In due

di Fanny Jumping Sparrow
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I – Estranei ma non troppo ***
Capitolo 2: *** II – Regole di convivenza ***
Capitolo 3: *** III – Pensieri proibiti ***
Capitolo 4: *** IV - Risvegli traumatici ***
Capitolo 5: *** V - Ospiti indesiderati ***
Capitolo 6: *** VI - Un sabato sera alternativo ***
Capitolo 7: *** VII - Insieme ... per finta ***
Capitolo 8: *** VIII – Detestabili abitudini ***
Capitolo 9: *** IX – Qualcosa è cambiato? ***



Capitolo 1
*** I – Estranei ma non troppo ***


Salve gente :)
Ritorno a scrivere su questo mitico fandom, spinta dalla ritrovata ispirazione per questi personaggi, proponendovi stavolta una raccolta di one-shot fra loro slegate ma tendenzialmente di successione cronologica, affrontando alcuni missing moments, con i toni della commedia e dell'introspezione.
Nello specifico questo primo capitolo mi è stato ispirato dalla brusca cesura tra l'episodio della morte del buon Hideyuki e il trasferimento di Kaori nell'appartamento di Ryo.
Ho immaginato che fra i due potesse esserci qualche altro momento di confronto e riflessione.
Non dilungandomi oltre, vi saluto ricordandovi che commenti, critiche e opinioni sono sempre graditi.
Alla prossima!)
ps. Chiedo scusa per eventuali somiglianze con altre ff già pubblicate gli scorsi anni.


I – Estranei ma non troppo

Non c’era niente di superfluo, niente fuori posto in quel modesto appartamento pulito e accogliente, arredato con gusto sobrio e funzionale. Ogni più piccolo dettaglio, dai mobili privi di fronzoli alle tende di un tenue color rosa antico, dalle foto incorniciate sparse sugli scaffali alle consunte pattine lasciate sulla soglia d’ingresso, dal fresco profumo di detersivo per il bucato all’invitante odore di cibo tradizionale, emanava una sensazione di calore e di genuinità, di condivisione di valori semplici e autentici. Ogni oggetto racchiuso tra quelle mura rifletteva un vissuto colmo di sapori, ricordi e sentimenti a lui pressoché ignoto, che gli incuteva un penetrante senso di disagio, mescolandosi al rammarico.

Non era riuscito a salvare l’unica persona al mondo con cui negli ultimi anni avesse instaurato un rapporto significativo, il suo socio, il suo migliore amico, l’unico che potesse definire tale nella sua travagliata esistenza priva di affetti duraturi.
E adesso che si trovava a casa sua, dove di rado era entrato in passato, e riusciva a percepire perfino l’aroma del suo scadente dopobarba che ancora aleggiava nell’aria, la consapevolezza che Hideyuki Makimura in realtà per lui fosse quasi un estraneo gli torceva ulteriormente le budella.
Di colpo Ryo Saeba cominciò a sentirsi uno sgradito intruso e avvertì il bisogno urgente di fuggire lontano, magari in qualche posto vicino al mare, per cercare di alleviare quel senso di impotenza e di rimorso che gli opprimeva il petto. Ma erano trascorsi minuti e non riusciva ancora a decidersi ad andare via da lì. Gli pareva che le scarpe gli si fossero inchiodate al pavimento, forse perché si sentiva colpevole per quanto era accaduto al suo collega o forse perché non voleva che la sua amata giovane sorella si sentisse completamente sola nel suo dolore. Pur conoscendo il loro forte legame, non poteva comprendere a pieno cosa significasse per lei averlo perduto così, brutalmente e prematuramente.
Non aveva termini di confronto, d’altra parte lui non aveva mai avuto una vera famiglia. Ed era stato talmente addestrato a sopprimere le emozioni da essere diventato incapace di esternarle, tuttavia pensò che fosse giunto il momento di lasciarla libera di sfogare la sua sofferenza, che la sua presenza la stesse costringendo a trattenere ciò che la sua indole femminile avrebbe dovuto manifestare naturalmente.
Il fatto che invece lei fosse rimasta così silenziosa e non si fosse abbandonata ai singhiozzi e alle lacrime gli faceva formicolare una strana inquietudine. Se fosse scoppiata a piangere, avrebbe almeno potuto tentare di consolarla in qualche modo, anche se in verità non era poi così bravo con le parole. Non aveva neanche fazzoletti a portata di mano e forse un abbraccio sarebbe stato troppo indiscreto.

«Mi occuperò io del funerale. Di tutto quanto», mormorò evasivo, riuscendo finalmente a trarsi d’impaccio, dando le spalle alla giovane orfana che aveva promesso al fratello di proteggere e che, a sua volta, si era detta disposta ad aiutarlo a vendicarne la morte.
Aveva ammirato la sua audacia, ma non poteva permetterglielo davvero, o avrebbe infranto il giuramento che il suo amico gli aveva strappato nel suo ultimo drammatico refolo di vita. Era così giovane e innocente e tale sarebbe dovuta rimanere.
Lei mosse un passo incerto verso di lui: «Dove si trova adesso? Vorrei vederlo», bisbigliò misurata, le labbra tirate in dentro a soffocare il profondo turbamento che rendeva rallentati i suoi riflessi.
Ryo si voltò e rimase qualche secondo a osservare quel visino pallido su cui spiccavano due grandi occhi lucidi, restando meravigliato dal suo atteggiamento fermo e composto che denotava una notevole forza interiore. Ma non volle mettere ulteriormente alla prova la sua resistenza. Poteva sentire ancora il corpo crivellato di colpi del suo amico accasciarsi esanime tra le sue braccia, l’odore della polvere da sparo e del sangue rappreso misto alla pioggia che gli aveva infradiciato il lacero cappotto. No, non era il caso che quella tenera ragazza serbasse per sempre quell’immagine straziante nel suo cuore. Aveva volutamente taciuto di rivelarle troppi dettagli su come fosse stato ucciso.
«Ricordalo com’era. Anche lui avrebbe voluto così», le intimò lapidario, cercando di smussare l’asprezza del suo tono nel ricordare quella fine ingiusta.
Kaori annuì, una piccola lacrima silenziosa le sfuggì dalle ciglia, solcandole una guancia e a lui parve di poterci annegare. Doveva allontanarsi.

«Rimarrò di guardia in macchina, se mai qualche bastardo della Union Teope dovesse azzardarsi a venire a trovarti», la informò sbrigativo, iniziando a dirigersi alla porta.

«Resta … resta qui. Per favore», mormorò d’impeto la ragazza. La sua voce flebile ma decisa lo raggiunse come una lama sottile, dritta nel costato.
Ryo la guardò di sottecchi, un po’ combattuto sull’accettare o meno, sciogliendosi immediatamente di fronte al triste sorriso supplice che gli inviò. Non poteva opporsi ad esaudire quella sua richiesta dolcissima e pregna di sconforto. In fondo il suo istinto gli suggeriva che non sarebbe riuscito davvero ad andarsene, ma il suo orgoglio e la sua poca confidenza volevano che fosse lei a chiedergli esplicitamente di rimanere.
Si avvicinò discreto alla tavola imbandita da una ricca varietà di pietanze il cui aroma prelibato gli aveva già stuzzicato le narici ancora prima di aver varcato la soglia. Al centro spiccava anche una bella torta di compleanno, le cui candeline sarebbero rimaste mestamente spente. Non poté fare a meno di considerare che il suo arrivo, come una sciagura, avesse frantumato quell’atmosfera di schietta armonia domestica che regnava nella vita del suo collega e in quella della sua amata sorella. Era stato ancora una volta portatore di sofferenza e lutto. Doveva essere una maledizione, la sua.

Conosceva appena quell’uomo schivo e misterioso che condivideva con suo fratello una quotidianità scandita dalla coraggiosa lotta ai crimini che si consumavano nei bassifondi della città, eppure per qualche inspiegabile ragione la sua sfuggente presenza le infondeva sicurezza, conforto, gratitudine. In altre circostanze non avrebbe mai desiderato di restare da sola in compagnia di un soggetto così losco, ma ora sentiva che lui era l’unica persona in grado di capire quale indicibile angoscia le stesse straziando l’anima, anche se era riuscita a dissimularlo.
Purtroppo era cosciente che, svolgendo quel mestiere, Hideyuki affrontasse ogni giorno pericoli mortali e che avrebbe dovuto mettere in conto l’eventualità che, prima o poi, non tornasse più, ma la sua indole ottimista si rifiutava sempre di lasciarsi scoraggiare da quei brutti pensieri.
Strinse al petto il piccolo cofanetto con l’ultimo suo regalo, quell’anello che aveva comprato per lei chissà quando e con quali sacrifici, ricacciando un grumo amarissimo di saliva, mentre i polmoni le bruciavano al pari delle tempie.
A Saeba voleva dimostrare di essere forte, che se la sarebbe cavata anche da sola, ma non era vero, e quasi non si era accorta di averlo invitato a rimanere con lei. Le sillabe si erano fatte strada da sole, ne aveva ascoltato il suono leggermente incrinato dagli ansiti che tratteneva a fatica come se provenisse da un’altra bocca.
Il socio di suo fratello si era seduto a tavola e aveva esaminato pensieroso ogni portata da lei preparata con apparente interesse, ma non aveva osato toccare nulla. Sembrava tanto stanco e triste, nonostante il suo sguardo fosse quasi inespressivo. Doveva essere scioccato quanto lei da quanto era accaduto, non aveva neppure finto di consolarla.

Sentendosi da lei osservato con una certa indiscrezione si decise finalmente a spiccicare un noncurante: «Ti dispiace?», ammiccando alle cibarie che giacevano intonse da quando ore prima aveva apparecchiato.
Kaori cercò di mettere a suo agio quell’ospite taciturno, anche se lei stessa provava una certa soggezione nel parlargli, temendo di sembrargli sciocca o inopportuna: «Ma no. Mi spiace solo che ormai si è tutto freddato, ma se hai la pazienza di aspettare un paio di minuti, posso riscaldarlo», si premurò di reagire, accingendosi a ravvivare i fornelli, ma si fermò notando con la coda dell’occhio che lui aveva già inforcato due bacchette e si era avventato sul primo piatto di ramen, con la voracità di chi non toccasse cibo da giorni.
La ragazza si sedette di fronte a lui, appoggiando il mento su una mano: «Hideyuki mi aveva accennato che sei un buon gustaio …» si lasciò scappare sottovoce, imprimendosi un’espressione sbalordita quando gli vide spazzolare in pochi secondi anche due porzioni abbondanti di sushi e sashimi, chiedendosi se riuscisse almeno a sentire il sapore di ciò che stava divorando.
«Perciò hai cucinato per un reggimento?», masticò Ryo, inghiottendo rumorosamente in un solo boccone un grosso onigiri. Si pentì subito dopo di quell’ironica osservazione, giacché era evidente che la ragazza avesse profuso tutto il suo amore e la sua abilità nel preparare quella squisita cena, magari pensando anche ad allietare il suo palato, sapendo che sarebbe stato loro ospite a quella che avrebbe dovuto essere una tranquilla festicciola.
«È che la tensione mi apre sempre l’appetito», si discolpò lievemente imbarazzato, malgrado lei non sembrava essersi offesa più di tanto, porgendole, per scusarsi della sua ingordigia, una bacchettata di riso al curry, con un mezzo sorriso incoraggiante.

«A me invece si chiude lo stomaco», rifiutò gentilmente la sua offerta Kaori, cominciando ad avvertire una leggera nausea pervaderle le viscere nel notare degli schizzi cremisi sul suo spolverino sforacchiato, che non aveva neanche avuto l’accortezza di togliersi prima di sedersi a tavola e cominciare a mangiare. Qualche minuto prima si era limitato a dirle che aveva già “sistemato” il mafioso mandante dell’omicidio di suo fratello, ed ora le fu più che chiaro cosa intendesse con quella laconica frase. La disinvoltura con cui riuscisse a condurre quello stile di vita la fece rabbrividire.
Lo sweeper non insistette perché si unisse a lui in quel lauto pasto, pur ammonendola: «Però rammentati che quegli stronzi là fuori ci stanno cercando. Devi mantenerti in forze, in caso dovessimo essere costretti a scappare da un momento all’altro», asserì sorseggiando un bicchiere di birra. «Mica posso portarti sempre sulle spalle».

Ryo si mozzicò la lingua non appena ebbe finito di pronunciare quella battuta, temendo di aver sproloquiato, mentre la ragazza strabuzzava i begli occhi castani, stranita e intimorita: «Come?»

Le sue guance s’infiammarono all’istante, ma poi si disse che lui non poteva ricordarsela sul serio, erano passati più di cinque anni e all’epoca di quel loro primo incontro neanche aveva capito che fosse una femmina, scambiandola per tutto il tempo per un ragazzino. E lei era certa di non aver fatto nulla per dargli motivo di dubitarne … però adesso le venne il sospetto che magari, mentre era svenuta in macchina, potesse aver visto qualcosa ... Ad ipotizzare quella possibilità, Kaori si sentì invadere dalla vergogna e dalla rabbia, ritrovandosi a tremare sensibilmente.

«Me l’ha raccontato Hide, che a volte ha dovuto portarti lui sul groppone, perché eri troppo esausta per camminare sulle tue gambe», proruppe con accento macchiato di scherno Ryo, sbirciandola da dietro la scodella di udon, speranzoso di essere riuscito a districarsi da quel non voluto equivoco.

I nervi della ragazza parvero rilassarsi e anche la sua aura ostile si stemperò: «E cos’altro ti ha raccontato di me?», incrociò le braccia lanciandogli un’occhiata timida e permalosa, le labbra imbronciate, le pupille sagaci e un adorabile rossore ad imporporarle le gote.
Il consumato seduttore, cui bastava sfoderare uno sguardo da duro per far crollare ai suoi piedi miriadi di donne, sentì sgretolarsi per un attimo tutta la sua determinazione. La sorellina del suo amico era diventata anche più graziosa di quanto già non lo fosse da adolescente, ma lui doveva comportarsi da ineccepibile protettore, non poteva permettersi di lasciarsi fuorviare da certi pensieri fuori luogo.
«Niente di particolare», glissò scrollando le spalle con naturalezza, tacendole quanto spesso Maki, commovendosi dietro le sue lenti spesse, avesse tessuto le sue lodi, descrivendola come una ragazza sveglia, affettuosa e responsabile, col difetto di essere solo un po’ troppo caparbia e precipitosa, impensierendolo per certe situazioni azzardate in cui si era cacciata talvolta.

«E lui di me cosa ti ha detto?», le domandò con un involontario sorrisetto sornione ad accendergli quegli occhi neri e liquidi come inchiostro.
Kaori gonfiò le guance, facendo uscire uno sbuffo annoiato: «Niente di interessante», mentì svelta, mantenendosi sul vago, esattamente come aveva fatto lui, pur rimarcando con il suo tono la sua estraneità e il suo disinteresse nei suoi riguardi.
Maki, quando lei, dopo aver scoperto che lavoravano insieme, gli aveva esposto i suoi dubbi circa quella frequentazione, sistemandosi gli occhiali sul naso l’aveva sempre rassicurata descrivendolo come un uomo leale e di sani principi, un professionista serio e affidabile, all’occorrenza spiritoso, che aveva un unico grande tallone d’Achille, ossia le donne, alle quali non riusciva proprio a resistere, rendendosi spesso molesto.
Per quanto effettivamente fosse proprio un bel tipo e avesse un modo di fare abbastanza intrigante, lei giurò a se stessa che di certo non ci sarebbe mai cascata. Innamorarsene era fuori discussione, specialmente se avrebbero dovuto lavorare insieme.

«Ma dimmi …. Il fidanzato ce l’hai?»

Saeba ruppe quella già palpabile tensione scagliando distrattamente quella domanda così personale, senza una ragione comprensibile.
Per poco Kaori sputò l’acqua che aveva appena bevuto: «Eh? Perché ti interessa?», esclamò allarmata, alzandosi di scatto come se la sedia sotto il suo sedere scottasse.
Lui la scrutò intensamente, impassibile come un pezzo di ghiaccio: «Rispondimi», la incitò secco, tirando fuori dal taschino dell’impermeabile la pistola e appoggiandola sul tavolo.
La ragazza fremette alla vista di quel lucente pezzo di metallo, sdegnata oltretutto dal sentore che quel bell’imbusto, nonostante ostentasse serietà, ci stesse provando anche con lei e addirittura la minacciasse per farla sbottonare.

«No, non ce l’ho!», gridò quasi, in preda all’agitazione, «Non ho più nessuno», balbettò poi rattristata, abbassando la fronte.

Ryo si alzò, dirigendosi verso una poltroncina che aveva adocchiato, su cui si sistemò, sempre con la sua Phyton in pugno: «Ottimo. Una potenziale vittima in meno a cui badare», sostenne riacquistando la sua proverbiale professionalità, che conferì ai suoi lineamenti l’apparenza di una maggiore durezza e maturità.
Kaori tornò a respirare con maggiore calma, insultandosi mentalmente per essere stata così suscettibile. Avrebbe dovuto imparare a fidarsi di più di lui, in fondo lo aveva già fatto la prima volta in cui l’aveva tratta in salvo, lo aveva potuto vedere in azione, sapeva quanto fosse abile e ligio al dovere, malgrado la pessima fama che lo accompagnava.
E poi era pur sempre stato il partner di suo fratello. Non era un completo estraneo.

La sua attenzione finì improvvisamente sulla torta di compleanno, che neanche il suo affamato ospite aveva osato assaggiare, e di nuovo un magone le strinse la gola. La testa pulsava e girava, cominciava a sentire le ginocchia cedere allo stress di quella lunga e orribile giornata, che avrebbe tanto voluto cancellare e dimenticare.

«Adesso va’ a riposare», la esortò benevolmente Ryo, accorgendosi che era rimasta in piedi ma vacillava, come se stesse per svenire da un secondo all’altro.
«Ci proverò», bisbigliò lei, congedandosi con un composto cenno di assenso.

Ryo allungò il collo, vedendo svanire speditamente la sua figura aggraziata tra le ombre del corridoio, chiedendosi con un certo scombussolamento se sarebbe stato opportuno tenerla accanto a lui come protetta e rimpiazzo del suo perduto collega, o se invece non avrebbe fatto meglio a considerarla soltanto una delle tante clienti di passaggio.


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Capitolo 2
*** II – Regole di convivenza ***


Salve gente :)
Rieccomi con un nuovo capitolo/one shot, questa volta collocata ipoteticamente tra il giorno successivo all'arrivo di Kaori nell'appartamento che d'ora in avanti condividerà con Ryo e prima dell'episodio (del manga) "La trappola del generale".
Come alle solite, avevo già scritto degli scambi di battute tra i due che avevo pensato di inserire qui, ma alla fine ha prevalso la vena introspettiva e, per evitare di dilungarmi troppo, ho deciso di trasportarle alla prossima shot che spero di non tardare a concludere.
Mi auguro anche di non essere sfociata nell'OOC nel tracciare questi loro primi approcci, in cui comunque ho notato come anche Hojo li tratteggi un po' più rilassati e soprattutto istintivi: insomma sono ancora in una fase di reciproca osservazione ^.^
Ringrazio di cuore tutti coloro che hanno letto silenziosamente, chi ha inserito la storia tra le seguite/preferite/ricordate e in particolare chi ha anche voluto spendere un po' di tempo per lasciarmi un commento: ne tengo sempre molto conto!
Augurandovi un buon fine settimana, vi lascio alla lettura.
A presto!)

II – Regole di convivenza

Si svegliò con le guance umide e un denso sapore di sale tra i denti. Le lacrime che aveva soffocato per tre giorni e che era riuscita a trattenere perfino davanti la bara di suo fratello, durante quella cerimonia intima e deserta, erano infine sgorgate nel mezzo dei sogni confusi e travagliati di quella notte, la prima trascorsa lontano da casa.
Il chiarore nascente dell’alba s’infiltrava tra le tapparelle, illuminando a strisce la parete di fondo della sua nuova camera da letto. Si girò sulla schiena, stiracchiandosi e stropicciandosi le palpebre appiccicaticce, cercando tastoni la foto che aveva tenuto stretta sotto il cuscino. In cuor suo sapeva che non avrebbe mai potuto superare del tutto quella fitta che le opprimeva il petto ogni qual volta il ricordo della sua vita passata sarebbe tornato a bussare, ma non voleva più scoraggiarsi: d’ora in poi si sarebbe servita di quel dolore e di quella rabbia per aiutare altre persone sfortunate, continuando la missione per la quale lui era stato ucciso.
Aveva già avuto un primo assaggio di cosa significasse vivere al fianco di un uomo costantemente impegnato a combattere il crimine durante quel movimentato viaggio in autobus. Era intervenuta in prima persona ed aveva risolto con successo quasi tutto da sola, perciò aveva capito che avrebbe potuto riuscirci, che col tempo sarebbe diventata una degna sostituta di Maki.

Fortificata da questa rinnovata fiducia nel futuro e nelle sue capacità, Kaori scostò le coperte, si alzò dal materasso e si allacciò la vestaglia, schiudendo le imposte per far entrare l’aria fresca e i raggi tiepidi del sole mattutino. Sperò che l’unico bagno a disposizione fosse libero e di non trovarci dentro il suo coinquilino, perché avrebbe avuto proprio bisogno di una bella doccia per rimettersi in sesto e cominciare bene la giornata. Stava per uscire quando notò un foglietto di carta per terra, proprio vicino all’uscio. Lo raccolse incuriosita, leggendo le righe scritte con una calligrafia spigolosa: “Dovevo fare qualche giro. Fa’ come fossi a casa tua. Ryo”.
Lo chiamò un paio di volte, ottenendo risposta solo dal silenzio, accertandosi che effettivamente non c’era. Non volle dare molto peso all’amara considerazione di essere stata lasciata da sola, nonostante quei malviventi che li minacciavano fossero capaci di tutto, perché quelle ultime parole, anche se probabilmente erano solo parole di circostanza, in qualche modo furono capaci di farle tendere le labbra in un timido sorriso rasserenato. Era l’inizio di un nuovo giorno e anche di una nuova vita.

C’erano ancora degli scatoloni da disfare, quel disordine la faceva sentire nervosa, fuori posto. Avrebbe cominciato da quelli e poi si sarebbe dedicata a sistemare il resto di quell’abitazione che avrebbe dovuto imparare a considerare anche sua.
Si affrettò a docciarsi e a fare una leggera colazione con una tazza di latte freddo e biscotti che consumò in piedi, per evitare di contaminarsi con la patina di sporco che insozzava il tavolo, dopodiché si rimboccò le maniche e tornò nella sua camera, cominciando ad ordinare vestiti e altri suoi oggetti personali tra armadi e cassettiere, con un criterio ben definito, conservando per ultimo il cofanetto con l’anello regalatole da Hideyuki in fondo ad un cassetto del comodino. Contenta del ritrovato ordine, passò dunque alla parte più impegnativa che consisteva nel tentare di rendere più vivibili quegli spazi, dato che al piano di sotto si trovavano degli ambienti in comune in cui anche lei, nolente o volente, avrebbe dovuto coabitare con quel Saeba.
La sera prima era filata dritta nella camera che lui le aveva indicato e non si era soffermata più di tanto ad ispezionare ogni angolo, ma ad una rapida occhiata aveva già potuto appurare la confusione e la sporcizia dominanti, tipiche del covo di uno scapolo scansafatiche allergico alle faccende domestiche.
Scendendo le scale e guardandosi attorno, Kaori costatò che era un appartamento luminoso e spazioso, il che avrebbe limitato le situazioni di promiscuità, ma anche freddo e dispersivo, quasi come se fosse disabitato. L’arredamento era anonimo e spartano, impersonale, e non c’erano quadri, né foto o soprammobili a dare qualche tocco di calore umano. Somigliava quasi al rifugio di un latitante. In compenso, a testimonianza dello stile di vita sregolato del suo proprietario, bottiglie e lattine vuote di birra, cartoni di cibo da asporto, cicche di sigaretta, quotidiani e giornaletti per adulti giacevano qua e là, e il lavello della cucina era colmo di bicchieri e piatti dimenticati che imploravano di essere lavati da chissà quanti giorni, mentre in frigorifero sostavano residui di cibo avanzato il cui tanfo avrebbe potuto competere con una bomba chimica. Il parquet di legno chiaro che ricopriva il pavimento era inoltre scalfito e macchiato in più parti di chiazze untuose non meglio definite e sulla cui origine non volle interrogarsi.
«Ahimè, qui ci vorrebbe una disinfestazione!», valutò sconcertata ad alta voce, imbattendosi perfino in dei calzini maleodoranti abbandonati sotto il tavolino del salotto, adornato unicamente di un vecchio divano a due posti e di un piccolo televisore.
Per fortuna lei era stata tanto previdente da portarsi appreso tutto l’occorrente per le pulizie, così si armò di pazienza e di buona lena, di guanti, detersivo e disinfettante, cominciando a sgrassare il ripiano cottura e le mattonelle, a raccogliere tutta la roba da destinare alla spazzatura e quella da mettere in lavatrice, a spolverare gli scaffali e a spazzare via le ragnatele. Trovò una radiolina e poté almeno svagarsi con un po’ di gradevole musica pop mentre portava avanti quelle noiose mansioni.
Dopo poco più di un paio d’ore poteva dirsi soddisfatta del risultato ottenuto, le rimaneva soltanto da passare lo straccio per completare l’opera, ma un pensiero dispettoso cominciò a solleticarle la mente. Aveva rovistato in tutte le stanze, tranne che in una, forse per timore, forse per discrezione. La sua.

Lui a quell’ora sarebbe potuto rientrare da un minuto all’altro, almeno così si aspettava, non volendo considerare alternative meno rassicuranti. Temeva un po’ di essere colta in flagrante a ficcanasare e di essere tacciata di invadenza, ma la tentazione a quel punto era troppo forte. Avrebbe dato solo una sbirciata veloce, tanto per soddisfare la sua curiosità, si convinse dopo alcuni secondi di esitazione, mollando il bastone del mocio, spegnendo la radio, e avanzando in punta di piedi sulla rampa che conduceva all’ultimo piano.
La porta non era chiusa a chiave, girò la maniglia cercando di farla cigolare meno possibile, sempre con l’orecchio teso ad eventuali rumori dal piano inferiore. Le tende erano mezze alzate, facendo entrare appena uno spiraglio di luce, l’aria era viziata da un pungente odore frammisto di sudore, fumo e polvere da sparo. Oltre ad un letto da una piazza a mezzo con le lenzuola disfatte, posto quasi al centro della stanza, c’era anche uno scialbo divano addossato ad un muro, su cui erano sparpagliati giornaletti, cartacce e qualche bottiglia scolata. Dentro l’armadio erano appese poche giacche di modello sportivo, tutte sgualcite, e qualche paio di pantaloni piegati in malo modo e mescolati a calze e scarpe. Anche tra quelle cose non scorse alcun rilevante indizio di un qualche legame affettivo. Sulle pareti, di contro, campeggiavano immagini di procaci modelle seminude in pose molto esplicite, da cui distolse subito lo sguardo, arrossendo di vergogna. Sembrava la camera di un adolescente in piena tempesta ormonale!
Il suo imbarazzo raggiunse il culmine quando si accorse che dal cassetto del comodino fuoriusciva un triangolino di stoffa di pizzo. Approfittando d’indossare ancora i guanti, si azzardò a frugare, trovando un gran numero di mutandine femminili, di diversa foggia e colore, ma più o meno tutte della stessa misura. Con le guance in fiamme si domandò se appartenessero tutte quante alla stessa donna o se piuttosto non fossero della sorta di trofei, rispondendosi subito dopo che alla fin fine non era una questione che la riguardava. Quell’individuo doveva essere davvero un depravato, ma era anche un uomo adulto e libero di vivere le sue avventure con chi gli pareva. A patto che non si fosse intrattenuto con qualcuna di quelle compagnie in sua presenza, acconsentì con forzata indulgenza e uno strano sapore amarognolo in bocca, uscendo in fretta con la preoccupazione di essere sorpresa lì dentro al suo arrivo.

Ritornò al piano inferiore e si apprestò a finire di lavare il pavimento, non potendo arrestare il corso del suo galoppante rimuginare. Anche Hideyuki era trasandato e molto sbadato, non fosse stato per lei certe volte avrebbe perso perfino gli occhiali pur avendoceli sul naso, ma il caos squallido che regnava tra quelle mura era diverso; oltre a disgustarla, per qualche imperscrutabile ragione, la turbava. Non c’erano tracce di un passato o un presente che si discostasse dal suo lavoro o dalla sua ossessione per le donne. Forse si stava facendo suggestionare troppo, quel Ryo Saeba doveva essere semplicemente un impenitente donnaiolo, un uomo solitario e privo di interessi. O magari il frenetico e rischioso mestiere di giustiziere non gli dava modo di coltivare passatempi leggeri o relazioni lunghe.
Con un po’ d’inquietudine, Kaori si augurò vivamente di non diventare anche lei così, riaccendendo la radio e distraendosi con le note di una ritmata canzone rock, che la allietò nel portare a termine le ultime passate di straccio.


Risaliva quel gran numero di gradini a passo sostenuto, i sensi vigili e i nervi pronti a scattare al minimo sentore di un qualche segnale di pericolo. Quel palazzo era il posto più sicuro che conoscesse, ma non poteva escludere che chi lo voleva eliminare potesse individuare dove si nascondesse. Dopotutto aveva messo a soqquadro il rinomato Silky Club e aveva sottratto una valigia con diversi milioni di yen. La potente e spietata organizzazione criminale cui si era opposto aveva innumerevoli risorse, avrebbe potuto corrompere chiunque per lavare l'onta dello smacco subito. Sembrava che le acque si fossero calmate, ma lui non si sentiva affatto tranquillo, nonostante i suoi più fidati contatti non gli avessero spifferato alcuna informazione di rilievo e non avesse avvertito nessuno pedinarlo durante i vari sopralluoghi che aveva compiuto nelle ultime ore.
Un incontro aveva tirato l’altro, e lui aveva fatto più tardi di quanto non si fosse prefisso, si rimproverò, il respiro stretto dalla morsa del rammarico e da una leggera ansia.

Le aveva raccomandato di non aprire a nessuno e di non uscire da lì per nessun motivo, ma rammentava sin troppo bene quanto fosse avventata e testarda quella ragazza. Maki se ne disperava spesso, e lui non aveva dimenticato la primissima volta in cui si erano incontrati, né quando era andata ad invischiarsi in quella spregevole faccenda di rapimenti, volendo indagare per conto suo. E la mattina precedente su quell’autobus si era improvvisata a diventare l’eroina della situazione, pur non avendo alcuna esperienza con le armi da fuoco e rischiando di fare una strage.
Pur avendola segregata in casa, era certo che, irrequieta com’era, sarebbe stata capace di ingegnarsi per trovare qualche via di fuga. Se le fosse successo qualcosa, non si sarebbe perdonato di fallire ancor prima di cominciare a proteggerla. La ferita della perdita del suo amico era ancora troppo fresca, non avrebbe sopportato un’altra sconfitta del genere. D’altra parte la sera prima l’aveva sorpresa a piangere, quindi forse sarebbe stata troppo provata dallo sconforto per commettere qualche colpo di testa. O magari l’avrebbe commesso proprio sospinta da quel movente.

Tribolato da tali pensieri, Ryo inserì la chiave nella toppa, appurando con sollievo che non fosse stata scassinata. Oltrepassando la soglia inciampò in un grosso sacco nero che gli restituì un clangore di vetro e metallo, ma non ebbe tempo di interrogarsi sul suo contenuto perché fu distratto dal riecheggiare di una melodia allegra che pareva provenire da un piccolo altoparlante. Continuò ad avanzare verso il salone scorgendo infine la sua ospite dimenarsi tutta indaffarata. Indossava canotta, pantaloni di tuta e guanti di gomma e reggeva uno scopettone che faceva scivolare sulle assi del pavimento, lindo e brillante come non era mai stato neanche quando lui era andato ad abitare lì.
Si mosse piano, cercando gradualmente di inserirsi nel suo campo visivo, preparandosi a subire qualche sua legittima reazione dettata dallo spavento o dalla collera.

Kaori sussultò appena, accorgendosi improvvisamente della sua presenza: «Ah, sei tornato! Com’è andata?», lo interrogò spigliata, fermandosi e andando ad abbassare il volume della radiolina, restando a fissarlo in impaziente attesa di una risposta.
Quella domanda banale, gettata in maniera così confidenziale e spontanea, gli fece uno strano effetto e lo disorientò. Si aspettava che lo avrebbe aggredito per essersi dileguato, nonostante la seria minaccia che incombeva sulle loro teste. Quella premura gentile invece gli ricordò immediatamente Makimura e di riflesso sovrappose il suo volto a quello del suo defunto socio, benché la somiglianza esteriore tra i due fosse pressoché inesistente. Per un attimo si domandò se fosse così avere una sorella, essere accolti da qualcuno che si preoccupava di lui.
«Ho contattato qualche mio informatore. Si faranno sentire, se dovessero esserci movimenti sospetti», tagliò corto, tenendosi sul piano professionale e tralasciando di rivelarle le sue ipotesi sul come avrebbe potuto concludersi quella spinosa vicenda. Non aveva ragione di rivelarle che era passato a controllare il suo precedente domicilio scoprendo che era stato rivoltato da cima a fondo.
Ad ogni modo, gli parve che lei non lo stesse neppure ascoltando, impegnata com’era a tentare di scrostare vecchie macchie di sporco, perciò si accinse ad attraversare la stanza per raggiungere la cucina, ma la ragazza lo sgridò perentoria: «Fermati lì! Non farmi pedate!».

