Raccolta di One-shot sui personaggi di Omnia Mutantur

di MissOphelia
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** PARTE I ***
Capitolo 2: *** CAPITOLO 1 ***
Capitolo 3: *** CAPITOLO 2 ***
Capitolo 4: *** CAPITOLO 3 ***
Capitolo 5: *** CAPITOLO 4 ***
Capitolo 6: *** CAPITOLO 5 ***
Capitolo 7: *** CAPITOLO 6 ***
Capitolo 8: *** CAPITOLO 7 ***
Capitolo 9: *** CAPITOLO 8 ***
Capitolo 10: *** CAPITOLO 9 ***
Capitolo 11: *** CAPITOLO 10 ***
Capitolo 12: *** CAPITOLO 10.0 ***
Capitolo 13: *** ANGOLO AUTRICI ***



Capitolo 1
*** PARTE I ***




PARTE I
JACOB ED ADELINE

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Capitolo 2
*** CAPITOLO 1 ***


ADELINE

«Helen»
Adeline mormorò il nome della sua migliore amica, strofinandosi gli occhi e sollevando lentamente la testa dal cuscino. Cercò di mettere a fuoco l'ambiente circostante, costatando immediatamente che quella non fosse affatto la sua stanza. Volse lo sguardo verso il letto accanto al suo: era vuoto e sfatto. Fece mente locale, ricordando che il giorno precedente si fosse recata dalla Clark per trascorrere insieme le ultime settimane di Agosto prima dell'inizio del nuovo anno. Si alzò velocemente dal letto, dandosi una leggera sistemata ai capelli, dirigendosi poi verso il bagno. Dal piano terra provenivano degli schiamazzi; immaginò che fosse proprio Helen, forse con suo fratello.
"JACOB!"
I suoi occhi s'illuminarono al pensiero, mentre il suo cervello sembró non aver ancora concepito il fatto di trovarsi nella stessa casa con la sua secolare cotta. L'infatuazione per quel ragazzo era ormai nota a tutti, forse anche allo stesso soggetto in questione. Non forse, sicuramente. 
Purtroppo Adeline era così: genuina, cristallina. Non riusciva a nascondere i propri sentimenti, non poteva evitare che le guance divenissero rosse come due pomodori ogni volta lo incrociasse, o che lui le rivolgesse il saluto, oppure un semplice sorriso. Un semplice sorriso. Quando le labbra di lui si piegavano in quella smorfia era impossibile restare concentrata; sentiva gli ingranaggi del suo cervello bloccarsi, e qualche rotella slittare fuori posto; un giorno o l'altro il fumo le sarebbe uscito dalle orecchie, senza che fosse necessaria una Pozione Peperita mal preparata. Chiunque la osservasse dall'esterno avrebbe potuto giurare che Adeline fosse sotto l'effetto dell'Amortentia. 
La prima volta che si era resa conto di guardare Jacob Clark con occhi diversi era stata molto tempo prima: lei ed Helen dovevano aver avuto circa otto anni e solevano giocare insieme ai gemelli nel giardino di casa Weasley, mentre Jacob e Charlie erano soliti passare il loro tempo insieme, parlando, appassionatamente, delle nuove creature magiche che avevano occasione di studiare ad Hogwarts. 
Quel giorno i gemelli, come loro solito, avevano deciso di indire una gara, che consisteva nell'arrampicarsi sugli alberi quanto più velocemente possibile. Helen, Fred e George erano arrivati in cima, chi prima, chi dopo, mentre lei, dopo aver scalato alcuni centimetri, era caduta al suolo, slogandosi una caviglia. Aveva preso a piangere per il dolore, notando che una persona le si fosse avvicinata repentinamente: Jacob. 
Aveva cercato di asciugarsi le lacrime, per evitare di apparire debole, mentre lui le si faceva vicino.
«Ferma» le aveva detto, con un tono rassicurante, appoggiando la propria bacchetta a livello della caviglia stessa. «Ho imparato delle magie curative a scuola» aveva riso.
«Ti farà un po' male».
Ricordava ancora, a distanza di tanto tempo, il dolore che avesse provato; dolore che sembrava essersi alleviato alla vista di questo ragazzo, con i capelli castani un po' disordinati, che le sorrideva premurosamente.
«Sei stata proprio coraggiosa, potrebbero smistarti in Grifondoro» le aveva confessato, mentre le porgeva una mano per rimettersi in piedi. Adeline non avrebbe mai dimenticato la dolcezza e la prontezza con cui l'aveva soccorsa quel giorno.
Stava fissando, sorridendo come un'ebete, lo specchio posto proprio sopra il lavabo. 
Scosse la testa, cercando di tornare alla realtà, sciacquandosi il viso con il getto freddo.

Scese velocemente le scale che la condussero al piano terra. Sentiva le risate, di Helen e Jacob, colmare lo spazio circostante. Il suono della voce di lui le fece accelerare il battito, arrivando a sentire il cuore quasi fuori dal petto, sfuggito alla gabbia toracica. Prima di entrare in cucina, fece un grosso sospiro, cercando di calmarsi; non poteva fare la figura della ragazzina in preda agli sbalzi ormonali, era quasi una donna, ormai, una futura Auror. 
Entró e li vide intenti a gettarsi farina addosso, quella che, secondo Adeline, sarebbe dovuta servire a preparare i pancake. Ridevano animatamente, quasi non si accorsero della sua presenza, fino a quando lei non urló un: «BUONGIORNO» , sovrastando i loro schiamazzi. 
«Buongiorno Dell, hai dormito bene?» domandó Helen, andandole incontro. Annuí, sorridendo all'amica tutta sporca di farina, cercando di mantenerla a distanza, quando lei si appropinquó, provando ad abbracciarla. I suoi occhi si posarono poi sul primogenito Clark, intento a ripulirsi, passandosi una mano sulla maglia e sui pantaloncini. 
Lui non incrociò lo sguardo della mora; Adeline avrebbe osato dire che fosse imbarazzato. Improvvisamente la guardó, incurvando leggermente le labbra. Sentí il cuore nuovamente sfuggirle dal petto.
«Non dirlo a papá ok? Ci aiuterai a scampare ad un Avada Kedavra, Dell?» le chiese Jacob, ridendo.
Adeline sentì un fuoco ardere a livello delle sue guance.
«C-certo, saró una tomba!»
Lui le strizzó un occhio e a lei Adeline per poco non venne un mancamento. Quanto avrebbe voluto svegliarsi il giorno dopo senza quei sentimenti.

Nonostante quel giorno fosse stato particolarmente stancante, Adeline non riusciva a chiudere occhio. Aveva lo sguardo fisso al soffitto della camera di Helen, passando in rassegna tutti i bei momenti trascorsi con i suoi migliori amici durante quella stessa giornata. Si erano recati a Diagon Alley per acquistare nuovi gadget in vista della finale di Coppa del Mondo di Quidditch, che si sarebbe tenuta di lí a poco. 
Faceva davvero caldo quella notte, le lenzuola sembravano appiccicose, oltretutto sentendo la gola secca, necessitó di un bicchiere d'acqua fresca. 
Scese cautamente dal letto, aprendo la porta lentamente, cercando di non far rumore per non svegliare Helen, nonostante sapesse che neanche un'esplosione l'avrebbe destata dal sonno. Passó davanti alla porta della stanza di Jacob e si fermó a fissarla per qualche secondo, poi si avvicinó in punta di piedi. Appoggió un orecchio sulla stessa, cercando di captare un qualsiasi suono che provenisse dall'interno. Nulla. Sembrava fosse vuota. Si allontanó, iniziando a scendere le scale, fino al soggiorno, accostandosi al tavolo, dove il signor Clark era solito lasciare una bottiglia d'acqua. 
Bevve un bicchiere, poi, proprio mentre ne stava portando un altro alla bocca, vide una figura sollevarsi dal divano. 
Trattenne il respiro, impaurita. Era buio nella stanza; ad illuminarla solo la fievole luce della luna che si ergeva, piena, nel cielo privo di nuvole. Avrebbe voluto brandire la bacchetta, ma ricordò di non averla con sè. Il cuore iniziò a battere incessantemente e non sembrò essere incline a rallentare, neanche quando il soggetto si fu avvicinato, rivelando la propria identità.
«Jacob...» sussurró con voce rotta dalla paura, portando una mano al petto.
«Scusami Adeline -  sorrise - Ti ho spaventata? Perdonami, non volevo, solo che non riesco a dormire» riveló lui, improvvisamente, versandosi un bicchiere d'acqua a sua volta.
Adeline non riuscì a proferire parola, soprattutto rendendosi conto che il ragazzo fosse a petto nudo. Aveva distolto lo sguardo dalle linee dei suoi perfetti muscoli da domatore di draghi, sentendo l'imbarazzo non azzardarsi a diminuire. Era sicura che le guance le fossero divenute, ancora una volta, dello stesso colore dei capelli dei Weasley. 
«Anche io» ribattè lei. «Anche io non riesco a dormire» puntualizzó.
Stava sudando, e il motivo non era l'afa asfissiante di quella notte d'Agosto.
«Sono sceso di sotto per cambiare aria, poi ho provato a guardare le stelle dalla finestra» inizió il ragazzo, sorseggiando altra acqua poco dopo. «I babbani dicono che questa sia la notte delle stelle cadenti, ma io non ho visto nulla» ammise, un po' deluso.
«Forse non hai osservato attentamente» azzardó Adeline, incrociando lo sguardo di lui. Ne riusciva a riconoscere i contorni del viso, nonostante fosse completamente scuro, per le tante volte in cui era rimasta a fissarlo.
I suoi occhi brillavano nel buio, e lui parve sorridere. 
«T-ti va una partita a scacchi?» 
Non seppe come le fosse venuta in mente un'idea così poco originale, ma le serviva un modo per interrompere quel silenzio.
«A quest'ora?» chiese lui, divertito.
«Dicono che giocare a scacchi, di notte, stimoli la mente» rispose lei, fingendosi sicura di cosa stesse dicendo. In realtà non lo era affatto.
«E chi lo dice?» domandó il ragazzo, stuzzicandola.
«Helen» mentí lei.
«Ah si certo, immagino allora» rise Jacob, forse troppo forte.
«E anche la professoressa McGrannit» aggiunse lei, controbattendo poi: «H-Helen mi ha detto di averti battuto nove volte, un giorno...Temi la sconfitta?»
«Che sorella ingrata a rivelare queste cose» si lamentó lui con una certa ilarità. «Bene, giochiamo allora! Ma questa volta, mia cara Dell, saró davvero spietato».
Adeline rivolse nuovamente lo sguardo al ragazzo, stupita e contemporaneamente divertita. Non si aspettava avrebbe accettato per davvero.

 

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Capitolo 3
*** CAPITOLO 2 ***


JACOB

Fino a quell'istante si era trattato della giornata perfetta: una meravigliosa partita di quidditch, tifoseria da urlo, tutte le persone a lui care, la voce di sua sorella che allietava quella serata tranquilla, all'insegna della spensieratezza; poi un attimo dopo tutto era cambiato. La vasta area si era come immersa in un assordante silenzio, per poi piombare in grida di terrore.
Prontamente Jacob volse lo sguardo a sua sorella e ad Adeline, che erano sbucate dalla loro tenda.
Avrebbe voluto soffermarsi solo un momento in più sugli occhi color nocciola di Adeline, che si erano accesi a causa all'incedere delle fiamme lontane da loro, ma ancora per poco. Avrebbe voluto godere, non seppe neanche lui perché, di quello spettacolo così bello, su di un volto intriso di incertezza e rabbia.
Adeline aveva da sempre voluto essere un Auror, e questo Jacob lo sapeva bene, difatti era sicuro fosse combattuta, perché per quanto coraggio avesse lei, si trattava di una situazione incredibilmente surreale.
I volti mascherati guadagnavano terreno, poi subentrò l'istinto e tutto avvenne repentinamente, tra le grida di suo padre e le persone che si lanciavano nella calca con le bacchette in posizione: agganciò le mani delle due ragazze, e le trascinó via, verso la foresta, che sembró il luogo più sicuro. Notó come le dita di Adeline fossero gelide, rispetto a quelle di sua sorella.
Jacob correva al massimo della velocità, cercando di tenersi dietro ai gemelli, avvantaggiati dall'altezza.
Era abituato a sostenere gli sforzi fisici, stare accanto ai draghi richiedeva una certa tempra fisica e morale. L'aria gli sferzava il viso, lanciandogli i capelli indietro, mentre cercava di fare forza sulle mani delle due ragazze.
Si rese conto di starle spingendo oltre il limite solo quando sentì Adeline sfuggire dalla sua presa e cadere a terra brutalmente, urtando il pavimento erboso. Un urlo di dolore abbandonò le sue labbra, fendendo l'aria e provocandogli un tonfo al petto. Non avrebbe mai voluto urtarla.
Intimó ad Helen di correre via, di mettersi in salvo verso la foresta, poi si fece vicino alla mora, che cercava di tirarsi su.
«Dell scusami, io non volevo...» cercó di giustificarsi, mentre lei scuoteva una mano, facendogli cenno di non darsi pensieri. La vide mordersi le labbra, cercando di trattenere i lamenti.
Alle loro spalle la guerriglia incedeva, non potevano restare lì.
«Su, dobbiamo andare!» fece lui, con lo sguardo rivolto a quel panorama di distruzione
«Jacob io non riesco...Ti prego vai con tua sorella, qualcuno mi troverá»
«Sei impazzita per caso?» ribattè. 
Poi senza darle tempo di dire altro, la afferró per le braccia, nel tentativo di sollevarla. Un altro lamento di lei gli laceró le interiora; non riusciva a vederla stare male. Perché gli faceva questo effetto? C'era qualcosa in quella sua espressione che gli faceva avvertire un vuoto allo stomaco: le labbra rosse per la stretta dei denti, gli occhi umidi, che lo pregavano di non ferirla ulteriormente.
Cercó rapidamente di capire da dose venisse il dolore di lei, tastandole la gamba destra, che si era brutalmente piegata nella caduta. Aveva la caviglia incredibilmente gonfia, e fu certo che fosse questo a causarle un lancinante fastidio. Non voleva tentare un incantesimo in quelle condizioni, senza avere il totale controllo, rischiava di peggiorare le condizioni, ma doveva fare qualcosa comunque, e presto.
«Adeline, ti fidi di me?» le chiese d'un tratto; quelle parole gli riempirono la bocca repentinamente.
Posó gli occhi in quelli di lei, come non era mai accaduto. O forse come era successo troppo tempo prima, proprio nella stessa situazione.
Jacob ricordó di un evento enormemente simile a quello: Adeline aveva otto anni ed era caduta da un albero facendosi male ad una caviglia.
"Deve avere delle caviglie davvero fragili" cercó di sdrammatizzare la sua mente.
Ad ogni modo lui, molto più piccolo a sua volta, le aveva offerto aiuto, trovando una sicurezza negli occhi di lei, un bagliore che non aveva mai visto in nessuno.
Ora la guardava allo stesso modo, e sembrava che quegli occhi avessero conservato la luce, che brillava viva, più di quanto non facessero le fiamme dietro di loro. Era quello di cui tutti parlavano? La fiamma ardente nel buio, nella perdizione?
Le passò il pollice sugli occhi umidi, con un fare delicato, che neanche lui si sarebbe atteso da sé stesso, forse con la paura di spegnere quello sguardo, come si fa con lo stoppino delle candele.
Le adagió una mano sulla guancia, carezzandola dolcemente.
«Adeline» sussurró dolcemente, come a riscoprire daccapo quel nome.
«Mi fido di te» rispose poi lei, colpendolo in pieno petto. 
Sembró che il mondo intorno non attendesse altro che quello che stesse per accadere. Adeline gli avvolse una mano tra i capelli, era un tocco così delicato. Poi le loro labbra si incontrarono a metà strada, unendosi in un bacio, totalmente fuori posto in quel contesto. Ma ora i loro cuori non si facevano più guerra, le loro labbra erano un accordo di pace, un armistizio.
Fu un bacio breve quanto bello. 
Quando avrebbe voluto abbandonarsi su quel letto erboso, scoprendo una parte dei suoi sentimenti rimasta a lungo celata. Adeline non era più la bambina di otto anni, ora era forte, aveva coraggio.
Era come se una barriera si fosse infranta da qualche tempo, come se un velo gli fosse calato giù da viso, rivelandogli la bellissima donna che aveva da sempre avuto avanti.
«Adesso, dobbiamo andare» proferì lui, con la fronte ancora poggiata a quella di lei.
La ragazza non protestó, ma si abbandonó tra le braccia di Jacob, lasciando che la sollevasse e la portasse in salvo, lontano da lì.
Pensó ad Helen, sperando si fosse ricongiunta con gli altri, non avrebbe mai permesso le accadesse qualcosa, come giá era successo a sua madre; sebbene non ne parlasse molto, si trattava di una ferita aperta.
Sostenendo il peso di Adeline, corse il più veloce possibile, mentre la ragazza gli stringeva le braccia al collo, quasi come un naufrago che si aggrappa alla terra, essendo sfuggito dalle onde. Correva per ritrovare gli altri, per portare lei al sicuro.
Quando ebbe varcato il limitare della finestra si sentì al sicuro, ricongiungendosi a tutti gli altri, e spiegando cosa fosse successo ad Adeline.
Era il momento di aiutarla concretamente.
La adagió a terra, cercando di non infierirle altro patimento, poi sfoderó la bacchetta, avvertendola del dolore, consapevole del fatto che lei conoscesse già quella brutta sensazione.
Per un tratto sentì di avere molti anni in meno, e non vide altro che una bambina di otto anni, con gli occhi lacrimosi e un coraggio da vendere. Aveva ignorato tutto quel tempo i battiti accelerati.
Subito dopo, con un colpo secco del polso, pronunciando l'incantesimo, riuscì ad alleviare il torpore alla caviglia, non distogliendo lo sguardo dalla mora, che stringeva le labbra con forza per trattenersi dall'urlare. Helen lo ringrazió di cuore per l'aiuto prestato alla sua migliore amica.
Al buio degli alberi, Jacob e Adeline si scambiarono uno sguardo, ancora troppo increduli per ció che fosse accaduto.

