H & He

di ONLYKORINE
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'inizio di tutto ***
Capitolo 2: *** Gare vinte e occasioni mancate ***
Capitolo 3: *** Il ballo di fine anno ***
Capitolo 4: *** Seattle ***
Capitolo 5: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** L'inizio di tutto ***


L’inizio di tutto

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La prima volta che Hyacinth e Helios si incontrarono fu il caos. Avevano entrambi sette mesi e stavano giocando sul tappeto del centro ricreativo per bambini della città.

 

Fu allora che la piccola e paffuta mano di Hyacinth si abbatté, forte e rumorosa della risata della bambina, sul naso di Helios facendolo scoppiare in un pianto fragoroso e insistente, con tanto di singhiozzi e lacrime copiose. Quando il tappeto si macchiò di sangue, anche lei si spaventò e scoppiò a piangere così forte che rigurgitò il latte.

Le due madri vennero a recuperare i propri pargoli e la cameriera del circolo pulì il tappeto con una spugna imbevuta di candeggina che rovinò completamente le lettere finali della marca di prodotti per bambini ‘Biggest Bangs’ disegnata sul tessuto.

 

I bambini a venire giocarono su una sbiadita imitazione di un tappetino di prima qualità e, dopo il fallimento della ditta, tutti avrebbero pensato a quella ditta ricordandola come ‘Big Bang’.

*

All’asilo, Miss Liber aveva diviso i bambini in coppie per far creare loro le decorazioni per lo spettacolo di fine anno, e avrebbe potuto essere una bella idea, se non avesse fatto l’amara scelta di mettere insieme Helios e Hyacinth nella realizzazione di grosse stelle di cartone dorato dal margine ritagliato con il punteruolo.

 

“Ho detto che voglio fare anche la coda! Come una cometa!” gridò la bambina, con i ricci scuri che le schizzavano da tutte le parti, mentre il punteruolo batteva ritmicamente e pesantemente sul piano di lavoro. Non stava mai ferma.

“Miss Liber ha detto senza coda, solo la stella con le punte” spiegò diligentemente Helios, spingendosi sul naso gli occhiali. Lui, invece, era un bambino piuttosto tranquillo.

“La voglio fare così!”

“Devono essere uguali.”

“Allora falla come la mia!”

“No. Non è giusto.”

Quello che mandò fuori di testa la bambina fu il fatto che Helios fosse calmissimo e non facesse quello che voleva lei. Ancora non poteva comprendere, ma quella non sarebbe stata la prima volta, né tantomeno, l’ultima.

Hyacinth, tutta rossa in viso per essere stata contraddetta, lanciò il punteruolo che teneva in mano al di là del tavolo, colpendo il bambino sul braccio.

“Ahi!” esclamò lui, massaggiandosi il punto colpito. Ma Hyacinth non era soddisfatta: lui era calmo e lei no. Si alzò mentre la maestra interveniva per vedere cosa fosse successo e andò verso il lavabo, dove Christina, una loro coetanea, stava riempiendo il boccale per innaffiare i fiori; lei prese il recipiente con due mani, tornò verso il suo tavolo e lo rovesciò in testa a Helios.

Il bambino gridò e si alzò in piedi spaventato, girandosi e spingendo la compagna con una manata sul petto. L’acqua gli gocciolava dai capelli castani, la maglietta era zuppa e lui iniziava a essere veramente arrabbiato.

“Hai esagerato!” la sgridò Miss Liber, rossa in viso, e Hyacinth la osservò senza timore. “Chiedigli scusa” ordinò la maestra.

La bambina spalancò gli occhioni blu, esasperata. “No! Mi ha spinto!”

“Hai iniziato tu!” gridò allora il bambino, avvicinandosi e spingendola ancora. Questa volta lei cadde per terra perché non era preparata al fatto che lui potesse essere così forte e l’umiliazione della caduta le fece inumidire gli occhi.

“Sei uno stupido!” Hyacinth corse veloce fuori dalla porta dell’aula ma tutti gli altri bambini videro che le lacrime avevano già iniziato a scenderle sulle guance.

 

La povera maestra non avrebbe mai potuto immaginare che i bambini avrebbero usato il punteruolo per fare altro oltre a incidere il cartone, così, venne sgridata dalla preside, ebbe un esaurimento nervoso e quello fu l’ultimo anno in cui insegnò.

Dopo due anni iniziò a scrivere libri horror ed ebbe un discreto successo nazionale.

***

Al liceo, H, stufa di farsi chiamare con il nome di un fiore, era paradossalmente sbocciata: dall’esile bambina che era, divenne una procace giovane donna dalla bocca carnosa e le curve abbondanti, dalla lingua facile e dagli occhi di fuoco. E la sua principale occupazione era ancora tentare di infastidire Helios.

“Vai, faccio io da palo” disse Christina, sulla porta, mentre le lanciava il gessetto. H, spinta dalla noia e da una piccola dose di cattiveria, iniziò a disegnare sulla lavagna del laboratorio di chimica una caricatura del ragazzo in questione, mentre l’amica controllava il corridoio.

Gli altri compagni entrarono alla spicciolata e tutti, nessuno escluso, si fermarono a contemplare l’opera: se c’era una cosa in cui era brava, e H lo sapeva benissimo, era il disegno. Nella sua mano, qualsiasi cosa diventava uno strumento per disegnare: la punta di un bastone sulla sabbia, un sasso sul porfido del cortile, un pezzo di carbone sul muro dell’aula di chimica.

Un gessetto su una lavagna immacolata era una Ferrari in mano al miglior pilota del mondo.

“Arriva!” esclamò Christina, correndo verso il banco. Lei scarabocchiò la lettera ‘H’ sotto al disegno e scappò a sedersi vicino all’amica. “È bellissimo!” le sussurrò lei, guardando la lavagna e battendo la mano aperta contro la sua.

Quando Helios entrò in classe, al fianco dei suoi amici, non si accorse subito del disegno. Questo fece innervosire un po’ H, che si agitò sulla sedia, ma poi la biondina accanto al ragazzo, lo chiamò e indicò la lavagna: “Guarda, He!”

Helios alzò gli occhi verso la lavagna e sbiancò quando si riconobbe. Ma quando guardò la firma, un ghigno si dipinse sul suo viso. “E chi è ‘Idrogeno’?” chiese, ad alta voce.

H corrugò la fronte, non capendo cosa intendesse. “Ma quale idrogeno! È ‘H’!” si smascherò subito.

“H è il simbolo dell’idrogeno, Hyacinth, non te l’ha mai detto nessuno? Mai studiato?” chiese Helios, ironico e con un sorrisino strafottente.

H divenne rossa e balbettò. Stava rigirando la frittata. Lei gli aveva fatto uno scherzo con i fiocchi, perché dal suo disegno chiunque avrebbe capito che era proprio lui quell’omino secco e nudo, con un pistolino piccolissimo e l’espressione ebete, e lui stava riuscendo a prendere in giro lei.

“Io…” Dannazione! Sapeva sempre come ribattere, H, sempre. Con chiunque, tranne che con lui.

“Sai, se lo avessi studiato sapresti tante cose sull’idrogeno e ti saresti accorta quanto ti somiglia: è dappertutto, e non è mai da solo, con chiunque, ma non da solo” disse, avvicinandosi verso di lei e poi volgendo lo sguardo oltre la sua testa. H si voltò e vide un gruppetto dei giocatori della squadra di football della scuola: due erano suoi ex, lo sapevano tutti.

“È l’elemento più leggero” continuò, richiamando la sua attenzione e la ragazza si rigirò verso di lui. Da come disse ‘leggero’ capì che intendeva altro, come quando aveva guardato i ragazzi dietro di lei. “È incolore, inodore e insapore. Praticamente…” Lo sguardo del ragazzo, glaciale, le agganciò gli occhi e poi corse, lentamente, lungo il suo viso e continuò percorrendo il suo corpo. Lei non lo ascoltava più, uccisa dalla sua occhiata.

H si sentiva nuda. Nuda e indifesa. Ma lei non lo era. Faceva parte del gruppetto più tosto dei ragazzi della scuola, rispondeva ad adulti e insegnanti e, anche se di solito finiva dal preside per aver esagerato con i toni, sapeva benissimo come fregare chiunque. Chiunque tranne lui, appunto. Abbassò gli occhi. La stava facendo sentire una poco di buono e iniziava a sentirsi esattamente come lui aveva descritto l’idrogeno: trasparente. E inutile.

“Si usava per far volare i dirigibili, ma poi venne sostituito. Chi sa da cosa è stato sostituito? È facile, è un gas molto più interessante, ci gonfiano anche i palloncini alle feste della squadra di football…” chiese quindi Helios ad alta voce, roteando lo sguardo per la stanza.

“Elio! Dall’elio!” gridò il ragazzo con cui lui era entrato nell’aula. Tutti applaudirono e fischiarono: l’elio era veramente un gas figo, lo sapeva anche H, e lo conoscevano tutti perché trasformava la voce. Chi da ubriaco non aveva fatto lo scemo nel salotto del capitano della squadra con in mano un palloncino sgonfio?

“Da te, He!” La ragazza che gli aveva indicato la lavagna stava applaudendo.

Quando sentì Christina darle un colpetto sulla gamba, H si rese conto di avere le lacrime agli occhi. E che il ragazzo stava continuando la sua spiegazione. “…E lo chiamò ‘hidro-gen’ ossia generatore d’acqua… Come quella che stai per produrre tu, Hyacinth” concluse alla fine, guardandola fisso. Quando H capì che intendeva le sue lacrime, si alzò di scatto dalla sedia, prese la prima cosa che trovò sul banco e si scagliò contro Helios. O He, come avevano iniziato a chiamarlo gli altri, intonando il suo nome. Come il simbolo dell’elio, il gas più figo dell’idrogeno.

“Attenta!” la mise in guardia Christina quando si rese conto che aveva in mano un bruciatore acceso. Uno dei ragazzi la fermò e glielo tolse di mano.

“È un ottimo combustibile, brucia facilmente…” continuò Helios, arrogante.

“Stronzo!” gridò lei tentando di saltargli addosso. Il ragazzo che l’aveva fermata la bloccò quando tentò di colpire a mani nude Helios perché vide entrare il professore di chimica.

“Dimenticavo… anche instabile.”

H si liberò della stretta dell’amico e corse in bagno quando sentì la prima lacrima scivolarle sulla guancia.

 

Ancora non poteva saperlo, ma quell’episodio fu la causa scatenante di tutte le scelte che iniziò a fare negli anni a venire.

 

*

 

Il giorno dopo l’incidente nel laboratorio, H, Christina, Jenny e Fiona erano sedute al Black Dinner in attesa di andare alla festa della squadra di football, a casa del capitano Worrent, quando videro entrare Helios con una ragazza. Loro rimasero al bancone e il ragazzo non si girò mai nella loro direzione. H, che lo guardava di sottecchi, capì che non le aveva viste e si preparò una piccola vendetta.

