La figlia del tempo - La Coccinella

di Shora
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo uno ***
Capitolo 2: *** Capitolo due ***
Capitolo 3: *** Capitolo tre ***
Capitolo 4: *** Capitolo quattro ***
Capitolo 5: *** Capitolo cinque ***
Capitolo 6: *** Capitolo sei ***
Capitolo 7: *** Capitolo sette ***
Capitolo 8: *** Capitolo otto ***
Capitolo 9: *** Capitolo nove ***
Capitolo 10: *** Capitolo dieci ***
Capitolo 11: *** Capitolo undici ***
Capitolo 12: *** Capitolo dodici ***
Capitolo 13: *** Capitolo tredici ***



Capitolo 1
*** Capitolo uno ***


Capitolo uno
Si poteva venire soffocata dalle proprie lacrime o dai propri singhiozzi? L’aria sembrava mancarmi, non riuscivo a dire una parola. Vedevo solo i suoi occhi verdi che mi fissavano, imperscrutabili. Qualche ciuffo biondo gli accarezzava la fronte. Dio come era bello! Persino in questo momento così straziante, non aveva perso un briciolo del suo fascino. “Perché?” avrei voluto gridare. Ma uscivano solo respiri strozzati dalle mie labbra. Si poteva morire di cuore spezzato? Perché credo proprio che stesse succedo qualcosa di simile.

Mi stiracchiai sulla sedia, mentre un bel sole pomeridiano e primaverile entrava dalla mia finestra in camera da letto. Riportai gli occhi allo schizzo che avevo fatto sul mio blocco per disegnare e corrugai la fronte e infastidita scarabocchiai sopra quello che doveva essere un vestito a sirena. Già, doveva. Possibile essere bloccata da ore su un singolo abito? Sbuffai irritata. Abbandonandomi allo schienale della sedia chiusi gli occhi. Un piccolo sorriso mi decorò le labbra, mentre i ricordi della sera prima mi riaffioravano alla mente. Avevo partecipato ad una innovativa festa in maschera, che avevo travato al contempo molti divertente. Era stata ideata da un mio compagno di scuola per il suo compleanno, Ninò. Io mi ero messa un vestito lungo fino al ginocchio, cucito da me, rosso a pois neri. Volevo richiamare una coccinella e a giudicare dai complimenti di ieri la mia idea non solo si era capita, ma era risultata persino innovativa. A completare il tutto avevo indossato una maschera simile a quelle di carnevale, sempre a pois neri si sfondo rosso e legato i miei capelli corvini in un modesto chignon. Ero andata accompagnata da Alya, mia migliore amica nonché complice di malefatte. Lei indossava pelose orecchie da volpe e una vistosa coda del medesimo animale. Era vestita in modo semplice: jeans slavati di un tessuto leggermente scuro e una t-shirt blu e piuttosto accollata, con una bella scollatura. Ma l’entrata veramente spettacolare quella sera la fece Chloè. Portava un vestito nero e giallo a righe, ricordando un’ape, con morbide antenne nere sulla testa. A quanto pare l’idea dell’insetto non era venuta solo a me. Ma ciò che lasciò la maggior parte delle ragazze (e anche qualche ragazzo, notai) a bocca aperta fu l’ingresso dell'accompagnatore. Era un ragazzo che non avevo ma visto. Alto, biondo e con meravigliosi occhi verdi. Era davvero possibile che una bellezza tale fosse legale? Persino con le sue orecchie da gatto nero sembrava incredibilmente affascinante, cosa non da tutti. Indossava vestiti non particolarmente eleganti: maglietta nera e jeans, nelle quali tasche erano saldamente nascoste le mani. Dietro di lui notati dondolare una simpatica coda nera. Il suo sguardo corse sul gruppo di persone davanti a lui. Sembrava annoiato. Ma la domanda che mi stavo ponendo, come quasi tutti credo, era: chi diavolo era quel tipo? E me la stavo ponendo anche ora. Adrien (con non poca fatica avevo scoperto il suo nome), non veniva alla nostra scuola e nessuno lo aveva mai visto prima. Eccetto Chloè, a quanto pare. Mossi un po’ il piede sovrappensiero, e schiudendo piano gli occhi turchesi, per non accecarmi, fissai la mia piccola voglia a forma di coccinella sulla mia caviglia a cui era legato anche un fatto divertente: infatti a quanto pare al Louvre era conservato un geroglifico dove una donna egiziana aveva la mia stessa voglia. Alya scherzava sempre sul fatto che fosse una mia antenata. Dal canto mio ero sempre rimasta molto colpita dalla singolare coincidenza. Ammetto fosse stata proprio quella ad ispirare il mio vestito della sera prima. Mi chiesi se anche per Chloè fosse stato così. Dopo tutto aveva una voglia a forma d’ape sul polso. L’avevo sempre trovata molto carina. Le donava del resto. Era sempre stata una ragazza molto bella e quel tocco sembrava quasi disegnato di proposito. Ovviamente non era così. Mi diedi la spinta e girai in tondo sulla mia sedia girevole. Avevo googolato per ore ieri, di ritorno dalla festa. Di Adrien ne sapevo solo un briciolina in più di ieri. Sapevo che di cognome faceva Agreste e che suo padre era uno famoso stilista, che però non presenziava mai alle sue stesse sfilate. La cosa mi parve subito molto sospetta, ma ci passai sopra durante la mia ricerca, senza però scoprire nulla di più. La sua storia era avvolta nella più completa oscurità. Sembrava fosse comparso solo ieri sulla terra. Riflettendoci su però non era l’unico la quale famiglia e origine aveva un’aura di mistero. La stessa Chloè aveva un non so che di strano. Suo padre era il sindaco della città, ma si vedeva solo di rado e lo stretto necessario. Non ero una sua amica, solo una compagna di classe, ma sapevo che le sue amiche non erano mai andate a trovarla per il semplice fatto che casa sua era inavvicinabile. Scossi la testa e mi stiracchiai di nuovo. Decisi che era inutile continua a sbattere la testa su quel maledetto progetto. Quasi avesse degli occhi gli feci la linguaccia. Proprio in quel momento il mio telefono cominciò a vibrare mentre il nome di Alya lampeggiava sullo schermo. Lo afferrai felice di avere una distrazione.
«Qui Marinette a rapporto!» esclamai, accentando la chiamata.
«Ciao.» sentii ridacchiare Alya dall’altra parte del telefono. «Ti chiamo per sapere se vuoi raggiungere me ed Alix al parco. Dopotutto è una così bella giornata.» Sorrisi raggiante.
«E me lo chiedi? Fate conto che sia già lì!» misi giù. Mi tolsi il pigiama, che indossavo da quella mattina, e mi infilai una semplice maglietta bianca con dei piccoli fiori di pesco stampati al centro e una paio di normali jeans. Fatto ciò mi precipitai fuori di casa. Il parco era un po’ lontano, perché da un po’ di tempo preferivamo quello rispetto all’altro davanti a casa mia. Per raggiungerlo c’era una percorso molto suggestivo da fare, perché si costeggiava la Senna e si passava davanti a Notre Dame. Proprio mentre attraversavo quel tratto notai, con la coda dell’occhio un movimento. Mi girai facendo appena in tempo a scorgere Chloè, vestita con un ingombrante abito vittoriano (esatto vittoriano!) rosso aprire l’ingresso della chiesa. Per poi chiudersi il grande portone alle spalle con aria sospetta. Mi guardai intorno. Nessuno aveva notato nulla? Fissai il portone, quasi potessi vederci attraverso. Me lo ero immaginata? Confusa, attraversai la strada e aprii piano l’imponente portone cigolante. Lanciai uno sguardo incuriosito all’interno. La chiesa era vuota. Strano, in genere era ghermita di turisti e poi avevo appena visto Cholè entrare. Poi all’improvviso sentii bisticciare e aguzzando un po’ la vista vidi la mia compagna con quella bomboniera di vestito e che gesticolata piuttosto infuriata con… Adrien! Erano poco distanti dall’ingresso e seminascosti da una colonna. Anche lui era vestito in tema e guardando meglio notai che erano pure acconciati in tema. Ma dove dovevano andare? Ad una recita? Mi chiusi il portone alle spalle il più silenziosamente possibile, ma con tutto il casino di Chloè non averebbero sentito nulla comunque e mi accucciai dietro una panca ad ascoltare.
«Ancora una volta sei in ritardo.» udii dire Adrien, con un tono di voce un po’ piccato.
«Credi sia facile indossare questo e cercare di non dare nell’occhio in luogo come questo?» la mia compagna era talmente irritata che il suo della sua voce raggiungeva livelli notevoli di altezza.
«Avanti, muoviamoci.» tagliò corto Adrien, mentre la ragazza continuava ad accusarlo di tutte le volte che lui era arrivato in ritardo. Sbirciai da dietro la panca dietro cui ero nascosta e ciò che mi vidi mi lasciò a bocca aperta. Dovetti premermi una mano sulla bocca per soffocare un’esclamazione sorpresa. Adrein stava attraversando il muro davanti a lui come se non avesse consistenza. Sembrava quasi fatto d’acqua rispetto a come la superficie si increspava. In un attimo era sparito, inglobato dal freddo muro della chiesa. Un attimo dopo Chloè lo seguì, scomparendo esattamente come il ragazzo. Rimasta sola non mi restò che sbattere più volte le palpebre sbalordita. Erano… spariti? Cosacosa? Mi alzai parecchio stordita e mi avvicinai alla parete. Sembrava completamente normale. Ero completamente impazzita? Mi guardai intorno. Magari c’era un passaggio segreto e sarebbero ricomparsi altrove nella chiesa. Allungai titubante la mano al muro. Con le dita increspai la superficie, come quando si lancia una sasso in acqua. La ritirai di scatto. Poi presi un bel respiro e tanto coraggio e provai a fare come aveva fatto Chloè poco prima, aspettandomi di sbattere dolorosamente la testa. Invece mi ritrovai immersa in una sostanza simile al budino e congelata. Con gli occhi stretti mi affrettai ad attraversare il muro. Mamma mia come suonava strano! E una volta dall’altra parte sollevai le palpebre. Parigi era di nuovo davanti ai miei occhi, ma era diversa. Innanzi tutto tutti giravano con vestiti enormi, come appena usciti da una pellicola sul romanticismo francese. E poi le macchine dov’erano? Sulla strada c’era solo qualche carrozza. Il tutto era condito con un puzzo davvero nauseante. Mossi qualche passo incerta beccandomi non poche occhiate sbalordite dai passanti, che probabilmente fissavo con lo stesso sguardo allucinato. Dove diavolo ero finita?

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Capitolo 2
*** Capitolo due ***


Capitolo due:
Mossi due qualche passo. Ero stordita. Ero... stupefatta. Ed ero impaurita. Provai ad avvicinarmi ad una donna che mi stava passando accanto.
«Mi scusi può aiutarmi?» chiedi titubante. La tipa in questione mi lanciò uno sguardo raccapricciato come se fossi un essere orribile o un alieno e affrettò il passo, allontanandosi. Scorsi un uomo e decisi di tentare con lui.
«Avrei bisogno di aiuto. Può dirmi...» ma anche lui mi ignorò, aggiungendo un “che sfrontatezza...” sottovoce. Mi guardai intorno, cercando Chloè con lo sguardo. Lei o Adrein erano gli unici a potermi aiutare. Dopotutto anche loro avevano trapassato il muro, no? Ma sembravano scomparsi. Urtai una ragazza mentre cercavo di attraversare la strada e provare a vederci un po’ più chiaro. Quando mi girai per chiederle scusa, vidi che aveva le lacrime agli occhi. Seriamente ragazzi, cosa aveva questa gente che non andava? Non sapevo esattamente cosa cercare e quando mi sporsi oltre il parapetto per guardare il fiume mi sorpresi di quanto fosse sporco. Girandomi su me stessa mi misi in punta di piedi e cercai i due “trapassiamo-muri-come-se-niente-fosse” con lo sguardo senza successo. Come avevano fatto ad allontanarsi tanto in quei pochi secondi in cui avevo cercato di raggiungerli? Pensai che la mossa migliore fosse aspettarli davanti al muro dove eravamo passati. Tornai di nuovo alla cattedrale. Feci un profondo sospiro e decisi di appoggiarmi con la schiena alla parete. Come ci provai mi sentii sprofondare e un attimo dopo stavo cadendo di nuovo dentro Notre Dame. Con una smorfia di dolore mi massaggia l’osso sacro, che mi doleva un po’ dopo esserci caduta sopra con davvero poca grazia. Mi guardai intorno. La chiesa era praticamente vuota, tranne per me e una vecchietta su una panca che mi stava guadando costernata. La capivo, dopotutto era appena stata sputata fuori dal muro della chiesa. Prima che potesse dire o fare qualcosa, le lanciai un sorriso di scuse e mi lanciai fuori dalla cattedrale. Il telefono cominciò a squillare, ma io lo ignorai, mentre cercando di controllare il respiro e facevo un rapido check di tutto quello intorno a me. Macchine: ci sono. Persone vestite in modo normale: ci sono. Puzzo nauseante: assente (se non si calcola lo smog). Parigi era di nuovo quella di prima. Il sole mi accarezzava i capelli e il viso. Possibile fosse stata tutto un’assurda allucinazione? In fin dei conti avevo tanto studio e quel maledetto progetto mi stava togliendo il sonno. Stupido abito! Era sicuramente così. Non poteva essere altrimenti. Non si poteva mica passare attraverso i muri ed entrare in un’altra dimensione che sembrava uscita da una cartolina dell’ottocento, giusto? Giusto. Era stato solo uno stupido sogno ad occhi aperti. Il cellulare riprese a suonare.
«Sì?» risposi dopo aver letto il nome di Alya sullo schermo.
«Marinette! Non dirmi che ti eri addormentata! È la decima volta che tento di chiamarti? Siamo al parco ad aspettarti!»
«Emm… no… cioè sì… voglio dire: sto arrivando. Ho avuto solo un piccolo contrattempo.»
«Un “piccolo” contrattempo di venti minuti?» Venti che cosa? Non mi sembrava di essere stata al di là del muro per tanto tempo. Pardon… di aver sognato ad occhi aperti per così tanto tempo.
«Non preoccuparti Alya, sto arrivando.» risposi, chiudendo la chiamata.
“Sempre che non cada attraverso il marciapiede, non si sa mai...” pensai. Chiusi un attimo gli occhi assaporando i raggi del sole. Infine mi staccai dal portone e lanciai uno sguardo diffidente all’entrata della chiesa. Dopodiché mi diressi al parco.

