In due di Fanny Jumping Sparrow (/viewuser.php?uid=60955)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I – Estranei ma non troppo ***
Capitolo 2: *** II – Regole di convivenza ***
Capitolo 3: *** III – Pensieri proibiti ***
Capitolo 4: *** IV - Risvegli traumatici ***
Capitolo 5: *** V - Ospiti indesiderati ***
Capitolo 6: *** VI - Un sabato sera alternativo ***
Capitolo 7: *** VII - Insieme ... per finta ***
Capitolo 8: *** VIII – Detestabili abitudini ***
Capitolo 9: *** IX – Qualcosa è cambiato? ***
Capitolo 1 *** I – Estranei ma non troppo ***
Salve gente :)
Ritorno a scrivere su questo mitico fandom, spinta dalla ritrovata
ispirazione per questi personaggi, proponendovi stavolta una raccolta
di one-shot fra loro slegate ma tendenzialmente di successione
cronologica, affrontando alcuni missing moments, con i toni della
commedia e dell'introspezione.
Nello specifico questo primo capitolo mi è stato ispirato
dalla brusca cesura tra l'episodio della morte del buon Hideyuki e il
trasferimento di Kaori nell'appartamento di Ryo.
Ho immaginato che fra i due potesse esserci qualche altro momento di
confronto e riflessione.
Non dilungandomi oltre, vi saluto ricordandovi che commenti, critiche e opinioni sono sempre graditi.
Alla prossima!)
ps. Chiedo scusa per eventuali somiglianze con altre ff già pubblicate gli scorsi anni.
I
– Estranei ma non troppo
Non
c’era niente di superfluo, niente fuori posto in quel modesto
appartamento pulito e accogliente, arredato con gusto sobrio e
funzionale. Ogni più piccolo dettaglio, dai mobili privi di
fronzoli alle tende di un tenue color rosa antico, dalle foto
incorniciate sparse sugli scaffali alle consunte pattine lasciate sulla
soglia d’ingresso, dal fresco profumo di detersivo per il
bucato all’invitante odore di cibo tradizionale, emanava una
sensazione di calore e di genuinità, di condivisione di
valori semplici e autentici. Ogni oggetto racchiuso tra quelle mura
rifletteva un vissuto colmo di sapori, ricordi e sentimenti a lui
pressoché ignoto, che gli incuteva un penetrante senso di
disagio, mescolandosi al rammarico.
Non era riuscito a
salvare l’unica persona al mondo con cui negli ultimi anni
avesse instaurato un rapporto significativo, il suo socio, il suo
migliore amico, l’unico che potesse definire tale nella sua
travagliata esistenza priva di affetti duraturi.
E adesso che si
trovava a casa sua, dove di rado era entrato in passato, e riusciva a
percepire perfino l’aroma del suo scadente dopobarba che
ancora aleggiava nell’aria, la consapevolezza che Hideyuki
Makimura in realtà per lui fosse quasi un estraneo gli
torceva ulteriormente le budella.
Di colpo Ryo Saeba
cominciò a sentirsi uno sgradito intruso e
avvertì il bisogno urgente di fuggire lontano, magari in
qualche posto vicino al mare, per cercare di alleviare quel senso di
impotenza e di rimorso che gli opprimeva il petto. Ma erano trascorsi
minuti e non riusciva ancora a decidersi ad andare via da
lì. Gli pareva che le scarpe gli si fossero inchiodate al
pavimento, forse perché si sentiva colpevole per quanto era
accaduto al suo collega o forse perché non voleva che la sua
amata giovane sorella si sentisse completamente sola nel suo dolore.
Pur conoscendo il loro forte legame, non poteva comprendere a pieno
cosa significasse per lei averlo perduto così, brutalmente e
prematuramente.
Non aveva termini di
confronto, d’altra parte lui non aveva mai avuto una vera
famiglia. Ed era stato talmente addestrato a sopprimere le emozioni da
essere diventato incapace di esternarle, tuttavia pensò che
fosse giunto il momento di lasciarla libera di sfogare la sua
sofferenza, che la sua presenza la stesse costringendo a trattenere
ciò che la sua indole femminile avrebbe dovuto manifestare
naturalmente.
Il fatto che invece
lei fosse rimasta così silenziosa e non si fosse abbandonata
ai singhiozzi e alle lacrime gli faceva formicolare una strana
inquietudine. Se fosse scoppiata a piangere, avrebbe almeno potuto
tentare di consolarla in qualche modo, anche se in verità
non era poi così bravo con le parole. Non aveva neanche
fazzoletti a portata di mano e forse un abbraccio sarebbe stato troppo
indiscreto.
«Mi
occuperò io del funerale. Di tutto quanto»,
mormorò evasivo, riuscendo finalmente a trarsi
d’impaccio, dando le spalle alla giovane orfana che aveva
promesso al fratello di proteggere e che, a sua volta, si era detta
disposta ad aiutarlo a vendicarne la morte.
Aveva ammirato la
sua audacia, ma non poteva permetterglielo davvero, o avrebbe infranto
il giuramento che il suo amico gli aveva strappato nel suo ultimo
drammatico refolo di vita. Era così giovane e innocente e
tale sarebbe dovuta rimanere.
Lei mosse un passo
incerto verso di lui: «Dove si trova adesso? Vorrei
vederlo», bisbigliò misurata, le labbra tirate in
dentro a soffocare il profondo turbamento che rendeva rallentati i suoi
riflessi.
Ryo si
voltò e rimase qualche secondo a osservare quel visino
pallido su cui spiccavano due grandi occhi lucidi, restando
meravigliato dal suo atteggiamento fermo e composto che denotava una
notevole forza interiore. Ma non volle mettere ulteriormente alla prova
la sua resistenza. Poteva sentire ancora il corpo crivellato di colpi
del suo amico accasciarsi esanime tra le sue braccia, l’odore
della polvere da sparo e del sangue rappreso misto alla pioggia che gli
aveva infradiciato il lacero cappotto. No, non era il caso che quella
tenera ragazza serbasse per sempre quell’immagine straziante
nel suo cuore. Aveva volutamente taciuto di rivelarle troppi dettagli
su come fosse stato ucciso.
«Ricordalo
com’era. Anche lui avrebbe voluto così»,
le intimò lapidario, cercando di smussare
l’asprezza del suo tono nel ricordare quella fine ingiusta.
Kaori
annuì, una piccola lacrima silenziosa le sfuggì
dalle ciglia, solcandole una guancia e a lui parve di poterci annegare.
Doveva allontanarsi.
«Rimarrò
di guardia in macchina, se mai qualche bastardo della Union Teope
dovesse azzardarsi a venire a trovarti», la
informò sbrigativo, iniziando a dirigersi alla porta.
«Resta
… resta qui. Per favore», mormorò
d’impeto la ragazza. La sua voce flebile ma decisa lo
raggiunse come una lama sottile, dritta nel costato.
Ryo la
guardò di sottecchi, un po’ combattuto
sull’accettare o meno, sciogliendosi immediatamente di fronte
al triste sorriso supplice che gli inviò. Non poteva opporsi
ad esaudire quella sua richiesta dolcissima e pregna di sconforto. In
fondo il suo istinto gli suggeriva che non sarebbe riuscito davvero ad
andarsene, ma il suo orgoglio e la sua poca confidenza volevano che
fosse lei a chiedergli esplicitamente di rimanere.
Si avvicinò
discreto alla tavola imbandita da una ricca varietà di
pietanze il cui aroma prelibato gli aveva già stuzzicato le
narici ancora prima di aver varcato la soglia. Al centro spiccava anche
una bella torta di compleanno, le cui candeline sarebbero rimaste
mestamente spente. Non poté fare a meno di considerare che
il suo arrivo, come una sciagura, avesse frantumato
quell’atmosfera di schietta armonia domestica che regnava
nella vita del suo collega e in quella della sua amata sorella. Era
stato ancora una volta portatore di sofferenza e lutto. Doveva essere
una maledizione, la sua.
Conosceva appena
quell’uomo schivo e misterioso che condivideva con suo
fratello una quotidianità scandita dalla coraggiosa lotta ai
crimini che si consumavano nei bassifondi della città,
eppure per qualche inspiegabile ragione la sua sfuggente presenza le
infondeva sicurezza, conforto, gratitudine. In altre circostanze non
avrebbe mai desiderato di restare da sola in compagnia di un soggetto
così losco, ma ora sentiva che lui era l’unica
persona in grado di capire quale indicibile angoscia le stesse
straziando l’anima, anche se era riuscita a dissimularlo.
Purtroppo era
cosciente che, svolgendo quel mestiere, Hideyuki affrontasse ogni
giorno pericoli mortali e che avrebbe dovuto mettere in conto
l’eventualità che, prima o poi, non tornasse
più, ma la sua indole ottimista si rifiutava sempre di
lasciarsi scoraggiare da quei brutti pensieri.
Strinse al petto il
piccolo cofanetto con l’ultimo suo regalo,
quell’anello che aveva comprato per lei chissà
quando e con quali sacrifici, ricacciando un grumo amarissimo di
saliva, mentre i polmoni le bruciavano al pari delle tempie.
A Saeba voleva
dimostrare di essere forte, che se la sarebbe cavata anche da sola, ma
non era vero, e quasi non si era accorta di averlo invitato a rimanere
con lei. Le sillabe si erano fatte strada da sole, ne aveva ascoltato
il suono leggermente incrinato dagli ansiti che tratteneva a fatica
come se provenisse da un’altra bocca.
Il socio di suo
fratello si era seduto a tavola e aveva esaminato pensieroso ogni
portata da lei preparata con apparente interesse, ma non aveva osato
toccare nulla. Sembrava tanto stanco e triste, nonostante il suo
sguardo fosse quasi inespressivo. Doveva essere scioccato quanto lei da
quanto era accaduto, non aveva neppure finto di consolarla.
Sentendosi da lei
osservato con una certa indiscrezione si decise finalmente a spiccicare
un noncurante: «Ti dispiace?», ammiccando alle
cibarie che giacevano intonse da quando ore prima aveva apparecchiato.
Kaori cercò
di mettere a suo agio quell’ospite taciturno, anche se lei
stessa provava una certa soggezione nel parlargli, temendo di
sembrargli sciocca o inopportuna: «Ma no. Mi spiace solo che
ormai si è tutto freddato, ma se hai la pazienza di
aspettare un paio di minuti, posso riscaldarlo», si
premurò di reagire, accingendosi a ravvivare i fornelli, ma
si fermò notando con la coda dell’occhio che lui
aveva già inforcato due bacchette e si era avventato sul
primo piatto di ramen, con la voracità di chi non toccasse
cibo da giorni.
La ragazza si sedette
di fronte a lui, appoggiando il mento su una mano: «Hideyuki
mi aveva accennato che sei un buon gustaio …» si
lasciò scappare sottovoce, imprimendosi
un’espressione sbalordita quando gli vide spazzolare in pochi
secondi anche due porzioni abbondanti di sushi e sashimi, chiedendosi
se riuscisse almeno a sentire il sapore di ciò che stava
divorando.
«Perciò
hai cucinato per un reggimento?», masticò Ryo,
inghiottendo rumorosamente in un solo boccone un grosso onigiri. Si
pentì subito dopo di quell’ironica osservazione,
giacché era evidente che la ragazza avesse profuso tutto il
suo amore e la sua abilità nel preparare quella squisita
cena, magari pensando anche ad allietare il suo palato, sapendo che
sarebbe stato loro ospite a quella che avrebbe dovuto essere una
tranquilla festicciola.
«È
che la tensione mi apre sempre l’appetito», si
discolpò lievemente imbarazzato, malgrado lei non sembrava
essersi offesa più di tanto, porgendole, per scusarsi della
sua ingordigia, una bacchettata di riso al curry, con un mezzo sorriso
incoraggiante.
«A me invece
si chiude lo stomaco», rifiutò gentilmente la sua
offerta Kaori, cominciando ad avvertire una leggera nausea pervaderle
le viscere nel notare degli schizzi cremisi sul suo spolverino
sforacchiato, che non aveva neanche avuto l’accortezza di
togliersi prima di sedersi a tavola e cominciare a mangiare. Qualche
minuto prima si era limitato a dirle che aveva già
“sistemato” il mafioso mandante
dell’omicidio di suo fratello, ed ora le fu più
che chiaro cosa intendesse con quella laconica frase. La disinvoltura
con cui riuscisse a condurre quello stile di vita la fece rabbrividire.
Lo sweeper non
insistette perché si unisse a lui in quel lauto pasto, pur
ammonendola: «Però rammentati che quegli stronzi
là fuori ci stanno cercando. Devi mantenerti in forze, in
caso dovessimo essere costretti a scappare da un momento
all’altro», asserì sorseggiando un
bicchiere di birra. «Mica posso portarti sempre sulle
spalle».
Ryo si
mozzicò la lingua non appena ebbe finito di pronunciare
quella battuta, temendo di aver sproloquiato, mentre la ragazza
strabuzzava i begli occhi castani, stranita e intimorita:
«Come?»
Le sue guance
s’infiammarono all’istante, ma poi si disse che lui
non poteva ricordarsela sul serio, erano passati più di
cinque anni e all’epoca di quel loro primo incontro neanche
aveva capito che fosse una femmina, scambiandola per tutto il tempo per
un ragazzino. E lei era certa di non aver fatto nulla per dargli motivo
di dubitarne … però adesso le venne il sospetto
che magari, mentre era svenuta in macchina, potesse aver
visto qualcosa ... Ad ipotizzare quella possibilità, Kaori si sentì invadere dalla vergogna e dalla
rabbia, ritrovandosi a tremare sensibilmente.
«Me
l’ha raccontato Hide, che a volte ha dovuto portarti lui sul
groppone, perché eri troppo esausta per
camminare sulle tue gambe», proruppe con accento macchiato di scherno Ryo, sbirciandola da dietro la scodella di udon,
speranzoso di essere riuscito a districarsi da quel non voluto equivoco.
I nervi della ragazza
parvero rilassarsi e anche la sua aura ostile si stemperò:
«E cos’altro ti ha raccontato di me?»,
incrociò le braccia lanciandogli un’occhiata
timida e permalosa, le labbra imbronciate, le pupille sagaci e un
adorabile rossore ad imporporarle le gote.
Il consumato
seduttore, cui bastava sfoderare uno sguardo da duro per far crollare
ai suoi piedi miriadi di donne, sentì sgretolarsi per un attimo
tutta la sua determinazione. La sorellina del suo amico era diventata
anche più graziosa di quanto già non lo fosse da
adolescente, ma lui doveva comportarsi da ineccepibile protettore, non
poteva permettersi di lasciarsi fuorviare da certi pensieri fuori luogo.
«Niente di
particolare», glissò scrollando le spalle con
naturalezza, tacendole quanto spesso Maki, commovendosi dietro le sue
lenti spesse, avesse tessuto le sue lodi, descrivendola come una
ragazza sveglia, affettuosa e responsabile, col difetto di essere solo
un po’ troppo caparbia e precipitosa, impensierendolo per
certe situazioni azzardate in cui si era cacciata talvolta.
«E lui di
me cosa ti ha detto?», le domandò con un
involontario sorrisetto sornione ad accendergli quegli occhi neri e
liquidi come inchiostro.
Kaori
gonfiò le guance, facendo uscire uno sbuffo annoiato:
«Niente di interessante», mentì svelta,
mantenendosi sul vago, esattamente come aveva fatto lui, pur rimarcando
con il suo tono la sua estraneità e il suo disinteresse nei
suoi riguardi.
Maki, quando lei, dopo
aver scoperto che lavoravano insieme, gli aveva esposto i suoi dubbi
circa quella frequentazione, sistemandosi gli occhiali sul naso
l’aveva sempre rassicurata descrivendolo come un uomo leale e
di sani principi, un professionista serio e affidabile,
all’occorrenza spiritoso, che aveva un unico grande tallone
d’Achille, ossia le donne, alle quali non riusciva proprio a
resistere, rendendosi spesso molesto.
Per quanto
effettivamente fosse proprio un bel tipo e avesse un modo di fare
abbastanza intrigante, lei giurò a se stessa che di certo
non ci sarebbe mai cascata. Innamorarsene era fuori discussione,
specialmente se avrebbero dovuto lavorare insieme.
«Ma dimmi
…. Il fidanzato ce l’hai?»
Saeba ruppe quella
già palpabile tensione scagliando distrattamente quella
domanda così personale, senza una ragione comprensibile.
Per poco Kaori
sputò l’acqua che aveva appena bevuto:
«Eh? Perché ti interessa?», esclamò
allarmata, alzandosi di scatto come se la sedia sotto il suo sedere
scottasse.
Lui la
scrutò intensamente, impassibile come un pezzo di ghiaccio:
«Rispondimi», la incitò secco, tirando
fuori dal taschino dell’impermeabile la pistola e
appoggiandola sul tavolo.
La ragazza fremette
alla vista di quel lucente pezzo di metallo, sdegnata oltretutto dal
sentore che quel bell’imbusto, nonostante ostentasse
serietà, ci stesse provando anche con lei e addirittura la
minacciasse per farla sbottonare.
«No, non ce
l’ho!», gridò quasi, in preda
all’agitazione, «Non ho più
nessuno», balbettò poi rattristata, abbassando la
fronte.
Ryo si
alzò, dirigendosi verso una poltroncina che aveva
adocchiato, su cui si sistemò, sempre con la sua Phyton in
pugno: «Ottimo. Una potenziale vittima in meno a cui
badare», sostenne riacquistando la sua proverbiale
professionalità, che conferì ai suoi lineamenti
l’apparenza di una maggiore durezza e maturità.
Kaori tornò
a respirare con maggiore calma, insultandosi mentalmente per essere
stata così suscettibile. Avrebbe dovuto imparare a fidarsi
di più di lui, in fondo lo aveva già fatto la
prima volta in cui l’aveva tratta in salvo, lo aveva potuto
vedere in azione, sapeva quanto fosse abile e ligio al dovere, malgrado
la pessima fama che lo accompagnava.
E poi era pur sempre
stato il partner di suo fratello. Non era un completo estraneo.
La sua attenzione
finì improvvisamente sulla torta di compleanno, che neanche
il suo affamato ospite aveva osato assaggiare, e di nuovo un magone le
strinse la gola. La testa pulsava e girava, cominciava a
sentire le ginocchia cedere allo stress di quella lunga e orribile
giornata, che avrebbe tanto voluto cancellare e dimenticare.
«Adesso
va’ a riposare», la esortò benevolmente
Ryo, accorgendosi che era rimasta in piedi ma vacillava, come se
stesse per svenire da un secondo all’altro.
«Ci
proverò», bisbigliò lei, congedandosi
con un composto cenno di assenso.
Ryo allungò
il collo, vedendo svanire speditamente la sua figura aggraziata tra le
ombre del corridoio, chiedendosi con un certo scombussolamento se
sarebbe stato opportuno tenerla accanto a lui come protetta e rimpiazzo
del suo perduto collega, o se invece non avrebbe fatto meglio a
considerarla soltanto una delle tante clienti di passaggio.
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Capitolo 2 *** II – Regole di convivenza ***
Salve gente :)
Rieccomi con un nuovo
capitolo/one shot, questa volta collocata ipoteticamente tra il giorno
successivo all'arrivo di Kaori nell'appartamento che d'ora in avanti
condividerà con Ryo e prima dell'episodio (del manga) "La
trappola del generale".
Come alle solite, avevo
già scritto degli scambi di battute tra i due che avevo
pensato di inserire qui, ma alla fine ha prevalso la vena introspettiva
e, per evitare di dilungarmi troppo, ho deciso di trasportarle alla
prossima shot che spero di non tardare a concludere.
Mi auguro anche di non
essere sfociata nell'OOC nel tracciare questi loro primi approcci, in
cui comunque ho notato come anche Hojo li tratteggi un po'
più rilassati e soprattutto istintivi: insomma sono ancora
in una fase di reciproca osservazione ^.^
Ringrazio di cuore tutti
coloro che hanno letto silenziosamente, chi ha inserito la storia tra
le seguite/preferite/ricordate e in particolare chi ha anche voluto
spendere un po' di tempo per lasciarmi un commento: ne tengo sempre
molto conto!
Augurandovi un buon fine
settimana, vi lascio alla lettura.
A presto!)
II
– Regole di convivenza
Si svegliò con le guance umide e un denso
sapore di sale tra i denti. Le lacrime che aveva soffocato per tre
giorni e che era riuscita a trattenere perfino davanti la bara di suo
fratello, durante quella cerimonia intima e deserta, erano infine
sgorgate nel mezzo dei sogni confusi e travagliati di quella notte, la
prima trascorsa lontano da casa.
Il chiarore nascente dell’alba s’infiltrava tra le
tapparelle, illuminando a strisce la parete di fondo della sua nuova
camera da letto. Si girò sulla schiena, stiracchiandosi e
stropicciandosi le palpebre appiccicaticce, cercando tastoni la foto
che aveva tenuto stretta sotto il cuscino. In cuor suo sapeva che non
avrebbe mai potuto superare del tutto quella fitta che le opprimeva il
petto ogni qual volta il ricordo della sua vita passata sarebbe tornato
a bussare, ma non voleva più scoraggiarsi: d’ora
in poi si sarebbe servita di quel dolore e di quella rabbia per aiutare
altre persone sfortunate, continuando la missione per la quale lui era
stato ucciso.
Aveva già avuto un primo assaggio di cosa significasse
vivere al fianco di un uomo costantemente impegnato a combattere il
crimine durante quel movimentato viaggio in autobus. Era intervenuta in
prima persona ed aveva risolto con successo quasi tutto da sola,
perciò aveva capito che avrebbe potuto riuscirci, che col
tempo sarebbe diventata una degna sostituta di Maki.
Fortificata da questa rinnovata fiducia nel futuro e nelle sue
capacità, Kaori scostò le coperte, si
alzò dal materasso e si allacciò la vestaglia,
schiudendo le imposte per far entrare l’aria fresca e i raggi
tiepidi del sole mattutino. Sperò che l’unico
bagno a disposizione fosse libero e di non trovarci dentro il suo
coinquilino, perché avrebbe avuto proprio bisogno di una
bella doccia per rimettersi in sesto e cominciare bene la giornata.
Stava per uscire quando notò un foglietto di carta per
terra, proprio vicino all’uscio. Lo raccolse incuriosita,
leggendo le righe scritte con una calligrafia spigolosa: “Dovevo fare qualche giro.
Fa’ come fossi a casa tua. Ryo”.
Lo chiamò un paio di volte, ottenendo risposta solo dal
silenzio, accertandosi che effettivamente non c’era. Non
volle dare molto peso all’amara considerazione di essere
stata lasciata da sola, nonostante quei malviventi che li minacciavano
fossero capaci di tutto, perché quelle ultime parole, anche
se probabilmente erano solo parole di circostanza, in qualche modo
furono capaci di farle tendere le labbra in un timido sorriso
rasserenato. Era l’inizio di un nuovo giorno e anche di una
nuova vita.
C’erano ancora degli scatoloni da disfare, quel disordine la
faceva sentire nervosa, fuori posto. Avrebbe cominciato da quelli e poi
si sarebbe dedicata a sistemare il resto di quell’abitazione
che avrebbe dovuto imparare a considerare anche sua.
Si affrettò a docciarsi e a fare una leggera colazione con
una tazza di latte freddo e biscotti che consumò in piedi,
per evitare di contaminarsi con la patina di sporco che insozzava il
tavolo, dopodiché si rimboccò le maniche e
tornò nella sua camera, cominciando ad ordinare vestiti e
altri suoi oggetti personali tra armadi e cassettiere, con un criterio
ben definito, conservando per ultimo il cofanetto con
l’anello regalatole da Hideyuki in fondo ad un cassetto del
comodino. Contenta del ritrovato ordine, passò dunque alla
parte più impegnativa che consisteva nel tentare di rendere
più vivibili quegli spazi, dato che al piano di sotto si
trovavano degli ambienti in comune in cui anche lei, nolente o volente,
avrebbe dovuto coabitare con quel Saeba.
La sera prima era filata dritta nella camera che lui le aveva indicato
e non si era soffermata più di tanto ad ispezionare ogni
angolo, ma ad una rapida occhiata aveva già potuto appurare
la confusione e la sporcizia dominanti, tipiche del covo di uno scapolo
scansafatiche allergico alle faccende domestiche.
Scendendo le scale e guardandosi attorno, Kaori costatò che
era un appartamento luminoso e spazioso, il che avrebbe limitato le
situazioni di promiscuità, ma anche freddo e dispersivo,
quasi come se fosse disabitato. L’arredamento era anonimo e
spartano, impersonale, e non c’erano quadri, né
foto o soprammobili a dare qualche tocco di calore umano. Somigliava
quasi al rifugio di un latitante. In compenso, a testimonianza dello
stile di vita sregolato del suo proprietario, bottiglie e lattine vuote
di birra, cartoni di cibo da asporto, cicche di sigaretta, quotidiani e
giornaletti per adulti giacevano qua e là, e il lavello
della cucina era colmo di bicchieri e piatti dimenticati che
imploravano di essere lavati da chissà quanti giorni, mentre
in frigorifero sostavano residui di cibo avanzato il cui tanfo avrebbe
potuto competere con una bomba chimica. Il parquet di legno chiaro che
ricopriva il pavimento era inoltre scalfito e macchiato in
più parti di chiazze untuose non meglio definite e sulla
cui origine non volle interrogarsi.
«Ahimè, qui ci vorrebbe una
disinfestazione!», valutò sconcertata ad alta
voce, imbattendosi perfino in dei calzini maleodoranti abbandonati
sotto il tavolino del salotto, adornato unicamente di un vecchio divano
a due posti e di un piccolo televisore.
Per fortuna lei era stata tanto previdente da portarsi appreso tutto
l’occorrente per le pulizie, così si
armò di pazienza e di buona lena, di guanti, detersivo e
disinfettante, cominciando a sgrassare il ripiano cottura e le
mattonelle, a raccogliere tutta la roba da destinare alla spazzatura e
quella da mettere in lavatrice, a spolverare gli scaffali e a spazzare
via le ragnatele. Trovò una radiolina e poté
almeno svagarsi con un po’ di gradevole musica pop mentre
portava avanti quelle noiose mansioni.
Dopo poco più di un paio d’ore poteva dirsi
soddisfatta del risultato ottenuto, le rimaneva soltanto da passare lo
straccio per completare l’opera, ma un pensiero dispettoso
cominciò a solleticarle la mente. Aveva rovistato in tutte
le stanze, tranne che in
una, forse per timore, forse per discrezione. La sua.
Lui a quell’ora sarebbe potuto rientrare da un minuto
all’altro, almeno così si aspettava, non volendo
considerare alternative meno rassicuranti. Temeva un po’ di
essere colta in flagrante a ficcanasare e di essere tacciata di
invadenza, ma la tentazione a quel punto era troppo forte. Avrebbe dato
solo una sbirciata veloce, tanto per soddisfare la sua
curiosità, si convinse dopo alcuni secondi di esitazione,
mollando il bastone del mocio, spegnendo la radio, e avanzando in punta
di piedi sulla rampa che conduceva all’ultimo piano.
La porta non era chiusa a chiave, girò la maniglia cercando
di farla cigolare meno possibile, sempre con l’orecchio teso
ad eventuali rumori dal piano inferiore. Le tende erano mezze alzate,
facendo entrare appena uno spiraglio di luce, l’aria era
viziata da un pungente odore frammisto di sudore, fumo e polvere da
sparo. Oltre ad un letto da una piazza a mezzo con le lenzuola
disfatte, posto quasi al centro della stanza, c’era anche uno
scialbo divano addossato ad un muro, su cui erano sparpagliati
giornaletti, cartacce e qualche bottiglia scolata. Dentro
l’armadio erano appese poche giacche di modello sportivo,
tutte sgualcite, e qualche paio di pantaloni piegati in malo modo e
mescolati a calze e scarpe. Anche tra quelle cose non scorse alcun
rilevante indizio di un qualche legame affettivo. Sulle pareti, di
contro, campeggiavano immagini di procaci modelle seminude in pose
molto esplicite, da cui distolse subito lo sguardo, arrossendo di
vergogna. Sembrava la camera di un adolescente in piena tempesta
ormonale!
Il suo imbarazzo raggiunse il culmine quando si accorse che dal
cassetto del comodino fuoriusciva un triangolino di stoffa di pizzo.
Approfittando d’indossare ancora i guanti, si
azzardò a frugare, trovando un gran numero di mutandine
femminili, di diversa foggia e colore, ma più o meno tutte
della stessa misura. Con le guance in fiamme si domandò se
appartenessero tutte quante alla stessa donna o se piuttosto non
fossero della sorta di trofei, rispondendosi subito dopo che alla fin
fine non era una questione che la riguardava. Quell’individuo
doveva essere davvero un depravato, ma era anche un uomo adulto e
libero di vivere le sue avventure con chi gli pareva. A patto che non
si fosse intrattenuto con qualcuna di quelle compagnie in sua presenza,
acconsentì con forzata indulgenza e uno strano sapore
amarognolo in bocca, uscendo in fretta con la preoccupazione di essere
sorpresa lì dentro al suo arrivo.
Ritornò al piano inferiore e si apprestò a finire
di lavare il pavimento, non potendo arrestare il corso del suo
galoppante rimuginare. Anche Hideyuki era trasandato e molto sbadato,
non fosse stato per lei certe volte avrebbe perso perfino gli occhiali
pur avendoceli sul naso, ma il caos squallido che regnava tra quelle
mura era diverso; oltre a disgustarla, per qualche imperscrutabile
ragione, la turbava. Non c’erano tracce di un passato o un
presente che si discostasse dal suo lavoro o dalla sua ossessione per
le donne. Forse si stava facendo suggestionare troppo, quel Ryo Saeba
doveva essere semplicemente un impenitente donnaiolo, un uomo solitario
e privo di interessi. O magari il frenetico e rischioso mestiere di
giustiziere non gli dava modo di coltivare passatempi leggeri o
relazioni lunghe.
Con un po’ d’inquietudine, Kaori si
augurò vivamente di non diventare anche lei così,
riaccendendo la radio e distraendosi con le note di una ritmata canzone
rock, che la allietò nel portare a termine le ultime passate
di straccio.
Risaliva quel gran numero di gradini a passo sostenuto, i sensi vigili
e i nervi pronti a scattare al minimo sentore di un qualche segnale di
pericolo. Quel palazzo era il posto più sicuro che
conoscesse, ma non poteva escludere che chi lo voleva eliminare potesse
individuare dove si nascondesse. Dopotutto aveva messo a soqquadro il
rinomato Silky Club e aveva sottratto una valigia con diversi milioni
di yen. La potente e spietata organizzazione criminale cui si era
opposto aveva innumerevoli risorse, avrebbe potuto corrompere chiunque
per lavare l'onta dello smacco subito. Sembrava che le acque si fossero
calmate, ma lui non si sentiva affatto tranquillo, nonostante i suoi
più fidati contatti non gli avessero spifferato alcuna
informazione di rilievo e non avesse avvertito nessuno pedinarlo
durante i vari sopralluoghi che aveva compiuto nelle ultime ore.
Un incontro aveva tirato l’altro, e lui aveva fatto
più tardi di quanto non si fosse prefisso, si
rimproverò, il respiro stretto dalla morsa del rammarico e
da una leggera ansia.
Le aveva raccomandato di non aprire a nessuno e di non uscire da
lì per nessun motivo, ma rammentava sin troppo bene quanto
fosse avventata e testarda quella ragazza. Maki se ne disperava spesso,
e lui non aveva dimenticato la primissima volta in cui si erano
incontrati, né quando era andata ad invischiarsi in quella
spregevole faccenda di rapimenti, volendo indagare per conto suo. E la
mattina precedente su quell’autobus si era improvvisata a
diventare l’eroina della situazione, pur non avendo alcuna
esperienza con le armi da fuoco e rischiando di fare una strage.
Pur avendola segregata in casa, era certo che, irrequieta
com’era, sarebbe stata capace di ingegnarsi per trovare
qualche via di fuga. Se le fosse successo qualcosa, non si sarebbe
perdonato di fallire ancor prima di cominciare a proteggerla. La ferita
della perdita del suo amico era ancora troppo fresca, non avrebbe
sopportato un’altra sconfitta del genere. D’altra
parte la sera prima l’aveva sorpresa a piangere, quindi forse
sarebbe stata troppo provata dallo sconforto per commettere qualche
colpo di testa. O magari l’avrebbe commesso proprio sospinta
da quel movente.
Tribolato da tali pensieri, Ryo inserì la chiave nella
toppa, appurando con sollievo che non fosse stata scassinata.
Oltrepassando la soglia inciampò in un grosso sacco nero che
gli restituì un clangore di vetro e metallo, ma non ebbe
tempo di interrogarsi sul suo contenuto perché fu distratto
dal riecheggiare di una melodia allegra che pareva provenire da un
piccolo altoparlante. Continuò ad avanzare verso il salone
scorgendo infine la sua ospite dimenarsi tutta indaffarata. Indossava
canotta, pantaloni di tuta e guanti di gomma e reggeva uno scopettone
che faceva scivolare sulle assi del pavimento, lindo e brillante come
non era mai stato neanche quando lui era andato ad abitare
lì.
Si mosse piano, cercando gradualmente di inserirsi nel suo campo
visivo, preparandosi a subire qualche sua legittima reazione dettata
dallo spavento o dalla collera.
Kaori sussultò appena, accorgendosi improvvisamente della
sua presenza: «Ah, sei tornato! Com’è
andata?», lo interrogò spigliata, fermandosi e
andando ad abbassare il volume della radiolina, restando a fissarlo in
impaziente attesa di una risposta.
Quella domanda banale, gettata in maniera così confidenziale
e spontanea, gli fece uno strano effetto e lo disorientò. Si
aspettava che lo avrebbe aggredito per essersi dileguato, nonostante la
seria minaccia che incombeva sulle loro teste. Quella premura gentile
invece gli ricordò immediatamente Makimura e di riflesso
sovrappose il suo volto a quello del suo defunto socio,
benché la somiglianza esteriore tra i due fosse
pressoché inesistente. Per un attimo si domandò
se fosse così avere una sorella, essere accolti da qualcuno
che si preoccupava di lui.
«Ho contattato qualche mio informatore. Si faranno sentire,
se dovessero esserci movimenti sospetti», tagliò
corto, tenendosi sul piano professionale e tralasciando di rivelarle le
sue ipotesi sul come avrebbe potuto concludersi quella spinosa
vicenda. Non aveva ragione di rivelarle che era passato a controllare
il suo precedente domicilio scoprendo che era stato rivoltato da cima a
fondo.
