sua voce glielo spiegò, ora con le fattezze di una bambina di sei anni.
Nel suo corpo l’APTX ormai non penso esista neanche più. Ha perso troppo sangue, e gliene hanno trasferito del nuovo. Non posso confermarlo prima che siano passate altre ventiquattro ore, ma credo che ormai in Shinichi non ci sia più traccia di Conan.

Shinichi era tornato. In coma, semi dissanguato, dissanguato da quello stesso sangue infetto di veleno.
Conan non esisteva più.
E mentre tutti in quella sala d’attesa ormai gremita di persone che dalla televisione erano venuti a conoscenza della disfatta di quella organizzazione malavitosa, e della quasi morte di Shinichi pronto per immolarsi al posto di Ran, scoppiavano in urla di gioia, Ran si voltò verso Ai, uscita da quel bagno con addosso una maglia che le faceva ormai da vestito.
« E tu? », chiese sottovoce Ran, mentre di sottecchi guardava Yukiko abbracciare sua marito.
« Io cosa? », ribatte seccata Ai, incrociando le braccia al petto.
« Tu come farai? », le scocciava chiederglielo, ma si sentiva quasi in debito verso di lei.
« Immagino che lunedì andrò a scuola ».
Ran sgranò gli occhi. Ai sorrise di rimando alla sua espressione stupita.
 

***
 

Ran si alzò dal letto, diretta in cucina. Aveva la gola secca, come se non bevesse da giorni. Prese una bottiglietta di acqua e quasi la bevve tutta. Rivedere Ai quel pomeriggio l’aveva scombussolata, come ogni volta. Tutto l’imbarazzo di quella mattina e del giorno prima, quella vicinanza a Shinichi, era niente al sentore di disagio che provava ogni qualvolta si addormentava e nella sua testa tornavano prepotenti i ricordi di sei mesi prima.
E’ meglio che mi metta a preparare cena, si disse. Fece per guardare l’ora sullo schermo del suo cellulare, e solo in quel momento si accorse di un messaggio inviatole due ore prima da Sonoko, che le continuava a fare i complimenti per il pomeriggio prima. Sorrise, ma presto il suo sorriso le morì in volto. Per un attimo aveva sperato fosse di Shinichi quel messaggio, ma evidentemente non si era ancora osato farsi vivo. Pensò che avrebbe sistemato il suo fidanzato timido il giorno dopo, e si mise a cucinare, l’ultima frase che le rivolse quel giorno Ai a ronzarle in testa…

« Non ho motivo di creare un antidoto, come Shiho non mi rimane niente. Come Ai, ho tutto ciò che mi resta. L’unica cosa che volevo per tornare Shiho, è tua ».

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Capitolo 4
*** Cambiamenti ***


WITHOUT WORDS.
cambiamenti.


« Vorrei parlarti », iniziò Shinichi, la gola secca. La fissò, mentre sentiva il calore imperlargli le guance. Si sentiva davvero un idiota.
Era da quel pomeriggio di due giorni prima che non si parlavano, e per lui iniziare quel discorso appena finite le lezioni era stato davvero difficile. Ma sapeva bene cosa aveva combinato, il perché Ran non gli parlava da così tanto. Lei lo guardò, mentre l’aula si svuotava lentamente e tutti li fissavano ridacchiando.
Quando avrebbero smesso di prenderli in giro?
Esausta da quelle continue attenzioni, portò la sua attenzione nuovamente a Shinichi.
« Dimmi », lo incalzò, mentre sistemava le ultime cose nella sua cartella con fare noncurante, Sonoko sull’uscio della porta che le faceva i pollici all’insù con aria sognante. Rise interiormente.

Quanto era scema a volte.
« Potremmo parlarne… altrove? ».
Ran alzò lo sguardo verso il suo ragazzo. Shinichi era ancora in piedi, l’espressione stranamente seria in volto, le mani in tasca e la sacca da calcio sulla schiena.
Davvero non stava capendo perché da imbarazzo su di loro fosse scesa quell’aurea così seria, ma decise di non darci troppo peso.
« Ehm va bene », ribattè con voce incerta. « Però io ora avrei gli allenamenti, potremmo fare dopo », suggerì.
Shinichi annuì, in evidente difficoltà.
« Facciamo che mi raggiungi a casa mia? », propose il ragazzi, guardandola di sottecchi. « Va bene », rispose tranquilla Ran. Lui in tutta risposta annuì, e velocemente camminò fuori dall’aula.
Ran rimase un attimo interdetta.
Quale era il problema? Era davvero solo quel pomeriggio di due giorni prima?
Si morse un labbro.
Raramente Shinichi era così serio con lei, solo una volta negli ultimi quattro mesi lo era stato. Di nuovo il suo cuore mancò un battito, esattamente come al ricordo della discussione con Shiho tornatole in mente la sera prima.
Abbassò il capo, chiudendo gli occhi.
Cos’è questo?
La voce seria, quasi rabbiosa di Shinichi la tormentò per tutto il tragitto fino alla palestra. Non era mai stato così arrabbiato con lei, mai, nemmeno quando erano ragazzini e discutevano per qualche stupidaggine. Si sentì malissimo al ricordo avvenuto un pomeriggio di tre mesi prima, quando ormai lui era stato dimesso e l’aveva raggiunta a casa per pranzare insieme.
Se solo non gli avesse detto di posare il cappotto in camera sua.
Si maledisse da sola, mentre si cambiava per indossare la divisa da karateka.
Perché hai del cianuro?
Chiuse gli occhi, il senso di colpa opprimente.
Già, perché aveva del cianuro il camera? Quasi se l’era dimenticato di averlo da almeno un mese. Aveva rimosso quando, ancora sotto shock e lui in coma, l’aveva trovato nella tasca di suo padre. Una boccetta piccola, ritrovata su una scena del crimine di tempo addietro e dimenticata nella tasca dell’agente privato, e mai ridata alla centrale di polizia.
Quando Ran l’aveva trovata nella giacca di suo padre, quasi le sembrò un segno divino.
Cianuro.
Semplice, facile.
Shinichi era ancora in coma, dopo una settimana dall’operazione.
E lei, era sola.
Prenderla d’istinto e nasconderla in camera, appena dietro la foto sua e di Shinichi durante la gita le era sembrato quasi naturale.
Se lui non si fosse mai risvegliato, lei lo avrebbe preso.
Semplice, logico.
Ma quando quel giorno Shinichi, guardando quella stessa foto, si era accorto di quella boccetta, ed era andato su tutte le furie.
Non l’aveva mai visto così, rabbioso, fuori di se, mentre camminava a grandi falcate verso di lei in cucina, sbattendo la bottiglietta sul tavolo con cosi forza che il rumore fece sobbalzare Ran…
 

« Cos’è questo? », tuonò Shinichi, il viso rosso di rabbia. Ran si voltò sobbalzando, spaventata. Non si aspettava certo uno Shinichi fuori di sé fissarla con uno sguardo del genere, mentre lei stava scaldando il riso e lui aveva semplicemente portato il suo cappotto in camera sua. Ma quando aveva visto nelle sue mani quella boccetta, avrebbe voluto prenderla d’istinto e non dover dare spiegazioni.
« Ran?! », la fece tornare dai suoi pensieri, impaziente.
« Perché hai del cianuro?! », ripetè rabbioso, guardandola con enfasi.
Ran deglutì, guardandolo.

« Lo aveva mio padre », sussurrò lei. Lui parve non crederle.
« E perché era in camera tua? », chiese impaziente. Ran provò a rispondere, ma non ci riuscì. Fu allora che Shinichi tirò un pugno sul tavolo, e le si avvicinò velocemente, facendola indietreggiare contro il muro. Per la prima ed unica volta nella sua vita, ebbe paura di lui.
« Io-io lo avrei preso », sputò Ran chiudendo gli occhi, quasi aspettandosi uno schiaffo.
Schiaffo che, naturalmente, non arrivò mai. Dopo qualche secondo, trovò il coraggio di riaprire gli occhi e guardare il viso di Shinichi a poca distanza dal suo viso. Lo trovò così meravigliosamente perfetto, ma anche così contratto di dolore.
La stava giudicando, con quegli occhi quasi velati di pietà, e lei si sentì punta sul vivo. Nel silenzio, trovò un pò di forza e tornò a fissarlo con prepotenza.
« Guardami negli occhi », boccheggiò. « Guardami e dimmi che al mio posto non l’avresti fatto anche tu », sputò fuori.
Non seppe tramite che coraggio gli disse quella frase, ma uscì dalla sua bocca prima che potesse rendersene conto. Shinichi sgranò gli occhi, punto sul vivo.
Rimasero così per quella che le parve una eternità, finché lui non l’abbracciò. Dapprima spiazzata, lei ricambiò l’abbraccio, alzandosi sulle punte per raggiungere il suo collo. Da quanto era diventato così alto?
« Non dovevi neanche pensarci », sussurrò Shinichi.
« Se tu fossi morto… », iniziò lei, la voce rotta, le lacrime a pungerle gli occhi.
« Non voleva dire che dovevi morire anche tu ».
Ran si staccò da lui, per poggiare il suo naso contro il suo.
« Guardami, e dimmi che non ci avresti pensato anche tu, al mio posto ».


Ran tornò in se, mentre si allenava con tutta la sua forza per scacciare quel ricordo dalla sua mente. Shinichi non le rispose mai a quella domanda, e finì lì il discorso. Lui si mise in tasca quella boccetta, e Ran non si osò mai chiedergli che fine avesse fatto. Ma se conosceva bene il suo ragazzo, probabilmente l’aveva buttata appena aveva messo piede fuori da casa sua.
L’ora di allenamento finì in fretta, per sua immensa gioia. Quel giorno aveva fatto decisamente pena, ma non le interessava. Voleva cambiarsi velocemente e correre da Shinichi. Quel suo sguardo di poco prima e le sue parole l’avevano messa in allarme.
Velocemente si buttò sotto la doccia e si lavò velocemente. Più il tempo passava, più una leggera ansia le faceva rigirare lo stomaco.
Vorrei parlarti.

Rapidamente uscì, si asciugò, si cambiò e si mise ad asciugarsi i capelli. Diamine, perché li aveva così lunghi!
Dopo quella che le parve una eternità si ritrovò finalmente per strada, i capelli ancora un pò bagnati ma non le importava. Mordicchiandosi un labbro arrivò finalmente davanti casa di Shinichi, si appoggiò al cancello ma lo trovò aperto. Si fece coraggio ed entrò, trovando ancora le chiavi del ragazzo appese alla porta. Lo trovò inusuale che lui avesse certe dimenticanze, ma fece finta di niente. Mise una testa all’ingresso, e lo chiamò, senza ricevere risposta.
Insospettita si tolse in fretta le scarpe, acchiappò le ciabatte che lui le aveva comprato anni addietro per quando andava a trovarlo, e si diresse in cucina. Solo li, nel silenzio, si rese conto dell’unica luce accesa della casa, provenire dallo studio/libreria in fondo al corridoio. Prese un bel respiro e si avvicinò.
Trovò Shinichi immerso in un libro seduto alla scrivania, quella stessa scrivania dove aveva incontrato Conan. Un flash e quasi le parve che quello seduto lì non fosse un ragazzo di diciotto anni, ma un bambino di sei.
Scosse la testa, si fece coraggio ed entrò.
« Shinichi? », iniziò timidamente. Lui parve come risvegliato dalla lettura del libro, e la guardò stupito.
« C’era il cancello aperto, e le chiavi appese », disse a mò di scuse Ran.
« Ah, sì, scusa, devo aver avuto la testa soprappensiero », replicò lui chiudendo il libro. Pareva quasi in trance, si ritrovò a pensare Ran, mentre gli si avvicinava. Notò che non indossava la divisa, ma una maglietta e i pantaloni della tuta.
Le stesse sensazioni di due pomeriggi prima la travolsero, mentre lui le dava la schiena per posare il libro che aveva in mano in un angolo della libreria.
Poteva essere così perfetto? Si ritrovò a pensare, mentre gli fissava la schiena larga, e quei pantaloni della tuta così morbidi a coprirgli le gambe. Deglutì.
Datti un contegno, accidenti!
« Allora? Cosa volevi dirmi? », lo incalzò con un mezzo sorriso Ran, cercando di nascondere il suo evidente nervosismo. Lui si voltò, guardandola di sottecchi. Ci mise un pò, poi finalmente parlò, la voce incerta.
« Io… ti volevo chiedere scusa, Ran », sospirò infine.
La ragazza rimase immobile, lo sguardo perso.
« Ah », rispose incerta. « Per cosa? », quasi rise. Non stava capendo.
« Per l’altro pomeriggio… ».
Dirlo gli costò una immensa fatica, ma una volta detto si sentì sollevato. Stava facendo la cosa giusta, dopo tutto. Lei non gli aveva più rivolto parola dal pomeriggio in agenzia, e per troppo tempo era rimasto a tormentarsi sul perché. Poi, finalmente, c’era arrivato.
L’aveva senza dubbio messa a disagio, l’aveva toccata decisamente troppo e in punti fin troppo delicati. Aveva esagerato, accidenti a lui!
Ma non era davvero riuscito a trattenersi, quei maledetti ormoni che non lo lasciavano ragionare da quando era tornato adulto.
Quasi rimpiangeva Conan e il suo ingenuo corpo da bambino, almeno non aveva certi stimoli.
Quasi sollevato, si mise finalmente a guardare il volto silenzioso di Ran, e rimase stupito da ciò che lo attese.
Un viso contratto da una strana smorfia, i pugni chiusi, le labbra tirate in un’espressione stizzita.
Ecco, aveva di nuovo sbagliato. Non sapeva cosa, ma aveva evidentemente sbagliato qualcosa.
« Mi stai chiedendo scusa per l’altro pomeriggio? », ripetè lei lentamente.
« Ehm… », lui non era molto convinto, ma continuò.
« Sì, ho esagerato, credo… Non volevo offenderti, Ran, davvero, mi spiace », rincarò la dose, sperando facesse l’effetto sperato.
« Giuro che non mi comporterò più così! ».
Come un maledetto pervertito, avrebbe voluto aggiungere.
Aspetto dubbioso la risposta della sua ragazza, che però arrivò travolgendolo inaspettatamente.
« Quindi è questo il problema… », sussurrò a mezza voce lei.
Shinichi corrugò la fronte, avvertendo la sua voce spezzata da… lacrime?
« Ehm », iniziò, non sapendo cosa dire.
Le era saltato praticamente addosso.
Le aveva accarezzato una coscia e, dannazione!, anche sfiorato il petto.
Lei non gli aveva parlato per più di un giorno.
Lui le aveva chiesto scusa.
Nella sua testa a questo punto tutto doveva essere perdonato, o no?
Non ci stava capendo niente!
« Quindi ti dispiace? ».
Shinichi tornò in se, incapace di formulare una frase. Ma cosa stava dicendo?
Ran recuperò un pò di forze, e gli si avvicinò.
« Ti dispiace di avermi toccata? ».
Ran non seppe mai come quella frase così ardita le uscisse di bocca, ma era davvero fuori di se in quel momento. Improvvisamente odiò Sonoko, che l’aveva quasi incoraggiata.
E’ normale, tutti i fidanzati lo fanno!
Le aveva fatto credere che Shinichi si sentisse come lei, che la desiderasse, quando lui le aveva appena fatto capire che era stato tutto uno stramaledetto errore. Strinse i pugni, affondando le unghie nella pelle.
« Bene, direi che sei stato chiaro », ruppe il silenzio lei, girandosi indietro. Voleva uscire da lì, non voleva continuare quel discorso.
Era troppo, davvero. Aveva immaginato che lui si sentisse come lei, che quel pomeriggio significasse qualcosa. Ma evidentemente non era mai stato così, per lui.
Ma prima che potesse fare il secondo passo verso l’uscita, sentì la mano di lui trattenerla per un braccio. Improvvisamente, il flash di loro due sotto il Big Ben le tornò in testa.
E sperò che quello che stesse per dire fosse bella almeno quanto era stata bella la sua dichiarazione d’amore di quella sera, a Londra.
« Ma cosa stai dicendo?! », esclamò lui, rosso in volto, facendola voltare verso di lui.
« Cosa sto dicendo IO? », replicò Ran, imbarazzata.
« Mi hai appena chiesto scusa pe- ».
« Ti ho chiesto scusa, sì, perché è da due giorni che non mi parli! », replicò irato Shinichi. « E pensavo che fossi offesa per quello che avevo fatto! », concluse, ormai tendente al bordeaux.
Lei rimase interdetta, cercando di mettersi nei suoi panni. Effettivamente, era accaduto ormai due giorni prima, e lei non aveva fatto un passo verso di lui. Forse, e pensò, forse, poteva apparire realmente in collera con lui, vista dall’esterno. Odiò che lui forse avesse minimamente ragione, e si morse un labbro.
« Non sono offesa per quello! ».
« E allora per cosa?! », ribattè lui, ancora tenendola saldamente per un braccio.
« Sono offesa, perché dicendomi così è stato come se non mi volessi! ».
Calò il silenzio.
Shinichi lasciò andare il suo braccio, che lei si portò velocemente a sé. Rimane a bocca aperta, fissando la ragazza davanti a lui. Dopo almeno un minuto, tornò a parlare.
« T-tu pensi », balbettò. « Che io non ti voglia? ».
Ran fissò altrove, rossa in viso.
« Ti sei scusato », lo rimbeccò.
« Ti ho spiegato il perché! », sbuffò Shinichi, esasperato.
Ran deglutì, guardandolo fugacemente in viso.
Era roseo, così terribilmente bello, ma anche corrugato. Forse aveva ragione, a volte capirla era peggio di risolvere un caso estremamente difficile.
« Ascolta, ricominciamo, ti prego », Shinichi si appoggiò alla scrivania, in evidente difficoltà. Ran annuì, in imbarazzo.
« L-l’altro pomeriggio, ecco », tossì imbarazzato.
« Ci siamo lasciati un pò andare, ecco », proseguì. « E dopo tu hai sempre evitato di parlarmi, sei andata con Sonoko, poi oggi in classe non mi hai nemmeno avvicinato », elencò lui, accaldato.
« Ieri sono andata con Sonoko per una merenda, e di ritorno ho avuto da fare », spiegò lei. « E oggi ero un pò stanca, ho dormito male stanotte ».
Ho fatto incubi su quando stavi morendo per colpa mia, idiota.
« Non ero minimamente offesa con te, anzi », si dondolò sui piedi, fissandoli. « E-ero contenta per l’altro pomeriggio », concluse.
Ero contenta per l’altro pomeriggio.
Quella frase riecheggiò nelle orecchie di Shinichi, rendendolo stranamente euforico.
Allora non aveva esagerato, lei non era in collera con lui.
Poco prima si era offesa perché… perchè…
« Pensavi che io mi fossi pentito dell’altro giorno? », ragionò a voce alta, facendo avvampare Ran. Quando si rese conto di cosa aveva appena pronunciato a voce alta, avrebbe voluto seppellirsi. Ma finalmente c’era arrivato.
Iniziarono a fissarsi in silenzio, ormai sull’orlo di una crisi di nervi. Alla fine, Shinichi prese coraggio, l’avvicinò a lui e le prese le mani nelle sue. Erano ghiacciate.
« Tu non devi pensarlo nemmeno lontanamente », disse piano.
« E’ che pensavo di aver esagerato, davvero… e non volevo che pensassi male di me. Non pensavo volessi, insomma… », non riuscì a finire la frase, ma Ran comprese, ed avvampò.
« Nemmeno io pensavo di volerlo », rispose, concludendo la frase.
« N-non è mai stato così, per me », ammise, faticando a trovare le parole. « Ma ultimamente, ecco… mi sento così nei tuoi confronti », lo fissò timidamente.
Anche in quel momento, il suo cuore era così accelerato che sperò di non avere un infarto. Shinichi era appoggiato alla scrivania, le gambe allargate per far spazio a lei, le mani intrecciate. Poteva avvertire la sua pelle a poca stanza dalla sua, e non riusciva a non fissargli quella vena così carina sul collo, che andava a nascondersi dentro quella maglietta così sottile.
« A-anche io mi sento così ».
La sua dichiarazione così sincera la fece avvampare. Annuì, guardandolo.
« Bene », disse stupidamente. Non sapeva davvero cosa dire.
« Bene », ripetè lui, mettendosi a giocherellare con un ciuffo di capelli che le scendeva sul viso. Quell’improvviso gesto sulla sua pelle le fece venire voglia di abbracciarlo, baciarlo, e ricominciare dove avevano interrotto due pomeriggi prima.
Evidentemente Shinichi glielo lesse negli occhi, perché prima che potesse fare qualcosa lei, lui sciolse anche l’altra mano dalla sua e gliela allacciò in vita, facendo aderire i loro corpi velocemente. Si mise a baciarla con delicatezza, mentre quella sensazione di bruciore lo facevano nuovamente avvampare come due giorni prima.
Ran si lasciò completamente su di lui, chiudendo gli occhi. La sua testa ebbe l’ennesimo blackout, e non capì più nulla mentre timidamente appoggiava le sue mani sul suo petto.
Era tutto così bello, nuovo, strano.
Sì, strano.
Era davvero Shinichi quello che la stava facendo uscire così di testa?
Lo stesso bambino musone, saputello che per così tanto tempo aveva giocato con lei? Lo stesso ragazzino che la rintronava su Sherlock Holmes, lo stesso che la prendeva in giro e gareggiava con lei a chi picchiava più forte?
Sì, era lui.
Sorrise, le labbra premute contro di lui.
Erano cambiati così tanto, ma una cosa non era affatto cambiata: lo stare così indissolubilmente insieme.
E, mentre Shinichi le accarezzava la schiena, le tornò in mente una discussione avvenuta con Sonoko qualche mese prima…
 

***
 

« Da quanto è che siete fidanzati, ormai? ».

Shinichi e Ran si voltarono verso Sonoko contemporaneamente, distogliendo per un attimo la loro attenzione dal libro che la ragazza teneva in mano. Quel pomeriggio erano rimasti a studiare in biblioteca, ma per tutto il tempo la biondina non aveva tolto lo sguardo di dosso ai due ragazzi.
« Ehm… tre mesi », rispose Ran, arrossendo leggermente, guardando Shinichi di sottecchi, che faceva finta di niente.
« Mmm », continuò pensierosa Sonoko, con sguardo serio, guadagnandosi la loro totale attenzione preoccupata. I due ragazzi si guardarono confusi.
« Mmm… secondo me non è corretto », concluse convinta.
« Mmm… sì, lo è », ribattè Ran. « Ci siamo messi insieme in gita, ricordi? ».
« Certo che me lo ricordo, come dimenticare Kudo-kun che prova a baciarti e si fa distrarre dall’ennesimo cadavere? », Shinichi le lanciò un’occhiata di fuoco.
Quanto la odiava. A volte desiderava riverlarle di Conan solo per tapparle finalmente quella dannata bocca.
« Insomma, quello che voglio dire è… esattamente, cosa è cambiato rispetto a prima della gita? », buttò lì Sonoko, nascondendo una risatina.
Ran aprì la bocca di scatto per ribattere, ma non le uscì niente.
Shinichi la guardò aspettandosi perlomeno una risposta a tono, che non arrivò mai. Un pò indignato provò a prendere parola lui, ma quando si mise a pensare, non gli venne veramente in mente nulla.
Calò un silenzio divertito fra i tre, e infine Shinichi e Ran si riguardarono sorpresi.
Sonoko, alla vista del loro evidente disagio, rise.
« Uscire, uscivate anche prima », prese un foglio di carta, e iniziò ad annotare, sotto lo sguardo imbarazzato dei due.
« Acquario, Tropical Land… »
« Indimenticabile quello », borbottò Shinichi, guadagnandosi una gomitata da Ran.
« Stavate sempre appiccicati anche prima », continuò scrivendo maldestramente.
« Non vi siete mai fidanzati con altri… ».
Ran e Shinichi la fissavano perplessi, chiedendosi dove volesse andare a parare.
« Vi scambiavate occhiate pervertite anche prima… », continuò senza freni.
« Sonoko, qual è il punto?! », sbottò Ran.
Sonoko sospirò divertita, guardandoli.
« Secondo i miei calcoli, voi due siete fidanzati da esattamente quindici anni », esclamò, attirando qualche occhiataccia dagli altri presenti in biblioteca.
« Peccato che non ve ne siate mai accorti », concluse mettendo un bel punto ai suoi appunti.
« Mentre la sottoscritta ve lo sta dicendo dall’asilo ».
Ran e Shinichi la fissarono ulteriormente, e per una volta non trovarono nulla da ribattere.
Era assurdo, ma in quel momento Sonoko Suzuki non aveva tutti i torti.
Arrivando a quella buffa considerazione entrambi, si guardarono e trattennero le risate.
« Anche se spero che almeno qualche bacetto in più ora ve lo diate ».
Le risate si interruppero, lasciando spazio a un rossore incrollabile.

***
 

Sorrise contro le labbra di Shinichi, e questo se ne accorse con non poca diffidenza.
« Ti faccio ridere? », le disse, guardandola quasi offeso. Lei si accorse del momento poco consono per ridere, lei esattamente addosso a lui fra le sua gambe, e le mani ancora a vagabondare sulla sua schiena. Si schiarì la gola, staccandosi leggermente da lui.
« No, è che pensavo… », cercò di salvare il salvabile.
« Insomma, quando eravamo piccoli pensavi che saremmo finiti così? ».
Shinichi la guardò, chiedendosi perché esattamente aveva dovuto interrompere un momento così con un’uscita del genere.
« Ehm, no. A quattro anni uno non pensa esattamente a questo ».
Ran sbuffò, alzando gli occhi al cielo.
« Niente, scusa, è che sono un pò nervosa ecco », ammise, appoggiandosi al suo petto, per evitare il suo sguardo. Sentì Shinichi rilassarsi un poco, per poi accarezzarle la testa.
« Non c’è nulla per cui esserlo », le disse piano. « Non siamo obbligati proprio oggi ».
Ran alzò lo sguardo verso di lui, che la stava guardando dolcemente.
Da quando era tornato era così dolce che faticava quasi a riconoscerlo. A volte pensava che quel brutto scherzo del destino che lo aveva fatto diventare Conan, gli avesse fatto davvero bene. Lo aveva fatto crescere, maturare, e, anche se non si osò mai dirlo ad alta voce, decisamente lo preferiva così. Era diventato un uomo, ad una velocità che l’aveva travolta una volta che tutto era tornato alla normalità.
Sorrise. Conan aveva fatto bene a tutti, dopotutto.
E probabilmente aveva fatto bene anche ai loro sentimenti. Ci avrebbe scommesso che, se non avessero maturato i loro sentimenti in quel periodo di distanza, probabilmente non avrebbero realmente compreso cosa provavano l’uno per l’altro. La cotta si era lentamente trasformata in amore, senza che nessuno dei due potesse accorgersene.
« A cosa pensi? », le chiese incuriosito, dondolando la testa da un lato.
« Sei carino », ammise lei, imbarazzata. Shinichi divenne rosso, e non riuscì a ribattere.
« Anche quando arrossisci », rise lei, togliendogli un ciuffo da davanti gli occhi.
Il tocco della sua mano sul viso mosse nuovamente qualcosa dentro di lui.
Se doveva proprio essere sincero, anche se le aveva appena detto che no, non erano obbligati a fare chissà cosa quel giorno, in realtà ogni centimetro del suo corpo la pensava diversamente. Sentiva la necessità di averla per sé, un bisogno così forte da fargli male. Diavolo, perché aveva dovuto interrompere quel momento?
Ma sopratutto, perché la sua mente così ragionevolmente razionale non voleva collaborare con lei nei dintorni, ultimamente? Ormai era un tumulto di emozioni a muoverlo, a fargli desiderare così ardentemente la sua ragazza. E dopo ciò che lei gli aveva detto quel pomeriggio, era ancora più difficile resisterle.
Probabilmente il suo stesso viso lo tradì in quel preciso momento in cui la fissava, perché lei lo fissò un pò intimorita.
Shinichi l’aveva paralizzata in uno sguardo così profondo che si sentì avvampare. Gli si leggeva negli occhi che avrebbe voluto altro, da lei quel giorno.
Non l’aveva mai guardata così prima, e nel vederlo così si sentì quasi compiaciuta di potergli sortire quell’effetto.
Shinichi Kudo che perdeva ogni barriera, ogni razionalità, solo per lei. Doveva ammettere che si sentì potente, in quel momento.
E prima che potesse rendersene conto, lui l’aveva riavvicinata a lui baciandola senza alcuna traccia di dolcezza, stritolandola in un abbraccio che le tolse il respiro.
Ogni pensiero o nervosismo si dissolsero, mentre le sue mani si mossero velocemente sotto la sua maglietta, e quelle di Shinichi alla sua cravatta. Gliela sciolse velocemente, per poi sbottonarle i primi tre bottoni della camicia.
Ran gli accarezzò la schiena, finché la sua pelle liscia lasciò il posto a qualcosa di ruvido e superficiale.
Ran sobbalzò, sgranando gli occhi. Shinichi fece un gemito leggero, guardandola spaesato.
Gli aveva appena toccato la cicatrice.
Dall’incidente non gliela aveva mai vista. A dire il vero, Shinichi aveva sempre evitato di poter fare in modo che lei la vedesse, anche per sbaglio.
Improvvisamente sentirla sotto le sue dita la spiazzò. Si morse un labbro, mentre lui allentava la presa sulla sua camicia.
« T-ti ho fatto male? », domandò lei. Lui rise piano.
« Non mi fa male », spiegò semplicemente.
« Scusa, io non volevo… ».
« Ran », Shinichi assunse un tono deciso, premendole le mani nelle sue nuovamente. « Non ti devi scusare di niente ».
« Ma se la hai è per col- ».
« Non è colpa di nessuno », la interruppe asciutto. « Se non mia che quel giorno ti ho lasciata sola, per inseguire qualcuno di davvero troppo pericoloso », concluse, secco. Ran lo fissò.
« E, se non li avessi seguiti, nessuno ti avrebbe puntato una pallottola alla pancia », finì, con voce incrinata.
Sentiva il senso di colpa nella sua voce, e si ricordò di quando quello stesso senso di colpa l’aveva travolta in ospedale. Abbassò il volto, rendendosi conto solo in quel momento di avere il reggiseno decisamente in bella vista. Avvampò, cosa che non passò inosservata a Shinichi, in quale sospirò e lentamente iniziò a richiuderle la camicia. Lei lo guardò spaesata.
« Oggi non è decisamente giornata, non trovi? », rise. « Piuttosto, ho fame. Andiamo a mangiare qualcosa? », propose con un sorriso, allontanandosi da lei.
Non sentirlo più vicino fu quasi doloroso per lei, ma effettivamente forse quella era l’idea migliore.
« Ramen? », propose, voltandosi anch’essa con un sorriso.
Shinichi annuì, porgendole la mano. Lei la prese, e insieme uscirono dalla libreria.
E, anche se per tutta la cena, flash di loro due così avvinghiati li perseguitarono fino a quando si salutarono, cercarono di non darlo a vedere.

Almeno, Sonoko sarebbe stata contenta, pensò Ran tornando a casa.
Qualcosa fra di loro, rispetto a prima della gita, era finalmente cambiato.

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Capitolo 5
*** Ricordi ***


WITHOUT WORDS.
ricordi.
 

« Ho bisogno di te ».
Shinichi strabuzzò gli occhi, stupito.
« Oh… dimmi », replicò dubbioso.
« Posso venire da te, sabato? Passiamo la giornata insieme magari ».
Shinichi si morse un labbro, mentre si guardava le scarpe.
Dannazione.

Sabato.
« Ehm… proprio sabato? », chiese, sperando con tutto il suo cuore che colui dall’altro lato del telefono capisse fra le righe che non era il giorno adatto.
« Si, ti prego! ».
Non poteva dirgli di no. Davvero non poteva. Sospirò.
« E va bene, Hattori. Ti vengo a prendere in stazione? ».
Si misero d’accordo per il giorno dopo, e infine, dopo aver cercato di nuovo di capire quale fosse l’aiuto che gli stava elemosinando, chiuse la chiamata. Heiji non aveva voluto rivelargli quale fosse il suo problema, e questo aiutò a intensificare il suo fastidio.
Merda, pensò.
Aveva in mente di passare il giorno successivo con Ran, visto che il week-end prima era stato preso da un caso fuori città, e ormai erano passati dieci giorni dal loro incontro in biblioteca. Improvvisamente, vedendola solo a scuola fra i suoi allenamenti di karate e i suoi di calcio, gli era sembrato di rifare dei passi indietro. Sembravano di nuovo tornati ad essere i vecchi, soliti amici di sempre. Per quello aveva pensato di passare la giornata con lei soli da qualche parte, e l’idea lo aveva rallegrato così tanto nei giorni prima che in quel momento, sogni infranti, sentì la delusione percuoterlo.
Sospirò, infilandosi le mani nelle tasche.
Non poteva dire di no ad Heiji, non dopo tutto ciò che il suo amico aveva fatto per lui. Raramente aveva sentito in lui quel tono così agitato e nervoso, e pensò che per “abbassarsi” a chiedere aiuto doveva avere un motivo davvero delicato.
Con l’aria bastonata, si diresse in palestra, dove Ran quel giorno aveva l’allenamento.
L’ennesimo.
Il torneo regionale si stava avvicinando, pensò con una smorfia Shinichi. Non vedeva l’ora che finisse: ormai non riusciva a stare mai con lei.
Quando era Conan, la poteva vedere quando desiderava. Ora, ognuno a casa sua, rimanere solo con lei era diventato quasi impossibile.
Oh, bene, ora stai rimpiangendo Conan?
La sua testa elaborò questo pensiero, facendolo sbuffare. Entrò in palestra, e adocchiò la sua ragazza ai bordi, mentre si massaggiava con aria sofferente una mano.
« Tutto bene? », domandò avvicinandosi. Lei sobbalzò, non aspettandosi di trovarsi davanti Shinichi. Effettivamente, pensò, dopo quei pomeriggio così intimi della settimana prima, aveva avuto poche occasioni per vederlo. Si morse un labbro, pensando a ciò che avrebbe dovuto rivelargli.
« Sì, solo un crampo », gli spiegò, togliendosi del sudore dalla fronte.
« Shinichi, ecco », iniziò dubbiosa. « Domani pomeriggio dovrei venire qui, per un allenamento extra prima del torneo », sputò velocemente, distogliendo lo sguardo.
Aveva appurato che tutti quegli allenamenti stessero irritando non poco il suo ragazzo quando lui il pomeriggio prima aveva sbuffato, non appena l’aveva vista con la divisa da karateka fra le mani. Non aveva commentato, ma la sua espressione delusa l’aveva colpita, e non poco.
Ormai da quando stavano insieme il sabato era il loro giorno.
Era diventato naturale passarlo insieme, da quando era tornato. E le dispiaceva immensamente deluderlo nuovamente, anche se sapeva bene che appena il week-end prima era stato lui a mollarla per un ennesimo caso. Ormai, quando lo sentiva dire così, una scarica di paura la tornava a tormentarla. Aveva sempre il silenzioso terrore che lui non tornasse da una scena del crimine, e doveva far fronte a tutto il suo autocontrollo per non telefonargli duecento volte mentre era lontano.
Sospirò, alzando lo sguardo su Shinichi, che la fissava sospirando affranto.
« Neanche io potevo domani », ammise, e le spiegò della telefonata con Heiji.
« Kazuha non mi ha detto niente », rispose Ran, confusa.
« No, penso venga solo lui… ma non mi ha voluto dire perché », Shinichi tornò a ragionarci.
« Allora facciamo che vi raggiungo per cena? », sapere che non avrebbe passato il sabato in pigiama sul divano da solo, un pò l’aveva sollevata.
« Sì, penso mangeremo qualcosa da me ».
In quel momento l’allenatore la richiamò, e lei con un sorriso si allontanò.
Per l’ennesima volta in più di una settimana, Shinichi tornò a casa da solo.

***
 

Quando Ran uscì dalla doccia della palestra, quel sabato, si sentì decisamente sfinita. Guardò l’ora, e affranta si accorse che erano quasi le sette.
Shinichi mi ammazza, si morse un labbro.
In fretta si asciugò i capelli, si infilò il maglioncino beige che si era portata come cambio e la gonna di jeans, buttando alla rinfusa la sua divisa nella sacca.
Nella fretta, ruppe anche un paio di collant, che prontamente rimpiazzò con un secondo di emergenza.
Merda.

Infilati per ultimi un paio di stivaletti, corse fuori con le ultime forze rimaste.
Non era più felice di lui, per quegli allenamenti. Lo aveva visto così poco ultimamente, che il ricordo di loro in agenzia e in biblioteca le parevano ricordi di un’altra persona.
Le si formava un nodo allo stomaco al pensiero che forse tutto quel tempo trascorso avesse smorzato ciò che si era creato fra loro, e sperò con tutte le sue forze che quella magia non si fosse irrimediabilmente rotta.
Dopo una leggera corsa di mezz’ora, si fermò davanti all’imponente cancello di casa Kudo. Prendendo leggermente fiato, suonò al campanello. Senza neanche domandare chi fosse, il cancello si aprì e lei entrò velocemente.
« Eccomi! », esclamò, togliendosi in fretta gli stivaletti e infilandosi le sue pantofole.
Si avviò in cucina, e lì vi trovò la scena più bizzarra che potesse immaginarsi.
Shinichi si voltò a guardarla, con un’espressione quasi disperata. Era seduto sullo sgabello della cucina, vestito con un paio di jeans chiari e una camicia blu raggomitolata sui gomiti. Nel vederlo, il resto della stanza svanì.
Quanto era bello.
Lo fissò, dandosi mentalmente della stupita al pensiero che quel giorno lo avrebbero potuto trascorrere insieme, e lei invece era corsa a quello stupido allenamento di karate.
Datti un contegno, urlò una vocina dentro di sé. Riuscì a tornare in sé anche grazie a qualcuno che le si buttò letteralmente addosso, abbracciandola con entusiasmo.
« La mia amica RAN! ».
Quasi si strozzò in quell’abbraccio, che subito non riconobbe come quello di Heiji Hattori.
« Heiji? », la sua voce uscì in uno stridulo, mentre cercava di ricambiare l’abbraccio con una informale pacca sulla spalla.
Alla vista della scena, Shinichi sentì un senso di profondo fastidio alla base dello stomaco.
« Ran! Ma dov’eri?! », finalmente si staccò, e Ran notò le sue gote lievemente arrossate.
« A-agli allenamenti », gli spiegò spiazzata.
« Sei così… così… allenatosa! ».
Shinichi si portò una mano al viso, esasperato.
« Oh », non potè trattenersi dalle risate Ran. « Tu invece… sai di birra… », concluse facendo una smorfia.
« Un pochino », ridacchio Heiji, tornando a sedersi malamente sullo sgabello al fianco di Shinichi, il quale fece un profondo sospiro, tornando a rivolgere lo sguardo alla sua fidanzata.
« Mmm… bene », fece lei, avvicinandosi. Regalò un sorriso furtivo a Shinichi, che ricambiò con uno sguardo che le fece sciogliere le gambe.
« Ma cosa è successo? », chiese poi, guardando almeno quattro bottiglie vuote di fronte ad Heiji, e la quinta che teneva ancora saldamente in mano.
« Ran, tu mi devi aiutare », replicò il ragazzo, appoggiando il suo viso sconsolato alla bottiglia. Lei inarcò un sopracciglio.
« Per cosa? ».
« Io non riesco a dichiararmi, capisci? », la sua voce pareva quasi infantile, mentre sbatteva un pugno sul banco di fronte a lui.
« Tutti ci riescono, tutti! Pure lui c’è riuscito », e dicendolo indicò fin troppo entusiasta Shinichi, tirandogli senza volere un pugno sulla spalla.
« Hey! », esclamò lui, massaggiandosi il punto colpito.
« Cioè, c’è riuscito lui, capisci?! », Shinichi lo guardò con sguardo fintamente offeso.
« Cosa vorresti d- ».
« Tutti, tranne me! », lo interruppe.
Ran era rimasta sbalordita. Mai nella sua vita avrebbe immaginato di vedersi Heiji Hattori in quello stato, nella cucina di Shinichi, avvinghiato a una bottiglia di birra. Solitamente, quella scena era prerogativa di suo padre.
« Q-quindi il problema è Kazuha? ».
Nel momento esatto in cui pronunciò questa frase, Shinichi si voltò a guardarla di scatto con espressione disperata, e cercò di fermarla gesticolando.
Troppo tardi.
« Sì! Ora ti racconto! ».
Shinichi si appoggiò sconsolato allo schiena dello sgabello.
Quando quel giorno Heiji lo aveva raggiunto, mai si sarebbe aspettato un pomeriggio simile. Aveva subito rivelato che il suo unico, insormontabile problema, fosse la sua incapacità di dichiararsi a Kazuha. Dapprima l’aveva preso inevitabilmente in giro, ma quando si era accorto della sua aria desolata, pensò che effettivamente pareva disperato.
Era così che Shinichi Kudo aveva trascorso quel pomeriggio.
Un intero pomeriggio ad ascoltarlo parlare di Kazuha.
Ogni.
Singolo.
Momento.
Non poteva crederci che Ran gli avesse chiesto quale fosse il problema, e che lui avesse ricominciato a raccontare dal punto di partenza l’intera storia. No, non lo avrebbe retto.
Si alzò di scatto, non sapendo nemmeno lui bene che fare. Aveva solo voglia di puntargli il suo vecchio orologio narcotizzante e metterlo a dormire in un angolo.
Ran lo guardò preoccupata, mentre prendeva posto sul suo sgabello appena liberato. Heiji intanto parlava così confusionariamente che non riusciva nemmeno bene a seguirlo, saltando da fatti avvenuti anni addietro, a farfugliare qualcosa sul Big Ben, per poi tornare a parlare di Kazuha.
Puzzava terribilmente di birra, e questo non l’aiutava a mantenere vivida l’attenzione.
Cercò di concentrarsi, e assecondare la sua totale disperazione. Dopo dieci minuti aveva capito che aveva provato a dichiararsi varie volte in quegli ultimi mesi, ma senza riuscirsi realmente.
« Ma perché non glielo dici in poche parole? », provò lei dopo quindici interminabili minuti, in un raro momento di silenzio fra i due. Lui la guardò, perso.
« Non lo so, Ran… », sbuffò, desolato. « A volte penso che non dovrei pensarci più, e basta… se lei mi dicesse di no, perderei perfino la sua amicizia ».
Ran fece per rispondere, ma un colpo sul tavolo la distrasse. Colta di sprovvista, si voltò verso Shinichi al lato opposto del tavolo, la mano appena sbattuta ancora ancorata al tavolo.
« Ma smettila! », sbuffò, alzando gli occhi al cielo. « Amica? Perchè, è tua amica? Heiji, il compromesso per essere amici, è che nessuno dei due si prenda una cotta per l’altro. Voi due non siete più amici da quando tu ti sei reso conto dei tuoi sentimenti ».
Scese un silenzio strano, che li lasciò interdetti tutti e tre.
Heiji fissò il suo amico ritrovando un minimo di lucidità, ripensando alle sue parole.
« A-ah… », fu solo capace di ribattere.
« E poi, ti piacerebbe fare l’amico per sempre? », riprese Shinichi, avvicinandosi a lui e togliendogli di mano la bottiglia. Heiji non provò nemmeno ad opporsi, guardandolo rosso in viso.
« Non credo di riuscirci ancora per molto », ammise.
« E allora diglielo, e basta! », sbuffò impaziente Shinichi.
Ran lo guardò, arrossendo. Quel suo tono perentorio le creò un immotivato brivido lungo la schiena. Si ritrovò a fissarlo intensamente, mentre con una mano svuotava la bottiglia nel lavandino e con l’altra tratteneva a distanza un Heiji disperato che voleva impedirglielo.
Quella schiena, quelle spalle.
Quel viso.
Quanto era cambiato in otto mesi, pensò. Fra poco avrebbero compiuto diciotto anni, e mai come allora lui sembrava sempre di più un uomo.
Aveva l’aria così imbambolata, che mentre Heiji tornava sbuffando al suo sgabello ciondolando su se stesso, Shinichi si accorse di essere osservato. Si voltò e la beccò a guardarlo, facendola arrossire.
Accidenti, pensò lei, abbassando lo sguardo alle sue pantofole.

Non pensavo volessi…
Nemmeno io pensavo di volerlo…

Nelle loro mentì tornarono incontrollate le parole della settimana prima, facendoli avvampare. Per fortuna Heiji era completamente nel suo mondo per rendersi conto dell’imbarazzo creato fra loro, e, sempre ignaro, tornò a parlare.
« Glielo dirò », confessò con voce roca. « Glielo dirò, così », annuì con vigore come a volersi auto convincere.
« Bene », rispose asciutto Shinichi, cercando di non guardare in faccia Ran.
« E siamo arrivati a questa conclusione solo dopo dieci ore, notevole », borbottò guardandosi l’orologio. Heiji non notò il suo tono di voce, anzi, si alzò di getto e gli fece un bizzarro e storto pollice all’insù.
« Film? », propose, girandosi e avanzando a falcate incerte verso la zona salotto, dove adocchiò la poltrona e ci si buttò con un tonfo maldestro. Ran a quella vista non potè non ridere interiormente. Quella era la prova che quindi anche i più freddi, riservati, stacanovisti detective del mondo avevano un cuore.
Gli fece una tale tenerezza, che pregò in cuor suo che riuscisse a trovare il coraggio di dichiararsi. D’altronde, pensò, Kazuha ormai era sull’orlo della disperazione. La sentiva spesso, e ogni volta era anch’essa sempre più desolata dal comportamento del suo amico di infanzia.
« Vieni? ».
Una voce la risvegliò dai suoi pensieri, mentre Shinichi le indicava un pò rosso in volto il divano. Peccato che un imbarazzante borbottio del suo stomaco, interruppe la sua risposta. Diventò rossa, portandosi una mano alla pancia, facendo inarcare un sopracciglio a Shinichi.
« Scusami, è vero », esclamò dirigendosi verso il frigo, Ran ormai completamente senza parole.
« Avevamo preso del sushi, te ne ho tenuto un pò ».
Guardare Shinichi così preso dal prepararle un piatto per cena, la fece ancora più imbarazzare. Era così carino, pensò. E ancora si ritrovò imbambolata a guardarlo, e desiderò ardentemente di essere sola con lui.
Chissà cosa avrebbero fatto quel sabato se fossero stati insieme. Forse si sarebbe di nuovo creata l’atmosfera di quei pomeriggi addietro, forse sarebbe successo qualcosa.
A quel pensiero la sua mente andò a quella mattina, a quando aveva dovuto prendere dal cassetto la biancheria pulita per quel giorno.
Quanto sono scema, pensò accaldata. Quando era stato il momento di scegliere, una vocina nella sua testa le aveva indicato il completino più carino che possedeva.
Non si sa mai!, le aveva detto una vocina nella testa che somigliava così terribilmente a quella di Sonoko.
Nel caso, vorresti farti trovare impreparata?!
E infatti, con la voce di Sonoko nella testa che rideva, si era portata quel cambio quel giorno in palestra, e al pensiero di starlo indossando anche in quel momento si sentì così stupida. Cosa pensava che sarebbe mai successo?
Accettò silenziosamente il piatto che Shinichi le porgeva, con lo stomaco improvvisamente chiuso. Il ragazzo la guardò un pò confuso, non capendo il motivo del suo improvviso mutismo.
Spesso e volentieri non la capiva, ma ultimamente era anche peggio. A volte si perdeva in pensieri così lontani che faticava a starle dietro. La guardò, mentre col piatto in mano si avviava con sguardo tormentato verso il divano, per poi sedersi e cominciare a mangiucchiare qualcosa.
Le sue doti da detective con lei proprio non volevano funzionare, pensò infastidito. Adesso perché si era chiusa in quel modo? Aveva fatto qualcosa di sbagliato?
Si passò una mano fra i capelli, chiedendosi se per caso il sushi non le piacesse.
Ma lo ha sempre mangiato, pensò disperato.
Cosa pensavi potesse succedere se sapevi che c’era anche lui, eh?!, pensava intanto una Ran desolata, mentre lanciava occhiatacce al detective dell’ovest, che ormai aveva la testa che ciondolava pericolosamente assonnata dalla poltrona.
Forse preferiva del riso?, Shinichi si appoggiò al bancone incrociando le braccia, pensieroso.
Ultimamente è tornato tutto come prima, perché ti sei messa quello stupido reggiseno.
Forse si è offesa perché non l’abbiamo aspettata per cena…
Non dovevo snobbarlo per gli allenamenti, lo vedo che è scocciato…
Però come potevo non mangiare con Heiji, con tutto quello che beveva dovevo farlo mangiare!

Sospirarono così forte all’unisono, che si voltarono a guardarsi stupiti.
« Ehm », iniziò Shinichi, avvicinandosi dubbioso.
« I-il sushi non ti va? », chiese infine, prendendo posto sul divano accanto a lei, guardandola serio.
Lei lo guardò persa, il reggiseno di pizzo nero nella sua testa che volteggiava velocemente.
« Il sushi? », ripetè.
« Sì… il sushi… », indicò il suo piatto a disagio.
« No, no va benissimo », rispose lei giocherellando con una fetta di tonno.
Shinichi abbozzò un sorriso forzato, per poi accendere la televisione, sperando che quell’imbarazzo scemasse.
Non è per il sushi, ma allora per cosa, pensò disperato.
Ran lo guardò di sottecchi, mordendosi un labbro. Era seduto a poca distanza da lei, i gomiti sulle ginocchia mentre annoiato e un pò pensieroso cambiava canale.
Chissà se sta pensando a quello che penso io, pensò arrossendo.
Forse dovevo prepararle una bella zuppa, pensò amareggiato lui.
Scese nuovamente il silenzio, rotto solo dalla televisione e dal russare prepotente di Heiji, che arrivò così forte da farli sobbalzare.
Ran, a quella scena, iniziò a ridere piano.
Shinichi si voltò a guardarla e, finalmente accantonando l’imbarazzo, si unì a lei ridacchiando.
« Tu non hai idea », iniziò sottovoce. « Della giornata che ho passato », si portò una mano alla testa.
« Posso immaginare », replicò lei, mangiando un roll al granchio.
Improvvisamente, le tornò in mente il discorso di poco prima, e una domanda le balenò in mente. In realtà era un quesito che le era già venuto in mente tanto tempo addietro, quando aveva accompagnato i bambini all’acquario di Beika, e in quel momento volle assolutamente ricevere una risposta che ai tempi non era riuscita a strappare a Shinichi.
« Quindi… », iniziò, giocherellando con una pallina di riso. « Da quanto tempo non siamo più amici? ».
Shinichi la guardò per un attimo confuso, mentre le gote di Ran si tingevano di rosa e un delicato sorriso si creava sul suo viso. Si rese conto di cosa stava parlando dopo qualche secondo in cui realizzò.
Merda.
« Cioè? », replicò, sperando di poter prendere tempo e organizzarsi per una risposta decente.
« Quello che hai detto prima ad Heiji », spiegò candidamente lei.
Shinichi la guardò e notò il suo tono fintamente innocente. Vederla così, con quello sguardo leggermente malizioso di chi ha appena toccato un tasto interessante, gli fece per un attimo perdere la ragione. Era così carina, in quella gonna di jeans e quel maglioncino aderente, che per un momento ringraziò di non essere stata con lei tutto il giorno. Probabilmente non sarebbe riuscito a controllarsi.
« Ah, quello », finse disinteresse.
La guardò, non sapendo bene cosa dire. Lei era in attesa, con gli occhi che brillavano.
Non potendo tergiversare oltre, e un pò rosso in viso, distolse lo sguardo.
« Mettiamola così… », iniziò, con tono fintamente disinteressato. « Siamo stati realmente amici per molto poco tempo ».
Ran sbatté più volte le palpebre, presa in contropiede. Velocemente posò il piatto sul tavolino davanti a loro, per poi mettersi in ginocchio sul divano al suo fianco.
« Cioè?! », esclamò, stupita. Lui divenne di una deliziosa tonalità di rosa, mentre cercava di non fissarle le gambe.
« Ecco… », deglutì. « Mi sei sempre piaciuta, penso », ammise lentamente, guardandola finalmente in volto. Fu li che si accorse dei suoi occhi sgranati misti meraviglia e la bocca semi aperta dallo stupore.
« Ah », riuscì solo a dire. Shinichi sbuffò, cercando un pò di coraggio.
« E tu? », replicò con tono di sfida. Lei per l’ennesima volta sbatte più volte le palpebre, presa in contropiede.
« Io… me ne sono accorta a New York », ammise piano.
« New York? », ripetè lentamente. Lei annuì, in evidente imbarazzo. Quando tornò a guardarlo, notò una leggera tristezza in Shinichi.
« Che c’è? », domandò sulle spine. Lui rinvenne dai suoi pensieri.
« A me sembrava che mi detestassi, dopo New York », ammise, con un sorriso incerto.
 

Quasi tre anni prima…
 

« Ran? ».
La voce di Sonoko le arrivò alle orecchie, mentre i suoi occhi fissavano il numero dieci scritto sulla schiena di quel calciatore che si stava allenando ormai da un’ora nel campo della scuola.
« Sì? », rispose distrattamente.
« Mi hai ascoltato, finora? », la voce di Sonoko divenne così infastidita che Ran si impose di prestarle attenzione.
« S-sì, ma certo », in realtà non ricordava una parola.
Dopo scuola, visto il sole stupendo di quella giornata, si erano sedute sul prato davanti al campo da calcio per ripassare per l’interrogazione del giorno dopo, ma Sonoko non capiva bene perché la sua amica fosse così irrimediabilmente distratta. Sbuffando seguì il suo sguardo, e notò che, con l’aria persa, stava fissando Shinichi.
Shinichi.
SHINICHI?!
« Ran, mi spieghi perché stai fissando Shinichi? ».
Finalmente ottenne la sua attenzione, e l’amica tirò un urletto imbarazzato.
« Ma cosa dici?! ».
Urlò così forte che perfino i giocatori si voltarono, e la fonte della sua distrazione la guardò facendole segno se fosse pazza. Sonoko avrebbe voluto rotolarsi dalla risate.
« Io stavo scherzando, ma dalla tua reazione devo pensare che fosse vero? ».
La sua amica Ran, quindici anni appena compiuti, ormai era rossissima. Si divertiva troppo a prenderla in giro.
« Smettila », soffiò, facendo finta di leggere il libro che aveva in bilico sulle gambe.
« Ora che ci penso, cosa vi succede ultimamente? », domando Sonoko chiudendole il libro, e fissandola sottosopra.
« Non capisco a cosa ti riferisci », mentì Ran.
« E’ da quando siete tornati da quella vacanza che ogni motivo è buono per battibeccare », indagò oltre Sonoko.
« Sei sempre così nervosa, lo stuzzichi », concluse.
Ran la guardò immusonita. Aveva realmente ragione.
Da New York, era stata realmente nervosa, e il motivo le era totalmente sconosciuto.
Sapeva solo che ogni mattina si svegliava quasi arrabbiata, e andava a dormire con la sensazione di star sbagliando tutto. Non riusciva a capire il perché di quei suoi sbalzi di umore, e non avere controllo su se stessa la stava facendo uscire fuori di testa.
« C’è qualcosa che devi dirmi? », insistette Sonoko, l’ombra di un sorriso malizioso sul viso.
« Niente, assolutamente niente », l’aggredì Ran, mentre dall’altro lato del campo adocchiava due ragazzine ridacchiare indicando il suo migliore amico.
« Ok, no perché pareva proprio che tu fossi gelosa di lui ».
Ran elaborò piano ciò che la sua migliore amica le aveva appena detto, e ci mise un attimo prima di replicare.
Gelosa.
Rise interiormente. Perché mai avrebbe dovuto essere gelosa di lui, dopotutto?
« Ma smettila ».
« Non la smetto. Da quando siete tornati da New York fissi sempre male chiunque gli ronzi intorno », sputò lì Sonoko, sperando di sortire una qualche reazione nella amica.
« Qualsiasi cosa lui dica o faccia gli rispondi male, se lo hai troppo vicino diventi nervosa ».
« Ma non è vero! E’ solo che lui è così… così… », al pensiero le salì nuovamente il nervoso. « Così immaturo, e stupido, e tutte quelle ragazzine che gli stanno intorno poi lo esaltano troppo! ».
« Mmm… », rispose Sonoko, annuendo.
« Certo », stette al gioco.
« E poi continua con questa storia del grande detective, sparendo per pomeriggi interi dietro alla polizia », ormai Ran era un fiume in piena, incapace di fermarsi.
« Mi dà fastidio, ecco, ultimamente mi irrita », concluse.
« … ti da fastidio che abbia le ragazzine intorno e che non stia con te per andare chissà dove per indagare? »
« Sì! ».
Subito si pentì di ciò che aveva appena risposto così a bruciapelo. Deglutì.
Lentamente si voltò verso Sonoko, che la guardava con aria di trionfo.
« E perché mai dovrebbe darti fastidio? », chiese gongolando.
Già, perchè?
Si morse un labbro.
« Non è che qualcuno qui si è presa una cotta, vero? ».
Ran aprì la bocca indignata, era pronta per replicare a tono quando sentirono un frastuono arrivare dal centro campo. Shinichi aveva appena fatto un goal così spettacolare che tutti si erano avvicinati in cerchio addosso a lui, riempiendolo di pacche sulle spalle.
Ran si immobilizzò a guardarlo in viso, mentre sorrideva e rideva con i suoi compagni.
Una nuova consapevolezza si impossessò di lei.
Gelosa.
Cosa le stava succedendo?

***
 

Ran tornò in sé dal suoi pensieri, tornando a fissare Shinichi seduto accanto a lei su quel divano. Cercò di rispondere velocemente a ciò che lui le aveva appena detto, sperando di non sembrare troppo impacciata.
« Non ti detestavo », borbottò. « Detestavo me stessa », ammise.
Lui corrugò la fronte.
« Cioè? ».
Ran sbuffo: perché a volte era così tardo?
« Perché non capivo cosa mi stesse succedendo », iniziò, a disagio.
« Il giorno prima eravamo amici, e il giorno dopo ero gelosa. Non capivo perché », spiegò piano. Non voleva certo svegliare Heiji in quel momento.
Shinichi sorrise gongolante.
« Eri gelosa? », chiese con tono divertito, voltandosi completamente verso di lei.
Lei fece una smorfia, guardando il piatto abbandonato sul tavolo. Ormai le era passata la fame.
« … non è stato facile, per me », ammise dopo un attimo, in un sussurro.
« Ammettere che, forse, provavo qualcosa per te », finì, e Shinichi dovette sforzarsi per sentire la sua voce così leggera contro il russare incessante di Heiji a poca distanza da loro.
« E perché? », domandò anch’esso in sussurro, avvicinandosi al suo viso. Il cuore cominciava a battergli decisamente troppo forte.
« Perché era nuovo per me trovarti così… carino ecco. Ti trattavo male perché speravo che mi sarebbe passata facendo così ».
« E ha funzionato? », domandò divertito.
Ran lo guardò male, ormai terribilmente vicino a lei. Aveva lo sguardo così brillante che si incantò a guardarlo, era evidentemente felice di sentire quelle parole. Non capiva bene il perchè, dopo tutto ormai i loro sentimenti erano palesemente messi nero su bianco, quindi cosa c’era da stupirlo così? Forse lo divertiva prenderla in giro.
Improvvisamente sentì nelle narici il suo profumo, e si accorse che lui era ormai molto vicino a baciarla.
Divenne paonazza, lanciando un’occhiata nervosa ad Heiji, ma lui era beatamente addormentato su quella maledetta poltrona. Il pensiero di averlo lì la agitò comunque, quindi quando Shinichi fece per baciarla si scostò di istinto.
Fu un attimo, nel quale notò chiaramente la delusione nello sguardo del suo ragazzo, che, rifiutato, divenne rosso.
Oh, no, pensò Ran. Sembrava proprio un rifiuto, e si sentì terribilmente in colpa. Non si era mai spostata da un suo gesto di affetto, e ora, al suo sguardo perso, le mancò un battito.
Cosa faccio, cosa faccio, cosa faccio.
E mentre Shinichi silenziosamente si ritraeva senza prestarle attenzione, le lo acchiappò per il colletto della camicia, e decisa lo portò a se baciandolo.
Dapprima sorpreso, lui si rilassò, cingendole la vita delicatamente. Silenziosamente terminarono il bacio, e lì lui si lasciò andare ad una risata leggera.
« Che c’è? », chiese lei, ancora ancorata al suo colletto.
« Stavo solo pensando », alzò le spalle lui. « Che forse Sonoko aveva ragione. Siamo stati un pò lenti, non trovi? ».
Ran sorrise. Se arrivava ad ammettere che Sonoko avesse ragione, era davvero convinto della cosa.
« A noi serve sempre tempo per ogni cosa », rise lei, ma presto smise di ridere.
Il pensiero le andò nuovamente a quel maledetto reggiseno di pizzo che indossava, e si sentì accaldata.
Cavolo, Ran! Vi conoscete da sempre, vi amate da sempre, già ci avete messo una vita a dirvelo, non vorrai metterci una vita anche ad andare “oltre”!
Le tornarono in mente le parole di Sonoko della settimana prima, e si morse un labbro. E se avesse avuto ragione anche su quello? Se avesse davvero aspettato troppo per fare qualcosa e lui si fosse stufato, o sentito rifiutato come poco prima?
L’agitazione si impossessò di lei, e smise di respirare. Tornò a guardarlo, ancora a poca distanza dalle sue labbra, e staccò completamente la spina del suo cervello.
Al diavolo.
Non seppe dire come ne quando si ritrovò a cavalcioni su di lui, che per poco non cadde dal divano non aspettandosela addosso. Ran chiuse gli occhi, non possedeva altrettanto coraggio per rendersi conto di ciò che stava facendo. Voleva solo dimostrargli che per lei non era cambiato niente da quel pomeriggio in biblioteca, che dopotutto era ancora lì, a volere ciò che voleva lui.
Lo baciò di nuovo, non rendendosi realmente conto di ciò che stava scaturendo in lui.
Quando l’aveva vista scavalcarlo con una gamba e appoggiarsi a lui, l’aveva prontamente afferrata per non farla cadere, e senza volere l’aveva spinta ancora di più contro di sé.
In quel momento ogni barlume di lucidità era svanito, e sentirla baciarlo non aveva aiutato.
Controllati, controllati, controllati. C’è Heiji a fianco, davvero, c’è Heiji qui a FIANCO.
Strinse i pugni per cercare di darsi un tono, e di non vagabondare eccessivamente su quella schiena così calda.
Se è impazzita lei, non vuol dire che devi impazzire anche tu.
Continuò a baciarla, cercando di mantenere dei pensieri razionali, ma quando lei, che di razionale nella sua testolina non possedeva neanche più una briciola, cominciò a sbottonargli la camicia e accarezzargli il petto, spazzò via ogni sua ragionevolezza.
Al diavolo.
Ormai, dopo i pomeriggi in agenzia e in biblioteca, ai loro occhi era quasi giustificabile ciò che facevano. Dopotutto era già successo, non c’era niente di male. Gli aveva già sbottonato quella camicia una volta, perché non farlo la seconda?
Ran deglutì, accarezzandogli la pancia.
Ecco, forse la pancia non gliela aveva mai accarezzata. Nervosissima continuò a baciarlo velocemente, quasi sperando che lui non se ne accorgesse.
Shinichi, dal suo canto, si lasciò fare, non capendo bene cosa stesse realmente accadendo.
Ragiona, ragiona, ragiona.
Ma non ci riusciva per davvero, mentre ricambiava i suoi baci e le sue mani andavano ad alzarle le maglietta da dentro la gonna.
L’importante è ragionare, ora per esempio puoi fermarti.
Le sfiorò la pancia, per poi risalire.
Ecco, ora basta.
Salì ancora, sentendosi sotto le sue dita una stoffa simile al pizzo, e un leggero sospiro fuoriuscire dalla bocca premuta contro la sua.
Rimani lì, anzi no, spostati.
Sfiorò nuovamente il pizzo, sospirando anch’esso.
Ran, sentendolo, si esaltò, non sentendosi l’unica sbagliata in quel momento così astruso. Evitò accuratamente di accarezzargli la schiena, il solo pensiero della cicatrice cancellava dalla sua mente ogni intenzione di quel momento, e gli accarezzò il petto. Shinichi ormai giocherellava con il suo reggiseno, e sotto le sue mani potè sentire chiaramente il suo cuore battere come un martello.
La stessa sensazione di potere che aveva avvertito la settimana prima la rese euforica, e decisa di voler vedere coi suoi occhi. Li riaprì dopo tutto quel momento, e vide Shinichi a occhi chiusi baciarle il collo, con un viso che la emozionò.
Era rosso, rossissimo. L’espressione sbruffona che aveva per la maggior parte del tempo davanti ai giornalisti o durante i suoi innumerevoli casi ormai aveva lasciato spazio a un viso completamente perso, rilassato, e felice. Aveva le orecchie così bordeaux che pensò potessero essere bollenti, e i capelli gli ricadevano distrattamente sugli occhi.
Vederlo così inerte su di lei, così indifeso la incoraggiò a continuare, euforica per renderlo così a causa sua, e sua solamente.
Non lo aveva mai visto così, senza barriere, senza lucidità. Era l’unica in grado di farlo cedere, e di far cadere i suoi ragionamenti come un castello di carte.
Tu sei il suo punto debole, non lo sapevi?
Una voce glaciale la lasciò interdetta un attimo, ma Shinichi era così distratto da non accorgersene.
Una stupida ragazzina che fa capitolare così il grande Shinichi Kudo.
Cercò di spazzare via quella voce, che le stava ghiacciando le vene.
E’ grazie a te se lo abbiamo preso.
Lo baciò con più foga, per togliersi dalla testa la voce di Gin.
Ma ormai il viso deforme di quell’uomo si mimetizzò nella sua testa, e il ricordo di lei imbavagliata in un angolo perduto di quel magazzino le fece saltare un battito.
Ti svelo un segreto.
Strinse convulsamente la camicia aperta di Shinichi.
Lui ha una bella cotta per te, ragazzina.
La mano di Shinichi ormai aveva completamente invaso il suo petto, togliendole il respiro nuovamente.
Ti svelo un segreto io.
La voce che le arrivò alla testa era cambiata: era la sua. Ferma, glaciale, nauseata.
Lo so già.
Pregò che il ragazzo non si stessa accorgendo del suo viso tirato, mentre nella sua testa prendevano forma quei brutti pensieri. E, per sua grande fortuna, Shinichi non se ne accorse. Gin aveva ragione: lei era il suo punto debole. Ormai la sua mano non aveva più pudore, e continuava a tergiversare sul suo petto.
Sapeva bene cosa celava, sotto quella maglia. Probabilmente la sua ragazza aveva voluto eludere il discorso o addirittura il pensiero, ma lui si ricordava bene i loro bagni insieme quando era Conan o i pomeriggi trascorsi alla terme. Era stato così imbarazzante, così frustrante, averla al suo fianco e non poter fare niente. Ma ora era lì, così felice, così adulto.
Adulto.
Sgranò gli occhi, in stato di disagio crescente, e sperò con tutto se stesso che lei non se ne accorgesse. Non aveva più controllo sul suo corpo, pareva che tutto si muovesse senza il suo consenso. Ma che lei potesse rendersi conto del suo stato era davvero troppo. Per quello, si rese conto, non era davvero ancora pronto.
In quel momento, completamente in panico, a salvarlo fu Heiji che, russando fragorosamente, li riportò alla realtà. Spaventata Ran si diede una spinta dal suo petto per allontanarsi velocemente, presa alla sprovvista da quel rumore improvviso. Destabilizzata cadde rovinosamente a terra, facendo un gran fracasso a fianco del tavolino. Shinichi, da parte sua, si voltò verso l’amico, che si era risvegliato da quel caos.
Ran rimbalzò come una molla sul divano, mettendosi a guardare fintamente interessata la televisione, che stava trasmettendo un documentario sui pinguini.
« Cosa è successo? », biasciò Heiji impastato, strofinandosi gli occhi.
Ran evitò accuratamente di guardare il suo ragazzo, ormai completamente nel panico. Fissò prima Heiji, poi la televisione, e indicò velocemente l’apparecchio.
« I pinguini! », esclamò con finto entusiasmo. Heiji la guardò confuso, per poi girare il viso verso la televisione.
« Pinguini? », ripetè.
« Pinguini! », annuì energicamente lei, per poi dare una gomitata senza guardarlo a Shinichi. Lui recepì solo in quel momento, e sobbalzò anch’esso.
« I pinguini! », ripetè con un sorriso forzato.
Heiji, ormai totalmente ripresosi dalla birra, ma ancora molto assonnato, li fissò confuso.
« Hai caldo? », chiese, sbadigliando e stiracchiandosi sulla poltrona. Shinichi corrugò la fronte, poi si maledì interiormente. Aveva la camicia aperta.
Sii indifferente.
« S-sì, un pò sì », alzò le spalle, cercando di non lasciar trasparire alcuna emozione in volto. Ran al suo fianco avrebbe voluto seppellirsi.
« Ah, beh… io credo andrò a dormire », Heiji si alzò in piedi, stiracchiandosi ancora.
« A-anche io », Ran sobbalzò velocemente, per poi guardarsi e rendersi conto che aveva la maglia spiegazzata. Velocemente se la infilò nella gonna, mentre Heiji si girava per sistemare la poltrona.
« Bene », annuì Shinichi, ancora accaldato.
Se fossero stati in un’altra situazione, Ran avrebbe riso, non capendo cosa gli stessa passando per la testa. Ma visto che era ancora completamente nel pallone, pensò bene di lasciar correre e salutandoli velocemente, si avviò verso la porta, acchiappò i suoi stivaletti e corse fuori. L’aria fredda la risvegliò completamente dal torpore nel quale si era lasciata andare pochi istanti prima e, rendendosi conto di ciò che era successo, si sentì quasi esplodere l’imbarazzo nel petto.
Gli era saltata addosso, l’aveva praticamente spogliato. Con che coraggio lo avrebbe guardato in faccia, lunedì? Eppure doveva, altrimenti sarebbero di nuovo incappati nell’ennesima discussione come la settimana prima. Ma era davvero troppo, troppo imbarazzante.
Ormai non riusciva più a contenersi con lui, quello era chiaro. Si sentì stupida a pensare che lei fosse il suo punto debole, quando in realtà Shinichi in lei sortiva lo stesso identico effetto. Quando c’era lui, non capiva più niente. Per tutto il tragitto verso casa, pensò e ripensò a ciò che era successo. Erano veramente andati oltre, e immaginò cosa sarebbe successo se Heiji non fosse stato lì. Avrebbe davvero avuto il coraggio di arrivare fino in fondo? Ne era realmente consapevole e pronta?
Infilò piano la chiave nella serratura, sperando di non svegliare suo padre.
Era pronta davvero a lasciarsi completamente a lui? Di toccarlo, di rimanere completamente inerte e, deglutì, nuda, davanti a lui? E vedere lui, nudo.
Chiuse gli occhi, cercando di non immaginare l’inimmaginabile. Pensare a lui così la faceva così vergognare che sperò di cancellare quell’immagine di testa. Gli aveva detto che lo voleva, ma era sicura? In quel preciso momento avrebbe potuto accadere, avrebbe potuto essere ancora su quel divano con lui, nessuno dei due si sarebbe fermato.
Quando accese la lampada sul suo comodino, tornò un attimo in sè, e le sembrò che qualcosa non andasse. Corrugò la fronte, per poi sentire il suo telefonino vibrare.
Raggelò, quando lesse che era di Shinichi. Cascando nuovamente nella vergogna, pensò di non aprirlo neanche.
Cosa voleva?
Si morse un labbro, e alla fine la curiosità vinse. Aprì il messaggio, e lesse velocemente.
Hai lasciato la sacca sportiva qui.
Ecco, cosa le pareva strano. Si era completamente dimenticata della sacca con la sua divisa, nella fretta di uscire da quella casa. Stava ancora ripensando a dove l’aveva appoggiata, che il telefono vibrò di nuovo, e nel leggere il nuovo messaggio di Shinichi, inevitabilmente sorrise.
Non mi parlerai per altri due giorni?
Probabilmente aveva pensato bene di rompere immediatamente l’imbarazzo che si sarebbe potuto creare il lunedì successivo se non si fossero parlati per l’intera domenica. Mentalmente lo ringraziò, cercando la risposta migliore per rispondere. Voleva assolutamente mettere sul ridere la scena, perché altrimenti sarebbe impazzita di vergogna. Quando fu soddisfatta, cliccò invio.
Penso che stavolta due giorni non bastino.
La sua risposta non tardò ad arrivare.
Forse hai ragione, ho esagerato, SCUSA.
Rise, ripensando alla loro discussione di una settimana prima. Si chiese allora nuovamente se si sarebbe sentita pronta, finalmente cosciente di farlo con lui. Dopotutto, con chi altri avrebbe mai potuto? Se fosse stato difficile farlo con lui, immaginarlo con qualsiasi altro ragazzo al suo posto sarebbe stato impossibile. Così si ritrovò a pensare che dopotutto lui l’avrebbe capita, che lui l’avrebbe aiutata. Sarebbe stato dolce, comprensivo e imbranato quanto lei. Non doveva avere paura di lui, perchè, ne era convinta, lui non l’avrebbe né obbligata, né costretta a fare qualsiasi cosa non volesse.
Seduta sul bordo del letto, ripensò nuovamente alla voce di Gin, e le venne da vomitare.
 

***
 

« Lo so già », gli aveva ribattuto in quel momento con fare fiero, come a volergli tenere testa. Era legata, a terra, nelle narici un odore nauseante che non capiva bene da dove arrivasse. La testa vuota, piena di pensieri contrastati.
Si ricordava solo di essere arrivata lì, con suo padre e gli altri per un caso, ed essersi ritrovata a terra svenuta, in quella stanza così piccola. Dopo un tempo infinito quella maledetta porta si era aperta, e vi era entrato quell’uomo così spaventoso, che aveva iniziato a prenderla in giro, avvicinandosi pericolosamente a lei.
Non sapeva chi fosse, né tantomeno cosa volesse. Ma il pensiero di averlo così vicino la terrorizzava e nauseava nello stesso tempo.
« Hai il coraggio di ribattere? », un primo schiaffò la colpì così forte che per poco non svenne. Si sentì la testa pesante, mentre incassava anche il secondo, arrivatole pochi secondi dopo il primo.
Le venne da piangere, ma quasi si fece sanguinare un labbro per trattenersi. Non voleva dargliela vinta, non voleva.
« Cosa ci trovi in te, non lo capisco », le aveva risposto con fare sprezzante, e nel dirlo le strappò i bottoni della camicia. Si sentì così indifesa che non riuscì nemmeno a reagire, quando lui fece una smorfia.
« Di ragazzine come te, è pieno il mondo ».
Non voleva davvero che lui la toccasse. Non voleva nemmeno che la guardasse così, sul pavimento, la camicia aperta e le lacrime che le colavano sul volto sporco. Si sentiva così sbagliata e così spogliata della sua dignità che sperò di chiudere gli occhi e risvegliarsi a casa sua, nel suo letto.
« Ma possiamo chiederlo direttamente a lui », quelle parole le fecero sgranare gli occhi, e con il viso dolorante ancora dagli schiaffi subiti, guardò un secondo uomo buttare nella stanza Conan. Il bambino cadde a terra con un gemito dolorante, e quando si accorse di lei in quello stato sbarrò gli occhi. Cercò di rimettersi seduta, le ginocchia al petto: non voleva che lui la vedesse così, non il suo fratellino.
« Allora, Kudo… ».
Kudo? Perché aveva detto Kudo? La testa le doleva così tanto che non capiva bene cosa stessa succedendo.
« Ci stavamo chiedendo cosa ci trovassi di tanto speciale in questa ragazzina ».
La sua voce era maledettamente divertita, e fece ridere anche il secondo uomo, decisamente più in carne di lui, notò Ran solo in quel momento. Ma dov’era Shinichi, perché stava parlando con Conan in quel modo?
Sbattè più volte le palpebre, cercando di mettere a fuoco intorno a lei. In quel momento si accorse di Conan, che indossava dei vestiti davvero troppo grandi per lui, e si chiese scioccamente il motivo.
« Guardala bene ».
Si sentì le mani del primo uomo di nuovo sul viso, mentre glielo stritolava fra le mani.
« E’ banale », la spinse a terra, facendola cadere su se stessa, mentre gemeva e si lasciava andare ad un singhiozzo.
Aprì un occhio, e vide Conan completamente disperato cercare di dimenarsi fra le braccia del secondo uomo.
Conan.
Non doveva vederla così, non doveva. Doveva andare lì, rassicurarlo, dirgli che sarebbe andato tutto bene. Era lei l’adulta, era lei che doveva badare a lui.
« Piagnucolosa », proseguì la sua lista Gin, assestandole un calcio nella pancia. Conan gemette, mentre Ran sputava un pò di saliva a terra.
« Non posso crederci che hai perso la testa per lei ».
Ormai le forze di Ran la stavano abbandonando, lì, su quel pavimento. Guardò un’ultima volta Conan, e, seppur sfocato, videro che mentre si dimenava gli infilavano qualcosa in bocca. Lui provò a sputarla, ma con foga gliela spingere in gola.
Conan.
« Ringrazialo, ragazzina. E’ grazie alla sua cotta, se sei qui », sentì la voce ovattata di Gin in lontananza. Non stava capendo niente, e pensò che dovessero aver iniziato a picchiare selvaggiamente anche Conan, perché dopo poco lo sentì iniziare a urlare. Urli atroci, che le fecero gelare il sangue nelle vene. La vista appannata, dolori ovunque, ma riuscì a guardare per un’ultima volta il bambino a poca distanza da lei, dimenarsi e quasi strapparsi la maglia all’altezza del petto.
Ha un infarto, pensò disperata. Iniziò a piangere rumorosamente, i due uomini che assistevano alla scena divertiti.
Poi accadde tutto così in fretta che le venne la nausea. Dopo quello che parvero urla di ore, rifissò il corpo inerte a poca distanza da lei.
Era più grande, e si iniziava a contorcere meno.
« Bene, bene », disse il secondo uomo, avvicinandosi a Conan. « Chi abbiamo qui ».
Con un calcio sprezzante girò sulla pancia il ragazzo, che aprì gli occhi colmi di disgusto.
« Tu… », iniziò Vodka, tirandogli un calcio. « Dovresti », un pugno nello stomaco, che fece sputare Shinichi. « Essere morto! », l’ultima frase la urlò, sputandogli addosso.
« Chi è il tuo angioletto custode, eh Kudo? », Gin si accovacciò su di lui, prendendolo per i capelli.
« Perchè, se non sbaglio, Shiho Miyano ha firmato i documenti della tua effettiva morte ».
Shinichi rise sprezzante.
« Shiho non è mai stata vostra », ribattè con le ultime forze rimaste, il sorriso insanguinato da quel labbro rotto poco prima.
Gin alla vista di quell’espressione sbruffona, lo buttò per terra con un pugno così forte che Shinichi non si mosse più. Prese di tasca la pistola, e gliela puntò alla tempia, salvo poi essere interrotto da una terza figura, apparsa improvvisamente sulla porta.
« Oh, non vorrai davvero concludere così il giochetto », disse una voce femminile, entrando dentro la stanza. Ran vide con sguardo sfocato che quella appena entrata doveva essere una donna, i lunghi capelli biondi a contrastare il suo look interamente nero. Le parve di conoscerla, e sentì un brivido percorrerle la schiena quando vide il suo sguardo su di lei. Vermouth la guardò attentamente, prima lei, poi Shinichi, svenuto a terra dopo l’ennesimo colpo.
« Non è il momento », ringhiò Gin, la pistola ancora alla tempia di Shinichi.
« Invece sì, il capo ti vuole », disse lei, cercando di nascondere il suo crescente nervosismo. Gin strinse il pugno, per poi riporre la pistola in tasca e uscire velocemente dalla stanza, seguito da Vodka. Vermouth li guardò sparire oltre la porta, per poi lanciare un’occhiata a Ran, che piangeva silenziosamente in un angolo.
« Siamo pari », sussurrò, prima di seguire i due chiudendosi la porta alle spalle.

Quando Shinichi riprese conoscenza, subito non capì dove si trovasse. Sentiva solo un fastidioso sapore di sangue in bocca, e l’intero suo corpo dolorante. Si mise seduto, toccandosi la testa dolente. Quando improvvisamente gli tornarono alla mente tutti i ricordi, sobbalzò terrorizzato. Si voltò così velocemente verso Ran che gli girò la testa ma, adocchiandola appoggiata al muro con sguardo vuoto, le si avvicinò a quattro zampe. Non aveva nemmeno la forza di alzarsi.
« Ran », soffiò stremato, prendendole le mani e sciogliendo il nodo che le teneva insieme da davvero troppo tempo. Lei lo lasciò fare, l’espressione apatica. Lui buttò a terra la corda, e le guardò orripilato i polsi: sanguinavano, laddove la corda aveva tirato fino a quel momento. Alzò lo sguardo su di lei, vedendo lucidamente per la prima volta come era conciata.
Era sporca, piena di lividi e graffi, un labbro sanguinante e la camicia strappata, in bella vista il reggiseno bianco che indossava. Una rabbia folgorante lo travolte, e una realtà ben peggiore si impossessò di lui.
« Ran », si schiarì la voce, tenendole le mani. « T-ti hanno fatto qualcosa? », le chiese, terrorizzato.
Lei lo guardò per la prima volta, e non rispose.
« Ran », ripetè lui impaziente. « Ti hanno toccata? », la sua voce era incrinata. Aveva paura della risposta, non voleva forse saperla. Il pensiero che avessero allungato le mani su di lei gli faceva venire da vomitare.
E’ colpa mia.
Ran provò a riprendere lucidità, e tolse le sue mani intorpidite dalla sue.
« No », rispose asciutta, guardando a terra. Ma si sentì prendere per le spalle, e si voltò a incontrare lo sguardo allucinato di Shinichi.
« E’ la verità?! ».
« Certo. Io la dico sempre, la verità. A differenza tua ».
Quelle parole raggelarono Shinichi, che improvvisamente si rese conto di ciò che era successo. Lo avevano trasformato lì, di fronte a lei.
Deglutì, sentendosi perso.
« E’ complicato », disse solo, con voce glaciale.
« Immagino », replicò Ran, cercando di mettersi in piedi. Traballò per un attimo, seguita da lui, che la imitò.
« Ran », provò a toccarle una spalla, ma lei si ritrasse.
« Non toccarmi », la sua voce pareva un ringhio, mentre con mani tremante cercava di abbottonarsi la camicia come meglio poteva. Ma presto si rese conto che non poteva, era letteralmente strappata. Allora si andò a coprire malamente, guardandolo di sottecchi.
« Non toccarmi, non guardarmi! ».
Shinichi emise un flebile gemito, prima di stringere i pugni.
« Ran, posso spiegare, davvero ».
« Ti odio », iniziò a piangere lei, lentamente.
« … mi stai spezzando il cuore ».
La voce di Shinichi spezzò anche il suo, ma non ci badò. Non volle badarci, e con quelle poche forze che possedeva, alzò lo sguardo glaciale verso di lui.
« Il mio lo hai spezzato da un bel pò ».
 

***
 

Ran si risvegliò in un bagno di sudore, e con mani tremanti accese la lampada sul suo comodino. Col respiro accelerato si mise seduta, la nausea forte e il corpo tremante.
Mi stai spezzando il cuore.
Si mise una mano sulla bocca, ma non riuscì a trattenersi. Mise velocemente le gambe a terra, e corse in bagno a vomitare. La sensazione di Gin che le strappava la camicia, della trasformazione di Shinichi tornò così vivida nella sua mente che si mise anche a piangere.
Arrivò appena in tempo al water, e lì vomitò quel poco di cena che aveva mangiato.
Quando finì si accasciò li a fianco, prendendo fiato.
No, così non poteva continuare. Non poteva, e non voleva. Quei incubi, quei ricordi, le stavano rovinando la vita.
Doveva parlarne con qualcuno, aveva bisogno di qualcuno.
Shinichi.
Pianse silenziosamente, mentre si trascinava in camera, e acchiappava il telefonino posto sulla sua scrivania. Con mani tremanti compose il suo numero che sapeva a memoria, e attese. Dopo un pò di squilli, una voce fra l’assonato e il preoccupato rispose.
« Ran? », chiese la voce così bella del suo ragazzo, che le scaldò momentaneamente il cuore.
« Io non ti odio », singhiozzò, ancora rintronata dal sogno.
« Non ti odio Shinichi, te lo giuro ».
E scoppiò in un pianto disperato.

Sei mesi prima
 

Ran entrò ormai automaticamente attraverso quella porta bianca, e subito si sentì investire da un fastidioso odore di ospedale. Come un automa si diresse verso la terza camera sulla destra, e senza neanche controllare il suo ospite vi entrò. Sorrise piano, guardando quel viso così perfetto a poca distanza da lei.
Shinichi Kudo era ormai in ospedale da una settimana, in un sonno profondo. I medici le avevano detto che speravano in un suo risveglio autonomo entro due settimane, e Ran aveva deciso di aspettare pazientemente, andando ogni giorno a trovarlo per ore. Anche addormentato, era la cosa più bella che lei avesse mai visto.
Prese la sedia e si mise al suo fianco, prendendogli la mano.
Appena il pomeriggio prima, accanto a lei si era avvicinata lentamente Yukiko Kudo, che, mettendole una mano sulla spalla le aveva iniziato a spiegare di Conan.
Ran era rimasta in silenzio, ascoltando con attenzione le sue parole. Non sapeva nemmeno lei ma quell’odio improvviso nei suoi confronti erano scemati, i mesi di menzogne spariti. Non le importava più niente, l’unica cosa che desiderava era che lui si svegliasse, che tornasse a prenderla in giro, a ridere insieme per qualcosa di decisamente irrilevante, con lei, al suo fianco.

Lo ha fatto solo per proteggerti, Ran.
Avrebbe voluto rispondere a tono, ma non lo fece. Non ne aveva le forze. La maggior parte di esse le usava per lunghi pianti sotto la doccia, dove l’acqua nascondeva i suoi singhiozzi.
Tante volte avrebbe voluto dirti la verità, ma glielo abbiamo impedito noi.
Tanti ricordi con Conan le erano tornati alla mente in quei giorni lunghi, nelle quale il suo rituale era diventato un sonno agitato, il pianto mattutino in bagno, e poi via, tutto il giorno in quella stanza claustrofobia al suo fianco.
Di Conan, dopotutto, ne avrebbero potuto parlare con calma una volta risvegliato, avrebbero potuto confrontarsi, magari litigare, e sistemare le cose come sempre. Bastava semplicemente che aprisse quei suoi occhi, la guardasse e le regalasse un sorriso.
Sì, di Conan avevano una vita per parlarne.
Invece quella voce, quella maledetta voce che bisbigliava al suo orecchio quella semplice parola, invocando il suo perdono, le tornava in mente ogni momento della giornata come un pugno nello stomaco.
Glielo aveva sussurrato, con una pallottola nella schiena, come ultimo desiderio. Perché lei poco prima lo aveva aggredito, spinto via, gli aveva urlato che lo odiava.
Ecco cosa gli aveva detto l’ultima volta che gli aveva parlato. Che lo odiava.
Conan era così irrilevante, rispetto al fatto che Shinichi avrebbe potuto morire convinto che lei lo odiasse. E lei a sua volta si odiava per avergli vomitato la sua rabbia addosso in quel magazzino, senza ragionare, senza rendersi conto della gravità della situazione.
« Come potrei odiarti? », gli chiese un giorno, accarezzandogli il viso addormentato, le lacrime che le pungevano gli occhi.
Cercò di assottigliarsi al suo fianco, incastrando il suo viso nell’incavo del suo collo.

Quando più tardi, Yukiko Kudo andrò a trovare suo figlio, trovò Ran Mouri al suo fianco, rannicchiata su quel poco spazio rimasto, il viso bagnato contro il suo.
E per un momento, non le parve la stanza di un ospedale, e suo figlio non le parve in coma. Le tornò alla mente quando da bambini li trovava sfiniti sul divano, a dormire dopo un interminabile pomeriggio di giochi…

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Capitolo 6
*** Chiarimenti ***


WITHOUT WORDS.
chiarimenti.
 

Shinichi aprì l’armadietto appena sopra la sua testa, prendendo piano un bicchiere, per poi riempirlo di acqua. Nervoso lanciò un’occhiata veloce allo studio, dove aveva poco prima lasciato Ran, agitata e in lacrime, per andarle a prendere quel bicchiere d’acqua.
Quando l’aveva sentita così al telefono, era balzato giù dal letto e si era infilato i primi vestiti che aveva trovato, per poi correre da lei. L’aveva trovata al piano inferiore, nello studio di suo padre, con sudori freddi e una nausea incontrollabile. 
Lentamente tornò da lei, porgendole il bicchiere. Lei lo prese con mano tremante, bevendone un sorso.
« Grazie », mormorò sottovoce, sentendosi mentalmente una totale idiota. Presa dal panico lo aveva chiamato nel cuore della notte, per uno stupido incubo. Mentalmente fece una smorfia, cercando di scacciare via l’immagine di Gin.
« Hai voglia di parlarmene? ».
La voce dolce di Shinichi le scaldò il cuore, mentre alzava il volto per vederlo in viso. Aveva l’espressione preoccupata, ma anche così maledettamente tenera. Guardandolo, per un attimo si ritrovò il suo viso sporco, dolorante, il suo labbro rotto, mentre le porgeva la sua maglia, in quella cantina buia.
Mettitela…
Dopo avergli sputato addosso tutta la sua rabbia, dopo avergli urlato di non toccarla, guardarla, rivolgerle parola, aveva avuto la dolcezza di togliersi la maglia per porgerla a lei, ancora con la camicia strappata. Ricordò di averla presa, di averla messa solo per evitare ancora di rimanere così di fronte a lui, il quale, ormai a petto nudo, si era allontanato dandole le spalle, non riuscendo a guardarla in faccia.
« Ran? ».
La sua voce la riportò alla realtà, e sobbalzò. Le era tornata voglia di vomitare.
« Ti chiedo scusa », mormorò con voce roca, fissando il bicchiere che aveva in mano.
« Smettila », replicò sbuffando, sedendosi al suo fianco. Ma la sua ragazza non pareva aver intenzione di parlargli, piuttosto aveva tutta l’aria di scoppiare a piangere da un momento all’altro. Disperato la guardò meglio, e si accorse di un dettaglio che lo fece sorridere.
« Bel pigiama ».
Ran tornò a guardarlo confusa, per poi guardarsi. Indossava un pigiama rosa con dei coniglietti stampati sopra. Improvvisamente le tornò in mente, al posto di Gin, il viso di Conan mentre quel Natale gli porgeva il suo regalo: quel pigiama.
Shinichi riuscì a strapparle un sorriso debole, mentre si rilassava un poco.
« Scemo… ».
Bevve un sorso, col cuore leggermente meno pesante. Posò lo sguardo sull’orologio di fronte a loro, e con un senso di colpa crescente si rese conto che era l’una di notte.
« Ti ho svegliato… », disse guardandolo. Shinichi alzò le spalle, non dichiarandole apertamente che si era a malapena addormentato quando aveva sentito il telefono squillare: da quando lei era corsa via da casa sua, ci aveva impiegato una vita prima di prendere sonno. Era rimasto sdraiato per ore nel suo letto, a fissare il soffitto, la testa a ciò che era successo poco prima. Evitò di ricordare cosa era successo quella stessa sera, e tornò a lei.
« Visto che mi hai svegliato, puoi, per favore, raccontarmi cosa succede? », le chiese sarcastico, mentre lei posava il bicchiere sul tavolino davanti a loro.
Ran si scostò un ciuffo di capelli, mentre si portava le gambe al petto, Shinichi al suo fianco che aspettava pazientemente. Alla fine, decise di parlare.
« E’ da mesi che continuo a fare incubi », ammise. « Sono tremendi, è come se rivivessi in loop quei mesi… », le mancò la voce, al suo fianco Shinichi si irrigidì.
« E’ un continuo rivivere quei momenti, e ogni volta che mi sveglio mi manca il respiro, è come se qualcuno mi schiacciasse il petto », si massaggiò la base della gola.
« Anche di giorno a volte mi appaiono dei flash, e ogni volta sono seguiti da un attacco di panico… ».
« Perché me lo dici solo ora? », la voce di Shinichi era dura, mentre la fissava con sguardo corrucciato.
« All’inizio non erano così… ma ultimamente sono peggiorati, ho paura di soffocare a volte », le lacrime tornano a pungerle gli occhi.
« Ripenso a quando ti hanno sparato, a tutto quel sangue, e i-io… », iniziò a singhiozzare, portandosi le mani agli occhi. Shinichi, preso in contropiede, rimase un attimo imbambolato a fissarla. Era stato davvero così idiota da pensare che lei avesse superato quell’incubo? Aveva davvero creduto che lei avesse archiviato tutto senza fatica, senza problemi? Improvvisamente si sentì in colpa, e sopratutto pensò di non aver fatto abbastanza per lei. Aveva dato per scontato che tutto fosse tornato alla normalità, quando si era svegliato, troppo stremato per poter riaffrontare tutto parlandone con altri.
Avevano sì, parlato di Conan, ma era successo un pomeriggio in ospedale, e liquidato così senza aggiungere altro. Erano troppo felici di essere di nuovo insieme, di poter tornare alla vita di tutti i giorni, esausti ma vivi, per averne voglia di parlare ancora. Ma era evidente che a lungo andare le paure e gli orrori vissuti in quel periodo fossero tornati in superficie, e lui era stato così cieco da non accorgersene.
« Succede anche a me », ammise, mettendole un braccio intorno alla vita. Lei lo guardò, gli occhi bagnati e sorpresi.
« Perché non me lo hai detto? », domandò Ran.
« E tu? », sorrise triste Shinichi, sospirando. Aveva paura di fargli una domanda che gli stava ronzando in testa, ma alla fine non riuscì a trattenersi.
« Per… la faccenda di Conan, insomma… », iniziò titubante. Lei alzò un sopracciglio.
« Sei sicura di avermi perdonato? », concluse, guardandosi le scarpe.
Ran d’istinto lasciò andare le gambe che si era portato al petto, rimettendole giù e slanciandosi ad abbracciarlo forte. Shinichi, dapprima sorpreso, rispose dopo un attimo all’abbraccio, mentre lei affondava il viso nell’incavo del suo collo.
« Questo non devi neanche chiederlo », soffiò lei, appoggiando la sua fronte al suo collo.
« Non è questo il problema, davvero… ».
« Magari tu pensi di avermi perdonato, ma non è così », continuò con voce rotta lui, immergendo il viso nei suoi capelli.
Lei allora si staccò per prendergli il viso fra le mani, i loro nasi che si sfioravano.
« Shinichi, basta. Non è questo il problema », disse con voce dura, e lui decise di crederle.
« Lo so di averti detto cose orribili », proseguì con la voce incrinata. « Ma io non le ho mai pensate, e mi dispiace per averle pronunciate… ».
« Me le meritavo », rise amaramente lui, reggendo il suo sguardo.
« Lo hai fatto per me… », replicò con tono che non ammetteva repliche lei. In quei occhi blu così tristi ritrovò lo stesso sguardo che le aveva lanciato quella notte quando, una volta liberati da quella cantina dai servizi segreti, erano stati trascinati fuori dalla polizia giapponese. Si ricordò di quando lei aveva riabbracciato suo padre, fuori di sé dalla preoccupazione, e si era voltata un’ultima volta verso Shinichi. Ricordò perfettamente la coltellata al cuore che aveva avvertito quando lo aveva visto parlare vicino ad una ragazza bionda, che lo guardava con sguardo perso. Erano così vicini, così intimi.
Quella scena le aveva mozzato un respiro all’altezza del petto, mentre loro non si curavano di lei, troppo presi da chissà quale conversazione. Solo dopo interminabili minuti, e un bacio da parte di lei alla guancia di Shinichi, quest’ultimo si era voltato a guardarla. Il loro scambio di sguardi sofferenti era poi durato ben poco, perché solo poco dopo Gin le avrebbe puntato quella maledetta pistola addosso…
« Ran! ».
Per l’ennesima volta Shinichi la riportò alla realtà, facendola sobbalzare, il mal di testa martellante che ormai non la lasciava ragionare con lucidità.
« Ho bisogno di dormire », farfugliò, staccandosi dall’abbraccio.
« Ti accompagno di sop- ».
« No! ».
Shinichi la guardò, mentre con tono disperato le si era aggrappata alla felpa, gli occhi sgranati.
« Per favore, rimani ».
Shinichi sorrise e la guardò dubbioso.
« Ran, se tuo padre mi trova qui mi uccide », rise piano, ma lei non abbozzò nessun sorriso.
« Almeno fino a quando mi addormento », sapeva di sembrare una bambina, ma il pensiero di rimettersi a letto da sola la terrorizzava. Lui la guardò ancora dubbioso, ma dopo un pò le accarezzò la testa.
« Va bene, dai », le prese la mano e si alzarono, uscendo dall’agenzia senza far rumore. Salirono in silenzio le scale, Ran ancorata alla sua mano calda. Entrarono nell’appartamento silenzioso, sgattaiolando nella camera di lei. Piano lui chiuse la porta alla sua spalle, mentre Ran si infilava nel letto: aveva fretto.
Solo in quel momento Shinichi si rese conto di cosa avrebbe dovuto fare, e sentì l’imbarazzo crescergli alla base dello stomaco. Rimase un attimo imbambolato davanti la porta, nel buio della stanza, illuminata solo dalla leggera luce della strada che entrava dalle tende malamente tirate. Ran si voltò a guardarlo, rendendosi conto della sua titubanza.
« Sul serio? », smorzò la tensione sottovoce, con tono nervoso celato dietro una risata divertita. Lui batté le palpebre, negando con la testa. Effettivamente, visto gli ultimi sviluppi nella loro relazione, quella era la cosa meno imbarazzante dell’ultima settimana. Lentamente si mise sotto le coperte con lei, mentre Ran si accoccolava al suo fianco.
« Grazie », mormorò lei sfinita, al suo fianco.
Lui la strinse in risposta, e sentì con suo sollievo che si stava rilassando contro di lui, e piano piano sentì il suo respiro sempre più profondo. Sorrise nel buio, stringendola a sé. E, senza rendere conto, chiuse gli occhi.
 

Shinichi arricciò gli occhi, infastidito. Una luce forte gli stava puntando proprio sul viso, così, ancora addormentato, si portò una mano agli occhi per coprirli. Provò a muoversi, sentendo il corpo indolenzito. Non capendo quale fosse il problema, aprì un occhio e si trovò disorientato.
Quella non era la sua camera.
Improvvisamente si ricordò, e si ritrovò Ran ancora ancorata a lui, sprofondata in un sonno pesante.
Si girò velocemente verso la sveglia: le sette.
Cazzo.
Ringraziò il cielo che fosse domenica, e probabilmente Kogoro era ancora svenuto nel suo letto nella camera a fianco. Delicatamente si tolse Ran di dosso, che con un gemito infastidito, si appallottolò su se stessa.
La coprì meglio con la coperta, cercando di fare il più piano possibile. Ripensò anche ad Heiji, e si chiese se il suo amico si fosse accorto che lui non fosse in casa.
« Ran? », la chiamò piano, toccandole una spalla. Lei gemette infastidita, aprendo piano un occhio.
« E’ mattina, io vado », le disse. « Ti chiamo oggi, va bene? ».
Lei annuì nel sonno, abbozzando un sorriso. Shinichi si voltò e piano andò alla porta. La aprì lentamente ma subito si sentì raggelare il sangue.
Una figura nel buio stava aprendo il portone principale, con un’aria sospetta. Di istinto fece per balzarle incontro, ma quando riconobbe i lunghi capelli castani e metà viso mentre usciva dall’appartamento, rimase paralizzato.
Lanciò un’occhiata nervosa indietro a Ran, che era tornata nuovamente a dormire serenamente. Muovendosi velocemente ma in totale silenzio, quasi corse al portone e buttò un occhio alle scale che portavano al piano inferiore. E rimase sconvolto ulteriormente quando appurò che i suoi sospetti erano fondati: quella che era sgattaiolata via prima di lui, era Eri Kisaki.
 

***
 

Quando Shinichi entrò in casa sua, sperò con tutto il suo cuore che Heiji non si fosse accorto della sua assenza. Non avrebbe davvero retto l’imbarazzo di raccontargli dove aveva passato la notte, e quando non lo trovò in cucina tirò un sospiro di sollievo. Posò il sacchetto con la colazione che aveva comprato poco prima, e si diresse al piano superiore. Lì, nella camera degli ospiti, il suo amico stava russando così forte che gli venne da ridere. Gli era andata decisamente bene, mentre tornava di sotto per farsi un caffè.
Ciò che gli aveva rivelato Ran poche ore prima gli aveva creato un nodo allo stomaco, perciò di mangiare non ne aveva lontanamente voglia. Si preparò il caffè in religioso silenzio, e mentre questo scendeva nella tazza si voltò a guardare la cucina.
Un senso di tristezza si impadronì di lui senza accorgersene, quando si rese conto di quanto fosse vuota quella casa.
Tornare alla vita di Shinichi Kudo era stato fantastico, certo, ma non avrebbe mai pensato che vivere a casa di Ran e Kogoro gli sarebbe mancato così tanto. La mattina solitamente faceva colazione con il suo caro oji-san, che blaterava cose senza senso sulla idol di turno e gli faceva irrimediabilmente venire da ridere. Ran era sempre l’ultima ad unirsi alla colazione, rimaneva solitamente in bagno più a lungo di tutti, ma quando arrivava da loro era sempre così sorridente che riusciva a rendere ogni giornata un poco più bella.
Quando era tornato a casa, il silenzio e la solitudine di quella villa così grande gli aveva iniziato a dare fastidio. Non lo avrebbe mai rivelato a nessuno, ma aveva quasi iniziato a detestare di vivere lì.
Conan l’aveva cambiato più di quanto non avrebbe mai dichiarato sinceramente a se stesso. Non si sentiva più come prima, tutto ciò che prima aveva importanza ora lo vedeva con occhi diversi. Si sentiva cresciuto, e anche i suoi compagni di classe iniziavano ad irritarlo. Forse lo scontro finale con l’organizzazione aveva dato il colpo di grazia, e improvvisamente i problemi di ogni altro liceale parevano stupidaggini ai suoi occhi. Un giorno, ridendo, sua madre era arrivata a dirgli che Conan gli aveva insegnato un pò di umiltà. Fece una smorfia, bevendo un sorso di caffè, ripensando a come era idiota fino ad un anno prima.
Non le aveva risposto, ma come aveva ragione.
Tempo speso a pavoneggiarsi, a credersi chissà chi, a intrattenersi con lettere d’amore di chissà quale ragazzina, quando l’unica cosa che realmente desiderava l’aveva ogni giorno al suo fianco. Ed era stato così cieco da darla per scontata, da lasciarla da sola per inseguire qualcuno che per un pelo non l’aveva ucciso. E ucciso lei
Era ancora lì che pensava fra se e se, quando uno sbadiglio lo riportò alla realtà. Alzò il capo, per vedere Heiji stiracchiarsi davanti al lui.
« Ti prego, dammi del caffè », chiese con voce disperata il suo amico, guardandolo con due occhiaie tremende. Shinichi sorrise, la tazza fumante in mano.
« Sei orribile », rise, girandosi per preparargliene una tazza.
« Sì, lo so », ammise l’altro, passandosi una mano sul viso, e buttandosi a sedere sullo sgabello.
« Non so cosa mi stia succedendo », sbuffò, aprendo curioso il sacchetto comprato da Shinichi quella mattina, e servendosi tranquillamente di polpette di riso.
« Sei un pò disperato », alzò le spalle Shinichi porgendogli il caffè fumante.
« Solo un pò? », fece una smorfia l’altro.
« Diglielo e basta, Heiji. Davvero, un giorno potresti pentirti », sospirò Shinichi, sedendosi di fronte a lui. Heiji lo guardò serio, per poi assumere una leggera tonalità di rosa.
« Mmm », fece bevendo un sorso di caffè. « Va bene, lo farò sabato sera, dopo la festa di Sonoko », concluse nervoso.
« Bene! », esclamò Shinichi, per poi ripetersi mentalmente la frase dell’amico in testa. Sbarrò un secondo gli occhi, facendosi andare di traverso un pò di caffè.
« Festa di Sonoko? », ripetè confuso.
« Sì, sabato », gli spiegò Heiji. « Il suo compleanno, non ti ricordi? ».
Shinichi rimase con la tazza ad altezza viso per un interminabile minuto, nel quale cercò di riorganizzare i suoi pensieri.
Quando improvvisamente si ricordò, alzò gli occhi al cielo.
« Ma è gia questo sabato? », chiese disperato, guardando velocemente il calendario sul suo telefono.
« Sì, non ricordi? Passiamo il week-end tutti insieme a Kanazawa ».
Il pensiero di passare il week-end con Sonoko trasformò radicalmente l’umore di Shinichi, che sbuffò spazientito.
« Pensavo mancasse ancora un pò! ».
« Ma cosa avevi di meglio da fare? », chiese Heiji, leggermente offeso che l’amico non volesse stare con loro.
Passare un pò di tempo solo con Ran, magari.
« Ma no, niente », rispose deglutendo.
Si ricordava bene di quando Sonoko gli aveva illustrato i piani per i suoi diciotto anni, e di come i suoi genitori avrebbero praticamente riservato un famoso Hotel a Kanazawa solo per loro e per farle fare il suo debutto nella società. Lei ovviamente non si era accontenta di passare una serata di festeggiamenti, ma aveva allargato a l’intero sabato e all’intera domenica dopo il prolungamento della festa, con in programma la visita al Giardino Kenrokuen e un tour guidato della città.
Con immensa gioia di Shinichi.
« Potrei chiederle di accompagnarmi sul tetto e lì, con il panorama della città, dichiararmi », nel frattempo Heiji borbottava fra se e se, non cogliendo il disagio dell’amico di fronte a lui.
« Oppure, se voi ci lasciate da soli, potrei dirglielo la domenica al Giardino Kenrokuen… non male come location. Giardino Giapponese batte Tempio a Kyoto? ».
Era ancora lì che ragionava fra se, quando di nuovo tornò rosso in viso, bloccando il suo sguardo su Shinichi. Quest’ultimo se ne accorse, e lo guardò confuso.
« Che c’è? », domandò. Heiji sbattè gli occhi, imbarazzato.
« Posso chiederti un’ultima cosa? ».
Non aspettò nemmeno la risposta, che divenne ancora più paonazzo e, posando la tazza con un tonfo rumoroso sul bancone, si porse verso l’amico.
« Ma dopo essermi dichiarato », iniziò titubante. « Devo… », lasciò la frase in sospeso, sperando che Shinichi cogliesse il finale. Quest’ultimo però lo guardò perso, una parte del cervello che ancora era impegnato a imprecare contro Sonoko, per prestare la sua totale attenzione all’amico.
« Devo… », ripetè con più enfasi, gesticolando con la mano.
« Devi? », disse Shinichi non capendo.
Heiji sbuffò, ormai paonazzo.
« Sì, insomma… », deglutì. « Ecco… si aspetterà un… un… ».
Shinichi capì ma cercò di non darlo a vedere. Lo spettacolo di Heiji in quelle condizioni lo stava divertendo così tanto che faticò per non ridergli in faccia. Invece mise su l’espressione più confusa che riuscì a fare, continuando a fissarlo senza proferire parola.
« BACIO? », quasi urlò Heiji arrabbiato, sbattendo un pugno sul bancone. Shinichi trattenne a stento una risata, mentre fissava le gote bordeaux del suo amico.
« Ah, quello », disse con noncuranza.
« L’avevi capito subito, vero brutto idiota? », soffiò imbarazzato Heiji, incrociando le braccia.
« Un pò », rise Shinichi.
« Senti, devo iniziare ad elencarti le volte che ti ho salvato il culo?! », esclamò nervoso l’amico, facendo per iniziare ad elencare con la mano.
« Ok, ok, sta calmo! », rispose Shinichi, alzando gli occhi al cielo.
« Probabilmente dovresti, sì », rispose semplicemente.
« Ah ».
Heiji era così nel panico che mollò la colazione per andarsi a sdraiare sul divano, affranto.
« Non ce la farò mai », piagnucolò lontano. Shinichi sospirò, per poi ritrovarsi a ripensare a quando era toccato a lui quel compito così difficile. Lo era stato, eccome.

 

Cinque mesi prima

 

Shinichi si morse un labbro nervosamente, dondolandosi da un piede all’altro.
Era incredibile come avesse brillantemente schiacciato la più pericolosa banda criminale del paese, uscito vivo da una pallottola alla schiena e risvegliatosi da un coma, e ancora presentarsi da Ran gli creasse tutto quel nervosismo.
Era ormai passato un mese da quando si era risvegliato in quella camera di ospedale e, dopo un periodo di riabilitazione che gli era parso infinito, poteva dirsi tornato il vecchio Shinichi.
Era tornato tutto. Anche la sua insicurezza cronica nei confronti di quella che, ancora non ci credeva, era era la sua ragazza, e anche il suo panico quando la andava a prendere a casa davanti a un Kogoro decisamente infastidito.
Sì, perché evidentemente salvare la vita a sua figlia non aveva migliorato l’opinione che quest’ultimo aveva di lui.
E non sa di Conan, altrimenti…
Al pensiero un brivido gli percorse la schiena e per scacciarlo fece per suonare il campanello. Ma prima che potesse nel suo intento, la voce di Kogoro gli arrivò alle orecchie attraverso la porta.
« Dove vai? », sentì la voce dell’uomo lontana, ma abbastanza chiara. Facendosi piccolo si accostò alla porta, adagiando l’orecchio alla parete. Si sentiva un pò a disagio a fare una cosa del genere, ma voleva davvero appurare che Kogoro non volesse ucciderlo.
« Esco », la risposta di Ran gli parve un pò nervosa.
« Con chi? », sbuffò l’altro. « Col tuo ragazzo? ».
« Non è il mio ragazzo! Siamo amici, papà ».
Sapeva bene che Ran doveva difendersi come meglio poteva con Kogoro, davvero troppo appiccicoso e soffocante da un certo punto di vista, ma sentirglielo dire gli diede un profondo fastidio. Nella sua testa, da quando Conan era scomparso e tutto era tornato alla normalità, pensava che ormai fosse palese agli occhi del mondo che non erano proprio solo più amici. Ma evidentemente il discorso con Kogoro non era stato ancora affrontato.
Cercò di non pensarci, in fondo quella sera la stava aspettando da una vita, quindi tagliò la testa al toro e suonò il campanello.
Aveva chiesto a Ran di andare a vedere i fuochi d’artificio annuali per i fiori di ciliegio, e ormai si era deciso: doveva finalmente baciarla.
Doveva, non poteva tirarsi indietro, dannazione.
Ormai dalla gita erano passati mesi, da Londra non parliamone…
Ormai gli mancava solo quell’ultima sfida, con lei.
Mentre continuava a tormentarsi sul da farsi, lei finalmente aprì la porta e gli sorrise.
Shinichi arrossì lievemente, mentre la guardava. Si era messa un Kimono floreale dai toni pastello azzurri, che le faceva risaltare gli occhi. I capelli erano lasciati sciolti sulla schiena, e poteva sentirne il familiare profumo anche a quella distanza. Deglutì.
« Ciao », soffiò lei, uscendo velocemente.
Lui non fece in tempo a rispondere che oltre Ran fece capolino lo sguardo fulminante di Kogoro che, non facendosi vedere dalla figlia, gli mimava con le mani avvertimenti minacciosi. Trattenne il fiato e fece un sorriso a mo di scuse, mentre lo salutava con la mano velocemente, prima che la ragazza chiudesse in tutta fretta la porta.
« Scusalo, è nervoso », borbottò lei sbuffando, iniziando a scendere le scale.
« Che coincidenza », ribattè lui seguendola con le mani in tasca. « Ogni volta che mi vede lo è », concluse sarcastico. Lei lo guardò male, uscendo finalmente in strada.
« Ma no, non è per te », la sua voce non era molto convinta.
« In effetti, perché dovrebbe? », stette al gioco lui, incamminandosi al suo fianco.
« In fondo siamo solo amici ».
Lei si bloccò, guardandolo con occhi sgranati, l’espressione di chi era stata scoperta con le mani nella marmellata. Si morse un labbro.
« H-hai sentito? ».
Lui sorrise leggermente, alzando le spalle.
« Scusa, ma non glielo ho ancora detto », disse lamentosa lei, ricominciando a camminare nervosamente. Lui faticò a starle dietro.
« E perchè? ».
Cominciava a infastidirlo quel discorso. In fondo, perché lo odiava così tanto?
« Beh… », lei pareva in crisi, non riuscendo a trovare le parole adatte per andare avanti. Alla fine prese un profondo sospiro e, fermandosi di nuovo, lo guardò di sottecchi.
« Diciamo che pensa che non sei molto affidabile », sputò tutto d’un fiato.
Shinichi sgranò gli occhi, fermandosi anch’esso.
« Affidabile? Io? », era visibilmente offeso, mentre la guardava con gli occhi sgranati.
« Esattamente, quante ragazze lui pensa io abbia? », fece una smorfia. Ce l’aveva messa tutta a dichiararsi all’unica che gli piaceva da diciassette anni, figurarsi questa nomina improvvisa di inaffidabile.
« Non in quel senso », sottolineò lei tornando a camminare.
« E quindi? », incalzò lui.
« Diciamo che il tuo cacciarti nei guai non gli va molto a genio », concluse Ran.
« Organizzazioni misteriose, proiettili vaganti, torture varie, esperimenti scientific- ».
« Sì, ho capito », borbottò Shinichi, non sapendo bene come ribattere. Un pò scocciato accelerò il passo, le mani in tasca e lo sguardo fisso a terra.
« Eddai, non fare così », Ran lo prese per un braccio, avvicinandosi a lui. « Prometto che troverò il momento giusto per dirglielo », provò a calmarlo, e per poco ci riuscì.
Almeno fin quando non le suonò il telefonino. Shinichi, ancora immerso nei suoi pensieri su Kogoro e la sua scarsa affidabilità, quasi non fece caso a Ran che rispose con entusiasmo al telefono. Ma dopo poco, si rese conto con chi stesse parlando, e raggelò.
« Sì, stiamo arrivando Sonoko ».
Si irrigidì.
La sentì ancora parlare con la sua amica e, quando infine chiuse il telefono, si bloccò in mezzo alla strada, mettendosi a fissarla con uno sguardo così indecifrabile che Ran sgranò gli occhi confusa.
« Che c’è? », domandò, quasi immersa in quello sguardo.
« Sonoko? », ripetè lui cercando di mantenere la calma. Lei annuì, non capendo.
« E Sera-chan », aggiunse entusiasta. « E’ tornata ieri, ho approfittato della serata per rivederci tutti ».
« E Sera-chan », le fece eco lui sarcastico. « Altri? »
« Non so a chi l’abbia detto Sonoko, forse qualche altro compagno di classe »
Shinichi deglutì, cercando di mantenere la calma. Poi, dopo un tempo interminabile, e un sacco di gente che li guardava curiosi, si massaggiò una tempia.
« Io, veramente, pensavo di uscire io e te. Insieme. Da soli. », scandì bene le ultime frasi con un leggero rossore sulle gote, che presto contagiò anche Ran che, finalmente capendo, aprì la bocca stupita.
« Ah… ».
« Eh… », la prese in giro lui, sbuffando.
Davvero, non poteva credere che lei avesse capito che fosse una uscita collettiva.
« Era un appuntamento? », mormorò lei imbarazzata.
« Ma no, gli amici non escono insieme », ormai il fastidio era evidente, e aveva quasi voglia di punzecchiarla per vendicarsi. Lei mise sul il broncio, e ribattè contrariata.
« E io cosa ne sapevo, scusa?! », lo accusò, stritolandogli il braccio al quale era ancora aggrappata.
« Ah, scusa, dirti “Ran, andiamo a vedere i fiori di ciliegio” non sapeva di appuntamento? », ribattè lui scontroso.
« Ci andiamo ogni anno da quando abbiamo cinque anni, idiota! ».
« Sì, ma quest’anno era diverso! ».
Ran fece per ribattere, ma dovette ammettere a se stessa che forse aveva ragione. Quell’anno, per la prima volta, non ci sarebbero più andati da amici. Ma da fidanzati.
Come aveva fatto a non pensarci? Improvvisamente il pensiero di passare una serata insieme, da soli, le parve così allettante che la delusione iniziò a pervaderla.
Aveva rovinato tutto.
Si morse un labbro, improvvisamente conscia di aver rovinato il loro primo, vero appuntamento.
Si stavano ancora guardando in cagnesco, quando un flash quasi li accecò, facendogli chiudere gli occhi all’improvviso.
« Ma guardateli », la voce di Sonoko era solenne. « Ran e suo marito ».
Ran si alzò gli occhi al cielo, mentre Shinichi fissava contrariato le due ragazze che si erano materializzate davanti a loro.
Shinichi con uno sbuffo guardò Ran avvicinarsi alle due ragazze rispondendo a tono in imbarazzo, per poi notare dietro di loro almeno tre dei loro compagni di classe.
Benissimo.


« Dobbiamo trovare dei buoni posti per vedere i fuochi! », esclamò Sonoko, guardandosi intorno. La folla di gente era così fitta che presto notò come non sarebbe stato così semplice.
Notando come tutti fossero impegnati e distratti, Ran ne approfitto per affiancarsi a Shinichi, che per tutta la sera era rimasto un pò in disparte, ancora decisamente irritato per rivolgere la propria attenzione a qualcuno. Timorosa, si schiarì la voce, torturandosi le mani.
« Sei arrabbiato con me? », domandò sottovoce, in modo che solo lui potesse sentirla.
« Ma smettila », sbuffò Shinichi, avvicinandosi di più a lei per farle sentire il suo sussurrò.
« Ho rovinato tutto… ».
« Non fa niente, dai », cercò di moderare il tono della voce in modo da rincuorarla. La verità era che la delusione cocente gli bruciava lo stomaco.
Lei annuì, guardandosi i piedi. Si sentiva così maledettamente sciocca. Fissò i loro amici, che senza accorgersene li avevano distanziati alla ricerca di un posto panoramico. Un’idea le balenò in mente, e prima che la mancanza di coraggio la frenasse, acchiappò per un braccio Shinichi e iniziò a camminare velocemente nella direzione opposta. Lui, preso in contropiede, per poco non inciampò, per poi cercare di evitare di dare spallate ad ogni malcapitato capitasse sul cammino della sua ragazza.
« R-ran? », borbottò, chiedendo scusa all’ennesimo al quale pestò i piedi.
« Dai, prima che se ne accorgano! », esclamò le spazientita, guardando lontano la chioma bionda di Sonoko, che non si era accorta del loro repentino cambio di direzione.
Quando si rese conto della sua idea, Shinichi iniziò a camminare velocemente, raggiungendola. Tutto sommato, non era male quella fuga. Se fosse dovuto rimanere ancora con tutti loro, probabilmente gli sarebbe venuto un esaurimento nervoso.
Camminarono per almeno cinque minuti, per poi fermarsi al suono del primo fuoco d’artificio che veniva sparato in cielo. Dalla sorpresa sobbalzarono, mentre venivano illuminati dai colori appena apparsi in cielo.
« Mettiamoci qui », suggerì lui, indicando una nicchia fra due alberi in fiore, poco isolate dal resto della folla. Salì sopra una pietra e si girò per affermare le mani di Ran per aiutarla a salire. In quel momento, lì in cima, la guardò meglio, anche aiutato dalla luce che il secondo fuoco fece in quel momento. I loro occhi si incontrarono, e lei sorrise.
Era così bella con quel kimono, che per un attimo vide solo lei. Lei parve accorgersene perché arrossì, e si concentrò sul salire sul masso per evitare il suo sguardo ulteriormente.
Lui tornò in se e tenendola per mano si sistemò con la schiena contro l’albero dietro di loro.
« Non è male qui », disse lei, prendendo posto al suo fianco, tenendolo per il braccio.
Erano leggermente rialzati rispetto alla gente intorno a loro, e quasi si mimetizzavano fra la miriade di ciliegi che cascavano dai due grandi alberi al loro fianco.
Shinichi annuì silenziosamente, improvvisamente il cuore a battergli prepotentemente nel petto.
In quel momento si rese conto di quanto Ran fosse vicina a lui, di quanto fosse bella, e realizzò che, davvero, quella volta vedere i fuochi con lei era diverso.
Deglutì, cercando di mantenere la calma, ma ormai il cuore era fuori controllo.
Ran sentì il suo braccio immobilizzarsi, e lo guardò di sottecchi. Aveva il viso tirato, un pò arrossato, e lo trovò così carino da imbambolarsi a guardarlo.
Tutto ciò che avevano passato era così irrimediabilmente lontano in quel momento, e per una volta si sentì una ragazza qualunque, ad un appuntamento romantico come un altro.
Era così bello e piacevole sentirsi normale, quando fra di loro di normale c’era sempre stato ben poco.
I fuochi d’artificio ormai li sentiva ovattati, mentre porgeva la sua attenzione sempre più prepotentemente a Shinichi che, dopo un tempo infinito, si accorse del suo sguardo. Rimasero a fissarsi negli occhi per un pò, completamente in trance.
Fallo.
Ran si ritrovò a pregare nella sua testa che lui la sentisse, che capisse che quello era davvero il momento giusto.
Dai, baciami ora.
Ma lui era come paralizzato, paonazzo in viso, e rigido al suo fianco. La consapevolezza di ciò che avrebbe potuto fare con lei così vicina lo aveva fatto andare nel panico. Avrebbe voluto voltarsi, prenderle il viso fra le mani e baciarla.
Sì, certo.
Facile per qualsiasi altra persona, ma non per lui che non sentiva più nessuna fibra del suo corpo.
L’impazienza cominciava a farsi strada in Ran, che quando si accorse del tuo stato di shock, sgranò gli occhi. Esasperata gli mollò il braccio, e posandogli le mani sulle spalle si alzò sulle punte dei piedi. Si fermò a pochi centimetri dal suo viso, lanciandogli l’ennesima occhiata.
E lo baciò.
Dapprima immobile, quando si rese conto di cosa stava succedendo, le cinse d’istinto la vita, attirandola maggiormente a se. La baciò con convinzione, mentre sentiva ormai il cuore correre all’impazzata e un caldo insopportabile pervaderlo dall’entusiasmo.
Con i fuochi che andavano via via finendo, si staccarono leggermente anche loro, guardandosi con i nasi che si sfioravano. Rimasero così, finché la fine dello spettacolo non gli lasciò quasi in penombra.
« Sei ancora arrabbiato? », mormorò lei contro le sue labbra, con una risata imbarazzata.
« Scema ».
 