La sera ero stesa sul letto. Mi sentivo sfinita. Forse avevo del sonno arretrato. Tuttavia questo non si faceva sentire, sembrava si fosse fatto improvvisamente timido. Mi girai verso il muro, raggomitolandomi sotto le coperte. Dopo quello strano evento la giornata si era svolta senza spiacevoli sorprese. Al porco avevamo improvvisato un picnic, ascoltando musica e chiacchierando sotto a quel bel sole che oggi aveva scaldato i nostri corpi e anche il mio cuore. La primavera è la mia stagione preferita e stare fuori tra i fiori e con quella temperatura tiepida mi rallegrava sempre. A cena ero stata con i miei genitori. Un pasto normale con del cibo normale. Nulla di stravagante. Ovviamente non raccontai a nessuno quello che mi era successo. Sembrava assurdo a me, fosse un sogno o meno, figuriamoci raccontarlo agli altri.
“Sai mamma, oggi ho attraversato un muro dentro Notre Dame, tornando forse indietro nel tempo!” Suonava così bene! Come i deliri di una pazza. In sottofondo ai miei pensieri sentivo parlare i miei genitori di sotto. Strano, in genere non andavano mai a letto dopo di me, anzi, spesso si ritiravano prima di quanto facessi io. Rimasi sdraiata in attesa di uno sbadiglio che non voleva arrivare, quando un urlo mi fece trasalire. Mia mamma stava gridando contro qualcuno. Dubitavo fosse mia padre, a meno che non avesse rivestito di farina la loro camera in un disperato tentativo di romanticismo. Ma dubitavo anche quello. Non riuscii bene a distinguere quello che stava dicendo, ma sembrava davvero infuriata. Con cautela scesi dal letto e in punta di piedi mi avvicinai alla botola che mi avrebbe condotto di sotto. Sentii altre voce, insieme a quella irata di mia madre. Una tra l’altro molto familiare. Mi affacciai. Ma che diamine…? Quella voce familiare era di Chloè? Non aveva ragioni per venire a casa mia. Oltre che essere solo compagne di classe non ci stavamo nemmeno troppo simpatiche per il semplice fatto che se la tirava un po’ troppo, per i miei gusti.
«Ma perché adesso? Ha solo sedici anni!» sentii la voce di madre tremare.
«Il fatto che sia cresciuta così tanto lontano dalla nostra associazione è un ulteriore problema.» disse un uomo. Aveva una voce fredda, tagliente. Provai un istintivo brivido.
«L’abbiamo vista con i nostri occhi.» si intromise un ragazzo.
«Tutto questo è assolutamente ridicolo!» si inserì Chloè. Ah già dimenticavo: “ridicolo” è la sua parola preferita.
«Sabine per colpa tua la ragazza è completamente impreparata.» continuò l’uomo ignorando l’entrata nella conversazione della ragazza.
«Non ti permesso di darmi del tu, Agrèste!» schiocco la lingua irritata mia madre.
«Stiamo solo perdendo tempo.» riprese il ragazzo. «Propongo di entrare in camera sua e parlare direttamente con lei.» Emm… chi è il maniaco che sarebbe entrato nella stanza di una ragazza di notte? Per parlare di cosa poi.
«Hai ragione Adrien.» convenne il tizio dalla voce glaciale. Un attimo! Adrien? Agrèste? Stavo cominciando ad unire dei puntini. Mi guardai brevemente. Cavoli! La mia entrata in scena si sarebbe svolta in pigiama evidentemente.
«Cosa sta succedendo qui?» domandai, sbucando nel salotto stranamente affollato. Una serie di sguardi si posarono su di me. Tutta l'intraprendenza che avevo scomparve all’istante. Sul serio, avrei potuto fare di meglio. Tipo rimanere nel mio letto e aspettare che i miei genitori cacciassero quelle persone fuori di casa. La mia ultima frase sembrava detta da Bugs Bunny mentre addenta la sua carota. Non che abbia problemi con i conigli umanoidi o con le carote, ma certamente quella era l’uscita meno azzeccata per la situazione. Chloè sbuffò, spuntando un “ridicolo” fra i denti. Adrien mi guardava come si guardano gli scarafaggi, con le mani saldamente piantate nelle tasche. L’altro uomo, l’altro Agrèste, che supponevo fosse il padre del ragazzo di fianco a lui, mi squadrò come se fossi un raro oggetto da esposizione. Cosa che non mi lusingò più dello sguardo di suo figlio.
«Sul serio, speravo che la Coccinella fosse un po’ più avvenente...» sospirò il ragazzo. Come scusa? Che cafone!
«Guarda che ho un nome! Mi chiamo Marinette, non coccinella!» indignata per il fatto che nessuno gli avesse detto nulla. Non si poteva essere tutti belli come lui o Chloè. Lui alzò gli occhi al cielo.
«Non ci credo, non sa davvero nulla...» Mio Dio, ma qualcuno voleva spiegarmi o avevano intenzione di ricoprirmi solo di insulti e lasciare le frasi a metà. Non stavo capendo nulla.
«Marinette.» mi chiamò mia madre. Spostai il mio sguardo verso di lei e mi sorpresi di vedere i suoi occhi lucidi. Non avevo mai visto mia madre in questo stato. Mio padre, che era rimasto fermo fino a quel momento le cinse una spalla con la mano e lei gli lanciò un’occhiata carica di riconoscimento.
«Marinette.» ripeté con voce più ferma. «È per caso successo qualcosa che non ci hai detto oggi?» mi guardavano con una serietà preoccupante. Sentii le gambe farsi molli. Ma sì, alla fine non ci avevo creduto nemmeno io che fosse un sogno ad occhi aperti. Quello che non avevo creduto erano che c’erano disposte reputare le mie seguenti affermazioni come vere. Fissai alternativamente il gruppetto di persone nel mio salotto e i miei genitori.
«Cosa… cosa volete dire?» avevo la bocca secca. Cosa sarebbe successo una volta detto quello accaduto dentro la chiesa? Chi erano quelle persone? Chi era davvero Chloè? Cosa volevano?
«Sai benissimo a cosa ci stiamo riferendo.» la mia compagna di classe mi trafisse con lo sguardo. «Hai attraversato dopo di noi il passaggio per il 1832 a Notre Dame. Prova negarlo.» Voleva dire che il muro era una specie di macchina del tempo? Aveva incrociato le braccia al petto. Sarebbe stato molto più facile risponderle, magari a tono, se avesse avuto indosso quella bomboniera rossa di quel pomeriggio o se avesse avuto i capelli in disordine. Ma ovviamente era perfetta. I capelli perfettamente in ordine, in una morbida coda scintillante di tutte le tonalità di biondo ed era vestita in maniera impeccabile, con semplice vestito al ginocchio blu notte. Abbassai lo sguardo intimidita dai suoi occhi che mandavano lampi.
«Ti abbiamo vista.» insistette. Non potevo più negarlo.
«Sì.» risposi. «Ma non sapevo fosse vietato, non volevo. Per favore non arrestatemi!» ora era il mio turno di avere le lacrime agli occhi. Lo sguardo allibito dei presenti mi fece capire che dovevo aver appena detto una assurdità.
«Non siamo qui per arrestarti, sciocca ragazzina.» mi specificò molto gentilmente Adrien.
«Marinette, forse è il caso che vieni con noi. Adesso. Non possiamo aspettare un minuto di più.» mi disse M. Agrèste. Adesso? Alle undici di sera? Per andare dove poi. No no. Io non mi muovevo di casa.
«Credo che a questo punto sia possibile aspettare anche domani mattina.» intervenne mia madre. Giusto, io stavo dalla sua parte.
«Ridicolo...» disse solo Chloè.
«Sabine...» il padre di Adrien sembrava sfinito. Mia madre mi si avvicinò e mi mise le mani sulle spalle, come per evitare che mi portassero via con la forza.
«Marinette a bisogno di dormire. Le cose le si possono essere spiegate anche domani mattina con tutta la calma e cerimoniosità che necessitano.» Ehi con calma. Prima di tutto: domani mattina non c’era scuola? Secondo: chi ha detto che sarei voluta andare con quella gente? Certo volevo sapere che cosa stava succedendo, ma di certo se qualcuno si presenta in casa tua a tarda notte non ispira fiducia, no? Non fidavo di nessuno di loro. Nemmeno di Chloè. Adesso mi sembrava di avere davanti una perfetta estranea. Nessuno degli estranei però sembrava condividere l’idea di mia madre. Lei strinse un po’ la presa sulla mie spalle.
«Ha già aspettato sedici anni, qualche ora non farà differenza.» Osservai mio padre con la coda dell’occhio. Non aveva detto nulla dall’inizio della conversazione. Sembrava impietrito. Provai una profonda pena per i miei genitori. Non capivo cosa stava succedendo, ma loro non erano più contenti di me. M. Agrèste fece un profondo sospiro sconfitto.
«Va bene Sabine. Ma domani alle nove voglio te, tua figlia e tuo… marito, se vuole partecipare, a casa mia.» lanciò uno sguardo di sbieco alla figura di mio padre.
«Cercheremo di essere puntuali.» mia madre si sistemò una ciocca di capelli dietro l’orecchio. Era un gesto nervoso che faceva solo quando era sotto pressione.
«Non abusare della mia pazienza.» la minacciò M. Agrèste, fulminando mia madre con i suoi prodigiosi occhi azzurri. Detto ciò si voltò e posò una mano sulla schiena di suo figlio, per intimargli di andarsene. Adrien mi lanciò un ultimo sorriso sarcastico.
«A proposito. Bella mise Coccinella.» arrossì. Ma chi si credeva di essere, dannazione?! Chloè mi lanciò un ultimo sguardo tra l’esasperato e il disprezzo e con un imperioso gesto si voltò, gettandosi i capelli all’indietro. Mi aspettai quasi sibilasse un “ridicolo” da un momento all’altro. Una volta usciti, mia madre fece un profondo e lungo sospiro. Mio padre sembrò riprendesi dalla sua paralisi e si lasciò cadere sulla poltrona accanto a lui. Mia mamma gli si avvicinò e si inginocchiò vicino a lui.
«Sapevamo che tutto questo sarebbe successo, Tom.» Vidi una lacrima scendergli sulla guancia.
«Non possiamo più proteggerla.»

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Capitolo 3
*** Capitolo tre ***


Capitolo tre:
Alle nove e cinque minuti ci trovavamo davanti alla casa degli Agrèste, anche se propriamente casa non si poteva chiamare. Era una villa gigantesca che mi lasciò a bocca aperta. Non pensavo che in una metropoli come questa potesse esistere una costruzione del genere. Gli enormi cancelli separavano me e mia madre dell’imponente ingresso della casa. Per quanto riguarda quel lieve ritardo, ero convinta mia madre l’avesse fatto apposta giusto per fare un dispetto a M. Agrèste. Mia mamma suonò il campanello e fissò con astio la telecamera posizionata sopra il citofono. Non ci fu nessuna voce registrata che ci invitò ad entrare come mi ero aspettata. Semplicemente il cancello si aprì e basta. Sinceramente alla fine non sapevo nemmeno io bene cosa aspettarmi. La conversazione di ieri sera più che illuminante aveva avuto la reazione opposta. Mille domande, mille dubbi mi affollavano la mente. L'atrio che ci attendeva all’ingresso era abbastanza spoglio, con piastrelle di un enigmatico bianco e nero, un po’ come una scacchiera. Davanti a noi si aveva un’enorme scalinata, lucida e imponente. Metteva un po’ di soggezione. Quella che doveva essere la segretaria di M. Agrèste, ci accolse appena entrate. Aveva i capelli neri, a eccezione di un ciuffo rosso che trovai in netto contrasto con l’abbigliamento nero e serioso che sfoggiava quella mattina. Ci chiese cortesemente di seguirla e così fecimo. Nessuno disse una parola e l’unico suono era quello del ticchettio ritmico dei tacchi della segretaria e dei passi miei e di mia madre. Non ci condusse lungo la scala, come avevo sospettato, ma ci portò in una stanza un po’ appartata dopo un breve corridoio subito alla sinistra dell’entrata che non avevo notato. Appena arrivammo davanti alla porta chiusa della stanza dove si sarebbe svolto il colloquio (o almeno speravo si trattasse di quello), si fermò e bussò alla porta. Ricevuto il permesso di entrare, ci aprì l’uscio e poi si dileguò in silenzio, per quanto i tacchi lo permettessero. Notai subito che all’interno della stanza c’erano più persone di quelle che erano comparse a casa mia ieri sera. Oltre a M. Agrèste, al suo adorabile figliolo e all’immancabile Chloè, che appena mi vide spostò lo sguardo stizzita in un'altra direzione, erano presenti il sindaco e altre persone dall’aria molto importante dei quali non avevo idea di chi fossero. Tutti mi fissavano come se fossi un fossile da analizzare in laboratorio. Tranne Adrien lui continua a preferire le blatte. Raddrizzai la schiena e spinsi avanti il mento.
“Sbruffone!” pensai.
«Vogliamo cominciare?» domandò il sindaco. Sembrava trepidante, qualunque fosse la cosa che dovevamo cominciare.
«Certo.» M. Agrèste mi si avvicinò. D’istinto arretrai d’un passo. Mi sorrise benevolo. Rispetto all’altra sera doveva essere di ottimo umore. La sua voce non aveva perso il tono freddo e tagliente, ma si vedeva che quello fosse il suo modo di parlare e non dipendeva da alcun stato d’animo.
«Non voglio farti alcun male.» questo lo diceva lui e tutti gli assassini nei film. Lo sapevano persino i bambini. «Voglio solo vedere il segno.» Eh? Che segno? Mi voltai verso mia mamma confusa.
«La voglia tesoro.» mi sorrise lei. Era un sorriso un po’ tirato. Non capivo bene cosa centrasse la mia voglia con tutto ciò, ma feci come richiesto. Mi sfilai la scarpa, abbassai il calzino e mostrai a tutto l'entourage la voglia sulla caviglia a forma di coccinella. M. Agrèste annuì contento. Mi rinfilai la scarpa.
«È proprio lei. Abbiamo trovato la Coccinella.» perché si ostinavano a chiamarmi così.
«Molto bene.» sentenziò uno degli uomini che non avevo mai visto.
«Bene mia cara Coccinella.» cominciò Andrè.
«Marinette.» sentenziai a denti stretti, quasi ringhiando.
«Non interessa a nessuno.» si intromise Adrien sbuffando e alzando gli occhi al cielo.
«Se è per questo nemmeno il tuo parere.» ribattei. Qualcuno si schiarì la gola e vidi M. Agrèste piuttosto ansioso di continuare il suo colloquio e lo notai, con una mia certa soddisfazione, lanciare al giovane un’occhiata di rimprovero che però ignorò bellamente.
«Non risponderò a nessuno delle vostre domande se prima voi non risponderete alle mie.» dichiarai bellicosa. Era stanca di tutte le occhiate di biasimo che Chloè e Adrien continuavano a lanciarmi. Se questo colloquio serviva a chiarirmi le idee, come si era preannunciato, stava fallendo miseramente.
«Comprendo che tu abbia dei dubbi ed è giusto che tu voglia anche delle risposte.» M. Agrèste si sistemò gli occhiali, spingendoli un po’ più su lungo il naso. Aveva capito che doveva cambiare approccio. Bene. Guardai un attimo i presenti prima di cominciare.
«Prima di tutto...» attaccai. «… perché mi chiamate tutti Coccinella?»
«È per via della tua voglia.» s’intromise Adrien. «Chloè è l’Ape.» disse indicando la ragazza accanto a lui. Istintivamente feci correre lo sguardo al suo polso. Le maniche della sua maglia a tre quarti grigia non le stavano coprendo la graziosa voglia a forma di ape.
«Mentre io sono il Gatto Nero.» cercai un segno sul suo corpo (per lo meno le parti di pelle scoperte) che ricordasse un gatto e non ne vidi. Probabilmente era coperto dai vestiti.
«Molto… emm… interessante.» dissi faticando ancora a capire. Sembravano i nomi in codice che ci si dava quando si andava all’asilo. Sarebbe stata una cosa tenera se non fossero stati tutti seriosi in quella stanza. Decisi di proseguire con la seconda domanda. Magari il puzzle si sarebbe composto da solo con il continuare della conversazione.
«Perché sono riuscita ad attraversare il muro?»
«Non sei passata attraverso un muro.» schioccò la lingua infastidita Chloè. «Quello che hai attraversato è un portale temporale, spesso pochi centimetri. Per l’esattezza il portale temporale per il 1832.» mi guardò un attimo, ma non riuscii a decifrare il significato nei suo occhi di quell’azzurro così glaciale. «Sei stata fortunata a trovare il punto preciso dello Squarcio o saresti dovuta rimane lì fino al nostro ritorno.»
«Ah proposito grazie di avermi aiutato!» protestai. «Se proprio mi avevate vista potevate almeno farmi tornare indietro senza sembrare una completa idiota.»
«Non siamo mica dei baby-sitter.» mi informò sempre molto gentilmente Adrien. Mi limitai ad ignorarlo.
«Non mi hai comunque risposto.» le feci notare.
«Non abbiamo ancora una spiegazione scientifica.» Mi disse M. Agrèste.
«Sappiamo però che centra con la tua voglia.» Alzai un sopracciglio come poteva un normale segno sulla mia pelle farmi trapassare i muri… oh, pardon, i portali temporali? Notando il mio sguardo confuso continuò, forse un po’ impacciato. Probabilmente non ne aveva la più pallida idea nemmeno lui.
«Presumibilmente è una capacità che si tramanda dalla tua famiglia da sempre. Sappiamo che questa facoltà salta due generazioni alla volta. Di conseguenza l’ultimo dei tuo predecessori in grado di farlo era o il tuo bisnonno o la tau bisnonna. Da parte di madre.» concluse. Guardai mia madre.
«Tu lo sapevi?» non mi serviva una risposta, la vedevo già nei suoi occhi colpevoli. Mi sentii tradita. Mia mamma provò ad allungare un mano verso di me, ma io indietreggiai.
«Perché non mi hai mai detto nulla?» sentivo le lacrime farsi strada verso i miei occhi.
«Volevo solo proteggerti!» esclamò. «Tu non hai idea di quanto tutto questo sia pericoloso!» scossi la testa.
«Se mi permetti Sabine, il tuo comportamento è stato altamente irresponsabile.» mia madre puntò su M. Agrèste i suo occhi, che lampeggiavano minacciosi.
«Perdonami Gabriel, non trovo che mandare mia figlia nel passato come fai con il tuo, sia qualcosa di innocuo, specie con quei pazzi che non aspettano altro di trovare questi poveri ragazzini da soli per sbarazzarsene.» mia mamma era davvero irata, sulle guance erano comparse vistose chiazze rosse. Però... aspetta che? Chi voleva sbarazzarsi di noi?
«Bene, allora è deciso.» Adrien si alzò dalla poltrona su cui era seduto dalla mia entrata.
«La Coccinella non farà parte dell’operazione.» Ma certo parlate pure di me come se non ci fossi. Nonostante quello che aveva detto mia mamma, a proposito di pazzi omicidi, non mi sembrava il caso di escludermi a priori.
«Non è un problema, io e Chloè bastiamo da soli, senza contare che essendo del tutto impreparata ci sarebbe solo d’intralcio.» la ragazza annuì convinta.
«Ehi!» esclamai risentita. Adrien mi perforò con gli occhi e nonostante la freddezza di quello sguardo non potei evitare di pensare quanto fossero belli. Era un verde così profondo e vivo. Non ne avevo mai visti di occhi così incantevoli.
«Dimmi allora: sai tirare di scherma?» domandò tagliente.
«No, ma...» non mi lasciò finire.
«Qual è la differenza Sua Maestà e Sua Altezza Serenissima?» non risposi.
«Cosa successe a Londra nel 1666?» aprii la bocca per tentare una risposta. Ma lui mi precedette.
«E a Parigi nel 1848?» non lo sapevo e arrossii fino alla punta delle orecchie per l’imbarazzo. Il ragazzo mi indicò a suo padre come si fa con un animale poco disciplinato.
«Che ti avevo detto? Non possiamo permettere che comprometta tutto il lavoro fatto fin’ora!»
«Possiamo almeno tentare di farle recuperare parte del tempo perduto.» disse Andrè.
«È ridicolo!» saltò su Chloè. Anche lei si alzò come aveva fatto Adrien.
«Ci sono troppe cose da imparare: non riuscirà mai ad imparare in modo impeccabile il minuetto o parlare perfettamente il tedesco nel giro di pochi giorni.»
«Non sono previsti viaggi in Germania a breve.» le disse suo padre.
«Hai capito perfettamente cosa voglio dire. Non parla nemmeno un inglese eccellente e non credo abbia la più pallida idea di come si cavalchi all’amazzone!» se il loro intento era quello di farmi sentire completamente inadeguata ci stavano riuscendo. Mi rendevo conto che in confronto a loro non riuscivo a fare nessuno di queste mirabolanti cose. Anche Chloè mi additava in modo poco carino.
«Non la si può escludere, lo sapete bene!» il padre di Adrien stava cominciando ad innervosirsi.
«Se è completamente all’oscuro di tutto non è certamente colpa sua. Che senso avrebbe avuto cercarla fino ad adesso per poi non farla partecipare?» i due ragazzi non dissero nulla, ma si vedeva che non erano per nulla contenti.
«Ora...» riprese Gabriel. «… sono consapevole delle sue mancanze, ma ciò non toglie che qualcosa le si può comunque insegnare per evitare che spicchi come un elemento estraneo nel passato.» Nessuno spiccicò parola. Io per prima. Dubitavo di poter diventare brava in una qualsiasi di quelle cose in poco tempo. Loro da quanto si allenavano? Tutta la vita a quanto pare.
«Per prima cosa Marinette.» mi disse M. Agrèste. «Dobbiamo confezionarti degli abiti adatti. Vieni con me.» mi fece un sorriso rassicurante, mentre mi apriva la porta.
«Sabine, tu puoi andare a casa. Ci pensiamo noi a Marinette. La faremo tornare a casa per cena.»
«Ma...» mi mamma mi guardò smarrita. Io distolsi lo sguardo. Ero ancora arrabbiata con lei per le bugie che mi aveva raccontato per tutta la vita fino a questo punto.
«Vai casa mamma.» risposi senza guardarla, uscendo dalla stanza. Mentre mi avviavo da qualche parte all’interno della casa, guidata da M. Agrèste udii Chloè che aveva ripreso a lamentarsi.
«È assurdo! Tutto questo lavoro e adesso ci appioppano una completa imbecille!» beh, almeno non ci era andata pesanti con gli insulti.
«Mi dispiace.» sentii dire Adrien. Lanciai un’ultima occhiata sopra la spalla. Vidi il ragazzo che abbracciava teneramente la mia compagna di classe.
«Tutto questo è decisamente… è...»stava dicendo con la faccia immersa nella maglietta del giovane.
“Ridicolo...” finii io per lei, mentre mi giravo in avanti e proseguivo dietro Gabriel Agrèste.

