Angelus Dominus - Alone in the dark -

di zippo
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Una notte senza stelle ***
Capitolo 2: *** L'idolo d'oro ***
Capitolo 3: *** Un oscuro presagio ***
Capitolo 4: *** Prendere quota ***
Capitolo 5: *** Lo specchio dell'anima ***
Capitolo 6: *** Regina di cuori ***
Capitolo 7: *** L'Eden da riconquistare ***
Capitolo 8: *** Vicino al cuore ***
Capitolo 9: *** L'elefante e la farfalla ***
Capitolo 10: *** Amore, non piangere ***
Capitolo 11: *** Disturbia ***
Capitolo 12: *** Raggio di sole ***
Capitolo 13: *** La banalità del Male ***
Capitolo 14: *** Il sottile gioco di pazzia ***
Capitolo 15: *** Lontana dal paradiso ***



Capitolo 1
*** Una notte senza stelle ***


Cap. 1 - UNA NOTTE SENZA STELLE -

[Ti agiti perché ami,
sanguini perché sei stato ferito,
muori perché hai vissuto.

Crea il paradiso,
il paradiso al posto dell’inferno]

Elisa - Heaven out of hell -



***



L’aria quel giorno era calda, afosa, pesante. Il sole brillava nel cielo e non c’era una nuvola. Era estate, era la stagione del caldo torrido e dei bagni nel fiume. La natura era rinata da poco con la primavera, e l’estate stava dando il massimo della sua bellezza. Si potevano sentire in sottofondo il rumore degli insetti che cantavano o degli uccelli in volo. Il calpestio degli zoccoli dei cavalli o la corsa veloce e rumorosa dei centauri. Delle verdi colline coprivano il terreno e c’erano anche dei pini verde smeraldo di quando in quando. Un sentiero di terra battuta ondeggiava muovendosi attorno alle piante e ai pendii, il sentiero era una scia marroncina e dei cespugli bassi lo affiancavano. Al di là del sentiero, che lo costeggiava, un ruscello scorreva placido, le sue acque brillavano sotto i raggi cocenti del sole. Lo spettacolo era talmente bello da mozzare il fiato.

Nella calma apparente però, qualcuno si stava muovendo silenziosamente nel bosco, si acquattava e cercava di mimetizzarsi dietro ad un pino. Il respiro era regolare, i movimenti erano controllati e attenti, un sorrisino divertito le incorniciava il volto. Sentì un fruscio e subito si appiattì contro l’albero, si morsicchiò il labbro inferiore e pregò mentalmente che non l’avesse sentita. Sgattaiolò via dal tronco e andò ad cucciarsi dietro ad un cespuglio. Si aprì un varco tra le foglie con le mani per sbirciare. Aveva un occhio chiuso mentre l’altro era sbarrato, pronto ad intravedere ogni più piccolo movimento. Il cipiglio era innalzato, si stava divertendo un mondo a fare quel gioco.

Strisciò nella terra e si spostò di parecchi metri. Cercò di fare il più piano possibile ma non riuscì ad evitare di far rumore scuotendo le foglie cadute o i sassolini che si impigliavano nella sua divisa. Imprecò sottovoce e proseguì. Intravide a pochi metri di distanza un grosso albero con un grosso tronco. Guardò che ci fosse via libera e con uno scatto si alzò in piedi e corse fino all’albero. Il tutto senza creare rumore. Peccato che nella corsa il respiro si era accelerato e il cuore martellava. L’avrebbe sentita, lei stessa sentiva come il suo cuore batteva nel petto e sembrava che stesse echeggiando in tutto il sottobosco. Controllò a destra. Controllò a sinistra. Aggirò il tronco per cambiare postazione e se lo trovò davanti, il suo viso a pochi centimetri dal suo e un sorrisino inquietante stampato in faccia.

Rebecca balzò indietro dallo spavento e cacciò un urlo. Gabriel scoppiò a ridere.

La ragazza cominciò a correre e lui la rincorse. Scansava gli alberi e saltava via i tronchi per terra, voltava continuamente la testa per tenerlo d’occhio. Sperava di poterlo seminare ma lui era troppo bravo e troppo veloce nella corsa.

In meno di dieci secondi le fu addosso. Rebecca lanciò un altro urlo e il ragazzo le prese il polso e la fece cadere. Una volta che si ritrovò per terra tentò di sgusciare via e di rialzarsi ma la forza di Gabriel la tenne ben piantata al suolo. Le bloccò i polsi con le mani e le bloccò le gambe racchiudendole tra le sue. Rebecca si agitò sotto di lui ma non riuscì a toglierselo di dosso né tantomeno a spostarlo. Il bacino del ragazzo spingeva contro il suo e lei rimaneva a terra contro la sua volontà. Aveva iniziato a sudare freddo e tutt’un tratto si sentiva esausta. Sospirò frustrata e si accasciò, inerme. Uno sorriso vittorioso si dipinse sul volto del ragazzo, scoprendo una fila di denti bianchissimi e perfetti. Le fece l’occhiolino e lei per tutta risposta gli mise il broncio. Gabriel scese a baciarle il collo. La guardò esterrefatto quando sentì dei mugolii uscirle dalla bocca aperta. Inarcò le sopracciglia e lei scrollò le spalle come a dire: “che ci posso fare se mi fai impazzire?”.

Gabriel si alzò e le tese una mano per aiutarla a rialzarsi. Una volta in piedi Rebecca si scrollò la divisa verde scuro e si lisciò i capelli. Gabriel la guardava rapito. Lei gli sorrise. Lo prese a braccetto e uscirono dal bosco uniti.

Si videro arrivare incontro due marmocchi di quasi un anno. La bambina buttava la testa da una parte all’altra cosicché i lunghi capelli castani svolazzassero al vento, aveva due occhi verdi intensi e caldi. Il bambino invece correva brandendo una spada di legno, i capelli biondi erano color del grano e gli occhi grigi erano profondi e glaciali. Rebecca sorrise e si piegò sulle ginocchia per prendere al volo la bambina che si era gettata tra le sue braccia. Gabriel teneva il bambino in braccio e rideva con lui su qualcosa che si erano detti.

“Emma” disse Rebecca. “Cosa fate qui da soli? Non sapete che è pericoloso avventurarsi nel bosco? L’uomo cattivo è sempre pronto a mangiarvi, è là, in agguato che vi aspetta…”

Rebecca fece il solletico alla bambina che cominciò a dimenarsi tra le sue braccia. La guardò negli occhi e le toccò il naso con una mano. “L’uomo cattivo?” domandò divertita.

Rebecca finse una faccia allarmata. “Emma, non hai mai sentito parlare dell’uomo cattivo che mangia i bambini?” la prese in giro.

Emma scosse la testa divenendo improvvisamente seria. Il fratello la rimproverò. “Emma, non credere a quello che ti dice! Non esiste l’uomo cattivo, vero zio?” chiese con l’aria da “so-tutto-io”.

Gabriel se lo strinse a sé. “Certo che non esiste, Ian” lanciò un’occhiata severa alla ragazza vicino a lui. “La zia è molto brava a raccontare storie inventate”

Emma si divincolò dalle braccia della ragazza e scappò via, seguita a ruota dal fratello che era sceso dalla schiena di Gabriel. “Lo sapevo che non era vero!” urlò Emma a Rebecca mentre lei e Ian si rincorrevano sulle colline.

Rebecca la guardò e le sventolò la mano. “State attenti!” urlò a squarciagola perché la sentissero. Poi i due bambini sparirono oltre un pendio.

Gabriel le fu vicino e le circondò i fianchi. Rebecca alzò lo sguardo su di lui. “Non è che sia pericoloso, vero?” domandò preoccupata, lanciando occhiate furtive nel punto dove Emma e Ian erano scomparsi.

“Non si faranno niente, e poi guarda” disse, indicandole con un dito le due figure dietro di loro.

Denali e Rosalie li salutarono, si tenevano per mano.

“Avete visto la mia prole?” domandò Denali con un sorriso carico d’affetto.

“Sono andati di là” Rebecca gli indicò il punto esatto sulla collina.

Rosalie alzò gli occhi al cielo ma non potè trattenersi nel ridere. “Mi faranno morire di spavento quei due, non stanno fermi un attimo. Non ho tutto il tempo, io, di starli dietro”

Gabriel battè una mano sulla spalla della sorella. “Sorellina, immagino che sia dura tenere a bada due mocciosi ma non puoi permetterli di andarsene in giro da soli”

La ragazza incrociò le braccia al petto e fulminò il fratello con gli occhi. “Mi stai dando della madre irresponsabile?”

Denali, con timore reverenziale, si avvicinò alla compagna e le circondò le spalle per calmarla. “Andiamo, Rose. Andiamo a prenderli”

Rosalie sospirò e incrociò lo sguardo con il suo ragazzo. Si diedero un leggero bacio a stampo (Gabriel sussultò e fece una smorfia schifata) e poi se ne andarono.

Rebecca gli si avvicinò e gli diede un leggero pizzicotto al gomito. “Sbaglio o è questa sera che Bastian ha organizzato una festa in paese?”

Gabriel era distratto. “In realtà l’idea è partita da Alan. Non che io ne sia d’accordo…”

“A te non va mai bene niente”

“Non è vero. Dico solo che sarà una seccatura”

Gli occhi della ragazza cominciarono a luccicare, il suo sguardo era sognante. “Ma come fai a dirlo? I vestiti, le danze, i cavalieri, le dame, gli incontri…”

“Soprattutto gli incontri, giusto?” sbottò il ragazzo adombrandosi.

Lei gli fece la linguaccia. “Guarda che prima che ti conoscessi io ero una giovane fanciulla scapestrata e libera, che andava a feste e discoteche con le amiche pazze”

Gabriel incrociò le braccia al petto e le fece un sorrisino beffardo. “Questo accadeva prima, ora che sei mia non ti conviene far tanto la ragazza libera altrimenti ti toccherà dormire fuori stanotte”

“Giù le armi, guerriero” gli bisbigliò suadente all’orecchio premendoglisi contro.

Gabriel fu attraversato da una scarica elettrica che lo fece fremere.

Amava, adorava quella ragazza.

La sua era quasi una devozione divina. Era sacra, pura e buona.



***



Quando Rosalie e Denali tornarono a casa i bambini erano stanchi e affamati. Denali si lamentava a tavola del fatto che i suoi figli fossero troppo vivaci e selvaggi, Rosalie lo ascoltava senza commentare, non la pensava come lui. Per lei i suoi figli erano così spensierati e allegri che si divertivano come meglio potevano, ridevano, si rincorrevano e non stavano mai fermi. Erano felici, che c’era di male in questo?

Rosalie stava preparando la cena mentre Denali, seduto su una sedia, la osservava.

“Potresti anche darmi una mano, lo sai?” gli disse la ragazza mescolando con disinvoltura il contenuto nella pentola.

Un forte profumo di carne e minestra colpì il naso del ragazzo.

Si alzò e le diede una pacca sul sedere. “Tesoro, dovresti sapere quanto odio far da mangiare”

“Per favore, vai a chiamare i bambini, è quasi pronto” disse, introducendo un dito nella pentola della minestra e portandoselo alla bocca.

Denali si avvicinò silenziosamente e le circondò i fianchi con le braccia. “Sei incredibilmente bella in questo momento. Come faccio ad andare dai bambini con te in questo stato? Non posso certo lasciarti qui da sola” le sussurrò con il fiato mozzato dal desiderio.

Gentilmente Rosalie lo scansò. Denali si staccò, il suo sguardo era un misto tra l’eccitato e il deluso. “Ok, vado a prendere i tuoi figli”

Lasciò la cucina con grandi falcate, salì al piano di sopra e subito sentì degli urletti provenire dalla camera da letto dei figli. Quando aprì la porta vide che Emma era sotterrata dal peso di Ian e che questo le stava tirando i capelli fino a farla gridare.

“Ian, smettila subito!” tuonò la voce del padre. Il bambino ebbe un fremito e scappò in fondo alla stanza a nascondersi dietro la tenda.

Emma, al suolo e piangente, tese le braccia con fare disperato verso il padre. Con profonda commozione il ragazzo la prese in braccio e se la strinse al petto, lanciando occhiate di fuoco al bambino che era ancora nascosto infondo alla camera. Le accarezzò i lunghi capelli castani così simili ai suoi, perforando gli occhi grigi di Ian che erano uguali ai suoi per colore e intensità.

“Ian, ti ho detto mille volte di non dare fastidio a tua sorella. Lo sai che puoi farle male, lei è una signorina, non devi essere cattivo con lei”

Ian fece il beccuccio e si ciondolò sui piedi. “Non volevo, lei mi ha chiamato brutto stupido”

Denali guardò con aria sconvolta la sua piccola figlia adorata che ora aveva trattenuto il fiato. “Emma, è vero quello che dice?”

Il silenzio della bambina parlò da sé. Il ragazzo sospirò pesantemente. “Ragazzi, non vi voglio sentir dire quelle parolacce”

“Ma tu e la mamma lo fate!” lo rimbeccò il bambino.

“Sì, ma io e la mamma siamo grandi e alcune cose che ci diciamo non stanno bene che voi le ripetiate. Quando sarete grandi potrete fare e dire quello che vorrete ma ora, finchè siete piccoli e sotto la nostra custodia, non dovete azzardarvi ad essere maleducati. Dovete volervi bene, capito?”

I due bambini annuirono con pentimento.

Denali mise già la bambina che ora si succhiava il pollice e la guardò con amore. “Emma, vai e chiedi scusa a tuo fratello” il suo sguardo era dolce e adorante. Le tolse il dito dalla bocca e con una piccola spinta la mandò verso Ian.

Emma raggiunse Ian e lo abbracciò.

“Bravi ragazzi, così vi voglio” disse il ragazzo con orgoglio, gonfiando il petto. “Ora venite a mangiare, la mamma ci aspetta”

Il ragazzo si alzò in piedi e si sentì strattonare i pantaloni sia da una parte che dall’altra. Alzò gli occhi al cielo e con un braccio andò a prendere Ian mentre con l’altro prese Emma. Se li caricò uno su una spalla una sull’altra.

“Guarda cosa mi tocca fare” brontolò Denali arrivando in cucina con i figli in groppa che ridevano come matti.

La cena era pronta così come anche la tavola.

Rosalie li osservò divertita e lo aiutò prendendo Ian. Il bambino, che adorava particolarmente la madre, le riempì il volto di baci.

“Sapevi a cosa andavi incontro facendo il padre” disse la ragazza una volta che furono tutti e quattro a tavola.

Denali la guardò intensamente. “Non potrei mai pentirmene, tesoro”



***



Delia e Kevin camminavano mano per la mano lungo le vie del villaggio. Entrarono dentro una taverna e presero posto ad un tavolo. Una donna prorompente di mezza età, volgare e grottesca, li servì. Erano una di fronte all’altro e per un po’ rimasero zitti. Delia lanciava sguardi carichi di ostilità verso la donna della taverna e Kevin seguiva interessato lo spostamento dei suoi occhi sulla sala. Non c’erano molte persone, era quasi sera e tutti si stavano sicuramente preparando per la serata di festa al villaggio.

“Che donna vergognosa” si decise alla fine a parlare la ragazza. “Non dovrebbero lasciare ad una donna del genere la gestione di una taverna”

Kevin prese il boccale di vino in mano e bevve un lungo sorso. “Glielo lasciano gestire solo perché porta le api al miele, gli uomini vengono per lei, intanto bevono e pagano, e i proprietari si arricchiscono”

“Anche a me avevano proposto di lavorare qui” disse Delia con nonchalance.

Il ragazzo sputò fuori in un getto quello che stava bevendo. “Cosa?!” urlò sconvolto.

La ragazza, imbarazzata, abbassò gli occhi. Tenne lo sguardo basso e si contorse le mani sotto la tavola di legno.

“Che cosa hai appena detto?” fece lui.

“Me l’avevano chiesto. Dato che mio padre è il proprietario della locanda pensavano che me le sarei cavata nel gestire una taverna”

“E beh certo! Basta muovere il sedere e far vedere le tette!” esclamò Kevin completamente fuori di sé.

“Non parlare così! E comunque ho rifiutato, non sono posti per me”

“Dico bene” brontolò.

“Dovresti smetterla di essere così protettivo nei miei confronti, Kevin. Sono grande e so risolvermela benissimo da sola quando mi capitano situazioni simili”

“È successo altre volte che qualcuno ti importunasse?” domandò con tono incolore.

La ragazza scrollò le spalle. “Mah, non mi sono state fatte proposte indecenti o scandalose però…” si bloccò nel vedere lo sguardo omicida del ragazzo. Tossì. “Nessuno mi ha mai rotto le scatole. Sono stata fortunata” concluse con un sorriso tirato.  

La verità era che quando aiutava suo padre col lavoro capitava spesso che degli uomini la importunassero. Ma queste seccature non andavano oltre a delle battute. Ma questo era meglio non dirlo a Kevin. Delia sapeva, dopo la morte della compagna e della figlia, quanto lui fosse possessivo con le persone che amava. Dopotutto non le dispiaceva. La faceva sentire amata.

“E comunque ora che vivi con me nessuno oserebbe venire a bussare a casa nostra”

“Praticamente ringhi ogni volta che uno sconosciuto bussa!”

“Io mi preoccupo per te, amore. Non dire che non è vero, sarò anche oppressivo ma lo faccio perché non voglio che qualcuno ti dia fastidio. Mi irrito altrimenti. Ti lamenti ora che sono geloso, aspetta di rimanere incinta, sarò doppiamente geloso!”

Delia sorrise. “Non sarebbe una cattiva idea”

“Quella di rimanere incinta?”

“Sì”

“E ammazzo tutti gli uomini che proveranno ad avvicinarsi a te o a mio figlio”

“Ma dimmi, parli tanto di me…hai conquistato qualche cuore ultimamente?” lo minacciò facendosi avanti con il corpo.

Kevin si slacciò il primo bottone della camicia, gli era venuto improvvisamente caldo. Cercò di assumere un’aria spavalda. “Apparte il tuo nessuno”

Delia socchiuse gli occhi fino a ridurli a due fessure. “Chissà perché non la bevo”

Il ragazzo buttò le mani in aria e cominciò a parlare come una macchinetta. Le uniche, poche, parole che lei aveva capito erano state: “non centro niente”, “non è colpa mia se le donne mi adorano” e “non ti ho mai tradita”.

Beh, questo poteva bastare, no?

Delia lo interruppe. “Kevin?”

“Sì” rispose con uno stridulo acuto.

Gli occhi della ragazza erano due pozzi di profonda dolcezza. “Ti amo”



***



La piazza era in fermento, la gente passava apposta lungo la via per poter così sbirciare il lavoro che Bastian a Alan stavano facendo. I due fratelli si sentivano continuamente osservati e più di una volta Alan aveva perso la pazienza.

“Smettetela di gironzolarci intorno! Stasera vedrete con i vostri occhi cosa vi abbiamo preparato!” sbraitò ad un certo punto nel vedere un gruppo di ragazze che si erano fermate e spettegolavano eccitate sui preparativi. Queste se n’erano andate via sconcertate e offese. Bastian se la rideva sotto i baffi, continuando a tagliare la legna. Si asciugò la fronte sudata e guardò il fratello ancora di schiena che lanciava sguardi selvaggi nel punto in cui le ragazze erano sparite.

“Alan, non è così che dovresti trattare la gente del mio villaggio” lo rimproverò Bastian tirandosi dritto per sgranchire la schiena a pezzi.

Alan tornò ad aiutarlo piegandosi con noncuranza sul mucchio della legna. Prese in mano il machete e spaccò una legna con violenza. Bastian fece qualche passo indietro, intimorito.

Lo guardava esitare. “Penso proprio che tu debba trovarti una donna con cui sfogare i tuoi istinti animali, sai?”

Alan lo guardò malissimo. “Lo sai che a me non serve la compagnia di una donna”

Alan era più giovane di Bastian ma comunque abbastanza grande da dover mettere la testa apposto e fare l’uomo di famiglia. Aveva quarantatrè anni.

Prese il pezzo di legna e lo buttò nella catasta insieme agli altri già tagliati.

Bastian schioccò la lingua. “Comunque questo non ti permette di essere così scortese”

Il fratello roteò gli occhi, mise per terra il machete e si pulì le mani sui pantaloni. Guardò il fratello negli occhi, era un po’ più alto, più bello e molto più affascinante. “A quanto pare il mio carattere non è cambiato granchè durante gli anni passati rinchiuso in una cella”

“Se posso dirtelo sei diventato ancora più insopportabile” rise Bastian.

Anche Alan rise. “Forse hai ragione, mi serve una donna”

Bastian gli diede una pacca sulla spalla e risero come due bambini. Poi Bastian puntò lo sguardo verso la legna e quindi verso l’impalcatura che stavano costruendo. Tornò serio e pensieroso.

“È da giorni che ci lavoriamo, speriamo solo di riuscire a finire per questa sera”

Alan, che non si scoraggiava mai, finse un’espressione terrorizzata. “E se non dovessimo riuscirci?! Non voglio pensare alla mandria di ragazzine che ci inseguirebbero a vita per averle rovinato la serata del ballo! Dopotutto manderemo all’aria una notte di rimorchi” disse con un sorriso furbetto.

“Ma smettila” sbraitò il capo-villaggio. “Ce la faremo, dobbiamo solo evitare di fare continue pause”

“Non possiamo chiamare Rebecca?” domandò con occhi vispi e allegri. “Quella ragazza è una forza della natura, ci spezzerebbe tutta la legna in meno di venti secondi, costruirebbe il palco con la magia in due minuti e tutti gli addobbi e le luci gli farebbe in tre secondi. Senza contare che il tocco elegante di una ragazza raffinata è perfetto per la serata del rimorchio”

Bastian scrollò la testa. In realtà ci aveva pensato anche lui. “Rebecca è andata ad allenarsi con Gabriel, come ogni pomeriggio”

“E quando rientra? Potremmo chiamarla se è già a casa”

“Non so se è a casa, in ogni caso possiamo benissimo arrangiarci da soli”

Alan sospirò pesantemente. “Tu puoi arrangiarti da solo, io sono sfinito. È tutto il giorno che taglio legna e preparo addobbi. Insomma, sono pur sempre un uomo con una dignità maschile! Che figura che faccio nel farmi vedere a intagliare roselline e fiocchetti!”

“Finiscila di lamentarti, è solo per una sera”

“Hai detto che hai organizzato questa festa in paese per far divertire la gente del villaggio. È tutto o c’è dell’altro?” chiese l’uomo.

Bastian prese un profondo respiro. “In parte è vero, in parte l’ho fatto perché fra qualche giorno ho intenzione di mandare gli uomini in una spedizione al di là dei nostri territori. Pensavo di farli divertire prima di parlargli della battaglia”

“Battaglia? Spedizione? Vuoi mandarli in territorio nemico a morire?” esclamò Alan confuso.

Bastian gli fece cenno di abbassare la voce. “Dopo la morte di Dark Threat i suoi seguaci sono scomparsi e fino a qualche tempo fa non abbiamo più avuto notizie di loro. Però due giorni fa mi è arrivata una lettera da parte di un nostro villaggio alleato che vive nei territori una volta appartenuti a Mortimer. Nella lettera che mi ha spedito il capo-villaggio c’era scritto che a quanto pare i seguaci rimasti si sono radunati formando un gruppo armato. Vanno ad attaccare i villaggi con l’intenzione di riunire i territori di Dark Threat, terre che sono andate perse dopo la sua scomparsa”

“Ma non capisco, che senso avrebbe riprendersi tutti i territori dal momento in cui il loro signore è morto? Loro di certo non sono in grado di comandare”

Bastian sembrava preoccupato per qualcosa. “Infatti, non sono in grado di farlo. Quello che io temo è che lo stiano facendo a nome di qualcuno” sussurrò gravemente.

Alan spalancò gli occhi inorridito. “Vuoi dire a nome di Mortimer? È impossibile, lui è morto! Rebecca lo ha ucciso!”

“Non penso sia Dark Threat il loro nuovo signore” disse.

“E chi allora?” domandò il fratello con una nota di panico nella voce.

“Io credo che sia Atreius. Il nuovo erede”

Alan barcollò indietro e dovette aggrapparsi ad una trave per non cadere a terra. Le gambe gli tremavano, inarcò le sopracciglia ed emise un gemito soffocato.

Dovette sforzarsi molto per aprir bocca e parlare. “Gabriel non ha…? Non l’ha ucciso?”

Bastian scosse la testa. Gabriel gli aveva detto che l’aveva visto lanciarsi dalla finestra del palazzo e cadere nel vuoto. Ma mai lui aveva messo in dubbio il fatto che fosse ancora vivo, che fosse riuscito a salvarsi dopo essere precipitato nel baratro del fossato. Dopo un po’ aveva dimenticato la questione della presunta morte di Atreius, ma successivamente alla lettura della lettera il primo pensiero che aveva avuto era stato quello di un Atreius vivo e potente che prendeva il posto del padre sul trono della casata. Sarebbe stata l’unica spiegazione plausibile, Atreius era l’unico uomo che poteva prendere quella responsabilità. Conosceva il padre ed era stato addestrato da lui, perciò era logico che avrebbe ereditato tutto dopo la sua morte.

Se Gabriel ne fosse venuto a conoscenza sicuramente si sarebbe infuriato, e non solo per un fatto personale (non aveva ancora digerito la relazione che c’era stata tra Rebecca e Atreius), ma anche per un fatto di odio. Gabriel odiava Atreius, non sarebbe stato contento di saperlo ancora vivo. Anche perché avrebbe significato che lui aveva perso.   

“Non devi farne parola con nessuno Alan, mi raccomando” lo avvisò Bastian. “Non finchè non ne siamo sicuri al cento per cento”

Alan, che sembrava aver ripreso un po’ di colorito, annuii. “E quindi tu vuoi mandare un esercito a sterminare i seguaci di Mortimer in modo da fermare la loro conquista?”

“In questo momento i seguaci si sono fermati tutti nel villaggio di Numbia, pare che dopo averlo conquistato e saccheggiato si stiano prendendo un momento di pausa e riposo. Se mando in tempo un esercito nel villaggio riusciremo ad ucciderli cogliendoli di sorpresa. Il capo-villaggio, Hedger, mi ha assicurato il loro aiuto. Numbia è il villaggio più vicino al castello di Mortimer, potrei scoprire più facilmente chi sta dietro a questa guerra, se è Atreius o qualcun altro”

“Intendevi dirmelo o no? Se è un no immagino che tu mi volessi a casa”

“Infatti l’idea di portarti con me non mi eccitava granchè, dopo quello che ti è successo non vedevo di buon occhio la tua presenza nel campo di battaglia”  

“Non devi preoccuparti per me, io vengo”

Bastian tirò su col naso e lasciò cadere le braccia lungo i fianchi, afflitto e vinto.

“Chi intendi portare nella spedizione?” naturalmente intendeva dire chi voleva portare di “speciale”.

“Di sicuro Rebecca, poi chiederò anche a Gabriel”  

“E pensi che accetteranno?”

“Lei sì. Lui non so”



***



Dopo la morte di Dark Threat il castello non era stato ristrutturato, né tantomeno ripulito. Da fuori sembrava vecchio di secoli, dentro invece la maggior parte delle stanze, dei corridoio erano stati distrutti e grossi massi caduti dal soffitto ostruivano i passaggi. La sala del trono era rimasta uguale nell’arco di parecchi mesi. Era passato quasi un anno, quasi perché in realtà erano alcuni mesi. La presenza di Dark Threat sembrava non volersene andare dal castello, dalla sua casa. Nonostante fosse morto era come se continuasse a vivere in quelle mura, in quelle sale, in quei corridoi. Il peso della sua scomparsa gravava sui suoi uomini. Il più rilassato e tranquillo di tutti rimaneva comunque il figlio. Vezzen, il fidato servo di Mortimer, aveva affrontato la morte del suo padrone richiudendosi in un oscuro silenzio, serviva e riveriva l’erede ma non era più la creatura che era prima. Non era più fidata, non era più riconoscente né entusiasta di servire il Male. Ricopriva Atreius di piaceri e attenzioni ma non appena se ne andava dalla sua camera digrignava i denti e stringeva i pugni.

Atreius stava architettando qualcosa, ne era sicuro, anche se non sapeva cosa. Ogni qual volta che lo faceva chiamare compariva sul suo volto un odioso sorrisino maligno. Era accerchiato da una congrega di generali e maghi che lo aiutavano nel suo compito di governare e conquistare. Atreius parlava sempre molto con i maghi della sua congrega, prestando meno attenzione ai generali. Vezzen non capiva il perché. Non capiva come mai Atreius mettesse in secondo piano la guerra e le tattiche di conquista, privilegiando la compagnia di tre maghi oscuri. A che potevano servirli?

Ormai stava scendendo la sera, era quasi buio quando Vezzen fu chiamato dal suo signore. Lo raggiunse di corsa nella sua stanza. Le sue gambe basse e tozze lo facevano rallentare, non riusciva ad arrivare prima che il ragazzo si arrabbiasse per il suo ritardo. Bussò tre volte alla porta della sua camera da letto e aspettò con magra consolazione che lui rispondesse e gli permettesse di entrare. L’ultima volta che era entrato senza bussare gli aveva ustionato tutte e dieci le dita della mani.

Guardò le sue mani fasciate da una bianca garza e lo sentì chiamare il suo nome.

Entrò un po’ titubante, chiuse la porta dietro di sé e si portò qualche passò avanti. Si ciondolò sui piedi, in attesa. “Comandi, signore?”

Atreius era di spalle e guardava fuori dall’enorme finestrone. Era il tramonto, momento ideale per le creature della notte che aspettavano con bramosia il calare delle tenebre. Il mantello gli copriva il corpo, il cappuccio la testa.

Si voltò molto lentamente. A Vezzen mancò il respiro. Era, se possibile dirlo, diventato ancora più bello dalla morte di Dark Threat. La magia che aveva sviluppato (nonostante rimanesse comunque limitato dato che era un Nim e non un angelo) gli aveva reso i lineamenti del viso molto più raffinati ed eleganti. Sembrava un principe, ad un felino leggiadro e sadico. Era il Male che rendeva le persone capaci di diventare talmente tanto belle da possedere una bellezza inquietante e allo stesso tempo affascinante.

Si era cacciatori, non prede.

Quando Atreius parlò la sua voce venne fuori calma e melodiosa. Faceva davvero paura il suo innaturale controllo. “Questa notte non devo essere per nulla al mondo disturbato, sono stato chiaro?” tuonò.

“Certo” deglutì Vezzen.

Non prometteva nulla di buono.

“Stanotte avverrà qualcosa di molto importante, mio caro amico. Nessuno, e dico, nessuno deve entrare nella mia camera”

Vezzen era indeciso se parlare o meno. “Signore, se non sono inopportuno, posso sapere che intendete fare?”

Atreius lo squadrò da cima a fondo con uno sguardo affilato e duro. “Sei inopportuno” sibilò. “Lo verrai a sapere, lo verrete a sapere tutti quanti quando verrà il momento giusto. Ma per ora ti basti sapere che potrei diventare molto cattivo se qualcuno dovesse entrare o mi dovesse disturbare”

“Stia tranquillo, Signore. Io non lo permetterò”

“Ora vai e non farti vedere fino a domani mattina” disse il ragazzo e con un cenno della mano lo congedò.

Vezzen si trascinò fino alla porta e poi sparì dalla stanza lasciando dietro di sé il rumore della serratura che si richiudeva.

Atreius tornò ad ammirare il tramonto dalla finestra ad arco, il respiro lento e regolare, il petto che si abbassava e si alzava quasi impercettibilmente. Non era più il ragazzo impulsivo e bellicoso di una volta, ora era quello che si poteva definire “un re”.

Sorrise.

Da una porta segreta dietro di lui comparvero tre figure incappucciate. Erano i tre maghi della congrega.

“Ho sentito il vostro odore quando ancora stavate salendo le scale” disse il ragazzo non voltandosi.

I tre maghi si lanciarono tra di loro delle occhiate preoccupate e disorientate.

“Ci avete fatto chiamare per cosa, nostro signore?” domandò uno dei tre, quello in mezzo.

“Dovreste sapere il motivo per cui vi ho fatti chiamare”

Altre occhiate terrorizzate.

“Ho intenzione di eseguire con voi il rito questa notte”

Atreius potè benissimo sentire l’agitazione e la tensione materializzarsi nei loro corpi. Questi smisero per un attimo di respirare e il primo che parlò aveva la voce rauca ed esitante.

“Ma signore, così presto? Dopotutto è un rito molto difficile da eseguire”

“Non voglio sentire storie, signori. Questa notte avverrà la svolta per tutto il regno della magia e non voglio più aspettare, sono impaziente di concludere i miei piani”

“Potremmo sapere almeno a chi intende indirizzare lo spirito?”

Un ghigno terrificante comparve sul volto pallido e perfetto del ragazzo. “All’angelo. Rebecca, o Aidel, dipende da come la chiamate voi. Comunque è lei che voglio”



***



Gabriel picchiò la fronte altre tre volte contro la porta del bagno. I palmi erano aperti e una mano di tanto in tanto tentava di aprire la porta sperando di non trovarla ancora chiusa a chiave. Sentiva dei rumori provenire dal bagno e tentava di capire che stesse facendo di così importante da non permettergli di entrare a vederla.

“Rebecca?” la chiamò con stanchezza. “Mi vuoi aprire?”

Da quant’era appoggiato lì, alla porta del bagno a chiamarla?

Si tirò su le maniche dello smoking. “Guarda che facciamo tardi” era seccato.

Sentì la sua voce che gli rispondeva dal bagno, tranquilla e felice. “Ma come? Non sapevi che i vip arrivano sempre in ritardo per poter così attirare l’attenzione di tutti?”

Gabriel sbuffò. “Non mi interessa attirare l’attenzione di nessuno, voglio solo andare a quella maledetta festa in modo da tornare a casa prima”

La porta del bagno si aprì tutt’un colpo e per poco Gabriel non cadde in avanti. Barcollò sul posto e si ritrovò il volto della ragazza a pochi centimetri dal suo. Tutto ciò che vedeva erano i suoi occhi truccati di marrone, la sua pelle chiara e pulita e le sue labbra carnose tinte da un rossetto color albicocca. Per un attimo il suo cervello non connesse. Poi lei lo baciò sulla bocca con un bacio a stampo, veloce e leggero, probabilmente non voleva che il rossetto scomparisse.

“Sei bellissimo” gli disse con occhi dolci e orgogliosi.

Il mio ragazzo.

Gabriel non aveva più fiato in corpo, faticò a ritrovare l’ossigeno. “Anche tu”

Rebecca sorrise e alzò gli occhi al cielo. Le sue ciglia erano lunghissime e nere, definite dal mascara che rendevano il suo sguardo ancora più magnetico. “Ma se non mi hai neppure guardata”

Gabriel lasciò scorrere gli occhi sul suo corpo e man mano che scendeva con la visuale la bocca si apriva sempre di più.

Rebecca indossava un vestito color avorio che le arrivava leggero a sbalzi fino alle ginocchia. Le spalline erano spesse e ripiegate fra loro a formare delle pieghe, legate poi all’altezza del seno da dei nastri marroni. La scollatura era abbastanza generosa ed era a V. Il vestito nel busto era attillato e dalla vita in giù scivolava ampio, la vita era fermata da un nastro marrone che richiamava quelli delle spalline. I capelli erano sciolti ed erano tutti a boccoli, dei ricci morbidi e luminosi che risaltavano il suo colore cioccolato. Ai piedi indossava dei sandali dorati, aperti e che risalivano alla greca con dei lacci fino a metà polpaccio. La sua pelle era così perfetta che con quel vestito così candido e puro la faceva sembrare una ninfa.

Anzi, una dea.

La mia ragazza.

“Sono contenta che ti piaccia” sorrise, visibilmente compiaciuta dal modo in cui il suo ragazzo la stava guardando.

Gabriel sbattè le palpebre un paio di volte prima di riprendere conoscenza. Per un attimo non ci aveva più capito niente. Era disarmante la sua bellezza, niente a che vedere con la volgarità o la semplicità, era talmente elegante e raffinata che pareva essere fatta di luce.

Era fortunato ad averla, era stato davvero fortunato che una ragazza unica come lei avesse scelto lui come il suo compagno. Che avesse scelto lui per donare il suo cuore. Naturalmente era troppo tardi per tornare indietro, era diventato troppo possessivo e geloso nei riguardi di tutti e vederla in quelle condizioni lo fece avvampare.

Avrebbe dovuto tenerla d’occhio quella sera. Non avrebbe tollerato nessun tipo di approccio da parte di nessuno.

Maledizione, era davvero arrivato a quei livelli di amore?

Come si poteva volere così tanto per sé una persona? Tanto che ti sentivi soffocare se c’era qualcun altro che respirava la vostra stessa aria?  

Cercò di sorridere anche se il groppo che aveva in gola gli faceva sentire un macigno sul petto. “Mi piaci, dico davvero. Sei stupenda”

Rebecca aggrottò la fronte, vedeva molta sofferenza nel volto combattuto del ragazzo. “C’è qualcosa che non va, Gabriel?” mormorò vedendolo così triste.

“Sei così bella che mi fai male”

Rebecca serrò la bocca e assunse un’aria confusa. “Ti faccio male? Che stai dicendo?”

Gabriel le prese una mano e se la portò al cuore. “Mi fai male qui”

I loro sguardi si incatenarono e i loro occhi erano talmente colmi di affetto e sentimento che rimasero parecchi secondi uno di fronte all’altra senza parlare né muoversi, leggendosi fin dentro l’anima. Rebecca appariva spaventata mentre Gabriel era tutto un dolore straziante che lo faceva bruciare.

Dio, quanto l’amava.  

Poi lui parlò. “Dobbiamo proprio andare questa sera alla festa?” la sua voce era bassa e roca.

“Che cosa ti spaventa?” domandò la ragazza che pendeva dalle sue labbra.

Gabriel si lasciò andare ad una risata isterica. Lei non rideva. Lui si staccò da lei, fece dei passi indietro e la fissò da lontano, il suo volto era nascosto nella semioscurità della casa. La luce del bagno dietro Rebecca la faceva invece risplendere.

“Ho paura persino dell’aria che respiri!” urlò Gabriel che continuava a ridere nonostante fosse arrabbiato. “Ho qualcosa di sbagliato? È sbagliato che io sia così possessivo al punto da diventare paranoico?!”

“Gabriel, non è colpa tua” sussurrò Rebecca completamente sconvolta dinnanzi il suo patimento. “Non è sbagliato amare troppo una persona”

“Non mi lasciare” sussurrò con voce rotta.

Rebecca gemette e gli corse incontro. Lo abbracciò con rabbia, lo tenne stretto e nascose il volto nel suo petto, sperava che lui non la vedesse piangere. Sentiva il suo corpo inerme, fermo, pietrificato, non rispondeva al suo abbraccio, sembrava morto, fissava il soffitto e i suoi occhi azzurri erano vuoti, inespressivi.

Lei lo scorlò con forza. “Che diavolo blateri?! Non ti potrei mai lasciare, mai! Non voglio più sentire questi discorsi! Ti amo, sei tutta la mia vita, sei il mio migliore amico, la mia unica famiglia! Come potrei andarmene? Perché mi dici questo?!”

“Perché sento che tu te ne andrai”   

Rebecca singultò e per poco non si soffocò con il suo stesso pianto. Smise di scrollarlo e sbarrò gli occhi a dismisura.

Da qualche giorno strani incubi invadevano i suoi sogni, le sue notti, il suo riposo. Da qualche giorno le era crollato addosso un bruttissimo presentimento, come un senso di perdita, di distacco. Come se si sentisse in procinto di partire. La sensazione atroce di un imminente addio. Era una sensazione strana, vera, palpabile. Rebecca non aveva mai fatto parola dei suoi sogni a Gabriel, sogni nei quali si vedeva con due occhi rossi mentre gli ringhiava contro. Sogni nei quali il letto in cui dormiva non era il suo, e Gabriel non era accanto a lei. Aveva cercato di non darci peso, di non pensarci su, dopotutto erano solo incubi. Brutti presagi. Ma ora che anche Gabriel sentiva quella sua stessa sensazione…come spiegarla? Cosa dire?

Un freddo glaciale la invase. Sciolse l’abbraccio e con il volto segnato dalle lacrime se ne andò senza guardarsi indietro, senza prestare attenzione alla figura del ragazzo che era rimasto a braccia aperte nel corridoio, silenzioso, confuso, sconvolto.

È così che inizia la fine?

Con uno scontro che pian piano ti allontana sempre di più.  



***



Gabriel aprì l’uscio della porta per andare alla festa, non appena l’aprì un vento gelido lo invase e lo fece rabbrividire. Aveva sentito Rebecca uscire prima di lui, probabilmente era già arrivata alla festa. Un moto di sconsolazione lo attanagliò quando pensò che poteva aspettarlo, in modo da fare la strada insieme, per essere insieme.

Sospirò e si strinse nel suo smoking blu scuro impeccabile. Dire che era bellissimo era poco. Si lasciò trascinare dall’aria fredda mentre percorreva a piedi da solo la strada. Mise le mani dentro le tasche e cercò di farsi caldo nascondendo la faccia nell’interno del colletto della camicia.

Era più buio del solito, notò.

Alzò gli occhi in alto e rimase basito quando vide che il cielo era nero, completamente scuro. Non c’era neppure una stella che brillava. Soltanto tre volte negli ultimi tempi era accaduto che le stelle mancassero di risplendere. La prima, quando Rebecca era arrivata. La seconda, quando Rebecca era stata crocifissa. Terza, quando Mortimer era morto.

E pensare che le stelle non brillavano quando accadeva qualcosa di veramente terribile.



***













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Capitolo 2
*** L'idolo d'oro ***


Cap. 2 - L’IDOLO D’ORO -

[Se fossi un ragazzo
penso che potrei capire
come ci si sente ad amare una ragazza.

Giuro che saprei essere un uomo migliore.
L’ascolterei, perchè so come fa male
quando perdi qualcuno che volevi,
perchè lui l’ha data per dovuta
e ogni cosa che aveva fatto è stata distrutta]

Beyonce - If I were a boy -



***



Quando Gabriel arrivò alla festa vi trovò moltissime persone, tante non le aveva neanche mai viste nel villaggio. Cercava con lo sguardo Rebecca tra la massa, non soffermandosi neppure ad ammirare lo scenario generale. Scostava e spingeva le persone che si trovava davanti, cercando di aprirsi un varco tra la folla. Non appena uscì dall’ingorgo (probabilmente era la pista da ballo) vide di fronte a lui una serie di tavole con cibo, bevande, sedie e sgabelli. Erano tutti in piedi che chiacchieravano, non li prestava attenzione finchè non si sentì strattonare da una parte.

Bastian gli sorrideva con una faccia da ebete, doveva aver alzato un po’ il gomito. Gabriel notò la strana bevanda che teneva in mano. “Pensavo non saresti venuto! Ti piace come ho creato lo scenario?”

Gabriel, con cipiglio seccato, si guardò attorno. Dietro di sé c’era la pista da ballo da dove era arrivato, era circolare ed enorme. Ragazze e ragazzi, donne e uomini, ballavano tra di loro sulle note di una melodia sdolcinata e lenta. Si tenevano vicini, gli uomini facevano volteggiare e girare su sé stesse le donne, cosicché i loro vestiti lunghi si potessero aprire come una tenda. Un arco di rose bianche sovrastava la pista e ai lati c’erano delle poltrone bianche dove delle giovani ragazze dall’aria stufa aspettavano che qualcuno le invitassero a ballare. Altre spettegolavano. Altre erano intente a darsi da fare con dei ragazzi. Ai lati della pista da ballo erano stati innalzati due grandi tendoni verdi e colorati dove la luce all’interno proiettava sfumature all’esterno. Dentro i capannoni c’erano dei divani, dei tavoli dove si poteva bere e giocare a carte.

Bastian l’aveva messo in guardia, dentro a quei tendoni le cameriere che lavoravano e i baristi che davano da bere erano alquanto alticci e pericolosi.

“Delle puttane e dei gigolò” disse Gabriel.

Bastian storse il naso.

Infondo alla pista da ballo, dove si trovava Gabriel, c’erano delle tavole rotonde a quattro posti ciascuna, si poteva mangiare, bere e rimorchiare. Il ragazzo osservò con interesse tutte le coppiette, si vedevano corpi avvinghiati in piedi, addosso ad un albero, sugli sgabelli. Là non c’era molta luce, perciò non si vedevano bene, s’imboscavano tra le piante. Con gli occhi serrati fissò ogni coppietta. Sperava certo di non trovare Rebecca lì in mezzo.

“È tutto molto bello Bastian, complimenti, falli anche ad Alan. Dov’è in questo momento tuo fratello?” domandò, accettando di buon grado un bicchiere offertogli dal capo-villaggio. “C’è alcool?” chiese, ma lui non gli rispose.

“Mio fratello sarà dentro ad un tendone con la bava a terra nel tentativo di rimorchiare una cameriera” sbottò con una scrollata di spalle.

Risero entrambi, poi Gabriel tornò serio. Bevve un lungo sorso della bevanda, era molto forte. “Hai visto Rebecca?” era la domanda che gli premeva di più.

“Non l’ho vista”

“Uhm”   

“Prova a vedere se è dentro ad uno dei tendoni”

Gabriel si rigirò tra le mani il bicchiere. “Sì, vado a vedere. A dopo” disse salutandolo.

Lasciò Bastian alle prese con i suoi alcolici e si avviò nel primo capannone. Entrò e subito un odore intenso di alcool e fumo lo colpì al naso, vagò con lo sguardo. C’erano per lo più uomini, ubriachi oltretutto, giovani soldati che flirtavano apertamente con le cameriere. Vide infondo alla stanza Delia e Kevin, appartati e intenti a parlare fra di loro. Decise di non andare a salutarli.

Controllò nel secondo tendone e l’impressione che ebbe fu quella di ritrovarsi in un bordello. Era peggio dell’altro, due guardie ai lati dell’entrata si accertavano che non entrassero minorenni. Lo lasciarono passare, aveva compiuto da pochi giorni ventun’anni. Rebecca doveva essere per forza lì, non l’aveva vista né nella pista da ballo, né nello spazio all’aperto, né nel primo tendone. Aveva diciannove anni, l’avevano sicuramente fatta entrare.

Non appena Gabriel mosse un passo in avanti due ragazze bellissime gli si avvicinarono. Indossavano dei bustini attillati con delle calze a rete nere, si reggevano su dei tacchi altissimi e laccati di rosso. Si sfrusciarono su di lui che con un gesto seccato le allontanò.

Una di loro gli parlò. “Tu sei Gabriel, l’angelo”

Gabriel la fulminò con gli occhi. Lei sghignazzò, probabilmente alle donne piacevano i suoi modi tenebrosi. Dovevano trovarlo molto affascinante. “E allora?” domandò con voce glaciale.

Gli occhi di lei brillavano. “Niente, niente” il suo sguardo scese in basso e subito Gabriel si sentì infastidito.

Un ringhio silenzioso gli uscì dal petto. Le due ragazze indietreggiarono di fronte al suo sibilo, erano impaurite ma al tempo stesso sorridevano meravigliate e rapite. Sicuramente lo vedevano come una specie di super-eroe. Peccato per loro, non sapevano quanto si sbagliassero.

Gabriel si strofinò le mani un paio di volte e poi se le mise in tasca. Avanzava lungo il passaggio con sguardo tenebroso e intimidatorio. I suoi occhi erano puntati su una sagoma poco distante da lui. Tutta la gente che lo vedeva passare rimaneva a fissarlo con la bocca leggermente aperta, timorosi e invidiosi di tanta sicurezza. Era un tipo molto rispettato e tenuto a distanza.

Si fermò e serrò i pugni.

Rebecca alzò gli occhi su di lui.

Gabriel guardò prima lei e poi lo sconosciuto con cui era seduta insieme. Avevano sopra il tavolo sei bicchieri vuoti ed erano uno di fronte all’altra. L’aveva vista con il volto sorridente, buttava indietro la testa facendo scostare i capelli boccolosi. Probabilmente aveva riso per una battuta che il ragazzo le aveva fatto. Sembravano molto a loro agio, il ragazzo era abbastanza attraente e virile, sedeva con le gambe aperte e il corpo proteso verso di lei. Rebecca invece, pure mantenendo le distanze, accavallava di tanto in tanto le gambe, gesto che poteva essere facilmente frainteso.

Lei gli sorrise. “Ciao. Gabriel, ti presento il mio amico Charles” guardò Charles e poi di nuovo lui. “Charles, questo è Gabriel”

Il ragazzo gli tese amichevolmente la mano per stringergliela ma lui non si mosse.

Rebecca tossì e Charles abbassò la mano imbarazzato. “Charles mi ha tenuto compagnia finchè ti aspettavo. È stato molto gentile, ha anche pagato da bere” la buttò sul ridere accennando i sei bicchieri vuoti.

Gabriel non parlava. Charles era visibilmente a disagio e lanciava continue occhiate allarmate alla ragazza di fronte a lui. Balbettò qualcosa e poi se la svignò.

Rebecca si passò una mano sulla faccia e poi la posò sul mento. Fissava il tavolo. Quando guardò Gabriel vide che era rosso come un peperone. Si alzò di scatto come scottata.

“Io…”

“Vieni con me” ruggì prendendole il polso e trascinandola via.

Gabriel camminava velocissimo e con grandi passi, la ragazza faticava a stargli dietro, cercava di correre ma non ci riusciva con i tacchi che portava. Gabriel la portò fuori, percorsero lo spiazzo attorno alla pista da ballo, superarono la zona “rimorchi” fino a trovarsi a pochi passi dal bosco, non erano né troppo lontani dalle persone, né tantomeno troppo vicini affinché tutti li potessero sentire o prestare attenzione.

Gabriel si fermò e la strattonò fino a farla girare su sé stessa e quindi la sbattè contro un tronco. Rebecca soffocò un gemito quando il suo corpo rimbalzò con violenza contro l’albero, si appiattì addosso al tronco mentre guardava sconvolta il volto deformato del ragazzo.

Gabriel era paonazzo, respirava a malapena e si vedeva benissimo che si stava trattenendo dall’urlare.

“Avanti” lo esortò lei. “Sfogati”

Ebbe appena il tempo di finire la frase che un pugno colpì il tronco mancandole per un soffio l’orecchio. Chiuse gli occhi e subito gli riaprì. L’aria dovuta al movimento del suo braccio le aveva scompigliato i capelli, il tronco di fianco a lei si era aperto a formare un buco. Gabriel tolse la mano insanguinata e rotta, aveva delle schegge di legno conficcate nella pelle. Le nocche erano squarciate.

La fissava con odio.

Lei deglutì. “Non osare, non osare guardarmi così!” esclamò. “Non ho fatto niente, è inutile che ti arrabbi con me, togliti subito dalla faccia quello sguardo perché sono l’ultima persona che dovresti avere il coraggio di odiare!”  

Mai avrebbe creduto che la gelosia potesse ridurlo in quello stato.

Gabriel si spinse con forza contro di lei, fece aderire completamente i loro corpi e con rabbia si precipitò sulle sue labbra. Con le mani le imprigionò i polsi al tronco, all’altezza del capo, la baciò con furia sulla bocca, respirava il suo stesso respiro caldo che sapeva di alcool. Insinuò la lingua e approfondì il bacio in un modo talmente profondo che la ragazza credette di morire soffocata. Gabriel le liberò i polsi e passò le mani sulla sua schiena, alzò il vestito per toccarle la pelle. Scese a baciarle il collo con avidità, Rebecca mise le mani sulla sua testa, tra i suoi capelli biondi fino a spettinarli, lo spingeva verso di lei, il volto alzato, gli occhi socchiusi, la bocca leggermente aperta. Fece uscire una gamba facendosi spazio come meglio poteva e andò a racchiudere i fianchi del ragazzo. Ripetè la stessa cosa con l’altra gamba e si ritrovò sollevata da terra, entrambe le gambe cingevano Gabriel. Una mano di Gabriel lasciò la sua schiena e andò a sollevarle il vestito scoprendole la coscia. Il tocco della sua mano fredda a contatto con la pelle calda di lei provocò in entrambi una reazione potentissima.

Si stavano spingendo troppo oltre.

“Gabriel…” lo chiamò con dei mugolii che mandarono il ragazzo in estasi. “Fermati”

“Io no di certo”

Rebecca si premette la testa del ragazzo nell’incavo del suo collo e sbirciò con la coda dell’occhio la pista da ballo. Qualcuno li stava osservando? Se così fosse stato sarebbe sprofondata dalla vergogna. Cercò di spingerlo via dal suo corpo ma lui era talmente pressato a lei, talmente appiccicato che fu un tentativo inutile.

“Ti prego” lo implorò con gli occhi chiusi, troppo eccitata per vedere nitidamente.

Sentì le mani del ragazzo fermarsi improvvisamente e il suo corpo bloccarsi diventando di pietra. Rebecca mise le gambe a terra e si tirò giù il vestito che era salito pericolosamente. Avevano entrambi il fiato corto e il volto infiammato. I capelli di Gabriel erano uno spettacolo: tutti spettinati, lo rendevano ancora più bello e dannato. Il primo bottone della sua camicia era aperto e la giacca dello smoking era finita (chissà come) per terra. Gabriel raccolse la giaccia blu e la indossò, aiutò la ragazza a risistemarsi i capelli e le passò una mano sulla guancia per controllare che il trucco non fosse colato. Le sue labbra erano gonfie e rosse, il rossetto se n’era andato. Fu soddisfatto nell’aver constatato che era stato il primo a toglierlelo.  

Era stato contento di aver fatto quella scenata, si era eccitato nello sbatterla contro il tronco, i suoi occhi imploranti lo avevano fatto impazzire. Ora però si sentiva uno schifo. Ma averla vista con un altro ragazzo lo aveva mandato in bestia, non ci aveva capito più nulla. E all’inizio gli era sembrato giusto punirla, farla soffrire, farle del male.

Inspirò profondamente e s’incamminò con lei al suo fianco verso la pista da ballo. Provò a guardarla di sfuggita, non sembrava arrabbiata.

Meglio.

Forse era delusa, offesa ma almeno non era incazzata. Infondo le era anche piaciuto quello che le aveva fatto. Dopo un attimo di smarrimento e orrore si era lasciata andare con passione e trasporto. Le cinse i fianchi con un braccio e si abbassò a baciarle la testa, inspirò il profumo dolce dei suoi capelli. Controllò che anche il suo vestito fosse apposto, non gli andava a genio l’idea che lei mostrasse troppo del suo corpo a tutte quelle persone.

La spinse verso la pista da ballo e racchiuse il suo corpo con il proprio, la fece ballare su una musica d’amore straziante e triste.

“Gabriel, io non ci ho fatto niente con quel ragazzo” gli disse. Lo colpì il modo sofferente e pentito con cui gliel’aveva detto.

Sembrava un cucciolo bastonato sull’orlo delle lacrime.

Gabriel smise di respirare. “Lo so, tesoro. Sono io che rovino sempre tutto”

Appoggiò la bocca sulla sua fronte e rimasero così finchè la musica non finì.

Lei gli prese con premura infinita una mano e la tenne stretta tra le sue più piccole e affusolate. La guardò e la riguardò. Fece un sorriso. “È guarita”

In effetti la mano che aveva spaccato, colpendo il tronco, aveva fatto presto a rigenerarsi.

“Mi dispiace” mormorò a voce bassa il ragazzo.

“Ti va se andiamo a casa?”

Gabriel la scrutò allungo, poi fece una risata. “Sei folle”

Un sorrisetto malizioso comparve sul faccino angelico della ragazza che si strinse a lui per provocarlo. Sapeva che anche lui la voleva come lei voleva lui. Lo prese per mano e un po’ alla volta si avviarono verso casa.



***



Gabriel scivolò via dal corpo di Rebecca e rimase ansante in posizione supina con le mani lungo i fianchi. Fissava il soffitto con un’espressione sfinita e attirò a sé la ragazza che appoggiò la testa sul suo petto. Ricoprì entrambi con le coperte e la tenne abbracciata.

“Dormi?” le domandò ad un certo punto.

La sentì distendere un sorriso appagato. “Ci sto provando, sono distrutta” mugulò.

A Gabriel scappò una risata. “Pure io lo sono ma non riesco ad addormentarmi”

“Provaci in silenzio”

Gabriel storse la bocca. “Dormi?”

La ragazza sospirò pesantemente e ad un certo punto Gabriel credette che volesse conficcargli le unghie nel petto. “No, non sto dormendo. Finiscila”

Il ragazzo puntellò le dita sul materasso e cercò di trovare qualcosa di divertente da fare mentre aspettava che il sonno arrivasse. Canticchiò una canzone a bassa voce, dopo un po’ un pugno lo colpì in pieno stomaco. Rebecca si mosse accanto a lui.

“Guarda che divento cattiva, smettila di fare rumore” sibilò con rabbia.

“Ma se non dormi allora perché non parliamo?”

Rebecca imprecò. Stava prendendo in seria considerazione la possibilità di strangolarlo con un cuscino. “Vuoi che parliamo?!” esclamò esasperata. Si tirò a sedere tenendosi coperta con il lenzuolo e incrociò le gambe al petto. “Avanti, che devi dirmi di così importante?”

Il ragazzo si imbronciò. “Beh, se la metti così…io volevo solo dire qualcosa tanto per non annoiarmi. Non serve che tu ti metta seduta, torna qui” le disse, indicando lo spazio vuoto dove prima era rannicchiata.

Rebecca sbuffò e con un ghigno gli cadde sopra. “L’uomo di ghiaccio mi desidera?”

Lui le baciò la bocca e poi la punta del naso. “Forse non riesco a prendere sonno perché sono ancora troppo sveglio. Devi trovare il modo di farmi stancare ancora di più” le bisbigliò con occhi vispi e furbetti.

La guardava con quel suo sorriso da mascalzone mentre si mordeva il labbro inferiore.

Rebecca finse un’aria sconvolta. “Ancora?! Non ti bastano due volte in una notte sola?”

Gabriel fece finta di pensarci su. “Ehm…no. Facciamo tre? Solo per questa notte”

La ragazza si sporse su di lui e lo baciò mordendogli le labbra. “Solo per questa volta, guerriero”



***



Era notte fonda quando Rebecca si svegliò con il fiatone. Dovette mettersi seduta per riuscire a riprendere aria, si massaggiò la testa e si spettinò i capelli. Lasciò cadere pesantemente le braccia e guardò Gabriel che dormiva in posizione fetale di fianco a lei. Aveva tutto il corpo tremante e sudato. La finestra era spalancata e l’aria fredda inondava la camera. Il vento faceva vibrare i vetri e i rami degli alberi sbattevano contro i balconi. Subito ebbe freddo. Cercò di coprirsi, ora tremava. Vide il corpo del ragazzo muoversi e rintanarsi sotto le coperte.

Sentiva una strana agitazione addosso. L’incubo che l’aveva svegliata era stato orribile, ed era ancora parecchio scossa. Indossò la vestaglia bianca di seta, allacciò la cinghia e strinse. Mise un paio di ciabatte comode e uscì dalla camera silenziosamente. La casa era buia, Rebecca non aveva voglia di accendere le luci perciò la lasciò nella penombra. Solo la luna rischiarava le stanze e le permetteva di vedere dove metteva i piedi. Andò in cucina e prese un bicchiere d’acqua fresca, lo bevve in meno di cinque secondi. Era ancora sudata, aveva ancora sete. Bevve un’altra volta e con gusto. Si appoggiò al ripiano della cucina e mentre finiva di bere ciondolava i piedi.

Buttò il bicchiere vuoto nel lavabo e sbadigliò stiracchiandosi le braccia. Ci voleva proprio una bella rinfrescata, l’acqua fredda l’aveva calmata e tranquillizzata. Decise di tornare a letto. Ebbe giusto il tempo di fare un passo in avanti quando una visione s’intromise nella sua testa, prepotente e violenta. Spalancò la bocca e si tappò le orecchie.

“Basta…” sussurrò.

Il suo corpo divenne rigido, dritto e immobile.

Tutto era buio. Era come se ci fosse una nebbiolina scura che aleggiava intorno a lei. Non capiva dov’era finita, non c’era niente e nessuno, era completamente sola. Guardò a terra e vide che il pavimento sul quale poggiava i piedi era una condensazione di nebbia, di fumo che scorreva nella stessa direzione. Si guardò e con orrore vide che la sua vestaglia era sparita, indossava un’uniforme nera con il mantello scuro che le scendeva fino a terra. Portava degli stivali troppo sexy e minacciosi, con il tacco alto e in pelle. Alla fibbia era legata una spada con la lama rossa e le mani erano racchiuse da un paio di guanti neri che lasciavano scoperte le dita. Le unghie erano lunghe e affilate. Si toccò con mano tremante i denti e sentì due canini lunghi e taglienti.

Cercò di aprire gli occhi ma non ci riuscì. La testa le scoppiava, credeva di morire.

La visione continuò e lei si accasciò a terra, finendo distesa sul pavimento della cucina.

Il suo corpo era pietrificato dalla paura, si guardava a destra e a sinistra. Avrebbe tanto voluto piangere. Sentì dei passi e subito si voltò in quella direzione. Le mancò il fiato in gola quando riconobbe la sagoma incappucciata di Mortimer venirle incontro. Cominciò a scrollare il capo con frenesia, indietreggiò e un singulto disperato le uscì dalla bocca aperta e tremante. Lui si tolse il cappuccio e due occhi rossi la fissarono intensamente.

Perché non si svegliava? Non riusciva ad aprire gli occhi, voleva scappare da quell’incubo…sembrava tutto così vero.

Si sforzò di non piangere ma era pressoché impossibile. Cercò comunque di non dimostrarsi debole. Serrò i pugni e mandò giù il groppo che aveva in gola. Mortimer non smetteva un secondo di guardarla, sembrava soddisfatto, contento. Si tolse il mantello e Rebecca vide che indossava la sua stessa uniforme. Il mantello, a terra, s’infuocò tutto un tratto. Le ceneri che restarono vennero spazzate via dal vento. Lei fece lo stesso e anche il suo mantello bruciò. Una cosa capì in quel momento: Mortimer non aveva intenzione di farle del male. Lo vide sorridere.

Lo sentì parlare dentro la sua testa.

“Non ti vergogni ad avere ucciso tuo padre?”

La sorpresa di sentire la sua voce acida dentro i suoi pensieri la fece scuotere. Non sapeva che dire, eppure c’era molto da dire a riguardo.

“Non potevo lasciarti in vita” pensò e il suo pensiero andò a finire direttamente dentro la testa di Mortimer che annuì.

Era sempre stata addestrata da Gabriel a sconfiggere il Male. Il suo compito era stato quello di uccidere Dark Threat, non suo padre. Nella sua missione non era inclusa la postilla: “sterminare la propria famiglia”. Ora, mentre guardava il suo vero padre, pensò che in fin dei conti non era giusto avergli tolto la vita. Magari Mortimer, nello scoprire che era sua figlia, avrebbe potuto comportarsi diversamente, forse avrebbe saputo insegnargli ad essere un uomo migliore. Va bene uccidere un estraneo ma con che coraggio aveva lasciato morire suo padre? Suo padre! Rebecca non era un mostro e nonostante sapesse benissimo quanto Dark Threat fosse pericoloso e cattivo non riusciva più a vederlo come prima: con odio e rancore. Ora lo vedeva come suo padre, una parte di lei non poteva non provare dell’affetto per lui. Avrebbe voluto conoscerlo, salvarlo, aiutarlo, farlo rinascere come una persona buona. Ma forse era impossibile. Ma lei era ingenua e credulona, un schiava dell’amore e della famiglia. Si accorse troppo tardi che Mortimer nel frattempo le aveva letto tutti i suoi pensieri. Si avvicinò a sua figlia e le tese una mano.

“Puoi sempre riscattarti”

“Non tornerai mai in vita, io non lo permetterò” sibilò tra i denti.

“E se io e te nella vita restassimo insieme? Aidel, sei pur sempre mia figlia”

Rebecca vacillò e perse molte delle sue sicurezze. Diavolo, era suo padre quello che le parlava?! Per un attimo le venne in mente Jonathan, il bene che gli aveva voluto nonostante fosse stato per lei un padre adottivo.  

Stava soffrendo e questo lui l’aveva capito. Appariva tranquillo, affabile, protettivo. Possibile che lei l’avesse sempre visto così malvagio, spietato e insensibile? Da come la guardava le si scaldò il cuore.

I suoi occhi erano persi totalmente dentro quelli del padre, appariva ipnotizzata e vacua. Tese con una calma innaturale la mano verso di lui e gliela strinse. Un dolore allucinante la colpì in tutto il corpo, potè sentire il sangue esplodere dentro le vene e il cuore cominciare a battere all’impazzata. Le sembrava di andare a fuoco. Staccò la mano da Mortimer e lui scomparve con quel suo sorrisetto soddisfatto. Guardò il proprio corpo e non vedeva niente di strano, eppure si sentiva le fiamme di un fuoco ardente e scottante invaderla completamente.

Rebecca sbarrò due occhi gialli verso il soffitto.

Quando la sensazione di ardere svanì Rebecca era in piedi. Il cuore non batteva, la sua pelle era fredda. Si sentiva l’aria nei polmoni pesante, come se qualcuno fosse dentro di lei. Come se stesse ospitando un’anima dentro il suo corpo.

Cacciò un urlo e con le mani si tenne la testa in fiamme.

Con una luce nuova negli occhi osservò diversamente da prima il luogo buio in cui si trovava. Strano ma non aveva più paura, si sentiva a suo agio lì nelle tenebre. Sfilò la spada dalla cinghia e vide il proprio riflesso sulla lama. Era più bella di quanto ricordava, gli occhi erano di un rosso acceso e la pelle era più bianca del solito. Si portò una mano sul petto e cercò di sentire il battito del cuore. Ghignò compiaciuta. Non c’erano battiti.

Riaprì gli occhi e il ritorno alla realtà fu brusco e spiacevole. Era afflosciata a terra e delle braccia muscolose stavano tentando di rialzarla. Sentì la voce preoccupata di Gabriel che le stava dicendo qualcosa. Si dibatté come una matta, urlò delle parole incomprensibili finchè non sentì il corpo del ragazzo allentare la presa. Si divincolò un’altra volta e Gabriel la lasciò andare. Si alzò da sola velocemente con le mani di Gabriel a pochi centimetri dalla sua pelle, pronte a prenderla nel caso avesse avuto un cedimento.

Gabriel non l’aveva mai vista tanto sconvolta. Il suo volto era bianco come un lenzuolo, aveva delle occhiaie nere e pesanti che le cerchiavano gli occhi mentre le iridi erano nere e infossate. Tremava ed era scossa da brividi, il sudore scorreva lungo tutto il suo corpo facendoglielo risplendere. Aveva il fiatone, non riusciva bene a respirare.

Il ragazzo provò incerto ad avvicinarsi. “Che ti è successo?” mormorò, il suo cuore gli martellava nel petto.

“Niente” disse col fiato corto.

“Non prendermi in giro, dimmi che ti è successo, non ti ho mai vista così!”

E ora che scuse poteva inventargli?

Una voce parlò nella sua coscienza e lei ripetè quelle parole. “Ho avuto una visione”

Gabriel parve calmarsi. “Cos’hai visto?”

Una guerra, disse la voce.  

“Una guerra” ripetè lei.

“Stavi combattendo? Contro chi eri?”

Era una guerra tra villaggi, il nostro e un villaggio di nome Numbia. Ci hanno attaccati loro, di notte, dicevano che gli avevamo tolto tutto, le case, le proprietà, il cibo…tutto.

“Era una guerra tra villaggi, il nostro e un villaggio di nome Numbia. Ci hanno attaccati loro, di notte, dicevano che gli avevamo tolto tutto, le case, le proprietà, il cibo…tutto” la voce parlava, lei ripeteva fidandosi cecamente.

“Era solo un brutto sogno” disse con gentilezza accennando un sorriso. “Ti posso assicurare che abbiamo un rapporto pacifico con quel villaggio. Non significa nulla, stai tranquilla” si avvicinò e le accarezzò una guancia.

“Ma tu mi hai detto che non devo sottovalutare le mie visioni” disse Rebecca, non la voce.

La voce rimase zitta, sembrava che se ne fosse andata. O forse si era soltanto assopita.

“Le tue visioni non azzeccano sempre, Rebecca. Non dovresti credere cecamente a tutto quello che ti passa per la testa”

La ragazza arricciò il naso. Si fece abbracciare da Gabriel e gli baciò il petto nudo.

“Mi fai sempre morire di paura” le sussurrò il ragazzo all’orecchio.

Lei rise e lo guardò negli occhi. “Io muoio sempre di paura. Sarebbe tutto molto più semplice se non fossi così speciale”

“Se tu non fossi così speciale non mi sarei mai innamorato di te” le disse seriamente.

“Ti amo”

Rebecca accostò le sue labbra contro quelle del ragazzo. Si baciarono allungo, si fecero trasportare dalle emozioni, dall’amore. Finirono distesi per terra, due corpi avvinghiati e pronti a concedersi. Rebecca premette con forza la testa del ragazzo sulla sua bocca, stava cercando di non dare ascolto alla voce che le stava parlando. Era appena udibile, ma lei la sentiva forte e chiara.

Liberati dall’amore.

Ecco cosa diceva.  



***



Atreius attendeva impaziente accanto ad una colonna, il suo grande letto giaceva in un angolo, era stato spostato per permettere alla congrega di maghi di riunirsi nel centro esatto della stanza. Gli serviva spazio e Atreius gliel’aveva dato. Nonostante il suo aspetto non lasciasse trapelare nulla il suo corpo fremeva per l’attesa. Fissava uno ad uno i maghi incappucciati seduti sul pavimento con le gambe incrociate. Sembrava stessero facendo yoga. Passarono diversi minuti e durante il rito alcuni maghi morirono, Atreius gli vide crollare a terra privi di vita, con gli occhi sbarrati e vuoti. Erano rimasti i tre maghi maestri e altri due maghi.

Si stava facendo tardi, ormai era quasi l’alba.

Finalmente uno dei tre maghi maestri aprì gli occhi e si rilassò. Un sorriso vittorioso comparve sui loro volti. Il ragazzo si avvicinò.

“Allora? Ce l’avete fatta?”

Sapeva già la risposta, la vedeva stampata a caratteri cubitali sulle loro fronti, ma voleva sentirselo dire.

“Sì, mio signore. Come avevate chiesto lo spirito è entrato ospite nel corpo dell’angelo”

“Quanto dovremo aspettare affinché lei lo liberi?” chiese Atreius.

“Tutto dipende da quanto è corruttibile il suo animo, mio signore”

“È sua figlia” ghignò il ragazzo, consapevole di quanto peso avessero le sue parole.

I maghi ammutolirono. “Allora accadrà anche prima delle nostre aspettative”

“Quando?” ruggì.

“Entro l’anno, una data precisa non sappiamo dirgliela”



***



Quella mattina allenarsi era più difficile del solito, Rebecca non ci stava proprio con la testa. Non ci era stata a colazione, lungo il tragitto e neppure ora, mentre Gabriel la guardava torvo.

“Stai bene?” le chiese.

Lei fece un gesto come a voler scacciare una mosca fastidiosa e si mise in posizione di attacco. “Sì. Forza, cominciamo”

Il ragazzo appariva titubante e tentennò sul posto. Fece per procedere e avanzare quando si bloccò. Allargò le braccia e la guardò come se fosse stupida. “Rebecca, sono io che ti assalgo. Perché ti metti in posizione di attacco?”

“Giusto” rispose mordendosi la lingua. “Che idiota, scusa” cambiò posizione e si mise sulla difensiva.

Gabriel appariva perplesso. “Vuoi attaccare tu per prima? Non c’è problema, se vuoi…”

“Perché dovrei?”

“Sembravi pronta a saltarmi addosso, basta che lo dici”

“No, no! Lascia perdere, fatti avanti, andiamo”

Gabriel cominciò con una camminata blanda, man mano che procedeva verso di lei aumentava il passo fin quando non si ritrovò a correre velocissimo. Quando le fu vicino fece un balzo e andò a colpirla sulla spalla, Rebecca scivolò piano verso terra spinta dal colpo e subito parò un altro colpo che le stava colpendo lo stomaco.

Si diede il via ad un corpo a corpo, erano entrambi agili, precisi, i loro movimenti erano talmente rapidi che un occhio umano non sarebbe stato in grado di capire nitidamente quello che stavano facendo. Il ragazzo si smaterializzò davanti ai suoi per comparirle dietro, lei lo colpì con una sfera magica e lo catapultò infondo al campo. Gabriel non fece in tempo ad alzarsi che lei lo assalì bloccandolo a terra, le prese i fianchi con le mani e alzò il bacino in modo da farla volare sopra la propria testa. Rebecca cadde e rotolò sul terreno, con uno scatto di addominali il ragazzo si alzò mentre lei frenò la caduta distendendo una gamba e girando su sé stessa. Gabriel l’attaccò con una serie di calci rotanti e lei si protesse con le braccia, fece una ruota in aria per scappargli. Toccò terra e subito dovette usare lo scudo per evitare che delle lance di metallo le si conficcassero nel torace.

Lasciò cadere lo scudo.

Improvvisamente si sentì inquieta, arrabbiata, frustrata. Quel giochetto dello “scappa e scansa” le stava diventando pesante.

Avvertì qualcosa smuoversi dentro di lei.

La voce parlò e lei senza pensarci obbedì, forse perché era proprio quello che avrebbe potuto calmarla.

Aprì le braccia dal basso verso l’alto e una folata di aria gelida li invase. Il cielo diventò grigio e sembrò sera. Dallo sforzo per l’incantesimo che stava compiendo i suoi capelli erano sparati in aria e volteggiavano nella spirale di vento. Gabriel la fissava inorridito e indietreggiò.

Il corpo di Rebecca era circondato da una strana aurea rossa che scintillava, quando scaricò la forza una sfera potente e iridescente le partì dal centro del petto e schizzò verso il ragazzo.

Gabriel ebbe appena la forza per creare uno scudo, troppo debole paragonato a quella magia, che la sfera lo centrò in pieno e lo scagliò indietro con prepotente forza. Gabriel si accasciò al terreno e rimase fermo, tentò di alzarsi, alzò la testa, ebbe un sospiro e si afflosciò.

Rebecca gli vedeva solo la schiena immobile, come tutto il resto del corpo, e fu pervasa da un brivido di terrore. Tornò in sé. Si portò a rallentatore una mano sulla bocca per non gridare.

Che aveva fatto? Che magia aveva usato?

Il sangue le si congelò nelle vene e corse verso Gabriel che ancora non dava cenno di alzarsi. Si lasciò cadere vicino al suo corpo e lo girò supino per controllare le ferite, respirava e per fortuna non aveva né tagli né ematomi. Sembrava solamente sconvolto, stralunato, catatonico. Fissava il cielo scuro ed era bianco come un lenzuolo. Rebecca si buttò sul suo petto e lo strinse forte a sé.

“Oddio, cos’ho fatto…mi dispiace!”

Gabriel doveva aver trovato improvvisamente la forza per reagire perché si mise seduto, era comunque molto debole e affaticato. La guardò come se la vedesse per la prima volta. “Cosa ti salta per la testa, dannazione?” domandò con voce sconcertata.

“Io non pensavo che…non so come mi sia venuto…” cominciò a piangere dal nervosismo.

Gli occhi del ragazzo si fecero duri e glaciali. “Ti rendi conto di quello che hai fatto?”

“No!” esclamò la ragazza esasperata.

Non aveva idea di cos’aveva evocato, non sapeva come spiegare l’origine di quell’incantesimo così potente e distruttivo, era solo conscia del fatto che le era venuto spontaneo e praticamente automatico. Avrebbe tanto voluto che lui le desse qualche spiegazione.

“Vuoi sapere cos’hai evocato?” ringhiò.

Lei annuì, incapace di sostenere il suo sguardo. Aveva avuto una paura folle di avergli fatto del male.

Gabriel serrò la mascella. “Mi hai scagliato contro una potente magia oscura, come potevo, anche solo lontanamente, prevederlo? Non ti ho mai insegnato niente di tutto ciò, non ha nulla a che fare con la magia buona, Rebecca! È male! Devo dedurre che hai per caso un altro maestro oltre al sottoscritto?” c’era cattiveria nella sua voce.

“No! Non ho nessun altro maestro! Non so da dove mi sia venuto quest’incantesimo, io non l’avevo mai fatto prima!” lo implorò con occhi colmi di lacrime. “Oddio, ho avuto così paura…stai bene?” domandò, e lo abbracciò.

“Sai cos’era?”

“No…” sussurrò affondando la testa nella sua spalla.

Sentirlo vivo vicino a lei la faceva sentire bene. Per un attimo aveva creduto di averlo ucciso. Non sarebbe stata più in grado di vivere altrimenti.

“Era un concentrato di energia solare, una sfera di luce con la stessa distruttività del sole stesso. Una palla infuocata radioattiva, potente e molto difficile da richiamare”

“Richiamare?”

“Rebecca, quella sfera l’hai rubata al sole”

“Oh”

“Saprai bene quanto forte è l’energia del nostro sole, tu me ne hai scagliato addosso una parte”

“Non so che dire” biascicò.

“Ha scalfito addirittura il mio scudo. È magia nera, solo gli angeli del male se ne servono, loro usano spesso magie che hanno a che fare con il loro elemento naturale: il fuoco. È una tattica ignobile e degna di cattiveria, per questo non viene insegnata agli angeli buoni”

Rebecca si coprì gli occhi con le mani.

Che diavolo le stava succedendo?

Sentì la voce dentro di lei esultare.  

Gabriel la scansò e si mise in piedi con difficoltà, barcollò un attimo e schiaffeggiò la mano che lei gli aveva teso per aiutarlo. Era deluso, peggio che vederlo arrabbiato.

“Gabriel…” Rebecca mormorò il suo nome ma lui ormai se n’era andato.

Il cielo ritornò azzurro.



***



Eccoci qua...spero vivamente che anche questo capitolo vi sia piaciuto!!!!
Leggo con interesse i vostri commenti e vi ringrazio
moltissimo!!!!

Fatemi sapere che ne pensate, commenti e recensioni sono sempre gradite!!!!

Il prossimo capitolo: "UN OSCURO PRESAGIO"

 











 

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Capitolo 3
*** Un oscuro presagio ***


Cap. 3 - UN OSCURO PRESAGIO -

[Guarda il diavolo sulla soglia di casa ora.

Il tempo passa e non possiamo tornare indietro.

Cosa ne dici del mondo oggi?
Cosa ne dici del posto che chiamiamo casa?
Non siamo mai stati così tanti
e non siamo mai stati così soli]

Ana Johnsson - We are -



***



Rebecca era andata nella vecchia fabbrica piena di rabbia. Il magazzino abbandonato non aveva neppure un po’ di luce, i finestroni erano troppo in alto, c’era molta polvere e lo stanzone assomigliava tanto ad un garage in disuso. Nel centro della stanza era stato appeso da Gabriel un “sacco da boxe”, le aveva detto di usarlo come valvola di sfogo, e lei ridendo gli aveva risposto che sarebbe stato più divertente picchiare lui che non un sacco di patate. Gabriel aveva storto il naso alla parola “patate”. Non la pensava allo stesso modo ora, mentre colpiva con calci e pugni il sacco traballante. Non aveva messo i guantoni né nessuna protezione e con piacere masochista sentiva già le nocche sbucciarsi.

Ogni volta che colpiva il sacco pensava: “Al diavolo!” era talmente incazzata con sé stessa e con il mondo intero che non ne poteva più di vivere così. Ripensò con nostalgia al suo arrivo a Chenzo, a com’era tenera, impreparata, traboccava d’amore e di vivacità, coraggiosa, solare, felice, piena di speranza. E guarda come si era ridotta adesso. Negli ultimi tempi era sempre scostante, rabbiosa, indifferente, inquieta, passiva.

Rebecca si fermò un attimo per riprendere fiato.

Passiva.

Vivere passivamente la vita, non provare mai la voglia di essere felice, di amare e di aiutare il prossimo. Essere egoisti e solitari, pensare a sé stessi, a salvarsi, a non fare affidamento su nessuno.

Sopravvivere.

È questo che faccio ogni giorno? Sopravvivo?

In quel momento sperava tanto di piangere. Si sforzò. Niente da fare, le lacrime non scendevano.

“Non puoi combattere contro le lacrime che non scendono” le disse la voce melliflua.

La ragazza si riscosse e picchiò forte il sacco digrignando i denti. Si sentiva bruciare dall’odio.

“È tutta colpa tua!” sibilò ad alta voce.   

“Sei sicura che non sia ciò che vuoi veramente?”

Rebecca fece una smorfia schifata. “Cosa?! Voler sentirsi soli, odiati da tutti, ferire le persone che si amano, allontanarle, provocare dolore e sofferenza? Non è questo che voglio, stronzo!”

“Uhm, la rabbia ti fa bene, ragazza mia”

“Va’ al diavolo”

“Io ti voglio solo aiutare”

“Che cosa vuoi da me?” domandò con voce rotta.

“Non voglio più vederti soffrire, io ci tengo a te”

Rebecca sbuffò. “Neppure io, se è per questo, vorrei soffrire. Non vorrei mai dover star male, non esiste un posto nel quale non ci sia niente apparte l’amore e la gioia?”

“Non esiste e mai potrà essere diversamente. L’uomo è condannato a vivere con entrambe, sia con l’amore che con la sofferenza. Eppure…un modo ci sarebbe” la voce lasciò la frase in sospeso.

“Esiste un modo per non soffrire?” disse la ragazza ironicamente. “Beh, ti prego, dimmelo! Dimmelo che lo provo subito!”

La voce non rispose subito, ci fu un minuto di silenzio che a Rebecca parve un’eternità. Era in attesa col fiato sul collo, se c’era un modo per non provare dolore nella vita…forse era il caso di prendere in considerazione la cosa.

“Tu lo conosci il modo”

“No! Non lo so!” esclamò al massimo della frustrazione.

“Lo sai invece, devi solo accettarlo”

La voce melodiosa e penetrante svanì, scomparve così com’era venuta lasciando Rebecca profondamente delusa e seccata. Come mossa da una forza estranea e potente la sua mano prese la spada e la strinse nel palmo chiuso, una forza sconosciuta e primitiva le circolò nel corpo facendola fremere di…cos’era? Trepidazione? Sì. Fece roteare la spada intorno al proprio corpo e poi la fece vorticare in aria, la prese al volo e l’ammirò con meraviglia. La lama era lucente e di un rosso vivo, l’elsa era stata disegnata con eleganza e sfarzosità. Se doveva paragonare la sua spada ad un tipo di donna l’avrebbe definita sexy e accattivante. Sensazioni ben diverse da quando l’aveva impugnata la prima volta, allora le era parsa raffinata, semplice e dolce nelle curvature. Era un donna materna, protettiva e premurosa. Come potevano queste due donne coesistere nella stessa anima? Si sarebbero scannate a vicenda e chi avrebbe vinto?

La buona o la cattiva?

O, se vogliamo generalizzare, il Bene o il Male?

Quando fu stufa la rimise nella fodera, ben attaccata alla cinghia della divisa. Alzò gli occhi verso gli enormi finestroni e vide che era il tramonto. Con passo aggraziato e veloce uscì dal fabbricato e tornò verso casa. Non andava matta all’idea di rivedere Gabriel ma di certo non poteva allungare di troppo l’ora del rientro. Conosceva il ragazzo, si sarebbe preoccupato. Per niente, tra l’altro, perché lei stava bene e non era stata né rapita, né ferita, né uccisa.

Eppure lo amo, pensò con sentimento concedendosi di sorridere.

La voce dentro di lei grugnì.

Che frigni, pensò, non m’importa. Io lo amo e farò di tutto per farmi perdonare.

“Io ti avevo avvertita, liberati dell’amore prima che sia lei a liberarsi di te”

Rebecca sospirò e alzò gli occhi al cielo. Perché doveva badarle? Che importanza avevano le sue parole, i suoi avvertimenti? Era la frase più stupida che avesse mai sentito.

“Liberati dall’amore prima che lei ti fotta” ripetè con sarcasmo. “Ma fammi il piacere!”

Improvvisamente si sentiva di buon umore.



***



Spalancò la porta con esultanza mostrando una faccia allegra. Solo qualche minuto prima tremava al pensiero di tornare a casa ma ora, inspiegabilmente, si sentiva come se non fosse mai accaduto niente di tanto tremendo da farle temere la sua presenza lì. Il salotto e la cucina erano deserti, nonostante fosse tramonto cominciava già ad essere scuro in casa. Rebecca avanzò e accese un paio di lampade per rischiarare l’ambiente.

Andò verso il lavabo e vide che era vuoto. Strano, Gabriel non faceva mai i piatti una volta finito di mangiare. Aprì la dispensa, i piatti non c’erano quindi non erano stati neppure lavati. In conclusione: non aveva toccato cibo.

“Gabriel!” lo chiamò con lo sguardo verso le scale. “Ci sei?”

Sentì dei passi scendere le scale, teneva gli occhi fissi sul primo gradino in alto finchè non vide comparire un piede. Alzò il volto e incrociò quello serio e cupo del ragazzo.

“Non hai mangiato” disse torturandosi le mani in grembo. Improvvisamente tutta la sua spavalderia era svanita, si sentiva impaurita. “Vuoi che ti prepari qualcosa?”

Lui non smetteva un attimo di fissarla. Le si parò davanti e Rebecca giurò di sentirlo trattenere il respiro. I suoi occhi azzurri la perforarono fin dentro l’anima, indietreggiò con cautela. Lui le prese con uno strattone il polso e lei si divincolò finchè non riuscì a liberarsi.

“Che ti prende?” domandò con voce stridula.

Gabriel inarcò le sopracciglia. “Che prende a me?”

Rebecca si morse il labbro e abbassò gli occhi mentre si massaggiava il polso con la mano. Gabriel doveva averle visto i lividi sulle nocche perché tornò alla carica. Si avventò su di lei e le alzò un braccio all’altezza degli occhi, le sue iridi scure guardavano le sue nocche devastate e sanguinanti.

“Che ti è successo?” a cosa si riferiva? Alle mani o al fatto che l’aveva quasi ammazzato?

Decise che era più saggio rispondere alla prima, anche perché della seconda non aveva risposte. “Ho fatto a botte con il sacco da boxe che mi hai regalato l’anno scorso, ti ricordi?”

Nonostante la situazione Gabriel emise uno sbuffò divertito. “Sì, che mi ricordo. Mi hai rotto le scatole per mesi perché ne volevi uno come quello di Denali”

Rebecca sorrise. “Lasciami” gli sussurrò dolcemente. “Mi fai male”

Gabriel le mollò il polso. “Quando ti tocco non voglio che tu mi rifiuta”

“Mi dispiace”

“Per cosa?”

“Per tutto, non so cosa mi sia preso prima nel campo ma devi credermi che non volevo farti del male. Lo sai che ti amo, vero?”

Emozioni contrastanti e potenti erano in combutta tra di loro nel corpo di Gabriel e il suo volto ne esprimeva tutta l’agonia. Sembrava indugiare su qualcosa.

Si passò una mano sui capelli. Brutto segno. “Mi ami?”

Rebecca assunse un’aria sconvolta, avrebbe tanto voluto tirargli un pugno in faccia…

“Stai scherzando, vero?”

Silenzio.

“Sei un’idiota! Come puoi anche solo dubitarne? Oh!” esclamò frustrata lanciando le braccia in aria. “Non sai quanto mi fai arrabbiare quando dici così! Che altre prove ti servono? Non ti basta che io ti dica che ti amo per credermi? Appena le cose si mettono male tu subito mi crolli e con te casca anche la fiducia! Lo so di aver sbagliato, ho fatto una sciocchezza, sono stata avventata e sconsiderata ma non per questo in cinque secondi i miei sentimenti sono cambiati tanto radicalmente dallo smettere di amarti! Non ti sopporto quando fai l’imbecille in questo modo, mi prendi in giro!”

“Sei stata tu che per poco non mi lasciavi stecchito al suolo, cosa dovrei pensare? Che ami tanto? Beh, signorina saputella, da quel momento è vero, ho iniziato a dubitare del tuo amore, a dubitare di te e delle tue buone azioni!”

“Ti ho detto che ho sbagliato, cos’altro dovrei fare per te? Mettermi in ginocchio e baciarti i piedi?” gli urlò contro, rossa in viso.

In un gesto scattoso il ragazzo si tirò su le maniche della camicia, stava sudando in maniera assurda. “Mi basterebbe che mi spiegassi perché è successo!”

“Mi prendi per stupida? Te l’ho detto che non lo so!”

“Questo non basta a spiegare le cose, e se dovesse succedere un’altra volta? Ok che ti amo Rebecca, ma io devo anche pensare alla mia incolumità fisica! No per dire ma non ci tengo a morire così giovane!”

Rebecca gli diede un urtone. “Idiota! Come se potessi farti ancora del male!”

“Beh sai, mai si sa! Una volta che lo fai chi mi assicura che non risuccede?”

“Dovresti avere fiducia in me!”

“La fede non è il mio forte, mocciosa. Preferisco affidarmi ai dati reali o su ciò che vedo con i miei occhi, vivi con me da più di un anno e ancora non hai capito come ragiono!”

“È così difficile per te perdonare?”

“Sì, soprattutto se la persona in questione sei tu. Ci tengo troppo a te e se mi fai del male ci sto male il doppio”

Non sapeva che rispondere. “Beh! Questo perché…perché…!”

“Perché ti amo troppo? Lo so, me l’hai già ripetuto molte volte” disse con l’ombra di un sorriso spento.

Rebecca mise il broncio e incrociò le braccia al petto. “E allora perché devo sempre ripetertelo?”

“Perché  sono un idiota, imbecille, stupido e sono duro di comprendonio. Manca qualcos’altro?”

Il viso di Rebecca si sciolse in un sorriso. “Beh, ti poteva andare peggio”

Gabriel aggrottò la fronte. “Cosa c’è di peggio nell’essere pessimo?”

“Non credere di esserlo” gli rispose con un ghigno compiaciuto.

Gabriel serrò la mascella, i suoi lineamenti divennero duri. “Vorrei odiarti per quello che hai fatto”

Rebecca ebbe un tuffo al cuore. “No…”

Sospirò. “Ma non ci riesco. Come posso lasciarti andare?”

C’era un qualcosa di…addolorato nella voce del ragazzo. Rebecca si domandò come poteva continuare a ferirlo così. Sapeva quanto lui l’amasse come persona, quanto credeva in lei come angelo, e lo stava deludendo sia come persona sia come allieva. L’aveva perdonata ma si vedeva benissimo che era al limite della sopportazione, un altro passo falso e tutto sarebbe finito. L’agitazione del momento la costrinse ad indietreggiare fino alla porta.

“Che fai?” domandò Gabriel in un sussurro.

Sei troppo per me, pensò Rebecca.

Tutti nel villaggio non facevano altro che adorare lei, credere in lei, idolatrare lei…era lei il massimo che fosse mai esistito, per molto tempo si era sentita al di sopra di tutti e osservava con dispiacere i disagi di Gabriel nel sentirsi sempre inadeguato. Ma ora la situazione si era capovolta, ora era lei a sentirsi inferiore e indegna. Lui non la meritava, meritava di meglio. Meritava una ragazza solare e buona che non avesse continui sbalzi d’umore, una persona affidabile e costante. Un groppo le serrò la gola. Gabriel avanzava lentamente, lo sguardo perso nei suoi occhi scuri.

Rebecca non si fermò finchè non sentì la schiena sbattere contro la porta. Gabriel le fu presto a pochi centimetri dal viso.

“Perché fai questo?”

Gabriel parve divertito dalla sua domanda. “Fammi capire, prima mi implori di perdonarti e poi vuoi che ti lasci?”

La ragazza posò le mani sul petto del ragazzo e bloccò la sua avanzata. Si stava facendo troppo vicino. “Dico solo che sei troppo consenziente”

“L’amore è cieco ed è una fregatura”

“L’amore è buono ed è felice” lo corresse.

“Stai cercando di farti lasciare?”