Quando le ragazze si alzarono tutte per andarsene, H disse loro che le avrebbe raggiunte dopo, direttamente alla festa. Christina capì cosa volesse fare e, lanciando un’occhiata al bancone, annuì uscendo insieme alle altre. H si avvicinò al bancone, dove si erano fermati i due, e allungò una banconota vicino al braccio di Helios, indicandolo e chiamando il barista con cui aveva confidenza e che faceva finta di non riconoscere i documenti falsi. “Joe, tieni, stasera finalmente questo ragazzo tromberà e perderà la verginità. Bisogna offrirgli da bere!”

Diede una manata di incoraggiamento sulla spalla di Helios e lui si accorse di lei solo in quel momento. Si voltò velocemente verso di lei, ma H non gli diede tempo di dire niente e si avviò sorridendo verso l’uscita.

Una volta fuori, si fermò e respirò a pieni polmoni: ce l’aveva fatta. Questa volta non gli aveva lasciato dire niente. Si avvicinò alla sua moto, ma prima di salire notò che entrambe le ruote erano a terra. No! Doveva andare alla festa! Provò a tastare le gomme e notò che erano troppo sgonfie per poter spostarla senza creare danni ai cerchioni e alle gomme stesse: avrebbe dovuto lasciarla lì e probabilmente rinunciare alla festa. Si guardò intorno e individuò una fermata dell’autobus.

Si incamminò in quella direzione, si sedette sulla panchina della pensilina e aspettò.

“H in solitudine! Che cosa rara” la salutò una voce.

H si girò e vide Helios che si sedeva accanto a lei. “Cosa vuoi?”

“Aspetti l’autobus?” le chiese, ignorando il suo tono duro.

“No, faccio una stima delle macchine che passano” rispose ironica guardando la strada.

“Ho una proposta per te.”

“No.”

Helios rise. “Non te l’ho ancora chiesto!”

Lei scosse le spalle. “Non voglio avere a che fare con te” disse.

“Se mi scusassi, mi ascolteresti, almeno?” H lo guardò ancora a lungo, poi rigirò lo sguardo verso la strada e annuì.

“Scus…”

“Va bene, tanto dovrei scusarmi anch’io, per il disegno. Non lo fare” lo interruppe lei.

“Non vuoi che mi scusi io per non farlo anche tu. Carino… Però devo ammettere che la caricatura era veramente fatta bene”. Helios rise e H si girò verso di lui per studiarlo: non capiva se la stesse prendendo in giro o no. Poi lui tornò serio. “Avresti potuto ribattere. Di solito lo fai..”

“Stavolta mi hai fregato…” mormorò lei, accendendosi una sigaretta

Helios alzò le spalle. “Se avessi saputo più cose sull’idrogeno, o sull’elio, avresti potuto tranquillamente tenermi testa: ho barato” le confidò.

La ragazza si voltò di scatto verso di lui. “Che intendi?”

“Beh, non sei propriamente instabile… Cioè, l’idrogeno non lo è” si corresse subito. “Sono i suoi isotopi che…”

“Dove vuoi andare a parare, Mr. Sotuttoio?” chiese lei, nervosa. Helios rise.

“L’elio è freddo e troppo stabile, viene dopo l’idrogeno nella numerazione, è meno leggero. Tutte cose che si abbinano facilmente a me. Avresti potuto usarle per deridermi o a mio discapito comunque. E poi tutti i gas sono incolore, inodore e insapore. Avresti potuto distruggermi. Avresti dovuto”. Lei lo guardò senza dire niente.

“Cercherò di impegnarmi di più la prossima volta” disse, ironica, dopo un altro tiro alla sigaretta, come se lui avesse detto cose senza senso.

“Ok… Ma… Volevo chiederti: hai mai pensato al corso di dibattito?”

H corrugò la fronte. Sapeva che lui faceva parte del corso di dibattito: era un’aula al secondo piano dove dei ragazzi si ritrovavano e discutevano su alcuni argomenti. Ognuno di loro doveva appoggiare una parte e trovare il modo per convincere gli altri a seguire le sue idee. Lei non capiva l’utilità di quel corso: non aveva senso discutere come facevano loro. Alzò le spalle. “Ti piacerebbe venire, lunedì?” le chiese ancora lui.

“A far che?”

“Potresti allenarti nel dibattito. Saresti una gran litigatrice.”

Non gli chiese cosa fosse una litigatrice. “Vorresti che venissi per… litigare?” Lui annuì. “Con te?” Annuì ancora. L’idea prese strada nella sua mente e, lentamente, si disegnò un sorriso sul suo viso. “Ci penserò. Ma non ti chiamerò mai He. Giuro”.

Helios rise, annuì e si alzò. “Dove vai? Non aspetti l’autobus?” chiese, come se il fatto che lui se ne stesse andando le desse fastidio.

“No, ho la macchina. Vado via.”

“Oh. E la tipa del pub?” chiese ancora lei, spegnendo la sigaretta e guardando verso l’entrata del locale.

“È mia sorella. L’ho solo accompagnata”. H si morse l’interno della guancia e alzò tutte e due le sopracciglia.

“Allora mi devi venti dollari.”

“Per?”

“Perché stasera non tromberai e io ti ho offerto da bere per questo”. Helios scoppiò a ridere: una bella risata, forte e contagiosa.

“Ho già trombato, se vuoi saperlo.”

“Buon per te. Spero che tu riesca a sederti, allora.”

Lui rise ancora e si allontanò alzando la mano in segno di saluto.

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Eccomi qui con una nuova storia, presa da... indovinate... un contest!!! Allora la traccia diceva di parlare di Elio e Idrogeno, i due gas  che danno origine alle stelle, ma in forma umana. ORa, io avrei dovuto stare nelle 2500 parole (e per il contest l'ho fatto) ma avevo immaginato H e Helios in una storia molto più lunga che ho dovuto per forza allungarla e farne questa... cosa (minilogn? Sì, minilong :-) ) Beh, spero vi piaccia e che continuiate a leggere!

 

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Capitolo 2
*** Gare vinte e occasioni mancate ***


Gare vinte e occasioni mancate

Gare vinte e occasioni mancate

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Quel lunedì H si sentiva come al primo giorno di scuola e, dal corridoio del secondo piano dell’ala est, osservava nervosa la porta dell’aula del corso di dibattito.

“Sicura di volerlo fare?” Christina le si affiancò mentre spostava il peso da un piede all’altro.

“Voglio provare” ammise, come se fosse una confessione.

Alcuni ragazzi e il professor Sweeter entrarono nella stanza, senza chiudere la porta.

“Allora vai. Sicuramente stare qui non servirà a niente.”

H annuì. “Se non mi piace, è uno scherzo o mi trattano male, vengo via” disse, più a se stessa che all’amica.

“Se ti trattano male o è uno scherzo, saprai metterli tutti in riga”. La mano dell’amica si posò sulla sua spalla e leggermente la spinse in avanti.

H percorse lentamente tutto il corridoio e si avvicinò alla porta in questione. Si voltò verso Christina e lei le fece un cenno con il capo invitandola a entrare. La sua migliore amica era l’unica che sapesse esattamente cosa nascondesse H sotto la superficie di ragazza dura e sicura. Si conoscevano da una vita e con lei non aveva mai avuto bisogno di nascondere la vera se stessa. Era l’unica che sapesse dei suoi dubbi o delle sue paure.

Spinse appena appena la porta socchiusa e sbirciò all’interno: due ragazzi erano su un piccolo palco, dietro a due finti pulpiti e parlavano con toni accesi senza gridare, mentre altri ragazzi e il professore erano seduti su delle sedie a guardarli.

Prima di entrare osservò ancora i due ragazzi e ascoltò quello che si dicevano: stavano discutendo se fosse meglio retribuire gli insegnanti in base alle capacità o basandosi sugli standard della legge. Stranamente, H trovò l’argomento interessante, ascoltando quello che dicevano.

Il ragazzo a destra, sul palco, era un ragazzo di colore, anche lui del terzo anno come lei, con una folta capigliatura e i denti storti: si chiamava Steve Terrent e lei lo conosceva perché facevano arte insieme.

A sinistra, invece, il motivo per cui H era lì: Helios. Si fermò a osservarlo anche se conosceva a memoria la sua testa spettinata e i suoi occhi scuri, che da lì non poteva vedere, ma semplicemente perché tante volte se lo era ritrovato davanti. Conosceva a memoria anche la forma degli occhiali che indossava. In quel momento, però, H non si incantò a guardarlo, effettivamente non era mai successo, ma si perse ad ascoltare la sua voce. La voce del ragazzo, sicura e forte, le rimbombava nel petto e lui sembrava veramente convincente e sicuro di sé.

H fece un passo avanti e si sedette su una delle sedie in fondo all’aula. Per qualche minuto non si rese neanche conto se respirasse o meno, troppo presa da ciò che stava ascoltando: era interessante. Il dibattito stava avvenendo in modo molto ‘maturo’, loro sembravano dannatamente adulti e sicuri di quello che dicevano. Anche lei avrebbe voluto, un giorno, riuscire a essere così: a sostenere un discorso lungo e a far valere la propria ragione senza perdere la calma o agitarsi.

A un certo punto Helios, che aveva sempre guardato il suo interlocutore, lanciò uno sguardo alla piccola platea davanti al palco, continuò a guardare lungo la stanza e la vide.

Nonostante avesse continuato a parlare anche quando il suo sguardo si era allontanato dal pulpito e dal rivale, quando la vide seduta in fondo all’aula, il suo discorso si interruppe e Helios perse il filo. Imbarazzato, il ragazzo abbassò lo sguardo sul foglio di appunti e cercò di rimediare alla gaffe. Non si accorse che Bettany, la ragazza bionda seduta in prima fila, si era girata e quando aveva visto H, sul suo viso si era dipinta una smorfia di disappunto che non era sfuggita alla ragazza in questione.

Helios riuscì a non distrarsi più, semplicemente evitando di guardare il fondo dell’aula e forse, se fosse stato meno preparato sull’argomento, si sarebbe perso ogni volta che si era imposto di non girare il viso. Furono i dieci minuti più lunghi della sua vita, ma riuscì, come al solito, a nascondere il tutto molto bene.

Quando il professor Sweeter schiacciò il tasto sul cronometro, esclamando a gran voce: “Stop!”, tutti applaudirono e Helios si avvicinò a Steve per stringergli la mano, mentre il ragazzo si complimentava con lui.

Scesero dal palco insieme e anche gli altri si avvicinarono. Bettany gli gettò le braccia al collo e lo baciò sulla guancia per complimentarsi con lui, dicendogli che aveva fatto un’ottima interpretazione. “Sei veramente stato bravo, He!”

Helios la guardò un po’ stranito, in quanto non era mai successa una cosa simile, ma non se ne preoccupò e, dopo averla scostata da sé, guardò verso il fondo dell’aula e sorrise nel vedere che la ragazza fosse ancora lì. Era contento del fatto che H si fosse presentata e che fosse rimasta per tutto il tempo. Sperava che non facesse qualche battutina sul fatto che si fosse emozionato quando l’aveva vista e si avvicinò a lei.

“Sei venuta davvero” disse, mentre la raggiungeva. H si rese conto di arrossire dall’imbarazzo e annuì.