Ad ogni modo, gli parve che lei non lo stesse neppure ascoltando,
impegnata com’era a tentare di scrostare vecchie macchie di
sporco, perciò si accinse ad attraversare la stanza per
raggiungere la cucina, ma la ragazza lo sgridò perentoria:
«Fermati lì! Non farmi pedate!».
Ryo obbedì, rimanendo ad osservarla intontito mentre
blaterava della necessità di comprare cera per pavimenti e
gli raccontava quanto aveva dovuto sgobbare dopo essersi alzata. Per
assurdo, giunse a chiedersi se quello fosse ancora il posto in cui
aveva vissuto finora. Non c’era niente di nuovo, ma
così pulito e sistemato sembrava comunque molto diverso.
Anche Kaori sembrava diversa. I suoi caldi occhi nocciola erano meno
tristi, era più serena e vivace, di buonumore, e il lieve
colorito che aveva acquisito per via di tutto
quell’affaccendarsi la rendeva davvero molto carina ...
Smise di strofinare lo straccio sul pavimento oramai asciutto e gli
andò incontro, affiancandolo: «Quindi sul serio tu
abiti qui, tutto solo?» si risolse a domandargli di punto in
bianco, con un’espressione tra la sbigottita e la perplessa,
rivolta più che altro all’appartamento.
«Già. Tutto
solo», sospirò sconsolato lui, le
spalle incurvate e il muso lungo, stirando un braccio verso la sua
spalla, che però si ritrasse, sbilanciandolo.
«Caspita! Allora l’affitto deve costarti un occhio
della testa!», ipotizzò attonita la ragazza,
rimpicciolendo le pupille.
Ryo balbettò, grattandosi la nuca: «Non saprei
… »
Una smorfia sospettosa e preoccupata arricciò le labbra
della giovane coinquilina: «Non è che sei
abusivo?! Oppure questo è uno di quegli edifici sotto
confisca della polizia che servono agli agenti sotto
copertura?»
Lui non sapeva se sorridere, sbalordirsi per la sua immaginazione o
sentirsi insultato: «Eh? No! Ma cosa vai a pensare? Guardi
troppi film gialli!», commentò non potendo
contenere un risolino divertito, per poi farsi meno beffardo.
«Semplicemente era tuo fratello ad occuparsi di queste cose
burocratiche».
Il viso di Kaori si rabbuiò: «Oh. Certo. Hide non
è mai stato un uomo d’azione»,
bisbigliò con un tenero sorriso, togliendosi i guanti e
passandosi un dito su uno zigomo.
«È morto con una pistola in mano», la
smentì drastico Ryo, ripensando che avrebbe dovuto esserci
lui al suo posto. Quell’idea continuava a perseguitarlo e di
certo non aveva abbandonato nemmeno lei. Distolsero reciprocamente lo
sguardo per qualche secondo.
Fu la ragazza a decretare che era il momento di cambiare argomento:
«Allora, cosa posso fare?» si risolse a domandargli
spiccia, sbarazzando mocio e secchio e portando le mani ai fianchi.
Era chiaro che voleva sdebitarsi della sua ospitalità,
rendersi utile. Si era affaccendata senza sosta per non pensare, per
riempire quel vuoto, impedirgli di scavare troppo a fondo.
Lo sweeper si rese conto che in realtà non sapeva bene come
comportarsi con lei. Aveva dimestichezza con donne di altro tipo,
smaliziate, frivole, consenzienti. Ma quella lì era una
ragazza tremendamente normale, gli occhi limpidi e la faccia pulita,
l’animo candido e ferito. Si convinse che forse
l’unica maniera per non sbagliare era considerarla una specie
di allieva e dunque mantenere un po’ le distanze, anche se
era pur sempre un essere di sesso femminile e già il suo
delicato profumo floreale aveva saturato ogni cosa che lo circondava.
Si allontanò da lei, accomodandosi sul divanetto, poggiando
i piedi sul tavolino di fronte: «Non lo so, per esempio
potresti cominciare a pensare cosa preparare per pranzo?»,
propose con assoluta noncuranza, accendendosi una sigaretta.
Kaori boccheggiò indispettita. Non gli avrebbe permesso di
abusare della sua gentilezza o della sua presunta debolezza. Gli
si avventò contro, tirando giù con uno spintone
le sue gambe da quella postazione, per potergli parlare faccia a faccia.
«Senti, mettiamo in chiaro due o tre regole. Primo: le cicche
vanno nel posacenere, calzini e mutande usate nel bidone della
biancheria sporca, gli altri rifiuti nella spazzatura. Non pretendo che
impari subito, ma gradirei un minimo di collaborazione»,
asserì quasi in un ringhio, strappandogli il mozzicone di
bocca e spegnendolo in una ciotola di vetro. «Secondo: se ho
dato una sistemata a questo porcile, è perché
ormai purtroppo dovrò viverci anch’io. Ma non ho
nessuna intenzione di essere la tua cameriera o la tua mantenuta!
Voglio essere la tua assistente, come lo era mio fratello!»
ribadì stringendo i pugni fino a sbiancare le nocche.
«E terzo: per poter mangiare dobbiamo lavorare!».
Ryo assorbì tutte quelle recriminazioni facendo ricorso a
tutto il suo sangue freddo: «Per il momento non
c’è niente da fare. Dobbiamo aspettare che siano i
gentiluomini della Union Teope a compiere la prossima mossa»,
si limitò a replicare evasivo, alzandosi e sovrastandola con
la sua imponente statura, con lo scopo di farla sentire piccola e
inerme.
Lei però non desistette: «Ma qualcun altro nel
frattempo potrebbe avere bisogno di City Hunter!», gli
gridò dietro incaponita, quando ormai poteva parlare solo
con la sua schiena.
«Se vuoi farti ammazzare, esci pure. Io vado a recuperare un
po’ di sonno», si defilò, salutandola
sprezzante con un gesto della mano, percependo il suo respiro
aggrovigliarsi e diventare rabbioso, ma continuando ugualmente a
percorrere la rampa di scale che conduceva al sesto piano.
La sua grinta e il suo zelo erano encomiabili, era animata da buone
intenzioni, ma era piuttosto ingenua e imprudente, oltre che
completamente estranea alle meschinità di quel sottomondo
che era la criminalità di alto bordo, meditò Ryo
varcando la porta, desideroso di sprofondare sul materasso. Subito
riconobbe che c’era stata un’intrusione.
Le persiane erano più sollevate di una decina di centimetri
rispetto a come le aveva lasciate, il cassetto del comodino non era
più socchiuso e guardando nell’armadio
notò che gli abiti erano stati frugati. Inoltre le
particelle di una dolce fragranza impregnavano l’aria. Non
aveva dubbi: quell’impicciona era stata lì a
curiosare tra le sue cose. Non capì se esserne lusingato o
disturbato. Aveva proprio un bell’ardire: appena arrivata,
già si permetteva di comandare in casa sua!
E adesso, a giudicare da quel rumore metallico, stava armeggiando con
la serratura d’ingresso. C’era da scommetterci che
non si sarebbe arresa alla sua intimidazione. Gettò la
giacca sul letto, sedendosi a riflettere. Sarebbe finita nei guai, da
sprovveduta principiante qual era. Non poteva perderla di vista, era
sotto la sua responsabilità, anche se non era più
minorenne.
Traendo un sospiro snervato, ridiscese a grandi falcate, intercettandola
proprio davanti l’uscio, con gli stivaletti ai piedi e la
borsetta al collo, in palese procinto di sgattaiolare, disobbedendo al
suo precedente ammonimento. La bloccò frapponendo un braccio
tra lei e lo stipite, senza neanche sfiorarla. Era ora che anche lui
ribadisse alcune norme di convivenza.
Kaori si voltò piano, sostenendo il suo sguardo con un
cipiglio impertinente.
«Per collaborare e vivere con me, anche tu dovrai accettare
alcune regole. Uno: non sei ancora pronta ad affrontare da sola feroci
malviventi di quella risma. I ladri che hai battuto ieri erano delle
schiappe» la redarguì tagliente e severo,
sgonfiando la sua supponenza.
«Due: non accetto nuovi incarichi se prima non ho concluso
quelli cominciati. Potrei fare un’eccezione soltanto se si
presentasse una donna veramente bella e disperata, disposta a pagarmi
in natura», specificò impunemente, facendola
indisporre.
Quindi si curvò leggermente su di lei, passandosi una mano
tra i capelli, con fare vanesio: «Tre: capisco bene che il
mio fascino da bello e impossibile ti attrae, ma la prossima volta
anziché entrare in camera mia di nascosto, chiedimelo e
basta», sussurrò con un malizioso occhiolino.
Kaori sentì ribollire un miscuglio di sensazioni, tra le
quali prevalse il bisogno di colpirlo in qualche modo per rimetterlo in
riga e chiarire che a lei non importava affatto averci a che fare in quel senso.
Sollevò il ginocchio, centrando il suo punto più
sensibile, proprio lì in mezzo alle gambe:
«Presuntuoso!»
Ryo si piegò in due, mugugnando dolorante, vedendola andare
via: «Forse non è così
indifesa».
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Capitolo 3 *** III – Pensieri proibiti ***
Ben ritrovate care lettrici :)
Chiedo umilmente scusa
per il ritardo con cui arrivo oggi a postare questo nuovo capitoletto
che avevo già abbozzato da un po' su carta, ma purtroppo
svariati contrattempi mi hanno impedito di concluderlo prima ^.^".
Come introduzione voglio
solo anticiparvi che questa volta mi sono soffermata sulla questione
"attrazione fisica reciproca", narrando un po' le turbe che i due
possano aver provato i primi tempi della loro convivenza.
Mi sono divertita a
immaginare alcune scene e battute e spero come sempre di aver
mantenuto il carattere di entrambi senza esagerazioni.
La narrazione si colloca
attorno all'episodio del manga "Coi cattivi non si tratta" che a mio
parere aveva un grosso spunto rimasto nell'ombra XD
Ringraziando come sempre
chi mi sostiene leggendo, seguendo, preferendo e commentando, vi mando
un affettuoso saluto.
Alla prossima!)
III
– Pensieri proibiti
Trangugiò
con un risucchio rumoroso le ultime preziose gocce di quel frullato
energetico di sua invenzione, sotto lo sbigottimento di due occhi color
cioccolato sgranati e incorniciati da lunghe ciglia.
Erano sempre accesi da
un vivo interesse, quegli occhi, quando si posavano sulla sua persona.
Ma non c’era alcuna ombra di malizia nel fondo di quelle
iridi cristalline, quanto una schietta curiosità unita al
vivo desiderio di imparare tutto ciò che sapeva o faceva lui.
Doveva essere stata
una studentessa modello ai tempi del liceo, di contro lui non era mai
andato a scuola e il ruolo del maestro non era sicuro gli riuscisse
bene interpretarlo. Finora non le aveva certo indorato la pillola,
eppure lei, pur protestando, non aveva esitato più di tanto
quando era giunto il momento di agire e non aveva quasi battuto ciglio
vedendogli uccidere a sangue freddo dei biechi assassini. Chiunque
altra se ne sarebbe già scappata a gambe levate dopo tutte
le situazioni rocambolesche in cui l’aveva coinvolta e la
scarsa accoglienza che le aveva riservato in quei primi tre mesi di
convivenza, invece lei continuava a non demordere. Era proprio una
ragazza ostinata e molto motivata: non si sarebbe mai aspettato che,
giovane e spensierata com’era, sarebbe rimasta fedele alla
sua promessa.
«Beh,
allora? Che fai ancora qui impalata?», la
richiamò, annoiato dal suo assillante scrutarlo mentre
finiva di consumare l’abbondante colazione che gli aveva
preparato con tanta premura. «Ce l’hai qualche
costume da bagno decente?»
Kaori si mise subito
sull’attenti, ignorando quel suo deliberato sarcasmo:
«Sì, certo. Ne dovrei avere almeno un
paio».
«Intero o
bikini?», farfugliò di riflesso Ryo, dando un
morso ad un cornetto, pentendosi un attimo dopo del tono licenzioso di
quella domanda che gli era scappata così, senza pensarci, o
meglio soffermandosi istintivamente ad immaginare le due alternative
con cui avrebbe potuto adocchiare le sue nudità.
Lei però
doveva essere soprappensiero e sembrò non averlo sentito:
«Eh? Allora vuol dire che posso accompagnarti?»,
domandò speranzosa, restando a mezz’aria con le
tazze sporche che stava per riporre nel lavabo.
«Certo! Sei
o non sei la mia aspirante assistente?», replicò
lui con la più assoluta ovvietà, accendendole un
sorriso raggiante. Poi, dandosi un contegno compassato, aggiunse:
«Ad una condizione: mi raccomando, dovrai fare una ceretta
molto accurata, soprattutto all’inguine. Sarà
essenziale per il piano che ho in mente».
Sul volto della
coinquilina balenò un’ondata di sdegno:
«Ma come ti permetti! Svergognato!», gli
strillò contro a pieni polmoni, ribaltando il tavolo e
allontanandosi a passo sostenuto verso la sua camera.
«Che
permalosa!», bofonchiò Ryo stizzito, riemergendo
dal pavimento e tentando di recuperare quel poco che non era andato in
frantumi.
Quando si arrabbiava, quella matta sfoderava una forza incredibile.
Provocarla era estremamente semplice e lo divertiva parecchio. Si
augurò che gli reggesse la recita senza troppe storie,
perché incontrare il capo dei Ryujin non lo esaltava per
niente, anzi laddove quella novellina vedeva una facile fonte di
guadagno, lui sospettava che dietro quell’insolita richiesta
di protezione potesse esserci qualche tranello. C’era troppa
gente che lo voleva morto tra la mafia giapponese.
Con queste cupe
riflessioni lasciò la cucina nel disordine, rinunciando a
sistemare il resto, e si affrettò a prepararsi anche lui per
quella spiacevole uscita. L’unica nota positiva, visto il
particolare luogo dell’appuntamento, sarebbe stata poter
ammirare tante donne seminude per di più in acqua.
Allettato da quella
prospettiva, in dieci minuti si era lavato, rasato, aveva indossato il
suo costumino migliore ed era già pronto ad uscire, ma la
sua suscettibile aiutante tardava a comparire, tanto che
iniziò a supporre che davvero non si depilasse da tempo. Si
adagiò sul divano, i gomiti sulle ginocchia e il mento sulle
mani, sbuffando spazientito.
Dopo un buon quarto
d’ora finalmente udì i suoi passi appropinquarsi
al soggiorno.
«Ah,
con questa calda giornata di sole un bel tuffo in piscina è
proprio l’ideale!» cinguettò briosa,
facendo risuonare i sandali dalle suole di legno sul parquet.
Era la gioia di
vivere, anche se quei bermuda bianchi a righe arancioni, quella canotta
gialla e quel cappellino rosso con la visiera larga non ostentavano un
gran gusto nel vestire. Ed era anche più coperta di quanto
non avesse intimamente sperato di vederla.
Le lanciò
un’occhiata di sufficienza: «Rispogliati».
«Perché?
Oh no. Non dirmi che l’incontro è
saltato», s’imbronciò Kaori, affranta
già dall’idea di dover rinunciare al piacevole
diversivo della giornata.
Ryo
dissentì e si alzò, girandole intorno ed
esaminandola come se cercasse di indovinare cosa celasse sotto quegli
abiti o volesse prenderle le misure: «Dovrò
affidarti la mia M-36. Sarò in costume anch’io,
perciò non potrò portarmi la fondina in bella
vista».
La ragazza si
agitò per la sua insistente vicinanza, non capendo quale
fosse il suo vero intento: «Ed io dove dovrei metterla,
scusa?»
Un largo sorriso
irriverente si disegnò sulla bocca dello sweeper, che le
porse la sua letale magnum insieme ad un rettangolo di stoffa
ripiegato: «Indosserai questo pareo e me la terrai in caldo
tra le tue insospettabili coscette innocenti!»
La socia
sbiancò: «Ma tu sei proprio malato!», lo
accusò indignata, incrociando le braccia e le gambe, come a
nascondersi ai suoi occhi.
«Ti sbagli,
guarda che è un’idea geniale. A nessuno
verrà in mente di perquisire una dolce e innocua
fanciulla», asserì lui con convinzione.
«Bisogna essere previdenti con quei tizi, sono pur sempre
della Yakuza. È gente dedita agli imbrogli e alla
violenza» sottolineò più seriamente,
confidando di riuscire così a persuaderla ad appoggiare il
suo astuto stratagemma.
Kaori si
mordicchiò le labbra, riluttante e contrariata, meditando
sulla plausibilità della sua spiegazione: «Ma
scusa, non potresti nascondertela tu nelle mutande?», propose
con franchezza, dandogli prova di non voler ancora accondiscendere a
quella proposta che, pudica com’era, doveva giudicare
indecente.
«Da me non
c’è spazio!» ridacchiò lui
con una certa spudoratezza.
Al che la socia,
assumendo la colorazione di un peperone, lo sorpassò con un
sospiro esasperato: «Eh va bene. Da’
qua», acconsentì afferrando bruscamente la colt e
il lungo telo di cotone e così dicendo cominciò a
spogliarsi del pantaloncino, sotto lo sguardo attento e
involontariamente famelico del collega che le si apprestò,
volendole suggerire come meglio sistemare la fascia elastica in cui
doveva inserire la pistola.
«Non ti
azzardare a toccarmi!», lo minacciò subito lei,
pur con le dita tremanti nel reggere quell’arma, non sapendo
bene come poterla occultare.
«No no,
figurati», la rassicurò Ryo, sperando non si
accorgesse del suo improvviso aumento di salivazione nello scorgere la
canna della sua pistola sfiorarle la carne così tonica,
liscia e lattea delle cosce. Aveva solo vent’anni e
probabilmente nessun uomo l’aveva mai accarezzata
lì. Gli cominciarono a prudere le mani a guardare quel
meraviglioso spettacolo restando fermo e buono.
Si biasimò
all’istante, tirandosi un colpetto sulla tempia: non poteva
rivolgerle certi pensieri peccaminosi, se l’era ripromesso e
doveva riuscirci!
Deglutì un
grumo di saliva e si voltò per evitare di fissarla ancora
più del dovuto.
Kaori
intanto finì di assicurare la fondina poco sopra il
ginocchio e si annodò il pareo alla vita, accennando qualche
passo per prendere confidenza con quell’impedimento.
«Per la
miseria, cerca di camminare in maniera più femminile!
Così sembri un camionista con un’ernia
scrotale!», la motteggiò Ryo, sentendosi un
po’ meno eccitato grazie alla sua comica goffaggine.
Il suo sfrontato
divertimento accrebbe ancora di più il nervosismo della
ragazza, che adesso iniziava a temere quell’assurdo
espediente fosse solo un pretesto per deriderla e sottoporre ad un
qualche test il suo carattere non esattamente accomodante.
«Guarda che
ho inserito la sicura, non partirà nessun colpo, se eviterai
movimenti inconsulti», continuò a scompisciarsi,
rotolando per terra e battendo i pugni, con l’impertinenza di
un bambino dispettoso.
Kaori era al limite
della sopportazione: «Vorrei vedere te a dover camminare con
un affare ingombrante tra le gambe!», gridò
d’impulso, insultandosi subito dopo per essere stata tanto
ingenua da offrirgli l’occasione per qualche becera battuta.
Infatti Ryo si
rialzò con un colpo di reni, allargando le braccia:
«Lo faccio tutti i giorni, cara»,
ammiccò gradasso indicandosi sotto la cintura e scoppiando
di nuovo a ridere stupidamente.
Lei,
oramai rossa come un papavero, serrò le gambe e si
defilò con andatura indignata verso la porta
d’ingresso, tallonata dal socio che non si era ancora saziato
di prenderla in giro con quella sua ennesima trovata stravagante.
Che fosse un
investigatore sui generis lo aveva già intuito qualche anno
addietro, quando lo aveva incontrato per la prima volta e, suo
malgrado, si era ritrovata a seguirlo in una pericolosa indagine, ma in
quelle prime settimane ne aveva avuto conferma in più di
un’occasione: Ryo Saeba usava metodi decisamente poco
ortodossi, eppure, chissà come, efficaci.
Aveva anche appreso
che nella sua personale scala di valori il denaro occupava
l’ultimo posto. In quel lasso di tempo avevano accettato
incarichi di poco conto che non avevano certo rimpinguato le loro
scarse finanze e che il suo collega aveva risolto in un lampo, con
consumata abilità: un gioielliere taglieggiato da un piccolo
boss di quartiere, alcuni commercianti finiti nel mirino di una banda
di ladruncoli, una donna non più nel fiore degli anni
perseguitata dal suo ex geloso e vendicativo.
Anche se
ripudiava la malavita, lei aveva creduto che quell’ingaggio
da parte di un potente uomo d’affari potesse essere proficuo,
ma l’unico motivo per cui Ryo aveva accettato era stato per
darle una lezione su chi fosse realmente il loro discutibile cliente,
che, in effetti, al primo disaccordo aveva tentato di raggirarli per i
propri comodi, senza farsi scrupoli.
E
così si era resa conto di avere ancora molto da imparare di
quell’ambiente tanto insidioso in cui si era affacciata da
pochissimo e forse con una gran bella dose d’incoscienza,
ragionò amareggiata, osservando il suo collega esercitarsi
al poligono di tiro da dietro lo spesso vetro che insonorizzava quel
locale sotterraneo.
Lei ci si recava di
rado, giusto per dare una sommaria pulita anche lì sotto,
dato che lui era solito portarsi qualche snack o qualche lattina che
poi puntualmente abbandonava, senza preoccuparsi di gettarle nel bidone
situato nell’androne adiacente. Talvolta rimaneva a studiarlo
per parecchi minuti, chiedendosi da chi, come e quando avesse imparato
a maneggiare le armi da fuoco con una precisione e una prontezza
così eccezionali.
Per
quanto fosse spesso di una spavalderia irritante e incline a dubbie
battute di spirito, nei momenti più seri e tranquilli non si
era mai aperto a certe confidenze, a raccontargli qualcosa di lui,
né le aveva rivolto le domande più scontate che
si potevano porre all’inizio di una relazione per fare
conoscenza. Quando era stata lei a buttare qua e là qualche
banale interrogativo per tentare di estorcergli delle informazioni,
Saeba aveva tergiversato, diventando quasi burbero e introverso, e
allora non aveva più insistito.
Non era solita
impicciarsi nei fatti privati degli altri e non sopportava
l’idea di apparirgli troppo interessata a lui.
Ma studiando le sue
espressioni aveva cominciato a pensare che era come se ci fossero due
personalità racchiuse in lui. La qual cosa la intrigava,
più di quanto non volesse.
Anche spiarlo,
così assorto e concentrato, quegli occhi profondi, il braccio teso, tendini e vene
in evidenza, i muscoli contratti sotto la maglia aderente e quei jeans
attillati, le provocava uno strano formicolio che si propagava per
tutta la pelle e non risparmiava lo stomaco.
Tenere tra le cosce
quella stessa pistola che adesso lui stava impugnando con sicurezza
centrando ripetutamente un bersaglio a metri di distanza, soppesarne la
pericolosità e la pesantezza, era stato bizzarro, incauto e
in qualche modo … sexy?
L’aveva
anche presa cavalcioni sulle sue spalle, che erano così
larghe e solide, come il suo corpo, che più volte le aveva
fatto da scudo pressandosi sul suo. Aveva avuto più contatti
ravvicinati con lui che con qualsiasi altro individuo di sesso maschile
in vent’anni.
Kaori
scosse la testa avvampando come un cerino: non era da lei concepire
pensieri di quel genere, ma era inutile negare che quell’uomo
fosse sfacciatamente virile.
Aveva un fisico
statuario che poteva gareggiare solo con quello di certe sculture
greche che aveva ammirato sfogliando i libri di storia
dell’arte. E spesso e volentieri esibiva senza ritegno quel
tripudio di pettorali, tricipiti e addominali che parevano cesellati da
un abile scalpellino, gironzolando per casa con uno striminzito
asciugamano arrotolato sotto l’ombelico che lasciava poco
spazio all’immaginazione, anzi la induceva ad intraprendere
sentieri da lei inesplorati prima di conoscerlo ...
In quel momento ebbe
l’impressione che le sue labbra si fossero piegate in un
sorrisetto compiaciuto e, sentendosi di colpo scoperta, decise di non
indugiare oltre, per non fornirgli il presupposto di farsi qualche
falsa considerazione sul suo conto.
Infilò
l’ascensore e risalì al loro appartamento,
dedicandosi a rassettare e, programmando che, una volta finito, sarebbe
andata al parco per una lunga passeggiata scacciapensieri.
Dopo una
rapida sessione di allenamento con pesi e flessioni e una doccia
veloce, Ryo stabilì che, non essendovi urgenze da
affrontare, avrebbe poltrito per il resto del pomeriggio, per poi
magari uscire in tarda serata a spassarsela un po’ in qualche
locale notturno e origliare che non vi fossero chiacchiere sulla
presenza di qualche nuovo soggetto potenzialmente pericoloso da cui
doversi aspettare rogne.
Stava ciabattando
pigramente sul pianerottolo, diretto a rientrare nella sua stanza
quando il suo sguardo venne calamitato da un oggetto che non
faticò ad identificare. Era un reggiseno bianco di semplice
fattura che inspiegabilmente giaceva proprio nel bel mezzo del
corridoio. Non ricordava di averlo mai visto indossare a qualcuna delle
sue precedenti conquiste, perciò doveva necessariamente
appartenere alla sua coinquilina: era privo di orpelli, proprio come
lei.
Il suo cervello
avrebbe voluto ignorarlo, ma quell’istinto animale che spesso
lo dominava non poteva esimersi dal desiderio di esaminarlo meglio e,
perché no, anche annusarlo. Prima ancora che finisse di
valutare l’opportunità di chinarsi a raccoglierlo,
lo aveva già tra le mani e ne inspirava il profumo che
però, con sua disdetta, era camuffato da quello del
detersivo ai fiori di campo che aveva dovuto usare per lavarlo.
«Ryooooo!»
Lo
strillo acuto e collerico della ragazza gli arrivò alle
orecchie come una sirena d’allarme. Di riflesso
intascò il reperto incriminato guardandosi attorno per
accertarsi che non lo avesse visto, ma era improbabile
poiché la sua voce proveniva dal bagno del piano di sotto.
Si sporse dalla ringhiera per sbirciare non riuscendo a vederla e
sentendola ancora chiamarlo a squarciagola, con l’impellenza
di chi si trovasse in difficoltà. Immaginò che
poteva essersi imbattuta in qualche scarafaggio strisciato fuori dalle
vecchie tubature intasate. Oppure che fosse nella vasca e avesse
bisogno che gli portasse del sapone o un asciugamano …
Stuzzicato da
quell’eventualità, zampettò con la
sveltezza di un grillo verso la fonte di quell’insistente
richiamo, schiudendo cautamente la porta.
«Ma che
succede? Che hai da strillare come un’ossessa?», la
interrogò con strafottenza, contrariandosi un po’
nel trovarsela di fronte in shorts e cardigan.
Lei piantò
le mani ai fianchi, accigliandosi: «Succede che sono
arcistufa di raccogliere le tue cicche! Adesso fumi anche mentre stai
sulla tazza del cesso?» disapprovò risentita,
indicandogli il fondo del gabinetto.
Ryo dalla veemenza di
quell’esternazione non capì se fosse soltanto
irritata dalle sue cattive abitudini o anche preoccupata per la sua
salute.
«Chissà
che mi ero immaginato» biascicò infastidito,
facendo per andarsene, ma lei lo afferrò di prepotenza per
un braccio.
«Che
aspetti? Toglila da lì!», gli ordinò
col puntiglio di un tirannico generale.
Lui si urtò
per quell’assurda pretesa: «Vuoi scherzare? Dovrei
ficcare la mano nella tua pipì?!»
Le guance di Kaori si
colorarono: «Scemo! Ancora non mi ero neanche
seduta!»
Rimase un paio di
secondi a sfidarla, benché fosse davvero una causa persa e
insensata. Aveva di meglio da fare. Buttarsi a letto a sfogliare
qualche rivista hard, ad esempio.
«Tira lo
sciacquone e non ci pensare più!»,
liquidò la questione, azionando la manopola.
Le pupille sconcertate
della ragazza si abbassarono e il suo indice gli sembrò
puntare verso il cavallo dei suoi pantaloni: «E questo?»
Ryo si
esaminò non notando alcuno sconveniente rigonfiamento in
zona inguinale e allora intuì che lei si stesse riferendo ad
altro: «Ecco, vedi? Anch’io sono costretto a
raccattare la roba che lasci in giro!», la
rimproverò aspro, sventolando il reggiseno che evidentemente
non era riuscito ad occultare così bene come credeva.
La coinquilina se ne
riappropriò di scatto, arrossendo d’imbarazzo:
«Mi sarà scivolato dalla cesta del bucato quando
sono andata a ritirare i panni stesi!», cincischiò offesa dalla
sua insinuazione. «Ma perché ce lo avevi in
tasca?», assottigliò poi lo sguardo con ritrosia e
indignazione.
Sì
sentì messo alle strette. Doveva sospettare che fosse un
individuo con tendenze maniacali, ma non voleva che lo credesse capace
di saltarle addosso. Aveva un’ossessione incontrollabile per
la biancheria intima femminile, non certo per lei.
Le appoggiò
le mani sulle spalle, sforzandosi di non lasciar trapelare il suo
rimescolamento interiore: «Kaori? … Scusa ma tu
non dovevi pisciare?»
La bocca della ragazza
si spalancò senza articolare alcun suono, al che lui ne
approfittò per indietreggiare.
«Sei proprio
un gran maleducato!» esplose improvvisamente, tirandogli un
rotolo di carta igienica e qualche flacone di bagno schiuma.
«E portati via queste schifezze, porco!»
seguitò ad imprecare, lanciandogli dietro dei giornaletti
porno che aveva rinvenuto anche in mezzo agli asciugamani riposti nel
mobiletto del bagno.
Lui si
riparò da quel furioso lancio di oggetti, schermendosi con
la porta: «Vado a fumare! In terrazzo».
Risalendo
a trarre una boccata d’aria e di fumo sul tetto del palazzo,
Ryo convenne che per quella volta se l’era scansata, ma in
futuro avrebbe dovuto impedire al suo autocontrollo di vacillare. Non
voleva flirtare con lei, solo gli veniva naturale, come respirare.
Tutto sommato quella ragazzotta infantile e cocciuta non era poi
così avvenente. E lui avrebbe potuto trovare bellezze di
gran lunga superiori per le affollatissime strade della
città.
Gli sarebbe bastato
vestirsi in modo un po’ più ricercato, sciorinare
qualche bella frase romantica ad effetto e in uno schiocco di dita
avrebbe avuto tante donne da spomparsi. Inoltre era appena entrato in
possesso di ben cento milioni di yen. Molte signorine mokkori di
Kabukicho sarebbero state ben liete di aiutarlo a spendere quella
grossa cifra.
Fremeva tutto di
lascivia al solo prospettarsi i divertimenti sfrenati che avrebbe
potuto concedersi circondato da qualche piacevole compagnia a partire da quella
notte.
Il problema sorse
l’indomani.
Kaori era ancora
lì. E il giorno dopo lo stesso. Lei, la sua prorompente
semplicità e quel suo fisichino fresco e pimpante che si
muoveva per casa, ignaro di suscitare pensieri spudorati che lui si
affrettava a soffocare prima che potessero ridestare l’amico dei piani bassi
e lo spingessero ad affacciarsi a salutare.
Era seduto a tavola in
attesa che la cena fosse pronta, un giornale autorevole sotto gli occhi
e le narici stuzzicate dagli invitanti odorini che si sprigionavano dal
soffritto che andava cuocendosi sul fuoco. Non aveva mai mangiato tanto
bene come da quando c’era lei ad adoperarsi a preparargli
qualcosa. Avere una donna per casa e non più solo tra le lenzuola
aveva dei vantaggi non indifferenti, si compiacque tra sé e
sé.
E inevitabilmente
smise di prestare attenzione alle notizie di cronaca sulla carta
stampata, venendo ipnotizzato da quel sederino fischiettante delineato
da una gonnellina molto corta che se ne stava a poche spanne da lui,
curvato sul bordo del tavolo in una posizione involontariamente
provocante. Il suo collo stava cominciando a piegarsi per sbirciarle
sotto l’orlo, ma per l’ennesima volta
s’insultò mentalmente con i peggiori epiteti per
la sua costante fregola: non poteva capitolare per così
poco, non proprio con lei!
«Sai,
con i soldi di quell’ippopotamo forse riusciremo a saldare un
bel po’ di debiti arretrati», asserì la
sua allieva, spezzando il flusso dei suoi grattacapi interiori,
continuando a scartabellare una serie di ricevute e bollette e
scarabocchiando dei calcoli su un bloc-notes.
Lui
s’inumidì i polpastrelli, scorrendo la pagina
dedicata allo sport: «Davvero?»,
barbugliò sbadatamente, sentendosi un po’ in colpa
perché in realtà nelle ultime due notti, a sua
insaputa, aveva già speso quasi la metà di
quell’astronomica somma, tra bevute, mazzette, pollastrelle e
donazioni.
Kaori si
versò un bicchiere d’aranciata, bevendone un
sorso: «Te l’ho detto che ho sempre avuto il
massimo dei voti in matematica», gli fece
l’occhiolino tornando ai fornelli, canticchiando un motivetto
che lui non conosceva.
Nonostante
fosse preda di frequenti scatti d’ira, poi tornava sempre di
buonumore. Avrebbe potuto provarci più apertamente, e lei
forse lo avrebbe anche assecondato, ma sarebbe stato solo un capriccio
momentaneo e poi non avrebbero più potuto conviverci.
Quella dissennata
infatuazione doveva avere fine.
«Senti,
Kaori … » esordì con una voce
più bassa e calda di quanto non avesse previsto, facendola
irrigidire mentre rimescolava le verdure in padella.
«Dovresti vestirti meno».
L’interpellata
si voltò a fissarlo, sbattendo le palpebre, incredula e
smarrita: «Meno?»
«Meno con le
minigonne», puntualizzò reprimendo un sorriso
nervoso, «Non sono pratiche per gli inseguimenti. E poi non
ti stanno per niente bene con quelle gambette rachitiche e quelle
chiappe secche che ti ritrovi», vomitò
convulsamente con quanta più cattiveria gli riuscisse di
simulare.
Kaori strinse i denti,
ingoiando un brontolio e un singhiozzo. Incenerendolo con due occhi di
brace si slacciò il grembiule, scagliandoglielo sul piatto e
si allontanò dalla cucina con un diavolo per capello.
«E
la cena?»
Udì
lagnarsi con arroganza l’incorreggibile socio.
«Arrangiati!»,
gli sbraitò dalla sala accanto, rifugiandosi nella sua stanza,
al riparo dalle sue scostumate osservazioni che le solleticavano i
nervi.