“Sto solo cercando di sentirmi meno in colpa”

Gabriel passò una mano sul suo viso e le accarezzò la guancia. “Hai la pelle morbidissima…”

Rebecca avvampò. “Tu non mi stai ascoltando!”

“Tu non ti stai lasciando toccare”

Rebecca deglutì. Non era in grado di ragionare razionalmente con lui così vicino, rischiava di perdersi in discorsi illogici. La mano del ragazzo scese dalla sua guancia e le circondò il collo, lei alzò la testa per permettergli di stringerla meglio.

Ecco, ora mi strozza.

“Tranquilla che non intendo strozzarti” le sussurrò il ragazzo all’orecchio.

Gabriel premette il suo corpo contro quello della ragazza e la sentì fremere, avvicinò la sua bocca a quella di lei e proprio quando si stavano per dare un bacio la porta bussò.

Un Gabriel molto seccato aprì la porta non prima di aver messo Rebecca dietro di sé in modo da separarla dall’uscio, di quei tempi mai si poteva sapere. Sbuffò quando vide che era Bastian.

Il capo-villaggio diede un’occhiata incerta prima a lui e poi alla figura di Rebecca protetta dietro la schiena del ragazzo.

Gabriel lo precedette. “Non.Una.Domanda” sillabò.

“Devo parlarvi”



***



Si erano riuniti attorno ad un tavolo rotondo, occupavano cinque posti: erano Rebecca, Gabriel, Bastian, Alan e (con enorme stupore del ragazzo) Adele.

“Non dovevi essere in missione?” le bisbigliò all’orecchio, attento a non farsi sentire.

“Sono tornata” ripose sua madre.

Gabriel la guardò di sottecchi e prese posto tra Rebecca e Alan. Nessuno fiatava, apparte i due fratelli nessuno era a conoscenza del perché fossero riuniti lì. Adele era stata chiamata durante una missione oltre i valichi ed era tornata a casa seduta stante. L’ignoranza di non sapere la questione rendeva tutti e tre tesi e sull’attenti. Erano rigidi e scomodi in quelle sedie, la schiena di Gabriel era dritta come un palo mentre Rebecca era afflosciata e per poco non scivolava giù. Adele teneva accavallate le gambe e appariva impassibile. Alan le lanciava occhiate fugaci e poi tornava a guardarsi i piedi sotto il tavolo. Gli occhi di Bastian li osservava uno ad uno. Poi schioccò la lingua e si alzò in piedi.

“Vi ho fatti chiamare per parlarvi di una questione urgente” disse in tono solenne. “Come ben sapete siete le sole persone delle quali mi fido ciecamente, quello che sto per dirvi lo dirò successivamente al villaggio. Prima però mi serve un vostro giudizio al riguardo. Lo so che ora che Dark Threat è morto…” Rebecca si mosse a disagio nella sedia. “…vi sembrerà assurdo che ci siano dei problemi ma è così. Sono sorte delle complicazioni con i seguaci di Dark Threat, a quanto pare si stanno mobilitando in gruppi per conquistare le vecchie terre del loro signore. A mio avviso il loro obbiettivo è quello di riunire i territori sotto un unico re”

“E come?” intervenne Gabriel. “Nessuno di loro è in grado di comandare un popolo, sono creature impulsive, inutili e stupide. Di certo gli serviranno qualcuno di potente”

“È a questo che volevo arrivare, Gabriel” disse il capo-villaggio con voce grave. Alan era tutto un agitamento e non stava fermo un attimo, Adele era perplessa e incuriosita, Rebecca invece sbarrò gli occhi a dismisura.

Gabriel, vedendo la reazione di tutti, cominciò ad agitarsi sul posto. “Non ti capisco” borbottò.

Bastian socchiuse gli occhi un attimo prima di rispondergli, vide il volto sconvolto di Rebecca che lo stava implorando di non dirglielo. “Ho parlato con il capo-villaggio di Numbia, un villaggio che è tuttora sotto l’assedio dei seguaci di Mortimer. Nelle prime lettere che mi ha scritto mi informava delle condizioni del popolo e dei nemici, inviandomi una richiesta di aiuto”

“Quindi vorresti che noi quattro andassimo a Numbia”

“Esatto. Ma nelle ultime lettere che mi ha scritto pochi giorni fa ha dato conferma a ciò che sospettavo e temevo: mi ha confessato che è Atreius il loro capo, nonché il nuovo signore del Male”

Gabriel si alzò di scatto dalla sedia facendola ribaltare, Rebecca vide tutti i suoi muscoli irrigidirsi e tendersi pericolosamente.

“Non può essere!” abbaiò. “Atreius doveva essere morto!”    

“A quanto pare non lo è” disse ironicamente Adele.

“Atreius non è un angelo e perciò non ha la capacità di dirigere un esercito con dignità e grandezza. Ho motivi per credere che questa sia solamente una situazione momentanea, ovvero che non intenda essere il loro signore per sempre ma che stia aspettando qualcosa o qualcuno per poi passare la palla”

“Mi stai dicendo forse che il figlio sta cercando di richiamare in vita il padre?” urlò Gabriel. Rebecca gli tirò la manica del gomito per farlo calmare, lui si sedette ma era un fascio di nervi.

Bastian scosse la testa. “Non credo, insomma, richiamare in vita un morto è una questione molto complicata e delicata da eseguire. Voglio sempre ricordarvi che Atreius non è un angelo e perciò non ha neppure metà dei poteri che spetta ad un angelo, mi riesce difficile credere che sia in grado di compiere una tale magia”

“Non pensi che possa essere affiancato da qualcuno che lo aiuti?” domandò Adele con tranquillità.

“Non metto in dubbio il fatto che possa essere aiutato da una congrega di creature magiche, magari dei maghi o degli stregoni, ma è comunque impossibile per chiunque riportare in vita un defunto”

Alan sbattè le palpebre un paio di volte. “Quindi non è Dark Threat che Atreius intende avere al suo fianco. E allora chi?”

Lo sguardo di quattro persone si posò su Rebecca.

La ragazza ebbe una brutta sensazione. “Andiamo, non può essere! Atreius sa come la penso e sa da che parte sto, non potrei mai stare al suo fianco e comandare un’orda di depravati. Penso che a questo punto sia più semplice per lui richiamare in vita mio padr…Mortimer” si corresse giusto in tempo ma ricevette ugualmente delle occhiate sconcertate.

Gabriel aveva smesso di parlare.

Bastian si sedette e tamburellò le dita sul tavolo. “Non è così come pensi, Rebecca. In realtà ad Atreius basterebbe molto meno avere te che non vostro padre” Rebecca sussultò. Vostro padre. “Esistono molti incantesimi contorti e micidiali che sono in grado di manovrare, manipolare e sopraffare una mentre umana senza che questa se ne renda conto”

Rebecca doveva essere impallidita parecchio perché Gabriel accostò la sedia alla sua e le cinse le spalle con un braccio. Sembrava preoccupato e allo stesso tempo consapevole.

“Ma io non sono un’umana!” esclamò.

Pessima giustificazione.

“Trovane di migliori” le sussurrò la voce.

“Taci tu” sbottò.   

“Come scusa?” le chiese Gabriel.

“No, niente, parlavo da sola”

“Ti stavo dicendo, Aidel, che non devi sottovalutare la cosa. Ti posso solo dire che per i poteri che ha Atreius c’è una minima possibilità che riesca a manipolare una mente ben protetta come la tua. È più probabile che fallisca, ma devi sempre stare all’erta”

“Secondo me, Bastian, non è assolutamente questo che sta cercando di fare Atreius. Ha un altro piano in pentola ma di sicuro non questo”

“Non pensi che stia cercando di averti al suo fianco?”

“No” rispose prontamente la ragazza.

“Ma Rebecca, ne sei sicura?” intervenne Alan. “Non puoi esserne certa al cento per cento, a mio avviso aspettiamo di raggiungere il villaggio di Numbia prima di emettere sentenze. Una volta arrivati là capiremo molte cose ma non ora, ora è difficile conoscere la verità, possiamo solo fare delle supposizioni”

Rebecca grugnì e si appoggiò allo schienale. “Non è giusto, perché le cose non vanno mai bene?”

Gabriel la guardò apprensivo. Adele parlava con Alan e Bastian era uscito un attimo dalla stanza.

“Non è che per caso ti senti un po’ stanca, spossata, confusa?” domandò Gabriel, scrutandola con occhio vigile.

“Che cosa? Non ci posso credere, mi stai analizzando?”

“Ultimamente hai avuto vuoti di memoria o comportamenti dei quali non ti ricordi? Hai fatto qualcosa contro la tua volontà?”  

Per un attimo ad entrambi balenò in mente l’immagine di Rebecca che attaccava Gabriel ferendolo. Lei si drizzò come punta da un ago. “Se stai pensando a quello che penso io sappi che ero nel pieno delle mie consapevolezze. Ho fatto una gran cazzata ma l’ho fatta io, nessuno me l’ha ordinato…” la frase le morì in gola. Gabriel non si era accorto di nulla e ora le parlava teneramente.

“Io non ti ho ordinato niente, ti ho solo suggerito cosa fare”

Perché ogni volta che vengono fuori casini centri sempre tu? Chi diavolo sei? pensò con rabbia.

“Non posso dirti chi sono perché lo sai già”  

Rebecca strinse i pugni e Gabriel s’interruppe quando Bastian entrò di nuovo nella sala. Appariva pensieroso e distaccato, Gabriel schioccò forte la lingua e lui fece un balzo spaventato.

“Ho appena ricevuto una lettera dal capo-villaggio di Numbia, mi ha chiesto tra quanto arriveremo a salvarli” Bastian fece un pausa e poi prese un bel respiro. “Mi serve sapere chi di voi è disposto a venire”

“Conta su di me” disse Alan con un ghigno compiaciuto stampato in faccia.

“E su di me” intervenì Adele prontamente.

Gabriel guardò allungo Rebecca. “Vengo pure io” disse la ragazza con meno sicurezza rispetto gli altri due.

Tutti sentirono Gabriel sospirare. “A questo punto è scontato che verrò anch’io” sbottò con antipatia.

Rebecca si impose di stare calma, in realtà aveva una voglia matta di abbracciarlo e di riempirlo di baci. Con lui accanto non doveva temere niente.

“Ne sei sicura?”  

Sì, pensò con fierezza.

“Sei destinata a compiere grandi cose, ragazza mia. Il tuo destino io lo conosco, è stato scritto e l’ho letto. Fidati se ti dico con assoluta certezza che il tuo posto non sarà mai qui con loro, il tuo posto, il posto in cui il destino ti ha messa a sedere, è lontano. Sarai dannata per l’eternità se rinnegherai il tuo fato…il potere, dopotutto, è piacevole”



***



“Gabriel?”

“Sì?”

“Ora Bastian lo dirà all’esercito, non è vero?”

“È più probabile che lo dica domani, ormai è notte”

Stavano tornando a casa, camminavano vicini senza neppure toccarsi. Tenevano tutti e due lo sguardo basso, Rebecca gli diede una spintarella con la spalla che lo fece spostare. Risero entrambi.

Bec si fece improvvisamente seria. “Gabriel, non mi avevi detto che Atreius era vivo”

Lo vide serrare la mascella. “Speravo, credevo che fosse morto. A quanto pare ha le ossa dure il tizio”

Rebecca stava per dire: “è mio fratello! Certo che ha la pelle dura!” ma si trattenne dal dirlo. “Vedrai che le cose si sistemeranno, tutto trova sempre il modo per ritornare dove deve stare”

“E tu dove devi stare?”

Non voleva mentirgli, decise di essere sincera. “Non ne ho idea, so solo che non ho ancora trovato il luogo a cui appartengo”

Gabriel parve incupirsi ma non replicò né tantomeno rimbeccò. “Spero tanto che un giorno tu possa trovarlo”

“Dovunque sarò vorrò sempre esserti vicina” gli disse, con una voce così carica di sentimento che lui si sentì infuocare.

“Rebecca, devi ancora trovare la tua strada ma sappi che per te io ci sarò sempre. Non dovrai mai aver paura di venire a chiedermi aiuto”

La ragazza si strinse al suo braccio. “Lo so, grazie, per me conta molto”

Gabriel le diede un baciò sulla testa e la prese per mano. Ad un certo punto si sentì spingere con forza, le mani della ragazza erano appoggiate sul suo petto, il suo volto sorrideva birichino finchè non lo sbattè contro un muro. Gabriel vide che era il muro di una casa, peccato che la casa non fosse la loro, neanche sapeva chi ci abitava. Rebecca si mise sulle punte e lo baciò con trasporto.

“È la prima volta che mi sbatti contro un muro per baciarmi” le disse il ragazzo con un’eccitazione sempre crescente. Chissà perché gli piaceva.

La risata cristallina di lei lo fece gemere contro la sua bocca. “Io lo trovo molto emozionante”

“Dì pure eccitante, dannazione” esclamò con la voce bassa e roca dal desiderio.

Rebecca si avventò famelica contro la sua bocca e passò le mani dal petto ai fianchi muscolosi e scolpiti del ragazzo. Gabriel le teneva ferma la testa con entrambe le mani ma dovette staccarle quando sentì il bacino della ragazza premere contro il suo. Le fece scorrere avidamente dietro la sua schiena e le strinse la maglia per averla più vicina. Stava per svenire, lo sentiva, doveva al più presto fare qualcosa. Aveva anche già perso la vista. Se non si fossero mossi l’avrebbe presa in quel vicolo buio e deserto.

Si staccò da lei controvoglia, il suo corpo la pensava diversamente a riguardo. “Rebecca, dobbiamo…andiamo a casa, non posso stare qui un minuto di più”

Tanto per complicargli la cosa lei scese a baciargli il collo toccandolo in maniera quasi straziante al torace.

Respiro, respiro…

Dov’è il mio respiro?

“Ti prego, prima che…” non terminò la frase perché un rauco gemito rischiava di uscirgli dalla bocca.

Basta, il minuto di autocontrollo era passato. Ormai era andato tutto a farsi benedire, lui l’aveva avvertita. Peggio per lei.

Gabriel la prese in braccio e lei allacciò le gambe dietro la sua schiena senza smettere un secondo di baciarlo. L’adagiò sull’erba umida e bagnaticcia e in un baleno le fu sopra.

Al diavolo, per quella sera non gli importava un accidenti che qualcuno potesse vederli.  



***


Olà!! Grazie a tutti coloro che mi seguono costantemente!!! Per me significa molto...
Come potrete vedere sto proseguendo MOLTO velocemente la storia, il fatto è che ho tutta la storia in testa
e sono talmente presa dal
continuarla che mi ritrovo a scrivere ogni giorno!!! Per fortuna che mi piace
e che lo faccio con spensieratezza altrimenti impazzirei!!! Devo ammettere che la trama si infittisce
sempre di più...eheh..vedremo come finirà!!!!

Vi aspetto con il prossimo capitolo: "PRENDERE QUOTA"



I THANKS:

OASIS: ci stai andando vicina!!! vedrai che non manca molto a quando lei diventerà...................

CHICCA90: ti posso solo dire che Rebecca non diventerà cattiva in questi capitoli o alla fine, è tutto un insieme, una continuità che poi alla fine la porta alla scelta decisiva!! naturalmente non posso svelarti il finale!!! anche perchè poi ci sarà un altro sequel e sarà l'ultimo e conclusivo della storia!!!

NIKKITH: devo VERAMENTE deluderti!!! Gabriel e Rebecca come vedrai non se la passeranno bene...il fatto è che avendo deciso di farla diventare cattiva inevitabilmente si devono lasciare, ma aspetta di leggere il finale per demoralizzarti!!! fammi sapere che ne pensi anche di questo capitolo, bacioni.




 










 

















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Capitolo 4
*** Prendere quota ***


Cap. 4 - PRENDERE QUOTA -

[Lascia che la pioggia cada e porti via le mie lacrime,
lascia che riempia la mia anima e anneghi le mie paure,
lascia che frantumi le pareti per un nuovo sole.

Dove c’era il buio adesso c’è luce,
dove c’era dolore ora c’è gioia,
dove c’era debolezza ho trovato la mia forza…
tutto negli occhi di un ragazzo]

Celine Dion - A new day has come -



***



Gabriel camminava a testa bassa per il villaggio, era pieno giorno e si trovava al mercato del lunedì mattina, la folla lo rendeva irrequieto ed era troppo vigliacco per andarsene in giro a testa alta. Non appena incrociava lo sguardo penetrante di qualche passante si sentiva arrossire dalla vergogna. Passò davanti al banco del pesce e finse di dimostrarsi interessato anche se realmente non focalizzava niente in particolare, lasciava scorrere lo sguardo sulle bancherelle senza però prestare attenzione a qualche articolo. Diede parecchie spinte ad alcune vecchiette affaccendate che non prestavano attenzione a dove andavano, si lanciavano nelle spese e trascinavano con loro persino qualche passante sfortunato. Gabriel non sopportava la folla, a meno che non si trattasse di una rissa…e quindi spingeva con seccatura tutte le vecchiette che trovava. Con le altre persone invece cercava di essere il più invisibile possibile.

Il suo occhio vigile scrutava tutti e si spostava quando intercettava lo sguardo di qualcun altro sul suo. Non capiva neppure lui perché si comportasse così, si faceva ridere da solo. Era patetico, lo sapeva, ma non riusciva a trattenersi dal farlo. Temeva che qualcuno sapesse. Dopotutto non erano stati molto attenti.

Un passante gli andò addosso e lui indispettito si voltò. Stava per rispondergli in malo modo ma richiuse la bocca quando riconobbe il panettiere. Si sforzò di sembrare simpatico.

“Jared, ma qual buon vento?”

Il panettiere scrollò le spalle e rise. “Vento di soldi a quanto pare! Sono con Sarah, la vedi? È laggiù” l’uomo gli indicò una figura poco distante posizionata dietro ad una bancarella. Era una donna abbastanza grossa e brutta, stava servendo una bambina mostrando paurosamente la sua lunga fila di denti gialli. Lei lo vide e salutò entrambi. “Tu come stai?”

Gabriel tossicchiò. “Va abbastanza bene, non mi lamento”

Jared si fece più vicino e gli diede una pacca amichevole sul gomito. “E con la ragazza? Ti crea problemi?” sghignazzò a bassa voce.

Gabriel si rimise dritto e lo guardò con un leggero accento interrogativo. “Con lei va bene, mi fa arrabbiare molto ma poi la perdono sempre. È come se tra noi due fossi io il buono e lei quella che imbroglia, strano a dirsi, no?”

“Rebecca deve avere un bel caratterino!” disse l’uomo, con una risata che non piacque per niente a Gabriel.

“Come ognuno” ribattè stando rigido.

Jared gli diede un’altra pacca. “Senti, se ti stufi o non la sopporti più puoi sempre mandarla da me. Sarah è un amore ma la tua ragazza è veramente troppo, non so se mi spiego” sorrise il bastardo mimando con le mani le curve morbide di una donna.

In quel momento Gabriel ci vide doppio e senza nemmeno rendersene conto lo afferrò al collo con un unico velocissimo gesto. Jared provò a divincolarsi e sbattè i piedi per terra, il suo viso stava diventando bordeaux e faceva fatica a respirare. Alcune persone si erano fermate ad osservagli, Gabriel fu costretto ad abbassare le mani. Rimase immobile e ritto mentre il panettiere si massaggiava con mani tremanti il collo gonfio e rosso.

Lo guardò strabuzzando gli occhi.

“Ma che diavolo ti è preso?!” sbraitò con una faccia da assatanato.

Non lo so neppure io, Jared.

Ma sai, l’amore è una cosa strana. Ti è mai capitato di amare qualcuno?

Gabriel prima di avere Rebecca non aveva mai prestato né attenzione né fatto peso alle battutine oscene che gli uomini facevano alle giovani donne, ma da quando si era innamorato della ragazza più bella, perfetta e voluta del villaggio non riusciva più a reggere i loro discorsi provocatori. Sapeva benissimo che loro lo facevano per scherzare e fare quattro risate ma lui proprio non riusciva a far finta di niente. La rabbia lo assaliva ogni qualvolta qualcuno scherzava su Rebecca, non gli piaceva leggere nella mente i loro desideri erotici né tantomeno sentire ad alta voce le fantasticherie che facevano su di lei.

Jared lo fissava ancora incredulo e arrabbiato.

E ora che gli diceva a questo?

“Scusa, non so cosa mi sia preso. Il fatto è che…” una scusa, una scusa qualsiasi, accidenti! “Per caso sai chi abita nella casa infondo alla via?”  

Se la mascella di Jared avesse avuto dei poteri di estensione avrebbe sicuramente toccato terra. “Che domande mi fai?”

“Tu rispondi”

“E mi stavi soffocando per questa domanda?!” esclamò, paonazzo in volto.

Gabriel gli fece cenno di abbassare la voce, stavano attirando un po’ troppo l’attenzione generale. Persino Sarah aveva abbandonato il lavoro e si stava avvicinando ai due uomini. “Stà zitto e dimmi se sai di chi è la casa poco distante da qui”

“Perché vuoi saperlo? A che ti serve?”

“Ma mi vuoi rispondere sì o no?!”

Rebecca lo sbattè contro il muro di una casa e prese a baciarlo con passione.

Erano in un vicolo buio…quando lui perse il controllo la stese a terra per poi posizionarsi sopra il suo corpo fremente.

“E se qualcuno ci vede?” mormorò con voce rauca Gabriel, che stava impazzendo nel provare tutta quella sorta di ribellione e perversione. Il senso piccante di infrangere le regole lo rendeva ancora più spinto e avido di lei.

Rebecca emise una risatina roca e gli circondò il collo con le braccia. Pure a lei stava piacendo quella situazione tanto inconcepibile. Non disse nulla e si limitò a baciarlo.

Il buon senso di Gabriel tornò alla carica. “E se ci sentissero?”

“Infatti è più probabile che ci sentano invece che vederci, lo sai che non riesco a rimanere zitta” disse con aria da birichina.  
Il ragazzo avvampò. “Cerca di ragionare, Rebecca. Non pensi alla figura che potremmo fare se qualcuno venisse fuori e ci vedesse?”

La ragazza in tutta risposta cominciò a spogliarsi e, senza staccare i suoi occhi febbricitanti da quelli del ragazzo, fece lo stesso con lui. Gabriel storse la bocca ma si lasciò spogliare dalle mani sicure e tenere della sua ragazza.

“Smettila di essere razionale, soldato. È un ordine”

Gabriel regalò a Jared un sorriso tirato.

“Perché sei arrossito?” intervenne il panettiere.

“Non sono arrossito, ho solo tanto caldo”

“In inverno?”

“Non è inverno” brontolò. “È fine autunno”

“Come vuoi, sappi che in ogni caso là infondo non ci abita nessuno”

Il volto di Gabriel s’illuminò. “Davvero? E neanche nelle case intorno?”

“Quella casa col muro in pietra è disabitata ma le altre no, che io sappia”

Quella casa era l’unica casa del villaggio ad avere i muri in pietra senza contare quella di Gabriel e Rebecca. Tutte le altre erano di legno.

La faccia di Gabriel ritornò ad incupirsi. “Ok, ti ringrazio”

“Io comunque ci abito in una di quelle case laggiù. La mia e quella di Sarah è a pochi metri da quella in pietra che mi hai appena descritto. Ho dei vicini ma non gli vedo mai, non so neanche se sono morti”  

Gabriel cominciò a sudare freddo. “E…per caso, ehm, ieri notte hai sentito…uhm…qualcosa di strano?”

“Ad esempio?”

Oddio, che imbarazzante, avrebbe tanto voluto sprofondare sottoterra. “Non so, degli urli?”

Il panettiere mise una mano sotto il mento e assunse un’aria pensierosa, poi spalancò la bocca con un: “oh!” puntando l’indice contro il cielo. “Ora che mi ci fai pensare mi è sembrato di sentire qualcosa di sospetto, più che altro rumori e lamenti. Ma sai, tutti mi dicono che sono pazzo da legare perciò pensavo…”

“Lamenti?” ripetè il ragazzo con una smorfia tra lo schifato e lo sconvolto.

“Ah, sarà stata qualche bestia” lo rasserenerò con un’altra pacca sul braccio.

Gabriel si coprì la faccia con la mani. “Bestia?”

“Ehi, che ti prende? Ora la tua cera mi preoccupa sul serio, sei di un bianco cadaverico, amico!”

“S-Sarà meglio che torni subito a casa”

Salutò con un gesto della mano il panettiere e si defilò dal mercato. Maledizione, lui non era il tipo da fare quelle cose. Che vergogna…era stato un incosciente, come aveva potuto assecondare Rebecca a fare l’amore con lui in mezzo ad una strada con delle persone che abitavano lì vicine? Il solo pensare che qualcuno potesse averli visti, anche solo sentiti, gli faceva venire la pelle d’oca. Non vedeva l’ora di ritornare a casa e di raccontarglielo, chissà la faccia che avrebbe fatto Rebecca. Lei che era convinta che nessuno se ne sarebbe accorto.

Bene amore, sappi che abbiamo dato spettacolo a dieci persone.



***



Gabriel non fece in tempo a mettere piede in casa che Rebecca gli saltò addosso aggrappandosi alla sua schiena, si mise in groppa e gli stampò un bacio sulla nuca. Assomigliava molto ad un koala, troppo tenera.

Gabriel andò in cucina con lei addosso e prese da bere. “Smettila, per favore!” esclamò divertito non appena sentì che la ragazza aveva preso a baciargli il collo. “Non riesco a bere, vuoi che m’ingozzi?”

“Mi stai minacciando?” lo provocò.

“Vuoi che lo faccia?”

“Forse”

Gabriel rise e rise ancora più forte quando gli venne in mente quello che stava per dirle. “Tesoro, ti ricordi cosa ti avevo detto a proposito di ieri sera, del fatto che stavamo facendo un grosso errore?”

“Uhm, diciamo che la tua paura più grande era quella che qualcuno ci potesse sentire”

“Per l’appunto” precisò con aria solenne.

Con uno scatto la ragazza smontò dalla sua schiena e inciampò sui suoi stessi piedi. Gabriel prontamente si voltò e la prese per i fianchi appena in tempo.

“Che cosa?!”

“Oggi ho parlato con il panettiere, Jared, ti ricordi?”

“Parla!” lo assalì con un urlo.

“E…beh, mi ha detto che abita lì vicino e che ieri notte lui, la sua compagna e i suoi vicini in effetti hanno sentito dei lamenti, degli spasmi, dei rantoli che hanno attribuito ad un animale”

“Un animale?”

“Dolcezza, volevi per caso che gli dicessi che eri tu sotto di me?”

Rebecca gli mollò una sberla sul braccio. “Sei osceno!”

“Guarda che la femme fatale sei tu! Mi hai abbindolato con il tuo bel faccino e il tuo corpo grazioso, sei una seduttrice nata. Io avrei anche resistito ma poi mi hai convinto con la storia della magia, che uomo debole che sono” e si mise una mano sul cuore come se fosse stato colpito.

“Non sono una nonsocomesidice fatale! Semmai sei tu che mi hai trasformata in una ninfomane! Prima di conoscerti pensa che neppure ci pensavo a fare sesso in un vicolo, nonostante sia la fantasia proibita di metà adolescenti!”

“Sarebbe colpa mia?!” disse indignato.

“Tu e le tue storie da una botta e via! Dimmi, dato che non abbiamo mai affrontato apertamente l’argomento, si può sapere dove te le sbattevi le ragazze? Addosso ad un muro o dietro ad una pianta? Perché in tal caso non dovresti far tanto lo schizzinoso!”

“Non osare paragonarti con quelle! Tu sei diversa e la storia è diversa, non puoi arrabbiarti con me perché ho avuto altre storie al di fuori della tua!”

“Storie le chiami? Hai mai avuto una storia? Con chi andavi Gabriel, posso saperlo? Erano ragazze sane e di buoni principi o erano puttane? Sì, quelle che lavorano nelle locande dove voi ragazzi andate a bere la sera?”

“Finiscila” disse a bassa voce.

Rebecca iniziò a piangere e neanche se ne accorse.

Com’erano finiti in quel discorso?

“Scommetto che erano molto brave, non è vero? Le frequenti ancora? Magari ogni tanto ti piace fare qualche scappatella e andare a trovarle, hai bisogno di avventura? Di altri stimoli? Del piacere del rischio?”

“Ho detto basta” ripetè Gabriel in un sussurro straziante.

L’abbracciò sussurandole dolci parole di conforto. “Ne ho avute ma da quando ti ho conosciuta non ho più sentito il bisogno di andare con altre donne, c’eri tu a farmi sentire pieno e realizzato. Smettila di torturarti, loro non sono minimamente alla tua altezza, tu sei tutto ciò che voglio. Non loro. È con te che voglio trascorrere l’eternità, ricordi?” la sentì singhiozzare e fare un cenno del capo. “È stato comunque bello vederti gelosa. Ti lamenti di me ma pure tu ci dai giù di brutto”

Rebecca lo colpì con un pugno alla schiena ma non potè trattenersi dal ridere. “Scusami” gli sussurrò.

“Rebecca Burton, ti va di venire di sopra nel letto con me ad amoreggiare?”  

“Sì” disse arrossendo. Si nascose nel suo petto troppo imbarazzata per guardarlo in faccia.

Ma che le era preso? Fare quella scenata di gelosia e mettersi a piangere! Che bambina…

“E non ti devi vergognare se sei diventata una ninfomane, a me fa solo piacere. E che piacere…” le strizzò l’occhio e si beccò un altro pugno.

“Ma che ho detto?”



***



Il suono di una tromba fece svegliare di soprassalto Rebecca che scoprì di avere un enorme mal di testa, si passò una mano sui capelli lamentandosi sottovoce e ritornò con la testa sul cuscino in posizione prona. Un secondo suono, più forte e intenso del primo, la fece sussultare tanto che cadde dal letto tirandosi dietro tutte le coperte. Gabriel, che nel frattempo dormiva, dovette aprire furtivamente un occhio per poter capire come mai tutt’un tratto aveva freddo, si scoprì essere nudo e senza uno straccio di lenzuolo sul letto. Vide un ciuffo di capelli castani spuntar fuori dal fondo del letto e gattonando in quella direzione si sporse oltre il bordo del materasso.

“Che ci fai per terra?” domandò, tentando di reprimere una forte risata che lo picchiettava nella gola.

Rebecca lo fulminò con gli occhi. Non fece in tempo a spiegargli che la tromba riprese a suonare, ormai il frastuono era talmente alto e assordante che la ragazza si tappò istintivamente le orecchie e urlò dal dolore. Il gomito che sorreggeva Gabriel dal letto cedette nel momento in cui il ragazzo si prese uno spavento e pure lui perse l’equilibrio cadendo addosso alla ragazza. Un groviglio di corpi e coperte creava un caos assurdo, Rebecca gli urlava di spostarsi dato che la stava schiacciando e Gabriel si lamentava del fatto che la sua gamba fosse incastrata tra quelle di lei. Rotolarono per tutto il pavimento finchè Rebecca non sbattè la schiena contro qualcosa di molto duro.

Con il volto coperto d’orrore fissarono entrambi due paia di piedini che stavano sull’uscio della porta aperta della loro camera da letto. Risalirono con lo sguardo incontrando lo sguardo perplesso e meravigliato di Ian. Come se non bastasse dietro la porta gli occhietti indiscreti di Emma li stavano spiando.

Rebecca divenne bordeaux e veloce come un fulmine raccolse le lenzuola intorno a lei per coprirsi. Gabriel le diede una mano e poi guardò i nipoti. “Si può sapere che ci fate a casa nostra senza bussare?”

I due bambini li fissarono per un tempo che a loro parve interminabile e poi, come scottati, cominciarono a correre fuori urlando come pazzi.

L’occhio di Gabriel ebbe uno strano tic mentre guardava sconvolto l’uscio della porta ormai vuoto. S’infilò frettolosamente un paio di boxer e corse come un disperato fuori nel corridoio, sentì al piano di sotto la voce di Rosalie dire: “Che succede, ragazzi?”

E quella di Ian che ancora urlava a squarciagola. “Mamma! Mamma! Lo zio vuole uccidere la zia!”

Sentì sua sorella gridare un: “che cosa?!” ma riuscì ad arrivare in tempo in cucina prima che tutta la famiglia si precipitasse in camera muniti di coltelli e pentole. Fece il suo ingresso in mutande e mezzo nudo, era rosso per la corsa e alzò le mani al soffitto in segno di innocenza.

“Posso. Spiegarvi. Ogni. Cosa” scandì bene le parole.

Rosalie lo fissava a bocca aperta. “Ma che…?”

S’intromise Emma questa volta tirando la manica di Denali. “Papà, pure io l’ho visto! Lo zio era sopra la zia e la zia non sembrava tanto contenta. Stava urlando!”

I volti di Rosalie e Denali sbiancarono nello stesso istante. La faccia della ragazza passò dal rosso al viola e poi dal blu al verde. “Gabriel!” urlò.

Gabriel si difese parandosi con le mani. “Non è come pensi, loro non hanno visto niente! Te lo giuro!”

“Sono così piccoli i miei figli e già devono vedere queste cose! Ma prego fratello, ora grazie a te sanno pure come si fanno i bambini!”

“No! Io ero solo caduto dal letto per via…e Rebecca era già a terra…non…!”

Rosalie puntò gli occhi sui suoi boxer. “Stavi dormendo, eh?!”

“Erano nudi. Bleah! Che schifo!” mormorò Ian disgustato da dietro la figura della madre.

Per un momento a Gabriel parve di veder uscire dalle orecchie della sorella una nuvoletta di fumo. Fortuna volle che in quell’attimo scese le scale Rebecca, avvolta in una vestaglia lilla molto graziosa. Passò davanti a Gabriel senza nemmeno prestagli attenzione e andò dritta al sodo rivolgendosi a Rosalie. “Ti posso assicurare che ieri sera io e tuo fratello abbiamo…beh, sai cosa. Stamattina stavamo dormendo quando una tromba ci ha fatto prendere un colpo e siamo caduti entrambi dal letto. I tuoi figli sono entrati proprio nel momento in cui eravamo a terra incapaci di alzarci perché le lenzuola si erano tutte aggrovigliate ai nostri corpi. Naturalmente non devi arrabbiarti con noi dato che questa è casa nostra e che, con un minimo di cortesia, avresti dovuto avvertirci per darci il tempo di renderci presentabili”

Finito di parlare Rosalie grugnì e poi tese una mano verso la ragazza. Rebecca gliela strinse e Gabriel fece un sospiro di sollievo. “Volevo soltanto avvisarvi che Bastian ha suonato per la partenza”

Dovevano partire, lo sapevano. Bastian la sera prima gli aveva avvertiti.

Ma chi poteva immaginare che avrebbe avvertito il villaggio suonando una tromba?!

Gabriel fece la linguaccia a Ian che ancora lo guardava come se volesse sbranarlo. Che pensava? Che aveva fatto male alla cara zia?! Mica era un maniaco sessuale!   

“Ad ogni modo…” proruppe Denali. “Siamo venuti a salutarvi, i bambini lo volevano tanto”

“Tu non vieni?” domandò Gabriel ignorando lo sguardo assassino della sorella.

Denali parve a disagio. “Veramente…” puntò gli occhi su Rosalie.

“Lui ha di meglio da fare” concluse la ragazza con un sorriso smagliante.

“Rose, andiamo in missione per combattere”

“Appunto”

Quindi…è ovvio che gli uomini che prendiamo hanno donne e figli, ed è logico che si allontanano da casa per il bene del villaggio. Ho già chiuso un occhio quando eri incinta lasciando a casa Denali dalla missione ma ora ci serve, insomma, è forte e molto potente e noi abbiamo bisogno di soldati come lui. Non puoi prenderti il lusso di tenerlo a casa solo perché sei mia sorella! Altrimenti sai quanti altri uomini dovrebbero restare a casa?! Per favore, cerca di ragionare…si tratta di una battaglia, non si può scegliere, si è reclamati ad andare e basta”

Rosalie diede un’occhiata ai suoi figli e poi al suo compagno di fianco a lei che la guardava con tenerezza e compassione. “Tu ci vuoi andare?” gli chiese con la voce che tremava.

Il volto di Denali era molto profondo e sicuro. “Sì”

Emma si mise a piangere e Ian e si attaccò con forza alla gamba del padre non volendosi più staccare, Rosalie si accucciò a prendere Emma in braccio. Ian minacciò tutti che non si sarebbe staccato dall’adorato papà, sarebbe andato con lui in battaglia aggrappato alla gamba se non l’avessero lasciato a casa.

Fu Gabriel a prenderlo in braccio dopo vari tentativi. “Andiamo ometto, terrò d’occhio io il tuo papà” gli disse facendogli l’occhiolino.

Intervenne Rebecca dal fondo della stanza. “Ian, tuo padre è in buone mani. Lo zio e la zia sono molto forti e gli faranno da scudo, ok? Non hai niente da temere”

Ian circondò il collo di Gabriel e gli accarezzò tutta la faccia come se fosse stato un gattino da coccolare. Rebecca si avvicinò e stampò un bacio sulla fronte del bambino che allargò un debole sorriso. “Promesso” gli sussurrò lei.

Ian annuì. Con loro non c’era da temere che Denali corresse rischi. L’avrebbero riportato a casa sano e salvo.



***



Il gruppo di uomini ingaggiati per la missione partì quella mattina stessa con un ritardo di circa un’ora. Denali non prese parte alla spedizione, come illuminato da una consapevolezza mistica Gabriel decise all’ultimo momento di lasciarlo a casa. Rosalie gli era corsa incontro in lacrime, probabilmente era stato quello il motivo della sua decisione, non voleva far soffrire la sorella come stava soffrendo lui in quel momento. Bastian non aveva radunato moltissimi soldati ma erano quel numero giusto da poter vincere la battaglia, senza contare che al loro arrivo avrebbero trovato anche il villaggio di Numbia come alleato. Marciarono verso est, i soldati camminavano a piedi mentre Bastian, Rebecca e Gabriel procedevano a cavallo. Rebecca aveva voluto cambiare il suo unicorno bianco con uno stallone nero, dicendo ad un Gabriel stupefatto che quel cavallo era più adatto a lei. Gabriel si era risparmiato dal chiederle se per caso ultimamente i suoi gusti andavano più verso i colori scuri che su quelli chiari, sarebbe stata una battuta a doppio senso: “preferisci l’oscurità alla luce divina?” Gabriel aveva scosso la testa e fatto finta di niente. Ora che si erano ritrovati non aveva nessuna intenzione di litigare di nuovo con lei. Non dopo la stupefacente intesa sessuale che avevano scoperto di avere…

Gabriel rise tra sé e sé.

“Che c’è?” chiese la ragazza che gli trotterellava accanto.

Lui mimò una tosse. “Niente. Pensieri maschili”

Il viaggio sarebbe durato tre giorni di cammino, Bastian aveva ritenuto più saggio fermarsi una volta al giorno per la notte in qualche villaggio vicino. I suoi uomini che erano a piedi non ce l’avrebbero fatta, altrimenti.

Prima di partire aveva creato un’apposita mappa con i punti esatti in cui dovevano ristorarsi, fermarsi, sostare e dormire (possibilmente in qualche locanda a buon prezzo, chissà che non fosse scappato uno sconto comitiva). Marciarono tutto il giorno ad un ritmo incessante, non si fermarono neppure una volta per bere o mangiare, come prima giornata erano ancora abbastanza forti e sostenuti per dover far rallentare il passo. Rebecca di certo non si lamentava, seduta sul suo cavallo nero stava divinamente, così come Gabriel e Bastian (anche se loro non lo davano a vedere). I due uomini infatti apparivano spossati e affaticati, e lei non capiva come potessero esserlo se per tutto il giorno non avevano fatto altro che star seduti. Rebecca aveva sempre considerato gli uomini delle pappemolli. Non tutti, ma la maggior parte sì. Appena li capitava un improvviso mal di testa subito piagnucolavano e ti stressavano per ore intere! Si facevano un taglio o li veniva un crampo e giù a chiamare la mamma. Le donne sì che erano forti, si lamentavano pochissimo e con sé stesse, non facevano pesare i loro problemi, le loro sofferenze e i loro dolori. Senza contare che gli uomini hanno una sopportazione dei dolori che è minore rispetto alle donne. Insomma, Gabriel e Bastian erano delle vere femminucce. Lasciando perdere il fatto che comunque restavano due grandi guerrieri: uno un capo-villaggio molto valido e l’altro un ex angelo alquanto sexy.

Arrivarono in un villaggio tetro e denso di nebbia. Era quasi sera, c’era molta umidità nell’aria ed era buio pesto. Bastian scese dal suo cavallo con una smorfia di dolore (probabilmente aveva le gambe addormentate) e si parò davanti al suo gruppo di guerrieri. Non erano in molti, erano un gruppo abbastanza ristretto ma buono. Si poteva benissimo leggere la stanchezza e la fame sui loro volti marcati e scarni.

Bastian ordinò a tutti di non muoversi mentre lui andava a chiedere ristoro per la notte. Lasciò il comando a Gabriel con ogni contrarietà da parte di Rebecca.

Quando Bastian sparì oltre la coltre di nube tutti i soldati caddero a terra per riposarsi, alcuni tirarono fuori delle borracce per bere altri si sgranchirono le gambe e la schiena distendendosi sull’erba scura. Rebecca si avvicinò al ragazzo che era ancora a cavallo.

“Credi che ci ospiteranno per questa notte?” gli chiese.

Gabriel non la guardava nemmeno, fissava un punto oltre il muro di nebbia. “Penso di sì, infondo non siamo in molti, dovrebbero averle delle camere da dieci persone”

“Così tante?”

“Qui non esistono gli hotel come gli intendi tu, nei quali le stanze ospitano al massimo cinque persone e forniscono di minibar. Da noi le locande sono state costruite inizialmente apposta per i soldati, quindi per forza ci staremo tutti”

Rebecca impallidì. “Devo dormire con nove uomini nello stesso letto? No perché sai, l’astinenza è una brutta faccenda…”

Gabriel posò i suoi occhi profondi e audaci su di lei. “Tu dormi con me, punto e basta”

“Speravo lo dicessi, anche perché la maggior parte di questi ragazzi c’hanno provato con me in questi anni. Non vorrei che diventassero pesanti o sconvenienti, non voglio dover rompere il braccio a qualcuno di loro, ci servono tutti integri per la battaglia a Numbia”

“Qualcuno ci ha provato con te?” sembrava cascare dalle nuvole lo scemo.

“Sì, ma non…”

“Chi” sibilò.

“Smettila di essere possessivo” lo rimproverò la ragazza con una voce che non ammetteva repliche.

“E dopo questa…! Tu dormi con me, e ti chiudo anche a chiave in camera” Gabriel scese elegantemente dal cavallo e toccò terra con un tonfo. Rebecca pensò che volesse uccidere qualche soldato perciò lo tenne fermo per un braccio.

Gabriel le passò il braccio attorno alle spalle e l’attirò a sé. “Ti proteggo io” le sussurrò.

“Come se avessi bisogno di protezione” si lagnò lei.

Un giovane soldato si fece avanti e tossì un paio di volte prima di ottenere l’attenzione di Gabriel e Rebecca. Era molto alto e ben piantato, capelli scuri a spazzola e occhi verdi con qualche pagliuzza dorata. Gabriel lo squadrò da cima a fondo e quando vide che i suoi occhi fissavano insistentemente Rebecca s’irritò non poco. “Che vuoi, soldato?” lo interrogò con professionalità.

“Beh, ecco…io volevo sapere dov’è andato Bastian”

Gabriel aggrottò la fronte e poi capì. Contrasse i muscoli così fortemente che la ragazza vicino a lui ebbe un brivido. “È andato a prenotare delle camere in una locanda. L’aveva detto, comunque. Non avevi sentito? Forse eri occupato a fare qualcos’altro”

Il ragazzo divenne bordeaux e si allontanò molto imbarazzato.

Rebecca guardò il profilo di Gabriel e la sua mascella tesa per la tensione.

“Era uno di quelli che c’ha provato con te?”

“Sì” disse lei con timore, poi si affrettò ad aggiungere: “Ma è perché giovane, povero! Non ci sono molte ragazze della sua età che gli vanno bene, mi ha detto, per questo gli piacevo. Diceva che ero diversa dalle altre ma naturalmente io gli ho fatto capire chiaro e tondo come stanno le cose”  

“Quello lo voglio distante di almeno un piano dalla nostra camera”  

La ragazza alzò gli occhi al cielo. “Che palle…”

Gabriel la fulminò con gli occhi. “Non ti ha baciata, vero?”

Per poco lei non si soffocò con la saliva. “Che cosa?! No! Certo che no!”  

“Ti ha per caso toccata?”

“Mi stai irritando”

“Comunque quel tizio era venuto qui solo per ottenere la tua attenzione, ma io ovviamente l’ho liquidato in meno di dieci secondi”  

“Tipico di te” sbottò.

“Chi sono gli altri che ci hanno provato?”

Rebecca lo spintonò con uno sbuffo e si allontanò da lui. “No, non gli ammazzi!”

Bastian tornò dopo mezzora e annunciò ai soldati che era riuscito ad ottenere la prenotazione nella locanda gratuitamente, e che c’era spazio per tutti. Disse già in principio di non far caso al posto, che dopotutto erano in missione.

“Che cosa voleva dire Bastian con quella frase?” domandò Rebecca a Gabriel non appena furono montati a cavallo.

“Ti ho detto che le locande sono state costruite per i soldati inizialmente. Ora sono pressoché dei bordelli”

La ragazza ebbe un tuffo al cuore. Sbirciò con lo sguardo Gabriel al suo fianco e pregò che andasse tutto bene. Era a conoscenza delle ex fiamme del ragazzo. Tutte puttane.

Rebecca spronò le redini e il cavallo galoppò avanti superando Gabriel che la guardò interrogativamente restando al suo posto. Scrollò il capo e divenne di pessimo umore.

Che aveva fatto ora? Di certo non era colpa sua se andavano in una specie di bordello. Ma sotto sotto capiva le paure di Rebecca perché erano le stesse che aveva lui.

Dopo dieci minuti di cammino arrivarono di fronte alla locanda. Lo spirito di alcuni uomini si sollevò, altri sembravano incapaci di aspettare oltre per entrare, altri avevano sonno, altri sbuffavano perché erano già impegnati sentimentalmente. Solo Rebecca teneva un pesante muso. Il suo broncio non era passato inosservato a Gabriel e a Bastian che la tenevano a distanza di sicurezza.

“Ma perché proprio in un bordello?” brontolò con i denti serrati la ragazza.

Un uomo sulla quarantina si avvicinò e le diede una pacca sulla spalla. Il corpo di Gabriel si fece diritto e teso, pronto a scattare se l’uomo si fosse spinto oltre. Ma l’uomo si limitò a dirle con voce da ubriacone: “Scherzi, vero? Cosa c’è di meglio di una bella donna prima di andare in battaglia?”

“Ma per piacere…” borbottò. “Non capisco cosa ci trovate di bello in una donna che la da gratis a tutti”

Un altro ragazzo l’affiancò e con un sorriso da ebete le circondò i fianchi con un braccio. “È proprio quello il bello, dolcezza! Lo chiederei a te ma so già che sei super impegnata, infatti in questo momento il tuo ragazzo mi sta uccidendo con gli occhi”   

Rebecca guardò Gabriel e vide che osservava la scena da lontano con uno sguardo omicida stampato in fronte.

“Motivo in più per girarmi alla larga, bello” gli disse togliendoselo di dosso. “Andate pure a divertirvi con quelle donnacce da quattro soldi, io vado a letto”

Spinse e urtò chiunque le capitò a tiro, aprì la porta della locanda e andò come una furia dritta al bancone. Una donna sulla trentina con un osceno vestitino rosso attillato l’accolse un po’ troppo calorosamente per i suoi gusti. Il rossetto rosso acceso che portava le aveva sporcato la fila dei denti davanti, le unghie erano laccate di nero ed erano lunghe e appuntite. Sembravano a degli artigli. Tutto di quella donna faceva pensare ad un felino. Non le diede una buona impressione. Sbattè le mani sul bancone di legno scuro e quasi le urlò addosso di dirle qual era la sua camera da letto. La donna le diede un mazzo di chiavi e lei se ne andò indispettita per le scale che portavano al piano superiore. Non si voltò neppure una volta a guardare la faccia sconvolta dei soldati che erano tutti schierati nell’entrata. Gabriel era il primo della fila e la vide andare via a gran passi, sbattè le palpebre e una manata solidale da parte di Bastian lo scosse dallo stupore.

“Noi andiamo a dare un’occhiata in giro prima di andare a letto. Non so se mi sono spiegato” gli fece sottintendere chiaramente che erano diretti nella sala davanti a loro dalla quale si sentiva provenire della musica e degli urli maschili alquanto esaltanti e concitati. Gabriel annuì con la testa e salutò i soldati che lo guardavano come se fosse impazzito. Non riuscivano a capire come potesse un ragazzo del genere perdersi un incontro di quel tipo. Con aria mesta Gabriel si congedò e fece finta di non vedere la donna dietro il bancone che si stava sbracciando per attirare la sua attenzione. Salì le scale e bussò alla porta. Aveva letto nel pensiero della donna il numero della sua camera.  

Sentì dei passi avvicinarsi alla porta e udì la serratura sbloccarsi. Davanti ai suoi occhi si presentò la figura stanca e cupa di Rebecca, era già in pigiama e lo fece entrare con una certa lentezza. Gabriel si tolse la giacca e la buttò per terra, lei gliela raccolse e la posò su una sedia. Il letto era a due piazze e le lenzuola erano stropicciate.

“Stavo dormendo” gli disse lei a mo di spiegazione. “Ho fatto presto a infilarmi a letto”

“Mi sa tanto che stanotte saremo le uniche persone a dormire in questo posto”  

“A me importa solo che ci sia tu”

Si baciarono, dapprima con dolcezza e tenerezza poi il respiro si fece sempre più corto e necessario, e il bacio sempre più profondo ed esigente. Rebecca passò le mani tra i capelli morbidi e spettinati del ragazzo e lui le cinse i fianchi facendo aderire il suo corpo al suo. La fece arretrare verso il letto e…

La porta bussò. Entrambi guardarono sbalorditi la porta chiusa a chiave e ascoltavano con irritazione quei battiti continui. Andò Gabriel ad aprire e tirò un sospiro di sollievo quando vide Bastian. Prevedeva già di dover fare a botte con qualche cascamorto idiota e pretenzioso.

“È successo qualcosa?” domandò la ragazza che si nascondeva dietro la schiena di Gabriel.

“Veramente sono venuto a cercarvi perché sette dei nostri uomini sono scomparsi”

“Ma vi abbiamo lasciato meno di dieci minuti fa! Come possono essere spariti?” disse Gabriel esasperato.

Bastian socchiuse gli occhi ed espirò. “Io ero con gli altri, non facevo niente di male, veramente, gli stavo solo tenendo d’occhio nel caso qualcuno avesse creato dei problemi. Poi un soldato mi ha fatto notare che non trovava da nessuna parte suo fratello che, fatalità, fa parte del gruppo che non si trova. Ho provato a cercarlo ma non c’è nella locanda, né lui né gli altri sei”

“Vuoi che controlliamo fuori?” gli chiese Rebecca infilandosi già la tuta da combattimento.

Gabriel sembrava preoccupato. “Non possiamo aspettare che tornino?”

“E rischiare che si caccino in qualche casino? No, grazie, è l’ultimo dei nostri problemi”

“Magari tornano” tentò.

Rebecca uscì dalla porta con la spada in mano che poi si allacciò alla cinghia dei pantaloni. “Vado io” fece per percorrere il corridoio quando la voce di Bastian e la mano di Gabriel la fermarono. “Ehi, non sono una bambina, me la caverò benissimo. Gli trovo e gli riporto a casa, semplice”

Il ragazzo esitava ma Bastian gli disse di lasciarla andare, che loro avrebbero aspettato nell’atrio. Rebecca fece un cenno del capo e poi se ne andò. Ripercorse il bancone vuoto e uscì dalla locanda. L’aria era più calda, afosa, la nebbia era comunque un blocco che impediva la vista. Strinse l’elsa della spada e i suoi occhi divennero neri, con un incantesimo efficace aveva dilatato a dismisura le pupille e le aveva dato la vista di un gatto. Così si poteva muovere più facilmente nella notte.

Perse quasi un’ora per ritrovare il gruppo di uomini che avevano abbandonato l’edificio, gli aveva cercati in tutte le stradine, nascondigli, ripari e vicoli possibili e immaginabili. Alla fine capì di averli trovati perché in quell’inquietante silenzio sentì all’improvviso delle risate maschili seguite a ruota da alcune femminili. Grugnì e si diresse in quella direzione. Svoltò l’angolo e si ritrovò in un vicolo ceco. Infondo, addossati al muro di pietra, c’erano due dei sette uomini che erano avvinghiati a due donne sconosciute. Le donne erano schiacciate contro la parete, il loro vestito era alzato fino alle cosce, sotto erano nude e davano libero accesso agli uomini che stavano con i pantaloni abbassati davanti a loro. I due uomini si muovevano dentro il corpo delle giovani donne su e giù in un ritmo frenetico e martellante. Gli unici rumori che si sentivano era lo sbattere ritmico della schiena delle donne contro il muro e i sospiri, oltre ad alternate urla. Loro non potevano vedere Rebecca con quella nebbia ma lei li vedeva bene, eccome.

Non sapeva come comportarsi, avrebbe tanto voluto tornare indietro e dire semplicemente a Bastian che stavano bene e che non dovevano preoccuparsi per loro. Ma dall’altra parte non sopportava quella mancanza di rispetto che avevano avuto nei loro confronti e perciò voleva con tutto il cuore rovinarli la festa.

Si avvicinò con cautela e quando fu abbastanza vicina tossì un paio di volte. Le due donne sbarrarono gli occhi e con dei piccoli gridolini si abbassarono il vestito e allontanarono gli uomini. Si misero vicine e si abbracciarono come due amiche impaurite e intente a proteggersi. Come se avessero dovuto difendersi.

I due uomini invece guardarono di cattivo occhio la ragazza.

Rebecca si schiarì la voce. “Bastian non vi trovava, vi stavamo cercando. Naturalmente la nostra missione non comprendeva anche controllare i soldati. Non siete neppure capaci di ragionare nonostante siamo in guerra, sono dovuta venire a cercarvi come se foste due bambini immaturi. Vi sembro in vena di fare la madre?” disse con grande serietà. “E ora tornate subito alla locanda che domani mattina dobbiamo alzarci presto e ci aspetta un intero giorno di cammino. Salutate le vostre compagne e seguitemi che dobbiamo riprendere anche i vostri amici sperduti”

Le due donne parvero offese, Rebecca sentì una di loro sussurrare all’altra: “Ma chi si crede di essere questa verginella?”

Un lapsus omicida l’assalì. Avrebbe tanto voluto strozzarle, giusto per riprendersi una rivincita personale. Beh, tanto se le avesse uccise nessuno sarebbe stato in grado di risalire a lei, avrebbe fatto passare il decesso come un semplice infarto. Era facile ordinare al cuore di smettere di battere negli esseri umani. Anche se l’idea era molto allettante optò di lasciar perdere, ma questo non significava che non poteva divertirsi un po’ con loro. Si facevano vedere così forti, indipendenti, superiori…in realtà erano solo degli insetti piccoli e insignificanti. Avanzò verso di loro e tanto per far scena fece cambiare il colore dei suoi occhi in rosso. Alla vista dei suoi occhi rossi le due donne gridarono di spavento. Rebecca si avvicinò finchè non furono tutte e tre a pochi centimetri di distanza.

Come se non bastasse i suoi occhi divennero gialli e fece materializzare la spada tra le sue mani che puntò alla gola di una di loro. “Vi sembro abbastanza sprovveduta?”

In un coro balbettante ripeterono una serie di disperati “no”. Rebecca fece scomparire la spada e i suoi occhi tornarono quelli neri di un gatto. Si voltò e raggiunse gli uomini che prese per braccetto e portò via con forza.

“Ragazzi, dovete dirmi dove sono andati a finire gli altri” non appena finì di dire la frase cinque figure barcollanti avanzarono verso di loro.

Erano gli altri superstiti. Soli, tra l’altro. Rebecca si voltò indietro e vide le due donne ancora ferme nello stesso punto di prima che la fissavano impaurite. Non osavano muoversi.

Rebecca andò incontro al gruppo di soldati con aria minacciosa. “Prima che mi arrabbi sul serio andiamo a dormire” disse mettendosi le mani sui fianchi per apparire più sicura.

Uno di loro rise, gli altri lo seguirono a ruota. La ragazza sentì una forte ondata di alcool invaderle le narici, erano ubriachi marci. Peggio di quanto si aspettasse perché non poteva parlare seriamente con loro e di certo loro non l’avrebbero ascoltata tanto facilmente. Sarebbe passata alle mani se fosse stato necessario. Gli lasciò ridere e quando finirono aveva il cipiglio inarcato. “Beh?” sbottò. “Andiamo o devo costringervi con la forza?”

Uno di loro rise sguaiatamente, un altro le arrivò da dietro e la fece alzare da terra tendendola stretta per i fianchi. Ripeteva continuamente: “vieni a divertirti con noi, bellezza!” e un altro rispose urlando: “o direttamente facci divertire tu!”

Non ebbe il tempo di tirare un pugno al ragazzo che la teneva in braccio che qualcuno si buttò a capofitto contro un uomo di fronte a lei facendolo cadere per terra e tramortendolo. Quando la persona si rialzò vide che era Gabriel. A dire il vero era un Gabriel mai visto prima, sembrava veramente arrabbiato, tanto che ringhiò contro tutti facendoli indietreggiare. La presa che teneva Rebecca si sciolse e non appena toccò terra sferrò un potente pugno in faccia al ragazzo che barcollò sul posto e poi cadde.

“Vi conviene girare alla larga da lei e tornare alla locanda” un ringhio profondo gli uscì dal petto. Rebecca non lo aveva mai visto perdere il controllo in quel modo.

“Vi conviene fare quello che vi dice” aggiunse poi.

Uno alla volta gli uomini (non prima di averli fulminati con lo sguardo) se ne andarono finchè non rimasero solo Rebecca, Gabriel e le due donne infondo al vicolo.

“Andatevene anche voi due!” sbraitò alle prostitute. Queste sussultarono e con gli occhi adoranti puntati su Gabriel pian piano si incamminarono.

“Lui è mio! Sia ben chiaro!” le gridò dietro Rebecca che non sopportava le sfrecciatine che le due donne stavano facendo al suo ragazzo.

Ci mancavano solo loro a complicarle la vita già di per sé complicata. Si girò verso il ragazzo con un sorriso tirato ma lui non rideva. Era in piedi e nessun muscolo del suo corpo si muoveva, fissava il terreno con occhi vacui e stringeva i pugni. Se non fosse stato per la sua innaturale immobilità, Rebecca avrebbe detto che tremava da capo a piedi.

Andò da lui e lo abbracciò teneramente. “Andiamo a letto” mormorò.

Gabriel si sforzò di sorridere ma poi il sorriso si spense e tornò serio come prima. “Se quei soldati…” cominciò con il labbro che gli tremava.

Rebecca gli posò un dito sulle labbra e lo interruppe. “Ma non è successo niente. Non mi hanno fatto niente, per fortuna sei arrivato in tempo. Io comunque mi sarei difesa”

Gabriel tirò un lungo e sofferente sospiro. “Ho voglia di ammazzarli”

“Beh, siamo in due”

Lui rise e la guardò intensamente negli occhi.

Dio, quanto l’amava…

Si chinò su di lei e la baciò con rabbia, tanto che lei perse il controllo e cadde indietro ma le mani ferme e protettive di Gabriel la tennero stretta e al sicuro. Quando si staccarono rimasero con i volti vicini, le loro bocche si sfioravano e le loro fronti erano appoggiate una all’altra.

“Torniamo indietro” le disse lui. “Ho voglia di fare l’amore con te”

Rebecca non se lo fece ripetere due volte.



***



Il mattino seguente fu tragico. Alzarsi con la prospettiva di camminare per un altro giorno intero, dopo la notte insonne e intensa che si era appena conclusa, era un potente sonnifero. Tutti nel gruppo erano assonnati, doloranti e ancora più pigri di quando erano arrivati la sera prima. Quando Rebecca si svegliò e si ricordò che era in missione e non più nel suo comodo e caldo letto ebbe la tentazione di tornare a dormire e darsi per malata. Per fortuna Gabriel, che si era alzato prima di lei, l’aveva stressata finchè la ragazza, allo stremo della sopportazione, aveva buttato in aria le coperte e maledicendolo in tutte le lingue del mondo era andata in bagno a lavarsi. Pure per Bastian la mattina non era stata facile, non aveva chiuso occhio durante la notte, era troppo preoccupato per quello che sarebbe accaduto il giorno dopo. Li aspettava infatti un giorno di cammino tra le gole dei monti dove non si poteva trovare né cibo né acqua. Non c’erano villaggi nei dintorni e avrebbero dovuto dormire all’aperto, accampati con le tende in quei precipizi scuri e tenebrosi dove neppure la luce fioca delle stelle e della luna riusciva ad illuminare le pietre nere delle montagne. Senza contare che era molto deluso dei suoi soldati, quando Rebecca era tornata alla locanda scortata da uno scontroso Gabriel capì che doveva essere successo qualcosa di spiacevole. La ragazza gli aveva spiegato in poche e brevi parole quello che era accaduto, dopodichè i due ragazzi erano andati a “dormire”. Bastian era rimasto un altro po’ nell’atrio a rimuginare. Ora i postumi della nottata bianca lo facevano assomigliare ad uno zombie. Con uno sforzo sovrumano raggiunse l’entrata e aspettò che tutti arrivassero per partire. Erano solo le cinque di mattina. La nebbia non accennava ad andarsene, sembrava fossero piuttosto le cinque di pomeriggio che non di mattina.

Dopo pochi minuti fu raggiunto da Rebecca e Gabriel che arrivarono mano nella mano, lo salutarono con degli sbadigli enormi, tanto che Bastian sbadigliò a sua volta. C’era uno strano silenzio che stava mettendo Bastian in soggezione, forse era perché lo sguardo di Gabriel era talmente assorto e affilato che sembrava esplodere da un momento all’altro. Ma d’altronde quei soldati se l’erano cercata: mai toccare o provarci con la ragazza di Gabriel davanti ai suoi occhi.

Così ingenui.

Così audaci.

Rebecca era molto brava a tenerlo a bada e tranquillo. Gabriel era un ragazzo molto affidabile, fedele e umile ma quando perdeva le staffe aveva il vizio di diventare insopportabilmente crudele e micidiale. Non era il genere di persona esplosiva, che picchiava e mandava a fuoco tutto. Semmai agiva a sangue freddo, era lento, letale, proprio come il ghiaccio: ti colpiva e tu neppure te ne accorgevi. Rebecca per lui era una sorta di antidoto, di cura, lo guariva da tutti i suoi mali e Bastian questo l’aveva notato molto bene. Si era creato tra i due un tale rapporto che con la mancanza di uno l’altro non avrebbe più potuto sopravvivere. Si amavano molto, questo era certo, ma il modo in cui Gabriel amava Rebecca era qualcosa di divino, qualcosa di potente e raro da trovare. Certo, anche lei lo amava ma in un modo diverso. Lui l’adorava, la idolatrava, la venerava, era così possessivo, protettivo e geloso di lei…come se fosse un tesoro che nessuno poteva toccare eccetto lui. L’amore di Rebecca invece era molto più libero e tollerante. Forse Rebecca era più indipendente di lui, meno ossessionata dal suo stesso sentimento. Vederli così, mano nella mano, uniti e innamorati, suscitava in Bastian un’emozione quasi spirituale, sacra. L’amore che legava due angeli bianchi era un amore perfetto e puro, eroico e platonico.

Quando il gruppo di guerrieri scese, subito Gabriel reagì negativamente alla loro vista. Probabilmente aveva riconosciuto nei ragazzi in prima fila qualcuno che gli aveva dato filo da torcere la sera prima. Per fortuna non lo diede a vedere, strinse ancor di più la mano della ragazza tra la sua e si finse assente da tutto.

Bastian avanzò e disse, rivolgendosi all’esercito: “Il nostro cammino oggi si estenderà a nord, supereremo le gole delle montagne Aguzze e passeremo oltre i valichi. Stanotte accamperemo in una gola perciò tenete da conto i vostri attrezzi e le vostre armature. Non si sa mai chi potremmo incontrare in quei baratri oscuri” Gabriel lanciò un’occhiata preoccupata a Rebecca. “Cammineremo fino a sera, ci fermeremo solo per mangiare due volte al giorno e domani, con ogni probabilità, arriveremo a Numbia. Sono stato chiaro?”

Un coro di “sì” emerse nell’atrio.

Bastian uscì dalla porta seguito a ruota da Rebecca e Gabriel. Con un fischio il ragazzo richiamò i cavalli, tre bellissimi cavalli (uno nero, uno bianco e uno marrone) arrivarono galoppando con un innata eleganza. I tre montarono in sella, Bastian andò davanti a guidare il gruppo di soldati mentre i due ragazzi rimasero indietro a chiudere la fila. Gabriel non sembrava affatto contento di essere ritornato a dorso del suo cavallo.

È proprio un bambino, pensò la ragazza con una risatina silenziosa.

Ora che ci pensava era da molto tempo che non sentiva più la voce parlarle, probabilmente se ne stava assopita, pronta ad intervenire quando tutto si metteva male. Beh, non che a lei desse fastidio, apparte l’incidente di Gabriel la voce si era sempre dimostrata molto saggia e azzeccata nelle situazioni, ed era di ottimi consigli. Anche se l’ignoranza della sua origine non permetteva ancora a Rebecca di fidarsi di lei. Quella voce aveva un ché di inquietante e oscuro, non riusciva a controllarla e perciò era anche imprevedibile. Ma la sensazione di famigliarità che le dava giustificava in qualche modo la sua presenza.

In quel momento pensò pure ad Atreius, al suo fratellastro che aveva scoperto essere in vita. Ah, e che stava tramando qualcosa di orribile contro di lei.

Quante preoccupazioni…

Troppe preoccupazioni.

Prima o poi esploderò.     

La giornata trascorse molto tranquillamente, non fecero altro se non avanzare verso nord. Si fermarono una volta a mezzogiorno per mangiare in un campo d’erba dorato, il sole picchiava nel cielo e le gocce di sudore imperlavano la fronte di tutti. Ripartirono e non si fermarono finchè non fu sera, sostarono vicini ad un lago piatto e ghiacciato, erano ai piedi di un’imponente catena montuosa dove le vette erano coperte di neve e ghiaccio. Si erano vestiti pesantemente con indumenti di pelle e lana, ad ogni loro respiro una nuvoletta di vapore si condensava nell’aria fredda e pungente. Avevano lasciato i campi d’oro e il sole scottante per raggiungere luoghi desolati, freddi e spogli. Dopo aver proceduto per metà giornata in salita iniziarono a scendere, la discesa era molto ripida e portava all’interno di due montagne innevate. Arrivarono a trovarsi in quella che chiamavano “la gola della morte” in quanto non era presente nessuna forma di vita. La percorsero con estrema lentezza, i soldati erano talmente impauriti che camminavano a rilento, troppo intenti a guardarsi alle spalle e ai lati. Il problema sarebbe arrivato con il calare della notte, quel posto aveva tutta l’aria di essere un covo di spiriti dannati. Rebecca non capiva come Bastian avesse potuto farli attraversare quella gola di notte, non sarebbe stato meglio aspettare il giorno seguente? Così avrebbero avuto a disposizione la mattina e il pomeriggio invece che il pomeriggio e la notte. Ma Bastian li aveva rassicurati dicendo loro che il valico era protetto e sicuro, che nessuno li avrebbero attaccati. Affermazione molto estrema dato che quel posto sembrava tutto fuorché ad un rifugio sicuro.  

Ben presto venne scuro e Bastian ordinò a gran voce di fermarsi, era arrivato il momento di accamparsi e di dormire, sarebbero partiti la mattina dopo all’alba. La tenda di Bastian era davanti a tutti mentre quella di Gabriel e Rebecca era infondo, al centro invece c’era un ammasso di tende troppo vicine l’una all’altra. Rebecca ammirava da lontano i soldati che, indaffarati e impauriti, correvano di qua e di là per accaparrarsi i posti migliori: quelli centrali. A quanto pareva nessuno voleva stare ai lati, dicevano (anzi, si urlavano addosso) che stare ai margini era troppo rischioso: si veniva attaccati per primi.

E allora cosa avrebbe dovuto dire lei, che la sua tenda era l’unica a distanza di metri? Erano dei vigliacchi, ecco cos’erano. Qualcuno per forza doveva finire nei lati, era inutile che litigassero.

Gabriel era già dentro la tenda che l’aspettava, diede un’ultima occhiata alla disposizione delle tende e poi lo raggiunse. Chiuse la tenda con l’apposita cerniera e si sfregolò le mani per il freddo, con calma si mise sotto le pesanti coperte e si appoggiò sul petto di Gabriel, abbracciandolo. Era vestita molto eppure tremava ancora dal freddo. Portava tre paia di calze e gli stivali, i pantaloni erano di pelle scura e oltre alla canottiera aveva una flanella di lana a maniche lunghe, una felpa e la corazza della divisa. Lo stesso (circa) indossava Gabriel. Quella notte nessuno dei due aveva voglia di fare l’amore, per la prima volta dopo tanto tempo (da quando si era scoperta una ninfomane) decisero solamente di dormire.

Le palpebre di Rebecca erano talmente pesanti che si addormentò subito tra le braccia del ragazzo. Come posò la testa su di lui chiuse gli occhi e si addormentò.



***



All’alba la voce squillante e alta di Bastian fece svegliare tutti quanti di soprassalto. Con i musi lunghi misero apposto le tende e raccolsero le loro cose, finalmente sarebbero arrivati a Numbia e il tutto in meno di poche ore di viaggio. La nottata in quella gola non era stata pericolosa per nessuno, durante la notte niente aveva interferito tra loro e il sonno. Erano stati veramente fortunati, tenendo conto del posto in cui avevano dormito. La nostalgia di casa era tanta, tutti speravano di finire in fretta la missione per poi tornare al villaggio e rifare la vita allegra e ripetitiva di sempre. Era stato un bene che Denali non fosse venuto, avrebbe patito troppo la lontananza che lo separava da Rosalie e i suoi figli.

Ripresero a marciare con le stesse formazioni del giorno precedente: Bastian davanti, Gabriel e Rebecca ultimi.

Fu proprio mentre erano infondo al gruppo che si parlarono per la prima volta dalla notte precedente.

Il primo fu Gabriel. “Vedrai che annienteremo facilmente i seguaci di Mortimer. Nella lettera il capo-villaggio di Numbia aveva scritto che erano in pochi”

“E perché allora hanno avuto bisogno di noi?”

“Perché gli uomini sono stati fatti tutti prigionieri e di certo le donne del villaggio non possono mica competere contro i demoni”

Rebecca sbuffò. “Io se fossi una di loro li tirerei i sassi addosso, li prenderei per i capelli e li morderei in tutto il corpo”

Il ragazzo rise di fronte alla sua insensata affermazione. “Come se a loro passasse per l’anticamera del cervello! Sono donne senza mordente, probabilmente passano tutta la loro vita a farsi mettere i piedi in testa dagli uomini”

“Questo spiegherebbe come mai non reagiscono. Io lo farei”

Gabriel le sorrise dolcemente. “Questo dimostra che tu sei diversa da loro”

“Dimostra che sono pazza”

“Anche” la sua risata cristallina le strinse il cuore.

Tornò seria e si morse il labbro. “Mi sta distruggendo questo viaggio. Spero di finire presto e tornare a casa, ritornare alla mia bella vita quotidiana. Non sopporto l’idea di sapere tutte queste persone in pericolo”

“Lo stesso vale anche per me però è così, dal momento in cui diventi un eroe ti metti a disposizione del tuo popolo e cerchi di proteggerli e aiutarli”

“Lo so, lo so, dicevo solo che è dura. Tutto qui”

“Ti capisco, ma il premio che ci spetta compensa tutti questi sforzi” allo sguardo confuso di Rebecca proseguì. “Un angelo bianco che presta i suoi servizi per il Bene superiore viene ripagato in due modi: con l’immortalità e la pensione”

“Pensione?!” esclamò perplessa la ragazza.

“È una sorta di mandato che ti da il consiglio, ti ringrazia per la tua contribuzione e i tuoi aiuti e ti assicura il paradiso”

“In che modo i pezzi grossi mi assicurano il paradiso?”

“Nel momento in cui ti danno l’immortalità ti assicurano anche il paradiso terreno. L’eternità equivale ad una esistenza senza fine, un angelo che ha servito il suo popolo una vita intera e vuole godersi la sua meritata immortalità in santa pace e beatitudine corre sempre il rischio di rincappare in battaglie future, in altre guerre nella quali si richiede il suo servizio. Con quel mandato in un certo senso l’angelo viene esonerato dal resto del mondo, conduce una vita solitaria, infinita e serena. Il suo “staccarsi dal resto del mondo” non gli permette più di essere reperibile e passa l’eternità nel riposo e nella pace più assoluta. Niente più guerre, né conflitti né interventi. Poi se è stato particolarmente eroico durante la sua vita mortale ha la possibilità di unirsi al consiglio come assistente nel vero paradiso”  

“Oddio” disse con orrore. “Ma è orribile!”

“Perché?”

“Perché se divento un angelo bianco e vorrò andare in pensione non potrò più restare con gli altri! Dovrò isolarmi e condurre una vita immortale nella più totale solitudine?! Non me l’avevi mai detto! Non voglio l’immortalità, piuttosto muoio di vecchiaia!”  

“Guarda che se diventiamo angeli bianchi, con la scusa che tutti e due siamo immortali, possiamo decidere di farci esonerare insieme. Faremo una vita eterna insieme, lontani dal resto del mondo, vivremo in un paradiso terreno”

“Ora torna tutto” concluse tirando un sospiro di sollievo, per un attimo era entrata in panico. “Però…”

“Però cosa?” la incalzò.

Però se fuggo con te e divento immortale non potrò mai avere quei bambini e quella famiglia che tanto desidero. È nell’istinto di una donna avere dei figli, come puoi chiedermi di farne a meno? Come posso vivere una vita infinita se la sensazione di un vuoto da colmare mi accompagnerà per sempre? È normale che amandoti io voglia tutto questo, è normale che voglia costruire con te una famiglia. Saprò rinunciare e non avere rimpianti?    

“No, non voglio…non volevo dire niente” si affrettò a dire.

“Sei strana ultimamente” le disse il ragazzo con un’ostentata tranquillità.

Beh, non me la sto passando alla grande, in effetti. Non so se lo sai ma una voce ogni tanto mi parla e mi dice di fare delle cose assurde come liberarsi dall’amore, attaccare i deboli e trovare più potere per diventare invincibile.

“È solo che sono molto stanca. Vedi, dopo aver ucciso Mortimer ero convinta di aver chiuso con questo genere di cose, sognavo già la meritata pace. Ora che mi ritrovo in battaglia, la prima di una lunga serie probabilmente, non sono al massimo dell’entusiasmo. Sembrava più facile ed eccitante la vita di un eroe in televisione, io mi divertivo un mondo a guardare film d’azione, pensavo che mi sarebbe piaciuto essere uno di loro”

“Sì, da guardare è fantastico, è vero. Il brutto e viverci in queste situazioni”

Rebecca si offese. “Ma guarda che io mica mi lamento! Se dovessi tornare indietro non cambierei niente di quello che ho e che sto avendo! Ni.En.Te” scandì bene le parole, il volto triste del ragazzo l’aveva fatta scattare come una molla. Per poco non cadde dal cavallo, si dimenò sulla sella e il cavallo nitrì infastidito.

“Quello che mi fa paura è che tu non sia ancora sicura di quello che vuoi” disse gravemente, si umettò il labbro e la sua faccia divenne una maschera di pietra. “Sei sicura di voler diventare un angelo bianco?”

La ragazza agitò una mano come a voler scacciare una mosca fastidiosa. “Tzè, e che altro potrei diventare se non un angelo bianco? Insomma, mi ci vedi a fare la parte di un angelo nero?” Gabriel non rispose e lei, sentendosi gelare, continuò imperterrita. “Gabriel, l’avevamo deciso tempo fa: io diventerò un angelo bianco con te e tutti e due avremo l’immortalità. Prima di ricevere l’immortalità però voglio avere dei figli e sposarmi” concluse facendogli l’occhiolino.

Gabriel arrossì e distolse lo sguardo. “Figli…” brontolò.

“Ti ricordo che se diventiamo immortali non potremo averne, il fatto che il nostro corpo non potrà essere sottoposto a cambiamenti fisici esclude in precedenza la possibilità di una gravidanza dato che dovrò gonfiarmi come una mongolfiera”

“Vorresti averli prima, quindi”

“Beh, sì. Diventiamo angeli bianchi e prima di accettare l’immortalità mi metti incinta!” esclamò con ovvietà facendo diventare bordeaux le guance del ragazzo, lui non approvava certi suoi modi di esprimersi e si imbarazzava sempre quando lei lo faceva. “Facciamo due o tre figli e poi diventiamo immortali”

“E tu saresti in grado di restare giovane per sempre, vedere i nostri figli crescere, invecchiare e poi alla fine morire?”

“Mi sono informata: è già successo un caso analogo al nostro secoli fa. Una coppia di angeli aveva avuto un figlio poco prima di diventare immortali, il bambino, ovviamente, era un angelo. Questo bambino era cresciuto fino ai sedici anni dopodichè, una volta diventato angelo bianco a tutti gli effetti, aveva automaticamente acquistato l’immortalità!”

“Sì, ma…”

“Quindi, se noi faremo i nostri tre figli in quattro o cinque anni e arriviamo ai venticinque anni loro si fermeranno ai sedici e non saranno mai più grandi di noi!” disse con un sorriso smagliante.

Gabriel si sbattè una mano sulla faccia. “Avrò dei figli più giovani di me di nove anni?”

“Sì, tesoro. Non è fantastico?”

“Ti detesto”

“Anch’io ti amo”

“Comunque non è detto che io accetti”

“Allora troverò qualcun altro che mi metta incinta”

“NO! L’idea mi piace, ci sto!””



***



Arrivarono con alcune ore di anticipo nei pressi del villaggio di Numbia. Il panorama era cambiato di nuovo, il suolo era sassoso e rossastro, gli abitanti vivevano nelle prossimità di un grosso vulcano attivo. Tirava un filo di vento e l’aria era secca e calda, il paesaggio era deserto e inospitale, c’erano pochi alberi e si potevano vedere da lontano le cupole appuntite delle case. L’esercito di Bastian ammirava dall’alto di una collina il villaggio sottostante, si intravedeva la presenza di qualche donna camminare per strada, il resto erano creature deformi, demoni orribili e oscuri.

Di uomini non c’era la benché minima traccia, con ogni probabilità gli tenevano rinchiusi e segregati in qualche zona del villaggio. Rebecca si chiese in un lampo di panico come avrebbero potuto gli uomini del villaggio aiutarli se erano imprigionati. Il colmo sarebbe stato trovarsi da soli a combattere senza nessun tipo di aiuto, Bastian non aveva portato con sé molti uomini, il capo-villaggio di Numbia aveva assicurato a loro sostegno e aiuto da parte dei suoi abitanti.

E se si trattasse di una trappola?

E se la lettera nella quale veniva detto a Bastian di non portare troppi uomini nella battaglia fosse stata scritta da uno dei nemici?

In tal caso avrebbero perso, non potevano competere sia numericamente che fisicamente. Per quanto i guerrieri che Bastian aveva arruolato fossero bravi e preparati non avrebbero resistito allungo contro un demone delle tenebre, molto più astuto, micidiale e magico. I demoni infatti avevano a loro favore la magia, e di certo non era poca cosa.

Bastian si voltò verso i suoi uomini, a volte la sua capacità di restare calmo in momenti come quelli era disarmante. Rebecca sentì la mano di Gabriel cercare insistentemente la sua, lo guardò, il suo volto appariva come quello di un condannato: arreso e paralizzato dalla paura. Non dissero niente, non ne avevano motivo. Forse loro non avrebbero corso rischi, forse loro (essendo molto potenti) ce l’avrebbero fatta. Chi voleva sfidare d’altronde un ex angelo e un futuro angelo bianco? Si parlava molto di loro tra la gente di malaffare, i demoni e i diavoli ripetevano i loro nomi con rispetto e timore, nessuno sarebbe stato contento di trovarsi in battaglia contro uno dei due.

Mortimer aveva sottovalutato Gabriel ed era stato sconfitto da Rebecca.

Ma la possibilità di non tornare a casa c’era lo stesso, i due ragazzi non potevano fare a meno di provare una fottuta paura, un’ansia sconvolgente e tempestosa.

Si sarebbero ritrovati alla fine della battaglia, la morte non poteva separarli. Non era quello il giorno giusto per morire. Quel giorno non doveva arrivare tanto presto.

“Ci siamo, soldati” disse il capo-villaggio aprendo un discorso da vero comandante. “Dopo le fatiche del viaggio siamo arrivati a destinazione. Ora quello che vi chiedo come ultimo sforzo è di andare là e di ammazzarli tutti, quei bastardi. Vi voglio attivi e precisi, non intendo trasportare a casa nessuno dei vostri cadaveri putrefatti, sono stato chiaro? Fategli vedere chi domanda tra il Bene e il Male, noi siamo migliori e più forti, più umani, più motivati. Questa notte festeggeremo la nostra vittoria perché dobbiamo vincere!” urlò alla fine.

Gabriel si avvicinò all’orecchio della ragazza e le sussurrò: “Ci ritroveremo alla fine, non è oggi il giorno giusto per morire”

Rebecca gli buttò le braccia al collo e lo baciò con passione.

Ci ritroveremo…

Interruppero il bacio con tristezza e rassegnazione, e insieme scesero a cavallo la collina spronando le redini, veloci come il vento. Cominciarono a vedere sempre più nitidamente il villaggio, le case diventavano sempre più grandi, la collina alle loro spalle sempre più piccola.

…alla fine.

Quando tutto sarà finito.



***



Oh yeah!!! Finito un altro chap!!! Beh, sono solo all'inizio comunque, ci vorrà ancora molto!!!!
..sigh..
Spero veramente che vi sia piaciuto, le recensioni sono sempre ben accette!! è bello perchè le recensioni
stanno cominciando a divenire delle sottospecie di email, no chicca90???
Botta e risposta!!!

Mi fa sul serio piacere leggere le vostre recensioni e vedere che mi seguite costantemente!!!

Fatemi sapere che ne pensate di questo capitolo!!!

Bacioni a tutti!!

Il prossimo capitolo sarà: "LO SPECCHIO DELL'ANIMA"
e vedremo chi affiancherà Rebecca nella battaglia e sopratutto se Rebecca tornerà a casa!!!!



I RINGRAZIAMENTI:

CHICCA90: guarda, neanche ti rispondo perchè abbiamo preso l'abitudine di scriverci per recensioni!!! eheheheh!!! tanto alla fine secondo me rimarrai stupita dal finale!! te lo dico io, parola di scrittrice..hihhii

OASIS: giusto, il bene deve trionfare ma vedrai vedrai come trionferà alla fine!!! alla prossima!!! buona lettura del cap, spero ti piaccia!!!

NIKKITH: hai detto che questo capitolo è strano...oddio, spero ti sia piaciuto!!! era un complimento o una critica??? le critiche sono sempre ben accette ma era tanto per capire, mi interessano le vostre opinioni quindi fammi sapere al + presto!!! bacioni





 





     

        



    

 

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Capitolo 5
*** Lo specchio dell'anima ***


Cap. 5 - LO SPECCHIO DELL’ANIMA -

[E vorrei smettere per sempre di toccarti
perché so che tu mi senti in qualunque modo,
sei il più riservato del paradiso che io mai vedrò
e non voglio andare a casa ora
perché prima o poi finirà.

Non voglio che il mondo mi veda
perché non credo mi possa capire
visto che ogni cosa è fatta per essere distrutta.

Non puoi combattere contro le lacrime che non scendono.

Tu sanguini solamente per capire se sei vivo]

Ronan Keating - Iris -



***



I seguaci di Mortimer non ci misero molto ad accorgersi di due cavalli scendere la collina, diedero l’allarme nello stesso istante in cui se li trovarono davanti. Gabriel prese la sua spada e dopo averla fatta ruotare tra le mani uccise brutalmente il demone che aveva gridato aiuto per primo, ma inutilmente, l’avviso era arrivato chiaro e tondo. I seguaci corsero in gruppo per vedere cosa succedeva e tirarono un sospiro di orrore quando videro la testa mozzata del loro compagno rotolare per terra.

Ci fu caos generale.

I demoni si buttarono a capofitto contro Gabriel e Rebecca brandendo le armi che innalzarono al cielo accompagnando un coro di urla. I soldati e Bastian li raggiunsero in un baleno e la barriera che divideva gli amici contro i nemici si ruppe e ci fu un miscuglio di corpi che lottavano tra loro. Rebecca scese da cavallo con un balzo che atterrò un Sentore di passaggio, tirò fuori la spada e lo uccise conficcandogliela nel petto. La lama della spada si illuminò di rosso. Da tempo non usava più la sua spada bianca e azzurra, da quando l’aveva rubata al generale di Mortimer dopo averlo ucciso. Si spostò agilmente a piedi, vide il suo cavallo nero allontanarsi sempre di più dal campo di battaglia. Anche Gabriel doveva essere sceso perché vedeva il suo cavallo bianco ma non vedeva il ragazzo seduto nella sella. Lo cercò tra la massa ma non riuscì a vederlo, appena in tempo riportò gli occhi di fronte a sé prima che un demone la colpisse. Rebecca eseguì una serie impeccabile di affondi con la spada finchè non fece volar via dalle mani del nemico la sua arma, allora gli diede un pugno in faccia e con la spada lo colpì di striscio aprendogli la pancia. Il corpo del demone cadde a terra pesantemente e lei lo scavalcò con un salto prima di mettersi a correre.

Aveva visto Gabriel poco distante da lei, era preso in un corpo a corpo con una strana creatura zoppicante e alta il doppio. Non perdeva di vista un attimo la figura del ragazzo mentre correva e se qualcuno s’intrometteva nella sua strada lo uccideva senza esitazioni.

Gabriel schivò un colpo abbassandosi a terra e girando su sé stesso gli tirò un calcio che andò a colpirgli il torace facendolo indietreggiare. Gli corse incontro ed elevandosi da terra gli sferrò una serie di calci e pugni sul petto e sul viso. Non ebbe neppure la soddisfazione di ammazzarlo che vide uscire dal petto del demone una lama rossa, questo sbarrò gli occhi e cadde al suolo morto. Da dietro la sua schiena comparve l’immagine di Rebecca, teneva in pugno la spada sporca di sangue che aveva trapassato il corpo della creatura. La ragazza si avvicinò in fretta.

“Gabriel, io vado a cercare gli uomini del villaggio”

“Saranno tenuti prigionieri in qualche parte”

“Lo so, gli troverò, non ti preoccupare”

“Stà attenta”

Tu stà attento”

Rebecca fece dietro-front e sparì tra la folla, Gabriel prese la sua spada che era finita a terra e si guardò intorno alla ricerca di qualcuno su cui concentrarsi. Poco lontano vide un soldato accerchiato da due Nim, era palesemente in difficoltà e Gabriel corse ad aiutarlo.

Il centro del villaggio di Numbia era diventato un campo di massacro, un centinaio di uomini si stavano confrontando a suon di botte e di armi, si vedevano uomini volare da una parte all’altra e sbattere addosso alle case, si vedevano corpi morti cadere con un tonfo al suolo, si poteva sentire l’odore del sangue e provare nausea. Gabriel ne aveva già uccisi parecchi e tra questi anche qualche Nim, che erano i più difficili da abbattere. Il suo esercito aveva subìto molte perdite, molti uomini erano morti, alcuni anche troppo in fretta e troppo stupidamente. Confidava nel fatto che Bastian stesse bene, non riusciva a scorgerlo da dove si trovava ma sapeva che stava bene, non poteva lasciarli, sarebbe stato troppo assurdo. Bastian doveva stare bene.

Come avrebbero fatto altrimenti senza di lui?

Le case del villaggio erano vuote.

Dov’erano finite le donne?

Gabriel spintonò chiunque gli si parasse davanti e andò dentro una casa, era vuota, in fiamme, i mobili erano stati spostati disordinatamente e tutto era a soqquadro. Sbattè con irritazione un pugno sulla porta e fece per uscire quando un lamento attirò la sua attenzione. Ritornò dentro e con passi cauti si mosse verso la piccola cucinetta. Il tavolo era stato ribaltato e le sedie erano sparpagliate a terra. Aggirò il tavolo e con uno scatto velocissimo si chinò minacciosamente sulla figura che era nascosta dietro prendendola per il collo e digrignando i denti. Mollò immediatamente la presa e balzò indietro quando vide che era una ragazza appena più piccola di lui.

“Mi dispiace, non volevo farti male, noi siamo venuti a salvarvi”

La ragazza sembrava molto confusa e impaurita, tremava e si proteggeva con le braccia circondandosi le gambe rannicchiate sotto il petto. Aveva i capelli rossi, spettinati e arruffati, il volto era sporco ma si potevano intravedere perfettamente due grandi occhi verdi. Gabriel le tese la mano ma lei non si mosse.

“Mi puoi dire dove quei mostri tengono i vostri uomini?” la ragazza non parlava e non sembrava dar segno di averlo capito. “Per favore” la scongiurò.

La ragazza sbattè le palpebre e si schiarì la voce. “Gli tengono nel bosco” sussurrò con voce roca. “Dentro un’enorme capanna abbandonata”

“Grazie” disse con voce adorante. “Ora vieni”

La prese in braccio e la portò fuori. Fuori infuriava ancora il pandemonio ma per fortuna nessuno si accorse di lui.

“Tieniti” disse alla ragazza, e lei gli passò con la poca forza che le restava in corpo le braccia intorno al collo. Gabriel se la sistemò meglio e percorse con lei appresso il campo di battaglia.

Si sentì strattonare da una mano che si posò sulla sua spalla. Si voltò e vide che era Rebecca.

Rebecca appariva confusa e perplessa, lasciò cadere la mano dalla spalla del ragazzo lungo i fianchi. Lo sguardo si concentrò sulla sconosciuta che abbracciava beatamente il suo ragazzo, non sembrava poi tanto ferita o indifesa, aveva un sorriso che andava da un orecchio all’altro. Rebecca sollevò l’angolo destro della bocca e aggrottò la fronte.

“Che fai?” domandò al ragazzo alludendo alla sconosciuta che aveva soccorso.

Gabriel le indicò con gli occhi la ragazza che teneva in braccio. “Mi sembra abbastanza ovvio, sto aiutando questa ragazza, l’ho trovata in una casa sola e tremante”

“Oh, povera…” sbottò Rebecca sarcasticamente incrociando le braccia al petto.

Gabriel ridusse gli occhi a due fessure. “Non ho tempo per le tue scenate di gelosia perciò vengo al punto” ribattè duramente. Rebecca inarcò il sopraciglio. “Gli uomini gli tengono in una capanna dentro il bosco, vuoi che venga con te?”

La ragazza lasciò vagare il suo sguardo prima su Gabriel e poi sulla stronza che gli stava appiccata, quindi gli voltò le spalle e se ne andò. “Mi arrangio!”

“Era la tua ragazza?” mormorò l’altra ad un passo dallo sfiorargli il mento con la fronte.

“Sì” grugnì il ragazzo. “Vieni, ora ti porto al sicuro”

La ragazza non disse niente ma si morse il labbro per il nervoso.

“Tu non sei umano” non era una domanda, era un’affermazione.

Gabriel era indeciso, non sapeva che dire. “No, non lo sono” mentre diceva quella parole temeva per la reazione che aveva avuto Rebecca.

Forse era il caso che andasse a darle una mano, non gli piaceva quando era arrabbiata. Meglio prevenire che curare, si ripeteva spesso.

