H & He di ONLYKORINE (/viewuser.php?uid=1040879)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'inizio di tutto ***
Capitolo 2: *** Gare vinte e occasioni mancate ***
Capitolo 3: *** Il ballo di fine anno ***
Capitolo 4: *** Seattle ***
Capitolo 5: *** Epilogo ***
Capitolo 1 *** L'inizio di tutto ***
L’inizio
di tutto
-
-
La
prima volta che Hyacinth e
Helios si incontrarono fu il caos. Avevano entrambi sette mesi e
stavano
giocando sul tappeto del centro ricreativo per bambini della
città.
Fu
allora che la piccola e
paffuta mano di Hyacinth si abbatté, forte e rumorosa della
risata della
bambina, sul naso di Helios facendolo scoppiare in un pianto fragoroso
e
insistente, con tanto di singhiozzi e lacrime copiose. Quando il
tappeto si macchiò
di sangue, anche lei si spaventò e scoppiò a
piangere così forte che rigurgitò
il latte.
Le
due madri vennero a recuperare
i propri pargoli e la cameriera del circolo pulì il tappeto
con una spugna imbevuta
di candeggina che rovinò completamente le lettere finali
della marca di
prodotti per bambini ‘Biggest Bangs’ disegnata sul
tessuto.
I
bambini a venire giocarono su
una sbiadita imitazione di un tappetino di prima qualità e,
dopo il fallimento
della ditta, tutti avrebbero pensato a quella ditta ricordandola come
‘Big Bang’.
*
All’asilo,
Miss Liber aveva
diviso i bambini in coppie per far creare loro le decorazioni per lo
spettacolo
di fine anno, e avrebbe potuto essere una bella idea, se non avesse
fatto
l’amara scelta di mettere insieme Helios e Hyacinth nella
realizzazione di
grosse stelle di cartone dorato dal margine ritagliato con il
punteruolo.
“Ho
detto che voglio fare anche
la coda! Come una cometa!” gridò la bambina, con i
ricci scuri che le
schizzavano da tutte le parti, mentre il punteruolo batteva
ritmicamente e
pesantemente sul piano di lavoro. Non stava mai ferma.
“Miss
Liber ha detto senza coda,
solo la stella con le punte” spiegò diligentemente
Helios, spingendosi sul naso
gli occhiali. Lui, invece, era un bambino piuttosto tranquillo.
“La
voglio fare così!”
“Devono
essere uguali.”
“Allora
falla come la mia!”
“No.
Non è giusto.”
Quello
che mandò fuori di testa
la bambina fu il fatto che Helios fosse calmissimo e non facesse quello
che
voleva lei. Ancora non poteva comprendere, ma quella non sarebbe stata
la prima
volta, né tantomeno, l’ultima.
Hyacinth,
tutta rossa in viso per
essere stata contraddetta, lanciò il punteruolo che teneva
in mano al di là del
tavolo, colpendo il bambino sul braccio.
“Ahi!”
esclamò lui,
massaggiandosi il punto colpito. Ma Hyacinth non era soddisfatta: lui
era calmo
e lei no. Si alzò mentre la maestra interveniva per vedere
cosa fosse successo
e andò verso il lavabo, dove Christina, una loro coetanea,
stava riempiendo il
boccale per innaffiare i fiori; lei prese il recipiente con due mani,
tornò
verso il suo tavolo e lo rovesciò in testa a Helios.
Il
bambino gridò e si alzò in
piedi spaventato, girandosi e spingendo la compagna con una manata sul
petto.
L’acqua gli gocciolava dai capelli castani, la maglietta era
zuppa e lui
iniziava a essere veramente arrabbiato.
“Hai
esagerato!” la sgridò Miss
Liber, rossa in viso, e Hyacinth la osservò senza timore.
“Chiedigli scusa” ordinò
la maestra.
La
bambina spalancò gli occhioni
blu, esasperata. “No! Mi ha spinto!”
“Hai
iniziato tu!” gridò allora
il bambino, avvicinandosi e spingendola ancora. Questa volta lei cadde
per
terra perché non era preparata al fatto che lui potesse
essere così forte e
l’umiliazione della caduta le fece inumidire gli occhi.
“Sei
uno stupido!” Hyacinth corse
veloce fuori dalla porta dell’aula ma tutti gli altri bambini
videro che le
lacrime avevano già iniziato a scenderle sulle guance.
La
povera maestra non avrebbe mai
potuto immaginare che i bambini avrebbero usato il punteruolo per fare
altro
oltre a incidere il cartone, così, venne sgridata dalla
preside, ebbe un
esaurimento nervoso e quello fu l’ultimo anno in cui
insegnò.
Dopo
due anni iniziò a scrivere
libri horror ed ebbe un discreto successo nazionale.
***
Al
liceo, H, stufa di farsi chiamare con il nome di un fiore, era
paradossalmente
sbocciata: dall’esile bambina che era, divenne una procace
giovane donna dalla
bocca carnosa e le curve abbondanti, dalla lingua facile e dagli occhi
di
fuoco. E la sua principale occupazione era ancora tentare di
infastidire
Helios.
“Vai,
faccio io da palo” disse
Christina, sulla porta, mentre le lanciava il gessetto. H, spinta dalla
noia e
da una piccola dose di cattiveria, iniziò a disegnare sulla
lavagna del
laboratorio di chimica una caricatura del ragazzo in questione, mentre
l’amica
controllava il corridoio.
Gli
altri compagni entrarono alla
spicciolata e tutti, nessuno escluso, si fermarono a contemplare
l’opera: se
c’era una cosa in cui era brava, e H lo sapeva benissimo, era
il disegno. Nella
sua mano, qualsiasi cosa diventava uno strumento per disegnare: la
punta di un
bastone sulla sabbia, un sasso sul porfido del cortile, un pezzo di
carbone sul
muro dell’aula di chimica.
Un
gessetto su una lavagna
immacolata era una Ferrari in mano al miglior pilota del mondo.
“Arriva!”
esclamò Christina,
correndo verso il banco. Lei scarabocchiò la lettera
‘H’ sotto al disegno e
scappò a sedersi vicino all’amica.
“È bellissimo!” le sussurrò
lei, guardando la
lavagna e battendo la mano aperta contro la sua.
Quando
Helios entrò in classe, al
fianco dei suoi amici, non si accorse subito del disegno. Questo fece
innervosire un po’ H, che si agitò sulla sedia, ma
poi la biondina accanto al
ragazzo, lo chiamò e indicò la lavagna:
“Guarda, He!”
Helios
alzò gli occhi verso la
lavagna e sbiancò quando si riconobbe. Ma quando
guardò la firma, un ghigno si
dipinse sul suo viso. “E chi è
‘Idrogeno’?” chiese, ad alta voce.
H
corrugò la fronte, non capendo
cosa intendesse. “Ma quale idrogeno! È
‘H’!” si smascherò subito.
“H
è il simbolo dell’idrogeno,
Hyacinth, non te l’ha mai detto nessuno? Mai
studiato?” chiese Helios, ironico
e con un sorrisino strafottente.
H
divenne rossa e balbettò. Stava
rigirando la frittata. Lei gli aveva fatto uno scherzo con i fiocchi,
perché
dal suo disegno chiunque avrebbe capito che era proprio lui
quell’omino secco e
nudo, con un pistolino piccolissimo e l’espressione ebete, e
lui stava
riuscendo a prendere in giro lei.
“Io…”
Dannazione! Sapeva sempre
come ribattere, H, sempre. Con chiunque, tranne che con lui.
“Sai,
se lo avessi studiato
sapresti tante cose sull’idrogeno e ti saresti accorta quanto
ti somiglia: è
dappertutto, e non è mai da solo, con
chiunque, ma non da solo” disse, avvicinandosi
verso di lei e poi volgendo
lo sguardo oltre la sua testa. H si voltò e vide un
gruppetto dei giocatori
della squadra di football della scuola: due erano suoi ex, lo sapevano
tutti.
“È
l’elemento più leggero”
continuò, richiamando la sua
attenzione e la ragazza si rigirò verso di lui. Da come
disse ‘leggero’ capì
che intendeva altro, come quando aveva guardato i ragazzi dietro di
lei. “È
incolore, inodore e insapore. Praticamente…” Lo
sguardo del ragazzo, glaciale,
le agganciò gli occhi e poi corse, lentamente, lungo il suo
viso e continuò
percorrendo il suo corpo. Lei non lo ascoltava più, uccisa
dalla sua occhiata.
H
si sentiva nuda. Nuda e
indifesa. Ma lei non lo era. Faceva parte del gruppetto più
tosto dei ragazzi
della scuola, rispondeva ad adulti e insegnanti e, anche se di solito
finiva
dal preside per aver esagerato con i toni, sapeva benissimo come
fregare
chiunque. Chiunque tranne lui, appunto. Abbassò gli occhi.
La stava facendo
sentire una poco di buono e iniziava a sentirsi esattamente come lui
aveva
descritto l’idrogeno: trasparente. E inutile.
“Si
usava per far volare i
dirigibili, ma poi venne sostituito.
Chi sa da cosa è stato
sostituito? È facile, è un gas molto
più interessante, ci gonfiano anche i
palloncini alle feste della squadra di football…”
chiese quindi Helios ad alta
voce, roteando lo sguardo per la stanza.
“Elio!
Dall’elio!” gridò il
ragazzo con cui lui era entrato nell’aula. Tutti applaudirono
e fischiarono:
l’elio era veramente un gas figo, lo sapeva anche H, e lo
conoscevano tutti
perché trasformava la voce. Chi da ubriaco non aveva fatto
lo scemo nel salotto
del capitano della squadra con in mano un palloncino sgonfio?
“Da
te, He!” La ragazza che gli
aveva indicato la lavagna stava applaudendo.
Quando
sentì Christina darle un
colpetto sulla gamba, H si rese conto di avere le lacrime agli occhi. E
che il
ragazzo stava continuando la sua spiegazione. “…E
lo chiamò ‘hidro-gen’ ossia
generatore d’acqua… Come quella che stai per
produrre tu, Hyacinth” concluse
alla fine, guardandola fisso. Quando H capì che intendeva le
sue lacrime, si
alzò di scatto dalla sedia, prese la prima cosa che
trovò sul banco e si
scagliò contro Helios. O He, come avevano iniziato a
chiamarlo gli altri,
intonando il suo nome. Come il simbolo dell’elio, il gas
più figo
dell’idrogeno.
“Attenta!”
la mise in guardia
Christina quando si rese conto che aveva in mano un bruciatore acceso.
Uno dei
ragazzi la fermò e glielo tolse di mano.
“È
un ottimo combustibile, brucia
facilmente…” continuò Helios,
arrogante.
“Stronzo!”
gridò lei tentando di
saltargli addosso. Il ragazzo che l’aveva fermata la
bloccò quando tentò di
colpire a mani nude Helios perché vide entrare il professore
di chimica.
“Dimenticavo…
anche instabile.”
H
si liberò della stretta
dell’amico e corse in bagno quando sentì la prima
lacrima scivolarle sulla
guancia.
Ancora
non poteva saperlo, ma
quell’episodio fu la causa scatenante di tutte le scelte che
iniziò a fare negli
anni a venire.
*
Il
giorno dopo l’incidente nel
laboratorio, H, Christina, Jenny e Fiona erano sedute al Black Dinner
in attesa
di andare alla festa della squadra di football, a casa del capitano
Worrent,
quando videro entrare Helios con una ragazza. Loro rimasero al bancone
e il
ragazzo non si girò mai nella loro direzione. H, che lo
guardava di sottecchi,
capì che non le aveva viste e si preparò una
piccola vendetta.