Ryo obbedì, rimanendo ad osservarla intontito mentre blaterava della necessità di comprare cera per pavimenti e gli raccontava quanto aveva dovuto sgobbare dopo essersi alzata. Per assurdo, giunse a chiedersi se quello fosse ancora il posto in cui aveva vissuto finora. Non c’era niente di nuovo, ma così pulito e sistemato sembrava comunque molto diverso. Anche Kaori sembrava diversa. I suoi caldi occhi nocciola erano meno tristi, era più serena e vivace, di buonumore, e il lieve colorito che aveva acquisito per via di tutto quell’affaccendarsi la rendeva davvero molto carina ...

Smise di strofinare lo straccio sul pavimento oramai asciutto e gli andò incontro, affiancandolo: «Quindi sul serio tu abiti qui, tutto solo?» si risolse a domandargli di punto in bianco, con un’espressione tra la sbigottita e la perplessa, rivolta più che altro all’appartamento.
«Già. Tutto solo», sospirò sconsolato lui, le spalle incurvate e il muso lungo, stirando un braccio verso la sua spalla, che però si ritrasse, sbilanciandolo.
«Caspita! Allora l’affitto deve costarti un occhio della testa!», ipotizzò attonita la ragazza, rimpicciolendo le pupille.
Ryo balbettò, grattandosi la nuca: «Non saprei … »
Una smorfia sospettosa e preoccupata arricciò le labbra della giovane coinquilina: «Non è che sei abusivo?! Oppure questo è uno di quegli edifici sotto confisca della polizia che servono agli agenti sotto copertura?»
Lui non sapeva se sorridere, sbalordirsi per la sua immaginazione o sentirsi insultato: «Eh? No! Ma cosa vai a pensare? Guardi troppi film gialli!», commentò non potendo contenere un risolino divertito, per poi farsi meno beffardo. «Semplicemente era tuo fratello ad occuparsi di queste cose burocratiche».
Il viso di Kaori si rabbuiò: «Oh. Certo. Hide non è mai stato un uomo d’azione», bisbigliò con un tenero sorriso, togliendosi i guanti e passandosi un dito su uno zigomo.
«È morto con una pistola in mano», la smentì drastico Ryo, ripensando che avrebbe dovuto esserci lui al suo posto. Quell’idea continuava a perseguitarlo e di certo non aveva abbandonato nemmeno lei. Distolsero reciprocamente lo sguardo per qualche secondo.
Fu la ragazza a decretare che era il momento di cambiare argomento: «Allora, cosa posso fare?» si risolse a domandargli spiccia, sbarazzando mocio e secchio e portando le mani ai fianchi.

Era chiaro che voleva sdebitarsi della sua ospitalità, rendersi utile. Si era affaccendata senza sosta per non pensare, per riempire quel vuoto, impedirgli di scavare troppo a fondo.
Lo sweeper si rese conto che in realtà non sapeva bene come comportarsi con lei. Aveva dimestichezza con donne di altro tipo, smaliziate, frivole, consenzienti. Ma quella lì era una ragazza tremendamente normale, gli occhi limpidi e la faccia pulita, l’animo candido e ferito. Si convinse che forse l’unica maniera per non sbagliare era considerarla una specie di allieva e dunque mantenere un po’ le distanze, anche se era pur sempre un essere di sesso femminile e già il suo delicato profumo floreale aveva saturato ogni cosa che lo circondava.
Si allontanò da lei, accomodandosi sul divanetto, poggiando i piedi sul tavolino di fronte: «Non lo so, per esempio potresti cominciare a pensare cosa preparare per pranzo?», propose con assoluta noncuranza, accendendosi una sigaretta.

Kaori boccheggiò indispettita. Non gli avrebbe permesso di abusare della sua gentilezza o della sua presunta debolezza. Gli si avventò contro, tirando giù con uno spintone le sue gambe da quella postazione, per potergli parlare faccia a faccia.
«Senti, mettiamo in chiaro due o tre regole. Primo: le cicche vanno nel posacenere, calzini e mutande usate nel bidone della biancheria sporca, gli altri rifiuti nella spazzatura. Non pretendo che impari subito, ma gradirei un minimo di collaborazione», asserì quasi in un ringhio, strappandogli il mozzicone di bocca e spegnendolo in una ciotola di vetro. «Secondo: se ho dato una sistemata a questo porcile, è perché ormai purtroppo dovrò viverci anch’io. Ma non ho nessuna intenzione di essere la tua cameriera o la tua mantenuta! Voglio essere la tua assistente, come lo era mio fratello!» ribadì stringendo i pugni fino a sbiancare le nocche.
«E terzo: per poter mangiare dobbiamo lavorare!».

Ryo assorbì tutte quelle recriminazioni facendo ricorso a tutto il suo sangue freddo: «Per il momento non c’è niente da fare. Dobbiamo aspettare che siano i gentiluomini della Union Teope a compiere la prossima mossa», si limitò a replicare evasivo, alzandosi e sovrastandola con la sua imponente statura, con lo scopo di farla sentire piccola e inerme.
Lei però non desistette: «Ma qualcun altro nel frattempo potrebbe avere bisogno di City Hunter!», gli gridò dietro incaponita, quando ormai poteva parlare solo con la sua schiena.
«Se vuoi farti ammazzare, esci pure. Io vado a recuperare un po’ di sonno», si defilò, salutandola sprezzante con un gesto della mano, percependo il suo respiro aggrovigliarsi e diventare rabbioso, ma continuando ugualmente a percorrere la rampa di scale che conduceva al sesto piano.

La sua grinta e il suo zelo erano encomiabili, era animata da buone intenzioni, ma era piuttosto ingenua e imprudente, oltre che completamente estranea alle meschinità di quel sottomondo che era la criminalità di alto bordo, meditò Ryo varcando la porta, desideroso di sprofondare sul materasso. Subito riconobbe che c’era stata un’intrusione.
Le persiane erano più sollevate di una decina di centimetri rispetto a come le aveva lasciate, il cassetto del comodino non era più socchiuso e guardando nell’armadio notò che gli abiti erano stati frugati. Inoltre le particelle di una dolce fragranza impregnavano l’aria. Non aveva dubbi: quell’impicciona era stata lì a curiosare tra le sue cose. Non capì se esserne lusingato o disturbato. Aveva proprio un bell’ardire: appena arrivata, già si permetteva di comandare in casa sua!
E adesso, a giudicare da quel rumore metallico, stava armeggiando con la serratura d’ingresso. C’era da scommetterci che non si sarebbe arresa alla sua intimidazione. Gettò la giacca sul letto, sedendosi a riflettere. Sarebbe finita nei guai, da sprovveduta principiante qual era. Non poteva perderla di vista, era sotto la sua responsabilità, anche se non era più minorenne.

Traendo un sospiro snervato, ridiscese a grandi falcate, intercettandola proprio davanti l’uscio, con gli stivaletti ai piedi e la borsetta al collo, in palese procinto di sgattaiolare, disobbedendo al suo precedente ammonimento. La bloccò frapponendo un braccio tra lei e lo stipite, senza neanche sfiorarla. Era ora che anche lui ribadisse alcune norme di convivenza.
Kaori si voltò piano, sostenendo il suo sguardo con un cipiglio impertinente.
«Per collaborare e vivere con me, anche tu dovrai accettare alcune regole. Uno: non sei ancora pronta ad affrontare da sola feroci malviventi di quella risma. I ladri che hai battuto ieri erano delle schiappe» la redarguì tagliente e severo, sgonfiando la sua supponenza.
«Due: non accetto nuovi incarichi se prima non ho concluso quelli cominciati. Potrei fare un’eccezione soltanto se si presentasse una donna veramente bella e disperata, disposta a pagarmi in natura», specificò impunemente, facendola indisporre.
Quindi si curvò leggermente su di lei, passandosi una mano tra i capelli, con fare vanesio: «Tre: capisco bene che il mio fascino da bello e impossibile ti attrae, ma la prossima volta anziché entrare in camera mia di nascosto, chiedimelo e basta», sussurrò con un malizioso occhiolino.

Kaori sentì ribollire un miscuglio di sensazioni, tra le quali prevalse il bisogno di colpirlo in qualche modo per rimetterlo in riga e chiarire che a lei non importava affatto averci a che fare in quel senso. Sollevò il ginocchio, centrando il suo punto più sensibile, proprio lì in mezzo alle gambe: «Presuntuoso!»
Ryo si piegò in due, mugugnando dolorante, vedendola andare via: «Forse non è così indifesa».

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Capitolo 3
*** III – Pensieri proibiti ***


Ben ritrovate care lettrici :)
Chiedo umilmente scusa per il ritardo con cui arrivo oggi a postare questo nuovo capitoletto che avevo già abbozzato da un po' su carta, ma purtroppo svariati contrattempi mi hanno impedito di concluderlo prima ^.^".
Come introduzione voglio solo anticiparvi che questa volta mi sono soffermata sulla questione "attrazione fisica reciproca", narrando un po' le turbe che i due possano aver provato i primi tempi della loro convivenza.
Mi sono divertita a immaginare alcune scene e battute e spero come sempre di aver mantenuto il carattere di entrambi senza esagerazioni.
La narrazione si colloca attorno all'episodio del manga "Coi cattivi non si tratta" che a mio parere aveva un grosso spunto rimasto nell'ombra XD
Ringraziando come sempre chi mi sostiene leggendo, seguendo, preferendo e commentando, vi mando un affettuoso saluto.
Alla prossima!)



III – Pensieri proibiti

Trangugiò con un risucchio rumoroso le ultime preziose gocce di quel frullato energetico di sua invenzione, sotto lo sbigottimento di due occhi color cioccolato sgranati e incorniciati da lunghe ciglia.
Erano sempre accesi da un vivo interesse, quegli occhi, quando si posavano sulla sua persona. Ma non c’era alcuna ombra di malizia nel fondo di quelle iridi cristalline, quanto una schietta curiosità unita al vivo desiderio di imparare tutto ciò che sapeva o faceva lui.
Doveva essere stata una studentessa modello ai tempi del liceo, di contro lui non era mai andato a scuola e il ruolo del maestro non era sicuro gli riuscisse bene interpretarlo. Finora non le aveva certo indorato la pillola, eppure lei, pur protestando, non aveva esitato più di tanto quando era giunto il momento di agire e non aveva quasi battuto ciglio vedendogli uccidere a sangue freddo dei biechi assassini. Chiunque altra se ne sarebbe già scappata a gambe levate dopo tutte le situazioni rocambolesche in cui l’aveva coinvolta e la scarsa accoglienza che le aveva riservato in quei primi tre mesi di convivenza, invece lei continuava a non demordere. Era proprio una ragazza ostinata e molto motivata: non si sarebbe mai aspettato che, giovane e spensierata com’era, sarebbe rimasta fedele alla sua promessa.

«Beh, allora? Che fai ancora qui impalata?», la richiamò, annoiato dal suo assillante scrutarlo mentre finiva di consumare l’abbondante colazione che gli aveva preparato con tanta premura. «Ce l’hai qualche costume da bagno decente?»
Kaori si mise subito sull’attenti, ignorando quel suo deliberato sarcasmo: «Sì, certo. Ne dovrei avere almeno un paio».
«Intero o bikini?», farfugliò di riflesso Ryo, dando un morso ad un cornetto, pentendosi un attimo dopo del tono licenzioso di quella domanda che gli era scappata così, senza pensarci, o meglio soffermandosi istintivamente ad immaginare le due alternative con cui avrebbe potuto adocchiare le sue nudità.
Lei però doveva essere soprappensiero e sembrò non averlo sentito: «Eh? Allora vuol dire che posso accompagnarti?», domandò speranzosa, restando a mezz’aria con le tazze sporche che stava per riporre nel lavabo.
«Certo! Sei o non sei la mia aspirante assistente?», replicò lui con la più assoluta ovvietà, accendendole un sorriso raggiante. Poi, dandosi un contegno compassato, aggiunse: «Ad una condizione: mi raccomando, dovrai fare una ceretta molto accurata, soprattutto all’inguine. Sarà essenziale per il piano che ho in mente».
Sul volto della coinquilina balenò un’ondata di sdegno: «Ma come ti permetti! Svergognato!», gli strillò contro a pieni polmoni, ribaltando il tavolo e allontanandosi a passo sostenuto verso la sua camera.
«Che permalosa!», bofonchiò Ryo stizzito, riemergendo dal pavimento e tentando di recuperare quel poco che non era andato in frantumi.

Quando si arrabbiava, quella matta sfoderava una forza incredibile. Provocarla era estremamente semplice e lo divertiva parecchio. Si augurò che gli reggesse la recita senza troppe storie, perché incontrare il capo dei Ryujin non lo esaltava per niente, anzi laddove quella novellina vedeva una facile fonte di guadagno, lui sospettava che dietro quell’insolita richiesta di protezione potesse esserci qualche tranello. C’era troppa gente che lo voleva morto tra la mafia giapponese.

Con queste cupe riflessioni lasciò la cucina nel disordine, rinunciando a sistemare il resto, e si affrettò a prepararsi anche lui per quella spiacevole uscita. L’unica nota positiva, visto il particolare luogo dell’appuntamento, sarebbe stata poter ammirare tante donne seminude per di più in acqua.
Allettato da quella prospettiva, in dieci minuti si era lavato, rasato, aveva indossato il suo costumino migliore ed era già pronto ad uscire, ma la sua suscettibile aiutante tardava a comparire, tanto che iniziò a supporre che davvero non si depilasse da tempo. Si adagiò sul divano, i gomiti sulle ginocchia e il mento sulle mani, sbuffando spazientito.
Dopo un buon quarto d’ora finalmente udì i suoi passi appropinquarsi al soggiorno.

«Ah, con questa calda giornata di sole un bel tuffo in piscina è proprio l’ideale!» cinguettò briosa, facendo risuonare i sandali dalle suole di legno sul parquet.
Era la gioia di vivere, anche se quei bermuda bianchi a righe arancioni, quella canotta gialla e quel cappellino rosso con la visiera larga non ostentavano un gran gusto nel vestire. Ed era anche più coperta di quanto non avesse intimamente sperato di vederla.
Le lanciò un’occhiata di sufficienza: «Rispogliati».
«Perché? Oh no. Non dirmi che l’incontro è saltato», s’imbronciò Kaori, affranta già dall’idea di dover rinunciare al piacevole diversivo della giornata.
Ryo dissentì e si alzò, girandole intorno ed esaminandola come se cercasse di indovinare cosa celasse sotto quegli abiti o volesse prenderle le misure: «Dovrò affidarti la mia M-36. Sarò in costume anch’io, perciò non potrò portarmi la fondina in bella vista».
La ragazza si agitò per la sua insistente vicinanza, non capendo quale fosse il suo vero intento: «Ed io dove dovrei metterla, scusa?»
Un largo sorriso irriverente si disegnò sulla bocca dello sweeper, che le porse la sua letale magnum insieme ad un rettangolo di stoffa ripiegato: «Indosserai questo pareo e me la terrai in caldo tra le tue insospettabili coscette innocenti!»
La socia sbiancò: «Ma tu sei proprio malato!», lo accusò indignata, incrociando le braccia e le gambe, come a nascondersi ai suoi occhi.
«Ti sbagli, guarda che è un’idea geniale. A nessuno verrà in mente di perquisire una dolce e innocua fanciulla», asserì lui con convinzione. «Bisogna essere previdenti con quei tizi, sono pur sempre della Yakuza. È gente dedita agli imbrogli e alla violenza» sottolineò più seriamente, confidando di riuscire così a persuaderla ad appoggiare il suo astuto stratagemma.
Kaori si mordicchiò le labbra, riluttante e contrariata, meditando sulla plausibilità della sua spiegazione: «Ma scusa, non potresti nascondertela tu nelle mutande?», propose con franchezza, dandogli prova di non voler ancora accondiscendere a quella proposta che, pudica com’era, doveva giudicare indecente.
«Da me non c’è spazio!» ridacchiò lui con una certa spudoratezza.
Al che la socia, assumendo la colorazione di un peperone, lo sorpassò con un sospiro esasperato: «Eh va bene. Da’ qua», acconsentì afferrando bruscamente la colt e il lungo telo di cotone e così dicendo cominciò a spogliarsi del pantaloncino, sotto lo sguardo attento e involontariamente famelico del collega che le si apprestò, volendole suggerire come meglio sistemare la fascia elastica in cui doveva inserire la pistola.
«Non ti azzardare a toccarmi!», lo minacciò subito lei, pur con le dita tremanti nel reggere quell’arma, non sapendo bene come poterla occultare.
«No no, figurati», la rassicurò Ryo, sperando non si accorgesse del suo improvviso aumento di salivazione nello scorgere la canna della sua pistola sfiorarle la carne così tonica, liscia e lattea delle cosce. Aveva solo vent’anni e probabilmente nessun uomo l’aveva mai accarezzata lì. Gli cominciarono a prudere le mani a guardare quel meraviglioso spettacolo restando fermo e buono.
Si biasimò all’istante, tirandosi un colpetto sulla tempia: non poteva rivolgerle certi pensieri peccaminosi, se l’era ripromesso e doveva riuscirci!
Deglutì un grumo di saliva e si voltò per evitare di fissarla ancora più del dovuto.

Kaori intanto finì di assicurare la fondina poco sopra il ginocchio e si annodò il pareo alla vita, accennando qualche passo per prendere confidenza con quell’impedimento.
«Per la miseria, cerca di camminare in maniera più femminile! Così sembri un camionista con un’ernia scrotale!», la motteggiò Ryo, sentendosi un po’ meno eccitato grazie alla sua comica goffaggine.
Il suo sfrontato divertimento accrebbe ancora di più il nervosismo della ragazza, che adesso iniziava a temere quell’assurdo espediente fosse solo un pretesto per deriderla e sottoporre ad un qualche test il suo carattere non esattamente accomodante.
«Guarda che ho inserito la sicura, non partirà nessun colpo, se eviterai movimenti inconsulti», continuò a scompisciarsi, rotolando per terra e battendo i pugni, con l’impertinenza di un bambino dispettoso.
Kaori era al limite della sopportazione: «Vorrei vedere te a dover camminare con un affare ingombrante tra le gambe!», gridò d’impulso, insultandosi subito dopo per essere stata tanto ingenua da offrirgli l’occasione per qualche becera battuta.
Infatti Ryo si rialzò con un colpo di reni, allargando le braccia: «Lo faccio tutti i giorni, cara», ammiccò gradasso indicandosi sotto la cintura e scoppiando di nuovo a ridere stupidamente.

Lei, oramai rossa come un papavero, serrò le gambe e si defilò con andatura indignata verso la porta d’ingresso, tallonata dal socio che non si era ancora saziato di prenderla in giro con quella sua ennesima trovata stravagante.
Che fosse un investigatore sui generis lo aveva già intuito qualche anno addietro, quando lo aveva incontrato per la prima volta e, suo malgrado, si era ritrovata a seguirlo in una pericolosa indagine, ma in quelle prime settimane ne aveva avuto conferma in più di un’occasione: Ryo Saeba usava metodi decisamente poco ortodossi, eppure, chissà come, efficaci.
Aveva anche appreso che nella sua personale scala di valori il denaro occupava l’ultimo posto. In quel lasso di tempo avevano accettato incarichi di poco conto che non avevano certo rimpinguato le loro scarse finanze e che il suo collega aveva risolto in un lampo, con consumata abilità: un gioielliere taglieggiato da un piccolo boss di quartiere, alcuni commercianti finiti nel mirino di una banda di ladruncoli, una donna non più nel fiore degli anni perseguitata dal suo ex geloso e vendicativo.

Anche se ripudiava la malavita, lei aveva creduto che quell’ingaggio da parte di un potente uomo d’affari potesse essere proficuo, ma l’unico motivo per cui Ryo aveva accettato era stato per darle una lezione su chi fosse realmente il loro discutibile cliente, che, in effetti, al primo disaccordo aveva tentato di raggirarli per i propri comodi, senza farsi scrupoli.
E così si era resa conto di avere ancora molto da imparare di quell’ambiente tanto insidioso in cui si era affacciata da pochissimo e forse con una gran bella dose d’incoscienza, ragionò amareggiata, osservando il suo collega esercitarsi al poligono di tiro da dietro lo spesso vetro che insonorizzava quel locale sotterraneo.
Lei ci si recava di rado, giusto per dare una sommaria pulita anche lì sotto, dato che lui era solito portarsi qualche snack o qualche lattina che poi puntualmente abbandonava, senza preoccuparsi di gettarle nel bidone situato nell’androne adiacente. Talvolta rimaneva a studiarlo per parecchi minuti, chiedendosi da chi, come e quando avesse imparato a maneggiare le armi da fuoco con una precisione e una prontezza così eccezionali.

Per quanto fosse spesso di una spavalderia irritante e incline a dubbie battute di spirito, nei momenti più seri e tranquilli non si era mai aperto a certe confidenze, a raccontargli qualcosa di lui, né le aveva rivolto le domande più scontate che si potevano porre all’inizio di una relazione per fare conoscenza. Quando era stata lei a buttare qua e là qualche banale interrogativo per tentare di estorcergli delle informazioni, Saeba aveva tergiversato, diventando quasi burbero e introverso, e allora non aveva più insistito.
Non era solita impicciarsi nei fatti privati degli altri e non sopportava l’idea di apparirgli troppo interessata a lui.
Ma studiando le sue espressioni aveva cominciato a pensare che era come se ci fossero due personalità racchiuse in lui. La qual cosa la intrigava, più di quanto non volesse.
Anche spiarlo, così assorto e concentrato, quegli occhi profondi, il braccio teso, tendini e vene in evidenza, i muscoli contratti sotto la maglia aderente e quei jeans attillati, le provocava uno strano formicolio che si propagava per tutta la pelle e non risparmiava lo stomaco.
Tenere tra le cosce quella stessa pistola che adesso lui stava impugnando con sicurezza centrando ripetutamente un bersaglio a metri di distanza, soppesarne la pericolosità e la pesantezza, era stato bizzarro, incauto e in qualche modo … sexy?
L’aveva anche presa cavalcioni sulle sue spalle, che erano così larghe e solide, come il suo corpo, che più volte le aveva fatto da scudo pressandosi sul suo. Aveva avuto più contatti ravvicinati con lui che con qualsiasi altro individuo di sesso maschile in vent’anni.

Kaori scosse la testa avvampando come un cerino: non era da lei concepire pensieri di quel genere, ma era inutile negare che quell’uomo fosse sfacciatamente virile.
Aveva un fisico statuario che poteva gareggiare solo con quello di certe sculture greche che aveva ammirato sfogliando i libri di storia dell’arte. E spesso e volentieri esibiva senza ritegno quel tripudio di pettorali, tricipiti e addominali che parevano cesellati da un abile scalpellino, gironzolando per casa con uno striminzito asciugamano arrotolato sotto l’ombelico che lasciava poco spazio all’immaginazione, anzi la induceva ad intraprendere sentieri da lei inesplorati prima di conoscerlo ...
In quel momento ebbe l’impressione che le sue labbra si fossero piegate in un sorrisetto compiaciuto e, sentendosi di colpo scoperta, decise di non indugiare oltre, per non fornirgli il presupposto di farsi qualche falsa considerazione sul suo conto.
Infilò l’ascensore e risalì al loro appartamento, dedicandosi a rassettare e, programmando che, una volta finito, sarebbe andata al parco per una lunga passeggiata scacciapensieri.


Dopo una rapida sessione di allenamento con pesi e flessioni e una doccia veloce, Ryo stabilì che, non essendovi urgenze da affrontare, avrebbe poltrito per il resto del pomeriggio, per poi magari uscire in tarda serata a spassarsela un po’ in qualche locale notturno e origliare che non vi fossero chiacchiere sulla presenza di qualche nuovo soggetto potenzialmente pericoloso da cui doversi aspettare rogne.
Stava ciabattando pigramente sul pianerottolo, diretto a rientrare nella sua stanza quando il suo sguardo venne calamitato da un oggetto che non faticò ad identificare. Era un reggiseno bianco di semplice fattura che inspiegabilmente giaceva proprio nel bel mezzo del corridoio. Non ricordava di averlo mai visto indossare a qualcuna delle sue precedenti conquiste, perciò doveva necessariamente appartenere alla sua coinquilina: era privo di orpelli, proprio come lei. 
Il suo cervello avrebbe voluto ignorarlo, ma quell’istinto animale che spesso lo dominava non poteva esimersi dal desiderio di esaminarlo meglio e, perché no, anche annusarlo. Prima ancora che finisse di valutare l’opportunità di chinarsi a raccoglierlo, lo aveva già tra le mani e ne inspirava il profumo che però, con sua disdetta, era camuffato da quello del detersivo ai fiori di campo che aveva dovuto usare per lavarlo.

«Ryooooo!»

Lo strillo acuto e collerico della ragazza gli arrivò alle orecchie come una sirena d’allarme. Di riflesso intascò il reperto incriminato guardandosi attorno per accertarsi che non lo avesse visto, ma era improbabile poiché la sua voce proveniva dal bagno del piano di sotto. Si sporse dalla ringhiera per sbirciare non riuscendo a vederla e sentendola ancora chiamarlo a squarciagola, con l’impellenza di chi si trovasse in difficoltà. Immaginò che poteva essersi imbattuta in qualche scarafaggio strisciato fuori dalle vecchie tubature intasate. Oppure che fosse nella vasca e avesse bisogno che gli portasse del sapone o un asciugamano …
Stuzzicato da quell’eventualità, zampettò con la sveltezza di un grillo verso la fonte di quell’insistente richiamo, schiudendo cautamente la porta.
«Ma che succede? Che hai da strillare come un’ossessa?», la interrogò con strafottenza, contrariandosi un po’ nel trovarsela di fronte in shorts e cardigan.
Lei piantò le mani ai fianchi, accigliandosi: «Succede che sono arcistufa di raccogliere le tue cicche! Adesso fumi anche mentre stai sulla tazza del cesso?» disapprovò risentita, indicandogli il fondo del gabinetto.
Ryo dalla veemenza di quell’esternazione non capì se fosse soltanto irritata dalle sue cattive abitudini o anche preoccupata per la sua salute.
«Chissà che mi ero immaginato» biascicò infastidito, facendo per andarsene, ma lei lo afferrò di prepotenza per un braccio.
«Che aspetti? Toglila da lì!», gli ordinò col puntiglio di un tirannico generale.
Lui si urtò per quell’assurda pretesa: «Vuoi scherzare? Dovrei ficcare la mano nella tua pipì?!»
Le guance di Kaori si colorarono: «Scemo! Ancora non mi ero neanche seduta!»
Rimase un paio di secondi a sfidarla, benché fosse davvero una causa persa e insensata. Aveva di meglio da fare. Buttarsi a letto a sfogliare qualche rivista hard, ad esempio.
«Tira lo sciacquone e non ci pensare più!», liquidò la questione, azionando la manopola.
Le pupille sconcertate della ragazza si abbassarono e il suo indice gli sembrò puntare verso il cavallo dei suoi pantaloni: «E questo
Ryo si esaminò non notando alcuno sconveniente rigonfiamento in zona inguinale e allora intuì che lei si stesse riferendo ad altro: «Ecco, vedi? Anch’io sono costretto a raccattare la roba che lasci in giro!», la rimproverò aspro, sventolando il reggiseno che evidentemente non era riuscito ad occultare così bene come credeva.
La coinquilina se ne riappropriò di scatto, arrossendo d’imbarazzo: «Mi sarà scivolato dalla cesta del bucato quando sono andata a ritirare i panni stesi!», cincischiò offesa dalla sua insinuazione. «Ma perché ce lo avevi in tasca?», assottigliò poi lo sguardo con ritrosia e indignazione.
Sì sentì messo alle strette. Doveva sospettare che fosse un individuo con tendenze maniacali, ma non voleva che lo credesse capace di saltarle addosso. Aveva un’ossessione incontrollabile per la biancheria intima femminile, non certo per lei.
Le appoggiò le mani sulle spalle, sforzandosi di non lasciar trapelare il suo rimescolamento interiore: «Kaori? … Scusa ma tu non dovevi pisciare?»
La bocca della ragazza si spalancò senza articolare alcun suono, al che lui ne approfittò per indietreggiare.
«Sei proprio un gran maleducato!» esplose improvvisamente, tirandogli un rotolo di carta igienica e qualche flacone di bagno schiuma. «E portati via queste schifezze, porco!» seguitò ad imprecare, lanciandogli dietro dei giornaletti porno che aveva rinvenuto anche in mezzo agli asciugamani riposti nel mobiletto del bagno.
Lui si riparò da quel furioso lancio di oggetti, schermendosi con la porta: «Vado a fumare! In terrazzo».

Risalendo a trarre una boccata d’aria e di fumo sul tetto del palazzo, Ryo convenne che per quella volta se l’era scansata, ma in futuro avrebbe dovuto impedire al suo autocontrollo di vacillare. Non voleva flirtare con lei, solo gli veniva naturale, come respirare. Tutto sommato quella ragazzotta infantile e cocciuta non era poi così avvenente. E lui avrebbe potuto trovare bellezze di gran lunga superiori per le affollatissime strade della città.
Gli sarebbe bastato vestirsi in modo un po’ più ricercato, sciorinare qualche bella frase romantica ad effetto e in uno schiocco di dita avrebbe avuto tante donne da spomparsi. Inoltre era appena entrato in possesso di ben cento milioni di yen. Molte signorine mokkori di Kabukicho sarebbero state ben liete di aiutarlo a spendere quella grossa cifra.
Fremeva tutto di lascivia al solo prospettarsi i divertimenti sfrenati che avrebbe potuto concedersi circondato da qualche piacevole compagnia a partire da quella notte.

Il problema sorse l’indomani.
Kaori era ancora lì. E il giorno dopo lo stesso. Lei, la sua prorompente semplicità e quel suo fisichino fresco e pimpante che si muoveva per casa, ignaro di suscitare pensieri spudorati che lui si affrettava a soffocare prima che potessero ridestare l’amico dei piani bassi e lo spingessero ad affacciarsi a salutare.
Era seduto a tavola in attesa che la cena fosse pronta, un giornale autorevole sotto gli occhi e le narici stuzzicate dagli invitanti odorini che si sprigionavano dal soffritto che andava cuocendosi sul fuoco. Non aveva mai mangiato tanto bene come da quando c’era lei ad adoperarsi a preparargli qualcosa. Avere una donna per casa e non più solo tra le lenzuola aveva dei vantaggi non indifferenti, si compiacque tra sé e sé.
E inevitabilmente smise di prestare attenzione alle notizie di cronaca sulla carta stampata, venendo ipnotizzato da quel sederino fischiettante delineato da una gonnellina molto corta che se ne stava a poche spanne da lui, curvato sul bordo del tavolo in una posizione involontariamente provocante. Il suo collo stava cominciando a piegarsi per sbirciarle sotto l’orlo, ma per l’ennesima volta s’insultò mentalmente con i peggiori epiteti per la sua costante fregola: non poteva capitolare per così poco, non proprio con lei!

«Sai, con i soldi di quell’ippopotamo forse riusciremo a saldare un bel po’ di debiti arretrati», asserì la sua allieva, spezzando il flusso dei suoi grattacapi interiori, continuando a scartabellare una serie di ricevute e bollette e scarabocchiando dei calcoli su un bloc-notes.
Lui s’inumidì i polpastrelli, scorrendo la pagina dedicata allo sport: «Davvero?», barbugliò sbadatamente, sentendosi un po’ in colpa perché in realtà nelle ultime due notti, a sua insaputa, aveva già speso quasi la metà di quell’astronomica somma, tra bevute, mazzette, pollastrelle e donazioni.
Kaori si versò un bicchiere d’aranciata, bevendone un sorso: «Te l’ho detto che ho sempre avuto il massimo dei voti in matematica», gli fece l’occhiolino tornando ai fornelli, canticchiando un motivetto che lui non conosceva.
Nonostante fosse preda di frequenti scatti d’ira, poi tornava sempre di buonumore. Avrebbe potuto provarci più apertamente, e lei forse lo avrebbe anche assecondato, ma sarebbe stato solo un capriccio momentaneo e poi non avrebbero più potuto conviverci.
Quella dissennata infatuazione doveva avere fine.

«Senti, Kaori … » esordì con una voce più bassa e calda di quanto non avesse previsto, facendola irrigidire mentre rimescolava le verdure in padella. «Dovresti vestirti meno».
L’interpellata si voltò a fissarlo, sbattendo le palpebre, incredula e smarrita: «Meno
«Meno con le minigonne», puntualizzò reprimendo un sorriso nervoso, «Non sono pratiche per gli inseguimenti. E poi non ti stanno per niente bene con quelle gambette rachitiche e quelle chiappe secche che ti ritrovi», vomitò convulsamente con quanta più cattiveria gli riuscisse di simulare.
Kaori strinse i denti, ingoiando un brontolio e un singhiozzo. Incenerendolo con due occhi di brace si slacciò il grembiule, scagliandoglielo sul piatto e si allontanò dalla cucina con un diavolo per capello.

«E la cena?»
Udì lagnarsi con arroganza l’incorreggibile socio.
«Arrangiati!», gli sbraitò dalla sala accanto, rifugiandosi nella sua stanza, al riparo dalle sue scostumate osservazioni che le solleticavano i nervi.