Scappò dalla battaglia, evitò che pugni volanti o corpi in caduta lo ostacolassero. Raggiunse l’inizio del bosco, la fitta vegetazione confondeva la vista e pensò che il modo migliore per nascondere la ragazza era quello di nasconderla dentro qualche basso cespuglio, poi le avrebbe dato uno scudo protettivo. Proseguì per un po’ nel bosco finchè non sentì le grida e le urla dei soldati affievolirsi sempre di più. L’adagiò per terra facendola entrare in una radura, l’arbusto la raccoglieva tutta rendendola invisibile, spostò qualche rametto in modo che le foglie le coprissero i capelli.

Si accucciò alla sua altezza e la trafisse con gli occhi. “Non muoverti da qui per nessun motivo. Aspetta che la battaglia sia finita per uscire, ti aiuterò proteggendoti con uno scudo che si spezzerà quando tu lo vorrai. Sono stato chiaro?”

La ragazza boccheggiò, era incantata a guardare le iridi azzurre del ragazzo e le sue spalle larghe e muscolose. Le sua mani erano grandi e affusolate, morbide ma ruvide allo stesso tempo. Non aveva mai visto dei capelli così biondi in vita sua, sembravano ai fili dorati del granoturco. Aveva un qualcosa di diverso, l’aveva capito che non era umano. Sembrava una creatura divina, celestiale.

“Sì” riuscì a dire in un sussurro che le mozzò il fiato.

Era quella la reazione che tutti gli umani avevano quando si trovavano di fronte una creatura sovrannaturale. Prima c’era l’incredulità, non riuscivano a farsi una ragione della loro sconvolgente bellezza, e poi c’era la venerazione, l’attrazione che ti spingeva come una potente calamita verso la loro perfezione.

Gabriel le mandò un’altra occhiata di ghiaccio e lei per poco non si sentì svenire. Avrebbe tanto voluto che quel ragazzo non se ne andasse. Poi si ricordò della sua ragazza e una fitta la pervase. Anche lei, come lui, era di una bellezza, eleganza e femminilità impressionante. Se non dava errato si trattava dell’angelo Rebecca, questo spiegherebbe come una ragazza come lei era riuscita a tenersi un ragazzo come lui. Con sguardo carico di dispiacere lo vide alzarsi e andarsene via, si chiese se l’avrebbe mai rivisto.



***



“Non ho tempo per le tue scenate di gelosia…” ironizzò Rebecca. “Ah!” buttò le mani in aria e la mano con la quale reggeva la spada andò a colpire dei rami spezzandoli in due.

Si faceva strada nel fitto bosco falciando con la spada le piante, era alquanto nervosa e procedeva a passo spedito senza mai svoltare né abbandonare il sentiero che si stagliava di fronte a lei. Era conscia del fatto che era sola, sola contro quanti?

Quanti potevano essere dentro la capanna?

Avrebbe trovato gli uomini del villaggio che li avrebbero aiutati ma non sapeva quante guardie c’erano a sorvegliare l’entrata. Beh, peggio per loro. Nessuna pietà, nessun ripensamento. Per difendere sé stessa doveva prima essere sicura di riuscire ad affrontare gli altri, ma su questo punto non c’erano dubbi. Aveva ucciso molti uomini prima di quel giorno, non avrebbe fatto la differenza quanti ne avrebbe uccisi ora. Dieci? Venti? Cinquanta? Infondo erano solo numeri, solo demoni, non potevano essere ritenuti umani, nonostante avessero gli stessi diritti.

Camminò con decisione finchè non percepì dell’odore umano poco distante. Drizzò le orecchie nel vero senso della parola e rimase in ascolto. L’onda sonora raggiunse le voci degli uomini e fece capire alla ragazza che erano due umani. Corse nella loro direzione rapidamente, gli occhi erano ridotti a due fessure, non capiva che diavolo ci facessero due dei suoi soldati nel bosco, lontani dalla battaglia. Si slanciò in avanti facendo un salto e atterrò sulle gambe ammortizzando il colpo, si rialzò con compostezza e ammirò con interesse i due ragazzi davanti a lei. Sicuramente non si aspettavano di veder comparire dall’alto di una siepe la ragazza e perciò rimasero a fissarla incapaci di nascondere lo spavento che avevano avuto.

“Che ci fate nel bosco? Dovreste essere a combattere” abbaiò Rebecca.

I due ragazzi indietreggiarono impauriti. Rebecca lesse nella loro mente ed emise un profondo e rabbrividente ghigno. “Stavate cercando di darvela a gambe”

Ricordò di aver visto quei due la notte alla locanda quando era stata costretta ad andare a cercare il gruppo di soldati scomparsi. Erano due di loro, due per i quali la guerra era meno importante di una botta di sesso a ridosso di un muro sudicio e sporco. Un’improvvisa rabbia la invase.

Uno dei due cercò di parlare ma riuscì solo a balbettare qualcosa. “N-Noi? No! No! Ci eravamo…eravamo…” si guardò intorno disperato e il compagno venne in suo aiuto rispondendo: “Ci eravamo persi”

Rebecca sogghignò. “Pensate di prendermi in giro?”

I soldati buttarono le mani in aria facendo dei segnali negativi.

“NO! NO! Come potremmo?”

“Noi non lo faremo mai!”

“Noi stavamo solo…”

Rebecca gli zittì con uno schiocco delle dita. “Sapete chi sono, vero?”

I due annuirono.

“E sapete anche che riesco a leggere nella mente?”

Un pesante ed imbarazzato silenzio calò nel bosco. I corpi dei due ragazzi cominciarono ad essere percossi da brividi e loro volti sbiancarono all’improvviso.

“Uccidili”       

Rebecca voltò di scatto la testa e ringhiò. Era da molto tempo che la sua coscienza non si faceva sentire.

“Perché dovrei?” disse ad alta voce.

I soldati rimasero a guardarla sconvolti. “Stai bene?” chiese uno.

“Sono dei disertori, due buoni a nulla, pronti a lasciar morire i tuoi amici pur di mettersi in salvo. Non dimostrano coraggio, né valore, né tantomeno capacità. Devi fargliela pagare”  
 
“Non sono un’assassina”

“Però uccidi”

“Uccido i miei nemici e loro non lo sono”

“E tu sai sempre con esattezza chi sono i tuoi nemici e chi i tuoi amici? Dovresti capire cos’è bene e cos’è male in base al tuo istinto. Lasciati guidare e possedere dal tuo freddo istinto”

Rebecca puntò minacciosamente gli occhi sui soldati, la stavano guardando come se fosse impazzita, non se l’erano data a gambe perché credevano che la ragazza stesse male. Dopotutto non era normale che una persona parlasse da sola.

“Ricordati: l’istinto”

“Perché mi fai questo?”

“Vuoi essere sì o no forte e invincibile? Io ti sto solo aiutando ad esserlo, però tu devi fidarti di me, devi obbedire ai miei ordini”

Una strana sensazione la pervase, come se un caldo liquido denso le stesse scorrendo dentro tutto il corpo. Si sentì fremere in quei punti dove lo sentiva defluire, era come un veleno lasciato scivolare: contaminava e oscurava ogni centimetro del suo corpo che riusciva a bagnare.

“Che cosa devo fare?” chiese fissando il vuoto sotto di sé.

Uno dei due soldati le si avvicinò con sospetto. “Tutto bene? Non hai una bella cera, vieni che…”

“Uccidi”

Un guizzo spaventoso balenò sugli occhi della ragazza e in un’esplosione di ferocia si avventò sul ragazzo colpendolo alla giugulare. Caddero entrambi a terra e fu così che per la prima volta Rebecca assaggiò il sangue umano. Non appena il ragazzo cascò gli fu sopra e con un gesto automatico affondò i denti nella carne. Sentì i canini allungarsi, la sete aumentare, gli occhi tingersi di rosso. Bevve finchè non fu sazia, il ragazzo ebbe all’inizio alcuni spasmi violenti, tentò di sottrarsi più volte ma poi si afflosciò e smise di vivere. Il suo cuore di traditore cessò di battere. Quando Rebecca si distaccò dal suo corpo sentiva ancora il sangue colarle sul mento e sul collo. Si girò verso l’altro ragazzo.  

Questo gridò in un modo raccapricciante.

“Liberati di tutto fuorché di te stessa”

Le urla cessarono in uno strillo strozzato e poi il nel bosco tornò la quiete.



***



Rebecca era accasciata a terra e stava piangendo. Si teneva la testa fra le mani e singhiozzava per l’orrore che aveva causato. I suoi occhi quando non erano chiusi o accecati dalle lacrime guardavano con raccapriccio i corpi privi di vita dei soldati, immersi in una pozza di sangue scuro. L’atto di follia era durato pochi minuti, poi i denti erano ritornati normali così come il colore degli occhi. Una profonda e straziante colpa le pesava sul petto, si sentiva sporca, contaminata, un mostro. Eppure le era piaciuto. Per questo si odiava. Gemeva per la sofferenza consapevole del fatto che si sarebbe portata dentro l’accaduto per il resto della sua vita.

“Devi essere più distaccata e fredda la prossima volta” la rimproverò la voce con una nota di soddisfazione.

Rebecca non era capace di fermare i tremiti che la percuotevano, era sconvolta. “Che mi stai facendo?!” urlò con la voce incrinata dal pianto.

“Stai facendo tutto da sola”  disse aspramente.

“No…” gemette. “Cosa mi stai facendo?! Stai usando un incantesimo su di me? Mi stai manipolando il cervello?!”  

“Devi essere forte, possente, potente, dura, impetuosa, inarrestabile, violenta, preparata, coraggiosa, tenace, fredda, razionale, distaccata, spietata, indifferente, crudele, gelida. Sii tutto questo e diventerai un vero eroe, sarai talmente invincibile che non dovrai più provar dolore. Non vorresti provare?”

Altro veleno nel suo corpo.

La sua vita era uno schifo, si ammazzava di lavoro, metteva in pericolo la sua vita per delle persone che neanche la consideravano, che neppure conosceva. Lottava ogni giorno contro la morte per restare viva e nessuno si preoccupava di esserle vicino, di aiutarla. Tutti davano per scontato che lei era intoccabile, pronta a qualsiasi cosa. E invece nessuno sapeva che soffriva e aveva tanto bisogno di amore e di tranquillità. Anche un semplice “grazie” o dei riconoscimenti per quello che faceva le erano negati. Non erano riconoscenti con lei. Lei, che si sfiancava pur di trovare una soluzione ai loro problemi.

Era forse giunto il momento di pensare di più a sé stessa?  

La voce dopotutto non aveva tutti i torti. Era stufa di essere sfruttata e usata per lo scopo di altri. Era una persona e aveva dei sentimenti, non era un oggetto né un burattino da comandare a bacchetta. Voleva libertà, potere, autonomia e autogestione.

Smise di singultare e portò una mano alla bocca per mettere a tacere i continui singhiozzi. I capelli erano tutti spettinati e insudiciati, era pallida e le sue iridi erano profonde e scure come un pozzo di petrolio.

Poteva sentire la voce in attesa, come se stesse cercando di uscire dal suo corpo. Batteva e picchiava la parete di pelle, urtava gli organi e spostava le vene. Si sentiva frastornata e trasformata. Sapeva di non essere più la stessa.

“Sì” bisbigliò sotto voce.

Se la voce avesse potuto avrebbe fatto un ghigno. “Cosa?”  

Le venne in mente Gabriel. Lui era l’unico che poteva ancora tenerla aggrappata alle sue origini e a quel mondo, solo per Gabriel avrebbe detto di no. Ma in quel momento il suo amore per Gabriel appariva lontano, separato, distante, era adirata con lui per una serie di motivazioni. La missione non prevedeva di portare in salvo giovani sfigate che elemosinavano aiuto con i loro occhioni dolci. E lui, come sempre, doveva fare il cascamorto. Lo irritava da morire in quel momento. Motivo in più per accettare l’offerta.

“Voglio essere forte. Non voglio dipendere dai sentimenti umani, devo staccarmi dalla mia condizione di anello debole della catena”

“Io ti renderò un vero angelo, degno di rispetto e di considerazione. Però dovrai obbedirmi”

La ragazza tirò su col naso. Ora si sentiva meglio. “Basta che non mi dici di fare cose brutte”  

“Come potrei, bambina mia?”  

Nell’attimo in cui Rebecca acconsentì un dolore dilaniante le penetrò in corpo. La sensazione era la stessa di essere squarciata a metà. Dal male cadde indietro e si contorse spaventosamente a terra rotolando e facendo movimenti scattosi, gridava per lo strazio. Ad un certo punto non ebbe neanche più la forza di urlare, la sua bocca rimase aperta a formare una “o” muta. Sfinita si abbandonò al suolo e rimase immobile, ogni tanto sussultava o singhiozzava ma per il resto sembrava morta. Gli occhi erano sbarrati e puntati come due fari luminosi di fronte a sé, faceva paura. Sembrava posseduta.



Sentì da lontano i richiami frenetici di Gabriel che invocava in una preghiera il suo nome. Non ebbe la forza di rispondere, di dare un qualsiasi segno di vita. Aveva paura che muovendosi di un solo millimetro il dolore avrebbe ripreso a torturarla. Il suo respiro era regolare, fin troppo passivo. Gabriel continuava a chiamarla a gran voce. Chiuse gli occhi e una lacrima le solcò la guancia. Fece riposare gli occhi, tutto del suo corpo le doleva. Era sopravissuta ad un incendio che l’aveva arsa viva e ora di lei rimanevano solo poche ceneri disparse. La voce di Gabriel si affievoliva sempre di più finchè ad un certo punto smise di sentirlo. Se n’era andato, la stava cercando altrove.

Da quanto tempo era stesa a terra?

Da quanto tempo aveva perso conoscenza?

Probabilmente Gabriel e i suoi soldati erano già riusciti a liberare i prigionieri dalla capanna in mezzo al bosco e ora stavano setacciando ogni perimetro della foresta per ritrovarla. Si erano accorti che mancava all’appello. Bene, voleva dire che qualcuno pensava a lei ogni tanto.

Ogni tanto, sottintendo.

“Tesoro, che cosa ci fai ancora per terra?” domandò la voce.

Sto aspettando che il dolore passi, pensò.

Per comunicare con la voce bastava pensare, parlare richiedeva troppa fatica.

“Alzati” ordinò.

Rebecca provò ad alzarsi facendo leva su entrambi i gomiti ma crollò a terra con un forte tonfo finendo di nuovo distesa. Con sorpresa constatò che il dolore era svanito.

Cos’era?

“A cosa ti riferisci?”

Alle fitte che mi hanno colpita. Non è stata opera mia, qualcuno deve essere stato dato che godo di ottima salute.

“Mi stai accusando?”

Ci siamo solo tu ed io in questo bosco dimenticato da Dio.

“Lascia stare Dio, lui non centra”

Cos’era?

“Era soltanto la conseguenza alla reazione che il tuo corpo ha subìto nell’adattarsi ad un nuovo cambiamento”

Che genere di cambiamento?

“Lo scoprirai” disse vagamente.

Mi sento stanca, ho le forze prosciugate.

“Alzati”

Non ce la faccio, nel pensare ciò la ragazza esalò una smorfia di dolore.

“Fallo” sibilò.

La colpì una fitta violenta al cuore. Sussultò. Riprovò a sollevarsi, le braccia tremavano per lo sforzo, i muscoli tiravano e si infiammavano. Un po’ alla volta si mise in ginocchio e lentamente riuscì ad alzarsi. Quando fu in piedi, dritta e sofferente, allargò un sorriso. Ce l’aveva fatta, il peggio era passato. Provò ad aprire gli occhi ma vide tutto annebbiato.

“Non sforzarti, sei molto debole”

“Già” sbottò. “E vorrei anche sapere perché”

Guardò in alto e vide che il cielo era rosso.

Era quasi sera! Oddio, erano sul serio passate molte ore!

Fece per muovere in avanti un piede quando percepì la presenza di qualcuno. La stava spiando, era fermo e attento a guardare. Non si fece prendere dal panico, semplicemente gli fece capire che lei sapeva della sua presenza.

“Chi sei? Vieni fuori” comandò con voce autoritaria.

Il cespuglio davanti a lei prese a oscillare, i rametti si dibattevano e le foglie cascarono come sparate in aria. Con un balzo una figura incappucciata le piombò addosso. Evitò il pugno con un  braccio ma indietreggiò perché era troppo debole per combattere. Mise a fuoco la persona che aveva d’innanzi e il fiato le morì in gola.

Cominciò a sudare, non riusciva più a muoversi. Trovò giusto le parole per balbettare un: “Atreius”

Il ragazzo sorrise, felice che l’aveva riconosciuto. Contento nel vederla in difficoltà, spaventata, messa in soggezione dalla sua figura.

Anche lei lo credeva morto. Peccato che il suo adorato angelo non aveva finito bene il suo lavoretto sporco da assassino.

La ragazza sembrava in trance, non accennava a parlare. Atreius si schiarì la voce e fece un inchino.

“Non preoccuparti, non ti farà del male” la confortò la voce.

Rebecca emise una risata isterica.

E tu come fai a saperlo? pensò, lo sguardo omicida del fratellastro la inquietava non poco.  

“È tuo fratello, non è così malvagio. Ti risparmierà la vita anche per una serie di altri motivi”  

“Sorellina…” la chiamò con un sorrisetto beffardo e falso. “Come stai?”

“Stavo meglio quando ti sapevo morto, fratello” sputò quelle parole con cattiveria.

“Vedo con gioia che in questi anni non hai perso il tuo bel caratterino” la punzecchiò.

“Che vuoi?” lo aggredì.

Rebecca tirò fuori la spada e la puntò contro il ragazzo usando entrambe le mani per sorreggerla. Ok che non era proprio nel massimo della forma ma non era ancora così debole. Il sorriso di Atreius si ampliò ancor di più.

Spalancò le braccia in segno di resa. “Non ti voglio fare del male, stà tranquilla”

“Fammi capire, sono tua nemica, ho appena vinto contro i tuoi demoni, rappresento l’unica persona in grado di sconfiggerti e tu non mi vuoi morta?”

Cos’era?

Uno scherzo di pessimo gusto?

“Non voglio ucciderti!” esclamò divertito. “Sul serio! Devi credermi! In realtà ho dei piani ben precisi e in questi piani non è previsto il tuo decesso, sorellina”

Rebecca ringhiò. “Vattene”

“Altrimenti che mi fai? Mi sculacci? Guarda che ti ho vista, sai? Non stai molto bene, sei fiacca, sei debole. Non ti conviene scontrarti con me, rischieresti di farti male”

Lo ammazzo.

Strinse i pugni attorno all’elsa e digrignò i denti.

“No, non farlo”

Rebecca spalancò gli occhi profondamente delusa.

Perché, scusa?!

“Ho detto di no, mandalo via e basta”

“Vai via” disse come le aveva comandato la voce.

Abbassò la spada ma non la mise via. Non si fidava di lui.

“Te l’ha ordinato lui, non è vero?” chiese.

Rebecca lo guardò con perplessità, inarcò gli angoli della bocca e sentì il cuore cominciare a batterle all’impazzata.

Atreius sapeva?! Come poteva saperlo? Non l’aveva capito neppure Gabriel!

Si accorse di essere a disagio, un bramoso desiderio di sapere la portò ad implorare il ragazzo. “Che cosa sai di lui? Dimmelo!”

“È così che la fine ha inizio” disse con uno sguardo tra l’incredulo e il meravigliato.

“Che vuoi dire? Che sai della voce che sento? Ti prego…” si ritrovò a supplicarlo. Pietoso. “Se sai qualcosa dimmelo, lui mi sta facendo fare delle cose, mi controlla…ti implorando in ginocchio! Tu lo sai, ne sono sicura, non…dove vai?!” domandò impaurita.

Il corpo avvolto di Atreius stava svanendo un po’ alla volta, si stava dissolvendo. Se ne andava. L’unica possibilità di sapere la verità scompariva gradualmente, a pezzi. Non aveva mai avuto il coraggio di parlarne con Gabriel, l’avrebbe fatta rinchiudere. Ma Atreius, schietto e diretto com’era, poteva dirglielo senza problemi! Perché scappava?!

Rebecca gli corse incontro con le braccia tese, sperava di riuscire a prendergli un lembo del mantello e di tenerlo lì con lei ma quando cercò di toccarlo lo trapassò. Era aria, ormai.

Era andato.

“Atreius, perché te ne vai?”

Il ragazzo la salutò un ultima volta prima di svanire. Le mandò un bacio con la mano e sorrise. “Ci rivedremo, sorellina. Quando vorrai saprai come chiamarmi”

Era una promessa.

Lei manteneva sempre le promesse.

Doveva essere un segreto.

Nessuno avrebbe saputo.

Nessuno.



***



Rebecca correva spedita attraverso il bosco. Non si ricordava che fosse così lontana dal villaggio. Il vento le schiaffeggiava la faccia e quasi pareva che volesse tagliarla in due. Non sentiva la stanchezza della corsa, avrebbe potuto continuare a correre in eterno. Per quello aveva avuto un ottimo maestro. Ricordava con esasperazione tutte le volte che la faceva correre, ore intere in giro per vallate e monti, tutti i benedetti giorni. Tornava a casa che era talmente tanto stanca da doversi trascinare su per le scale a carponi. Poi, ci aveva fatto l’abitudine. Per fortuna. E ora, mentre faceva muovere ciclicamente le gambe neanche si accorgeva della stanchezza. Gabriel le aveva insegnato pure a trattenere il respiro per ore intere. Aveva imparato a non respirare. Anche se per un tempo non duraturo. Le sarebbe piaciuto in futuro imparare a fare a meno di respirare, a suo avviso era utile e vantaggioso.

Era quasi notte, il cielo era di un color cobalto e le stelle brillavano così vicine al pianeta…

Intravide le case del villaggio, gli alberi cominciarono a diradarsi e finalmente giunse ai margini del bosco. Rallentò la corsa finchè non si ritrovò a camminare a passo spedito. Non stava andando alla rinfusa, sapeva dove trovare Gabriel, ne percepiva l’odore, si muoveva sicura e inarrestabile. Poggiava i piedi su un terreno brullo e arido, era sporco di sangue in varie chiazze scure, nessuno si era ancora preso la briga di trasportare via i cadaveri. Giacevano ancora lì, per terra, con quegli occhi spalancati, quelle bocche sbarrate, quei toraci che non si abbassavano e si rialzavano. Notò con soddisfazione che erano morti più nemici che alleati. Riconobbe comunque nel volto inespressivo di alcuni di loro qualche suo amico. Gli scavalcò senza problemi, non si fermò neppure una volta a rimpiangergli. Si promise, una volta parlato con Gabriel, di mettergli al loro posto: in una fossa comune.

Si scansò alcuni ciuffi dal viso ed entrò dentro una tenda gialla enorme. Spostò le tende e vi si introdusse. In mezzo alla tenda nel terreno desertico c’era un tavolo rettangolare con attorno, in piedi, delle persone che stavano chinate in avanti su un pezzo di carta. Distinse tra le varie figure quella di Gabriel e di Bastian. Gli altri probabilmente erano abitanti del villaggio di Numbia.

Non appena si resero conto della sua presenza un silenzio totale invase lo spazio. Le loro facce non potevano fare a meno di esprimere stupore e sbigottimento. Con la sua vista da falco studiò la cartina sopra la tavola: era una mappa dettagliata del bosco. La stavano cercando. Era ovvio. Dopotutto Gabriel l’aveva anche chiamata mentre lei era catatonica al suolo. Sicuramente stavano organizzando una spedizione di ricerca per ritrovarla.

Chissà cos’avranno pensato della mia assenza.

Povero Gabriel, guarda com’è distrutto, mi avrà creduta morta.    

Il viso della ragazza rimase piatto e imperscrutabile, la linea delle labbra non accennava né ad un sorriso né ad una smorfia. Era semplicemente una linea piana. Dopo quello che le era successo era come se non riuscisse più a provare nessun tipo di emozione. Si sforzò di sorridere ma riuscì soltanto a squadrare tutti con occhi glaciali.

Alcuni trattennero il fiato.

Dopo un attimo di smarrimento e dopo un colpo al cuore, Gabriel si buttò su di lei abbracciandola in una morsa stritolatrice. Non appena l’aveva vista era caduto in trance, ora gli pareva impossibile averla di nuovo tra le sue braccia, al sicuro, quando solo cinque minuti prima si era fatto sopraffare dalla disperata consapevolezza di averla persa in quel bosco.

La sensazione del suo corpo esile e femminile contro il suo era un tocca-sano. Si staccò da lei con il volto carico di emozione.  

Subito dopo arrivò Bastian che la scosse prendendola per le spalle. “Dov’eri?! Ti abbiamo cercata ma non ti trovavamo! Come stai?!”

Rebecca fece dei passi indietro per riprendere fiato, si sentiva soffocare dai due che l’opprimevano in quel modo. “Sto bene, sto bene” disse muovendo le mani in un gesto ondeggiante e tranquillo.

Gabriel la guardava con perplessità e agitazione. Le accarezzò le braccia nude con la mano. “Sei sicura di star bene? Dov’eri finita? Che hai fatto?”

Eccola. La fatidica domanda.

Che hai fatto.

Ho concesso alla voce che mi perseguita di essere il mio maestro. Ho scambiato il dolore con la durezza di una pietra. Ho incontrato mio fratello e non ho voluto ucciderlo. Mi ha promesso di vederci e io non ho detto nulla. Ma sai, chi tace acconsente.

No, non poteva parlargliene.

Alzò gli occhi per guardarlo lo trafisse con lo sguardo. “Sono stata attaccata”

Il volto di Gabriel impallidì. “Da chi?”

Respirò un paio di volte prima di parlare. “Da Atreius”

Il ragazzo boccheggiò mentre tutti gli altri echeggiarono un “oh” rapito.

Gabriel cominciò a camminare avanti e indietro per la tenda, le mani racchiuse a pugno dietro la schiena, lo sguardo basso e gli occhi furiosi. Rebecca seguiva i suoi spostamenti con preoccupazione ma fu costretta a posare l’attenzione sulla figura di Bastian di fronte a lei.

“Allora non è morto come si credeva?”

La ragazza scosse la testa. “No, è vivo. Pure io ne sono rimasta consapevolmente scioccata, non immaginavo di trovarmelo nel bosco ad aspettarmi”

“Ti ha attaccata, hai detto?” volle sapere il capo-villaggio.

“Menti”

“Sì, o meglio, ha tentato di attaccarmi. L’ho ferito con la spada ed è svanito in una nebbia di fumo”    

“Bene, ottimo”

Rebecca si spostò una ciocca di capelli dal viso. Gabriel si era fermato e la fissava di traverso con sospetto. “Sei molto tranquilla, mi sembra”

“Non vedo dove stà il problema nel mantenere la calma” gli rispose a tono.

“Ne parli come se ti avesse fatto piacere rivederlo!”

“Ma per piacere! Mi rifiuto di sentire queste stronzate!” disse alzando la voce.

Gabriel sembrava lottare contro qualcosa di molto forte e prepotente. “Avrei dovuto ammazzarlo davanti ai miei occhi, ora non saremmo in questi casini”

“Non dare la colpa a te stesso, è andata così. Troveremo un modo per liberarcene, almeno ora sappiamo chi stà dietro a tutto questo”

“Già” disse Bastian puntellandosi il dito sul mento in fase di riflessione. “Sicuramente starà tramando qualcosa contro di te, altrimenti non avrebbe tentato di ucciderti nel bosco. Rebecca, quello che voglio ora più di tutto e che quel bastardo muoia. Pensi di essere in grado?”

“Ovviamente non lo farai”

“Certo, Bastian. Me ne occuperò personalmente

Bugia.

La prima di una lunga serie?

“È quel personalmente che non mi piace tanto” borbottò Gabriel dopo il suo mutismo.

Rebecca tralasciò la sua provocazione. “Sentite, Atreius è affar mio e sarò io stessa a prendermi la responsabilità di eliminarlo. Dopo quanto è successo ho avuto modo di constatare che dopotutto il suo circo di demoni non è così forte come si possa pensare. Posso tranquillamente attaccarlo mentre dorme e lui neppure se ne accorgerebbe. Quello che voglio dirvi è che non dovete preoccuparvi per me. Tutti” sottolineò lanciando uno sguardo a Gabriel che era imbronciato. “Nessuno escluso. E ora, per cortesia, qualcuno mi potrebbe spiegare cos’è successo mentre ero via?”

“Sono fiero di te: diplomazia, astuzia e giudizio. Diventerai leggenda, ragazza mia”

Rebecca gonfiò il petto per l’orgoglio. Stranamente le piaceva quando la voce l’ammirava.

“Abbiamo vinto contro il nemico. Abbiamo avuto molte perdite, però. La maggior parte dei nostri soldati sono morti sul campo di battaglia. Gabriel e un ristretto gruppo di uomini sono andati nella capanna a liberare gli uomini del villaggio. Ci hanno dato tutti una mano, stavamo perdendo numericamente ma grazie al loro intervento siamo riusciti a vincere questo conflitto armato. Ci eravamo riuniti qui per decidere meglio insieme ad alcuni abitanti di Numbia quale strada ci conveniva fare per il ritorno”

Rebecca focalizzò le altre persone che erano presenti in quella “stanza”. Non gli aveva mai visti, non sapeva neanche chi fosse tra loro il capo-villaggio del paese finchè questo non le fece un inchino al quale non rispose se non con un cenno del capo. Era un ometto basso, tozzo e grosso. Aveva la barba folta e bianca, sulla sua testa pelata c’erano alcuni ciuffi bianchi intorno alle orecchie e dietro il collo. Personaggio alquanto bizzarro, avrebbe detto.

Si massaggiò le mani e schioccò la lingua. “Bene, allora io vi lascio”

Aveva già iniziato a prendere la direzione dell’uscita quando la voce roca e vibrante di Gabriel la fermò.

“Non rimani qui con noi?”

Si voltò verso lui e gli sorrise. “No, penso che andrò fuori e mi sbarazzerò dei corpi che invadono la piazza. Quando partiamo, comunque?”

“Stanotte stessa, non vedo perché dobbiamo trattenerci oltre” disse Bastian.

“E gli altri del gruppo?”

“Sono fuori in giro a case, controllano che tutto vada bene e che tutto sia apposto”

“Ah, ok. Io vado allora, a dopo” e scomparve.

“Non ti sembra…insolita?” domandò Bastian sottovoce rivolto a Gabriel.

La faccia di Gabriel divenne triste. Addolorata. Delusa. Afflitta. Forse tra loro c’era qualche problema, magari stavano passando un momento di crisi. Era da molto che Bastian lo vedeva così: con quel suo muso lungo e depresso.

“Non so dirti se è insolita, l’unica cosa che posso dirti di certo è che cambiata” mormorò.

“Mi dispiace” lo disse senza pensarci, come se si sentisse in dovere di dispiacersi per lui.

“Lo so. Anche a me dispiace” sussurrò il ragazzo con voce flebile.

“Perché non gliene parli?”

Gabriel lo guardò e Bastian vi lesse tutta l’agonia che lo stava divorando. Sembrava un cane bastonato. “Perché non credo che capirebbe. Perché ho paura di quello che potrebbe dirmi”

“Secondo me dovresti farlo, invece. Non puoi continuare a dannarti in questo modo non sapendo che le succede!” abbaiò il capo-villaggio.

Subito Gabriel gli fece cenno di abbassare il tono di voce. “Perché no?” si accigliò.

Bastian grugnì. “Perché magari è qualcosa di brutto e ha bisogno che tu l’aiuti”

Il ragazzo tentennò sul posto. “Non credo che abbia bisogno del mio aiuto”

“Pensi che possa essere qualcosa al di fuori di noi? Di me, di te, del suo villaggio?”

“Ho paura che sia così. Ogni volta che prova ad introdurre l’argomento lei, bravissima, schiva le domande e innalza un muro protettivo. Si nasconde dietro a battute, scherzi e frasette fatte. Pensa che io non l’abbia capito ma so che c’è qualcosa che non va”

“Sei scemo se non le parli”

Gabriel sospirò. “Mi sentirei più scemo se lei mi rifiutasse”

“E non riesci neanche a staccarti da lei? Pensare razionalmente, fare un ragionamento obbiettivo senza essere influenzato da quello che provi?”

“No, penso di amarla troppo”

“Quando dici troppo, intendi…?”

“Troppo” lo interruppe. “Troppo da farmi star male quando non è con me, troppo da non farmi capire nulla per la felicità quando mi sta vicino. Due fuochi mi bruciano, è l’amore. Imperfetto e irrazionale. Quindi, per favore, non chiedermi di pensare razionalmente perché niente di me è razionale quando si tratta di lei. Passo la palla a te, Bastian. Io mi considero fuori”

“Quando ho deciso di far di te il suo maestro temevo che poteste innamorarvi. Ho sperato però fino infondo che ciò non si avverasse. Avrei dovuto essere più prudente”

“Perché mi dici questo?”

“Perchè un angelo deve mettersi al servizio del suo mondo, non deve avere nulla da perdere, se non ha nulla da perdere è più facile per lui sacrificarsi e rischiare la vita. Ma se un angelo è troppo attaccato a qualcuno non riesce più ad essere libero, avrà sempre paura di dividersi dalla persona amata, tanto da lasciar morire degli innocenti pur di non staccarsene”
“Ormai è troppo tardi. Non puoi più chiedermi di tornare indietro”

“Che facciamo ora con Atreius?”

“Non lo voglio sentire più nominare per oggi, sono già abbastanza arrabbiato”

“Ok, come vuoi”

Mi chiedo solo se il motivo della sua rabbia sia dovuto o meno all’antica gelosia che lo massacra ogni volta che lo vede.    



***



Guarda che casino, pensò Rebecca alla vista dei corpi ammucchiati e sparsi a caso nel campo arido e brullo.

Sebbene fosse notte e si vedesse poco o niente l’odore fetido di sangue coagulato era asfissiante. La repulsione per quell’odore disgustoso portò la ragazza a non respirare. Si avvicinò trattenendo il respiro, era capace di vivere senza ossigeno per un mese. Ce l’avrebbe fatta a sopportare alcuni minuti. Si abbassò su un corpo coperto di sangue secco che riconobbe essere uno dei suoi alleati. Era molto giovane, forse più di lei. Ma non sarebbe stata in grado di definire l’età. Era comunque ingiusto il modo in cui era morto, aveva tutta la vita davanti e invece la sua anima si era spenta nell’adolescenza. Gli fece il segno della croce sulla fronte, non aveva dimenticato le sue tradizioni umane. Era stata cristiana, una volta. Ora non sapeva più a che credere, dopo tutto quello che aveva visto si domandava se potesse esistere un Dio. Ma il gesto le venne spontaneo, mossa da una profonda tristezza e commozione, cercò il coraggio nella fede. Lo benedisse con una preghiera sotto voce e poi si allontanò dal suo corpo per andare a visitare gli altri. Non sapeva neanche lei perché lo stesse facendo, poteva benissimo prendere tutti i cadaveri e sbattergli dentro una fossa comune. Forse era la sua coscienza che glielo suggeriva.

Aveva ragione Bastian nel dire che avevano avuto molte perdite, di tutti i corpi che benediva la maggior parte erano del suo gruppo. Ritornò al punto di partenza e con occhi tristi guardò la scena, forse sperava stupidamente che qualcuno ad un certo punto si svegliasse, si alzasse e andasse a salutarla. E invece nessuno viveva, erano tutti morti. Pensò a quando sarebbero ritornati a casa, al dolore che avrebbe accolto tutte le famiglie che avevano subìto un’amara perdita. Una strana sensazione di angoscia si impadronì di lei. Accigliata, si accorse che non aveva nessuna voglia di ritornare al villaggio, non voleva tornare a casa. Il solo fatto di ritrovarsi in quel posto, con tutte quelle facce note, con la sua vita quotidiana che riprendeva il solito flusso, le dava disagio.

C’era forse qualcosa che doveva fare prima di ritornare a casa?

Cercò le risposte dentro di sé ma non le trovò.

Tutto taceva.

Inspirò profondamente e una folata di vento le mandò i capelli davanti la faccia. Faceva freddo, era freddo. I sassolini di sabbia rotolavano sotto i suoi piedi e correvano sul terreno desertico. Un laser di luce verde fosforescente partì dai suoi occhi e andò a colpire in pieno il corpo di un soldato steso a terra. Il fascio di luce battè sul suo petto e poi si espanse in tutto il corpo, avvolgendolo in una nuvola di gelatina verde. La testa di Rebecca si alzò di pochi centimetri e di riflesso anche il corpo dell’uomo si sollevò, come se i suoi movimenti dipendessero dallo spostamento degli occhi della ragazza. Infatti Rebecca girò su sé stessa e buttò la testa di lato, il corpo si spostò a distanza con lei. Contemporaneamente mosse la mano ad artiglio e una profonda fossa comparve sul terreno, la terra schizzò in aria per permettere al buco di formarsi e atterrò ai margini.

Indirizzò lo sguardo dentro la fossa e la macchia verde che copriva il corpo si mosse in quella direzione fino ad appoggiare il corpo dentro la fossa per poi sparire nel nulla. Ripetè la stessa operazione finchè tutti i corpi, di amici e nemici, non furono stati messi dentro la buca. Richiuse il fossato con uno schiocco delle dita. Ora era tutto pulito e in ordine. Si avvicinò nel punto dove prima sorgeva la fossa e, chinandosi e toccando terra con le mani, fece crescere una pianta. Dal terreno si videro comparire delle foglioline con degli arbusti argentati. Era un albero speciale, era un albero argentato. Adatto per quella tomba di giovani creature. Sarebbe cresciuto entro breve, lei aveva messo solo le radici. Magari un giorno sarebbe tornata a Numbia per vederlo bello e cresciuto.

“È bellissimo”

Era Gabriel.

Lo guardò di traverso e poi si voltò ad ammirare l’alberello. “Grazie, è il mio ultimo dono per loro”

“Hai seppellito i nostri uomini con i nemici”

“Nella vita siamo tutti amici-nemici, nella morte troviamo la vera alleanza”

Sentì la mano del ragazzo posarsi sulla sua spalla. “Tra poco partiamo. Devi salutare qualcuno?”

“Chi vuoi che saluti? Il capo-villaggio mi sta antipatico”

Gabriel rise. “Sì, beh, anche a me”

Anche Rebecca sorrise. La mano del ragazzo si spostò dalla sua spalla alla sua schiena, dalla schiena al fianco. L’attirò a sé e lei si appoggiò con la schiena sul suo petto incastrando la testa nell’incavo del suo collo. Gabriel le passò le braccia sul ventre e racchiuse le mani a preghiera, posò la testa sulla sua spalla e respirò il suo profumo. Dolcemente Rebecca si fece spazio tra le sue braccia per potersi voltare e guardarlo negli occhi, come scottato il ragazzo tirò via la testa dalla sua spalla. Rebecca si mise in punta di piedi e lo baciò. Lo baciò con tenerezza e con foga, con quei baci profondi e inebrianti che solo lei sapeva dare.

“Ehm-ehm, ragazzi?”

Si divisero immediatamente. Bastian era davanti a loro da solo, sembrava dispiaciuto di averli interrotti. Gabriel era visibilmente scocciato.

“Sì?” disse la ragazza. “È ora di partire?”

“A quanto pare sì, ce ne andiamo. Torniamo a casa”

“Hai parlato con capo-villaggio di Numbia?”

“Ovviamente. Ci ringrazia tutti  per il nostro aiuto, se vuoi salutarlo…”

“No, no” lo interruppe. “Ho voglia di andare a casa, Bastian. Gli scriverò una lettera con i miei saluti”

Bastian allargò le braccia. “Certo, come vuoi, dolcezza. Venite?” si rivolse a tutti e due ed entrambi acconsentirono.  

Camminarono fino a trovarsi di fronte una lunga fila di cavalli.

“È un regalo del villaggio” spiegò Bastian indicando le splendide creature. “Così potremmo fare il viaggio di ritorno tutti comodi in groppa”

Rebecca battè le mani entusiasta. “Sono bellissimi, è un regalo fantastico” indirizzò lo sguardo verso il capo-villaggio che era poco distante da loro. Sillabò un “grazie” con le labbra. Lui chiuse gli occhi e sorrise. Solo ora si accorgeva del resto del gruppo, i suoi soldati erano nascosti dietro ai cavalli e non aspettavano altro se non salire in sella.

Aspettavano che lei si decidesse a muoversi?

Sì, può essere.

Perché no?

Montò sul suo cavallo nero e prese le redini. Guardò Gabriel che stava salendo anche lui sul cavallo bianco accostato al suo. Il resto del gruppo fece lo stesso, tranne Bastian. Bastian si avvicinò al capo-villaggio (che Rebecca ne ignorava il nome) e gli strinse la mano. Si dissero qualcosa e poi risero entrambi. Il capo-villaggio gli diede una pacca sulla spalla e poi pure Bastian prese posto sul destriero davanti a Rebecca e Gabriel. Si voltò verso di loro con il volto contento.

“Si torna a casa”

“Si torna a casa” disse con voce mesta Rebecca.

“Si torna a casa” ripetè Gabriel.



***



Marciavano imperturbabili a dorso dei loro magnifici destrieri, una fila di uomini che parevano tanti piccoli puntini visti dall’alto. La fila serpentina si allungava a ridosso di un sentiero di montagna, da una parte la parete rocciosa si innalzava fino a quasi toccare il cielo, dall’altra parte il sentiero finiva in un baratro oscuro, in un precipizio senza fine. Sebbene fosse pomeriggio inoltrato il sole stava già scomparendo oltre le vette innevate dei monti dietro l’esercito in cammino, i raggi coloravano il paesaggio di rosso, arancione, dorato e marrone scuro. Rebecca sentiva il pigro calore del sole che stava calando sulla testa, i capelli sciolti ricadevano sulla schiena ed erano illuminati riflettendo una moltitudine di riflessi che andavano dal rosso al biondo, dal cioccolato al rame. Gabriel ne ammirava il profilo rischiarato con sguardo perso e incantato. Tutto di lei lo faceva palpitare, la sua aria assorta, quel velo triste che tanto attrae e piace, la sua eleganza nel stare seduta o nel tenere le redini, le ciocche dei capelli che ondeggiavano ai lati del suo visto formando delle onde setose e morbide. Senza rendersene conto guardò la sua schiena immaginando in una fantasia mistica le sue ali piumose e soffici racchiuse in un piccolo e stretto involucro. Immaginò quelle ali spiegate e splendenti al sole del tramonto…fu colpito da una tale emozione che trattenne il fiato.

La testa di Rebecca ciondolò e poi si voltò a guardarlo. Gli sorrise beata con gli occhi socchiusi per l’abbaglio e rimase a crogiolarsi per un po’ con le palpebre abbassate per assaporare il tepore del sole sul suo viso stanco e freddo. Fece un altro sorriso e poi riaprì gli occhi, mandò un bacio a Gabriel con la mano e questo ripagò con una risata felice. Gabriel spronò le briglie e l’affiancò, ora poteva osservarla meglio.

“È stupefacente il tramonto” le disse.

Rebecca piegò la testa di lato e ammiccò. “Ha sempre la capacità di farci emozionare. Tra tutti i momenti che il giorno ci riserva il tramonto è senz’altro l’istante che io prediligo. Senza nulla togliere all’alba”

“L’alba, per quanto bella, è snervante” ammise il ragazzo.

“Perché, scusa?” domandò divertita Rebecca.

“Perché si comincia una nuova giornata e tu vorresti solo restartene a letto a dormire. Il tramonto invece è rilassante, hai sonno e sei stanco…sei vivo. Pensi ad andare a letto a dormire e ti senti appagato per la giornata che hai concluso con successo. Hai fatto quello che dovevi fare e ti godi il meritato riposo”

“La penso come te, è questa la sensazione che ti suscita il tramonto”

“Sebbene…” continuò Gabriel puntiglioso. “…il tramonto sia considerato male e l’alba bene” scacciò via quei pensieri e sorrise. “Che sciocchezza…”

“Sono solo storie popolari che hanno come unico obbiettivo quello di tenere rinchiusi in casa i bambini la notte. Non credo che il tramonto abbia qualcosa di maligno o malvagio. È così bello…”

“Quando torniamo a casa ti devo parlare di una cosa” il suo tono cupo e affranto provocò dei brividi alla ragazza che si immobilizzò sulla sella.

Gabriel, Gabriel…dovresti saperlo ormai che io riesco a leggerti nei pensieri quando voglio. In un umano è più semplice ma se mi concentro anche con te ci riesco. Le tue preoccupazioni oggi sono così evidenti e martellanti nella tua mente che riesco a sentirle gridare e scalpitare.

Subito abbassò la testa, sconvolta per quello che aveva appena letto nella sua mente.

E così Bastian gli aveva detto di darsi una regolata con lei, lo aveva intimato a limitarsi di essere solo il suo insegnante. Lo aveva avvertito dicendogli che se avesse ricoperto allungo la parte dell’amante sarebbe stata per entrambi la fine. Un angelo bianco non può permettersi il lusso di amare altrimenti diverrebbe troppo vulnerabile e condizionabile.

Liberati dell’amore prima che sia lei a liberarsi di te.

Ingoiò un groppo amaro in gola. Per quanto avrebbe voluto in quel momento spaccare la faccia a Bastian sapeva che quello che diceva era vero. D’altro canto lei lo sapeva fin dall’inizio, sin dall’attimo in cui si era resa conto di amare il suo maestro. Avevano deciso di restare insieme, di iniziare una storia sebbene fosse sbagliato, pericoloso e compromettente per la vita di entrambi.

Detta così sembrava una condanna all’infelicità.

Gabriel aspettava teso come una corda di violino di fianco a lei. Lei non se la sentì di dirgli che sapeva già tutto.

“Certo, spero solo non siano cose gravi”

Gabriel aggrottò la fronte e si leccò le labbra. “No, te lo direi subito, altrimenti”

“Posso stare tranquilla?”

Che finta ingenua.

“Sì, non ci pensare. Riguarda delle questioni che dobbiamo prendere in merito alla costruzione o meno delle mura recintate attorno al villaggio”

Che bugiardo.

Che rabbia.

Non tornerò a casa per sentirmi dire che tra noi non funziona. Non tornerò perché mi facciano sentire in colpa.

Anche ora, in questo istante, non è capace di essere sincero con me.

Non tornerò per sentirmi dire che devo cambiare vita, che devo staccarmi da lui, che non posso amarlo. Dover fare quello che mi dicono, obbedire come fossi un premio da gestire.  

Andate a quel paese.

Rebecca bloccò le redini del cavallo, questo nitrì preso dallo spavento di sentirsi strozzare tutt’un tratto. Fece girare il cavallo nella parte opposta a quella dove stavano camminando fermando tutta la fila dietro di uomini, i quali cavalli cominciarono a scalciare e sbuffare.

“Che fai?!” urlò Gabriel vedendola tornare indietro.

Rebecca spronò il suo cavallo ad andare contro-corrente, passando accanto agli altri destrieri fermi e impacciati. Lo sguardo dei suoi uomini era di perplessità e paura, avevano le bocche spalancate e gli occhi che schizzavano fuori per l’inconcepibilità di quel gesto.

Si sentì chiamare dal ragazzo ma non ci fece caso. Percorse tutta la fila fino ad uscirne. Bastian, che era davanti, si era voltato e la guardava scioccato. Vide Gabriel che stava cercando un passaggio tra i cavalli per raggiungerla. Rimase in sella al suo cavallo e lo fece indietreggiare per allontanarsi sufficientemente dal resto del gruppo. Tutti si erano fermati, i cavalli dritti e le loro schiene voltate a fissarla.

Aspettò che Gabriel arrivasse. Era agitato, in preda al panico, confuso, terrorizzato.

“Ma che ti è preso?!” sbraitò. “Torna indietro! Dove vuoi andare?” urlò, indicando le cime innevate alle sue spalle.

“Non tornerò a casa” disse a bassa voce. “Non ora”

“Perché?” era un lamento, un insopportabile lamento.

Fu preso in contro-piede.

“Perché sento che devo fare qualcosa prima, non…” faticava a trovare le parole, non sapeva come spiegare al ragazzo la sua agonia. “Non sono più la stessa persona che è partita qualche tempo fa. In qualche modo mi sono persa, non riesco più a ritrovare me stessa. Mi serve tempo, del tempo su cui riflettere, ragionare e capire chi sono. La mia strada ora mi si presenta oscura, annebbiata, piena di bugie e calunnie. Gli unici sentimenti che provo in questo momento sono la rabbia e la frustrazione. Devo sbollirmi e pensare, devo cercare la mia anima e chiederle un paio di cose. Quindi qualsiasi tuo tentativo di riportami a casa sappi già in precedenza che sarà vano e inutile”

“Te ne vuoi andare da sola?!” l’aggredì, le vene del suo collo pulsavano e quasi esplodevano. “Vuoi prenderti un momento di pausa?! Sei pazza!”

Rebecca, diversamente da Gabriel che era bordeaux in viso, era calma e non lasciava trasparire nessuna emozione. “Sì, me ne andrò da sola nelle montagne innevate per prendermi una pausa. E per rispondere all’altra tua domanda, sì: sono pazza ma almeno non sono disonesta”

“Non vedo come questo possa centrare con me. È colpa mia?”

Voleva essere sincera con lui fino infondo. “Sì, anche, ma non solo”

Gabriel tentò di prendere le redini del suo cavallo per riportarla con lui ma lei si allontanò e la sua mano afferrò l’aria. “Ti prego, non fare sciocchezze. Non posso lasciarti qui sapendoti da sola”

“Sono in grado di difendermi, ho avuto un buon maestro”

Il tono distaccato e glaciale con cui lo disse fece gelare il sangue nelle vene di Gabriel che indietreggiò come colpito e ferito. “Sapevo che c’era qualcosa che non andava, eri cambiata ma non volevo accettarlo”

Rebecca si sentì dispiaciuta e lacerata nel profondo, ci teneva a precisare che non era lei ad essere cambiata. Era il mondo che non girava più nello stesso modo di prima. “Gabriel, io non sono cambiata. Sono maturata. In questo momento mi sento molto confusa, dammi la possibilità di rimediare alle mie insicurezze”

“Ho sempre cercato di farti sentire a casa, protetta e amata. Vedo che non ha significato nulla se poi senti il bisogno di andartene” disse pungente.

“Non me ne vado per sempre. Tornerò non appena avrò ritrovato me stessa”

“Non posso venire a trovarti?” domandò con voce incalzante.

“Gabriel…”

“O semplicemente posso venire con te?” un bagliore di speranza trapassò i suoi occhi afflitti.

“No, ora basta”

Fece per voltare il cavallo e andarsene quando lui, in un richiamo disperato, la costrinse a fermarsi. Appariva esitante. “Pensi di andare a cercare Atreius mentre sei via?”

La domanda la lasciò interdetta e basita.

Si arrabbiò.  

La stava accusando?

Non credeva in lei?

Lui, lui che le mentiva su questioni così importanti come il loro futuro?  

Atreius era un tasto delicato e pericoloso, un campo minato. Bastava poco per far saltare in aria la bomba.

“Sono costretta a non rispondere ad una tale domanda” ringhiò. “Ora lasciami andare e spiega tu al caro Bastian le mie motivazioni di questo abbandono”

Questa volta il ragazzo non la fermò. Rebecca esortò il cavallo a correre e la creatura, sotto comando, cominciò a galoppare lungo il ripido sentiero. Le redini, ben strette in mano, non accennavano a smettere di essere spronate. Girò la curva e si lasciò il gruppo indietro, percepì l’essenza dei suoi amici farsi lontana e ormai invisibile.

Davanti a sé il sole tramontava tra la conca di due montagne, nel dirupo iniziavano a scendere le tenebre e le ombre erano sempre più frequenti e scure. I raggi del sole la colpivano giusta in faccia ma non le davano fastidio.

Si sentiva libera, scaldata da quel calore fiacco e ormai prossimo alla fine. Si sentiva indomata e felice. L’aria fredda le schiaffeggiava il viso e i capelli volavano al vento, selvaggi e bellissimi. Il cavallo respirava e inspirava, e correva veloce. L’aria usciva dalle sue grosse narici e si condensava nella sua maestosa criniera color ebano. Il corpo di lei, accucciato in avanti, chinato come se volesse scavalcare il suo cavallo, era l’emblema del guerriero errante. Del continuo vagabondare alla ricerca dell’oggetto dei propri desideri.

Grazie alla velocità del suo cavallo lasciò ben presto il sentiero in discesa e roccioso delle catene montuose che portava a casa, intraprendendo un viaggio tutto nuovo che si diradava tra i campi verdi e profumati che sapevano di gelsomino.    



***



Tanti auguri di buon Natale!!!! Evvai le feste!!! In questo periodo non so voi ma son sempre
stra-piena di impegni, e di dolci..eheheh..

Bona, spero che (come sempre) il capitolo di sia piaciuto!! Fatemi sapere (come sempre) che ne pensate
che le recensioni sono sempre super gradite!!!

Il prossimo capitolo s'intitolerà: "REGINA DI CUORI" e vi aspetto alla prossima!!!

Bacioni grossi a tutti!!

---> Scusate se non rispondo alle vostre recensioni ma non ho
al momento il tempo per farlo, sto aggiornando il capitolo
in fretta e furia!! Però le ho sempre lette le vostre recensioni!!!
Parola mia!! <---

       

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Capitolo 6
*** Regina di cuori ***


Cap. 6 - REGINA DI CUORI -

[Isolata dall’amore
non avevo bisogno del dolore.
Il tempo inizia a passare
prima che tu sappia che sei congelato.
Ma qualcosa è successo
per la prima volta con te.
Ho trovato qualcosa di vero
e tutti guardandosi attorno
pensano che sto diventando pazza.

Ma non m’interessa cosa dicono,
sono innamorata di te.
Loro cercano di allontanarmi
ma non sanno la verità,
il mio cuore è reso invalido dalle vene che continuo a chiudere,
tu mi hai aperto ed io
sanguino amore]

Leona Lewis - Bleeding love -



***



Quando Gabriel tornò in prima linea si accorse che Bastian lo stava fissando con espressione truce. Voltò la testa non appena incontrò i suoi occhi. Agitò le mani e mosse il cavallo finchè questo non prese a galoppare come da ordine. Bastian attendeva al suo fianco una qualche spiegazione, sbirciò dietro di sé e vide la lunga fila dell’esercito, guardò infondo ma lei se n’era già andata. Ritornò con lo sguardo sul profilo di Gabriel, lui non sembrava accorgersi delle occhiate che gli lanciava, fissava la strada serpentina senza mostrare la benché minima reazione. La linea dritta delle labbra era trattenuta dalla mascella contratta e ogni tanto le narici del naso si allargavano pericolosamente come a voler buttar fuori del fumo. Se Bastian non l’avesse conosciuto così bene avrebbe detto che non gliene importava nulla di Rebecca, appariva indifferente, come se l’abbandono della ragazza non l’avesse per nulla toccato. In realtà bastava guardare attentamente i piccoli segnali del suo corpo per rendersi conto che si stava trattenendo dall’esplodere.

“Che c’è?!” sbottò rivolto a Bastian. Finalmente lo guardò in faccia. “Perché continui a fissarmi? Ho qualcosa in faccia?”

Bastian sobbalzò per il suo improvviso attacco verbale, colto in flagrante abbassò il capo e arrossì. “No, niente. Scusa”

“Se vuoi dirmi qualcosa fallo. Ora”

Intimorito dalla ferocia della sue parole balbettò le prime cose che gli vennero in mente. “I-Io volevo solo sapere se stai bene…vorrei che mi spiegassi cos’è successo ma capisco che ora…sì, insomma…non è il momento migliore. Forse”

“Infatti” rispose acidamente.

Bastian sgranò gli occhi poi tornò a fissare per terra.

Si schiarì la voce. “Non starà via per molto, vedrai che entro breve tornerà. Avrà bisogno di riacquistare i suoi spazi, di riflettere. Forse è meglio così, aveva troppa confusione in testa, ha fatto bene a prendersi una pausa da tutto questo” disse, indicando il tutto attorno a sé. “Rebecca non è una ragazza cattiva, per qualche brutto scherzo del destino è stata contaminata e macchiata dalle tenebre, ora vuole ricercare sé stessa per tornare ad essere la ragazza pura e pulita che è sempre stata. Non è sbagliato, Gabriel, staccarsi dal resto del mondo per capire la propria anima”

Gabriel per tutta risposta grugnì. “Quello che non capisco è come faccia ad essere così confusa quando per tutto questo tempo non ho fatto altro che darle certezze e stabilità. L’ho integrata in questo mondo, l’ho addestrata con giudizio e le ho trasmesso l’amore per la felicità degli altri. Ho sempre fatto tutto quello che c’era da fare per far sì che fosse buona e corretta” sembrava improvvisamente stanco e molto più vecchio. Increspò la fronte finchè qualche ruga non gli incorniciò il volto perfetto. “Ho fallito” sospirò con frustrazione.

“Gabriel, smettila di torturarti. Hai insegnato meravigliosamente a Rebecca tutto quello che doveva sapere. Tu forse ti dimentichi come funziona il passaggio da apprendista ad angelo, e questo è strano perché ti interessa in prima persona: l’angelo iniziato per diventare un vero angelo viene messo continuamente a dura prova verso la fine del suo percorso. Il Male e il Bene se lo contendono e come tu sai il Male sa essere molto più persuasivo e invitante del Bene. Tutti gli angeli apprendisti passano questa fase, l’oscurità non fa altro che punzecchiarli e confonderli, gli invita ad unirsi al Male mostrando loro una vita eccitante fatta di potere e di fama. Solo chi è veramente destinato ad essere un paladino del Bene saprà rifiutare e rinnegare il Male ma, ahimè, molti di loro hanno scelto la strada opposta a quella che gli era stata insegnata. Cerca di capire lo stato d’animo della tua ragazza, stà passando un periodo molto delicato e decisivo. Per lo meno cerca di non metterle pressione”

“Ma questo discorso non vale per Rebecca! Lei deve scegliere il Bene, non dovrebbe neanche avere questi dubbi esistenziali! È scritto nel libro degli angeli che è il suo destino stare con noi, e allora perché si stà sempre più allontanando?! L’antico libro parla chiaro, scrive ogni vita e percorso di ogni angelo e la vita di Rebecca è stata definita come “dedita al Bene”, non al Male. Non dovrebbe farmi queste scenate”

Bastian si accigliò. “Mi dispiace Gabriel, ma non sono della tua stessa idea. Rebecca è ancora un’umana nell’animo, nelle emozioni, ed è normale per un umano avere queste indecisioni, fanno parte del suo corredo di sentimenti”  

Anche Gabriel era stato tanto tempo prima un mezzosangue. Nonostante gli fosse stato tolto il titolo di angelo era comunque rimasto un puro di sangue, non era più tornato umano. Non c’era traccia di sangue umano in lui. Magari era per quello che non la capiva, da troppo tempo non si sentiva più umano. Aveva dimenticato come ci si sentiva: sempre tempestato dalle passioni. Non che lui non provasse emozioni, semplicemente ne provava la metà.

Rimase spiazzato per un po’, preso dai forti sensi di colpa che cominciavano a farsi sentire. Imprecò sottovoce e tornò a guardare la strada con il broncio.

Bastian si rilassò e distolse lo sguardo dal ragazzo, era riuscito a fargli capire la situazione. Ora lo vedeva più calmo e tranquillo, la rabbia era stata sbollita tutta.

Rimaneva solo il rimorso.  

Un sorriso amaro contornò le sue labbra.

“A che pensi ora?” domandò il capo-villaggio.

“Spero per lei che non sia andata a cercare Atreius perché ti giuro che questa è la volta buona che rischio di metterle le mani addosso”

Bastian fu colpito da un brivido che gli corse lungo la schiena. “Non dire così, non potresti mai farle del male”

Gabriel inarcò le sopracciglia. “Tu dici?”

L’uomo sentì un gran caldo intorno. “N-Non mettermi nella condizione di doverti tener d’occhio!”

“Tu cosa faresti se la donna che ami andasse con un altro uomo?” disse cupamente e si sentì trafiggere da una stoccata di gelosia.

Bastian rimase di stucco, il cuore stesso cessò di battere per un istante. Non poteva crederci. Non lei. Non con lui. Era uno scherzo. Fece una risatina isterica e poi tornò di colpo serio. “Rebecca è stata con suo fratello?” sgranò gli occhi per la sorpresa.

“Fratellastro” lo corresse il ragazzo. “E comunque che io sappia c’è stato solo un bacio ma…diamine! È palese l’attrazione che provano l’uno per l’altra! Se Rebecca dovesse rivederlo non avrebbe mai il coraggio di ucciderlo e se lui le risparmiasse la vita non oso immaginare cosa farebbero insieme da “non nemici”.”

“Dai!” farfugliò il capo-villaggio. “Non può essere! Non…non riesco a credere che Rebecca faccia una cosa simile, scampassi cent’anni! Non è che stai viaggiando troppo con la fantasia?”

Gabriel sbuffò. “Lo spero Bastian, ma rimane comunque una forte sensazione di avvertimento. Se dovesse succedere, chissà perché, non ne sarei sorpreso”

“Smettila di parlare così, Gabriel!” lo rimproverò con rigore. “Ti stai facendo del male da solo, è naturale che provano attrazione…sono fratelli! Si sentono molto vicini perché sanno di essere uno la metà dell’altra, nel loro corpo scorre lo stesso sangue! Rebecca in questo momento è piena di domande, se dovesse andare a cercarlo sarà esclusivamente per avere informazioni sulla loro famiglia e non, come dici tu, per finire a letto insieme!”

Le mani del ragazzo strinsero con talmente tanta forza le redini del suo cavallo che le nocche divennero bianche. “Hai ragione, è inutile parlarne ora. Aspetterò il suo ritorno, solo allora sapremo com’è andata”

Bastian voleva tanto fargli una domanda ma sapeva che l’avrebbe solo fatto star male. Rimase a torturarsi il labbro inferiore con dei piccoli morsi, indeciso se parlare o meno. La domanda premeva sulla sua bocca affinché la facesse uscire con le parole. Esalò un gemito soffocato e buttò fuori una generosa manciata d’aria. “Tu pensi che se Rebecca vada a letto con Atreius te lo venga poi a dire?”

Come stroncato il ragazzo boccheggiò e poi serrò la mascella. “Saprò leggerle nella mente, anche se sarà molto difficile”

“Non dovresti permetterti di invaderle l’intimità mentale senza il suo consenso”

“Oh, andiamo! Lo fanno tutti in battaglia per anticipare le mosse del nemico, per sapere se una persona sospettata mente o per scovare delle spie!”  

“Appunto” disse aspramente. “In battaglia. È così ora che vedi il tuo amore? Una continua lotta per la sopravvivenza?”

Gabriel lo trafisse con lo sguardo. “Se è così che è diventato il mio amore ragione in più per leggerle nella mente”

“Ti fai troppe pare mentali, ragazzo mio. Lei ti ama più della sua stessa vita e tu ancora non sei riuscito ad avere fiducia in lei” brontolò Bastian.

“Lo sai come son fatto, è nel mio corredo genetico essere sospettoso, geloso e paranoico. È la prima volta in vita mia che m’innamoro, sento di dover difendere questo rapporto con tutta la mia forza e di renderlo sincero senza inganni né menzogne”

“Tu pensala come più ti piace ma ascolta le mie parole, lei non ti tradirà mai. Non ci tradirà, nessuno escluso”

Gabriel grugnì. “Le conviene. Non sono disposto a dividerla con un altro”

“Devi ammettere però che per lei Atreius è molto importante” di fronte l’occhiata assassina che Gabriel gli rivolse si sforzò di continuare. “Cerca di capire quello che voglio dirti. Atreius è l’unica persona in vita che ha con lei un legame di sangue, è la sua famiglia! Per quanto quei due si possano odiare non riusciranno mai ad essere i fautori della morte dell’altro, un briciolo di bene devono volersene. Il solo fatto di sapersi fratelli li unisce”

“A patto che il bene che provano si limiti ad essere quello tipico di due fratelli” disse digrignando i denti.

“Rebecca non potrebbe mai farlo. Ti ama troppo, Gabriel”

Un Gabriel più rilassato rilasciò la presa che teneva da un bel po’ sulle briglie. Le nocche che fino a pochi secondi prima erano di un bianco latteo si chiazzarono di macchie viola e rosse. Bastian fissò con apprensione le mani infiammate del ragazzo. “Ti fa male?” domandò.

Gabriel scrollò le spalle in un gesto indifferente. “Più che altro non me le sento”

Bastian fece un ghigno e scosse la testa. Spronò il cavallo e superò Gabriel. Si mise primo della fila e proseguì lungo lo stretto sentiero di montagna. Girarono la curva e videro davanti a loro lo specchio di un immenso lago. La superficie piatta e calma del lago mandava una miriade di bagliori nei punti in cui l’acqua veniva colpita dai raggi pigri e tiepidi del sole al tramonto. Il lago luccicava di riflessi arancioni, verdi e gialli. Era un incanto, una meraviglia che toglieva il fiato.

Si lasciavano alle spalle il paesaggio desertico e brullo di quelle vallate per addentrarsi in confini verdeggianti, colorati e armoniosi. Mancavano poche al loro ritorno, gli uomini esultavano, felicemente appagati al pensiero di essere entro breve nella loro casa, accolti dalle persone che amavano e che gli aspettavano impazienti.

Solo Gabriel pareva essere estraneo a tutta quella bellezza, guardava intensamente il lago e nessuna emozione gli traspariva dal volto. Era come se, mentre tutti gli altri guardavano il lago nelle parti illuminate dal sole e quindi si sentivano trasmettere calore, lui guardava le parti in ombra del lago, la superficie scura e fredda che non veniva toccata dal riverbero. La sensazione era la stessa di essere trafitto da mille coltelli.



***



Dopo aver viaggiato fino a sera Rebecca decise che era arrivato il momento di trovare un buon posto per dormire. Aveva galoppato con il suo cavallo per ore lungo vasti e infiniti campi verdeggianti con il sole arancio che tramontava di fianco a lei in uno spicchio tagliato dal paesaggio. Cominciava a sentire la stanchezza, avrebbe potuto continuare a viaggiare ma i piedi e la schiena le dolevano troppo. Frenò il cavallo e questo smise di correre, trotterellò tranquillamente verso un’oasi fiorente racchiusa da dei salici piangenti. Rebecca spostò con ammirazione i cadenti rami dei salici ed entrò dentro la radura con il cuore che le batteva all’impazzata. Smontò dal suo cavallo e legò le redini attorno al grosso tronco di un salice. Fece qualche passò in avanti con gli occhi spalancati per lo stupore. L’oasi nella quale era entrata era di una meraviglia struggente, il verde smeraldo dell’erba corta e morbida, il tocco suggestivo dei rami cascanti dei salici, il piccolo e ovale specchio d’acqua dolce al centro della radura, la luna che si alzava nel cielo, il sole calante che moriva oltre i campi d’oro.

S’inginocchiò sulla placida superficie del laghetto e raccogliendo le mani a coppa bevve lunghe sorsate di un’acqua fresca e inebriante che le saziò subito la sete. Si pulì la bocca con una mano e raggiunse il suo cavallo che aveva iniziato a nitrire e a scalciare. Gli diede una mela che teneva dentro la sua sacchetta legata in vita e subito l’animale si fece calmo, dopo aver mangiato il frutto si sedette sulle zampe posteriori e poco a poco si accucciò con tutta l’intenzione di dormire per riprendersi dalla fatica del viaggio.

Rebecca andò a prendere dei rametti secchi per accendere un fuoco, tornò dopo pochi minuti e gli mise a terra vicino al laghetto. Con un incantesimo appiccò il fuoco che pian piano si espanse e divenne una grande fiamma. Si crogiolò accanto al fuoco e si scaldò le mani, battè i piedi per terra e si dondolò sul posto. Era scesa la notte, ormai era buio. Il cielo era sereno, puntellato da una moltitudine di stelle brillanti e argentate, l’aria era fresca e sapeva di libertà.

Fece per chiudere gli occhi, sopraffatta dal sonno, quando sentì lo scricchiolio di un ramo spezzarsi. Alzò di scatto la testa verso il punto in cui aveva sentito il rumore. Con la mano toccò l’impugnatura della spada che portava sempre allacciata alla cinghia dei pantaloni, trattenne il fiato e aspettò.

Comparve la figura di un vecchio viandante. Rebecca rilassò i muscoli e riprese a respirare regolarmente. Era soltanto un vagabondo che come lei approfittava di quell’angolo di paradiso per sostare durante la notte. Aveva una faccia simpatica, rugosa e smilza, con un grande e generoso sorriso che gli scavava delle tenere fossette agli angoli della bocca. Gli occhi verdi esprimevano allegria e tutto di lui faceva pensare ad un artista, infatti il corpo slanciato e troppo magro portava alle spalle un vecchio mandolino in legno scuro.

Nonostante il viandante l’avesse vista non sembrava per nulla sospettoso o impaurito, con un caro sorriso la salutò e si avvicinò a lei.

“Posso sedermi accanto a te?” le chiese indicando il fuoco.

Rebecca acconsentì con piacere. “Certo, vieni pure a godere di questo calore”

Il vecchio si lasciò cadere pesantemente a terra e con un sospiro esausto si tolse dalla schiena il mandolino che appoggiò dolcemente a terra, come fosse un prezioso tesoro di cui andava fiero.

“Dove è diretto?” gli domandò la ragazza visibilmente incuriosita.

“Nel più grande e florido villaggio di Chenzo: la contea di Moonlight” rispose solennemente.

Rebecca mormorò un “oh” ammirato. “Ne ho molto sentito parlare ma non ho mai avuto la fortuna di andarci. Dicono che sia un regno bellissimo, pacifico e allegro”

“Esatto! Ed è la che mi aspettano”

“Che ruolo ricopri in quella contea?”

Il vecchio gonfiò il petto in un gesto fiero e orgoglioso. “Sono il menestrello della famiglia Colton”

“Colton?”

Il menestrello la guardò accigliato come se fosse pazza. “La famiglia Colton è la più ricca e antica famiglia della contea. Ne detiene il potere ed è vista come una sorta di famiglia reale, se così si può dire. Viene trattata e onorata con lo stesso rispetto al quale si mostrerebbe ad un re”  

“Rimane comunque un pensiero inutile per me. Ho altro a cui pensare che andare a cantare e suonare alla corte di una ricca famiglia”

Il vecchio abbassò lo sguardo e ingoiò un groppo amaro in gola. “Parli come se fossi una regina in questo regno”

Rebecca puntò gli occhi sull’uomo con sguardo offeso e infuriato. “Tu nemmeno ti rendi conto con chi stai parlando, vecchio” sibilò.

“E con chi sto parlando? Se mi è consentito sapere?”

Rebecca grugnì e spostò lo sguardo per posarlo sul fuoco. “Stai parlando con qualcuno che non vuole che si giochi col fuoco”

“Io comunque mi chiamo Yago” disse con un sorriso e tese cordialmente una mano verso la ragazza che rifiutò di stringere.

“Io sono Rebecca”

Con un solenne assenso del capo il vecchio abbassò gli occhi. Yago ammirò il suo duro profilo pensieroso e febbrile e si portò una mano alla bocca come a voler trattenere una risata. Si morse la lingua per non ridere e scaldò le mani ghiacciate davanti al fuoco, massaggiandosele di tanto in tanto.

Dopo quelle che alla ragazza parvero ore il menestrello parlò. “Dove stai andando, lontana da casa?”

Rebecca inarcò le sopracciglia. “Come fai a sapere che sono lontana da casa? Per quello che ne sai potrei anche essere una vagabonda senza tetto né casa”

Senza volerlo Yago fece scorrere lo sguardo dal suo viso fino alla cinghia dei pantaloni che reggeva la spada. Imbarazzato, distolse subito lo sguardo. “Lo dicevo per dire, hai ragione”

“In ogni caso la tua osservazione era esatta. Sono lontana da casa e prima di tornarci devo intraprendere un viaggio per conto mio”

“A quale scopo? Se non sono troppo invadente…”

“Lo sei”

“Scusami, ora me ne sto zitto”

“Il fatto è che sono stufa. Stufa! Stufa di dover far sempre quello che mi dicono di fare, non ne posso più! Mi sento frustrata, in gabbia! Sebbene tutte quelle persone mi vogliano bene non fanno altro che innervosirmi, con i loro discorsi, le loro pretese, i loro divieti…lo sai qual è la loro ultima esigenza? Che io mi stacchi dal ragazzo che amo! Mi vogliono privare dell’amore perché pensano che possa essere una sorta distrazione, di debolezza! Come possono chiedermi di essere gentile, carina, ubbidiente se loro mi tolgono tutte le mie libertà? Compresa la voglia di amare e di vivere a modo mio?”

“Quindi te ne sei andata per…?”

“Far chiarezza su quello che secondo me è giusto che faccia”

“Te ne vai sulle montagne innevate?”

Rebecca si fece stupita. “Come lo sai?”

Yago sorrise. “È il posto ideale per pensare ed avere degli attimi di pace. Peccato solo che sia praticamente un posto desolato, gelido, che non permette all’uomo comune di dimorarvi”  

“Io non sono una persona comune” ci tenne a sottolineare. “Potrò finalmente trovare un angolo di pace tra quelle montagne inospitali senza il bisogno di patire la fame, la sete, la stanchezza o il freddo”

“Forse sei davvero una regina per questo pianeta”

“Se fossi davvero una regina non mi sentirei un mostro in questo momento”  

“Perché ti senti un mostro?” domandò con voce gentile. “Cos’avrai mai fatto per essere così crudele?”

“La domanda corretta non è cos’ho fatto io di tanto crudele ma cosa gli altri hanno fatto di tanto meschino su di me da rendermi crudele come loro” disse, con una tale tristezza negli occhi che impietosì il menestrello.

Yago le mise una mano sulla spalla e l’accarezzò per un po’, finchè non vide che poteva. Al minimo segnale della ragazza abbassò la mano e la lasciò appoggiata a terra. “C’è tanto di quel dolore a questo mondo che neanche t’immagini, ragazza mia. Per le persone è più facile essere sottomesse, provare odio, disprezzo…da tempo si sono arresi tutti ed è più facile così. Perseguire per la via del Bene richiede un enorme sacrificio. Bisogna essere forti, immensamente buoni, ci si deve mettere al servizio della gente. Potrà sembrare un lavoro inappagato, ingrato, un intervento inutile poiché nessuno verrà a ringraziarti ma la fierezza che provi nell’essere un paladino del Bene, la bontà che senti scorrere nelle vene, l’amore platonico verso questo pianeta corrotto e in decadenza…sono sentimenti indescrivibili che rendono di te un vero eroe e non un mostro che obbedisce ad un altro mostro. Essere amati per il bene che si fa e non essere temuti per il male che si commette”

Rebecca rimase a guardare il vecchietto di fianco a lei con il volto stupito. La bontà che emanava il suo viso pieno di rughe, i suoi occhi luccicanti per l’amore traboccante che trasmetteva, il respiro rauco e affannoso per la fatica di portare tutti quegli anni sulle spalle. Era una persona meravigliosa, saggia e paterna.

La ragazza si sentì salire un groppo in gola, percepì i suoi occhi inumidirsi e sciogliersi in quelli acquosi e vecchi di Yago. Gli prese la mano tra le sue e con tutta la sincerità di cui era capace gli mormorò un “grazie”. Yago sorrise e scosse la testa.

“Non c’è di ché, a questo mondo fanno sempre bene i consigli di un vecchio pazzo”

“I tuoi consigli non possono essere considerati quelli di un pazzo, grazie a te ho già riacquistato una parte di me stessa. Grazie ancora, Yago”

“Spero vivamente che tu possa trovare quello che stai cercando, Rebecca” le disse, e con uno scricchiolio di ossa si alzò in piedi e si stiracchiò le gambe.

“Dove vai?” domandò allarmata la ragazza vedendolo prendere il mandolino e caricarselo sulle spalle.

Yago le regalò un generoso sorriso. “Me ne vado. Proseguo sulla mia strada, il mio compito qui è stato portato a termine”

Detto ciò la salutò con un cenno della mano e se ne andò. Poco prima che sparisse oltre il folto della vegetazione Rebecca gli chiese: “Tu mi conosci, vero?”

“Sei l’angelo. Come potrei non averti riconosciuta?”

“Un’altra domanda! Sei davvero un menestrello?” urlò.

Il vecchio sorrise e intonando una vecchia canzone scomparve oltre i salici piangenti.



***



Era passata una settimana da quando Gabriel era tornato a casa. La solitudine che provava ogni giorno, in ogni singolo momento, era pari ad un’agonia soffocante che lo rendeva passivo e scontroso. Quando arrivò a casa dopo la missione e gli zoccoli del suo cavallo toccarono i ciottoli delle strade del villaggio un moto di ansia lo invase, tanto che scese da cavallo con un balzo e scappò via. Nessuno lo vide per tutto il giorno. La faccia sbalordita che Rosalie rivolse a Bastian nel vedere il fratello andarsene portò il capo-villaggio a scuotere la testa e a mormorare il nome di Rebecca. La ragazza impallidì e si portò una mano alla bocca. Bastian ebbe un tremito e, animatamente, mosse le braccia come per dire: “no, stà bene. Non è morta”. Rosalie ebbe la saggia pazienza di aspettare Gabriel prima di fare domande. Abbassò la testa e tornò a casa accompagnata dai figli e da Denali che borbottava continuamente frasi come: “che succede?”, “si tratta di Rebecca?”, “non è ferita, vero?”, “cos’ha tuo fratello?” o “perché diavolo non mi vuoi rispondere?!”.  

Bastian sospirò gravemente e guardò il punto in cui Gabriel era scomparso, oltre i pini che circondavano il villaggio. Spronò il cavallo e marciò a gran furia verso la sua capanna, ignorando le domande allarmate della gente o gli inni di gioia al suo passaggio. Avevano vinto ma nessuno sembrava riuscire a godersi appieno il successo. Soltanto il giorno dopo arrivarono alle orecchie di Bastian richieste di colloquio per sapere come mai non si vedeva Rebecca dal ritorno della missione e, soprattutto, perché non era rientrata con loro. Il capo-villaggio negò a tutti il permesso di essere ricevuti e parlò a gran voce la sera stessa nel centro della piazza gridando che Rebecca se n’era momentaneamente andata. Aveva voluto essere franco e sincero con la gente del villaggio, non gli andava di raccontare bugie per coprire la sua fuga. Disse chiaro e tondo il motivo di quell’abbandono e ci tenne a sottolineare che era una situazione temporanea. Che sarebbe tornata, entro breve. Per calmare la paura e il caos che si era creato tra la folla, Bastian, si fece aiutare da Gabriel che parlò a nome di Rebecca a tutti i presenti, ripetè le stesse identiche parole che lei gli aveva detto poco prima di lasciarlo per i monti innevati. Gli animi spaventati delle persone si calmarono e la maggior parte di loro capirono le sue motivazioni e apprezzarono Rebecca per la sua sensibilità. Altri invece rimasero zitti con le labbra serrate per la rabbia, probabilmente si sentivano troppo feriti. Avvertirono quel gesto di abbandono come un segno definitivo dell’orribile destino che gli attendeva e dal quale non potevano più scappare. Dopo aver parlato Gabriel scese dal palchetto e se ne andò a casa a dormire, ogni tentativo dei suoi amici di fermarsi a parlare con loro fu vano e inutile. Era tornato il giorno prima e n’ancora aveva parlato con loro. Rosalie, Denali, Kevin, Delia, Emma, Ian…avevano dovuto apprendere l’accaduto come tutti gli altri e come tutti gli altri erano stati colti da una profonda pena e compassione per Gabriel.

Durante i primi giorni si poteva vedere nel villaggio un alone nero che vi vorticava intorno, tanto cupo e nero era l’umore della gente. Il lutto delle famiglie dei soldati morti, l’abbandono di Rebecca, la depressione di Gabriel, la tristezza dei suoi amici, lo sconforto di Bastian…tutte queste cose crearono un’aria di amarezza che si abbatté sull’intero villaggio. Passata una settima la situazione parve cambiare leggermente, ma non di molto. Rosalie passava ogni maledetto giorno davanti alla casa di Gabriel e i balconi erano sempre chiusi, la serratura bloccata e il cancelletto del vialetto incatenato. Con grande felicità della ragazza tre settimane dopo Gabriel la venne a trovare a casa. Lo fece entrare con un sorriso a trecentosessantacinque denti, tanto che si sarebbe messa a piangere dalla contentezza. Cenò da loro e dopo aver mangiato giocò con i figli sul tappeto del salotto, e con una scusa se ne andò la sera verso le nove. La ragazza non aveva voluto entrare nell’argomento “Rebecca” ma il fatto che finalmente si era deciso ad uscire da quella casa troppo piena di ricordi e profumi era già qualcosa. Salutò la famiglia della sorella con un sorrisino divertito, poi sbattè la porta prima di uscire. Rosalie riaprì la porta e lo sbirciò dalla fessura, lo vide camminare con le mani in tasca e il passo prepotente lungo il vialetto. Richiuse la porta e andò ad abbracciare Denali che la stava fissando dal bancone della cucina.    

Il giorno seguente Gabriel invitò tutti i suoi amici a casa sua per mangiare qualcosa, arrivarono in gruppo verso mezzogiorno, ciascuno con qualcosa di buono da mangiare. Delia aveva fatto una torta ai mirtilli mentre Rosalie aveva portato delle tartine con delle salse per gli antipasti. A tutto il resto ci aveva pensato Gabriel che si era improvvisato cuoco all’ultimo momento, doveva aver letto da qualche parte che l’arte culinaria aiutava a scacciare i cattivi pensieri. La giornata trascorse tranquillamente, Gabriel si era dimostrato allegro e un gran chiacchierone. Ogni tanto il pensiero su dove fosse in quel momento Rebecca c’era, e allora tutti abbassavano lo sguardo intimoriti dalla profonda carica emotiva degli occhi del ragazzo. Rebecca doveva essere già da un pezzo arrivata alle montagne innevate.

La domanda che picchiettava la testa di Rosalie era come diavolo aveva fatto a scegliere quel posto. Non era altro che un luogo di morte, bianco dalle cime fino al profondo delle tenebre sotterranee, rocce scure appuntite e chiazzate di neve, un grande fiume ghiacciato e il cielo piovigginoso.

Anche Gabriel, come la sorella, non si spiegava il motivo della scelta di quella meta. Tamburellava con le dita la superficie del tavolo quando calava un improvviso silenzio, era in quei momenti che si sentiva addosso una rabbia sconvolgente. Fremeva dalla voglia di partire e di andare a cercarla, anche solo per vedere come stava. Anche solo per rivedere il suo viso. Dopo aver parlato a Bastian di questo suo desiderio il capo-villaggio l’aveva messo in guardia, gli aveva suggerito di non partire prima dei tre mesi. Anche Bastian era in pena per la ragazza, approvava in pieno l’idea di andare a riprendersela seduta stante ma s’impose di aspettare. Consigliò a Gabriel di fare lo stesso ma se entro tre mesi non sarebbe tornata gli aveva dato il permesso di partire.

Tre mesi.

Ormai era passato un mese. Un mese buttato al vento perché non aveva fatto altro se non starsene in casa a meditare e a dormire. Solo negli ultimi giorni aveva tirato fuori le unghie. Si era sempre reputato un ragazzo forte che non perdeva mai la testa, questo però al di fuori del suo rapporto con Rebecca. Se veniva ferito o allontanato dagli altri poteva sopportarlo e mettersela via ma se veniva lasciato, respinto o deluso da Rebecca era come se tutto il suo corpo e la sua anima si frantumassero in mille pezzi. E non aveva neanche la voglia di alzarsi dal letto. Lo sconvolgeva sempre questa verità.

Si alzò da tavola e andò al lavabo per fare i piatti. I suoi amici parlavano e ridevano ma lui aveva smesso di ascoltarli.

Meno due mesi.    



***



Rebecca si sentì come aveva immaginato: congelata. Si trovava nel bel mezzo di un valico racchiuso dalle cime innevate. L’aria era talmente fredda e pungente che le sembrava di sentire la pelle sgretolarsi e staccarsi dalla faccia. Gli angoli della bocca erano pieni di tagli e il naso era di un rosso cremisi. L’aria che buttava dentro i polmoni quando respirava sapeva di ghiaccio e di lama affilata, la gola iniziava a pruderle e a dolerle immensamente. Sulle sue ciglia lunghe e scure si erano formati dei cristalli di brina che andavano ad incorniciare anche le sopracciglia inarcate. Le nocche delle mani erano infiammate e raggrinzite, se le chiudeva a pugno la pelle si apriva e uscivano puntini di sangue. Il cambiamento di clima era avvenuto senza preavviso, questo per cogliere di sorpresa il povero viandante che mai si sarebbe aspettato di trovarsi, dopo un cammino in salita tra freddo e neve, in un posto ancora peggiore.

Con sguardo tra il misto e l’incazzato Rebecca squadrò il paesaggio. In alto vedeva le cime delle catene montuose, di lato a destra e a sinistra s’innalzavano le pareti rocciose, davanti a sé un passaggio dritto che si perdeva all’orizzonte. Sotto di lei, un fiume ghiacciato. Mosse i piedi per spostare il basso strato di neve e vide l’acqua scorrere sotto il blocco di ghiaccio. Non aveva paura di cadere dentro l’acqua, confidava che il ghiaccio non sarebbe ceduto al suo passaggio.

Emise un debole ringhio. A quanto pareva la natura voleva prendersi gioco di lei, era sempre felice di portarsi via qualche vita umana. Il fiume congelato, il freddo assiderante e l’assenza di acqua e di cibo assicuravano una morta certa.

La natura era crudele e meschina.

E poi parlano tanto della cattiveria degli uomini…

Rebecca cominciò a sentire i propri polmoni bruciare e al tempo stesso congelare. Faceva sempre più fatica a mandar giù l’aria dalla gola riarsa e secca.

Qui è dove finisce la vita di un uomo, pensò mentre cadeva a terra priva di forze e di fiato.

Fece scivolare la faccia sulla lastra di ghiaccio, poco a poco si distese per terra con un’innaturale lentezza. Abbandonò la facoltà del movimento e si afflosciò al suolo come morta, poteva percepire la gelida fitta del freddo succhiarle la vita che aveva in corpo. Con gli occhi pesanti e sofferenti guardava dritto davanti a sé, erano persi a fissare chissà cosa.

Poi, tutt’un tratto, sbattè le palpebre un paio di volte e si alzò in piedi pulendosi la divisa dalla neve. I suoi occhi erano tornati vispi e attenti, un grazioso colorito rosato le imperlava le guance, le ciglia erano pulite e le sopracciglia disegnavano un arco perfetto e nero. Le mani erano calde così come tutto il resto del corpo, le sue labbra erano piene e morbide, rosse come una rosa. Respirava regolarmente e con tranquillità, i polmoni si gonfiavano e si contraevano, liberi da un peso schiacciante come quello del freddo. La gola era calda e non le faceva più male. Si tolse il mantello che aveva addosso e lo lasciò cadere a terra.

Qui è dove continua la vita per una come me, pensò, piena di un sinistro orgoglio selvaggio.

Era bello essere speciale ma ancor di più era bello sentire di esserlo. Per quanto le mancava casa, per quanto volesse toccare il corpo di Gabriel e stringerlo forte, era sicura che avrebbe saputo resistere. Il viaggio per arrivare era stato più lungo del dovuto, ormai era quasi passato un mese. Non aveva ancora fatto conto di quanto sarebbe rimasta.

Incrociò le gambe e si sedette in posizione di meditazione: i gomiti appoggiati alle ginocchia, la schiena ritta, le gambe incrociate e gli occhi chiusi. Non sentiva il freddo della neve sotto il corpo, il vento non le graffiava il volto, e così riusciva a pensare e a concentrarsi meglio.

Perché sei venuta qui?

Ho bisogno di pensare, è da troppo tempo che la mia anima è spezzata in due parti. Provo desiderio a ritornare me stessa, a sentirmi integra e intatta.

Come ti senti, ragazza mia?

È come se il mio corpo ospitasse due forze opposte e nemiche. Per quanto io riesca a far prevalere la parte buona c’è sempre l’altra parte, quella cattiva, che spinge con prepotenza sull’altra per sovrapporsi ad essa. So di essere un angelo del Bene, dentro di me scorre amore, obbedienza, disciplina e bontà. Ma alcune volte sento anche di voler evadere, di sentirmi più libera, c’è quel bisogno di infrangere, di ribellione che preme per venir fuori. In poche parole, il Bene e il Male mi stanno contendendo.

E tu lo sai perché?

Certo. Una volta Gabriel mi ha detto che per diventare angeli bianchi si viene messi sotto esame. Ogni angelo, essendo un essere potente e carico di magia, è continuamente contrastato dalle due forze benigne e maligne. Solitamente il lato oscuro è molto più gettonato, e qui la voce si mise a ridere, è così affascinante che è dura resistergli.

Lo so.

E quindi un apprendista diviene angelo bianco se riesce a superare la prova delle due forze. “Rinnega il Male, abbraccia il Bene”, pensò Rebecca con un ridolino.

Quindi tu credi che io, simbolo del peccato mortale, sia la tua prova personale da superare?

Sì, credo che tu sia frutto del Male. Non sei altro se non un suo messaggero di morte che è venuto a tormentare la mia coscienza per convincermi ad unirmi a voi.

La voce emise uno sbuffo divertito.     

Ti prendi gioco di me? pensò con tranquillità la ragazza.

Penso solo che tu stia andando completamente fuori strada.

Non è forse così? E se così non fosse, cosa saresti? Sentiamo.

La voce non si fece sentire e lei continuò con i suoi pensieri. Appunto. Non parli. Chi tace acconsente. Ecco perché sono venuta qui, fuori dal mondo e in pace con me stessa.

Perché?

Perché sarà in questo posto dimenticato da Dio che io ti sconfiggerò. E poi tornerò a casa completamente pulita e pura, diventerò un angelo bianco. Di te, del Male, non ci sarà più nessuna traccia. Hai fallito.

Che sciocca ragazza che sei…io non sono un messaggero del Male. Non sono imprigionato dentro il tuo corpo per metterti alla prova. Il mio compito è fine a me stesso ma durante il mio viaggio tu cambierai e verrai con me. Sei solo una pedina Rebecca, ma una pedina utile dato che quando avrò finito di abusare del tuo corpo tu sarai incondizionatamente un’alleata del Male.

In uno scatto d’ira Rebecca si alzò da terra, i muscoli talmente tesi che vibravano. Stava compiendo uno sforzo immenso nel trattenersi dal prendere a calci tutto.

Tu non oseresti, lo minacciò.

Per quanto ormai sono costretto a tenere alla tua vita sono una creatura molto egoista e crudele. Perciò non volermene se penso prima di tutto ai miei affari che non alla tua vita, tesoro. Ma non preoccupartene, sarai felice con me.

“Ora basta”

Rebecca si voltò e fece per andarsene quando i suoi piedi vennero bloccati. Provò con tutte le sue forze a camminare, ad ordinare ai suoi piedi di muoversi ma niente da fare. Rimase ferma con un piede davanti all’altro.

“Che mi hai fatto?!” urlò fuori di sé.

Per quanto difficile sia posso in minima parte controllare il tuo corpo. Se lo voglio, posso manipolare le tue azioni.

Lasciami andare o ti ammazzo!

Lasciarti andare? Affinché tu ritorna al villaggio e dica a tutti quello che hai appena scoperto? No, non ci penso nemmeno. D’ora in avanti se proverai solo a parlare a qualcuno di questa storia sarò costretto ad intervenire controllando il tuo corpo in modo che te ne stia buona e zitta.  

“Ma che vuoi? Non sei un messaggero, non sei la mia coscienza, non sei la voce di uno spirito né di un mago. E allora chi diavolo sei?!” esclamò con tutta l’aria che aveva in corpo.

Sentirsi minacciata e attaccata in quel modo la fece tremare di paura.

La voce non parlò ma ghignò.

Rebecca si buttò a terra e pianse. Battè un paio di volte la fronte contro la dura lastra di ghiaccio e mentre si copriva gli occhi con le mani dava sfogo al suo tormento. Ormai scossa dai singulti e annebbiata dalle lacrime ascoltò la voce più cattiva che mai.

Smettila di piangere.