Quando
le ragazze si alzarono
tutte per andarsene, H disse loro che le avrebbe raggiunte dopo,
direttamente
alla festa. Christina capì cosa volesse fare e, lanciando
un’occhiata al
bancone, annuì uscendo insieme alle altre. H si
avvicinò al bancone, dove si
erano fermati i due, e allungò una banconota vicino al
braccio di Helios,
indicandolo e chiamando il barista con cui aveva confidenza e che
faceva finta
di non riconoscere i documenti falsi. “Joe, tieni, stasera
finalmente questo
ragazzo tromberà e perderà la
verginità. Bisogna offrirgli da bere!”
Diede
una manata di
incoraggiamento sulla spalla di Helios e lui si accorse di lei solo in
quel
momento. Si voltò velocemente verso di lei, ma H non gli
diede tempo di dire
niente e si avviò sorridendo verso l’uscita.
Una
volta fuori, si fermò e
respirò a pieni polmoni: ce l’aveva fatta. Questa
volta non gli aveva lasciato
dire niente. Si avvicinò alla sua moto, ma prima di salire
notò che entrambe le
ruote erano a terra. No! Doveva andare alla festa! Provò a
tastare le gomme e
notò che erano troppo sgonfie per poter spostarla senza
creare danni ai
cerchioni e alle gomme stesse: avrebbe dovuto lasciarla lì e
probabilmente
rinunciare alla festa. Si guardò intorno e
individuò una fermata dell’autobus.
Si
incamminò in quella direzione,
si sedette sulla panchina della pensilina e aspettò.
“H
in solitudine! Che cosa rara”
la salutò una voce.
H
si girò e vide Helios che si
sedeva accanto a lei. “Cosa vuoi?”
“Aspetti
l’autobus?” le chiese,
ignorando il suo tono duro.
“No,
faccio una stima delle
macchine che passano” rispose ironica guardando la strada.
“Ho
una proposta per te.”
“No.”
Helios
rise. “Non te l’ho ancora
chiesto!”
Lei
scosse le spalle. “Non voglio
avere a che fare con te” disse.
“Se
mi scusassi, mi ascolteresti,
almeno?” H lo guardò ancora a lungo, poi
rigirò lo sguardo verso la strada e
annuì.
“Scus…”
“Va
bene, tanto dovrei scusarmi
anch’io, per il disegno. Non lo fare” lo interruppe
lei.
“Non
vuoi che mi scusi io per non
farlo anche tu. Carino… Però devo ammettere che
la caricatura era veramente
fatta bene”. Helios rise e H si girò verso di lui
per studiarlo: non capiva se
la stesse prendendo in giro o no. Poi lui tornò serio.
“Avresti potuto
ribattere. Di solito lo fai..”
“Stavolta
mi hai fregato…”
mormorò lei, accendendosi una sigaretta
Helios
alzò le spalle. “Se avessi
saputo più cose sull’idrogeno, o
sull’elio, avresti potuto tranquillamente
tenermi testa: ho barato” le confidò.
La
ragazza si voltò di scatto
verso di lui. “Che intendi?”
“Beh,
non sei propriamente
instabile… Cioè, l’idrogeno non lo
è” si corresse subito. “Sono i suoi
isotopi
che…”
“Dove
vuoi andare a parare, Mr. Sotuttoio?”
chiese lei, nervosa. Helios
rise.
“L’elio
è freddo e troppo
stabile, viene dopo l’idrogeno nella numerazione,
è meno leggero. Tutte cose
che si abbinano facilmente a me. Avresti potuto usarle per deridermi o
a mio
discapito comunque. E poi tutti i gas sono incolore, inodore e
insapore.
Avresti potuto distruggermi. Avresti dovuto”.
Lei lo guardò senza dire niente.
“Cercherò
di impegnarmi di più la
prossima volta” disse, ironica, dopo un altro tiro alla
sigaretta, come se lui avesse
detto cose senza senso.
“Ok…
Ma… Volevo chiederti: hai
mai pensato al corso di dibattito?”
H
corrugò la fronte. Sapeva che
lui faceva parte del corso di dibattito: era un’aula al
secondo piano dove dei
ragazzi si ritrovavano e discutevano su alcuni argomenti. Ognuno di
loro doveva
appoggiare una parte e trovare il modo per convincere gli altri a
seguire le
sue idee. Lei non capiva l’utilità di quel corso:
non aveva senso discutere come
facevano loro. Alzò le spalle. “Ti piacerebbe
venire, lunedì?” le chiese ancora
lui.
“A
far che?”
“Potresti
allenarti nel dibattito.
Saresti una gran litigatrice.”
Non
gli chiese cosa fosse una
litigatrice. “Vorresti che venissi per…
litigare?” Lui annuì. “Con
te?” Annuì
ancora. L’idea prese strada nella sua mente e, lentamente, si
disegnò un
sorriso sul suo viso. “Ci penserò. Ma non ti
chiamerò mai He. Giuro”.
Helios
rise, annuì e si alzò.
“Dove vai? Non aspetti l’autobus?”
chiese, come se il fatto che lui se ne
stesse andando le desse fastidio.
“No,
ho la macchina. Vado via.”
“Oh.
E la tipa del pub?” chiese
ancora lei, spegnendo la sigaretta e guardando verso
l’entrata del locale.
“È
mia sorella. L’ho solo
accompagnata”. H si morse l’interno della guancia e
alzò tutte e due le
sopracciglia.
“Allora
mi devi venti dollari.”
“Per?”
“Perché
stasera non tromberai e io
ti ho offerto da bere per questo”. Helios scoppiò
a ridere: una bella risata,
forte e contagiosa.
“Ho
già trombato, se vuoi
saperlo.”
“Buon
per te. Spero che tu riesca
a sederti, allora.”
Lui
rise ancora e si allontanò
alzando la mano in segno di saluto.
-
-
-
Eccomi qui con una nuova storia, presa da... indovinate... un
contest!!! Allora la traccia diceva di parlare di Elio e Idrogeno, i
due gas che danno origine alle stelle, ma in forma umana.
ORa, io avrei dovuto stare nelle 2500 parole (e per il contest l'ho
fatto) ma avevo immaginato H e Helios in una storia molto
più lunga che ho dovuto per forza allungarla e farne
questa... cosa (minilogn? Sì, minilong :-) ) Beh, spero vi
piaccia e che continuiate a leggere!
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Capitolo 2 *** Gare vinte e occasioni mancate ***
Gare vinte e occasioni mancate
Gare
vinte e occasioni mancate
-
-
Quel
lunedì H si sentiva come al
primo giorno di scuola e, dal corridoio del secondo piano
dell’ala est,
osservava nervosa la porta dell’aula del corso di dibattito.
“Sicura
di volerlo fare?”
Christina le si affiancò mentre spostava il peso da un piede
all’altro.
“Voglio
provare” ammise, come se
fosse una confessione.
Alcuni
ragazzi e il professor
Sweeter entrarono nella stanza, senza chiudere la porta.
“Allora
vai. Sicuramente stare
qui non servirà a niente.”
H
annuì. “Se non mi piace, è uno
scherzo o mi trattano male, vengo via” disse, più
a se stessa che all’amica.
“Se
ti trattano male o è uno
scherzo, saprai metterli tutti in riga”. La mano
dell’amica si posò sulla sua
spalla e leggermente la spinse in avanti.
H
percorse lentamente tutto il
corridoio e si avvicinò alla porta in questione. Si
voltò verso Christina e lei
le fece un cenno con il capo invitandola a entrare. La sua migliore
amica era
l’unica che sapesse esattamente cosa nascondesse H sotto la
superficie di
ragazza dura e sicura. Si conoscevano da una vita e con lei non aveva
mai avuto
bisogno di nascondere la vera se stessa. Era l’unica che
sapesse dei suoi dubbi
o delle sue paure.
Spinse
appena appena la porta
socchiusa e sbirciò all’interno: due ragazzi erano
su un piccolo palco, dietro
a due finti pulpiti e parlavano con toni accesi senza gridare, mentre
altri
ragazzi e il professore erano seduti su delle sedie a guardarli.
Prima
di entrare osservò ancora i
due ragazzi e ascoltò quello che si dicevano: stavano
discutendo se fosse
meglio retribuire gli insegnanti in base alle capacità o
basandosi sugli
standard della legge. Stranamente, H trovò
l’argomento interessante, ascoltando
quello che dicevano.
Il
ragazzo a destra, sul palco,
era un ragazzo di colore, anche lui del terzo anno come lei, con una
folta
capigliatura e i denti storti: si chiamava Steve Terrent e lei lo
conosceva
perché facevano arte insieme.
A
sinistra, invece, il motivo per
cui H era lì: Helios. Si fermò a osservarlo anche
se conosceva a memoria la sua
testa spettinata e i suoi occhi scuri, che da lì non poteva
vedere, ma semplicemente
perché tante volte se lo era ritrovato davanti. Conosceva a
memoria anche la
forma degli occhiali che indossava. In quel momento, però, H
non si incantò a
guardarlo, effettivamente non era mai successo, ma si perse ad
ascoltare la sua
voce. La voce del ragazzo, sicura e forte, le rimbombava nel petto e
lui
sembrava veramente convincente e sicuro di sé.
H
fece un passo avanti e si
sedette su una delle sedie in fondo all’aula. Per qualche
minuto non si rese
neanche conto se respirasse o meno, troppo presa da ciò che
stava ascoltando:
era interessante. Il dibattito stava avvenendo in modo molto
‘maturo’, loro
sembravano dannatamente adulti e sicuri di quello che dicevano. Anche
lei
avrebbe voluto, un giorno, riuscire a essere così: a
sostenere un discorso
lungo e a far valere la propria ragione senza perdere la calma o
agitarsi.
A
un certo punto Helios, che
aveva sempre guardato il suo interlocutore, lanciò uno
sguardo alla piccola
platea davanti al palco, continuò a guardare lungo la stanza
e la vide.
Nonostante
avesse continuato a
parlare anche quando il suo sguardo si era allontanato dal pulpito e
dal
rivale, quando la vide seduta in fondo all’aula, il suo
discorso si interruppe
e Helios perse il filo. Imbarazzato, il ragazzo abbassò lo
sguardo sul foglio
di appunti e cercò di rimediare alla gaffe. Non si accorse
che Bettany, la
ragazza bionda seduta in prima fila, si era girata e quando aveva visto
H, sul
suo viso si era dipinta una smorfia di disappunto che non era sfuggita
alla
ragazza in questione.
Helios
riuscì a non distrarsi
più, semplicemente evitando di guardare il fondo
dell’aula e forse, se fosse
stato meno preparato sull’argomento, si sarebbe perso ogni
volta che si era
imposto di non girare il viso. Furono i dieci minuti più
lunghi della sua vita,
ma riuscì, come al solito, a nascondere il tutto molto bene.
Quando
il professor Sweeter
schiacciò il tasto sul cronometro, esclamando a gran voce:
“Stop!”, tutti
applaudirono e Helios si avvicinò a Steve per stringergli la
mano, mentre il
ragazzo si complimentava con lui.
Scesero
dal palco insieme e anche
gli altri si avvicinarono. Bettany gli gettò le braccia al
collo e lo baciò
sulla guancia per complimentarsi con lui, dicendogli che aveva fatto
un’ottima
interpretazione. “Sei veramente stato bravo, He!”
Helios
la guardò un po’ stranito,
in quanto non era mai successa una cosa simile, ma non se ne
preoccupò e, dopo
averla scostata da sé, guardò verso il fondo
dell’aula e sorrise nel vedere che
la ragazza fosse ancora lì. Era contento del fatto che H si
fosse presentata e
che fosse rimasta per tutto il tempo. Sperava che non facesse qualche
battutina
sul fatto che si fosse emozionato quando l’aveva vista e si
avvicinò a lei.