***
 

Quando Ran quella mattina si svegliò, e notò che Shinichi non era al suo fianco, si sentì d’istinto delusa. Con uno sbadiglio si mise a sedere sul letto, e si ricordò di quando lui quella mattina era andato via. Un pò imbarazzata al ricordo, realizzò che era la prima notte da mesi nella quale aveva avuto un sonno privo di incubi o agitato. Averlo al suo fianco, e anche complice l’avergli ammesso cosa provava, le aveva fatto decisamente bene.
Con uno slancio si alzò, dirigendosi in cucina. Lì vi trovò suo padre, e constatò un pò stupita quanto fosse di buon umore.
« Buongiorno! », esclamò Kogoro con un sorriso stampato in viso, e in mano il caffè mattutino. Ran rispose al saluto, guardandolo un pò titubante.
« Tutto bene? », chiese.
« Mai stato meglio », replicò lui e, canticchiando, si avviò verso la porta di casa. « Vado in ufficio ».
Ran rimase così sola, a fissare la porta con sguardo perso. Non capendo bene la situazione, decise di scrollare le spalle e prepararsi qualcosa da mangiare. In quel momento sentì in camera il telefonino suonare e, imbarazzata, sperò non fosse Shinichi.
Il pensiero di aver dormito insieme un pò la faceva sentire a disagio, e ringraziò quando vide sullo schermo che la chiamata era da parte di sua madre.
« Pronto? », rispose.
« Buongiorno! ».
La voce entusiasta di sua mamma la lasciò interdetta almeno quanto la voce di suo padre di quella mattina. Ma non potè pensarci troppo su, che Eri le chiese cosa avrebbe fatto per cena. Quando appurò che la figlia era libera, le domandò se potevano cenare insieme.
« Sì, certo », replicò Ran, guardando l’ora: erano già le dieci.
« Allora ci vediamo dopo ».
Chiuse la chiamata con un sorriso, e in quel momento notò che c’era un messaggio ancora non letto nella memoria. Deglutì, quando vide che era di Shinichi.
Con mano tremante e un rossore che le imperlava le guance, lo aprì.
Heiji sta ancora qui oggi, poi alle venti lo accompagno in stazione. Ci vediamo domani a scuola?
La delusione un pò la lasciò interdetta, ma lasciò perdere. Gli rispose di sì, che si sarebbero visti il giorno dopo. Poi, una volta inviato il messaggio, si morse un labbro. Riaprì il telefono e gli scrisse un altro sms.
Scusa ancora per averti svegliato stanotte.
Rossa in viso glielo mandò. Visto da un occhio esterno quel messaggio avrebbe significato ben altro, e si imbarazzò anche solo a pensarlo. Sospirò, mettendo via il telefono, pensando che una doccia l’avrebbe un pò rinvigorita. Mentre era sotto il getto di acqua calda, Shinichi da casa sua cliccava su invio al messaggio appena scritto.
Scema.

 

« Allora, va tutto bene? ».
Eri si rivolse con voce decisa a Ran, che stava giocherellando con la sua cena. Erano andate a mangiare al solito locale dove si ritrovavano sempre insieme, ma la ragazza pareva immersa nei suoi pensieri. Alla domanda di sua madre, sobbalzò, e fece un sorriso forzato.
« Sì, tutto benissimo », rispose cercando di apparire tranquilla.
Eri la guardò sospettosa, addentando il suo pesce.
« A scuola? ».
« Tutto ok », alzò le spalle Ran, rigirandosi nelle bacchette una pallina di riso.
« Con tuo padre? », era così distratta che non avvertì nella voce di sua madre un pizzico di entusiasmo nel nominare Kogoro.
« Bene, bene ».
« … con Shinichi? ».
Al suono di quel nome, Ran fece cascare la pallina di riso fuori dal piatto, che ripulì con il volto un pò rosso.
« T-tutto ok », balbettò in imbarazzo, sfregando il tovagliolo contro il tavolo.
Shinichi.
Shinichi che la baciava sotto gli alberi di ciliegio.
Shinichi che si prendeva una pallottola per lei.
Shinichi che le sbottonava la camicetta.
Shinichi che la prendeva in giro.
Shinichi che la baciava sul divano.
Una miriade di pensieri le vorticarono freneticamente in testa, facendola diventare paonazza. Provò a non pensarci, a mandare altrove quei pensieri, per non rivelare a sua mamma cosa fosse successo ultimamente con lui.
Ma Eri quando notò il suo rossore sgranò gli occhi, e la curiosità si impadronì di lei. A maggior ragione che sua figlia evitava sempre accuratamente il discorso
« Da quanto state insieme, ora? », chiese fingendo noncuranza.
Shinichi che le sorrideva.
« O-tto mesi », rispose lei.
« Oh, bene ».
« Mmm ».
Shinichi che dormiva con lei.
« E sei contenta con lui? ».
Ran alzò finalmente lo sguardo verso sua madre, che la fissava seria.
« Sì, mamma », rispose lei un pò piccata. Questo sospetto intrinseco nella sua domanda le aveva dato fastidio.
« Ok », replicò lei un pò dubbiosa. « E’ che ti vedo agitata a parlare di lui », alzò le spalle.
« Non sono agitata », fece una smorfia lei.
Shinichi che giocherellava coi suoi capelli mentre guardavano un film.
« Quindi le cose sono serie con lui? ».
Ran aprì la bocca per rispondere, per poi bloccarsi. Richiuse la bocca, corrugando la fronte. Era una domanda a trabocchetto?
« I-in che senso? », domandò spiazzata. Eri alzò le spalle.
« Non siete dei bambini, state insieme da quasi un anno… immagino sia una storia seria, no? ».
Quella consapevolezza la lasciò interdetta, mentre realizzava quelle parole. Nel vederla così in crisi, Eri mandò giù il boccone e la guardò.
« Cosa c’è? », chiese.
« No, niente, è che… non ci avevo pensato, ecco », borbottò Ran, tornando al suo piatto.
« Avete quasi diciotto anni, Ran », prese a parlare sua madre.
« Io a ventuno ho avuto te », scrollò nuovamente le spalle.
Quasi il boccone appena messo in bocca non andò di traverso a Ran, la quale iniziò a tossire e solo un bel bicchiere d’acqua mandò giù quel blocco di riso nella sua gola.
« Ma mamma! », ribattè lei.
« Non volevo allarmarti », alzò gli occhi al cielo lei. « Dico solo che fra poco finirete il Liceo, e diventerete adulti. Se le cose con lui sono serie e state bene, sono cose a cui uno può pensare, no? ».
« I figli?! », la voce di Ran ormai era stridula.
« No, però puoi iniziare a pensare se è lui quello giusto… ».
« Dove vuoi andare a parare? », indagò infastidita, stringendo fra le mani le bacchette.
« Tesoro, non fraintendermi », Eri lasciò cadere le bacchette, portandosi le mani intrecciate al viso serio.
« E’ un bravo ragazzo, indubbiamente. Ti vuole bene, ti ha salvato la vita, è di buona famiglia… ».
« … ma? », stava iniziando a perdere la pazienza.
« Ma », sospirò Eri. « E’ un detective ».
Scese il silenzio fra loro, nel quale Ran strinse la mascella, cercando di mantenere la calma.
« Tu lo hai sposato, un detective », sputò nervosa.
« Tecnicamente, ho sposato un poliziotto. Ed è proprio quando è diventato detective che le cose non sono andate benissimo », fece una smorfia.
« Devi pensare se sei pronta a sopportare che verrai sempre dopo il suo lavoro, a sopportare di saperlo perennemente in pericolo, e ne abbiamo avuto la prova », arricciò il naso al ricordo di come li aveva trovati, a terra e coperti di sangue, in quel capannone mesi prima.
« Insomma, a diciotto anni dovresti pensare al futuro, ecco », concluse con un sospiro.
« E valutare se lui è quello giusto, perché ora devi pensare anche al tuo futuro, e stando con lui potresti essere influenzata ».
« E in che modo potrei esserlo? », la sua voce tradiva decisamente il suo malumore.
Quel discorso la stava irritando, e anche molto.
« Hai già pensato a che università andare, per esempio? ».
« In nessuna, lo sai bene. Voglio continuare col karate, potrei lavorare in una palestra », rispose a tono lei.
« Non lo fai solo perché è un lavoro che non ti porterebbe lontana da lui, vero? », replicò Eri, alzando un sopracciglio.
« No, mamma. Lo faccio perché voglio, e poi che università dovrei frequentare? Giurisprudenza? », la prese in giro. « Io non sono come te », concluse.
« Ci sono altre mille facoltà », insistette lei.
Ran non ce la fece più e prima che potesse accorgersene, sbatte la mano sul tavolo, alzandosi in piedi. Tremava dal nervoso, mentre guardava in viso sua mamma.
« Mi hai chiesto di vederci per questo? », la sua voce si alzò di un tono. « Hai parlato con papà, vero? Neanche lui vuole che io stia con Shinichi, me lo ha fatto capire bene quando gli ho detto che ci frequentavamo ».
Ormai parlava così frenetica che Eri rimase sbalordita. Non aveva mai visto sua figlia così arrabbiata, perlomeno non con lei. Rimase interdetta nel sentire il nome di Kogoro, arrossendo.
« Ran, mi hai frainteso », cercò di rimediare, ma ormai Ran aveva acchiappato la sua borsa e se la stava mettendo a tracolla.
« Mi è passata la fame », borbottò, e cercò di svincolarsi da sua madre camminando velocemente verso l’uscita. Non volle dare retta a sua madre che la chiamava, e con un colpo aprì la porta ed uscì per strada. Nervosamente cominciò a camminare a vuoto, cercando di riorganizzarsi le idee.
Questa costante idea che Shinichi non fosse affidabile ormai era stampata a fuoco nella mente dei suoi genitori. Un angolino della sua testa le disse che forse non poteva giudicarli eccessivamente.
Ai loro occhi lui era il ragazzo che l’aveva lasciata per andare dietro a un caso più grande di lui, che lo aveva portato a immischiarsi in giri loschi con persone pericolose.
Per loro lui era quello che non c’era mai, che non la chiamava e la lasciava a crogiolarsi nel suo dolore.
Non sapevano di Conan, certo. Se avessero saputo tutto non sarebbero stati in grado di perdonarlo come aveva fatto lei, per questo ai loro occhi la sua scomparsa era ancora in quel momento spiegabile nel fatto che gli piacesse rincorrere organizzazioni criminali.
Lo avevano ritrovato ai piedi di loro figlia, con una pallottola nella schiena, pallottola indirizzata lei.
Ai loro occhi era senza dubbio il tipo di ragazzo che avrebbero preferito stesse lontano dalla loro unica figlia.
Troppo inaffidabile, troppo pericoloso, troppo egoista.
Le lacrime iniziarono a pungerle gli occhi, mentre stringeva forte i pugni fino a infilarsi le unghie nel palmo.
Camminò a vuoto per Beika per almeno mezz’ora, mentre il freddo della sera cominciò a farle venire i brividi. Tirò su col naso, asciugandosi le lacrime dagli occhi.
« Ran? ».
Una voce la ridestò dai suoi pensieri, e si voltò di scatto.
Davanti a lei, Shinichi la guardava con la fronte aggrottata. Teneva in mano un sacchetto di cibo da asporto, e l’altra nella tasca di un gubbino blu scuro che indossava.
Aveva l’espressione preoccupata e sorpresa, mentre scrutava il viso bagnato di Ran.
« Stai bene? », domandò avvicinandosi. In quel momento Ran si rese conto di essere nella via di casa sua, e si domandò come avesse fatto ad arrivarci soprappensiero. Deglutì, cercando di darsi una sistemata al viso.
« S-sì, io… », cercò invano una scusa, che non arrivò.
« Sei sicura? », si avvicinò a lei, alludendo alla notte prima. Lei annuì energicamente con la testa, tirando su col naso.
« Ho litigato con mia madre », mormorò, sperando che lui non indagasse oltre. Ma a quelle parole, Shinichi si bloccò, a disagio.
Cominciò a dondolare sul posto, pensando velocemente. Che Eri avesse detto a Ran di aver passato la notte con suo padre?
Si era ripromesso di non parlargliene per ferirla o illuderla, ma a quel punto poteva essere un motivo per quella discussione. Provò a indagare con attenzione.
« Per tuo padre? », provò a chiedere cauto.
« No, lui non c’entra », farfugliò Ran, stupendolo.
« Ah », ribattè lui, non sapendo cosa dire. Prese nella tasca del gubbino la chiave di casa, e indicò il suo cancello poco più avanti.
« Vuoi entrare? », domandò. La guardò attentamente: pareva uno straccio.
« Sì », rispose lei automaticamente, e lo lasciò passare per aprire il cancello. In silenzio lo seguì meccanicamente, e quando finalmente mise piede in casa e sentì il calore dell’abitazione si rese conto di essere congelato. Vide Shinichi guardarla di sottecchi, ma ebbe la delicatezza di non iniziare nuovamente il discorso. Aspettò pazientemente che lei fosse pronta per iniziare il discorso, anche se a giudicare dalla sua espressione, pareva non averne eccessivamente voglia.
Lasciandola sedere in cucina, le voltò le spalle per prendere due bicchieri puliti e dell’acqua dal frigo, e, dopo averne riempito uno, glielo porse.
Glielo stava per posare davanti, che lei alzò finalmente lo sguardo su di lui, lasciandolo un attimo attonito.
« E’ una storia seria, la nostra? ».
Poggiò malamente il bicchiere che gli scappò di mano, facendo fuoriuscire un pò di acqua davanti a Ran. Questa però non se ne preoccupò e, anzi, lo fissò attentamente. Shinichi corrugò la fronte, appoggiando le braccia al bancone.
« Scusa? », riuscì a dire con un sorriso storto, mentre lei stringeva i pugni in grembo.
« Ti ho chiesto », ripetè nervosa. « Se la nostra storia è seria ».
Shinichi sbattè le palpebre un paio di volte, tornando serio. Rimane zitto per un pò, sostenendo il suo sguardo.
« Certo che lo è », rispose serio infine, fissandola intensamente.
Lei, che aveva trattenuto il fiato fino a quel momento, sospirò pesantemente, sentendosi immediatamente sollevata. Alla vista della sua ritrovata serenità, Shinichi inarcò un sopracciglio.
« Pensavi stessi con te per divertirmi? », era infastidito, e non si imbarazzò neanche per quella frase appena pronunciato. Era sinceramente offeso, e voleva andare il prima possibile a fondo di quella domanda così impensabile.
Lei fece una smorfia, e lui finalmente ci arrivò. Contrasse la mascella, facendo due più due
« Lo pensa tua madre? », sbottò.
« No, non lo pensa », replicò prontamente lei.
« Però pensa che io non vada bene per te, giusto? ».
Lei staccò per la prima volta lo sguardo da lui, e Shinichi capì di aver colto nel segno.
« Per quello avete litigato? », si sedette sullo sgabello a fianco di Ran.
« Forse », mugugnò. Lui la guardò con un mezzo sorriso.
« Sì », alzò gli occhi al cielo.
« Ran, non mi aspetto certo che mi adorino », ammise lui. « Ai loro occhi, non mi adoro neanche io ».
Si ricordava bene quando finalmente Ran aveva detto a Kogoro che si stavano frequentando. E altrettanto bene si ricordava lo sguardo minaccioso di quest’ultimo una delle volte successive nelle quali l’aveva incontrato.
Ma come poteva giudicarlo?
« Ma loro non sanno la verità », obiettò lei.
« E non devono saperla », il suo tono era diventato così deciso che lei si zittì.
« Hanno saputo fin troppo, ci manca solo che ti scappi qualcosa su Conan ».
« Non lo direi mai ».
Lui tamburellò le dita sul bancone, ripensando alle sue parole. Pensò se porle la domanda che gli balenò in testa e, dopo un pò, gli uscì di bocca.
« Perché mi hai fatto quella domanda, prima? ».
Lei capì subito a cosa si stessa riferendo, e per guadagnare tempo bevve un sorso di acqua che lui poco prima gli aveva messo davanti.
« Io non ci avevo mai pensato », ammise, riposando il bicchiere. Lui inarcò un sopracciglio.
« Grazie », replicò sarcastico.
« Scemo », alzò gli occhi al cielo. « E’ che non ci pensavo, ma fra poco finiremo il Liceo », le parole di sua madre le tornarono in testa, mandandola in confusione.
« Sì, lo so », replicò Shinichi, non capendo dove volesse andare a parare. Lei divenne improvvisamente nervosa, e si mise a rigirarsi fra le mani il bicchiere.
« Ecco, tu… cosa pensi di fare dopo? ».
Shinichi la guardò, notando il suo nervosismo, non capendo quale fosse improvvisamente il problema.
« Beh, collaboro già con la polizia. Pensavo di continuare così, lavorando con loro… ».
« … come detective », concluse Ran, con una nota amara nella voce.
« E’ un problema? », chiese Shinichi, nervoso anche lui. Ran distolse la sua attenzione dal bicchiere, guardandolo con una ruga preoccupata sulla fronte.
« No, non lo è », disse piano. « Se mi prometti che non mi metterai sempre per seconda ».
Scese un silenzio glaciale fra di loro, mentre Shinichi la guardava mordersi un labbro per la frase appena pronunciata.
« Hai paura di questo? », chiese lentamente.
« Sì. Ho sempre paura di questo », dichiarò lei in un sussurro. « Ho paura ogni volta che Megure-san ti chiama. Ho paura ogni volta che sparisci per ore o per giorni. Ho paura di ogni singolo caso di cui ti occupi ».
Lo pensava da mesi, e mai era riuscita a dirglielo in tutta onestà. Aveva provato ad accettarlo, accettare il suo lavoro e i suoi impegni, e c’era riuscita per un periodo. Ma quell’improvviso discorso con sua madre aveva fatto riaffiorare tutte le sue paure più profonde, e non era riuscita a tenerselo dentro ulteriormente.
« Mi hai chiesto di dirti tutto, stanotte. E’ così che mi sento », sentì di nuovo le lacrime pungerle gli occhi. Lui si torturò un labbro, cominciando a fissare il pavimento.
« Ran, è il mio lavoro », disse, sentendosi sbagliato e anche un pò egoista.
« Lo so », la sua voce era incrinata. « Ti chiedo solo di fare attenzione, e di ricordarti di me, quando capisci di essere eccessivamente in pericolo. Di fermarti, se noti che qualcosa non va », gli prese una mano, stringendogliela.
« Per questo te lo richiedo, se pensi che la nostra storia sia seria, promettimi che non ti immischierai più in certi casi ».
Lui si voltò, e notò che ormai le lacrime le colavano per il viso. Il suo cuore perse un battito. La stava facendo piangere. Di nuovo.
« Promettimelo ».

Era difficile promettere una cosa del genere. Alla vista di Ran così avrebbe urlato la sua promessa senza esitare, ma si chiese cosa avrebbe fatto se avesse di nuovo avuto davanti un uomo dell’organizzazione, o qualsiasi altra entità pericolosa. Sarebbe stato capace di girare lo sguardo, tornare sui suoi passi, lasciar perdere?
Improvvisamente si rese conto che forse Eri e Kogoro avevano ragione, che era un incosciente, che metteva Ran sempre seconda rispetto al suo lavoro.
Rimase così tanto tempo immobile che lei gli lasciò andare la mano, delusa in volto. Era ancora perso nei suoi pensieri confusi, quando lei, titubante, si alzava in piedi e si avviava con le lacrime che le colavano giù senza freni, verso l’uscita.
Solo quando la sentì singhiozzare si riprese dai suoi pensieri, e la vide di schiena avviarsi velocemente via. Nel panico, si rese conto di cosa stava facendo.
La stava facendo scappare. Stava mettendo il suo lavoro prima di lei.
Che cosa avrebbe fatto se avesse avuto di fronte un uomo in nero? Lo Shinichi di un anno prima lo avrebbe seguito, si sarebbe fatto sorprendere nel guardare uno scambio illegale di soldi, si sarebbe distratto e fatto colpire dal secondo uomo, che gli avrebbe somministrato un veleno per ucciderlo.
Sarebbe morto, lì, nell’erba, da solo.
Amici, parenti, genitori, Ran. Nessuno lo avrebbe più trovato, se quel veleno avesse eliminato ogni granello del suo corpo. A quel pensiero, chiuse gli occhi.
« Te lo prometto! », urlò facendosi avanti, facendo cadere lo sgabello. Ran si bloccò, rimanendo di spalle.
« Te lo prometto », ripetè lui con voce tremante.
Il nuovo Shinichi non avrebbe rifatto lo stesso errore. Il nuovo Shinichi avrebbe imparato la lezione. Avrebbe chiamato la polizia, si sarebbe fatto aiutare, non avrebbe fatto il gradasso pensando di poter gestire tutto da solo. Non si sarebbe fatto fregare, non si sarebbe fatto uccidere per un errore da ragazzino.
« Per favore, non scappare », disse, vedendola fissare titubante il portone di entrata.
« Ti prometto che non sparirò, mai più ».
Lei, che lo aveva aspettato.
Lei, che si era prese calci, pugni, schiaffi per colpa unicamente sua.
E si sarebbe presa anche una pallottola nella pancia.
Strinse i pugni, mentre gli saliva una voglia di vomitare impellente.
Lei, che era stato al suo capezzale per tutto il tempo in cui era rimasto in coma.
Lei, che lo aveva perdonato.
Perdonato.
« Hai sempre fatto tutto per me, più di quanto io abbia fatto per te », ammise, vergognandosi.
« Direi che posso prometterti di tornare sempre da te », le prese la mano, mentre lei gli dava ancora le spalle.
Ran si voltò lentamente, guardandolo in viso. La guardava con sguardo grave, e si rese conto della sincerità nel suo viso. Tirò su col naso malamente, ma non ci fece caso.Era davvero onesto, e sapeva di potersi fidare di quella promessa. Quella dichiarazione gli parve la dichiarazione d’amore più bella che lui le avesse mai fatto.
Londra, quel ti amo in ospedale, in confronto non era niente rispetto a ciò che le aveva appena detto. Lasciò cadere ogni barriera e si mise a singhiozzare. Prima che potesse rendersene conto si mise a piangere così tanto che non riusciva più ad acchiappare le lacrime per asciugarsele. Aveva perso il controllo, e quando sentì lui abbracciarla delicatamente si lasciò andare contro il suo petto, scossa da singhiozzi.
Aveva cercato per tutto quel tempo di non piangere di fronte a lui, non su quello che avevano passato. Aveva cercato di apparire forte, gli aveva fatto credere che niente e nessuno l’avesse scalfita. Che tutto andasse bene.
Ma non riuscì più a trattenersi ma, mentre continuava a sfogarsi e lui pazientemente le accarezzava la testa, si rese conto che man mano si sentiva sempre più leggera.
Stettero così abbracciati per un bel pò, finché non versò l’ultima lacrima e non fu scossa dall’ultimo singhiozzo. Alla fine riuscì a calmarsi, e cercò di asciugarsi il viso. Alzò il viso verso il suo, e incrociò il suo sguardo.
« Sei sempre stata una piagnucolona », disse lui con un sorriso divertito. Lei rise a sua volta, ricordandosi di quando lui l’aveva chiamata così, tanto tempo addietro, al loro primo incontro all’asilo.
« Forse avevi ragione », ammise.
« Certo che ne avevo, io ho sempre ragione ».
Rise di nuovo, tirandogli un pugnetto contro il petto.
« Forse è meglio se mi lavo la faccia », disse, staccandosi dal suo abbraccio per dirigersi verso il bagno. Gli fece un ultimo timido sorriso, per poi chiudersi nel bagno di servizio del piano terra.
Quando si chiuse dietro la porta, fece un respiro profondo, e guardò il suo riflesso nello specchio.
Era tremenda.
I capelli erano spettinati, alcuni appiccicati al viso bagnato. Gli occhi, rossi e gonfi, erano incorniciati da profonde occhiaie. Imbarazzata si lavò il viso con l’acqua fredda, sperando di poter rimediare. Poco cambiò e dopo un pò decise di uscire.
Purtroppo non poteva migliorare nulla.
Ma quando uscì, cercando di nascondere come meglio poteva il viso fra i capelli, notò che Shinichi era seduto sul divano, con un film in pausa in televisione. Quando la sentì, si voltò con un sorriso.
« Film? ».
Lei, presa in contropiede, annuì, per avvicinarsi lentamente a lui. Si accoccolò piano al suo fianco, posando la testa sulla sua spalla. A quel punto lui premette play, e calò il silenzio.
Non parlarono più di quel discorso, e Ran lo ringraziò mentalmente. Non avrebbe retto ulteriormente, e lui pareva averlo capito. Lui la capiva sempre, da sempre.
E, mentre lui cominciava a giocare con un ciuffo dei suoi capelli rigirandoselo fra le dita, sentì il suo cuore sereno per la prima volta da mesi.

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Capitolo 7
*** Addii ***


WITHOUT WORDS.
addii.

 

Ran sbadigliò per l’ennesima volta quella mattina. Era mercoledì ma le pareva che quella settimana di scuola fosse particolarmente infinita. Stropicciandosi gli occhi, aprì il frigo per prendere dell’acqua fresca, quando sentì il campanello di casa suonare. Come un automa si diresse verso la porta e, senza neanche domandare chi fosse, aprì la porta con l’ennesimo sbadiglio. Un Shinichi altrettanto assonnato la salutò con un cenno di capo, entrando lentamente in casa.
Ormai era diventata la loro silenziosa e intima routine. Da quando era tornato, praticamente tutte le mattine prima di andare a scuola, lui arrivava da lei quei quindici minuti prima per fare colazione. Dapprima Ran si era stupita di questa novità, e glielo aveva fatto notare. In risposta il ragazzo aveva sbuffato, dicendo che in casa sua mancava sempre tutto per la colazione e che non aveva voglia di prepararsene. Mano a mano che il tempo passava, Ran era arrivata alla conclusione che probabilmente gli facesse davvero piacere fare colazione con lei. E il fatto che suo padre ormai la mattina avesse ripreso a lavorare alla centrale di polizia aveva aiutato a mantenere quel piccolo, innocente segreto.
Se tutte le mattine Kogoro avesse dovuto sorbirsi Shinichi, probabilmente quella loro abitudine sarebbe morta all’istante. Invece eccolo lì, a girovagare come se niente fosse nella sua cucina, con la giacca della divisa buttata malamente li accanto, sicuro nei movimenti. D’altronde, aveva vissuto così tanto con loro, che sapeva bene dove trovare tutto.
Internamente felice di averlo lì con lei, lo affiancò per tornare a versarsi dell’acqua fresca. Non sapeva di aver colto nel segno, e che davvero a Shinichi mancasse quella routine che avevano instaurato quando era Conan. La scusa del non avere niente in casa gli era uscita di bocca una mattina perché preso in contropiede, ma la verità era che averla intorno gli mancava enormemente.
In silenzio, entrambi ancora troppo assonnati per chiacchierare, si sedettero al tavolo mangiucchiando la colazione. Ran giocherellò con il suo pane tostato, lanciando di tanto in tanto occhiate a Shinichi. Pareva assorto nei suoi pensieri, probabilmente il caso da cui era corso il lunedì prima e che non aveva ancora risolto. Era ancora lì che lo fissava, quando lui si alzò di colpo facendola sobbalzare, ma senza accorgersene si diresse a prendere dei tovaglioli. Tornò a sedersi al suo fianco, porgendogliene uno automaticamente. Ran sorrise, accettandolo. Improvvisamente si ritrovò a vagare con la mente lontano, a un futuro che avrebbe voluto vivere con lui. La mattina, loro due, a fare colazione. Magari vivere insieme, sotto lo stesso tetto. L’immagine le scaldò il cuore, e lo guardò affettuosamente. Era quello che vedeva davanti a sé, con quello stesso sbruffone che sedeva al suo fianco e leggeva distrattamente il giornale lasciato quella mattina da Kogoro.
Aveva la cravatta allentata, la camicia un po’ stropicciata ma così dannatamente attraente sul suo corpo. Ran si morse un labbro, cercando di deviare questi nuovi, prepotenti pensieri. Fece per prendere della marmellata, ma si accorse che non era in tavola. Si alzò, dirigendosi convinta verso lo sportello sopra il lavandino. Ma quando lo aprì, non la trovò.

Papà, sempre il solito.
Ogni volta che suo padre toccava qualcosa, era impossibile ritrovarlo dove era in precedenza. Impaziente aprì tutti gli armadietti, finchè non la vide. Era in alto, così si mise in punta di piedi e cominciò a sbilanciarsi in avanti. La sfiorò, ma per sbaglio la spinse ancora più lontana. Emise uno sbuffo di disappunto, appoggiandosi al bancone per darsi una leggera spinta. In quel momento, sentì qualcosa che si appoggiava alla sua schiena e le premeva il corpo verso la cucina. Sobbalzando, vide il braccio di Shinichi superarla e prendere la marmellata. Sentirlo così vicino dietro di lei le fece accelerare il battito cardiaco, e rimase immobile finchè lui non le appoggiò il barattolo sulla guancia, facendola sobbalzare. Era freddo.
Si voltò, lui stava sorridendo divertito. All’improvviso, il flashback di loro due a Tropical Land le passò davanti agli occhi. All’epoca però lui non si era appoggiato sul suo corpo così, con una confidenza tale che che la lasciò interdetta un attimo. Ma perché si stupiva così? In fondo, ora stavano insieme. Era più che naturale quel contatto, no? Gli sorrise teneramente, facendo per prendere la marmellata. Lui, però, in risposta allungò il braccio all’indietro, e lei non riuscì ad arrivarci.
« Hey! », mugugnò alzandosi in punta di piedi nuovamente, lanciandosi leggermente verso di lui.
Lui rise, alzando anche l’altro braccio e scambiando mano.
« Prendila, dai », la prese in giro, gongolando. Lei si lanciò nuovamente verso di lui, sventolando all’aria la mano per acchiappare il barattolo. In quel momento perse l’equilibrio, e di istinto chiuse gli occhi, aspettandosi il contatto col pavimento freddo. Un colpo che non arrivò mai, perché lui l’afferrò con il braccio libero, tenendola su. Quando sentì il suo braccio sostenerla, lei si ancorò a lui, sollevando il viso. Incontrò così quello di Shinichi, che la guardava preoccupato. Quando appurò che stava bene, sorrise divertito.
« Sei una nanerottola », la prese in giro, facendola arrabbiare.
Lei si rimise in piedi indispettita, pronta per tirargli un pugno fortissimo, quando qualcuno suonò alla porta. Rimase con il pugno a mezz’aria, mentre entrambi si voltavano stupiti all’entrata.
« Non sarà… », iniziò improvvisamente preoccupato Shinichi, arretrando.
« Ma lui ha le chiavi », replicò lei, sapendo perfettamente che si stava riferendo a suo padre.
Dubbiosa, si ricompose e si avvicinò al portone. Guardò dallo spioncino, ma non vide nessuno. Confusa, aprì leggermente la porta e fu lì che vide una testolina di capelli scuri, che si alzava per guardarla.
« Ran-chan », iniziò titubante, con la sua dolce voce infantile. Quando Ran vide Ayumi, mi sentì immediatamente a disagio. Deglutì, cercando di sfoderare il sorriso migliore che possedesse.
« Ayumi-chan », replicò con voce dolce, sperando di risultare credibile.
« P-posso entrare? », chiese la bambina, con gli occhioni luccicanti. Ran sorrise, e si fece da parte, lasciandola oltrepassare la soglia. Dalla cucina, Shinichi si sporse un poco. Quando anche lui vide Ayumi, improvvisamente il sorriso gli morì in volto e si incupì. Lanciò un’occhiata veloce a Ran, che intuì i suoi pensieri. Sospirò piano, mentre la bambina entrava in cucina e lo guardava incuriosita.
«Ciao », disse timidamente. Shinichi fece il possibile per sorridere, e rispose piano al saluto, mentre si risedeva al suo posto. Fece finta di tornare a leggere il giornale, mentre Ran chiedeva educatamente alla bambina se volesse mangiare qualcosa. Lei negò energicamente.
« Ti ringrazio Ran-chan », disse abbozzando un sorriso. « Sono passata solo per… », si interruppe, e guardando di sbieco Shinichi, indicò a Ran si avvicinarsi al suo orecchio. Lei capì e si abbassò, lasciando che la bambina le posasse una manina sull’orecchio per poi mormorarle piano: « Per Conan ».
Anche se aveva fatto del suo meglio per parlare piano e aveva nascosto il suo viso nella mano, Shinichi sentì comunque ciò che disse all’orecchio di Ran. Si irrigidì, bloccandosi a leggere un articolo che aveva di fronte. Ran sospirò, guardando tristemente Ayumi.
« Ayumi-chan, io… », iniziò lentamente. « Io non lo sento molto ».
« Ma non risponde ai messaggi », esclamò lei con gli occhi improvvisamente pieni di lacrime. Strinse i pugni, ormai dimenticandosi di quel ragazzo seduto lì a fianco che la intimidiva ogni qualvolta lo incontrava.
« Io sono preoccupata », insistette la bambina, tirando su col naso.
« Ma no », Ran le mise le mani sulle spalle. « Sta bene, Ayumi-chan, ne sono sicura », perfino alle sue orecchie sentiva la menzogna nelle sue parole.
La bambina non si sentì affatto sollevata, e, ormai con le lacrime che le pungevano gli occhi, tirò malamente sul con naso.
« Ok… », mormorò tristemente. Lanciò un’occhiata al ragazzo seduto al tavolo, che per tutto il tempo le aveva dato la schiena. Si sentiva sempre a disagio quando quel Kudo la guardava, e non sapeva davvero spiegarsi il motivo. Improvvisamente, ebbe l’irrefrenabile voglia di uscire da quella casa.
« I-io ora devo andare », sussurrò un po’ titubante. « Ai-chan mi sta aspettando di sotto ». Ran la accompagnò alla porta, tenendola una mano intorno alle spalle.
« Ran-chan? », chiese in un ultimo tentativo disperato, voltandosi velocemente verso di lei. « Se lo senti, puoi dirgli di chiamarmi? ».
A Ran morirono in gola le parole, mentre si perdeva in quegli occhi azzurri.
« Va bene », rispose con voce rotta e, mentre la piccola annuiva riconoscente e si voltava per scendere le scale, Ran incrociò lo sguardo di Ai Haibara. Si guardarono per un attimo interminabile, nei loro occhi ricordi che possedevano solo per loro. Alla fine, si fecero un leggero cenno con la testa come saluto, prima che la bambina iniziasse a parlare con Ayumi e sparissero dalla sua vista. Rimase sulla porta ancora per un po’, per poi tornare in cucina.
Lì notò Shinichi, che fissava il giornale con sguardo grave.
« Devi chiamarla ».
Shinichi si ridestò dai suoi pensieri. Era rimasto a leggere la stessa frase per tutto quel tempo, la testa piena di pensieri e ricordi. Alzò lo sguardo verso la sua ragazza, in piedi dalla porta della cucina. Aveva lo sguardo preoccupato, le braccia incrociate e un’aria dura.
« E cosa dovrei dirle? », replicò infine, chiudendo il giornale e alzandosi per andare a sciacquarsi le mani al lavandino.
« La verità, Shinichi », lei fece un passo avanti.
« Che Conan non è mai esistito ed ero io? », la sua voce si alzò di un tono, mentre finiva di bagnarsi le mani e le appoggiava al bancone.
Continuò a dare la schiena a Ran, e lei lo vide stanco come non mai. Aveva la schiena rigida, curvata leggermente in avanti. In quel momento si ricordò di un pomeriggio, quando anche allora lo aveva visto particolarmente provato. Quando lo aveva preso in giro chiamandolo vecchietto, lui aveva ribattuto senza ridere che poteva anche dimostrare diciassette anni, ma dentro se ne sentiva almeno sessanta. Aveva vissuto così tante cose e così tante vite, che a volte glielo si leggeva nello sguardo tutto ciò che aveva passato.
« Puoi dirle », riprese lei con voce acuta. « Che stai bene, raccontarle della tua vita in America. Puoi farla sentire importante, per una volta ».
Shinichi non rispose, lasciando cadere un silenzio nervoso fra loro.
« Non le rispondi neanche ai messaggi, ora? », Ran si stava innervosendo.
Ma quando pronunciò quest’ultima frase, lui battè con la mano il bancone e si voltò di scatto, lo sguardo fulminante.
« Perché dovrei farlo? », iniziò spazientito. « Per illuderla? Per farle credere che un giorno Conan tornerà da loro? Non tornerà mai, Ran, e prima si dimenticano di lui, meglio è ».
« Ma lei non dimenticherà per un bel po’, Shinichi! », ribatté lei alzando la voce snervata.
« Mi dicesti così anche la prima volta che venne a chiedermi di Conan, che avrebbe dimenticato. Ti ho voluto dare retta, ma ogni mese che passa si presenta, e io non so più cosa dirle! ».
Si zittirono entrambi, non guardandosi negli occhi. Dopo un bel po’, Ran lo guardò di sottecchi.
« Lei ha una cotta per te », disse in un sussurro.
« Non per me », fece una smorfia. « Per Conan, Ran, per Conan ».
« Allora prendi quel papillon cambia voce, e fa in modo che Conan le dica che non tornerà più ».
La voce di Ran era così dura che Shinichi si sentì messo alle strette. Da quando era tornato, spesso di Detective Boys avevano chiesto del loro piccolo amico. La scusa che era partito in fretta in America con i genitori aveva lasciato delusi tutti, e anche se all’inizio aveva continuato a sentirli tramite il telefono di Conan, Ayumi pareva non riuscire a superare la sua partenza. Continuava a domandare di lui a Ran, e più di una volta, quando andava a trovare il dottor Agasa, Ai gli rivelava che Ayumi viveva nella convinzione che un giorno Conan sarebbe tornato. All’inizio non ci diede peso, credendo che le servisse solo un po’ di tempo.
Tempo che, a quanto pare però, non aveva aiutato la piccola a dimenticarsi del suo amico.
« Potevo esserci io, al suo posto ».
Ran lo riportò alla realtà, colpendolo nel profondo. La guardò, notando il suo sguardo triste.
« Se no fossi riuscito a tornare alla tua vera età, un giorno avresti dovuto dire addio a me. Con gli anni che passavano, e tu che non tornavi, lo sai anche tu che sarebbe successo. Non si può tenere in sospeso qualcuno per sempre ».
Quella frase gli fece male al cuore.
« Non è la stessa cosa, Ran », iniziò infastidito. « Ayumi ha una piccola cott- ».
« Cosa cambia? Sono sentimenti, Shinichi. Che sia quello che vuoi, lei è da mesi che sta male. Devi dirle addio, altrimenti lei non se ne farà una ragione e continuerà ad aspettarti per ancora un bel po’ di tempo ».
Odiava ammetterlo, soprattutto perché quel discorso era causa dei loro diverbi ormai da mesi, ma aveva maledettamente ragione. A quel punto si portò una mano al viso, sospirando pesantemente.
« Lo fai apposta? A dirmi cose simili per farmi sentire una merda? ».
« No, dico queste cose per farti capire qualcosa che non capisci mai: le ragazze ».
Shinichi fece un sorriso che pareva più una smorfia, e lei capì che il momento teso era finito. Si avvicinò a lui, e tese la mano. Anche lui fece per abbracciarla, ma lei gli fece la linguaccia, afferrando la marmellata di poco prima che era ancora sul bancone. Lasciandolo lì in piedi interdetto, tornò a sedersi. Riprese a mangiare il suo pane tostato, e acchiappò con un cucchiaino un po’ di marmellata. Ne mise una generosa porzione, e se la mise in bocca distogliendo lo sguardo da lui. Con un ultimo, esasperato sospiro, Shinichi riprese posto accanto a lei. Si voltò appena verso Ran, e fece per dire qualcosa quando alla sua vista si bloccò.
Sgranò gli occhi, per poi far nascere sul suo viso un leggero sorriso. Ran inarcò un sopracciglio.
« Che c’è? », bofonchiò a bocca piena, sputacchiando un po’ di pane.
Subito divenne rossa. A quella vista, Shinichi si mise a ridere, per poi alzarsi nuovamente in piedi.
« C’è che sei piena di marmellata », la punzecchiò, posando la tazza ormai vuota del suo caffè nel lavandino.
Lei prese in fretta un tovagliolo, ma lui come se nulla fosse le acchiappò il viso fra le mani e le diede un leggero bacio sopra il labbro superiore. Lei rimase imbambolata, mentre lui si staccava.
« Meglio », disse, con il sapore di marmellata che le aveva tolto in bocca.
« Dai, forse non te ne sei accorta, ma siamo terribilmente in ritardo », disse, acchiappando la giacca e mettendosela. Lei rimase interdetta per un istante, rossa in viso, per poi cercare di darsi un contegno.
Si alzò di scatto, lanciando di scatto la sua tazza nel medesimo lavandino, e correndo a prendere la sua cartella in camera. Ancora un po’ imbarazzata lo seguì, si mise e scarpe e uscirono insieme di casa. Per tutto il tragitto lui chiacchierò come se nulla fosse, mentre lei rimase immersa nuovamente nei suoi pensieri. Talvolta i gesti affettuosi di Shinichi le risultavano ancora così strani, da renderla imbarazzata per qualsiasi cosa. Che fosse un bacio, una carezza, poco importava. Fatto da lui, ogni gesto era una sorpresa.
Non era mai stato dolce, anzi. Eppure, notò, ultimamente era così tenero con lei che ancora non riusciva ad abituarsi. Certo, era contenta, ma si domandava come potesse ogni qualvolta farli con così naturalezza da non farlo nemmeno imbarazzare. Lei, ogni volta che provava a essere tenera con lui, finiva per bloccarsi o, quando il cervello si spegneva e l’ormone guizzava, gli saltava addosso direttamente. Con il viso in fiamme, ripensò al sabato pomeriggio con Heiji. Possibile che non poteva avere una giusta via di mezzo con lui? E perché per lui pareva essere così facile? Sembrava che Shinichi avesse raggiunto quel grado di confidenza molto prima di lei, che sembrava ancora essere rigida con un legno ogni qualvolta lui si avvicinava e le faceva delle tenerezze.
Eppure quando gli salti addosso, non ti fai tanti problemi.
Cercò di scacciare via quel pensiero dalla testa, mentre Sonoko si avvicinava a loro. Sgranò gli occhi: possibile che per tutto il tragitto si fosse persa ogni parola di Shinichi?
Lo guardò di tralice, notando il suo viso nuovamente rilassato dopo la discussione su Ayumi.
Ecco un’altra cosa buona di Conan: lo aveva reso grato per tutto, e raramente teneva il broncio per qualcosa per troppo tempo, come invece capitava tempo addietro. Forse per quello riusciva a essere carino con lei senza imbarazzarsi o senza bloccarsi: sapeva bene che valore avesse il solo poterlo fare.


« Sabato portatevi un costume di bagno, mi raccomando », esclamò Sonoko con le bacchette per aria.
Shinichi alzò gli occhi al cielo, mentre mangiava il suo pesce.
« Il costume? », domandò Ran, togliendosi un ciuffo di capelli da davanti gli occhi.
La giornata era così bella che erano andati a mangiare in cortine per godersi il sole, ma la leggera brezza continuava a farle svolazzare i lunghi capelli castani.
« Possiamo fare un tuffo in piscina in pomeriggio, ne hanno una enorme in Hotel! », spiegò lei.
« Ci facciamo due tuffi, ci abbronziamo e io potrò spalmare un chilo di protezione solare su Makoto », disse tutto d’un fiato, con gli occhi luccicanti.

Ran ridacchiò, guardando la sua amica e provando sincera felicità per lei. Sapeva bene quanto potesse essere difficile vivere una storia a distanza, e quando pochi giorni prima Makoto aveva dato la conferma per il week-end del suo compleanno, Sonoko era impazzita di felicità. Le sorrise dolcemente, mentre lei tornava a spiegare per filo a per segno tutti i programmi del fine settimana, anche se li aveva già ascoltati almeno sei volte e li aveva imparati a memoria. Non voleva certo smorzarle l’entusiasmo. Shinichi da parte sua finì il pranzo, per poi girarsi e appoggiarsi al tavolo con la schiena, il viso rivolto completamente al sole. Chiuse gli occhi, e si godette i raggi caldi in silenzio.
A volte essere l’unico maschio fra due ragazze era un po’ sfiancante per lui, specialmente quando Sonoko cominciava i suoi sproloqui sul suo ragazzo.
« Alla fine che vestito metterai per la cena? », sentì Sonoko chiedere a Ran.
« Penso metterò quello che abbiamo preso insieme, quello blu », le rispose.
P
er fortuna la suoneria incessante del telefonino di Sonoko smorzò il nuovo, noioso argomento che Shinichi avrebbe dovuto sorbirsi. Quando la ragazza vide che era Makoto, saltò in piedi come una molla e corse poco più in là per rispondere. Ran rise a quella scena, per poi voltarsi verso Shinichi. Era seduto al suo fianco, però al contrario: aveva il sole ormai direttamente puntato sul suo viso, e il leggero venticello gli scompigliava i capelli scuri. Si incantò per un attimo a guardarlo, approfittando del fatto che lui avesse gli occhi chiusi.
Pareva quasi addormentato, mentre si godeva il caldo.
Deglutendo notò che si era tolto la giacca e la cravatta ricadeva morbida sul petto, i primi due bottoni della camicia aperti. Una scarica le attraversò la schiena, mentre guardava il suo profilo così perfetto e così familiare, sentendo in lei crescere un amore sconfinato per quel ragazzo al suo fianco. Era ancora incantata a guardarlo con un sorriso dolce in viso, che notò che un ciuffo di capelli gli fece arricciare il naso quando gli solleticò la fronte.
Di istinto protese una mano, scacciando via il ciuffo dalla sua faccia. Shinichi, sorpreso, aprì gli occhi, spostando la sua attenzione su di lei.
Silenziosamente intrecciarono i loro sguardi, mentre lei, rendendosi conto del gesto appena fatto in pieno cortile, sotto gli sguardi di metà della scuola, ritraeva velocemente la mano imbarazzata.

Ma lui la acchiappò velocemente, avvicinandola a sé con un sorriso in faccia.
« Che c’è? », domandò innocente.
Ran deglutì, notando che un gruppetto di ragazzi al tavolo a fianco a loro cominciavano a fissarli. 
« Dai! », cercò di scacciare la presa sul suo polso, ma lui la stava tenendo saldamente.
Lui sbuffò.
« Di cosa hai paura? Tanto ci prendevano in giro anche prima », alzò le spalle, mentre in quell’esatto momento uno dei ragazzi pronunciava le parole marito e moglie.
« Appunto! », sottolineò lei, ormai rossa in viso. « Ci manca solo dare spettacolo », sottolineò, riuscendo a divincolarsi dalla sua presa.
Lui sbuffò piano, tornando a chiudere gli occhi prendendosi il sole.
« Non stavamo facendo niente di male », replicò. Lei inarcò un sopracciglio.
« Da quando sei così sfrontato? », sbottò lei, a disagio.
« Sfrontato? », Shinichi rise, sempre a occhi chiusi. « Ma scherzi, o cosa? Non era niente di che », disse con naturalezza.
« Sì, beh, sei l’unico a sentirti a tuo agio con quel "niente di che"! », mugugnò lei sottovoce, distogliendo lo sguardo.
A quelle parole, Shinichi aprì finalmente gli occhi, guardandola. Si rimise a sedere con le gambe rivolte verso il tavolo, e con le braccia incrociate, appoggiò il viso su di esse.
« Mi sono perso qualcosa? ».
Ran lo guardò, e lo maledisse per quello sguardo così dannatamente innocente e ingenuo. Era così troppo, troppo carino.
« No », bofonchiò. « Ma mi vergogno davanti a tutti », sussurrò indicando con un cenno della testa i tavoli a fianco a loro.
« Scusa, ma non sei stata tu a iniziare? », domandò sarcastico.
Lei fece per replicare, ma rimase senza parole. Richiuse la bocca, arrossendo.
« Ti ho tolto solo un ciuffo dal viso », borbottò innervata.
« Appunto… », non stava capendo davvero.
Ormai aveva perso le speranze con lei, talvolta proprio non la capiva. Ran sbuffò, non sapendo bene cosa rispondere. Shinichi la guardò in silenzio, per poi avvicinarsi a lei sulla panca di legno.
« Cosa succede? », chiese pazientemente.
« Niente! ».
« Ran? ».
Lei si girò spazientita, facendo in là il pranzo. In quel momento, una folata di vento le fece svolazzare i capelli davanti al viso, e prima che potesse toglierseli, la mano di Shinichi glieli aveva già messi dietro un orecchio. Lei lo guardò con disappunto, lanciando occhiatacce alle risatine che arrivavano alla loro destra.
« Allora? », Shinichi fece finta di niente, dando la sua totale attenzione a Ran, che lo guardava mordendosi un labbro.
« Non riesco ad abituarmi », ammise infine.
« A cosa? ».
« A te! ».
Shinichi sgranò gli occhi, guardandola per un attimo.
« Vuoi che me ne vada? », domandò sarcastico.
« Non quello », sbuffò lei. « Ma cos’è, la settimana delle inchieste? », ribattè poi.
« Sì, visto che non mi dici mai cosa ti passa per la testa, e io non riesco mai a capirlo! », la voce di Shinichi si era alzata di un tono, segno che si stava innervosendo.
« E le tue doti da detective? », lo sbeffeggiò lei. Shinichi di risposta la guardò male, arricciando le labbra in una smorfia.
Era ancora imbronciato, quando lei sospirò pesantemente.
« Sei cambiato », disse infine, a voce bassa.
Lui a quelle parole sentì una fitta allo stomaco improvvisa, sentendosi a disagio.
« Ah… », riuscì a dire.
Davvero non capiva cosa avesse fatto di sbagliato ultimamente. Provò a ricercare qualcosa che aveva detto o fatto di male, ma non trovò nulla. Esasperato, assunse un’espressione così corrucciata che lei si affrettò a spiegare.
« Non in negativo », alzò le mani per negare con vigore. « Anzi… sei… molto dolce, ecco », divenne paonazza.
Lui la guardò nella confusione più totale, non riuscendo a seguirla.
« Io non sto capendo », disse infine dopo un silenzio che pareva essere durato una eternità. Il suo tono di voce disperato fece sorridere Ran, che lo guardò di striscio.

« Non riesco ad abituarmi ai tuoi gesti di affetto », iniziò piano. « Non sei mai stato un tipo affettuoso ».
Shinichi rimase zitto, portando la sua attenzione lontano.
No, non lo era mai stato, doveva ammetterlo. Anzi, gli era sempre costato tremendamente caro far capire agli altri i suoi sentimenti, e, spesso, si accorgeva che non riusciva comunque ad esternarli. Era sempre stato introverso e solitario, almeno così non avrebbe mai dovuto rendere conto dei suoi sentimenti ad alcuno.
« Dopo Conan », iniziò dopo un bel po’, stupendo Ran. « Tutto è cambiato ».
Raramente parlavano così tanto di Conan, come quel giorno. A dire il vero, cercavano sempre di eludere l’argomento. Ran evitava di parlarne perché l’argomento la imbarazzava così tanto, che temeva di arrabbiarsi con lui. Se solo ripensava a tutto il tempo trascorso insieme senza sapere la sua vera identità, tutti i segreti che aveva rivelato al suo fratellino, tutto il tempo speso insieme. Cercava di lasciare tutti i ricordi legati a Conan in un angolo nascosto nel suo cervello, cercando di separare accuratamente quei ricordi da Shinichi. Era come se volesse davvero continuare a credere che lui e Conan fossero due entità separate. Spesso ci riusciva, finchè non saltava fuori il suo nome.
« Quando ero Conan non potevo né fare, né dirti tutto ciò che volevo. Ora che posso, non riesco a trattenermi », spiegò in tutta sincerità, con un sorriso sbieco.
Lei arrossì di istinto, per poi sorridere in risposta.
« Non ho detto che non sia contenta, ma davanti agli altri mi imbarazzo », abbassò la testa. « Da soli puoi fare ciò che vuoi », concluse con una risata, cercando di smorzare la tensione fra loro.
Ma quando realizzò cosa avesse appena detto, e il lampo di divertimento passare attraverso gli occhi di Shinichi, il sorriso le scemò in faccia.
« No, cioè, ecco », tentò di salvare la situazione, ma Shinichi scoppiò a ridere.
« Hai inteso male! », esclamò lei con rabbia, sbattendo i pugni sul tavolo.
Si finse offesa, dandogli le spalle, mentre acchiappava il libro di algebra nella sua cartella. La aprì a caso, cercando di prestargli attenzione per non pensare a cosa aveva appena detto. Era così imbarazzata, che ormai stava sudando, ma non per il sole. Guardò freneticamente intorno, sperando che Sonoko la salvasse dal quel maldestro momento di imbarazzo. Peccato che la vide ancora distante, appoggiata ad un albero, mentre chiacchierava senza sosta al telefono.
Maledizione.
« … con te non funzionano ».
Dopo almeno cinque minuti di silenzio, la voce di Shinichi le era arrivata stranamente seria. Si mise a fissare il libro, immobile. Infine, si voltò a guardarlo. Aveva il viso appoggiato alla mano, lo sguardo rivolto a lei. Era rilassato, con l’aria fra i capelli che glieli scompigliavano ancora. Era così maledettamente bello che volle imprimere quella scena prepotentemente nella sua testa.
« Cosa? », chiese dopo un po’.
« Le mie doti da detective », disse semplicemente, con una alzata di spalle.
« … e perché? », chiese con un filo di voce lei, titubante.
« Perché con te intorno non riesco a ragionare ». Ran sobbalzò sul posto, stavolta un leggero rossore invadeva anche le guance di Shinichi.
« Avevano ragione loro », deglutì, con un sospiro. « Tu sei il mio punto debole ».
Ran socchiuse gli occhi, capendo all’istante a chi si stesse riferendo. Al solo pensiero della voce di Gin che pronunciava quelle parole, si sentì raffreddare il sudore di poco prima sulla schiena. Cercò di mandare via quella brutta sensazione, rivolgendo la sua intera attenzione a Shinichi, che la fissava intensamente. Non sapeva bene come ribattere a quella dichiarazione, quindi quando Sonoko si sedette rumorosamente davanti a loro facendoli sobbalzare e allontanare velocemente l’uno dall’altra, la ringraziò mentalmente.
« Voi non avete idea! », esclamò gesticolando, non notando il rossore sulle guance dei suoi amici.
E fu così che Sonoko ricominciò a parlare di Makoto, fino a quando la campanella non rimbombò.
 

***
 

Quando Ran tornò a casa, si buttò senza forze sul letto. Aveva avuto per tutto il pomeriggio le parole di Shinichi ronzarle in testa, e mano e mano che le si formavano nel cervello e dava loro un senso, si sentiva l’adrenalina salirle nella pancia.
Con te intorno non riesco a ragionare.
Era difficile ammetterlo visto il suo enorme senso del pudore, ma la sua voce profonda mentre pronunciava quelle parole le facevano crescere un senso di eccitazione alla base dello stomaco. Quando le aveva pronunciate, aveva sentito l’impellente bisogno di baciarlo e attirarlo a sé, con quella sua camicia sbottonata e i suoi capelli spettinati. Si chiese se Shinichi si rendesse conto di quanto fosse diventato attraente, e se per caso usasse quel suo modo di fare per stuzzicarla. Ma, conoscendolo, probabilmente faceva tutto senza accorgersene. Va bene essere cambiato, ma la malizia non faceva parte del suo essere. Tutto in lui era così improvvisato e genuino, che dubitò fortemente che si studiasse a tavolino le pose e gli sguardi per farla capitolare. Aveva ammesso di perdere la ragione con lei, ma probabilmente non si era reso conto che la stessa cosa capitava a Ran. Sospirò profondamente, acchiappando il cuscino e stringendolo a se per sfogarsi. Quando erano solo amici, non avevano quei problemi. Ora invece stava accanto a lui era diventato così difficile, staccargli gli occhi di dosso ancora di più.
Portatevi il costume.
Le parole di Sonoko le tornarono alla mente con una tale prepotenza che sbarrò gli occhi, saltando a sedere sul letto
 Il costume?! Disperata, si portò una mano alla testa. Shinichi. In costume. A petto nudo. Si rilasciò cadere di schiena sul letto, disperata. Come avrebbe fatto a stargli accanto, quando era mezzo nudo al suo fianco? Davanti a tutti, poi? La rendeva nervosa con due bottoni della camicia aperta, figurarsi stare con lui in piscina. Costume da bagno. Una nuova realtà, ben più imbarazzante, si fece strada nella sua testolina. Si maledisse, quando pensò che avrebbe dovuto mettersi in costume davanti a lui.
Maledizione, maledizione, maledizione.
Saltò in piedi, aprendo nervosamente l’armadio. Cominciò a cercare freneticamente le sue cose da mare, e quando trovò in fondo una borsa, la prese e la aprì. Rovistò un po’, scartando subito dei costumi vecchi di anni con le ciliegie e i pupazzetti. Non poteva davvero presentarsi con quelli, non poteva passare per ragazzina, non ora. Mentre svuotava frustrata la borsa, si diede della stupida. Quante volte era andata al mare con lui? Talmente tante che non sarebbero state sulle punte delle dita. Eppure quella era la prima volta che andavano dopo il loro fidanzamento, e, soprattutto, dopo ciò che era successo settimane prima. Deglutì, al ricordo della sua mani sul suo petto, e quelle di Shinichi sotto la sua camicetta. Ormai paonazza, afferrò un costume che si era dimenticata di avere. Era semplice, due pezzi, nero tinta unita, a triangolo. Non l’aveva indossato perché quello con i pupazzetti le era sempre sembrato più carino.
Al diavolo i pupazzi.
Lo mise accuratamente da parte, fissandolo. Voleva apparire adulta, per una volta. Lo voleva davvero.
In quel momento, il suo telefono vibrò. Sbirciando, vide il nome di Shinichi lampeggiare sopra il display. Arrossì, mentre lanciava occhiate veloci a quel bikini così piccolo, come se lui potesse vederla. Come se avesse preso la scossa, fece in là il borsone che lo conteneva, e prese il telefono un po’ accaldata. Possibile che la beccasse sempre in momenti imbarazzanti?
« Pronto! », rispose quasi piccata e infastidita.
Ma dall’altra parte non le arrivò risposta. Corrugando la fronte, appoggiò meglio l’orecchio al cellulare. 
« Pronto? Shinichi? ».
« Non ci riesco ».
Sbatté gli occhi, dapprima non afferrando. Ma le bastarono una manciata di secondi, prima di capire a cosa si riferisse.
« Vuoi oggi? », domandò piano.
« Sì, ma ho bisogno di te ».
Sentire la sua voce che faceva quella richiesta, le scaldò il cuore. Strinse convulsamente il telefono, improvvisamente triste.
« Arrivo ».

Per arrivare a casa Kudo ci mise veramente poco. Trovò il cancello già aperto e le chiavi alla porta, segno che Shinichi le aveva lasciate apposta per lei.
Aprì la porta piano, incontrando il silenzio assordante di quella casa così grande. Mai come in quel momento, pensò davvero che lui facesse colazione con lei tutte le mattine per non stare lì da solo. Era talvolta sconfortante, quella casa. Acchiappò le sua pantofole che erano sempre lì, pronte per aspettarla, una piccola premura che Shinichi aveva sempre avuto, anche quando erano solo amici. Si avviò così verso la cucina, e trovò Shinichi seduto sullo stesso sgabello nel quale l’aveva trovato quando Heiji era venuto a trovarlo. Aveva il viso appoggiato sui palmi delle mani, mentre fissava rassegnato due oggetti posti ordinatamente davanti a lui: il papillon e il telefonino di Conan.
Ran si avvicinò a lui, per poi abbracciarlo da dietro e appoggiare il suo viso contro il suo, guancia contro guancia. Era insolitamente fredda.
« Non so cosa dirle », ammise.
Lei guardò come lui il papillon e il telefono, e un senso di malinconia la pervase.
« Non devi dirglielo direttamente », pensò ad alta voce Ran.
Shinichi rilassò il viso contro il suo, e poteva sentire il suo respiro a poca distanza dal suo naso.
« Puoi raccontarle di com’è la tua vita lì, e di come i tuoi genitori siano contenti dell’America e vogliano comprare casa. Fra le righe, lei capirà ».
Shinichi pensò amaramente che, in fondo, quella era un po’ la verità. I suoi genitori erano davvero felici a Los Angeles, e probabilmente per loro il Giappone non rientrava più nel loro futuro. Sembrava quasi tutto reale, se non per un dettaglio: quando loro gli proposero di trasferirsi a quindici anni, lui aveva immediatamente rifiutato. La ragione di tale rifiuto, in quel momento gli stava cingendo la vita e teneva premuta la sua guancia contro la sua. Per una volta, si disse, aveva preso una decisione azzeccata.
« Va bene », prese coraggio, afferrando il telefono.
Ran si staccò da lui, e si sentì immediatamente vuoto senza il suo calore a infondergli coraggio.
Cercò di non darlo a vedere, mentre lei prendeva posto accanto a lui, guardandolo in attesa. Lentamente, andò in rubrica e selezionò il nome di Ayumi. Con la mano libera, prese il papillon, già precedentemente impostato sulla voce di Conan. Con un’ultima occhiata a Ran, che lo incitò con un sorriso, la chiamò. Si portò il telefono all’orecchio, mentre questo squillava. Attese poco, prima di sentire la voce di Ayumi rispondere.
« Conan? », disse con un’allegria che gli fece chiudere lo stomaco.
« Hey, Ayumi-chan ».
Ran chiuse gli occhi, quando sentì la voce di Conan arrivarle alle orecchie.
Per tutto il tempo della telefonata, tenne gli occhi chiusi e in seguito li riaprì, fissandosi le scarpe. Sentì Conan raccontare bugie su bugie, e a ognuna avvertì una pugnalata al cuore che, seppe, stava incassando anche Ayumi. Ripensò a tutte le chiamate che Shinichi le aveva fatto quando era rimpicciolito.
Erano uguali a quelle.
Piene di bugie, piene di false speranze. Le vennero mano a mano le lacrime agli occhi, al pensiero di Ayumi che, come lei, era in attesa di qualcuno che mai si palesava. Ma, a differenza sua, davvero quel qualcuno non sarebbe mai riapparso. Lei, Shinichi, lo aveva riavuto indietro. Si sentì così leggera, così grata. La chiamata continuò per un bel po’, e con un ennesimo pugno alla base dello stomaco, sentì Conan dire che i suoi genitori volevano rimanere in America, e che già facevano progetti per il futuro lì.
Era completamente in trance, quando Shinichi rimase zitto per un po’. Si chiese cosa gli stesse dicendo Ayumi, quindi lo guardò alla ricerca di una spiegazione. Lo vide annuire impercettibilmente a ciò che la bambina gli stava dicendo dall’altra parte del telefono.
« Anche io, Ayumi », disse poi, chiudendo gli occhi.
Il cuore di Ran fece un balzo.
« Però io ora sono qui », deglutì Shinichi. « E non penso che tornerò ».
Rimase al telefono ancora per qualche minuto poi, dopo averla salutata con tono triste, chiuse la chiamata. Ran lo guardò intensamente, e notò la sua fronte aggrottata e il suo sguardo triste. Era distrutto.
« Cosa ha detto? », mormorò lei.
Lui fece un sorriso sbieco, posando il telefono e buttando il papillon lontano da lui, come schifato.
« Mi ha detto che mi vuole bene ».
Sapevano entrambi che quella frase voleva dire ben altro, ma non osarono dirlo a voce alta.
« Hai fatto la cosa giusta », disse infine Ran. « Ora starà male, ma piano piano passerà ».
Shinichi sorrise senza felicità, guardando davanti a sé. Lei si morse un labbro, non sapendo bene cos’altro dire. Abbassò lo sguardo e solo in quel momento vide l’ora.
« Accidenti », borbottò, notando che fossero già le sette. Si alzò, e raccolse la giacca della divisa che aveva buttato malamente sul divano quando era arrivata. Stava per dire qualcosa a Shinichi per tirarlo su di morale, quando lui la precedette.
« Anche se non avessi trovato l’antidoto », iniziò con voce rauca. « Io sarei comunque tornato da te ».
Ran si immobilizzò, mentre lui si voltava lentamente per guardarla in faccia.
« Avrei aspettato di compiere di nuovo diciassette anni », riprese, per poi alzarsi e sovrastarla. « E avrei provato a riconquistarti di nuovo ».
« Shinichi », scosse la testa lei. « Io avrei avuto ventisette anni », gli spiegò con voce incrinata.
« Non mi sarebbe interessato », la sua decisione e il suo sguardo serio le fecero tremare le gambe. « Ci avrei comunque provato ».
Lei lasciò cadere la giacca di nuovo sul divano alle sue spalle, e di slancio lo abbracciò. Lui l’avvolse ancorando forte a sé, immergendo il viso nei suoi capelli. Rimasero semplicemente abbracciati per un po’, e in silenzio quell’abbraccio valse più di mille parole. Quando alla fine si staccarono, si sorrisero.
« Devo andare », mormorò lei e sciolse il suo abbraccio.
Prese il cappotto, continuando a guardarlo.
« Hai fatto la cosa giusta, con Ayumi », gli ripetè.
Lui annuì, consapevole che aveva ragione. Ran si avvicinò nuovamente, scoccandogli un bacio sulla guancia. In fretta, corse verso il portone. Ma, quando fu lì davanti, si girò di scatto.
« Probabilmente ci saresti riuscito », disse all’improvviso, seria. « Il filo rosso, dopotutto, sarebbe stato ancora lì a legarci », alzò il mignolo, facendogli l’occhiolino.
Shinichi scosse la testa, divertito, mentre Ran spariva oltre il portone con un sorriso sulle labbra. Guardò di sbiecò il papillon, ripensando alla chiamata appena fatta ad Ayumi, e a quell’ipotetico futuro che avrebbe potuto riservargli il destino.
Si immaginò nelle vesti di un Conan diciassettenne, mentre teneva a sé una Ran ormai adulta. Sì, l’avrebbe riconquistata anche così.
Probabilmente ci sarebbe riuscito.

 

***

 

Prima che potesse rendersene conto, sabato mattina arrivò velocissimo.
Quella mattina si svegliò di buon umore, e subito si mise sotto la doccia canticchiando. Era contenta di passare il fine settimana fuori, e per una volta era contenta di poterlo passare con Shinichi. Spesso aveva invidiato Kazuha, sempre al fianco di Heiji ovunque andassero, ma ora anche per lei le cose si erano sistemate. Pensando alla sua amica di Osaka, si domandò se Heiji sarebbe riuscito a dichiararsi in quei due giorni. Si annotò mentalmente si dargli una piccola spinta per spronarlo, una volta rimasta magari da parte con lui. Con la musica nel telefonino, si asciugò i capelli e tornando in camera notò che suo padre pareva anche quel giorno stranamente di buon umore. Nell’ultimo periodo l’aveva visto diverso, sempre sorridente, mai alticcio e soprattutto, non aveva più toccato l’argomento Shinichi. Perfino sua madre, dopo la discussione avvenuta giorni prima, si era scusata, e lei aveva preferito seppellire l’acqua di guerra. Tutto quel giorno pareva andare per il verso giusto. Continuando a canticchiare, chiuse il borsone che si sarebbe portata a Kanazawa. Aveva riposto con cura il vestito per la serata, e in un angolo il bikini nero messo da parte tre giorni prima. Si diresse verso l’armadio, prendendo un vestito leggero blu scuro a tubino. Si guardò allo specchio, sistemandosi per un’ultima volta, girandosi e rigirandosi.
Solo il campanello di casa la riscosse dai suoi pensieri, e con una leggera corsa andò ad aprire.
« Buongiorno! », salutò Shinichi con un sorrisone.
« Durante la settimana non sei così sveglia di prima mattina », la punzecchiò lui sull’uscio.
Lei gli fece la linguaccia e, con un ultimo saluto a suo padre, acchiappò la borsa e il borsone uscendo fuori. Voleva farli stare insieme il meno possibile, giusto per non guastare l’umore a nessuno. Facendo finta di non aver visto di traverso lo sguardo minaccioso di suo padre rivolto a Shinichi, chiuse la porta e allegra seguì quest’ultimo per le scale.
« Hai preso tutto? », si informò, guardando il borsone di Shinichi. Le pareva un po’ scarno.
« Penso di sì, ci ho buttato dentro le prime cose che ho trovato ».
« Sei il solito! ».
E mentre lui ridacchiava, lei intanto constatava quanto fosse carino quella mattina. Indossava un paio di jeans blu scuri, una cintura e una maglia maniche corte nera.
Ormai lo vedi sempre carino, scema.
Sorrise fra sé, cominciando a chiacchierare con lui come se niente fosse. Fecero così per tutto il tragitto fino alla stazione, dove avrebbero dovuto incontrare Sonoko e Makoto. E infatti li trovarono già lì, la ragazza che teneva il karateka saldamente per un braccio.
« Credo lo stia stritolando », sussurrò all’orecchio Shinichi a Ran, mentre si avvicinavano.
« Guardalo », riprese. « Non ha più sensibilità in quel braccio ».
Ran gli assestò una leggera gomitata, soffocando una risatina. Rise anch’esso, allontanandosi un poco da lei e salutando i due ignari protagonisti delle loro battutine.
« Siete in ritardo! », li rimbeccò Sonoko, mentre acchiappava nella sua borsa due biglietti per lo Shinkansen che li avrebbe condotti a Kanazawa.
« Qualcuno stamattina ha fatto tardi », Ran lanciò un’occhiataccia a Shinichi.
« Quante storie, è sabato », sbuffò lui, prendendo il biglietto del treno dalle mani di Sonoko.
« Allora », incominciò lei entusiasta, interrompendo il loro battibecco.
« Siamo vicini ma in due file diverse », spiegò e in quel momento sentirono il treno avvicinarsi.
Educatamente si misero in fila ordinatamente e, quando le porte si aprirono, entrarono cercando i loro posti. Li trovarono poco dopo e, una volta sistemato i loro bagagli, si sedettero. Sonoko aveva già preso posto accanto a Makoto, che era rosso come un pomodoro e ancorato ancora alla sua stretta.
« Poverino », riprese a sussurrare Shinichi a Ran, mentre questa prendeva posto a fianco a lui.
« Un karateka che perde l’uso di un braccio. Una disgrazia ».
« La vuoi finire? », ridacchiò lei, mentre lui incrociava le braccia dietro la testa.
« E’ normale, non lo vede da un sacco. E’ sempre in giro per le competizioni », spiegò lei pazientemente, rovistando nella sua borsa.
« Tu non mi sei stata mai così appiccicata », borbottò lui fintamente offeso. Lei arrossì.
« Ma non è vero! Eri tu che sparivi sempre dietro a qualche cadavere quando ritornavi », sbottò.
« Se mi avessi tenuto così stretto, non sarei mai riuscito ad allontanarmi », la stuzzicò.
« Ti ho tenuto così, una volta », scandì bene le parole lei, iniziando a perdere la pazienza. « Ma, qualcuno, mi ha anestizzata e mi sono risvegliata ore dopo mano nella mano con Conan! », concluse con una punta di disappunto nella voce.
Lui fece per ribattere, ma Sonoko apparve magicamente da dietro in mezzo ai loro posti.
« Avete finito di battibeccare voi due? Siete un borbottio unico! ». Ran mise su il muso, mentre Shinichi rideva fra sé.
« Ok, ok », replicò a Sonoko, prendendo il libro che aveva preso poco prima dal suo bagaglio.
La biondina tornò a sedersi ordinatamente, e in quel momento il treno partì. Shinichi provò a immergersi nella lettura di un nuovo romanzo giallo che aveva comprato qualche giorno prima, ma non riuscì davvero a concentrarsi. Lanciava occhiatine rapide a Ran di tanto in tanto, guardandola mentre cercava di srotolare le sue cuffie totalmente aggrovigliate. Gli venne da ridere, e lei se ne accorse.
« Cosa c’è tanto da ridere? », domandò esasperata, voltandosi finalmente verso di lui.
« Niente, figurati », ribattè Shinichi, non alzando gli occhi dal suo libro.
« Oggi ti sei svegliato particolarmente irritante? », lo rimbeccò Ran, finalmente riuscendo a sbrogliare le sue cuffie.
Lui sorrise ancora. Amava punzecchiarla, e quel giorno effettivamente si sentiva particolarmente in vena. L’idea di passare due giorni con lei, seppur con tutti gli altri, lo aveva reso insolitamente felice. Aveva davvero bisogno di cambiare aria, specialmente dopo la settimana appena trascorsa. La guardò, e notò che lei lo stava fissando.
« Sarò anche irritante, ma mi stai fissando », disse regalandole il sorriso più bello che riuscì a fare.
Ran arrossì, sobbalzando. Mise su un broncio pronunciato, rendendola ancora più carina ai suoi occhi.
« Eddai », rise infine lui, sbattendo il libro sulle sue gambe. « Ti sto prendendo un po’ in giro, non posso? ».
Lei lo guardò torva, infilandosi le cuffie e azionando play sul telefonino. Lui sbuffò per niente preoccupato. Le sarebbe passata, le passava sempre.
E infatti, dopo appena cinque minuti, sentì le sue piccole dita mentre gli mettevano nell’orecchio una cuffia. La lasciò fare, mentre la musica iniziava a rimbombargli nelle orecchie.
Non disse niente, mentre lei si sistemava meglio al suo fianco.
A volte fra di loro non c’era bisogno di dire nulla.


 

« Ran? ». Una volta la stava chiamando.
Saltò a sedere sul posto, mentre avvertiva una mano calda sulla spalla. Aprì gli occhi impastati, mettendo a fuoco la persona che aveva a fianco. Per un attimo gli parve Shinichi ma, dopo un attimo, rimase delusa nel riconoscere Yusaku Kudo.
« Ran, è finito l’orario di visita », gli disse dolcemente l’uomo, con sguardo comprensivo.
Ran si portò una mano alla fronte, per poi notare la persona distesa davanti a lei.
Shinichi era in un sonno profondo ormai da due settimane, e anche se attaccato a diversi tubicini, riusciva a respirare finalmente da solo dal pomeriggio prima. I medici erano molto positivi che sarebbe riuscito a svegliarsi da solo entro qualche giorno, bisognava solo aspettare. L’operazione era andata bene e si stava riprendendo, avevano detto qualche giorno prima ai suoi genitori e a una Ran onnipresente ormai in quel reparto di ospedale.
Sollevati, si erano armati di pazienza e speranza. Per quello Ran si allontanava davvero di rado dal suo letto, volendo che appena aprisse gli occhi la trovasse lì. Ma spesso la giornata volgeva al termine troppo in fretta, e l’ennesimo giorno senza di lui le spezzava di ancora un poco il suo cuore ormai a pezzi. Accettò la manò che Yusaku le porgeva, alzandosi in piedi e lanciando un’ultima occhiata a Shinichi.
« Arrivo fra un attimo », mormorò e lui le lasciò la mano, allontanandosi in religioso silenzio. Una volta chiusa la porta, Ran prese il cardigan che aveva appoggiato sulla sedia e si avvicinò al suo viso. Come ogni giorno, gli sposto la frangetta ormai lunga dalla fronte, ammirando quel viso così incredibilmente perfetto.
« Ci vediamo domani », gli disse, prima di lasciargli un bacio sulla guancia.
Il contatto con la sua pelle le scaldò un po’ il cuore. Era un silenzioso rituale che faceva ormai da settimana, come una piccola preghiera per il giorno dopo. Sistemò la sedia sotto la scrivania li vicino e si diresse verso la porta.
« V-va bene ».
Ran sbarrò gli occhi, bloccandosi. Strinse convulsamente il cardigan fra le mani, mentre si torturava un labbro.
E’ stato nella tua testa.
Spesso sentiva la sua voce, negli ultimi tempi. Salvo poi girarsi speranzosa verso di lui, per notare che era ancora profondamente addormentato. Ogni volta, la cocente delusione la distruggeva così nel profondo che poteva sentire il suo corpo sgretolarsi su se stesso. 
Non ti girare.
Chiuse gli occhi, e un gemito soffocato le esplose nelle labbra. Un singhiozzo lo seguì, mentre iniziava a tremare. Cercò di scacciare quella voce dalla testa, facendo un pesante passo avanti. « Ran? ». Eppure, l’aveva sentita. Era la sua voce. Con il respiro accelerato, si girò il più lentamente possibile. I suoi occhi indugiarono sul viso di Shinichi, aspettando l’ennesima pugnalata di illusione allo stomaco. Ma qualcosa di meraviglioso la scosse: gli occhi di Shinichi che la stavano fissando. Erano socchiusi, di un blu opaco, ma erano aperti.
« Shinichi », mormorò mentre sentiva le lacrime scendergli lungo le guance.
Erano calde, come la sensazione che iniziava ad avvolgerla completamente. I suoi occhi tremarono lievemente, come a volerle rispondere.
« O mio Dio », balbettò Ran mentre, con mani tremanti, cercava di afferrare la maniglia.
« YUSAKU! », urlò scaraventandosi fuori.
Yukiko e Yusaku si voltarono di scatto verso Ran che, piangendo copiosamente, stava correndo maldestramente verso di loro, il cardigan abbandonato a terra mentre gli andava incontro.
« Ran! », esclamò l’uomo, preoccupato. Lei si ancorò alle sue braccia, che tentavano di sostenerla.
« S-shinichi », balbettò, il sapore di lacrime in bocca.
Yusaku sbarrò gli occhi e capì, così come Yukiko che mollò tutto e corse verso la porta che la ragazza aveva appena attraversato.
« Chiamo un dottore », le disse con la voce stranamente tremante per lui.
Ran annuì e cercò di tornare in quella stanza.
Non lo aveva immaginato, vero?
Le aveva davvero parlato.
Davvero.
Il terrore che la stanchezza e la speranza le avessero giocato un brutto scherzo si impadronì di lei. Lanciò un’occhiata fugace all’interno ma quando Yukiko si voltò verso di lei con un sorriso enorme e il viso inondato di lacrime, capì che era tutto vero. Emise un ennesimo gemito convulso, mentre si teneva su allo stipite della porta. Yukiko stava accarezzando Shinichi, che teneva ancora flebilmente gli occhi semi aperti nella sua direzione.
« E’ sveglio », sembrava quasi che dicendolo a voce alta le apparisse ancora più reale.
Ran annuì alle parole di Yukiko, la paura che improvvisamente si trasformava in una euforia mai provata nella sua vita. Avebbe voluto correre da lui, abbracciarlo, rinfacciargli di Conan, dell’Organizzazione, di essersi preso una pallottola per lei.
Ma prima che potesse fare alcun gesto inconsulto, si sentì prendere e spostare, mentre una equipe di medici entrava di corsa. Fecero uscire anche Yukiko e si chiusero dentro, mentre i tre rimanevano con il respiro accelerato fuori.
« E’ sveglio », ripetè Yukiko, abbracciando Yusaku, che ricambiò energicamente.
Quest’ultimo, sopra le spalle della moglie, guardò Ran e in quel momento le porse nuovamente la mano. Questa la accettò e si unì all’abbraccio, stringendosi un po’ di più a Yukiko.
« Sì », disse. « E’ sveglio ».
Rimasero in sala d’attesa per almeno due ore, prima che un medico uscisse e gli rivolgesse un sorriso radioso.
« Lo abbiamo visitato », iniziò con voce ferma. « In generale, sta abbastanza bene. Ma è molto debole », concluse.
« Ha bisogno di aiuto per compiere il minimo sforzo, e a volte gli manca il respiro, quindi gli abbiamo lasciato l’ossigeno per ogni evenienza. Basterà avere pazienza ».
Ran assimilava ogni parola avidamente, mentre stringeva convulsamente il suo cardigan ormai del tutto stropicciato. Appurato che avessero appreso le informazioni che gli stava rilasciando, il medico proseguì.
« Vi faccio l’enorme favore di far entrare uno di voi, ma giusto per salutarlo. Non dovete stancarlo », era molto severo.
Yusaku e Yukiko si lanciarono uno sguardo allusivo, e quest’ultima mise una mano sulla spalla di Ran.
« Ran, tesoro », iniziò. Ran intuì i loro pensieri, e scosse la testa.
« No, Yukiko, dovete andare voi », provò a opporsi.
« Sono abbastanza sicura che lui voglia te, ora », disse dolcemente Yukiko.
Ran provò a ribattere, ma il medico pareva impaziente. Deglutì, guardando un’ultima volta la donna davanti a lei. Dopo un po’, annuì timidamente, alzandosi in piedi e sistemandosi stupidamente la maglia sopra i jeans. Aveva pensato spesso a quel momento, all’istante in cui avrebbe rivisto i suoi occhi su di lei. Ma non aveva ragionato su cosa avrebbe dovuto dirgli.
Non toccarmi.
Si morse un labbro, mentre la paura cresceva in lei.
Ti odio.
Affrontarlo dopo le ultime cose che gli aveva detto la terrorizzava. E mentre la sua testa era nel caos, aprì la porta con mano tremante.
Con un cigolio questa si aprì, e lei fece un passo avanti a testa bassa. Lentamente alzò lo sguardo, notando come una infermiera fosse in piedi accanto a lui, per sistemare una flebo sul suo braccio. Questa la guardò, annuendo al fatto che fosse lì. Ran rispose al cenno, per poi guardare timidamente Shinichi.
Lo avevano leggermente alzato, e ora era appoggiato a diversi cuscini. In quel momento, dopo tante settimane, lo vide dimagrito e sciupato, il viso solcato da profonde occhiaie.
Ma i suoi occhi erano finalmente sgranati, e si stavano perdendo sul suo viso. Quello sguardo la imbarazzò da quanto era profondo, da quanto stesse scavando sul suo viso per ammirarne uno centimetro.
Il loro gioco di sguardi era così intenso che l’infermiera si sentì improvvisamente di troppo e, dopo aver frettolosamente finito il suo compito, lasciò la stanza un po’ intimidita. Quando ebbe chiuso la porta alle sua spalle, rimasero da soli.
Erano ancora lì, uno di fronte all’altro, gli occhi che non volevano staccarsi. Passarono parecchi minuti, prima che quelli di Ran si riempissero di lacrime.
hinichi se ne accorse e, stancamente, aprì la bocca secca.
« Non piangere », la sua voce era cavernosa, ma era la sua.
Abbozzò un sorriso incerto, che sembrava gli costasse una tremenda fatica.
« Sono lacrime di felicità », sorrise tremolante lei, avvicinandosi.
In silenzio, gli prese la mano. Lui voltò faticosamente la testa nella sua direzione, cercando di ricambiare la stretta.
« Sei bellissima », mormorò lui infine.
Ran rise isterica. Bellissima? Non si ricordava da quanto tempo non si curasse dei capelli, che le cascavano disordinati e spettinati ovunque. I pantaloni che indossava le stavano larghi, così come la maglia. Per non parlare della faccia, continuamente solcata dalle lacrime.
« Dovresti smetterla di dire bugie, detective », ribattè lei piano.
Un lampo di coscienza passò negli occhi stanchi di Shinichi, mentre emetteva un gemito di disappunto.
« Fra le tante, questa non lo è », ogni parola sembrava costargli una immensa fatica.
« Anche se sei dimagrita troppo », concluse con un sospiro, prendendo fiato.
In quel momento Ran si accorse dell’ossigeno al suo fianco.
« Basta parlare », gli poggiò delicatamente una mano sulla spalla.
« Avremo tutto il tempo per parlare più avanti », continuò, indugiando una carezza sul suo viso.
« Davvero? », chiese lui, con sguardo poco convinto.
Lei annuì. « Sì. Io sarò qui. Sono sempre stata qui ».
Si scambiarono uno sguardo carico di cose non dette, bugie rivelate, ricordi dolorosi. Ma anche così pieno di amore che le gambe di Ran tremarono. In quel momento, qualcuno bussò ma non entrò, quindi lei capì che era il momento di uscire.
« Devo uscire », gli disse, togliendogli l’ennesimo ciuffo dalla fronte.
Lui annuì, stancamente. « Riposati », gli disse.
Era davvero difficile staccarsi da lui. Avrebbe voluto passare la notte lì, ma non poteva, doveva farlo per lui.
« Ran », la chiamò lui all’improvviso.
Lei lo guardò un’ultima volta.
« Sì? », poggiò la mano sulla maniglia.
Con le ultime energie rimaste, volle dirglielo. Perchè era stufo, perchè gli erano morte così tante volte in gola quelle parole, da trovarle quasi insensate. Aveva perso il conto delle volte in cui aveva fallito, e non era stato in grado di dirglielo. Ma non aveva intenzione di perdere altro tempo, così, con il corpo che gli doleva in ogni centimetro, prese una bocconata di ossigenò, e si rivolse a lei.
« Aishiteru ».
La terra sotto i piedi di Ran sparì, e per un momento ebbe paura di cadere rovinosamente a terra.
Trattenne il fiato, iniziando a tremare. Li, in quel letto, un Shinichi col fiatone la stava guardando come mai prima di allora.
Magro, pallido, dolorante.
Ma così pieno di quell’affetto per lei che stava traboccando da ogni angolo del suo corpo. Stava per rispondere mentre l’adrenalina le saliva al cervello, ma la maniglia si inclinò sotto la sua mano.
« Signorina », la voce impaziente del dottore la ridestò.
Frettolosamente, si girò e fece per uscire. Ma, in un’ultima giravolta che le fece girare la testa, guardò un’ultima volta Shinichi.
« Anche io ».

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Capitolo 8
*** Attese ***


WITHOUT WORDS.
attese.
 

« Ma scherzi? ».
« No che non scherzo! ».
« Vuoi dire che ha dormito tutto il viaggio?! ».
« E’ praticamente svenuta due minuti dopo essere partiti ».
Ran aprì gli occhi, infastidita dalle voci intorno a sé. All’iniziò pensò di essere ancora in quella camera di ospedale, ma presto si rese conto che aveva di nuovo sognato ricordi lontani. Con una smorfia si sedette meglio, mentre Sonoko rideva al suo fianco.
« Ma buongiorno, siamo arrivati! », la sua voce le rimbombò per un attimo nella testa, che le pulsava incessantemente.
A quella vista, ben presto il sorriso divertito di Shinichi si affievolì, fino a scomparire.
« Perché non cominciate a scendere? Noi prendiamo i bagagli e arriviamo », per fortuna Kanazawa era l’ultima fermata. Makoto prese gentilmente il bagaglio di Sonoko, decisamente più grande di lei, e la trascinò con sé senza poche proteste.
Ran ringraziò mentalmente Makoto, e si portò una mano alla testa.
« Stai bene? ».
Trasalì, voltandosi alla sua destra. Da come era confusa quasi si era dimenticata di Shinichi al suo fianco, che ora la guardava con sguardo preoccupato. Cercò di scacciare via i brutti pensieri, e annuì con vigore: l’ultima cosa che voleva era rovinargli la giornata con le sue paturnie.
« Ma sì, certo. Ho solo un po’ di mal di testa », quello, almeno, era vero. Lui la guardò per niente convinto, e Ran se ne accorse. Sfoderò il sorriso migliore che possedesse, e si alzò di scatto.
« Forse ho dormito troppo », iniziò a prendere il proprio bagaglio, senza guardarlo più in faccia. Sapeva che, se avesse incrociato il suo sguardo, non sarebbe più riuscita a dire bugie.
Mi hai detto così tante bugie.
Sbarrò gli occhi, e in quel momento le cadde di mano la sua borsa.
Come faccio a sapere che anche i tuoi sentimenti per me non erano che questo? Una grande bugia?!
« Ran! », Shinichi prese al volo la sua borsa, mentre quest’ultima sobbalzava.
« S-scusa, che maldestra », balbettò con una risatina, prendendogli di scatto la borsa e iniziando ad avanzare verso l’uscita.
« Hai fatto un brutto sogno? », provò lui acchiappando il suo bagaglio e correndole dietro.
« Ma no, davvero », rise lei nervosa.
Per fortuna di Ran, quando mise piede fuori dal treno, una valanga umana la travolse così velocemente e così forte che dovette far leva sulle sue gambe per non cadere.
« Ran! ».
La voce di Kazuha le fece per un attimo dimenticare i suoi brutti pensieri, e di slancio rispose all’abbraccio.
Era sinceramente felice di rivederla, specialmente perché negli ultimi tempi non avevano avuto molte occasioni di stare insieme.
« Sono così contenta di stare un po’ di tempo con voi », continuò la ragazza di Osaka, staccandosi da Ran e rivolgendosi anche a Sonoko.
« Avete finito con queste smancerie! », sbuffò Shinichi, rimasto bloccato dietro Ran. Con noncuranza si fece largo, andando incontro ad Heiji e Makoto.
« A volte mi scoccia ammetterlo », replicò Sonoko con una smorfia verso Shinichi. « Ma quasi preferivo quando Ran si portava dietro il marmocchio ».
A quelle parole, Ran deglutì nervosamente, mentre Heiji lanciava occhiate veloci fra lei e Shinichi.
« Ah, Conan », ricordò con un sorriso Kazuha. « Lo senti mai, Ran? ».
« Ogni tanto », mentì lei, non senza sensi di colpa, mentre si incamminavano verso l’uscita della stazione.
Si sentiva così subdola, così a disagio a mentire alle sue migliori amiche. Non era da lei, e le costava un’immensa fatica. Tuttavia non poteva fare altrimenti, in quelle bugie erano implicate così tante persone e dei segreti così grandi che perfino dopo mesi faticava a vedere le cose con la giusta lucidità. Era stata interrogata da così tante forze dell’ordine, dopo la caduta dell’Organizzazione, che ne aveva perso il conto.
FBI, la polizia giapponese, i servizi segreti di almeno altri due paesi. E tutti gli avevano ripetuto di stare zitta, far finta che non fosse mai accaduto nulla, mentire. Non sull’Organizzazione, quella no. Il giorno dopo quel brutto e infinito giorno la notizia che Shinichi Kudo ed Heiji Hattori avevano scongiurato una delle organizzazioni malavitose più invisibili e pericolose del secolo era rimbalzata su ogni notiziario, giornale, chat online. Erano diventati così famosi che per un po’ Heiji non riuscì nemmeno ad uscire di casa, e Shinichi aveva una scorta davanti alle principali entrate dell’ospedale.
No, non su quella. Ma su i loro esperimenti, sui loro metodi.
Gente che rimpiccioliva, persone che non invecchiavano mai. Persone che sarebbero dovute essere morte da anni. Meno persone sapevano, più persone erano al sicuro da possibili piccoli nuclei rimasti in piedi.
E così si era ritrovata a fare qualcosa che non aveva mai fatto nella sua vita. Mentire.
Pensi davvero che io fossi felice di mentirti?!
Si strofinò energicamente gli occhi, scacciando via l’ennesimo flash apparso nella sua mente.
« Allora, cosa facciamo oggi? », esclamò Kazuha entusiasta, prendendola a braccetto e trascinandola fuori da lì e dai suoi ricordi.


« Lo farò stasera ».
Shinichi si voltò verso Heiji, che si era appartato con lui in un angolo per posare i bagagli nella hall dell’albergo. Notò che stava contraendo così tanto la mascella che si stupì di come quest’ultima non si stesse rompendo.
« Ottimo », ribattè sottovoce. « Hai già pensato a tutto? ».
« Sì », il suo tono era deciso.
« Bene, allora », Shinichi sorrise del suo nervosismo. « Da domani non mi tampinerai più ».
« Io almeno non ti ho mai chiesto di infilarmi in uno zaino mentre mi rimpicciolivo! ».
« Fidati, è meno impegnativo di reggerti dopo tre birre ».
« Ragazzi? », Kazuha guardò sbigottita Heiji, mentre aveva afferrato per il braccio Shinichi e lo stava strattonando con fare minaccioso. L’altro, ridacchiava sornione.
« Tutto bene? », chiese confusa.
« Sì, tutto bene », replicò Shinichi fissando l’amico. « Heiji è un po’ nervoso».
Quest’ultimo divenne di una leggera tonalità di rosa, mentre lo lasciava andare malamente.
« Nervoso? Per cosa? », indagò di nuovo Kazuha, non capendo. Ran, sentendo la discussione, lanciò un’occhiata di fuoco a Shinichi.
« Non starlo a sentire, quello scemo », borbottò allontanandosi, con la sua amica che lo rincorreva curiosa di sapere cosa stava succedendo. A quella vista, Shinichi rise ancora, per poi essere colpito da qualcosa di davvero pesante appena dietro al collo.
« Ridevi come un idiota ».
Gliela aveva già sentita pronunciare una frase del genere, tanto tempo prima. Sorrise al ricordo, mentre si massaggiava dolorante la nuca.
« Se la pensi così, non ti rivelerò cosa mi ha appena detto Heiji! », la punzecchiò, sapendo di coglierla sul vivo. Così fu, e Ran ritirò a sé la borsa con la quale lo aveva appena colpito, un lampo di curiosità negli occhi blu.
« Cosa? », lo guardò speranzosa.
« Ah, non sono più un idiota? », gli fece una smorfia divertita lui, avanzando verso l’uscita dove gli altri li stavano aspettando.
« Certo che lo sei », si affrettò a sottolineare lei.
« Allora ti lascio nella curiosità », rise lui, facendola sbuffare.
Provò a convincerlo per tutto il giorno, ma lui non diede segno di cedere. Fu così che trascorsero il primo pomeriggio, mentre tutti insieme girovagano per la città. Anche se l’aveva già visitata quando era ancora Conan, Shinichi assaporò ogni singolo momento di quella giornata. Dopo quella mattina, aveva visto Ran decisamente più serena e ogni qualvolta ridesse il suo cuore faceva un balzo, contagiando anche il suo umore.
Era sempre stato così, fra loro, da quanto poteva ricordarsene. Bastava un suo sorriso per illuminargli la giornata. Decise così di scacciare la preoccupazione per quella stessa mattina, e godersi la giornata.
Dopo un giro veloce nel centro, avevano optato per mangiare qualcosa di veloce mentre continuavano a camminare. Così presero qualcosa da mangiucchiare per strada, e Ran quasi si offese a morte quando Shinichi le rubò l’ultima polpetta di polpo dal suo stecchino con una mossa fulminea. Gli promise vendetta, che si attuò quando lei gli spalmò un po’ del suo gelato sul naso, quando lui fece per rubargliene di nuovo un po’.
A tutte queste scenette giocose fra loro, Kazuha rimase piacevolmente colpita, per non dire un po’ gelosa.
Stavano insieme, certo. L’ultima volta che l’aveva incontrata, Ran aveva ammesso che si fossero baciati, ma insieme non erano stati mai così complici come quel giorno. Si erano stuzzicati per tutto il tempo, giocando e ridendo come non li aveva mai visti fare. In realtà, come non aveva mai visto fare a lui.
Shinichi non gli era mai parso, fin dal principio, una persona molto estroversa. Anzi. A volte si stupiva di come andasse d’accordo con Heiji, decisamente più testa calda e rumoroso di lui.
Era sempre stato molto tranquillo, e non si lasciava mai andare a grandi risate o scherzi platonici. Eppure quel giorno era straordinariamente allegro come non lo aveva mai visto, aveva perfino intasato di parole Makoto il quale, diciamocelo, anche lui non spiccava per essere un grande parlatore.
Altra cosa che notò silenziosamente Kazuha, era stato il suo approccio con Ran. Certo, non che avessero fatto grandi gesti di affetto, anzi. Niente baci, niente abbracci, non si tennero per mano nemmeno una volta;  ma ad ogni movimento della ragazza lui si muoveva di conseguenza come se attratto da una calamita invisibile. Era un continuo infastidirsi a vicenda con fare giocoso, e anche questo le parve nuovo. Ogni occasione era buona per toccarsi, seppur di sfuggita e seppur scherzando, e ridacchiando sottovoce per qualcosa che capivano solo loro.
Erano così intimi che per un attimo fissò Heiji, nel suo cuore la speranza che un giorno sarebbe stato così anche per loro. Ci erano andati vicini così tante volte, che le ribolliva il sangue ogni volta che la speranza le era svanita davanti agli occhi.
Sospirò, e nel farlo incontrò gli occhi di Sonoko, che la guardavano con fare malizioso.
« Ancora niente, eh? », le sussurrò quando furono un po’ distanti dal gruppo.
Kazuha fece un sorriso senza allegria, mangiando ancora un po’ del suo gelato alla vaniglia.
« Comincio a pensare di aver immaginato qualcosa che non c’era », ammise amareggiata.
« Ma che dici! », esclamò Sonoko.
« E’ che comincio a perdere le speranze, tutto qui », alzò le spalle, le lacrime che cominciavano a pungerle gli occhi.
« Te lo scordi! ».
La voce alta di Ran le interruppe, mentre si giravano a guardare Shinichi che si era ancorato al suo braccio per mangiarsi il suo biscotto ancora golosamente custodito nella coppetta del gelato.
A quella vista, Kazuha emise un risolino.
« Loro, in compenso, mi sembrano davvero felici », disse piano a Sonoko, mentre Ran porgeva titubante il suo biscotto a Shinichi.
« Già, incredibile ma vero », Sonoko sorrise compiaciuta. E, mentre guardava Ran ritirare indietro velocemente il biscotto per poi mangiarlo in un boccone, lasciando Shinichi incredulo e deluso davanti a sé, sgranò gli occhi all’improvviso.
« Dopo dobbiamo prendere Ran da parte! », battè un pugno sul palmo della sua mano, spaventando per un attimo Kazuha.
« P-perché? », chiese questa, non capendo.
« Dobbiamo indagare », gli occhi di Sonoko si assottigliarono, mentre guardava Ran accarezzare piano la testa di uno Shinichi offeso per avergli negato il suo ultimo, prezioso biscotto.

Per metà pomeriggio decisero di accontentare Sonoko e tornare in albergo, per godersi l’enorme piscina a loro disposizione. Fu quando i ragazzi andarono a cambiarsi nei loro camerini, che Sonoko prese la palla al balzò e corse incontro a Ran, che aveva preso posto su un lettino accanto a Kazuha.
« Hey, hey », sussurrò agitata, sporgendosi verso il lettino di Ran. Quest’ultima la guardò confusa, mentre riponeva la borsa al suo fianco.
« Cosa? », chiese non capendo lo strano modo circospetto di Sonoko.
Quest’ultima si guardò intorno nervosa, per poi far cenno a Kazuha di andarsi a sedere sul suo lettino.
« Dobbiamo parlare, ORA », sentenziò, puntando un dito verso Ran.
« Di cosa? », chiese nuovamente lei, notando lo sguardo confuso di Kazuha.
« E’ da settimane che vorrei parlarti », mentre parlava sottovoce continuava a rigirarsi intorno. « Ma Kudo-kun non ti molla mai », fece una smorfia. Ran corrugò la fronte, e quando Sonoko notò che ancora non stava capendo, sbuffò.
« Allora? E’ successo altro? Qualche pomiciatina? ».
Per poco a Kazuha non andò di traverso l’acqua che stava bevendo, e Ran diventò bordeaux in faccia alla velocità della luce. Aprì la bocca, scioccata, mentre Kazuha la fissava con occhi rotondissimi.
« COSA?! », esclamò quest’ultima a voce alta, all’improvviso agitata.
« Zitte, zitte! », disse Ran scuotendo la testa, alcuni vicini di sdraio che le guardavano torvi.
« Non è successo niente, state calme! », disse ormai sull’urlo di una crisi di imbarazzo. Kazuha tornò a respirare, e Sonoko la fissò delusa.
« Ma scherzi? », disse mettendo su il muso. « Dopo il discorso di settimane fa, niente? », sbuffò, incrociando le braccia al petto.
« Ecco perché oggi eravate così appiccicosi! », gli occhi di Kazuha si illuminarono alla rivelazione.
« Già, già! Qualche settimana fa era tutta agitata perché si erano spinti un po’ oltre », rise Sonoko con sguardo malizioso. Ran affondò il viso dentro il palmo della mano.
« Io glielo ho detto di buttarsi, ma a quanto pare vivono ancora nel paesino delle fatine », concluse scuotendo la testa rammaricata.
Kazuha riguardò Ran come per volere una conferma, e lei dovette arrendersi e annuire lentamente. Nel vedere la sua silenziosa risposta, Kazuha battè le mani emozionata.
« O mio Dio, voglio i dettagli! », esclamò mettendosi a sedere più comoda. Ran cominciò a guardarsi intorno nervosa: l’idea che i ragazzi saltassero fuori da un momento all’altra la terrorizzava.
« Non c’è molto da dire », buttò lì velocemente.
« Siamo un po’ andati oltre i baci, ma siamo sempre stati interrotti », spiegò nervosa, torturandosi le mani. Kazuha ormai aveva la bocca aperta da così tanto tempo, che Ran pensò si fosse paralizzata così.
« Aspetta, aspetta, io ero rimasta a quando è successo in agenzia », Sonoko la bloccò, l’emozione negli occhi.
« E’ successo altre volte? », chiese avida di informazioni. Ran si morse un labbro.
« U-un… due », ammise con un sospiro, evitando il loro sguardo. Sonoko emise un piccolo urletto, battendo le mani. Kazuha era di una leggera sfumatura di rosso, ma non riusciva a non guardare Ran con una insolita curiosità.
« Però non avete ancora… », lasciò in sospeso la frase, in un sussurro timido. Ran negò, a disagio. Cominciava seriamente ad avere caldo.
« E cosa aspetti, dai! », sussurrò Sonoko, facendole l’occhiolino. Ran si torturò nuovamente le mani, abbassando lo sguardo.
« Non è così semplice », mormorò piano.
« Cosa succede? », nel vederla così in crisi, Sonoko smise di prenderla in giro improvvisamente.
« Non lo so, credo di avere un po’ paura, in realtà ».
Le parole le scivolarono di bocca, ma con sorpresa si ritrovò a sentirsi meglio. Forse parlarne non le avrebbe fatto così male, visto che quei dubbi a volte le tornavano in mente spesso ultimamente.
L’idea di loro due, così, insieme…  rabbrividì, seppur sotto quel sole così caldo.
« Di cosa hai paura, Ran? E’ Shinichi… ».
La voce rassicurante di Sonoko le scaldò per un attimo il cuore, e alzò il viso per fissarla. Non seppe dire il perché, ma sentì gli occhi pizzicarle.
« Lo so, lo so », disse nervosamente, la voce incrinata. « Lo so che è lui, so che non farebbe mai niente che io non voglia… o che comunque sarebbe, ecco, carino con me… », fece una paura, per riordinare le idee.
«Non è lui il problema, ma io… ho paura di deluderlo, ecco. Non lo so, forse non farei le cose giuste, forse non sarebbe come se lo immagina », ormai parlava senza sosta, le mani così stritolate che si stava fermando il sangue. Kazuha e Sonoko si guardarono smarrite per un attimo, poi quest’ultima si rivolse a lei dolcemente.
« Ran, ma sei sicura di essere, ecco… sicura? », le chiese. « A parte gli scherzi, non devi se non ti senti ».
« Sì che lo sono », rispose sicura, con convinzione. « Però è comunque un passo importante, no? ».
« Certo che lo è », finalmente Kazuha prese parola, il rossore che non abbandonava le sue gote.
« Secondo me allora le tue paure di deluderlo devi togliertele dalla testa », esclamò Sonoko, fissandola.
« Non devi nemmeno pensarci. E’ Shinichi, Ran, devi pensare solo a questo… ».
« Lui, piuttosto… », iniziò Kazuha timidamente. « Secondo te vuole? ».
« P-penso di sì », balbettò Ran, arrossendo.
« Ma certo che vuole », sbuffò Sonoko. « Penso stia solo aspettando te, ormai! ».
« Aspettando? », Ran corrugò la fronte.
« Beh, immagino di sì… aspetterà che tu faccia la prima mossa, no? Come hai detto tu, Shinichi non farebbe mai nulla per forzarti… ».
Ran aprì la bocca per ribattere, ma improvvisamente una nuova realtà le balzò in testa. Le due amiche se ne accorsero, e la incitarono con la testa per proseguire.
« Beh, ecco… una volta ci siamo interrotti perché io ero nervosa », spiegò timidamente. « Lo ha notato, e mi ha detto che era meglio lasciar perdere… ».
« Ma lui ha mai preso iniziativa per primo? », indagò Sonoko, con gli occhi ridotti a fessure.
Ran ci pensò su. Effettivamente, ogni volta, era stata lei a slanciarsi verso di lui. Sia la prima volta in agenzia, sia in biblioteca, e sia il sabato prima. Shinichi si era sempre trattenuto dall’allungare le mani, se non era lei a iniziare. Altrimenti, a parte i suoi gesti affettuosi, niente. Anche quell’ultima settimana erano rimasti soli parecchie volte, ma lui era sempre rimasto composto al suo fianco. Deglutì, fissando Sonoko, arrivando a formulare un pensiero che non avrebbe mai capito da sola.
« S-stai dicendo che lui non farà mai la prima mossa? Ma io un pomeriggio glielo ho detto che lo… ecco, che lo volevo insomma », ormai era paonazza, e Kazuha anche. Ma Sonoko ormai vestiva perfettamente i panni di un detective navigato, mentre si portava una mano al mento con fare pensieroso.
« Puoi anche averlo detto, ma se poi ti ha vista nervosa forse ha pensato che non lo fossi davvero », dedusse infine.
« Pensaci: l’unica volta in cui nessuno vi ha interrotti, sei stata tu ad agitarti. Penso che lui sia pronto, figurati, è un ragazzo e tu gli piaci da sempre. Proprio per questo ti conosce bene, e vedendoti così non vorrà forzarti, Ran ».
Quella spiegazione la spiazzò così tanto che sbarrò gli occhi.
Shinichi.
Che la capiva sempre.
Che non la forzava mai a fare qualcosa che non volesse.
Shinichi che la stava aspettando?
« Ma… ma quindi? », deglutì.
« Quindi, se sei realmente pronta, buttati tu, Ran. Per una volta sono dalla sua parte », ammise Sonoko, con un sorrisetto
 « Pensaci: non ha mai allungato le mani, quando ti ha vista agitata ha smesso. Mi costa molta fatica ammetterlo, credimi », Ran alzò gli occhi al cielo. « Ma è molto carino nei tuoi confronti ».
Lei arrossì, e Kazuha le sorrise complice.
« Sì, lo è », disse dopo un tempo infinito, pensierosa. « Però io mi vergogno, Sonoko! Non posso certo dirgli a quattr’occhi che il mio nervosismo non è dovuto a lui », arrossì.
« Ma voi due, ecco », Kazuha si schiarì la voce, in evidente imbarazzo. « Non avete mai neanche lontanamente affrontato l’argomento? », concluse paonazza.
Ran ci pensò un attimo, e dopo poco aprì la bocca agitata. Le tornò improvvisamente in mente un fatto accaduto mesi prima, che aveva cercato di dimenticare in un angolino del suo cervello. Rendendosi conto che l’amica stava pensando a qualcosa di importante, Sonoko le sventolò una mano davanti alla faccia.
« N-no, mai », mentì, cercando di scacciare il ricordo apparso nella sua testa.
« Che devo fare », affondò dopo un pò il viso nelle mani, scoraggiata.
« Una cosa ci sarebbe… », gli occhi di Sonoko brillarono diabolici.
« Potresti un po’ stuzzicarlo, e farglielo capire », la guardò maliziosa.
« E come?! », esclamò sulle spine.
« Dimenticati quell’insulso vestito blu che abbiamo comprato insieme », gesticolò improvvisamente.
« Stasera te ne do uno io! ».
« Sonoko… », la ammonì Ran, con fare minaccioso. L’amica sorrise subdola ma subito si zittì, e Ran notò che anche Kazuha al suo fianco si immobilizzò.
« Di che parlate? ».
Ran si paralizzò, mentre Shinichi con un balzo si metteva a sedere al suo fianco sul lettino. Si voltò rigida verso di lui, che la guardava a poca distanza con un bellissimo sorriso. Nel medesimo istante furono accerchiate anche da Heiji e da Makoto, che si sistemarono su alcuni lettini poco distanti. Kazuha e Sonoko si dileguarono, la prima imbarazzata e la seconda divertita, per lasciarli soli.
Ran si morse un labbro, voltandosi verso Shinichi.
Ti sta aspettando.
Lo guardò per un attimo, le parole che le rimbombavano nella testa.
E’ molto carino nei tuoi confronti.
Shinichi la guardò confuso, mentre lei rimaneva imbambolata.
« Il sole ti ha rimbambita? », le chiese sbattendo le palpebre.
« S-scemo », replicò lei scorbutica, volgendo lo sguardo altrove.
Non vorrà forzarti, Ran.
Shinichi si sentì a disagio, fissando intensamente Ran. Ultimamente era sempre molto pensierosa e silenziosa, e capirla era diventato davvero impossibile. Cercava di essere il più carino possibile con lei, ma pareva che celasse sempre qualche problema o qualche preoccupazione dietro ai sorrisi che gli rivolgeva.
Sospirò, tornando alla realtà. Da quando gli aveva ammesso dei suoi continui incubi, era diventato davvero molto paranoico, e ogni qualvolta la vedeva pensierosa temeva che potesse ripensare a qualcosa di brutto. Scosse la testa, cercando di scacciare le stesse immagini che stavano apparendo davanti ai suoi occhi.
« Dai, facciamoci un bagno », le disse, prendendola di slancio per la mano. La trascinò con sé, e rise quando vide dall’altra parte della piscina Heiji che coglieva alla sprovvista Kazuha e la spingeva malamente in acqua.
Altro che dichiararsi.
Pensò sarcastico, mentre la ragazza riemergeva e iniziava a urlargli addosso di tutto. Si fermò di scatto e si voltò per ridere insieme a Ran di quella scena, quando la vide ancora imbambolata a fissarlo, rossa in viso.
In quel momento si rese conto che di slancio l’aveva afferrata per mano, e ora era al suo fianco con un bikini decisamente non da lei. Nero, a triangolo, che lasciava ben poco spazio all’immaginazione.
Fece per dire qualcosa per rompere il ghiaccio, ma in quel momento qualcuno lo spinse così forte che di scatto strinse la mano di Ran e, mentre cadeva in piscina, la trascinò con lui.
« Sei un idiota », scosse la testa Kazuha, mentre Heiji si metteva a ridere.
Dopo poco Shinichi riaffiorò dall’acqua, tossendo furiosamente, e dopo poco anche Ran.
« Fresca l’acqua? », chiese Heiji, prendendoli in giro, ancora in piedi sul bordo. Stava ancora sorridendo beffardo, quando all’improvviso Shinichi si diede slancio con le braccia e lo ancorò per le gambe, facendogli prendere una sonora botta col sedere prima di scivolare con lui in acqua.
Heiji riemerse con un’espressione così sorpresa che tutti scoppiarono in una sonora risata, prima che Shinichi rincarasse la dose e gli mettesse due mani sulla testa, spingendolo di nuovo giù.
Heiji cominciò a gesticolare e fare bolle, e quando si sentì soddisfatto, Shinichi lo lasciò andare.
« Ma vuoi uccidermi?! », sputacchiò un po’ di acqua il ragazzo, tenendosi una mano sul petto.
« No, troppi testimoni », alzò le spalle Shinichi con noncuranza.
A quella scena, Ran rise nuovamente. E, mentre Sonoko lanciava una palla e iniziavano a giocare tutti insieme, tutte le sue preoccupazioni e ansie svanirono nel nulla. Si dimenticò per un attimo del discorso fatto con le ragazze, e di tutte le sue recenti paranoie. Per quel pomeriggio fu come se fossero tornati semplicemente amici.


Quando, infine, decisero di rientrare in Hotel per cambiarsi, Ran e Kazuha seguirono Sonoko in camera sua. Aveva riservato una camera per ognuno di loro, così che potessero sistemarsi senza problemi per la serata.
« Vieni, Ran, te lo devo assolutamente far provare! », gongolò verso l’armadio e, aprendolo, stupì le ragazze considerando quanti vestiti ci fossero.
« Ma hai intenzione di metterli tutti? », rise Kazuha, cominciando a guardarli.
« E’ che sono un po’ dubbiosa su quale mettere », Sonoko si imbronciò, cominciando a studiarli uno per uno. Poi, saltò sul posto, indicando Ran.
« Ma questo fa assolutamente al caso tuo! », sentenziò e, dopo aver rovistato un po’, prese un vestito e glielo fece ammirare alzandolo leggermente in alto.
Ran sbarrò gli occhi, arrossendo.
« Ma sei matta?! », esclamò nervosa.
« Perché? », domandò innocentemente Sonoko, mettendosi a guardarlo anche lei.
« E’ troppo, Sonoko, davvero », scosse la testa e Kazuha non riuscì a non darle torto.
« Scusa, finora coi tuoi vestiti bon ton hai rimediato qualcosa? », fece una smorfia la biondina.
« Ma dai, ma questo è… è… ».
« E’ perfetto. Shinichi non potrà davvero far finta di niente, stasera! Provalo, almeno ».
Ran sospirò, indecisa sul da farsi. Era davvero tentata di provarlo, ma era anche tremendamente insicura.
« Oh, quanto è bello questo! », la voce di Kazuha le distrasse, mentre guardavano la ragazza mentre prendeva dall’armadio un vestito rosso molto romantico.
« Puoi metterlo se vuoi! ».
« Davvero? », gli occhi di Kazuha si illuminarono.
A quella vista, Ran sorrise dolcemente. Sperò con tutto il suo cuore che quella sera Heiji si sarebbe dichiarato, voleva davvero che Kazuha finalmente vivesse il suo momento speciale.
« Allora bella addormentata », Sonoko la riportò alla realtà, mentre sventolava il vestito che aveva fra le mani.
« Lo provi, o no? ».
E, mentre per nulla convinta lo provava, e si sentiva stranamente attraente, le tornò in mente la bugia che aveva detto quel pomeriggio alle sue amiche, e all’episodio avvenuto alcuni mesi prima…

 

Cinque mesi prima.


