Io sono ShiroYasha

di Floryana
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


PROLOGO


 
Io sono Shiroyasha. Io sono un demone asceso dagli inferi. Io sono un mostro sanguinario che ha tolto la vita a molti. Io sono colui che vive all’ombra della morte. Nessuno si preoccuperà se muoio. Nessuno si preoccuperà se vivo. Nessuno si accorgerà che esisto. Io non temo la morte. Io non temo il giudizio delle divinità. Io credo solo nel mio bushido perché io sono un samurai…o no?  
Gintoki se ne stava supino a terra, immerso in una pozza di sangue; il bianco yukata sporco di rosso. Di un rosso intenso che fuoriusciva da una ferita al centro dell’addome.    
Provò a muoversi, ma una fitta di dolore gli attraversò tutto il corpo e una smorfia gli si dipinse sul volto.
Provò ad alzare la testa, ma questa gli faceva troppo male; rivoli di sangue gli sporcavano il viso e i capelli… i suoi capelli, sempre così ribelli, sempre così bianchi; ora erano sporchi di sangue, del suo o di qualcun altro?
Non se lo ricordava.
Ci pensò un po’.
Niente. Buio totale.
Provò a fare una breve conta delle ferite.
Solo allora si accorse che stringeva convulsamente con la mano destra la sua fidata bokutou, o, per meglio dire, ciò che ne rimaneva: era rotta in tanti pezzi, sparpagliati vicino a lui.
Allentò la presa e provò a guardarsi intorno.
Il sangue negli occhi gli impediva di avere una visione chiara dell’ambiente circostante.
Girò la testa di lato e aprì gli occhi: vide una parete di roccia con ai piedi qualche cespuglio scarno.
Spostò di nuovo la testa e questa volta vide un manto stellato; non c’era la luna, c’erano solo le stelle che con la loro luce illuminavano la volta notturna. Era una visione stupenda, piacevole, dolce…
Ad un tratto vide vicino a se una donna che guardava anch’ella le stelle. Era forse un angelo? Un miracolo?  Un’allucinazione?
Perché aveva come l’impressione di conoscerla?
Una strana malinconia si impossessò del suo cuore. L’aveva già vista da qualche parte ma non ricordava dove.
Ecco, ora si era voltata verso di lui e lo stava guardando. Sorrideva. Era bellissima. Aveva i capelli marroni raccolti in un elegante chignon con alcune ciocche che le ricadevano ai lati del viso. Indossava un leggero kimono azzurro con un obi del medesimo colore. Continuava a sorridergli; provò a parlarle, ma le parole si rifiutarono di uscirgli dalla bocca.
Ora la donna era scomparsa e Gin si ritrovò di nuovo da solo. Sospirò e solo quest’azione gli procurò una fitta lancinante all’addome.
Come era finito in questa situazione? Contro chi aveva combattuto e perché? Ma soprattutto, dov’erano quei due ragazzini che stavano sempre con lui? Com’è che si chiamavano? Shinichi e Gura… o era Shimpachi e Zura?
Non se lo ricordava.
Continuò a guadare per qualche istante ancora il cielo, poi lo investì una stanchezza improvvisa. Lottò con tutte le sue forze per non soccombere a Morfeo poiché sapeva che non avrebbe mai più riaperto gli occhi, ma alla fine quest’ultimo ebbe la meglio ed egli lentamente chiuse le palpebre.
Nel buio più totale gli si ammassarono le immagini di persone che aveva conosciuto in vita, avvenimenti, scene di combattimenti… allora era vero, quando si muore ti passa tutta la vita davanti!
Un leggero sorriso gli increspò le labbra; a quanto pare sarebbe stata una morte davvero molto lunga.
E così si abbandonò al triste vortice dei ricordi e poi… il silenzio.



Allora, comincio col dire che questa è la prima storia in assoluto che pubblico. Sono emozionata e non so cosa scrivere xD
L'unica cosa che mi viene in mente è, vi prego lettori, commentate questa storia e, se qualcosa non vi è piaciuto, criticatela affinchè possa migliorare.
Forse, come prima storia, avrei dovuto scriverne una più facile che trattase temi meno complessi, ma non ci posso fare niente. E' un'idea che mi passa per la testa da un pò di tempo e sentivo l'impulso di scriverla e, perchè no, farla leggere a qualcuno (perchè non mi aspetto che tanti leggano questo obbrobrio e, per quei pochi coraggiosi, arrivare alla fine di questo piccolo capitolo senza sbruffare e/o imprecare).
Ad ogni modo, ci tengo veramente tanto che qualcuno possa passare per caso su questo fandom (scritto giusto?) e fermarsi a leggere fino alla fine questo capitolo e, perchè no, anche lasciare un piccolo commentino che mi faccia capire:
1- la storia fa schifo ed è meglio se interrompo;
2- è piuttosto apprezzabile, vediamo come continua;
3- è bella!
Ok, credo che sia tempo di intorrompere i miei pensieri o qui finisce che continuo fino a mattina
Saluti, Floryana :)
                                

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


Capitolo 1

Prima parte

Correva in un bosco, alla cieca.
Non sapeva dove stava andando e non gliene importava.
Le gambe gli facevano male e ansimava.
"Salvati!" era questo il grido che gli rimbombava nella testa.
Aveva paura, troppa paura anche solo per riuscire a guardare dove andava.
Anche solo per aprire gli occhi.
Anche solo per pensare.
Desiderava trovarsi da un'altra parte. Oh, quanto lo desiderava!
Ma ora era la, da solo, a correre via da tutto e da tutti. A lasciarsi alle spalle i suoi cari, i suoi amici,i suoi parenti...
Dietro di lui il fuoco, le cui punte tendevano verso l'alto, quasi a toccare il cielo, quasi a volerlo raschiare con i loro artigli.
Ora tingevano l'intera volta celeste di un rosso intenso, che andava via via a sbiadirsi più lo sguardo tendeva verso l'alto.
Stava distruggendo un complesso di case, forse una volta era un villaggio.
Voleva i suoi genitori; voleva i baci della madre; voleva gli abracci del padre; voleva che tutto ciò fosse solo un incubo;voleva...
All'improvviso un ramo lo ferì al braccio, interrompendo i suoi pensieri.
Non ci fece caso e continuò la sua folle corsa.
Dopo un pò, neanche lui sapeva quanto, potevano essere passati secondi, minuti, ore, le gambe non ressero e cadde a terra.
Provò a rialzarsi facendo leva sulle braccia, ma non ci riuscì.
Il corpo fremeva per l'estenuante corsa.
Calde lascrime gli rigavano le guance e, cadendo, bagnavano il terreno.
Davanti ai suoi occhi gli apparvero le immagini della madre, supina a terra e immersa in una pozza di sangue;nella sua testa rimbombavano ancora le parole del padre:
"Scappa! Mettiti in salvo!" e subito dopo  un fremito scosse il suo corpo mentre un rivolo di sangue gli usciva dalla bocca e un uomo, alle spalle, estraeva dal suo torace una katana.
Era vestito da monaco con il simbolo del Yatagarasu disegnato sopra.
Chiuse gli occhi cercando di cacciare dalla mente quelle immagini.
Si raggomitolò su sé stesso.
Tremava. Tremava e piangeva, di un pianto silenzioso, doloroso...
Dolore! Si, era questo ciò che sentiva. Il dolore, quasi una lama invisibile che trafrigge il suo cuore e lo attraversa da parte a parte.
Una fredda punta di metallo tenuta da mani ignote.
Dopo un pò di tempo che sembrò quasi un'eternità, si addormentò.
Fu una notte lunga, costellata da dolci ricordi e tristi visioni.


Seconda parte


Un anno.Era passato un anno da quella notte.
Un anno che vagabondava per il Paese senza una meta ben precisa.
Un anno che faceva quella vita, se si poteva ancora chiamare vita.
Andare per i campi di battaglia a depredare i cadaveri dei pochi viveri che avevano: era questo ciò che faceva.
Aveva solo sei anni, ma aveva già visto tanti orrori, troppi per un bambino della sua età.
Ora il suo unico desiderio era quello di sopravvivere, sopravvivere fino all'ultimo tenendo fede all'ultima promessa fatta al padre.
Quella tacita promessa che si scambiò col genitore: uno sguardo speranzoso da parte di quest'ultimo, uno sguardo di dolore da parte del bambino.


Quel giorno il sole splendeva alto nel cielo.
C'era un caldo torrido ma egli non sembrava preoccuparsene.
Indossava un leggero kimono azzurro tenuto in vita da una fascia biancastra.
Aveva i capelli anch'essi bianchi ma sporchi di fango e terra donandogli una tonalità tendente al grigio.
Un brontolio rupe il silenzio di quella mattina.
Da due giorni non metteva qualcosa in bocca e i morsi della fame cominciavano a sentirsi.
All'improvviso un odore acre gli giunse alle narici: era sangue!
Lì vicino si era svolta una battaglia.
Amanto contro umani, oramai era così da quattro anni: guerre, guerre e solo guerre che imperversavano in tutto il Paese.
Gli umani volevano la libertà, gli alieni solo depredare a discapito degli uomini.
Continuò ad avanzare e vide davanti a sè un campo di battaglia.
Si nascose dietro ad un masso per osservare meglio ciò che era successo.
Pezzi di cadavere erano sparsi un pò ovunque: doveva essersi svolta una battaglia molto violenta.
Lentamente il ragazzino uscì dal suo nascondiglio e cominciò a vagare tra i morti.
I suoi occhi sondavano attentamente il terreno quando all'improvviso lo sguardo si posò su un sacchettino attaccato alla cintola di un samurai.
Spostò la testa di lato con fare sospettoso; dopo aver osservato bene i dintorni, lentamente avvicinò la mano alla cintura, ma, all'improvviso, il samurai aprì gli occhi e,con un rapido movimento della mano, bloccò il polso del ragazzino.
Egli, dal canto suo, cercò di liberarsi dalla stretta ferrea del vecchio e, tanto fece, che riuscì nel suo intento ma perse l'equilibrio cadendo all'indietro, sbattendo con la schiena al terreno.
Il ragazzino alzò la testa tenendo fisso lo sguardo negli occhi  dell'uomo e al contempo tremando dalla paura.
Aveva tanta paura. Non come quella notte, sia chiaro, ma aveva paura.
Una risata ruppe il silenzio e il ragazzino, tremando, spostò lo sguardo alle sue spalle.
Una amanto, visibilmente divertito, tra un colpo di tosse e l'altro, stava ridendo.
Aveva la testa apoggiata a un masso, una katana infilata nell'addome e gli mancava un braccio; ma stava ridendo. E di gusto anche!
A quella vista, anche il vecchio samurai si mise a ridere; e continuarono così, a ridere e tossire.
Il ragazzino prima spostò lentamente il suo sguardo da quello del vecchio a quello dell'alieno e viceversa, poi, dopo qualche istante, si alzò di scatto da terra e urlò ai due di smettere.
Questi, anzichè dargli ascolto, continuarono a ridere e anzi alzarono il tono di voce.
"Smettetela vecchiacci!" urlò il ragazzino, al limite della sopportazione.
All'improvviso il samurai smise di ridere e, con sguardo adirato, si rivolse al bambino.
"Come ti permetti?!" cominciò "Come osi rivolgerti con questo tono a Sakata Gintoki, uno dei più forti guerrieri Joi esistenti?"
"Suvvia vecchio, non prendertela!" lo fermò l'alieno.
"Non me la sono presa, è solo che non mi va che un ragazzino mi metta i piedi in testa, tutto qua..."
"Uffa" lo interruppe l'amanto, poi, rivolto al bambino "Non farci caso, hai ragione, è davvero vecchio"
"Guarda che il commento era rivolto anche a te" lo apostrofò questi.
L'alieno scoppiò nuovamente in una grossa risata.
"Sei troppo divertente,moccioso!" disse dopo essersi calmato "Come ti chiami?"
Il diretto interessato lo guardò per qualche istante poi,lentamente abassò lo sguardo.
"Non me lo ricordo..." disse quasi con un filo di voce.
Non riuscì a completare la frase,le parole gli morirono in bocca.
Sentì un nodo alla gola mentre gli occhi bruciavano.
Una grossa lascrima gli rigò la guancia.
Strinse i pugni cercando di ricacciare indietro le lascrime che prepotentemente volevano uscire; chiuse gli occhi e tentò di cacciare il nodo che sentiva alla gola.
Inutile, le lacrime cadevano copiose dai suoi occhi, rigavano le guance, toccavano le labbre inasprite dalla mancanza di acqua e cadevano a terra.
Si era ripromesso di non piangere più, di essere forte, di non farsi più piegare...
Inutile. Era tutto inutile; per quanto cercasse di fare la persona grande, rimaneva pur sempre un bambino; un indifeso bambino a cui mancava ardentemente la vita con i suoi genitori, a cui mancavano i giochi con gli amici...


"Ehi, ragazzo!" una voce proveniente da lontano lo ridestò come da un incubo.
Aprì gli occhi e si rese conto di essere ancora nel campo di battaglia, in compagnia di quei due tizi sconosciuti.
"Ragazzo calmati, nessuno voleva farti piangere. Vero idiota?" fece il samurai rivolto all'amanto.
"Ma stai zitto!" rispose quest'ultimo "È chiaro che sta piangendo perchè ha visto la tua faccia, vecchio!"
Il ragazzino si asciugò le lacrime con la manica del kimono e abbozzò un leggero sorriso.
"E così non ti ricordi il tuo nome..."
"Io so perchè!" replicò l'amanto "Si vede che hai ricevuto un forte shock. Solitamente il cervello tende a dimenticare eventi traumatici".
"E tu come fai a dirlo con tanta certezza?" gli chiese il vecchio.
"Semplice, sul pianeta dal quale provengo ero un dottore" disse l'amanto con naturalezza.
Il samurai lo guardò qualche secondo con aria persa, a misto tra lo stupore e l'incredulità.
"Si certo" rispose con aria sarcastica "e io sono l'assistente dello Shogun"
"Guarda che è vero!" replicò l'alieno con disappunto.
"Certo... e un dottore sarebbe venuto qua per cosa? Esperienze dopo la morte?"
"Samurai, ci sono molte cose che non sai"
"A davvero? Forza dai, parla, sono tutto orecchie!"
"Allora, prima di tutto , al popolo del mio pianeta così come agli altri della galassia non importa niente di un pianeta così piccolo e insignificante ma il "Tendoshu" ha fatto tante di quelle pressioni ai governi che questi hanno deciso di accontentarli e puntare verso la Terra. Già che c'erano, hanno avuto anche la brillante idea di arruolare nell'esercito tutti coloro che avevano le capacità per combattere. E così, eccomi qui!"
"Idiota"
"Senti chi parla"
"E poi, che sarebbe il "Tendisho" o come l'hai chiamato tu?"
"Tendoshu. E comunque sono un gruppo di alieni molto potenti. Basta, non so altro!"
"Lasciamo stare, le questioni politiche non fanno per me! Allora" fece il samura rivolto al ragazzino "Non hai parenti da cui andare?"
Questi scosse energicamente la testa; purtroppo non aveva più nessuno.
"Ragazzino, ti prego, non mettere di nuovo il broncio" Lo richiamò l'alieno "Senti" disse in seguito con fare pensieroso "Ho deciso di farti un regalo. La vedi questa spada nel mio addome? Bene, devi sapere che la pelle della mia razza è molto spessa e questa katana è riuscita a tagliarmi un braccio e trapassarmi da parte a parte. Ti sarà molto utile"
Dicendo così, afferrò l'elsa della spada e la estrasse dall'addome.
Il sangue cominciò a fuoriuscire a getti andando a sporcare la terra tutt'intorno.
Con mano tremante, l'alieno porse delicatamente la spada al ragazzino per poi cadere di nuovo con le spalle sul masso.
Il samurai, dal canto suo, non rimase a guardare la scena: era troppo intento a cercare anche lui un regalo.
Guardò in giro alla ricerca di qualcosa poi, ad un tratto, gli venne un'idea: aveva trovato il suo regalo!
"Ragazzino" lo richiamò a sé il vecchio "Anche io ho un regalo per te. Mi piacciono molto i tuoi capelli! Visto che a me non serve più, ho deciso di donarti il mio nome: Gintoki Sakata! Allora, che ne dici?"
Il ragazzino guardò prima uno, poi l'altro e rimase per un istante a bocca aperta.
Lentamente abbozzò un leggero sorriso
"Grazie" riuscì a dire soltanto.