Aprì l’armadio per cercare un paio di comodi
pantaloni, scrutandosi nello specchio collocato all’interno
di un’anta. Forse aveva un po’ allentato gli
esercizi di aerobica, ma non si vedeva poi così fuori forma.
Si alterò
per aver dato peso alla sua cafonaggine, perché non valeva
proprio la pena arrabbiarsi per un tipo sbruffone, immaturo e scostante
come quello. Doveva reputarsi un esperto in materia di gentil sesso, ma
con lei non dimostrava di avere alcun tatto né comprensione.
Cominciava persino a dubitare che riuscisse a sedurre così
tante belle donne come si vantava.
Avrebbe dovuto
sentirsi sollevata di non essere oggetto delle sue sporche mire, invece
aveva provato fastidio e un po’ di delusione per quelle
parole offensive.
Non la considerava una
donna, non la considerava affatto.
Già dai
primi giorni non aveva avuto molte aspettative, né si era
ingannata di poterlo disciplinare un po’, ma più
ci si scontrava, più si accorgeva che non era per niente
facile adattarsi alla convivenza forzata con quello scapestrato.
Però non
voleva arrendersi, si sarebbe impegnata ancora di più, con
tutta se stessa per carpirgli ogni segreto professionale, diventare
un’indispensabile compagna di lavoro e non farsi
più sminuire.
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Capitolo 4 *** IV - Risvegli traumatici ***
Eccomi tornata!
Con la lentezza di una
lumaca ubriaca, riesco finalmente ad aggiornare questa raccolta con una
nuova shot collocata un po' più avanti rispetto alla scorsa.
Devo ammettere che in
questi giorni ho riletto più volte i primi capitoli del
manga in cerca di riferimenti temporali un po' più concreti,
ma spesso scarseggiano.
Ad ogni modo questo
ipotetico episodio, che ho interamente inventato escluso un piccolo
accenno ad una scena extra dello special "Servizio Segreto", si colloca
prima del caso della ragazzina ossessionata dall'oroscopo (che mi
è parso di aver capito essere avvenuto circa due anni dopo
l'inizio della collaborazione tra Ryo e Kaori, illuminatemi se
sbaglio^.^").
E' una shot uscita fuori
un po' fluffosa, spero di non aver snaturato troppo i personaggi e di
regalarvi qualche sorriso.
Come sempre ringrazio
anticipatamente chi spenderà qualche ritaglio del suo tempo
per leggere o commentare.
Alla prossima!)
IV
- Risvegli traumatici
La pensilina della fermata era gremita di gente in attesa
o semplicemente in cerca di un riparo da quell’acquazzone
improvviso che aveva offuscato il timido sole primaverile.
Un’umanità variegata si stringeva per ripararsi
dalla pioggia battente: pazienti mamme alle prese con i loro discoli
bambini in braccio o scalpitanti nelle carrozzine, gruppetti di
chiassosi studenti che scherzavano tra loro parlando di compiti e
insegnanti, distinti uomini in giacca e cravatta intenti a consultare
le loro fittissime agende, giovani coppie di innamorati che si tenevano
per mano o si scambiavano tenere effusioni, vecchietti avvolti nei loro
cappotti che si trascinavano dietro carrellini pieni di sacchetti con
le compre della giornata o cagnolini al guinzaglio.
Sembrava che tutti attorno a lei avessero qualcosa di importante da
fare, qualcuno di speciale da amare, una meta ambita da raggiungere.
Kaori si sentì sola e inutile.
Era appena trascorso un anno dalla tragica morte di Hideyuki e poco
più di una settimana dal suo compleanno. Quelle due date,
per un crudele capriccio del destino, erano diventate inscindibili e
lei non aveva avuto alcuna voglia di festeggiare i suoi
ventun’anni, che pertanto erano passati in sordina, senza
nessuno che le facesse gli auguri o le dedicasse qualche pensiero
carino, com’era solito fare il suo caro fratello o qualche
amica del liceo con cui aveva mantenuto i contatti in passato ma che,
adesso che aveva cambiato indirizzo e vita, si era a poco a poco
allontanata fino a scomparire.
L’arrivo di un autobus provocò un certo fermento
tra gli astanti e alcuni ragazzini, slanciandosi per raggiungere
tempestivamente le porte scorrevoli del mezzo, la urtarono facendole
quasi cadere le sacche della spesa, non soffermandosi neppure a
chiederle scusa per quell’irruenza.
Kaori sospirò afflitta: oltre a sentirsi sola, le pareva
anche di essere diventata invisibile.
Il mese poi, era iniziato miseramente, così come si era
concluso quello precedente: nessun agognato “XYZ”
sulla lavagna della pur sempre brulicante stazione. Avrebbe dovuto
arrabattarsi con quanto restava nel fondo cassa che aveva oculatamente
predisposto per tirare avanti fino alla comparsa del prossimo ingaggio,
che, si sperava, sarebbe stato sufficiente a coprire almeno le spese
minime di sopravvivenza.
Gravava tutto sulle sue giovanissime ed esilissime spalle e nonostante
ciò, il suo indisponente coinquilino, nonché
collega, continuava a farla sempre sentire inadeguata, qualunque cosa
facesse o dicesse. Neanche lei si capacitava di essere diventata tanto
resistente e tollerante, anche se tutto lo stress accumulato
nell’ultimo periodo sembrava essersi materializzato con gli
interessi.
Di suo era sempre stata tendenzialmente ottimista e per niente
superstiziosa, ma si ritrovò a pensare che quel giorno tutte
le stelle si fossero accordate per farle andare storta ogni cosa da che
aveva messo piede fuori dal letto. Già con quel fastidioso
raffreddore aveva dormito ben poco, faticando a trovare una posizione
agevole per non soffocare. In più le era arrivato il ciclo e
così al naso che colava si erano aggiunti anche nausea e
dolori addominali. Avrebbe dovuto fregarsene, una volta tanto, e
rimanere al calduccio sotto le coperte. Ma non ce la faceva proprio ad
oziare, aveva un senso del dovere troppo spiccato, neanche fosse un
vero agente di polizia.
Perciò, ignorando lo stato di malessere generale che
l’attanagliava, aveva raccolto tutte le sue forze e la sua
buona volontà e si era alzata, dirigendosi speditamente in
bagno, pregustando di avere un po’ di soddisfazione dal getto
d’acqua calda per ritemprarsi un po’, ma
già lì era incappata nel primo inconveniente: la
caldaia non funzionava. Era rimasta sotto la doccia gelata non
più di cinque minuti, imprecando contro il mondo intero, per
poi asciugarsi in fretta e furia col phon e imbacuccarsi in svariati
strati di vestiti, concedendosi una veloce colazione prima di uscire
per i soliti giri mattutini che la impegnavano quotidianamente oramai
da diversi mesi.
Per quanto le piacesse molto spostarsi a piedi, svagandosi con ogni
più piccola o pittoresca distrazione che incontrava durante
il tragitto, dai coloratissimi video proiettati sui megaschermi dei
palazzi ai chiassosi venditori ambulanti di cibo da strada, dalle
incantevoli fioriture dei lussureggianti giardini alle insegne dei
cinema e dei teatri tradizionali, proprio quel giorno che non era al
massimo del suo stato fisico era stata costretta a farlo contro la sua
volontà.
Da che aveva preso la patente e aveva avuto una propria indipendenza e
una propria auto, si era disabituata ai viaggi sugli affollatissimi
mezzi pubblici, eppure, non sentendosi di percorrere quella distanza in
quelle condizioni, si era dovuta mescolare ai tantissimi passeggeri che
si ammassavano come sardine a bordo delle vetture.
Il punto in cui abitava, essendo strategico e segreto, non era poi
così ben collegato col resto del quartiere, per cui avrebbe
dovuto fare più soste per tornare indietro.
Appena scesa dal primo autobus, Kaori gettò in un cestino il
fazzolettino con cui si era soffiata dopo l’ennesimo
starnuto, e, pur temendolo, si specchiò nella vetrina di un
elegante negozio di abbigliamento: aveva i capelli tutti arruffati, le
occhiaie, il naso rosso e le labbra screpolate. Si sentiva davvero una
schifezza! E non vedeva l’ora di potersi rintanare in casa,
anche se già il pensiero di dover sottostare ai commenti al
vetriolo di quell’arrogante scansafatiche del suo socio le procurava una
sorta di orticaria.
Si apprestò ad attendere il prossimo mezzo in arrivo,
riparandosi come meglio poté dalla pioggia che seguitava a
scendere con le buste di plastica, dato che non c’era spazio
sotto la tettoia strapiena di persone appiedate come lei.
Al cambiare del semaforo una berlina sfrecciò a gran
velocità vicino al marciapiede, investendo una grossa
pozzanghera la cui acqua sporca si sollevò in una tempesta
di schizzi.
Kaori batté i denti, starnutì e con quel brusco
sussulto il sacchetto con le uova s’infranse per terra,
disseminando una frittata sugli altri pacchettini di alimenti in
offerta che aveva acquistato al supermercato.
In quel momento si sentiva la ragazza più sfortunata di
tutto il Giappone!
Emise uno sbadiglio simile al ruggito di un orso ridestatosi da un
lungo letargo e si stiracchiò per bene allungandosi sul
grande materasso, restando in attesa di captare dei passi svelti e
nervosi approssimarsi alla soglia della sua camera e preparandosi
qualche battutaccia con cui accoglierla.
Quella notte, in sogno, era successo di nuovo. Alle più
spinte fantasie erotiche aventi per protagoniste donne conosciute o
immaginarie, si erano sovrapposte le immagini concrete, angoscianti e
feroci della guerra e aveva finito per svegliarsi di soprassalto, la
gola arida e la fronte imperlata di sudore.
Anche se la sua virilità adesso torreggiava fiera da sotto
il lenzuolo, rammentandogli che era ancora vivo e godeva di ottima
salute, quegli incubi gli lasciavano dentro un persistente malumore che
negli ultimi mesi aveva imparato a riversare sulla sua irascibile
coinquilina.
Era un gioco innocente cui lei non si sottraeva, anzi gli rispondeva
sempre a tono e quella sua schiettezza gli piaceva parecchio, sebbene
talvolta fosse sin troppo violenta nelle sue esternazioni, e le sue
ossa doloranti ne sapevano qualcosa.
Non aveva cognizione di che ore fossero di preciso, ma qualcosa gli
suggeriva che quella mattina i suoi squillanti rimbrotti stavano
tardando a fare capolino.
Tese le orecchie, carpendo solo l’incessante scrosciare della
pioggia sui vetri.
I minuti scorrevano imperterriti. Cinque. Dieci. Quindici.
Mezz’ora.
Ryo cominciò a chiedersi che cosa mai la stesse impegnando a
tal punto da ignorarlo, da ignorare il suo dovere di dargli la sveglia.
Non che, il più delle volte, se non si era sbronzato per
bene, gli occorresse realmente: il suo organismo era regolato
da un orologio biologico praticamente perfetto, e il suo infallibile
sesto senso lo avvertiva se nei dintorni c’erano seri
pericoli alla sua incolumità.
Oltremodo piccato, si risolse ad alzarsi da solo e presentarsi di sotto
così com’era, nudo come un verme, per reclamare le
sue attenzioni. Ma ciondolando per l’appartamento si rese
conto che non percepiva la sua presenza. Valutò che magari
fosse salita in terrazza a stendere i panni, o meglio a ritirarli,
visto quanto forte stesse diluviando. La temperatura era scesa, si
disse che non era il caso di beccarsi qualche accidente,
perciò prima di andare a controllare
s’infilò un paio di pantaloni e una maglia.
Anche lì su però non c’era nessuno,
eccetto due piccioni che, bagnati e infreddoliti, si erano appollaiati
nella rientranza della porta finestra.
Ridiscese al piano inferiore dove non trovò nessuno di quei
bigliettini che era solita attaccare su qualche pensile per informarlo
di qualche uscita prolungata o di cui non avevano discusso. Per di
più in cucina non gli aveva neanche lasciato niente di
pronto per la colazione, perciò forse significava che non
aveva avuto intenzione di assentarsi più del consueto. Era
sempre così precisa e premurosa, nonostante la sgarbatezza
con cui la trattava.
Certo fuori non era ancora buio, ma comunque non era da lei ritirarsi
così tardi, con quel tempaccio che stava imperversando, poi,
era da pazzi restare in giro a fare chissà cosa.
Era quasi ora di pranzo, oramai. Per scrupolo verificò anche
se ci fosse linea nella cornetta del telefono, constatando che
funzionava perfettamente.
La situazione incominciava ad impensierirlo. La sua
mentalità investigativa si mise ad elaborare una serie di
scenari, più o meno preoccupanti, dal più banale
contrattempo che poteva capitare a chiunque al più funesto
incontro con qualche tipo poco raccomandabile. Oltre ad essere una
principiante, quella ragazza era anche una vera testa calda e inoltre
non gli era parso che avesse una bella cera la sera precedente.
Detestava l’idea di avercela sulla sua già sudicia
coscienza.
Imbracciò la fondina e afferrò
l’impermeabile dall’attaccapanni
all’ingresso, cercando freneticamente le chiavi della mini.
Temporeggiò ancora qualche minuto, camminando in tondo per
il salone, sorvegliando dalla finestra il piazzale sottostante. La
strada era deserta e allagata.
Un fulmine si abbatté sull’antenna del palazzo
prospiciente, sprigionando scintille.
Ryo inspirò, rilassando i nervi che si erano subito
allertati a quella stimolazione. Arrendendosi al suo giudizio interiore
e armandosi di freddezza, si decise a uscire per rintracciarla.
Era arrivato a scendere la seconda rampa, quando dalla tromba delle
scale gli giunse l’eco di alcune suole inzaccherate in
avvicinamento accompagnato dal risuonare di starnuti e lamenti che
riuscì facilmente a collegare alla sua recalcitrante
aiutante.
Come punto da una tarantola, batté in ritirata, sfruttando
tutta la sua comprovata abilità nell’essere
silenzioso e sapersi muovere con estrema velocità per
rientrare, senza farle scoprire che stava per gettarsi alla sua ricerca.
Corse verso la sua camera e si spogliò, optando per un
abbigliamento più casalingo che non le destasse il sospetto
si fosse svegliato da molto. Guardandosi allo specchio si
spettinò un po’ il ciuffo e si diede dei
pizzicotti sulla faccia per farla apparire sgualcita.
Intanto la porta di casa si aprì e si richiuse con un gran
tonfo, così scese per andarle incontro, stropicciandosi le
palpebre e grattandosi le parti basse.
La ragazza, alle prese con le pesanti sacche della spesa, non si
accorse neanche della sua sagoma ritta sulle scale che la osservava,
lui invece notò quanto fosse tutta tremante e gocciolante.
Seguì il tracciato delle goccioline che disseminava sul
parquet fino a raggiungerla in cucina, ritrovandola a sistemare
barattoli e confezioni tra il frigorifero e le dispense.
«Kaori! Dove diavolo eri finita? Vuoi farmi morire di
fame?!», la richiamò con insolenza, accorgendosi
allora del suo intenso pallore. Faceva quasi spavento.
Lei gli rivolse due occhi velati e mogi, estraendo un fazzolettino di
carta inzuppato dalla tasca del giubbotto e tamponandosi il viso
sciupato: «Ho bucato una gomma ed ho dovuto lasciare
l’auto a chilometri da qui. Mentre attraversavo un incrocio
mi si è rotto l’ombrello, il terzo autobus che ho
preso ha subito un tamponamento e per finire uno stronzo col bolide mi
ha pure fatto il bagno!», frignò esacerbata,
sturandosi il naso.
L’espressione di Ryo si rasserenò
impercettibilmente, apprendendo che non le fosse capitato niente di
grave. Si sforzò di tacere e restare serio, ma quella
sequela di disavventure che gli aveva raccontato era troppo esilarante:
«Sei proprio la regina degli sfigati!», non
riuscì a trattenersi dal commentare, scoppiando a
sghignazzare indelicato.
Un lampo d’irritazione contrasse i lineamenti già
alterati di Kaori: «E tu il re degli antipatici! Brutto
egoista insensibile! Non t’importa niente di me!»,
s’imbizzarrì, rincorrendolo con un martello di
medio tonnellaggio, che all’evenienza era comparso tra le sue
mani.
Lui, avvantaggiato dalla sua insolita lentezza e imprecisione nei
movimenti, schivò diversi assalti, e quasi stava per farla
vincere, quantomeno per non sentirla più strillare, al che
la ragazza, giunta al centro del salone, si fermò
barcollando e ricadde a gambe all’aria, sotto il peso di
quell’arma impropria.
Ryo rimase in guardia, sospettando che stesse fingendo per sferrargli
un attacco a sorpresa. Esitò qualche secondo nel considerare
l’ipotesi di lasciarla lì in mezzo, a macerare nel
suo brodo, o forse sarebbe stato più corretto dire nel suo
muco, visto quanto era raffreddata.
Ma alla fine il suo buon senso prevalse: non era mica così
cattivo come lo dipingeva lei!
Le si accostò, accovacciandosi cautamente al suo fianco,
dandole dei colpetti su una spalla con la punta delle dita,
sollecitazione a cui lei non reagì, gemendo appena, la bocca
socchiusa e gli arti scomposti. Sembrava proprio svenuta. Calibrando
ogni gesto affinché risultasse quasi impalpabile, si
azzardò a far scorrere un braccio sotto la sua nuca madida
che gli bagnò la manica della felpa, mentre con
l’altra mano le tastò delicatamente la fronte,
appurando che scottava, a differenza del resto del suo corpo, che,
seppure infagottato in quei vestiti grondanti, era congelato.
«Stupida testona», bisbigliò seccato, ma
anche ammirato dalla sua cocciutaggine. A volte si comportava proprio
come una bambina sfrontata, credendo di essere invulnerabile, e invece
adesso stava combattendo contro un subdolo e microscopico nemico
interno che forse aveva sottovalutato.
Malgrado cominciasse a divincolarsi, la sollevò in quattro e
quattr'otto dal pavimento e si affrettò ad andare a
depositarla in un luogo più comodo e asciutto.
Una piacevole e rassicurante sensazione di tepore le avvolgeva le
membra, che sentiva molli e pesanti, rendendola incapace di muoversi.
Era leggermente accaldata e sudata, soprattutto dietro il collo, sotto
le ascelle e tra i seni. Provando a rigirarsi per cambiare posizione e
cercare tastoni sul comodino un bicchiere d’acqua per
sciacquarsi il palato asciutto, avvertì di avere le
articolazioni tutte intirizzite.
Una fastidiosa emicrania rendeva i suoi sensi confusi e ovattati, ma
era abbastanza lucida da riconoscere di trovarsi nella sua stanza e nel
suo letto. Bevuti due sorsi abbondanti, anche la sua memoria si
schiarì: complice la febbre alta, doveva aver fatto un sogno
abbastanza realistico e alquanto snervante, in cui gliene capitavano
davvero di tutti i colori!
Era stato stancante anche solo sognarle certe situazioni assurde e
scalognate, e ora non aveva proprio voglia di uscire da quella bolla di
tranquillità e riservatezza per affrontare
un’altra giornata che sarebbe stata sicuramente impegnativa.
Si sentiva ancora uno straccio strizzato.
Stava lasciandosi tentare dalla tentazione di rimandare i doveri che la
aspettavano, che subito un discreto ma deciso bussare alla porta fece
sfumare quella prospettiva.
«Avanti», borbottò di riflesso, anche un
po’ stranita.
Dallo stipite si affacciò adagio il profilo alto e
dinoccolato del suo coinquilino.
Kaori strabuzzò gli occhi: «Ma … Ryo!
Avevamo fatto un patto, che non saresti mai entrato in camera
mia!», gli rammentò paonazza.
«Hai detto “avanti”»,
annotò semplicemente lui, infilando una gamba, ma restando
ancora a metà tra l’uscio e il corridoio.
La ragazza scivolò giù, tirandosi le coperte sul
naso: «Beh, non potevo sapere che fossi tu».
«Stai delirando? Chi ti aspettavi? Siamo in due in questa
casa!», la fece sentire ancora una volta sciocca lui, sebbene
in quel caso avesse ragione a canzonarla.
Si rimise a sedere, sempre stando attenta a mantenere la trapunta fin
sotto il mento, davanti a cui lui le piazzò una scodella,
che prima di entrare aveva occultato dietro la schiena.
«Ecco. Mangia che sei deperita», la
esortò spiccio, piantando un cucchiaio dentro quella specie
di pappone. «Ma non ti ci abituare» la
avvertì drizzando un indice, col tono di chi stesse
dialogando con un animale.
Kaori allungò le braccia per raccogliere quella ciotola che
scoprì essere ripiena di riso in bianco, rimescolandolo e
trovandolo scotto e tutto attaccato: «Non basterebbe una vita
intera ad abituarsi alla tua pessima cucina», lo
screditò, stizzita ma in fondo anche un po’
colpita da quel suo inedito slancio di compassione nei suoi riguardi.
«Ha parlato la chef stellata!», sbottò
schifato lui, incrociando le braccia, «Fortuna che io ho uno
stomaco forte, sennò sarei ogni giorno
all’ospedale a fare le lavande gastriche»,
blaterò con spocchia e ostentato vittimismo.
Lei deglutì un boccone insapore, sbirciandolo di sbieco. Non
conosceva alcuna decenza nell’esibire certi comportamenti da
depravato anche davanti a degli sconosciuti, eppure sembrava che
ammettere di aver compiuto un piccolissimo atto di gentilezza per lei,
con cui oramai conviveva da un anno, lo imbarazzasse.
«Grazie», gli sorrise allusiva, continuando a
centellinare quei chicchi gonfi e pallidi, sotto il suo sguardo
apparentemente disinteressato, che si spingeva oltre la visuale offerta
dalla finestra, striata dal piovasco alimentato dal vento.
«Comunque se stavi così male, perché mai
sei dovuta uscire lo stesso con questo tempo da cani?»
Il suo tono ora pareva quello di un padre che riprendeva una figlia
disubbidiente.
«Mi avresti rimproverato di essere una femminuccia svogliata
perché mi lascio abbattere da un insulso
raffreddore», ribatté ostinatamente lei.
Ryo mosse lievemente le spalle, come se si fosse lasciato andare ad una
risatina interna: «Non potrei mai pensare una cosa simile su
di te» respinse quell’accusa, voltandosi e
guardandola con una strana intensità «Non hai
niente di femminile, tu».
Kaori sentì un fremito di rabbia scuoterla tutta, le sue
gambe impulsivamente scalpitarono, le mani cercarono di impugnare
qualcosa da sbattergli sulle gengive, per toglierli quel ghigno
insopportabile, ma era ancora troppo debole, ebbe un capogiro e non
riuscì ad evitare di ricadere sul materasso, mentre lui si
appropinquava indefesso alla porta.
All’improvviso il suo cervello ricollegò i
frammenti di quelli che erroneamente aveva scambiato per ricordi
onirici. Era tutto vero, aveva affrontato una serie di imprevisti
quella mattina, e per di più aveva rischiato di buscarsi un
malanno, bagnandosi dalla testa ai piedi. Si accorse di un particolare
agghiacciante: era in pigiama.
«Quindi … mi hai spogliata tu?», ebbe
quasi paura a domandargli.
L’incedere disinvolto dello sweeper si arrestò,
colpevolmente. Sperava di poter sorvolare su quel dettaglio
compromettente, invece si era fregato con le sue stesse parole,
volgendole quella critica. Avrebbe potuto inventarsi qualche
giustificazione, ma non gli sovvenne nulla di diverso dalla
verità.
«Ho dovuto. I tuoi vestiti erano fradici, non potevi tenerli
indosso», si limitò a rispondere con faccia di
bronzo.
Se possibile, le guance di Kaori divennero ancora più
bollenti: «Potevi svegliarmi, razza di pervertito! Non te ne
sarai approfittato, vero?»
Il suo socio non si tradì, mostrandosi piuttosto insultato
da quell’insinuazione: «Per chi mi hai preso?! Non
sono così disperato! E poi lo sai che per me sei come un
fratello minore», le ribadì senza alcun
tentennamento né malignità.
Kaori tacque, non sapendo se sentirsi denigrata o lusingata da quella
considerazione. Pareva sincero mentre ne parlava. Forse davvero lei non
gli suscitava alcun turbamento. Magari anche il fatto che quel giorno
sotto i vestiti indossasse la pancerina, i calzettoni e una maglia di
cotone poteva aver inibito le sue pulsioni.
“Hai dei mutandoni orrendi”, biascicò
tra sé e sé Ryo, ripensando a quanto fosse stato
sfortunato a dover svestire proprio una donna così poco
sensuale come lei, malgrado poter sfiorare quelle gambe così
lunghe e affusolate non gli fosse tanto dispiaciuto e si fosse beccato
anche un bel pugno, nonostante lei fosse semicosciente.
«Piuttosto, cerca di rimetterti presto, che mi servi
attiva», deglutì risoluto, sviando quegli
insensati rimuginamenti.
La socia si rianimò, riacquistando il suo solito puntiglio:
«Ci puoi giurare. Non intendo lasciare la virtù
delle donne di questa città alla mercé della tua
incontenibile libidine», gli assicurò, simulando
un perfido sorrisetto e gettando nel fondo del bicchiere una pasticca
di aspirina.
«Ripensandoci, riposati pure quanto ti pare!», si
congedò Ryo con una grassa risata, sfregandosi le mani con
fare malandrino.
Kaori sospirò rassegnata, ingerendo la medicina.
Quell’uomo sapeva essere davvero esasperante nella sua
immaturità, aveva seri problemi a rapportarsi normalmente
con le persone, soprattutto se donne, ma per qualche motivo irrazionale
che ancora faticava a comprendere, sin dal primo battito di ciglia
aveva sentito che su di lui poteva fare affidamento, che ci sarebbe
stato se lei ne avesse avuto davvero bisogno.
Sfinita ma rincuorata da quella consapevolezza, sprofondò
nel cuscino e si riaddormentò.
Tre di giorni più tardi era già tornato tutto
più o meno alla normalità. Le era bastato
riguardarsi e assumere qualche antibiotico per rimettersi
rapidamente da quell’influenza passeggera. Nonostante le
tonsille un po’ infiammate e le narici ancora ostruite le
dessero qualche noia, si sentiva molto meglio ed era predisposta ad
affrontare un nuovo incarico, con tutte le annesse complicazioni del caso.
Aveva delle sensazione positive, per cui, tra mille proteste, aveva
svegliato in anticipo anche il suo collega, chiedendogli di
accompagnarla alla stazione, con la scusa che la sua auto era ancora
parcheggiata dal meccanico.
Tornando di corsa nella sua camera per recuperare i documenti dalla
borsa, con la coda dell’occhio scorse sul letto qualcosa che
non ricordava di aver lasciato in giro. Lei era sempre ordinatissima.
Appurò che si trattava di una lunga sciarpa di un bel giallo
canarino, intessuta con una lana pregiata.
A passo di carica si diresse nella stanza di Saeba, ancora intento a
scegliersi con tutta calma una camicia dal guardaroba: «Ne
sai qualcosa del perché questa si trova sul mio
letto?», lo interrogò fumantina.
«È tua», sillabò quello con
tono piatto ed evasivo, guardandola distrattamente.
Forse pensava che stesse farneticando, ma oramai si era ripresa
praticamente del tutto, non poteva imbrogliarla rifilandole fesserie
per nascondere i suoi misfatti. Chissà a chi
l’aveva sottratta, sperando che lasciandogliela lì
in bella vista, lei potesse scambiarla per roba che le apparteneva.
«No, non è mia. Non ho mai avuto una sciarpa di
questo tipo», insistette ad affermare, accecata da un
imprevisto attacco di gelosia. Ma Ryo non fece una piega,
abbottonandosi i polsini e indossando una giacca sportiva, evitando
ancora di incrociare le sue pupille acute che imperterrite lo sondavano.
Kaori, non paga di quella reticenza, lo tallonò mentre usciva
con indifferenza dalla stanza. Un’altra ipotesi osò pian piano
solleticarla, facendole palpitare un moto di tenerezza nel
petto.
«Vuoi dire forse che è un regalo? Per me? Ma il
mio compleanno è già passato …
», gli ricordò con una punta di tristezza,
continuando a lisciare quel morbido tessuto di cui si era già innamorata.
Lo sweeper afferrò le chiavi della mini, scoccandole uno
sguardo esterrefatto: «Che vai a pensare! Non è un
regalo. Te l’ho presa perché ho pensato che ti
sarebbe potuta servire. Sono giorni che ti lagni di avere il mal di
gola», asseverò prosastico, esortandola poi a
sbrigarsi, già pentito di quella levataccia.
La ragazza si avvolse con soddisfazione la sciarpa attorno al collo e
lo precedette cominciando a scendere le scale, non senza avergli
prima indirizzato un'occhiata perspicace.
E di nuovo quel sorriso dolcissimo, da sbriciolare le pietre.
Ryo, serrando l’uscio di casa, si disse che non provava alcun
sentimento romantico per lei, ma che forse stava cominciando ad affezionarsi un po' troppo
a quel tipino puntiglioso.
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Capitolo 5 *** V - Ospiti indesiderati ***
Buon fine settimana ^_^
Eccomi finalmente
tornata con una nuova one-shot (forse leggermente più
lunghetta, ma non sono riuscita a tagliarla!^^"), in cui ci
sarà anche la comparsa di due "special guest" :D
Non voglio anticiparvi
troppo, perché temo di svelare un risvolto essenziale della
trama che ho elaborato, anche se credo che, attente come siete,
riuscirete facilmente a capire chi possa essere il fantomatico ospite
attorno a cui ruota questo capitoletto ben prima che arrivi ;) Mi
riservo di rispondere ad eventuali considerazioni nei commenti ^-^
Come sempre
ringrazio immensamente voi lettori, silenti e scriventi, per la
partecipazione con cui state seguendo questo mio progettino: non mi
aspettavo potesse suscitare tanto interesse ^//^
Dunque vi auguro buona
lettura e spero che vi piaccia anche questa mia ennesima incursione
nella vita casalinga dei nostri amati beniamini :)
V–
Ospiti indesiderati
La porta
si spalancò di botto e lei entrò spedita,
portando con sé una folata di aria fresca e profumata.
Oramai si muoveva nella penombra della sua camera con una certa
confidenza, evitando abilmente gli ostacoli che lui disseminava sul
pavimento prima di coricarsi. Poteva vederla anche ad occhi chiusi
dirigersi all’armadio e sistemargli camicie e pantaloni sulle
grucce, piegarsi a raccogliere pazientemente riviste e bottiglie
sparpagliate in giro, rimettendo ogni cosa al suo posto, con quella sua
mania innata di rassettare. Aveva smesso quasi da subito di chiedergli
il permesso di entrare e le sue irruzioni, ora furtive ora fragorose,
puntualmente lo svegliavano con una sensazione di rassicurante disturbo.
«Sono
quasi le dieci», scandì a mo’ di
cantilena, alternando il suo nome ad una serie di colorati appellativi,
per lo più insultanti nei riguardi della sua pigrizia e
trascuratezza, issando senza tante cerimonie gli oscuranti della
finestra, ma quella mattina lui non riusciva proprio a sollevare le
palpebre.
Aveva ceduto a troppi
bicchierini di whisky e sakè, bighellonando in troppi night
clubs fino alle tre del mattino, tra conigliette e furfanti, e il
risultato di tutti quei bagordi era un pesante cerchio alla testa che
la breve dormita non era riuscita ad affievolire. Gli pareva di sentire
il rullo di una grancassa rimbombargli dentro il cranio, e quella sua
voce stridula era peggio di un trapano che gli si infilava nelle tempie
pulsanti.
«Maiale
ventiquattro ore al giorno!», mugugnò schifata ed
estenuata, quando all’ennesimo richiamo gli sentì
emettere un verso gutturale, a metà tra un ronfo e un
grugnito di piacere.
Ryo si
ribaltò a pancia sotto con un mugolio insoddisfatto,
schiacciando il viso sbattuto sotto il cuscino e allungando una gamba
fuori dal materasso con l’intento di rifilare uno sgambetto
alla sua petulante assistente, ma, anziché capitombolare per
terra, lei gli piombò sulla schiena nuda, mentre la
caffettiera che reggeva le volò dalle mani e un liquido
bollente si rovesciò addosso a tutti e due in mille schizzi.
Le urla che
scaturirono da quello scontro fecero tremare le pareti e svolazzare una
coppia di corvi che si erano posati sul davanzale ad osservarli.
«Non
mi avevi sentito? Che cos’hai in quella zucca
bacata?!» borbottò Kaori, non senza un lieve
rossore, togliendosi la camicetta bianca oramai chiazzata di marrone e
restando con un top nero smanicato che faceva spiccare ancora di
più la sua carnagione quasi diafana e le braccia magre,
impegnate a ripulire alla bell’e meglio quel pasticcio e a
racimolare i cocci sparpagliati della tazzina, frammentatasi in pezzi
nell’impatto.
Lui
balzò a sedere, le sopracciglia aggrottate per la pelle che
ancora bruciava: «Non è giusto! Stavo facendo un
sogno stupendo e adesso per colpa tua è diventato un orrendo
incubo!» guaì scontento, abbracciando con
voluttà il guanciale che non era stato risparmiato dal
riversarsi dell’aromatica bevanda.
«Santa
pazienza! Sei proprio un disco rotto! Dici sempre le stesse
cose!», sbuffò rassegnata la coinquilina, tirando
via con foga le lenzuola macchiate, che avrebbero dovute essere
sottoposte a più lavaggi con la candeggina per tornare
linde.
Ryo non
poté fare a meno di indirizzarle uno sguardo indagatore e
perplesso. Si aspettava che sarebbe andata su tutte le furie, invece,
tutto sommato, per i suoi canoni era rimasta piuttosto calma. Forse era
troppo indulgente e imbranata per sospettare che lui avesse premeditato
di farla inciampare. Tuttavia aveva la netta sensazione che qualcosa
non quadrava. Gli aveva perfino portato il caffè a letto
…
Kaori
piantò energicamente i palmi sul materasso, riscuotendolo da
quelle supposizioni: «Beh, riprenditi. So io come
consolarti», gli garantì con accento amorevole e
un’irresistibile faccia da furbetta, sporgendosi verso di lui
che se ne stava ancora seduto a gambe incrociate contro la spalliera
del letto con il cuscino in grembo, a fissarle alternativamente gli
occhi vivaci e, per un riflesso incondizionato, la casta scollatura
abbassatasi giusto quel minimo da stuzzicarlo, anche non volendolo.