Shinichi si stiracchiò, per poi versarsi una quantità generosa di caffè nella tazza. In lontananza, sentiva suo padre chiacchierare con sua madre, ma non riusciva a capire l’oggetto della loro discussione. Sembrava piuttosto animata, perciò alzò gli occhi al cielo.
Dopo la caduta dell’Organizzazione, erano rimasti in Giappone ancora per un po’, e da quando un mese e mezzo prima era tornato a casa dall’ospedale, sentirli battibeccare continuamente iniziava a fargli saltare i nervi. Non che non si amassero, anzi. Ma ogni occasione era buona per stuzzicarsi e discutere sottovoce, come se lui non li sentisse.
Esasperato, e con una fitta alla schiena, si toccò la medicazione che aveva intorno alla vita, sistemandosi la fasciatura sotto la camicia aperta. Maledicendosi, ripensò a quando non meno di una settimana prima, aveva voluto strafare e gli si era riaperta un po’ la ferita.
Sei un emerito idiota.
Pensò di nuovo a quando aveva voluto provare a fare qualche tiro a calcio dietro scuola. Era stata decisamente una brutta idea, e da allora la ferita era tornata a pulsare. Aveva subito disinfettato e medicato, ma aveva ancora della pelle viva che a contatto con qualsiasi tessuto gli doleva.
Con una smorfia, provò ad abbottonarsi la camicia. Non ne aveva parlato con nessuno, men che meno con i suoi genitori o con Ran. Nessuno di loro aveva approvato che tornasse a scuola così presto, ma li aveva convinti tutti, così avevano ceduto. Se avessero saputo che si era fatto male, non lo avrebbero più lasciato vivere, e già si immaginava le duemila ramanzine a cui sarebbe stato sottoposto. Bastava fare colazione con un buon caffè, e almeno due antidolorifici.
« Buongiorno, Shin-chan! », sua madre entrò in cucina con un grosso sorriso. Shinichi nascose in cartella velocemente le medicine, e la guardò. Aveva sì un bel sorriso, ma anche uno sguardo strano. Che avesse visto gli anti dolorifici?
« ‘Giorno », rispose deglutendo. Ma lei lo superò, versandosi del caffè.
Shinichi tirò un sospiro di sollievo, ringraziando che non si fosse accorta di nulla. Con ancora la testa piena di paranoie, si andò a sedere dando la schiena a sua madre. Si era appena seduto con una smorfia di dolore, quando lei si girò di scatto.
« Allora…  », iniziò con la stessa espressione indecifrabile di poco prima. « Come va? ».
« Bene », disse lui con un’alzata di spalle, mentre mangiava un pezzo di salsiccia.
« Mmm », mormorò lei giocherellando con il cucchiaino del caffè.
« E Ran? Sta bene? », continuò nervosa. Shinichi avvertì il suo disagio, ma non capendone il motivo, preferì lasciar perdere.
« Sì, certo », replicò, sperando che le medicine facessero in fretta effetto.
« Bene », Yukiko sospirò.
Rimasero per poco tempo in silenzio, poi la donna riprese la parola.
« Quindi tu e lei state bene », sentenziò dondolandosi da un piede all’altro. Shinichi a quel punto non potè più fare finta di niente, e le prestò tutta la sua attenzione.
« Di cosa vuoi parlarmi, mamma? », domandò esasperato. La conosceva bene, e saltuariamente se ne usciva con una serie di interrogatori sulla sua vita privata che avrebbe fatto impallidire l’ispettore Megure.
« Ma niente », esclamò lei piccata. « E’ che pensavo… che ora state insieme ufficialmente ».
Sentirlo pronunciare a voce alta gli sembrava ancora così strano, che Shinichi sorrise internamente. No, non era solo un sogno. Era vero.
« Già », annuì bevendo un sorso di caffè.
« Passate tanto tempo insieme… », buttò lì Yukiko.
« Come sempre », ribattè lui, mentre cercava di capire il perché di quel interrogatorio.
« Sì, beh, siete sempre stati inseparabili », mormorò Yukiko quasi soprappensiero.
« … già ».
Calò di nuovo un silenzio strano, rotto solo dal ticchettare dell’orologio appeso sopra di loro.
« Vi siete già baciati? ».
La domanda che sputò fuori Yukiko era così imbarazzante, che a Shinichi andò di traverso il caffè. Cominciò a tossire, e ad ogni colpo sentiva la schiena dolergli.
« Mamma?! », disse con voce strozzata.
« Non c’è bisogno di agitarsi! », lei anche appariva un po’ rossa in viso.
Strano anche quello. Di solito era spudorata e senza malizia come poche altre persone a quel mondo. Cosa stava nascondendo?
Shinichi bevve un sorso di acqua per cercare di riprendere a respirare normalmente, poi cercò di darsi un contegno.
« Se proprio ci tieni a saperlo, sì, ci siamo baciati », borbottò rosso in viso.
Prima le rivelava le notizie che tanto bramava, prima lo avrebbe lasciato in pace.
« Davvero? », i suoi occhi luccicarono dall’entusiasmo. « E quando?! », era estasiata.
Shinichi fece in là la colazione: gli era passata la fame.
« Una settimana fa », deglutì al pensiero. « Alla festa della fioritura dei ciliegi ».
Ora basta ti prego.
« Oh, Shin-chan », incrociò le mani, guardandolo euforica. « Ma allora sei un romanticone! E io che pensavo che fossi tonto! ».
« Grazie, mamma », alzò gli occhi al cielo. Lei gongolò ancora un po’, per poi rabbuiarsi di nuovo all’improvviso. Quel repentino cambio di umore non passò inosservato a suo figlio, che sentì un brivido lungo la schiena.
Sta tramando qualche altra domanda.
« Quindi, vi siete baciati », riprese lei tentennando.  « Solo questo? », concluse infine, chiudendo un occhio in attesa di una risposta che forse non voleva realmente avere.
Shinichi si fermò un attimo, immobilizzandosi sul posto. Chiuse con impeto gli occhi, iniziando a scuotere la testa esasperato.
« Mamma, ti prego », rispose in agonia. « Ti prego, ti supplico, non continuare », strinse convulsamente la tazza fra le dita. Divennero bianche.
« Era una domanda, Shin-chan! Devi solo dirmi sì o no! ».
« SI, MAMMA. Solo questo! », Shinichi alzò la voce, ormai paonazzo in viso e anche un po’ rabbioso.
« Ecco, ci voleva tanto?! », il tono di sua madre era altrettanto alterato, ma avvertì una punta di sollievo.
Scese un nuovo silenzio fra loro, ma a differenza di quelli precedenti, era carico di tensione.
Shinichi provò a bere nuovamente il caffè, rendendosi conto di aver contratto i muscoli e ora la schiena cominciava a pulsargli.
« E’ che fra pochi giorni io e tuo padre ripartiremo… », ricominciò lei, nuovamente alla carica.
« E vorrei parlarti prima di essere distanti, ecco ».
« Parlarmi di cosa? », fece scrocchiare le dita della mano destra, chiudendola di scatto.
« Lo sai bene, di cosa. », sbuffò lei, avvicinandosi a lui. « Prima o poi doveva arrivare questo momento. Solitamente questi discorsi si fanno a quindici anni, ma tu sei sempre stato un po’ addormentato, quindi non ho mai avuto l’esigenza di fartelo ».
Parlava così velocemente per un momento rintontì Shinichi, che cercò di mantenere la calma. Stava iniziando a sudare.
« Ho cercato di convincere tuo padre a fartelo lui, ma non ne ha voluto sapere ».
Ecco di cose discutevano poco prima. Fantastico.
« Mamma, sei molto gentile », disse sarcastico. « Ma non ne ho bisogno, grazie ».
« Non voglio certo spiegarti tutta la storia », alzò gli occhi al cielo lei. « Addormentato sì, ma a diciassette anni spero che tu sappia com- ».
« Sì, ok », la interruppe Shinichi. Sentiva le gocce di sudore bagnargli la fronte.
« E’ che volevo dirti  giusto due cosette, ecco », si schiarì la voce lei. Era a disagio, raramente l’aveva vista così. Lui provò ad attaccarla nuovamente, ma lei lo bloccò con uno sguardo fulminante.
« Ora stai lì, fermo, zitto, e mi ascolti! Non è facile nemmeno per me, dannazione! », gli puntò un dito contro, e aveva l’aria così minacciosa che lui si paralizzò sul posto. Provò a deglutire per mandare giù il groppo che aveva in gola, ma non ci riuscì.
Non poteva credere a ciò che stava per succedere.
« Allora », Yukiko si fece coraggio, e iniziò lentamente. « Voglio solo che tu sappia come comportarti », parlava lentamente, dosando bene le parole.
« Per un ragazzo è facile, ma per una ragazza », prese fiato, non riuscendo a trovare le parole. Rimase un attimo a fissare il tavolo, l’espressione confusa. Dopo un po’, e il sudore che ormai inondava uno Shinichi zitto e immobile, battè il pugno sul tavolo, cogliendolo di sorpresa e facendolo sobbalzare.
« Devi essere gentile, con lei. E’ chiaro, Shinichi? ».
Era perentoria, e non l’aveva mai vista così seria. Faceva quasi paura.
« Devi mantenere la calma, non devi forzarla a fare niente che non voglia. Devi aspettare che sia pronta ».
Fece una paura, prendendo ossigeno. Ormai non riusciva nemmeno più a guardarlo in faccia.
« Il primo consiglio era quello. Il secondo… », si grattò la tempia nervosamente. « Quando succederà, e non guardarmi così, Shinichi! », lo rimbeccò, e quando non usò il vezzeggiativo lui capì che era davvero fuori di sé.
« Perché succederà, prima  o poi, devi essere delicato ».
Ormai le orecchie di Shinichi erano bordeaux, e aveva una gran voglia di balzare in piedi e mettersi a urlare. Ma lo sguardo minaccioso di sua madre, lo fecero rimanere ancora paralizzato su quella maledetta sedia.
« Terzo e ultimo punto », alzò il terzo dito della sua mano sinistra. « Per favore, fa attenzione », sperò che l’allusione potesse essere abbastanza chiara. Si aspettò che, finito quel maledetto discorso, suo figlio annuisse almeno, o desse un segno per farle capire che aveva assimilato quelle tre importanti informazioni. Ma ciò non accadde, anzi, Shinichi pareva avere lo sguardo assente mentre fissava rosso in viso la tazza davanti a lui.
« Shinichi! Mi hai ascoltat- ».
Non terminò la frase, perché lui si ridestò dai suoi pensieri e fu il suo turno di battere un pugno sul tavolo. Sorpresa, lei lo guardò, mentre si alzava di scatto in piedi come se avesse avuto una molla sotto i piedi.
Yukiko guardò suo figlio, e lo vide per la prima volta, così terribilmente adulto. Non era più il suo Shin-chan, il suo piccolo e scorbutico bambino. Se ne era accorta realmente la prima volta quando l’aveva visto in Ospedale, il giorno in cui lo dimettevano. Vederlo nei suoi vestiti dopo così tanto tempo, uscire mano nella mano con Ran, le aveva provocato una sensazione strana. Era felicità misto a rassegnazione. Ormai era cresciuto, e stava camminando per la sua strada al fianco di una persona che non era più la sua mamma.
Quando erano tornati a casa, l’idea di loro due insieme le era ronzata nella testa per molte settimane. Sommata all’averlo visto così cresciuto, così maturo, nella sua testa si insinuò quel dubbio.
Loro due. Adulti. Insieme.
Era normale che sarebbe arrivato quel giorno, e improvvisamente si rese conto che nel momento in cui suo figlio aveva più bisogno di lei, nel bel mezzo dell’adolescenza, lo aveva lasciato solo. E si chiese se poteva fare qualcosa per rimediare, così aveva pensato di fargli quel discorso, che non le costò davvero poco sforzo. Ma ora che l’aveva fatto, sapeva che aveva fatto la cosa giusta, per quanto imbarazzante e delicato fosse.
Rinvenne dai suoi pensieri, quando notò che lui pareva quasi in collera con lei. Corrugò la fronte, indietreggiando.
« C-che c’è? », chiese titubante.
« Che c’è?! », ripetè lui scontroso. « Pensi davvero che c’era bisogno di dirmele, certe cose? ».
« M-ma io… ».
« Pensavi davvero che io potessi forzare Ran, o farle fare qualcosa che non volesse? », ormai non riusciva a trattenersi. Le parole gli fuoriuscivano senza rendersene conto, ma l’essere così profondamente imbarazzato lo stava facendo sbottare.
« Pensavi che non sarei stato gentile con lei? Va bene essere “tonto”, mamma, ma hai questa opinione di me?! », strinse le nocche.
« Ma no, Shin-chan », provò a calmarlo lei. Davvero non si aspettava una reazione del genere.
« Non intendevo dire questo. Ma so che quando sei con lei, come dire… non ragioni lucidamente… e in certi momenti, ecco, potresti non accorgerti di star esagerando… ».
Lui aprì la bocca profondamente offeso e punzecchiato in un punto delicato. La richiuse, gli occhi che emanavano scintille.
« Ti sto solo dicendo di mantenere la calma, di pensare a ciò che fai con lei », scosse energicamente la mani davanti al suo viso.
Lui sbuffò sonoramente e, nervoso, prese la cartella posta lì a fianco. Senza degnare di uno sguardo sua madre, si diresse velocemente verso l’uscita e, senza salutare, sbattè energicamente la porta alle sue spalle.
Quel fracasso incuriosì Yusaku che, dopo un attimo, fu al fianco di sua moglie, che era rimasta sotto shock.
« L’ho detto io, che non l’avrebbe presa bene », asserì dopo un po’ suo marito, con tono divertito.
« Stai zitto », sbottò Yukiko, esasperata.
« Non capisco proprio perché ti stai preoccupando tanto », continuò lui, con un’alzata di spalle, versandosi del caffè.
« Ci ha messo quindici anni per dichiararsi. Se tanto mi da tanto, ci impiegherà altrettanto per fare ciò che ti spaventa così ».
E mentre rideva della sua stessa battuta, Yusaku tornò nel suo studio con il caffè in mano, sua moglie sbigottita in piedi in cucina.

Quando quella mattina, Ran vide arrivare Shinichi sudato, nervoso e tremendamente arrabbiato, sbattè più volte le palpebre. Era strano vederlo così agitato, e quando la affiancò per camminare insieme verso scuola, si accorse che pareva stranamente rigido. Anche quando lei fece per chiedergli cosa avesse, mettendogli una mano sul braccio, lui parve aver preso la scossa al suo tocco. La guardò terrorizzato, spostandosi velocemente lontano da lei.
Ci rimase così male, che tenne per lei quella domanda che voleva fargli. Tirò indietro la mano, andando ad ancorare la maniglia della sua cartella. Quando Sonoko si unì a loro, Shinichi accelerò il passo, lasciandole sole. L’amica non se ne accorse nemmeno, ma Ran sentì gli occhi pizzicarle.
Cosa stava succedendo?
Sperò che quel suo malumore passasse con l’avanzare della mattinata, ma quando in pausa pranzo disse che non aveva fame e che sarebbe andato in palestra, Ran decise che ne aveva abbastanza. Con una scusa, si allontanò da Sonoko e si diresse come una furia fuori dalla classe. A grandi falcate percorse i corridoi che la separavano dalla palestra e, una volta davanti all’entrata, prese un grande respiro. Quando entrò, notò che le luci erano spende, e che non sentiva alcun rumore. Subito pensò che non lo avrebbe trovato lì, ma quando stava per uscire, notò due occhi che si giravano a guardare chi fosse appena entrato. Avrebbe riconosciuto quegli occhi anche a chilometri di distanza, quindi con un’espressione di disappunto incrociò le braccia.
« Venivi in palestra ad allenarti, eh? », gli disse, e la sua voce rimbombò. Riprese a camminare fino ad arrivare davanti a lui, che era seduto in prima fila, la palla da calcio fra le mani. Non si era nemmeno cambiato, notò.
« Allora? », allargò le braccia, non capendo. Era lì, seduto con quella maledetta palla fra le mani, con Ran di fronte a lui a sovrastarlo.
« Che c’è? », temporeggiò lui, con una smorfia.
« Mi hai detto che venivi qui ad allenarti! Ma se non hai neanche la tuta?! », esplose Ran, ferita nel profondo. Seppur piccola, quella bugia le stava dando un enorme fastidio.
« Mi è passata la voglia », mugugnò a mezza voce, distogliendo lo sguardo.
« Bugia numero uno ».
Shinichi sgranò gli occhi, guardando l’espressione corrucciata della sua ragazza. Lo guardava con le mani sui fianchi.
Grandioso. Sembra la mamma.
« Perché sei arrabbiato? », continuò lei impaziente, battendo un piede a terra.
« Non sono arrabbiat- ».
« Bugia numero due! », la sua voce coprì la sua. Rimbombò così forte, che pensò l’avessero sentita anche fuori.
« Ma smettila », Shinichi perse quel poco di pazienza che possedeva, e si alzò di scatto in piedi. Fece per dirigersi verso l’uscita, quando lei riprese parola.
« Avevi promesso, Shinichi ».
La voce di Ran era dura, malinconia, e delusa. Lui si fermò e, dandole ancora la schiena, si sentì puntò sul vivo.
« Niente più bugie, lo hai promesso », ripetè lei.
Messo alla strette, lui si voltò lentamente. Dopotutto, glielo aveva promesso.
« Vorrei allenarmi », cominciò controvoglia. « Ma non posso », concluse con una nota di fastidio nella voce.
Lei fece un passo verso di lui, non capendo.
« Perché non puoi? ».
« Perché, allenandomi settimana scorsa, mi sono aperto un po’ la ferita ».
Ran chiuse gli occhi, portandosi una mano al volto, esasperata.
« Non ci posso credere », mormorò.
« E il motivo per cui non te lo volevo dire, era proprio questo! La tua ramanzina! ».
Spesso battibeccavano, ma nella voce di Shinichi quel giorno poteva avvertire qualcos’altro: era davvero fuori di sé. E, mentre le parlava, poteva avvertire la sua rabbia soffocata. Non le aveva mai risposto così malamente, in tutti quegli anni.
« Va bene, calmati », replicò scocciata. Poi, dopo un attimo di tentennamento, lo guardò.
« Vuoi farmi vedere la ferita? La hai disinfettata? ».
« Non ti preoccupare », la liquidò lui velocemente. Non aveva davvero voglia di fargli vedere ciò che aveva dietro la schiena, era già troppo che glielo avesse raccontato.
« Sei arrabbiato per questo? », tentò lei, mordendosi un labbro.
« No, Ran », provò ad addolcire la sua voce, che sentiva un po’ troppo seccata. « Non è niente, davvero », concluse, con un sorriso forzato.
« Perché non puoi parlarmene? », la voce di Ran rimbombò di nuovo nella grande palestra. Si mise davanti a lui, afferrandogli un braccio. Lo avvertì molto rigido, quasi contratto. Lui alzo gli occhi al cielo.
« Ho litigato con mia madre, va bene? », sperò con tutto il cuore che quella mezza verità le bastasse. Evidentemente, era solo una mera illusione.
« Per cosa? », si impuntò lei. Shinichi si rigirò la palla fra le mani, indeciso sul da farsi. Dopo un po’, sospiro esasperato.
« E’ imbarazzante, Ran », la ammonì, sperando che così facendo lei perdesse interesse per quella storia. Ma lei non sembrava voler demordere, anzi, sbuffò spazientita.
« Cosa può esserci di così imbarazzante da non potermene parlare? Abbiamo fatto di tutto insieme, abbiamo affrontato cose più grandi di noi, insieme! », continuò esasperata. Ormai era diventata una questione di principio. Voleva a tutti i costi sapere cosa le stava nascondendo.
 « Ci siamo sempre detti tutto, anche quando eravamo solo amici! ».
« Appunto, Ran ».
Shinichi la guardò finalmente in viso, e lei notò che era arrossito. I suoi occhi quasi vibravano, mentre le sue guance si tingevano sempre di più di rosso.
« Quando eravamo amici », calcò prepotentemente su quell’ultima parola. La guardò con sguardo eloquente, sperando che lei capisse.
Ma non fu così.
« Ma cosa dici », bofonchiò. « Siamo ancora quegli stessi amici », era quasi dispiaciuta.
« No, Ran. E’ questo il fatto. Noi non siamo più quei bambini dell’asilo, né i migliori amici di appena un anno fa! ».
Staccò la presa dal suo braccio, mentre sentiva il viso in fiamme. Dannata Ran, e dannata sua testardaggine.
« Ora è diverso », borbottò, cercando di non notare troppo la delusione negli occhi della ragazza davanti a lui.
« Ora stiamo insieme », lasciò cade la palla sulla sedia dove era seduto poco prima, per poi iniziare a dondolarsi sui piedi.
« Perché deve essere diverso? », lei continuava a non capire, e, anzi, le parole di Shinichi la stavano ferendo. Non capiva davvero dove volesse andare a parare.
« Perché è diverso, Ran », sbuffò lui, allargando le braccia. « Tutto è diverso! Stando insieme, certe cose sono diventate imbarazzanti », con questa ennesima allusione pregò che la ragazza capisse a cosa si riferisse.
« Certe cose? », ripetè lei confusa.
Lui non poteva davvero credere che non stesse capendo.
Poi sarei io quello addormentato.
« Sì. Perché, a differenza di ciò che hai detto prima, noi insieme non abbiamo fatto proprio tutto! », sbottò alzando la voce e perdendo visibilmente la pazienza.
Per sua fortuna, improvvisamente vide attraversare qualcosa negli occhi di Ran, e un rossore crescente contagiò anche lei. Iniziò a boccheggiare, formando una o con la bocca.
« Mia madre stamattina mi ha fatto il terzo grado su quello  », spiegò lui velocemente, guardando altrove.
« E mi ha dato fastidio, ecco ».
Tralasciò le magiche tre informazioni che sua madre gli aveva spiegato, quello era davvero troppo. Sperò che anche con una spiegazione così misera a lei andasse bene lo stesso e, notando il suo grande imbarazzo, capì che si stava pentendo di aver insistito così tanto.
« No, beh, certo », balbettò lei nel pallone. « I-io non immaginavo una cosa del genere, altrimenti io non… », le mancava il fiato mentre sputava fuori le prima parole che le capitavano. Si sentiva così stupida. Aveva così insistito, lo aveva fatto sentire in colpa con la storia della promessa di non dirle mai più bugie, e ora avrebbe di gran lunga preferito non sapere il motivo del suo malumore.
« A-avevi ragione, è imbarazzante », sentenziò alla fine. La sua curiosità l’avrebbe spinta a chiedergli nel dettaglio che tipo di conversazione aveva avuto con sua madre, ma si guardò bene dal domandare.
« Senti, dimentichiamoci gli ultimi quindici minuti », gesticolò lui. « Davvero, non sono nemmeno più arrabbiato », non era vero, ma voleva chiudere lì la faccenda.
Lei annuì e lui fece per dirigersi verso l’uscita. Quando appoggiò la mano sulla maniglia e si voltò per vedere se lei era dietro di lui, si accorse che era rimasta ferma immobile dove l’aveva lasciata.
« Ran? », la chiamò confuso.
« C’è una cosa », iniziò all’improvviso lei dal nulla. Nella penombra, quasi non la vide. « C’è una cosa che hai detto, che non mi piace ».
Iniziava ad avere il mal di testa, e gli antidolorifici di quella mattina cominciavano a non fare più effetto. Dolorante, tornò sui suoi passi, fermandosi a poca distanza dalla ragazza.
« Cosa? », chiese confuso.
« Hai detto che non siamo più amici », sospirò. « Ma non è vero. Tu sei ancora il mio migliore amico. Solo perché ora stiamo insieme, non vuol dire che questo cancelli la nostra amicizia. Anzi, è un valore aggiunto! ».
Disse tutto d’un fiato, con voce decisa, lasciandolo un attimo imbambolato. Poi, cercando di non far caso alla schiena che cominciava a pulsare davvero troppo, fece un leggero sorriso.
« Va bene », le disse . Lei annuì con vigore.
« Sono ancora la tua migliore amica? ».
Shinichi sorrise, mentre la prendeva per mano e la trascinava fuori da lì.
« Lo sarai sempre ».

 

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Capitolo 9
*** Verità ***


WITHOUT WORDS.
verità.
 

« Mi sembra che vada tutto bene ».
Shinichi prestò la sua attenzione al ragazzo che aveva accanto, mentre scrutava curioso l’enorme sala nella quale erano appena entrati.
« Riguardo cosa? », domandò distratto, notando lo sfarzo e il decorazioni assolutamente pacchiane con cui Sonoko aveva allestito la location del suo compleanno.
« Beh, tutto », spiegò Heiji con una alzata di spalle.
« Da quando sei tornato normale, mi sembra che tutto sia andato al suo posto, no? ».
Shinichi sorrise piano, guardando il suo amico. Visto che il dress code di quella serata richiedeva abiti eleganti da cerimonia, si era infilato in un completo scuro che, notò, stava detestando. Lo vedeva a disagio, e continuava ad allentarsi sempre un po’ di più la cravatta intorno al collo. No, non era il genere di abbigliamento che Heiji Hattori amasse, e non si faceva problemi a darlo a vedere.
« Sì, stranamente sta andando tutto bene », confermò pensieroso.
« Il lavoro? », chiese Heiji, mentre si mettevano da un lato della sala un po’ appartati dal resto degli invitati, che stavano arrivano piano piano.
« Collaboro sempre con la centrale di polizia. Sto evitando di prendere lavori da solo o che non conosco, preferisco sempre partecipare con qualcuno », fece una smorfia.
« Sai, l’ultima volta che ho agito da solo non mi è andata molto bene ».
« No, decisamente no », rise Heiji, sbottonandosi il primo bottone della sua camicia nera.
« E l’FBI? Hai più avuto contatti con loro? », tornò improvvisamente serio. Shinichi si guardò un po’ intorno, e quando appurò che non c’erano orecchie indiscrete, iniziò a parlare sottovoce.
« Li sento ogni tanto, a quanto pare c’è ancora qualche cellula attiva. Niente di che », si affrettò ad aggiungere quando notò che Heiji aveva aggrottato la fronte.
« Piccoli nuclei che sono sopravissuti e stanno stanando uno alla volta. Poi Ai collabora ancora per via dell’antidoto ».
« Non è ancora riuscita a trovare la formula corretta? », Heiji alzò un sopracciglio.
« No, c’è sempre qualcosa che non funziona come dovrebbe. Il miglior prototipo che è riuscita a formulare è durato quarantotto ore, non di più », spiegò piano, fissando attentamente chiunque gli passasse affianco.
« Ma lei come farà? Se non trova l’antidoto, ecco », domandò l’amico confuso.
« Lei non vuole prenderlo », l’espressione di Shinichi si fece grave. « Lo sta creando per altri che ne hanno bisogno, non per lei ».
Heiji sbatté più volte gli occhi, quasi sotto shock.
« Vuoi dirmi che farà finta di essere Ai Haibara per tutta la vita? », biascicò sconvolto, iniziando a sbottonarsi anche i bottoni che aveva sui polsi, per tirarsi su le maniche.
« Non sta facendo finta, ormai », sospirò Shinichi, ma si interruppe quando un cameriere porse loro un bicchiere di vino.
« Lei ha deciso di essere Ai Haibara ».
« Ma perché? », davvero Heiji pareva non farsene una ragione, mentre beveva un sorso.
« Non ha mai avuto una vera infanzia », alzò le spalle Shinichi, d’un tratto nervoso. « Ha detto che vuole ricominciare da capo ».
Heiji parve per un momento soddisfatto della spiegazione, e scese uno strano silenzio fra loro. Solo dopo altri due lunghi sorsi, si mise a fissare Shinichi con un sorriso sbieco. Quest’ultimo se ne accorse, e lo guardò alzando un sopracciglio, come a chiedergli cosa stesse pensando.
« Se non fosse successo tutto quel casino, ora starei parlando ancora con Conan ».
Shinichi imitò il suo sorriso, scuotendo la testa come rassegnato.
« Lo so », disse solo in tono amaro. « Assurdo, vero? Gin mi ha ridotto così, e con quel proiettile mi ha fatto tornare normale », il suo sorriso non era per niente allegro.
« Hai rischiato di morire, però, per quel proiettile », puntualizzò Heiji, con un brivido lungo la schiena.
« Ho smesso di contare le volte in cui ho rischiato di morire, nell’ultimo anno », fece una smorfia, mettendosi a fissare il bicchiere perdendosi in chissà quali pensieri. Heiji si accorse del suo improvviso cambio di umore, e si pentì di aver iniziato quel discorso. Lo guardò meglio e mai come in quel momento lo vide quasi stanco.
« Dai, dai, tutto si è sistemato », gesticolò, sperando di distrarlo. « Sei riuscito perfino a sistemare le cose con Ran! Mi sembra che vada tutto bene fra voi ora, no? », disse tutto d’un fiato.
Shinichi arrossì un po’, guardandolo di sbieco.
« In realtà, non c’è mai stato un momento in cui sia andata male… », iniziò lentamente.
« Dopo aver parlato e chiarito, lei non mi ha mai fatto pesare niente », era nuovamente pensieroso, mentre guardava lontano con un sorriso storto.
« Sai, tutto ciò che ho sempre pensato… è sempre stato tutto sbagliato. Io ho sbagliato », la sua voce si fece un sussurro grave, ed Heiji lo guardò sorpreso, non osando ribattere.
« Le ho mentito per così tanto tempo per proteggerla, e poi cosa ho fatto? », rise senza allegria. « Mi sono dichiarato. Ragion per cui, quando hanno dovuto scegliere qualcuno da torturare, chi meglio della mia ragazza? ».
Heiji deglutì, lo stomaco improvvisamente chiuso.
« Loro lo sapevano. Sapevano che facendo del male a lei, ne avrebbero fatto a me ».
« Shinichi, quel proiettile era per te, non per lei. Lo hanno detto i poliziotti, Gin deve aver mirato male e- ».
Shinichi scoppiò a ridere, scuotendo le spalle come scosso da una scarica invisibile.
« Heiji, lo sai tu come lo so io. Gin non ha sbagliato un bel niente. Lui ha mirato a lei, a lei soltanto. Uccidendo Ran, avrebbe preso due piccioni con una fava. Morta lei, sapeva che sarei morto anche io, nel peggiore dei modi. Perché da un proiettile uno si riprende, magari gli rimane una bella cicatrice », si toccò d’istinto la schiena. Heiji fece una smorfia: quel pomeriggio l’aveva notata come tutti gli altri, quella evidente cicatrice sulla schiena, mentre era in costume. Nessuno aveva osato dire niente, ma non per quello Shinichi non si era accorto dei loro sguardi apprensivi addosso.
« Ci vuole tempo perché cicatrizzi, ma dimmi: come mai mi sarei ripreso dalla morte di Ran, sapendo che era solo colpa mia? ».
Heiji si zittì, pensieroso. Tutto ciò che stava dicendo, lo stava scuotendo così gravemente da lasciargli poco fiato. Gli mancava il respiro, mentre la voce di Shinichi andava avanti, così lenta e quasi rilassata, come se avesse realizzato così tante volte quelle informazioni da averle accettate e assimilate con serenità.
« La verità è che avrei dovuto lasciarla andare tempo fa ».
A Shinichi tremò un poco la voce, mentre prendeva un altro sorso di vino. Aveva la gola secca.
« Quella sera, a Londra, avrei dovuto dirle di smetterla di cercarmi, sentirmi. Che per me lei era solo un’amica, che avrebbe dovuto dimenticarmi, perché non ricambiavo i suoi sentimenti. Come Conan, sarei dovuto andare a vivere con i miei genitori e indagare con loro e l’FBI. Invece l’ho quasi sacrificata, solo per puro egoismo ».
« Smettila ora! », sbottò Heiji. « Hai ragione, forse hai sbagliato qualcosa », in realtà si rese conto che il suo amico aveva sbagliato parecchie e delicate volte, ora che glielo stava sbattendo davanti agli occhi.
« Ma cazzo, amico, hai sbaragliato l’Organizzazione criminale più pericolosa del Giappone! », i suoi occhi lanciavano scintille.
« Abbiamo, Heiji », lo corresse Shinichi, guardandolo intensamente.
« Non dovresti colpevolizzarti così », Heiji continuò imperterrito, quasi non notando ciò che aveva appena detto Shinichi.
« Invece sì », rispose l’altro sereno. « Mi è servito da lezione, Heiji. Ero solo uno stupido ragazzino pieno di sé, che si credeva migliore di tutti gli altri. E invece guarda un po’… un colpo in testa, una pastiglia e in soli dieci minuti sarei sparito nel nulla ».
Non gli aveva mai parlato così a cuore aperto, ed Heiji ne rimase colpito nel profondo. Perfino quando si era risvegliato in ospedale e avevano discusso della faccenda, non si era aperto così. Probabilmente perché era ancora troppo scosso e non si era reso realmente conto di ciò che fosse successo. Capì che in quei mesi doveva aver rimuginato davvero tanto su tutta la vicenda, e se lo conosceva almeno un po’, del tutto discretamente e da solo, senza sfogarsi o coinvolgere nessuno. Shinichi non brillava per espansività.  
Deglutì, cercando nella sua testa qualcosa da dire per smorzare quell’atmosfera così tesa. Ma prima che potesse pronunciare qualcosa, Shinichi lo precedette.
« Dai, non fare quella faccia », fece una risata. « Forse non dovevo dirti tutte queste cose », acchiappò nervoso altri due bicchieri da un cameriere che passava lì vicino. Tolse di mano quello di Heiji, ormai finito, e gli porse quello nuovo.
« Dopotutto, questa è la tua serata, no? », alzò il calice come a voler brindare. Heiji lo fissò sconcertato per un attimo, per poi arrossire quando si rese conto a cosa stesse alludendo.
« Non intendo brindare », borbottò. « Porta male brindare prima », spiegò infine.
Shinichi ridacchiò, abbassando il bicchiere e prendendone un sorso, una parte del suo cervello ancora perso a ricordare mesi lontani…

 

Sei mesi prima


Shinichi aprì gli occhi, rimanendo per un momento disorientato. Il fastidioso odore di disinfettante lo riportò, però, presto alla realtà. Con un sospiro riconobbe la camera da letto dell’ospedale, dove ormai si era risvegliato da qualche giorno. Riusciva finalmente a respirare senza bisogno dell’ossigeno, aveva ripreso a camminare ma si sentiva ancora irrimediabilmente debole. Lo stavano riempiendo di flebo e medicine, e sperava ardentemente di poter rimettersi sulle sua gambe da solo. Dopo pochi passi, se non c’era il medico di turno a tenerlo su, rischiava di cascare per terra come un bambino.
Patetico.
Fece una smorfia, prendendo la bottiglietta dell’acqua sul tavolino pieghevole al suo fianco. Ne bevve un lungo sorso, lanciando continue occhiate all’orologio appeso di fronte a lui.
Erano le otto e cinquantaquattro, e le visite iniziavano da lì a cinque minuti.
Negli ultimi giorni erano andati a trovarlo praticamente tutti, e aveva avuto poche occasioni per vedere Ran dopo ciò che gli aveva detto il giorno in cui si era svegliato. Arrossì al ricordo, sputacchiando un po’ d’acqua.
Ogni inizio di orario di visita sperava che comparisse lei da quella porta, ma purtroppo i medici erano stati categorici: uno alla volta, non dovevano stancarlo in alcun modo.
Fu così che si susseguirono i suoi genitori, Heiji, il dottor Agasa, e Ai.
Deglutì al ricordo, mordendosi un labbro. Era stata da lei il pomeriggio prima, e ciò che gli aveva detto lo avevano turbato per tutta la notte.
Gli aveva spiegato come con tutto il sangue che aveva perso, e le continue trasfusioni di quel momento, probabilmente il veleno dal suo corpo era per la maggior parte sparito. Quel poco rimasto, debole e diluito, era stato finalmente sconfitto dal suo sistema interno. Erano stati a parlare per un po’ di cosa era successo, e infine, quando gli aveva chiesto come avrebbe fatto a risalire all’antidoto con tutti i file dell’Organizzazione andati persi nell’assalto, lei aveva fatto spallucce.
Ci lavorerò ancora, per chi ne ha bisogno. Mi hanno detto che non siamo gli unici, ad esserci rimpiccioliti. Ma non ho tutta questa fretta, egoisticamente parlando.
Gli aveva ammesso di non avere nessuna intenzione di tornare adulta e, sotto lo sgomento di Shinichi, lei infine gli aveva sorriso di sbieco. Ci aveva pensato e rimuginato tutta la notte, ma davvero non capiva come potesse voler rimanere intrappolata in quel corpo.
Con uno sbuffo, gettò giù le gambe lentamente, e appoggiandosi alla scrivania cercò di mettersi in piedi. Allungò titubante le gambe, sperando che queste riuscissero a sostenerlo. La schiena gli faceva davvero male, ma provò a non farci caso. L’ultima cosa che voleva era farsi accompagnare al bagno da una qualche infermiera di turno. Trascinandosi, riuscì ad aprire la porta del bagno e vi entrò. Quando accese la luce e si guardò allo specchio, fece una smorfia di disgusto.
Era tremendo.
Pensò che non fosse mai stato così pallido, e il contrasto con i suoi capelli neri rendeva quel colorito ancora più malato. Aveva profonde occhiaie, e le labbra secche. Con un gemito alzò la maglia del pigiama, constatando quanto fosse dimagrito.
Devo assolutamente tornare ad allenarmi.
Lasciò ricadere il pigiama, e si appoggiò al lavandino per lavarsi la faccia. Voleva sì, rivedere Ran, ma il pensiero di farsi vedere in quello stato da lei lo intimidiva.
Non fai più lo sbruffone ora, vero?
Pareva passato una eternità da quando sentiva le ragazzine ridacchiare al suo passaggio, additandolo e ridacchiando nervose. Sorrise amaramente, bagnandosi la faccia con dell’acqua fredda.
Se ti vedessero ora, altro che lettere d’amore…
Dopo aver cercato di sistemarsi un po’ la faccia, uscì dal bagno ma quando alzò lo sguardo, sobbalzò.
Ran lo stava guardando apparentemente nervosa, tenendo fra le mani la sua borsetta e torturandola. Alla sua vista, Shinichi sgranò gli occhi.
« Non dovresti essere in piedi da solo! », esclamò agitata lei, camminando a passi spediti verso di lui.
« Sono solo andato in bagno », borbottò lui, distogliendo lo sguardo. Ma lei non gli diede peso, e gli mise un braccio intorno alla vita.
« Appoggiati », gli ordinò con voce perentoria, e lui con uno sbuffo gli passò un braccio sulle spalle, cercando di non pesarle troppo. Non volle ammetterlo, ma riuscì a camminare decisamente meglio.
Non si rese conto che Ran, quando lo cinse col braccio, trasalì lievemente. Lo sentì così esile e magro che la lasciò sgomenta, ma cercò di non darlo a vedere. In totale silenzio, lei si diresse verso il letto, ma quando lui capì il suo intento, si bloccò.
« Il letto no », borbottò. « Non ne posso più, davvero ».
« Non puoi sederti sulla sedia, è troppo dura », contestò Ran, e riprese a camminare. Lui alzò gli occhi al cielo e quando infine si sedette sul letto, le lanciò uno sguardo contrariato.
« Smettila », disse lei, togliendosi la borsa a tracolla e prendendo la sedia lì accanto per sedersi lei.
« Cammini da solo, vuoi sederti qui… devi smetterla di fare di testa tua ».
Shinichi abbassò gli occhi, sentendosi improvvisamente colpito allo stomaco da quella sua frase. Ci aveva trovato davvero tanti, troppi doppi sensi. O forse era solo lui che aveva la coscienza sporca?
Scese il silenzio fra loro, mentre Ran lo guardava mordendosi un labbro. Non lo vedeva da quando si era risvegliato, seppur ogni giorno fosse andata lì per informarsi sulla sua salute. Lo salutava sempre tramite chi entrasse, a parte Ai. A lei non lo aveva chiesto.
Dopo un tempo infinito, cercò un argomento a cui collegarsi per rompere quel silenzio teso.
« Hai mangiato qualcosa? », domandò vaga.
Lui alzò finalmente lo sguardo su di lei, con il viso teso e serio.
« Ran, non ce n’è bisogno », mormorò.
Lei lo guardò corrugando la fronte, e lui sospirò.
« Non c’è bisogno di far finta di niente. Possiamo parlarne, se vuoi ».
Ran trasalì, mentre distoglieva lo sguardo come colpita da una scossa. Non si aspettava che lui andasse dritto al punto, seppur per così tanto tempo lei avesse pensato a quell’esatto discorso.
« Non oggi », sentenziò a bocca asciutta.
« Perché no? », chiese lui battendo un piede nervosamente a terra.
« Perché non è il momento, e tu hai bisogno di riposare », spiegò impaziente.
« Non sarà mai il momento giusto », sbottò Shinichi nervosamente. « E mi stanco di più a rimuginarci sopra. Ho bisogno di spiegarti tutto Ran, davvero. Dammene la possibilità ».
Ran si morse un labbro, prendendo tempo. Aveva aspettato così tanti giorni per passare finalmente del tempo con lui, che quasi fu delusa quando capì che quel discorso sarebbe dovuto saltare fuori, prima o poi. Ma aveva ragione Shinichi: prima ne parlavano, prima potevano davvero ricominciare da zero.
Zero è dove tutto ha inizio! Se non si parte da lui, niente potrà mai esistere e nulla potrà mai essere raggiunto!
Cercò di focalizzare la sua attenzione sul ragazzo che aveva di fronte, seduto malamente su quel letto di ospedale, e non su quello che le si era dichiarato sotto il Big Ben. Ripensando a quel momento, e a quel Shinichi davanti a sé, potè notare quanto fosse diverso ora. Lui era lì, così magro, stanco, dolente. E lei ora sapeva la verità.
Tutta, la dolorosa verità.
« Tua madre mi ha spiegato a grandi linee », bofonchiò lei titubante.
« Voglio spiegartelo io », ripetè deciso lui.
Ran sorrise leggermente: poteva anche apparire fragile e debole, ma il suo temperamento era rimasto immutato.
Annuì piano, guardandolo in attesa. Lui parve pensare un attimo alle parole da dire e, dopo un attimo di esitazione, prese un bel respiro.
« Ovviamente avrai riconosciuto Gin e Vodka », dosava bene ogni parola, cercando di apparire sicuro di sé. In realtà, era terrorizzato.
« Sì… erano quegli uomini con noi sulle montagne russe a Tropical Land », mormorò Ran con voce incrinata.
« Esatto. Quando ho risolto il caso, tu eri ancora scossa e non ti sei accorta che Vodka era a poca distanza da noi », il pensiero di averla lasciata da sola mentre continuava a piangere lo lasciò per un attimo stordito. « Ma io sì. Ti ho detto di andare avanti, e l’ho seguito ».
Sospirò pesantemente, e distolse l’attenzione da lei. Iniziò a guardarsi i piedi, e continuò a raccontare.
« Ho ascoltato mentre faceva affari loschi con un uomo, che gli stava consegnando dei soldi. Ero così concentrato su loro due, che non mi sono accorto di Gin », si morse un labbro.
Ran trattenne per il fiato un attimo, stringendo i pugni in grembo.
« Mi ha sorpreso alle spalle », mormorò con voce colpevole. « Mi ha colpito alla testa così forte che sono svenuto, e da lì in poi non ricordo più nulla. Ricordo solo quando mi sono svegliato, e tutti mi chiedevano quanti anni avessi, in che classe delle elementari andassi ».
Ran chiuse gli occhi, il cuore che cominciava a pomparle incessantemente nel petto. Un conto era stato sentire la storia da Yukiko, un altro conto era ascoltarlo da Shinichi. Ogni parola pronunciata da lui era una coltellata nel cuore.
« Mi hanno portato alla polizia, ma sono riuscito a scappare. Ho pensato di rispondere alle tue telefonate », sospirò. « Ma non sapevo come dirtelo », ammise.
« Alla fine, ho incontrato il dottor Agasa… gli ho spiegato tutto, e in quel momento sei arrivata tu ».
Ran poteva ancora ricordarsi la sensazione opprimente che gli fosse successo qualcosa; la paura, l’apprensione che aveva provato quando non gli aveva risposto al telefono. E quella corsa sotto la pioggia fino a raggiungere casa sua, completamente ignara di cosa fosse accaduto in quelle ore.
« Non ero preparato, non sapevo cosa avrei dovuto fare », continuò lui alzando di un tono la voce.
« E quando sei entrata cercandomi, il dottor Agasa mi ha detto di mentire. Meno persone sapevano di me, più persone erano al sicuro da quei due uomini », gli uscì una risata amara. « All’epoca, ero totalmente ignaro che tutto non si sarebbe risolto con loro due, ma che dietro c’era molto di più da scavare sul loro conto ».
« Quando mi hai trovato, dietro quella scrivania… non sapevo davvero cosa fare », confessò con tono stanco.
« Tu non mi hai riconosciuto, e per un attimo mi sono sentito sollevato. E guardandomi intorno, quel nome mi è uscito di bocca prima di rendermene conto ».
« Conan Edogawa », rise amaramente Ran.
« Sì », replicò Shinichi sottovoce. « Conan ».
 Scese nuovamente un silenzio opprimente, rotto solo dalle lancette di quell’orologio che Shinichi aveva guardato così impaziente per tutti quei giorni.
« Perché sei venuto a vivere con me e mio padre? », domandò Ran all’improvviso, prendendo coraggio.
« Tuo padre era un investigatore, avrei avuto la possibilità di essere a contatto con la polizia e su qualsiasi caso riguardasse Gin e Vodka », disse semplicemente lui.
Lei si zittì nuovamente, torturandosi un labbro. Con un nuovo, lungo sospiro, Shinichi ricominciò a raccontarle tutto.
Le raccontò tutto, senza riserve, senza mentirle. Cercò di essere sincero fino alla fine, sorvolò solo sue due importanti questioni: suo padre, ed Ai.
Parlò così a lungo che Ran non si accorse che trascorse quasi un’ora, nella quale lei non intervenne mai. Lo ascoltò in silenzio, assimilando tutte le informazioni che le stava fornendo.
Poi, quando non lo sentì più parlare, capì che aveva finito.
Alzò finalmente lo sguardo su di lui, notando il suo viso scavato e immobile. Aveva cercato di non interromperlo per tutto il tempo in cui lui le aveva rivelato ogni cosa, ma ora non riusciva più a trattenersi. Facendosi coraggio, di schiarì la voce.
« Voglio sapere una cosa », iniziò.
Shinichi si preparò all’inevitabile, e infatti quello arrivò.
« Il motivo del successo di mio padre… c’entri tu, vero? », lo sguardo di Ran era così determinato che non provò neppure a difendersi.
« Sì », rivelò.
« Come…? », la voce di Ran era incrinata.
« I-il papillon di Conan », disse lui. « Può cambiare la voce »
Lei tirò su col naso, cercando di scacciare via l’irrefrenabile voglia di piangere. Tutto cominciava ad avere finalmente un senso, anche se ciò le costava un tremendo dolore.
« E’ con quello che mi telefonavi? ».
Shinichi conosceva bene quando nella voce di Ran qualcosa stava per rompersi. Lo sentiva, quel tremore malcelato, appena prima che scoppiasse in lacrime. Chiuse gli occhi, provando a non guardarla.
« Sì », disse nuovamente.
Ran cercò di scacciare la voglia di lasciarsi andare ad un pianto penoso, e per un attimo ci riuscì. Si impose nuovamente un tenace autocontrollo, mentre nella sua testa frullavano altre domande a cui non riusciva a dare una risposta.
In particolare, ce c’era una che continuava ad assillarla da settimane. E, alla fine, non riuscì più a trattenersi.
« Chi sapeva la verità? ».
« I miei genitori », rispose subito Shinichi. « Heiji, lo ha scoperto praticamente subito. Alcuni membri dell’FBI, il dottor Agasa, e Ai. Altri hanno sospettato, ma non glielo ho mai rivelato apertamente ».
« Ai », ripetè Ran sorridendo amaramente. Lui riaprì gli occhi, guardandola confuso.
Lei restituì lo sguardo con un’espressione che non seppe decifrare, ma non gli piacque per niente.
« Ai lo sapeva », disse nuovamente Ran.
« Sì », confermò Shinichi, confuso.
« Così… lo hai detto a lei. E non a me ».
La sua voce era tranquilla, ma Shinichi avvertì una rabbia prepotente nella sua espressione. All’improvviso capì dove volesse andare a parare, e si sentì la terra sotto i piedi cedere.
« Non è andata così, Ran », iniziò titubante.
Lei si alzò di scatto in piedi, come se non riuscisse più a rimanere seduta. Iniziò a camminare avanti e indietro dinnanzi a lui, portandosi una mano alla testa.
« Sai, posso davvero capire e accettare tutto », rise, istericamente.
« Accettare che usavi mio padre per i tuoi progetti, accettare che tu sia venuto a casa mia facendo finta di essere il mio fratellino », era furiosa.
« Hai vissuto sotto il mio stesso tetto per mesi, mi hai seguita ogni giorno nascondendoti dietro un paio di stupidi occhiali e quel Ran-neechan così melenso », alzò gli occhi al cielo, sarcastica.
« Mi hai fatto credere di essere paranoica, di essere matta, ogni qualvolta sospettassi di te! E io, ogni maledetta volta, ti ho chiesto perfino scusa ».
« Ran… », provò incerto lui, ma lei lo interruppe puntandogli un dito tremante contro.
« Hai dormito con me, hai fatto quel dannato bagno, con me! », Shinichi sapeva bene che sarebbe andata a parare lì prima o poi, e in quel momento la sua voce tuonò così forte da farlo mortificare.
« Ma se c’è una cosa che proprio non capisco e non accetto », riprese, scacciando via l’imbarazzo per l’ultima frase pronunciata.
« E’ perché tu l’abbia detto a lei, che conosci da quanto? Sei mesi? », ormai era un fiume in piena, e Shinichi non si osò interromperla.
« E non a ME », sbottò infine sull’orlo dell’esasperazione.
« A me, Shinichi, a me! », ormai aveva la vista appannata. Lo vedeva sfocato, mentre le lacrime le riempivano gli occhi.
« Se mi lasciassi spiegare », provò lui, alzando di un tono la voce. Lei si immobilizzò davanti a lui, e Shinichi la afferrò per un polso per poterla incatenare con lo sguardo.
« Non l’ho detto io, ad Ai. Lei lo sapeva, perché è lei che ha creato quel veleno! ».
Ran aprì la bocca sotto shock, mentre ormai le lacrime le inondavano le guance. Quell’improvvisa dichiarazione la lasciò così interdetta che iniziò a respirare a fatica.
« L-lo ha creato lei? », ripeté con le labbra tremanti. Lui annuì, mollandole il polso.
« E tu ti sei fidato di lei? Ti sei fidata di lei, e non di me? Di quella che ti ha ridotto così?! », sperò che nessuno fuori si rendesse conto che stesse praticamente urlando.
« Lei è scappata, Ran. Hanno provato a ucciderla, per questo ha preso anche lei il veleno! La ha ritrovata il dottor Agasa davanti casa, cercava me. Per salvarsi », tentò di riassumere velocemente la vicenda, così da poterla calmare quanto prima. Ma mentre le spiegava, si rendeva conto che effettivamente anche alle sue orecchie quella storia era alquanto assurda.
« Oh, cercava te », ripeté Ran ironica.
Shinichi ormai non sapeva più come calmarla, e il sapere di continuare a farla piangere ancora dopo tutto quello che aveva già passato, gli fece venire voglia di scappare da lì.
« Cosa provi per lei? ».
Quella domanda le scivolò di bocca senza rendersene realmente conto. Non aveva nemmeno mai pensato di porgliela, perché non ci aveva mai voluto davvero pensare.  Ma da quando li aveva visti così vicini, quel maledetto pomeriggio, e lo sguardo eloquente di lei quando le aveva chiesto se provava qualcosa per lui, le era nato giorno dopo giorno quel maledetto dubbio. Non seppe dirsi quanto le fece male quella domanda finchè non la pronunciò a voce alta, togliendosi un peso così grosso dal petto da sentirsi immediatamente più sollevata. Aveva bisogno solo di sapere; qualsiasi risposta lui le avrebbe fornito, la avrebbe affrontata dopo. Ora voleva solo la verità.
Shinichi la fissò incredula, con la bocca semi aperta. Non credeva alle sue orecchie e, per poco, non scivolò a terra.
« Niente », mormorò infine flebilmente, completamente disorientato. Lei parve non credergli, e rimase paralizzata davanti a lui, i pugni chiusi.
« Niente, io non… », non seppe andare avanti per il semplice fatto che quella domanda lo colse terribilmente di sorpresa. Quel crescente imbarazzo fu inteso diversamente da Ran, che deglutendo rumorosamente fece alcuni passi lontano da lui, arretrando come colpita da un colpo invisibile.
« E’ una mia amica, Ran », cercò di ritornare padrone di se stesso.
« Ieri è venuta a trovarti », riprese lei mantenendo una parvenza di calma ritrovata.
« Te lo avrà detto, no? Che non vuole l’antidoto ».
« Sì, me lo ha detto », constatò lui, non capendo quel cambio repentino di domande.
Lei sorrise amaramente, scuotendo la testa velocemente.
« E ti ha detto il perché? O credi alla storiella del voler ricominciare da capo? ».
Lui rimase zitto, lo sguardo confuso e smarrito.
« A lei non interessa tornare adulta, se non può avere te ».
Shinichi fu come colpito da uno schiaffo invisibile, mentre quella possibilità si insinuava nella sua testa silenziosa ma devastante. Non negò a se stesso di averlo pensato, in passato. Ma era sempre stato un dubbio ridicolo a cui non aveva mai voluto dare adito, e spesso si era dato mentalmente dell’idiota per averlo anche solo minimamente pensato. Ma sentirlo dire a voce alta gli fece male, specialmente perché non avrebbe mai voluto che Ai soffrisse per lui. Colpevole, abbassò lo sguardo, e si chiese se per caso le avesse mai dato falsi segnali. Improvvisamente alcune  frasi di Ai iniziarono ad avere un senso nella sua testa.
Non flirtare troppo.
Glielo aveva detto quando gli aveva dato l’antidoto per partecipare alla gita scolastica. Alla luce della recente realtà, si sentì lo stomaco capovolgere. Era ancora completamente immerso nei suoi pensieri, che Ran riprese parola.
« Mi hai detto così tante bugie », mormorò dopo un pò, le lacrime che tornava ad appannarle la vista. Shinichi si ridestò dallo stato di trance in cui era caduto, e tornò a guardarla con una impellente voglia di vomitare.
« Tu mi vedevi piangere », continuò, e un singhiozzo le scappò di bocca. « Tu mi ascoltavi, quando parlavo di te! Tu mi ascoltavi », si interruppe, portandosi una mano alla tempia. « Conan mi ascoltava », si corresse scossa da tremiti.
« … mentre gli parlavo di te, e di cosa provassi ».
Shinichi si afflosciò lentamente dove era seduto, facendosi piccolo. Non si era mai sentito così male in vita sua, in confronto quella pallottola gli sembra niente.
« Ed eri tu, eri tu per tutto quel tempo », continuò Ran tirando su col naso.
« E come faccio io ora?! », tuonò infine, ormai piangendo a dirotto.
« Come faccio a sapere che anche i tuoi sentimenti per me non erano che questo? Una grande bugia?! ».
« NO ».
Ran sobbalzò, mentre aveva già iniziato a percorrere a grandi falcate la distanza che la separava dalla porta.
Si voltò stupita.
Shinichi si era alzato in piedi, tenendosi malamente alla sbarra del letto. Era curvo su se stesso, il corpo tremante, ma il suo volto era dritto e fissava lei intensamente.
« Hai ragione », sputò amaramente. « Ho mentito. Su tante cose », fece una smorfia.
« Ma non ti permetto di dirmi questo », concluse, e Ran notò come stesse facendo leva sulle sue poche forze per rimanere in piedi come a darle una impressione caparbia.
« Io non ho mai, MAI, mentito sui miei sentimenti per te », disse infine, la voce incrinata.
« Li provavo anche prima, li provo da sempre », ammise prendendo fiato. « Ma ero così stupido e presuntuoso da non farci caso, o comunque pensavo sempre di aver tutto il tempo che volevo per dirtelo. Ma non è stato così ».
Ormai la schiena pulsava davvero troppo, e le gambe iniziarono a tremare incessantemente.
« Pensi davvero che io fossi felice di mentirti? », esclamò usando le ultime forze rimaste.
Lei era ancora immobile, le lacrime che scendevano e lo sguardo perso su di lui. Non provò nemmeno a rispondergli, non ce la faceva. Era come ancorata lì, e ogni parte del suo corpo pareva non volerla ascoltare.
« Mi odiavo, per tutte quelle maledette bugie! Ma cosa potevo fare? Ti avrebbero cercata, trovata, e saresti morta. Per colpa mia! », le ultime parole le sputò fuori con così tanto impeto che Ran ne fu travolta.
« Mi hanno comunque cercata! », ribattè lei fra le lacrime.
« Sì, perché non sono più riuscito a nasconderti i miei sentimenti! Ecco perché ho cercato di evitarti, di non chiamarti mai. Era molto più facile così, passando per il ragazzo crudele che non si fa mai vedere o sentire! ».
« E invece tu continuavi a cercarmi, a pensare a me, e io non ce l’ho più fatta », ormai era alla stremo.
« Non sono più riuscito a trattenermi, e ti ho messa in pericolo », concluse, e si lasciò sedere su quella sponda del letto, ormai senza forze. Avrebbe volentieri voluto attaccarsi nuovamente all’ossigeno, mentre iniziava a respirare a fatica.
« E’ stato per colpa dei miei sentimenti che ti hanno presa », riprese col fiatone.
« Loro sapevano quanto tenessi a te, e sapevano che eri il mio punto debole. E’ stata unicamente colpa mia… », aggiunse con una smorfia.
Tornò il silenzio fra loro, rotto solo da alcuni singhiozzi leggeri di Ran. Ad ognuno di essi, Shinichi sentiva il petto ogni volta un po’ più pesante.
« Lo capisco », riprese nuovamente, rompendo il silenzio. « Se vuoi finirla qui ».
Improvvisamente, i giorni insieme gli apparivano lontani. Era come se tutto si fosse frantumato, ed ebbe come la sensazione di non poter più rimettere i cocci al loro posto. Ripensò alla gita, a quando gli aveva preso la cravatta e avvicinato a sé per baciarlo sulla guancia. Parevano quasi i ricordi di un’altra persona, perché faticava davvero a credere di aver vissuto un momento tanto bello con lei.
Perduto, andato. Non ne avrebbe mai più avuti altri.
Almeno è viva.
Con quella consolazione in testa, non si accorse che Ran era tornata indietro silenziosamente e, cogliendolo di sorpresa, gli passò le mani dietro la testa e gli posò quest’ultima addosso, all’altezza della sua pancia.
Shinichi rimase per un attimo fermo, la fronte appoggiata a lei.
« Io non finisco proprio niente », disse lei piano.
Lui alzò le mani per cingerle la vita, per poi alzare il viso e guardarla dal basso con sguardo smarrito.
« Promettimi », riprese, la voce roca. « Mai più bugie, Shinichi. Mai più ».
« Te lo prometto », mormorò subito lui, e quasi disperatamente si ancorò a lei per abbracciarla un po’ più forte. In quel momento, pensò che le avrebbe dato tutto il tempo di cui aveva bisogno. Giorni, mesi, anni. Solo per riaverla con sé. Avrebbe aspettato, pazientato, tutto per farsi perdonare.
Rimasero abbracciati per quello che sembro un’eternità, lui a tenerla stretta e lei ad accarezzargli i capelli. Si staccarono solo quando l’infermiera bussò alla porta per indicargli che l’orario di visita era finito. Fu così che Ran sciolse l’abbraccio e in silenzio prese la borsa e, con un ultimo sguardo nella sua direzione, uscì.

Quello che Shinichi non si immaginava era che Ran non impiegò così tanto tempo per ristabilire la normalità fra loro due. Ne aveva bisogno, aveva bisogno di riaverlo con sé, parlare con lui, toccarlo, guardarlo. Le era mancato per così tanto tempo, che combatté con se stessa per superare perfino tutte quelle bugie. L’urgenza che aveva di lui aveva stracciato la sua intenzione di lasciarlo indietro, o a distanza.
Così appena cinque giorni di silenzi dopo, si presentò timidamente da lui, con un sorriso sereno in viso e dei biscotti in mano fatti da lei. Li mangiarono chiacchierando un po’ intimoriti, come se avessero paura di rompere qualcosa di fragile fra loro. Non tornarono più sull’argomento, non litigando almeno. Lasciò che il tempo rimarginasse le ferite, le mancanze, cercando solo di pensare che lo aveva nuovamente con sé.
E lui non si oppose, anzi. Si sentiva come se si fosse risvegliato da un incubo, e ora aveva ricominciato laddove aveva lasciato tutto mesi prima…


 

***


« Eccola ».
La voce improvvisamente scossa di Heiji riportò Shinichi coi piedi per terra. Guardò dove stava indicando l’amico, e adocchiò Kazuha entrare nella sala con Sonoko. Bisbigliavano nervosamente fra di loro, finchè la prima non intercettò lo sguardo di Heiji.
Quest’ultimo, alla vista della sua amica fasciata con un abito rosso, avvampò.
« Bene, io vado », disse e di colpo lanciò fra le mani di Shinichi il bicchiere che aveva ancora in mano. Quest’ultimo lo prese al volo appena in tempo per non farlo cadere rovinosamente a terra.
« Auguri, allora », rise, mentre guardava Heiji partire in quarta verso Kazuha, con una camminava tutt’altro che delicata. Anzi. Sembrava stesse andando in battaglia.
Sperò con tutto il cuore che riuscisse nel suo intento e, mentre pensava al suo amico, si voltò con noncuranza verso l’entrata del salone. In quell’istante le luci si abbassarono, e una musica lenta rimbombò per tutta la sala. Fu in quel momento che, sgranando gli occhi, notò Ran.
Stava entrando titubante all’interno del salone, guardandosi intorno un po’ spaesata.
Shinichi deglutì, mentre la guardava come paralizzato.
Era avvolta da un lungo vestito color avorio, che le aderiva perfettamente al corpo scivolando giù fino a dei tacchi abbastanza alti. La slanciavano così tanto, che le parve anche più esile del solito. Maledicendosi, i suoi occhi indugiarono fin troppo sulla parte superiore del suo corpo, dove una scollatura morbida le fasciava il seno. Quando finalmente riuscì ad arrivare il viso, notò che aveva i capelli legati in uno chignon basso, ma alcuni ciuffi sfuggivano per incorniciarle il viso.
Pensò che non avesse mai visto niente di più bello in vita sua.
Prendendo un respiro, cercò di staccarle gli occhi di dosso, ma non ci riuscì. Ultimamente, era sempre più difficile trattenersi con lei a fianco, ma si era ripromesso di non fare mosse avventate senza che lei gli desse ragione di volerlo. Non voleva assolutamente fare gesti inconsulti senza che lei fosse d’accordo, e anche se gli era capitato di spingersi oltre ultimamente, avvertiva ancora troppo nervosismo in Ran.
Si era ripromesso di fare il bravo, e aspettare che quest’ultima si sentisse a suo agio. Aveva dovuto appurare che sua madre avesse ragione, e talvolta con lei troppo vicina perdeva il lume della ragione. Questa sua debolezza stava iniziando a irritarlo, proprio perché più ci provava e meno riusciva a controllarsi.
Sbuffò, maledicendosi.
Dopotutto, lei lo aveva aspettato per così tanto tempo, che lui non poteva non aspettare lei per quel passo così importante.
La loro amicizia non li aveva aiutati, anzi. Probabilmente, l’essere stati amici per così tanto tempo li aveva bloccati più del dovuto, ma non importava. Di certo, lui non l’avrebbe costretta a fare le cose velocemente o senza sentirsela davvero. L’aveva notato, quel suo nervosismo, in tutte e tre le occasioni in cui non erano stati in grado di controllarsi. E anche se lei gli aveva detto che si sentiva come lui, la conosceva abbastanza bene da capire che non era pronta.
Però, dannazione, perché doveva tentarlo così? Con un vestito del genere?
Con mani tremanti, prese un sorso abbastanza lungo di vino. Non era abituato a berlo, e sperò con tutto il suo cuore che lo calmasse un po’. In quel momento, lei lo individuò e, un po’ rossa in viso, si avvicinò lentamente.
Comportati normalmente.
Pensò Shinichi, cercando di sorridendole tranquillamente.
Alla vista di quel sorriso, Ran sentì il cuore martellarle nel petto. Ripensò a come fosse vestita, e si vergognò profondamente.
Come ho potuto?!
Mentre si malediva per aver ceduto alla pressione di Sonoko, guardò Shinichi mentre si avvicinava a lui.
Era semplicemente perfetto.
Indossava un completo giacca e pantalone nero, una camicia bianca e un papillon scuro. In quel momento le apparve davanti lo stesso Shinichi di un anno prima, a Tropical Land, nel giorno che avrebbe per sempre cambiato la loro vita. Si ricordò del suo sorriso, del suo viso, e le sembrò che colui che aveva di fronte fosse un’altra persona. Il viso non era più così infantile, e i suoi occhi avevano una luce diversa. Avrebbe giurato a se stessa che fosse un po’ più alto e longilineo, e le sue spalle più ampie. Da quando era tornato, aveva ripreso a giocare a calcio e allenarsi fino allo stremo, e lei aveva immaginato che fosse per rinforzarsi dopo tutta quella convalescenza. Non lo avrebbe mai ammesso a voce alta, ma vedersi così magro e sciupato doveva averlo ferito nel suo orgoglio. E in pochi mesi il suo fisico era tornato quello di un tempo, anzi. In quel momento le tornò in mente quando lo aveva avuto addosso, la camicia aperta, e si rese conto che così muscoloso effettivamente non lo era mai stato.
 Fu in quell’istante che fu realmente consapevole di quanto fosse cambiato, cresciuto, e non sono dal lato esteriore. Lo aveva conosciuto che era un bambino, e ora si ritrovava davanti un uomo, e questo la colse di sorpresa.
Lui avrebbe visto in lei, finalmente, una donna? O pensava ancora di aver a che fare con quella stessa ragazzina che non smetteva mai di prendere in giro?
Sospirò, e per un attimo desiderò ardentemente che tutti gli altri invitati sparissero all’istante dal salone. Avrebbe voluto rimanere lì, con lui, da soli per il resto della serata.
« Hey », disse lui con voce rauca, un po’ spaesato.
« Hey… », ripetè lei sorridendo piano, giocherellando con la pochette che teneva in mano.
Lui continuò a sorridere imbambolato, cercando nella testa qualche frase da dirle. Ma non ne trovò nemmeno una che potesse realmente farle capire quanto la trovasse stupenda. Avvertì lo sguardo di Ran su di lui, come se si stesse aspettando qualcosa.
Il cervello gli andò completamente in blocco, tanto che aprì la bocca senza pronunciare parola.
« Signorina? ».
Per fortuna un cameriere che passava da lì la chiamò per porgerle un bicchiere. Quest’ultima sobbalzò, ritornando alla realtà. Si voltò e gentilmente ringraziò il cameriere, afferrando il vino.
In quel momento, Shinichi si sentì le guance prendere fuoco.
Girandosi, aveva notato il retro del suo vestito: il vestito le copriva solo dalla fine della schiena in giù, lasciando quella pelle così pallida totalmente nuda. Deglutì, gli occhi sbarrati, arrivando velocemente alla conclusione che non indossasse il reggiseno. Ormai totalmente nel pallone, distolse lo sguardo da lei.
« Tutto ok? », domandò lei sulle spine.
« C-certo », borbottò lui, prendendo un altro sorso del suo vino. Ormai non capiva più se il caldo avvertito fosse per via di quel bicchiere, o per lei.
« Dove sono Heiji e Kazuha? », domandò Ran guardandosi intorno.
« Credo sia meglio lasciarli soli, stasera », borbottò Shinichi, non guardandola. Ran si accorse della sua crescente freddezza, e si sentì a disagio. Stava per afferrarlo per un braccio per chiedere nuovamente informazioni, quando le luci si rialzarono e Sonoko prese il microfono per ringraziare tutti i gli invitati accorsi per il suo compleanno.
Si zittì, rivolgendo la sua attenzione al discorso dell’amica, senza poter evitare di lanciare occhiate sbieche al suo ragazzo.
Lui pareva rigido al suo fianco, e manteneva una certa distanza. Un po’ delusa, cercò di non dar a vedere il suo imbarazzo.
Shinichi, dal canto suo, si stava maledicendo. Questa storia dell’averla vicina stava davvero prendendo il sopravvento ultimamente, e ogni volta era più difficile mantenere un atteggiamento normale.
Quando aveva iniziato a provare queste sensazioni così forti per lei? Dannazione.
Dalla gita.
Sì, dalla gita. Si ricordò di quando lei gli era sbattuta addosso, e in quel momento una strana eccitazione l’aveva travolto. Ma ora, al pensiero, constatò che all’epoca era davvero niente ciò che provò rispetto a ciò che sentiva in quel momento.
Decisamente gli ultimi sviluppi della loro relazione avevano rimescolato la carte, e la consapevolezza di poterla avere lo stava facendo uscire di testa.
Aveva passato così tanto tempo come Conan, a far finta di niente, ad essere trattato come il suo fratellino, che quando era tornato Shinichi e lei aveva iniziato a trattarlo come il suo fidanzato, lui non aveva avuto il tempo di metabolizzare quel cambiamento.
Era facile, dopotutto, sopperire certi sentimenti quando era bambino. Il corpo di un bambino non si comportava esattamente come il corpo di un diciassettenne, prossimo ai diciotto. Certi impulsi non esistevano.
Si dondolò sul posto, nervoso. Se solo lei avesse saputo cosa provava, lo avrebbe colpito così forte da cambiargli i connotati. Non c’era davvero niente di romantico nei pensieri che gli stavano frullando in testa, e si sentì quasi a disagio con se stesso per le immagini e i desideri che si stavano impossessando del suo corpo. Non si sentiva nemmeno più lui, perché delle idee del genere non gli era mai capitato di averle. Si sentiva un dannato maniaco, e il senso di colpa lo attanagliava.
Però… però quella schiena nuda. Bianca, liscia, morbida.
Cazzo, datti una calmata!
Si rendeva minimamente conto di cosa era in grado di provocargli? Si accorgeva del controllo che aveva su di lui, senza fare apparentemente nulla? Lo aveva in pugno, con quel sorriso timido e quegli occhi dolci.
« Fa caldo, qui. Vado a prendere una boccata d’aria », annunciò improvvisamente, facendola sobbalzare. In un attimo sparì dalla sua vista, e Ran rimase al suo posto con mille dubbi che le vorticavano in testa.
Rimase così sola: Kazuha era sparita ed Heiji anche; Sonoko fu circondata per tutto il tempo da amici di famiglia di suo padre e quando non era con loro, era intenta in chissà quali chiacchierate con un Makoto perennemente rosso in viso.
Dalla rabbia, per poco non ruppe il bicchiere che aveva in mano.
Io lo uccido.

Dopo quasi tre quarti d’ora in cui era rimasta in disparte, si guardò intorno, mentre gli ultimi invitati finivano di canticchiare gli auguri per Sonoko. Un po’ irritata, appurò che Shinichi l’avesse evitata apposta, e anche in quel momento non sapeva dove fosse.
Neanche si è accorto del vestito.
Delusa, scacciò via la voglia di piangere che la investì. Si era fatta bella per lui, sotto insistenza di Sonoko e non essendone nemmeno troppo convinta, e di rimando lui era stato assente tutta la sera con ogni scusa immaginabile. Si poteva sapere quale era il problema?!
Mise il broncio, guardandosi nuovamente intorno freneticamente. Nella grande sala rotonda non c’era, così pensò di uscire sulla terrazza che seguiva perimetralmente l’andamento della sala. Quando si chiuse la porta alla spalle, una leggera brezza le fece rabbrividire la schiena. Non aveva molto caldo, ma voleva scoprire se Shinichi si trovasse lì. Silenziosamente iniziò a camminare, e stava quasi per appurare che non c’era traccia di lui lì fuori, quando infine lo vide.
Era in piedi, e le dava la schiena, mentre si appoggiava alla ringhiera per guardare il panorama della città. Probabilmente non si era accorto della sua presenza, e lei, un po’ dubbiosa, si avvicinò ulteriormente. Senza pensare realmente a cosa fare, si ritrovò a muoversi sempre più velocemente verso di lui e quando gli fu appena dietro, lo abbracciò da dietro.
Shinichi sobbalzò stupito, mentre due braccia gli cingevano improvvisamente la vita. Senza neanche voltarsi, capì dall’improvviso dal profumo di vaniglia di chi fossero, e, dolcemente, intrecciò le braccia afferrando le sue. Sentì Ran rilassarsi e appoggiare la sua testa contro  la schiena.
« Va tutto bene? », mormorò piano.
« Sì, perché? », sussurrò Shinichi confuso.
« Perché? Perché e da quasi un’ora che mi stai evitando! ».
Di scatto si voltò, le braccia di Ran ancora intorno alla sua vita. Provò a ribattere deciso, ma il suo sguardo deluso lo colpì prepotentemente.
« Non dire che non è vero », soffiò Ran, prima che lui potesse proferire parola.
Accidenti.
Cosa poteva dirle, a quel punto? Che aveva cercato di evitarla per non fare gesti inappropriati o pensieri altrettanto imbarazzanti?
« Ma smettila », la rimbeccò, separandosi un po’ dal suo abbraccio. Lei parve delusa, mentre faceva cadere le braccia lungo i fianchi. Senza rendersene conto, sentì gli occhi pungerle, e cercò di non farlo notare a lui. Peccato che quell’espressione così rammaricata colpì Shinichi in pieno stomaco, e non faticò a notare che i suoi occhi azzurri si stessero riempiendo di lacrime.
« Ran… », iniziò delicatamente. Aveva paura che alla prima parola sbagliata, lei sarebbe esplosa.
« Non volevo darti questa impressione, davvero », aveva la bocca tremendamente asciutta. Lei lo guardò, una ruga di espressione a contornarle lo sguardo lucido.
« E’ che… ».
Dì qualcosa di carino, accidenti.
Facile a dirsi, quando l’aveva davanti agli occhi così tremendamente attraente, il vestito ancora più aderente ora che il venticello glielo incollava praticamente sul fisico esile.
Alla fine si arrese, e sospirando chiuse gli occhi.
« Sei bellissima ».
Ran sbattè gli occhi, e la voglia di piangere dal nervoso sparì immediatamente per lasciar spazio a una tenue tonalità di rosa sulle sue gote. Guardò Shinichi nervoso di fronte a sé, e la voce di Sonoko le vorticò in testa.
Shinichi non potrà davvero far finta di niente, stasera!
Forse era per quello che l’aveva evitata. Deglutì, arrossendo.
Con te intorno non riesco a ragionare.
Che lo avesse realmente fatto capitolare con quel vestito? La sola idea le pareva assurda, ma guardando il disagio di Shinichi e la sua faccia rossa, pensò che potesse essere un valido motivo per il suo comportamento strano di quella sera.
Tu gli piaci da sempre.
Lentamente, Shinichi alzò il viso e timidamente la guardò. Ran restituì lo sguardo, la voce di Sonoko nella testa.
Vedendoti nervosa non vorrà forzarti, Ran.
Di istinto, gli prese il viso fra le mani e appoggiò la sua bocca sulla sua. Dapprima stupito, lui rispose al bacio lentamente, rimanendo rigido al suo posto. Accorgendosi della sua riluttanza, Ran gli prese le mani, intrecciandole con le sue.
Erano ghiacciate.
Per quanto tempo era stato lì fuori da solo?
Ma all’ennesimo soffio d’aria, anche lei avvertì nuovamente i brividi di freddo percorrerle le schiena scoperta, rabbrividendo. Ancora immerso nel bacio, Shinichi se ne accorse e si accigliò.
Si staccò piano da lei, rimanendo a poca distanza dalle sue labbra.
« Posso farti una domanda? », la sua voce improvvisamente rauca intimidì Ran. Lei annuì.
« Che fine ha fatto il vestito blu? ».
Lei alzò un sopracciglio, non capendo. Lo guardò con uno sguardo confuso, mentre sul viso di Shinichi si formava un sorriso lieve.
« Ne parlavate con Sonoko l’altro giorno », le spiegò. « Tu le hai detto che ti saresti messa un vestito blu stasera ».
Ran avvampò all’istante, togliendo le mani dalle sue e indietreggiando.
« Ah, ecco, io », balbettò.
Dannazione, quando mai lui ascoltava i loro discorsi? Allora faceva solo finta di essere annoiato e distratto?!
Inventa una scusa, inventa una scusa!
Si guardò i piedi nervosa, ma non trovò niente nella sua testa. Nel panico, lo guardò. Aveva ancora quel maledetto sorrisino sulla faccia.
« Ho cambiato idea », proferì con un’aria di superiorità che non le apparteneva affatto. « Perché? Non ti piace? », concluse, con sguardo di sfida.
« Mi piace anche troppo », borbottò Shinichi senza rendersene conto. Non aveva fatto caso di aver parlato a voce alta finchè non vide l’espressione sbalordita di Ran.
« C-cosa hai detto? », chiese lei, facendo un passo verso di lui.
Shinichi la fissò per un attimo, cercando di trovare ancora un barlume di lucidità. Era una lotta così ardua che stava faticando con tutte le sue forze per non prenderla  a sé e fare ciò che avrebbe voluto fare da mesi. Ma non poteva, non poteva accidenti!
« Shinichi? », lei si fece ancora avanti, ormai era di nuovo a pochi centimetri dalle sue labbra. La sua voce così tenera lo fece avvampare ancora di più, mentre lei gli cingeva il collo con le braccia e gli lasciava un piccolo bacio sulla guancia.
Ran. Basta.
Un altro bacio vicino all’orecchio, che ormai sentiva bollente.
« Ho detto », biascicò infine, senza neanche rendersene conto, la testa ormai completamente vuota.
« Che mi piace anche troppo »
Velocemente le cinse la vita e sentì sotto le mani la pelle scoperta della sua schiena. Le posò nuovamente le labbra contro le sue, baciandola con vigore.
Vittoriosa, Ran rispose al bacio e timidamente incontrò la sua lingua. Ormai la testa di Shinichi era intontita, sfinita di combattere e in costante ribellione con ciò che stava facendo. Ma ormai ogni centimetro del suo corpo era attratto dalla ragazza che stava stringendo fra le braccia, e si chiese se valesse la pena continuare a resisterle. Continuò a baciarla prepotentemente, mentre le accarezzava la schiena facendola di tanto in tanto sussultare.
Dopo un tempo interminabile, Ran si staccò per prendere un po’ di fiato, e lo guardò finalmente in faccia. I loro occhi si fissarono così ardentemente che ciò che vi lesse dentro la lasciò per un attimo senza fiato.
Shinichi aveva alcuni ciuffi di capelli che gli ricadevano disordinati sulla fronte, il viso arrossato e un leggero fiatone, mentre nel suo sguardo intravide qualcosa che la agitò. Non lo aveva mai visto così, nemmeno le altre volte in cui si erano avvicinati in quel modo. Sembrava mangiarla con lo sguardo, e si sentì piccola e indifesa sotto quegli occhi così profondi. Aveva lasciato cadere ogni barriera, ogni maschera, ora avvertiva chiaramente quanto lui la volesse. Cercò sfacciatamente di restituire lo stesso tipo di impressione, mentre gli accarezzava il collo.
Sono qui, fa qualcosa, per favore.
Si stavano ancora guardando col fiato corto quando, con sommo stupore di Ran, Shinichi si sporse nuovamente verso di lei baciandola ancora. Euforica si riaggrappò a lui, ma proprio in quel momento sentirono in lontananza due voci familiari.
« Sei una scema! ».
« Rimangiati ciò che hai detto, Heiji! ».
Ran fece per staccarsi da Shinichi, sgranando gli occhi per la sorpresa.  Ma quando provò a spingerlo via, notò che lui non ne aveva la minima intenzione e,anzi, stava continuando a baciarla.
« S-shinichi », farfugliò lei contro le sue labbra, a disagio. Provò nuovamente a mettergli le mani sul petto e ci mise tutta la sua forza per spingerlo via. Solo quando lui sentì la pressione sul suo corpo si accorse di cose stesse succedendo intorno a lui. Ma quando finalmente riaprì gli occhi e vide lo sguardo rosso di Ran, ormai Heiji e Kazuha erano apparsi davanti a loro.
Quando quest’ultimi, intenti a litigare, si accorsero finalmente di Ran e Shinichi e si immobilizzarono. Erano abbracciati stretti, Shinichi appoggiato completamente alla ringhiera dietro di lui con le gambe allargate per far spazio al corpo di Ran che era totalmente addosso a lui. La ragazza gli stava tenendo la mani sul petto, e lui sulla schiena. Erano avvinghiati così stretti, che Heiji si chiese se riuscissero ancora a respirare.
« Oh », biascicò Heiji, mentre i due ragazzi davanti a loro raggelavano sul posto, incapaci di muoversi.
« S-scusate, noi, ecco », mormorò Kazuha distogliendo lo sguardo visibilmente a disagio.
« Ce ne andiamo », sbottò Heiji e, velocemente, acchiappò per un braccio Kazuha che si lasciò fare senza proferire parola. La trascinò lontana da lei, e sparirono nuovamente dietro l’angolo.
Ran perse un battito, mentre finalmente Shinichi tornava totalmente in sé e si ritraeva velocemente. Lo guardò di sottecchi e pensò di incontrare la sua faccia imbarazzata o un sorriso divertito in volto: le altre volte in cui erano stati interrotti o si erano bloccati aveva sempre fatto così.
Ma ciò che vide la stupì, mentre notava la sua espressione visibilmente infastidita. Non aveva traccia di sorriso sul viso, ed era solo lievemente arrossato. Pareva davvero seccato, mentre si passava una mano fra i capelli per togliersi dagli occhi alcuni ciuffi spettinati.
Quando lo vide così, pensò speranzosa che avrebbe voluto  riprendere da dove erano stati interrotti, così coraggiosamente fece per prendergli la mano. Gliela accarezzò, e per un attimo giocarono a sfiorarsi le dita in silenzio. Infine lui gliela afferrò e la intrecciò con la sua. Fiduciosa, Ran alzò lo sguardo con un sorriso incoraggiante, che si smorzò quando lui riprese parola.
« E’ meglio rientrare », disse a bocca asciutta lui e, tenendola per mano, si avviò verso l’entrata.
Camminò mano nella mano con lui per quel breve tratto, e non fu nemmeno contenta quando rientrarono nel salone ancora ancorati l’uno all’altra. Era così delusa da quel suo strano comportamento, che non si godette appieno nemmeno la loro effettiva, prima volta mano nella mano in pubblico.
Non erano soliti camminare così, mai. Si erano sempre vergognati troppo. Ma in quel momento entrambi avevano così tanto la testa altrove, che quel gesto era davvero l’ultimo dei loro problemi di imbarazzo.
Non fecero nemmeno caso a Sonoko, che li stava raggiungendo divertita indicando le loro mani.
Quando infine Ran la vide, sentì lo stomaco contrarsi al ricordo di tutte le chiacchiere avvenute quel giorno, ed ebbe paura che avrebbe ricominciato a tampinarla su quel discorso. Volendo evitare a tutti i costi di spiegarle cosa fosse successo, e che si erano per l’ennesima volta fermati, si staccò in fretta da Shinichi e, incontrando il suo sguardo confuso, disse solo che sarebbe andata in bagno.
Senza guardare nessuno in faccia si diresse di corsa verso la toilette, cercando di non far notare la sua espressione ferita.
Sonoko la vide allontanarsi velocemente e notò che anche Shinichi aveva uno sguardo stranamente lugubre.
« Dove è andata tua moglie? », chiese con una risatina, cercando di smorzare la tensione che avvertiva. Ogni volta che li chiamava così provocava l’ilarità di tutti i presenti, e le loro proteste imbarazzate. Sperò di aver alleggerito l’atmosfera e che lui avrebbe iniziato a offenderla come faceva sempre, ma non fu così.
« In bagno », replicò Shinichi semplicemente.
Lei lo fissò un attimo interdetta, e dopo un po’ Shinichi si rese conto della sua perplessità.
« Che c’è? », sbottò irritato.
« No, niente », aveva appurato che fosse realmente nervoso, quindi ebbe, per una volta, la delicatezza di non prenderlo in giro. Glielo avrebbe fatto notare più avanti come, alla domanda su dove fosse sua “moglie”, avesse risposto d’istinto riferendosi a Ran. Ma lui pareva non averci nemmeno fatto caso, troppo impegnato per essere arrabbiato verso qualcuno o qualcosa a lei ignoto.
Perfino quando Ran tornò, le gote arrossate come se si fosse sciacquata il viso, Sonoko evitò accuratamente di chiederle cosa fosse successo. Raggiunti anche da un Heiji e una Kazuha decisamente agitati, sbuffò.
Ma che problemi avevano, tutti?

La serata passò velocemente, cenando tutti insieme in un grande tavolo rotondo. Sonoko, con il suo fare esuberante, aveva alleggerito un po’ la tensione, ma ancora qualcosa non le tornava. Sia Ran sia Kazuha evitavano accuratamente gli sguardi di Shinichi ed Heiji e, quando finalmente la serata si concluse, si alzarono come delle molle per dirigersi fuori dal salone. Un po’ perplessa, Sonoko li guardò.
« Vi devo dare le chiavi, aspettate », si mise a cercare nella borsa alcune tessere.
Domani mi aspetta un bel interrogatorio.
Pensò, guardandoli uno per uno.
Che branco di imbranati.
Quando iniziò a distribuire le chiavi, Ran lanciò per la prima volta da un’ora a quella parte, un’occhiata veloce a Shinichi, stringendo fra le mani il suo pass. Lui ricambiò lo sguardo, per poi distoglierlo subito dopo. Si morse un labbro, mentre gli altri chiacchieravano tranquillamente, dirigendosi verso l’ascensore. Avrebbe voluto avvicinarsi a lui, stringerlo per un braccio, e dirgli di rimanere con lei. Ma con che coraggio? Se solo avesse fatto lui qualcosa, se solo le avesse mandato un segnale…
Ma Shinichi pareva come lontano, come se ciò che era appena accaduto in terrazza non esistesse più. Si era ricomposto, era tornato ad avere il viso normale seppur teso , e il suo sguardo non guizzava più su di lei. Aveva ripreso quel suo maledetto controllo, e mai come in quel momento Ran detestò la sua innata razionalità. Pensò e ripensò a come fare ma, quando l’ascensore si fermò e i maschi uscirono al loro piano, non riuscì a pronunciare parola.
« Noi siamo al piano di sopra! Ci vediamo domattina per le dieci? », sentì la voce di Sonoko lontana e ovattata, mentre fissava Shinichi.
Guardami, rimani con me, ti prego.
« Va bene, a domani », salutò Heiji distrattamente, alzando la mano. E mentre le porte si chiudevano, Shinichi lanciò un’ultima occhiata a Ran, che lo fissava con sguardo supplichevole.
Si guardarono, mentre le porte si chiudevano intensamente. Arresa, Ran abbassò la testa, mentre scendeva un silenzio teso. Velocemente arrivarono al loro piano, e Sonoko si voltò finalmente verso un’insolita e silenziosa Ran.
« Tutto bene? », chiese posandole una mano sul braccio, e rivolgendo la sua attenzione anche a Kazuha.
« Sì », replicarono di scatto entrambe.
« Sono solo stanca », aggiunse Ran con un sorriso incerto.
« Sicure? », indagò apprensiva Sonoko.
Ran deglutì, stringendo i pugni.
« Ma certo, Sonoko! », replicò Kazuha, sorridendo anch’essa.
« E’ stato un compleanno perfetto! », cercò come meglio poteva di fingere.
Ran al suo fiancò annuì convinta, dandole man forte. Non aveva davvero voglia di dirle che, per l’ennesima volta, il loro momento era andato perso, e lui pareva non avere intenzione di riprendere da dove avevano interrotto.
« Farò finta di credervi… », sbuffò Sonoko. Ran sorrise piano, per poi fermarsi di fronte alla porta della sua camera.
« Allora, a domani », disse, mentre le sue due amiche la superavano salutandola. Velocemente entrò nella camera e, ancora al buio, appoggiò la schiena contro la porta. Si lasciò scivolare a terra, esausta.
Si sentì molto stupida per sentirsi così, ma non poteva fare a meno di avvertire una cocente delusione alla base dello stomaco. Non ce la faceva più, e il continuo rimandare quel momento la stava rendendo solo più nervosa e frustrata. Si morse un labbro, innervata.
Va da lui.
Una vocina nel profondo del suo cuore la fece immobilizzare mentre, ancora al buio della sua camera, trattenne il respiro.
Va da lui, ora.
Balzò in piedi e, con mani tremanti, aprì la porta acchiappando velocemente il pass. Percorse al contrario il percorso fino all’ascensore ma quando vide che era a parecchi piani di distanza, di istinto si diresse verso le scale. Prese a scendere gli scalini due alla volta, rischiando più volte di capitolare per terra per via di quei tacchi così scomodi. Un’altra voce nella sua testa le stava dicendo che era sbagliato, che avrebbe fatto una pessima figura. Un’altra le stava elencando una serie di situazioni imbarazzanti in cui sarebbe incappata se si fosse presentata in camera sua. Cercò di staccare il cervello, mentre spingeva con forza la porta del piano. Rapidamente si diresse verso la camera di Shinichi, quel numero che aveva intravisto quando Sonoko gli aveva dato il pass. La trovò quasi subito e fece per bussare. Si bloccò però con la mano a mezz’aria, colta improvvisamente una paura tremenda.
Ma cosa stava facendo. Che idea gli avrebbe dato? Si morse ferocemente un labbro, ritraendo la mano.
Lui non è corso da te.
Ormai da quanto lo stava morsicando, il labbro le fece improvvisamente male. Con un sospiro fece un passo indietro, incerta.
Va via!
 Fece per voltarsi, rendendosi conto di cosa stesse per fare, quando sentì un rumore sordo.
Si voltò velocemente e quello che vide le tolse il respiro.
Shinichi aveva appena aperto prepotentemente la porta, e stava per uscire finchè non la vide. Alla sua vista si immobilizzò, sgranando gli occhi. Ran deglutì, mentre lo guardava: aveva la camicia malamente fuori dai pantaloni, e il papillon sciolto ormai penzolava dal suo collo. Probabilmente aveva iniziato a spogliarsi per andare a dormire, ma invece eccolo lì.
Davanti a lei.

 

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Capitolo 10
*** Loro due ***


WITHOUT WORDS.
loro due.
 

« I-io », balbettò Ran, colta in fragrante.
Deglutì dal nervoso, iniziando a torturarsi le mani. Cadde un silenzio rumoroso fra loro, mentre entrambi si guardavano di sottecchi.
Inventati qualcosa. Ora!
« Credo di aver capito male », esclamò con una risata nervosa. « Kazuha mi ha chiesto di andare da lei, ma forse ho confuso i numeri », rise ancora.
Non ci credeva nemmeno lei, a ciò che aveva appena pronunciato.
Probabilmente non ci avrebbe creduto nessuno, men che meno una persona che la conosceva da quando aveva quattro anni.
E infatti, lui non ci cascò.
« Sonoko non ha detto che voi ragazze eravate tutte nello stesso piano? », osservò Shinichi, e Ran poté avvertire quel suo fastidioso tono sarcastico.
Poteva essere cambiato, ma quel suo maledetto sorriso gongolante e quell’espressione sbruffona a volte tornava a infastidirla.
Che diavolo gli dico.
« Sì », disse infine lentamente. « Lo ha detto ».
Lasciò cadere il discorso, guardandolo smarrita. Provò a formulare un discorso di senso compiuto un paio di volte, ma non ci riuscì. Aveva la testa vuota e il cuore a martellarle così forte che pensò stesse per avere un infarto.
Si era presentata alla porta di camera sua, di notte, con quel maledetto vestito.
Provò a guardare la scena da occhio esterno, e si sentì un po’ troppo fuori posto. Se lui non l’avesse conosciuta bene, gli avrebbe dato sicuramente un’idea di se stessa piuttosto audace.
Dopo un’eternità, Ran fece un passo indietro, smarrita.
« Bene, ecco, io ora dovrei… », iniziò a gesticolare indicando qualcosa che non seppe nemmeno lei.
Shinichi la guardò arretrare, in quel vestito così aderente ma l’espressione buffa da bambina beccata con le mani nella marmellata. La trovò irrimediabilmente bellissima.
Era così teneramente in panico che non gli chiese nemmeno dove stesse andando quando aveva aperto la porta, constatò Shinichi. Ne fu sollevato, perché non sarebbe riuscito davvero a dirle che aveva camminato su e giù per la sua stanza diviso dall’intenzione di tornare da lei o rimanere lì, e alla fine non aveva retto alla voglia di averla vicina. Certo, non si sarebbe aspettato di trovarsela appena oltre la porta e, per quanto “tonto” fosse, la scusa di Kazuha era stata alquanto penosa.
Era ancora soprappensiero quando in lontananza sentì il mormorio imbarazzato di Ran intenta a salutarlo, e quando si riprese, la vide girarsi per andarsene. Rimase un attimo immobile, di nuovo combattuto su cosa fare.
Lasciala andare.
La sua testa formulò questo ordine, a cui non diede retta. Le sue gambe si mossero da sole.
Se la fermi ora, sai bene cosa succederà.
Gli bastarono due passi per afferrarla, e per un attimo, ebbe un flash di quando l’aveva fermata nello stesso modo a Londra. Lei si voltò stupita e, girandosi, lui notò i suoi occhi lucidi.
Stai facendo l’ennesimo errore, con lei.
Cercò di non badare alla sua coscienza, e provò a fermare le voci nella sua testa quando la attirò a sé. La appoggiò al suo petto e fece qualche passo indietro, per poi allungare le braccia oltre il suo viso per chiudere la porta alla sue spalle. Così facendo la incastrò fra lui e l’entrata, e iniziò a baciarla timidamente.
Con il cuore finalmente più leggero, Ran portò le mani al suo viso, rispondendo decisa. Si sentiva così felice che sorrise contro la sue labbra, con una euforia che le percorse il corpo. Voleva di nuovo che lui la guardasse come poco prima sulla terrazza, voleva che nei suoi occhi non vedesse che lei. Fu così che lo abbracciò di slancio, quasi stritolandolo. Lui rispose all’abbraccio, e, incoraggiata da ciò, Ran lo spinse e lo fece arretrare poco più indietro, verso la scrivania della camera. Quando si accorse del grande letto matrimoniale, sentì lo stomaco contrarsi, ma non volle dargli retta. Doveva rimanere calma, altrimenti lui si sarebbe accorto della sua ansia.
Fu così che prese ad accarezzargli il collo, mentre le mani di lui vagavano sulla sua schiena. Si ritrovarono a continuare ciò che avevano iniziato ormai così tante volte, che era diventato naturale.
Alla fine Ran sciolse l’abbraccio, solo per posizionare le mani sul suo petto. Avvertì piacevolmente sotto i suoi palmi il suo cuore battere all’impazzata, e quando capì di esserne lei la causa, si aggrappò al suo colletto con un moto di esaltazione.
Continuò a baciarlo più lentamente, per prendere un po’ di fiato. Con mani nervose salì ai primi bottoni della sua camicia, e iniziò a sbottonargliela. Ad ogni bottone lasciato indietro, lui sentì un brivido lungo la schiena. Le sue mani gli sfioravano la pelle senza volere, e quel contatto lo lasciò stordito.
Anche se in passato era già successo, sentiva che quella volta era diversa.
Erano da soli, in una camera da letto, completamente isolati da chiunque. Quella realtà lo spiazzò, rendendolo nervoso. Cercò di non pensarci, mentre lei si staccava dalla sua bocca e gli lasciava un dolce bacio sulla guancia.
Da quel giorno in gita, quelli erano una sua prerogativa. In quei mesi gliene aveva regalati a dozzine mentre erano soli, nei momenti più improvvisi e disparati. Adorava stampargliene uno quando meno se lo aspettava, e ogni volta sorrideva nel vederlo inevitabilmente arrossire.
Ma in quel momento ad essere rossi erano entrambi e, prendendo fiato fissandosi a poca distanza l’uno dall’altro, lei sbottonò anche l’ultimo bottone.
Lentamente alzò le mani verso le sue spalle e lì fece per toglierla. Con un gesto leggero gliela lasciò cadere per terra, senza che lui facesse niente per impedirglielo. Con disappunto, notò che lui non faceva altrettanto con lei, limitandosi ad accarezzarla sopra quel tessuto che cominciava a trovare di troppo. Non immaginava che Shinichi maledisse per l’ennesima volta quel vestito.
Cosa poteva fare? Assolutamente niente. Se avesse provato ad allungare troppo la mano, avrebbe decisamente esagerato. Le altre volte, perlomeno, indossava il reggiseno. Ma sapere che se avesse iniziato a vagare troppo in su avrebbe toccato davvero troppo, lo imbarazzava. E soprattutto, non sapeva come Ran avrebbe reagito.
Ma lei è venuta qui per quello, no?
Deglutì, mentre tornava nuovamente a  premere la sua lingua contro la sua.
Altrimenti, perché sarebbe venuta da te?
Dannati pensieri.
Era ancorai immerso nei suoi dubbi, quando Ran prese ad accarezzargli il petto con una mano, creando scie immaginarie. Si beò di quella sensazione addosso, e senza realmente accorgersene le strinse forte a sé.
Stava prendendo tempo, e lo sapeva. Il problema era che davvero non sapeva come proseguire.
Non erano mai arrivati lì.
Mai.
Erano sempre stati interrotti prima o, nell’altro caso, lei si era bloccata.
Ma non pareva per niente agitata in quel momento, appurò lui guardandola. Anzi, lo fissava in attesa di un qualche suo gesto. Ad essere quasi nel panico, ora era lui.
Ran, dal canto suo, iniziava a spazientirsi. Mossa da un coraggio non suo, gli prese la mano un po’ prepotentemente, appoggiandosela su un fianco. Sperò che lui intuisse che potesse fare altro, senza realmente dirglielo spudoratamente in faccia.
Non ci sarebbe mai riuscita.
Quando Shinichi la sentì così brusca, si rese conto di aver terminato il tempo a sua disposizione per continuare a pensare. Era abbastanza evidente che si aspettasse qualcosa da lui, e se non avesse fatto al più presto qualcosa avrebbe rovinato  quel momento apparentemente perfetto. Non che fosse ancora sicuro sul da fare, anzi. Non si stava facendo trascinare totalmente dal panico unicamente perché un angolo del suo cervello continuava a dirgli, come a rincuorarlo, che avrebbe potuto fermarsi come e quando voleva.
Ancora un po’, poi puoi fermarti.
Risalì la sua pancia sfiorandola, mentre immergeva la testa nell’incavo del suo collo baciandolo.
Se vedi che le dà fastidio, puoi fermarti quando vuoi.
Ma quando toccò il suo petto, e lo trovò così morbido contro la sua mano, il suo cervello di bloccò.
Trattenne il fiato e, come a voler nascondere il viso dall’imbarazzo, la baciò velocemente. Sperò quasi che così facendo potesse distrarla, mentre continuava ad accarezzarla. Dapprima titubante, dopo un po’ non riuscì più a controllare la sua mano, che ora la toccava decisa.
Era totalmente in balia delle sue emozioni, quando probabilmente le sfiorò un punto particolarmente sensibile e lei respirò prepotentemente interrompendo il bacio.
Al sentirla sospirare così, sentì un brivido lungo la schiena.
Era davvero troppo, e soprattutto molto meglio di quanto avesse mai immaginato.
Erano nel più totale silenzio, rotto solo dai loro respiri un po’ accelerati. Potevano sentire chiaramente i loro cuori martellare nel petto, mentre si chiedevano entrambi il prossimo passo da fare.
« Shinichi? », mormorò lei all’improvviso, staccandosi leggermente da lui.
Lui fermò la sua mano sul suo petto, alzando la testa dopo un tempo infinito.
« Io mi fido di te », continuò sottovoce, lo sguardo di Shinichi che le lanciava scintille.
Lui si sentì un po’ rincuorato, ma anche investito da un senso di responsabilità prepotente.
In quel preciso momento si rese conto che stava solo mentendo a se stesso, e che se avessero continuato non sarebbe mai stato in grado di fermarsi.
Stordito, immaginò loro due su quel letto, e lo stomaco si contrasse. Per la prima volta, si rese davvero conto di ciò che sarebbe successo e si sentì travolto dalla vergogna. Ripensò ai bagni con lei, quando era ancora Conan, dove aveva cercato in tutti i modi di guardarla il meno possibile ma, ovviamente, aveva praticamente visto tutto. Si rese conto che quello sarebbe stato l’imbarazzo minore, quando finalmente realizzò che lei avrebbe visto lui per la prima volta. Avvampò, per niente pronto a quella evenienza.
Lei parve accorgersi del suo repentino imbarazzo, iniziando a dondolarsi sui piedi.
« Puoi dirmi perché non vuoi? », mormorò dopo un pò con la voce incrinata.
« Ma certo che voglio », ribattè Shinichi, e Ran notò come avesse ormai anche le orecchie bordeaux.
« Intendevo » , riprese lei cauta, « Il motivo per cui sei così titubante ».
Voleva accertarsi che fosse davvero per il motivo pronunciato da Sonoko quel giorno, e che non ci fossero altri dubbi sul da farsi. E, qualora ci fosse stato qualche problema, affrontarlo insieme.
Lui sospirò, indietreggiando fino ad appoggiarsi alla scrivania lì dietro. Lei rimase in piedi, esattamente di fronte a lui.
« Ho un po’ di ansia », ammise Shinichi, guardandola di sottecchi.
« Per me? », chiese d’istinto Ran. Shinichi abbassò la testa come a voler annuire, ma senza realmente riuscire a pronunciare parola.
Sonoko aveva ragione. Lui aveva paura di fare qualcosa che potesse infastidirla, di forzarla, di rovinare tutto. E dire che fino al pomeriggio prima, quelle erano le sue stesse paure.
« Un po’ per tutto ».
Ran trasalì, e lo vide realmente nervoso. Le continuava a lanciare occhiate irrequiete, e aveva iniziato a battere le dita della mano sulla scrivania mentre ci si stava sorreggendo.
« Lo so che è… è… ».
« Imbarazzante all’inverosimile? », concluse lui sarcastico.
« Sì », ammise lei con un sospiro rassegnato. « Lo è, e molto anche. Ma se fai così, non aiuti a renderlo più semplice ».
Shinichi sbuffò, portandosi una mano alla faccia.
« Parlami, dimmi cosa c’è che non va », si fece avanti Ran, prendendogli un braccio.
La verità era che, forse per la prima volta in vita sua, Shinichi non sapeva cosa fare.
Eccelleva praticamente in tutto: nello sport, parlava correttamente molte lingue, aveva sicuramente un quoziente intellettivo molto alto. Quindi, in quel frangente, l’ignoto lo stava attanagliando. A maggior ragione che era lui il ragazzo, e sicuramente lei contava su di lui per averlo come guida.
Il pensiero di non sapere cosa fare lo stava davvero mandando nel pallone.
« Ho paura di fare qualcosa che non ti vada », ammise infine, guardandola di striscio.
Ecco, l’aveva ammesso. E, sorprendentemente, Ran fu sollevata. Fece un leggero sorriso, stringendogli ancora un po’ il braccio che stava tenendo con una mano.
« Non succederà », lo rincuorò. Lui non parve molto convinto, mentre evitava il suo sguardo ad ogni costo.
« Sai », riprese lei improvvisamente, con fare cospiratorio. « In realtà, non stavo andando da Kazuha », concluse sottovoce, con un sorriso furtivo.
A Shinichi scappò un sorriso divertito e, scuotendo la testa, sospirò rilassandosi un po’.
« Quindi », ricominciò lei avvicinandosi e sorridendo a sua volta. « E’ completamente mia responsabilità questa situazione ».
Sperò davvero di aver alleggerito la tensione fra loro, e pensò davvero che fosse così quando lui la guardò con sguardo dolce e le allargò le braccia. Lei accontentò la sua richiesta, e lo abbracciò posando la testa sulla sua spalla.
« Sei sicura? », domandò lui titubante. Lei si staccò, guardandolo in faccia, tornando nuovamente seria.
« Sì », rispose decisa, giocherellando con un ciuffo che gli ricadeva sugli occhi.
Lui deglutì, cercando di prendere un po’ di ossigeno.
Al diavolo.
Si avvicinò al suo viso, posandole un lieve bacio sulle labbra. Lei rispose leggermente ma, secondo dopo secondo, lui l’attirò a se intensificandolo. Le posò le mani sui fianchi ma questa volta non aspettò da lei alcun cenno per proseguire. Le fece scorrere velocemente su, e tornò a torturarla dove aveva lasciato in sospeso poco prima.
Vittoriosa, gli accarezzò nuovamente il petto, ma presto si rese conto che era diventato un rituale ormai noioso. Mossa da una sfrontatezza mai avuta, sfiorò lievemente la cintura dei suoi pantaloni. Lo sentì trasalire lievemente, ma non volle dargli alcun motivo per fermarla. Continuando a baciarlo, portò entrambe le mani alla cintura e gliela aprì. Si stava vergognando così tanto per quella situazione che iniziò ad avere caldo, le mani sudate.
Non fare la vigliacca.
Se si fosse fermata, gliela avrebbe data vinta e tutte le sue belle parole di incoraggiamento sarebbero andate a farsi friggere. Quindi, mentre lui spostava le sue mani lontane dal suo petto come improvvisamente paralizzato, toccò con due dita il primo bottone dei suoi pantaloni. Si fece coraggio e provò a sbottonarglielo.
Provo a tirare fuori il bottone dall’asola, ma lo scoprì terribilmente incastrato. Facendo finta di niente, ci riprovò, ma nuovamente nulla. Sentì Shinichi ormai completamente immobile, mentre lei, sull’orlo di una crisi di nervi, riprovò per la terza volta, senza riuscirci.
Non posso crederci.
Rendendosi conto dell’evidente situazione ridicola e anche molto sconcertante, allontanò di colpo le mani, e si staccò da lui tremendamente intimidita.
Se fosse stata un’altra situazione, probabilmente si sarebbero sorrisi complici e sarebbero scoppiati a ridere per quella scena assolutamente assurda. Ma ridere in quel momento era davvero l’ultima cosa che avessero voglia di fare, perciò rimasero in silenzio entrambi.
Ran continuò a fissarsi i piedi, scossa. Si era buttata, aveva fatto la prima mossa, aveva fatto scivolare la mano fino a e… quel maledetto bottone non si era voluto sganciare.
Io davvero non ho parole.
Stava ancora guardando per terra con la voglia di seppellirsi, quando di sbieco scorse le mani di Shinichi muoversi lentamente. Alzò leggermente lo sguardo e lo vide mentre, completamente bordeaux, si stava slacciando il bottone “di quei stramaledetti pantaloni”, come ripensò con foga Ran. Stupita, rimase immobile e, quando finalmente se lo slacciò, si bloccò anch’esso. Lo vide deglutire con espressione persa e, dopo parecchi secondi, alzò lo sguardo tremolante verso di lei.
« P-posso… ecco… », balbettò incerto, e lanciò uno sguardo insicuro alla sua destra. Ran capì che doveva sentirsi davvero molto a disagio, anche perché era praticamente rimasto congelato sul posto, le mani ancora sull’orlo dei pantaloni. Con un moto di tenerezza e comprensione, intuì che non volesse spogliarsi con così tanta luce, davanti a lei in piedi a fissare la scena. Lo trovò davvero dolce e, quando pensò che subito dopo sarebbe toccato a lei, accettò subito la sua proposta.
Sarebbe stato decisamente meno imbarazzante spegnere il lampadario sopra la loro testa, così si guardò velocemente intorno e adocchiò l’interruttore. Con un sorriso indulgente si sporse, e spense la luce.
Si ritrovarono così improvvisamente nella penombra, illuminati solo dalla vetrata alle loro spalle che creava una cornice perfetta della città. Provarono entrambi sollievo da quel repentino cambiamento, e senza farsi accorgere l’una dell’altro, presero fiato.
Dopo poco, per rimediare a quella distanza, Ran fece nuovamente un passo verso di lui, stampandogli un bacio sulle labbra. Come da consuetudine, il bacio si fece nuovamente più profondo, e si ritrovarono nuovamente abbracciati stretti, e, complice la mancanza di luce, lei fece scivolare goffamente la mano ai suoi pantaloni. Trovando ormai solo la cerniera di intralcio, gliela abbassò facendo bene attenzione a sfiorarla leggermente. Non avrebbe retto a sentire altro, e, per sua gioia, ci riuscì.
Da lì in avanti, persero entrambi la cognizione del tempo e di cosa stesse accadendo. Si ritrovarono improvvisamente sul letto, le teste vuote e una sensazione di felicità crescente all’altezza della pancia. Solo dopo un bel po’, Shinichi riuscì a trovare il coraggio di farle scendere le spalline del vestito e, non seppe nemmeno lui come, toglierlo del tutto. Si guardarono a vicenda con un sorriso incerto e Shinichi, facendo leva sulle braccia, si spostò sopra di lei. La guardò ancora mentre la ritrovò sotto di lui, i capelli che le ricadevano disordinati intorno a quel viso così dolce. La vedeva per metà, solo il lato sinistro illuminato debolmente dalla luce che riusciva ad entrare dalle vetrata.
Nella sua testa la vide ancora piccola, con le guance paffute e il sorriso contagioso, mentre lo prendeva per mano e lo trascinava con sè. Aveva così tanti ricordi con lei, che a volte pensava che non esistesse una momento della sua vita in cui lei non ne avesse fatto parte.
E ora eccola lì, e per un breve istante nel suo sorriso rivide quella stessa bambina.
Affondò il viso nel suo collo, sentendo prepotentemente il suo profumo. Era così bello, essere fra le sue braccia, sentire la sua pelle a contatto con la sua, che si chiese per quale motivo non lo avessero mai fatto prima.
Prese ad accarezzarla delicatamente, non lasciando nemmeno un centimetro della sua pelle indietro. La sfiorò ovunque, tralasciando la pelle ancora coperta dal suo intimo. Come lui, non aveva avuto ancora in coraggio di toglierlo. Stavano andando per gradi, lentamente, cercando di assimilare ogni momento per sentirsi il meno a disagio possibile.
Ran chiuse gli occhi, sentendo solo le sue mani addosso. Pensò che doveva essere un sogno, perché non riusciva a capacitarsi di come tutto fosse tremendamente vero.
Ma lo è. Lui è qui, con te.
Aprì gli occhi, come a volersi accertare che fosse reale. Incrociò il suo sguardo e, senza rendersene conto, alzò una mano per accarezzargli una guancia.
Era reale. Era lì con lei, e non se ne sarebbe mai andato. Non di nuovo.
In quel momento, ripensò a tutti quei mesi in cui lo aveva aspettato. Le tornò in mente come tutti all’inizio le dicessero di lasciarlo perdere, che non avrebbe dovuto avere tutta quella pazienza. Lo aveva aspettato per sei, lunghi e interminabili mesi, senza avere nemmeno la certezza che lui ricambiasse i suoi sentimenti.
Ma in quel preciso momento, in cui lui le accarezzava delicatamente il petto, realizzò che lo avrebbe aspettato ancora e ancora, per il semplice fatto che mai nella vita avrebbe voluto o accettato che qualcuno che non fosse lui, la toccasse così. Il solo pensiero che non ci fosse Shinichi, lì, in quel momento, a sfiorarla e baciarla, le provocò un brivido di disgusto lungo la schiena. Per quanto fosse stato imbarazzante, difficile e assurdo, era felice di essere lì con lui, e si dimenticò perfino di essere per metà nuda. Perché, per quanto avesse pensato con imbarazzo a quel momento, non fu così tremendo.
Solo lui aveva il permesso di vederla così, e solo lui aveva il permesso di poterla sfiorare.
Lasciandosi scappare un sospiro, le si formò inaspettatamente un nodo alla gola e nella sua testa tornò prepotente l’immagine di lui riverso a terra, mentre lei spingeva le sue mani scarlatte contro quel foro sulla sua schiena.
Si sentì così grata, così benedetta per averlo ancora con lei, che le vennero le lacrime agli occhi.
Lui, dopo un po’, parve accorgersi che qualcosa non andasse, e di scatto tolse la mano, scuotendola leggermente per una spalla.
« H-ho sbagliato qualcosa? », domandò a bruciapelo, nuovamente sulle spine. Lei aprì gli occhi, e lo guardò, trovandolo terribilmente tenero.
« Ti avrei aspettato ancora », soffiò lei in un sussurro.
Shinichi sgranò gli occhi, cercando di riorganizzare le idee al suono di quelle parole inaspettate. Corrugò la fronte, mentre lei si toglieva velocemente una lacrima dall’occhio sinistro.
« Non avrei mai voluto qualcun altro ».
Finalmente lui capì cosa volesse dire. Arrossì lievemente, toccandole il naso con la punta del suo.
Dopotutto, era vero.
Erano sempre stati loro due, e loro due soltanto.

 

***


Ran scivolò velocemente nell’atrio dell’ospedale, per l’ennesima volta. Particolarmente allegra, ripercorse quegli stessi corridoio divenuti per lei così familiari. Al pensiero che sarebbe stata l’ultima volta che li avrebbe attraversati, sorrise d’istinto.
Quel giorno lo avrebbero dimesso, dopo un lungo mese di convalescenza. Sospirò, e per la prima volta da tempo, si sentì del tutto e pienamente felice.
Avanzò a grandi falcate, fino a individuare la porta di camera sua. Era così euforica che non pensò di bussare, ma afferrò rapidamente la maniglia ed entrò.
« Buongiorn- ».
Le parole le morirono in gola, mentre si trovò di fronte uno Shinichi a petto nudo, intento a inserire nel buco  giusto la sua cintura. Shinichi sobbalzò, non aspettandosi quell’improvvisa irruzione nella sua camera. Arretrò un poco, arrossendo di colpo.
« Oh, scusa », Ran chiuse gli occhi di colpo, portandosi una mano al viso. In realtà, non seppe perché lo fece. Dopotutto, le era già capitato di vederlo così, se non al mare, perfino durante gli allenamenti di calcio. Eppure, in quel frangente, e con la consapevolezza che ora le cose fra loro erano cambiate, si sentì inevitabilmente a disagio.
« Non fa niente », borbottò Shinichi, infilandosi nervosamente un maglioncino appoggiato lì a fianco.
Ran sciolse le mani da davanti agli occhi, e lo guardò mentre finiva di sistemare le sue cose nel borsone dell’ospedale. Non aveva ripreso troppi chili in quel mese, ragion per cui quei jeans gli stavano abbastanza morbidi, così come la maglia. Tuttavia, pareva avere un aspetto decisamente più sano di quando si era risvegliato.
Fece per dire qualcosa, ma in quel momento un’infermiera fece capolino alla porta, con un bel sorriso.
« Oh, Kudo-kun », esclamò allegramente, entrando nella stanza. « Oggi è il grande giorno? ».
« Direi di sì », guardò sorridendo Ran, che rimase un attimo in disparte.
« Bene, bene », disse lei, appoggiando qualcosa sulla scrivania. « Ti misuro per l’ultima volta la pressione, e poi ti lascio andare», ridacchiò. Shinichi si sedesse al bordo del letto, e gli porse il braccio. Questa gli mise la fascetta sul braccio, e iniziò a gonfiare la pompetta.
« Cosa farete di bello in questa tua prima serata di libertà? ».
Shinichi, che stava fissando la fascetta gonfiarsi poco a poco, alzò lo sguardo confuso. Poi, quando si rese conto che l’infermiera stava fissando maliziosamente in direzione di una Ran improvvisamente arrossita, avvampò lui stesso. Lei parve accorgersi di quel loro repentino cambio di colore, perché aprì la bocca stupita.
« Oh, scusatemi », esclamò, prima che uno dei due potesse replicare.
« Pensavo fosse la tua ragazza », rise nervosa.
La tua ragazza.
Da che avesse memoria, a scuola e fuori li avevano sempre chiamati così, per prenderli in giro. Dopotutto, era inevitabile: oltre a sempre l’ombra dell’altro senza realmente rendersene conto, erano gli unici con cui si rivolgessero senza le onorificenze. Era stato così che si era abituato a quelle continue battutine, a quel “marito” e “moglie” che faceva sempre scappare un risolino al compagno di classe di turno.
Ma sentirlo dire a voce alta, quando nella realtà era diventato vero, fu diverso. Per di più, considerando che non sapeva nemmeno bene se lo fosse ancora.
Gli aveva detto che lo avrebbe perdonato, e quando lui le aveva buttato lì che l’avrebbe perfettamente capita se avesse voluto tirarsi indietro, le aveva ribattuto che non era sua intenzione.
Però… però…
Si morse un labbro. Erano passate settimane da quando avevano discusso e non avevano mai affrontato l’argomento spinoso sullo stato della loro relazione. Erano giorni che aveva il profondo dubbio misto terrore che lei potesse cambiare idea da un momento all’altro, rendendosi realmente conto di quanto male lui le avesse provocato. Forse, lontano da lui, a casa, tranquillamente, poteva ripensare a tutte le sue bugie, a tutte le sue mancanze, e non presa dal momento, avrebbe riflettuto ragionevolmente, arrivando alla conclusione che lui si fosse davvero comportato come una merda, con lei.
Avrebbe potuto arrivare alla conclusione che era meglio andare con calma, magari ripartendo dall’amicizia. Fece una smorfia.
Aveva giocato a fare l’amico per così tanto tempo, che il solo pensiero di tornare a farlo lo fece irritare.
Sempre meglio di quando eri il suo “fratellino”.
Quello era stato il culmine. Almeno, da amico, poteva almeno provare a stare accanto, toccarla, stuzzicarla. Ma comportarsi come un fratello, quello era stato davvero logorante.
Aveva addirittura pensato e ripensato a quanti ragazzi avrebbero potuta renderla felice. In quei mesi ne erano sbucati ovunque, di aspiranti pretendenti. Per quanto ne fosse stato tremendamente geloso, nessuno di loro lo aveva realmente intimidito quando Araide e Okita.
Okita.
Al solo nome il suo stomaco si ritrasse. Lui era davvero quello che detestava maggiormente, per il semplice fatto che era il più pericoloso. Era un bel ragazzo, e su quello poteva almeno tenergli testa.
Ma, dannazione, era anche orrendamente allegro, spensierato, spudorato. Il genere di ragazzo che ti trascina con sé rendendoti felice.
No, non avrebbe mai potuto competere con quel suo carattere estroverso, dolce, espansivo. Lui, che per strappargli di bocca una parola, ci volevano anni. Introverso, imbranato, quasi scontroso.
Lo riconosceva, non era proprio la persona più espansiva del mondo, e sapere che Okita con qualche semplice parola poteva farla capitolare, lo intimidiva abbastanza.
Era ancora immerso nei suoi più reconditi e dolorosi pensieri, che la voce di Ran gli arrivò acuta e decisa.
« Sì, lo sono! ».
Si girò lentamente a guardarla, e la ritrovò quasi innervata dal suo silenzio, mentre stringeva convulsamente i pugni lungo i fianchi.
L’infermiera sorrise un po’ sconcertata dall’ira improvvisa della ragazza, per poi voltarsi a guardare i valori apparsi sull’apparecchio di fronte a lei. Sgranò gli occhi, lanciando un’occhiata di sbieco a Shinichi.
« Mmm », disse solo, un po’ divertita. « Un po’ più alta del solito, ma penso non sia niente di grave ».
Avrebbe voluto ridere, ma il poverino era già abbastanza agitato di suo senza che lei infilasse il coltello nella piaga. E dire che aveva sempre avuto una pressione perfetta, almeno fino a quel momento. Scuotendo la testa divertita, si congedò da loro, trovandoli irrimediabilmente dolcissimi. Si chiuse la porta alle spalle, lasciandosi scappare un risolino.
Rimasti soli, Shinichi si mise in piedi cercando di nascondere il suo viso accaldato e i pensieri che gli frullavano incessantemente nella testa. Ran comunque se ne accorse, e si ritrovò a pensare che con quel colorito così roseo sembrava del tutto ristabilito, oltre ad apparire estremamente tenero.
« Quindi, lo sei ancora? ».
Ran inarcò un sopracciglio, mentre lui le dava la schiena un po’ contratto. Si era fermato, con le mani a chiudere la zip del suo borsone, in attesa di una sua risposta.
« Non mi sembrava che ci fossimo lasciati », replicò lei stizzita.
« No, ma… », deglutì. « Ecco, pensavo che forse ci avessi ragionato su e… cambiato idea ».
« E avrei continuato a venire qui tutti i giorni a trovarti? », chiese sarcastica Ran. Lui finalmente si voltò, e avanzò con passo incerto verso di lei. Camminava ancora un po’ storto, ma riusciva perfettamente a mantenersi in piedi sulle sue gambe.
« Potevi venire qui come amica ».
Lei lo afferrò malamente per un braccio, sorprendendolo. Aprì la porta con una mano nervosa, e lo aiutò ad uscire. Sapeva che non ne avesse realmente bisogno del suo appoggio, ma fece finta di niente.
« Mi stai facendo cambiare idea comportandoti così », sbottò mentre camminavano lentamente per il corridoio, lei ancora ancorata al suo braccio.
Lui non replicò, iniziando a rimuginare in silenzio. Non fece nemmeno caso di essere finalmente uscito da quell’ospedale che per così tanto tempo era stato la sua casa. Era davvero troppo preso da altri ragionamenti.
« Mi puoi dire a cosa stai pensando? », borbottò infine Ran, spazientendosi. Lui si riscosse dai suoi pensieri, mentre un’arietta leggera gli scompigliò i capelli. Prese a grandi bocconi quell’improvvisa aria, rendendosi conto finalmente si essere fuori.
« Come hai fatto? », disse infine, voltandosi a guardarla con espressione indecifrabile.
« A fare cosa? », domandò lei incerta, bloccandosi.
« A perdonarmi così in fretta ».
Ran fece una smorfia e cercò di spingerlo ai lati della strada, un po’ isolati, dove non avrebbero intralciato nessuno dei passanti che volessero entrare nell’ospedale.
« Non è così », ammise, mentre si immergevano all’ombra di un grande albero sulla destra dell’edificio.
« Ma ci sto provando », concluse, con sguardo fiducioso.
Era vero. Ogni giorno lottava contro la rabbia che la opprimeva, e il dolore per quella fiducia che lui le aveva negato. Era una battaglia difficile da vincere, ma sapeva bene che mai nella vita avrebbe potuto o voluto perderlo. Ancora. Da lì in avanti, avrebbero camminato insieme per ritrovare la loro normalità, e fatto tutte le esperienze possibili per compensare i momenti persi. Non sapeva quanto ci sarebbe voluto, ma il suo cuore le suggerì che non avrebbe mai davvero potuto odiare quel ragazzo che aveva di fronte. Ma lui, questo, non doveva saperlo. In verità, le piaceva tenerlo un po’ sulle spine.
« Mettiamola così », mormorò Ran, perdendosi nei suoi occhi. « Siamo pari ».
Lui inarcò un sopracciglio, non capendola.
« Abbiamo entrambi la nostra cicatrice », replicò allusiva lei.
« Credo che tu ne abbia più di una, per causa mia », rispose velocemente lui, con sguardo grave.
« Probabile, ma ricordati che possono sempre rimarginarsi », sorrise debolmente. « E potrebbe iniziare fin da oggi, se volessi passare la serata con me ».
Shinichi pensò che il suo cuore avesse perso un battito, al suono di quelle parole. Sorrise istintivamente, sentendosi un po’ più leggero.
« Facciamo ciò che vuoi », disse flebilmente. Lei sorrise vittoriosa, e gli riprese il braccio, ricominciando a camminare.
« E comunque, se ti devi arrabbiare così solo perché ho detto che sono la tua ragazza, non lo farò più », disse dopo un pò, fingendosi offesa.
Ran era così. E in quel momento, dimenticò Okita, le sue bugie, i loro problemi. Lei lo aveva sempre accettato per ciò che era, fin da quando lo aveva conosciuto: un irritante, arrogante bambino dell’asilo.
« Scema », sbottò lui.
« Lo puoi dire a chi vuoi », sussurrò infine, il cuore più leggero.