 

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Capitolo 4
*** Capitolo quattro ***


Capitolo quattro:
L’atelier di Gabreil Agrèste era qualcosa di meraviglioso. In tutta la stanza erano appesi abiti di tutte le epoche e di qualsiasi genere. Era un tripudio di colori. Sarei svenuta se la situazione non fosse stata quella che era. Il tutto si poteva descrivere con una sola parola: fe-no-me-na-le. Mi addentrai nel laboratorio e, camminando tra le creazioni dell’uomo, facevo scorrere le mani sui tessuti degli abiti. Seta, taffettà, mussola, cotone e chi più ne ha più ne metta.
«Sono davvero spettacolari.» dissi al creatore di quelle opere d’arte.
«Mi fa piacere che ti piacciono, Marinette.» mi rispose con un sorriso orgoglioso.
«Avevo letto qualcosa a proposito delle vostre sfilate, ma non immaginavo produceste vestiti di questo genere...» spiegai, mentre muovevo i vestiti dagli appendiabiti per guardarli affascinata.
«Hai cercato informazioni su di me?» domandò sorpreso.
«Più che altro su Adrien.» ammisi, osservando un capo dalle fantastiche sfumature di rosa e magenta. «Ma su Google non ho trovato nulla.» feci una piccola smorfia, ricordando il fallimento delle mie ricerche. Se poi avessi saputo che tipo era mi sarei data poca pena per quelle poche informazioni che avevo scoperto.
«Credo sia normale. Adrien non utilizza alcun social e non è mai stato mandato a scuola, ha avuto un’istruzione casalinga.» annuii. Aveva un senso dopotutto.
«A causa della sua situazione ho preferito avere sotto controllo tutto quello che gli veniva insegnato e in questo modo inserire anche materie non propriamente scolastiche. E ho avuto modo anche di avere buoni maestri di lingua straniera come tedesco ed inglese.» sembrava molto soddisfatto di questo. Si doveva ritenere un padre modello.
«Ma questo vuol dire che Adrien ha vissuto fino a sedici anni solo con maestri e lei? Nessun amico?» chiesi impressionata. Io non credevo sarei sopravvissuta tutti questi anni senza qualcuno come Alya al mio fianco.
«Diciotto.» mi corresse Gabriel. «Adrien ha diciotto anni. E comunque non e stato solo, ha avuto Chloè. Dopotutto anche lei ha dovuto avere un’educazione particolare.» non sapevo cosa fosse peggio: la solitudine o la compagnia di Chloè? Mmm… credo avrei optato per il suicidio. Complimenti per i nervi saldi di Adrien.
«Chloè però è venuta a scuola.» feci notare.
«Sì. Andrè ha preferito facesse il più possibile esperienze normali.» stavo per esaminare l’ennesimo abito quando M. Agrèste mi chiamò a rapporto.
«Marinette, puoi venire qui per favore. Devo prenderti delle misure.» mi indicò una pedana un po’ rialzata. Ci salii sopra e rimasi immobile, con le braccia stese, mentre Gabriel mi prendeva le misure della mia vita, delle mie braccia, polsi, gambe e anche del seno. Cosa mi fece diventare leggermente rossa.
«Bene.» disse dopo aver annotato tutto su un piccolo taccuino che teneva su un tavolino nell’atelier, ingombro di stoffe, spille da balia e forbici di ogni misura.
«Credo di poter riutilizzare qualche abito creato in precedenza per Chloè, che lei non ha mai voluto indossare.» si passò una mano sul mento, pensieroso. Bene, ora Chloè avrebbe avuto un motivo in più per detestarmi. Che gioia!
«Sì, credo basterà qualche modifica alle scollature, dopotutto Chloè è un po’ più piena di te.» sembrava quasi stesse parlando da solo, ma ciò non tolse che il suo commento sul mio seno mi irritò un pochino. Portavo una seconda coppa B, quasi C. Non mi pareva così piccolo. Sembrò improvvisamente ricordarsi della mia presenza. Mi sorrise.
«Hai dei polsi incredibilmente sottili, sai?»
«Emm… grazie.» speravo fosse un complimento. Mentre scendevo dalla pedana, però, tutta la mia emozione garantita dai vestiti scomparve gradualmente. Erano meravigliosi, è vero, ma non servivano per feste in maschera o per recite. Servivano per viaggiare nel passato. Dovevo imparare a muovermi con quei diavolo di vestiti. D’un tratto mi assalii l’incompleta incertezza per tutto quello che sarebbe successo da ora in avanti. Ero davvero in grado di soddisfare le loro aspettative. Considerando tutte le mie lacune, ne dubitavo.
«Senta...» cominciai titubante. M. Agrèste mi guardò in attesa. «Lei è davvero convinto che io debba partecipare a questa… emm… missione?» non sapevo nemmeno di cosa si trattava, ma sembravano tutti convinti che dovessi per forza prenderne parte, tranne per i due simpaticoni di prima.
«Ma certo Marinette, tu sei fondamentale. La Coccinella è un tassello che non può mancare.» Adrien non la pensava allo stesso modo.
«Perché?» domandai. Gabriel Agrèste assunse un’espressione un po’ strana, che stonava con tutto il comportamento bonario di prima.
«Al momento non possiamo dirti nulla rispetto a questo, né di cosa tratta esattamente la missione. Abbiamo… come dire…» sembrava un po’ in difficoltà, come se dire quelle parole gli costasse uno sforzo notevole.
<«Abbiamo avuto dei problemi con alcuni predecessori. Dobbiamo assicuraci che tu non voglia tradire nessuno di questa famiglia.» Famiglia? Quale famiglia? I due con cui dovrei collaborare mi odiano e non so nemmeno perché sono qui. Tuttavia non dissi nulla, mi limitai a sospirare.
«Non hanno tutti i torti comunque...» sussurrai. «Non sono un genio in inglese e di tedesco non so una parola… senza contare che non ho la più pallida idea di che diavolo di danza sia il minuetto!» più ripensavo a queste cose più mi irritavo. Ma proprio io dovevo essermi ritrovata in questa situazione? M. Agrèste mi mise una mano sulla spalla, cosa che mi imbarazzò più che rassicurarmi.
«Non preoccuparti, io e Andrè cercheremo di fare in modo che tu possa imparare le basi senza particolari problemi, in modo che nei tuoi primi viaggi nel passato tu non ti senta un pesce fuor d’acqua.» ammiravo davvero il suo ottimismo. A quanto pare non era a conoscenza della mia proverbiale goffaggine. Provai a cambiare argomento.
«Quando avverrà il mio primo viaggio?» chiesi.
«Quanto prima.» mi rispose Gabriel, senza darmi alcuna informazione precisa. Annuii poco convinta.
«Prima di tutto dovrai imparare a muoverti in uno di questi.» continuò mostrandomi gli abiti appesi. Tirò fuori un fantastico vestito vaporoso giallo canarino con delle rifiniture in oro attorno al corpetto e con strati di tulle dello stesso colore sulla gonna. Per poco non mi commossi. Quell’abito sarebbe stato mio?
«Ora il problema è fartelo indossare...» lo guardi confusa e poi, pian piano, compresi. Avrei dovuto spogliarmi davanti a lui. M. Agrèste si rianimò subito, come se avesse trovato l’idea del secolo.
«Vado a chiamare Chloè!» uscì così di fretta che non ebbi nemmeno tempo di fermarlo. Era sicuramente l’idea del secolo. La peggiore. Sebbene io e la mia compagna di classe non ci conoscessimo poi tanto, potevamo contare su un odio particolarmente radicato. L’unica cosa su cui forse potevamo andare d’accordo era il fatto che ci detestassimo. Mi sedetti sconsolata su una sedia posizionata davanti al piccolo tavolo da lavoro di Gabriel Agrèste. Quando la sentii non potevo immaginare parole diverse uscire dalla sua bocca.
«È ridicolo! Non capisco perché debba usare uno dei miei vestiti per esercitarsi! Non potrebbe aspettare che lei ne abbia confezionato uno adatto?!»
«Mi pareva che vi foste lamentati della sua inesperienza fino ad un attimo fa. Dovresti essere contenta che stia facendo pratica fin da subito.» commentò gelido M. Agrèste. Touche! La ragazza rimase zitta, ma quando entrò nella stanza era livida di rabbia. Saltai su come una molla. Chloè afferrò con stizza il vestito che l’uomo le porgeva e poi gli chiuse la porta in faccia. Ci fissammo reciprocamente per qualche secondo.
«Beh, che aspetti? Svestiti!» mi intimò. Mi ripresi da quel piccolo congelamento e presi a sfilarmi la mia maglietta nera e i miei jeans chiari. Rimasi in calzini ed intimo di fronte a lei, mentre il freddo del pavimento mi rendeva insensibili le dita dei piedi. Mi scrutò un attimo. Mi coprii il seno imbarazzata.
«Che vuoi?» domandai irritata per quella indagine approfondita non richiesta.
«Devi toglierti il reggiseno Dupein-Cheng.» mi disse. Arrossii fino alla punta delle orecchie.
«È proprio necessario?»
«Certo, le donne all’epoca non lo portavano e il vestito è stato creato per poter essere portato in questo modo.» scandì le parole come se parlasse con qualcuno di molto stupido. Controvoglia mi tolsi l'indumento. Notai Chloè distogliere lo sguardo e porgermi l’abito. Mi aiutò ad infilarlo, senza che soffocassi in un tutto quel tulle, seta e chissà quale altro tessuto. Dopodiché passò al corpetto. Strinse con forza i lacci sul retro del vestito, strizzandomi il petto e togliendomi il respiro.
«Ti ci abituerai.» fu il suo unico commento al rantolo poco elegante che era uscito dalle mie labbra. Lo speravo davvero. Quando mi guardai allo specchio, però, rimasi sorpresa. Ero davvero io? Ero davvero… beh… wow! Mi rimirai un altro po’, sorridendo.
«Ovviamente i capelli andrebbero acconciati in maniera diversa, ma essendo solo una prova non ha senso perdere tempo.» mi disse il riflesso di Chloè. In quel momento qualcuno bussò alla porta e prima che potemmo dire “avanti” quel qualcuno entrò nella stanza. Il sorriso della ragazza si fece raggirante e io non dubitai nemmeno di un secondo di chi fosse entrato. Adrien. Mi inviò uno sguardo divertito.
«Sei pronta per essere presentata a Luigi XVI?» notai sorpresa che non mi stava prendendo in giro. Stava cercando davvero di scherzare con me. Sorrisi a mia, volta ignorando l’occhiata sorpresa che la ragazza mandava ad entrambi.
«Certo, scommetto che i codini erano molto in voga all’epoca.» ridacchiai indicando la mia acconciatura, forse un po’ infantile per i miei sedici anni.
«Ero certo sapessi che erano la moda dell’epoca.» rise anche lui. Che bella risata aveva. Peccato averla sentita dopo quella caterva di insulti. Quando rideva poi gli si formava una fossetta sulla sinistra che gli dava un non so che di adorabile. Anche Chloè si cimentò in una risatina, ma sembrava più una sfogo isterico. Mi aggirò e si aggrappo al braccio di Adrien, deviando la sua attenzione su di lei.
«Non dovresti deconcentrarla, sta cercando di camminare come si deve!» lo rimproverò dolcemente. Feci una smorfia. Già che c’era poteva dargli anche un buffetto sulla guancia e chiamarlo con un orribile vezzeggiativo. Me la immaginavo proprio mentre lo chiamava “paperotto”! Mi morsi il labbro per non scoppiare a ridere. Qualcosa che mi diceva che non l’avrebbero presa bene. Specie Chloè.
«Avanti fate passare.» dissi sgarbata. Almeno potevano evitare di fare i piccioncini davanti a me. Si scostarono e io li superai. Beh dai non era mica… caddi, incimpando nell’orlo del vestito. Come non detto. Sentii Chloè scoppiare a ridere malignamente. Cavoli doveva essere stata una caduta spettacolare da come se la rideva di gusto. Maledizione. Ce la facevo a non rendermi ridicola per più di dieci minuti? Digrignai i denti. Una mano si materializzò davanti ai miei occhi. L’afferrai senza pensare e all'improvviso mi trovai davanti al viso di Adrien. Vicino. Troppo vicino. Feci un passo indietro senza però lasciargli la mano.
«Grazie.» dissi, un po’ rossa. Mi aspettavo una risposta di scherno. Forse anche cattiva. Ero pronta a tutto tranne al suo sorriso che fece spegnare la voce di Chloè. Non era proprio un sorriso amichevole. Era più compassionevole. Ma lo consideravo un passo aventi all'essere paragonata ad una blatta.
«Non preoccuparti.» mi rispose. «Chloè la prima volta che ha indossato un vestito del genere è ruzzolata giù per le mie scale.» Come prego?! La regina infallibile non era così infallibile allora! Mi voltai verso di lei con il sorriso sulle labbra. Lei teneva le braccia incrociate all’altezza del seno e la fronte aggrottata. Incredibile, era bella pure così.
«Non è stato divertente. Mi sono rotta un polso.» ribatté nervosa. Ah sì, mi ricordavo! Era venuta a scuola per un periodo con il polso rotto qualche anno fa. Non aveva voluto dire a nessuno come se lo era rotto e ora la capivo. Non l’avrei detto nemmeno io. Allargai il mio sorriso fino a renderlo estremamente zuccheroso.
«Tranquilla.» le dissi, mentre passavo le mani sul vestito per togliere la polvere.
«Capita anche alle migliori.» in cambio ricevetti un’occhiataccia.