“Sei
venuta davvero” disse, mentre
la raggiungeva. H si rese conto di arrossire dall’imbarazzo e
annuì.
“Avevo
detto che lo avrei fatto…”
Alzò le spalle e poi continuò. “Sei
stato…” Cercò di trovare qualche parola
da
usare al posto di ‘fantastico’ e
‘magnifico’, perché non le sembrava il
caso di
gonfiare l’ego del ragazzo più del necessario, ma
non le venne in mente niente
e le parole morirono sulle sue labbra.
“Oh,
ti abbiamo annoiato?” chiese
lui, fraintendendo le sue parole.
“No!
È stato veramente
interessante. Sei stato bravo”. Lanciò uno sguardo
dietro a Helios e vide le
facce incuriosite di tutti gli altri. Specialmente la biondina che
l’aveva
guardata male poco prima.
Anche
il ragazzo si girò e,
quando vide i compagni, le prese la mano, dicendole:
“Vieni”. H non riuscì a
reagire e si ritrovò, poco dopo, davanti agli altri e
presentata da Helios.
“Benvenuta”
le disse il prof e H
gli fece un cenno con il capo. Tutti gli altri la salutarono e si
presentarono:
Bettany, la biondina, continuava a guardarla male.
Gli
altri iniziarono a parlare di
una gara che ci sarebbe stato di lì a breve e per cui
avrebbero dovuto decidere
chi si sarebbe dovuto presentare contro chi. Sembrava una cosa di
quelle
importanti, dibatti singoli con un punteggio comune, uno per ogni
membro della
squadra.
“Viene
anche lei?” chiese Bettany
al professore. Tutti si rivoltarono verso H, ma lei alzò le
spalle. “Voglio
prima sentire com’è, prima di accettarla in
squadra e…” iniziò a dire la
biondina verso gli altri e rivolgendosi all’unico adulto.
“Ehi,
Bettany, sono qui. Non
parlare come se non ci fossi, è…
maleducato.”
Bettany
si girò verso H, rossa in
viso per l’arrabbiatura. “Scusami, cocca,
è che capirai, sono mesi che mi
preparo per questo dibattito, e l’idea di perderlo
perché la squadra ha deciso
di ammettere un elemento come te, che sei solo decorativa, con quei
vestiti…”
La squadrò da capo a piedi, ma H notò benissimo
quando il suo sguardo si fermò
sulla sua borsetta, che era di una prestigiosa stilista.
La
ragazza rise appena e disse:
“Se proprio ci tieni, cocca,
posso
vestirmi male come te. Non è un problema, dovrai solo dirmi
dove hai comprato
quella robaccia”.
La
biondina sbiancò e si guardò i
vestiti: aveva una tuta in acetato e un maglioncino con una camiciola
di un
colore orrendo. H pensò che non potesse davvero aver scelto
quell’abbigliamento: doveva per forza essere capitato un
blackout in casa sua
nel momento in cui si stava vestendo.
“Ehm…
Ragazze… che ne dite di
venire qui e facciamo un riepilogo in cui spieghiamo a Hyacinth cosa si
svolge
il dibattito?” chiese il professore, volgendo lo sguardo
verso tutti. Bettany
fece un’altra smorfia ma si avvicinò alla cattedra
ai piedi del palco e,
sorridendo, H la seguì.
Dopo
aver ascoltato quello che
facevano e la spiegazione degli altri ragazzi sul modo in cui si teneva
un
dibattito e su cosa bisognasse far forza per risultare convincenti, H
si era
gasata parecchio.
“In
più sono crediti extra per il
college. Sempre che ti interessi il college…”
disse ancora la biondina, con una
malcelata smorfia di disapprovazione.
“Ascolta…”
H alzò la voce e si
avvicinò alla ragazza, prendendola per una spalla e
spingendola lontano.
Christina lo aveva detto: ‘Se ti trattano male, rimettili in
riga’.
“Ascoltami”
disse ancora. “Non ho
intenzione di litigare. Non sono qui per toglierti il ruolo da prima
donna o
qualunque cosa tu faccia. Sono qui perché mi interessa
quello che fate e penso
che mi piacerebbe provare, ma non ho intenzione di rubarti il primato,
il posto
che stai occupando e tantomeno il tuo ragazzo, ok?” concluse,
indicando con il
pollice dietro di sé.
“Io
e He non siamo…” iniziò la
biondina, ma H la interruppe ancora.
“Non
mi interessa cosa non siete.
Non mi interessa lui, né di te, né degli altri,
ok? Voglio vedere quello che
fate qui. Devo… allenarmi in queste
cose…” La ragazza annuì e
guardò alla sua
destra. H non si girò, perché non ci fece caso,
ma se lo avesse fatto avrebbe
visto Helios vicino a lei e a portata d’orecchio.
“Però…
se ti interessa, posso
aiutarti. E non solo per i vestiti…”
mormorò, verso la biondina. Subito dopo
ammiccò e si girò per tornare dagli altri, ma si
scontrò con Helios che aveva
una faccia un po’ delusa.
Dopo
tre settimane, quando
vinsero la gara di dibattito istituita alla New Catholic High School,
Helios e
Bettany si misero insieme e H, per confermare il fatto che non le
interessava per
niente quello che facevano, quella sera entrò dalla finestra
nella camera di
Hogan Reed, il quarterback della squadra di football, e da
lì si intrufolò nel
suo letto.
*
“Ma
stai fumando?!” La voce di
Helios era stupita e i suoi occhi erano spalancati
all’inverosimile.
“Shhh!
Vuoi che mi becchi la
strega?” chiese H, tirando dalla sigaretta e sbuffando il
fumo contro i libri
dello scaffale della biblioteca. Tutti e due i ragazzi si girarono
verso la
bibliotecaria e, dopo essersi accorti che non guardava dalla loro
parte, il
ragazzo si sedette vicino a lei e H spense la sigaretta sotto il tavolo.
“Perché
stai fumando in
biblioteca?”
“Guarda!”
H lanciò sul tavolo,
verso di lui, una busta marroncina della posta. Era gonfia, grossa e
pesante. E
dove di solito c’era il nome del mittente, era indicata una
delle scuole più
prestigiose degli stati uniti.
“Yale?”
Helios era quasi
impressionato. No. Lo era veramente molto. La busta conteneva ben
più della
sottilissima lettera in cui la scuola si dichiarava dispiaciuta di non
ammetterti alla facoltà con le più svariate
scuse. “Hai poi fatto domanda a
Yale?” chiese, quindi, sorridendo. Era contento
perché era stato lui a suggerirle
il corso di giurisprudenza e quando, all’inizio
dell’ultimo anno, avevano
iniziato a mandare le domande per i vari college, lui le aveva indicato
Yale
come uno dei corsi più validi.
H
in verità non avrebbe mai
pensato di farlo davvero. Aveva compilato la domanda per Yale, aveva
allegato
tutto quello che volevano sapere e poi l’aveva lasciata
lì sulla scrivania in
camera sua per almeno una settimana. Poi sua madre l’aveva
trovata e l’aveva
spedita senza dirle niente. Ora però era agitata. Se sua
madre non l’avesse
spedita, lei non sarebbe andata a Yale di sicuro, ma non avrebbe potuto
neanche
essere rifiutata. Era così nervosa che, senza la sigaretta a
tenergliele
impegnate, le sue mani iniziarono a tremare.
“Dai,
aprila.” H scosse la testa.
“Fidati di me, aprila” disse ancora lui, posando
una mano sulla sua. La ragazza
annuì e ruppe il sigillo. Rovesciò la busta a
testa in giù e una gran quantità
di fogli si sparpagliarono a gran velocità sul tavolo della
biblioteca. Alcuni
volarono e, prendendo strade diverse, finirono sotto al tavolo.
“Calma,
calma…” disse Helios
sorridendo, cercando di arginare i danni, ma lei stava già
leggendo.
“Siamo
lieti di comunicarle…
Oddio… Oddio! ODDIO! Mi hanno preso! Mi hanno
preso!” H saltò su dalla sedia e
gridò troppo per essere in una biblioteca, dove il silenzio
e la tranquillità
dovevano regnare sovrane. Helios però sorrise e rise con
lei: era troppo
contagiosa. H si sporse sulla sedia e lo abbracciò. Helios,
forse per la prima
volta, era imbarazzato dalla sua esuberanza.
“Ragazzi!”
La strega, come
chiamavano Mrs. Root la bibliotecaria, li stava guardando con
disapprovazione e
li aveva richiamati.
“Scusi,
scusi…” ridacchiò H,
mentre Helios l’aiutava a raccogliere i fogli sparsi per il
locale.
“Vieni,
usciamo” la richiamò lui.
“Arrivederci
Mrs. Root!” gridò H
mentre attraversava la porta della biblioteca; ridacchiava ancora
isterica.
“Oddio,
pensavo volesse
fulminarci!” disse Helios, non riuscendo a trattenere una
risatina, quando
arrivarono fuori nel cortile e si appoggiò al muretto del
parcheggio.
“Ma
va… Quella è la regina di
ghiaccio!” H non riusciva a stare ferma. L’idea di
essere stata ammessa a Yale
le rendeva impossibile calmarsi. Si accese un’altra sigaretta
e, dopo due
boccate, come se fossero state necessarie per ammettere che stava
succedendo
davvero, la passò al ragazzo senza dire niente.
“È
merito tuo, lo sai, vero?”
disse tutto d’un fiato.
“Mio?”
“Sì.
Il giorno del disegno in
aula di chimica… Quando è successo
che… Uff! Quando abbiamo discusso e poi mi
hai detto di venire al corso di dibattito, dai!” H
sbuffò, un po’ imbarazzata. “Se
non fossi venuta con voi, non avrei mai scoperto di essere in grado di
fare
quelle cose, le cose che fate voi, così… bene. Tu
hai visto qualcosa che
nessuno aveva mai visto. Neanche io…” ammise alla
fine, mentre la sua voce si
assottigliava.
Helios
sorrise: era contento di
averla aiutata. Ma non voleva che lei si buttasse giù.
“Sarebbe il tuo modo per
ringraziarmi? Dire quanto sei brava? Dovresti comprarmi un regalo,
invece!” Il
ragazzo fece una smorfia divertita per toglierla
dall’imbarazzo e le diede una
gomitata.
“Certo
che sei bravissimo a
rovinare tutto. Non so se voglio ringraziarti, adesso!”
sbottò lei,
strabuzzando gli occhi. Helios rise forte.
“Riesci
sempre a rigirare tutto!
Adesso è colpa mia se non mi ringrazi…”
“Certo.
Me lo hai insegnato tu.”
“Io?”
“Sì.
Ormai sono veramente brava
anche in questo” disse, arricciando il naso.
“E
modesta!” Helios rise ancora,
prendendola in giro.
“Non
ti dirò quello che penso di
te in questo momento!” esclamò lei, un
po’ infastidita e un po’ no.
“Allora
ti dirò io quello che
penso io di te!” La voce di Helios era un po’ roca,
perché la sua doveva essere
una battuta, ma non gli era venuta benissimo a causa del fatto che
pensava
veramente ciò che aveva detto: voleva dirle quello che
pensava di lei. Tutto.
Aspirò dalla sigaretta e poi la guardò: H
sorrideva.
“No,
passo”. H rise, mentre si
sedeva vicino a lui.
“E
cosa vuoi che ti dica, allora?”
Helios si sentiva nervoso. Sperava che fosse il momento giusto. Eppure,
da
quando la conosceva, lei non aveva mai fatto un passo verso di lui, non
in quel
senso.
“Tu
dove andrai l’anno prossimo?”
gli chiese, mordendosi un labbro.
“Columbia.”
H
fischiò. Un fischio lungo e
forte, degno di uno dei muratori giù al pub del dopolavoro.