Aprì l’armadio per cercare un paio di comodi pantaloni, scrutandosi nello specchio collocato all’interno di un’anta. Forse aveva un po’ allentato gli esercizi di aerobica, ma non si vedeva poi così fuori forma.

Si alterò per aver dato peso alla sua cafonaggine, perché non valeva proprio la pena arrabbiarsi per un tipo sbruffone, immaturo e scostante come quello. Doveva reputarsi un esperto in materia di gentil sesso, ma con lei non dimostrava di avere alcun tatto né comprensione. Cominciava persino a dubitare che riuscisse a sedurre così tante belle donne come si vantava.
Avrebbe dovuto sentirsi sollevata di non essere oggetto delle sue sporche mire, invece aveva provato fastidio e un po’ di delusione per quelle parole offensive.
Non la considerava una donna, non la considerava affatto.
Già dai primi giorni non aveva avuto molte aspettative, né si era ingannata di poterlo disciplinare un po’, ma più ci si scontrava, più si accorgeva che non era per niente facile adattarsi alla convivenza forzata con quello scapestrato.
Però non voleva arrendersi, si sarebbe impegnata ancora di più, con tutta se stessa per carpirgli ogni segreto professionale, diventare un’indispensabile compagna di lavoro e non farsi più sminuire.


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Capitolo 4
*** IV - Risvegli traumatici ***


Eccomi tornata!
Con la lentezza di una lumaca ubriaca, riesco finalmente ad aggiornare questa raccolta con una nuova shot collocata un po' più avanti rispetto alla scorsa.
Devo ammettere che in questi giorni ho riletto più volte i primi capitoli del manga in cerca di riferimenti temporali un po' più concreti, ma spesso scarseggiano.
Ad ogni modo questo ipotetico episodio, che ho interamente inventato escluso un piccolo accenno ad una scena extra dello special "Servizio Segreto", si colloca prima del caso della ragazzina ossessionata dall'oroscopo (che mi è parso di aver capito essere avvenuto circa due anni dopo l'inizio della collaborazione tra Ryo e Kaori, illuminatemi se sbaglio^.^").
E' una shot uscita fuori un po' fluffosa, spero di non aver snaturato troppo i personaggi e di regalarvi qualche sorriso.
Come sempre ringrazio anticipatamente chi spenderà qualche ritaglio del suo tempo per leggere o commentare.
Alla prossima!)


IV - Risvegli traumatici

La pensilina della fermata era gremita di gente in attesa o semplicemente in cerca di un riparo da quell’acquazzone improvviso che aveva offuscato il timido sole primaverile.
Un’umanità variegata si stringeva per ripararsi dalla pioggia battente: pazienti mamme alle prese con i loro discoli bambini in braccio o scalpitanti nelle carrozzine, gruppetti di chiassosi studenti che scherzavano tra loro parlando di compiti e insegnanti, distinti uomini in giacca e cravatta intenti a consultare le loro fittissime agende, giovani coppie di innamorati che si tenevano per mano o si scambiavano tenere effusioni, vecchietti avvolti nei loro cappotti che si trascinavano dietro carrellini pieni di sacchetti con le compre della giornata o cagnolini al guinzaglio.
Sembrava che tutti attorno a lei avessero qualcosa di importante da fare, qualcuno di speciale da amare, una meta ambita da raggiungere.

Kaori si sentì sola e inutile.

Era appena trascorso un anno dalla tragica morte di Hideyuki e poco più di una settimana dal suo compleanno. Quelle due date, per un crudele capriccio del destino, erano diventate inscindibili e lei non aveva avuto alcuna voglia di festeggiare i suoi ventun’anni, che pertanto erano passati in sordina, senza nessuno che le facesse gli auguri o le dedicasse qualche pensiero carino, com’era solito fare il suo caro fratello o qualche amica del liceo con cui aveva mantenuto i contatti in passato ma che, adesso che aveva cambiato indirizzo e vita, si era a poco a poco allontanata fino a scomparire.

L’arrivo di un autobus provocò un certo fermento tra gli astanti e alcuni ragazzini, slanciandosi per raggiungere tempestivamente le porte scorrevoli del mezzo, la urtarono facendole quasi cadere le sacche della spesa, non soffermandosi neppure a chiederle scusa per quell’irruenza.

Kaori sospirò afflitta: oltre a sentirsi sola, le pareva anche di essere diventata invisibile.

Il mese poi, era iniziato miseramente, così come si era concluso quello precedente: nessun agognato “XYZ” sulla lavagna della pur sempre brulicante stazione. Avrebbe dovuto arrabattarsi con quanto restava nel fondo cassa che aveva oculatamente predisposto per tirare avanti fino alla comparsa del prossimo ingaggio, che, si sperava, sarebbe stato sufficiente a coprire almeno le spese minime di sopravvivenza.
Gravava tutto sulle sue giovanissime ed esilissime spalle e nonostante ciò, il suo indisponente coinquilino, nonché collega, continuava a farla sempre sentire inadeguata, qualunque cosa facesse o dicesse. Neanche lei si capacitava di essere diventata tanto resistente e tollerante, anche se tutto lo stress accumulato nell’ultimo periodo sembrava essersi materializzato con gli interessi.

Di suo era sempre stata tendenzialmente ottimista e per niente superstiziosa, ma si ritrovò a pensare che quel giorno tutte le stelle si fossero accordate per farle andare storta ogni cosa da che aveva messo piede fuori dal letto. Già con quel fastidioso raffreddore aveva dormito ben poco, faticando a trovare una posizione agevole per non soffocare. In più le era arrivato il ciclo e così al naso che colava si erano aggiunti anche nausea e dolori addominali. Avrebbe dovuto fregarsene, una volta tanto, e rimanere al calduccio sotto le coperte. Ma non ce la faceva proprio ad oziare, aveva un senso del dovere troppo spiccato, neanche fosse un vero agente di polizia.

Perciò, ignorando lo stato di malessere generale che l’attanagliava, aveva raccolto tutte le sue forze e la sua buona volontà e si era alzata, dirigendosi speditamente in bagno, pregustando di avere un po’ di soddisfazione dal getto d’acqua calda per ritemprarsi un po’, ma già lì era incappata nel primo inconveniente: la caldaia non funzionava. Era rimasta sotto la doccia gelata non più di cinque minuti, imprecando contro il mondo intero, per poi asciugarsi in fretta e furia col phon e imbacuccarsi in svariati strati di vestiti, concedendosi una veloce colazione prima di uscire per i soliti giri mattutini che la impegnavano quotidianamente oramai da diversi mesi.

Per quanto le piacesse molto spostarsi a piedi, svagandosi con ogni più piccola o pittoresca distrazione che incontrava durante il tragitto, dai coloratissimi video proiettati sui megaschermi dei palazzi ai chiassosi venditori ambulanti di cibo da strada, dalle incantevoli fioriture dei lussureggianti giardini alle insegne dei cinema e dei teatri tradizionali, proprio quel giorno che non era al massimo del suo stato fisico era stata costretta a farlo contro la sua volontà.

Da che aveva preso la patente e aveva avuto una propria indipendenza e una propria auto, si era disabituata ai viaggi sugli affollatissimi mezzi pubblici, eppure, non sentendosi di percorrere quella distanza in quelle condizioni, si era dovuta mescolare ai tantissimi passeggeri che si ammassavano come sardine a bordo delle vetture.

Il punto in cui abitava, essendo strategico e segreto, non era poi così ben collegato col resto del quartiere, per cui avrebbe dovuto fare più soste per tornare indietro.

Appena scesa dal primo autobus, Kaori gettò in un cestino il fazzolettino con cui si era soffiata dopo l’ennesimo starnuto, e, pur temendolo, si specchiò nella vetrina di un elegante negozio di abbigliamento: aveva i capelli tutti arruffati, le occhiaie, il naso rosso e le labbra screpolate. Si sentiva davvero una schifezza! E non vedeva l’ora di potersi rintanare in casa, anche se già il pensiero di dover sottostare ai commenti al vetriolo di quell’arrogante scansafatiche del suo socio le procurava una sorta di orticaria.

Si apprestò ad attendere il prossimo mezzo in arrivo, riparandosi come meglio poté dalla pioggia che seguitava a scendere con le buste di plastica, dato che non c’era spazio sotto la tettoia strapiena di persone appiedate come lei.
Al cambiare del semaforo una berlina sfrecciò a gran velocità vicino al marciapiede, investendo una grossa pozzanghera la cui acqua sporca si sollevò in una tempesta di schizzi.

Kaori batté i denti, starnutì e con quel brusco sussulto il sacchetto con le uova s’infranse per terra, disseminando una frittata sugli altri pacchettini di alimenti in offerta che aveva acquistato al supermercato.

In quel momento si sentiva la ragazza più sfortunata di tutto il Giappone!



Emise uno sbadiglio simile al ruggito di un orso ridestatosi da un lungo letargo e si stiracchiò per bene allungandosi sul grande materasso, restando in attesa di captare dei passi svelti e nervosi approssimarsi alla soglia della sua camera e preparandosi qualche battutaccia con cui accoglierla.

Quella notte, in sogno, era successo di nuovo. Alle più spinte fantasie erotiche aventi per protagoniste donne conosciute o immaginarie, si erano sovrapposte le immagini concrete, angoscianti e feroci della guerra e aveva finito per svegliarsi di soprassalto, la gola arida e la fronte imperlata di sudore.

Anche se la sua virilità adesso torreggiava fiera da sotto il lenzuolo, rammentandogli che era ancora vivo e godeva di ottima salute, quegli incubi gli lasciavano dentro un persistente malumore che negli ultimi mesi aveva imparato a riversare sulla sua irascibile coinquilina.
Era un gioco innocente cui lei non si sottraeva, anzi gli rispondeva sempre a tono e quella sua schiettezza gli piaceva parecchio, sebbene talvolta fosse sin troppo violenta nelle sue esternazioni, e le sue ossa doloranti ne sapevano qualcosa.

Non aveva cognizione di che ore fossero di preciso, ma qualcosa gli suggeriva che quella mattina i suoi squillanti rimbrotti stavano tardando a fare capolino.
Tese le orecchie, carpendo solo l’incessante scrosciare della pioggia sui vetri.

I minuti scorrevano imperterriti. Cinque. Dieci. Quindici. Mezz’ora.

Ryo cominciò a chiedersi che cosa mai la stesse impegnando a tal punto da ignorarlo, da ignorare il suo dovere di dargli la sveglia. Non che, il più delle volte, se non si era sbronzato per bene, gli occorresse realmente: il suo organismo era regolato da un orologio biologico praticamente perfetto, e il suo infallibile sesto senso lo avvertiva se nei dintorni c’erano seri pericoli alla sua incolumità.

Oltremodo piccato, si risolse ad alzarsi da solo e presentarsi di sotto così com’era, nudo come un verme, per reclamare le sue attenzioni. Ma ciondolando per l’appartamento si rese conto che non percepiva la sua presenza. Valutò che magari fosse salita in terrazza a stendere i panni, o meglio a ritirarli, visto quanto forte stesse diluviando. La temperatura era scesa, si disse che non era il caso di beccarsi qualche accidente, perciò prima di andare a controllare s’infilò un paio di pantaloni e una maglia.
Anche lì su però non c’era nessuno, eccetto due piccioni che, bagnati e infreddoliti, si erano appollaiati nella rientranza della porta finestra.

Ridiscese al piano inferiore dove non trovò nessuno di quei bigliettini che era solita attaccare su qualche pensile per informarlo di qualche uscita prolungata o di cui non avevano discusso. Per di più in cucina non gli aveva neanche lasciato niente di pronto per la colazione, perciò forse significava che non aveva avuto intenzione di assentarsi più del consueto. Era sempre così precisa e premurosa, nonostante la sgarbatezza con cui la trattava.

Certo fuori non era ancora buio, ma comunque non era da lei ritirarsi così tardi, con quel tempaccio che stava imperversando, poi, era da pazzi restare in giro a fare chissà cosa.
Era quasi ora di pranzo, oramai. Per scrupolo verificò anche se ci fosse linea nella cornetta del telefono, constatando che funzionava perfettamente.

La situazione incominciava ad impensierirlo. La sua mentalità investigativa si mise ad elaborare una serie di scenari, più o meno preoccupanti, dal più banale contrattempo che poteva capitare a chiunque al più funesto incontro con qualche tipo poco raccomandabile. Oltre ad essere una principiante, quella ragazza era anche una vera testa calda e inoltre non gli era parso che avesse una bella cera la sera precedente.

Detestava l’idea di avercela sulla sua già sudicia coscienza.

Imbracciò la fondina e afferrò l’impermeabile dall’attaccapanni all’ingresso, cercando freneticamente le chiavi della mini. Temporeggiò ancora qualche minuto, camminando in tondo per il salone, sorvegliando dalla finestra il piazzale sottostante. La strada era deserta e allagata.

Un fulmine si abbatté sull’antenna del palazzo prospiciente, sprigionando scintille.
Ryo inspirò, rilassando i nervi che si erano subito allertati a quella stimolazione. Arrendendosi al suo giudizio interiore e armandosi di freddezza, si decise a uscire per rintracciarla.

Era arrivato a scendere la seconda rampa, quando dalla tromba delle scale gli giunse l’eco di alcune suole inzaccherate in avvicinamento accompagnato dal risuonare di starnuti e lamenti che riuscì facilmente a collegare alla sua recalcitrante aiutante.

Come punto da una tarantola, batté in ritirata, sfruttando tutta la sua comprovata abilità nell’essere silenzioso e sapersi muovere con estrema velocità per rientrare, senza farle scoprire che stava per gettarsi alla sua ricerca.
Corse verso la sua camera e si spogliò, optando per un abbigliamento più casalingo che non le destasse il sospetto si fosse svegliato da molto. Guardandosi allo specchio si spettinò un po’ il ciuffo e si diede dei pizzicotti sulla faccia per farla apparire sgualcita.


Intanto la porta di casa si aprì e si richiuse con un gran tonfo, così scese per andarle incontro, stropicciandosi le palpebre e grattandosi le parti basse.
La ragazza, alle prese con le pesanti sacche della spesa, non si accorse neanche della sua sagoma ritta sulle scale che la osservava, lui invece notò quanto fosse tutta tremante e gocciolante.
Seguì il tracciato delle goccioline che disseminava sul parquet fino a raggiungerla in cucina, ritrovandola a sistemare barattoli e confezioni tra il frigorifero e le dispense.

«Kaori! Dove diavolo eri finita? Vuoi farmi morire di fame?!», la richiamò con insolenza, accorgendosi allora del suo intenso pallore. Faceva quasi spavento.

Lei gli rivolse due occhi velati e mogi, estraendo un fazzolettino di carta inzuppato dalla tasca del giubbotto e tamponandosi il viso sciupato: «Ho bucato una gomma ed ho dovuto lasciare l’auto a chilometri da qui. Mentre attraversavo un incrocio mi si è rotto l’ombrello, il terzo autobus che ho preso ha subito un tamponamento e per finire uno stronzo col bolide mi ha pure fatto il bagno!», frignò esacerbata, sturandosi il naso.

L’espressione di Ryo si rasserenò impercettibilmente, apprendendo che non le fosse capitato niente di grave. Si sforzò di tacere e restare serio, ma quella sequela di disavventure che gli aveva raccontato era troppo esilarante: «Sei proprio la regina degli sfigati!», non riuscì a trattenersi dal commentare, scoppiando a sghignazzare indelicato.

Un lampo d’irritazione contrasse i lineamenti già alterati di Kaori: «E tu il re degli antipatici! Brutto egoista insensibile! Non t’importa niente di me!», s’imbizzarrì, rincorrendolo con un martello di medio tonnellaggio, che all’evenienza era comparso tra le sue mani.

Lui, avvantaggiato dalla sua insolita lentezza e imprecisione nei movimenti, schivò diversi assalti, e quasi stava per farla vincere, quantomeno per non sentirla più strillare, al che la ragazza, giunta al centro del salone, si fermò barcollando e ricadde a gambe all’aria, sotto il peso di quell’arma impropria.

Ryo rimase in guardia, sospettando che stesse fingendo per sferrargli un attacco a sorpresa. Esitò qualche secondo nel considerare l’ipotesi di lasciarla lì in mezzo, a macerare nel suo brodo, o forse sarebbe stato più corretto dire nel suo muco, visto quanto era raffreddata.
Ma alla fine il suo buon senso prevalse: non era mica così cattivo come lo dipingeva lei!

Le si accostò, accovacciandosi cautamente al suo fianco, dandole dei colpetti su una spalla con la punta delle dita, sollecitazione a cui lei non reagì, gemendo appena, la bocca socchiusa e gli arti scomposti. Sembrava proprio svenuta. Calibrando ogni gesto affinché risultasse quasi impalpabile, si azzardò a far scorrere un braccio sotto la sua nuca madida che gli bagnò la manica della felpa, mentre con l’altra mano le tastò delicatamente la fronte, appurando che scottava, a differenza del resto del suo corpo, che, seppure infagottato in quei vestiti grondanti, era congelato.

«Stupida testona», bisbigliò seccato, ma anche ammirato dalla sua cocciutaggine. A volte si comportava proprio come una bambina sfrontata, credendo di essere invulnerabile, e invece adesso stava combattendo contro un subdolo e microscopico nemico interno che forse aveva sottovalutato.

Malgrado cominciasse a divincolarsi, la sollevò in quattro e quattr'otto dal pavimento e si affrettò ad andare a depositarla in un luogo più comodo e asciutto.


Una piacevole e rassicurante sensazione di tepore le avvolgeva le membra, che sentiva molli e pesanti, rendendola incapace di muoversi. Era leggermente accaldata e sudata, soprattutto dietro il collo, sotto le ascelle e tra i seni. Provando a rigirarsi per cambiare posizione e cercare tastoni sul comodino un bicchiere d’acqua per sciacquarsi il palato asciutto, avvertì di avere le articolazioni tutte intirizzite.

Una fastidiosa emicrania rendeva i suoi sensi confusi e ovattati, ma era abbastanza lucida da riconoscere di trovarsi nella sua stanza e nel suo letto. Bevuti due sorsi abbondanti, anche la sua memoria si schiarì: complice la febbre alta, doveva aver fatto un sogno abbastanza realistico e alquanto snervante, in cui gliene capitavano davvero di tutti i colori!
Era stato stancante anche solo sognarle certe situazioni assurde e scalognate, e ora non aveva proprio voglia di uscire da quella bolla di tranquillità e riservatezza per affrontare un’altra giornata che sarebbe stata sicuramente impegnativa. Si sentiva ancora uno straccio strizzato.

Stava lasciandosi tentare dalla tentazione di rimandare i doveri che la aspettavano, che subito un discreto ma deciso bussare alla porta fece sfumare quella prospettiva.
«Avanti», borbottò di riflesso, anche un po’ stranita.
Dallo stipite si affacciò adagio il profilo alto e dinoccolato del suo coinquilino.
Kaori strabuzzò gli occhi: «Ma … Ryo! Avevamo fatto un patto, che non saresti mai entrato in camera mia!», gli rammentò paonazza.

«Hai detto “avanti”», annotò semplicemente lui, infilando una gamba, ma restando ancora a metà tra l’uscio e il corridoio.
La ragazza scivolò giù, tirandosi le coperte sul naso: «Beh, non potevo sapere che fossi tu».
«Stai delirando? Chi ti aspettavi? Siamo in due in questa casa!», la fece sentire ancora una volta sciocca lui, sebbene in quel caso avesse ragione a canzonarla.

Si rimise a sedere, sempre stando attenta a mantenere la trapunta fin sotto il mento, davanti a cui lui le piazzò una scodella, che prima di entrare aveva occultato dietro la schiena.
«Ecco. Mangia che sei deperita», la esortò spiccio, piantando un cucchiaio dentro quella specie di pappone. «Ma non ti ci abituare» la avvertì drizzando un indice, col tono di chi stesse dialogando con un animale.

Kaori allungò le braccia per raccogliere quella ciotola che scoprì essere ripiena di riso in bianco, rimescolandolo e trovandolo scotto e tutto attaccato: «Non basterebbe una vita intera ad abituarsi alla tua pessima cucina», lo screditò, stizzita ma in fondo anche un po’ colpita da quel suo inedito slancio di compassione nei suoi riguardi.
«Ha parlato la chef stellata!», sbottò schifato lui, incrociando le braccia, «Fortuna che io ho uno stomaco forte, sennò sarei ogni giorno all’ospedale a fare le lavande gastriche», blaterò con spocchia e ostentato vittimismo.

Lei deglutì un boccone insapore, sbirciandolo di sbieco. Non conosceva alcuna decenza nell’esibire certi comportamenti da depravato anche davanti a degli sconosciuti, eppure sembrava che ammettere di aver compiuto un piccolissimo atto di gentilezza per lei, con cui oramai conviveva da un anno, lo imbarazzasse.
«Grazie», gli sorrise allusiva, continuando a centellinare quei chicchi gonfi e pallidi, sotto il suo sguardo apparentemente disinteressato, che si spingeva oltre la visuale offerta dalla finestra, striata dal piovasco alimentato dal vento.

«Comunque se stavi così male, perché mai sei dovuta uscire lo stesso con questo tempo da cani?»
Il suo tono ora pareva quello di un padre che riprendeva una figlia disubbidiente.

«Mi avresti rimproverato di essere una femminuccia svogliata perché mi lascio abbattere da un insulso raffreddore», ribatté ostinatamente lei.
Ryo mosse lievemente le spalle, come se si fosse lasciato andare ad una risatina interna: «Non potrei mai pensare una cosa simile su di te» respinse quell’accusa, voltandosi e guardandola con una strana intensità «Non hai niente di femminile, tu».

Kaori sentì un fremito di rabbia scuoterla tutta, le sue gambe impulsivamente scalpitarono, le mani cercarono di impugnare qualcosa da sbattergli sulle gengive, per toglierli quel ghigno insopportabile, ma era ancora troppo debole, ebbe un capogiro e non riuscì ad evitare di ricadere sul materasso, mentre lui si appropinquava indefesso alla porta.
All’improvviso il suo cervello ricollegò i frammenti di quelli che erroneamente aveva scambiato per ricordi onirici. Era tutto vero, aveva affrontato una serie di imprevisti quella mattina, e per di più aveva rischiato di buscarsi un malanno, bagnandosi dalla testa ai piedi. Si accorse di un particolare agghiacciante: era in pigiama.
«Quindi … mi hai spogliata tu?», ebbe quasi paura a domandargli.

L’incedere disinvolto dello sweeper si arrestò, colpevolmente. Sperava di poter sorvolare su quel dettaglio compromettente, invece si era fregato con le sue stesse parole, volgendole quella critica. Avrebbe potuto inventarsi qualche giustificazione, ma non gli sovvenne nulla di diverso dalla verità.
«Ho dovuto. I tuoi vestiti erano fradici, non potevi tenerli indosso», si limitò a rispondere con faccia di bronzo.

Se possibile, le guance di Kaori divennero ancora più bollenti: «Potevi svegliarmi, razza di pervertito! Non te ne sarai approfittato, vero?»
Il suo socio non si tradì, mostrandosi piuttosto insultato da quell’insinuazione: «Per chi mi hai preso?! Non sono così disperato! E poi lo sai che per me sei come un fratello minore», le ribadì senza alcun tentennamento né malignità.

Kaori tacque, non sapendo se sentirsi denigrata o lusingata da quella considerazione. Pareva sincero mentre ne parlava. Forse davvero lei non gli suscitava alcun turbamento. Magari anche il fatto che quel giorno sotto i vestiti indossasse la pancerina, i calzettoni e una maglia di cotone poteva aver inibito le sue pulsioni.

“Hai dei mutandoni orrendi”, biascicò tra sé e sé Ryo, ripensando a quanto fosse stato sfortunato a dover svestire proprio una donna così poco sensuale come lei, malgrado poter sfiorare quelle gambe così lunghe e affusolate non gli fosse tanto dispiaciuto e si fosse beccato anche un bel pugno, nonostante lei fosse semicosciente.
«Piuttosto, cerca di rimetterti presto, che mi servi attiva», deglutì risoluto, sviando quegli insensati rimuginamenti.

La socia si rianimò, riacquistando il suo solito puntiglio: «Ci puoi giurare. Non intendo lasciare la virtù delle donne di questa città alla mercé della tua incontenibile libidine», gli assicurò, simulando un perfido sorrisetto e gettando nel fondo del bicchiere una pasticca di aspirina.

«Ripensandoci, riposati pure quanto ti pare!», si congedò Ryo con una grassa risata, sfregandosi le mani con fare malandrino.

Kaori sospirò rassegnata, ingerendo la medicina. Quell’uomo sapeva essere davvero esasperante nella sua immaturità, aveva seri problemi a rapportarsi normalmente con le persone, soprattutto se donne, ma per qualche motivo irrazionale che ancora faticava a comprendere, sin dal primo battito di ciglia aveva sentito che su di lui poteva fare affidamento, che ci sarebbe stato se lei ne avesse avuto davvero bisogno.
Sfinita ma rincuorata da quella consapevolezza, sprofondò nel cuscino e si riaddormentò.


Tre di giorni più tardi era già tornato tutto più o meno alla normalità. Le era bastato riguardarsi e assumere qualche antibiotico per rimettersi rapidamente da quell’influenza passeggera. Nonostante le tonsille un po’ infiammate e le narici ancora ostruite le dessero qualche noia, si sentiva molto meglio ed era predisposta ad affrontare un nuovo incarico, con tutte le annesse complicazioni del caso.

Aveva delle sensazione positive, per cui, tra mille proteste, aveva svegliato in anticipo anche il suo collega, chiedendogli di accompagnarla alla stazione, con la scusa che la sua auto era ancora parcheggiata dal meccanico.

Tornando di corsa nella sua camera per recuperare i documenti dalla borsa, con la coda dell’occhio scorse sul letto qualcosa che non ricordava di aver lasciato in giro. Lei era sempre ordinatissima. Appurò che si trattava di una lunga sciarpa di un bel giallo canarino, intessuta con una lana pregiata.
A passo di carica si diresse nella stanza di Saeba, ancora intento a scegliersi con tutta calma una camicia dal guardaroba: «Ne sai qualcosa del perché questa si trova sul mio letto?», lo interrogò fumantina.

«È tua», sillabò quello con tono piatto ed evasivo, guardandola distrattamente.

Forse pensava che stesse farneticando, ma oramai si era ripresa praticamente del tutto, non poteva imbrogliarla rifilandole fesserie per nascondere i suoi misfatti. Chissà a chi l’aveva sottratta, sperando che lasciandogliela lì in bella vista, lei potesse scambiarla per roba che le apparteneva.
«No, non è mia. Non ho mai avuto una sciarpa di questo tipo», insistette ad affermare, accecata da un imprevisto attacco di gelosia.
Ma Ryo non fece una piega, abbottonandosi i polsini e indossando una giacca sportiva, evitando ancora di incrociare le sue pupille acute che imperterrite lo sondavano.
Kaori, non paga di quella reticenza, lo tallonò mentre usciva con indifferenza dalla stanza. Un’altra ipotesi osò pian piano solleticarla, facendole palpitare un moto di tenerezza nel petto.
«Vuoi dire forse che è un regalo? Per me? Ma il mio compleanno è già passato … », gli ricordò con una punta di tristezza, continuando a lisciare quel morbido tessuto di cui si era già innamorata.

Lo sweeper afferrò le chiavi della mini, scoccandole uno sguardo esterrefatto: «Che vai a pensare! Non è un regalo. Te l’ho presa perché ho pensato che ti sarebbe potuta servire. Sono giorni che ti lagni di avere il mal di gola», asseverò prosastico, esortandola poi a sbrigarsi, già pentito di quella levataccia.

La ragazza si avvolse con soddisfazione la sciarpa attorno al collo e lo precedette cominciando a scendere le scale, non senza avergli prima indirizzato un'occhiata perspicace.
E di nuovo quel sorriso dolcissimo, da sbriciolare le pietre.

Ryo, serrando l’uscio di casa, si disse che non provava alcun sentimento romantico per lei, ma che forse stava cominciando ad affezionarsi un po' troppo a quel tipino puntiglioso.

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Capitolo 5
*** V - Ospiti indesiderati ***


Buon fine settimana ^_^
Eccomi finalmente tornata con una nuova one-shot (forse leggermente più lunghetta, ma non sono riuscita a tagliarla!^^"), in cui ci sarà anche la comparsa di due "special guest" :D
Non voglio anticiparvi troppo, perché temo di svelare un risvolto essenziale della trama che ho elaborato, anche se credo che, attente come siete, riuscirete facilmente a capire chi possa essere il fantomatico ospite attorno a cui ruota questo capitoletto ben prima che arrivi ;) Mi riservo di rispondere ad eventuali considerazioni nei commenti ^-^
Come sempre ringrazio immensamente voi lettori, silenti e scriventi, per la partecipazione con cui state seguendo questo mio progettino: non mi aspettavo potesse suscitare tanto interesse ^//^

Dunque vi auguro buona lettura e spero che vi piaccia anche questa mia ennesima incursione nella vita casalinga dei nostri amati beniamini :)


V– Ospiti indesiderati

La porta si spalancò di botto e lei entrò spedita, portando con sé una folata di aria fresca e profumata. Oramai si muoveva nella penombra della sua camera con una certa confidenza, evitando abilmente gli ostacoli che lui disseminava sul pavimento prima di coricarsi. Poteva vederla anche ad occhi chiusi dirigersi all’armadio e sistemargli camicie e pantaloni sulle grucce, piegarsi a raccogliere pazientemente riviste e bottiglie sparpagliate in giro, rimettendo ogni cosa al suo posto, con quella sua mania innata di rassettare. Aveva smesso quasi da subito di chiedergli il permesso di entrare e le sue irruzioni, ora furtive ora fragorose, puntualmente lo svegliavano con una sensazione di rassicurante disturbo.

«Sono quasi le dieci», scandì a mo’ di cantilena, alternando il suo nome ad una serie di colorati appellativi, per lo più insultanti nei riguardi della sua pigrizia e trascuratezza, issando senza tante cerimonie gli oscuranti della finestra, ma quella mattina lui non riusciva proprio a sollevare le palpebre.
Aveva ceduto a troppi bicchierini di whisky e sakè, bighellonando in troppi night clubs fino alle tre del mattino, tra conigliette e furfanti, e il risultato di tutti quei bagordi era un pesante cerchio alla testa che la breve dormita non era riuscita ad affievolire. Gli pareva di sentire il rullo di una grancassa rimbombargli dentro il cranio, e quella sua voce stridula era peggio di un trapano che gli si infilava nelle tempie pulsanti.

«Maiale ventiquattro ore al giorno!», mugugnò schifata ed estenuata, quando all’ennesimo richiamo gli sentì emettere un verso gutturale, a metà tra un ronfo e un grugnito di piacere.
Ryo si ribaltò a pancia sotto con un mugolio insoddisfatto, schiacciando il viso sbattuto sotto il cuscino e allungando una gamba fuori dal materasso con l’intento di rifilare uno sgambetto alla sua petulante assistente, ma, anziché capitombolare per terra, lei gli piombò sulla schiena nuda, mentre la caffettiera che reggeva le volò dalle mani e un liquido bollente si rovesciò addosso a tutti e due in mille schizzi.
Le urla che scaturirono da quello scontro fecero tremare le pareti e svolazzare una coppia di corvi che si erano posati sul davanzale ad osservarli.

«Non mi avevi sentito? Che cos’hai in quella zucca bacata?!» borbottò Kaori, non senza un lieve rossore, togliendosi la camicetta bianca oramai chiazzata di marrone e restando con un top nero smanicato che faceva spiccare ancora di più la sua carnagione quasi diafana e le braccia magre, impegnate a ripulire alla bell’e meglio quel pasticcio e a racimolare i cocci sparpagliati della tazzina, frammentatasi in pezzi nell’impatto.

Lui balzò a sedere, le sopracciglia aggrottate per la pelle che ancora bruciava: «Non è giusto! Stavo facendo un sogno stupendo e adesso per colpa tua è diventato un orrendo incubo!» guaì scontento, abbracciando con voluttà il guanciale che non era stato risparmiato dal riversarsi dell’aromatica bevanda.

«Santa pazienza! Sei proprio un disco rotto! Dici sempre le stesse cose!», sbuffò rassegnata la coinquilina, tirando via con foga le lenzuola macchiate, che avrebbero dovute essere sottoposte a più lavaggi con la candeggina per tornare linde.

Ryo non poté fare a meno di indirizzarle uno sguardo indagatore e perplesso. Si aspettava che sarebbe andata su tutte le furie, invece, tutto sommato, per i suoi canoni era rimasta piuttosto calma. Forse era troppo indulgente e imbranata per sospettare che lui avesse premeditato di farla inciampare. Tuttavia aveva la netta sensazione che qualcosa non quadrava. Gli aveva perfino portato il caffè a letto …

Kaori piantò energicamente i palmi sul materasso, riscuotendolo da quelle supposizioni: «Beh, riprenditi. So io come consolarti», gli garantì con accento amorevole e un’irresistibile faccia da furbetta, sporgendosi verso di lui che se ne stava ancora seduto a gambe incrociate contro la spalliera del letto con il cuscino in grembo, a fissarle alternativamente gli occhi vivaci e, per un riflesso incondizionato, la casta scollatura abbassatasi giusto quel minimo da stuzzicarlo, anche non volendolo.
Deglutì a vuoto. Quando faceva l’ambigua, comportandosi in maniera dolce e affabile, gli incuteva una strana ansia addosso. Si domandò se stesse tramando qualche sotterfugio o se volesse farsi perdonare qualcosa, ma lei riprese a parlare con lo stesso tono carezzevole: «Di sotto c’è Saeko che ci ha portato ben due clienti», gli rivelò con un sorrisetto trionfante, distanziandosi e raddrizzandosi, sapendo di aver già ottenuto il suo totale interesse.