La ragazza pensò a Gabriel, al fatto che era rimasta zitta fino a quel momento. A quanto avrebbe voluto raccontargli tutto e ricevere il suo protettivo e rassicurante aiuto. Al casino in cui si era cacciata mantenendo il silenzio. A tutte le persone che avrebbe deluso e abbandonato, all’amore che avrebbe dovuto rinunciare e rifiutare. Alla vita solitaria e sofferente che avrebbe intrapreso.

Era in trappola, nessuno poteva più aiutarla. Era destinata a seguire quell’oscuro destino e l’impotenza nell’agire la faceva impazzire.

Smise di piangere e puntò gli occhi dritta di fronte a sé. Le sue iridi erano due pozzi neri e furiosi, inarcò il labbro superiore in un ringhio.

Ho capito chi sei, bastardo.

Ora sfotti, pure?

Non avrò più il controllo del mio corpo, sarò anche obbligata a non farne parola con nessuno ma sappi che in un modo o nell’altro farò sì che qualcuno venga a conoscenza del nostro segreto. Se non potrò essere io ad ucciderti lo farà un’altra persona. Se mi vuoi al tuo fianco ci sarà qualcuno che mi ucciderà prima che distrugga con te questo mondo. Se il mio destino sarà quello di diventare un angelo nero per colpa tua ci penserà Gabriel a porre fine alla mia vita. In ogni caso, hai perso.

Dipende dai punti di vista, Aidel. Per quello che mi riguarda ho vinto. Ti conosco abbastanza per poter affermare con assoluta certezza che nessuno, né in cielo né in terra, sarà mai in grado di ucciderti. Farò di te il più grande angelo mai esistito e neppure l’arcangelo Gabriele riuscirà a fermare le tue piaghe: o sarà troppo debole per sconfiggerti o l’amore non gli permetterà di mettere fine alla tua vita.

Spaventata dalla verità di quelle parole, conscia di poter diventare quell’essere così forte e promettente, abbassò le mani in segno di resa. La guerra che stava avvenendo dentro di lei e che vedeva come nemici due anime potentissime non si sarebbe conclusa tanto presto.

Era solo l’inizio.

L’inizio della fine di un’era.

Rebecca vacillò sul posto, svuotata di ogni emozione. La voce sembrò muoversi, quasi stiracchiarsi, dentro il suo corpo di donna. Le parve ridicolamente di sentirla sbadigliare.

Posso sapere le tue teorie a proposito della mia identità? Sono sicuro che ogni hai capito chi sono ma voglio sentirtelo dire ad alta voce. Sarò la tua condanna e il tuo biglietto per l’immortalità.

“Sei mio padre”



***



Camminando come se niente fosse in mezzo al fiume ghiacciato con parecchi gradi sotto lo zero, Rebecca tentava di raggiungere un posto in cui rifugiarsi. Dopo aver rivelato l’identità di suo padre nella voce che da mesi la stava assillando era in uno stato di shock. Si sentiva tanto un topolino indifeso braccato dal gatto selvaggio e affamato.

Quanto avrebbe voluto chiedere aiuto…

Si morse l’interno della guancia per non urlare. Spostò gli occhi ancora lucidi di pianto per controllare il territorio attorno a lei, non c’era nessuno grazie al cielo. Stava calando la sera e avvertì per la prima volta, dopo l’incantesimo, un brivido di freddo. Indossò il suo mantello candido e rilegato di strisce marroni con il cappuccio e l’interno in puro pelo caldo e morbido. Sembrava una regina delle nevi, il suo pallore (dovuto in parte all’orrore che provava) faceva apparire la sua pelle una superficie di liscio e freddo marmo. Raccolse i capelli in una coda alta e i ciuffi le ricaddero morbidi fino alla schiena. Strinse con forza l’elsa della spada per farsi coraggio e sentirsi meno inerme, meno disarmata.

Guardò con un moto di speranza e abbandono il sole che calava oltre le montagne, lo vedeva tramontare tra due picchi e i raggi che penetravano dal valico inondavano la pianura ghiacciata riflettendosi sui cristalli di neve. La sensazione di solitudine la portò a desiderare di essere a casa sua ma non poteva andarsene senza scatenare l’ira di suo padre. Gli ordini erano stati chiari: avrebbe lasciato le montagne innevate solo quando gliel’avrebbe concesso lui. Rebecca non capiva ancora il motivo per cui Mortimer voleva tenerla lì ma ovviamente doveva avere le sue ottime ragioni per farlo. Dalla loro ultima conversazione nella quale la ragazza gli aveva detto apertamente chi era, suo padre si era successivamente fatto sentire più volte, ma ogni volta lei lo aveva ignorato. Sperava che con l’indifferenza l’avrebbe lasciata in pace, credeva (stupidamente) che con la giusta dose di apatia se ne sarebbe andato. E in più, in tutta franchezza, non aveva per niente voglia di ascoltarlo. In quel momento lo odiava.

La costrinse a fermarsi. Rebecca fece una smorfia contrariata.

Lassù. C’è una caverna.

Con scocciatura guardò alla sua destra e notò che, incavata dentro la parete della montagna, si trovava una grotta. Era piuttosto in alto e non c’erano né scale né appigli per salirvi. Schioccò la lingua con disprezzo e sollevò le sopracciglia. Corse incontro al muro di pietra e si slanciò in avanti con le mani protese, pronte ad afferrare la parete di roccia. Con una serie di balzi si arrampicò fino in cima e quando toccò con le mani il suolo piatto e rientrante della caverna fece una verticale e finì in piedi a guardare l’entrata dell’antro. Le ci vollero pochi istanti per capire che la grotta non era un tunnel o un cunicolo: a pochi metri da lei la caverna terminava con una frana. Si appoggiò con la schiena alla parete umida e scivolosa e si lasciò cadere lentamente fino a racchiudere la testa dentro le ginocchia tenute strette al petto.

Sapeva con certezza che quella altro non era se non una prova sadica di Mortimer. Gli doveva infatti far piacere l’idea di tenere rinchiusa sua figlia dentro una cavità senza cibo né acqua. Senza contare che l’incantesimo per tenerla al caldo l’avrebbe poco a poco indebolita e allora sarebbe stata costretta ad annullarlo pur di non esaurire le forze. Così si sarebbe trovata a morire di freddo senza la minima forza in corpo, affamata e assetata.



***



Trentacinque giorni erano passati da quando Rebecca aveva trovato rifugio dentro alla caverna e da allora non si era mossa da quel posto. Il suo corpo non aveva cambiato posizione, era rimasta contro la dura parete rocciosa con la testa fra le ginocchia, impasse. Sapeva di dover aspettare per andarsene e aveva deciso di farlo nella totale passività e agonia. Non mangiava né beveva da più di un mese. Non si sentiva più i muscoli delle gambe e faticava a credere di riuscire a camminare una volta in piedi. Con uno sforzo sovrumano alzò la testa e aprì gli occhi. Non c’era luce ma rimase comunque abbagliata, gli occhi le bruciarono e fu costretta a richiuderli in fretta prima di iniziare a lacrimare. Fece un paio di conti mentali e gemette quando calcolò il tempo che aveva passato in quelle condizioni. La voglia di alzarsi era tanta ma le mancava la forza per farlo. Ormai l’incantesimo che la stava tenendo al caldo andava via via scomparendo. Sentiva sempre più freddo ogni giorno che passava.

La magia che continuamente da un mese la proteggeva iniziava a richiedere troppa energia. Rebecca tremò quando tentò di aumentare la potenza dell’incantesimo, un rivolo di sudore le scivolò sulla tempia. Si afflosciò e rinunciò a continuare con quella sofferenza.

Stanca di sentirsi sempre più debole annullò d’istinto l’incantesimo. Un getto di gelo la raccolse e la micidiale morsa del freddo la lasciò senza fiato in gola. Sperava di riuscire a riacquistare le forze perdute prima che il freddo la congelasse a morte. Si distese sul terreno della caverna e cercò di farsi caldo soffiando dentro al mantello.

Così ti ucciderai. Morirai assiderata entro la notte.

Meglio così, ringhiò con il pensiero, almeno morirai con me.

È questa la tua tattica? Cercherai di farti ammazzare per poter uccidere anche me?

È sempre meglio di niente.

Allora ti ordino di ritornare a casa. Ora.

Stringendosi ancor di più dentro l’interno peloso del mantello scosse la testa.

Ammetto che sei forte, padre. Ma ho affermato la mia potenza su di te quando ti ho ucciso una volta. Puoi controllare in parte il mio corpo ma non quando vuoi, ogni volta che lo vuoi. Ho pur sempre più padronanza di te con il mio corpo. Quindi io rimango qua e se sarà necessario morirò. Accetto con gioia il mio destino.

Bah! Non permetterò che una stupida ragazzina rovini entrambe le nostre vite! Non stà a te decidere per me!

Rebecca non aveva mai sentito la voce così infuriata come in quel momento.

Sai com’è, sono una creatura egoista e crudele. Prima della tua vita penso alla mia.

Ah, quanto ti adoro…è così che si dice.

Piantala.

Senti tesoro, fa quello che credi. Ci penserò io a farci tirar fuori di qui.

Potrebbe essere troppo tardi quando…

La voce della ragazza si smorzò nel momento in cui una fitta la colpì allo stomaco facendola contorcere per terra come in preda ad uno spasmo. Le scappò un grido.

Ecco vedi, stai già morendo. Il freddo sta bloccando le tue funzioni vitali.

Riaprendo gli occhi più volte per riacquistare la vista Rebecca piagnucolò tenendosi una mano premuta contro l’addome. Un bruciore insopportabile la stava divorando, il suo stomaco vuoto reclamava del cibo e dell’acqua. Per il freddo continuava a tremare e rotolava da una parte all’altra per non far addormentare gli arti.

Stava morendo.

Mancavano poche ore ormai. Poteva sentire il sangue, le vene e gli organi congelarsi e immobilizzarsi. Udiva il pompare sempre meno frequente del cuore e la fatica che faceva tra una contrazione e l’altra. Smise di lottare e restò a terra paralizzata in posizione prona con la guancia destra premuta contro il suolo gelato. Le parve di percepire i tentativi di suo padre di impossessarsi del suo corpo per farla alzare e scappare a gambe levate. Quando anche Mortimer si accorse che non c’era più nulla da fare, che sua figlia stava per esalare l’ultimo respiro, ricorse all’unico, immediato metodo che gli venne in mente.



***



Gabriel era a letto che dormiva già da un po’ di ore. Non aveva nulla da fare quella sera ed era stufo, senza la minima esitazione si era buttato a letto vestito e aveva preso sonno nel giro di pochi minuti. Subito un flusso di ricordi, pensieri e immagini si materializzarono a formare un sogno. Era un sogno particolare, piacevole.

Stava correndo in un campo verde con l’erba alta che gli solleticava i polpacci, davanti a sé il sole stava calando e tutto il paesaggio era un insieme di colori che andavano dall’arancione, al verde, al dorato, al marrone. Un tramonto che toglieva il respiro. E lui correva, felice, e rideva tanto che gli facevano male i muscoli della pancia. Non correva dritto ma saltellava da una parte all’altra come per aggirare qualcuno che cercava di colpirlo da dietro. Con in volto un sorriso raggiante si voltò e guardò Rebecca. La ragazza ricambiò con un solare sorriso, i denti scoperti e la bocca tirata mentre rideva. Tentò di allungare un braccio per prenderlo ma Gabriel aumentò la velocità e la presa mancò il suo maglione.

Allora il ragazzo si girò e tese una mano verso di lei. Rebecca gliela prese e corsero affiancati.

“Mi sento una stupida!” urlò Rebecca al cielo con quel sorriso che non smetteva di illuminarle il viso.

“Perché?”

“Perché stiamo correndo in mezzo ad un campo come degli scemi!”

Gabriel rise più forte. “Che importa? Io mi sto divertendo un mondo!” esclamò allargando le braccia e chiudendo gli occhi, crogiolandosi sotto i raggi del sole.

Rebecca mollò la sua mano e gli circondò le spalle, con un saltino gli montò in groppa. Gabriel smise di correre e passò le sue braccia sotto le gambe della ragazza per tenerla meglio sulla schiena. Lei gli baciò l’orecchio provocando uno schiocco al quale lui reagì urlando di dolore. Per un po’ continuò a sentire il rimbombo dello schiocco dentro la testa.

Era tremenda.

Poi Rebecca affondò il viso nel suo collo tempestandolo di baci. Scoppiarono a ridere come due bambini e per dispetto Gabriel la fece cascare. La ragazza crollò a terra atterrando con il sedere. Non se l’era aspettato, infatti rimase a guardarlo dal basso verso l’alto con una faccia sconvolta, la bocca spalancata e gli occhi che schizzavano fuori dalle orbite. Gabriel si piegò in due dal ridere.

Massaggiandosi il sedere la ragazza si alzò e gli si scaraventò addosso trascinando entrambi per terra. Gabriel cadde indietro e per fortuna l’erba attutì il colpo alla schiena mentre Rebecca gli era sopra e non smetteva di sorridere. Gabriel accostò le sue labbra a quelle di lei e si baciarono. In un baleno il ragazzo le fu sopra, senza staccarsi un attimo dalla sua bocca. Quando si tirò indietro per ammirarla fu nauseato da ciò che vide.

Rebecca stava sotto di lui, immobile e pietrificata. La sua pelle era fredda e bianca, le sue labbra non erano più rosse e morbide ma increspate e cianotiche. Gli occhi erano chiusi e non accennavano ad aprirsi. Non respirava. Con una mano Gabriel le cercò il battito cardiaco tastandola prima sul petto e poi prendendole il polso. Non aveva battiti.

Gabriel sbiancò e cominciò a scuoterla urlando il suo nome. Quando vide che la ragazza non si muoveva né apriva gli occhi balzò in piedi. Fu sorpreso e al tempo stesso inorridito di vedere che si trovava nel bel mezzo di una tempesta di neve. Riconobbe le cime innevate e il fiume ghiacciato sotto di sé. In preda al panico cercò con lo sguardo la ragazza, come se non riusciva a credere a quello che stava vedendo. Gli morì il fiato in gola quando non la vide più. La cercò, la chiamò ma era sparita. Un movimento sotto il ghiaccio catturò la sua attenzione. Si mise a terra in ginocchio e spazzò via la neve. Sotto la lastra di ghiaccio, dentro l’acqua del fiume ghiacciato, il corpo di Rebecca veniva trasportato via dalla corrente. I suoi capelli fluttuavano nell’acqua e il suo vestito estivo vorticava come una ruota. Gli occhi sbarrati lo stavano implorando di salvarla.

Con un respiro agonizzante si svegliò. Era completamente sudato e gli mancava il fiato. Spostò la testa a destra e a sinistra, e guardò fuori dalla finestra aperta: era ancora notte. Gettò via le coperte e corse fuori dalla stanza con una furia selvaggia.   



***



Rebecca fissava il vuoto con gli occhi ormai rovesciati.

C’era una tale pace intorno a lei…

Dicono che quando il tuo cuore smette di battere puoi vivere ancora per pochi secondi. Il suo cuore di angelo era un po’ più forte ma aveva smesso ugualmente di battere. Le rimanevano da vivere non pochi secondi ma pochi minuti. Le leggi della natura con lei facevano strani giochi. Sentiva suo padre fare un gran trambusto dentro di lei, era come se stesse ribaltando tutte le sue viscere, come se stesse cercando di scappare o stesse rovistando in qualche parte per trovare qualcosa. Se lo immaginava come una luce o una nuvoletta di vapore denso che correva da una parte all’altra, dalla testa ai piedi, in preda al panico. Non voleva forse accettare l’idea che stava per morire anche lui? Beh, ben gli stava. Rebecca si sarebbe sacrificata molto volentieri. Piuttosto che continuare a sentirsi come prima (sempre instabile, alla continua ricerca di potere e fama, attratta dalle tenebre) preferiva morire.

Sì, era meglio così. Se avesse continuato a vivere Mortimer se ne sarebbe approfittato e una volta preso l’intero controllo del suo corpo e della sua mente l’avrebbe portata a fare cose mostruose. Avrebbe distrutto l’amore e la stima di Gabriel, sarebbe passata per la cattiva e l’assassina di innocenti.

No, decisamente meglio la morte.

Per quanto il piacere che provava nel sentirsi invincibile l’attraeva irresistibilmente non si definiva un mostro. Aveva un cuore e intendeva usarlo. Il cuore di suo padre e di suo fratello avevano smesso da tempo di battere.

Ma anche il suo, in fin dei conti, stava smettendo di pulsare.

Fece per chiudere definitivamente gli occhi quando una luce abbagliante colpì l’intera caverna e rimbalzò sui muri un boato assordante. Dopo essersi allargato in tutto il perimetro come un fuoco d’artificio il bagliore andò a restringersi attorno ad una figura accucciata per terra. Non del tutto incapace di ragionare Rebecca mise faticosamente a fuoco la scena. Ebbe un colpo al cuore quando vide Gabriel a pochi centimetri da lei. Il ragazzo si alzò e corse immediatamente da lei, il suo viso che non vedeva più da due mesi era una maschera di collera e preoccupazione. Si abbassò sul suo corpo e la prese in braccio racchiudendola nel suo petto caldo.

Rebecca provò a ribellarsi.

No…lasciami qui. Se mi salvi sarò la vostra condanna, vi tradirò, mi piacerà uccidervi, mi odierai. Oddio…no, ti prego…lasciami morire…

“N-No…” mormorò la ragazza spingendosi lontana dal petto di Gabriel.

Il ragazzo aumentò la presa e la strinse ancor di più.

No cosa?! Non voglio più sentirti parlare. Ora torni a casa con me e guai a te se provi a dire qualcosa Rebecca, dico sul serio” abbaiò.

“Devi lasciarmi qui!” urlò all’improvviso. Il contatto con il corpo caldo di Gabriel, la sua innaturale ripresa fisica e gli incantesimi ricostituenti che il ragazzo le aveva appena applicato con la mente le diedero subito la forza di rispondere. “Stai commettendo un errore!”

Rosso per la rabbia dalla testa ai piedi Gabriel la mise per terra poco delicatamente e si inginocchiò di fronte a lei. “Non ti lascerò qui, scordatelo. Se me ne vado porterò via con me il caldo che mi accompagna e che ti scalda e gli incantesimi che ti ho fatto si annulleranno, così tu ti ritroverai mezza morta come quando ti ho trovata!”

“Appunto! Devi andartene!” disse disperatamente.

Un pugno allo stomaco avrebbe fatto meno male. “No-Non ti capisco”

“Devo morire!”

Uno schiaffo partì dalla mano aperta di Gabriel andando a colpire la guancia di Rebecca. Per il colpo la testa della ragazza scattò di lato e cadde con il corpo in quella direzione.

Non potendo credere a quello che le aveva fatto Rebecca si toccò con mano tremante il punto in cui lo schiaffo aveva battuto la guancia. Avvertiva un gonfiore e notò con riluttanza che un rivolo di sangue le scendeva dal labbro inferiore.

Non appena si voltò a guardarlo con quel suo viso sconcertato e ferito il ragazzo cadde indietro come colpito allo stomaco. La sua guancia era bordeaux e gonfia, e la sua bocca era sporca di sangue.

La voce tuonò con un grido spaventoso che ruggì dentro il petto della ragazza e automaticamente Rebecca si mise in posizione di difesa come se temesse un altro attacco.

Come ha osato quel mentecatto ad attaccarti?! Sbranalo, affogalo, soffocalo, provocagli un arresto cardiaco!  

Mantenendo la calma la figlia rispose.

Non lo farò fuori, semplicemente lo metto in guardia.

Si era ripresa da pochi secondi e già si rendeva conto di quanto suo padre la influenzasse. Mortimer riusciva ad avere su di lei un enorme potere persuasivo.

Fulminò Gabriel con gli occhi.

Innalzò il labbro superiore con un ringhio.

Era un avvertimento.   



***



Solo una cosa (per la fretta non posso aggiungere altro!!):
RECENSITE!!!!!

Bacioni, la vostra zippo...

 







 

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Capitolo 7
*** L'Eden da riconquistare ***


Cap. 7 - L’EDEN DA RICONQUISTARE -

[Non potevo dirti perché lei si sentisse in quel modo,
si sentiva così ogni giorno
ed io non potevo aiutarla, potevo solo
guardarla mentre faceva sempre gli stessi errori.

Non so a quale posto appartiene,
lei vuole andare a casa ma la casa di nessuno
è dove lei sta: distrutta dentro.

Sii forte.
Sii forte, adesso]

Avril Lavigne - Nobody’s home -



***



Furono secondi interminabili. La scena sembrava procedere a rilento, come a voler calcare la gravità di quello che era successo. Mai. Mai prima di allora Gabriel le aveva messo le mani addosso, sia pure per uno schiaffo. Si erano sempre spiegati e chiariti a parole e Rebecca trovava riluttante l’idea di dover passare alle mani per farsi capire. Non era stato il colpo sulla guancia o il sangue sul labbro a farla star male, semplicemente il fatto che era stato lui.

Si alzò in piedi con un unico, fluido, movimento e sfilò la spada dalla fodera. Come di riflesso anche Gabriel si levò e mise una mano sulla cintura pronto a tirar fuori la spada al minimo segnale di attacco. Mai avrebbe pensato di dover stare all’erta da Rebecca. Eppure le cose cambiano. Basti pensare che si trovavano uno di fronte all’altra con le armi puntate contro.

Il ragazzo alzò le braccia in segno di resa. “Non facciamo sciocchezze. Metti giù la spada”

“Perché dovrei farlo?” sibilò flettendo il polso e facendo ruotare la lama.   

“Perché ho una voglia pazzesca di abbracciarti ma non posso farlo se mi punti una spada al cuore”

Con tentennamento Rebecca abbassò la spada e la rimise nella fodera.

Suo padre grugnì.

Gelosia paterna o sete di sangue?

Gabriel, incapace di starle lontano, si mosse in avanti e Rebecca arretrò.

Gabriel sospirò, frustrato. “Mi dispiace, Rebecca. In quel momento l’unica cosa che volevo era portarti via con me, mi sei mancata così tanto, ti amo così tanto…che quando mi hai detto di voler morire sono scoppiato dalla rabbia e dall’incredulità. Tu non devi morire, non tanto per gli altri ma per me. Non puoi lasciarmi. Che discorsi sono che vuoi morire?!”

Non penserai di perdonarlo, vero?

È così impossibile non volergli bene, guarda che faccia da cucciolo che c’ha.

Moccioso impertinente con gli occhi da cerbiatto…

Sono sicura che ti roderà a morte l’idea di aver avuto tra le mani la possibilità di uccidere l’angelo Gabriele e di essertela fatta scappare. Ma finchè sarò padrona del mio corpo tu non lo tocchi.

Eppure lo stavi per attaccare.

Un piccolo cedimento, niente di irrecuperabile.

Farò in modo di farti abbassare la guardia più spesso, allora.

Gabriel era in attesa, trepidante, leggermente confuso e stordito dall’immobilità della ragazza. Quando vide la sua superbia crollare la raggiunse a grandi falcate e l’abbracciò.

Disse parole a caso che Rebecca non capì ma fu ugualmente contenta. Gli prese il viso tra le mani e lo baciò, Gabriel ricambiò in un modo squisitamente appassionato.

“Non saresti dovuto venire” lo rimproverò.

Gabriel le accarezzò i lisci capelli e glieli baciò. “Ma sei contenta che l’abbia fatto”

Nonostante non volesse ammetterlo, annuì imbarazzata.

“Vieni, siediti, così ti posso riscaldare e quando starai meglio torneremo a casa”

La ragazza fece come gli aveva detto e si sedette accanto a lui nel duro pavimento. Gabriel le passò un braccio intorno alle spalle e l’attrasse a sé. Le toccò la fronte con una mano e Rebecca potè percepire il flusso di energia scorrere dal palmo aperto del ragazzo alla sua testa, infondendole un piacevole senso di calore, senza contare che si sentì le forze aumentare. Con un gesto della mano allontanò la mano di Gabriel dalla sua fronte interrompendo il flusso di energia.

“Ora basta, non voglio farti sprecare altre energie, ne hai già disperse abbastanza venendo qua”

Gabriel la guardò contrariato ma abbassò ugualmente la mano. “Non sono venuto a piedi”

Rebecca si accigliò. “E allora come hai fatto a venire fin quassù?”

“Dimentichi che ho acquistato da tempo i miei poteri di angelo. Ho usato quello che voi umani chiamate teletrasporto”

“Figo!”

“Non l’hai mai usato?”

“No, non ho mai avuto modo di farlo. Di solito faccio spostamenti molto veloci ma non balzo mai da un posto all’altro: troppa energia”  

“Sì, in effetti dovrebbe essere l’ultima risorsa, specialmente se il punto da raggiungere è molto distante”

“Vedi che ho fatto bene a non farti sprecare altre energie? È molto lunga la strada dal villaggio a alle montagne innevate”

Gabriel scrollò le spalle. “Se si tratta di te non mi preoccupano le forze che vado a consumare”

“È questo che mi fa paura”

Il ragazzo le diede un bacio a stampo sulla tempia e socchiuse gli occhi. “Tu faresti lo stesso per me quindi smettila di fare tanto la ragazza saggia”

“E tu smettila di fare l’idiota” sbottò aggrottando la fronte.

“Un idiota che ti ha salvata”

“Avevo tutto sottocontrollo”

“Oh, certo”

Rebecca gli diede una spallata, il volto dipinto da un broncio. “Tu non puoi neanche capire come mi sento”

Il ragazzo corrugò la fronte. “Allora dimmelo”

Rebecca fece per aprire bocca, sapeva che suo padre l’avrebbe bloccata ma volle comunque fare un tentativo. Provò a parlare ma le parole non vennero fuori.

Appunto, come aveva immaginato. Mortimer la stava frenando, schiacciava, premeva sulla sua gola affinché il flusso di parole non potesse uscire dalle sue labbra. Chiuse la bocca e serrò i denti.

“Non posso” riuscì a dire alcuni secondi dopo.

“Pensi che me lo dirai?”

“Penso che dovrai scoprirlo da solo, io non posso parlarne”

Era un’ottima idea. Gabriel era sicuramente un ragazzo molto intelligente e ingegnoso, sapendo quanto gli stava a cuore la sua vita non avrebbe tardato molto a scoprire cosa la turbava. Se suo padre le impediva di parlarne con qualcuno allora sarebbe stato più semplice far sì che qualcuno ci arrivasse di sua spontanea volontà. E la furbizia di Gabriel era cosa assai nota.

Rebecca alzò la testa e incontrò il mento del ragazzo, posò le labbra ormai più calde sul suo mento e poi le premette contro la sua gola. Sentiva le sue vene pulsare. Abbandonò la testa sulla sua spalla.

“Qualcuno…” iniziò esitante il ragazzo. “…ti sta minacciando?”

Dato che non poteva vederla Rebecca si morse il labbro inferiore per trattenersi e fece una smorfia di dolore. “No, nessuno”

“Rebecca, ti prego, se qualcuno ti sta mettendo pressione, ti sta ricattando o spaventando, vieni a dirmelo, lo sai che non può farti niente se ci sono io a proteggerti”

“Lo so, lo so, ma nessuno mi sta facendo niente”

Gabriel parve trattenere il fiato e poi sospirò. “Per prima…mi dispiace”

Ci volle un po’ perché Rebecca capisse che si stava riferendo allo schiaffo. “Non fa niente, anch’io l’avrei fatto”

“Ma è diverso! Se me l’avessi fatto tu non mi avrebbe ferito più del dovuto ma è vergognoso che sia il ragazzo ad alzare le mani contro la sua ragazza” disse serrando i pugni e contraendo i muscoli.

“Dimentichiamo, ok?”

“Non posso dimenticare. Dio! Avessi visto la tua faccia, Rebecca! Eri sconvolta, mi guardavi come se fossi un assassino o, peggio ancora, uno stupratore!”

“Mi hai colta impreparata” sghignazzò cercando di sdrammatizzare.

“Ti prometto che non accadrà più” le promise, con gli occhi che luccicavano dal turbamento.

“Gabriel, anche se per una volta mi hai dato uno schiaffo rimani comunque la persona della quale mi fido di più. Non sarà certo un simile errore a cambiare le cose. Sei l’unica persona alla quale affiderei la mia vita, anche se mi dovessi prendere a schiaffi ogni giorno”

Gabriel rabbrividì all’idea. “Non potrei mai farlo ogni giorno

“Infatti, è stato un caso isolato, smettila di torturarti. Piuttosto, come hai fatto a capire che avevo bisogno di aiuto?”

Il ragazzo sorrise in un modo strano e preoccupante. “Ti sembrerà strano ma è successo mentre stavo dormendo”

“Dormendo?”

“Sì, ho fatto un sogno e in questo sogno tu eri nelle montagne innevate, bianca e fredda. Ho visto il tuo corpo privo di vita venire inghiottito dalla corrente del fiume ghiacciato. Nel mio incubo eri morta e per quanto ho provato a chiamarti non rispondevi. Te n’eri andata, per sempre. Quando mi sono svegliato ero in un lago di sudore, ho capito che non era stato un sogno qualsiasi, non con una tale carica emotiva. La gola mi bruciava come se avessi veramente continuato ad urlare il tuo nome, le mie mani erano fredde e il mio respiro si condensava in una nuvoletta di vapore, proprio come se mi fossi trovato davvero in mezzo ad una tempesta di neve. Mi sono semplicemente lasciato guidare dal mio istinto e il mio istinto mi diceva che eri in pericolo, che il sogno non poteva essere altro se non un avvertimento. Quindi sono corso da Bastian e dopo avergli raccontato ciò che avevo visto mi ha dato il permesso di partire”

Qualcosa non andava.

Suo padre aveva detto che pur di non lasciarla morire avrebbe fatto di tutto.

Questo era accaduto poche ore fa.

Schiarendosi la voce Rebecca gli chiese: “Quando hai fatto questo sogno?”

“Questa notte” disse risoluto.

“Questa notte…? Questa?”

“Sì”

“Oh”

Con il viso in fiamme Rebecca si voltò verso la parete vuota e fulminò un punto impreciso del muro.

Sei stato tu a fargli avere quelle visioni!

Non essere in collera con me, non era ancora arrivato il tuo turno per morire. Se mai dovrai morire, figlia mia, sarà in modo eroico, in un campo di battaglia, e non in mezzo alla neve, da sola, dimenticata da tutti.

È questo che ti preoccupa?! Che il mio nome venga dimenticato in queste montagne?

Non ti meritavi una simile fine.

Spetta a me decidere della mia vita, maledizione! Tu devi morire, creatura dannata del Male, e io dovevo morire con te! Ora per colpa tua sarò costretta a vivere un destino orribile e infame!

Chiami orribile il tuo destino?

Se è quello che mi presenti davanti agli occhi, sì.

Ma per piacere…

“Rebecca?” la chiamò Gabriel.

La ragazza sussultò. “Mi hai chiamata?”

“Se per chiamata intendi dire ripetere il tuo nome venti volte allora sì: ti ho chiamata”

“Dimmi”

“Beh, io volevo sapere…” Rebecca guardò accigliata il disagio di Gabriel, si stava contorcendo nel suo posto e le sue mani non smettevano di picchiettare le ginocchia. Gli fece cenno di continuare. “Volevo sapere se in questi due mesi hai visto Atreius”

Si lasciò andare contro la fredda parete e scosse la testa. “No, non l’ho mai visto e neanche ci tengo a vederlo quel traditore” lo studiò attentamente in viso e poi sorrise. “Geloso, Jonhson?”

Era da molto che non lo chiamava con il suo cognome umano. Gabriel avvampò e distolse lo sguardo rosso come un peperone. “Finiscila!”

Rebecca gli puntellò l’indice contro la guancia e non smise di prenderlo in giro. “Gabriel è geloso…”cantava in una tiritera irritante. “Gabriel è geloso…Gabriel è geloso…Gabriel è geloso…Gabriel è…”

Non fece in tempo a finire la frase che Gabriel la buttò a terra e le montò sopra bloccandole le braccia sopra la testa.

“La vuoi smettere?!” abbaiò.

Immediatamente il sorriso si spense dal volto di Rebecca e questa assunse un’espressione sbigottita, poi ritornò a ridere come prima, se non peggio. Con una velocità e una forza impressionante staccò i polsi da terra aggirando le mani del ragazzo e lo prese per il bavero della giacca avvicinando il viso al suo.

Il suo fiato caldo soffiò sulle labbra di Gabriel facendolo fremere di desiderio. “Smettila a me non lo dici. Sono stata chiara?”  

Impotente, Gabriel fece di “sì” con il capo.

Con una rapida successione di movimenti Rebecca riuscì a liberarsi del corpo di Gabriel e tornò in piedi con le mani sui fianchi, le gambe leggermente divaricate e il cipiglio innalzato.

“Sono stufa di rimanere qui, quando partiamo?”

Ancora un po’ scombussolato il ragazzo sbattè le palpebre un paio di volte. “Q-Quando vuoi”

“Bene” disse trionfante. “Io allora direi di partire adesso. Che ne dici se collaudiamo insieme il teletrasporto?”

Gabriel sbiancò. “No, sei troppo debole. Sarebbe un enorme rischio usare il teletrasporto nelle tue condizioni, ti mancano troppe forze ed energie”

“Bah!” imprecò a voce alta. “Me ne infischio delle energie, sono abbastanza forte da sopportare una tale pressione. Avanti, ti muovi o no?”

Per nulla contento il ragazzo le passò accanto e la fulminò con gli occhi. “Se dovessi farti del male o dovesse accaderti qualcosa, giuro che aspetto che ti rimetti dalla clinica e poi ti ammazzo di botte”

La risata cristallina e innocente di Rebecca echeggiò tra le valli. Si prepararono ad uscire dalla caverna, i piedi ben saldi a terra e il corpo proteso in avanti. Erano molto in alto, sotto di loro il suolo distava di parecchi piedi.

Gabriel non smetteva di fissarla di sottecchi.

“Pronto?” domandò Rebecca piegando le ginocchia, pronta allo slancio.

Il ragazzo fece lo stesso. “Pronto. E tu?”

Rebecca si buttò a braccia aperte nel vuoto. Si girò con il corpo e incrociò le braccia al petto mentre procedeva con la caduta, e lanciò uno sguardo a Gabriel che era ancora fermo nell’imbocco della grotta. Aprì le ali vantandosi di aver creato una visione spettacolare e incantevole.

“Pronta a tutto!”

Un attimo dopo scomparve.

Gabriel roteò gli occhi. “Esibizionista”



***



Rebecca non aveva mai realmente provato il teletrasporto ma fu felice di averlo fatto. La sensazione struggente di essere inghiottiti dentro uno spazio troppo stretto per il tuo corpo era un brivido di piacere che la stordì. Aveva la testa leggera e non sentiva il peso opprimente della gravitazione, tutto sembrava sospeso in un campo di follia, irrazionale e virtuale. Il risucchio, che le scompigliò i capelli fino a renderglieli alti, durò pochi secondi e atterrò con un impatto fragoroso sul terreno fangoso di un campo coltivato. Il corpo ammortizzò il contatto con il suolo e Rebecca si ritrovò con le ginocchia che toccavano terra, in una perfetta posa da felino. Quando si rialzò, con ancora il sorriso stampato in faccia, barcollò sul posto e per poco non cadde. Si sentiva come un ubriaco dopo che il gin era finito: l’effetto di piacere provocato dal teletrasporto aveva lasciato il posto ad un senso di nausea e di scombussolamento generale. Strizzò gli occhi più che poteva per farsi passare il mal di testa e cercò di riacquistare l’equilibrio. Si guardò intorno e vide il villaggio al di sotto della collina.

Si trovava nelle colline che circondavano la contea, venivano utilizzate per la coltivazione e il pascolo del bestiame. Emise uno sbuffo quando notò che i suoi stivali erano ricoperti di terra fangosa. Si passò velocemente una mano sui capelli e girò sé stessa alla ricerca di Gabriel. Vide in lontananza una macchia di luce che si ingrandiva sempre di più e poi la figura del ragazzo uscirne. Gli corse incontro con dei piccoli balzi e gli buttò le braccia al collo. Gabriel rimase sorpreso ma poi sorrise e l’abbracciò a sua volta.

Con il volto che sprizzava gioia da tutti i pori la ragazza guardò con occhi luccicanti il villaggio poco distante. Che sciocca che era stata a dubitare di tutto questo, la sua stupidità per poco non la faceva morire in quella caverna silenziosa e tetra privandola di tutta la bellezza che non pensava di poter mai rivedere e che invece le veniva sbattuta in faccia in quel momento. Credeva di non riuscire più a provare sentimenti come la speranza, l’amore, la pace, la completezza, il benessere…ma per fortuna si era acceso un barlume di speranza e lei poteva ancora sorridere.

Forse non tutto era andato perduto.

La mano di Gabriel toccò la sua e si sentì uno schiocco che sferzò l’aria. Rebecca si ritrovò nella piazza del villaggio, subito una miriade di occhi si puntarono su di lei. Lanciò uno sguardo al ragazzo di fianco a lei che aveva il viso più bello che avesse mai visto. Una nota di soddisfazione, di orgoglio e di protezione gli illuminava il volto. La mano aveva abbandonato la sua e Gabriel avanzò di un passo verso la folla improvvisamente ammutolita.

“Come potete vedere è tornata, Rebecca non c’ha mai abbandonati!” disse a voce alta rivolto al gruppo di persone che si era fermato.

Come colpita al petto Rebecca indietreggiò portandosi una mano al cuore.

È questo quello che pensavano di me? Pensavano che gli avessi abbandonati?  

Improvvisamente si sentì molto mortificata.

In fin dei conti è quello che hai fatto.

Ma l’ho fatto per salvargli! Se fossi rimasta non avrei capito niente di quello che mi stava succedendo e tu avresti continuato a farmi il lavaggio del cervello!  

Io penso che le cose non siano cambiate più di tanto. Io sono ancora qui, non sei riuscita a scacciarmi ed entrambi sappiamo quanto il tuo umore dipenda da me.

Rebecca guardò la schiena di Gabriel, stava ancora parlando, con ardore ed esultanza. Nessuno sembrava notarla, i loro occhi erano solo per Gabriel. Se nessuno la guardava non doveva preoccuparsi di nascondere le sue emozioni che in quell’attimo erano di smarrimento e inquietudine. Sapeva di apparire pallida e sull’attenti perciò fece un altro passo indietro.

Non tanto quanto credi. Sono sempre più forte.

O più stolta.

È la stessa cosa.

Mortimer sorrise e la sua felicità s’irradiò in tutte le cellule del suo corpo. Di rimando anche Rebecca sorrise senza accorgersene.

Santo cielo, siamo legati fino a questo punto?

Stava per scappare via a gambe levate quando Gabriel si voltò verso di lei. Si stupì di trovarla più distante. Le fece cenno di avvicinarsi e lei si avvicinò.

Sorrise e poi parlò con voce controllata e posata. “Sono mortificata di essermene andata via così: senza dirvi nulla. Posso immaginare lo sgomento e le accuse che mi avete riservato e non vi biasimo, l’avrei fatto anch’io al vostro posto. Avrete sicuramente sentito la mia paura come se fosse la vostra ma non dovete temere più nulla. Me ne sono andata che ero una ragazza debole e insicura e ora che sono tornata sono più forte e responsabile. Sono sicura che capirete che il motivo della mia partenza è strettamente legato alla vostra salvezza, non potevo salvare delle vite quando riuscivo a malapena a salvare me stessa. Confido che Bastian e Gabriel vi abbiamo riferito le mie ultime parole prima dell’abbandono e quindi non c’è motivo per ripetermi. Conto nel vostro appoggio e nel vostro perdono, è molto importante per me”

Le mani della folla cominciarono a battere in un applauso mentre le loro teste annuivano compiaciute. Rebecca lo prese come un sano benvenuto e lanciò a Gabriel un chiaro messaggio con gli occhi: “andiamo a casa”. Il ragazzo acconsentì e le passò un braccio attorno al fianco, l’altro braccio si levò in aria e salutò la massa riunita. Anche Rebecca sorrise e salutò, si sentiva tanto una stella del cinema mentre era inquadrata dalle telecamere e salutava i fans, girò sui tacchi e circondò i fianchi di Gabriel.

Aveva bisogno di lui. Ora più che mai sentiva che il suo amore era indispensabile.



***



C’era un qualcosa di incredibilmente tenero nel vedere un arcangelo forte e potente, i cui muscoli tonici brillavano sulle braccia, proteggere il corpo esile e delicato di una ragazza all’apparenza innocente e indifesa. Il viso scolpito di un predatore che guarda con meraviglia quello tenue e fresco di un fiore. Un cacciatore che incantato dalla sua preda abbassa le armi. Sembrava che Gabriel stesse aiutando Rebecca a camminare dal modo in cui la teneva abbracciata e da come le stava addosso. La ragazza gli aveva sussurrato all’orecchio che aveva un bisogno disperato di sentirlo vicino e lui subito si era prestato in suo soccorso. Percepiva una sofferenza quasi palpabile in lei e non capiva il perché.

Prima sembrava così felice di essere tornata a casa mentre ora…

La fiamma che l’aveva tanto scaldata si era spenta rivelando il freddo che c’era attorno. Gabriel non le aveva chiesto niente e aveva accettato di starle vicino per farle capire che lui c’era e ci sarebbe sempre stato. Anche se, vederla così turbata, non faceva altro che alimentare in lui preoccupazioni e timori.

Poi la sofferenza, veloce com’era arrivata, se ne andò altrettanto velocemente. Rebecca sollevò la testa e ammirò la strada che stavano percorrendo come se la vedesse per la prima volta, incontrò gli occhi di Gabriel e poi guardò a terra i propri piedi avanzare, prima uno e poi l’altro, e sorrise. Gabriel fece finta di non notare quel bizzarro cambiamento d’umore e andò oltre il suo comportamento. Con la mano le massaggiò il fianco e parte della schiena come a dire: “ci sono, sono qui”. Rebecca parve accorgersi delle sue coccole perché alzò la testa e lo baciò. Dovettero staccarsi in fretta altrimenti sarebbero andati a sbattere contro qualcosa.

Rebecca appoggiò la testa sulla spalla del ragazzo e si accigliò. “Questa strada non porta a casa nostra”

Casa nostra…che belle parole.

Nostra.

“Infatti stiamo andando a trovare Rosalie. È stata molto in pensiero per te, Rebecca. Dovremmo andare a salutarla, farle vedere che stai bene e che sei di nuovo tra noi come un tempo”

Rebecca sbuffò. “Parli come se fossi stata via per un tempo infinitamente lungo”

“Taci” brontolò.

“Perché non andiamo a casa? Sono stanca e affamata. Sono sicura che Rosalie non se la prenderà se andiamo a trovarla domattina, le diremo la verità: che ero sfinita e che sono corsa e letto sotto le coperte crollando dal sonno”

“E così vuoi andare a casa per dormire?” c’era un ché di malizioso nel suo sguardo acceso.

Rebecca si sentì arrossire ma non distolse gli occhi dai suoi. “Tutto dipende da come mi assecondi. Se torniamo a casa adesso non sarò poi così stanca…”

Ma non completò la frase. Gabriel l’aveva già presa fra le braccia e le sue labbra misero a tacere le sue, mentre teletrasportava entrambi a velocità disumana nella loro stanza da letto.

Non appena la sensazione di essere inghiottiti svanì, Rebecca e Gabriel si ritrovarono sbattuti nella loro camera da letto. Presero a baciarsi con foga e Rebecca lo spingeva tenendolo saldamente per le spalle. Percorsero tutta la stanza camminando uno avvinghiato all’altra finchè Rebecca non lo sbattè con forza contro il muro. Pezzi di soffitto si sgretolarono e caddero sopra le loro teste. Gabriel non si accorse di niente, neanche quando un pezzo di muro lo colpì in pieno. Le loro ossa, le loro membra, erano molto più forti e resistenti dei comuni mortali e perciò la sensazione era la stessa di essere toccati da leggere piume. Il corpo di Rebecca premeva un po’ troppo contro quello di Gabriel e quando lui non ce la fece più la prese per le spalle e sbattè lei contro il muro. Il colpo aprì uno squarciò sulla parete, la crepa zigzava dal basso fino a metà muro. Il ragazzo prese a baciarle avidamente il collo e le mordicchiò il lobo dell’orecchio provocando in lei un gemito. Spinto dai suoi sospiri e dal suo stesso desiderio la sollevò da terra e lei prontamente gli circondò i fianchi con le gambe. La baciava sulle labbra gonfie e pareva divorarla, per Rebecca era una fatica terribile respirare. Lo allontanò e rannicchiò le gambe al petto per poi distenderle colpendolo con un calcio. Gabriel barcollò indietro e urtò la trave del letto a baldacchino che si ruppe spezzandosi in due. La mancanza di spartizione del peso fece crollare l’intero letto che si chiuse su sé stesso con un tonfo da far tremare il pavimento.

Ancora intontito per la botta in pieno petto Gabriel si appoggiò ad una trave che era caduta in verticale. Rebecca si slanciò in avanti con uno scatto di addominali e gli fu di nuovo addosso. Gli buttò le braccia al collo e caddero per terra. Gabriel lasciò che Rebecca stesse sopra di lui solo per qualche secondo poi invertì i ruoli con una forza stramazzante che mise la ragazza al tappeto. Rebecca sbattè la testa contro il pavimento che si spaccò aprendo delle schegge di legno che le provocarono dei tagli sulla schiena e sulle braccia. Cominciando a sentire del dolore pungente provenire da alcune parti del suo corpo si distaccò scaraventando il ragazzo lontano. Una volta in piedi si alzò anche lui e per qualche istante rimasero a fissarsi negli occhi con il respiro affannato, il corpo tremante, i vestiti strappati e le iridi degli occhi scurite dal desiderio.

Gabriel fece per parlare, allarmato e inorridito alla vista del sangue che le colava dalla spalla fino al gomito ma Rebecca puntò il palmo aperto della mano sinistra contro di lui e Gabriel si ritrovò disteso sul letto rotto e polveroso. Come una gatta sinuosa e pronta ad attaccare Rebecca salì con grazia sul letto, graffiando quasi le coperte sotto le sue dita. Gabriel rimase paralizzato alla vista del suo volto e trattenne il fiato quando la sentì pian piano arrampicarsi sul suo corpo. Non fece nulla per fermarla. Era convinto che sarebbe impazzito se non l’avesse avuta subito, immediatamente. Nel momento in cui Rebecca arrivò a posare le sue labbra su quelle di lui, Gabriel sentì che stava per toccare l’apice del piacere.

La desiderava così tanto, così disperatamente, così ardentemente che gli doleva lo stomaco. Il cuore era attorcigliato e contratto per l’attesa, tutto il suo corpo era sotto-sopra. Prese il suo viso tra le mani con violenza facendole capire di sbrigarsi o sarebbe scoppiato. Rebecca gli diede un ultimo, tenero, bacio sulla punta del naso prima di iniziare a sbottonarli i pantaloni.



***



La puzza insistente di legno, di polvere e di detriti fece svegliare Rebecca dal sonno. Si mise a sedere tenendosi il lenzuolo all’altezza del seno e soffocò un gemito di dolore nel sentire i muscoli del proprio corpo pulsare e bruciare. Era tutta indolenzita, le faceva male dappertutto: le gambe erano pesanti e addormentate, la schiena scricchiolava e le ossa parevano rompersi al minimo movimento. Ma ciò che più l’atterrì fu di ritrovarsi le braccia completamente coperte di tagli. Il sangue per fortuna si era già coagulato e non sembrava aver riportato ferite gravi, ma non riusciva ad alzare bene il braccio e se solo sfiorava i graffi un bruciore sconvolgente le faceva venire le lacrime agli occhi. Controllò Gabriel steso al suo fianco che dormiva beato con un sorriso appagato sulle labbra. Sperò di trovare anche a lui delle piccole ferite ma sembrava star bene. Era sano come un pesce.

Rebecca grugnì e incrociò le braccia al petto. Si lasciò cadere indietro con l’intento di appoggiare la schiena alla testiera del letto ma la sua schiena non toccò niente che non fosse il vuoto. Con un grido spaventato Rebecca cadde dal letto e andò a sbattere la testa contro la testiera del letto. Imprecò ad alta voce quando vide il pezzo di legno che avrebbe dovuto sostenerla ai piedi del letto spaccato in due. Si alzò lanciando occhiate omicide alla testiera e andò verso l’armadio per cambiarsi. Fece soltanto tre passi quando urlò di dolore. Questa volta Gabriel si svegliò di soprassalto e si mise a ridere ricadendo sul letto. Rebecca saltellava su un piede solo da una parte all’altra della stanza come un’ossessa mentre teneva stretto tra le mani l’altro piede. Chinata in avanti guardava con odio puro la scheggia di legno che si era conficcata nella pianta del piede. La staccò con forza e la gettò a terra ignorando la fuoriuscita di sangue dalla ferita appena aperta. Si diresse zoppicando fino al guardaroba e aprì l’anta con un ringhio spaventosamente animalesco. Prese i primi vestiti che le capitarono a portata di mano e gli indossò senza troppe cerimonie. Gabriel era ancora allungato nel letto che moriva dal gran ridere.

“Cha hai da ridere tu?!” sbraitò.

Gabriel rotolava sul materasso e si sbellicava dalle risate.

“Smettila o te le tirò in testa!” lo minacciò con un paio di scarpe.

Corse in bagno per pulirsi il piede dal sangue e fece un incantesimo di guarigione. Gabriel la vide scomparire oltre la soglia e mentre rideva un singhiozzo gli si fermò in gola. Deglutì e fece scorrere gli occhi lungo tutta la camera. La stanza era distrutta. Travi pendevano dal soffitto, pezzi di muro erano caduti dal soffitto lasciando dei grossi buchi sul tetto, una parete era stata squarciata a metà mentre sulle altri pareti c’erano delle enormi crepe, il pavimento era stato raschiato, le gambe del letto erano cedute e le assi di legno che reggevano il baldacchino erano sopra il letto spaccate in due. Ma quello che più lo colpì furono le tracce di sangue sul copriletto, delle strisce rosse all’altezza del cuscino. Stava per alzarsi quando tornò in camera Rebecca, leggermente più calma e rilassata. Distese un sorriso e si buttò sul letto accanto a lui con un sospiro sognante.

“Che nottata…” mormorò osservando la camera.

“Fammi vedere dove ti sei fatta male” ordinò il ragazzo con voce rotta.

Rebecca arrotolò le maniche fino alla spalla e Gabriel guardò con orrore il braccio coperto di tagli. Scattò a sedere e allungò una mano verso di lei come a voler toccare quelle ferite sperando che siano solo un incubo. All’ultimo la ragazza tolse il braccio e lo ricoprì con la manica del maglione.

“Non è niente”

“Niente di grave, spero!”

“Niente di grave, sono solo dei graffi”

“Dio…” Gabriel si passò una mano sulla faccia. “Che abbiamo fatto?”

Con un gesto teatrale Rebecca finse di strozzarsi. “Oddio, ci uccideranno per questo!” poi scoppiò a ridere. Gli diede un colpetto sulla spalla. “Dai Gabriel, non è successo niente. Beh…” alzò gli occhi verso il soffitto. “Apparte qualche disastro edile”

“Sei sicura che non ti facciano male i tagli?”

“Certo, ho controllato prima e grazie alla mia guarigione precoce spariranno in meno di due giorni. Contento?”

“Uhm”

“Senti ma…” si avvicinò a lui gattonando nel letto. “…non è che io sia l’unica tra noi due ad avere un corpo pieno di lividi, vero?”  

Il ragazzo non potè non ridere. Guardò Rebecca con gli occhi che brillavano al ricordo della notte appena trascorsa e le indicò la schiena. Rebecca lo aggirò e gli guardò la schiena. Si portò una mano alla bocca per trattenere una risata. La schiena di Gabriel era ricoperta di lividi di varie dimensioni e di un colore blu-violetto. Senza contare che nel suo petto c’era un ematoma a forma di piede.

“Ops” balbettò. “Scusa”

“In effetti sono rimasto scandalizzato quando mi hai tirato quel calcio ma devo dire che è stata l’esperienza più eccitante della mia vita”

Era vero e i suoi occhi lo confermavano.

“È stata la cosa più strana che abbiamo fatto” disse la ragazza.

“La più strana e la più eccitante” la corresse.

“Oh! Ce l’hai con sta storia dell’eccitante!”

Gabriel l’afferrò e le strofinò la testa. Rebecca urlò e lo pregò di fermarsi ma più lei invocava pietà più lui continuava.

In un modo o nell’altro si ritrovarono tutti e due nel letto, avvinghiati, intenti a baciarsi. Gabriel sollevò la maglia di Rebecca ma dovette fermarsi quando la sentì trattenere un lamento. Probabilmente i tagli le facevano ancora male. Riabbassò la maglia e le baciò la fronte. Si sedette sull’orlo del letto e si infilò i boxer che erano finiti per terra. Andò verso la finestra e osservò il sole in lontananza. Era una bella giornata, sembrava che tutto stesse rinascendo. Non vedeva l’ora di fare un po’ di allenamento con Rebecca, giusto per sgranchire le gambe.

Gli scappò una risata.

“Perché ridi?” domandò Rebecca.

“Perché ho pensato a quanto vorrei fare un po’ di allenamento questa mattina” disse, e si indicò le gambe. “Ho i muscoli atrofizzati”   

Gli occhi della ragazza si spalancarono. “Sei pazzo?! I miei muscoli hanno fatto anche troppo allentamento! Sono così ben allenata che sono inchiodata a letto e non riesco più a muovermi!”

“Eri proprio fuori allenamento” la provocò arricciando le labbra in un ghigno.

Rebecca si materializzò. Un secondo prima era adagiata sul letto e ora gli stava davanti a pochi centimetri di distanza con due occhi furiosi.

“E tu? Tu hai fatto tanto allenamento mentre ero via?” sibilò.

Gabriel ghignò e la incatenò con lo sguardo. “Diciamo che mi sono tenuto in forma”

Rebecca gli diede una spinta e s’incamminò verso la porta con i pugni serrati lungo i fianchi. Gabriel le corse dietro con quel suo sorriso biricchino stampato in volto. La bloccò prendendole un polso e la fece girare malamente.

“Ehi!” esclamò Rebecca sentendosi afferrare così bruscamente. Alzò le mani in alto affinché il ragazzo non potesse toccarla ma lui si chinò in avanti e la baciò.

Le mani di Rebecca rimasero alzate a mezzaria anche quando Gabriel si staccò da lei.

“Sei troppo bella quando sei gelosa” le mormorò con voce suadente.

“Ah-Ah, divertente. Peccato che se lo faccio io tu non mi parli più per un giorno intero. Tu sì e io no? Dov’è la parità dei sessi? Non ho il diritto di divertirmi anch’io?”

“Questo è scorretto!” disse puntandole un dito contro.

“Scorretto tu, scorretta io” gli disse e gli fece la linguaccia.

Gabriel avanzò verso di lei impetuosamente e la prese in braccio, ignorando le proteste di Rebecca di rimetterla giù. La mise sul letto e si posizionò tra le sue gambe. Gli teneva le mani strette sui polsi in modo che non potesse scappare o svignarsela.

La faccia di Rebecca era imbronciata. “Mi fanno male le braccia e tutto il corpo”

“Ma così ti risparmio l’allenamento mattutino”

“L’allenamento è importante, non possiamo saltarlo. Mi aiuterà a distendere i muscoli”

Gabriel prese a baciarle il collo e scese verso il suo seno. “Ho io un modo per distendere i tuoi muscoli”

Rebecca fu assalita da un fremito di eccitazione che la portò involontariamente a spingere il bacino verso i fianchi di Gabriel. “Beh, se insisti tanto…”

Un sorriso trionfante baluginò sulle labbra impegnate del ragazzo.



***



Rebecca osservò Gabriel dal divano. Stava bevendo: un gomito era appoggiato al lavabo mentre con la mano teneva alto il bicchiere colmo di acqua fresca. Gabriel non si era accorto che lei lo stava fissando da più di cinque minuti. Quando si girò lei abbassò gli occhi fingendosi presa a leggere un libro. Le passò accanto e gettò un’occhiata a ciò che stava leggendo, poi si bloccò e ritornò a guardarla.

“Rebecca?”

“Shh!” Rebecca gli fece cenno di star zitto, che era molto concentrata sul racconto.

“Rebecca, come fai a leggere un libro scritto nella lingua dei nani?”

Il sangue le si congelò nelle vene. Ora che guardava meglio la scrittura era una lingua mai vista e incomprensibile. Il cervello le andò in tilt.

“Ehm…” spalancò un sorriso mettendo in mostra una fila di denti bianchissimi.

Gabriel scrollò la testa come a dire: “questa è matta, che problemi ha?”

“Sai la lingua dei nani, per caso?”

Con un tonfo Rebecca chiuse il libro e si alzò per rimetterlo a posto nella scansia.

“Non vedo perché ogni volta che sto leggendo tu debba rompermi le scatole. Non dovevi fare qualcosa? Uscire, per esempio?”

Gabriel alzò le spalle e se ne andò in bagno. Rebecca tirò un sospiro di sollievo. Quella mattina Bastian l’aveva chiamato per parlare. Chissà di cosa, poi. Non sapeva che era tornata. Nessuno lo sapeva e Gabriel stava andando da lui proprio per annunciare la lieta notizia, ma non volle portare anche lei. Aveva detto che alla notizia del suo ritorno Bastian avrebbe cominciato a fare domande su domande e poi Rosalie, Kevin, Delia, Denali e i bambini l’avrebbe asfissiata fino all’ora di cena. Voleva lasciarla tranquilla a casa, doveva riposarsi. Erano stati due giorni intensi.

A Rebecca parve strano come da quel pomeriggio nessuno avesse spifferato a Bastian che era tornata. Sembrava che la gente del villaggio oltre alle qualità che già possedeva era anche riservata. Meglio così, era stufa e dolorante, e non avrebbe sopportato di passare un’intera mattinata di interrogatorio e giustificazioni da dare al capo-villaggio. Si rilassò sul divano e aspettò che Gabriel uscisse dal bagno. Sentì l’acqua della doccia scrosciare e quel rumore la calmò. Non appena Gabriel ebbe finito di lavarsi venne fuori dal bagno che era uno splendore, soprattutto i capelli: tutti bagnati e spettinati in aria, scintillanti di quel biondo angelico.

“Io vado. Non so a che ora tornerò a casa, tu fai qualcosa per distrarti ma non affaticarti, mi raccomando. Hai i muscoli a pezzi” e cominciò a ridere deliberatamente sull’ultima affermazione.

La ragazza incrociò le braccia al petto e grugnì. Lui allora, con il sorriso sempre impresso sulla faccia, si chinò su di lei e la baciò. Le diede un buffetto sulla guancia e poi se ne andò.

Rebecca schioccò la lingua e fece scorrere lo sguardo dal salotto alla cucina, dondolandosi sul divano in cerca di uno svago. Il silenzio la stava opprimendo e non pensava di potercela fare a restare in casa per mezza giornata senza far nulla. Sfogliò qualche libro a caso, andò nella dispensa e preparò una torta, si mise addirittura a ballare nel salotto mentre canticchiava una famosa canzone di Nelly Furtado. Rifece il letto e prese appunti dei danni che avevano causato per la ristrutturazione della stanza. Pulì il bagno e spolverò la libreria, trasportò il guardaroba e i loro effetti personali dalla loro stanza da letto in disuso alla sua vecchia camera. Spazzò le scale e quando finì l’ultimo grandino guardò con sguardo furioso l’orologio appeso alla parete.

Le undici.

Gettò la scopa in malo modo nel ripostiglio e decise di uscire per prendersi una boccata d’aria. Si mise il mantello sulle spalle e tirò su il cappuccio, era una brutta giornata, nuvolosa e umida. Sembrava che potesse mettersi a piovere da un momento all’altro, le goccioline parevano addirittura sospese sopra le loro teste. C’era un odore acre di muffa lungo il vialetto e senza pensarci due volte prese la strada che portava al bosco.

Forse cercava la pace e la quiete all’aria aperta perché si ritrovò nella radura ai piedi dello specchio d’acqua che era il laghetto. Si tolse il mantello e si sedette sull’erba umidiccia assaporando la sensazione di libertà che la stava invadendo. I suoi occhi dorati luccicavano di riflessi verdi e argentati mentre osservavano il laghetto. Se solo poteva sarebbe rimasta lì per sempre, si stava così bene…

Fece per allungare le gambe quando un dolore al muscolo la paralizzò. Imprecò e graffiò il terreno con le unghie per il male.

Non sai come fare per star bene quando non stai bene.   

Devo dire, padre, che mi mancavano le tue perle di saggezza. Possibile che io non riesca mai a stare completamente sola?

Mi sembra di essermene rimasto anche un po’ troppo in disparte in questi giorni.

Il viso di Rebecca avvampò per l’imbarazzo e Mortimer ghignò.

Che pretendi? È il mio ragazzo, sbottò.

Oh sì, l’ho visto. Devo ammettere che ho visto delle prestazioni da parte tua, figlia mia, che non credevo possibili per una ragazza all’apparenza così innocente e pudica come te.

Rebecca stava per tirarsi uno schiaffo da sola in faccia.

Solo perché sono una ragazza con dei sani principi e sto dalla parte del bene, questo…questo non vuol dire che non possa piacermi fare sesso con il mio ragazzo!

Se quello lo chiamavi sesso…a me sembrava più che altro un tentativo animalesco di accoppiamento.

Pure le orecchie le andarono a fuoco.

Smettila! Lo stai facendo solo per farmi incavolare! È la cosa che ti riesce sempre meglio! Parli tanto di me ma devi solo rimproverare te stesso!

Me stesso?

Sì, per aver messo al mondo una figlia che ha metà del tuo corredo cromosomico! Se critichi me allora critichi indirettamente anche te stesso dato che siamo praticamente uguali, a quanto pare!

La risposta parve in qualche modo compiacere Mortimer.

In effetti hai ragione, siamo uguali.

Non intendevo dire completamente uguali. Diciamo…solo per certi aspetti.

Solo gli aspetti che riguardano il sesso? Avrai ereditato qualcos’altro da me spero, o devo pensare di aver generato da parte mia una bomba del sesso?

Piantala con questa storia. Ognuno ama a modo suo e io sono sempre stata una ragazza particolarmente passionale. Non trovo che sia sbagliato.

Certo, a meno che non ti ritrovi a distruggere una casa…

Pensa per te, almeno io distruggo case e non famiglie, idiota.

Oh-oh, siamo arrabbiatine questa mattina?

Mah, forse perché qualcuno mi sta facendo prendere in considerazione l’idea di mettere la testa dentro l’acqua e di contare fino a mille!

E chi è?

Rebecca sbuffò ma sotto sotto si stava divertendo. Suo padre non le parlò più e lei ne fu grata, a volte capiva davvero sua figlia. Fantasticò per quelle che le sembrarono ore finchè non udì la voce di suo padre ruggire spaventosamente dentro di lei facendola impaurire.

Arriva.

“Chi?!” disse sia ad alta voce che mentalmente.

Mortimer si ritirò nei meandri della sua coscienza e lei rimase ferma come una statua, i sensi all’erta e una mano sul pugnale che teneva infilato dentro la larga tasca dei pantaloni. Si morse il labbro per il nervoso, si era dimenticata a casa la spada e poteva far conto solo su un misero pugnale che pareva più un coltello da cucina.

Pensò di esplodere dall’ansia quando buttò fuori una generosa manciata d’aria dai polmoni e rilassò i muscoli. Raddrizzò le spalle e lasciò la presa sul pugnale per mettere le mani sui fianchi, in attesa. In volto, un sopraciglio inarcato.

“Ma bene, vedo che pedinarmi in mezzo ai boschi sta diventando la tua ossessione”

Atreius uscì da dietro un albero e fece qualche passo verso di lei. Aveva un sorriso straffottente e amichevole allo stesso tempo.

“Sono venuto qui solo per ordine dei miei consiglieri stregoni”

“A che riguardo?”

“Secondo loro dovrei dirti una cosa molto importante. Scommetto che nostro padre non la penserà allo stesso modo” disse, puntando gli occhi all’altezza del cuore di Rebecca. “In ogni caso anch’io credo che possa aiutarti”

“Dipende chi usufruisce del mio aiuto. Tu? Lui? Voi?”

“Diciamo tu”

Rebecca si accigliò e gli fece cenno di continuare. Atreius le sorrise e mise le mani dietro la schiena. “Voglio che tu sappia quello che realmente ti sta accadendo”

“Se sei venuto a dirmi che la voce che sento è nostro padre allora risparmia fiato perché lo so già”

“Non intendevo quello. Ora io parlerò e tu dovrai ascoltarmi attentamente senza interrompermi, ok?” la ragazza annuì deglutendo. “Come ben saprai ogni angelo apprendista al momento dell’esame per passare ad angelo bianco viene messo a dura prova da parte del Male, che naturalmente lo vorrebbe con sé. Il Male fa vedere, mostra, a questi angeli provetti delle immagini, delle visioni ad occhi aperti o degli incubi su come sarebbe la loro vita se passassero dalla loro parte. Sono visioni allettanti di una vita gloriosa, potente ed eroica che riducono l’angelo debole ad una creatura attratta da queste promesse di fama epica. Naturalmente c’è anche chi non casca in questi tranelli di celebrità. Queste visioni vengono inviate direttamente nella mente dell’angelo violentandola, e sono ripetute continuamente per mesi e mesi finchè il ragazzo non cede. Ora, anche tu essendo un angelo apprendista, dovresti essere messa alla prova ma dato che ormai il Male è diventato un tutt’uno, si è amalgamato con Mortimer, è stato nostro padre stesso a decidere la tua prova”  

Avevi detto che non eri la mia prova!

Ho solo omesso delle cose ma è vero, non sono la tua prova. Sono molto di più.  

Atreius continuò: “Nostro padre ha deciso che per rinascere deve prima alimentarsi con le forze di altro angelo altrettanto potente, potente tanto quanto lui, in modo da non ucciderlo. Ha deciso di essere il parassita del tuo corpo, sorellina, perché per tornare in vita deve cibarsi di una forza in particolare: la magia oscura”

“Ma io non ho magia oscura! Non mi è mai stata insegnata! Come posso possederla?!”

“E qui è dove volevo arrivare fin dall’inizio. Mortimer appropriandosi del tuo corpo ha messo qualcosa di suo, un carattere o un connotato, dentro di te. Essendo nostro padre l’emblema del Male ti ha trasmesso il Male. Dimorando in te sta pian piano infettando il tuo corpo con un veleno che è il suo stesso veleno, in modo da espanderlo. Una volta che il veleno verrà espanso in tutto il tuo corpo lui si ciberà di questa sostanza e rinascerà. Non causerà la tua morte, anzi, sarai anche tu un essere del Male: completamente contaminata da cima a fondo dalla droga dell’oscurità che ti renderà una schiava della notte. Ha scelto te su tutti noi perché ti vuole dalla sua parte più di chiunque altro al mondo, una volta che avrà terminato il suo lavoro non potrai fare più niente per salvarti e senza rendertene conto sarai la sua principessa e siederai sul trono del suo castello. Lui non ti permetterà di parlarne ad anima viva e, per favore, cerca di mettertela via e di convivere con questo tuo destino. Più i giorni passano più lui ti infetta e quando il veleno raggiungerà l’ultimo organo che è la sede del tuo amore e della tua bontà sarai condannata per l’eternità. È il cuore l’ultima ancora che ti tiene legata a questo mondo di speranza e di sogni”

Il volto della ragazza era devastato dalle lacrime, gli occhi inespressivi e rassegnati facevano sgorgare grosse lacrime salate che scendevano impetuose lungo la sua guancia, bagnandole il colletto della maglia.

“N-Non c’è niente c-che posso fare?” domandò ormai percossa da forti singulti.

Atreius scosse la testa. “Mi dispiace ma non potrai fare più niente. Volevo che lo sapessi, volevo che fossi cosciente di quello che ti sta accadendo. Nostro padre preferiva l’effetto a sorpresa ma…” il ragazzo abbassò lo sguardo e per un attimo Rebecca vi scorse l’ombra di un affetto fraterno. “…non volevo che soffrissi. Voglio che tu ti goda gli ultimi giorni, gli ultimi mesi che ti rimangono. Tieniti stretta le persone che ami Rebecca, perché tra poco gli tradirai tutti condannandoli a morte”

Atreius mosse un braccio verso di lei come a volerle accarezzare la guancia bagnata ma poi lo riabbassò e scomparve così com’era venuto.

Tieniti stretta le persone che ami, Rebecca…

La voce di suo fratello riecheggiava con una prepotenza lancinante.

…prima che tu gli uccida tutti.



***



Ed ecco qua in fretta e furia finito un altro capitolo!!
Mi sono lasciata trasportare dal computer in questa settimana, diciamo che ero molto ispirata e per questo
ho scritto molto!!!
Spero che vi sia piaciuto perchè io mi sono divertita un sacco a scriverlo!!!

Recensite, sempre alla ricerca di commenti...hihihi...

Ringrazio tutti quelli che mi commentano, veramente, è molto incoraggiante per me!!!

Il prossimo capitolo si intitolerà: "VICINO AL CUORE"
e ne vedremo delle belle!!!!

Alla prossima, zippo...







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Capitolo 8
*** Vicino al cuore ***


Cap. 8 - VICINO AL CUORE -

[Ma tu sai
che io volevo stare con te,
io ho bisogno che sentissi che ti dicessi
che io ti amo.
Ti ho amata tutto il tempo
e ti perdono
per essere stata lontano così tanto tempo.

Allora riprendo a respirare,
stretta a me e senza lasciarmi più andare via]

Nickelback - Far away -



***



Il bosco quella mattina appariva tranquillo e pacifico. I rami degli alberi oscillavano creando una dolce melodia e le acque del laghetto s’increspavano in piccole onde azzurrine. Tutto era immobile, quasi morente. Nessuno poteva immaginare che in mezzo a quella quiete una persona correva senza meta e senza fiato, calpestando e rompendo tutto ciò che si trovava davanti. Le calde lacrime erano una testimonianza della sua sofferenza e la bocca era semiaperta per far passare l’aria che dal naso non usciva. Il suo piede s’incastrò nella radice di una grossa pianta e cadde rumorosamente a terra, rotolando su sé stessa e scendendo lungo un pendio. I rametti affilati, i ricci e le foglie scalpiccianti graffiarono il suo bel volto rendendoglielo una maschera di sangue. Non appena la discesa terminò crollò a terra con le braccia elevate a coprirsi il viso. Rimase qualche secondo a terra, stanca e sconvolta, incapace di reagire a qualsiasi stimolo.

Era disgustata da sé stessa e da ciò che portava come un’eredità dentro il suo sangue.

Le era sempre parso di essere una ragazza responsabile, buona e ammirata.

Come poteva anche solo immaginare che un veleno terribile e la coscienza di suo padre la stessero pian piano divorando?

Atreius aveva detto che non poteva fare più nulla per salvarsi, che era destinata a subire quel destino, quella vita terrificante dedita alle tenebre. E lei in cuor suo lo sapeva, l’aveva sempre saputo ma non era mai riuscita ad accettarlo.

Quale mostro stava diventando?

Che bestia rischiava di risvegliare?    

Avrebbe saputo rimettere in gabbia la bestia una volta che questa fosse uscita?

No. La risposta era un no.

Doveva chiedere aiuto. Subito, immediatamente. Prima che fosse troppo tardi, prima che condannasse tutti ad una morte certa e spietata. Ma chi? Chi poteva salvarla? Mortimer non le avrebbe permesso di parlarne né con Bastian né con Gabriel. Ma forse…forse se riusciva a dirlo a qualcuno del villaggio che non fossero loro due…forse il potere di suo padre nel controllarla sarebbe stato minore e più facile da respingere!

Ma chi?

Chi?



***



“Così è tornata” non era una domanda bensì un’affermazione.

Bastian si massaggiò il mento, in volto gli era cresciuta un po’ di barba. Era quasi irriconoscibile. Andava avanti e indietro per la stanza e di tanto in tanto lanciava occhiate a Gabriel che era seduto su una sedia: i suoi occhi vuoti seguivano attentamente i suoi spostamenti. Poco dopo entrò Alan, non guardò in faccia nessuno, prese un foglio sopra la tavola e uscì. Pure lui era strano ultimamente, evitava sempre Gabriel e se poteva non lo salutava. Anche sua madre, Adele, era diversa da quando era tornata dall’ultima missione.  

“Già”

“Perché non me l’hai detto prima? E come mai non è qui con noi?”

Gabriel fece ruotare la penna sulle ginocchia e schioccò la lingua. “Aveva bisogno di riposare, è tornata scombussolata e a terra. L’ho costretta a restare a letto” sorrise di quella frase a doppio senso e poi riprese: “Non volevo affaticarla, mi ha detto lei stessa che entro breve ti verrà a trovare così parlerete di tutto”

“E certo che dobbiamo parlare! Le ho permesso di andarsene perché aveva bisogno di schiarirsi la mente ma mi deve qualche spiegazione, senza contare che voglio sapere se ci sono stati miglioramenti. Me la ricordavo molto indecisa riguardo ai suoi doveri”

“Oh Bastian, è così cambiata…” disse Gabriel in un lamento. Strinse la penna tra le mani e prese un profondo respiro per tranquillizzarsi.

“L’ho notato pure io”

“Ma non è cambiata totalmente, è sempre la solita Rebecca, la ragazza che amo, però…c’è qualcosa in lei che…non so, non mi convince. Qualcosa che non riesco a controllare, che non mi aspetto di vedere ma che vedo”

“Pensi che abbia sviluppato una doppia personalità?”

Gabriel sbarrò gli occhi e per un attimo parve cadere dalla sedia. Si ricompose in fretta. “Non vedo come possa essere possibile, non ha nessun tipo di crisi con i suoi poteri”

Bastian mosse la mano davanti al viso come a voler scacciare una mosca. “Sì, hai ragione. Che idea stupida…”

“A questo punto l’unica cosa che mi possa venire in mente è che Rebecca stia affrontando la prova per diventare angelo bianco”

“Ha incubi durante la notte?”

Gabriel scosse la testa.

Bastian continuò: “Durante il giorno la vedi assente, come se facesse un sogno ad occhi aperti?”

“No”

“Ti ha mai raccontato di aver fatto un viaggio astrale?”

“No, neanche quello”

“Ti è mai parso di percepire un distacco magico tra la sua anima e il suo corpo?”

“Come?” domandò accigliato il ragazzo.

“Se tu, ad esempio, vieni colto da una visione malefica, questa visione può staccare la tua coscienza, la tua anima, dal corpo e portarla in un sogno o in un campo magico al di fuori del mondo reale. Il risultato è che il corpo rimane inattivo sulla terra mentre l’anima viaggia in un altro mondo”

“No!” esclamò Gabriel, schifato all’idea di pensare a una Rebecca “spaccata in due”.

“Senza dubbio non la sta mettendo alla prova nessuno, tantomeno il Male in persona. Detto ciò non ho la più pallida idea di cosa le stia capitando”

“Che facciamo?” la voce di Gabriel uscì malinconica e rassegnata.

Bastian si sedette e trascinò la sedia fino ad avere la faccia del ragazzo a pochi centimetri dalla sua.

“Prima di tutto togliti dalla faccia quell’espressione sofferta da cane bastonato. In secondo luogo l’attacco è la difesa migliore”

Con un movimento lento e stanco Gabriel si sfregò una mano sulla fronte come a voler allontanare un forte mal di testa. “Parla chiaro e potabile Bastian, non sono dell’umore adatto per capire le tue battute”

Un po’ imbronciato Bastian si tirò indietro e incrociò le braccia al petto. “Voglio dire, l’unico modo per capire cos’ha Rebecca è quello di starle appiccicato ventiquattro ore su ventiquattro. Prenditi un diario o un’agenda, annota tutti i comportamenti strani o inconsueti che le vedi fare. Una volta alla settimana ci troviamo per leggere il diario e così possiamo capire la causa del suo turbamento”

“Non lo so…Bastian, non mi sembra una buona idea. Sarà come vivere con una paziente in casa della quale bisogna riportare salute mentale e farmaci curativi. Non voglio essere per la mia ragazza un dottore ma una spalla su cui fare affidamento. Possibilmente confidandosi”

“Su questo hai perfettamente ragione ma…”

“Niente “ma”. Piuttosto la inchiodo ad un muro e la minaccio di parlare ma niente finzioni e stratagemmi”

“Non stai valutando la cosa con la testa, Gabriel. Se solo guardassi da un punto di vista oggettivo e imparziale capiresti che l’unico rimedio è l’analisi del suo stato mentale. Ma tu sei così cieco da non capire niente, segui il tuo cuore e non ti fermi a riflettere”

“Ora basta. Me ne vado” sbattè una mano sul tavolo facendo traballare la candela che spanse della cera.

Raccolse la sua giacca e la indossò. Finito di abbottonare l’ultimo bottone salutò Bastian con un freddo sguardo e un “grazie” biascicato, e se ne andò di gran fretta.

Bastian rimase a guardare la porta chiusa dove poco prima era uscito Gabriel. Lo raggiunse alle spalle il fratello Alan che reggeva ancora tra le mani il foglio.

“Pensi che Rebecca sia malata?” chiese Alan fissando le spalle rigide del fratello.

“Non penso che sia malata, penso che sia stata traviata. E lui non lo capisce, non lo vede. Non può vederlo altrimenti impazzirebbe”

“Forse ci siamo, è arrivato il momento in cui la nostra ragazza dovrà scegliere da che parte stare. Primo o poi il Male la metterà di fronte a questa scelta”

“Speriamo solo che non si faccia ingannare”

“O speriamo solo che non prenda un abbaglio”



***



Gabriel tornò a casa più che nervoso che mai. Non appena strinse la maniglia della porta per entrare avrebbe tanto voluto stritolarla tra le mani e romperla in mille pezzettini.

La fanno facile loro: smettila di seguire il cuore, usa la testa.

Che assurdità.

Tutta quella situazione era assurda. La vita stessa era una pazzia. Era pomeriggio, si era fermato da Bastian anche più del dovuto. Apparte l’ultima conversazione che avevano avuto su Rebecca il resto era stato superfluo e inutile.

Fece per chiamare a gran voce la ragazza quando una fitta al cuore lo costrinse a piegarsi in due. Il cuore si stava strappando, lo sentiva. Se respirava il torace si squarciava. Si portò una mano sul petto e la premette nel punto in cui si trovava il cuore. Le ginocchia cedettero e toccarono terra. Con il corpo proteso in avanti, chiuso a riccio, Gabriel non poteva chiamare nessuno perché lo venissero ad aiutare.

Non si intendeva molto di malattie terrestri ma quello che stava provando gli faceva venire in mente qualcosa con il nome di: infarto. Durante l’ora di scienze la sua professoressa aveva detto che si poteva morire per arresto cardiaco.

Ma era stato molto tempo fa.

Viveva un vita diversa.

Fingeva di avere una vita da vivere sulla Terra.

Ma…perché non stava morendo? Eppure i sintomi erano chiari: fitte fortissime al petto, cuore che scoppia, vene che esplodono, mancanza di ossigeno, cedimento del corpo.

Una fitta, la più dolorosa e violenta tra tutte, lo portò a distendersi sul pavimento. Uno spasmo lo fece voltare in posizione supina. Sembrava ad un pesce fuor d’acqua: si dibatteva per terra in preda all’affanno, tremava e sudava.

Così come il dolore era arrivato, una visione, reale e quasi palpabile, gli si insinuò nella mente costringendolo a vedere un sogno ad occhi aperti. Gli spasmi finirono e lui rimase a terra floscio e debole mentre un’immagine partiva nella sua testa a mo di filmato.

Il sogno appariva sfuocato, i movimenti erano scattosi e si vedeva bene a tratti. I colori del paesaggio non erano vivi e accesi ma spenti e giallognoli, come una vignetta vecchia e consunta dagli anni.

Si trovava in un bosco, guardava dal basso verso l’alto. Doveva essere molto piccolo o molto basso. Una ragazza correva davanti a lui, indossava una veste larga che toccava terra. La veste era di un bianco sporco, il cappuccio le copriva la testa.

L’abito le svolazzava intorno da quanto le era enorme…

Un colpo di vento le fece calare il cappuccio sulle spalle e Gabriel si sentì trattenere il respiro quando vide una folta chioma di capelli scuri caderle sulla schiena.

Rebecca…

Anche i capelli le volavano in aria, verso destra e verso sinistra, in una massa liscia e compatta. Con le mani si teneva l’orlo della tunica all’altezza dei fianchi in modo da non inciampare. Gabriel la seguiva da dietro, se solo il sogno gliel’avesse permesso avrebbe potuto allungare un dito verso di lei e le avrebbe toccato la curva morbida della schiena. Poi un rumore, un ululato, gli ghiacciò il sangue nelle vene. Come disperato cercò il volto di Rebecca, per trovare conforto, per farle capire che l’avrebbe protetta. Ma lei continuava a correre e non si accorgeva di niente. Non si rendeva conto che qualcosa la stava raggiungendo e non era così lontano da lei. Gabriel guardò con orrore il movimento tra i cespugli farsi sempre più vicino.

Perché non lo vedeva né lo sentiva? Cosa aspettava?

Quando ormai fu troppo tardi e la bestia mostrò i suoi occhi gialli e indemoniati, Rebecca rallentò e girò su sé stessa. La scena divenne a rallentatore, i capelli le fluttuarono e le ricoprirono il viso in uno schiaffo, gli occhi sbarrati e sconvolti per la paura, rossi e lucidi per il pianto. La bocca con le labbra secche e screpolate aperta in un grido muto.

La bestia esibì due affilati e sporgenti canini.

È tardi.

E poi tutto fu buio.  

Soltanto quando il sogno e il dolore bruciante al cuore smisero, Gabriel si rese conto che Rebecca non era in casa. Per un istante gli venne in mente il sogno e fu attanagliato dalla paura.

Doveva trovarla.

Dov’era?

Forse era troppo tardi.

È tardi.



***



Poteva rivelarsi una perdita di tempo, un inutile tentativo di salvarsi ma Rebecca doveva provarci. Era l’unica persona che le era venuta in mente, una persona affidabile che, ne era convinta, non le avrebbe sbattuto la porta in faccia. Correva affannosamente e senza rallentare. Doveva fare in fretta.

Fretta.

Cos’era la fretta?

Un modo per scappare dal destino che ti rincorre.

E se non sei abbastanza veloce?

Rimpiangerai di non aver corso più forte.

Vide la casa in lontananza: il vialetto colorato e la porta chiusa. Si lasciò condurre dalla foga dei suoi stessi passi e quando si ritrovò la porta di fronte per poco non ci andò a sbattere contro. Picchiò i pugni un paio di volte mentre tendeva gli occhi imploranti verso la maniglia aspettando di vedere la serratura scattare.

Un giro di chiavi e la porta si aprì.

Denali fu sorpreso di vederla. Diede un’occhiata fugace all’interno.

“Ciao, Rebecca! Senti, Rosalie non è in casa, è uscita a fare una passeggiata con i bambini. Se vuoi accomodarti e aspettare finchè non torna…?”

Rebecca lo mise a tacere e lo trafisse con lo sguardo. “Non è Rosalie che cerco. Ho bisogno di parlare con te”

Imbarazzato, Denali si dondolò sui talloni. “In cosa posso esserti utile?”

“Per prima cosa non tenermi sull’uscio della porta e fammi accomodare. C’è una questione di estrema importanza che voglio discutere con te”

Il ragazzo le fece cenno di entrare, lei mosse un piede e subito si sentì bloccata, in trappola.

“Rebecca…?”

Gli occhi di Rebecca si dilatarono esageratamente. Il suo cuore prese a galopparle in gola e si portò una mano sul petto. Era come se tutto il suo corpo sfuggisse ai suoi comandi, ebbe l’impulso di scappare, di andare lontano. Via, via da quel volto compassionevole e sincero. Lui non voleva che chiedesse aiuto, non voleva che ne parlasse con nessuno e ora stavano lottando per decidere chi dei due doveva avere il monopolio del suo corpo.

Ti avevo detto di non parlarne con nessuno! Come osi disubbidire?!

Facendo mente locale e attingendo ai suoi poteri Rebecca cercò di sconfinarlo in un angolo remoto del suo essere.

Non ce la farai tanto facilmente. Non ti permetterò di svelare il nostro segreto ad anima viva.

Io sono forte.

Perché non accetti con gioia il futuro che ti sto presentando? Smettila di lottare contro di me, figlia. Possiamo collaborare, è meglio che farci la guerra.

Ma io non voglio la tua vita da dannata!

Ormai non c’è più niente da fare per rimediare al veleno che ti scorre nel sangue. Non faresti prima ad arrenderti?

Mai.

È così difficile per te abbracciare una vita fatta di gloria, forza e potere? Adori così tanto lavorare per un capo che ti controlla e ti dà ordini? Provi piacere nel vedere il tuo potere che acquisti giorno dopo giorno andare nelle mani di un altro? Ti struggi per la compassione e la pietà? A te, per prima, farebbe piacere essere trattata come una che ha bisogno di pietà?

Vedi le cose da una prospettiva sbagliata. Non puoi capire il Bene perché non lo hai mai realmente seguito.

Quindi rimani della tua idea?

Fino alla fine.

In tal caso dovrò impedirtelo.

Posso batterti.

Ed era vero. Il potente flusso di energia che Rebecca stava evocando sembrava prosciugare le forze di Mortimer. Lo sentiva sempre meno, sempre più distante come se se ne stesse andando da qualche altra parte. Suo padre ruggiva, tirava fuori denti e unghie per rimanere attraccato a quella che era la sua volontà.

Lo udì un’ultima volta prima di scacciarlo definitivamente dalla sua testa.

Stava recitando un incantesimo nell’antica lingua. Rebecca captò alcune parole ma capì perfettamente cosa stava facendo.

Potrai parlare di questo segreto ad una persona soltanto e questa persona sarà vincolata al silenzio nel momento stesso in cui le sarà svelato il mistero. La magia sarà custode di tale arcano: non permetterà mai che si apra bocca.

Un altro modo per mettermi in difficoltà

In un modo o nell’altro devo salvaguardarmi.

Denali non potrà farne parola con nessuno e sarà costretto a portare sulle spalle un peso insopportabile. È la cosa più giusta?

Da come vedo stai già iniziando a rovinare le loro vite.

Lo sentì gioire del suo turbamento. Rebecca serrò la mascella per scacciare il dolore dovuto al torpore delle sue membra.

Senza esitare entrò in casa. Era scappata al suo controllo. Aveva ragione: su una persona insignificante come Denali, Mortimer, era più debole poiché il suo potere non trovava abbastanza appigli o influssi magici sui quali attaccarsi.

Denali la seguì in salotto restando a qualche metro di distanza.

“Ti senti bene? Sei tutta sudata e molto pallida. Vuoi che chiami un curatore? Ti aiuto a distenderti?”

Le ossa scricchiolavano ad ogni passo e le pareva di aver le gambe fatte di gelatina.

“No…” mormorò. “Devo solo sedermi”

Denali scattò come un molla e l’aiutò con premura a stendersi sul divano. Le si sedette davanti e racchiuse le mani sotto il mento, sembrava stesse pregando tra sé e sé. La cosa turbò Rebecca, non era mica una malata da compiangere.

Non ancora, almeno.

“Denali, ho un grosso favore da chiederti. Non appena avrò finito di parlare potrai anche buttarmi fuori di casa a calci nel sedere ma devi, devi, qualcuno deve, sapere ciò che sto per dirti. Ho un bisogno disperato di condividere questo segreto e se accetterai di aiutarmi dovrai starmi veramente accanto”

Il nervosismo del ragazzo era tangibile. Si sistemò meglio nel divano e prese un profondo respiro.

“Sai che qualunque cosa tu abbia da dirmi non mi tirerò indietro. Sono pronto ad ascoltarti”

Rebecca era così felice che dalla contentezza le scapparono delle lacrime. Le asciugò in fretta, imbarazzata. Sapeva di non doversi illudere tanto presto ma non poteva farci niente, le venne automatico provare ancora speranza.

Non è il dolore che uccide l’uomo. È la speranza che lo distrugge.

Strano come tali aforismi le venissero in mente.

Parlò con voce bassa e fluida. Non tralasciò nessun particolare, gli raccontò tutto dal principio fino a quella mattina. Riportò i suoi aneddoti delle montagne innevate, di quando tornò a casa, dell’incontro con Atreius, del meccanismo di trasformazione ad opera del veleno e di suo padre, di quello che stava diventando e di come funzionava la “contaminazione” del corpo.

Gabriel aveva ragione nel dire che Denali era il suo migliore amico in quanto era la persona più affidabile e responsabile che avesse mai incontrato.

Nonostante le atrocità e gli orrori che gli stava narrando lui non trapelò nessun’ombra di dubbio, di disgusto o repulsione. La guardava con tenerezza e dolcezza, pur mantenendo sempre quell’aspetto autoritario e serio tipico di un capo. Rebecca gli parlò della sua conversazione con Atreius, ripetendo le stesse identiche parole che si erano detti, e quando confessò che gli avrebbe uccisi tutti scoppiò a piangere senza ritegno. Denali le posò una mano sulle gambe tremanti in un significativo gesto di protezione e conforto. Ian ed Emma erano fortunati ad avere un padre così premuroso e combattivo. Provò un senso di invidia nei confronti dei due bambini perché avevano un tale amore.

Denali non battè ciglio neanche quando la ragazza gli dichiarò con voce addolorata che sarebbe stato vincolato dalla magia al silenzio per la loro conversazione.

“Ti aiuterò. Da quello che ho capito non posso far appello a nessuno ma cercherò un modo per tirarti fuori da questo imbroglio. Tuo padre ti controlla se vede che cerchi un modo per sconfiggerlo?”

“Sì, l’ultima volta che ho tentato di cavarmela da sola è stato nelle montagne innevate. Pensavo di riuscire io stessa ad ucciderlo ma non mi ha permesso di portare a termine il mio compito. Ha controllato il mio corpo e la mia mente per inviare un sogno a Gabriel. Se trovassi un modo per sbarazzarmi di lui mi farebbe smettere immediatamente”

“Ho capito. Quindi ti serve un aiuto esterno, Mortimer non ha poteri di manipolazione su nessuno che non sia tu e io posso agire indisturbato”

“Esatto”

“Che cosa ti serve?” le domandò.

Una piccola sensazione di resistenza la fece traballare. Suo padre non demordeva. Non si fece intimidire.

“Mi serve che trovi tutte le informazioni possibili riguardo ad un veleno in grado di corrompere l’animo. Devo sapere come agisce, dove e quanto tempo impiega a infettare il corpo. Quando saprò di più dovremo cercare una cura, un rimedio alla trasformazione. Un antidoto, una pozione, che fermi il veleno e lo estirpi dal mio corpo. Mortimer non mi permetterà neppure di avvicinarmi ad un libro che reputa gravoso per la sua vita perciò dovrai farlo tu al mio posto”

“Ok, va bene”

“Potrei avere delle ricadute Denali, dei giorni in cui sarò scontrosa e cattiva, in grado persino di attaccare qualcuno del villaggio. Ti prego, se dovessi ferire Gabriel o Rosalie senza rendermene conto…”

“Non preoccuparti, sarò il tuo sostegno e la tua copertura”

“Spero solo di avere abbastanza autocontrollo…e tempo”

Ci fu un attimo di silenzio. Denali la scrutava attentamente e Rebecca fu sollevata nel vedere che il suo sguardo era curioso e non angustiato.

“Come ci si sente?” chiese il ragazzo sollevando il mento.

“Impotenti” sussurrò tristemente. “Senti che il tuo corpo non ti appartiene più, che non sei l’unico ad averlo per sé. Alcune volte agisco contro la mia volontà e allora è come se fossi spaccata in due, due forze che mi tirano e mi danno tormento. Raramente, durante il giorno, posso percepire il veleno mentre scorre nelle mie vene, nel mio sangue, infettandomelo. Ci sono mattine che mi sveglio e ho le membra intorpidite come se quel pezzo di corpo non fosse mio e allora devo pregare per sentirmi di nuovo le gambe. Ogni tanto il veleno raggiunge una parte del mio corpo e l’irruzione è così violenta che vengo colta da improvvisi malori, l’aria che respiro diventa pesante e sa di catrame. A volte mi chiedo cosa succederà quando il veleno raggiungerà il cervello. O peggio ancora, il cuore”

Denali la fissava impietosito. Boccheggiò un paio di volte e poi nascose la testa fra le mani. Forse era troppo anche per lui.