 

***


Un timido raggio di sole colpì il viso rilassato di Ran, facendole corrucciare il naso. Si portò una mano al volto, come a scacciarlo. Perché diavolo stava entrando sole, quella mattina? Non aveva tirato le tende la sera prima, quando era andata a dormire?
Un po’ infastidita si sistemò meglio sotto le coperte.
Raggio di sole a parte, si sentiva così bene, nel tepore del letto, che non voleva assolutamente svegliarsi. Un profumo familiare la fece sentire ancora di più a suo agio, mentre si passava la lingua a inumidirsi le labbra secchie. Ancora nel dormiveglia, sentì poi un peso strano addosso. Con gli occhi impastati, ne aprì distrattamente uno. Di sbieco, vide una testa di capelli scuri poco più sotto il suo viso, e quasi si spaventò. Poi, lentamente, mise a fuoco. Si voltò lentamente, e vide di trovarsi in una camera non sua.
Piano piano, i ricordi della sera prima si fecero vividi in lei, facendola precipitare nel caos.
Fu allora che, ormai quasi completamente sveglia, si accorse di essere a pancia in su, con Shinichi praticamente addosso che dormiva beatamente. Aveva la testa appoggiata sul suo petto, e un braccio intorno alla vita.
Dormiva profondamente, le spalle che si alzavano ritmicamente.
I flash di loro due insieme quella notte la invasero, e arrossì di colpo, rendendosi conto di essere ancora completamente nuda con lui appoggiato a lei.
Lentamente, cercò di farlo scivolare al suo fianco, e ci riuscì. Shinichi non diede segno di fastidio e, anzi, si sistemò a pancia in su con un sospiro. Mordendosi un labbro, lanciò uno sguardo alla sveglia posta sopra il comodino.
Le sette.
Accidenti.
Si guardò intorno freneticamente alla ricerca del suo vestito, ma era davvero troppo lontano. Nell’imbarazzo più totale, guardò di sbieco Shinichi per appurare che stesse ancora dormendo. Arrossendo, si rese conto che girandosi poco prima aveva fatto scivolare il lenzuolo fino a quasi sotto la pancia, e per un attimo si incantò a guardarlo. Cercò di destarsi da quella stupenda visione, acchiappando la prima cosa che trovò buttata malamente a terra: la sua camicia.
Se la mise velocemente addosso, chiudendo tre bottoni e correndo in bagno facendo più piano che poteva. Fu quando camminò che si rese conto di essere un po’ indolenzita, e provò un po’ di fastidio. Con una smorfia, si chiuse dentro e si diresse al lavandino. Lì si guardò timidamente allo specchio, e il suo riflesso la imbambolò.
Aveva i capelli così spettinati che pensò che non sarebbe mai riuscita a districarli; la camicia di Shinichi le stava larga, e le copriva la prima parte della coscia; il suo profumo le fece chiudere per un attimo gli occhi, cercando di respirarne il più possibile. Nella sua mente apparvero alcune scene di quella notte e, con un sussultò, li riaprì per ritrovarsi il suo viso arrossato allo specchio. Si vedeva così tremendamente confusa, ma anche così diversa.
Si sentiva cambiata e una bolla di felicità le esplose nella pancia, facendola sorridere improvvisamente. Si portò una mano alla bocca, mentre emetteva una risata appena pronunciata.
Con mani tremanti, aprì l’acqua e si diede una sciacquata al viso. Cercò di aggiustarsi anche i capelli, e, quando si sentì un po’ più in ordine, riaprì il più piano possibile la porta. Quando tornò in camera, notò che Shinichi era ancora a pancia in su con poco lenzuolo addosso, completamente addormentato. Piano si sdraiò al suo fianco e, delicatamente, lo coprì con le coperte almeno fino al petto. Vederlo così, la rendeva nervosa.
Stai tremando.
La sua voce le rimbombò in testa.
Ho un po’ freddo.
Era vero, in parte. Ormai il vestito era sparito da qualche parte per terra, e aveva iniziato a tremare sia per l’improvviso contatto con il lenzuolo gelato, sia per la condizione in cui si trovava.
Lui l’aveva allora appena alzata per la vita, facendo scivolare le coperte sopra di loro.
In quel momento, mentre gli scrutava il viso serenamente addormentato, sentì di amarlo, se era possibile, ancora più di prima. E non per ciò che era successo. Certo, quello era stato sicuramente importante, ma ciò che l’aveva realmente colpita, era stato come lui fosse stato attento e premuroso con lei. Ogni gesto e ogni istante vissuto quella notte, era stato rivolto a lei, a lei soltanto.
Al pensiero sentì il cuore esploderle nel petto, e di istinto allungò una mano ad accarezzargli il viso. Lui si mosse appena, ma al suo tocco emerse un sorriso leggero sul suo viso.
Non sembrava nemmeno lui; no, non lo era più davvero.
No, quella notte con lei era stato davvero perfetto.
In quel momento a distoglierla dal suo sogno ad occhi aperti fu quello stesso ragazzo di cui stava fantasticando, che si stropicciò gli occhi e mosse le labbra per sbadigliare, segno che si stava svegliando.
In quel momento la realtà la colse in contropiede, e cercò di focalizzare la scena: lei con addosso la sua camicia, e lui nudo al suo fianco.
Il pensiero di doverlo affrontare dopo ciò che era successo, la paralizzò a tal punto che fissò terrorizzata il ragazzo che si sistemava meglio al suo fianco ancora in dormiveglia.
Cercò di ragionare velocemente, ma lui fu più rapido di lei. Vide le sue palpebre sbattere lentamente, infastidito dal sole come lo era stata lei poco prima. Ci volle realmente poco perché lui si rendesse conto della situazione e la fissasse sgranando gli occhi.
Shinichi deglutì, mentre posava lo sguardo sulla ragazza che aveva di fronte. Ran aveva i capelli spettinati, le gote rosse, e la sua camicia addosso che lasciava intravedere davvero molto di ciò che aveva avuto sotto mano ore prima. Parve avvampare, quando si ritrovò a fissarla.
« C-ciao », mormorò lei abbassando lo sguardo.
Lui abbozzò un sorriso incerto, mentre si rendeva conto di come avessero dormito insieme per tutto quel tempo, completamente nudi entrambi.
Tu lo sei ancora, imbecille.
Provò un senso di disagio, e si strinse il lenzuolo addosso senza farsene accorgere. Un conto era stata la sera prima, al buio, sotto quelle coperte. Ma ora il sole entrava prepotentemente dentro la stanza attraverso la grande vetrata, lasciando nascondere davvero molto poco ai loro occhi.
« Ciao », mormorò Shinichi, cercando di darsi un contegno.
« Ti ho svegliato? », chiese lei timidamente.
« N-no », mentì lui.
Scese un silenzio incerto, lei ancora seduta al suo fianco con quella camicia davvero troppo corta addosso, e lui a poca distanza ancora immerso nelle coperte.
Dopo quello che parve a entrambi un’eternità, si guardarono contemporaneamente negli occhi e, intuendo i pensieri dell’altro, si fecero scappare un sorriso sulle labbra. Alla vista della reazione dell’altro, infine, scoppiarono a ridere piano.
Risero insieme per un po’, alleggerendo l’atmosfera, e infine Shinichi prese parola.
« Come stai? », le chiese, sporgendosi e accarezzandole lievemente un braccio.
« Benissimo », replicò con estrema sincerità. La sua risposta fu così immediata e sognante, che Shinichi si sentì un moto di orgoglio invaderlo. Cercò di non darlo a vedere, ma per la prima volta da mesi si sentì così leggero e libero da tutte le paranoie che per davvero molto tempo l’avevano attanagliato.
« Credo di dover andare, ora ».
D’istinto, il sorriso sul viso di Shinichi scemò, e Ran lo notò subito. Un moto di delusione gli attraversò lo sguardo, e lo trovò davvero dolce.
« Dove? », chiese spaesato. Era così buffo, che il suo cuore rise.
« Beh », disse imbarazzata. « Forse, in camera mia ».
« Sai, farmi una doccia, cambiarmi… », concluse in imbarazzo.
« Ah ».
Era realmente deluso, notò lei. Rimasero in silenzio per un po’, nel quale vide Shinichi un po’ pensieroso. Si morse un labbro, guardando e riguardando la sveglia sul comodino al loro fianco.
« M-magari potrei rimanere ancora mezz’oretta », balbettò avvampando.
« Sì, potresti », rispose di istinto lui, come se non aspettasse altro. Lei sorrise timidamente e senza guardarlo, si rimise sotto le coperte al suo fianco. Fece bene attenzione a non sfiorarlo per sbaglio, quello sarebbe stato davvero imbarazzante, considerando che era consapevole che fosse ancora nudo. Così si sdraiò al suo fianco, e lui mise la testa sulla sua spalla, giocherellando con un suo ciuffo di capelli che gli capitò sotto le dita.
« Ti prego », mormorò Ran, dopo un po’. « Cerchiamo di non dirlo o farlo capire a nessuno, oggi ».
« Disse quella che dopo Londra lo urlò alla sua amica Sonoko ».

Dopo essersi guadagnato un pugnetto sulla spalla, ed essere rimasti accoccolati l’uno all’altro ancora per quella mezz’ora, Shinichi si riaddormentò subito dopo, permettendo a Ran di sgattaiolare via senza imbarazzo, lasciandogli la camicia sulla sponda del letto e rientrando in quel vestito che in quel momento ringraziò mentalmente.
Quando, una doccia e un cambio di abiti dopo, Ran entrò nell’ampio salone per fare colazione, le tremavano le gambe.
Aveva pensato che farsi un lungo bagno l’avrebbe aiutasse a rilassarsi, ma il calore e il vapore avevano solo peggiorata la situazione. Certe scene erano apparse davanti ai suoi occhi senza accorgersene, e ciò l’aveva resa solo più nervosa. Si girò velocemente intorno, guardando se intravedeva dei volti familiari. Ma in piedi a servirsi di cibo al buffet non c’era nessuno che conoscesse, così decise di prendersi qualcosa da mangiare. Pensandoci, aveva una fame da lupi.
Adocchiò delle salsicce e del pane tostato, e decise di servirsi anche di uova strapazzate. Quando il suo piatto fu straordinariamente colmo, avanzò insicura verso l’area tavoli.
E lì, li vide.
Erano seduti ad un tavolo vicino ad una grande vetrata, già tutti e cinque composti con il loro piatto davanti. I tre che riusciva a intravedere erano Sonoko e Makoto, mentre i tre di schiena erano in ordine Kazuha, Heiji e…
Guardò la schiena di Shinichi, mentre quest’ultimo si voltava a chiacchierare con un ampio sorriso in direzione di Heiji.
Prendendo coraggio, avanzò lentamente ma quando fu abbastanza vicina da sentire le loro voci, notò come stessero discutendo animatamente di qualcosa, ridendo talvolta. Arrossì di colpo, mentre Sonoko iniziava a ridere fragorosamente.
Perché sono tutti così agitati?
Era lì che si mordeva ferocemente un labbro, quando Sonoko smise di ridere e si rendeva finalmente conto della sua amica raggelata in piedi dietro al loro tavolo.
« Ecco la dormigliona! », esclamò raggiante, indicandola. Lei sorrise appena, avanzando velocemente vicino a lei. Posò il piatto, cercando in tutti i modi di evitare il viso di Shinichi, esattamente davanti a lei.
« Era ora, stavamo aspettando solo te! », la voce di Sonoko le parve maliziosa, mentre con sguardo puntato al piatto iniziava a giocherellare con un pezzo di salsiccia.
Cosa vorrebbe dire?
« Ah sì? », sbiascicò abbozzando un sorriso nervoso, guardando finalmente in faccia Sonoko al suo fianco. Vide di traverso Shinichi, ma non volle dargli attenzione.
Pensare che l’ultima volta che lo aveva visto, era completamente nudo al suo fianco, la fece avvampare.
« Sì », proseguì Sonoko con una scintilla nello sguardo. « Stamattina abbiamo saputo una cosetta », gongolò infine.
La forchetta in mano a Ran cadde sonoramente a terra, mentre questa le sfuggiva dalla mano tremante. Sobbalzò sul posto, e, goffamente, si chinò per riprenderla.
Non ci posso credere!
Dal nervoso sentì le lacrime pungerle gli occhi, e, con rabbia, alzò finalmente lo sguardo su Shinichi. Vide che lui la stava guardando con una espressione indecifrabile, e per un attimo si dimenticò della vergogna e lo fulminò con gli occhi. Lui sbattè le palpebre e corrugò la fronte.
« Sì, finalmente stanotte è stata la notte! », rise ancora Sonoko, dondolando sulla sedia.
Al suono di quelle parole, a Shinichi andò di traverso l’acqua che stava bevendo, e iniziò a tossire ferocemente.  Ran sbiancò e i suoi occhi divennero perfettamente rotondi, mentre il suo ragazzo, ripresosi leggermente dalla tosse,iniziava a scuotere leggermente la testa nella sua direzione.
« Ran, stai bene? ».
Ran si voltò lentamente verso Sonoko, che la stava guardando un po’ confusa.
« Mi sembri rossa in viso », disse l’altra, toccandole la fronte. « Hai la febbre? ».
Stava per ribattere qualcosa, ma non ci riuscì. La vergogna la stava assalendo, e l’espressione da ebete che aveva in quel momento il suo ragazzo la stava facendo arrabbiare, se era possibile, ancora di più. In quel momento, però, la sua attenzione cadde su Kazuha ed Heiji, e si fermò. Si bloccò a guardarli, e li notò stranamente silenziosi e… rossi?
« Beh, stavo dicendo », ricominciò Sonoko allegra. « Qualcuno si è finalmente dichiarato! ».
Ran aprì la bocca, capendo.
Non stanno parlando di noi.
E, mentre vedeva Heiji e Kazuha diventare paonazzi e farfugliare qualcosa che non sentì nemmeno, tirò un sospiro di sollievo così energico che tutti la guardarono sorpresi.
« Ah, quello! », le sfuggì di bocca, portandosi una mano al petto. Il cuore stava appena riprendendo il battito normale.
In quel momento sentì un calcio in una gamba, e quando sussultò capì che era stato Shinichi a lanciarglielo.
« Cioè? », indagò Sonoko sospettosa.
In quel momento si rese conto di essere stata strana per tutto il tempo, e che se avesse continuato così probabilmente Sonoko avrebbe capito che c’era qualcosa che non andava. Invece, poter continuare la discussione su Heiji e Kazuha all’improvviso le sembrò un perfetto diversivo.
« Volevo dire, finalmente! E’ stupendo! », si voltò verso la sua amica di Osaka, mentre la guardava con sguardo brillante.
« Sì, stupendo, ma possiamo cambiare discorso ora? », borbottò Heiji a disagio, mentre addentava il suo panino.
« Veramente noi vorremo i dettagli », li punzecchiò Sonoko.
« Ogni. Singolo. Dettaglio. Di. Questa. Notte », calcò su ogni singola parola. In quel momento, gli occhi di Ran e Shinichi si scontrarono con prepotenza.
Ti ho fatto male?
Ran deglutì, mentre masticava lentamente le sue uova strapazzate, rivolgendo il suo sguardo altrove.
La voce rauca di Shinichi che le faceva quella domanda era vivida nella sua mente, e si ricordò anche dell’effettivo dolore che provò in quel momento. Aveva cercato di non darlo troppo a vedere, anche perché lui aveva fatto di tutto per essere delicato. Ma senza essere realmente pronta a provare quel dolore, si era trovata a sopportarlo in silenzio. Lui se ne era accorto immediatamente, e si era fermato subito. In quel momento, ebbe la sensazione che lui volesse togliersi, così gli aveva afferrato un braccio con cui si stava sostenendo, e lo aveva finalmente guardato.
Solo… un attimo.
Lui era rimasto in silenzio, e l’aveva accontentata. Aveva ragione Ran: per un attimo fugace aveva pensato di allontanarsi da lei. Ma quello sguardo supplicante lo aveva bloccato, così aveva deciso di fidarsi di lei. E, mentre le dava il tempo di cui aveva bisogno, si chinò e cominciò a lasciarle piccoli baci sul viso. Sorpresa ma felice di quel moto di affetto, lei si era piano piano rilassata e lentamente la fitta che aveva provato era passata.  
Dimmi tu quando.
Il cuore ricominciò a pomparle energicamente nel petto, e si sentì accaldare. In quel momento, a riportarla alla realtà fu Heiji che si alzò di scatto dalla sedia, parecchio nervoso. Non capì il motivo, anche perché si era praticamente persa tutto il discorso. Sentì solo in lontananza Makoto dire a Sonoko che aveva esagerato, e vide Kazuha alzarsi per seguire Heiji che si allontanava borbottando.
Con la testa annebbiata, scosse la testa e cercò di mangiare qualcosa.
« Come sono permalosi », brontolò Sonoko, sbuffando. « Dai, è una rituale ormai. Per quanto abbiamo preso in giro voi due, dopo Londra? ».
« Non hai mai smesso, in realtà », Shinichi prese parola per la prima volta da quando era arrivata, e il suo sarcasmo la fece sorridere istintivamente.
« Ah già », rise ancora Sonoko, pensierosa. « Non capita tutti i giorni di vedere un detective idiota rincorrere una ragazza per Londra, sai »
Lui le fece una smorfia di ricambio, seguita da una linguaccia di Sonoko. Quella scenetta rilassò un attimo Ran: dopotutto, sembrava una mattina come un’altra. In quel momento fece un grande sbadiglio, portandosi una mano alla bocca.
« Ma come », esclamò Sonoko. « Sei arrivata tardi e hai ancora sonno? ».
« Ma no, non è così », rise nervosa Ran, accoltellando senza pietà le uova nel suo piatto.
« Era scomodo il letto? ».
Ebbe per un momento voglia di emulare Heiji e iniziare a correre via, ma si rese ben presto conto che sarebbe stato come sventolare al mondo la verità. E l’ultima cosa che voleva quel giorno era essere ulteriormente causa di battutine e prese in giro, specialmente perché non riusciva nemmeno a guardare Shinichi in mezzo a tutti senza provare profondo imbarazzo, figurarsi sopportare una Sonoko esaltata a quella nuova, eccitante novità. Un conto essere presa in giro per la sua dichiarazione o per un bacetto sulla guancia, un’altra era quello.
C-così va bene?
Quando Shinichi glielo aveva chiesto a bruciapelo nell’orecchio sinistro, gli parve di non aver mai sentito la sua voce così rauca e tremolante. Non era mai stato tipo da balbettare, anzi, la sua parlantina era assai nota. Quindi ascoltare come la sua voce fosse fievole grazie a lei, l’aveva mandata piacevolmente in tilt. Non che ce ne fosse stato bisogno in quel momento, comunque. Il dolore ormai era sparito del tutto, e la consapevolezza di ciò che stava succedendo l’aveva travolta così prepotentemente che non riuscì a respirare correttamente. .
Rimase shockata quando le tornò alla mente la risposta che gli aveva dato. Non ebbe nemmeno il coraggio di ripetersela nella sua testa, proprio perché le era uscita di bocca senza accorgersene, nella più totale sincerità. Shinichi al sentire le sue parole, all’istante le era sembrato stupito, ma dopo poco l’aveva accontentata. In quel momento aveva completamente staccato il cervello, e si era totalmente affidata a lui. All’inizio le parve che si stesse trattenendo dall’emettere alcun suono, come se si vergognasse. Come sfogo aveva iniziato a stringere convulsamente il lenzuolo intorno al suo viso, ma dopo un po’ non riuscì più a controllarsi e iniziò a sospirare pesantemente al suo orecchio. Quella condizione, ricordò, la rese così felice che lo abbracciò talmente tanto da conficcargli le unghie nelle spalle.
« Allora, oggi che facciamo? ».
Un altro calcio le fece tornare in sé, e sobbalzò quando sentì Shinichi parlare nervosamente con Sonoko, per distrarla dalla sua amica totalmente nel pallone. Scosse la testa, e bevve un lungo sorso di acqua.
Accidenti, riprenditi.
« Dobbiamo visitare i giardini di Kanazawa e… sei sicura di star bene? », insistette Sonoko, posando bruscamente le posate.
Improvvisamente capì che per salvarsi avrebbe dovuto mentirle, perché sapeva bene di aver stampato in faccia ciò che era successo quella notte.
« E’ che ho un tremendo mal di testa », si inventò sorridendo rassicurante. « Dopo aver preso qualcosa starò meglio ».
La scusa parve calmare i dubbi di Sonoko, almeno all’apparenza. Con un’alzata di spalle tornò a chiacchierare con Makoto al suo fianco, e Ran si lasciò andare ad un sospiro leggero. Shinichi la guardò di sottecchi, giocherellando con una mollica di pane. Si soffermò a guardarla un po’ meglio mentre lei pareva non accorgersene.
Quando quella mattina era suonata infine la sveglia, e si era accorto che lei non era più al suo fianco, capì che doveva essersi addormentato. Poi si era ricordato di cosa gli aveva detto, che sarebbe andata in camera a prepararsi per evitare di essere colti in flagrante da tutti gli altri. E si rese conto che, forse, facendo così avevano evitato un momento che si sarebbe rivelato tutt’altro che semplice. Un conto era stata quella notte, presi dal momento, la testa annebbiata e la semi oscurità a nascondere la situazione in cui si erano ritrovati. Ma con la luce del giorno, e la lucidità della mattina dopo, come avrebbe mai potuto lasciare quel letto con lei davanti?
Mordendosi un labbro ripensò alla nottata appena trascorsa, e una sensazione di esaltazione lo travolse, creando senza volere un sorriso sbieco sulla sua faccia.
Lanciò nuovamente un’occhiata a Ran, e si accorse che, mentre Sonoko e Makoto continuavano a chiacchierare di cose a lui ignote, lei lo stava guardando. Notare il suo sguardo su di lui lo rese stranamente euforico, mentre un brivido gli percorreva la schiena.
«Andiamo? ».
Shinichi si riscosse dai suoi pensieri, guardando confuso Sonoko. Questa si stava alzando, e così facendo anche Makoto e Ran. Annuì anche lui, cercando di scacciare quelle immagini dalla sua testa.
Sarebbe stata una giornata molto lunga.


Quando furono tutti pronti, iniziarono a camminare verso i Giardini Giapponesi di Kanazawa, fra i tre più belli dell’intero paese. Con grande sollievo di Ran e Shinichi, quel giorno l’argomento principale fu per tutto il tempo la dichiarazione di Heiji.
« Ma quando è successo? Quando siamo andati a dormire mi sembravate normali », iniziò Sonoko, saltellando fra loro due, la curiosità che le si leggeva chiaramente in faccia.
« Infatti », replicò Kazuha con bocca asciutta, lanciando occhiate continue ad Heiji come a voler avere la sua approvazione per raccontare ciò che era accaduto. Ma lui camminava velocemente con le mani nelle tasche e il viso in parte coperto dal suo inseparabile cappellino.
« E’ successo dopo », spiegò.
A quelle parole, Ran corrugò la fronte, improvvisamente nervosa.
« Cioè? », indagò ulteriormente Sonoko.
« E’ tornato a bussare alla mia porta », ammise arrossendo Kazuha, Heiji ormai completamente paonazzo.
« Ma guarda tu che sfrontato », rise Sonoko, guardando maliziosa il ragazzo di Osaka.
« Sonoko, dai », esclamò Makoto, prendendola per un braccio. A volte la sua insistenza lo mettevano a disagio esattamente come lei riusciva a far sentire le povere vittime delle sue continue domande.
Ran deglutì, le mani sudate.
Quindi Heiji era uscito dalla camera per andare da Kazuha. Con un brivido, immaginò se lo avesse incontrato per sbaglio. Dopotutto doveva essere successo quasi contemporaneamente a quando lei si era presentata da Shinichi.
Lanciò un’occhiata nervosa al suo ragazzo, che camminava tranquillamente al fianco di Heiji.
« Hai intenzione di continuare così tutto il giorno? », esclamò Heiji infine, mentre Sonoko continuava seppur sotto lo sguardo eloquente di Makoto.
« Dai », borbottò Makoto al suo fianco.
Sentendosi per la prima volta sgridata da ogni fronte, e con Kazuha che oramai era bordeaux, la ragazza si calmò, sbuffando.
« E va bene, aspetterò di essere sole con Kazuha per chiedere i dettagli », fece l’occhiolino all’amica, che pregò vivamente che Heiji si calmasse.
Era stato davvero carino con lei, e quando aveva sentito bussare alla porta quella notte le era quasi mancato il fiato.
Avevano appena discusso per l’ennesima stupidaggine, finchè non si erano imbattuti in Ran e Shinichi sulla terrazza. Lì fra loro era calato il silenzio, e quando si era chiusa la porta alle spalle aveva pensato che non ne potesse davvero più. Ogni occasione andava sempre sprecata per una parola sbagliata, un malinteso, e la discussione con quella testa calda di Heiji era sempre dietro l’angolo.
Stava per venirle da piangere, finchè poco dopo non sentì qualcuno bussare incessantemente alla sua porta. Aveva aperto titubante, e riuscì appena a vedere il viso del suo migliore amico prima che quest’ultimo la prendesse per una mano e iniziasse a correre in una direzione a lei sconosciuta. Aveva protestato, cercato di scansarlo, ma lui tenne ben stretta la presa su di lei. Quando, con il fiatone per la corsa, si era resa conto di essere sul tetto dell’Hotel, si era resa realmente conto di cosa avesse davanti.
Lo skyline della città si tagliava maestoso davanti a loro, mentre un leggero venticello le scompigliava il vestito che stava ancora indossando. Già, quel vestito rosso che aveva tanto sperato potesse colpire Heiji.
Non ci girerò più intorno, perché ho perso il conto delle volte in cui ho provato  dirtelo.
Kazuha sentì il suo cuore battere più velocemente, mentre veniva presa a braccetto da una Ran sorridente e allusiva. Rispose allegra con la gioia negli occhi, e sottovoce le disse che le avrebbe spiegato tutto più tardi.
Mi piaci.
La voce di Heiji ancora a rimbombarle in testa.
Trascorsero il resto della mattina e del primo pomeriggio gironzolando per l’immenso giardino in stile giapponese, e l’atmosfera si rilassò un po’. Sotto l’insistenza di Makoto, Sonoko evitò di lanciare altre battutine, ma ciò non evitò che l’espressione di Heiji rimanesse permanentemente rossa per tutta la giornata. Da parte sua, Kazuha capì bene l’imbarazzo generale visto che si stava facendo largo anche in lei, quindi non obiettò quando notò che lui la evitò per il resto della giornata.
Avrebbero avuto modo di parlarne meglio altrove e da soli, dopotutto.
Da parte sua, Shinichi sorrise un’ultima volta a Heiji, sinceramente felice per lui. Capiva bene come dovesse sentirsi, perché c’era passato anche lui. E perfino in quel momento, sentiva la stessa vergogna alla base dello stomaco. Pensieroso, in quel momento notò con la coda dell’occhio che Ran si era staccata da Sonoko e Kazuha, e si stava avvicinando ad un ponticello a poca distanza. La vide fermarsi esattamente a metà, e con braccia incrociate, posare il viso su di essere per guardare i pesci nell’acqua sotto di lei.
Senza farsi troppo notare, lentamente si avvicinò a lei. Quel giorno avevano cercato in tutti i modi di evitare di rimanere soli, o di scambiarsi parola. Temevano entrambi che, con un gesto o una parola di troppo, avrebbero fatto trasparire qualcosa. Ma ora, aveva l’irrefrenabile voglia di stare vicino a lei.
Quando le si sistemò a fianco a si mise a guardare i pesci anche lui, Ran sobbalzò stupita. Quando vide Shinichi sporgersi e dare la sua attenzione a un enorme pesce rosso, lei arrossì.
Lui parve accorgersi di quello sguardo, e si voltò per incontrare i suoi occhi.
A quel punto, Ran si avvicinò a lui e appoggiò il viso alla sua spalla. Un po’ impacciato, lui appoggiò la sua guancia contro i suoi capelli, respirando il suo profumo.
Rimasero così per un po’, mentre un leggero venticello gli scompigliava i capelli.
« Secondo te l’hanno capito? », domandò dopo un po’ lei nervosa.
« No, Heiji non poteva trovare serata migliore per dichiararsi », a Shinichi venne da ridere.
Quando sentì la sua voce divertita, Ran si lasciò sfuggire una lieve risata.
Scese di nuovo il silenzio fra loro, mentre Shinichi pensava velocemente. Avrebbe voluto dirle tante cose, chiedergliene altrettante, ma tutte le domande erano così scomode che gli morivano in gola. Avrebbe tanto voluto appurare che stesse bene, domandarle se era stata felice almeno quanto lo era stato lui. Ma come poteva porle una domanda del genere? Frustrato, si torturò il labbro.
« Grazie ».
Di tutte le cose che pensava di dirle o di sentirsi dire, quella era l’ultima a cui aveva pensato. Shinichi sgranò gli occhi, mentre lei si staccava leggermente e lo guardava con un sorriso dolce in viso.
Lo stava seriamente ringraziando?
Lei parve capire il motivo del suo sgomento, perché si affrettò a spiegarsi.
« Sei stato… dolce, con me », lei avvampò. Sperò che lui capisse a cosa si riferisse, perché più di così non riuscì a pronunciarsi. Ma lui intuì, e arrossì. Non riuscendo a formulare una frase di senso compiuto, lui annuì e basta, abbassando il viso.
Cominciava a sentir crescere in lui un calore prepotente, e il senso di vergogna attanagliarlo.
Per sua fortuna, in quel momento, Sonoko li chiamò.
« Mangiamo qualcosa? Muoio di fame ».
Fu il perfetto diversivo per potersi togliere da quella situazione divenuta improvvisamente imbarazzante. Con un ultimo sorriso fugace, si diressero verso il resto del gruppo.

Il tempo parve volare, e prima che potessero accorgersene arrivò il momento di riprendere il treno e tornare a casa. Sotto lo sguardo deluso di Sonoko, Kazuha la guardò sinceramente dispiaciuta.
« Prometto che stasera vi telefono », sussurrò, cercando di non farsi sentire da Heiji lì accanto.
« E vi racconto tutto », concluse allegra.
« Sarà meglio, mi sono trattenuta oggi ma è stato davvero difficile », ammise Sonoko con tono drammatico.
Ran sorrise, per poi sporgersi e abbracciare Kazuha.
« Sono felicissima per te », le mormorò in un orecchio, stringendola forte.
Era vero. Si era rivista per così tanto tempo nelle sue parole, pianti e problemi, che saperla finalmente serena le scaldò il cuore.
Stava ancora pensando a Heiji e Kazuha, quando si sedette con un sorriso radioso accanto a Shinichi, il quale la guardava un po’ nervoso. Erano nuovamente seduti vicini, con Sonoko e Makoto appena dietro di loro. Ma lei pareva persa in chissà quali pensieri, perché le pareva realmente rilassata al suo fianco.
Iniziò così a pensare a come avrebbero affrontato quel cambiamento, fra loro due. Prese a immaginarsi i giorni successivi, chiedendosi se qualcosa sarebbe ulteriormente cambiato fra loro. Sperò con tutte le sue forze che la vergogna o l’imbarazzo non creassero situazioni emotivamente ingestibili. Paradossalmente, aveva paura che questo potesse un po’ allontanarli, magari rendendoli nervosi o imbarazzati. Si ricordava ancora cosa era accaduto dopo la sua dichiarazione, e dopo quel suo bacio in gita. Avevano evitato a tutti i costi di chiamarsi al telefono, limitandosi a dei messaggi. Quindi, l’indomani, come avrebbero gestito ciò che era accaduto? Un conto era stare in mezzo a tutti, un’altra era rimanere da soli.
Deglutì.
Potrebbe anche riaccadere.
Si morse un labbro, iniziando a fissare fuori dal finestrino con un leggero calore sulle guance.
Certo, che sarebbe riaccaduto. Anzi, probabilmente sarebbe successo sempre più spesso. E, ragionandoci, si accorse che in fondo al suo cuore lo desiderava prepotentemente.
 Perplesso e un po’ accaldato, la guardò di sottecchi, mentre cercava con foga qualcosa in borsa. Quando alla fine trovò le cuffie, le agganciò al suo telefono e se ne mise una. Con noncuranza, Shinichi la vide mentre glie porgeva la seconda, esattamente come la mattina del giorno prima, esattamente come aveva sempre fatto da quando ne avesse memoria.
Incerto, lo prese, e se lo mise nell’orecchio. E mentre la musica invadeva quei suoi pensieri, capì che in fondo tutto pareva essere come sempre, dopotutto.
Erano sempre loro due

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Capitolo 11
*** Incubi ***


WITHOUT WORDS.
incubi.
 

Shinichi.
Shinichi aprì gli occhi, perdendosi in quelli blu a poca distanza dal suo viso. Sorrise, mentre Ran ricambiava il suo sguardo con dolcezza. Sentiva le sue mani sulla sua schiena, mentre lo accarezzavano con movimenti circolari. Quel contatto gli creava un piacevole calore in tutto il corpo, e chiuse gli occhi per goderselo appieno.
Sospirò.
Desiderava ardentemente che quell’istante non finisse mai, così prese tempo e gettò il viso nell’incavo del suo collo. Avvertì quel suo familiare profumo di vaniglia farsi largo prepotentemente nelle sue narici, e ne respirò fino ad esserne assuefatto. Lasciò che i suoi capelli gli solleticassero il naso, e sorrise leggermente quando gli fecero il solletico sulla mascella.
Pensò davvero di poter rimanere così in eterno, contro quel corpo che si delineava perfettamente con il suo, finché qualcosa non iniziò a infastidirlo.
Non seppe dirsi subito cosa, ma piano piano quel dolce profumo di vaniglia sfumò, per essere sostituito da qualcosa di più forte e decisamente meno piacevole.
Un nauseante aroma di sangue lo lasciò raggelato, e di scatto di allontanò da Ran. Fece leva sulle sue braccia, per rivolgere la sua attenzione alla ragazza sdraiata sotto di lui.
Fu lì che si accorse da dove provenisse quell’odore: la sua pancia era ormai un’unica chiazza vermiglia, che si stava spargendo velocemente ovunque, perfino su di lui.
Il panico lo immobilizzò, finché si rese conto di non essere più sopra un letto, ma bensì contro un gelido cemento scuro. Cercò di focalizzare la scena per capire cosa stesse accadendo, ma quando riportò la sua attenzione su Ran, vide il suo corpo contrarsi e alcuni gemiti uscirle di bocca. Pensò di non aver mai sentito nulla di più spaventoso in vita sua, perciò d’istinto le prese la testa e provò a tirarla su. Quest’ultima iniziò a tossire sangue, mentre cercava di portarsi le mani alla pancia.
Il suo cervello ormai non ragionava più e, tremante, capì le sue intenzioni. Con una mano, le alzò le maglietta che indossava, quella stessa maglia che poco prima le aveva dato lui per coprirsi, e spinse con tutte le sue forza la mano contro quel maledetto foro, da cui zampillava incessantemente sangue.
Doveva fermare quell’emorragia, altrimenti sarebbe morta dissanguata. Sentiva il cuore nel petto battere così forte che pensò stesse per esplodere, mentre gli occhi iniziavano ad essere appannati. Benché premesse forte, il sangue continuava a fuoriuscire, rendendo la sua mano troppo scivolosa.
Provò a parlare, per cercare aiuto, ma gli morirono le parole in bocca. Emise solo alcuni lamenti, prima di sentire un’orrenda risata dietro di lui. Lentamente si voltò, una mano a tenere la testa di Ran e l’altra ancora sulla sua pancia. Gin lo sovrastò con un ghigno che gli raggelò l’anima, e lo lasciò rintontito.
« Sai », iniziò divertito, girando intorno a loro due, riversi a terra.
« Avevo conservato questo proiettile per te. Ma vederti coperto del sangue della tua ragazza, è decisamente più divertente ».
Provò a non ascoltarlo, scuotendo la testa energicamente. Intanto, fra le sue braccia, Ran cominciò a contrarsi colta da spasmi di dolore, continuando a sputare sangue…

«NO! ».
Shinichi balzò a sedere sul letto, urlando.
Quando si accorse di essere nella sua camera da letto, emise un gemito. Si portò una mano alla fronte, e la trovò bagnata di sudore. Con un calcio, fece in là le coperte e, sbandando, si diresse verso il bagno. Sentiva il suo cuore battere incessantemente nel suo petto, e per poco non gli sembrò la stessa sensazione di quando si trasformava. Ma non iniziò a sentire quello stesso dolore, né avvertì le ossa sciogliersi. Semplicemente, era nel più totale panico.
Si appoggiò frustrato sul lavandino davanti a lui ma, quando chiuse gli occhi per sciacquarsi il viso, l’immagine di Ran coperta di sangue tornò bruscamente a volteggiare nella sua testa. Gli parve quasi di avere nelle narici di nuovo quell’odore così, prima che potesse rendersene conto, si accasciò sul water lì accanto e iniziò a vomitare. Gli spasmi del suo stomaco terminarono dopo poco così, con le ultime forze rimaste, alzò una mano e tirò la corda. Con un ulteriore lamento, si afflosciò seduto lì a fianco, appoggiando la testa alle ginocchia. Avvertì un brivido lungo la schiena quando la appoggiò alle piastrelle fredde, e si accorse solo in quel momento di star tremando.
Spesso si era fermato a pensare a cosa sarebbe successo se non fosse arrivato in tempo per pararsi di fronte a Ran. Nell’esatto momento in cui l’aveva afferrata per le spalle, aveva realmente pensato di non aver corso abbastanza. Ma quando aveva avvertito un dolore lancinante alla schiena, e aveva visto Ran integra sotto il suo peso, si era sentito sollevato come mai prima.
Eppure… il pensiero che lui potesse realmente arrivare troppo tardi, l’aveva spesso tormentato, perfino nei suoi continui, agitati sonni.
Si stropicciò gli occhi, e a tentoni si mise in piedi. Accese la luce e iniziò a lavarsi i denti con foga, evitando accuratamente di chiudere nuovamente gli occhi. Lentamente tornò indietro e si ributtò nel letto, cercando di prendere fiato. L’agitazione non l’aveva ancora abbandonato, mentre affondava col viso nel cuscino. Si sentì irrimediabilmente solo, di nuovo in quella casa così grande e silenziosa.
E pensare che ieri sera…
Arrossì di colpo, mentre sgranava gli occhi contro il cuscino. Si mise a pancia in su, ed emise un lungo sospiro. Mai come in quel momento, avrebbe voluto Ran al suo fianco. Pensandoci, quelle due volte in cui aveva dormito con lei, nessun incubo l’aveva mai colto. Accanto a lei, ogni paura svaniva. Deglutendo, cercò di calmarsi nuovamente, e sperò con tutto il suo cuore di non rivedere quelle orrende immagini davanti agli occhi. Rimase sdraiato in silenzio per un bel po’, senza realmente dormire.

Quando, infine, quella mattina il suo telefono cominciò a suonare, e vide sullo schermo il nome dell’ispettore Megure, sbuffò sonoramente. Avrebbe volentieri fatto finta di niente, per il semplice motivo che quella notte aveva dormito si e no tre ore. Ogni qualvolta chiudesse gli occhi, gli tornava in mente Ran e ciò che era accaduto due sere prima, oppure si ritrovava a sognare nuovamente Gin e quella maledetta pistola. Quando, infine, si era appisolato,erano le quattro di notte.
Per questo motivo fece finta di niente alla prima chiamata, ma quando questa smise e ne partì un’altra non potè più fare finta di niente. Si mise a sedere irritato, notando che fossero le sette, e rispose al telefono.
« Kudo-kun, ti ho svegliato? ».
« Ispettore Megure », cercò di nascondere uno sbadiglio. « No, mi dica pure ».
« Riusciresti a venire a Shibuya? C’è stato un doppio omicidio in un appartamento stanotte ».
Shinichi quasì si stupì quando, invece di provare il solito entusiasmo, avvertì una strana sensazione di seccatura
Un caso.
E lui era infastidito?
«Certo, mi dia il tempo di prepararmi e sarò da lei ».
Dopo essersi salutati, posò il telefono sul comodino e si alzò con un sospiro profondo. Si trascinò in bagno, e si buttò senza pensarci troppo sotto la doccia.
Ma che ti prende?
A quella domanda mentale, trovò la risposta da solo, ma non volle ripeterla troppo nella testa. La verità era che sapeva bene perché non avesse tutta questa voglia di saltare la scuola per presentarsi in un caso, e il motivo era principalmente uno: Ran.
Quello sarebbe stato il primo giorno in cui l’avrebbe affrontata dopo ciò che era accaduto quel sabato, e aveva rimuginato per ore su cosa avrebbe dovuto dirle, o su come comportarsi. Aveva realmente desiderato vederla solo per appurare che le cose fossero come al solito, e che avrebbero potuto continuare a comportarsi come sempre. Perciò, quando questa sua idea sfumò, si sentì irrimediabilmente frustrato. Con uno sbuffo, diresse il getto d’acqua direttamente sul suo viso, cercando di scacciare via quella sensazione di fastidio.
Stai esagerando.
Si ripetè più di una volta, anche quando tornò in camera per cambiarsi. Avevano affrontato così tanti discorsi spinosi con lei, che ormai sarebbe dovuto essere abituato. Evidentemente non era così, e lei riusciva sempre a farlo sentire fin troppo insicuro. Nervoso, aprì l’armadio e si infilò i primi vestiti che trovò senza farci troppo caso, per poi iniziare a fissare teso il telefono.
Dovrei dirglielo.
Si, avrebbe dovuto avvisarla. Non sarebbe andato a scuola quel giorno, e probabilmente lei lo stava aspettando per fare colazione insieme.
Al pensiero di presentarsi alla sua porta, avvampò.
Forse dopo ciò che è successo non pensa che mi presenti così a casa sua.
Si morse un labbro.
O forse sì?
Titubante prese il telefono in mano, e le scrisse un messaggio.
Oggi non vengo a scuola, Megure mi ha chiamato per un caso. Ci vediamo domani.
Informale, semplice, senza pretese. Andava dritto al punto.
Forse troppo?
Sbuffò, passandosi una mano fra i capelli ancora umidi. Quanto odiava quei fastidiosi “giorni dopo”.
Era la cosa in assoluto che detestava maggiormente, come quando l’aveva vista in classe il giorno dopo ciò che era successo in agenzia. Si impose di trascinarsi al piano di sotto per prepararsi un caffè, ne aveva decisamente bisogno.
Ormai era la prassi negli ultimi mesi fare spesso degli incubi che, sgradevolmente, lo trascinavano fuori dal letto fino a quando non si parava di fronte alla porta di Ran. Solitamente, infatti, bastava far capolino nella sua cucina e fare colazione con lei, e tutti quei brutti pensieri venivano spazzati via abbastanza in fretta. La vedeva lì, accanto a lui, e scioccamente si sentiva sollevato al pensiero che stesse bene. Perciò sapere che quel giorno non l’avrebbe vista, e l’ultima immagine impressa nella sua testa fosse lei sanguinante fra le sue braccia, non l’aiutarono affatto. Quando provò a prepararsi del pane tostato, gli ritornò prepotentemente la nausea, quindi lasciò perdere.
Ad aggravare, se possibile, ulteriormente la situazione era che se non pensava a lei in quelle condizioni, la pensava in un altro frangente.
Nuda, sotto di lui, mentre si aggrappava spasmodicamente alle sue spalle.
Shinichi…
A quel pensiero e con la sua voce ansimante nella testa, gli andò di traverso il caffè. Cominciò a sputacchiare, mentre cercava di controllare la sua improvvisa tosse. Sentì le guance imporporarsi di colpo.
Bene.
Sarebbe stata una giornata favolosa.

Quando Shinichi arrivò sul luogo del delitto, erano ormai le otto e mezza. Ran gli aveva risposta al messaggio con un timido “ok” e un “fa attenzione” che gli fecero spuntare un sorriso. Ma quando si mise a indagare, cercò di accantonare il pensiero di Ran in un angolino del cervello.
« Le vittime si chiamavano Akihiro Abe e Yosuke Inoe, avevano entrambi ventidue anni, e- ».
Shinichi ascoltò annoiato l’ispettore Megure mentre gli spiegava per filo e per segno la vita dei due poveri malcapitati.
Con un sospiro si infilò i guanti bianchi, e si avvicinò a loro. Sentiva ancora in lontananza la voce di Megure, e provò ad assimilare le sue informazioni.
Mi fido di te.
Di scatto di girò, come scosso da una scarica elettrica. Alcuni uomini della scientifica lo fissarono un po’ attoniti, scambiandosi un’occhiata confusa.
« Tutto bene, Kudo-kun? », domandò uno di questi. Shinichi si riscosse dai suoi pensieri, e lo guardò un po’ sorpreso.
« Sì, sì, scusate », rise nervoso.
Non avrei mai voluto qualcun’altro.
Scacciò via la voce di Ran nella sua testa, ma nell’esatto momento in cui ci provò gli tornò davanti agli occhi il momento in cui lei aveva pronunciato quelle parole.
A quel ricordo, sentì una vampata di calore travolgerlo, e le guance imporporarsi.
Si ricordò che a quelle dichiarazione avrebbe tanto voluto risponderle la stessa cosa, cioè che non avrebbe mai voluto nessun’altra se non lei. Ma quando aveva aperto la bocca per dirglielo, non era stato capace di emettere alcun suono, la mente vuota e il suo corpo che non rispondeva più.
Ancora pensieroso, non si accorse dei suoi due colleghi che lo guardarono ancora un po’ dubbiosi, mentre l’ispettore Megure continuava il suo sproloquio sulle due vittime ai loro piedi.
Shinichi scosse la testa convinto, per cominciare a cercare in giro qualche dettaglio che potesse aiutarlo a capire cosa fosse successo.
Ma più vagabondava per quella stanza, più si accorse di non star realmente riuscendo a concentrarsi. E, in piedi e pensieroso, si rese conto di un fatto che lo lasciò senza parole.
Non era per niente preso da quel caso. Nessun entusiasmo, nessuna curiosità nel risolvere la situazione.
Niente.
Mentre i flash che continuavano ad apparirgli davanti agli occhi… quelli dannazione, sì che smuovevano ogni fibra del suo corpo!
E si rese finalmente conto che l’eccitazione che provava durante un caso difficile gli parve quasi nulla in confronto a ciò che aveva provato con lei quella notte.
Deglutì a disagio, quando si accorse che tutti lo stavano fissando. Fece finta di niente, allontanandosi un po’ dai presenti, facendo finta di cercare qualcosa che non seppe nemmeno lui. Fu lì che ripensò più intensamente a quel sabato notte, a come aveva cercato in ogni modo di metterla a suo agio, senza far trapelare troppo quanto in verità lui non lo fosse per niente.
Gli veniva quasi da ridere, al pensiero di come aveva voluto apparire sicuro di sé, ma in realtà era nel panico più totale. Si ricordava di aver iniziato ad avere dei blackout nell’esatto momento in cui i loro vestiti erano finiti a terra, perché non si ricordava davvero come fosse successo. Tuttavia era riuscito in un certo senso a dosare ogni gesto e movimento, ogni volta guardandola alla ricerca di un qualche segnale che accertasse che stava facendo le cose giuste. E ogni qualvolta aveva posato gli occhi su di lei, e l’aveva vista con gli occhi chiusi e le gote arrossate, le labbra dischiuse a sospirare, il suo cuore aveva saltato un battito dalla felicità.
Aveva cercato in tutti i modi di essere premuroso, anche quando l’aveva sentita irrigidirsi sotto di lui. Era stato davvero difficile mantenere la lucidità in quell’esatto momento, poiché la sensazione che lo travolse lo lasciò senza fiato e gli annebbiò la mente.
Pensa a lei.
E ci aveva pensato, cercando di riprendere controllo del proprio corpo, rimanendo fermo esattamente dove si trovava. L’aveva vista fare una smorfia, e con calma aveva aspettato che passasse, anche se per un istante aveva perfino pensato di togliersi. Si sentiva così tremendamente responsabile per ciò che stava sentendo ma, come sempre, lei pareva avergli letto nella mente. Lo aveva incatenato con quello sguardo fiducioso, e lui aveva resistito. Dopo un tempo che gli era parso infinito, lei gli aveva fatto capire che stava meglio, e in quel momento si rese conto nuovamente di avere un vuoto di memoria. Non seppe ricordarsi, infine, quando e come avesse iniziato a muoversi piano su di lei.
« Kudo-kun? ».
La voce dell’ispettore Megure lo fece sobbalzare, come se colto con le mani nella marmellata. Arrossì e lo guardò con un sorriso che, si rese conto, appariva abbastanza maldestro.
« Stai bene? », gli chiese perplesso. « Mi sembri un po’ distratto ».
« Ma no, che dice », rise lui nervoso. « Sto solo ragionando ».
Megure lo guardò ancora per niente convinto, ma quando stette per parlare, qualcuno lo interruppe.
« Eccomi! Sono arrivato il prima possibile, ispettore! ».
Shinichi serrò gli occhi, mordendosi un labbro e stringendo le nocche lungo i fianchi.
Ti prego, no.
No, no, no, no, NO!

« Oh, Kogoro, eccoti ».
Merda.
« Kogoro », lo salutò con un sorriso incerto Shinichi, mentre quest’ultimo gli lanciava un’occhiata di fuoco, per poi rivolgersi all’ispettore chiedendo informazioni. Shinichi si obbligò ad ascoltare, questa volta, e finalmente capì perlomeno la dinamica dell’omicidio. Pareva essere stato causato da un’arma contundente, che però non era stata ritrovata sulla scena del crimine.
« Voi due, collaborate e cercate di scoprire qualcosa », sentenziò infine Megure, rispondendo al telefono che gli stava suonando incessantemente da qualche minuto.
Fu così che lasciò Shinichi in balia di Kogoro, che si voltò malvolentieri verso di lui.
« Non vedevo l’ora », borbottò l’uomo, fissando di sbieco Shinichi.
Quest’ultimo, al solo pensiero di cosa avesse fatto con sua figlia appena due giorni prima, si sentì, se possibile, ancora peggio.
Alternava flash di Ran totalmente in balia di lui, arrossata, con gli occhi chiusi e il corpo premuto sul suo, al viso di Kogoro che lo guardava di tralice.
Si sarebbe prospettata davvero una lunga, lunga giornata.

Persuaso dal fatto che prima avesse risolto quel caso, prima sarebbe riuscito a svignarsela, si impose di concentrarsi. Riuscì così a definire alcuni aspetti della vicenda, e stava giusto per andare alla ricerca di una quale prova che avrebbe potuto avvalorare la sua tesi, quando avvertì un brivido percorrergli la schiena.
« Senti un po’, tu ».
Si morse un labbro, mentre si voltava lentamente verso il proprietario di quella voce.
Dopo tutto quel tempo passato con lui, straordinariamente si era accorto di essersi abbastanza legato a quell’uomo. Gli dava fastidio ammetterlo, certamente, ma era la realtà. E, quando non era troppo impegnato a fare il cretino dietro qualche donna particolarmente seducente, risultava essere perfino perspicace, oltre che di buon cuore. Peccato che questo stesso affetto non lo provasse allo stesso modo Kogoro per lui.
Da quando era tornato, e Ran gli aveva finalmente rivelato come stessero le cose fra loro, Kogoro non gli aveva mai realmente rivolto parola. Ogni qualvolta se lo ritrovasse in casa, che fosse per fare i compiti con Ran o perché ci capitasse per altri, innocenti, motivi, lo raggelava con uno sguardo che sottintendeva molte cose, tra cui la più esplicativa: non sono felice che tu stia con lei.
Era chiaro come il sole, e per quanto si sforzasse, lui non aveva ancora cambiato idea sul suo conto. A maggior ragione, dopo che spesso gli aveva rubato dei casi sotto il naso. Per fortuna di entrambi, Megure gli aveva proposto di tornare a collaborare come poliziotto saltuariamente, e così facendo riusciva ad arrotondare e coprire le spese di quello che, ormai, era un’agenzia investigativa che da un giorno all’altro aveva smesso di funzionare così bene. Quando Ran aveva saputo della proposta dell’ispettore Megure, aveva praticamente implorato il padre di accettare. Sapeva ormai bene chi ci fosse stato dietro al suo successo, e immaginarlo improvvisamente senza lavoro e perennemente ubriaco a quella scrivania, l’aveva fatta precipitare nella preoccupazione. E così, sotto la richiesta insistente di sua figlia, Kogoro aveva accettato, seppur controvoglia.
Shinichi fu presto riportato alla realtà, quando Kogoro riprese parola con un colpo di tosse.
« Vorrei mettere in chiaro due cosette con te, visto che ora abbiamo l’occasione », gesticolò minaccioso.
Sapevi che sarebbe successo, prima o poi.
Shinichi fece una smorfia di assenso, mentre si posizionava di fronte a lui con le mani nelle tasche. Aveva aspettato che gli ultimi rilevamenti della scientifica fossero conclusi, e aveva preso parola nell’esatto momento in cui erano rimasti soli.
« Per prima cosa », iniziò Kogoro, ergendosi sopra di lui. « Tu non mi piaci ».
Shinichi sarebbe voluto scoppiare a ridere, ma evitò di far apparire alcun sorriso sul suo viso. Sicuramente, lui non l’avrebbe presa bene.
« Ne sono consapevole », disse solo, con un’espressione neutrale.
« Secondo », fece finta di non averlo sentito. « Non posso impedire a mia figlia di stare con te, purtroppo. Ma ricordati bene le mie parole:  se osi trascinarla di nuovo in un qualche tuo guaio solo perché non sai farti i fatti tuoi », stava praticamente sputacchiando dal nervoso crescente. « Se osi anche solo farla soffrire, in qualsiasi modo, non starò più zitto, e non la rivedrai mai più ».
Shinichi si era aspettato un discorso del genere, ma non pensava davvero che Kogoro potesse riservargli un discorso tanto penetrante. Al sentire quelle parole, il suo stomaco si contrasse dal senso di colpa che per così tanto tempo lo aveva attanagliato. La voglia di ridere in quel momento scomparse del tutto, e mandò giù un boccone amaro.
L’immagine di Ran abbracciata a lui svanì velocemente, per lasciar spazio a quella di Gin, mentre le rivolgeva la sua pistola.
Abbassò la testa, ferito nel profondo.
« Prima te ne vai, lasciandola per mesi e fregandotene di lei », continuò imperterrito Kogoro, non riuscendo più a trattenersi. « Poi torni, e per poco non me l’ammazzano. E no, non ti ringrazierò per averla protetta, perché loro volevano te, e non lei ».
Un ennesimo colpo, e Shinichi sentì nuovamente la voglia di vomitare. Non riusciva davvero a replicare, per il semplice fatto che ogni dannata parola che dicesse fosse fondamentalmente vera.
« Quindi giocati bene questa possibilità », ricominciò l’uomo, cercando di tornare a dosare le parole. La vista del ragazzo inerte davanti a lui, lo aveva un po’ turbato. Aveva l’espressione più sofferente che avesse mai visto, ma si impose di non intenerirsi.
« Perché è l’ultima che avrai ».
Kogoro concluse il discorso puntandogli un dito minaccioso contro, e si sentì particolarmente potente. Lo aveva fatto decisamente intimidire, e ne fu orgoglioso.
Shinichi prese un sospiro profondo, per poi alzare il volto su di lui.
« Hai ragione, su tutto », iniziò con voce roca, facendogli sgranare gli occhi. « Non posso davvero darti torto, quindi mi limiterò a chiederti scusa, e dire che non la deluderò ancora ».
« So che non mi credi, ma sono sincero quando dico che tengo davvero a lei ».
Fu il turno di Kogoro di rimanere ammutolito, mentre Shinichi sfoderava lo sguardo più penetrante che riuscisse a fare.
Scese un silenzio incerto, mentre l’uomo pensava velocemente come ribattere.
Il ragazzino è furbo.
Kogoro lo aveva pensato molte volte, in quegli ultimi mesi. Non poteva negare a sé stesso di aver sentito ogni fibra del suo essere contrarsi quando lo aveva sentito urlare il nome di sua figlia, con una voce così cavernosa e grottesca che gli si era girato lo stomaco. Si era voltato appena in tempo per vederlo correre verso la sua Ran, per poi essere colpito da quel proiettile e cadere a terra riverso nel suo stesso sangue. Era stata una scena che spesso gli tornava in mente, e ogni qualvolta un brivido gli percorreva la schiena. Aveva realmente pensato che fosse morto, quando Ran si era accasciata su di lui e lo aveva girato su se stesso. Pareva così immobile e i suoi occhi così spenti, che il suo cuore smise di battere per un istante.
In quel momento, e quell’uomo vestito di nero ancora con in mano la pistola, non seppe come si ritrovò anch’esso a puntargliene una contro.
E sparò.
Sparò contro colui che aveva provato a uccidere sua figlia, e probabilmente lo sorprese perché quando la pallottola lo colpi in pieno petto, lo fissò stralunato.
Kogoro vide cadere a terra Gin con un tonfo sordo, ma non se ne preoccupò. Non avvertì nessuna fonte di rincrescimento per averlo probabilmente ucciso, non riuscì a provare pena per lui. Sentì solo al suo fianco Eri afferrarlo per un braccio, ancorandosi a lui.
Talvolta, la dinamica degli avvenimenti di quei giorni lo lasciavano ancora frastornato. Solo quando erano usciti da lì Megure gli aveva spiegato la situazione, e di come fossero rinchiusi in quel capannone da quattro, lunghi giorni. Questo spiegava perché Eri fosse accorsa trafelata lì, e di come fossero presenti perfino Yukiko, Yusaku e perfino quel detective di Osaka.
Era tutto ancora molto confuso nella sua testa, e taluni particolari non gli tornavano nemmeno molto a dirla tutta. Un altro fatto che gli ronzò in testa per parecchio tempo, fu Conan.
L’ultima volta che l’aveva visto, quell’uomo vestito di nero l’aveva trascinato per i capelli fuori dalla stanza dove erano stati rinchiuso. Quando, infine, aveva chiesto di lui all’ispettore Megure, era balzato su un certo tizio dell’FBI e gli aveva spiegato che i suoi genitori erano corsi dall’America per portarlo via da lì, preferendo che venisse ricoverato in una clinica privata dove abitavano. A sentir lui, lo avevano estratto da una stanza prima di soccorrere loro, e dopo aver notato alcuni traumi di media intensità avevano preferito lasciare il Giappone in fretta e furia.
Ecco un altro fatto in quella faccenda che, anche a distanza di mesi, non lo convinceva molto.
Ma era così grato che fosse fondamentalmente finita bene, che sorvolò certi dettagli. Anche perché, pur ragionandoci, non riuscì mai a dare a tutte le sue domande le dovute risposte.
Il succo di quella brutta faccenda, era che quel ragazzino si era cacciato in affari pericolosi, e aveva trascinato tutti con sé. Aveva sperato che sua figlia si rendesse conto del grave rischio a cui l’aveva sottoposta, ma con suo enorme rammarico, questo non accadde.
Quando uscì dall’ospedale e si ristabilì completamente, li trovò così sfacciatamente appiccicosi che gli venne il voltastomaco. Il fine settimana si era ormai abituato a trascorrerlo da solo, perché erano i giorni in cui Ran solitamente si preparava, usciva presto e tornava la sera tardi.
Cosa diavolo facessero, poi, era meglio non pensarci, se non voleva avvertire una rabbia prepotente alla base dello stomaco. Aveva provato a domandare, certo, ma la risposta era sempre la stessa e perfino scocciata.
Niente di che, papà.
Che poi quella frase buttata lì mentre scappava fuori dal portone, avesse potuto sottintendere un miliardo di cose, era un altro conto. E concluso il week-end, la settimana non era certo meglio.
Ogni qualvolta tornasse a casa la sera dal dipartimento di polizia e notasse le sue scarpe all’entrata, il nervosismo lo assaliva così in fretta che percorreva a grandi falcate la distanza fra l’ingresso e la camera di Ran.
Solitamente la apriva così bruscamente e improvvisamente, che sperò più di una volta di sorprenderli in atteggiamenti spudorati. Se solo lo avesse beccato ad allungare le mani, avrebbe avuto un valido motivo per prenderlo a calci in culo. Ma quel ragazzino era furbo, troppo per i suoi gusti. Dovevano sentirlo entrare probabilmente, perché non li colse mai a fare qualcosa di strano. Erano sempre a quella dannata scrivania, o spesso lui era sdraiato sul suo letto a leggere un libro mentre lei finiva i compiti. Generalmente lo guardavano con sguardo innocente, ma lui avrebbe giurato più di una volta di sentire delle risate soffocate ogni qualvolta uscisse da lì.
Arrivò perfino a sperare vivamente che litigassero. Quante volte, quando erano ancora ragazzini, aveva visto una Ran innervata oltrepassare la porta di casa borbottando qualcosa contro di lui. Tuttavia, presto capì che erano ormai tempi andati.
In quei mesi non una volta Ran era tornata a casa nervosa, infelice, lamentandosi di lui.
Mai.
Si ritrovò a odiarlo, se possibile, ancora di più. Così facendo la stava completamente raggirando, e lei ci stava cascando.
Alla fine, totalmente snervato di non potersi avvalere di un valido motivo per attaccarlo, aveva provato a farla ragionare, a dirle che lui non era davvero il tipo per lei. Le aveva parlato chiaro, senza giri di parole, mentre lei lo fissava con uno strano color purpureo far capolino sulle sue guance.
Sono felice con lui, papà.
Gli erano cadute le braccia a terra, e si era irrimediabilmente zittito. Aveva provato il tutto per tutto, ma gli era andata male. Fu così che iniziò a soffocare i suoi mugugni ogni qualvolta lo vedesse, solo ed esclusivamente per non litigare con sua figlia. Non avrebbe sopportato davvero l’idea di perdere anche lei.
Ancora con nella mente lo sguardo inferocito di Ran che lo ascoltava sproloquiare contro quel ragazzino, sbuffò sonoramente, e fece per andarsene. Ma proprio quando Shinichi provò a riprendere a respirare regolarmente, Kogoro si voltò come colto da un pensiero improvviso.
« Un’ultima cosa ».
Shinichi indietreggiò, sotto il suo dito puntato e lo sguardo che emanava fuoco.
« Solo perché uscite insieme, non vuol dire che tu sia libero di fare ciò che vuoi ».
Shinichi alzò un sopracciglio, mentre notava il disagio crescente nell’uomo davanti a lui. Ben presto capì a cosa stesse alludendo, e per un momento ebbe il desiderio irrefrenabile di tapparsi le orecchie e correre via. Tuttavia, non fece in tempo che Kogoro riprese parola.
« Non osare neanche pensare di poterla sfiorare », sottolineò infine, e Shinichi potè notare come le sue labbra stessero tremando. « E’ ancora una bambina, sono stato chiaro? ».
Shinichi sperò ardentemente di non arrossire, o far trapelare sul suo viso una qualche espressione colpevole. Rimase immobile, gli occhi sgranati e, sentendosi quasi in colpa, annuì lievemente.
Lui benché rosso dall’imbarazzo per l’argomento appena trattato, parve soddisfatto, mentre si allontanava borbottando qualcosa di incomprensibile. Lasciò Shinichi solo, accaldato e inerte, immobile sul posto. Avvertì un mal di testa crescente, che per tutto il resto del giorno non lo aiutò per niente a concentrarsi.

Quello fu senza dubbio uno dei pomeriggi più lunghi che avesse mai vissuto. Si era imposto con tutte le sue forze di concentrarsi su quel dannato caso, ma certamente avere al suo fianco un Kogoro indisponente non l’aveva aiutato. In più quel suo mal di testa lo stava logorando, e quando fu pomeriggio si rese conto di non mangiare dalla sera prima, e di aver addirittura vomitato quella mattina. Si sentiva stanco, frustrato, così alla fine disse all’ispettore Megure che sarebbe tornato il giorno dopo. Lui acconsentì un po’ stupito, ma Shinichi non volle farci troppo caso. Acchiappò distrattamente la sua giacca e, con un cenno ai presenti, si allontanò.
Quando arrivò di fronte a casa sua, era ormai calata la sera. Guardò scocciato l’enorme villa davanti a sé, e pensò che non avesse realmente voglia di entrarvi. Fiducioso che Agasa avrebbe avuto una buona medicina per il mal di testa, fece qualche passo avanti e suonò alla sua porta.
Attese ben poco, prima di veder affacciarsi qualcuno che lo lasciò teneramente sorpreso: Genta.
« E’ quel detective », lo sentì dire a qualcuno alle sue spalle. Sorrise tristemente: una volta lo avrebbero accolto con entusiasmo. Ma quella pareva ormai un’altra vita.
Agasa apparve infine sull’uscio della porta e, con un sorriso, gli aprì il cancello. Shinichi entrò e si chiuse alle spalle quest’ultimo, per poi avanzare a grandi passi.
Con un sorriso, salutò ormai l’intero gruppetto nell’atrio di casa, che rispose con un’espressione intimidita.
Era sempre stato così, fin da quando era tornato adulto.
Ayumi, Genta e Mitsuhiko non sapevano di lui, e mai avrebbero dovuto saperlo. Perciò erano finiti i tempi in cui stava con loro, e, anche se gli scocciava ammetterlo, un po’ gli mancavano.
Fin da bambino, la sua unica, reale amica era sempre stata Ran. Non aveva mai avuto un gruppo di amici del genere, perfino ora che era adulto. Perciò talvolta si ritrovava a pensare a quei tre, e una fitta di malinconia lo punzecchiava.
« Shinichi », lo riportò alla realtà Agasa. « Tutto bene? ».
« Sì, scusatemi », disse entrando in casa e adocchiando Ai ancora seduta al tavolo. Li aveva interrotti durante la cena.
« Mi chiedevo se avesse qualcosa per il mal di testa », domandò, mentre il gruppetto tornava a sedersi vicino alla loro amichetta.
« Ma certo, aspettami qui », disse Agasa con un sorriso comprensivo, e Shinichi lo vide sparire in corridoio.
Si voltò quindi verso i suoi vecchi amici, ancora intenti a fissarlo incuriositi. Quando loro notarono che li stava guardando con un sorrisetto, sobbalzarono come imbarazzati, e diedero tutti contemporaneamente l’attenzione al piatto che avevano davanti. Solo Ai continuò a guardarlo, con espressione tranquilla.
« Di ritorno da un caso? », domandò quasi annoiata, addentando del pane.
Al suono di quelle parole, gli altri tre mollarono tutto ciò che stavano facendo per riguardarlo con ammirazione crescente, e perfino un pizzico di curiosità. A vederli così interessati, a Shinichi tornarono in mente tantissimi ricordi.
« Sì, anche se oggi non ero al mio meglio », ammise con un’alzata di spalle, avvicinandosi a loro.
« Come mai? », domandò Mitsuhiko, non riuscendo più a trattenere la sua crescente curiosità.
« Non mi sento molto bene », sospirò Shinichi, appoggiando allo schienale della sua sedia.
« Hai l’influenza? », domandò timidamente Ayumi, rigirandosi nervosamente le bacchette fra le sue mani.
« Ma no, sta tranquilla », Shinichi fece una risata rassicurante. « Dopo aver preso la medicina, e aver cenato, starò sicuramente meglio ».
Shinichi non si rese realmente conto di cosa avesse provocato la sua risata in Ayumi. Ma quest’ultima arrossì violentemente, e lo fissò come imbambolata.
Era veramente carino. Era appoggiato mollemente allo schienale della sedia di Mitsuhiko, esattamente davanti a lei, e si dondolava sulle gambe. Aveva un viso rilassato, mentre gli rivolgeva uno sguardo dolce. Per un attimo, le apparve davanti il viso di Conan.
Abbassò velocemente lo sguardo, improvvisamente nervosa.
« Cosa mangi stasera? », domandò Genta, addentando il suo salmone.
« Bella domanda », borbottò Shinichi, grattandosi la testa. In verità, il suo frigorifero era abbastanza scarno da giorni.
« Mangia qui con noi! », esclamò velocemente Ayumi,  stupendo tutti. Shinichi sbattè più volte le palpebre, e si voltò automaticamente verso Ai. Non sapeva bene se accettare o meno, in realtà gli pareva una situazione abbastanza strana.
Non mangiava con loro che quello che gli pareva un secolo.
Alla ricerca di una qualche risposta nel viso di Ai, questa fece un sorriso leggero.
« Direi che ce n’è abbastanza per tutti », mormorò fissandolo come a volergli suggerire la risposta corretta.
« Eccoti la medicina ».
Agasa li fece voltare tutti, mentre tornava indietro con una scatola in mano.
« Tanto rimane qui a cena », disse Ai mentre con un saltello scendeva dalla sedia, e si dirigeva verso il lavabo per prendere un altro piatto e delle posate.
« Faccio io, non preoccuparti », balzò al suo fianco Shinichi, per prendere tutto al suo posto. Lei rimase un attimo interdetta dalla sua improvvisa vicinanza, ma cercò di non farci troppo caso. Tornò al suo posto silenziosamente, mentre Agasa annuiva entusiasta.
« Tieni, prendi un po’ di polpette », Ayumi si sporse entusiasta verso di lui nell’esatto momento in cui si sedette al suo fianco.
Genta e Mitsuhiko gli lanciarono un’occhiata un po’ gelosa, mentre riceveva tutte quelle attenzioni dalla sua loro amica. Ma ben presto, la sensazione di stranezza scivolò velocemente lontano da lui, e iniziò a chiacchierare con loro di quel giorno, e di quel nuovo caso. Si sentì totalmente a suo agio, mentre le risate di Genta iniziavano a rimbombare in quella cucina, e le loro chiacchierare lo rilassavano per la prima volta in quel lungo giorno.
Per un attimo, gli parve di essere di nuovo Conan, mentre loro gli rivolgevano il loro spasmodico desiderio di sapere ogni dettaglio di tutti i casi risolti ultimamente da lui. Si sentì perfino meglio quando finalmente mangiò un pasto come si deve, e si dimenticò di tutti i suoi problemi.
Fu così distratto da quella compagnia ritrovata, che quasi non sentì il suo telefono vibrare nella tasca del suo giubbotto.
« Ti ha vibrato il telefono », gli disse Ayumi, sentendo qualcosa alla sua destra.
Shinichi posò le bacchette, per acchiappare il telefono.
Era Ran.
Fece per aprire il suo messaggio, ma subito vide cinque paia di occhi fissarlo incuriositi, rendendolo immediatamente imbarazzato.
« Rispondo dopo », mormorò a disagio, riponendo il telefono nel giubbino. Riprese a chiacchierare tranquillamente con loro del più e del meno, finché non avvertì un leggero tepore avvolgerlo.
Cominciò a sbadigliare sonoramente, portandosi una mano alla bocca.
« Sarai stanco », disse il dottor Agasa, iniziando a sparecchiare.
« E’ che non dormo bene da qualche sera », disse stiracchiandosi sulla sedia.
« Come mai? », domandò innocentemente Genta.
Ran che lo baciava fino a quasi fargli mancare il respiro.
Ran che muoveva il bacino contro il suo.

« Non saprei proprio », bevve un lungo sorso d’acqua per nascondere l’espressione imbarazzata del momento.
Gin, la pistola, Ran coperta di sangue.
« Bene, io andrei », battè una mano sul tavolo, facendo sobbalzare tutti. Cominciava a sudare, quindi pensò bene di uscire prima che i suoi pensieri si potessero leggere in faccia. Sarebbe riuscito a nascondergli a quattro di loro, ma dubitava che una come Ai non decifrasse il suo nervosismo. Dopo avergli ringraziati e aver promesso di mangiare nuovamente con loro un’altra volta, avanzò a grandi falcate verso l’ingresso. Non si accorse che la biondina del gruppo lo aveva seguito silenziosamente, e ora, lontani da orecchie indiscrete, lo guardava con noncuranza mentre si metteva le scarpe.
« Sono stati contenti ».
Shinichi finì di legarsi le scarpe da ginnastica, per poi voltarsi verso Ai.
« Da quando Conan è partito, non avevano più voluto parlare di detective e casi », spiegò infine.
Shinichi la fissò, per poi far nascere un sorriso storto.
« Sono contento anche io di essere rimasto », ammise sincero.
« Dovresti farlo più spesso », replicò Ai, per poi girarsi e tornare dagli altri. Lasciò Shinichi immobile a guardarla, pensieroso. Infine, con un sospiro, uscì e si diresse verso casa sua. Quando ci mise piede, ancora con la testa ai suoi piccoli amici, si ricordò improvvisamente del messaggio di Ran. Velocemente prese il telefono nella tasca, e lesse il suo sms.
Tutto bene? Domani verrai a scuola?
Sorrise tristemente al pensiero di doverle dare una risposta negativa. Quel giorno aveva fatto davvero pochi passi avanti nel caso, per suo enorme rammarico. Dopo aver tentennato un po’, infine le rispose che purtroppo sarebbe mancato anche il giorno dopo. Con un sospiro si trascinò nella sua camera, sperando vivamente di riuscire a dormire almeno qualche ora. Si buttò sul cuscino, cercando di spegnere il cervello almeno per un po’.


« Mi aiuti? ».
Conan alzò lo sguardo dal suo manga, per rivolgere la sua attenzione alla ragazza in piedi davanti a lui. Aveva addosso un delizioso grembiule con i gattini, e in mano teneva un cucchiaio di legno. Sorrise istintivamente.
« Cosa vuoi fare? », domandò stiracchiandosi, mentre Ran avanzava e si sedeva sul bordo del suo letto. Da qualche tempo Conan aveva preso l’abitudine di stare in camera sua, che fosse per leggere un libro o per studiare. Aveva dato il motivo al fatto che spesso camera di suo padre fosse un tale macello, e non aveva contestato questa nuova consuetudine. Non immaginava quanto realmente a Conan facesse piacere stare lì, fra le sue cose e quel prepotente profumo di vaniglia sparso per la stanza. Era da mesi che avrebbe voluto entrarci, ma si era sempre imposto di non farlo. Era, dopotutto, la sua camera da letto, un posto apparentemente privato. Ma da quando stavano insieme ufficialmente, si era giustificato che dopotutto ora era il suo ragazzo, e pensò che non ci fosse nulla di male.
Tecnicamente, sei il suo fratellino.
Aveva scacciato quel pensiero con una smorfia più di una volta, mentre di tanto in tanto lanciava occhiate alla sua scrivania, la foto di lei e Shinichi scattata da Sonoko in gita.
« Dorayaki », disse solamente con tono allegro, interrompendo i suoi pensieri. « E tu devi coordinare il progetto », aggiunse spettinandogli i capelli. Conan sentì il suo cuore fare uno sbuffo, mentre annuiva energicamente. Posò il libricino sul comodino di Ran e anche in quel momento il suo petto perse un battito.
La foto di loro due a Tropical Land era come uno schiaffo silenzioso, che lo tormentava ogni qualvolta ci posasse gli occhi sopra.
Subito dopo essere tornata dalla gita, aveva notato come un giorno fosse apparsa la foto di Sonoko  lì in camera sua, e uno strano senso di felicità lo aveva avvolto. Solo dopo un po’ di tempo, quando si mise a fare i compiti sul suo letto e gli cadde la gomma per terra, notò quella posta sul comodino.
Probabilmente non se l’era sentita di toglierla del tutto, così si era limitata a spostarla. Così eccoli lì, sorridenti contro la macchina fotografa che li immortalava in una giornata apparentemente perfetta. Ricordò con un moto di malinconia del suo pugnetto allo stomaco, per incitarlo a sorridere.
Quanto eri idiota.
Se solo avesse saputo cosa sarebbe accaduto dopo, non avrebbe fatto tutte quelle storie, anzi. Avrebbe goduto di ogni singolo momento solo con lei, consapevole che quelli successivi non sarebbero stati altrettanto spensierati.
Cercando di non lasciar trasparire il suo rimorso attraverso quei grandi occhiali finti, seguì Ran in cucina.
« Mi leggi le dosi? », domandò dolcemente lei, porgendosi il libro con la ricetta. Lui annuì, per poi sobbalzare quando sentì le braccia di Ran avvolgerlo per dargli una spinta all’insù. Ancora confuso, e leggermente arrossato, la guardo ridacchiare del suo stupore, mentre lo faceva sentire sul bancone della cucina.
« Meglio », disse solamente, per dirigersi verso il frigo e prendere tutto il necessario per il dolce. Lui si sistemò meglio gli occhiali sul naso, cercando di darsi un contegno. Tuttavia, presto il suo sguardo si spostò dal libro di ricette alle schiena di Ran, e di nuovo sentì il cuore esplodergli nel petto.
Era la sua ragazza. Lo era davvero.
Gongolante, sospirò allegro, iniziando ad elencarle le dosi per i doroyaki. Lei annuiva a ogni parola, iniziando a preparare l’impasto. Conan guardò ogni singolo gesto, non rendendosi realmente conto del suo sguardo totalmente perso. Era così imbambolato, che dopo un po’ Ran se ne accorse. Lo fissò anch’essa, sentendo un moto di imbarazzo crescerle sul viso.
« Ho qualcosa in faccia? », domandò nervosa, toccandosi il viso. Sfiorò anche le labbra, e quel gesto fece capovolgere lo stomaco a Conan.
Lo avevano baciato sulla guancia, quelle stesse labbra. E, che diamine, le avrebbe volentieri toccate con le sue se l’effetto dell’antidoto non avesse cominciato ad esaurirsi. Al pensiero di quel bacio mancato, non riuscì a trattenere i muscoli facciali irrigidirsi in un’espressione che lasciò Ran un po’ a disagio.
La verità era che lui la stava guardando con uno sguardo familiare, e maledisse se stessa quando pensò che era la stessa espressione che Shinichi le aveva rivolto quando l’aveva afferrata per le spalle, subito dopo che lei gli aveva schioccato quel bacio sulla guancia. Si sentì così improvvisamente irrequieta, mentre provava a mettere a fuoco che colui che avesse di fronte fosse Conan, Conan e basta.
Eppure quel suo sguardo pareva trafiggerla, e quasi si perse dentro il blu dei suoi occhi.
E’ Conan, non è Shinichi.
A quel pensiero, sussultò, interrompendo quel gioco di sguardi. Finalmente anche lui si rese conto della carica emotiva creatasi fra di loro, e si sentì avvampare.
« S-scusa Conan-kun », rise nervosamente lei. « E’ che a volte, sei davvero troppo simile a Shinichi », borbottò infine, tornando ad armeggiare col mestolo lasciato lì a fianco poco prima. Lui a quelle parole alzò un sopracciglio, con la crescente e irrefrenabile voglia di stuzzicarla.
Non farlo.
« Davvero? », le parole che gli uscirono di bocca senza accorgersene.
Lo sai che non è giusto.
« Ho notato quella foto sulla tua scrivania, la settimana scorsa », continuò con voce infantile.
Stai giocando sporco.
« S-sì, l’ha scattata Sonoko in gita », spiegò lei arrossendo un po’.
Non aveva ancora detto al suo fratellino e a suo padre che ora era realmente la ragazza di Shinichi, per cui quell’argomento era un segreto. Girò con così tanta foga il mestolo che l’impasto schizzò un po’ dappertutto.
« Non mi hai ancora ben raccontato come è andata », sentì la voce di Conan leggera, come se l’argomento non gli interessasse più di tanto.
« Oh », disse lei semplicemente, dandogli le spalle per prendere nel frigo.
« E’ andato tutto bene », alzo le spalle, tornando al suo fianco con del latte in mano.
« E con Shinichi-nii-chan? ».
Non voleva davvero chiederglielo, ma non riuscì a trattenersi. Voleva sentirle dire che era felice, che lo era almeno quanto lo fosse lui. La voglia di sentirla parlare di loro due era così forte che non desiderava altro che rimembrare ogni singolo momento in cui erano stati vicini, in cui lei lo aveva preso per un braccio, o trascinato per mano da qualche parte. Voleva sentirlo, perché era stato così bello che talvolta aveva il terribile dubbio che fosse stato un sogno. Si era praticamente comportata da fidanzata per tutto il tempo, nonostante non gli avesse ancora risposto alla sua dichiarazione. E quando finalmente glielo aveva fatto notare, lui si era sentito tirare per la cravatta…
Tuttavia, nell’immediato istante in cui porse quella domanda, a Ran scappò di mano il latte, andandosi a versare un po’ per terra. Improvvisamente bordeaux, con la scusa di pulire il suo macello si chinò frettolosamente, cercando di asciugare come meglio poteva.
« Tutto come sempre », rispose trafilata, non guardandolo in faccia.
Avrebbe forse dovuto dirglielo? Dopotutto, Conan c’era sempre per lei, specialmente nei suoi momenti no dove la mancanza di quell’otaku di gialli si faceva prepotente. L’aveva consolata, ascoltata pazientemente, notato le sue lacrime un numero di volte così elevato che ne aveva perso realmente il conto.
Sentendosi in colpa per non avergli raccontato della gita, infine lo guardò con espressione colpevole. Notò che lui avesse uno sguardo quasi deluso, ma non ci diede peso.
« Non è vero », sospirò infine, non riuscendo più a mentire.
Conan trasalì, mentre lei si metteva nuovamente alla sua altezza con uno strano colorito roseo.
« Ecco, io non te l’ho raccontato perché… », prese fiato, torturandosi una ciocca di capelli.
« E’ imbarazzante », concluse lanciandogli un’occhiata di tralice.
Lo vide arrossire e abbassare lo sguardo, mentre iniziava a giocherellare con la copertina del libro di ricette.
« Però dopotutto ti ho sempre raccontato tutto, e per una volta non c’è niente di triste in ciò che sto per dirti », la mise sul ridere lei.
« Io e Shinichi stiamo insieme ».
Conan sbatté più volte le palpebre, e quelle parole gli parvero la melodia più bella che avesse mai sentito.
Un largo sorriso gli si creò in volto, mentre la guardava con occhi scintillanti. Lei ricambiò, e si mise a ridere nervosa.
« Non guardarmi così », esclamò Ran portandosi una mano al viso, improvvisamente accaldata.
« Così come », ribattè lui con l’espressione più innocente che riuscì a fare.
« Non lo so, non lo so », iniziò a blaterare lei, ridendo ancora più forte. Conan fu così contagiato dal suo buon umore, che iniziò anch’esso a ridere.
L’aveva vista così tante volte triste per causa sua, che vederla così irrimediabilmente felice gli scaldò l’anima. Per una volta non era la causa delle sue lacrime, bensì  di quel sorriso, di quella risata, perfino di quel rossore che le stava colorando le guance.
E si sentì completamente innamorato di quel sorriso, come la prima volta che lo vide anni prima.
Rise ancora un po’, per poi sbattere gli occhi quando vide improvvisamente il buio calare su di loro. Un improvviso odore di disinfettante lo stordì e quando posò lo sguardo sulle sue mani notò come fossero stranamente grandi. Confuso, rialzò lo sguardo, per incontrare nuovamente il viso di Ran. Con una fitta al petto, osservò come il suo sorriso di poco prima fosse totalmente sparito, e ora lo stesse guardando frustrata e rabbiosa.
« Mi hai mentito, per tutto questo tempo! », vide le sue labbra tremare, mentre arretrava con foga lontano da lui.
« Ran », sbiascicò, e sentì la sua voce da adulto fuoriuscire dalle labbra.
« Non pronunciare il mio nome, non voglio ascoltarti », Ran si portò le mani alle orecchie, scuotendo la testa come scossa da spasmi.
Shinichi fece per avvicinarsi a lei, ma sentì un lancinante dolore alla schiena impedirgli ogni suo movimento.
« L’ho fatto per proteggerti », sbiascicò mentre si portava una mano alla fasciatura che aveva intorno alla vita. In quel momento avvertì qualcosa di caldo contro la sua mano e con orrore notò come stesse perdendo sangue. Con panico crescente, rialzò lo sguardo su Ran, ma lei non c’era più.
« Ran! », urlò smarrito, camminando a tentoni. Ma ormai sentiva solo il sangue colargli sulla schiena, e una risata in lontananza farsi più vicina.
Si voltò così velocemente che cadde per terra, e qualcuno gli tirò un calcio allo stomaco facendogli sputare un po’ di saliva.
« Puoi chiamarla quanto vuoi », disse una voce maschile. « Ma lei non tornerà mai più da te ».
Totalmente in balia di quella figura riversa su di lui, cercò con le ultime forze rimaste di mettersi in piedi, senza successo.
« Ran », sbiascicò mentre avvertiva le forze abbandonarlo.
« Lei non ti vuole », qualcuno rise. « L’hai presa in giro, le hai mentito. Cosa ti fa pensare che lei ti perdoni. Cosa ti fa pensare che lei voglia ancora te ».
Non seppe dire se iniziò a urlare per il dolore inflitto da quelle parole o dal crescente dolore alla schiena. Ma, dopo una fitta atroce, si accasciò a terra e non sentì più nulla.


Shinichi sbarrò gli occhi, mentre una mano iniziava a stringere convulsamente il cuscino. Gemette, rendendosi conto di essere a pancia in giù e totalmente attorcigliato alle lenzuola del suo letto.
« Basta », mormorò stravolto, portandosi una mano alla testa. Accese in fretta la lampada sul suo comodino e si mise a sedere, scuotendo energicamente il volto fra le mani.
Ebbe il fiatone per un tempo indefinito, con le gocce di sudore che gli cadevano disgustosamente in bocca ad ogni bocconata di ossigeno che cercava di prendere ferocemente.
Ormai totalmente sveglio e particolarmente rabbioso, fece in la le coperte, alzandosi in piedi. Con uno sguardo alle sveglia notò che fossero le sette e mezza, e ringraziò di aver dormito un po’ più del solito.
Tuttavia quel senso crescente di disagio non lo abbandonò nemmeno quando aprì la finestra e prese un pò d’aria. Frustrato, diede un pugno alla finestra, digrignando i denti.
Era ormai venerdì, e i suoi sonni agitati l’avevano tormentato per tutta la settimana. Decisamente il caso a cui stava lavorando non aveva aiutato il suo stato nervoso e angosciato, specialmente quando il martedì avevano scoperto un altro cadavere probabilmente dello stesso killer su cui stava indagando. Aveva lavorato incessantemente tutti i giorni, cercando di mettere da parte i suoi sentimenti e i suoi pensieri, e c’era perfino riuscito. Stare lontano da Ran lo aveva distratto dai ricordi di quel sabato, sebbene questo comportasse un nervosismo crescente per quella lontananza forzata e l’intensificarsi di quegli incubi incessanti. Così la sera prima era finalmente arrivato alla risoluzione del caso, e si era trascinato a casa stanco come non mai. Si era buttato sul divano, e forse per la prima volta nella sua vita non provò nessun entusiasmo per il caso appena risolto.
Ancora sveglio alle due di notte davanti alla televisione, rimase a rimuginare sul motivo di quel cambiamento, e alla fine capì.
Capì che senza volere e senza preavviso, aveva finalmente messo Ran davanti a tutto. Quel desiderio che lei gli aveva espresso tempo prima si era avverato stupendo perfino lui. Non seppe dire quando accadde, ma perfino risolvere i casi non lo appassionavano più così tanto se poi questi gli impedivano di non vederla per giorni. Probabilmente se fosse tornato a casa da lei, la sera, non si sarebbe sentito così scocciato di aver lavorato tutto il giorno, anzi. Magari il pensiero di stare con lei gli avrebbe fatto provare nuovamente un po’ di eccitazione per un caso, ma sapere di dover tornare in quella casa enorme e inevitabilmente vuota, non aiutava la sua stanchezza mentale e fisica.
Prima non era così.
Sbuffò, avanzando a grandi falcate fuori dalla camera per poi spogliarsi velocemente e buttarsi sotto la doccia. Era così spazientito che non aspettò nemmeno che l’acqua divenisse calda, e iniziò a lavarsi sotto un getto gelido.
Prima non sapevi cosa volesse dire vivere con lei.
Era vero. Finchè non era andato a vivere con lei e Kogoro non gli era mai pesata quella casa, anzi. Amava il silenzio, aver tempo a disposizione per rimanere per ore in biblioteca senza essere disturbato. Ma da quando si era rimpicciolito, pareva che ormai la sua vita fosse ben definita in due momenti distinti: il prima Conan, e il dopo.
Aveva riavuto il suo corpo, la sua vita, tutto era perfetto. Ma non senza qualche rinuncia.
Che fosse perdere i suoi nuovi, piccoli amici, o che fosse non vivere più con lei.
Provò un senso di sollievo quando finalmente avvertì l’acqua calda addosso, e si appoggiò alla parete dietro di lui, portandosi le mani al viso.
Avrebbe tanto voluto andare a scuola quel giorno, ma aveva ancora tutti i fascicoli di quel caso sulla scrivania da chiudere e mandare in centrale, quindi amareggiato si era messo l’anima in pace e aveva detto a Ran che si sarebbero visti solo il giorno dopo.
Era quasi passata una settimana dal week-end a Kanazawa, ma gli pareva di non vederla da un mese.
Finì la doccia dopo un bel po’ e dopo essersi calmato, si vestì e scese al piano di sotto. Si preparò il caffè, e accese il telegiornale: tutti i notiziari parlavano del caso a cui aveva lavorato, e della ferocia con la quale il killer avesse ucciso quelle tre persone. Effettivamente, non era stato per niente piacevole.
Giocherellando con il cucchiaino della tazza, rimase un po’ in cucina in silenzio, guardandosi intorno.
Sto iniziando a impazzire, qui dentro.

Dopo aver fatto colazione, rimase per tutta la mattina in biblioteca per sistemare i documenti e i fascicoli sul caso, e si accorse che erano già le due solo quando il telefono cominciò a vibrare. Annoiato gli lanciò un’occhiata veloce, e si stupì di notare che fosse Sonoko. Incuriosito aprì il suo sms, per leggere velocemente cosa ci fosse scritto.
Ho convinto Ran a prepararci il riso al curry, stasera! Non vorrai mancare, detective!
Corrugò la fronte, un po’ confuso. Non capiva perché fosse stata Sonoko a dirglielo, ma diede la spiegazione al fatto che forse lei era ancora troppo imbarazzata per invitarlo. Per la prima volta da giorni sorrise un po’ rincuorato, e rispose un semplice “va bene” al messaggio di Sonoko.
Per quanto fondamentalmente facessero finta di non sopportarsi, dopotutto doveva ammettere che spesso e volentieri era anche grazie a lei se aveva fatto dei passi avanti con Ran. Dimenticandosi ormai del tutto dei fogli sparsi davanti a lui, sorrise ancora un po’ di più, perdendosi in pensieri decisamente più piacevoli.

 

Cinque mesi prima


Shinichi alzò annoiato lo sguardo su Ran, che stava diligentemente prendendo appunti davanti a lui. Si stava pentendo amaramente di aver mangiato davvero troppo a pranzo, perché avere la pancia piena con quel silenzio opprimente intorno non lo aiutavano a rimanere sveglio.
L’unica cosa che lo teneva ancora vigile, erano i ricordi di due giorni prima.
Al ricordo di quel singolo, piccolo bacio che Ran gli aveva regalato alla Festa dei Ciliegi in Fiore, sentì lo stomaco fare una capriola all’indietro dalla felicità. Sorrise come un ebete, mentre guardava ancora la ragazza davanti a sé. Lei non si accorse di niente, ma qualcun’altra gongolò a quella vista.
Con disappunto, Shinichi perse il sorriso e guardò di tralice Sonoko, che lo guardava con quell’aria da “tanto io lo so!”.
Ovvio.
Lei sapeva sempre tutto, su loro due.
Sospirò, guardandosi intorno. Quell’ala della biblioteca era poco gremita di persone, e pensò che probabilmente l’unica studentessa che avesse iniziato a studiare per un compito che avrebbero sostenuto solo due settimane dopo, fosse la sua ragazza.
Il suo sguardo stava ancora vagando per la sala, quando Ran gli diede un calcetto sotto il tavolo. Lui sobbalzò, per incrociare il suo volto contrariato.
« Sei distratto », brontolò.
« Non è vero », replicò annoiato.
Lei fece una smorfia, e guardò Sonoko.
« Anche tu lo sei! », la rimbeccò, notando che stava giocherellando col telefonino.
« Stavo cercando su internet altri appunti! », provò a difendersi lei. Shinichi alzò gli occhi al cielo.
« Scusa patetica », commentò.
Lei in risposta gli fece una linguaccia, a cui lui rispose con una smorfia.
Ran al loro ennesimo battibecco sbuffò, e si alzò in piedi.
« Mi serve un altro libro », spiegò e si avviò verso uno dei corridoi in fondo, sparendo alla loro vista.
« E così… », iniziò sottovoce Sonoko, dopo essersi accertata che Ran fosse completamente lontana da loro.
« Ho saputo che sei stato così imbranato da farti baciare, e non fare la prima mossa tu con la tua ragazza », la sua voce era un misto di divertimento e rassegnazione.
A quelle parole, Shinichi corrugò la fronte, fissandola intensamente. Dopo un attimo interminabile, lei sbuffò.
« Sei un incapace, davvero », sentenziò, guadagnandosi le occhiatacce di alcuni ragazzi vicini a loro. Nel dirlo, aveva alzato di un tono la voce.
« Cosa vorresti dire?! », borbottò lui.
« Davvero non ci arrivi, detective? », lo prese in giro Sonoko.
« Lei ti aspetta per mesi, e quando finalmente torni e state insieme, non sei nemmeno capace a baciarla tu per primo?! ».
A quella rivelazione, Shinichi si immobilizzò. Sonoko poté quasi sentire gli ingranaggi nella sua testa iniziare a lavorare e, perché no, anche cigolare. Quando si trattava di questioni del genere, si azionavano raramente, pensò sarcastica.
« Perché me lo stai dicendo? », chiese lentamente lui, improvvisamente nel panico. Il pensiero che a Ran quel bacio non fosse piaciuto gli stava logorando ogni sentimento di felicità provato negli ultimi due giorni.
« Stai tranquillo, Ran non si è lamentata di questa cosa. Ma dopo che mi ha raccontato come è andata, a me sono cadute le braccia per terra! », lo rimbeccò, sbattendo la penna sul suo tomo.
« Ma quale è il tuo problema? Dovresti prenderla e baciarla selvaggiamente come qualsiasi altro adolescente di questo pianeta, e invece sei sempre lì a pensare al mondo degli unicorni e omicidi! ».
« E tu dovresti farti i fatti tuoi! », quando capì che Ran non si era lamentata del loro bacio, ma erano i soliti commenti inappropriati di Sonoko, tornò a respirare.
« Senti, vediamo se così mi capisci », lei si massaggiò per un attimo le tempie, come a voler trovare la forza e la pazienza per spiegare un fatto ovvio a un bambino particolarmente lento.
« E’ già il secondo bacio che ti dà lei, ma in una coppia, è il ragazzo che fa la prima mossa. Non la ragazza, il ra-gaz-zo », sillabò come se fosse stato davvero ritardato. Lui alzò gli occhi al cielo nuovamente, chiudendo il libro, il tarlo del dubbio che per una volta lei avesse ragione che si insinuava subdolo nella sua mente.
« E’ Ran che ti ha aspettato. E’ Ran che ti fa il regalino di ceramica, il maglione, il cioccolato a San Valentino, ti prepara il pranz- ».
« HO CAPITO! », la sua voce fu davvero alta, e quasi si aspettò che Ran lo avesse sentito. Per sua fortuna, non la vide ancora sbucare dal corridoio in fondo al salone.
« Almeno il bacio, dannazione! », sbuffò Sonoko esasperata.
« Scusa, ma ci siamo già dimenticati che mi sono dichiarato io, a Londra, sotto il Big Ben? », gesticolò nervoso.
« Uh, uh, e poi? A parte quello? E non uscirmi fuori la storia che ti sei preso una pallottola per lei, i momenti che includono sangue non sono propriamente romantici », quasi gli sputacchiò in faccia. Shinichi ragionò velocemente cosa risponderle, ma tragicamente non gli venne in mente nulla. Più i secondi scivolavano via, più le parole gli morivano in gola e la mente si svuotava.
Merda.
Lei lo guardò incrociando le braccia con un’espressione vittoriosa.
« Ricordati bene, detective, che se non fosse per la sottoscritta stareste ancora a guardarvi da lontano fantasticando cose spinte. Quindi quando usciremo da qui, e la accompagnerai a casa, le darai un vero bacio, uno come si deve. Neanche i bambini si danno i baci a stampo, che diamine! Sai usare la lingua solo per sfracassarci le scatole con Sherlock Holmes?! ».
Shinichi divenne paonazzo e, nel panico, la guardò sgomento. Era stata così decisa, che quasi lo aveva intimidito. Proprio in quel momento, Ran sbucò da dietro il corridoio e tornò rapidamente al suo posto. Si sedette, non facendo caso agli sguardi in cagnesco che si stavano lanciando Sonoko e Shinichi, men che meno il lieve rossore sulle guance di quest’ultimo.
Dopo un po’, Sonoko iniziò a mettere i libri nella sua cartella. Alzando un sopracciglio, Ran la notò.
« Te ne vai? », domandò contrariata.
« Sì, mia madre mi ha chiesto se la accompagno a fare delle commissioni », si inventò con un largo sorriso.
« Ci vediamo domani, ok? Non studiate troppo », lanciò un’occhiata di fuoco molto eloquente a Shinichi, facendogli cenno con la testa verso Ran. Lui distolse lo sguardo, tremendamente a disagio.
Tirò un sospiro di sollievo solo quando Sonoko uscì dal salone, e cercò di far mente locale su cosa gli aveva appena detto.
Aveva sbagliato davvero tutto con quel bacio?
Mille dubbi lo assalirono e lo travolsero fino a lasciarlo tremendamente confuso. Si maledisse, quando iniziò a pensare che probabilmente Sonoko avesse ragione. Dannazione, forse Ran si aspettava qualcosa di diverso, qualcosa di meglio. Avevano aspettato così tanto per quel momento, e lui lo aveva rovinato?
Pensandoci, se non fosse stato per lei, si sarebbe lasciato scappare anche quell’occasione. Perfino quando lei gli aveva appoggiato le labbra sulle sue, era rimasto praticamente impalato, e non aveva fatto cenni per continuare o intensificare il momento.
Aveva la testa così piena di domande e un malessere crescente alla base dello stomaco, che gli venne il mal di testa e il mal di stomaco nel medesimo momento. Si portò una mano alla testa, fissando il libro che aveva davanti senza realmente vederlo.
Ma possibile che Sonoko, alla fine, avesse sempre ragione su loro due? A quel pensiero, gli salì anche un po’ di rabbia.
« Accidenti, non è questo il libro! », sentì Ran sbuffare, per poi alzarsi in piedi. Ancora immerso nei suoi pensieri, lui la guardò perso.
« Ce ne andiamo? », domandò a bruciapelo.
Se Sonoko aveva realmente ragione, doveva assolutamente rimediare. E subito.
« No, ho detto che ho sbagliato libro », ripetè lei con noncuranza, non rendendosi conto del subbuglio emotivo in cui si ritrovava il suo ragazzo.
« Ah », mormorò lui deluso. « Ma quando ce ne andiamo? », domandò di nuovo confuso. Lei si accigliò.
« Shinichi, questo test è importante, e tu sei indietro con metà programma. Pensa a studiare, non a quando ce ne andiamo! », lo sgridò lei, sparendo di nuovo alla sua vista.
Lui rimase immobile, lo guardo smarrito e alcune goccioline di sudore che gli imperlavano la fronte.
Cercò di ridarsi un tono, mentre beveva a grandi sorsi una bottiglietta d’acqua acquistata precedentemente. Sospirò per calmarsi, e si asciugò il sudore.
Ragiona, maledizione. Puoi ancora rimediare. Devi solo aspettare di tornare a casa insieme, e…
Si blocco. E? E dove l’avrebbe baciata? Per la strada?
L’idea di invitarla in casa era fuori discussione, sarebbe passato per un maniaco. Andare da lei con Kogoro che aspettava solo il momento giusto per stenderlo a terra era anche quello fuori discussione.
Pensò velocemente a un posto appartato, dove avrebbe potuto creare un po’ di atmosfera, ma non gli venne in mente niente. Il tragitto che solitamente facevano insieme era tutt’altro che romantico.
Certo, due giorni fa eravate immersi nei fiori di ciliegio, ma certo, tu spreca quell’occasione!
« Stai bene? ».
Trasalì, vedendo che lei era tornata e lo stava fissando un po’ sconcertata.
« Stai sudando », notò lei.
Merda.
« Eh, sì, fa caldo », rise incerto, sventolandosi una mano sul viso. Lei aggrottò la fronte.
« Levati il maglioncino », disse con tono ovvio.
« Già », rise ancora lui isterico, e nervosamente si tolse il maglioncino giallo della divisa.
Si stava sentendo un emerito idiota, ma per fortuna lei non gli diede troppo preso. Era davvero concentrata sul libro che aveva di fronte, e non gli diede più retta per un bel po’.
Col passare del tempo, e di almeno un’ora e mezza, rimasero solo loro con altri tre studenti in tutto il salone, e a quel punto ormai la pazienza di Shinichi stava davvero per esaurirsi.
Aveva pensato e ripesando tutto il tempo alle parole di Sonoko, ma con il fatto che Ran si era intestardita a rimanere lì per tutto quel tempo, stava quasi perdendo le speranze di poter concretizzare una qualche forma di approccio con lei. Soprattutto perché davvero non sapeva dove attuarlo.
Era ancora soprappensiero, quando Ran sospirò e chiuse il libro. La vide mentre si stiracchiava, e notò solo in quel momento il suo viso tirato.
« Che ne dici, andiamo? Non ne posso più », ammise passandosi una mano sul viso stanco. Come se niente fosse prese la bottiglietta d’acqua di Shinichi, e ne prese due grandi sorsi. Ma quando notò il suo sguardo stranito, arrossì.
« Oh, scusa », si staccò dalla bottiglia velocemente.
Lui rinvenne dai suoi pensieri, sbattendo più volte le palpebre.
« Eh? ».
« Ti ho bevuto l’acqua », ripeté lei indicandogliela.
« Se ti dovessi scusare per tutto il cibo e le bibite che mi hai rubato negli anni… », cercò di apparire normale, per quanto faticoso fosse con tutta quella confusione in testa. « Non basterebbe un giorno intero, scroccona », concluse prendendola in giro.
Lei mise su un broncio adorabile, mentre lo guardava sistemare le sue cose nella cartella.
« Vogliamo giocare a questo gioco? », disse alzandosi in piedi, e avvicinandolo.
« A chi è più scroccone dei due? », lo punzecchiò. Shinichi la guardò divertito, e capì che si riferisse a tutto il tempo in cui Conan aveva vissuto con lei e suo padre.
« Ok, hai vinto », ammise alzando le mani a mo di resa.
Lei gongolò silenziosamente, e insieme iniziarono ad avviarsi verso l’uscita. Solo quando furono quasi in fondo, lei si rese conto di avere ancora in mano il tomo che aveva preso prima due corridoi prima.
« Aspetta, devo posare questo! », esclamò, e lo trascinò con se nuovamente indietro.
Lui si lasciò portare in quello stesso corridoio dove si era immersa ore prima, e la vide mentre tentava di risistemare il libro al suo posto.
Mentre si trovava lì, notò come fossero abbastanza isolati. Da quella posizione non vedeva nemmeno le tavolate dove erano stati seduti tutto il pomeriggio, osservò sollevato. Voleva dire che non aveva sentito assolutamente il discorso di Sonoko.
Sonoko.
Si irrigidì, con le mani nelle tasca e la cartella sotto un braccio.
Le darai un vero bacio, uno come si deve.
Guardò lentamente Ran che si metteva in punta di piedi per arrivare a sistemare quel libro…
Un posto appartato.
« Invece di stare lì come uno scemo, che ne diresti di aiutarmi? », brontolò lei sarcastica, mentre lo fissava spazientita.
Lui si avvicinò in silenzio, fissandola di sottecchi.
« Non capisco », continuò guardandosi intorno, mentre un silenzioso Shinichi le prendeva di mano quel libro lo rimetteva a posto.
« C’era la scala, devono averla spostat- ».
Non finì mai la frase.
Shinichi si chinò velocemente su di lei, approfittando della sua momentanea distrazione, e posò le labbra sulle sue con decisione.
Stupita da quel contatto, Ran sobbalzò. Non si sarebbe mai aspettata un bacio da lui in quell’esatto momento, e in un posto del genere. Ma la forza che lui mise in quel bacio le mozzò il fiato, e la paralizzò sul posto. Lui aveva ancora il braccio alzato, le mani a sfiorare quel libro che aveva appena posato. Facendo così l’aveva intrappolata fra lui e la libreria, e ora si ritrovava imprigionata in un turbinio di emozioni del tutto nuove per lei.
Con la testa vuota e gli occhi serrati, Shinichi sentì un impeto di euforia quando la sentì rispondere a quel bacio con vigore. Abbassò il braccio che aveva perfino dimenticato di avere alzato, e posò le mani accanto ai suoi fianchi, per sostenersi sulla libreria. Effettivamente ne aveva bisogno, sentiva le gambe tremare come a cedergli, e quasi iniziarono a dolergli le braccia da quanto le stava irrigidendo.
Lei, ancora più stretta fra lui e il mobile, portò le mani alla gonna, stringendola convulsamente.
Si staccarono dopo un tempo infinito, ma quando lei fece per prendere aria e aprire gli occhi, fu colta nuovamente da lui che le posò un altro bacio veloce, e un altro ancora subito dopo.
Quando Ran pensò che non poteva davvero sentirsi più felice di così, sentì improvvisamente la sua lingua farsi strada lentamente nella sua bocca.
Avrebbe volentieri emesso un urlo di sorpresa, ma non riuscì ad emettere un suono. Nel panico, pensò velocemente a cosa fare, ma il suo corpo agì da solo. Rispose timidamente con la sua, intrappolandosi in un bacio così impetuoso da lasciarla stordita. Le mani si staccarono dalla gonna per aggrapparsi al suo collo, immergendo le mani nei suoi capelli.
Respirò aria che agognava da ormai da qualche minuto col naso, e fu lì che sentì il suo profumo entrargli prepotentemente nelle narici.
Aveva sentito così tanto la mancanza del suo profumo in quei mesi di lontananza, che cercò di annusarne il più possibile. Non seppe dire cosa fosse, probabilmente non era nemmeno un profumo, ma proprio il suo odore. Non seppe dirselo, da che avesse memoria lo aveva sempre sentito.
Certo, mai come in quel momento.
Gli accarezzò la nuca dolcemente, sentendo i suoi capelli così morbidi.
Da quanto tempo desiderava farlo? Quanto aveva fantasticato su quel momento?
Quando erano solo amici, certo non aveva mai potuto giocherellarci così.
Amici.
Perché diamine lo erano stati per così tanto tempo? Se avesse saputo che lui era in grado di provocarle simili sensazioni, si sarebbe sicuramente svegliata prima.
In più quel bacio sembrava infinito, ma ciò non la disturbava affatto. Anzi.
Da come la stava baciando, poi, pensò se non fosse qualcosa che volesse fare da un bel pò, perché era come se stesse rilasciando un desidero nascosto per troppo tempo. Avvertiva la sua impazienza di baciarla ancora, e ancora, come se non riuscisse più a fermarsi.
Quello che stava immaginando Ran, era maledettamente vero. Ormai  Shinichi aveva completamente staccato la spina al suo cervello, mentre avvertiva solo quelle labbra contro le sue, e il fatto che lei si facesse baciare senza opporre resistenza e gli stesse accarezzando i capelli, lo travolse.
Non pensava davvero di poter osare tanto, specialmente perché ogni qualvolta in passato lui avesse mai fatto battutine scherzose nei suoi confronti, lei aveva iniziato a insultarlo o, ancora peggio, assestargli un qualche calcio o gomitata nello stomaco.
State insieme, idiota.
Sorrise a quel pensiero. Il fatto era che, in realtà, non gli pareva ancora vero. Lei parve accorgersi di quel sorriso contro le sue labbra, e aprì gli occhi per guardarlo. Quando la sentì staccarsi, Shinichi rinvenne dal suo stato di caos col battito e il respiro accelerato.
Rimasero per un po’ a guardarsi, respirando affannosamente. Infine, Ran gonfiò lentamente le guance come a trattenersi. Lui intuì, e la imitò.
Dopo pochi secondi scoppiarono a ridere silenziosamente, uno a poca distanza dall’altro.
Era davvero così assurdo, che l’idea di ciò che fosse successo in quell’angolo di biblioteca, creò quella stupida ilarità fra di loro. Ridacchiarono ancora per un po’, infine lei lo guardò di sbieco.
« Forse dovremmo andare », sussurrò lei arrossendo e allontanando le sue mani dalla nuca di Shinichi.
Lui si staccò dalla libreria, e, lanciandole un’occhiata eloquente, si allontanò da quell’angolo.
Si sentì così orgoglioso di se stesso, che sarebbe volentieri corso da Sonoko per inserire nell’elenco delle cose che aveva fatto, dopo Londra, anche quel particolare momento.
Non sapeva ancora che sua madre, dopo appena qualche giorno, gli avrebbe fatto una bel discorsetto.
Discorsetto in cui gli chiese espressamente se oltre al bacio alla Festa dei Ciliegi in Fiore ci fosse stato altro, e in cui lui accuratamente sorvolò sul raccontarle quel momento così appassionato creatosi in biblioteca.

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Capitolo 12
*** Distrazioni ***


WITHOUT WORDS.
distrazioni.
 

« Ti eri fatto un bel nemico, Kudo-san ».
Shinichi, dal suo letto di ospedale, fece un sorriso sbieco attraverso la maschera dell’ossigeno ben ancorata alla sua bocca.
Si era svegliato da due giorni, ma l’FBI non aveva voluto sentire ragioni. E così da un momento all’altro si era ritrovato circondato da James Black, Jodie Starling e Shuichi Akai, e si stupì specialmente dell’espressione accesa di quest’ultimo. Raramente l’aveva visto sorridere così prepotentemente. Eppure eccoli lì, tutti con almeno un paio di bende e qualche livido, ma con gli occhi così luminosi che si sentì rincuorato.
« So bene che fatichi a respirare, ma se potessi rilasciarci la tua testimonianza… potremmo continuare con la relazione del caso. Sei stato un bel po’ in coma, e manca solo la tua versione dei fatti », tentennò James, picchiettando le mani sulla scrivania lì accanto. Shinichi a quelle parole ebbe l’irrefrenabile voglia di alzarsi in piedi e illustrare per filo e per segno cosa fosse accaduto, ma purtroppo si sentiva così dolorante e debole che potè al massimo portarsi una mano al viso e accostare di lato la mascherina, sentendo immediatamente l’impulso di riportarsela sulla bocca. Gli mancava davvero molto il fiato, ma volava perlomeno provarci.
« Un giorno si sono presentati in Agenzia… », quasi non riconobbe la sua voce quando iniziò a parlare. Era roca, bassa, e così fievole che tutti e tre i presenti dovettero avvicinarsi per sentirlo. Jodie, che aveva appena acceso il registratore, lo guardò con un sorriso incerto.
« No, Kudo-san », disse lentamente. « Dovresti raccontarci l’intera storia ».
« Conan Edogawa », soffiò Shuichi pazientemente.
Shinichi sospirò, e provò a racimolare tutte le forze che possedesse. Dopo un attimo di incertezza, riprese a parlare.
Iniziò rivangando con un nodo allo stomaco quel giorno lontano a Tropical Land, per poi spostarsi sui vari scontri avuti contro l’organizzazione in quei lunghi sei mesi. Parlò lentamente e con dolore, ogni singola parola che gli uscisse di bocca gli costava un notevole sforzo. E, dopo quaranta minuti di interrogatorio, non ne poté davvero più. Si portò con un gemito la mascherina con l’ossigeno al viso, respirandone quanto più potesse. I tre davanti a lui si guardarono con sguardo comprensivo, e gli dissero che per quel giorno sarebbe bastato così. Shinichi, completamente senza forze, non poté contestarli e chiuse gli occhi colto da una fitta atroce derivata dalla schiena.
« Ovviamente questa discussione deve rimanere fra noi, è strettamente confidenziale. Almeno finchè non faremo la conferenza stampa la settimana prossima per annunciare tutto, sebbene i giornalisti ne sappiano già fin troppo », James alzò gli occhi al cielo, spazientito.
« Già, sei una star Kudo-san », la mise sul ridere Jodie. « Fuori dall’ospedale c’è una marea di reporter da settimane. Sei l’eroe del Giappone », gli fece l’occhiolino. Shinichi fece un altro mezzo sorriso attraverso la mascherina, nascondendo il suo fastidio.
« Continueremo domani », annunciò Shuichi e, quando si mise in piedi, Shinichi notò distrattamente come stesse visibilmente zoppicando.
E così fu. Il giorno dopo tornarono, e ripresero da dove si era interrotto il giorno prima. Sempre a fatica continuò il suo racconto, arrivando finalmente a quel maledetto giorno di un mese prima.
« Quando ormai tre mesi fa ho partecipato alla gita scolastica della mia scuola, mi sono esposto troppo », ammise dosando parola per parola, con un fiatone crescente.
« Già dopo pochi giorni ero uscita online la notizia che fossi vivo, ma i miei genitori l’avevano gestita », tossì, facendo una pausa. Quando smise, si tolse un po’ di sudore dalla fronte.
Quell’interrogatorio stava diventando davvero pesante, sia dal punto di vista fisico, sia mentale, ma sapeva bene che doveva dar loro ciò che volevano. Solo così si sarebbe potuto mettere un punto a quella maledetta vicenda.
« Però non ci hanno creduto », concluse per lui Jodie con tono grave. Lui negò, scuotendo la testa.
« Credo ci abbiano relativamente messo poco per fare due più due », ammise amareggiato.
« Quando hanno capito che ero Conan, è stato facile. Un giorno in agenzia si è presentato un uomo, dicendo che aveva un lavoro per Kogoro. Potete ben capire dove ci abbia condotto… », fece una smorfia, sentendosi stravolto.
« Quell’uomo era un complice dell’organizzazione », sputò Jodie, stringendo i pugni.
« Sì », confermò Shinichi. « Ma me ne sono accorto tardi ».
« Così vi ha portato fuori città con quella scusa? », gli chiese Shuichi, incrociando le braccia al petto.
« Sì, me, Kogoro e… Ran », deglutì.
« Sì », confermò Jodie, mordendosi un labbro. « Abbiamo trovato dei documenti », proseguì cauta. A quelle parole, Shinichi si zittì, mentre la donna apriva una cartellina che fino a quel momento aveva tenuto in grembo. Dopo qualche secondo di silenzio, estrasse un fascicolo e glielo porse. Shinichi lo afferrò e cercò di mettere a fuoco ciò che aveva fra le mani, mentre il suo stomaco faceva una giravolta all’indietro.
« Hai ragione a dire che ti sei esposto troppo, durante la gita », mormorò Jodie, guardandolo con sguardo triste.
« Abbiamo trovato un sacco di documenti su Ran Mori, si sono informati su di lei », si interruppe, mentre osservava lo sguardo sbarrato di Shinichi crescere secondo dopo secondo sul suo viso. Sospirò, mentre di sottecchi notava come stesse ormai sfogliando quel fascicolo con mani tremanti e viso teso, evidente perfino sotto la mascherina dell’ossigeno, riposta velocemente sulla sua bocca dopo aver letto le prime righe del documento.
« Sapevano che con lei intorno saresti stato vulnerabile, perché si era sparsa la voce che voi due foste molto legati. Credo abbiano indagato perfino fra le mura del vostro liceo, dove tutti ben sanno che siete cresciuti insieme », concluse piano, facendo scendere un silenzio teso nella stanza.
Shinichi la guardò con sguardo perso, con ancora in mano quei fogli ormai alla rinfusa intorno a lui.
Lentamente spostò la sua attenzione su di essi, e il cuore mise a pompargli incessantemente nel petto: davanti a lui c’era praticamente tutta la sua vita con Ran.
Foto di loro due da bambini, da ragazzini, documenti sulla vita di Ran e, quando le vide gli venne da vomitare, almeno una decina di sue foto in vari momenti della giornata. Dovevano averla seguita per un po’, perché parevano giorni diversi. In alcune aveva la divisa, mentre probabilmente si stava dirigendo a scuola; altre dovevano essere state scattate in palestra, perché aveva la divisa da karateka. Ancora, foto di lei e suo padre, e infine con Conan. Respirando a pieni polmoni dalla mascherina, guardò  la foto che li ritraeva mano nella mano da ritorno da fare la spesa, probabilmente. Conan le stava rivolgendo un sorriso, e lei pareva ridere.
Come puoi non essertene accorto.
Si maledisse, e in un impeto d’ira fece in là tutte quelle foto, sotto lo sguardo nervoso dei tre davanti a lui.
« Sicuramente ricorderai come online fosse uscita la notizia anche di un vostro bacio », la voce di Jodie appariva lontana, mentre la sua testa cercava di assimilare ogni frase scritta su quei documenti nelle sue mani.
« Una certa blogger riferì di aver visto Ran baciarti al Kiyomizu-dera ».
Già. Quel bacio sulla guancia che nel momento in cui Ran gli aveva scoccato, lo aveva riempito di una gioia così incommensurabile che in quel momento gli parve impossibile da avvertire nuovamente. Non quando quella poteva essere stata la causa del grave pericolo a cui l’aveva esposta.
« Non credo abbiano mai creduto alle smentite su quei giorni », ammise Shuichi, scuotendo il capo.
« Negli archivi, non c’era più scritto “deceduto” accanto al tuo nome, mentre sappiamo che Shiho Miyano lo aveva inserito. Lei lo ha confermato settimane fa, perciò qualcuno si è messo sulle tue tracce dopo quel caso a Kyoto ».
La verità gli fece così male, che pensò che il suo corpo potesse sgretolarsi su quel letto in quell’istante. Non che non ci avesse pensato, anzi. Sapeva perfettamente che doveva essere stata per una sua svista che erano risaliti a lui, ma sentirselo dire era tutt’altra cosa. Chiuse gli occhi, sprofondando nel cuscino.
« Nessuno ti vuole dare la colpa, Kudo-san », James riprese parola dopo un bel po’. « Dopotutto, solo così siamo potuti arrivare a loro e neutralizzarli ».
Avrebbe voluto dirgli che era davvero una magra consolazione, rispetto a quel maledetto fascicolo che teneva in mano. Lo foga lo buttò di lato, non volendolo più  vedere, la faccia di Ran sparsa su ogni dannata foto.
Quanto era stato stupido. Stupido, egoista, un vero e proprio ragazzino mosso solo dai propri interessi. L’aveva protetta per così tanto tempo, ed era bastato il suo capriccio di andare in gita con lei e si era scatenato quell’inferno.
« Renya Karasuma è in galera, grazie a te », sentenziò James con il suo accento inglese, e sotto i suoi baffi apparve un sorriso incoraggiante.
« Ora, per favore, prosegui… », intervenne poi.
« Mi hanno fatto diversi test », continuò malamente. « Sono rimasto rintontito in un laboratorio per non so quanto tempo. Penso volessero capire se fossi davvero Shinichi Kudo, e se sì, in che modo quella pastiglia mi avesse ridotto così. Solo dopo diverso tempo, mi sono ritrovato con Ai ».
« L’hanno prelevata da davanti casa », annuì Jodie. « E’ stato facile risalire anche a lei, dopotutto. Dopo aver capito che l’APTX faceva rimpicciolire, ci hanno messo poco per capire che l’avesse presa anche lei ».
« Tuttavia penso non siano risaliti a molte informazioni, attraverso quelle visite », ammise Shinichi interrompendola.
« Per questo alla fine mi hanno dato un prototipo di antidoto », al ricordo, un’ulteriore fitta allo stomaco gli fece salire la nausea.
« Da qui in poi, siamo arrivati noi », annuì Shuichi. Shinichi inarcò un sopracciglio, mentre prendeva un po’ di ossigeno.
« Ora ho io una domanda », iniziò. « Come avete fatto a trovarci? ».
Shuichi sorrise senza allegria e, sempre a braccia incrociate, prese parola.
« Ho visto quell’uomo prendere la ragazzina, mentre uscivo da casa tua », spiegò. « Non si è accorto di me, per fortuna. Se non mi fossi trovato lì, non so cosa sarebbe successo francamente ».
Shuichi, che abitava a casa Kudo da un bel po’. Se solo non gli avesse proposto di vivere lì, a quell’ora sarebbero morti. Tutti. E solo per colpa della sua stupidità.
Arricciò il naso.
Aveva una gran voglia di chiamare l’infermiera, farsi dare un po’ di morfina e cadere in un sonno segni sogni. Ma sapeva bene che c’erano ancora troppe domande lasciate irrisolte.
« Qui veniamo al punto », disse James con voce chiara.
« Stiamo ancora analizzando i loro documenti, e mettendo insieme le varie dichiarazioni… quando avremo messo insieme tutti i pezzi, sapremo dire con chiarezza cosa facessero, dagli esperimenti nei laboratori ai giri di affari. In quel momento ti faremo sapere tutto, com’è giusto che sia », spiegò James.
Shinichi lo guardò, improvvisamente nervoso. Si torturò le mani, per poi sputare la domanda che si stava tenendo dentro da giorni.
« Qualcuno è morto nell’attacco? ».
« Sì », disse James con tono grave. « Era prevedibile, Kudo-san », proseguì quando vide il dolore farsi largo nei suoi occhi chiari.
« Chiunque lavorasse a questo incarico ne era consapevole, e sapeva del pericolo… erano tutti uomini pronti e scelti ».
« E di loro? », domandò titubante. I tre si scambiarono un’occhiata veloce, e dopo un po’ prese parola Jodie.
« Vermouth è stata uccisa da Gin », disse solamente.
« Alcuni hanno dichiarato di aver sentito Gin dire che era dalla vostra parte », spiegò e perfino lei pareva confusa. « Che li aveva traditi per proteggere Ran ».
« Non era certo il tipo da perdonare una cosa del genere », Shuichi alzò le spalle. « Anche se non sappiamo bene perché improvvisamente si sarebbe immolata per voi ».
Shinichi assimilò le nuove informazioni rimanendo un po’ rintontito. Erano davvero molte notizie e complice il dolore sparso per tutto il corpo, stava facendo fatica a stare al passo. Ma quando sentì pronunciare il nome di Gin, non riuscì a trattenersi.
« Gin è stato catturato? », domandò a bruciapelo.
« No », la risposta di Jodie gli fece sbarrare gli occhi dal terrore, ma presto lei si affrettò a proseguire.
« Subito dopo aver colpito te, gli hanno sparato a sua volta. E’ stato Kogoro Mori ».
Un moto di affetto per Kogoro lo travolse, e tornò a respirare piano. Prese un gran boccone di ossigeno, rilassandosi.
« Per quanto riguarda tutti loro, non sanno ovviamente di Conan », iniziò James cauto.
« Sanno poco, in realtà. Non intendiamo rivelare tutto, perfino alla stampa quando sarà il momento. Per questo motivo gli abbiamo rivelato il giusto per soddisfarli ».
« E qui veniamo a te ».
Shinichi li fissò intensamente, e con attenzione gli ascoltò.
« Nessuno dovrà sapere di Conan Edogawa. Se si venisse a sapere che esiste un farmaco del genere, puoi solo immaginare cosa accadrebbe. La notizia girerebbe in poche ore, e milioni di persone lo vorrebbero. E’ assolutamente fuori questione, e provvederemo a eliminarne qualsiasi residuo. E’ contro natura, e non oso immaginare l’impatto che avrebbe sul genere umano », la voce di James era preoccupata, e il suo sguardo lasciava trapelare il suo sgomento.
« La stessa cosa è stata riferita a Shiho Miyano, la quale non verrà imputata di alcun crimine come membro dell’organizzazione proprio per l’aiuto che ci sta offrendo in cambio della libertà. In più ha deciso di collaborare anche per l’antidoto, visto che ci risulta non siate gli unici ad essere stati ridotti così », fece un cenno a Shuichi, che fece una smorfia. Shinichi capì che si stesse riferendo a sua madre, ma il suo silenzio non lo invogliò ad indagare oltre. L’avrebbe fatto con più calma, in un altro momento.
« Quindi, di preciso, cosa sanno tutti? », domandò Shinichi incerto.
« Ti sei infilato nei loro affari per sbaglio, ed è questo il motivo della sua lunga assenza. In questi mesi hai indagato come nostro infiltrato, e alla fine loro ti hanno trovato, includendo Kogoro e la sua famiglia come ostaggi. E’ già girata la voce di esperimenti su cavie umane, specialmente perché lo stesso Boss risultava essere morto da decenni, ma cercheremo di non lasciar trapelare dettagli ».
Era facile da imparare, come storiella. Era quasi la verità, constatò lui disgustato.
« E come facciamo con… Conan? », disse flebilmente.
Sapeva bene che era sciocco parlare del suo alter ego infantile come se fosse stata una persona a sé, ma ormai gli veniva naturale dividersi da lui. Pazientò, mentre Jodie riprendeva parola.
« Abbiamo detto che lo abbiamo salvato prima di trovare tutti voi, e che ci siamo messi in contatto con la sua famiglia in America, che lo ha riportato a casa con sé. Per ora pare che tutti ci stiano credendo, anche se Mori-san non ci è sembrato del tutto convinto, ma per ora non ha indagato ulteriormente ».
Questa spiegazione, notò, faceva acqua da tutte le parti. Si sentì quasi offeso per quella scusa così fragile e banale, ma ovviamente non li contestò. Ci avrebbe pensato più tardi, quando con calma avrebbe riorganizzato la gran confusione che gli vorticava in testa.
« Direi che per oggi basta così », annunciò Jodie, notando la preoccupazione riflessa sul viso di Shinichi.
« E fai attenzione ai giornalisti, qualcosa mi dice che li avrai fra le gambe per un bel po’ », lo ammonì James, alzandosi in piedi.
« Come farò con loro? », domandò Shinichi stancamente.
« Cerca di fare il vago sugli argomenti delicati, distraendoli su uno meno importante », gli spiegò Jodie, seguendo James.
« In particolare, sono molto interessati a come ti sei immolato per la tua ragazza », disse pensierosa, in risposta allo sguardo confuso di Shinichi.
« Già », alzò gli occhi al cielo James. « Era su tutte le prime pagine ».
« Ottimo », sbuffò Shinichi con una smorfia.
« Questa faccenda non è conclusa, Kudo-san. Sarai circondato da un bel po’ di pressione, non appena ti stabilizzerai. Dovrai fare attenzione ad ogni parola, ogni gesto, non lasciar trapelare niente che non ti diremo noi. Devi fare quest’ultimo sforzo », prese parola Shuichi.
Shinichi lo sapeva bene. Sapeva che avrebbe sicuramente dovuto collaborare ulteriormente con loro, e che per ancora molti anni l’interesse intorno a quella faccenda non si sarebbe smorzato. Tante domande ancora necessitavano di responsi, e solo il tempo e il lavoro dei servizi segreti avrebbe dato qualche risposta. Ma in mezzo a tutto quel dolore, la consapevolezza che il nucleo centrale era stato debellato lo travolse lasciandogli un piacevole sollievo.
Con ancora in mente tutte le informazioni che gli avevano rilasciato quel giorno, li guardò mentre uscivano lentamente dalla sua stanza. Rimase solo, la testa che gli pulsava, e quel maledetto fascicolo su Ran ancora al suo fianco.
Ancora ignorava quanto quella storia lo avrebbe perseguitato i mesi a venire.