«Due clienti?», chiese subito conferma lui, sentendosi già molto meno debilitato dai sintomi quella folle nottata insonne che lo aveva sfiancato e gli aveva lasciato in pegno un tremendo mal di testa e lo stomaco sottosopra.
La socia gli scippò la federa, arrotolandola con il resto della biancheria sporca: «Proprio così. Sono due sorelle di diciotto e vent’anni, figlie del nuovo ambasciatore coreano. Hanno chiesto di essere scortate da un’infallibile guardia del corpo durante la loro prima visita alla nostra città», gli spiegò in tutta fretta, come recitando un copione già noto, consegnandogli il suo completo giacca e pantalone preferito, fresco di stiratura.

Quel solerte accorgimento passò quasi inosservato all’animo spregiudicato dell’irriducibile donnaiolo, la cui vista si era già annebbiata prospettando l’appetitosa opportunità: «Due delicate e innocenti fanciulle più la splendida Saeko … Questa volta farò tris!», si fomentò senza controllo, saltando giù dal letto e filando in bagno per darsi una veloce rinfrescata e poter così sfoggiare il suo migliore look da rubacuori.
«Ma tu non vieni?» esclamò stupefatto, quando, conclusa la breve sosta alla toletta, notò che, anziché scendere con lui, la sua assistente stava attardandosi, caricandosi la cesta del bucato e imboccando la lavanderia.

Kaori ruotò appena il collo: «Eh no, mi spiace. Ho un mucchio di faccende da sbrigare. E poi tra te e quella super poliziotta, non sarei di molto aiuto», spiccicò dimessa.

Era davvero insolito sentirle esprimere certi ragionamenti, ma non voleva contraddire la buona sorte, una volta tanto che pareva essere benevola nei suoi confronti: «Brava! Finalmente ti sei resa conto dei tuoi limiti», infierì umiliante, dandole una leggera pacca sulla spalla, per poi allontanarsi con un sogghigno sardonico che gli si allargava sul volto.
Avvertì un sinistro sibilo fendere l’aria e un secondo dopo un oggetto contundente molto pesante cozzare contro i suoi lombi, scaraventandolo direttamente al piano inferiore. Atterrò sul mento tra due vistose scarpe smaltate col tacco a spillo su cui si ergeva un paio di polpacci inequivocabilmente femminili, velati da calze sottili: «Sai sempre come fare un’entrata d’effetto, Ryo Saeba», lo salutò senza tanto scomporsi la fascinosa detective Saeko Nogami, piegandosi e porgendogli una mano.

Si era ritrovato svariate volte a bramare di poter morire tra quelle sue bellissime gambe, ma adesso a quella visione celestiale non riservò che una fugace occhiatina, ogni fibra del suo corpo era protesa dall’impellenza di conoscere le due giovanissime clienti bisognose della sua virile protezione. Scattò prontamente in piedi, inghiottendo l’eccesso di saliva e ravviandosi con gesti compassati la folta capigliatura pece, deciso ad accogliere nel migliore dei modi le sicuramente spaesate e vulnerabili ospiti straniere, ma la sua esuberanza si ritrasse in un battibaleno. Non riusciva a credere alle sue fosche pupille.
Le due sorelle erano accomodate sul divano e sorseggiavano sdegnosamente una tazza di tè. Vedendolo avvicinarsi si alzarono per ossequiarlo con compostezza. Una era allampanata e smilza, l’altra bassina e tarchiata ed erano abbigliate come due collegiali, con tanto di treccine, occhiali e zainetto al seguito. Sembravano anche più piccole della loro età ed erano piene di brufoli.

«Ma è uno scherzo?! Sono perfino più racchie di Kaori!», strepitò inorridito, la mascella che cascava inerte e il mokkori appena accennato che si ritirava nei meandri più oscuri del suo addome, pietrificato dalla demoralizzazione.

Saeko si precipitò a tappargli la bocca: «Imbecille! Vuoi scatenare un incidente diplomatico internazionale? Menomale che non capiscono bene la nostra lingua», sospirò esasperata, strattonandolo per tentare di scongelarlo, mentre le ragazzine gli sorridevano languidamente, mostrando i dentoni sporgenti.

Tanto bastò a trasmettergli la certezza che, suo malgrado, col suo innegabile fascino aveva già colpito nel segno e quelle due bruttarelle gli si sarebbero attaccate come piattole. Di riflesso guardò in alto, sicuro che quella piccola bugiarda, dopo averlo per bene infinocchiato, si stesse godendo la scenetta ridendosela a crepapelle.

«Questa me la paghi cara, Kaori!», la minacciò fuori di sé, venendo sospinto a forza dall’inflessibile investigatrice, che tentava di rabbonirlo con le sue inaffidabili promesse.

Solo quando fu certa di non essere vista, Kaori si affacciò a sbirciare, intercettando Saeko inviarle un occhiolino e trascinare via con le sue movenze flessuose quell’impenitente sfaticato. Si accertò che se ne andassero davvero, rassicurandosi solo quando li vide partire a bordo della fiammante auto sportiva della Nogami. Nonostante avesse appreso dei suoi trascorsi con suo fratello e di un affetto reciproco che li aveva legati, quella donna manipolatrice e opportunista non le andava molto a genio, ma per una volta aveva accettato di accordarsi con lei, pur di tenere il collega e coinquilino per qualche giorno lontano, sapendolo occupato a svolgere un vero lavoro retribuito. Ne aveva sin sopra i capelli di tutte quelle smorfiose clienti di cui lui s’innamorava come un adolescente, esentandole dal pagamento dei suoi rischiosi servigi.

Anche se non si sarebbe certo tirato indietro dal tentare di assaltare la seducente poliziotta. Ma a lei non importava più di tanto ciò che avrebbero combinato quei due. Almeno in quell’occasione avrebbero ricevuto in cambio un compenso tangibile e spendibile, cercò di confortarsi, riempiendo il cestello della lavabiancheria.
Forse stava diventando una persona arida e cinica a forza di convivere con quell’inguaribile dongiovanni da strapazzo. Una questione era provata: d’amore, o meglio dei suoi ridicoli innamoramenti, non potevano continuare a campare. E lei non voleva continuare ad essere il suo zimbello. La trattava come una nullità, senza curarsi di riconoscere che aveva imparato tante cose, sforzandosi anche di mettere da parte il ribrezzo per certi sgradevoli personaggi e frangenti in cui erano rimasti invischiati. Nel sordido ambiente in cui si districavano bisognava essere duri, meticolosi, pronti a tutto, ad arrangiarsi e ad anticipare gli avversari con i più disparati espedienti.

A questo la stava addestrando il suo nuovo mentore, e lei non poteva che essergli grata per la sua gratuita disponibilità. Con Ryo altrove, avrebbe avuto maggiore libertà di movimento per recarsi da lui e continuare a perfezionare le abilità e conoscenze che le stava tramandando.
Finì di dare una sistemata in giro, indossò una comoda salopette a jeans e scese in garage. Però mentre metteva in moto la panda instradandosi al luogo concordato, sentiva di starsi comportando in maniera sbagliata. Non le piacevano i sotterfugi e sapeva che in verità non piacevano neanche a lui, soprattutto se ne era vittima. Sospirò dispiaciuta.
Le sembrava di tradirlo, tenendolo all’oscuro di quello che stava facendo, di chi stava frequentando. Nonostante tutti i dispetti, gli screzi e le derisioni, non era capace di covare rancore nei suoi riguardi. Forse era fin troppo buona e onesta, ma non poteva farci niente se era fatta così.
Avrebbe rimediato in qualche modo, anzi aveva già in mente una possibile soluzione per appianare sue eventuali recriminazioni. Sperò solo di riuscire a mettere in pratica tutto ciò che aveva pianificato.



Ryo uscì dalla doccia sentendosi leggero e ritemprato. Era stato un vero supplizio accudire quelle due viziate e sgraziate figlie di papà, scarrozzandole a zonzo per un’intera settimana, e nel frattempo dover sottostare alle incontentabili pretese di Saeko, ma adesso potersi rilassare e dedicare alle sue amate letture nella tranquillità del suo appartamento lo ripagava di tutta quella fatica.
Qualcun altro, però, non aveva i suoi stessi progetti. Il rombo ininterrotto dell’aspirapolvere dal piano inferiore lo stava infastidendo non poco. Non capiva perché, con tutti i giorni in cui lui era mancato, si fosse ridotta a fare pulizie straordinarie proprio di domenica mattina. Lo stava facendo di proposito, ce l’aveva con lui: non c’erano altre spiegazioni!
Maledicendo il suo eccesso di zelo, s’infilò le ciabatte e scese di sotto per andarla a sgridare e chiederle di rimandare quella superflua attività ad un momento in cui lui non ci sarebbe stato, ma quando giunse in sala da pranzo la trovò già intenta in altre occupazioni e precisamente a svuotare le ingombranti sacche della spesa che un prestante garzone aveva consegnato a domicilio. Aveva appena fatto in tempo ad incrociarlo mentre usciva dalla porta d’ingresso e lei gli lasciava una mancia.

«Vedo che non hai perso tempo a scialacquare quello che io mi sono sudato», si pizzicò palesando il suo persistente disappunto per quello sgradito incarico che aveva mal digerito.
La ragazza si difese immediatamente, con grande sincerità: «Ma ti pare che sono una spendacciona? C’era il 3x2 e ne ho approfittato», gli comunicò chiudendo il frigorifero, non prima di avergli offerto una lattina della sua birra prediletta per tentare una pacificazione.
Lui la accettò senza replicare, scrutandola astioso. Il suo umore era visibilmente incrinato e Kaori si sentì in difetto, anche se non aveva poi chissà quale colpa. Possibile lui stesse sospettando qualcosa? Per impedirsi di far trapelare ciò che la agitava, provò a sviare il discorso.
«Allora dimmi, ti sei divertito a lavorare gomito a gomito con la tua adorata Saeko?»

Ryo si passò il dorso della mano sulle labbra che si schiusero in un’espressione inorgoglita: «Ci puoi giurare. Sono anche riuscito a farmi pagare. Con la mia moneta. Non sono venale come te».

Uno sgradevole pizzicore le percorse la gola, ma lo ricacciò perché non aveva senso di esistere. Probabilmente lui stava millantando, come al solito, e a lei premeva  informarlo su un’altra faccenda: «Ah, senti, avremo un ospite stasera a cena», gli annunciò col massimo della serenità, aprendo gli stipetti e valutando la scelta delle pentole da usare e dei piatti da mettere in tavola.
«E quando pensavi di dirmelo?» farfugliò lui, preparandosi intanto un sandwich con quanto poté sgraffignare dagli ingredienti che lei aveva predisposto per cominciare a cucinare.
«Te lo sto dicendo adesso. È un problema per te?», lo incalzò innocentemente, sottraendogli il barattolo di maionese.
«Per me puoi invitare chi vuoi», affermò sostenuto, spostandosi a mangiare quello spuntino in soggiorno.

Kaori rimase interdetta: il socio sembrava essersi leggermente indisposto. Avrebbe potuto dirgli di chi si trattava, ma temeva che si sarebbe indisposto ancora di più. Da quel poco che aveva potuto capire, quei due capoccioni avevano un rapporto conflittuale.
«Vorrei ben vedere! Pago metà dell’affitto, le bollette sono tutte a nome mio … A tutti gli effetti potrei ritenermi la vera proprietaria di questo appartamento. Ho diritto di invitare chi voglio», si risolse allora a rimarcare mordace. «Naturalmente lo stesso vale per te», si premurò di precisare, temendo di essere stata un po’ troppo prepotente, anziché addolcirlo e prepararlo per la rivelazione che lo aspettava.

Ryo però stranamente non aveva risposto alle sue provocazioni. Stravaccato sul divano, masticava il suo panino, sfogliando con grande concentrazione un catalogo di fotomodelle in lingerie: «Non c’è neanche bisogno che me lo dici tu. Io esco. Ho già un appuntamento per stasera», smozzicò a bocca piena, spargendo briciole ovunque, che lei avrebbe dovuto ripulire.

Un’idea balzana attraversò la mente di Kaori e, senza pensarci su troppo, gliela espose: «Falla venire qui. La ragazza con cui devi vederti stasera, intendo».
Il coinquilino sbarrò gli occhi, spiazzato da quell’impensabile proposta: «No, non è il caso», si oppose aspramente. «Ce ne andremo in un albergo. Così anche tu potrai avere la tua intimità, con chiunque sia lo sfortunato che hai accalappiato», le suggerì salace, recuperando la sua imperturbabile sfacciataggine.

Il viso di Kaori si tramutò, passando dal viola all’amaranto: «Insisto, dai! Con tutto quello che cucinerò, potremo mangiare benissimo anche in quattro», insistette con una risatina isterica, nello strenuo sforzo di mantenere il sangue freddo e non cedere alla tentazione di spaccare qualcosa. Almeno quella sera voleva che non ci fossero mobili rotti, sospirò, riponendo a malincuore il martello da 100 t che aveva già istintivamente brandito.

Il collega, completamente assorto dalla “lettura”, seguitava ad ignorarla, come se avesse i tappi alle orecchie e il paraocchi, e lei, sconfitta, se ne tornò desolatamente in cucina: «Scusami, sono stata indiscreta».

Contro le sue aspettative, però gli sentì poi pronunciare in un mugugno arrendevole: «Proverò a proporglielo, ma non ti garantisco nulla».

L’eventualità che quell’invito si concretizzasse la gettò nel panico. Poteva immaginare quali fossero le sue abituali frequentazioni, con chi andasse a folleggiare e fare le ore piccole. Era lei a smacchiare tracce di fondotinta e rossetti appariscenti dai colletti delle sue camicie, impregnate di profumi speziati e dolciastri. Ripensandoci, non era poi così propensa a volerne conoscere qualcuna e magari assistere al loro nauseante scambio di smancerie ed effusioni.
Non avrebbe potuto rendergli pan per focaccia con quello lì. Ad essere onesta, neanche con qualcun altro. Lei non era capace di civettare con gli uomini e non sapeva nemmeno perché stava perdendosi in simili congetture: mica doveva fare le presentazioni del suo fidanzato!
«Allora ci conto», gli schioccò con finto entusiasmo dall’altra stanza, cercando di scacciare quegli stupidi pensieri per dedicarsi alla preparazione del ricco menù che aveva deciso di realizzare per sdebitarsi col suo ospite.

Ryo cambiò posizione sul sofà, sistemandosi in modo tale da avere un punto di vista agevolato che gli consentisse di spiarla. Già da un paio di settimane aveva subodorato delle avvisaglie. Si comportava in maniera un po’ diversa, spesso tornando dalle sue passeggiate sembrava trafelata, pensierosa, pur restando sempre scrupolosa nelle sue mansioni. D’altronde quando non lavoravano insieme, lui ne approfittava per svagarsi altrove e lei aveva tanto tempo libero in cui rimaneva da sola, tempo che poteva dedicare a frequentare qualcuno e perfino portarlo lì, anche se stentava a credere che qualcuno etero e sano di mente potesse interessarsi a una tipa mascolina e scontrosa come lei. Magari invece si trattava di qualche farabutto che voleva irretire quell’ingenua per arrivare a lui. Voleva assicurarsi che non fosse così. In ogni caso non poteva permettere che uno sconosciuto qualunque scoprisse dove abitava. Aveva una reputazione e un’identità da tutelare, era fondamentale mantenere il più stretto riserbo per continuare a soccorrere chi si affidava alla sua protezione.

Se invece lei avesse seriamente incontrato qualche sciagurato che le piaceva, allora lui non avrebbe esitato a dimostrarle che esistevano donne che lo apprezzavano. S’incamminò nella sua camera e iniziò freneticamente a consultare l’agendina in cui teneva i contatti di tutte le ragazze che era riuscito ad adescare, e a cui era riuscito ad estorcere il recapito telefonico. Attrezzandosi di speranza e pazienza inforcò la cornetta, cominciando a comporre i primi numeri in ordine casuale. Non sarebbe stato facile trovarne una disponibile ad aiutarlo gratis e soprattutto che fosse presentabile.

Impiegò buona parte del pomeriggio a fare quel giro di telefonate, poi, avendo ormai i timpani fusi e i muscoli del braccio intorpiditi, decise di schiacciare un pisolino ristoratore. Il cielo era già screziato dai colori tenui del tramonto, quando ridiscese a curiosare cosa stesse combinando la sua stramba coinquilina.
Aromi di cibi fritti e al forno invadevano le mura, insieme alla fragranza fruttata del detersivo per pavimenti. Kaori stava ancora affannandosi ad apportare gli ultimi ritocchi a quel ricco banchetto. Si era sbizzarrita ai fornelli, preparando di tutto e di più, eppure lui notò che non era vestita in maniera particolare o tanto diversa dal solito: non indossava niente di provocante o appariscente, a parte il maglioncino forse un po’ troppo corto che lasciava intravedere una piccola porzione di addome e il minuto ombelico, appena sopra il cinturino dei jeans. Probabilmente non era così presa da quel tipo, oppure nel suo guardaroba non aveva abiti di uno stile differente.

Si era eclissato per ore, senza prendersi la briga di informarsi su chi fosse l’ospite. Forse aveva qualche sospetto o semplicemente non aveva il minimo interesse di saperlo. E adesso era ritornato per mettersi a ronzare come un moscone attorno ai quei piatti succulenti, assaggiandoli con il solo scopo di criticare le sue abilità culinarie, questionando ogni cosa, dalla cottura alla sapidità. Voleva proprio farle perdere le staffe.
Kaori recitò mentalmente un mantra per resistere, considerando anche che era trascorso poco più di un mese dalle ultime riparazioni che avevano dovuto far eseguire nell’appartamento, ridotto quasi in macerie.
Il trillo del campanello arrivò provvidenzialmente a salvarla.
«Ryo? Ti secca andare ad aprire?», lo pregò, destreggiandosi tra teglie e tegami.

Il socio si attardò ad intingere le dita in una ciotolina di salsa teriyaki, che giudicò troppo zuccherosa, per poi obbedirle svogliatamente, strascicando i piedi verso l’uscio di casa.
Davanti al suo naso si stagliò l’enorme stazza di un uomo che ben conosceva: «Umi?»
«Buona sera, Ryo», mormorò rigidamente l’ex mercenario, standosene impettito nella sua uniforme, la mascella serrata e lo sguardo insondabile dietro le lenti scure.
Lo sweeper si inalberò: «Vieni a rompere le palle anche di domenica, adesso? Non se ne parla, ho avuto una settimana tremenda! Oggi ho il sacrosanto diritto di riposare!».
«Mi fai entrare o devo spiaccicarti?», lo minacciò truce il corpulento collega.

Kaori sopraggiunse in una manciata di secondi, richiamata da quegli schiamazzi: «Ah, Umibozu! Ben venuto. Puntualissimo», lo accolse cordialmente, accennando un impacciato abbraccio, pur se ancora con un mestolo in mano.

Ryo trasecolò: «Cosa?! È lui l’ospite che stavamo aspettando?», spalancò la bocca, intanto che l’energumeno si abbassava per passare sotto l’architrave, porgendo alla sua socia un mazzolino di margherite che doveva aver strappato da un’aiuola di passaggio. Non sapeva se sentirsi del tutto sollevato che fosse proprio lui.

«Esatto», gli confermò a labbra strette la socia, ponderando la sua reazione. «Notizie della tua amica?», lo sollecitò con aria indifferente.

«Arriverà a momenti» mentì imperterrito lui. Aveva ricevuto tanti di quei rifiuti e telefoni riagganciati che alla fine si era arreso e neanche aveva più insistito a fare altri tentativi e, visto chi si era rivelato essere l’ospite misterioso, pensò che non ne valesse la pena.

La sua assistente fece accomodare il burbero invitato nel soggiorno, sistemando i fiori in un vaso: «Bene, allora la aspetteremo», acconsentì con un sorriso tirato, appoggiando poi un vassoio con dei salatini al centro del tavolino, sgranocchiandone uno.

Dopo un paio d’ore, appurando che sarebbero rimasti in tre, Kaori stabilì che si spostassero in sala da pranzo, presentando le specialità che aveva preparato. La cena si svolse in un continuo bisticciare dei due, tanto che a Umibozu sembrò di essere capitato nel mezzo di un acceso scontro a fuoco, in cui al posto delle pallottole volavano parole pesanti e occhiate permalose.

«Non è stato facile convincerlo a venire qui. È proprio un timidone», asserì scherzosamente la ragazza, prendendo il dessert, un vasto assortimento di rakugan acquistati in un’antica pasticceria.
L’energumeno, accanto a cui aveva preso posto si schiarì la gola, con un colpetto di tosse: «Che c’entra io … Ho sempre molti nemici da cui guardarmi le spalle. Ho ponderato se fosse opportuno attirarli da voi prima di accettare l’invito», smozzicò schivo, mandando giù quattro pasticcini in un solo boccone.
«Anch’io sono pieno di nemici, ma non sto sempre a vantarmene», lo riprese bilioso Ryo, ingurgitando una quantità maggiore di quelle gustose paste colorate.

Kaori tentò invano di allungare le mani per assaggiare qualcuno di quei dolcetti anche lei, ma quei due pozzi senza fondo sembravano aver ingaggiato una competizione a chi riusciva a ingozzarsi con maggiore voracità. E in tutto ciò, non era ancora riuscita ad introdurre la questione che avrebbe voluto portare a conoscenza del suo socio.
«Comunque stasera ho invitato Umibozu da noi perché volevo sdebitarmi con lui per gli insegnamenti che mi sta dando su come costruire e piazzare trappole molto discrete ed efficaci», confessò tutto d’un fiato, alzando di qualche ottava il tono della voce perché entrambi la sentissero, al di sopra dei loro animati battibecchi.

Il suo collega ammutolì, lanciandole uno sguardo allibito e, le parve, un pizzico confuso.

«È molto paziente, disponibile e comprensivo, lui», precisò lusinghiera, sfiorando il gigantesco braccio del veterano la cui testa calva s’infiammò all’istante.
«Tu sei una buona allieva, volenterosa, diligente e impari in fretta», si schermì ruvidamente Umibozu, desiderando come non mai di trovarsi in un teatro di guerra.
Ryo si pulì con un tovagliolo che, una volta allontanato dalla bocca, rivelò un sogghigno caustico: «Siete proprio una gran bella coppia! Che peccato che nel nostro paese il matrimonio tra due uomini non sia ancora contemplato».

Kaori lo folgorò e, oramai al colmo del risentimento, incurante dei buoni propositi rispettati fino a quel momento, sfoderò il martello più voluminoso che possedeva, seppellendoglielo sotto e, scusandosi con l’ospite, corse via, scossa e umiliata.

L’ex mercenario staccò il malconcio amico dalle assi di legno in cui era rimasto incastrato: «Sei un idiota patentato, Saeba», lo tacciò con accento grave e coriaceo.
«E tu un imbecille rammollito», farfugliò velenoso quello, scrocchiando le ossa ammaccate, riacquistando gradualmente la sensibilità degli arti. «Come ti ha convinto ad addestrarla?», gli domandò con un briciolo d’irritazione, accasciandosi su quello che restava della panca.

Umibozu lo copiò, sedendosi a sua volta: «Mi è bastato sapere che vive e lavora con te. Ho anch’io le mie fonti. So tutto di lei. Lavora per te da quasi due anni e ancora non le hai insegnato neanche a sparare», lo biasimò con un basso ringhio.

Ryo si alzò e cercò in uno stipetto una delle ultime bottiglie di bourbon superstiti, versando un’abbondante quantità del liquore in un bicchiere: «Non è portata. È troppo impulsiva ed ha una pessima mira. Le ho insegnato quello che le serve a cavarsela. E poi non ho bisogno di un compagno d’armi, lei bada ad altro. Mi tiene in ordine la casa, mi cucina, si occupa di mettere a loro agio le clienti e trattare i compensi. Sai che io non me la cavo granché con queste cose», chiarì con freddezza e determinazione.
Ma il collega riuscì a percepire nella sua aura un forte istinto di protezione.

«La ragazza sa il fatto suo. Non è un male che impari qualche altro trucchetto del mestiere», asserì flemmatico, rubandogli la bottiglia per finire di scolarsela. «Comunque sia, con lei ho finito. Salutamela», chiosò con l’ombrosità di sempre, togliendo il disturbo.

Il testardo sweeper non si mosse di un millimetro, lasciandosi scivolare addosso quelle sagge parole, che pure tentarono con insistenza di scalfirlo.


Qualche minuto dopo aver sentito sbattere la porta d’ingresso, Kaori uscì dalla sua camera, tornando in cucina dove l’attendeva una montagna di stoviglie da lavare, oltre ai rottami da rimuovere. Il parquet era rovinato a tal punto da essere per l’ennesima volta da riparare. Sbuffò avvilita: era riuscita di nuovo a combinare danni! Sarebbe mai stata capace di evitare di inferocirsi a quel modo con quell’uomo tanto intrattabile che non perdeva mai occasione per denigrarla?
Era talmente assorbita da quelle penose considerazioni che non si accorse dell’arrivo silenzioso di colui che le stava ispirando.

«Insomma, volevi la mia benedizione», scandì la sua voce tenebrosa e leggermente derisoria. Se ne stava accanto alla finestra con una sigaretta tra le dita, aspirando placidamente delle boccate che rilasciava attraverso lo spiraglio aperto.

Lei sospirò, gettando la spugna nel lavello: «Volevo solo che lo sapessi. A me non piace fare le cose di nascosto», chiarì tagliente, esternando la bontà delle sue intenzioni e anche un briciolo di dispiacere per non aver rispettato quel principio in cui credeva.

Ryo rilasciò un’ultima spirale di fumo nella mite aria notturna, spegnendo poi il mozzicone sul muro esterno: «Lo sai che sei liberissima di frequentare chi vuoi. Ma ecco, Umibozu non mi sembra un buon partito per te», attestò con tono quasi fraterno, ma accompagnato da quell’impagabile sorrisetto da impunito che lei si ritrovò a fissare per secondi che le parvero interminabili, incapace di rispondergli per le rime.

Così dicendo, estrasse da una tasca interna della giacca una cartucciera di preservativi e se ne andò via canticchiando da quella stanza e dall’appartamento, lasciandola a combattere con quello strano sfarfallio allo stomaco e una pressione sanguigna che le faceva prudere la cute.

Quell’uomo restava un’incognita. Forse in fondo ci teneva un po’ a lei, ma il suo atteggiamento da bastardo incallito non sarebbe cambiato mai.

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Capitolo 6
*** VI - Un sabato sera alternativo ***


Ehilà! Rieccomi ^_^
Mi spiace per la lentezza di questi aggiornamenti, ma pur essendo confinata in casa, c'è sempre qualcosa da fare che mi porta via tempo per la scrittura.
Comunque sia, questa shot è in verità una delle prime che avevo abbozzato poco dopo aver ripreso la lettura del manga qualche mese fa. Siamo nei giorni immediatamente successivi alla vicenda Silver Fox e io ho immaginato una seratina casalinga tra i nostri due beniamini, tra confronti diretti e pensieri inespressi l'uno per l'altra.
Ci ho inserito anche qualche citazione alla cultura pop anni '80 (musica e tv in particolare), per il resto spero di non aver scritto troppe stupidaggini e che anche questa volta l'attesa venga ripagata regalandovi qualche minutino di svago ^-^
Un sentito grazie come sempre a tutti coloro che leggono e seguono con partecipazione questa raccolta, nata quasi per caso :)

Alla prossima!)


VI – Un sabato sera alternativo

Reclinò la testa indietro, lasciandosi cullare ancora per un po’ dalla piacevole carezza dell’acqua tiepida e della schiuma, cercando di scaricare la tensione e la stanchezza residue.
Era stata una settimana decisamente intensa e movimentata durante la quale, forse come mai prima di allora, aveva provato il tangibile terrore di una condanna a morte a cui non poter sopravvivere. E si era immedesimata come mai con le angosce delle svariate clienti che avevano invocato il loro aiuto a seguito di una qualche minaccia.
Era diventata il bersaglio di un delinquente solo perché era la partner di City Hunter, o meglio, perché quel fanatico che si faceva chiamare Volpe Argentata aveva creduto che fosse la sua fidanzata.

Niente di più falso e improbabile. Tra di loro non c’era null’altro che una turbolenta collaborazione e una reciproca tolleranza.

Fece riemergere le lunghe gambe dal denso strato di saponata, passandovi sopra la spugna, massaggiandole con lentezza. Qualche ecchimosi bluastra cominciava a formarsi sui polpacci e sulle ginocchia lievemente sbucciate, così come sulle braccia. Portare addosso tutte quelle armi ingombranti e pesanti e saperle adoperare richiedeva una certa preparazione fisica. Se già da un paio di mesi non si fosse esercitata grazie all’addestramento di Umibozu, avrebbe fallito miseramente e le sue ferite sarebbero state ben più gravi o addirittura letali.

Un brivido le accapponò la pelle. Si era sbarazzata di quel furfante e ci era riuscita con le sue sole abilità, eppure all’ebbrezza della vittoria era subentrato uno stringente groppo tra lo stomaco e la gola. Uccidere non rientrava tra le sue attitudini e a mente fredda non era stato poi così appagante. Aveva eliminato un nocivo rifiuto della società, ma più che per un senso di giustizia aveva agito per dimostrare qualcosa a se stessa e ancora di più al suo eroico compagno di lavoro. Voleva essere degna di lui, anche se sapeva che ci sarebbe sempre stato un abisso tra di loro.
Lei era troppo emotiva e non abbastanza spietata, mentre lui era formidabile, aveva sempre tutto sotto controllo, anche quando pareva distratto da altro. Certo dalla sua aveva chissà quanti anni di esperienza, lei invece era solo una ragazza ordinaria e sarebbe sempre stata negata per il doppio gioco o la crudeltà.

Aveva sperato così tanto di veder brillare nei suoi occhi d’acciaio almeno un briciolo di quell’ammirazione che dispensava alle ragazze che avevano salvato e che, grazie al suo intervento e al suo coraggio, avevano acquisito maggiore fiducia in se stesse.
Ryo però era sempre stato avaro di complimenti per lei, e anche quella volta non si era sprecato ad elargirle alcuna parola di apprezzamento, troppo orgoglioso per ammettere che era stata capace di farcela anche senza il suo apporto.
Anzi, negli ultimi giorni era perfino diventato ancora più scostante, evasivo, laconico. L’aveva quasi snobbata, benché non ci fossero state clienti da accudire o, nel suo caso, da importunare. Circostanza che lo spingeva a cercarsi da sé qualche paio di lunghe ciglia che fremessero per lui.

In buona sostanza si comportava come nulla fosse accaduto o come se ciò che fosse accaduto non lo riguardasse. Ma quella sua spesso insopportabile indifferenza riusciva solo ad intestardirla, a spingerla a non mollare. Voleva credere che ci fosse di più in lui, aveva bisogno di credere che non fosse così disinteressato, se non altro perché aveva provato a mettere in pratica il proposito di andarsene ed era stato come se un elastico invisibile l’avesse riportata indietro. Ancora doveva capire cosa le impedisse di dare il benservito a quello sfacciato poco di buono.

L’acqua stava ormai raffreddandosi, perciò Kaori, non volendo più arrovellarsi su quei quesiti che non avrebbero trovato una soluzione a breve termine, aprì il rubinetto e si sciacquò velocemente dai fiocchi di spuma rimasti tra le curve e le ciocche ramate, uscendo infine dalla vasca per avvolgersi in un morbido accappatoio, frizionandosi la testa quel tanto da non sgocciolare nel tragitto verso la sua camera, dove si concesse qualche altro minuto per la cura di sé, spalmandosi una crema idratante. Il clima era piacevole, per cui tralasciò di asciugarsi completamente i capelli, già di per sé difficili da domare con phon e spazzola, ed entrò direttamente nel pigiama a pantaloncino.
Sarebbe stata da sola in casa, visto che il suo vizioso coinquilino doveva essere già uscito e molto probabilmente non sarebbe rientrato prima dell’alba.

Era sabato sera ma lei, a differenza della maggior parte delle ragazze single della sua età, che si riversavano nelle discoteche, nei cinema o nei locali di karaoke, a ballare, divertirsi e conoscere nuove persone, non aveva in programma di andare da nessuna parte. Oltretutto, da quando aveva cominciato a collaborare con quello spazzino del crimine, la sua opinione su quella metropoli dai ritmi di vita frenetici era radicalmente mutata. Al calar del sole il suo aspetto vivace e operoso assumeva contorni più torvi, in ogni vicolo poteva celarsi gentaglia mal intenzionata, dedita al malaffare e capace di compiere ogni più efferata sconcezza.
L’idea di girare da sola di notte senza una vera motivazione non la allettava per niente, e neanche la monotonia, che a volte diventava soffocante, né quel pizzico di ribellione che spesso la istigava a commettere azioni avventate, oramai poteva dissuaderla dal preferire di tenersi alla larga da certe occasioni di mero rischio. Così il sabato sera era diventata la sua serata di relax, a base di televisione e cibo precotto, perché almeno quando non c’era nessuno con cui condividerlo, non le andava di perdere tempo a spadellare. Men che meno adesso che aveva una mano quasi fuori uso.