“Oddio…Rebecca, che ti è successo?” mormorò con voce rotta.

“Non è detto che ad una persona infinitamente buona debbano capitare sempre cose infinitamente buone. Io ho avuto la sfortuna di discendere da un ramo malato della famiglia”

Gli occhi di Denali erano spalancati per la paura. “Non posso credere che stia succedendo proprio a te. Come faremo se…?” gli mancò la voce. “Abbiamo delle possibilità di vittoria, almeno?”

Le vennero in mente le parole di suo fratello. La cruda e vera verità la fece tremare.  

“Non penso ma dobbiamo tentare ugualmente”         

“Sono orgoglioso che tu ti sia rivolta a me. Scartando Gabriel e Bastian potevi chiederlo a chiunque. Perché hai scelto me?”

Rebecca si sentì un groppo in gola. “Perché sei il padre che non ho mai avuto”

Denali si lasciò scappare una risata sincera. “Ti ringrazio”

“Ian ed Emma sono fortunati ad avere te come padre”

Il ragazzo si addolorò per la profonda tristezza che lesse dentro gli occhi abbassati di Rebecca. Sicuramente soffriva molto per la maledizione che il suo stesso genitore le aveva inferto. Doveva essere una ferita che bruciava e che lasciava continue cicatrici.

Di colpo Rebecca si alzò dal divano. Fissava con occhi terrorizzati la finestra che dava sul vialetto. Si voltò verso Denali e lui vide che tremava.

“Sta arrivando”

“Chi?” domandò alzandosi a sua volta, non sapendo che fare.

“Gabriel. Non devi dirgli che sono qui, ti prego!”

“O-Ok…va bene. Và a nasconderti!”

Le indicò una porta nel corridoio. Rebecca vi ci si catapultò dentro e la richiuse. Era uno sgabuzzino dove tenevano le scope e gli stracci, lo spazio era quadrato e molto ristretto. Si appiattì contro la parete e cercò di tranquillizzare il battito del suo cuore che andava a mille. Se continuava a battere così forte Gabriel l’avrebbe sicuramente sentita.

Udì dei battiti frenetici sulla porta e la voce di Denali che andava ad aprire.

L’irritava non poter vedere niente perciò, facendo attenzione, appoggiò un orecchio contro la porta dello sgabuzzino per ascoltare. Non appena lo accostò sentì la voce arrabbiata di Gabriel.

“Come non sai dov’è?! L’ho cercata dappertutto! Ho messo a soqquadro l’intero villaggio per trovarla e l’unico posto che mi manca da guardare è casa tua!” era fuori di sé.

La voce di Denali era leggermente impacciata. Non era capace di mentire.

O forse era lei che stava diventando una maga del fingere?

“M-Mi dispiace, Gabriel. Non l’ho vista, n-non è passata da casa mia. Te lo direi, altrimenti”

“Me ne sbatto di quello che vedi! Ho bisogno di sapere dov’è!”

“Perché ti scaldi tanto?”

Rebecca sentì il rumore dell’aria che sferzava il vuoto e poi il frastuono di qualcosa che si rompeva e cadeva a terra. Immaginò Gabriel colpire con un pugno un vaso e romperlo in mille pezzi.

Le corse sulla schiena un brivido di freddo. L’aveva fatto arrabbiare, e parecchio.

“Mi scaldo tanto perché l’unica giustificazione che mi viene in mente per la sua scomparsa è che se ne sia andata un’altra volta!” urlò.   

“Non lo farebbe mai un’altra volta! Aspetta che venga sera e poi se non è ancora tornata mobilita un esercito, parti con mezzo villaggio, scomoda tutta Chenzo, ma abbi fede!”

Non aveva mai sentito Denali alzare la voce in quel modo. Un sorriso compiaciuto le incorniciò il volto pallido e teso.

Bravo Denali, così si fa. Hai capito come và preso Gabriel.

“Fede?!” le parve di vederlo sputare al suono di quella parola. “Non è di certo la fede che mi aiuta a guarirla!”

“Guarirla?”

“Rebecca non sta bene, Denali! È importante per lo stato in cui si trova che io sappia dove sia. Non aspetterò fino a stasera”

“Dalle il tempo di tornare, magari è andata…”

“Dove? Ho controllato e non c’è traccia di lei. Vuoi che aspetta mentre lei va a trovare il suo caro paparino defunto e il suo fratello adorato?! Me ne sto qui con le mani in mano finchè Rebecca si congiunge con la sua famiglia di pazzi?!”

Per uno strano e sconosciuto motivo non le piacque per niente il modo in cui Gabriel aveva definito la sua famiglia. Strinse forte i pugni lungo i fianchi per non urlare.

“Aspetta che arrivi sera. Fidati, arriverà”

Denali sapeva che sarebbe tornata e la sua bugia stava diventando molto credibile.

“Perché dovrei fidarmi di lei?”

Sapeva che Gabriel non lo pensava sul serio, che era troppo accecato dall’ira per ragionare lucidamente, ma la sua espressione fu quella di chi aveva appena ricevuto un pugno. Non potè trattenersi dal sentirsi ferita e umiliata.

Perché dovrei fidarmi di lei?    

Ricacciò indietro le lacrime ma non ci riuscì con il groppo in gola che stava diventando un macigno soffocante.

“Non dovresti dire queste cose, Gabriel” la voce di Denali esprimeva tutta la sua incredulità.

“Ne ho abbastanza. Vedo che qui Rebecca non c’è. La cercherò altrove”

“Aspettala a casa”

Non si sentì la risposta, in cambio la porta si aprì e sbattè con forza.

Udì i passi di Denali farsi vicini e poi la porta si spalancò. La faccia del ragazzo era scombussolata, imbronciata, e i suoi occhi erano spenti. Rebecca sapeva di non avere un aspetto migliore, doveva sembrare ad un cadavere. Uscì dal ripostiglio e abbracciò Denali con disperazione. Pianse sulla sua spalla come una bambina, voleva sprofondare per il dolore. Denali la consolò come meglio poteva: dandole colpetti sulla schiena e ripetendole una serie di: “shh”.

“Mi odia!” piagnucolò tra le lacrime.

“No, non ti odia e tu non gli darai motivo per odiarti”

“Oh Denali, come farò a sopravvivere a tutto questo?”

Denali non parlò. Un singulto la scosse da capo a piedi e pianse ancora più forte.

Ho rovinato tutto.

Chi si è preso la mia felicità?

Tornerò mai a sorridere ancora?



***



Sarò stata brava a terminarlo in quasi dieci giorni!!!!
Ora devo dire che vado molto più spedita dato che la storia mi sta prendendo...e non riesco a smettere
di scrivere!!!
Dovrei studiare, andare fuori con gli amici, fare altre cose ma mi ritrovo
sempre a scrivere sta storia!!!
Spero veramente che vi sia piaciuto anche questo
capitolo!!! Diciamo che stiamo arrivando a metà racconto tra breve!!! Recensite, mi raccomando che son sempre
stra-contenta quando lo fate!!
(pazza chicca90!! che è diventata dipendente
--->facciamo un applauso!! hihhi <---

Il prossimo capitolo si intitolerà: "L'ELEFANTE E LA FARFALLA"
e devo dire che Gabriel nel prossimo capitolo sarò MOLTO ma MOLTO stronzo!!!! e vedrete perchè...
vi dico solo che ci sarà un'altra
ragazza...



"I THANKS":

CHICCA90: sono contenta che questo capitolo ti sia molto piaciuto, questo è sicuramente meno bello ma devo far accadere le cose con calma!!! è strabiliante la meticolosità con cui segui la mia storia per questo ti ringrazio tantissimo!!!! fammi sapere di questo cap, mi raccomando..bacioni

ANGELOFLOVE: eh miseriaccia, Gabriel arriverà sì a capire che Mortimer è in Rebecca ma lo farà troppo tardi!!! sarà proprio la lentezza nel capire di Gabriel che farà crollare un po' tutto!! ma per fortuna Rebecca ha trovato Denali perchè se aspettiamo Gabriel.....!!! hihihih alla prossima!!!













 

 

 

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Capitolo 9
*** L'elefante e la farfalla ***


Cap. 9 - L’ELEFANTE E LA FARFALLA -

[Un periodo difficile stava scorrendo,
i miei occhi non riuscivano a vedere le stelle brillare,
il mio cuore non riusciva a sentire la bellezza del sole che sorgeva.

Perché si è rotto, rotto.
Qualcosa si è rotto, come rubato.
Ho sofferto ed ora
solo il tempo lo dirà.

Il tempo curerà]

Elisa - Broken -



***



Con la testa china Rebecca tornò a casa quella sera. Per tutta la via del ritorno si era torturata le mani e pensava con affanno quale reazione avrebbe avuto Gabriel nel vederla. Che era arrabbiato era palese, ma questa volta un altro tipo di timore, diverso dalla paura di confrontarsi, la rendeva incapace di calmare i propri fremiti. Era il terrore di essere lasciati ed era la cosa più spaventosa e agghiacciante che avesse mai provato in tutta la sua vita. Non sapeva dire con esattezza che avrebbe fatto se Gabriel l’avesse mollata, non poteva sapere se sarebbe esplosa dall’urlare o ammutolita finendo per svenire dal dolore.

Era appesa ad un filo lungo e sottile, bastava poco perché cadesse verso pozzi più profondi e oscuri.

Con passo strascicato ed esitante barcollò fino alla porta di casa e bussò tre volte. Per fortuna che la notte e la luna alle sue spalle le nascondevano gli occhi rigati di lacrime. Non appena sentì dei passi affrettati giungere verso la porta si coprì il volto con le mani, piangeva così tanto che era scossa dai singulti e non voleva che lui la vedesse in quello stato. Pianse ancora più forte quando vide tra la fessura delle mani la porta spalancarsi.

Si sentì afferrare con forza per il polso, la mano di Gabriel la stringeva con brutalità e la tirò dentro casa. La mollò con uno strattone e il suo braccio ciondolò inerme lungo il fianco mentre l’altra mano scendeva dagli occhi fino alle guancie in un’espressione disperata. I suoi occhi spalancati incontrarono quelli di Gabriel che bruciavano di collera. Il suo petto si alzava e si abbassava come quello di una bestia ferita, le labbra formavano una linea dritta e rigida e i pugni erano serrati.

La delusione che lesse nel suo sguardo la fece crollare.

“Dove sei stata?” domandò.

Aveva pianto, ne era sicura. La sua voce vibrante era talmente roca da risultare commossa, sebbene stesse facendo di tutto per apparire distaccato e impassibile.

“I-Io…”

“Ho perlustrato tutto il villaggio quindi evita di raccontarmi stronzate, per favore. Faresti prima a dirmi la verità”

Durezza.

Era freddo come il marmo.

Rebecca esitò. “Mi dispiace”

Mi stai tradendo con Atreius, non è vero Rebecca?

È lui che vedi quando te ne vai via di nascosto?

Gabriel sospirò.

Tutte le volte che non riusciva a trovarla, che spariva per ore o per un giorno intero…il dubbio stava diventando conferma, altrimenti come si spiegava le sue fughe improvvise e i suoi silenzi? Il fatto che non volesse dirgli la verità implicava che nascondesse qualcosa di losco e di proibito.

Subito sentì il sangue andargli al cervello.

“Non dispiacertene, tesoro. Basta che mi dici dove sei stata”

Rebecca indietreggiò.

Non posso dirtelo! Lui non me lo permette! Cosa posso raccontarti affinché tu creda alla mia bugia?

“Non posso” sussurrò.

Capì di aver detto la cosa sbagliata nel momento in cui il ragazzo la urtò contro il muro e le circondò il collo con la mano. La presa che aveva su di lei la stava soffocando.

“Sono stufo di sentirti dire che non puoi dirmi dove vai. Si può sapere dove sparisci? Con chi ti vedi?” urlò.

“Smettila Gabriel, mi stai facendo male”

“E tu mi stai uccidendo da quando sei tornata! Non ne posso più delle tue scuse, delle tue assenze, dei tuoi comportamenti ambigui e dei tuoi sbalzi d’umore! Mi sono stufato, Rebecca! Sono un uomo ormai e principi come la fedeltà, il dialogo e la collaborazione sono essenziali per me. Ora basta giocare, dimmelo altrimenti…” lasciò la frase in sospeso e aumentò la stretta attorno al suo collo.

Per la prima volta, da quando Rebecca lo conosceva, ebbe paura di lui.    

Si portò le mani sul collo cercando di allentare la presa ma Gabriel non dava segno di voler abbassare le mani.

“Basta…così mi uccidi…” disse con voce soffocata.

Gabriel digrignò i denti e si chinò su di lei. La fissò intensamente e con un odio talmente profondo che la ragazza si sentì mancare il respiro.

“Ti vedi con Atreius, vero?” sibilò.

“Che cosa?! No! N-No…! No!” esclamò, indignata da tale idiozia.

“Ti vedi con lui. È così, giusto? Quante bugie e falsità…non t’importa che io possa morire di gelosia, a te basta che qualcuno ti renda felice! Scommetto che vi vedete di nascosto, magari in mezzo al bosco così nessuno può vederlo mentre ti sbatte!”

“Non è vero! Come puoi dire una cosa simile?!” disse cercando di allontanarlo.

“Cosa ti dà Atreius più di me? Il brivido del peccato oppure è semplicemente più bravo di me nel portarsi a letto le ragazze?!”

Contro ogni buon senso Rebecca lo colpì con una ginocchiata all’inguine. Gabriel si piegò su sé stesso imprecando e poi gli diede un calcio che lo fece volare infondo alla stanza. Il ragazzo sbattè la schiena contro la porta e le chiavi caddero dalla fessura con un tonfo metallico.

Non può essere vero.

Da quando siamo diventati così?

Perchè non potevo vivere tenendomi stretta la mia felicità?

Ora posso anche smettere di sognare.

Ormai è tutto fumo che appanna gli occhi.

“Che cosa ti sembro?!” sbraitò Rebecca rossa in volto, avvicinandosi minacciosamente verso di lui. “Una puttana?!”

Gabriel si alzò in piedi tremolante e si mise a ridere. “È questo il nome per una ragazza che fa sesso con più uomini oltre al suo ragazzo”

La violenza delle sue parole la lasciarono turbata. “Io non faccio sesso con nessuno che non sia tu! Perché diavolo non mi credi?!”

“Questa è la stronzata che più ti è riuscita di dire, Rebecca! Vuoi per caso negare che in questi giorni non hai mai visto Atreius?!”

“Io…”

Pur di mantenere il mio segreto sono costretta a ferirti.

Dovrò farti credere quello che vuoi sentirti dire per salvare me stessa.

Ma a che prezzo…

“Rispondimi, maledizione!” tuonò il ragazzo.

Rebecca abbassò la testa mortificata. “Non posso. Mi dispiace, io…non posso”

“Bene! Bene!” esclamò buttando le braccia in aria. “Sai che ti dico?”

“No…” piagnucolò lei, scuotendo la testa.

Sapeva bene dove stava andando a parare e doveva fermarlo a qualsiasi costo.

Fece per correre verso di lui e tappargli la bocca ma fu troppo tardi.  

“Continua a fare l’amore con il tuo amante ma non chiedermi più il mio corpo. Non provare a trovare conforto nel mio calore perché mi hai deluso” fece un respiro agonizzante. “Mi hai tradito”

Rebecca lo prese per le spalle e lo scrollò con violenza. “Non ti ho mai tradito! Non l’ho mai fatto! Gabriel, sei stato l’unico ragazzo con il quale io abbia mai fatto l’amore! Devi credermi, io non posso farne parola con nessuno ma tu devi avere fiducia in me o tutto andrà perduto!”

“Allora neghi di averlo visto? Lo neghi?!”

La ragazza scoppiò a piangere. Era impossibile per lei dire a Gabriel cosa le stava succedendo, suo padre era pronto ad intervenire mentre mascherava una finta indifferenza.

Con espressione tormentata dovette negare.

“No” disse tra le lacrime.   

Gabriel barcollò indietro e dovette appoggiarsi alla porta per non cadere. “Quindi hai visto Atreius”

“Sì”

Mi dispiace ma è l’unica cosa che mi è dato dire. La verità è sepolta dentro di me e morirà con me e Denali poiché nessuno dei due potrà mai parlarne. Posso solo fingere, anche se questo mi costerà il tuo amore.

Ma questa volta, Gabriel, non posso essere sincera.

Una smorfia schifata dipinse il volto di Gabriel. I suoi occhi squadrarono il corpo della ragazza con un’aria disgustata. Immaginava Rebecca nuda tra le braccia di Atreius mentre lui la toccava. Si sentì corrodere dalla gelosia e dall’ira.

“Con Atreius” boccheggiò. “Mi hai tradito con il mio peggior nemico”

Rebecca fissava con occhi acquosi il pavimento, troppo sconvolta per parlare, per salvare la situazione con un’altra bugia. Ma Gabriel era convinto che lei lo tradisse e forse questa era una realtà meno dolorosa del confessargli il suo destino accanto al Male.

“Io.Non.Ti.Ho.Tradito” sillabò con voce ferma.

Gabriel aggrottò la fronte in un gesto spavaldo e spaccoso. “E che cosa avresti fatto con Atreius? Sentiamo…gli avresti parlato, fatto la predica? Forse avete fatto qualche lotta insieme! Ma certo! Vi trovavate puntualmente e regolarmente da qualche parte nel bosco per fare la lotta! Che scemo che sono stato a non esserci arrivato prima!”

“Sei uno stupido se non ti fidi di me”

Gabriel si abbassò e raccolse il mazzo di chiavi che era caduto per aprire la porta.

Stava uscendo.

Di notte. A quell’ora.

“Dove vai?” domandò allarmata Rebecca. “Fermati! Dobbiamo ancora finire di parlare! Non puoi andartene nel bel mezzo di una discussione!”

“Ti lascio la casa libera! Così non occorre che tu e il tuo amante facciate sesso distesi sul terreno sassoso e graffiante. Sai altrimenti che mal di schiena?” disse con quel suo sorrisino falsamente divertito.  

Uscì e sbattè la porta con così tanta violenza che i quadretti appesi al muro oscillarono e crollarono a terra spaccando il vetro della cornice. I pezzetti di vetro si sparpagliarono lungo il pavimento e rotolarono finchè non decisero di fermarsi.

Trattenendo a stento le lacrime Rebecca si voltò e corse a letto.

Non appena si lasciò andare contro il materasso e subito il calore delle coperte le infuse un senso di protezione diede libero sfogo alla sua sofferenza.

È orribile…

“È troppo…” pensò a voce alta.

Avvertì come una scossa il veleno muoversi nel suo corpo. Lo sentì salire e avvicinarsi fluidamente al suo cuore. Dove scorreva come un liquido denso e corrosivo percepiva quel tratto di corpo intorpidirsi e diventare di ghiaccio.

Che succedeva se il veleno infettava il cuore?    



***



Erano passate due o tre ore da quando Gabriel se n’era andato e Rebecca fu svegliata di soprassalto nel cuore della notte da un rumore in corridoio. Amplificò le sue capacità uditive estendendole sull’intero piano. Era un rumore di passi, c’era qualcuno in casa che si stava dirigendo in camera sua, poteva cogliere alcuni frammenti dei suoi pensieri. Tornò a dormire con una triste rassegnazione.  

Che sia anche un Nim, non m’interessa. Che mi uccida pure, se dovessi morire in questo momento non m’importerebbe.

Ma i passi si fermarono davanti alla porta della sua camera e Rebecca, leggendo con più chiarezza i suoi pensieri, capì che non era né un nemico né un malintenzionato.

Lo sentì avanzare nella stanza e salire sul letto, poteva percepire la pressione dovuta alle sue ginocchia mentre si sollevava. Rimase rannicchiata sul fianco facendo finta di niente.

Una bocca le baciò la guancia e sensualmente discese fino a mordicchiarle il lobo dell’orecchio. A quel contatto la ragazza scattò a sedere trovandosi faccia a faccia con Gabriel. Rimase inorridita per quello che vide.

Gabriel era ubriaco, lo si vedeva benissimo dai suoi occhi umidi e appannati. Il suo alito puzzava di alcool, le sue guancie erano di un bel rosso acceso mentre le labbra erano bianche per il freddo.

Allungò una mano verso di lei e le accarezzò la guancia con devozione.

“Non ce l’ho fatta, non sono riuscito a starti lontano” biascicò con la voce impastata.

Rebecca schiaffeggiò la mano del ragazzo e si allontanò da lui. “Stammi distante, sei ubriaco” lo minacciò dal fondo del letto.

L’unica cosa che mancava per rendere quella serata ancora più deprimente era che lei si lasciasse sedurre da un ubriaco.  

Gabriel gattonò verso di lei, gli occhi incupiti dal desiderio. La prese per il gomito e l’attirò verso di sè con decisione, dopodichè si mise sopra di lei e cominciò a baciarla con foga. Toccò il suo corpo con mani ruvide e senza dolcezza, assaggiò con la bocca il suo seno e il suo ventre piatto. La sentì trattenere un gemito e allora spinse con irruenza il bacino contro di lei mozzandole il fiato in gola.  

Ma per quanto eccitanti fossero quelle carezze c’era un qualcosa di disgustoso nel suo modo di toccarla, qualcosa di volgare e di rozzo.

Rebecca scivolò via dal suo corpo e scese dal letto, non fece fatica a spostarlo, il suo stato di ubriacatezza lo rendeva debole. La ragazza respirava con affanno, si abbassò la camicia da notte che le era salita fino a metà busto e si morsicò il labbro inferiore per il nervosismo.

“Basta Gabriel, te ne potresti pentire”

Gabriel rise forte. “Non sono mai stato così sicuro di volerti come in questo momento. Non mi vuoi?”

“Non è questo il punto. Hai bevuto e io non voglio stare con te questa notte. Vuoi violentarmi? È questo che vuoi? Perché ti puoi scordare che io faccia l’amore con te da ubriaco, non sono una puttana, diversamente da come la pensi tu”

Il sorriso si spense dalla faccia del ragazzo. “Ma che ragazza sei se non vuoi accontentare il tuo uomo? Per Atreius non ti faresti pregare così tanto”

Un conato di vomito rischiò di salirle in gola. Le stava parlando proprio come un uomo parla alla sua prostituta di turno.

“Mi fai schifo” sibilò. “Ora esci!”

“E dai! Neanche un bacetto?” la implorò.

“Fuori!” urlò con il volto in fiamme per lo sforzo di controllarsi.

Gabriel gettò via le coperte e, come un animale respinto e inappagato, se ne andò furiosamente nel silenzio più totale. Non appena lo sentì uscire un’altra volta di casa Rebecca corse in bagno e vomitò.

Non riusciva a descrivere il dolore che stava provando in quel momento. Era tutto così irreale, così diverso da com’era abituata…

Non c’erano mai state liti così accese e sofferte come quella che avevano appena avuto, e non era mai successo che Gabriel tornasse a casa ubriaco marcio.

Tirò l’acqua e abbassò la tavoletta del water, le mani sudate lasciarono aloni sulla superficie liscia della tavoletta. Continuava a tremare e i suoi muscoli erano talmente tesi da farle male. Arrancò fino alla sua camera da letto e chiuse la porta a chiave. Era brutto dirlo ma così si sentiva più al sicuro.



***



Gabriel tornò alla locanda che aveva lasciato. Dopo essersi scolato delle birre e degli strani infusi, con la testa che non ragionava, aveva sentito il disperato bisogno di andare a casa e fare l’amore con la sua ragazza.

Era tornato da ubriaco e in un istinto masochista sperava pure di trovarla a letto con Atreius. Ma lei stava dormendo, immobile e bella come sempre.

L’unica cosa che ricordava era che lei lo aveva scacciato dal suo letto, che lo tradiva e che non voleva più stare con lui. Tre biglietti di sola andata per l’inferno. Tre punti per mandare all’aria una vita.

Con l’umore a terra Gabriel si trascinò verso il bancone. Cercò di non badare alla gente che aveva attorno, non aveva voglia di vedere altri volti afflitti e disperati. La cosa più fantastica di un uomo ubriaco che vuole dimenticare i suoi mali è che si fa sempre i propri affari. Gabriel poteva affogare nell’alcool i suoi problemi senza che nessuno lo contraddisse.  

Fu raggiunto dal barista che parve sorridere sotto i baffi. Probabilmente era stupito di vederlo ancora lì a chiedere birra.  

“Ancora qui?” domandò mentre puliva con uno straccio bianco un bicchiere appena lavato.

Gabriel sospirò. “A quanto pare sì, oggi non dev’essere la mia giornata fortunata”

“Mi sembravi molto più allegro prima” notò.

“Ah, donne” brontolò. “Prima ti vogliono e poi ti mandano a quel paese!”

“Vuoi qualcosa da bere? Offre la casa”

Il barista appoggiò sul bancone una tavoletta di legno scuro con dentro, in fila, sei bicchierini stra-colmi di una sostanza verdognola e schiumosa. Gabriel inarcò le sopraciglia.

“Bevilo!” lo esortò. “È buonissimo”

“Che cos’è?”

“La cosa più pesante che ho” gli disse. “Se vuoi dimenticare questo ti aiuta. Non fare complimenti, amico”

Dopotutto…se si vuole dimenticare…

Perché no?

Gabriel bevve il primo bicchiere, l’effetto immediato dell’alcool gli bruciò la gola e scendendo gli fece provare un senso di piacevole calore. Strizzò gli occhi e per poco non cadde dallo sgabello.

Guardò paonazzo il barista.

“Ma è fortissimo!” esclamò.

“Tu chi sei?” chiese l’uomo avvicinandosi e appoggiando i gomiti sul bancone in modo da rendere la conversazione privata.

Quell’uomo abitava nei bassifondi del villaggio, viveva di notte e dormiva di giorno. Gabriel non si meravigliò del fatto che non sapesse chi fosse.

Sono l’arcangelo Gabriele.

Mai sentito?

No? Beh, leggiti la Bibbia, in quel libro sono famoso.

Come non conosceva lui non poteva neanche sapere che Rebecca era la sua ragazza, che era lei la causa delle sue sofferenze.   

Il ragazzo strinse il secondo bicchierino pieno nella mano.

Era mia.

“Io sono solo un uomo con il cuore spezzato”

“E questa famigerata donna chi è?”  

“Lei è una che non scherza. È bellissima, intelligente, simpatica, a volte anche pazza dato che mi picchia” cominciò a ridere, un po’ per l’alcool, un po’ perché adorava parlare di lei. “Non provare mai a metterle i piedi in testa perché riesce sempre ad averla vinta. Ti incanta con i suoi occhi, con il suo corpo aggraziato e slanciato. È una ragazza forte, ha sulle spalle il peso del mondo. Quando ride le si illumina il volto e quando piange è come assistere ad una visione straziante e dolce allo stesso tempo. È unica, veramente. Non ho mai conosciuto una come lei, non ho mai amato così tanto una donna in vita mia. Con lei posso essere un uomo migliore, diverso. Con lei sono diventato responsabile di un’altra vita…e sono possessivo. Niente a che vedere con le vostre puttane, con loro la gelosia, la protettività, non esistono” diede un’occhiata torva a delle belle e giovani ragazze di malaffare che con i loro vestiti attillati e corti circuivano gli uomini. Altre ballavano sopra i tavoli mettendo in mostra dei glutei perfetti e tonici.  

“E…?” lo incalzò il barista.

E cosa?”

“Perché sei finito qui?”

“Ha un altro” era ancora più doloroso ammetterlo ad alta voce. Ammetterlo davanti a qualcuno.

“Oh, brutta cosa, ragazzo mio. Proprio brutta! Passi una vita ad amare una donna e lei come ti ripaga? Dandola al primo che capita!”

Gabriel s’infiammò. “Attento a come parli”

L’uomo alzò le braccia in un gesto drammatico di scuse e poi sorrise. “Chiedo umilmente perdono, signore”

“Tu hai mai amato…?”

“Jessie”

“Jessie. Tu hai mai amato?”

“No, a noi, gente di malaffare, non è concesso il lusso di amare. Penserai che siamo dei sadici o dei folli ma possiamo anche farne a meno se vogliamo”

“Ho come l’idea che siamo noi più matti e sadici di voi. Noi ci illudiamo di amare per sempre qualcuno ma la verità è che anche l’amore, prima o dopo, è destinato a morire. E allora piangiamo e ci disperiamo. Con che coraggio continuiamo ad amare pur sapendo che finirà? Dobbiamo essere molto masochisti, a mio avviso”  

“Continua a bere, ragazzo. È molto più grave di quello che pensavo” osservò il barista seriamente.

Si mise dritto e andò a servire un altro cliente che era appena arrivato, lasciando Gabriel da solo con i suoi due bicchierini rimasti. Ad un tratto la porta della locanda si aprì e ci fu un accompagnamento solenne del campanello e di un dolce aroma speziato. Gabriel notò che Jessie era arrossito in maniera vistosa. Dato che dava la schiena all’entrata dovette girarsi sullo sgabello per vedere chi era entrato di così interessante.

Subito non la riconobbe ma poi capì chi era.

Era la ragazza rossa dai grandi occhi verdi che aveva salvato durante l’attacco al suo villaggio. L’aveva trovata impaurita e accucciata dietro il tavolo di una casa abbandonata e distrutta. Se l’era caricata sulle spalle e l’aveva messa al sicuro dentro un cespuglio nel bosco. Da allora non l’aveva più rivista e mai, mai e poi mai, avrebbe pensato di ritrovarla alla locanda, a miglia e miglia dal suo villaggio.  

Pulita, vestita con un abito svolazzante e leggero, con le palpebre truccate e il rossetto rosso sulla bocca carnosa appariva bellissima. I suoi capelli di un rosso fiamma la rendevano fin troppo fatale e provocante. Gli occhi della ragazza scrutarono la folla, impassibili e leggermente maliziosi. Non appena il suo sguardo incontrò quello perplesso di Gabriel si bloccò e rimase a fissarlo a bocca aperta. L’aveva riconosciuto. Mostrò senza problemi un sorriso soddisfatto e trionfante. Lo raggiunse al bancone e si sedette sullo sgabello di fianco al suo.

“Ma guarda chi si vede! Sei il ragazzo che mi ha salvata! Non avrei mai pensato di rivederti” disse traboccante di una gioia che faticava a contenere.

“Io ci abito in questo in villaggio. Semmai tu che ci fai qui”

“Ci lavoro” i suoi occhi lampeggiarono verso il barista che fece finta di niente.

“Oh” mormorò Gabriel che aveva colto il loro scambio di sguardi. “Ho capito” prese in mano il quinto bicchierino e buttò giù tutto d’un fiato.

“Sai, dopo che il mio villaggio è stato raso al suolo non avevo un posto dove andare così ho viaggiato. Sono stata in parecchi posti e ho sempre lavorato. Quando sono arrivata in questo villaggio Jessie mi ha subito offerto un lavoro” disse indicando il barista che per tutta risposta le sorrise. “So che non è il massimo come lavoro ma in qualche modo devo pur vivere! Non credi?”

No, penso che si possano trovare i soldi per vivere anche senza fare la puttana o la ballerina di can-can. A meno che non ti piaccia come lavoro e non lo vuoi ammettere.

“Hai ragione, per vivere ci si adatta a tutto”

“Esatto! Vedi come noi due ce la intendiamo?! Allora, come stai? Lavori in questa locanda? La mia camera da letto è al secondo piano” Gabriel finse di non aver colto quell’avance. “Sono arrivata da pochi giorni ma faccio già una gran fatica ad adeguarmi a questi orari! Tu pensa che di notte lavoro, di giorno lavoro…e io quando dormo?”

“Io sto da schifo, non lavoro in questa locanda, sono contento che hai trovato un posto dove dormire anche se, che sfortuna, non puoi mai chiudere occhio”

“Com’è che ti chiami?”

“Gabriel” borbottò.

“Io sono Fiona, grazie per avermelo chiesto” guardò in giro e poi sospirò. “Dov’è la tua ragazza? Non è con te?”

Gabriel scattò in piedi e frugò nelle tasche, prese alcuni spiccioli e gli porse al barista. Bevve fino a finire l’ultimo bicchiere e indossò la giacca.

Jessie gli rimise in mano i soldi. “Offre la casa amico, te l’avevo detto. Questo servizio non richiede soldi”

Questo servizio? E l’altro servizio che devo pagare cos’è?

Jessie e Fiona si guardarono allungo, comunicando con gli occhi.

Gabriel intascò le monete e fissò con desiderio i bicchierini vuoti sopra il bancone. Gli mancava già l’alcool, gli piaceva la sensazione pungente di sentirlo scivolare dentro il proprio corpo. Era un tocco di fuoco dentro un corpo freddo come il ghiaccio.

Fiona si alzò a sua volta e lo raggiunse danzando. “Devo dedurre che tu abbia chiuso con la tua ragazza”

Gabriel la incenerì con gli occhi. “Ti piacerebbe…”

“In ogni caso…ti va di fare un giro?” domandò speranzosa.

“No” rispose seccamente.

Fu Jessie a fermarlo. “E dai, ragazzo! La tua ragazza se la fa con un altro e tu fai il prezioso? Fiona sa essere molto allegra e di compagnia, lavora molto bene e i clienti l’adorano!”

“La tua ragazza ti tradisce?” domandò Fiona ampliando un sorrisino che sapeva di vittoria. “Allora non puoi rifiutarti di fare un giro con me”

Lo prese sottobraccio e lo condusse verso un’uscita di sicurezza dietro il bancone. Fiona si aggrappò al suo braccio e per poco Gabriel non la sentì fare le fusa. La vide scambiarsi un’occhiata complice con Jessie che non gli piacque per niente. Era una prostituta, immaginava su cosa si stavano accordando quei due.

Quando uscirono all’aria aperta Gabriel faticò a trovare il respiro. Era rimasto chiuso dentro la locanda per troppo tempo e aveva assaporato troppo allungo l’odore dolce-amaro del fumo e dell’alcool. Si sentiva uno straccio, il corpo era pesante e la testa leggera. Poteva anche essere una sensazione piacevole se non fosse stato per il senso di vertigine e la nausea. La vista cominciò ad appannarsi. Udì la ragazza sorridere a bassa voce.

“Devo sedermi” disse staccandosi da Fiona e raggiungendo una sedia.

Si trovavano in uno spiazzo verde dietro la locanda, nella zona del capannone dove mettevano le casse vuote, le panche in più e i tavoli rotti. Fiona rimase in piedi, le braccia al petto e le gambe divaricate.

“Hai intenzione di rimanere lì seduto?”

“Che vuoi che faccia?!” si lamentò apertamente.  

Un conato di vomito gli salì in gola e fu costretto ad alzarsi in piedi per non vomitare seduta stante. Solo ora sentiva gli effetti di quei sei bicchierini e rimpianse di avergli bevuti tutti e sei dietro fila. Chiuse gli occhi e gli riaprì un paio di volte ma la vista non tornava ancora. Cominciò a preoccuparsi, aveva una brutta sensazione.

Infatti…

“Se vuoi posso farti vedere come sono brava a lavorare” era Fiona a parlare.

La piccola e dolce Fiona che aveva salvato qualche mese prima. La ragazzina spaventata che chiedeva aiuto e pietà per non essere uccisa brutalmente come la sua famiglia. Doveva essersi maturata parecchio durante quei suoi viaggi.

“Facciamo un’altra volta, eh?”

Barcollando Gabriel si posò contro lo stendardo del capannone per reggersi in piedi. Fiona gli fu vicino e lo fece voltare dolcemente. Le sue piccole mani spinsero il ragazzo contro la parete finchè non sentì che la sua schiena aveva toccato lo stendardo e lasciò scorrere le sue mani dal petto all’ombelico. Gabriel ebbe un fremito che non riuscì a controllare.

E la cosa terribile era che gli piaceva come lei lo toccava.

Dall’ombelico spostò le mani sui suoi fianchi e giù, verso il sedere.  

“So che ti piace, non m’inganni”

Fiona si alzò in punta di piedi e avvicinò la sua bocca a quella di Gabriel che la fissava sempre più inorridito.



***



Senza farlo apposta Rebecca si svegliò. Non aveva più sonno perciò si alzò e andò in bagno. Rimase qualche secondo a fissarsi allo specchio. Appariva scialba e molto pallida, gli occhi erano infossati e rossi per il pianto. Faceva schifo, in poche parole.

Una volta in corridoio tese l’orecchio verso le scale ma non sentì né fiutò nessuno. Entrò nella stanza da letto di Gabriel, la camera che un tempo condividevano e che ora era stata distrutta. Non avevano mai avuto tempo di ristrutturarla, non dopo le cose che erano successe. Allibita, Rebecca, guardò l’ora nell’orologio che portava al polso.  

Le tre di notte.

Perché Gabriel non era tornato?

Era molto confusa, magari aveva guardato male l’ora…

Oh-oh, brutto presentimento. L’aveva lasciato uscire ubriaco e respinto, due mix troppo pericolosi e potenti perché andasse tutto per il verso giusto.

Doveva trovarlo, non poteva lasciarlo mezzo moribondo in giro a quell’ora di notte. E poi era a conoscenza della brutta gente che si trovava alla locanda a tarda nottata: ubriachi in cerca di una vita migliore e più movimentata, e prostitute che vendevano il proprio corpo per non patire la fame.

Non poteva sopportare di vederlo in mezzo a quella gentaglia. Non Gabriel, non con una ballerina del Moulin Rouge 2 che gli sbatteva le tette in faccia. C’era un limite di sopportazione a tutto, maledizione!  

Si cambiò alla velocità della luce e fece le scale tre alla volta per fare più in fretta. Arrivata sulla soglia prese il suo mantello nero e calò il cappuccio per non farsi riconoscere. Non voleva diventare il pasto prelibato di qualche maniaco sessuale, non quel suo visino attraente e dolce. Afferrò il mazzo di chiavi e uscì nell’oscurità della notte.

Se Gabriel era depresso e voleva bere c’era solo una locanda dove poteva andare.

Spero solo di non vedere qualcosa che non voglio vedere.

Prego solo che non abbia fatto qualcosa di troppo stupido.



***



Stava cedendo.

La voglia di cancellarsi Rebecca dalla testa lo stava rendendo talmente tanto pazzo da portarlo ad agire contro la sua volontà, contro ogni suo stesso principio. Era al massimo della frustrazione. Voleva una distrazione, anche una falsa felicità purché non sentisse il peso opprimente che gli schiacciava il petto.

Ma era così difficile accettare di baciare un’altra ragazza che non fosse lei…così strano e squallido.

Quando la bocca di Fiona toccò la sua la spinse via poco gentilmente. Improvvisamente gli parve di essere ritornato lucido.
“Ma che fai?!”

“Come che faccio? Ti pare che abbia scritto “scema” sulla fronte?”

“Senti, sono stufo dei tuoi trucchetti. Ho voglia di tornare a casa, non mi reggo in piedi. Tu dovresti fare lo stesso”

“Faccio il mio lavoro!”

“Và a farlo da un’altra parte Fiona, non ho tempo di badare ad una come te né c’ho i soldi”

“Ti ho mai chiesto di pagarmi?!” urlò. “Voglio solo portarti a letto, ok?! Non ti è mai passato per la testa che io lo stia facendo anche perché mi piaci?”

Il suo tono era così ferito che Gabriel rimase interdetto. Poi scrollò la testa. “Tu sei pazza”

“Perché? Perché ti voglio? Mi sei piaciuto da subito, da quando ti ho visto a Numbia. I tuoi occhi glaciali, il tuo sguardo magnetico e tenebroso, i tuoi capelli biondi, il tuo corpo…sei stato una rivelazione per me, è stata la prima volta che ho guardato un uomo con occhi diversi. Invidiavo a morte la tua ragazza e non sopportavo il modo in cui la guardavi: con quella faccia piena di amore e di devozione! In questo momento ti voglio da farmi star male, possibile che tu non pensa ad altro se non al tuo grande amore?!”

“Mi dispiace Fiona, ma è lei che amo”

“Al diavolo anche l’amore! E dov’è lei in questo momento? Magari c’è un altro a farla gemere al posto tuo!”

Gabriel ci vide doppio. Le fu addosso in meno di un secondo. “Guai a te se parli ancora”

“L’hai detto tu che lei ha un altro. E allora perché tu non puoi avere me? Dov’è la giustizia se non nelle nostre ribellioni?”

“È diversa la situazione, lei…”

Lei non paga gli uomini per avere del sesso.

Lei non è come in questo momento: sporca.

Fiona battè i piedi a terra dal nervoso. “Falle pagare tutto quanto, dannazione! Mandala a quel paese e divertiti con me, ti prego…solo per una notte, Gabriel. Ti voglio…” sussurrò sfrusciandosi contro il suo corpo.

Gabriel l’allontanò.

“Non ti capisco, Gabriel. Lei ti spezza il cuore, ti fa ubriacare e distrugge la tua felicità. È giusto che sia punita, non dico fisicamente o per tutta la vita finchè non muore ma semplicemente pagandola con la sua stessa moneta. Come puoi permetterle di farti questo? Sei una persona, non sei il suo schiavo né tantomeno il suo gigolò! Non faresti niente di male, se lo fa lei non vedo perché non debba farlo tu. Non hai la rabbia che ti esplode dentro? Non hai voglia di ferirla?!”

“Io le ho dato tutto” sussurrò Gabriel.

“Lo so, e lei ti ha preso in giro”

“Dove ho sbagliato?” implorò con voce rotta.

“Ha sbagliato lei, non tu. Non pensi che debba pagarla?”

“Sì”

Fiona gli accarezzò la guancia e fece per baciarlo quando Gabriel l’afferrò per le spalle trattenendola.

“Non penso che sia giusto, io non credo di potere…”

“Sì che puoi” mormorò con voce leziosa leccandosi le labbra.

Finalmente Fiona riuscì a baciarlo. Gli cinse il collo con un braccio mentre con l’altra mano libera gli sbottonava i pantaloni, lasciandola indugiare sul suo corpo. Ci sapeva fare per essere così giovane, l’esperienza sicuramente l’aveva aiutata parecchio. Dal modo in cui lo toccava Gabriel non potè trattenersi dal gemere contro la sua bocca. Tenendola per le spalle invertì le posizioni e sbattè lei contro la parete dello stendardo.

Gabriel, reso audace dall’alcool e inebriato, sollevò il vestito della ragazza e ne toccò l’interno coscia mentre premeva con urgenza il suo bacino contro quello di lei. Fiona agganciò le gambe attorno ai suoi fianchi e mugugnò di piacere. La sua lingua s’insinuò nella bocca di Gabriel facendolo sussultare. Con un solo gesto Fiona gli tolse la giacca e la maglietta lasciandolo a petto nudo. Lo toccò con avidità e gli baciò la pelle all’altezza del cuore.

“Oh mio Dio…ti supplico, fa presto…” lo pregò. Allargò leggermente le gambe e gli fece capire chiaramente di muoversi altrimenti sarebbe impazzita.

Se Fiona non vedeva l’ora di possederlo, Gabriel al contrario stava lottando contro sé stesso per fermarsi in tempo. Era in agonia, confuso. Si sentiva sbagliato, tutta la situazione era sbagliata.

Se la baciava era perché voleva ferire e far del male a Rebecca ma non pensava che far sesso con Fiona sarebbe stato giusto. Forse era meglio se si fermava al bacio, forse…

In ogni caso aveva tradito Rebecca e questo era un dato oggettivo.

Con o senza il sesso.



***



Rebecca entrò nella locanda con la testa abbassata per non farsi riconoscere, trattenne il respiro quando un’ondata di tanfo le invase le narici. C’era un odore nauseabondo di alcool, fumo e sudore.

Da sotto il cappuccio diede un’occhiata ai tavoli: erano per la maggior parte uomini. Le loro facce esprimevano al meglio il loro stato di ubriacatezza: le guance erano imporporate di un rosso cremisi e gli occhi luccicavano da quanto erano acquosi. Giovani e belle ragazze gli ballavano attorno mettendo in mostra il loro sedere, il loro seno e tal volta tutti e due insieme. Rebecca ne vide alcune trascinare gli uomini verso le camere da letto al primo piano.

Che volgarità.

Arrivò al bancone tenendo sotto controllo quello che stava accadendo attorno a lei. La sua camminata aggraziata e ondeggiante faceva presumere che sotto il mantello ci fosse un corpo di donna. Era lampante, e infatti attirò su di sé parecchi sguardi curiosi.

Osservò la stanza ma di Gabriel non c’era traccia.

“Vuole qualcosa da bere, signora?”

Rebecca alzò gli occhi e vide un uomo proteso verso di lei con un gran sorriso di benvenuto. Era il barista. Un tipo insolito, dovette ammettere.

“Ad essere sincera mi servirebbe un’informazione molto semplice. Ha visto per caso un ragazzo, alto, biondo e con gli occhi azzurri, aggirarsi da questa parti?”

Il barista si fece immediatamente serio. “Chi lo cerca?”

“Tu dimmi se l’hai visto”

“Beh, è stato qui, sì”

“Ti ha detto come si chiama?”

“Gabriel, se non sbaglio”

“Dove lo posso trovare?”

“E tu cosa mi dai in cambio?” domandò con un sorrisino sornione.

Rebecca emise un ringhio e l’uomo indietreggiò come scottato. Gli era parso di vedere sotto il cappuccio gli occhi di quella ragazza tramutarsi in due sfere gialle e scintillanti, ma fu solo un attimo.

Non era normale per un umano, era il volto di un demone.

Lei non era umana.   

“Dimmi dove lo posso trovare”

“N-Non posso” balbettò l’uomo lanciando sguardi allarmati verso la porta di sicurezza alle sue spalle.

“Povero umano…” lo canzonò Rebecca.

Il tono della sua voce raggelò Jessie che la guardò con occhi spalancati.

“Chi sei?”

Rebecca si scansò un ciuffo di capelli ribelli dal viso e ghignò. “Ti basta sapere che potrei con uno schiocco delle dita porre fine alla tua miserabile vita”

Poi, come se non bastasse, Rebecca gli mostrò i denti innalzando il labbro superiore: i canini si allungarono diventando affilati come due rasoi.  

L’uomo urlò e balzò indietro andando a sbattere contro la scansia degli alcolici, la sua bocca tremava dalla paura.

“O-Ok, stai calma! Ti dirò tutto quello che vuoi sapere!”



***



Era stato facile convincere il barista: con un paio di occhi gialli, due canini sporgenti…se si fosse trovata in un’altra situazione, diversa da quella che stava vivendo in quel momento, sicuramente sarebbe scoppiata a ridergli in faccia. L’espressione dell’uomo era stata impareggiabile. Sì, si sarebbe fatta quattro risate…insieme a Gabriel.

Però non riusciva a trovare nulla di divertente quella notte perché il pensiero di lui la faceva star male.

“È fuori, devi uscire dalla porta di servizio”

“È da solo o c’è qualcuno con lui? Sai com’è, non vorrei scandalizzarlo con una scenata tra uomo e donna, non so se mi ha capita…” disse facendogli l’occhiolino.

L’uomo impallidì.

Rebecca si paralizzò. “Non è solo?”

Jessie scosse la testa come ipnotizzato.

“Con chi è? Un ubriaco?”

“Vada fuori signorina per favore, così mi spaventa i clienti”  

La porta di servizio conduceva in un lungo corridoio privo di finestre o mobili. L’unica luce che illuminava l’androne era quella artificiale del salone che passava da sotto le fessure della porta di servizio invadendo il passaggio con flebili bagliori giallastri. Infondo c’era un’altra porta, chiusa e a prima vista devastata. Non appena se la ritrovò davanti notò che la maniglia penzolava dal pezzo di metallo e che era perforata da dei piccoli buchi rotondi, come se le avessero sparato addosso una serie di proiettili. Aprì la porta e un cigolio metallico accompagnò i suoi movimenti.

Si ritrovò in uno spiazzo verde delimitato dal bosco. Guardò prima a destra e vide un alto steccato che metteva fine alla proprietà del locale. Voltò la testa a sinistra e constatò che il sentiero continuava girando in dentro. Probabilmente portava al capannone.
Fece un paio di passi quando sentì uno strano rumore. Sembravano dei sospiri, dei battiti accelerati e affannati di un cuore che pompava all’impazzata.

Appoggiò una mano sullo stendardo muovendosi silenziosamente e percepì un continuo scuotimento, un tremore sulla parete. Qualcuno stava sbattendo contro lo stendardo facendolo vibrare. Erano dei ritmi frenetici e martellanti.

Procedendo con cautela e senza far rumore si appiattì contro lo stendardo. Mosse la testa di lato per sbirciare.  Man mano che il suo occhio usciva per guardare riconobbe la schiena nuda di un ragazzo. Subito non capì che stava facendo né chi fosse.

Continuando ad uscire con lo sguardo vide che era Gabriel. Ebbe un tonfo al cuore quando lo riconobbe. Poi si accigliò. Aggrottò la fronte e improvvisamente si sentì la gola secca.

Che sta facendo?

Solo quando ebbe tutto l’occhio scoperto mise a fuoco l’intera scena.

Fu come ricevere un pugno allo stomaco.

La schiena nuda del ragazzo brillava alla luce della luna e il suo corpo spingeva contro quello di una ragazza. Vide una chioma di capelli rossi e un viso lentigginoso, due labbra carnose e rosse come il sangue divorare la bocca di Gabriel. Se la ricordava quella ragazza, era la stessa che tempo prima aveva fatto la cascamorta con lui durante l’attacco a Numbia. E ora era lì, tra le sue braccia, avviluppata alle sue gambe, al suo bacino.

Non si erano accorti di lei. Per fortuna.

Rebecca scappò via, temeva che il suo respiro potesse tradire la sua presenza. Il battito cardiaco era troppo forte, il respiro troppo veloce, la gola troppo arida e il suo pianto era troppo rumoroso per non essere sentito.



***



Finish!!! Come vi è sembrato quest'altro capitolo????
Forse un po' troppo sconvolgente??? Eh, non tanto per le parti ma per la tristezza verso Rebecca...
non so voi ma io lo prenderei a calci uno che mi fa na roba del genere!!!

Recensite, all'occhio, che ci tengo sempre ai vostri commenti!!!

Il prossimo capitolo s'intitolerà: "AMORE, NON PIANGERE"
e vedremo come Rebecca reagirà al tradimento di Gabriel...




I "THANKS":

"VALESPX78": l'hai detta: "ah, gli uomini!!!" in effetti lei è in combutta con sé stessa, sta lottando per rimanere con i piedi salda al suo presente e lui che fa??? pensa che lo tradisca, certo che i ragazzi ci arrivano sempre dopo...hiihhiih...senza offesa, pure noi arriviamo sempre dopo con i loro ragionamenti!!!! Spero che ti sia piaciuto questo capitolo, commentalo, mi raccomando!!! bacioni...

"CHICCA90": mi chiedi se è recuperabile??? eheheheh, aspetta a leggere più avanti!!! grazie del commento, a presto...

"ANGELOFLOVE": eh già, un'altra...ed è proprio la rossa che lui ha salvato e che a dirla tutta ho cercato di farla più stronza che poteva perchè mi stava già antipatica da quando ancora dovevo delineare la storia!!! fammi sapere che ne pensi di questo capitolo, che sono sempre super felice di leggere le vostre idee, commenti o riflessioni!!!

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Capitolo 10
*** Amore, non piangere ***


Cap. 10 - AMORE, NON PIANGERE -

[Voglio restare in buoni rapporti con il mio dolore.

Oh ma Dio, voglio lasciarlo andare.
Non voglio che si adagi su di me,
questa volta ho affogato la mia voglia di volare.  

Qui nell’oscurità conosco me stessa]

Evanescence - Lithium -



***



Un ricordo in particolare lo colpì, proprio mentre Fiona stava per abbassargli i pantaloni, armeggiava con la sua cinghia e i bottoni. Era un ricordo di qualche tempo fa, un ricordo che lo colmò di gioia e di pace. E per un attimo Gabriel si sentì felice.

“Che ne pensi?” domandò il ragazzo cingendole la vita con le braccia.

Rebecca era sbalordita. Quando Gabriel le aveva proposto di visitare Chenzo insieme considerandolo un viaggio di riposo dopo la loro vittoria, mai avrebbe pensato di assistere ad una tale visione. Per poco non si lasciò commuovere. I pantaloni e la camicia a maniche corte di Gabriel erano bianchi come i granelli di sabbia e il suo vestitino leggero, svolazzante, era dello stesso colore del cielo al tramonto.  

“Te lo sei ricordato…”

“Non me ne sono mai dimenticato”

Rebecca aveva da sempre confidato a Gabriel la sua passione per il mare e di quanto le mancasse vedere l’oceano. Quando era sulla Terra era solito per la sua famiglia fare lunghe gite in barca e lei adorava quei momenti, amava soprattutto il mare di quel pianeta. E lui l’aveva portata in una spiaggia al tramonto. L’aveva bendata e condotta per mano in quell’angolo di paradiso.

A Chenzo era raro trovare una simile costa dato che il mare veniva sempre fiancheggiato da scogli aguzzi e da precipizi pericolosi. Ma quella era una veramente una spiaggia: deserta, immensa, calda e sabbiosa.

Rebecca inspirò profondamente l’aria che sapeva di salsedine e di alghe.

“Penso che sei un dono del cielo” gli disse, ed era vero. Gabriel era un miracolo.

Il ragazzo la cullò tra le sue braccia. “In questo caso sono contento di essere il tuo dono”

“Dico davvero Gabriel, non so come farei senza di te al mio fianco. Sei così importante per me che sei diventato la stessa aria che respiro: se te ne dovessi andare morirei soffocata”

“Non succederà” la tranquillizzò.

Rebecca si voltò e lo guardò intensamente negli occhi. “Promettimelo”

Gabriel rise. “Che cosa?”

“Prometti che non mi lascerai mai”

“Rebecca Burton, giuro su tutto ciò che ho di più caro al mondo che non ti lascerò mai né tantomeno permetterò che tu te ne vada da me”

Rebecca arricciò il naso in un modo squisito e dolcissimo. “Anche a costo di segregarmi in casa?”

“Anche a costo di segregarti in casa” concluse lui con un sorriso smagliante.

Rebecca, visibilmente soddisfatta, tornò a guardare l’oceano.

Gabriel osservava il suo profilo ammirato, gli occhi di lei scrutavano con così tanta attenzione ogni increspatura delle onde che parevano innamorati e la sua pelle abbronzata emanava calore.

“Se faccio una cosa tu non ti arrabbi, vero?” le domandò Gabriel ad un certo punto.

Rebecca aggrottò le sopraciglia e sorrise. “Se la fai tu, non penso proprio”

Allora Gabriel si chinò improvvisamente su di lei e la prese in braccio. Rebecca emise degli urletti divertiti e si aggrappò al collo del ragazzo per non cadere. Gabriel cominciò a correre verso l’oceano con lei tra le braccia che sgambettava e ridacchiava. Non appena l’acqua salata del mare arrivò a toccargli le ginocchia mollò la presa e Rebecca cadde in acqua provocando un getto di goccioline che andò a lavare il ragazzo.

Quando riemerse si ritrovò faccia a faccia con Gabriel.

Era completamente bagnata, i capelli e il prendisole erano zuppi e gocciolanti. Battè le palpebre per alleviare il bruciore agli occhi dovuto al sale marino. Rideva come mai aveva fatto in vita sua. Gettò le braccia attorno al collo di Gabriel e lo baciò con passione. Lo sentì lamentarsi contro la sua bocca, in effetti lo stava bagnando con il contatto del suo corpo. Quando si staccarono Gabriel le spruzzò dell’acqua in viso facendola sghignazzare.

“Così impari a fare i dispetti”

“Io trovo che ti dona l’effetto bagnato sui capelli”

“Mi prendi in giro?” ghignò.

Rebecca gli fece l’occhiolino. “Quando mai?”

“Vieni qui” le ordinò.

Rebecca nuotò verso di lui e si fece abbracciare con trasporto. Gabriel la baciò dolcemente sulla bocca e lei ricambiò con tutta sé stessa.

“Secondo te riusciremo ad essere felici per sempre, come adesso?” le chiese il ragazzo facendosi serio.

“Io penso che ognuno di noi abbia dei momenti belli e dei momenti brutti da condividere con chi ama. I momenti belli passano velocemente e ti riempiono di felicità. I momenti brutti devono essere superati con l’aiuto di entrambi, ci si aiuta e si va avanti. Avremo anche noi, Gabriel, i nostri momenti brutti ma dovremo essere in grado di superarli”

“Hai ragione, tesoro”

“L’importante è parlarsi. Dobbiamo avere fiducia l’uno dell’altro, qualsiasi cosa succeda. Io crederò in te e tu crederai in me. Per quanto le cose possano andare male ne verremmo fuori solo con la fede. Tu avrai fede, vero guerriero?”

“Ti crederò sempre se è questo che vuoi sapere, anche se tutti dovessero dire che menti io avrò fiducia in te”

Rebecca affondò la testa nel suo petto e chiuse gli occhi. “Allora vedrai che niente potrà portarti via da me”

Gabriel le baciò i capelli che sapevano di sale e fragola. “Sono innamorato di te, Rebecca. Mai avrei pensato che potesse succedermi una cosa simile. Sono pazzo di te” disse con un sorriso.

“Ho sempre avuto il sospetto che fossi pazzo”

Così, con il sole calante alle spalle, i capelli con i riflessi dorati e la pelle che brillava, solcata da una miriade di goccioline, Rebecca era bellissima. Uno spettacolo che tolse il fiato a Gabriel, che rimase a guardarla con la bocca leggermente aperta e due occhi aperti impietriti e adoranti.

La sua risata gli arrivava melodiosa e leggera fin dentro le ossa.

Se si sforzava, forse, poteva ancora sentirla…

Con un balzo Gabriel si allontanò da Fiona. Emise un rantolo soffocato, come se fosse appena uscito da una lunga e sofferta apnea. Guardò sconcertato la ragazza che lo fissava smarrita. Improvvisamente tornò lucido, o almeno così gli parve. Era incredibile come si sentisse padrone di sé, quelle immagini nella mente erano state uno schiaffo in viso, un pugno in pieno stomaco. Guardò con orrore le sue mani che fino ad un attimo prima avevano toccato e stretto con disperazione il corpo di un’altra. Si sentiva spaesato, impotente, immaginava di essere impallidito.

Si mise a posto i pantaloni e ne richiuse la cerniera.

Fiona fece qualche passo in avanti, con timore. “Va tutto bene?” domandò, notando il suo pallore.

“Ma tu avrai fiducia in me?”

“Ce l’avrò sempre”

“Anche quando tutto sarà grigio?”

“Anche quando tutto sarà nero e i miei occhi non vedranno altro che l’oscurità”

Gabriel sentì il gusto della bile salirgli in gola.

Che aveva fatto?

Com’era possibile che non si fosse fermato a ragionare, a pensare, a capire lo sbaglio che stava commettendo? E perché quei ricordi bellissimi e fantastici di lui con Rebecca gli avevano invaso la mente troppo tardi?!

Prima di fare un gesto così sconsiderato avrebbe dovuto ascoltarla di più.

“Non ti ho mai tradito! Non l’ho mai fatto! Gabriel, sei stato l’unico ragazzo con il quale io abbia mai fatto l’amore! Devi credermi, io non posso farne parola con nessuno ma tu devi avere fiducia in me o tutto andrà perduto!”

“Sei uno stupido se non ti fidi di me”

Maledizione, perché non le aveva dato retta? Perché non le aveva creduto?! Lui e la sua stupida gelosia! Lui e la sua possessività! Ecco dove l’avevano portato quei sentimenti: alla rovina.

Fiona gli toccò un braccio con la mano. Gabriel ringhiò e lei la ritrasse subito, spaventata.

“Cosa ti succede? Non hai una bella faccia, vuoi che rientriamo dentro?”

“Io, penso che…andrò…a casa”

Fiona si mordicchiò il labbro inferiore.

Ok che tutt’un tratto è diventato uno straccio ma non voglio rinunciare a passare una notte con lui.

Tentò di dissuaderlo a restare.

“Se vuoi puoi fermarti da me. Il mio letto è matrimoniale e staremo comodi in due”  

Gli occhi di Gabriel saettarono su di lei. “Quello che mi serve in questo momento è tornare a casa e pagare le conseguenze di quello che ho fatto”

“Oh, che sciocchezza…” esclamò con una risata. “Non è successo niente di così grave da scappare a gambe levate!”

Il ragazzo la fulminò con lo sguardo. “Niente di grave, dici?”

“È per questo che te ne vai? Perché hai capito che stavi sbagliando ad andare con una come me?”

“Non ho sbagliato ad andare con una come te. Ho sbagliato ad andare con una

“Poco male, ora tanto vale finire quello che hai iniziato” disse incrociando le braccia al petto e aspettandolo con un sorrisino provocante stampato in faccia.

“Fiona, posso farti una domanda?” chiese lui con voce incolore.

“Certo” lo sfidò con un’occhiata.

“Sei mai stata innamorata?”

Non le ci vollero neppure due secondi per rispondere. “No, mai. Io agisco d’istinto, seguo le mie passioni e quello che mi dice il mio corpo. Diciamo però che tu sei stato il primo e l’unico a farmi battere il cuore così forte”

Gabriel sbuffò. Non sapeva se ridere o piangere.

“Che peccato…” mormorò.

“Io non credo”

Il ragazzo le voltò le spalle e prese a camminare con le mani in tasca.

“Dove vai?!” gli urlò dietro Fiona.

“Dove tu non puoi seguirmi, non saresti ben accolta”

“Certo!” imprecò. “Ritorni a casa, bravo! Con una che dice di amarti mentre ti tradisce!”

“Ah Fiona, che ne puoi sapere tu dell’amore?” la canzonò mentre si allontanava da lei. “Dovresti avere più fede, ragazza”
La sentiva urlare, bestemmiare e sputare cattive parole su di lui. Che facesse pure. Non l’avrebbe più rivista. Il dolore che portava in corpo per aver tradito Rebecca era niente in confronto alle sue maledizioni. Già vedeva gli occhi color cioccolato di Rebecca riempirsi di lacrime e la sua forza cedere facendola crollare a terra. Si sforzò di sorridere ma venne fuori solo un ghigno grottesco.

Alzò la testa al cielo e sperò che l’aria pungente della notte gli penetrasse in corpo depurandolo.

Aveva sempre considerato gli uomini che piangono delle mezze calzette. Strano, in quel momento aveva una gran voglia di piangere.



***



Rebecca non era mai riuscita realmente a prendere sonno. Si sentiva svuotata, a pezzi. Avvertiva una forte pressione all’altezza del cuore, a forza di piangere aveva la gabbia toracica dolorante e la gola in fiamme. Senza contare che il naso aveva continuato a colarle. Ma ora aveva smesso di piangere, forse perché non aveva più lacrime da consumare. Immobile sul letto faceva riposare gli occhi distesa su un fianco e non pensava minimamente a muoversi di un centimetro. Sperava che restando ferma in eterno il suo corpo si pietrificasse permettendole di diventare una statua di marmo fredda e insensibile.

Strofinò la guancia contro il cuscino e sentì che la stoffa era bagnata. Battè le palpebre e quando le riaprì guardò il cielo dalla finestra aperta. La voglia di aprire le ali, alzarsi dal letto e spiccare il volo per andarsene lontano era tanta ma in quel momento era così affranta da non trovare neanche la forza di reagire.

L’immagine di Gabriel con quella ragazza, addossati al muro mentre si baciavano avidamente e furiosamente, era un ricordo troppo nitido e scottante per essere rimosso dalla mente così facilmente.

Ad un certo punto sentì un giro di chiavi e la porta d’ingresso aprirsi.

Era lui. Lo stronzo che tornava dopo la sbronza e la scopata con una puttana facendo finta di niente, che rientrava e sorrideva alla sua ragazza come se tutto andasse nel migliore dei modi.

Quanto si sbagliava…

Non andava affatto bene. L’aveva visto con quella ragazza e non l’avrebbe mai perdonato per il male che le aveva fatto.

Gabriel socchiuse la porta della sua camera da letto e sbirciò dentro. Rebecca sentì con il suo olfatto eccezionale che l’alito del ragazzo non puzzava più di alcool. Doveva essere sobrio. Questo però non cambiava le cose, non cancellava il dolore. Riprese a piangere silenziosamente.

Lo sentì sospirare e richiudere la porta.

Calò il silenzio più totale.

Mi dispiace, disse suo padre.

Se avesse avuto la forza di ridere Rebecca l’avrebbe sicuramente fatto.

Ma non farmi ridere…non ti è mai importato niente né di me né tantomeno di Gabriel. Dentro di te stai gioendo per quello che mi è successo, non vedevi l’ora che mi arrivasse il colpo di grazia.

Vuoi che ti aiuti?

So già che tipo di aiuto vuoi darmi.

E non lo vuoi? Funziona.   

Lasciami indovinare, vuoi espandere la tua coscienza su di me per farmi trasmettere un po’ del tuo odio. Una volta che mi avrai ceduto parte del tuo odio, l’ unico sentimento che sai provare, questo avrà potere e controllo su di me per circa mezza giornata.

Ti farà star bene, l’odio è l’unico rimedio contro quell’amore che ti spezza il cuore. L’odio ti rende padrona di te stessa, ti da la forza di continuare, di dimenticare e di andare avanti. Ricorderai ciò che Gabriel ha fatto ma non proverai né dolore né amarezza, ripenserai alla scena di loro due e avrai la forza di sorridere.

Dura solo mezza giornata o una vita intera? pensò con sarcasmo.

Purtroppo mezza giornata, non sono abbastanza forte per tenerti in vita con i miei sentimenti di angelo nero. Ma se avrai pazienza, quando il veleno ti avrà consumata interamente, allora sarai inscalfibile per l’eternità.  

Voglio smettere di soffrire, è sempre la stessa cantilena. Sempre lo stesso lamento. Oh Signore, sono così stufa di star male ogni volta, così stanca di ricevere continuamente batoste e legnate in testa!

Allora lascia che ti aiuti. Accetta di provare come sarebbe la tua esistenza se fossi come me: un angelo nero. Voi giudicate solo perché non avete mai provato l’altra faccia della medaglia, solo gustando un soffio della nostra vita potrai capire cosa si prova.

Voglio tornare a sorridere.

Mi permetti di entrare nella tua mente? Ci metterò poco, solo il tempo di espandere un pezzo del mio essere.

Ok, ti do il mio permesso. Fai di me ciò che vuoi, purché arresti il mio dolore.

E sarà fatto, figlia mia.  

Che devo fare?

Dormi, chiudi gli occhi, io penserò a tutto.

Lentamente Rebecca abbassò le palpebre e si addormentò, priva di qualsiasi volontà.

Era diventato così insopportabile provare qualsiasi tipo di emozione da indurla ad accettare una simile proposta.   



***



[Sia maledetto quel giorno che,
in mezzo a tanta gente,
ho perso la mia strada]



***



La mattina dopo Gabriel si svegliò tardi, non era riuscito a chiudere occhio per tutta la notte e soltanto all’alba aveva preso sonno. Più che altro, era crollato. Aveva dormito nella sua camera, distrutta e con le pareti cadenti, e questo lo faceva sentire profondamente a terra. Da quando lui e Rebecca avevano fatto l’amore la prima volta non era mai successo che passassero una sola notte in stanze separate. Avevano sempre condiviso la camera e il letto.

Durante la notte era andato a trovarla parecchie volte. Non sapeva neanche lui che aspettarsi quando entrava e la vedeva stesa su un fianco che gli dava la schiena. Forse sperava di entrare, di scoprirla sveglia e felice come un tempo, magari pronta a chiedergli di fermarsi da lei. E invece dormiva, immobile e silenziosa, quasi morta. Gabriel si era avvicinato più di una volta a controllare che respirasse. Il suo battito era molto debole e lento. Con amarezza ogni volta usciva, chiudeva la porta il più piano possibile e tornava in camera. Si sentiva un’anima in pena con la coscienza sporca, era triste ammettere di aver rovinato un così bel rapporto. L’amava eppure l’aveva tradita. Che stupido. Che perfetto idiota.

Non ricordava neanche lui quante volte era andato in bagno quella notte per scaricare la tensione: lavarsi con l’acqua ghiacciata il volto in fiamme e guardare con odio la sua immagine riflessa allo specchio. Era l’immagine di una persona triste, di un perdente che aveva peccato. Il suo torso nudo rispecchiava la vile nudità della sua anima e le braccia muscolose indicavano la potente brutalità delle sue azioni. Il viso era spento, scialbo, rivelava un tormento interiore troppo grande per essere mascherato.

“Gabriel…” lo chiamò dal sonno profondo.

“Uhm?”

“Quando hai intenzione di sposarmi?”

Il ragazzo spostò la testa sul cuscino e la fissò con il cipiglio inarcato. Rebecca si teneva alzata con un gomito e si stava mordicchiando le labbra. Aggrottò la fronte quando notò i suoi capelli castani tutti spettinati e arruffati. Anche dopo aver fatto l’amore era bellissima.

“Come scusa?” non pensava di aver capito bene.

Rebecca arrossì e sprofondò con la testa nel cuscino. La sentì ridere mentre premeva la faccia contro l’imbottitura.

“Ti ho chiesto quando hai intenzione di sposarmi” borbottò.

Gabriel si mise ridere, sinceramente colpito e meravigliato.

Rebecca si mise seduta. “Non ci trovo niente di divertente” grugnì.

Anche il ragazzo si sedette e scosse la testa incontrando gli occhi feriti di lei. “Stavo ridendo perché mi sorprende questa tua voglia improvvisa di sposarti. Fino a qualche giorno fa, quando te l’ho proposto, mi sembravi spaventata a morte”

“Mi hai colta di sorpresa, non è da tutti ricevere una proposta di matrimonio a diciotto anni!”

“Infatti avevo capito che era quello il problema e ho pensato di sposarti più avanti, quando sarai pronta…e possibilmente non minorenne”

Rebecca gli lanciò addosso un cuscino colpendolo in pieno viso. “Non sono minorenne, deficiente che non sei altro!”    

Gabriel scoppiò in una fragorosa risata. “Sì, sì, scusa. Mi sono confuso con la tua età mentale”

La ragazza strabuzzò gli occhi a dismisura e allargò un enorme sorriso. “Come ti permetti?! Io sono matura!”

Gli si buttò addosso atterrandolo contro il materasso, poi lo bloccò per le spalle. Gabriel non tentò nemmeno di liberarsi dalla sua stretta, gli piaceva parecchio stare in quella posizione, con lei sopra a cavalcioni.

I suoi occhi azzurri luccicavano per la felicità. “Questa mi giunge nuova, non pensavo che i koala della giungla avessero un cervello così sviluppato. Sai per caso se sono in estinzione o si sono evoluti?”

“Ah-Ah, divertente! Puoi prendermi in giro quanto vuoi, tanto lo so che mi adori!”

“Ti adoro come un padrone ama il suo cucciolo di koala”

“Stronzo”

“Koala in estinzione”

“Smettila!”

“Porca miseria, che permalosa che sei!”

“Allora, perché non mi sposi?”

Gabriel la guardò come se fosse impazzita. “Hai mai sentito parlare di discorsi logici? Cosa centra adesso il matrimonio quando stavamo parlando dei koala?!”  

La ragazza assunse un tenerissimo broncio e imitò il becchetto dei bambini piccoli. Gabriel imprecò mentalmente per quella sua debolezza.

“Gabriel, non vuoi sposarmi?” domandò lei in un sussurro. “No, perché se è così basta che me lo dici e io non mi arrabbio”

“Piantala di essere idiota, io ti voglio sposare ma non subito. Hai la pazienza di aspettare qualche anno?”

Rebecca fece finta di pensarci su e poi sorrise mostrando una fila di denti bianchissimi. “Ok, aspetterò ma ricorda: uomo avvisato, mezzo salvato!”

“Cos’è, un detto americano?”

Si avvicinò pericolosamente verso Gabriel e lui trattenne il respiro. Lo baciò lentamente, dolcemente, con una tale delicatezza che il ragazzo si sentì sciogliere.

Poi si staccò da lui e lo guardò con due occhi birichini che ridevano. “Hai mai sentito dire che i koala sono gli animali più vendicativi che esistano al mondo?”

Gabriel roteò gli occhi e sbuffò. “Ma non raccontarmi stronzate…”

Quei tempestosi ricordi che gli riempivano la mente lo facevano star troppo male. La sua immagine era ancora riflessa allo specchio, bianca e sciupata come la prima volta che si era guardato negli occhi.

Finalmente si era svegliato quella mattina e poteva dire con certezza di aver dormito almeno un po’, quel tanto che gli permettesse di smaltire definitivamente la sbornia e riacquistare le forze. Buttò in aria le coperte e si vestì in fretta e furia. Aveva molte cose da sistemare quel giorno e poco tempo per farlo. Uscì in corridoio e si ritrovò la camera di Rebecca proprio di fronte. Con decisione afferrò la maniglia e aprì la porta.

Rimase sconcertato quando trovò la stanza vuota. Il letto era stato rifatto e le finestre erano aperte per far arieggiare la camera. Si sentì molto afflitto e deluso, il bisogno urgente di parlare con lei non poteva essere rimandato troppo oltre.

Dato che non sapeva dove Rebecca potesse essere decise di fare un salto da Rosalie per ingannare il tempo. Era da un pezzo che non l’andava a trovare e un po’ gli mancava quella famiglia chiassosa e movimentata. Doveva anche scusarsi con Denali per la maleducazione che aveva mostrato l’ultima volta che era stato a casa sua.   

Bussò tre volte alla porta e quando si aprì comparve dal basso il ghigno divertito di Ian. Era cresciuto parecchio, Ian era molto alto e intelligente per la sua età. Emma invece era minuta e incredibilmente aggraziata. Il bambino aveva la stessa faccia ribelle del padre. Sarebbe diventato un affascinante e irresistibile sciupafemmine da grande.

“Ciao, zio” lo salutò spalancando una bocca sdentata.

“Oh Ian, vedo che ti sono caduti dei denti. Mi lasci entrare?” domandò dandogli un colpetto in testa ed entrando comunque.

Ian mise il broncio. “Non mi sono caduti” grugnì.

Gabriel venne assalito da Emma che gli corse incontro gettandogli le braccia al collo. Il ragazzo la prese in braccio e le schioccò un grosso bacio sulla guancia. Emma stravedeva per lui, Denali era molto geloso per questo, temeva che sua figlia avesse un debole per l’amico. Come del resto Ian adorava Rebecca, lasciando ogni volta Rosalie in cucina a brontolare sottovoce.

“Zio, la zia non c’è?” domandò speranzoso Ian torturandosi le mani in grembo come se stesse aspettando un dono o una caramella.

Emma non smetteva di scalciare e lui dovette rimetterla a terra, dopodichè andò dal padre a farsi fare un po’ di coccole.

“Ian, la zia non è potuta venire oggi” disse Gabriel e guardò Denali che prontamente distolse lo sguardo.

“Come mai non c’è? Da quanto ne so avete finito gli allenamenti, ormai è una professionista del suo mestiere. Non mi dirai che l’hai mandata a correre o a far jogging mentre tu sei venuto qui a rubare qualche fetta di torta?! Oh, non posso credere che la nostra Rebecca stia per diventare un angelo bianco!” esclamò la sorella con impetuoso affetto materno.

Gabriel sbuffò. “Se è per questo io non la obbligo più a far niente”

“Vuoi un thè caldo?” gli chiese Rosalie già pronta con un pentolino in mano.

Il ragazzo annuì e si sedette nel divano tra Denali ed Emma. La bambina gli si accoccolò al braccio mentre Denali s’irrigidì. Gabriel gli lanciò uno sguardo stupito.

Lo stava evitando come se fosse un lebbroso, un appestato, eppure non gli pareva di essere stato così scortese da non meritarsi neanche le sue attenzioni.

Gli avrebbe parlato prima possibile.

Da dietro il tavolo della cucina Rosalie bolliva il pentolino con l’acqua.

“Hai una preferenza per il tipo di thè?”

“Rosalie, in questo momento non m’interessa granchè il gusto del thè. Decidi tu, per me è lo stesso, mi basta bere qualcosa di caldo”

“Non vuoi una fetta di torta? Stamattina sono uscita al mercato e ho comprato delle ciliegie buonissime! Ian e suo padre ne hanno già fatta fuori metà. Ho incontrato Delia al mercato, le cose con Kevin vanno alla grande. Ora Kevin lavora con il padre di lei, aiuta a gestire la locanda. Ho sentito che hanno molta concorrenza, anche l’altra locanda sta avendo ultimamente molti clienti. Ma forse quella non conta, è più un bordello, o no? La locanda della famiglia di Delia è più un…uhm…hotel a cinque stelle, come direbbero sulla Terra. Comunque quei due vivono insieme da un bel pezzo ormai, chissà fra quanto il primo bambino!”

Gabriel guardò Denali con esitazione. “È incinta?”

“No, che io sappia”   

“No che non sono incinta!” esclamò a gran voce la ragazza dalla cucina.

“Mamma!” la chiamò Ian da sotto il divano. “Stai per darmi un fratellino?”

Denali scattò in piedi preoccupato. “Ian, che diavolo ci fai sotto il divano?! Esci subito da lì!”

“Mamma, io ed Emma possiamo andare a giocare con la barca nuova fuori in cortile? Prometto che avrò cura della mia sorellina e che non succederà niente di brutto!” disse sbucando fuori dal divano con in mano una barca di legno.

Rosalie si diede uno schiaffo in faccia, Emma si mise a ridere e Denali fissò il figlio sbigottito.

“Ma perché la tua barca era sotto il divano?”

“Tesoro, non mi sembra il caso di sgridarlo, se ha preso anche solo metà dei tuo geni sono sicura che sai come ci è finita quella barchetta sotto il nostro divano. Ian, puoi andare in giardino a giocare con tua sorella purché non vi facciate male, d’accordo? Niente giochi violenti come fare la guerra e non toccate gli attrezzi nel capannone che servono al papà per l’orto”

“Ti sei messo a coltivare l’orto?” mormorò Gabriel a Denali cercando di trattenere una risata.

Denali grugnì.

Ian si fece il segno della croce sul petto e come un razzo scappò fuori, seguito a ruota dai passetti incerti e più lenti della sorella.

Denali si avviò verso la cucina. “Ma Rose, non hai visto dov’era Ian? Il divano poteva cedere! Senza contare che è vecchio e sotto è pieno di chiodi sporgenti! Poteva tagliarsi! E se un chiodo…?”

“Oh, taci tu!”

Il ragazzo incrociò le braccia al petto e sbuffò sonoramente.

Rosalie sospirò e si mise le mani sui fianchi. “Gabriel, te lo devo dire, se mai ti deciderai a darmi dei nipotini ti sconsiglio di avere due gemelli. Amo i miei figli ma il difficile lavoro che devi fare con uno solo si raddoppia quando sono due, portando te e la tua testa alla pazzia! Se poi hai anche un uomo che assomiglia per metà ai tuoi diabolici figli…”  

Denali rise e strinse affettuosamente la mano di Rosalie tra la sua. Gabriel abbassò gli occhi e scacciò la brutta sensazione che lo stava assalendo.

Parlare di figli, di matrimonio, del futuro…erano tutte cose che gli riportavano alla mente Rebecca. E in quel momento la loro situazione non era certo quella festosa e gioiosa in cui pensare a dei bambini o ad una cerimonia nuziale.

“Che succede?” gli domandò Rosalie. “Problemi con Rebecca? A dir la verità è da molto che non vi vedo più venire a trovarmi insieme, come ai vecchi tempi”

Gabriel cercò con gli occhi Denali e lui ancora deviò il suo sguardo.

Gli stava nascondendo qualcosa, ne era certo. Poteva essere qualcosa che riguardava Rebecca? Denali era a conoscenza di quello che le stava accadendo? Era lui a custodire la chiave che apriva tutte le risposte alle sue domande?

C’era qualcosa che non andava. Denali era il suo migliore amico e si era sempre confidato con lui. Se sapeva il segreto di Rebecca perché non avrebbe dovuto dirglielo? Cosa lo teneva vincolato al silenzio?

“Io e Rebecca non stiamo avendo un bel periodo” dovette ammettere suo malgrado.

“Oddio, spero niente di grave!” scattò la ragazza.

“Questo non posso dirlo Rose, per me è sempre più difficile” poi, apposta, aggiunse: “Se solo sapessi che cosa le frulla in quel cervello…”

Denali si alzò dal divano un po’ pallido e con una certa agitazione disse che andava un attimo in bagno.

“Che gli è preso?” mormorò Rosalie a Gabriel aggrottando la fronte. “Quello è pazzo”

“Rose, ti dispiace se vado un momento al bagno anch’io?”

“Cos’è, la processione? Non vuoi neanche aspettare che esca?”

“Aspetterò fuori. Ci metto poco”

Non appena Denali uscì dal bagno, bianco come un cadavere, dovette bloccarsi alla vista di Gabriel che lo stava aspettando appoggiato al muro del corridoio.  

“Non me lo vuoi dire?”

Denali scrollò la testa. “Non so di cosa stai parlando”

“Non fare il finto tonto con me” sibilò il ragazzo fronteggiandolo. “Ti conosco da una vita ormai, dovresti saperlo”  

Si trovavano faccia a faccia, i loro nasi quasi si sfioravano. Denali tremava ed era sempre più pallido. Non pensava che la magia impiegata per tenerlo al silenzio fosse così potente. Se solo provava a parlare del segreto di Rebecca un violento flusso di magia nera gli bloccava la gola, ustionandogliela. Cominciava a sentirsi veramente male, la testa gli girava e una forte emicrania gli stava spaccando il cranio.

“G-Gabriel, non mi sento molto bene, ti dispiace se vado a buttarmi giù?”

La faccia di Denali aveva preso a sudare.

Gabriel indietreggiò. “Sì, vai. Scusami se ti ho disturbato, e…scusa anche per l’ultima volta”

Vederlo in quello stato lo fece preoccupare non poco.

“Non scusarti, non me la sono presa. Posso capire la tua rabbia, anch’io avrei perso le staffe se fossi stato al tuo posto”

“I-Io allora andrei a casa. Ma sei sicuro di star bene?”

“Non vuoi fermarti? Sono certo che a tua sorella e ai bambini farebbe piacere se rimanessi a pranzare da noi. E anche a me, ovviamente”

“No, voglio andare a casa, magari Rebecca è tornata e se non mi trova…non voglio che pensi a chissà cosa. Però vorrei parlarti, più avanti, quando starai meglio”

“Certo, passa a trovarci quando vuoi. È sempre un piacere avervi in casa, sia te che Rebecca”

Tutti e due.

Detta così sembra un insieme.

In realtà, Denali, siamo così divisi da non essere più un due.

Gabriel fece per andarsene.

In un ultimo stremante tentativo Denali cercò di buttar fuori tutto quello che sapeva su Rebecca ma ancora una volta la morsa dell’incantesimo gli provocò uno spasmo e non potè far altro che boccheggiare e vedere il suo amico allontanarsi.



***



Tornando a casa Gabriel aveva deciso di fare un giro per il mercato. Le strade erano affollate e piene di voci festanti, urlanti, e di una folla concitata, troppo indaffarata per soffermarsi e prestarti attenzione. Gli faceva bene stare in mezzo alla gente, almeno così colmava di poco l’enorme vuoto che sentiva dentro il cuore.

La voce di un uomo lo fece fermare davanti alla sua bancarella.

“Ehi, ragazzo! Sì, proprio tu!”

Gabriel si arrestò e controllò che stesse parlando davvero con lui. “Parla con me?”  

“Certo che parlo con te! Dimmi, non sei interessato a comprare dei bellissimi fiori?”

“Le sembro un tipo da fiori?”

“Ho qui delle rose meravigliose e costano pochissimo!” esclamò l’uomo con enfasi.

Gli mostrò un mazzo con tre rose e subito Gabriel ricordò di aver visto quei fiori sulla Terra. Non crescevano rose a Chenzo e dovette ammettere con franchezza che era un vero peccato. Era il fiore più bello e incantevole che avesse mai visto. Abbinò immediatamente quel fiore rosso, passionale, aggraziato e seducente a Rebecca.

Scosse la testa disgustato.

Odio le rose, pensò con rabbia.

“Mi dispiace ma non ho intenzione di comprarle. Grazie comunque” tagliò corto.

Fece per riprendere il cammino quando andò a sbattere contro qualcuno. Si accorse dopo che era Delia. La ragazza gli fece un generoso sorriso di saluto.

“Gabriel! Che bello rivederti! È da molto che non ci troviamo tutti insieme a fare una bella festa, eh?” disse, facendogli l’occhiolino. “Prima ho chiacchierato un po’ con Rosalie, è sempre più pazza ogni giorno che passa!” sorrise.

Era molto contenta. Le cose con Kevin dovevano andare veramente a gonfie vele.

“Sono felice anch’io di trovarti, Delia. Come stai?”

“Io sto benissimo, non sono mai stata meglio! E tu?”

Il suo sorriso era luminoso e splendente come il sole in cielo. Per un attimo Gabriel ne rimase accecato.

Cos’era che in quel periodo tutti erano felici tranne lui? Che ingiustizia era mai quella?!

“Io…” fece parlare ma poi la ragazza lo interruppe bruscamente.

“Aspetta!” esclamò.

“Cosa c’è?”

Delia sembrava molto preoccupata. Ora non rideva più.

“Prima…ora che mi ricordo, prima ho visto Rebecca passare per il mercato. L’ho vista stamattina, poi io sono andata da mio padre e non l’ho più incrociata”

Al suono di quel nome Gabriel sussultò. “È qui al mercato?”

“No, no, l’ho vista passare, era da sola. Camminava a passo deciso, teneva in mano la sua spada e sembrava che andasse al caseggiato abbandonato, nella vecchia fabbrica sul campo. Oh Gabriel, era spaventosa!”

Il ragazzo ebbe un tuffo al cuore. “In che senso?” si rese conto che la sua voce tremava.

“Mi è passata davanti e non mi ha neanche degnata di un saluto. Eppure mi ha vista, ne sono certa. Mi ha guardata in faccia e…devo dire che mi ha molto turbata il suo sguardo. Poi ha fatto finta di niente e ha girato la testa, superandomi. Oh, ma i suoi occhi…i suoi occhi erano davvero strani, Gabriel. Non erano del solito colore castano chiaro: erano neri, completamente neri, come se avesse avuto le pupille dilatate. Cosa pensi che le sia successo?”

“Non ne ho idea ma devo assolutamente trovarla. Alla vecchia fabbrica, hai detto?”

“Sì, mi sembra che la strada fosse quella ma non posso sapere se ha girato in un’altra direzione più avanti”

“Grazie Delia, in ogni caso andrò a vedere là. Ora vado, scusa, ci vediamo” le diede un fugace bacio sulla guancia e la passò via correndo.

Delia si voltò a guardarlo e si portò una mano sul cuore. I problemi per loro non erano mai finiti. Soffriva nel vedere il suo amico così in pena, così in bilico tra la felicità e il dolore.

Oh Signore, ti prego, fa che non sia niente di grave.

Gabriel non riuscirebbe a sopportare un altro dolore.



***



Atreius stava rigirando tra le mani il pugnale di famiglia.

La famiglia Douglas.

La nobiltà, il sangue reale.

Gli scappò una risata quando pensò alla sua situazione. Era l’unico figlio maschio di Dark Threat e ancora non era stato in grado di diventare re. Non aveva nemici e nemmeno rivali. Doveva essere molto semplice allora salire al trono.

Eppure…

I suoi consiglieri lo avevano avvertito, per loro il suo sangue non era abbastanza puro. Volevano aspettare l’arrivo di Rebecca al castello, non appena sarebbe passata dalla loro parte l’avrebbero accolta con un caloroso benvenuto. Lei sì che era degna di regnare, a loro avviso. Aveva quello che definivano: sangue puro, nata dall’unione di due potenti angeli. Non come lui, nato da un angelo e una ninfa. Era troppo inferiore.

I suoi consiglieri avevano già calcolato tutto nei minimi particolari e dietro a tutto questo doveva per forza esserci un piano già architettato precedentemente da Mortimer. Suo padre aveva programmato come sarebbero dovute andare le cose nel caso in cui fosse morto, aveva lasciato una sorta di testamento.

Rebecca, una volta giunta al castello come angelo nero, avrebbe preso il nome di sua madre: Aidel, che nell’antica lingua significava: “stella del mattino”. Ed era con quel nome che volevano incoronarla, sarebbe diventata la guida e la padrona del regno delle tenebre. Al suo arrivo avrebbe portato con sé Mortimer, liberato dalla prigionia della morte e del corpo, e di nuovo tra i vivi. Dark Threat avrebbe rifatto la sua comparsa nel mondo e avrebbe reclamato il suo diritto di regnare come sovrano indiscusso del Male.

Mortimer era il re, mancava al suo fianco una regina. Dato che non si era mai sposato e non aveva mai voluto una donna sul trono ad affiancarlo (riteneva di non aver ancora incontrato una donna degna di tale potere) sarebbe stato compito di sua figlia appoggiarlo come regina.

Atreius sapeva quanto suo padre sotto sotto andasse fiero di Rebecca. Era la sua unica gioia, il suo unico apice di orgoglio. L’unico sentimento simile all’amore che poteva provare era quello per sua figlia. Dopo aver scoperto di essere suo padre si era più volte confidato con lui su quanto gli avrebbe fatto piacere averla al suo fianco. L’aveva sempre ritenuta una ragazza intelligente, scaltra, astuta e potente per natura. Secondo lui era la sola degna del titolo di: “signora delle tenebre”.

E anche Atreius lo pensava così in fin dei conti.

Aveva sempre provato una certa simpatia per Rebecca. Fisicamente ne era molto attratto e non potendosi innamorare né provare sentimenti come l’amore o l’affetto si faceva comandare dai suoi istinti e dai suoi impulsi, e le sue passioni gli dicevano che Rebecca era l’unica donna adatta a lui. Era una ragazza che non si faceva mettere i piedi in testa e che sapeva il fatto suo, e ad Atreius piaceva da morire quel genere di donna.

Si sistemò meglio sul trono di suo padre e mise il pugnale in una tasca interna della sua divisa. Sospirò e si guardò intorno, si stava annoiando a morte. Sperava che una volta arrivata Rebecca si sarebbe potuto divertire di più, magari stressandola o imparando a conoscerla meglio. In ogni modo, aveva voglia di fare qualcosa, qualcosa di diverso e di spassoso. Ad un tratto gli venne in mente un’idea fantastica.

Osservò il cielo dalle enormi finestre aperte ad arco e vide che il sole era ancora alto nella volta celeste.

Bussarono al portone.

Atreius si mise subito composto come un vero re. “Avanti”

La porta cigolò e comparve Vezzen, il suo servitore. Per un attimo Atreius sperò che fosse qualcun altro di più piacevole o interessante. Sprofondò nella morbidezza del trono e arricciò le labbra.

“Che vuoi, Vezzen? Hai qualcosa di importante da dirmi?”

La creatura storpia e deforme si inchinò fino a toccare con la punta del naso il pavimento freddo della sala. Si raddrizzò come meglio potè e congiunse le mani a preghiera.

“Mio Signore, mi manda Salazar”

Salazar era il suo più fidato consigliere. Come lo era stato per suo padre.

“Cos’ha da chiedermi Salazar?”

“Vuole incontrarvi per una riunione privata questa notte, nella sala dei trofei. Ha detto di avere delle informazioni importanti con cui vorrebbe discutere con lei”

“Mi dispiace Vezzen, ma dovrai declinare a Salazar l’invito da parte mia. Questa notte non sarò al castello, ti prego di avvertire i miei consiglieri e di dir loro di non preoccuparsi che farò ritorno domani mattina. Ho…un’altra specie di invito” disse con un ghigno divertito.

Vezzen ciondolò sul posto come se stesse aspettando qualcos’altro.

“Vai, ho finito” gli ordinò il ragazzo con un gesto secco della mano.