“Giornalismo?”
domandò solamente, quando ebbe finito. Helios
annuì. “Cazzo. Complimenti!” Il
ragazzo alzò le spalle e H sbuffò, facendo volare
la frangia, pensando che lui
volesse tirarsela. “E Bettany è contenta? Non
siete molto lontani, no? Lei è
a…” si fermò perché
effettivamente non si ricordava in quale college fosse la
ragazza di Helios. Lei, essendo un anno avanti a loro, era
già al primo anno di
università.
“Non
sto più con Bettany” ammise lui.
Fece l’ultimo tiro dalla sigaretta e la spense sotto la
scarpa.
“No?
Perché?”
Alzò
di nuovo le spalle.
“Lontananza, nuove esperienze, solite
cose…” Quello che lui non disse era che
Bettany aveva capito che i sentimenti romantici di Helios non erano
solo per la
sua ragazza. Lei lo aveva messo alle strette e quando gli aveva chiesto
se
fosse interessato a H, lui non era riuscito a mentire.
“Oh.
Capisco. Deve essere dura
effettivamente…” H non sapeva cosa dire. Ma non
era la prima volta che
capitava. Lui, però, non sembrava che stesse soffrendo
particolarmente. “Mia
madre me lo dice sempre: non partire per il college
fidanzata”.
Helios
alzò un sopracciglio.
“Davvero?” H annuì.
“Quindi
mollerai Blackwall prima
di andare a Yale?”
Blackwall,
il soprannome del
capitano della squadra di football, era il suo ragazzo da due mesi. H
non era
neanche sicura che sarebbero stati insieme fino alla fine della scuola.
“Forse.”
“O
forse lo lascerai prima?” H
rise delle parole del ragazzo, perché sembrava che potesse
leggerle nella mente.
“Forse.”
“Di
cosa parlate quando siete
insieme?”
“Come?”
“Fate
conversazioni
interessanti?” la stuzzicò. H arrossì.
Lei e Blackwall non parlavano tanto e probabilmente
lo sapevano tutti, visto che il giocatore non brillava certo per il suo
cervello. Le loro conversazioni erano fatte solo di infortuni, di
schemi e di
football. E quando finivano, ricominciavano a parlare di infortuni.
Effettivamente, spesso si chiedeva cosa ci facesse con lui.
Probabilmente
Helios e Bettany facevano discussioni interessanti e battibeccavano
amichevolmente
finendo a far l’amore per fare pace.
“Certo!”
mentì. Helios lo capì ma
non disse niente. Non le chiese se lei si divertisse con il suo ragazzo
come
quando chiacchierava con lui. Sospirò e basta. “E
andiamo sempre d’accordo, non
è mica come te che mi contraddici sempre!”
esagerò lei. H alzò un sopracciglio.
“Ma
va là, che ti piace discutere
con me!” H non rispose e guardò da
un’altra parte, senza confermare né
sminuire. Helios si fece più vicino. Forse doveva essere lui
a fare il primo
passo. “Sai perché discutiamo sempre io e
te?”
“Perché
sei un pignolo
rompiballe?”
“Perché
l’idrogeno e l’elio
insieme creano una fusione nucleare che…”
“…che
genera un’energia potente”
rispose H interrompendolo. Helios sorrise e i suoi occhi brillarono per
quello
che aveva detto. Lei se ne accorse e guardò di nuovo da
un’altra parte, alzando
le spalle. “Ho studiato”. Il ragazzo
annuì. “Io brucio subito…”
“Sì. Ed
è fantastico”. Helios allungò una mano
verso di lei per toccarle una guancia, ma poi non lo fece e rimase con
la mano
in aria prima di riportarla lungo il fianco.
“Lo
avevi fatto sembrare molto meno fantastico,
nell’aula di
chimica” brontolò lei.
Lui
sorrise e alzò le spalle. “Il
tuo disegno era troppo bello, dovevo farlo per ribattere”.
“Hai
ragione era proprio bello.
Se avessi saputo che ti piaceva così tanto, ne avrei fatto
una copia da farti appendere
in camera.”
“Fallo.
Lo appendo davvero.”
H
rise e si alzò. Proprio mentre
si stava alzando, Helios decise di giocare il tutto per tutto. Si
alzò anche
lui e le andò vicino mentre lei si chinava per raccogliere
lo zaino.
In
quel momento il suono di un
clacson dal parcheggio della scuola, li fece voltare tutti e due: la
Camaro
decappottabile di Blackwall sgasava in mezzo al parcheggio. E fra un
colpo di
acceleratore e uno di clacson, il ragazzo gridò a H di darsi
una mossa.
“Saluta
Milord da parte mia” disse
Helios con ironia, indicando la
decappottabile del capitano, capendo che aveva perso il momento giusto.
Lei
fece una smorfia. “Sei acido come
una donna frigida”.
“Io
sono freddo. Quella calda sei
tu…” Alzò le spalle e il suono di un
altro clacson riempì il cortile. “Adesso
fischierà, per chiamarti?”
H,
che era infastidita dalle
parole di Helios soltanto perché anche lei stava odiando il
comportamento
dell’atleta, gli rispose: “Non siamo tutti
intellettuali, Helios. C’è anche gente
brava in altre cose”.
Helios
si domandò in cosa mai
avrebbe potuto essere bravo BlackWall, ma quando lei ammiccò
voltandosi poi verso l’auto,
si scoprì imbarazzato. Anche se era un’idiota,
quel ragazzo aveva muscoli che
facevano girare le ragazze e impaurire i ragazzi. Helios stesso aveva
avuto
paura di prenderle da lui una volta o due. Era quello che le ragazze
chiamavano 'un gran figo'. Probabilmente fisicamente era un
portento.
Mise
le mani in tasca e sospirò. Non
voleva che lei se ne andasse così. Doveva assolutamente
dirle qualcosa che
potesse fare colpo. Non aveva muscoli e non era capace di sbancare il
pungiball, ma forse anche lui era bravo in qualcosa. Poteva colpirla.
Poteva
sorprenderla e dirle qualcosa che BlackWall non avrebbe mai potuto
dirle.
“Siamo
fatti della stessa materia
di cui sono fatte le stelle!” esclamò, poco dopo,
alla schiena della ragazza.
H
si girò, ancora camminando, e
disse ridacchiando: “Se lo avessi detto anche alla tua
ragazza, non ti avrebbe
mollato!”
Helios
non riuscì a replicare.
Era molto difficile tenerle testa da quando aveva iniziato a pensare a
lei in
quel modo. Non capiva se lei lo facesse apposta o meno. Se lei lo
stesse
relegando nei meandri dell’amicizia o cos’altro. La
guardò buttare lo zaino sul
sedile posteriore della Camaro rossa e saltare davanti senza aprire lo
sportello.
Forse
erano davvero troppo
diversi davvero. Forse…
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Capitolo 3 *** Il ballo di fine anno ***
Il
ballo
di fine anno
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“Il
fatto che tu abbia noleggiato
una Limousine, non vuol dire che puoi palpeggiarmi sul sedile
posteriore,
coglione!”
Helios
girò gli occhi nella
direzione della voce e vide H scendere dalla Limousine più
lunga che avesse mai
visto e sbattere la portiera con violenza.
La
ragazza continuò a borbottare,
incamminandosi con poca eleganza lungo il vialetto per raggiungere la
palestra
addobbata per il ballo della scuola, mentre l’auto bianca si
allontanava
lentamente. Helios, senza neanche accorgersene, le corse dietro e la
chiamò.
Quando
lei si voltò, lui rimase
senza fiato: era bellissima. I suoi capelli erano acconciati sopra la
testa,
anche se il suo viso era circondato da molte ciocche ricce e la sua
bocca,
ancora piegata in una smorfia, era dello stesso colore del suo vestito:
un
rosso che infiammava le vene.
Lentamente,
come l’anno prima, il
suo sguardo scivolò, gustandosi la visione. Al collo H
portava un pendente
dalla forma strana: un puntino rosso circondato da otto punte
d’argento di
misure diverse. A Helios ricordò vagamente
l’immagine di una stella vista in
cielo. Una parte di lui sperò che l’avesse fatto
apposta, per le sue parole di qualche
settimana prima, ma un’altra parte, più razionale,
gli diede dell’illuso.
Il
vestito rosso, senza spalline,
aveva un corpetto stretto in vita e il suo seno ne era a malapena
contenuto.
Gli strati della gonna, diversi di tonalità e tessuti, si
alternavano in un
gioco di sfumature che prendevano gli occhi e ti impedivano di lasciare
quella
visione.
“Sei…
sei bellissima” riuscì a
sussurrare, improvvisamente senza parole, tornando a guardarla in viso.
H
si era girata quando aveva
sentito qualcuno chiamare il suo nome e si era trovata davanti Helios.
Alla
ragazza si era bloccato il respiro: lui indossava una giacca scura,
zebrata da
così tante sfumature di rosso che sembrava cangiante a ogni
suo passo,
illuminato dalla luce dei lampioni del cortile e dalle decorazioni
della
palestra. I suoi pantaloni neri non lo facevano sembrare il manichino
dei
grandi magazzini (cosa che aveva pensato guardando
l’abbigliamento del suo
accompagnatore) ma un James Bond in incongnito. Era… sexy,
più sexy dell’atleta
che aveva appena scaricato. Scosse la testa scacciando quel pensiero.
La
sua espressione le fece capire
che doveva aver assistito alla scenetta di poco prima, quando Blackwall
aveva esagerato
con l’alcool e, palesemente ubriaco, ci aveva provato prima
ancora di arrivare
a scuola.
H
si stava già innervosendo,
pensando che Helios avrebbe detto qualcosa di offensivo nei confronti
del
ragazzo, e lei non avrebbe potuto rispondergli, ma poi Helios
balbettò quella
frase e la ragazza non capì più niente.
“Sei…
bellissima.”
Lei
non riuscì a dire nessuna
parola, offensiva o meno. Sentì le guance calde e, forse per
la prima volta, la
sua presenza le fece uno strano effetto. Quando lui non
continuò, H si
riscosse.
“Grazie…
Anche tu non sei male
per niente” sussurrò. Poi sorrise e
aspettò. Quando sorrise anche lui,
guardandosi, lei si tranquillizzò.
“Siamo
intonati…” Helios si
avvicinò e allungò un braccio per accostare la
manica della sua giacca contro
il corpetto del suo vestito. Sull’orlo della scollatura
c’era una fila di
pailettes che, con il movimento del suo respiro, brillavano come
piccole
stelle.
Dall’entrata
della palestra si
alzò un urlo e un coro di saluti. Tutti e due si voltarono
verso l’edificio:
BlackWall stava facendo la sua spettacolare entrata… da solo.
L’espressione
di H mentre
guardava l’idiota entrare in palestra era straziante: lei
avrebbe dovuto essere
la protagonista della festa e invece era lì, da sola, senza
il suo
accompagnatore che si era già trovato compagnia, a giudicare
da come era stato
accolto.
Helios
sentì lo stomaco torcersi
mentre piegava il braccio e le chiedeva: “Se vuole farmi
l’onore di accettare
la mia presenza, Milady, sarei felice di scortarla al ballo”.
Il
sorriso della ragazza valeva
tutta quella fatica, pensò Helios mentre lei si girava verso
di lui. “Davvero?”
gli chiese e il ragazzo si stupì: perché non
avrebbe dovuto essere vero? “Ma tu
sei da solo?” In risposta lui alzò le spalle. Lei
dovette convincersi, perché
sentì la sua piccola mano calda posarsi sul suo braccio e
tremare leggermente.
Helios
aveva aspettato così tanto
che lei lasciasse veramente Blackwall, che alla fine era andato al
ballo da
solo. “Allora entriamo: faremo un figurone” disse
lei, guardandolo divertita e
iniziando a camminare.