Impostò il timer del microonde in cui aveva messo a scaldare un cartoccio di tempura e pollo fritto, saccheggiando nel frattempo le vaschette di gelato superstiti nel congelatore e un voluminoso pacco di patatine dalla dispensa, che in mattinata si era premurata di rifornire. Al trillare del conto alla rovescia esaurito, Kaori recuperò la deliziosa pietanza dal forno e portò tutto quanto sul tavolinetto del salotto.
Si piazzò nel mezzo del divano e accese il televisore. Avrebbe guardato qualche programma d’intrattenimento non troppo impegnativo e si sarebbe abbuffata di alimenti calorici, in barba alla dieta.

Un insistente scricchiolio proveniente dal piano superiore la distolse dalle immagini di fatti e personaggi di cronaca che scorrevano sul notiziario delle venti, che stava seguendo a volume basso. Qualche secondo dopo, con la coda dell’occhio, avvistò l’inconfondibile ombra del suo socio che bighellonava, sfaccendato come sempre. Le andò il boccone di traverso. Era sicura che a quell’ora fosse già altrove a gozzovigliare, invece era ancora inspiegabilmente lì. Parecchio strano che non avesse appuntamenti, soprattutto dopo averlo visto adescare ben cinque ragazze molto carine in una sola sera!

Anziché muoversi di soppiatto, per poi magari farle prendere uno spavento e deridere le sue scarse capacità percettive, pareva accentuare ogni passo, gesto e fiato per farsi notare. Gironzolava con l’aria di chi fosse incerto sul da farsi o volesse chiederle qualcosa. In genere le sue richieste erano per lo più due: qualcosa da mangiare o qualche spicciolo da spendere. Ma lei stavolta sarebbe stata inflessibile: non avrebbe ottenuto la sua carità, neanche se l’avesse pregata allo sfinimento.
Non aveva alcuna intenzione di litigare fino a sgolarsi e farsi venire il mal di testa. Se l’avesse seriamente infastidita, non avrebbe esitato ad arrotolarlo in un tatami, imbavagliarlo e chiuderlo a chiave nello sgabuzzino, meditò Kaori, avvolgendosi in un plaid e ingurgitando un pugno di patatine, sforzandosi di ignorarlo, concentrandosi sulle cronache del telegiornale.


Nonostante fossero trascorse ormai più di quarantottore dallo scampato pericolo, continuava a sentire tutti i nervi in fibrillazione ogni volta che posava il pensiero o lo sguardo su di lei. Dal primo giorno in cui si era impuntata a diventare la sua socia, con la sua irruenza e inesperienza si era cacciata nei guai già parecchie altre volte, ma si era trattato per lo più di una conseguenza collaterale. Nessuno prima di quel teppista esaltato l’aveva presa di mira perché convinto che potesse essere la sua metà sentimentale.

Ipotesi infamante e assolutamente infondata.

Era pur vero che, senza neppure essersene accorto, avevano rotto gli indugi delle formalità molto in fretta. Era stato così naturale che nessuno dei due si era posto il problema e dividere lo stesso appartamento aveva facilitato il crescere di quella familiarità, per lui alquanto anomala, specialmente con un essere del sesso opposto. Iniziava a considerarla più di un’assistente e di una coinquilina, forse quasi al pari di un’amica, anche se restava ancora all’oscuro di molta parte del suo fosco passato.
E non era necessario che lo conoscesse.

Così come non c’era ragione che sapesse di aver fallito contro quel galletto recidivo. Aveva voluto lasciarglielo credere, lì per lì non era riuscito a sbriciolare il suo entusiasmo, ma neppure si era congratulato con lei e non solo perché non era vero. Non voleva che si montasse la testa, che la sua coscienza si sporcasse. Aveva voluto stroncare sul nascere quella sua velleità. Togliere la vita a qualcuno non era una faccenda da prendere alla leggera e Maki non avrebbe di certo approvato che la sua sorellina diventasse una fredda assassina, perciò non aveva intenzione di incoraggiarla in alcun modo verso quella vita.

Però neanche poteva vegliare su di lei giorno e notte: se ne andava perfino in giro a salvare mocciosi sbadati dai pirati della strada!

Malgrado non l’avesse costretta o trattenuta, ci si era buttata a capofitto in quel mestiere, del tutto inaudito per una ragazza così giovane, con l’imprudenza tipica dei suoi vent’anni. Inconsciamente e senza troppo nerbo lui aveva tentato di farsi detestare per allontanarla, ma la decisione doveva spettare a lei. E lei aveva deciso di rimanere.
Era ritornata e, a dispetto del rischio corso, non sembrava intenzionata ad abbandonarlo, per il momento.

Gli aveva dimostrato in molteplici occasioni di possedere un ottimo spirito di adattamento, stava imparando a cavarsela. Seppure ancora inesperta, furiosa e sconsiderata, era volitiva, intraprendente, battagliera. Un maschiaccio, insomma.
Un maschiaccio con un bel sedere rotondo da riempire di pizzicotti, che adesso se ne stava beatamente sprofondato sul sofà.

Ryo ebbe voglia di darsi una martellata.
Aveva captato la scia del suo bagnoschiuma alla vaniglia e improvvisamente l’animale notturno che era in lui non aveva più sentito l'impulso di uscire in cerca di piacevoli distrazioni. Non doveva sentirsi troppo bene.
Forse il Professore non aveva tutti i torti ad insinuare che era troppo coinvolto da quella ragazza. Se c’era lei di mezzo non riusciva ad essere sufficientemente freddo e razionale. Il punto era che non ne capiva il perché. Kaori aveva poco o niente da spartire con il suo ideale di donna, sia fisicamente che caratterialmente.
E i legami per lui erano sempre stati controproducenti, se non deleteri: alla fine era sempre stato abbandonato o, peggio, tradito. E si era comportato analogamente.

Comunque la girava, quella sera non provava il fremito di stare fuori e non ne aveva l’immediata necessità. Lo spiacevole incidente capitato a Volpe Argentata sarebbe bastato a tenere a bada per qualche tempo altri potenziali rivali o disturbatori dell’ordine pubblico.

La sua malfidata socia intanto era ancora in assetto di guerra e, dalla sua trincea fatta di cartoni, bottiglie e cuscini, gli inviava occhiate che parevano saette infuocate. Il suo umore era ancora alterato e non si era sfogata nemmeno cucinando. Era possibile che non lo volesse accanto, ma osò rischiare di subire qualche ripercussione. Quello che non avrebbe sopportato era sorbirsi qualche soap o film melenso.

«Niente giro di rito degli strip club, stasera?», gli si volse sarcastica, vedendolo decidersi a interrompere quell’inconcludente passeggiata casalinga e appropinquarsi al divano.

Si avvicinò a lei con la stessa circospezione che avrebbe adoperato entrando in un terreno minato di trabocchetti, mostrandosi però annoiato e insofferente: «Dovresti essermi grata che non intacco il nostro risicato budget».
«Il nostro budget non sarebbe così risicato, se tu non avessi rifiutato stupidamente gli ultimi incarichi», rimasticò lei, stanca di dover ripetere un discorso affrontato già mille volte. «Sei un misantropo, sai?», lo tacciò spazientita, infilzando le bacchette nella croccante tempura.

Ryo si sedette, mantenendo una debita distanza: «Che razza di uomini sono quelli che non sanno difendersi da soli?», si difese con accanimento, sbirciando quello che la ragazza stava mangiando e cominciando a provare anche lui con un certo languorino. 

«Al mondo non esistono solo i macho men come te», replicò ironicamente Kaori, rifilandogli una strizzata sul bicipite.

«Macho men? Ma come parli?!», mugugnò lui, risentito da quel tono e dalla sua confidenza, ma quella non gli diede ascolto, riprendendo a snocciolare la sua tesi, come se non stesse aspettando altro che l’occasione per potergliela esporre.
«Al mondo esistono anche e soprattutto uomini che svolgono lavori normali, che non hanno mai impugnato un’arma né sono esperti di arti marziali. Eppure hanno altre doti e non per questo sono meno uomini di te o di quel tuo amico guerrafondaio, Umibozu», ciarlò imperterrita, stendendo i piedi sul tavolinetto e sciacquandosi la bocca con un ampio sorso di quella birretta analcolica che piaceva solo a lei.

Ryo ammutolì, un po’ spiazzato da quella considerazione. Forse aveva frainteso, non aveva mai capito niente dei suoi sentimenti. Lei non era cotta di lui, piuttosto lo ripugnava, lo riteneva un bruto e un violento, oltre che un degenerato, per come sbroccava non appena incrociava qualche bella ragazza. In definitiva non lo considerava un uomo normale, uno di cui potersi innamorare. Non aveva considerato quell’eventualità, rimuginò, provando una sorta di sollievo, intaccato però da uno stizzoso senso di ripicca.

Kaori continuò a mangiucchiare, prestando poca attenzione alla sequela di rintronanti spot televisivi che pubblicizzavano ogni sorta di prodotto di consumo che era lungi dal poter acquistare. Il suo socio da un paio di minuti era diventato insolitamente taciturno, e il suo sguardo, malgrado la limitata luminosità fornita da una piantana e dal riverbero dello schermo del televisore, le sembrò malinconico e assorto, incupito, come se si fosse offeso per qualche frase che aveva detto prima. C’era qualcosa di irrisolto in lui, lo aveva sempre pensato. Sarebbe mai riuscita a scoprire qualcosa di più di quel tipo astruso?
Umibozu le aveva dato qualche dritta per imparare a percepire l’aura di chi le stava vicino, utile per poterne interpretare i pensieri e le intenzioni. Socchiuse le palpebre, sforzandosi di liberare la mente e affinare i sensi sulle impercettibili vibrazioni emesse dall’uomo che aveva affianco, ma era del tutto inutile.
Riusciva ad avvertire un incremento della sua energia spirituale solo quando stava per infervorarsi prima di assalire qualche malcapitata. Per il resto era impenetrabile, come avesse costruito una spessa barriera isolante attorno a sé.

«Ehi, ma che ti è successo?», le domandò in un ansito meno distaccato della norma, uno sprazzo di incertezza nelle pupille penetranti.
Doveva averla colta mentre si spremeva le meningi per tentare di attingere ad una capacità di meditazione che non possedeva, avendo probabilmente impressa un’espressione ridicola. Kaori si vergognò come una ladra, ma poi capì che lui stava riferendosi alla fasciatura che aveva alla mano sinistra che non smetteva di fissarle.

«Oh, niente, mi si è rotto un bicchiere mentre lavavo i piatti», balbettò ritraendosi, lui però fu più veloce nell’allungarsi verso di lei, prendendole il polso, sciogliendo la bendatura ed esaminando con minuziosità il taglio ancora poco cicatrizzato.
Le sue mani erano sorprendentemente delicate e tanto calde e i suoi occhi neri così seri e concentrati. Di colpo sentì i battiti accelerare e il fiato ingolfarsi: «È una sciocchezza …», minimizzò impacciata, non riuscendo però a farlo desistere dal sincerarsi sulla verità della sua dichiarazione.

«Sei la solita maldestra. Qualche millimetro in più e ci sarebbero voluti almeno tre punti», soffiò sul suo palmo, senza alcuna irrisione nella voce pastosa, che anzi aveva assunto una sfumatura diversa, quasi protettiva. «Aspetta che te la fascio meglio», si offrì con inconsueta premura, strappando la parte di garza in eccesso così da ottenere un bendaggio più stretto e pulito.

Kaori lo scrutava attonita, con il petto in subbuglio e un leggero arrossamento: «Da quando t’interessano le mie mani?»

Ryo sollevò la fronte, scontrandosi con le sue iridi luccicanti come cioccolata fusa. La sua osservazione era comprensibile, aveva sempre mostrato scarso riguardo nei suoi confronti. Avrebbe voluto dirle che di lei gli interessava molto, più di quanto non avrebbe voluto. Invece non riusciva mai a chiederle come stesse, se avesse problemi, anzi era lui spesso a creargliene.
«Sei la mia assistente. Le tue mani devono essere super efficienti. Non ti puoi autosabotare», fu la sua saccente predica nello stringere il nodo della benda.

«D’accordo, capo. Cercherò di stare più attenta», giurò la ragazza, mostrando la lingua con fare da bambina. «Oh, ecco. Sta cominciando!», frizzò riportando la sua attenzione alla televisione. Si imbarazzava un po’ di quello che lui avrebbe potuto pensare, ma aveva davvero voglia di spegnere il cervello, anche perché quel suo inaspettato gesto intriso di una strana tenerezza l’aveva scombussolata e non voleva illudersi che significasse qualcosa di più.

Il suo coinquilino probabilmente temeva qualche pellicola romantica o poliziesca priva di realismo, che avrebbe criticato senza pietà, scena per scena: «Chi è l’attrice protagonista?» inquisì già tediato, incrociando le braccia dietro la nuca.

«Non è un film, ma una spassosa trasmissione molto popolare. Non ne hai mai sentito parlare?» esclamò vispa lei, tuffando le dita in un cestello di patatine e pop corn che poi gli passò, ormai dimentica dell’intento di lasciarlo digiuno.

Benvenuti a Takeshi's Castle!", annunciò festante lo speaker, introducendo i cento scatenati concorrenti che si sarebbero sfidati in una sgangherata serie di prove di resistenza, giochi di equilibrismo e percorsi a ostacoli per conquistare il montepremi finale di un milione di yen.

Ryo si sentiva le pulci addosso. Non era abituato a restare passivamente davanti ad uno specchio che mostrava una realtà distorta e falsata. Lui affrontava sempre tutto a muso duro, in prima persona, senza fare sconti a nessuno. Non capiva cosa potesse esserci di così interessante nel guardare un branco di svitati, per lo più poco atletici e intelligenti, che si dibattevano pateticamente in quello che somigliava a un enorme Luna Park, affannandosi e rendendosi ridicoli per agguantare quel vile gruzzolo di denaro.
Eccoli, gli uomini normali di cui lei parlava prima …
La lei in questione, forse messa a disagio da qualche suo possibile sberleffo circa le sue preferenze in ambito di programmi tv, sulle prime si era trattenuta, ora se la rideva scompostamente. E aveva una risata davvero contagiosa, non ricordava di averla sentita risuonare spesso. “Girls just wanna have fun”, diceva una canzone che spopolava qualche anno prima e in effetti a lei sembrava bastare anche una scemenza come quella per divertirsi. Era così volubile.
Riportò gli occhi su quei fotogrammi: gli aspiranti vincitori attraversavano labirinti e flipper giganti disseminati di tranelli, percorrevano ponti traballanti sospesi su piscine di fango, scalavano montagne di gomma e combattevano contro mostri grotteschi, indossando loro stessi dei costumi bizzarri che impedivano i movimenti. Era tutto così surreale, indiavolato e folle, ma la tenacia di quei rammolliti era ammirevole. C’era da sganasciarsi. In meno di quanto si aspettasse si ritrovò a sghignazzare anche lui, lasciandosi andare a commenti e battute irriverenti a cui la socia diede manforte.

«Se io e te partecipassimo, a quale posizione pensi che potremmo classificarci?», domandò d’un tratto Kaori, asciugandosi le lacrime che le erano scese per il troppo ridacchiare, mentre faceva forza per aprire una mega vaschetta di gelato di tre varietà, caffè, stracciatella e amarena.

Lui le si avvicinò di più, pronto ad avventarsi su quella delizia: «Tu non arriveresti ad un terzo della gara. Io vincerei a man bassa anche ad occhi chiusi».
«Sempre modesto», bofonchiò lei, riempiendosi una coppetta con il suo gusto preferito.

Il socio le rubò in un attimo la vaschetta, scavando con le dita una voragine che attraversava i tre gusti: «Sono consapevole delle mie imbattibili capacità», sostenne gradasso, portandosi in bocca quella mezza palla di gelato.

I denti di Kaori stridettero: «Sì, anch’io sono consapevole … Di quanto tu sia un porco irrecuperabile!», berciò furente, sguainando il fido martello di legno massiccio da 100 t e spiaccicandolo alla parete opposta.  Approfittando del suo momentaneo stato di trauma, si diresse in cucina, sequestrando il dessert.
Ryo si trascinò verso il divano, ancora un po’ tramortito, mentre lei tornava in soggiorno, guardandolo dall’alto in basso: «Bastava chiedere», lo rimbrottò offrendogli un altro cucchiaio e rituffandosi al suo posto con la coperta ben attorcigliata attorno al corpo, gustandosi finalmente la sua coccola all’amarena.
Anche lui cominciò a mangiare civilmente, o almeno ci provò, pur restandosene seduto tutto sbracato. La ragazza lo spiò, in un misto di disgusto e rassegnazione: certe volte le sembrava un troglodita uscito dalla giungla. Aveva proprio bisogno di essere rieducato.

«Allora, cos’altro fai mentre mi aspetti alzata?», riprese a esprimersi con la solita vena ironica e provocatoria.

Lei avvampò, e non seppe se fu più per l’insinuazione o per il modo in cui lui leccava quel cucchiaino mentre la scrutava lupesco: «Io non ti aspetto alzata», negò risoluta.

«Kaori … », mormorò con accento accusatorio, come a suggerirle che con un impareggiabile detective come lui aveva ben poco da nascondere. E tra l’altro era già successo che al suo rientro da una notte brava l’avesse trovata mezza appisolata sul divano e avesse fatto ogni rumore possibile per svegliarla.

«Beh, ogni tanto è successo che ho iniziato a guardare qualche film e ho tirato fino a tardi», cedette a quell’interrogatorio con sincerità, consolandosi con un’altra cucchiaiata di gelato, stavolta alla stracciatella.

Uno smaccato sorriso insolente non aveva ancora lasciato le labbra di Ryo: «Film per adulti?»

«No! Nella maniera più assoluta!» s’indignò lei, impugnando il telecomando e cominciando un veloce zapping.

Lui buttò il ciuffo indietro, accavallando le gambe fasciate dai larghi pantaloni della tuta: «E che ci sarebbe di male? Possono essere educativi. Te ne posso prestare qualcuno. Sei anche più che maggiorenne … », insistette a discorrere di quell’argomento che sapeva procurarle un cocente imbarazzo, assaporando l’aroma del caffè gelato che si scioglieva nel palato.

Kaori scattò in piedi come una puledra imbizzarrita: «Non m’interessano! Io non sono una sporcacciona come te!», si spolmonò pur di far valere la sua ragione.

Ci fu qualche secondo di silenzio, mentre i timpani di entrambi finivano di rimbombare, poi Ryo la indicò, con un leggero spasmo nei muscoli facciali: «Però ti sei sporcata».

Lei si guardò, notando effettivamente una grossa macchia fucsia al centro della maglietta del pigiama glicine che era l’unica cosa che indossava, ma un altro sconveniente particolare la raggelò. I suoi capezzoli liberi dal reggiseno erano inopportunamente ben visibili attraverso il tessuto sottile, e per di più intirizziti per lo sbalzo di temperatura, dato che non aveva più il plaid addosso, o forse anche per tutto quel gelato o per quella scossa di nervosismo.
Si coprì all’istante col braccio, sentendo lo sguardo ingordo del socio farle una scansione approfondita, ma non avendo l’ardire di verificare se fosse vero.
«Buona notte!», s’impappinò, precipitandosi più lontano possibile dalla sua vista, credendo di avere un tizzone ardente al posto della faccia.

Ryo tirò un lungo sospiro. Malgrado quella solleticante visione, il suo amico era rimasto stoicamente sulle sue, anche se adesso sembrava scalpitare come un carcerato in attesa dell’ora d’aria.
In quella tranquilla serata casalinga aveva corso più rischi che in mezzo ad un concitato conflitto a fuoco.


NDA: Non so quanti di voi conoscono Takeshi's Castle, di cui ammetto di essere stata fedele spettatrice qualche anno fa. Scrivendo questo capitolo ho scoperto che nella sua prima edizione in Giappone venne trasmesso tra il 1986 e il 1989, perciò ho pensato che inserirlo potesse essere un omaggio a quegli anni ^W^

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Capitolo 7
*** VII - Insieme ... per finta ***


Salve a tutte/i ^_^

Torno dopo un mesetto di pausa con una nuova lunga shot, la cui scrittura vi confido che è stata molto travagliata, più che altro perché me ne sono uscita fuori con un argomento che ad un certo punto mi è parso più adatto ad una breve long e che temevo di trattare in modo troppo superficiale. Fatto sta che, nonostante qualche taglio, ho sforato le dieci pagine e spero che la lettura non risulti né troppo lunga né inconcludente.
Come al solito, commenti, opinioni e critiche sono sempre cosa gradita ;)

Ringraziando immensamente tutti i lettori, chi ha inserito questa raccolta tra le seguite/preferite/ricordate e chi ha speso qualche minuto in più del suo tempo lasciandomi anche un parere, vi do appuntamento alla prossima incursione!)


VII – Insieme … per finta

Aveva ancora il fiato grosso e il battito leggermente accelerato da quella convulsa corsa non preventivata, ma adesso l’odorosa brezza estiva che spirava tra i verdi viali dello Shinjuku Gyoen alleviò quel lieve affanno che gli aveva stretto il petto. Arrampicandosi agilmente sul ramo di un ciliegio che pareva fatto apposta per ospitarlo, gettò una lunga occhiata perlustratrice, scandagliando ogni persona che si trovasse a passare nei dintorni.

Fortunatamente conosceva quella città quanto le sue tasche, ogni strada, vicolo, scorciatoia, angolo, ogni locale, da quelli alla moda frequentati da pochi avventori danarosi, a quelli più modesti che accoglievano un’umanità variegata, a quelli malfamati in cui non mancavano risse e personaggi di dubbia moralità, così riusciva sempre a nascondersi e a tendere imboscate a chi credeva di poterlo fregare.

Il parco solitamente sembrava essere una piccola oasi incorrotta dal male che imperversava quasi ovunque si voltasse, ed era abbastanza esteso da assicurare una buona copertura. Perciò ci si era imbucato confidando di poter essere al sicuro, sebbene i suoi sensi fossero costantemente all’erta.
Rimase per qualche minuto abbarbicato in quel nascondiglio precario, poi, non riconoscendo alcuna figura vagamente familiare in quell’andirivieni di famigliole, coppiette, podisti e ciclisti, ridiscese con un balzo da gatto, tornando allo scoperto e ricominciando a respirare e a muoversi con disinvoltura, compiacendosi di essere riuscito grazie alla sua velocità e astuzia a seminare quella scocciatura che rischiava di rovinargli la continuazione di una giornata altrimenti promettente per la sua consueta battuta di caccia alla femmina che era iniziata già da un paio d’ore, partendo, come sempre, dal suo adorato Kabukicho.

Inoltrandosi tra i viottoli fioriti e ombreggiati poté appurare che anche la fauna femminile di quel posto era parecchio meritevole, tra ragazze che correvano o facevano esercizi di yoga in succinti completini ginnici e altre che semplicemente passeggiavano facendo ondeggiare capelli e vestitini leggeri. La bella stagione era arrivata e con essa un’esplosione estasiante di pantaloncini e minigonne, bretelline e sandali, che lasciavano scoperte ampie porzioni di pelle non ancora abbronzata, inondando l’atmosfera di un inebriante profumo di grazia e freschezza.
La sublime visione di tanti corpi femminili ancheggianti e poco vestiti minacciava di fargli abbassare la guardia e di farlo finire invischiato in qualche sgradevole trappola, come gli era quasi disgraziatamente accaduto poco prima. Ma il richiamo dei sensi era più forte di qualunque preoccupazione, rincorrere dolci e morbide forme era la sua principale spinta vitale, un insopprimibile istinto primordiale da cui non sapeva esimersi.

Si gettò sulle spalle la giacca a jeans, agganciandola ad un dito. Con quel caldo e quella fuga concitata, la maglietta che indossava era talmente sudata da essersi appiccicata al torace, mettendo ben in risalto i suoi larghi pettorali scolpiti, e con lo sfoggio del suo fisicaccio e di quel suo piglio da implacabile conquistatore, si sentiva particolarmente ottimista nel poter abbordare qualche sventola, non troppo esigente.
E così, gettando alle ortiche ogni buon intento di restare distaccato e vigile, Ryo Saeba cominciò a galoppare a briglia sciolta in mezzo a quella nutrita rassegna di bellezze a passeggio, affannandosi nella ricerca di qualche anima benevola che accettasse il suo invito per uno stuzzicante aperitivo e magari anche per un infuocato dopocena.

Si stava districando allegramente tra una palpata e una borsettata, un bacio mancato e un manrovescio, quando con la coda dell’occhio intercettò l’immagine importuna di quella tipa subdola e assillante che si guardava attorno, con tutta l’evidenza di cercarlo. Erano due giorni che quella svitata gli dava il tormento. Non voleva proprio rinunciare e, nonostante tutti i suoi sforzi per depistarla, era riuscita a ritrovarlo!
Le sue suole si staccarono dal suolo con uno scatto degno di un velocista alle Olimpiadi e, dissimulandosi con i passanti, si affrettò a raggiungere l’uscita di quello spazio verdeggiante per rimescolarsi nel convulso tran tran cittadino, in cui, sperò, sarebbe stato più facile passare inosservato a quell’asfissiante persecutrice.

Proprio mentre sgusciava tra i pedoni di un incrocio particolarmente trafficato, marcando stretto quei pochi uomini più o meno alti quanto lui per mimetizzarsi, controllando sempre di non essere seguito, individuò sbucare tra la fiumana di gente una testa dalla capigliatura così peculiare da renderla inconfondibile, con quelle rare striature mogano, un ciuffo ribelle e quella codina che scendeva sulla nuca. Il suo portamento era come sempre impacciato e nervoso, ma in qualche modo riusciva ad apparire quasi quasi aggraziata, perfino avvolta in quella svilente e anonima tuta da meccanico con cui le piaceva conciarsi, come se lavorasse in un’officina.

Un motorino tutto d’un tratto le falciò bruscamente la strada e quello stridere di gomme e di freni poco oliati gli mandò per qualche secondo in black out il cervello, facendolo schizzare in avanti, le dita sul grilletto. Ma la sua socia si era ritratta subito con una buona prontezza di riflessi, mettendosi a imprecare a gran voce contro l’incivile.
Un’idea strampalata gli s’insinuò nelle contorte meningi. Con un po’ di scorrettezza avrebbe potuto funzionare. La questione più ardua sarebbe stata trovare il modo di persuaderla ad appoggiarlo ...


Si passò una mano dietro il collo e sulla fronte, scostando le ciocche madide che si erano appiccicate per l’intensa calura, sbuffando demoralizzata: non era stata una scelta felice andare a farsi dare la solita spuntatina proprio quella mattina! La messa in piega era già poco più di un ricordo e le sembrava di aver buttato via soldi invano.
La temperatura si era innalzata così in fretta che inoltre era finita per uscire con un abbigliamento poco azzeccato, non avendo avuto il tempo di cercare qualcosa di più adatto nell’armadio. Kaori sbottonò la giacchetta legandosela in vita, mentre si ritrovò a sostare davanti ad alcune vetrine in allestimento in cui le commesse si affaccendavano a sistemare sui manichini degli abiti pensati per l’imminente periodo estivo.

Solo qualche giorno prima era entrata in uno di quei negozi in compagnia di Keiki Kashiwagi, l’uomo più bello che avesse mai incontrato: garbato, elegante, perbene, riservato, gentile. Al suo fianco si era sentita leggera, come se camminasse sulle nuvole. Anche se lei era stata scambiata per un lui e lui per una lei ... D’altronde quel ragazzo aveva dei lineamenti così delicati e un fisico così armonioso da risultare perfetto anche travestito da donna.
Non era una novità che la gente, per lo più superficiale e distratta, equivocasse la sua identità. Le capitava spesso, sin dai tempi del liceo, ma se il più delle volte preferiva ignorare certe chiacchiere e certi commenti impertinenti, sentirsi meno donna di una finta donna l’aveva un po’ rattristata e umiliata.

Prima di decidersi di recarsi dal parrucchiere aveva valutato se farsi allungare i capelli o magari cambiare acconciatura, ma poi, quando si era ritrovata seduta davanti allo specchio, alla fatidica domanda aveva optato per il solito taglio, più corto davanti e con qualche ciuffo appena più lungo dietro, quello in cui più si riconosceva e in cui riusciva a piacersi almeno un po’.

Alla fine tra lei e quel fascinoso attore non era successo nulla e dopo la conclusione dell’incarico di protezione non lo aveva più rivisto, né aveva avuto l’intenzione di ricontattarlo. In verità non aveva più provato alcun interesse per lui. Tutti i suoi pregi scomparivano se messi a confronto con l’uomo dai mille difetti che le scompigliava i pensieri e le mandava il cuore in subbuglio.

Sospirò indispettita, sentendosi un’illusa per continuare a sperare in qualcosa di più. Erano già trascorsi tre anni da che collaboravano e convivevano e non c’era mai stato uno sprazzo di manifesto interesse da parte sua. Perlomeno non di tipo romantico.
Di donne gliene aveva viste sedurre a bizzeffe e tutte, indistintamente, si erano innamorate almeno un po’ di quel giustiziere intrepido e implacabile, dotato di un animo nobile e generoso: dalle ragazzine poco più che adolescenti a quelle più mature, dalle irriducibili sognatrici alle più esperte e assennate, dalle più timide e innocenti alle più esuberanti e sfrontate, incluse serie professioniste, vedove inconsolabili e addirittura principesse in incognito!

Detestava ammetterlo, ora più che mai, ma di quell’uomo indomito, che in più occasioni sapeva anche essere un debosciato di prima categoria, si era sventuratamente invaghita anche lei. Pur avendo conosciuto da vicino la sua depravazione e le sue tante ombre che lo rendevano spesso enigmatico e sfuggente, aveva imparato pian piano, oltre che a stimarlo per la sua propensione a rischiare deliberatamente la sua incolumità, il più delle volte in maniera disinteressata, a decifrare anche le sue maldestre attenzioni nei suoi confronti. L’ultima delle quali, aveva scoperto da poco, era quella di intrufolarsi nella sua camera per occultare delle microspie sui suoi vestiti.

Durante quelle incursioni clandestine le rubacchiava pure qualche capo intimo, ma ormai per lei quei furti erano quasi rassicuranti e le martellate con cui lo puniva erano diventate più che altro un’abitudine, la cui frequenza e violenza variavano a seconda dell’umore e della quantità di grane con cui aveva dovuto barcamenarsi nel corso della giornata.

Soffocando un altro sospiro di frustrazione, riprese a camminare di buon passo, accingendosi a completare il suo giro di commissioni. Comprò un po’ di spesa per assicurarsi di avere a disposizione l’essenziale in caso di una bocca in più da sfamare, se mai avessero dovuto ospitare qualche cliente, e quindi andò nuovamente a controllare il tabellone alla stazione metropolitana, trovandolo ancora vuoto. Nei suoi spostamenti, però, aveva avuto la sottile sensazione di essere spiata e seguita da qualcuno e, benché quando di tanto in tanto si era soffermata a sbirciare dietro di sé non avesse avvistato nessun tipo sospetto, aveva i nervi a fior di pelle.

Riattraversò alla svelta la lunga galleria sotterranea imboccando l’uscita ovest, anziché quella est che riportava a Shinjuku, per poi perdersi nelle stradine piene di ristoranti, caffè ed izakaya, a quell’ora antipomeridiana più affollati che mai. Si stava allontanando più di quanto non volesse dal suo percorso abituale e avrebbe impiegato il doppio del tempo per tornare indietro. E tutto questo solo per un’impressione che forse non aveva fondamento.

Kaori si fermò, appoggiandosi per qualche secondo contro una saracinesca, socchiudendo le palpebre e cercando di tranquillizzarsi, ma un fugace sfioramento la fece sobbalzare ed estrasse in un attimo dalla borsetta la bomboletta di spray urticante che teneva pronta.
Quando la nebulizzazione si dissolse, poté finalmente distinguere il volto infiammato del malcapitato che, con gli occhi arrossati e le labbra gonfie, si stava prodigando in una serie di maledizioni: «Ryo?! Ma allora eri tu!», esclamò sbalordita e con un pizzico di colpevolezza.
Quello si asciugò i lacrimoni, mugugnando un tramortito: «Buongiorno».
«Si può sapere perché diavolo mi stai pedinando?», gli domandò seccata, continuando ad agitare la bottiglietta e scrutandosi attorno un po’ ansiosa.

Il socio, ripresosi dall’aggressione al peperoncino, si grattò la collottola con fare indifferente: «Volevo mettere alla prova le tue abilità investigative. Sei stata brava a scoprirmi!», si complimentò con un accento da amicone che suonava alquanto ipocrita.

La ragazza inarcò un sopracciglio, dipingendosi un’espressione perplessa. A quell’ora era solito sguazzare per le vie del centro tentando di approcciare qualunque essere dotato di due belle gambe. Doveva aver ricevuto una consistente sfilza d’imbarazzanti due di picche per ridursi a cercare la sua compagnia, ragionò, notando l’evidente segno di una cinquina sulla sua faccia, oltre ad impronte di pedate che gli tappezzavano i pantaloni bianchi. Sospettò che ci fosse qualche secondo fine dietro tutta quella strana ruffianeria, ma decise di sfruttare ugualmente la sua prestanza: «Allora, già che ci sei, reggimi queste», borbottò con bruschezza, appioppandogli le sacche della spesa.
«Volentieri, cara», acconsentì un insolitamente docile e solerte Ryo, caricandosi quel peso sulle braccia con un gran sorriso scintillante.
«Sicuro di sentirti bene?», si preoccupò lei, tastandogli la fronte e studiandolo con malcelata diffidenza.