Il servitore zoppicò fino al portone e poi uscì. Atreius si alzò dal trono e sgranchì le gambe che si erano nel frattempo intorpidite. Sbadigliò sonoramente e discese la rampa di scale che permetteva ai due troni di sovrastare il resto della sala. Percorse la navata camminando sul lindo tappetino rosso e prima di andarsene non potè non trattenere una risata.

Sì, si sarebbe divertito parecchio quella notte.  



***



Suo padre le aveva promesso un miracolo e durante la notte un miracolo era avvenuto. Non appena Rebecca aveva aperto gli occhi ad una nuova giornata si era sentita subito di buon umore. Non provava più sofferenza. La consapevolezza di quello che era successo la notte precedente c’era ma quei ricordi non la ferivano più. Ripensava a quando aveva visto Gabriel con quella ragazza e non sentiva più le lacrime salirle agli occhi, il dolore spaccarle il petto o le fitte squarciarle il torace. Era tutto magnifico, divino. Non provava più niente se non un profondo odio verso il ragazzo ma non era un odio distruttivo, semmai un odio sadico e quindi piacevole.

Si era alzata dal letto in perfetta forma, era prestissimo e aveva voglia di allenarsi con le spade. Voleva abbattere qualcosa. Si vestì e molto tranquillamente uscì di casa. Non le era passata neppure per l’anticamera del cervello l’idea di andare a vedere come stava Gabriel.

Nel momento in cui inspirò l’aria fresca e pulita di prima mattina si sentì piena e soddisfatta. C’era sempre quella sensazione di odio e di potere che la divorava ma era una sensazione talmente gradevole che non la turbava.

Passò via velocemente il mercato e andò dritta verso il vecchio caseggiato. Quando entrò nella fabbrica poco illuminata tirò fuori la spada dalla fodera e la fece volteggiare sopra la propria testa con un agile movimento.

Vedo che stai bene, era Mortimer.   

Rebecca sogghignò.

Divinamente. Avevi ragione, non provare nessun’emozione al di fuori dell’odio e della brama di potere non è niente male. Mi sento così completa e forte che potrei conquistare il mondo intero! Non ho mai sentito il mio corpo appartenermi come ora.

Da questa tua affermazione possiamo dedurre che le mie teorie sono sempre state fondate.

Padre, ho solo un po’ del tuo odio in corpo, posso ancora ragionare con la mia testa. Sono convinta che quando questa sensazione appagante se ne sarà andata tornerò ad avere le stesse convinzioni di prima.

Il Male non ti attira neanche un pochino?

Un pochino, come a tutti, credo.

Sei molto saggia, anche in questi momenti dove la tua anima è corrotta.

Io sono sempre obbiettiva con me stessa e con gli altri.

Non con tutti.

Che vorresti dire?

Con Gabriel no.

Rebecca rinfoderò la spada con un gesto frustrato e cominciò a prendere a pugni il sacco da boxe che stava appeso al centro della stanza.

Che intendi fare con lui?

Non lo so, anche se posso ragionare lucidamente senza scoppiare a piangere mi è comunque difficile dire come mi comporterò. Sicuramente non la passerà liscia. Insomma, mi ha tradita, porca miseria! Ok che era parecchio ubriaco e che era convinto che io lo tradissi a mia volta, e in un certo senso il suo è stato un gesto estremo, però…boh, non so. Io sono sicura che non l’ha fatto apposta ma ha sbagliato e su questo non ci piove. E poi, dannazione, lui non è mica l’unico ad impazzire di gelosia! Anch’io sono gelosa eppure non rispetta questo mio sentimento come io devo fare con lui!

Quindi lo perdonerai.

Prima voglio parlargli, anzi, lui dovrà venire a parlarmi, poi si vedrà. In questo momento la questione non mi tocca minimamente.

Cosa farai appena lo vedi?

La ragazza rimase qualche secondo in silenzio, interdetta. Poi riprese a picchiare il sacco con ancora più forza di prima.

Ascolterò se ha qualcosa da dirmi. Sono curiosa di vedere se farà il bastardo fino in fondo mentendomi oppure se avrà almeno le palle per dirmi la verità.

Ora come ti senti?

Vuoi la pura verità?

Sì.

Mi sto scaldando. Parlare di questi discorsi mi hanno fatto montare in corpo una tale rabbia…se solo penso a quello che mi ha fatto mi viene voglia di strozzarlo con le mie stesse mani!   

Vuoi che ti passi ancora un po’ del mio odio?

Ancora? pensò allibita.

Questa volta è odio misto ad una spietata freddezza. Ti ci vorrebbe, secondo me, figlia.

Stai insinuando che non sono razionale?

Non abbastanza. Se dovrai diventare un angelo nero non è concepibile che tu sia soggetta a sbalzi d’umore, scatti d’ira e liti furiose. Niente che abbia a che fare con comportamenti istintivi e animaleschi. Se vuoi divenire una regina delle tenebre devi imparare ad essere controllata, fredda, razionale, spietata, impassibile. Le persone che ti vedono o che parlano con te non devono capire quello che provi, né tantomeno devi renderti ai loro occhi prevedibile.

In poche parole devo essere una macchina di ferro: dura fuori, vuota dentro.

Esatto, una macchina che non risponde a nessuno stimolo esterno ma che segue unicamente i propri obbiettivi. Detto questo figlia, ti ripeto, vuoi ancora un po’ del mio essere?

Certo, va bene. Vediamo se la razionalità è migliore della rabbia.

Oh, sicuramente lo è. Lo è, fidati.

Mortimer fece appena in tempo a finire la sua trasformazione su di lei che la porta del caseggiato si aprì. Rebecca dava le spalle all’entrata ma capì subito chi era, il suo odore era inconfondibile. Rimase di schiena a fissare il sacco da boxe che stava ancora oscillando a destra e a sinistra.

Lo sentì venire avanti con passo indeciso.

Sospettava qualcosa?

Quella mattina non aveva fatto in tempo a guardarsi allo specchio ma immaginava di apparire molto diversa. A cominciare dalla divisa che stava indossando. Non aveva mai portato un’armatura nera, la configurava con il Male e per questo aveva sempre preferito indossarne di bianche, beige o azzurre. Ma questa volta era nera. Percepiva inoltre uno strano prurito agli occhi, se gli sentiva troppo grandi e incavati nelle orbite.

Gabriel parlò.

“Rebecca…” la chiamò, la sua voce era instabile. “Ho incontrato Delia al mercato, mi ha detto che ti ha vista e che non ti ha trovata molto bene. È tutto apposto?”

Lei non rispose.

Lui sospirò. “Senti, lo so che in questo momento non vuoi parlarmi e ti capisco. Quello che ti ho fatto ieri notte è stato orribile, mi vergogno per essere entrato in camera tua ubriaco e di averti detto quelle cose bruttissime. Ti chiedo solo di perdonarmi e di dimenticare. Io ti amo”

Il suo tono di voce speranzoso e afflitto le fece andare il sangue al cervello. S’impose di calmarsi.

“E quindi sei venuto qui per farti perdonare”

Rebecca percepì i muscoli del ragazzo irrigidirsi. Forse non era abituato a sentirla parlare così pacatamente e con freddezza.

“Sì, voglio dirti che mi dispiace”

“C’è forse qualcos’altro di cui vorresti farti perdonare?”

Gabriel deglutì. Rebecca rise e la sua risata congelò Gabriel. Era una risata pericolosa, micidiale e demoniaca.

“Che ti prende, Bec?” domandò allarmato.

“Non osare chiamarmi così. Per te sono Rebecca” tuonò con voce imperiosa.

“Rebecca, così mi stai facendo paura. Si può sapere che ti prende?”

La ragazza sogghignò. “Io sto benissimo, non sono mai stata meglio di così. Ho sperimentato un’altra dimensione del piacere, un altro modo per sopravvivere a questo mondo. È un vero peccato che tu sia rimasto indietro con i tempi, Gabriele”

Gabriele.

Lui si sentì morire. “Gabriele? Da quando mi chiami così?! Cos’è, ora sono diventato un perfetto sconosciuto, una persona lontana dal tuo cuore?!” urlò con tutte le sue forze.

“Dopo quello che hai fatto non ti meriti la mia pietà”

“Voltati” le ordinò.

Lei rise, cosa che lo mandò in bestia.

Si stava prendendo gioco di lui?

“Voltati, ho detto” sibilò Gabriel. “Fatti guardare in faccia!”

Lentamente Rebecca girò su sé stessa, il suo viso era incorniciato da un orribile ghigno sfrontato ma non era quello che lasciò sconvolto Gabriel, bensì furono i suoi occhi.

Gabriel indietreggiò come colpito, come in balia delle onde o di un forte stato di ubriacatezza. Dovette aggrapparsi alla parete per non crollare a terra.

Mentre Gabriel si piegava su sé stesso e pian piano scendeva a terra, Rebecca gli camminò incontro bellissima e accattivante. Aveva un ché di diabolico e di affascinante allo stesso tempo. Si muoveva sinuosamente dentro la sua divisa in pelle attillata e non smetteva un secondo di guardare negli occhi il ragazzo.

“Ora non dici niente, vero? Ora che mi hai guardata in faccia non fai più lo spavaldo”

Con fatica Gabriel riuscì a rimettersi in piedi, rimanendo comunque incollato alla parete.

Rebecca gli andò vicinissima, si fermò a pochi centimetri dal suo viso e Gabriel riuscì a bere il suo respiro che sapeva di buono e di dannato.

“Mio Dio, che ti è successo?” sussurrò in trance.

“Perché quella faccia lunga? Io sto benissimo, non sono mai stata meglio in vita mia e questo lo devo soltanto a te, Gabriele”  

“Io?! Non sono stato io a ridurti così! Oh Signore, guardati!” esclamò inorridito.

“Oh sì che sei stato tu e se sforzi il tuo cervellino riesci anche a capire il perché”  

Gabriel si sentì soffocare.

Respiro, respiro…

Dov’è il mio respiro?

Lei sapeva.

Lei sapeva e ora lui voleva morire.

“Mi dispiace” mormorò con voce rotta. “I-Io non volevo, sono stato un idiota. Tu lo sai quanto ti amo e sai che non ero in me! Dannazione, ero disperato!”

“Non devi incolpare la tua disperazione, Gabriele! Quello che hai fatto l’hai fatto perché volevi ferirmi, volevi che io provassi il tuo stesso dolore! Per cosa, poi? Io non ti ho mai tradito, stupido umano”

Un gemito gli sfuggì dalla bocca aperta e il cuore prese a martellargli in petto fino a scoppiare. Poteva sentire il sangue defluire dal suo corpo e abbandonarlo.

Umano…” sussurrò con la faccia contorta da un’orrenda incredulità.

“Io non ti ho tradito” ripetè lei con dura ostinazione.   

“Non mi hai mai tradito?” domandò.

“No, neanche una volta, neppure una dannata volta!” disse alzando la voce. Stava perdendo il controllo. La rabbia le stava riaffiorando in corpo.

Gabriel per un attimo sembrò più sereno, a Rebecca parve di scorgere nei suoi occhi uno scintillio di contentezza.

“Perché fai quella faccia?!” sbraitò lei. “Ora che ti ho detto che non ti ho tradito ti metti a ridere?! Non c’è niente da ridere! Niente! Dovrei essere io quella che ride e tu quello che sprofonda per la vergogna di aver tradito ingiustamente la sua ragazza!”  

“Ho sbagliato, non ho avuto fiducia in te. Ho pensato che il tuo silenzio ostinato nascondesse per forza qualcosa di terribile come un tradimento! E poi quando ti ho chiesto se ti vedevi con Atreius tu mi hai detto di sì! Come mi sarei dovuto sentire se non come uno che viene messo da parte, sostituto da un altro?”

“Avresti dovuto avere fiducia in me” lo accusò.  

Gabriel emise un sospiro di frustrazione. “Lo so! Lo so! E solo ora me ne rendo conto, questa notte purtroppo l’alcool e la rabbia non mi hanno permesso di ragionare come avrei voluto!”

Rebecca scosse la testa in un gesto teatrale. “Gabriele, Gabriele…” lo canzonò.

“Smettila di chiamarmi con quel nome!”

“Oh Gabriele, mi dici ora che devo fare con te?”

Il ragazzo ringhiò. “Gabriel. No Gabriele”   

“Ah, è uguale”

Gabriel si staccò dalla parete e inchiodò Rebecca al muro bloccandola con entrambe le braccia ai lati della testa.

“Parli tanto di me, grande donna, ma anche tu a quanto pare hai qualcosa da confessare” disse, squadrandola da capo a piedi.

Lei si limitò a sorridere. “Dato che hai molta immaginazione nel dedurre le cose prova ad indovinare anche questo. Peccato però che giungi sempre a conclusioni errate”

Gabriel battè con forza un pugno sul muro e si fece più vicino a lei. “Non giocare con il fuoco”

“E tu non disturbare la mia anima, potrebbe svegliarsi e dartele di santa ragione”

“Correrò il rischio. Voglio sentirti dire a voce alta che mi perdoni”

Rebecca strabuzzò i profondi occhi neri. “Come?!”

Gabriel accostò la sua bocca all’orecchio di lei inspirando avidamente il profumo dei suoi capelli. “Dimmi che mi perdoni e poi voglio che mi baci”

“Sei ancora ubriaco? Perché mi è parso di sentirti vaneggiare”

“Nient’affatto, non sono mai stato così serio” sussurrò, baciandole con trasporto il collo e toccandole possessivamente i fianchi.

Con un solo gesto Rebecca lo allontanò. Gabriel la guardò come se fosse impazzita.

“Io non potrò mai dimenticare, Gabriele”

“Ti sto scongiurando di perdonarmi”

“Pensi che sia così semplice?!”

“Provaci” la implorò.

Gabriel non poteva sapere che a lei non importava niente di trovarsi in quella situazione. Lo straordinario potere che suo padre le aveva concesso le stava dando la forza di non reagire a nessuna emozione. Così poteva gestire Gabriel e pensare razionalmente. Se fosse stata la Rebecca di sempre avrebbe già da un pezzo gettato le braccia al collo del ragazzo e l’avrebbe perdonato tra le lacrime e un sorriso atteso. Ma questa volta non era intenzionata a passare sopra la questione. Voleva giocare con lui ancora un altro po’.

“La tua determinazione mi spaventa Gabriele, devo dedurre che quella puttana non era un granchè come amante”

“No, ti prego, basta…”

“Dimmi la verità, visto che è di questo che stiamo parlando. Sei stato a letto con lei o l’hai solo baciata?”

“L’ho solo baciata, e anche mentre la baciavo nei miei pensieri c’eri solo tu! Eri te che vedevo nella mia mente, nei miei occhi chiusi! Sei sempre stata tu!”

“Commuovente, davvero. Sai, stavo pensando al ragionamento che hai fatto quando credevi che io ti tradissi. Hai detto che volevi farmela pagare con la stessa moneta: tradendomi a tua volta. In questo caso, allora, dato che da parte mia il tradimento effettivamente non c’è stato…”

Gabriel intuì quello che stava per dire e impallidì. “No…”

“…ora tocca a me ripagarti allo stesso modo” concluse con un sorriso, come se fosse la cosa più ovvia del mondo.  

Gabriel avanzò, bianco come un lenzuolo, con le mani alzate. “No! No!”

“Sarebbe giusto non trovi? Magari se chiamo con il pensiero Atreius, lui mi risponde e sarebbe anche felice di aiutarmi in quest’impresa. Correrebbe qui immediatamente e con il sorriso”

Gabriel la prese con entrambe le mani per i polsi e la fece indietreggiare fino a sbatterla nuovamente contro il muro. Questa volta però, in un bisogno disperato di sentirla sua, premette il suo corpo contro quello di lei, facendolo aderire completamente.

Rebecca non sembrava per nulla turbata dalla sua collera, né dalla sua vicinanza. “A differenza di te, lui, saprebbe trattarmi con rispetto e fedeltà”

“Non ci provare nemmeno a chiamare Atreius, Rebecca. Ti prego, non puoi farmi questo” la supplicò sull’orlo di una crisi.

“Perché non dovrei?” ruggì.

Accadde tutto inaspettatamente.

Rebecca fu assalita da un attacco d’ansia e le venne un groppo allo stomaco che la fece tremare e sudare freddo.  

Che mi succede? Perché mi sento così agitata?

Il potere oscuro che ti ho concesso se ne stà andando, l’incantesimo stà finendo.

Fa qualcosa! Mi sento sempre più male! Ridammi un po’ del tuo essere, veloce!

Mi dispiace ma non posso trasferirti ancora pezzi della mia anima, potrei rischiare di disgregarmi.

Oh mio Dio, mi sento come un drogato che patisce l’astinenza della cocaina, pensò con rabbia, scossa dai tremiti.

Brividi di freddo le percorsero la schiena facendola sussultare ad intermittenza, la sua fronte s’imperlò di sudore e percepì quell’orribile sensazione di soffocamento, di asfissia. Doveva prendere aria, stava male, sapeva che sarebbe svenuta se non fosse uscita immediatamente da lì.

Cercò di spostare Gabriel che la teneva inchiodata al muro ma era troppo debole, troppo accecata dalla frustrazione per impegnarsi di più. Gabriel la guardava con la fronte aggrottata, seriamente preoccupato e un tantino spaventato dalla sua reazione.

Rebecca era così stanca e così confusa che si stava mettendo a piangere. Le sembrava di non riuscire più a prendere aria, la sua bocca era aperta in un disperato tentativo di respirare e le sue mani sudate spingevano le spalle del ragazzo.

“Lasciami…” gli mormorò.

“No, non ti lascerò scappare”

Rebecca sbarrò gli occhi, sconvolta. “Ti prego! Il mio corpo sta tornando…non voglio che tu mi veda…” Rebecca non voleva che Gabriel vedesse la sua trasformazione.

In quel momento le importava di lui. L’odio profondo e confortevole che aveva provato fino a qualche secondo prima era svanito, lasciando il posto ai suoi veri sentimenti, alla sua vera identità.

Si stava innervosendo, l’ansia le metteva fretta e urgenza. Non pensava di riuscire a calmarsi, doveva andarsene dal quel posto chiuso e claustrofobico. E Gabriel, come sempre, non la stava affatto aiutando. Non capiva, lo si vedeva benissimo dalla sua faccia dispersa.

“Ma che stai dicendo?! Non vuoi che io ti veda? Rebecca, sono qui! Cos’è che ti far star male in questo modo?”

“Ti supplico, ti imploro, fammi uscire! Spostati!” disse lottando contro il corpo del ragazzo che la racchiudeva.

Gabriel prese il suo viso tra le mani e la guardò intensamente negli occhi. Per un attimo Rebecca smise di lottare.

“Voglio sentirti dire che mi perdoni”

Lei fece per rispondere ma un dolore acuto le perforò il cranio. Sentì gli occhi andare in fiamme, bruciare come fuoco. Ritornò a lottare per uscire, questa volta con più forza e pressione.

Ma non doveva durare mezza giornata la mia personale sensazione di piacere?! pensò con furia rivolta a suo padre.

A quanto pare il tuo corpo ha rifiutato metà dose del mio odio. Non l’avevo previsto ma avrei dovuto immaginarmelo, sei protetta bene.

“No…no…” piagnucolò.

Stai ritornando quella di prima figlia mia, lascia che ti dia un suggerimento: Gabriel non dovrebbe partecipare alla tua trasformazione. Potrebbe capire o, peggio ancora, rimanerne orripilato. Vuoi che ti veda come un mostro? Come un animale feroce da abbattere?

Rebecca aveva fretta.

Suo padre le stava mettendo fretta.

Gabriel le stava mettendo fretta.

Doveva scappare.

Doveva trasformarsi in un posto nascosto affinché nessuno la vedesse.

Doveva dare una risposta a Gabriel.

Era troppo fare queste tre cose contemporaneamente, anche per una creatura come lei.

Allora la tensione accumulata sfociò nel delirio più totale e lei si sentì esplodere. Letteralmente esplodere.

Senza rendersi conto delle sue azioni Rebecca colpì Gabriel con un incantesimo. Il suo corpo prese ad infuocarsi di una luce azzurra e sprigionò dal suo petto, e dalle sue mani aperte, una fiamma potentissima che si scagliò con la velocità della luce sul ragazzo. Gabriel emise un rantolo di dolore e venne sbattuto a terra.

Ci fu il rumore di un lampo che squarcia il cielo e poi, infine, il silenzio.

Rebecca tremava ancora quando il suo corpo smise di bruciare e barcollò sul posto. La figura di lui era stesa sul pavimento e non si muoveva.

Doveva sbrigarsi.

Velocemente uscì all’aria aperta e si trascinò dietro a delle siepi. Cadde per terra e cominciò ad urlare per il male. La trasformazione si stava compiendo e non era un bello spettacolo. Era l’anima inquietante e orrenda di un diavolo che veniva soppiantata da quella candida e dolce di un angelo.

Quando tutto finì gli occhi di Rebecca erano tornati castani, i suoi canini non erano più affilati e sporgenti e la sua pelle, da bianca e incavata che era, era ritornata rosa e viva.

Non si ricordava molto di quello che era successo, ricordava di aver chiesto a suo padre di aiutarla, rammentava di aver provato per la prima volta il lato oscuro, di aver litigato furiosamente con Gabriel…e di aver ferito Gabriel.

“No!” urlò improvvisamente.

Si mise a correre più forte che poteva ed entrò come una furia nella fabbrica. Dove prima giaceva il corpo immobile di Gabriel ora non c’era più nulla.

Era riuscito a scappare, ce l’aveva fatta a mettersi in salvo.

A mettersi in salvo da me, pensò con riluttanza.



***



Gabriel si stava trascinando a carponi verso l’unico luogo in cui potevano aiutarlo. Era stato costretto a scappare dalla fabbrica, strisciando come un verme. Se fosse rimasto in quel posto c’era la probabilità che Rebecca lo riattaccasse.

Se pensava a lei sentiva il dolore del sangue pulsargli nelle ferite aperte.

Chinava il capo in avanti quando non ce la faceva a proseguire e guaiva come un cane ferito non appena un muscolo si sforzava troppo. Andava più veloce che poteva, aveva sempre il timore che lei, in un’ira distruttiva e vendicativa, lo stesse seguendo. Tremava al solo pensiero di trovarsela dietro, forse perché non era in grado di combatterla. Forse perché sarebbe, molto probabilmente, morto con un altro incantesimo come quello appena ricevuto. Forse perché se Rebecca avesse attaccato lui le avrebbe lasciato fare. Non avrebbe reagito, non l’avrebbe aggredita a sua volta.

Piuttosto abbracciava la morte.

Nel momento in cui entrò nell’edificio addetto alle cure (paragonabile ad un ospedale) arrivarono subito tre curatori ad assisterlo. Indossavano tutti e tre dei camici bianchi e per Gabriel fu come vedere la luce per la prima volta. La sua vista si stava spegnendo e tutto quel chiarore attorno a lui lo avvolgeva dandogli la sensazione di essere in paradiso. Si sentì afferrare per le ascelle e trascinare lungo il corridoio, le sue gambe erano molli e intorpidite mentre strascicavano sul pavimento.

I curatori si erano risparmiati la briga di fargli domande, avevano capito che era sotto shock, oltre ad essere stato fisicamente ferito. Parlavano tra di loro con voce concitata e affrettata, si lanciavano occhiate complici da sotto la montatura degli occhiali.

Gabriel fu deposto in un lettino dentro una stanza singola. Non appena fu adagiato con delicatezza arrivò un altro curatore che indossava una mascherina bianca che gli celava la bocca e parte del mento. L’uomo gli toccò la fronte e poi disse qualcosa ai suoi colleghi, qualcosa come: “andate, ora ci penso io. Sta bene, ha solo bisogno di cure”

Quando Gabriel sentì la puntura di una siringa bucare il suo braccio fece per alzarsi ma il curatore lo spinse indietro.

“Andrà tutto bene, vedrai, non è niente. Ora però devi dormire”

“Sto morendo, vero?” mormorò con la voce impastata per il sonno improvviso.

L’uomo scosse la testa e gli sorrise. “Non morirai ragazzo, hai solo bisogno di dormire. Hai preso una bella botta, il tuo corpo è stato sottoposto ad uno stress enorme. Hai avuto una compressione della gabbia toracica, alcune costole si sono rotte e hai danneggiato dei legamenti. Niente che non si possa curare con una bella dormita e una buona cura”

Per niente rassicurato Gabriel dovette suo malgrado chiudere gli occhi. L’anestesia che il curatore gli aveva fatto in tutto il corpo lo stava pian piano addormentando contro la sua volontà. Ma il sonno era troppo forte e la fermezza troppo vacillante.

Si appisolò e non sentì più nulla, solo un piacevole senso di pace e di tranquillità.

Il curatore fece il suo dovere: gli salvò la vita. Passò quasi tutta la notte al capezzale di Gabriel a curarlo e medicarlo. Quando finì era già buio pesto. Si asciugò la fronte sudata con una mano guantata e abbassò la mascherina scoprendo un sorriso.

Si tolse i guanti sporchi di sangue e gli gettò nel cestino. Le ferite alle gambe le aveva cucite con i punti e le costole risanate con una fiala magica e un paio di fasciature. L’uomo fu contento del proprio lavoro, aveva ancora una volta salvato un angelo.

Gettò via anche le siringhe che aveva usato per la trasfusione di sangue e per l’iniezione di antidoti. Si soffermò a guardare la siringa adoperata per l’anestesia, con la dose che ci aveva messo il ragazzo avrebbe dormito di brutto per tre o quattro giorni di fila. Lo osservò dormire e fu contento di vederlo sano e con il respiro regolare e rilassato. Quando era arrivato nella stanza era in pessime condizioni, senza contare che il suo sguardo perso e vitreo lo aveva fatto sembrare già morto.

Il curatore si domandò chi potesse essere stato a fargli tutto questo. Le ferite di Gabriel avevano origini magiche perciò non era stato aggredito da un semplice essere umano o da un animale. Qualcosa di orribile collegava lo stato fisico di Gabriel al suo, al loro, di tutto il villaggio.

Si riscosse non appena qualcuno tossicchiò.

Era il suo assistente, la sua faccia sbucava dalla porta semi-aperta.

“Scusi se la disturbo dottore, ma dobbiamo avvertire i parenti?” chiese il giovane parlando sottovoce.

“Sì, avvisa i suoi famigliari, devono sapere in che condizioni si ritrova”

“Quando posso dire che vengano a trovarlo?”

“Quando vogliono, tanto il ragazzo dormirà fino a quattro giorni ed è fuori pericolo. Se vengono a trovarlo possono farlo a meno che non facciano casino, è ovvio”

“Ok signore, sarà fatto” fece per uscire ma poi intrufolò un’altra volta la testa. “Signore, è fuori pericolo davvero?”

Il curatore sospirò e guardò Gabriel con immenso rispetto. Conosceva la sua storia e aveva sempre avuto un debole per lui e per la sua triste adolescenza. Aveva anche curato la sua ragazza, Rebecca, un paio di volte. Era l’unico dottore che avesse la competenza di assistere e curare degli angeli e per lui era diventata una vera e propria passione.

Per questo quando i suoi occhi si posarono sul ragazzo le sue iridi si addolcirono e luccicarono di un bagliore affettuoso.

“Sì, è fuori pericolo”

L’assistente voleva sapere di più. “Cosa gli è accaduto?”

“Qualcuno gli ha scagliato un potentissimo incantesimo. L’hanno colpito al petto fratturandogli delle costole, ha dei legamenti rotti, probabilmente venendo gettato a terra…l’impatto è stato molto forte. Senza contare che l’incantesimo lo ha indebolito e, se vogliamo per così dire, gli ha congelato degli organi interni. Venendo qui a piedi ha perso molto sangue, si è procurato dei tagli profondi cadendo. Ha sbattuto la testa e ha riportato un taglio dietro il cranio, per questo quando è arrivato era sotto schok” concluse con un’aria molto pacata e professionale.

Il ragazzo era esterrefatto. “Ma, signore, io non capisco. Dovrebbe essere morto, nessuna persona normale sarebbe sopravissuta ad un simile attacco. Se l’incantesimo gli ha congelato parte degli organi e ha perso molto sangue dalle ferite…insomma, come fa ora a star bene?”

“Caro mio, tu sottovaluti le capacità di chi è superiore a noi umani. Gabriel, anche se non ha le ali e le sua immortalità, rimane comunque un angelo bianco e fidati, io studio queste splendide creature da tutta la vita, loro non hanno un corpo come il nostro. Il loro fisico è fatto apposta per sopportare di tutto, dove noi moriamo loro continuano a vivere. Per noi anche una malattia può essere fatale mentre loro non si prendono neppure un raffreddore. Senza contare che le loro membra una volta ferite hanno la capacità di rigenerarsi e guarirsi da sole”

“E allora perché gli ha dato dei punti?” domandò il giovane indicando le gambe scoperte di Gabriel che erano ricoperte di cicatrici fresche.

“Colpa dell’incantesimo. In qualche modo quella magia gli ha congelato, freddato, la capacità di rigenerarsi e chiudere i tagli”

“Oh Signore, chi è in grado di una simile atrocità?”

“Un angelo nero, forse?” disse con sarcasmo.

Il suo collega impallidì e deglutì. Il dottore gli posò una mano sulla spalla e gli diede delle pacche fraterne.

“Su, avanti, la vita continua. Torniamo a fare il nostro lavoro”



***



Rebecca tornò a casa sconvolta e arrabbiata. Sbattè la porta con forza quando la richiuse, percepiva una profonda e crescente ira salirle in corpo. Si sarebbe messa ad urlare se solo fosse stata in grado di parlare.

Suo padre le stava mettendo pressione perché lo ascoltasse ma lei aveva chiuso la mente e non era intenzionata a sentirlo parlare. Era furiosa. L’aveva abbindolata fin dall’inizio, il suo unico obbiettivo era quello di uccidere Gabriel e dato che lui non poteva più farlo aveva scelto lei. Voleva che lei continuasse la sua opera. E lei, da stupida, ci era cascata.

Sperava soltanto che Gabriel stesse bene e che si fosse salvato perché se solo fosse venuta a sapere che era morto o che era in coma si sarebbe uccisa. Poco le importava che Mortimer l’avrebbe bloccata, non si sarebbe fermata finchè non avesse trovato un modo per ammazzarsi.

E lo perdonava.

Rebecca perdonava Gabriel.

Poteva capire come Gabriel si era sentito tradito e preso in giro. Comprendeva il suo dolore e la sua furia, la sua voglia di sfogarsi e farle del male. Sapeva quanto l’amasse e quanto aveva fatto per lei, il modo in cui gli era sempre rimasto accanto e come la toccava, la baciava…in ogni suo bacio le trasmetteva amore e non poteva non essere vero. Si pentiva di non avergli detto che lo perdonava alla fabbrica, se solo avesse potuto tornare indietro nel tempo l’avrebbe scusato e l’avrebbe baciato come lui le aveva chiesto. Ora che poteva perderlo per causa sua non le importava più che lui avesse baciato un’altra, le bastava soltanto averlo ancora vicino a sé.

Cominciò a piangere nel silenzio più totale. Si sedette sul divano e s’impose di non dormire. Non si meritava più niente, neppure il riposo. Avrebbe aspettato con fermezza il suo ritorno, avrebbe implorato disperatamente il suo perdono e tutto sarebbe ritornato come prima. Perché lui doveva perdonarla. Doveva. Lei aveva perdonato lui.

Un rumore la distrasse dai suoi pensieri. Alzò lo sguardo e guardò infondo alla sala, nell’angolino più buio di tutta la stanza. Una figura avanzò nell’ombra e Rebecca non lo riconobbe finchè il suo corpo non fu sotto la luce della luna che filtrava dalle finestre. Aveva sempre quel suo sorrisino strafottente stampato in faccia.

Rebecca scattò in piedi, sull’attenti, e si pulì il viso bagnato dalle lacrime.

“Ogni volta che ti vedo mi porti brutte notizie. Devo preoccuparmi anche questa volta?”

Atreius le mostrò un sorriso smagliante. “Questa volta no. Sono venuto a trovarti, non avevo niente di bello da fare e per sfuggire alla solita routine mi sono detto: “ehi, perché non andare ad infastidire la mia sorellastra?”.”

“Non è serata, Atreius. Vattene” gli disse e con un cenno del capo gli indicò la porta.

“Oh andiamo!” la supplicò con lo sguardo innocente di un bambino. “Ti prometto che vengo in pace”

A Rebecca venne da ridere e non si trattenne dal farlo. “Pace…cos’è la pace se non l’esito di una lunga guerra?”

“Dev’essere proprio una brutta giornata” disse il ragazzo mettendosi comodo nel divano di fronte a lei. Anche Rebecca ritornò a sedersi, con una calma reverenziale.

“Ti diverti a provarmi?” non c’era astio nella sua voce semmai una profonda rassegnazione.

“Adoro eccitare le donne con le mie provocazioni” disse sfacciatamente accavallando le gambe e allungando le braccia sulla testiera del divano.

Rebecca fece finta di non averlo sentito. “Cosa ti porta qui? Hai scoperto che sono da sola in casa e così vuoi rendermi la vita ancora più impossibile?”

“Ah giusto, ho fiutato l’intera casa ma della tua dolce metà non c’è neppure traccia. Dove l’hai lasciato quel simpaticone del tuo ragazzo?”

“Lui non è affar tuo, al momento ti basti sapere che non è qui” disse con la mascella serrata, poi aggiunse con un sibilo: “Per tua fortuna”

“Peccato, mi sarei divertito un po’ con lui. È un ragazzo che sta al gioco”

“Ora basta, parliamo di cose più serie” lo interruppe bruscamente.

Atreius la guardò intensamente e Rebecca fu costretta ad abbassare gli occhi.

“Cosa vuoi sapere? Cosa posso sapere più di lui?”     

“Il tempo. Ho bisogno di sapere i tempi della trasformazione”

Atreius scosse la testa e rise, stupefatto. “Come faccio a saperlo? Mai nella storia del pianeta si è verificato un simile evento, nessuno sa con precisione come funziona, i tempi o le conseguenze sulla persona”

La ragazza si sistemò meglio sul divano, improvvisamente agitata. “Ma…ma circa? Un mese, due mesi, tre mesi, un anno?”

“Bellezza, non lo so! Davvero. Ora, se non ti dispiace, io sarei venuto a trovarti per fare qualcosa di alternativo, cavati dalla faccia quell’aria ombrosa e fammi vedere un po’ di strip”

Rebecca divenne bordeaux e boccheggiò un paio di volte. “Che cosa?! Un cavolo marcio Atreius, mi rifiuto di farti lo spogliarello solo perché tu possa divertiti! N.O.! Anzi, vai proprio via per favore che sono stufa e voglio andare a letto!” esclamò indignata.

Una smorfia maliziosa e affascinante si dipinse sul suo viso scolpito. “Ok, allora andiamo a letto” mormorò con gli occhi neri febbricitanti.

Rebecca si accorse di trattenere il respiro. “Stai scherzando?” chiese con incredulità.

“Per niente, tesoro. Sei stufa e vuoi riposare quindi io ti accompagno a letto e ti faccio compagnia mentre tu dormi”

Lei fece per aprir bocca e dirgli chiaramente di andarsene quando una vocina dentro di lei le disse di non farlo. Che fosse stato suo padre o la sua coscienza a parlare non poteva saperlo, l’intruso e la sua interiorità non erano molto distanti dall’essere un’unica entità.

Deglutì con forza dato che un groppo le premeva la gola. “Non mi soffocherai nel sonno?” gli chiese.

“No”

“Non tenterai di uccidermi?”

“Anche se l’idea mi alletta non penso che lo farò”

“Non pensi?!” esclamò alzando la voce nelle ultime sillabe.

“Ehi, ti ricordo che sei mia sorella, metà del mio sangue scorre nelle tue bellissime vene, inoltre il tuo corpo ospita mio padre. Pensi sul serio che cercherei di ammazzarti? Insomma, ormai non siamo più nemici, siamo una famiglia e siamo alleati!”

“Parla per te, io vi farei fuori entrambi! Prima te e poi nostro padre” brontolò dirigendosi su per le scale.

Atreius la seguiva fedelmente come un cagnolino che insegue il suo amato padrone.

“Ci odi così tanto?”

Rebecca si fermò a metà scalinata e si voltò per guardare la faccia di Atreius che le arrivava al mento. “Vi odio”

Atreius non sembrava per niente disturbato dalla sua affermazione. “Perché?”

“Perché costituite una minaccia, siete il mio punto debole perciò non riesco e non posso uccidervi, e questo mi fa rabbia. Volete fare del male a questo mondo e alle persone che amo solo per la bramosia del potere. Voi rappresentate tutto ciò che io ogni giorno combatto, siete ciò che io ho giurato di non diventare”

“Rebecca, è perché la guardi dalla prospettiva sbagliata. Parli tanto del tuo mondo, dici che è bello, perfetto, buono, felice, ma in realtà è il tuo mondo che causa più sofferenza: l’amore, la speranza, le illusioni, gli affetti…sono tutti sentimenti bellissimi, è vero, ma sono anche emozioni che possono scivolare o spegnersi nel tempo causando la sofferenza di coloro che si vedono rifiutati, abbandonati, delusi o traditi. Pensaci bene, se l’amore non esistesse non ci sarebbe l’odio. Se non ci fossero le illusioni non ci sarebbe la delusione”

Perché detta così suonava dannatamente bene?

Rebecca si schiarì la voce. “Il Bene e il Male si possono paragonare alla vita e alla morte. La morte è serena, facile, la vita è molto più difficile”

Un ghigno di immensa soddisfazione incorniciò le labbra piene e rosee del ragazzo. “Ben detto, vedo che hai capito come funziona il nostro mondo”

Rebecca battè le palpebre e come stordita riprese a salire le scale. Sentiva i passi del ragazzo dietro di lei e il calore del suo corpo che per poco non le toccava la schiena. Era molto provocante e sapeva l’effetto che aveva sulle donne. Quei suoi occhi neri, profondi e tenebrosi, i capelli scuri ribelli e accattivanti. Oltre al suo corpo che pareva scolpito nel marmo. Era più magro rispetto a Gabriel ma incuteva comunque timore. Erano sicuramente due bellezze diversissime tra loro ma anche molto simili da certi punti di vista, entrambi infatti erano dannatamente belli e affascinanti. Avevano quel fascino tipico delle persone potenti e misteriose, i loro occhi, seppure un paio scuri e l’altro paio azzurri, trasmettevano una certa freddezza e impassibilità che attiravano inevitabilmente chiunque avesse l’occasione di avere a che fare con loro.

Rebecca trattenne il fiato quando la mano di Atreius le sfiorò con le dita la cordicella della divisa sulla schiena.

“Mi chiedo che faccia farà il tuo ragazzo non appena entrerà in camera e mi vedrà vegliare su di te mentre dormi tra le mie braccia” disse ad un certo punto il predatore alla preda.

La preda tremò, in trappola e spaventata. “Gabriel non tornerà questa notte e non voglio che tu mi tenga tra le tue braccia”

“Sei sicura?” la provocò.

“Mai stata così sicura in vita mia” ribadì la ragazza fermamente.

Entrarono nella camera di Rebecca e lei scomparve in bagno.

“Dove vai?” le chiese.

“Vado a cambiarmi in bagno, non voglio certo che tu mi veda in biancheria intima!” sbottò diventando rossa in volto.

Atreius fu felice della sua reazione. “Beh, siamo fratelli, tecnicamente io posso vederti anche nuda”

Le orecchie di Rebecca andarono a fuoco.

Ma che le prendeva?!

Possibile che Atreius le facesse quest’effetto?

“Taci! È solo una scusa per vedermi nuda, maiale che non sei altro! E poi non siamo fratelli al cento per cento, c’è sempre quel cinquanta per cento che mi impedisce di spogliarmi davanti ai tuoi occhi, idiota!”

Il ragazzo scoppiò a ridere. “Maiale?!” ripetè con stupore e sbalordimento.

“Sì, maiale! Sei un maiale che non ha niente di meglio da fare se non disturbare le persone che non vogliono essere disturbate proponendogli di spogliarsi solo per allontanare dai suoi occhi la noia che gli gira intorno ogni ora del giorno!”

“Ma se sono qui per questo: per scacciare la noia!” protestò con una nota divertita nella voce.

Lanciandogli occhiate omicide la ragazza andò in bagno a cambiarsi e lasciò Atreius nella sua camera. Quando tornò lo trovò a letto sotto le coperte che le faceva segno di avvicinarsi.

Rebecca grugnì. “Guarda che non ti devi aspettare niente da me questa notte”

Un bagliore baluginò nelle iridi scure del ragazzo. “Mi hai fatto intendere chiaro e tondo che questa notte non mi vuoi ma, dopotutto, ci sono molte altre notti più avanti…”

“Atreius?” lo chiamò con una smorfia schifata e ironica. “Prenditi la testa, sbattila contro il muro e conta fino a un milione!” sbraitò ficcandosi a letto.

Rebecca si voltò su di un fianco dandogli la schiena e si tirò le coperte fino in cima. Atreius la sentì borbottare qualcosa. Si sistemò mettendosi in posizione supina ed inspirò sonoramente gustandosi tutta l’aria che stava mettendo in corpo come se solo quella che respirava lì fosse pulita e rigenerante. Sorrise beato e si girò ad osservare Rebecca che stava ancora imprecando.



***



[Così oscuro
l’inganno dell’uomo.

Voi sapete che siete stati
tutti ingannati]



***



Sono sempre un missile nell'aggiornare i capitoli!!!!
Spero di via piaciuto anche questo, un po' lunghetto devo dire e difficoltoso!!!!
Recensite che a me fate solo piacere!!!

Il prossimo capitolo: "TRA DUE FUOCHI"
ma il nome del prossimo capitolo non è sicuro, ultimamente per i nomi
non sono molto portata ad inventarne alcuni...




I "THANKS":

"ANTHY": grazie per la recensione comunque sì, farò una terza serie dove Rebecca sarà veramente tremenda e ci saranno parecchi casini con Gabriel che naturalmente non accetterà la nuova Rebecca...vedrai come evolverà la storia, sono ancora indecisa per il finale dell'intera saga ma magari mi verrà naturale alla fine quando mi ritroverò a scriverlo...fammi sapere che ne pensi di questo capitolo, bacioni e grazie ancora..

"ANGELOFLOVE": guarda, è vero che il tradimento è sempre una cosa imperdonabile però questa volta ho deciso che Rebecca dovesse per forza perdonare Gabriel perchè in fin dei conti il tradimento non era avvenuto per mancanza d'amore ma per una serie di casini e fraintendimenti che hanno portato il ragazzo al delirio più totale!! e poi adoro il personaggio che ho creato di Gabriel perciò non posso mentre scrivo essere troppo cattiva con lui.. :-)

"VALESPX78":  ehehe, sarai felice di vedere che Rebecca gliele ha date di santa ragione!! diciamo che non lo ha preso a calci nel sedere come mi hai scritto però penso che il suo modo di vendicarsi sia stato lo stesso terribile e soddisfacente!!! e comunque non penso che dopo questo capitolo ti sia ancora in disgrazia Gabriel, o no???? dopotutto non è cattivo, vedrai che cambierai idea su di lui!!! spero...

"CHICCA90": bella recensione, complimenti. comunque sì, cambiato titolo alla storia...il titolo precedente era troppo lungo e non diceva niente...penso che la frase in latino dia più un senso di potere e dominio tipico di un angelo...ora sarai soddisfatta di vedere che Gabriel non è andato con Fiona!! per fortuna si è fermato al bacio!!!!



 

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Capitolo 11
*** Disturbia ***


Cap. 11 - DISTURBIA -

[Ho cercato di andare avanti
come se non avessi mai saputo.

Sono sveglio ma il mio mondo
è mezzo addormentato.

Prego affinché questo cuore non si spezzi
ma senza di te tutto quello che sarò è
incompleto]

Backstreet boys - Incomplete -



***



Nel cuore della notte Rebecca fu svegliata da Atreius. Le stava picchiettando la spalla, all’inizio fece finta di niente sperando che alla fine si stufasse di chiamarla ma lui continuava a darle colpetti. Aprì un occhio e lo ridusse a due fessure.

“Che vuoi?” esclamò in tono irritato.

“Parlare”

“Tu vuoi parlare e io voglio dormire. Vinco io quindi lasciami in pace”

“Perché dovresti vincere tu, scusa?”

“Perché sono la padrona e quindi comando io” puntualizzò.

“E io sono l’ospite”

“Un ospite indesiderato” grugnì, pronta e riaddormentarsi.

Atreius si chinò su di lei e le baciò la fronte. A quel contatto Rebecca scattò a sedere. Lo fissò con due occhi sconvolti e increduli.

“Cos’hai fatto?!” sbraitò.

Atreius sorrise. “Mi è sembrato piuttosto palese”

“Beh, non farlo mai più”

Il ragazzo fece spallucce e rimase a guardarla. Rebecca, che proprio non si fidava di lui, si appoggiò alla testiera del letto e si torturò le mani in grembo.

“Sai a che pensavo?” le chiese Atreius.

“Non voglio saperlo”

“Pensavo che tra poco sarai al mio fianco, spero solo di non aspettare troppo a lungo”

La ragazza ebbe un tuffo al cuore. “Smettila, per favore”  

“Pensavo a quando arriverai a casa nostra, al castello”

“Chi ti dice che verrò?” lo sfidò con odio.

Atreius ghignò. “Hai altra scelta?”

“Non vedo perché non posso più essere padrona di me stessa! Dopotutto è il mio corpo e sono io a comandare il mio corpo. Dannazione, è giusto che sia così! Non mi sembra corretto che qualcun altro disponga del mio corpo, è mio!”   

“Io non parlerei di possessione, Rebecca. Ti stai solo trasformando, diciamo che ti stai preparando per diventare un angelo nero. Sarai capace di essere padrona delle tue azioni quando sarai un’altra persona?”

Perché Atreius doveva demoralizzarla in quel modo?

Perché ogni volta che Rebecca tentava di chiudere gli occhi per sognare qualcuno la obbligava ad aprirli bruscamente riportandola alla realtà?

E la realtà era brutta, invivibile, insopportabile. Molto meglio i sogni.

È più facile illudersi.

“Tu e nostro padre siete degli ingenui se credete che sarò dei vostri. Io non verrò con voi, finchè il mio cuore non sarà completamente ammalato io continuerò a lottare perché continui a battere, perché continui a risplendere” disse Rebecca con un groppo in gola.

“La tua stupida illusione ti condurrà alla delusione più totale”

“Dimmi Atreius, il tuo cuore batte?”

Il ragazzo si accigliò per un istante. “Poco. Batte poco perché non sono così cattivo, di solito soltanto i sovrani del Male hanno il cuore fermo. Gli angeli neri, come lo sarai te”

“Che ingiustizia…” disse la ragazza con dispiacere. “Il mio cuore superficiale è l’unica cosa che batte”

Atreius vide improvvisamente gli occhi di Rebecca inumidirsi e per la prima volta nella sua vita si sentì a disagio, quasi timoroso di trovarsi dinnanzi ad una simile dimostrazione di afflizione. Si ritrovò impreparato in quella situazione, non sapeva che fare. Mai gli era capitato di provare compassione per qualcuno.

Cercò di dire qualcosa ma in realtà aveva la mente completamente annebbiata. “Non devi dire così, il tuo cuore batte e non stai morendo”

Rebecca socchiuse gli occhi e fece un sorriso amaro, triste, pieno di dolore. “E invece sì che sto morendo, giorno dopo giorno mi sto spegnendo. Non vedrò più la luce che riflette il mio sorriso, né non proverò più amore o felicità. Mi sto preparando per diventare una macchina di morte e di Rebecca Burton rimarrà soltanto un patetico ricordo”

“Che ti importa?” disse Atreius che ora si pentiva di essere entrato in quel discorso ed era arrabbiato con sé stesso per la sofferenza di Rebecca. “Quando sarai diventata un angelo nero non avrai più la tua anima! Non passerai il tempo a rimpiangere i tuoi giorni felici!”

Ormai la voce di Rebecca era talmente bassa e tremante che il ragazzo dovette avvicinarsi per ascoltarla. “Non è nel domani che piangerò, è ora, adesso. Vivere questi giorni sapendo che sono gli ultimi. Ci sarebbero state tante cose che avrei voluto fare…” mormorò, con un sorriso che però non raggiunse gli occhi. “Sai, avrei voluto davvero sposare Gabriel e avere dei figli da lui. Pensare alla vita che perdo, alle cose che dovrò rinunciare, alle persone che abbandonerò…”

“Io non ti capisco, stai male per una cosa che deve ancora succedere”

“Prima di andarmene vorrei che tu dicessi a Gabriel che lo amo”

Atreius assunse una faccia schifata e si tirò indietro. “Non puoi farlo tu? A me il tuo ragazzo proprio non piace neanche un po’”

Rebecca sospirò e tirò su col naso. “Quando me ne andrò dal villaggio sarà perché sono diventata un angelo nero e non penso che mi passerà per la testa di dirglielo, sarò troppo impegnata ad odiare il mondo intero. Mi prometti che glielo dirai?”

Il ragazzo non potè non accettare. “Sì, sì, glielo dirò, va bene?” borbottò contrariato.

Atreius sentì un singhiozzo e subito si voltò verso di lei. Vide che stava piangendo.

Fu una visione così addolorante, infelice e tenera che Atreius percepì il battito del proprio cuore aumentare.

Rebecca scosse la testa tenendo gli occhi chiusi, le lacrime continuavano a scenderle sulle guance. “Io non voglio che il mio cuore cessi di battere, non voglio smettere di amare Gabriel e non posso sopportare l’idea che i miei piedi cammineranno su terre oscure e fiumi di sangue. Io voglio la luce…” disse tra i singulti. “Non voglio morire”

Rebecca pianse più forte e i suoi singulti raggiunsero ogni angolo della casa, si accasciò in avanti con le mani sul viso. Atreius era paralizzato, non osava muoversi. Ogni volta che il pianto di Rebecca raggiungeva le sue orecchie era un pugno allo stomaco. Era il rumore raccapricciante di una creatura che non ce la faceva più a vivere e che cercava rifugio nella morte. Peccato che Rebecca non avrebbe trovato pace neanche nella morte.

Atreius era profondamente turbato dalla sua fragilità. Si scoprì voglioso di abbracciarla. Lui, il figlio del Male, stava provando affetto per una ragazza.

“Non morirai, Rebecca. Ti giuro che non appena sarai arrivata al castello mi prenderò io cura di te, vedrai che ti aiuterò, non sarai triste, davvero. Voglio renderti la vita più facile”

Rebecca alzò la testa verso Atreius e per un momento guardò la luna oltre le finestre. Il pallore del suo colore le infuse un’intensa malinconia. Puntò i suoi occhi rossi e gonfi di pianto sul fratellastro. Doveva apparire come una specie di pulcino bagnato e abbandonato perché non aveva mai visto sul volto di Atreius una simile faccia. Si era fatto improvvisamente protettivo, sicuro, dolce e…premuroso?

“Grazie”

“Rebecca, smettila di piangere” le disse, non smettendo un attimo di guardarla negli occhi.

Con il corpo proteso verso di lui Rebecca emise un rantolo soffocato, una mezza via tra un sorriso e uno sbuffo. “Non ce la faccio”

“Ti prego, smettila” la implorò, incapace di vederla in quello stato.

“Atreius, io voglio restare. Ti supplico, aiutami” singhiozzò e poi si buttò tra le sue braccia.

Pianse tutta la notte, quando alla fine si ritrovò senza più lacrime in corpo si addormentò tra le braccia di Atreius. Il ragazzo l’adagiò sul letto e la ricoprì premurosamente con le coperte. Le accarezzò le guancie e la fronte, le spostò i capelli dal viso e rimase a contemplarla a lungo. Il suo respiro si era regolarizzato ed era così bella che Atreius non si accorse neppure di avvicinarsi al suo viso. Quando le loro labbra si sfiorarono capì che la stava baciando. Fece incontrare la sua  bocca con quella morbida e calda di Rebecca. Si posò su di lei e la baciò dolcemente, con un bacio a stampo.

Non appena si staccò da lei comprese di aver fatto un grosso errore. Per fortuna dormiva e non si era accorta di nulla.

La sua reputazione era salva.



***



Rebecca si svegliò che era mattina. Sbadigliò sonoramente e si stiracchiò allungandosi sul letto. Aprì gli occhi sbattendoli un paio di volte per abituarli alla luce del sole che entrava prepotente dalle finestre. Pigramente spostò la testa per poi aggrottare le sopraciglia. Al suo fianco il letto era vuoto. Atreius se n’era andato. Dove prima il ragazzo aveva riposato il coprimaterasso aveva preso la forma del suo corpo. Le pieghe sulle lenzuola erano la prova che era stato lì con lei, che aveva dormito con lei.

Rebecca si tirò su ma restò ugualmente seduta sul letto. Faceva ciondolare i piedi nudi sfiorando il pavimento e cercava di ricordare quello che era successo durante la notte. Quando tutto le fu chiaro e ricordato, sbuffò.

La sua vita non era certo delle migliori: si trovava a metà strada tra il Bene e il Male, stava per liberare suo padre nonché la più grande minaccia mai esistita sulla faccia della terra, aveva concesso al suo fratellastro troppe confidenze e aveva spedito Gabriel all’ospedale. Si soffermò a riflettere sull’ultimo punto. Non aveva il coraggio di uscire di casa e neppure di andare a vedere come stava. Non era morto, altrimenti Rosalie gliel’avrebbe subito riferito facendole visita. E da lì, la paura di vederlo. Si sentiva un’idiota a non andare a trovarlo ma proprio non ci riusciva. Preferiva restare dov’era: a casa, e fare quello che era più conveniente fare: niente.

Bussarono alla porta.

Del tutto presa alla sprovvista Rebecca sobbalzò e scese in picchiata giù per le scale. La sua corsa fu così veloce che arrivò ad aprire alla porta dopo due secondi che avevano bussato.

Le comparve dinnanzi Denali con il volto stanco. In quello sguardo vi lesse anche un tacito rimprovero. Gli voltò le spalle ed andò a sedersi in una delle sedie disposte attorno alla tavola in cucina, il ragazzo la seguì silenziosamente. Pure lui prese posto fronteggiandola, non parlava ancora.

Rebecca si appoggiò allo schienale e incrociò le braccia al petto.

“Avanti, spara”

“Non posso credere che sia stata tu a ridurlo così” disse a bassa voce.

Era incredulo e sbalordito. Il suo dolore trapelava dai suoi occhi e scosse la testa come spaventato.

“Gabriel ha già raccontato a tutti la sua pietosa sfortuna?” disse lei con aria strafottente.

Si stupì lei stessa del suo cambiamento d’umore. Un attimo prima era preoccupata e pentita, e l’attimo dopo era pronta per attaccare e dire crudeltà. Era più forte di lei, non era in grado di controllare le sue emozioni e queste la soggiogavano come meglio potevano.

Denali parve schifato. “Ma che cosa stai dicendo? Gabriel è finito all’ospedale per colpa tua e tu lo giudichi pietoso?”

La ragazza si accaldò. “Non ho mai sopportato i vittimismi, questo è il punto. Dimmi come sta e poi vattene”

“E lui che ti controlla, vero?”

Rebecca inarcò un sopracciglio. “Molto astuto…” disse con uno sguardo divertito.

“Non mi prendi in giro e se le tue intenzioni sono quelle di farmi scappare a gambe levate ti sbagli di grosso. Sono qui anche per aiutarti ma prima voglio che tu capisca lo sbaglio che hai commesso”

“Tu forse ignori la sottile differenza che separa me stessa da mio padre. È un confine così esile che se fossi in te non sarei così sicuro di attribuire tutto ciò all’entità che ospito”  

“È impossibile che tu l’abbia ferito di tua spontanea volontà”

“Come sempre sottovaluti l’ambizione” sghignazzò.  

“Cosa centra?”

La testa della ragazza parve cadere in avanti e subito i capelli andarono a ricoprirle il volto. Quando alzò la testa e puntò i suoi occhi su Denali il ragazzo barcollò e cadde dalla sedia. Erano diventati neri. Sembrava un demonio.

“Cosa faresti se un persona rappresentasse l’unico ostacolo per raggiungere ciò che di più vuoi al mondo?”

Denali si rialzò da terra e le fu addosso con rabbia. La sua voce tremava ed era stridula ma la sua espressione era ferma e controllata. Non aveva paura di guardarla in quegli occhi spaventosi e diabolici.

“Cosa vuoi di più al mondo?” domandò scrollandola con quanta più forza aveva nelle braccia, nel disperato tentativo di farla ritornare in sé.

“Il potere” gli disse con voce tombale.

“E uccideresti Gabriel per ottenerlo?”

La ragazza ridusse gli occhi a due fessure maligne e fece un sorriso sghembo. “Sì” sussurrò.

Denali le mollò un poderoso schiaffo sulla guancia e la testa di Rebecca venne sbattuta per l’impatto dall’altra parte. La ragazza spalancò gli occhi a dismisura e con mano tremante si portò due dita a toccarsi la guancia infiammata. Ora non appariva più cattiva e provocante, assomigliava piuttosto ad una bambina confusa e spaventata.

Con una lentezza disarmante voltò la testa e fissò con due occhi feriti e angosciati la figura in piedi del ragazzo. Le sue iridi erano ritornate castane e la sua pelle aveva ripreso colore.

Denali smise di respirare e senza accorgersene indietreggiò.

“M-Mi dispiace, io non…non l’ho fatto apposta, non intendevo…ho perso il controllo, lo sai com’è quando succede…” balbettò Rebecca. “Io non pensavo davvero quelle cose, non devi credere che…” la sua voce si affievolì e scoppiò a piangere. “…che io voglia uccidere Gabriel…”

Denali, leggermente scosso, si avvicinò e l’abbracciò strettamente.

Rebecca continuava a piangere disperatamente. “Oh Dio, che ho fatto…e ora che faccio? Perché non c’è nessuno che può aiutarmi? Sono un mostro! Sono una persona orrenda, non merito di vivere!”

Denali la strinse più forte. “Se dici così non puoi essere un mostro, vedo in te ancora tanta luce, Rebecca. Tieni duro, non mollare” le mormorò in tono amorevole.

“Le cose non cambieranno mai! Non capisci che neppure tu puoi aiutarmi? Nessuno può!” esclamò con rabbia. “E io non sono abbastanza forte! Dannazione, ho solo diciott’anni!”

“Tu sei forte e sebbene i tuoi anni hai passato cose che un vecchio non si sarebbe mai sognato di vedere. Ce la faremo, insieme” le disse e con la punta delle dita le asciugò le lacrime che le solcavano le guancie.

“Tu non puoi capire” sospirò con il cuore straziato.

“Cosa?” domandò Denali, perplesso e tenero, continuando ad accarezzarle le guancie bagnate.

“È peggio di quello che pensavamo, Denali. Io sto cambiando ma non è una trasformazione dovuta ad un veleno, ad un lavaggio del cervello o ad un incantesimo che mi fa diventare cattiva, non è contro la mia volontà”

“In che senso?”

“Nel senso che quello che sto diventando non è opera di mio padre né di un trucco. Mortimer sta solo stimolando la mia parte oscura perché venga fuori ma dipende da me. Ho sempre creduto che fosse mio padre la causa di tutto questo ma ora mi sono accorta che sono io a cambiare me stessa. Tutti noi abbiamo dei lati negativi e dei lati positivi, è come se quelli negativi stessero lottando per venir fuori ma non sono esterni da me. Sono parte di me. Io sono anche questo”

Il ragazzo impallidì. “Stai dicendo che…?”

“Sì, che fa parte del mio carattere e che non posso combatterlo. L’unico modo è…”

Denali scattò indietro e fece cenno di no con le mani come un forsennato. “No! No! Non dirlo neanche per scherzo!”

Rebecca abbassò il capo ed emise un’espressione rassegnata, arresa. “Dovrai uccidermi”

“È fuori discussione” ribattè Denali in tono irremovibile.

A quel punto la ragazza balzò in piedi dalla sedia e battè un pugno sulla tavola. “Maledizione, non capisci la gravità della situazione? Io non posso cambiare la mia natura e se dentro di me c’è anche questo lato del mio carattere che mi farà diventare cattiva non vedo perché tu debba fare il prezioso! È tutto inutile!”

Anche Denali alzò la voce. “Non sarò io il tuo carnefice! Non oserò mai porre fine alla tua vita! Dev’esserci un altro modo!” ribattè esasperato.

“Allora non lamentatevi tutti voi quando ucciderò le vostre famiglie”

Una fitta colpì Denali al petto e lo lasciò senza fiato. Vide nella sua testa i volti felici e sorridenti di Ian, Emma e Rosalie. “Tu non lo faresti mai”

“Apri gli occhi Denali, ho appena attaccato Gabriel! Gabriel! La persona che amo più di tutti! Credi che m’importerebbe qualcosa di un bambino che non conosco o di una vecchia mai vista?” disse, e si avvicinò a lui quasi correndo. Gli prese una mano e Denali si accorse che gli aveva messo tra le dita la sua spada.

Rimase inorridito da ciò che capì. Con un altro movimento Rebecca portò la mano del ragazzo che stringeva la spada sul proprio petto.

“Affondala, ora” disse premendosi ancora di più la lama contro la pelle.

Non c’era paura nel suo sguardo, semmai un’intensa stanchezza della vita.

Non hai più voglia di restare aggrappata alla vita, Rebecca?

“No”

“Puoi farlo solo tu! Gabriel non lo farebbe mai e neanche gli altri! Io non posso andare contro la volontà di mio padre ma posso controllare, per quel poco, il mio corpo affinché rimanga fermo così tu mi puoi uccidere!”

Rimasero a fissarsi negli occhi per quella che a Denali parve un’infinità di tempo. Alla fine, con un’imprecazione, gettò la spada a terra e se ne andò senza dire una parola.

La faccia allibita di Rebecca esprimeva tutta la sua delusione.

Perché volevano aspettare che fosse troppo tardi?

Finchè poteva permettere a qualcuno di ucciderla, quel qualcuno doveva farlo!

E lei ne era sicura. Quando il suo lato oscuro avrà preso il pieno controllo nessuno sarebbe riuscito a fermarla.

Nessuno.   



***



Gabriel all’ospedale si era ripreso notevolmente. Dopo una lunga giornata e due notti era riuscito ad aprire gli occhi. Le prima parole che udì furono quelle sbalordite e sorprese del dottore.

“Ma…ma avrebbe dovuto dormire per quattro giorni! Il farmaco doveva agire non per un giorno e mezzo!”

Sentì subito dopo la voce della sorella, calma e stanca, quasi appassita. “Dottore, dovrebbe sapere cos’è mio fratello. Al suo posto non rimarrei così meravigliata, c’era da aspettarselo che il suo corpo non avrebbe seguito pienamente le cure mediche”

Finalmente Gabriel ebbe la forze di aprire gli occhi. Il volto sereno e felice di Rosalie riempì il suo campo visivo. Una parte di lui, seppur remota, rimase delusa da quel viso. Sperava di vedere qualcun altro al suo risveglio. Qualcuno che in quel momento non era con lui. Qualcuno che era stato l’artefice del suo “incidente”.

Cercò ugualmente di sorridere alla sorella. Quando spostò lo sguardo notò che c’era anche Denali. Lo stava guardando ma non lo vedeva realmente, la sua espressione era persa, lontana, meditabonda.

Gabriel non poteva sapere che Denali era appena stato da Rebecca. Non comprendeva appieno quello che era successo né che Rebecca desiderasse disperatamente di morire.

Rosalie gli accarezzò la fronte. “Ti sei svegliato finalmente, ben tornato”

“Rebecca…?” domandò a fatica, non riusciva ancora a costruire una frase di senso compiuto.

Vide la sorella scambiarsi un’occhiata con Denali. Quando tornò a parlare con il fratello il suo sorriso vacillava e non era più tanto sicuro.

“Gabriel, io non credo che sia il momento adatto…”

“Dov’è?”

“È a casa” disse Denali con quegli occhi profondi e penetranti.

Gabriel tentò di parlare ma Denali lo precedette rispondendogli. “No, non è mai venuta a trovarti”

Rosalie gli tirò una gomitata alle costole. “Denali! Per favore! Era proprio il caso?” esclamò indignata. “A volte mi chiedo se sto insieme ad una persona o ad un animale!”

“Spero la prima” ghignò il ragazzo.

Rosalie lo incenerì con gli occhi e fece un sorriso tirato verso Gabriel. “Mi dispiace ma Rebecca non è mai passata, a dir la verità non penso che sia mai uscita di casa in questi due giorni” ammise con un sospiro.

Qualcosa simile ad una lama tagliente stava lacerando il petto di Gabriel. Il cuore presa a battergli all’impazzata e dovette regolarizzare il respiro per sentir meno dolore. Si limitò a spostare la testa di lato e chiuse gli occhi, improvvisamente la luce gli faceva male.

“Io sono andato a trovarla” disse d’un tratto Denali.

Gabriel spalancò gli occhi e rimase a fissare la parete.

Aspettò che proseguisse carico d’attesa.

“Non l’ho vista molto bene Gabriel, devo essere sincero. Soffre molto per quello che ti ha fatto, temo che abbia…” Denali sentì la magia che lo sigillava al silenzio stringere i vincoli. “…avuto uno stato mentale piuttosto confusionario. È esplosa, probabilmente per lo stress”

“Stress” ripetè per nulla convinto Gabriel.

“Sì, dai, quella cosa che hanno tutte le ragazze”

Denali si vide arrivare un altro pugno da parte di Rosalie.

Per un attimo Gabriel sorrise. Poi tossì e si riafflosciò nel letto.  

La voce strillante ed elettrizzata di sua sorella gli spaccò i timpani e lo fece sobbalzare. “Gabriel! Non sai che notizia ho da darti!”

“Ho vinto alla lotteria?” ipotizzò lui con sarcasmo.

Denali si tappò la bocca per non ridere.

“No! Adele, nostra madre, si è fidanzata!”

Uno strano tic colpì gli occhi di Gabriel. “Come, prego?”

“Si è fidanzata! Assurdo, vero?” esclamò concitata.

“Assurdo. E con chi?” domandò.

Poi, un altro inquietante tic colpì il labbro superiore del ragazzo. Si ammutolì. “Non dirmi che…?”

La sorella buttò fuori il nome con un grido eccitato. “È Alan!”

La pelle di Gabriel divenne prima bianca come il latte e poi bordeaux come in procinto di prendere fuoco. Si mise seduto, improvvisamente sano e pieno di energia.  

“Lo sapevo!” disse puntando un dito accusatore contro Rosalie. “Lo sapevo!” ripetè.

“Che centro io? Io l’ho saputo ieri!”

“Alan teneva qualcosa di nascosto ultimamente, non appena mi vedeva o restava zitto tutto il tempo,o faceva finta di non vedermi! Senza contare che quando vado a trovare Bastian è come se non ci fossi! E nostra madre…ah! È tornata e non si è più vista in giro!”

“Sono contenta per lei, era ora che trovasse qualcuno”

“Concordo” disse Denali.

“Io no” grugnì Gabriel.

Rosalie si voltò verso Denali e gli disse: “Gelosia”

“Non è vero!” sbraitò il ragazzo.

Rosalie si avvicinò e accarezzò con una mano le pieghe delle lenzuola su cui suo fratello giaceva. Sorrise e scrollò la testa.

“Sono felice per lei e lo sono anche per te”

“Per me? La mia vita fa così schifo da venire compianto?”

“No stupido, dicevo solo che sono contenta che ti sia svegliato, che stai bene. Non sono state delle belle ore, vegliamo su di te da un bel po’”

“Grazie”

“Quando pensi che ti dimetteranno?” volle sapere Denali.

Gabriel scrollò le spalle. “Penso domani mattina. Con la mia capacità di rigenerarmi farò presto a mettere apposto ciò che rimane da curare. L’importante è stato scampare all’incantesimo congelatore, ora viene la parte facile”

“Tu pensi che lei…?”

“Per favore Rose, ho sonno. Vi dispiace se dormo un po’?”

Rosalie incassò il colpo e si alzò in piedi. “No, certo che no. Ti veniamo a trovare più tardi”

“Non fa niente, non venite più. Tanto domani mi dimetteranno”

“Ok, allora ciao” lo salutò Denali dalla porta.

Rosalie si chinò su Gabriel e gli diede un bacio sulla guancia. Gli fece un saluto con la mano e poi anche lei se ne andò.

La stanza cadde nel silenzio.



***



Rebecca vagava per casa bianca come un cadavere e con lo sguardo assente. Non ce la faceva più a reggere quella situazione. Era riuscita ad accantonare suo padre nei meandri della coscienza e da un bel po’ non lo sentiva più parlare né appellarsi al suo nome. Grazie a questo intuì come i suoi poteri stavano accrescendo: per riuscire ad avere la meglio su Mortimer bisognava essere una specie di dio. E lei ci stava riuscendo fin troppo facilmente.

Stava diventando un gioco da ragazzi farlo tacere. E pensare che all’inizio, oltre ad assillarla, non faceva che prendere il controllo del suo corpo. Ora era più debole di lei. Ora era lei la creatura più forte, che dominava.  

E non capiva se era un bene o un male. Sapeva solo di essere molto stanca e depressa.

Perché sono ancora viva?

Perché ancora m’inganno?

Perché continuo a sognare?
I sogni sono per gli illusi.

Eppure…

Fa male.

Eppure soffro,
perché sto cambiando…
e non mi piace ciò che sto diventando.

Non mi rimane che perire, perdere.

Forse dovrei.

Ormai sono finiti i sogni, tutti quanti.

L’unica cosa che mi resta è andarmene.



***



L’attesa per il ritorno finì ma non come Gabriel aveva programmato. Lo lasciarono andare, incuranti delle sue proteste, dopo una settimana. Avevano voluto tenerlo sotto osservazione ancora qualche giorno, giusto per evitare effetti collaterali ritardatari. Ma Gabriel si era ripreso del tutto già dal terzo giorno e per questo si arrabbiò. Non capiva l’utilità e l’emergenza di tenerlo inchiodato sette giorno ad un letto. Lui stava bene, almeno.

Non appena uscì dall’ospedale era talmente bello e riposato che non pareva neanche lontano un miglio un ex ricoverato. Lasciò l’edificio e s’incamminò verso casa, le mani in tasca e una maglietta maniche corte che metteva in risalto i muscoli delle braccia. Erano capibili i comportamenti ammirati delle ragazze che lo vedevano passare. Era bello da togliere il respiro.

E in ogni faccia veneratrice di ogni singola ragazza lui vedeva lei. E ce l’aveva a morte per questo perché se fosse stato meno preso, meno innamorato, meno perso si sarebbe comportato con più severità e lucidità. Se l’avesse amata un po’ meno non avrebbe permesso che accadessero certe cose. Ma il suo cuore era completamente cieco e confuso, non sapeva che aspettarsi una volta giunto a casa. Gli sbalzi di umore di Rebecca avevano il potere di metterlo in crisi.

Ma al diavolo, lui l’amava troppo.

Riconobbe la sua casa dal fondo del sentiero. Gli sembrava uguale a come l’aveva lasciata una settimana prima: niente ragnatele, né scope, né ragni. All’apparenza era tutto normale. Eppure quelle mura lasciavano trapelare una tale sofferenza che Gabriel deglutì prima di aprire la porta. Il cuore gli martellava in petto, automaticamente entrò furtivo e pronto ad attaccare. Non dimenticava il male che Rebecca gli aveva fatto. Perché lei era cambiata.

Ma come?

Perché?

Dopotutto…era importante, forse, saperlo? Lui non ci capiva più niente e non poteva fare altro se non crederle.

Era ancora mattina presto perciò andò dritto al piano superiore, sicuro di trovarla a letto. Tutto, i profumi, i rumori, gli odori, l’atmosfera, gli faceva sentire che era davvero tornato a casa. Sentì il solito gradino scricchiolare sotto i suoi piedi salendo le scale e vide sul muro in corridoio la macchia di caffè che Rebecca aveva fatto inciampando nel tappeto. Erano tutte cose famigliari che lo facevano star bene, al sicuro. Sebbene mentre apriva la porta della camera da letto aveva il fiato corto e affannoso non aveva paura, qualcosa gli diceva che tutto sarebbe andato alla perfezione, nel migliore dei modi.

L’aria dentro la stanza sapeva di chiuso e di polvere. I balconi erano chiusi ma la luce entrava comunque dalle fessure del legno piroettando giochi di luce e ombra sul pavimento e sulle pareti, illuminando qualche mobile, qualche angolo, qualche chiazza di muro.

Vide Rebecca stesa sul letto, in posizione fetale, il suo corpo si alzava e si abbassava a ritmo del suo respiro regolare e lento. Gli dava le spalle e l’unica cosa che riusciva a vedere erano i suoi lunghi capelli scuri che ricadevano scomposti e morbidi sulle lenzuola bianche.

Sorrise senza accorgersene.

Come poteva essere arrabbiato? Aveva desiderato così tanto rivederla. Un po’ ce l’aveva con lei, non era mai venuta a trovarlo all’ospedale, ma la consapevolezza che lei ora riposava tranquilla e dolce come una bambina gli sollevava il cuore. Non era cattiva, era quella di sempre, e per Gabriel era la felicitazione più grande che potesse esserci.

Nei giorni che era rimasto all’ospedale aveva avuto modo di riflettere. Lui aveva sbagliato a tradirla ma lei lo perdonava. Lei aveva commesso un enorme errore nell’attaccarlo ma lui la perdonava.

Cosa c’era di più semplice di questo?

Gabriel ebbe una voglia spasmodica di svegliarla. Voleva vedere il sorriso nei suoi occhi nel momento in cui l’avesse rivisto di nuovo a casa, e la sorpresa nel vederlo sano e felice.

Camminò silenziosamente verso di lei. Rebecca non si muoveva, apparte il respiro era completamente immobile. Mise un ginocchio nel letto e si sollevò spingendosi in avanti con le braccia, gattonò fino ad averla a pochi centimetri di distanza.

Mosse una mano per toccarle la schiena mentre uno splendente sorriso non accennava ad abbandonarli il volto. Proprio quando le sue dita fecero per sfiorarle la pelle queste vennero fermate, bloccate, come se avessero incontrato una parete dura e fredda. Appoggiò con smarrimento il palmo aperto della mano contro una parete invisibile e capì. Il suo sorriso pian piano svanì e si spense.

Gabriel rimase inorridito, terrorizzato.

Era una barriera magica quella che racchiudeva Rebecca. Gabriel tastò l’intero scudo seguendone le curve e capì che circondava completamente il corpo della ragazza. Era un bozzolo potente e indistruttibile, e lei ne stava prigioniera all’interno.

“Oddio…”

Con un balzo Gabriel scese dal letto e lo aggirò per guardare in faccia Rebecca. Prese spavento per quello che vide: dormiva, era vero, ma i suoi occhi erano sbarrati, vacui, assenti e il colore della sua pelle era spento, pallido.

Da quanto era lì in quelle condizioni?

Gabriel cadde in ginocchio e gemette come se stesse piangendo. Portò le sue mani tremanti a toccare la barriera e cercò, con tutte le sue forze e i suoi poteri, di spezzare l’incantesimo. Una forza spaventosa lo scaraventò via dallo scudo facendolo finire a terra privo di energie. Le sue mani erano percosse da scariche elettriche di un blu intenso e tremò quando cercò di rialzarsi.

È troppo potente, non ho mai visto una tale magia.

Ed era stata lei ad ergerla, riconosceva la sua aurea, la sua magia.

Gabriel scosse la testa, sconvolto, incapace di accettarlo. Cominciò a prendere a pugni la barriera, stava cercando di soffocare il suo dolore ma era impossibile.

“Perché! Perchè l’hai fatto? Perché?” urlò, fuori di sé. “Cosa vuoi da me? Cos’altro vuoi?”

Si accasciò sul pavimento e indietreggiò come un animale impaurito. “Mi dici che diavolo vuoi ancora da me?” ripetè, con voce rotta dalla commozione.

Per un momento Rebecca parve guardarlo, a Gabriel sembrò di vedere i suoi occhi posarsi su di lui ma fu questione di un secondo. La porta della camera si aprì.

“Gabriel” disse Denali correndogli incontro e aiutandolo ad alzarsi.

Rosalie andò invece a vedere Rebecca e Gabriel la vide portarsi una mano sulla bocca.

Con uno strattone si liberò dalla presa di Denali. “Tu sei l’ultimo che l’ha vista” non era una domanda.

Denali si meravigliò. “Mi stai accusando? Io quando l’ho vista non era così, è la prima volta che la vedo in questo stato!”

“Tu sai qualcosa! Smettila di fingere con me!” disse dandogli un violento spintone in pieno petto.

“Ehi!” intervenne Rosalie. “Avete intenzione di fare a botte o di aiutare Rebecca?”

Gabriel ringhiò. “Aiutarla come? È una magia troppo potente e io non sono in grado di annullare la barriera. Senza contare che è stata lei a crearla!”

Sua sorella sbarrò gli occhi. “Rebecca è stata? Ma perché, scusa?”

“Io non lo so!” disse a gran voce il ragazzo. “La prima cosa che mi viene in mente è che abbia deciso di punirsi per quello che mi ha fatto. La conosco benissimo e so quanto deve esserci rimasta male, avrà creduto di meritare una punizione, dannazione!”

“Cosa pensi che voglia fare?” sussurrò Rosalie fissando il corpo della ragazza che non accennava a muoversi.

“Non è difficile da capire! Questa deficiente ha deciso di imprigionarsi dentro una barriera magica per lasciarsi morire di fame e di sete!” urlò Gabriel fuori di sé. “Si lascia morire, ecco cosa sta facendo!”

“Oh Signore, sarà da una settimana che è qui”

“Da una settimana no, magari da qualche giorno” disse Denali seriamente.

Lui era l’unico che comprendeva appieno le ragioni per le quali Rebecca aveva deciso di lasciarsi morire di una morte lenta e tremenda.

“Quanto tempo abbiamo?” chiese la ragazza.

“Che vuoi dire?” era Gabriel.

“Quanto tempo abbiamo prima che muoia di fame?”

“Prima morirà di sete se non ci sbrighiamo a tirarla fuori di lì. E comunque è fondamentale sbrigarsi”  

“È inutile, ragazzi” Gabriel si appoggiò stancamente al muro. “Noi non possiamo fare niente per aiutarla, spetta a lei decidere se salvarsi oppure no”

“Ma Gabriel…!”

“È così Rose, veramente, fidati. Se ci fosse un modo sarei il primo a muovermi per fare qualcosa ma…non c’è niente, davvero. Rebecca è l’unica in grado di spezzare l’incantesimo”

Rosalie divenne bordeaux in viso. “E tu pensi di stare qui a far niente?!”

Denali si avvicinò alla ragazza e la tenne stretta a lui, abbracciandola. Rosalie lo allontanò. “Smettila Denali, non toccarmi! Non possiamo restare qui a far niente!” urlò.

Denali si scambiò un’occhiata con Gabriel e prese Rosalie per i fianchi, conducendola verso la porta. “Vieni Rose, andiamo via. Gabriel penserà a tutto, noi non siamo di grande aiuto” le disse costringendola a camminare dove voleva lui.

“A dir la verità…” intervenne Gabriel cupamente. “…il tuo aiuto, Denali, potrebbe risultarmi utile”

Vide il volto del ragazzo impallidire. Capì di aver fatto centro.

Tu sai qualcosa, vero? avrebbe voluto chiedergli.

Ecco perché sei così tranquillo, tu sai perché lei si è ridotta così.

“Se ti serve il mio aiuto Gabriel, fammi un fischio. Porto a casa tua sorella e poi verrò a trovarti domani, non ti preoccupare”

“Ci conto”

Contro le proteste di Rosalie, Denali, la portò via e chiuse la porta della camera da letto lasciando dentro un Gabriel pieno di collera e una Rebecca in fin di vita.

Chi è quell’idiota che ha detto che la vita è bella?

Se lo trovo in giro lo ammazzo.



***



Gabriel ammirava il viso di Rebecca da tutto il giorno, da quando Denali e Rosalie se n’erano andati. Si era seduto per terra e teneva appoggiato il mento sul materasso costringendo i suoi occhi a non lasciare quelli sbarrati e sofferenti della ragazza, nonostante il sonno lo stesse divorando.

“Ti prego, salvati” le mormorava di tanto in tanto.

Per tutta risposta gli occhi di Rebecca smettevano di fissare un punto impreciso e si posavano su quelli di Gabriel, le sue iridi sembravano trapassarlo fin dentro l’anima. Poi ritornavano a guardare il vuoto, il nulla.

Rebecca era cosciente del fatto che lui fosse lì e una volta soltanto quella notte, quando lui le aveva sussurrato con voce commossa: “Che farò se te vai? Io non riesco a vivere senza di te…”, lei aveva sorriso. Un sorriso piccolo e angosciato. Ma aveva sorriso. Lei capiva quello che stava accadendo ma non sembrava d’accordo a fermare quella tortura. Era decisa fino in fondo a lasciarsi morire.

Il mattino seguente Denali si fece trovare come promesso. Passò con Gabriel tutta la giornata, parlarono e Gabriel ebbe modo con lui di sfogarsi ma mai riuscì ad estrapolare all’amico una qualche informazione. Denali tornò il giorno dopo ancora con tutta la sorpresa di Gabriel. Tentarono, la pregarono di abbassare la barriera, cercarono di farla mangiare o almeno bere. Ma niente da fare, o si prendeva gioco di loro restando a fissargli attonita o crollava nel sonno.

Passarono quattro giorni e la situazione era stazionaria. Rosalie aveva smesso di venire a trovare Rebecca perché aveva capito che se ci fosse stato qualcosa di nuovo l’avrebbe saputo subito. Gabriel le aveva detto che era inutile che venisse da loro e lasciasse i bambini a casa da soli, dato che Denali era sempre lì. Kevin e Delia era stati informati ed erano passati due volte ma anche loro avevano deciso di seguire l’idea di Rosalie. Gabriel restava via via sempre più basito dalla presenza costante e assillante di Denali.

Sospettava che sapesse qualcosa ma quella cosa era così orribile da portarlo ogni giorno a casa sua?

Non osava chiederglielo più.

Eppure…

“Denali, senti, non occorre che vieni qui ogni giorno” gli aveva detto una volta Gabriel mentre si stavano preparando una tisana per allontanare il sonno.

Denali strinse le mani attorno alla tazza. “Ci devo venire, ha bisogno di noi”

“Sì…già…hai ragione” mormorò lentamente guardandolo storto.  

“Ma temo che anche tu abbia bisogno di aiuto, non è vero?”

Gabriel abbassò lo sguardo e per un momento parve tornato bambino. “Io ce la faccio se anche lei ce la fa. Tu…” non trovava le parole adatte per esprimere la sua agonia. “Tu non puoi neanche lontanamente immaginare come mi sento, sono impotente e paralizzato dalla paura che possa andarsene via da me. Se Rebecca dovesse morire…” inspirò. “…sarebbe una perdita impareggiabile per Chenzo”

“Parli di Chenzo Gabriel, ma tu cosa faresti?”

“Io ho fatto una promessa tempo fa alla mia ragazza, nonché futura moglie, e cioè che se mai se ne fosse andata io l’avrei seguita prima possibile”

“È tutto così triste” disse Denali con sguardo truce. Lo faceva star male il tormento dell’amico.

Ringraziava il fatto che Gabriel fosse forte perché lui, al suo posto, non sapeva che avrebbe fatto. Probabilmente avrebbe perso il controllo.

“È tutto così inutile” lo corresse Gabriel.

“Che posso fare per te?” gli domandò l’amico con premura.

“Aiutami a non impazzire Denali, ti chiedo solo questo”

“Ho una cosa da confidarti, Gabriel. Vengo qui tutti i giorni perché ho promesso a Rebecca di prendermi cura di lei”

“Lo immaginavo che voi due complottavate qualcosa alle mie spalle”



***



Passarono sette giorni: una settimana. L’umore di Gabriel era spaventoso, arrivò a sbattere la porta in faccia ad Alan, il poverino era passato per vedere come stava Rebecca e lui non l’aveva lasciato entrare. Doveva ancora digerire il fatto che stesse con sua madre. Un’altra volta aveva scacciato con rabbia Bastian, il capo-villaggio aveva avuto il coraggio e la stoltezza di osare un consiglio sulla ragazza: trasferire Rebecca all’ospedale dove poteva essere seguita con più professionalità. Gabriel, più che gridare che non si poteva fare nulla per lei, non sapeva più come dirlo. Si era reso antipatico anche a sua sorella e si era dimostrato scontroso con i suoi amici che avevano avuto la sventura di passare a trovarlo.

Solo Denali riusciva a starci vicino ma a lui poco importavano i comportamenti dell’amico, lui pensava a Rebecca. Era quasi sempre lì, durante il giorno tentava con Gabriel di convincere Rebecca a mangiare e si fermava anche di sera per studiare dalla loro biblioteca in salotto pesanti e grossi tomi, nella disperata ricerca di trovare un qualche antidoto al veleno. Forse, se avesse trovato qualcosa e gliel’avesse detto lei avrebbe smesso di punirsi e avrebbe abbassato la barriera con una nuova speranza.

Una sera, mentre Denali leggeva nel divano, Gabriel, dal nervoso, si alzò con furia e scaraventò la tazza di thè fumante che stava bevendo contro la parete. La tazza andò in mille pezzi e il ragazzo cadde a terra coprendosi il volto. Denali lo sentì piangere, nessuno sapeva più che fare.

Anche a distanza di una settimana non erano riusciti ad ottenere dei risultati.

Non appena Gabriel smise di tremare andò a raccogliere i pezzi caduti sul pavimento e poi sparì in bagno. Non uscì dal bagno per un bel po’.

Con stanchezza Denali approfittò dell’assenza silenziosa di Gabriel per andare a trovare al piano superiore Rebecca. Quando la vide stentò a riconoscerla.

Era da così tanto che non mangiava, non beveva e non si muoveva, che ormai era sempre fiacca, stanca. Non faceva altro che dormire.

Il suo viso era incavato, giallognolo e con due orbite nere, infossate e cupe. Non c’era felicità né vitalità nella sua espressione, i suoi occhi erano così tristi e spenti…

Denali ingoiò a fatica un groppo in gola. Era la visione orribile, abominevole, di un corpo che si stava spegnendo, consumando, marcendo. Lentamente Denali si sedette sul bordo del letto, era molto vicino a lei, la poteva guardare in faccia.

Sospirò.

“Come vedi sono qui per proteggerti” le disse premuroso. Lei aprì gli occhi e sbattè le palpebre, nessun tipo di reazione baluginò nel suo sguardo. “Sono l’unico che posso capire la tua decisione e per quanto agghiacciante sia quello che ti stai facendo ti trovo di un coraggio ammirevole. Scommetto che questa era l’unica soluzione che avevi per lasciarti morire senza che tuo padre ti fermasse. Tu stessa mi hai confessato tempo fa quanto il tuo potere sia cresciuto e che riuscivi a controllare Mortimer con più facilità. Sono sempre dell’idea che stai sbagliando ma è perché io non sono d’accordo al fatto di stroncare una vita come la tua. Non riuscivi a trovare nessuno che mettesse fine alle tue agonie e così hai fatto tutto da sola, sei stata capace di ribellarti alle imposizioni di tuo padre. Mi si spezza il cuore a pensare che morirai, ormai eri una della famiglia, i miei figli ti adorano, io ti adoro, sei un’amica eccellente e fidata per la mia compagna e il mio migliore amico è perso per te. Ed è per questo che ti imploro in ginocchio di salvarti. Fallo per lui se non vuoi farlo per te stessa o per noi. Per Gabriel, che ha promesso di seguirti nella morte se tu te ne fossi andata” disse gravemente.

L’espressione negli occhi di Rebecca si addolcì. Aprì la bocca e a Denali parve che volesse parlare, dire qualcosa, ma poi la richiuse e si accoccolò con un gemito di dolore a fondo tra le coperte.

“Ti supplico, non posso perdere anche il mio migliore amico. Rosalie non può perdere suo fratello. Pensaci bene, è questo che vuoi?”

Rebecca si mise in posizione supina e si passò una mano tremante sulla fronte. Denali notò la magrezza quasi scheletrica del suo polso e del suo braccio. Sperava di non dover vedere il resto del corpo altrimenti ne sarebbe rimasto sconvolto. Chissà quanti chili aveva perso in quelle due settimane senza cibo.

La ragazza sorrise, un sorriso amaro, straziante. Per la prima volta dopo giorni di silenzio parlò.

“Dov’è?”

Dire che Denali ne rimase contento è troppo poco. Vedere che aveva reagito, seppur di poco, era per lui un passo avanti, una vittoria. Magari entro breve avrebbe ceduto.

Il ragazzo cercò di contenere la propria eccitazione. “È in bagno da un bel po’, ha rotto una tazza scaraventandola contro il muro e poi si è chiuso in bagno”

“Tipico di lui”

Denali sorrise.

“Io…”

“So cosa vuoi dire, a te sembra giusto quello che stai facendo e difficilmente cambierai idea, però…cerca di non pensare per un attimo a te stessa, pensa anche alle persone che ti vogliono bene e che sono costrette a vedere queste scene macabre”

Per un attimo Rebecca sembrò sorpresa. “Io lo sto facendo per voi”

“No” scosse la testa. “Se veramente lo facessi per noi allora staresti in piedi e cammineresti”  

“È difficile…” mormorò.

“Non ci trovo niente di così difficile, hai il potere di abbassare questa dannata parete invisibile e non capisco cosa aspetti a farlo! Ti aiuterò con tuo padre, te l’ho promesso. Gabriel ti è vicino, che vuoi di più?”

“Tu lo sapevi che lui mi ha tradita?” gli disse, con una tale sofferenza nella voce che Denali si paralizzò sul posto. Credette di non aver capito bene. Il cuore prese a pompare più sangue.

“Gabriel?” domandò confuso.

“Già”

“Come…?”

“L’ho visto con un’altra, è uno dei motivi per cui ora sono qui. È uno dei motivi per cui ho perso il controllo e l’ho attaccato. La verità è che non riesco a fidarmi più di nessuno e il mio cuore è stato così tante volte calpestato che non ha più voglia di reagire. Mi sono arresa, e forse nella morte troverò quel conforto che cerco, quell’amore fedele che mi manca”

“Io non lo sapevo” ammise con tristezza. “Ma davvero ancora non ti capisco”

Rebecca chiuse gli occhi e poco prima addormentarsi fu percorsa da un brivido di freddo che la fece tremare sotto le coperte.

Stava per morire?

La morte era sempre più vicina?

“Ho tanto freddo…” sussurrò.

Denali sbiancò e guardò con paura le forze affluire dal corpo della ragazza. Era magrissima, debole, malata. Quanto avrebbe resistito?

Il panico, freddo e micidiale, lo fece alzare di scatto. Il suo volto era deformato dal terrore.

“Oh mio Dio…” disse con un fil di voce. “Oh no…”

Con un unico lento movimento Rebecca abbassò definitivamente le palpebre, non prima di emettere un sospiro straziato.

Denali corse giù per le scale a chiamare Gabriel. Lo trovò in bagno seduto sulla tavoletta del water, le mani congiunte sulle ginocchia e il corpo proteso in avanti. Il volto nascosto dai ciuffi biondi. Al rumore della porta che si apriva alzò la testa con un’espressione interrogativa.

I suoi occhi si dilatarono alla vista dell’amico.

Denali aveva il fiato corto. “Dobbiamo fare in fretta!”

Gabriel lo raggiunse con poche falcate e lo prese per le spalle. “Che succede?”

“Ho paura che Rebecca…oh, io…non le manca molto! Dobbiamo…noi dobbiamo…”  

Con un ringhio soffocato Gabriel lo spinse da un lato per farsi strada e uscì dal bagno.

“Torna a casa, Denali. Da qui in avanti ci penso io” gli urlò mentre era a metà del corridoio.

Denali si portò una mano sul cuore mentre cercava di regolarizzare il respiro. Si fece il segno della croce.



***



Gabriel entrò in camera da letto come una furia. Se in quei giorni si era sempre dimostrato avvilito e sofferente ora i suoi occhi ardevano di rabbia.

Sbattè dietro di sé la porta con un tonfo sordo.