Terza parte

C'era un campo di battaglia davanti ai suoi occhi.
Si guardò attorno pensieroso.

"Un demone vi dico" stava parlando una donna anziana, sulla ottantina. Indossava un leggero kimono rosa stretto alla vita da un obi blu.
I capelli oramai bianchi, erano tenuti sopra la nuca da un stretto chignon.
Era in piedi davanti a lui e, nonostante cercasse di mantenere un'aria dignitosa, si vedeva chiaramente che era spaventata.
La voce era leggermente inclinata e le mani tremavano.
Certo, poteva essere a causa del'età, ma egli preferì pensare che fosse dovuto allo spavento.
'Ma guarda che mi tocca sentire...' pensò.
si trovava davanti all'entrata del suo dojo, in pigiama, svegliato da una vecchia che era andata a battere al suo portone alle cinque di mattina.
Aveva freddo, voleva ritornarsene a letto e invece doveva stare a sentire questa povera donna in preda ad allucinazioni riguardanti demoni bianchi, oni e strani eventi soprannaturali.
'Insomma' si trovò a pensare 'Nell'epoca degli alieni ancora credere a queste stupidaggini...'
"Vi dico che è vero" continuava nel mentre la vecchia nel suo monologo o, per meglio dire, soliloquio "Lei mi deve credere, maestro Shoyo. Io l'ho visto. L'altra notte, quando sono andata in quel campo di battaglia per cercare alcune provviste, l'ho visto.
Era seduto su alcuni cadaveri: aveva gli occhi rossi e i capelli grigi che gli donavano un'aria spaventosa.
Alle sue spalle splendeva un'imponente luna; così grande non l'avevo mai vista!
Maestro Shoyo, lei deve fare qualcosa!" disse ad un tratto con fermezza, irrigidendo tutti i muscoli del cuo corpo.
Pronunciò con così tanta enfasi l'ultima frase, che il maestro si risvegliò dai suoi pensieri.
Alla vista della donna, così trasandata e con ciocche di capelli che le cadevano ai lati, effetto dovuto all'infervoramento che aveva manifestato durante il discorso, il maestro non potè fare a meno di sorridere e biascicare qualche parola per cercare di calmarla.
Sta di fatto che la donna non se ne andò finchè non riuscì ad avere la promessa che il samurai andasse a controllare di persona l' estitenza del suddetto demone.

                                Continua...




Ed eccoci così al secondo o, per meglio dire, primo capitolo di questa storia (perchè il precedente era solo il prologo).
Spero che questo capitolo non vi annoi durante la lettura (anche se ne dubito fortemente) perchè (mi rivolgo ai pochi che lo leggeranno fino alla fine) non succede quasi nulla.
Ad ogni modo, ora che penso, nello scorso capitolo, come in questo del resto, avevo inserito dei termini in giapponese che pochi di voi avranno compreso. Quindi ho deciso di scrivere un glossario per rendervi più agevole la lettura.

                          GLOSSARIO

-ShiroYasha: lett. Demone Bianco (soprannome dato a Gintoki durante la guerra Joi)
-Joi (termine dal manga): gruppo di guerrieri con lo scopo di cacciare gli amanto dal Paese
-Amanto (ter. dal manga): lett. "gente venuta dal cielo", termine col quale vengono indicati gli alieni.
-Yukata: sorta di kimono informale indossato perlopiù in estate
-Bokuto: riproduzione in legno della katana giapponese
-Yatagarasu: corvo a tre zampe, di proprietà della dea del sole Amaterasu
-Obi: cintura tipica giapponese
-Dojo: ter. giapponese che indica il luogo ove si svolgono gli allenamenti alle arti marziali
-Oni: mostri del folklore giapponese simili agli orchi occidentali
A un certo punto, il samurai, rivolgendosi al ragazzo, gli dice che ha dei bei capelli e gli dona il suo nome, Gintoki. Letteralmente "Gin" significa "argento" e, in questo caso, il samurai si riferisce ai capelli del ragazzo che assumono sfumature argentee.

Bene, spero di aver chiarito alcuni interrogativi che potrebbero essere sorti durante la lettura.

Ora passiamo ai ringraziamenti:
ringrazio Yato kamui e izzie_sadaharu che hanno inserito la storia nelle preferite e un'altra persona molto speciale che mi ha aiutato nella correzione di tutti gli errori di questo capitolo.
Ringrazio inoltre tutti coloro che hanno letto questi due capitoli e rinnovo il mio invito a lasciare qualche commentino.

Noi ci risentiamo al prossimo capitolo
Saluti, Floryana :)





 

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


                                                                                             Capitolo 2


Prima parte


'Povero me...' si ritrovò a pensare.
La voce acuta della donna mista alla stanchezza per via del sonno interrotto gli avevano procurato una terribile emicrania.
Per tutta la mattina continuò a vagare per le stanze del suo dojo alla ricerca di qualcosa che potesse fargli passare il mal di testa.
Quella donna non solo era venuta a svegliarlo per raccontarli ciò che aveva visto durante le sue scampagnate notturne (che poi, si ritrovò a pensare, quale persona sana di mente andrebbe per i campi di battaglia in piena notte?)ma, non appena aveva avuto la conferma che lui sarebbe andato a controllare di persona l'esistenza del suddetto demone, si era aggrappata a mo' di piovra al suo braccio insistendo di venire anch'ella!
Aveva dovuto ricorrere a tutta la sua diplomazia, buon senso e capacità oratoria (il tutto misto a una buona dose di pazienza) per riuscire a mandarla via senza lasciarsi sopraffare da una crisi nervosa.

Ripensando a ciò che gli era capitato giorni prima, si mise a ridere.
Mai aveva sospettato che il "demone" potesse esistere davvero.
Secondo le testimonianze raccolte, quest'essere dagli occhi rossi vagava di campo in campo alla ricerca di cadaveri per potersi nutrire.
Sinceramente, non gliene importava niente. Non era mai stato il tipo che crede a fenomeni soprannaturali; sopratutto, come amava sempre dire, nell'epoca degli alieni non si può credere a queste cose!
Ma, nonostante tutto, ecco che si ritrovava in quel campo di battaglia.
Si guardò attorno pensieroso e iniziò ad avanzare.
Un odore acre gli arrivò subito alle narici costringendolo a coprirsi il naso con la mano.
Davanti a sè vide uno spettacolo orribile: sangue e arti erano sparsi sul terreno, samurai e amanto erano talmente sfigurati da non riuscire più a distinguerli...
Rimase fermo per qualche minuto ad osservare la scena poi, lentamente, iniziò a camminare guardandosi attentamente intorno.
Gin era seduto sopra un masso, in mezzo al campo, intento ad addentare un pezzo di pane raffermo che aveva sotratto a un cadavere.All'improvviso il gracchiare di un corvo lo ridestò dai suoi pensieri.
Uno di quegli uccelli si era posato sulla testa di un cadavere davanti a lui e aveva iniziato a beccargli un occhio.
'Che creature orribili' si trovò a pensare.
Osservò per qualche istante l'animale: con il becco stava picchiettando sulla faccia del cadavere e, a un certo punto, vide che stava estraendo qualcosa. Continuò a guardare la scena quando si accorse che quello che stava tirando fuori era un occhio!
Subito il ragazzino girò la testa di lato, chiudendo con forza le palpebre e cercando di cacciare dalla mente quell'immagine.
Spostò lo sguardo verso ciò che teneva in mano e, lentamente, continuò a mordere il pezzo di pane, per gustarsi ogni singolo boccone.Non sapeva quando avrebbe di nuovo potuto mangiare e voleva assaporare ogni morso.

Stava per addentare l'ultimo pezzo quando una mano gli si posò sulla testa.
Alzò lo sguardo e vide un uomo dai lunghi capelli grigi che gli sorrideva.
"Credevo di trovare un demone sanguinario e invece ho trovato solo un bambino" disse sorridendo il maestro.
Gin lo guardò qualche istante, poi, con un rapido movimento del braccio allontanò la mano dell'uomo e facendo un salto indietro, si posizionò lontano. Con la manica dello yukata si pulì la bocca continuando a fissare il samurai.
"Che cosa triste" continuò questi "Un povero bambino costretto a vagare per i campi di battaglia a depredare i cadaveri per poter sopravvivere"
Gin, vedendo la katana al fianco del samurai, prese la spada donatali dall'amanto e cominciò ad estrla dal fodero.
Il maestro osservò tutta la scena; un pò era divertito vedendo che la spada era più lunga del bambino e questi faceva fatica a tenerla in mano, dall'altra lo assalì una gran tristezza vedendo in che condizioni era ridotto.
Si portò una mano alla cintura sfilando la sua katana e lanciandola verso il bambino.Questi lasciò la presa sulla sua spada e afferò l'arma che l'uomo gli aveva lanciato.
"Te la regalo" si sentì dire "Se vuoi continuare a muovere quella spada per mera difesa personale, fai pure; ma se vuoi usare quella katana per difendere ciò che ti è più caro, allora seguimi. A te la scelta".
Gin guardò il samurai che lentamente se ne andava poi osservò la katana che stringeva tra le mani. Rimase qualche secondo indeciso sul da farsi, infine guardò di nuovo l'uomo e fece la sua scelta.

Seconda parte
 
I quattro anni passati insieme al maestro Shoyo furono indimenticabili. Egli gestiva un dojo ove accoglieva tutti i bambini orfani che trovava: insegnava loro a scrivere, leggere, fare i conti, le regole del bushido e, nel tempo libero, la nobile arte della spada.
Gin aveva non solo trovato una figura paterna su cui contare, ma anche degli amici con cui giocare e, cosa più strana, una nonna.
Si si, proprio una nonna con cui stare!
Ebbene, ella abitava in una casetta vicino al dojo; ogni tanto, avendo attacchi di solitudine, andava a trovare il maestro portando sempre con sè biscotti e altre leccornìe fatte in casa apposta per i bambini.
Egli, dal canto suo, la lasciava, in qualità di badante a guardare quella ciurma di monelli.
Anche quella volta, che era partito alla ricerca del misterioso "demone", l'aveva lasciata al dojo.
"Ecco il tuo demone!" aveva esordito così il discorso quando era ritornato in compagnia di Gin "Io mi aspettavo di trovare qualcosa di spaventoso, da come lo avevi descritto, e invece mi sono ritrovato un bambino"
La vecchia aveva abbassato lo sguardo verso Gin e lo aveva guardato per qualche istante fisso negli occhi,poi era scoppiata in una risata stridula che lo aveva fatto spaventare.Subito si era nascosto dietro il maestro afferrando il suo kimono con entrambe le mani e, tenendo la stoffa a pugni stretti, aveva timidamente messo la testa fuori per osservare la scena.
La donna seguitava a ridere non accennando a smettere, poi alzò lo sguardo e vide che anche il maestro stava sorridendo divertito.

Gin era l'ultimo arrivato e, almeno per i primi giorni, tutti i bambini gli andavano incontro per giocare.
Egli tuttavia non rispondeva alle domande e non parlava: guardava invece con sospetto tutti quelli che gli si avvicinavano e ignorava le loro domande; questi alla fine si arresero e cominciarono a tenerlo alla larga.
Ormai si erano abituati a vedere quel bambino così taciturno che se ne andava in giro per il dojo con stretta tra le mani la katana del loro sensei.Avevano imparato ad evitarlo e lui,a sua volta, li evitava.
La donna anziana che veniva sempre a trovare il maestro vide questa strana situazione che si era venuta a creare e, alla fine, riuscì a trovare il momento adatto per parlarne.
"Non può andare avanti così. Quel bambino ha bisogno di stare anche con gli altri e non solo in tua compagnia" disse la vecchia rivolta a Shoyo
"Lo so"rispose quest'ultimo "Ma non ci posso fare niente. Gli ho detto di andare a giocare con gli altri bambini ma non ne vuole sapere. Ha detto che non gliene importa di ciò che fanno"
Erano seduti in una stanza che si affacciava sul giardino a bere te. Era una calda giornata di fine estate e le cicale stavano ancora intonando i loro canti d'amore per le femmine.
La donna girò la testa di lato per osservare i bambini: contenti, stavano giocando ad acchiapparsi mentre Gin era seduto in un angolino a guardare la scena con sguardo impassibile.
La donna continuò ad osservarlo per un pò di tempo poi, con un leggero cenno della testa, si accomiatò dal maestro e si diresse verso Gin.
"Bambino" questi si ridestò di colpo dai suoi pensieri, sussultando leggermente per lo spavento e volse lo sguardo verso la donna.
Ella gli sorrideva placidamente, poi gli posò una mano sulla testa, accarezzandogli i capelli.
"Perchè non vai a giocare con gli altri?" gli chiese.
Lui la guardò per qualche secondo per poi scuotere energicamente la testa in segno di negazione.
"Non voglio" rispose semplicemente.
La vecchia continuò a guardarlo "Ti spiace se mi siedo vicino a te?" gli chiese alla fine.
Non ricevendo nessuna risposta, si mise vicino al bambino.
Dopo essere rimasti per qualche minuto in silenzio, la donna iniziò a parlare.
"Ti piace guardare il cielo?"
Aspettò qualche istante ma, non ricevendo nessuna risposta, continuò il suo discorso
"Sai, da ragazzina mi piaceva moltissimo guardare il cielo e immaginarmi di volare libera come un uccellino. E con la fantasia mi ritrovavo in luoghi sconosciuti, poi presa dalla stanchezza, mi fermavo a riposare sopra il ramo di un albero e come per magia riprendevo il mio aspetto normale. Nei miei sogni, proprio allora passava un bellissimo giovane. Mi aiutava a scendere e insieme facevamo una lunga passeggiata; poi lui mi baciava, ci sposavamo e andavamo a vivero in un bellissimo castello. Lo so, lo so,"disse ridendo "sono cose stupide, ma erano solo sogni bambineschi. Anche tu ne avrai avuti,vero?"
Gin si limitò ad annuire. Continuando a guardare davanti a sè,lentaente si spostò verso la vecchietta e mise la testa sul suo braccio. Lei gli circondò teneramente le spalle con il braccio e,presa di nuovo la parola, continuò a parlare della sua infanzia.