Deglutì a
vuoto. Quando faceva l’ambigua, comportandosi in maniera
dolce e affabile, gli incuteva una strana ansia addosso. Si
domandò se stesse tramando qualche sotterfugio o se volesse
farsi perdonare qualcosa, ma lei riprese a parlare con lo stesso tono
carezzevole: «Di sotto c’è Saeko che ci
ha portato ben due clienti», gli rivelò con un
sorrisetto trionfante, distanziandosi e raddrizzandosi, sapendo di aver
già ottenuto il suo totale interesse.
«Due
clienti?», chiese subito conferma lui, sentendosi
già molto meno debilitato dai sintomi quella folle nottata
insonne che lo aveva sfiancato e gli aveva lasciato in pegno un
tremendo mal di testa e lo stomaco sottosopra.
La socia gli
scippò la federa, arrotolandola con il resto della
biancheria sporca: «Proprio così. Sono due sorelle
di diciotto e vent’anni, figlie del nuovo ambasciatore
coreano. Hanno chiesto di essere scortate da
un’infallibile guardia del corpo durante la loro prima
visita alla nostra città», gli spiegò
in tutta fretta, come recitando un copione già noto,
consegnandogli il suo completo giacca e pantalone preferito, fresco di
stiratura.
Quel
solerte accorgimento passò quasi inosservato
all’animo spregiudicato dell’irriducibile
donnaiolo, la cui vista si era già annebbiata prospettando
l’appetitosa opportunità: «Due delicate
e innocenti fanciulle più la splendida Saeko …
Questa volta farò tris!», si fomentò
senza controllo, saltando giù dal letto e filando in bagno
per darsi una veloce rinfrescata e poter così sfoggiare il
suo migliore look da rubacuori.
«Ma tu non
vieni?» esclamò stupefatto, quando, conclusa la
breve sosta alla toletta, notò che, anziché
scendere con lui, la sua assistente stava attardandosi, caricandosi la
cesta del bucato e imboccando la lavanderia.
Kaori
ruotò appena il collo: «Eh no, mi spiace. Ho un
mucchio di faccende da sbrigare. E poi tra te e quella super
poliziotta, non sarei di molto aiuto», spiccicò
dimessa.
Era
davvero insolito sentirle esprimere certi ragionamenti, ma non voleva
contraddire la buona sorte, una volta tanto che pareva essere benevola
nei suoi confronti: «Brava! Finalmente ti sei resa conto dei
tuoi limiti», infierì umiliante, dandole una
leggera pacca sulla spalla, per poi allontanarsi con un sogghigno
sardonico che gli si allargava sul volto.
Avvertì un
sinistro sibilo fendere l’aria e un secondo dopo un oggetto
contundente molto pesante cozzare contro i suoi lombi, scaraventandolo
direttamente al piano inferiore. Atterrò sul mento tra due
vistose scarpe smaltate col tacco a spillo su cui si ergeva un paio di
polpacci inequivocabilmente femminili, velati da calze sottili:
«Sai sempre come fare un’entrata
d’effetto, Ryo Saeba», lo salutò senza
tanto scomporsi la fascinosa detective Saeko Nogami, piegandosi e
porgendogli una mano.
Si era
ritrovato svariate volte a bramare di poter morire tra quelle sue
bellissime gambe, ma adesso a quella visione celestiale non
riservò che una fugace occhiatina, ogni fibra del suo corpo
era protesa dall’impellenza di conoscere le due giovanissime
clienti bisognose della sua virile protezione. Scattò
prontamente in piedi, inghiottendo l’eccesso di saliva e
ravviandosi con gesti compassati la folta capigliatura pece, deciso ad
accogliere nel migliore dei modi le sicuramente spaesate e vulnerabili
ospiti straniere, ma la sua esuberanza si ritrasse in un battibaleno.
Non riusciva a credere alle sue fosche pupille.
Le due sorelle erano
accomodate sul divano e sorseggiavano sdegnosamente una tazza di tè.
Vedendolo avvicinarsi si alzarono per ossequiarlo con compostezza. Una
era allampanata e smilza, l’altra bassina e tarchiata ed
erano abbigliate come due collegiali, con tanto di treccine, occhiali e
zainetto al seguito. Sembravano anche più piccole della loro
età ed erano piene di brufoli.
«Ma
è uno scherzo?! Sono perfino più racchie di
Kaori!», strepitò inorridito, la mascella che
cascava inerte e il mokkori appena accennato che si ritirava nei
meandri più oscuri del suo addome, pietrificato dalla
demoralizzazione.
Saeko si
precipitò a tappargli la bocca: «Imbecille! Vuoi
scatenare un incidente diplomatico internazionale? Menomale che non
capiscono bene la nostra lingua», sospirò
esasperata, strattonandolo per tentare di scongelarlo, mentre le
ragazzine gli sorridevano languidamente, mostrando i dentoni sporgenti.
Tanto
bastò a trasmettergli la certezza che, suo malgrado, col suo
innegabile fascino aveva già colpito nel segno e quelle due
bruttarelle gli si sarebbero attaccate come piattole. Di riflesso
guardò in alto, sicuro che quella piccola bugiarda, dopo
averlo per bene infinocchiato, si stesse godendo la scenetta
ridendosela a crepapelle.
«Questa
me la paghi cara, Kaori!», la minacciò fuori di
sé, venendo sospinto a forza dall’inflessibile
investigatrice, che tentava di rabbonirlo con le sue inaffidabili
promesse.
Solo
quando fu certa di non essere vista, Kaori si affacciò a
sbirciare, intercettando Saeko inviarle un occhiolino e trascinare via
con le sue movenze flessuose quell’impenitente sfaticato. Si
accertò che se ne andassero davvero, rassicurandosi solo
quando li vide partire a bordo della fiammante auto sportiva della
Nogami. Nonostante avesse appreso dei suoi trascorsi con suo fratello e
di un affetto reciproco che li aveva legati, quella donna manipolatrice
e opportunista non le andava molto a genio, ma per una volta aveva
accettato di accordarsi con lei, pur di tenere il collega e coinquilino
per qualche giorno lontano, sapendolo occupato a svolgere un vero
lavoro retribuito. Ne aveva sin sopra i capelli di tutte quelle
smorfiose clienti di cui lui s’innamorava come un
adolescente, esentandole dal pagamento dei suoi rischiosi servigi.
Anche se
non si sarebbe certo tirato indietro dal tentare di assaltare la
seducente poliziotta. Ma a lei non importava più di tanto
ciò che avrebbero combinato quei due. Almeno in
quell’occasione avrebbero ricevuto in cambio un compenso
tangibile e spendibile, cercò di confortarsi, riempiendo il
cestello della lavabiancheria.
Forse stava diventando
una persona arida e cinica a forza di convivere con
quell’inguaribile dongiovanni da strapazzo. Una questione era
provata: d’amore, o meglio dei suoi ridicoli innamoramenti,
non potevano continuare a campare. E lei non voleva continuare ad
essere il suo zimbello. La trattava come una nullità, senza
curarsi di riconoscere che aveva imparato tante cose, sforzandosi anche
di mettere da parte il ribrezzo per certi sgradevoli personaggi e
frangenti in cui erano rimasti invischiati. Nel sordido ambiente in cui
si districavano bisognava essere duri, meticolosi, pronti a tutto, ad
arrangiarsi e ad anticipare gli avversari con i più
disparati espedienti.
A questo
la stava addestrando il suo nuovo mentore, e lei non poteva che
essergli grata per la sua gratuita disponibilità. Con Ryo
altrove, avrebbe avuto maggiore libertà di movimento per
recarsi da lui e continuare a perfezionare le abilità e
conoscenze che le stava tramandando.
Finì di
dare una sistemata in giro, indossò una comoda salopette a
jeans e scese in garage. Però mentre metteva in moto la
panda instradandosi al luogo concordato, sentiva di starsi comportando
in maniera sbagliata. Non le piacevano i sotterfugi e sapeva che in
verità non piacevano neanche a lui, soprattutto se ne era
vittima. Sospirò dispiaciuta.
Le sembrava di
tradirlo, tenendolo all’oscuro di quello che stava facendo,
di chi stava frequentando. Nonostante tutti i dispetti, gli screzi e le
derisioni, non era capace di covare rancore nei suoi riguardi. Forse
era fin troppo buona e onesta, ma non poteva farci niente se era fatta
così.
Avrebbe rimediato in
qualche modo, anzi aveva già in mente una possibile
soluzione per appianare sue eventuali recriminazioni. Sperò
solo di riuscire a mettere in pratica tutto ciò che aveva
pianificato.
Ryo
uscì dalla doccia sentendosi leggero e ritemprato. Era stato
un vero supplizio accudire quelle due viziate e sgraziate figlie di
papà, scarrozzandole a zonzo per un’intera
settimana, e nel frattempo dover sottostare alle incontentabili pretese
di Saeko, ma adesso potersi rilassare e dedicare alle sue amate letture
nella tranquillità del suo appartamento lo ripagava di tutta
quella fatica.
Qualcun altro,
però, non aveva i suoi stessi progetti. Il rombo
ininterrotto dell’aspirapolvere dal piano inferiore lo stava
infastidendo non poco. Non capiva perché, con tutti i giorni
in cui lui era mancato, si fosse ridotta a fare pulizie straordinarie
proprio di domenica mattina. Lo stava facendo di proposito, ce
l’aveva con lui: non c’erano altre spiegazioni!
Maledicendo il suo
eccesso di zelo, s’infilò le ciabatte e scese di
sotto per andarla a sgridare e chiederle di rimandare quella superflua
attività ad un momento in cui lui non ci sarebbe stato, ma
quando giunse in sala da pranzo la trovò già
intenta in altre occupazioni e precisamente a svuotare le ingombranti
sacche della spesa che un prestante garzone aveva consegnato a
domicilio. Aveva appena fatto in tempo ad incrociarlo mentre usciva
dalla porta d’ingresso e lei gli lasciava una mancia.
«Vedo
che non hai perso tempo a scialacquare quello che io mi sono
sudato», si pizzicò palesando il suo persistente
disappunto per quello sgradito incarico che aveva mal digerito.
La ragazza si difese
immediatamente, con grande sincerità: «Ma ti pare
che sono una spendacciona? C’era il 3x2 e ne ho
approfittato», gli comunicò chiudendo il
frigorifero, non prima di avergli offerto una lattina della sua birra
prediletta per tentare una pacificazione.
Lui la
accettò senza replicare, scrutandola astioso. Il suo umore
era visibilmente incrinato e Kaori si sentì in difetto,
anche se non aveva poi chissà quale colpa. Possibile lui
stesse sospettando qualcosa? Per impedirsi di far trapelare
ciò che la agitava, provò a sviare il discorso.
«Allora
dimmi, ti sei divertito a lavorare gomito a gomito con la tua adorata
Saeko?»
Ryo si
passò il dorso della mano sulle labbra che si schiusero in
un’espressione inorgoglita: «Ci puoi giurare. Sono
anche riuscito a farmi pagare. Con la mia moneta. Non sono venale come
te».
Uno
sgradevole pizzicore le percorse la gola, ma lo ricacciò
perché non aveva senso di esistere. Probabilmente lui stava
millantando, come al solito, e a lei premeva informarlo su
un’altra faccenda: «Ah, senti, avremo un ospite
stasera a cena», gli annunciò col massimo della
serenità, aprendo gli stipetti e valutando la scelta delle
pentole da usare e dei piatti da mettere in tavola.
«E quando
pensavi di dirmelo?» farfugliò lui, preparandosi
intanto un sandwich con quanto poté sgraffignare dagli
ingredienti che lei aveva predisposto per cominciare a cucinare.
«Te lo sto
dicendo adesso. È un problema per te?», lo
incalzò innocentemente, sottraendogli il barattolo di
maionese.
«Per me puoi
invitare chi vuoi», affermò sostenuto, spostandosi
a mangiare quello spuntino in soggiorno.
Kaori
rimase interdetta: il socio sembrava essersi leggermente indisposto.
Avrebbe potuto dirgli di chi si trattava, ma temeva che si sarebbe
indisposto ancora di più. Da quel poco che aveva potuto
capire, quei due capoccioni avevano un rapporto conflittuale.
«Vorrei ben
vedere! Pago metà dell’affitto, le bollette sono
tutte a nome mio … A tutti gli effetti potrei ritenermi la
vera proprietaria di questo appartamento. Ho diritto di invitare chi
voglio», si risolse allora a rimarcare mordace.
«Naturalmente lo stesso vale per te», si
premurò di precisare, temendo di essere stata un
po’ troppo prepotente, anziché addolcirlo e
prepararlo per la rivelazione che lo aspettava.
Ryo
però stranamente non aveva risposto alle sue provocazioni.
Stravaccato sul divano, masticava il suo panino, sfogliando con grande
concentrazione un catalogo di fotomodelle in lingerie: «Non
c’è neanche bisogno che me lo dici tu. Io esco. Ho
già un appuntamento per stasera»,
smozzicò a bocca piena, spargendo briciole ovunque, che lei
avrebbe dovuto ripulire.
Un’idea
balzana attraversò la mente di Kaori e, senza pensarci su
troppo, gliela espose: «Falla venire qui. La ragazza con cui
devi vederti stasera, intendo».
Il coinquilino
sbarrò gli occhi, spiazzato da quell’impensabile
proposta: «No, non è il caso», si oppose
aspramente. «Ce ne andremo in un albergo. Così
anche tu potrai avere la tua intimità, con chiunque sia lo
sfortunato che hai accalappiato», le suggerì
salace, recuperando la sua imperturbabile sfacciataggine.
Il viso
di Kaori si tramutò, passando dal viola
all’amaranto: «Insisto, dai! Con tutto quello che
cucinerò, potremo mangiare benissimo anche in
quattro», insistette con una risatina isterica, nello strenuo
sforzo di mantenere il sangue freddo e non cedere alla tentazione di
spaccare qualcosa. Almeno quella sera voleva che non ci fossero mobili
rotti, sospirò, riponendo a malincuore il martello da 100 t
che aveva già istintivamente brandito.
Il
collega, completamente assorto dalla “lettura”,
seguitava ad ignorarla, come se avesse i tappi alle orecchie e il
paraocchi, e lei, sconfitta, se ne tornò desolatamente in
cucina: «Scusami, sono stata indiscreta».
Contro le
sue aspettative, però gli sentì poi pronunciare
in un mugugno arrendevole: «Proverò a
proporglielo, ma non ti garantisco nulla».
L’eventualità
che quell’invito si concretizzasse la gettò nel
panico. Poteva immaginare quali fossero le sue abituali frequentazioni,
con chi andasse a folleggiare e fare le ore piccole. Era lei a
smacchiare tracce di fondotinta e rossetti appariscenti dai colletti
delle sue camicie, impregnate di profumi speziati e dolciastri.
Ripensandoci, non era poi così propensa a volerne conoscere
qualcuna e magari assistere al loro nauseante scambio di smancerie ed
effusioni.
Non avrebbe potuto
rendergli pan per focaccia con quello lì. Ad essere onesta,
neanche con qualcun altro. Lei non era capace di civettare con gli
uomini e non sapeva nemmeno perché stava perdendosi in
simili congetture: mica doveva fare le presentazioni del suo fidanzato!
«Allora ci
conto», gli schioccò con finto entusiasmo
dall’altra stanza, cercando di scacciare quegli stupidi
pensieri per dedicarsi alla preparazione del ricco menù che
aveva deciso di realizzare per sdebitarsi col suo ospite.
Ryo
cambiò posizione sul sofà, sistemandosi in modo
tale da avere un punto di vista agevolato che gli consentisse di
spiarla. Già da un paio di settimane aveva subodorato delle
avvisaglie. Si comportava in maniera un po’ diversa, spesso
tornando dalle sue passeggiate sembrava trafelata, pensierosa, pur
restando sempre scrupolosa nelle sue mansioni. D’altronde
quando non lavoravano insieme, lui ne approfittava per svagarsi altrove
e lei aveva tanto tempo libero in cui rimaneva da sola, tempo che
poteva dedicare a frequentare qualcuno e perfino portarlo
lì, anche se stentava a credere che qualcuno etero e sano di
mente potesse interessarsi a una tipa mascolina e scontrosa come lei.
Magari invece si trattava di qualche farabutto che voleva irretire
quell’ingenua per arrivare a lui. Voleva assicurarsi che non
fosse così. In ogni caso non poteva permettere che uno
sconosciuto qualunque scoprisse dove abitava. Aveva una reputazione e
un’identità da tutelare, era fondamentale
mantenere il più stretto riserbo per continuare a soccorrere
chi si affidava alla sua protezione.
Se invece
lei avesse seriamente incontrato qualche sciagurato che le piaceva,
allora lui non avrebbe esitato a dimostrarle che esistevano donne che
lo apprezzavano. S’incamminò nella sua camera e
iniziò freneticamente a consultare l’agendina in
cui teneva i contatti di tutte le ragazze che era riuscito ad adescare,
e a cui era riuscito ad estorcere il recapito telefonico. Attrezzandosi
di speranza e pazienza inforcò la cornetta, cominciando a
comporre i primi numeri in ordine casuale. Non sarebbe stato facile
trovarne una disponibile ad aiutarlo gratis e soprattutto che fosse
presentabile.
Impiegò
buona parte del pomeriggio a fare quel giro di telefonate, poi, avendo
ormai i timpani fusi e i muscoli del braccio intorpiditi, decise di
schiacciare un pisolino ristoratore. Il cielo era già
screziato dai colori tenui del tramonto, quando ridiscese a curiosare
cosa stesse combinando la sua stramba coinquilina.
Aromi di cibi fritti e
al forno invadevano le mura, insieme alla fragranza fruttata del
detersivo per pavimenti. Kaori stava ancora affannandosi ad apportare
gli ultimi ritocchi a quel ricco banchetto. Si era sbizzarrita ai
fornelli, preparando di tutto e di più, eppure lui
notò che non era vestita in maniera particolare o tanto
diversa dal solito: non indossava niente di provocante o appariscente,
a parte il maglioncino forse un po’ troppo corto che lasciava
intravedere una piccola porzione di addome e il minuto ombelico, appena
sopra il cinturino dei jeans. Probabilmente non era così
presa da quel tipo, oppure nel suo guardaroba non aveva abiti di uno
stile differente.
Si era
eclissato per ore, senza prendersi la briga di informarsi su chi fosse
l’ospite. Forse aveva qualche sospetto o semplicemente non
aveva il minimo interesse di saperlo. E adesso era ritornato per
mettersi a ronzare come un moscone attorno ai quei piatti succulenti,
assaggiandoli con il solo scopo di criticare le sue abilità
culinarie, questionando ogni cosa, dalla cottura alla
sapidità. Voleva proprio farle perdere le staffe.
Kaori
recitò mentalmente un mantra per resistere, considerando
anche che era trascorso poco più di un mese dalle ultime
riparazioni che avevano dovuto far eseguire
nell’appartamento, ridotto quasi in macerie.
Il trillo del
campanello arrivò provvidenzialmente a salvarla.
«Ryo?
Ti secca andare ad aprire?», lo pregò,
destreggiandosi tra teglie e tegami.
Il socio
si attardò ad intingere le dita in una ciotolina di salsa
teriyaki, che giudicò troppo zuccherosa, per poi obbedirle
svogliatamente, strascicando i piedi verso l’uscio di casa.
Davanti al suo naso si
stagliò l’enorme stazza di un uomo che ben
conosceva: «Umi?»
«Buona sera,
Ryo», mormorò rigidamente l’ex
mercenario, standosene impettito nella sua uniforme, la mascella
serrata e lo sguardo insondabile dietro le lenti scure.
Lo sweeper si
inalberò: «Vieni a rompere le palle anche di
domenica, adesso? Non se ne parla, ho avuto una settimana tremenda!
Oggi ho il sacrosanto diritto di riposare!».
«Mi fai
entrare o devo spiaccicarti?», lo minacciò truce
il corpulento collega.
Kaori
sopraggiunse in una manciata di secondi, richiamata da quegli
schiamazzi: «Ah, Umibozu! Ben venuto.
Puntualissimo», lo accolse cordialmente, accennando un
impacciato abbraccio, pur se ancora con un mestolo in mano.
Ryo
trasecolò: «Cosa?! È lui
l’ospite che stavamo aspettando?»,
spalancò la bocca, intanto che l’energumeno si
abbassava per passare sotto l’architrave, porgendo alla sua
socia un mazzolino di margherite che doveva aver strappato da
un’aiuola di passaggio. Non sapeva se sentirsi del tutto
sollevato che fosse proprio lui.
«Esatto»,
gli confermò a labbra strette la socia, ponderando la sua
reazione. «Notizie della tua amica?», lo
sollecitò con aria indifferente.
«Arriverà
a momenti» mentì imperterrito lui. Aveva ricevuto
tanti di quei rifiuti e telefoni riagganciati che alla fine si era
arreso e neanche aveva più insistito a fare altri tentativi
e, visto chi si era rivelato essere l’ospite misterioso,
pensò che non ne valesse la pena.
La sua
assistente fece accomodare il burbero invitato nel soggiorno,
sistemando i fiori in un vaso: «Bene, allora la
aspetteremo», acconsentì con un sorriso tirato,
appoggiando poi un vassoio con dei salatini al centro del tavolino,
sgranocchiandone uno.
Dopo un
paio d’ore, appurando che sarebbero rimasti in tre, Kaori
stabilì che si spostassero in sala da pranzo, presentando le
specialità che aveva preparato. La cena si svolse in un
continuo bisticciare dei due, tanto che a Umibozu sembrò di
essere capitato nel mezzo di un acceso scontro a fuoco, in cui al posto
delle pallottole volavano parole pesanti e occhiate permalose.
«Non
è stato facile convincerlo a venire qui. È
proprio un timidone», asserì scherzosamente la
ragazza, prendendo il dessert, un vasto assortimento di rakugan
acquistati in un’antica pasticceria.
L’energumeno,
accanto a cui aveva preso posto si schiarì la gola, con un
colpetto di tosse: «Che c’entra io … Ho
sempre molti nemici da cui guardarmi le spalle. Ho ponderato se fosse
opportuno attirarli da voi prima di accettare
l’invito», smozzicò schivo, mandando
giù quattro pasticcini in un solo boccone.
«Anch’io
sono pieno di nemici, ma non sto sempre a vantarmene», lo
riprese bilioso Ryo, ingurgitando una quantità maggiore di
quelle gustose paste colorate.
Kaori
tentò invano di allungare le mani per assaggiare qualcuno di
quei dolcetti anche lei, ma quei due pozzi senza fondo sembravano aver
ingaggiato una competizione a chi riusciva a ingozzarsi con maggiore
voracità. E in tutto ciò, non era ancora riuscita
ad introdurre la questione che avrebbe voluto portare a conoscenza del
suo socio.
«Comunque
stasera ho invitato Umibozu da noi perché volevo sdebitarmi
con lui per gli insegnamenti che mi sta dando su come costruire e
piazzare trappole molto discrete ed efficaci»,
confessò tutto d’un fiato, alzando di qualche
ottava il tono della voce perché entrambi la sentissero, al
di sopra dei loro animati battibecchi.
Il suo
collega ammutolì, lanciandole uno sguardo allibito e, le
parve, un pizzico confuso.
«È
molto paziente, disponibile e comprensivo, lui»,
precisò lusinghiera, sfiorando il gigantesco braccio del
veterano la cui testa calva s’infiammò
all’istante.
«Tu sei una
buona allieva, volenterosa, diligente e impari in fretta», si
schermì ruvidamente Umibozu, desiderando come non mai di
trovarsi in un teatro di guerra.
Ryo si pulì
con un tovagliolo che, una volta allontanato dalla bocca,
rivelò un sogghigno caustico: «Siete proprio una
gran bella coppia! Che peccato che nel nostro paese il matrimonio tra
due uomini non sia ancora contemplato».
Kaori lo
folgorò e, oramai al colmo del risentimento, incurante dei
buoni propositi rispettati fino a quel momento, sfoderò il
martello più voluminoso che possedeva, seppellendoglielo
sotto e, scusandosi con l’ospite, corse via, scossa e
umiliata.
L’ex
mercenario staccò il malconcio amico dalle assi di legno in
cui era rimasto incastrato: «Sei un idiota patentato,
Saeba», lo tacciò con accento grave e coriaceo.
«E tu un
imbecille rammollito», farfugliò velenoso quello,
scrocchiando le ossa ammaccate, riacquistando gradualmente la
sensibilità degli arti. «Come ti ha convinto ad
addestrarla?», gli domandò con un briciolo
d’irritazione, accasciandosi su quello che restava della
panca.
Umibozu
lo copiò, sedendosi a sua volta: «Mi è
bastato sapere che vive e lavora con te. Ho anch’io le mie
fonti. So tutto di lei. Lavora per te da quasi due anni e ancora non le
hai insegnato neanche a sparare», lo biasimò con
un basso ringhio.
Ryo si
alzò e cercò in uno stipetto una delle ultime
bottiglie di bourbon superstiti, versando un’abbondante
quantità del liquore in un bicchiere: «Non
è portata. È troppo impulsiva ed ha una pessima
mira. Le ho insegnato quello che le serve a cavarsela. E poi non ho
bisogno di un compagno d’armi, lei bada ad altro. Mi tiene in
ordine la casa, mi cucina, si occupa di mettere a loro agio le clienti
e trattare i compensi. Sai che io non me la cavo granché con queste
cose», chiarì con freddezza e determinazione.
Ma il collega
riuscì a percepire nella sua aura un forte istinto di
protezione.
«La
ragazza sa il fatto suo. Non è un male che impari qualche
altro trucchetto del mestiere», asserì flemmatico,
rubandogli la bottiglia per finire di scolarsela. «Comunque sia,
con lei ho finito. Salutamela», chiosò con
l’ombrosità di sempre, togliendo il disturbo.
Il
testardo sweeper non si mosse di un millimetro, lasciandosi scivolare
addosso quelle sagge parole, che pure tentarono con insistenza di
scalfirlo.
Qualche
minuto dopo aver sentito sbattere la porta d’ingresso, Kaori
uscì dalla sua camera, tornando in cucina dove
l’attendeva una montagna di stoviglie da lavare, oltre ai
rottami da rimuovere. Il parquet era rovinato a tal punto da essere per
l’ennesima volta da riparare. Sbuffò avvilita: era
riuscita di nuovo a combinare danni! Sarebbe mai stata capace di
evitare di inferocirsi a quel modo con quell’uomo tanto
intrattabile che non perdeva mai occasione per denigrarla?
Era talmente assorbita
da quelle penose considerazioni che non si accorse
dell’arrivo silenzioso di colui che le stava ispirando.
«Insomma,
volevi la mia benedizione», scandì la sua voce
tenebrosa e leggermente derisoria. Se ne stava accanto alla finestra
con una sigaretta tra le dita, aspirando placidamente delle boccate che
rilasciava attraverso lo spiraglio aperto.
Lei
sospirò, gettando la spugna nel lavello: «Volevo
solo che lo sapessi. A me non piace fare le cose di
nascosto», chiarì tagliente, esternando la
bontà delle sue intenzioni e anche un briciolo di dispiacere
per non aver rispettato quel principio in cui credeva.
Ryo
rilasciò un’ultima spirale di fumo nella mite aria
notturna, spegnendo poi il mozzicone sul muro esterno: «Lo
sai che sei liberissima di frequentare chi vuoi. Ma ecco, Umibozu non
mi sembra un buon partito per te», attestò con tono quasi fraterno, ma accompagnato da
quell’impagabile sorrisetto da impunito che lei si
ritrovò a fissare per secondi che le parvero interminabili,
incapace di rispondergli per le rime.
Così
dicendo, estrasse da una tasca interna della giacca una cartucciera di
preservativi e se ne andò via canticchiando da quella stanza e
dall’appartamento, lasciandola a combattere con quello strano
sfarfallio allo stomaco e una pressione sanguigna che le faceva prudere
la cute.
Quell’uomo
restava un’incognita. Forse in fondo ci teneva un
po’ a lei, ma il suo atteggiamento da bastardo incallito non
sarebbe cambiato mai.
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Capitolo 6 *** VI - Un sabato sera alternativo ***
Ehilà! Rieccomi ^_^
Mi spiace per la
lentezza di questi aggiornamenti, ma pur essendo confinata in casa,
c'è sempre qualcosa da fare che mi porta via tempo per la
scrittura.
Comunque sia, questa
shot è in verità una delle prime che avevo
abbozzato poco dopo aver ripreso la lettura del manga qualche mese fa.
Siamo nei giorni immediatamente successivi alla vicenda Silver Fox e io
ho immaginato una seratina casalinga tra i nostri due beniamini, tra
confronti diretti e pensieri inespressi l'uno per l'altra.
Ci ho inserito anche
qualche citazione alla cultura pop anni '80 (musica e tv in
particolare), per il resto spero di non aver scritto troppe
stupidaggini e che anche questa volta l'attesa venga ripagata
regalandovi qualche minutino di svago ^-^
Un sentito grazie come
sempre a tutti coloro che leggono e seguono con partecipazione questa
raccolta, nata quasi per caso :)
Alla prossima!)
VI
– Un sabato sera alternativo
Reclinò
la testa indietro, lasciandosi cullare ancora per un po’
dalla piacevole carezza dell’acqua tiepida e della schiuma,
cercando di scaricare la tensione e la stanchezza residue.
Era stata una
settimana decisamente intensa e movimentata durante la quale, forse
come mai prima di allora, aveva provato il tangibile terrore di una
condanna a morte a cui non poter sopravvivere. E si era immedesimata
come mai con le angosce delle svariate clienti che avevano invocato il
loro aiuto a seguito di una qualche minaccia.
Era diventata il
bersaglio di un delinquente solo perché era la partner di
City Hunter, o meglio, perché quel fanatico che si faceva
chiamare Volpe Argentata aveva creduto che fosse la sua fidanzata.
Niente di
più falso e improbabile. Tra di loro non c’era
null’altro che una turbolenta collaborazione e una reciproca
tolleranza.
Fece
riemergere le lunghe gambe dal denso strato di saponata, passandovi
sopra la spugna, massaggiandole con lentezza. Qualche ecchimosi
bluastra cominciava a formarsi sui polpacci e sulle ginocchia
lievemente sbucciate, così come sulle braccia. Portare
addosso tutte quelle armi ingombranti e pesanti e saperle adoperare
richiedeva una certa preparazione fisica. Se già da un paio
di mesi non si fosse esercitata grazie all’addestramento di
Umibozu, avrebbe fallito miseramente e le sue ferite sarebbero state
ben più gravi o addirittura letali.
Un
brivido le accapponò la pelle. Si era sbarazzata di quel
furfante e ci era riuscita con le sue sole abilità, eppure
all’ebbrezza della vittoria era subentrato uno stringente
groppo tra lo stomaco e la gola. Uccidere non rientrava tra le sue
attitudini e a mente fredda non era stato poi così
appagante. Aveva eliminato un nocivo rifiuto della società,
ma più che per un senso di giustizia aveva agito per
dimostrare qualcosa a se stessa e ancora di più al suo
eroico compagno di lavoro. Voleva essere degna di lui, anche se sapeva
che ci sarebbe sempre stato un abisso tra di loro.
Lei era troppo emotiva
e non abbastanza spietata, mentre lui era formidabile, aveva sempre
tutto sotto controllo, anche quando pareva distratto da altro. Certo
dalla sua aveva chissà quanti anni di esperienza, lei invece
era solo una ragazza ordinaria e sarebbe sempre stata negata per il
doppio gioco o la crudeltà.
Aveva
sperato così tanto di veder brillare nei suoi occhi
d’acciaio almeno un briciolo di quell’ammirazione
che dispensava alle ragazze che avevano salvato e che, grazie al suo
intervento e al suo coraggio, avevano acquisito maggiore fiducia in se
stesse.
Ryo però
era sempre stato avaro di complimenti per lei, e anche quella volta non
si era sprecato ad elargirle alcuna parola di apprezzamento, troppo
orgoglioso per ammettere che era stata capace di farcela anche senza il
suo apporto.
Anzi, negli ultimi
giorni era perfino diventato ancora più scostante, evasivo,
laconico. L’aveva quasi snobbata, benché non ci
fossero state clienti da accudire o, nel suo caso, da importunare.
Circostanza che lo spingeva a cercarsi da sé qualche paio di
lunghe ciglia che fremessero per lui.
In buona
sostanza si comportava come nulla fosse accaduto o come se
ciò che fosse accaduto non lo riguardasse. Ma quella sua
spesso insopportabile indifferenza riusciva solo ad intestardirla, a
spingerla a non mollare. Voleva credere che ci fosse di più
in lui, aveva bisogno di credere che non fosse così
disinteressato, se non altro perché aveva provato a mettere
in pratica il proposito di andarsene ed era stato come se un elastico
invisibile l’avesse riportata indietro. Ancora doveva capire
cosa le impedisse di dare il benservito a quello sfacciato poco di
buono.
L’acqua
stava ormai raffreddandosi, perciò Kaori, non volendo
più arrovellarsi su quei quesiti che non avrebbero trovato
una soluzione a breve termine, aprì il rubinetto e si
sciacquò velocemente dai fiocchi di spuma rimasti tra le
curve e le ciocche ramate, uscendo infine dalla vasca per avvolgersi in
un morbido accappatoio, frizionandosi la testa quel tanto da non
sgocciolare nel tragitto verso la sua camera, dove si concesse qualche
altro minuto per la cura di sé, spalmandosi una crema
idratante. Il clima era piacevole, per cui tralasciò di
asciugarsi completamente i capelli, già di per sé
difficili da domare con phon e spazzola, ed entrò
direttamente nel pigiama a pantaloncino.
Sarebbe
stata da sola in casa, visto che il suo vizioso coinquilino doveva
essere già uscito e molto probabilmente non sarebbe
rientrato prima dell’alba.
Era
sabato sera ma lei, a differenza della maggior parte delle ragazze
single della sua età, che si riversavano nelle discoteche,
nei cinema o nei locali di karaoke, a ballare, divertirsi e conoscere
nuove persone, non aveva in programma di andare da nessuna parte.
Oltretutto, da quando aveva cominciato a collaborare con quello
spazzino del crimine, la sua opinione su quella metropoli dai ritmi di
vita frenetici era radicalmente mutata. Al calar del sole il suo
aspetto vivace e operoso assumeva contorni più torvi, in
ogni vicolo poteva celarsi gentaglia mal intenzionata, dedita al
malaffare e capace di compiere ogni più efferata sconcezza.
L’idea di
girare da sola di notte senza una vera motivazione non la allettava per
niente, e neanche la monotonia, che a volte diventava soffocante,
né quel pizzico di ribellione che spesso la istigava a
commettere azioni avventate, oramai poteva dissuaderla dal preferire di
tenersi alla larga da certe occasioni di mero rischio. Così
il sabato sera era diventata la sua serata di relax, a base di
televisione e cibo precotto, perché almeno quando non
c’era nessuno con cui condividerlo, non le andava di perdere
tempo a spadellare. Men che meno adesso che aveva una mano quasi fuori
uso.