“Avevo detto che lo avrei fatto…” Alzò le spalle e poi continuò. “Sei stato…” Cercò di trovare qualche parola da usare al posto di ‘fantastico’ e ‘magnifico’, perché non le sembrava il caso di gonfiare l’ego del ragazzo più del necessario, ma non le venne in mente niente e le parole morirono sulle sue labbra.

“Oh, ti abbiamo annoiato?” chiese lui, fraintendendo le sue parole.

“No! È stato veramente interessante. Sei stato bravo”. Lanciò uno sguardo dietro a Helios e vide le facce incuriosite di tutti gli altri. Specialmente la biondina che l’aveva guardata male poco prima.

Anche il ragazzo si girò e, quando vide i compagni, le prese la mano, dicendole: “Vieni”. H non riuscì a reagire e si ritrovò, poco dopo, davanti agli altri e presentata da Helios.

“Benvenuta” le disse il prof e H gli fece un cenno con il capo. Tutti gli altri la salutarono e si presentarono: Bettany, la biondina, continuava a guardarla male.

Gli altri iniziarono a parlare di una gara che ci sarebbe stato di lì a breve e per cui avrebbero dovuto decidere chi si sarebbe dovuto presentare contro chi. Sembrava una cosa di quelle importanti, dibatti singoli con un punteggio comune, uno per ogni membro della squadra.

“Viene anche lei?” chiese Bettany al professore. Tutti si rivoltarono verso H, ma lei alzò le spalle. “Voglio prima sentire com’è, prima di accettarla in squadra e…” iniziò a dire la biondina verso gli altri e rivolgendosi all’unico adulto.

“Ehi, Bettany, sono qui. Non parlare come se non ci fossi, è… maleducato.”

Bettany si girò verso H, rossa in viso per l’arrabbiatura. “Scusami, cocca, è che capirai, sono mesi che mi preparo per questo dibattito, e l’idea di perderlo perché la squadra ha deciso di ammettere un elemento come te, che sei solo decorativa, con quei vestiti…” La squadrò da capo a piedi, ma H notò benissimo quando il suo sguardo si fermò sulla sua borsetta, che era di una prestigiosa stilista.

La ragazza rise appena e disse: “Se proprio ci tieni, cocca, posso vestirmi male come te. Non è un problema, dovrai solo dirmi dove hai comprato quella robaccia”.

La biondina sbiancò e si guardò i vestiti: aveva una tuta in acetato e un maglioncino con una camiciola di un colore orrendo. H pensò che non potesse davvero aver scelto quell’abbigliamento: doveva per forza essere capitato un blackout in casa sua nel momento in cui si stava vestendo.

“Ehm… Ragazze… che ne dite di venire qui e facciamo un riepilogo in cui spieghiamo a Hyacinth cosa si svolge il dibattito?” chiese il professore, volgendo lo sguardo verso tutti. Bettany fece un’altra smorfia ma si avvicinò alla cattedra ai piedi del palco e, sorridendo, H la seguì.

Dopo aver ascoltato quello che facevano e la spiegazione degli altri ragazzi sul modo in cui si teneva un dibattito e su cosa bisognasse far forza per risultare convincenti, H si era gasata parecchio.

“In più sono crediti extra per il college. Sempre che ti interessi il college…” disse ancora la biondina, con una malcelata smorfia di disapprovazione.

“Ascolta…” H alzò la voce e si avvicinò alla ragazza, prendendola per una spalla e spingendola lontano. Christina lo aveva detto: ‘Se ti trattano male, rimettili in riga’.

“Ascoltami” disse ancora. “Non ho intenzione di litigare. Non sono qui per toglierti il ruolo da prima donna o qualunque cosa tu faccia. Sono qui perché mi interessa quello che fate e penso che mi piacerebbe provare, ma non ho intenzione di rubarti il primato, il posto che stai occupando e tantomeno il tuo ragazzo, ok?” concluse, indicando con il pollice dietro di sé.

“Io e He non siamo…” iniziò la biondina, ma H la interruppe ancora.

“Non mi interessa cosa non siete. Non mi interessa lui, né di te, né degli altri, ok? Voglio vedere quello che fate qui. Devo… allenarmi in queste cose…” La ragazza annuì e guardò alla sua destra. H non si girò, perché non ci fece caso, ma se lo avesse fatto avrebbe visto Helios vicino a lei e a portata d’orecchio.

“Però… se ti interessa, posso aiutarti. E non solo per i vestiti…” mormorò, verso la biondina. Subito dopo ammiccò e si girò per tornare dagli altri, ma si scontrò con Helios che aveva una faccia un po’ delusa.

 

Dopo tre settimane, quando vinsero la gara di dibattito istituita alla New Catholic High School, Helios e Bettany si misero insieme e H, per confermare il fatto che non le interessava per niente quello che facevano, quella sera entrò dalla finestra nella camera di Hogan Reed, il quarterback della squadra di football, e da lì si intrufolò nel suo letto.

*

“Ma stai fumando?!” La voce di Helios era stupita e i suoi occhi erano spalancati all’inverosimile.

“Shhh! Vuoi che mi becchi la strega?” chiese H, tirando dalla sigaretta e sbuffando il fumo contro i libri dello scaffale della biblioteca. Tutti e due i ragazzi si girarono verso la bibliotecaria e, dopo essersi accorti che non guardava dalla loro parte, il ragazzo si sedette vicino a lei e H spense la sigaretta sotto il tavolo.

“Perché stai fumando in biblioteca?”

“Guarda!” H lanciò sul tavolo, verso di lui, una busta marroncina della posta. Era gonfia, grossa e pesante. E dove di solito c’era il nome del mittente, era indicata una delle scuole più prestigiose degli stati uniti.

“Yale?” Helios era quasi impressionato. No. Lo era veramente molto. La busta conteneva ben più della sottilissima lettera in cui la scuola si dichiarava dispiaciuta di non ammetterti alla facoltà con le più svariate scuse. “Hai poi fatto domanda a Yale?” chiese, quindi, sorridendo. Era contento perché era stato lui a suggerirle il corso di giurisprudenza e quando, all’inizio dell’ultimo anno, avevano iniziato a mandare le domande per i vari college, lui le aveva indicato Yale come uno dei corsi più validi.

H in verità non avrebbe mai pensato di farlo davvero. Aveva compilato la domanda per Yale, aveva allegato tutto quello che volevano sapere e poi l’aveva lasciata lì sulla scrivania in camera sua per almeno una settimana. Poi sua madre l’aveva trovata e l’aveva spedita senza dirle niente. Ora però era agitata. Se sua madre non l’avesse spedita, lei non sarebbe andata a Yale di sicuro, ma non avrebbe potuto neanche essere rifiutata. Era così nervosa che, senza la sigaretta a tenergliele impegnate, le sue mani iniziarono a tremare.

“Dai, aprila.” H scosse la testa. “Fidati di me, aprila” disse ancora lui, posando una mano sulla sua. La ragazza annuì e ruppe il sigillo. Rovesciò la busta a testa in giù e una gran quantità di fogli si sparpagliarono a gran velocità sul tavolo della biblioteca. Alcuni volarono e, prendendo strade diverse, finirono sotto al tavolo.

“Calma, calma…” disse Helios sorridendo, cercando di arginare i danni, ma lei stava già leggendo.

“Siamo lieti di comunicarle… Oddio… Oddio! ODDIO! Mi hanno preso! Mi hanno preso!” H saltò su dalla sedia e gridò troppo per essere in una biblioteca, dove il silenzio e la tranquillità dovevano regnare sovrane. Helios però sorrise e rise con lei: era troppo contagiosa. H si sporse sulla sedia e lo abbracciò. Helios, forse per la prima volta, era imbarazzato dalla sua esuberanza.

“Ragazzi!” La strega, come chiamavano Mrs. Root la bibliotecaria, li stava guardando con disapprovazione e li aveva richiamati.

“Scusi, scusi…” ridacchiò H, mentre Helios l’aiutava a raccogliere i fogli sparsi per il locale.

“Vieni, usciamo” la richiamò lui.

“Arrivederci Mrs. Root!” gridò H mentre attraversava la porta della biblioteca; ridacchiava ancora isterica.

“Oddio, pensavo volesse fulminarci!” disse Helios, non riuscendo a trattenere una risatina, quando arrivarono fuori nel cortile e si appoggiò al muretto del parcheggio.

“Ma va… Quella è la regina di ghiaccio!” H non riusciva a stare ferma. L’idea di essere stata ammessa a Yale le rendeva impossibile calmarsi. Si accese un’altra sigaretta e, dopo due boccate, come se fossero state necessarie per ammettere che stava succedendo davvero, la passò al ragazzo senza dire niente.

“È merito tuo, lo sai, vero?” disse tutto d’un fiato.

“Mio?”

“Sì. Il giorno del disegno in aula di chimica… Quando è successo che… Uff! Quando abbiamo discusso e poi mi hai detto di venire al corso di dibattito, dai!” H sbuffò, un po’ imbarazzata. “Se non fossi venuta con voi, non avrei mai scoperto di essere in grado di fare quelle cose, le cose che fate voi, così… bene. Tu hai visto qualcosa che nessuno aveva mai visto. Neanche io…” ammise alla fine, mentre la sua voce si assottigliava.

Helios sorrise: era contento di averla aiutata. Ma non voleva che lei si buttasse giù. “Sarebbe il tuo modo per ringraziarmi? Dire quanto sei brava? Dovresti comprarmi un regalo, invece!” Il ragazzo fece una smorfia divertita per toglierla dall’imbarazzo e le diede una gomitata.

“Certo che sei bravissimo a rovinare tutto. Non so se voglio ringraziarti, adesso!” sbottò lei, strabuzzando gli occhi. Helios rise forte.

“Riesci sempre a rigirare tutto! Adesso è colpa mia se non mi ringrazi…”

“Certo. Me lo hai insegnato tu.”

“Io?”

“Sì. Ormai sono veramente brava anche in questo” disse, arricciando il naso.

“E modesta!” Helios rise ancora, prendendola in giro.

“Non ti dirò quello che penso di te in questo momento!” esclamò lei, un po’ infastidita e un po’ no.

“Allora ti dirò io quello che penso io di te!” La voce di Helios era un po’ roca, perché la sua doveva essere una battuta, ma non gli era venuta benissimo a causa del fatto che pensava veramente ciò che aveva detto: voleva dirle quello che pensava di lei. Tutto. Aspirò dalla sigaretta e poi la guardò: H sorrideva.

“No, passo”. H rise, mentre si sedeva vicino a lui.

“E cosa vuoi che ti dica, allora?” Helios si sentiva nervoso. Sperava che fosse il momento giusto. Eppure, da quando la conosceva, lei non aveva mai fatto un passo verso di lui, non in quel senso.

“Tu dove andrai l’anno prossimo?” gli chiese, mordendosi un labbro.

“Columbia.”