“Io
lo farò di sicuro!” Il
rossore che le dipinse le guance alle sue parole, era così
strano su di lei che
a Helios diede un brivido al basso ventre.
“Sicuro?
Sei il ragazzo più
intelligente della scuola, dovresti andare al ballo con qualcuno
più…” Helios
si fermò e la obbligò a voltarsi verso di lui:
cosa stava farneticando? Pensava
di essere meno… importante? Lei? Perché
improvvisamente era così insicura?
Hyacinth poteva spaccare il mondo. Da sola. E avrebbe vinto.
“Chi
sei e cosa hai fatto alla
mia Hyacinth?” Lei rise nervosamente e guardò per
terra. Le prese il mento e lo
sollevò con due dita fino a che i loro occhi si incrociarono.
H,
in imbarazzo, decise che la
miglior difesa era un’eccellente offesa e disse:
“Non ti ho mai permesso di
chiamarmi Hyacinth: io sono H”.
Helios
rise perché la conosceva
abbastanza da capire il suo comportamento. “Tu non mi chiami
He come fanno
tutti, io non ti chiamo H. Che poi trovo che Hyacinth sia un nome che
si sposa
così bene con te…”
“Le
tue parole mi stordiscono
sempre. Dovresti essere dichiarato illegale.”
“Sei
tu che stordisci me…”
sussurrò Helios, poi, consapevole che la cosa stava
diventando molto intima, le
chiese: “Andiamo dentro e spacchiamo il culo a
tutti?”
Quando
lei annuì, le passò un
braccio intorno alla vita e si incamminarono verso l’entrata
della palestra e quando
entrarono nel locale la musica assordante non riusciva a coprire le
risate e il
divertimento dei ragazzi: il ballo stava andando bene.
H
si guardò intorno e i suoi
occhi si illuminarono, neanche la visione di BlackWall che ballava con
una brunetta
riuscì a toglierle il buonumore. “H!”
gridò una ragazza bionda correndo verso
di loro.
“Ciao,
Christina” le rispose lei,
calmissima. Helios le strinse il fianco appena appena, prima di
lasciarla, ma H
gli fermò la mano e la tenne stretta su di sé.
“Quell’idiota
di BlackWall si è
fatto beccare mentre versava una bottiglia di vodka nel punch e ora si
sta
strusciando in pista con Melody, la nuova sciacquetta delle ragazze pon
pon…”
iniziò a spiegare Christina, indicando il giocatore al
centro della pista.
“Non
fa niente” disse serenamente
H. Christina si voltò verso di lei, improvvisamente
interessata al suo
comportamento. E notò qualcosa di diverso. Qualcosa che la
fece sorridere.
“Ciao,
Helios! Sei… diverso. Stai
bene!” lo salutò, con uno sguardo strano.
“Ha
gli occhiali nuovi” spiegò la
ragazza accanto a Helios e Christina lo osservò meglio.
“È vero!”
Il
ragazzo si girò verso H,
sorpreso da quello che aveva detto. “Lo avevi
notato?” Ma la ragazza non gli
rispose e si avventurò verso la pista, alzando le braccia
per ballare,
girandosi verso di lui e sorridendogli.
Christina
continuò a guardare
Helios con lo sguardo divertito. “Mi sono persa
qualcosa?” gli chiese, ma le
rispose con un alzata di spalle, perché fondamentalmente non
lo sapeva neanche
lui. Poi la ragazza si voltò verso il palco e fece un cenno
a un gruppetto che
stava sistemando i microfoni. “Sai cosa, Helios? Sto per
farti un grosso
favore: approfittane”.
“Come?”
riuscì a chiedere il
ragazzo, ma Christina era già scappata via.
Quando
la vide salire sul palco,
si voltò verso la pista per cercare H. Che situazione
strana. Si incamminò per
oltrepassare la massa di studenti che stavano ballando e raggiungerla,
quando
Christina iniziò a picchiettare le dita sul microfono,
facendo un rumore
assordante nella palestra.
“Ragazzi,
ragazzi!” esordì, con
entusiasmo, facendo fermare la musica con un gesto della mano.
“Benvenuti al
ballo scolastico di fine anno!” Un applauso e svariate grida
seguirono il suo
saluto. Mentre la ragazza si perdeva in inutili quanto necessari
convenevoli
nei confronti degli adulti della scuola, Helios si avvicinò
a H, affiancandola.
Quando,
dopo pochi minuti,
scrosciò un applauso poco sentito nei confronti del preside,
Christina diede
l’annuncio che tutte le ragazze stavano aspettando: la
vincitrice della corona
come reginetta del ballo.
Quando
il nome di H venne
pronunciato dall’amica un altro applauso riempì
l’aria della palestra ma fu
molto più sincero. Anche Helios batté le mani,
nonostante non fosse per niente
sorpreso: anche lui aveva votato per lei. Ma lo fu subito dopo, quando
Christina lo chiamò per accompagnare la reginetta sul palco.
Helios
non riusciva a capire: era
il Re della festa? Lui? E chi lo aveva votato? Salì sul
palco trascinato da H
che lo guardava sorridendo e rimase inebetito mentre lei gli
posizionava la
corona sulla testa.
“Non
posso aver vinto! Non mi
sono candidato…” sussurrò mentre lei
gli era così vicino da sentire il suo
profumo invadergli i sensi.
“Io
ho votato per te lo stesso”
disse lei, ammiccando. Helios rimase a bocca aperta. Cosa aveva fatto?
Si voltò
verso Christina e anche lei stava battendo le mani, guardandolo con uno
sguardo
sornione. Ma cosa stava succedendo?
“Ehi,
ma quel tipo non può aver
vinto! Non…” Le parole biascicate di BlackWall
vennero interrotte dal coach,
nonché professore di educazione fisica, che lo mise a
tacere, mentre il gruppetto
di dibattito protestò ad alta voce e i giocatori iniziarono
a inveire contro di
loro. In pochissimo, le parole vennero sostituite da schiaffi e pugni e
quella
che avrebbe potuto essere un’accesa discussione, si
trasformò in una piccola
rissa.
“Oddio,
ma che sta succedendo?” chiese
Helios a tutti e a nessuno in particolare.
“Cavolo,
Chris, mi sa che
stavolta l’hai fatta grossa!” H rise, per niente
spaventata, sgridando
allegramente l’amica.
“Mmm,
dirò che ho letto male.
Però, magari, voi sparite” disse la ragazza,
sventolando una mano verso
l’uscita d’emergenza.
Helios
prese per mano H e la tirò
giù dal palco dalle scale posteriori. “Andiamo
via” disse, per un attimo
consapevole della situazione.
“No,
andiamo di qua” lo contraddì
lei, tirandolo dalla parte opposta. Lasciando alla ragazza il comando,
Helios
si lasciò guidare verso la porta degli spogliatoi e poi
ancora più avanti,
verso la porta del vecchio ufficio che il coach Crox usava prima di
iniziare a
fare l’allenatore. Il ragazzo cercò di girare il
pomello, ma la porta era
chiusa a chiave. Cercò di non rimanerci male: sarebbero
dovuti andare via, in
quel modo.
H
però si alzò sulle punte, visto
che nonostante le scarpe con il tacco intonato al vestito non era
ancora
abbastanza alta, e allungò una mano sopra lo stipite della
porta. Tastò
velocemente e poco dopo una piccola chiave comparve fra le sue mani:
lei la
infilò nella toppa e fece scattare la serratura.
Quando
entrarono nel piccolo
ufficio Helios si guardò intorno sorpreso: due divani erano
sistemati intorno a
un tavolino e davanti a una tv, mentre un minifrigorifero era in un
angolo, in
attesa solo di essere aperto. Sull’altro lato della stanza,
una scrivania da
ufficio, con tanto di sedia con le ruote, era stata spinta contro il
muro,
probabilmente perché non serviva.
“Che
posto è questo?”
“L’hanno
sistemato i ragazzi
della squadra quando Crox ha iniziato a usare l’altro
ufficio” spiegò lei,
togliendosi le scarpe. “Ci veniamo quando saltiamo le
lezioni”.
“E
perché avete tenuto la
scrivania?”
“Per
far parlare quelli come te”.
La risata che ne seguì subito dopo, imbarazzò
Helios come non mai, così tentò
di mettersi le mani in tasca, dimenticandosi di non avere addosso i
jeans e lui
si sentì terribilmente a disagio.
Passò
una decina di minuti e dalla
palestra iniziò ad arrivare la musica, segno che la rissa
era stata sedata o,
perlomeno, che la festa aveva ripreso il suo corso.
“Torniamo
di là?” chiese Helios,
quando lei non disse più niente.
H
si avvicinò a lui lentamente e,
sempre lentamente, annuì. Quando alzò le braccia
verso il suo viso, Helios
trattenne il fiato, pensando che lei volesse toccarlo. Però
le sue mani si
posarono sulla sua testa e tentarono di sistemare la corona di plastica
che si
era spostata nella fuga.
Invece
di rimanerci male, con un
gesto velocissimo, lui le fermò le mani, afferrandole i
polsi.
“Ma
non ti faccio niente, subito
a pensare che voglia metterti le mani addosso!” H rise
mentre, davanti a lui,
lo guardava con finto rimprovero.
Helios
non aveva calcolato il
gesto, fatto non per paura ma perché non poteva
più aspettare che fosse lei a
farlo, così chinò il viso su di lei e
posò le labbra sulle sue, in un gesto
così delicato che a malapena le sfiorò. Poi, come
se ci avesse ripensato, tornò
a baciarla e questa volta aprì la bocca e il suo bacio fu
così disperato che
lei indietreggiò.
“Helios…”
sussurrò Hyacinth
scrollando le mani e riportandolo alla realtà.
Helios
fece un passo indietro,
lasciandola libera, sconvolto dal fatto di essersi esposto ed essere
stato
rifiutato.
“Penso
che non sia una buona
idea…” disse ancora la ragazza, ma lui non la fece
finire.
“Se
pensi mentre ti bacio, non è
una buona idea, no.”
Lei
sorrise e a Helios sembrò di
aver vinto il premio di consolazione a una gara di dibattito. Si tolse
la
corona e la lanciò su uno dei divani.
“Non
sono bello, non gioco a
football, non ho una decappottabile, non…”
iniziò, voltandosi verso la porta,
deciso ad andarsene.
“Che
cosa stai dicendo?!”
Hyacinth era sbalordita e stupita dalle sue parole.
“Sto
dicendo che è più di un anno
che provo a farti capire quello che provo per te e a te interessano
solo quegli
idioti che…”
Helios
non potè finire la frase
che lei si buttò verso di lui, gli prese il viso fra le mani
e lo baciò,
prendendogli le labbra fra le sue. Sorpreso, lui non si mosse e solo
quando
sentì la sua lingua accarezzargli la pelle, le
posò le mani in vita e la
strinse a sé.
Poi
lei si staccò e disse: “Dicevo:
non penso sia una buona idea lasciare la porta aperta mentre mi
baci”. Helios
si voltò verso la porta e vide che era socchiusa. Si diede
dello stupido e
sentì le guance arrossarsi per l’imbarazzo. Fece
due passi e chiuse la porta.
“Sono
un idiota.”
“Sì!”
H rise e rise di quella
risata per cui Helios aveva iniziato a sognarla di notte. “E
comunque… Io non
penso mai lucidamente quando tu sei nella stessa stanza con
me” sussurrò
ancora, facendolo appoggiare alla scrivania e avanzando fra le sue
gambe. “E mi
mandi sempre in confusione…” Gli
slacciò la giacca e passò la mano sulla stoffa
della camicia. “Deve essere quella cosa della combustione
quando siamo troppo vicini…”
“Sì,
perché noi creiamo le
stelle” disse il ragazzo, passandole un braccio dietro la
schiena e una mano
dietro la nuca. Si avvicinò a lei sempre più
affamato e la gustò come avrebbe
fatto un assetato con il migliore dei vini. Le baciò la
bocca, scese lungo il
collo e, quando le sfiorò la clavicola con la lingua, lei
gemette di piacere,
mordendosi subito dopo il labbro inferiore.