Impostò
il timer del microonde in cui aveva messo a scaldare un cartoccio di
tempura e pollo fritto, saccheggiando nel frattempo le vaschette di
gelato superstiti nel congelatore e un voluminoso pacco di patatine
dalla dispensa, che in mattinata si era premurata di rifornire. Al
trillare del conto alla rovescia esaurito, Kaori recuperò la
deliziosa pietanza dal forno e portò tutto quanto sul
tavolinetto del salotto.
Si piazzò
nel mezzo del divano e accese il televisore. Avrebbe guardato qualche
programma d’intrattenimento non troppo impegnativo e si
sarebbe abbuffata di alimenti calorici, in barba alla dieta.
Un
insistente scricchiolio proveniente dal piano superiore la distolse
dalle immagini di fatti e personaggi di cronaca che scorrevano sul
notiziario delle venti, che stava seguendo a volume basso. Qualche
secondo dopo, con la coda dell’occhio, avvistò
l’inconfondibile ombra del suo socio che bighellonava,
sfaccendato come sempre. Le andò il boccone di traverso. Era
sicura che a quell’ora fosse già altrove a
gozzovigliare, invece era ancora inspiegabilmente lì.
Parecchio strano che non avesse appuntamenti, soprattutto dopo averlo
visto adescare ben cinque ragazze molto carine in una sola sera!
Anziché
muoversi di soppiatto, per poi magari farle prendere uno spavento e
deridere le sue scarse capacità percettive, pareva
accentuare ogni passo, gesto e fiato per farsi notare. Gironzolava con
l’aria di chi fosse incerto sul da farsi o volesse chiederle
qualcosa. In genere le sue richieste erano per lo più due:
qualcosa da mangiare o qualche spicciolo da spendere. Ma lei stavolta
sarebbe stata inflessibile: non avrebbe ottenuto la sua
carità, neanche se l’avesse pregata allo
sfinimento.
Non aveva alcuna
intenzione di litigare fino a sgolarsi e farsi venire il mal di testa.
Se l’avesse seriamente infastidita, non avrebbe esitato ad
arrotolarlo in un tatami, imbavagliarlo e chiuderlo a chiave nello
sgabuzzino, meditò Kaori, avvolgendosi in un plaid e
ingurgitando un pugno di patatine, sforzandosi di ignorarlo,
concentrandosi sulle cronache del telegiornale.
Nonostante
fossero trascorse ormai più di quarantottore dallo scampato
pericolo, continuava a sentire tutti i nervi in fibrillazione ogni
volta che posava il pensiero o lo sguardo su di lei. Dal primo giorno
in cui si era impuntata a diventare la sua socia, con la sua irruenza e
inesperienza si era cacciata nei guai già parecchie altre
volte, ma si era trattato per lo più di una conseguenza
collaterale. Nessuno prima di quel teppista esaltato l’aveva
presa di mira perché convinto che potesse essere la sua
metà sentimentale.
Ipotesi
infamante e assolutamente infondata.
Era pur
vero che, senza neppure essersene accorto, avevano rotto gli indugi
delle formalità molto in fretta. Era stato così
naturale che nessuno dei due si era posto il problema e dividere lo
stesso appartamento aveva facilitato il crescere di quella
familiarità, per lui alquanto anomala, specialmente con un
essere del sesso opposto. Iniziava a considerarla più di
un’assistente e di una coinquilina, forse quasi al pari di
un’amica, anche se restava ancora all’oscuro di
molta parte del suo fosco passato.
E non era necessario
che lo conoscesse.
Così
come non c’era ragione che sapesse di aver fallito contro
quel galletto recidivo. Aveva voluto lasciarglielo credere,
lì per lì non era riuscito a sbriciolare il suo
entusiasmo, ma neppure si era congratulato con lei e non solo
perché non era vero. Non voleva che si montasse la testa,
che la sua coscienza si sporcasse. Aveva voluto stroncare sul nascere
quella sua velleità. Togliere la vita a qualcuno non era una
faccenda da prendere alla leggera e Maki non avrebbe di certo approvato
che la sua sorellina diventasse una fredda assassina, perciò
non aveva intenzione di incoraggiarla in alcun modo verso quella vita.
Però
neanche poteva vegliare su di lei giorno e notte: se ne andava perfino
in giro a salvare mocciosi sbadati dai pirati della strada!
Malgrado
non l’avesse costretta o trattenuta, ci si era buttata a
capofitto in quel mestiere, del tutto inaudito per una ragazza
così giovane, con l’imprudenza tipica dei suoi
vent’anni. Inconsciamente e senza troppo nerbo lui aveva
tentato di farsi detestare per allontanarla, ma la decisione doveva
spettare a lei. E lei aveva deciso di rimanere.
Era ritornata e, a
dispetto del rischio corso, non sembrava intenzionata ad abbandonarlo,
per il momento.
Gli aveva
dimostrato in molteplici occasioni di possedere un ottimo spirito di
adattamento, stava imparando a cavarsela. Seppure ancora inesperta,
furiosa e sconsiderata, era volitiva, intraprendente, battagliera. Un
maschiaccio, insomma.
Un maschiaccio con
un bel sedere rotondo da riempire di pizzicotti, che adesso se ne stava
beatamente sprofondato sul sofà.
Ryo ebbe
voglia di darsi una martellata.
Aveva captato la scia
del suo bagnoschiuma alla vaniglia e improvvisamente
l’animale notturno che era in lui non aveva più
sentito l'impulso di uscire in cerca di piacevoli distrazioni. Non
doveva sentirsi troppo bene.
Forse il Professore non aveva
tutti i torti ad insinuare che era troppo coinvolto da quella ragazza.
Se c’era lei di mezzo non riusciva ad essere sufficientemente
freddo e razionale. Il punto era che non ne capiva il
perché. Kaori aveva poco o niente da spartire con il suo
ideale di donna, sia fisicamente che caratterialmente.
E i legami per lui
erano sempre stati controproducenti, se non deleteri: alla fine era
sempre stato abbandonato o, peggio, tradito. E si era comportato
analogamente.
Comunque
la girava, quella sera non provava il fremito di stare fuori e non ne
aveva l’immediata necessità. Lo spiacevole
incidente capitato a Volpe Argentata sarebbe bastato a tenere a bada
per qualche tempo altri potenziali rivali o disturbatori
dell’ordine pubblico.
La sua
malfidata socia intanto era ancora in assetto di guerra e, dalla sua
trincea fatta di cartoni, bottiglie e cuscini, gli inviava occhiate che
parevano saette infuocate. Il suo umore era ancora alterato e non si
era sfogata nemmeno cucinando. Era possibile che non lo volesse
accanto, ma osò rischiare di subire qualche ripercussione.
Quello che non avrebbe sopportato era sorbirsi qualche soap o film
melenso.
«Niente
giro di rito degli strip club, stasera?», gli si volse
sarcastica, vedendolo decidersi a interrompere
quell’inconcludente passeggiata casalinga e appropinquarsi al
divano.
Si
avvicinò a lei con la stessa circospezione che avrebbe
adoperato entrando in un terreno minato di trabocchetti, mostrandosi
però annoiato e insofferente: «Dovresti essermi
grata che non intacco il nostro risicato budget».
«Il nostro
budget non sarebbe così risicato,
se tu non avessi rifiutato stupidamente gli ultimi
incarichi», rimasticò lei, stanca di dover
ripetere un discorso affrontato già mille volte.
«Sei un misantropo, sai?», lo tacciò
spazientita, infilzando le bacchette nella croccante tempura.
Ryo si
sedette, mantenendo una debita distanza: «Che razza di uomini
sono quelli che non sanno difendersi da soli?», si difese con
accanimento, sbirciando quello che la ragazza stava mangiando e
cominciando a provare anche lui con un certo languorino.
«Al
mondo non esistono solo i macho
men come te», replicò ironicamente
Kaori, rifilandogli una strizzata sul bicipite.
«Macho men? Ma come
parli?!», mugugnò lui, risentito da quel tono e
dalla sua confidenza, ma quella non gli diede ascolto, riprendendo a
snocciolare la sua tesi, come se non stesse aspettando altro che
l’occasione per potergliela esporre.
«Al mondo
esistono anche e soprattutto uomini che svolgono lavori normali, che
non hanno mai impugnato un’arma né sono esperti di
arti marziali. Eppure hanno altre doti e non per questo sono meno
uomini di te o di quel tuo amico guerrafondaio, Umibozu»,
ciarlò imperterrita, stendendo i piedi sul tavolinetto e
sciacquandosi la bocca con un ampio sorso di quella birretta analcolica
che piaceva solo a lei.
Ryo
ammutolì, un po’ spiazzato da quella
considerazione. Forse aveva frainteso, non aveva mai capito niente dei
suoi sentimenti. Lei non era cotta di lui, piuttosto lo ripugnava, lo
riteneva un bruto e un violento, oltre che un degenerato, per come
sbroccava non appena incrociava qualche bella ragazza. In definitiva
non lo considerava un uomo normale, uno di cui potersi innamorare. Non
aveva considerato quell’eventualità,
rimuginò, provando una sorta di sollievo, intaccato
però da uno stizzoso senso di ripicca.
Kaori
continuò a mangiucchiare, prestando poca attenzione alla
sequela di rintronanti spot televisivi che pubblicizzavano ogni sorta
di prodotto di consumo che era lungi dal poter acquistare. Il suo socio
da un paio di minuti era diventato insolitamente taciturno, e il suo
sguardo, malgrado la limitata luminosità fornita da una
piantana e dal riverbero dello schermo del televisore, le
sembrò malinconico e assorto, incupito, come se si fosse
offeso per qualche frase che aveva detto prima. C’era
qualcosa di irrisolto in lui, lo aveva sempre pensato. Sarebbe mai
riuscita a scoprire qualcosa di più di quel tipo astruso?
Umibozu le aveva dato
qualche dritta per imparare a percepire l’aura di chi le
stava vicino, utile per poterne interpretare i pensieri e le
intenzioni. Socchiuse le palpebre, sforzandosi di liberare la mente e
affinare i sensi sulle impercettibili vibrazioni emesse
dall’uomo che aveva affianco, ma era del tutto inutile.
Riusciva ad avvertire
un incremento della sua energia spirituale solo quando stava per
infervorarsi prima di assalire qualche malcapitata. Per il resto era
impenetrabile, come avesse costruito una spessa barriera isolante
attorno a sé.
«Ehi,
ma che ti è successo?», le domandò in
un ansito meno distaccato della norma, uno sprazzo di incertezza nelle
pupille penetranti.
Doveva averla colta
mentre si spremeva le meningi per tentare di attingere ad una
capacità di meditazione che non possedeva, avendo
probabilmente impressa un’espressione ridicola. Kaori si
vergognò come una ladra, ma poi capì che lui
stava riferendosi alla fasciatura che aveva alla mano sinistra che non
smetteva di fissarle.
«Oh,
niente, mi si è rotto un bicchiere mentre lavavo i
piatti», balbettò ritraendosi, lui però
fu più veloce nell’allungarsi verso di lei,
prendendole il polso, sciogliendo la bendatura ed esaminando con
minuziosità il taglio ancora poco cicatrizzato.
Le sue mani erano
sorprendentemente delicate e tanto calde e i suoi occhi neri
così seri e concentrati. Di colpo sentì i battiti
accelerare e il fiato ingolfarsi: «È una
sciocchezza …», minimizzò impacciata,
non riuscendo però a farlo desistere dal sincerarsi sulla
verità della sua dichiarazione.
«Sei
la solita maldestra. Qualche millimetro in più e ci sarebbero
voluti almeno tre punti», soffiò sul suo palmo,
senza alcuna irrisione nella voce pastosa, che anzi aveva assunto una
sfumatura diversa, quasi protettiva. «Aspetta che te la
fascio meglio», si offrì con inconsueta premura,
strappando la parte di garza in eccesso così da ottenere un
bendaggio più stretto e pulito.
Kaori lo
scrutava attonita, con il petto in subbuglio e un leggero arrossamento:
«Da quando t’interessano le mie mani?»
Ryo
sollevò la fronte, scontrandosi con le sue iridi luccicanti
come cioccolata fusa. La sua osservazione era comprensibile, aveva
sempre mostrato scarso riguardo nei suoi confronti. Avrebbe voluto
dirle che di lei gli interessava molto, più di quanto non
avrebbe voluto. Invece non riusciva mai a chiederle come stesse, se
avesse problemi, anzi era lui spesso a creargliene.
«Sei la mia
assistente. Le tue mani devono essere super efficienti. Non ti puoi
autosabotare», fu la sua saccente predica nello stringere il
nodo della benda.
«D’accordo,
capo. Cercherò di stare più attenta»,
giurò la ragazza, mostrando la lingua con fare da bambina.
«Oh, ecco. Sta cominciando!», frizzò
riportando la sua attenzione alla televisione. Si imbarazzava un
po’ di quello che lui avrebbe potuto pensare, ma aveva
davvero voglia di spegnere il cervello, anche perché quel
suo inaspettato gesto intriso di una strana tenerezza l’aveva
scombussolata e non voleva illudersi che significasse qualcosa di
più.
Il suo
coinquilino probabilmente temeva qualche pellicola romantica o
poliziesca priva di realismo, che avrebbe criticato senza
pietà, scena per scena: «Chi è
l’attrice protagonista?» inquisì
già tediato, incrociando le braccia dietro la nuca.
«Non
è un film, ma una spassosa trasmissione molto popolare. Non
ne hai mai sentito parlare?» esclamò vispa lei,
tuffando le dita in un cestello di patatine e pop corn che poi gli
passò, ormai dimentica dell’intento di lasciarlo
digiuno.
“Benvenuti a Takeshi's Castle!",
annunciò festante lo speaker, introducendo i cento scatenati
concorrenti che si sarebbero sfidati in una sgangherata serie di prove
di resistenza, giochi di equilibrismo e percorsi a ostacoli per
conquistare il montepremi finale di un milione di yen.
Ryo si
sentiva le pulci addosso. Non era abituato a restare passivamente
davanti ad uno specchio che mostrava una realtà distorta e
falsata. Lui affrontava sempre tutto a muso duro, in prima persona,
senza fare sconti a nessuno. Non capiva cosa potesse esserci di
così interessante nel guardare un branco di svitati, per lo
più poco atletici e intelligenti, che si dibattevano
pateticamente in quello che somigliava a un enorme Luna Park,
affannandosi e rendendosi ridicoli per agguantare quel vile gruzzolo di
denaro.
Eccoli, gli uomini
normali di cui lei parlava prima …
La lei in questione,
forse messa a disagio da qualche suo possibile sberleffo circa le sue
preferenze in ambito di programmi tv, sulle prime si era trattenuta,
ora se la rideva scompostamente. E aveva una risata davvero contagiosa,
non ricordava di averla sentita risuonare spesso. “Girls just wanna have fun”,
diceva una canzone che spopolava qualche anno prima e in effetti a lei
sembrava bastare anche una scemenza come quella per divertirsi. Era
così volubile.
Riportò gli
occhi su quei fotogrammi: gli aspiranti vincitori attraversavano
labirinti e flipper giganti disseminati di tranelli, percorrevano ponti
traballanti sospesi su piscine di fango, scalavano montagne di gomma e
combattevano contro mostri grotteschi, indossando loro stessi dei
costumi bizzarri che impedivano i movimenti. Era tutto così
surreale, indiavolato e folle, ma la tenacia di quei rammolliti era
ammirevole. C’era da sganasciarsi. In meno di quanto si
aspettasse si ritrovò a sghignazzare anche lui, lasciandosi
andare a commenti e battute irriverenti a cui la socia diede manforte.
«Se
io e te partecipassimo, a quale posizione pensi che potremmo
classificarci?», domandò d’un tratto
Kaori, asciugandosi le lacrime che le erano scese per il troppo
ridacchiare, mentre faceva forza per aprire una mega vaschetta di
gelato di tre varietà, caffè, stracciatella e
amarena.
Lui le si
avvicinò di più, pronto ad avventarsi su quella
delizia: «Tu non arriveresti ad un terzo della gara. Io
vincerei a man bassa anche ad occhi chiusi».
«Sempre
modesto», bofonchiò lei, riempiendosi una coppetta
con il suo gusto preferito.
Il socio
le rubò in un attimo la vaschetta, scavando con le dita una
voragine che attraversava i tre gusti: «Sono consapevole
delle mie imbattibili capacità», sostenne
gradasso, portandosi in bocca quella mezza palla di gelato.
I denti
di Kaori stridettero: «Sì, anch’io sono
consapevole … Di quanto tu sia un porco
irrecuperabile!», berciò furente, sguainando il
fido martello di legno massiccio da 100 t e spiaccicandolo alla parete
opposta. Approfittando del suo momentaneo stato di trauma, si
diresse in cucina, sequestrando il dessert.
Ryo si
trascinò verso il divano, ancora un po’
tramortito, mentre lei tornava in soggiorno, guardandolo
dall’alto in basso: «Bastava chiedere»,
lo rimbrottò offrendogli un altro cucchiaio e rituffandosi
al suo posto con la coperta ben attorcigliata attorno al corpo,
gustandosi finalmente la sua coccola all’amarena.
Anche lui
cominciò a mangiare civilmente, o almeno ci
provò, pur restandosene seduto tutto sbracato. La ragazza lo
spiò, in un misto di disgusto e rassegnazione: certe volte
le sembrava un troglodita uscito dalla giungla. Aveva proprio bisogno
di essere rieducato.
«Allora,
cos’altro fai mentre mi aspetti alzata?», riprese a
esprimersi con la solita vena ironica e provocatoria.
Lei
avvampò, e non seppe se fu più per
l’insinuazione o per il modo in cui lui leccava quel
cucchiaino mentre la scrutava lupesco: «Io non ti aspetto
alzata», negò risoluta.
«Kaori
… », mormorò con accento accusatorio,
come a suggerirle che con un impareggiabile detective come lui aveva
ben poco da nascondere. E tra l’altro era già
successo che al suo rientro da una notte brava l’avesse
trovata mezza appisolata sul divano e avesse fatto ogni rumore
possibile per svegliarla.
«Beh,
ogni tanto è successo che ho iniziato a guardare qualche
film e ho tirato fino a tardi», cedette a
quell’interrogatorio con sincerità, consolandosi
con un’altra cucchiaiata di gelato, stavolta alla
stracciatella.
Uno
smaccato sorriso insolente non aveva ancora lasciato le labbra di Ryo:
«Film per adulti?»
«No!
Nella maniera più assoluta!»
s’indignò lei, impugnando il telecomando e
cominciando un veloce zapping.
Lui
buttò il ciuffo indietro, accavallando le gambe fasciate dai
larghi pantaloni della tuta: «E che ci sarebbe di male?
Possono essere educativi. Te ne posso prestare qualcuno. Sei anche
più che maggiorenne … », insistette a
discorrere di quell’argomento che sapeva procurarle un
cocente imbarazzo, assaporando l’aroma del caffè
gelato che si scioglieva nel palato.
Kaori
scattò in piedi come una puledra imbizzarrita:
«Non m’interessano! Io non sono una sporcacciona
come te!», si spolmonò pur di far valere la sua
ragione.
Ci fu
qualche secondo di silenzio, mentre i timpani di entrambi finivano di
rimbombare, poi Ryo la indicò, con un leggero spasmo nei
muscoli facciali: «Però ti sei sporcata».
Lei si
guardò, notando effettivamente una grossa macchia fucsia al
centro della maglietta del pigiama glicine che era l’unica
cosa che indossava, ma un altro sconveniente particolare la
raggelò. I suoi capezzoli liberi dal reggiseno erano
inopportunamente ben visibili attraverso il tessuto sottile, e per di
più intirizziti per lo sbalzo di temperatura, dato che non
aveva più il plaid addosso, o forse anche per tutto quel
gelato o per quella scossa di nervosismo.
Si coprì
all’istante col braccio, sentendo lo sguardo ingordo del
socio farle una scansione approfondita, ma non avendo
l’ardire di verificare se fosse vero.
«Buona
notte!», s’impappinò, precipitandosi
più lontano possibile dalla sua vista, credendo di avere un
tizzone ardente al posto della faccia.
Ryo
tirò un lungo sospiro. Malgrado quella solleticante visione,
il suo amico era rimasto stoicamente sulle sue, anche se adesso
sembrava scalpitare come un carcerato in attesa dell’ora
d’aria.
In quella tranquilla
serata casalinga aveva corso più rischi che in mezzo ad un
concitato conflitto a fuoco.
NDA: Non so quanti di voi
conoscono Takeshi's Castle, di cui ammetto di essere stata fedele
spettatrice qualche anno fa. Scrivendo questo capitolo ho scoperto che
nella sua prima edizione in Giappone venne trasmesso tra il 1986 e il
1989, perciò ho pensato che inserirlo potesse essere un
omaggio a quegli anni ^W^
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Capitolo 7 *** VII - Insieme ... per finta ***
Salve a tutte/i ^_^
Torno dopo
un mesetto di pausa con una nuova lunga shot, la cui scrittura vi
confido che è stata molto travagliata, più che
altro perché me ne sono uscita fuori con un argomento che ad
un certo punto mi è parso più adatto ad una breve
long e che temevo di trattare in modo troppo superficiale. Fatto sta
che, nonostante qualche taglio, ho sforato le dieci pagine e spero che
la lettura non risulti né troppo lunga né
inconcludente.
Come al solito,
commenti, opinioni e critiche sono sempre cosa gradita ;)
Ringraziando
immensamente tutti i lettori, chi ha inserito questa raccolta tra le seguite/preferite/ricordate e chi ha
speso qualche minuto in più del suo tempo lasciandomi anche
un parere, vi do appuntamento alla prossima incursione!)
VII
– Insieme … per finta
Aveva ancora il fiato grosso e il battito leggermente accelerato da
quella convulsa corsa non preventivata, ma adesso l’odorosa
brezza estiva che spirava tra i verdi viali dello Shinjuku Gyoen
alleviò quel lieve affanno che gli aveva stretto il petto.
Arrampicandosi agilmente sul ramo di un ciliegio che pareva fatto
apposta per ospitarlo, gettò una lunga occhiata
perlustratrice, scandagliando ogni persona che si trovasse a passare
nei dintorni.
Fortunatamente conosceva quella città quanto le sue tasche,
ogni strada, vicolo, scorciatoia, angolo, ogni locale, da quelli alla
moda frequentati da pochi avventori danarosi, a quelli più
modesti che accoglievano un’umanità variegata, a
quelli malfamati in cui non mancavano risse e personaggi di dubbia
moralità, così riusciva sempre a nascondersi e a
tendere imboscate a chi credeva di poterlo fregare.
Il parco solitamente sembrava essere una piccola oasi incorrotta dal
male che imperversava quasi ovunque si voltasse, ed era abbastanza
esteso da assicurare una buona copertura. Perciò ci si era
imbucato confidando di poter essere al sicuro, sebbene i suoi sensi
fossero costantemente all’erta.
Rimase per qualche minuto abbarbicato in quel nascondiglio precario,
poi, non riconoscendo alcuna figura vagamente familiare in
quell’andirivieni di famigliole, coppiette, podisti e
ciclisti, ridiscese con un balzo da gatto, tornando allo scoperto e
ricominciando a respirare e a muoversi con disinvoltura, compiacendosi
di essere riuscito grazie alla sua velocità e astuzia a
seminare quella scocciatura che rischiava di rovinargli la
continuazione di una giornata altrimenti promettente per la sua
consueta battuta di caccia alla femmina che era iniziata già
da un paio d’ore, partendo, come sempre, dal suo adorato
Kabukicho.
Inoltrandosi tra i viottoli fioriti e ombreggiati poté
appurare che anche la fauna femminile di quel posto era parecchio
meritevole, tra ragazze che correvano o facevano esercizi di yoga in
succinti completini ginnici e altre che semplicemente passeggiavano
facendo ondeggiare capelli e vestitini leggeri. La bella stagione era
arrivata e con essa un’esplosione estasiante di pantaloncini
e minigonne, bretelline e sandali, che lasciavano scoperte ampie
porzioni di pelle non ancora abbronzata, inondando
l’atmosfera di un inebriante profumo di grazia e freschezza.
La sublime visione di tanti corpi femminili ancheggianti e poco vestiti
minacciava di fargli abbassare la guardia e di farlo finire invischiato
in qualche sgradevole trappola, come gli era quasi disgraziatamente
accaduto poco prima. Ma il richiamo dei sensi era più forte
di qualunque preoccupazione, rincorrere dolci e morbide forme era la
sua principale spinta vitale, un insopprimibile istinto primordiale da
cui non sapeva esimersi.
Si gettò sulle spalle la giacca a jeans, agganciandola ad un
dito. Con quel caldo e quella fuga concitata, la maglietta che
indossava era talmente sudata da essersi appiccicata al torace,
mettendo ben in risalto i suoi larghi pettorali scolpiti, e con lo
sfoggio del suo fisicaccio e di quel suo piglio da implacabile
conquistatore, si sentiva particolarmente ottimista nel poter abbordare
qualche sventola, non troppo esigente.
E così, gettando alle ortiche ogni buon intento di restare
distaccato e vigile, Ryo Saeba cominciò a galoppare a
briglia sciolta in mezzo a quella nutrita rassegna di bellezze a
passeggio, affannandosi nella ricerca di qualche anima benevola che
accettasse il suo invito per uno stuzzicante aperitivo e magari anche
per un infuocato dopocena.
Si stava districando allegramente tra una palpata e una borsettata, un
bacio mancato e un manrovescio, quando con la coda
dell’occhio intercettò l’immagine
importuna di quella tipa subdola e assillante che si guardava attorno,
con tutta l’evidenza di cercarlo. Erano due giorni che quella
svitata gli dava il tormento. Non voleva proprio rinunciare e,
nonostante tutti i suoi sforzi per depistarla, era riuscita a
ritrovarlo!
Le sue suole si staccarono dal suolo con uno scatto degno di un
velocista alle Olimpiadi e, dissimulandosi con i passanti, si
affrettò a raggiungere l’uscita di quello spazio
verdeggiante per rimescolarsi nel convulso tran tran cittadino, in cui,
sperò, sarebbe stato più facile passare
inosservato a quell’asfissiante persecutrice.
Proprio mentre sgusciava tra i pedoni di un incrocio particolarmente
trafficato, marcando stretto quei pochi uomini più o meno
alti quanto lui per mimetizzarsi, controllando sempre di non essere
seguito, individuò sbucare tra la fiumana di gente una testa
dalla capigliatura così peculiare da renderla
inconfondibile, con quelle rare striature mogano, un ciuffo ribelle e
quella codina che scendeva sulla nuca. Il suo portamento era come
sempre impacciato e nervoso, ma in qualche modo riusciva ad apparire
quasi quasi aggraziata, perfino avvolta in quella svilente e anonima
tuta da meccanico con cui le piaceva conciarsi, come se lavorasse in
un’officina.
Un motorino tutto d’un tratto le falciò
bruscamente la strada e quello stridere di gomme e di freni poco oliati
gli mandò per qualche secondo in black out il cervello,
facendolo schizzare in avanti, le dita sul grilletto. Ma la sua socia
si era ritratta subito con una buona prontezza di riflessi, mettendosi
a imprecare a gran voce contro l’incivile.
Un’idea strampalata gli s’insinuò nelle
contorte meningi. Con un po’ di scorrettezza avrebbe potuto
funzionare. La questione più ardua sarebbe stata trovare il
modo di persuaderla ad appoggiarlo ...
Si passò una mano dietro il collo e sulla fronte, scostando
le ciocche madide che si erano appiccicate per l’intensa
calura, sbuffando demoralizzata: non era stata una scelta felice andare
a farsi dare la solita spuntatina proprio quella mattina! La messa in
piega era già poco più di un ricordo e le
sembrava di aver buttato via soldi invano.
La temperatura si era innalzata così in fretta che inoltre
era finita per uscire con un abbigliamento poco azzeccato, non avendo
avuto il tempo di cercare qualcosa di più adatto
nell’armadio. Kaori sbottonò la giacchetta
legandosela in vita, mentre si ritrovò a sostare davanti ad
alcune vetrine in allestimento in cui le commesse si affaccendavano a
sistemare sui manichini degli abiti pensati per l’imminente
periodo estivo.
Solo qualche giorno prima era entrata in uno di quei negozi in
compagnia di Keiki Kashiwagi, l’uomo più bello che
avesse mai incontrato: garbato, elegante, perbene, riservato, gentile.
Al suo fianco si era sentita leggera, come se camminasse sulle nuvole.
Anche se lei era stata scambiata per un lui e lui per una lei ...
D’altronde quel ragazzo aveva dei lineamenti così
delicati e un fisico così armonioso da risultare perfetto
anche travestito da donna.
Non era una novità che la gente, per lo più
superficiale e distratta, equivocasse la sua identità. Le
capitava spesso, sin dai tempi del liceo, ma se il più delle
volte preferiva ignorare certe chiacchiere e certi commenti
impertinenti, sentirsi meno donna di una finta donna l’aveva
un po’ rattristata e umiliata.
Prima di decidersi di recarsi dal parrucchiere aveva valutato se farsi
allungare i capelli o magari cambiare acconciatura, ma poi, quando si
era ritrovata seduta davanti allo specchio, alla fatidica domanda aveva
optato per il solito taglio, più corto davanti e con qualche
ciuffo appena più lungo dietro, quello in cui più
si riconosceva e in cui riusciva a piacersi almeno un po’.
Alla fine tra lei e quel fascinoso attore non era successo nulla e dopo
la conclusione dell’incarico di protezione non lo aveva
più rivisto, né aveva avuto
l’intenzione di ricontattarlo. In verità non aveva
più provato alcun interesse per lui. Tutti i suoi pregi
scomparivano se messi a confronto con l’uomo dai mille
difetti che le scompigliava i pensieri e le mandava il cuore in
subbuglio.
Sospirò indispettita, sentendosi un’illusa per
continuare a sperare in qualcosa di più. Erano
già trascorsi tre anni da che collaboravano e convivevano e
non c’era mai stato uno sprazzo di manifesto interesse da
parte sua. Perlomeno non di tipo romantico.
Di donne gliene aveva viste sedurre a bizzeffe e tutte,
indistintamente, si erano innamorate almeno un po’ di quel
giustiziere intrepido e implacabile, dotato di un animo nobile e
generoso: dalle ragazzine poco più che adolescenti a quelle
più mature, dalle irriducibili sognatrici alle
più esperte e assennate, dalle più timide e
innocenti alle più esuberanti e sfrontate, incluse serie
professioniste, vedove inconsolabili e addirittura principesse in
incognito!
Detestava ammetterlo, ora più che mai, ma di
quell’uomo indomito, che in più occasioni sapeva
anche essere un debosciato di prima categoria, si era sventuratamente
invaghita anche lei. Pur avendo conosciuto da vicino la sua
depravazione e le sue tante ombre che lo rendevano spesso enigmatico e
sfuggente, aveva imparato pian piano, oltre che a stimarlo per la sua
propensione a rischiare deliberatamente la sua incolumità,
il più delle volte in maniera disinteressata, a decifrare
anche le sue maldestre attenzioni nei suoi confronti.
L’ultima delle quali, aveva scoperto da poco, era quella di
intrufolarsi nella sua camera per occultare delle microspie sui suoi
vestiti.
Durante quelle incursioni clandestine le rubacchiava pure qualche capo
intimo, ma ormai per lei quei furti erano quasi rassicuranti e le
martellate con cui lo puniva erano diventate più che altro
un’abitudine, la cui frequenza e violenza variavano a seconda
dell’umore e della quantità di grane con cui aveva
dovuto barcamenarsi nel corso della giornata.
Soffocando un altro sospiro di frustrazione, riprese a camminare di
buon passo, accingendosi a completare il suo giro di commissioni.
Comprò un po’ di spesa per assicurarsi di avere a
disposizione l’essenziale in caso di una bocca in
più da sfamare, se mai avessero dovuto ospitare qualche
cliente, e quindi andò nuovamente a controllare il tabellone
alla stazione metropolitana, trovandolo ancora vuoto. Nei suoi
spostamenti, però, aveva avuto la sottile sensazione di
essere spiata e seguita da qualcuno e, benché quando di
tanto in tanto si era soffermata a sbirciare dietro di sé
non avesse avvistato nessun tipo sospetto, aveva i nervi a fior di
pelle.
Riattraversò alla svelta la lunga galleria sotterranea
imboccando l’uscita ovest, anziché quella est che
riportava a Shinjuku, per poi perdersi nelle stradine piene di
ristoranti, caffè ed izakaya, a quell’ora
antipomeridiana più affollati che mai. Si stava allontanando
più di quanto non volesse dal suo percorso abituale e
avrebbe impiegato il doppio del tempo per tornare indietro. E tutto
questo solo per un’impressione che forse non aveva fondamento.
Kaori si fermò, appoggiandosi per qualche secondo contro una
saracinesca, socchiudendo le palpebre e cercando di tranquillizzarsi,
ma un fugace sfioramento la fece sobbalzare ed estrasse in un attimo
dalla borsetta la bomboletta di spray urticante che teneva pronta.
Quando la nebulizzazione si dissolse, poté finalmente
distinguere il volto infiammato del malcapitato che, con gli occhi
arrossati e le labbra gonfie, si stava prodigando in una serie di
maledizioni: «Ryo?! Ma allora eri tu!»,
esclamò sbalordita e con un pizzico di colpevolezza.
Quello si asciugò i lacrimoni, mugugnando un tramortito:
«Buongiorno».
«Si può sapere perché diavolo mi stai
pedinando?», gli domandò seccata, continuando ad
agitare la bottiglietta e scrutandosi attorno un po’ ansiosa.
Il socio, ripresosi dall’aggressione al peperoncino, si
grattò la collottola con fare indifferente:
«Volevo mettere alla prova le tue abilità
investigative. Sei stata brava a scoprirmi!», si
complimentò con un accento da amicone che suonava alquanto
ipocrita.
La ragazza inarcò un sopracciglio, dipingendosi
un’espressione perplessa. A quell’ora era solito
sguazzare per le vie del centro tentando di approcciare qualunque
essere dotato di due belle gambe. Doveva aver ricevuto una consistente
sfilza d’imbarazzanti due di picche per ridursi a cercare la
sua compagnia, ragionò, notando l’evidente segno
di una cinquina sulla sua faccia, oltre ad impronte di pedate che gli
tappezzavano i pantaloni bianchi. Sospettò che ci fosse
qualche secondo fine dietro tutta quella strana ruffianeria, ma decise
di sfruttare ugualmente la sua prestanza: «Allora,
già che ci sei, reggimi queste»,
borbottò con bruschezza, appioppandogli le sacche della
spesa.