 

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Capitolo 4
*** CAPITOLO 3 ***


ADELINE

Era il giorno della prima prova del Torneo TreMaghi ed Adeline stava cercando, in ogni modo possibile, di sistemarsi i capelli; erano corti e lisci, tuttavia ne ritrovava sempre qualcuno fuori posto che la costringeva a stare ore dinanzi allo specchio nel vano tentativo di sistemarli, spazzolandoli insistentemente, affinché sembrassero quantomeno decenti.
Raggiunse i gemelli, intenti nelle loro scommesse, ed Helen, sugli spalti, mentre il primo dei concorrenti si fece spazio nell'arena.
La prova consisteva nel sottrarre un uovo ad un drago e, tutti e quattro i concorrenti, compreso il più giovane Harry, riuscirono nell'impresa. 
La sorpresa, tuttavia, non fu tanto la vista di quelle maestose creature magiche, più che altro, quella di Jacob. Adeline ricordava l'ultima volta che lo aveva visto, dopo la Finale di Coppa del Mondo di Quidditch, quando i mangiamorte avevano fatto irruzione nel campeggio, seminando il panico; quando lei si era slogata la caviglia e lui l'aveva soccorsa; quando lui l'aveva baciata. Sentí lo stomaco in subbuglio e una scarica di adrenalina salirle lungo la colonna vertebrale. 
Lui l'aveva baciata. Lui. Jacob Clark. Il ragazzo, forse l'unico, per cui aveva avuto occhi da sempre, credendo e, spesso, convincendosi di quanto questi potesse essere irraggiungibile per una come lei. Insomma, Adeline era una semplice strega con dei capelli castani e corti, degli vispi occhi nocciola, che si imbambolavano a fissare il fratello della sua migliore amica e un carattere, che per quanto temprato fosse, non le aveva mai permesso di esporsi più di tanto con Jacob, sicura del fatto che un dragonologista di tutto punto come lui, non si sarebbe mai interessato a lei.
E invece...
Decise di smetterla con le paranoie, di prendere la situazione in mano, come Helen aveva fatto con Charlie. L'amica era riuscita a mettersi a nudo, ad esprimere i propri sentimenti nei confronti del Weasley ed Adeline l'ammirava, perchè avrebbe voluto fare lo stesso; forse avrebbe dovuto, una volta e per tutte. Desiderava liberarsi da quel peso che le gravava sul petto e avrebbe trovato il modo di farlo. Si erano scambiati alcune lettere in quel periodo e lei ne era stata più che felice, ma stentava ancora a credere che quello non fosse un sogno ad occhi aperti.
Lo aveva visto di sfuggita proprio mentre risaliva la via per il castello, insieme al resto degli studenti. 
Si era scusata con i suoi migliori amici, precipitandosi nuovamente verso l'arena. 
Aveva corso con il cuore in gola. Era lui, non poteva esserne più certa, avrebbe riconosciuto quella capigliatura ovunque, anche in mezzo ad un milione di persone, anche solo per una frazione di secondo. Arrivò affannata alla grande tenda posizionata proprio accanto alle gradinate, scostando un drappo con un veloce gesto della mano e escalmando il nome del ragazzo, non riuscendo a credere ai propri occhi. Gli aveva chiesto il perché fosse lí, confessandogli quanto fosse contenta di vederlo. Sul viso di Jacob prese forma un ampio sorriso, che trasmetteva una tenerezza mista ad una gioia che ad Adeline fece saltare il cuore dal petto. Rimase a guardarlo e lui le sfiorò la guancia con il pollice. Era cosí bello, sembrava un principe, forse proprio il suo. Aveva gli occhi che le brillavano, e si chiusero, godendosi quel contatto tanto delicato della pelle di lui sopra la sua. Dopodiché lo aveva convinto a seguirla al castello, cosí da poter salutare anche la sorella: era sicura che Helen ne sarebbe stata più che contenta.
Gli strinse la mano trascinandolo su per la collina, ridendo ad ogni tentantivo del ragazzo di opporsi.
«Hai vergogna di farti vedere con me, Mister Dragonologista?» rise lei, continuando a camminare.
«No, certo che no!» ribattè immediatamente lui. «Sarei venuto comunque a salutarti tra poco, ma mi hai preceduto» ammise subito. 
Adeline si fermò improvvisamente, piantando gli occhi nei suoi, per accertarsi non stesse scherzando.
«Davvero?» chiese incredula. Non poteva credere alle proprie orecchie; lui aveva pensato davvero a lei, ad Adeline Parker.
Rimasero in quella posizione per qualche secondo, poi Jacob le afferró il volto, baciandola. La mora sgranó gli occhi, non aspettandoselo.
Poi li chiuse, godendosi quel bacio, rispondendo e assaporando le labbra di Jacob. Quando si staccó dalla bocca del moro, rimase un momento appoggiata alla fronte di lui, sorrise e iniziò a dargli più e più baci consecutivi, pervasa dalla gioia, facendo ridere lo stesso ragazzo.
«Sei contenta, Signorina Prefetto?» chiese lui, divertito, stringendola a sè.
«Si, non sai quanto» rispose Adeline, appoggiando la propria testa all'altezza del petto di lui. Riusciva a sentirne i battiti, regolari, che riecheggiavano all'interno della gabbia toracica. Dopo poco ricominciarono a passeggiare fino a quando non ebbero incontrato Helen la quale, appena vide il fratello, gli si gettó tra le braccia, felice come non mai; entusiasmo che, tuttavia, duró ben poco, perchè la bionda, venuta a conoscenza della presenza di Charlie, s'incupí, chiedendo subito al fratello dove quest'ultimo fosse, dirigendosi, poco dopo, con ampie falcate verso la casa del mezzogigante.
Adeline e Jacob si scambiarono sguardi complici, inclinando leggermente le labbra.
«Forse non dovevi dirlo» rise Adeline, rivolgendosi al ragazzo, a cui era appoggiata, stringendogli il braccio.
«Era furiosa, vero?» chiese lui retoricamente.
«Decisamente» rispose Adeline. «Mi fa paura quando è cosí» ammise, ricordando quelle poche volte in cui la migliore amica si fosse arrabbiata con i gemelli o con chiunque altro, come ad esempio la Raylee.
«Povero amico mio, non mi stupirei di vederlo carbonizzato al mio ritorno» costató Jacob, enfatizzando particolarmente, per poi rivolgere nuovamente lo sguardo verso di lei, scoccandole un altro tenero ed inaspettato bacio.

Helen sembrava essersi dileguata nel vuoto, erano trascorsi minuti e non tornava; forse la cosa doveva essere più seria di quel che sembrasse o, semplicemente, si era trattenuta in compagnia di Charlie. In tal caso, Adeline avrebbe voluto fare lo stesso.
«Da quanto manchi ad Hogwarts?» chiese a Jacob, il quale la guardó, alzando leggermente un sopracciglio.
Lui si portó una mano sotto il mento, alzando gli occhi al cielo, riflettendo.
«Un bel po' a dire il vero» ammise poi, facendo spallucce.
«Bene» gli afferró la mano. «Vieni con me», lo indusse a seguirla all'interno del castello, dove alcuni studenti passeggiavano tra i corridoi, altri chiacchierando, altri ancora immersi tra i tomi e accostati ad alcune pareti; sembravano rivolgere loro sguardi indiscreti e attenti.
Ad Adeline non importava, anzi le si riempiva il petto d'orgoglio e fierezza, quando camminava affiancata da Jacob. Notó alcune ragazze, probabilmente Serpeverde, dato i colori delle loro divise, che ammiccavano in direzione di Jacob. Adeline fece una smorfia, tirandogli il braccio, strattonandolo quasi, in modo che si avvicinasse ancora di più a lei.
«Hey hey Ungaro Spinato, calma» rise lui, mentre lei rispose storcendo il naso. «Piuttosto, dove stiamo andando?» 
«A farti fare un giro in zone del castello a te sconosciute» rispose lei, regalandogli uno dei suoi sguardi carichi di gioia.
«Io conosco ogni angolo di questo castello, cara» si pavoneggió lui, gonfiando il petto.
«Non la zona dedicata ai Prefetti, peró» ribattè lei, inducendolo a seguirlo fino al quinto piano.

 

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Capitolo 5
*** CAPITOLO 4 ***


JACOB

Jacob era disteso sul letto della camera che condivideva con Charlie in Romania. Aveva entrambe le braccia dietro la nuca e guardava il soffitto con occhi spalancati. L'amico dormiva profondamente; aveva un'espressione alquanto rilassata, serena e le labbra leggermente incurvate, doveva star sognando qualcosa di bello, forse Helen. Jacob sperava che non la facesse soffrire, non gliel'avrebbe mai perdonato; sua sorella era l'altra parte di lui, quella che riteneva essere la migliore, quella più pura, più bella, e se qualcuno le avesse fatto del male, lui non avrebbe risposto delle proprie azioni. In quel periodo della propria vita stava scoprendo una nuova sfumatura di amore, che non aveva mai provato prima di allora. Non era l'affetto fraterno, quello che provi per la tua famiglia, che da sempre aveva caratterizzato il primogenito dei Clark; perdere la madre era stata la cosa che più lo aveva segnato, ma anche ció che lo aveva legato maggiormente a suo padre e sua sorella. Li voleva, anzi doveva, proteggere, era il suo compito. 
Tuttavia, non si trattava neanche della passione per le creature magiche, per i draghi, che lo aveva riempito per tutti quegli anni, inducendolo a convincersi del fatto che fosse l'unica cosa in grado di farlo stare bene. Più volte Jacob Clark aveva puntualizzato di sentirsi completo anche da solo, ritenendo quasi insensati quei discorsi, intrapresi spesso da Helen e il padre, sui "pezzi mancanti" di ognuno di loro. 
«Bisogna bastarsi da soli» aveva più volte ribadito, e ci aveva creduto, davvero. 
Eppure...
Eppure cos'era quella piccola crepa che sentiva farsi strada a livello del petto? Che ogni giorno si allargava sempre di più, pian piano, a poco a poco? 
Eppure cos'era quel senso di pienezza che lo aveva invaso quando, per la prima volta, aveva davvero guardato l'anima di quella ragazza, di Adeline? Cos'era ció che lo aveva spinto a baciarla, che lo spingeva a cercarla, a pensarla, anche in quel momento?
Adeline.
Chiuse gli occhi, provando a sentire il suo profumo; era sicuro facesse parte di lui ora, della sua pelle.
Come poteva non essere così, infondo.
Riportó alla mente i momenti trascorsi insieme ad Hogwarts, passandone in rassegna uno ad uno: il Ballo del Ceppo, evento tenutosi qualche giorno prima, in cui avevano ballato avvinghiati l'un l'altro, volteggiando tra gli altri, tra baci e sorrisi, tra gli sguardi investigatori di chi era intorno, tra pettegolezzi vari, ignari di tutto: c'erano solo loro due. Non aveva mai pensato ad Adeline in quel modo, eppure sapeva che in cuor suo ci fosse qualcosa, un sentimento che aspettava a nascere, a sbocciare; forse attendeva solo il momento giusto, la stagione più adeguata, come un fiore che vien fuori dal terreno arido, aiutato e curato dalle mani di chi lo ha sempre amato e ci tiene a vederlo fiorire, ad accudirlo premurosamente. Adeline non si era tirata indietro, aveva pazientato, in silenzio, per molto tempo, Jacob questo lo sapeva ed un po' se ne dispiaceva. Dava la colpa alla cecità dei proprio sentimenti. Era contento ora, che sembrava essere invaso da emozioni tanto nuove quanto intense.
Riaprì gli occhi, dirigendo nuovamente lo sguardo al soffitto.
Ricordó di quel giorno in cui ogni sentimento gli sembró così amplificato da sentire per la prima volta il cuore traboccare di qualcosa che pareva a lui surreale, mistico, afrodisiaco.
Lei lo stava conducendo tra i corridoi di Hogwarts, poco dopo la prima prova del Torneo Tre Maghi; non avrebbe mai dimenticato quei momenti, nessuna parola, nessun gesto, nessun bacio.