H fischiò. Un fischio lungo e forte, degno di uno dei muratori giù al pub del dopolavoro. “Giornalismo?” domandò solamente, quando ebbe finito. Helios annuì. “Cazzo. Complimenti!” Il ragazzo alzò le spalle e H sbuffò, facendo volare la frangia, pensando che lui volesse tirarsela. “E Bettany è contenta? Non siete molto lontani, no? Lei è a…” si fermò perché effettivamente non si ricordava in quale college fosse la ragazza di Helios. Lei, essendo un anno avanti a loro, era già al primo anno di università.

“Non sto più con Bettany” ammise lui. Fece l’ultimo tiro dalla sigaretta e la spense sotto la scarpa.

“No? Perché?”

Alzò di nuovo le spalle. “Lontananza, nuove esperienze, solite cose…” Quello che lui non disse era che Bettany aveva capito che i sentimenti romantici di Helios non erano solo per la sua ragazza. Lei lo aveva messo alle strette e quando gli aveva chiesto se fosse interessato a H, lui non era riuscito a mentire.

“Oh. Capisco. Deve essere dura effettivamente…” H non sapeva cosa dire. Ma non era la prima volta che capitava. Lui, però, non sembrava che stesse soffrendo particolarmente. “Mia madre me lo dice sempre: non partire per il college fidanzata”.

Helios alzò un sopracciglio. “Davvero?” H annuì.

“Quindi mollerai Blackwall prima di andare a Yale?”

Blackwall, il soprannome del capitano della squadra di football, era il suo ragazzo da due mesi. H non era neanche sicura che sarebbero stati insieme fino alla fine della scuola.

“Forse.”

“O forse lo lascerai prima?” H rise delle parole del ragazzo, perché sembrava che potesse leggerle nella mente.

“Forse.”

“Di cosa parlate quando siete insieme?”

“Come?”

“Fate conversazioni interessanti?” la stuzzicò. H arrossì. Lei e Blackwall non parlavano tanto e probabilmente lo sapevano tutti, visto che il giocatore non brillava certo per il suo cervello. Le loro conversazioni erano fatte solo di infortuni, di schemi e di football. E quando finivano, ricominciavano a parlare di infortuni. Effettivamente, spesso si chiedeva cosa ci facesse con lui. Probabilmente Helios e Bettany facevano discussioni interessanti e battibeccavano amichevolmente finendo a far l’amore per fare pace.

“Certo!” mentì. Helios lo capì ma non disse niente. Non le chiese se lei si divertisse con il suo ragazzo come quando chiacchierava con lui. Sospirò e basta. “E andiamo sempre d’accordo, non è mica come te che mi contraddici sempre!” esagerò lei. H alzò un sopracciglio.

“Ma va là, che ti piace discutere con me!” H non rispose e guardò da un’altra parte, senza confermare né sminuire. Helios si fece più vicino. Forse doveva essere lui a fare il primo passo. “Sai perché discutiamo sempre io e te?”

“Perché sei un pignolo rompiballe?”

“Perché l’idrogeno e l’elio insieme creano una fusione nucleare che…”

“…che genera un’energia potente” rispose H interrompendolo. Helios sorrise e i suoi occhi brillarono per quello che aveva detto. Lei se ne accorse e guardò di nuovo da un’altra parte, alzando le spalle. “Ho studiato”. Il ragazzo annuì. “Io brucio subito…”

 “Sì. Ed è fantastico”. Helios allungò una mano verso di lei per toccarle una guancia, ma poi non lo fece e rimase con la mano in aria prima di riportarla lungo il fianco.

“Lo avevi fatto sembrare molto meno fantastico, nell’aula di chimica” brontolò lei.

Lui sorrise e alzò le spalle. “Il tuo disegno era troppo bello, dovevo farlo per ribattere”.

“Hai ragione era proprio bello. Se avessi saputo che ti piaceva così tanto, ne avrei fatto una copia da farti appendere in camera.”

“Fallo. Lo appendo davvero.”

H rise e si alzò. Proprio mentre si stava alzando, Helios decise di giocare il tutto per tutto. Si alzò anche lui e le andò vicino mentre lei si chinava per raccogliere lo zaino.

In quel momento il suono di un clacson dal parcheggio della scuola, li fece voltare tutti e due: la Camaro decappottabile di Blackwall sgasava in mezzo al parcheggio. E fra un colpo di acceleratore e uno di clacson, il ragazzo gridò a H di darsi una mossa.

“Saluta Milord da parte mia” disse Helios con ironia, indicando la decappottabile del capitano, capendo che aveva perso il momento giusto.

Lei fece una smorfia. “Sei acido come una donna frigida”.

“Io sono freddo. Quella calda sei tu…” Alzò le spalle e il suono di un altro clacson riempì il cortile. “Adesso fischierà, per chiamarti?”

H, che era infastidita dalle parole di Helios soltanto perché anche lei stava odiando il comportamento dell’atleta, gli rispose: “Non siamo tutti intellettuali, Helios. C’è anche gente brava in altre cose”.

Helios si domandò in cosa mai avrebbe potuto essere bravo BlackWall, ma quando lei ammiccò voltandosi poi verso l’auto, si scoprì imbarazzato. Anche se era un’idiota, quel ragazzo aveva muscoli che facevano girare le ragazze e impaurire i ragazzi. Helios stesso aveva avuto paura di prenderle da lui una volta o due. Era quello che le ragazze chiamavano 'un gran figo'. Probabilmente fisicamente era un portento. 

Mise le mani in tasca e sospirò. Non voleva che lei se ne andasse così. Doveva assolutamente dirle qualcosa che potesse fare colpo. Non aveva muscoli e non era capace di sbancare il pungiball, ma forse anche lui era bravo in qualcosa. Poteva colpirla. Poteva sorprenderla e dirle qualcosa che BlackWall non avrebbe mai potuto dirle.

“Siamo fatti della stessa materia di cui sono fatte le stelle!” esclamò, poco dopo, alla schiena della ragazza.

H si girò, ancora camminando, e disse ridacchiando: “Se lo avessi detto anche alla tua ragazza, non ti avrebbe mollato!”

Helios non riuscì a replicare. Era molto difficile tenerle testa da quando aveva iniziato a pensare a lei in quel modo. Non capiva se lei lo facesse apposta o meno. Se lei lo stesse relegando nei meandri dell’amicizia o cos’altro. La guardò buttare lo zaino sul sedile posteriore della Camaro rossa e saltare davanti senza aprire lo sportello.

Forse erano davvero troppo diversi davvero. Forse…

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Capitolo 3
*** Il ballo di fine anno ***


 

Il ballo di fine anno

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“Il fatto che tu abbia noleggiato una Limousine, non vuol dire che puoi palpeggiarmi sul sedile posteriore, coglione!”

Helios girò gli occhi nella direzione della voce e vide H scendere dalla Limousine più lunga che avesse mai visto e sbattere la portiera con violenza.

La ragazza continuò a borbottare, incamminandosi con poca eleganza lungo il vialetto per raggiungere la palestra addobbata per il ballo della scuola, mentre l’auto bianca si allontanava lentamente. Helios, senza neanche accorgersene, le corse dietro e la chiamò.

Quando lei si voltò, lui rimase senza fiato: era bellissima. I suoi capelli erano acconciati sopra la testa, anche se il suo viso era circondato da molte ciocche ricce e la sua bocca, ancora piegata in una smorfia, era dello stesso colore del suo vestito: un rosso che infiammava le vene.

Lentamente, come l’anno prima, il suo sguardo scivolò, gustandosi la visione. Al collo H portava un pendente dalla forma strana: un puntino rosso circondato da otto punte d’argento di misure diverse. A Helios ricordò vagamente l’immagine di una stella vista in cielo. Una parte di lui sperò che l’avesse fatto apposta, per le sue parole di qualche settimana prima, ma un’altra parte, più razionale, gli diede dell’illuso.

Il vestito rosso, senza spalline, aveva un corpetto stretto in vita e il suo seno ne era a malapena contenuto. Gli strati della gonna, diversi di tonalità e tessuti, si alternavano in un gioco di sfumature che prendevano gli occhi e ti impedivano di lasciare quella visione.

“Sei… sei bellissima” riuscì a sussurrare, improvvisamente senza parole, tornando a guardarla in viso.

H si era girata quando aveva sentito qualcuno chiamare il suo nome e si era trovata davanti Helios. Alla ragazza si era bloccato il respiro: lui indossava una giacca scura, zebrata da così tante sfumature di rosso che sembrava cangiante a ogni suo passo, illuminato dalla luce dei lampioni del cortile e dalle decorazioni della palestra. I suoi pantaloni neri non lo facevano sembrare il manichino dei grandi magazzini (cosa che aveva pensato guardando l’abbigliamento del suo accompagnatore) ma un James Bond in incongnito. Era… sexy, più sexy dell’atleta che aveva appena scaricato. Scosse la testa scacciando quel pensiero.

La sua espressione le fece capire che doveva aver assistito alla scenetta di poco prima, quando Blackwall aveva esagerato con l’alcool e, palesemente ubriaco, ci aveva provato prima ancora di arrivare a scuola.

H si stava già innervosendo, pensando che Helios avrebbe detto qualcosa di offensivo nei confronti del ragazzo, e lei non avrebbe potuto rispondergli, ma poi Helios balbettò quella frase e la ragazza non capì più niente.

“Sei… bellissima.”

Lei non riuscì a dire nessuna parola, offensiva o meno. Sentì le guance calde e, forse per la prima volta, la sua presenza le fece uno strano effetto. Quando lui non continuò, H si riscosse.

“Grazie… Anche tu non sei male per niente” sussurrò. Poi sorrise e aspettò. Quando sorrise anche lui, guardandosi, lei si tranquillizzò.

“Siamo intonati…” Helios si avvicinò e allungò un braccio per accostare la manica della sua giacca contro il corpetto del suo vestito. Sull’orlo della scollatura c’era una fila di pailettes che, con il movimento del suo respiro, brillavano come piccole stelle.

Dall’entrata della palestra si alzò un urlo e un coro di saluti. Tutti e due si voltarono verso l’edificio: BlackWall stava facendo la sua spettacolare entrata… da solo.

L’espressione di H mentre guardava l’idiota entrare in palestra era straziante: lei avrebbe dovuto essere la protagonista della festa e invece era lì, da sola, senza il suo accompagnatore che si era già trovato compagnia, a giudicare da come era stato accolto.

Helios sentì lo stomaco torcersi mentre piegava il braccio e le chiedeva: “Se vuole farmi l’onore di accettare la mia presenza, Milady, sarei felice di scortarla al ballo”.

Il sorriso della ragazza valeva tutta quella fatica, pensò Helios mentre lei si girava verso di lui. “Davvero?” gli chiese e il ragazzo si stupì: perché non avrebbe dovuto essere vero? “Ma tu sei da solo?” In risposta lui alzò le spalle. Lei dovette convincersi, perché sentì la sua piccola mano calda posarsi sul suo braccio e tremare leggermente.

Helios aveva aspettato così tanto che lei lasciasse veramente Blackwall, che alla fine era andato al ballo da solo. “Allora entriamo: faremo un figurone” disse lei, guardandolo divertita e iniziando a camminare.