 

***


Shinichi si maledisse mentalmente.
Cercò di non colpire per sbaglio alcuni innocenti passanti che si trovavano sulla sua traiettoria, mentre correva trafelato verso casa di Ran. Quel pomeriggio aveva lavorato ancora al fascicolo sul caso risolto il giorno prima, e quando infine lo aveva inviato tramite mail alla centrale di polizia, aveva deciso di concedersi un sonnellino sul divano. Peccato che non avesse impostato la sveglia, e si fosse svegliato quando l’orologio segnava le sette meno un quarto. Ci aveva relativamente messo poco per uscire di casa, considerando che non si fosse nemmeno cambiato. E così era balzato in strada con addosso ancora i pantaloni della tuta e la felpa che usava solitamente per stare in casa. Ma poco gli importava, l’importante era arrivare in tempo per cena. Se avesse ritardato, dopo tutta la settimana passata a snobbarla per il caso, lo avrebbe sicuramente ucciso. No, ucciso forse no, ma non aveva nemmeno voglia di passare l’intera serata a sostenere i musi della sua ragazza.
Fu così che arrivò davanti all’agenzia investigativa, in quello che pensò fosse stato il suo record massimo di corsa: erano le sette e dieci minuti.
Prendendo un po’ fiato, fece gli scalini con ancora il respiro accelerato. Quando, infine, suonò al campanello e Sonoko gli aprì la porta, notò il suo sguardo critico.
« Sei in ritardo », sentenziò, facendosi da parte per lasciarlo entrare.
« Di soli dieci minuti », precisò attraverso il fiatone, sgattaiolando dentro velocemente.
« Beh, sicuramente non hai perso tempo per prepararti », alzò un sopracciglio, notando i suoi capelli più spettinati del solito e il suo vestiario casalingo. Shinichi alzò le braccia al cielo.
« Ho lavorato fino a tardi, scusa se non ho messo lo smoking », replicò acidamente, allargando le braccia.
« Avete finito di discutere, voi due? ».
La voce di Ran lo portò un attimo alla realtà, e quando si voltò verso la cucina la vide.
Con un tuffo al cuore notò il suo grembiule con i gattini, lo stesso che usava sempre quando preparava la cena per lui e Kogoro. Aveva ancora la tuta della scuola, mentre mescolava energicamente con un mestolo il riso nella pentola davanti a lei. Lo osservò distrattamente per poco prima di riprendere a cucinare, ma quel fugace sguardo dolce gli fece scendere un brivido lungo la schiena.
In quel momento si ricordò che quella era realmente la prima volta che si rivedevano dopo quel week-end, e un insopportabile rossore gli colorò le guance. Era stato così tanto preso da quel caso, che si era perfino dimenticato dell’imbarazzo che avrebbe dovuto affrontare quella sera, e non aveva nemmeno pensato a cosa dirle riguardo ciò che era accaduto. In più, la presenza di Sonoko lo stava rendendo frustrato, proprio perché sapeva bene che doveva far trasparire il meno possibile le sensazioni che lo stavano investendo senza realmente poterle controllare.
Cercò di riprendere velocemente il controllo, specialmente perché era consapevole che Sonoko annusasse qualsiasi cambiamento fra di loro alla velocità della luce. Per questo motivo decise di far finta di niente e comportarsi come al solito, e sperò vivamente che Ran non le avesse raccontato nulla. Ma, da come lei lo seguì tranquillamente in cucina e iniziò a parlare di cose più o meno interessanti, si rasserenò. Sonoko pareva come sempre, non gli lanciò nemmeno un’occhiata maliziosa o eloquente, ragion per cui probabilmente era ancora all’oscuro di ciò che avevano fatto. Mentalmente, ringraziò Ran e il suo silenzio.
« Shinichi? ».
La voce dubbiosa di Ran lo riportò un attimo alla realtà, e notò come stesse fissando Sonoko da almeno due minuti per accertarsi che i suoi sospetti fossero infondati. Scuotendo la testa, spostò il suo sguardo su Ran e sorrise debolmente.
« Scusa, ero distratto. Cosa stavi dicendo? », non aveva sentito una parola negli ultimi minuti.
« Ti stavo chiedendo come era andato il caso », ripeté Ran lentamente, tornando a mescolare il suo riso.
« Oh, spiacevole in effetti », alzò le spalle lui, mettendosi le mani nelle tasche.
« Me lo ha detto anche papà », replicò Ran.
Ti ha anche raccontato della nostra fantastica chiacchierata?
« Ci hai messo una vita per risolverlo », sbuffò Sonoko. « Un’intera settimana », precisò prendendo un sorso della sua coca-cola.
« Cosa succede, detective? L’eroe del Giappone perde colpi », lo prese in giro ulteriormente.
Shinichi fece una smorfia nella sua direzione, dondolandosi sui piedi.
No, ho semplicemente continuato ad avere flash di sabato per tutto il tempo.
« E’ pronto! », annunciò Ran con entusiasmo, prendendo la pentola e posizionando al centro del tavolo.
Interruppe fortunatamente il loro battibecco, e tornando a chiacchierare del più e del meno iniziarono a mangiare. Shinichi si stupì perfino di come riuscì relativamente in fretta a sentirsi al suo agio accanto a lei, mentre Sonoko iniziava i suoi sproloqui senza senso su cose o persone talvolta sconosciuti, creando pian piano il divertimento generale e la risata cristallina di Ran. Al suono di quest’ultima, si rilassò ulteriormente sulla sedia, continuando a mangiare quello che probabilmente era il riso al curry più ben riuscito della sua ragazza.  
« A proposito, Ran! », saltò su Sonoko ad un certo punto, colta da un pensiero improvviso.
« Devi raccontare a Shinichi della palestra », sorrise orgogliosa.
« Cioè? », domandò curioso lui.
Shinichi posò le bacchette, per poi rivolgere la sua totale attenzione alla ragazza al suo fianco. Sentendo i suoi occhi addosso, Ran arrossì e provò a sostenere il suo sguardo per la prima, vera volta in tutta la serata.
Per un attimo si perse nel blu dei suoi occhi, e si maledisse mentalmente. Da quando era arrivato, aveva evitato in tutti i modi di guardarlo troppo in faccia, certa che questo avrebbe causato sensazioni ed emozioni che stava ormai seppellendo agli occhi di tutti da una lunga settimana. Da quando lunedì era tornata scuola, aveva cercato di scacciare ogni ricordo inerente a quella notte trascorsa insieme perlomeno quando si trovava in pubblico, o specialmente accanto a Sonoko. Solo così era riuscita a mantenere il segreto, perché se solo si fosse ritrovata a sognare ad occhi aperti probabilmente le si sarebbe letto tutto in faccia.
Solo quando tornava a casa si lasciava andare ad ogni genere di fantasticheria, talvolta ritrovandosi perfino accaldata.
Così quando finalmente lo guardò, e ripensò a ciò che avevano fatto, arrossì di colpo. Distolse lo sguardo, prendendo un lungo sorso di acqua, sperando con tutta se stessa che questo alleviasse il calore che le stava colorando il viso, e contemporaneamente nascondendolo a Sonoko seduta di fronte a lei.
Shinichi si accorse immediatamente del suo imbarazzo, così tornò velocemente ad abbassare gli occhi sul suo riso.
« S-sì », balbettò infine Ran, e con sollievo osservò che Sonoko non sembrasse essersi accorta del suo rossore improvviso.
« Mi hanno proposto un lavoro », spiegò infine con un sospiro, riprendendo totalmente le sue facoltà cognitive.
Al suono di quelle parole, Shinichi rialzò la testa e il suo sorriso entusiasta la travolse.
« Davvero? », esclamò sinceramente contento.
Vedere il suo viso così luminoso, le fece battere il cuore un po’ più freneticamente. Annuì timidamente, mentre anche Sonoko la guardava con espressione orgogliosa.
« Per ora solo qualche pomeriggio a settimana, il katateka che allenava i bambini dai sei anni ai dieci si è licenziato, così prenderò io il suo posto ».
« E indovina chi ha consigliato a questa prestigiosa palestra di Beika di assumere Ran? », Sonoko allargò le braccia, sorridendo entusiasta.
« Ovviamente la sottoscritta », non aspettò nemmeno la risposta ovvia di Shinichi, alzandosi in piedi con una mano al petto, tronfia del proprio operato.
« Mio padre ne è socio, così non appena ho sentito di questo posto vacante mi è sembrato perfetto per Ran », ormai era a ruota libera, e interruppe più di una volta Ran e Shinichi che stava per intervenire.
« E’ davvero fantastico », riuscì finalmente ad esclamare Shinichi, e di slancio le afferrò una mano stringendola nella sua.
A quel gesto, Ran sorrise timidamente, e per un attimo intrecciò due dita con le sue. Annuì convinta, mentre Sonoko tornava a sedersi e notava le loro mani intrecciate.
« Sì, fantastico, ma non fatemi sentire terza incomoda, per favore », annunciò divertita, e al suono di quelle parole Shinichi lasciò di scatto la mano di Ran.
« Comunque », riprese poi, distogliendo lo sguardo dalle loro espressioni imbarazzate.
« E’ davvero perfetto per te, Ran », disse prendendo un bel boccone di riso.
« Quando cominci? », domandò Shinichi.
« Lunedì pomeriggio », annunciò radiosa. « Ho già conosciuto i bambini ieri ».
« Non hanno mai avuto una maestra di karate tanto bella, saranno già tutti innamorati di lei », ridacchiò Sonoko.
« Qualcuno qui diventerà geloso », gongolò infine, indicando con un cenno del capo Shinichi.
Quest’ultimo alzò gli occhi al cielo, mentre Ran ridacchiava.
« Ma smettila, Sonoko, sono dei bambini! », rise.
« Ah, già, Shinichi è geloso solo quando gli mando foto di sua moglie che parla con Okita-kun », lanciò un’occhiata maliziosa a Shinichi, il quale per poco non si strozzò con l’acqua che aveva appena bevuto.
Ran trattenne a stento una risata, solo per non aggravare ancora di più l’imbarazzo creatosi sul viso di Shinichi. In realtà, si stupì di provare un insolita sensazione di felicità.
Che Shinichi fosse spudoratamente geloso di lei, ormai lo aveva accettato da un po’. Per tanti anni, davanti ai suoi gesti freddi e alle sue espressioni indifferenti, si era convinta che il suo amico non serbasse neanche l’ombra di gelosia nei suoi confronti. Ma ormai da un po’, si era dovuta ricredere.
Lo era, eccome.
Così tanto che si sentiva euforica ogni qualvolta lo notasse, o ripensasse a un fatto accaduto tempo addietro e si ricollegasse a lui. Tanti fatti a suo tempo inspiegabili, non appena aveva scoperto che lui fosse Conan, improvvisamente avevano cominciato ad avere un senso.
La rabbia ingiustificata di Conan per Araide-sensei, o il suo nervosismo quando aveva scoperto che alla recita di fine anno gli avrebbe dovuto dare un bacio; per non parlare di ogni volta che un ragazzo le stava troppo intorno, e magicamente si intrufolava fra loro.
C’erano così tanti aneddoti, che probabilmente non se li ricordava nemmeno tutti, o non era a conoscenza di una stragrande parte. Sorridendo nuovamente, ripensò a ciò che era successo mesi prima, a quando Eisuke-kun era passato a trovarla e l’aveva invitata per una merenda.
Al tavolo dei Poirot avevano chiacchierato del più e del meno, finchè lui, un po’ imbarazzato, gli aveva chiesto se erano veri gli articoli di giornale e ora era fidanzata con il così detto “eroe del Giappone”, che aveva sgominato l’Organizzazione collaborando come infiltrato per l’FBI. Quando glielo aveva detto, aveva perfino notato un po’ di invidia nella sua voce: dopotutto, era il suo sogno lavorare con loro. 
Perciò è vero ciò che dicono i giornali. State insieme ufficialmente, ora?
Ran prese ancora una porzione del suo riso, mentre sentiva in lontananza Shinichi e Sonoko battibeccare su qualcosa che non riuscì nemmeno a capire.
Sai, prima di partire per l’America avrei tanto voluto confessarti i miei sentimenti.
Lanciò un’occhiata di sottecchi a Shinichi, che stava sbuffando sonoramente contro la sua amica.
Avrei voluto tanto chiederti di venire in America con me.
Sonoko in lontananza rise, mentre le guance di Shinichi si imporporavano.
Ma quando l’ho detto a Conan, lui mi ha detto di no.
Conan aveva detto ad Eisuke che non poteva dichiararsi, e non poteva portarla in America con lui. Sorrise, ancora persa nei suoi pensieri, che andarono a quando, un pomeriggio in cui erano andati a mangiare un gelato, Ran lo aveva raccontato a Shinichi. Lui, quando sentì quell’aneddoto su Eisuke, si bloccò ancora con un po’ di gelato al limone sparso per tutta la bocca.
Così, “Conan” gli avrebbe detto di non farlo.
Le era venuto da ridere, mentre aveva visto l’espressione colpevole di Shinichi farsi largo sul suo viso arrossato, per poi distogliere lo sguardo e continuare a mangiare il suo gelato come se niente fosse.
Non hai niente da dire?
Aveva continuato, punzecchiandolo. Alla fine, ricordò, lui si era voltato un po’ agitato, e per poco non aveva fatto cadere a terra il suo gelato.
Sì. Conan ha fatto davvero bene a dirgli così!
« Un brindisi alla nostra insegnante di karate preferita! ».
La voce di Sonoko che la interpellava la fece rinvenire dai suoi ricordi, e la guardò confusa. La vide mentre portava in alto il suo bicchiere, e velocemente acchiappò il suo. Sorridendo, lo fece scontrare con i loro e bevve un lungo sorso.

La cena proseguì relativamente bene, e dopo varie occhiatacce da parte di Ran, Sonoko diede un po’ tregua a Shinichi ed evitò di far altre battutine per metterlo in imbarazzo. Solo quando finirono il dolce, Sonoko iniziò a saltellare concitatamente sulla sedia, iniziando a lanciare occhiate cariche di significato in direzione di Ran. Quest’ultima provò in tutti i modi ad ignorarla, o perlomeno di distrarre Shinichi in modo che non notasse il suo crescente nervosismo. Quest’ultimo continuò a mangiare tranquillamente la sua crostata, e con un sospiro Ran pensò che probabilmente non aveva captato quell’atmosfera improvvisamente concitata.
Perlomeno, non fin quando Sonoko non prese parola improvvisamente.
« Oh, mi sta suonando il telefono! », esclamò alzandosi di colpo e correndo verso il soggiorno.
Un po’ stupito da quel movimento improvviso quanto inaspettato, Shinichi la guardò un po’ dubbioso mentre si allontanava, constatando in fretta di non sentire alcun suono provenire dalla stanza a fianco.
Con la fronte corrugata, guardò confuso Ran.
« Io non ho sentito niente », ammise mettendosi in bocca l’ultimo pezzo di dolce.
« M-magari ha sentito la vibrazione », balbettò lei abbozzando un sorriso. Un senso crescente di agitazione si impossessò di lei, quando con frustrazione capì cosa stesse facendo l’amica.
Cercò di scacciare via il ricordo della loro chiacchierata mattutina, e si alzò anche lei di colpo portando con sé alcuni piatti verso il lavandino. Non aveva davvero la forza di guardare Shinichi in faccia per almeno due motivi: il primo, quello più ovvio, era che si erano ritrovati soli per la prima volta da quella notte insieme; la seconda, la consapevolezza di cosa stesse tramando Sonoko le aveva imporporato le guance, e non voleva davvero che lui capisse.
Passò qualche minuto, totalmente in silenzio, prima che Sonoko tornasse saltellando da loro con ancora in mano il telefono.
« Scusami, Ran! Ma mi ha chiamata mio padre », la sua voce era così melensa che Shinichi alzò un sopracciglio. Era davvero troppo finta.
« Devo tornare a casa, mia sorella non si sente troppo bene… penso abbia la febbre », alzò le spalle e prima che uno di loro due potesse ribattere, prese velocemente la sua cartella buttata malamente lì a fianco.
Shinichi continuò a guardarla con sguardo fra il divertito e lo sbalordito. Gli veniva da ridere prepotentemente, per il semplice fatto che era chiaro come il sole come fosse tutto studiato a tavolino per lasciarli soli. Si voltò complice verso Ran pensando di trovare lo stesso suo sguardo divertito, ma quando la fissò invece notò il suo disagio. Guardava Sonoko intensamente, mordendosi un labbro.
Bene, questo è strano.
« Allora, ci vediamo lunedì a scuola! », annunciò la loro amica, dopo essersi infilata il suo cappotto. « Era tutto squisito Ran, davvero! ».
Quest’ultima si fece avanti e, con un sorriso altrettanto finto, la prese sotto braccio trascinandola verso la porta d’ingresso. Shinichi non riuscì davvero a sentire cosa si dissero, perché stava parlando così fitto che neanche sporgendosi dalla cucina carpì qualche parola. Con uno sbuffo decise di non darci troppo peso.
Dovresti esserci abituato.
Aveva perso il conto delle volte in cui Sonoko aveva fatto simili sceneggiate solo per stuzzicarli, quindi tranquillamente prese a sparecchiare tavola. Ormai l’unico dubbio che lo attanagliava era solo uno: Ran era sua complice?
Se sì, perché non aveva chiesto semplicemente a lui di vedersi?
Idiota, sarà imbarazzata per sabato!
Già. Sabato.
Quando finalmente sentì la porta chiudersi, il suo stomaco si rigirò.
Erano soli. La prima volta. Dopo quella notte.
Merda.
Non era realmente ancora pronto per affrontarla, specialmente perché quando aveva saputo che ci sarebbe stata anche Sonoko, si era sentito quasi salvo. Con lei accanto non sarebbe potuto succedere nulla, ma ora che era andata via era cambiato tutto.
Con mani tremanti cercò di dare la sua totale attenzione alle stoviglie sul tavolo, così che quando Ran tornò titubante in cucina, ormai la tavola era sgombra.
« Non dovevi », disse flebilmente, affiancandolo.
« Figurati », mormorò lui, guardandola di sottecchi.
Era un po’ arrossata, mentre si dirigeva verso il lavandino e faceva scorrere l’acqua calda per lavare i piatti.
Un po’ lo disturbava il fatto che avesse dovuto far intervenire Sonoko in quel modo solo per stare insieme, come se fossero dei bambini. Era consapevole che fosse difficile, ma sapere che lei si sentisse così tanto a disagio con lui lo fece irritare. Aveva voglia di sistemare le cose al più presto, non sopportava davvero più quella situazione, e il dubbio che quella notte li avesse quasi allontanati piuttosto che avvicinati si insinuò nuovamente in un angolo del suo cervello. Volendolo rigettare completamente, le si mise a fianco e la guardò deciso ad andare al punto.
« Non capisco ».
Ran si bloccò, mentre posava gli ultimi piatti sporchi nel lavandino. Deglutendo, si voltò lentamente verso Shinichi.
Lui diminuì la distanza fra loro, porgendole un ultimo piatto che teneva in mano. Notò sul suo viso farsi pian piano largo quel suo sorriso strafottente, che spesso in passato aveva detestato, perché sintomo della sua arroganza. Ma ultimamente, forse senza nemmeno accorgersene, lo stava usando sempre più spesso per punzecchiarla.
« Cosa? », borbottò distogliendo lo sguardo.
« Se volevi stare con me, bastava dirmelo », alzò le spalle, facendo finta che il discorso non lo imbarazzasse.
« Perché questa sceneggiata con Sonoko? ».
Il cuore di Ran perse un battito, mentre apriva l’acqua calda per lavare i piatti. Soprappensiero, inumidì la spugna che aveva lasciato lì a fianco, e come un automa ci versò sopra il sapone per i piatti.
Iniziò a lavarli in silenzio, ben conscia che Shinichi la stesse ancora fissando, in attesa di risposta. Cercò di ragionare velocemente, ma non trovò una vera e propria scusa che non sembrasse una bugia ridicola. Alla fine, sospirando, si voltò verso il ragazzo al suo fianco. Quando lo vide, si imbambolò un attimo.
Si rendeva minimamente conto di quanto fosse avvenente?
Era appoggiato con un gomito al piano di lavoro lì accanto a lei, lo sguardo intenso e in attesa.
Quei dannati capelli gli ricadevano disordinati su quel viso così familiare ma anche così perfetto, mentre le labbra erano piegate in una smorfia impaziente. Una voglia crescente di aggrapparsi alla sua felpa fece capolino in Ran, e si dovette sforzarsi per non fiondarsi addosso a lui, specialmente dopo quel sabato.
Aveva cominciato ad avvertire quella prepotente voglia di toccarlo da quando erano stati in gita. Già all’epoca aveva avvertito il costante bisogno di sfiorarlo, tenersi stretta a lui, o trascinarlo per mano da qualche parte. Non riusciva davvero a tenere quelle stesse mani al loro posto, e dapprima aveva dato la colpa al fatto che non lo vedesse mai, e quasi volesse tenerlo stretto a lei per impedirgli di sparire da un momento all’altro. Ma ben presto in quei mesi si era resa conto che non fosse quello il motivo, quanto la voglia che aveva di sentirlo vicino a lei. Era stato un crescente bisogno di contatto, divenuto col tempo quasi doloroso, che l’aveva fatta riflettere a fondo sul perché.
Perché?
Perché, da quando stavano ufficialmente insieme, sentiva quel bisogno?
Dopo parecchio tempo di riflessione, era arrivata alla conclusione che ci fosse qualcosa di più che l’affetto platonico che li unisse.
Era l’attrazione.
Si era insinuata fra di loro silenziosamente, senza avvertirli, e lasciandoli in balia delle loro emozioni incontrollate.
Lei era attratta da lui, fisicamente parlando. Probabilmente lo era sempre stata, ma da ragazzini era stato tutto così ovattato e innocente che non ci aveva mai fatto realmente caso. Ma crescendo, vedendolo cambiare sotto i suoi occhi, e specialmente da quando lui le aveva ammesso i suoi sentimenti, tutto era diventato più forte ed era poi sfociato in ciò che era accaduto quel sabato prima.
La verità era che era diventato davvero bello, e il suo fisico era qualcosa che la attraeva come una calamita.
In quell’esatto momento poi, dove sapeva e aveva già provato cosa volesse dire essere in balia di quel corpo, riusciva a ragionare realmente poco.
Si sentì improvvisamente accaldata, mentre tornava a lavare ferocemente un bicchiere.
In realtà, pensandoci bene, non lo aveva davvero visto nudo. Quando tutti i loro vestiti erano scivolati via, erano già sotto le coperte, ragion per cui una parte dei loro corpi era rimasta ben nascosta, anche complice il buio sceso su di loro. Quindi una certa curiosità recondita era rimasta dentro di lei, sebbene non avesse minimamente intenzione di renderglielo noto.
« E’ stato un malinteso », sospirò infine, cercando di scacciare ogni immagine relativamente provocante dalla sua testa.
« Malinteso? », ripeté lui incuriosito.
Accidenti.
« Sì », Ran arrossì, dando completamente attenzione al lavandino di fronte a lei. Quando sentì lo sbuffo spazientito di Shinichi, alzò gli occhi al cielo, ben conscia che stesse aspettando una spiegazione.
« E’ stata Sonoko, ok? », sbottò scocciata. « Ha pensato di lasciarci soli ».
Shinichi alzò un sopracciglio, per nulla shockato da quella rivelazione.
« Che novità, Sonoko che si intromette fra noi », rise asciutto, per poi acchiappare uno strofinaccio lì vicino e cominciare ad asciugare le stoviglie che lei sistemava nello scolapiatti accanto al lavandino.
Rimasero in silenzio, mentre lei finiva di lavare gli ultimi bicchieri con lui al suo fianco troppo occupato ad asciugarli. Internamente, Ran si sentì sollevata, conscia che a Shinichi quella semplice spiegazione fosse andata bene.
In quel momento ripensò a come Sonoko quella mattina avesse cominciato il suo interrogatorio settimanale sullo stato della sua relazione. Era riuscita a mentire così bene, sorvolando accuratamente sulla notte di sabato, che non solo la sua amica le aveva creduto, ma aveva anche ben pensato ad un piano per fare in modo che potessero finalmente rimanere soli e concludere ciò che fin troppe volte avevano lasciato in sospeso. Ignara dei fatti realmente accaduti, le consigliò diverse scuse per rimanere sola con lui. Quando, infine, si ricordò del giorno prima e di come Ran le avesse detto che suo padre sarebbe stato via qualche giorno, parve illuminarsi dall’eccitazione. Le consigliò quindi di invitarlo a cena, ma l’imbarazzo in Ran era così prepotente che dovette implicarsi nel piano. Fu così che le disse che avrebbero cenato tutti e tre insieme, ma poi per un qualche “strano” inconveniente lei sarebbe dovuta andare via prima di loro. Le veniva quasi da ridere mentre le raccontava per filo e per segno i dettagli del suo infallibile piano, ma ancora non si sentiva pronta per dirle ciò che era successo.
Era un argomento così delicato, che volle, per una volta, tenerlo per lei e Shinichi. Era il loro segreto, e sapere di mantenere per loro una cosa del genere, la rendeva ancora di più legata a lui. Sorrise lievemente a quel pensiero e, un po’ meno a disagio, tornò a respirare normalmente, almeno finchè lui non diede un’occhiata all’orologio e le si rivolse con noncuranza.
« Dov’è tuo padre? », domandò come se nulla fosse.
Merda.
« Non c’è », disse con un filo di voce.
« Di nuovo a giocare a mahjong? », ridacchiò Shinichi, non avvertendo la sua crescente agitazione.
Ran non rispose, e Shinichi intuì finalmente che qualcosa non andasse. La guardò e lei iniziò a morsicarsi un labbro. Non potendo più eludere le sue domande, ricambiò lo sguardo cauta.
« Mio padre torna lunedì pomeriggio, è andato a Yokohama per un lavoro ».
Ran vide che Shinichi stava piano piano capendo la situazione, e notò con sollievo che non solo lei stava assumendo un colorito roseo sulle guance.
« Per questo Sonoko voleva lasciarci soli? », domandò infine, cogliendo nel segno.
Ran annuì e provò a sdrammatizzare con un sorriso maldestro, chiudendo finalmente l’acqua.
« Ma lei… », lasciò in sospeso la frase, lanciandole un’occhiata carica di significato.
« No », rispose velocemente Ran. « Io non le ho detto niente. Per questo ha pianificato questa cena ».
Shinichi la guardò ancora, e lei non capì a cosa stesse realmente pensando. Dopo parecchio, e un suo crescente imbarazzo, vide stupita sul volto di Shinichi crearsi un sorriso timido, che presto si tramutò in una risata cristallina che la contagiò velocemente. Ran si mise a ridere, appoggiandosi con la schiena al bancone della cucina, guardando Shinichi al suo fianco portarsi una mano al viso mentre scuoteva la testa divertito.
« Quindi mi stai dicendo che, per una volta, l’abbiamo fregata? », disse dopo un po’, con gli occhi luminosi. A vederlo così spensierato e divertito, a Ran si gonfiò il cuore nel petto.
« Direi di sì », non riuscì a trattenere un’ulteriore risatina.
Si guardarono divertiti ancora per un po’, e Ran notò come ormai la tensione fra di loro si fosse totalmente persa in quel momento di ilarità. Quando finalmente si calmarono, lui posò lo strofinaccio nel cassetto e si voltò verso di lei, stiracchiandosi.
« E’ tardi, credo sia ora di andare », disse per poi fare un sonoro sbadiglio.
Al suono di quelle parole, lei si immobilizzò. Lo vide girarsi per tornare in salotto, rimanendo paralizzata sul posto, l’ombra del sorriso ancora sul volto improvvisamente raggelato.
Lentamente lo seguì, guardandolo mentre prendeva la sua giacca senza guardarla.
« Te ne vai? », le parole le uscirono di bocca prima di poter realmente realizzare ciò che avesse appena detto.
Lui si voltò stupito verso di lei, con la giacca ancora in mano.
« Direi di sì », replicò un attimo confuso.
Un senso di delusione crescente di fece largo in Ran, provocandole un nodo alla gola. Davvero se ne stava andando, lasciandola da sola lì? Le venne quasi voglia di picchiarlo, mentre lui la fissava con un’espressione ebete in faccia.
« Pensavo rimanessi », sbottò con un’insolita rabbia nella voce. Provò a nascondere il suo fastidio, ma ci riuscì davvero malamente.
« Vuoi che rimanga? », domandò Shinichi, fissandola intensamente.
Lei si morse un labbro, pestando nervosamente un piede a terra. Si stava davvero arrabbiando.
« Certo che no, va pure se devi andare ».
Si girò di scatto, stringendo i pugni. Volle allontanarsi in fretta da lui, per evitare di fargli notare quanto ci stesse realmente rimanendo male. Ma non fece nemmeno due passi, che lo sentì prendergli il braccio e girarla verso di lui. Quando si voltò e notò il suo sorriso divertito in volto, capì.
Rendendosi conto velocemente che la stava prendendo in giro, aprì la bocca indignata.
« Tu… », iniziò con voce irritata, cercando di allontanarlo da sé. Ma la presa attorno alla sua vita era davvero molto tenace, quindi dovette impiegare molta forza, che comunque non bastò.
« Cosa? », la prese in giro Shinichi, iniziando a muovere ritmicamente le mani sui suoi fianchi. La vide contrarsi e guardarlo sgranando gli occhi, improvvisamente preoccupata.
« No », lo avvertì, alzando l’indice davanti al suo viso. Preso dalla voglia di infastidirla, aumentò la pressione delle dita, e spostò le mani sulla sua pancia. Prese a farle così tanto solletico, che Ran si mise a saltellare leggermente ad ogni movimento delle sue mani, causando il suo immediato divertimento.
« S-smettila! », sbottò lei esausta, cercando di divincolarsi. Alla fine ci riuscì, e fece due salti lontana da lui.
« Vedi come sei difficile da capire! », sbuffò Shinichi, e l’immagine di loro due sotto il Big Ben le vorticò prepotentemente in testa. « Prima vuoi che resto, poi ti lamenti… », proseguì lui, alzando fintamente gli occhi al cielo.
« Lo sai che lo odio », soffiò lei, arretrando ulteriormente quando lui fece un passo avanti.
« Davvero? », replicò Shinichi, facendo teatralmente un altro passo verso di lei.
Ran si spostò nuovamente all’indietro, per poi maledire il divano che la bloccò subito dietro la sua schiena. Si portò automaticamente le braccia di fronte, per pararsi da un eventuale nuovo attacco. Non sopportava il solletico, e lui lo sapeva bene.
« Se fai ancora un passo… », iniziò la minaccia senza realmente sapere cosa avrebbe fatto in quel dato frangente.
« Lo sai che evito ogni tua mossa », la rimbeccò lui sfacciato. Era vero, maledizione. Era veloce, e raramente era riuscito realmente a colpirlo, in passato. Si morse un labbro, non volendo demordere.
« Proviamo », lo sfidò con un sorriso insolente. « Dopotutto, ora sono un’insegnante », gongolò.
Shinichi alzò gli occhi al cielo, ma ben presto dovette reagire quando notò il suo pugno sfiorarli la spalla. Si ritrasse velocemente, evitando anche un suo calcio ben assestato. Si stava divertendo così tanto, che non provò nemmeno a fermarla. Lei continuò ad avanzare sferrando una mossa dietro l’altra, ma ben presto Shinichi notò come realmente non ci stesse mettendo né forza, ne accuratezza. Stava semplicemente scherzando con lui, quindi pensò che non sarebbe stato male stare al gioco. All’ennesimo pugno che si vide a pochi centimetri di distanza dal viso e che smosse un ciuffo dei suoi capelli, le afferrò il braccio rapidamente e la fece girare in modo da poterglielo avvolgere al suo stesso collo. Si ritrovò così a sentire la sua schiena contro il suo petto, e ad avere il suo viso premuto contro il suo. Del tutto sorpresa, Ran si voltò un poco per guardare il suo viso appena dietro il suo, con un’espressione accigliata.
« Dicevi? », gongolò al suo orecchio.
Sentire il suo respiro appena dietro il suo collo, e avvertire i muscoli del suo petto contro la schiena, le annebbiò per un attimo la mente. Rimase immobile, volendosi godere quell’inaspettata vicinanza. Tuttavia ben presto sentì il suo orgoglio lamentarsi, così, in un momento in cui abbassò la guardia un po’ preoccupato di non sentirla ribattere, si trafilò dalla sua presa e si voltò repentinamente. Una volta totalmente di fronte a lui, lo fece arretrare fin contro il divano, per poi sferrargli un pugno che però non arrivò mai. Fermò la sua mano appena prima del suo naso, facendogli chiudere velocemente gli occhi alla vista del colpo imminente. Fu così che si sbilanciò all’indietro e, sotto lo sguardo divertito di Ran, Shinichi perse l’equilibrio e cadde sul divano con espressione stupita. Aveva un viso così meravigliato che alla sua vista Ran scoppiò a ridere, per poi fargli il segno di vittoria con le dita.
« Karateka uno, Detective zero», proclamò trionfante.
Shinichi si riscosse per scuotere la testa divertito, lasciandola esultare in piedi davanti a lui. Era davvero carina, quando faceva così. Ran si accorse del suo sguardo tenero solo quando smise di esultare, e lo trovò nuovamente così bello da imbambolarsi. Era semi sdraiato sul divano, sorretto solo dai gomiti, mentre la fissava in silenzio con un sorriso sereno sul viso. Come ormai di consuetudine, avvertì un calore salirle dallo stomaco, fino a raggiungere il suo petto e arrossarle le guance. Si ammutolì, mordendosi un labbro. Voleva davvero avvicinarsi a lui, magari mettersi a cavalcioni e baciarlo su quelle stramaledette labbra. Poi, una rivelazione fece capolino nella sua mente.
Esattamente, perché non puoi farlo?
Colta da quella nuova, perforante realtà, fece un passo incerto verso di lui. Improvvisamente ogni ombra di sorriso scemò sul viso di Shinichi, che iniziò a guardarla intensamente.
In quel momento, potè chiaramente leggere sul suo viso la causa di quel repentino silenzio. Lo fissava con un’espressione che lo lasciò un attimo interdetto, poiché non l’aveva mai realmente vista guardarlo così. Pareva volesse sottintendere davvero molto senza pronunciarsi, avvalendosi solo della gestualità del suo corpo che avanzava lentamente verso di lui. Rimase immobile, volendo imprimere quella scena a fuoco nella sua mente. Era davvero tremendamente attraente. Pensare di poterle fare quell’effetto lo fece avvampare, così mise su il sorriso più sfrontato che possedesse.
In realtà, dentro, era lontano dall’essere sicuro di sé. Ma darlo a vedere era l’ultima cosa che voleva farle trapelare.
Incoraggiata proprio da quel sorriso, Ran si fermò di fronte a lui, che si mise seduto e alzò il viso per guardarla in faccia.
« Hai perso », mormorò lei, sfiorandogli una guancia.
« Ti ho fatta vincere », replicò lui alzando una spalla.
Lei fece una smorfia divertita, e la mano si mosse automaticamente verso i suoi capelli. Li sentì così morbidi contro le dita che ebbe per un attimo la forte voglia di portarseli al viso e annusarli. Tuttavia, quella scena le parve un po’ imbarazzante, così evitò accuratamente di fare alcun gesto inconsulto. Rimasero così per un po’, finchè Shinichi non sospirò e le cinse i fianchi con le braccia. Non aspettandosi quel gesto, Ran staccò la mano dal suo viso per ancorarsi qualora fosse caduta, ma la botta non arrivò mai. Le braccia di Shinichi la tennero stretta mentre le sue labbra la coglievano alla sprovvista posandosi energicamente sulle sue.
Esultante, rispose al bacio, mentre cercava di sistemarsi meglio su di lui. Tuttavia mise male un ginocchio e, non avvertendo niente sotto di lei, traballò fino quasi a cadere. Non aspettandoselo, Shinichi la tenne su come meglio potè, sbilanciandosi anche lui.
Caddero a terra con un tonfo sordo, ammutolendo entrambi per quel risvolto inaspettato. Quando Ran si rese conto di come fossero attorcigliati per terra, fece per ridere ma l’improvviso ed ennesimo bacio di Shinichi le fece morire sul volto la curva di quel sorriso. La baciò intensamente, premendola contro il pavimento, e non seppe dire per quanto rimasero così, fra il divano e quel tavolino che ogni qualvolta provasse a girarsi, le regalava un bernoccolo in testa. Ma quello era davvero l’ultimo dei suoi problemi, mentre i loro baci aumentavano di intensità e le loro mani cominciavano a muoversi velocemente. Tuttavia, all’ennesimo movimento istintivo e l’ennesimo colpo alla testa, gemette con disappunto. Shinichi parve come risvegliarsi da uno stato di trance, guardandola confuso.
« Il tavolino », spiegò lei con voce soffocata, indicando distrattamente il punto in cui continuava a prendere testate.
Senza dire una parola, la prese per vita e la trascinò con sé in piedi. Lì riprese a baciarla, tenendola stretta contro il suo petto. Non seppe realmente dirsi dove trovò quel coraggio, ma durante quella settimana infernale aveva così desiderato stare con lei che non badò nemmeno se stesse diventando un po’ troppo irruento. Continuò semplicemente a baciarla, e presto si accorse di averla fatta indietreggiare fino a intrappolarla fra lui e il muro. Si domandò, allora, se stesse esagerando, ma quando aprì gli occhi a la vide del tutto presa dal momento, si sentì rincuorato. Pareva essere a suo agio contro di lui, e in balia delle sue stesse, perforanti emozioni. Dopo quello che parve un’eternità, si staccò per prendere fiato. Lo stesso fece lei, e potè chiaramente avvertire il suo respiro accelerato.
Ran deglutì, la bocca che le pulsava per tutto quel tempo premuta contro di lui. Lo guardò in viso, e il suo sguardo brillante le fece capovolgere lo stomaco. La stava guardando proprio come l’aveva guardata una settimana prima, e si sentì inaspettatamente fiera. Fiera di renderlo così per causa unicamente sua, e sentendosi profondamente amata e voluta, lo abbracciò con tutte le sue forze. Quello che accadde dopo, la fece ridere di cuore.
Shinichi ricambiò l’abbraccio e la ancorò a sé, sollevandola leggermente da terra. Fu così che la trascinò praticamente lontano da quella stanza di peso, per poi spegnere con il gomito la luce. Fu così maldestro che per poco non cascarono nuovamente per terra, ma per fortuna rimase in piedi quel tanto per sgattaiolare in camera sua, scatenando le sue risa soffuse. Emettendo un sospiro sollevato, la appoggiò finalmente sulla sua scrivania, per poi ridacchiare insieme a lei. Ran si sistemò un po’ i capelli, che le ricadevano disordinatamente sul viso, per poi sporgersi un po’ e accendere la lampada appena dietro di lei. Finalmente quell’unica fonte di luce illuminò seppur debolmente la stanza, e lo vide in volto, notando il suo fiatone e il suo sorriso contagioso. Gli sorrise timidamente, per poi passargli le mani dietro al collo dolcemente. Piano le risa finirono, ma non pronunciarono parola. Lui si avvicinò a lei, per poi lasciarle un tiepido bacio sulla guancia.
Da lì in poi, Ran staccò il cervello.

 

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Capitolo 13
*** Abitudini ***


WITHOUT WORDS.
abitudini.
 

Ran lo trasse a sé timidamente, e iniziò a baciargli piano gli angoli della bocca. Prese di proposito un po’ di tempo per lasciargli quei piccoli baci, rendendosi conto che ad ognuno di essi Shinichi pareva immobilizzarsi sempre di più. Solo dopo almeno un minuto, probabilmente non riuscendo più a trattenersi, lui intercettò la sua direzione e le posò le labbra contro le sue. Ran lo avvertì più lento e tenero rispetto a poco prima, e si rilassò totalmente fra le sue braccia, mentre il suo profumo gli arrivava prepotente nelle narici. Dopo un po’, quando si staccò per prendere fiato, decise di posare il viso nell’incavo del suo collo, appoggiando completamente la fronte contro esso. Totalmente in balia di quel profumo così familiare, gli cinse la vita con le braccia e lo abbracciò forte, premendo il suo corpo contro il suo. Lo sentì ricambiare quell’abbraccio quasi subito, mentre la stringeva forte contro il suo petto.
« Mi sei mancato », disse dopo un po’.
« Sono stati solo quattro giorni », contestò, non riuscendo però a nascondere il piacere che provò nel sentire quelle parole.
« Non intendevo questa settimana ».
Shinichi rimase un attimo zitto, per poi sciogliere leggermente il loro abbraccio giusto quel poco per guardarla negli occhi.
« Anche tu », ammise. Lei alzò un sopracciglio, e sbuffò.
« Ma se eri sempre con me e lo sapevi, a differenza mia ».
Shinichi fece una smorfia pronunciata, inclinando la testa da una parte.
« Esatto, io lo sapevo e tu no », disse infine, guardandola con una nota malinconica nello sguardo.
« Eravamo sempre insieme, ma io ero il tuo “fratellino” », borbottò.
Ran si accigliò. Aveva così spesso pensato, appena saputa la verità, a quanto fosse in collera per quelle bugie, da tralasciare quanto quello avesse potuto essere pesante per lui. Dopotutto, se era vero ciò che le aveva detto, lui nutriva già quei sentimenti per lei. Si morse un labbro, cercando di immaginare cosa avesse dovuto reprimere per tutto quel tempo. Dopo il primo momento di rabbia, e coi mesi che passavano e lui che si faceva piano piano perdonare per tutto, aveva ormai seppellito quella collera nei suoi confronti. Si era riguadagnato totalmente la sua fiducia, giorno dopo giorno, sorriso dopo sorriso. Aveva ricucito tutte le ferite standole semplicemente vicina, e lentamente aveva capito quanto fosse sincero. Lo conosceva abbastanza da sapere quanto si fosse probabilmente logorato, vedendola sempre piangere per causa sua, sentendo le sue proteste e le sue preoccupazioni.
E non poter fare o dire qualcosa.
Proiettata in quel nuovo, tremendo punto di vista, alzò la mano verso il suo viso, accarezzandoglielo.
« Ora ci sei », disse solamente.
Shinichi le regalò un timido sorriso, e nei suoi occhi poté notare tutta la felicità che quelle tre semplici parole avevano suscitato in lui. Presto la sua gioia la contagiò, e senza rendersene conto si stavano guardando sorridendosi a vicenda senza dire una parola. Finché, almeno, qualcosa non li distrasse.
Appena Ran sentì il telefonino di Shinichi suonare nella stanza a fianco, vide quasi subito una smorfia far capolino sul suo viso. D’istinto fece per sciogliere il loro abbraccio, ma quando allentò la presa su di lui notò come Shinichi non stesse facendo lo stesso.
« Non rispondi? », domandò corrugando la fronte.
« No… », borbottò, e fece per riavvicinare il suo viso a quello di Ran.
« Guarda che non scappo », rise lei piano.
« Non è per quello », quando lo vide arrossire, a Ran fu quindi chiaro che non volesse davvero separarsi da lei e rovinare probabilmente quel momento. Interiormente soddisfatta, ricambiò il suo bacio quando quest’ultimo finalmente riuscì a riavvicinarsi a lei. Tuttavia la suoneria continuò incessantemente a suonare e quando smise la prima chiamata, partì subito dopo la seconda. Un po’ esasperato, Shinichi sbuffò contro le sue labbra.
« Forse è meglio se rispondi », disse incerta Ran, staccandosi da lui.
Lo vide alzare gli occhi al cielo, mentre ormai quella musichetta iniziava a irritarlo.
« Chi vuoi che sia alle nove di sera?! », sbottò irritato.
Ran ci pensò su un attimo, e quando infine si rese realmente conto dell’ora e di chi solitamente non si facesse scrupoli per disturbarlo, si morse un labbro. Alla vista della sua espressione grave, Shinichi capì che c’era arrivata anche lei.
« … ok », disse infine Ran. « … e perché non vuoi? ».
Perché vorrei stare un po’ con te.
« Non è che non voglio », disse, tralasciando in un angolino del suo cervello la vera frase che avrebbe voluto dirle.
« Allora rispondi, questa suoneria mi sta facendo impazzire », Ran scosse la testa, e con un balzo scese giù dalla sua scrivania.
Shinichi sospirò e appurò spiacevolmente che ormai quel loro momento fosse perso. A quel pensiero l’irritazione aumentò, così che quando la superò e andò in salotto, rispose al telefono con voce abbastanza alta e scocciata.
« Ispettore Megure », disse solamente, lasciandosi sedere mollemente sul poggiolo del divano. Ran sbucò dopo poco dalla sua camera da letto, appoggiandosi allo stipite della porta. Incrociò le braccia al petto, cercando di nascondere al ragazzo a poca distanza da lei quanto in realtà quella chiamata stesse dando fastidio anche a lei.
Ovvio che le dava fastidio. Eccome.
Ma dopotutto, era il suo lavoro, e lui lo amava. Si era imposta di accettarlo, ne avevano parlato, e ora non poteva davvero tirarsi indietro. Pensierosa, lo fissò di sottecchi, mentre lo vedeva alzarsi in piedi pigramente e annotare qualcosa distrattamente su un post-it posto sul tavolino lì a fianco.
In quel momento, pensò a cosa sarebbe potuto succedere se Megure non li avesse interrotti. Probabilmente sarebbe ricapitato ciò che era successo il sabato prima, e a quel pensiero il suo stomaco si aggrovigliò all’improvviso. Un moto di delusione la travolse, lasciandola basita. Aveva aspettato di stare con lui per tutta la settimana, e il pensiero che ora lui andasse chissà dove per un caso stava davvero mettendo a dura prova la sua calma. Eppure doveva, voleva cercare di non fargli notare il suo disappunto. Non era sua intenzione diventare una fidanzata noiosa, men che meno litigare ogni qualvolta venisse assorbito dal suo lavoro… no, doveva davvero supportarlo.
Stava ancora cercando di imporsi un autocontrollo che, tuttavia, faticava a trovare, quando lo sentì chiudere la chiamata. A quel punto, sorrise leggermente e sentì i muscoli facciali fin troppo tesi: stava davvero sfoggiando un sorriso finto.
« Chi è morto, stavolta? », sdrammatizzò avanzando lentamente verso di lui. Shinichi alzò gli occhi al telefono, guardandola con espressione mogia.
« Un noto imprenditore di Tokyo », disse annoiato. « Colpo di arma da fuoco », concluse sospirando.
Shinichi buttò infine il telefonino in tasca, e la guardò un po’ più intensamente. Ran cercò di sorridere ulteriormente come a volerlo rincuorare, ma sapeva bene che lui avrebbe avvertito il suo dispiacere anche ad occhi chiusi. Quando, infine, parlò però, Ran strabuzzò gli occhi.
« Vieni con me? ».
Lo aveva chiesto con gli occhi un po’ speranzosi, e un sorriso dubbioso sul viso. La sua voce era stata così flebile che quasi si domandò se avesse sentito bene, ma presto si rese conto che fosse così.
Ran sbatté le ciglia un paio di volte, totalmente colta di sorpresa. Rimase così senza parole che dopo un po’, e ancora nessuna risposta, lui interpretò quel silenzio in altro modo, e inevitabilmente arrossì.
« Beh, so che non è proprio un’uscita romantica », provò a giustificarsi, iniziando a grattarsi nervosamente la base del collo.
« Ma stavo pensando c- ».
« Va bene ».
Shinichi si interruppe, mentre riprendeva a fissarla incredulo. La vide sorridere tranquillamente, mentre tornava in camera e poco dopo usciva con una giacca addosso. Rimase immobile anche quando Ran iniziò ad armeggiare con la propria borsetta, e infine si rivolse a lui con sguardo divertito.
« Beh, andiamo? », domandò affiancandolo, e represse a stento una risata quando constatò la sua sorpresa dipinta sul volto.
« S-sì », balbettò infine Shinichi, riprendendosi un poco. Ancora un po’ arrossato, cercò velocemente la sua giacca ma presto si paralizzò nuovamente.
« Ad una condizione ».
Le stava dando la schiena, perciò non riuscì a capire se fosse davvero seria come la sua voce gli era arrivata all’orecchio in quel momento. Perciò lentamente si voltò verso di lei, che lo stava fissando con un sorriso incerto sul viso. Notò farsi strada anche sulle sue guance un lieve colorito roseo, mentre le mani ancoravano prepotentemente la sua borsa.
« Dimmi », mormorò Shinichi, ad un tratto nervoso.
Lei si dondolò sui piedi, prendendo tempo.
« E’ che, insomma… », iniziò infine un po’ agitata, distogliendo lo sguardo. « Ecco, mio padre non c’è, e io… », stava andando nel pallone. Vedendola così, Shinichi alzò un sopracciglio, capendo immediatamente a cosa si stesse riferendo.
« Sì, ho capito », disse infine, sorprendendola. « Sei una fifona ».
A quelle parole, Ran aprì la bocca indignata.
« Non sono una fifona! ».
« Perciò non mi stavi dicendo che hai paura di dormire da sola, vero? », la canzonò lui con un sorriso così sfacciato che le fece tremare le gambe. Ran si morse un labbro, colpita nel suo punto debole. Effettivamente l’idea di dormire completamente sola l’aveva messa in agitazione non appena suo padre gli aveva annunciato quel suo viaggio, e subito aveva pensato di chiedere a Sonoko di stare da lei per quelle tre sere. Tuttavia quando glielo aveva domandato, quest’ultima le aveva ribattuto categoricamente di no, e che avendo un fidanzato che per di più viveva da solo avrebbe dovuto chiedere a lui. Il tutto, ovviamente, accompagnato da una gestualità che lasciava ben poco spazio all’immaginazione. Al pensiero arrossì vistosamente, mentre iniziava a fissarsi le scarpe.
« Dai, prenditi qualche cambio e andiamo ».
« Cosa? », esclamò alzando di scatto la testa.
Vide Shinichi dirigersi mollemente verso la porta, ma non si voltò a guardarla. La verità era che ormai aveva perfino le orecchie bordeaux, ma non aveva alcuna intenzione di farglielo notare.
« Scema », la rimbeccò mettendosi le mani in tasca. « L’ultima volta che ho dormito qui ho avuto mal di schiena per tre giorni, se non vuoi stare sola andiamo a casa mia! ».
Aveva cercato di mantenere un tono di voce indifferente e deciso, sebbene ormai ogni parte del suo corpo fosse bollente. Sperò che Ran non si accorgesse del suo imbarazzo, ma ciò che non sapeva era che ormai la ragazza fosse tendente a un rosso così forte che per nasconderglielo era corsa trafilata in camera sua. In silenzio, e con mani tremanti, fece come gli aveva detto lui, e acchiappò una borsa un po’ grande infilandoci un cambio e il suo amato pigiama con i panda. Sentendosi ancora accaldata, iniziò a sventolarsi con le mani il viso, sperando di refrigerarsi un poco.
Se non vuoi stare sola andiamo a casa mia.
L’avrebbe fatta dormire in una camera degli ospiti? O con lui?
L’ultima volta che ho dormito qui ho avuto mal di schiena per tre giorni.
Effettivamente lui aveva un letto ad una piazza e mezza, a differenza del suo singolo. A quell’improvviso pensiero tornò ad avere caldo.
Stai seriamente andando a dormire a casa di Shinichi con quel pigiama?
Una voce terribilmente somigliante a quella di Sonoko le rimbombò in testa, e si odiò per lasciarla libera di insinuare il tarlo del dubbio della sua mente. Mordendosi un labbro iniziò a fissare quei panda che aveva sempre adorato, ma che in quel momento le parevano terribilmente imbarazzanti. Si perse così tanto a fissarlo che dopo un po’ sentì la voce scocciata di Shinichi chiamarla.
« Ti lascio qui, eh! », lo sentì urlare.
« Arrivo! », sbuffò lei, e lasciò perdere quel dubbio che la stava assillando. Spense la luce e gli corse incontro senza riuscire a guardarlo in faccia, il pigiama con i panda accuratamente piegato nella sua borsa.

Quando dopo mezz’ora arrivarono all’indirizzo che l’ispettore Megure gli aveva dato, Ran notò subito come la casa fosse assediata dai giornalisti. Guardò spaesata Shinichi, che aveva già alzato gli occhi al cielo borbottando fra sé e sé. Cercarono di passare inosservati, ma ci volle relativamente poco perché qualcuno cominciasse a mormorare sommessamente nella loro direzione. Ran udì chiaramente qualcuno pronunciare il nome di Shinichi, e altri pezzi di frasi che la fecero arrossire.
« Ma quello non è Shinichi Kudo? ».
« Sì, è con quella ragazzina! ».
« Quale? ».
« Massì, quella per cui si è preso quella pallottola! ».
Ran sentì la guance avvampare quando infine le voci presero a diffondersi sempre più distintamente, e da lì a poco si ritrovarono circondati e spintonati da tutta quella folla curiosa.
« Kudo-san! Per favore, due domande! ».
« Collabora ancora con l’FBI? ».
« E’ vero che era loro infiltrato? ».
« Kudo-san, che tipo di esperimenti facevano in quei laboratori? ».
Quando un flash particolarmente potente la investì, Ran rimase perfino per un attimo stordita. Vide a pallini per un po’, e lui dovette accorgersi del suo spaesamento, perché prontamente la prese per mano a la trascinò con sé. Guardandolo di sottecchi, Ran notò come sembrasse scocciato, mentre senza tanti preamboli spingeva chiunque gli capitasse davanti per poter arrivare al cancello principale.
« Kudo-san, è la sua fidanzata? », a quelle parole Ran avvampò ulteriormente, e se avesse potuto sarebbe volentieri sprofondata.
« E’ vero che state insieme? ».
« Dannazione », borbottò Shinichi.
Sicuramente l’omicidio di quel noto imprenditore aveva attirato non poca curiosità, mentre la voce si era diffusa velocemente nelle testate principali. Quelle stesse domande che si era sentito ripetere all’infinito i primi mesi subito dopo essere tornato a lavoro lo spazientirono a tal punto che per ripicca non rispose a nessuno, facendo finta di niente. Ran lo guardò un po’ sorpresa, pensando a quanto fosse cambiato.
Una volta, in mezzo a tutta quell’attenzione mediatica, ci avrebbe sguazzato. Ma in quel momento i suoi occhi lanciavano scintille, come se avesse voluto fulminarli tutti all’istante.
« Vi sposerete, Kudo-san? », chiese un giornalista particolarmente audace.
A quella domanda le venne da ridere, ma quando si voltò verso Shinichi pensando di incontrare anche la sua ilarità, lo trovo soltanto ulteriormente contrariato. Il sorriso sulle sue labbra scemò, e cercò di non farci troppo caso. Cercò di non lasciar trapelare la sua improvvisa delusione, e quasi ringraziò il cielo quando infine riuscirono ad arrivare all’ingresso, e un agente li fece scivolare dentro.
Tirarono tutti un sospiro di sollievo, e sentì presto la presa sulla sua mano venir meno. Ancora un po’ crucciata dalla sua reazione di poco prima, seguì Shinichi e l’agente nella grande villa davanti a loro.
Non essere sciocca.
Scosse la testa, e in silenzio si tolse le scarpe all’ingresso, lasciando anche la sua borsa con il cambio. Lentamente seguì i due, sentendo i loro discorsi su quel caso un po’ distanti.
« Forse è meglio se lei aspetta qui », sentì infine l’agente nervoso rivolgersi a lei, che strabuzzò gli occhi. Solo in quel momento, essendo stata completamente assorta nei suoi pensieri, si rese conto che erano arrivati di fronte ad una camera con una porta accostata, e tutti intorno a loro i poliziotti erano moltiplicati.
« Non è una scena molto piacevole », spiegò l’agente guardandola apprensivo.
« Va bene, vi aspetto qui », disse Ran abbozzando un sorriso. Shinichi le sorrise a sua volta, e si sporse leggermente verso di lei.
« Faccio più in fretta che posso », le disse in un orecchio, e a quella vicinanza sentì un brivido lungo la schiena.
« Va bene », replicò, tranquillizzandosi un poco. Si scambiarono uno sguardo così profondo che per poco non si perse in quei suoi occhi, ma quasi subito lui sparì all’interno di quella stanza.
Sentì la voce dell’ispettore Megure mentre salutava Shinichi e, annoiata, si guardò intorno. Una schiera di poliziotti la ignorò, mentre facevano avanti e indietro in quella stanza accuratamente nascosta al pubblico. Pensò che doveva celare una scena davvero raccapricciante considerato quanto minuziosamente accostavano la porta ad ogni loro passaggio. Un po’ disgustata fece qualche passo lì intorno, finché non notò un cortile interno con un tipico giardino zen giapponese. Si guardò intorno e assodato che lì non avrebbe dato fastidio a nessuno, si sedette e prese a guardare fuori. Si portò le ginocchia al petto, e vi appoggiò il viso.
Ormai avrebbe dovuto essere abituata ai giornalisti, eppure ogni volta le lasciavano un senso di fastidio alla base dello stomaco.
Non appena la notizia della caduta dell’organizzazione si era divulgata, non solo l’ospedale dove Shinichi era ancora in coma era stato assediato, ma perfino casa sua e l’agenzia investigativa di suo padre. Con una smorfia si ricordò di come facesse realmente fatica ogni qualvolta uscisse a scavalcarli tutti, mentre continuavano a chiederle che tipo di legame avesse con Shinichi.
Alla fine, continuamente di fronte al suo silenzio, avevano indagato perfino a scuola e avevano così messo insieme i pezzi del loro rapporto. Erano così usciti articoli infiniti su loro due, su come Shinichi si fosse preso una pallottola nella schiena per lei, la sua amica di infanzia. Tutti ovviamente non si erano limitati a ciò, ma avevano sottolineato come dovesse esserci altro fra di loro. Per fortuna a scuola nessuno si era osato raccontare che stavano insieme ufficialmente, anche perché gli unici che lo sapevano erano loro amici e tutti si erano schierati dalla loro parte, non facendosi mai intervistare. Tuttavia i giornalisti la sfiancarono così tanto per quel gossip, che spesso le avevano fatto perdere la pazienza, specialmente perché in quei giorni era davvero un fascio di nervi.
Con un sorriso triste, prese a fissare la pioggia che sempre più insistente cominciava a venire giù, lasciandosi quasi ipnotizzare...

 

***



« Davvero non ho parole, Conan-kun », sentenziò contrariata Ran.
Conan la guardò con sguardo colpevole, mentre la ferita alla gamba che quest’ultima gli stava disinfettando gli lanciava fitte tremende.
« Ma come hai fatto! », esclamò ulteriormente lei, guardando quel taglio assolutamente incredula. Era così grande che gli prendeva mezzo polpaccio, e sebbene lo stesse pulendo già da dieci minuti continuava a trovarci intorno terra.
« Genta non lo ha fatto apposta », sospirò Conan, mentre si mordeva in fretta un labbro per evitare di lanciare un urletto davvero poco maschile non appena lei ci versò sopra dell’altra medicina.
« Non mi ha visto, mi è praticamente volato addosso… c’era un sasso e… ».
« E tu comunque non fai mai attenzione, quando giochi a calcio! », sbuffò Ran interrompendolo.
Sentendosi ulteriormente in colpa per averla fatta preoccupare, si zittì e la lasciò fare senza proferire ulteriormente parola. Scese così un silenzio teso fra loro due, e dopo un po’ Ran se ne accorse. Alzò infine il viso verso il bambino davanti a lei, e notò che la stava fissandolo con espressione grave.
« Ti sto facendo male? », mormorò preoccupata.
« No », replicò piano lui, abbassando gli occhi.
« Conan-kun », sospirò Ran, lasciando stare per un attimo la ferita e rivolgendogli uno sguardo penetrante.
« Cosa succede? », chiese.
« Niente », rispose fin troppo velocemente Conan, arrossendo lievemente.
« Non devi mentirmi ».
A quelle parole, Conan si sentì perfino peggio. Abbassò lo sguardo sulla sua gamba sporca di terra, tenuta su da una mano calda di Ran. Era seduto sul divano dell’agenzia investigativa, e con rammarico notò in quel momento come le stava perfino sporcando tutto con la sua divisa sporca. Ma Ran inginocchiata davanti a lui pareva non darci troppa importanza, preferendo continuare a guardarlo apprensivamente.
« Non voglio mentirti », le parole gli uscirono di bocca senza volere.
« Cosa c’è allora? », riprovò lei con tono dolce.
« … mi dispiace farti sempre preoccupare », disse infine, e sperò di trovare un po’ di sollievo quando le disse quelle parole che, nel suo cuore, si riferivano a ben altro.
A quella frase uscitogli dal cuore con così tanta sincerità e reale dispiacere, Ran alzò un sopracciglio. Guardò attentamente il bambino davanti a lei, e mai come in quel momento nei suoi occhi blu rivide lui.
Shinichi.
Il fatto che non portasse gli occhiali, che nella caduta si erano rotti, non aiutava di certo. Gli assomigliava talmente tanto e, sebbene fosse un bambino colui che aveva davanti, se si focalizzava solo ed esclusivamente sui suoi occhi le pareva di essere lì con lui. Ci aveva pensato così tante volte, se ne era convinta in così tanti momenti…
Conan è Shinichi.
Riprese a pulirgli la ferita, cercando di non pensarci. La verità era che non voleva pensarci.
Tante volte in passato aveva creduto cecamente che fossero la stessa persona, aveva indagato, immaginato e supposto così tante volte quella atroce realtà che ogni qualvolta lui le rifilasse una scusa seppur banale aveva voluto credergli senza troppi problemi.
La verità era che lei voleva che non fossero la stessa persona.
Per quello non era sua intenzione ritornare ad essere paranoica, notare somiglianze dove fosse palese che ci fossero, per il semplice fatto che non aveva intenzione di accettare quella evenienza.
Il solo pensiero che potesse aver ragione le faceva venire da vomitare, specialmente a quel punto della loro relazione. Ora stavano insieme, e se davvero fosse stato reale tutto ciò, aveva seriamente paura che non sarebbe stata in grado di perdonarlo. A quel punto, dopo quel bacio sulla guancia, dopo la sua dichiarazione e la sua risposta… no. Conan non doveva essere Shinichi. Se lo fosse stato, avrebbe rovinato tutto, e distrutto tutto ciò che di buono condividevano.
Con un peso sullo stomaco, prese una benda e iniziò a passargliela intorno al polpaccio.
« Fa più attenzione, la prossima volta », gli disse con tono duro. Alzò finalmente il viso verso di lui, e lì sobbalzò quando vide lo sguardo che Conan le stava rivolgendo mentre era distratta.
Vi lesse dentro frustrazione, mortificazione, e dandosi mentalmente della stupida, vide un scintillio di tormento. Lo stesso che aveva notato in Shinichi quando l’aveva presa per le spalle e per poco non l’aveva baciata in gita.
Come può un bambino trasmettere certi sentimenti?
Sgranò gli occhi, e per un attimo non vide che quei suoi due occhi. Non capì nemmeno come, ne fu così attratta che sentì il suo viso muoversi leggermente da solo nella sua direzione. Con meraviglia e anche un po’ di paura, vide che anche Conan si stava sporgendo verso di lei.
Quando si rese conto che erano davvero a poca distanza, qualcosa la colpì forte nello stomaco. Si rese conto allora che colui che aveva di fronte era un bambino, il suo fratellino. Sentendosi sporca e disgustata, si allontanò di scatto, lasciandogli cadere malamente a terra la gamba fasciata.
« Va a lavarti », disse a bocca asciutta, alzandosi di scatto in piedi.
Si allontanò velocemente da lui, sentendosi ripugnante. Uscì velocemente dallo studio e lì, su quegli scalini, si lasciò cadere a terra con il viso fra le mani.
Lui non è Shinichi. Non lo è, dannazione!
Eppure, da quando era tornata dalla gita, aveva notato qualcosa di diverso in quel bambino. I suoi sguardi, i suoi gesti… parevano essere davvero troppo teneri, e si maledisse al pensiero, intimi.
Erano dettagli, ma lei li aveva notati.
Era sempre stato un bambino maturo per la propria età, ma ultimamente non si sforzava nemmeno per sembrarlo meno. Aveva perfino iniziato a non chiamarla più con l’onorifico nee-chan, ma semplicemente Ran.
Come faceva lui.
E poi…
Ran scosse energicamente il capo, e si rimise in piedi traballando. Si appoggiò alla parete, e prese a salire le scale per arrivare in casa.
Non era stato davvero solo frutto della sua immaginazione quando tre pomeriggi prima, di ritorno da fare la spesa, lo aveva preso per mano e lui aveva iniziato ad accarezzarle le dita distrattamente. O che puntualmente le lanciasse quegli sguardi intensi, quando la vedeva gironzolare per casa con l’accappatoio appena finita la doccia. No, non era la sua immaginazione. E cominciava davvero ad averne paura. Perché tutte quelle attenzioni, quel suo modo di rivolgersi a lei, era davvero troppo simile a come faceva Shinichi.
Ciò che Ran non sapeva, era come quella gita avesse realmente reso frustrato Conan. Quei giorni insieme a lei a comportarsi come un ragazzo normale gli avevano lasciato addosso una delusione così prepotente, che non aveva nemmeno più le forze di mentire e recitare la storia del bambino di sette anni. Ne voleva ancora, voleva ancora stare con lei come era stato in quei giorni. Così ultimamente aveva lasciato cadere le proprie difese, e la voglia che aveva di lei aveva preso il sopravvento.
A volte ringraziava di essere intrappolato nel corpo di un bambino, perché davvero non sopportava più di vederla gironzolare con quell’asciugamano così striminzito, o tenerle la mano senza cominciare a intrecciarla con la sua. Se fosse stato nel suo corpo adulto, probabilmente, non sarebbe stato capace di reprimere certi stimoli.
Tuttavia, sapeva bene che facendo così stava solo peggiorando la situazione, ma non riusciva davvero più a trattenersi. Era passato davvero troppo tempo, e ne aveva abbastanza. Era stufo marcio di quelle menzogne, e spesso quasi sperò che lei capisse la verità da sola. Se solo lei glielo avesse richiesto, a quel punto lui non avrebbe più negato. Non ce la faceva più. Ma lei faceva sempre finta di niente, e mai una volta tornò sull’argomento per incastrarlo o interrogarlo con cipiglio dubbioso.
Mai.
Arrivò alla conclusione che forse lei non avesse realmente fatto caso a quel suo modo di rivolgersi senza più patine, o ai suoi sguardi allusivi.
Ciò che però Shinichi non sapeva, era che in fondo al suo cuore lei lo sapeva.
Il suo cuore, ogni fibra del suo corpo lo urlava.
Tu sei Shinichi.
Tuttavia, semplicemente, non voleva che fosse così.
E’ un bambino, solo un bambino. Ed è disgustoso come ci stiamo guardando o sfiorando ultimamente.
Sentenziò duramente nella propria testa, mentre si buttava sul letto e immergeva disperatamente il viso nel cuscino.

 

***


« Signorina? ».
Ran si riscosse dai propri pensieri, e sobbalzò quando avvertì qualcuno alla spalle. Sorpresa, notò come una governante di mezza età della casa si fosse rivolta a lei con sguardo dolce, e ora le stava tenendo una mano rugosa sulla spalla.
« Quel ragazzo con cui è arrivata ha risolto il caso », annunciò. « Fra poco potrete tornare a casa ».
Ran sorrise di rimando, ringraziandola. Solo in quel momento notò sul suo telefono come fosse già passata un’ora abbondante, e pensò che doveva essersi un po’ appisolata in quell’angolo isolato di casa. Si alzò lentamente in piedi e si stiracchiò.
Interiormente soddisfatta di poter davvero andare  via da lì, ripercorse al contrario il corridoio e notò come quel raduno di poliziotti si fosse diradato. Vide allora la porta aperta, e pensando di non trovarvi dentro ormai più alcunché di eccessivamente violento, fece un passo avanti ed entrò timidamente.
Adocchiò velocemente Shinichi in un angolo della sala, con le mani in tasca e un sorriso soddisfatto in volto. Stava chiacchierando tranquillamente con l’ispettore Megure e altri due poliziotti, e li vide così distesi che appurò davvero che il caso fosse chiuso. Sorrise, e fece un altro passo all’interno un po’ rasserenata. Ma quando infine rivolse l’attenzione al resto della camera, notò un telo bianco a coprire qualcosa alla sua sinistra. Con orrore, vide come il sangue stesse macchiando quello stesso telo, e quest’ultimo fuoriuscisse perfino un po’ sul pavimento tutto intorno. Si raggelò sul posto, mentre un poliziotto della scientifica alzava quel telo per rivelare ciò che c’era sotto.
Una nausea prepotente la investì, quando alla fine vide il corpo posto lì a fianco a poca distanza da lei.
Era di un uomo abbastanza alto e magro, vestito con un paio di pantaloni eleganti e una camicia bianca che ormai era vermiglia esattamente dove, sulla schiena, la pallottola lo aveva colpito. Con disgusto crescente, lo vide a terra disteso sulla pancia, lo sguardo vuoto e la bocca aperta con alcuni rivoli di sangue che gli scendevano lungo il mento.
In quel momento, non seppe come, il viso di quell’uomo lasciò il posto a quello di Shinichi, riverso su di lei con quella stessa ferita da cui sgorgava sangue caldo e rosso. Sbatté le palpebre, serrando le labbra mentre le veniva da vomitare.
Davanti agli occhi le tornarono prepotenti le immagini di quando aveva rigirato quel corpo sottosopra, solo per vederlo colto da spasmi di dolore mentre tossiva copiosamente sangue.
Perdonami.
Colui che vedeva ai suoi piedi non era quell’estraneo, ma Shinichi. A terra, immobile, coperto di quello stesso sangue che le arrivava alle narici facendole arricciare il naso. Avrebbe voluto davvero distogliere lo sguardo, ma non ci riuscì e nemmeno poté impedire al proprio naso di rilevare quella puzza crescente di sangue. Si portò di scatto una mano alla bocca e iniziò a tossire, e sperò con tutto il cuore di non vomitare lì davanti a tutti.
Ma prima che potesse davvero riuscire a capire se sarebbe stata in grado di trattenersi, qualcuno le oscurò quella visuale parandosi davanti a lei. Sentì quindi due braccia avvolgerle le spalle, e notò come la stessero trascinando via da lì. Tossì nuovamente, ma riuscì sforzandosi di ricacciare indietro la propria nausea. Si sentiva così stordita che pensò di svenire, e per poco forse non accadde. Ma quelle stesse braccia la tenevano saldamente su, mentre veniva trascinata da qualche parte.
« Ran! », sentì la voce ovattata di Shinichi, e cercò di mettere a fuoco senza realmente riuscirci. Si sentì così debole e alla fine, totalmente sfiancata, non riuscì più davvero a combattere.
Tutto divenne nero.

Quando la sentì pesante contro le sue braccia, Shinichi capì. La tenne su appena in tempo, appena prima che potesse scivolare a terra svenuta. La acchiappò per la vita, e la tenne su almeno per pochi passi prima di lasciarla sdraiare su un divano che adocchiò a poca distanza. Sentì in lontananza la governante indicargli la camera degli ospiti, ma davvero non gliene importava molto.
« Non penso gli darà fastidio », le borbottò di rimando, quando questa sottolinò come quello fosse lo studio del proprietario della casa, ormai cadavere a poche camere di distanza.
« Al momento, è un po’ impossibilitato », marcò sarcastico, fissandola male. Quest’ultima si zittì, mentre lui sistemava Ran un po’ meglio su quel divano scuro.
Era ancora concentrato sul metterla comoda, che non si accorse di Takagi e Megure che si sporsero dalla porta per vedere la scena. Presto, però, pensarono che fosse meglio lasciarli soli, e accostarono la porta. Avevano visto tutti la faccia che aveva fatto Ran non appena aveva visto quel corpo, e probabilmente tutti avevano avvertito lo stesso brivido alla vista della sua espressione totalmente disperata. Le si era contratto così tanto il viso che pareva deformata in un’unica smorfia di dolore, e quando Shinichi se ne era accorto, era sbiancato. Ci era voluto davvero poco perché tutti si rendessero conto di cosa quel corpo avesse scaturito in lei, poiché la ferita di quell’uomo era davvero simile alle stessa che aveva riportato mesi prima Shinichi. Avvertendo che qualcosa non andava, Shinichi le si era affiancato velocemente, e l’aveva trascinata lontana da lì.
Sospirò, guardandola desolato. Vide alcune goccioline di sudore sulla sua fronte, e velocemente si alzò per andare alla ricerca di un po’ di acqua fresca. Intercettò appena in tempo la stessa governante di poco prima, e le chiese un panno umido. Per fortuna quest’ultima ci aveva già pensato, così gliene porse uno non appena glielo domandò. Lo afferrò rapidamente e tornò da lei, inginocchiandosi nuovamente di fronte a quel divano su quale era distesa. Le spostò un po’ la frangia per non bagnargliela, e le posò il panno sulla fronte delicatamente. Con sollievo notò che la sua smorfia dipinta sul viso si stava leggermente affievolendo, sebbene continuasse a sudare e alcune goccioline le stavano scivolando lungo il collo. Constatò allora che stava indossando la giacca della tutta così, cercando di fare il più delicatamente possibile, la alzò contro il suo petto quel tanto per sfilargliela. La lasciò in maniche corte, e la vide rilassarsi ancora un poco. Aspettò pazientemente qualche minuto, prima di iniziare a chiamarla.
« Ran », le disse all’orecchio. Continuò a passarle il panno lungo il collo e sul viso, cercando di scacciare alcuni flash che gli apparvero in mente di quello stesso corpo inerte sotto di lui. Il solo pensiero di averla avuta sotto le sue mani, e che quest’ultime l’avevano accarezzata senza impedimenti, lo fecero un po’ avvampare. Ben presto però, finalmente, la sentì muoversi lentamente. Quando infine aprì gli occhi, sorrise rincuorato.
« Hey », le disse.
Ma quando i loro occhi si incontrarono, lei balzò a sedere così velocemente che le girò la testa. Tuttavia non ci fece caso e, anzi, si allontanò da lui con sguardo terrorizzato.
« I-io, tu… », balbettò in stato confusionale, guardandosi velocemente intorno come se in preda ad un attacco di panico.
« Ran! », esclamò Shinichi, che si affrettò ad afferrarle i polsi deciso. La obbligò a sedersi, mentre lei chiudeva gli occhi con ferocia, come se non volesse vederlo ancora in quella pozza di sangue che aveva stampata nitida in testa.
« Ran, guardami! », disse perentorio lui, scrollandola un po’. Lei allora, un po’ intimidita da quel tono duro, aprì leggermente un occhio e sbirciò nella sua direzione.
« Sono io, sono qui… sto bene », le spiegò pazientemente, sentendosi male nel vederla così.
« Eri t-tutto coperto di s-sangue, i-io … t-tu… », iniziò anche a gesticolare. Shinichi la fissavò allarmato mentre straparlava, con le lacrime agli occhi e le labbra tremanti. Era bianchissima, e si chiese se non stesse di nuovo per svenire li davanti a lui.
« Io sono qui con te », ripeté nuovamente, sperando di convincerla.
Per fortuna la vide mentre riprendeva lentamente il controllo di sé, e infine apriva entrambi gli occhi seppur abbastanza incerta. Le lasciò tutto il tempo per mettere a fuoco la situazione, e quando realizzò ciò che fosse successo, vide l’ombra dell’imbarazzo attraversarle gli occhi.
« Oh… », disse solamente, arrossendo. « Oh », ripeté guardandolo dispiaciuta.
« Scusami », concluse rammaricata. Si sentì davvero malissimo al pensiero di aver fatto quella scenata davanti a tutti ma, specialmente, davanti a lui.
Gli aveva fatto vedere quanto fosse debole, quanto quella storia ancora la tormentasse. Glielo aveva rivelato, certo, ma addirittura sentirsi male
« Sono svenuta? », domandò in imbarazzo subito dopo, non permettendogli ancora di prendere parola.
« Un po’ », ammise lui incerto dopo un pò.
« Come si fa a svenire un po’? », corrugò la fronte.
« No, effettivamente completamente », ribattè lui abbozzando un sorriso.
« Sono una stupida », ripeté lei non notando quel sorriso incoraggiante, mentre si portava le mani al viso e nascondendolo all’interno.
« Smettila », disse categorico lui. « Non era una bella scena », si limitò ad aggiungere. Non ci voleva davvero un genio per capire perché fosse rimasta così shockata, solo un idiota non ci sarebbe arrivato. Lei aveva rivisto lui, lì per terra, in quella pozza di sangue. Forse aveva fatto bene quell’agente a non volerla fare entrare, ma ovviamente la testona non aveva voluto dargli retta.
Si impose di non rinfacciarglielo solo per non farla sentire ulteriormente in colpa, mentre cercava di toglierle le mani ancorate al viso.
« Dai », la incitò sorridendo debolmente. « Non è successo niente », concluse con un sospiro.
« Scusami », disse debolmente, lasciando infine ricadere le mani in grembo.
« Vale per tutte le volte che mi hai medicato tu », sdrammatizzò lui. Riuscì a strapparle un sorriso dubbioso, prima di afferrarla per le braccia e aiutarla e rimettersi in piedi.
« E comunque sono io che ti ho chiesto di venire », sospirò infine.
« Ma io voglio accompagnarti », dichiarò Ran alzando un poco la voce con sguardo scoraggiato.
Shinichi sorrise tristemente, per poi acchiappare la giacca della tuta appoggiata lì a fianco e porgendogliela.
« Dai, andiamo a casa », disse.
Shinichi forse non seppe mai cosa quella semplice frase scatenò in Ran. Ma il pensiero che con quel “casa” intendesse il luogo dove si stavano recando insieme, un po’ la fece sentire meglio e la rincuorò, mentre si ancorava al suo braccio e usciva da lì con gambe incerte e traballanti.
Casa.
Avevano così tanti ricordi, fra quelle mura, che al solo pensiero si sentì al sicuro. Lì, con lui, lontani da tutto e tutti.
Era sempre davvero stata più casa loro, che casa solo sua.


Dopo aver incontrato i volti preoccupati dell’ispettore Megure e di Takagi e averli tranquillizzati circa il suo stato di salute, ringraziò la governante che gli indicò l’uscita secondaria della casa. Non avrebbe davvero retto di imbattersi in tutti quei giornalisti, specialmente perché si sentiva davvero distrutta. Quella giornata era stata infinita, e aveva solo voglia di coricarsi e dormire. Ci impiegarono relativamente poco per arrivare davanti a casa di Shinichi, e per tutto il tempo rimasero in silenzio mentre passeggiavano per i quartieri luminosi di Beika. Ancora ancorata saldamente al suo braccio, lo guardò mentre cercava distrattamente le chiavi nella sua giacca e infine apriva il cancello e poi la porta. Quando entrò in casa e sentì quel calore così familiare, prese un sospiro profondo e si sentì subito meglio. Vedendola un po’ più serena, Shinichi sorrise.
« E’ stata una giornata lunga », ammise anche lui, mentre riponeva via le scarpe. Lei annuì, e lo sorpassò fino ad arrivare in salotto ad accendere la luce.
« E’ già mezzanotte », disse sorpresa, guardando l’orologio appeso lì a fianco. Il tepore della casa iniziava a metterle un po’ di sonnolenza, ma aveva davvero voglia di farsi una doccia. Sentiva ancora il sudore appiccicarle i vestiti al corpo, e addosso quell’odore tremendo di sangue. Tuttavia si sentiva un po’ in imbarazzo a chiedergli di poter usare il bagno, perciò rimase un attimo al centro del salotto a dondolarsi sui piedi con fare incerto. Vide Shinichi raggiungerla facendo un grosso sbadiglio, e con noncuranza andare verso il frigo ed estrarne una bottiglia d’acqua.
« Non vai a farti una doccia? », domandò con tono indifferente, guardandola immobile a poca distanza.
« Hai sudato tantissimo mentre eri svenuta ».
A volte pensava davvero che i loro cervelli fossero in un qualche modo collegati, perché lui le lesse esattamente nel pensiero. Sorrise sollevata, e annuì.
« Puoi usare quello a fianco di camera mia, gli asciugamani sono puliti », le spiegò, mentre si sedeva al bancone della cucina e posava lì le scartoffie di quel caso.
« Non vorrai fare la relazione del caso ora », alzò un sopracciglio lei contrariata.
« No, figurati », rise senza allegria lui. « Sono davvero troppo stanco. Gli do solo un’occhiata e salgo su ».
Salgo su.
Con lei?

Avvampò e improvvisamente il ricordo di loro due a dormire in quella casa le rimbalzò prepotentemente in testa. Zittendosi definitivamente, si diresse velocemente al piano di sopra, tenendo al petto il sacchetto con le sue cose. Andò trafilata nel bagno indicato da Shinichi, e ci si chiuse dentro agitata. Quando girò la chiave nella serratura per chiudersi dentro e accese la luce, tirò infine un sospiro di sollievo. Posò a terra il sacchetto e si guardò allo specchio.
Erano davvero in quella casa, da soli. Dopo ciò che era accaduto una settimana prima.
Con tutto quel macello di quella sera, fra Sonoko e il caso, quasi gli era passato di mente. Eppure ora lì, totalmente isolati da tutto e tutti, si sentì nervosa e insicura. Con mani tremanti si mise a cercare il proprio beauty e come per sfogarsi si mise a lavarsi i denti così duramente che quasi si fece male. Picchiettando le dita contro il lavandino continuò ancora a sfregare lo spazzolino, e quando ormai le gengive iniziarono a bruciare, decise di smettere. Cercando di mantenere la calma, si svestì e velocemente si infilò nella doccia.
Quando il getto d’acqua calda la investì, si sentì improvvisamente meglio. Si sciacquò la faccia, e rimase con quel fiotto addosso per qualche minuti, mentre avvertiva i propri muscoli rilassarsi piano piano. Totalmente distesa, appoggiò dopo un po’ la schiena alle piastrelle della doccia, chiudendo gli occhi.
Puoi dirmi perché non vuoi?
Ma certo che voglio!
Sgranò gli occhi, scuotendo energicamente la testa. Avvampando le tornarono in mente alcuni flash con Shinichi, e si sentì davvero troppo accaldata. Di scatto girò la manopola sull’acqua fredda, e con un brivido resistette sotto quel getto improvvisamente gelido.
Iniziò a insaponarsi con foga, provando a tenere a bada la sua testa, che aveva iniziato a riempirla di domande imbarazzanti. Gliene vorticavano almeno quattro o cinque, ma la principale era solo una:
riaccadrà dopo?
Al solo pensiero le salì un’ansia incontrollabile, mentre con la coda dell’occhio si vedeva nuda riflessa sul vetro della doccia. Come una scioccia si coprì un po’, come se lui potesse vederla.
Si diede mentalmente dell’idiota, e riprese a sciacquarsi con nervosismo.
Durante quella settimana lontana da Shinichi aveva spesso ripensato a quel sabato, ed era arrivata a chiedersi più volte se e quando sarebbe ricapitato. Aveva stupidamente immaginato che non sarebbe stato nuovamente così imbarazzante come quella prima volta, ma era abbastanza evidentemente in quel preciso momento quanto si fosse sbagliata. Al solo pensiero si sentiva intimidita, e prendere tempo forse stava solo peggiorando la situazione.
Magari lui se lo aspetta…
Con un sono sbuffo stizzito chiuse l’acqua, e uscì come una furia dalla doccia. Non che lei non volesse, anzi. Era stata probabilmente la notte più bella della sua vita, quella vissuta con lui appena sei giorni prima. Tuttavia era davvero imbarazzante da rivivere, e in quel momento si chiese se non fosse forse il caso di affrontarlo e parlarne.
E cosa gli dici?
La sua vocina sarcastica le diede fastidio, mentre si scioglieva la coda di cavallo che si era fatta per evitare di bagnarsi i capelli. Sempre più seccata si asciugò in fretta, e senza farci troppo caso si mise il suo pigiama con i panda. Un po’ arrossata aprì infine la porta, e mise la testa fuori.
Con un nodo alla gola, notò come dalla camera di Shinichi uscisse una luce fioca, segno che dovesse trovarsi lì.
Prendendo un bel respiro e facendosi coraggio uscì e piano si avvicinò alla porta. Quando ormai completamente bordeaux sbucò oltre lo stipite, fece per parlare ma presto si morse un labbro.
Shinichi era disteso sopra le coperte a pancia all’insù, tutto intorno circondato da fogli e cartelline che riconobbe come quelle del caso appena risolto. Aveva un viso totalmente addormentato, e il respiro tranquillo. Era ancora vestito con la stessa tuta di quella sera, e alla sua vista un sorriso dolce le apparve sul viso. Doveva essere davvero crollato mentre si stava lavando, mentre cercava di riordinare quel fascicolo. Facendo il più piano possibile si avvicinò al letto, e prese a raggruppare i fogli sparsi intorno a lui. Ci mise relativamente poco, e quando li mise sulla scrivania fece per spegnere la luce. Tuttavia quando allungò la mano alla lampada sul suo comodino, lo sentì borbottare il suo nome mentre si girava su un fianco.
Trattenne le risate, bloccandosi accanto a lui.
« Dormi, io vado di là », gli spiegò e infine spense la lampada. Tuttavia, prima che potesse ritrarsi, la sua mano le afferrò debolmente il polso.
« Rimani », la sua voce era impastata e roca, mentre sospirava a poca distanza da lei. A quelle parole Ran ringraziò che fosse buio e lui stesse praticamente dormendo, perché pensò che perfino le sue orecchie fossero di un acceso rosso. Deglutì, non sapendo bene cosa fare.
« M-ma io… », balbettò in difficoltà.
« Dove vuoi andare », mugugnò lui in dormiveglia, e la afferrò più deciso per il polso. La tirò verso di lui, e Ran quasi non gli cadde addosso. La voglia di dormire con lui era in effetti molto allettante, e pensare che tanto lui fosse già ben addormentato forse poteva non far diventare tutto estremamente imbarazzante. Alla fine, e cedendo a ciò che desiderava veramente, sospirò.
« Dai, fammi spazio », mormorò piano, e lo sentì spostarsi di poco per farle posto. Si sdraiò velocemente al suo fianco, immergendosi nelle sue coperte. Con un po’ di fatica riuscì a coprire anche lui, che sembrava ormai addormentato del tutto e non era certo di aiuto. Quando infine si rilassò e posò il viso sul cuscino, lo sentì cingerle la vita con un braccio, mentre si avvicinava al suo viso. Ran si immerse allora nel suo petto, prendendo due sospiri profondi. Una sensazione piacevole la rilassò totalmente contro il suo corpo, mentre prendeva ad accarezzargli un braccio. Sorrise fra sé, sentendosi immediatamente sciocca per tutte le paranoie che si era fatta appena poco prima sotto la doccia. Soddisfatta si sistemò ulteriormente e chiuse gli occhi, mentre una leggera sonnolenza si fece largo in lei. Solo dopo qualche minuto, e un silenzio tranquillo rotto solo dal respiro regolare di Shinichi, la avvertì che si fosse ormai completamente addormentato. Ormai un po’ assonnata anch’essa, sbadigliò leggermente e sentì le forze abbandonarla.

Quando Shinichi iniziò a svegliarsi quella mattina, si sentì stranamente rilassato. Constatò mentalmente, ancora ad occhi chiusi, quanto avesse dormito veramente bene quella notte. Deglutì, inumidendosi un po’ le labbra. Si girò ancora in dormiveglia alla sua destra, posando la testa meglio su quel cuscino morbido. Fece per allungare una gamba alla ricerca di un po’ di calore, e in quel momento toccò qualcosa accanto a lui. Un po’ confuso, aprì un occhio, rimanendo un attimo spaesato. Ci volle realmente poco perché si ricordasse di essere in camera sua, ma che accanto a lui giaceva ancora Ran, completamente addormentata e coperta malamente con un lenzuolo che le arrivava a malapena alle spalle. Trasalì, aprendo finalmente anche l’altro occhio, e guardandosi intorno. Doveva essersi addormentato, perché l’ultima cosa che si ricordava era che si era messo a letto col fascicolo del caso che, notò in quel momento, era sistemato ordinatamente sulla sua scrivania. Ran doveva avergli tolto tutto di dosso, nel momento in cui lo aveva trovato così. E…
Si è messa nel letto con me?
Con imbarazzo crescente, provò a sistemare come meglio poté le coperte, e dopo un po’ di lavoro riuscì finalmente ad assestarle, mentre Ran continuava incurante a dormire serenamente al suo fianco, la bocca semi aperta e il respiro regolare. Tuttavia con un ultimo strattone alla coperta la mosse leggermente, e impreparato la sentì iniziare a muoversi lentamente al suo fianco.
Ran sbadigliò, sentendosi davvero riposata. Doveva aver dormito per parecchio, pensò, perché sentiva ogni fibra del suo corpo totalmente rilassata. Piuttosto soddisfatta, sbadigliò sonoramente per poi rigirarsi nelle coperte e sistemarsi meglio su un fianco. Solo in quel momento si accorse di qualcosa che le premeva da quel lato e, un po’ confusa, aprì gli occhi.
Shinichi aspettò imbarazzato che mettesse anche lei a fuoco la situazione, che non tardò ad arrivare. Vide le sue guance tingersi leggermente di rosa, mentre apriva la bocca totalmente intimidita di fronte a lui.
« Ciao », mormorò Shinichi, facendo sprofondare il viso nel cuscino e guardandola attentamente.
« Ciao », rispose lei titubante, sistemandosi nel medesimo modo con il viso paonazzo rivolto a lui contro quello stesso cuscino. Erano così vicini che poteva quasi sfiorarle il naso, ma preferì rimanere a distanza per lasciarle il tempo di riprendersi da quel momento di timidezza.
« Ci siamo addormentati », le disse semplicemente, continuando a guardarla.
Lei annuì leggermente, tornando a guardarlo. Aveva talmente un’espressione buffa e imbarazzata, che a Shinichi venne da ridere, ma qualcosa lo interruppe. Improvvisamente, sentì un rumore provenire dalla porta e, quando entrambi si voltarono, videro appena fuori dalla camera il sacchetto di Ran abbandonato lì dalla sera prima. Titubante Ran scivolò fuori dal letto e si diresse in fretta verso quest’ultimo, e ci trovò dentro il suo telefono illuminato da una chiamata in entrata. Lanciò un’ulteriore occhiata per capire di chi fosse quella telefonata, e si paralizzò. Deglutendo, lanciò un’occhiata persa al ragazzo ancora nel letto, mordendosi un labbro.
« E’ mio padre », mormorò completamente nel panico.
« Beh, rispondi… », le disse lui a bassa voce, come se avesse paura che lui potesse sentirli.
« Ma sei scemo?! », esclamò lei iniziando ad arrossire.
« Scemo io?! », obbiettò Shinichi. « Se non gli rispondi è peggio! ».
« E se capisce qualcosa? », si dondolò nervosamente sui piedi.
« … e cosa dovrebbe capire? », la sua voce sarcastica la agitò, se era possibile, ancora di più.
Completamente immersi nel loro battibecco, quando infine il telefono smise di suonare si bloccarono. Ulteriormente preoccupata, Ran acchiappò il telefonino con mano tremante.
« E ora? ».
« Richiamalo! », sbuffò Shinichi, mettendosi seduto sul letto.
« Ma… ma… », balbettò dubbiosa, fissando prima il telefono e poi Shinichi.
« Se non rispondi è davvero troppo strano! », il suo viso era ormai bordeaux, ma la sua voce era totalmente decisa.
« C-cosa gli dico? », mormorò lei mordendosi un labbro. Lui inarcò un sopracciglio, fissandola senza parole.
« Secondo te?! », disse esasperato infine.
Lei corrugò la fronte, ancora incerta. Purtroppo ebbe davvero poco tempo per ragionare sul da farsi, perché il suo telefonino riprese a suonare in quell’istante.
« P-pronto? ».
Al suono di quelle parole, Shinichi trattenne il respiro.
« Sì, scusa, non ho risposto prima perché… perché… », le parole le morirono in bocca. Guardò disperata Shinichi, che le mimò qualcosa.
« Bagno! Sì, ero in bagno », rise istericamente, passandosi una mano fra i capelli per stemperare la tensione. Iniziò a torturarseli, aggrovigliandoli in un dito della mano libera.
« Bene », disse dopo un po’, prendendo un po’ fiato. « Sono contenta », disse infine.
« Ok, fa attenzione. Ci sentiamo più tardi. Ciao, papà ».
Chiuse la telefonata, ed entrambi si lasciarono andare ad un lungo sospiro. Rimasero così per qualche minuto, finchè Ran non si voltò lentamente a guardarlo. Non sapendo bene né cosa dire, né cosa fare, e sentendo il suo sguardo addosso, trasse un sospiro.
« A Yokohama tutto bene », mormorò scuotendo il telefono mollemente.
« Mmm », annuì Shinichi, guardando per terra.
Ran provò a riprendere parola, ma non ci riuscì per l’ennesima volta. Rimasero fermi al loro posto per almeno un minuto infinito, finchè Shinichi non ne potè più.
« Facciamo colazione? Ho fame! », annunciò sfoderando il sorriso più sereno che riuscisse a fare, e notò con sollievo che Ran glielo ricambiò timidamente. La vide mentre annuiva e rapidamente, senza guardarlo in faccia, si allontanava dalla sua camera.
Ran scivolò così velocemente al piano di sotto in cucina, senza prestare minimamente attenzione a colui che lasciava in camera. Tremendamente nervosa, si appoggiò con le mani al tavolo, e chiuse gli occhi. Provò piano piano a riprendere fiato, facendo dei lunghi respiri e imponendosi una calma che, tuttavia, non riuscì a trovare. Non riuscendo a stare ferma, cominciò a camminare su e giù per la cucina, lanciando di tanto in tanto occhiate in direzione delle scale per accertarsi che Shinichi non fosse ancora nei paraggi. Quando, infine, sentì al piano di sopra la porta del bagno chiudersi, si tranquillizzò un attimo. Aveva qualche minuto in più per mettere a fuoco la situazione, e capire cosa fare. Non seppe davvero dirsi perché si sentisse così imbarazzata, specialmente perché non era davvero successo nulla. Tuttavia non era proprio normale dormire insieme, schiacciati nel suo letto in una casa completamente vuota. Ormai si stavano prendendo una confidenza tale da lasciarla sempre un po’ tramortita.
Ancora con la testa fra le nuvole, si impose di preparare la colazione. Man mano che si distraeva facendo il pane tostato ed il caffè, il nervosismo cominciò a calare. Razionalmente pensò che non c’era davvero niente di male, perciò prese un sospiro e si impose di tranquillizzarsi. Si ritrovò così a sorridere un po’ meravigliata, e quasi non si accorse che Shinichi era sceso al piano inferiore e ora stava timidamente entrando in cucina. Solo quando avvertì la sua presenza alla spalle, si voltò e guardarlo leggermente.
Shinichi sorrise piano e si avvicinò al bancone per aiutarla a finire di preparare la colazione.
E’ un giorno come un altro. State preparando la colazione esattamente come fate sempre.
Provò a ripeterselo almeno due o tre volte ininterrottamente, mentre prendeva a spalmare la marmellata con fare pensieroso al suo fianco.
Solo dopo un po’ di silenzio si decise infine di guardare Ran, ma non appena si voltò per provare a rompere quella tensione, sentì qualcosa di unto sul naso. Strabuzzò gli occhi, mentre sentiva la sua risata cristallina. Gli aveva appena sporcato il naso con un cucchiaino di marmellata, e ora lo guardava con espressione soddisfatta.
« Mangiamo? », domandò lei allegra, scuotendo lo stesso cucchiaino con il quale lo aveva sporcato. Lui alzò gli occhi al cielo, facendo finta che quel gesto lo avesse un po’ disteso.
Dopo essersi ripulito il naso con un dito e averlo portato alla bocca, appurò che si trattasse di albicocca.
E’ un giorno come un altro, con lei.

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Capitolo 14
*** Week-end ***


WITHOUT WORDS.
week-end.
 

Shinichi si trascinò stancamente verso la biblioteca, zoppicando un pò e cercando di mantenere una sorta di equilibrio. Un po’ dolorante entrò all’interno e accese la luce, mentre teneva saldamente nella mano destra il fascicolo del caso che aveva risolto due sere prima.
Lo aveva completamente dimenticato, negli ultimi due giorni. E, ormai domenica sera, si era improvvisamente ricordato della sua esistenza solo quando lo aveva trovato ancora abbandonato sulla sua scrivania, esattamente dove Ran lo aveva riposto il venerdì sera precedentemente Con uno sbuffo spazientito si portò la mano alla testa, e se la passò fra i capelli in un gesto di stizza.
Pensare che avrebbe dovuto consegnarlo la mattina dopo alla centrale di polizia voleva dire una sola cosa: notte in bianco. Specialmente perché non aveva nemmeno iniziato lontanamente a buttare giù niente, nemmeno un appunto veloce.
Da un parte, se il motivo di tale ritardo fosse stato dovuto a cause piacevoli, avrebbe anche accantonato la sensazione di delusione che lo attanagliava da almeno la mattina prima. Ma, come ripensò parecchio adirato, non era affatto così. Un sacco di spiacevoli inconvenienti gli erano caduti addosso nelle ultime quarantotto ore, e sebbene fosse stato tutto il tempo con Ran, nessuna di queste precludeva il rimanere soli o godersi un po’ di tempo insieme.
Anzi.
Sbatté con impazienza il fascicolo sulla scrivania, e si lasciò cadere sulla sedia davanti a lui. Con irritazione accese il computer, e per niente entusiasta iniziò a revisionare i fogli che prese dalla cartellina.
Dovette leggere almeno tre volte la stessa riga per capire davvero cosa dicesse, e alla fine si riportò una mano al viso stropicciandoselo. Era stanco, decisamente. E il motivo aveva dei nomi, e dei cognomi.
Ayumi Yoshida.
Genta Kojima.
Mitsuhiko Tsubuya.
Ai Haibara.
Era solo ed esclusivamente per colpa loro che si ritrovava con un piede gonfio, una delusione prepotente e quel fascicolo ancora da sistemare.
Sbuffò di nuovo, cercando di concentrarsi. Prima si applicava, e prima forse avrebbe potuto raggiungere la ragazza che in quel momento si trovava nel suo soggiorno e a guardare un film, completamente da sola.
« Che cavolo », borbottò ripensando a Ran.
Davvero non aveva parole per la piega che aveva preso quel fine settimana.
Quando la mattina prima si erano messi a fare colazione, alla fine, pareva tutto calmo. Avevano chiacchierato tranquillamente, superando perfino la timidezza dell’essere crollati a dormire insieme. In quel momento aveva davvero pensato di poter passare un week-end tranquillo, finalmente solo con lei.
Povero scemo.
Già. Illuso per di più.
Certo non poteva immaginarsi che da lì a poco una telefonata li avrebbe distratti, non appena avevano finito pane tostato e marmellata. Una telefonata che per di più aveva dovuto rielaborarsi davanti alla sua ragazza, e anche in questo caso il motivo erano due persone ben precise.
Kogoro Mori.
Eri Kisaki.
Fece una smorfia al solo pensiero del giorno prima, mentre ricordava esattamente l’accaduto.

 

Sabato mattina, ore 11:00


« Ti sta suonando il telefono », esclamò Shinichi mentre prendeva l’ultimo sorso del suo caffè. Lanciò un’occhiata distratta a quest’ultimo, e si sentì già sollevato che non fosse nuovamente Kogoro. Solo poco prima, alla sua telefonata, Ran era caduta nel panico più totale, perciò chissà cosa si sarebbe inventata se quest’ultimo avrebbe ripensato di chiamarla nuovamente. Vide invece che era un numero non salvato nel suo cellulare, e a memoria non lo riconobbe. Un po’ curioso la fissò mentre si allontanava dal lavandino dove stava lavando le poche stoviglie della colazione, e un sorriso tenero gli si creò spontaneamente sul viso quando la rivide ancora vestita col suo pigiama coi panda. Senza accorgersi del suo sguardo dolce addosso, Ran acchiappò un po’ confusa il cellulare, non riconoscendo anch’essa quel numero.
« Pronto? », chiese incerta.
Shinichi si alzò senza far rumore con in mano la tazza ormai vuota, e riprese dove lei aveva interrotto il lavaggio dei piatti. Si mise a sciacquare le stoviglie ancora insaponate e lavare la sua tazza, cercando comunque di ascoltare con malcelata curiosità le sue parole al telefono.
« Mi scusi, io non capisco », la sentì dire dubbia. « Mia madre dov’è? ».
Shinichi si bloccò, sentendo un brivido percorrergli la schiena. Evitò accuratamente di voltarsi, solo perché era davvero impreparato sia a vedere il viso confuso di Ran, sia per non doverla affrontare qualora lei si fosse accorta del suo sguardo colpevole.
Da quando la sera prima lei gli aveva detto che suo padre era via “per lavoro”, spesso nelle ultime ore aveva pensato se intervenire e farle capire quanto in realtà potesse essere strano che a Yokohama non ci fossero altri detective disponibili, men che meno che qualcuno volesse proprio Kogoro. Dopotutto, ma non volle ricordarglielo, la sua agenzia ormai funzionava davvero poco. Probabilmente se fosse stato ancora famoso come mesi prima poteva ancora reggere come scusa, ma ormai Kogoro il dormiente era davvero un ricordo lontano. Si morse un labbro, mentre la chiamata proseguiva e lei ribatteva solo con alcuni cenni di assenso. Si sentì così in colpa per quel segreto che cercò velocemente di non pensarci e convincersi che stava facendo bene a tralasciarglielo, semplicemente perchè non gli aveva mai rivelato di aver visto sua madre sgattaiolare via settimane prima, men che meno altri segnali che aveva evidenziato in Kogoro ultimamente. Pareva essere più interessato all’aspetto esteriore, tanto che ogni qualvolta entrasse in casa avvertiva chiaramente il suo prepotente profumo arrivargli al naso facendoglielo storcere. Se ne metteva davvero troppo, negli ultimi tempi. Per non parlare del suo sorriso da ebete puntualmente stampato in faccia, o della sua esuberanza davvero inquietate. Era davvero troppo euforico.
A parte quando mi ha minacciato di morte.
A quel ricordo, corrugò la fronte sentendosi ulteriormente colpevole. Non solo ciò di cui aveva paura era accaduto, ma sua figlia aveva dormito con lui appena la notte prima e, per quanto ne sapeva, sarebbe stato così per tutto il fine settimana.
Se lo scopre, mi uccide.
Completamente perso nei suoi pensieri non si accorse che Ran aveva chiuso la chiamata, e ora le si era affiancato con sguardo perplesso. Quando infine si accorse di lei trasalì dallo stupore di averla al proprio fianco, e maldestramente provò ad apparire totalmente rilassato.
« Tutto bene? », domandò con voce sicura, continuando a lavare la tazzina fra le sue mani, sebbene fosse già linda da almeno un minuto. Voleva occuparsi, solo per non doverla guardare negli occhi.
« Sì », replicò lei ancora un po’ pensierosa. Fissò il suo telefono, e poi riprese a parlare lentamente.
« Era la segretaria di mia mamma… mi ha detto che è passata da casa di mia madre per dare da mangiare a Goro, ma non ha toccato cibo e lo ha trovato un po’ mogio… », spiegò pensosa.
« Mmm », disse solo Shinichi, e ringraziò che lei fosse presa da chissà quali pensieri per notare il suo sguardo nervoso.
« Così le ho chiesto perché gli stesse dando da mangiare lei, e mi ha detto che mia mamma è andata fuori città per un lavoro piuttosto laborioso », concluse non del tutto convinta.
Non potendo continuare a far finta di niente, e sapendo che comunque lei prima o poi si sarebbe accorta del suo mutismo (il bello di conoscersi da una vita), mise infine da parte le ultime stoviglie e prese ad asciugarsi le mani voltandosi verso di lei cercando di fingere indifferenza.
« Quindi il gatto non sta bene? », cercò di deviare la sua attenzione sul povero Goro piuttosto che sul fatto che, per una strana combinazione del fato, i suoi genitori fossero entrambi via contemporaneamente da casa per due giorni. E per di più, sua mamma probabilmente non le aveva nemmeno detto niente.
« Sì ma non capisco perché mia mamma non me lo abbia lasciato », iniziò a ragionare, causando solo l’ennesimo brivido in Shinichi.
Cazzo.
« … e perché non mi abbia detto che andava via ».
Shinichi tamburellò le dita sul piano della cucina, non sapendo bene come fare.
Si era ripromesso di non dirle nulla proprio per non illuderla di alcunché, a maggior ragione visto che i diretti interessati a quanto pareva volevano tenere tutto nascosto per un qualche motivo a lui ignoto. Ma ora? Continuare a tacere?
Niente più bugie.
Si maledisse per quella promessa. Dopotutto lo stava facendo per il suo bene!
Sì, anche Conan Edogawa era nato “per il suo bene”.
Il suo stomaco fece una capriola all’indietro, mentre guardava di sottecchi la ragazza al suo fianco.
Però non stai mentendo… stai OMETTENDO.
Poteva valere come discorso? Non seppe rispondersi nemmeno lui.
« Ora la chiamo, c’è qualcosa che non va », la sentì dire in lontananza ancora con la testa in confusione più totale. Quando si rese conto di cosa stesse facendo, ormai era troppo tardi e aveva già il telefono all’orecchio.
« Aspetta! », esclamò con voce alta, facendola trasalire.
« Cosa? », domandò lei titubante.
« Chiudi, chiudi! », la incitò lui gesticolando e Ran lo vide così agitato che gli volle dare retta. Chiuse in fretta la chiamata prima che potesse squillare almeno una volta, e lo fissò in attenta.
« Beh? », disse facendosi contagiata dal suo nervosismo..
« M-magari non te lo ha detto per non disturbarti », provò lui cercando di dare un po’ di sicurezza alle sue parole, sebbene sapesse che in realtà come scusa facesse alquanto schifo. Infatti lei alzò un sopracciglio, non del tutto convinta.
« Ma me lo ha già lasciato altre volte », contestò Ran.
« Ragiona », sbuffò Shinichi, provando il tutto per tutto. « Ora stiamo insieme, e sa che ogni sabato facciamo qualcosa… magari non voleva rovinarti il week-end, e ha chiesto alla segretaria di dare lei da mangiare a Goro ».
Ringraziò il proprio cervello e il proprio sangue freddo per aver partorito una scusa migliore in davvero pochi secondi, e in qualche modo di accorse che effettivamente quel motivo pareva aver rilassato Ran.
« Beh, può essere », giocherellò col telefono in mano.
« E poi se è un lavoro così importante, non vorrai disturbarla », continuò lui acquistando un po’ fiducia in se stesso. « Andiamo a vedere Goro e curiamolo noi senza preoccuparla ».
Vide Ran ancora un po’ tentennante, ma dopo poco sospirò e posò il telefono. Constatò con sollievo crescente come l’avesse convinta, mentre gli rivolgeva un sorriso debole e un cenno del capo.

 

Domenica, ore 23:45


Shinichi ripensò a come poi si fossero prepararti e fossero usciti trafelati, per arrivare poco dopo a casa di Eri con la chiavi di riserva di Ran e avessero trovato Goro effettivamente sottotono. Avevano impiegato circa quaranta minuti per trovare il trasportino e metterlo di forza dentro, lotta che causò almeno dieci graffi a testa e un numero considerevole di corse intorno al tavolo del salotto. Quando, infine, lo avevano imprigionato mentre il poverino continuava imperterrito a soffiargli, erano andati dal veterinario.
Di sabato.
Dall’unico di turno in tutta Beika.
Li probabilmente trascorsero almeno un’ora abbondante, visto la coda di persone nella piccola sala d’attesa. Tutto ciò per appurare che Goro aveva un banalissimo mal di pancia e bastava dargli dei fermenti lattici per risolvere il tutto.
Tornare a casa, passare in farmacia, dargli la medicina e il cibo, poi, aveva richiesto anch’esso più tempo del previsto.
Per non parlare di quando era stato il momento di chiudersi la porta alle spalle e lasciarlo lì. Da solo.
La vista di Goro tutto raggomitolato in un angolo del divano aveva stretto il cuore di Ran che, con sguardo supplichevole, aveva iniziato a guardare Shinichi con un labbro tremante e gli occhi speranzosi.
« Sì, ce l’ho anche con te », borbottò Shinichi seduto alla scrivania, mentre un gattino grigio faceva proprio in quel momento capolino in biblioteca, guardandosi intorno curioso.
Già. Perché Ran non aveva avuto il cuore di lasciarlo solo, seppur Shinichi avesse provato a spiegarle che per un gatto la solitudine non era un problema enorme. No. L’avevano portato a casa.
Shinichi sospirò quando, infine, Goro gli saltò in braccio facendogli le fusa sulle gambe.
« Ti va bene che amo gli animali », mormorò iniziando ad accarezzarlo.
E così, praticamente l’intero pomeriggio del sabato era passato, fra veterinari, giri di negozi di animali per prendergli almeno la lettiera del cibo, farlo ambientare in casa e rincorrerlo ovunque per evitare che saltasse da qualche finestra.
Aveva sperato di passare almeno una serata apparentemente affettuosa con la sua ragazza, quando, subito dopo cena ed essersi trasferiti sul divano, l’aveva lasciata sola per dieci minuti per rincorrere Goro che si stava facendo le unghie su un mobile dell’ingresso. Evidentemente, un lasso di tempo fatale perché, al suo ritorno con Goro scalpitante in braccio, Ran era già riversa su se stessa in un sonno profondo. Alla sua vista, la bocca semi aperta e un respiro nasale, gli era venuto perfino da ridere, finchè almeno non si era ritrovato l’unico sveglio a guardare un film anche piuttosto interessante. Non che avesse immaginato chissà cosa, ma l’idea comunque di essere soli, senza adulti intorno e per una volta nessun cadavere nelle vicinanze, aveva fatto nascere in lui una certa speranza, perlomeno di poter stare un po’ insieme. Da svegli.
Invece ormai a mezzanotte, e il sonno che a differenza della ragazza completamente riversa sulla sua spalla mancava ad arrivare, aveva deciso di scuoterla per trascinarla almeno a letto. Una volta che quest’ultima si era messa il pigiama e infilata sotto le coperte senza forse nemmeno accorgersene, con un Goro gongolante fra i piedi, si era arreso e aveva preso un libro a caso dalla biblioteca, sperando che quest’ultimo gli consigliasse un po’ il sonno.