«Hai visto quanto è bello questo corridoio?» gli chiese la ragazza, sorridendo.
«A me sembra uguale agli altri» ammise lui, guardandosi attorno. Effettivamente il corridoi del quinto piano non aveva nulla di particolare, era costernato da ampie finestre gotiche che lasciavano entrare spiragli di luce e che affacciavano sul Cortile Lastricato. Da questi era possibile accedere alla Torre dell'Orologio e a quella dell'ospedale, in cui spesso Jacob si era ritrovato dopo uno dei tanti infortuni dovuti al Quidditch. 
«Qui ci venivamo io e Charlie i primi anni» disse, fermandosi dinanzi ad una piccola porta di legno, su cui era affisso un cartello recante la scritta 'Aula 5B' .
«C'era il club dei collezionisti di figurine delle Cioccorane» spiegó, incurvando le labbra malinconico. Gli mancavano i tempi di Hogwarts, soprattutto il primo periodo, quello in cui ci si approccia ad una nuova realtà.
«Cosa?» esordí Adeline. «Collezionavate figurine?» chiese, mentre si portava una mano davanti alla bocca, mascherando una risata.
«Cosa ridi? Tutti i maghi della nostra età le avevano!» alzó un sopracciglio, divertito «Io e Charlie ne possedevamo più di cinquecento» concluse fiero, incrociando le braccia al petto.
Adeline lo spinse leggermente, ridendo ancora una volta e proseguendo poi in direzione della Statua di Boris il Basito.
Una volta giunti, lei ci si fermó accanto, guardando poi Jacob.
«L'hai mai visto? È bellissimo, uno dei tanti vantaggi di essere un prefetto» Adeline gli stava praticamente chiedendo se fosse mai entrato nel famoso Bagno dei Prefetti. La cosa lo imbarazzó abbastanza, nonostante fosse realmente curioso di sapere come fosse; Charlie gliene aveva parlato, perché aveva potuto accedervi nel periodo in cui aveva rivestito la carica di Prefetto e Caposquadra, unici studenti che ne potevano usufruire.
Gli aveva spesso descritto l'enorme vasca, contornata da una miriade di rubinetti; le mura in marmo bianco e le finestre decorate, che illuminavano l'ambiente di una luce colarata.
Scosse semplicemente la testa, nonostante avesse spesso immaginato quel posto, non vi era, tuttavia, mai entrato.
«Frescopino», la sentí pronunciare quella che doveva essere una sorta di parola d'ordine, che permise loro, poco dopo, di accedere al famoso Bagno dei Prefetti. Jacob restò per un attimo a bocca aperta: era davvero maestoso, quasi come lo aveva da sempre immaginato, forse qualcosa di più, ma, sicuramente, non qualcosa di meno.
«Ti va un bagno?» chiese improvvisamente lei, continuando a guardare dritto davanti a se'. Jacob si voltó di scatto, scrutando la ragazza che, nel frattempo si era chinata sul bordo della vasca, vicino ad alcuni rubinetti scintillanti. Credeva di non aver sentito o, comunque, compreso correttamente la domanda che gli era appena stata posta. Stette qualche secondo in attesa di una qualche reazione, come una risata o una battuta, che avrebbero, in ogni caso, smentito la proposta di lei. Ma non arrivò nulla. Adeline sembrava avere le guance leggermente arrossate e Jacob era rimasto immobile, pietrificato, con gli occhi fissi su di lei.
«Un bagno?» ripetè lui, perplesso, come a rimarcare l'improbabilità di quell'idea.
«Si» rispose lei, sfacciatamente, azionando alcune di quelle fontane, dalle quali usciva acqua mista a una miriade di bagnoschiuma diversi, che colorava i getti di delicati colori.
Gli occhi di Adeline si posarono nei suoi. Si guardarono per un lasso di tempo che Jacob non riuscí ad quantizzare, poi scattò nella direzione di lei e iniziò a baciarla, non la vide indietreggiare, anzi, rispose vigorasamente, sfilando la maglietta del ragazzo poco dopo.
Premette le sue mani sul petto del dragonologista, tracciando una linea invisibile con le dita. Continuarono ad intrecciare le loro lingue, mentre Jacob sentiva il calore divampargli dentro, un formicolio lungo la schiena, scosse imperversavano sotto la pelle. Le cinse la vita, attirandola a sè, mentre con un movimento veloce le tolse il maglioncino dei classici colori grifondoro. Accarezzò la schiena di lei delicatamente, facendola rabbrividire al tocco. La vasca era quasi del tutto rimpita, piena di bolle e schiuma che sovrastavano l'intero ambiente. Improvvisamente Adeline lo spinse in acqua senza che lui se ne rendesse davvero conto, ridendo.
«Ma sei pazza?» esordí Jacob, colto alla sprovvista, passandosi una mano tra i capelli bagnati. Aveva ancora i pantaloni, per cui decise di sfilarli, lascandoli poi sul bordo della vasca. 
«Si» rispose lei, sorridendo, mentre si sfilava la gonna della divisa, restando solo in intimo. Non sembrava vergognarsi, infondo perchè avrebbe dovuto, pensò Jacob, era bellissima. S'immerse a sua volta, avvicinandosi a lui poco dopo, che l'attiró a sè, cosicché i loro corpi avessero potuto combaciare perfettamente. Si accese una scintilla nei suoi occhi, una luce vivida; accadde tutto molto in fretta e si ritrovarono ad intrecciarsi, avvolti dalle mille bolle di sapone. Con movimenti ritmici e decisi, Jacob spingeva Adeline contro il bordo della vasca, sentendola ansimare, facendo aumentare il proprio desiderio. Avvertiva il tocco delle mani di lei sulla pelle colma di ustioni e cicatrici. Non gli facevano male, anzi sembravano risanarsi a contatto con le dita di quella ragazza, che tutto era, fuochè spenta, vuota; lei era piena di vita, d'amore, sentimento che fino a quel momento Jacob non credette di aver mai avvertito cosí intensamente. 
«Mi hai insegnato a vedere» disse, fermandosi per un momento.
«A vedere?» chiese lei perplessa, incrociando il proprio sguardo con quello del moro dragonologista.
«Si, a vedere l'amore attraverso i tuoi occhi» spiegò, infine, accarezzandole una guancia e scoccandole un bacio a fior di labbra. Nel viso di Adeline si allargò un radioso sorriso, che sembrò inondarlo di una forza nuova, sconosciuta, che lo indusse a riprendere nuovamente la danza dei loro corpi.
Non si era mai sentito cosí completo come in quel momento.

 

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Capitolo 6
*** CAPITOLO 5 ***


ADELINE

«Hai preso tutto il necessario tesoro?» domandó sua madre, sporgendosi dalla soglia della porta
«Si mamma, stai tranquilla, ho messo tutto nel baule» rispose Adeline, leggermente stizzita, osservando il bagaglio per l'ennesima volta. Sua madre le si avvicinò, stringendola tra le braccia, conscia che la maggiore delle due figlie le sarebbe mancata immensamente.
«Io sono così orgogliosa di te, Della. Mi dispiace che non potremmo esserci domani...»
«Mamma non serve che ti giustifichi, io staró bene, adesso andate pure e fate buon viaggio» ripetè la ragazza, cercando di essere rassicurante.
L'indomani Adeline sarebbe partita per l'Accademia in vista delle prove che si sarebbero tenute lì e che, nel caso fossero state superate, le avrebbero garantito l'ingresso alla scuola degli auror e il titolo di cadetto.
La ragazza si sentiva sotto pressione, essendosi impegnata molto per avere i requisiti scolastici giusti, intimorita dall'eventualità che avrebbe dovuto ripiegare su altro. Non voleva mentire a sè stessa, avere i suoi genitori accanto fino all'ultimo sarebbe stato d'aiuto, ma questi sarebbero partiti a breve, insieme a sua sorella, per raggiungere i nonni a seguito di un imprevisto.
Sua madre, Olivia, una magonó, aveva sempre voluto essere un auror, come lo era stato il padre, che le aveva fatto terribilmente pesare quello stato di non-magia; vedere quel sogno concretizzarsi per sua figlia rappresentava una gioia incontenibile.
Poco dopo anche suo padre e sua sorella più piccola, Francine, entrarono nella stanza per darle un ultimo saluto; non l'avrebbero rivista per tanto tempo probabilmente.
«Fai attenzione, e dimostra a tutti di che pasta sei fatta» le raccomandó suo padre, stampandole un bacio sulla fronte.
Francine scoppió in lacrime invece, abbracciando la sorella più forte che avesse potuto
«Francine, non piangere dai, torneró presto» la rassicurò, carezzandole i setosi capelli
«E potrai prendere i vestiti che ho lasciato qui» ammise Adeline, cercando di porre fine a quei lamenti.
Quando la sua famiglia ebbe varcato la porta per lasciare la casa, lei si trovó sola a fronteggiare i suoi pensieri e le angosce.
Come sarebbero stati senza di lei? Come si sarebbe trovata lì? Avrebbe avuto degli amici, o soltanto rivali? Jacob si sarebbe dimenticato di lei?
Jacob.
Quanto le sarebbe mancato.
Quel pensiero le riportó alla mente la loro prima volta al ballo del ceppo, quanto avrebbe dato per portarlo con sè.
Quanto le sarebbe mancata la scuola di magia di Hogwarts soprattutto; gli ultimi giorni tra quelle mura erano stati belli quanto devastanti.
Si diresse in camera, fantasticando sul futuro e ripensando alle sensazioni vissute con il suo amato; la sua bocca sulla pelle, le sue dita tra i capelli, che erano divenuti più lunghi, il modo in cui rideva, raccontandole delle bravate che aveva combinato.
L'inizio della guerra con il ritorno di Voldemort li aveva allontanati, costringendo il ragazzo lontano da lei, in cerca di reclute per l'Ordine.
Prese a sistemare le ultime cose che le sarebbero servite, sperando che fossero sufficienti; lucidó la bacchetta e i nuovi stivali che aveva comprato a Diagon Alley qualche giorno prima; ricordó di portare con sè anche il cappello scudo che i gemelli le avevano regalato, insieme alla pomata cancella lividi.
Mentre era presa a spuntare via dalla lista i vari indumenti, avvertì uno scoppio, seguito dal rumore di passi lungo il vialetto di casa.
"Era scontato avessero dimenticato qualcosa" pensó, sorridendo. Avrebbe scommesso oro sul fatto che suo padre avesse dimenticato il suo speciale berretto, che evidentemente non doveva essere così speciale, dal momento che lo dimenticava ogni volta.
Sentì qualcuno giungerle alle spalle, il suo orecchio attento percepì si trattasse di un passo maschile.
«Scordatelo! Non controlleró nel baule, il tuo cappello non è qui» sbuffó, scocciata.
Ma quando si voltó, constató non si trattasse di suo padre.
Senza pensarci due volte corse verso l'uscio, dove Jacob sostava, guardandola con occhi colmi di allegria. Si tuffó nella sue braccia, baciandolo intensamente. 
«Ma cosa ci fai qui?» gli chiese tra un bacio e un altro, troppo vogliosa di consumarlo, come farebbe il fuoco con lo stoppino di una candela
«Non potevo lasciare che partissi senza salutarti nel modo giusto» ammise lui, ridendo, e accarezzandole la schiena, coperta da un leggero vestito celeste.
«Qual è il modo giusto?»
«Esattamente questo»
Jacob la spinse delicatamente sul letto alle sue spalle, sovrastandola con il suo corpo. 
Le sue mani intrapresero una frenetica corsa sulla figura di lei, spostandosi dal viso, al collo, alle gambe. La sua bocca assaporó ogni centimetro della sua pelle chiara, forse troppo, rispetto a quella del ragazzo.
«Ti sono cresciuti i capelli» constató, avvolgendoseli intorno alle dita. Adeline sorrise, cingendogli la vita con forza e ribaltando la situazione.
Ora lo sovrastava, e i suoi lunghi capelli solleticavano il viso del ragazzo, che ancora li teneva attorcigliati alle dita.
«Mi fai impazzire, Dell» ammise, fissandola negli occhi e stampandole un tenero bacio sulla bocca.

Se Adeline avesse dovuto raccontare quale fosse la cosa che più le sarebbe mancata, probabilmente avrebbe detto il tempo passato con Jacob, abbracciati sotto le lenzuola, stanchi, a parlare di qualsiasi gli passasse per la testa. Era sicura che quei momenti fossero i più belli, contraddistinti da sincerità e da una certa vulnerabilità, dalla voglia di farsi scudo a vicenda; difenderlo, difendere gli altri, era il movente dei suoi sogni.
«E se trovi qualche bell'auror e ti dimentichi di me?» la canzonó Jacob, sorridendo goliardicamente.
Adeline gli diede un bacio sul petto, poggiandovi la testa
«Non ti ho dimenticato neanche una volta in nove anni, non vedo perché dovrei ora» 
«Mi mancherai tanto. Promettimi che mi scriverai»
«Certo che lo faró, mister "Mibastodasolo"»
«Ah si? Mi prendi in giro?» fece lui con finto tono offeso
«Vieni qui su»
Adeline lo tiró a sè, decisa a non farsi scappare neanche un attimo del tempo rimanente.