Da quel giorno la vecchia andò più spesso al dojo a trovare i bambini e il più delle volte stava con Gin raccontandogli avvenimenti della sua infazia, fiabe e favole che aveva sentito  quando era piccola e vari anedotti che conosceva.
"Gin tu sei giovane" gli disse ad un tratto,un giorno mentre stavano parlando all'ombra di un ciliegio. "Devi andare anche con gli altri bambini della tua età invece di pasare il tempo con una vecchietta"
"Preferisco stare con te" rispose semplicemente Gin, con la naturalezza che solo un bambino può avere.
La donna lo guardò per un pò, poi si mise a ridere sommessamente. In parte era divertita per la risposta,così semplice e veloce,in parte era felice che un bambino della sua età preferisse passare il tempo in compagnia di una vecchia anzichè con gli altri compagni.

Sta di fatto che la donna, tanto fece e tanto insistette, che riuscì a convincerlo ad andare a giocare.
I primi tentativi risultarono un fallimento: gli altri bambini si rifiutavano di stare in sua compagnia e scappavano via non appena lo vedevano; solo due di loro lo guardavano gualche istante per poi andarsene spazientiti.
Un giorno gli rivolsero la parola "Insomma, dopo averci ignorato per mesi, te ne vieni a chiedere se puoi giocare. E con che faccia anche!" gli disse quello con i capelli corti.
"Takasugi non te la prendere" lo richiamò l'altro.
Aveva l'aria di certo più tranquilla dell'amico ed era più pacato nei modi.
"Smettila di dirmi ciò che devo fare!" gli rispose in malo modo "Io faccio ciò che voglio, Zura!"
"A chi hai chiamato Zura? Io non sono Zura, sono Katsura"
"Io ti chiamo Zura quanto voglio"
"Sta zitto!"
"Sta zitto tu!"
E così iniziarono ad azzuffarsi,continuando così per un buon quarto d'ora.
Gin continuò ad osservali e infine scoppiò a ridere; gli altri due fermarono a loro volta il litigio, si guardarono per qualche istante e poi scoppiarono anch'essi in una sonora risata.

Terza parte

Finalmente Gin aveva trovato una famiglia che potesse considerare tale; era felice, felice come non mai...
Ma si sa, le cose belle non durano in eterno e così, quei gioiosi giorni passati in compagnia del maestro e degli amici,svanirono.
Svanirono quasi come uno spiffero d'aria spegne la luce di una candela, facendo cadere la stanza nel buio più totale.
Ecco, credo che così si può definire ciò che successe quella notte: una ventata d'aria gelida che spegne la luce meravigliosa e multicolore della felicità.
Gin aveva imparato a temere quelle persone col vestito da monaco e il simbolo del Yatagarasu su di essi.
Da quella notte non era più riuscito a scordarli e, quando aveva raccontato al maestro ciò che era successo chiedendo spiegazioni, questi aveva risposto in modo evasivo limitandosi a dire solo il loro nome: Naraku!

Mai si sarebbe immaginato che avrebbe di nuovo avuto a che fare con loro; mai avebbe pensato che, ancora una volta, la sua vita sarebbe cambiata a seguito di un loro intervento.
Arrivarono una notte, dal nulla.
Buttarono giù il portone e penetrarono in casa.
Il maestro cercò di fermali:inutile, erano troppi...
Combattè strenuamente fino a quando non cadde a terra, troppo esausto anche solo per stare in piedi. Ma non lo uccisero, si limitarono a legargli le mani dietro la schiena e condurlo fuori dal dojo, o, per lo meno, ciò che ne rimaneva.
Avevano appiccato il fuoco che violentemente lo stava consumando.
Anche questa volta la punta delle fiamme tendeva verso l'alto e,anche questa volta, sembrava voler raschiare il cielo con i suoi artigli.
Gin riuscì insieme ad alcuni ragazzi a fuggire, ma, ad un certo punto, decise di ritornare indietro per andare dal maestro, nonostante le grida di Zura e degli altri che lo richiamavano.
Iniziò a correre nella direzione contraria quando un colpo di shakujo lo buttò a terra violentemente.
Il Naraku che lo aveva colpito lo afferrò per i capelli e gli sollevò la testa.
Un rivolo di sangue gli usciva dalla bocca e aveva la guancia arrossata per via del colpo; ancora stordito, venne portato davanti a quel che rimaneva del portone.
Un uomo lentamente si avvicinò a lui. Da come era riverito e trattato dagli altri Naraku, si intuiva che probabilmente era il capo.
"Che patetico..." disse con tono divertito una volta arrivato davanti a Gin. 
"Sprecare la tua vita così, o sei un idiota o sei coraggioso"
Gin era inginocchiato davandi a lui, con al collo puntati una cinquina di shakujo.
"Lascia stare il mio maestro!" riuscì a dire prima che un calcio ben assestato alla pancia non li fece mancare il respiro.
"Che insolente" continuò il capo "Però mi stai simpatico, hai fegato. Come premio ti lascerò vivere e, chissà, magari un giorno di questi ci rincontreremo" detto questo si voltò e, guardando Shoyo, si rivolse ad un altro Naraku "Oboro, conduci questa feccia dallo Shogun!"
Il maestro fu alzato da terra brusamente e trascinato via.
"Maestro!!" riuscì a dire soltanto Gin, con la voce rotta dal pianto
"Non ti preoccupare" cercò di rassicurarlo questi "Ritornerò. Un giorno di questi ritornerò, è una promessa..."
Gin annuì semplicemente,non riuscendo a dire nient'altro prima di vedere uno dei Naraku che si apprestava a colpirlo, poi il buio...

                   

                                                                                                                               Continua...

 


                                                                                 GLOSSARIO

-Shakujo: bastone con la punta adorna di anelli di metallo usato in ambito manastico buddhista
-Zura: lett. "parrucca"
-Sensei: lett. "maestro"

Ed eccomi così al secondo capitolo di questa storia.
Che dire, è stata un'impresa riuscire a rispettare i tempi che avevo prefissato con Yato Kamui (le avevo fatto una promessa xD)
Allora, ringrazio izzie_sadaharu e yato kamui per aver commentato tutti i capitolo fino ad ora; una persona speciale che ha corretto gli errori che ho fatto nella prima parte e infine mia mamma che ha trovato il tempo per poter leggere tutti i capitoli e darmi consigli su quest'ultimo; infine ringrazio tutti i lettori anonimi che hanno letto la mia storia ma non hanno recensito.
Come al solito, vi do appuntamento al prossimo capitolo.
Baci, Flory <3


                 


 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


                                                                                          Capitolo 3

Prima parte

Otto anni dopo...
Un amanto avanzò davanti a un imponente esercito.
Indossava una spessa armatura di ferro nero abbellita da due zanne che spuntavano ai lati delle spalle.
"Mio generale" lo richiamò un altro amanto "Le truppe sono in posizione. Aspettano solo un vostro ordine per attaccare".
Questi fece un cenno di assenso al suo sottoposto e, posizionandosi davanti ai suoi uomini, iniziò il suo discorso "Oggi è un giorno molto speciale. L'esercito che abbiamo di fronte è comandato da un certo samurai... un demone, come ama definirsi! Che sfrontato! Fino a qualche tempo fa se ne andava da solo per i campi di battaglia a far strage di nemici; ma ora, secondo le nostre fonti, si è aggregato a questi umani che osano sfidarci! Ebbene, io vi dico: uccidete tutte le "scimmie" che vi si parano davanti; ammazzate, squartate, torturate... non risparmiate nessuno!"
A quelle parole, un urlo si levò dal suo esercito e molti amanto alzarono le proprie armi al cielo, infervorati dal discorso appena concluso.
Un medesimo urlo di guerra si sentì provenire dallo schieramento opposto.
I due eserciti erano pronti a combattere: all'unisono scattarono; umani e amanto incrociarono una volta ancora le loro armi.

Le nere nubi cariche di pioggia oscuravano il cielo, conferendo alla scena un aspetto macabro e spaventoso.
Nel mezzo della battaglia, uno dei combattenti si rivolse al compagno vicino "Dov'è andato quello scansafatiche?" chiese con noncuranza, mentre tagliava la gola a un amanto.
"Che vuoi che ne sappia, Takasugi. Sarà rimasto alla base" rispose questi, tra un fendente e l'altro.
"Ma lo sapete come è fatto... Ieri notte avrà bevuto troppo" disse un altro che si trovava vicino a loro, prima di scoppiare a ridere.
"Attento, Sakamoto" lo ammonì il secondo, dopo averlo tirato per la manica del kimono evitandogli un colpo di spada diretto alle spalle.
Con un rapido movimento della katana, decapitò il mal capitato.
"Ma, insomma, fai più attenzione!"gli urlò dopo
"Scusa, mi sono distratto..." disse questi, per poi mettersi a ridere di nuovo.
"In battaglia non c'è tempo per distrarsi!" lo rimproverò Takasugi, mentre era intento a trafiggere un amanto che gli si trovava davanti.

Un samurai, dall'alto di una rupe, osservava tutta la scena.
Indossava un kimono da combattimento bianco; legata alla testa aveva una fascia del medesimo colore e al fianco una lunga katana dal saya finemente decorato con l'intricata figura di un dragone argentato.
'Ma che mattinieri... hanno già iniziato' pensò tra sè e sè, lasciandosi sfuggire un mezzo sorriso.
Dopo aver osservato la scena un altro pò, decise che era arrivato il momento di scendere in campo.

"Capo, abbiamo un problema!" urlò un amanto, cercando di coprire il clangore delle armi, arrivando davanti al generale.
Questi era intento a tenere per la gola un samurai mentre lo colpiva ripetutamente con il martello sulla testa; provava un'eccitazione unica a bagnarsi le mani col sangue di quelle "scimmie", come amava sempre chiamarli; per poi godere delle loro inutili richieste di pietà e dei loro pianti penosi.
Era sadico, lo avevano appurato gli stessi amanto sulla loro pelle; lo temevano e rispettavano allo stesso tempo.
Il generale si girò leggermente di lato per poter guardare meglio l'amanto che osava interrompere il suo 'gioco'.
L'alieno non resse lo sguardo e abbassò leggermente la testa; gli occhi del capo brillavano di una luce spaventosa che lasciava trapelare tutto il suo intento omicida, intento che il sottoposto non voleva di certo provare direttamente sulla sua pelle.
"Cosa vuoi per venirmi a disturbare mentre mi diverto a giocare con una scimmia?" chiese con fastidio.
"Signore ecco... il Demone è arrivato!" rispose il povero soldato con voce tremante.
Il capo si lasciò sfuggire un ghigno divertito. Abbandonò la presa sul samurai che cadde malamente a terra e cominciò a dirigersi verso il sottoposto.
"Conducimi da lui" disse semplicemente, ergendo tutta la sua figura sul gracile amanto.

"Non c'è nè bisogno" si sentì rispondere dal un samurai vestito di bianco che levava la katana dal petto di un amanto.
La lama bianca della spada era sporca di sangue così come alcuni lembi del kimono.
Appoggiò la spada sulla spalla e sorrise. Dietro a lui vi era una fila di cadaveri: alcuni erano stati decapitati o squartati mentre altri avevano parti del corpo amputate e ancora si contorcevano al suolo dal dolore.
Il generale aggrottò la fronte e continuò a guardare il nuovo arrivato con uno sguardo carico d'odio.
"Cosa hai fatto ai miei soldati?" chiese a denti stretti.
"Niente. Mi ero semplicemente messo a giocare con loro" rispose con naturalezza il samurai, facendo spallucce.
L'amanto continuò a guardarlo con rinnovata rabbia; alla fine emise un lungo urlo e si fiondò su di lui.
Il samurai alzò subito la guardia, pronto a parare l'attacco dell'amanto.

Il povero sottoposto aprì gli occhi: quando era iniziata la battaglia tra il suo generale e il "Demone" si era nascosto dietro una rupe, si era tappato le orecchie e aveva chiuso le palpebre.
Ora era uscito lentamente dal suo nascondiglio e stava osservando tutta la scena: pezzi del suo oramai ex-capo erano sparpagliati tutti intorno mentre gli altri amanto erano a terra, morti.
Il "Demone" si ergeva tra loro. Stava osservando il massacro compiuto con un leggero ghigno stampato sul volto; aveva i vestiti e i capelli sporchi di sangue ed era leggermente ferito. All'improviso si voltò dalla sua parte "Ma guarda..." disse con una punta di ironia nella voce "Me n'è scappato uno".
"Ti prego, non uccidermi" lo supplicò l'amanto, provando a indieteggiare,"Io non ho fatto nulla" disse prima di incespicare e cadere all'indietro .
Il samurai sfoderò di nuovo la katana e si avvicinò all'alieno con fare minaccioso. Continuava a camminare lentamente nella sua direzione non distogliendo lo sguardo di dosso.
"Ti prego" continuava a ripetere l'amanto "Non farmi del male".
Il demone si fermò. Chiuse gli occhi e, sbuffando leggermente, gli disse alfine di andarsene con fare annoiato.
L'amanto spalancò gli occhi dalla sorpresa e continuò a fissare il guerriero che, rifoderando la katana, si voltò e andò a sedersi su una roccia lì vicino. Sfilò l'arma dalla cintura per poi appoggiarla accanto a lui, mise i gomiti sulle gambe, prese la testa fra le mani e chiuse gli occhi.
L'alieno continuava a fissarlo; lentamente, si avvicinò al samurai, incuriosito dal suo strano comportamento. Era a qualche passo da lui, quando questi aprì di scatto gli occhi, afferò la katana e gliela puntò alla gola.
"Cosa volevi fare?" chiese il demone aggottando la fronte.
"Non volevo fare niente, lo giuro" rispose l'amanto alzando le braccia e cominciando a tremare con rinnovata paura.
Il samurai continuò a squadrarlo per qualche secondo, fissandolo negli occhi. Poi abbassò la spada, la rifoderò e riprese la posizione di prima.
L'alieno rimase per qualche istante a guardarlo, poi si sedette accanto a lui e, appoggiando la schiena alla roccia, socchiuse gli occhi.