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Capitolo 5
*** Capitolo cinque ***


Capitolo cinque:

Il sole mi riscaldava il viso durante la mia prima gita a Parigi del 1798. Eravamo andati solo io e Adrien. Da quel che avevo capito Chloè aveva da fare. Era passato qualche giorno da quando avevo scoperto di poter passare attraverso dei portali temporali e di conseguenza tornare indietro nel tempo. Mi erano state spiegate, durante altre visite a villa Agrèste alcune cose, che avrebbero dovuto aiutarmi a capire meglio cosa dovevo fare, senza comunque darmi spiegazioni sulla missione che dovevo compiere con Adrien e Chloè. Di quello continuavano a tenermi all’oscuro. Ero però venuta a conoscenza di altre cose in ugual misura interessanti. Ad esempio avevo scoperto che non esisteva solo il passaggio all’interno di Notre Dame qui a Parigi, ma in verità la città ne era piena! Ogni portale conduceva ad un anno preciso che si ripeteva in loop nel tempo. Questi Squarci si trovavano in tutto il mondo, disseminati per varie nazioni e portavano in varie epoche. Un anno non si ripeteva mai due volte. Questo voleva dire che se voleva tornare nel 1832 bisognava necessariamente essere a Parigi e passare attraversi il muro di Notre Dame e da lì se si voleva visitare, che so io, l’Inghilterra in quell’anno, bisognava viaggiare all’interno dell’anno stesso. Non avevamo un tempo prestabilito per stare nel passato, ma mi era stato spiegato che non era sicuro starci troppo a lungo per quelli che avevano chiamato “una serie di fattori”, tra cui ero sicura centrassero anche quei folli omicidi che volevano liberarsi di noi. I portali temporali si creavano casualmente durante il tempo, ciò voleva dire che non esistevano tutte le epoche ancora. Non c’era nemmeno una regola riguardo al perché nascessero in determinati luoghi e nazioni. Fatto sta che quella mattina mi trovavo ai Jardin des Tuileries e non si stava affatto male in quel lontano 1798. Avevo finalmente imparato a camminare negli ingombranti abiti che M. Agrèste aveva cucito per me. Quel giorno, per quella passeggiata, portavo un meraviglioso vestito azzurro polvere. Non mi ero ancora del tutto abituata allo stretto corpetto che mi toglieva il respiro, ma confidavo di riuscire a farlo. Se ci era riuscita Chloè, potevo farcela anche io. Per tornare al 1798 bisognava attraversare uno Squarcio presente all’interno del Louvre. Eravamo stati dunque scortati, con i vestiti di qualche secolo fa, al famoso museo e grazie alle conoscenze del sindaco con i dipendenti, ci fecero entrare da una porta di servizio, in modo da dare il meno possibile nell’occhio. Il passaggio si trovava nei magazzini del Louvre. Io e Adrien, vestito di tutto punto e adatto al XVIII secolo, scendemmo le ripide scale guidati da Andrè mentre Gabriel Agrèste chiudeva la fila. Arrivati ad una piccola stanzina, il ragazzo mi fece l’occhiolino e, tastando il muro di fronte a noi, fece poi scivolare la mano attraverso di esso. Faceva sempre uno strano effetto vedere come il braccio di Adrien entrasse nella parete come se non avesse consistenza. Mi sorrise prima di sparire completamente. Venne dunque il mio turno. Mi avvicinai e presi un bel respiro. Con gli occhi chiusi mossi un passo e poi un altro e in men che non si dica mi sembrava di essere di nuovo immersa in un budino congelato. Poi il freddo sparii di colpo.
«Puoi aprire gli occhi Coccinella.» mi disse la voce di Arien. «Non vedo mostri in giro.» Spiritoso. Dopodiché salimmo le scale, trovando le porte aperte, come ci era stato assicurato (avevamo un mazzo di chiavi per sicurezza), ed uscimmo nella Parigi del XVIII secolo. Ora camminavamo tranquilli per il meraviglioso giardino in fiore. Dovevo stare attenta a non guardare nessuno in modo troppo stupito o troppo esplicito. Io e Adrien passeggiavamo fianco a fianco e, secondo le indicazioni dateci dall'Organizzazione, eravamo fratello e sorella. Fu proprio su quell’argomento innocuo che provai ad intavolare una conversazione.
«Certo che… fratello e sorella...» commentai. Lui alzò un sopracciglio.
«La cosa ti infastidisce?» domandò.
«No, ma… dico guardaci! Nemmeno ci somigliamo!» lui liquidò tutta la faccenda con un movimento della mano, come se dovesse scacciare una mosca, e uno sbuffo.
«Potrei benissimo essere un figlio bastardo.» dichiarò. Non dissi nulla.
« “Bastardo” significa...»
«So cosa significa.» sbottai. Non ero ignorante fino a quel punto. Dopo una decina di minuti di camminata silenziosa notai che Adrien era un po’ inquieto. Si guardava continuamente intorno e aveva la fronte un po’ corrucciata. Mi avvicinai un po’ per farmi sentire.
«Devi andare in bagno?» sussurrai. Non sapevo come venivano trattate le funzioni corporali nel 1798, ma per scrupolo non volevo che la coppia vicino alla quale stavamo passando ci sentisse.
«Come?» domandò lui distratto. Stava guardando totalmente da un’altra parte.
«Se vai dietro a quel cespuglio non ti vede nessuno. Se sei più tranquillo ti faccio da palo.»
«Ma che diavolo stati dicendo?!» il ragazzo si voltò verso di me, leggermente irritato.
«Non dovresti vergognarti, dover andare in bagno è del tutto normale!» risposi risentita.
«Non devo andare in bagno, maledizione!» sussurrò fra i denti. Si lanciò una fugace occhiata indietro. Feci uguale, non vedendo nulla di particolare. Adrien mi diede una leggera spinta con la spalla, spostandomi di peso verso destra e al margine del viale.
«Sul serio Coccinella, da dove ti vengono queste idee?» chiese, con un mezzo sorriso. Non era comunque tranquillo, si vedeva.
«Ma insomma? Che ti prende?» mi fermai, stringendo arrabbiata i lembi del mio vestito. Lui lanciò uno sguardo ai miei pugni chiusi.
«Così lo stropicci.» mi fece notare. Si ostinava a evitare il discorso.
«Me ne frego del vestito!» dichiarai forse a voce un po’ troppo alta, tanto che due donne che stavano passando vicino a noi sobbalzarono e mi inviarono un’occhiata scandalizzata. Si vede che esprimersi in questa maniera era poco signorile. Adrien mi afferrò per un braccio, avvicinandomi a sé.
«Abbassa la voce, dannazione!» sibilò teso. Si guardò di nuovo intorno.
«Forse è il caso di tornare indietro.» sentenziò deciso. Sentii scendere la sua mano fino al mio palmo. Incurante del fatto che io non stessi stringendo alcun dito attorno alla sua stretta e non avessi detto alcun docile: “Va bene, come vuoi tu.”, mi trascinò nella direzione dalla quale eravamo venuti. Non puntai i piedi giusto per non attirare più attenzione di quando stavamo già facendo.
«Emm… Adrien?» chiamai.
«Che vuoi?» mamma mia come era scontroso. Neanche quaranta minuti prima mi sorrideva e mi faceva un occhiolino, mentre ora mi trattava come una bambina cocciuta.
«La gente.» dissi solo. Lui si fermò di colpo e lanciò un’occhiata intorno a lui. Una serie di persone lo guardavano costernati e, intanto, una parte delle dame bisbigliava dietro dei ventagli che avevano con loro. Mi mollò la mano sgarbatamente e altrettanto bruscamente riprese a camminare, anzi, il termine corretto è marciare. Faticai a stargli dietro. Quando raggiungemmo il Lovre ero praticamente senza fiato e anche leggermente sudata. Dio come stringeva il corpetto! Mi portai una mano al petto.
“Respira Marinette, respira!” mi intimai. Ma per quanta arie prendessi mi sembrava di non averne abbastanza

«Adrien...» chiamai preoccupata. Cominciavo ad avere la vista un offuscata. Quei puntini non c’erano prima, vero?
«Cosa c’è adesso?» si voltò esasperato. Ma feci a tempo a vederlo strabuzzare gli occhi per poi cadere a terra svenuta.

«Sei stato un’irresponsabile!» sentii dire qualcuno.
«Ti ho già detto che lo richiedeva la situazione!» inveì arrabbiato Adrien.
«Marinette non è ancora abituata a sforzarsi con un corpetto. Doveva essere una camminata tranquilla!» continuò la voce che riconobbi come quella di M. Agrèste.
«E lo sarebbe stata se non...» si zittì di colpo come mi misi a sedere. Mi portai una mano alla testa. Gabriel si avvicinò.
«Ehi, Marinette.» mi salutò.
«Come stai?» mi chiese con un sorriso preoccupato. Mi guardai intorno. Ero di nuovo a Villa Agrèste, in una stanza mai vista, ma che classificai come salotto, seduta su un comodissimo divano. Indossavo ancora il vestito azzurro, ma notai che il corpetto era stato allentato.
«Bene… credo. Sono...»
«Sì, sei svenuta.» mi confermò il padre di Adrien. Puntai gli occhi sul ragazzo. Era appoggiato allo stipite della porta con le braccia incrociate e lo sguardo arrabbiato.
«Sono contento che tu stia bene. Ero un po’ preoccupato per te.» annuii, ma ero convinta fosse più preoccupato per la sua incolumità se mi fosse successo qualcosa. Mia madre non ci sarebbe andata leggera.
«Vado a cambiarmi.» dichiarai.
«Non dovresti sforzarti.» mi disse M.Agrèste.
«Sto bene.» assicurai alzandomi. Mi diressi verso la porta e vedendo Adrien immobile feci un sospiro.
«Potresti spostarti?» senza dire una parola si mosse d’un passo e mi lasciò passare. Aprii la porta. Certo che quel ragazzo era veramente bipolare. Appena fuori ripresi subito l'orientamento di dove mi trovavo e dove fosse la sartoria. Andai a passo deciso in quella direzione. Poco prima di arrivare però sentii provenire da una stanza una bellissima musica da pianoforte. Mi avvicinai curiosa e mi sporsi per guardare all’interno. Quello che vidi mi lasciò davvero incantata. Chloè ballava con un accompagnatore immaginario, mentre un ragazzo che non avevo mai visto stava seduto al piano e suonava una sinfonia di Mozart. La ragazza ballava in modo leggero, perfettamente a tempo e con un vestito blu notte semplicemente sublime. Ero davvero invidiosa per come si muoveva a tempo e in modo così naturale. Sentii dei passi e prima che potessi voltarmi Adrien mi passò davanti, senza degnarmi di un’occhiata, ed entrò nella stanza.
«Scusa il ritardo! Mio padre mi ha detto che mi stavi aspettando.»Fece una specie di inchino a Chloè e le prese la mano. Dopodiché cominciò a danzare con lei. Oddio com’era bravo anche lui! Erano perfetti insieme. Sentii una stiletta di dolore al petto e con sospesa mi resi conto che ero gelosa. Avrei voluto essere io al posto di Chloè, avrei voluto io ballare con lui, muovermi con leggerezza e essere splendida in un vestito blu senza svenire come una sempliciotta. Dopo due giri della stanza si fermarono contemporaneamente alla fine della sonata. Chloè fece un risolino malizioso. Poi si voltò verso il ragazzo seduto al pianoforte.
« Vielen dank Franz. Du warst sehr nett.»* disse la ragazza. Dopo un attimo di smarrimento capii che aveva parlato in tedesco. Il tutto senza un attimo di esitazione.
«Es war ein vergnügen, Mademoiselle Chloè»** rispose lui alzandosi. Mi morsi il labbro. Cosa ci facevo effettivamente qui? Tutti loro avevano ragione. Non avrei mai imparato a ballare come riusciva a quei due e il tedesco sembrava una lingua così complicata. Mi diressi verso la sartoria, dove avevo lasciato i miei vestiti di questo secolo. Mi sentivo terribilmente inutile.

*Grazie mille Franz. Sei stato davvero gentile.
** È stato un piacere mademoiselle Chloè

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Capitolo 6
*** Capitolo sei ***