Era appena passata la prima settimana in Accademia, tra allenamenti estenuanti e spietate selezioni, basate su test teorici e duelli impegnativi con allievi più esperti.
Il primo giorno Jacob l'aveva accompagnata fino alla stazione, e l'aveva lasciata andare a malincuore, stringendole forte le mani, come se avesse potuto incollarle a quelle di lei e non lasciarla partire.
Se solo avesse aperto prima gli occhi, avrebbero potuto godere di maggior tempo insieme; ma alcune cose nella vita capitano al momento giusto, e non tutti gli istanti sono giusti.
Adeline entró in camera, ma prima di lanciarsi sotto l'acqua fredda, che avrebbe dato sollievo ai muscoli dolenti, si sedette alla scrivania, in cerca di pergamene e calamaio.
Rough, sua compagna di stanza irruppe in quell'istante, chiudendosi la porta alle spalle.
«Jacob?» le domandó sorridendo, avendo intuito si trattasse di una lettera per lui; Adeline ricambió il sorriso, annuendo
«Anche io devo scrivere a Isabelle più tardi, lasceresti lì alcuni fogli?»
«Certo, nessun problema» fece, poi si chinó sul foglio, impugnando la penna e cominciando a scrivere a Jacob:

"Caro Jacob,
Come stai?
È passata solo una settimana dall'ultima volta che ti ho visto, ma mi sembra giá troppo tempo. 
Forse non mi sento a casa, o forse mi ci sono sentita solo gli attimi che ho passato tra le tue braccia.
Quando mi stendo nel letto, sento che avanza troppo spazio, e non ha senso se non ci sei tu a tirarmi via le lenzuola. 
Fisso il soffitto e realizzo che ho vissuto attraverso l'amore che provavo per tutti questi anni, e non potrei esserne più felice.
Stare qui è massacrante, ma ogni giorno che passa io sento che è quello che voglio fare, e mi motivo, mi spingo a riuscire in tutto, pensando a quanto saresti fiero di me.
Non so quanto buia sará la strada che abbiamo da percorrere, non so cosa accada lì fuori, quanto le tenebre ci stiano abbracciando, o come possiamo sconfiggerle. 
Ma una cosa la so, Jacob Clark.
Tu sei la mia luce.
-Tua, Dell "

 

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Capitolo 7
*** CAPITOLO 6 ***


JACOB

Uno scoppio, seguito da un tonfo, laceró l'aria buia e tetra che dominava il piccolo villaggio di Hogsmeade. Si erano materializzati lí, dal momento che non fosse possibile entrare ad Hogwarts se non dal cancello principale o dai vari passaggi segreti. Jacob si fermò un attimo a fissare il castello che si ergeva in lontananza: sembrava che tutto dormisse, eppure non era affatto cosí. 
L'atmosfera era pervasa da una calma apparente: la quiete prima della tempesta.
«Jacob dobbiamo andare»
Adeline lo destò dai pensieri, inducendolo a rivolgere la propria attenzione su di lei. Gli sorrise, cercando di essere rassicurante e lui ricambiò. Quella ragazza era sempre in grado di infondergli una certa positività, una forza sconosciuta, una vitalità, anche nelle situazioni più tese come quella. Bill li aveva avvisati dell'incursione di alcuni Mangiamorte all'interno della scuola, per mano di uno studente Serpeverde.
"Dannate Serpi" pensò tra sè. La rivalitá con i discendenti di Salazar era palese già dai tempi in cui frequentava la scuola; le partite di Quidditch finivano sempre con qualche discussione tra lui e il capitano della squadra verde-grigia, John Fador.
Un tocco delicato lo rifece tornare al presente: Adeline gli aveva preso la mano e lo guardava con un'espressione leggermente divertita.
«Ma perdersi nei propri pensieri è un vizio di famiglia?» rise lei. Jacob incurvò le labbra; sapeva benissimo che la mora stesse cercando di smorzare la tensione, chiaramente palpabile, che attanagliava il dragonologista.
«Forse» rispose lui, ritrovandosi, poco dopo, catapultato nel bel mezzo della battaglia. L'allusione alla propria famiglia gli fece tornare in mente sua sorella. Non vedeva Helen da mesi e aveva chiaramente bisogno di saperla al sicuro, di saperla viva.

Jacob era schiena contro schiena con Adeline, sferravano colpi a destra e a manca, schivandone alcuni, difendendosi a vicenda in quella che sembrava una tempesta di lampi e saette colorate. A chi non li avesse mai visti, apparivano come una coppia che aveva sempre combattuto insieme, un po' come Fred e George, in perfetta sintonia; prevedevano le mosse l'uno dell'altro, semplicemente guardandosi negli occhi. Jacob si sentiva connesso con quella ragazza, non lo avrebbe mai detto, solo con Charlie era riuscito a raggiungere quel tipo di coesione in battaglia e, ovviamente, non da subito, c'erano voluti anni. Eppure, eccolo lí, a combattere fianco a fianco con Adeline, come se non fosse la prima volta. Si sentiva invaso da quella forza ignota, che ancora una volta percepiva scorrergli nelle vene; l'avrebbe definita, dapprincipio, una scarica di adrenalina, tuttavia era consapevole fosse qualcosa di più, qualcosa di diverso, di più intenso. Scorse la sorella salire repentinamente le scale. Il suo sguardo si posò prima su Charlie, intento a fronteggiare Amycus Carrow, poi nuovamente su di lei; non l'aveva vista. Stava per chiamarla, avrebbe voluto correrle incontro, la voglia di riabbracciarla era tale da distrarlo dal proprio scontro, ma fu subito attirato da un tonfo. Si voltò di scatto, Adeline era a terra e si toccava un braccio dolorante. Si rimise subito in piedi, ma non tanto velocemente da schivare il colpo scagliato dal mangiamorte, che non riuscí comunque a colpirla grazie al Protego pronunciato da Jacob. 
«Stupeficium» 
Schiantò a qualche metro di distanza quell'uomo dal naso adunco, che fu subito fiancheggiato da altri due mangiamorte, i quali gli permisero di svignarsela, correndo in direzione delle scale. La mente lo condusse subito ad Helen, sperava vivamente che non lo incontrasse.
Riuscirono a fronteggiarli senza problemi, fin quando i due non furono raggiunti da altri mangiamorte, che li invitarono alla ritirata. In realtà Jacob era sicuro di aver scorto un ghigno stampato sui loro volti e ciò non presagiva nulla di buono. Intravide Bill Weasley, il fratello maggiore di Charlie, accasciato al suolo, con una mano che gli copriva una parte del volto, dal quale sgorgava del sangue. Era affiancato da Fleur Delacourt, la quale cercava in ogni modo di arrestarne la fuoriuscita; era piuttosto allarmata. La visione dello Spezzaincantesimi gli riportò alla mente la sua di sorella; doveva immediatamente cercare Helen.
«Adeline dobbiamo-»
«Trovare assolutamente Helen» completò la frase, come se fosse riuscita a leggergli i pensieri.
Lo precedette, iniziando a correre su per le scale e Jacob la seguí, sempre più sorpreso dall'intesa che si era creata tra loro due, sentendosi invaso da una certa gioia, sensazione che durò ben poco, lasciando spazio al più completo sconforto, misto a paura.

«..SILENTE È MORTO!»
Stavano percorrendo velocemente il corridoio del primo piano, quando una sonora esclamazione, accompagnata da un'isterica risata, inondò l'aria circostante, arrivando alle orecchie di Jacob, il quale sentí per un attimo le gambe cedere. Continuò a correre, avendo sentito il nome di Helen pronunciato da una voce femminile, diversa dalla precedente, seguita, poi, da una saetta colorata. Accelerò, sentiva il cuore in gola. Adeline faceva lo stesso, svoltarono l'angolo ritrovando sua sorella immobile, come pietrificata, con le braccia lungo i fianchi e le dita debolmente avvolte lungo la bacchetta. Non c'era nessuno con lei, le presunte mangiamorte era fuggite via, proprio come gli altri. Si accorse della loro presenza solo quando l'amica la strinse forte, appoggiando la testa all'altezza delle spalle, piangendo. Helen aveva un graffio sul volto sporco, dal quale fuoriusciva un rivolo di sangue, non proferiva parola e Jacob sapeva benissimo che quell'atteggiamento voleva dire solo una cosa: era turbata, spaventata, scossa. 
«Non è possibile, non può essere vero» sussurrò tra sè e sè il primogenito dei Clark; la voce gli uscí a fatica. Ed invece era tutto più che reale: Silente era morto, ucciso da Piton, membro dell'Ordine, loro alleato, o almeno cosí credevano prima di quell'avvenimento. Il funerale e i giorni successivi alla morte di uno dei maghi migliore di tutti i tempi, furono un connubio di tristezza e terrore, pianti e sconforto; tutto l'Ordine della Fenice si ritrovò senza il proprio pilastro, senza qualcuno da appoggiare, per cui lottare, gettati in pasto all'oblio e al fato, più che avverso.

Jacob avrebbe voluto restare accanto ad Adeline ed Helen, affrante dalla perdita, tuttavia, il lavoro non glielo aveva permesso. Lui e Charlie era tornati in Romania, luogo che, come qualsiasi altro in tempi di guerra, non era più tanto sicuro. Sparizioni su sparizioni, impossibili ormai da contare sulle dita delle mani, si verificavano nella valle dei draghi; il panico era tastabile e si insinuava in ognuno di loro: a chi sarebbe toccato dopo? Jacob aveva paura, per se stesso, per Charlie, per i draghi, ma anche per Adeline e sua sorella. 
«Spero le ragazze stiano bene, mi mancano» aveva confessato a Charlie, una sera mentre rientravano da una faticosa giornata: era toccato loro un intrattabile Grugnocorto Svedese.
Proprio nel momento in cui varcarono l'uscio di casa, un gufo con un'aria piuttosto familiare, si poggiò sulla spalla di Charlie. Aveva una pergamena attaccata alla zampa.
«Le rivedremo presto» disse improvvisamente il Weasley, passandogli il foglio poco dopo.
«Bill si sposa» aggiunse sorridendo, mentre con l'indice accarezzava le piume di Errol.
Jacob fece scorrere lo sguardo tra le righe d'inchiostro nero, incurvando le labbra una volta giunto alla fine.
Guardò l'amico negli occhi.
«Finalmente una bella notizia».

 

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Capitolo 8
*** CAPITOLO 7 ***


JACOB

«Mi concede questo ballo, signorina?»
Jacob protese la mano verso Adeline, inclinando il busto in avanti e portandosi un braccio dietro la schiena, in modo cavalleresco. La ragazza rise, abbozzando un piccolo inchino prima di intrecciare le proprie dita con quelle del moro, il quale l'attirò subito a sè, iniziando a volteggiare tra le altre coppie di invitati. Erano al matrimonio di Bill Weasley e Fleur Delacour, i quali, avevano da poco aperto le danze, dopo essersi giurati amore eterno. Intravide sua sorella avvinghiata a Charlie; era la prima volta che si mostravano agli altri insieme. Restó per un momento a guardarli: era felice, lei era davvero al settimo cielo e Jacob riusciva a percepire tutta la gioia che traspariva dai sorrisi, dai baci che regalava al ragazzo ritenuto al pari di un fratello. Vederla cosí contenta, metteva di buon umore anche lui. Rivolse, nuovamente, il proprio sguardo ad Adeline, che gli scoccó subito un bacio veloce. 
«Finalmente» disse, staccandosi dalle sue labbra poco dopo. Jacob riaprí gli occhi, fissandola perplesso. Alzó leggermente un sopracciglio ed Adeline scosse la testa divertita.
«Finalmente possiamo vederli insieme, felici» spiegó, voltandosi per una frazione di secondo in direzione di Helen e Charlie, per poi riposare i propri occhi in quelli di Jacob, lasciandogli un altro dolce bacio a fior di labbra.
«Finalmente noi possiamo stare insieme, felici» continuó. «Finalmente Bill e Fleur hanno intrecciato per sempre i loro destini» aggiunse poi. «Finalmente un po' di luce in questa oscurità» concluse, mentre un enorme sorriso le si allargava sul volto. Aveva gli occhi lucidi. Jacob le accarezzò la guancia, azzerando nuovamente la distanza tra le loro labbra, assaporando quella ritrovata serenità. 
Serenità che, tuttavia, fu spazzata via, poco dopo, dall'arrivo improvviso di un Patronus, che collocatosi proprio nel bel mezzo della sala, annunció la morte del ministro e la conseguente caduta del Ministero, seguito dall'incursione di un gruppo di funzionari. Jacob era convinto non avessero per nulla buone intenzioni, non solo per il modo in cui si fossero fiondati lí, interrompendo brutalmente una cerimonia, ma anche perchè una vecchia megera vestita completamente in rosa inizió a chiedere insistentemente dove fosse Harry Potter. Avrebbe voluto interrogarli, ma Molly si oppose, riuscendo a cacciarli con non poca fatica. Erano salvi, per ora, ma Jacob sapeva che quella notte fosse solo l'inizio di qualcosa di molto brutto.

Jacob indossò velocemente il proprio giubbotto in pelle, sarebbe toccato a lui, questa volta, tornare alla Tana per riportare notizie sulle ultime sparizioni lí in Romania. La scelta di mandare il primogenito dei Clark fu meditata, in primis, perchè Charlie era impegnato con William Gray per conto dell'Ordine, e poi Jacob aveva ricevuto una lettera pochi giorni prima, che conteneva solo una semplice frase:

"Necessitiamo di te"

Non era firmata, ma non se ne meravigliò; avrebbe riconosciuto ovunque la scrittura di suo padre.
Si sarebbe materializzato, credeva fosse il metodo più veloce, se avevano bisogno di lui, tanto da mandare un gufo, allora doveva essere qualcosa di realmente importante.
Tra le mille paranoie che si formarono nella mente, il primo pensiero fu per Adeline. La ragazza era stata affidata a Tonks, Kingsley e Lupin, dopo l'attacco al matrimonio; non era più sicuro rimandarla al Ministero, soprattutto ora che fosse in mani sbagliate. Questo tranquillizzava in parte Jacob, tuttavia non riusciva a non preoccuparsi per l'incolumità della sua ragazza. Si, perchè ormai si potevano dire una vera e propria coppia e ciò conferiva sempre al primogenito dei Clark, quella forza sconosciuta, che al sol pensiero di lei, si irradiava in lui, acquietandolo. Gli venne in mente sua sorella; se le fosse accaduto qualcosa non se lo sarebbe mai perdonato. Ricordò che fosse alla Gringott e un senso di paura lo invase; che avessero assediato anche la banca dei maghi? Jacob non se ne sarebbe meravigliato e questo lo agitò ancor di più.
«Ok Jacob» sussurrò tra sè e sè «Devi sbrigarti». Afferrò velocemente la sacca con le poche cose che aveva deciso di portare, svanendo con uno scoppio, atterrando subito dopo proprio fuori la Tana.