«Volentieri, cara», acconsentì un
insolitamente docile e solerte Ryo, caricandosi quel peso sulle braccia
con un gran sorriso scintillante.
«Sicuro di sentirti bene?», si preoccupò
lei, tastandogli la fronte e studiandolo con malcelata diffidenza.
Quello assunse un’espressione stizzita: «Come? Mi
accusi sempre di essere un menefreghista e un lavativo, e adesso che mi
presto ad aiutarti, mi offendi pure?».
Kaori abbassò il mento, rimproverandosi
l’eccessiva malafede che nutriva nei suoi riguardi, non
riuscendo ad impedirsi di trattarlo male anche quando il suo agire era
apparentemente innocente.
«Sei veramente incontentabile», tornò
però ad inveirle contro lui, «Per forza non riesci
mai a trovarti uno straccio di fidanzato!».
La sua imperterrita mancanza di rispetto le fece fumare le orecchie.
Con un cazzotto ben assestato frantumò il suo risolino
beffardo: «Andiamo!», sbuffò tutta
rossa, stringendo i pugni lungo i fianchi, calcando i piedi per terra.
Il suo compagno protestò meno del solito, cominciando a
parlottare del più e del meno, restando a camminarle tanto
vicino da sfiorarla sbadatamente con il gomito, nudo per via delle
maniche arrotolate della giacca. Quel contatto intermittente, insieme
alle sue chiacchiere e ai suoi sorrisi, sembrava celare
l’intento di distrarla, per cui lei continuò a
guardarlo in tralice, mentre mille domande le vorticavano in mente e
una miriade di sensazioni discordanti le rimescolava il petto.
Nel frattempo erano giunti di nuovo in prossimità del lato
est della stazione.
Ryo si era zittito e avanzava speditamente tra la folla con lo sguardo
dritto davanti a sé, anche se le sue pupille si muovevano a
destra e a sinistra, come a setacciare costantemente qualche eventuale
minaccia. Quel suo atteggiamento da predatore in avanscoperta non
poteva che trasmetterle una certa agitazione, le venne istintivo
imitarlo, impegnandosi a scrutare anche lei i volti che le sfilavano
accanto, cercando di individuare qualche losco figuro
all’orizzonte. Sapeva che lui non avrebbe mai rischiato di
far cominciare una sparatoria in mezzo a tante persone. Sembrava che
avesse piuttosto una certa fretta di trovare una buona copertura per
far perdere le loro tracce a qualcuno.
Quasi avesse percepito il suo stato di nervosismo, il socio fece
scivolare un braccio a cingerle mollemente le spalle, ma poi la sua
mano le circondò la vita, addossandola a sé, in
maniera quasi possessiva. La ragazza si allarmò
ulteriormente, divisa tra l’offesa e l’angoscia,
che in entrambi i casi scompensavano le sue palpitazioni:
«Ryo, oramai posso affermare di conoscerti abbastanza bene
…», lo redarguì frastornata, tentando
di staccarsi a forza dalla sua presa. «Ti vuoi decidere a
spiegarmi che cavolo sta succedendo?!», alzò
automaticamente la voce, attirando su di loro il cipiglio sbigottito di
alcuni ignari passanti.
Lui sciolse quel mezzo abbraccio, articolando dei balbettii di senso
incompiuto, sopraffatto da quel suo piantargli due occhioni schietti e
scrupolosi e sentendosene addosso un altro paio che, colmi di
ostilità e ripicca, lo stavano inseguendo senza tregua.
«Dì un po’, non si tratterà,
per caso, di quell’adorabile fanciulla lì di
fronte che ci sta fissando con uno sguardo omicida?», dedusse
difatti la sua perspicace socia, alludendo ad una deliziosa brunetta
che, verde di collera, lo inceneriva dal marciapiede opposto.
Ryo serrò la mascella, ben conscio che
quell’asserzione avrebbe messo alla berlina la sua
reputazione: «Sì, sto scappando da lei»,
confessò in un basso singulto.
Una risatina sarcastica travolse la sua assistente, che non si
curò minimamente di nascondere quanto la divertisse quella
bizzarra circostanza: «Lo sciupafemmine Ryo Saeba che scappa
da una donna! Aspetta che prendo l’agenda: è una
data da ricordare. Il mondo deve aver cominciato a girare al
contrario!», sghignazzò impunemente.
Lui la folgorò, punto sul vivo da quel suo irriverente
ridicolizzarlo: «Smettila di fare la spiritosa! Io sono
serio!», affermò esasperato, restituendole con
malagrazia le sacche della spesa e filando verso l’Honda che
aveva avvistato parcheggiata a qualche metro da loro, prima che al
semaforo scattasse il verde e la molestatrice potesse raggiungerli.
Kaori lo tallonò di corsa, per evitare che la lasciasse a
piedi, urlandogli dietro: «Se fossi stato serio, non ti
troveresti in questa situazione! Te l’ho detto tante volte
che non si scherza con i sentimenti di una ragazza!», gli
fece la predica coi toni saccenti e pazienti di una maestrina,
infilandosi rapidamente nell’abitacolo, lanciandogli le
chiavi e prendendo posto accanto a lui, mantenendo un sorrisetto
ironico sulle labbra.
Controllando lo specchietto retrovisore, Ryo premette il pedale della
frizione e inserì la marcia per partire, sgommando come un
fuggitivo braccato. La sua partner non smetteva di interrogarlo
mutamente, trattenendo a stento la curiosità di apprendere i
retroscena di quella bislacca vicenda.
«Si chiama Usagi Mashimoto. L’ho rincontrata due
sere fa. Era una tredicenne vittima di alcuni bulli quando ci siamo
conosciuti. Le avevo promesso di sposarla quando sarebbe diventata
maggiorenne e avrebbe concluso gli studi. Ed ecco, adesso si
è appena laureata alla facoltà di legge,
è ritornata da Osaka e pretende che mantenga quella stupida
promessa. Oppure mi denuncerà per circonvenzione di minore.
La sua famiglia ha fitti legami con la Yakuza, è molto
probabile che riesca a farmi incriminare per davvero, anche per altri
reati», si risolse a raccontarle con quanta più
gravità potesse infondere alle sue parole, come se stessero
discutendo di normale routine di lavoro.
Kaori sospirò secca: «Possibile che usi sempre la
stessa scusa? Non impari mai», commentò scuotendo
la testa. Quel suo essere talvolta così naif nel rapportarsi
con il gentil sesso, quasi inconsapevole di quanta attrattiva
esercitassero il suo ardore e il suo mistero, non sapeva se le faceva
più tenerezza o pena. O forse meglio dire rabbia. Ancora non
lo aveva ben capito.
«Allora, mi aiuterai a liberarmene?», la riscosse
con tono fermo da quelle divagazioni.
«Io? E in che modo?», balbettò perplessa
da quell’insolita richiesta.
Ryo distolse la faccia sulla strada e si aggrappò al
volante, preparandosi ad incassare un colpo: «Fingendo di
essere la mia fidanzata … » farfugliò
con la voce che si assottigliava ad ogni sillaba.
Se Kaori fosse stata alla guida, la macchina avrebbe sbandato
investendo o tamponando qualcuno: «Cosa? Sei impazzito? Ma
… Perché proprio io!?», si
accalorò, scalpitando sul sedile, sentendosi preda di un
attacco di claustrofobia.
«Non saprei a chi altra chiederlo!», si
giustificò lui in tutta sincerità, augurandosi
non le frullassero strane idee. Gli sembrava quasi di sentire il
guazzabuglio di farneticazioni che si affollavano nel suo fantasioso
cervelletto.
«Beh, potresti rivolgerti a Saeko. O a Reika. Non si farebbe
certo pregare, quella …», mugugnò
imbronciata dopo qualche minuto di riflessivo silenzio, adombrandosi al
solo immaginarli insieme.
«Reika? Ma neanche per sogno! Quella furbastra vorrebbe di
sicuro qualcosa in cambio. E non è una che si accontenta
facilmente», dissentì lui all’istante e
con un certo rancore, imboccando la discesa per il garage sotto il loro
palazzo.
Kaori ebbe un travaso di bile: «E certo, io invece sarei la
povera scema che ti ubbidisce, ti serve e ti riverisce senza mai
chiederti nulla!», si dannò più con se
stessa che con lui, saltando giù prima ancora che
l’auto si fermasse e sbattendo violentemente la portiera.
Ryo finì di posteggiare e la raggiunse in un paio di
falcate, sbarrandole l’accesso alle scale: «Non
è così. Tu … sei nevrotica e
rompiballe … ma non ho mai conosciuto una persona
più leale, generosa e altruista di te», la
inchiodò rivolgendole due occhi languidi e speranzosi,
sentendosi per un attimo meno bugiardo e meschino di quanto non
s’imponeva il più delle volte di essere con lei.
Quell’inattesa, sgangherata dichiarazione di stima fece
trepidare per un attimo la ragazza, stemperandone il risentimento:
«Oh Ryo, anche tu sei una bella persona, quando ti ci
metti», mormorò mordicchiandosi il labbro
emozionata, ma poi lui le sorrise appena, indecifrabile, e in lei prese
il sopravvento lo scetticismo: «Aspetta! Razza
d’imbroglione! Stai cercando di abbindolarmi?!», lo
spintonò, armandosi di un martello nuovo di zecca con su
scritto “Fanfarone
n. 1 del Giappone” che gli piantò in
cranio prima che lui potesse replicare qualcosa.
«Ascolta! Se riuscissi a farle credere che stiamo insieme,
forse si convincerebbe che ho cambiato gusti, che mi piacciono le tipe
androgine e manesche come te! E finalmente mi lascerebbe in pace. Che
ti costa?», non demorse a sproloquiare lui, appendendosi alle
sue gambe e facendosi trascinare così su per i gradini, fino
a che non varcarono la porta dell’appartamento.
«Scordatelo!», lei se lo scrollò dai
piedi come fosse una gomma da masticare, scaraventandolo contro una
parete.
Ryo sputacchiò qualche pezzo di cemento e si
scrocchiò le ossa, rizzandosi e ritentando di farla
ragionare, anche se finora non ci era riuscito né con le
buone né con le cattive. Le si riavvicinò mentre
sistemava la spesa in cucina e si prostrò servilmente, i
palmi per terra e la fronte china: «Dai, ti prego! Neanche a
me va di farlo, ma dovremmo fingere solo per qualche ora! E poi ti
prometto che farò tutto quello che mi chiederai».
La socia si abbassò sulle ginocchia, poggiandogli una mano
sulla spalla, un tocco gentile che gli infuse un immediato senso di
conforto: «Sei adulto e vaccinato, Ryo. Sbrigatela da
solo!», fu la sua fredda e acida risposta che lo
lasciò con un palmo di naso, dissuadendolo dal perseverare e
umiliarsi ancora.
Dopo una cena frugale e solitaria, Kaori si buttò a letto,
spossata da quell’assurda discussione, più
emotivamente che fisicamente. Vivere accanto a quell’uomo dal
temperamento scriteriato e burrascoso le riservava ogni giorno sempre
nuove sfide, a volte meno stimolanti di altre, ma a cui la sua indole
curiosa e combattiva non sapeva sottrarsi. Quando si trattava di
risolvere dei casi con qualche retroscena giallo o di smascherare delle
ingiustizie, partiva in quinta ed era sinceramente contenta di poter
contribuire ad alleggerire o estinguere le pene di qualcun altro.
La storia che le aveva riferito Ryo però … le
sembrava fare acqua da tutte le parti! Non era da lui angosciarsi tanto
per una bella corteggiatrice sin troppo insistente, anzi, tutto
l’opposto. L’aveva vista di sfuggita, eppure le era
già bastato a cogliere quanto fosse intrigante e decisa.
Indubbiamente per un libertino fatto e finito come lui, la prospettiva
di un matrimonio equivaleva ad una minaccia di ergastolo, per quanto
amabile potesse essere il suo carceriere. Ma era
un’intimidazione che aveva già ricevuto e
declinato in passato, senza farsi affliggere da tante paranoie e non
capiva perché volesse il suo appoggio.
Mentre si rigirava insonne tra le lenzuola, un pensiero ardito la
stuzzicò: che magari lui volesse coinvolgerla di proposito
in quella messinscena, per trascorrere un po’ di tempo
insieme. Escludendo l’ipotesi che potesse averlo picchiato
più forte del solito o che avesse contratto qualche malattia
venerea che stesse cominciando a farlo delirare, si sentì di
scartare categoricamente quella probabilità.
Rivedendolo tanto fiacco, taciturno e introverso a colazione,
finì però per cedere. Dopotutto gli voleva bene,
più di quanto forse non fosse giusto e non si meritasse. Con
quel pretesto avrebbe comunque potuto magari vendicarsi un
po’ e prenderlo in giro.
Ryo sonnecchiava sul divano della sua camera, le gambe accavallate e
una rivista osé mezza aperta posata sulla faccia, per
ripararsi dai raggi del sole che cominciavano ad entrare invadenti,
sollecitandolo a dare inizio alla sua giornata. Ma il suo umore non era
per niente collaborativo.
La sua professione gli imponeva di tenersi sempre ben informato su
quanto accadeva e la sua fidata socia, al suo ritorno dalla sua
quotidiana uscita mattutina, non gli faceva mai mancare alcuni
quotidiani freschi di stampa. Le notizie di cronaca nera erano quelle
su cui prestava sempre la maggiore attenzione e che gli lasciavano un
senso d’impotenza e disgusto, per cui subito dopo quella
lettura, uggiosa ma doverosa, provava il bisogno di rifarsi con la
contemplazione di qualche bella foto spinta di prosperose pin-up.
La sua mente comunque continuava ad essere altrove e non aveva avuto
neanche un misero mokkori, nonostante la visione di tutti quei corpi
meravigliosi.
Pensava e ripensava che forse stavolta aveva esagerato ed era stato
vigliacco a proporre alla sua collega di fingersi la sua innamorata,
aspettandosi che non si rifiutasse né si offendesse. Dentro
di sé, sebbene volesse evitare di prenderlo in
considerazione, ormai sapeva sin troppo bene che lei era sul serio
infatuata di lui, più di qualunque altra donna avesse mai
tentato di conquistare. Sarebbe stato un gioco troppo rischioso
fingersi ciò che non erano e non sarebbero mai potuti
essere, e non si raccapezzava del perché se ne fosse uscito
proprio con quella trovata assurda, ritenendola perfino valida e
fattibile!
Avvertì uno scalpiccio leggero, un rapido fruscio e
l’odore della carta stampata allontanarsi dal suo naso,
mentre il giornaletto volava via e un’intensa luce gli feriva
le palpebre. Se le stropicciò, focalizzando
l’immagine della giovane donna che occupava le sue
disquisizioni interiori, con le mani piantate sui fianchi e
un’espressione sibillina.
«Ho deciso. Accetto», fiatò determinata,
«Se mi prometti che tornerai al più presto a
concentrarti sul lavoro come si deve, allora accetterò
questo rivoltante compromesso e ti aiuterò»,
acconsentì facendosi meno accigliata.
Lui lasciò sedimentare la sorpresa per
quell’inaspettata inversione di circostanze, impreparato su
come reagire, ma intimamente risollevato dal suo abbassare gli scudi e
soprattutto tornare a parlargli, dopo quasi dodici ore di ostinato
silenzio. Si drizzò in piedi come una molla, indossando un
gran sorriso scherzoso: «Kaori! Mi rendi un uomo
felice!», la adulò festante, prendendole le mani e
salterellando, riuscendo ad attenuare un po’ il reciproco
nervosismo, «Ma … un momento. Sei sicura che non
vuoi davvero niente in cambio da me?», troncò
quell’irriflessivo intreccio di dita, tornando ad affinare lo
sguardo, malizioso e inquieto.
«Tsk. Io non sono come le altre donne che
frequenti», sbottò orgogliosamente lei,
incrociando le braccia e battendo in ritirata, ancora scombussolata per
l’esplosione di gioia con cui lui aveva accolto il suo
ripensamento.
Ryo si lasciò cadere sul materasso, ma percepì
che lei non si era allontanata di molto, anzi era rimasta proprio fuori
dalla porta e fu quasi certo di indovinare su cosa si stessero
ingarbugliando le sue riflessioni. Come avrebbero dovuto comportarsi
adesso per portare avanti quella pantomima in maniera verosimile e
convincente? Da parte sua, gli veniva in mente una sola cosa che due
innamorati avrebbero potuto fare insieme … E non era
qualcosa da poter simulare come niente fosse, tantomeno da ostentare in
pubblico. E poi sporcare la fedina penale immacolata di lei con
un’accusa così infamante era fuori discussione. Ma
magari Kaori aveva avuto qualche fidanzatino a scuola e poteva
suggerire qualcosa di meno indecente ...
Kaori difatti rifletteva sul come proseguire, adesso che si era esposta
e aveva acconsentito a quella strana proposta. Lui non le aveva mai
confidato di aver avuto relazione passate, ed era praticamente certa
che non si fosse mai inoltrato oltre gli incontri amorosi di qualche
notte. Dal canto suo, lei era completamente inesperta in
quell’ambito. Poteva solo fare affidamento su quanto aveva
visto in qualche film o letto in qualche libro.
Rientrò spedita, rallentando via via che gli si avvicinava e
intravedeva la stessa incertezza volteggiare nelle sue iridi scure:
«Come potremmo ingannarla?», mormorò
esitante, tormentandosi le dita.
Lui se ne stette qualche secondo a gambe incrociate e con
l’indice poggiato sul mento: «Potremmo farci vedere
in giro insieme», buttò lì dopo un
breve ragionamento.
«Ma Ryo … i tuoi nemici … »,
titubò lei, impensierendosi già,
com’era nella sua indole assennata e premurosa.
«Non ci pensare. Sono un mio problema», la
rassicurò subitamente e spavaldamente lui, al che lei gli
inviò un cenno assertivo e fiducioso.
«Più che altro mi rovinerai la piazza!»
Era da almeno una trentina di minuti che percorrevano su e
giù le gremite strade dello shopping e del divertimento di
Shinjuku nei pressi dello Studio Alta, là dove le persone si
muovevano come biglie impazzite e il frastuono era assordante. Giravano
in tondo, sbirciandosi, sfiorandosi, bisticciando e soprattutto
fremendo nell’attesa di avvistare l’unica ragione
per cui stavano costringendosi a quella recita, che si stava rivelando
più complicata del previsto.
Kaori stava oramai perdendo la pazienza e si biasimava amaramente di
aver dato retta a quello squinternato del suo socio, che non le aveva
spiegato per filo e per segno tutta la faccenda, tantomeno dato
istruzioni su come avrebbe valutato di procedere, una volta che si
fossero ritrovati davanti l’agguerrita spasimante. Troppo
inibita dalla sua innata timidezza per ritornare su quello scabroso
argomento, si arrovellava a interrogarsi se potesse risultare credibile
che una ragazza dall’aspetto così banale come lei
avesse conquistato il cuore di un uomo così attraente e
sicuro di sé come lui, e soprattutto come avrebbero potuto
improvvisare senza essersi nemmeno messi d’accordo di fronte
ad eventuali domande scomode.
Ryo d’altra parte stava compiendo uno sforzo abnorme per non
catapultarsi all’inseguimento di qualsiasi essere femminile,
fingendo di essere completamente a suo agio
nell’accompagnarsi a lei. Di tanto in tanto aveva
fatto dondolare una mano verso la sua, provando ad afferrarla, per poi
frenarsi, considerandola una cosa da bambini. Un braccio attorno al
fianco invece avrebbe potuto sembrarle troppo intimo e audace.
Nell’indecisione aveva rimesso le mani in tasca.
«Posso prenderti a braccetto?», gli
domandò lei con semplicità, dopo averlo
già fatto.
«Va bene», le accordò di rimando,
rilassandosi e vedendola sorridere di sottecchi.
Le aveva chiesto di non comportarsi o vestirsi in maniera troppo
diversa dal solito, ma quando l’aveva vista aspettarlo
sull’uscio con quella stretta minigonna che risaltava la sua
vita sottile e metteva in mostra le sue gambe slanciate anche senza
tacco, per qualche secondo aveva inevitabilmente pensato che non fosse
affatto malaccio e che quella sua aria così sobria e
sbarazzina avesse il suo perché. Anche qualche altro maschio
se ne accorgeva e torceva il collo al suo passaggio, invece la diretta
interessata era così sbadata che sembrava proprio non
notarlo.
«Non c’è bisogno che mi stringi
così tanto», la punzecchiò fingendosi
inorridito, quando arrivò a percepire contro il suo gomito
la morbida curva del suo seno.
Kaori arrossì sensibilmente, scostandosi appena:
«Non lo sto facendo», mentì sapendo di
mentire.
«Sì invece», perseverò
irritato lui, raddrizzandosi con uno strattone, ma non riuscendo e non
volendo spezzare completamente quel piacevole contatto.
«Quindi lavoravi per la Yakuza?»,
azzardò a chiedergli di punto in bianco lei, senza alcun
intento critico, solo per cercare di non badare a quanto fossero
insolitamente vicini.
Lui divenne un po’ teso, scrollando le spalle:
«Errori di gioventù», glissò
lapidario, tra il serio e il faceto. Si bloccò e lei lo
copiò, seguendo la traiettoria del suo sguardo.
«Oh eccoti», si frappose una voce flautata ma
intrisa di livore.
Se da lontano e in quei pochi secondi in cui aveva potuto osservarla le
era parsa graziosa, adesso che poteva apprezzare la gradazione verde
cangiante delle sue iridi che illuminavano un viso dai lineamenti
levigati e risaltati da un trucco curato, incorniciato da un caschetto
di liscissimi capelli d’ebano che si abbinavano ad un corpo
elegante e formoso, racchiuso in provocanti abiti griffati, Kaori
pensò di trovarsi di fronte ad un’autentica
maliarda in grado di far perdere irrimediabilmente la testa a
quell’invasato del suo partner in uno schiocco.
Contrariamente a quanto aveva temuto, Ryo la tenne a distanza,
salutandola con cortesia ma rimanendo quasi gelido nei suoi riguardi:
«Usagi. Te l’avevo detto che sono
impegnato».
«Credevo lo fossi con una cliente»,
ribatté malignamente quella, sezionandola con un misto di
sufficienza e astiosità, che le suscitò tanto
disagio quanto malanimo, seccandole le corde vocali. Ma il suo partner
al momento sembrava non necessitare del suo aiuto per respingere quelle
antipatiche frecciatine.
«Beh, Kaori lo era all’inizio, ma poi …
fra noi è nato qualcosa di più»,
sostenne persuasivo ammiccando a lei, che, benché
consapevole della finzione, si sentì sciogliere da quelle
semplici parole e fissò la punta delle sue consunte
ballerine.
Un luccichio torvo baluginò tra i denti e le pupille della
bella pretendente: «Se la ami così tanto, come mai
l’altra sera eri fuori, tutto solo, a fare il pappagallo con
altre donne? Questa qui non ti soddisfa?», insinuò
sferzante, instillando stavolta un profondo rincrescimento
nell’animo della finta coppia. I due si scambiarono
un’occhiata colma d’imbarazzo, con la differenza
che quella di Kaori era in più anche parecchio inasprita.
In un attimo abbandonò la sua apparenza di acqua cheta e
quella sua latente tempra passionale deflagrò senza
più freni: «Smorfiosetta, sentimi bene. Tu non hai
nessun diritto di sputare sentenze sulla nostra vita privata! Io e te
dobbiamo parlare! Aspettami lì!», le
ordinò con l’animosità di chi fosse
sull’orlo di un esaurimento nervoso.
Ryo, intuendo l’antifona e confidando sul fatto che quelle
due teste calde si sarebbero scornate per bene, si era un po’
defilato e stava per svignarsela, quando la sua socia lo
agguantò per il bavero della giacca: «Dimmi la
verità … Tu e lei vi siete
già divertiti?», sibilò
cominciando a stingergli la gola, scuotendolo come una maracas.
«Intendi se me la sono fatta? Ti pare il momento di essere
gelosa?», tossicchiò lui, tentando di appiattirsi
contro un muro per essere meno visibile dalla gente che passava di
lì restando sconcertata per quell’insolita scena.
Non si vedeva tutti i giorni una donna picchiare il proprio compagno.
«Mi serve saperlo per la balla con cui intendo raggirarla. E
non prendermi in giro!», precisò incontrovertibile
Kaori, piantandogli un ginocchio nello stomaco.
«Appena ha menzionato i vocaboli
“matrimonio”,
“responsabilità” e
“figli” il mio potentissimo mokkori si è
ammosciato. Un po’ come quando vedo te»,
asserì in un rantolo pietoso e dolorante lui.
Lei inspirò allentando quella terribile morsa, quasi neanche
prestando attenzione all’ennesima irrisione lanciatagli dal
socio: «Benissimo!», stabilì con piglio
meditabondo e intimidatorio, lasciandolo in mezzo a quel caotico via
vai a riprendersi dalle percosse.
Cosa che, come sempre, avvenne in un lampo. Friggendo dalla
curiosità di origliare quella conversazione, lo sweeper
compì qualche passo furtivo, acquattandosi tra i vasi e i
tavolini del bar in cui le due ragazze si erano accomodate,
ignorandolo, pur se era al centro della loro animata chiacchierata. E
rimase impressionato dalla spigliatezza con cui la sua socia
riuscì ad inventarsi su due piedi una storia fasulla
così ricca di particolari. Un po’ si
sentì anche colpevole per averla corrotta a tal punto da
renderla tanto capace di dire il falso, anche se per una buona causa,
ma appena giunse alle battute finali di quel racconto immaginario, in
lui prevalse un certo affronto, misto ad irritazione.
Le due ipotetiche rivali comunque si separarono con un rispettoso
abbraccio. Kaori era capace di farsi ben volere da tutti. Ryo decise di
abbandonare il campo, facendosi inghiottire dalle caotiche vie che
sfociavano nei bassifondi della città. Con lei avrebbe fatto
i conti al suo ritorno.
Stava oramai calando la sera quando salì in terrazza,
trovandola, come aveva intuito non sentendola in nessuna stanza, a
stendere la biancheria. Rientrata nei suoi inoffensivi panni
casalinghi, si adoperava a svolgere le solite faccende con apparente
serenità, nonostante la piccola turbolenza appena affrontata.
«Hai infranto il suo sogno», attaccò con
tono neutro ma sottilmente avverso, sorpassandola per andare ad
affacciarsi sul panorama, gli avambracci poggiati sulla ringhiera e il
venticello mite a smuovergli un po’ i capelli.
Kaori fermò una pinza al lenzuolo: «Ah
perché sposarsi con te lo definiresti un sogno?»,
ribatté sardonica, non stupendosi troppo del fatto che lui
potesse aver ascoltato tutto.
Il socio si voltò di scatto, investendola con
un’espressione che pareva sprizzare fuoco e fiamme:
«Io impotente in seguito ad un incidente sul lavoro?! Me ne
vado per locali solo perché ho nostalgia del passato e devo
essere compatito!» proruppe furente, essendosi trattenuto con
grande fatica durante il momento in cui si era sentito infangare da
quella vergognosa calunnia. «Perché ti sei
inventata una bugia così terrificante?! Sei stata cattiva!
Mi hai rovinato la reputazione! Non potrò più
andare ad Osaka!», continuò a gesticolare e
frignare, buttandosi per terra.
La ragazza non si lasciò turbare eccessivamente da quel
teatrale piagnisteo: «Volevi che ti lasciasse in pace. E
adesso non dovrai più preoccuparti. Gli Yakuza ci tengono ad
avere degli eredi e tu non vai bene», affermò con
inappuntabile senso pratico. «E comunque penso che
quell’Usagi sarà troppo traumatizzata per parlarne
con qualcuno».
«Come ti è potuta venire in mente una storia
così insensata!», insistette incaponito, non
volendo sentire ragioni per quello che reputava quasi un tradimento nei
suoi riguardi. Lei però ostentava una flemma innaturale,
seguitando ad appendere magliette e mutande.
Le si piazzò davanti, bloccandola tra lui e il muro:
«E così le hai fatto credere che il nostro amore
sarebbe platonico? Che grande stronzata …».
Nella sua intonazione a Kaori parve di cogliere dell’amara
ironia che per qualche attimo la destabilizzò, facendole
correre un brivido lungo la schiena e tremolare le caviglie.
Deglutì un grumo di saliva, cercando di sostenere il suo
sguardo penetrante senza tradirsi: «Mi sono ispirata ad un
fatto vero … Di cui ho letto su una rivista dal
parrucchiere».
Il volto di Ryo si distese, schiarendosi da quell’indefinita
torbidezza di cui si era offuscato: «Forse in fondo sei una
buona amica», approvò dandole una leggera pacca
sulla spalla, inarcando gli angoli della bocca. «Comunque resti un’insopportabile peste!» la
accusò impertinente, volgendole una linguaccia, chinandosi e
raccogliendo dei calzini bagnati dalla cesta del bucato per poi tirarglieli
addosso.
La reazione della sua socia non si fece attendere:
appallottolò un asciugamano di spugna e glielo
scagliò contro, dando inizio ad una battaglia senza
esclusione di colpi.
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Capitolo 8 *** VIII – Detestabili abitudini ***
Salve
^_^
Ritorno ad aggiornare questa raccolta dopo una lunga pausa di cui mi
scuso umilmente con i lettori che mi hanno seguito, augurandomi che
almeno l'attesa sia valsa la pena e questa shot vi piaccia.
Non sto qui a soffermarmi e a giustificarmi sulle svariate cause
concomitanti che mi hanno allontanato dalla scrittura (che ho comunque
portato avanti su altri fandom), piuttosto ringrazio quanti si sono
preoccupati di chiedermi, incoraggiarmi e farmi avere il loro
apprezzamento.
Ho scelto di proposito la soluzione delle shot missing moments (che in
origine avrebbero dovuto essere semplici flash) piuttosto
che cominciare una long, ben sapendo e temendo che in questo
periodo non avrei potuto dedicami con la dovuta cura e
concentrazione su una storia più complessa,
perciò spero comprendiate le mie future latitanze ^.^"
Questa volta ho voluto riagganciarmi ad un episodio che reputo tra i
più importanti del manga e che per fortuna è
stato trasposto anche parecchio bene nella versione animata, ovvero
l'incontro di Kaori con Sayuri. Alla fine la nostra eroina fa una
scelta ben precisa, ma reputo quasi impossibile che non abbia avuto
qualche dubbio. E Ryo? Anche lui aveva preso seriamente la faccenda.
Insomma, ho cercato di ricamare sul dopo, mi auguro di non aver scritto
banalità e di non risultare noiosa.
In fondo troverete qualche nota su delle citazioni che ho voluto
inserire.
Grazie infinite ancora a tutti i lettori, alla prossima!)
VIII
– Detestabili abitudini
Il volo delle 9:30 della Japan Airlnes con destinazione New York era
partito in perfetto orario e dell’enorme Boeing 767-300 non
rimaneva altro che la flebile scia biancastra rilasciata dai suoi
ruggenti motori, che stava ormai dissolvendosi nell’azzurro
sbiadito del cielo ottobrino.
Kaori, ancora avvolta nell’anonimo soprabito che copriva il
vestito più costoso ed elegante che avesse mai indossato
negli ultimi anni, non riusciva a staccare lo sguardo lievemente
inumidito da una nostalgica sensazione di mancanza da quelle soffici
nuvole che si muovevano lente e leggere, quasi come galleggiassero
sopra di lei, assumendo forme effimere e fantastiche.
Altri velivoli rombavano sulla pista di decollo
dell’affollatissimo aeroporto internazionale di Tokyo-Narita,
principale scalo per chi arrivava dall’estero o lasciava il
Giappone imbarcandosi verso mete lontane che lei finora aveva potuto
soltanto sognare di visitare attraverso la televisione, il cinema o le
riviste. Di viaggi lunghi o in paesi stranieri non ne aveva mai
affrontati, non ne aveva avuta la stringente necessità,
né aveva mai provato il desiderio impellente di abbandonare
l’immensa città in cui viveva da sempre, di cui
amava imprescindibilmente le secolari tradizioni e i numerosissimi
contrasti.
Senz’altro non era la prima volta che si trovava ad osservare
quel frenetico via vai di gente indaffarata in procinto di salire a
bordo di quei giganti dei cieli, per dovere, affari o piacere. Era
capitato abbastanza spesso di accompagnare qualche cliente con cui
aveva stretto, anche se per pochi giorni, un cordiale rapporto di
amicizia, eppure mai prima di allora si era immedesimata tanto
profondamente nelle emozioni che avevano potuto dominare
l’animo di qualcuno che si trovasse a lasciare a tempo
indeterminato la propria terra d'origine, non come le stava succedendo
da che aveva scambiato l’ultimo affettuoso saluto con Sayuri
Tachiki.
Tra lei e quell’affabile, brillante e forse un po’
troppo apprensiva giornalista si era instaurato quasi subito un legame
molto particolare, quasi familiare. Un simile grado di
solidarietà femminile non era cosa comune, anzi non
ricordava di averlo mai sperimentato in maniera tanto immediata con
nessuna delle altre giovani donne per cui si era messa a disposizione,
aiutandole a uscire da qualche brutta circostanza.
In compagnia di quella giovane coetanea si era sentita un po’
meno sola e bistrattata, un po’ più sicura delle
sue capacità, apprezzata, ma anche protetta. Lei
l’aveva voluta trattare come fosse sua sorella, aveva
ripetuto più volte quell’amorevole appellativo, in
un modo talmente spontaneo e convincente che il suo animo aveva
dubitato fosse la pura e semplice verità. E forse lo era.
Aveva imparato che certe sensazioni non avevano bisogno del supporto di
prove tangibili e razionali per essere comprese.
Sin da quando aveva scoperto di essere stata adottata, sebbene i suoi
parenti putativi non le avessero mai fatto mancare nulla e
l’avessero cresciuta con amore, aveva vagheggiato di poter
conoscere qualcuno della sua famiglia biologica, ma ormai tante cose
erano cambiate e, a differenza di quanto aveva immaginato in passato,
avere avuto la possibilità concreta di incontrare qualcuno
con cui condivideva un vincolo di sangue non aveva avuto
l’effetto devastante di una palla da demolizione, andando a
sconvolgere tutta la sua esistenza. Anche se aveva trascorso quasi
tutta la notte a rimuginare sulle sue ambigue frasi e sui suoi
amorevoli slanci, valutando l’opportunità di fare
i bagagli e seguirla.