Capitolo sei:
Ma dove diavolo si era cacciato Adrien? Erano più di trenta minuti che lo aspettavo nella sala della musica (denominata arbitrariamente così da me dopo la scena del giorno prima). Mi era stato detto di vestirmi comoda perché oggi avrei provato la mia prima lezione di scherma e il mio insegnate sarebbe stato proprio Adrien. Che a quanto pare stava praticando anche la tecnica dell’invisibilità. Sbuffai infastidita, battendo ritmicamente un piede per terra. Il sole caldo riempiva la stanza, tatticamente vuota se non per il pianoforte proprio sotto la finestra, proiettando lame di luce dove si vedevano danzare minuscoli granelli di polvere. Due spade da scherma, con annessi caschi, erano posati sul seggiolini del pianoforte. Decisi di andare a cercarlo. Nessun gli aveva detto che arrivare in ritardo era davvero da maleducati? Non sapevo bene da dove cominciare la ricerca. Casa sua era così grande che poteva davvero essere ovunque. Magari suo padre avrebbe saputo qualcosa in più. Speranzosa mi diressi verso il suo studio, che avevo scoperto trattarsi della prima sala dove ero stata ricevuta alcuni giorni prima. Alzai la mano per bussare, avendo trovato la porta chiusa, ma prima che potessi battere le nocche sul legno, sentii M. Agrèste parlare con qualcuno. Rimasi con il braccio sollevato, stando in ascolto. Lo so, origliare è sbagliato! Ma io non sapevo praticamente niente di quello che stava succedendo e volevo aggiungere qualche tassello al mosaico. L’interlocutore dell’uomo non era altri che suo figlio. Ecco dove si era cacciato! Ma proprio ora dovevano parlare? Non avevano tutto il tempo del mondo abitando sotto lo stesso tetto? Per colpa di questa loro conversazione io stavo perdendo tempo per fare i compiti di geografia e chimica.
«Ne sei certo?» stava chiedendo M. Agrèste.
«Sono cose importanti, papà, potrei mai sbagliarmi?» aveva ribattuto il giovane.
«Sei riuscito a vederli bene in faccia… così magari la prossima volta...»
«Se mai dovesse esserci una prossima volta finiremo sicuramente infilzati.» ribatté adirato Adrien. Come come? Chi sarebbe finito infilzato?
«Da che momento ti sei accorto che eravate pedinati?» gli chiese suo padre. Capii all’improvviso che stavano parlando della giornata di ieri. Ecco dunque spiegato il comportamento di Adrien e della folle ritirata al Louvre che aveva portata al mio svenimento.
«Credo un ventina di minuti dopo la nostra entrata nel parco.» Mi ero praticamente appoggiata alla porta per sentire meglio.
«Quello che non capisco...» continuò il ragazzo dando voce anche ai miei dubbi. «… è come sapevano che saremmo andati lì con la Coccinella la prima volta.»
«Qualcuno deve averlo informati...» dichiarò pensieroso M. Agrèste. Chi aveva avvistato chi? Non capivo. Chi ci aveva pedinato? Chi voleva ucciderci e perché?
«Sarebbe meglio continuare questo discorso questa sera Adrien. Dovresti essere da Marinette già da una quarantina di minuti.» Cavolo! Mi allontanai dalla porta e camminai il più velocemente possibile verso la sala della musica. Una volta svoltato l’angolo del corridoio per la stanza sentii la porta dello studio di Gabriel Agrèste aprirsi. Mi infilai nel locale il più velocemente possibile e poi mi appoggiai al muro, cercando di mantenere un atteggiamento di nonchalance. Controllai il respiro per non mostrarlo affannoso. All’entrata di Adrien dovevo avere un aspetto normale, perché lui non fece alcun commento di sorta. Mi sorrise.
«Scusa il ritardo.» mi disse. «Studiavo e ho perso la cognizione del tempo.» Studiavi cosa? Complotti risalenti al 1798 contro dei poveri ragazzi, una dei quali non sapeva fare altro che svenire per un corpetto troppo stretto? Avrei voluto chiedergli una di queste cose, ma il mio istinto mi disse di andarci piano. Non tanto perché non volevo sapere le cose, ma perché a volte ci voleva tatto e pazienza. E questa sembrava una di quelle situazioni.
«Forza prendi una spada e un casco, non vorrei mai cavarti un occhio per errore.» altro sorriso. Mi infilai la protezione e poi soppesai l’arma nella mano. Era più leggera di quanto mi aspettassi.
«Sì, le spade vere e proprie pesano di più in verità.» adesso leggeva pure nel pensiero? Feci un piccolo sorriso.
«Lo terrò a mente per quando dovrò duellare per il mio onore» risposi. La lezione cominciò, mi vennero mostrate le prime posizioni dei piedi e delle gambe e anche la maniera in cui dovevo tenere la spada. Mi sembrava tutto estremamente semplice e mi resi conto che mi stavo pure divertendo.
«Bene.» disse Adrien dopo un po’, sollevando la visiera protettiva. Feci lo stesso. «Ora che sai le basi, proviamo con qualche affondo, ti va?» annuii riabbassando la protezione. Mi andava eccome, mi stavo proprio divertendo. Decisi di cominciare a tastare il terreno per cominciare poi a porre qualche domanda. Dopo qualche esempio, il ragazzo, mi chiese di eseguire quello che mi aveva appena mostrato e con perfetta naturalezza incominciai ad intavolare un discorso.
«Allora… oggi sei di buon’umore, eh?» dissi mentre fendevo l’aria con un sibilo, mostrando ad Adrien un bellissimo affondo.
«Emm… sì» mi rispose, ma notai che era più concentrato a vedere la posizione della mia mano e del polso.
«Mi fa piacere. Ieri eri davvero insopportabile.» spostò i suoi occhi si di me. Ah ah! Colpito nel segno!
«Non ti capita mai di avere giornate no Coccinella?» aveva le sopracciglia bionde un po’ aggrottate.
«Ovvio.» dichiarai. «Ma non per questo rovino quelle degli altri.»
«Che vuoi dire?» mi chiese. Aveva le braccia lungo i fianchi, la spada puntellava il povero ed innocente parquet. I suoi occhi verdi brillavano leggermente bellicosi.
«Era il mio primo viaggio controllato nel passato, avrei voluto godermelo un po’ di più! Mentre tu no, hai voluto andare via subito!» mi rendevo conto di sembrare una bambina lamentosa, ma sembrava aver catturato la sua attenzione.
«Lo richiedeva la situazione.» mi disse solo lui. Quanto odiavo queste frasi ampollose. Sembrava che qualcuno lo avesse programmato apposta a dare quelle risposte.
«Spiegato meglio.» gli intimai, mentre facevo un altro affondo.
«Stendi di più il braccio.» mi disse invece lui. Voleva proprio farmi uscire di senno.
«Adrien!» lo chiamai puntandogli contro la spada. Aveva ancora la visiera alzata e perciò vidi il suo sguardo, dapprima sorpreso , scurirsi poco a poco.
«Ci sono situazioni in cui qualcuno sa dove fermarsi, Marinette.» cos’era? Una minaccia?
«Perché? Quegli uomini si fermeranno dall’ucciderci, infilzandoci come spiedini?» Ops. Beh, addio al tatto e alla pazienza.
«Con queste domande ti stati infilando in una cosa più grande di te.» scattò lui. Mi tolsi il casco, guardandolo arrabbiata.
«Si da il caso che la cosa sia già più grande di me!» Tenevo ancora la spada puntata al suo petto.
«Beh allora cosa vuoi che ti dica? Non so nemmeno io cosa vuole quella gente, ma se proprio ci tieni, la prossima volta ti lascerò affettare da qualche spada!» non era quello che intendevo. Si avvicinò a grandi passi allo sgabello del pianoforte poggiandoci sopra l’attrezzatura da scherma.
«Per oggi la lezione è finita.» dichiarò e aggiunse mentre usciva dalla porta.
«Ci vediamo domani.» rimasi sola. Battei un piede per terra, frustrata. Possibile che nessuno volesse darmi una risposta concreta e si ostinassero a buttare lì frasi a metà? Come pretendevano che potessi collaborare se nessuno voleva dirmi nulla? Mentre stavo appoggiando la mia spada e il casco dove li aveva messi Adrien, qualcuno entrò nella stanza. Quando sentii la sua voce la mia irritazione si acuì ancora di più. Non era giornata Chloè, davvero.
«Ho visto Adrien uscire di qua molto infuriato.» Aveva la braccia incrociate e bloccava il passaggio per uscire.
«Cosa è successo?» domandò. A essere sinceri non avevo voglia di parlare con nessuno che non fosse Alya. Almeno lei non aveva segreti nei miei confronti.
«Chiediglielo tu. Siete tanto amici, no?» risposi astiosa. Lei assottigliò gli occhi.
«Tu non hai idea di quanto tutto questo sia maledettamente importante, vero?»
«No, non ce l’ho!» sbottai.
«Allora smettila di comportanti come un’eroina incompresa di un romanzo rosa.» mi rimproverò. «Credi che per qualcuno sia facile? Credi che io mi sia divertita ad imperare il minuetto o a suonare il pianoforte mentre tutti i miei compagni di scuola andavano a giocare dai loro amichetti?» rimasi in silenzio. Forse aveva ragione, cominciavo a sentirmi in colpa.
«Pensi che solo la tua vita sia stata ribaltata come un calzino? O che sia in pericolo?»
«Sì, ma se nessuno mi dice niente io non posso essere d’aiuto in alcun modo...» venni interrotta bruscamente.
«Nessuno ha bisogno del tuo aiuto. Né io, né Adrien.» fu come ricevere uno schiaffo. Stetti zitta, guardando la punta delle mie scarpe di tela.
«Il fatto che tu sia qui è solo opera di Gabriel. È convinto che tu possa fare grandi cose e che tu sia… come dice? Ah sì! Essenziale.» spostò il peso da un piede all’altro.
«La verità è che la missione stava procedendo bene anche senza di te.» mi morsi labbro. Cavolo era perfetta a farti sentir completamente inutile.
«Dovresti esserci grata degli aiuti che ti stiamo dando, invece di litigare con noi.» detto ciò si giro, facendo dondolare la bella coda bionda e uscii, probabilmente ad inseguire Adrien. Mi sedetti sconsolata sul pavimento. Volevo solo qualche informazione, era chiedere troppo? Mi strinsi le gambe al petto e appoggiai la testa al muro, lasciando che il sole mi accarezzasse la pelle. Anche se Chloè non la pensava allo stesso modo c’era della gente che mi voleva dentro questo progetto ed era ora di esigere che ne venissi resa partecipe fino in fondo o avrebbero dovuto fare a meno di me. Tuttavia mi sentivo completamente sola.

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Capitolo 7
*** Capitolo sette ***


Capitolo sette:
Quasi due settimane dopo stavo ballando da sola, con un accompagnatore immaginario nella sala della musica. Franz musicista, nonché istruttore di minuetto, mi aveva abbandonato dopo qualche ora di strepiti per il mio scarso coordinamento. Ad un certo punto avevo smesso di ricordargli che non avevo mai nemmeno ballato un valzer, figurarsi il minuetto e credo che nessuno, nemmeno le dame del passato, lo avessero imparato in due ore. Ero certa che nemmeno a Chloè fosse arrivata a tanto. Lo aveva ammesso lei stessa qualche settimana fa, durante il suo rimprovero per come avevo trattato Adrien.
«Stupido minuetto! Stupidi viaggi nel tempo!» dissi a denti stretti, mentre cercavo di ricordare i passi e di non inciampare nell'ingombrante vestito verde oliva che avevo addosso.
«Mi scusi monsieur, le ho pestato i piedi?» domandai al mio accompagnatore immaginario.
«Sa non sono molto pratica, vengo dall’anno 2019, nessuno balla più questo ridicolo ballo.» continuai. Feci una giravolta alla gonfiando la gonna come un fiore. Feci un risolino.
«Così mi offende monsieur, una gentil donna non dice false notizie!» mi finsi scandalizzata per poi riprendere a ballare. Volevo sul serio esercitarmi e migliorare, ma senza musica era difficile, dopotutto Franz mi aveva abbandonato e non sarei mai andata a cercarlo, sarebbe stato come ammettere una sconfitta.
«Smettetela di prodigarvi in tanti complimenti, non serve così poco perché io cada ai vostri piedi.» continuai a parlare al nulla.
«Quell’accompagnatore vi sta importunando Coccinella?» sobbalzai, fermandomi di colpo. Mi voltai rossa in viso verso la porta. Adrien era appoggiato allo stipite e mi guardava sorridendo divertito. Da quanto tempo era lì e stava ascoltando i miei sproloqui.
«Emm… io...» balbettai. “Che esordio convincente!” mi complimentati con me stessa. Sempre sorridendo, il giovane entrò nella stanza. Non lo vedevo da qualche giorno, sapevo che era stato impegnato a viaggiare avanti ed indietro nel tempo. Vederlo fece gonfiare un po’ il petto di gioia. La cosa era strana, dopotutto mi aveva appena beccato a parlare da sola. Fece una sorta di inchino rivolto a me.
«Posso offrile questo ballo?» domandò. Ripresi subito il controllo della situazione. Il rossore sulle guance svanì e sfoderai un sorriso per stare al gioco.
«Non saprei.» dissi con un tono falsamente civettuolo. «Monsieur Fabian qui...»continuai indicando il vuoto. «… è molto geloso.»
«Beh, io non lo sono affatto.» mi prese la mano e cominciò a ballare con me nel silenzio della sala della musica. Una cosa che avevo notato di Adrien era che finché non si parlava di cose spinose, come pazzi assassini che volevano infilzarci, era un ottimo conversatore, con il quale si poteva scherzare tranquillamente. Dopo quel litigio avuto quel giorno a scherma avevo evitato accuratamente questioni di questo genere, più che altro perché non volevo discutere ogni giorno. Non ne avevo le energie. Avevo già preso in considerazione l’idea di parlare direttamente con M. Agrèste, ma ogni volta che passavo davanti al suo studio, mi rendevo conto di non avere ancore un discorso abbastanza convincente da permettermi di estorcergli la verità, così stavo aspettando il momento giusto. Adrien mi conduce va magnificamente e muovermi con lui mi veniva naturale. Alla faccia tua Franz!
«Come mai eri da sola?» mi chiese il ragazzo, mentre ci spostavamo in perfetta sincronia su e giù per la stanza.
«Il vostro musicista ha un carattere davvero molto particolare.» lui mi lanciò un’occhiata confusa.
«Diciamo solo che in alcuni casi capisco gli istinti omicidi delle persone.» spiegai con un sorriso, per fargli capire che non volevo iniziare nessuna discussione e che il mio era un riferimento puramente casuale.
«Quindi Franz ti ha lasciata da sola perché non ballavi bene?» si vedeva che stava per scoppiare a ridere. Mi schiarii la voce.
«Ragazzina scoordinata di qvesto passo non imparerai mai a pallare minuetto!» dissi imitando l’accento tedesco molto forte del musicista. Questa volta Adrien non riuscì più a contenersi e cominciò a ridere. Io con lui. Quando ricominciò a controllarsi mi guardò da capo a piedi, come se mi stesse analizzando.
«Non te la cavi poi così male.» mi elogiò. Finsi di non aver notato l’occhiata alla mia scollatura che aveva fatto durarne l’esame accurato di qualche istante fa.
«Anche tu.» risposi. «Continua così e arriverai al mio livello.» lo guardai con un sorriso. Un guizzo di furbizia gli brillò negli occhi.
«Oh, molto gentile da parte tua Coccinella.» si finse compiaciuto. «Ma non credo di poter raggiungere un tale livello di grazia.» ridacchiando gli diedi una spintarella. Ci sedemmo per terra, al centro del riquadro di sole proiettato dalla finestra. Rimanemmo un po’ in silenzio. Non era uno di quei momenti imbarazzanti. Semplicemente non avevamo niente da dire. Io accarezzavo la seta del vestito come se fosse un cucciolo.
«Ti sta davvero bene.» mi disse Adrien.
«Grazie.» risposi cercando di togliere un capello dalla gonna.
«In verità prima ero venuto per dirti una cosa.»
«Ti ascolto.» spostai lo sguardo su di lui.
«Domani io, te e Chloè faremo un viaggio nel 1682.» annuii. Non chiesi perché, tanto non me lo avrebbe detto. Detto questo si alzò e io lo imitai.
«È stato un piacere ballare con te.» disse mentre si spazzolava i pantaloni per togliere un po’ di polvere. «Spero che Fabian mi abbia perdonato.» sorrise. Io guardai un punto imprecisato della sala.
«Sì, si è reso conto che non c’era competizione.» scherzai.
«Grazie di questa piccola distrazione Coccinella, ora devo andare.» mi fece un cenno della mano, mentre usciva dalla stanza. Sventolai la mia, ricambiando. Come fui certa che si era allontanato, mi sporsi oltre alla porta e guardai bene a destra e a sinistra. Via libera! A passo spedito mi diressi verso lo studio di Gabriel Agrèste. Se proprio voleva spedirmi nel 1682 allora volevo delle spiegazioni. Non avevo nessun discorso in testa, come mi ero prefissata, ma detta sinceramente ero stanca di brancolare nel buio. Era arrivato il momento per alcune risposte concrete. Bussai alla porta e prima che potessi ricevere una risposta mi infilai nell’ufficio dell’uomo.
«Marinette non… umm… non ti aspettavo.» mi guardava sorpreso. Probabilmente stava lavorando visto il computer accesso davanti al lui.
«Lo so.» risposi avanzando di qualche passo. «Adrien mi ha detto che domani viaggeremo nel 1682.» continuai.
«Se è un problema possiamo spostare il giorno.» disse lui, sistemandosi gli occhiali.
«No il problema non è quello.» Finsi di osservarmi le unghie. «Voglio delle risposte. Sulla missione o io non parteciperò più ad alcun viaggio indietro nel tempo.» dichiarai. M. Agrèste emise un sospiro parecchio scenico.
«Va bene Marinette.» mi indicò una poltrona, la stessa dov’era seduta Chloè la prima volta che avevo messo piede qui dentro. Mi accomodai, nonostante l’enorme abito.
«Quello che è il vostro obbiettivo...» cominciò Gabriel con un leggero tentennamento. «… è trovare delle persone nel passato.» Era stato proprio prodigo di informazioni!
«Chi dobbiamo cercare?» “Perché?” avrei voluto aggiungere. L’uomo si passò una mano tra i capelli, sembrava a disagio. Non capivo perché gli costasse così tanto parlare con me, perlomeno delle cose davvero importanti.
«Al momento conosciamo solo due nomi delle tre persone che dovete cercare. Una è Tikki, la prima Coccinella che ha capito come poter usare i portali in sicurezza. Il secondo è Plagg, più o meno coetaneo di Tikki, era un antenato del Gatto Nero che insieme alla Coccinella della sua epoca ha viaggiato nel tempo. La terza è colei che precedette l’Ape, ma purtroppo nome e località ci sono sconosciute.» dovevamo cercare delle persone. Okay.
«Perchè?» chiesi. M. Agrèste mi scoccò un’occhiata un po’ irritata.
«Questa è una informazione riservata. Nemmeno Adrien e Chloè lo sanno.» la cosa mi parve strana. Cercavamo delle persone ma non sapevamo perché? La cosa era sospetta o pareva solo a me?
«Ora per favore torna da Franz, dovresti esercitarti ancora un po’ con il minuetto sospetto.» la sua voce aveva assunto un tono distaccato. Rinunciai al fatto di informarlo che Franz mi aveva abbandonato da qualche ora, ma comunque uscii dalla porta mormorando un “arrivederci” che non fu ricambiato. Mentre mi dirigevo con turbine di pensieri verso al sala della musica per ballare ancora un po’ con Monsieur Fabian provai anche un moto di eccitazione. Tikki, la prima Coccinella che aveva capito come usare senza pericoli i passaggi temporali. Una mia antenata! Avrei conosciuto una mia antenata di qualche secolo fa! Quando ripresi a ballare ero tutto sommato contenta e il fatto di non conoscere ancora il motivo di quella ricerca abbandonò pian piano la mia mente mentre contavano sottovoce i passi, volteggiando nella luce quasi arancione del pomeriggio. Dopo una buona mezz’ora di ballo ero stanca. Era tutto il giorno che mi allenavo e le scarpe di seta che indossavo per abituarmi alle calzature delle varie epoche cominciavano a farmi male. Mi fermai con un sospiro e me le tolsi, abbandonandole per terra. Mi avvicinai a piedi scalzi alla grande finestra e guardai fuori. La Parigi che mi si profilava era frenetica e sembrava che nessuno avesse tempo per nessuno. Il sole mi accarezzò i capelli. Guardando davanti a me, verso il cielo, mi sentii piena di una speranza che non provavo da quando tutto questo era cominciato. Sapevo un po’ di più riguardo a quello che stava succedendo e se nessuno mi voleva dare informazioni, me le sarei presa da sola. Ma per momento volevo solo godermi quella sensazione e quella singolare certezza che tutto sarebbe andato per il meglio.