“Io lo farò di sicuro!” Il rossore che le dipinse le guance alle sue parole, era così strano su di lei che a Helios diede un brivido al basso ventre.

“Sicuro? Sei il ragazzo più intelligente della scuola, dovresti andare al ballo con qualcuno più…” Helios si fermò e la obbligò a voltarsi verso di lui: cosa stava farneticando? Pensava di essere meno… importante? Lei? Perché improvvisamente era così insicura? Hyacinth poteva spaccare il mondo. Da sola. E avrebbe vinto.

“Chi sei e cosa hai fatto alla mia Hyacinth?” Lei rise nervosamente e guardò per terra. Le prese il mento e lo sollevò con due dita fino a che i loro occhi si incrociarono.

H, in imbarazzo, decise che la miglior difesa era un’eccellente offesa e disse: “Non ti ho mai permesso di chiamarmi Hyacinth: io sono H”.

Helios rise perché la conosceva abbastanza da capire il suo comportamento. “Tu non mi chiami He come fanno tutti, io non ti chiamo H. Che poi trovo che Hyacinth sia un nome che si sposa così bene con te…”

“Le tue parole mi stordiscono sempre. Dovresti essere dichiarato illegale.”

“Sei tu che stordisci me…” sussurrò Helios, poi, consapevole che la cosa stava diventando molto intima, le chiese: “Andiamo dentro e spacchiamo il culo a tutti?”

Quando lei annuì, le passò un braccio intorno alla vita e si incamminarono verso l’entrata della palestra e quando entrarono nel locale la musica assordante non riusciva a coprire le risate e il divertimento dei ragazzi: il ballo stava andando bene.

H si guardò intorno e i suoi occhi si illuminarono, neanche la visione di BlackWall che ballava con una brunetta riuscì a toglierle il buonumore. “H!” gridò una ragazza bionda correndo verso di loro.

“Ciao, Christina” le rispose lei, calmissima. Helios le strinse il fianco appena appena, prima di lasciarla, ma H gli fermò la mano e la tenne stretta su di sé.

“Quell’idiota di BlackWall si è fatto beccare mentre versava una bottiglia di vodka nel punch e ora si sta strusciando in pista con Melody, la nuova sciacquetta delle ragazze pon pon…” iniziò a spiegare Christina, indicando il giocatore al centro della pista.

“Non fa niente” disse serenamente H. Christina si voltò verso di lei, improvvisamente interessata al suo comportamento. E notò qualcosa di diverso. Qualcosa che la fece sorridere.

“Ciao, Helios! Sei… diverso. Stai bene!” lo salutò, con uno sguardo strano.

“Ha gli occhiali nuovi” spiegò la ragazza accanto a Helios e Christina lo osservò meglio. “È vero!”

Il ragazzo si girò verso H, sorpreso da quello che aveva detto. “Lo avevi notato?” Ma la ragazza non gli rispose e si avventurò verso la pista, alzando le braccia per ballare, girandosi verso di lui e sorridendogli.

Christina continuò a guardare Helios con lo sguardo divertito. “Mi sono persa qualcosa?” gli chiese, ma le rispose con un alzata di spalle, perché fondamentalmente non lo sapeva neanche lui. Poi la ragazza si voltò verso il palco e fece un cenno a un gruppetto che stava sistemando i microfoni. “Sai cosa, Helios? Sto per farti un grosso favore: approfittane”.

“Come?” riuscì a chiedere il ragazzo, ma Christina era già scappata via.

Quando la vide salire sul palco, si voltò verso la pista per cercare H. Che situazione strana. Si incamminò per oltrepassare la massa di studenti che stavano ballando e raggiungerla, quando Christina iniziò a picchiettare le dita sul microfono, facendo un rumore assordante nella palestra.

“Ragazzi, ragazzi!” esordì, con entusiasmo, facendo fermare la musica con un gesto della mano. “Benvenuti al ballo scolastico di fine anno!” Un applauso e svariate grida seguirono il suo saluto. Mentre la ragazza si perdeva in inutili quanto necessari convenevoli nei confronti degli adulti della scuola, Helios si avvicinò a H, affiancandola.

Quando, dopo pochi minuti, scrosciò un applauso poco sentito nei confronti del preside, Christina diede l’annuncio che tutte le ragazze stavano aspettando: la vincitrice della corona come reginetta del ballo.

Quando il nome di H venne pronunciato dall’amica un altro applauso riempì l’aria della palestra ma fu molto più sincero. Anche Helios batté le mani, nonostante non fosse per niente sorpreso: anche lui aveva votato per lei. Ma lo fu subito dopo, quando Christina lo chiamò per accompagnare la reginetta sul palco.

Helios non riusciva a capire: era il Re della festa? Lui? E chi lo aveva votato? Salì sul palco trascinato da H che lo guardava sorridendo e rimase inebetito mentre lei gli posizionava la corona sulla testa.

“Non posso aver vinto! Non mi sono candidato…” sussurrò mentre lei gli era così vicino da sentire il suo profumo invadergli i sensi.

“Io ho votato per te lo stesso” disse lei, ammiccando. Helios rimase a bocca aperta. Cosa aveva fatto? Si voltò verso Christina e anche lei stava battendo le mani, guardandolo con uno sguardo sornione. Ma cosa stava succedendo?

“Ehi, ma quel tipo non può aver vinto! Non…” Le parole biascicate di BlackWall vennero interrotte dal coach, nonché professore di educazione fisica, che lo mise a tacere, mentre il gruppetto di dibattito protestò ad alta voce e i giocatori iniziarono a inveire contro di loro. In pochissimo, le parole vennero sostituite da schiaffi e pugni e quella che avrebbe potuto essere un’accesa discussione, si trasformò in una piccola rissa.

“Oddio, ma che sta succedendo?” chiese Helios a tutti e a nessuno in particolare.

“Cavolo, Chris, mi sa che stavolta l’hai fatta grossa!” H rise, per niente spaventata, sgridando allegramente l’amica.

“Mmm, dirò che ho letto male. Però, magari, voi sparite” disse la ragazza, sventolando una mano verso l’uscita d’emergenza.

Helios prese per mano H e la tirò giù dal palco dalle scale posteriori. “Andiamo via” disse, per un attimo consapevole della situazione.

“No, andiamo di qua” lo contraddì lei, tirandolo dalla parte opposta. Lasciando alla ragazza il comando, Helios si lasciò guidare verso la porta degli spogliatoi e poi ancora più avanti, verso la porta del vecchio ufficio che il coach Crox usava prima di iniziare a fare l’allenatore. Il ragazzo cercò di girare il pomello, ma la porta era chiusa a chiave. Cercò di non rimanerci male: sarebbero dovuti andare via, in quel modo.

H però si alzò sulle punte, visto che nonostante le scarpe con il tacco intonato al vestito non era ancora abbastanza alta, e allungò una mano sopra lo stipite della porta. Tastò velocemente e poco dopo una piccola chiave comparve fra le sue mani: lei la infilò nella toppa e fece scattare la serratura.

Quando entrarono nel piccolo ufficio Helios si guardò intorno sorpreso: due divani erano sistemati intorno a un tavolino e davanti a una tv, mentre un minifrigorifero era in un angolo, in attesa solo di essere aperto. Sull’altro lato della stanza, una scrivania da ufficio, con tanto di sedia con le ruote, era stata spinta contro il muro, probabilmente perché non serviva.

“Che posto è questo?”

“L’hanno sistemato i ragazzi della squadra quando Crox ha iniziato a usare l’altro ufficio” spiegò lei, togliendosi le scarpe. “Ci veniamo quando saltiamo le lezioni”.

“E perché avete tenuto la scrivania?”

“Per far parlare quelli come te”. La risata che ne seguì subito dopo, imbarazzò Helios come non mai, così tentò di mettersi le mani in tasca, dimenticandosi di non avere addosso i jeans e lui si sentì terribilmente a disagio.

Passò una decina di minuti e dalla palestra iniziò ad arrivare la musica, segno che la rissa era stata sedata o, perlomeno, che la festa aveva ripreso il suo corso.

“Torniamo di là?” chiese Helios, quando lei non disse più niente.

H si avvicinò a lui lentamente e, sempre lentamente, annuì. Quando alzò le braccia verso il suo viso, Helios trattenne il fiato, pensando che lei volesse toccarlo. Però le sue mani si posarono sulla sua testa e tentarono di sistemare la corona di plastica che si era spostata nella fuga.

Invece di rimanerci male, con un gesto velocissimo, lui le fermò le mani, afferrandole i polsi.

“Ma non ti faccio niente, subito a pensare che voglia metterti le mani addosso!” H rise mentre, davanti a lui, lo guardava con finto rimprovero.

Helios non aveva calcolato il gesto, fatto non per paura ma perché non poteva più aspettare che fosse lei a farlo, così chinò il viso su di lei e posò le labbra sulle sue, in un gesto così delicato che a malapena le sfiorò. Poi, come se ci avesse ripensato, tornò a baciarla e questa volta aprì la bocca e il suo bacio fu così disperato che lei indietreggiò.

“Helios…” sussurrò Hyacinth scrollando le mani e riportandolo alla realtà.

Helios fece un passo indietro, lasciandola libera, sconvolto dal fatto di essersi esposto ed essere stato rifiutato.

“Penso che non sia una buona idea…” disse ancora la ragazza, ma lui non la fece finire.

“Se pensi mentre ti bacio, non è una buona idea, no.”

Lei sorrise e a Helios sembrò di aver vinto il premio di consolazione a una gara di dibattito. Si tolse la corona e la lanciò su uno dei divani.

“Non sono bello, non gioco a football, non ho una decappottabile, non…” iniziò, voltandosi verso la porta, deciso ad andarsene.

“Che cosa stai dicendo?!” Hyacinth era sbalordita e stupita dalle sue parole.

“Sto dicendo che è più di un anno che provo a farti capire quello che provo per te e a te interessano solo quegli idioti che…”

Helios non potè finire la frase che lei si buttò verso di lui, gli prese il viso fra le mani e lo baciò, prendendogli le labbra fra le sue. Sorpreso, lui non si mosse e solo quando sentì la sua lingua accarezzargli la pelle, le posò le mani in vita e la strinse a sé.

Poi lei si staccò e disse: “Dicevo: non penso sia una buona idea lasciare la porta aperta mentre mi baci”. Helios si voltò verso la porta e vide che era socchiusa. Si diede dello stupido e sentì le guance arrossarsi per l’imbarazzo. Fece due passi e chiuse la porta.

“Sono un idiota.”

“Sì!” H rise e rise di quella risata per cui Helios aveva iniziato a sognarla di notte. “E comunque… Io non penso mai lucidamente quando tu sei nella stessa stanza con me” sussurrò ancora, facendolo appoggiare alla scrivania e avanzando fra le sue gambe. “E mi mandi sempre in confusione…” Gli slacciò la giacca e passò la mano sulla stoffa della camicia. “Deve essere quella cosa della combustione quando siamo troppo vicini…”

“Sì, perché noi creiamo le stelle” disse il ragazzo, passandole un braccio dietro la schiena e una mano dietro la nuca. Si avvicinò a lei sempre più affamato e la gustò come avrebbe fatto un assetato con il migliore dei vini. Le baciò la bocca, scese lungo il collo e, quando le sfiorò la clavicola con la lingua, lei gemette di piacere, mordendosi subito dopo il labbro inferiore.

“Aspetta, aspetta… Prima voglio mettere in chiaro una cosa…” disse lei, ma Helios non si fermò e continuò a baciarla scendendo ancora.

“Ti ascolto…” Ma la lingua questa volta rendeva davvero impossibile a H di parlare con cognizione di causa.

“Solo questa volta” sussurrò H, aggrappandosi a lui, ansimando.

“Come?” Helios interruppe veramente il suo approccio e la guardò: lei aveva gli occhi appannati, ma probabilmente pensava ancora troppo.

“Andrò al college da single” dichiarò.

“Vedremo” rispose il ragazzo, prendendola per mano e facendola stendere sul divano.

“Cosa vedremo?” chiese lei, sospirando.

“Ora ti farò vedere le stelle, il resto lo vedremo dopo” rispose, alzandole la gonna per accarezzarle le cosce.

“Io vedo già le stelle…” H gli tirò i risvolti della giacca e lo avvicinò a sé.

 

Si dice che la fortuna aiuti gli audaci… Mi spiace dirvelo, ma è vero. Purtroppo quella sera nessuno dei due ragazzi ammise con l’altro che fosse stata una magnifica nottata, che fosse la volta in cui fare l’amore aveva finalmente avuto un senso e che al pensiero di dividersi si sarebbero già mancati.

H, per orgoglio, non ammise mai di aver cambiato idea e Helios non volle mai insistere, consapevole che lei avesse già dichiarato la sua posizione.

Fu una notte bellissima, ma nessuno lo disse ad alta voce.

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***Buonasera a tutti!!! Che dite, vi piacciono H e Helios? Fatemelo sapere!!!

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Capitolo 4
*** Seattle ***


Seattle

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“Obiezione, Vostro Onore: l’avvocato ha espresso un’opinione, non un fatto”. Hyacinth neanche alzò la testa mentre rivedeva gli appunti.

Quando lo fece fu solo per sentire il giudice dire: “Accolta”, e compiacersi della cosa.

I due avvocati pronunciarono le arringhe finali e la giuria si ritirò. Quando tornò in aula, un’ora dopo, il verdetto fu a favore dell’imputata, che venne dichiarata innocente.

Hyacinth sorrise soddisfatta e i quaranta minuti successivi furono dedicati a grandi gesti di stupore e abbracci calorosi da parte dell’imputata, dei suoi parenti e dei suoi sostenitori.

Hyacinth ricambiò tutti gli abbracci e sorrise professionalmente a tutti. Era contenta di aver difeso la ragazza, era pienamente convinta della sua innocenza ma… Ma la sua professione non le dava più le stesse soddisfazioni di prima. La guardò mentre il suo fidanzato l’abbracciava e si costrinse a togliere lo sguardo quando si baciarono.

Erano quasi otto anni che faceva l’avvocato. Il tirocinio, il passaggio in società, diventare socia… Una carriera stravolgente. Ma quanto riguardava la sfera affettiva, Hyacinth era ferma al liceo. O meglio, alla sera del ballo dell’ultimo anno. Perché non solo aveva fatto l’amore con Helios e, secondo H, era stata la volta migliore di tutte, anche di quelle che erano venute dopo, ma avevano passato la notte a scherzare e a ridere, abbracciati nel vecchio ufficio di Mr. Crox ed era stata la più bella notte della sua vita. Erano usciti per vedere il sole sorgere e lui aveva intrecciato le dita con le sue e le aveva baciato i polpastrelli. Per Hyacinth era stato il gesto più intimo del mondo.

L’alba era per gli amanti e i fornai. Chi lo aveva detto? H sospirò.

Era ferma a Helios. Nessuno di quelli che aveva conosciuto dopo erano stati alla sua altezza. Nessuno era riuscito a entrarle nel cuore, a farla ridere e a darle quello stordimento che la faceva volare come una tenda in una stanza ventilata.

Con nessuno aveva discusso come con lui. Nessuno le aveva fatto vedere le stelle. Con nessun altro era entrata in combustione. E per quanto se ne dicesse, la combustione ti faceva sentire viva. Ti faceva battere il cuore e tremare la voce, quando, poco prima dell’estasi, il suo nome diventa l’unica parola importante. O quando il tuo nome sulle sue labbra diventa così bello che pensi che non ce ne sia uno migliore che ti avrebbero potuto dare.

H sapeva che Helios era rimasto a New York e lei non lo aveva più cercato pensando che si fosse fatto una vita soddisfacente e felice. Aveva letto qualche notizia sulla sua carriera di giornalista e sapeva che se la stava cavando molto bene. Lo immaginava con una moglie bionda come Bettany, con a fianco due bambini di altezze diverse ma vestiti allo stesso modo.

Dopo aver risposto a qualche domanda dei giornalisti, essersi assicurata che nessuno fosse lui (una cosa che non era ancora riuscita ad abbandonare: il desiderio di vederlo, che lui la cercasse) e aver sistemato gli altri dettagli, Hyacinth si avventurò a passo svelto verso l’uscita. Era un venerdì pomeriggio, ma per lei avrebbe potuto essere anche un lunedì, che non avrebbe fatto differenza.

“Hyacinth!”

Hyacinth sentì un brivido scuoterle la schiena e si fermò al suono di quella voce. Non voleva credere. Non voleva illudersi. Non voleva girarsi e scoprire di essersi sbagliata. Non voleva…

“Hyacinth!”

Questa volta la voce era più vicina e lei si voltò.

“Hyacinth…” La voce dell’uomo che si stava avvicinando si affievolì, mentre il suo sorriso diventava sempre più grande.

“Helios!” Hyacinth non riuscì a contenere la contentezza e si avviò velocemente verso di lui. Quando gli arrivò di fronte, si accorse che era più alto e dovette tirare indietro la testa per guardarlo.

“Non ti ricordavo così alto!”

“Ti sarai abbassata tu!” le rispose Helios, avvicinandosi e facendo il gesto di abbracciarla. Hyacinth non si fece pregare e gli portò tutte e due le braccia dietro la schiena, anche quella che reggeva la valigetta con gli appunti del processo, e lo strinse, calorosa.

L’abbraccio di lui era forte, caldo, morbido e sapeva di casa. Chiuse gli occhi giusto l’attimo di gustarsi quel momento perfetto e poi tornarono tutti e due a guardarsi.

“Che ci fai qui a Seattle? Pensavo fossi a New York!” Helios sorrise alle sue parole; lo stesso sorriso che Hyacinth immaginava quando chiudeva gli occhi giusto un attimo prima di addormentarsi. Quel sorriso che l’accompagnava nell’ambito di altri sogni e altre notti.

“Sono tornato a casa la settimana scorsa… A Hownville” iniziò lui. Hyacinth annuì. I suoi genitori si erano separati e, tutti e due, si erano trasferiti in altre città. Lei non era più tornata nella cittadina dove era cresciuta, a Hownville. “Ho visto Christina e lei mi ha detto che adesso vivevi qui…” continuò, guardandosi intorno nella hall del tribunale.

“Christina?” chiese Hyacinth. Sentiva la sua amica due volte a settimana; lei aveva sposato un dentista, un ragazzo che aveva conosciuto al college, ed era tornata nella vecchia città quando aveva scoperto di aspettare tre gemelli. Era sicura che avere vicino sua madre le sarebbe stato d’aiuto. Hyacinth non riusciva ad andarla a trovare tanto quanto le prometteva, ma loro si sentivano tutte le volte che potevano e la ragazza si dichiarava felice della sua vita. Viveva in una villa di ultima generazione, con i suoi tre vivacissimi bambini, un cane e due gatti, senza contare quel marito di cui si vantava tutte le volte che poteva e che, a distanza di sei anni da quando lo aveva conosciuto, guardava ancora con amore. E Hyacinth sapeva che lei era veramente felice così.

“Sì, Christina. Mi ha anche minacciato, dicendo che se non fossi venuto a cercarti me l’avrebbe fatta pagare…” Lei rise: Christina poteva averlo fatto davvero.

“Così sei venuto qui sotto minaccia?” chiese, scherzando.

“Già. Per nessun altro motivo” rispose lui, sornione. “Le dirai che l’ho fatto? Così non me la farà pagare?”

“No, no. Non puoi cavartela così: dovrai anche offrirmi da bere. Se non sbaglio mi devi ancora un drink da quella sera al locale di Joe.”

Quando rise anche lui, Hyacinth si accorse di essere ancora più rilassata. E contenta.

“Allora andiamo! Conosci un posto dove possa pagare il mio debito?”

La ragazza annuì e indicò la porta del tribunale. Helios le fece un cenno e insieme si incamminarono verso l’esterno, chiacchierando di cose vecchie.

Quando arrivarono davanti alla porta lui gliela tenne aperta e la lasciò passare. Hyacinth quasi si commosse a quel gesto spontaneo e così ‘da Helios’.

“Quindi? Da che parte andiamo?” chiese lui, una volta fuori sul marciapiede, guardandosi intorno. Hyacinth lo osservò attentamente visto che si trovavano all’aperto e notò, ancora, quanto fosse bello. Più bello che al liceo. Più bello di quanto ricordasse nei suoi pensieri. Più bello di quando sul divano del prof l’aveva guardata come se fosse la cosa più preziosa del mondo.

“Di qua.”

H indicò la strada quasi meccanicamente e insieme attraversarono la via, giungendo sull’altro marciapiede.

Il sole stava tramontando e gettava gocce di luce sulla figura della ragazza. Helios non riusciva a togliere lo sguardo da lei. Da quando l’aveva vista, nel corridoio del tribunale, il cuore aveva iniziato a battergli così forte nel petto che aveva paura che tutti potessero sentirlo. Il suo viso era diventato più sottile e delicato, ma i suoi occhi brillavano ancora come quando era al liceo e riusciva a battere il suo interlocutore in un dibattito. Il suo corpo danzava dolcemente, cullato dal suono di una musica che sentiva solo Helios, circondato di stoffa pregiata che le accarezzava le curve che il ragazzo conosceva fin troppo bene nella sua memoria.

Quando fece dondolare la valigetta, lui vide perfettamente la Hyacinth che lo prendeva in giro all’ultimo anno, quando aveva fatto lo stesso movimento con lo zaino e gli aveva detto che non erano tutti intellettuali, vantandosi del sesso che faceva con BlackWall. Il ragazzo si chiese se per lei la sera del ballo fosse stata una volta come tante o se, come per lui, era stata una notte meravigliosa da ricordarsi per sempre.

L’aveva cercata in ogni angolo del mondo. Aveva trovato così tanti spunti di lei in ogni persona che aveva incontrato, che non riusciva a credere che lei potesse veramente essere all’altezza dei suoi ricordi. E invece lei era lì, davanti a lui, a ricordargli quello che era e quello che lui si era perso.