“Aspetta,
aspetta… Prima voglio
mettere in chiaro una cosa…” disse lei, ma Helios
non si fermò e continuò a
baciarla scendendo ancora.
“Ti
ascolto…” Ma la lingua questa
volta rendeva davvero impossibile a H di parlare con cognizione di
causa.
“Solo
questa volta” sussurrò H,
aggrappandosi a lui, ansimando.
“Come?”
Helios interruppe
veramente il suo approccio e la guardò: lei aveva gli occhi
appannati, ma
probabilmente pensava ancora troppo.
“Andrò
al college da single”
dichiarò.
“Vedremo”
rispose il ragazzo,
prendendola per mano e facendola stendere sul divano.
“Cosa
vedremo?” chiese lei, sospirando.
“Ora
ti farò vedere le stelle, il
resto lo vedremo dopo” rispose, alzandole la gonna per
accarezzarle le cosce.
“Io
vedo già le stelle…” H gli
tirò i risvolti della giacca e lo avvicinò a
sé.
Si
dice che la fortuna aiuti gli
audaci… Mi spiace dirvelo, ma è vero. Purtroppo
quella sera nessuno dei due
ragazzi ammise con l’altro che fosse stata una magnifica
nottata, che fosse la
volta in cui fare l’amore aveva finalmente avuto un senso e
che al pensiero di
dividersi si sarebbero già mancati.
H,
per orgoglio, non ammise mai
di aver cambiato idea e Helios non volle mai insistere, consapevole che
lei
avesse già dichiarato la sua posizione.
Fu
una notte bellissima, ma
nessuno lo disse ad alta voce.
-
-
***Buonasera
a tutti!!! Che dite, vi piacciono H e Helios? Fatemelo sapere!!!
|
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Capitolo 4 *** Seattle ***
Seattle
-
-
“Obiezione,
Vostro Onore:
l’avvocato ha espresso un’opinione, non un
fatto”. Hyacinth neanche alzò la
testa mentre rivedeva gli appunti.
Quando
lo fece fu solo per
sentire il giudice dire: “Accolta”, e compiacersi
della cosa.
I
due avvocati pronunciarono le
arringhe finali e la giuria si ritirò. Quando
tornò in aula, un’ora dopo, il verdetto
fu a favore dell’imputata, che venne dichiarata innocente.
Hyacinth
sorrise soddisfatta e i
quaranta minuti successivi furono dedicati a grandi gesti di stupore e
abbracci
calorosi da parte dell’imputata, dei suoi parenti e dei suoi
sostenitori.
Hyacinth
ricambiò tutti gli
abbracci e sorrise professionalmente a tutti. Era contenta di aver
difeso la
ragazza, era pienamente convinta della sua innocenza ma… Ma
la sua professione
non le dava più le stesse soddisfazioni di prima. La
guardò mentre il suo
fidanzato l’abbracciava e si costrinse a togliere lo sguardo
quando si
baciarono.
Erano
quasi otto anni che faceva
l’avvocato. Il tirocinio, il passaggio in società,
diventare socia… Una
carriera stravolgente. Ma quanto riguardava la sfera affettiva,
Hyacinth era
ferma al liceo. O meglio, alla sera del ballo dell’ultimo
anno. Perché non solo
aveva fatto l’amore con Helios e, secondo H, era stata la
volta migliore di
tutte, anche di quelle che erano venute dopo, ma avevano passato la
notte a
scherzare e a ridere, abbracciati nel vecchio ufficio di Mr. Crox ed
era stata
la più bella notte della sua vita. Erano usciti per vedere
il sole sorgere e
lui aveva intrecciato le dita con le sue e le aveva baciato i
polpastrelli. Per
Hyacinth era stato il gesto più intimo del mondo.
L’alba
era per gli amanti e i
fornai. Chi lo aveva detto? H sospirò.
Era
ferma a Helios. Nessuno di
quelli che aveva conosciuto dopo erano stati alla sua altezza. Nessuno
era
riuscito a entrarle nel cuore, a farla ridere e a darle quello
stordimento che
la faceva volare come una tenda in una stanza ventilata.
Con
nessuno aveva discusso come
con lui. Nessuno le aveva fatto vedere le stelle. Con nessun altro era
entrata
in combustione. E per quanto se ne dicesse, la combustione ti faceva
sentire
viva. Ti faceva battere il cuore e tremare la voce, quando, poco prima
dell’estasi, il suo nome diventa l’unica parola
importante. O quando il tuo
nome sulle sue labbra diventa così bello che pensi che non
ce ne sia uno
migliore che ti avrebbero potuto dare.
H
sapeva che Helios era rimasto a
New York e lei non lo aveva più cercato pensando che si
fosse fatto una vita
soddisfacente e felice. Aveva letto qualche notizia sulla sua carriera
di
giornalista e sapeva che se la stava cavando molto bene. Lo immaginava
con una
moglie bionda come Bettany, con a fianco due bambini di altezze diverse
ma
vestiti allo stesso modo.
Dopo
aver risposto a qualche
domanda dei giornalisti, essersi assicurata che nessuno fosse lui (una
cosa che
non era ancora riuscita ad abbandonare: il desiderio di vederlo, che
lui la
cercasse) e aver sistemato gli altri dettagli, Hyacinth si
avventurò a passo
svelto verso l’uscita. Era un venerdì pomeriggio,
ma per lei avrebbe potuto essere
anche un lunedì, che non avrebbe fatto differenza.
“Hyacinth!”
Hyacinth
sentì un brivido
scuoterle la schiena e si fermò al suono di quella voce. Non
voleva credere.
Non voleva illudersi. Non voleva girarsi e scoprire di essersi
sbagliata. Non
voleva…
“Hyacinth!”
Questa
volta la voce era più
vicina e lei si voltò.
“Hyacinth…”
La voce dell’uomo che
si stava avvicinando si affievolì, mentre il suo sorriso
diventava sempre più
grande.
“Helios!”
Hyacinth non riuscì a
contenere la contentezza e si avviò velocemente verso di
lui. Quando gli arrivò
di fronte, si accorse che era più alto e dovette tirare
indietro la testa per
guardarlo.
“Non
ti ricordavo così alto!”
“Ti
sarai abbassata tu!” le
rispose Helios, avvicinandosi e facendo il gesto di abbracciarla.
Hyacinth non
si fece pregare e gli portò tutte e due le braccia dietro la
schiena, anche
quella che reggeva la valigetta con gli appunti del processo, e lo
strinse,
calorosa.
L’abbraccio
di lui era forte,
caldo, morbido e sapeva di casa. Chiuse gli occhi giusto
l’attimo di gustarsi
quel momento perfetto e poi tornarono tutti e due a guardarsi.
“Che
ci fai qui a Seattle?
Pensavo fossi a New York!” Helios sorrise alle sue parole; lo
stesso sorriso
che Hyacinth immaginava quando chiudeva gli occhi giusto un attimo
prima di
addormentarsi. Quel sorriso che l’accompagnava
nell’ambito di altri sogni e
altre notti.
“Sono
tornato a casa la settimana
scorsa… A Hownville” iniziò lui.
Hyacinth annuì. I suoi genitori si erano
separati e, tutti e due, si erano trasferiti in altre città.
Lei non era più
tornata nella cittadina dove era cresciuta, a Hownville. “Ho
visto Christina e
lei mi ha detto che adesso vivevi qui…”
continuò, guardandosi intorno nella
hall del tribunale.
“Christina?”
chiese Hyacinth.
Sentiva la sua amica due volte a settimana; lei aveva sposato un
dentista, un
ragazzo che aveva conosciuto al college, ed era tornata nella vecchia
città
quando aveva scoperto di aspettare tre gemelli. Era sicura che avere
vicino sua
madre le sarebbe stato d’aiuto. Hyacinth non riusciva ad
andarla a trovare
tanto quanto le prometteva, ma loro si sentivano tutte le volte che
potevano e la
ragazza si dichiarava felice della sua vita. Viveva in una villa di
ultima
generazione, con i suoi tre vivacissimi bambini, un cane e due gatti,
senza
contare quel marito di cui si vantava tutte le volte che poteva e che,
a
distanza di sei anni da quando lo aveva conosciuto, guardava ancora con
amore.
E Hyacinth sapeva che lei era veramente felice così.
“Sì,
Christina. Mi ha anche
minacciato, dicendo che se non fossi venuto a cercarti me
l’avrebbe fatta
pagare…” Lei rise: Christina poteva averlo fatto
davvero.
“Così
sei venuto qui sotto minaccia?”
chiese, scherzando.
“Già.
Per nessun altro motivo”
rispose lui, sornione. “Le dirai che l’ho fatto?
Così non me la farà pagare?”
“No,
no. Non puoi cavartela così:
dovrai anche offrirmi da bere. Se non sbaglio mi devi ancora un drink
da quella
sera al locale di Joe.”
Quando
rise anche lui, Hyacinth
si accorse di essere ancora più rilassata. E contenta.
“Allora
andiamo! Conosci un posto
dove possa pagare il mio debito?”
La
ragazza annuì e indicò la
porta del tribunale. Helios le fece un cenno e insieme si incamminarono
verso
l’esterno, chiacchierando di cose vecchie.
Quando
arrivarono davanti alla
porta lui gliela tenne aperta e la lasciò passare. Hyacinth
quasi si commosse a
quel gesto spontaneo e così ‘da Helios’.
“Quindi?
Da che parte andiamo?”
chiese lui, una volta fuori sul marciapiede, guardandosi intorno.
Hyacinth lo
osservò attentamente visto che si trovavano
all’aperto e notò, ancora, quanto
fosse bello. Più bello che al liceo. Più bello di
quanto ricordasse nei suoi
pensieri. Più bello di quando sul divano del prof
l’aveva guardata come se
fosse la cosa più preziosa del mondo.
“Di
qua.”
H
indicò la strada quasi
meccanicamente e insieme attraversarono la via, giungendo
sull’altro
marciapiede.
Il
sole stava tramontando e gettava
gocce di luce sulla figura della ragazza. Helios non riusciva a
togliere lo
sguardo da lei. Da quando l’aveva vista, nel corridoio del
tribunale, il cuore
aveva iniziato a battergli così forte nel petto che aveva
paura che tutti
potessero sentirlo. Il suo viso era diventato più sottile e
delicato, ma i suoi
occhi brillavano ancora come quando era al liceo e riusciva a battere
il suo
interlocutore in un dibattito. Il suo corpo danzava dolcemente, cullato
dal
suono di una musica che sentiva solo Helios, circondato di stoffa
pregiata che
le accarezzava le curve che il ragazzo conosceva fin troppo bene nella
sua
memoria.
Quando
fece dondolare la
valigetta, lui vide perfettamente la Hyacinth che lo prendeva in giro
all’ultimo anno, quando aveva fatto lo stesso movimento con
lo zaino e gli
aveva detto che non erano tutti intellettuali, vantandosi del sesso che
faceva
con BlackWall. Il ragazzo si chiese se per lei la sera del ballo fosse
stata
una volta come tante o se, come per lui, era stata una notte
meravigliosa da
ricordarsi per sempre.
L’aveva
cercata in ogni angolo
del mondo. Aveva trovato così tanti spunti di lei in ogni
persona che aveva
incontrato, che non riusciva a credere che lei potesse veramente essere
all’altezza dei suoi ricordi. E invece lei era lì,
davanti a lui, a ricordargli
quello che era e quello che lui si era perso.