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Capitolo 8
*** Capitolo otto ***


Capitolo otto:
Questa volta il passaggio non si trovava in alcun luogo celebre di Parigi infatti ci dirigemmo a Place Royale. Tutte le persone ci guardavano affascinati mentre passavamo. Come biasimarle? Eravamo vestiti in modo davvero appariscente. Indossavo lo stesso vestito verde oliva di ieri e la cosa non mi dispiaceva affatto, anzi, cominciavo a trovarlo addirittura comodo. Chloè portava un abito azzurro che le stava deliziosamente e camminava come una perfetta dama del 1600. Sia Adrien che Chloè sembravano a loro agio nei loro vestiti. Io invece continuavo a tenere sotto controllo la respirazione, temendo di poter svenire di nuovo. Speravo solo che non ci fossero maratone in programma. D’improvviso ci fermammo davanti ad uno dei tanti edifici che circondavano la piazza. Non intendevano davvero farci sparire davanti a tutta quella gente? Con la coda dell’occhio vidi M. Agrèste tirare fuori dalla tasca una chiave. Grazie Dio aveva la chiave di quella casa. In quel momento mi chiesi quanti alloggi avesse disseminati per Parigi quell’uomo. Possibile fosse così ricco da permettersi due case (o forse di più)? L’abitazione nella quale entrammo era completamente vuota. Non un mobile era presente, era come se fosse completamente da arredare. La vernice sulle pareti era un po’ scrostata e la polvere era così spessa sul pavimento che camminando si lasciavano le impronte come sulla neve. Andrè ci guardò fiduciosi.
«Non abbiate timore, anche all’epoca questa casa era disabitata, non dovreste incorrere in problemi.» Mossi il naso, più per uno sternuto che mi stava crescendo nelle narici che per la sua affermazione.
«Ricordatevi.» ci disse M. Agrèste. «È meglio che torniate nel giro di tre ore.»
«Non preoccuparti papà.» disse Adrien. «Il 1682 è un anno abbastanza tranquillo.» Mi guardai in giro per individuare il portale, ma mi sembrava non fosse da nessuna parte. Poi notai Chloè avvicinarsi al muro alla nostra sinistra.
«Sarà una gita tranquilla.» dichiarò mentre mi lanciava un’occhiata… possiamo dire rassicurante? Beh, quasi rassicurante. Allungò una mano davanti a sé e allora vidi sul muro una “x” fatta con la vernice e scritta in modo piuttosto sbrigativo, sulla parete. Chloè inserì tutto l’avambraccio esattamente in quel punto. Ecco dunque lo Squarcio. Quando fu completamente inghiottita dal muro, fu il turno di Adrien e poi venne il mio. Stavo cominciando ad abituarmi alla sgradevole sensazione di budino congelato che mi avvolgeva ogni volta che passavo da una parte all’altra di questi portali. La Parigi che ora avevo davanti era piuttosto caotica. Grida, risa, chiacchiere e un orribile puzzo furono la prima cosa che notai nel 1682. Da quel che mi sembrava dovevamo trovarci nel mezzo di un mercato dalla quantità di gente che girava e dalle bancherelle un po’ ovunque. Venni afferrata per un braccio dal mio compagno di viaggio.
«Stiamo vicini.» annuii un po’ impaurita da tutta quella folla. Ci muovemmo a fatica tra le persone tenendoci per mano, facendo una catena umana. Quando finalmente ci trovammo in un luogo un po’ meno affollato ci lasciammo. Adrien e Chloè si lanciarono un’occhiata indecisa e capii subito di cosa stavano parlando con gli occhi.
«Tranquilli.» mi inserii con naturalezza nel loro discorso muto. Si voltarono verso di me.
«M. Agrèste è stato così gentile da informarmi sulla missione.» la ragazza incrociò le braccia al petto e ricevetti da entrambi un’occhiata di biasimo. Non mi credevano! Pensavano stessi bluffando?
«Sono seria!» dichiarai. «So che dobbiamo cercare una Coccinella di nome Tikki e il compagno Gatto Nero, Plagg.» sembravano piuttosto sorpresi che fossi informata.
«Allora mio padre ti ha detto davvero l’obbiettivo dei nostri viaggi temporali.» sembrava lo stesse dicendo più a sé stesso per convincersi che a me. Beh mi ha informato per metà. Nessuno di noi sa il perché. Chloè sibilò un “ridicolo”, ma credo fosse più un abitudine a questo punto.
«Ma non so tutto.» mi affrettai a dire.
«A questo punto non ha più molto senso tenerti nascoste le informazioni che abbiamo su questo anno.» la ragazza si posò una mano sulla guancia con fare pensoso, guardando Adrien.
«Già...» convenne lui. Fremetti di felicità e di curiosità. Finalmente mi sentivo parte complementare del gruppo.
«La ragazza che stiamo cercando avrà sui vent’anni. Ha i capelli rosso accesso e gli occhi viola, quasi blu.» continuò il ragazzo.
«Plagg ha i capelli neri e gli occhi verdi… come i miei.» aggiunse con mezzo sorriso. Annuii felice che si fossero fidati di me e raccolsi quelle parole come se fossero state pietre preziose.
«Secondo le nostre informazioni e tramite alcune fonti custodite a villa Agrèste, Tikki avrebbe trovarsi in zona in questo giorno del 1682.» disse Chloè. Okay, ero pronta a mettermi sulle tracce dei questa mia sfuggente antenata. Ci rimettemmo in movimento, setacciando la strada principale e tutti i vicoli che da essa si diramavano. Ci infilammo in una di queste stradine secondarie che a sua volta aveva viottoli ancora più stretti e sembrava avessero creare un labirinto a Parigi. Fu più meno in questo momento che la situazione cambiò. Non lo percepii solo io, anche Adrien e Chloè erano sull’attenti. Accadde tutto in pochi secondi. Fu come se fossero comparsi dal terreno o dai muri. Insomma dal nulla. Tre uomini, armati di una spada che sicuramente non era innocua come quella di scherma, si stavano avvicinando minacciosi a noi. Adrien mi spinse dietro di sé, con un movimento fluido, mentre con l’altra mano estraeva la sua spada. Chloè aveva in mano uno stocco e con sorpresa capii che lo aveva avuto con sé fino a quel momento sotto gli ampi strati della gonna.
«Sono briganti?» chiesi con voce tremante.
«Magari.» mi rispose solo Adrien. Cavoli! Erano gli uomini del mio primo viaggio nel tempo o i loro antenati per lo meno. E poi perché i miei compagni erano armati e nessuno aveva pensato di dare un’arma anche a me nella mia epoca? Sbircia da dietro la schiena di Adrien. Erano tizi completamente anonimi. Nessun marchio stile mafioso o da setta. Avevano solo un ghigno cattivo sul volto.
«Ci rincontriamo spadaccino biondo.» disse uno di loro. Ah perfetto, avevano già fatto conoscenza!
«Ti sei portato compagnia oggi?» voleva anche fare il simpatico, come se non ci vedesse. Cominciai ad avere paura, la situazione non era rosea per niente. Improvvisamente, provai un strana sensazione al petto. Mentre stavo ancora fissando i nostri assalitori fu come se ci fosse un filo che partiva dal mio cuore che tirò così forte da farmi voltare indietro. Ciò che vidi mi lasciò senza parole. Una ragazza con un lunga chiama rossa si era affacciata da un vicolo e fissava la scena sbigottita con i suoi grandi occhi chiari spalancati. Tikki! Appena si accorse che non solo l’avevo vista, ma anche riconosciuta, la ragazza fuggì. Maledizione! Ammetto che non riflettei molto in quel momento. Mi staccai dal ragazzo davanti a me e cominciai correre in quella direzione.
«Marinette!» mi chiamò allarmato Adrien. Non lo ascoltai e continuai quell'inseguimento improvvisato. Mamma mia! Tikki correva con un’agilità ammirevole nonostante il lungo vestito violaceo. Io invece avevo già rischiato di inciampare parecchie volte e la mia fame d’aria si faceva sempre più vorace per via di quel maledetto corpetto.
«Fermati, ti prego!» ansimai. La vidi infilarsi in una via sulla destra e così feci anche io per poi fermarmi di botto. In quella viottola erano appesi un centinaio di lenzuoli bianchi. Sembrava molto la scena di un film. Dopo un leggera imprecazione mi infilai nella stradina. Scostavo piuttosto malamente i panni, sperando di vedere Tikki da un momento all’altro. Arrivai alla fine della stradetta dove però non c’era niente e nessuno. Era un vicolo cieco e a meno che la ragazza non avesse scavalcato il muro, era svanita nel nulla. Feci un sospiro sconfitto. Eppure… In quel momento mi arrivò l’illuminazione. Prima che potessi mettere alla prova la mia teoria però, dei passi mi costrinsero a voltarmi e ciò che vidi non mi piacque affatto. Uno dei tre uomini che ci avevano teso l’agguato mi stava osservando parecchio compiaciuto. Deglutii a vuoto.
«Sei veloce, piccolo essere infernale!» come prego? Io ero l’essere infernale? Era lui che stava per infilzarmi nonostante fossi disarmata. Il suo sorriso maligno si allargò ancora un po’ e prima che potessi rendermene conto fece un affondo. Mi mossi, scartando di lato appena in tempo. Sentii l’aria fischiare nell’orecchio sinistro e poi un intenso bruciore sulla guancia. Mi sfregai con il dorso della mano il punto offeso e con stupore ci trovai del sangue. Strinsi i denti. Dannazione! Piano piano si stava facendo strada nella mia mente che non sarei sopravvissuta a lungo senza un piano e l’unica cosa che mi venne in mente di fare fu addossarmi al muro. Con una mano dietro la schiena tastavo freneticamente i mattoni dietro di me. Dovevo sembrare un povero piccolo animale spaventato perché l’uomo si mise a ridere del mio terrore. Poi trovai quello che cercavo fondando anche la mia teoria. La mia mano sprofondò nel muro, come se non avesse consistenza. Uno Squarcio! Traendo un profondo respiro e capendo anche che fine aveva fatto Tikki, mi lasciai cadere all’indietro, venendo accolta dal gelido budino. Solo che questa volta fu diverso. Mentre tornavo indietro a chissà quale anno il mio corpo fu percorso da una dolorosa scossa elettrica, da capo a piedi. Non capii come o cosa fosse successo perché un attimo dopo stavo barcollando dall'altra parte del muro. Mulinai le braccia per mantenere l’equilibrio, ma inciampicai nell’orlo del vestito che avevo pestato erroneamente con il tacco della scarpa. Caddi, sbattendo violentemente la testa contro il lastricato della strada. Chiusi gli occhi dal dolore. Sembrava che mi fosse scoppiata una bomba nel cervello.
«Mon Dieu!» sentii dire una voce femminile. Sollevai le palpebre e davanti a me si palesò il volto di una ragazza poco più grande di me. Tikki. Sembrava un po’ preoccupata.
«Tutto a posto mademoiselle?» domandò.
«Potrei stare meglio.» dissi mentre mi mettevo a sedere e mi massaggiavo il capo. Intanto notai con orrore di aver macchiato di sangue la spalla dell’abito verde. Probabilmente proveniva dalla mia guancia. O almeno lo speravo. Mi rialzai e guardai la ragazza avvolta in un morbido vestito color borgogna. Sicuramente se lei non fosse scappata, non sarebbero successe un sacco di cose e probabilmente non avrei rischiato un trauma cranico cadendo come un sacco di patate. Ci guardammo entrambe un po’ diffidenti.
«Voi siete una Coccinella?» chiese. Aveva una voce morbida, completamente in contrasto con gli occhi a fessura che aveva in quel momento.
«Sì.» risposi pulendo un po’ il vestito dallo sporco che avevo tirato su con la caduta.
«Non vi avevo mai vista con quelli.» dichiarò, continuando a lanciarmi occhiate ostili. Avevo intuito parlasse di Adrien e Chloè. Oddio Adrien e Chloè! Chissà come stavano!
«È da poco che viaggio nel tempo...» asserii. Lanciai uno sguardo allo Squarcio nel muro.
«Se state con quella gente non voglio più niente a che fare con voi!» girò il capo in modo leggermente imperioso, probabilmente per farmi credere che davvero non le importasse di me nonostante nei suoi occhi avessi visto uno scintillio di curiosità.
«Io… emm… in che anno siamo?» domandai.
«1421.» mi informò, guardandomi da sopra una spalla. Cavoli ero tornata davvero un sacco di tempo indietro e sopratutto stavo dando piuttosto nell’occhio vestita com’ero. Vidi che Tikki si stava allontanando e perciò mi affrettai a seguirla.
«Aspetta!» la chiamai. «Come faccio a tornare indietro se dall’altra parte c’è un assassino che vuole uccidermi?»

 

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Capitolo 9
*** Capitolo nove ***


Capitolo nove:
«Ti prego Tikki, rallenta!» ero davvero senza fiato. Lei mi guardò da sopra una spalla.
«Volete smetterla di seguirmi, siete seccante!»
«Ho bisogno del tuo aiuto...» sbottai. Finalmente la ragazza si fermò. Presi un bel respiro riconoscente di quella pausa. Mamma mia! Mi sarei mai abituata a questo corsetto? Mi fissò, incrociando le braccia all’altezza del seno.
«Non vedo come potrei aiutarvi.» mosse leggermente la testa, per spostare un ciuffo, e fece dondolare la chioma rossa che mandava riflessi spettacolari Perché mai non avevo ereditato dei capelli tanto belli?
«C’è un tipo che vuole uccidermi, dall’altra parte del muro!» gesticolai agitata.
«E io casa posso farci? Mica posso lasciarmi uccidere al posto vostro!» giusta osservazione. Al peggio sarei finita per non nascere mai.
«Almeno fammi compagnia… per qualche ora. Nemmeno tu fai parte di questo secolo, dovrai tornare indietro prima o poi. Sei bloccata come me!» fece un sospirò sconfitto.
«D’accordo, venite con me.» mi disse alla fine. Felice di non essere stata alla fine abbandonata a me stessa, la seguii. Nonostante appartenesse al XVI secolo sembrava sapersi muovere molto facilmente da queste parti. Dedussi che non doveva essere la prima volta che viaggiava fino a qui. Dopo qualche minuto, trascorso in un silenzio tombatale, Tikki si fermò davanti ad una porta di una piccola casetta. La vidi guardarsi intorno, quasi fosse sicura di essere spiata, poi da sotto lo zerbino (mio Dio che nascondiglio poco originale!) tirò fuori una chiave. Lei fece girare la chiave nella toppa e con un gesto mi invitò ad entrare. Mi seguii e si chiuse l’uscio alle spalle. La casa non era molto grande, comprendeva solo un ampio spazio, una sorta di monolocale. A destra, vicino ad una camino, c’era un giaciglio fatto di paglia e al centro della stanza un tavolo grezzo di legno con tre sedie. Mi accomodai. Non c’era nient’altro qui dentro. Sembrava quasi un rifugio di fortuna.
«Come mai hai una casa in questo secolo?» domandai mentre mi guardavo intorno.
«Non si sa mai di cosa si può avere bisogno nel passato.» rispose lei. Si avvicinò alle sedie e poi si sedette.
«E così voi siete la nuova Coccinella.» mormorò quasi più a sé stessa. Mi lanciò un’occhiata.
«Non mi somigli nemmeno un po’...» sembrava quasi scontenta. «Fammi vedere la voglia.» disse poi a bruciapelo.
«Come scusa?» mi sembrava una domanda davvero impertinente. «Ho trapassato un muro davanti ai tuoi occhi!» le ricordai.
«Potreste benissimo essere il Gatto Nero o l’Ape.» incrociò le braccia la petto. Ma allora mi prendeva in giro? Mi aveva detto di aver già conosciuto Adrien e Chloè. Comunque, anche se di controvoglia, mi alzai e tirando su la gonna mostrai la voglia sulla caviglia. Tikki annuì.
«E comunque preferirei che usiate un linguaggio più educato nei mie confronti.» mi disse poi.
«E cioè?» chiesi.
«Non potete darmi del voi come tutte le persone ben educate?» ah, mi ero dimenticata che nel passato le persone si facevano dare del voi. Che usanze idiote!
«Ma certo, perdonatemi!» usai un tono di voce volutamente mieloso ed ironico. Tikki lo percepì perfettamente.
«Nel vostro tempo sono tutti maleducati come voi?»
«Nel 2019 non ci da più del voi. E poi avrete qualche anno in più di me. Ci si può dare tranquillamente del tu.» alzai gli occhi al cielo, leggermente irritata.
«2019?!» era davvero sorpresa ora.
«Esatto.» dissi con una nota di orgoglio nella voce. Notai i suoi occhi brillare di curiosità. In quel momento mi ricordò molto me stessa.
«E cosa c’è di nuovo? Chi regna in Francia? Una donna spero, questi uomini non hanno davvero riguardo per il loro regno. Sono sicura che una donna saprebbe comportarsi meglio» sorrisi a quel suo lato rivoluzionario e illuminista nonostante l’epoca nella quale era nata, comunque dovetti deluderla.
«Non regna più nessuno, non abbiamo più la monarchia.» la giovane fu davvero sorpresa.
«Siete all’anarchia?» domandò quasi disgustata.
«Emm… no. Abbiamo una forma di repubblica semipresidenziale.»
«Cos’è?» mi chiese confusa. Scossi la testa.
«Non capiresti. Dopotutto la rivoluzione non è ancora avvenuta.» dichiarai con naturalezza.
«La rivoluzione?» spalancò gli occhi, davvero allibita.
«Sì, quella dove taglieranno la testa a re Luigi XVI.» forse non avrei dovuto dare queste informazioni, ma vedere Tikki tra lo sconvolto e l’interessato era davvero divertente.
«Mon Dieu, è disgustoso!» esclamò. «Quando accadrà?» notai una nota di preoccupazione.
«Tranquilla, manca praticamente un secolo.» mossi la mano con noncuranza, quasi volessi scacciare una mosca.
«Sapete, nonostante queste cose siano un po’ spaventose è bello parlare con qualcuno che conosce il futuro.» mi rivelò poco dopo.
«Mi avete detto che conoscete il Gatto Nero e l’Ape, con loro non avete parlato? Mi sembrava fossi abbastanza arrabbiata con i miei compagni.»
«Certo che sono arrabbiata con loro! Mi stanno perseguitando da qualche mese. Vogliono parlare con me e io so benissimo di cosa si tratta.» i suoi occhi si erano accesi di una collera sopita.
«Di cosa si tratta?» domandai. Avevo la domanda sulle labbra e non ero riuscita a fermarla.
«Ma come? Non vi hanno detto nulla? A voi che siete la Coccinella?» sembrava davvero allibita. Era lampante che qualcosa nella mia epoca allora non quadrava.
«Ci hanno solo detto che dovevamo trovare delle persone.» Tikki fece un leggero sorriso di trionfo.
«Non sarò certo io a dirvi di cosa si tratta. Meno informazioni avete, meno possibilità avrete di rubarlo.» asserì. Mi sentii profondamente offesa. Non ero certo una ladra. Lei dovette intuire i miei pensieri.
«Non ho idea di gestisca tutto questo nel 2019, ma se non vi ha detto di cosa si tratta allora non mi fiderei. Posso dirvi solo che l’oggetto che presumo stiate cercando, non può e non deve finire nella mani sbagliate.» La faccenda si stava facendo davvero complicata. Davvero non avrei dovuto fidarmi di M Agrèste? Decisi di aggirare l’argomento e di pensarci una volta tornata a casa.
«Conosci una certo Plagg?» chiesi. Notai lo sbuffo infastidito per la mia “mancanza di educazione” morirle sulle labbra, mentre un profondo rossore le invadeva le guance.
«Non conosco nessuno con questo nome.» dichiarò subito dopo. Il rossore però non diminuì. Capii subito che mi stava mentendo, era così evidente. Speravo di non aver ereditato una così pessima recitazione da lei. Le feci un sorriso, per farle capire che avevo intuito che non solo lo conosceva, ma aveva con lui una conoscenza molto più profonda di quella che voleva farmi bere. Il rossore aumentò ancora di più. Scosse la testa quasi meccanicamente.
«È inutile che mi guardate così, non so davvero a chi vi riferiate.» scoppiai a ridere mentre lei copriva il volto con le mani.