Jacob scoprí il motivo per cui era stato convocato molto prima di quanto avesse creduto. Arrivó nel soggiorno di casa Weasley e vide già riuniti lí suo padre, Lupin, Arthur, Kingsley e con sua sorpresa Adeline, la quale, appena lo vide, gli saltó al collo, abbracciandolo forte.
«Che succede?» chiese, passando lo sguardo dalla mora a suo padre.
«Abbiamo bisogno che voi facciate una cosa per l'Ordine» 
A parlare non fu il signor Clark, ma Kingsley, auror a cui era stata affidata anche la tutela di Adeline. Jacob, avendo imparato a conoscerlo, era stato in grado di apprezzarlo, stimandolo altrettanto. L'uomo riprese la parola.
«Dovete recarvi a Notturn Alley, da Magie Sinister» fece una breve pausa «È possibile che quell'uomo nasconda qualcosa, forse qualcosa a che fare con il signore oscuro» concluse con aria cupa.
«E come dovremmo farlo senza che ci riconoscano?» domandó Adeline, che fino a quel momento non aveva ancora detto nulla. Sembrava preoccupata, a tratti allarmata.
Remus camminó verso di loro, tirando dal taschino due flaconcini.
«Userete la pozione Polisucco. Arthur è riuscito a procurarsi dei capelli di due funzionari del Ministero, che sappiamo, quasi per certo, essere dalla parte di Voi-sapete-chi».
Jacob fissó l'oggetto per qualche secondo, dopo che gli fu dato. Era una missione molto pericolosa; utilizzare quel metodo significava sbrigarsi a trovare qualche indizio compromettente, prima che l'effetto fosse svanito. Non osava neanche immaginare cosa sarebbe successo se fossero ritornati alle loro normali sembianze all'interno del negozio o, addirittura, in presenza di qualche tipo losco che era solito frequentare quel posto.
«Posso andarci da solo» esclamó, improvvisamente. «Non voglio coinvolgere Adeline, nel caso succedesse qualc-»
«In tal caso» lo interruppe Kingsley. «La signorina Parker saprebbe come cavarsela», guardó Adeline. «So bene di che pasta sia fatta» posó nuovamente lo sguardo su di lui. «Fossi in te, non mi preoccuperei per questo» sentenzió infine, con un tono tale da non permettere a nessuno di loro di controbbattere ancora.

«Questo tailleur mi fa sentire impacciata»
Adeline cercava di non cadere, tastando il terreno ad ogni passo, in modo da equilibrare il proprio peso su quelli che a Jacob sembravano trampoli più che tacchi. Avevano preso le sembianze di un mago e una strega che entrambi non avevano mai visto. Lei era una donna di mezza età, cosí come lui, con dei capelli neri raccolti, una giacca e una gonna a tubino di un verde bottiglia. Jacob, invece, indossava un completo elegante di un nero pastello e aveva i capelli, anch'essi del medesimo colore, tirati indietro, dei baffi molto ben curati e occhi di un verde che parevano essere totalmente in pendant con l'abito della donna, la quale, dedusse essere la moglie. Non conosceva l'identità di questi soggetti, Arthur non ne aveva fatto parola, tuttavia, sul taschino della giacca erano ricamate delle iniziali G. F.
Avevano pensato a tutto.
Non appena presero le sembianze dei due sconosciuti, Adeline, rimase a fissarlo per qualche secondo, riflessiva.
«Eppure hai qualcosa di familiare» aveva detto, portandosi una mano sotto al mento, per poi lasciar cadere il discorso poco dopo; non avevano molto tempo.
Svoltarono per Notturn Alley. Quel posto faceva venire i brividi a Jacob, nonostante avesse visto luoghi ben peggiori. Non ci era mai entrato; suo padre, cosí come il signor Weasley, ne aveva sempre vietato l'ingresso ai propri figli. Percorsero lentamente qualche metro, guardandosi spesso attorno, squadrando ogni angolo di quella strada, ogni individuo che sembrava sempre essere nascosto nell'ombra. Un uomo tutto incurvato e zoppicante, con un'espressione in volto non proprio innocente, si avvicinò loro, chiedendo dei soldi; cercarono di arginarlo, ignorandolo e proseguendo verso la meta concordata, poco distante da loro.
Una volta giunti all'ingresso, i loro occhi si incontrarno.
«Ricapitoliamo» sussurrò Adeline. «Dobbiamo semplicemente-»
«Estorcere informazioni» concluse Jacob.
«Esatto» asserrí lei. «Sii prudente», gli strinse forte la mano e lui annuí piano, poco prima di spingere la fatiscente porta, che si aprí con uno stridente scricchiolio.

L'interno di Magie Sinister era a dir poco macabro: teschi sugli scaffali, libri impolverati e altri oggetti che Jacob non seppe identificare, ma lo fecero rabbrividire. Intravide anche il famoso Armadio Svanitore che aveva permesso l'incursione dei mangiamorte qualche tempo prima. Chissà se quello ad Hogwarts fosse ancora funzionante, pensó.
Sembrava che non ci fosse nessuno. Adeline si schiarí la gola, come ad annunciare la loro presenza, ma nulla.
Si avvicinó ad uno di quelle mensole, osservando quella che sembrava una specie di zanna. Passó un dito sull'etichetta esposta, in modo da poter leggere cosa recitasse:
'Dente di drago'.
Si avvicinó all'oggetto, analizzandolo; effettivamente sembrava appartenere ad un Verde Gallese.
«L'incisivo di un drago, signor Fawley, è molto raro» una melliflua voce lo indusse a voltarsi, vedendo sbucare da dietro al bancone un vecchio con dei capelli ossunti e grigi, un'aspetto che sembrava intonarsi perfettamente con l'ambiente circostante. Sorrise a Jacob ed Adeline, la quale sgranó gli occhi al suono delle parole del commerciante.
«È molto utile per fare delle pozioni davvero...particolari» continuó lui.
Jacob continuava a fissarlo, senza riuscir a dire nulla, sembrava pietrificato dagli occhi di quell'uomo.
«Davamo un'occhiata» azzardó Adeline, cercando di smorzare la tensione.
Il vecchio posó lo sguardo gelido su di lei, indugiando per qualche secondo, poi tornó nuovamente su di lui. Jacob rabbrividì; quell'uomo era inquietante tanto quanto il suo negozio.
«L'avrei avvisata io, signore, se avessi trovato quel medaglione» proferí, nuovamente, quel bizzarro individuo.
Jacob alzó un sopracciglio, mentre sentiva gli occhi di Adeline su di lui come ad aspettare una sua pronta risposta.
«N-non ho capito» disse solamente il primogenito dei Clark.
«Quel medaglione che mi aveva insistentemente chiesto due giorni fa» ribattè il tetro commesso «Non credo lei se ne sia dimenticato, signor Fawley, dato il modo con cui lo cercava»
Gli occhi di quel vecchio sembravano penetrare il corpo di Jacob, fino alle ossa, prestando attenzione ad ogni movimento.
Che fosse sempre così o aveva capito qualcosa? Magari dubitava di loro.
«Si» disse subito, cercando di uscire dall'incertezza «Ricordo bene. Allora..» Jacob assunse un'aria autoritaria, come immaginava fosse consona a questo fatidico signor Fawley «Dov'è? Il medaglione, dov'è?» chiese poi, provando a sembrare quanto più sicuro possibile.
«Signore, io non so anc-»
«Che aspetta allora? Si sbrighi, non ho tempo da perdere» lo interruppe Jacob. Si era calato totalmente nel personaggio. Adeline continuava a fissarlo; sperava di non aver esagerato.
Vide l'uomo abbassare la testa, con lo sguardo fisso sul bancone, mentre borbottava frasi di scuse, in modo sconnesso.
Jacob si voltó verso Adeline, che incurvó le labbra, poi lei si rivolse nuovamente all'uomo.
«Continuiamo il nostro...giro» spiegó lei, dirigendosi elegantemente verso un altro scaffale completamente costernato di polvere e strani oggetti. Sembrava aver preso dimestichezza su quelle scarpe; anche lei stava cercando di essere quanto più simile alla persona di cui aveva preso le sembianze.
«Si signora Fawley, faccia come se fosse a casa sua» rispose l'uomo.
Adeline alzó il mento, riservandogli uno sguardo sprezzante.
«Come potrei» disse. «Casa nostra non è di certo così...polverosa» concluse, focalizzandosi poi su uno strano oggetto.
«C-certo signora, si ha ragione» balbettó il negoziante.
Jacob sorrise compiaciuto, ma per poco. Notó che i capelli di Adeline stavano iniziando a ritornare al loro colore originale e questo lo allarmó parecchio. Le si avvicinó, abbassandosi a livello del suo orecchio.
«Dobbiamo andare, sta svanendo l'effetto» sussurró lui.
Vide l'espressione di lei mutare dall'altezzosa all'allarmata.
«Cosa facciamo?» domandó la Parker.
Jacob si guardó freneticamente intorno, cercando di elaborare quanto prima una soluzione.
Poi ebbe un'idea.
«Prendiamo questa» esclamó, afferrando quella che sembrava una mano disseccata.
«Oh fantastico signor Fawley, una Mano della Gloria» gli occhi dell'uomo si illuminarono. «Questa è fantastica per-»
«Quanto le devo? Si sbrighi vado di fretta» lo interruppe Jacob.
«10 Galeoni» rispose lui.
Il dragonologista posó i soldi sul bancone, prese, con un certo ribrezzo, l'oggetto, afferró Adeline e si precipitó fuori dal negozio.
«Dobbiamo scoprire del medaglione» asserrí Adeline, con il respiro leggermente affannato.
«Se lo cercano così insistentemente c'è sicuramente un motivo» aggiunse subito dopo.
«Comunicheremo tutto all'Ordine» controbattè Jacob, mentre sentiva la giacca calzare sempre più stretta.
Percorsero a passi svelti qualche metro, smaterializzandosi poco dopo.

 

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Capitolo 9
*** CAPITOLO 8 ***


ADELINE

La battaglia stava per avere inizio.
L'epilogo a tutto quello; che fosse stata vinta o persa, le cose erano destinate ad andare così.
La sala grande, che un tempo era un riecheggiare di schiamazzi, traboccava di voci e lamenti, oltre che di persone: studenti, certi e incerti sulla posizione che avrebbero preso, alleati e, chiaramente, membri dell'Ordine. Dopo un trambusto generale dovuto al fatto che ci fossero persone che non avrebbero preso facilmente le difese di Harry, ma che avrebbero preferito consegnarlo a Voldemort, la situazione tornó sotto il controllo della McGranitt.
Pochi istanti dopo a prendere la parola fu Kingsley, il suo mentore, la persona che l'aveva istruita e assistita, anche nei momenti più difficili.
«Adeline, tu sarai all'esterno con noi e Thaddeus, abbiamo bisogno di tenacia lì fuori» proferì, guardandola dritto negli occhi. La ragazza sentì il petto gonfiarsi di orgoglio per l'incarico ricevuto; ormai l'Auror la riteneva capace abbastanza da fronteggiare la morte, e lei si sentiva così, pronta e capace, agile e scattante.
Se da una parte la gioia l'aveva pervasa, facendole dimenticare di tutto il resto, dall'altra le ansie le piombarono addosso una ad una: Helen e i gemelli avrebbero difeso i passaggi, lontano da lei; la sua famiglia, che si trovava al sicuro, avrebbe saputo di una sua eventuale morte? Jacob? Dov'era? Era vivo?
Prima di imbracciare il coraggio necessario, strinse Helen con tutte le forze di cui disponeva, raccomandandole di fare attenzione; poi fece lo stesso con i gemelli, sicura che ne sarebbero usciti insieme come sempre.
Durante il tragitto verso l'esterno, Adeline colse un'inquietudine irrefrenabile nel volto del signor Clark, così cerco di rassicurarlo: «Signor Clark, Helen è una strega davvero in gamba, se la caverà», lui sorrise flebilmente, battendo una pacca sulla spalla della ragazza
«Sai, Adeline, io sono felice che i miei figli abbiano accanto una persona come te. Vorrei sapere come sta Jacob»
«Anche io vorrei, mi creda».

L'esercito dei nemici era quasi inarrestabile, e lì fuori si stava combattendo senza sosta, senza riposo.
Adeline stava fronteggiando una strega a lei ignota, sebbene avesse riconosciuto diversi volti, come quello della Raylee tra la folla di mangiamorte.
Quella pareva non avere bisogno di riposo, sebbene Adeline stesse mettendo a dura prova le sue difese; stando con degli Auror più esperti aveva acquisito una tecnica impeccabile.
Ad un tratto la mangiamorte le colpì il volto con un incantesimo, facendo sì che il sangue caldo le cadesse sullo zigomo
«Cara ragazzina, questo è solo un assaggio di quello che dovrete patire» la canzonó quella, ridendo di gusto.
«Voi, luridi, non avrete mai il castello» controbatté, poi, con un incantesimo non verbale, la sollevó dal suolo, facendola cadere lontano.
Si asciugó la guancia con il palmo della mano, noncurante del taglio, o di quanto fosse profondo.
Per un attimo ricordó quanto fosse bello passare le giornate lì, al termine degli esami, quanto fosse bello correre lungo le scale, oppure il loro modo di cambiare, inducendoti a perderti fin troppe volte.
Kingsley stava combattendo poco lontano da lei, con ben due nemici. Adeline gli corse incontro, lanciandoglisi accanto, e prendendo a combattere.
«Sono troppi» si lamentó Adelina, parando un colpo
«Arrivano i rinforzi» proferì lui, combattendo come se stesse facendo la cosa più naturale al mondo
«Rinforzi?»
«Lumacorno, Charlie Weasley, Jacob Clark e le reclute della Romania»
A quelle parole Adeline acquisì una forza mai vista.
Con un colpo rapido schiantó entrambi i nemici, senza dargli tempo di fare altro.
«Scusa Kingsley, devo trovare Helen»
Fece per andarsene, ma l'uomo gridó il suo nome, facendo sì che si voltasse, poi la scrutó con sguardo mansueto, forse per la prima volta.
«Sono fiero di te, Adeline».
Mentre si lanciava verso il castello, schivando colpi a destra e a sinistra, vide una sorta di grande cerchio luminoso squarciare l'aria, e da lì, uscire un esercito di maghi. Alleati.
Erano arrivati.

Adeline correva nei corridoi del castello, che le riportavano alla mente tempi diversi. A quel punto le gambe avrebbero dovuto farle male, ma l'adrenalina era così tanta, che non avvertiva nulla.
Jacob era lì fuori, ma lo era anche Charlie, ed Helen doveva saperlo.
Correndo verso i passaggi affidati ad Helen, scorse George in lontananza, impegnato in una disputa. Fred doveva essere lì vicino.
D'un tratto un boato, come di un'esplosione, fece tremare il suolo sotto ai suoi piedi, e lei speró di non essere arrivata troppo tardi. Il cuore accelerò nel petto, mentre le gambe si staccavano a grandi balzi dal pavimento.
Poi la vide, Helen, era viva.
Strofinó gli occhi per essere sicura che la polvere non le stesse offuscando la vista, poi si lanció verso la bionda. Ci fu un forte abbraccio, che servì a infondere sicurezza in Adeline.
Dopo un rapido resoconto su ció che stesse accadendo lì fuori, sebbene non fosse difficile immaginarlo, anche facendo caso alle ferite riportate dalla mora, Adeline disse con voce tremante, ma grintosa: «Sono arrivati. I rinforzi, Jacob e Charlie, con il professor Lumacorno. Porteró Charlie da te!». Marcó le ultime parole affinchè fossero una fonte di speranza; doveva trovare Charlie e Jacob, tutto ció che fosse necessario dirsi, andava detto.
Non c'era più tempo.