 

Domenica, ore 2:25


« Shinichi? ».
Shinichi sobbalzò sulla sedia, e ci mise un po’ per mettere a fuoco intorno a lui. La luce debole della lampada sulla scrivania certo non aiutava, e per qualche secondo avvertì solo un dolore prepotente alla cervicale e la bocca impastata. Rintronato si portò una mano al collo, e nel muoversi fece cadere il libro dimenticato sulle gambe.
In quel momento mugugnò qualcosa che non capì nemmeno lui, mentre si chinava e raccoglieva un thriller che aveva letto almeno duecento volte.
« Sono le due e mezza di notte », sbadigliò Ran, scuotendolo per una spalla. « Mi sono svegliata e non c’eri ».
In quel momento capì che si doveva essere addormentato, e il male al collo ne era la prova. Chissà da quanto aveva la testa ciondolante su quel libro.
« Dai, andiamo fanatico », lo prese in giro Ran, mentre lui si alzava in piedi lentamente. Aveva anche lei la voce impastata, segno che era forse ancora un po’ addormentata. Così, tenendolo per un braccio, salirono piano le scale in silenzio. Solo quando furono sulla porta di camera sua e Shinichi fece uno sbadiglio rumoroso, lei sorrise.
« Succederà sempre così? », domandò rimettendosi nel letto. Un po’ più sveglia, e rendendosi conto che lui invece era ancora un po’ rintontito dal sonno, lo guardò arrossendo leggermente quando lo vide spogliarsi a poca distanza. Si morse un labbro, mentre Shinichi noncurante e forse con la testa davvero ancora addormentata, si toglieva la maglia e i pantaloni, rimanendo illuminato un po’ dalla lampada che lei aveva acceso prima di scendere a cercarlo.
« Cosa? », sbiascicò mentre cercava a tentoni il suo pigiama.
Ran trattenne il respiro, mentre lo vide a poca distanza da lei tastare il materasso ormai solo in boxer, e cercò di non sentirsi eccessivamente accaldata.
Era davvero perfetto.
Cercò di guardarlo più che poté, approfittando del fatto che lui tanto pareva non accorgersene e probabilmente così assonnato non se ne sarebbe ricordato la mattina dopo.
Aveva davvero un fisico asciutto, con i muscoli definiti nei punti giusti senza che risultassero di troppo. Specialmente la pancia, che scendendo si andava a definire perfettamente. Si ritrovò a mandare giù un po’ di saliva quando si accorse di aver aperto la bocca per un tempo indefinito, quando capì di stargli guardando i boxer davvero troppo. Probabilmente così, in piedi davanti a lei, non lo aveva ancora mai visto.
Ringraziò quando infine si mise il pigiama sbadigliando, solo per il fatto di aver iniziato a sudare un po’. Lo sentì avvicinarsi a lei, e posarle una mano sul fianco prima di sprofondare nel cuscino. In quel momento si ritrovò quasi delusa quando vide che non fece una mossa verso di lei, ma quando poco dopo iniziò piano a russare capì che doveva essere davvero crollato. Cercando di non svegliarlo, si sporse verso la lampada e la spense.
Calò il buio più totale, e sentì solo due zampette muoversi lungo le sue gambe prima di sistemarsi con un verso soddisfatto fra di esse.
Sorrise al buio contro il cuscino, ritrovandosi a pensare ad un ipotetico futuro.
Credo che non sarà l’ultima volta che verrò a trascinati via da quella libreria nel cuore della notte…

 

Domenica, ore 23:55


Che si fosse addormentato, lo aveva capito solo quella domenica quando si era ritrovato nel letto con addosso un gatto di almeno quattro chili e la sua ragazza che aveva praticamente invaso tutto il suo cuscino. Non si ricordava nulla, nemmeno il tragitto dalla libreria dalla camera e, quando a colazione lo aveva chiesto a Ran, aveva notato solo un lieve rossore sulle sue gote che non seppe davvero spiegarsi. Dapprima sospettò di aver fatto qualche gesto poco galante, ma dubitò vivamente della cosa. Quello se lo sarebbe ricordato come minimo.
Shinichi scosse la testa prima che certi pensieri davvero poco educati iniziassero a vorticargli in testa, e cercò di tornare alla relazione, notando con orrore come avesse scritto si e no due righe.
Proprio a riguardo di quei suoi ricordi “poco galanti”, pensò che la delusione che lo attanagliasse si riferisse anche a quello.
Non che l’avesse invitata a stare da lui per quel motivo, assolutamente. Non rientrava davvero nelle sue corde un comportamento del genere, tuttavia pensava che almeno in due giorni e mezzo qualcosa sarebbe risuccesso. Seppur fra ansie e imbarazzi, sentiva davvero ogni fibra del suo corpo contratta ogni qualvolta anche solo per sbaglio lei lo sfiorasse. Non poteva farci niente, pareva che la sua pelle lo attraesse come una calamita e non poterla avere lo stava rendendo nervoso e irascibile.
L’unico vero momento in cui erano riusciti a ritagliare un momento solo per loro era stato quella stessa mattina, ma anche in quel caso non durò a lungo…

 

Domenica, ore 11:30


« Quel gatto mi è stato addosso tutta la notte », Shinichi sbadigliò sonoramente, mentre guardava Ran sul tappeto del salotto giocare con Goro e un topino blu. Gli stava facendo fare dei salti davvero notevoli, e quest’ultimo pareva non averne mai abbastanza.
« E’ contento di stare qui con noi », annunciò entusiasta Ran.
Shinichi alzò gli occhi al cielo, e preferì andare alla ricerca di qualcosa da mangiare per pranzo piuttosto che intrattenersi anch’esso con Goro.
Pigramente aprì il frigo, e notò quanto fosse scarno. Iniziò a pensare sul da farsi, specialmente perché voleva davvero organizzare qualcosa da fare per quel pomeriggio, considerato che dal venerdì prima ogni suo piano era stato mandato a rotoli da vari ed eventuali.
Era ancora completamente immerso nei suoi pensieri, che non badò a Ran che gli si era avvicinata quatta quatta alle spalle, e dopo pochi secondi gli lanciò in testa qualcosa.
« Ahio! », commentò quando sentì il topino di Goro colpirlo in testa, e per quanto fosse piccolo il lancio forte di Ran lo aveva reso quasi contundente.
Si voltò con una mano alla testa solo per vedere la sua ragazza scoppiare a ridere, prima di arretrare dopo aver notato il suo sguardo minaccioso.
« Come sei permaloso », disse Ran, cercando di trattenere ulteriormente le risa. Seppur per niente offeso, lui mise comunque su un’espressione imbronciata e iniziò a camminare lentamente verso di lei con fare circospetto.
« Sai quel film di ieri sera? », iniziò fissandola.
« Mmm, sì bellissimo… così bello che mi sono addormentata », lo schernì lei.
« Appunto, vuoi sapere come finiva? ».
Ran non seppe dirsi dove fosse l’inganno in quella domanda apparentemente innocua, perciò alzò le spalle come per incoraggiarlo a proseguire.
« Alla fine », riprese Shinichi continuando a camminare verso di lei. « Il colpevole era… ».
Ran finì di arretrare per il semplice fatto che qualcosa dietro di lei non le permise di continuare, e si rese conto con la coda dell’occhio che era lo schienale del divano. Trovandosi in trappola lasciò trapelare sul suo viso uno sguardo teso, che non mancò agli occhi di Shinichi. Sorridendo trionfante, lui si mise di fronte a lei e velocemente allungò le braccia, appoggiando le mani sullo schienale e intrappolandola così fra lui e il divano. Lo vide curvarsi leggermente verso di lei con la parte superiore del corpo, e rimanendo immobile avvertì il suo respiro contro la guancia destra.
« Il detective ».
Quasi le venne da ridere, ma presto fu circondata dalle sue braccia che la afferravano e le fecero perdere l’equilibrio. Ran cercò di rimanere in piedi come meglio potè, e finì per abbracciarlo stretto. Traballarono ancorati l’uno all’altra mentre lei provava a liberarsi, e quando alla fine Shinichi non riuscì più a tenerla ferma optò per lasciarsi cadere sul divano.
Con un piccolo sussulto di Ran che non si aspettava di venir trascinata giù da lui, finirono entrambi sul divano, scatenando ben presto le loro risa.
Risa che nel caso di Ran scemarono abbastanza in fretta, quando si accorse di essere sopra di lui, premuta completamente sul suo corpo disteso sotto di lei. Rendendosi conto della posizione abbastanza imbarazzante, fece per alzarsi. Shinichi capì le sue intenzioni e di istinto la afferrò per i polsi, guardandola sorridendo.
« Dove vai? », chiese prendendola in giro. Lei arrossì prepotentemente, e notò che anche sul viso del ragazzo davanti a lei era apparso un leggero color roseo. Tuttavia pareva determinato a trattenerla lì sopra di lui, per cui rimase un po’ spaesata.
Da quando era così audace?
Eppure quando lo fissò negli occhi, capì. Ci vide dentro un luccichio così forte che si perse dentro, e avvertì un formicolio lungo la schiena mentre avvertì davvero la presa ferrea sui suoi polsi. La teneva così saldamente ma al tempo stesso così delicatamente, che ebbe l’irrefrenabile voglia di premersi ancora di più contro il suo corpo. Probabilmente quell’impellente desiderio le si potè chiaramente leggere in faccia, perché il sorriso sul viso di Shinichi scemò e iniziò a guardarla serio. Rimasero così per qualche secondo, prima che Ran prendesse l’iniziativa e cancellasse la distanza fra i loro volti.
Lo baciò forse un po’ rudemente, ma volle non farci eccessivo caso.
Il giorno prima era stata troppo presa dal caos provocato dal gatto che alla fine la sera era crollata sul divano, senza nemmeno potersi dedicare un po’ a lui, sebbene ogni parte del suo corpo si sentisse attratta da ogni suo movimento o gesto. Anche il solo vederlo camminare intorno a lei le provocava una sensazione così forte che raramente riusciva davvero a mantenere il controllo, e si ritrovava spesso a fissarlo in posti davvero troppo imprudenti. Se solo lui se ne fosse accorto, non l’avrebbe lasciata stare tanto facilmente… poteva solo immaginarsi le prese in giro!
Cercò di non pensarci mentre continuava a baciarlo e lui la teneva ancora saldamente per i polsi, come se volesse sottolineare che doveva stare lì con lui.
Ogni parte del suo corpo aderiva perfettamente alla sua, e presto iniziò a sentire caldo. Si mosse spazientita sopra di lui, e si ritrovò ad avvampare quando si accorse che quei vestiti la stavano quasi infastidendo.
Quel suo muoversi, tuttavia, fece in modo che con un ginocchio per sbaglio premette appena poco più su delle sue cosce, e rendendosi velocemente conto di cosa avesse sfiorato si bloccò velocemente arrossendo furiosamente.
Quando si rese conto di averlo toccato in un punto davvero troppo imbarazzante, notò presto il suo sguardo stupito e le sue labbra improvvisamente tirate. La sua mente andò letteralmente in tilt per qualche secondo.
Quel sabato prima, dopotutto, lei non si era davvero spinta così con lui. Anzi.
Troppo intimidita da ciò che stava accadendo, si era limitata a seguire ogni suo gesto, non prendendo davvero l’iniziativa nemmeno una volta. Era per quello che, fondamentalmente, poteva dire che si era affidata completamente a lui, cercando di evitare accuratamente tutto ciò che riguardasse la parte inferiore del suo corpo.
« I-io », mormorò piano, distogliendo lo sguardo.
« S-scusa », non voleva davvero scusarsi, ma il suo cervello pareva non collaborare. Shinichi inarcò un sopracciglio, prendendo un attimo di tempo per riorganizzare le idee e sedendosi anch’esso. Infine, vedendola un po’ nel panico, le lasciò la presa sui polsi. Lei si alzò velocemente, mettendosi seduta dal lato opposto del divano, mettendo a malincuore un po’ di distanza fra loro.
« Non ti devi scusare per niente », sussurrò, e Ran potè avvertire l’imbarazzo nella sua voce pur non riuscendo a guardarlo in faccia.
« Lo so », dal nervoso avrebbe riso volentieri, ma sapeva bene che così facendo avrebbe rovinato quel momento fra loro. Perciò alzò gli occhi e li incatenò a quelli di Shinichi, fissandolo per un attimo.
« Cosa succede? », domandò lui dolcemente.
Ran sbuffò debolmente: come non mai, ultimamente lui pareva leggerle nella mente. Solitamente era piacevole, ma in quel frangente si sentì terribilmente a disagio. Conscia che anche se avesse mentito lui non le avrebbe creduto, prese un bel respiro.
« E’ che io… », iniziò incerta. « Io non… ».
Shinichi la fissò per un po’, mentre notava come non riuscisse a trovare le parole per descrivergli quale fosse il problema. Un po’ preoccupato, si avvicinò a lei silenziosamente, mentre lei velocemente si portava le gambe al petto.
All’improvviso, e con ansia crescente, si chiese se non avessero corso troppo. Il panico si impossessò di Shinichi, mentre cercava di scacciare il senso di colpa opprimente che si faceva largo nel suo cervello. Forse voleva dirgli che era davvero stato uno sbaglio, la settimana prima? Totalmente nel caos, riprese a guardarla. Lei non pareva aver fatto caso al suo senso di disagio crescente, anzi. Era immersa in un qualche lontano pensiero, mentre appoggiava la testa alle ginocchia e fissava un punto a caso lontano.
« Ran? », pronunciò debolmente.
Lei finalmente lo guardò nuovamente, per poi affondare il viso fra le ginocchia. Vide le sue orecchie tingersi di rosso, e si sentì ancora peggio.
Ma, prima che potesse continuare col suo interrogatorio, lei borbottò qualcosa contro le ginocchia. Shinichi inarcò un sopracciglio, sporgendosi un po’ verso di lei.
« Cosa? », domandò confuso. Lei lo guardò leggermente, e ripeté qualcosa che non capì nuovamente.
« Non ho capit- ».
« Non so cosa devo fare! ».
Alla fine glielo aveva praticamente urlato. Aveva alzato di scatto la testa e gli aveva esclamato quella frase colta da un imbarazzo così disarmante che gli era praticamente esploso dal petto. Shinichi sbarrò gli occhi, mentre la fissava a bocca semi aperta.
Rendendosi conto di cosa le fosse appena sfuggito di bocca, tornò d’istinto a immergere la testa fra le ginocchia, dandosi mentalmente della stupida.
« Ran », ripeté lui, ma non riuscì a continuare. « Non devi essere in imbarazzo con me, davvero ».
« Lo siamo da tutta la settimana », borbottò lei.
« Appunto, direi basta, no? », alzò gli occhi al cielo Shinichi.
« Dimmi esattamente qual è il problema, perché davvero non ho capito ».
Ran si costrinse ad alzare nuovamente il viso, e lo guardò un po’ incerta.
« E’ che l’altra volta hai fatto tutto tu », obiettò avvampando. « Io non so cosa devo fare ».
Se avesse potuto, avrebbe riso istericamente. Ma Shinichi si impose di non farlo, mentre la guardava stupito.
« Vorrei fare qualcosa anche io, piuttosto che rimanere ferma lì… », si giustificò Ran, immergendo il viso fra le mani. « Però mi vergogno », concluse con voce soffocata dalle dita.
Shinichi deglutì, e ragionò sul da farsi. Era vero che la volta precedente aveva preso iniziativa lui, mentre lei gli era rimasta ancorata per tutto il tempo, ma ciò che non voleva decisamente significare che lui fosse questo grande esperto in materia. Si era semplicemente limitato a fare quel poco che sapeva, e pensò che Ran dovesse saperne davvero molto poco se aveva creduto che lui fosse così competente. La voglia di riderle in faccia era sempre più prepotente, ma mandò giù quell’irrefrenabile voglia e le sfiorò un piede a poca distanza dalla sua mano.
« Non voglio che tu faccia qualcosa che ti metta a disagio », disse infine con voce roca.
« Non devi importi nulla, le cose verranno da sè piano piano », concluse cercando di usare il tono più comprensivo e rassicurante possibile.
Ran lo fissò intensamente, non del tutto convinta.
« Tu parli come se io sapessi tutto », disse Shinichi, interrompendo per un attimo i suoi pensieri confusi, con un sorriso storto.
« Ma, se non te ne fossi accorta, è tutto nuovo anche per me », spiegò lentamente.
« Ma tu… ».
« Ma io », sottolineò Shinichi imporporandosi. « Non ne so davvero più di te, Ran ».
Le sue parole la rincuorarono, e per un momento sentì il cuore decisamente più leggero. Sapeva bene come un discorso del genere dovesse essergli costato un’immensa fatica, e guardandolo si trovò a provare, se possibile, ancora più affetto per lui. Mentre le sue parole si susseguivano in loop nella sua testa, un sorriso si formò piano sulle labbra. Sempre un po’ rossa annuì timidamente, e lo vide imporporarsi anch’esso. Cercando di apparire più a suo agio, si avvicinò un po’ più a lui e gli stampò un bacio a stampo guardandolo negli occhi. Notò che anche lui non li chiuse, e ci vide dentro un’espressione così tenera che per poco non si sciolse.
Sempre con un sorriso fece per dargliene un altro, quando improvvisamente qualcuno suonò il campanello facendoli sobbalzare entrambi sul divano.
Si scambiarono uno sguardo confuso, e al secondo squillo Shinichi si alzò un po’ titubante. Ran lo guardò allontanarsi, e rimasta sola ritornò rossa quando ripensò alla discussione appena avuta. Immerse il viso fra le mani sentendosi un po’ sciocca, e per toglierselo dalla testa balzò in piedi seguendolo. Rimase un po’ nascosta, mentre lui rispondeva al citofono.
« Sì? », chiese con tono sospettoso.
Quando sentì la voce dall’altra parte dell’apparecchio, si rilassò un poco. Sbuffò, e con stizza aprì il cancello con il pulsante davanti a lui, per poi avvicinarsi alla porta e aprirla, rimanendo sulla soglia con le braccia incrociate.
Ran, ancora un po’ nascosta, vide solo dopo poco una testa di capelli biondi far capolino davanti a lui.
« Per caso lo guardi ogni tanto il telefono? », disse con voce calma Ai.
« Forse mi sono perso qualcosa », ammise Shinichi con una smorfia. Guardò dall’altro al basso Ai, e ancora una volta lo trovò strano: non si era ancora abituato, in quei mesi, a non vederla alla sua altezza.
« Forse? », disse lei sarcastica.
« Il controllo era ieri ».
Shinichi alzò gli occhi al cielo.
Da quando era uscito dall’ospedale, Ai aveva preso a visitarlo una volta al mese per appurare che le sue condizioni continuassero ad essere stabili. E non per quel proiettile, ma per quanto riguardava le sue condizioni post APTX. Al sentirli parlare di quei controlli, Ran cercò di sporgersi con discrezione per poter sentire meglio, improvvisamente molto interessata all’argomento.
Shinichi aveva sempre quasi voluto sorvolare in cosa consistettero quelle visite ogni qualvolta andasse dal dottor Agasa, dicendo solamente che gli misurava la pressione e gli faceva le analisi per controllare che tutto fosse a posto. Aveva sempre ribattuto con un sorriso che stava bene, e che Ai lo faceva solo per precauzione. Aveva voluto credergli, per il semplice fatto che ormai sapeva bene che voleva mantenere la sua promessa del non raccontarle più bugie, ma talvolta la preoccupazione si faceva largo in lei.
Lo guardò di sottecchi, mentre una strana sensazione di fastidio si faceva largo alla base del suo stomaco. Sapeva di essere molto stupida al riguardo, ma si sentiva anche gelosa. Il saperlo solo con Ai le procurava un po’ di irritazione, e non riusciva davvero mai a controllarla.
Scosse la testa, per cercare di scacciare quei pensieri dal proprio cervello. In fondo, doveva solo essere contenta che facesse ogni mese le analisi e si facesse visitare, specialmente dopo tutto ciò che aveva passato. Era ancora immersa in questi pensieri, quando si rese conto che si era sporta fin troppo e ora Ai la stava guardando con una strana espressione in volto. Quando si rese conto che quest’ultima stava fissando qualcosa in casa, si voltò anche Shinichi e quando notò Ran arrossì.
« Beh, almeno ora ho capito perché ti sei dimenticato », appurò Ai con noncuranza, lanciandogli un’occhiata maliziosa.
« E’ solo passata per pranzo »,  borbottò, mentre Ran si faceva piccola piccola nuovamente dietro al muro.
« Certo », replicò Ai. « In ogni caso, muoviti, non ti aspetterò ancora ».
Così dicendo di voltò e, con le mani incrociate dietro la schiena, ripercorse il viale per poi uscire dal cancello. Capendo benissimo che doveva seguirla, Shinichi si voltò appena indietro ben sapendo che Ran fosse ancora lì.
« Devo andare », disse un po’ scocciato.
A quel punto Ran fece due passi avanti, annuendo lievemente. Avrebbe tanto voluto chiedergli di andare anche lei, solo per appurare che tutto andasse bene e anche per curiosità propria. Ma, prima che potesse anche solo provare a chiederglielo, lui aveva le chiavi in mano e ora teneva la porta sull’uscio.
« Vieni? ».
Per la seconda volta in pochi giorni, lui la incluse nelle sue cose. E di questo, lei ne fu così sollevata che di istinto gli sorrise raggiante.
« Mi cambio, e arrivo », disse quando si ricordò di indossare ancora il suo adorabile pigiama coi panda.
Shinichi annuì, e quando effettivamente si accorse che fosse ancora in pigiama, capì perché Ai non aveva minimamente creduto al fatto che lo avesse raggiunto solo per pranzo.
Cercando di scacciare via l’imbarazzo, specialmente perché Ai solitamente ci sguazzava per poi prenderlo in giro ulteriormente, avanzò velocemente verso casa del dottor Agasa.
Non amava particolarmente quelle visite, per il semplice fatto che lui si sentiva bene e non ne capiva davvero il senso. Non dopo tutti quei mesi, almeno.
Eppure lei era sempre lì a ricordarglielo, e puntualmente sgridarlo se faceva qualcosa che non andava bene con la dieta e l’allenamento che gli aveva consigliato.
Come un automa entrò nel cancello lasciato aperto da Ai, e infine bussò alla porta. Dopo poco vide sulla soglia il dottor Agasa salutarlo con un grosso sorriso, e cercò di lasciarsi contagiare da esso. In fondo, perché doveva sentirsi irritato? Dopotutto, erano stati solo interrotti per l’ennesima volta.
« Shinichi! », lo accolse l’uomo, lasciandolo entrare.
« Dottor Agasa », ribattè lui. « Dovrebbe arrivare Ran fra poco, stavamo per pranzare così le ho detto di venire », gli spiegò.
« Ma sì, certo, sto io con lei. Tu va pure », gli diede una pacca sulla spalla e con un ultimo sorriso rassegnato Shinichi si diresse verso il seminterrato. Ormai Ai lo aveva adibito totalmente a suo laboratorio e studio, perché appena entrò non si stupì nemmeno più nel vedere una serie di contenitori con topolini bianchi all’interno, o boccette contenente liquidi dai colori diversi sulla sua scrivania. Stava ancora cercando l’antidoto, dopotutto.
« Ancora niente? », domandò, chiudendo accuratamente la porta alle sue spalle. Non voleva che Ran vedesse tutto quello, era, effettivamente, abbastanza inquietante. La bambina a poca distanza da lui alzò le spalle, mentre leggeva il fascicolo della sua ultima visita.
« Stai perdendo colpi », la canzonò, mettendosi a guardare un topolino particolarmente agitato che continuava a correre nella gabbietta.
« Sarebbe più semplice se mi permettessi di farmi da cavia, ma non vuoi essere né vivisezionato, né mutilato, quindi… », disse candidamente lei, riponendo il fascicolo e indicandogli uno sgabello a fianco a lei.
« Sono un amico davvero poco collaborativo », replicò sarcastico lui. Si sedette dove le aveva indicato, e si tolse la maglia mentre lei acchiappava uno stetoscopio dalla scrivania.
« Allora? Come stai? », chiese iniziando ad auscultargli il cuore, mentre lui faceva profondi sospiri.
I primi tempi gli era sembrato strano perfino farsi visitare da una bambina di sette anni, ma col tempo ormai ci si era abituato. Perciò fece come faceva sempre, mentre lei gli passava lo stetoscopio sul petto e subito dopo sulla schiena.
« Bene », disse semplicemente, fra un sospiro e l’altro.
« Ti senti stanco? Ti affatichi più facilmente? ».
« No ».
« Tachicardia? Dolori? ».
« No, e no ».
Lei smise di auscultarlo, e appuntò qualcosa sul suo fascicolo.
« La dieta? ».
« Non mangio porcherie », rispose come un automa Shinichi.
Ogni santo mese le stesse domande.
« Quante volte ti alleni? ».
Merda.
« Ehm », preso in contropiede, ci impiegò forse troppo a rispondere. Quando lo vide in difficoltà, Ai lo fissò con un sopracciglio alzato.
« Non te lo ricordi neanche? », indagò contrariata.
« Ma smettila », borbottò lui, anche se davvero non si ricordava l’ultima volta.
Il fatto era che, fra il compleanno di Sonoko, fra i compiti extra e le ultime settimane movimentate con Ran, si era scordato perfino del calcio. E a suo ricordo, l’ultimo allenamento risaliva almeno a dieci giorni prima. Cercando di abbozzare un sorriso colpevole, la guardò dubbioso.
« … è che ho avuto un po’ di cose da fare, poi anche a scuola… », si rese conto da solo quanto la sua voce tradisse la verità.
Difatti, Ai corrugò la fronte.
« La scuola? », ripeté. « Ma tu non eri quello con la memoria fotografica? ».
« Beh, sì », non sapeva davvero più come salvarsi dal suo sguardo di fuoco. « Ma appunto, devo almeno guardarle le pagine ».
Lei distolse lo sguardo con l’aria di chi non aveva creduto ad una sola parola, e riprese a scarabocchiare qualcosa.
« Stai scrivendo che avevo dei compiti extra? », buttò li sorridendo speranzoso di smorzare la tensione creatasi.
« No, sto scrivendo che sei un idiota ».
Shinichi si zittì, preferendo tacere. Per quanto piccola e all’apparenza innocua, le sue ramanzine talvolta lo intimidivano.
« Quindi », riprovò lei infine. « Neanche una volta? ».
« Ehm… », provò a ripensarci, ma non gli venne davvero in mente nulla.
« Neanche un mini allenamento? », lei era esasperata. « Che ne so, una corsetta? ».
No, nemmeno una “corsetta”. Dannazione.
« In queste ultime settimane non hai mai fatto attività fisica di qualsiasi tipo?! », era davvero innervata.
Ma a quella particolare frase, Shinichi si immobilizzò per un attimo. E senza poterci fare niente, gli tornarono in mente alcuni immagini di quel sabato notte, e di istinto arrossì, distogliendo lo sguardo improvvisamente a disagio. Provò quasi subito a scacciare via quel palese imbarazzo, ma Ai ormai lo conosceva davvero bene. E non era stupida.
« Ah », fece un sorriso storto. « Quindi hai fatto un altro tipo di attività fisica ».
« Ma che dici », sbottò lui, arrossendo ulteriormente.
« Comunque, non basta di certo », a volte Shinichi si chiedeva come potesse mantenere un’apparente aurea di indifferenza anche nel bel mezzo di una discussione imbarazzante.
« Non credere di poterti permettere di abbandonare gli allenamenti veri », continuò imperterrita, sotto il suo sguardo sgomento e le gote porpora.
« Ascolta, hai frainteso », gesticolò in un ultimo tentativo disperato lui, ma ovviamente Ai non gli diede nemmeno retta.
« Ti avevo già detto di fare palestra », lo interruppe. « E non hai voluto ».
« Non sono tipo da palestra », obiettò Shinichi.
« … ma ti avevo accordato il calcio, e ora nemmeno quello? », alzò di un tono la voce la bambina.
Messo alle strette lui sbuffò contrariato, ancorandosi meglio a quello sgabello ciondolante.
« La tua ragazza lo sa come è messo il tuo cuore? », domandò dopo un po’ Ai.
« Il mio cuore sta benissimo », fece una smorfia Shinichi.
« Ora », sottolineò lei. « Ma i primi mesi era debole, solo con il costante allenamento ti sei rinvigorito. E non vorrai buttare tutto al vento », la sua voce era categorica.
« Dai, Ai », balzò in piedi lui con uno slancio spazientito. « Era solo un po’ debole, tutto qui ».
« Non sappiamo sul lungo termine le ripercussioni che subirà il tuo corpo per ciò che hai passato, devi mantenerti allenato », non lo ascoltò nemmeno.
« Quindi, o ti decidi a prendere sul serio ciò che dico, o vado dalla tua ragazza e glielo dico. Forse lei la ascolterai », concluse minacciosa.
« E va bene », sbottò Shinichi.
Vedendolo improvvisamente agitato, si sentì abbastanza soddisfatta dal tornare al fascicolo.
La vide appuntare ancora qualcosa, per poi risedersi in attesa del prelievo. Rimasero per un po’ in silenzio, e sentì chiaramente come al piano di sopra Ran stesse chiacchierando con il dottor Agasa.
« Comunque avresti dovuto dirglielo », riprese Ai sorprendendolo un po’.
« Era l’ultima cosa che volevo appena uscito dall’ospedale, preoccuparla ancora », borbottò.
« E ora va tutto bene », sentenziò infine.
« Come preferisci », fece spallucce lei.
Ricadde un silenzio teso, mentre lei gli si avvicinava e gli metteva un laccio intorno al braccio.
« Per il resto, è tutto a posto? », domandò lei lanciandogli un’occhiata eloquente.
Capendo a cosa si stesse riferendo, Shinichi distolse lo sguardo sdegnato.
« Smettila », mormorò fra i denti.
« Almeno sappiamo che a livello ormonale è tutto ok », sorrise sarcastica Ai, iniziando a prelevargli il sangue.
« Ti ho già detto che hai frainteso ».
« Certo, certo », il suo tono era così ironico che contribuì solo a farlo arrossire nuovamente.
« Ecco fatto », disse infine. « Ti farò sapere i risultati ».
Felice di poter finalmente uscire da lì, e sentendosi anche un po’ in colpa sia per la questione allenamento, sia per la consapevolezza di aver omesso quel discorso a Ran, si rimise velocemente la maglia e salì le scale due a due. Prese infine un bel sospiro, e aprì la porta facendo capolino nel salotto del dottor Agasa.
« Hey », lo salutò Ran, seduta al tavolo con l’uomo.
« Tutto bene? », gli domandò mentre lui la affiancava.
« Sì, tutto a posto », disse fin troppo velocemente, così tanto che Ran lo guardò un po’ dubbiosa. Fece per dirgli qualcos’altro, ma qualcuno irruppe fra di loro. Solo in quel momento, infatti, Shinichi si accorse di altri tre paia di occhi guardarlo incuriositi.
« Ciao! », lo salutarono all’unisono Ayumi, Genta e Mitsuhiko. Dall’ultima cena insieme avevano un po’ rivalutato quel ragazzo così riservato che si faceva vedere raramente, e gli regalarono tutti e tre un sorriso molto ampio.
Shinichi rispose al saluto un po’ stupito di ritrovarseli davanti, e subito dopo si vide sbucare Ai al proprio fianco.
« Sei pronto? », domandò Ayumi rivolgendosi nuovamente a Shinichi, e lui notò come avesse fra le gambe un pallone da calcio.
« Per cosa? », domandò disorientato, guardando prima il gruppetto poi Ai.
« Per allenarci! », saltò su Mitsuhiko inarcando un sopracciglio.
Shinichi sgranò gli occhi, mentre Ai lo fissava gongolando.
« Non siamo molto bravi a calcio, e visto che tu lo sei gli ho detto che mi avevi detto che ci avresti allenato oggi », disse con tono calmo e un sorriso quasi sadico in volto.
Shinichi rimase così senza parole e con espressione stupita che perfino Ran nascose un sorriso divertito sotto i baffi.
« Ma davvero », ribatté Shinichi un po’ troppo bruscamente, guadagnandosi ben presto una gomitata di avvertimento dalla sua ragazza. Alla vista poi della sua espressione grave, cercò di sorridere forzatamente ai tre bambini di fronte a lui che lo guardavano speranzosi.
« E’ che prima ci aiutava Conan », il sorriso di Ayumi scemò improvvisamente. « Ma lui ora non c’è, quindi… ».
Alla vista del suo entusiasmo sparito repentinamente, Shinichi avvertì lo stomaco fare un salto all’indietro. 
« Sì, ma certo », rimediò velocemente, gesticolando. « Scusate ragazzi, avevo solo dimenticato il giorno », mentì sorridendo rassicurante.
« Bene, andiamo allora! », esultò Genta, e tutti e tre iniziarono a chiacchierare fra di loro con entusiasmo ritrovato.
« Potevi almeno avvertirmi », borbottò Shinichi ad Ai sottovoce, in modo che potesse sentire solo la diretta interessata e Ran al suo fianco.
« Ho unito l’utile al dilettevole », disse lei. « Loro avevano bisogno di un allenatore, e tu avevi bisogno di allenarti… sì, sapevo già che avevi saltato gli allenamenti », rispose alla sua espressione grave. « Non ti vedo con la sacca da calcio da almeno dieci giorni ».
« Cioè? », saltò su Ran curiosa. Shinichi aprì la bocca per replicare qualcosa in modo da cambiare discorso, ma Ai lo precedette.
« Forza, andiamo », annunciò prendendo il suo cappellino e mettendoselo velocemente.
Ran a quel punto lanciò un’occhiata minacciosa a Shinichi, che scosse la testa rassegnato.
« Te lo spiego più tardi », disse solamente. Un po’ odiò Ai, ma sapeva che in fondo aveva ragione.
I primi tempi lo aveva tenuto per sé per non preoccuparla, specialmente dopo la faccenda dell’organizzazione e del coma, ma forse era arrivato il momento di dirglielo. Così, sotto il suo sguardo un po’ impensierito, le fece cenno di seguirlo e tutti insieme uscirono di casa.


 

Domenica sera, ore 23:55


Shinichi mandò giù con un nodo alla gola l’ennesimo ricordo di quel pomeriggio. Avevano giocato a calcio fino intorno alle cinque, finché per una sua distrazione non si era preso una storta e dolorante aveva chiesto una pausa. Gli doleva ammetterlo, ma era davvero fuori forma. Per di più gli sguardi allusivi di Ran lo avevano distratto parecchio, così davvero non si era accorto di quel movimento sbagliato. Ragion per cui in quel momento il piede gli pulsava tremendamente, benché lei, silenziosamente, glielo avesse ben bendato una volta tornati a casa. Avevano cenato ancora un po’ in silenzio, finché lui non aveva posato le bacchette e le aveva spiegato come stavano le cose.
Sì, il suo cuore appena dimesso dall’ospedale non era al top. Lo aveva appurato Ai, quando lo aveva visitato la prima volta, e se ne erano accorti anche i medici. Non sapendo tuttavia ricollegarlo al fatto che il suo corpo facesse spesso del cambiamenti così bruschi come quello di rimpicciolire o tornare adulto nel giro di poco tempo. Ma Ai lo aveva capito, e gli aveva detto di tenersi allenato proprio per quel motivo.
Così aveva spiegato a Ran che glielo avrebbe detto, se solo le cose non fossero tornate normali. Ma appena un mese dopo i suoi costanti allenamenti di calcio tutti i valori erano rientrati nella norma, e quindi aveva pensato di tralasciare quel discorso con lei.
Non volevo davvero preoccuparti, sto bene.
Lei in tutta risposta lo aveva fissato intensamente, e alla fine aveva sorriso mestamente. E lui sapeva bene cosa volesse dire quell’espressione: sto facendo finta di niente anche se ci sono rimasta male.
E il fatto che poi avesse ripreso a parlare come se nulla fosse, non aveva fatto altro che incrementare il suo sospetto che sì, si stava davvero sforzando di non far trapelare il suo dispiacere. Vederla così gli procurava sempre il mal di stomaco, specialmente perché lui aveva una particolare dote per procurarla una simile reazione. A volte, ancora quando era Conan, si domandava spesso se esistesse al mondo un’altra persona che la faceva piangere quanto lui. Spesso non riusciva a trovare un altro nome da aggiungere sulla lista.
Sbuffò quando infine concluse la relazione, che aveva deciso di compilare sia perché la scadenza era davvero vicina, sia per allontanarsi un attimo da lei e da quel suo sguardo triste.
Vigliacco.
La verità era che si stava sentendo in colpa, e si maledisse quando si rese conto che ancora una volta l’aveva delusa con il solo scopo di non farla preoccupare.
Ormai era un intenditore.
In più il fatto che fosse ormai domenica notte e il giorno dopo Kogoro sarebbe tornato e loro avrebbero ripreso la loro vita separati lo rendevano davvero frustrato. Non era stato decisamente il fine settimana che si era aspettato, e sapere di aver sprecato quei ultimi momenti così lo facevano davvero innervare.
Più di quanto non lo fosse già.
Con stizza spense il computer, e appurò che fosse mezzanotte passata. Aveva tutto sommato fatto presto, per il semplice fatto che aveva fatto una relazione da schifo. Se quella volta l’ispettore Megure non gli avesse fatto notare quanto era tremenda, davvero era solo per l’immensa gratitudine nei suoi confronti.
Riordinò rapidamente la scrivania, con Goro che lo guardava ancora placidamente addormentato ai suoi piedi. Si appuntò mentalmente anche di riportarlo a casa di Eri la mattina seguente, insieme ad altre milioni di faccende da sistemare quel lunedì. Stancamente spense la luce e prendendo Goro in braccio uscì dalla biblioteca, chiedendosi dove avrebbe trovato Ran. Quando passò per il salotto e non la trovò immaginò che fosse già a letto, probabilmente già profondamente addormentata.
Avevano dormito insieme per tre sere, e si erano calcolati di striscio. Se Sonoko lo avesse saputo, lo avrebbe punzecchiato per l’eternità.
Con un sospiro prese a salire le scale, Goro che da buon gatto si era già scocciato di stare fra le sue braccia e con un balzo lo aveva preceduto su al primo piano.
Aveva quasi paura di far capolino in camera, e sperò che dormisse davvero perché intercettare il suo sguardo era qualcosa che lo stava rendendo particolarmente nervoso. Ma, purtroppo per lui, dalla sua camera arrivava una luce soffusa, segno che probabilmente la lampada sul comodino fosse ancora accesa. Cercando un briciolo di dignità vi entrò e rimanendo un attimo immobile la vide.
Era seduta sul letto con la testa inclinata da una parte, segno che doveva averlo aspettato tutto quel tempo ma alla fine il sonno aveva avuto la meglio su di lei. In mano teneva un libro che aveva forse trovato in giro, perché notò come fosse un vecchio romanzo della sua raccolta. Probabilmente aveva provato a leggerlo per ingannare l’attesa, ma senza dubbio non era il suo genere e su di lei aveva avuto il risultato opposto, cioè stimolarle il sonno. Cautamente avanzò nella camera, e in silenzio si cambiò mettendosi il pigiama. Vide Goro che si sistemò fra le sue gambe soddisfatto e quando infine fece il giro del letto e fece per spegnere la lampada sul comodino, sentì la sua voce arrivargli oltre la sua spalla destra.
« Hai finito? », disse con voce impastata, muovendosi appena. Shinichi sobbalzò quando la avvertì sveglia, e la guardò un po’ sulle spine.
« Sì », mormorò. « Torna a dormire, è tardi ».
Spense velocemente la lampada, e altrettanto rapidamente fece il giro del letto e si mise sotto le coperte, stando ben attento a non premersi troppo contro di lei. Aveva come paura che fosse una bomba ad orologeria, e non voleva certo essere la miccia finale.
Eppure, dopo poco, sentì con sorpresa lei che si ancorava al suo petto e, inaspettatamente iniziava a baciarlo.
Dapprima stupito, si chiese se non fosse ancora semi addormentata, ma quando rispose al bacio un po’ titubante notò che lei stava anche allungato un braccio per afferrargli la spalla e abbracciarlo maldestramente. Conclusero quel bacio dopo un po’, e ancora con le labbra a poca distanza l’una dall’altra e i respiri un po’ accelerati, Shinichi sentì la sua mano ancorarsi ancora più tenacemente alla sua spalla.
« Io », cominciò con voce rotta. « Davvero, non so spiegare quanto mi senta fortunata ».
Shinichi inarcò al buio un sopracciglio, non riuscendo dapprima a capire a cosa si stesse riferendo.
« Per cosa? », domandò Shinichi piano.
« Ad averti ancora qui con me ».
La verità era che quella notizia quel pomeriggio l’aveva lasciata davvero senza parole. A volte si dimenticava di cosa fosse davvero accaduto, e di quanto avessero rischiato. Pensò scioccamente che avrebbe dovuto godersi maggiormente certi momenti con lui, per il semplice fatto che era stata a davvero poca distanza dal perderlo per sempre. Non era scontato averlo lì, avvinghiato a lei, mentre le accarezzava la schiena con dolcezza.
Se solo quel veleno avesse fatto effetto.
Se solo l’organizzazione lo avesse ucciso.
Se solo non fossero stati in grado di dichiararsi i propri sentimenti.
Se solo, se solo, se solo.
E in quel preciso momento, Ran decise che non le importava più niente. Erano insieme, a discapito dell’ultimo anno e di chiunque avesse cercato di separarli. Con veemenza gli diede una spintarella verso di lei per fargli capire di avvicinarsi maggiormente e lui capì. Si lasciò trasportare e si ritrovò ben presto abbracciato a lei, il suo corpo completamente premuto contro quello di Ran. In silenzio lei lo intrappolò a sé attorcigliando le gambe sulle schiena, schiacciandolo contro di lei con forza. Sebbene non si aspettasse quella reazione, Shinichi fece finta di non rimanere piacevolmente colto alla sprovvista, ma rimase ancora in silenzio, troppo stupito da quel risvolto inaspettato.
Dopo relativamente pochi secondi, non seppe dire come si ritrovarono a baciarsi nuovamente, dapprima lentamente e dopo un po’ con una foga che gli fece mancare più di una volta il respiro. Ran chiuse gli occhi, solo per sentire maggiormente il suo viso contro il suo, e godersi appieno quel momento che sapeva bene, in quell’attimo nessuno avrebbe rovinato. Con sorpresa notò come non si stava nemmeno fin troppo vergognando, quando prese ad accarezzarlo sotto la maglietta del pigiama e lui iniziò a sfiorarle le cosce.
Quello stesso imbarazzo che aveva provato quella mattina era completamente sparito, visto che riusciva a pensare ad una sola cosa: se solo, avrebbe potuto non avere mai nulla di tutto ciò.
E mentre lui le lasciava un bacio dolce sul collo e lei gli strattonava la maglietta e gliela sfilava velocemente, insieme agli altri resti del pigiama, non volle nemmeno pensare di essere per la seconda volta nuda contro di lui.
Solo per un momento, invece, lui parve un po’ a disagio quando si ritrovò il suo corpo nudo avvinghiato a lei, e un pò incerto prese ad accarezzarla lentamente. Ma quando vide che lei non pareva farci nemmeno caso, decise di prendere coraggio e lasciar perdere. Cercando di darsi un ultimo contegno, sistemò maldestramente un po’ di più le coperte sopra di loro. Cercò di coprirli come meglio poteva, anche perché Ran pareva completamente persa e distratta da quel suo maldestro tentativo di mascherarli, e non lo stava minimamente aiutando.
Almeno finché, non seppe nemmeno lui come e dopo quanto tempo si ritrovò completamente ancorato a lei, il suo cuore cominciò ad accelerare, e iniziò ad avere davvero troppo caldo. Trovando un ultimo, minimo barlume di lucidità in quel vortice di sensazioni che gli pulsavano in ogni fibra del corpo, le lanciò un’ulteriore occhiata e si rese conto che probabilmente a lei nemmeno interessasse troppo in quel momento di quanto potessero essere coperti. Con uno sbuffo fece quindi in la quelle maledette coperte, e come aveva previsto lei nemmeno se ne accorse, continuando a mantenere gli occhi chiusi in quel meraviglioso viso arrossato illuminato dalla luce della finestra a poca distanza da loro.
Shinichi, dal canto suo, non riuscì davvero a non guardarla. Approfittò del fatto che lei tenesse gli occhi serrati per guardarla per la prima, vera volta senza filtri. Era stato tutto così semplice quella volta, che davvero non si ricordò come si ritrovò contro di lei a cercare di respirare normalmente, mentre ogni muscolo del suo corpo gli pulsava tremendamente. Sentiva perfino in lontananza la storta al piede fargli male ad ogni movimento che faceva sopra Ran, ma ben presto decise di non farci troppo caso. Strinse il lenzuolo intorno al suo viso solo per cercare di mantenere un po’ di lucidità, sebbene ormai ne possedesse davvero poca.
Con sollievo notò come quella volta lei non avesse fatto alcun cenno di dolore, o si fosse sentita a disagio con lui. No, quella sera era davvero completamente rilassata, e così anche lui si ritrovò a vivere tutto il più serenamente possibile rispetto ad una settimana prima.
E si sentì così fortunato, così graziato, che la strinse ancora un po’ di più, immergendo infine il viso fra i suoi capelli e venendo investito all’improvviso da quel suo prepotente sapore di vaniglia.

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Capitolo 15
*** Sguardi ***


WITHOUT WORDS.
sguardi.
 

Sonoko alzò un sopracciglio.
Guardò incuriosita uno Shinichi stranamente disordinato, mentre arrivava correndo in classe e con ben poca eleganza buttava alla rinfusa la sua cartella e il borsone sportivo sul suo banco. Col respiro accelerato si rese presto conto di come fosse conciato, così, cercando di fare in fretta per non farsi accorgere da nessuno, si assestò un po’ meglio la camicia nei pantaloni e si strinse un po’ di più la cravatta intorno al collo. Era così preso dal sistemarsi che non si accorse di Sonoko alle sue spalle, che guardava la scena con un sorriso sornione sul viso.
Avvicinandosi lentamente alle sue spalle, lo vide ancora mentre si abbottonava la giacca, e distrattamente si pettinava i capelli passandosi le dita fra di essi.
« Bene, bene », quando iniziò a parlare, lo vide sobbalzare sorpreso. Si girò velocemente verso di lei, guardandola un po’ tramortito.
« Qualcuno stamattina non ha avuto tempo per prepararsi », insinuò maliziosamente, fissando la sua camicia stropicciata e il suo viso trafelato.
« Mi sono dimenticato di mettere la sveglia, ieri », borbottò non guardandola negli occhi, per poi chiudersi l’ultimo bottone della camicia ancora aperto.
« Buona scusa », replicò Sonoko, e Shinichi avrebbe voluto volentieri spingerla fuori dalla classe, solo per non guardare ulteriormente quell’espressione maliziosa stampata sul suo viso.
Digrignando i denti non provò nemmeno a spiegarle che era la verità, e che davvero la sera prima non aveva messo la sveglia per quella stessa mattina. Ma pensando a ciò gli venne in mente ben altro, perciò cercò di sorvolare.
« E che scusa pronta hai per spiegarmi perché non sei arrivato con tua moglie? ».
In realtà, non aveva nessuna maledetta scusa per quella domanda. Aveva la verità, ma non era davvero il caso di raccontargliela.
« Che ne so », sbottò dandole le spalle e buttandosi a sedere finalmente sulla sua sedia. « Stamattina le ho detto che ero in ritardo, pensavo fosse già qui ».
Sonoko sorrise ancora gongolante, notando fin da subito il colorito roseo sulle sue guance.
Interessante particolare.
Sommato al fatto che avesse mandato almeno due messaggi alla sua amica quel fine settimana, al quale non aveva ricevuto alcuna risposta, la situazione stava diventando molto, molto interessante.
« Cosa avete fatto di bello poi venerdì sera? », indugiò accanto a lui, dondolandosi sui piedi. Shinichi continuò a non guardarla in faccia, iniziando a recuperare i libri dalla sua cartella.
« Mi hanno chiamato per un caso », disse solamente, ringraziando che fondamentalmente fosse pure vero.
« Stai scherzando, vero? », Sonoko alzò di un tono la voce, e i loro compagni li guardarono un po’ titubanti.
« Non dirmi che sei andato ad indagare tu sul caso di quell’imprenditore! Era su tutti i telegiornali », si portò una mano al viso, sconsolata.
Non poteva davvero essere vero, no.
Ma che problemi aveva, quel ragazzo?!
« Esatto », sospirò Shinichi.
« E poi? », lo interruppe improvvisamente nervosa.
« E poi cosa?! », sbuffò Shinichi, ormai la pazienza che cominciava a vacillare.
« Cosa avete fatto sabato? », Sonoko lo fissò impaziente, battendo ora un piede a terra.
« Siamo andati a prendere il gatto di sua madre, non stava bene. Così lo abbiamo portato dal veterinario ».
Anche questo, tutto sommato, era vero.
Sonoko aprì la bocca completamente sconvolta, e sebbene il viso del suo amico risultasse sempre un po’ rosa in realtà pareva dire davvero la verità. Ma che diamine?!
« … e ieri? », chiese esasperata, gesticolando animatamente.
« Ieri abbiamo giocato a calcio con i bambini », spiegò, e nuovamente la sua voce era così sicura che Sonoko capì che stessa dicendo la verità. Rimasero a fissarsi in cagnesco per un po’, finchè lei non sospiro amareggiata.
« Sei davvero un emerito cretino! », sibilò lei, lo sguardo che fiammeggiava contro il suo. Shinichi arretrò sulla sedia, sentendosi improvvisamente in pericolo.
« Vuoi abbassare la voce?! », borbottò, mentre intorno a loro tutti iniziavano a mormorare guardandoli.
« Hai avuto un intero fine settimana con lei, senza Kogoro nelle scatole, e vuoi farmi credere che ancora una volta non hai concluso niente?! », in realtà, non abbassò così tanto la voce come Shinichi avrebbe voluto.
« Ti avevo preparato un’occasione d’oro venerdì, e invece sempre quei maledetti casi! », concluse battendo un pugno sul tavolo.
Era così fuori di sé che non si rese nemmeno conto dell’entrata in classe di Ran, che come gli altri fu subito incuriosita dal loro battibecco. Con il fiatone si avvicinò lentamente, spazzolandosi un po’ la gonna della divisa e stirandosi con la mano la camicia.
« Nessuno ti ha mai chiesto niente! », sentì sbottare Shinichi con impeto, e dalla foga del momento si era alzato in piedi battendo le mani sul banco. Vedendoli lanciarsi occhiate di fuoco, si sentì immediatamente in dovere di intervenire prima che uno dei due iniziasse davvero ad esagerare. Tuttavia, prima di riuscire a raggiungerli, il litigio continuò con suo sommo imbarazzo. E capì presto che la causa scatenante fosse lei.
« Devi solo che stare zitto! », sentì dire da Sonoko.
« Se finora sei riuscito a concludere qualcosa con lei, è stato solo grazie a me! ».
« … ragazzi? ».
Si voltarono all’unisono verso la proprietaria di quella  voce così imbarazzata, e finalmente furono catapultati alla realtà. Notarono così come tutta la classe stesse ridacchiando sotto i baffi, indicandoli e mormorando cose a loro ignote. Ma soprattutto, si resero conto di Ran che troneggiava davanti a loro con le gote rosse e le mani sui fianchi.
« C-ciao », mormorò Sonoko, facendosi piccola piccola. Shinichi al suo fianco deglutì, realmente intimidito.
« Avete finito di dare spettacolo? », sibilò sottovoce, scuotendo per un braccio Sonoko e fulminando con uno sguardo il suo ragazzo.
« Ha iniziato lei », borbottò Shinichi, non guardandola in faccia.
Per loro fortuna in quel momento la campanella suonò, e ben presto il professore fece capolino in classe. Tutti smisero all’istante di mormorare alle loro spalle, e velocemente presero posto al loro banco.
Ancora un po’ scossa, Ran guardò di tralice Shinichi e lo vide armeggiare un po’ con la sua cartella. In quel momento si accorse della sua sacca da calcio, e ne fu sinceramente contenta. Forse aveva preso seriamente il discorso di Ai, e di quello ne fu sollevata. Con un sospiro si impose di prestare attenzione al professore, ma ben presto la sua testa fu indirizzata altrove.
Quando quella mattina si era sentita scuotere per una spalla, immediatamente non aveva capito cosa stesse succedendo. Ma quando infine si era svegliata da quel tocco, e aveva messo a fuoco la scena, era avvampata. Le ci era voluto realmente poco tempo perché si ricordasse di non essere in camera sua, e che accanto a lei in piedi c’era uno Shinichi un po’ agitato. Sebbene ancora un po’ addormentata si era accorta che si stava mettendo velocemente una maglietta sopra i pantaloni della tuta, quasi cadendo per terra a causa della velocità con cui si stava vestendo. Era infine trasalita quando aveva iniziato a guardandosi intorno. Stringendosi nelle coperte, per un attimo si chiese come diavolo aveva potuto arrotolarsi cosi fittamente fra quelle lenzuola, finchè i ricordi non risposero per lei
Decisamente, erano stati loro a creare quel pandemonio.
Con imbarazzo crescente, aveva provato a sistemare come meglio poteva le coperte, e dopo un po’ di lavoro riuscì finalmente ad assestarle, mentre Shinichi continuava incurante a camminare nervosamente per la stanza, borbottando qualcosa sulla sveglia e l’ora. Così, sebbene sentisse l’imbarazzato far breccia in lei insieme al ricordo della sera prima, notò solo in quel momento la sveglia sul comodino. Con orrore vide l’orologio segnare le sette e un quarto: tardi, davvero troppo tardi. D’istinto fece per scendere dal letto, ma quasi subito si bloccò avvampando. Si era voltata allora velocemente verso Shinichi e, dopo aver alzato un dito con fare minaccioso, avvampò.
« Chiudi gli occhi! », lo intimò.
« Ma fai sul serio?! », esclamò lui da dentro il suo armadio, dove stava armeggiando con la sua divisa perfettamente sistemata al suo interno.
« Muoviti! ».
« E’ questo il tuo primo problema, al momento?! », aggiunse acchiappando da terra la cravatta che gli era appena scivolata di mano.
Ma dinnanzi all’espressone minacciosa di Ran aveva deciso finalmente di voltarsi convinto verso l’armadio, e gesticolando le aveva fatto capire di potersi alzare. Solo quando Ran aveva appurato che era totalmente girato di schiena, era infine scivolata fuori dal letto traballando. Nella foga, aveva acchiappato anche i primi vestiti che trovò, mettendoseli velocemente. In quel momento aveva anche notato la presenta di Goro in fondo al letto e così, mente finiva di mettersi la sua maglia, aveva iniziato a borbottare.
« Devo passare a mia madre a lasciare il gatto », vacillò quando provò a infilarsi un calzino particolarmente non collaborativo. Quando Shinichi la guardò di sottecchi e la trovò completamente vestita, riprese ad armeggiare in camera senza riuscire realmente a guardarla in faccia.
« Devo anche passare da casa per la divisa », la sentì esclamare disperata.
« Se vuoi porto io Goro », mormorò Shinichi distrattamente. « Tu va a casa a cambiarti », concluse.
Lei lo guardò nervosamente, per poi annuire e uscire velocemente dalla stanza.
Era così che era corsa via da lì, decisamente affannata e anche decisamente imbarazzata.
Non poteva davvero credere che fosse successo di nuovo. In quell’ultima settimana ci aveva pensato spesso, ma un po’ trasognata aveva immaginato che sarebbe passato un po’ di tempo prima che ricapitasse. Un po’ scioccamente, aveva perfino immaginato che magari a lui non sarebbe andato di rifarlo capitare così in fretta, ma a quanto pareva doveva essersi sbagliata.
Entrambi, appurò, avevano perso il controllo e dubitava che sarebbero mai stati capaci di riacquistarlo. In un turbinio di emozioni prepotenti, dovette ammettere a sé stessa che ormai quella era una nuova realtà con la quale avrebbe dovuto fare i conti sempre più spesso. E benché si sentisse totalmente imbarazzata, notò che tutto sommato non le dispiaceva così tanto l’idea.
Ancora con la testa fra le nuvole, si impose di sforzarsi ad ascoltare il professore. Man mano che lo ascoltava, il nervosismo cominciò a calare per lasciar spazio a immagini sempre più vivide che si facevano largo nella sua testa senza che potesse realmente farci qualcosa. Si ritrovò così a sorridere un po’ meravigliata, e quasi non si accorse che Shinichi dal suo banco le stava lanciando occhiate un po’ nervose.
Sei davvero un emerito cretino!
Dannata Sonoko! Non che non lo fosse già di suo, ma sommato a quella mattina l’imbarazzo era di nuovo tornato prepotente. E lei non aveva davvero aiutato. Cercò di prendere appunti un po’ sovrappensiero, interiormente felice per il risvolto che alla fine aveva preso quel week-end. Sebbene non fosse andato niente secondi i suoi piani, alla fine si ricordò di quei due giorni con un senso di felicità crescente alla base dello stomaco. Eppure in quel momento, quando scrisse sul suo quaderno la data di quel giorno, un’improvvisa delusione lo paralizzò.
Era lunedì.
Lunedì mattina.
Quella mattina era stato così di fretta che non aveva nemmeno fatto caso realmente alla situazione, né che fosse davvero l’ultima volta che si sarebbe svegliato con lei. Quel giorno non sarebbero tornati a casa sua insieme, né avrebbero cenato e guardato un film in tv. Per non parlare del fatto che sarebbe andato a dormire da solo, nuovamente in quella grande casa vuota.
Al solo pensiero sospirò demoralizzato, mentre una smorfia gli si formava in volto. Forse si stava davvero troppo abituando a stare con lei, e questo non rendeva facili le cose. Dopotutto Kogoro quel pomeriggio sarebbe tornato, e sarebbero tornati alla vita di tutti i giorni. Dubitava fortemente che quest’ultimo avrebbe mai approvato che Ran dormisse da lui, quindi si mise l’anima in pace: per un bel po’, si sarebbe dovuto riabituare nuovamente alla solitudine.
Era ancora perso in quei pensieri che quasi la mattinata di lezioni volò.

« Hey! ».
Sonoko affiancò velocemente Ran, non appena l’ultima campanella risuonò fra le mura della scuola. Tutti erano così presi dal sistemare le proprie cose nelle cartelle, Shinichi compreso, che quasi nessuno si accorse di lei rannicchiata al suo fianco.
« Tu mi devi delle spiegazioni », la minacciò sottovoce, e Ran sorrise a disagio.
« Riguardo cosa? », fece finta di niente, acchiappando la sua cartella.
« Come cosa? Ti ho mandato due messaggi, e non mi hai mai risposto! ».
Ran si diede mentalmente della sciocca, quando si ricordò effettivamente dei due messaggi della sua amica alla quale si era completamente dimenticata di dare risposta.
« Dopo », disse perentoria quando notò che Shinichi si era alzato in piedi, e ora le guardava un po’ diffidente.
Sonoko capì, e si alzò velocemente per allontanarsi con espressione disinteressata.
« Io vado all’allenamento », mormorò quindi Shinichi, avvicinandosi un po’ titubante a Ran.
« Va bene », disse lei sorridendo dolcemente. « Io oggi ho i bambini di karate ».
« Stasera mi dirai come è andata? », chiese lui, abbozzando un sorriso.
« Ti chiamo », annuì lei arrossendo.
Si guardarono un po’ negli occhi, come a volersi dire qualcosa che non potevano pronunciare ad alta voce. Infine lui annuì e si voltò per poi uscire dall’aula. Ran rimase a guardarlo mentre spariva oltre la porta, per poi sospirare alla vista di una Sonoko molto curiosa alle sua spalle.
« E si fissano, si fissano, si fissano », alzò gli occhi al cielo. « Tutto molto romantico. Fissarsi, intendo », concluse sarcastica.
« Vuoi farla finita?! », esclamò Ran, e con un balzo si mise in piedi.
« Andiamo a pranzo », annunciò prendendola sotto braccio. « Ti devo dire qualcosa », arrossì ma inevitabilmente capì che era arrivato il momento di raccontarle tutto, per il semplice fatto che non poteva continuare a nasconderglielo. Prima o poi, altrimenti, avrebbe davvero ucciso Shinichi dall’impazienza. Si preparò mentalmente all’imbarazzo che avrebbe provato, sentendo la fame svanire e un mal di pancia nervoso far capolino.

« Sonoko davvero, mettiamoci da un’altra parte ».
Ran strinse convulsamente il suo bento fra le mani, guardandosi intorno nervosa.
« Ma perché, si sta così bene. C’è un bel sole, dai ».
Sonoko guardò confusa la sua amica in piedi davanti a lei, mentre si lanciava occhiate terrorizzate intorno. Aveva deciso di mangiare sugli spalti del campo da calcio prevalentemente perché era davvero una bella giornata, e non aveva voglia di rimanere in classe. Ma la sua amica era di tutt’altra opinione, e davvero non stava capendo. Un po’ dubbiosa la fissò mentre, infine, si sedeva accanto a lei rimanendo tuttavia sulle spine, come se qualcuno dovesse saltar fuori da un momento all’altro per sorprenderla a fare chissà cosa. A volte, faticava davvero a capirla. Per di più c’era veramente poca gente lì intorno, posto perfetto per parlare un po’ in santa pace isolate da tutti.
« Allora, dobbiamo parlare », disse solerte, prendendo un po’ del suo riso e assaporandolo. Ran finalmente la guardò, e i suoi occhi parevano più rotondi del solito.
« S-sì », annuì picchiettando le mani sul suo vassoio, mentre fissava tentennante il centro del campo. Aveva il terrore che la squadra di calcio sbucasse da un momento all’altro, e con lui Shinichi. Tuttavia si calmò un attimo, quando non ne vide la minima traccia. Forse si stavano allenando in palestra, e se fosse stato così sarebbe stata salva. Decisamente, raccontare a Sonoko tutto con Shinichi in lontananza non era il suo primo desiderio.
Si impose di calmarsi, così prese un sorso d’acqua.
« Quindi il nostro piano di venerdì? Niente di niente?! », esclamò Sonoko, sputacchiando un po’ di riso.
« N-no, Sonoko… », iniziò titubante Ran. Era davvero in preda all’ansia, e si sentiva anche un po’ in colpa. Sonoko era sempre stata dalla sua parte, sia durante i momenti belli, sia nelle difficoltà. E il fatto che le avesse tenuto nascosto sia Conan, sia ora quel discorso la facevano sentire a disagio.
« Qui servono misure drastiche », sentenziò lei, riponendo le bacchette con fare pensieroso.
Devi dirglielo, altrimenti chissà cosa si inventa.
« Dopo scuola potremmo andare a fare shopping… un bel completino trasparente potrebbe aiutare ».
Ecco appunto, sta per farti comprare qualcosa di imbarazzante. Di nuovo.
« Ma tanto a cosa serve, se neanche arrivate a quel punto… non lo vedrebbe neanche quell’idiota ».
Diglielo, e basta.
« Il vestito lo abbiamo provato, la serata di soli c’era… non so davvero Ran, forse dovresti fingerti morta. Probabilmente così si ecciterebbe ».
Le dici “è già successo”. Non devi specificare, lei capirà. Non devi dire i dettagli.
« Sì, forse dovremmo comprare un coltello. E dovrei accoltellarti. E strapparti la camicetta ».
Ma lei me li chiederà, i dettagli. Maledizione.
« Ma guardalo… mi verrebbe voglia di accoltellare lui, altroché ».
A quelle parole, avvertite in un angolo del suo cervello, Ran rielaborò ciò che aveva appena sentito. Sbattendo più volte le palpebre, ritornò lucida e in quel momento lo vide.
« Se si impegnasse con te come con quella palla, saremmo a cavallo », sentenziò sarcastica Sonoko, mentre guardava Shinichi in lontananza nel campo palleggiare distrattamente un po’ in disparte dal resto della squadra.
« Ma no, voi vi fissate ».
Ed effettivamente, anche in quel momento Ran non stava facendo altro. Sonoko la guardò di sottecchi, mentre vedeva il viso dell’amica diventare roseo alla vista di Shinichi a poca distanza da loro. Quest’ultimo non si era accorto delle spettatrici improvvisate a pochi spalti di distanza, e stava continuando a giocare come se nulla fosse. Ad ogni movimento del corpo verso la palla che rimbalzava sui suoi piedi, un ciuffo di capelli gli cadeva distrattamente sugli occhi, o si incollava sulla fronte intrisa di sudore. Doveva essersi allenato parecchio in palestra perché era già parecchio sudato, e seppur a distanza Ran notò come si passasse spesso una mano dietro al collo, probabilmente per togliere alcune gocce che gli colavano giù lungo la schiena.
Deglutì, cercando di non avvampare quando si soffermò a fissargli le maglietta bianca ormai attaccata al petto, e poi poco dopo sui pantaloncini corti da calcio che lo coprivano fino al ginocchio. Si sentì davvero accaldata, e non seppe dire se fosse il sole o la vista di Shinichi così. Provò a star a sentire Sonoko, che la stava fissando divertita, ma quando fece per distogliere lo guardo da quella vista così inebriante, vide Shinichi mettersi a ridere per qualcosa che un suo compagno di squadra gli aveva appena detto.
Sudato, con quel sorriso sul viso, mentre si passava una mano fra i capelli bagnati…
« Ehm ehm ».
Ran si girò velocemente a guardare Sonoko al suo fianco, che ormai pareva sul punto di scoppiare a ridere.
« Amica, bisogna fare qualcosa. Assolutamente. Hai la faccia di una che sta per esplodere ».
« Cosa stai dicendo », esclamò Ran fin troppo agitata, per poi acchiappare un tovagliolo e iniziare a sventolarsi. « Fa troppo caldo, oggi ».
« Caldo, sì », ripeté Sonoko sarcastica.
In quel momento, tuttavia, Ran non si accorse che Shinichi si era finalmente voltato e le aveva adocchiate sugli spalti. Sentendo lo stomaco fare una capriola all’indietro, cercò di non soffermarsi troppo su di loro, preferendo tornare a palleggiare con sguardo basso.
Si sentiva nuovamente in imbarazzo nei suoi confronti, sebbene l’allenamento sfiancante in palestra di poco prima lo avesse un po’ disteso. Tuttavia vederla lassù, con la camicia della divisa un po’ aperta e quel delizioso sventolarsi in viso, lo avevano nuovamente fatto sentire nervoso. Era davvero bellissima.
Cercò di non guardarla ancora, per il semplice fatto che altrimenti non sarebbe riuscito a concentrarsi, e annuì quando un suo compagno gli propose una partita veloce. Prese posizione a metà campo, togliendosi nuovamente del sudore dal viso. Quel giorno faceva davvero troppo caldo, e stava sudando tantissimo. Cercò di non far caso al caldo, iniziando a fissare intensamente la palla che scivolava alla squadra avversaria. Iniziò a correre a perdifiato verso il proprietario che si stava pericolosamente dirigendo verso la loro porta, e provò più di una volta a prendergliela. Non riuscendoci la prima volta, si accostò nuovamente a lui, ma quest’ultimo senza volere gli rifilò una gomitata in pieno petto voltandosi improvvisamente.
Inaspettatamente si sentì venir meno il fiato, e tossendo furiosamente si bloccò, portandosi una mano alla pancia. Tossì nuovamente, e il caldo afoso non lo aiutò a riprendersi in fretta.
« Ohi, Kudo-kun », il colpevole di quella botta lo sostenne per un braccio, e Shinichi notò la sua espressione dispiaciuta. « Scusami davvero, non volevo farti male ».
« Non preoccuparti », bofonchiò Shinichi con voce soffocata, e alzando il viso notò in lontananza come Ran si fosse alzata in piedi di colpo, e lo stesse fissando preoccupata. Abbozzò un sorriso di rimando, e la vide ricambiare con un’espressione preoccupata. Le fece un segno con la mano come a volerla tranquillizzare, e si allontanò un poco dal suo compagno per riprendere più fiato che poteva. Rimase in sordina per qualche minuto, e quando infine si riprese, ricominciò a correre dietro a quel dannato pallone. Si sentiva ormai la maglia fradicia, e la botta di poco prima ancora un po’ gli doleva. Ma accidenti, quando era diventato così pappamolle?
Alla fine, dopo un bel po’ di tentennamenti, riuscì ad acchiappare la palla ed entusiasta cominciò a correre verso la porta avversaria. Orgoglioso di sé stesso, lanciò un’occhiata veloce per accertarsi che Ran lo stesse guardando, ma quando i suoi occhi si posizionarono su di lei, sentì improvvisamente un brivido lungo la schiena.
Vide soprattutto Sonoko Suzuki paralizzata, con le bacchette per aria a poca distanza dalla sua bocca, e l’espressione sconvolta. Per la prima, vera volta nella sua vita, gli parve senza parole.
Davanti a lei una Ran che ormai tendeva al bordeaux si fissava le mani in grembo, che stavano torturando la sua gonna ormai colma di pieghe. Parlava velocemente, e, maledizione, quanto avrebbe voluto sentire cosa stesse dicendo! Tuttavia parve ben immaginarlo quando, infine, Sonoko si voltò verso di lui guardandolo a bocca aperta per poi fargli un occhiolino malizioso. Si alzò in fretta in piedi, facendo cadere il vassoio col cibo per terra, solo per alzargli i pollici all’insu.
No, non dirmi che… Ran!
Doveva averglielo detto. Merda. Merda!
Si sentì avvampare, e distolse lo sguardo velocemente. Si accorse solo in quel momento che un altro giocatore stava correndo verso di lui per prendergli la palla ma, prima che potesse sviare per non prenderlo in pieno, quest’ultimo lo guardò un po’ sorpreso che non si spostasse.  
Sonoko, dall’alto dello spalto, sussultò e con lei Ran seduta al suo fianco. Con orrore videro Shinichi prendere in pieno l’altro giocatore, e quest’ultimo per frenare alzò di istinto un ginocchio per proteggersi. Shinichi sbatté così forte contro di lui che il tonfo rimbombò prepotentemente, e ben presto sentì il suo ginocchio contro la sua coscia destra. Caddero a terra poco dopo, entrambi doloranti, ma soprattutto Shinichi si trattenne dall’urlare quando avvertì il muscolo della coscia dolergli maledettamente.
Si raggomitolò su se stesso, e sentì l’odore di erba arrivargli prepotentemente al naso che stava premendo contro terra ad occhi chiusi. Doveva avergli toccato un particolare nervo, perché non riuscì davvero a distendere la gamba per un bel po’. Se la portò al petto, tenendola stretta e digrignando i denti.
Nel vederlo a terra dolorante, Ran non capì più niente. Non facendo caso a niente e nessuno corse giù per gli spalti, rischiando anche di cadere, ma non gliene importava. Corse verso di lui, mentre tutti i componenti della squadra lo accerchiavano preoccupati. Si fece largo per poi inginocchiarsi di fronte a lui e prese a scuoterlo per una spalla.
« Shinichi! », lo chiamò e vide i suoi occhi aprirsi, ma rimanere comunque ridotti a due fessure.
« Dove ti fa male? », domandò a bruciapelo, guardandolo. Era disteso a terra, un po’ sporco di terra ed erba, e praticamente fradicio di sudore. Non aveva davvero una bella cera.
« La coscia? », provò lei, vedendo che si teneva convulsamente quest’ultima piegata.
« Sei una scema! », bofonchiò lui, stringendo ancora i denti.
« Cosa, scusa? », replicò Ran offesa, mentre i compagni si scambiavano un’occhiata confusa.
Videro Shinichi sostenersi sulle braccia per rialzarsi un po’, e lentamente mettersi seduto per poi premere ancora una mano sulla coscia dolorante.
« Ma ti sembrava il momento?! ».
« Ma cosa stai dicendo?! ».
« E’ colpa tua! ».
« Hai battuto la testa?! ».
« Non prendermi per idiota! ».
« Lo sei! ».
« Ehm, scusate? ».
Shinichi e Ran, totalmente presi dal loro battibecco, si voltarono come furie alla loro sinistra, dove il capitano della squadra li aveva raggiunti con espressione confusa.
« Forse dovresti andare in infermeria », buttò lì, guardandoli titubante.
« Non ne ho bisogno », borbottò Shinichi, e provò a mettersi in piedi. Tuttavia quando posò la gamba colpita a terra e ci poggiò sopra il suo peso, questa gli lanciò una fitta tremenda, che lo fece sbilanciare.
« Idiota! », lo rimbeccò lei e velocemente si mise al suo fianco, tenendolo su mettendogli un braccio intorno alla vita.
« Ci devi andare! ».
« Non ne ho bisogno! ».
« Non ti reggi in piedi! ».
« Era solo un crampo! ».
« E perché sarebbe colpa mia?! ».
« Lo sai perché! ».
Sonoko Suzuki, che aveva raggiunto la sua amica poco prima e ora li guardava andare via, li guardò scuotendo la testa. Intorno a lei i rimanenti giocatori di calcio si lanciarono occhiate completamente confuse, non capendo bene cosa fosse realmente successo. Rimasero sparsi a parlottare fra di loro, lanciando occhiate dubbiose ai due che si stavano allontanando.
« Ma quei due stanno ancora insieme? », domandò uno di loro a Sonoko, indicando Ran e Shinichi.
« Già », annuì lei.
« … ed è normale che litighino così? ».
« Oh, sì. Normalissimo ».
Il loro battibecco si sentiva infatti ancora a distanza, sebbene non capissero davvero di cosa stessero parlando. Ciò che probabilmente non videro, a differenza di Sonoko, era come si stavano tenendo stretti. Ran lo teneva ancora saldamente per la vita, e lui aveva passato un braccio intorno al suo collo. Zoppicava vistosamente, e sembrava teso per non  voler gravare troppo su di lei.
Continuarono a guardarsi in cagnesco finché non scomparirono dentro la palestra, ma il linguaggio del loro corpo parlava da solo.
Troppo stretti. Troppo vicini. Troppo in confidenza.
« Quei due », mormorò Sonoko, incrociando le braccia al petto.
« Mi hanno fregata, come diavolo è potuto succedere?! ».

 

***


Ran cercò di apparire completamente tranquilla, mentre sfoderava il sorriso più rassicurante che sapesse fare. Davanti a lei almeno sei paia di occhi la guardarono incuriosita, mentre la fissavano avidi di informazioni. Si strinse di istinto la cintura, e facendolo notò divertita che chi aveva di fronte la stava prontamente imitando.
« C-ciao a tutti », cominciò con voce incerta. « Io mi chiamo Ran », si presentò.
I bambini del suo corso di karate sorrisero a quella ragazza così carina di fronte a loro, chi più timido, chi più sfrontato che si fece avanti per presentarsi a sua volta.
Sebbene ancora un po’ insicura cercò di memorizzare i nomi di tutti, prima di iniziare a spiegargli cosa avrebbero fatto in quel loro primo giorno di allenamento. Si stupì nel notare come tutti si impegnarono subito, cercando di concentrarsi a imitare i suo movimenti. Piano piano l’entusiasmo si impossessò di lei, man mano che vide come quei piccoli karateka si stavano fidando di lei, e le si accostavano per chiedere consigli o aiuto.
Fu così che il suo sorriso dapprima forzato divenne radioso, e ben presto si lasciò trasportare dall’entusiasmo generale.
Non appena era arrivata nella palestra si era sentita abbastanza intimidita, e perfino un po’ in ritardo. Alla fine il battibecco con Shinichi e la medicazione che gli aveva fatto fra borbottii vari le avevano fatto perdere molto tempo, e quando si era accorta dell’ora tarda era corsa via lasciandolo ancora seduto in infermeria con una coscia fasciata.
Da lei.
Ran deglutì, provando a non pensarci troppo. Quando si era resa conto della zona che avrebbe dovuto medicare era avvampata di colpo e, in silenzio, aveva iniziato a metterci sopra una pomata.
Ti sto facendo male?
« Ran-san, si fa così? », una bambina si era fatta avanti, indicandole il suo piedino messo decisamente storto. Sobbalzando e tornando in sé si avvicinò a lei, correggendo la postura.
« Ecco, così », le spiegò dolcemente, sistemando il piede in posizione corretta.
« Ora sono una vera karateka! », esclamò la bambina, decisamente molto spigliata, facendo una mossa verso di lei con fare fiero. A Ran venne da ridere, e annuì convinta.
« Ma smettila ».
Un secondo bambino si fece avanti, guardandola alzando gli occhi al cielo.
« Non faresti paura ad una mosca », commentò con sguardo indifferente.
« Non è vero! », lo rimbeccò la bambina, e per un attimo Ran rimase bloccata a guardare il loro battibecco. Di istinto le venne da sorridere, mentre quell’innocente diverbio continuava a poca distanza da lei, semplicemente per il fatto che in quei due bambini ci rivide lei e Shinichi.
Un po’.
La sua voce le rimbombò in testa senza poter far niente per frenarlo. Era stato un dialogo davvero  troppo simile a quello avvenuto quella prima notte insieme, quello successo appena un’oretta prima. Infatti, quando un senso di deja-vu l’aveva colta, si era improvvisamente zittita, arrossendo un po’. Aveva cercando di massaggiargli la pomata con un tocco più leggero, ma aveva visto la sua smorfia dipinta in viso.
« Noi donne siamo più forti di voi bambini! », sentì in lontananza la bimba continuare a discutere con il suo compagno, con tono fiero.
« Ma se frignate sempre! ».
Così va meglio?
La sua mano ormai si muoveva creando piccoli cerchi sulla sua coscia, e senza rendersene conto gli stava alzando un po’ il pantaloncino della tuta. Ormai era uscito una sorta di livido che si allargava fin sotto il pantaloncino, e pensò che dovesse davvero metterci un po’ di pomata anche lì. Tuttavia non si osò troppo salire con la mano, limitandosi all’area a poca distanza dal suo inguine.
« Io non frigno mai! ».
Era quasi ipnotizzata dal suo stesso movimento della mano, su quella coscia così tesa a poca distanza da lei, che per un po’ rimase in silenzio senza intercettare il suo sguardo. Avevano battibeccato fino a poco prima sul fatto che avesse detto a Sonoko di loro due, e da allora Shinichi non aveva molto pronunciato parola. Si era definitivamente zittito quando si era seduto su quel lettino, con lei che aveva preso a passargli la mano con movimenti lenti sulla coscia, davvero in un punto molto sensibile. Sebbene gli facesse male, ben presto quest’ultimo passò in secondo piano quando aveva avvertito la sua mano sempre più delicata sulla pelle. Era leggera, ma premeva scostando con noncuranza il suo pantaloncino.
Sebbene fosse già successo ben altro fa di loro, mai lei aveva osato tanto con lui. E sentendo dentro di sé emozioni contrastanti e fin troppo febbricitanti far capolino, aveva preferito tacere.
« Ran-neechan? ».
Ran rinvenne dai suoi ricordi con un balzo, e si voltò velocemente quando si sentì chiamare così. Non seppe come, ma voltandosi così velocemente per un attimo si vide davanti lui.
Conan.
Rimase un attimo spiazzata, mentre il ricordo di quel viso così dolce per un attimo lasciava il posto ad un Conan decisamente più preoccupato, mentre la guardava con espressione grave, attraverso i suoi grandi occhiali.
Ran-neechan, ho fatto per caso qualcosa di male?
« Scemo, devi chiamarla Ran-san, non è tua sorella! ».
Ran scosse la testa energicamente, togliendosi per un attimo dalla testa la voce di Conan. Doveva concentrarsi, altrimenti quel primo giorno sarebbe stato un disastro.
« Adesso basta, bambini », disse con tono deciso, cercando di calmare gli animi di quei due che continuavano a punzecchiarsi.
« Forza, vi faccio vedere qualche altra mossa, va bene? ».
E, riguadagnandosi la loro attenzione, iniziò l’allenamento.

 

***


« Ran-neechan? ».
Ran non si voltò neanche, preferendo rimanere impassibile sul suo libro di inglese aperto davanti a lei. Cercò con tutte le sue forze di non girarsi verso la porta, dove Conan aveva appena fatto capolino con voce abbastanza mielosa.
« Dimmi, Conan-kun », replicò senza guardarlo, stringendo fra le mani la biro.
Per un attimo lui non rispose, preferendo guardarla un po’ più attentamente. Infine, dopo un po’, fece un passo incerto in camera sua, dondolandosi un po’ sui piedi.
« Ran-neechan, ho fatto per caso qualcosa di male? », domandò titubante.
La diretta interessata si morse un labbro, fissando intensamente il suo libro. Rimase zitta, non sapendo bene cosa rispondere, per il semplice fatto che, dal pomeriggio prima, nei suoi confronti si sentiva a disagio. Non sapeva nemmeno lei come spiegarlo, ma ormai quel bambino le provocava un tumulto interiore davvero imbarazzante. A quel pensiero si sentì così sbagliata che inevitabilmente arrossì, e di istinto si voltò verso di lui.
E’ solo Conan…
Sì, era solo Conan. Aveva cercato per tutto il giorno di ripeterselo nella testa, e di biasimarsi per ciò che aveva iniziato a provare con lui. Era dannatamente sbagliato, e pensò addirittura di star impazzendo.
Aveva provato a giustificarlo, magari pensando che si fosse preso una leggera cotta per lei, e per quel motivo giocava a fare il fidanzatino con lei.
Sì, lo aveva scusato così, per tutte quelle volte in cui le aveva accarezzato la mano mentre camminavano insieme, o le si era avvicinato di istinto sotto la coperta mentre guardavano un film. Ma dopo il pomeriggio prima, mentre lo stava medicando da quella botta presa a calcio, ormai non riusciva nemmeno più a mentire a sé stessa.
Non era normale che un bambino la guardasse così. Non lo era, e basta. Perché un bambino non può conoscere cosa sia l’attrazione, men che meno guardare qualcuno così, con un desiderio nello sguardo che le aveva fatto tremare le gambe. Aveva lui qualcosa che non andava, o era lei?
E, seppur anche lui si fosse invaghito della sua “sorellina”, per quale motivo le provocava un simile caos nella testa? Ogni singola parte del suo corpo sembrava non collaborare, quando quei due occhi si mettevano a fissarla così intensamente, per il semplice fatto che se si dimenticava di tutto il resto e si concentrava solo su di essi, si dimenticava che colui che aveva di fronte avesse solo sette anni.
Sette anni.
Rabbrividì sulla sedia.
« No, Conan-kun, sono solo occupata », la sua voce era così falsa che perfino un estraneo avrebbe capito che stesse mentendo. Difatti Conan alzò un sopracciglio, e fece un ulteriore passo verso di lei, rimanendo poi fermo a poca distanza.
« Non mi parli da ieri, Ran ».
Ran lo guardò per la prima, vera volta da quando si era presentato in camera sua, e si sentì un po’ rintontita.
Aveva definitivamente abbandonato il tono di voce mieloso di prima, e perfino l’onorifico che usava sempre con lei. E, nuovamente, la stava fissando come un bambino non dovrebbe mai fissare qualcuno.
Deglutì, sentendosi agitata.
« Non è vero », replicò piccata, tornando a guardare il suo libro di inglese. Tuttavia, in quell’esatto momento, la sua attenzione fu catturata da altro.
Appena oltre il libro, i suoi occhi si misero a guardare avidamente una foto che le provocò un dolce ricordo.
Lei. E lui. In gita.
« Smettila ».
Quando sentì la voce di Conan rispondere duramente, guardò intensamente il viso di Shinichi incorniciato a poca distanza da lei. E le sembrò che fosse lui a parlare.
« Devi smetterla tu », in realtà si sentì come se stesse rispondendo a quel viso stampato, mentre la sua voce si incrinava.
Ma lui rimase uguale, con quell’espressione imbarazzata mentre le teneva una mano sulla spalla. Non le venne nemmeno da ridere, come di solito accadeva quando si metteva a guardare quella foto, al pensiero di come era stata scattata. Sonoko, una spinta, e lei che gli sbatteva addosso.
« Devi smetterla, Conan-kun », ripeté mentre gli occhi le si riempivano di lacrime, continuando a non guardarlo in faccia.
Non sapeva nemmeno lei come continuare, per il semplice motivo che non si osava dire a voce alta ciò che le vorticava in testa da un po’.
Il suo cuore prese a battere forte, mentre la testa formulava rapidamente una serie di frasi inconsulte a una velocità tale che la stordì.
Devi smetterla di accarezzarmi.
Devi smetterla di fissarmi come se fossi attratto da me.
Devi smetterla.

« Ran, io… ».
« Smettila di chiamarmi così! ».
Finalmente si voltò, portandosi le mani alle orecchie e chiudendo gli occhi ormai colmi di lacrime. Aveva alzato di un tono la voce, e ringraziò che suo padre non fosse in casa.
« Lo vedi cosa stai facendo? », sbottò ormai con un nodo alla gola, riaprendo gli occhi e guardando il viso stupito di Conan. Era lì, ancora in piedi, che la guardava spaesato.
« Non vedi cosa mi stai facendo? », ripeté, e si rese conto di star quasi perdendo il lume della ragione. Ma ormai era il suo cuore a parlare, non la testa. E si ritrovò a dire a voce alta ciò che aveva avuto sempre paura anche solo di pensare.
« Tu sei Conan-kun », balzò in piedi, sovrastandolo. « Tu devi esserlo ».
Conan sbarrò gli occhi, mentre il suo cuore perdeva un battito. Aveva sospettato da un po’ che le sue basse difese dell’ultimo periodo avessero creato ulteriori dubbi in Ran, ma vederla così fuori di sé lo lasciò completamente inerte.
Non riuscì a risponderle, mentre sentiva ogni fibra del suo corpo iniziare a irrigidirsi.
« Perciò smettila », riprese Ran, stringendo i pugni lungo i fianchi.
« Smettila di trattarmi come lui, ti prego. Non farmi dubitare di te, perché a questo punto io non lo reggerei. Non ora. Non dopo questo, dannazione! », prese di colpo la cornice con loro due sorridenti a Kyoto, per poi buttargliela addosso mentre velocemente usciva da quella stanza. A grandi falcate si ritrovò in salotto e, senza neanche prendere la giacca, uscì rapidamente da casa. Fece così velocemente le scale per al terzo scalino, complici le lacrime che le appannavano la vista, scivolò. Sentì i freddi scalini sotto di lei, mentre si rimetteva in piedi traballando. La storta appena presa le fece scappare un singhiozzo, ma questo non la rallentò. Doveva correre via da lì, da lui.
Da quello stesso ragazzo che era ancora immobile in camera sua, quella foto che li ritraeva in mano, e il petto a pesargli come un macigno. Provò a pensare rapidamente a come risolvere quella faccenda, ma non gli venne in mente nulla.
Lei aveva dei dubbi.
Come avrebbe fatto a farle cambiare idea a quel punto, era davvero difficile a dirsi.
Era tutta colpa sua, tutta colpa dei suoi capricci. Aveva abbassato la guardia, e si maledì interiormente.
Sarai contento, ora.
Conan fissò il viso di Shinichi in quella foto che teneva ancora fra le mani, con una smorfia sul viso.
Volevi che lo capisse, no? Per questo la stuzzicavi…
Sospirò. Si avvicinò alla scrivania e quasi lanciandola ripose la cornice dov’era in precedenza.
Ci avrebbe pensato il giorno dopo, a come risolvere la situazione. In quel momento non aveva davvero le forze.
Ciò che non sapeva era che non avrebbe mai avuto il tempo di sistemare le cose, perlomeno non nel corpo di Conan…

 

***


Shinichi arrancò a fatica verso il cancello di casa sua, zoppicando vistosamente. La coscia gli lanciava delle fitte così lancinanti che per un attimo, di ritorno a casa, aveva dubitato di riuscire di arrivarci. Eppure, seppur a fatica, ce l’aveva fatta. Cominciò ad armeggiare con la sua sacca sportiva, e dopo un po’ di lavoro trovò infine le chiavi. Aprì il cancello e si fece avanti, pregustandosi già il divano e un pomeriggio di totale pace. Fu così che in fretta si buttò su quest’ultimo, acchiappando pigramente il telecomando a poca distanza da lui. Accese distrattamente la televisione, iniziando a fare zapping. Alla fine decise per il telegiornale, e iniziò a guardarlo in silenzio.
Troppo in silenzio.
Con una smorfia si guardò un po’ intorno, mentre una cocente delusione si faceva strada in lui.
Come aveva sospettato, l’assenza di Ran si fece così prepotente da lasciarlo un po’ imbronciato, mentre sospirava rassegnato. Non si interessò nemmeno al servizio su un caso particolarmente brutale di omicidio avvenuto ad Osaka, appuntandosi solo mentalmente di chiamare Hattori per chiedere se se ne stesse occupando lui. Sbuffando nuovamente posò infine lo sguardo sulla fasciatura sotto i suoi pantaloncini, e improvvisamente al ricordo arrossì.
Dopo tutto ciò che era successo fra di loro non pensava di potersi sentire così a disagio con lei per una cosa del genere, eppure quella sua mano che scendeva e risaliva lentamente sulla sua pelle lo aveva reso nervoso. Erano rimasti in religioso silenzio, e per un attimo si era perfino dimenticato di essere un po’ offeso con lei per aver detto a Sonoko di loro due, sebbene capisse il motivo. Ultimamente stava diventando davvero insistente e perfino un po’ prepotente, e ragionandoci sperò che ora gli desse un po’ tregua.
Te la fascio…
Lo aveva sussurrato, e nell’immediato era rimasto un po’ deluso quando non aveva più avvertito la sua mano addosso. Aveva annuito distrattamente, mentre la guardava di spalle recuperare il necessario per la fasciatura. Sebbene fossero al chiuso in infermeria, continuava ad avere davvero molto caldo. E si maledisse quando capì che era quella vicinanza e quel tocco di Ran a renderlo così, perché, ci ragionò in quel momento lucidamente sul divano, ormai non riusciva più a controllarsi con lei. Dopo tutto ciò che era successo, continuava ad avvertire quello strano impulso di ancorarla a sé, e i suoi pensieri erano tutt’altro che casti. Aveva immaginato che, una volta accaduto, si sarebbe calmato e finalmente quei suoi impulsi per Ran avrebbero cominciato ad essere controllati. E invece eccolo lì, mentre sentiva ogni fibra del suo corpo fremere al suo solo tocco su un coscia.
Pervertito.
Deglutì. Ricordò infine come, quando aveva iniziato a passargli la fasciatura, aveva quasi pensato di prenderla e baciarla prepotentemente. Ci aveva ragionato un po’, chiedendosi se non fosse davvero troppo fare un simile gesto in infermeria, con il rischio di essere sorpresi da qualche professore che passava da lì. E, dopo che Ran aveva finito la medicazione e aveva infine alzato lo sguardo su di lui, si era perso nei suoi occhi come ormai capitava sempre più frequentemente.
Anche lei era rimasta un attimo interdetta, sotto il suo sguardo dubbioso, mentre una mano ancora gli accarezzava la coscia creando cerchi immaginari quasi involontariamente.
Dovresti smetterla.
Shinichi al suono di quelle parole era trasalito, mentre un deja-vu lo coglieva lasciandolo stordito. Ran lo aveva pronunciato questa volta con tono dolce, guardandolo un po’ rossa in viso. L’ultima volta che si era rivolto a lui così, era ancora Conan e il contesto era tutt’altro che cordiale.
Di fare cosa?
Aveva domandato con voce roca, avvicinandosi piano al suo viso, fissandole le labbra.
Di guardarmi così.
La sua voce ormai gli arrivava quasi ovattata, mentre si accostava ancora un po’ di più. Ormai era davvero a poca distanza dal suo viso, ma si bloccò solo per riguardarla negli occhi. La vide arrossire ancora un po’, e a suo volta sentì le gote accaldate.
Ran lo guardò e lo trovò così irrimediabilmente carino, che sorrise. Di istinto ebbe l’impulso di eliminare quella minima distanza da lui, ma quando fece per farlo sentì in lontananza la campanella scolastica rimbombare. Riprendendosi un attimo dal momento, ragionò velocemente e, compreso che ore fossero, rimbalzò lontana lui. Lasciandolo un po’ interdetto, aveva acchiappato la sua cartella in fretta e furia, borbottando qualcosa sul fatto che fosse tremendamente in ritardo. Infine, guardandolo un’ultima volta, aveva trattenuto a stento una risata. Era ancora seduto sul lettino, inclinato in avanti dove lo aveva lasciato, con un’espressione persa e imbronciata. Aveva cercato così di rimediare avvicinandosi velocemente, e stampandogli un sonoro bacio sulla guancia.
Ti chiamo dopo!

Shinichi sorrise al ricordo, guardando il telefono. In quel momento doveva essere ancora all’allenamento con i bambini, ragion per cui si costrinse a portare pazienza e aspettare la sua chiamata.
Tuttavia, almeno tre ore dopo, e ancora nessuna notizia, decise infine un po’ nervosamente di mandarle un messaggio.
Messaggio a cui non rispose, nemmeno dopo quaranta minuti dal suo invio.
Un po’ dubbioso, ormai alle nove e mezza di sera, Shinichi riprese in mano il telefono, chiedendosi se fosse il caso di telefonarle.
Stai diventando paranoico.
Sbuffò, e preferì non disturbarla. Se fosse successo qualcosa, dopotutto, qualcuno lo avrebbe avvertito.
Magari è solo stanca e si è addormentata.
Con questa giustificazione cercò di non pensare negativamente, mentre infine saliva arrancando gli scalini che lo separavano da camera sua. E quando, dopo essersi preparato svogliatamente, si mise a letto, si sentì più solo che mai, con quel telefono che continuava a non squillare…


 

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Capitolo 16
*** Incomprensioni ***


WITHOUT WORDS.
incomprensioni.
 

Un po’ indispettito, Shinichi suonò nuovamente quel campanello a poca distanza dalla sua mano. Picchiettò impaziente le dita sul muro, aspettando di veder comparire Ran appena oltre la porta di casa, ma ciò non accadde.
Senza realmente volerlo cominciò ad avvertire un senso di ansia attanagliargli la base dello stomaco, e dopo poco sbuffò sonoramente.
Era almeno la quarta volta che suonava, ma nessuno era ancora venuto ad aprirgli. Come sempre Kogoro doveva essersi recato in centrale presto, ma Ran?
Cercò di mantenere la calma solo per non impazzire, ragionando sulla causa del suo silenzio dal pomeriggio prima.
Forse non si ricordava della colazione… non passo da una vita.
Era vero. Era probabilmente da prima del compleanno di Sonoko che non passava la mattina, fra imbarazzi vari e situazioni paradossali. Tuttavia era abbastanza presto, e si stupì nel non trovarla in casa. Borbottando iniziò a scendere gli scalini, avvertendo ad ogni passo la coscia lanciargli fitte doloranti.
Dopo tutta la notte insonne immobile nel letto, quella mattina a freddo aveva iniziato a fargli male non appena aveva messo piede a terra. Così si ritrovò a zoppicare notevolmente, e farsi tutti quegli scalini non era certo un toccasana. Fra imprecazioni varie, quando finalmente si ritrovò per strada, estrasse spazientito il telefono dalla tasca dei pantaloni. Quel dannato display segnava ancora nessuna notifica, ragion per cui Ran non si era neanche fatta scrupolo di sentirlo.
Forse è già a scuola.
Emettendo un lamento sommesso si rimise a zoppicare per strada, cercando di mantenere la calma.
Se non è nemmeno a scuola, devo inventarmi qualcosa.

Complice quella coscia ridotta così, impiegò davvero più tempo del previsto per arrivare a scuola. Ma quando infine oltrepassò la soglia, si dimenticò perfino di quelle fitte e iniziò a guardarsi in giro nervosamente. Avendo saltato la colazione, era comunque arrivato abbastanza presto, ragion per cui non c’erano ancora molti studenti. Iniziò seriamente a preoccuparsi quando infine non la incontrò nemmeno nei corridoi e nella classe ancora praticamente deserti. Ragionò velocemente, e provò il tutto e per tutto: la palestra.
Ormai la gamba bruciava terribilmente, ma non volle darci troppo peso. Perfino un po’ sbandando, prese a scendere le scale verso la palestra, e quando, dopo notevole sforzo, ci arrivò la trovò ancora immersa nel buio.
Merda.
A quel punto, ormai, si ritrovava nel panico. Al telefono non rispondeva dal pomeriggio prima, e ora non riusciva a trovarla da nessuna parte. La sua mente piena zeppa di casi misteriosi e delitti a sangue freddo iniziò a fargli susseguire una carrellata di immagini davvero molto poco rassicuranti. In quel momento, essere un detective, non aiutava a mantenere la calma.
Ormai iniziando a sudare freddo, non seppe nemmeno lui dirsi il perché, decise di uscire dalla palestra per dare un’occhiata al campo esterno. Quando, dopo essere stato chiusi dentro al buio, vide il sole oltre la porta, rimase per un attimo accecato. Si portò una mano al viso, cercando di mettere a fuoco i dintorni. E, dopo almeno un minuto, la vide.
Immediatamente tutti i muscoli del suo corpo si rilassarono quando adocchiò la figura esile di Ran in tuta sportiva correre nel campo di fronte a lui. Ormai completamente rassicurato sul fatto che stesse bene, si sentì invadere dal nervosismo. Che diavolo le era preso?!
Ancora zoppicando si avvicinò ai bordi del campo, e si mise a fissarla attendendo che quest’ultima completasse il giro e incappasse in lui. Ci volle relativamente poco perché Ran si dirigesse verso di lui, e quando alzò il viso accorgendosi di lui, rallentò di poco.
Shinichi la vide mentre si rendeva conto di non essere sola, e lentamente smetteva di correre per iniziare a camminare un po’ affaticata verso di lui. Era abbastanza sudata, notò Shinichi un po’ perplesso, segno che doveva essere lì da un po’. E, quando alla fine fu ad una distanza tale da poterla vedere meglio, notò che aveva un’espressione abbastanza afflitta. Sebbene avesse voglia di prenderla in giro e, perché no, fare un po’ l’offeso, decise dopo aver visto la sua faccia di rimanere in silenzio. Preferì scrutarla ancora un po’, giusto il tempo necessario per capire cosa stesse succedendo, per il semplice fatto che il suo intuito da detective gli stava dicendo che qualcosa non andava. Tuttavia anche quando Ran si bloccò a poca distanza da lui, non disse nulla, appoggiandosi alle ginocchia per riprendere fiato. Un po’ dubbioso Shinichi si chiese se era il caso indagare, poiché da quei pochi indizi non stava realmente capendo dove fosse il problema.
Ragiona, pensò velocemente. Ieri aveva gli allenamenti. Forse è andata male.
Si schiarì un po’ la voce e, con tono più dolce possibile si rivolse a lei, che ancora provava a prendere fiato dopo quella corsa.
« V-va tutto bene? », chiese incerto lui, appoggiandosi un po’ di più alla gamba sana per non gravare sull’altra che ormai stava facendo davvero male.
In tutta risposta Ran si rimise diritta, ma non lo guardò realmente in faccia. Sempre più perplesso Shinichi la guardò mentre distrattamente si levava un ciuffo di capelli dagli occhi, e si legava i restanti in una coda disordinata. Aveva davvero un aspetto terribile, ma non osò farglielo notare.
« … è andata male ieri con il corso? », provò facendo un passo incerto verso di lei.
Quando Ran lo vide avvicinarsi zoppicando vistosamente, sgranò gli occhi.
« Ti fa male? », domandò a bruciapelo, fissandolo finalmente negli occhi. A quella domanda Shinichi sgranò gli occhi stupito, non capendo immediatamente a cosa si stesse riferendo.
« Io… cosa? », chiese confuso.
« La botta di ieri », disse con tono stanco lei, indicandogli la coscia.
« Ah, questo… no, niente di che », mentì velocemente, liquidandola. « Allora? », la incitò invece, sulla spine.
Ran non parve molto convinta della sua risposta, e gli lanciò un’occhiataccia. Shinichi alzò gli occhi al cielo, e la voglia di ribatterle fu così prepotente che dovette trattenersi dal non sbottare.
Ormai la sua pazienza era al limite, e lei continuava imperterrita a stare zitta senza spiegarsi. Ormai al limite fece per richiederle quale fosse il problema ma, finalmente, lei lo precedette.
« I miei genitori mi hanno detto che vogliono parlarmi », esclamò infine Ran con voce grave.
Shinichi si zittì proprio nel momento in cui aveva aperto la bocca, per poi fissare disorientato la ragazza davanti a lui. La vide mentre distoglieva lo sguardo da lui, per mettersi ad osservare un punto indefinito alla sua sinistra, con gli occhi che lentamente divenivano lucidi. Sempre attraverso il suo sguardo da osservatore, notò come iniziasse a stringersi convulsamente la maglietta bianca della tuta, e capì che stava cercando in qualche modo di trattenersi dal scoppiare a piangere.
« Oh », disse solamente Shinichi, non riuscendo davvero a formulare niente di meglio.
Rimasero in silenzio per un po’, entrambi nella confusione più totale, sebbene per due motivi completamente differenti.
Dal canto suo, Shinichi non stava realmente capendo perché fosse così disperata. Se davvero Kogoro le aveva detto così, voleva dire una sola cosa: voleva raccontarle di lui ed Eri. Si morse un labbro, facendo leva sulla sua mente per ragionare il più velocemente possibile. Cosa avrebbe dovuto dire lui, a quel punto? Il rischio di rovinare tutto era davvero dietro l’angolo, perciò provò a replicare con una domanda vaga giusto per raccogliere informazioni su quanto realmente Ran ne sapesse di quella storia.
« … di cosa, esattamente? », fece finta di niente.
Ran si morse spasmodicamente un labbro, facendosi perfino male.
Da quando il pomeriggio prima suo padre le aveva detto di tenersi libera la domenica successiva con sguardo serio, il mondo le era caduto addosso. Le aveva spiegato che lui e sua madre avrebbero dovuto parlarle, e mai si era rivolto a lei con quel tono se non in un’altra, sola occasione nella sua vita. Era assurdo come si ricordasse così nitidamente quando, a soli cinque anni, si era ritrovata ad ascoltare i suoi genitori che le dicevano come si sarebbero separati per un po’. Era la stessa espressione, lo stesso tono di voce usato in quel giorno di ormai tanti anni prima, e perfino il dolore al petto che provò fu identico. E, al suono di quelle parole, capì subito a cosa si stesse riferendo. Dopotutto, erano anni che si stava preparando a quel discorso, ma quando fu il momento arrivò come un fulmine a ciel sereno.
Divorzio.
Al solo pensiero le saliva la prepotente voglia di piangere, e lo stomaco le si rivoltava così veloce da farle salire la nausea. Dopo tutti quei anni, aveva internamente sperato che quel giorno non arrivasse mai, complice il fatto che più e più volte aveva notato come i suoi genitori si volessero ancora bene, seppur ogni volta qualcosa gli impedisse di tornare veramente insieme. E ci aveva sperato, con tutte le sue forze, cercando ogni pretesto per spingerli una nelle braccia dell’altro. Erano rimasti nel limbo della separazione per così tanto tempo, che era arrivata a pensare che probabilmente non avrebbero mai divorziato davvero. Evidentemente, non era così.
Cercando di trattenere quelle stesse lacrime che dalla sera prima stava versando, alzò velocemente lo sguardo sul ragazzo di fronte a lei, e provò a parlare con voce ferma. Il risultato fu pessimo.
« Penso… credo… che vogliano dirmi che divorzieranno », mormorò con voce rotta. Lanciò un’occhiata nervosa a Shinichi, sperando vivamente che almeno lui, in mezzo a tutto quello schifo, sarebbe stato capace di consolarla. Era così convinta che lui avrebbe fatto almeno un passo verso di lei, magari per abbracciarla o semplicemente per rassicurarla, che quando dopo un po’ non fu così, si sentì, se possibile, ancora peggio.
Stupita, sgranò un po’ gli occhi guardandolo con più attenzione. Vide finalmente la sua espressione, totalmente persa e sbalordita, accompagnata tuttavia da una curvatura delle labbra che somigliava disgustosamente ad un piccolo sorriso.
Lui stava… sorridendo?
« Divorzio? », ripeté con un tono di voce che la fece solo arrabbiare ancora di quanto già non fosse. Era un misto di incredulità e scetticismo così evidenti, che si sentì una bambina particolarmente tarda che non capiva qualcosa di irrimediabilmente banale.
« Credo che tu ti stia sbagliando », disse con tono ovvio, facendola sentire nuovamente stupida. Shinichi scosse la testa, mettendosi le mani in tasca.
« Magari vogliono solo parlarti di altro », alzò le spalle. « Forse vogliono solo rimarcarti di nuovo quanto io sia inaffidabile », il suo sarcasmo fu la gocciolina che fece traboccare il vaso.
Strinse i pugni, mentre le lacrime lasciavano spazio ad uno sguardo di fuoco, che riscosse Shinichi dalla sua insensata leggerezza. Arretrò di istinto, mentre Ran troneggiava a poco a poco su di lui visibilmente arrabbiata.
« Credi che io sia stupida? », domandò.
« Non l’ho mai pensato », Shinichi tornò serio, e cercò con tutte le sue forze di reggere il suo sguardo che emanava lampi.
« Tu non lo hai visto », non ascoltò nemmeno la sua risposta, alzando di un tono la sua voce già abbastanza tremante.
« Mi ha parlato con una faccia… », sperò con tutto il cuore che Shinichi comprendesse la gravità della cosa ma, ancora una volta, lo vide incerto, mentre si dondolava sulla gamba sana. A quella vista si ritrovò a provare così tanta delusione, che solo per togliergli dalla faccia quell’espressione indifferente, ebbe la voglia di tirargli un calcio sulla coscia fasciata. Resistette comunque al suo posto, imponendosi di non fare scenate.
« Va bene, non preoccuparti », sbottò infine, non ricevendo alcuna risposta da lui, e in quel momento sentì in lontananza la campanella rimbombare. Trafelata si accostò agli spalti lì a fianco, acchiappando con mani tremanti di rabbia la sua felpa e la cartella. Senza degnarlo di uno sguardo fece per superarlo in fretta, ma esasperata sentì la sua mano trattenerla per un braccio.
« Ran, dai », lo sentì dire con tono esasperato. « Calmati e ragioniamoci insieme ».
Continuando a non guardarlo, di istinto gli diede uno strattone così forte che in un primo momento si domandò se non lo avesse buttato a terra. Ma quando non lo sentì cadere o arretrare troppo, non se ne curò ulteriormente.
« Io te ne ho parlato, ma mi hai solo presa in giro », sentì nuovamente le lacrime salirgli agli occhi, ragione in più per non guardarlo mentre sputava a voce alta tutta la sua frustrazione. Non aspettò nemmeno la risposta, e quasi corse lontana da lui.
Quando si ritrovò dopo realmente poco negli spogliatoi femminili, si appoggiò alla parete sentendosi al sicuro. Ben presto, tuttavia, si rese conto di ciò che era appena successo, e avvertì le gambe cedere. Si lasciò andare ad un pianto così disperato che dovette portarsi le mani al viso per soffocare i singhiozzi al suo interno, ringraziando mentalmente che non ci fosse nessuno intorno a lei.
Prima i suoi genitori, e ora Shinichi.
Come diavolo aveva potuto essere così indifferente ad una notizia del genere, quando lei stava male dalla sera prima? Improvvisamente fu come se quegli ultimi mesi non fossero mai esistiti, e lui fosse nuovamente lo Shinichi di quindici anni che non prendeva mai nulla sua serio e faceva il saccente con lei.
Era stata una sciocca, a pensare davvero che fosse cambiato così tanto.
Dopo tutto quello che avevano passato, come aveva potuto essere così gelido con lei? Con rammarico ripensò alle due notti passate con lui, e a come lui era stato così dolce nei suoi confronti.
Dov’era in quel momento quello stesso Shinichi? Per un singolo, folle istante, pensò se sua madre non avesse fondamentalmente ragione.
I detective fanno solo soffrire.
Quella frase le tornò in mente come un fulmine a ciel sereno, e faticò a ricordare quando gliela aveva sentita pronunciare. Solo un bel po’, si ricordò di quel giorno in quel bar, dove dovevano incontrarsi. Avvertendo un po’ di nausea, rammentò ance di come fosse presente Conan.
Quando ripensò a lui, si sentì ancora peggio, e per la prima, vera volta, si sentì davvero in collega con lui. Ebbe l’irrefrenabile voglia di rinfacciargli le sue continue bugie, e si stupì di ciò per il semplice fatto che non era davvero da lei, e mai le era venuto lontanamente in mente. Ma la delusione cocente sommata alla preoccupazione per i suoi genitori stavano generando in lei un tale tumulto interiore da farle pensare alle cose peggiori, e rendendosene conto si sentì profondamente sbagliata. Non era da lei un comportamento del genere, così si impose di trascinarsi sotto la doccia, sperando vivamente che quest’ultima la facesse rinvenire un po’. Impostò il rubinetto sull’acqua fredda e non appena la sentì sulla pelle e sul viso ancora intriso di lacrime, si strinse nelle braccia come a volersi sostenere in completa solitudine.
Per la prima, vera volta in vita sua si sentì così.
Completamente da sola.


Quando Sonoko quella mattina vide arrivare Shinichi zoppicando con il viso tirato in una smorfia sigillata perfettamente dietro due occhi spenti, subito non capì cosa non andasse. Almeno, finché non vide arrivare Ran dopo un bel po’, quasi in ritardo, con gli occhi gonfi e l’espressione vuota. La vide avanzare a testa basta verso il suo posto, senza rivolgere la parola a nessuno. Non si voltò neppure quando Shinichi le lanciò un’occhiata veloce, continuando a fissare i libri che stava prendendo dentro la cartella. La tensione che calò quando entrambi furono in classe, era così palpabile che presto tutti se ne accorsero, cominciando a zittirsi. Preferirono tutti tacere di fronte a loro due così, iniziando a chiedersi cosa fosse successo. Ma nessuno fu più preoccupato di Sonoko, la quale continuò a fissarli alternatamente per l’intera mattinata. Pensò presto che fosse successo qualcosa di grave, perché non li aveva mai visti così.
Un po’ esasperata dai due, quasi le venne mal di testa da quanto ragionò su cosa potesse essere successo. Possibile che ogni mattina ci fosse qualcosa che non andasse? Non potevano entrare mano nella mano come qualsiasi altra coppia normale di quella terra?
Evidentemente no.
Quella mattinata fu così lunga che per poco non riuscì a trattenersi dal balzare in piedi e urlare cosa diavolo stesse succedendo. Ma, inaspettatamente, resistette fino al suono dell’ultima campana. Velocemente si alzò e fece per avvicinarsi alla sua amica, ma qualcuno fu più rapido di lei.
Frastornata vide Shinichi arrancare fra i banchi in direzione di Ran, continuando a zoppicare probabilmente per la botta presa il giorno prima a calcio. La sua espressione era terribilmente seria, ben lungi dall’aver stampato la sua solita aria sarcastica o spocchiosa. Un brivido le attraversò le schiena, e come lei tutti intorno si ammutolirono quando notarono la scena.
Shinichi mormorò qualcosa all’orecchio di Ran, che anche con tutta la sua concentrazione non riuscì a captare. Tuttavia dovette dire, come al solito, qualcosa di sbagliato, perché vide Ran alzarsi di scatto senza nemmeno rivolgergli uno sguardo, per poi allontanarsi rapidamente fuori dalla classe. Sonoko e il resto della classe si congelarono sul posto, mentre lei scivolava fra i banchi con sguardo basso e chiaramente lucido. Scese così il silenzio collettivo, perfino dopo parecchi secondi dalla sua uscita dalla classe. Ormai completamente sparita dalla loro visti, gli occhi di tutti ricaddero su Shinichi, che erano rimasto fermo dove lei lo aveva lasciato, mentre si sosteneva al banco come meglio poteva, con la gamba dolorante un po’ rialzata da terra. Evidentemente ormai non riusciva davvero più ad appoggiarla, e per una volta Sonoko provò pena per lui. Aveva una tale faccia che capì davvero che fosse successo qualcosa di grave così, ormai appurato che la sua amica fosse ormai troppo lontana per raggiungerla, decise di avvicinarsi a lui. Silenziosamente lo affiancò e si mise a fissarlo, non sapendo bene cosa dirgli. Aveva quasi paura di fare domande, solo per un’eventuale risposta troppo brutta. Ma quando vide sul suo viso una smorfia dolorante quando poggiò il piede a terra, trovò finalmente il modo di attaccare bottone.
« Ho una proposta », disse non del tutto convinta. Shinichi si accorse finalmente di lei, per poi alzare gli occhi al cielo.
« Sonoko, davver- ».
« Io ti aiuto a tornare a casa », lo interruppe rapidamente. « E nel frattempo tu mi dici che diavolo è successo ».
Si zittì in attesa, mentre il ragazzo di fronte a lei la fulminava.
« Non ho bisogno di aiuto », borbottò sostenendosi ad un banco di distanza per fare un passo verso il suo posto, capendo da solo di quanto l’ultima frase fosse ridicola. Il nervo gli faceva così male che non riusciva davvero a stare in piedi, probabilmente per tutto lo sforzo fatto quella mattina. Tuttavia era ben lungi dall’abbassarsi dal chiedere sostegno a Sonoko, preferendo dandosi un’ulteriore spinta per acchiappare la sua cartella.
« Ma davvero? », la voce sarcastica della biondina lo irritò, ma ormai completamente instabile valutò per un secondo se non avesse davvero ragione lei.
Avrebbe di gran lunga preferito appoggiarsi a Ran, ma era abbastanza ovvio come lei non volesse parlargli. Tra le altre cose, con il passo furioso di poco prima, non si sarebbe stupito se si fosse già trovata lontana dall’edificio.
« Puoi aiutarmi senza farmi il terzo grado? », sapeva che era una domanda inutile, ma volle provarci lo stesso. Difatti, Sonoko rise senza allegria, per poi mettersi al suo fianco e prendergli un braccio, per poi passarselo intorno alle spalle.
« Sapevo che eri scemo, ma non pensavo fino a questo punto ».

Shinichi pensò che tutto ciò fosse davvero strano.
Per almeno quattro, validi motivi.
In primo luogo, stava uscendo da scuola zoppicando vistosamente. Un po’ amaramente pensò a tutto ciò che il suo corpo aveva dovuto subire nell’ultimo anno, e si chiese come diavolo poteva ancora essere vivo dopo tutto il dolore subito. Certo, era un semplice nervo infiammato, ma sommato a tutto il resto era un altro punto a sfavore sulla sua ripresa post APTX.
Cercò di tralasciare questo ragionamento, per pensare al motivo numero due: si stava reggendo a Sonoko Suzuki, che stava davvero facendo leva su tutte le sue forze per sostenere il suo peso.
Non gli era mai capitato di essere così vicino ad una ragazza che non fosse Ran, e per un attimo si sentì davvero a disagio, sebbene la presenza di Sonoko in lui non suscitasse alcuna emozione particolare.
Trattenendo il suo sgomento, notò inoltre come quest’ultima fosse stranamente silenziosa. Cosa strana numero tre.
Raramente qualcuno o qualcosa riusciva a zittirla, ragion per cui era davvero anomalo.
Infine, con suo sommo disappunto, intercettò almeno una decina di occhiatine maliziose e divertite, e pensò che tutti stessero pensando qualcosa di davvero poco lusinghiero su loro due. Insieme.
« Penso di star per vomitare », borbottò Sonoko al suo fianco, mentre sentivano qualcuno alle loro spalle prendergli in giro, chiedendo se ora stessero insieme.
« Forse è meglio se mi stacchi », replicò a disagio Shinichi, ma quando fece per camminare da solo, sentì la gamba cedergli sotto il suo peso. Quando lo vide andare quasi giù, Sonoko sbuffò sonoramente e malamente lo riprese.
« Senti, non posso permetterti di cadere e sbattere la testa », disse stizzita. « Devo sapere cosa è successo, e se muori no lo saprò mai ».
« Ah, grazie », replicò sarcastico lui, vedendo finalmente il cancello oltre di loro. Erano finalmente fuori, senza più occhiate o risolini fastidiosi.
« Ma quanto diavolo pesi? Dovresti metterti a dieta », bofonchiò lei.
Shinichi si zittì per non discutere ulteriormente. Non ne aveva davvero voglia, l’unica cosa che voleva era tornare a casa e pensare al da farsi, e rimediare al gran casino che aveva appena combinato, seppur senza volere. Era ancora in silenzio che pensava ad un eventuale piano, quando Sonoko al suo fianco lo scosse.
« Allora? », esclamò spazientita Sonoko.
« Cosa? », borbottò Shinichi, sapendo benissimo dove volesse andare a parare.
« Devi dirmi cosa è successo, erano questi i patti! ».
« Veramente io non ho accettato niente ».
« Giuro che se non parli ti tiro un calcio su quella maledetta coscia ».
Sapeva bene che poteva farlo. Come aveva già fatto ben altro, nella sua vita.
Come dirgli, nel bel mezzo di una recita scolastica, che avrebbe dovuto afferrare Ran e baciarla.
Davanti a tutti.
O come mandare un messaggio con una foto di Ran e Okita parlare sommessamente, solo per farlo ingelosire e provocare una sua reazione nel bel mezzo della gita scolastica.
Non volle continuare a ricordare ogni singolo momento in cui Sonoko aveva provato il tutto e per tutto per combinare i suoi piani assurdi, per cui prese un respiro profondo. Ragionò un bel po’ prima di prendere parola, per cercare di non apparire eccessivamente nel torto e sorbirsi la sua inevitabile predica.
« Ran sospetta che i suoi genitori stiano per divorziare », cominciò lentamente.
« Cosa?! ».
Improvvisamente non sentì più il sostegno di Sonoko, e per poco non cadde a terra completamente preso in contropiede. Cercò di sostenersi come meglio poté sulla gamba sana, e dopo un po’ ringraziò che Sonoko si accorse del suo disagio e lo acchiappò per un braccio.
« Ma cosa stai dicendo?! », esclamò nuovamente, visibilmente scossa.
« Me lo ha detto stamattina », provò a spiegarsi, ma lei non gli diede ulteriore tempo per continuare.
« E perché ce l’ha con te? », domandò a bruciapelo, nella confusione più totale.
« Perché stamattina, quando me lo ha detto, sono stato… come dire… ».
Una merda.
« … forse un po’ freddo, ecco », borbottò distogliendo lo sguardo.
« … freddo? », ripeté lei, iniziando a fissarlo male.
« Forse si aspettava altro da me, ma il fatto è che non sap- ».
« Mi stai dicendo », lo interruppe lei scuotendolo per quello stesso braccio con cui lo stava reggendo.
« Che lei ti ha detto che i suoi vogliono divorziare, e tu non hai fatto niente per confortarla? » rincarò la dose, iniziando a mettere insieme i pezzi.
« E’ più complicato di così! », replicò Shinichi messo alle strette.
« Ma davvero? », lo canzonò lei.
« Non c’era nulla da consolare! », sbottò lui arrossendo, visibilmente a disagio.
« Il divorzio dei suoi genitori non era un buon motivo per consolarla?! », insistette spazientita.
« I suoi genitori non stanno per divorziare », esplose infine, zittendola.
Sonoko sgranò gli occhi, rimanendo per un attimo senza parole. Provò dopo un po’ ad aprire la bocca, ma non riuscì a formulare nessuna frase di senso compiuto.
« Lei lo ha immaginato, ma probabilmente sabato Kogoro ed Eri le diranno che vogliono tornare insieme », concluse Shinichi, con voce più bassa rispetto a prima. Si passò la mano libera dalla sua stretta sul viso, cercando di controllarsi. Si rese conto di aver avuto una reazione esagerata poco prima, quindi volle a tutti i costi riacquistare una parvenza di calma.
« Tornare insieme? », ripeté Sonoko sorpresa. Lui annuì stancamente.
« Sì. Lo sospettavo da un po’ », riprese. Si sentiva stravolto, sia fisicamente che interiormente.
« So di per certo che quel week-end che lui ha detto di essere stato via per lavoro, in realtà era con Eri », concluse.
Sonoko arrossì lievemente al pensiero di loro due insieme, ma cercò di non farci caso. La sua testa ora era piena di informazioni discordanti, e faceva fatica a rimettere a posto tutti i pezzi di quella situazione irreale.
« Ma perché non glielo hai detto? », domandò infine, innervosita.
« E cosa le dicevo?  », la voce di Shinichi si alzò di nuovo, e perse nuovamente la pazienza.
« Loro dopotutto, se glielo stavano nascondendo, dovevano avere un buon motivo… e se questo fosse perché non era una cosa seria? », sbuffò. « E se glielo avessi detto e lei si fosse illusa? L’avrei rivista piangere, esattamente come quando avevamo cinque anni! ».
Prese una pausa, imponendosi di calmarsi. Gli stava venendo un mal di testa tremendo, così si massaggiò bruscamente le tempie.
« Sai bene quanto ha sofferto Ran quando si sono separati », ricominciò ad occhi chiusi e con quel mal di testa martellante nella testa.
« E pensi davvero che avrei voluto rivederla illudersi per poi stare di nuovo male? », concluse, ormai totalmente disorientato.
Fra di loro scese un silenzio strano, rotto solo dal suo respiro accelerato e dall’incredulità dipinto sul volto di Sonoko.
« Ma… ma dovevi dirglielo! Insomma, avete litigato per questo malinteso! », sbottò sotto shock, iniziando a gesticolare frenetica.
« Sì, certo », fece una smorfia lui. « Come se me ne avesse dato il tempo. E comunque, come ti ho già detto, devono dirglielo loro. Non posso rovinare questo momento, lo sta aspettando da tutta la vita, e dovrebbe sentirlo dai suoi genitori, come è giusto che sia ».
Sonoko rimase senza parole, fissando il ragazzo che aveva di fronte.
Raramente si era ritrovata dalla sua parte, se non in due rare occasioni.
Una era stata quando Ran le aveva raccontato di come lui si fosse dichiarato a Londra, sotto il Big Ben. E quando le aveva domandato la sua risposta, e lei aveva rivelato di non aver risposto niente, si era ritrovata a provare quasi tenerezza per lui.
Lei non aveva risposto. Ma si poteva essere più ridicoli di così?
Il ragazzo che ti piace si dichiara, e tu che fai? Lo lasci lì, in piedi, senza pronunciare parola.
Sì, Shinichi in quel momento le aveva fatto pena. E per la prima volta si era ritrovata dalla sua parte.
La seconda volta era in quel preciso momento, e mentre lo fissava e notava il suo sguardo da cane bastonato, si domandò se in fondo non lo prendesse eccessivamente in giro.
Era un fanatico, certo.
Aveva mille difetti, e spesso non lo sopportava.
Ma non poteva negare a se stessa quanto tenesse davvero a Ran, e quella ne era la prova. Era rimasto zitto, non aveva nemmeno provato a difendersi per evitare quella litigata, solo per non dirle una verità che, sapeva, era giusto essere rivelata da altri. Si ritrovò a dargli fondamentalmente ragione, ma ciò non migliorava la situazione.
Pensò a come dovesse sentirsi in quel momento Ran, delusa sia da lui, sia dai suoi genitori. Il suo cuore saltò un battito, provando davvero dispiacere per lei.
« Cosa facciamo ora? », chiese piano. Lo vide alzare le spalle, mentre tornava ad appoggiarsi un po’ meglio a lei.
« Aspettiamo », sospirò. « In ogni caso, non ho la certezza assoluta, quindi non mi oso nemmeno dirle nulla prima di loro », sentenziò riprendendo a camminare.
« Ma così rimarrete in lite per giorni! », contestò Sonoko.
« Proverò a parlarle, ma dubito ne abbia davvero voglia », fece una smorfia. « Prima in classe glielo ho chiesto, ma non mi ha nemmeno risposto ».
« Lasciala sbollire, magari domani con calma vorrà », abbozzò un sorriso incerto Sonoko, guardandolo di sottecchi.
« Non so », ammise lui. « Per lei è un argomento delicato, e penso davvero di essere sembrato un insensibile, oggi ».
« Ma non potevi fingere? », chiese lei improvvisamente. « Far finta di niente e consolarla ».
Lui la guardò con uno sguardo indecifrabile, che la lasciò interdetta.
« No », disse dopo un po’, con voce sommessa.
No.
Niente più bugie.