Quello assunse un’espressione stizzita: «Come? Mi accusi sempre di essere un menefreghista e un lavativo, e adesso che mi presto ad aiutarti, mi offendi pure?».
Kaori abbassò il mento, rimproverandosi l’eccessiva malafede che nutriva nei suoi riguardi, non riuscendo ad impedirsi di trattarlo male anche quando il suo agire era apparentemente innocente.

«Sei veramente incontentabile», tornò però ad inveirle contro lui, «Per forza non riesci mai a trovarti uno straccio di fidanzato!».
La sua imperterrita mancanza di rispetto le fece fumare le orecchie. Con un cazzotto ben assestato frantumò il suo risolino beffardo: «Andiamo!», sbuffò tutta rossa, stringendo i pugni lungo i fianchi, calcando i piedi per terra.

Il suo compagno protestò meno del solito, cominciando a parlottare del più e del meno, restando a camminarle tanto vicino da sfiorarla sbadatamente con il gomito, nudo per via delle maniche arrotolate della giacca. Quel contatto intermittente, insieme alle sue chiacchiere e ai suoi sorrisi, sembrava celare l’intento di distrarla, per cui lei continuò a guardarlo in tralice, mentre mille domande le vorticavano in mente e una miriade di sensazioni discordanti le rimescolava il petto.
Nel frattempo erano giunti di nuovo in prossimità del lato est della stazione.

Ryo si era zittito e avanzava speditamente tra la folla con lo sguardo dritto davanti a sé, anche se le sue pupille si muovevano a destra e a sinistra, come a setacciare costantemente qualche eventuale minaccia. Quel suo atteggiamento da predatore in avanscoperta non poteva che trasmetterle una certa agitazione, le venne istintivo imitarlo, impegnandosi a scrutare anche lei i volti che le sfilavano accanto, cercando di individuare qualche losco figuro all’orizzonte. Sapeva che lui non avrebbe mai rischiato di far cominciare una sparatoria in mezzo a tante persone. Sembrava che avesse piuttosto una certa fretta di trovare una buona copertura per far perdere le loro tracce a qualcuno.

Quasi avesse percepito il suo stato di nervosismo, il socio fece scivolare un braccio a cingerle mollemente le spalle, ma poi la sua mano le circondò la vita, addossandola a sé, in maniera quasi possessiva. La ragazza si allarmò ulteriormente, divisa tra l’offesa e l’angoscia, che in entrambi i casi scompensavano le sue palpitazioni: «Ryo, oramai posso affermare di conoscerti abbastanza bene …», lo redarguì frastornata, tentando di staccarsi a forza dalla sua presa. «Ti vuoi decidere a spiegarmi che cavolo sta succedendo?!», alzò automaticamente la voce, attirando su di loro il cipiglio sbigottito di alcuni ignari passanti.

Lui sciolse quel mezzo abbraccio, articolando dei balbettii di senso incompiuto, sopraffatto da quel suo piantargli due occhioni schietti e scrupolosi e sentendosene addosso un altro paio che, colmi di ostilità e ripicca, lo stavano inseguendo senza tregua.

«Dì un po’, non si tratterà, per caso, di quell’adorabile fanciulla lì di fronte che ci sta fissando con uno sguardo omicida?», dedusse difatti la sua perspicace socia, alludendo ad una deliziosa brunetta che, verde di collera, lo inceneriva dal marciapiede opposto.
Ryo serrò la mascella, ben conscio che quell’asserzione avrebbe messo alla berlina la sua reputazione: «Sì, sto scappando da lei», confessò in un basso singulto.

Una risatina sarcastica travolse la sua assistente, che non si curò minimamente di nascondere quanto la divertisse quella bizzarra circostanza: «Lo sciupafemmine Ryo Saeba che scappa da una donna! Aspetta che prendo l’agenda: è una data da ricordare. Il mondo deve aver cominciato a girare al contrario!», sghignazzò impunemente.

Lui la folgorò, punto sul vivo da quel suo irriverente ridicolizzarlo: «Smettila di fare la spiritosa! Io sono serio!», affermò esasperato, restituendole con malagrazia le sacche della spesa e filando verso l’Honda che aveva avvistato parcheggiata a qualche metro da loro, prima che al semaforo scattasse il verde e la molestatrice potesse raggiungerli.

Kaori lo tallonò di corsa, per evitare che la lasciasse a piedi, urlandogli dietro: «Se fossi stato serio, non ti troveresti in questa situazione! Te l’ho detto tante volte che non si scherza con i sentimenti di una ragazza!», gli fece la predica coi toni saccenti e pazienti di una maestrina, infilandosi rapidamente nell’abitacolo, lanciandogli le chiavi e prendendo posto accanto a lui, mantenendo un sorrisetto ironico sulle labbra.

Controllando lo specchietto retrovisore, Ryo premette il pedale della frizione e inserì la marcia per partire, sgommando come un fuggitivo braccato. La sua partner non smetteva di interrogarlo mutamente, trattenendo a stento la curiosità di apprendere i retroscena di quella bislacca vicenda.
«Si chiama Usagi Mashimoto. L’ho rincontrata due sere fa. Era una tredicenne vittima di alcuni bulli quando ci siamo conosciuti. Le avevo promesso di sposarla quando sarebbe diventata maggiorenne e avrebbe concluso gli studi. Ed ecco, adesso si è appena laureata alla facoltà di legge, è ritornata da Osaka e pretende che mantenga quella stupida promessa. Oppure mi denuncerà per circonvenzione di minore. La sua famiglia ha fitti legami con la Yakuza, è molto probabile che riesca a farmi incriminare per davvero, anche per altri reati», si risolse a raccontarle con quanta più gravità potesse infondere alle sue parole, come se stessero discutendo di normale routine di lavoro.

Kaori sospirò secca: «Possibile che usi sempre la stessa scusa? Non impari mai», commentò scuotendo la testa. Quel suo essere talvolta così naif nel rapportarsi con il gentil sesso, quasi inconsapevole di quanta attrattiva esercitassero il suo ardore e il suo mistero, non sapeva se le faceva più tenerezza o pena. O forse meglio dire rabbia. Ancora non lo aveva ben capito.

«Allora, mi aiuterai a liberarmene?», la riscosse con tono fermo da quelle divagazioni.
«Io? E in che modo?», balbettò perplessa da quell’insolita richiesta.
Ryo distolse la faccia sulla strada e si aggrappò al volante, preparandosi ad incassare un colpo: «Fingendo di essere la mia fidanzata … » farfugliò con la voce che si assottigliava ad ogni sillaba.
Se Kaori fosse stata alla guida, la macchina avrebbe sbandato investendo o tamponando qualcuno: «Cosa? Sei impazzito? Ma … Perché proprio io!?», si accalorò, scalpitando sul sedile, sentendosi preda di un attacco di claustrofobia.

«Non saprei a chi altra chiederlo!», si giustificò lui in tutta sincerità, augurandosi non le frullassero strane idee. Gli sembrava quasi di sentire il guazzabuglio di farneticazioni che si affollavano nel suo fantasioso cervelletto.
«Beh, potresti rivolgerti a Saeko. O a Reika. Non si farebbe certo pregare, quella …», mugugnò imbronciata dopo qualche minuto di riflessivo silenzio, adombrandosi al solo immaginarli insieme.

«Reika? Ma neanche per sogno! Quella furbastra vorrebbe di sicuro qualcosa in cambio. E non è una che si accontenta facilmente», dissentì lui all’istante e con un certo rancore, imboccando la discesa per il garage sotto il loro palazzo.

Kaori ebbe un travaso di bile: «E certo, io invece sarei la povera scema che ti ubbidisce, ti serve e ti riverisce senza mai chiederti nulla!», si dannò più con se stessa che con lui, saltando giù prima ancora che l’auto si fermasse e sbattendo violentemente la portiera.
Ryo finì di posteggiare e la raggiunse in un paio di falcate, sbarrandole l’accesso alle scale: «Non è così. Tu … sei nevrotica e rompiballe … ma non ho mai conosciuto una persona più leale, generosa e altruista di te», la inchiodò rivolgendole due occhi languidi e speranzosi, sentendosi per un attimo meno bugiardo e meschino di quanto non s’imponeva il più delle volte di essere con lei.

Quell’inattesa, sgangherata dichiarazione di stima fece trepidare per un attimo la ragazza, stemperandone il risentimento: «Oh Ryo, anche tu sei una bella persona, quando ti ci metti», mormorò mordicchiandosi il labbro emozionata, ma poi lui le sorrise appena, indecifrabile, e in lei prese il sopravvento lo scetticismo: «Aspetta! Razza d’imbroglione! Stai cercando di abbindolarmi?!», lo spintonò, armandosi di un martello nuovo di zecca con su scritto “Fanfarone n. 1 del Giappone” che gli piantò in cranio prima che lui potesse replicare qualcosa.

«Ascolta! Se riuscissi a farle credere che stiamo insieme, forse si convincerebbe che ho cambiato gusti, che mi piacciono le tipe androgine e manesche come te! E finalmente mi lascerebbe in pace. Che ti costa?», non demorse a sproloquiare lui, appendendosi alle sue gambe e facendosi trascinare così su per i gradini, fino a che non varcarono la porta dell’appartamento.

«Scordatelo!», lei se lo scrollò dai piedi come fosse una gomma da masticare, scaraventandolo contro una parete.

Ryo sputacchiò qualche pezzo di cemento e si scrocchiò le ossa, rizzandosi e ritentando di farla ragionare, anche se finora non ci era riuscito né con le buone né con le cattive. Le si riavvicinò mentre sistemava la spesa in cucina e si prostrò servilmente, i palmi per terra e la fronte china: «Dai, ti prego! Neanche a me va di farlo, ma dovremmo fingere solo per qualche ora! E poi ti prometto che farò tutto quello che mi chiederai».

La socia si abbassò sulle ginocchia, poggiandogli una mano sulla spalla, un tocco gentile che gli infuse un immediato senso di conforto: «Sei adulto e vaccinato, Ryo. Sbrigatela da solo!», fu la sua fredda e acida risposta che lo lasciò con un palmo di naso, dissuadendolo dal perseverare e umiliarsi ancora.


Dopo una cena frugale e solitaria, Kaori si buttò a letto, spossata da quell’assurda discussione, più emotivamente che fisicamente. Vivere accanto a quell’uomo dal temperamento scriteriato e burrascoso le riservava ogni giorno sempre nuove sfide, a volte meno stimolanti di altre, ma a cui la sua indole curiosa e combattiva non sapeva sottrarsi. Quando si trattava di risolvere dei casi con qualche retroscena giallo o di smascherare delle ingiustizie, partiva in quinta ed era sinceramente contenta di poter contribuire ad alleggerire o estinguere le pene di qualcun altro.

La storia che le aveva riferito Ryo però … le sembrava fare acqua da tutte le parti! Non era da lui angosciarsi tanto per una bella corteggiatrice sin troppo insistente, anzi, tutto l’opposto. L’aveva vista di sfuggita, eppure le era già bastato a cogliere quanto fosse intrigante e decisa. Indubbiamente per un libertino fatto e finito come lui, la prospettiva di un matrimonio equivaleva ad una minaccia di ergastolo, per quanto amabile potesse essere il suo carceriere. Ma era un’intimidazione che aveva già ricevuto e declinato in passato, senza farsi affliggere da tante paranoie e non capiva perché volesse il suo appoggio.

Mentre si rigirava insonne tra le lenzuola, un pensiero ardito la stuzzicò: che magari lui volesse coinvolgerla di proposito in quella messinscena, per trascorrere un po’ di tempo insieme. Escludendo l’ipotesi che potesse averlo picchiato più forte del solito o che avesse contratto qualche malattia venerea che stesse cominciando a farlo delirare, si sentì di scartare categoricamente quella probabilità.

Rivedendolo tanto fiacco, taciturno e introverso a colazione, finì però per cedere. Dopotutto gli voleva bene, più di quanto forse non fosse giusto e non si meritasse. Con quel pretesto avrebbe comunque potuto magari vendicarsi un po’ e prenderlo in giro.


Ryo sonnecchiava sul divano della sua camera, le gambe accavallate e una rivista osé mezza aperta posata sulla faccia, per ripararsi dai raggi del sole che cominciavano ad entrare invadenti, sollecitandolo a dare inizio alla sua giornata. Ma il suo umore non era per niente collaborativo.

La sua professione gli imponeva di tenersi sempre ben informato su quanto accadeva e la sua fidata socia, al suo ritorno dalla sua quotidiana uscita mattutina, non gli faceva mai mancare alcuni quotidiani freschi di stampa. Le notizie di cronaca nera erano quelle su cui prestava sempre la maggiore attenzione e che gli lasciavano un senso d’impotenza e disgusto, per cui subito dopo quella lettura, uggiosa ma doverosa, provava il bisogno di rifarsi con la contemplazione di qualche bella foto spinta di prosperose pin-up.
La sua mente comunque continuava ad essere altrove e non aveva avuto neanche un misero mokkori, nonostante la visione di tutti quei corpi meravigliosi.

Pensava e ripensava che forse stavolta aveva esagerato ed era stato vigliacco a proporre alla sua collega di fingersi la sua innamorata, aspettandosi che non si rifiutasse né si offendesse. Dentro di sé, sebbene volesse evitare di prenderlo in considerazione, ormai sapeva sin troppo bene che lei era sul serio infatuata di lui, più di qualunque altra donna avesse mai tentato di conquistare. Sarebbe stato un gioco troppo rischioso fingersi ciò che non erano e non sarebbero mai potuti essere, e non si raccapezzava del perché se ne fosse uscito proprio con quella trovata assurda, ritenendola perfino valida e fattibile!

Avvertì uno scalpiccio leggero, un rapido fruscio e l’odore della carta stampata allontanarsi dal suo naso, mentre il giornaletto volava via e un’intensa luce gli feriva le palpebre. Se le stropicciò, focalizzando l’immagine della giovane donna che occupava le sue disquisizioni interiori, con le mani piantate sui fianchi e un’espressione sibillina.

«Ho deciso. Accetto», fiatò determinata, «Se mi prometti che tornerai al più presto a concentrarti sul lavoro come si deve, allora accetterò questo rivoltante compromesso e ti aiuterò», acconsentì facendosi meno accigliata.

Lui lasciò sedimentare la sorpresa per quell’inaspettata inversione di circostanze, impreparato su come reagire, ma intimamente risollevato dal suo abbassare gli scudi e soprattutto tornare a parlargli, dopo quasi dodici ore di ostinato silenzio. Si drizzò in piedi come una molla, indossando un gran sorriso scherzoso: «Kaori! Mi rendi un uomo felice!», la adulò festante, prendendole le mani e salterellando, riuscendo ad attenuare un po’ il reciproco nervosismo, «Ma … un momento. Sei sicura che non vuoi davvero niente in cambio da me?», troncò quell’irriflessivo intreccio di dita, tornando ad affinare lo sguardo, malizioso e inquieto.

«Tsk. Io non sono come le altre donne che frequenti», sbottò orgogliosamente lei, incrociando le braccia e battendo in ritirata, ancora scombussolata per l’esplosione di gioia con cui lui aveva accolto il suo ripensamento.

Ryo si lasciò cadere sul materasso, ma percepì che lei non si era allontanata di molto, anzi era rimasta proprio fuori dalla porta e fu quasi certo di indovinare su cosa si stessero ingarbugliando le sue riflessioni. Come avrebbero dovuto comportarsi adesso per portare avanti quella pantomima in maniera verosimile e convincente? Da parte sua, gli veniva in mente una sola cosa che due innamorati avrebbero potuto fare insieme … E non era qualcosa da poter simulare come niente fosse, tantomeno da ostentare in pubblico. E poi sporcare la fedina penale immacolata di lei con un’accusa così infamante era fuori discussione. Ma magari Kaori aveva avuto qualche fidanzatino a scuola e poteva suggerire qualcosa di meno indecente ...

Kaori difatti rifletteva sul come proseguire, adesso che si era esposta e aveva acconsentito a quella strana proposta. Lui non le aveva mai confidato di aver avuto relazione passate, ed era praticamente certa che non si fosse mai inoltrato oltre gli incontri amorosi di qualche notte. Dal canto suo, lei era completamente inesperta in quell’ambito. Poteva solo fare affidamento su quanto aveva visto in qualche film o letto in qualche libro.
Rientrò spedita, rallentando via via che gli si avvicinava e intravedeva la stessa incertezza volteggiare nelle sue iridi scure: «Come potremmo ingannarla?», mormorò esitante, tormentandosi le dita. 

Lui se ne stette qualche secondo a gambe incrociate e con l’indice poggiato sul mento: «Potremmo farci vedere in giro insieme», buttò lì dopo un breve ragionamento.
«Ma Ryo … i tuoi nemici … », titubò lei, impensierendosi già, com’era nella sua indole assennata e premurosa.

«Non ci pensare. Sono un mio problema», la rassicurò subitamente e spavaldamente lui, al che lei gli inviò un cenno assertivo e fiducioso. «Più che altro mi rovinerai la piazza!»


Era da almeno una trentina di minuti che percorrevano su e giù le gremite strade dello shopping e del divertimento di Shinjuku nei pressi dello Studio Alta, là dove le persone si muovevano come biglie impazzite e il frastuono era assordante. Giravano in tondo, sbirciandosi, sfiorandosi, bisticciando e soprattutto fremendo nell’attesa di avvistare l’unica ragione per cui stavano costringendosi a quella recita, che si stava rivelando più complicata del previsto.

Kaori stava oramai perdendo la pazienza e si biasimava amaramente di aver dato retta a quello squinternato del suo socio, che non le aveva spiegato per filo e per segno tutta la faccenda, tantomeno dato istruzioni su come avrebbe valutato di procedere, una volta che si fossero ritrovati davanti l’agguerrita spasimante. Troppo inibita dalla sua innata timidezza per ritornare su quello scabroso argomento, si arrovellava a interrogarsi se potesse risultare credibile che una ragazza dall’aspetto così banale come lei avesse conquistato il cuore di un uomo così attraente e sicuro di sé come lui, e soprattutto come avrebbero potuto improvvisare senza essersi nemmeno messi d’accordo di fronte ad eventuali domande scomode.

Ryo d’altra parte stava compiendo uno sforzo abnorme per non catapultarsi all’inseguimento di qualsiasi essere femminile, fingendo di essere completamente a suo agio nell’accompagnarsi a lei.  Di tanto in tanto aveva fatto dondolare una mano verso la sua, provando ad afferrarla, per poi frenarsi, considerandola una cosa da bambini. Un braccio attorno al fianco invece avrebbe potuto sembrarle troppo intimo e audace. Nell’indecisione aveva rimesso le mani in tasca.

«Posso prenderti a braccetto?», gli domandò lei con semplicità, dopo averlo già fatto.
«Va bene», le accordò di rimando, rilassandosi e vedendola sorridere di sottecchi.

Le aveva chiesto di non comportarsi o vestirsi in maniera troppo diversa dal solito, ma quando l’aveva vista aspettarlo sull’uscio con quella stretta minigonna che risaltava la sua vita sottile e metteva in mostra le sue gambe slanciate anche senza tacco, per qualche secondo aveva inevitabilmente pensato che non fosse affatto malaccio e che quella sua aria così sobria e sbarazzina avesse il suo perché. Anche qualche altro maschio se ne accorgeva e torceva il collo al suo passaggio, invece la diretta interessata era così sbadata che sembrava proprio non notarlo.

«Non c’è bisogno che mi stringi così tanto», la punzecchiò fingendosi inorridito, quando arrivò a percepire contro il suo gomito la morbida curva del suo seno.
Kaori arrossì sensibilmente, scostandosi appena: «Non lo sto facendo», mentì sapendo di mentire.
«Sì invece», perseverò irritato lui, raddrizzandosi con uno strattone, ma non riuscendo e non volendo spezzare completamente quel piacevole contatto.
«Quindi lavoravi per la Yakuza?», azzardò a chiedergli di punto in bianco lei, senza alcun intento critico, solo per cercare di non badare a quanto fossero insolitamente vicini.
Lui divenne un po’ teso, scrollando le spalle: «Errori di gioventù», glissò lapidario, tra il serio e il faceto. Si bloccò e lei lo copiò, seguendo la traiettoria del suo sguardo.

«Oh eccoti», si frappose una voce flautata ma intrisa di livore.
Se da lontano e in quei pochi secondi in cui aveva potuto osservarla le era parsa graziosa, adesso che poteva apprezzare la gradazione verde cangiante delle sue iridi che illuminavano un viso dai lineamenti levigati e risaltati da un trucco curato, incorniciato da un caschetto di liscissimi capelli d’ebano che si abbinavano ad un corpo elegante e formoso, racchiuso in provocanti abiti griffati, Kaori pensò di trovarsi di fronte ad un’autentica maliarda in grado di far perdere irrimediabilmente la testa a quell’invasato del suo partner in uno schiocco.

Contrariamente a quanto aveva temuto, Ryo la tenne a distanza, salutandola con cortesia ma rimanendo quasi gelido nei suoi riguardi: «Usagi. Te l’avevo detto che sono impegnato».

«Credevo lo fossi con una cliente», ribatté malignamente quella, sezionandola con un misto di sufficienza e astiosità, che le suscitò tanto disagio quanto malanimo, seccandole le corde vocali. Ma il suo partner al momento sembrava non necessitare del suo aiuto per respingere quelle antipatiche frecciatine.
«Beh, Kaori lo era all’inizio, ma poi … fra noi è nato qualcosa di più», sostenne persuasivo ammiccando a lei, che, benché consapevole della finzione, si sentì sciogliere da quelle semplici parole e fissò la punta delle sue consunte ballerine.

Un luccichio torvo baluginò tra i denti e le pupille della bella pretendente: «Se la ami così tanto, come mai l’altra sera eri fuori, tutto solo, a fare il pappagallo con altre donne? Questa qui non ti soddisfa?», insinuò sferzante, instillando stavolta un profondo rincrescimento nell’animo della finta coppia. I due si scambiarono un’occhiata colma d’imbarazzo, con la differenza che quella di Kaori era in più anche parecchio inasprita.

In un attimo abbandonò la sua apparenza di acqua cheta e quella sua latente tempra passionale deflagrò senza più freni: «Smorfiosetta, sentimi bene. Tu non hai nessun diritto di sputare sentenze sulla nostra vita privata! Io e te dobbiamo parlare! Aspettami lì!», le ordinò con l’animosità di chi fosse sull’orlo di un esaurimento nervoso.

Ryo, intuendo l’antifona e confidando sul fatto che quelle due teste calde si sarebbero scornate per bene, si era un po’ defilato e stava per svignarsela, quando la sua socia lo agguantò per il bavero della giacca: «Dimmi la verità … Tu e lei vi siete già  divertiti?», sibilò cominciando a stingergli la gola, scuotendolo come una maracas.
«Intendi se me la sono fatta? Ti pare il momento di essere gelosa?», tossicchiò lui, tentando di appiattirsi contro un muro per essere meno visibile dalla gente che passava di lì restando sconcertata per quell’insolita scena. Non si vedeva tutti i giorni una donna picchiare il proprio compagno.
«Mi serve saperlo per la balla con cui intendo raggirarla. E non prendermi in giro!», precisò incontrovertibile Kaori, piantandogli un ginocchio nello stomaco.
«Appena ha menzionato i vocaboli “matrimonio”, “responsabilità” e “figli” il mio potentissimo mokkori si è ammosciato. Un po’ come quando vedo te», asserì in un rantolo pietoso e dolorante lui.

Lei inspirò allentando quella terribile morsa, quasi neanche prestando attenzione all’ennesima irrisione lanciatagli dal socio: «Benissimo!», stabilì con piglio meditabondo e intimidatorio, lasciandolo in mezzo a quel caotico via vai a riprendersi dalle percosse.

Cosa che, come sempre, avvenne in un lampo. Friggendo dalla curiosità di origliare quella conversazione, lo sweeper compì qualche passo furtivo, acquattandosi tra i vasi e i tavolini del bar in cui le due ragazze si erano accomodate, ignorandolo, pur se era al centro della loro animata chiacchierata. E rimase impressionato dalla spigliatezza con cui la sua socia riuscì ad inventarsi su due piedi una storia fasulla così ricca di particolari. Un po’ si sentì anche colpevole per averla corrotta a tal punto da renderla tanto capace di dire il falso, anche se per una buona causa, ma appena giunse alle battute finali di quel racconto immaginario, in lui prevalse un certo affronto, misto ad irritazione.

Le due ipotetiche rivali comunque si separarono con un rispettoso abbraccio. Kaori era capace di farsi ben volere da tutti. Ryo decise di abbandonare il campo, facendosi inghiottire dalle caotiche vie che sfociavano nei bassifondi della città. Con lei avrebbe fatto i conti al suo ritorno.

Stava oramai calando la sera quando salì in terrazza, trovandola, come aveva intuito non sentendola in nessuna stanza, a stendere la biancheria. Rientrata nei suoi inoffensivi panni casalinghi, si adoperava a svolgere le solite faccende con apparente serenità, nonostante la piccola turbolenza appena affrontata.

«Hai infranto il suo sogno», attaccò con tono neutro ma sottilmente avverso, sorpassandola per andare ad affacciarsi sul panorama, gli avambracci poggiati sulla ringhiera e il venticello mite a smuovergli un po’ i capelli.

Kaori fermò una pinza al lenzuolo: «Ah perché sposarsi con te lo definiresti un sogno?», ribatté sardonica, non stupendosi troppo del fatto che lui potesse aver ascoltato tutto.

Il socio si voltò di scatto, investendola con un’espressione che pareva sprizzare fuoco e fiamme: «Io impotente in seguito ad un incidente sul lavoro?! Me ne vado per locali solo perché ho nostalgia del passato e devo essere compatito!» proruppe furente, essendosi trattenuto con grande fatica durante il momento in cui si era sentito infangare da quella vergognosa calunnia. «Perché ti sei inventata una bugia così terrificante?! Sei stata cattiva! Mi hai rovinato la reputazione! Non potrò più andare ad Osaka!», continuò a gesticolare e frignare, buttandosi per terra.

La ragazza non si lasciò turbare eccessivamente da quel teatrale piagnisteo: «Volevi che ti lasciasse in pace. E adesso non dovrai più preoccuparti. Gli Yakuza ci tengono ad avere degli eredi e tu non vai bene», affermò con inappuntabile senso pratico. «E comunque penso che quell’Usagi sarà troppo traumatizzata per parlarne con qualcuno».

«Come ti è potuta venire in mente una storia così insensata!», insistette incaponito, non volendo sentire ragioni per quello che reputava quasi un tradimento nei suoi riguardi. Lei però ostentava una flemma innaturale, seguitando ad appendere magliette e mutande.

Le si piazzò davanti, bloccandola tra lui e il muro: «E così le hai fatto credere che il nostro amore sarebbe platonico? Che grande stronzata …».

Nella sua intonazione a Kaori parve di cogliere dell’amara ironia che per qualche attimo la destabilizzò, facendole correre un brivido lungo la schiena e tremolare le caviglie. Deglutì un grumo di saliva, cercando di sostenere il suo sguardo penetrante senza tradirsi: «Mi sono ispirata ad un fatto vero … Di cui ho letto su una rivista dal parrucchiere».

Il volto di Ryo si distese, schiarendosi da quell’indefinita torbidezza di cui si era offuscato: «Forse in fondo sei una buona amica», approvò dandole una leggera pacca sulla spalla, inarcando gli angoli della bocca. «Comunque resti un’insopportabile peste!» la accusò impertinente, volgendole una linguaccia, chinandosi e raccogliendo dei calzini bagnati dalla cesta del bucato per poi tirarglieli addosso.

La reazione della sua socia non si fece attendere: appallottolò un asciugamano di spugna e glielo scagliò contro, dando inizio ad una battaglia senza esclusione di colpi.

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Capitolo 8
*** VIII – Detestabili abitudini ***


Salve ^_^
Ritorno ad aggiornare questa raccolta dopo una lunga pausa di cui mi scuso umilmente con i lettori che mi hanno seguito, augurandomi che almeno l'attesa sia valsa la pena e questa shot vi piaccia.
Non sto qui a soffermarmi e a giustificarmi sulle svariate cause concomitanti che mi hanno allontanato dalla scrittura (che ho comunque portato avanti su altri fandom), piuttosto ringrazio quanti si sono preoccupati di chiedermi, incoraggiarmi e farmi avere il loro apprezzamento.
Ho scelto di proposito la soluzione delle shot missing moments (che in origine avrebbero dovuto essere semplici flash) piuttosto che cominciare una long, ben sapendo e temendo che in questo periodo non avrei potuto dedicami con la dovuta cura e concentrazione su una storia più complessa, perciò spero comprendiate le mie future latitanze ^.^"
Questa volta ho voluto riagganciarmi ad un episodio che reputo tra i più importanti del manga e che per fortuna è stato trasposto anche parecchio bene nella versione animata, ovvero l'incontro di Kaori con Sayuri. Alla fine la nostra eroina fa una scelta ben precisa, ma reputo quasi impossibile che non abbia avuto qualche dubbio. E Ryo? Anche lui aveva preso seriamente la faccenda. Insomma, ho cercato di ricamare sul dopo, mi auguro di non aver scritto banalità e di non risultare noiosa.

In fondo troverete qualche nota su delle citazioni che ho voluto inserire.

Grazie infinite ancora a tutti i lettori, alla prossima!)


VIII – Detestabili abitudini

Il volo delle 9:30 della Japan Airlnes con destinazione New York era partito in perfetto orario e dell’enorme Boeing 767-300 non rimaneva altro che la flebile scia biancastra rilasciata dai suoi ruggenti motori, che stava ormai dissolvendosi nell’azzurro sbiadito del cielo ottobrino.
Kaori, ancora avvolta nell’anonimo soprabito che copriva il vestito più costoso ed elegante che avesse mai indossato negli ultimi anni, non riusciva a staccare lo sguardo lievemente inumidito da una nostalgica sensazione di mancanza da quelle soffici nuvole che si muovevano lente e leggere, quasi come galleggiassero sopra di lei, assumendo forme effimere e fantastiche.

Altri velivoli rombavano sulla pista di decollo dell’affollatissimo aeroporto internazionale di Tokyo-Narita, principale scalo per chi arrivava dall’estero o lasciava il Giappone imbarcandosi verso mete lontane che lei finora aveva potuto soltanto sognare di visitare attraverso la televisione, il cinema o le riviste. Di viaggi lunghi o in paesi stranieri non ne aveva mai affrontati, non ne aveva avuta la stringente necessità, né aveva mai provato il desiderio impellente di abbandonare l’immensa città in cui viveva da sempre, di cui amava imprescindibilmente le secolari tradizioni e i numerosissimi contrasti.

Senz’altro non era la prima volta che si trovava ad osservare quel frenetico via vai di gente indaffarata in procinto di salire a bordo di quei giganti dei cieli, per dovere, affari o piacere. Era capitato abbastanza spesso di accompagnare qualche cliente con cui aveva stretto, anche se per pochi giorni, un cordiale rapporto di amicizia, eppure mai prima di allora si era immedesimata tanto profondamente nelle emozioni che avevano potuto dominare l’animo di qualcuno che si trovasse a lasciare a tempo indeterminato la propria terra d'origine, non come le stava succedendo da che aveva scambiato l’ultimo affettuoso saluto con Sayuri Tachiki.
Tra lei e quell’affabile, brillante e forse un po’ troppo apprensiva giornalista si era instaurato quasi subito un legame molto particolare, quasi familiare. Un simile grado di solidarietà femminile non era cosa comune, anzi non ricordava di averlo mai sperimentato in maniera tanto immediata con nessuna delle altre giovani donne per cui si era messa a disposizione, aiutandole a uscire da qualche brutta circostanza.

In compagnia di quella giovane coetanea si era sentita un po’ meno sola e bistrattata, un po’ più sicura delle sue capacità, apprezzata, ma anche protetta. Lei l’aveva voluta trattare come fosse sua sorella, aveva ripetuto più volte quell’amorevole appellativo, in un modo talmente spontaneo e convincente che il suo animo aveva dubitato fosse la pura e semplice verità. E forse lo era. Aveva imparato che certe sensazioni non avevano bisogno del supporto di prove tangibili e razionali per essere comprese.
Sin da quando aveva scoperto di essere stata adottata, sebbene i suoi parenti putativi non le avessero mai fatto mancare nulla e l’avessero cresciuta con amore, aveva vagheggiato di poter conoscere qualcuno della sua famiglia biologica, ma ormai tante cose erano cambiate e, a differenza di quanto aveva immaginato in passato, avere avuto la possibilità concreta di incontrare qualcuno con cui condivideva un vincolo di sangue non aveva avuto l’effetto devastante di una palla da demolizione, andando a sconvolgere tutta la sua esistenza. Anche se aveva trascorso quasi tutta la notte a rimuginare sulle sue ambigue frasi e sui suoi amorevoli slanci, valutando l’opportunità di fare i bagagli e seguirla.