“Eh no, carina…” disse in modo minaccioso mentre si avvicinava al letto su cui giaceva Rebecca.

Diede un pugno alla barriera e la sua mano rimbalzò.

“Cosa pensi di fare?!” urlò.

Un po’ alla volta la ragazza aprì gli occhi.

“Ciao, amore” disse lui in tono ironico, la sua faccia era deformata dalla rabbia.

Rebecca mise a fuoco la figura possente di Gabriel e quando capì che era arrabbiato arrossì di vergogna. I suoi occhi solcati dalle profonde occhiaie cominciarono a lacrimare. Non ebbe la forza di rispondergli, sapeva che se solo lo avesse ascoltato avrebbe ceduto. Gli faceva così pena…ebbe un tuffo al cuore e quasi smise di respirare.

“Sto perdendo veramente la pazienza. Perché tu prova compassione non basta farmi vedere annientato e triste, devo anche farmi vedere infuriato! Ti decidi a salvarti, o no?” Gabriel si sedette e appoggiò le mani sul materasso. I loro occhi si incatenarono. “Sono quasi due settimane che non tocchi né cibo né acqua, il tuo corpo non si muove da quindici giorni e se non fai qualcosa rimarrai paralizzata. Morirai e la tua morte non servirà a salvare nessuno. Ma quello che non riesco a capire è: perché lo stai facendo? Illuminami, illustrami il tuo grande piano divino!”

Lei non poteva parlargliene. Non aveva la forza di inventare una scusa plausibile. Era stanca di mentire.

Si morse il labbro ed espirò, voltando la testa.

“Io credo che il nostro amore abbia un potere immenso Rebecca, posso giurare che sarà lui a salvarti. Anche se tu vorrai morire, se hai già mollato e non riesci a trovare la luce…ti troverà e quando ti avrà presa non ti lascerà andare e ti strapperà da queste tenebre che ti sei creata. Io sono qui che aspetto, aspetto te dall’altra parte della strada” disse il ragazzo con la voce piena di sentimento. “Perché, Rebecca, non attraversi la strada?”  

Lei lo guardava, incapace di rimanere impassibile, di nascondere i suoi veri sentimenti.

Perché era così tenero?

Gabriel sorrise. “Sono così innamorato di te…e mi dispiace di averti tradita. Se puoi, se vuoi, io vorrei che tu mi aiutassi a pulire la mia anima. E io ti proteggerò, mi prenderò cura di te senza chiederti niente. Ti difenderò dalle tue paure e dagli spiriti che ti assillano. Ti voglio sposare, abbiamo l’immortalità che ci aspetta, perché non cammini per prendertela?”

“Gabriel…” lo chiamò con un sussurro.

“Sono qui”

“Perché non te ne vai e mi lasci morire in pace?”

Proprio ora che riesco ad annientarmi, avrebbe voluto aggiungere.  

“Smettila di piangere amore, fuori c’è il sole. Non lo vuoi vedere?”

Rebecca adagiò la testa sul cuscino e pianse sommessamente. Gabriel accarezzava la barriera pigramente.

“Sei un miracolo Rebecca, sei un dono del Signore. Lui ti ha mandata per redimerci tutti, se muori finirà tutto nel caos il mondo. Mi credi, vero?”

Lei annui.

“Mi perdoni?” le chiese con la voce rotta dalla commozione, dal desiderio, dalla rabbia.

Lo scudo magico ebbe un fremito e una luce azzurra piroettò sulla sua superficie, come una piccola scarica elettrica.

Rebecca chiuse gli occhi e sorrise. Il suo cuore martellava nel petto ed era gonfio di sentimento, di amore.

“Sì, sì che ti perdono”

La barriera cadde e subito Gabriel non se ne rese conto. Se ne rese conto quando, con mani tremanti, toccò per la prima volta dopo due settimane le spalle nude di Rebecca. Le sue dita non incontrarono nessun ostacolo e andarono lentamente ad appoggiarsi contro la sua pelle. A quel contatto Gabriel gemette. Si alzò da terra e sedette accanto a lei, nel letto. Lei rimase stesa su un fianco, in attesa. Per un attimo le parve di essere ritornata la solita Rebecca.

Le mani di Gabriel premettero contro le sue spalle e poi l’abbracciò con trasporto, mozzandole il respiro.

“Perché? Perché l’hai fatto?” le disse nell’orecchio. “Non farlo mai più, mi hai capito? Credi che mi diverta saperti in fin di vita?”

Lei strofinò la guancia contro il petto di lui, stringendosi a sua volta con forza. “Mi dispiace, non lo farò mai più”

Se dovessi diventare un angelo nero…

…sarai tu il nuovo paladino del Bene.

E sarà tuo compito uccidere me.  

Ma la morte è cosa dolce se sarai tu a porvi fine.

Con calma Gabriel, attento a non farle del male, si stese sopra di lei.

“Lo so che dovrei farti mangiare ma pensi di riuscire a resistere per un po’?”

“Certo” disse Rebecca, sorridendo.

“Mi sei mancata così tanto che…” non riuscì a continuare.

Le baciò gli occhi, la fronte, le poche lentiggini che aveva nel naso, le labbra.

Lei gemette. Gabriel si staccò e la guardò con ansia.

“Ti faccio male? Dio, sei diventata così magra…”

Rebecca gli sorrise e scosse la testa, stringendo i denti per non urlare. La verità era che le ossa sembravano stessero per spezzarsi e ogni parte del suo corpo incendiarsi. Ma poco le importava, le labbra di Gabriel erano troppo calde sul suo viso. Lui continuava a baciarla, a tenerla stretta, non aveva nessuna fretta. Sembrava volesse aspettare, aspettare qualcosa…la sua bocca non lasciava di un secondo il suo collo, il suo viso, la parte alta del petto vicino al cuore. Lei mugulò di piacere.

Morirò, pensò Rebecca.

Come se le avesse letto nel pensiero Gabriel la guardò e disse: “Se continui così muoio, però”

Tu morirai?”

Lui le sorrise.

Con grazia, poco a poco, pian piano, Gabriel le tolse i vestiti, attento a non farle male. Il contatto con il suo corpo nudo gli provocò un fremito di piacere. Sperò che nessuno venisse ad interromperli. Gli avrebbe ammazzati di botte.

“Sono felice che sia finita” le disse il ragazzo con amore.

Questi giorni di guerra finiranno.

La voce appena udibile era quella di suo padre. Ritornò a tacere, se ne andò com’era arrivato.

E io con loro, pensò Rebecca.



***



Era notte fonda, avevano appena finito di fare l’amore quando Rebecca si svegliò. Guardò con aria assonnata e sfinita il volto preoccupato di Gabriel che la stava fissando.

“È meglio che tu vada a mangiare qualcosa, per favore” le mormorò.

Rebecca roteò gli occhi e si rannicchiò nell’incavo del suo braccio. “Domani”  

Gabriel sospirò. “No, adesso, per favore” ripetè.

Lei rise. “Sto benissimo, mangerò qualcosa domani mattina ti ho detto. Non preoccuparti”

Gabriel si divincolò finchè Rebecca non si staccò da lui e si girò, dandole la schiena. Si era arrabbiato.

“Ok, vado! Sei contento?” esclamò la ragazza alzandosi e vestendosi.

Lui non le rispose e lei se ne andò. Aveva addosso una maglietta con maniche a tre quarti, grigia, che le arrivava fin sopra le ginocchia. Era enorme, non era sua. Data la sua lunghezza di un vestito, sotto, portava un paio di culotte grigio perla. Prima che uscisse Gabriel la sbirciò. Era bellissima. E viva. I capelli le erano cresciuti parecchio da quando era arrivata a Chenzo, prima le arrivavano alle spalle ed erano tutti scalati, con la frangetta spostata da un lato. Ora erano lunghi, lucenti, tutti uguali senza scalature e il ciuffo più lungo era sempre spostato da un lato. Quando si muoveva e i suoi capelli incontravano la resistenza dell’aria fluttuavano come onde. Senza contare che anche il suo corpo era maturato. Gabriel l’aveva incontrata che era poco più di una ragazzina mentre adesso era una giovane donna con un fisico perfetto.

Gabriel stava per richiamarla perché tornasse indietro ma poi lasciò perdere e lei andò a mangiare.      

Mentre era in cucina Rebecca fece per addentare un pezzo di pane quando un pensiero, una voce, s’insinuò prepotente nella sua testa. Sbarrò gli occhi e fece cadere sul tavolo il pane. Suo fratello la stava chiamando. La stava pregando di raggiungerlo.

Da quando era in grado di entrare nella sua mente?

Mollò all’istante quello che stava facendo e si precipitò fuori. Si fermò sul primo gradino e piroettò i suoi pensieri verso Gabriel. Stava dormendo. Bene. Nonostante la sua debolezza le sue gambe cominciarono a correre, trovarono la forza per muoversi, veloci e silenziose nella notte. Ben presto Rebecca raggiunse il bosco, la solita radura che il fratellastro usava per parlare con lei senza essere visto.

Arrivò e lo chiamò con voce affannosa.

Atreius comparve dal buio. Non l’aveva riconosciuto con il mantello nero lungo e il cappuccio alzato sul viso.

“Cosa c’è?” chiese con una certa urgenza.

“Non ti chiedi come ho fatto a chiamarti con la mente quando questo potere spetta agli angeli?”

Rebecca indietreggiò, non capì perché. Paura?

“Anche, certo” prese un bel respiro. “Come hai fatto?”

Atreius sorrise e si calò il cappuccio. Il suo volto era radioso, bellissimo. “I miei consiglieri sono molto preoccupati. Temono che i tempi per riportare nostro padre al suo originario splendore si stiano allungando quindi mi hanno concesso dei poteri per comandare”

“Sei diventato re?” esclamò con un’espressione attonita.

“No, però la mia posizione è molto simile. Il regno deve avere un comandante che lo diriga e finchè aspettiamo Mortimer io sono l’unico erede maschio. Peccato per i poteri”

“Perché?”

“Sono temporanei, fino al momento in cui lui non tornerà” inspirò. “È questo che provi?”

“Non capisco”

“I poteri. Sentirgli dentro che scorrono nelle tue vene, sentirti potente, invincibile. È questo che si prova? Io ne ho solo una parte ma un essere come te, un vero angelo, che ha poteri infiniti, come si sente? Come ti senti, sorellina, ad essere la più forte?” la guardò. “Io mi sento un dio con poco”

“Mi sento come se potessi sempre fare di più” ammise.

“Ecco perché il tuo nome sarà leggenda” le disse il ragazzo con gli occhi che brillavano.

“Basta. Dimmi perché mi hai chiamata, Atreius”

“Oh, giusto” disse Atreius. “Sono venuto per dirti una cosa importante. Ora che ho preso parte un po’ dei vostri poteri angelici mi è arrivata chiara la tua situazione. Tu non puoi vederti né capire a che punto sei ma chi sta fuori da te e dal tuo corpo contaminato lo vede eccome”

Rebecca non capiva un accidenti. “Parla potabile”

“Tu lo sai vero che il veleno ti sta…diciamo: “annerendo” il corpo”

“Ovvio”

“E questo si vede”

La ragazza assunse un’espressione sorpresa e orripilata al tempo stesso. “Si vede quanto il veleno ha contagiato il mio corpo e dove?”

“Sì”

Con il cuore che batteva come una mitragliatrice in petto, gli chiese, con agitazione: “E…a che punto è?” voleva e non voleva sentire la risposta.

Le sarebbe piaciuta come risposta?

“Il tuo corpo è per metà contagiato. Non ha ancora toccato il cervello e non è arrivato ancora al cuore, per tua fortuna”

“Ma se tu puoi vederlo allora anche Gabriel mi può vedere!” esclamò con terrore.

“Lui no”

“Perch…?”

“Troppo cieco” tagliò corto lui.

Rebecca richiuse la bocca, più sollevata e tranquilla.

“Quindi è a metà”

Atreius annuì con la testa. “Sembra proprio di sì”

“Perché me l’hai detto? Tu vuoi farmi dannare!”

“Te l’ho detto affinché tu ti regoli con i tempi. Fa un conto di quanto ti resta”

Rebecca inspirò profondamente cercando di trattenere le lacrime. “Proprio ora che iniziavo a sperare”

“Fede?!” ripetè Atreius con un moto di schifo nella voce. “Devi smetterla di avere fede. Non ti porterà da nessuna parte” fece per andarsene. Lei lo fermò.

“Che vuoi?” disse con lentezza Atreius.

“No, no, niente” si affrettò a dire, era arrossita. “Niente, niente”

Atreius le sorrise. “Se mi vuoi, pensami”

La ragazza alzò la testa e gli occhi verso di lui e ricambiò il sorriso. “Ciao, Nim”

“Ciao, regina delle tenebre”



***



Tornata!!! (o arrivata???..O__o boh..)
Mi scuso per il ritardo, di solito non ci metto molto ma sto giro, ragazzi, veramente non sapevo
che santi chiamare né che inventare in questo capitolo!!!
Come sempre (soliti convenevoli) spero che vi sia piaciuto e fatemi sapere!!!
(---> come sempre!!!)

Il prossimo capitolo si intitolerà: "AL PASSO CON LA FOLLIA"
e devo dire che le cose tra questi due poveri innamorati non finiscono mai!!!
penso che se fossi stata lei mi sarei già da tempo buttata giù dal balcone!!!

Questa notte ho sognato adirittura come sarà il seguito, la terza storia di Angelus Dominus. Oh, penso di
essere soddisfatta!!!
Dei bei colpi di scena!!!
La fine è sempre però un dilemma: Rebecca (cattiva) muore o si salva?????
Boh.......non lo so neanche io....




I THANKS:

"ANTHY": sì, in effetti magari queste situazioni le passiamo tutti!!! spero che ti sia piaciuto anche questo capitolo, forse meno bello però...grazie per la recensione, a presto...

"VALESPX78": no!!! e tu che non trovi convincente Gabriel...mmh...l'ho reso più convincente ora???? :-)

"CHICCA90": solo una cosa: "ci sei andata vicina, cazzarola!!!!" ehehe..bacioni, a presto.

"ANGELOFLOVE": sì infatti l'ha conciato male però lui si è già rimesso in sesto!!! guarda, per la storia dei capitolo, sono arrivata con questo a 11 capitoli e in teoria di questo secondo Angelus Dominus ce ne sono in tutto 22 (metà!!!!). poi sì, farò anche il terzo e ultimo della serie ma non so ancora come farlo finire, sia che rebecca muoia che si salva...non so..mah...cercherò un'illuminazione divina..





 



 

 

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Capitolo 12
*** Raggio di sole ***


Cap. 12 - RAGGIO DI SOLE -

[Io posso amare
ma ho bisogno del suo cuore.
Io sono forte anche da sola
ma da lui non voglio mai separarmi.
È stato qui da sempre,
il mio angelo Gabriele.

Benedetto il giorno che, nascendo,
le ali degli angeli lo portarono da me.

Io posso volare
ma voglio le sue ali.
Io posso brillare anche nell’oscurità
ma invidio la luce che emana
il mio angelo Gabriele]

Lamb - Gabriel -



***



Quando Rebecca tornò a casa le si era chiuso lo stomaco. Dovette comunque mangiare qualcosa altrimenti chi l’avrebbe sentito Gabriel se fosse svenuta. Ma nonostante la fame e la sete, a tavola, non riusciva a trovare sollievo né nel pezzetto di pane né nel bicchiere pieno d’acqua. Il cibo faticava a scendere e si bloccava a metà, lasciando a Rebecca una spiacevole sensazione d’ansia. Finito di mangiare quel poco che si era presa si alzò da tavola spazzolandosi la maglietta larga. Si bloccò con le mani a mezzaria e avvampò. Era uscita nel bosco mezza nuda e neanche se n’era accorta. Presa com’era dalla fretta e dalla voglia di sapere cosa voleva suo fratello non si era neppure cambiata. Ecco perché quegli sguardi languidi da parte del fratellastro.

“Porco” disse fra sé e sé.

“Spero che tu non stia pensando a me” le disse Gabriel.

Era in piedi a metà scalinata, fermo e attento che la guardava.

Rebecca arrossì e abbassò lo sguardo. “Che fai, mi spii?”

“Mi assicuravo che mangiassi qualcosa”

“Ma se hai dormito un’ora! Dì la verità, ti sei addormentato quando me ne sono andata e ora ti senti in colpa per non essere rimasto sveglio”

Gabriel fece un sorriso splendente. “Oh, la mia ragazza che è rimasta la stessa di sempre: una rompi palle uguale”

“Devi andare in bagno?” gli chiese aggirando il tavolo e mettendo il bicchiere nel lavabo per lavarlo.

Non lo sentì arrivare. Sentì la sua bocca sul collo.

Come scottata, Rebecca, si spostò.

Lui sorrise. “Paura?”

Lei si voltò e lo guardò con aria saccente e per niente intimorita. “Certo, mi hai fatto prendere un colpo. Non montarti la testa, non sei tu che fai paura” gli disse e con un passo aggraziato lo superò. Gli occhi ardenti di Gabriel non smettevano un attimo di seguirla. “Un gattino col fiocco rosa in testa fa più paura di te” lo prese in giro.

Gabriel scoppiò a ridere. La rincorse, la prese tra le braccia alzandola da terra e la fece volteggiare. Rebecca gli ordinò di metterla giù immediatamente.

“No” disse lui, irremovibile.

Con una mano Rebecca cercava di abbassarsi la maglietta che continuava a salire e con l’altra stava aggrappata al collo di lui. Gabriel la buttò come un sacco di patate sul divano. Aspettò di vederla rimbalzare e cadere a terra prima di andare in bagno.

“Lo sapevo che andava in bagno” brontolò la ragazza alzandosi da terra. Aveva tutti i capelli arruffati.

“Sai che fine ha fatto la cuffietta gialla con la paperella?” urlò Rebecca da una stanza all’altra.

Non le giunse la risposta di Gabriel ma in compenso lo sentì ridere.

Lui uscì dal bagno.

“Perché me lo chiedi?” domandò con un sorriso luminoso che gli incorniciava il viso.

Lei era ancora seduta per terra con la schiena appoggiata al divano. “Mi piaceva quando ti facevo lavorare in casa. Tu, con la tua cuffietta in testa, la traversa e la scopa in mano” scosse la testa al ricordo. “Un perfetto idiota”

“Attenta a come parli” l’avvisò avvicinandosi. “Potrei fartela pagare”

Rebecca fece una risata forzata. “Sì, certo, anche Dumbo volava…”

Lui aggrottò la fronte. “Chi è Dumbo, un tuo ex umano terrestre?”

Rebecca stava per scoppiargli a ridere in faccia. “Togli pure l’“ex”” gli disse.

Gabriel si fermò come paralizzato e la guardò allibito. Rebecca vide la sua faccia sbiancare. Ricadde a terra e rise rotolandosi sul tappeto fino a farsi venire il mal di pancia. “Oddio, dovevi vedere la tua faccia!” esclamò. Picchiò un pugno contro il tappeto. “Dumbo è un elefante dei cartoni animati” rise. “Un ex amante…” stava rischiando di morire soffocata.

Alzò la testa e vide che Gabriel non stava affatto ridendo. Era fermo in piedi e stringeva i pugni lungo i fianchi.

“Ridi! Fa ridere!” esclamò la ragazza con le lacrime agli occhi.

Nel momento in cui si sentì afferrare con forza il gomito e si alzò, tirata da quell’incredibile strattone, smise di ridere pure lei. Si ritrovò faccia a faccia con un Gabriel furioso.

“E ora che ho fatto di male?” sussurrò con un filo di voce.

“Pensi che mi sia piaciuto come scherzo?” la lasciò andare scuotendo la testa. “Sei tremenda” le disse.

Lei gli si avvicinò e gli posò le mani sul petto. Lo baciò sulle labbra e gli succhiò il labbro inferiore. Gabriel gemette contro la sua bocca.

“Era uno scherzo, credi davvero che ti tradirei con un elefante?”

Questa volta, più tranquillo, Gabriel sorrise. “Mi hai fatto prendere un colpo, non capisco mai quando sei seria o scherzi”

Lei si tirò più indietro e lo guardò come se fosse stupido. “Ma anche se fosse, credi davvero che verrei a dirti che ho l’amante?”

“Devi” grugnì.

“Oh, sì, certo…” si fece più vicina e lo baciò un’altra volta.

Quando si staccarono Gabriel le diede un bacio sulla fronte. “Lo sai che mia madre sta con Alan?” c’era irritazione nella sua voce.

Rebecca fece un bel sorriso. “Oh, sono felice per lei. Era ora che trovasse un uomo con il quale passare la sua vita solitaria. Forse ora che ha trovato l’amore smetterà di andare in giro per il pianeta”

Gabriel storse la bocca. “Ma perché proprio Alan?”

“Smettila, lo sappiamo tutti e due che adori Alan. Dì piuttosto che non ti va giù il fatto che Adele abbia un compagno. Questa si chiama gelosia del complesso edipico” gli disse con uno sguardo da sapientona.

“Mai sentito”

“Mai sentito Freud? Eppure sei venuto a scuola sulla Terra”

Lui scosse la testa e lei scrollò le spalle. “Beh, non ti sei perso niente”

Gabriel le strinse i fianchi e la fece arretrare fino al divano. “Lo immaginavo…” sospirò nell’incavo del suo collo.

La fece stendere sul divano e con un balzo si mise sopra di lei. I loro corpi aderivano alla perfezione. Rebecca incrociò le sue gambe attorno ai fianchi di Gabriel e sbuffò.

“Gabriel, intendi continuare così? Non possiamo farlo in continuazione…”

“Parla per te” borbottò lui con la bocca impegnata a baciare la sua pelle. “Devo ancora cominciare, ci sono andato piano con te” le sue mani non smettevano di cercare il suo corpo.

“Gabriel, è troppo? Mi stringi come sé…”

Lui la teneva così stretta che Rebecca faticava a respirare.

“Sì, è troppo” sussurrò.

Lei lo abbracciò ancora più forte, per fargli sentire che era lì con lui, viva. Lui temeva che scappasse ma gli fece capire che non se ne sarebbe andata da nessuna parte.

“Gabriel?”

Lui bevve il suo respiro. “Sì?”

“Ti amo e…smettila di cercarmi, sono qui”



***



La mattina seguente Gabriel uscì all’alba per prendere un po’ d’aria. Lasciò Rebecca nel divano, stesa a pancia in giù, che dormiva beata. La coprì lasciandole scoperta un po’ della schiena nuda e le baciò le scapole. Indossò i pantaloni che erano finiti per terra e rimase a petto nudo, si avvolse attorno alle spalle una lunga coperta blu di lana. Non appena aprì la porta inspirò quell’aria mattutina che sapeva di fresco e di acqua piovana, tipica delle mattine uggiose d’estate. C’era il sole che stava sorgendo oltre il monte, era ancora troppo presto perché fosse caldo.

Era soltanto l’alba, dopotutto.

Chiuse dietro di sé la porta e si sedette sul primo scalino in sasso grigio. Gli venne da ridere, pensò che quello era proprio un momento perfetto per fumare una sigaretta. Ma naturalmente a Chenzo non se ne trovavano di pacchetti di sigarette.

Guardò con aria assente il vialetto di casa e l’inizio della foresta. Non seppe quanto rimase così: a fissare il vuoto e a pensare, seppe solo che ad un certo punto sentì un forte tonfo provenire da dentro casa.

Corse dentro col fiato sospeso e molto preoccupato ma poi le sue labbra si incurvarono in un sorriso stupito. Rebecca nel divano doveva essersi girata dalla parte sbagliata perché era finita per terra. Le coperte erano arrotolate attorno al suo corpo e lei continuava a dormire sul tappeto morbido con un sorrisino appagato in volto. Non voleva svegliarla, per quanto gli sarebbe piaciuto rimanere a contemplarla, uscì senza far rumore.

Più tardi vide arrivare Denali con sua sorella. I due ragazzi aprirono leggermente la bocca, stupiti, nel vederlo fuori sulle scale. Si avvicinarono e Gabriel non diede loro il tempo di parlare.

“Si è svegliata” disse con un enorme e splendente sorriso.

Rosalie si sciolse dalla felicità con moderazione e Denali buttò fuori un enorme quantità di aria dai polmoni.

“Dov’è?” volle sapere Rosalie.

Gabriel indicò con la testa. “È dentro, sta dormendo”

“Possiamo vederla?”

Il ragazzo aggrottò la fronte, contrariato. “No” disse in tono deciso.

Cadendo Rebecca si era fatta scendere le coperte e sebbene dormiva ancora in posizione prona aveva completamente la schiena scoperta.

Gabriel guardò Denali squadrandolo.

Non voleva certo che il suo amico la vedesse conciata in quel modo. Neanche sua sorella. Lei era sua e solo lui poteva vederla così.

Rosalie parve delusa. “Oh, come mai?”

Gabriel arricciò le labbra in un modo squisito. “Non è nelle condizioni di essere ricevuta, fidati che non vorresti vederla”

La ragazza arrossì furiosamente e gli tirò un pugno sul braccio. “Sei un maiale, Gabriel! Possibile che debba avere un fratello pervertito che pensa solo al sesso? Oh, povera ragazza, non ha mangiato per settimane e tu l’unica cosa che le dai appena si riprende è…” non riuscì a terminare la frase.

Gabriel le andò vicino col viso. “Finisci la frase” la intimò.

Rosalie avvampò. “Piantala! Hai capito cosa voglio dire! Ma da chi hai preso in famiglia?” esclamò, completamente imbarazzata.

Gabriel rise forte e diede un pacca amichevole all’amico. “Come mai siete passati? È un po’ presto, o no?”      

“È mattina” grugnì la sorella. “Non è mica l’alba”

Gabriel la guardò ma poi lasciò perdere. Si risparmiò dal chiederle se era normale. Erano le sette, porca miseria!

“Bastian ha chiesto di Rebecca” gli disse Denali seriamente.

“No…” a Gabriel si mozzò il fiato in gola.

“Sì, penso che abbia una missione da darle”

“È stata male, ha rischiato di morire, è venuta a trovarla sì e no due volte. Non abbiamo mai avuto notizie di lui, è stato di un disinteresse schifosamente odioso e ora manda voi due a dirmi che Rebecca va in missione? Non poteva venire lui di persona, troppo difficile?” era arrabbiato, lo si vedeva benissimo.

Rosalie abbassò lo sguardo, dispiaciuta per il fratello. “Mi dispiace Gabriel, ma è così che funziona, è il suo compito fare queste cose. Ok che è stata male ma ora sta bene e dovrebbe incontrare Bastian prima di oggi pomeriggio, così che lui le spieghi il piano”

Gabriel avrebbe voluto urlare. “No! Lei non lascerà questo villaggio!”

Denali gli fece cenno di abbassare la voce. Gabriel si morse la lingua ma non si calmò. Respirava con affanno.    

La sorella lo accarezzò con gli occhi. “Ehi, lei è forte, apparte sé stessa non c’è nessuno che possa farle del male. Bastian ha ragione, Gabriel, sei cieco quando si tratta di lei. Se fossi rimasto solamente il suo maestro concorderesti con lui a farle fare più missioni possibili ma il fatto che tu sia ora innamorato di lei…” scosse la testa. “Vorresti tenerla in casa lontana da tutti per proteggerla ma lei è nata per combattere per noi, non puoi lasciarla dentro una campana di cristallo per sempre. Lei deve andare, è il suo lavoro, la sua responsabilità”

“Lei non ha mai chiesto niente del genere” ribattè aspramente Gabriel.

“Come non hai chiesto tu di nascere un angelo. Voi due siete nati con un dono ma avete anche il dovere di sfruttare questo vostro dono”

“È un dono e una maledizione, semmai. Oh, sono così stufo! Esiste la pace? Se esiste perché io non posso averla? Sono stanco di dover sempre lottare ”

“Lo sappiamo Gabriel, ma devi tenere duro. Questi giorni e questa vita passeranno. Hai l’immortalità che ti aspetta, hai davanti a te una vita infinita da vivere con Rebecca. Cosa vuoi che siano un paio di mesi?”

Gabriel la guardò come se fosse impazzita. “Può morire, Rose!” disse, come se fosse la cosa più ovvia del mondo.

“Non morirà: è invincibile” rispose sorridendogli.

Gabriel non sembrava così convinto ma almeno si era calmato dalle parole confortanti della sorella. Anche lui credeva che Rebecca fosse diventata talmente tanto forte da risultare imbattibile. Forse la sua potenza l’avrebbe salvata. Forse non era così sprovveduta come pensava lui.

Forse non ha così bisogno di me come penso io.

“Siete passati solo per questo?” chiese, rivolto più a Denali che era rimasto in un silenzio sacrale per tutto il tempo.

Il ragazzo annuì e fece un sorriso tirato, poi ritornò serio. “Lei sta bene?”

Gabriel lo guardò con il cipiglio innalzato.

Alludi forse a qualcos’altro, Denali?

C’è dell’altro che dovrei sapere riguardo la sua salute?

“Sì, ha mangiato, ha bevuto, ora sta molto meglio”

Denali lo guardò e Gabriel ricambiò l’intensità del suo sguardo. Poi guardò la sorella e la vide dispiaciuta.

“Cosa c’è?” le chiese un po’ sgarbatamente.

Rosalie sorvolò sul tono villano del fratello. “Volevo vederla”

“Oh, ma che impiastro che sei! Vieni a trovarla oggi pomeriggio se vuoi vederla, ora dorme ed è…”

Rosalie gli fece segno con le mani di fermarsi e si tappò le orecchie. “Ah! Non voglio sentirti!”

Gabriel si voltò scioccato verso Denali. “Ma fa sempre così?”

Denali parve trattenere una risata. “In che senso?”

“Beh” si accigliò il ragazzo. “Si scandalizza sempre quando parlo di sesso, mi fa venire dei dubbi in proposito”

“Che genere?” domandò, visibilmente incuriosito.

“Conosco mia sorella da quando sono nato ed è proprio perché sono suo fratello che non posso parlare ma, se fossi un ragazzo qualsiasi, la giudicherei una bomba del sesso”

Rosalie strabuzzò gli occhi che divennero due palline da golf. Denali emise un ghigno, probabilmente si ritrovò d’accordo con Gabriel.

“Che cosa hai detto? Che cosa sono io? Una bomba de che…?”

“Oh andiamo Rose, quando eri più giovane mi ricordo com’eri, sai? Mi ricordo delle orde di giovanotti che ti venivano a trovare e con i quali uscivi insieme la sera. Non sei mai stata una brava ragazza di casa pudica e innocente”   

“Ma guarda te cosa mi tocca sentire”

“Quindi evita di farmi la predica quando faccio l’amore con la mia ragazza, tu eri uguale a me” le disse, e poi aggiunse con un sorrisetto provocante: “Se non peggio”

Lei prese Denali per la manica della giacca e s’incamminò tirandoselo dietro come un animale. Era furiosa, camminava spedita e sembrava un carro armato in azione.

Denali cercò di liberarsi dalla sua morsa fatale. “Ma che fai? Lasciami!”

“Ce ne torniamo a casa, Denali!” sbraitò la ragazza. “E guai a te se solo ti azzardi a fiatare!”

Gabriel si piegò in due dal gran ridere mentre guardava la faccia spaventata e rassegnata di Denali che seguiva come un cagnolino una Rosalie bordeaux in volto e a dir poco adirata. Era sempre stata molto permalosa, una sorta di dea in collera quando si toccava la sua bellezza o la sua persona.

Quando Denali raggiunse il cancelletto, infondo al viale di casa, si voltò per salutare Gabriel con una mano alzata. Lui ricambiò il gesto con uno sguardo che sembrava dire: “sei fottuto, amico mio”.

Rosalie abbaiò come un cane. “Muoviti, non bighellonare!”

Quando i due ragazzi furono in strada Gabriel sentì Denali che chiedeva sottovoce a Rosalie: “Veramente avevi un branco di ragazzi che ti venivano a trovare?”

Lei gli gridò di starsene zitto e a cuccia.



***



Aveva sentito delle voci provenire dai gradini fuori casa. Subito non ci fece caso, era troppo assonnata e stanca per prestare attenzione a dei semplici chiacchierii. Si teneva raggomitolata su di un fianco e stringeva a sé le coperte per trarne ogni più piccolo spicchio di calore. La coperta di lana le prudeva la pelle nuda ma la faceva sentire riparata e protetta. Aprì un occhio e sbirciò con sguardo divertito il vano della porta. Dalla finestra capì che era mattina presto, il sole era lontano, doveva ancora brillare nel cielo. Uno strano odore che sapeva di polvere, tappeto e lana la fece starnutire.

Sentì la voce di Gabriel che parlava con qualcuno. Tese le orecchie e proiettò i suoi occhi oltre la soglia, trapassarono la porta e misero a fuoco la scena esterna. Vedeva ogni cosa, come se fosse lì con loro. C’erano Denali, Rosalie e Gabriel.

Gabriel rideva, non capì perché. Rosalie sembrava indispettita mentre Denali assecondava Gabriel prendendo in giro la ragazza. Dato che la conversazione non le interessava particolarmente ritirò la propria mente e la riportò nel salotto con lei. Si mise seduta e con una manata si lisciò i capelli arruffati e spettinati. Con un tocco della mano trasformò la coperta in un mantello in modo da non aver la fretta di mettersi qualcosa addosso, poteva restarsene tranquillamente così.

Era felice, quasi poteva sentire la felicità correrle dentro tutto il corpo. Ogni particella, ogni cellula del suo essere sprizzava gioia. Stava per mettersi a cantare quando, per lavarsi le mani, notò il colore della sua pelle. Ebbe un tale spavento che per poco non urlò dalla paura. Il cuore smise di battere e le salì in gola con prepotenza. Cominciò a tremare convulsamente. Si avvicinò agli occhi una mano tremante. Non poteva essere vero, non ci credeva. La sua mano era nera, sembrava ad una sfera trasparente contenente dell’acqua scura. Un liquido nero e denso scorreva, scivolava e fluttuava dentro il suo corpo donandole un colore scuro e intenso. Le pareva di essere macchiata, sporcata da un inchiostro liquido che colava sulla pelle.

Era malata. Quello era il segno di una brutta malattia.

Con affanno si ricordò della notte precedente. Atreius le aveva fatto intendere che soltanto chi possiede due occhi maligni, demoniaci e oscuri poteva vedere il mutamento a carico del veleno su di un corpo. Ed ecco perché solo Rebecca e Atreius vedevano la sua trasformazione.

Ora lei stava guardando con occhi sconvolti la presenza del veleno nel proprio corpo. Era ovunque. Suo fratello le aveva detto che il veleno, per il momento, l’aveva infettata per metà. Ed era vero. Era nelle gambe, nelle braccia, nella pancia, nella schiena e nella parte alta del petto. Con orrore vide che solamente il cuore e la testa erano ancora candidi e puri.

Cos’è che le aveva detto ancora Atreius?

Ah si.

Per completare la trasformazione di angelo nero serviva una delusione per il cuore e una sconfitta per la mente. Se il suo cuore si fosse spezzato per il dolore e la sua mente si fosse arresa sarebbe stata la fine.

È l’ultimo passo per la dannazione eterna: la corruzione dei due organi più importanti.

Le venne in mente subito Gabriel. Lui era l’unico fra tutti che poteva farla soffrire fino a quei punti. Spaventata e con la mente totalmente in tilt scivolò sul pavimento e si appoggiò con la schiena ad una gamba della tavola. Si teneva la mano macchiata in grembo e la cullava con l’altra, come se questo bastasse per far andar via il nero.

Gabriel aprì la porta ed entrò in casa, il suo viso accennava ad un sorriso. Era bellissimo quando sorrideva. Appena la vide si bloccò. L’ombra del sorriso si spense e indietreggiò come colpito al petto. Tempo due secondi di ripresa e subito le fu vicino. Corse e si inginocchiò sul pavimento.  

“Rebecca, stai bene? Che hai fatto?” la scorlò.

Rebecca spalancò la bocca, stupita.

Possibile che lui non vedeva il veleno scuro che le scorreva dentro la pelle?

Ah, giusto. Lui non è cattivo e i suoi occhi non riescono a vedere le tenebre.

Non è come me, lui.

Rebecca mosse una mano a toccare il braccio teso del ragazzo e lo accarezzò lentamente. “Sto bene, sto bene. Ho solo avuto un piccolo svenimento”

Gabriel era molto preoccupato, aveva tutti i nervi tesi come corde di violino. “Sei sicura che sia stato solo un piccolo svenimento? Oddio, se stai male dimmelo che ti porto da un curatore”

“No, sto bene, ti ho detto. Può succedere, non sono ancora nel pieno delle mie forze. Probabilmente devo ancora riprendermi, non ho mangiato molto ultimamente” mentì. Gli sorrise. “Sarà stato un calo di zuccheri”

Gabriel la guardò come se non le credesse per niente. Si alzò e l’aiutò ad alzarsi in piedi. Una volta in piedi Gabriel l’attirò verso di sé e l’abbracciò con disperazione. Nascose la faccia tra i suoi capelli e le strinse i fianchi possessivamente. Rebecca gli circondò il collo con le braccia e fece un sospiro.

Gabriel sciolse l’abbraccio e, prendendola per mano, la fece sedere su una sedia.

“Devi mangiare, sono stato un idiota a non dartene subito. Ora stai ferma lì che ti faccio un bel pranzo come si deve”

Rebecca lo guardò malissimo. “Gabriel, è mattina. Se hai tutta questa voglia di cucinare per me almeno fammi la colazione”

“Uova e pancetta?” le propose.

Rebecca storse il naso.

“Verdura e arance?”

La ragazza si portò un dito in bocca e fece finta di vomitare.

“Frittelle e latte?”

La ragazza sfoderò un sorriso smagliante e battè le mani. “Sì! Vada per le frittelle e il latte, allora!”

Gabriel si voltò verso i fornelli e prese una pentola, la prima che trovò nel ripiano. Rimase qualche secondo con la pentola in mano.
 
“Accidenti, e ora come si fanno le frittelle?” lo sentì borbottare.

“Ehm, vuoi che ti dia una mano? Io so farle, se ti va le facciamo insieme”

Gabriel girò la testa di scatto e la fulminò con gli occhi. “Tu stai ferma al tuo posto, ci penso io a farti la colazione. Non è possibile che sia sempre tu quella che fa da mangiare, servirò pure io a far qualcosa in questa casa, o no?”

Rebecca tossicchiò e, volutamente, alzò gli occhi verso il soffitto. Era arrossita. Gabriel la guardò basito.

“Oh, grazie tante! Servo solo a quello per te?”

“Beh, a tua discolpa bisogna dire che lo fai bene”

Gabriel mise giù la pentola sul ripiano e puntò i suoi occhi esterrefatti verso la ragazza. “Ma stai zitta! Allora potevi trovare chiunque che venisse a letto con te!”

Rebecca fece segno di no con l’indice assumendo un’aria da saputella. “No, io volevo il più carino”

Gabriel ghignò. “Questa mi pare una scusa cretina”

“Giusto, hai ragione” gli disse e si alzò dalla sedia. Gli andò incontro camminando molto sensualmente. Gabriel si accorse di trattenere il respiro. Non smetteva di seguire i suoi passi fluidi e leggeri. Quando Rebecca fu a quindici centimetri dal suo viso gli sussurrò: “La verità è che quando ti ho visto la prima volta non ho potuto non pensare a come sarebbe stato bello stare con te”

“Stare con me…?”

“Sì” finì per lui. “Nel senso intimo del termine”

Gabriel sentì improvvisamente un gran caldo intorno. Ma la cosa gli piaceva, eccome se gli piaceva…

Giocò un po’ con lei. “E io che pensavo che ti stessi antipatico”

“Erano preliminari, angelo. Proprio tu dovresti saperlo”

“Senti angelo, sono stati preliminari lunghi un anno intero. Non potevi velocizzare i tempi, ad esempio, farmi delle avances prima?”   

Lei corrucciò la fronte. “E a quale scopo? Così ti ho reso la caccia molto più difficile ed eccitante”

“Hai ragione” mormorò, completamente perso dentro i suoi occhi profondi.

Rebecca passò una mano tra i suoi capelli e lo attirò verso di lei. Fece incontrare le loro bocche in un bacio appassionato. Sentì il respiro di Gabriel farsi sempre più veloce, via via che approfondivano il bacio.

Gabriel le circondò i fianchi e la sollevò da terra mentre Rebecca agganciò le gambe attorno al suo bacino. Il ragazzo la depose sopra al bancone da cucina e si piazzò tra le sue gambe. Il mantello che Rebecca indossava le lasciò scoperte le gambe e anche parte delle cosce. Gabriel passò una mano sulle sue cosce aperte e lei gemette contro la sua bocca. Lui la guardò con smarrimento.

“Non riuscirò a sopravviverti, Rebecca” le disse e poi riprese a baciarla.

Ora anche il respiro di Rebecca era irregolare e affannoso. Le mancava l’aria, non riusciva a respirare con lui così addosso. Gabriel era ovunque sul suo corpo. Con le gambe se lo attirò più vicino. Gabriel appoggiò i palmi aperti delle mani sul freddo bancone e lei si aggrappò alle sue spalle. Rebecca si distese sul ripiano e trascinò Gabriel con sé.

“Devo farti le frittelle” disse ad un certo punto il ragazzo.

“Chi se ne importa delle frittelle ora!”

“Devi mangiare”

“Mi sto già nutrendo”

Gabriel si staccò e le diede un bacio a stampo sulla tempia. “Dai tesoro, avremo tempo dopo”

Detto ciò si allontanò e riprese la terrina fra le mani lasciando Rebecca sul tavolo con le gambe aperte e il mantello che le era sceso sul davanti, coprendo di poco il seno.

Lui la fissò con sguardo adorante. “Guardati, sei bellissima”

“E allora ritorna qui, per favore” lo pregò Rebecca.

Lui fu irremovibile. “No, ora mangi”

Con uno sbuffo Rebecca scese dal bancone e si sistemò il mantello. Ritornò a sedersi sulla sedia di prima con il broncio. Gabriel scoppiò a ridere.

“Che c’è?” sbottò la ragazza.

“No, stavo pensando che è un controsenso: ti faccio mangiare le frittelle e poi facciamo l’amore così bruci le calorie appena prese e siamo di nuovo da capo”

Anche Rebecca rise. “Ecco perché io avevo proposto di farlo subito, prima delle frittelle” incrociò le braccia al petto.

Si baciarono. Gabriel se la caricò in braccio e ritornò ad adagiarla sopra al bancone.

“Vedo che ti attira l’idea di farlo sopra il bancone!” disse Rebecca.

Gabriel le torturava il collo con le labbra. “Sì perché qui non l’abbiamo mai fatto”

“Un giorno dovremmo collaudare l’intera casa”

“Io ci sto!” esclamò con enfasi.

Rebecca non smetteva di ridere. Poi, mentre Gabriel scendeva a baciarle il corpo e pian piano la spogliava, aprì gli occhi e si accorse di com’era il suo corpo nudo. Le labbra di Gabriel erano posate sul suo ventre e le sue mani le toccavano i fianchi.

Ancora una volta si chiese come faceva a non vedere che la sua pelle era quasi completamente nera.



***



“Bastian vuole che tu lo raggiunga” le disse Gabriel dopo che ebbero finito di fare l’amore.

Rebecca si appoggiò con il gomito e guardò il ragazzo. “Davvero? Pensi che voglia darmi una missione?”

Gabriel non fu contento di leggere nel suo sguardo una certa trepidazione ed eccitazione. Si incupì. “Sì, anzi, sono sicuro che ti darà una missione. Stamattina sono venuti Rosalie e Denali apposta per dirmelo. Che farai?”

“Come che farò? È ovvio che andrò da lui! È da troppo che sono ferma e non sto facendo niente, sarà bello ricominciare ad essere d’aiuto”

“Detta così suona bene” brontolò.

“Oh, Gabriel…”

Gli prese la testa fra le mani e lo baciò dolcemente. Poi lo abbracciò e lo tenne cullato tra le sue braccia. “Non ti preoccupare, andrà tutto bene”

“Posso accompagnarti da Bastian?”

Rebecca si tirò indietro e lo osservò meglio. “Ne sei proprio sicuro?”

“Sì, almeno sentirò per intero di cosa tratta la tua missione”

“Perché?” si mise a ridere lei. “Io non ti racconto mai niente?”

“Mi dici sempre il mimino indispensabile, tanto perché io sappia le cose fondamentali. Hai paura che di nascosto ti insegua per tenerti d’occhio?”

“Diciamo che ho preso in considerazione l’ipotesi, sì”

“E che ne pensi?” domandò guardandola di traverso.

“Che se solo ti azzardi a seguirmi ti inforco con la spada, dico sul serio”

Gabriel sbuffò e assunse un’espressione frustrata e dispiaciuta. Rebecca gli tirò una sberla sul petto.

“Ma stai scherzando, vero? Gabriel, vado in missione, mica a divertirmi! Te ne starai a casa ad aspettarmi, proprio come i mariti aspettano le mogli di ritorno dal lavoro”

Il ragazzo inarcò le sopraciglia e puntò i suoi occhi incuriositi e divertiti al tempo stesso su Rebecca. “Hai detto mariti?” non credeva di aver sentito bene.

Rebecca si ritrovò a boccheggiare un paio di volte. “No, non l’ho detto”

“Sì, hai detto che devo aspettarti a casa come fanno tutti i bravi mariti. Vuoi così tanto essere mia moglie, Rebecca?” chiese, con un tono talmente divertito da far arrossire la ragazza.

“Ho avuto un lapsus” esclamò, a mo scusa.

“Tu che parli tanto di Freud, lo sapevi che questo simpatico uomo affermava che i lapsus linguae non sono soltanto errori verbali ma indicano i veri desideri e le passioni nascoste di una persona? Quello che ha parlato al posto tuo era il tuo desiderio inconscio più grande. Questi lapsus sono determinati tutti, naturalmente, da fattori sessuali”

“Imbroglione che non sei altro! Lo conoscevi allora Freud!” esclamò con aria offesa. “Ti diverti tanto a prenderti gioco di me?”

“Qualche volta succede”

“Sai che ti dico? Soffocati con il cuscino!”   

“Oh, andiamo! E sai, la cosa interessante è che i lapsus derivano da fattori sessuali repressi” la guardò con occhi ardenti e pieni di voluta provocazione.

Rebecca grugnì. “Guarda che arriva il cazzotto entro sera, Gabriel”

“Facevo per dire, anche perché…” si avvicinò al suo viso, il suo sguardo era di un’intensità mai vista. “…non mi sembra che tu abbia istinti sessuali repressi. Devo dire che vengono sempre fuori, infatti non ti ho mai sentita lamentarti”

“Potrei iniziare da ora a lamentarmi, e allora vedrai come ti lamenti anche tu”

“Tremo di paura” disse il ragazzo roteando gli occhi.

Rebecca schioccò la lingua. “Niente sesso fino al matrimonio. Vedrai ora come diventerai represso”

Detto ciò fece per alzarsi dal letto ma non appena Gabriel vide che si stava allontanando da lui la bloccò per un braccio e lei gli ricadde addosso. Le mani del ragazzo le strinsero i fianchi più forte che poterono. Con un unico movimento la inchiodò sul materasso. Una mano si spostò dai suoi fianchi alle sue gambe e gliele aprì. Si fece spazio tra le sue gambe aperte e spinse il bacino contro quello di lei. Rebecca mugolò di piacere e dovette mordersi il labbro inferiore per non gridare.

“Allora, sei ancora dell’idea del sesso dopo il matrimonio?” la stuzzicò Gabriel col respiro rotto.

Lei non poteva più parlare. Ogni volta che sentiva il corpo di Gabriel su di sé fremeva e non capiva più nulla. Ormai era da molto tempo che facevano l’amore ma ogni volta era come se fosse la prima. Il fuoco e la passione che li bruciava non sembrava volersi spegnere mai. Così quando Gabriel, pochi secondi dopo, entrò in lei, Rebecca sospirò. Era una pace divina che le toglieva sempre il respiro e la rendeva completa.

E lei era sua, e non c’era verità più bella di questa.

Fecero l’amore e nel momento dell’orgasmo Rebecca lo sentì gemere come se cercasse di non piangere.

Gabriel ricadde sul letto e si coprì gli occhi con un braccio.

“Dio, si può amare più di così?”

“Hai mai amato di più?”

“No. No, Rebecca”

Lei si accoccolò di fianco a lui e gli posò la testa sulla spalla.



***



Nel pomeriggio andarono entrambi da Bastian. Rebecca era da molto che non lo vedeva, ormai anche lui, come tutti gli altri, stava diventando un contorno di quella che era divenuta la sua nuova vita. Lei stessa non si sentiva più al sicuro in nessun luogo che non fosse casa sua e non riusciva più a stare con le persone che non fossero Gabriel. Si era allontanata dai suoi amici, tutti avevano paura di lei. Pure Bastian aveva preso le distanze, i suoi legami con il capo-villaggio si erano incrinati e irrimediabilmente compromessi.

Era normale che non si sentisse più a casa?

Possibile che passeggiava per le strade del suo villaggio e tutto le era indifferente, lontano e sconosciuto?

Dentro di lei si svolgeva un conflitto interiore che l’aveva cambiata, per sempre. Suo padre, addirittura, aveva smesso di parlarle, poiché dipendeva dalla sua volontà.

La scoperta, inoltre, di poter vedere il suo vero aspetto l’aveva demoralizzata. Poteva vedere a che punto era la trasformazione da parte del veleno ma era un’immagine troppo repellente e agghiacciante per essere richiamata quotidianamente alla mente. Il più delle volte preferiva non vedere. Ed era una fortuna che Gabriel fosse cieco a tutto ciò. Per una volta ringraziava la sua cecità.

Rebecca era così presa dal suo monologo interiore da non accorgersi neppure che Gabriel le stava parlando. Si riscosse, perplessa e immediatamente sull’attenti.

Fece una smorfia quando sentì ciò che il ragazzo le stava dicendo.

“…e se qualche soldato ti importuna tu non farti problemi a scagliargli addosso una qualche maledizione, ok? Gli conosco quegli uomini e sanno essere molto pesanti a volte, diciamo che non resistono ad una bella ragazza…poi se questa ragazza sa anche prendergli a calci nel culo ai loro occhi è ancora più appetibile. Quindi non farti problemi, minaccia verbalmente tutti quelli che vuoi e se solo uno di loro ti tocca hai il mio permesso personale di ammazzarlo. Rebecca, mi stai ascoltando?”

“Sì, e stai dicendo un mucchio di cavolate”

“Non dire così. Guarda che succede di continuo che i soldati si approfittano di ragazze come te”

“Non ragazze come me, Gabriel. Si approfittano di ragazze in generale, ma non ragazze come me. Se ci tengono alla loro vita è bene che non avvicinino un dito verso di me”

“Io comunque starei attento” ribadì.

Rebecca saltellò sul posto e imprecò. “Mamma mia, possibile che tu non ti fida mai di me?”

“Io mi fido di te” disse in tono sorpreso, come se fosse più che palese ciò che intendeva dire. “È degli altri che non mi fido”

“Taci e cammina” lo spintonò.

“Sono un po’ troppo geloso?” chiese in tono innocente.

“No!” esclamò sarcasticamente la ragazza. “Gabriel, tu sei troppo geloso, troppo protettivo e troppo possessivo!”

Gabriel le diede un colpetto con il gomito. “Beh, ma dì la verità che ti piace”

Lei lo fulminò con gli occhi. “Se è un modo per pararti il didietro non funziona con me”

“Si dice pararsi il culo, signorina so-tutto-io”

“L’ho detto solo per non essere maleducata” sbottò. “Ma tu non hai niente di meglio da fare che rompermi le palle?”

Gabriel la prese per le spalle e la baciò con passione. Rebecca si sentì svenire, per fortuna le braccia forti di Gabriel la sostenevano. Quando si staccarono Gabriel aveva stampato in faccia un enorme sorriso.

“Ci sarebbe questo, di meglio da fare”

Ripresero a camminare, Rebecca teneva la testa bassa e lasciava ciondolare le braccia lungo i fianchi. Gabriel non parlò. Arrivarono davanti alla casa di Bastian e lo scorsero dietro ai cespugli. Stava parlando con Alan. Rebecca sentì i muscoli del suo ragazzo irrigidirsi. Gli diede un pizzicotto sul braccio.

“Non fare cazzate” lo avvertì.

Gabriel soffiò, senza lasciare che i suoi occhi si allontanassero da Alan.

“Ciao, Alan” lo salutò Rebecca andandogli incontro con un largo sorriso. Gabriel la guadò sbalordito.

Rebecca abbracciò Alan con immenso affetto, dandogli delle pacche sulla schiena. Alan le diede un bacio sulla guancia e lasciò vagare i suoi occhi su di lei.

“Fatti guardare” disse lui. Rebecca girò su sé stessa con una piroetta. Alan allargò ancora di più il suo sorriso. “Sei in forma, e sempre più bella a quanto pare” le fece l’occhiolino.

La ragazza udì Gabriel sbuffare.

“Alan, è da tanto che non ti vedo. Come stai? Ciao, Bastian!” urlò Rebecca sbracciandosi per salutare il capo-villaggio che era ancora intento a lavorare tra i cespugli. Bastian drizzò la schiena e la salutò con la mano.

“Arrivo!” le disse.

Rebecca annuì e lui tornò a lavorare tra le erbacce.

Alan le diede un buffetto sulla guancia. “Io sto bene, ma tu? Ho sentito che non te la sei passata stupendamente”

“Ne ho passate di peggio, ora mi sento super in forma. Non vedi?” aprì le braccia e volteggiò, il suo viso era così luminoso da creare luce.

“Sì, lo vedo” le rispose l’uomo.

Inaspettatamente Rebecca gli gettò le braccia al collo e lo abbracciò. Preso in contro piede Alan rimase con le braccia a mezzaria e lo sguardo confuso. Gli bastò puntare un attimo gli occhi su Gabriel per vederlo infastidito.

Rebecca avvicinò le labbra all’orecchio di Alan e sussurrò: “Sono contenta che tu e Adele abbiate trovato la felicità. Non badare Gabriel, è sempre stato molto geloso verso le persone che ama e sua madre è una di queste. Lui ti vuole molto bene ma dagli il tempo di digerire la cosa” detto ciò si staccò e gli fece un sorriso incoraggiante.

“Grazie” sillabò Alan.

“Di niente” sillabò a sua volta la ragazza, senza emettere alcun suono dalla bocca.

Si voltò verso Gabriel e gli andò incontro. Lo prese per mano e lo condusse verso Alan. Prima che i loro discorsi venissero uditi da tutti Gabriel le disse sottovoce:

“Non è molto carino da parte tua avere queste confidenze con il nemico”

“Non è un nemico, è soltanto il tuo futuro padre”

Per poco Gabriel non si ingozzò. Tossì talmente tanto e forte che quando raggiunse Alan lui lo guardò con preoccupazione.

“Tutto bene, Gabriel?”

Gabriel prese fiato. “Sì, Alan” si sforzò nel dire il suo nome. “Va tutto a meraviglia”

L’imbarazzo dell’uomo era palpabile. Abbassò gli occhi. Rebecca si strinse al braccio di Gabriel e guardò Alan con compassione.

Il ragazzo diede un bacio sulla nuca a Rebecca. “Sono contento per te, Alan. Ho saputo che ti sei innamorato di mia madre, abbi cura lei, mi raccomando”

Dire che Alan ne rimase contento è troppo poco. Quasi quasi si metteva a fare i salti di gioia, e anche Rebecca rimase molto soddisfatta del suo ragazzo. Incontrò gli occhi di lui e gli sorrise teneramente. Gabriel si piegò su di lei e la baciò.

Arrivò anche Bastian con le maniche arrotolate fino al gomito, la pelle abbronzata e i pantaloni sporchi di terra.   

“Cosa mi sono perso? Fate felice anche me” disse, riferendosi all’allegria generale che aleggiava negli sguardi di quelle tre persone.

Rebecca si strinse a Gabriel e lui le circondò i fianchi. “Ogni cosa va come deve andare, Bastian. Sono così contenta di vederti…non sei mai passato a trovarmi”

Lanciò un’occhiata a Gabriel prima di rispondere. “Casa vostra, mentre eri nel letto catatonica, era praticamente invivibile. Gabriel era un mastino, non faceva altro che abbaiare e sbattere porte in faccia. Alla fine ci ho rinunciato” fece spallucce.

Rebecca si voltò con la bocca aperta verso il ragazzo. “Hai dato di matto?”

“Beh, succede sai quando non sai più che santi chiamare per salvare la ragazza che ami” sbottò Gabriel.

“Mi pare di vederti: nervi a fior di pelle e appena qualcuno osa parlare tu gli salti addosso urlando”  

“Infatti è successo proprio così” disse Bastian, poi aggiunse. “Scommetto che sei venuta qui per sapere della tua missione”

“Sì” rispose lei seriamente.

Gabriel le afferrò ancora più saldamente i fianchi. Bastian le fece cenno di seguirla. Non appena anche Gabriel si avviò con loro, Bastian lo fermò.

“No Gabriel, dobbiamo parlare io e lei da soli”

La cosa non piacque proprio per niente al ragazzo che indietreggiò con aria minacciosa. La delusione nei suoi occhi intenerì Rebecca che dovette trattenersi dall’abbracciarlo e confortarlo.  

“Ci vediamo dopo” gli disse Rebecca con amore, lo incoraggiò con occhi dolci e premurosi.

Poi sparì oltre la soglia di casa.



***





 

 





 

    

 

 

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Capitolo 13
*** La banalità del Male ***


Cap. 13 - LA BANALITÀ DEL MALE  -

[Oggi potrebbe essere
il giorno più bello delle nostre vite.
Prima che tutto finisca,
prima che il nostro tempo scada
resta vicino a me, resta vicino a me.

Il mondo inizia a tornare in vita
quando tu resti vicino a me]

Take That - Greatest day -



***



Rebecca osservava Bastian che la osservava a sua volta. Erano seduti uno di fronte all’altra e si guardavano come se si vedessero realmente per la prima volta. Bastian tamburellava le dita sopra il tavolo provocando un fastidiosissimo rumore mentre Rebecca vagava con gli occhi per tutta la stanza, nella disperata ricerca di trovare qualcosa di interessante su cui soffermarsi.

Ad un certo punto, ormai stanca di quel silenzio, si schiarì la voce.

“Uhm, sì…ehm, mi avevi chiamata…?”

“Per la missione”

“Sì, già”

Bastian scosse la testa come per riprendersi da uno stato di incoscienza. “Scusa, allora…vediamo…sì, beh, intanto la partenza è domani”

“Domani?!” esclamò la ragazza sgranando gli occhi a dismisura. “Possibile che io venga a saperlo sempre il giorno prima?”

“Sì, partirai domani con un gruppo di uomini, sarete pressappoco una ventina. Come sempre si parte all’alba e il ritrovo è nella piazza del villaggio. Portati dietro il minimo indispensabile, ovviamente più armi che viveri o effetti personali. Il villaggio che dovrai raggiungere…” mise sopra la tavola una vecchia e impolverata cartina geografica. “…dista dal nostro circa un mese di cammino”

Rebecca spalancò anche la bocca. “Un mese per raggiungerlo? E un mese per tornare! Senza contare i giorni che passeremo là. Bastian, è davvero tanto tempo, non sono mai stata così lontana da casa. Sarebbero quasi tre mesi di lontananza! No, è troppo pericoloso”

“Pericoloso per cosa?” chiese meravigliato.

“Se doveste venire attaccati io mi troverei all’altro capo del mondo e non potrei raggiungervi in tempo! È un rischio, Bastian. Non penso che tu debba correrlo, io servo più qui che in altri villaggi. È questo, il villaggio di Chenzo, la più importante offensiva contro il nemico, che io devo proteggere”

“Questa missione è fragile e delicata, solo una persona come te può portarla a termine. Per questo non posso chiamare nessun altro”    

“Ma io posso farcela” gli disse, e i suoi occhi si accesero di una strana luce. “Da sola”

Bastian ricadde sullo schienale della sedia e si passò le mani sulla faccia con un gesto esausto. “No, da sola è ancora più rischioso”

“Ma Bastian, se mi fai partire con un gruppo di uomini mi rallenteranno il passo. Io posso volare e volando ci metterei la metà del tempo. Sono i tuoi soldati ad intralciarmi e io non posso lavorare se vengo ostacolata”

“E anche se fosse? Arrivi là volando da sola e poi come fai a portare qua Salazar? Lo trasporti in braccio mentre voli?”  

“Come? Chi è Salazar?” domandò Rebecca. “Dopo questi discorsi noto che non mi hai ancora spiegato in cosa consiste la mia missione”

“Hai ragione, ora te lo dico. Salazar è un potente stregone che vive nel villaggio di Primo, il primo villaggio che fu costruito a Chenzo. Si dice che questo stregone sia in vita dalla sua costruzione”

“È immortale, quindi. Cos’è? Una creatura del paradiso che ha deciso di scappare sulla terra?” sorrise.

“Non ne ho idea, la sua storia…” Bastian parve misurare le parole. “Sarebbe molto interessante sapere la sua vita, peccato che lui l’abbia tenuta un suo segreto. Comunque questo Salazar dimora a Primo ed è considerato il più potente stregone di tutti i tempi” dopo di me, avrebbe voluto aggiungere Rebecca. “Io voglio che tu lo porta al nostro villaggio, le sue capacità magiche ci saranno d’aiuto”

“In cosa può esserci d’aiuto?”

“Può divinare la mente dei sacerdoti di Atreius. Grazie a lui potremmo capire cosa sta succedendo e cos’ha in mente il tuo fratellastro”

Un vampata di freddo e caldo fece rabbrividire la ragazza. Strinse i pugni sotto il tavolo fino a farsi venire le nocche bianche. Se solo fossero venuti a sapere i piani di Atreius avrebbero anche scoperto ciò che lei stava con cura tenendo nascosto. E doveva impedirlo a tutti i costi, non si sarebbe macchiata di vergogna e di tradimento. Non avrebbe visto sul volto di Gabriel lo sconforto e la delusione.

“Ragion per cui è meglio che vada da sola” pensò la ragazza a voce alta.

Bastian parve improvvisamente stanco di discutere, fissava il vuoto e per un attimo Rebecca credette che stesse dormendo ad occhi aperti. Poi lui parlò. “Non lo so…”

Lei vide un briciolo di speranza farsi sempre più vicino. “Oh, andiamo! Ti fidi di me, no?”

Era una domanda retorica?

Era una battuta sarcastica?

“Sì, ma non è questo il punto…”

Lei lo interruppe. “Allora è perfetto! Parto domani mattina da sola e mi arrangio io a portarti Salazar”

“Come farai a tornare indietro?”

Anche a questo ci aveva già pensato. “Posso usare i miei poteri, ho imparato da poco ad usare il teletrasporto”

“Ma hai imparato a teletrasportare te stessa! Portare un’altra persona con te richiede il doppio della fatica, delle forze e delle energie”

“Appunto, teletrasporterò me e Salazar per brevi tratti e mi riposerò ogni volta per riprendere le forze necessarie ad affrontare il successivo spostamento”

“Se dovessimo procedere così…”

“In un mese sarei di ritorno, al massimo” terminò Rebecca in tutta la sua fierezza e contentezza per essere riuscita a raggirare Bastian.

Ma Bastian scosse la testa, quasi impaurito. “Gabriel mi ucciderà” la verità di quelle parole lo fece tremare.  

“A Gabriel ci penso io, e se solo tira fuori storie è la volta buona che lo attacco ad un pilastro” sbottò la ragazza.

Bastian rise. “Già, eh, sarebbe veramente forte da vedere”

Anche Rebecca sorrise e si alzò dalla sedia. Porse la mano al capo-villaggio e lo aiutò ad alzarsi, dopodichè gli diede un bacio sulla guancia.

“Ce la farò, hai fatto un affare con me”

Bastian la guardò con sarcasmo. “Sì, come no”

Lei si finse offesa ma non potè non ridere. “Guarda che io sono brava!”

“Sì, sì. Dai, và dal tuo ragazzo che ti aspetta fuori” disse spingendola verso la porta d’uscita.    



***



Gabriel era fuori in giardino, in piedi e con le gambe divaricate. Le braccia incrociate al petto e lo sguardo torvo che non smetteva di fissare la porta in legno. Alan se n’era andato. Via con sua madre, concluse lui con acidità.

Non appena vide la porta aprirsi e la figura di Rebecca uscire le andò incontro. Non gli piaceva l’occhiata rassegnata che gli lanciò Bastian, come a dire: “io ci ho provato a farla ragionare ma niente”

“Che succede?” chiese guardando la ragazza.

Rebecca si strinse a lui in un abbraccio ma Gabriel era talmente teso da non riuscire neppure a ricambiare quel gesto. Continuava a vedere nel volto di Bastian quella strana sottomissione.

“Che succede?” ripetè, stavolta indirizzato al capo-villaggio.

Sembrò quasi che Bastian indietreggiasse, prendesse una distanza di sicurezza. Se era timoroso della sua reazione significava che si sarebbe incazzato. E si sarebbe incazzato solo uno era il motivo.

“Rebecca partirà per Primo domani mattina…” vedere la faccia di Gabriel trasformarsi pian piano gli fece perdere per poco la capacità di continuare. “…da sola”

Ecco, l’ho detto, pensò Bastian.

Il petto di Gabriel si gonfiò dallo sforzo di trattenersi. Rebecca, che era appoggiata a lui, sentì i battiti del suo cuore accelerare. Si staccò da lui e incontrò due occhi furiosi.

Gli occhi furiosi di Gabriel si posarono glaciali su Bastian. “Ti dispiace se la porto via un attimo?”

“No” disse con un filo di voce il capo-villaggio e lanciò un’occhiata di riguardo a Rebecca. “Te l’avevo detto” le mormorò a bassa voce.

Gabriel prese Rebecca per il polso e se la trascinò con sé. Continuarono a camminare e lui non faceva altro che tirarla con forza, poi Gabriel si fermò.

Si trovavano in un sentiero secondario, vuoto e nascosto dagli alberi. Gabriel la lasciò andare e mise tra di loro una distanza di almeno tre metri. Poi si voltò verso di lei con il corpo scosso e in fermento. Era scioccato, prima di parlare dovette cercare accuratamente le parole.

“Cosa c’è che non va in te?”

Il cuore di Rebecca prese a martellarle nel petto. “Niente” si difese.

“Non ti ho forse supplicata di stare attenta, di salvarti, di non correre rischi?”

Lei annuì.

“E allora perché questo? Sei impazzita?” disse alzando la voce. “Tu lo sapevi che le missioni così finiscono sempre male? Quando parte una persona soltanto il più delle volte non ritorna! Cosa ti costava andare con il resto della truppa? L’esercito ti avrebbe protetta, sareste stati in di più! Vuoi ogni volta farmi morire di paura?”

“No!” esclamò Rebecca, indignata dalle sue ingiuste accuse.

“E allora perché? Lo sai che mi agito solo saperti lontana in missione. Come pensi che mi sentirò nel saperti da sola in una missione? Da sola! Non sei pronta, dannazione!”

“Mi è parsa la soluzione migliore. Preferivi che stessi via tre mesi?” urlò per sovrastare la sua voce.

“Sì, avrei preferito tre mesi con i soldati che due mesi da sola!”

“Un mese”

“Come?” esclamò.

“Ci metterò un mese, non due”

“Me ne sbatto di quanto ci metti!” urlò e con un pugno fendette l’aria. “Maledizione!” imprecò cominciando a camminare sul posto, incapace di restare fermo.

Rebecca ciondolò sul posto, combattuta tra il buttarsi tra le sue braccia e il rimanere ferma come una statua al suo posto. Aveva fatto la cosa migliore per lei ma non per lui. Non era stupida, era a conoscenza del rischio che correva nell’andare da sola in un posto così lontano e pericoloso. Così vicino al territorio nemico e a suo fratello. Ma d’altronde non poteva neppure permettere a Salazar di svelare i suoi segreti. Qualcosa si sarebbe inventata, qualche soluzione. L’importante era che andasse da sola, senza orecchie indiscrete. Solo lei e il mago.  

“È inutile che ti arrabbi, la mia scelta l’ho già fatta” gli disse e si meravigliò di sé stessa per l’audacia delle sue parole.

Infatti Gabriel si bloccò. I suoi occhi azzurri erano freddi e impenetrabili. Parevano, da quella distanza, di un grigio, di un grigio duro e intenso.

“Sì infatti, con te è inutile che mi arrabbia, fai sempre quello che vuoi. Non t’importa niente degli altri” sibilò con voce graffiante.

Per qualche ragione le sue parole la ferirono. “Non è vero, io ci tengo a te”

“Se davvero ci tenessi a me non saresti contenta del fatto che mi vengano gli infarti ogni volta. Non ti importa di Bastian, non t’importa di questo pianeta né di questo villaggio. Gli amici non ti toccano e…” con falcate minacciose si avvicinò a lei. “…non t’importa niente neanche di me”

La vicinanza di Gabriel le diede le vertigini. Tentò di allontanarlo premendo i suoi palmi aperti sul suo petto ma lui la prese per i gomiti tenendola stretta.

“Smettila, non è vero, lo sai che ti amo”

“Lo so che mi ami, ed è per questo che non capisco le tue decisioni”

“Se mi rispettassi davvero come dici di amarmi allora dovresti avere un po’ più di fiducia” lo sgridò.

“Oh! Siamo in guerra, Rebecca! La fiducia, la fede, la speranza…sono belle parole ma quando combatti, quando vedi donne e bambini morire per strada, quando ogni colpo di spada che scagli spezza una vita…sì, hai capito bene, queste belle parole vanno a quel paese. Conta solo la tua sopravvivenza e quella delle persone che ami. Una macchina di morte non ha tempo per pensare alla speranza”

“Non sono una macchina di morte. E ora lasciami”

Gabriel la lasciò e fece qualche passo indietro.

“Senti, fa come ti pare” disse buttando in aria le braccia, chiaro segno di resa.

Fece per andarsene ma lei si aggrappò alle sue braccia. “No, dove vai?”

Gabriel lesse nei suoi occhi la paura. Si sentì sciogliere sotto il tocco delle sue piccole mani che gli premevano il petto. Sbuffò, irritato.

Lei gli passò le mani tra i capelli biondi. “Non andartene”

Gabriel appoggiò la sua testa fiacca sulla spalla della ragazza e solo i suoi occhi azzurri erano visibili, la schiena di Rebecca copriva il suo naso e la bocca. Sembrava quasi che lui si volesse nascondere tra la figura della ragazza e mostrasse solo gli occhi angosciati. I raggi del sole rendevano le pupille di un azzurro ancora più chiaro, e quegli occhi fissavano con sfida il sole senza rimanerne accecati. Le sue mani, posate sulla schiena di Rebecca, strinsero forte i vestiti.

Sentendo il respiro di Gabriel accelerare Rebecca lo guardò. Lui fissava il sole, o meglio, un punto lontano, impreciso, impalpabile.

Gli accarezzò la guancia. “Che succede?”

“Guardo il sole” rispose con voce inespressiva.

“Davvero?”

“Lo sapevi che il sole per certi popoli è fonte di vita? Sono gelosi, del loro sole. Traggono dai suoi raggi calore, conforto, amore. Esso diviene quasi un tesoro, come una cassa contenente degli oggetti inestimabili e ben racchiusa in un museo”

“E quando arriva la sera?”

“Quando arriva la sera e il sole sparisce si sentono derubati del loro più grande amore”

“Oh, Gabriel…tu stai guardando il sole” non era una domanda, senza accorgersene cominciò a piangere contro il suo petto.

“Guardo le mie casse che vengono portate via dal museo” sospirò.

Rebecca si chiese perché faceva così male. Perché ogni suo respiro era una fitta tagliente e le causava qualche livido dentro. Guardò anche lei il sole ma a differenza di Gabriel i suoi occhi bruciarono subito e dovette richiudergli.



***



Quella notte Rebecca sognò, dopo tanto tempo. Tra le sue coperte, avvolta nelle lenzuola di seta bianca, con il braccio protettivo di Gabriel che le circondava i fianchi morbidi. La sensazione orribile, nervosa e assillante arrivò come un’esplosione di emozioni. Ma non poteva fare nulla per aprire gli occhi, era condannata a vedere quelle visioni nella sua testa. Così nitide, così reali, così famigliari…

Era il tramonto, Rebecca stava camminando lungo i corridoi di casa sua: il castello di Dark Threat. Scendeva sempre di più, le scale, le rampe, parevano volerla portare sottoterra, dentro una fossa oscura e fredda. I muri di pietra ad entrambi i lati erano solcati da goccioline d’acqua che scorrevano fino al pavimento, disperdendosi in un piccolo fiumiciattolo silenzioso e viscido. Il soffitto odorava di muffa e il pavimento era scivoloso, ripido.

E Rebecca odiava la strada per le segrete. Di norma le celle si trovavano all’ultimo torrione del castello ma per quella creatura trovarsi all’ultimo piano era una benedizione, era fin troppo facile saltare dalla finestrella e volare via. Era più sicuro tenerla intrappolata sottoterra, in una cella protetta e ben sorvegliata. Rebecca portata addosso un lungo mantello nero, il cappuccio era alzato e le copriva il volto. Era più grande e largo rispetto agli altri mantelli che portava, forse per coprire qualcosa. Forse perché nessuno sapeva apparte suo padre e Atreius. E ora l’avrebbe saputo anche lui. Perché doveva sapere, sarebbe stato divertente vedere come la sua faccia avrebbe reagito ad una simile notizia.

Da sotto il cappuccio Rebecca sorrise, una smorfia bassa e penetrante. Sollevò la testa di scatto quando sentì la presenza davanti a lei delle due guardie che sorvegliavano la cella. I suoi occhi neri squadrarono le sentinelle, una ad una, e queste si guardarono a vicenda in preda al panico.

“Lasciatemi sola” un unico sibilo per farle scappare a gambe levate.

Rebecca ghignò. Era sempre un piacere vedere come metteva in soggezione le persone, come agli occhi degli altri appariva così potente.

Guardò la porta blindata di fronte e lei. La finestrella che mostrava l’interno della stanza era aperta, e lei vide la creatura ferma, immobile contro il muro. Non le servivano le chiavi, strizzò gli occhi e la serratura si aprì.

Aprì la porta, accompagnata da un lento cigolio. Lui alzò la testa. Rebecca lesse nel suo sguardo un susseguirsi impetuoso di emozioni: rabbia, collera, dispiacere, passione, pentimento, nostalgia, desiderio…

Con passi controllati e inumani Rebecca si avvicinò alla figura.

“Gabriele” lo chiamò.

Il volto del ragazzo si deformò al suono di quella voce. Troppi ricordi, troppo amore, un’altra vita, un’altra persona.

Troppo tempo.

Gabriel era incatenato al muro. Delle manette gli bloccavano entrambi i polsi ed era posto sopra una pedana di sassi, accanto ad un tavolo logoro e distrutto. Per andare da lui Rebecca fece un paio di scalini e guardò le manette per controllare che fosse imprigionato per bene. Lui provò a liberarsi, si divincolò con le braccia, ma la magia che lo teneva stretto a quelle catene era stata una sua magia e lei era più forte di lui. Gli andò così vicino che Gabriel si sentì inebriato dal suo profumo, che era rimasto sempre lo stesso di prima. Non riusciva a parlare, lei lo guardava da sotto il cappuccio, provocante e sensuale, e lui non riusciva più a connettere il cervello.

La odiava, questo era vero. Era diventata una sua nemica, un soggetto pericoloso da abbattere. Una macchina di morte e sangue. Ma non poteva riuscire a controllare il desiderio bruciante che provava per lei. Sebbene si era imposto di dimenticarla, di non amarla, non aveva ancora smesso di esserne attratto. E tutto di lei, forse anche più di prima, l’attraeva.

Si sentì mancare il respiro quando la vide farsi sempre più vicina.

Sempre più vicina…

Rebecca premette il suo corpo contro quello di Gabriel e non appena il suo seno toccò il petto del ragazzo, lui si paralizzò. Era troppo, bruciava tutto e troppo. Gabriel sentì chiaramente il sangue defluire dalla testa verso il basso. E lei si strofinava contro di lui in un modo che gli fece perdere il senno. Doveva odiarla, ma aveva un così disperato bisogno di lei che se solo Rebecca gli avesse dato una possibilità l’avrebbe posseduta lì sul tavolo.

Come l’ultima volta che era venuta a trovarlo.  

Rebecca gli mise le mani sul petto e le fece scivolare fino ai fianchi. La camicia che Gabriel indossava era sporca e strappata, lasciava nudo gran parte del busto. E questo la eccitava come non mai. Passò la bocca e la lingua sul collo del ragazzo tracciando delle scie infuocate sulla pelle. Gabriel gemette così forte che lei lo guardò negli occhi. Rimasero a fissarsi in silenzio per pochi secondi e poi Rebecca ritornò a baciarlo, questa volta sulla bocca.

Le labbra di Rebecca, dopo tanto tempo, sapevano di dolce e di salato allo stesso tempo. Di amaro e di frizzante. Erano morbide, piene e sensuali. Si muovevano su quelle di Gabriel sicure e avide. Gli mise una mano sul collo, sulla guancia, tra i capelli e lui fremette di nuovo.

Lei si staccò un’altra volta, perplessa. Camuffò immediatamente il suo sconcerto con una maschera di freddezza e di indifferenza.

Il suo cuore aveva smesso da tempo di batterle nel petto ma era sicura che, se solo avesse avuto un cuore, avrebbe preso a batterle all’impazzata per quello che stava per fare.

Si portò una mano sul primo laccio del mantello. I suoi occhi fissavano quelli confusi e desiderosi di Gabriel che a sua volta guardava i lacci del mantello sciogliersi. Rebecca fu, ad avviso di Gabriel, di una lentezza frustrante ma non appena si tolse il mantello e la veste cadde sul pavimento lui sperò che non l’avesse mai fatto.

Guardò con un’espressione orripilata e incredula il lieve, ma già visibile, gonfiore sul ventre. Era incinta. Non riusciva a crederci. Eppure quel pancione, quell’arrotondamento era lì davanti ai suoi occhi, reale e vero. Gli venne da vomitare. Voltò la testa di lato per non guardare. Non voleva pensare ad Atreius dentro di lei, a loro mentre facevano l’amore. A lei a letto con lui, tra le sue braccia. Non gli pareva possibile che lei stesse per avere un bambino dalla persona che odiava di più al mondo.

Era corroso dalla gelosia più nera, voleva una Rebecca incinta di suo figlio. Non di un altro uomo. Tremando, osservò l’anulare sinistro di Rebecca. La fede nuziale era ancora lì, un cerchietto d’oro che brillava nella mano. Poi guardò il suo dito e vide la sua fede. Erano sposati, e un matrimonio magico non si poteva sciogliere una volta dati i voti. Ma lei aspettava un bambino da un altro. E a lui sembrò di morire.

Rebecca gli prese la testa fra le mani e lo obbligò a guardarla negli occhi. Non c’era fretta né odio nel suo sguardo, per un attimo parve tornata umana. Così Gabriel fu costretto a guardarla. Rebecca mise una mano su quella incatenata di Gabriel e liberò quella mano. La mano non più imprigionata cadde come un peso morto lungo i fianchi del ragazzo. Gli occhi di Gabriel non smettevano di fissare quelli di lei e, in una muta preghiera, supplicavano. Rebecca portò la mano di Gabriel sul suo ventre rotondo e gliela tenne posata sopra.

Sussurrò con il respiro caldo, contro il suo orecchio: “Sei tu il padre. Io porto in grembo tuo figlio, Gabriele”

Il sogno cambiò e mutò anche scenario.

Ora si trovavano lei e Gabriel su una rupe rocciosa, da soli. Entrambi impugnavano le loro spade, erano esausti, stanchi e madidi di sudore.

Da quanto stavano combattendo?

Da quanto durava quella guerra?

I respiri erano affannosi, i corpi sfiniti e martoriati. Le ali bianchi di Gabriel erano aperte, pronte per spiccare il volo. Dietro di lui c’era il sole e il suo corpo era invaso dai raggi, la sua pelle pareva emanare luce. Anche Rebecca aveva le ali aperte: nere e graffianti come quelle di un rapace. Ma dietro di lei non c’era nessun sole ad illuminarla. La notte, oscura e tenebrosa, le dava la schiena e la rappresentava.

Si trovavano uno di fronte all’altra. Gabriel la guardò un’ultima volta prima di attaccare, con eterno amore, con rassegnazione e con un’immensa commozione. Poi, tutto avvenne troppo in fretta: corpi che si ammassavano, spade che si incrociavano, colpi che partivano. E Rebecca si ritrovò infilzata contro la parete rocciosa, perforata all’addome mentre la spada di Gabriel affondava ancora nella sua carne grondante di sangue.   

Rebecca si svegliò come nel suo sogno: sudata e sconvolta. Si toccò con una mano fredda e tremante la pancia. Era piatta: non era incinta. Era intatta: non era stata trapassata da una lama. Prese un bel respiro e si strofinò la faccia con le mani, per riprendersi da quell’incubo. Si portò una mano al cuore e lo sentì battere come una mitragliatrice. Era stato orribile, non voleva più fare un sogno simile. La sensazione di essere incinta, l’odore delle prigioni e il sapore della bocca di Gabriel, l’impressione della spada nella sua carne e il dolore acuto al ventre. La percezione di sentire il flusso di vita scorrere via dal suo corpo fino a portarla alla morte. Per mano di Gabriel. Corse in bagno a vomitare, quel sogno l’aveva sconvolta. Le sembrava di aver realmente vissuto quei momenti, e ora aveva il rigetto.

Ma ancora più sconvolgente fu sentire, dopo secoli di silenzio, la voce di suo padre dentro la sua coscienza.

Non avevo mai partecipato a delle visioni così ben definite.

“Era un sogno!” gridò con rabbia, poi si ricordò di Gabriel che dormiva ancora nel suo letto e abbassò la voce. “Era soltanto un sogno”

Sì, un sogno che mostra il futuro.

“È un sogno” ribadì, stava perdendo la pazienza.

Un sogno che mostra il tuo futuro, cantilenò la voce di Mortimer e fu così insopportabile da sentire che Rebecca si tappò con forza le orecchie e scivolò verso il basso.

Cadendo, andò a sbattere contro il lavandino e l’ultima cosa che vide prima di svenire fu il pavimento tingersi di sangue.



***



La mattina seguente Gabriel trovò Rebecca in bagno, era seduta sopra la tavoletta del water e si teneva premuto un panno sul labbro inferiore. Ciondolava avanti e indietro con il corpo e il suo sguardo era vacuo, assente. Gabriel entrò in bagno e la salutò, lei non rispose. Allora lui la guardò meglio. Profonde occhiaie, pelle bianca e cadaverica. Il panno che teneva tra le mani era sporco di sangue.

“Oh santo cielo, che hai fatto?” prese dalle mani di Rebecca lo straccio e fissò impietrito il profondo taglio che le aveva squarciato metà labbro. La ferita era ancora aperta.

Impallidì. “Quando te lo sei fatto?” domandò con voce tremante.

Lei non lo guardò neppure negli occhi. “Stanotte”

Gabriel alzò la testa verso la finestrella e vide che era l’alba.

“Stanotte?” era scioccato. “Non può essere, a quest’ora il taglio dovrebbe essersi già richiuso” non capiva, gli angeli non avevano forse il potere dell’autorigenerazione?

“Non so come mai ma non si è richiuso. Il taglio. Continua a sanguinare”

“Vuoi che ti faccia un incantesimo?” le mise una mano sotto il mento e le accarezzò dolcemente la guancia.

Senza farlo apposta lo sguardo di Rebecca cadde sui boxer che Gabriel stava indossando. E tutto le ritornò alla mente. Il bambino, la guerra, l’odio. La morte. E provò rabbia, irritazione, inquietudine di vivere. Velocissima si alzò e prese lo straccio dalle mani del ragazzo, lo riportò a tamponarsi il labbro e si avviò verso la porta.

“Dove vai?” le urlò dietro lui.

Rebecca scese le scale e andò in cucina. Sentì che Gabriel la stava seguendo.

“Forse non dovresti andare in missione, sei un po’ scombussolata. Posso parlare io con Bastian, e spiegargli” disse Gabriel. “Non ti conviene fare un viaggio così lungo da sola, oggi”

Lei gesticolò con la mano. “Ci vado. Devo solo trovare una garza” rispose, secca.

“Ma non puoi farti un incantesimo?”

“No”

“Vieni qui con me, ti pulisco io la ferita”

“No!” gridò voltandosi furiosa verso di lui.

L’espressione di Gabriel si corrucciò come non mai. “Ma che ti succede?”

Un’altra ricaduta? avrebbe voluto chiederle.

“Niente” sbottò. “Niente. Devo solo trovare una maledetta garza, infilarmi la divisa, prendere le armi e andarmene da questo villaggio”

“Ti posso aiutare” si offrì il ragazzo, cominciando a sentire un nodo allo stomaco.

“Non mi serve il tuo aiuto” gli passò davanti e lo fulminò con gli occhi, cercò le garze tra gli armadietti in salotto.

Gabriel rise, una risata amara, triste.

“Perché ridi?” domandò la ragazza sbirciandolo da sopra la sua spalla.

“Rido per non piangere”

“Sono contenta per te” brontolò.

Come poteva dirgli ciò che aveva visto nel suo sogno?

Sarebbe andata da lui e gli avrebbe detto: “ciao, tesoro. Sai, io diventerò cattiva e farò una strage di innocenti. Farò sesso con il mio fratellastro nel castello di mio padre che sarà la mia nuova casa ma mi prenderò incinta di te. Nell’ultima battaglia tu mi impianti una spada sulla pancia e mi uccidi. Allora, ti piace il nostro futuro? Non lo trovi elettrizzante?”

No, certo che non poteva dirglielo. E questo la rendeva una belva, non sopportava di avere altri segreti, di dire altre menzogne. Trovò le garze e non potendo farne a meno diede un pugno alla mensola, più per sfogo che per resto. L’intera mensola si ruppe, il legno si spaccò come carta sotto la sua mano racchiusa.

“Maledizione” imprecò Rebecca.

Ora, oltre ad avere il labbro sanguinante, aveva anche le nocche lacerate.

“Lascia che ti aiuti” Gabriel venne in suo soccorso ma lei gli schiaffeggiò la mano quando lui tentò di prendere la mano ferita tra le sue.

“Faccio da sola” le mani le tremavano.   

“Quando parti?” chiese Gabriel, e il nodo si attorcigliò così forte alle sue budella da lasciarlo per un attimo senza fiato.

“Ora. Subito. Appena riesco a fasciarmi”

Riuscì a mettersi la benda sul labbro ma non ce la fece con la garza da mettere sulla mano poiché tremava troppo. Un’altra volta Gabriel riprovò ad aiutarla. Con un sospirò frustrato Rebecca si lasciò toccare.

Quando Gabriel ebbe finito abbandonò per qualche secondo la sua mano sulla bocca fasciata di Rebecca. Si chinò e la baciò teneramente, facendo attenzione a non farle male. Mormorò sottovoce un incantesimo guaritore per richiuderle il taglio sulla bocca.

“Puoi toglierti la fascia sul labbro, ora”

Rebecca se la tolse e la fece scomparire con un battito di mani.  

Gabriel ritornò a baciarla senza chiederle il permesso. Però, prima che il bacio si approfondisse, Rebecca si tirò indietro. Gabriel ne rimase deluso e un tantino spaesato da quel distacco.

“Sarebbe meglio che vada a cambiarmi”

“Ora?” c’era ansia nella sua voce e un pizzico di terrore.

“È l’alba, arriverò in ritardo altrimenti”  

“Ah, già”

“Bene”

“Vuoi che ti accompagni?”

“No, vado da sola” era infastidita. Da cosa?

“Allora…mi raccomando. Stai attenta, e torna presto”

“Sì”

Lei se ne andò sbattendo la porta nel giro di cinque minuti.



***




Mentre Rebecca correva verso il punto di partenza, che aveva astutamente spostato dalla piazza del villaggio al confine est del bosco, fece mente locale di quello che si era portata dietro. Armi, armi, armi, una bussola, armi, una cartina geografica presa da casa, armi, armi, armi e armi. Poteva sopravvivere senza mangiare o bere per almeno quattro giorni, e grazie all’allenamento quotidiano sperava di poterne fare a meno per tempi molto più lunghi. Aveva imparato a non respirare, poteva trattenere il respiro per più di una settimana (aveva fatto una scommessa con Gabriel e aveva vinto lei), ora mancava solo il record sull’alimentazione.

Si sentì a disagio, le sue gambe correvano ad una velocità disumana. Qualcosa in lei la spingeva ad affrettarsi, a muoversi e andarsene via di lì. Non pensava le sarebbe mai successo, ma aveva una voglia spasmodica di partire. Forse cambiare aria le avrebbe aperto gli occhi su alcuni aspetti della sua vita: le bugie e i segreti che doveva tenere nascosti a Gabriel, la sua condizione attuale, il veleno che si muoveva sempre più velocemente. Si accorse di trattenere il respiro, così fece un bel respiro profondo e si fermò al confine del bosco est. L’attendeva Bastian, appoggiato ad un albero nella sua salopette, non appena la vide la salutò con una smorfia poco convinta in volto.

Rebecca smise di correre e camminò velocemente verso di lui. Bastian teneva tra le mani uno zaino che, a parere della ragazza, doveva essere bello pieno.

Infatti…

“Ti ho portato una sacca con del cibo, dell’acqua e una tenda per la notte”

“Sei riuscito a farci entrare una tenda?” domandò lei con un sorriso accigliato.

“Ehi, non vivi sulla Terra! Ricordati che siamo in un pianeta magico e la magia può fare qualunque cosa, persino farci stare una tenda da campeggio in uno zainetto scolastico”

Lei lo guardò e sorrise scuotendo la testa. “Non mi serve”

Bastian notò che non aveva nessuna borsa o zaino appresso. “E come pensi di partire? Con solo le tua armi?”

“Era quello che avevo in mente, in effetti” con uno scatto fulmineo tirò fuori dalla fodera la sua magnifica spada e la rigirò tra le mani. “Questi gioielli mi servono più del cibo e dell’acqua. Ma grazie del pensiero”

Il capo-villaggio grugnì. “Vedo che fai sempre quello che vuoi”

“Sempre” rispose con un sorriso luminoso e larghissimo.

“Vedo che è cambiata” disse Bastian facendo un cenno del capo verso la spada che Rebecca teneva accuratamente tra le mani.

“Cambiata? Davvero?”

“Sì, una volta era blu, se non sbaglio”

Il cuore di Rebecca cominciò a mancare dei battiti. “Ah, ti riferisci al colore! Sì, già, potendo cambiare il colore l’ho fatto. Mi piaceva la lama blu ma questa rossa è ancora più bella e accattivante”

“Sembra che lanci dei messaggi provocatori a tutti coloro che la vedono”

“E cosa dice?” chiese lei seriamente e con una nota di cedimento nella voce.

“Mah, pare che dica: “chiunque mi guardi assaggerà il sapore della mia lama”! Un rosso veramente inquietante, Rebecca. A me non piace” disse in tutta sincerità con una scrollata di spalle. “Trovo molto più adatto per un angelo bianco un colore un po’ più tenue, come l’azzurro, il bianco o il blu”

Lei si risparmiò dal dirgli che la sua spada si era cambiata colore da sola. Chissà che infarto che avrebbe fatto Bastian. Si limitò a sorridere, un po’ troppo forzatamente forse.

“Lo terrò a mente, ma per come mi sento combattiva ora il rosso è il colore che più mi rappresenta!”

“Sono felice che tu ti senta in vena di combattere. Peccato che la tua missione non comprenda attacchi o sabotaggi ma soltanto portare qui un uomo. In teoria”

“La teoria manca della pratica! Per questo mi sono attrezzata come si deve. Mai sottovalutare un viaggio all’altro capo del mondo”

Bastian assunse un’espressione angustiata e sofferente. “Oddio, non farmi pensare a queste cose! Mi vengono i brividi se penso a quanto andrai distante!”