Qualche ora dopo stavamo uscendo dalla casetta. Il cielo era scuro, doveva essere piuttosto tardi. Tikki chiuse la porta a chiave e poi ripose quella sotto lo zerbino. Avrei dovuto dirle che era un nascondiglio demenziale. Non c’era praticamente nessuno in giro. Seguii la mia antenata che si dirigeva a passo spedito verso il portale per il 1682. Feci da palo, mentre si lei infilava nello Squarcio, non si poteva mai sapere, magari potevano scambiarla come strega. Era ancora praticata ala caccia alle streghe in questo periodo? Allo stesso tempo avevo paura che dall’altra parte ci fosse il tipo armato di prima. Mi feci coraggio e con un bel respiro mi infilai nel muro. Fu esattamente come l’altra volta. Non ci fu solo la sensazione di budino congelato, ma venni di nuovo percorsa da quella strana scarica elettrica poco prima di ritrovarmi dall’altra parte. Nel vicolo dove ero comparsa non c’era nessuno, fatta eccezione per Tikki. Anche i lenzuoli erano spariti.
«Vieni.» mi disse sottovoce. Era un po’ tesa. Probabilmente aveva paura che quei tizi fossero ancora in giro. La seguii circospetta. Sobbalzammo entrambe quando un gatto ci passò davanti per poi fare una mezza risata isterica. La ragazza mia aiutò a trovare il passaggio per tornare a casa.
«Grazie.» le dissi, una volta individuato il portale. Lei mi sorrise.
«Non preoccupatevi.» rispose lei. «Se mi avrete voglia di passare altro tempo con me sapete dove trovarmi.»
«Certo.» annuii contenta. Wow, avevo fatto amicizia con una mia antenata morta! Lei ridacchiò.
«Sono davvero curiosa di sapere altre cose sul futuro. Magari potrei ospitarvi a casa mia. Mia madre non fa caso agli ospiti che porto a casa, purché siano vestite a bene ed educate.» su quest’ultimo puntò mi inviò un’occhiata eloquente.
«Mi eserciterò solo per voi.» le dissi allora con un sorriso.
«Così va meglio.» mi salutò con una piccola riverenza mentre io le feci un cenno della mano. Poi mi addentrai nel passaggio. Aspettai con timore di sentire di nuovo quella scossa elettrica ma non accadde. In un batter d’occhio ero dall’altra parte. Prima anche solo che potessi prendere un respiro di sollievo qualcuno mi abbracciò di slancio. Con sorpresa mi ritrovai tra le braccia di Adrien. Mi teneva stretta come se potessi scomparire da una momento all’altro. Mossi gli occhi per la stanza. Chloè aveva le lacrime agli occhi e sembrava le avessero tolto un peso dal cuore. Mi sentii in colpa. Quanto dovevano essersi preoccupati per me? Tra gli altri spettatori c’erano M. Agrèste e i miei genitori, anche loro parecchio preoccupati.
«Stai bene.» disse con un sospiro il ragazzo, mentre continuava a tenermi stretta.
«Oddio, stai bene vero?» si staccò e mi guardò, tenendomi per le spalle. Sbiancò quando vide la mia guancia sinistra.
«È solo un graffio.» risposi rossa in viso. Non ero abituata a tutte quelle attenzioni.
«Dovremmo tornare in sede.» si fece avanti M. Agrèste. «Così potremmo medicarti e capire meglio cosa è successo.» i miei genitori annuirono, probabilmente troppo scossi per protestare oppure convinti dal fatto che sarei stata controllata. Affiancata da un lato da Adrien e dall’altro da Chloè procedemmo fuori dalla casa polverosa. Guardai il padre del ragazzo che stava camminando di fronte a me e le parole di Tikki mi tornarono in mente. Che persona era Grabriel? Potevo davvero fidarmi di lui? Chiusi gli occhi, mentre una profonda stanchezza sembrava essermi appena precipitata sulle spalle. Ora come ora volevo solo tornare a casa e dormire.
«Tutto bene?» mi chiese Adrien. Lo guardai. Era davvero molto bello, anche sotto la luce della luna. Il mio cuore perse un battito e mi sentii arrossire.
«Tutto bene.» risposi.

Angolo dell'autrice:
Salve, sono Shora *saluta con la mano*. Chiedo scusa del ritardo nel pubblicare questo capitolo, ma sono in periodo di esami e quindi non riesco a coniugare bene il tempo tra le due cose. Spero che l'attesa sa valsa la pena. Grazie per chi mi continua a seguire dopo questo periodo di silenzio!
Baci a tutti,
Vostra,
Shora.

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Capitolo 10
*** Capitolo dieci ***


Capitolo dieci:
Nello studio di villa Agrèste mi sembrò di essere tornata indietro nel tempo, quando mi ero trovata scaraventata in questa storia assurda. Mi trovavo sempre in piedi a fianco a mia madre, mentre Adrien e Chloè si erano accomodati sulle poltrone dove li avevo visti la prima volta. Le uniche cose che cambiavano erano la presenza di mio padre e la presenza di molte meno persone rispetto alla prima volta. Oh e anche la faccia sconvolta di Chloè. Poveretta, sembrava aver appena visto un fantasma! Mi chiesi cosa avesse subito nel 1682 per avere quell’aspetto. Gli occhi di tutti erano fissi su di me, inquisitori e mi sentivo davvero imbarazzata.
«Allora cosa ti è successo nel passato?» incalzò M. Agrèste. Mi toccai leggermente la guancia. La ferita era stata chiusa con una serie di piccoli cerotti a striscioline. Feci una piccola smorfia per il bruciore che provai.
«Ci hanno teso un agguato.» ovviamente questo lo sapevano già, ma volevo comunque rimanere sul vago. Avevo ancora le parole di Tikki nelle orecchie.
«Intendo dopo, quando ti sei separata da Adrien e Chloè» continuò l’uomo. Presi un bel respiro. Ora arrivava la parte difficile, dovevo filtrare le informazioni o raccontare ogni minimo particolare? Mi morsi il labbro, tirando un po’ il taglio.
«Beh, essendo disarmata mi sono un po’ da sciocca.» ammisi, cercando di guadagnare tempo.
«Ma avevo visto Tikki e quello era il nostro principale obbiettivo e così ho pensato di inseguirla.»
«Sei stata un’incosciente!» si intromise Chloè. Aveva di nuovo le lacrime agli occhi. Si alzò stingendo i lembi del vestito azzurro che indossava per il viaggio nel tempo.
«Non sai quanto mi sono preoccupata quando quel tizio mi ha rotto la guardia e ha cominciato ad inseguirti!» Chloè era preoccupata per me? Oddio doveva essere stata davvero una pessima idea allora. M. Agrèste alzò una mano per bloccare il seguito dei rimproveri della ragazza. Poi puntò i suoi occhi azzurri su di me. Deglutii a vuoto. Sentii mia madre mettermi una mano sulla spalla e sollevando lo sguardo mi rivolse un sorriso un po’ tirato.
«Prosegui pure.» mi disse l’uomo. Presi un bel respiro.
«Una volta terminato l’inseguimento mi sono ritrovata davanti ad un vicolo cieco. L’uomo che mi seguiva mi ha attaccato.» Ebbi un flash di come mi gettavo di lato, mentre quel tipo cercava di uccidermi.
«È spettacolare come tu sia riuscita a sfuggirgli, dopotutto eri in un vicolo cieco e disarmata!» Gabriel aveva un tono molto ammirato, ma in risposta gli arrivò solo un'occhiataccia dai miei genitori.
«Mia figlia ha rischiato la vita, non c’è nulla di eroico in ciò!» sentenziò mia madre serrando la presa sulla mia spalla.
«Lasciala finire, Sabine» la liquidò lui e puntò di nuovo i suoi strani occhi su di me. In qualche modo dovevo essermi tradita. Lui aveva capito benissimo che c’era altro. Come diavolo aveva fatto?
«Beh, per caso ho trovato un portale per il 1421. Probabilmente era quello che aveva usato Tikki per scappare, così l’ho attraversato anche io.» quella frase fece l’effetto di una bomba. Ammutolirono tutti. I loro sguardi erano la rappresentazione figurata dello sbigottimento. Poi Adrien rise.
«Avanti Marinette, dicci come sei riuscita a scappare per davvero.» lo fissai confusa da quella reazione.
«Ma io sono seria.» protestai. Perché era così assurdo? Anche loro viaggiavano nel passato, non avrebbero dovuto avere dubbi sulle mie parole.
«Non è divertente Dupein-Cheng!» scattò di nuovo Chloè, mi guardava con astio.
«Non si può tornare indietro nel tempo quando si è già in un altro arco temporale al quale non si appartiene.» cosa cosa?
«Ma io non sto scherzando. Mi sono rifugiata lì o altrimenti mi avreste trovata a fettine.» ribadii. La ragazza fece per aprire la bocca, mentre il ragazzo aveva aggrottato le sopracciglia, propendendo anche lui per uno scherzo. Bella squadra ragazzi! M. Agrèste precedette ognuno di noi dal dire qualcos’altro.
«È possibile.» sentenziò. Mi sentii invadere dal sollievo, avevo paura di essermi immaginata tutto per un attimo.
«Cosa?» Adrien si era alzato, sorpreso quanto la ragazza accanto a lui. Il padre si sistemò gli occhiali.
«È una proprietà solo della Coccinella. Può attraversare tutti gli archi temporali che vuole. Anche se è molto rischioso per il fisico che deve sopportare uno sforzo davvero sovrumano.» mi ricordai delle scariche elettriche provate in quello Squarcio. Intendeva quello? L’uomo si abbandonò allo schienale della sedia e si portò una mano alla tempia.
«Te lo avremmo detto a tempo debito.» continuò, guardandomi. Non mi piaceva quello sguardo, mi sentivo come analizzata fin dentro l’anima.
«Cosa è successo poi?» volle sapere. Indurii un po’ lo sguardo. Mai come in quel momento le parole di Tikki suonavano vere. Inventai una bugia.


Fuori l’aria era fredda. La primavera non scaldava l’aria anche la sera e io avevo una semplice maglietta a maniche corte e dei jeans strappati. Seguii i miei genitori verso la macchina, mentre mi sfregavo le braccia con le mani. Mi affrettai a raggiungerli, ma prima che potessi effettivamente muovere un passo qualcuno mi fermò. Mi prese una spalla costringendomi a girarmi. Adrien mi guardava con un’intensità tale che mi sembrava potesse leggermi nel cuore. Istintivamente tentai di rimpicciolirmi.
«Marinette cosa è successo davvero nel 1421?» mi domandò a bruciapelo. Mi aveva scoperta! Non so come ero riuscita a tradirmi come al solito! Che cosa avevo detto che mi aveva fatto scoprire?
«Proprio quello che ho detto nello studio di tuo padre.» risposi con la voce che tremò leggermente. Era stato solo un momento, ma lui lo aveva percepito perfettamente. Maledetto.
«Senti, potrai ingannare mio padre, ma non me.» fece un mezzo sorriso, ma la presa sulla sua spalla si fece più ferrea.
«Te lo chiedo di nuovo: cosa è successo nel 1421?» rimasi zitta. Una parte di me voleva dirgli la verità, ma una vocina nella mia testa mi diceva di essere cauta. Se quello che stavamo cercando era davvero così pericoloso forse non andava nemmeno trovato. Poi chi mi assicurava che si sarebbe tenuto quelle informazioni per se e non sarebbe andato a riferirle al padre? Adrien interpretò il mio silenzio a modo suo.
«Marinette tu sei la Coccinella, sei nostra compagna!» la sua voce aveva un tono quasi supplichevole. Ma non fece presa. Indurii lo sguardo. Quella frase non avrebbe dovuto dirla.
«Non è bello sentirsi tagliati fuori, eh?» mi liberai con uno strattone dalla sua presa, senza cambiare il modo di guardarlo. Quel profondo affetto che avevo provato prima si era ritirato, fatto piccolo piccolo. In quel momento ero arrabbiata. Pretendeva informazioni da me, quando per settimane nessuno si era degnato di dirmi nulla. Nemmeno lui che si professava mio compagno. Lui dovette intuire quello che pensavo.
«Non dipendeva da me.» scossi la testa. Tutto questo mi faceva male, perché se finalmente pensavo di aver costruito un rapporto mi rendevo conto di quanto tutto questo fosse un’illusione. Mi sembrava di essere lontana anni luce dal capire minimamente il loro modo di ragionare. Questo pomeriggio nemmeno credevano al fatto che avessi ricevuto notizie sulla missione. Nemmeno volevano rendermi partecipe e adesso eravamo tutti amici per la pelle? Mi prendevano per scema?
«Buonanotte.» dissi come ultima e lapidaria risposta. Mi volati, mentre piccole lacrime mi pungevano gli occhi. Non volevo che lui le vedesse.
«Marinette...» tentò di chiamarmi. Io non lo ascoltai. Salii in macchina dove i miei genitori mi stavano aspettando. Volevo solo dormire. Prima che ci fossimo del tutto allontanati guardai fuori dal finestrino. Adrien era ancora lì, davanti al suo enorme cancello. Sembrava disorientato. Bene, che lo rimanesse. Volevo che si sentisse come mi ero sentita io fino a poco tempo fa. Sulla soglia intravidi Chloè. Non si era cambiata e con la luce alla spalle sembrava un bellissimo angelo. Come un fulmine capii. Io non c’entravo praticamente nulla con loro. Pensai ad Alya. A quanto mi mancava. A quanto mi mancava la mia vita di prima, senza antenate dai discorsi enigmatici, viaggi nel tempo e sopratutto senza sentimenti che non dovevano nascere. Perché in fondo era così. Per quanto avessi cercato di sopirlo e lo avessi cacciato nell’angolo più remoto del mio cuore quella fiammella era rimasta. Ardeva ancora quella piccola luce accesasi quando Adrien mi aveva abbracciato al mio ritorno. Arrossii al ricordo, nonostante la rabbia. Poi pensai a Tikki e alla sua reazione al nome di Plagg. Speravo davvero di non diventare così anche io.
«Tutto bene?» la voce di mia madre mi riscosse. Sfoderai un sorriso falso.
«Certo.» mentii. Mia madre mi mandò uno sguardo preoccupato dallo specchietto della macchina. Pregai che non volesse partire con un discorso, non ne avevo le forze. Volevo solo dormire. E forse non svegliarmi mai più non sarebbe stato male.