Malgrado la reciproca promessa di tenersi in contatto, sapeva già che la grande distanza e gli impegni quotidiani di entrambe sarebbero stati un ostacolo non indifferente. Se soltanto avesse avuto il coraggio di dire di sì, di lasciarsi semplicemente tutto ciò che conosceva e per cui continuava a vivere e a lottare ogni maledetto giorno alle spalle, a quell’ora avrebbe potuto trovarsi accanto a sua sorella maggiore, a parlare amabilmente del più e del meno e a guardare il mondo da un oblò, come uno di quei tanti passeggeri animati da sogni, speranze, progetti. Avrebbe potuto incominciare una vita diversa, costellata da tante incognite magari, ma mitigata dal conforto della sua premurosa presenza.
Invece, tra reticenze, dubbi, aggressioni e rapimenti, quella settimana era volata via, proprio come quel Boeing, e lei alla fine aveva preferito restare ancorata all’incognita più grande e avvincente di tutte, quella che occupava interamente la sua mente e il suo cuore.

«Hai intenzione di restare qui tutto il giorno a contare gli aerei che decollano?», le si rivolse Ryo, con una certa insofferenza punteggiata di indolente ironia.

Kaori chiuse per un attimo le palpebre inspirando a fondo, per poi voltarsi lentamente nella sua direzione: «Non sei obbligato ad aspettarmi. Puoi anche tornartene da solo», bisbigliò distendendo un debole sorriso intriso di malinconia che in lui ravvivò quel persistente senso di colpevolezza a fior di pelle.

Anche Saeko, che si era fermata poco più indietro a parlottare con lo sweeper, avvertì una latente tensione promanare dal momentaneo allontanamento di quei due e si sentì di troppo: «Io vi lascio, ragazzi. Ho una sfilza di scartoffie che mi aspettano in ufficio», alzò acutamente il tono per richiamare l’attenzione di entrambi, che parevano del tutto assorbiti dai propri logoranti tarli.
Ma, appena ebbe girato i tacchi, percepì la leggera pressione di una mano sulla schiena: «Allora ti accompagno!», si offrì inaspettatamente Ryo, sfoggiando un ghigno da allupato. In un paio di falcate si accostò alla socia: «Ci vediamo dopo», la salutò concisamente, lasciandole le chiavi della sua Mini.
La ragazza le raccolse annuendo appena, senza alcuna delle sue smisurate reazioni di sdegno o di gelosia, e lui dovette camuffare la propria sorpresa, pur persuadendosi che fosse del tutto normale che lei avesse bisogno di stare un po’ con se stessa. La mezza rivelazione di un’insospettabile parentela avrebbe messo in crisi chiunque.

Quella mattina, quando aveva scoperto che la loro ultima speciale cliente era andata via praticamente di nascosto, lo aveva buttato giù dal letto facendo un gran baccano, dandogli a mala pena il tempo di vestirsi e supplicandolo insistentemente di accompagnarla perché ci teneva a dirle addio di persona. Per qualche minuto aveva pensato che fosse solo un timido pretesto, che in realtà volesse partire anche lei con Sayuri, ma non aveva provato a pronunciarsi né a favore né contro la sua decisione finale, perché in fondo non si era mai sentito in grado né in diritto di giudicarla. E perché si fidava ciecamente della sua sincerità. Era troppo affezionata, dannatamente corretta. Se quella fosse stata la sua intenzione, non avrebbe esitato a confidarglielo.

Appurare che non avesse preso alcun borsone con sé aveva smorzato quella strana fitta che gli si era comunque annidata nelle budella. Così aveva guidato infrangendo il limite della velocità massima consentita, pur di esaudire il suo semplice desiderio.
E, invece di ringraziarla per avere scelto ancora una volta di restare al suo fianco, al fianco di un assassino anziché della sua vera sorella, per tutto il tragitto aveva solo saputo inanellare osservazioni banali sul paesaggio extracittadino e sulle condizioni atmosferiche, oltre a fare battute stupide su quello splendido abito tutto pieghe che lei aveva voluto rindossare, così distante dal suo modo di essere, dalla donna grintosa e restia all’esaltazione della sua femminilità che era diventata o che era sempre stata.

«Non pensi che Kaori avrebbe avuto bisogno di te? È molto fragile in questo momento», tornò a pungolarlo Saeko, mentre si stavano avviando al parcheggio dell’aeroporto.
«Fragile? Si vede che non la conosci bene. Kaori è tutto fuorché fragile», si lasciò scappare apertamente lui, rimuginando che, col suo stato d’animo così instabile, percorrere da sola in auto tutti quei chilometri sarebbe stato infinitamente più sicuro che doversi andare a ficcare in un treno, gomito a gomito con un campionario di umanità varia, sconosciuta e potenzialmente molesta. E poi, in quel viaggio di ritorno non avrebbe saputo come riempire di nuovo tutto quello spinoso silenzio che si sarebbe insidiato tra loro senza sparare altre stupidaggini.

«Se lo dici tu …»
Avvertendo l’occhio smaliziato della poliziotta scrutarlo con accondiscendenza da sotto il lungo ciuffo, affrettò con nonchalance il passo, avvistando la sua sfavillante Porsche 930 turbo che spiccava come una rara primula rossa tra tutte le altre modeste automobili parcheggiate ordinatamente in quel vasto spiazzo.
Quell’autovettura sportiva era più bassa, anche se solo di qualche centimetro, della sua Austin Mini, e Ryo dovette piegarsi parecchio per potersi accomodare sul sedile, benché una volta dentro, poté notare come non soltanto la carrozzeria, ma anche tutti gli interni fossero sempre impeccabilmente tirati a lucido. Vantaggi dell’essere figlia di una buona famiglia, si disse, invidiando un po’ il lusso emanato da ogni millimetro quadrato di quel bolide, che però per i suoi affari sarebbe stato sin troppo appariscente.

«Dai, che aspetti? Me li vuoi fare sentire questi fantomatici 300 cavalli?», la sfidò con enfasi sfottente, quando la bella ispettrice si fu seduta con una mossa felina al posto di guida inserendo le chiavi.
Saeko si compiacque: «Allacciati la cintura», lo esortò provocatoria, schiacciando contemporaneamente su frizione e acceleratore per una roboante partenza a tavoletta.


Era già quasi metà mattinata e i morsi della fame cominciavano a manifestarsi prepotenti, ma lei non si sentiva ancora dell’umore propizio per rincasare e affrontare il motivo principale per cui aveva rinunciato ad allontanarsi. La faceva un po’ vergognare che, nonostante avesse assistito alle loro tante accese e violente litigate, Sayuri fosse comunque riuscita a leggere oltre in quei pochi giorni. E ancora di più che lei stessa si fosse tradita così ingenuamente di fronte alla sua insinuazione.
D’altra parte, anche se non ne avevano mai discusso sul serio, era certa che Ryo non si sarebbe opposto ad una sua eventuale partenza. Dopotutto si era offerta lei di diventare la socia di quello sciagurato, lui in quegli anni non l’aveva mai costretta a restargli accanto, né le aveva fatto capire che fosse indispensabile. Anzi, avrebbe scommesso che alla sua prima esitazione non si sarebbe fatto alcuno scrupolo a tagliare la corda, andandosene a scodinzolare da quella fatalona, che probabilmente gli aveva già rifilato un altro dei suoi casi più rognosi, convincendolo con qualche smanceria ad accettare.

Infastidita da questi pensieri, Kaori trascinò i piedi un po’ indolenziti da quelle scarpe nuove dalla suola rialzata dentro il Cat’s eye, venendo accolta da un caldo e rasserenante aroma di caffè. Il grazioso locale stava lentamente cominciando ad ingranare, grazie alla qualità e varietà dei prodotti, adatti a soddisfare anche i gusti più difficili, e alla scarsa concorrenza riscontrata nella zona, vantando già una ristretta ma fedele clientela di tutte le età che vi trascorreva il tempo libero, chi sorseggiando e chiacchierando in compagnia, chi in solitudine, leggendo, disegnando o scrivendo per hobby o per lavoro.
Quel giorno c’era più gente del solito, probabilmente anche per via del vento freddo e impetuoso che aveva cominciato a flagellare le strade del quartiere.
Il risuonare del campanellino agganciato sopra la porta fece accorrere l’amichevole proprietaria, sempre propensa a regalare un luminoso sorriso di benvenuto a chiunque varcasse la soglia della sua caffetteria: «Hey, Kaori! Che piacere! Era da un pezzo che non ti facevi vedere!» esclamò Miki con una punta di rimprovero che fece spuntare una piccola ruga tra le sue sopracciglia perfettamente disegnate.
L’ex mercenaria dopo la loro breve collaborazione l’aveva sin da subito presa in simpatia e spesso non esitava ad invitarla a fermarsi anche oltre l’orario di chiusura, esonerandola perfino dal pagare degli extra menù che le faceva assaggiare in anteprima.

«Mi dispiace, hai ragione. Abbiamo avuto degli incarichi piuttosto impegnativi», si discolpò con sincero rammarico, adocchiando se vi fosse un tavolino libero in qualche angolo appartato, giacché tutti gli sgabelli allineati davanti al bancone erano già occupati e non voleva disturbare nessuno, tantomeno destare l’impressione di ricevere un trattamento di favore rispetto agli altri clienti.

«Saeba ti fa trottare, eh?», intuì la giovane barista, non nascondendo un certo disappunto nei riguardi del grezzo sweeper che le era bastato conoscere per qualche giorno per giudicare un singolare caso umano. «Vedrai che con una bella tazza di cappuccino, ti sentirai meglio! », le schiacciò l’occhio, raccogliendo intanto sul vassoio i resti di altre consumazioni lasciati dagli avventori che si erano accomiatati.

Kaori si sistemò sulla poltroncina: «Non è che avreste anche qualcosa da inzuppare? Non ho potuto fare colazione stamattina …», balbettò impacciata, sperando che il brontolio della sua pancia non si avvertisse troppo, anche perché non voleva elemosinare nulla.

«Certamente!», le assicurò sorridente Miki, intenerita dal suo ritegno a formulare quella piccola richiesta. «Falco?», richiamò quindi il suo compagno di vita e di lavoro, il quale, tutto dedito a lucidare delle stoviglie appena lavate e al contempo a squadrare dalla testa ai piedi chiunque entrasse, quasi come avesse un metal detector incorporato negli occhiali scuri, cadde nell’equivoco quando udì la voce della ragazza pronunciare alternativamente: «Pasticcino? Biscottino?»

Il cranio calvo dell’uomo s’infiammò all’istante, il suo corpo divenne rigido come un ammasso di marmo e la tazzina che stava asciugando si frantumò tra le sue grandi dita.

«Facciamo per il cornetto con la crema al cioccolato», decise ingolosita Kaori, dopo aver spulciato con interesse il ricco elenco di dolci e vivande, suddiviso tra specialità giapponesi, europee e anglosassoni.

Umibozu si sbollentò, capendo di aver frainteso le parole dell’amata che frattanto tornò al suo fianco chiedendogli di riscaldare il pan dolce nel fornetto, così da fargli riacquistare la giusta fragranza, mentre lei tornò a prestare attenzione alle ordinazioni di altri clienti.
In quel contesto pacifico e accogliente un omone grande e grosso con una tempra granitica forgiata dal fuoco di tante battaglie poteva sembrare una nota stonata, ma sotto il tocco gentile e delicato di Miki il burbero e sgraziato soldato in ritiro sembrava un orso ammansito. Tra i due ex guerriglieri c’era un continuo scambio, fatto di discrezione e sintonia, si compensavano e, nonostante la loro considerevole differenza di corporatura, nessuno intralciava o sovrastava mai l’altro. Dai loro gesti trapelavano rispetto e affetto. Era evidente che si conoscessero da anni e che si amassero molto.
Kaori trovò quell’immagine terribilmente romantica e pensò che fossero davvero belli da vedere insieme, checché ne pensasse qualcuno. Di contro si domandò come apparissero dall’esterno lei e quel cavallo pazzo di Ryo, come fosse possibile che qualcuno ogni tanto insinuasse fossero una coppia, quando non facevano altro che azzuffarsi e insultarsi a vicenda, pur condividendo qualche sparuto momento di complicità.
 
«Ma che bel vestito!», commentò Miki ammirata, tornando a portarle una tazza fumante accompagnata da un paio di croissant.

Lei quasi fu tentata di rimettere il cappottino che aveva appena fatto scivolare sulla spalliera della sedia: «Oh, grazie. Fosse stato per me, non lo avrei mai comprato. Non mi ci vedo proprio», balbettò imporporandosi e abbassando il mento sul petto, anche se in fondo pensava che quella raffinata mise meritasse un po’ di ribalta prima di finire inesorabilmente appesa nel dimenticatoio del suo armadio ripieno di felpe e pantaloni.

«Ma che dici? Ti sta benissimo!», controbatté l’amica, trattenendosi dal chiederle di alzarsi in piedi per poterla rimirare meglio, «Non è vero, ciccino?», cercò invece l’appoggio del suo compagno che a quel nomignolo diede in escandescenze, mugugnando versi incomprensibili prima di svanire nel retrobottega.

«Se non ti piace, allora perché lo hai messo?», s’intromise l’altra barista, non senza un pizzico di acidità, sparecchiando un tavolo lì vicino.

«Kasumi!», la richiamò severamente l’ex soldatessa, lanciandole un’occhiata di rimprovero.

L’espressione di Kaori divenne sognante mentre soffiava sulla schiuma del cappuccino: «È un regalo. Di una cliente», specificò avvertendo gli sguardi curiosi e interrogativi delle due donne, ma preferì non dilungarsi in altri dettagli e lasciò che le sue intime riflessioni si mescolassero al soffuso chiacchiericcio che permeava l’ambiente.

Un irruento trambusto precedette l’ingresso di un altro dei frequentatori abituali del bar.
«Miki! Kasumi! Il vostro abbagliante splendore anticipa la primavera!», ciangottò buttandosi a pesce sulle due avvenenti more, venendo tempestivamente frenato dal solito vassoio su cui si impresse un calco dei suoi lineamenti.
«Umi … La tua bruttezza invece mi ricorda che Halloween si avvicina», farfugliò indispettito Ryo, tastandosi il naso tumefatto sotto il ghigno sadico e divertito del pelato e le occhiate sconcertate e intimorite di altri clienti che, adducendo varie scuse, cominciarono ad evacuare il locale come fosse scoppiato un incendio.
 
L’incorreggibile seduttore allora si affannò a tentare di rassicurare e abbordare qualche ragazza particolarmente appetibile offrendole da bere, pur consapevole di non avere sufficiente contante in tasca, ma nessuna volle cedere alle sue esuberanti avances.
Impermalito da quel disonorante fallimento, si accasciò di peso su uno sgabello girevole, giochicchiando con le bustine di zucchero e dolcificante, osservando con un sorrisetto sghembo il suo amico/rivale lustrare il bancone acconciato con quel ridicolo grembiulino.
Era l’emblema dell’elefante costretto a muoversi dentro una cristalleria. Non avrebbe mai capito come un uomo riottoso e tutto d’un pezzo potesse cambiare tanto le sue abitudini e convinzioni per una donna, anche se la donna in questione fosse così deliziosamente affascinante e determinata come Miki.

«Comunque Kaori è di là», tuonò Umibozu, innervosito da quel suo muto sbeffeggiarlo, accennando ruvidamente ad un angolo in fondo al locale.

Naturalmente lui l’aveva vista benissimo, ancora prima di entrare. Detestava essere guidato da quell’impulso inspiegabile di sapere se lei stesse bene, data la sua propensione, a causa di quel connubio esplosivo di ingenuità e avventatezza, a non rimanere mai troppo lontana dai guai. Per non farsi scoprire era sempre costretto a ricorrere a svariati sotterfugi, ma solo così poteva essere sicuro che quel loro strano rapporto continuasse in qualche modo a funzionare, senza sfociare in qualcos’altro, qualcosa di molto scomodo, altamente sconsigliabile e difficilmente gestibile.

Fece un giro di 180° gradi sullo sgabello, ostentando una faccia stupita e contrariata cui lei rispose con due occhi scontrosi e accusanti: «Che cosa ci fai tu qui?!», vociarono in coro.
La socia ingerì l’ultimo pezzo di cornetto, pulendosi la bocca con un tovagliolo: «Quello che fanno le persone normali», sostenne ovvia, indicandogli le briciole della colazione che aveva appena finito di consumare. «Tu invece, ovunque vai, offendi la morale e disturbi la quiete pubblica!», parlò con pungente biasimo, alzandosi di scatto e affibbiandosi frettolosamente il soprabito.

«Sono rimasto digiuno anch’io stamattina!», le rammentò immusonito Ryo, parandosi davanti a lei, le braccia incrociate sul petto tronfio di offesa.

Kaori gli piantò le mani addosso, scansandolo in malo modo di lato per passare: «Levati di torno! Sei una persecuzione!», sbraitò con un moto di stizza, correndo fuori dalla caffetteria.

«Accidenti! In questo periodo del mese diventa proprio una belva inavvicinabile!», commentò trasecolato lo sweeper, grattandosi la nuca formicolante di sconcerto per quella sua sfuriata inaspettata e alquanto spropositata. Era una di quelle circostanze in cui faticava a capire come prenderla, perché sostanzialmente non riteneva di avere commesso qualche abominevole misfatto di cui farsi perdonare. Si ritrovò a pensare che forse, invece di restare muto e indifferente, avrebbe dovuto incoraggiarla a salire su quel volo, ma che la sua mancata partenza non fosse dipesa interamente da lui. Non le dava nessuna ragione per continuare quella burrascosa collaborazione.

«Saeba, si può sapere cosa le hai combinato questa volta?», l’intimazione di Miki gli arrivò come un fucile carico puntato tra le scapole, e voltandosi si accorse che anche gli altri due che avevano assistito a quell’assurda scenata lo stavano fissando con acredine, trovandosi peraltro senza più clienti.

Non aveva alcuna intenzione di spiattellare i fatti propri e magari dar loro occasione di criticarlo ancora di più, perciò se ne uscì con uno dei suoi soliti sciocchi motti di spirito.
«Io?! Niente di niente! Quella matta sragiona! Il povero Ryo stavolta è innocente come un angioletto!», esclamò pervicace, sollevando un palmo come stesse prestando giuramento dinanzi ad un tribunale pronto a condannarlo.

Quei tre severi giudici però avevano già deciso che fosse colpevole, anche in assenza di prove contrarie. Umibozu lo raggiunse, acciuffandolo malamente per il bavero dello spolverino: «Qui non sei gradito», gli alitò trucido, trasportandolo fino alla porta.

«Toglimi le due dannate manacce di dosso!», bofonchiò Ryo scalciando e divincolandosi da lui, «Non sei tu a cacciarmi, sono io ad andarmene. Il servizio è pessimo!», ci tenne a precisare boriosamente, ripromettendosi di pareggiare i conti per quello sgarbo, ma meditando che fosse preferibile per un po’ restare alla larga da quel posto e forse anche dalla sua irascibile partner. Così, come un cane randagio, si mise a vagare su e giù per le frastornanti vie cittadine, passando in ricognizione i suoi luoghi preferiti, sperando di incappare in qualche elettrizzante situazione che lo distraesse da tutto quell’esacerbante rimuginare a vuoto.


Riposto anche l’ultimo bicchiere accuratamente risciacquato nello scolapiatti, Kaori concluse il recupero delle faccende domestiche tralasciate in quegli ultimi due intensi giorni. Aveva cominciato a dare una sistemata all’appartamento tanto per svagarsi, non sentendosi abbastanza energica né dell’umore adatto da indossare una tutina e fare un po’ di ginnastica o andare a correre al parco, anche perché la temperatura non era delle più invitanti e quel sole velato le metteva addosso una pesante svogliatezza.

Il suo intento era impiegare quel tempo libero a fare qualcosa di utile, che in ogni caso nessun altro si sarebbe preso la briga di fare al posto suo, ma anche nel ripetere quelle azioni meccaniche e abituali nella sua mente risuonavano le considerazioni e le osservazioni critiche di Sayuri, il suo sguardo compassionevole e preoccupato nei riguardi del suo stile di vita contrassegnato dall’instabilità e dal pericolo e di quella discutibile convivenza con un uomo tanto irrispettoso e deplorevole come Ryo Saeba.

Ripulendo le tracce di sapone da barba e dentifricio che chiazzavano il lavandino del bagno, si era detta che in quegli anni probabilmente aveva sbagliato su più punti con lui. Era stata troppo tollerante, servizievole, permissiva, su troppe cose, soprassedendo su certe sue cattive abitudini da maschilista, pur non lesinando di rinfacciargli quanto la urtasse il suo comportamento da cavernicolo.

Annoiata dalla sua urlante assenza e dal reiterarsi senza risoluzione di quelle riflessioni, accese la TV e si buttò sul divano. Premendo un tasto a caso s’imbatté in una caustica commedia americana appena iniziata e girata, neanche a farlo apposta, proprio nella sfolgorante New York. Intrigata dapprima solo dall’ambientazione, si soffermò a guardarla. In alcune dinamiche tra i personaggi le sembrò quasi di potercisi rivedere, o comunque di potersi identificare almeno in parte nella combattiva e schietta protagonista, una brillante e caparbia ragazza di belle speranze, refrattaria a sottostare a compromessi pur di fare carriera nel difficile mondo degli squali della finanza1.
Innocentemente immaginò se stessa muoversi con autorevolezza in quei tailleur sagomati dai colori austeri, a digitare numeri e lettere restando dietro una scrivania, a concludere transazioni da migliaia di dollari e magari anche ad innamorarsi, ricambiata, di un fascinoso e ricco agente di borsa.

Immediatamente ripensò alla sua disastrosa esperienza nella redazione del “Weekly news”, a quanto fosse stata maldestra e casinista, inimicandosi tutti quelli con cui aveva avuto a che fare, e si convinse di non avere alcuna attitudine per il ripetitivo e serioso lavoro d’ufficio. Dopo il diploma aveva interrotto gli studi e non si era mai più chiesta se avrebbe ritrovato la volontà e l’abnegazione adeguate per riprenderli o per cercare un’altra occupazione che fosse davvero nelle sue corde. Inoltre era da mettere in conto che sarebbe stata comunque scavalcata da altre concorrenti, più giovani o più preparate di lei.

A dirla tutta, a lei quello di cui si occupava piaceva e molto. Inizialmente era stata una decisione più istintiva che ponderata, ma col passare degli anni aveva maturato una vera e propria dedizione per quel lavoro, talvolta ai limiti della legalità, così interessante, altruistico, stimolante, che non si era ancora stancata di imparare e di ricevere ringraziamenti per l’aiuto che contribuiva a dispensare. La riconoscenza che sprizzava dai sorrisi di chi riuscivano ad aiutare spesso valeva anche molto più dei compensi effettivi.

Percependo il basso brusio del televisore, Ryo capì che la sua socia fosse rientrata e cercò di far cigolare il meno possibile la porta d’ingresso, proponendosi di salire difilato nella sua camera e aspettare che fosse lei a cercarlo. Ma, avendo sete, deviò verso la cucina e si accorse che c’erano diversi fogli sparpagliati sul tavolo della sala da pranzo, volantini pubblicitari, bollette di cui non volle verificare l’importo, una cartolina colorata e la brochure di un’agenzia di viaggio che organizzava trasferte oltreoceano.
Un calpestio in avvicinamento lo sospinse a fiondarsi sul frigo, per non farsi sorprendere a curiosare tra quelle carte.

«Già di ritorno?», lo raggiunse Kaori, facendo capolino con un’espressione neutrale. Ormai stava diventando sempre più difficile eludere i suoi sensi, almeno quando erano in casa. Conosceva troppo bene i vari rumori e forse anche la sua aura.

«Ci vivo anch’io qui, sai», biascicò seccato, aprendo una lattina di coca cola. «E poi è quasi ora di cena. Come mai non hai ancora preparato niente?»

La ragazza lo sorpassò, riaprendo il frigorifero per prendere un vasetto di yogurt alla fragola: «Non mi va. E in ogni caso non ti piace mai nulla di quello che cucino», borbottò con blanda permalosità, infilando un cucchiaino in bocca e ancheggiando imperturbabilmente, nei suoi fascianti fuseaux fucsia, verso il soggiorno.

«Beh, ma … Non sono mica così schizzinoso! Mi sono sempre adeguato!», fu la balbettante smentita di Ryo, che cadde miseramente inascoltata. Quel suo atteggiamento respingente cominciava a procurargli un fastidioso formicolio allo stomaco. O probabilmente era soltanto affamato. Rovistò inutilmente non trovando avanzi di cibo di alcun tipo in giro, e a ragion veduta: si spazzolava sempre tutto!
Mentre schiacciava la lattina ormai vuota, i suoi occhi furono riattirati dal quel mucchio di fogli e buste apparentemente dimenticati sul tavolo. La presenza in particolare di quell’opuscolo con fotografie di città americane e tariffe aeree, con ciò che avrebbe potuto significare, gli infuse un improvviso senso di disagio. La sua verace coscienza però gli suggerì che, tenendo conto di tutto lo schifo in cui era stata coinvolta finora, avrebbero potuto esserci finali molto peggiori di quello e che non poteva stare a sindacare una decisione tanto sensata, per certi versi inevitabile. Non poteva negarle la felicità.
Si sarebbe riadattato alla vita sbandata e solitaria che conduceva prima di essere travolto da lei, e poi sarebbe stato più libero di non dover sottostare a orari, regole, costrizioni ...
Un retrogusto amarognolo gli impregnava il palato, neanche quella bevanda dolciastra e gassata era bastata a scacciarlo. Nascondendo il depliant del tour operator sotto gli altri volantini, scorse di nuovo quella cartolina colma di cuoricini e fiorellini cui aveva prestato scarsa attenzione. Leggendola riconobbe il mittente e in lui cominciò a concretizzarsi una specie di idea, o forse solo di illusione. Quel posto sarebbe stato adatto ad una come lei. Non sarebbe stata troppo lontana da lui, ma comunque abbastanza distante dalla malavita.

Assumendo la sua migliore faccia da poker, entrò in soggiorno, le mani affondate nelle tasche, sbirciando alla finestra: «Hai più avuto notizie di quei ragazzini?»

«Ragazzini?», barbugliò lei dubbiosa, credendo di aver sentito male.

«Sì. Quelli di quell’orfanotrofio … com’è che si chiamava?», continuò a divagare lui, ostinandosi a darle la schiena.

Kaori si tirò sulle ginocchia, appoggiando il busto contro la spalliera del divano: «Quale dei due?», gli domandò fingendosi confusa, intuendo già che lui doveva aver visto quella tenera cartolina arrivata per posta. «Casa fiorita?2».

Ryo si voltò, battendo il pugno sul palmo della mano opposta, come se lei gli avesse risolto chissà quale dilemma: «Non ci sei più andata. Si staranno chiedendo se sei ancora viva … », asserì irriflessivamente, correggendosi subito dopo per quella battuta di cattivo gusto. «Voglio dire … Poverini, penseranno che ti sia dimenticata di loro».

Lei cercò di sondare il suo sguardo sfuggente rivolto alle crepe del tetto. Quando cominciava a parlare in quel modo ermetico, doveva sempre spremersi le meningi per tentare di capire cosa mai gli stesse passando per quel cervello contorto che si ritrovava e quasi mai le sue ipotesi si rivelavano esatte.
«Domani è sabato. Non dovrebbero esserci scocciature. Potremmo andarci e vedere come stanno», si sciolse a proporre esplicitamente il socio, punzecchiato dal suo cipiglio fisso e inquisitorio su di lui.

Kaori titubò sbalordita: «Eh? Tu ti stai offrendo, di tua spontanea volontà, di accompagnarmi da un branco di mocciosi petulanti?», lo interpellò incredula e divertita, pensando che forse voleva semplicemente darle uno spunto di riflessione perché restasse lì, in quella città, in cui non esisteva soltanto lui.

Ryo fece spallucce, non scomponendosi affatto davanti a quegli occhi vispi e brillanti che forse si erano già avveduti del suo espediente: «Ci ho investito anch’io una parte dei miei guadagni nella ricostruzione di quell’istituto, ricordi?»

La ragazza si riadagiò sui cuscini, ricominciando ad armeggiare con il telecomando: «Sì, si può fare», gli accordò quale fosse una gran concessione. In verità aveva già in programma di rispondere a quell’invito, adorava passare del tempo con quegli sfortunati birbantelli e rammentava bene che anche Ryo in mezzo a loro tornava bambino ed era incapace di resistere ai loro giochi e alle loro moine.

«E adesso dove vai?», sussultò insospettita, sentendolo sgusciare via alle sue spalle.
«A cercare qualche anima pia che mi riempia il pancino», replicò pietosamente lui.

Kaori distese le gambe, scattando in piedi: «Scemo, aspetta!», lo richiamò sospirando pazientemente e dirigendosi spedita in sala da pranzo.
Lui appese lo spolverino e la seguì, accomodandosi sulla panca nell’attesa che lei s’ingegnasse a cucinargli qualcosa per mettere a tacere quel persistente brontolio. Assalito da uno strano nervosismo, automaticamente tirò fuori dal taschino il pacchetto di Lucky Strike e l’accendino, ma si guardò bene dal proseguire. Lei lo aveva sempre pregato di non fumare a tavola e quello era uno dei pochi compromessi cui si era piegato.
Ogni tanto era tentato di darle una mano, ma, non sapeva neanche lui spiegarsi per quale ragione, la possibilità che lei potesse ringraziarlo per quell’insolita cortesia lo inibiva anche solo dal muovere un dito.

«Un giorno ci andrai, Kaori», si decise a rompere quella carenza di parole, picchiettata dal suo tramestio con padelle, taglieri e utensili da cucina.

«Uhm?», mormorò lei distrattamente, continuando a sbattere con un frustino qualcosa di cremoso dentro una scodella.

Ryo si schiarì la gola, bevendo a canna da una bottiglia di birra: «Sono sicuro che con la tua tirchieria riuscirai a mettere da parte abbastanza yen per andare a trovare Sayuri», affermò incoraggiante, osservando di nuovo le immagini patinate della così detta Grande Mela che campeggiavano su quella guida turistica.

Lei allora capì da dove gli fosse scaturita quell’affermazione. Aveva voluto prendere quel dépliant per sentirla in qualche modo più vicina. E per adesso le bastava così.

«Io credo sia più facile che avvenga il contrario», mormorò serena, voltandosi con la ciotola tra le braccia, un sorrisetto birichino nell’avvicinarsi a lui, «Sempre che nel frattempo qualche amico farfallone non faccia cambiare idea anche a lei …», chiosò allusiva, dandogli un colpetto di frusta sulla punta del naso e sporcandolo con la pastella che aveva appena preparato per la tempura.

«Ma che fai, stupida!?», si ripulì indignato lui, ignorando quell’ammiccamento e schivando altri schizzi di farina rappresa, «Chiamami quand’è pronto», si allontanò accigliato, portandosi una sigaretta tra le labbra che si tesero impercettibilmente all’insù.


1 Il film che ho immaginato Kaori stesse guardando è "Una donna in carriera" (1989) di Mike Nichols, con Melanie Griffith, Sigourney Weaver e Harrison Ford.
2 L'orfanotrofio "Casa fiorita" è presente solo nell'anime, precisamente nell'episodio doppio "Il più bel regalo di Natale" (2x37 e 2x38); alla fine viene demolito dai cattivi e i due City Hunter si propongono di pagarne la ricostruzione; l'altro orfanotrofio "La casa del sole" è invece presente negli episodi "Non toccate la memoria di Jeff"  (2x27 e 2x28), da cui la domanda di Kaori per capire a quale dei due si riferisse Ryo.

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Capitolo 9
*** IX – Qualcosa è cambiato? ***


Sospetto cosa starete pensando ... Chi non muore si rivede, vero? ^^"

Beh, dopo una incommentabile spaventosa pausa di oltre un anno, in cui impegni, impedimenti, scocciature, distrazioni e pensieri di ogni sorta mi avevano fatta allontanare da questi personaggi, finalmente sono riuscita a ritrovare l'ispirazione e a decidermi a concludere questa shot che avevo lasciato sedimentare nella memoria del Pc mesi e mesi.

Chiedo umilmente scusa ad eventuali lettori che sono rimasti delusi da questa lunghissima interruzione.

Spero solo di essere riuscita a rientrare in maniera credibile nelle atmosfere e nei caratteri e di riuscire a regalarvi, se vorrete, qualche minuto di leggera evasione.

Ringrazio sentitamente quanti, nonostante l'ampissima scelta di questo prolifico fandom, hanno continuato ad incrementare il numero di visualizzazioni e chi ha inserito questa raccolta tra le seguite/ricordate/preferite <3
Piccola anticipazione: la shot è ambientata qualche giorno dopo la ripartenza di Bloody Mary e, come sempre, per alcuni dettagli mi sono ispirata sia al manga sia all'anime.
Ulteriori note a fine capitolo.

Alla prossima!)
X – Qualcosa è cambiato?

Schiacciò l’interruttore e strofinò il dorso della mano sulla superficie lucida appannata dal vapore della doccia, ripulendola quel tanto che bastava a potersi specchiare.

L’aitante uomo catturato dal riflesso lo salutò serio e riflessivo, una piccola ruga tra le folte sopracciglia a testimoniare il suo momentaneo cruccio. Vi passò subito un pollice sopra per spianarla, ripetendo quel gesto stizzito sulle altre invisibili linee di espressione attorno alle labbra e alle palpebre e su quelle che segnavano la fronte alta e spaziosa, di solito nascosta da un fluente ciuffo di capelli corvini.
Appiccicandosi allo specchio sparigliò con le dita le ciocche gocciolanti, spulciandosi il cuoio capelluto, controllando minuziosamente che fossero davvero ancora tutte colorate di quell’intensa tonalità picea.