Rimasero così fermi per qualche minuto poi il guerriero prese la parola.
"Perchè non te ne sei andato?" gli chiese.
L'amanto ci pensò su per qualche secondo, volendo scegliere le giuste parole. Era ancora impaurito ma, allo stesso tempo, impressionato dalla crudeltà e da quel moto inspiegabile di pietà che aveva spinto il samurai a risparmiarlo.
"Perchè hai avuto pietà di me?" gli chiese.
Il samurai lo guardò qualche istante con un'aria divertita "Pietà dici? Ti sbagli, non ho provato pietà. Ho smesso di provarla da tanto tempo. Non ti ho ucciso perchè ero stanco, non mi andava di continuare a sentire i tuoi piagnistei; per questo ti ho detto di andartene. Ti volevo uccidere prima e ti voglio uccidere ancora: desidero vedere voi amanto tutti morti!"
Ci fu qualche minuto di silenzio.
"Capisco" rispose l'alieno con un filo di voce, tanto che sembrava quasi un sospiro.
"Capisci? No, io non penso" gli disse di rimando il guerriero "Non penso che tu possa capire. Se voi amanto non foste mai venuti, lo Shogun non avrebbe mai mandato i Naraku in giro per il Paese. Mi avete privato di tutto e io mi diverto a privarvi della cosa più preziosa: la vita!"
"Tu pensi che anche noi non proviamo sentimenti? Pensi che anche noi non proviamo paura, dolore, compassione..."
"Vattene via e lasciami stare" lo interruppe il samurai.
"Dove? Non ho più un posto dove andare. Non appena metterò piede sull'astronave, mi giustizieranno sapendo che sono scappato dal campo di battaglia. A questo punto, preferirei essere ucciso da te..."
Il guerriero lo guardò per qualche istante, poi prese di nuovo la parola.
"Gintoki Sakata"
"Cosa?"
"Non hai sentito? Il mio nome è Gintoki Sakata"
"Il mio è Xari"
"Da quale pianeta vieni?"
"Se te lo dicessi, tu sapresti qual è?
"No, ma era giusto per fare un pò di conversazione".

Gli amanto stavano correndo verso le astronavi per riuscire a sfuggire alla furia omicida degli umani; quei pochi che rimanevano indietro venivano uccisi dagli inseguitori.
Come si era sparsa la voce che il loro generale era stato ucciso, si era scatenato il panico e il caos più totale regnava sulle truppe aliene.
I samurai avevano subito approfittato della situazione generatasi ribaltando le sorti della battaglia a loro favore.

Il fragore dello scontro stava quasi scemando quando un gruppo di guerrieri arrivò nei pressi di Gin. Il ragazzo, alla vista dei suoi compagni d'armi, si alzò dalla roccia sulla quale era seduto e si diresse verso di loro.
"Chi è quell'amanto là dietro" chiese Katsura, indicando col dito Xari, che intanto si era ripreso di paura e stava tremando.
"Un amico" rispose il samurai "Non vi farà nulla tranquilli. Potete abassare le armi" disse rivolto agli altri samurai che nel frattempo si erano già preparati per un imminente scontro.
"Gin ma che stai dicendo?" gli chiese Takasugi "E' un nemico, dobbiamo ucciderlo!"
"Te lo assicuro Takasugi, non è necessario..."

Erano sulla via del ritorno, diretti verso il loro rifugio: si erano insediati in un vecchio tempio in rovina e lo avevano adibito come base.
Xari avanzava vicino a Gin, impaurito dalle occhiate rivolte da alcuni guerrieri. Avrebbe giurato che se uno sguardo potesse fulminare, a quest'ora sarebbe già morto da un pezzo.
Certo, aveva avuto il permesso di poter stare con loro dopo l'insistenza del samurai, ma a patto che fosse sempre rimasto vicino a lui e non tenesse armi. All'amanto andavano bene queste condizioni: primo, non aveva intenzione di separarsi da Gin per nessun motivo, troppo impaurito dalla presenza degli altri umani; secondo, se loro non volevano che tenesse armi, a lui andava più che bene, basta che lo facessero rimanere.
Troppo assorto nei suoi pensieri, non si accorse di andar a sbattere contro Gin, che nel frattempo si era fermato.
"Andate avanti, noi vi raggiungiamo dopo" disse il samurai rivolto ai compagni.
"Sicuro?" gli chiese Katsura "Non è saggio rimanere da soli..."
"Tranquillo, non sono solo; c'è Xari con me"
'Si, certo. Bella compagnia' pensò tra sè e sè Takasugi.
"Sei sicuro di volerti fermare qua?"
"Si si, non vi preoccupate" poi si rivolse all'alieno chiedendogli di seguirlo.

Quando si furono inoltrati nel bosco, Gin si sedette all'ombra di un pino appoggiando la katana affianco a sè e chiuse gli occhi.Dopo averlo osservato qualche minuto, Xari trovò il coraggio per rivolgerli la parola.
"Perchè ci siamo separati dagli altri?" chiese un pò intimorito.
"Perchè vorrei riposare" rispose secco Gintoki, irritato per l'essere stato disturbato.
Xari preferì non aprire bocca per evitare di far arrabbiare ulteriormente il guerriero e si appoggiò a un tronco vicino. Erano passati una manciata di minuti quando si udì un grido provenire dal fitto del bosco. Gin scattò subito in piedi e, impugnata l'arma, si mise in posizione di difesa.
"Che cos'era quell'urlo?" chiese l'alieno, nascondendosi dietro il samurai.
"Non lo so e non mi disturbare" lo zittì in malo modo Gin.
Le grida divennero sempre più vicine mentre l'ansia dell'amanto cresceva sempre di più.
All'improvviso uscì dal fitto del bosco una ragazza.
"Vi prego, aiutatemi" riuscì a dire soltanto, prima di essere trafitta da un Naraku alle sue spalle.

Seconda parte

Quindici anni prima...
Era una notte di fine estate; la luna splendeva alta nel cielo rischiarando il paesaggio.
Una donna stava camminando per i sentieri tortuosi di una fitta foresta.
                   
                                                                                                       

                                                                                                                  Continua...

 


                                                                                         GLOSSARIO


-Saya: fodero

 

Ok, è passato tanto dall'ultimo aggiornamento e me ne rammarico . Purtroppo ho cominciato a lavorare a questo capitolo solo due giorni fa e solo oggi l'ho finito.
Bene, che dire? E' un capitolo cruento... troppo cruento! Mi perdonerete vero?!?
Comuuunque, sono curiosa di sapere le vostre impressioni e, pechè no? Se vi è piaciuto potrei dilungarmi nelle battaglie come in questo capitolo altrimenti... non se ne fa niente.
Devo dire che questo è stato il capitolo più difficile scritto fin'ora: la parte iniziale l'ho cancellata una decina di volte per non parlare delle correzioni che ho apportato ieri...
A proposito, "Xari" è un nome dato a un personaggio di PKNA; ho deciso di usarlo perchè non mi veniva un nome decente per un alieno xD
Come sempre, vi do appuntamento al prossimo capitolo!
Baci, Flory <3
   

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


                                                                          Capitolo 4

Seconda parte

Quindici anni prima...
Era una notte di fine estate; la luna splendeva alta nel cielo rischiarando il paesaggio.
Una donna stava camminando per i sentieri tortuosi di una fitta foresta.
Teneva stretto al petto un piccolo fagotto a cui ogni tanto rivolgeva sguardi pieni di timore.
A ogni secondo che passava, la paura cresceva sempre più e con essa il pensiero di perdere il prezioso carico.
Sentì un fruscio provenire dalle sue spalle e accellerò il passo: ne era sicura, lui sapeva già tutto; lui era a conoscenza di ogni cosa;
lui la stava cercando.
Lei, una delle migliori scienziate ertiane, coinvolta in una faccenda del genere... no, non era possibile! Perchè proprio a lei era successa una cosa simile? Perchè proprio lei doveva fare una cosa del genere?
Troppo presa dai suoi pensieri, non si accorse che aveva aumentato la stretta sul fagotto; questi cominciò a muoversi emettendo suoni ovattati e la donna, resasi conto della sua azione, allentò la presa e abassò lo sguardo: un piccolo neonato umano stava agitando le manine.
La scienziata cullò dolcemente il piccolo. Una volta calmato, riprese il passo, accelerando.

Dredar si era svegliato bruscamente, strappato ai suoi sogni dal fastidioso rumore dell'allarme.
Svogliatamente, si alzò dal letto e controllò le telecamere di sicurezza; di sicuro, si ritrovò a pensare, a far scattare l'allarme era stato di nuovo quel gatto che la sua assistente amava tenere con sè.
Ancora assonnato, si trascinò a fatica al computer e avviò la registrazione; ciò che vide lo fece rinsavire completamente: la sua assistente, la dottoressa Hora, si recava nella sala di ibernazione e liberava "Esperimento 120".
Continuò a osservare tutta la scena con rinnovata lucidità: Hora prese il bambino, lo avvolse in alcune stoffe per poi correre via.
Rimase ancora qualche istante ad osservare lo schermo con la bocca spalancata. Dopo qualche minuto scosse energicamente la testa e premette un pulsante sulla tastiera di fronte: non l'avrebbe lasciata andare tanto facilmente.

Hora continuava a correre nella foresta; aveva il respiro affanoso.
Poi lo vide, dritto davanti a sè: il tetto di un tempio! Finalmente aveva trovato un posto sicuro dove nascondersi.
Mentre la dottoressa riprendeva a correre, un insetto si posò su di un fiore là vicino.
'Devo mettere a fuoco l'immagine' pensò il dottor Dredar mentre osservava la scena dall'altra parte di uno schermo.
'Oh no! Ha già ripreso a correre'
Afferrò dal tavolinetto vicino quello che sembrava a tutti gli effetti un joystick e, premuto qualche pulsante, l'insetto cominciò a volare.
La dottoressa arrivò fino al portone del tempio; era già pronta a bussare per chiedere asilo, quando dei droidi volanti spuntarono fuori da un cespuglio alle sue spalle.
'Maledizione' pensò 'Mi hanno già trovata'
"Hora!" un grido provenì da uno dei droni davati a lei mentre il dottor Dredar parlava da un microfono vicino alla scrivania.
"Hora, come ti permetti? Io ti ho preso con me perchè ho sempre ammirato le tue capacità; ti ho lasciato fare ciò che volevi, e adesso che fai? Mi derubi del mio più importante esperimento?"
La donna non rispose, limitandosi ad osservare i droidi davanti a sè.
"Non dici niente? Mi deludi, proprio tu, che non rimani mai senza parole" disse per poi scoppiare a ridere.
"Ti consiglio di arrenderti" proseguì in seguito "Se non vuoi sperimentare sulla tua pelle la potenza dei miei droni"
A quelle parole la dottoressa espirò profondamente per calmarsi, poi si girò e posò il bambino vicino al portone. Rimase per qualche istante ferma a guardare il piccolo che stava dormendo beatamente.
Poi si girò di scatto, estraendo la pistola che teneva nascosta tra le pieghe del mantello e cominciò a sparare.
Il dottore, preso così alla sprovvista, non fece in tempo a capire la situazione che si ritrovò con tre droni in meno.
Non ci volle molto perché si riprendesse dalla sorpresa e diede un nuovo comando ai robot rimanenti. Questi iniziarono a sparare, colpendo la dottoressa.
Nessuna dei colpi ricevuti riuscì però a fermarla e, non curante delle ferite, continuò a sparare.

All'improvviso una luce abbagliante si spigionò di fronte a lei, costringendola a chiudere le palpebre; quando si fu diradata, aprì gli occhi, ma l'unica cosa che vide davanti era la canna di una pistola puntata esattamente al centro della fronte.
Non riuscì a dire niente; uno sparo si sentì echeggiare nel bosco. Il corpo della dottoressa si accasciò al suolo, oramai privo di vita.
Dredar era in piedi vicino al suo cadavere. Abbassò la pistola e si avvicinò al bambino che nel frattempo si era messo a piangere a causa dei rumori.
"Povera piccola" disse mentre si stava abbassando per prenderla "Hai paura vero?"
Lo scienziato stava per voltarsi, quando sentì un rumore provenire dall'interno del tempio.
A quanto pare i monaci si erano svegliati.
All'improvviso, come una folgore a ciel sereno, gli venne in mente un'idea.
Posò la bimba di nuovo vicino al portone e azionò il teletrasporto, portando con sé sia i droidi che il cadavere della dottoressa.

Pochi istanti dopo il portone venne spalancato e da esso uscirono alcuni monaci. Questi si guardarono intorno spaesati, non riuscendo a scorgere nulla.
Un vagito ruppe il silenzio; abbassarono lo sguardo e videro ai loro piedi un neonato. Uno dei presenti si piegò per prenderlo in braccio e, facendo un segno del capo ai suoi compagni, richiusero il cancello.

Terza parte

Dredar era rimasto molto soddisfatto della scelta che aveva fatto: ora poteva controllare il suo esperimento per vedere come si comportava a contatto con i suoi simili e, per agevolare il lavoro, aveva mandato tutto intorno al tempio i suoi droni a spiare la bambina.

Egli era uno scienziato, uno dei più grandi...peccato che fosse incompreso.
Ogni tanto si ritrovava a pensare di come sarebbe stata la sua vita sul suo pianeta natale. Si era sempre definito 'uno scienziato incompreso che aveva cercato di aiutare il suo popolo' e loro come avevano risposto? Condannandolo all'esilio!
'Folli' amava ripetere.
Anche quando aveva accolto la dottoressa Hora tra le sue fila, le raccontava quasi ogni giorno di quando era stato allontanato dal suo pianeta.
"Mi hanno incastrato" le ripeteva sempre "Io li volevo aiutare e loro come hanno reagito? Mi hanno cacciato con tutti i disonori!"

Adesso era davanti al corpo della sua oramai ex-assistente. Stava osservando il suo cadavere: lo aveva ibernato per evitare la putrefazione dei tessuti e ogni tanto andava a guardarla. Il più delle volte parlava con lei, cioè, più che parlare erano degli sfoghi.
L'aveva amata, e la amava tutt'ora alla follia. Non aveva mai più provato un sentimento così forte nei confronti di una donna.
Il suo amore era anche stato ricambiato.
Ma nessuno, nessuno, poteva mai mettersi fra lui e un suo esperimento, neanche la donna della sua vita.
Anche dopo la sua morte, anche se il suo amore era ancora vivo dentro di sè, non riusciva a perdonarla.
'Odi et amo', uno tra i carmen di Catullo preferiti... si meravigliava tutte le volte che lo rileggeva del fatto che riusciva a esprimere così chiaramente i suoi sentimenti per Hora.