Adeline si trovó nuovamente all'esterno, laddove il cielo era illuminato da una miriade di luci variopinte, ciascuna destinata a infliggere dolore.
Per la seconda volta si lanció nella mischia, cercando di guardarsi intorno, alla ricerca dei due dragonologisti. E se non li avesse trovati? Se non avesse fatto in tempo?
Ma come se avesse espresso ad alta voce quelle perplessità, in lontananza scorse una chioma color carota, che si muoveva agilmente, con pronti riflessi, nonostante la stazza. Senza pensarci due volte si precipitó da Charlie, con le parole che premevano per uscirle dalla bocca.
«Charlie!» gridó, attirando l'attenzione del ragazzo, che si illuminó in volto a saperla ancora viva.
«Charlie devi andare da Helen, prendi la strada del cortile, raggiungila» continuó, parlando con il fiato corto
«Sta bene?»
«Vai a vederlo con i tuoi occhi, su!»
E così Charlie si allontanò lungo la strada del castello, ringraziandola con lo sguardo, e schiantando qualche nemico strada facendo. 
Ora doveva trovare Jacob.
Con le orecchie che le fischiavano per il panico, si addentrò ancora di più nella battaglia, passando oltre i corpi di molti caduti, il che la fece rammaricare tremendamente, temendo che tra quelli ci fosse il ragazzo che amava.
Gridó forte il suo nome, saltando tra la folla nel tentativo di scorgerlo.
Ad un certo punto, mentre si trovava di spalle, un incantesimo la colpì, facendola rotolare contro il suolo freddo. Impugnó la bacchetta, cercando di rispondere a quell'attacco, voltandosi per constatare chi fosse l'avversario, scoprendo si trattasse di un mago slanciato, con denti scuri e lunghi capelli trasandati.
«Giochiamo, giovane ragazza?» fece quello, con un ghigno stampato sulla bocca, puntandole contro la bacchetta. Adeline fece lo stesso, strisciando all'indietro per conquistare terreno; ma in quel panico avvertì una voce, una bellissima voce, rassicurante: «Lei non gioca proprio con nessuno»
E il mago fu sballottato a diversi metri di distanza, gridando di dolore. 
Solo a quel punto Adeline mise a fuoco il volto del suo salvatore, non aspettandosi diversamente da ció che vide: Jacob.
Si tiró su con un balzo, allacciando le braccia al collo del ragazzo e dandogli un intenso bacio, colmo di gioia, di nostalgia, di paura. Trovó un posto sicuro in quella bocca, mentre attorno a loro impazzava la battaglia.
«Combattiamo insieme» fece lei, grintosa, disponendosi spalla a spalla con lui, e avanzando nella calca, proteggendosi a vicenda.

Il tempo sembrava incedere lento, e le persone messe a tappeto da quella coppia erano innumerevoli.
«Siamo davvero una grande coppia» gridó Jacob, sovrastando i rumori circostanti
«Puoi dirlo forte Clark» rispose Adeline, inclinandosi di lato per scansare un colpo
«Dell?»
«Si, Jacob?»
Poi il ragazzo le afferró la mano, inducendola a voltarsi verso di lui, abbandonando la posizione di attacco. Quando ebbe incrociato i suoi occhi, si rese conto di ció che stesse accadendo: Jacob si era inginocchiato, e le stringeva forte la mano, fissandola intensamente; il cuore schizzó alle stelle.
«Adeline Parker, questi mesi senza di te sono stati i peggiori della mia vita. C'è uno spazio nel mio cuore che solo tu puoi riempire, e ho bisogno che tu lo colmi. Mi sei mancata, mi sei mancata al punto tale da farmi capire che non posso più starti lontano, al punto tale da farmi capire quanto ti amo»
«Jacob» cominció lei, sorridendo 
«Non dire nulla» fece lui, estraendo dalla tasca un bellissimo anello. «Soltanto dì si, promettimi una vita insieme, resistiamo insieme. Adeline Parker, vuoi sposarmi?» 
Le loro figure, così liete, erano in contrasto con lo sfondo. Sembravano una chiazza luminosa su uno sfondo scuro.
«Si, assolutamente si» rispose la ragazza, afferrandogli il volto e stampandogli un forte bacio sulle labbra. Jacob le fece scivolare l'anello al dito, sollevandosi da terra e stringendola forte tra le braccia.
«Sei la donna più coraggiosa che conosca» le sussurró.
Qualche istante dopo ripresero a combattere, più forti di prima, più carichi, più motivati: avevano una vita insieme da proteggere.
Una strega si lanció su Jacob, ma Adeline si interpose, sferrandole un pugno e mandandola al suolo, senza usare la magia
«Giù le mani dal mio futuro marito!» proferì agguerrita.
Udì la risata di Jacob sovrapporsi ai rumori dello scontro.

Non poteva essere possibile. Non doveva essere così.
Continuava a ripetersi fosse tutto un sogno, mentre stringeva Jacob, piangendo con lui la morte di Helen.
Helen Clark. La sua migliore amica. La sua futura sorella, piuttosto che cognata.
Il suo volto inespressivo era abbandonato nel sonno eterno, e accanto a lei, quello di Fred Weasley, uno dei suoi migliori amici. 
Poco distante c'erano anche Tonks e Lupin; Adeline si sentì mancare, perché quei due le avevano insegnato tanto, sull'amore e sulla guerra.
«Ricordati Adeline, amore e guerra sono due facce della stessa medaglia» le aveva detto Tonks ridendo, guardandola teneramente, come si farebbe con una figlia. Ora il suo sguardo era celato dalle leggere palpebre.
Adeline strinse George, in preda agli spasmi, cullato dal dolore, che aveva spazzato via tutte le risate, ora soltanto un ricordo lontano.
Quella notte sarebbe stata ricordata per sempre per il dolore che l'attanagliava, che era dipinto sui volti dei presenti. La famiglia Weasley era affranta, Jacob e Thaddeus Clark erano in preda ad un dolore troppo grande per essere sopportato, ma quello che più di tutti colpì Adeline fu Charlie Weasley: il ragazzo non versava più una lacrima, perché forse le aveva giá lasciate sui ciottoli del cortile lastricato.
Si sentiva come lui forse, perché aveva perso la sua ancora; Helen c'era sempre stata.
Continuó a stringere George, carezzandogli i capelli, con la mano che splendeva per il nuovo gioiello.
Poi si lanció tra le braccia di quello che sarebbe stato suo marito; ma come si poteva pensare di essere felici in quel momento? Nel mezzo di tanto sconforto?
Avrebbe voluto dare ad Helen la notizia, mostrarle l'anello della famiglia Clark, che Thaddeus riteneva sarebbe rimasto per sempre nella custodia.
«Sono qui» sussurró a Jacob, tra i singhiozzi.
Lui la strinse più forte che potè, stampandole un bacio sulla fronte.
«Per lei» proferì, tirando su con il naso. «Per Fred, Tonks, Lupin e Malocchio. Vinciamo per tutti loro».
Jacob le prese la mano, rivolgendole uno sguardo carico, sia di rabbia che di amore, amore fraterno, portatogli via, e amore che avrebbe condiviso con la ragazza che stava guardando negli occhi, sentendosi al sicuro.
Quella notte sarebbe stata ricordata per sempre, e i due si giurarono di mantenere per sempre la memoria di quelle persone, cadute, per garantire loro un futuro.

 

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Capitolo 10
*** CAPITOLO 9 ***


ADELINE

Regno Unito, Agosto 2008

«Helen!» gridó Adeline, salendo le scale a grandi tonfi. 
«Vediamo, vediamo, dove si starà nascondendo il nostro piccolo grugnocorto?».
Adeline sentì degli schiamazzi provenire dall'armadio celeste della camera; rise leggermente.
«Pare proprio che qui non ci sia! Ma dove si sarà cacciata? Sono davvero preoccupata» la canzonó, marciando sul posto per emulare un allontanamento.
Pochi istanti dopo, una testa bionda si affacció dalle ante, perlustrando l'esterno. Adeline balzó all'interno della stanza, afferrando le esili mani della bambina, che scoppió a ridere.
Quella era musica per le orecchie di una madre.
La sollevó in alto, per poi riportarla vicino a sè, riempiendole le tenere guance di baci.
«Facciamolo di nuovo!» la pregó la bambina.
«Amore, la mamma deve andare a lavoro, ma papà starà qui con te e Alastor».
Non appena ebbe detto questo, Jacob si affacció dal basso della rampa di scale, tendendo le braccia verso la bambina, che scalpitó per raggiungerle.
«Ciao grugnocorto» fece Jacob, baciandole la guancia. «Secondo te che drago è la mamma?» domandó, sotto lo sguardo accigliato e divertito di Adeline.
«Il più bello del mondo» rispose la piccola, sorridendo radiosa.
«Quando la faccio arrabbiare diventa un ungaro spinato» scherzó il padre, posandola a terra. La piccola corse in direzione del fratello, Alastor, impegnato a mettere il ordine le sue figurine. 
«Un ungaro spinato? Ah si?» chiese Adeline, inarcando un sopracciglio. Jacob stampò un bacio sulla bocca di quella che ormai da non pochi anni era sua moglie, lei gli sorrise, sfiorandogli la guancia ruvida.
«Sarà meglio che vada, mi aspettano all'ufficio auror» asserì la donna, stirando con le mani la camicetta bianca che indossava.
«Non andare oggi tesoro, stai con noi, andiamocene al mare»
«Jacob...» fece lei, sorridendo e stringendogli una mano.
Jacob era in congedo per il mese di Agosto, dal momento che volesse sfruttare tutto il tempo possibile per stare con i due bambini e, chiaramente, con Adeline.
«Bambini, chi di voi vuole che la mamma resti qui con noi anzichè andare a lavoro?» gridó.
Non appena ebbe proferito quelle parole, Alastor ed Helen si fiondarono in salotto, prendendo a saltellare intorno ad Adeline.
«Ti prego, ti prego, ti prego» ripetè Alastor, cingendole la vita.
«Resta con noi mamma» la pregó Helen, stampandole dei teneri baci sulla mano.
Adeline guardó Jacob, che osservava compiaciuto quel quadretto.
«E va bene! Fatemi avvisare l'ufficio almeno...»
«Chiamo Bill e Fleur per avvisarli che andiamo lì. Bambini, oggi si va al mare!» esultó Jacob, sollevando in aria Helen e facendola volteggiare sopra la testa.
«Guardami mamma, sto volando» fece Helen, aprendo le braccia.
«Non é giusto! Anche io voglio volare così» protestó Alastor, rifugiandosi nelle braccia della madre.
Alastor e Adeline avevano un fortissimo legame; oltretutto il ragazzo portava il nome di uno dei più grandi auror, nonché mentore di quest'ultima.
«Quando sarai più grande, ti compreró una bellissima scopa, e potrai andare ovunque»
«Anche in quel castello di cui tu e papà parlate sempre?» domandó, guardandola dritta negli occhi; Adeline ebbe l'impressione di starsi guardando in uno specchio per quanto il ragazzo le somigliasse.
Il pensiero di Hogwarts balenó nella sua mente, portandosi tutti i ricordi della battaglia. 
La figura di Helen, priva di vita, le si paró davanti agli occhi, riaprendo quella dolorosa ferita che non si sarebbe rimarginata mai.
«Anche lì amore. Adesso è un posto sicuro».

Era sempre difficile far stare fermi i bambini durante la materializzazione. Sebbene Adeline fosse bravissima con gli incantesimi, lasciava che fosse suo marito a pronunciare quello; la paura di poter fare del male ai suoi figli le impediva di rilassare la mente.
Quando furono atterrati sulla morbida sabbia, vicino Tinworth, fu impossibile trattenere quelle piccole canaglie, che schizzarono verso la casa dei Weasley, pronti a giocare con i figli di Bill e Fleur.
Era una giornata davvero afosa e il venticello che accarezzava la costa dava sollievo ai coniugi Clark, che camminavano, seguendo i loro piccoli, verso il cottage.
Sull'uscio della porta Bill e Fleur li attendevano, sorridendo radiosi, insieme ai loro figli: Victoire, Dominique e Louis. Era diverso tempo che non si vedevano.
«Bill!» fece Jacob, battendogli un fraterno cinque. «Charlie non è venuto?» domandó subito.
Bill scosse la testa, dispiaciuto, giustificando poi: «Non gli piace più il mare».
Tutti gli adulti presenti si guardarono malinconici.
«Mi manca lo zio Charlie» proferì la piccola Helen.
Sarebbe stato per lei un vero dispiacere sapere che lo "zio" Charlie provasse grande nostalgia nel vederla; Helen Jane era, dopotutto, molto simile a Helen, la valorosa zia, caduta in battaglia.
Dopo i soliti convenevoli, i padri rimasero fuori con i rispettivi figli, mentre Fleur, che aveva perso il suo classico accento francese, notó Adeline, si offrì di farle bere una buona limonata all'interno della casa.
Quando furono entrambe sedute al tavolo della cucina, sorseggiando la loro bevanda, le due intrapresero un'interessante conversazione sul lavoro. Adeline aveva il piacere di collaborare con Harry Potter stesso, anch'egli auror, mentre Fleur era temporaneamente in congedo.
«Perché Charlie non è venuto? Dimmi la verità Fleur» fece Adeline d'un tratto, prendendo la mano della donna bionda e dal viso gentile.
«Purtroppo lo sai Adeline, lui è ancora scosso. E la piccola Helen le somiglia così tanto» spiegó lei, rammaricandosi. «E Jacob? Lui come sta a riguardo?» 
«Saranno anche passati dieci anni Fleur, ma il due maggio lui é assente, come se una parte di sè morisse in quella data. 
Alcune notti fa dei sogni strani, degli incubi. Poi si alza, dicendo che va a controllare i bambini, ma io so bene che apre per prima la porta di Helen.
Lui è così legato a lei»
«Ha paura di perderla, come è successo con sua sorella»
«Nostra sorella. Per me Helen era più di un'amica» rettificó Adeline, con lo sguardo perso. Fleur le strinse la mano, per darle forza.
«Anche Bill pensa spesso a Fred» proferì Fleur, con la tristezza dipinta sull'esile viso, come a dirle che fosse capita. «È finita ora» continuó poi.
«Fleur, è finita da dieci anni, ma é come se quel dolore non finisse mai».