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Capitolo 11
*** Capitolo undici ***


Capitolo undici:
Il suono della sveglia mi avrebbe strappato dai sogni se solo quella notte li avessi fatti. O avessi anche solo chiuso occhi. La notte era passata lenta, ma inesorabile lasciandomi da sola con i miei pensieri e tormenti. Il mio desiderio di non svegliarmi più era stato assurdamente trascurato, lasciandomi anzi completamente sveglia per una notte intera. Nemmeno avessi tutte queste cose a cui pensare poi! Solo uno stupido ragazzo e una stupida vita che mi ero stupidamente tirata addosso. Se solo fosse stata lontana da Notre Dame quel giorno! Mi misi a sedere. Gli occhi bruciavano e dovevo avere un aspetto orribile. I capelli, lo sentivo, andavano da tutte le parti. Spensi la sveglia che stavo continuando a pigolare con un sospiro. L’unica conclusione che avevo maturato durante la notte era stata quella con la quale non mi sentivo ancora del tutto sicura: volevo mollare. Non ero sicura di voler continuare. Non sapevo nemmeno di chi potevo fidarmi e questo mi faceva sentire molto sola. Inoltre se mollavo tutto non avrei più visto Adrien e magari quello che si era accesso dentro di me si sarebbe poi spento. Era un pensiero assurdo, lo sapevo, ma volevo tornare alla vita di prima. Davvero nulla sarebbe stato come qualche settimana fa? Mai più? Mi specchiai per farmi i soliti codini e la mia faccia aveva davvero una brutta cera. Le occhiaie erano così profonde che mi arrivavano praticamente alle labbra. Sospirai e pensai che per una volta potevo il correttore di mia mamma, prima di andare a scuola.

In classe la situazione non la situazione non migliorò. Seduta al mio banco sentivo Chloè lanciarmi occhiate perforanti che ignoravo. Nemmeno la lezione mi distrasse, l’unica cosa che facevo era scarabocchiare sul quaderno per non insospettire la professoressa. Tra Adrien e la situazione dei viaggi nel tempo, alla lista, si era aggiunta anche Tikki. Dovevo rincontrarla, assolutamente. Avevo in mente anche una mezza idea di come fare e avrei messo in atto il mio piano questa notte o al massimo domani. Un pizzicotto su una coscia mi catapultò nella realtà. Mi voltai verso Alya.
«Tutto okay? Hai un aspetto orribile.»
«Ho solo dormito male.» le sussurrai. Quanto avrei voluto raccontarle tutto! Tra migliori amiche non si dovevano avere segreti no? Io invece ne stavo accumulando sempre di più.
«Sei sicura? Come ti sei fatta quel taglio sulla guancia?» insistette lei. Finsi di prestare attenzione alla lezione, sperando che di demoralizzarla e pensavo di esserci riuscita se non che, alla fine della giornata scolastica, mentre stavo per dileguarmi alla chetichella, la mia migliore amica mi fermò, afferrandomi per un polso.
«Allora, vuoi dirmi che succede?» mi guardava seria. Feci un sorrisino.
«A che ti riferisci?»
«A tutta questa tua mania evasiva. Qualcosa non va Marinette?» cavoli, era davvero preoccupata. I suoi occhi erano cupi e c’era anche una traccia di delusione. Potevo davvero capirla, ma se le avessi detto qualcosa mi avrebbe creduto? Forse avrebbe preso tutto come una presa in giro e si sarebbe arrabbiata davvero questa volta. Mi tirai i codini e feci un verso esasperato. Alya mi guardò confusa.
«Credimi se ti dico che vorrei davvero dirti cosa sta succedendo.» le dissi. «Ma non posso...» conclusi.
«Non ti fidi di me?» domandò colpita.
«No, no, assolutamente!» mi affrettai a dire. Mio Dio! Non potevo perdere anche l’unica amica che mi era rimasta.
«E allora cosa?»
«È una cosa così assurda che fatico a crederci anche io stessa. Se te lo dicessi, non so se mi crederesti.» ci fissammo un po’ negli occhi. Poi lei sembrò capire. Annuì.
«Dimmi se almeno posso aiutarti, in un qualche modo.» mi disse. Ci riflettei. Effettivamente qualcuno che potesse aiutarmi a ricercare alcune informazione che i miei “compagni” sembravano così restii a darmi mi avrebbe fatto comodo.
«Potresti aiutarmi cercando qualche informazione per me ogni tanto.» lei annuì.
«A che proposito?» chiese.
«Vedi se riesci a scoprire qualcosa a proposito una certa Tikki vissuta nel 1600.» Alya fece una faccia stupita. Poi sorrise.
«Un giorno pretenderò delle risposte.» mai le fui così grata come in quel momento. Ci salutammo e io mi diressi verso casa mia se non che una limousine nera mi si affiancò durante il tragitto e come nei peggiori film di serie B il finestrino oscurato si abbassò, solo che al posto dell’agente segreto in occhiali scuri comparve il viso di Chloè.
«Sali, M. Agrèste vuole vederci.» mi disse, quasi seccata. Salii. Alla villa venimmo ricevute da Gabriel, già in compagnia del figlio. Adrien mi lanciò uno sguardo colmo di tristezza per come ci eravamo lasciati la sera prima. Lo ignorai e mi concentrai sulle parole dell’uomo.
«Vi chiedo scusa per questa breve riunione senza preavviso.» cominciò. Mentre Chloè si accomodava accanto al ragazzo, io rimasi in piedi, con le braccia conserte. Mentre M. Agrèste continuava a parlare, io feci vagare lo sguardo per stanza e notai una cosa. Mi chiesi come mai non l’avessi vista prima. Accanto alla porta dello studio dove ci trovavamo c’era una sorta porta chiavi come quello degli alberghi, dove erano appese un sacco di chiavi di tutte le fogge e colori con annessa etichetta per cosa aprivano. Quella che attirò la mia attenzione fu quella della casa in Place Royale. Forse...
«Non possibile! È ridicolo!» la voce di Chloè mi distolse dai miei pensieri.
«Marinette non è minimamente pronta. Ancora non se la cava bene con il valzer e il minuetto, a detta di Franz, non ha idea di come ballarlo.»
«Non è così male.» intervenne Adrien in un vano tentativo di difendermi. La ragazza lo fulminò con lo sguardo.
«Sei forse un insegnante di ballo?» domandò ironica lei. Si rivolse di nuovo a Gabriel.
«Non è pronta, risulterebbe come un pesce fuori d’acqua. Possiamo andarci solo io ed Adrien!» se solo non mi fossi distratta ora saprei da cosa volevano escludermi per l’ennesima volta.
«In questa operazione la Coccinella è fondamentale.» disse lapidario M. Agrèste.
«Non dovrà ballare per forza.» mi guardò.
«Te la senti Marinette?» non volevo far capire che cadevo dalle nuvole.
«Certo.» risposi senza nemmeno sapere che cosa avevo accettato.
«Perfetto, allora domani dopo scuola, verrete qui per prepararvi alla serata. Io e Andrè vi accompagneremo personalmente a Versailles.» mmhh, certo. Saremmo andati a Versailles. Sarebbe stato bello sapere anche per cosa, ma non dovevo far capire che non ero stata attenta. Certamente origliando qualche conversazione avrei capito. Chloè si profuse in una serie di lamentele e ciò distrasse sia Adrien che M. Agrèste. Mi avvicinai furtiva al portachiavi appeso alla parete e mi intascai la chiave per il passaggio al 1682.

 

La sera arrivò prima che la mia preparazione psicologica fosse effettivamente completa, ma non potevo più tirarmi indietro. Dopo essermi anche prestata ad un furto non avevo più scuse. Finsi di andare a letto, ma invece del pigiama indossai un paio di jeans e una normale t-shirt, con un felpa legata in vita, nel caso facesse freddo e poi attesi che la casa divettasse silenziosa. Quando fui sicura che i miei genitori fossero a dormire mi decisi ad andare. Mi assicurai di avere con me la chiave e il biglietto che avevo intenzione di dare a Tikki, poi uscii di casa. Nonostante l’ora tarda Parigi era ancora piena di vita. L’aria era leggermente fredda, ma non ancora così tanto da costringermi a coprirmi. Veloce come una ladra mi diressi verso la casa in Place Royale. Circospetta aprii la porta e me la richiusi alle spalle. Quello che stavo per fare mi faceva sentire una traditrice. Ma stavo davvero tradendo? Ero davvero schierata della parte giusta? E ancora più importante: ero davvero schierata? Con un profondo respiro varcai il portale. Il 1682 era tranquillo. Nessuno in vista. Rasente ai muri, per farmi notare il meno possibile da qualche poco probabile passante mi diressi in fretta verso il portale per il 1421. Dopo la dolorosa scossa arrivai dall’altra parte. Anche in questo secolo tutto tranquillo. La casa di Tikki non distava troppo. Veloce mi diressi verso la piccola abitazione. La chiave, come sospettavo era sotto lo zerbino. La piccola casa era vuota. Posai il biglietto al centro del tavolo e lo rilessi, giusto e per essere certa che fosse semplice, ma comprensibile: “Tikki per favore, incontriamoci qui il cinque maggio. -La Coccinella”. Perfetto. Per essere capibile era capibile. Bisognava solo sperare che Tikki venisse qui e trovasse il biglietto. Mi scappò un sorriso al pensiero che quella data in un altro secolo sarebbe stata parecchio importante. Poi mi riscossi e sperai che da qui ad una settimana potessi vedere la mia antenata. Uscii, chiusi a chiave e rimisi quella sotto lo zerbino. Con il cuore in gola per la paura di un assalto da qualche malvivente quasi corsi al portale. Lo attraversai e venni percorsa di nuovo da quella strana scarica elettrica, anche se da quel che avevo capito era lo sforzo per tutti i secoli che il corpo sosteneva. Una volta al di là del muro feci un sospiro di sollievo. Ero a metà dell’opera.
«Disturbo?» domandò una voce, dal tono gelido alla mia sinistra. Mi voltai fulminea, reprimendo un grido che avrebbe svegliato altrimenti tutta la Parigi del 1682. Davanti a me c’era Adrien con le braccia incrociate e la fronte aggrottata. Solo una parola mi venne in mente in quel momento: merda!

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Capitolo 12
*** Capitolo dodici ***


Capitolo dodici:
Dopo l’iniziale sorpresa ripresi in mano la situazione e, dopo aver vagliato una serie di emozione, decisi che uno sguardo arrabbiato era la scelta migliore.
«Mi stavi pedinando?» domandai invece io.
«Sai com’è, quando qualcuno ruba in casa tua vuoi sapere cose uno tende fare con la refurtiva.» Ahia, le sue parole fecero un po’ male.
«Cosa sei andata a fare nel 1421?» mi chiese. Mi morsi la lingua.
«Marinette, qualsiasi cosa sia per favore dimmelo! Hai ucciso qualcuno? Sei nei guai?» nonostante la situazione non fosse delle migliori non riuscii a trattenermi e scoppiai a ridere. Come poteva pensare che avessi ucciso qualcuno?
«Non è divertente Marinette.» mi disse lui, abbastanza piccato. «È da quando ci siamo separati che sei diventata strana. Io davvero posso aiutarti, ma devi aiutarmi a capire!» aveva uno sguardo così sincero, così profondo. Il mio cuore fece una capriola nel petto.
«Io… io ho parlato con Tikki.» le parole uscirono come un sospiro e fui incapace di trattenerle. Adrien mi guardava in attesa, il suo sguardo era una silenziosa incitazione ad andare avanti.
«La verità è che sto ancora cercando di capire. Adrien, tu sei sicuro di essere schierato dalla parte giusta per questa missione?» lui mi mando un’occhiata confusa.
«Cosa vuoi dire?»
«Pensaci… non sappiamo nemmeno per cosa stiamo viaggiando avanti e indietro nel tempo. Non ti pare strano?»
«Io mi fido di mio padre. Se non ha voluto dirci cosa cerchiamo avrà le sue buone ragioni.»
«Ne sei certo? Io credo che invece la cosa vada molto al di là di noi. Qualsiasi cosa stiamo cercando non va trovata Adrien.» insistetti. «Credo si tratti di qualcosa di molto pericoloso...» aggiunsi poi, piano. Il ragazzo non disse nulla, ma sembrava molto pensieroso. Dopo qualche secondo di completo silenzio mi guardò.
«Perchè non mi ha detto nulla?»
«Avevo… ho paura che tu lo dica a tuo padre. Prima di affrontare questo discorso devo cercare di capire. Volevo raccogliere prove e...»
«Dobbiamo.» mi interruppe il ragazzo.
«Come?» chiesi confusa, presa com’ero dal mio fiume di parole. Mi sembrava di non potermi più fermarmi.
«Dobbiamo cercare di capire. Tu, io e quando riterrai opportuno di renderla partecipe, anche Chloè.» incrociò le braccia e corrugò la fronte.
«Non fido ciecamente di quello che ha detto Tkki. Potrebbe voler solo depistarci, ma se tu ne sei così convinta allora voglio darti credito. Almeno provare a fidarmi del tuo istinto.» il cuore mi si riempì di gioia. Allora potevo fidarmi di lui! Almeno per il momento sembrava di sì. Un sorriso spontaneo fece capolino sul mio viso, mi sentivo finalmente più leggera di qualche grammo. Anche Adrien mi mandò un fugace sorriso e poi, inaspettatamente, mi tese la mano.
«Torniamo a casa.» mi disse. Sentii un brivido quando le nostre dita si intrecciarono. Pregai che il buio nascondesse il rossore sulle mie guance perché mi parevano stessero andando a fuoco.

Il giorno dopo, a pomeriggio inoltrato, mi trovavo avvolta in un ingombrante vestito rosso. I capelli intrecciati in una maniera così elaborata che provare a riprodurla su qualcun altro sarebbe risultato impossibile. Ero seduta in una limousine con Chloè, che portava un vestito blu marino davvero stupendo. I suoi capelli erano acconciati in modo tale da sembrare una cascata d’oro, ondulati e rilucenti, mandavano mille riflessi. In confronto a lei mi sentivo davvero una piccola cimice goffa e incapace. Aveva un broncio in faccia che piuttosto che farla apparire arrabbiata la faceva sembrare tenera. Ovviamente ce l'aveva con M. Agrèste perché non mi aveva lasciato a casa. In quel momento ci stavamo infatti dirigendo a Versailles, dove avrei preso parte al mio primo ballo nel passato. Precisamente nel 1689. Ero a dir poco terrorizzata. Per una volta davo ragione a Chloè. Ballavo un minuetto pessimo e il valzer era poco meglio del primo, anche se mi fossi impegnata al massimo non avrei potuto passare per una nobildonna dell’epoca. Avevo ancora bisogno di contare i passi e quelle poche volte che avevo ballato con qualcuno che non fosse il mio amato e immaginato Fabian era tornato a casa con i piedi doloranti per tutte le volte che glieli avevo pestati. Avevo così deciso di fingere che mi facesse molto male una piede o qualcosa del genere così da non dover ballare. Mandai uno sguardo di sbieco ad Adrien, seduto accanto alla ragazza. Non aveva detto una parola da quando eravamo partiti. Per una volta eravamo tutti d’accordo sul fatto che la mia partecipazione alla missione fosse inutile, ma M. Agrèste aveva insistito sul fatto che la mia partecipazione fosse essenziale, ovviamente senza dirci il perché. Una volta arrivati alla reggia mi sentivo più tesa che mai. A guidarci al Portale c’era solo il nostro autista, per nulla colloquiale e il tragitto proseguì nel più tombale dei silenzi, rotto solo dal rumore dei nostri passi sulla ghiaia. Una volta raggiunto lo Squarcio, situato in una parete esterna del palazzo, l’uomo si fermò e ci fece segno di entrare. Il primo fu Adrien, poi toccò a Chloè ed infine a me. Chiusi gli occhi, trepidante e spaventata per quello che avrei visto una volta dall’altra parte. Quando sollevai le palpebre rimasi senza parole. Mi trovavo in una sala favolosamente decorata d'oro e rosso. Le poche persone lì presenti non si erano resi conto della nostra entrata e restarono a parlare fra di loro senza degnarci di uno sguardo, come se fossimo sempre stati lì. Come da istruzioni ci muovemmo verso la sala da ballo e lì rimasi davvero a bocca aperta, tanto che Chloè dovette darmi una gomitata nella costole per farmela richiudere. La sala era immensa, con enormi lampadari di cristallo che scendevano dal soffitto riccamente affrescato. Enormi finestre correvano per entrambe le pareti, ma essendo ormai sera la stanza era illuminata a giorno da una miriade di candele profumate e mi chiesi quanto effettivamente fosse sicuro, vista la crinolina dei vestiti e le parrucche di certe dame. Notai alcuni divanetti addossati ai muri e alla finestre dove sedevano alcune nobildonne più anziane. Decisi che quello sarebbe stato il mio posto per la serata. Toccai Adrien per una spalla.
«Vado a sedermi lì.» dissi, indicando ai miei compagni un divanetto rosso, vuoto. Lui annuì.
«Mi pare un’ottima idea. Ma non ti muovere da lì.» capivo la sua apprensione, la sala era davvero ghermita da gente. Perdersi lì in mezzo sarebbe stato facilissimo. