Semper Amemus.

di Longriffiths
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Nessuno è profeta nella propria patria. ***
Capitolo 2: *** Non posso vivere né con te, né senza di te. ***
Capitolo 3: *** Mi odino pure, purché mi temano. ***
Capitolo 4: *** Vivere è pensare. ***
Capitolo 5: *** Viviamo bene finché ci è concesso. ***
Capitolo 6: *** Ricorda che devi morire. ***



Capitolo 1
*** Nessuno è profeta nella propria patria. ***


La penombra della stanza era un perfetto equilibrio tra le loro abitudini e necessità.
Un leggero chiarore per Aziraphale, che aveva la strana mania, da quando anche l'altra parte del letto in cui dormiva era schiacciata da un peso, di svegliarsi durante il riposo. Lasciava le braccia di Morfeo per bearsi del volto assopito e rilassato del suo amato, e il flebile bagliore che dava il lampione sulla strada, lasciando due dita della tapparella sollevate, era perfetto per l'intento. 
D'altro canto, era abbastanza scuro da non disturbare il sonno di Crowley. Quella notte però, fu lui a destarsi. Una sagoma sul ciglio della porta li osservava, e il demone se ne accorse solo quando una voce a lui indigeribile parlò.
 
'Ciao Crowley'. Gabriele era in piedi, gli occhi ametista puntati su di lui. D'istinto Crowley si sporse verso Aziraphale, cercando di proteggerlo da eventuali miracoli e svegliarlo insieme.
'Oh, lui non si sveglierà. Così sciocco, il nostro Aziraphale. Facciamo due chiacchiere Crowley, da uomo a uomo mi pare si dica qui, vero?' 
Il demone lasciò la camera guidando il messaggero nel salotto, accomodandosi sul suo trono. Non fu difficile mascherare il fastidio che la presenza e lo sguardo di Gabriele gli infondevano, e mantenere un atteggiamento passivo, ed arrogante. A partire dal modo in cui si era seduto. 

'Mi spieghi che cosa è.. questo?'
'Un tavolo in mogano stile 1144'.
Il sarcasmo velato fece a botte con l'aria di sfida, nonostante il tono della divinità celeste fosse pacato. Sedeva poco distante, con evidente e forzata compostezza.

'Questa è una grossa, illecita falla nel Piano Divino. Va estinta. Tu sei un Demone. Ed io lo so, che tu ricordi che cosa vuol dire essere una creatura come Aziraphale. Stargli vicino non ti restituirà la sensazione, ma potrebbe estinguerla a lui. Lo so che sai quanto siano importanti candore, purezza, integrità per un angelo.' 
Il volto di Crowley, malgrado l'impegno impostosi, non poté che contrarsi in una smorfia iraconda, intuito il sentiero del discorso. Ciononostante, non fiatò. Per l'opposizione, fu un diligente invito a proseguire. 

'Abbiamo sorvolato la fraternizzazione..' 
'Sorvolato? Non siete riusciti a distruggerci, vorrai dire.' 
'Prima o poi lui dovrà tornare. Credi che lo riaccoglierebbero, se sapessero quel che ho visto? La tua vicinanza lo penalizza.'
'Non farei, e non gli farei fare niente che gli impedisse di ritornare.' 
'Abbi un po' di rispetto allora. Se tenessi davvero a lui, non ci staresti insieme. Fa' la cosa giusta, ora che sei di nuovo davanti alla possibilità di scegliere.'

Gabriele svanì in una trascendenza traslucida, e nel momento della scomparsa, il miracolo su Aziraphale sparì con lui. 
La stanza era come l'aveva lasciata, se non per un piccolo particolare.

'Tutto bene, caro? Mi sono svegliato e tu non c'eri.' 
'Già, ero a.. bere. Torna a dormire, angelo.' 
Senza aggiungere altro, il biondo si assopì sul petto del suo amante, il quale sonno gli era stato bruscamente sottratto, ed era ignoto il momento in cui gli sarebbe tornato.  
Un brivido lo orripilò. 

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Capitolo 2
*** Non posso vivere né con te, né senza di te. ***


Se esisteva un dubbio amletico che gli umani tendevano a porsi, quando posavano gli occhi sulle creature più pure che potessero abitare la loro Terra, i neonati, quello era: ma i bambini appena nati, sognano? E se sì, cosa? 