Davanti
al locale Hyacinth
sorrise e glielo indicò con un gesto del capo. Helios si
fece avanti per aprire
la porta, ma lei fu più veloce e la tirò verso di
sé, invitandolo a entrare.
Il
ragazzo rimase basito quando
scrutò all’interno della stanza: i tavolini, il
pergolato, i lampadari, i
divanetti: tutto in quel posto ricordava il pub di Joe, il locale che
tutti i
liceali a Hownville frequentavano con documenti falsi per farsi versare
birre e
alcolici.
Quando
Helios si voltò con gli
occhi sbarrati verso Hyacinth lei rise un po’ stupidamente e
un po’ sollevata
dal fatto che lui si fosse ricordato.
“Quando
ho nostalgia di casa
vengo qui a scrivere le arringhe” confessò. Helios
le sorrise comprensivo e le
posò una mano dietro la schiena per accompagnarla verso uno
dei tavoli.
Lei
si sedette e, ancora contenta
di quella piccola cosa che li univa, alzò la mano per
chiamare il cameriere. “E
dimmi… hai spesso nostalgia di casa?” le chiese il
ragazzo, osservando il
tavolino e le sedie di legno. Lungo la parete c’erano
divanetti e tavoli più
grandi e parecchi ragazzi, vista l’ora, stavano
chiacchierando a tavolate,
gustandosi l’aperitivo. Sembravano studenti. Del college,
probabilmente, perché
di Joe che chiudeva un occhio sugli alcolici, ce n’erano
pochi a Seattle.
Quando
una ragazza bionda rise
accarezzando la testa del giovane seduto vicino a lui, si
voltò verso Hyacinth,
la ragazza di cui sognava le carezze tutte le notti: lei aveva
abbassato lo
sguardo e stava ancora sistemando la valigetta su una delle sedie
libere.
“Sì,
Helios. Ho spesso nostalgia
di Hownville…” disse, ma non alzò lo
sguardo su di lui.
Helios
capì che le costava
ammetterlo e le coprì la mano con la sua. “Anche a
me manca. Ho tanti… bei
ricordi” mormorò, ma la voce si bloccò
in gola. Non riusciva a dirglielo.
Dopo
dieci minuti di frasi corte
e mozzate, su com’era la vita a New York e come si vivesse a
Seattle, Hyacinth
non resistette più e, dopo essersi agitata più
volte sulla sedia, gli chiese a
bruciapelo: “Perché sei qui, Helios?”
Il
ragazzo, colto alla
sprovvista, aprì la bocca per rispondere una bugia, quando
la cameriera posò un
vassoio con le loro ordinazioni sul loro tavolo. I dieci minuti in cui
Hyacinth
chiacchierò vivacemente con la ragazza, Helios
pensò a tutte le scuse a cui
aveva pensato durante il viaggio, ma nessuna gli sembrò
abbastanza credibile, o
vera, per poter essere raccontata. Guardò quasi con fastidio
la schiena della
cameriera che si allontanava verso altri clienti e poi tornò
a posare lo
sguardo sulla sua compagna di tavolo: lei meritava la verità.
“Com’è
la tua vita quando non ti
manca casa tua, Hyacinth?” le chiese a bruciapelo, dopo poco.
La ragazza
spalancò gli occhi e non rispose, ma abbassò di
nuovo lo sguardo sulle mani
che, tremanti, abbracciarono il bicchiere pieno di birra.
“È
perfetta, Helios. La mia vita
è perfetta. Ho una carriera che mi dà grandi
soddisfazioni, guadagno più di
quello che mi serve, ho un attico a DownTown, guido una delle macchine
più
belle degli ultimi anni e ora ho anche incontrato la
persona…”
Helios
non voleva più ascoltare:
non poteva dirle che invece la sua vita non aveva il senso che avrebbe
dovuto
avere perché lei non era al suo fianco, non voleva
distruggere la sua vita
perfetta.
“Sto
scrivendo un libro,
Hyacinth” sbottò, interrompendola. Aveva cambiato
idea, non voleva più
raccontarle la verità. “Sto scrivendo un libro e
volevo la tua collaborazione.
Vorrei che ogni capitolo avesse uno dei tuoi disegni.
Dovresti…”
“Io
non disegno più” mormorò la
ragazza, sospirando subito dopo e bevendo un lungo sorso di birra.
Cosa?
Hyacinth non disegnava più? E perché?
“Cosa
vuol dire che non disegni
più? Sei sempre stata bravissima! E poi, adoravi disegnare e
ti veniva così
bene…” La voce di Helios si spense lentamente.
Hyacinth non poteva rendersene
conto, ma a lui, il fatto che lei non disegnasse più, che
avesse smesso di riempire
di linee perfette gli occhi del mondo, gli spezzava il cuore molto di
più che
sapere che aveva incontrato l’anima gemella. Era una
tragedia. Lui aveva
conservato tutti i disegni della ragazza su cui era riuscito a mettere
le mani:
tovaglioli stropicciati, foglietti di quaderni, menù di
locali, locandine,
brochure, per non parlare dei fogli di appunti dei dibattiti a cui
avevano
partecipato insieme. Aveva ancora la copia della caricatura che lei
aveva
disegnato sulla lavagna nell’aula di chimica e che ridendo
gli aveva regalato
un piovoso pomeriggio. Era un foglietto piegato, segnato dalle mille
volte che lui
lo aveva aperto e richiuso. Non solo era consumato sugli angoli, ma
tutto il
bordo plissettato, le pieghe più calcate e il colore della
carta ingiallito e
macchiato, lo rendeva un vero cimelio, un tesoro inestimabile per
Helios, che
lo teneva nel portafoglio con lo stesso amore con cui suo padre
conservava la
foto di famiglia quando era adolescente.
“Io…
Non mi diverte pù disegnare.
E se non mi diverto, non ci riesco.”
Quello
che Hyacinth non riusciva
a dire era che lei non riusciva neanche più a tracciare un
cerchio con un
bicchiere perché, ogni volta che finiva un disegno, il suo
primo pensiero era
quello di mostrarglielo, di farlo vedere a Helios, che la incoraggiava
sempre
criticandola con la sua solita ironia. Senza di lui che guardava i suoi
disegni
e fingeva di essere un critico giudicando tutto guardando il foglio con
un
finto monocolo, per poi infilarselo in tasca, non era più
bello e le sembrava
che non avesse più senso. Perché fare qualcosa se
non poteva riderne con lui?
Quando
lui non disse più niente.
Hyacinth pensò che fosse deluso dal fatto di aver
attraversato il paese per niente
e, non riuscendo a sostenere la sua delusione, si alzò per
andarsene.
“Mi
dispiace, non posso aiutarti.
Sei venuto per niente” disse, prima di riprendere la
valigetta.
Helios
la guardò girarsi e
incamminarsi verso l’uscita. Colto dal panico, non sapendo
bene come
comportarsi, disse l’unica cosa che gli passò per
il cervello in quel momento.
“Siamo della stessa materia di cui sono fatte le
stelle!” La sua voce, forse un
po’ troppo alta e agitata, era spaventata dal fatto che
potesse essere l’ultima
volta in cui lui si lasciava scappare quella ragazza. Per un momento
non gli
importò più che lei potesse essere sposata,
impegnata, o anche solamente
innamorata di qualcun altro. Aveva bisogno che lei sapesse e,
probabilmente,
per poter andare avanti, che lei lo rifiutasse per bene una volta per
tutte.
Hyacinth
si bloccò al suono di
quelle parole, come se lui avesse espresso un incantesimo e lei non
potesse più
muoversi. Il suo cuore palpitò e il respiro le si
bloccò in gola: aveva usato
le stesse parole dell’ultimo anno del liceo. Le parole che
riguardavano solo
loro. Solo loro e nessun altro.
“Helios…”
disse la ragazza,
girandosi verso il tavolo. Helios intravide le sue lacrime non ancora
scese e
si alzò per raggiungerla.
“Ti
ho cercato dappertutto”
sussurrò, con il cuore in gola. “Non ti ho trovato
da nessuna parte: in nessun
luogo, in nessuna donna, in nessun dannatissimo schizzo su cui ho messo
gli
occhi. E la cosa peggiore è che qualunque cosa mi ricorda
te: ti vedo ovunque,
ma tu non ci sei mai…”
“Hai
cercato nei posti sbagliati:
io sono sempre stata qui…” Hyacinth sorrise
dolcemente, allargando le braccia e
Helios scoppiò nervosamente a ridere.
“Immaginavo
che fosse colpa mia!”
Si passò una mano fra i capelli mentre la guardava e poi si
rifece serio. “E
ora è troppo tardi…”
“Per
cosa?” chiese, allarmata,
lei.
“Per
noi. Hai detto di aver
incontrato qualcuno che…” La voce di Helios, venne
interrotta subito da una più
acuta: “Dicevo che avevo incontrato te! Ma possibile che non
capisci mai
niente? Ero contenta di averti visto! Ma poi volevi solo i miei disegni
e io,
che pensavo fossi venuto per me, ho pensato che…”
Helios
non la fece finire e,
fatti due passi, le prese il volto fra le mani e la baciò.
Mise in quel bacio
tutta la frustrazione accumulata in quei dodici anni in cui non si
erano visti,
tutto il rammarico per quello che avrebbe dovuto essere, tutta la
sofferenza
per non aver creduto abbastanza in se stesso quando le aveva permesso
di
scordarsi di loro, ma soprattutto, mise in quel bacio tutto il calore e
la
passione di cui era pieno e lasciò che le sue labbra
parlassero per lui.
Hyacinth
rimase immobile, perché
non si aspettava da Helios una mossa del genere, anche se,
effettivamente, lui
aveva fatto la stessa cosa la sera del ballo e lei avrebbe dovuto
capire molto
prima che non era come gli altri ragazzi. Lasciò che lui la
invadesse, gli
permise l’accesso alla sua mente e, anche se era
già successo, lasciò che le
riempisse il cuore. Un’emozione forte, travolgente e
potentissima le prese la
parte del petto che sbatteva rumorosa nel suo cervello e, lasciando
cadere la
valigetta, gli appoggiò le mani sul petto. Si sentiva
timida, come se non lo
avesse mai fatto, come se da quel gesto dipendesse tutta la
felicità della sua
vita, l’unico modo per essere completa.
“Quindi,
la storia del libro?”
“Oh,
lascia stare, Hyacinth… Non
sapevo più cosa dire.”
“Potevi
dire che volevi stare con
me. Io… Non lo sapevo…” La voce della
ragazza si fece, nonostante tutto,
insicura e fragile.
“Tu
non hai capito: non è che io
voglia stare con te… Io non posso vivere senza di
te!”
-
-
-
***so
che vi ho fatto aspettare tanto... scusate... ma ci sarà
anche un piccolo epilogo... intanto grazie per aver letto fino a qui!
:-)
|
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Capitolo 5 *** Epilogo ***
07.Epilogo
Epilogo
-
-
-
Hownville
-
Helios
osservava lo sfrigolio del
grasso degli hamburger che si scioglieva sul barbeque, perso nei suoi
pensieri.
“Sembra
che ieri sia andata bene,
eh?” Si voltò verso Drew, il marito di Christina.
“Sì.
Una rimpatriata strana, se
vogliamo, ma una bella rimpatriata” ammise, bevendo un sorso
e voltandosi verso
il giardino: sua moglie stava aiutando Christina ad apparecchiare la
tavola,
mentre i bambini correvano per il prato spruzzandosi con i fucili ad
acqua.
Hyacinth
era strana ultimamente e
lui stava andando in paranoia. Aveva il terrore che volesse lasciarlo,
per
qualsiasi motivo. Quante volte capitava? Come la chiamavano? Crisi del
settimo
anno? Loro erano sposati solo da cinque, ma effettivamente facevano le
cose
molto più velocemente delle altre persone, doveva essere per
via della
combustione. Oddio, ma cosa stava pensando? Helios prese un lungo sorso
di
birra e scosse la testa.