Davanti al locale Hyacinth sorrise e glielo indicò con un gesto del capo. Helios si fece avanti per aprire la porta, ma lei fu più veloce e la tirò verso di sé, invitandolo a entrare.

Il ragazzo rimase basito quando scrutò all’interno della stanza: i tavolini, il pergolato, i lampadari, i divanetti: tutto in quel posto ricordava il pub di Joe, il locale che tutti i liceali a Hownville frequentavano con documenti falsi per farsi versare birre e alcolici.

Quando Helios si voltò con gli occhi sbarrati verso Hyacinth lei rise un po’ stupidamente e un po’ sollevata dal fatto che lui si fosse ricordato.

“Quando ho nostalgia di casa vengo qui a scrivere le arringhe” confessò. Helios le sorrise comprensivo e le posò una mano dietro la schiena per accompagnarla verso uno dei tavoli.

Lei si sedette e, ancora contenta di quella piccola cosa che li univa, alzò la mano per chiamare il cameriere. “E dimmi… hai spesso nostalgia di casa?” le chiese il ragazzo, osservando il tavolino e le sedie di legno. Lungo la parete c’erano divanetti e tavoli più grandi e parecchi ragazzi, vista l’ora, stavano chiacchierando a tavolate, gustandosi l’aperitivo. Sembravano studenti. Del college, probabilmente, perché di Joe che chiudeva un occhio sugli alcolici, ce n’erano pochi a Seattle.

Quando una ragazza bionda rise accarezzando la testa del giovane seduto vicino a lui, si voltò verso Hyacinth, la ragazza di cui sognava le carezze tutte le notti: lei aveva abbassato lo sguardo e stava ancora sistemando la valigetta su una delle sedie libere.

“Sì, Helios. Ho spesso nostalgia di Hownville…” disse, ma non alzò lo sguardo su di lui.

Helios capì che le costava ammetterlo e le coprì la mano con la sua. “Anche a me manca. Ho tanti… bei ricordi” mormorò, ma la voce si bloccò in gola. Non riusciva a dirglielo.

Dopo dieci minuti di frasi corte e mozzate, su com’era la vita a New York e come si vivesse a Seattle, Hyacinth non resistette più e, dopo essersi agitata più volte sulla sedia, gli chiese a bruciapelo: “Perché sei qui, Helios?”

Il ragazzo, colto alla sprovvista, aprì la bocca per rispondere una bugia, quando la cameriera posò un vassoio con le loro ordinazioni sul loro tavolo. I dieci minuti in cui Hyacinth chiacchierò vivacemente con la ragazza, Helios pensò a tutte le scuse a cui aveva pensato durante il viaggio, ma nessuna gli sembrò abbastanza credibile, o vera, per poter essere raccontata. Guardò quasi con fastidio la schiena della cameriera che si allontanava verso altri clienti e poi tornò a posare lo sguardo sulla sua compagna di tavolo: lei meritava la verità.

“Com’è la tua vita quando non ti manca casa tua, Hyacinth?” le chiese a bruciapelo, dopo poco. La ragazza spalancò gli occhi e non rispose, ma abbassò di nuovo lo sguardo sulle mani che, tremanti, abbracciarono il bicchiere pieno di birra.

“È perfetta, Helios. La mia vita è perfetta. Ho una carriera che mi dà grandi soddisfazioni, guadagno più di quello che mi serve, ho un attico a DownTown, guido una delle macchine più belle degli ultimi anni e ora ho anche incontrato la persona…”

Helios non voleva più ascoltare: non poteva dirle che invece la sua vita non aveva il senso che avrebbe dovuto avere perché lei non era al suo fianco, non voleva distruggere la sua vita perfetta.

“Sto scrivendo un libro, Hyacinth” sbottò, interrompendola. Aveva cambiato idea, non voleva più raccontarle la verità. “Sto scrivendo un libro e volevo la tua collaborazione. Vorrei che ogni capitolo avesse uno dei tuoi disegni. Dovresti…”

“Io non disegno più” mormorò la ragazza, sospirando subito dopo e bevendo un lungo sorso di birra. Cosa? Hyacinth non disegnava più? E perché?

“Cosa vuol dire che non disegni più? Sei sempre stata bravissima! E poi, adoravi disegnare e ti veniva così bene…” La voce di Helios si spense lentamente. Hyacinth non poteva rendersene conto, ma a lui, il fatto che lei non disegnasse più, che avesse smesso di riempire di linee perfette gli occhi del mondo, gli spezzava il cuore molto di più che sapere che aveva incontrato l’anima gemella. Era una tragedia. Lui aveva conservato tutti i disegni della ragazza su cui era riuscito a mettere le mani: tovaglioli stropicciati, foglietti di quaderni, menù di locali, locandine, brochure, per non parlare dei fogli di appunti dei dibattiti a cui avevano partecipato insieme. Aveva ancora la copia della caricatura che lei aveva disegnato sulla lavagna nell’aula di chimica e che ridendo gli aveva regalato un piovoso pomeriggio. Era un foglietto piegato, segnato dalle mille volte che lui lo aveva aperto e richiuso. Non solo era consumato sugli angoli, ma tutto il bordo plissettato, le pieghe più calcate e il colore della carta ingiallito e macchiato, lo rendeva un vero cimelio, un tesoro inestimabile per Helios, che lo teneva nel portafoglio con lo stesso amore con cui suo padre conservava la foto di famiglia quando era adolescente.

“Io… Non mi diverte pù disegnare. E se non mi diverto, non ci riesco.”

Quello che Hyacinth non riusciva a dire era che lei non riusciva neanche più a tracciare un cerchio con un bicchiere perché, ogni volta che finiva un disegno, il suo primo pensiero era quello di mostrarglielo, di farlo vedere a Helios, che la incoraggiava sempre criticandola con la sua solita ironia. Senza di lui che guardava i suoi disegni e fingeva di essere un critico giudicando tutto guardando il foglio con un finto monocolo, per poi infilarselo in tasca, non era più bello e le sembrava che non avesse più senso. Perché fare qualcosa se non poteva riderne con lui?

Quando lui non disse più niente. Hyacinth pensò che fosse deluso dal fatto di aver attraversato il paese per niente e, non riuscendo a sostenere la sua delusione, si alzò per andarsene.

“Mi dispiace, non posso aiutarti. Sei venuto per niente” disse, prima di riprendere la valigetta.

Helios la guardò girarsi e incamminarsi verso l’uscita. Colto dal panico, non sapendo bene come comportarsi, disse l’unica cosa che gli passò per il cervello in quel momento. “Siamo della stessa materia di cui sono fatte le stelle!” La sua voce, forse un po’ troppo alta e agitata, era spaventata dal fatto che potesse essere l’ultima volta in cui lui si lasciava scappare quella ragazza. Per un momento non gli importò più che lei potesse essere sposata, impegnata, o anche solamente innamorata di qualcun altro. Aveva bisogno che lei sapesse e, probabilmente, per poter andare avanti, che lei lo rifiutasse per bene una volta per tutte.

Hyacinth si bloccò al suono di quelle parole, come se lui avesse espresso un incantesimo e lei non potesse più muoversi. Il suo cuore palpitò e il respiro le si bloccò in gola: aveva usato le stesse parole dell’ultimo anno del liceo. Le parole che riguardavano solo loro. Solo loro e nessun altro.

“Helios…” disse la ragazza, girandosi verso il tavolo. Helios intravide le sue lacrime non ancora scese e si alzò per raggiungerla.

“Ti ho cercato dappertutto” sussurrò, con il cuore in gola. “Non ti ho trovato da nessuna parte: in nessun luogo, in nessuna donna, in nessun dannatissimo schizzo su cui ho messo gli occhi. E la cosa peggiore è che qualunque cosa mi ricorda te: ti vedo ovunque, ma tu non ci sei mai…”

“Hai cercato nei posti sbagliati: io sono sempre stata qui…” Hyacinth sorrise dolcemente, allargando le braccia e Helios scoppiò nervosamente a ridere.

“Immaginavo che fosse colpa mia!” Si passò una mano fra i capelli mentre la guardava e poi si rifece serio. “E ora è troppo tardi…”

“Per cosa?” chiese, allarmata, lei.

“Per noi. Hai detto di aver incontrato qualcuno che…” La voce di Helios, venne interrotta subito da una più acuta: “Dicevo che avevo incontrato te! Ma possibile che non capisci mai niente? Ero contenta di averti visto! Ma poi volevi solo i miei disegni e io, che pensavo fossi venuto per me, ho pensato che…”

Helios non la fece finire e, fatti due passi, le prese il volto fra le mani e la baciò. Mise in quel bacio tutta la frustrazione accumulata in quei dodici anni in cui non si erano visti, tutto il rammarico per quello che avrebbe dovuto essere, tutta la sofferenza per non aver creduto abbastanza in se stesso quando le aveva permesso di scordarsi di loro, ma soprattutto, mise in quel bacio tutto il calore e la passione di cui era pieno e lasciò che le sue labbra parlassero per lui.

Hyacinth rimase immobile, perché non si aspettava da Helios una mossa del genere, anche se, effettivamente, lui aveva fatto la stessa cosa la sera del ballo e lei avrebbe dovuto capire molto prima che non era come gli altri ragazzi. Lasciò che lui la invadesse, gli permise l’accesso alla sua mente e, anche se era già successo, lasciò che le riempisse il cuore. Un’emozione forte, travolgente e potentissima le prese la parte del petto che sbatteva rumorosa nel suo cervello e, lasciando cadere la valigetta, gli appoggiò le mani sul petto. Si sentiva timida, come se non lo avesse mai fatto, come se da quel gesto dipendesse tutta la felicità della sua vita, l’unico modo per essere completa.

“Quindi, la storia del libro?”

“Oh, lascia stare, Hyacinth… Non sapevo più cosa dire.”

“Potevi dire che volevi stare con me. Io… Non lo sapevo…” La voce della ragazza si fece, nonostante tutto, insicura e fragile.

“Tu non hai capito: non è che io voglia stare con te… Io non posso vivere senza di te!”

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***so che vi ho fatto aspettare tanto... scusate... ma ci sarà anche un piccolo epilogo... intanto grazie per aver letto fino a qui! :-)

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Capitolo 5
*** Epilogo ***


07.Epilogo

Epilogo

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Hownville

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Helios osservava lo sfrigolio del grasso degli hamburger che si scioglieva sul barbeque, perso nei suoi pensieri.

“Sembra che ieri sia andata bene, eh?” Si voltò verso Drew, il marito di Christina.

“Sì. Una rimpatriata strana, se vogliamo, ma una bella rimpatriata” ammise, bevendo un sorso e voltandosi verso il giardino: sua moglie stava aiutando Christina ad apparecchiare la tavola, mentre i bambini correvano per il prato spruzzandosi con i fucili ad acqua.

Hyacinth era strana ultimamente e lui stava andando in paranoia. Aveva il terrore che volesse lasciarlo, per qualsiasi motivo. Quante volte capitava? Come la chiamavano? Crisi del settimo anno? Loro erano sposati solo da cinque, ma effettivamente facevano le cose molto più velocemente delle altre persone, doveva essere per via della combustione. Oddio, ma cosa stava pensando? Helios prese un lungo sorso di birra e scosse la testa.