La risposta più comune, quella tramandata di bocca in bocca poi nel corso del tempo ed utilizzata come definitiva, era derivata proprio da un altro bambino, grande abbastanza solo da formulare frasi di senso compiuto.
Gli angeli; aveva detto, riportando le proprie memorie, che presto avrebbe perduto per diversi motivi. Per il distacco con la sua parte più pura nel corso della crescita, per una qualche macchia sulla camicia bianca dell'animo illibato.
Era vero. 

Una questione secondaria, superficiale, che per gli esseri umani poteva restare un'incognita, ammesso e non concesso che uno di loro si fosse mai soffermato su una domanda del genere, era se fosse un angelo, quello in grado di sognare qualcosa.
Gli angeli non avevano bisogno di dormire. Ma se l'avessero fatto, certo che avrebbero sognato.
Tutti.
Aziraphale forse più di tutti, e non perché non era lontana la possibilità che spendesse il giusto tempo in quell'attività. Ma solo poiché il mondo e le gioie terrene le aveva assaporate in prima persona in maniera diversa dagli altri, e nella sua visione onirica poteva sentire profumi, suoni, sapori, percezioni tattili, quasi.
Poteva creare ed immaginare qualsiasi cosa durante il sonno, alterandone l'essenza, la forma e la realtà.

La domanda che, nessuno aveva mai avuto bisogno di apporre al proprio interesse personale o alla propria sfera prioritaria, angeli compresi, era se un angelo, al contrario, potesse mai avere un incubo.

La risposta sarebbe stata scontata.
Nessun angelo aveva una visione così distorta negativamente delle sensazioni a lui e alla sua vita legate, troppo beati dalla pace del creatore, dalla luce celeste sotto cui erano protetti e spiritualmente appagati, per poter incombere in cose come la paura di una serie di immagini e situazioni astratte, inesistenti.

Anche Aziraphale ne era convinto, non avendo mai sperimentato quella peculiarità in seimila anni di esistenza sul pianeta terra.
Si rese conto di sbagliarsi enormemente, quando si addormentò nel letto di Crowley, pregno del suo profumo, ma privo della sua persona.
Aveva atteso ore seduto in mezzo al letto che la sua figura si palesasse, e che quello che aveva vissuto fosse stato annullato.
Si era assopito sperando di essere risvegliato proprio da lui, con un bacio, una carezza, con la promessa che non se ne sarebbe mai più andato, come aveva fatto quella notte, crudele, adirato, senza voltarsi.
Senza dirgli dove lo avrebbe trovato, se mai avesse voluto cercarlo.
Senza dirgli che lo amava.

Più respirava quel distintivo e ai suoi sensi meraviglioso odore, più la sua mente partoriva mostruosità che implicavano il suo innamorato, lasciarlo precipitare in un burrone dal contenuto ignoto, inghiottito dal buio, perso in una pozza di lacrime.
Le stesse lacrime che lo stavano affogando nel sonno.
Un sonno pieno di incubi, che un angelo non avrebbe mai dovuto fare.

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Sì, è il sequel della precedente.
Tanta, taaaaaanta meravigliosa bellissima Angst. 
Ultimamente ho sperimentato troppa dolcezza, dovevo rimediare in qualche modo, anche se mi fa malissimo!
Alla prossima!

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Capitolo 3
*** Mi odino pure, purché mi temano. ***


Le ginocchia bruciavano molto più dell'animo appestato, quando si ritrovava in quella posizione innaturale, ogni volta che il padrone reclamava i suoi servigi.
Anche le scie vermiglie del corpo che abitava scottavano sull'epidermide, quando calavano sulla pelle sfregiata dalle copiose cicatrici sanate per miracolo.

In quei momenti, preferiva tacere, perché se avesse aperto bocca avrebbe appellato il suo superiore col nome originario, e non con quello sceltosi dopo essere stato bandito dal Paradiso. Perché era così che voleva ricordarselo lei, come qualcuno che ancora considerasse in qualche modo la sua esistenza, qualcosa di fondamentale.

Non solo un mostro mangiatore di anime, al quale niente importava men che meno della sua persona. Preferiva pensare che l'avesse scelta perché era superiore a tutti gli altri, e perché dall'altro lato gli era stata così affine da essere considerata l'unica degna di fiducia, di riguardo, di stima. 

Ma era un dolore caldo, come le fiamme inestinguibili che avvolgevano l'esterno dell'edificio in cui erano costretti a operare, e l'entrata era gelata, in senso letterale, da un ghiaccio che mai si sarebbe sciolto.
Al contrario di ciò che chiunque potesse pensare, all'interno faceva freddo.

Lo stesso orrore che le deturpava la carne del viso apparentemente prossima alla decomposizione, era lo stesso che presentava il suo spirito. 
Da molti, troppi anni ormai. 
Ma quello, nessuno poteva vederlo.

Si era abituata al sapore del pus che le colava dentro la bocca dalle pustole infette suo segno distintivo, dal quale larve di mosca di cui lei era Signora fuoriuscivano dalle uova che le marcivano sottopelle, rendendo l'aria al suo passaggio pregna di lezzo nauseabondo, che si attaccava alle pareti dell'Inferno.

Era vietato leccarle quelle pareti, poiché gli insetti portatori di morte, sciagure e malattie nati dai suoi tessuti, seguivano quella scia attaccandosi alle mura, e chiunque ci avesse appoggiato la lingua, si sarebbe trovato invaso da essi esattamente come lo era lei. Ma delle loro pelli, se ne sarebbero cibati. 

Quella, era una delle punizioni preferite, che infliggeva a chi disobbediva a un ordine. Era uno dei privilegi dell'essere il braccio destro del capo.
Poteva fare qualsiasi cosa a chiunque volesse secondo il proprio criterio coscienziale e capriccioso, e nessuno avrebbe potuto obiettare.

Alcuni preferivano attraversare quei corridoi solo quando il passaggio era libero, e  non negli orari di punta dal lavoro, preferendo addirittura se necessario, non muoversi dai propri studi, per evitare di essere spintonato dalla massa di demoni o di anime condannate, e finire anche per sbaglio a contatto con quelle bestie.

Lei era una dei massimi esponenti sul quale ricadeva tutto l'odio più profondo dell'inferno. Al suo passaggio sguardi livorosi intrisi di veleno le consumavano le viscere. Lei era simbolo di peccato e ingiustizia per antonomasia.
Lei era il flagello peggiore del demonio in persona.

Nessuno l'avrebbe mai amata. Nessuno le avrebbe mai dedicato un solo pensiero benevolo, o quantomeno, orbo di negatività. 
Suscitava invidia e paura. Un pericolo ambulante, dietro quello sguardo pacato e indifferente. E sorrideva, talvolta. 

Lei, Lord Belzebù, la puttana del diavolo.

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OKAY, io la adoro e non è solo quello che appare dalla presentazione, ma era doveroso mostrarvela da quello che secondo me è il punto di vista degli abitanti degli inferi. Spero apprezziate, comunque.
Alla prossima!

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Capitolo 4
*** Vivere è pensare. ***




-’Anathema, vieni a giocare con noi!’-
Bambole da vestire, pettinare, truccare.
Non era nelle sue corde potersi permettere di perdere del tempo in quei giochini, forse molto stupidi. Dare voce a qualcosa di inanimato e fingere che possano amarsi tra loro. Lei aveva altro a cui pensare. Lei doveva dare oltre che voce, vita a delle profezie contorte, concetti nascosti da strani enigmi.
-’Non posso. Devo studiare!’-
Le amichette del parco della scuola, neanche ci provavano più a convincerla. E lei non le guardava, nascondendo la testa tra le pagine.
Quanto avrebbe voluto essere una bambina di cinque anni normale.


-’Anathema, hai visto la tv ieri sera?’-
L’undicenne corrucciò la fronte.
Il suo paese era meraviglioso, ma pieno zeppo di programmi spazzatura. Le sue coetanee non conoscevano neanche i nomi di tutti gli Stati, ma delle decine di attori abbronzati e finti come i reality in cui apparivano, sapevano tutto.
Si rifiutava già di bruciarsi il cervello davanti a uno schermo.
Era suo dovere, lo sapeva, conservare quell’organo. Un suo prezioso amico, grande fonte.
Le sarebbe servito averne cura, perché solo facendolo funzionare correttamente il mondo aveva una speranza di restare intatto in futuro.
-’Ho avuto delle cose da fare.’-

-’Anathema, usciamo?’-

La quindicenne forzò un sorriso, scuotendo le onde brune al ritmo del rifiuto. Era facile declinare le amiche abituate alle sue priorità ormai, ma quando si presentava un ragazzino, specie di cui era cotta, era complicato non desiderare di avere un’altra vita, di essere un’altra persona, nonostante avesse tutto. Una famiglia, una casa, una bella vita.
Vita che Agnes aveva deciso di farle sprecare su un libro.
Pianse abbracciandosi le ginocchia seduta in terra quella sera, e posò il suo mezzo di contatto visivo col mondo sull’eredità che aveva da coltivare. La lanciò via, e uscì dalla finestra.