Poteva senz’altro affidarsi alla sua ottima vista e alle sue eccellenti doti da contorsionista, sebbene il fatto di avere una capigliatura così fitta avrebbe reso quella missione alquanto lunga e impegnativa.

Senza contare l’inconveniente di non poter controllare per bene come fosse la situazione sul retro della testa … Agghiacciò … Gli serviva subito un altro specchietto con cui poter sopperire a quell’impedimento! Già immaginava quanto gli avrebbero sparlato dietro i nemici e conoscenti, se solo si fossero accorti prima di lui di quell’ingiurioso segno del tempo. Cominciò a rovistare velocemente tra stipetti e cassetti e dopo un paio di minuti rimediò finalmente una piccola lastra rotonda, riprendendo ad osservarsi dettagliatamente e con maggiore agio anche la nuca.

Avendo già un principio di torcicollo e non avendo riscontrato alcun disonorante filo grigio, o peggio ancora bianco, al termine di quell’accurata analisi decise di fermarsi. Per il momento non aveva nulla da temere. La sua gioventù rifulgeva ancora.

Si frizionò energicamente un panno di spugna in testa e accennò un sorriso soddisfatto, gonfiando i possenti pettorali. Alcune stille d’acqua gli scorrevano lungo il collo e il torace muscoloso, altre rigavano la schiena scolpita, fermandosi sull’orlo dell’asciugamano attorto ai fianchi stretti e robusti. Mimò alcune pose da body builder, compiacendosi della perfetta forma fisica che poteva vantare e sfoggiare con orgoglio e senza pudore.

A discapito dall’aver ricevuto in dono una data di nascita e quindi un compleanno, per un altro bel po’ di anni l’assillo di invecchiare non sarebbe rientrato nelle sue principali preoccupazioni. In fondo, si disse, non avrebbe mai avuto alcuna certezza assoluta sulla sua vera età. Anche se di lì a qualche settimana avrebbe compiuto, per la prima volta, trent’anni. Forse la sua benevola socia era stata sin troppo generosa.

Ryo si sfregò le guance, avvertendo la ruvidezza della barba in ricrescita. In un’altra vita non avrebbe prestato tanta attenzione a quella blanda peluria ispida, ma da che era tornato a vivere nella civiltà ci aveva sempre tenuto molto ad avere un aspetto curato, Non riusciva più a stare neanche un giorno senza radersi. Forse irrazionalmente aveva creduto che così avrebbe potuto mescolarsi meglio alla gente comune ed essere accettato.

Invece per anni aveva continuato a fare terra bruciata attorno a sé, a vivere ai margini, nella più completa solitudine e nel più rigoroso anonimato, come un fantasma.

Lo specchio si era velato di nuovo. O forse era successo ai suoi occhi? Colpa della saponata che gli era finita dentro o più probabilmente dell’insufficiente ricambio dell’aria. Quel vecchio aggeggio andava sostituito.

Ripassò il palmo sulla superficie riflettente e frugò in un cassetto in cerca di un rasoio usa e getta, per rimediare alla rasatura cui non aveva potuto dedicarsi meticolosamente quella frenetica mattina, dovendo sgominare l’ennesima banda di balordi allettati dal patrimonio di una ricca e sprovveduta ereditiera.

Quell’incarico di guardia del corpo per una graziosa signorina d’alta classe non era stato molto difficoltoso, anzi era stato una manna dal cielo, allentando la palpabile tensione che si era insinuata tra lui e la sua umorale partner ogni qual volta che si sfioravano, anche solo con lo sguardo, dopo l’arrivo imprevisto dell’intrigante Bloody Mary, con il suo carico strabordante di vendicativa sensualità e le sue indebite rivelazioni sul suo conto.

Su quel passato impregnato di sangue, morte, abomini e ingiustizie che aveva relegato a lungo nella parte più recondita di sé, come una cicatrice purulenta e sfigurante da non dover mostrare mai a nessuno. Guardandosi indietro e sovrapponendo per uno stupido gioco della mente l’innocua lametta di quell’aggeggio di plastica a quella ben più arrotata del coltellaccio scheggiato con cui era solito sbarbarsi quando combatteva insieme ad un manipolo di guerriglieri reietti ed efferati in una impervia e torrida giungla, non sapeva se provava più vergogna, disgusto o tristezza per quei tempi tetri, scanditi unicamente dall’impulso atavico di sopravvivere, in qualunque modo, a qualunque prezzo.

Si domandò se Kaori, nonostante si fosse mostrata incredibilmente comprensiva e tranquilla, potesse aver modificato l’opinione che aveva su di lui. Gli era sembrata alquanto sfuggente negli ultimi giorni, perfino più discreta ed elettrica del solito, ma non aveva indagato oltre, né lo aveva importunato con altre scomode domande. Ed era stato meglio così. Le bastava conoscere lo stretto necessario del suo vissuto ignobile e marcio.

Eppure lei avrebbe saputo confortarlo. Nonostante tutto, nei suoi caldi occhi limpidi e sinceri non aveva colto orrore, né paura o disprezzo, bensì compassione, ammirazione, affetto. E una volta di più aveva pensato di non meritare il suo bene puro e incondizionato. Col suo modo di fare così apparentemente allegro, spensierato e concreto, quella sorprendente ragazza lo trattava come fosse un uomo normale, e allo stesso tempo riusciva a farlo sentire speciale.

Arricciando la bocca in una smorfia schifata per quello svenevole pensiero, picchiettò la testina del rasoio contro il lavabo e, quasi innescando una reazione a catena, l’applique collocata sopra il mobiletto del bagno cominciò a funzionare a intermittenza e l’aeratore ingolfandosi si spense. Finendo di radersi praticamente alla cieca mentre lo specchio tornava gradualmente ad appannarsi, rimuginò spazientito che avrebbe dovuto ricordare alla sua coinquilina di provvedere quanto prima alle necessarie riparazioni, ma in quello stesso istante l’irrompere improvviso di un gran baccano di spari, urla ed esplosioni gli fece perdere la salda presa sull’impugnatura e la lampadina con un piccolo scoppio si fulminò, lasciandolo nel buio e nella confusione più totali.

Non curandosi di essersi probabilmente autoinferto un bel taglio trasversale sotto il labbro e di essere mezzo nudo e disarmato, si lanciò fuori dal bagno con i muscoli pronti a scattare in posizione di autodifesa e attacco, spostandosi radente alle pareti e fiondandosi con un’agile capriola nella stanza da cui aveva udito provenire quell’immane e inaspettato fracasso che gli aveva rimescolato le budella.

Le sue acute pupille indugiarono tra scintille e fumo, inquadrandosi poi sulla figura esagitata della sua socia che, martellone in pugno e fiato grosso, stava accanendosi contro un non meglio identificato rottame, riducendolo in mille pezzi.

«Kaori! Si può sapere che accidenti stai combinando?», la aggredì interdetto, urlando impanicato dalla probabilità che, svestito com’era, se avesse attirato la sua piena attenzione, avrebbe ricevuto lo stesso trattamento di quel mucchietto di circuiti e plastica.

La voce della ragazza, le guance rosse e gonfie, i capelli arruffati e la camicetta affumicata, fuoriuscì flebile e strozzata: «Il televisore si è rotto», farfugliò con un tono che trapelava quanto lei stessa non credesse a ciò che aveva appena pronunciato.

Ryo avanzò di un altro passo, pur mantenendosi ad una opportuna distanza di sicurezza: «Lo vedo», mormorò perplesso, aggiustandosi prontamente l’asciugamano che nel frattempo gli si era allentato, rischiando di mostrare più del dovuto, anche se lei non pareva averlo notato. A dirla tutta non l’aveva neanche guardato da che era arrivato. Sembrava quasi caduta in uno stato confusionale: «Stai bene?», la richiamò sventolandole una mano davanti alla faccia, seriamente impensierito.

Kaori annuì, portando finalmente gli occhi sbarrati su di lui e appuntando l’indice verso il suo mento sbucciato: «Ma tu sanguini …»

Lo sweeper si toccò il punto indicato, rimuovendo col polpastrello una flebile strisciolina rossa: «Oh, non è niente. Questo catorcio sta messo molto peggio di me!», sdrammatizzò pur con una punta di accusa nei confronti della socia, valutando i danni inferti dalla sua inesplicabile foga sul povero oggetto inanimato.

Mentre la sua stravagante assistente, ridacchiando e balbettando, raffazzonava confusamente i retroscena di quell’assurdo trambusto, Ryo la guardava ancora frastornato e stranito. Era abituato alle sue intemperanze, scaturite soprattutto dai loro frequenti screzi, che spesso lui per primo si divertiva a provocare, ma forse per la prima volta non capiva neanche un po’ cosa diavolo le stesse succedendo. Che cosa l’avesse mandata fuori di testa, senza un’apparente ragione. Era sempre piuttosto esplicita nel dichiarare ciò che non tollerava del suo modo di fare o quanto di esasperante accadeva attorno a lei.

In quel momento sulle sue strampalate giustificazioni ascoltate distrattamente – che includevano l’avvistamento di un calabrone, un telecomando impazzito e un improvviso corto circuito – non volle soffermarsi più di tanto. Anche perché poi lei di sicuro avrebbe trovato o riesumato qualche malefatta di cui incolpare lui.

«Ah, a proposito di roba fuori uso …. C’è da cambiare la lampadina sopra lo specchio del lavello e bisogna dare una controllata anche all’aeratore del bagno», sviò perciò il discorso su qualcosa del loro quotidiano di più immediato e meno accidentato. «Kaori? Hai sentito quello che ho detto?», la riprese già oltremodo spazientito dalla sua antipatica sfuggevolezza.

Kaori tornò dallo sgabuzzino con tutto il necessario per dare una sistemata e ripulire il pavimento: «Eh? Sì, lo so. Lo scarico è otturato. Non potresti occupartene tu, una buona volta? Non fai mai niente tutto il giorno … », borbottò scocciata, spazzando via nervosamente i frammenti di metallo, legno, plastica e vetro disseminati per tutta la stanza.

«Scherzi? Sono rimasto rinchiuso qui dentro per tre giorni! Ho lavorato sodo, ho portato a casa la pagnotta, adesso posso avere il permesso di uscire un po’ per divertirmi?», Ryo la inseguì camminando ginocchioni e implorando la sua clemenza.

La socia interruppe il suo nervoso affaccendarsi e gli volse un sorriso accondiscendente: «Certamente ... Dopo che avrai fatto le dovute riparazioni di cui sei capacissimo!»

«No! Non mi va! Le farò domani!» tentò ancora di sottrarsi a quella noiosa mansione casalinga lui, piantandosi per terra a gambe e braccia incrociate.

Lei gli girò alla larga, ignorando bellamente le sue lamentele: «Prima cominci, prima finisci. E vestiti, porca miseria! Che non siamo a Chiba!1», esclamò poi strizzando gli occhi e allontanandosi precipitosamente da lui e dalle sue nudità così sfacciatamente in mostra.


Gettato l’ingombrante sacco nero dell’immondizia sul pianerottolo, così che il suo coinquilino se lo portasse via una volta uscito, Kaori pensò che quel tardo pomeriggio, essendosi già fatto quasi buio fuori e non avendo particolari incombenze, si sarebbe immersa nella lettura di uno dei tanti libri acquistati e poi dimenticati a prendere polvere sul comodino.

Aveva ancora un po’ di stanchezza postuma da smaltire derivante dall’ultimo caso che avevano seguito e che, immancabilmente, aveva richiesto una buona dose di azione, per lei anche doppia, anche se, stranamente, quel marpione del suo socio era sembrato contenere i suoi bassi istinti durante la permanenza nel loro appartamento della bella cliente di turno, rinunciando più presto del solito a perpetrare i suoi indecenti assalti a suo danno.

Tra i vari volumi ammonticchiati, scelse un tantei shōsetsu2 di piccole dimensioni, lanciò negligentemente le pantofole e si tuffò sul letto. Sistemò il cuscino contro la spalliera e vi si adagiò, tentando di trovare una seduta comoda per avere luce sufficiente, evitare formicolii o crampi e concentrarsi al meglio, senza la continua necessità di cambiare posizione e magari farsi distogliere da qualcosa fuori posto nella stanza che l’avrebbe indotta a rialzarsi e quindi distrarsi dalle righe inchiostrate.

I romanzi d’investigazione le erano sempre piaciuti, eppure, per un motivo o per un altro, anche quello lo aveva lasciato a metà e, scorrendo la prima pagina indicata dal segnalibro, si rese conto di non ricordare già più nulla della trama.
Sbuffò contrariata, tornando indietro di qualche altro paragrafo, sperando di potersi ricollegare a qualche frase o riferimento che le schiarisse la memoria, ma fu del tutto vano: ogni parola, ogni nome, si perdeva nel vuoto, col risultato di confonderla ancora di più.

In maniera arbitraria e del tutto ingiustificata, la sua mente le suggerì che era proprio quel che accadeva ogni volta che scopriva, casualmente, un altro pezzetto del passato di Ryo Saeba. Più andava a ritroso, meno le sembrava di capire, più tutto le appariva lacunoso, disorientandola. Più passava il tempo, più dal suo passato continuavano a spuntare fuori vecchie conoscenze che rimescolavano tutto ciò che credeva di sapere sul suo conto.

Dopo quattro anni di vita condivisa conosceva ancora poco e niente sulla vera identità di quell’uomo pieno di ardore e di oscuri segreti.

Sin dalla prima volta che lo aveva incontrato, diventando testimone in prima persona delle sue stupefacenti abilità, aveva tanto fantasticato sui suoi trascorsi, immaginava nascondessero qualcosa di travagliato, drammatico, non convenzionale, a tal punto dal frenarlo dal volerglielo accennare, ma non era mai stata troppo pedante o invadente, notando la sua mal disposizione a confidarsi.

I suoi cupi silenzi e i suoi sguardi distanti quando sporadicamente provava ad introdurre l’argomento nelle loro confidenziali conversazioni avevano dato credito alla sua teoria, facendola desistere. “Se ne vergogna?”, si era chiesta più volte. Pensava che se gli fosse rimasta accanto, un giorno, forse, lui le avrebbe raccontato tutto. Mai però avrebbe ipotizzato che nel suo passato potesse esserci qualcosa di così atroce, raccapricciante, ingiusto come una guerra civile, combattuta tra l’altro in un Paese straniero e in tenera età.

Perciò, quando nel suo svogliato zapping si era imbattuta casualmente in quelle violente e sanguinose scene di battaglia e il telecomando aveva deciso di smettere di funzionare, si era sentita così in colpa e a disagio che impulsivamente, o forse sospinta da un’assurda volontà di discrezione, non riuscendo a cambiare canale, né a spegnere, aveva sfoderato uno dei suoi martelli e aveva fracassato il televisore.
 

Ora, ripensando a quel gesto eccessivo, si sentiva terribilmente stupida. Se il suo partner l’avesse saputo, di sicuro avrebbe riso a crepapelle di lei, giudicandola immatura e inadatta a restargli accanto, proprio come aveva inizialmente malignato quella Mary.

Lei invece si era riscatta ai suoi occhi, durante la missione punitiva contro David Clive, ed era sempre più motivata a smentire chiunque la pensasse inadeguata, a dimostrare a tutti di essere tagliata per quel lavoro, di essere la degna spalla City Hunter.

Perciò, se voleva continuare su quella strada, doveva accettarlo, la dura verità era quella. Ryo era stato un orfano e un bambino soldato. Un’esperienza traumatica che avrebbe dovuto segnarlo per sempre, qualcosa di orribile da cui molti non si riprendevano, neanche dopo annose e costose sedute di psicoterapia. Anzi, molti si trasformavano in relitti umani o, peggio, in mostri senza cuore.

Eppure per lui sembrava che non fosse stato così. Non era diventato crudele, cinico, egoista, bensì un uomo completamente diverso, non corrotto dal male, dall’odio e dalla solitudine in mezzo a cui era cresciuto, ma giusto, eroico, altruista e scanzonato.
E lei, se possibile, se ne era scoperta ancora più profondamente colpita e ammirata. E, era inutile girarci ancora intorno, innamorata. Sì, ne era innamorata persa.

E lui? Lui si sarebbe mai accorto di ciò che lei provava?

Soltanto una settimana addietro le aveva esternato il suo affetto sincero e disinteressato per lei, avvicinandola a sé e depositandole un bacio sulla fronte, per ringraziarla della sua amicizia. Se solo ripensava a quei brevi attimi, tornava a sentirsi invadere ogni cellula da una sconvolgente ondata di calore. La sua mano forte intrecciata alla sua, le sue dita callose che le carezzavano i capelli, il suo odore maschio così vicino, quel timbro sussurrato con cui aveva pronunciato il suo nome, esprimendole riconoscenza.

Era stato un bacio casto, fugace, innocente, fraterno … così intenso e inaspettato da averla lasciata febbricitante.

Beh, forse a quello aveva contribuito anche l’essere rimasta per parecchi minuti imbalsamata come un’ebete sotto un’inclemente e scrosciante pioggia invernale.

Con un sospiro tra lo struggimento e l’imbarazzo, Kaori abbandonò definitivamente il libro che stava tentando di leggere sottosopra, scompaginandolo, le ginocchia al petto e l’unghia di un mignolo sotto i denti.

Ryo l’avrebbe mai ricambiata?

Malgrado tentasse costantemente di scacciarlo, non poteva fare a meno di arrovellarsi su quel martellante interrogativo e quel mascalzone, con quel suo comportamento contraddittorio e infantile, non faceva altro che sgretolare una delle poche certezze che aveva a riguardo, ovvero di non piacergli, di non essergli gradita; almeno non come ipotetica compagna di vita, oltre al lavoro.

A metterle la pulce nell’orecchio, poi, c’era stata anche l’affermazione sibillina di Umibozu. “Lui ti considera più partner di una partner qualsiasi”, aveva declamato ermetico, accendendo la sua timida, fiduciosa speranza di scoprire quali fossero i reali sentimenti di Ryo. Avrebbe voluto possedere la sfrontatezza e il coraggio per fargli altre domande e sollecitarlo a rivelarle qualcosa di più, ma l’ex burbero mercenario era stato come sempre parco di parole, lapidario nel liquidare la questione. E lei era rimasta troppo spiazzata da tutta quella storia per chiedergli ulteriori delucidazioni.

Chissà se il suo enigmatico collega le nascondeva altri scottanti e ingombranti segreti …

Dopo lo scampato modesto pericolo rappresentato da quella banda di squattrinati rapitori che miravano al patrimonio della malcapitata ereditiera che li aveva ingaggiati a pochi giorni dalla conclusione della vicenda Rosemary Moon, il suo partner era diventato più indecifrabile, indisponente e solitario di prima, insinuandole il ricorrente e sconfortante dubbio che non volesse più averla attorno.

La ragazza si gettò all’indietro, sprofondando sconsolatamente sul cuscino la testa fumante per quelle mille congetture. Forse era soltanto lei a farsi suggestionare da stupide paranoie. Ryo era sempre … Ryo. Sbruffone, immaturo, scapestrato, beffardo e molto riservato, quando si trattava delle sue emozioni più intime e delle sue vicende più personali.

E neanche lei riusciva a considerarlo in maniera differente, dopotutto. Aveva continuato a comportarsi allo stesso modo con lui, o no? Significava che in concreto non era rimasta tanto condizionata da quanto aveva scoperto sui suoi precedenti. Sapeva già che le sue mani dovevano essersi spesso macchiate di sangue, ma anche il suo cuore in quegli anni difficili doveva aver sanguinato, senza nessuno che lo tamponasse. Avrebbe rimediato lei a quella mancanza, come gli aveva promesso quella sera sul terrazzo.

Rincuorata dalle sue stesse considerazioni, Kaori si rialzò con un sorriso dipinto sul bel volto nuovamente rilassato. La sveglietta posizionata sul comodino le notificò che, leggiucchiando e rimuginando, si era fatta ora di cena. Perciò, ritrovando l’entusiasmo di potersi rendere utile, anche se al momento solo come “cibassistente”, rimise le gambe giù dal letto, rinfilò le pattine e si avviò verso la sala da pranzo.

Nel percorrere il tratto di corridoio dalla sua camera alla cucina, richiamò più volte il coinquilino, tuttavia lui non rispose alle sue chiamate, tra le pareti regnava un raro e desolante silenzio. Allora capì e la sua espressione dolce, timida e indulgente si tramutò in un cipiglio colmo di rassegnazione, irritazione e amarezza.

Quell’irrefrenabile animale notturno era uscito da casa alla chetichella, senza degnarsi di avvertirla!


«Ryo! Vecchio pelandrone che non sei altro! La colazione è pronta!»
 

L’indomani mattina, alla solita ora tarda in cui il resto degli abitanti della città era già alle prese con i propri affari e i propri problemi, una voce femminile, vispa e diretta ridestò l’impavido giustiziere di Shinjuku dalle sue impalpabili visioni oniriche, venate di rimorsi mai sopiti e desideri inespressi.
Bussando e vociando brusca da dietro la porta, la sua socia si allontanò a passo sostenuto, continuando a borbottare altri improperi. E Ryo, immancabilmente infastidito, si rigirò bofonchiando sotto la calda coperta, accoccolandosi al guanciale e ritardando ancora qualche minuto prima di decidersi a lasciare quel confortevole giaciglio, consapevole che lei sarebbe tornata a rimproverarlo e avrebbe ripetuto il suo nome tra svariate ingiurie finché non l’avesse buttato giù con tutto il materasso.

Invece, trascorsero altri cinque minuti buoni e ciò non accadde.

Perché non entra? Che avrà da fare? Non mi vuole incrociare?”, si domandò un po’ allarmato e un po’ contrito, mettendosi supino e fissando pigramente alcuni preoccupanti aloni di umidità che stavano ingrandendosi sul soffitto.
Impossibile”, si rispose. Neppure la fortuita scoperta che fosse un reduce di guerra sembrava l’avesse turbata più di tanto. Anche dopo il passaggio di quella tempesta imprevista impersonificata dalla sensuale Bloody Mary avevano ritrovato il loro equilibrio quotidiano, tuttavia il suo istinto gli diceva che quella birbante testolina rossa stesse escogitando qualcosa e che avrebbe fatto meglio a prepararsi ad ogni eventualità.

Sperava solo non gli rifilasse qualche altra seccante riparazione domestica …

Sgusciò fuori malvolentieri dal piacevole teporino del letto, indossò una leggera maglia di cotone grigio e un paio di comodi pantaloni blu in pile, e, stiracchiandosi e sbadigliando rumorosamente, scese al piano inferiore.

Kaori era in biblioteca, mezza allungata sul tavolo, intenta a sfogliare giornali e riviste, ondeggiando lievemente i fianchi fasciati da jeans chiari al ritmo della hit radiofonica del momento le cui note si riverberavano a volume moderato per tutta la stanza.

«Non dirmi che abbiamo già un nuovo caso?», bofonchiò strascicando svogliatamente le ciabatte verso di lei, contrariato dall’idea di non potersi godere un altro po’ di ozio e di doversi già rimettere a rincorrere qualche vile malfattore.

La socia curvò un’occhiata distratta su di lui, passandosi una mano sul retro del collo: «No, purtroppo. Stavo giusto approfittando della mancanza di lavoro per mettere un po’ d’ordine nel nostro archivio», rispose con tranquillità, poggiando un braccio sulla pagina che stava consultando e sovrapponendovi una copia del Tokyo Shinbun di quella mattina.

Ryo la guardò di sottecchi, domandandosi per quale ragione stesse mentendo, dato che era sempre stata metodica nel catalogare ogni nuovo acquisto della loro fornitissima libreria ed era praticamente impensabile, da quando c’era lei ad occuparsene, che potesse esserci qualcosa fuori posto. Piuttosto aveva tutta l’aria di stare indagando o comunque di essere alle prese con un qualche tipo di ricerca, di cui, chissà perché, non voleva parlargli.

Fingendo indifferenza e decidendo di soddisfare prima lo stomaco della sua curiosità, si spostò con calma in cucina, dove trovò una tavola imbandita con un’abbondante e sostanziosa colazione tradizionale giapponese. Mentre, dimentico di quel tarlo che gli aveva turbato il risveglio, ingolosito dagli odori, indugiava nello scegliere cosa addentare prima, tra tamagoyaki, zuppa di miso, salmone al vapore e tsukemono, la voce di Kaori si ripalesò alle sue orecchie dall’open space.

«Senti, visto che al momento siamo senza tv, stasera ti andrebbe di andare al cinema?», domandò con una sfumatura neutra e al contempo speranzosa.

Lo sweeper si mozzicò la lingua e ingoiò in un’unica deglutizione fagioli di soia fermentati che aveva in bocca senza neanche masticarli: «Che cos’è che mi stai chiedendo? Un appuntamento?»

La ragazza ringraziò di essere ancora in un’altra stanza, così che lui non potesse accorgersi del rossore che si era impossessato delle sue guance a quella impertinente e offensiva insinuazione: «No! Lo dicevo così … tanto per … fare qualcosa di diverso. Tra amici. Potremmo andarci con Umi e Miki … », si affrettò a puntualizzare innocente, ridando una veloce letta alla sezione spettacoli, per comunicargli quale film avrebbe voluto proporgli di andare a vedere. Era da tantissimo tempo che non si concedeva un’uscita scacciapensieri. Non ci sarebbe stato niente di male a rompere la solita routine.

«Un’uscita a quattro?! Ma come ti viene in mente un’assurdità del genere?!», ribatté di contro ancora più impermalito il destinatario, parlando tra una masticazione e un rutto.

Kaori decise di affrontare a quattr’occhi quel cavernicolo menagramo che si ritrovava come socio, raggiungendolo a passo di carica: «Dai! Non fare il rompipalle! Per una volta che ti chiedo una cosa!», lo esortò con tutta la capacità di persuasione che purtroppo sapeva di non possedere. 
Con le buone maniere non era mai stata particolarmente brava a convincere qualcuno ad appoggiare una sua pensata, men che meno sarebbe stata capace di intenerire un uomo ottuso e testardo come Ryo, soprattutto quando ci si metteva con tutto se stesso a volerla contestare per puro puntiglio.

«Ma scusa, se ci tieni tanto, vacci con loro. Perché devi coinvolgere anche me? Non mi va di fare il reggimoccolo per il lucciolone e la sua bella», continuò, di fatto, a controbattere insolente e irremovibile, finendo di sbafarsi ogni ciotola e terrina preparata amorevolmente da lei e messa a sua disposizione.

Un basso ringhio collerico risalì dal petto della giovane sweeper; dopo tutto quello che avevano passato, dopo quanto aveva appreso, credeva che non sarebbe più riuscita ad arrabbiarsi con la stessa furia accresciuta dall’imbarazzo, dall’incomprensione e dalla disapprovazione dei primi tempi. Invece dovette ricredersi: Ryo era un caso perso!

E forse lei lo era ancora di più, per essersene innamorata così scioccamente.

«Sei proprio impossibile!», gli urlò contro isterica, i pugni chiusi lungo i fianchi, i piedi che battevano a terra, trattenendosi a stento dall’impeto di rompergli qualcosa su quella faccia da schiaffi.
Sentendo il bisogno di prendere aria e di lavare via i cattivi pensieri, corse su a rifugiarsi sulla terrazza panoramica del piano superiore.


 

«Kaori! Sono a casa!»

Un giocondo Ryo annunciò il suo rientro, destreggiandosi tra il mazzo di chiavi e il peso che reggeva tra le braccia, tentando di arrivare in soggiorno senza inciampare nella sua coinquilina.

Lei, nonostante fosse pomeriggio inoltrato, non stava ancora affaccendandosi in cucina e la trovò proprio lì, nel suo morbido e sgargiante completo di tuta, accomodata sul divano, tra le mani una patinata rivista di moda dalla quale non distolse le pupille. Ancora gli portava il broncio per il consueto bisticcio di poco conto che avevano avuto ore prima!

«Guarda cos’ho qui …», la riscosse da quell’apatia che non le si addiceva, posando con cautela sul pavimento l’ingombrante scatolo di un grande televisore di ultima generazione.

Kaori, che fino a quel momento fingeva di non vederlo né sentirlo, sussultò a quella presentazione: «Ma … Ryo! Abbiamo già le spese del meccanico da affrontare questo mese …», lo rimbrottò col suo tipico senso pratico, esitando ad accettare la sua apparente, pretenziosa e soprattutto dispendiosa, offerta di pace.

Il socio raccattò delle forbici per spacchettare l’imballaggio: «Ah, tranquilla! È stato praticamente regalato. La commessa del negozio di elettronica mi doveva un grosso favore», la rassicurò vago mentre, recuperato anche un metro, prendeva le misure per installarlo sul mobile predisposto.

Un sopracciglio s’inarcò giudicante: «Ah sì? Che tipo di favore?», lo incalzò subito la ragazza, accavallando le gambe, sorreggendosi il mento con le nocche di una mano e scrutando attentamente ogni sua movenza ed espressione facciale.

Ryo la sbirciò reprimendo uno sbuffo. Quando esternava la sua inconfessabile gelosia non sapeva più se temerla o sentirsi imbrogliato. Nessuno si era mai interessato a lui con tanta cocciutaggine e perseveranza quanto quella mina vagante. E senza alcuna ragione. Erano unicamente compagni di lavoro, dopotutto.
«Qualche anno fa l’ho aiutata a liberarsi di un corteggiatore particolarmente assillante», le rivelò senza lasciar trasparire alcuna doppiezza. Ironico detto da lui, ma stavolta era la pura verità. Poco gli importava che quella malfidata la pensasse diversamente.

«Beh, comunque potevamo starcene anche senza tv per un po’. Non sarebbe crollato il mondo», concluse con ineccepibile razionalità Kaori, risparmiando ulteriori commenti. Non voleva dargli la soddisfazione di vantarsi per quell’acquisto, anche perché in fondo si sentiva ancora un po’ in colpa per esserne stata la causa scatenante.

«Scherzi? L’altro ieri avevo appena raggiunto l’ultimo livello di Sweeper game33! E stavo anche battendo il mio stesso record!», ribatté accanito il collega, armeggiando con cavi e telecomandi per assicurarsi che fosse tutto funzionante per riprendere la sfida videoludica. «Wow! Guarda che colori! Con questo schermo la risoluzione grafica è molto più definita!», esultò entusiasta, sedendosi a poche spanne dall’apparecchio.

La rossa si massaggiò le tempie, scoraggiata e snervata. Aveva voluto proporre a quel debosciato di fare qualcosa di diverso per svagarsi, per trascorrere un po’ di tempo insieme in un contesto estraneo rispetto alle loro mura domestiche, anche per fargli capire che non si era soffermata a rimuginare su ciò che aveva scoperto. In quei giorni si era detta che stava anche a lei cambiare atteggiamento, mostrarsi più disinvolta e propositiva.
Ma non c’era proprio verso di spuntarla contro la sua attitudine a schivarla.

«Quindi deduco che per stasera non se ne farà niente», mormorò imbronciata, alzandosi e mettendoglisi di fronte, i gomiti poggiati contro il ripiano su cui aveva trovato spazio il nuovo elettrodomestico.

«Uh?», mugugnò sbadatamente lui, continuando a pigiare freneticamente i comandi del controller per non perdersi neppure un obiettivo di quel combattimento virtuale.

«La nostra uscita, il cinema …», gli rammentò con disillusione Kaori, avvertendo un pizzicore alla gola. Non l’avrebbe certo pregato.

Il socio mise in pausa il videogame e si alzò lesto dal cuscinone su cui si era piazzato: «Magari un’altra volta», ammiccò laconico, piegandosi sulle ginocchia e cercando qualcosa in un sacchetto lasciato sul parquet.

«Uffa! Porca miseria! Non ti va mai di fare niente con me!», sbottò a quel punto la giovane complice con accaloramento, raggiungendo con quell’urlo tonalità acute e inopportunamente, quanto inconsapevolmente, stimolanti per qualcuno lì in basso.

Fortuna che lui ci si era assuefatto. Ryo espirò lentamente, la fronte solleticata da una gocciolina di sudore. Kaori e la sua ignara provocante dolcezza. Forse Mary ci aveva visto giusto. Non era ancora pronto a separarsi da lei. Stava bene in sua compagnia, senza nessuno squallido doppio fine.

Terminò di collegare i fili e si voltò verso di lei, porgendole un altro joypad con un buffetto canzonatorio sul naso: «Guarda che qui non potrai usare la tua tecnica del proiettile rimbalzante».

Gli occhi nocciola della ragazza ebbero un attimo di titubanza, prima di sciogliersi in un amabile sorriso di resa: «Non è detto. È una tecnica molto efficace, sai?»



1Chiba: è una città ad un'ora di treno circa da Tokyo, famosa per le belle spiagge.
2 Tantei shōsetsu: espressione con cui si indicano i romanzi polizieschi in Giappone.
3Sweeper game: si può vedere Ryo giochare a questo videogame sia nell'anime sia nel manga nella prima tavola della storia "Una luce tra i grattacieli".
* Con mio stupore, dopo aver pensato a questa sciocchezzuola per la trama, mi sono accorta che effettivamente il televisore disegnato da Hojo visibile nel soggiorno dell'appartamento cambia tra l'episodio di Mary e quello successivo che si apre con l'arrivo della pilota Shoko O,o

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