       'Odio e amo. Per quale motivo io lo faccia, forse ti chiederai.
        Non lo so, ma sento che accade, e mi tormento'

Ripensando a quelle parole, accarezzò delicatamente il vetro della capsula.
Rimase fermo a contemplare la donna per qualche istante, poi decise di ritornare al suo laboratorio; tra poco sarebbe sorto il sole e 'Kasumi', così era stato chiamato il suo esperimento, si sarebbe svegliata.
Tutti i giorni, dal momento del risveglio fino a notte fonda, osservava la sua creatura.
Erano passati ormai quindici lunghi anni da qualla notte, la quale tuttavia egli ricordava perfettamente.

Kasumi era diventata una ragazza molto bella: capelli neri corti che le arrivavano alle spalle, le forme non erano ancora ben definite ma suscitavano un certo interesse anche a chi la vedeva per la prima volta, era anche abbastanza alta e slanciata per la sua età... se non fosse per un piccolo particolare: non aveva niente di femminile! Nè nei modi, nè a tavola, nè quando parlava, neanche nel suo stile di vestirsi.
Sorvolando sul fatto che preferiva indossare il changshan al posto del più femminile cheongsam, aveva comportamenti che rispecchiavano il sesso opposto.
Era ribelle, scatenata e amava combattere.
Il tempio dove era finita apparteneva a monaci guerrieri che insegnavano a combattere ai nuovi adepti ed ella non disdegnava di seguire le lezioni.

Ogni tanto Dredar si ritrovava a pensare a Kasumi. Si svegliava nel cuore della notte con in testa il suo volto sorridente.
Ora che ci pensava, era il suo esperimento riuscito peggio: aveva unito DNA umano e Yato, donandole una capacità rigenerativa eccezionale ma privandola di una cosa, anzi, per l'esattezza di due elementi fondamentali. Il primo fattore era che era priva dell'incredibile forza del clan Yato e il secondo era che sarebbe vissuta molto meno di un essere umano. Secondo i suoi calcoli, il suo cervello avrebbe smesso di funzionare verso la soglia dei quaranta.
Pensando a questo, lo investivano sempre una certa malinconia e senso di colpa; non se lo spiegava bene neanche lui come mai provava una cosa simile, visto che per i suoi esperimenti aveva sempre provato un interesse puramente scientifico.
Ora era come se provasse qualcosa di più del semplice affetto che uno scienziato o, per meglio dire, un padre può provare nei confronti della propria figlia;era come se provasse... amore!

'No, non è possibile' si ritrovò a pensare un giorno 'Non posso essermi innamorato del mio esperimento'
Stava passegiando avanti e indietro per la sua stanza, mentre sullo schermo del computer passavano le immagini di Kasumi intenta ad allenarsi.
"Non è possibile!" lo disse quasi urlando, fermandosi al centro della stanza e ansimando, più per convincere sè stesso del contrario. Provò a guardarsi attorno, ma la stanza iniziò a girare. Si accasciò a terra, prendendosi la testa fra le mani e chiudendo gli occhi.
Perchè provava amore per lei? Non era lo stesso che aveva provato per la dottoressa, era qualcosa di più.
A fatica riuscì ad alzarsi e, avvicinandosi al computer, ingrandì l'immagine per osservare meglio la ragazza. Appoggiò le dita sullo schermo in prossimità del viso e le accarezzò le labbra.
In quello stesso istante, un monaco le mise una mano sulla spalla facendole un complimento.
Bastò solo quell'azione a far crescere in Dredar un moto di rabbia mista ad intento omicida; si mise a tremare con la seria intenzione di mandare i suoi droni nel tempio.
Si impose tuttavia di rimanere calmo: non era successo niente, non aveva motivo di arrabbiarsi per un motivo talmente futile.
Continuò così ad osservare Kasumi, per quel giorno e per quelli successivi.

Un giorno arrivò al tempio un nuovo ragazzo.
Ad una prima occhiata, poteva si e no avere dodici anni. Era piuttosto basso per la sua età, non eccelleva in qualità fisiche e neanche nei combattimenti. Per altro, non parlava con nessuno.
Per i primi tempi, neanche Kasumi fece caso al nuovo venuto, poi, piano piano, cercò di avvicinarlo.
Ben presto divennero molto amici, tanto che passavano gran parte della giornata insieme.
A Dredar tutto questo non piaceva; non gli piaceva come il ragazzo la osservava; non gli piaceva come si comportava in sua presenza, sempre con quei modi un pò troppo affabili per i suoi gusti; non gli piaceva come la guardava; non gli piaceva niente...
Forse era lui troppo sospettoso, forse era davvero come temeva, sta di fatto che un giorno si sentì pregno d'odio a seguito di una sua affermazione.
Basta, quella era l'ultima goccia! Ormai aveva deciso: avrebbe ucciso il ragazzino quella notte stessa.

Purtroppo per lui, quello stesso giorno accadde qualcosa a cui non avrebbe mai pensato. Aveva già preparato i droni assassini che avrebbe mandato ad uccidere il ragazzo, quando il suono di una sirena lo fece sobbalzare.
Corse subito al quadro comandi a vedere ciò che stava succedendo, ma quello che inquadrarono le telecamere lo fece infuriare ancor di più.
I Naraku erano arrivati al tempio e lo stavano distruggendo.
Aveva sentito che erano stati mandati in quei territori per sopprimere tutti i raggruppamenti potenzialmente pericolosi, ma non si sarebbe mai aspettato che avrebbero attaccato il tempio.
Mandò tutti i suoi droni per correre in aiuto dei monaci e per fare prima attivò anche il teletrasporto.
Nonostante tutto, i guerrieri e gli allievi perirono per mano dei Naraku.
Lo scienziato ordinò ai robot di cercare qualche traccia di Kasumi tra le macerie del tempio, oramai distrutto dall'incendio che avevano applicato.
Niente, non trovarono tracce della sua presenza. Probabilmente era morta tra le fiamme.
Dredar si accasciò sulla sedia, troppo ferito anche per potersi muovere.
La sua Kasumi, la sua bellissima Kasumi, morta!
No, non voleva crederci.
Perchè di nuovo era morta una persona a cui teneva, perchè?
Si prese la testa fra le mani e cominciò a piangere.
Nemmeno alla morte di Hora aveva pianto, ma adesso... adesso il suo dolore era aumentato.

Continuò a rimanere in quella posizione ancora per qualche minuto, ripensando alla sua amata Kasumi.
All'improvviso alzò la testa, sbarrando gli occhi, illuminati da una strana luce.
"Maledetti Naraku" disse a denti stretti "Maledetti! Giuro che vi ammazzerò tutti!" gridò alzandosi dalla sedia "Da oggi giuro che vi distruggerò! Di voi non rimarrà più nulla!"

Quarta parte

Kasumi era riuscita a fuggire alla distruzione del tempio.
Stava correndo per un fitto bosco; non le importava dove stava andando e non aveva nessuna voglia ora di pensarci, anche perchè alle sue spalle vi era un gruppo di Naraku che la inseguiva.
Continuava a correre, non curandosi di dove andava; all'improvviso inciampò e si lasciò fuggire un urlo cadendo a terra. Un guerriero le fu subito vicino, pronta a colpirla con la katana.
Rotolò di lato, riuscendo ad evitare il colpo. Poi, facendo leva sulle braccia, riuscì a rialzarsi e continuò la sua corsa.
Era esausta, non riusciva più a correre e stava ansimando; ormai le forze la stavano abbandonando.
All'improvviso spuntò in una radura, e si ritrovò davanti due persone; un samurai dall'haori bianco e un alieno rannicchiato alle sue spalle che guardava il tutto con aria spaventata.
"Vi prego, aiutatemi" riuscì a dire soltanto prima di accasciarsi al suolo, trafitta da un Naraku.

I corpi esanimi degli inseguitori erano a terra mentre Gin si ergeva tra loro, mano alla katana e un pò ansimante.
"Puoi uscire ora, sono morti" gridò a Xari, che per la paura si era nascosto dietro al tronco di un albero.
Il samurai rifoderò la spada e si avvicnò alla ragazza. Le posò una mano alla base del collo, per controllare se fosse ancora viva. Accertatosi delle sue condizioni, la prese tra le braccia. "Andiamo" ordinò a Xari "Portiamola al rifugio prima che sia troppo tardi".

                          
                                                                                                                          Continua...


                                                                        GLOSSARIO


-Changshan: vestito tradizionale cinese maschile;
-Cheongsam: vestito tradizionale cinese femminile, corrispettivo del changshan;
-Kasumi: il nome significa lett. "nebbia"
-Haori: soprabito che può giungere fino all'anca o alla coscia;
-"Odi et amo": titolo dato a un carmen contenuto nel "Liber" di Catullo
-Carmen: lett. "poesia"
-Catullo: per chi non lo sapesse, fu un famoso poeta latino


E' passata un'eternità dall'ultimo aggiornamento, ma purtroppo non riuscivo a farmi venire la voglia per scrivere xD
Comunque, come sempre vorrei ringraziare izzie e Kamui che recensiscono sempre i capitoli. Grazie ragazze, non riuscirò mai ad esprimervi la mia gratitudine!!
Capisco che questi ultimi due capitoli non vi piacciano perchè sono di passaggio, ma cercate di avere ancora un pò di pazienza^^
Bene, allora noi ci sentiamo al prossimo capitolo (prometto che cercherò di aggiornare presto ;)
Mi raccomando, commentate e fatemi sapere cosa ne pensate (pareri o critiche che siano xD)!!
Baci, Flory <3

 

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***


                                                                                      Capitolo 5
Prima parte

Aprì gli occhi, ma non vide altro che bianco. Si guardò attorno confuso, non sapeva dov'era ma sentiva delle voci ovattate che si ammassavano nella sua testa.
Provò ad alzarsi. Inutile, non ci riuscì.
Rimase così fermo ancora qualche istante poi,
lentamente, delle figure ai suoi fianchi iniziarono a prender forma.
Erano vestiti con lunghi camici bianchi e stavano parlando fra loro concitatamente. Non riusciva a comprendere quel che dicevano, ma dalle loro espressioni vedeva che erano molti preoccupati.
Vicino a loro vi erano due ragazzini: avranno avuto si e no tra i quattordici e i sedici anni.
"Gin ce la farà, vero?" chiese con le lacrime agli occhi la ragazza dal vestito rosso a una di quelle persone.
Non ottenne nessuna risposta mentre uno di quei tizi si parò dinanzi ai due bloccandoli.
Sentiva la ragazzina che seguitava a gridare il nome "Gin" e continuare a piangere.  
Ma chi era Gin? Forse lui? E poi, chi erano quei due?
Tentò di parlare, ma l'unica cosa che riuscì a dire furono solo dei mugugni senza significato.
Avvertiva che si stavano muovendo a causa dei leggeri che scossoni che ogni tanto lo facevano sobbalzare.
Ma dove lo stavano portando? E cosa gli era successo?

Poi, lentamente, tutto cominciò a svanire e si trovò di nuovo da solo, in quell'immenso spazio bianco.
'Che strano' pensò, ora riusciva a muoversi.
Si mise a sedere e continuò ad osservare quel strano posto.
"Come stai?" una voce alle sue spalle lo ridestò dai suoi pensieri.
Si voltò di scatto e la vide di nuovo: la bellissima ragazza dal kimono azzurro che lo guardava sorridendo.
Non lo sapeva neanche lui, ma ella riusciva a trasmetterli un senso di pace e tranquillità mai provato prima.
Continuò ad osservarla mentre ella avanzava verso di lui, e sorrise.


Seconda parte

Lo Shogun ispirò profondamente dalla pipa che teneva in bocca, poi la appogiò con fare stanco su un tavolinetto vicino.
Chiuse gli occhi e si massaggiò lentamente le tempie.
'Ma quando arriva?' pensò tra sè e sè.
Da quando aveva dato il comando dei Naraku al Tendoshu, non riusciva più a dormire la notte.
Tra attacchi a coalizzioni avversarie e congiure varie, non aveva più un attimo di tregua.
Purtroppo, era stata una mossa necessaria rinunciare sia ai Naraku che all'Oniwaban per avere la piena fiducia del Tendoshu.
E pensare che fino a qualche anno prima era solo un semplice funzionario...
Il colpo di fortuna l'ebbe quando conobbe la bellissima principessa Suzuran.
La sua bellezza incantava tutti gli uomini che la guardvano;nessuno era immune al suo fascino, nessuno tranne lui.
Si, doveva ametterlo, per un attimo aveva provato anche lui un attrazione verso quella donna. Ma era stato solo un attimo, poi aveva avuto l'intuizione geniale.
In capo a qualche mese si erano sposati con il consenso del padre (povero ingenuo!) che vedeva di buon occhio il matrimonio della figlia con niente di meno che il cugino dello Shogun.
Da allora era incominciata la sua scalata al successo: la prima cosa che aveva fatto era uccidere il padre della ragazza, giusto per liberarsi da ogni impiccio; poi, sfruttando a dovere la sua giovane moglie, aveva avvicinato tutti gli alti funzionari di palazzo, uccidendoli. Dopo un anno era arrivato allo Shogun. E'stato un piano abbastanza facile: Suzuran doveva solo fingere di amarlo e, una volta insieme, mettere del veleno nel te; poi, non essendoci nessun pretendente, egli era diventato il nuovo Shogun.
E Suzuran? No, lei sapeva troppo!
'Povera stupida, pensava davvero che l'amassi?'
Ella era innamorata di lui alla follia, è per questo che lo aveva aiutato... naturalmente, era stata sempre tenuta all'oscuro riguardo alla congiura ai danni del padre.
Alla fine, visto che sapeva troppo e, volendo lasciarla in vita come ricompensa per averlo aiutato, l'aveva mandata a Yoshiwara, il quartiere delle prostitute. Ogni donna che veniva venduta in quel posto, perdeva ogni diritto, compresa la libertà.
Suzuran sarebbe morta in quel posto e con essa il loro segreto...