-’Anathema, non andartene!’-
Certo non aveva avuto tempo né per sognare né per avere il principe azzurro, o qualcuno che l'amasse, sarebbero comunque tutti morti l’anno seguente, indolore nella migliore delle ipotesi.
Quindi era stato un vantaggio non avere quasi nessun essere umano a cui affezionarsi, oltre che i testi che adesso, a vent’anni, amava da impazzire. L’avevano resa intelligente, acculturata, arguta.
Lei aveva più risposte che domande, e l’idea di poter essere una specie di salvatrice le rendeva il travaglio più lieto.
La sua esistenza era racchiusa in quel libro, aveva uno scopo.
E adesso doveva andare a Tadfield.


-’Anie, se ti dicessi che voglio vivere con te, ci verresti?’-
Da tempo ormai si era resa conto che se il dovere era svolto bene, il piacere era molto più che appagante, e annullava tutti i sacrifici fatti.
Se si scampava alla morte certa, non esistevano doveri né regole, solo la possibilità di scegliere.
Basta profezie.
Basta desiderare le cose.
Basta dover cercare tra righe scritte secoli prima una risposta giusta.
Era il momento di lasciar parlare il cuore.
-’Sì.’-
Newton sorrise, perché sentiva di avere un posto nel mondo.
Anathema sorrise, perché era finalmente ora di godersi il suo.

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Capitolo 5
*** Viviamo bene finché ci è concesso. ***





-’Ma quindi Dio esiste?’-
-’Certo. Se esiste il male, esiste il bene. Azi è un angelo.’-

La sua risposta, diede vita ad un’altra domanda.
-’Chissà com’è essere un angelo.’-
-’E chissà com’è essere un demone.’-

Il bambino scrollò le spalle, posando i gomiti sulle ginocchia per ascoltare come un imparziale giudice i commenti dei suoi amici, e tenersi pronto a dare un verdetto o una sentenza finale, perché tra loro era quello che non riposava mai, e rassettava i puzzle che le loro menti componevano in modo sbagliato.
-’Com’è essere il figlio del diavolo, Adam?’-
Pepper non si limitava, come i loro due compagni.

Lei guardava oltre. Molto oltre, proprio come lui.
O almeno quanto la sua parte umana, se ne avesse davvero una, a quel punto, si chiese. Fatto stava che si poneva sempre le domande giuste, quelle che gli piacevano, quelle che sentiva di dovere analizzare, che i suoi amici avrebbero dovuto conoscere.

Le altre erano soltanto un contorno che poteva essere lasciato coperto e rispolverato solo quando i quesiti esistenziali sarebbero terminati. Anche se, per una mente brillante come la sua, gli scenari difficilmente vedevano una fine. Semmai, una possibilità gliene apriva altre tre, o più, e la sua attività preferita era renderle reali. Renderle al mondo come lui le vedeva attraverso quegli occhi azzurri, pieni di meraviglia, di voglia di vivere, di essere.

Tra tutti I Quelli, Pepper era in linea con lui in tutto e per tutto.
E poi era forte. Carismatica. Prepotente, e bella, più delle ragazzine della sua età, e tutte le lentiggini che le ricoprivano il volto erano apparse a dismisura nel corso del tempo perché era stato lui a volerle, da quando si era innamorato delle pochissime che aveva sul nasino e sugli zigomi, e non per merito del sole che le aveva baciato la pelle durante gli anni della loro amicizia. Le lentiggini di Pepper incorniciate dalla sua chioma riccia e rossa, gli faceva pensare alla galassia, alle sue stelle, alle sue nebulose colorate.
L’Anticristo aprì il barattolo che aveva portato con sé per la caccia alle lucciole, e lo allungò al cielo.
Inspirò l’aria.

Adam aprì gli occhi.
Sorrise.
Le fossette gli si formarono sulle guance fanciullesche, senza neanche una piega nella pelle. Chissà se sarebbe rimasto così per sempre, o se fosse invecchiato un giorno. Quel che importava e che la sua mente restasse giovane, e che avesse sempre qualcosa da dare, da pensare, da inventare, per vivere ogni giorno non come uno nuovo, ma come uno in meno di quelli che gli restavano.