Malgrado la reciproca promessa di tenersi in contatto, sapeva
già che la grande distanza e gli impegni quotidiani di
entrambe sarebbero stati un ostacolo non indifferente. Se soltanto
avesse avuto il coraggio di dire di sì, di lasciarsi
semplicemente tutto ciò che conosceva e per cui continuava a
vivere e a lottare ogni maledetto giorno alle spalle, a
quell’ora avrebbe potuto trovarsi accanto a sua sorella
maggiore, a parlare amabilmente del più e del meno e a
guardare il mondo da un oblò, come uno di quei tanti
passeggeri animati da sogni, speranze, progetti. Avrebbe potuto
incominciare una vita diversa, costellata da tante incognite magari, ma
mitigata dal conforto della sua premurosa presenza.
Invece, tra reticenze, dubbi, aggressioni e rapimenti, quella settimana
era volata via, proprio come quel Boeing, e lei alla fine aveva
preferito restare ancorata all’incognita più
grande e avvincente di tutte, quella che occupava interamente la sua
mente e il suo cuore.
«Hai intenzione di restare qui tutto il giorno a contare gli
aerei che decollano?», le si rivolse Ryo, con una certa
insofferenza punteggiata di indolente ironia.
Kaori chiuse per un attimo le palpebre inspirando a fondo, per poi
voltarsi lentamente nella sua direzione: «Non sei obbligato
ad aspettarmi. Puoi anche tornartene da solo»,
bisbigliò distendendo un debole sorriso intriso di
malinconia che in lui ravvivò quel persistente senso di
colpevolezza a fior di pelle.
Anche Saeko, che si era fermata poco più indietro a
parlottare con lo sweeper, avvertì una latente tensione
promanare dal momentaneo allontanamento di quei due e si
sentì di troppo: «Io vi lascio, ragazzi. Ho una
sfilza di scartoffie che mi aspettano in ufficio»,
alzò acutamente il tono per richiamare
l’attenzione di entrambi, che parevano del tutto assorbiti
dai propri logoranti tarli.
Ma, appena ebbe girato i tacchi, percepì la leggera
pressione di una mano sulla schiena: «Allora ti
accompagno!», si offrì inaspettatamente Ryo,
sfoggiando un ghigno da allupato. In un paio di falcate si
accostò alla socia: «Ci vediamo dopo»,
la salutò concisamente, lasciandole le chiavi della sua Mini.
La ragazza le raccolse annuendo appena, senza alcuna delle sue
smisurate reazioni di sdegno o di gelosia, e lui dovette camuffare la
propria sorpresa, pur persuadendosi che fosse del tutto normale che lei
avesse bisogno di stare un po’ con se stessa. La mezza
rivelazione di un’insospettabile parentela avrebbe messo in
crisi chiunque.
Quella mattina, quando aveva scoperto che la loro ultima speciale
cliente era andata via praticamente di nascosto, lo aveva buttato
giù dal letto facendo un gran baccano, dandogli a mala pena
il tempo di vestirsi e supplicandolo insistentemente di accompagnarla
perché ci teneva a dirle addio di persona. Per qualche
minuto aveva pensato che fosse solo un timido pretesto, che in
realtà volesse partire anche lei con Sayuri, ma non aveva
provato a pronunciarsi né a favore né contro la
sua decisione finale, perché in fondo non si era mai sentito
in grado né in diritto di giudicarla. E perché si
fidava ciecamente della sua sincerità. Era troppo
affezionata, dannatamente corretta. Se quella fosse stata la sua
intenzione, non avrebbe esitato a confidarglielo.
Appurare che non avesse preso alcun borsone con sé aveva
smorzato quella strana fitta che gli si era comunque annidata nelle
budella. Così aveva guidato infrangendo il limite della
velocità massima consentita, pur di esaudire il suo semplice
desiderio.
E, invece di ringraziarla per avere scelto ancora una volta di restare
al suo fianco, al fianco di un assassino anziché della sua
vera sorella, per tutto il tragitto aveva solo saputo inanellare
osservazioni banali sul paesaggio extracittadino e sulle condizioni
atmosferiche, oltre a fare battute stupide su quello splendido abito
tutto pieghe che lei aveva voluto rindossare, così distante
dal suo modo di essere, dalla donna grintosa e restia
all’esaltazione della sua femminilità che era
diventata o che era sempre stata.
«Non pensi che Kaori avrebbe avuto bisogno di te?
È molto fragile in questo momento»,
tornò a pungolarlo Saeko, mentre si stavano avviando al
parcheggio dell’aeroporto.
«Fragile? Si vede che non la conosci bene. Kaori è
tutto fuorché fragile», si lasciò
scappare apertamente lui, rimuginando che, col suo stato
d’animo così instabile, percorrere da sola in auto
tutti quei chilometri sarebbe stato infinitamente più sicuro
che doversi andare a ficcare in un treno, gomito a gomito con un
campionario di umanità varia, sconosciuta e potenzialmente
molesta. E poi, in quel viaggio di ritorno non avrebbe saputo come
riempire di nuovo tutto quello spinoso silenzio che si sarebbe insidiato tra loro
senza sparare altre stupidaggini.
«Se lo dici tu …»
Avvertendo l’occhio smaliziato della poliziotta scrutarlo con
accondiscendenza da sotto il lungo ciuffo, affrettò con
nonchalance il passo, avvistando la sua sfavillante Porsche 930 turbo
che spiccava come una rara primula rossa tra tutte le altre modeste
automobili parcheggiate ordinatamente in quel vasto spiazzo.
Quell’autovettura sportiva era più bassa, anche se
solo di qualche centimetro, della sua Austin Mini, e Ryo dovette
piegarsi parecchio per potersi accomodare sul sedile, benché
una volta dentro, poté notare come non soltanto la
carrozzeria, ma anche tutti gli interni fossero sempre impeccabilmente
tirati a lucido. Vantaggi dell’essere figlia di una buona
famiglia, si disse, invidiando un po’ il lusso emanato da
ogni millimetro quadrato di quel bolide, che però per i suoi
affari sarebbe stato sin troppo appariscente.
«Dai, che aspetti? Me li vuoi fare sentire questi fantomatici
300 cavalli?», la sfidò con enfasi sfottente,
quando la bella ispettrice si fu seduta con una mossa felina al posto
di guida inserendo le chiavi.
Saeko si compiacque: «Allacciati la cintura», lo
esortò provocatoria, schiacciando contemporaneamente su
frizione e acceleratore per una roboante partenza a tavoletta.
Era già quasi metà mattinata e i morsi della fame
cominciavano a manifestarsi prepotenti, ma lei non si sentiva ancora
dell’umore propizio per rincasare e affrontare il motivo
principale per cui aveva rinunciato ad allontanarsi. La faceva un
po’ vergognare che, nonostante avesse assistito alle loro
tante accese e violente litigate, Sayuri fosse comunque riuscita a
leggere oltre in quei pochi giorni. E ancora di più che lei
stessa si fosse tradita così ingenuamente di fronte alla sua
insinuazione.
D’altra parte, anche se non ne avevano mai discusso sul
serio, era certa che Ryo non si sarebbe opposto ad una sua eventuale
partenza. Dopotutto si era offerta lei di diventare la socia di quello
sciagurato, lui in quegli anni non l’aveva mai costretta a
restargli accanto, né le aveva fatto capire che fosse
indispensabile. Anzi, avrebbe scommesso che alla sua prima esitazione
non si sarebbe fatto alcuno scrupolo a tagliare la corda, andandosene a
scodinzolare da quella fatalona, che probabilmente gli aveva
già rifilato un altro dei suoi casi più rognosi,
convincendolo con qualche smanceria ad accettare.
Infastidita da questi pensieri, Kaori trascinò i piedi un
po’ indolenziti da quelle scarpe nuove dalla suola rialzata
dentro il Cat’s eye, venendo accolta da un caldo e
rasserenante aroma di caffè. Il grazioso locale stava
lentamente cominciando ad ingranare, grazie alla qualità e
varietà dei prodotti, adatti a soddisfare anche i gusti
più difficili, e alla scarsa concorrenza riscontrata nella
zona, vantando già una ristretta ma fedele clientela di
tutte le età che vi trascorreva il tempo libero, chi
sorseggiando e chiacchierando in compagnia, chi in solitudine,
leggendo, disegnando o scrivendo per hobby o per lavoro.
Quel giorno c’era più gente del solito,
probabilmente anche per via del vento freddo e impetuoso che aveva
cominciato a flagellare le strade del quartiere.
Il risuonare del campanellino agganciato sopra la porta fece accorrere
l’amichevole proprietaria, sempre propensa a regalare un
luminoso sorriso di benvenuto a chiunque varcasse la soglia della sua
caffetteria: «Hey, Kaori! Che piacere! Era da un pezzo che
non ti facevi vedere!» esclamò Miki con una punta
di rimprovero che fece spuntare una piccola ruga tra le sue
sopracciglia perfettamente disegnate.
L’ex mercenaria dopo la loro breve collaborazione
l’aveva sin da subito presa in simpatia e spesso non esitava
ad invitarla a fermarsi anche oltre l’orario di chiusura,
esonerandola perfino dal pagare degli extra menù che le
faceva assaggiare in anteprima.
«Mi dispiace, hai ragione. Abbiamo avuto degli incarichi
piuttosto impegnativi», si discolpò con sincero
rammarico, adocchiando se vi fosse un tavolino libero in qualche angolo
appartato, giacché tutti gli sgabelli allineati davanti al
bancone erano già occupati e non voleva disturbare nessuno,
tantomeno destare l’impressione di ricevere un trattamento di
favore rispetto agli altri clienti.
«Saeba ti fa trottare, eh?», intuì la
giovane barista, non nascondendo un certo disappunto nei riguardi del
grezzo sweeper che le era bastato conoscere per qualche giorno per
giudicare un singolare caso umano. «Vedrai che con una bella
tazza di cappuccino, ti sentirai meglio! », le
schiacciò l’occhio, raccogliendo intanto sul
vassoio i resti di altre consumazioni lasciati dagli avventori che si
erano accomiatati.
Kaori si sistemò sulla poltroncina: «Non
è che avreste anche qualcosa da inzuppare? Non ho potuto
fare colazione stamattina …», balbettò
impacciata, sperando che il brontolio della sua pancia non si
avvertisse troppo, anche perché non voleva elemosinare nulla.
«Certamente!», le assicurò sorridente
Miki, intenerita dal suo ritegno a formulare quella piccola richiesta.
«Falco?», richiamò quindi il suo
compagno di vita e di lavoro, il quale, tutto dedito a lucidare delle
stoviglie appena lavate e al contempo a squadrare dalla testa ai piedi
chiunque entrasse, quasi come avesse un metal detector incorporato
negli occhiali scuri, cadde nell’equivoco quando
udì la voce della ragazza pronunciare alternativamente:
«Pasticcino? Biscottino?»
Il cranio calvo dell’uomo s’infiammò
all’istante, il suo corpo divenne rigido come un ammasso di
marmo e la tazzina che stava asciugando si frantumò tra le
sue grandi dita.
«Facciamo per il cornetto con la crema al
cioccolato», decise ingolosita Kaori, dopo aver spulciato con
interesse il ricco elenco di dolci e vivande, suddiviso tra
specialità giapponesi, europee e anglosassoni.
Umibozu si sbollentò, capendo di aver frainteso le parole
dell’amata che frattanto tornò al suo fianco
chiedendogli di riscaldare il pan dolce nel fornetto, così
da fargli riacquistare la giusta fragranza, mentre lei tornò
a prestare attenzione alle ordinazioni di altri clienti.
In quel contesto pacifico e accogliente un omone grande e grosso con
una tempra granitica forgiata dal fuoco di tante battaglie poteva
sembrare una nota stonata, ma sotto il tocco gentile e delicato di Miki
il burbero e sgraziato soldato in ritiro sembrava un orso ammansito.
Tra i due ex guerriglieri c’era un continuo scambio, fatto di
discrezione e sintonia, si compensavano e, nonostante la loro
considerevole differenza di corporatura, nessuno intralciava o
sovrastava mai l’altro. Dai loro gesti trapelavano rispetto e
affetto. Era evidente che si conoscessero da anni e che si amassero
molto.
Kaori trovò quell’immagine terribilmente romantica
e pensò che fossero davvero belli da vedere insieme,
checché ne pensasse qualcuno. Di
contro si domandò come apparissero dall’esterno
lei e quel cavallo pazzo di Ryo, come fosse possibile che qualcuno ogni
tanto insinuasse fossero una coppia, quando non facevano altro che
azzuffarsi e insultarsi a vicenda, pur condividendo qualche sparuto
momento di complicità.
«Ma che bel vestito!», commentò Miki
ammirata, tornando a portarle una tazza fumante accompagnata da un paio
di croissant.
Lei quasi fu tentata di rimettere il cappottino che aveva appena fatto
scivolare sulla spalliera della sedia: «Oh, grazie. Fosse
stato per me, non lo avrei mai comprato. Non mi ci vedo
proprio», balbettò imporporandosi e abbassando il
mento sul petto, anche se in fondo pensava che quella raffinata mise
meritasse un po’ di ribalta prima di finire inesorabilmente
appesa nel dimenticatoio del suo armadio ripieno di felpe e pantaloni.
«Ma che dici? Ti sta benissimo!»,
controbatté l’amica, trattenendosi dal chiederle
di alzarsi in piedi per poterla rimirare meglio, «Non
è vero, ciccino?», cercò invece
l’appoggio del suo compagno che a quel nomignolo diede in
escandescenze, mugugnando versi incomprensibili prima di svanire nel
retrobottega.
«Se non ti piace, allora perché lo hai
messo?», s’intromise l’altra barista, non
senza un pizzico di acidità, sparecchiando un tavolo
lì vicino.
«Kasumi!», la richiamò severamente
l’ex soldatessa, lanciandole un’occhiata di
rimprovero.
L’espressione di Kaori divenne sognante mentre soffiava sulla
schiuma del cappuccino: «È un regalo. Di una
cliente», specificò avvertendo gli sguardi curiosi
e interrogativi delle due donne, ma preferì non dilungarsi
in altri dettagli e lasciò che le sue intime riflessioni si
mescolassero al soffuso chiacchiericcio che permeava
l’ambiente.
Un irruento trambusto precedette l’ingresso di un altro dei
frequentatori abituali del bar.
«Miki! Kasumi! Il vostro abbagliante splendore anticipa la
primavera!», ciangottò buttandosi a pesce sulle
due avvenenti more, venendo tempestivamente frenato dal solito vassoio
su cui si impresse un calco dei suoi lineamenti.
«Umi … La tua bruttezza invece mi ricorda che
Halloween si avvicina», farfugliò indispettito
Ryo, tastandosi il naso tumefatto sotto il ghigno sadico e divertito
del pelato e le occhiate sconcertate e intimorite di altri clienti che,
adducendo varie scuse, cominciarono ad evacuare il locale come fosse
scoppiato un incendio.
L’incorreggibile seduttore allora si affannò a
tentare di rassicurare e abbordare qualche ragazza particolarmente
appetibile offrendole da bere, pur consapevole di non avere sufficiente
contante in tasca, ma nessuna volle cedere alle sue esuberanti avances.
Impermalito da quel disonorante fallimento, si accasciò di
peso su uno sgabello girevole, giochicchiando con le bustine di
zucchero e dolcificante, osservando con un sorrisetto sghembo il suo
amico/rivale lustrare il bancone acconciato con quel ridicolo
grembiulino.
Era l’emblema dell’elefante costretto a muoversi
dentro una cristalleria. Non avrebbe mai capito come un uomo riottoso e
tutto d’un pezzo potesse cambiare tanto le sue abitudini e
convinzioni per una donna, anche se la donna in questione fosse
così deliziosamente affascinante e determinata come Miki.
«Comunque Kaori è di là»,
tuonò Umibozu, innervosito da quel suo muto sbeffeggiarlo,
accennando ruvidamente ad un angolo in fondo al locale.
Naturalmente lui l’aveva vista benissimo, ancora prima di
entrare. Detestava essere guidato da quell’impulso
inspiegabile di sapere se lei stesse bene, data la sua propensione, a
causa di quel connubio esplosivo di ingenuità e
avventatezza, a non rimanere mai troppo lontana dai guai. Per non farsi
scoprire era sempre costretto a ricorrere a svariati sotterfugi, ma
solo così poteva essere sicuro che quel loro strano rapporto
continuasse in qualche modo a funzionare, senza sfociare in
qualcos’altro, qualcosa di molto scomodo, altamente
sconsigliabile e difficilmente gestibile.
Fece un giro di 180° gradi sullo sgabello, ostentando una
faccia stupita e contrariata cui lei rispose con due occhi scontrosi e
accusanti: «Che cosa ci fai tu qui?!», vociarono in
coro.
La socia ingerì l’ultimo pezzo di cornetto,
pulendosi la bocca con un tovagliolo: «Quello che fanno le
persone normali», sostenne ovvia, indicandogli le briciole
della colazione che aveva appena finito di consumare. «Tu
invece, ovunque vai, offendi la morale e disturbi la quiete
pubblica!», parlò con pungente biasimo, alzandosi
di scatto e affibbiandosi frettolosamente il soprabito.
«Sono rimasto digiuno anch’io
stamattina!», le rammentò immusonito Ryo,
parandosi davanti a lei, le braccia incrociate sul petto tronfio di
offesa.
Kaori gli piantò le mani addosso, scansandolo in malo modo
di lato per passare: «Levati di torno! Sei una
persecuzione!», sbraitò con un moto di stizza,
correndo fuori dalla caffetteria.
«Accidenti! In questo periodo del mese diventa proprio una
belva inavvicinabile!», commentò trasecolato lo
sweeper, grattandosi la nuca formicolante di sconcerto per quella sua
sfuriata inaspettata e alquanto spropositata. Era una di quelle
circostanze in cui faticava a capire come prenderla, perché
sostanzialmente non riteneva di avere commesso qualche abominevole
misfatto di cui farsi perdonare. Si ritrovò a pensare che
forse, invece di restare muto e indifferente, avrebbe dovuto
incoraggiarla a salire su quel volo, ma che la sua mancata partenza non
fosse dipesa interamente da lui. Non le dava nessuna ragione per
continuare quella burrascosa collaborazione.
«Saeba, si può sapere cosa le hai combinato questa
volta?», l’intimazione di Miki gli
arrivò come un fucile carico puntato tra le scapole, e
voltandosi si accorse che anche gli altri due che avevano assistito a
quell’assurda scenata lo stavano fissando con acredine,
trovandosi peraltro senza più clienti.
Non aveva alcuna intenzione di spiattellare i fatti propri e magari dar
loro occasione di criticarlo ancora di più,
perciò se ne uscì con uno dei suoi soliti
sciocchi motti di spirito.
«Io?! Niente di niente! Quella matta sragiona! Il povero Ryo
stavolta è innocente come un angioletto!»,
esclamò pervicace, sollevando un palmo come stesse prestando
giuramento dinanzi ad un tribunale pronto a condannarlo.
Quei tre severi giudici però avevano già deciso
che fosse colpevole, anche in assenza di prove contrarie. Umibozu lo
raggiunse, acciuffandolo malamente per il bavero dello spolverino:
«Qui non sei gradito», gli alitò
trucido, trasportandolo fino alla porta.
«Toglimi le due dannate manacce di dosso!»,
bofonchiò Ryo scalciando e divincolandosi da lui,
«Non sei tu a cacciarmi, sono io ad andarmene. Il servizio
è pessimo!», ci tenne a precisare boriosamente,
ripromettendosi di pareggiare i conti per quello sgarbo, ma meditando
che fosse preferibile per un po’ restare alla larga da quel
posto e forse anche dalla sua irascibile partner. Così, come
un cane randagio, si mise a vagare su e giù per le
frastornanti vie cittadine, passando in ricognizione i suoi luoghi
preferiti, sperando di incappare in qualche elettrizzante situazione
che lo distraesse da tutto quell’esacerbante rimuginare a
vuoto.
Riposto anche l’ultimo bicchiere accuratamente risciacquato
nello scolapiatti, Kaori concluse il recupero delle faccende domestiche
tralasciate in quegli ultimi due intensi giorni. Aveva cominciato a
dare una sistemata all’appartamento tanto per svagarsi, non
sentendosi abbastanza energica né dell’umore
adatto da indossare una tutina e fare un po’ di ginnastica o
andare a correre al parco, anche perché la temperatura non
era delle più invitanti e quel sole velato le metteva
addosso una pesante svogliatezza.
Il suo intento era impiegare quel tempo libero a fare qualcosa di
utile, che in ogni caso nessun altro si sarebbe preso la briga di fare
al posto suo, ma anche nel ripetere quelle azioni meccaniche e abituali
nella sua mente risuonavano le considerazioni e le osservazioni
critiche di Sayuri, il suo sguardo compassionevole e preoccupato nei
riguardi del suo stile di vita contrassegnato
dall’instabilità e dal pericolo e di quella
discutibile convivenza con un uomo tanto irrispettoso e deplorevole
come Ryo Saeba.
Ripulendo le tracce di sapone da barba e dentifricio che chiazzavano il
lavandino del bagno, si era detta che in quegli anni probabilmente
aveva sbagliato su più punti con lui. Era stata troppo
tollerante, servizievole, permissiva, su troppe cose, soprassedendo su
certe sue cattive abitudini da maschilista, pur non lesinando di
rinfacciargli quanto la urtasse il suo comportamento da cavernicolo.
Annoiata dalla sua urlante assenza e dal reiterarsi senza risoluzione
di quelle riflessioni, accese la TV e si buttò sul divano.
Premendo un tasto a caso s’imbatté in una caustica
commedia americana appena iniziata e girata, neanche a farlo apposta,
proprio nella sfolgorante New York. Intrigata dapprima solo
dall’ambientazione, si soffermò a guardarla. In
alcune dinamiche tra i personaggi le sembrò quasi di
potercisi rivedere, o comunque di potersi identificare almeno in parte
nella combattiva e schietta protagonista, una brillante e caparbia
ragazza di belle speranze, refrattaria a sottostare a compromessi pur
di fare carriera nel difficile mondo degli squali della finanza1.
Innocentemente immaginò se stessa muoversi con autorevolezza
in quei tailleur sagomati dai colori austeri, a digitare numeri e
lettere restando dietro una scrivania, a concludere transazioni da
migliaia di dollari e magari anche ad innamorarsi, ricambiata, di un
fascinoso e ricco agente di borsa.
Immediatamente ripensò alla sua disastrosa esperienza nella
redazione del “Weekly news”, a quanto fosse stata
maldestra e casinista, inimicandosi tutti quelli con cui aveva avuto a
che fare, e si convinse di non avere alcuna attitudine per il
ripetitivo e serioso lavoro d’ufficio. Dopo il diploma aveva
interrotto gli studi e non si era mai più chiesta se avrebbe
ritrovato la volontà e l’abnegazione adeguate per
riprenderli o per cercare un’altra occupazione che fosse
davvero nelle sue corde. Inoltre era da mettere in conto che sarebbe
stata comunque scavalcata da altre concorrenti, più giovani
o più preparate di lei.
A dirla tutta, a lei quello di cui si occupava piaceva e molto.
Inizialmente era stata una decisione più istintiva che
ponderata, ma col passare degli anni aveva maturato una vera e propria
dedizione per quel lavoro, talvolta ai limiti della
legalità, così interessante, altruistico,
stimolante, che non si era ancora stancata di imparare e di ricevere
ringraziamenti per l’aiuto che contribuiva a dispensare. La
riconoscenza che sprizzava dai sorrisi di chi riuscivano ad aiutare
spesso valeva anche molto più dei compensi effettivi.
Percependo il basso brusio del televisore, Ryo capì che la
sua socia fosse rientrata e cercò di far cigolare il meno
possibile la porta d’ingresso, proponendosi di salire
difilato nella sua camera e aspettare che fosse lei a cercarlo. Ma,
avendo sete, deviò verso la cucina e si accorse che
c’erano diversi fogli sparpagliati sul tavolo della sala da
pranzo, volantini pubblicitari, bollette di cui non volle verificare
l’importo, una cartolina colorata e la brochure di
un’agenzia di viaggio che organizzava trasferte oltreoceano.
Un calpestio in avvicinamento lo sospinse a fiondarsi sul frigo, per
non farsi sorprendere a curiosare tra quelle carte.
«Già di ritorno?», lo raggiunse Kaori,
facendo capolino con un’espressione neutrale. Ormai stava
diventando sempre più difficile eludere i suoi sensi, almeno
quando erano in casa. Conosceva troppo bene i vari rumori e forse anche
la sua aura.
«Ci vivo anch’io qui, sai»,
biascicò seccato, aprendo una lattina di coca cola.
«E poi è quasi ora di cena. Come mai non hai
ancora preparato niente?»
La ragazza lo sorpassò, riaprendo il frigorifero per
prendere un vasetto di yogurt alla fragola: «Non mi va. E in
ogni caso non ti piace mai nulla di quello che cucino»,
borbottò con blanda permalosità, infilando un
cucchiaino in bocca e ancheggiando imperturbabilmente, nei suoi
fascianti fuseaux fucsia, verso il soggiorno.
«Beh, ma … Non sono mica così
schizzinoso! Mi sono sempre adeguato!», fu la balbettante
smentita di Ryo, che cadde miseramente inascoltata. Quel suo
atteggiamento respingente cominciava a procurargli un fastidioso
formicolio allo stomaco. O probabilmente era soltanto affamato.
Rovistò inutilmente non trovando avanzi di cibo di alcun
tipo in giro, e a ragion veduta: si spazzolava sempre tutto!
Mentre schiacciava la lattina ormai vuota, i suoi occhi furono
riattirati dal quel mucchio di fogli e buste apparentemente dimenticati
sul tavolo. La presenza in particolare di quell’opuscolo con
fotografie di città americane e tariffe aeree, con
ciò che avrebbe potuto significare, gli infuse un improvviso
senso di disagio. La sua verace coscienza però gli
suggerì che, tenendo conto di tutto lo schifo in cui era
stata coinvolta finora, avrebbero potuto esserci finali molto peggiori
di quello e che non poteva stare a sindacare una decisione tanto
sensata, per certi versi inevitabile. Non poteva negarle la
felicità.
Si sarebbe riadattato alla vita sbandata e solitaria che conduceva
prima di essere travolto da lei, e poi sarebbe stato più
libero di non dover sottostare a orari, regole, costrizioni ...
Un retrogusto amarognolo gli impregnava il palato, neanche quella
bevanda dolciastra e gassata era bastata a scacciarlo. Nascondendo il
depliant del tour operator sotto gli altri volantini, scorse di nuovo
quella cartolina colma di cuoricini e fiorellini cui aveva prestato
scarsa attenzione. Leggendola riconobbe il mittente e in lui
cominciò a concretizzarsi una specie di idea, o forse solo
di illusione. Quel posto sarebbe stato adatto ad una come lei. Non
sarebbe stata troppo lontana da lui, ma comunque abbastanza distante
dalla malavita.
Assumendo la sua migliore faccia da poker, entrò in
soggiorno, le mani affondate nelle tasche, sbirciando alla finestra:
«Hai più avuto notizie di quei
ragazzini?»
«Ragazzini?», barbugliò lei dubbiosa,
credendo di aver sentito male.
«Sì. Quelli di quell’orfanotrofio
… com’è che si chiamava?»,
continuò a divagare lui, ostinandosi a darle la schiena.
Kaori si tirò sulle ginocchia, appoggiando il busto contro
la spalliera del divano: «Quale dei due?», gli
domandò fingendosi confusa, intuendo già che lui
doveva aver visto quella tenera cartolina arrivata per posta.
«Casa fiorita?2».
Ryo si voltò, battendo il pugno sul palmo della mano
opposta, come se lei gli avesse risolto chissà quale
dilemma: «Non ci sei più andata. Si staranno
chiedendo se sei ancora viva … »,
asserì irriflessivamente, correggendosi subito dopo per
quella battuta di cattivo gusto. «Voglio dire …
Poverini, penseranno che ti sia dimenticata di loro».
Lei cercò di sondare il suo sguardo sfuggente rivolto alle
crepe del tetto. Quando cominciava a parlare in quel modo ermetico,
doveva sempre spremersi le meningi per tentare di capire cosa mai gli
stesse passando per quel cervello contorto che si ritrovava e quasi mai
le sue ipotesi si rivelavano esatte.
«Domani è sabato. Non dovrebbero esserci
scocciature. Potremmo andarci e vedere come stanno», si
sciolse a proporre esplicitamente il socio, punzecchiato dal suo
cipiglio fisso e inquisitorio su di lui.
Kaori titubò sbalordita: «Eh? Tu ti stai
offrendo, di tua
spontanea volontà, di accompagnarmi da un branco di mocciosi
petulanti?», lo interpellò incredula e divertita,
pensando che forse voleva semplicemente darle uno spunto di riflessione
perché restasse lì, in quella città,
in cui non esisteva soltanto lui.
Ryo fece spallucce, non scomponendosi affatto davanti a quegli occhi
vispi e brillanti che forse si erano già avveduti del suo
espediente: «Ci ho investito anch’io una parte dei
miei guadagni nella ricostruzione di quell’istituto,
ricordi?»
La ragazza si riadagiò sui cuscini,
ricominciando ad armeggiare con il telecomando:
«Sì, si può fare», gli
accordò quale fosse una gran concessione. In
verità aveva già in programma di rispondere a
quell’invito, adorava passare del tempo con quegli sfortunati
birbantelli e rammentava bene che anche Ryo in mezzo a loro tornava
bambino ed era incapace di resistere ai loro giochi e alle loro moine.
«E adesso dove vai?», sussultò
insospettita, sentendolo sgusciare via alle sue spalle.
«A cercare qualche anima pia che mi riempia il
pancino», replicò pietosamente lui.
Kaori distese le gambe, scattando in piedi: «Scemo,
aspetta!», lo richiamò sospirando pazientemente e
dirigendosi spedita in sala da pranzo.
Lui appese lo spolverino e la seguì, accomodandosi sulla
panca nell’attesa che lei s’ingegnasse a cucinargli
qualcosa per mettere a tacere quel persistente brontolio. Assalito da
uno strano nervosismo, automaticamente tirò fuori dal
taschino il pacchetto di Lucky Strike e l’accendino, ma si
guardò bene dal proseguire. Lei lo aveva sempre pregato di
non fumare a tavola e quello era uno dei pochi compromessi cui si era
piegato.
Ogni tanto era tentato di darle una mano, ma, non sapeva neanche lui
spiegarsi per quale ragione, la possibilità che lei potesse
ringraziarlo per quell’insolita cortesia lo inibiva anche
solo dal muovere un dito.
«Un giorno ci andrai, Kaori», si decise a rompere
quella carenza di parole, picchiettata dal suo tramestio con padelle,
taglieri e utensili da cucina.
«Uhm?», mormorò lei distrattamente,
continuando a sbattere con un frustino qualcosa di cremoso dentro una
scodella.
Ryo si schiarì la gola, bevendo a canna da una bottiglia di
birra: «Sono sicuro che con la tua tirchieria riuscirai a
mettere da parte abbastanza yen per andare a trovare Sayuri»,
affermò incoraggiante, osservando di nuovo le immagini
patinate della così detta Grande Mela che campeggiavano su
quella guida turistica.
Lei allora capì da dove gli fosse scaturita
quell’affermazione. Aveva voluto prendere quel
dépliant per sentirla in qualche modo più vicina.
E per adesso le bastava così.
«Io credo sia più facile che avvenga il
contrario», mormorò serena, voltandosi con la
ciotola tra le braccia, un sorrisetto birichino
nell’avvicinarsi a lui, «Sempre che nel frattempo
qualche amico farfallone non faccia cambiare idea anche a
lei …», chiosò allusiva, dandogli un
colpetto di frusta sulla punta del naso e sporcandolo con la pastella
che aveva appena preparato per la tempura.
«Ma che fai, stupida!?», si ripulì
indignato lui, ignorando quell’ammiccamento e
schivando altri schizzi di farina rappresa, «Chiamami
quand’è pronto», si allontanò
accigliato, portandosi una sigaretta tra le labbra che si tesero
impercettibilmente all’insù.
1 Il film che ho immaginato Kaori
stesse guardando è "Una donna in carriera" (1989) di Mike
Nichols, con Melanie Griffith, Sigourney Weaver e Harrison Ford.
2 L'orfanotrofio "Casa
fiorita" è presente solo nell'anime, precisamente
nell'episodio doppio "Il più bel regalo di Natale" (2x37 e
2x38); alla fine viene demolito dai cattivi e i due City Hunter si
propongono di pagarne la ricostruzione; l'altro orfanotrofio "La casa
del sole" è invece presente negli episodi "Non toccate la
memoria di Jeff" (2x27 e 2x28), da cui la domanda di Kaori
per capire a quale dei due si riferisse Ryo.
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Capitolo 9 *** IX – Qualcosa è cambiato? ***
Sospetto cosa starete
pensando ... Chi non muore si rivede, vero? ^^"
Beh, dopo una incommentabile spaventosa pausa di oltre un
anno, in cui impegni, impedimenti, scocciature, distrazioni e pensieri
di ogni sorta mi avevano fatta allontanare da questi personaggi,
finalmente sono riuscita a ritrovare l'ispirazione e a decidermi a
concludere questa shot che avevo lasciato sedimentare nella memoria
del Pc mesi e mesi.
Chiedo umilmente scusa ad eventuali lettori che sono rimasti delusi da
questa lunghissima interruzione.
Spero solo di essere riuscita a rientrare in maniera credibile nelle
atmosfere e nei caratteri e di riuscire a regalarvi, se vorrete,
qualche minuto di leggera evasione.
Ringrazio sentitamente quanti, nonostante l'ampissima scelta di questo
prolifico fandom, hanno continuato ad incrementare il numero di
visualizzazioni e chi ha inserito questa raccolta tra le
seguite/ricordate/preferite <3
Piccola anticipazione: la shot è ambientata qualche giorno
dopo la ripartenza di Bloody Mary e, come sempre, per alcuni dettagli
mi sono ispirata sia al manga sia all'anime.
Ulteriori note a fine capitolo.
Alla prossima!)
X
– Qualcosa è cambiato?
Schiacciò
l’interruttore e strofinò il dorso della mano
sulla superficie lucida appannata dal vapore della doccia, ripulendola
quel tanto che bastava a potersi specchiare.
L’aitante
uomo catturato dal riflesso lo salutò serio e riflessivo,
una piccola ruga tra le folte sopracciglia a testimoniare il suo
momentaneo cruccio. Vi passò subito un pollice sopra per
spianarla, ripetendo quel gesto stizzito sulle altre invisibili linee
di espressione attorno alle labbra e alle palpebre e su quelle che
segnavano la fronte alta e spaziosa, di solito nascosta da un fluente
ciuffo di capelli corvini.
Appiccicandosi allo specchio sparigliò con le dita le
ciocche gocciolanti, spulciandosi il cuoio capelluto, controllando
minuziosamente che fossero davvero ancora tutte colorate di
quell’intensa tonalità picea.