Adeline si mise a sedere sulla sabbia, osservando gli altri da lontano, che si divertivano sulla riva.
Era fiera della sua famiglia, la sua più grande forza. Helen le corse contro, con i capelli biondo grano che si muovevano da una parte all'altra.
Non appena le fu vicina, intrecció le sue dita nei capelli castani della madre.
«Vieni a giocare anche tu?»
«Amore sono un po' stanca, ma vai da tuo fratello e Vic, divertiti con loro»
«Veramente...Sono stanca anche io» mentì la piccola, sedendosi tra le gambe di Adeline.
Continuó ad accarezzarle i capelli, divenuti molto lunghi, diversamente dai tempi in cui frequentava la scuola. Aveva sempre amato i capelli corti, differentemente da sua madre, che avrebbe sempre voluto li portasse lunghi, ma con il tempo si era abituata a vedersi così, sebbene la gravidanza avesse cambiato il loro aspetto.
«Mamma?»
«Si, Helen?»
«Perché i miei capelli non sono come quelli di Alastor? O come i tuoi e quelli di papá?»
Adeline sentì un vuoto nel petto. 
«I tuoi capelli sono biondi come lo erano quelli della zia Helen» le spiegó.
«La zia della foto?» domandó, alludendo al quadro che era appeso in salotto, che ritraeva Helen al ballo del ceppo.
«Si amore, proprio lei»
«Non c'è più?» domandó la bambina, incupendosi.
«Lei ti guarda da lì» la rassicurò Adeline, puntando un dito al cielo. La piccola Helen mandó un bacio nel cielo; questo gesto fece sorridere Adeline, e contemporaneamente le riempì gli occhi di lacrime chiare.
Pochi istanti dopo anche Alastor sopraggiunse, prendendo posto accanto alla sorella.
«Dicci qualcos'altro della zia Helen! Papá non ne parla molto» notó il bambino.
«Papà è ancora molto triste per quello che le è accaduto. La zia Helen ha combattuto valorosamente, sapete? Poi peró è volata in cielo» 
«Come i draghi?» domandó Alastor.
Era incredibile come il padre avesse infuso ai figli l'amore per quelle fantastiche creature.
Adeline gli passó una mano nei capelli, rispondendogli poi: «Si, come i draghi».
«E lo zio Charlie l'amava?»
«Più di tutto»
«Anche più dei draghi?» ripropose Alastor; Adeline rise forte.
«Anche più dei draghi».
La piccola Helen guardava con aria imbronciata le onde del mare intanto, così Adeline decise di raccontarle qualcosa che le avrebbe strappato un sorriso.
«La zia Helen aveva una bellissima rosa, che le era stata regalata da zio Charlie. Quando lei era felice, la rosa sbocciava in tutta la sua maestosità; ma quando lei era triste, la rosa si afflosciava. 
Voi due, piccoli miei, siete le mie rose, ma al contrario di quella della zia, quando voi siete felici, io sboccio» proferì, carezzando le loro teste.
«Adesso datemi le mani, andiamo a lanciare vostro padre nella sabbia» li spronó, facendoli ridere.
Alastor si tiró su, scuotendosi la sabbia di dosso. Adeline afferró la mano di Helen, aiutandola ad alzarsi.
«Non avere paura mammina, io ci saró sempre» proferì la bambina d'un tratto, stringendole la vita.
Era assurdo quanto sua figlia fosse in grado di capirla a fondo.
«Anche io e papà ci saremo sempre, amore».
Poi si presero per mano e cominciarono a correre in direzione di Jacob, che si illuminó in volto, un attimo prima di finire a terra.
Adeline volse gli occhi al cielo limpido, sorridendo.
Era certa che di lì a poco Helen avrebbe mostrato la magia che celava dentro.

 

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Capitolo 11
*** CAPITOLO 10 ***


HELEN JANE

Londra, 1 Settembre 2013

Il fischio del treno annunció l'immediata partenza dalla stazione di King's Cross. Avevano trovato un vagone libero, non poco distante dall'ingresso della locomotiva. Si voltó verso il finestrino: sulla banchina il padre e la madre continuavano a sventolare le mani e mandare baci. Che cosa le attendeva? Si sentiva euforica, ma allo stesso tempo un po' spaventata.
«Helen» 
Suo fratello Alastor attiró la sua attenzione, inducendo a rivolgere il proprio sguardo verso di lui.
«Sei emozionata?» chiese premurosamente, incurvando le labbra.
«Un po'» rispose lei, proprio mentre il treno iniziava a muoversi, lasciando il binario 9 e 3/4 alla volta di Hogwarts. In quel preciso istante, la porta del loro scompartimento si aprí, rivelando due figure: una dalla capigliatura color carota, l'altra, invece, bionda. Si trattava di Fred Weasley e Victoire Weasley, i due migliori amici di Alastor e, rispettivamente, i figli di George e Bill Weasley. Entrambi si accomodarono, l'uno accanto a suo fratello, l'altra accanto a lei.
«Bonjourn» salutó la bionda.
Victoire le rivolse un dolce sorriso  e lei ricambió. Le stava simpatica, era una ragazza molto a modo. Stessa cosa non si poteva dire per Fred; ne combinava di tutti i colori ed Helen era decisamente infastidita dal suo essere cosí caotico e il suo totale ignorare le regole. Alastor aveva detto che nei precedenti due anni aveva ricevuto innumerevoli ammonizioni ed altrettante punizioni.
«Ciao Alastor!» esclamó, sedendosi poco dopo.
«Quest'anno ci divertiremo» inzió, entusiasta «Ho preso in prestisto delle cose dal negozio di mio padre. Sono fantastiche!» concluse tirando fuori della tasca delle strane sfere colorate, che somigliavano molto a delle biglie, ma Helen era sicura fossero tutt'altro.
Notó che Victoire aveva portato una mano alla fronte, scuotendo la testa.
«Preso in prestito?!» s'intromise la piccola Clark, guardandolo con sguardo torvo.
«Oh ciao Helen, ci sei anche tu» le sorrise e lei sentì per un momento un divampante calore all'altezza delle guance. «Primo anno eh?» chiese poi, continuando a fissarla.
«Si» rispose semplicemente lei, voltandosi nuovamente in direzione delle vaste distese verdi che si potevano osservare dai finestrini, mentre le sembrava di percepire ancora quegli occhi vispi su di lei.

Helen non aveva mai visto la Sala Grande; per quanto Alastor avesse potuto descriverla, non se la immaginava tanto maestosa. Un tetto costernato di stelle sormontava l'intero ambiente e lei rimase a fissarlo a bocca aperta mentre camminava in gruppo con gli altri studenti del primo anno, guidati da una vecchia professoressa che ricordava aver detto di chiamarsi McGrannit.
«Lo sai che è un incantesimo? Rispecchia il cielo al di fuori e cambia insieme a lui?» 
La voce calma di una ragazzina la indusse a staccare gli occhi dalla volta e posarli su di lei.
«Si, lo so» rispose. «Me l'ha detto mio fratello» aggiunse.
Era una strega dai capelli corti e scuri, la pelle un po' pallida e un viso tondo. Quest'ultima le tese una mano, che Helen strinse poco dopo.
«Sono Jenna Brown, piacere» esclamó, incurvando le labbra.
«Helen Jane Clark» ricambió il sorriso. «Ma puoi chiamarmi solo Helen».
La tradizionale cerimonia di smistamento ebbe inizio qualche istante dopo; tutti i piccoli maghi e le piccole streghe erano ammassati avanti ad uno sgabellino, su cui era poggiato un vecchio cappello, che veniva messo sulla testa di ognuno di loro, determinando la casa di appartenenza.
«Mia mamma era in Serpeverde» disse improvvisamente Jenna. «Si chiama Ava Anderson, lavora al Ministero» precisó la mora.
«La mia in Grifondoro. Si chiama Adeline Parker ed è un auror.» ribattè lei, mentre un ragazzino, smistato in Corvonero, veniva acclamato e accolto dal resto degli studenti.
«Che figo!» esclamó, sovrastando i rumori in sottofondo.
Proprio in quel momento, Jenna venne chiamata e fu subito smistata in Serpeverde. La vide correre felice in direzione del tavolo della propria casa, evidentemente sapeva giá dove sarebbe voluta andare, a differenza sua, che viveva nella più completa indecisione.
«Helen Jane Clark» il proprio nome riecheggió tra gli schiamazzi.
Giunse il suo turno. Si avvicinó alla professoressa, sedendosi sullo sgabello, mentre le veniva poggiato il Cappello Parlante sul capo. Questo inizió a contorcersi.
«Bene bene bene» inizió. «Cos'abbiamo qui, una Clark» si mosse in direzione della tavola Grifondoro. «Tuo fratello è in Grifondoro, tuo padre e tua madre lo erano, quindi dovrei smistarti in Grifondoro» 
Helen vide suo fratello, Fred e Victoire Weasley guardarla; la bionda le sorrise e il rosso le strizzó un occhio.
Che fosse quella la sua Casa?
«Eppure» continuó il cappello. «Vedo in te qualcosa: intelligenza, astuzia, anche ambizione, un forte senso dell'amicizia. Mh...» smise per un attimo di parlare.
«SERPEVERDE!» esclamó, mentre Helen veniva accolta dagli applausi degli altri membri e di Jenna, che la invitó ad accomodarsi di fianco a lei; da quel momento avrebbe iniziato a scrivere un nuovo capitolo della propria vita.
 

Hogwarts, Aprile 2014

I mesi trascorsero in fretta, ormai si era completamente ambientata all'interno della scuola. Aveva fatto amicizia con nuove persone, sia appartenenti alla sua Casa, che alle altre. Aveva rafforzato il rapporto con Jenna, al punto tale da  ritenerla la sua migliore amica. Aveva imparato tantissime cose nuove: incantesimi, pozioni, addirittura qualche avvitamento con la scopa. Volare le piaceva tantissimo, Madame Hook diceva che avrebbe potuto unirsi alla squadra di Quidditch al suo secondo anno ed Helen ne era davvero entusiasta. Così come adorava librarsi in aria, allo stesso modo detestava partecipare alle lezioni di Storia della Magia ed Erbologia. Il suo primo anno stava volgendo al termine e la sua attenzione, così come la concentrazione durante quelle interminabili ore in aula, sembrava calare giorno dopo giorno. Jenna era straordinaria, aveva sempre la risposta ad ogni domanda; a lei, invece, nonostante conoscesse gli argomenti, non interessava più di tanto: la sua pigrizia vinceva su ogni alzata di mano. 
Quel giorno aveva ben tre ore di fila con il professor Paciock e avrebbe tanto voluto assentarsi, ma sapeva benissimo a quali conseguenze sarebbe andata incontro; non era tanto la detrazione di punti a spaventarla, più che altro una strillettera della madre. Un suo amico Tassorosso ne aveva ricevuta una ed era stato un vero imbarazzo; Helen si rifiutava categoricamente di diventare lo zimbello di tutti. L'insegnante era davvero bravo, non lo si poteva negare, tuttavia, Helen non riusciva proprio a seguire il filo del discorso. Ogni oggetto sembrava una possibile fonte di distrazione da quella noiosissima cantilena su vegetali e fertilizzanti. Aveva compreso semplicemente che l'argomento del giorno fosse la Valeriana, poi aveva iniziato a vagare tra i pensieri. Stava riflettendo sul fatto che quel pomeriggio si sarebbe tenuta la partita di Quidditch Serpeverde contro Grifondoro, per cui tutta la scuola era in fermento. Suo fratello Alastor e Fred Weasley giocavano come battitori, nonostante ciò, avrebbe tifato per la squadra verde-grigia. Durante l'ultimo match i Grifondoro avevano vinto, anche perché lo stesso Weasley era stato in grado di disarcionare il cercatore dei Tassorosso, tirandogli addosso un bolide. Helen corrugó la fronte al ricordo: un colpo basso, anche se accettato dalle regole del gioco; quel ragazzo era impossibile!
«Signorina Clark, torni tra noi» 
La voce del professor Paciock la fece sussultare, inducendola a rivolgere la propria attenzione all'uomo.
«Scusi professorr» sussurró, debolmente, abbassando lo sguardo. Non molto tempo trascorse tra quell'episodio e la fine della lezione, che sembró essere un sollievo per Helen. Jenna le si avvicinó, di modo che potessero recarsi insieme a pranzo. Poco prima di varcare l'ingresso della Sala Grande, l'amica si voltò in sua direzione, guardandola.
«Sei in gamba» disse. «Ma hai due difetti: sei una ritardataria cronica e, per di più, ti distrai con ogni cosa» puntualizzò la Brown. «Però credo esistano poche streghe brave quanto te» concluse, prendendo posto al tavolo dei Serpeverde.
Helen rimase a fissarla per qualche secondo, poi sorrise: era pur sempre un complimento, no?

 

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Capitolo 12
*** CAPITOLO 10.0 ***


HELEN JANE

Hogwarts, Gennaio 2019

«Permesso» sentiva il cuore in gola e il fiato venirle meno. «Scusatemi».
Correva, scansando gli studenti che popolavano il corridoio principale. Urtó la spalla di una ragazza Corvonero che le riservó uno sguardo infastidito.
«Perdonami» le urló, mentre continuava a farsi spazio, svoltando poco dopo in direzione delle scale. Era in ritardo per la prima riunione con i membri del Club di Astronomia, che aveva iniziato a frequentare quell'anno, il quinto per lei, decisivo in quanto avrebbe dovuto affrontare i G.U.F.O, nonchè la sua prima vera prova della vita.
Saliva affannosamente, saltando due gradini alla volta, ma proprio quando stava per arrivare alla fine di quella rampa, le scale iniziarono a cambiare posizione. Helen si aggrappò al passamano in pietra, ringraziando Merlino che non fosse precipitata, aveva sempre paura, eppure non capiva come fosse possibile.
«Per la barba di Silente, proprio ora no!» imprecó, continuando a salire quando sembró tutto stabillizzarsi. Quel movimento aveva cambiato l'assetto delle rampe ed ora si trovava in un corridoio che le sembrava appartenere al sesto piano. Non ci era mai stata, non era un luogo a lei familiare. Giunse davanti ad una porta sulla quale era affissa una targa su cui era scritto:

'Corridoio degli eroi'

Helen spinse la porta che si aprì cigolando, afferrò la sua bacchetta in legno di faggio e pronunciò un Lumos a causa della poca luminosità della stanza, proveniente solo da alcune fiaccole ancorate alle pareti, costernate a loro volta da un gran numero di cornici. I quadri che tappezzavano i muri in pietra, erano alcuni vuoti, nei quali era possibile osservare un semplice paesaggio di sfondo, in altri, invece, scorse delle figure, muoversi. Non riusciva a capire dove fosse finita, perchè corridoio degli eroi? Chi erano quelle persone?
Si avvicinò ad uno di quei ritratti: questo raffigurava un uomo con un volto pieno di cicatrici e una donna, con una capigliatura davvero particolare, di un rosa acceso. Lesse in basso a destra, mentre i due si voltarono a guardarla. Si sentiva davvero osservata, dal momento che non fossero i soli a puntare lo sguardo nella sua direzione.