“Tutto
bene?” La voce di Drew lo
riportò alla realtà. “Chris dice che
fra poco uscirà il tuo libro, sei in ansia
per questo?”
“Come?”
La risatina nervosa che
gli uscì dalla bocca non avrebbe ingannato nessuno.
“No, no, il libro non mi
preoccupa. I primi due sono andati molto bene e i disegni di Hyacinth
sono
andati a ruba, dopo. No, non è questo…”
Drew
girò con mano esperta, e un
attrezzo vagamente professionale, pensò Helios, gli
hamburger sulla piastra e
il profumo della carne si sparse nell’aria. “E
allora cosa c’è?”
Helios
sospirò e guardò dentro la
bottiglia inconsapevolmente. “Ti capita mai di pensare che
tutto sia perfetto?”
gli chiese, alzando lo sguardo su di lui.
“Perfetto?
Ho tre figli di sette
anni che la settimana scorsa hanno rischiato di dar fuoco alla casa,
hanno
allevato rane in cantina e distrutto con le biciclette il portone del
garage. Quella
prima, invece, hanno scavato una trincea nel giardino della scuola e
hanno
dichiarato guerra a una classe di due anni più avanti. Il
preside è stato
comprensivo, ma mia moglie rideva come una matta quando siamo usciti
dal suo
ufficio. Casa nostra è perennemente un caos di vestiti,
giochi, pastelli a cera
e…” Helios, annuì e tentò di
fermarlo, perché aveva capito. No, lui non aveva
problemi con quelle cose. Sua figlia Star, di quattro ann,i era molto
vivace,
ma niente in confronto a Nathan, Lewis e Blake quando ne combinavano
qualcuna
insieme.
“Ho
capito” disse solamente.
“No,
non hai capito” rispose
Drew. Si girò verso Christina e alzò la mano
quando la moglie gli lanciò un
bacio dalla piscina, dove i bambini sguazzavano fra schiamazzi, tuffi e
grida.
Helios si voltò verso di lui, aggrottando le sopracciglia.
Cos’è che non aveva
capito? “Tutto questo è perfetto. Cioè,
è perfetto per me. Io penso che sia
perfetto, sì. Non lo cambierei con nulla al mondo. Non
vorrei mai svegliarmi in
una casa fredda, pulita e in ordine. Un posto dove i miei figli non
vengano a
svegliarmi alle sei del mattino anche di domenica e dove io non torni a
casa la
sera stanco morto e costretto a giocare con arco e frecce, a far finire
compiti, a preparare la cena o a tentar di tenere tre anguille
scivolose
nell’acqua della vasca. Sì, è perfetto.
So che un giorno, quando loro saranno
grandi e io non inciamperò più nei pezzettini di
Lego, mi mancherà tantissimo.
Anche se adesso, invece di addormentarmi, la sera svengo”.
Drew
era un broker dell’alta
finanza, era alto poco meno di due metri e possedeva delle spalle da
giocatore
di football. Eppure due anni prima, Helios, lo aveva visto piangere
quando
Blake si era rotto una gamba cadendo dall’albero del parco
cittadino ed era
stato portato via dall’ambulanza. Annuì.
“Cosa
ti preoccupa veramente?”
Helios
sospirò, scosse le spalle
e prese un altro sorso di birra; con la coda dell’occhio
guardò verso Hyacinth
e Starr e le guardò rincorrersi.
“Non
lo so. Mi sembra che stia
filando tutto troppo bene. Come se fosse tutto perfetto. Troppo
Perfetto” ammise.
“Preferiresti
che tua moglie ti
tradisse con il maestro di Judo?”
“Ma
no! Che stronzata! È solo
che…”
“È
solo che ti fai troppe seghe
mentali, amico. Hai la moglie che volevi, una figlia stupenda, un
lavoro che ti
piace, una bella casa, che ti manca?”
“A
me niente. Ma… se mancasse a
loro, qualcosa?”
“E
cosa?”
Helios
scosse le spalle. Il suo
lavoro di giornalista lo impegnava quotidianamente e scriveva libri sui
viaggi
che aveva fatto. Sua figlia aveva un’intelligenza fuori dal
comune, Hyacinth
sosteneva che avesse preso da lei, sua moglie era uno degli avvocati
più pagati
della contea e loro, insieme, gestivano una rubrica di un giornale
online dove
Helios scriveva i testi e lei tratteggiava meraviglie.
Helios
era così contento di
essere riuscito a far disegnare ancora Hyacinth, secondo lui il mondo
intero
non doveva privarsi della fantasia e della matita della moglie, anche
se lei sosteneva
che i disegni che le davano più soddisfazione erano quelli
che faceva in casa
per la famiglia quando, la sera, lei e la piccola Star si sedevano
vicino sul
tavolo della cucina e i loro fogli si riempivano di colori e risate.
Ma,
nell’ultima settimana, lei
aveva iniziato a essere nervosa. All’inizio Helios aveva
pensato che fosse per
via della rimpatriata con i compagni del liceo, un po’ di
agitazione ci sarebbe
potuta stare. Avevano dovuto organizzare il viaggio per tornare a
Hownville ed
era stato un casino incastrare gli impegni di tutti e due, ma
c’erano riusciti.
Ora quella riunione era passata e lui pensava che lei sarebbe tornata
quella di
prima e invece…
Era
possibile che la rimpatriata
avesse cambiato qualcosa fra di loro? E se avesse visto qualcuno?
Qualcuno dei
suoi ex? Il viso di un Blackwall che si faceva chiamare George gli si
affacciò
nei pensieri. Helios si rendeva conto di essere veramente paranoico, ma
conosceva Hyacinth molto bene e capiva che gli stava nascondendo
qualcosa.
Si
girò verso di lei e vide che
stava parlottando con Christina: le donne ridevano e poi, insieme, si
voltarono
verso di lui. Helios si sentì premere il petto: era un
segno? Sua moglie gli
sorrise e poi l’amica la trascinò verso il tavolo
apparecchiato prendendola per
un braccio. No. Non poteva essere.
“Papà!
Ti ho chiamato tre volte!”
Helios
abbassò lo sguardo quando
si sentì tirare la maglia: il piccolo viso di Star,
corrucciato e infastidito
per non essere stata ascoltata subito, pregio che aveva ereditato dalla
mamma,
gli implorava attenzione.
Lui
si abbassò. “Scusami,
piccola, non ti avevo sentito. Cosa c’è?”
“La
mamma dice che devo darti
questo. Diceva anche che non potevo guardarlo. Io non l’ho
fatto. Cioè, l’ho
aperto poco poco, non l’ho visto, davvero. E poi non ricordo
bene cosa ho
visto… Però sei tu, papà!”
Incuriosito
e vagamente confuso
Helios prese il foglietto piegato che la sua bambina gli stava
porgendo.
Insieme, perché la bambina, degna figlia di Hyacinth, non
aveva nessuna
intenzione di perdersi la cosa, sbirciarono il contenuto.
Mentre
apriva il biglietto, il
cuore di Helios batteva furiosamente. Sua moglie aveva deciso di dirgli
qualcosa? Quella cosa che lui aveva l’impressione che gli
stesse nascondendo?
Di sicuro non voleva dirgli che scappava con Blackwall mentre lui aveva
accanto
Star! Anche se a volte Hyacinth era un po’ strana
Il
foglietto si aprì e una
caricatura di Helios apparve ai loro occhi. “Papà,
sei tu?” Star era abituata
ai disegni di Hyacinth, ma era confusa lo stesso.
Il
sorriso di Helios crebbe sul
suo viso come se fosse stato coltivato: lentamente e sempre
più rigoglioso.
“Sì,
sono io”. Helios alzò lo sguardo
verso il tavolo da pranzo dove Hyacinth aspettava, in piedi,
stringendosi le
mani nervosamente, in attesa della sua reazione.
Helios
passò il foglietto alla
bambina mentre si alzava per raggiungere la moglie.
Star
aggrottò la fronte mentre
osservava il disegno: il suo papà, lo riconosceva dal tratto
della madre e
dagli occhiali, era in piedi, con una camicia da notte con le stelline
e i
cuoricini e una grossa pancia. Molto grossa, come se avesse mangiato un
cocomero tutto interno. Ai piedi aveva delle ciabatte come quelle della
nonna,
rosa peluches, e le sue gambe un po’ piegate ricordavano
molto la posizione
delle ballerine.
Aveva
una delle mani, quella con
cui si scrive, forse la destra, dietro alla schiena e un fumetto diceva
qualcosa, ma lei non sapeva cosa. Corse dai suoi genitori, che si
stavano
abbracciando e chiese: “Mamma, che c’è
scritto, qui?”
Helios
sorrise e, continuando a
guardare la moglie, disse: “C’è scritto:
‘È possibile che debba fare tutto io?
Non potevi pensarci tu anche stavolta?’. Lo avrei detto
davvero, forse”.
Ammiccò verso Hyacinth e lei gli restituì il
sorriso.
“Ma
che vuol dire?”
“Guarda
cosa c’è disegnato sulla
pancia del papà.”
La
bimba seguì il suggerimento
della mamma e guardò il disegno mentre tutti gli altri li
circondavano. Helios
notò che Christina sorrideva tenera e Drew stappava altre
due birre, alzandole
per un brindisi. I gemelli avevano circondato Star per vedere anche
loro il
disegno.
“C’è
disegnato un fiocco” rispose
la bambina, ancora confusa.
“Esatto.
Vuol dire che presto
avrai un fratellino, Star” disse Helios mentre abbracciava
Hyacinth e la
stringeva fra le braccia.
I
bambini ridacchiarono e ripreso
a rincorrersi, lasciando il foglietto sul tavolo, vicino ai piatti.
“Potrebbe
essere anche un’altra
bambina. La prima è venuta così bene, ha preso
tutto da me!”
“Era
questo, quello che mi
nascondevi?” le chiese Helios, dopo un po’.
Hyacinth,
con le lacrime agli
occhi, annuì. “Ho fatto il test dieci giorni fa.
Volevo dirtelo dopo la
riunione, ma non riuscivo a stare zitta. Ti ho evitato
perché avevo paura di
non resistere più”.
E
lui che aveva pensato che sua
moglie volesse lasciarlo! “Mi hai fatto dannare, ho
immaginato di tutto…”
Lei
rise e Helios si innamorò di
nuovo di lei. “Bene! Così non mi darai mai per
scontata!” Lui, per risposta, la
strinse un po’ di più e si chinò a
baciarla.
“Ragazzi,
su che ci sono anche
altri bambini qui…” Christina rise, mentre li
richiamava all’ordine. “Dai che
festeggiamo! Io so anche come si chiamerà!”
“Ma
se non sappiamo neanche il
sesso!”
“È
lo stesso, da Idrogeno e Elio
possono venire solo stelle” rimarcò Christina.
“Abbiamo
già Star” disse
Hyacinth, arricciando la fronte.
“Infatti:
vi manca Sun.”
Nessuno
ebbe il coraggio di
contraddire Christina e subito dopo, insieme agli schiamazzi dei
bambini e alle
risate degli adulti, si sentì il tintinnio dei bicchieri del
brindisi e il
rumore di sottofondo della felicità.
Fine
***Eccoci
alla fine! SCusate, scusate il ritardo, ma questo epilogo non voleva
proprio scriversi ( e come potete vedere, non è un
granché 😅) ma vi assicuro che stanno tutti
benissimo e Sun è nato dopo esattamente 8 mesi.
Grazie
di aver seguito questa storia partita un po' così e grazie
per essere arrivati fin qui a leggere. Grazie davvero.
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