Poteva
senz’altro affidarsi alla sua ottima vista e alle sue
eccellenti doti da contorsionista, sebbene il fatto di avere una
capigliatura così fitta avrebbe reso quella missione
alquanto lunga e impegnativa.
Senza
contare l’inconveniente di non poter controllare per bene
come fosse la situazione sul retro della testa …
Agghiacciò … Gli serviva subito un altro
specchietto con cui poter sopperire a quell’impedimento!
Già immaginava quanto gli avrebbero sparlato dietro i nemici
e conoscenti, se solo si fossero accorti prima di lui di
quell’ingiurioso segno del tempo. Cominciò a
rovistare velocemente tra stipetti e cassetti e dopo un paio di minuti
rimediò finalmente una piccola lastra rotonda, riprendendo
ad osservarsi dettagliatamente e con maggiore agio anche la nuca.
Avendo
già un principio di torcicollo e non avendo riscontrato
alcun disonorante filo grigio, o peggio ancora bianco, al termine di
quell’accurata analisi decise di fermarsi. Per il momento non
aveva nulla da temere. La sua gioventù rifulgeva ancora.
Si
frizionò energicamente un panno di spugna in testa e
accennò un sorriso soddisfatto, gonfiando i possenti
pettorali. Alcune stille d’acqua gli scorrevano lungo il
collo e il torace muscoloso, altre rigavano la schiena scolpita,
fermandosi sull’orlo dell’asciugamano attorto ai
fianchi stretti e robusti. Mimò alcune pose da body builder,
compiacendosi della perfetta forma fisica che poteva vantare e
sfoggiare con orgoglio e senza pudore.
A
discapito dall’aver ricevuto in dono una data di nascita e
quindi un compleanno, per un altro bel po’ di anni
l’assillo di invecchiare non sarebbe rientrato nelle sue
principali preoccupazioni. In fondo, si disse, non avrebbe mai avuto
alcuna certezza assoluta sulla sua vera età. Anche se di
lì a qualche settimana avrebbe compiuto, per la prima volta,
trent’anni.
Forse la sua benevola socia era stata sin troppo generosa.
Ryo si
sfregò le guance, avvertendo la ruvidezza della barba in
ricrescita. In un’altra vita non avrebbe prestato tanta
attenzione a quella blanda peluria ispida, ma da che era tornato a
vivere nella civiltà
ci aveva sempre tenuto molto ad avere un aspetto curato, Non riusciva
più a stare neanche un giorno senza radersi. Forse
irrazionalmente aveva creduto che così avrebbe potuto
mescolarsi meglio alla gente comune ed essere accettato.
Invece
per anni aveva continuato a fare terra bruciata attorno a
sé, a vivere ai margini, nella più completa
solitudine e nel più rigoroso anonimato, come un fantasma.
Lo
specchio si era velato di nuovo. O forse era successo ai suoi occhi?
Colpa della saponata che gli era finita dentro o più
probabilmente dell’insufficiente ricambio
dell’aria. Quel vecchio aggeggio andava sostituito.
Ripassò
il palmo sulla superficie riflettente e frugò in un cassetto
in cerca di un rasoio usa e getta, per rimediare alla rasatura cui non
aveva potuto dedicarsi meticolosamente quella frenetica mattina,
dovendo sgominare l’ennesima banda di balordi allettati dal
patrimonio di una ricca e sprovveduta ereditiera.
Quell’incarico
di guardia del corpo per una graziosa signorina d’alta classe
non era stato molto difficoltoso, anzi era stato una manna dal cielo,
allentando la palpabile tensione che si era insinuata tra lui e la sua
umorale partner ogni qual volta che si sfioravano, anche solo con lo
sguardo, dopo l’arrivo imprevisto dell’intrigante
Bloody Mary, con il suo carico strabordante di vendicativa
sensualità e le sue indebite rivelazioni sul suo conto.
Su quel
passato impregnato di sangue, morte, abomini e ingiustizie che aveva
relegato a lungo nella parte più recondita di sé,
come una cicatrice purulenta e sfigurante da non dover mostrare mai a
nessuno. Guardandosi indietro e sovrapponendo per uno stupido gioco
della mente l’innocua lametta di quell’aggeggio di
plastica a quella ben più arrotata del coltellaccio
scheggiato con cui era solito sbarbarsi quando combatteva insieme ad un
manipolo di guerriglieri reietti ed efferati in una impervia e torrida
giungla, non sapeva se provava più vergogna, disgusto o
tristezza per quei tempi tetri, scanditi unicamente
dall’impulso atavico di sopravvivere, in qualunque modo, a
qualunque prezzo.
Si
domandò se Kaori, nonostante si fosse mostrata
incredibilmente comprensiva e tranquilla, potesse aver modificato
l’opinione che aveva su di lui. Gli era sembrata alquanto
sfuggente negli ultimi giorni, perfino più discreta ed
elettrica del solito, ma non aveva indagato oltre, né lo
aveva importunato con altre scomode domande. Ed era stato meglio
così. Le bastava conoscere lo stretto necessario del suo
vissuto ignobile e marcio.
Eppure
lei avrebbe saputo confortarlo. Nonostante tutto, nei suoi caldi occhi
limpidi e sinceri non aveva colto orrore, né paura o
disprezzo, bensì compassione, ammirazione, affetto. E una
volta di più aveva pensato di non meritare il suo bene puro
e incondizionato. Col suo modo di fare così apparentemente
allegro, spensierato e concreto, quella sorprendente ragazza lo
trattava come fosse un uomo normale, e allo stesso tempo riusciva a
farlo sentire speciale.
Arricciando
la bocca in una smorfia schifata per quello svenevole pensiero,
picchiettò la testina del rasoio contro il lavabo e, quasi
innescando una reazione a catena, l’applique collocata sopra
il mobiletto del bagno cominciò a funzionare a intermittenza
e l’aeratore ingolfandosi si spense. Finendo di radersi
praticamente alla cieca mentre lo specchio tornava gradualmente ad
appannarsi, rimuginò spazientito che avrebbe dovuto
ricordare alla sua coinquilina di provvedere quanto prima alle
necessarie riparazioni, ma in quello stesso istante
l’irrompere improvviso di un gran baccano di spari, urla ed
esplosioni gli fece perdere la salda presa sull’impugnatura e
la lampadina con un piccolo scoppio si fulminò, lasciandolo
nel buio e nella confusione più totali.
Non
curandosi di essersi probabilmente autoinferto un bel taglio
trasversale sotto il labbro e di essere mezzo nudo e disarmato, si
lanciò fuori dal bagno con i muscoli pronti a scattare in
posizione di autodifesa e attacco, spostandosi radente alle pareti e
fiondandosi con un’agile capriola nella stanza da cui aveva
udito provenire quell’immane e inaspettato fracasso che gli
aveva rimescolato le budella.
Le sue
acute pupille indugiarono tra scintille e fumo, inquadrandosi poi sulla
figura esagitata della sua socia che, martellone in pugno e fiato
grosso, stava accanendosi contro un non meglio identificato rottame,
riducendolo in mille pezzi.
«Kaori!
Si può sapere che accidenti stai combinando?», la
aggredì interdetto, urlando impanicato dalla
probabilità che, svestito com’era, se avesse
attirato la sua piena attenzione, avrebbe ricevuto lo stesso
trattamento di quel mucchietto di circuiti e plastica.
La voce
della ragazza, le guance rosse e gonfie, i capelli arruffati e la
camicetta affumicata, fuoriuscì flebile e strozzata:
«Il televisore si è rotto»,
farfugliò con un tono che trapelava quanto lei stessa non
credesse a ciò che aveva appena pronunciato.
Ryo
avanzò di un altro passo, pur mantenendosi ad una opportuna
distanza di sicurezza: «Lo vedo»,
mormorò perplesso, aggiustandosi prontamente
l’asciugamano che nel frattempo gli si era allentato,
rischiando di mostrare più del dovuto, anche se lei non
pareva averlo notato. A dirla tutta non l’aveva neanche
guardato da che era arrivato. Sembrava quasi caduta in uno stato
confusionale: «Stai bene?», la richiamò
sventolandole una mano davanti alla faccia, seriamente impensierito.
Kaori
annuì, portando finalmente gli occhi sbarrati su di lui e
appuntando l’indice verso il suo mento sbucciato:
«Ma tu sanguini …»
Lo
sweeper si toccò il punto indicato, rimuovendo col
polpastrello una flebile strisciolina rossa: «Oh, non
è niente. Questo catorcio sta messo molto peggio di
me!», sdrammatizzò pur con una punta di accusa nei
confronti della socia, valutando i danni inferti dalla sua
inesplicabile foga sul povero oggetto inanimato.
Mentre la
sua stravagante assistente, ridacchiando e balbettando, raffazzonava
confusamente i retroscena di quell’assurdo trambusto, Ryo la
guardava ancora frastornato e stranito. Era abituato alle sue
intemperanze, scaturite soprattutto dai loro frequenti screzi, che
spesso lui per primo si divertiva a provocare, ma forse per la prima
volta non capiva neanche un po’ cosa diavolo le stesse
succedendo. Che cosa l’avesse mandata fuori di testa, senza
un’apparente ragione. Era sempre piuttosto esplicita nel
dichiarare ciò che non tollerava del suo modo di fare o
quanto di esasperante accadeva attorno a lei.
In quel
momento sulle sue strampalate giustificazioni ascoltate distrattamente
– che includevano l’avvistamento di un calabrone,
un telecomando impazzito e un improvviso corto circuito – non
volle soffermarsi più di tanto. Anche perché poi
lei di sicuro avrebbe trovato o riesumato qualche malefatta di cui
incolpare lui.
«Ah,
a proposito di roba fuori uso …. C’è da
cambiare la lampadina sopra lo specchio del lavello e bisogna dare una
controllata anche all’aeratore del bagno»,
sviò perciò il discorso su qualcosa del loro
quotidiano di più immediato e meno accidentato.
«Kaori? Hai sentito quello che ho detto?», la
riprese già oltremodo spazientito dalla sua antipatica
sfuggevolezza.
Kaori
tornò dallo sgabuzzino con tutto il necessario per dare una
sistemata e ripulire il pavimento: «Eh? Sì, lo so.
Lo scarico è otturato. Non potresti occupartene tu, una
buona volta? Non fai mai niente tutto il giorno …
», borbottò scocciata, spazzando via nervosamente
i frammenti di metallo, legno, plastica e vetro disseminati per tutta
la stanza.
«Scherzi?
Sono rimasto rinchiuso qui dentro per tre giorni! Ho lavorato sodo, ho
portato a casa la pagnotta, adesso posso avere il permesso di uscire un
po’ per divertirmi?», Ryo la inseguì
camminando ginocchioni e implorando la sua clemenza.
La socia
interruppe il suo nervoso affaccendarsi e gli volse un sorriso
accondiscendente: «Certamente ... Dopo che avrai fatto le
dovute riparazioni di cui sei capacissimo!»
«No!
Non mi va! Le farò domani!» tentò
ancora di sottrarsi a quella noiosa mansione casalinga lui, piantandosi
per terra a gambe e braccia incrociate.
Lei gli
girò alla larga, ignorando bellamente le sue lamentele:
«Prima cominci, prima finisci. E vestiti, porca miseria! Che
non siamo a Chiba!1», esclamò poi strizzando gli
occhi e allontanandosi precipitosamente da lui e dalle sue
nudità così sfacciatamente in mostra.
Gettato
l’ingombrante sacco nero dell’immondizia sul
pianerottolo, così che il suo coinquilino se lo portasse via
una volta uscito, Kaori pensò che quel tardo pomeriggio,
essendosi già fatto quasi buio fuori e non avendo
particolari incombenze, si sarebbe immersa nella lettura di uno dei
tanti libri acquistati e poi dimenticati a prendere polvere sul
comodino.
Aveva
ancora un po’ di stanchezza postuma da smaltire derivante
dall’ultimo caso che avevano seguito e che, immancabilmente,
aveva richiesto una buona dose di azione, per lei anche doppia, anche
se, stranamente, quel marpione del suo socio era sembrato contenere i
suoi bassi istinti durante la permanenza nel loro appartamento della
bella cliente di turno, rinunciando più presto del solito a
perpetrare i suoi indecenti assalti a suo danno.
Tra i
vari volumi ammonticchiati, scelse un tantei shōsetsu2 di
piccole dimensioni, lanciò negligentemente le pantofole e si
tuffò sul letto. Sistemò il cuscino contro la
spalliera e vi si adagiò, tentando di trovare una seduta
comoda per avere luce sufficiente, evitare formicolii o crampi e
concentrarsi al meglio, senza la continua necessità di
cambiare posizione e magari farsi distogliere da qualcosa fuori posto
nella stanza che l’avrebbe indotta a rialzarsi e quindi
distrarsi dalle righe inchiostrate.
I romanzi
d’investigazione le erano sempre piaciuti, eppure, per un
motivo o per un altro, anche quello lo aveva lasciato a metà
e, scorrendo la prima pagina indicata dal segnalibro, si rese conto di
non ricordare già più nulla della trama.
Sbuffò
contrariata, tornando indietro di qualche altro paragrafo, sperando di
potersi ricollegare a qualche frase o riferimento che le schiarisse la
memoria, ma fu del tutto vano: ogni parola, ogni nome, si perdeva nel
vuoto, col risultato di confonderla ancora di più.
In
maniera arbitraria e del tutto ingiustificata, la sua mente le
suggerì che era proprio quel che accadeva ogni volta che
scopriva, casualmente, un altro pezzetto del passato di Ryo Saeba.
Più andava a ritroso, meno le sembrava di capire,
più tutto le appariva lacunoso, disorientandola.
Più passava il tempo, più dal suo passato
continuavano a spuntare fuori vecchie conoscenze che rimescolavano
tutto ciò che credeva di sapere sul suo conto.
Dopo
quattro anni di vita condivisa conosceva ancora poco e niente sulla
vera identità di quell’uomo pieno di ardore e di
oscuri segreti.
Sin dalla
prima volta che lo aveva incontrato, diventando testimone in prima
persona delle sue stupefacenti abilità, aveva tanto
fantasticato sui suoi trascorsi, immaginava nascondessero qualcosa di
travagliato, drammatico, non convenzionale, a tal punto dal frenarlo
dal volerglielo accennare, ma non era mai stata troppo pedante o
invadente, notando la sua mal disposizione a confidarsi.
I suoi
cupi silenzi e i suoi sguardi distanti quando sporadicamente provava ad
introdurre l’argomento nelle loro confidenziali conversazioni
avevano dato credito alla sua teoria, facendola desistere. “Se ne vergogna?”,
si era chiesta più volte. Pensava che se gli fosse rimasta
accanto, un giorno, forse, lui le avrebbe raccontato tutto. Mai
però avrebbe ipotizzato che nel suo passato potesse esserci
qualcosa di così atroce, raccapricciante, ingiusto come una
guerra civile, combattuta tra l’altro in un Paese straniero e
in tenera età.
Perciò,
quando nel suo svogliato zapping si era imbattuta casualmente in quelle
violente e sanguinose scene di battaglia e il telecomando aveva deciso
di smettere di funzionare, si era sentita così in colpa e a
disagio che impulsivamente, o forse sospinta da un’assurda
volontà di discrezione, non riuscendo a cambiare canale,
né a spegnere, aveva sfoderato uno dei suoi martelli e aveva
fracassato il televisore.
Ora, ripensando a quel
gesto eccessivo, si sentiva terribilmente stupida. Se il suo partner
l’avesse saputo, di sicuro avrebbe riso a crepapelle di lei,
giudicandola immatura e inadatta a restargli accanto, proprio come
aveva inizialmente malignato quella Mary.
Lei
invece si era riscatta ai suoi occhi, durante la missione punitiva
contro David Clive, ed era sempre più motivata a smentire
chiunque la pensasse inadeguata, a dimostrare a tutti di essere
tagliata per quel lavoro, di essere la degna spalla City Hunter.
Perciò,
se voleva continuare su quella strada, doveva accettarlo, la dura
verità era quella. Ryo era stato un orfano e un bambino
soldato. Un’esperienza traumatica che avrebbe dovuto segnarlo
per sempre, qualcosa di orribile da cui molti non si riprendevano,
neanche dopo annose e costose sedute di psicoterapia. Anzi, molti si
trasformavano in relitti umani o, peggio, in mostri senza cuore.
Eppure
per lui sembrava che non fosse stato così. Non era diventato
crudele, cinico, egoista, bensì un uomo completamente
diverso, non corrotto dal male, dall’odio e dalla solitudine
in mezzo a cui era cresciuto, ma giusto, eroico, altruista e
scanzonato.
E lei, se possibile,
se ne era scoperta ancora più profondamente colpita e
ammirata. E, era inutile girarci ancora intorno, innamorata.
Sì, ne era innamorata
persa.
E lui?
Lui si sarebbe mai accorto di ciò che lei provava?
Soltanto
una settimana addietro le aveva esternato il suo affetto sincero e
disinteressato per lei, avvicinandola a sé e depositandole
un bacio sulla fronte, per ringraziarla della sua amicizia. Se solo
ripensava a quei brevi attimi, tornava a sentirsi invadere ogni cellula
da una sconvolgente ondata di calore. La sua mano forte intrecciata
alla sua, le sue dita callose che le carezzavano i capelli, il suo
odore maschio così vicino, quel timbro sussurrato con cui
aveva pronunciato il suo nome, esprimendole riconoscenza.
Era stato
un bacio casto, fugace, innocente, fraterno …
così intenso e inaspettato da averla lasciata febbricitante.
Beh,
forse a quello aveva contribuito anche l’essere rimasta per
parecchi minuti imbalsamata come un’ebete sotto
un’inclemente e scrosciante pioggia invernale.
Con un
sospiro tra lo struggimento e l’imbarazzo, Kaori
abbandonò definitivamente il libro che stava tentando di
leggere sottosopra, scompaginandolo, le ginocchia al petto e
l’unghia di un mignolo sotto i denti.
Ryo
l’avrebbe mai ricambiata?
Malgrado
tentasse costantemente di scacciarlo, non poteva fare a meno di
arrovellarsi su quel martellante interrogativo e quel mascalzone, con
quel suo comportamento contraddittorio e infantile, non faceva altro
che sgretolare una delle poche certezze che aveva a riguardo, ovvero di
non piacergli, di non essergli gradita; almeno non come ipotetica
compagna di vita, oltre al lavoro.
A
metterle la pulce nell’orecchio, poi, c’era stata
anche l’affermazione sibillina di Umibozu. “Lui ti considera più
partner di una partner qualsiasi”, aveva
declamato ermetico, accendendo la sua timida, fiduciosa speranza di
scoprire quali fossero i reali sentimenti di Ryo. Avrebbe voluto
possedere la sfrontatezza e il coraggio per fargli altre domande e
sollecitarlo a rivelarle qualcosa di più, ma l’ex
burbero mercenario era stato come sempre parco di parole, lapidario nel
liquidare la questione. E lei era rimasta troppo spiazzata da tutta
quella storia per chiedergli ulteriori delucidazioni.
Chissà
se il suo enigmatico collega le nascondeva altri scottanti e
ingombranti segreti …
Dopo lo
scampato modesto pericolo rappresentato da quella banda di squattrinati
rapitori che miravano al patrimonio della malcapitata ereditiera che li
aveva ingaggiati a pochi giorni dalla conclusione della vicenda
Rosemary Moon, il suo partner era diventato più
indecifrabile, indisponente e solitario di prima, insinuandole il
ricorrente e sconfortante dubbio che non volesse più averla
attorno.
La
ragazza si gettò all’indietro, sprofondando
sconsolatamente sul cuscino la testa fumante per quelle mille
congetture. Forse era soltanto lei a farsi suggestionare da stupide
paranoie. Ryo era sempre … Ryo. Sbruffone, immaturo,
scapestrato, beffardo e molto riservato, quando si trattava delle sue
emozioni più intime e delle sue vicende più
personali.
E neanche
lei riusciva a considerarlo in maniera differente, dopotutto. Aveva
continuato a comportarsi allo stesso modo con lui, o no? Significava
che in concreto non era rimasta tanto condizionata da quanto aveva
scoperto sui suoi precedenti. Sapeva già che le sue mani
dovevano essersi spesso macchiate di sangue, ma anche il suo cuore in
quegli anni difficili doveva aver sanguinato, senza nessuno che lo
tamponasse. Avrebbe rimediato lei a quella mancanza, come gli aveva
promesso quella sera sul terrazzo.
Rincuorata
dalle sue stesse considerazioni, Kaori si rialzò con un
sorriso dipinto sul bel volto nuovamente rilassato. La sveglietta
posizionata sul comodino le notificò che, leggiucchiando e
rimuginando, si era fatta ora di cena. Perciò, ritrovando
l’entusiasmo di potersi rendere utile, anche se al momento
solo come “cibassistente”,
rimise le gambe giù dal letto, rinfilò le pattine
e si avviò verso la sala da pranzo.
Nel
percorrere il tratto di corridoio dalla sua camera alla cucina,
richiamò più volte il coinquilino, tuttavia lui
non rispose alle sue chiamate, tra le pareti regnava un raro e
desolante silenzio. Allora capì e la sua espressione dolce,
timida e indulgente si tramutò in un cipiglio colmo di
rassegnazione, irritazione e amarezza.
Quell’irrefrenabile
animale notturno era uscito da casa alla chetichella, senza degnarsi di
avvertirla!
«Ryo!
Vecchio pelandrone che non sei altro! La colazione è
pronta!»
L’indomani
mattina, alla solita ora tarda in cui il resto degli abitanti della
città era già alle prese con i propri affari e i
propri problemi, una voce femminile, vispa e diretta ridestò
l’impavido giustiziere di Shinjuku dalle sue impalpabili
visioni oniriche, venate di rimorsi mai sopiti e desideri inespressi.
Bussando e vociando
brusca da dietro la porta, la sua socia si allontanò a passo
sostenuto, continuando a borbottare altri improperi. E Ryo,
immancabilmente infastidito, si rigirò bofonchiando sotto la
calda coperta, accoccolandosi al guanciale e ritardando ancora qualche
minuto prima di decidersi a lasciare quel confortevole giaciglio,
consapevole che lei sarebbe tornata a rimproverarlo e avrebbe ripetuto
il suo nome tra svariate ingiurie finché non
l’avesse buttato giù con tutto il materasso.
Invece,
trascorsero altri cinque minuti buoni e ciò non accadde.
“Perché non entra? Che
avrà da fare? Non mi vuole incrociare?”,
si domandò un po’ allarmato e un po’
contrito, mettendosi supino e fissando pigramente alcuni preoccupanti
aloni di umidità che stavano ingrandendosi sul soffitto.
“Impossibile”,
si rispose. Neppure la fortuita scoperta che fosse un reduce di guerra
sembrava l’avesse turbata più di tanto. Anche dopo
il passaggio di quella tempesta imprevista impersonificata dalla
sensuale Bloody Mary avevano ritrovato il loro equilibrio quotidiano,
tuttavia il suo istinto gli diceva che quella birbante testolina rossa
stesse escogitando qualcosa e che avrebbe fatto meglio a prepararsi ad
ogni eventualità.
Sperava
solo non gli rifilasse qualche altra seccante riparazione domestica
…
Sgusciò
fuori malvolentieri dal piacevole teporino del letto,
indossò una leggera maglia di cotone grigio e un paio di
comodi pantaloni blu in pile, e, stiracchiandosi e sbadigliando
rumorosamente, scese al piano inferiore.
Kaori era
in biblioteca, mezza allungata sul tavolo, intenta a sfogliare giornali
e riviste, ondeggiando lievemente i fianchi fasciati da jeans chiari al
ritmo della hit radiofonica del momento le cui note si riverberavano a
volume moderato per tutta la stanza.
«Non
dirmi che abbiamo già un nuovo caso?»,
bofonchiò strascicando svogliatamente le ciabatte verso di
lei, contrariato dall’idea di non potersi godere un altro
po’ di ozio e di doversi già rimettere a
rincorrere qualche vile malfattore.
La socia
curvò un’occhiata distratta su di lui, passandosi
una mano sul retro del collo: «No, purtroppo. Stavo giusto
approfittando della mancanza di lavoro per mettere un po’
d’ordine nel nostro archivio», rispose con
tranquillità, poggiando un braccio sulla pagina che stava
consultando e sovrapponendovi una copia del Tokyo Shinbun di quella
mattina.
Ryo la
guardò di sottecchi, domandandosi per quale ragione stesse
mentendo, dato che era sempre stata metodica nel catalogare ogni nuovo
acquisto della loro fornitissima libreria ed era praticamente
impensabile, da quando c’era lei ad occuparsene, che potesse
esserci qualcosa fuori posto. Piuttosto aveva tutta l’aria di
stare indagando o comunque di essere alle prese con un qualche tipo di
ricerca, di cui, chissà perché, non voleva
parlargli.
Fingendo
indifferenza e decidendo di soddisfare prima lo stomaco della sua
curiosità, si spostò con calma in cucina, dove
trovò una tavola imbandita con un’abbondante e
sostanziosa colazione tradizionale giapponese. Mentre, dimentico di
quel tarlo che gli aveva turbato il risveglio, ingolosito dagli odori,
indugiava nello scegliere cosa addentare prima, tra tamagoyaki, zuppa
di miso, salmone al vapore e tsukemono, la voce di Kaori si
ripalesò alle sue orecchie dall’open space.
«Senti,
visto che al momento siamo senza tv, stasera ti andrebbe di andare al
cinema?», domandò con una sfumatura neutra e al
contempo speranzosa.
Lo
sweeper si mozzicò la lingua e ingoiò in
un’unica deglutizione fagioli di soia fermentati che aveva in
bocca senza neanche masticarli: «Che
cos’è che mi stai chiedendo? Un
appuntamento?»
La
ragazza ringraziò di essere ancora in un’altra
stanza, così che lui non potesse accorgersi del rossore che
si era impossessato delle sue guance a quella impertinente e offensiva
insinuazione: «No! Lo dicevo così …
tanto per … fare qualcosa di diverso. Tra amici.
Potremmo andarci con Umi e Miki … », si
affrettò a puntualizzare innocente, ridando una veloce letta
alla sezione spettacoli, per comunicargli quale film avrebbe voluto
proporgli di andare a vedere. Era da tantissimo tempo che non si
concedeva un’uscita scacciapensieri. Non ci sarebbe stato
niente di male a rompere la solita routine.
«Un’uscita
a quattro?! Ma come ti viene in mente un’assurdità
del genere?!», ribatté di contro ancora
più impermalito il destinatario, parlando tra una
masticazione e un rutto.
Kaori
decise di affrontare a quattr’occhi quel cavernicolo
menagramo che si ritrovava come socio, raggiungendolo a passo di
carica: «Dai! Non fare il rompipalle! Per una volta che ti
chiedo una cosa!», lo esortò con tutta la
capacità di persuasione che purtroppo sapeva di non
possedere.
Con le buone maniere
non era mai stata particolarmente brava a convincere qualcuno ad
appoggiare una sua pensata, men che meno sarebbe stata capace di
intenerire un uomo ottuso e testardo come Ryo, soprattutto quando ci si
metteva con tutto se stesso a volerla contestare per puro puntiglio.
«Ma
scusa, se ci tieni tanto, vacci con loro. Perché devi
coinvolgere anche me? Non mi va di fare il reggimoccolo per il
lucciolone e la sua bella», continuò, di fatto, a
controbattere insolente e irremovibile, finendo di sbafarsi ogni
ciotola e terrina preparata amorevolmente da lei e messa a sua
disposizione.
Un basso
ringhio collerico risalì dal petto della giovane sweeper;
dopo tutto quello che avevano passato, dopo quanto aveva appreso,
credeva che non sarebbe più riuscita ad arrabbiarsi con la
stessa furia accresciuta dall’imbarazzo,
dall’incomprensione e dalla disapprovazione dei primi tempi.
Invece dovette ricredersi: Ryo era un caso perso!
E forse
lei lo era ancora di più, per essersene innamorata
così scioccamente.
«Sei
proprio impossibile!», gli urlò contro isterica, i
pugni chiusi lungo i fianchi, i piedi che battevano a terra,
trattenendosi a stento dall’impeto di rompergli qualcosa su
quella faccia da schiaffi.
Sentendo il bisogno di
prendere aria e di lavare via i cattivi pensieri, corse su a rifugiarsi
sulla terrazza panoramica del piano superiore.
«Kaori! Sono
a casa!»
Un
giocondo Ryo annunciò il suo rientro, destreggiandosi tra il
mazzo di chiavi e il peso che reggeva tra le braccia, tentando di
arrivare in soggiorno senza inciampare nella sua coinquilina.
Lei,
nonostante fosse pomeriggio inoltrato, non stava ancora affaccendandosi
in cucina e la trovò proprio lì, nel suo morbido
e sgargiante completo di tuta, accomodata sul divano, tra le mani una
patinata rivista di moda dalla quale non distolse le pupille. Ancora
gli portava il broncio per il consueto bisticcio di poco conto che
avevano avuto ore prima!
«Guarda
cos’ho qui …», la riscosse da
quell’apatia che non le si addiceva, posando con cautela sul
pavimento l’ingombrante scatolo di un grande televisore di
ultima generazione.
Kaori,
che fino a quel momento fingeva di non vederlo né sentirlo,
sussultò a quella presentazione: «Ma …
Ryo! Abbiamo già le spese del meccanico da affrontare questo
mese …», lo rimbrottò col suo tipico
senso pratico, esitando ad accettare la sua apparente, pretenziosa e
soprattutto dispendiosa, offerta di pace.
Il socio
raccattò delle forbici per spacchettare
l’imballaggio: «Ah, tranquilla! È stato
praticamente regalato. La commessa del negozio di elettronica mi doveva
un grosso favore», la rassicurò vago mentre,
recuperato anche un metro, prendeva le misure per installarlo sul
mobile predisposto.
Un
sopracciglio s’inarcò giudicante: «Ah
sì? Che tipo di favore?», lo incalzò
subito la ragazza, accavallando le gambe, sorreggendosi il mento con le
nocche di una mano e scrutando attentamente ogni sua movenza ed
espressione facciale.
Ryo la
sbirciò reprimendo uno sbuffo. Quando esternava la sua
inconfessabile gelosia non sapeva più se temerla o sentirsi
imbrogliato. Nessuno si era mai interessato a lui con tanta
cocciutaggine e perseveranza quanto quella mina vagante. E senza alcuna
ragione. Erano unicamente compagni di lavoro, dopotutto.
«Qualche
anno fa l’ho aiutata a liberarsi di un corteggiatore
particolarmente assillante», le rivelò senza
lasciar trasparire alcuna doppiezza. Ironico detto da lui, ma stavolta
era la pura verità. Poco gli importava che quella malfidata
la pensasse diversamente.
«Beh,
comunque potevamo starcene anche senza tv per un po’. Non
sarebbe crollato il mondo», concluse con ineccepibile
razionalità Kaori, risparmiando ulteriori commenti. Non
voleva dargli la soddisfazione di vantarsi per
quell’acquisto, anche perché in fondo si sentiva
ancora un po’ in colpa per esserne stata la causa scatenante.
«Scherzi?
L’altro ieri avevo appena raggiunto l’ultimo
livello di Sweeper game33!
E stavo anche battendo il mio stesso record!»,
ribatté accanito il collega, armeggiando con cavi e
telecomandi per assicurarsi che fosse tutto funzionante per riprendere
la sfida videoludica. «Wow! Guarda che colori! Con questo
schermo la risoluzione grafica è molto più
definita!», esultò entusiasta, sedendosi a poche
spanne dall’apparecchio.
La rossa
si massaggiò le tempie, scoraggiata e snervata. Aveva voluto
proporre a quel debosciato di fare qualcosa di diverso per svagarsi,
per trascorrere un po’ di tempo insieme in un contesto
estraneo rispetto alle loro mura domestiche, anche per fargli capire
che non si era soffermata a rimuginare su ciò che aveva
scoperto. In quei giorni si era detta che stava anche a lei cambiare
atteggiamento, mostrarsi più disinvolta e propositiva.
Ma non c’era
proprio verso di spuntarla contro la sua attitudine a schivarla.
«Quindi
deduco che per stasera non se ne farà niente»,
mormorò imbronciata, alzandosi e mettendoglisi di fronte, i
gomiti poggiati contro il ripiano su cui aveva trovato spazio il nuovo
elettrodomestico.
«Uh?»,
mugugnò sbadatamente lui, continuando a pigiare
freneticamente i comandi del controller per non perdersi neppure un
obiettivo di quel combattimento virtuale.
«La
nostra uscita, il cinema …», gli
rammentò con disillusione Kaori, avvertendo un pizzicore
alla gola. Non l’avrebbe certo pregato.
Il socio
mise in pausa il videogame e si alzò lesto dal cuscinone su
cui si era piazzato: «Magari un’altra
volta», ammiccò laconico, piegandosi sulle
ginocchia e cercando qualcosa in un sacchetto lasciato sul parquet.
«Uffa!
Porca miseria! Non ti va mai di fare niente con me!»,
sbottò a quel punto la giovane complice con accaloramento,
raggiungendo con quell’urlo tonalità acute e
inopportunamente, quanto inconsapevolmente, stimolanti per qualcuno lì in basso.
Fortuna
che lui ci si era assuefatto. Ryo espirò lentamente, la fronte solleticata da una gocciolina di sudore. Kaori e la sua ignara
provocante dolcezza. Forse Mary ci aveva visto giusto. Non era ancora
pronto a separarsi da lei. Stava bene in sua compagnia, senza nessuno
squallido doppio fine.
Terminò
di collegare i fili e si voltò verso di lei, porgendole un
altro joypad con un buffetto canzonatorio sul naso: «Guarda
che qui non potrai usare la tua tecnica del proiettile
rimbalzante».
Gli
occhi nocciola della ragazza ebbero un attimo di titubanza, prima di
sciogliersi in un amabile sorriso di resa: «Non è
detto. È una tecnica molto efficace, sai?»
1Chiba:
è una città ad un'ora di treno circa da Tokyo,
famosa per le belle spiagge.
2 Tantei shōsetsu:
espressione con cui si indicano i romanzi polizieschi in Giappone.
3Sweeper game:
si può vedere Ryo giochare a questo videogame sia nell'anime
sia nel
manga nella prima tavola della storia "Una luce tra i grattacieli".
*
Con mio stupore, dopo aver
pensato a questa sciocchezzuola per la trama, mi sono accorta che
effettivamente il televisore disegnato da Hojo visibile nel soggiorno
dell'appartamento cambia tra l'episodio di
Mary e quello successivo che si apre con l'arrivo della pilota Shoko O,o
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