'Remus Lupin e Nymphadora Tonks'

Il suo cuore sembrò perdere per una frazione di secondo la velocità. Aveva già sentito quei nomi, sua madre ne aveva parlato: Tonks l'aveva aiutata nel suo percorso da auror, ed entrambi l'avevano accudita per un periodo della guerra, durante la quale avevano perso la vita, insieme a sua zia. Sgranò gli occhi: sua zia, la guerra, il corridoio degli eroi! Si guardò freneticamente attorno in preda all'euforia, poi si rivolse a Lupin e Tonks che ancora la fissavano.
«Sono la figlia di Adeline» disse repentinamente. «Adeline Parker, ve la ricordate?»
Entrambi annuirono e le sorrisero.
«Non potete parlare?» chiese poi. Scossero la testa, dopo Lupin tirò fuori dal taschino della giacca quella che le parve essere una Cioccorana, che mangiò poco dopo. Helen rimase per un attimo con lo sguardo incollato a quella scena: era incredibile quanto sembrassero delle persone vive, reali, solo intrappolate all'interno di una cornice. 
Li salutò educatamente, cominciando una veloce ricerca: non sapeva dove guardare, ma era sicura fosse lì, sua zia Helen doveva essere in quel posto, lo avrebbe giurato.
Percorse qualche passo prima di trovare il suo nome, ma il quadro era vuoto. Lesse e rilesse piú volte; sentiva brividi percorrerle la schiena e gli arti.
Sapeva che fosse stata una donna straordinaria, una strega intraprendente e carismatica, tanto amata da suo padre Jacob e sua madre Adeline, per non parlare di quello che lei adorava chiamare 'zio' Charlie. Aveva sempre avuto un occhio di riguardo per la piccola Helen Jane, la riempiva di regali e sorprese; somigliava davvero così tanto a sua zia? Effettivamente dalle poche foto che aveva visto e dalle descrizioni, doveva avere davvero molte cose in comune: era bionda, occhi azzurri e labbra rosee. 
Alzó gli occhi sulla cornice ancora vuota.
«Helen» sussurró «Zia Helen».
Per un attimo pensó che nessuno sarebbe giunto, poi una figura sembró avvicinarsi, percorrendo il sentiero dipinto all'interno del ritratto. Helen Jane sentiva gli occhi bruciarle, mentre cercava di trattenere le lacrime, non potendo credere a quel che stava vedendo: era davvero lei, era sua zia, la strega che più avrebbe voluto conoscere, che aveva imparato a stimare; lei aveva perso la vita affinché tutto quello di cui oggi poteva godere, fosse salvo. Hogwarts, l'intero mondo magico era scampato alla distruzione, grazie al sacrificio di tutte quelle persone. Sua zia era lì, immobile e la guardava, quasi aspettando una sua reazione. Era davvero bellissima e cosí simile a lei, per poco non le sembrava di vedersi riflessa in uno specchio, se non fosse stato solo per la lunghezza dei suoi capelli, che aveva da poco tagliato, infatti le arrivavano alle spalle. Una piccola goccia salata le solcó il viso e lei l'asciugó con un dito.
«Zia sei tu? Sei proprio tu?» la voce le uscì rauca, aveva la bocca pastosa. Con un movimento lento appoggió la propria mano sul ritratto, sperando che questa potesse attraversarlo per riuscire a toccarla, ma ció non accadde. La ragazza imitó Helen Jane, come a far congiungere le due mani, separate da un qualcosa di invisibile, uno schermo sottile che divideva la vita dalla morte.
«Sono la figlia di Jacob», pronunciava le parole sempre più a fatica. «Tuo fratello».
La vide portarsi l'altra mano alla bocca, sgranando gli occhi, dai quali, poco dopo, sgorgarono lacrime che sembravano dipinte, come tutto il resto.
Helen Jane non riuscì più a trattenersi, iniziando a singhiozzare, proferendo frasi sconnesse, accasciandosi poco dopo a terra.
«Non ci credo, non è reale»
Le gambe le tremavano. Non aveva mai conosciuto la sorella di suo padre, la stessa per cui ancora piangeva la notte; per cui ogni 2 Maggio si assentava, come rilegato in un limbo temporale, probabilmente rifugiandosi nei ricordi che aveva con lei; per cui Charlie Weasley ancora soffriva, al pari di sua madre, che l'aveva sempre descritta come una parte di lei, della sua vita, che era sfumata via troppo presto.
Non voleva crederci, non voleva accettare il fatto che quella figura all'interno del quadro non fosse realmente lei, ma solo una rappresenzazione che si muoveva ed interagiva con la piccola serpeverde per mezzo della magia. 
Un tocco sulla spalla la fece sobbalzare. Si voltó di scatto, trovandosi faccia a faccia con Fred Weasley, l'amico di Alastor, nonché figlio di George Weasley, altro sopravvissuto alla guerra.
«Avevo sentito piangere» spiegó lui, facendo dei passi indietro. «Pensavo fosse Nick Quasi Senza Testa che frignava perché non fosse stato accettato di nuovo per la caccia invernale dei Cavalieri Senza Testa».
«Che ci fai qui tu?» Helen pronunció con foga quella frase, sorpresa, ma allo stesso tempo quasi infastidita dalla sua presenza e dal fatto che l'avesse vista in un momento di debolezza.
«Helen Jane Clark» sbuffó lui. «Avevo dimenticato quanto fossi nota per la tua simpatia» concluse ironico, accennando un sorriso, a cui lei rispose con una smorfia. Distolse l'attenzione dal ragazzo, rivolgendola nuovamente a sua zia, la quale era ferma lì ad osservare la scena.
«Che posto è questo?» chiese poco dopo, continuando a dare le spalle al rosso.
«Avevo dimenticato anche la tua poca perspicacia» sghignazzó il ragazzo. Helen avrebbe voluto tirargli un pugno in faccia, ma si trattenne, troppo scossa da tutto ció che le stava accadendo.
«Puoi rispondermi per favore?»
«Il corridoio dei caduti in guerra» rispose allora lui.
«Questo lo avevo capito» disse, voltandosi nuovamente. «Ma perchè?» insistette, guardandolo fisso negli occhi
«E che ne so io» fece spallucce. «Chiedilo alla McGrannit» aggiunse beffardo.
Si giró nuovamente, poggiando la mano sul quadro.
«Chiedile qualcosa» disse, affiancandosi a lei.
«Non saprei cosa» ammise, ricambiando il sorriso che la zia le stava rivolgendo.
«Domandale se le piacciono le Api Frizzole» suggerì il rosso, ridendo sotto i baffi.
Helen non rispose, non ne sarebbe valsa la pena perdere tempo a discutere con quella testa bacata di Fred Weasley. Caló un silenzio così assordante; le mille domande che avrebbe voluto porle, le mille cose che avrebbe voluto sapere, i mille pensieri, tutto le ronzava in testa come uno sciame d'api, sentiva le orecchie esploderle. 
Sua zia Helen era lí immobile, non faceva nulla, semplicemente le sorrideva. Si sforzava di convincersi del fatto che non fosse reale, non era realmente con lei in quel momento, quell'ammasso di pittura non era davvero la donna che avrebbe voluto incontrare, abbracciare, con cui avrebbe dovuto discutere, farsi consigliare, che avrebbe voluto guardare negli occhi, tempestare di domande.
«Ti ha fatto male?» la voce sembrava ogni volta trovare un ostacolo in gola che le impedisse di fuoriuscire. «Quando sei morta, ti ha fatto male? Hai sofferto?» 
Gli occhi lucidi, le si inondarono di lacrime. La bionda scosse la testa. Sentiva lo sguardo di Fred Weasley su di lei, ed Helen Jane si compiacque del fatto che per la prima volta avesse avuto la brillante idea di starsene zitto. Non si spiegava il perché di quei sentimenti contrastanti nei confronti del rosso; li aveva e basta, nonostante tutta la scuola adorasse lui e le sue bravate.
«Come conosci questo posto?» questa volta si rivolse proprio al ragazzo, che se ne stava in piedi di fianco a lei.
«Anch'io ho uno zio che è morto in guerra, di cui ho il nome» si mosse pochi passi in avanti, fermandosi di fronte ad un'altra cornice.
«Ciao zio Fred» esclamò. Helen rivolse uno sguardo alla figura bionda nel quadro, che continuava a fissarla, accostandosi al rosso. Vide un altro ritratto che, questa volta, raffigurava un ragazzo quasi del tutto identico a Fred; era incredibile quanto somigliassero ai rispettivi zii, sembrava essere uno scherzo del destino.
Il gemello pareva davvero felice di vedere il nipote, sorrideva entusiasta, evidentemente non era la prima volta che si incontravano.
«Vengo spesso a salutare zio Fred, mi sta aiutando in una cosa» spiegò, tirando fuori dalla tasca della divisa una pergamena ripiegata.
«Cos'è? Un altro dei tuoi stupidi scherzi?» gli chiese, allungando leggermente il collo per cogliere qualche interessante dettaglio. Non negava di essere una persona piuttosto curiosa.
«E anche oggi Helen Jane Clark hai mangiato pane e simpatia per pranzo?» la punzecchió divertito.
Le fece cenno di avvicinarsi.
«Questa» mise la punta della bacchetta sul foglio. «È la nuova versione della Mappa del Malandrino» spiegó poi.
«Giuro solennemente di non avere buone intenzioni» pronunció e la mappa inizió a prendere forma, rivelando quella che riconobbe come la pianta di Hogwarts.
«Questa mappa è oro: puoi vedere chiunque tu voglia in quale angolo o stanza del castello sia e poi...» alzó lo sguardo dalla pergamena, posandolo su di lei. I loro occhi di incontrarono e per la prima volta Helen Jane notó quanta vitalità inondasse quelli di Fred, di un nero intenso; non li aveva mai visti così da vicino. Si sentì arrossita.
«Poi?» chiese lei, abbasando il capo nuovamente sulla mappa.
«Sono segnati tutti i passaggi segreti di Hogwarts e zio Fred mi sta aiutando a scoprirli, anche quelli creati da lui e papà durante il loro periodo qui» spiegó, assumendo un'aria compiaciuta.
«Perchè dici 'nuova versione'?» 
«Perchè ne esisteva un'altra che papà e zio Fred diedero ad Harry Potter anni fa, poi non si è più saputo nulla, evidentemente è andata perduta o distrutta durante la guerra» ribattè, con un tono piú serio di quel che gli si potesse attribuire. «E quindi io voglio ricostruirla e lo faccio con zio Fred, perchè papà non ha voluto aiutarmi, immagino gli faccia male rimembrare gli anni di Hogwarts, quando zio era ancora...insomma, vivo. Ci soffre tanto» aggiunse poi ed Helen avrebbe potuto dire di aver visto una vena di malinconia nei suoi occhi, che parve scomparire subito, lasciando spazio al suo solito sorrisino. «Ma non mi sono dato per vinto!» concluse, riponendo nuovamente la sua bacchetta sulla pergamena.
«Fatto il misfatto!»
Pronunció quelle parole e il foglio ritornó bianco, immacolato.
Fred gli si avvicinó, con la solita espressione burlesca stampata in volto, che ormai lo caratterizzava.
«Tua zia e tua madre erano come sorelle per mio padre e zio Fred» la guardó dritta negli occhi. «Le somigli tantissimo».
«A chi?»
«A tua zia» rispose con un tono ovvio. «Era davvero una strega bellissima».
Caló un silenzio tra di loro ed Helen sentí le proprie orecchie fischiare.
«Stai forse dicendo che io sono una strega bellissima?» lo beffeggió lei, nell'intento di smorzare l'imbarazzo che sembrava starsi impadronendo di lei.
«Questo lo stai dicendo tu, Helen Jane Clark, non io» rispose lui, incurvando le labbra.
Un altro assordante silenzio si fece spazio tra di loro, poi ad Helen venne in mente una cosa: il club di Astronomia!
«Oh no no no!» si agitó, guardandosi freneticamente intorno. Fred inarcó un sopracciglio.
«Ma che ti prende?»
«Sono in ritardo, il club di Astronomia, dovevo essere lì» 
Si avvicinó al quadro della zia, salutandola con un sorriso, promettendole di ritornare con più calma, non si voltó indietro a salutare Fred, ma sentì urlargli un "Ci becchiamo in giro" proprio mentre lei varcava la porta d'accesso al Corridoio degli Eroi.
Se avesse dovuto descrivere quella giornata, l'avrebbe sicuramente definita: piena.
Piena di emozioni, di sorprese, di malinconia, di novità. Per la prima volta aveva conversato quasi civilmente con Fred Weasley e non era stato neanche poi tanto male; questa cosa la sconvolse non poco. Per la prima si era commossa davanti ad un ritratto di sua zia. Voleva sapere di più su di lei, anzi, doveva e avrebbe fatto di tutto per onorare la memoria di quella valorosa strega di cui portava il nome.

 

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Capitolo 13
*** ANGOLO AUTRICI ***


Ciao a tutti, siamo tornate, come promesso, con una raccola di missing moments per alcuni dei personaggi dai noi stesse creati.
Abbiamo iniziato, come giusto che fosse, con Jacob ed Adeline, inserendo alla fine un paio di capitoli su Helen Jane, loro figlia.
In realtà è stata una scelta alquanto meditata quella di Helen Jane, perchè nel caso vi piacesse come personaggio e vi piacesse l'idea di un breve sequel di Omnia Mutantur, noi potremmo svilupparlo. Questo implicherebbe, l'aggiunta e il conseguente sviluppo di personaggi, che avete potuto già incontrare in questa prima parte, come Fred Jr. Weasley, Victoire Weasley, altri inventati da noi quali Alastor Clark e Jenna Brown. Sarebbe una sorta di new generation, diversa ovviamente da quella della Rowling, in quanto cercheremo, in ogni caso, di dar spazio a personaggi secondari, come abbiamo fatto con la precedente fanfiction.
Questo progetto, tuttavia, non è ancora sicuro, sta maturando un'idea, che troverà conferma o meno in base anche alle vostre opinioni; cerchiamo di lavorare tenendo conto anche di ció che piace al lettore, per cui, fateci sapere che ne pensate.
Detto ció, vi lasciamo al prossimo aggiornamento; non vi accenniamo niente, sarà una sorpresa.
Tanti baci.

Ophelia
(R&M)

 

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