"Signore, è arrivato" la voce di una delle guardie lo ridestò dai suoi pensieri.
"Bene!" esclamò Sadasada "Fatelo entrare"
La guardia ammiccò un inchino e si congedò.
Subito dopo entrò Oboro; si inginocchiò davanti allo Shogun in segno di rispetto, poi attese un gesto da parte di questi per poter parlare.
"Signore, mi avete fatto chiamare?"
"Si Oboro" disse con fare annoiato l'uomo "Dovresti svolgere un lavoro molto importante per conto mio..."
"Di cosa si tratta?"
"Oh, una cosetta da niente..."rispose Sadasada con noncuranza "Dovresti solo trovare una persona..."
"Chi di preciso, mio signore?"
"Quella disgraziata di mia figlia!" proruppe con una punta di disprezzo nella voce.
"E' scappata da palazzo e i miei uomini la stanno cercando ininterrottamente da gioni. Quando l'avrai trovata, uccidila e saprò ricompensarti adeguatamente!"
"Come desiderate" detto questo, Oboro fece una cenno della testa e si diresse verso l'uscita.
Prima di aprire la porta, la voce dello Shogun lo fece voltare.
"Prima che me ne dimentichi, fai venire Rotten Maizou, il mio consigliere. Vorrei parlare con lui..."
Oboro accennò un gesto col capo e aprì la porta.

"Allora, cosa voleva il vecchio?" si sentì chiedere da una voce fredda e distaccata una volta fuori dalla stanza.
Davanti a lui c'era una giovane ragazza dai lunghi capelli neri. Indossava un kimono del medesimo colore molto corto che le lasciava scoperte le gambe.
"Dobbiamo uccidere una persona" rispose secco Oboro, quasi infastidito dalla sua presenza.
"Tutto qua? Mi aspettavo qualcosa di più importante..." mugugnò ella.
Il capo dei Naraku non si degnò neanche di rispoderle e cominciò ad allontanarsi.
"Aspettami Obi caro..." disse con una punta di malizia nella voce.
"Ti ho detto decine di volte di non chiamarmi così!" le rinfacciò a denti stretti il diretto interessato.
La ragazza si portò una manica del kimono vicino alla bocca mettendosi a ridere sommessamente.
Dopo qualche istante di silenzio, Oboro le rivolse di nuovo la parola.
"Kiku, vai a chiamare Rotten Maizou. Digli che lo vuole vedere urgentemente lo Shogun"

A migliaia di chilometri dalla Terra, in orbita geostrazionaria intorno a Marte, vi era la nave del Tendoshu. Con i suoi centocinquanta piani e la sua mole imponente, faceva quasi concorrenza alle stelle, tanto che, guardando dalla Terra, la si vedeva brillare con così tanto splendore nel cielo, che si poteva scambiarla per una di esse.
I dodici alieni erano riuniti in una enorme sala illuminata da un'innaturale luce viola. Guardando il pavimento, le mura e anche il soffito, si potevano scorgere blocchi di un materiale sconosciuto disposti ad incastro e, tra una fessura e l'altra, passare strani fasci di luce violetta.
Essi erano seduti sopra alte colonne nere disposte in cerchio e attualmente erano coinvolti in una lunga discussione.
"...secondo me abbiamo fatto male ad attaccare questo pianeta pieno di scimmie" disse uno di loro rivolto agli altri.
"Sei sempre a criticare le nostre scelte" rispose uno affianco "Mai che sei contento di qualcosa. Le mappe stellati che abbiamo sottratto a quei inutili pirati degli Harusame parlano chiaro: "l'artefatto" si trova in questo angolo di spazio! Lo vuoi capire si o no?!?"
"Dai su, non litighiamo" si intromise un terzo "Ora non è il momento adatto"
"Si, vogliamo parlare un pò di quello che sta succendo in Giappone?" chiese quello di prima "Se non lo sapete, uno degli allievi di Shoyo, uno che si fa chiamare "Demone Bianco", sta dando filo da torcere al nostro esercito!"
"Questo perchè il 'precendente capo dei Naraku', che tutti noi sappiamo da CHI era stato scelto" disse il primo, ammicando un'occhiata malefica verso un altro membro affianco a lui "Non ha voluto ucciderlo..."
"Oh, scusa tante, 'Signor Perfettino'" lo interruppe il diretto interessato "Devo forse ricordarle che siete stato VOI a nominare Shoyo vice-comandante dei Naraku?"
"E io cosa potevo saperne che Shoyo se ne sarebbe andato dall'oggi al domani con la scusa che era impaurito che i suoi ragazzi potessero venire arruolati per la guerra tra le file dei Naraku?"
"E io cosa potevo saperne che il capo non avrebbe ucciso quel 'Demone'?"  
"Padroni, perdonatemi..." una voce robotica interruppe il litigio.
"E ora cosa c'è, computer?" chiese uno dei pochi che non avevano partecipato alla discussione con fare esasperato.
"Un ospite desidera poter conferire con voi. Lo lascio passare?"
I dodici alieni si scambiarono un veloce sguardo d'intesa; infine uno di loro diede l'ordine all'intelligenza aritificiale di far entrare il nuovo venuto.

Non passò neanche qualche minuto, che fece la sua comparsa sulla soglia della porta un alieno alto e magro che indossava un lungo camice nero che gli arrivava ai piedi.
Ciò che risaltava di più agli occhi era il colore blu della sua pelle, tipico del popolo ertiano.
"Salve signori!" disse con noncuranza, entrando nella sala "Il mio nome è Dredar ed è un piacere per me essere vostro ospite!"
"Ehi, vacci piano" lo apostrofò uno dei membri "Perchè sei venuto sulla nostra astronave? Stavamo discutendo di cose importanti..."
Non riuscì neanche a finire la frase, che subito alcuni dei membri si misero a ghignare divertiti.
Colui che aveva parlato in precedenza lanciò un'occhiata torva a tutti loro.
Dopo che si furono zittiti, riprese parola e continuò il discorso.
"Allora" esordì "Come stavo dicendo, eravamo nel bel mezzo di un'importante discussione. Quindi, ti chiedo, perchè sei venuto a disturbarci?"
Un sorriso malefico si dipinse sul suo volto. "Semplice" disse "Sono venuto ad aiutarvi nella ricerca 'dell'artefatto'..."
"Come fai a saperlo?" chiese uno degli interlocutori, a metà fra la sorpresa e la rabbia.
"I vostri sistemi di scurezza informatici sono abbastanza scadenti..." rispose con noncuranza lo scienziato.
"A morte! Condanniamolo a morte! Se è entrato nei nostri computer allora è a conoscenza di tutti i nostri segreti! Deve morire!" gridò un secondo, alzandosi in piedi e indicandolo col dito.
Subito non si sentirono altro che le voci dei Tendoshu che parlavano fra loro e ogni tanto esordivano in esclamazioni quali "Uccidiamolo" "Non deve vivere" "Cosa vuole?".
"Fate silenzio!" urlò all'improvviso uno dei membri.
A quell'urlo tutti gli alieni si acquietarono e sulla sala calò un silenzio tombale.
"Se sei qua" continuò egli "Allora deve esserci un motivo. Cosa vuoi esattamente da noi?""
Sul volto dell'alieno comparve un sorriso divertito: a quanto pare, sarebbe stato più semplice del previsto acquistare la loro fiducia.
 

Terza parte

Gintoki e Xari erano seduti sui gradini di una piccola costruzione adibita alle cure dei feriti che sorgeva nel giardino del tempio.
Xari era seduto qualche gradino prima e stava osservando preoccupato il samurai; non riuscendo a reggere più il pesante silenzio che era calato, provò ad iniziare una conversazione.
"Gin, pensi che la ragazza riesca a guarire?"
Il diretto interessato non si voltò e rispose mugugnando.
"Io spero che ce la faccia, e tu?"
Anche questa volta il samurai si limitò a un mugugno.
"Il dottore mi sembra molto bravo, credo che si riprenderà, vero?"
Di nuovo il guerriero si limitò a rispondere come prima.
"Come diceva un grande condottiero del mio pianeta, 'la speranza è l'ultima a morire'. Lo spevi questo detto? Non trovi che sia giusto?"
"Senti, ma esattamente, che cosa vuoi?" gli chiese Gin, girandosi verso l'alieno e guardandolo con occhi truci.
Xari abbassò la testa in segno di scuse "E' solo che ero un pò preoccupato..."
"Cosa?!" chiese sorpreso il samurai "Un alieno che si preoccupa di un umano? Sei serio o mi prendi in giro?"
L'alieno continuò a tenere la testa china, limitandosi a giocare con la cinghia della sua cintura.
Dopo qualche istante, Gin si alzò e cominciò ad avviarsi verso una struttura vicina.
Xari scattò subito in piedi chiedendogli dove si stava dirigendo.
"Vado a riposare" rispose Gin infastidito.
All'amanto si raggelò il sangue: ancora memore delle minacce ricevute e impaurito dai sguardi truci degli altri samurai, con uno scatto felino si portò vicino a Gin.
Questi girò la testa per osservarlo meglio.
"Ora che vuoi?"
"Ho paura a rimanere da solo. Posso venire anche io?" gli chiese tremando.
Il guerriero continuò ad osservarlo per qualche istante, poi voltò la testa e continuò ad incamminarsi.
'Perchè proprio io dovevo incontrare l'unico amanto fifone? Che cosa ho fatto di male?' pensò tra sè e sè, quasi in preda a una crisi nervosa.

Kasumi era sdraiata su un futon all'interno della piccola costruzione nella quale era stata portata da Gin e Xari.
Vicino a lei vi era una ragazza che le stava tamponando la ferita che aveva riportato.
Il sangue aveva smesso di fuoriuscire ed ella era passata a fasciare la zona lesa.
Dopo che ebbe finito, si alzò e cominciò a dirigersi verso un altro ferito. Non riuscì a fare neanche qualche passo, che sentì uno strano brontolio alle sue spalle, come se qualcuno si stesse svegliando.
Si girò sorpresa e vide che la ragazza stava seduta sul futon, osservandola con sguardo intterrogativo.


                                                                                                                                  Continua...

 

 

 


                                                                                  GLOSSARIO

-Futon: materasso giapponese
-kiku: lett. crisantemo
                                                      
                                                                       Curiosità riguardo al capitolo


1) Uno dei Tendoshu diceva che Shoyo apparteneva ai Naraku. Non è un'idea mia, ma un'ipotesi formulata da Izzie nel suo racconto "Ognuno ha un passato alle spalle, anche se spesso si vuole dimenticare"
2) Quando ho scritto che l'astronave era alta centocinquanta piani, non ho usato un numero a caso: è infatti la Ducklair Tower di PKNA ad essere alta 150 piani (più uno segreto)
3) Per il personaggio di Dredar, mi sono ispirata ad "Eldrad", un personaggio di Warhammer (cambiandogli naturalmente aspetto e razza di provenienza)

Ok, per questo capitolo ho impiegato davvero tanto tempo... troppo! Quasi un mese!!
Mi scuso per il ritardo, ma sono stata veramente troppo occupata in queste settimane. Cercherò di rimediare aggiornando il più velocemente possibile, promesso!
Ora passiamo ai ringraziamenti: grazie mille Izzie per aver potuto citarti in questo capitolo e per avermi dato il permesso di usare una delle tue idee (e naturalmente per aver commentato ogni capitolo) xD
Poi ringrazio anche Kamui che ha commentato tutti i capitoli!
Ringrazio anche la bravissima disegnatrice Saramangaka per aver trovato il coraggio di leggere questa storiella :)
Infine, tutti i lettori anonimi che stanno seguendo la mia storia!
Grazie mille a tutti e mi scuso ancora per il ritardo (quando vedete che non aggiorno per più di dieci giorni, conttattatemi e datemi una svegliata xD) 

 

 

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Capitolo 7
*** Capitolo 6 ***


                                                                         Capitolo 6

 

Gin continuava a rigirarsi nelle coperte, infastidito da un piccolo fascio di luce che colpiva proprio le sue palpebre assonnate.
"Kin, sei sveglio?" lo richiamò una voce al suo fianco.
Il samurai non sentì, o fece finta di non sentire, e si girò dalla parte opposta, tirandosi le coperte sopra la testa.
Dopo qualche istante, una mano lo scosse energicamente e la voce continuò a parlarli, ripetendo sempre la stessa frase con tono crescente.
Alla fine il guerriero non ce la fece più e, preso un lembo della coperta, la lanciò di scatto in aria e si mise seduto, fissando negli occhi con un'epessione accigliata colui che gli stava di fronte.
E chi poteva essere a disturbarlo, se non Sakamoto?
Quel tipo le stava provando tutte per farlo sclerare per bene...
Gin continuò a fissarlo mentre questi se ne stava seduto di fronte, sorridendo divertito.
Chiunque fosse capitato a passare vicino, avrebbe potuto recidere la tensione creatasi nell'aria con un coltello.
Tuttavia l'edificio era completamente deserto: parte poichè ormai era mattina inoltrata, parte perchè tutti coloro che erano all'interno avevano avuto il buon senso di scappare non appena Sakamoto aveva professato la sua idea di svegliare Gintoki.
Nessuno aveva il coraggio di parlare col guerriero, figurarsi a svegliarlo!
Le sue gesta prima di entrare a far parte delle loro fila erano ogni giorno sulla bocca di tutti; le dicerie andavano da come era riuscito a scacciare un branco di amanto da un villaggio a come fosse riuscito a tener testa a un intero esercito da solo.
Certo, la maggior parte delle storie erano fandonie, ma Gin non cercava in alcun modo di porre fine ad esse.
Era evitato e temuto da tutti, nemici o amici che fossero lo indicavano come "Demone Bianco" e preferivano starli alla larga.
A Gin tutto ciò andava bene specialmente per un motivo: lo lasciavano stare!
La cosa che più detestava era farsi coinvolgere in inutili discussioni o avere a che fare con uomini che non obbediscono agli ordini.
Per questo, nessuno aveva il coraggio di rivolgerli la parola o trasgredire un suo ordine, nessuno tanne Takasugi, Zura e Sakamoto!
Ma sopratutto quest'ultimo...
Ora erano loro due da soli, a fissarsi intensamente negli occhi: uno con lo sguardo truce mentre l'altro con un'espressione da ebete in volto.
A quel trambusto, anche Xari, che stava dormendo nel futon affianco si svegliò e, giratosi di fianco, restò a fissare incredulo i due samurai.
"Gin..." riuscì a dire soltanto, prima che un'occhiata fulminea del guerriero non bloccò la sua domanda sul nascere.
Visto che quest'ultimo non si decideva a parlare, il demone decise di prender parola per primo.
"Che vuoi?" gli chiese.
"Sai, io e i ragazzi avevamo pensato di andare questa sera al quartiere della città vicina a 'divertirci con le ragazze' e ci chiedevamo se tu..."
"Non mi interessa. Ritorno a dormire" rispose secco il samurai, sdraiandosi di nuovo sul futon.
"Dai, vieni che ci divertiremo! E' inutile che continui ad aspettare l'anima gemella! Non arriverà mai se prima non ti dai una mossa..."
"Non voglio venire e smettila di scocciarmi! Ho avuto una giornata pesante e non voglio sapere niente di niente!"
"Cosa? Guarda che è mattina..."
Gin aprì di scatto gli occhi e ritornò seduto.
"Come sarebbe a dire che è mattina?"
"Si, insomma" farfugliò confuso l'altro "Ti sei addormentato ieri pomeriggio e non ti sei più svegliato. Eravamo preoccupati, sai...?"