Fecero il restante tragitto immersi nel più totale silenzio e quando infine giunsero davanti al cancello di casa sua, Sonoko lo salutò con un cenno un po’ triste del capo. Shinichi la ringraziò piano, per poi trascinarsi dentro con la sola voglia di farsi una doccia calda. Pensò anche di dare un’occhiata alla coscia, e magari cambiare la fasciatura. Andare da un medico era completamente fuori discussione, non ne aveva davvero voglia, perciò si illuse che sarebbe bastato passarsi ancora un po’ di crema per alleviare il dolore. Maledicendo tutti i gradini che lo separavano dal piano superiore, arrancò su lanciando un’occhiata veloce al telefonino.
Ancora nessuno messaggio.
Non che se lo aspettasse. Con un sospirò lo ripose malamente nella tasca dei pantaloni, pensando nuovamente a quel malinteso con Ran. Solitamente in passato, ogni qualvolta avesse detto o fatto qualcosa di sbagliato,  era sempre bastato gironzolarle un po’ intorno per calmarla e far tornare tutto come prima. Eppure quella mattina le era parsa davvero sconvolta, e non così propensa a seppellire l’ascia di guerra. Sicuramente il fatto che il discorso fosse così grave per lei non aveva aiutato, e ripensandoci avrebbe potuto perlomeno dire qualcosa di meno stupido. Era ancora convinto di aver fatto bene a non mentirle, ma forse ribatterle in quel modo ai suoi occhi doveva essere sembrato davvero offensivo. Quando fece l’ultimo scalino si maledisse interiormente per essere sempre così maledettamente impacciato nelle relazioni con gli altri, e si chiese se davvero la sua vita non ruotasse davvero troppo intorno a gente assassinata o rea di aver commesso reati. Forse nella sua crescita si era perso qualcosa, e mentre era intento a leggere libri su libri, gli altri avevano sviluppato un’empatia a lui del tutto sconosciuta.
Aprì la porta del bagno con una spallata spazientita, mentre la rabbia per come si era comportato cominciava a bruciargli lo stomaco.
Distrattamente si tolse la cravatta, e sovrappensiero iniziò a sbottonarsi la camicia.
Avrei potuto evitare di prenderla per stupida. Almeno quello!
Quella non era stata davvero una buona mossa. Così come smontare qualsiasi sua teoria.
Adesso che le dico?
Buttò la camicia a terra senza curarsene troppo, e ben presto la seguirono i pantaloni. Sedendosi lì a fianco, cominciò a togliere la fasciatura che Ran il giorno prima gli aveva fatto con così tanta cura, e al pensiero avvampò un poco. E dire che appena ventiquattro ore prima lo aveva medicato, e guardato con uno sguardo davvero abbastanza chiaro. Solo un idiota non ci avrebbe letto di tutto, in quei suoi occhi, e in quel momento non seppe davvero dirsi quanto avrebbe voluto tornare indietro solo per rivederla così vicina a lui.
Ad interrompere questi suoi pensieri contorni fu ciò che vide una volta tolta la fasciatura. Un po’ sgomento notò un grande livido e anche un po’ di gonfiore, laddove il nervo gli pulsava così tanto. Si annotò mentalmente di mettersi quella dannata pomata una volta finita la doccia, per poi alzarsi in piedi traballando un poco. Si infilò nella doccia, aprì l’acqua e iniziò a lavarsi pigramente.
Finchè, pochi minuti dopo, non trasalì.
Sentì chiaramente il campanello di casa rimbombare fin lì, e immediatamente chiuse il rubinetto, rimanendo immobile. Dapprima pensò di aver sentito male, ma quando questo suonò di nuovo non ebbe più dubbi. Frettolosamente aprì la doccia, acchiappò il primo asciugamano che trovò e se lo mise in vita.
Chi altro avrebbe potuto venirlo a trovare?
Assolutamente nessuno.
Doveva essere lei. Per forza.
Mise da parte in un angolo del cervello il fatto che lei possedesse le chiavi di casa sua, attribuendo questa incongruenza col fatto che forse, dopo quella mattina, non si osava entrare senza avvertirlo. Illudendosi ancora di più, scese le scale speranzoso, non avvertendo nemmeno il dolore alla  coscia ad ogni scalino.
Non seppe come si ritrovò ben presto davanti al portone e, senza nemmeno controllare, certo della propria deduzione, aprì il cancello e poco dopo la porta.
« Ma sei nudo?! ».
Shinichi sobbalzò quando, dal cancello in fondo al vialetto, non vide affatto entrare Ran, bensì qualcun altro.
« Mamma?! », esclamò raggelando, e di istinto indietreggiò.
« Shin-chan, ma ti pare aprire la porta così?! », continuò lei trascinando la sua valigia, sotto un cappello abbastanza vistoso e un paio di grandi occhiali scuri.
Rimase così sconvolto che non si premurò nemmeno di ribattere, piuttosto arretrò ancora per ripararsi dalla vista di quest’ultima, che nel frattempo aveva tirato un sospiro di sollievo quando aveva intravisto l’asciugamano stretto malamente in vita.
« Scusami, Shin-chan », continuò senza notare l’evidente disagio del figlio, entrando finalmente in casa e chiudendosi la porta alle spalle.
« Ma tuo padre è passato a salutare il dottor Agasa, e ho lasciato le chiavi a lui », si giustificò.
« N-non fa niente », borbottò Shinichi, e fece per ritornare di sopra abbastanza in fretta per evitare un possibile interrogatorio sul perché fosse corso alla porta in quello stato. Tuttavia, quando fece per fare il primo scalino, si voltò riprendendo un po’ di lucidità.
« Ma perché siete qui?! », esclamò sorpreso, mentre sua madre riponeva gli occhiali nella borsa e gli rivolgeva uno sguardo un po’ offeso.
« Tu, piuttosto », lo fissò da capo a piedi. « Chi stavi aspettando, per correre in questo modo alla porta? ».
Ecco.
Come previsto, Shinichi avvampò vistosamente e arrancando iniziò a salire le scale.
« Nessuno », borbottò, ma facendo così attirò solo ulteriormente l’interesse di sua madre, che vedendolo zoppicare e scorgendo il livido appena sotto l’asciugamano, si fece avanti preoccupata.
« Si può sapere che hai fatto? », esclamò preoccupata, avanzando verso di lui.
« Niente, mamma, davvero. Mi sono fatto male giocando a calcio, lasciami tornare su… fa freddo ».
Apparentemente quella scusa resse, perché Yukiko lo guardò un po’ imbronciata ma si zittì. Lo vide salire le scale incerto, trovandolo realmente molto strano.
Alzò le spalle, cosciente che avrebbero avuto tutta la sera per parlare o, più probabilmente, per strappargli di bocca le ultime novità.

Quando tornò sotto la doccia, Shinichi pensò che le cose non potessero davvero andare peggio di così.
Aveva litigato con Ran, aveva una gamba fuori gioco, e come se non bastasse i suoi genitori avevano avuto la geniale idea di fargli una sorpresa.
Non aveva davvero voglia di sorbirsi un qualche discorso imbarazzante di sua madre, men che meno gli sguardi allusivi di suo padre al quale, come sempre, non sarebbe sfuggito nulla del suo stato attuale. A volte gli dava davvero fastidio non potergli mai nascondere niente, e considerando la quantità di cose successe ultimamente, si chiese se sarebbe riuscito a celare qualcosa a Yusaku Kudo.
Con orrore ripensò a quando Ran aveva dormito lì, e si congelò sul posto.
Si era ripresa tutto? Il pigiama, le sue cose, perfino quei suoi elastici per capelli che lasciava ovunque?
Iniziò a pensare velocemente sotto il getto d’acqua, per il semplice fatto che suo padre, trovati ben pochi indizi, avrebbe subito fatto due più due. Sua madre non sarebbe stata da meno, e pensare di doversi sorbire le sue battutine dopo ciò che era accaduto quella mattina, lo fece innervosire al solo pensiero. Sbuffando sonoramente uscì in fretta dalla doccia, e si asciugò malamente. Avvertì chiaramente le goccioline dei capelli ancora fradici far capolino sulla maglia pulita che si mise, e l’idea di medicarsi la coscia passò velocemente in secondo piano.
Ragiona, cosa si è portata questo week-end?
Abbastanza agitato si guardò intorno, e sentì un brivido quando adocchiò uno spazzolino rosa sul mobile al suo fianco. Ci si buttò sopra, prendendolo così velocemente che per poco non rovesciò il barattolo che lo conteneva, e se lo mise in tasca.
Con lo stomaco che faceva una capriola all’indietro ripensò a quando lei gli aveva chiesto se avesse potuto lasciarlo lì, per le volte in cui magari si sarebbe fermata a dormire. Si ricordò bene della sua faccia bordeaux mentre glielo chiedeva, mentre si fissava i piedi dondolandosi su di essi. Era così carina che non riuscì davvero a dirle di no, e non provare uno strano piacere quando comprese appieno il significato di quello stupido spazzolino.
Lei avrebbe dormito ancora da lui. Era questo il significato intrinseco in quell’innocuo oggetto che ora teneva in tasca. Sorrise amaramente, pensando che appena due giorni prima quello stesso spazzolino avesse provocato in lui una sensazione così forte.
Uno spazzolino.
Sbuffando e sentendosi un po’ accaldato, uscì poi di scatto dal bagno, e si diresse in camera sua. Spalancò la porta, guardandosi presto in giro alla ricerca di qualcosa fuori posto.
All’apparenza gli sembrò tutto in ordine, e calmandosi si ricordò di come perfino le cose del gatto le avesse portate lui a casa sua.
Un attimo.
Il gatto!
Quel dannato gatto che aveva fatto delle corse chilometriche per tutta casa, annusando, mordicchiando, e graffiando qualsiasi cosa gli capitasse a tiro.
Si portò una mano al viso, esasperato. Non poteva davvero mettersi ad aspirare tutta casa sperando di togliere eventuali peli. E forse, stava diventando perfino ridicolo. E paranoico.
Pensa a cose evidenti, dannazione!

Un po’ riluttante scese al piano inferiore, e cercando di non far rumore, si mise a sbirciare in giro. Con sollievo non incontrò sua madre durante questa ricerca abbastanza bizzarra, e quando alla fine si mise a quattro gambe per sbirciare sotto il divano del salotto, pensò un po’ sconvolto che sembrava un criminale intento a nascondere le prove di un delitto.
Mai tornare sulla scena del crimine.
Era la prima regola. Ma non se ne curò troppo, preferendo guardarsi ancora meglio intorno. Constatò come tutto fosse normale, e tirò un sospiro di sollievo.
Forse era salvo.
« … tutto ok? ».
La voce di suo padre lo congelò mentre si trovava ancora a terra, intento a scrutare scrupolosamente il tavolino del salotto. Fin troppo velocemente saltò in piedi, ma quando si resse sopra la gamba sbagliata gemette piano, portandosi una mano alla coscia. Riluttante si voltò, per incontrare l’espressione un po’ stupita di Yusaku Kudo, che stava cercando di dare un senso a ciò a cui aveva appena assistito.
« Sì! », annuì Shinichi deciso, abbozzando un sorriso storto. « E’ che pensavo di aver visto… qualcosa ».
Yusaku alzò un sopraciglio, mentre teneva ancora in mano il caffè fumante che si era appena preparato. C’era qualcosa in suo figlio che non lo convinceva per niente, ma preferì lasciar perdere.
« Tua madre voleva cenare fuori », gli spiegò, tornando in cucina con noncuranza.
Shinichi alzò gli occhi al cielo, seguendolo pigramente.
« Come mai questa sorpresa? », non voleva apparire scocciato, ma la voce che gli uscì di bocca sottolineava tutto il suo disappunto. Yusaku lo riguardò di tralice, iniziando a mettere insieme i primi pezzi.
« Abbiamo interrotto qualcosa? », domandò sorridendo placidamente. Shinichi trasalì e, arrossendo un po’, distolse lo sguardo.
Sì. Decisamente avevano rovinato qualcosa.
« Semplicemente non pensavo che tornaste, tutto qui », bofonchiò suo figlio sedendosi con una smorfia sullo sgabello lì vicino.
« Dovevo solo recuperare dei documenti, abbiamo già il ritorno organizzato per domenica pomeriggio », spiegò tranquillamente Yusaku. « Tu piuttosto, cosa hai fatto alla gamba? ».
« A calcio. Non ho visto l’altro giocatore e l’ho investito ».
La sua risposta fu così sincera, così semplice, che suo padre nuovamente lo guardò un po’ stralunato. Davanti a lui Shinichi si era portato il viso alla mano, sorreggendolo con un’espressione pensierosa.
Si trattenne dal ridere, per il semplice fatto che c’era sicuramente molto altro sotto che il ragazzo di fronte a lui non gli stava dicendo. E, conoscendolo, sapeva bene che solo dopo un accurato quanto snervante interrogatorio di sua moglie sarebbe riuscito a cavargli qualche risposta. Era solo questione di tempo.
Difatti non fece in tempo ad aggiungere altro che Yukiko apparve con un grosso sorriso, dirigendosi verso Shinichi e tirandogli una guancia facendolo sussultare.
« Quanto mi è mancato pizzicarti! », esclamò suscitando il suo fastidio.
« Mamma dai », borbottò lui, portandosi una mano alla guancia arrossata.
« Ma cosa ci fai in tuta », lo guardò scocciata, portandosi le mani alla vita. « Va a cambiarti, andiamo fuori a cena! ».
Shinichi alzò vistosamente gli occhi al cielo, chiedendosi cosa avesse fatto di male quel giorno. Avvertendo il suo fastidio, Yusaku provò ad aiutarlo, prima che sua madre iniziasse a tampinarlo. Talvolta, risultava davvero snervante.
« Si è fatto male a calcio », le spiegò piano. « Forse è meglio rimanere a casa », buttò lì.
Shinichi lo guardò con somma gratitudine, ma Yukiko non era certo tipo da arrendersi così facilmente. Mise su l’espressione più imbronciata che conoscesse, per poi sbuffare.
« Deve solo salire in auto e sedersi a tavola », contestò. « Dai Shin-chan, dillo anche a Ran! ».
Si giocò la carta della sua ragazza, certa che quest’ultima avrebbe convinto quel suo figlio davvero poco collaborativo e decisamente troppo solitario. Tuttavia, quando pronunciò il suo nome, Shinichi si rabbuiò un poco, e si mise a fissare un punto lontano della cucina.
Scese un silenzio strano fra di loro, e ben presto Yusaku capì il perché di quel suo comportamento così strano.
Non ci voleva un genio per capire che avessero litigato, o semplicemente qualcosa non andasse. Ragion per cui lanciò un’occhiata a sua moglie, che come lui era rimasta un po’ di sasso. Non sapendo bene come uscire da quella tensione, si schiarì la voce e posò infine la tazza sul bancone. Cercò di parlare prima che Yukiko potesse iniziare i suoi interrogatori, ma proprio mentre faceva per aprir bocca, con orrore lei lo precedette.
« Avete litigato? ».
Ecco, appunto.
« Mamma, per favore », Shinichi si alzò di botto, e zoppicando fece per andarsene.
« Cosa è successo? La hai fatta arrabbiare? », il tono di Yukiko divenne sospettoso, mentre affiancava suo figlio con espressione grave.
« Perché deve essere sottointeso che sia colpa mia?! ».
« Ah… è colpa sua? ».
Shinichi si zittì, fissandola in cagnesco.
« Ecco, appunto. E’ colpa tua! », ripeté Yukiko, per poi prenderlo per un braccio notando la sua fatica nel camminare.
« Non ne voglio parlare! ».
Yusaku scosse la testa, provando assoluta pena per suo figlio. Probabilmente quell’interrogatorio sarebbe andato avanti per tutto il tragitto fino in camera sua, dove infine lei si sarebbe chiusa dentro e lo avrebbe esaurito fino allo sfinimento.
Si girò sospirando, e si diresse verso l’armadio alla sue spalle. Ripose distrattamente la scatola di caffè che aveva preso in precedenza, finché qualcosa non attirò la sua attenzione. Lentamente acchiappò la causa del suo interesse, e se lo portò davanti al naso.
Una bustina di the allo zenzero?
Da che avesse memoria, né sua moglie, né suo figlio avevano avuto mai avuto nelle preferenze quel simile gusto. In più non c’era alcuna scatola, c’era solo quella bustina singola, come se qualcuno se la fosse portata da casa.
In più Shinichi non era davvero tipo da prepararsi il the, ragion per cui dubitava che sarebbe riuscito a finirsi un’intera scatola.
No, qualcuno doveva averla lasciata lì, per fare colazione magari.
Qualcuno.
Sorrise sotto i baffi, e senza pronunciare parola ripose la bustina al suo posto. Dopotutto, come tutte le liti, sarebbe tornata la pace. E, forse, a Ran avrebbe fatto piacere prepararsi colazione con quel suo, particolare the…

 

***


Quando quel mercoledì mattina suonò la sveglia, Ran avrebbe voluto volentieri spegnerla e far finta di niente. Per qualche minuto lo fece, rigirandosi nelle coperte e sistemandosi un po’ meglio.
Aveva dormito davvero poco quella notte, e quando alla fine si era addormentata erano almeno le tre e mezza. Ecco perché in quel momento si sentisse così esausta e per nulla riposata, e sicuramente il pensiero di andare a scuola non migliorava la situazione.
L’idea di rivedere Shinichi e affrontarlo la rendeva così nervosa che aveva passato gran parte della notte a torturarsi le mani e sentire un peso incontrollabile alla base dello stomaco, che anche in quel momento pareva soffocarle il respiro ad ogni movimento. Rimase nel letto ancora un po’, per poi sbuffare e spostare le coperte con un calcio frustrato. Non aveva scuse per non andare a scuola, e non aveva mai saltato un giorno in vita sua. La sua coscienza era troppo forte, e per un attimo la maledisse quando constatò come si sentisse già in colpa al pensiero di non presentarsi quel giorno. Così si impose di alzarsi, e distrattamente lanciò un’occhiata al suo cellulare sul comodino.
Un po’ titubante lo prese in mano, e come un automa si diresse nella cartella dei messaggi ricevuti. Con una smorfia adocchiò l’ultimo messaggio ricevuto appena la sera prima, e lo rilesse per l’ennesima volta.
Domani vorrai parlarmi?
Avrebbe tanto voluto scrivergli no, ma si limitò ad non rispondergli nemmeno. Con stizza buttò il telefono sul letto, e si diresse velocemente in bagno. Non sapeva nemmeno lei di quella sua reazione così esagerata nei suoi confronti, e si stupì di provare ancora così tanta delusione per la discussione della mattina prima.
Solitamente, anche durante le liti più pronunciate, bastava mezza giornata e ogni traccia di rabbia svaniva, e tornavano ad essere i soliti amici di sempre. Eppure, a distanza di un giorno ormai, ancora avvertiva la collera alla base dello stomaco, e si trovava a disagio perfino lei nel provare una simile sensazione.
Stranita pensò che non si era sentita così nemmeno quando aveva scoperto la verità su Conan, e provò per l’ennesima volta in poche ora a capire il perché.
Pensierosa aprì il getto d’acqua nella doccia, iniziando ad insaponarsi i capelli.
Le tornò così in mente l’espressione indifferente di Shinichi, mentre lei gli apriva il suo cuore e la sua tristezza, e di istinto irrigidì tutti i muscoli del suo corpo.
La verità era che le aveva fatto davvero male, quel suo comportamento. Specialmente perché lei c’era sempre stata, per lui.
Sempre.
Lo aveva perdonato, supportato, cercato di giustificarlo perfino nei momenti in cui era difficile anche solo scusarlo per un terzo di ciò che aveva fatto alle sue spalle. Aveva sempre cercato di essere forte, mandare giù le delusione, sempre e solo perché il pensiero di perderlo era così attanagliante che al solo immaginarlo le mancava il respiro.
E, quando infine aveva avuto bisogno di lui, Shinichi si era messo a prenderla in giro.
Forse il suo era semplicemente questo. Un accumulo di cose non dette, delusioni sopperite per troppo tempo.
L’amore è zero.
Forse la regina del tennis aveva ragione. Amaramente ripensò ai suoi genitori, a tutti quegli anni passati a litigare, vivere separati… a tutti i suoi impegni per riavvicinarli senza, ovviamente, aver successo. Forse era davvero questo l’amore: per quanto ti sforzi, il risultato è davvero sempre una sconfitta.
Mandò giù l’impellente voglia di piangere, per il semplice fatto che ormai aveva gli occhi così gonfi che le dolevano.
Concluse quella doccia velocemente, giusto per non rimanere inerte lì a pensare ancora, e ancora.
Oltre tutti i problemi che in pochi giorni erano affiorati, dopo il litigio con Shinichi e le preoccupazioni, era almeno dal pomeriggio prima che sentiva anche questo: il senso di colpa.
Aveva esagerato, con lui? Se la stava prendendo troppo?
Odiava il pensiero di essere passata per esaltata ai suoi occhi, e di non stargli parlando forse per aver frainteso le sue parole o i suoi gesti. Dopotutto, per quanto fosse cambiato, non era certo la persona più estroversa del mondo, e forse lo aveva preso così in contropiede da lasciarlo senza parole.
Però… però…
Davvero faticava a giustificarlo ancora. Avrebbe semplicemente potuto abbracciarla, darle una pacca sulla spalla, sarebbe bastato davvero poco. E invece, niente.
Scuotendo la testa iniziò ad asciugarsi frettolosamente i capelli, guardandosi infine allo specchio.
Trasalì quando notò quelle occhiaie così marcate, gli occhi gonfi e rossi, e il viso pallido. Distolse lo sguardo solo per non vedersi ancora ridotta così, e si spazzolò i capelli con fin troppa foga.
Si mise così a fissare il barattolo con il suo spazzolino, e dopo un po’ si rese conto di cosa ci fosse davvero all’interno.
Tre spazzolini.
Uno rosa, uno blu e uno piccolo verde.
Serrò la mascella, mentre quello spazzolino faceva capolino nei suoi ricordi.
Conan.
Non sapeva nemmeno lei il perché, ma non lo aveva ancora buttato. E così eccolo lì, e immediatamente nella sua testa tornarono i mente diverse immagini.
Loro due, mentre la sera si lavavano i denti.
Loro due, quel giorno in cui si presentò con due pigiama in tinta e, ridendo, glielo porse.
Loro due, in quel bagno.
Avvampò al ricordo di tutti quei dannati bagni con Conan, sentendosi improvvisamente a disagio.
Ci siamo lavati la schiena a vicenda, vero Conan-kun?
Perché? Perché ora le tornavano in mente tutti quei momenti imbarazzanti? Li aveva seppelliti in un angolo del suo cervello, convinta di esserci passata sopra e averli perfino dimenticati. Ma in quel momento, in collera con Shinichi, e delusa da lui, ebbe nuovamente l’irrefrenabile voglia di rinfacciargli tutto, solo per farlo sentire come lui aveva fatto sentire lei la mattina prima.
Sbagliata.
Stupida.
Delusa.
Non era da lei, no che non lo era. Non era mai stata una persona così, ma ormai sentiva la terra cederle sotto i piedi. Quando aveva scoperto la verità non aveva realmente avuto tempo di sentirsi così troppo male, per il semplice susseguirsi di avvenimenti che l’avevano inevitabilmente portata a concentrarsi su di essi. L’ospedale, il coma, l’Organizzazione.
Era troppo presa da altro, per avere troppo tempo per arrabbiarsi con lui. E infine, quando si era risvegliato, era stata troppo felice per aver davvero voglia di alzare un polverone.
Spense con un sospiro scocciato il phone, e non si preoccupò nemmeno di aver ancora metà capelli fradici. Si mise la divisa con movimenti frenetici e infine uscì dal bagno, dirigendosi in cucina.
Non aveva davvero fame, per cui appoggiò le mani sul tavolo e si sostenne ad esso chiudendo gli occhi.
Era ancora in quella posizione pensierosa, quando trasalì presa in contropiede.
Qualcuno aveva appena suonato alla sua porta.
No, per favore.
Si portò una mano alla fronte, cercando di calmarsi.
Perché sei venuto qui.
Provò a far finta di niente, sperando che colui dall’altra parte della porta si arrendesse e se ne andasse. Tuttavia non accadde, e nuovamente il campanello rimbombò in casa.
Non riesco ad affrontarti ora.
I suoi piedi camminarono automaticamente verso la porta, mentre si imponeva una calma che non riusciva a realmente a trovare.
Rischierei di dirti cose che non penso.
L’ennesimo squillo la obbligò a mettere la mano sulla maniglia, e girarla.
Trattenendo il respiro aprì la porta, per trovarsi davanti a lei colui che stava accuratamente evitando dal giorno prima. Alto, con sguardo spazientito, così bello che le tremarono le gambe ma anche così scuro in viso da renderla nervosa.
« Non rispondi neanche più ai messaggi, ora? ».
Ran fece una smorfia improvvisa, rimanendo in piedi di fronte a lui. Meno di qualche settimana prima era stata lei stessa a pronunciare quella frase, sgridandolo per aver deliberatamente ignorato Ayumi. Perciò rimbeccarsi lo stesso rimprovero le diede abbastanza fastidio.
« Dormivo », alzò le spalle, guardandolo con sguardo di sfida.
« Non si direbbe », commentò indicando il suo viso e le sue profonde occhiaie.
« Cosa vuoi? », lo interruppe Ran sospirando, e sperando vivamente che se ne andasse in fretta. Sentiva ancora dentro di sé tutta la rabbia repressa attanagliarle lo stomaco, e aveva come il tremendo sospetto che non sarebbe stata in grado di contenerla ancora per molto.
« Parlarti », replicò lui subito, facendo un passo verso di lei. « Posso? », domandò ironico, quando vide che lei non si spostava per lasciarlo passare.
« C’è mio padre », mentì Ran, nervosa.
« Ma davvero? », borbottò Shinichi, guardandola male. Lei sostenne il suo sguardo con decisione, come per avvalorare la frottola appena pronunciata.
« … Niente bugie dovrebbe valere anche per te, sai? ».
Al suono di quella frase, Ran  vide nero.
Non doveva dirle una cosa del genere. No.
E, senza davvero poterci fare niente, tutta la sua rabbia le esplose dentro.
« Pensi davvero di essere nella posizione di potermi dire una cosa del genere? », le parole le uscirono così acide che per poco non riconobbe nemmeno la sua voce.
« No, dico solo che tuo padre non è in casa, e tu non hai nemmeno voglia di ascoltarmi », la rimbeccò lui, facendo un ulteriore passo avanti sbattendo un po’ contro di lei. Tuttavia solo così riuscì ad oltrepassare la soglia, e chiudersi infine la porta alle spalle. Cercò di non far caso al fatto che, non appena l’aveva spinta leggermente, lei si era ritratta come colpita da una scossa invisibile. Gli fece male vederla allontanare così da lui, ma preferì seppellire la delusione in fondo al suo cervello.
« Hai ragione! Non ne ho davvero voglia », disse Ran, stringendo i pugni, arretrando ancora un poco verso il salotto. Shinichi la superò facendo finta di niente, per poi posare la sua cartella sul divano. Infine si voltò, rimanendo comunque a distanza, guardandola di sottecchi.
« Ascoltami solo un momento », provò a usare un tono di voce dolce, solo per calmarla un po’. Tuttavia non servì nemmeno questo, perché le provocò solo un ulteriore sguardo di fuoco e un sorriso abbastanza inquietante sul volto.
« Mi spieghi cosa non capisci? », domandò con voce rotta.
Smettila di insistere.
« Non mi sento ancora di parlare con te, perché diavolo non sei capace di darmi un po’ di tempo?! ».
Non voglio dirti quelle cose. Non le penso, non farmi perdere la ragione, ti prego.
« Un po’ di tempo? », ripeté lui sbalordito. « Ran, davvero non capisco perché tu sia così arrabbiata », sbottò infine.
« E’ vero, forse sono stato un po’… freddo, ma davvero non era mia intenzione ».
« Non è mai tua intenzione, vero? ».
Shinichi si ammutolì, mentre Ran abbassava il viso con le spalle curvate.
« Non era tua intenzione lasciarmi sola quel giorno, a Tropical Land », iniziò piano, mentre un brivido gli percorreva la schiena.
« Eppure lo hai fatto ».
Fermati, non continuare.
« Non era nemmeno tua intenzione metterti contro l’Organizzazione criminale più pericolosa del Giappone e, guarda un po’, lo hai fatto ».
« Questo ora cosa c’entra », borbottò Shinichi, provando a dare un senso a quella discussione così paradossale.
« C’entra tutto! », alzò finalmente il volto verso di lui, mentre continuava a stringere convulsamente i pugni lungo i fianchi.
« Ogni volta tu ti giustifichi così, non lo vedi?! », proseguì, mentre le lacrime facevano capolino nei suoi occhi e le appannavano la vista.
« Dici sempre che non lo fai apposta, che “non volevi”, che lo fai per il “mio bene”… e dai per scontato che io debba sempre accettarlo, perdonandoti sempre e comunque! ».
Shinichi ebbe l’irrefrenabile voglia di ribattere, e stava anche per farlo finché, in realtà, non seppe davvero cosa rispondere.
In fondo alla sua testa sentì un campanello d’allarme mandargli un messaggio chiaro, e la prepotente consapevolezza di come lei avesse ragione far capolino nella sua mente. Si sentì pervaso da una sensazione di disagio così profondo che rimase immobile, senza parole, mentre assimilava quella verità sbattuta in faccia con così tanta amarezza. La guardò ammutolito, e notando le sue lacrime, gli venne la nausea.
Ancora lacrime. Per lui.
« Io posso anche continuare a scusarti, Shinichi », aggiunse lei stancamente. « Lo faccio da sempre. Ma se ti chiedo di lasciarmi stare per un giorno, un maledetto giorno! », alzò la voce di un tono.
« Tu perché ti ostini a insistere! ».
Abbassò la testa, sentendosi un emerito idiota. Rimase a fissarsi le scarpe per un po’, non sapendo cosa dire o fare. Avrebbe tanto voluto avvicinarsi a lei, chiederle scusa, e cercare di sistemare le cose. Ebbe per un singolo momento perfino l’intenzione di dirle la verità sui suoi genitori, ma presto decise di rimanere sulla sua posizione.  La consapevolezza che se le avesse detto come stavano le cose avrebbe placato la sua delusione e chiarito un sacco di questioni, gli fece bruciare lo stomaco. Ma non poteva, non poteva davvero.
Con un sospiro la riguardò, pensando di rimanere zitto e avvicinarsi a lei. Ma quando la vide così lontana da lui, non osò muoversi. Aveva paura che per la prima, vera volta lei avrebbe rifiutato qualsiasi suo gesto di affetto. E quella consapevolezza gli fece abbastanza male. Così male che sentì perfino un po’ di irritazione far capolino in lui, quando si ripeteva le sue parole nella testa.
Posso anche continuare a scusarti, Shinichi.
Deglutì, e un moto di offesa lo attanagliò.
Lo faccio da sempre.
E, prima di riuscire a trattenersi, parlò.
« Parli come se non facessi altro che deluderti », disse flebilmente, e la vide sgranare gli occhi.
Ran si morse un labbro, chiudendo gli occhi nella disperata ricerca di un po’ di calma.
Non replicare. Peggioreresti la situazione.
« Forse è così ».
Non seppe davvero ne come, ne quando la sua bocca si mosse. Eppure avvertì in lontananza la sua voce bassa pronunciare quelle esatte parole, e sorpresa da se stessa riaprì gli occhi un po’ sgomenta. Lo fece giusto in tempo per veder attraversare sul viso di Shinichi un’espressione affranta, sorpresa, e perfino sofferente.
Incredibile come ci si possa pentire di tre semplici, piccole parole. Ma nell’esatto momento in cui si rese conto di ciò che aveva appena detto, non riuscì davvero a ragionare ulteriormente. Provò a prendere un po’ d’aria, e cercare di rimediare, ma si ritrovò paralizzata e incapace di emettere alcun suono.
Voleva urlargli che non era così, che non lo pensava davvero. A parlare era stata la rabbia, la delusione, l’incapacità di accettare quella situazione che le ronzava incessantemente in testa da quasi tre giorni. E, come valvola di sfogo, sul suo cammino, aveva intercettato lui, conscia che non sarebbe mai davvero riuscita ad farlo arrabbiare con lei o allontanarlo. Tuttavia dovette ricredersi, quando lo vide ammutolirsi davanti a lei, e fissarla in silenzio. Aveva gli occhi così sgranati e sgomenti che non riuscì ulteriormente a sostenere il suo sguardo, così si ritrovò rapidamente a fissarsi i piedi. Dopo un tempo che le parve infinito, e la testa che era in totale black-out, riuscì infine a riguardarlo timidamente, solo per scoprirlo ancora immobile ma ora con lo sguardo lontano da lei, oltre le sue spalle. Quando si accorse che lo stava fissando, sempre nel più totale silenzio, si voltò per prendere la cartella alle sue spalle e attraversare il salotto verso di lei. Ran rimase ancora immobile, troppo spaventata per poterlo nuovamente affrontare e, quando si accostò a lei per poi superarla, si fermò per un solo secondo oltre la sua spalla. Avvertì come se stesse per dirle qualcosa, ma dopo poco lo sentì allontanarsi nuovamente, forse avendo cambiato repentinamente idea. Dopo poco, sentì la porta di casa aprirsi e richiudersi piano.
Era rimasta di nuovo da sola.

 

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Capitolo 17
*** Scuse ***


WITHOUT WORDS.
scuse.


Doveva immaginarselo, dopotutto.
Gli era parso strano fin dal principio, come Ran gli avesse perdonato l’intera faccenda.
E alla fine, in quel loro primo, serio litigio dopo il suo ritorno, probabilmente tutto era riaffiorato senza poterlo realmente contenere ulteriormente.
Come poteva giudicarla? Non poteva assolutamente.
Però faceva male. Molto, anche.
Sentirle dire quelle cose, vederla così.
Da una parte Shinichi si ritrovò a sperare che non lo ritenesse davvero solo capace di deluderla, considerato specialmente cosa era successo ultimamente fra di loro, e che lo avesse detto solo ed esclusivamente perché in quel momento era fuori di sé. Le era parsa così preoccupata per i suoi genitori e delusa al suo comportamento di quel  martedì mattina, che forse non era più stata capace di controllarsi.
In fin dei conti aveva sopportato così tanto negli ultimi mesi… e certamente quella sua malsana idea sul divorzio dei suoi doveva essere stata la batosta finale che l’aveva fatta crollare definitivamente.
Shinichi deglutì, mantenendo il suo sguardo fisso sul libro davanti a lui.
Tuttavia, in un angolo del suo cervello, l’idea di non essere abbastanza per lei lo stava facendo impazzire.
Stava provando davvero a darle un po’ di spazio, come gli aveva espressamente chiesto mercoledì, e così si era ritrovato a ignorarla quasi totalmente da quell’ultimo litigio. E ormai, essendo venerdì, sperò con tutto se stesso che arrivasse in fretta domenica e finalmente i suoi riuscissero a dirle come stavano le cose. Forse, solo dopo sarebbe stato in grado di farla ragionare un po’. Anche se, ripensò amaramente, a quanto pareva Conan non era davvero solo acqua passata, sebbene così tante volte lei lo avesse rimarcato.
Era stato lo sfogo del momento, o lo pensava davvero?
Batté freneticamente un piede a terra, ben consapevole di averla a soli pochi banca di distanza.
Era già successo negli anni che battibeccassero e non si rivolgessero la parola per qualche giorno, ma solitamente dopo al massimo due lui si avvicinava a lei con una qualche scusa stupida e cercava di calmare le acque. Specialmente perché, nonostante lo nascondesse molto bene, lei era la vera testarda dei due. Tuttavia ormai i giorni erano tre, e io suo sesto senso gli diceva che non sarebbero finita presto, ragion per cui stava davvero facendo una fatica immane per mantenersi indifferente e tranquillo.
Dall’esterno forse poteva sembrare disinteressato, ma dentro avvertiva sempre e comunque un peso alla base dello stomaco che gli aveva impedito perfino di mangiare ai pasti in quei ultimi giorni.
Spesso il suo cervello riesumava vecchie frasi, lontani momenti vissuti insieme, e ad ognuno di loro era come se qualcuno gli tirasse un pugno così forte da fargli mancare il fiato.
Spesso si era ritrovato a pensare a qualcosa e di istinto si era girato verso di lei solo per poterglielo raccontare, ma poi immediatamente si era bloccato, conscio di come stavano le cose. Il fatto era che era così abituato ad averla come parte integrante della sua vita che averla al suo fianco ma ignorarla era davvero assurdo. Perfino quando era Conan lei era sempre lì, e per la prima volta si rese conto di come dovesse essere stato per Ran non averlo al suo fianco.
Si portò una mano alla testa, sorreggendola. In quel momento, di tralice, notò come un suo compagno di classe lo stesse guardando sulle spine e, seccato, si girò un po’ di più per non guardarlo.
Ovviamente la notizia di come si stessero ignorando e di come forse avessero litigato si era sparsa a macchia d’olio, e ora tutti non facevano che parlottare alle loro spalle e fissarli tutto il tempo alla ricerca di qualche indizio.
Shinichi fece una smorfia.
Perfino Sonoko non era riuscita a placare l’umore di Ran che, come le rivelò il pomeriggio prima, le aveva solo detto di star tranquilla e che stava bene.
Le aveva mentito così spudoratamente, forse perché non aveva davvero voglia di spiegarle l’intera, gigantesca faccenda. Come le avrebbe spiegato di quel litigio di mercoledì, e di come aveva rinfacciato a Shinichi di Conan?
Quest’ultimo si paralizzò, e il senso di colpa si accentuò di fronte all’ennesima realtà.
Ecco ancora cosa era stata costretta a fare, per lui. A mentire, perfino alle persone che aveva intorno.
Genitori, amici… solo per coprirlo.
Era stata gettata dentro l’FBI, la CIA, e chissà quante altre squadre speciali mentre lui era fuori gioco.
Come non fosse esplosa prima, non riuscì davvero a spiegarselo, dopotutto.
« Kudo-san, sei fra noi? ».
Shinichi sussultò sulla sedia, e spaesato guardo l’insegnante a poca distanza da lui. Lo stava fissando spazientito, mentre picchiettava nervosamente le dita sul suo libro di algebra.
« Mi scusi », borbottò Shinichi, rendendosi conto di non aver ascoltato nemmeno una parola fino a quel momento. Cercò di concentrarsi solo per non essere ripreso nuovamente, mentre a poca distanza da lui non si accorgeva di come Ran gli stava fissando preoccupata la schiena curva.
Erano tre giorni. Tre giorni dalla prima discussione in realtà, ma non si parlavano come si deve dal lunedì prima. Quindi quattro lunghi, infiniti, giorni.
Ran si morse un labbro, abbassando affranta il viso.
L’aveva fatta grossa, eccome. Shinichi non le rivolgeva parola da quel mercoledì mattina, e non faceva nemmeno il tragitto di casa con lei, nonostante vivessero nella stessa direzione. Ogni giorno a fine lezione la superava senza nemmeno guardarla, e spariva ancora un po’ zoppicando fuori dalla porta. Doveva ancora fargli male la botta di quel lunedì, pensò preoccupata, ma davvero non si osò chiedere. Aveva sperato più di una volta, non appena lo vedeva apparire all’ingresso dell’aula, che lui si voltasse e la salutasse, per poi iniziare e chiacchierare come se niente fosse. Tuttavia non era ancora successo e, ormai attanagliata dai sensi di colpa, aveva evitato anche lei di avvicinarsi per prima, troppo spaventata dal suo comportamento freddo.
C’era rimasto male, glielo si leggeva in faccia. E non aveva davvero il coraggio di affrontarlo e magari litigare nuovamente o, peggio ancora, sentirsi rifiutata. No, finchè non avesse visto da parte sua una qualche segnale, sarebbe rimasta da parte. Forse, in quel momento, aveva bisogno lui dei suoi spazi.
Tuttavia quell’ignorarsi a vicenda le faceva male. Da morire.
Le pareva di essere tornata a mesi prima, quando Shinichi non c’era. Da un giorno all’altro si era ritrovata nuovamente persa in mille dubbi e preoccupazioni, e anche solo raccontargli la sua giornata le mancava tantissimo. Avrebbe tanto voluto raccontargli dei suoi allenamenti con i bambini, o sfogarsi un po’ per la questione dei suoi genitori. E invece, niente.
Gli mancava così tanto. Eppure, se ci pensava ancora bene, si sentiva un po’ ancora delusa da lui e da come si era rivolto a lei quel martedì.
Scosse la testa energicamente, cercando di non pensarci ulteriormente. Dopotutto aveva anche un’altra questione a cui pensare: i suoi genitori.
Mancava ormai poco a quella domenica, e l’idea di quel pranzo ormai le mozzava il respiro. In quegli ultimi giorni aveva evitato accuratamente suo padre, solo per non incrociare il suo sguardo e leggerci dentro quella orrenda verità.
Ancora pensierosa quasi non sentì nemmeno la campanella, ma avvertì all’improvviso un brivido percorrerle la schiena senza apparente motivo. Un po’ confusa si guardò intorno, solo per intercettare due occhi blu fissarla, prima di cambiare rapidamente direzione. Vide così Shinichi sussultare, fino a poco prima intento a guardarla con espressione indecifrabile, e ora invece nuovamente seduto composto a guardare diritto davanti a lui. Incapace di fare alcunché, aspettò pazientemente il cambio d’ora e l’entrata in aula del nuovo insegnante, cercando perfino di non voltarsi verso Sonoko.
Quando aveva indagato sul perché avessero litigato, non aveva avuto davvero voglia di spiegarle l’intera storia. La solo idea di pronunciarla nuovamente ad alta voce le faceva salire la nausea, e comunque non poteva certo menzionare Conan con lei. Per cui l’aveva rassicurata con un sorriso maldestro, e lei non aveva più provato a chiedere. Tuttavia non avevano parlato poi molto in quei giorni, come se lei avesse paura di dire qualcosa di sbagliato.
Sospirò, e infine entrò in classe il professore di letteratura giapponese. Lo vide prendere posizione alla cattedra, e si impose di ascoltare almeno lui.
In tutta la mattinata, non aveva davvero capito alcunché delle lezioni precedenti.

Quando infine suonò l’ultima campanella, sospirò. Finalmente quella settimana era finita, e perlomeno non avrebbe più dovuto sopportare quella tremenda situazione imbarazzante con Shinichi.
Ciò nonostante, quando vide Sonoko iniziare abbastanza svogliatamente a sistemare i banchi e le sedie intorno a lei, raggelò sul posto.
Accidenti.
Era il loro turno di sistemare la classe, il venerdì. Si ricordava bene quando avevano instituito i giri delle varie pulizie del piano, e invece del corridoio o un’altra sala, quel giorno toccava a lei la classe.
A lei, Sonoko, Nakamichi e…
Chiuse gli occhi, maledicendosi. Era ovvio come l’ultimo componente di quel gruppetto non fosse altri che Shinichi, che in quel momento si era avvicinato alla cattedra con passo svogliato, e ora stava iniziando a pulire la lavagna dandole le spalle.  
Sì senti improvvisamente nervosa, e di scatto si alzò in piedi un po’ rossa in viso. Guardò Sonoko, solo per affiancarla velocemente e aiutarla ben distante da dove stava pulendo Shinichi.
« Che noia », sospirò affranto Nakamichi, impilando una su l’altra le sedie in un angolo.
« Ogni venerdì la stessa storia ».
Nessuno rispose, per il semplice fatto che gli altri tre presenti erano fin troppo tesi per questioni che sapevano solo loro. Si limitarono a fare un cenno del capo, e continuare in silenzio il loro compito. Solo dopo relativamente poco videro Shinichi sospirare, e dirigersi dondolandosi un po’ verso l’uscita.
« Vado a prendere le scope », disse distrattamente, e al suono della sua voce Ran sentì lo stomaco fare un balzo all’indietro.
Lo vide sparire oltre la porta, per poi tornare a pulire svogliatamente il banco davanti a lei.
« Non vi parlate ancora ».
Non era una domanda, e lo sapeva bene. Lanciò un’occhiata fugace a Sonoko, che le si era affiancata e le aveva mormorato quella frase all’orecchio, cercando di non farsi sentire da Nakamichi a poca distanza.
Ran negò con un cenno del capo, abbozzando un sorriso triste. Vide Sonoko mordersi un labbro, e dondolarsi sui piedi con un’espressione strana.
« … perché no? », chiese infine.
« Sonoko », sospirò Ran. « E’… complicato ».
L’amica non parve molto soddisfatta di quella risposta stentata, ma ben conscia di quanto fosse delicata la questione si zittì. Provò a farsi per una volta i fatti suoi, mentre il tarlo del dubbio si insinuava voracemente nella sua testa: c’era dell’altro? Sul serio non si parlavano ancora per quel battibecco avvenuto il martedì prima?
Le sembrò davvero strano, ma nuovamente preferì non intervenire nuovamente. Quando Ran avrebbe avuto voglia, lei sarebbe stata lì ad ascoltarla. Ma evidentemente era ancora troppo scossa per poterne parlare, ragion per cui era meglio lasciar perdere.
« Ma per caso vi siete lasciati? ».
Se avesse potuto, Sonoko avrebbe volentieri fatto volare dalla finestra Nakamichi e la sua proverbiale delicatezza. Sicuramente era il dilemma più in voga del momento in classe, per non dire nell’intero istituto. Ma nell’esatto momento in cui lo disse ad alta voce, a Sonoko si gelò il sangue.
Ebbe perfino paura di voltarsi in direzione di Ran, e quando infine lo fece, la vide immobile. A bocca aperta fissò Nakamichi, che ora si stava forse realmente rendendo conto di cosa avesse appena chiesto. Scese un silenzio così teso che Sonoko iniziò a chiedersi se Ran avrebbe mai dato risposta a quella domanda, finché, con ulteriore orrore, non vide tornare Shinichi con due scope in mano.
Subito dopo aver varcato la soglia, e aver avvertito una strana atmosfera, Shinichi diresse il suo sguardo verso il gruppetto a poca distanza di lui, e notò come tutti all’infuori di Ran che aveva la testa china, lo stessero fissando.
Non riuscendo a capire cosa accadesse, si sentì ben presto in imbarazzo sotto il loro sguardo insistente, così che con uno sbuffo tornò verso la cattedra.
« Se continuate così, non finiremo mai », borbottò scocciato, posando malamente una scopa lì a fianco. Iniziò così a spazzare in silenzio, chiedendosi quale fosse il nuovo problema. Aveva solo voglia di scappare di lì e allontanarsi da Ran la quale, continuando ad ignorarlo, non faceva che accrescere i suoi sensi di colpa.
Con sollievo sentì infine gli altri muoversi, e ricominciare a sistemare alle sua spalle.
Impiegarono relativamente poco, e appena quaranta minuti dopo, e nessun parola pronunciata, tutta la classe era perfettamente sistemata.
Con un sospiro, Shinichi si avvicinò al suo banco e prese la cartella, notando di tralice come Ran facesse lo stesso ma molto più velocemente di lui. Fu così che, mormorando un saluto generale, si diresse velocemente fuori dalla classe.
Abbastanza nervoso, Shinichi sistemò un ultimo libro rimasto sotto il banco, finché non vide Nakamichi fissarlo nuovamente con insistenza.
« Ho forse qualcosa in faccia? », sbottò seccato. « Continuate tutti a fissarmi ».
Sapeva bene che non era assolutamente quello il motivo, ma sperò che dicendo così lui si rendesse conto del suo malumore e lo lasciasse stare.
Mera illusione.
« … va tutto bene Kudo? », chiese titubante Nakamichi, avvicinandosi a lui. Ormai anche Sonoko era uscita, rincorrendo quasi la sua amica, ed erano rimasti solo loro due. La sua voce, in quell’aula, ormai praticamente rimbombava.
« Benissimo », mentì Shinichi, facendo per uscire.
« A me non sembra… ».
Il detective si bloccò, voltandosi infine verso Nakamichi, che ora si mordeva un labbro, indeciso sul da farsi. Non riuscendo a trattenersi ulteriormente, Shinichi si lasciò andare ad uno sbuffo spazientito.
« E’ solo uno stupido litigio, Nakamichi », esclamò esasperato. « Smettetela tutti di farne un affare di stato. Sì, vi sento, ogni volta che mormorate alle mie spalle », aggiunse quando vide il ragazzo arrossire con espressione colpevole.
« Ok, scusami », disse gesticolando. « Solo che anche prima quando ho chiesto alla Mori lei non mi ha risposto, e allora io… ecco… pensavo ch- ».
« Cosa hai chiesto a Ran? ».
Shinichi deglutì, stringendo saldamente la cartella nelle sue mani. Iniziò a sudare freddo, mentre notava lo sguardo grave di Nakamichi mentre tentennava davanti a lui.
« Beh », iniziò indeciso se dire la verità o meno. Davanti a lui Shinichi lo ascoltava con occhi sgranati, e per un attimo si chiese se era il caso di continuare. Ma quando notò l’impaziente nella smorfia di Shinichi mentre faceva un passo minaccioso verso di lui, gesticolò nervoso.
« Le ho solo chiesto se vi foste lasciati », disse tutto d’un fiato, arretrando.
Tuttavia Shinichi si immobilizzò, e lo fissò completamente smarrito. Preoccupato, Nakamichi lo vide impallidire sotto il suo sguardo, e ci volle realmente un po’ perché riuscisse a ribattere.
« … e lei non ti ha risposto? », disse con voce flebile.
Sentendosi quasi male per lui, Nakamichi negò sommessamente con un cenno della testa.
Lo vide deglutire, pallido all’inverosimile, per poi girarsi e camminare verso la porta senza aggiungere altro.
Era stata zitta.
Non aveva negato.
Shinichi si sentì davvero preso dal panico. Era davvero così furiosa con lui, quindi? L’idea che fosse realmente convinta di ciò che gli avesse detto, e che ora avesse perfino dei dubbi su loro due, lo lasciò senza fiato. 
Si sentì così perso che per un attimo non capì nemmeno contro cosa, o chi, avesse appena sbattuto appena fuori dalla classe. Un po’ spaesato, quando sentì un corpo premere contro il suo, alzò lo sguardo cercando un po’ di lucidità in quel momento così appannato.
« S-scusa ».
Avvertendo un brivido, si rese conto di aver appena sbattuto contro Ran, la quale ora si era ritratta e si fissava i piedi in evidente imbarazzo. Stralunato, Shinichi notò le sue guance imporporarsi, mentre faceva in tutti i modi per non guardarlo.
Le ho solo chiesto se vi foste lasciati.
E non aveva risposto.
Serrò la mascella, e conscio di non riuscire a non nascondere il suo sincero fastidio e la sua cocente delusione, la superò di fretta non rivolgendole parola. Non avrebbe potuto, in ogni caso. Gli mancava perfino la voce, e sentiva tutto il suo corpo dolergli mentre passo dopo passo la lasciava indietro. Perfino in un momento del genere, ogni fibra del suo corpo gli indicava di tornare indietro, abbracciarla e premere il suo corpo contro il suo. Come se non fosse abbastanza, di lei le mancava davvero tutto.
Perfino quello.
Il toccarla per sbaglio, o semplicemente sfiorarla mentre camminavano tranquillamente verso casa; la sua gestualità mentre chiacchierava con lui, e senza nemmeno accorgersene lo strattonava affettuosamente per un braccio. Per non parlare dei moti di affetto veri e propri: il prenderlo per mano quando tornavano a casa, lontani da tutto e tutti, e perfino quei baci timidi che gli regalava sulla guancia quando guardavano un film.
Tutto in quel momento gli pareva così lontano e distante che gli fece davvero male quando nella sua testa gli tornarono in mente tutti i momenti condivisi in quei mesi insieme. Era stato tutto così dannatamente bello, che quasi non sembravano neanche ricordi suoi, ma di qualcun altro.
Infine, come botta finale, gli tornò in mente bel altro.
Shinichi.
La sua voce che sospirava il suo nome lo fece avvampare, mentre finalmente si lasciava alle spalle il Liceo.
Si ritrovò a pensare che se solo avesse saputo di quella maledetta e orribile settimana, la domenica prima non avrebbe mai lasciato il letto, dove era rimasto con lei per tutta la notte. E, se fosse stato furbo, l’avrebbe tenuta a sé ancora un po’. Scuotendo la testa come per cancellare l’immagine di loro due avvinghiati in camera sua, uscì dal cancello così velocemente che sforzò fin troppo la coscia, che iniziò a pungere. Ma davvero non aveva intenzione di fermarsi, volendo solo lasciarla indietro, e insieme a lei tutti quei ricordi dolorosi.
Quando diavolo arriva domenica?!

 

***


Ran si guardò allo specchio, intenta ad aggiustarsi la camicetta appena finita di abbottonare. Era rimasta per più di mezz’ora davanti all’armadio alla ricerca del look giusto per quel pranzo, come se stupidamente da quest’ultimo avesse dovuto dipendere l’esito della giornata. Alla fine, dandosi mentalmente della sciocca, aveva afferrato quella camicetta a righe celesti, e una gonna di jeans nera che si sistemò in vita. Quando ebbe finito, si riguardò allo specchio per un’ultima volta.
Era arrivato quel momento, dopotutto.
Le pareva passata un’eternità da quando suo padre, particolarmente nervoso e scuro in volto, le aveva borbottato che dovevano parlarne. Dondolandosi sui piedi si guardò l’orologio al posto, che segnava minacciosamente le undici e mezza. Cercando di prendere coraggio, uscì finalmente dal bagno, raggiungendo suo padre che stava leggendo distrattamente il giornale seduto sul divano. Lo vide decisamente irrequieto, mentre la guardava arrivare e abbozzava un sorriso storto.
« Tutto ok? », chiese, e Ran avvertì una strana tensione scendere fra loro.
« Sì », replicò lei, facendo leva su tutta la sua forza di volontà per apparire tranquilla.
Il giorno prima era stata chiusa in camera sua praticamente tutto il tempo, solo per cercare di mettere realmente a fuoco l’intera faccenda. Dopo un’accurata analisi e parecchi ragionamenti discordanti, era arrivata alla conclusione che non avrebbe potuto davvero fare niente per sistemare le cose. E, forse, avrebbe dovuto semplicemente accettare tutto, e accettare che fosse davvero finita, fra loro. Al solo pensiero che i suoi genitori prendessero strade diverse, il suo stomaco si chiudeva così prepotentemente da lasciarla senza fiato, ma nuovamente si impose di non farsi prendere dal panico. Guardò immobile suo padre mentre alzava un sopraciglio, e le rivolgeva una strana smorfia. Pareva non avergli creduto davvero, e si chiese se la delusione fosse stata così palese in quei ultimi giorni. Eppure, pensò, aveva cercato in tutti i modi di celarla accuratamente, lasciandosi andare a sfoghi di pianti silenziosi solo una volta trovatasi in camera sua, lontana da tutto e tutti.
Mai come in quella settimana, oltre a mancargli Shinichi, le era mancato fra quelle quattro mura soprattutto Conan.
All’ennesimo pianto solitario del giorno prima, quasi aveva avuto la speranza di veder apparire sulla soglia di camera sua il suo fratellino, come spesso e volentieri accadeva quando era giù per qualche motivo.
Tuttavia, nessuno era apparso magicamente per consolarla. Aveva pensato tanto ancora a lui, e nuovamente era giunta alla conclusione di aver esagerato con Shinichi. Non avrebbe mai dovuto rinfacciargli di Conan, specialmente dopo averlo convinto con così tanta fatica che lo aveva davvero perdonato. Ed era così, solo… la rabbia l’aveva davvero fatta parlare a sproposito. Si ricordò con amarezza di come avesse voluto davvero ferirlo per ripicca quella mattina, e con suo estremo rimpianto c’era riuscita, eccome.
Stupida.
Aveva annotato mentalmente di sistemare le cose con lui non appena avrebbe affrontato i suoi genitori. Non poteva davvero sostenere entrambe le cose contemporaneamente, perciò aveva optato per lasciar passare almeno la domenica per poi prepararsi a chiedere scusa al suo ragazzo appena il momento sarebbe stato adatto.
Sebbene fra i suoi non fosse andata come voleva, così non voleva accadesse per loro due.
« Ma come sei carina ».
A riscuoterla dai suoi pensieri fu la voce dolce di sua madre, che solo in quel momento si accorse di aver di fronte, con espressione entusiasta e un vivace sorriso sulle labbra.
« Mamma », esclamò, e notò come suo padre avesse aperto la porta e ora entrambi i suoi genitori la aspettassero sulla soglia. Annuì al cenno del capo di suo padre, capendo che doveva davvero andare.
Era pronta.

« Non hai mangiato molto », commentò Eri con disappunto. Guardò di tralice la figlia, che per tutto il pranzo aveva a malapena spiluccato dal suo piatto. Per non parlare del fatto che avesse sì e no risposto a malapena a qualsivoglia discorso, preferendo tacere e lasciarsi andare ad occhiate nervosa e frequenti.
Eri Kisaki incrociò così lo sguardo di suo marito, che prontamente rispose arricciando il naso.
« Non ho molta fame », Ran provò a sorridere a sua madre, e cercò di mangiare almeno un po’ del suo pesce per evitare l’ennesimo rimbecco sulla sua eccessiva magrezza. Cadde così il silenzio al tavolo, e quando di tralice vide i suoi genitori lanciarsi un’occhiata eloquente, sentì lo stomaco contrarsi. Terrorizzata vide sua madre annuire a suo padre con espressione seria, e capì che doveva star per iniziare il loro fantomatico discorso.
Mandò giù il suo pesce e, non appena vide sua madre rivolgersi verso di lei aprendo la bocca di colpo, trattenne il fiato.
« Ran, tesoro », iniziò Eri con voce apparentemente dolce. « Tuo padre ti ha anticipato di come volessimo parlarti », continuò con gli occhi che le brillavano.
Ran posò le bacchette, annuendo piano. Non si osò guardare suo padre, per il semplice fatto che non voleva davvero vedere la tristezza sul suo viso. Era cosciente di quanto in realtà suo padre tenesse ancora a sua madre, e qualcosa le diceva che la decisione di quella definitiva separazione non fosse realmente sua.
« Me lo ha accennato », disse piano, incrociando il suo sguardo.
Eri si prese una pausa, guardando sua figlia attentamente. Si sentiva un po’ in imbarazzo, ma comunque provò a rimanere lucida e non lasciarsi andare ai sentimenti euforici che la stavano travolgendo.
« Dobbiamo dirti un cosa, Ran », disse infine, prendendo coraggio.
« Io e tuo padre vedi… le cose sono cambiate ultimamente », aggiunse cercando sostegno con lo sguardo da Kogoro, che al suono di quelle parole arrossì vistosamente.
« Lo immaginavo ».
Entrambi trasalirono, mentre la ragazza seduta fra di loro li guardava con gli occhi un po’ lucidi, e le mani che ormai stavano torturando il suo tovagliolo.
« … tu lo avevi n-notato? », balbettò Eri, e per poco non le si appannarono gli occhiali.
« Beh, no in realtà », si corresse Ran. « Però da come mi ha parlato papà, ho capito… », guardò suo padre alla sua destra, mentre quest’ultimo le rivolgeva un’espressione confusa.
« Mi dispiace tanto », la voce di Eri uscì così soffocata che questo non fece che aggravare il nodo in gola a Ran che, non riuscendo più a guardarli, abbassò il viso cercando davvero di non scoppiare in lacrime.
« Non è che non volessimo dirtelo », finalmente suo padre prese parola, schiarendosi la voce con fare nervoso.
« Però prima volevamo esserne certi, capisci? », lo interruppe Eri, sulle spine.
Ran, incapace di prendere parola, annuì flebilmente. Si portò una mano alla bocca, e senza poterci realmente far nulla, sentì un singhiozzo scapparle dalle labbra. Chiuse repentinamente gli occhi, e subito si sentì così stupida e immatura, che non osò guardare i suoi genitori. Certo doveva essere difficile anche per oro dirle una cosa del genere, e in quel momento le sue lacrime non avrebbero aiutato nessuno. Ma davvero non potè farci niente, e si ritrovò così a sentire in bocca il familiare sapore salato delle proprie lacrime far capolino lungo le guance. Il silenzio era diventato così teso che decise, con quel poco coraggio rimasto, di prendere finalmente parola.
« Scusate, non volevo davvero piangere », disse con voce tremante, continuando a non guardarli. « Se siete felici così, per me va bene… cioè, no, però lo accetto ».
Sospirò, cercando di darsi una calmata. Afferrò maldestra il tovagliolo, e se lo passò malamente sul viso per asciugarsi quelle dannate lacrime. Quando, dopo un attimo, ebbe nuovamente una visuale decente, guardò finalmente in viso i suoi genitori.
Rimase un attimo stordita quando incrociò i loro sguardi, e constatò come fossero… stralunati.
E… confusi?
« Ran », pronunciò lentamente Eri, afferrandole una mano titubante. « Io non credo di capire. Non sei… contenta? ».
« Contenta? », ripeté Ran totalmente sconvolta.
« Pensavamo di renderti felice », suo padre la scosse per un braccio, abbastanza in crisi.
« Felice? Come potevate pensare una cosa del genere?! », esclamò Ran scandalizzata, continuando a girare la testa da una parte all’altra del tavolo solo per ricevere in cambio due espressioni totalmente sgomente.
« Come potrei essere felice sapendo che divorzierete?! ».
Eri e Kogoro strabuzzarono così tanto gli occhi, che Ran ebbe il timore di vederli uscire fuori dalle orbite. Ben presto, tuttavia, la loro sorpresa creò dei sorrisi tiepidi sui loro volti, mentre iniziavano a fissarsi fra di loro. Dopo un tempo che le parve infinito, e loro che continuavano a guardarsi con espressione allusiva, Eri decise di prendere parola.
« Ran », ripeté, stavolta con tono deciso. Tornò a fissare sua figlia, che nel frattempo era rimasta congelata sulla sedia. « Devi aver frainteso ».
« F-frainteso? », ripeté balbettando, mordendosi un labbro.
Non può essere vero.
« Io e tuo padre non vogliamo divorziare », le spiegò accarezzandole la mano che fino a quel momento aveva tenuta nelle sue.
« In realtà, vorremmo… sì, insomma… vorremo tornare a vivere insieme ».
Eri si colorò deliziosamente di rosa, e così con lei ugualmente Kogoro. Evitarono di guardarsi ulteriormente, solo per non avvampare ancora di più. Dal canto suo, Ran rimase almeno due minuti in silenzio, mentre quell’ultima frase le rimbombava nella testa. Pensò di star sognando, e di aver perfino capito male. Ma quando, dopo un po’, sua madre riprese parola, capì presto che tutto fosse assurdamente reale.
« Da qual giorno contro quell’Organizzazione… beh, diciamo che abbiamo davvero rischiato tanto. Ma forse ci ha aiutato a capire quanto tempo stessimo sprecando. E lentamente abbiamo provato a farla funzionare, cercando di mettere da parte le incomprensioni e le differenze. Non è stato facile », sottolineò con un sospiro Eri. « Ma alla fine eccoci qui ».
« Non te lo abbiamo detto prima perché volevamo esserne certi », aggiunse a disagio Kogoro, grattandosi la nuca con fare nervoso.
« Non volevamo farti stare male, se non fossimo riusciti e trovare i giusti compromessi ».
« Ma tu, l’altro giorno », contestò flebilmente Ran, rivolgendosi a suo padre. « Quando mi hai detto che volevate parlarmi mi eri sembrato così… così… ».
« Ero nervoso », ammise Kogoro sulle spine. « Lo sai che non sono tipo da queste cose », borbottò infine distogliendo lo sguardo, le gote arrossate.
Ran rimase a bocca aperta, cercando di rielaborare velocemente tutte quelle informazioni appena apprese. Provò a calmare il suo tumulto interiore, provando a ripetersi l’unica frase davvero importante in quella settimana così orrenda.
Vorremo tornare a vivere insieme.
L’aveva desiderato da così tanto tempo, per così tanti anni, che non le parve davvero vero. E la felicità che ne conseguì fu così travolgente, così forte, che alla fine un profondo sorriso le si dipinse in viso.
« Quindi tornerai a casa? », domandò realizzando davvero la notizia.
« Sì », annuì Eri, con gli occhi leggermente lucidi.
Ran si sentì per la prima volta da una settimana a quella parte davvero leggera, e anche il solo respirare divenne così facile da farle prendere due profonde bocconate d’aria. Ancora completamente in quel turbinio di emozioni, guardò entrambi i suoi genitori con rinnovata felicità, mentre questi ultimi sorridevano praticamente bordeaux in viso.
« Dovete dirmi come è andata », saltò sulla sedia Ran. « Davvero, non mi sono accorta di niente ».
« Tu piuttosto », la voce di Kogoro si fece all’improvviso seria, mentre si voltava verso suo figlia e la guardava con la fronte aggrottata.
« Era per questo che eri così strana, questa settimana? », domandò confuso. « Perché pensavi davvero che stessimo per divorziare? ».
« Non pensavo che te ne fossi accorto », Ran abbassò il viso, mortificata. « Ho provato a far finta di niente, ma forse non mi sono impegnata abbastanza », ammise colpevole.
« Sono tuo padre », replicò offeso Kogoro. « Io mi accorgo quando qualcosa non va. Solo non pensavo certo questo. Pensavo che quell’idiota di detective ti avesse fatta arrabbiare, e aveste litigato », alzò gli occhi al cielo, irritato anche solo di nominarlo.
All’improvviso, il pensiero di Shinichi si fece largo in Ran come un fulmine a ciel sereno. Fu così che le morì repentinamente il sorriso sulle labbra, e nella sua testa si fece largo un dubbio prepotente.
Credo che tu ti stia sbagliando.
Quel tono, quel sorriso, quell’espressione di chi sa sempre tutto, in anticipo rispetto a tutti.
Il viso di Shinichi iniziò a volteggiarle in testa, e i suoi genitori nemmeno se ne accorsero, presi com’erano dal parlare di qualcosa che nemmeno stava ascoltando.
Shinichi.

Finirono il pranzo con un dolce che faticò a mandare giù, nonostante il peso enorme che si era appena tolta dallo stomaco. Perché ora, ad attanagliarla, era ben altro.
Magari vogliono solo parlarti di altro.
Aveva sperato con tutto il cuore di alzarsi in fretta da quel ristorante, solo per potersi rintanare in camera sua con una qualche scusa banale, e ragionare su cosa avesse realmente combinato. Così, per tutto il tragitto verso casa, e la pioggia che cominciava a fare rumore sopra il suo ombrello a fiori, si era persa nei pensieri più vari, mentre i suoi genitori ancora e ancora chiacchieravano di qualcosa a lei ignoto. Annuiva di tanto in tanto, avvalorando talvolta la sua attenzione con una risata alquanto falsa. Di cose stesse ridendo, non ne aveva la minima idea.
Parli come se non facessi altro che deluderti.
Le salì la nausea al solo ricordo della sua voce grave, mentre le poneva quella frase così orribile. E lei aveva perfino osato rispondergli avvalorando questa sua affermazione!
Si sentì improvvisamente male.
Tutto tornò così velocemente al suo posto, che le girò la testa.
Lui lo sapeva. Certo che lo sapeva.
Per quello aveva provato a dissuaderla, per quello era stato così distaccato. Tutte le sue domande stavano avendo passo dopo passo una risposta, e ad ognuna di esse avvertiva il senso di colpa comprimerle un po’ di più il petto.
« Ran? ».
A riportarla alla realtà fu la voce di suo padre, e solo in quel momento si accorse di essere in cima alle scale di casa sua. Kogoro stava ancora tenendo una mano sopra la maniglia, come ad incitarla ad entrare. Tuttavia, Ran rimase immobile sul posto, in mano ancora l’ombrello fradicio che stava bagnando il pianerottolo.
« Tesoro, cosa c’è? », Eri sbucò appena oltre la spalla di Kogoro, guardandola preoccupata.
« Io… devo andare ».
Eri e Kogoro alzarono un sopraciglio, mentre si scambiavano un’occhiata preoccupata.
« E’ che io… ecco », non sapeva davvero cosa dire, così sputò la prima bugia che le venisse in mente. « A-avevo promesso a Sonoko di andare da lei, oggi. Possiamo parlare nei prossimi giorni? », domandò per nulla convincente.
« Ma sì, certo », rispose Eri, afferrando appena in tempo il braccio di Kogoro e stringendoglielo come a volergli far capire di stare zitto. L’uomo, infatti, non pareva molto contento della decisione di Ran ma, a quella stretta allusiva, si zittì.
Guardò in direzione di Ran solo per vederla lanciargli un sorriso triste, e sparire velocemente giù per le scale con l’ombrello che ad ogni scalino emetteva un suono sordo. Un po’ riluttante chiuse la porta, e si girò lentamente verso sua moglie.
« Lo sapevo », sentenziò cupo. « Deve aver litigato con quel ragazzino ».
« E’ tutta la settimana che piange di nascosto in camera », aggiunse, stringendo i pugni.
« Forse era perché aveva frainteso tutto », obiettò Eri, provando a calmare suo marito. Ma quando si trattava di Ran e Shinichi, qualcosa nel suo cervello davvero non funzionava correttamente.
« Forse », disse lui con una smorfia. « Ma forse c’entra. Ormai so quando sta male per lui », concluse amaramente.
Era vero. L’aveva vista piangere talmente tante volte, che ormai non aveva più segreti per lui. E, sebbene come investigatore non avesse più tutto il successo di una volta, pensò amaramente che quella di Sonoko era stata davvero la bugia più mal riuscita di sua figlia.
Lei stava correndo da lui.

 

***


Ran non si ricordava davvero l’ultima volta che aveva corso così velocemente. Più di una volta le mancò il fiato, per non parlare degli innumerevoli momenti in cui rischiò di scivolare sul terreno bagnato dall’incessante pioggia che ormai stava scendendo su Tokyo. Tuttavia non se ne curò molto, continuando a stringere fra le mani quel suo ombrello quasi sgualcito, così come non si interessò se ormai quest’ultimo la riparasse ben poco. Forse i capelli erano ormai un po’ bagnati, e avvertiva anche la camicetta un po’ troppo appiccicata sulla schiena. Ma quello era davvero l’ultimo dei suoi pensieri, mentre imboccava finalmente la via di casa di Shinichi e, dopo poco, si posizionava di fronte al cancello della sua imponente villa.
Sentiva il cuore batterle così forte nel petto, che pensò davvero di non potersi trattenere ulteriormente.
Doveva chiedergli scusa, farsi perdonare, tornare da lui. Non le importava nemmeno se avrebbe fatto il distaccato come quegli ultimi giorni a scuola, né si lasciò intimidire da un possibile rifiuto. Tutto ciò che voleva era sistemare le cose, abbracciarlo e sentire i suoi capelli formicolarle la fronte mentre ridevano insieme di qualcosa di irrimediabilmente stupido.
Senza esitare ulteriormente schiacciò il campanello almeno tre volte di fila, non riuscendo davvero a contenere la sua impazienza. Ormai l’acqua scendeva così forte da annebbiare la sua visuale, e perfino la voce al citofono le parve lontana. Sotto lo scroscio rumoroso dell’acqua non sentì nemmeno cosa le disse attraverso l’apparecchio, e nervosamente si avvicinò ulteriormente solo per potersi far sentire.
« Shinichi! », esclamò con voce grave, sentendosi a malapena sotto quella pioggia incessante. « Aprimi, per favore ».
Al suo fianco vide il cancello aprirsi di scatto, e senza indugiare ulteriormente vi entrò. Lo chiuse distrattamente e, quando si voltò per dirigersi verso l’entrata, vide una figura sulla soglia di casa. Sebbene la pioggia e la nebbia intorno a lei non le rendesse chiara la visuale, capì di essere ormai a poca distanza da lui. E, prima che potesse ragionare o pensare alle parole giuste da dire, chiuse gli occhi e strinse l’ombrello fra le sue mani.
« Sono stata una stupida! », esclamò urlando sopra la pioggia, e sperò vivamente che lui l’avesse sentita. Mantenne gli occhi chiusi solo per paura di intravedere la sua espressione e, non osò davvero pensarci troppo, un suo eventuale rifiuto. Tuttavia ciò che accadde la lasciò davvero scombussolata, per il semplice fatto che quando lui la afferrò per le spalle, un campanello d’allarme le rimbombò nella testa. Quella non era la sua presa, né le sue mani. Un po’ confusa aprì gli occhi, e solo in quel momento si rese conto di chi le avesse afferrato le spalle con espressione preoccupata.
« Ran, stai tremando! Entra, per favore ».
Ran non osò pronunciare ulteriore parola, mentre si lasciava trascinare per un braccio da quell’uomo di fronte a lei. Sentì immediatamente le guance imporporarsi e quando, infine, si ritrovò nel caldo e confortevole ingresso di casa Kudo, non ebbe il coraggio davvero guardare chi avesse di fronte.
Posò in imbarazzo l’ombrello a terra con mani tremanti, per poi continuare a mantenere lo sguardo ancorato al suolo.
« Chi era? », sentì la voce familiare di una donna appena oltre la soglia, e subito dopo vide far capolino quest’ultima appena dietro l’angolo.
« Ran! », esclamò Yukiko, guardandola sorpresa. « Tesoro ma sei bagnata », si avvicinò a lei, tastandole la schiena.
« Non è niente », mormorò arrossendo, non riuscendo ancora a guardare l’uomo alle sue spalle.
« Vieni, devi toglierti questa camicetta », sentenziò Yukiko, cingendole le spalle con un braccio.
Yusaku Kudo, appena dietro di loro, guardò la scena rimanendo immobile sull’uscio di casa. Aspettò che quest’ultime sparissero dalla sua vista, prima di seguirle con un sospiro.
Sono stata una stupida!
Decise nell’immediato di far finta da lì in avanti di non averla sentita urlare disperatamente sotto la pioggia, semplicemente perché non era davvero sua intenzione farla sentire a disagio. Decisamente, l’acquazzone non era stata dalla sua parte, e in fondo lui e suo figlio erano davvero molto simili.
Sorrise amaramente fra sé.
Perciò davvero stavolta tu non avevi combinato niente, Shinichi.

 

***


E’ ovvio che stiamo insieme!
Sul volto di Ran si formò automaticamente un sorriso profondo, mentre un leggero calore le colorava le guance di rosa. Chiuse gli occhi, scuotendo energicamente la testa, mentre continuava a tenere saldamente in mano il suo telefono. Era sdraiata a pancia in su sul suo letto, mentre trasognata rileggeva per l’ennesima volta quelle cinque parole. Ormai era passata una settimana dalla gita, ma spesso tornava a quel messaggio solo per ricordarsi come non si fosse assolutamente sognata tutto, ma effettivamente fosse successo ogni singolo momento che l’aveva resa così immensamente felice. Soddisfatta sospirò meravigliata, riguardandolo un’ultima volta. Tuttavia, quando sentì bussare alla porta accuratamente chiusa, sobbalzò e di istinto si portò il telefono dietro la schiena. Visibilmente rossa in viso si mise seduta sul letto, e cercò di apparire tranquilla.
« Avanti », disse sulle spine.
« Ran-neechan? ».
Quando sentì la voce del suo fratellino, si rilassò un poco. Il pensiero che suo padre scoprisse di lei e Shinichi la rendeva piuttosto nervosa, e davvero non voleva fargli capire assolutamente nulla. Quando il viso di Conan fece capolino in camera, gli sorrise dolcemente.
« Sì Conan-kun? ».
« Mi chiedevo dove fossi », disse lui sorridendo. « Di sotto e in cucina non c’eri », spiegò a mo di scuse.
« Sì, scusami », rispose Ran alzandosi in piedi. « Dovevo fare dei compiti per domani. Ti va se facciamo merenda insieme? ».
Conan annuì energicamente, cercando di nascondere la sua crescente curiosità. Non gli era davvero sfuggito il rossore sulle sue gote, men che meno il sorriso sognante che aveva stampata in viso. Continuando a far finta di niente, la guardò ancora mentre, canticchiando, usciva dalla sua camera sorpassandolo. La vide dirigersi in cucina, e contento notò come fosse davvero di buon umore in quei giorni.
Dopotutto, lo era anche lui.
Il ricordo della gita era ancora così fresco a nitido da lasciarlo spesso trasognante, seppur anche un po’ preoccupato. A mettere un po’ in ombra quel momento così bello, spesso era il ricordo di suo padre che gli rivelava il nome del capo dell’Organizzazione.
Karasuma.
Un brivido gli attraversò la schiena, mentre si mordeva un labbro nuovamente preoccupato.
Sta per iniziare il momento cruciale, Shinichi.
Aveva ragione suo padre. Sentiva davvero di essere finalmente ad un passo dall’epilogo di quell’assurda vicenda. E sebbene sul momento l’eccitazione l’aveva reso euforico, al solo pensiero ora avvertiva la paura avvolgerlo.
Conan Edogawa scosse vigorosamente la testa, cercando di rimuovere le preoccupazioni e le ansie accumulate. E, proprio in quel momento, vide abbandonato sul letto il telefono di Ran.
Si maledisse quando lo intravide, e immediatamente la curiosità lo travolse.
No. Non puoi.
Sentì le mani prudergli, mentre i suoi piedi si muovevano silenziosamente da soli verso il letto.
Non puoi davvero leggerle i messaggi.
Ancora un passo, e fu di fronte a quel telefono che lui stesso le aveva regalato un vita prima.
Però lei… era rossa in viso prima. Perché lo era?
Il tarlo del dubbio si insinuò nella sua testa, lasciandolo basito.
Forse… gli ha scritto qualcuno? Di scuola?
Come un automa, allungò la mano e acchiappò il telefonino, stringendolo nella sua piccola mano. Rimase immobile, per poi lasciarlo cadere velocemente sul letto, arretrando.
Sei orribile se le leggi i messaggi. Si può sapere cos’hai che non va?
Rimase ancora lì, in piedi e con il broncio, continuando a ripetersi di andare via prima che Ran tornasse indietro e si accorgesse di cosa stava facendo.
« Conan-kun? ».
Trasalì, non appena la sentì dietro la spalle. Rapidamente si voltò verso di lei, notando immediatamente la sua espressione confusa mentre teneva in mano due coppette di gelato al cioccolato.
« Cosa fai? », domandò lei un po’ dubbiosa, studiandolo in viso.
« I-io », balbettò Conan, cercando nel suo cervello una scusa abbastanza plausibile.
« E’ che ho visto che ti era caduto il telefono per terra, così te lo ho rimesso sul letto ».
Ran alzò un sopraciglio, accorgendosi solo in quel momento di non avere effettivamente con sé il cellulare. Si chiese quando le fosse scivolato, non avendo davvero sentito il rumore, ma pensò che forse era ancora troppo sovrappensiero per potersene accorgere. Alzando le spalle diede per buona la scusa di Conan, e come se niente fosse gli porse la coppetta.
« Tieni, prima che si sciolga », sorrise dolcemente, mettendosi poi seduta sul letto.
« Vieni qui con me? », domandò poi guardandolo ancora in piedi, e con una strana espressione sollevata sul viso.
Infine Conan annuì, raggiungendola e sedendosi al suo fianco. In silenzio cominciò a mangiare il suo gelato, continuando a lanciare occhiate curiose al telefono ancora a poca distanza da Ran. Come se fosse fatto apposta, in quel preciso momento quest’ultima trasalì come colta da un improvviso pensiero, mentre posava velocemente la sua coppetta sulle gambe e lo scuoteva per una spalla.
« Conan-kun, mi stavo quasi dimenticando », disse acchiappando il telefono alla sua sinistra. « Guarda la foto che abbiamo fatto con Keiko Kurachi! Me l’ha mandata Sonoko oggi ».
Conan, per nulla curioso considerando che l’aveva conosciuta anche lui e risolto addirittura un caso con l’attrice coinvolta, si sporse cercando comunque di mostrare sorpresa. Ran aprì il telefono, porgendosi anch’essa verso di lui, in modo da fargli vedere. Tuttavia, nel preciso momento in cui accese il cellulare, avvampò.
Quest’ultimo, infatti, le restituì l’esatta schermata che aveva lasciato in sospeso appena pochi minuti prima, e che nella fretta si era scordata di togliere.
Rimase un attimo imbambolata, mentre davanti a loro due il messaggio di Shinichi illuminava lo schermo e faceva sgranare gli occhi al bambino alla sua destra.
Scema.
Ran aprì la bocca, notando come Conan stesse ormai leggendo.
E’ ovvio che stiamo insieme.
« S-scusa! », esclamò facendo sobbalzare, mentre con foga schiacciava il tasto per tornare indietro. Con mano un po’ incerta e il viso accaldato, provò ad entrare nella galleria delle foto e, sempre un po’ nervosa cercò la foto, sperando di poter distrarre Conan con quest’ultima. L’idea che avesse letto il messaggio di Shinichi la imbarazzò così tanto che non osò nemmeno guardarlo in faccia, preferendo continuare incessantemente a cliccare sul telefono nella sua spasmodica ricerca.
« E-eccola! », fece una risatina nervosa, girando il telefono verso di lui.
Conan, dal canto suo, nemmeno la guardò davvero la foto che le stava porgendo in quel momento. Sorrise leggermente, cercando di contenere l’esplosione di euforia che stava avendo luogo in quel momento nella sua pancia.
Rispose qualcosa circa la foto, e continuando a far finta di niente la ascoltò mentre lei gli rispondeva a continuava raccontandogli aneddoti sul caso avvenuto in gita.
Aveva fatto bene a non leggerle il telefono, dopotutto. E cercò di appuntarsi nella testa che, da lì in avanti, non avrebbe davvero più dovuto dubitare del suo buon umore, o del suo rossore sulle guance. Perché, molto probabilmente, era solo ed esclusivamente collegato a lui.

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Capitolo 18
*** Autocontrollo ***


WITHOUT WORDS.
autocontrollo.
 

Shinichi entrò trafelato nell’atrio di casa, solo per lasciarsi definitivamente alle spalle quel dannato temporale che lo aveva colto di sorpresa appena uscito dalla Centrale di Polizia per l’ora di pranzo. Era stato così che si era quindi ritrovato sotto la pioggia incessante senza uno straccio di ombrello, ragion per cui presto si era bagnato fino all’osso. Sospirò frustrato, rendendosi presto conto di essere fradicio, motivo per cui decise di togliersi in fretta le scarpe che gli stavano ormai congelando i piedi. Le buttò malamente di lato, e si diresse verso la cucina alla ricerca di qualcosa di caldo da prepararsi mentre si sarebbe buttato sotto la doccia. Non vedendo più traccia delle innumerevoli valigie di sua madre, intuì che fossero già andati in aeroporto e il biglietto che ritrovò sul bancone della cucina gli diede ragione. Distrattamente lesse le poche righe che sua madre gli aveva lasciato, e fece una smorfia quando vide sottolineata la parte che diceva testualmente ricordati di mangiare e non pensare solo ai tuoi casi!. Aprì dubbioso il frigo, e iniziò a guardare cosa avrebbe potuto mangiare. In realtà la sua mente era completamente persa a ben altro, specialmente a ciò che aveva saputo appena un’ora prima. Al solo pensiero quella poca fame che aveva fatto capolino sparì improvvisamente, e con uno sbuffo e una smorfia in viso richiuse con stizza il frigo. Fece per dirigersi direttamente al piano di sopra, quando qualcosa attirò la sua attenzione.
Corrugando la fronte, si mise a fissare una tazza abbandonata nel lavello lì a fianco.
Una tazza da the.
Strano.
Guidato dal suo sesto si avvicinò al lavandino, rimanendo poi un attimo perplesso quando notò la bustina probabilmente utilizzata per aromatizzarlo. Con mani incerte prese in mano la confezione aperta, per poi trattenere il fiato.
Zenzero.
Deglutì, e iniziò a guardarsi intorno. Tutto in cucina appariva stranamente normale, ragion per cui decise di dirigersi in salotto. Una volta data un’occhiata lì intorno, e con delusione appurato che tutto fosse in ordine, sospirò nervoso. Solo in quel momento qualcosa gli attraversò la mente a una velocità tale da lasciarlo stordito, e dopo davvero poco le sue gambe si mossero da sole.
Quel the allo zenzero.
Era il suo preferito. Ne beveva in quantità industriali, perfino la mattina per colazione. Spesso l’aveva presa in giro per questa sua abitudine, e ogni volta in tutta risposta lei gli aveva sempre risposto con una linguaccia.
Si sentì la bocca stranamente asciutta quando, infine, si ritrovò davanti alla porta della libreria. E, con un tuffo al cuore, notò come da sotto quest’ultima una luce fioca facesse capolino.
Ran.
Un po’ incerto aprì lentamente la porta, e trattenendo il fiato si fece avanti. La luce che aveva visto arrivava dalla scrivania, dove era accesa la lampada che solitamente utilizzava quando si metteva a lavorare lì dentro. Con un nodo alla gola camminò in quella direzione, facendo attenzione a non fare alcun rumore. Mano a mano che si avvicinava la figura di Ran si faceva più nitida, e ben presto si ritrovò davanti a lei.
Shinichi rimase immobile, in piedi davanti alla figura esile rannicchiata sulla sedia della scrivania, solo per imprimere a fuoco la scena che gli si parava di fronte.
Era così piccola, accoccolata così con la bocca leggermente aperta, mentre dormiva relativamente serena. Con un tuffo al cuore notò come si fosse buttata addosso la giacca della sua divisa che, si ricordò, aveva lasciato sullo schienale della sedia il venerdì pomeriggio prima. Le stava grande, e riusciva a coprirla apparentemente tutta, e per un attimo pensò al profumo che da quel giorno avrebbe avuto.
Vaniglia.
Con ulteriore stupore vide come, sotto la sua mano rovesciata, tenesse a sé Il segno dei quattro di Conan Doyle che aveva iniziato per l’ennesima volta, e abbandonato poi sulla scrivania da tempo immemore.
Rimase ancora per un po’ così, fermo a guardarla, non sentendosi davvero pronto a rovinare quella pace e svegliarla.
Però se è venuta qui… aspetta. Oggi è domenica.
Quell’improvvisa notizia lo fece sobbalzare, mentre cercava di riorganizzare le idee nella sua testa.
Era abbastanza esausto, e ripensò stizzito a quando quella mattina l’ispettore Megure gli aveva telefonato alle cinque di mattina. Ancora assonnato era corso sul luogo del delitto, e aveva impiegato tutta la mattina per risolverlo, dato che si era rivelato davvero brutale quanto complicato. Non contento, era poi stato trascinato in Centrale per discutere di alcuni questioni legate all’Organizzazione, ragion per cui aveva completamente perso il senso del tempo e dello spazio.
Era domenica. Ed erano le tre, almeno.
Ha parlato con i suoi genitori.
La speranza che si fosse resa conto dell’errore gli diede il coraggio necessario per avvicinarsi ulteriormente e, delicatamente, sfiorarle la spalla con una mano.
Non appena Ran avvertì un leggero fruscio alla sua sinistra, aprì gli occhi di scatto. Non riuscì facilmente a mettere a fuoco intorno a lei e, notando solo una figura di fronte in piedi a poca distanza, saltò sulla sedia per ricomporsi un po’. Non aveva davvero voglia di rifare una figuraccia con Yusaku Kudo, e sperò vivamente di non aver almeno russato in quel sonnellino che l’aveva colta senza realmente accorgersene. Tuttavia quando sentì un rumore sordo appena dopo essersi mossa, realizzò di aver appena fatto scivolare quel libro che aveva preso distrattamente nell’attesa di Shinichi, e di istinto fece per prenderlo. Ancora un po’ assonnata, dovette sbattere un paio di volte le palpebre prima di rendersi conto di aver afferrato quel libro nell’esatto momento in cui anche la persona che aveva di fronte si era chinata per acchiapparlo.
Rimanendo un attimo immobile, con lo sguardo fisso su quelle lettere in rilievo che formavano il nome Conan, avvertì un profumo familiare arrivarle alle narici. Lentamente, e  capendo che chi aveva di fronte non era davvero Yusaku, alzò lo sguardo per incontrare due occhi blu a poca distanza da viso.
Rimase ferma, mentre si stringeva un po’ di più in quella giacca che stava per scivolare anch’essa a terra, mentre cercava di mantenere una calma che in quel momento pareva non arrivare. In quella mano che teneva ancora saldamente il libro sentì quella di Shinichi accarezzarle timidamente due dita, mentre sul suo viso si formava un sorriso debole. A quel tocco trasalì e, mandando giù il nodo che aveva in gola, mollò la presa e si mise a sedere meglio sulla sedia.
« I-io… », balbettò arrossendo, guardando Shinichi davanti a lei alzarsi in piedi con il libro in mano, e un’espressone incerta. « Devo essermi addormentata ».
Potevi dire una cosa più stupida?!
« Credo di », mormorò lui lanciandole un’occhiata che le fece tremare le gambe.
Scese un silenzio teso mentre lo guardava muoversi verso la libreria, per riporre al suo posto il libro con movimenti lenti. E, come accadeva sempre ultimamente, si imbambolò un attimo a guardarlo, notando preoccupata come fosse ridotto.
Aveva i capelli bagnati, e alcuni ciuffi gli cascavano sulla fronte più disordinatamente del solito; la camicia bianca che indossava era praticamente trasparente ormai, mentre si appiccicava sensualmente al suo petto, e Ran si domandò come potesse non sentire freddo. Eppure lui continuò a far finta di niente, e anche una volta rimesso a posto il libro, si voltò con espressione indecifrabile sul viso, mentre si portava a disagio le man nelle tasche. Infine sospirò, guardandola finalmente in viso.
Ritrovandosi nuovamente i suoi occhi blu addosso, Ran avvertì le guance arrossarsi e di istinto distolse lo sguardo.
Vedendola girarsi dall’altra parte, Shinichi avvertì una morsa allo stomaco, non sapendo davvero cosa aspettarsi. Era venuta per risolvere la questione, o per dirgli che forse avevano fatto uno sbaglio?
Le ho solo chiesto se vi foste lasciati.
Dannato Nakamichi. Le sue parole gli rimbombarono nuovamente in mente, laddove le aveva seppellite nella speranza di poterle dimenticare. E invece in quel momento ritornarono prepotenti, insinuando ancora ciò che temeva con tutte le sue forze. E, dopo un tempo infinito e un silenzio tremendo, non riuscì davvero più a ragionare. Di scatto aprì la bocca, non accorgendosi che la stessa cosa pareva star esplodere in Ran.
« Sono stata una stupida ».
Lo precedette davvero per un secondo, così che le parole gli morirono in gola. Interdetto la fissò, e un barlume di speranza si insinuò in un angolo del suo cervello, facendogli avvertire una sensazione di caldo alla base del petto.
Vide Ran ora in piedi di fronte a lui, con i pugni chiusi e l’espressione determinata. Non era riuscita a trattenersi ulteriormente, e così aveva infine alzato decisa il viso e, senza accorgersene, era balzata in piedi.
Gli aveva ripetuto quelle stesse parole che aveva urlato poche ore prima sotto la pioggia, anche perché in quel momento non riuscì davvero a formulare altro. Non fece nemmeno caso alla sua giacca che ormai si trovava a terra, troppo occupata a guardarlo per scorgere un qualche segnale che le desse il coraggio di continuare. E quando, infine, vide un lieve rossore sulle sue guance e l’espressione dolcemente sorpresa, capì che forse poteva davvero sistemare le cose.
« Io… », riprese con bocca asciutta. « I miei genitori non stanno divorziando », sospirò infine, rilassandosi un poco.
Vide sul viso di Shinichi farsi strada un’espressione un po’ più serena, e l’ombra di un sorriso sornione curvare leggermente le sue labbra.
« … ma tu lo sapevi già, non è vero? ».
Shinichi si dondolò un po’ sui piedi, continuando imperterrito a tenere le mani ancorate alle sue tasche.
« Sì », mormorò con tono colpevole, guardandola un po’ intimorito.
« … e perché non me lo hai detto, quando hai visto come stavo? ».
Sapeva benissimo perché. Ma voleva davvero sentirlo pronunciare dalle sue labbra.
« Non volevo illuderti, innanzitutto », cominciò lentamente Shinichi, dosando bene le parole.
« Non ne avevo la certezza », alzò le spalle. « E poi credevo fosse giusto che te lo dicessero loro ».
Ran si rilassò ulteriormente, mentre sorrideva piano. Era esattamente la risposta che si aspettava da lui, e che aveva immaginato poche ore prima.
« Abbiamo litigato », sussurrò dopo un po’.
« Lo so », disse solamente Shinichi, distogliendo lo sguardo.
« … avresti potuto difenderti dicendomelo, e invece sei stato zitto per tutti questi giorni », la realtà la spiazzò ancora di più quando lo disse a voce alta.
Mentre si rendeva conto di come tutta quella situazione fosse assurda, Shinichi davanti a lei rimase in silenzio, alzando solo distrattamente le spalle. Il senso di colpa che la colpì in quel momento fu così forte che le mozzò il respiro, mentre avvertiva la voglia di piangere far capolino prendendola in contro piede. Si morse un labbro, cercando di trattenersi, solo per non passare come al solito per la piagnucolona di turno. Eppure… eppure non ci riuscì.
Vide tutto appannato in pochi secondi, e abbassò la testa non riuscendo a guardarlo ulteriormente in faccia.
« Io non volevo, Shinichi », disse con voce rotta. « Non volevo davvero rinfacciarti Conan, non volevo ».
Un singhiozzo le sfuggì di bocca senza poterlo trattenere, e rapidamente si portò una mano alla bocca per soffocare i successivi che, sapeva bene, sarebbero usciti dopo poco. Troppo concentrata nel contenersi, non si rese davvero conto di Shinichi che, nell’esatto momento in cui aveva visto i suoi occhi riempirsi di lacrime, non aveva capito più niente.
Basta, per favore.
I suoi piedi si mossero da soli, mentre cancellava la distanza da loro.
Basta lacrime per me.
La abbracciò di slancio, posizionando le sue braccia intorno alla sua vita e appoggiando il viso nell’incavo del suo collo. La sentì subito rigida, probabilmente sorpresa da quel suo gesto, ma poco dopo con sollievo avvertì come si stesse rilassando contro di lui.
Ran portò le sue braccia intorno al suo collo, stringendolo timidamente. Cercò di reprimere un brivido di freddo lungo la schiena quando avvertì il suo petto bagnato di pioggia, solo perché non voleva davvero staccarsi da lui. Rimasero abbracciati per un po’, in silenzio, e dopo giorni Shinichi si sentì finalmente bene.
Aveva avuto voglia di abbracciarla fin dal primo litigio, e il non poterlo fare per tutta la settimana aveva messo a dura prova la sua pazienza. Ogni qualvolta la vedesse in classe, avvertiva ogni muscolo del suo corpo fargli male, mentre provava a controllarsi.
E, con fastidio, aveva pensato a come ormai avrebbe dovuto abituarsi a quella novità, ogni qualvolta avrebbero discusso in futuro. Non le sarebbe mancata solo lei, ma anche il suo corpo.
Quando erano solo amici, questo problema non sussisteva.
« Non pensavo quelle cose ».
Si sentì ulteriormente leggero, mentre sentiva il respiro di Ran solleticargli l’orecchio. Tuttavia ben presto questo sollievo sparì, e i soliti dubbi iniziarono a vorticargli in testa.
Avvertendolo irrigidirsi, Ran si staccò un po’ solo per guardarlo in faccia e capire cosa avesse. Vide così la sua espressione dubbiosa, dietro quei ciuffi bagnati che gli ricadevano sugli occhi che la guardavano esitanti.
« … sei sicura? ».
Ran si staccò completamente da lui, arretrando.
« Sì che sono sicura! », esclamò ostinatamente, maledicendosi. Lo sapeva, sapeva che gli aveva fatto male.
« Perché allora hai tirato fuori Conan? », domandò lui sulle spine.
« Perché… », cominciò lei, indecisa se dirgli davvero la verità. Ma sentendosi terribilmente in colpa, non osò dire a voce alta ciò che realmente aveva voluto fare: ferirlo.
« Ero davvero fuori di me, non ho scuse », concluse infine.
« Ran », sospirò infine Shinichi, scuotendo la testa. « Lo so come stavi, credimi. E posso anche capire che fossi in collera con me. Però… ».
Ran aspettò impaziente, mentre il ragazzo davanti a lei prendeva una pausa per cercare e parole giuste. Fu abbastanza difficile, e riprese solo dopo qualche secondo.
« Però non sono sicuro che tu sia passata davvero sopra tutte le mie bugie ».
Ran chiuse gli occhi, solo per odiarsi mentalmente di più. Lo conosceva abbastanza da sapere che sarebbe tornato su quel punto, e infatti eccolo lì. Riaprì gli occhi, solo per incatenare il suo sguardo al suo teso a poca distanza.
« Shinichi », iniziò cauta, facendo un passo avanti. Con le mani si ancorò alle sue braccia, stringendolo forte.
« Non nascondo che ci sono stata male ma… ascoltami », si strinse maggiormente alle sue braccia quando lo vide distogliere lo sguardo visibilmente a disagio.
« Ti ho perdonato perché ho capito che tu eri lì, con me », avvertì chiaramente la vista annebbiarsi per l’ennesima volta, mentre le lacrime facevano capolino.
« Ogni volta che stavo male e Conan mi consolava, tu mi consolavi. Ogni volta che lui mi ha protetta, tu lo hai fatto. Ogni risata, ogni parola, ogni momento in cui ero con Conan, tu eri con me ».
« Perciò sì, ti ho perdonato, e ti prometto che non tirerò mai più fuori il discorso solo per ferirti o rinfacciarti qualcosa ».
Ran si fermò a prendere fiato, fondamentalmente perché aveva parlato così trafelata che alla fine gli era mancato l’ossigeno. Si zittì, guardando quei occhi blu davanti a lei, sperando di averlo convinto almeno un po’. Ma, tanti e troppi secondi in silenzio dopo, si chiese se non fosse tutto inutile. Lui era lì, immobile, a guardarla perso in chissà quali e remoti pensieri.
« Dimmi a cosa stai pensando, perché mi stai facendo impazzire », sbottò spazientita, mollando la presa su di lui e arretrando un poco. Così facendo Shinichi si riscosse finalmente e, rendendosi conto di essere rimasto fin troppo imbambolato su di lei, arrossì lievemente. Tutto Ran si sarebbe aspettato, ma non vederlo arrossire in un momento del genere. Così, sempre più nervosamente, sostenne il suo sguardo del tutto incerta sul da farsi.
« Cosa c’è? », borbottò insistendo. Shinichi arrossì ancora un po’, e lo vide distogliere lo sguardo.
« Quindi… », dovette davvero avvicinarsi un po’ per sentire la sua voce terribilmente bassa e incerta.
« Vuoi stare ancora con me? ».
Ran sgranò gli occhi, solo per vedere Shinichi davanti a lui avvampare ulteriormente, e non si sorprese affatto quando avvertì lei stessa le guance accaldarsi. Di tutte le cose che poteva aspettarsi uscire dalla sua bocca, questa la lasciò davvero interdetta.
« Shinichi », cominciò lentamente. « E’ stato solo un litigio. Abbiamo litigato. Come facciamo da quando abbiamo quattro anni », aggrottò la fronte. A quelle parole Shinichi si sentì davvero un emerito idiota, ragion per cui mise su un broncio abbastanza pronunciato e cercò di ricomporsi come meglio potè.
« Scema! », la rimbeccò a disagio. « Non abbiamo mai litigato così tanto! », si difese.
« Scemo », fece una smorfia lei, stringendo i pugni. « Cosa ti ha fatto pensare che non volessi più stare con te?! ».
« Figurati, solo quando Nakamichi te lo ha chiesto, tu sei stata zitta! », alzò di un tono la voce lui.
« E tu come fai a saperlo?! », esclamò lei, arrossendo ancora.
« Me lo detto, scema ».
« Scema io?! E tu pensi davvero che io sarei andata a raccontare i fatti miei a Nakamichi?! ».
« Potevi almeno negare! ».
« Quindi avevi paura che io ti avessi lasciato, senza nemmeno dirtelo? Accidenti, che grande Detective che sei! ».
Shinichi aprì la bocca profondamente offeso, mentre Ran di fronte a lui lo fissava con le mani sui fianchi.
« Cosa avrei dovuto pensare?! », riprese imperterrito. « Non mi parlavi né guardavi da giorni! ».
« Tu non mi parlavi né mi guardavi da giorni! », sottolineò Ran, fulminandolo. « Avrei voluto avvicinarmi per parlarti già giovedì, ma tu mi ignoravi! ».
« Tu ignoravi me! ».
Rimasero a guardarsi in cagnesco ancora per qualche istante, finché Ran sbuffò, distogliendo per prima lo sguardo.
Shinichi non ha voluto dirmi niente.
Provò con tutte le sue forze a calmarsi, mentre la voce di Yukiko nella sua testa le rimbombava all’improvviso.
Cosa ha combinato, stavolta?
Fissò con più calma il ragazzo davanti a lei, che nel frattempo si era riportato le mani nelle tasche e ora fissava un punto indefinito oltre le sue spalle.
Non ha fatto niente, è stata tutto colpa mia.
Senza riuscire a proferire altro, mosse due passi nella sua direzione come un automa. Lo vide finalmente guardarla, mentre rimaneva immobile sul posto.
L’ho trattato davvero male io, stavolta.
Si slanciò gli buttò le mani intorno al collo e, mettendosi sulle punte dei piedi, inclinò il viso verso il suo.
Lui ti adora, Ran. E non lo dico tanto per dire.
Con foga poggiò le sue labbra contro le sue, e pensò quasi immediatamente quanto gli fossero mancate.
Non so davvero cosa sia scattato nel suo cervello quando ti ha incontrato, Ran.
Era solo passata una settimana, ma quando lo sentì rispondere contro le sue labbra, le sembrò la prima volta che lo baciava in vita sua. Gli strinse le mani fra i capelli ancora umidi alla base della nuca, mentre avvertiva le sue braccia circondarle timidamente la vita. Avvertendo un piacevole calore alla base del petto, pensò a quanto fosse sempre premuroso e delicato con lei. Nonostante cosa avessero condiviso, all’inizio di ogni gesto di affetto lo trovava sempre titubante, quasi piacevolmente stupito, come se non avesse mai completamente realizzato che ora stavano insieme, e perciò era concesso. Perciò non si stupì quando lo sentì stringerla a lui molto piano, come se avesse paura di farle male.
Quando avvertì il bisogno di ossigeno impellente, staccò un po’ le labbra dalle sue per poi posare il viso sulla sua guancia sinistra.
« Mi hai perdonata? », mormorò piano, sfiorandogli ancora i capelli dietro al collo.
« Tu chiedi a me se io ti ho perdonata? ».
Avendo ancora il viso appoggiato alla sua guancia, non vide esattamente Shinichi sgranare gli occhi, ma ciò che Ran notò fu il suo tono sbalordito misto a ironia. Abbozzò a sua volta un sorriso debole, mordendosi nervosamente un labbro. Decise si staccarsi da lui solo per vedere finalmente la sua espressione sarcastica, e a quella vista sbuffò.
« A quanto pare, ogni tanto, sbaglio anche io », disse Ran alzando gli occhi al cielo. Voleva solo sentirgli dire che era tutto a posto, e far tornare tutto come prima. Lui parve intuirlo, perché sorrise leggermente e sospirò.
« Per stavolta direi di sì », la prese in giro, dandole un colpetto sulla fronte.
Ran mugugnò in risposta, mettendo su un broncio adorabile. Ma quando lo vide togliersi con stizza un ciuffo di capelli ancora bagnati dagli occhi, si ricordò di come fosse letteralmente fradicio da capo a piedi. Sobbalzò sul posto, indietreggiando per avere una visuale più ampia di come fosse ridotto.
« Sei zuppo », commentò notando perfino come avesse sporcato tutto intorno di acqua il pavimento, che gocciolava dai suoi vestiti inzuppati. Shinichi sbatté più volte gli occhi, per poi guardarsi a sua volta.
« Un po’ », fece una smorfia.
« Hai mangiato? », domandò sulle spine Ran, considerando solo in quel momento le profonde occhiaie viola sotto i suoi occhi azzurri.
« Non ho avuto tempo, diciamo », se le avesse detto che  aveva saltato sia colazione sia pranzo, di sicuro le avrebbe dato un buon motivo per litigare di nuovo.
« Ti preparo qualcosa », borbottò, capendo comunque come stavano le cose. « Nel frattempo forse è meglio se ti cambi », lo indicò preoccupata.

 

Qualche ora prima…


« Ecco, tesoro ».
Ran trasalì, mentre Yukiko le porgeva dolcemente una maglia pulita. Era turchese, e sicuramente dovette essere sua, perciò Ran si sentì un po’ in imbarazzo. Tuttavia il freddo che avvertiva addosso la incoraggiò ad accettarla di buon grado, mentre arrossiva lievemente e la guardava di sottecchi con gratitudine. Si chiuse titubante in bagno, e rapidamente si cambiò. Con sollievo avvertì la maglia calda riscaldarle il petto, e si sentì decisamente meglio. Prendendo un bel sospiro, uscì infine da lì, e si diresse lentamente e con passo incerto in cucina, dove era ben consapevole che si trovassero entrambi i padroni di casa, che pochi minuti prima l’avevano accolta. Tuttavia, vi trovò solo lei.
« Direi che ti sta perfetta », esclamò Yukiko quando Ran fece il suo ingresso con sguardo dubbioso e gote rosee.
« S-sì, grazie ancora davvero », rispose Ran incerta, avvicinandosi a lei. Yukiko si trovava seduta sullo sgabello in cucina, con davanti due tazze fumanti. Con sommo conforto non adocchiò in giro alcuna traccia di Yusaku, ragion per cui riprese a respirare a pieni polmoni. Dopo la tremenda figura di poco prima, non avrebbe davvero saputo come guardarlo in faccia.
« Ma figurati », un braccio di Yukiko le avvolse le spalle, mentre la invitava a sedersi al suo fianco. Di buon grado si mise sullo sgabello accanto, e di istinto mise le mani sopra la tazza fumante.
« Allora… ».
Ran sentì un nodo alla gola, e di istinto socchiuse gli occhi. La curiosità di Yukiko Kudo, dopotutto, era nota anche a lei.
« Mi dispiace che tu sia venuta fin qui sotto l’acqua e Shinichi non sia nemmeno in casa… ».
Ran la guardò cautamente, e come aveva immaginato il discorso cadde esattamente sulla causa di tutto quell’impiccio. Sebbene avesse parlato con non curanza, potè intuire la spasmodica voglia di sapere e capire esattamente perché si fosse messa a urlare come impazzita sotto la pioggia, e se tanto le dava tanto, anche carpirle l’intera causa del loro litigio. A giudicare dai suoi occhi indagatori e dalle sue mani che non riuscivano a stare ferme, Ran potè chiaramente intuire come fosse all’oscuro degli ultimi sviluppi. Non sapeva da quanto tempo fossero tornati in Giappone, ma di una cosa era certa: Yukiko sapeva che qualcosa non andava.
« Non fa niente, non era nulla di importante », la voce le uscì così rauca e poco convincente che preferì prendere un sorso di the piuttosto che aggiungere altro. Non appena la bevanda calda le arrivò in bocca, tuttavia, alzò un sopracciglio.
Zenzero.
Immediatamente la sua mente vagò a quei giorni in cui aveva praticamente vissuto lì con Shinichi, a come avevano dormito nel suo letto, a quel divano in cui si erano accoccolati così tante volte. E, prima che potesse rendersene conto, il suo viso prese fuoco.
Quelle bustine di the le aveva dimenticate lei, lì.
Alzò di scatto il viso verso Yukiko, che ora la stava guardando un po’ stupita di questa sua reazione così nervosa.
« Non ti piace? », domandò confusa, indicando la tazza nelle sue mani. « Te l’ha preparata Yusaku, non so che gusto ti abbia messo ».
« N-no, è buona », balbettò Ran, posando in fretta la tazza e gesticolando vistosamente con le mani.
Yusaku.
A cui non scappava mai nulla.
Che talvolta era perfino più scaltro e intelligente di Shinichi stesso.
Come aveva fatto a capire che quelle bustine fossero sue?
Un moto di imbarazzo continuò a paralizzarla sullo sgabello, mentre stringeva i pugni convulsamente.
« Ascolta, Ran ».
La voce seria di Yukiko la fece per un attimo rinvenire, e di istinto riprese a fissare la donna di fronte a lei. Si perse per un attimo nel suo sguardo, e per un minuscolo istante ci rivide l’espressione comprensiva che ultimamente Shinichi le aveva rivolto così tante volte. Per quanto fosse identico a suo padre, quel lato tenero del suo carattere doveva averlo preso da lei.
« Non voglio sembrare impicciona, ma sono un po’… ecco », si interruppe, cercando di trovare le parole adatte per proseguire.
« Preoccupata ».
Ran inarcò un sopracciglio, per poi mordersi colpevole un labbro.
Che lei sapesse di ciò che aveva combinato?
« Shinichi non ha voluto dirmi niente », proseguì tentennando. « Che novità », concluse alzando gli occhi al cielo.
Ran riprese a respirare, e sentì un leggero sollievo quando le sue parole iniziarono ad avere un senso nella sua testa così nel pallone.
Non sapeva niente, allora.
« Però posso intuire cosa sia successo ».
Il conforto durò relativamente poco, e nuovamente Ran sentì le guancia imporporarsi. Distolse lo sguardo, mettendosi a guardare con fin troppa enfasi il bollitore ancora abbandonato sui fornelli.
« … cosa ha combinato, stavolta? ».
Ran sobbalzò, e velocemente tornò a fissare Yukiko dinnanzi a lei. Aveva l’espressione ora grave, un sorriso un po’ amareggiato sul viso fine, e anche lei ora pareva torturarsi le mani nervosamente.
Presa in contropiede, Ran rimase senza parole.
« Avete litigato, vero? Quando fa così c’entri solitamente tu, non perde mai così la ragione per altro », disse con fare agitato.
« … sì, abbiamo litigato », borbottò Ran, giocherellando con la sua tazza posta di fronte.
Scese un attimo di silenzio, nel quale pensò velocemente a come proseguire quella discussione così imbarazzante. Evidentemente, a differenza di Yusaku, lei non l’aveva sentita urlare quella frase sotto la pioggia…
« Ti ha lasciata sola per un caso? », buttò lì ad un tratto Yukiko, non riuscendo più a trattenersi.
« Ma no… », rispose a voce bassa Ran, e se avesse potuto, avrebbe volentieri seppellito il viso nella maglia.
« Ha detto qualche stupidaggine? », riprovò convinta, e Ran si sentì ancora più in colpa. Stava dando per scontato che fosse colpa di suo figlio, quando in verità non c’era stato davvero niente di sbagliato in lui.
« Niente del genere », provò ad abbozzare un sorriso per tranquillizzarla, ma ciò che le uscì fu solo una smorfia molto incerta.
Si zittirono nuovamente, e l’unico rumore che poterono avvertire fu solo il ticchettare dell’orologio appeso a poca distanza da loro.
« Non ha fatto niente ».
Ci pensò Ran, quella volta, a rompere quel tremendo silenzio. Yukiko la fissò aprendo un poco la bocca, colta da un improvviso stupore.
« E’ stata tutta colpa mia ».
« Ran… », mormorò Yukiko, fissando i suoi occhi diventare improvvisamente lucidi. Si protese per afferrarle una mano, guardandola incoraggiante.
« Cosa puoi aver mai fatto », quasi rise di quell’eventualità.
« L’ho davvero trattato male io, stavolta », ormai la sua voce era rotta, mentre proseguiva in quello sfogo del tutto inaspettato.
« Penso di averlo davvero ferito, e non sono sicura che avrà voglia di parlarmi ancora ».
Se non fosse stato per i suoi occhi colmi di lacrime e la drammaticità del suo tono di voce, Yukiko sarebbe voluta volentieri scoppiare a ridere. E stava quasi per farlo, e spezzare così probabilmente il cuore della ragazza che ora la fissava con la speranza di trovare in lei un appoggio sicuro per le sue preoccupazioni. Fu così che rimandò indietro l’assurda voglia di ridere fragorosamente, solo per concentrarsi a mantenere un’espressione apparentemente distaccata.
« Ran, tesoro », provò a farla ragionare, stringendole un po’ di più la mano. « Non credo che Shinichi arrivi a tanto », un risolino le scappò di bocca prima di potersi trattenere ulteriormente.
« Neanche se tu lo avessi mandato a quel paese, presumo », proseguì cercando di ricomporsi.
« Ma io… », contestò Ran.
« Ma tu », sottolineò Yukiko sorridendo. « non ci credo che hai fatto qualcosa di così tremendo. E, soprattutto, non penso che Shinichi possa non volerti parlare ».
« Ma ho esagerato », insistette Ran testardamente.
« Magari sì, io non lo so. Ma quello che sto cercando di dirti è che tutto si può risolvere, se si vuole », la voce della donna divenne così dolce e rassicurante che per un attimo Ran si sentì un po’ confortata, e di istinto ricambiò la stretta nella sua mano.
« In fondo », riprese con fare eloquente. « Qui, qualcuno, è la prova vivente che se si vuole, si può perdonare qualsiasi cosa ».
Capì immediatamente a cosa si stesse riferendo, e di istinto le restituì un sorriso debole.
« Grazie », mormorò sinceramente Ran, sentendosi un po’ più leggera. Yukiko sorrise raggiante in tutta risposta, per poi lasciarle la mano e prendere un sorso del suo the. Ran la imitò, prendendo un bel sospiro.
« Lui ti adora, Ran ».
Per poco non le andò di traverso il sorso che aveva appena fatto scivolare in bocca, e come meglio poté cercò di mandarlo giù senza strozzarsi. Sentì le guance avvampare, mentre con la coda dell’occhio fissò la donna di fronte a lei.
« E non lo dico tanto per dire », sottolineò decisa, la tazza fumante ancora fra le sue mani.
« Non so davvero cosa sia scattato nel suo cervello quando ti ha incontrato, Ran. Lo so che talvolta può sembrare disinteressato e un po’ insensibile, ma te lo dico col cuore: lui stravede per te, e solo per te. Questo non dubitarlo mai ».