“Tutto bene?” La voce di Drew lo riportò alla realtà. “Chris dice che fra poco uscirà il tuo libro, sei in ansia per questo?”

“Come?” La risatina nervosa che gli uscì dalla bocca non avrebbe ingannato nessuno. “No, no, il libro non mi preoccupa. I primi due sono andati molto bene e i disegni di Hyacinth sono andati a ruba, dopo. No, non è questo…”

Drew girò con mano esperta, e un attrezzo vagamente professionale, pensò Helios, gli hamburger sulla piastra e il profumo della carne si sparse nell’aria. “E allora cosa c’è?”

Helios sospirò e guardò dentro la bottiglia inconsapevolmente. “Ti capita mai di pensare che tutto sia perfetto?” gli chiese, alzando lo sguardo su di lui.

“Perfetto? Ho tre figli di sette anni che la settimana scorsa hanno rischiato di dar fuoco alla casa, hanno allevato rane in cantina e distrutto con le biciclette il portone del garage. Quella prima, invece, hanno scavato una trincea nel giardino della scuola e hanno dichiarato guerra a una classe di due anni più avanti. Il preside è stato comprensivo, ma mia moglie rideva come una matta quando siamo usciti dal suo ufficio. Casa nostra è perennemente un caos di vestiti, giochi, pastelli a cera e…” Helios, annuì e tentò di fermarlo, perché aveva capito. No, lui non aveva problemi con quelle cose. Sua figlia Star, di quattro ann,i era molto vivace, ma niente in confronto a Nathan, Lewis e Blake quando ne combinavano qualcuna insieme.

“Ho capito” disse solamente.

“No, non hai capito” rispose Drew. Si girò verso Christina e alzò la mano quando la moglie gli lanciò un bacio dalla piscina, dove i bambini sguazzavano fra schiamazzi, tuffi e grida. Helios si voltò verso di lui, aggrottando le sopracciglia. Cos’è che non aveva capito? “Tutto questo è perfetto. Cioè, è perfetto per me. Io penso che sia perfetto, sì. Non lo cambierei con nulla al mondo. Non vorrei mai svegliarmi in una casa fredda, pulita e in ordine. Un posto dove i miei figli non vengano a svegliarmi alle sei del mattino anche di domenica e dove io non torni a casa la sera stanco morto e costretto a giocare con arco e frecce, a far finire compiti, a preparare la cena o a tentar di tenere tre anguille scivolose nell’acqua della vasca. Sì, è perfetto. So che un giorno, quando loro saranno grandi e io non inciamperò più nei pezzettini di Lego, mi mancherà tantissimo. Anche se adesso, invece di addormentarmi, la sera svengo”.

Drew era un broker dell’alta finanza, era alto poco meno di due metri e possedeva delle spalle da giocatore di football. Eppure due anni prima, Helios, lo aveva visto piangere quando Blake si era rotto una gamba cadendo dall’albero del parco cittadino ed era stato portato via dall’ambulanza. Annuì.

“Cosa ti preoccupa veramente?”

Helios sospirò, scosse le spalle e prese un altro sorso di birra; con la coda dell’occhio guardò verso Hyacinth e Starr e le guardò rincorrersi.

“Non lo so. Mi sembra che stia filando tutto troppo bene. Come se fosse tutto perfetto. Troppo Perfetto” ammise.

“Preferiresti che tua moglie ti tradisse con il maestro di Judo?”

“Ma no! Che stronzata! È solo che…”

“È solo che ti fai troppe seghe mentali, amico. Hai la moglie che volevi, una figlia stupenda, un lavoro che ti piace, una bella casa, che ti manca?”

“A me niente. Ma… se mancasse a loro, qualcosa?”

“E cosa?”

Helios scosse le spalle. Il suo lavoro di giornalista lo impegnava quotidianamente e scriveva libri sui viaggi che aveva fatto. Sua figlia aveva un’intelligenza fuori dal comune, Hyacinth sosteneva che avesse preso da lei, sua moglie era uno degli avvocati più pagati della contea e loro, insieme, gestivano una rubrica di un giornale online dove Helios scriveva i testi e lei tratteggiava meraviglie.

Helios era così contento di essere riuscito a far disegnare ancora Hyacinth, secondo lui il mondo intero non doveva privarsi della fantasia e della matita della moglie, anche se lei sosteneva che i disegni che le davano più soddisfazione erano quelli che faceva in casa per la famiglia quando, la sera, lei e la piccola Star si sedevano vicino sul tavolo della cucina e i loro fogli si riempivano di colori e risate.

Ma, nell’ultima settimana, lei aveva iniziato a essere nervosa. All’inizio Helios aveva pensato che fosse per via della rimpatriata con i compagni del liceo, un po’ di agitazione ci sarebbe potuta stare. Avevano dovuto organizzare il viaggio per tornare a Hownville ed era stato un casino incastrare gli impegni di tutti e due, ma c’erano riusciti. Ora quella riunione era passata e lui pensava che lei sarebbe tornata quella di prima e invece…

Era possibile che la rimpatriata avesse cambiato qualcosa fra di loro? E se avesse visto qualcuno? Qualcuno dei suoi ex? Il viso di un Blackwall che si faceva chiamare George gli si affacciò nei pensieri. Helios si rendeva conto di essere veramente paranoico, ma conosceva Hyacinth molto bene e capiva che gli stava nascondendo qualcosa.

Si girò verso di lei e vide che stava parlottando con Christina: le donne ridevano e poi, insieme, si voltarono verso di lui. Helios si sentì premere il petto: era un segno? Sua moglie gli sorrise e poi l’amica la trascinò verso il tavolo apparecchiato prendendola per un braccio. No. Non poteva essere.

“Papà! Ti ho chiamato tre volte!”

Helios abbassò lo sguardo quando si sentì tirare la maglia: il piccolo viso di Star, corrucciato e infastidito per non essere stata ascoltata subito, pregio che aveva ereditato dalla mamma, gli implorava attenzione.

Lui si abbassò. “Scusami, piccola, non ti avevo sentito. Cosa c’è?”

“La mamma dice che devo darti questo. Diceva anche che non potevo guardarlo. Io non l’ho fatto. Cioè, l’ho aperto poco poco, non l’ho visto, davvero. E poi non ricordo bene cosa ho visto… Però sei tu, papà!”

Incuriosito e vagamente confuso Helios prese il foglietto piegato che la sua bambina gli stava porgendo. Insieme, perché la bambina, degna figlia di Hyacinth, non aveva nessuna intenzione di perdersi la cosa, sbirciarono il contenuto.

Mentre apriva il biglietto, il cuore di Helios batteva furiosamente. Sua moglie aveva deciso di dirgli qualcosa? Quella cosa che lui aveva l’impressione che gli stesse nascondendo? Di sicuro non voleva dirgli che scappava con Blackwall mentre lui aveva accanto Star! Anche se a volte Hyacinth era un po’ strana

Il foglietto si aprì e una caricatura di Helios apparve ai loro occhi. “Papà, sei tu?” Star era abituata ai disegni di Hyacinth, ma era confusa lo stesso.

Il sorriso di Helios crebbe sul suo viso come se fosse stato coltivato: lentamente e sempre più rigoglioso.

“Sì, sono io”. Helios alzò lo sguardo verso il tavolo da pranzo dove Hyacinth aspettava, in piedi, stringendosi le mani nervosamente, in attesa della sua reazione.

Helios passò il foglietto alla bambina mentre si alzava per raggiungere la moglie.

Star aggrottò la fronte mentre osservava il disegno: il suo papà, lo riconosceva dal tratto della madre e dagli occhiali, era in piedi, con una camicia da notte con le stelline e i cuoricini e una grossa pancia. Molto grossa, come se avesse mangiato un cocomero tutto interno. Ai piedi aveva delle ciabatte come quelle della nonna, rosa peluches, e le sue gambe un po’ piegate ricordavano molto la posizione delle ballerine.

Aveva una delle mani, quella con cui si scrive, forse la destra, dietro alla schiena e un fumetto diceva qualcosa, ma lei non sapeva cosa. Corse dai suoi genitori, che si stavano abbracciando e chiese: “Mamma, che c’è scritto, qui?”

Helios sorrise e, continuando a guardare la moglie, disse: “C’è scritto: ‘È possibile che debba fare tutto io? Non potevi pensarci tu anche stavolta?’. Lo avrei detto davvero, forse”. Ammiccò verso Hyacinth e lei gli restituì il sorriso.

“Ma che vuol dire?”

“Guarda cosa c’è disegnato sulla pancia del papà.”

La bimba seguì il suggerimento della mamma e guardò il disegno mentre tutti gli altri li circondavano. Helios notò che Christina sorrideva tenera e Drew stappava altre due birre, alzandole per un brindisi. I gemelli avevano circondato Star per vedere anche loro il disegno.

“C’è disegnato un fiocco” rispose la bambina, ancora confusa.

“Esatto. Vuol dire che presto avrai un fratellino, Star” disse Helios mentre abbracciava Hyacinth e la stringeva fra le braccia.

I bambini ridacchiarono e ripreso a rincorrersi, lasciando il foglietto sul tavolo, vicino ai piatti.

“Potrebbe essere anche un’altra bambina. La prima è venuta così bene, ha preso tutto da me!”

“Era questo, quello che mi nascondevi?” le chiese Helios, dopo un po’.

Hyacinth, con le lacrime agli occhi, annuì. “Ho fatto il test dieci giorni fa. Volevo dirtelo dopo la riunione, ma non riuscivo a stare zitta. Ti ho evitato perché avevo paura di non resistere più”.

E lui che aveva pensato che sua moglie volesse lasciarlo! “Mi hai fatto dannare, ho immaginato di tutto…”

Lei rise e Helios si innamorò di nuovo di lei. “Bene! Così non mi darai mai per scontata!” Lui, per risposta, la strinse un po’ di più e si chinò a baciarla.

“Ragazzi, su che ci sono anche altri bambini qui…” Christina rise, mentre li richiamava all’ordine. “Dai che festeggiamo! Io so anche come si chiamerà!”

“Ma se non sappiamo neanche il sesso!”

“È lo stesso, da Idrogeno e Elio possono venire solo stelle” rimarcò Christina.

“Abbiamo già Star” disse Hyacinth, arricciando la fronte.

“Infatti: vi manca Sun.”

Nessuno ebbe il coraggio di contraddire Christina e subito dopo, insieme agli schiamazzi dei bambini e alle risate degli adulti, si sentì il tintinnio dei bicchieri del brindisi e il rumore di sottofondo della felicità.

Fine

***Eccoci alla fine! SCusate, scusate il ritardo, ma questo epilogo non voleva proprio scriversi ( e come potete vedere, non è un granché 😅) ma vi assicuro che stanno tutti benissimo e Sun è nato dopo esattamente 8 mesi.

Grazie di aver seguito questa storia partita un po' così e grazie per essere arrivati fin qui a leggere. Grazie davvero.


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