Ed era importante che i suoi amici lo sapessero.
Sotto il suo comando mentale, che era unico al mondo, dal cielo qualche stella si raccolse girando su se stessa, fino a formare un vortice, poi un mulinello, per poi raggiungere la piccola forma di un uragano, la quale coda scese nell’atmosfera roteando fino a tuffarsi nel contenitore di vetro. Lo chiuse, e lo porse alla ragazza, che lo raccolse rapita.
-’Più o meno questo.’-

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Questa FF è un obbligo di Barby_Ettelenie_91 
https://efpfanfic.net/viewuser.php?uid=110786 dal gioco 'Obbligo, verità o salvataggio?' del gruppo facebook 'Il Giardino di EFP'. 
'Ti obbligo a scrivere una storia a tema Good Omens di genere Fluff'. Tesoro, spero di averti accontentata, lo sai che sono fuori dalla comfort-zone con tematiche belle xD
Grazie a voi tutti, che spendete almeno un minimo del vostro tempo per le mie storie.
A presto!

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Capitolo 6
*** Ricorda che devi morire. ***



 

Il cielo ed il mare racchiudono nel mezzo della loro abnorme distanza una sottilissima linea di differenza.
Il colore, è simile.
Varia dall’azzurro al blu al grigio, a seconda dei fenomeni temporali e atmosferici, e a seconda della luce solare che li abbraccia.
La loro vastità anche, che se non da parte di uno scienziato, è calcolabile più o meno fin laddove arriva l’occhio umano.

Il cielo ha in sé stelle, che rendono il manto cosmico tanto bello e singolare. Il mare ha in sé tante creature, grosse, piccole. Meravigliose, tutte. All’orizzonte, sembrano toccarsi.

Il cielo ha anche tante meteore, che sembrano quasi deturpare quel naturale disegno magico, e laddove si incontra con l’acqua del pianeta terra, esse si trasferiscono mutandosi.
Plastica.
Inquinamento sorride marcia.



Le nazioni sono state create in un’ubicazione geografica precisa, e fatte apposta perché restassero lì ferme sempre e comunque, così come avrebbero dovuto fare tutte le persone che le abitano.

C’è quale conserva in sé tesori della terra come l’oro. Chi i diamanti.
Chi il petrolio.
Cose che le altre non hanno.
Cose che l’egoismo desidera, pronto a tutto per ottenerle.

 

Gli esseri umani, che non hanno ben capito di essere ospiti del pianeta e non padroni, hanno ben pensato di mettere in atto quella che ad oggi e da sempre, si chiama globalizzazione.
Un colore di pelle diverso.
Una lingua diversa.
Abiti, culture, tradizioni, religioni diverse.

Una parola, uno sguardo, un gesto frainteso.
Il seme della presunzione, della supremazia. Le armi.
Guerra sorride distruttiva.



Il cibo non ha più lo stesso sapore. Colpa del terreno di coltivazione, colpa dell’acqua con cui vengono annacquati.

Meglio il cibo industriale. Quello fritto, quello che sa di qualcosa.
Il grasso aumenta, meglio il cibo sostitutivo.
Pasticche, polveri, sanno di tutto e non sono niente.

Il guadagno è un bel corpo, l’estate senza vergogna di mostrarsi, attenzioni della gente, acclamazione, un posto tra gli altri.
I fotografi ti notano, le copertine ti vogliono, diventi un esempio, ti imitano, ti invidiano.

La bellezza non è soggettiva, l’ideale è uno solo, e tutti lo possono, lo vogliono raggiungere.
Disposti a tutto.
L’aria è vitale, il cibo non ha valore. L’aria ti tiene vivo, il cibo uccide la notorietà.
Perfezione, magrezza, copertine, illusione sociale.
Carestia sorride famelico.


Animali, i loro corpi trovati sulle rive o sui fondali, riversati sulla schiena, le pinne ferrigne e inanimate, i loro stomaci pieni di bottiglie, tappi, buste della spesa, lattine, batuffoli di cotone.

Aria nera, irrespirabile, piena di botti e di urla, sembra come alla notte di Capodanno, ed è in un normale giorno alle dieci del mattino, in Siria, tra bambini che stramazzano, le bombe chimiche e la lotta per il dominio.

Vomitano.
Pesano quello che entra, pesano quello che esce. Esce troppo poco, vomitano. La pelle si stira, si attacca alle ossa, gli organi interni sono troppi, per così poco in cui essere contenuti.

Tutti sulla barca del cupo mietitore, tutti traghettati dall’altro lato, chi per una ragione, chi per un’altra.
Morte sorride tetro.


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E siamo alla conclusione di questo piccolo esperimento, a ognuno il suo spazio, tutti i personaggi a modo loro in questo fandom sono affascinanti.
Spero vi siano piaciute, vi ringrazio per il vostro tempo, anche solo se lo avete speso leggendo, e noi ci vediamo alla raccolta di OS in cui ogni tema è sviluppato con più profondità, o se volete, in tutte le altre storie che amo scrivere.

A presto!

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