Gin scacciò in malo modo Sakamoto e dopo essersi assicurato che il samurai se ne fose effettivamente andato, si vestì in tutta fretta recandosi al pozzo che sorgeva nei pressi della struttura, seguito a ruota da Xari.
Dopo aver adagiato il secchiello sul bordo del pozzo, immerse le mani nell'acqua limpida e si bagnò la faccia.
Stava per abbandonare la presa sul secchio quando si ricordò dell'alieno.
"Se vuoi bere, fai pure" disse, voltandosi verso Xari.
Questi quindi lo ringraziò con un cenno del capo e si avvicinò.
Dopo essersi sistemati, si diressero verso un'altra costruzione che sorgeva un pò più distante, adibita a cucina e mensa.
Quando furono abbastanza vicini, Gin mise l'indice sulla bocca, in segno di silenzio.
"Non fiatare altrimenti ci scoprono" bisbigliò a Xari "La cuoca odia chi fa ritardo e odia ancora di più chi si intrufola di nascosto a mangiare"
L'alieno annuì con fare serioso.
Silenziosamente si diressero verso il retro della struttura e, aperta una piccola porticina, penetrarono all'interno: erano finiti nella dispensa.
A Xari si iluminarono gli occhi: finalmente avrebbe messo qualcosa in bocca che non erano i soliti cibi liofilizzati usati sulle astronavi.
Gin prese una grossa fetta di formaggio da una mensola affianco e ne offrì metà all'amanto.
Iniziarono quindi a mangiare di gusto le loro razioni e, proprio mentre stavano per addentare l'ultimo pezzo, entrò nello stazino una grossa donna dalla mole imponente.
Questa si fermò ad osservare i due mentre loro si interruppero per guardarla.
Rimasero fermi così qualche secondo, poi la cuoca inarcò un sopracciglio; Xari, preso dal panico, afferrò la manica di Gin con la punta della dita, strattonandola.
"Gin, fa qualcosa, io ho paura..." non riuscì a finire la frase, che la donna lo battè sul tempo e, afferrato un grosso palo vicino, cominciò ad agitarlo per aria, gridando parole inconprensibili. I due se ne uscirono dalla porta urlando e correndo per evitare le ire della donna; subito alle loro spalle vi era lei che continuava a sbraitare nella sua strana lingua.
I due si diressero trafelati verso il grande edificio adibito a tempio, lo aggirarono buttandosi a capofitto in una fila di arbusti che lo circondava. Qualche istante dopo arrivò la donna che si fermò poco lontano, appoggiandosi alla parete per riprendere fiato.
Quando si fu ripresa, guardò tutto intorno al tempio in cerca dei due fuggitivi; non trovando alcuna traccia, se ne ritornò indietro sbuffando e continuando a borbottare quelle parole incomprensibili.
Intanto, nascosti nella vegetazione, i due buttarono un respiro di sollievo mentre Gin si asciugava con la manica il sudore dalla fronte.
"C'è mancato davvero poco questa volta..."
"Perchè, ti è già capitato altre volte?" chiese Xari.
"Quasi ogni mattina. Non riesco proprio ad alzarmi in tempo"
"Capisco..." cioè, non è che capiva molto bene. Sull'astronave dove prestava servizio, si alzavano sempre molto presto e vigeva una rigida disciplina.
"Penso proprio che il mio traduttore si stia guastando..."
"Il tuo cosa?"
"Si, il mio traduttore" rispose Xari con naturalezza "Prima non ho capito cosa diceva la cuoca! Sai, è settato per tradurre questa lingua"
"Allora ci credo che non hai capito cosa diceva. La cuoca è straniera: l'abbiamo trovata tempo fa su una navetta di trasporto-schiavi precipitata. Da quel che siamo riusciti a capire, viene da un luogo molto lontano. Parlava di venire da un paese europeo... sei riuscito a capire qual è?"
"Mi spiace, non ho mai sentito la sua lingua"
"Lasciamo stare" disse Gin "Comunque, prima stavi parlando di un traduttore..."
"Certo, altrimenti come facciamo a capire ciò che dite?"
"Effettivamente, me lo sono sempre chiesto..."
"Ognuno di noi ha un piccolo computer portatile in dotazione che traduce ciò che dite e ciò che diciamo in tempo reale. Così ci capiamo a vicenda" dicendo questo, gli mostrò l'orologio che aveva al polso.
"Aspetta!" gli disse Gin mettendo le mani avanti "Cos'è esattamente un computer?"

Intanto, nella piccola casetta adibita ai feriti, Kasumi si era svegliata da poco e stava avidamente consumando il mangiare che le avevano portato.
"Vedo che hai molta fame" si sentì dire da una voce alle sue spalle.
Ella si voltò, ritrovandosi vicino il viso soddisfatto della giovane ragazza con cui aveva parlato il giorno prima.
"Ciao Tsubaki! Non ti avevo vista arrivare" disse Kasumi con rinnovato entusiasmo, esibendo un largo sorriso.
"Il dottore ha detto che arriverà tra poco a controllarti" le rispose.
"Non mi sta per niente simpatico quel tipo. Ha sempre un'aria così seria..."
"Non dire così. Lui si occupa con gran dedizione di tutti i pazienti!" disse Tsubaki, per poi sorridere divertita.
Kasumi la osservò per qualche istante: il kimono azzurro che indossava le stava benissimo.
Il particolare però che più la colpì, furono i capelli marroni raggruppati in un elegante chignon abbellito da alcuni kanzashi finemente decorati con la figura di una farfalla mentre alcune ciocche più ribelli le ricadevano ai lati.
"Sai" disse Kasumi "La tua acconciatura è davvero molto bella!"
"E'un po complicata. Se vuoi, ti insegno come si fa" le rispose la ragazza.

Qualche ora dopo, sul tardo pomeriggio, due figure si incamminavano per le strette stradine di una fitta foresta.
"Questo posto" disse Xari ansimando "E' ancora molto lontano?"
"Siamo quasi arrivati" rispose Gin a denti stretti. Era sicuro che questa volta la crisi nervosa gli sarebbe arrivata. Da quando erano partiti, circa trenta minuti prima, che l'alieno chiedeva in continuazione se erano arrivati.
Non solo era completamente incapace nei combattimenti, ma era anche un perfetto imbranato.
Mai avrebbe potuto immaginare che l'unico alieno inetto e fifone sarebbe capitato a lui!
Ma perchè non l'aveva ucciso quando ne aveva avuto l'occasione? Perchè? Si ritrovò a pensare. Avrebbe potuto ucciderlo anche ora, in fin dei conti, nessuno ne avrebbe pianto la mancanza...
All'improvviso si bloccò, non avvertendo più la sua presenza. Era sempre stato alle sue spalle, ma ora non sentiva più il rumore dei suoi passi.
Si voltò per verificare se c'era ancora, ma non scorse nessuno.
Dopo qualche istante, udì un fruscio alla sua sinistra rompere il silenzio. Il samurai portò istintivamente la mano sull'elsa della spada portandosi in posizione di combatimento. I fruscii si fecero sempre più intensi e il guerriero stava quasi per estrarre la katana quando all'improvviso dagli arbusti uscì fuori Xari.
"Gin, presto vieni! Guarda cosa ho trovato!" gli disse tutto felice l'alieno.
"Tu..." gridò il guerriero indicandolo col dito, senza riuscire a continuare la frase "Tu... io..."
Xari scosse la testa "Gin, questo non è il momento per ripetere i pronomi. Presto, seguimi!" disse l'alieno afferrandogli il polso e tirandolo verso una piccola radura vicina.
Gin non riusciva nè a dire nè a fare qualcosa, si trovava completamente spiazzato ed esibendo un sorriso da ebete, si lasciò condurre placidamente dall'amanto.
All'improvviso avvertì un fastidioso odore di bruciato.
"Ma cosa..." non riuscì a finire la frase che si ritrovò davanti a una piccola astronave blu semi distrutta.
Guardò Xari, che stava sorridendo compiaciuto.
"Vieni, entriamo" gli disse l'alieno, prima di scomparire all'interno della navetta.
"Ehi, aspetta..." gridò Gin e cercando di fermarlo.
Inutile; quel tipo era già scomparso all'interno.
Il samurai volse la testa in giro per vedere se c'era qualcuno, e, dopo essersi assicurato che l'intera area fosse deserta, entrò anch'egli.
Non riusciva a vedere neanche a un centrimentro di distanza a causa dell'assenza quasi totale di luce perciò dovette portare le mani davanti a sè per evitare ostacoli.
Dopo un paio di minuti nell'oscurtà, scorse una lieve luce azzurra davanti a sè. Accellerò dunque il passo per riuscire a raggiungerla in fretta.
Svoltò l'angolo, pronto a fare una bella ramanzina a Xari, quando per poco non si mise a urlare dallo spavento.
Una massa trasparente dalle sembianze antropomorfe ed emanante una leggera luce azzurrognola lo guardava impassibile mentre al suo fianco vi era Xari, che sorrideva come un ebete.
"X...Xari... que...quella cosa..." disse Gin balbettando.
"Chi è?" chiese la misteriosa figura all'alieno.
"Lui è l'amico di cui ti stavo parlando, Gin!"
Il samurai non riusciva a parlare e a muoversi dalla paura. Era troppo spaventato! Non lo avrebbe mai ammesso dinanzi agli altri, ma gli spettri e tutte quelle cose soprannaturali gli facevano paura.
Si, lui che era un guerriero temuto e rispettato da tutti a tal punto da essere soprannominato 'Demone'. Proprio lui, che non si proccupava delle vite che spezzava o del fatto che sarebbe potuto morire da un giorno all'altro.
L'unica cosa al mondo che temeva erano i fantasmi.
E un fantasma davvero spaventoso c'è l'aveva davanti!
"Xari, allontanati" gli disse Gin, con un filo di voce e neanche con tanta convinzione.
"Gin, stai bene?" gli chiese invece il diretto interessato.
"No che non sto bene! Quello è un maledettissimo fantasma!" disse il samurai in un impeto di coraggio.
"Fantasma?" ripetè sorpreso Xari, oservando prima la figura al suo fianco e poi Gin.
"Oh, intendi Adi?" disse infine meravigliato.
"Adi? Ora ti metti anche a dare nomi ai fantasmi?!"
"Ma no Gin, ti sbagli. Adi non è un fantasma. E' un ologramma!" rispose l'alieno sorridendo.
"Ah, è solo un ologramma!" disse Gin tirando un sospiro di solievo "Ma cos'è un ologramma?!?" gridò con rinnovata rabbia afferrando per il colletto il povero alieno e iniziando a strapazzarlo, rendendosi conto di aver fatto la figura dell'idiota.
Una decina di minuti dopo, quando il samurai si fu calmato, Xari iniziò a spiegare cosa erano gli ologrammi, tra gli sguardi di Gin che mutavano dal sorpreso al dubbioso al 'non ci capisco niente'.
"Allora, hai capito?" gli chiese Xari al termine del discorso.
"Si, penso di si. Insomma, è una cosa... interessante" affermò alla fine il guerriero.
"Se vi siete spaventato" si intromise Adi "Posso cambiare il mio aspetto in base alle esigenze biologiche. In questo caso, posso assumere sembianze umane" e cambiò assumendo l'aspetto di una giovane donna dal lungo kimono decorato a fiori.
"Sai Gin" gli disse Xari "Devi sapere che Adi è un'intelligenza artificiale"
Il samurai lo guardò con fare interrogativo.
"In poche parole, è un computer capace di svolgere funzioni e ragionamenti tipici degli esseri viventi. Ad esempio, riesce ad apprendere da sola"
"Capisco" disse Gin pensieroso. Poi, rivolgendosi al computer "Come hai fatto a finire qui?"
"Io ero il computer centrale di una nave. E' stata distrutta quando un guerriero terrestre, un certo Tokumori Saigou, è riuscito a pentrare all'interno e ha ucciso tutto l'equipaggio. Poi sono intervenuti altri guerrieri, distruggendo tutta la nave. Sono riuscita ad inserire il mio software in alcuni banchi di memoria installati su una navetta di salvataggio. Purtroppo c'è stato un imprevisto e ho perso il controllo della navetta che si è schiantata"
"Una storia per niente commovente! Davvero, scusa ma non mi dispiace affatto che siano tutti morti. Bene, se questo è tutto, io e il mio socio togliamo il disturbo" disse Gin sbrigativo, afferrando per il braccio Xari e tirandolo via.
"Aspetta Gin!" cercava di insistere l'alieno "Non possiamo lascire Adi qui. Potrebbe venire distrutta da qualche malintenzionato"
"Ecco, e a me non importerebbe più di tanto. Ora smettila di fare storie e andiamo"
"Ma potrebbe esserci utile" continuava ad insistere l'alieno, cercando di liberarsi dalla presa ferrea del samurai.
"E come?"
"Potrebbe hackerare i software delle astronavi nemiche o dei mech da combattimento e disattivarli"
"Parla in un linguaggio che anche io riesca a comprendere"
"Entrare dentro i computere delle navi nemiche o di quelle immense macchine comandate dagli amanto e disattivarle"
Gin si fermò di colpo, pensando incredulo a ciò che gli aveva detto l'alieno. Immerso così nei suoi pensieri, allentò la presa permettendo a Xari di liberarsi.
'Potrebbe aver ragione' stava intanto pensando Gin 'Potremmo avere un grosso vantaggio contro gli amanto. Ma potrebbe anche essere una trappola. Come posso fidarmi dela parola di due nemici? Insomma, Xari si ritroverà a combattere contro la sua stessa razza mentre Adi contro i suoi creatori. Come posso sapere che mi aiuteranno e non cercheranno di uccidermi?'
Dopo qualche istante si ridestò dai suoi pensieri, osservando Xari che intanto si massaggiava il polso dolente.
Alla fine Gin sospirò rassegnato.
"Xari, andiamo da quel tuo computer e convinciamola ad aiutarci"
L'alieno lo guardò tutto sorridente e fece un cenno d'assenso col capo.
 