 

***


« Non dovevi, davvero ».
Ran si riscosse dai suoi ricordi, e velocemente si voltò verso il proprietario di quella voce così titubante alle sue spalle. Vedendolo un po’ nervoso, volle regalargli il sorriso più sereno e comprensivo che riuscisse a fare, mentre spegneva i fornelli e girava il mestolo nella padella ciò che aveva cucinato per lui.
« Non è niente di che », ribatté sistemando il riso saltato nella ciotola, per poi voltarsi e appoggiarla sul bancone della cucina.
Ci aveva messo relativamente poco tempo per farsi una doccia, e ora notò come fosse completamente asciutto e col viso terribilmente stanco. Lo vide sedersi mollemente sullo sgabello, portandosi una mano al viso prima di esplodere in uno sbadiglio rumoroso.
« Scusa », disse poi notando la sua espressione stupita, arrossendo un po’. Lei sorrise ancora di rimando, per poi prendere posto a fianco a lui, che intanto aveva afferrato le bacchette e iniziato a mangiucchiare lentamente.
« A che ora ti sei alzato? », domandò lei curiosa, rimanendo un po’ rigida al suo fianco. Sebbene avessero risolto tutto, si sentiva ancora un po’ tesa. E quei pantaloncini corti che usava solitamente per giocare a calcio e quella maglia nera sul suo petto non aiutavano a renderla più serena. Anzi.
« Alle cinque », fece una smorfia, mettendosi in bocca un altro po’ di riso. « Un caso », aggiunse poi con un’alzata di spalle.
« Sì, me lo ha detto tua madre ».
Per poco Shinichi non si strozzò quando un chicco di riso gli andò di traverso, mentre Ran sobbalzava per la sua reazione. Lo vide iniziare a tossire, per poi immergere il viso nel tovagliolo. Rendendosi conto di come gli fosse andato di traverso il boccone, iniziò a dargli delle pacche sulla schiena, che dopo poco migliorarono un po’ la sua situazione.
« Bevi un po’ d’acqua », gli suggerì, porgendogli il bicchiere.
« Hai parlato con mia madre? », la interruppe lui con voce strozzata, non accettando nemmeno il calice che gli stava porgendo, troppo preso com’era dal fissarla intensamente.
« I-io… sì, erano qui quando sono arrivata, ecco », balbettò Ran, posando il bicchiere.
« Ah… », Shinichi smise finalmente di tossire, rimanendo per un attimo perplesso. « Ti avrà fatto il terzo grado ».
« … ma no », rispose lei, guardandolo di sottecchi. Lo vide alzare gli occhi al cielo, e finalmente prendere un sorso d’acqua.
« Cosa ti ha chiesto? », chiese di nuovo, insistendo con sguardo irrequieto.
« Niente di che, Shinichi, davvero », provò a calmarlo lei, ben conscia di quando detestasse quando sua madre si intrometteva nelle sue cose.
« Certo », replicò sarcastico.
« Comunque non sono rimasti molto, mi ha detto che avevano l’aereo e io sono rimasta qui. Ad aspettarti… ».
Era vero. In parte.
« Mmm », bofonchiò lui per nulla convinto, tornando a mangiare distrattamente il suo riso. In quel momento, Ran lo fissò un po’ più intensamente. E, per la prima volta da quel pomeriggio, vide con lucidità che qualcosa, in realtà, stonava abbastanza nel suo comportamento. Aveva la schiena curva verso il bancone, ma qualcosa nei muscoli delle sue braccia non era come al solito. Pareva essere rigido, quasi sulle spine, mentre continuava a lanciare occhiate fugaci intorno a lui, e specialmente verso di lei. Lo vide curvate le labbra in smorfie impercettibili quando per caso anche lei incrociava il suo sguardo, e infine notò come stesse cercando accuratamente di non sfiorarla per sbaglio.
« Che cos’hai? », chiese all’improvviso, sentendo le sue labbra muoversi senza il suo reale consenso. Semplicemente, agì di impulso, e seguendo il suo istinto. Qualcosa non andava.
« Niente », a tradirlo fu la velocità con la quale le rispose una volta mandato giù il boccone, guardandola di sbieco. I suoi occhi guizzarono così velocemente lontano da lei, da avvalorare solo ulteriormente la teoria di Ran che qualcosa non andasse.
« Shinichi », lo rimbeccò con tono perentorio, guardandolo minacciosa.
Messo alle strette, abbassò lentamente le bacchette, per poi fare in là la ciotola. Ran lo vide sospirare profondamente, prima di muoversi velocemente con lo sgabello e mettersi di fronte a lei, appoggiando le mani sulle proprie ginocchia.
« E va bene », borbottò infastidito. « C’è qualcosa di cui ti devo parlare », ammise con un sbuffo che gli mosse un poco alcuni ciuffi disordinati sulla fronte.
« Dimmi », lo incoraggiò lei con un sorriso incerto sul viso. La tensione era papabile, e si chiese per un attimo cosa fosse accaduto di così grave da indurlo a guardarla con quell’espressione così tesa.
« Dopo il caso mi sono trattenuto in Centrale con alcuni membri dell’FBI », iniziò cercando di sostenere il suo sguardo.
« Ok », lo incitò a proseguire lei.
« E… », prese un attimo tempo per poter dosare bene le parole, ma ben presto si rese conto che, in una maniera o nell’altra, ciò che stava per dire sarebbe risultato sgradevole in ogni caso.
« Devo andare in America, Ran. Per testimoniare, contro l’Organizzazione… », sospirò.
Di tutte le cose che si era immaginata, questa non le era nemmeno passata per l’anticamera del cervello. E quando infine la sentì uscire dalle sue labbra, non la trovò nemmeno così tremenda da giustificare lo sguardo cupo di Shinichi.
« Va bene », disse solamente, sorridendo.
« … dovrò rimanere là per quattro settimane ».
 Prima che potesse rendersene conto, il sorriso le morì sul viso.
Quattro settimane.
Un mese. Senza di lui.
Sapeva bene quanto fosse sciocco per lei rimanere male per una cosa del genere, visto e considerato per quanto tempo lo avesse aspettato, ma comunque quell’improvvisa notizia la lasciò interdetta. Da quando era tornato, avevano trascorso ogni singolo momento insieme, e ora il pensiero di non vederlo per così tanti giorni le mozzò un po’ il respiro.
Lui parve accorgersene, perché si sporse verso di lei con sguardo grave e comprensivo.
« Lo so che è tanto tempo, ma ci sono un po’ di faccende da sistemare prima del processo e purtroppo la mia testimonianza è necessaria. Non sono contento nemmeno io, ma sono obbligato ».
« Certo, lo so », intervenne finalmente Ran, cercando di rincuorarlo. « E’ solo un mese, vedrai che passerà in fretta », non ci credeva nemmeno lei, così come non convinse lui. Vide i suoi occhi lanciarle un’occhiata dubbiosa, mentre rimanevano immobili a fissarsi. Rimasero in silenzio per un po’, continuando a guardarsi intensamente, finché Ran non si sbilanciò in avanti e gli stampò un bacio leggero sulla guancia.
« Quando partirai? ».
« Fra una settimana », mormorò flebilmente lui.
« Lo sai come la penso, no? », mormorò Ran dopo un po’, ancora contro la sua gota, e lui poté avvertire il suo respiro contro la pelle.
« L’attesa rende solo più bello il rivedersi ».
Shinichi sentì il cuore lanciare un battito più forte del normale, e si ritrovò a sorridere fievolmente. Si staccò un po’ da lei, girando il viso in modo da poterla guardare nuovamente negli occhi.
« Ad una condizione, però », riprese a parlare lei, con espressione improvvisamente seria.
« Qualsiasi cosa », sussurrò lui, mentre il sorriso spariva per lasciare il posto da un’espressione preoccupata.
« Devi tornare da me ».
Non seppe nemmeno lei come trovò il coraggio di dirgli una cosa del genere, ma inaspettatamente le sfuggì dalle labbra senza nemmeno accorgersene. Lo vide sbattere gli occhi un paio di volte, prima di fissarla con espressione piacevolmente sorpresa. Poi, prendendola alla sprovvista, le acchiappò di scatto i polsi, intrappolandola nelle sue mani con presa decisa.
Prima che potesse dire o fare qualsiasi cosa, Shinichi si sporse velocemente in avanti appoggiandosi deciso contro le sue labbra. Le teneva ancora i polsi fra le mani, come a volerla intrappolare mentre la baciava rilasciando quel tumulto interiore che aveva soffocato negli ultimi giorni in cui non l’aveva avuta con sé. Premette così rudemente le labbra contro le sue, che si stupì quasi di sé stesso. Pensò perfino di star esagerando, ma quando la sentì rispondere altrettanto con foga, soffocò un po’ il suo senso di colpa. Si baciarono per qualche secondo senza nemmeno provare a prendere fiato, e quando infine gli mancò davvero l’ossigeno e provò a staccarsi, la sentì combattere contro le sue mani, divincolandosi dalla sua presa. Mollò d’istinto i suoi polsi, e velocemente lei posizionò le sue braccia intorno al suo collo.
Devi tornare da me.
Quella frase gli rimbombò ferocemente nella testa, e provocò in lui qualcosa di davvero forte. Cercò di trattenersi, mentre lei affondava le mani nei suoi capelli e continuava a baciarlo intensamente. Ogni volta era così, con lei.
Cercava di rimanere lucido quel tanto per non apparire aggressivo, o eccessivamente spasmodico. Il più delle volte c’era riuscito, perfino nei momenti più intimi, mentre nella testa continuava a ripetersi la stessa, identica frase.
Non esagerare.
Eppure in quel momento non riusciva davvero a dosare i suoi gesti, men che meno la sua testa. Sapeva solo che erano davvero troppi giorni che non le parlava, non la sfiorava, non la teneva stretta a sé. Nella sua testa vorticava solo la sua espressione grave mentre lo incrociava nei corridoi di scuola, o come lo scostasse in classe. Era stato così doloroso per lui, in quel giorni, che averla finalmente lì davanti lo rese terribilmente impaziente. Sapere che poteva finalmente fare ciò che aveva prepotentemente desiderato per tutta la settimana, gli fece davvero perdere quel briciolo di controllo rimasto, e per una volta decise di non ascoltare minimamente quella vocina in fondo al cervello che sempre più flebilmente lo ammoniva:
non esagerare.
Completamente presa in contropiede, Ran si ritrovò molto rapidamente il corpo di Shinichi addosso, e aprendo leggermente un occhio notò come fosse balzato in piedi e ora la stesse sovrastando mentre era ancora seduta sullo sgabello. Totalmente spaesata, sentì le sue ginocchia premere contro le sue gambe, mentre si faceva strada quasi prepotentemente contro di lei allargandogliele. Provò con tutte le sue forze a rimanere calma, ma sentì comunque un rossore incontrollabile accaldarle le guance. Si impose di concentrarsi sull’infinità di baci che si stavano scambiando, e sul ritmo frenetico che le labbra di Shinichi avevano sulle sue. Non che non apprezzasse, ma si sentiva completamente disorientata.
Non lo aveva mai avvertito così rude nei suoi confronti. Anche nelle due volte in cui si erano spinti oltre aveva sempre mantenuto la sua indissolubile compostezza, e mai l’aveva travolta così prepotentemente.
Finalmente prese ossigeno, quando sentì la sua bocca lasciare la sua, ma ben presto dovette mordersi un labbro per trattenere un mugugno sommesso. Avvertì il suo fiato accelerato sul collo, mentre le lasciava una scia di baci così pungenti che sperò vivamente non le lasciassero un segno evidente. Se suo padre li avesse notati…
Eppure lui pareva non farci minimamente attenzione, mentre le accarezzava distrattamente la schiena e continuava fino a incastrare il suo viso nell’incavo del suo collo.
Ran provò a trattenere un ulteriore lamento sommesso quando infine le lasciò un piccolo morso alla base del collo, stringendo ancora di più le mani nei suoi capelli. Pensò che l’avesse sentita almeno un pò lagnarsi, ma lui non diede alcun segnale di volersi fermare.
Quest’ulteriore reazione la lasciò di nuovo sorpresa, mentre apriva infine gli occhi e vedeva il suo viso risalire contro il suo collo.
Doveva davvero essere perso in chissà cosa, per non rendersi conto di star avendo un tale effetto su di lei. Appena qualche settimana prima, se solo si fosse reso conto di averle minimamente fatto male, si sarebbe staccato velocemente da lei, fissandola con quel suo sguardo colpevole. Eppure in quel momento, mentre riprendeva a baciarla e la sua lingua faceva capolino nella sua bocca, non pareva minimamente intenzionato a smettere o a curarsi di aver esagerato.
Pur essendo totalmente sorpresa, tuttavia, si ritrovò ancora più stupita quando si rese conto che davvero non le importava. Anzi.
Sentirlo così rude contro di lei, così impetuoso, la lasciò piacevolmente sorpresa. Arrivò perfino a pensare quanto le piacesse, quando infine sentì le sue braccia contro la schiena farsi più strette e le sue mani darle uno slancio in avanti. Di scatto si ancorò con le gambe a lui, mentre si ritrovava sospesa con le sua sola presa a sorreggerla.
Sentiva le gambe farle un po’ male, mentre le stringeva provando a tenersi su abbastanza per evitare un tremendo capitombolo all’indietro. Shinichi tuttavia la tenne così stretta che cominciò senza indugio a camminare in avanti, e dopo soli pochi passi sentì il vuoto dietro di lei.
Smise di baciarlo solo per chiudere gli occhi ancora più forte, aspettandosi il pavimento contro la schiena da lì a poco. Tuttavia, invece di sentire la botta, avvertì solo qualcosa di morbido contro di lei, e velocemente si rilassò contro quello che capì essere il divano. Ulteriormente shockata, si ritrovò così sdraiata su di esso, con Shinichi completamente addosso in quello che, visto dall’esterno, doveva ormai essere un groviglio di loro due.
Non ebbe davvero il tempo di capire cosa fosse successo, che lo sentì mugugnare contro le sue labbra che da qualche secondo non rispondevano più al suo bacio. Provò a riprendere da dove si era interrotta poco prima per la sorpresa, sorridendo interiormente di quel suo brontolio istintivo.
E, quando ormai pensava di essere completamente sbalordita da lui, Shinichi la lasciò nuovamente totalmente spaesata quando senza tante cerimonie iniziò ad accarezzarle il petto.
Se non fosse stata imprigionata in quei baci così irruenti, avrebbe sicuramente emesso un ulteriore suono meravigliato.
Nelle ultime, poche volte in cui si erano spinti così in la, Shinichi non l’aveva comunque mai toccata così. Era sempre stato calmo, titubante, misurato.
Cosa era cambiato in quell’ultima ora? Appena poco prima, quando si erano baciati in biblioteca, quasi era parso timido quando l’aveva tratta a sé abbracciandola.
Come erano finiti così su quel divano, lui addosso a premerle la mano sul corpo come se non avesse davvero più controllo di sé?
Una scintilla apparve nel cervello di Ran, mentre di istinto si alzava con metà busto in avanti solo per lasciargli sfilare quel maglioncino che così dolcemente sua madre le aveva proposto ore prima.
Si è forse sempre trattenuto, con me?
Si staccò leggermente da lui per riprendere fiato, mentre avvertiva il maglioncino cadere inesorabilmente a terra. Non ebbe nemmeno il tempo di sentirsi in imbarazzo per essere rimasta in solo reggiseno, che lui eliminò la distanza fra loro facendola aderire nuovamente contro il suo petto.
Non aveva davvero più controllo di sé, e lo appurò definitivamente quando riprese a mordicchiarle il collo come se niente fosse. E in quel momento, con la testa inebriata e ancora in tilt, Ran si domandò se non dovesse imitarlo.
Ormai era già successo, dopotutto. Due volte.
Forse avrebbe dovuto mettere semplicemente da parte l’imbarazzo, le sue difese, e perfino le paure che ancora si insinuavano subdole nella sua testa.
Mi ha già vista nuda. E’ già successo, perché dovrei vergognarmi ancora?
Forse era per quello che lui pareva completamente disinteressato ad apparire delicato o metodico, pensò Ran mentre sussultava al suo ennesimo mordicchio alla base del collo.
O forse l’ha sempre voluto fare, ma le prime volte si era controllato.
Quel dubbio era sempre più convincente nei suoi pensieri, e un po’ si sentì in colpa che potesse essere vero. Non voleva davvero che lui non fosse sé stesso con lei, o che si dovesse imporre autocontrollo solo per paura di fare qualcosa che a lei non potesse andare. Per una volta, pensò con decisione, non voleva che lui si trattenesse in alcun modo. Era conscia che probabilmente si fosse sempre limitato al minimo per evitare di metterla a disagio, e in quel momento capì che per una volta voleva davvero sforzarsi per lui, specialmente perché era perfino orgogliosa della reazione che stava avendo in quel momento.
Uno Shinichi senza controllo lo aveva già intravisto, ma così mai. E non volle sprecare quell’opportunità.
Per di più, appena fra una settimana, e lo avrebbe avuto a chilometri di distanza per un mese. Era poco, dopotutto quello che aveva aspettato, era vero. Ma il solo pensiero che potesse accadergli qualcosa mentre era via, faceva riaffiorare i suoi incubi più atroci.
Un mese senza di lui.
Senza accorgersene si strinse un po’ di più contro di lui, premendogli così tanto le mani sulla schiena che Shinichi emise un lamento quando avvertì le sue unghie far capolino sulla pelle. Incoraggiato dal fatto che lei non paresse per niente intimidita dal suo fare un po’ brusco, la fissò aprendo un poco gli occhi. Provò a ritrovare un barlume di controllo, che venne presto spazzato via quando lei gli tirò senza tanti preamboli l’orlo della maglietta verso l’altro.
Lasciò che gli facesse scivolare la t-shirt via di dosso, e fu il suo turno di sorprendersi quando avvertì le sue mani contro i suoi pantaloncini. Cercò di scacciare la sensazione di imbarazzo, provando a concentrarsi di nuovo su di lei. Era tremendamente liberatorio, per una volta nella sua vita, non essere in preda alla razionalità. Il fatto era che la  voleva, e non era davvero sua intenzione nasconderlo o minimizzarlo. A che scopo, comunque?
Aveva passato giorni interi a crogiolarsi per quell’assurdo litigio, a farsi mille paranoie per frasi non dette o sentite per sbaglio. Ne aveva abbastanza.
E in ogni caso, stavano insieme. Avevano già superato il limite due volte, perché avrebbe dovuto nascondersi? La desiderava in quel momento, su quel divano, senza avere nemmeno il tempo di potersi spostare altrove.
Era stufo di quegli imbarazzi, di quella timidezza che contrassegnava ogni loro momento privato.
Preso com’era dai suoi pensieri, quasi non ci fece caso quando automaticamente con una mano le tolse anche i jeans. La sentì perfino aiutarlo nell’arduo compito, giacché fece davvero fatica a sfilarglieli com’erano stretti in quel poco spazio.
Non seppero davvero come rimasero senza niente, troppo presi dal momento e ad occhi ancora chiusi. Ma quando infine anche l’ultimo indumento cadde a terra e Ran avvertì un brivido lungo la schiena, spinse a sé ancora un po’ di più Shinichi nell’improvviso bisogno di calore. Lui se ne accorse, e senza dire una parola provò come meglio poté ad abbracciarla ancora un po’ di più, nella speranza di scaldarla, ben conscio che lì nei paraggi non ci fosse davvero nulla con cui coprirsi. Sentendosi dopo poco meglio, inspirò forte il suo profumo mentre gli poggiava un bacio sul collo.
Era così buono. Sapeva di sapone, vista la doccia di poco prima, e sebbene coperto da quest’ultimo, poteva avvertire il suo solito profumo far capolino nel suo naso.
Quel profumo che sapeva di sicurezza, di ricordi, di lui. Lo sentiva da che ne avesse memoria, fin da quando erano ragazzini e giocavano senza sosta a qualche gioco proposto ovviamente da lei, e accettato non senza pochi brontolii da Shinichi. Lo aveva sentito spesso anche poi a scuola, quando si avvicinava per caso a lui per passargli un libro o studiare insieme sui suoi appunti.
Non aveva mai significato realmente niente per lei, almeno fino a quel viaggio a New York. Sorridendo fra sé, ripensò a quando tornarono e tutto fu diverso.
Quel profumo, fu diverso. Casualmente le provocava sensazioni fino a quel momento sconosciute, e perfino un po’ confuse.
Come il suo sorriso, che fino a qualche settimana prima pareva così normale, solo dopo i quindici anni si era resa conto di quanto gli illuminasse il viso e addolcisse lo sguardo.
Tante cose erano cambiate, da quando si erano messi insieme. E, soprattutto, tutto era accaduto alla velocità della luce, come se tutti quegli anni passati a trattenersi fossero all’improvviso esplosi, incapaci di poterli arrestare ulteriormente.
Perfino quel momento, le parve completamente nuovo.
Erano nudi, contro quello stesso divano sul quale avevano visto così tanti film, e riso altrettante volte da bambini. E non le importò nemmeno di non essere coperta, come era accaduto le altre volte. La luce era accesa, e proveniva chiaramente da tutto il salotto, ma anche di questo non ci fece troppo caso. Consapevole di tutto ciò, si staccò leggermente per prendere un po’ di fiato, mentre lui finalmente apriva gli occhi e la guardava in silenzio. Quando si accorse del suo sguardo addosso, Ran arrossì lievemente, cercando di coprirsi leggermente la parte superiore del corpo in bella vista a pochi centimetri di distanza da lui. Gesto che non passò inosservato a Shinichi, il quale scosse la testa lievemente con un sorriso leggero sul viso.
Era così tenera. E in quel momento riprese a ragionare abbastanza da arrivare alla conclusione che non importa quante volte ancora sarebbe successo, o quanti altri momenti privati avrebbero condiviso: Ran avrebbe sempre avuto quell’inguaribile imbarazzo stampato in volto, semplicemente perché lei era così. E, mentre le fissava le gote rosse e gli occhi lucidi, constatò che in fondo non gli dispiaceva farla sentire così, proprio per il semplice fatto che solo a lui era concesso vederla in quello stato. Conscio di ciò le accarezzò lievemente una guancia, dopo poco dopo stampò un bacio leggero.
Devi tornare da me.
Di istinto inclinò la testa quel tanto per sfiorare il suo naso col proprio, mentre incatenava i loro occhi insieme. Un bruciore alla base della pancia tornò prepotente, e non riuscì nuovamente più a trattenerlo.
« Io tornerò sempre da te ».

 

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Capitolo 19
*** Lividi ***


WITHOUT WORDS.
lividi.
 

Ran si rilassò contro quelle braccia che la stavano tenendo teneramente da almeno dieci minuti, nel quale nessuno dei due aveva osato pronunciare parola. Cercò di riorganizzare per un secondo l’immensa confusione che aveva in testa, ma non ci riuscì molto. Non aveva ancora ben compreso a fondo cosa fosse appena successo, e ogni volta provasse a ripensarci sentiva solo le guance avvampare e una particolare domanda rimbombarle incessantemente nella testa: è successo davvero?
Non poteva ancora credere fino in fondo a cosa avessero fatto su quel divano, sul quale erano ancora accoccolati stretti l’un l’altro, senza riuscire però a guardarsi in faccia. In quel momento, col respiro tornato finalmente regolare, la mente ora totalmente lucida e la luce a non nascondere proprio nulla, erano ormai completamente consapevoli e totalmente paralizzati. Nessuno provò davvero prendere parola, men che meno muovere un solo muscolo, nella paura di poter rivelare fin troppo agli occhi dell’altro. Sapevano bene quanto fosse sciocco ormai cercare di coprire alcunché, ma non potevano davvero farci nulla: era tutto poco chiaro e molto, molto imbarazzante.
Sebbene con mille pensieri contrastanti in testa, Ran provò con tutte le sue forze a calmarsi, stringendosi un po’ di più contro quel petto che si alzava e si abbassava lentamente sotto il suo viso. Sentiva abbastanza nitidamente il suo cuore battere appena sotto il suo orecchio, e per poco quel ritmo la rilassò a tal punto da sonnecchiare. A tenerla ben sveglia, tuttavia, furono alcuni flash che, ogni qualvolta le tornassero in mente, le facevano infuocare ogni angolo del proprio corpo.
Come aveva immaginato fin da quando l’aveva presa e messa lì sopra con una foga non proprio da lui, Shinichi non aveva avuto minimamente intenzione di trattenersi in alcun modo, quella volta. Ed era stato così che probabilmente erano definitivamente crollate le sue inibizioni e, poco dopo, quelle della stessa Ran.
Arrossendo ulteriormente, si ricordò di come aveva cercato con tutte le sue forze di zittirsi, mentre la stuzzicava e le lasciava così tanti morsi lungo il collo e ben oltre. C’era perfino riuscita per un po’, ma quando infine lui aveva perso quell’ultima pazienza rimasta ed era scivolato su di lei, non era davvero più stata capace di trattenersi. C’era sempre riuscita nelle altre due occasioni, ma ben presto si rese conto che quella volta non aveva davvero niente a che fare con quelle prime esperienze. Shinichi era sempre stato calmo, misurato, ma soprattutto lento nei movimenti, come se avesse paura di romperla o farle male.
Non c’era stato davvero niente di pacato in ciò che avevano condiviso appena poco prima.
Proprio per questo, ad un certo punto, Ran aveva rinunciato a mordersi un labbro nella speranza di non far trapelare alcun lamento. Semplicemente non ce l’aveva più fatta, perché quello che stava provando era qualcosa di così forte e mai avvertito, da lasciarla completamente senza fiato. Con sommo imbarazzo si era ritrovata ad ancorarsi così energicamente a lui, che solo dopo un po’ si accorse di aver addirittura intrecciato le gambe sulla sua schiena nella spasmodica ricerca di un po’ di equilibrio. Il fatto era che non aveva mai messo tutta quell’energia, e tutta quella forza mentre si muoveva sopra di lei. Eppure ogni movimento era deciso, forte, e prima che lei potesse prendere fiato ne arrivava subito un seguente a farle chiudere gli occhi e boccheggiare. Non aveva davvero trovato il coraggio di guardarlo, solo per la paura di rivedersi riflessa in chissà quale stato in quei suoi occhi azzurri. Perciò aveva tenuto gli occhi ben serrati, mentre il suo cervello perdeva ogni forma di razionalità ad ogni nuova sensazione che lui le stava regalando. Sebbene avesse già avuto modo di provare simili sensazioni con lui, in quell’istante sembravano come amplificate e dieci volte più intense di qualsiasi altra volta, forse proprio per il vigore che ci stava mettendo senza alcuna riserva. Si ritrovò quasi a pensare sul perché non avesse mai voluto lasciarsi andare così fino a quel momento, e di fronte a quelle nuove sensazioni quasi le due volte prima parvero impallidire.
Sorrise soddisfatta sentendosi così stordita ma anche così appagata, che un sospiro le sfuggì di bocca. Si dimenticò per un momento di essere ancora nuda contro di lui, sotto la luce accesa di quel salotto così familiare, mentre lui la teneva stretta a sé.
Quando sentì quel sospiro profondo, Shinichi si immobilizzò ancora di più. Provò a decifrarlo, ma non riuscì davvero a comprendere cosa potesse significare: era felice, o semplicemente sconvolta per cosa era appena successo?
Ormai completamente lucido e ragionevole, si era ritrovato a pensare a cosa avesse appena fatto. E quasi non si riconobbe.
Aveva avuto come un blackout nel cervello, e la parte più irrazionale e frustrata del suo cervello aveva rilasciato qualcosa nel suo corpo, che si era mosso senza aver davvero la possibilità di controllarlo. L’aveva praticamente bloccata per i polsi, e trascinata su quel divano senza la possibilità di potersi rifiutare. Al solo pensiero di aver fatto qualcosa che non desiderava, sentì lo stomaco rigirarsi per la preoccupazione. Chiuse gli occhi, cercando di ragionare con imparzialità.
L’aveva trascinata lì, sì. Però d’altra parte aveva partecipato tutto sommato attivamente ai suoi baci, alle sue carezze, e… sì, avrebbe volentieri voluto ricordare il momento in cui si erano spogliati, ma non se lo rammentò davvero. Sapeva solo che ad un certo punto tutto era caduto a terra, e senza troppo pensarci lui aveva iniziato a mordicchiarla ovunque, senza nemmeno pensare che potesse farle male.
Mortificato pensò con orrore se per caso le avesse lasciato dei lividi lungo il corpo, e al dubbio che potessero essere fin troppo visibili attraverso i vestiti.
Se Kogoro o sua madre se ne fossero accorti, probabilmente lo avrebbero ucciso.
Tuttavia non si osò muoversi per accertarsi di questo suo dubbio, giacchè era ancora bellamente nudo contro di lei. In quel momento si rese conto di star trattenendo il respiro, e il più silenziosamente possibile riprese in parte a respirare per calmarsi.
Ragiona.
Provò a ripensare a qualsiasi gesto di Ran che avrebbe potuto sottintendere il suo fastidio. Rammentò con sommo imbarazzo come, senza chiedere o assicurarsi che lei fosse d’accordo o pronta, aveva iniziato a muoversi davvero troppo intensamente. Aveva provato a darsi una calmata, come era successo le prime due volte, ma davvero non c’era riuscito. Specialmente quando lei aveva iniziato ad essere così terribilmente rumorosa. Se possibile, sentirla così, aveva definitivamente mandato in tilt il suo cervello, e si era sentito incoraggiato da ciò. Non l’aveva mai sentita così, e rincuorato aveva deliberatamente evitato anche lui di soffocare qualsiasi sospiro o lamento gli arrivasse alla base dello stomaco.
Al ricordo sentì il viso andare in fiamme, e cercò con tutte le sue forze di calmarsi per non darle a vedere il suo profondo disagio. Tuttavia, dopo ancora altri minuti di indissolubile silenzio, la paura di aver esagerato si insinuò profondamente in lui, così tanto che non poté più far finta di niente. Ancora immobile a pancia in su sopra quel divano, e con lei su un fianco appoggiata al suo petto, decise che era il momento di fare un primo passo per accertarsi che lei non fosse offesa con lui.
« … stai bene? », la sua voce era roca, incerta, e terribilmente bassa.
La sentì un po’ irrigidirsi, prima di sospirare lentamente.
« Sì », disse con voce timida, facendo poi scendere nuovamente il silenzio.
Più incerto di prima, si morse un labbro ormai completamente terrorizzato. Stava ancora pensando a cosa poter far per risolvere le cose, quando Ran si mosse piano accanto a lui.
« … ho solo un po’ freddo, ora ».
In realtà, ne aveva anche lui. Incerto sul da farsi, pensò rapidamente a come fare. Non c’erano coperte in salotto, ma era abbastanza sicuro che in camera sua ce ne fosse una nell’armadio. Tuttavia non era davvero convinto su come fare.
Sono nudo, dannazione.
« H-ho una coperta di sopra », iniziò dubbioso. « V-vado a prenderla ».
Sperò che lei potesse intuire l’imbarazzo della situazione, e con sommo conforto notò come si fece timidamente da parte per lasciarlo alzarsi. Cercò da parte sua di non voltarsi verso di lei e, mentre si alzava dal divano sperò vivamente che lei non lo stesse davvero guardando. Dandole completamente le spalle, si accorse solo di sfuggita di come lei fosse seduta al suo fianco un po’ girata anch’essa nella direzione opposta, e in fretta acchiappò i suoi pantaloni della tuta e i boxer abbandonati lì a fianco. Se li mise così in fretta che per poco non inciampò, e quando adocchiò la t-shirt decise rapidamente di porgerla a lei senza guardarla. Le toccò distrattamente una spalla, facendogliela cadere fra le braccia.
« P-puoi metterla », balbettò, e rapidamente decise di dirigersi in camera sua. Non la guardò ancora, sperando che si coprisse anch’essa per evitare ulteriore imbarazzo.
Non notò così come Ran fosse avvampata fino ai capelli, e di come senza volere lo avesse visto nudo in piedi mentre si rivestiva. Sapeva bene che avrebbe dovuto distogliere lo sguardo, ma la curiosità vinse e per la prima volta lo vide alla luce vivida del soggiorno. Era così arrossita, e quasi subito il freddo aveva lasciato spazio a un calore così forte da farla quasi sudare. Si sentì come se avesse invaso la sua privacy, specialmente perché Shinichi aveva evitato di metterla a disagio ignorandola completamente mentre era svestita su quel divano. Provò a darsi una calmata, mentre con mani tremanti si infilava la sua t-shirt che andò a coprirle metà coscia, e con un’occhiata fugace prese velocemente da terra anche il suo intimo. Se lo mise alla velocità della luce, e attese un po’ incerta il ritorno di Shinichi.
Al pensiero si ritrovò a pensare a poco prima, quando lo aveva visto lì accanto a lei. Sentì le farfalle nello stomaco al pensiero di come l’aveva appena visto, e di ciò che avevano appena fatto.
Prese due sospiri profondi imponendosi calma, ma quando sentì i suoi passi veloci per la scale distolse d’istinto lo sguardo per iniziare a fissare insistentemente il tappeto sotto i suoi piedi.
Capì che fosse accanto a lei quando vide di tralice le sue gambe coperte nuovamente dai pantaloncini della tuta, e di istinto lo fece passare.
Completamente paralizzata, lo vide sedersi a fianco a lei e, con un gesto un po’ impacciato, porgerle la coperta che aveva fra le mani.
« T-tieni », mormorò balbettando, e lei la afferrò con un cenno del capo. Pensava che si sarebbe sdraiato nuovamente al suo fianco, ma quando dopo un po’ non lo vide muoversi, alzò finalmente lo sguardo verso di lui.
Ran vide così Shinichi fissarla intensamente, e quando si accorse del suo sguardo addosso trasalì preso in contropiede. Distolse rapidamente gli occhi dai suoi, e Ran si accorse del rossore inevitabile che fece capolino teneramente sulle sue guance. Sorridendo dolcemente, capì che aveva riacquistato completamente il suo proverbiale autocontrollo, per non parlare della sua timidezza cronica. Lo avvertì dal suo sguardo incerto, e da quel viso così scarlatto, mentre si torturava furiosamente le mani. La passione del momento era completamente scemata, ed evidentemente ora nemmeno lui sapeva bene come comportarsi. Sentendosi un po’ rincuorata di non essere l’unica confusa in quel momento, gli poggiò comprensiva una mano sul braccio, attirando così la sua attenzione. Ci riuscì, perché Shinichi a quel tocco si voltò appena, con un’espressione titubante.
« Torni qui con me? ».
Non seppe con che coraggio pronunciò quella frase, ma ebbe l’effetto sperato. Shinichi si sbloccò dopo un attimo, e senza fiatare annuì timidamente. Si mosse allora lentamente verso di lei, e trascinandola con sé si sdraiò nuovamente sul divano. Si ritrovarono così entrambi sistemati, Shinichi nuovamente a pancia in su e Ran addosso a lui sul suo petto. Avevano le gambe così intrecciate che non provarono nemmeno a districarle, mentre come meglio poteva Ran sistemava la coperta addosso a loro. Quando furono al caldo e consapevoli di non essere più completamente svestiti, si rilassarono abbastanza da sentirsi un po’ meno in imbarazzo. Tuttavia calò di nuovo il silenzio, e i sensi di colpa di Shinichi tornarono a galla.
Non potendo più sopportare quei suoi dubbi, decise alla fine di prendere parola.
« Ran… », mormorò contro i suoi capelli. « Io, ecco… ».
La sentì muovere il viso, così che riuscì ad guardarla negli occhi. Come se non fosse già abbastanza difficile, senza quel suo sguardo dolce addosso.
« … non so davvero cosa mi sia preso ».
Vide le sue gote diventare rosse tanto quanto le sue, e le sue labbra tremare leggermente. Seppur in preda all’ansia, decise di continuare.
« Spero di non aver esagerato, o averti fatto… male, ecco », concluse distogliendo lo sguardo, non riuscendo più a sostenere il suo così dannatamente amabile e comprensivo.
« … non mi hai fatto male », il suo cuore riprese a battere non appena avverti la voce di Ran far capolino nelle sue orecchie.
« Anzi ».
Anzi.
Shinichi corrugò la fronte di fronte a quella piccola, quasi innocua parola.
Anzi cosa?
« Anzi? », chiese alla ricerca di un’ulteriore conferma da parte sua. A quella improvvisa domanda Ran avvampò, rendendosi conto di cosa le fosse appena scappato di bocca. Si strinse un po’ di più nelle coperte, alzandosi con metà busto per ritrarsi di istinto un po’ lontano da lui.
« Beh, ecco », mormorò non sapendo davvero che dire. Lo vide alzarsi anche lui un po’, mentre il suo sguardo si faceva acceso.
« I-insomma », balbettò nel panico, abbassando lo sguardo sul suo petto di fronte a lei.
Mi è piaciuto.
Avrebbe volentieri voluto sprofondare nella coperta e sparire, ma certo non era possibile. Si zittì inesorabilmente, per poi lanciargli un’occhiata veloce. Con sorpresa vide un sorriso  incerto sul viso di Shinichi, il quale la guardava in attesa. Spazientita, sbuffò scuotendo la testa.
« Insomma, cosa vuoi? », sbottò un po’ alterata.
« Cosa voglio?», ripeté lui improvvisamente preso in contropiede.
« Sì, mi stai facendo il terzo grado! », contestò Ran, alzando di un tono la voce.
« Ma cosa stai dicendo! », borbottò lui di rimando, inarcando prepotentemente un sopraciglio.
« Sei strano da prima! », non era vero, ma non sapeva più davvero cosa dire. E si rendeva perfettamente conto di starsi arrampicando sugli specchi, ma quello dopotutto era ciò che gli riusciva meglio: battibeccare per salvarsi da un momento particolarmente imbarazzante. Ciò che Ran non si aspettava sicuramente, era la frase successiva di Shinichi che gli sfuggì di bocca con una sincerità così disarmante da lasciarla shockata per un attimo.
« Se sono strano è perché sono imbarazzato », esplose Shinichi, arrossendo ancora. « E mi sento in colpa, per come mi sono comportato! », concluse indicandole qualcosa sotto il viso. Confusa si portò una mano al collo, non avvertendo però nulla.
« C-cosa? », chiese Ran, non capendo cosa avesse indicato.
« … hai qualche livido », borbottò Shinichi, distogliendo lo sguardo.
« Livido? », ripeté lei, e in quel momento, abbassando il viso, notò una piccola forma violacea appena sul petto. Completamente stordita si passò un dito sopra delicatamente, come a voler appurare che fosse reale.
E lo era, lo era eccome. Non dovette pensarci troppo per capire che era stato lui, a procurarglieli, ogni qualvolta le lasciasse quei baci sul collo che più di una volta erano sfociati in piccoli morsi talvolta un po’ fastidiosi ma anche così dannatamente emozionanti.
« Scusami ».
La voce bassa e colpevole di Shinichi le fece rialzare in fretta il viso, solo per incontrare il suo viso tirato a poca distanza dal suo.
« Ti ho… obbligata », borbottò continuando non con poca fatica. « E poi sono stato forse troppo… aggressivo ».
Quasi le venne da ridere. Le pareva di rivivere lo stesso momento di qualche tempo prima, quando dopo quel pomeriggio particolarmente passionale in agenzia lui si era scusato per quel suo mancato autocontrollo, credendo realmente che lei ci fosse rimasta male. Soffocò una risata, che comunque non passò inosservata a Shinichi, il quale si bloccò dal suo sproloquio quel tanto per aprire la bocca sorpreso.
« A me non sembra che tu mi abbia obbligata ».
Fu il turno di Shinichi di rimanere senza parole, mentre lei si riavvicinava e si accoccolava nuovamente al suo petto. Non vedendolo più in viso prese un po’ più coraggio, e provò ad esprimere ciò che sentiva sinceramente in quel momento.
« Le altre volte ti sei trattenuto per me, vero? », domandò troppo curiosa per non porgergli quella domanda, che le stava vorticando in testa da quando avevano iniziato a baciarsi su quei sgabelli a poca distanza da loro.
« … non volevo farti male », ammise lui, accarezzandole distrattamente una spalla.
« Grazie », mormorò Ran sentendosi irrimediabilmente grata.
« Non so davvero cosa mi sia preso », si sentiva comunque ancora responsabile, e Ran lo capì bene dal suo tono.
Rendendosi conto che con tutti i suoi giri di parole non era riuscito a fargli capire davvero come si sentisse, si morse un labbro. Per essere un detective, a volte era davvero poco sveglio.
« E’ s-stato… », balbettò in un borbottio sommesso. « bello ».
Shinichi sgranò gli occhi, non credendo davvero alle sue orecchie. Sentì le mani sudare, mentre provava a dare un senso a tutto quel discorso.
Davvero Ran gli aveva detto che era stato bello?
Pensò a come praticamente non glielo avesse detto la loro prima volta, e invece le fosse sfuggito di bocca quando addirittura lui aveva perso ogni barlume di lucidità e si era sfogato con tutto se stesso contro di lei. Ironicamente si ritrovò a pensare anche a come forse aveva sbagliato a considerarla così fragile, e che forse non era davvero servito a niente trattenersi tutto quel tempo. Si sentì così sollevato che quasi gli venne da ridere dal nervosismo, ma si guardò bene dal farlo. Non voleva certo metterla a disagio, come se la stesse prendendo in giro per quell’affermazione così audace. Invece si limitò ad annuire flebilmente, mentre la stringeva più stretta a lui.
Sentiva come se quell’enorme peso fosse stato tolto dal suo petto, mentre tornava a respirare regolarmente e con estrema e piacevole facilità. Ripensò a quello che era successo sotto una nuova luce, provando a sforzarsi di immaginarla felice sotto ogni suo gesto, e con estremo orgoglio si rese conto di quanto forse avesse fatto la cosa giusta.
« A cosa pensi? », la voce piccola piccola di Ran lo ridestò un attimo dai suoi ricordi, facendolo tornare con i piedi a terra almeno per un attimo. Si morse un labbro, preferendo davvero non dirle a cosa stesse pensando nell’esatto momento in cui lei glielo aveva chiesto, ma ben presto capì di non riuscire a trovare una risposta alternativa realmente convincente. Così rimase in silenzio, e lei intuì che qualcosa non andava. Si tenne su con un gomito, mentre alzava il viso per fissarlo curiosa.
« Shinichi? », lo richiamò come per avvertirlo, mentre sul suo viso si formava un minuscolo sorriso storto.
« A cosa stai pensando? », domandò di nuovo cauta, ammonendolo con lo sguardo. Lui non riuscendo più a trattenersi emise un leggero risolino, mentre provava senza molti risultati a soffocarlo.
« Hey! », esclamò Ran arrossendo, pensando alle cause più disparate, ma tutte in egual modo completamente imbarazzanti. Per vendicarsi cominciò a torturargli i fianchi, causandogli un tremendo solletico.
« Ohi, Ran! », gridò lui sobbalzando, provando sotto le coperte ad afferrarle i polsi senza riuscirci.
« Stavi ridendo », lo accusò lei, mettendo su un broncio così adorabile che intensificò solo ulteriormente il senso di divertimento in lui.
« Ma no », disse sorridendo più profondamente, non provando nemmeno a far finta che non fosse così.
« Perché ridevi? », lo ammonì lei, e quando lui in risposta le rise ulteriormente in faccia, si fiondò automaticamente su di lui. Non seppe bene come, si ritrovò a cavalcioni su di lui, mentre provava ancora a tirargli dei leggeri pizzicotti sul petto. Shinichi provò come meglio poté a coprirsi il viso con le braccia, sperando di riuscire a fermarla sopra di lui. Andò avanti per un po’, finché all’ennesimo pizzico doloroso sul collo, Shinichi non riuscì infine ad afferrarla guardandola un po’ intimidatorio.
« Basta! », disse con fiato corto, sentendola con tutto il suo peso addosso.
« Dimmi a cosa pensavi! », ribattè Ran arrossendo.
« No! », disse con tono forse fin troppo alto, facendola trasalire. Aveva ancora i polsi intrappolati nelle sue mani, e lo sguardo arcigno sotto una coltre di capelli disordinati.
« Dimmelo! », riuscì a divincolarsi dalla sua presa quel tanto per tirargli la guancia, facendolo lamentare.
« Sei stata rumorosa! ».
Ran si bloccò, fissandolo a bocca aperta. Solo in quel momento Shinichi si rese conto di cosa avesse appena detto, e senza volerlo arrossì furiosamente. Avvertendo l’imbarazzo far capolino in lui, Ran con orrore comprese a cosa probabilmente si stesse riferendo.
« C-cosa? », assottigliò gli occhi, facendolo rabbrividire. Shinichi sgranò gli occhi, cercando di riacchiappare il suo polso solo per non meritarsi un suo schiaffo in volto.
« N-niente », provò a salvarsi, ma seppe subito di non avere molte speranze. Lei lo stava fissando così arcigna che per un attimo ebbe realmente paura di lei, e di istinto chiuse un occhio in attesa di un qualche pugno.
« Shinichi ».
« Beh, è vero », brontolò scarlatto in viso, ma volendo comunque sfoderare un sorriso sfacciato in viso solo per controbattere al suo fare minaccioso. « Non avevi mai fatto così ».
Ran aprì la bocca senza parole, attenuando perfino il suo sguardo duro. La consapevolezza che fosse vero non la aiutò a ribattere, sapendo bene quanto quella fosse in realtà la verità. Completamente rossa in viso, fissò maledicendo quel suo sorriso sbruffone e quei suoi occhi luccicanti. Sapeva di aver vinto su di lei, in quel momento.
Non sapeva davvero come salvarsi da un momento così imbarazzante, e l’unico modo per togliergli quel maledetto sorriso trionfante dal viso era farlo sentire almeno tanto a disagio come si sentiva lei. Così, trovando un coraggio da lei sconosciuto, provò a sorridere anch’essa, sebbene non riuscisse davvero a sentirsi molto convincente.
« Anche tu lo sei stato ».
Era vero. Non appena lei aveva fatto cadere ogni inibizione, aveva sentito anche i suoi sospiri e i suoi lamenti arrivarle alle orecchie, come incoraggiato dal fatto che lei avesse iniziato per prima. Lo prese senza dubbio in contropiede, quando lo vide sbattere le ciglia e sospirare dubbioso.
« Può anche essere », mormorò lentamente, non distogliendo lo sguardo da lei. « Ma cosa mi dirai ora, quando ti renderai conto di come sei messa? ».
Ormai non poteva sentirsi più imbarazzato di così, quindi si giocò il tutto per tutto. E dovette cogliere nel segno, quando la vide sobbalzare rendendosi realmente conto di quella posizione. Era in mutande, con la sua maglietta di almeno due taglie più grande, sopra di lui a petto nudo.
Decisamente, non era nella posizione di poter dire alcunché.
Come ripresasi da un sogno si fece in la, sfuggendo alle sue mani e per poco non cadde all’indietro. Aspettò inesorabile di cadere a terra non appena si sbilanciò, ma quasi subito si sentì tirare in avanti alle braccia di Shinichi. Ricadde su di lui completamente distesa, mentre lui le accarezzava la schiena.
« Scema ».
Affondò il viso accaldato nell’incavo del suo collo, tenendo le mani sul petto e rimanendo completamente immobile su di lui.
« Sei una permalosa », commentò Shinichi cautamente. « Non ti posso nemmeno prendere un po’ in giro, ora? ».
« Non su questo argomento », bofonchiò lei con tono capriccioso.
« Perché no? », domandò candidamente lui, accarezzandole distrattamente la testa.
« E’ imbarazzante », commentò Ran, affondando con stizza ancora un po’ il viso oltre la sua spalla.
« E sai perché lo è? Perché non ne parliamo mai ».
Era vero. Fondamentalmente, non toccavano mai quell’argomento. Ogni qualvolta fosse accaduto, sorvolavano sempre accuratamente sul fatto vero e proprio, preferendo invece zittirsi e arrossire al solo pensiero.
« Possiamo prenderci in giro, almeno. Aiuterebbe a non essere sempre così a disagio ».
Sebbene stesse dicendo queste esatte parole, il suo tono tradiva comunque un certo imbarazzo. A quel punto, e sentendosi un po’ sciocca, Ran riaffiorò sul suo collo e posò la fronte contro la sua.
« Mmm », mormorò incerta. « Forse è vero, allora. Sei stato davvero un po’ aggressivo ».
« Ma non mi è dispiaciuto », si affrettò ad aggiungere quando vide la sua fronte corrugarsi in un’espressione preoccupata. Al sentire quest’ultima frase, tuttavia, si rilassò, sfoderando un sorriso incerto.
« Ok », la guardò affettuosamente. « E tu sei stato molto rumorosa. Ma non mi è dispiaciuto ».
Non potevano davvero credere di aver toccare un simile discorso, ma ripensandoci forse Shinichi aveva ragione. Nel dire quelle esatte parole, si guardarono negli occhi così intensamente che dopo poco scoppiarono a ridere, sciogliendo almeno in parte quell’atmosfera così pesante che si era creata da quando avevano riacquistato lucidità.
Le risate scemarono lentamente, e Ran si ritrovò così comoda contro di lui da trovare il coraggio di appoggiare il viso al suo petto ad occhi chiusi, mentre dopo poco avvertiva le sue mani giocherellare con i suoi capelli. Rimasero così per un po’, a tal punto che si ritrovò di nuovo un po’ assonnata. Stava per lasciarsi andare a quel piacevole tepore, quando la voce di Shinichi la fece ridestare abbastanza in fretta.
« Vieni con me ».
Non era una domanda. Aveva il tono fermo, deciso, ma anche abbastanza basso da apparire leggermente dubbioso. Pensando di aver sentito male, Ran rialzò il viso, intrecciando presto i suoi occhi a quelli azzurri di Shinichi, che la fissavano con uno strano scintillio speranzoso.
« Cosa? », mormorò un po’ confusa.
« Vieni con me, in America », deglutì, improvvisamente nervoso. « Sarò impegnato in settimana, ma la sera e nei week-end dovrei essere libero », riprese velocemente.
« Shinichi… », replicò incerta Ran, e presto vide vedere nei suoi occhi scemare quello stesso entusiasmo di poco prima.
Non voleva davvero farlo rimanere male, per cui si diede peso sulle braccia e si spinse indietro. Si ritrovò così seduta, con la coperta ormai praticamente rovesciata in fondo al divano, mentre in silenzio lo guardava mettersi anch’esso nella stessa posizione.
« … niente imprevisti », riprese sottovoce, con tono ora molto più debole. « Niente casi, né drammi. Saremmo soli, per una volta, lontani chilometri… per un mese intero ».
« Appunto, Shinichi », rispose lei interrompendolo. « Non posso partire per un mese, in un altro paese, con te », sottolineò eloquente.
« Con me? », disse quasi offeso, ritraendo la mano. « Sei già andata in un altro paese, con me! A New York, e avevamo appena quindici anni! ».
« Andavamo a trovare i tuoi genitori, Shinichi, e non stavamo insieme », gli spiegò pazientemente, provando a non farlo rimanere ulteriormente male, ma ormai avvertiva il fastidio nella sua voce.
« Cosa dovrei dire ai miei genitori? », riprese, sulle spine. « Che vado con te, da soli, stando insieme, per un mese in America? ».
Shinichi aprì la bocca per ribattere, ma presto scoprì di non sapere cosa ribattere. Effettivamente vista così era un tantino differente rispetto a quando erano partiti la prima volta, ma non voleva davvero cedere.
Aveva pensato di parlargliene non appena quella mattina gli avevano detto di quel viaggio, e vederla per niente convinta della sua idea lo aveva così ammosciato da avvertire una profonda delusione alla base dello stomaco.
« Come faccio con la scuola? », riprese debolmente Ran, sfiorandogli un braccio nel tentativo di farlo ragionare.
« Recuperi quando torniamo », buttò lì Shinichi.
« Non siamo tutti come te », alzò gli occhi al cielo. « Non tutti perdono metà anno scolastico, e recuperano tutto con qualche esame extra ».
« Esami andati benissimo, vorrei ricordarti », rispose sulla difensiva Shinichi, continuando con quella stessa espressione offesa.
« E con i bambini? », lo interruppe lei. « Ho appena iniziato gli allenamenti, non posso abbandonarli così ».
« Va bene, ho capito », sospirò lui, provando a non far trapelare troppo il suo fastidio.
« Hey », mormorò Ran, prendendogli di scatto il viso fra le mani. Colto alla sprovvista da quel gesto inaspettato, Shinichi sgranò gli occhi, e immediatamente avvertì il viso avvampare quando si incantò a fissare quei due occhi azzurri a poca distanza da lui.
« E’ solo un mese, passerà velocissimo », provò a rincuorarlo, con tono deciso.
« Va bene », borbottò Shinichi per nulla convinto, e infatti si guadagnò subito il cipiglio aggrottato di Ran.
« Io ti ho aspettato per molto più tempo », lo punzecchiò lei.
« Ok, va bene », si arrese infine con un sospiro rassegnato, per poi buttarsi all’indietro contro il divano. Ran lo guardò ancora un po’ preoccupata, mentre lui si portava le mani al viso con un ennesimo sospiro profondo.
« Sei offeso? », lo prese in giro, ma sperando interiormente che non lo fosse davvero.
« Offesissimo ».
Ran alzò gli occhi al cielo, mentre Shinichi si toglieva le mani dal viso per regalarle un sorriso sornione.
Stava per replicare, quando sentì in lontananza una vibrazione insistente. Corrugò la fronte, iniziando a girare la testa intorno alla ricerca di un qualche telefono. In quel momento, tuttavia, non trovò sulla sua visuale alcun telefono, ma rabbrividendo le saltò all’occhio l’orologio posto a poca distanza da loro.
« Dannazione! ».
Shinichi sgranò gli occhi completamente stupito, mentre guardava Ran balzare in piedi così velocemente da non porsi nemmeno il problema di essere, effettivamente, ancora vestita solo con la sua maglietta e le mutande. Arrossendo notò così le sue gambe nude mentre la vedeva correre verso la libreria, e per un momento fu così distratto da quel corpo così sinuoso avvolto solo da ben poco tessuto, che quasi non si domandò neppure cosa l’avesse così innervosita. Ma quando infine si mise seduto sul divano e allungò l’orecchio, poté chiaramente sentire i suoi passi tornare indietro con una foga tale da farlo iniziare a preoccupare. Fu solo quando la vide sbucare dalla stanza a fianco, con all’orecchio il suo telefonino, che fece due più due.
E rabbrividì anche lui.
« Sì, papà », disse Ran cercando di non far trapelare il suo nervosismo. Shinichi si paralizzò sul posto, deglutendo a fatica.
Merda.
« Sì, scusami, non ho notato l’ora. Saluto Sonoko  i suoi genitori e arrivo ».
Shinichi si alzò infine in piedi, cercando di celarle il ghigno che gli si era appena formato sul viso. Si voltò verso il divano, cercando di assestarlo un po’, anche se ad ogni movimento un flash di ciò che fosse accaduto lì sopra lo coglievano togliendogli un po’ di fiato. Provò a togliersi dalla mente qualsivoglia pensiero indecente, e con più disinvoltura possibile si voltò verso Ran, che aveva infine chiuso la telefonata.
« Sonoko, eh? », ripeté Shinichi, scuotendo la testa.
« E’ tardissimo », non gli diede nemmeno retta, mentre cominciava a cercare  a terra i suoi vestiti. Era così in ansia che non fece nemmeno caso a Shinichi in piedi a poca distanza, mentre si sfilava la maglietta e si metteva il reggiseno con mani incerte. A quella vista Shinichi arrossì prepotentemente, e decise di girarsi per lasciarle almeno un minimo di privacy. Fece finta di niente, mentre si dirigeva in cucina alla ricerca di qualcosa perfino a lui ignoto. Quando infine con la coda dell’occhio la vide completamente vestita, seppur un po’ trafelata e con capelli mai così arruffati, si rilassò un po’. Era ancora strano vederla così, nel suo salotto, con quella maledetta luce così forte, ma anche così maledettamente bello che il solo pensiero di vederla andare via gli lasciava un po’ di amaro in bocca.
Dal canto suo Ran provò a pettinarsi i capelli con le mani, mentre col fiatone finiva di sistemarsi. Quando pensò di essere abbastanza presentabile, alzò velocemente lo sguardo verso Shinichi.
« Sembro normale? », domandò con il respiro accelerato, girando su se stessa un po’ traballando.
Shinichi a quella vista sorrise lievemente, mentre incrociava le braccia al petto ancora nudo.
« Per normale cosa intendi? », la punzecchiò, appoggiandosi con la schiena al ripiano della cucina.
« Hai capito benissimo », replicò stizzita lei, arrossendo. « Non voglio che i miei genitori capiscano qualcosa! ».
« Cosa dovrebbero capire? ».
Odiava quando faceva così il finto disinteressato, godendo nel solo prenderla in giro. Lo fulminò con lo sguardo, avvicinandosi velocemente a lui.
« Shinichi, per favore. Mi sembra che mi si legga in faccia », brontolò rammaricata, portandosi le mani al viso rosso.
Shinichi alzò un sopraciglio, e a quelle parole fece maggiormente caso al suo volto.
Aveva le gote davvero rosse, non sapeva davvero se per l’imbarazzo o per la velocità con cui si fosse vestita; gli occhi azzurri erano lucidi, brillanti, attraverso quelle sue ciglia così folte. Le labbra… Shinichi deglutì.
Erano rosse, gonfie, e leggermente aperte per lasciar passare quel suo respiro così accelerato.
Era bellissima. E sapere che avesse quel volto così rilassato e arrossato per causa sua, gli fece contorcere lo stomaco.
Aveva ragione, forse. Le si leggeva in faccia chiaramente cosa fosse successo, e lo trasmetteva da ogni poro del suo corpo.
O forse lui lo notava perché sapeva cosa fosse accaduto?
Altri flash lo travolsero, mentre lei rimaneva ancora in piedi nell’attesa di una sua risposta. E prima che potesse rendersene conto, si diede uno slancio verso di lei.
Ran strabuzzò gli occhi, mentre sentiva le labbra di Shinichi contro le sue, e le sue mani abbracciarle la vita. Per un secondo chiuse gli occhi, rispondendo automaticamente a quel bacio così inaspettato. Tuttavia ben presto un campanello d’allarme le suonò in testa, e di scatto provò a spingerlo via.
« S-shnchi », bofonchiò contro le sue labbra, continuando a premergli le mani sul petto nudo. Doveva andarsene, e velocemente. Non sapeva davvero se suo padre si fosse bevuto la scusa, ma a giudicare dal suo tono scocciato di poco prima, le possibilità erano realmente basse.
Provò di nuovo a staccarsi, ma la presa sulla sua vita era così decisa che non riuscì a smuoverlo di un centimetro. Aprì gli occhi, solo per vederlo completamente in trance contro di lei, mentre continuava a baciarla dolcemente. Provò a scuoterlo per un braccio, ma ancora lui non diede segno di capire la situazione. Alla fine, quando si staccò leggermente dalle sue labbra, Ran pensò che finalmente si fosse accorto della sua fretta. Tuttavia prima che potesse dire o fare qualcosa, lo sentì mentre con i capelli le formicolava la guancia, e le sue labbra scendevano per lasciarle alcuni baci leggeri sul collo.
Ran avrebbe davvero voluto correre via per evitare l’ira di suo padre, ma quando avvertì il suo respiro sul collo cominciò a cedere. Le gambe iniziarono a tremarle, mentre la mano che si trovava ancora sul suo braccio si ammorbidiva e ora l’aiutava solo a reggersi in equilibrio sulle sue gambe poco stabili. Shinichi anche iniziò ad avvertire il corpo leggero, per non parlare della testa.
Non si era davvero mai sentito così felice, così libero di poter fare ciò che desiderava con lei. La consapevolezza di ciò che ormai fosse accaduto fra loro, e specialmente conscio di come lei fosse in totale sintonia con lui a tal punto da lasciargli fare tutto ciò, lo resero euforico.
Aveva passato così tanto tempo a reprimere le sue emozioni, che ormai anche solo provarci era troppo doloroso, ora che sapeva di poterle finalmente lasciarle libere.
D’altronde, rimaneva un ragazzo.
E, benché lo mascherasse davvero molto bene attraverso la sua facciata fredda e scostante, non era immune da quegli stimoli che, nel suo caso, Ran gli trasmetteva ormai da anni. Li aveva sempre sopiti, quasi intimidito da se stesso, e poteva già sentire una vocina nel cervello gridargli a gran voce pervertito. Forse un po’ lo era, non era sicuro neppure più lui ormai. Sapeva solo che Ran lo portava a immaginare e fantasticare su cose che talvolta imbarazzavano perfino lui.
Ormai avvertiva solo quelle farfalle nello stomaco che solo lei riusciva a smuovere.
Fu così che non si rese conto di come lei fosse perfino un po’ rigida contro di lui, mentre aspirava quel suo profumo così vanigliato dal collo, e immergeva infine il viso nei suoi capelli.
Sarebbe rimasto volentieri così per sempre, e sentì lentamente la presa di Ran farsi mano a mano più debole, mentre lui la teneva a sé con mani ferme. In silenzio si godettero quell’abbraccio per un tempo infinito, e nella sua mente balenò perfino l’idea di tornare a baciarla, quando senza preavviso fu lei a muoversi per prima. Con un brivido lungo la schiena avvertì il suo respiro solleticargli il collo, e capì che stava facendo esattamente ciò che lui aveva fatto appena poco prima.
Deglutì, mentre Ran gli lasciava un bacio a fior di labbra sulla mascella, poi sul pomo d’Adamo, e ancora sul collo. Era così bassa rispetto a lui che il suo viso arrivava perfettamente all’altezza giusta per potergli lasciare quei lievi baci solo con la lieve inclinazione del viso. Si stava ancora godendo in silenzio quel leggero contatto, quando qualcosa cambiò rapidamente.
Shinichi avvertì solo in lontananza una insistente vibrazione, e poi in realtà non capì molto bene cosa fosse accaduto. Seppe solo che le labbra fino a poco prima delicate e morbide sul collo gli fecero davvero molto male, ma non ebbe il tempo di capirne il motivo. Fu, infatti, allontanato così forte da farlo sbattere contro il ripiano della cucina, che toccò così prepotentemente la schiena da farlo gemere. Si portò di istinto una mano dietro, massaggiandosi dolorante il punto in cui l’angolo della cucina aveva premuto contro la schiena. Borbottando sottovoce, alzò lo sguardo appena in tempo per vedere Ran sul divano, con in mano nuovamente quel maledetto telefono. Non si preoccupò minimamente di avergli fatto male, e rispose ormai bordeaux in faccia.
« Mamma! Sto tornando, sono per strada », si affettò a dire ancor prima di lasciare il tempo alla persona dall’altra parte del telefono di poter parlare.
Shinichi sbuffò, solo per rimettersi composto in piedi. La schiena gli doleva ancora, ma si impose di zittirsi per evitare che Eri Kisaki avvertisse anche minimamente la sua voce sotto quella di Ran.
Se c’era una persona al mondo che riusciva a spaventarlo a morte, quella era lei.
« Mmm », disse Ran immobilizzandosi, e rivolgendo un’occhiata veloce a Shinichi. Quest’ultimo aggrottò la fronte come per chiedere delucidazioni, ma lei in tutta risposta scosse la testa arrossendo.
« V-va bene, lo chiamo e glielo chiedo », mormorò piano, con tono incerto.
« A fra poco », concluse infine la telefonata, per poi allontanare il telefono dall’orecchio con un mossa molto lenta.
« Ti sei minimamente accorta di avermi sbattuto contro l’angolo della cucina? », esclamò Shinichi con tono offeso, guardandola dall’alto al basso del divano sul quale era malamente seduta.
« Sei tu che non mi mollavi più! », replicò lei torva, in grembo le mani a stringere convulsamente il cellulare.
« Certo, certo », sbuffò Shinichi arrossendo un poco. Fece per voltarsi e acchiappare la sua maglietta abbandonata da lei lì a fianco, quando Ran sospirò tremolante.
« … mia madre mi ha chiesto se vieni a cena da noi, stasera ».
Shinichi quasi si incastrò quando fu il momento di far uscire la testa dal buco della t-shirt, che sapeva così intensamente di lei.
Un po’ impacciato riuscì a sistemarsi, per poi fissare la sua ragazza che nel frattempo si guardava i piedi in religioso silenzio.
« Oh », disse solamente.
L’idea di presentarsi davanti a Kogoro ed Eri dopo ciò che aveva fatto con Ran quel pomeriggio, lo fece avvampare. Come avrebbe fatto a mantenere un comportamento neutrale, indifferente, quando continuavano a passargli davanti immagini davvero molto imbarazzanti di loro figlia su quel divano con lui?
Mandò giù una quantità considerevole di saliva, mentre si portava una mano alla testa per scompigliarsi un po’ i capelli, in un chiaro gesto di nervosismo.
« Ma loro esattamente cosa sanno? », mormorò a disagio.
« Di cosa? ».
Teneva ancora lo sguardo basso, ma potè chiaramente vedere le sue orecchie prendere fuoco.
« Di oggi », alzò gli occhi al cielo lui. « Ho sentito prima che dicevi a tuo padre di essere da Sonoko ».
« Io… sì. Non so perché io glielo abbia detto », farfugliò lei incerta.
Cadde il silenzio fra loro, mentre Shinichi cercava di risistemare tutte quelle informazioni nella testa.
Andare a cena da loro?
Spaventoso, a dir poco.
E non solo per la cucina mortalmente disgustosa di sua madre, ma perché davvero non era sicuro di saper mascherare bene la loro situazione attuale. A maggior ragione, non mangiava con loro da quando era Conan, e non seppe nemmeno lui dirsi il motivo, ma gli pareva tanto un’occasione formale, come se fosse il benestare di Eri Kisaki per farlo uscire con Ran.
Tutto molto, molto difficile da sopportare.
« Allora… verrai a cena? ».
Rinvenne dai suoi pensieri solo per sorridere mestamente, per poi infilarsi le mani in tasca con finta disinvoltura.
« Certo », disse con un’alzata di spalle.
Finalmente riuscì a riguadagnarsi all’attenzione di Ran, che alzò di scatto il viso con un sorriso luminoso sul viso. Rispose al sorriso di scatto, mentre la sua pancia faceva una capovolta.
Era lui la causa di quella sua felicità.
« Mi raccomando », riprese lei tornando immediatamente seria. « Cerchiamo di essere… », provò a concludere la frase, ma rimase a bocca aperta per un momento. Shinichi corrugò la fronte, per poi intuire con uno sbuffo cosa volesse intendere.
« Certo », rimarcò nuovamente. « Non farò capire niente, se è questo che ti spaventa ».
Pensava davvero che avrebbe lasciato trapelare alcunché? Era sopravissuto ad una Organizzazione Criminale, morire per mano di Kogoro Mouri era davvero fuori questione.
Si dondolò sulle gambe, sentendosi improvvisamente in colpa.
Non osare neanche pensare di poterla sfiorare.
La voce dell’uomo gli rimbombò in testa così fragorosamente da lasciarlo stordito, mentre stringeva i pugni nelle tasche. Glielo aveva detto con tono così tanto minaccioso che per un momento ebbe voglia di dirle che non si sarebbe presentato più per quella cena, ma decise che non poteva davvero deluderla così. Quindi si impose autocontrollo, e sospirando tornò a prestarle attenzione.
Un po’ confuso la vide però già in piedi, mentre lo fissava con la bocca leggermente aperta e uno sguardo terrorizzato.
« Ran? », domandò sorpreso.
« Il… il.. », balbettò Ran, indicando qualcosa di imprecisato appena sotto il suo viso.
« Cosa? », ripeté stavolta un po’ preoccupato, toccandosi il mento.
Ran prese fiato, per poi afferrarlo per un braccio e trascinarlo fuori dal salotto. Shinichi si lasciò guidare non senza proteste, ma quando infine lei lo piazzò di fronte allo specchio del bagno, finalmente capì.
Un po’ intimidito, si passò la mano sopra ciò che aveva sconvolto così tanto Ran.
« E’ un… », se lo toccò piano, scoprendo che gli faceva perfino un po’ male. « Livido ».
Lo era. Era rotondo, non troppo grosso, ma bello rosso e nitido.
« Ma come… », borbottò più a se stesso che alla ragazza al suo fianco, mentre continuava a sfiorarselo interdetto.
« Prima », disse a voce bassa Ran tutto d’un tratto. « C-credo di averti morso, quando il telefono ha vibrato. Dallo spavento ».
Shinichi la fissò, notando come tenesse la testa bassa e le mani intrecciate a torturarsi i vestiti.
« Ran… », disse continuando a non capire il perché fosse così sconvolta. « Non è niente, davvero », cercò di rassicurarla.
« Te ne ho fatti anche io », borbottò infine, abbassando anch’esso il viso.
« Non è questo il punto! », esclamò lei stringendo i pugni, e rivolgendo le sue gote arrossate al ragazzo di fronte a lei.
« Non capisco perché tu sia così sconvolta », replicò lui con stizza.
« Perché i miei non si vedono! ».
Shinichi fece per ribattere solo per ricordarsi di come, effettivamente, gliene avesse lasciati almeno un paio appena sopra il petto, in quel momento completamente coperto dalla sua camicetta. Rimase interdetto per qualche secondo, per poi riguardarsi allo specchio.
Quel morso si vedeva.
Eccome se si vedeva.
Era sempre più visibile col passare del tempo, e Shinichi non seppe dirsi se fosse la sua impressione, o stesse perfino divenendo violaceo.
Era appena sotto la mascella, e velocemente ragionò come perfino con un colletto di una camicia, sarebbe stato comunque ben visibile.
Quel morso.
Violaceo.
E quella cena.
MERDA.

***


« Non capisco perché hai dovuto invitare anche lui ».
Eri alzò gli occhi al cielo, mentre provava a tagliare le carote senza far alcun danno alle sue dita.
« Perché sta con Ran », disse decisa, sistemandosi gli occhiali sul naso con un movimento distratto del braccio.
« E mi sembrava un’idea carina, essere tutti e quattro », alzò le spalle.
« E tu credi ancora che fosse da Sonoko, oggi? ».
Eri sospirò nuovamente, lanciando un’occhiataccia a suo marito appena dietro di lei.
« Smettila », disse fra i denti.
Kogoro sbuffò, dirigendosi in salotto con le mani nelle tasche e una smorfia di stizza sul viso.
Eri tornò alle sue carote, solo per ragionare sulle parole di suo marito. In un angolino del suo cuore sospettava come lui, ma volle davvero non dargli adito. Era Ran, in fondo. E, se anche fosse stata con lui, doveva fidarsi di lei.
Ad interrompere le sue paranoie silenziose fu la porta che si apriva con un suono sordo, e la voce dolce di Ran arrivarle alle orecchie.
« Sono a casa! », annunciò.
Eri ripose il coltello sul tagliere dinnanzi a lei, per poi dirigersi verso l’entrata per accoglierla. Vide come stesse parlando con Kogoro di qualcosa che nemmeno sentì, perché appena i suoi occhi si posarono su di lei si immobilizzò.
Non seppe davvero dirsi cosa o perché, ma il suo cuore fece uno sbuffo.
Era Ran. Lo era.
Non aveva davvero nulla di diverso rispetto agli altri giorni, men che meno rispetto a quella mattina. Era ancora vestita allo stesso modo, per cui non fu ciò che lasciarla così interdetta quando la vide. In realtà non seppe dirsi nemmeno lei perché si paralizzò così a fissarla, mentre finalmente si girava verso di lei con un sorriso dolce in viso.
« Mamma? », la chiamò Ran, corrugando un po’ la fronte.
Eri deglutì, per poi abbozzare un sorriso incerto.
« Bentornata », disse prendendo fiato. « Shinichi-kun? ».
« Mi ha scritto che viene », annuì Ran distogliendo lo sguardo per posare la sua borsa sul divano. Non fece nemmeno caso all’alzata di occhi palese che le lanciò Kogoro oltre il giornale, che si volatilizzò velocemente non appena vide lo sguardo di fuoco di Eri trafiggerlo con furia.
« Ottimo », disse continuando a minacciare con gli occhi suo marito, per poi tornare velocemente in cucina.
Provò a concentrarsi nuovamente sulle carote, e ci riuscì almeno finchè non avvertì Ran al suo fianco afferrare un coltello e iniziare ad aiutarla. Notò come si fosse messa distrattamente il suo grembiule con i gattini, e sorrise mestamente.
« Sonoko sta bene? », domandò sentendosi un po’ sciocca.
« S-sì ».
Scese nuovamente il silenzio, rotto solo dal rumore di coltelli che tagliavano a fette sottili le carote.
Rimasero così per un po’, ed entrambe tirarono un sospiro di sollievo quando dal salotto avvertirono la televisione probabilmente accesa da Kogoro rompere quella calma così inquietante.
« Aveva qualche problema? », riprovò Eri, non sapendo nemmeno bene lei dove andare a parare.
« All’incirca, ma ha risolto », replicò Ran a disagio.
« … qualche problema con il suo ragazzo? ».
Ran mandò giù un nodo particolarmente pesante che aveva in gola, solo per continuare imperterrita a utilizzare quel coltello con foga.
« Sì… avevano litigato. Per un equivoco ».
« Capisco ».
Il telegiornale era l’unica fonte di rumore intorno a loro, ma davvero nessuna delle due lo ascoltò con attenzione. Rimasero così nuovamente per un po’, almeno finchè Eri non fece sobbalzare Ran, posando all’improvviso il coltello e rivolgendole uno sguardo eloquente.
« Sono felice che Sonoko abbia risolto con il suo ragazzo », disse arrossendo un poco.
Ran strabuzzò gli occhi, mentre avvertiva anch’essa le guance imporporarsi. Era tutto davvero molto, troppo, allusivo.
« A-anche io », affermò incerta.
« … e Kyogoku-kun è carino con lei? », la interruppe Eri, con sguardo fermo ma labbra tremanti.
« Sì, molto. Stavolta è stata colpa di Sonoko, aveva capito… aveva interpretato male alcune cose », Ran deglutì, sentendo ormai perfino le orecchie bollirle.
« Mmm », disse solamente Eri, rimanendo un attimo imbambolata.
« Non che non mi fidi di lui », si affrettò ad aggiungere dopo un po’, come risvegliata da una trance.
« Però sai, Ran… », non sapeva davvero come continuare quel discorso assurdo senza nominare Shinichi e lei, perciò si interruppe.
« Sì », la stupì però sua figlia, sorridendo leggermente. « Lo so, mamma. Ma non c’è davvero da preoccuparsi », la rassicurò
Si sorrisero a vicenda, ma ad interrompere quel loro gioco di sguardi fu improvvisamente il campanello di casa. Ran si ridestò abbastanza da far cadere a terra il coltello, che riprese velocemente per poi sgusciare fuori dalla cucina.
Si precipitò alla porta, e quando infine la aprì sentì il cuore mancarle un battito.
« Hey », disse solamente, mentre il ragazzo davanti a lei le rivolgeva un sorriso timido.
« Ciao », mormorò Shinichi, facendosi avanti.
Ran sospirò, mentre richiudeva la porta e gli fissava quella schiena così ampia. Si era cambiato con un paio di pantaloni neri, una camicia e un maglioncino scuro. Tuttavia notò abbastanza bene il cerotto sistemato appena sotto la mascella, e improvvisamente si sentì nervosa. Anche con l’aiuto del colletto della camicia, si vedeva davvero molto chiaramente.
« Shinichi-kun! », esclamò Eri venendogli incontro dalla cucina. Shinichi la saluto con un cenno timido, per poi rivolgere la sua attenzione a Kogoro ormai immobile a poca distanza. Teneva ancora in mano il giornale, ma aveva gli occhi fissi ad indicare che in realtà non stesse leggendo da un po’.
Si rivolsero un abbozzo di saluto, prima che Shinichi seguisse Eri in cucina posando un pacco sul ripiano della cucina.
« E’ da mettere in frigo », la avvertì indicando il pacchetto. « E’ una crostata ».
Ma quando Shinichi la guardò, notò come Eri non gli stesse prestando davvero attenzione. Invece la trovò imbambolata, a fissare un punto non molto definito appena sotto il suo mento.
Se solo i suoi pensiero fossero stati detti ad alta voce, si sarebbe davvero guadagnato lo sguardo indignato dei presenti, dalla quantità di imprecazioni che gli stavano passando per la testa.
« Kisaki-san? », provò Shinichi, provando ad abbozzare un sorriso. Quest’ultima si riprese come da una trance, per poi sobbalzare quando mise a fuoco il pacco al suo fianco.
« Oh », mormorò confusa. « Certo. Il frigo. Non dovevi davvero, Shinichi-kun ».
« Non è nulla », ribattè Shinichi mettendosi le mani in testa. « Grazie per l’invito a cena », aggiunse provando ad essere davvero disinvolto. Eri sorrise mestamente, mentre richiudeva la porta alle sue spalle.
Si impose di stare zitta, di non lasciar vagare troppo la testa dove davvero non voleva lasciarla arrivare.
Si morse un labbro, lanciandogli ancora un’occhiata, mentre lui sorrideva un po’ a disagio.
Non farlo.
« Ti sei fatto male? ».
Shinichi deglutì, irrigidendo ogni singolo muscolo del proprio corpo.
« S-sì », si portò una mano al cerotto, che celava accuratamente ciò che davvero non voleva far vedere al mondo.
« Mi sono… graffiato », la scusa faceva schifo perfino alle sue orecchie.
« … posto singolare, per un graffio ».

 

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Capitolo 20
*** Imprevisti ***


WITHOUT WORDS.
imprevisti.

Tokyo
Mercoledì, 7:00 am

 

Con un gesto stizzito, Ran batté prepotentemente la mano sulla sveglia posta alla sua sinistra sul comodino, sentendosi immediatamente sollevata nel non sentire più il suo sgradevole stridulo. Con uno sbuffo fece in là le coperte, e lentamente si mise seduta sul letto. Lentamente si portò un mano al viso, nascondendovi uno sbadiglio profondo all’interno.
Si sentiva distrutta.
Nelle ultime settimane, complice il volersi a tutti i costi occupare e distrarsi, aveva dato degli allenamenti extra ad alcuni bambini del dojo, ragion per cui si era ritirata a casa spesso oltre l’orario di cena.
Controvoglia scosse la testa, per poi alzarsi e dirigersi verso il bagno. Ancora leggermente addormentata si tolse il pigiama, e si buttò sotto la doccia aprendo l’acqua. Non avendo realmente voglia di aspettare che diventasse calda rabbrividì quando la avvertì così fredda addosso, ma ultimamente faceva davvero poco caso alle cose intorno a lei.
Iniziò ad insaponarsi con gesti automatici, e ben presto si ritrovò già vestita con la divisa profumata di bucato e i capelli svolazzanti all’aria del phone puntato addosso.
Ultimamente era così persa nei suoi pensieri che si ritrovava a fare determinate cose senza nemmeno sapere come fosse arrivata lì, o attraverso quali gesti si fosse ritrovata fra le mani alcuni oggetti. Si guardò malamente allo specchio, dove trovò riflesso il suo viso contratto in una smorfia e due profonde occhiaie circondarle gli occhi blu.
Aveva davvero un aspetto stanco, per non dire orribile, ma non volle prestarci troppa attenzione. Con gesti maldestri mise via il phone, e uscì dal bagno con passo pesante dirigendosi in cucina.
« Buongiorno! ».
Per una frazione di secondo il suo stomaco si capovolse quando vide un’ombra a fianco al lavandino della cucina, per poi essere violentemente riportata alla realtà con somma delusione.
« Buongiorno mamma », replicò con un sorriso mesto, avanzando verso la caffettiera.
Si sentiva davvero un’ingrata, specialmente perché desiderava da almeno metà della sua vita di riavere sua madre per casa, e il solo pensiero di ritrovarla lì e sentirsi così delusa la fece sentire in colpa.
« Mangi qualcosa? », provò Eri, con un luccichio speranzoso negli occhi.

« Sono di fretta », mentì Ran, avvertendo lo stomaco chiuso al solo suono di dover mangiare.
Evitò accuratamente di guardare il volto di sua madre, semplicemente per non incrociare il solito sguardo contrariato che ormai vi ci leggeva sempre.
« Stai mangiando troppo poco ».
Ran provò a sorridere come meglio riusciva, mentre beveva quasi di corsa il caffè bollente che si era appena versata nella sua tazza.
« Mangerò un pò di più a pranzo », provò a rincuorarla. « E’ che devo essere a scuola prima per ripassare ».
Era vero.
Sommato al suo lavoro al dojo, c’erano anche diverse lezioni in cui ormai faticava a tenere il passo, e avendo ogni pomeriggio impegnato le ore di studio erano davvero risicate.
Si sentì nuovamente in colpa quando finalmente fissò sua madre, che ora aveva davvero l’espressione più preoccupata che ultimamente le avesse visto in viso, così che il suo sorriso già forzato divenne solo più finto.
« Ci vediamo per cena. Oggi non ho allenamenti », le disse posando di fretta la tazza, e porgendosi per regalarle un bacio fugace sulla guancia, prima di acchiappare la sua cartella e dirigersi a passo veloce verso il portone.
Si mise velocemente le scarpe, e scivolò fuori dove, lontana dagli occhi indagatori dell’avvocato Kisaki, si sentì un pò meno oppressa.
Fece le scale due alla volta, solo per ritrovarsi per strada con l’aria improvvisamente fresca a sferzarle in faccia.
Nel più profondo del suo cuore, sapeva che avevano ragione.
Eccome se ne avevano.
Era perfino vero che fosse dimagrita.
Se ne era resa conto quando, appena tre giorni prima per andare al karaoke con Sonoko, si era messa il suo paio di pantaloni preferiti e questi per poco non le scivolarono in vita.
Sospirò, accelerando il passo.
Ancora una settimana.
Si ripetè convinta.
Ancora una settimana e tutto tornerà come prima.
Tuttavia, a distrarla dalla sua camminata stranamente solitaria verso scuola, fu qualcosa che per poco non le mozzò il respiro.
Ferma, mentre attendeva che il semaforo diventasse verde, all’improvviso la sua attenzione fu proiettata verso lo schermo gigante che torreggiava in quel preciso crocevia di strade.
E, improvvisamente, smise di respirare.
Era lì, trasmesso attraverso quello schermo, bello come sempre e con lo sguardo attento e le labbra serrate, mentre provava a farsi largo attraverso il giornalista di turno che provava in tutti i modi a ostruirgli la strada.
Non potè sentire le parole trasmesse dallo schermo, a causa del caos di macchine e della folla intorno a lei, ma lo potè vedere così dettagliatamente da farle battere forte il cuore.
Shinichi.
« E’ verde! ».
La voce impaziente di un uomo alle sue spalle la riscosse dalla sua catalessi, e complice la spinta della folla dietro di lei, cominciò ad attraversare la strada, gli occhi fissi su quello schermo. Ma ormai l’immagine di Shinichi aveva lasciato il posto a quella della giornalista in studio, e appena sotto di lei una serie di scritte scorrevoli le fecero provare una profonda ansia.

Organizzazione criminale agli atti finali - Il processo del decennio - Kudo Shinichi sotto copertura per l’FBI per mesi - Omicidi ma anche studi ed esperimenti su elisir di lunga vita: cosa c’è di vero nei documenti non pubblici dell’FBI?

Un brivido le percorse la schiena, e preferì distogliere lo sguardo.
Erano passate tre settimane da quando Shinichi era partito per la sede dell’FBI, per quello che ormai era passato davvero come il processo del decennio, specialmente per la riservatezza intorno ad esso. E ormai lo ritrovava su ogni canale tv, ogni testata giornalistica, perfino online.
Lo vedeva ovunque, con l’espressione grave e le spalle curve mentre cercava sempre di farsi largo fra le folla che lo circondava alla spasmodica ricerca di notizie.
Talvolta non le sembra nemmeno lui.
Il viso tirato le aveva fatto intuire che nemmeno lui stesse mangiando poi così tanto, e dato che ogni volta che lo inquadravano era tartassato, solitamente tendeva ad avere un viso così serio che la mascella si stagliava squadrata su quel viso così bello ma terribilmente stanco.
Non era da lui tenere un cipiglio tanto duro, e per Ran era davvero strano strano vederlo così.
Di espressioni, su quel viso tanto familiare, ne aveva viste passare tantissime. Probabilmente, pensò con una punta di orgoglio, era la persona a cui ne aveva regalate di più.
Solo a lei erano rivolti i suoi sguardi affettuosi, le sue risate cristalline ogni qualvolta la stuzzicasse o la prendesse in giro; con un rossore crescente sul viso ripensò perfino al suo sguardo carico di elettricità in certi loro momenti, o quella
punta di tensione ogni qualvolta la avesse avuto troppo vicina.
Una carrellata di immagini di loro due le fecero venire particolarmente caldo, ragion per cui provò davvero a togliersele dalla mente per concentrarsi su altro.
E si ritrovò perfino a sentire la mancanza del suo egocentrismo, o del suo pungente modo di scherzare con quella sottile linea di sarcasmo che talvolta le provocava così tanto fastidio.
Gli mancava davvero tutto di lui, e vederlo sempre così teso attraverso lo schermo di una televisione la stava facendo preoccupare all’inverosimile.
Sembrava terribilmente infelice, e più di una volta si chiese se avesse davvero fatto bene a non partire con lui.
Scosse energicamente la testa per l’ennesima volta quella mattina, provando a scacciare il senso di colpa crescente.
E’ solo per un mese.
D’altronde non era così strano che fosse terribilmente teso. In fondo era sottoposto davvero a uno stress senza eguali.
Parecchie informazioni erano passate in silenzio, e per questo motivo i giornalisti stavano diventando davvero feroci. L’FBI aveva accuratamente chiuso le porte del tribunale, per evitare il diffondersi di informazioni davvero troppo delicate. Tuttavia, come spesso accade, alcune voci avevano iniziato a diffondersi, in particolar modo quella su una speciale pastiglia che assicurava l’elisir di lunga vita, mantenendo giovani chiunque le avesse ingerite. Al momento erano solo dicerie, e spesso aveva sentito parecchi esperti negare nelle dirette televisive che un farmaco del genere potesse essere creato, ma ovviamente la curiosità intorno ad esso era continuamente alimentato dalle principali testate di turno. L’FBI stava cercando in tutti i modi di non lasciar trapelare alcuna informazione, per il danno mondiale che una simile scoperta avrebbe provocato, e su questo Ran condivideva appieno il volerlo tenere segreto.
Pensò raccapricciata ad un mondo in cui nessuno invecchiava mai, e alle molteplici conseguenze che ciò avrebbe influito nelle mani sbagliate.
Ancora con la mente piena di quei titoli giornalistici, e un mal di testa che stava facendo capolino annebbiandole un pò la concentrazione, si ritrovò ormai davanti ai cancelli della scuola.
Come un automa si diresse verso l’interno, conscia di non trovarci ancora nessuno. Era presto, e questo almeno le fu di sollievo: non aveva ancora voglia di essere circondata da persone che la tartassavano di domande su Shinichi.
Shinichi.
Con amarezza guardò alla sua sinistra, dove ormai si era riabituata ad averlo negli ultimi tempi.
Sembrava passata una vita da quando si presentava alla sua porta per la colazione mattutina, per poi chiacchierare per il restante tragitto verso scuola.
Sapeva bene di star probabilmente esagerando, che era solo un mese e questo sarebbe finito a breve, ma qualcosa dentro di lei in quelle settimane di lontananza la faceva davvero sentire male.
E, dopo un pò di ragionamento, era finalmente arrivata alla conclusione che, fondamentalmente, così sola non lo era mai stata.
Certo, aveva passato mesi senza Shinichi, ma aveva sempre avuto Conan con sè.
In quelle settimane era semplicemente lei.
Lei e basta.
Deglutì, entrando nell’aula deserta ancora nella semi oscurità.
Con passi lenti si avvicinò al suo banco, dove si buttò a sedere con un profondo sospiro. Svogliatamente prese i suoi appunti da rivedere, ma nel farlo si lasciò tentare dal suo telefonino in bella vista. Lo prese, e con un pò di delusione notò come non ci fossero nuovi messaggi.
Causa il fuso orario e il fatto che praticamente tutti i giorni fossi in tribunale o circondato da persone, si erano sentiti relativamente poco per chiamata, e i messaggi erano l’unico modo per contattarlo senza disturbarlo eccessivamente.
Non voleva davvero risultare morbosa o appiccicosa, ragion per cui aveva evitato spesso di scrivergli per prima o portare troppo avanti le discussioni, così quando rilesse la loro chat notò davvero come fosse povera di messaggi.
Tentennando tornò nella home, doveva aveva inserito il doppio orologio col fuso di Washington.
In quel momento erano le sei e mezza di sera del giorno prima, ragion per cui pensò che forse non l’avrebbe così tanto disturbato.
Si morse un labbro, battendo freneticamente un piede a terra. Dopo un tempo interminabile, tuttavia, ributtò malamente il telefono in cartella, per acchiappare i suoi appunti e cominciare a leggerli.
Cercò di scacciare il ricordo di Shinichi lì, in piedi davanti a lei, lo zaino in spalla e lo sguardo triste.
Ancora una settimana.
Ancora una, e tutto sarebbe tornato a posto.

« Allora, andiamo? ».
La voce allegra di Sonoko la fece voltare di scatto, mentre nel cervello velocemente pensava a cosa si stesse riferendo. Completamente persa, guardò la sua amica, nella vaga speranza di avere un’illuminazione fulminea che, tuttavia, non arrivò.
Alla vista dell’espressione confusa di Ran, Sonoko diede un sonoro sbuffo, posizionando spazientita le mani sui fianchi con fare grave.
« Mi auguro davvero che tuo marito torni presto », sentenziò senza nascondere il suo fastidio. « Perché in queste ultime settimane sei ovunque con la testa tranne che qui ».
« Scusami », ammise Ran, non potendo davvero controbattere nulla. In fondo, sapeva che aveva ragione.

« Mmm », alzò un sopracciglio Sonoko. « Dobbiamo andare a fare shopping! Ricordi? Il matrimonio! ».
E finalmente qualcosa nel cervello sovraffollato di Ran si accese.
In quei mesi frenetici, aveva abbandonato il pensiero in un angolo della sua testa, senza dargli particolare attenzione. Eppure quando lanciò un’occhiata veloce agli appunti davanti a lei, e rilesse che giorno fosse, improvvisamente si rese
conto che mancava davvero poco.
Il matrimonio.
Di Sato e Takagi.
Con una punta di malinconia ricordò quando, una sera dopo un caso che li aveva sorpresi appena fuori dal cinema, la stessa Sato aveva consegnato a mano l’invito sia a lei, sia a Shinichi, annunciandogli la grande notizia.
Sentendosi ancora un pò spaesata, si dimenticò quasi dell’amica di fronte a lei, che ora le stava lanciando uno sguardo carico di rimprovero.
« Non dirmi che te ne eri dimenticata », la voce indagatrice di Sonoko le diede leggermente fastidio, per il semplice fatto che per la seconda volta in pochi secondi aveva colto nel segno.
Quando qualche giorno prima le aveva chiesto di fare shopping insieme non aveva realmente collegato all’evento la sua voglia improvvisa di un vestito nuovo, ragion per cui aveva realmente la colpa di essersi persa l’evento in un angolo sperduto del cervello.
« No, certo che no! », mentì spudoratamente, sapendo bene di aver la verità chiaramente dipinta in viso.
« Sarà », alzò gli occhi al cielo Sonoko.  « Comunque il matrimonio di Sato-san e Takagi-san è fra tredici giorni esatti, quindi siamo quasi in ritardo! Non vorrai usare un vestito riciclato vero?! ».
« Va bene, va bene, ci sono! », sorrise a mo di scuse Ran, rassicurando l’amica.
« Bene », rispose soddisfatta l’amica, tornando al suo posto per recuperare la cartella.
In men che non si dica si affiancarono, e per quasi tutto il tragitto dalla classe a fuori dalla scuola Sonoko la tartassò su come avrebbe a tutti i cosi combattuto per afferrare il bouquet della sposa. Ran si lasciò andare a qualche risata spontanea, e per quello che fu probabilmente un quarto d’ora di chiacchiere, quasi accantonò la perenne ormai sensazione di ansia che la opprimeva da giorni.
Almeno finché, una mezz’oretta dopo, non si ritrovarono nella folla caotica di Shibuya e lì, mentre continuavano a camminare tranquillamente, qualcosa attirò l’attenzione di Sonoko.
Vedendola improvvisamente zittirsi, Ran seguì il suo sguardo per posizionarsi su una televisione appena oltre la vetrina di un negozio. Il suo stomaco fece un capitombolo all’indietro ormai familiare, quando vide schiaffato sullo schermo la foto di Shinichi, appena accanto quella di Renya Karasuma.
« Tutta questa storia sta diventando ridicola », pronunciò in tono grave Sonoko alle sue spalle, e le sue parole le arrivarono quasi ovattate mentre fissava quei due occhi blu a pochi passi da lei, riflessi in quella televisione.
« I giornalisti continuano con la storia degli esperimenti umani, la “pillola della giovinezza”, ma dai! », rise senza allegria Sonoko, continuando imperterrita a parlare senza accorgersi dello stato di panico in cui era caduta la sua amica.
« Assurdo, sì », disse piano Ran, trattenendo a stento un brivido.
« E Kudo-kun che dice? Lo hai sentito ultimamente? », domandò incerta Sonoko, accorgendosi infine dello sguardo velato di tristezza di Ran.
« Lo sto sentendo poco, a dire il vero », ammise Ran, distogliendo infine lo sguardo dalla televisione.
« E’ sempre in tribunale, e il cambio di ora non aiuta », concluse con un sorriso triste, stringendo maggiormente a sé la cartella fra le mani.
« Dai, manca poco », le mise una mano sulla spalla Sonoko, scuotendola come per infonderle un pò di entusiasmo. « Quando torna? Mercoledì prossimo? ».
Ran annuì, e nel pensarlo si sentì un pò più leggera.
« Dai, almeno potrà accompagnarti al matrimonio », sorrise raggiante Sonoko. Ran per la prima volta in quei giorni, ricambiò con allegria il sorriso, annuendo energicamente.
Ma proprio in quel momento, qualcosa nello sguardo della sua amica cambiò. E, tornando a fissare la televisione a poca distanza da loro, capì subito cosa l’avesse raggelata sul posto.
Lì, su quello schermo, fiammeggiava in primo piano la scritta rossa che segnava una notizia di appena poco prima.
Ran deglutì a fatica, mentre leggeva i sottotitoli scorrevoli apparsi in sovrimpressione.
E capì perché Sonoko si fosse così bloccata.

Kudo Shinichi entra a far parte ufficialmente dell’FBI? La proposta dell’Ufficio Federale per l’investigatore giapponese.
 

Washington,
Giovedì, 12:00 am

 

« Hai davvero una pessima cera ».
Shinichi alzò gli occhi dal fascicolo posto ordinatamente sulle sue gambe, per rivolgere uno sguardo torvo alla donna seduta davanti a lui.
« Sono felice anche io di vederti, mamma », disse sarcastico, mentre quest’ultima si sporgeva per pizzicargli la guancia. Stizzito si fece indietro, arrossendo leggermente e guardandosi intorno, sperando che nessuno avesse assistito alla scena.
« Dai, almeno in pubblico », borbottò a disagio, mentre Yukiko prendeva posto con uno sbuffo.
« Ah, dimenticavo », alzò gli occhi al cielo. « Ora sei il gossip del momento ».
« Credi che io sia felice? », continuò a sibilare Shinichi, chiudendo il fascicolo con gli ultimi appunti dell’FBI sul caso dell’Organizzazione, per riporlo con un lancio poco lusinghiero sulla sedia alla sua sinistra.
« Sono ovunque, dannazione », bevve un sorso del suo caffè, coprendosi un pò meglio nel cappellino che indossava. « Non riesco a fare due passi senza essere seguito, non ne posso più », sentenziò infine con uno sbuffo.
« Lo so, ma siamo quasi alla fine », disse speranzosa Yukiko attraverso i suoi grandi occhiali da sole e il foulard colorato che le nascondeva una buona porzione dei suoi capelli chiari.
« Papà? », si interessò Shinichi, guardandosi intorno.
« Sta facendo check-in », disse Yukiko, afferrando il menù davanti a lei. « Hai intenzione di mangiare qualcosa, vero? », la sua voce si incrinò con un velo di minaccia, quando indicò con stizza la solitaria tazza di caffè davanti a lui.
« Qualcosa di veloce », replicò Shinichi stancamente. « Fra un’ora devo tornare ».
« Veloce può essere comunque sostanzioso. Non stavo scherzando prima », sebbene attraverso gli occhiali, gli lanciò un’occhiataccia.
« Sei magro, e da quelle occhiaie posso solo immaginare quante ore tu abbia dormito ultimamente ».
Era tutto vero, ma Shinichi preferì non rispondere neanche. Qualsiasi cosa avesse detto, sua madre gli avrebbe ribattuto a tono, e purtroppo non avrebbe saputo a cosa ancorarsi per salvarsi.
Preferì quindi alzare le spalle con noncuranza, mentre un cameriere fortunatamente lo salvava dal momento “sgridata alla Yukiko”.
Ma prima che potesse contestarla, quest’ultima ordinò per entrambi il piatto più abbondante del menù, e si guardò bene dal contestarla. Sospirò, preferendo arrendersi.
In ogni caso, non aveva la forze necessarie per combatterla.

« Siete in ogni caso agli atti finali, no? », riprese Yukiko, incrociando le mani davanti a lei e abbassando notevolmente la voce.
Shinichi annuì piano, guardandosi intorno con circospezione.
« Direi di sì. Stiamo aspettando la decisione della corte, ma penso che al massimo lunedì dovremmo sapere qualcosa ».
« Ottimo », sorrise Yukiko, rilassandosi un poco.
« Anche perché così non penso che riuscirei ad andare avanti per molto », ammise Shinichi. « A parte i giornalisti, l’FBI stessa sta faticando a tenere nascosto il resto ».
« Lo so, ormai è la gara a chi scopre prima qualcosa sull’APTX », mormorò con un filo di voce Yukiko, anch’essa fissandosi intorno diffidente.
« Prima finisce tutto, prima si esaurisce la curiosità generale. E io posso tornare alla mia vita », deglutì Shinichi
« … in Giappone? ».
Shinichi fissò intensamente sua madre, mentre quest’ultima si abbassava leggermente gli occhiali per fissarlo per la prima volta negli occhi.
« Vedo che le voci sono già corse fino a Los Angeles », fece una smorfia Shinichi, non abbassando lo sguardo.
« Non fare lo sciocco », lo rimbeccò Yukiko spazientita. « Lo dicono tutti i notiziari ».
« Evito di accendere la televisione da giorni », sbuffò irritato.
« Allora? », lo interruppe lei con fare scocciato, sporgendosi un pò verso di lui. « E’ vero? Ti hanno chiesto di entrare in pianta stabile nell’FBI?! ».
In tutta risposta Shinichi prese un lungo sorso di caffè, volendo davvero prendere tempo prima di spiegare l’ingarbugliato discorso a cui stava andando incontro.
« Sì », mormorò infine semplicemente, riguardandosi per l’ennesima volta intorno.
« E tu?! », esclamò Yukiko a voce alta, guadagnandosi lo sguardo di fuoco di suo figlio.
« Vuoi abbassare la voce?! », disse a denti stretti, mentre alcuni commensali gli guardavano incuriositi.
« Spero tu abbia rifiutato! », continuò imperterrita lei. « E’ pericoloso, Shin-chan! Si occupano di terrorismo, per l’amor del cielo! Non ne abbiamo passate abbastanza?! ».
Raramente aveva visto sua madre così preoccupata, specialmente per via del suo carattere perennemente allegro e del suo modo di vivere la vita in modo così leggero. Ma in quel momento nei suoi occhi appena scoperti da quei grossi occhiali, Shinichi potè chiaramente leggervi la paura. Forse, dopotutto ciò che era accaduto, aveva davvero avuto paura di perderlo.
E non poteva giudicarla.
« Lo so », disse piano, giocherellando con il cucchiaino fra le sue mani.
« Non devi preoccuparti, va bene? Ne riparleremo, ma non qui », sentenziò infine, avvertendo qualche sguardo addosso. Yukiko, cogliendo la sua preoccupazione, si risistemò gli occhiali, e provò davvero a calmarsi.
« D’accordo », brontolò, mentre notava come Shinichi stesse continuando a lanciare occhiate fugaci al suo telefono posto sul tavolo.
Gesto che non passò inosservato a Yukiko, la quale gli rivolse uno sguardo comprensivo.
« E Ran? L’hai sentita? », chiese anche per cambiare discorso, per poi veder riflesso negli occhi blu di suo figlio un velo scuro.
« Poco », ammise.
« Magari non vuole disturbarti », provò Yukiko con tono sicuro, ma fu interrotta nuovamente dal cameriere, quando prese ad apparecchiargli tavola.
Shinichi lanciò di nuovo uno sguardo cupo verso il telefono silenzioso, mentre lo stomaco gli si chiudeva prepotentemente.
In quel momento a Tokyo era l’una di notte, e scriverle in quel momento non sarebbe stato il massimo, specialmente perchè, nelle rare loro telefonate, l’aveva sempre avvertita molto agitata e quasi fredda nei suoi confronti. L’ultima cosa intelligente da fare era svegliarla nel cuore della notte solo per chiederle come stava, quindi rimandò mentalmente a sentirla quella sera, quando sarebbe stata mattina in Giappone.
« Dai, se tutto va bene, fra meno di una settimana sarai di nuovo a Tokyo », alzò in alto il bicchiere Yukiko, avendo notato l’improvviso mutismo del figlio. Ridestatosi dai suoi pensieri, Shinichi annuì, e afferrando il suo caffè, tintinnò col bicchiere di sua madre.
Una settimana.
Solo una settimana, e sarebbe tornato a casa.
 

Tokyo,
qualche settimana prima
 

« Wow! Ci porterai qualcosa vero? Qualcosa di americano! ».
Shinichi sorrise verso Genta, il quale lo stava fissando con sguardo acceso e luminoso.
« Con “qualcosa di americano”, intendi qualcosa da mangiare? », domandò divertito, mentre l’intero tavolo ridacchiava.

« Sì, forse quegli snack giganti che hanno solo li », lo punzecchiò Mitsuhiko, dando all’amico una gomitata.
« Hey, lì hanno tutto gigante! Non come qui, che è tutto mini! », bofonchiò Genta, battendo un pugno sul tavolo.
« Sì, ma è la stessa cosa mangiare una cosa gigante o duecento cose mini ».
Shinichi scosse la testa ridacchiando, mentre beveva un sorso della sua Coca.
Era sabato sera, e aveva accettato l’invito del professor Agasa per cenare qualcosa tutti insieme, prima della sua partenza prevista per il giorno dopo. Davanti a lui Genta e Mitsuhiko stavano ancora battibeccando, mentre Ayumi e il professore provavano a calmare le acque.
Tutto come al solito.
Come lo era lo sguardo intenso che Ai gli stava rivolgendo da tutta la sera, dalla parte opposta del tavolo. Shinichi annuì impercettibilmente, interpretando subito cosa ci fosse racchiuso in quel silenzioso scambio di sguardi.
Appena poche ore prima si erano incontrati da soli per discutere sul suo imminente viaggio, e del piano dell’FBI per tenerla al di fuori di ogni sospetto o pericolo. Era tutto stampato a fuoco nella sua mente, con il principale oggetto dei loro pensieri che gli rimbombava prepotentemente da tutta la settimana.
Shiho Miyano è morta.
Lo sapeva bene, e doveva davvero tenerlo chiaro in mente. Almeno con l’opinione pubblica. Un qualsiasi suo passo falso, sarebbe costato la copertura di Ai, e questa era davvero l’ultima cosa che voleva.
Si erano impegnati tanto per arrivare fino a lì sani e salvi, non era certo sua intenzione buttare all’aria gli ultimi mesi, anche se questo doveva voler dire mentire ancora. Ma era tutto troppo delicato, tutto troppo riservato, anche solo il pensiero di far trapelare qualcosa alla stampa. Sapeva bene che sarebbe stato tartassato da lì a poche ore, e doveva solo cercare di mantenere la guardia sempre alta.
« Shinichi-kun? ».
La vocina dolce di Ayumi lo riscosse dai suoi pensieri, e provò davvero a sfoggiare il sorriso più spontaneo che riuscisse a fare in quel momento.
« Dimmi », si rivolse a lei, non accorgendosi che col suo sorriso l’aveva fatta leggermente arrossire.
« Come mai Ran-chan non è potuta venire a cena? », domandò, abbassando lo sguardo.
Non sapeva bene nemmeno lei, ma fissare quei suoi due occhi blu la rendevano particolarmente imbranata e nervosa.
« Aveva una gara di karate con i bambini del corso », disse con una punta di fastidio che gli sfuggì dalle labbra.
Ayumi annuì silenziosamente, riprendendo a mangiare. Al solo pensiero Shinichi sospirò, lanciando un’occhiata nervosa all’orologio appena sopra le loro teste sul muro di fronte.
Erano le otto e mezza, e la gara sarebbe finita solo alle nove. Ricordò quando lei gli aveva detto che avrebbe dovuto andare per forza, e di come aveva provato realmente a nascondere il suo disappunto.
D’altronde era l’ultima sera prima della sua partenza, e sebbene gli avesse detto che lo avrebbe accompagnato in aeroporto il giorno dopo, l’idea che l’ultima serata insieme fosse stata compromessa da quell’impegno improrogabile lo aveva davvero irritato. Ma purtroppo, come la stessa Ran gli aveva spiegato, quella gara era stata programmata da un pò dal titolare del dojo, per cui non poteva davvero farci niente.
Scosse la testa per togliersi di dosso il crescente senso di delusione che lo stava invadendo, preferendo rivolgere la sua attenzione al gruppetto intorno a lui.

 

Tokyo
Venerdì, 1:00 pm

 

Con un brivido, Ran si strinse maggiormente nella sua giacca. Quel giorno la pioggia incessante non intendeva diminuire, e solo quando entrò velocemente in casa e avvertì il calore presente provò un pò di sollievo. Lasciò cadere l’ombrello zuppo sul pianerottolo, e chiuse velocemente la porta.
Si guardò intorno per notare la presenza di sua madre o suo padre, ma come sempre non trovò nessuno dei due.
La prima probabilmente era ancora bloccata in studio, e il secondo in centrale.
Si trascinò stancamente verso la cucina, dove provò davvero a farsi venire la voglia di cucinarsi un pasto decente.

Quel pomeriggio non aveva lezione, e fortunatamente anche l’allenamento, visto il tempaccio, era stato rimandato.
Quasi meccanicamente si tolse la giacca della divisa, e si mise a prendere gli ingredienti dal frigo per prepararsi un pasto sostanzioso, sebbene non avvertisse alcun morso della fame nello stomaco.
Stava ancora scrutando pensierosa l’interno del frigorifero, quando una musica la fece sobbalzare.
Dapprima sorpresa e un pò confusa, seguì con lo sguardo il luogo da cui proveniva quella suoneria, e presto si rese conto che fosse il suo telefono.
Pensando fosse sua madre che si scusava per non essere nuovamente tornata per pranzo, si avviò lentamente verso la cartella ma, una volta estratto il cellulare, quasi il cuore saltò un battito. Con mano tremante e un sorriso leggero che le si formava naturalmente in viso, rispose velocemente con voce quasi titubante.
« Hey, miss detective », la voce sarcastica dall’altro lato del telefono le scaldò improvvisamente quella porzione di corpo ancora infreddolita dalla pioggia. Con un respiro profondo sentì l’irrefrenabile voglia di mettersi a saltellare, per il semplice fatto che erano ormai giorni che non lo sentiva al telefono, per un motivo o per l’altro. E sentirlo chiamare in quel modo, come aveva fatto già una volta, le provocò una felicità alla base dello stomaco.
« Shinichi! », esclamò muovendosi a grandi passi fuori dalla cucina, non rendendosene quasi conto.
« Mi parli ancora, allora », continuò lui, sempre con un tono quasi offeso.
« Come sarebbe? », domandò Ran bloccandosi in mezzo al salotto.
« Non mi scrivi mai », borbottò con un filo di voce, tanto che Ran dovette concentrarsi per sentirlo.
« Non volevo disturbarti », protestò lei, sentendosi un pò in colpa.
« Mmm », Shinichi non le parve molto convinto, così che lo trovò quasi carino. Immaginò la sua espressione da cane bastonato, con quel cipiglio innervato e le labbra curve in una smorfia pronunciata.
Ed ebbe più voglia che mai di averlo con sé.
« Pensavo volessi rompere con me », la prese chiaramente in giro, con tono ironico.
« Ci ho pensato, sì », sbuffò Ran, avvicinandosi alla grande vetrata del soggiorno, fissando le gocce che continuavano incessantemente a scendere.
« Scema ».
« Non dovresti dormire, a quest’ora? », lo sgridò improvvisamente Ran, pensando che da lui doveva essere almeno mezzanotte.
« Fra poco vado », era una bugia, ma non voleva davvero allarmarla. « Poi domani è sabato, posso dormire un pò di più ».
« Come è andata in questi giorni? », domandò sulle spine Ran, sedendosi sul bracciolo del divano.
Improvvisamente dall’altro lato del telefono scese il silenzio, e per una frazione di secondo qualcosa in Ran si bloccò.
E un brutto presentimento la invase.
« Shinichi? », lo richiamò piano.
« … le cose non sono andate come pensavamo, Ran ».
Ran trattenne il fiato così impetuosamente che rimase immobilizzata sul posto, mentre quella stessa frase le rimbombava nella testa in loop. E, nel sentire a sua volta silenzio dalla parte opposta, Shinichi si affrettò a continuare.
« Niente di grave, davvero », spiegò. « Cioè, niente riguardo ciò che sai. Ma la corte non si è ancora espressa, e siamo richiamati tutti in tribunale per ancora qualche giorno ».
« Qualche giorno? », ripetè Ran ritornando finalmente a respirare, seppur a fatica.
« … sì », tergiversò Shinichi, e lei potè chiaramente avvertire il suo tentennamento.
« … non torni lunedì? », soffiò.
Ancora silenzio, e infine un sospiro.
« No, Ran. Devo rimanere ancora una decina di giorni ».
Tutto ciò che stava trattenendo dentro di sé si spezzò, quando la sua speranza di poterlo riabbracciare da lì a pochi giorni si sgretolava sotto i suoi piedi. Dovette sostenersi al poggiolo con una mano, che andò ad ancorarsi ad esso per evitare di farla sbilanciare eccessivamente, mentre una sequela di frasi iniziavano a vorticarle velocemente nella testa, stordendola.
Non posso tornare, Ran.
Provò davvero a mandare giù il groppo che le si era formato in gola, ma con scarsi risultati.
Il caso a cui sto lavorando è davvero difficile.
La nausea le salì prepotentemente, mentre chiudeva gli occhi e la voglia di piangere si impossessava di lei così forte da toglierle il fiato. Solo dopo un pò si accorse della voce provenire dal suo telefono, chiamarla incessantemente da chissà quanto.
« Ran! ».
Provò a tirare su col naso e schiarirsi la voce per non fargli capire come quella notizia l’avesse lasciata traumatizzata, ma quando riprese a parlare capì che tutto il suo impegno non era valso a niente.
Non riuscì davvero più a trattenere ciò che aveva soffocato dentro di sé nelle ultime settimane.
« Non mi stai parlando attraverso un dispositivo cambia voce, vero? ».
Era una domanda alquanto bizzarra da dire, se solo qualcuno l’avesse ascoltata.
Eppure riuscì a zittire completamente la persona dall’altro lato del telefono, la quale rimase sbalordita. E improvvisamente, fece due più due.
« Ran », pronunciò mestamente Shinichi, dosando bene la sua voce. « E’ di questo che hai paura? Che io non torni? ».
Ran si morse un labbro, mentre ormai le lacrime iniziavano ad offuscarle la vista.
« Ran, per favore », la implorò lui, continuando. « Sto bene, te lo giuro. Sono me stesso, sono al sicuro. Non sto mentendo, devi credermi. Semplicemente si dilungherà un pò più del previsto ».
« Ti hanno chiesto di rimanere per entrare nell’FBI e non puoi dirmelo? ».
Un’altra frase che le uscì dalle labbra più velocemente di quanto avesse voluto, e con la voce più tremolante che avesse avuto da tempo.
« Lo stanno dicendo da giorni in televisione », continuò tirando su col naso.
« E tu credi a tutto ciò che dicono? ».
« Rispondimi », fece finta di non averlo sentito, preferendo arrivare al dunque.
« Lo sai che non possiamo parlare di queste cose al telefono », la sua voce era piuttosto nervosa, e quella regola che l’FBI e le forze speciali gli avevano imposto improvvisamente gli diede profondamente fastidio.
« Perfetto », sbottò perdendo quella poca lucidità rimasta.
« Sono solo altri dieci giorni, te lo prometto. Domenica ventidue sarò lì con te », la sua voce era ormai una supplica.
Ran provò davvero a mandare giù la preoccupazione, la paura, anche se ogni singola fibra del suo essere le mandava segnali diversi.
La verità era che aveva paura.
Paura che potessero scoprire la verità, paura che potesse nuovamente essere esposto a minacce esterne.
E poco serviva pensare che aveva perennemente due guardie del corpo ovunque andasse.
Non era con lei. E questo bastava a renderla tremendamente apprensiva.
« Va bene », mormorò sfinita, perdendosi a fissare la pioggia che incessantemente continuava a scendere al di là del vetro.
« Ok », disse solamente Shinichi, chiaramente sulle spine. « Allora… ci sentiamo, ok? ».
Ran tirò nuovamente su col naso, annuendo nel buio del soggiorno.
« Ok », rispose con voce stridula.
« Ohi, Ran? », la voce di un tono più alta di Shinichi la risvegliò dal suo stato di trance, mettendola sull’attenti.
« Mi aspetti, vero? ».
Ran sorrise tristemente, mordendosi un labbro.
« Sempre ».

Dall’altro lato del telefono, Shinichi Kudo sorrise lievemente, prima di salutarla nuovamente e spegnere la chiamata.
Non stava usando un papillon cambia voce, no.
Ma la chiamata appena conclusa aveva qualcosa di stranamente familiare, come la sensazione di magone che in quel momento stava provando.
Era tutto come una volta.
Le sue promesse, la sua preoccupazione, le sue lacrime.
Con un’imprecazione silenziosa guardò amareggiato la data che segnava il suo telefono.
Ancora dieci giorni.
Ancora dieci giorni per rivederla e abbracciarla come quell’ultima sera

 

Tokyo,
qualche settimana prima

 

« Fa attenzione ».
Shinichi annuì lentamente, fissando intensamente la bambina di fronte a lui.
« Hai dubbi? », replicò ironico.
« Da uno che si è fatto beccare a registrare uno scambio illecito di soldi e si è fatto drogare, beh… sì », fece una smorfia Ai.
Shinichi alzò gli occhi al cielo, e finito di salutare il resto del gruppetto, uscì lungo il vialetto del professor Agasa. Con le mani nelle tasche si strinse un pò di più nel suo maglioncino, mentre l’aria dell’autunno appena arrivato lo faceva un pò rabbrividire. Accelerò il passo, aprendo rapidamente il cancello di casa e avvicinandosi in fretta al portone di casa.
Che trovò aperto.
Accigliato, notò come la serratura non fosse chiusa a chiave come aveva lasciato appena qualche ora prima, e di istinto si mise in allerta.
Facendo meno rumore possibile entrò, e non notando nessun paia di scarpe conosciute nell’ingresso, avvertì un brivido lungo la schiena.
Le altre persone ad avere le chiavi di casa sua erano solo il professor Agasa, i suoi genitori e Ran.
Ma quest’ultima gli aveva mandato un messaggio almeno venti minuti prima dicendo che era appena tornata a casa, e i dubitava fortemente che i suoi genitori sarebbero tornati in Giappone, non ora che lui stava per partire per l’America e si sarebbero poi incontrati là.
C’era qualcosa che non andava.
Deglutendo si fece avanti nel buio della casa, camminando a tentoni per paura di fare un minimo rumore.
Quando fu in salotto provò ad allungarsi velocemente in cucina alla ricerca di qualcosa con cui proteggersi in caso di pericolo, ma prima che potesse riuscirci sentì qualcosa puntato alla schiena.
Si immobilizzò sul posto, trattenendo il respiro. E in quel momento le parole appena pronunciate di Ai lo fecero sentire profondamente idiota.
Perché non era tornato fuori a cercare aiuto? Perché diavolo era entrato in casa da solo? Disarmato, senza avvisare nessuno?
Non impari mai, cazzo.
Assalito dall’adrenalina, volle agire prima che fosse troppo tardi.
Di istinto si voltò rapidamente, e si ritrovò presto a stringere due polsi davvero molto piccoli.
Troppo piccoli.
« Ora capisco come sia stato facile metterti fuori gioco ».
Shinichi sbatté più volte gli occhi, mentre nel buio del salotto metteva a fuoco dei lineamenti decisamente familiari, almeno quanto la voce che aveva appena parlato dinnanzi a lui.
E quando infine si rilassò, si sentì un pò ferito nell’orgoglio quando si rese conto di come l’avesse banalmente fregato.
« Credi che io sia fuori gioco anche adesso? », la punzecchiò, rallentando la presa sui suoi polsi solo per non farle eccessivamente male, ma non lasciandola comunque andare.
« Se io avessi premuto il mio grilletto immaginario, sì », ribatté cristallina la figura davanti a lui.
« Ma non l’hai fatto », notò sarcastico.
« Sono stata molto magnanima ».
« Magnanima quanto bugiarda? », la provocò lui, facendo finalmente un passo indietro e mollando la presa su di lei. Con passo tranquillo si avvicinò al muro più vicino, accedendo infine la luce.
« Perché bugiarda? ».
Il viso di Ran alla luce del lampadario apparve a Shinichi quasi imbronciato, mentre lo fissava con una luce scintillante negli occhi.
« Per due buoni motivi », rispose lui.
« Sono curiosa di sentirli », alzò gli occhi al cielo lei, dondolandosi sui suoi piedi.
« Uno », elencò Shinichi, facendo un passo verso di lei e alzando il pollice.
« Ho un tuo messaggio di venti minuti fa in cui mi dicevi che eri a casa, e saresti andata a dormire ».
« Mmm », fece finta di essere pensierosa lei, con un accenno di sorriso sul volto.
« E due », alzò l’indice. « Se sei qui a quest’ora, devi per forza aver detto una bugia ai tuoi genitori. Sono curioso di sentirla », concluse.
« Sono solo le dieci e mezza », protestò Ran.
Shinichi alzò un sopracciglio con fare eloquente, facendola sbuffare.
« E va bene, forse ho detto qualche piccola bugia », ammise sardonica. « Ma se ti dà così fastidio, posso sempre tornare a casa ».
Fece per girarsi, ma la mano di Shinichi scattò come una molla nuovamente verso il suo polso, trattenendola.
« Non sono nella posizione di giudicare chi dice “qualche piccola bugia” ».
Ran arricciò il naso, per poi accarezzargli lentamente un braccio.
« … è la tua ultima sera », mormorò infine con sguardo mesto.
« Guarda che torno, eh », la prese in giro lui, accarezzandole a sua volta la mano del polso con cui l’aveva trattenuta.
« Mmm », bofonchiò Ran, facendo un piccolo passo verso di lui, ritrovandosi così a pochi centimetri dal suo petto.
« E se invece decidi di rimanere là con qualche americana bionda e avvenente? », lo punzecchiò volutamente ironica, alzando lo sguardo per incrociare i suoi occhi blu fissarla.
« Te lo farò sapere, nel caso », alzò un sopracciglio lui, con tono nuovamente sarcastico.
Rimasero a fissarsi per ancora qualche istante, prima di scoppiare in una risata leggera che gli fece scuotere ad entrambi la testa.
« Esattamente, stavolta cosa hai detto ai tuoi genitori? », domandò infine Shinichi, dirigendosi verso la cucina per mettere su dell’acqua per un the.
« Vorrei saperlo, nel caso in cui tu abbia detto di nuovo che eri da Sonoko », concluse per punzecchiarla, lanciandole uno sguardo brillante.
« E’ successo solo una volta », sbuffò Ran, seguendolo in cucina per poi sedersi sullo sgabello lì a fianco.
« Comunque, giusto per tua informazione, ho solo detto che la gara si era dilungata un pò », alzò una spalla con noncuranza lei, mettendosi a giocherellare con il contenitori dello zucchero che Shinichi aveva appena sistemato sul tavolo davanti a lei.
Al suono di quella scusa Shinichi alzò un sopracciglio, ridacchiando sommessamente.
« Ultimamente stai dicendo molte bugie, Ran-neechan », la prese nuovamente in giro, mentre si appoggiava al bancone della cucina e incrociava le braccia con fare fintamente serio.
« Non potrei in ogni caso mai batterti, Conan-kun », arricciò il naso lei, prima di fargli la linguaccia.
Shinichi alzò gli occhi al cielo fingendosi offeso, per poi avvicinarsi a lei lentamente.
Improvvisamente l’atmosfera giocosa di poco prima di spense, mentre intrecciata nei suoi occhi blu lentamente il sorriso le morì in faccia. Si ritrovarono così in silenzio, persi ognuno negli occhi dell’altro, e con estrema delicatezza Shinichi posò infine la sua fronte contro quella di Ran.

Rimasero ancora così in silenzio per un pò, abbastanza vicini da poter sentire ognuno il profumo dell’altro, ma abbastanza distanti da potersi solo sfiorare.
« Passerà veloce », mormorò Shinichi.
Ran potè sentire il suo fiato sul viso, e di istinto chiuse gli occhi. Senza pensare staccò la sua fronte dalla sua, e sbilanciandosi in alto gli portò le braccia intorno al collo.
Lo abbracciò così forte che per poco a Shinichi non mancò il fiato, ma non si lamentò.
Mentre sentiva il suo corpo premuto contro il suo arrossì leggermente, per poi rilassarsi lentamente e portare anch’esso la braccia intorno alla sua vita.
« Mi mancherai comunque ».
Il suo cuore batté gli martello nel petto così forte che penso davvero che Ran avrebbe potuto sentirlo, mentre erano ancora ancorati così l’uno contro l’altro. Di istinto immerse il viso nell’incavo del suo collo, respirando il profumo vanigliato dei suoi capelli.
La strinse ancora di più, rendendosi conto forse per la prima vera volta di come si incastrassero così bene, uno abbracciato all’altra, mentre si godevano quel semplice contatto come se fosse l’ultimo della loro vita.
E dopo aver preso un bel respiro, le mormorò all’orecchio una frase che lo fece arrossire ancora un pò, ma che gli uscì con tutto il cuore.
« Anche tu ».

 

*

 

Buongiorno e buona domenica a tutti!

Non sono solita lasciare la mia nota alla fine di un capitolo, ma dopo questa lunga assenza era il minimo che potessi fare.

Innanzitutto chiedo profondamente venia per l’attesa, ma questa estate è stata molto impegnativa, e il tempo libero molto poco. Tuttavia non vi ho dimenticato, come non ho accantonato questa storia a me così cara. Appena ho riavuto abbastanza tempo ho ripreso dove avevo lasciato, e sebbene io sappia che questo è un pò un capitolo di passaggio, spero possa rimediare a tutto questo tempo lasciato in sospeso!
Il prossimo, ahimè, ho paura sia l’ultimo, ma sono comunque molto contenta di essere riuscita ad arrivare fin qui, specialmente perché tengo molto a questa fanfiction, dal momento che è la prima dopo anni in cui mi ero allontanata da questo mondo.
Mi ha fatto compagnia nei mesi di lockdown, regalandomi qualcosa con cui distrarmi, e di certo il vostro seguito non è stato da meno.
Quindi grazie ancora a tutti coloro che la hanno letta, e ancora di più a coloro che hanno continuato a recensirmi con complimenti e consigli sempre ben accetti.
Non riesco purtroppo a ringraziarvi uno per uno, coloro che hanno recensito in particolar modo l’ultimo capitolo, quindi elenco qui di seguito chi voglio mandare un saluto e un immenso GRAZIE!

Anbi_coral30
Inu_Ran

ShinRan4862
Verandasulcortile

Cipanga
Lunaharry66

Spero a presto, un bacione

Minako

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