“Ti ricordo, tra virgolette, che mi ci hai spedita tu”

Bastian emise un ghigno tra il divertito e il colpevole. “Allora piccolo impiastro, ricordati di andare a Primo, evita di fare molte deviazioni per strada. Arrivata là prenditi il tempo necessario per riposarti e poi torna con Salazar. Dai poca confidenza alla gente, quelli sparlano, te l’assicuro. Non fare gli occhioni dolci a nessun ragazzo altrimenti se si viene a sapere Gabriel mi incolpa e mi ammazza. Durante la via del ritorno bada a Salazar, lui non è forte come te e avrà bisogno di più attenzioni e pause”

“Tornerò con il teletrasporto” aggiunse con noncuranza.

“Se ce le fai, altrimenti non sforzati. Torna pure a cavallo o a piedi”  

“Ce la farò” era sicura di quello che diceva, per questo Bastian sorvolò sull’argomento.

“Se ti serve aiuto…” prese dalla tasca dei suoi pantaloni una tastiera con due bottoni: uno rosso e uno giallo. “…premi quello giallo se sei ferita o in difficoltà e quello rosso se ti trovi in casi disperati”

“Tipo?” domandò, cercando di soffocare una risata.

“Tipo se ti hanno catturata, se sei prigioniera in qualche segreta o se hanno ammazzato Salazar”

“Bastian!” esclamò Rebecca scoppiando in una risata.

“Che c’è?”

“Ti pare il caso di portare sfiga?!” intrecciò il dito indice con l’anulare in segno di anti-sfiga e sbandierò la mano davanti agli occhi del capo-villaggio che subito rise.

“Cercavo di essere il più chiaro possibile”

“Non mi sono mai piaciuti i tuoi modi chiari e tondi”  

“Lo puoi ben dire, come quella volta che tu e Gabriel vi siete rinchiusi in casa tre giorni per far sesso e non siete mai venuti alle mie riunioni”

Rebecca avvampò, divenne tutta rossa. “E questo cosa centra? Oddio, che imbarazzo…” si coprì il viso con le mani.

“Per farti capire che quella volta il mio discorsetto chiaro e schietto ha fatto sì che voi due non abbiate più saltato una riunione”

“Sì, sì, ok! Ho capito dove vuoi parare!” brontolò. “Sei il genio del villaggio e il miglior sofista mai esisto”

Bastian le sorrise poi i suoi occhi si spostarono e fissarono un punto preciso dietro la schiena della ragazza. Quando ritornò a guardarla Rebecca lesse nei suoi occhi ciò che stava succedendo.

“Sarà meglio che vada” si caricò lo zaino in spalla e le diede la tastiera SOS. “Fai buon viaggio. Ci vediamo tra un mesetto”

“Anche meno, spero” disse lei, mettendosi in tasca l’aggeggio.

Bastian le mandò un bacio con la mano e pian piano s’incamminò. Rebecca si voltò e vide Gabriel infondo alla strada che le stava correndo incontro.

“Ciao” gli disse Rebecca quando lui la raggiunse.

“Ciao” rispose Gabriel, un po’ teso.

“Sei venuto a salutarmi?”

Gabriel annuì, lei capì che non aveva neppure il fiato per parlare.

“Vedo che stai bene, sei felice. Sono contento”

“Scusa per prima”

“Eri arrabbiata con me o con le garze?”

Rebecca rise e si ciondolò sul posto. “Con me stessa. Con me stessa” ripetè suo malgrado. “Come potrei arrabbiarmi con te? Sei così dolce e tenero…”

Gabriel fece una risata amara. Alzò lo sguardo per non guardarla negli occhi. “Stai cercando di fare la smorfiosa con me prima di andartene?”

“È quello che avevo in mente” ammise lei facendosi più vicina.

“Quando torni?” la paura era stampata a grandi caratteri sulla sua fronte.

“Un mese o anche meno, non starò via molto”

Lui sbuffò e i suoi ciuffi biondi oscillarono al vento. “Che palle” la guardò. “Non ti porti via niente?”

“Ho tutto” indicò con un dito il cuore e la tempia.

Quando lui inarcò le sopraciglia Rebecca indicò anche la fodera e la serie di pugnali legati alla cintola. Lui parve approvare. Rebecca storse il naso.

“Gli uomini e le armi”

Lui si chinò in avanti e la baciò. “L’ho fatto solo per essere sicuro che fossi protetta”

“Lo sono”

“La mia offerta di venire con te è sempre valida”

“No, grazie, è una cosa che devo fare da sola. Diciamo che mi metterò alla prova con questa missione, tu hai già fatto in passato delle missioni da solo. Ora tocca a me, è il mio turno” questa volta fu lei a mettersi in punta di piedi e a baciarlo sulle labbra.

Gabriel acconsentì di buon grado quel bacio inaspettato.

Non appena si staccarono Rebecca vide sulla faccia di Gabriel un sorrisino che non le piacque per niente.

“Che trami?” gli chiese riducendo gli occhi a due fessure.

Gabriel rise forte. “Ma niente!”

“Ti ordino di dirmelo” gli puntò un dito contro.

“Dammi un altro bacio e te lo dico” disse con strafottenza e in tono di sfida.

Come se non sapesse già che lei l’avrebbe fatto!

Infatti Rebecca gli gettò le braccia al collo e attorcigliò una lunga gamba attorno ai suoi fianchi. Lo baciò profondamente, con passione. Fu un bacio che fece venire le vertigini al ragazzo, tanta era l’intensità di quel gesto. Gabriel barcollò indietro, lei non sospettava minimante l’effetto che aveva su di lui. Rebecca gli morsicchiò esasperatamente il labbro inferiore e poi si staccò.

Avevano entrambi il fiato corto.

“Credo di essermi meritata la verità”

Gabriel sbarrò gli occhi. “Altrochè! Porca miseria…”

“Su, avanti!” lo incitò con un gran sorriso che le incorniciava il viso allegro.

“No, niente, stavo pensando che…” Gabriel cadde in imbarazzo e si grattò la testa con una mano. “Insomma, tu stai via un mese, no?” lei fece segno di sì con la testa. “Ecco, allora pensavo che in questo mese, approfittando della tua assenza, potevo fare un salto da Ares”

Cadde il silenzio. Rebecca scivolò in una sorta di coma apparente, in uno stato di trance che non le fece capire più nulla. Pian piano arrivò la consapevolezza di quelle parole e allora si portò sconvolta una mano alla bocca.

Ingoiò un groppo che le ostruiva la gola. “Mi stai forse dicendo che…?”

“Sì” disse Gabriel con una serietà nello sguardo che Rebecca si sentì le gambe molli.

“Proprio quell’Ares? Quello quello?”

“Sì” era incredibile come in quel momento Gabriel apparisse così possente e forte.

“Oh”

“Era un “oh” felice o un “oh” da farti prendere in considerazione il suicidio?” scherzò.

“Oh! Era un “oh” felice!” disse con la bocca spalancata in un sorriso tremolante. “Vai a prendere gli anelli!”

“Sì, gli anelli nuziali”

“Ci sposiamo!”

“A quanto pare…” la osservò meglio per capire se stava delirando.

“Quando torno!”

“Quando torni” ormai la guardava con la fronte aggrottata. “Sei sotto shock?” le chiese.

“Sì!” urlò.

“Riesci a respirare?”

“Non tanto, ad esser sincera”

Gabriel si abbassò e scrutò con occhio attento il suo viso. “Questo spiega il colore cianotico della tua faccia”

Rebecca gli si buttò addosso e lo abbracciò forte. “Non sai che contenta che sono”

“Sono felice di aver provocato la reazione che speravo”

“E ora chi me la fa fare di partire?!”

“Sei un’idiota, te l’avevo detto o no?”

Gli tirò un pugnetto sul petto. “Taci, Gabriel”

“Per te sarò marito, moglie mia” disse gonfiando il petto per l’orgoglio e la contentezza.

“Sposati” sussurrò tra sé e sé. “Quanto durerà?”

Gabriel le prese il mento tra le mani e le fece alzare lo sguardo. “Un’eternità” la baciò dolcemente e senza fretta. Intrecciarono le dita e bevvero il loro stesso respiro.   

Quando si staccarono Rebecca non potè non osservare il sole. Si era alzato di molto, la mattina si avvicinava e l’alba era già passata.

A malincuore si sistemò i capelli e le armi legate alla divisa nera. “È tardi, devo andare”

Lui l’attirò prendendola per la nuca e accostò un’ultima volta le sue labbra sulle sue. “Guarda che quando torni ci sarà una bella sorpresa, quindi fai in fretta, ok?”

“Solo sapendo che mi aspetta un anello, un futuro marito stra-figo e la consumazione della prima notte di nozze vedrai come corro. Tra tre giorni sono a casa”

“Esagerata” disse con una smorfia.

“Il solo pensare alla prima notte di nozze mi mette le ali anche ai piedi”

Gabriel le diede una pacca sul sedere e lei fece un saltino in avanti. “Muoviti, ci vediamo tra un mese”

“Ci vediamo, Gabriel”

Si guardarono con immenso amore, poi Rebecca spalancò le ali e volò veloce come una saetta verso il cielo. Gabriel rimase impasse ai margini della radura, fissando il punto in cui lei era sparita.



***



Finito, mi scuso se nell'altro capitolo non ho fatto in tempo a scrivere il commento
finale ma, come ho già scritto, il tempo scarseggiava!!
Questo e il precedente capitolo sono stati dei capitoli che ho aggiunto, altrimenti il capitolo veniva
troppo lungo e a me non piacciono i capitoli troppo lunghi, rischiano di essere pallosi
oh, è un mio pensiero ;-)

Il prossimo capitolo si intitolerà (questa volta è giusto il nome): "AL PASSO CON LA FOLLIA"
e vedremo cosa combina Rebecca con questo Salazar!!!

Anche ora non ho molto tempo per commentare e rispondere ai vostri commenti,
ma ringrazio tutti voi che recensite
e che leggete o seguite la mia storia!!!
Fatemi sapere, come sempre prego, che ve ne pare...sono importanti le vostre
recensioni e giudizi...

Alla prossima, a non fra tanto...fede.





 

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Capitolo 14
*** Il sottile gioco di pazzia ***


Cap. 14 - IL SOTTILE GIOCO DI PAZZIA -

[Trattengo il mio respiro,
mi nascondo dietro un sorriso.

Mi sono svegliata adesso per cercare me stessa.
Nelle ombre di tutto sono stata creata.

Strisciando attraverso questo modo, come la malattia fluisce nelle mie vene.
Guardo dentro me stessa ma il mio cuore è stato cambiato,
non posso andare avanti così.

Ho ribrezzo di tutto ciò che sono diventata]

Evanescence - Away from me -



***



A Rebecca piaceva la sensazione di libertà che provava ogni qual volta apriva le ali e si librava in cielo. Aveva migliorato la sua qualità di volo, ora andava più veloce, era più precisa e aveva imparato delle acrobazie niente male da eseguire durante uno scontro. Volava alta, non sopportava di stare a pochi metri da terra, aveva bisogno di vedere il mondo farsi piccolo sotto i suoi occhi. Volava incontro al sole, quasi volesse abbracciarlo.

Ritornò con il pensiero alla sua missione. Bastian le aveva consigliato di volare un giorno intero e di fermarsi per dormire e mangiare quando calava la sera.

Rebecca storse il naso, non le piaceva come consiglio. Non era entusiasta dell’idea di fermarsi di notte per rifocillarsi.

Ma, dopotutto, era stato pur sempre un consiglio quello di Bastian, no?

E non era obbligatorio seguire un consiglio, giusto? Altrimenti non si chiamerebbe consiglio ma ordine.

E lei infatti non intendeva seguirlo. Avrebbe volato ininterrottamente fino al villaggio di Primo, non si sarebbe concessa neppure una sosta. Al posto di impiegare una settimana ci avrebbe messo pochi giorni. Poteva trattenere la fame e la sete, la fatica non sapeva più cosa fosse e il sonno riusciva a controllarlo.

Quindi, perché perdere tempo?

Sorrise.

Aveva un matrimonio e un bellissimo anello che l’aspettavano a casa. Ah, giusto, e anche un bel pezzo di ragazzo.

Non appena pensò all’anello, a quel cerchietto d’oro giallo, così sottile e carico di sentimento, ricordò il sogno che aveva fatto. Le immagini di lei, incinta e sposata con Gabriel, le spensero il sorriso sulle labbra. In quell’incubo era sposata, il suo anulare sinistro e quello di Gabriel era circondato da una fede, ma non era felice.  

Rischiò di perdere quota, sbattè le ali più velocemente per riprendere altitudine.

Sperò vivamente che quel sogno non si avverasse e che quel destino non si compiesse.

O forse gli stava andando incontro?

Suo padre le aveva detto che era stata una visione del futuro. E ora quella visione stava diventando un’ossessione. E se fosse diventata reale? Se fosse quello il vero futuro che l’aspettava? E lei non stava facendo niente per ribellarsi. Il primo passo verso la realizzazione di quel sogno sarebbe stato sposarsi con Gabriel. Con il secondo passo lei lo avrebbe abbandonato e sarebbe diventata cattiva. Nel terzo passo c’era la gravidanza e la sua doppia relazione con Gabriel e Atreius. Durante il quarto e ultimo passo avrebbe perso la vita. Erano quattro sequenze, quattro momenti chiave del suo avvenire. Avrebbero seguito un ordine cronologico, sarebbero state l’una l’effetto dell’altra.

Sembrava quasi che questa successione di eventi avesse iniziato a prendere corso perfettamente in sintonia con quella che era la sua vita. Quell’orrendo futuro aveva ormai piantato le radici sul suo presente.

Rimase sbalordita per la sua stupidità e per i suoi pensieri.

Dannazione, era solo un sogno! Un sogno! E da quando Rebecca Burton si faceva condizionare così da un sogno idiota?

Rebecca non voleva annullare il matrimonio per un incubo che aveva fatto una notte. Non si sarebbe lasciata intimidire, per avere la sua felicità non avrebbe mollato. Il destino non era ancora scritto, non poteva essere già stato espresso da una premonizione.

Rebecca cercò di non pensarci, tentò di rimanere concentrata sulla direzione da seguire per arrivare al villaggio. Prese un bel respiro ma l’aria era fredda, le sembrò quasi che le tagliasse la gola. Non si era accorta del cambiamento climatico dal caldo al freddo. Tossì un paio di volte, si portò una mano davanti alla bocca e sputò sangue.

“Vai a quel paese” sibilò, pulendosi la macchia di sangue sulla divisa.

A quanto pare il veleno sta rigettando fuori il sangue che non riesce ad infettare, disse la voce di Dark Threat. E non penso che fuori ci sia veramente stato un cambiamento climatico.  

“Vuoi dire che…?” non terminò la frase, mandò giù la saliva che sapeva di sangue.

Il suo stomaco bruciò, sembrò andare a fuoco.

È il tuo corpo che sta diventando così freddo. Dì addio al tuo appellativo di animale con il sangue caldo, stai diventando più un serpente…

Le parve di sentirlo ridere.  

“Sempre meglio! Ora sputo anche sangue?” sbottò ad alta voce, rischiando di ringhiare come un animale in procinto di attaccare.

E questo è niente in confronto a quello che verrà dopo. Sarà interessante, sai? Non per te, ovvio, ma per me.

“Possibile che tu non accetta il fatto di essere morto? Devi trovare a tutti i costi un modo per rivivere aggrappandoti alla vita così? Nemmeno tu sei riuscito a sconfiggere la morte, non ti è stata concessa l’immortalità. Il tuo lavoro l’hai fatto, ora vattene, non sono un burattino da manovrare”

 E dove vuoi che vada?

Rebecca lo sentì sghignazzare malvagiamente e provò un’irritazione incontenibile. Si morse il labbro inferiore per non gridare. La rabbia le fece ribollire il sangue nelle vene.  



***



Gabriel aveva deciso di andare a caccia. Quella mattina si era alzato dal letto con un profondo senso di vuoto, non gli piaceva dormire in quel grande letto da solo. Contro ogni logica si vestì all’alba e scese a far colazione. Trovò una torta in cucina, probabilmente Rosalie era venuta a casa sua per salutarlo ma lui era già a letto. Lo inquietava non poco il fatto che sua sorella avesse le sue chiavi di casa. Lui di certo non possedeva altri mazzi di chiavi e neanche ci teneva ad averli. Rosalie entrava in casa sua spesso, così, senza avvertire, e capitava sempre nei momenti più inopportuni, per non dire imbarazzanti.

Gabriel trangugiò due fette di torta ai mirtilli e lamponi mentre osservava, in piedi, il paesaggio al di là della finestra. Bevve il suo indispensabile caffè mattutino e uscì di casa. Prima di partire andò sul retro della casa e aprì il capannone dove teneva le armi da caccia. Rebecca non aveva voluto partecipare all’investimento di quelle armi, diceva che la caccia non era uno sport interessante. E così era stato sempre lui a comprare e a lucidare quegli splendidi gioiellini. Si caricò in spalla un arco dall’impugnatura massiccia e infilò nella fodera della spada un lungo e affilato pugnale con l’elsa incastonata di pietre blu, viola e bianche. Si arrotolò le maniche della camicia grigia e spettinò i capelli biondi per darsi un’aria più minacciosa e intimidatoria. Cominciò a correre lasciandosi alle spalle il capannone ben chiuso a chiave, diretto verso la foresta.

Aveva bisogno di svagarsi, di prendere tempo prima di andare da Ares. Era un po’ emozionato, a dirla tutta. Gabriel non aveva mai avuto una relazione così seria e così importante. Dannazione, le aveva proposto di sposarlo! E non era poco. Lui, che si era sempre reputato un duro dal cuore di pietra, capace solo di incontri sfuggevoli e deciso a restare un single a vita stava facendo il primo passo verso l’altare. Si stava per sposare, e di sua spontanea volontà! Ci era proprio cascato con lei.

Ad un certo punto si sentì chiamare da Kevin. Sbuffò, un po’ perché odiava essere interrotto mentre faceva una cosa e un po’ perché sapeva com’era fatto Kevin. Infatti, quando si voltò a guardare la sua figura infondo alla via, aveva un sorrisetto diabolico stampato in faccia che fece procurare a Gabriel una serie di brividi.  

“Speravo di beccarti, grande uomo saggio!” esclamò Kevin con fare plateale, inchinandosi leggermente mentre avanzava.

“Come va, Kevin?” Gabriel era leggermente felice di vederlo.  

Kevin sorrise furbescamente. “Come va a me? Porca vacca, sei tu quello che ti sposi!”

Dopo aver ripetuto sottovoce il “porca vacca” di Kevin, Gabriel arrossì. “Ah, l’hai saputo. Come hai fatto a saperlo?”

“Le voci girano, tua sorella non è mai stata capace di tenersi gli affari degli altri per sé…” scrollò le spalle. “Non posso credere che ti sposi. Questo ci fa sembrare incredibilmente grandi! Ti ricordi quand’eravamo bambini?”

“Come potrei dimenticarmelo” rispose il ragazzo con un ghigno. “Eravamo i teppisti e i più fighi del villaggio”

“E quando siamo diventati dei ragazzi alti e pieni di ormoni…”

“…era bravo chi riusciva a tenerci in casa la sera” concluse Gabriel con un gran sorriso.

“Denali era uguale ad adesso fisicamente: sempre super affascinante, attorniato da ragazzine che gli correvano intorno e più lui le trattava male più loro si attaccavano come sanguisughe”

“Denali era l’anima perfida del gruppo, in fatto di ragazze non gli andava mai bene nessuna. Eppure ce n’erano di così carine…”

“Ah, e mi ricordo di te! Eri il biondo da favola, il principe azzurro, se Denali le cacciava tutte le ragazze tu te le…”

“Sì, sì, ok! Abbiamo capito, eh?” lo interruppe Gabriel gesticolando con le mani. “Tu piacevi perché eri il più simpatico” cambiò discorso.  

Kevin si rabbuiò. “Oh, grazie tante! Denali il cattivo da urlo, tu l’angelo dei sogni proibiti e io il simpatico? Che reputazione sarebbe questa di me?”

“Beh, eri anche figo”

Kevin gonfiò il petto e si guardò attorno come se si aspettasse di vedere tanti ammiratori battergli le mani. “Oh, così sì che si ragiona!”

“Peccato che ora siamo tutti incastrati, mi pare”  

“Non farmici pensare. Se solo me l’avessero detto anni fa non ci avrei mai creduto! Io, te e Denali, il fantastico trio, condannati servire delle ragazze”

“Va tutto bene quindi con Delia”

“Sì, ma ora anche lei vuole degli anelli e pretende che sia io ad andarglieli a prendere” Gabriel sorrise e lo guardò come a dire: “Beh, che c’è di male?”. Kevin continuò mogiamente: “Gabriel, tu puoi andare da Ares, tu puoi superare le prove che ti darà il dio del fuoco, ma se vado io da solo mi ammazzo! Delia vorrebbe sposarsi quindi le ho fatto credere che andrò da Ares prima o poi”

Gabriel rise. Kevin era un tipo veramente strano, pur di fare felice qualcuno che amava si autoflagellava.

“Ma tanto so già come finirà”

“Come finirà?” domandò Gabriel.

“Non ci sposeremo, vivremo insieme per sempre e faremo dei bambini. Aiuterò suo padre con la locanda e lei farà la casalinga e la madre indaffarata”  

“Mi sembra una bella cosa”

“A me va più che bene! Quando parti per andare da Ares?”

“Domani pensavo, starò via per un po’. Le prove che dovrò superare per meritare il sacro vincolo magico del matrimonio saranno lunghe, molte e difficili. Ma ne vale la pena”

“Chi altri lo sa?”

“Non saprei, Rose mi ha fatto una torta oggi e temo che per il pomeriggio lo saprà tutto il villaggio”

“Sicuramente”

“Come sempre”

“Andavi a caccia?” chiese Kevin alludendo alla scorta di armi che Gabriel si stava portando appresso.

“Sì, tanto per fare qualcosa” sbottò con noncuranza, come se fosse la cosa più normale del mondo.

Infatti Kevin lo fissò basito. “Sì, cacciare bestie minacciose e mostri sanguinari è una cosa che faccio spesso quando non so come ingannare il tempo”

“È questione di allenamento” disse il ragazzo sistemandosi meglio l’arco sulla schiena. “Ginnastica, lezioni di combattimento e tiro con l’arco. Una cosa da niente”

“Diciamo che per noi umani è più consono bere una tazza di thè con gli amici quando non sappiamo che fare”

“Voi umani” borbottò Gabriel e Kevin lo vide incupirsi.

“Che c’è?” domandò l’amico.

Gabriel lo guardò con gli occhi ridotti a due fessure. “Cerco sempre di non pensarci e il più delle volte mi riesce bene ma questa situazione…” sospirò frustrato. “…mi sta facendo impazzire”

“Quale situazione?”

Gabriel lo fissò come se fosse imbecille e per poco la mascella non gli cadeva a terra.

Come faceva a non capire?

“Kevin, non sono né un umano né un angelo. Stare a metà strada tra due mondi completamente diversi mi causa una profonda crisi di identità”

“Oh, giusto” mormorò annuendo con la testa.

“Non sono un angelo bianco perché non ho le ali ma non sono neppure un umano perché ho i poteri di un angelo. Che cosa sono? Un ibrido? Un mezzosangue?”

“Gabriel, io sono convinto che ritornerai ad essere un angelo bianco. Devi solo aspettare che quelli…” e indicò il cielo. “…ti diano le ali. E comunque non lamentarti, vedi il lato positivo delle cose”

“Non c’è!” intonò Gabriel con frustrazione.

“Oh” mormorò, colpito in pieno. “Beh, chi ammazzi oggi?”

Ci volle un po’ prima che Gabriel capisse che si riferiva alla caccia. “Oh, pensavo un centauro”

Kevin gli diede un colpetto sulla spalla. “Conigli, cervi o cinghiali no, eh?”

“Così mi togli il gusto del pericolo”

“Ho sempre sospettato che fossi strano”

“E mi sto anche per sposare!”

“Anche questo è da mettere sulla lista delle tue cazzate”

Risero tutti e due mentre pian piano si incamminavano verso il bosco.

Gabriel si voltò verso l’amico, un po’ sorpreso. “Vuoi venire con me?”

Kevin fissava il sentiero per terra e gli angoli della sua bocca si tirarono in un sorriso. “Perché no? Non è da tutti i giorni vedere un centauro, magari è anche femmina”

Gabriel si schiaffeggiò la faccia. “Oh, signore…”



***



Rebecca atterrò in una radura. Nella caduta s’inginocchiò a terra, ebbe il tempo di passare un dito sui ciuffi d’erba e poi si alzò nella sua bella figura che, diciamolo, incuteva timore. Poco distante si trovava un villaggio che sulla cartina era segnato con il nome di Erden.  Non a caso si era fermata in quel posto nascosto e dimenticato da Dio. Non a caso aveva interrotto la sua marcia. Mentre era in volo, in alto nel cielo, al di sopra delle nuvole, aveva sentito un pensiero in particolare e ne era rimasta colpita. Era così facile percepire i pensieri di una mente umana, soprattutto se questo umano era impaurito, spaventato. I suoi pensieri erano un’ondata inarrestabile di preghiere, ricordi e speranze. E lei sentiva quelle preghiere come se fossero sue.

Sentiva anche le voci, i singhiozzi, il respiro mozzato in gola, le minacce.

Si avvicinò silenziosamente all’unico spiazzo d’erba presente, rimanendo comunque nascosta dietro un albero dal grande tronco. Davanti a lei c’erano quattro ragazzi che potevano avere dai venti ai venticinque anni, si muovevano tranquillamente a loro agio e con strafottenza, in mano tenevano ciascuno dei bastoni. C’era un’altra persona con loro, un ragazzetto che a Rebecca parve molto più piccolo rispetto agli altri. Il ragazzino era legato ad un albero, la sua faccia era ricoperta di lividi e i lembi della maglia erano strappati. Lesse in quegli occhi spalancati tutta la sua paura e il suo dolore.

Non era forse compito suo aiutare i meno fortunati? Le persone bisognose e in pericolo di vita?

Ecco perché, non appena vide uno dei ragazzi alzare in alto il bastone pronto per colpire, si fece avanti.

“Fermo” disse.

L’eco della sua voce risuonò nelle teste dei ragazzi come uno squillo d’allarme e di avvertimento. E infatti il ragazzone si fermò, il braccio a mezz’aria, i muscoli tesi. Tutti si voltarono verso di lei. Le facce dei quattro ragazzi, dapprima spaventate, emisero un sorriso di sollievo. Il ragazzo che Rebecca aveva fermato, e che lei stessa giudicava essere il capo del gruppo, abbassò lentamente il bastone all’altezza dei fianchi ma non lo gettò a terra.

Il ragazzino legato all’albero aveva gli occhi sbarrati, pieni zuppi di lacrime. Rebecca lo sentì trattenere il respiro, la sua espressione sprizzava speranza, forse non era ancora troppo tardi per essere salvato. Peccato che gli altri non la ritenevano un pericolo. I tre ragazzi indietreggiarono e accerchiarono il ragazzino attorno al tronco, quasi volessero fare da barriera tra lei e la loro vittima. Soltanto il capo avanzava verso di lei, per nulla spaventato. Faceva oscillare il bastone avanti e indietro e non smetteva di fissarla negli occhi. Ghignava con arroganza.

Si fermò a pochi passi da lei. La squadrò come si squadra un dolce zuccherino e fece un fischio. “E tu da dove salti fuori?”

Rebecca lo guardò con tutta la freddezza di cui era capace. “Lasciatelo andare” spostò i suoi occhi sul ragazzino tremante.

Il ragazzone scoppiò a ridere. “Non ci penso proprio. Senti ragazzina, vattene e non ti faremo niente”

“Che ha fatto?” volle sapere.

“I mocciosi del nostro villaggio devono sapere chi comanda, devono sapere che non si risponde male ad uno di noi” e con uno sguardo di fuoco si girò a guardarlo. “Sono dei ladruncoli, feccia che ci ruba il pane e che si ribella ai nostri ordini. Noi facciamo le regole, loro le seguono e se non le seguono…” lasciò la frase in sospeso. “Ci penseranno su due volte prima di offenderci”

“Non mi sembra un buon pretesto per picchiarlo. Tu piuttosto, chi ti credi di essere?”

Il ragazzo aprì la bocca e poi la richiuse, non credeva alle proprie orecchie. I ragazzi dietro di lui si pietrificarono sul posto. Il capo non sapeva neppure se ridere o mettersi ad urlare.

“Cos’hai detto?” balbettò.

“Ti ho chiesto chi sei. Non sei un re, non sei un ricco potente né un comandante e neppure un soldato semplice. Perché fai leggi se non ne hai il diritto?” sorrise. “E neppure il potere, a me sembra”  

“Ora sto veramente perdendo la pazienza” la minacciò puntandole un dito contro.

“Non è affar mio” rispose Rebecca tranquillamente. Non si era spostata neanche di un centimetro dal suo posto. Fece un cenno con la testa verso il ragazzino. “Lui è affar mio”

“Lui è affar nostro” abbaiò il ragazzo sputando.

“Così mi obblighi a farvi del male” disse Rebecca scuotendo la testa.

Senza che nessuno se ne accorgesse posò una mano sull’elsa della spada che teneva dietro la schiena.

Al ragazzo non era scappato il plurale di quella minaccia. Sputò per terra e rise. “E che ci faresti? Siamo quattro contro uno” sorrise scuotendo la testa. “Sei solo una ragazza. Semmai, cosa noi possiamo fare a te” e si voltò ridendo apertamente verso i suoi compagni che annuirono. “Ci staresti bene anche tu là, attaccata a quel palo, ma a quel punto subiresti un altro tipo di tortura”

Tutti risero apparte Rebecca e il ragazzino.

“Non credo che ce la faresti” disse lei.

Il suo tono di voce lo paralizzò. Non era la voce di una giovane ragazza, semmai di una giovane guerriera. Il ragazzo temette per un istante che sotto quel bell’aspetto e quel suo fragile corpo si nascondesse dell’altro. E poi, quegli occhi…erano diventati improvvisamente così gelidi…

Ma non per questo si lasciò intimidire.

“Vuoi vedere?” la provocò e la presa sul bastone si fece più salda.

Rebecca si guardò attorno, una smorfia divertita in volto. Quando puntò i suoi occhi sul capo egli ebbe un attimo di cedimento. Non gli piaceva per niente quello sguardo, era paragonabile ad un mostro, una di quelle creature che uccidono a sangue freddo.

“Tu non sai chi sono” non era una domanda.

Il ragazzone per un momento ebbe paura. “Chi sei?”

Rebecca emise un ringhio soffocato. “Sono la predatrice più pericolosa che ci sia al mondo”

Mentre la stava osservando uno dei suoi compagni lo chiamò. “Sebastian, muoviti! Non abbiamo tutto il giorno da perdere! Mandala via e finiamola con questa storia”

“Sebastian ti chiami?” domandò la ragazza con un sorriso divertito. “Un nome da vero sovrano” lo prese in giro.

A quel punto il ragazzo divenne bordeaux. “Ora sono stufo, hai veramente superato il limite” alzò il braccio con cui reggeva il bastione, pronto a colpirla con tutta la forza di cui era capace.

Sebbene il suo movimento fu veloce quello di Rebecca lo fu ancor di più. Sguainò la spada e con un unico colpo spezzò in due il bastone di Sebastian che cadde a terra con un tonfo sordo. Appena il ragazzo si rese conto di quello che era successo non ebbe il tempo di riprendersi che Rebecca gli puntò la spada alla gola. Lo tenne fermo e premette la lama contro la sua pelle.

Il resto del gruppo avanzò in un boato di imprecazioni. Rebecca gli paralizzò e gli tramutò in delle statue.

“Chi sei?” boccheggiò il capo con il labbro tremante.

La guardava con i suoi occhi sconvolti, come se non potesse credere a quello che gli stava succedendo o a chi avesse davanti.

Rebecca digrignò i denti e girò il polso facendo ruotare la punta della spada sul suo collo. “Sono l’unico angelo rimasto, io combatto tutti i giorni per salvarvi” sibilò. “E voi non fate niente per facilitarmi questo compito”

A quelle parole Sebastian sbiancò. Rebecca rimise via la spada. Ruotò con il corpo su sé stessa e lo colpì in pieno petto con un calcio. Il ragazzo volò, sbattuto indietro dalla potenza di quel colpo, e atterrò lontano. Si rialzò tremante e con il respiro affannoso. La paura gli era stampata in faccia. Ora non era più provocante, rabbrividiva come un verme. Fece segno ai suoi compagni di scappare ma loro non si potevano muovere.

Rebecca schioccò le dita e i suoi amici ripresero a muoversi. Scapparono tutti e quattro a gambe levate. Non si voltarono indietro neppure una volta. Rebecca camminò verso l’albero e strappò con le mani la corda che legava il ragazzino. Lui si inginocchiò a terra e pianse.

“G-Grazie” sussurrò tra le lacrime.

Rebecca si accucciò per guardarlo negli occhi. Gli prese il mento tra le dita e glielo alzò. Il ragazzino rimase sconvolto da tanta bellezza. Rebecca sospirò nel vedere i suoi lividi. Posò una mano, delicatamente, sulla fronte e quando la tolse i lividi se n’erano andati.

“Grazie” questa volta la voce era più ferma.

Lei lo fissò. “Tu ringrazi troppo” gli accarezzò una guancia. “Torna a casa”

Veloce il ragazzino se ne andò, si girò un’ultima volta per salutarla.



***



Rebecca arrivò al villaggio di Primo dopo soli tre giorni di viaggio. Volare l’aveva aiutata ad arrivare prima: niente deviazioni, né pause e non aveva sbagliato strada neppure una volta.

Decise di non atterrare nel villaggio, non voleva dare nell’occhio. Atterrò in un piccolo boschetto e camminò a piedi fino all’entrata. Il villaggio era come se l’era immaginato. Primo era il più vecchio e antico villaggio esistente a Chenzo, era un centro importante, un punto di sviluppo, di storia e di cultura. Era completamente recintato da mura di pietra e si poteva entrare solo tramite un enorme e imponente portone. Si sentiva da fuori il gran trambusto e il gran chiacchiericcio tipico delle città caotiche. Bussò tre volte al portone e restò in attesa, poco dopo comparvero due guardie armate.

“Salve” salutò Rebecca sfoderando un sorriso smagliante.

“Chi sei?” chiese uno di loro squadrandola con sospetto.

“Sono venuta in missione top secret. Devo vedere Salazar”

“Sei l’angelo?”

A quanto pareva a Primo la sua missione non era poi così tanto “top secret”. Se le guardie erano a conoscenza di un segreto allora potevi stare ben certo che lo sapeva l’intero villaggio quel segreto.

“Sì” confermò la ragazza lentamente. “Sono Rebecca, mi manda Bastian, il mio capo-villaggio”

“Entra pure, verrai accolta da lui” indicò un uomo dietro una colonna, era avvolto nel suo mantello con la testa china e coperta dal cappuccio. “Ti aspettava, ti porterà da Salazar”

“Ok, grazie”

Le guardie annuirono e si fecero da parte. La guardavano con una strana devozione negli occhi, quasi timorose di avvicinarsi troppo. Quando Rebecca passò accanto ai due uomini sorrise ad entrambi e questi ricambiarono con un sorriso ebete. Non era da tutti i giorni vedere una tale bellezza, tutto di lei attraeva: il suo fascino misterioso ed enigmatico, i suoi movimenti così agili e felini, la sua eleganza, la sua storia.

La prima impressione che Rebecca dava era quella di una donna potente e forte. E chiunque impazziva per un po’ di potere. E lei ne era piena.

Rebecca si avvicinò all’uomo che l’aspettava in disparte, questi alzò la testa e lei vide il volto di un vecchio.

“Ciao, Rebecca”

“Mi stavi aspettando” non lo salutò nemmeno.

“Sì, io ti stavo aspettando”

“Come facevi a saperlo?” c’era una nota di stizza nella sua voce.

“Salazar ti ha vista arrivare”

Rebecca si sentì a disagio. La inquietava il fatto che quel mago controllasse e sapesse tutte le sue mosse. Non osò immaginare cos’altro potesse conoscere di lei.

“Mi puoi portare da lui?”

“Certo, certo” si affrettò a dire il vecchio.

Camminarono fianco a fianco lungo le vie del villaggio. Primo era un paese antico, le case e tutti gli edifici erano costruiti in pietra. Sembrava a quelle vecchie città italiane della Toscana ricoperte di negozietti grossolani con bancherelle e stradine di sasso. Pareva di essere tornati al Medioevo, era tutto così…antiquato. Rebecca era riuscita a sopportare il distacco dalle grandi città, dalla tecnologia e dai mezzi di comunicazione ma quello era veramente troppo. Era peggio che stare nel set di un film parigino ambientato negli anni ‘80.

“Conosci bene Salazar?” domandò la ragazza al vecchio.

“Oh sì, sono il suo fidato aiutante”

Rebecca sorrise. “Buffo, pensavo che un uomo leggendario come lui potesse vivere da solo senza il bisogno di un apprendista”

Il vecchio parve prendersela perché bofonchiò. “Non sono un’apprendista”

“Come vuole”

“Dammi del tu”

“Come vuoi”

L’uomo ridacchiò. “Tu, invece, vivi benissimo da sola?”

“Non vivo da sola ma so badare a me stessa. Di certo il mio compagno non mi rimbocca le coperte”

Il vecchio fece una smorfia. “Certo hai un bel caratterino”

“Ci si può convivere”

“Da quanto tempo lavori per noi?” volle sapere.

Rebecca inarcò un sopraciglio. “Un paio d’anni, se non erro”

“Mi sorprende che tu non sia ancora diventata un angelo bianco. Sei ancora un’apprendista” c’era una nota vendicativa nella sua voce, forse si stava rifacendo dei commenti poco carini che Rebecca gli aveva fatto.

“Almeno non pulisco il culo di un vecchio” disse con una cattiveria che mai aveva usato in vita sua. I suoi occhi si tinsero per un secondo di rosso, ardevano di rabbia come due fiamme infuocate, poi ritornarono castani e lei spalancò la bocca, sconvolta.

Gli occhi erano spalancati. Emise un gridolino strozzato e si portò una mano sulla bocca per paura che le scappasse un’altra parola scortese.

“Scusa! Non volevo dirlo!” esclamò, rossa per la vergogna e l’imbarazzo. “Non so come mi sia potuta scappare una cosa del genere! Non lo penso davvero!”

Il vecchio, un po’ accigliato, scosse la testa e rise. “Tu sei davvero strana, ragazza” prese a camminare.

Rebecca gli corse di fianco in preda allo schok. “Davvero, non l’ho fatto apposta! Mi dispiace!” congiunse addirittura le mani, come se stesse pregando o supplicando il suo perdono.

“Lo pensavi?”

“No!” urlò con una nota isterica nella voce.

“Bene, allora facciamo finta che non sia successo niente” ma lui non poteva dimenticare lo sguardo di lei tramutarsi per un attimo in quello di un diavolo.

Rebecca tirò un sospiro di sollievo. “Grazie, non so proprio…”

“Ho detto che va bene” disse il vecchio.

“Come ti chiami?”

Fece spallucce. “Che importanza ha un nome? Non diamoci pensieri. Tu, piuttosto, ti capita spesso di fare come prima?”

Rebecca lo fulminò. “Avevi detto di metterci una pietra sopra o sbaglio?”

Il vecchio dovette mordersi l’interno della guancia per non parlare, moriva di curiosità. “Sì, hai ragione” chinò la testa in segno di profonde scuse.  

“Questo posto non mi piace” disse Rebecca, massaggiandosi le braccia quasi a volersi riscaldare da un freddo che la intorpidiva.

“Ti senti a disagio?”

Rebecca si risparmiò dal dirgli che ultimamente in nessun luogo si sentiva a proprio agio. “Qualche volta succede”

“Non è la prima missione che fai, vero?”

Il vecchio svoltò all’improvviso in un vicolo a sinistra e Rebecca girò all’ultimo secondo. Ripresero a camminare, un po’ più vicini di prima. Il vicoletto si trovava tra due alte mura di pietra.

“No, certo che no”

“Allora dovresti smetterla di agitarti. Vedrai che Salazar non è poi così male”

“Non è certo il suo carattere che mi preoccupa”

È altro. È la paura che qualcuno possa leggermi dentro. È il terrore che qualcuno veda la mia anima corrotta.

“Lo vedremo, come vedremo subito se gli piaci” ridacchiò fra sé e sé.

Tossì rumorosamente e indicò a Rebecca una vecchia casa in sassi davanti a loro, infondo al vicolo. Un gatto nero tagliò loro la strada.

“Non è un buon segno se un gatto nero ti attraversa la strada da sinistra” disse Rebecca.

Il vecchio si accigliò. “E questo chi lo dice?”

Rebecca rise per quella stupida credenza terrena. “È una nostra leggenda metropolitana”

“Nostra?”

“Della Terra, dei terrestri” precisò con una non voluta punta di nostalgia.

Era da tanto che aveva smesso di pensare ai suoi genitori adottivi. Agli amici e alle belle persone che aveva perso trasferendosi su un altro pianeta. Chissà se sua madre, Marta, era riuscita finalmente ad ottenere una promozione e se suo padre, Jonathan, aveva finalmente ritrovato la pace in famiglia che da tempo cercava.

Doveva essere così bella Phoenix in quel periodo dell’anno…

“Siamo arrivati”

Il vecchio tirò fuori dalla tasca della sua giacca un mazzo di chiavi vecchie e arrugginite e con un rumore ferroso girò la chiave nella serratura. La porta si aprì, cigolando. Rebecca rimase sulla soglia d’entrata finchè l’uomo non le fece cenno di entrare.

“Vieni, accomodati”

Accomodati? Non sono mica un ospite venuto a bere il caffè. Sono un missione, pensò con scocciatura.  

Aveva voglia di tornare a casa. Si sentiva così distante dal villaggio di Chenzo, da Gabriel, dalla sua casa. Le sembrava di essere in viaggio da un’eternità, e l’infinità è un tempo dannatamente lungo.

“Dov’è?” domandò la ragazza con una certa urgenza.

“Vado a chiamarlo” rispose lui.

Con i passi strascicati di un povero vecchio s’incamminò zoppicando verso una porta. Non fece in tempo ad afferrare la maniglia d’ottone che questa ruotò su sé stessa e si aprì.

Salazar era alto, vecchio, con una corporatura slanciata, la barba bianca che gli arrivava fin sotto il mento e capelli bianchi un po’ lunghi, scompigliati e incolti. Quello che più colpì la ragazza fu il suo sguardo. Il grigio intenso dei suoi occhi emanava una tale saggezza, un tale potere, una tale magia che chiunque ne sarebbe rimasto ammaliato. Tutto di lui era perfetto, la sua perfezione era saggia, tranquilla, pacifica, pura. Ma non rideva, il suo volto era serio e austero. Non doveva essere molto simpatico.

Ma, dopotutto, da quando un uomo saggio e combattivo era anche simpatico?

Mai.

“Ti ho vista partire, ti ho vista arrivare e ti ho vista sulla soglia della mia porta”

“Sono qui per te, come protezione”

Salazar spostò lo sguardo e fissò un punto lontano, sembrava incantato. “Sei arrivata”

“O mi sono appena fermata”

Lo stregone inarcò le sopracciglia.

“Spero non ci metteremo molto a partire, dobbiamo essere al mio villaggio il prima possibile. Ovviamente questo esclude possibili giri turistici per il paese, il che mi spezza il cuore” secca, concisa e diretta.

A Salazar piacque questa sua intraprendenza.

“Dobbiamo partire subito?” chiese, aprendo le braccia con fare teatrale. Non nascose di certo un sorrisino sghembo.

“Appena possibile” ripetè Rebecca.

“Come faremo a viaggiare?”

A quel punto il suo assistente, il vecchio che attendeva in disparte, la guardò con due occhi penetranti e ansiosi. Forse non si fidava di lei.

Dopotutto chi si fidava completamente di lei?

Gabriel.

Solo Gabriel.

E infatti è l’unico ad essere cieco, pensò.

“Teletrasporto”

Salazar la guardò ammirato. “Ne sei capace?” il suo tono era canzonatorio, probabilmente la stava prendendo in giro, si faceva beffe di lei.

“Come potrei non esserlo?” si divertiva a ribattere alle sue provocazioni.

Salazar forse non lo sapeva ma aveva inaspettatamente trovato in lei un osso duro. “A quanto pare ti ho sottovalutata”

Rebecca alzò fiera il mento. “Spesso lo fanno in molti. L’importante è riconoscerlo alla fine”

“Alla fine…” mormorò sottovoce Salazar abbassando gli occhi.

“Alla fine” ripetè lei calcando quelle parole che avevano assunto un inquietante significato.

“Come dico sempre io: le persone o sono cieche o sono stupide”

“Stupide?” gli domandò con un cipiglio interrogativo.

“Che non ci arrivano” concluse in risposta.

Rebecca indietreggiò senza rendersene conto.

Ma perché la metteva così tanto in soggezione quel vecchio?

Quegli occhi non smettevano un secondo di fissarla e per quanto le sue barriere cercavano di proteggerla lui premeva per entrare. E non doveva permettergli di entrare, avrebbe visto troppe cose, capito troppe bugie. La maschera doveva rimanere attaccata al volto.

“Questa è buona, devo dire che sono d’accordo con te, Salazar” disse la ragazza. “Andiamo?”

“Devo prendere le mie cose”

“Allora fallo e poi raggiungimi fuori”

Con un giro di tacchi si avviò verso la porta. Voltò la testa per salutare il vecchio assistente e questo mostrò un sorriso vacillante. La sua figura in nero sparì oltre la soglia.

Rebecca si appoggiò pigramente contro il muro della casa e dopo dieci secondi uscì Salazar, non aveva niente tranne un bel pastone da passeggio.

“Non ti porti via niente?” gli chiese lei.

“Cosa vuoi che me ne faccia degli effetti personali, quelle sono cose per umani”

“Pensavo ti portassi via qualche calderone, qualche provetta o erba magica”

“Scoprirai ben presto che i miei poteri non sono decisamente legati ad oggetto materiale”

“Ah no?”

“No” si portò un dito alla tempia e la trafisse con lo sguardo. “Sono tutti qui dentro”

Rebecca rise e si staccò dal muro. Lo precedette e cominciò a camminare a passo spedito.

“Non dovevamo usare il teletrasporto?” le chiese il vecchio.

“Fuori dalla città. Ci sono troppi occhi indiscreti”

Sopra di loro, da dietro le finestre chiuse delle case del vicolo, delle persone spiavano attraverso il vetro. La notizia dell’arrivo dell’angelo doveva essere arrivata a tutti e tutti erano curiosi di vederla.

Salazar sorrise. Rebecca si girò verso di lui.

“Perché ridi? È vero”

“Dev’essere molto divertente avere tutto sottocontrollo”

“Ti riferisci…?”

“Mi riferisco al fatto che riesci a sentire una persona respirare anche attraverso i muri e a distanza di chilometri. Tutte le mosse, gli spostamenti, le occhiate o le parole che si scambiano sottovoce…tu riesci a sentire e vedere tutto”       

“Leggo anche nel pensiero” ci tenne a precisare lei.

“Lo stai facendo anche adesso?”

“Posso decidere chi, quando e dove voglio io. Ma lo faccio solo raramente, ho rispetto per i pensieri altrui e quindi no, non lo sto facendo ora con te”

“Questo mi solleva”

“E tu? Lo sai fare?”

“Sì, ma ci impiegherei sicuramente molto più di te. Diversamente da te, che sei una creatura fatta di magia, io ho dovuto conquistarmela. Noi nasciamo umani e abbiamo la possibilità di diventare magici studiando moltissimo. In pochi ce la fanno, la magia è molto pericolosa” la guardò e lei sentì il cuore accelerare nel petto.  

“La magia è pericolosa se non la sai usare” gli disse.

“Tu sai usarla?”

La stava provocando ancora?

“Sono quasi giunta alla perfezione” rispose con distacco. “Non mi manca molto per completare il mio addestramento”

“Uhm, ma dimmi, cosa aspiri a diventare?”

Rebecca ci pensò un attimo, osservò la strada dritta di fronte a sé, i suoi piedi che camminavano sul terreno sassoso. I raggi del sole al tramonto la abbagliarono e distolse lo sguardo.

Qualcosa dentro di lei si mosse.

Quando guardò Salazar non aveva dubbi.

“Voglio essere come la paura”



***



Salve, salve e salve...mi stra-scuso per il ritardo
ma, non tutti sapranno, sono sotto esami di maturità e quindi il tempo scarseggia per fare dell'altro
che non sia studio...
uff, mamma mia...
ma alla fine ce l'ho fatta comunque dopo mesi ho finito anche questo capitolo!!!
spero solo di non metterci troppo anche con il prossimo ma prometto che sarò il più veloce possibile!!
ehm, recensite, eh...
so thank you

Il prossimo capitolo: "LONTANA DAL PARADISO"

Non ho tempo per i ringraziamenti e quindi ringrazio generalmente
tutti quelli che mi seguono
e che
recensiscono ----> un grazie veramente speciale...

___fEDE___

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Capitolo 15
*** Lontana dal paradiso ***


Cap. 15 - LONTANA DAL PARADISO -

[Tutto ciò per cui sto vivendo,
tutto ciò per cui sto morendo…
volevo solo di più.

Chiudo l’ultima porta aperta,
i miei fantasmi stanno guardando a distanza.

Pensavo che avrei cambiato il mondo.
Dovrebbe far male amarti?
Dovrei chiudere l’ultima porta aperta?]

Evanescence - All that I’m living for -



***



Le soppraciglia di Salazar erano così aggrottate che sembravano formare un grande arco increspato. Si sentì piombare addosso un fastidioso disagio, che non presagiva niente di buono. Osservò le mani di Rebecca chiuse a pugno, la sua postura dritta e autoritaria, i suoi occhi profondi e scuri, la sua bocca incurvata in un ghigno. Gli parve di vederla per la prima volta, non aveva notato prima queste sue fredde e aguzze fattezze.

Senza pensarci, guidato dal cieco istinto, tentò di leggerle la mente. Rebecca camminava e non sembrava accorgersi di nulla. Voleva vedere cosa c’era sotto quella pelle, quel corpo, cosa nascondeva, se c’era qualcosa di buono o di cattivo. Fece appena in tempo a sfiorarla che lei se ne accorse.

Con un gesto velocissimo, la mano di Rebecca andò a circondare il collo di Salazar mentre l’altro braccio gli bloccò il torace e lo spinse indietro. Salazar venne sbattuto con una forza inaudita contro il muro di pietra. La mano della ragazza lo teneva ancora saldamente al collo.

“Che fai?” sembrava perplessa più che arrabbiata.  

Salazar provò a liberarsi ma né la sua forza fisica né la sua magia riuscirono a vincere contro di lei. Rebecca lo lasciò andare ma rimase con uno sguardo acido e minaccioso.

“Perché l’hai fatto? Non farlo mai più”

Salazar rimase a bocca aperta. Un uomo come lui, saggio e potente come lui, venne messo a tacere. Improvvisamente si sentì terribilmente debole e piccolo. Rebecca lo stava fissando e pareva triste.

“Andiamo” gli disse e riprese a camminare.  

“Scusami” disse Salazar ad un certo punto sbattendo le palpebre. “Non volevo”

Rebecca sbuffò. “È solo che non mi và”

“Perché?” si ritrovò a chiedere stupidamente.

“Perché quello che sta dentro di me, rimane mio”

Salazar ghignò. “Hai molta forza” poi aggiunse: “Per essere una ragazza di…”

“…diciannove anni” lo guardò. “Sono arrivata a Chenzo che ne avevo diciassette”

Salazar annuì. “Deve essere stato difficile”

“Che cosa?”

“Vivere per diciassette anni con una famiglia, in una casa, con degli amici, con una determinata tradizione e poi cambiare tutto, radicalmente. Sei qui a Chenzo da soli due anni e dubito che tu ti sia già ambientata”

“Alcune volte mi capita di ripensare alla mia vecchia vita, a quando ero ancora…” strinse forte i denti. “…umana”   

“E ti manca quella vita?”

Rebecca sospirò e guardò la strada davanti a sé. “Apparte poche persone che ho amato veramente…non penso che ritornerei là. Ormai ho capito che il mio posto è questo, è sempre stato questo, solo che non lo sapevo”

“Sai, le voci corrono…”

La ragazza sorrise. “Sì, ne so qualcosa. Quando hai vissuto abbastanza tempo sulla Terra per conoscere affondo i giornalisti capisci che la privacy di certe persone è un optional”

“Mi è giunta notizia che tu e l’angelo Gabriele vi unirete presto in matrimonio”

Gabriel, no Gabriele, avrebbe voluto puntualizzargli, ma si trattenne.

“Sì, infatti, è vero”

“Non ho mai conosciuto quel ragazzo ma più di una volta mi è capitato di percepire la sua aurea. Una volta per esempio, viaggiando, si è fermato per poche ore nel nostro villaggio e subito, io ero a casa, ho avvertito la sua presenza. La sua aurea speciale in effetti risaltava molto rispetto alle altre”

Rebecca si voltò verso di lui e lo guardò con uno strano cipiglio interrogativo. “Tu vedi le nostre auree?” e con quel “nostre” intendeva proprio tutti.

“Sì. Interessanti sono i bagliori di luce che esse emanano. Possono cambiare colore in base all’umore ma il colore finale, quello che vedo, è dato dall’insieme, dal miscuglio, di tutti i colori che caratterizzano le emozioni di una persona. Quando ho visto Gabriele la sua aurea era bianca, leggermente sfumata di grigio” disse con un leggero sorriso che gli incorniciava il volto rugoso.

“E che significa? È un bene, no?”

“Basta pensare che il bianco è il colore della purezza” si spiegò. “Ovviamente, più una persona è buona, solare, generosa, più i suoi colori saranno luminosi, calorosi. Più una persona è cattiva, triste o perversa, più i suoi colori saranno scuri”

“E il grigio?”

“Il grigio è il colore della stabilità, dell’equilibrio e della saggezza. È un colore molto sensibile e raffinato il grigio, solo poche persone sono così eleganti e nobili da possederlo nella loro aurea”

Questo spiegava perché Gabriel ce l’avesse, il grigio.

“Hai mai conosciuto Mortimer?” la domanda le uscì involontaria. “Dark Threat” aggiunse la ragazza a mo di spiegazione.

Il viso dell’uomo si oscurò. “Sì che l’ho conosciuto, ho avuto la sfortuna di imbattermi un giorno sul suo cammino”

“E com’era la sua aurea?”

Rebecca, Rebecca, da dove viene questa tua perversa ossessione per tuo padre?

Rebecca notò che Salazar contrasse la mascella e s’irrigidì. “Molto interessante”

“Io sono…” cominciò la ragazza.

Si erano entrambi fermati in mezzo alla strada e stranamente non c’era nessuno intorno a loro. Il cuore di Rebecca cominciò a batterle velocemente nel petto. Salazar le era di fronte e aveva uno sguardo impassibile, celava la sua impazienza sotto quella figura rigida e diritta.

“Chi sei?”

“Sono sua figlia”

La mascella di Salazar parve spostarsi in avanti mentre serrava i denti.

Rebecca si avvicinò a lui di un passo e sussurrò: “E ora dimmi, di che colore era la sua aurea?”

Salazar ne rimase profondamente colpito. “Nera. Come la tua”

“Tu lo sapevi?”

“Non sapevo che foste imparentati”

“Dannazione! Lo sanno tutti! Era mio padre” sibilò con rabbia Rebecca. “Ecco perché hai cercato di leggermi nella mente: non capivi cosa ci collegasse”

Salazar alzò il mento, per nulla intimorito. “Tu non sei cattiva come tuo padre ma il colore e la forza che emani ti fanno assomigliare moltissimo a lui”

“Pensi che ci possa essere una possibilità…” dirlo ad alta voce era molto peggio che pensarlo. “…che io diventi come lui?”

Salazar ridusse gli occhi a due fessure. “Sicuramente metà del suo patrimonio genetico è racchiuso in te”

“Non posso essere punita per i suoi peccati, non è colpa mia se, portandosi dietro metà inferno, una parte l’ha lasciata a me”

“Tu stai sfidando il destino, ragazza”

“Detesto quando mi dicono che il mio destino è già stato scritto” ribattè lei con freddezza.

“A volte le persone si incazzano quando le cose non vanno come desiderano, bestemmiano e maledicono il destino ma quando arriva la fine non resta che mollare”

Quando arriva la fine non resta che mollare.

Chissà perché quelle parole continuarono a rimbombarle in testa. Era molto scossa, ma non lo diede a vedere. Quell’uomo parlava per aforismi e su di lei avevano un grande effetto.  

La ragazza continuò per la sua strada. Riconobbe la via principale dalla quale era arrivata. Senza che il suo protetto le dicesse niente si avviò verso il portone. Presto sarebbe uscita da quell’assordante villaggio. Una farfalla le svolazzò attorno e lei la scacciò via muovendo fastidiosamente le mani. Si era irritata, lo sapeva, non era un gran bel giorno.

Salazar l’affiancò. Lei lo guardò malissimo.

“Comunque, come facevi a non sapere che era mio padre?”

Era?

O sarebbe meglio dire: “è”?

“Ultimamente sono stato impegnato, ho viaggiato molto e mi sono perso le ultime notizie”

Arrivarono al portone e le stesse guardie di prima li fecero passare per uscire. Riconobbero Salazar ma, stranamente, invece di salutarlo o inchinarsi si limitarono a fissarlo, impassibili e leggermente distaccati, come se stessero osservando qualcosa di pericoloso, temuto e sconosciuto. Rebecca sapeva bene che certi umani guardavano la magia come un qualcosa di oscuro, più forte di loro e dannatamente indomabile.

A lei invece le guardie riservarono un trattamento ben diverso: fecero un profondo inchino e quando rialzarono la faccia le sorrisero in modo un po’ troppo invadente. Se solo avesse potuto si sarebbe girata e avrebbe vomitato.

“A chi lo dici” sbuffò la ragazza. “Questo mondo è un casino, possibile che Dio non esista qui?”

C’aveva pensato molte volte: Dio esisteva? E, se esisteva, perché non aiutava quel pianeta soffocato dal Male?

Lei era un angelo, tecnicamente era una Sua inviata. Possibile che Lui non ci fosse?

Alla fine arrivò alla conclusione che forse non esisteva affatto. Altrimenti non ci sarebbe stata lei ad eseguire tutti i Suoi compiti.

Tutto un tratto Salazar la bloccò per il polso. Rebecca si irrigidì a quel contatto e tolse immediatamente la mano.

“Non sei ancora riuscita a superarla” la guardò con un’espressione triste.

Aveva perso il filo del discorso. Un attimo.

“Non so di cosa stai parlando. Ora, se non ti dispiace vorrei teletrasportarci a casa” Rebecca scostò la testa per non incontrare i suoi occhi.

“La morte di tuo padre ancora non ti fa dormire la notte”

Rebecca arrossì di rabbia.

Come si permetteva?

Lei aveva ucciso suo padre, se solo non avesse voluto ucciderlo non l’avrebbe fatto. La morte di Mortimer era stata una sua responsabilità e non si vergognava, né tantomeno, si dispiaceva.

Era qualcos’altro che la teneva sveglia la notte. Qualcosa che stava cercando disperatamente di tenere nascosto al mondo intero.

Non gli disse ciò che pensava. Lo scrutò con uno sguardo impassibile e quasi lo incenerì con gli occhi.

“Ti sbagli”

“Allora perché continui a soffrire in questo modo se la morte di tuo padre la desideravi e il matrimonio con Gabriele dovrebbe essere una gioia?”

Rebecca trattenne la rabbia più forte che potè e strinse i pugni lungo i fianchi.

“Io non soffro”

“Strano, quando guardo i tuoi occhi è il dolore che vedo, non la felicità”

“Gabriel, provo tanto dolore” gli disse una notte.

“Non è dolore, tesoro: è amore”

“Qualsiasi cosa sia non è affar tuo, razza di mago ficcanaso” incrociò le braccia al petto, a dir poco irritata. “Andiamo al mio villaggio?”

“Preferirei farla a piedi”

Rebecca strabuzzò gli occhi. “Stai scherzando, vero? Saranno giorni di viaggio! Se hanno mandato me sarà anche perché ho le possibilità di accorciare questo maledetto viaggio!”

“Come vuoi” fece spallucce.

“Mago” lo ammonì lei, come se stesse parlando con un demente. “Sbaglio o la tua dedizione consiste nel coltivare la magia? Allora, per favore, lascia che sia la magia a portarci a casa. Eviteremo giorni di cammino, fermate inutili e assalti improvvisi. Non so te ma io sono abbastanza famosa e ricercata da queste parti”

“Da chi sei ricercata?”

La ragazza boccheggiò, prese un bel respiro e fece finta di parlare con un bambino duro di comprendonio, alla soglia dei suoi primi perché. “Forse perché ho ammazzato il più grande esponente del Male ora ho tutti i suoi seguaci alle calcagna, no?”

Salazar sorrise. “E perché ti vogliono?”

Rebecca impallidì. Veloce, velocissima, arrivò a capire dove il mago stava andando a parare. E prima ancora che potesse rispondergli, o anche solo trovare la forza di mascherare le sue paure, una vocina dentro di lei echeggiò ripetendole all’infinito: lui sa.

Mi vogliono perché, tutto sommato, non sono poi tanto diversa da loro.

Infondo, non sono poi così buona.

“Mi vogliono per uccidermi, ovviamente. Che domanda stupida” borbottò.

“Allora sarà meglio tornare a casa con il teletrasporto” disse alla fine il mago.

Dentro di sé Rebecca tirò un sospiro di sollievo.

“È quello che ho detto io”

“Ce la farai?” domandò Salazar.

“Non ho mai provato con un’altra persona e nemmeno da una distanza così lunga. Posso provare, mal che vada mi farò male io”

“Non ti conviene fare una piccola pausa? A metà strada? Conosco un posto, nel bosco, è perfetto”

“Ok, va bene” lo guardò di sottocchio. “Ma non mi rompere le palle più del dovuto”

Salazar rise, meravigliato. “Per tutti i cieli! Non sapevo che avessi un linguaggio così scurrile! E anche un bel caratterino, a quanto vedo”  

“Sì, beh, ammetto di non essere il massimo del bon ton” grugnì lei. “L’eleganza l’ho mandata a quel paese nel momento in cui ho dovuto impugnare una spada e indossare una tuta”

“Oh, non ti preoccupare! Io le ragazze le preferisco molto di più così: sfacciate e piene di fuoco”

Rebecca si ripromise di raccontarlo a Gabriel. Sorrise, immaginando la scena.

“Ce l’hai fatta a portare il mago. Come è andata?”

“Bene, tornando a casa ci ha provato con me”

Le parve di vedere la faccia del suo ragazzo arrossire per il fastidio.

“Non sei un po’ vecchio per me?” lo schernì la ragazza con un ghigno ironico.

Salazar schioccò le dita come un colpo di bacchetta magica. “Non si è mai troppo vecchi, né troppo giovani”

“Non voglio morire, sono ancora troppo giovane”

“Non si è mai troppo giovani per morire, Rebecca”  

La ragazza scrollò il capo. Prese per mano il mago e richiamò a sé la magia.



***



Se c’era una cosa che irritava Atreius più della bontà d’animo era il ritardo. Ormai non sapeva più come intrattenere il tempo, al castello. All’inizio era stato entusiasta del piano ma ora la sua felicità era stata tramutata in noia mortale e passività. Pensava che la sua “sorellina” sarebbe arrivata prima, sperava che suo padre fosse riuscito a tornare, che la sua solitudine fosse stata ben presto sostituita da un nuovo, oscuro, quadretto famigliare.

“Signore” la guardia entrò nella sua camera senza bussare, cosa che lo irritò non poco.

“Che c’è?”

Per fortuna la guardia non poteva vederlo in faccia altrimenti avrebbe capito l’errore madornale che aveva appena commesso. Atreius socchiuse le palpebre e guardò il sole tramontare dalla ristretta fessura dei suoi occhi, dando liberamente la schiena alla sua guardia.

“Sono stato informato da…”

“Avanti, parla” disse Atreius in malo modo.

Inconsciamente la guardia indietreggiò. “Ancora nessuno sviluppo, sono desolato”

Il ragazzo dovette tenere a freno la rabbia. Appariva disinteressato, calmo e impassibile ma dentro di sé urlava, scalciava e fremeva per l’impazienza.

Con quello che gli parve il giusto tono di voce, congedò la guardia.

Da dietro la colonna in legno del suo grande letto a baldacchino comparve la testa tonda e squamosa di Vezzen, suo ormai fidato tirapiedi.

“Oh signore, mi dispiace!” sembrava veramente in pena per il suo giovane padrone.

Atreius si liberò del mantello e sospirò. Per un breve istante pareva essere tornato il solito ragazzo insicuro e vivace di un tempo. “Non ne posso più, Vezzen. Dico sul serio. Sto facendo del mio meglio per gestire questo inferno in attesa che ritorni mio padre con mia sorella ma…” strizzò gli occhi per la stanchezza. “Se non dovessero tornare?”

“Ritorneranno, ne sono sicuro” si avvicinò lentamente zoppicando, stringendo tra le mani uno straccio vecchio e macchiato. “Dobbiamo solo avere un altro po’ di pazienza”

“È solo che pensavo che mio padre fosse più forte, ecco” disse, fissando il cielo dalla finestra aperta.

“Vostro padre è forte” lo corresse Vezzen, poi abbassò gli occhi. “Solo che vostra sorella è ancora più forte” disse con imbarazzo.

Vezzen sussultò nel sentire la risata forte e cristallina di Atreius.

“Chi l’avrebbe mai detto?” gli occhi di Atreius brillavano. “Rebecca si è dimostrata imprevedibilmente un osso duro. È io che pensavo che fosse un semplice angelo troppo ingenuo ed inesperto, ero convinto che ci sarebbe cascata subito. Devo ammettere invece che è dannatamente furba e dotata” esclamò con una profonda nota di ammirazione.

A Vezzen sembrò di scorgere qualche altro sentimento nella voce di Atreius, oltre che all’ammirazione, ma non ci fece caso. Non gli era concesso sapere più del minimo indispensabile, né fare troppe domande, anche se ultimamente il suo padrone si era confidato sempre più spesso con lui e Vezzen non poteva che esserne onorato, appagato.

“Ma signore, secondo lei, quanto dovremmo aspettare?”

“Conosco mia sorella abbastanza per poter affermare in tutta onestà la sua debolezza verso il lato oscuro. Siamo molto simili, per certi aspetti. Avrà fatto parecchie storie all’inizio, la sua forza addirittura potrebbe essere stata maggiore di quella di Mortimer, sicuramente l’avrà sottomesso, eclissato. Ma mio padre deve aver cambiato tattica con lei, ecco perché ora sta cedendo. Ecco perché entro breve tornerà qui strisciando”

“E il consiglio?”

Il ghigno di Atreius fu spaventoso. “Gli ho scacciati, quegli incompetenti. Avevano un unico compito: quello di servire mio padre nella sua rinascita, ma hanno miseramente fallito. Non sono stati in grado di fare niente. Niente! Oltre ad essere stati tremendamente lenti ed esasperanti cominciavano a chiedere troppo: troppo potere, troppa attenzione, troppi privilegi. Cosa penserebbe mio padre se, tornando, venisse a sapere che ho diviso il nostro potere con una congrega di maghi incapaci? Sicuramente, come minimo, mi diserederebbe”  

“Quindi…”

“Quindi ho dovuto affidarmi ad un uomo. In realtà, questa persona, è un vecchio amico di famiglia, si è gentilmente offerto di tenere d’occhio la ragazza e di mandarci costantemente un resoconto piuttosto soddisfacente. Forse lo conosci, si chiama Heidger”    

Le orecchie di Vezzen si fecero diritte e attente, come quelle dei cani in ascolto. “Oh sì, sì, che lo conosco”   

“Gli ho chiesto di fare le cose in assoluta segretezza e finora non è mai stato scoperto. Davvero ammirevole, quell’uomo. Non capisco solo una cosa, come mai mio padre lo cacciò?”

“Heidger si era fatto troppo pericoloso”

“Pericoloso?” chiese il ragazzo inarcando il sopraciglio.

“Nel senso che, con tutto il potere accumulato e il prestigio offertogli dal signore, divenne pretenzioso, arrogante, feroce. Vostro padre lo bandì per sempre dalle sue terre nel momento in cui Heidger tentò di ucciderlo, molti, molti anni fa, prima che voi nasceste”

“Non sapevo queste cose” disse il ragazzo sedendosi sul suo letto e stravaccando le gambe. Mise le braccia dietro la testa e si sistemò meglio tra i cuscini. “Come mai tentò di ucciderlo?”

Vezzen lo guardò, come se il motivo fosse ovvio. “Perché voleva il suo potere. Ve l’ho detto, era diventato troppo affamato di gloria. Io me le ricordo le liti che scatenava e gli atti che faceva in pubblico, era matto, dico sul serio”

“Era così potente?”

“Beh, era a capo dell’esercito di Dark Threat”

“Uhm…” Atreius si leccò le labbra. “Abbiamo a che fare con un generale ben addestrato”

Vezzen rimase in silenzio e poi fece per chiedere qualcosa ma arrossì furiosamente. “Signore, come…c-come avete fatto a ripescarlo dal suo esilio? Se non sono troppo invadente”

Gli occhi grigi e freddi del ragazzo si posarono sul servitore. Alcune volte era difficile capire cosa stesse pensando Atreius, era così misterioso…

“Quando ho chiesto a quell’idiota di guardia di trovarmi qualcuno di valido per controllare Rebecca ha pensato bene di organizzarmi un incontro con lui. Evidentemente sapeva della sua esperienza, tutti lo sapevano, per questo la maggior parte mi ha appoggiato in questo piano. Ignoro, comunque, dove si trovasse prima di essere richiamato”

“E quando la ragazza arriverà al castello…lei…”

Di colpo Atreius di mise seduto. “Mi aspetto che le riserviate un trattamento speciale, degno di una regina”

Vezzen annuì immediatamente e con vigore. “Certo, era ovvio!”   

Il ragazzo si morse il labbro inferiore. “Lei…spero solo che arrivino in fretta” concluse leggermente impacciato.   

“Sì signore, lo speriamo tutti. Abbiamo investito molto in queste speranze”

“Non ti preoccupare Vezzen, presto saremmo come un tempo, molto presto ritorneremo alle antiche glorie e nulla potrà fermarci. Potremmo vantare di avere un trio formidabile” ghignò.

“E l’angelo Gabriele, mio signore? Ho sentito che lui e la ragazza sono…” sembrò cercare le parole giuste. “…intimamente legati”

Atreius gli scoccò un’occhiata gelida. “Se mio padre riuscirà a portarla dalla nostra parte, allora vedrai che non le interesserà più quello smidollato”  

Vezzen non aveva mai visto il suo padrone infervorarsi in quel modo per una persona. Colpito da tanto rancore sbattè le palpebre, impaurito. “S-Sì, certo, come ho fatto a non arrivarci prima?” fece un sorriso tirato.

Atreius sbuffò e ritornò ad affacciarsi alla finestra. “Gabriel si ritroverà da solo contro tre, sarà la sua fine e con lui moriranno per sempre quegli sdolcinati ideali di pace e di bene che mi fanno venire la nausea, se non il diabete addirittura”

Vezzen era molte cose (alcune cose erano imbarazzanti per la loro semplicità) ma non era stupido. Sapeva dare un nome al sentimento impetuoso e violento che il suo padrone provava ogni qual volta si facesse il nome di Gabriele. Anche ora, guardandolo dal letto, giurava di vederglielo stampato in faccia.

Ne era sicuro: era gelosia.



***



“…ma ci sono veleni che non permettono alla vittima di guarire. Alcuni veleni, infatti, vengono trasmessi nel sangue della vittima senza che lei se ne accorga e il loro effetto non sempre è visibile sotto chiare manifestazioni di sintomi. I veleni oscuri, per esempio, erano in voga nei primi anni ed erano usati da potenti stregoni o creature infernali per poter dar vita a nuovi gruppi o seguaci: è noto come il veleno che non uccide corrompe irrimediabilmente l’animo di una persona. Un tempo, le tenebre, si servivano di questi veleni per affiancarsi di seguaci, costringendoli ad abbandonare la via del Bene per…”  
 
Il libro cadde pesantemente dalle mani rigide di Denali facendo un gran rumore. Il suo tentativo di passare inosservato fallì miseramente. Sulla soglia della porta, appoggiata allo stipite, c’era Rosalie che lo guardava torva.

“Che stai facendo? Ti ho cercato per tutta la casa”

Denali raccolse il libro e lo tenne stretto tra le mani. “Avevo voglia di leggere un po’”

La ragazza aggrottò la fronte. “Ma per piacere, Denali. Sappiamo tutti e due che non entri mai in questa stanza: tu odi leggere” diede un’occhiata cupa alla piccola biblioteca.

Schioccò la lingua e tenendo le braccia incrociate al petto raggiunse il suo compagno che era rimasto fino a quel momento in piedi, rigido come un palo di legno.

“Che cosa stavi leggendo?” Rosalie allungò il collo per sbirciare la copertina. Il titolo era nascosto dalle grandi mani di Denali e lei non riuscì a leggerlo. “Avanti, fai vedere”

Molto infastidito il ragazzo spostò le dita e le permise di leggere il titolo. Subito la ragazza alzò la testa per incontrare i suoi occhi, pareva curiosa.

“Come mai ti interessa? Nessuno è stato avvelenato” poi aggiunse, lentamente: “Che io sappia”  

Con uno sbuffo Denali lo rimise al suo posto, sullo scaffale impolverato. La scritta in oro saltava agli occhi rispetto agli altri libri vecchi e anneriti. “Rimedi efficaci contro ogni tipo di veleno o droga”.  Denali gli lanciò un’ultima occhiata prima di incamminarsi verso l’uscita. Non sentì i passi di Rosalie che lo seguivano e si voltò a guardarla: stava ancora fissando quel libro e sembrava triste, preoccupata.

Denali sentì lo stomaco contorcersi spiacevolmente.

Rosalie teneva lo sguardo basso, ora. “Mi stai nascondendo qualcosa?” chiese, cercando di dare un po’ di voce al suo tono debole.

Gli dispiaceva vederla così.

Dio, faceva così male…

“No, certo che no. Perché dovrei?”

Denali era bravissimo a mentire.

All’inizio Rosalie aveva giudicato questa sua capacità affascinante, aveva il potere di confonderla, piacevolmente. Ora però ne provava timore, paura. Non erano più ragazzini, adesso lei era una madre, era adulta. E lei voleva soltanto delle sicurezze, non più delle bugie.  

“In questi ultimi mesi sei diverso” le tremò la voce. “Alcune volte mi sveglio durante la notte e tu non ci sei, il posto accanto a me nel letto è vuoto. Allora mi alzo e vengo a cercarti, e ti ritrovo qui” con una mano toccò lo scaffale. “Leggi, sembri concentrato, attento, sfinito, ma appena il giorno dopo ti domando qualcosa…mi racconti una bugia”  

“Sto solo facendo delle ricerche” disse con innocenza.

La ragazza fece una smorfia. O era un sorriso? “Sì, certo”

“È la verità” sussurrò Denali in un soffio.

“Sei malato?”

“Oddio, no che non sono malato” stancamente si strofinò la fronte con la mano, aveva un tremendo mal di testa. “Lo so che al momento ti sembrerà strano ma ho bisogno che tu ti fida di me”

Rosalie avvampò e con un gesto violento si portò le braccia al petto stringendo la vestaglia. “Fidarmi di te? Ho solo bisogno di sapere se quello che stai facendo è qualcosa di brutto o no!”

“No” scosse la testa. “Io sto solo…”

La magia lo bloccò. Non poteva parlare.

Rosalie lo vide ammutolire e fece un sospiro esausto. “Stai aiutando qualcuno?”

Il ragazzo annuì, troppo in colpa per guardarla in faccia, vergognoso dei suoi segreti, del suo modo brusco e freddo.

Rosalie gli fu vicina e gli prese il viso tra le mani. Lo costrinse a guardarla negli occhi e Denali, perso nei suoi occhi blu, smise di respirare. Lei lo baciò teneramente, in punta di piedi.

“Ti chiedo solo di stare attento, ok? Io mi fido di te” lo baciò ancora, più profondamente.

Denali strinse le mani sui suoi fianchi e strizzò gli occhi fino a farsi male.

Ci sono veleni che non permettono di guarire.

Trasmessi nel sangue…

Ciò che non uccide corrompe l’animo.

Servono ad alimentare l’odio, costringendo ad abbandonare la via.



***



Un vento di polvere ed erba si alzò a spirale non appena Rebecca toccò il suolo con il teletrasporto. L’onda magnetica, in realtà, non era stata causata dal teletrasporto quanto piuttosto dall’intensità dei suoi poteri. Salazar rimase ancora aggrappato a lei per il braccio.

“Come sapevi che volevo portarti qui?”

Rebecca inarcò le sopracciglia. “So leggere nel pensiero, sai?” si guardò ammirata le mani, come se si aspettasse di veder comparire un enorme magia.

Elegantemente mosse un dito all’altezza del suo collo e la sua divisa da viaggio lasciò il posto ad un paio di comodi jeans e ad una felpa bianca con il cappuccio peloso color caramello. Un paio di scarpe basse sostituirono gli stivali. Fece un movimento circolare del collo e i lunghi capelli si raccolsero in una crocchia composta. I ciuffi ribelli che le incorniciavano il viso la rendevano ancora più bella e graziosa.

“Questa…” disse Rebecca indicandosi i vestiti. “…è la nostra moda, Salazar. I terrestri hanno uno stile diverso per ogni tipo di occasione” sorrise.

Il mago sembrava accigliato. “E questa che occasione sarebbe?”

“Jeans e felpa: per stare semplici, comodi e al caldo. Non vedo perché dovrei indossare quella specie di tuta da sub, ora non sono mica in campo di battaglia. Adoro Chenzo, veramente, ma in fatto di vestiti non ci sapere proprio fare”

“Noi non abbiamo bisogno di impressionare nessuno” borbottò Salazar lisciandosi la veste.

“Anche questo è vero!” disse Rebecca puntigliosamente con il dito. “Ma dopo anni che indossi i jeans fai fatica a perdere il vizio di portarli sempre, sia benedetta la persona che gli ha inventati”

“Sembri diversa”

Rebecca sorrise e ciondolò sul posto. “Mi sento diversa”

“Sembri più…” esitò. “…umana”  

Rebecca scoppiò in una risata. “Mi conforta tornare alle origini ogni tanto”

“Già” bofonchiò il mago.

“Non pensavo che al primo colpo sarei stata in grado di teletrasportare entrambi” ammise la ragazza, incamminandosi per stare dietro al mago.

Salazar si stava addentrando nella foresta.

“Io non avevo dubbi”

“Io ne ho avuti, un po’, all’inizio”

“Sono molto stanco”

“Mi dispiace, questo tipo di magia attinge la forza dalle energie di chi è dentro il raggio. Ho cercato di fare in modo che non la prendesse dal tuo corpo ma evidentemente è stato necessario per la lunghezza del tragitto che abbiamo fatto”

“Mi sembra che tu stia bene” non era una domanda.

“Beh, sì, diciamo che mi tengo sempre allenata, ogni giorno. Ormai raramente mi ritrovo senza forze o senza energia. Sono diventata una specie di pozzo senza fondo, non so quanto mi possa far piacere” rise lei.

Sembri più umana.

Rebecca si adombrò e tossì. “Dove stiamo andando?” schivò un ramo che rischiò di colpirla in testa. “Possibile che passo più tempo in mezzo alla foresta che non tra la civiltà?”

Il mago rise. “Cosa pretendi di trovare qui? Praticamente viviamo in un’enorme foresta, è come se la vegetazione ricoprisse l’intero pianeta”

“Non esattamente: il terreno dove sorge la fortezza di Mortimer è deserto”

“Sì…” la guardò incerto. “Ma dopotutto là è impossibile che una creatura riesca a trovare un modo per poter vivere. Intorno a quelle lande desolate non c’è nient’altro che morte”

Ma non era alla morte che Rebecca pensava quando ricordava casa, semmai l’immenso potere e grandezza che si ergevano intorno ad essa.

Se ricordava casa.

Casa.

Non si era accorta neppure di aver pensato a quel luogo come ad una casa. Alla sua casa. Si portò una mano sul cuore, nella speranza di calmarne i battiti, di guarirlo dalle profonde ferite, di pulirlo dal veleno. Si rese conto con stupore che non batteva. In preda al panico premette più forte la mano contro il petto e bloccò i suoi passi. Salazar si voltò a guardarla.

“Che stai facendo?”

Rebecca si accorse che era tutta sudata in fronte, mentre cercava disperatamente di sentirsi i battiti. Tastava e continuava a spostare la mano. Alla fine lo sentì, un lieve e debole battito le batteva contro il petto nel punto in cui il palmo della sua mano premeva. Tirò un sospiro di sollievo.

Quando i suoi occhi incontrarono quegli allarmati di Salazar si sentì mancare il respiro.

“Come?”

“No, stavo dicendo, che stai facendo? Perché ti sei fermata? E perchè ti colpisci il cuore con la mano?”

Rebecca scoppiò in una risata ma sembrò più un urlo agonizzante. “Ah! Mi è successa una cosa incredibile! Pensavo di avere un insetto schifoso dentro la felpa” mostrò i denti in un sorriso troppo tirato.

Salazar indicò la sua fronte.

“Sei tutta sudata”

Con un gesto brusco la ragazza si asciugò la fronte imperlata di sudore. “Odio gli insetti. Ora continuiamo, abbiamo già perso troppo tempo”  

Continuarono per altri diversi minuti e poi Salazar le fece cenno di fermarsi. Sembrava tranquillo, a suo agio, come se quei posti lo confortassero, o anche solo lo facessero sentir bene. Si sedette accanto ad un grosso albero e appoggiò la schiena contro la dura corteccia. Rebecca osservò il paesaggio intorno, stizzita e un po’ infastidita, non ci trovava niente di confortante. Era solo una foresta, con degli alberi e un placido ruscello azzurro. La foresta che circondava la sua casa era decisamente molto più bella: con quella cascata e lo specchio d’acqua.

“Che stai facendo?” il tono che le uscì era acido, non lo fece apposta.

Imbarazzata, incrociò le braccia al petto e si diede un’aria austera.

“Mi riposo, sua altezza. Sono stanco, non ho più il fisico di una volta” le rispose, come se stesse parlando con una bambina.

Rebecca sbuffò a quel “sua maestà” e bofonchiando si sistemò vicino a Salazar, attenta comunque a mantenere le giuste distanze da lui. La inquietava, quell’uomo. E non capiva, inoltre, come facesse ad essere stanco se neppure aveva camminato. Cominciò a strappare con un po’ troppa foga le erbacce che le stavano attorno. Stava per strappare un fiore dal suo lungo gambo quando una mano la fermò.

La ragazza alzò lo sguardo e incontrò gli occhi quieti del mago.

Lui le sorrise dolcemente. “Non farlo, non strapparlo. Non ti ha fatto niente”

Con riluttanza Rebecca tornò al proprio posto, lanciando delle occhiatacce a Salazar che lui prontamente ignorò.

“Non ti capisco” esclamò ad un certo punto.

“Cioè?” domandò lui, con calma.

“Come puoi passare una vita così: da eremita? Come puoi stare a guardare le persone che ti fanno male senza reagire? Dopo tutta la cattiveria di questo mondo come fai a mantenere la calma? A far finta che tutto vada bene?” parlò serrando i denti. “Anche ora, qui, con me. Ti stai rendendo cieco, ecco”

Salazar non era stupito. Osservò con amore il bastone bianco stretto tra le sua mani. Era davvero molto vecchio, molto…vissuto. “Secondo te sono cieco?”

“Sto solo dicendo che non tutto è come sembra” gesticolò con le mani.

“Stai cercando di mettermi in guardia da qualcosa, ragazza?”

Il suo tono di voce le mise i brividi. Mantenne uno sguardo basso e indifferente. La magia stava già premendo contro i suoi tentativi di svelargli la verità. Una forza oscura le impediva di parlare, quando si trattava di quel segreto. E anche suo padre poneva resistenza, l’aveva sottovalutato. L’aveva sempre sottovalutato.

Come aveva fatto a sottovalutarlo?

Da quanto tempo aveva abbassato la guardia?

L’unica cosa positiva, in tutto questo, era che Mortimer aveva smesso da tempo di parlarle frequentemente. Di rado si intrufolava nella sua testa per esprimere i suoi commenti o le sue opinioni sprezzanti.

“Da tutto ciò che ci circonda. Dopotutto non è un caso se io sono qui e tu sei qui con come. Ci servi, servi al mio villaggio per capire cosa stanno tramando al castello”

“E cercherò con tutto me stesso di soddisfare le vostre aspettative”

“Già” mormorò.

“Non mi sembri entusiasta”

Dovrei esserlo?

Prima regola: evitare di dire la prima cosa che viene in mente.

“Non vedo perché dovrei esserlo. Ti porto al mio villaggio per consegnarti a Bastian, dopodichè io avrò portato a termine la mia missione. Io non centro niente in tutto questo” abbassò gli occhi troppo in fretta e lui se ne accorse.

Seconda regola: dire meglio le bugie.

Salazar scrollò le spalle. “Pensavo invece che ti interessasse sapere cosa sta accadendo”

Idiota, lo so già!

Terza regola: moderare il linguaggio.

“Bastian me lo dirà”

Il mago assunse un’espressione seria, reverenziale. “Non capisco se questo tuo disinteressamento alle sorti del mondo derivi proprio da un tuo freddo menefreghismo o dalla consapevolezza di sapere già cosa ci aspetta”

A quelle parole Rebecca scattò in piedi. “Come ti permetti? Mi stai accusando?”

“In realtà ho spiegato due possibili cause del tuo comportamento, se tu ora stai parlando di accusa vuol dire che la seconda osservazione era quella giusta” la sua voce era come sempre calma, pacata ma questa volta aveva anche un’incrinatura velenosa.

Rebecca rimase a bocca aperta, senza più parole. “Tu non sai niente. Non sai niente di me” sibilò, e strinse i pugni con tanta forza che sentì le unghie entrarle nella pelle.

Anche Salazar si mise in piedi. Nessuno rideva più. Mentre si preparavano a fronteggiarsi un pesante gelo si abbatté su di loro. L’intera foresta parve rabbrividire di freddo.

“Sin da quando sei arrivata a casa mia ho sospettato che c’era qualcosa di strano, di inquietante in te. Speravo che non fosse così” sembrava deluso, più che spaventato.

“E come sarebbe?”

“I tuoi continui cambiamenti d’umore mi hanno insospettito: il tuo viso dapprima felice si trasformava di punto in bianco in una faccia minacciosa, terrificante. E lo stesso vale per il tuo sorriso, il colore degli occhi, la voce”

“Osservazione molto arguta” ghignò.

“E poi quando ho visto la tua aurea, così simile a quella di tuo padre, non ho potuto non accorgermi quanto, una parte di te, chissà quale, assomigliasse a loro”

“Loro?”

“Le creature delle tenebre, e non parlo di quei mostri deformi, stupidi e brutti. Mi riferisco ad angeli neri, demoni che controllano gli elementi, vampiri, draghi antichi e altre bestie dotate di una spietata intelligenza. Non tutte le divinità sono buone, alcune scelgono il Male, pur restando degli dei. Tu sei come loro, sei bella e affascinante come loro”   

Rebecca tremò. Quando qualcuno la minacciava o la metteva in pericolo, la parte irrazionale, cattiva e latente di lei veniva fuori. E succedeva sempre così. Con prepotenza esplodeva, schiacciando la ragazza buona che c’era in lei.

“Se lo sapevi, perché non hai fatto niente per fermarmi? Perché non mi hai uccisa? Ti saresti risparmiato questo banale tentativo di farmi ragionare”

Salazar indietreggiò, sconvolto. Praticamente Rebecca aveva appena ammesso ciò che lui sospettava. Ora, poteva avere paura di lei.

“In realtà speravo di arrivare prima al tuo villaggio, per smascherarti” tanto valeva dire la verità fino alla fine.

E per fine, intendeva proprio la sua fine.

Rebecca sentì la rabbia montarle dentro, come una vampata di fuoco che le fece tremare i muscoli e incendiare il sangue nelle vene. Questo proprio non l’avrebbe permesso.

“Non te lo permetterò, loro non devono sapere”

“Loro potrebbero aiutarti” le disse il mago, con una tale compassione che, invece di calmarla, la fece imbestialire ancora di più.

“Ti sembro malata? Ho qualcosa che non va? Mi credi pazza? Ti sembra che io abbia bisogno del loro aiuto?” sbraitò, facendo scattare il corpo in avanti come se volesse attaccare. “Non ti sei chiesto che, forse, è questo ciò che voglio?”

“Vuoi davvero diventare come tuo padre? Vuoi davvero condurre una vita vuota, solitaria e infelice? Rinunceresti per sempre all’amore del tuo ragazzo, all’affetto della gente?” era incredulo, Salazar non capiva come lei potesse accettare un tale prezzo in cambio del potere.

Lei ringhiò. “Quello che voglio è un po’ di riconoscimento! Devono rispettarmi, non trattarmi come una bambina piccola”

“Ma dovrai dire addio a coloro che ami, ne saresti disposta?”

“Non ti sei chiesto che magari è questo il mio destino? Sono nata da due angeli purosangue e mio padre è il signore delle tenebre, in me scorre il suo sangue! Sono nata per essere come lui, era inevitabile, sono una macchina da guerra! Sono nata per questo, per fare questo!”

“Ma puoi sempre non seguire le orme di tuo padre!” esclamò con esasperazione il mago. “Non devi per forza seguire la via del Male!”

Rebecca ora appariva svuotata, gli occhi presero a luccicarle. “Non capisci? È l’unica strada che posso intraprendere” mormorò con voce rotta, senza speranza.

“No! Non è vero!” gridò Salazar, fece per avvicinarglisi con le braccia tese, pronto per abbracciarla, quando lei lo bloccò alzando le mani.

“Per favore…” piagnucolò. Era ritornata la solita ragazzina, bella e fragile. Salazar sentì il cuore spezzarsi dal dolore e dalla compassione. “T-Tu non capisci…è impossibile per me tornare indietro, posso solo accettarlo, andare avanti”

“Ti posso aiutare”

“Come?” si accigliò, un briciolo di speranza baluginò nei suoi occhi vitrei e cupi.

“Vieni con me, torniamo a Primo e vedrai che riuscirò a guarirti”  

Rebecca si nascose il volto tra le mani. “Nessuno può aiutarmi…”

“Qualcosa mi inventerò! Te lo prometto” le disse e allungò una mano verso di lei. “Prendi la mia mano e fammi contento, salverai te stessa e milioni di innocenti”

Per un attimo la ragazza osservò quelle mani, erano invitanti, le offrivano la libertà, la pace dell’anima. Ripensò a quello che aveva detto e la verità delle sue stesse parole la fece stare ancora più male. Una parte di lei voleva il potere, voleva essere forte come suo padre. Non sapeva più che fare. Poi, tutt’un tratto, l’immagine di un volto sereno le comparve nella mente.

Gabriel.

Staccò una mano dal suo viso e la mosse verso quella di Salazar.

Tutto successe improvvisamente, troppo velocemente perché lei potesse capirne il senso. La voce allarmata di suo padre urlò; vide la propria mano tirarsi indietro; il viso di Salazar impallidì; sentì la rabbia di poco prima tornarle in corpo più forte che mai; gli occhi cambiarono colore.

Non si rese neppure conto che la sua mano, a velocità disumana, era saettata attorno all’elsa della sua spada e che ora la stringeva con rinnovata ferocia. Nella foresta, una lama sferzò l’aria.



***



Uff, troppo difficile terminarlo... :)
sono sempre stata impegnata e la voglia o l'ispirazione non c'erano!!!

Ringrazio tutti quelli che mi seguono, cioè, veramente, grazie..

Non ho tempo (mi dispiace) per rispondere o dare dettagli del prossimo capitolo,
me ne vado lasciando la promessa di aggiornare il prima possibile!!

Buone vacanze a tutti, un bacio..

Il prossimo capitolo: "LA RIVOLTA DI ARES"











 





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