Il martello colpiva incessanetemente il ferro caldo della lama. Il rumore metallico si sentiva rimbombare per tutta la fucina mentre Gin e Xari se ne stavano seduti in un angolo in silenzio.
Il primo immerso nei suoi pensieri mentre il secondo intento a giocare con l'orologio.
"Xari, che fai?" chiese Gin, incuriosito per ciò che stava facendo l'alieno.
"Niente" risposte questi "Stavo solo messaggiando con Adi"
"Non ti devi preoccupare. Te l'ho detto che, una volta alla base, andremo a recuperare con gli altri tutti i banchi di memoria"
"Si lo so, però sono lo stesso molto preoccupato"
Intanto il fabbro aveva smesso di battere sulla spada e si stava asciugando il sudore dalla fronte.
"Cosa c'è, Ryu?" chiese Gin rivolgendosi a quest'ultimo.
"Niente, è solo che mi serve altra legna da mettere nella fucina. Ehi, alieno!" gridò rivolto a Xari "Puoi andare sul retro a prenderla?"
"V...va bene" disse titubante, rivolgendo uno sguardo interrogativo a Gin.
Il samurai si limitò ad annuire con la testa e l'amanto uscì dalla capanna.
Quando si fu allontanato, il fabbro si rivolse al samurai con fare sospettoso.
"Senti Gin, ti conosco da molto tempo ormai, e so che saresti benissimo capace di fare cose avventate, ma non credevo che ti spingessi ad avere un alieno come assistente"
"Ma chi? Ti riferisci a Xari forse? Quando mai ho detto che è il mio assistente? E' già un miracolo se riesce a tenere in mano un'arma..."
"Ma che, mi stai prendendo in giro?" chiese il fabbro guardandolo di storto.
"Ma che vuoi? Che ci posso fare se Xari è un completo inetto!"
"Ah!" esclamò il fabbro "Allora da quando in qua si tengono alieni come animaletti domestici?"
"Xari non è un animaletto domestico! Lui è..."
"E'...?" lo incitò a continuare il fabbro.
"Si, insomma, lui è più come..."
'E' più come un amico' voleva dire, ma non riuscì a teminare la frase che si sentì un urlo disumano provenire dall'esterno.
Trafelati, i due spalancarono la porta e si diressero sul retro.
Trovarono l'alieno a terra, con i ceppi di legno sparpagliati tutti in torno e col viso contratto dalla paura.
"Xari, perchè hai urlato in quel modo?" chiese Gin gridando.
L'alieno non rispose e si limitò a scuotere la testa, indicando con l'indice un punto indeterminato nel buio della notte.
"Non sono stato io... li..." non riuscì a dire altro che le parole li morirono in bocca.
Gin guardò con più attenzione verso il punto indicatogli. Aguzzò per bene la vista e allora riuscì a vederle: due enormi zanne bianche risplendettero nell'oscurità!
Proprio mentre la creatura si preparava a saltare  sul bersaglio, Gin con uno scatto fulmineo prese dal braccio Xari e lo tirò verso di sè.
Si udì un gran rumore e una nube di polvere si formò intorno al punto dove prima era l'alieno.
Lentamente, una sagoma nera cominciò ad avanzare verso i tre. All'inizò non si riusciva a distinguerne i lineamenti a causa della troppa polvere; poi, man mano che si avvicinava, i suoi contorni divennero più netti.
Era una specie di cane, ma più grande e senza peli o pelle. Si vedevano solo i muscoli di colore nero. Due enormi zanne bianche gli spuntavano ai lati della bocca mentre gli occhi erano intrisi di uno strano colorito giallognolo.
"Per tutti i Kami! Che è quel coso?" chiese il fabbro rivolgendosi ai due.
"Non ne ho idea" disse Gin "Che è quella cosa?" chiese poi a Xari.
"Non chiederlo a me! Che cos'è?" chiese l'alieno rivolto al fabbro.
"Ma che vuoi che ne sappia io?! Sei tu l'alieno qui! E poi sono io che ho fatto la domanda a voi. Non rigiratemela!"
"Sentito Xari? Non rigirare le domande!" fece di rimando Gin.
"E non parlare, che tu sei il primo a rigirarle!" gli gridò contro il fabbro.
"Oh, non stiamo qui a sottilizzare... Forza Xari, va a parlare col tuo simile!"
"Ma che stai dicendo? Ti sembra che abbiamo qualcosa in comune?"
"Magari è un tuo lontano parente e non lo sai..."
"Vi prego, state zitti! Non ce la faccio più ad ascoltarvi. Se non ve ne siete accorti, davanti a noi c'è un mostro" disse esasperato il fabbro.
"Ah, ma quindi è un tuo parente!" gli disse Xari.
"Ma secondo te sono così brutto?!"
"Ehm ragazzi, non vorrei interrompere la vostra conversazione, ma credo che quello sguardo famelico non prometta niente di buono!" li interruppe Gin.
"Guada che il primo a iniziare questa assurda conversazione sei stato tu!" gli gridò contro il fabbro.
"Si, va bene, ma ora è meglio se ce ne andiamo" dicendo questo il guerriero afferrò per il braccio i due e scappò con loro verso l'entrata della capanna, inseguiti subito dopo dal mostro.
Una volta entrati dentro, bloccarono la porta con un grosso battente di ferro.
"Così dovremmo essere al sicuro..." disse Ryu.
Non riuscì a finire la frase, che l'intera struttura cominciò a tremare mentre il mostro tirava colpi alla porta cercando di sfondarla.
"Gin..." disse Xari guardando il samurai.
"Andate a nascondervi. A questo mostro ci penso io"
"Sicuro che non vuoi una mano?" chiese il fabbro.
Gin si limitò ad annuire col capo.
I due allora lo guardarono con fare greve per poi scappare a nascondersi verso la parte interna della fucina.
Qualche istante dopo la porta crollò sotto i pesanti colpi del mostro.
Il cane cominciò ad avanzare mentre la bava  colava dalle lunghe zanne.
Gin portò una mano sull'elsa della katana, pronto a sfoderarla...

 

                                                                                                                     Continua...
 
              
                                                                
                                                                  GLOSSARIO

-Kanzashi: ornamenti usati nelle acconciature
-Tsubaki: camelia
-Kami: sono le entità spiritiche che popolano l'universo

        
                                                         Curiosità riguardo al capitolo

L'unica curiosità del capitolo è la presenza di Adi. E' semplicemente il nome "Ida" scritto al contrario che è l'intelligenza artificiale presente in Mass effect.


Ok ehm... allora... diciamo che per questo capitolo ho impiegato veramente troppo tempo! Addirittura due mesi!!
Scusatemi se non ho pubblicato prima, ma il tempo scarseggia. Sopratutto ora che è iniziata la scuola xD
Per farmi perdonare ho scritto un capitolo un pò più lungo dei precedenti che spero vi sia piacciuto^^
Passiamo ai ringraziamenti: ringrazio Izzie_sadaharu, Yato Kamui e Takasugi che hanno recensito i capitoli fino ad ora! Grazie mille!!
Inoltre ringrazio tutti i lettori anonimi :)
Vi invito di nuovo a recensire così da esprimere cosa pensate riguardo al capitolo, critiche o consigli che siano.
Vi saluto tutti e al prossimo capitolo!
Baci, Flori <3

 

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Capitolo 8
*** Capitolo 7 ***


Capitolo 7

 

Qualche ora prima, sulle montagne vicino al tempio.
La tranquillità e il silenzio del luogo venne all'improvviso interrotto dal rumore dei motori di un'astronave.
Le cime degli alberi si piegarono all'indietro, contorcendosi su sé stesse per le violente folate di vento che investirono il costone di roccia. Una possente nave da battaglia stava atterrando, schiacciando con la sua mole tutta la flora e fauna che si frapponeva col terreno.
-Tu dici che il pianeta è questo? - chiese un uomo al suo interlocutore.
-Ne sono sicuro. Le mie spie non sbagliano mai.
Il primo che aveva parlato si limitò ad annuire: -Mmmm… - fece pensieroso accarezzandosi il mento con una mano; poi si lasciò andare con la testa sulla spalliera della poltrona e sbuffò un po'.
-Come hai detto che si chiama quel tipo? - chiese all’amanto dall’altra parte dello schermo - Xeri? Xami? O forse era Xari? Oh beh, poco importa, tanto ho con me qualcosa di suo, quindi non mi ci vorrà niente a trovarlo.

 

[...]

Gin si limitò ad annuire col capo.
I due allora lo guardarono con fare greve per poi scappare a nascondersi verso la parte interna della fucina.
Qualche istante dopo la porta crollò sotto i pesanti colpi del mostro.
Il cane cominciò ad avanzare mentre la bava colava dalle lunghe zanne. Gin portò immediatamente una mano sull'elsa della katana, pronto a sfoderarla al minimo movimento.
Continuò a fissarlo ancora per qualche istante; infine il cane flesse le zampe, pronto a saltare.
Il samurai stava per estrarre la spada, quando si accorse che non stava puntando a lui ma i suoi due compagni.
-Presto, spostat...- non fece in tempo a finire la fase che il mostro scattò verso di loro: Xari portò istintivamente il braccio sopra la testa e il cane lo strinse violentemente fra le fauci.
L'alieno emise un urlo di terrore e cadde con la schiena a terra, mentre col braccio sano cercava di tener lontano da sé la belva.
Gintoki piantò il piede destro a terra e si dette una spinta: arrivato a pochi centimetri dalla bestia estrasse la katana e con un rapido fendente la decapitò.
Dal braccio pendeva la testa mozzata del mostro; Ryu la afferrò dalla bocca e lentamente fece leva per aprirla, liberando così l’alieno.
Il sangue cominciò a sgorgare copioso, sporcando i suoi vestiti e il pavimento attorno. Xari si accasciò a terra, ansimando leggermente e tenendo la ferita con l'altra mano.
-Tienila stretta - gli disse il fabbro - io andrò a prendere qualcosa.
Il samurai intanto aveva rifoderato la spada, avvicinandosi a Xari e inginocchiatosi al suo fianco, aiutandolo a tenere premuta la ferita.
Lo guardava senza proferire parola.
L'alieno si limitò a fare un sorriso forzato, tenendo serrate le labbra, anche lui senza dire niente. Stava soffrendo, ma non voleva farlo vedere; desiderava anche lui essere forte come Gin.
Intanto Ryu era tornato e, aiutato da Gintoki, cominciò a fasciarli la ferita.
-Purtroppo questo è il massimo che riesco a fare...- disse con rammarico il fabbro - Dovreste ritornare al tempio per cure migliori. Va anche disinfettata...- continuò rivolgendosi al samurai. Questi si limitò ad annuire, continuando ad osservare le bende che si stavano velocemente bagnando di sangue.
-Davvero, va tutto bene… - disse a fatica l'alieno - Sto bene, non vi preoccupate... piuttosto Ryu anche tu sei in pericolo se rimani qui da solo… - continuò egli.
Gin lo osservava, e un sorriso amaro gli si dipinse sulle labbra.
-Idiota… - commentò a bassa voce.
Quindi gli afferrò il braccio sano e lo aiutò ad alzarsi.
-Noi andiamo - disse rivolto al fabbro - Fa attenzione con queste creature...
-Non ti preoccupare - gli rispose mettendogli una mano sulla spalla - Piuttosto fate attenzione mentre tornate al villaggio - aggiunse in tono grave, guardandolo negli occhi.
Poi abbassò un po' la voce e si avvicinò al suo orecchio - Quel cane... se hai notato, ha ignorato tutti e tre e si è fiondato sul tuo amico… - aggiunse facendo un cenno con la testa rivoto a Xari.

Nel mentre, al tempio.

Kasumi era seduta sul suo futon, nel piccolo edificio adibito ad ospedale.
Alle sue spalle c'era Tsubaki che stava finendo di sistemare gli ultimi medicamenti.
-Ecco, così dovrebbe andare meglio… - disse dopo aver finito - E' incredibile come tu sia riuscita a guarire così velocemente... cioè, è passato solo un giorno da quando sei qua e la ferita si è quasi rimarginata del tutto… - continuò la donna un po' sovrapensiero.
-Mmmm - fece pensierosa la ragazza - Beh, le mie ferite si sono sempre rimarginate così velocemente, fin da piccola… - aggiunse dopo un po'.
-Oh, interessante! E dimmi… - non fece in tempo a finire la frase che si sentì un urlo agghiacciante provenire da fuori.
-Resta qua! - disse la donna alzandosi in tutta fretta e correndo verso la porta.
Si affacciò sull'uscio e lanciò degli sguardi preoccupati tutto attorno: delle persone correvano verso la sua direzione, gridando in preda al terrore.
Tsubaki afferrò il braccio di uno per fermalo -Che succede? - chiese. L'altro si divincolò dalla stretta e continuò la sua corsa – Scappa! - gli gridò di rimando mentre si allontanava.
La ragazza allora volse di nuovo lo sguardo verso le altre persone che stavano arrivando.
-Ehi tu! - gridò a uno, mettendosi davanti per sbarrargli la via - Cosa sta… - non riuscì a finire la frase che la corsa disperata dall'altro venne interrotta da una bestia nera che gli saltò sulla schiena, buttandolo a terra.
-Ti prego, aiut… - ma il mostro aveva affondato i denti nella nuca e strappato un pezzo di carne.
Tsubaki fece qualche passo indietro, inorridita dalla scena. Ora il cane aveva levato il muso dal malcapitato e stava squadrando la donna.
Ella teneva fisso lo sguardo negli occhi del mostro, mentre questi iniziò ad avanzare nella sua direzione; ringhiava, mostrando le sue zanne imbrattate di sangue, che colava copioso a ogni passo che faceva.
All'improvviso il mostro flesse le zampe e saltò nella sua direzione.
Tsubaki chiuse gli occhi e portò d'istinto il braccio all'altezza della testa, consapevole di non riuscire ad evitare il morso dell'animale.
Morso che non arrivò mai. La donna dopo qualche istante dischiuse gli occhi: dinanzi a lei vi era Kasumi con in mano una katana e il cane che stringeva la lama fra le zanne.
La ragazzina diede un colpo deciso e squarciò la bocca del cane.
-Stai bene? - chiese preoccupata alla donna, non distogliendo gli occhi dall'animale.

 

Intanto i due se ne stavano camminando per la fitta foresta.
Xari continuava a tenersi il braccio ferito con la mano sana, camminando un po' a fatica e ansimando ad ogni passo in modo sempre più pesante.
Il sangue continuava a sgorgare, e ormai aveva lasciato dietro a se una lunga scia.
Gin continuava a voltarsi ogni minuto per accertarsi che il compagno ce la facesse ancora a camminare, guardandolo con fare sempre più preoccupato. Questi si limitava a guardarlo di rimando, sorridendo, e a farli cenni con la testa per rassicurarlo.
Gin sospirava ogni volta, per poi riportare l'attenzione verso la strada da prendere.
Non era normale che una ferita di quell’entità facesse fuoriuscire tutto quel sangue…


****
E così rieccomi con questa storiella! Mai trovato abbastanza tempo nè per pubblicarla nè per conitnuare a scriverla... immagino che tutti i vecchi lettori siano scomparsi e che nessuno la stia più seguendo...
Bene, 20 capitoli avevo pensato all'inizio, ma potrebbero essere anche di meno visto che ricordo poco o nulla della trama xd
Alla prossima, saluti Flory :3

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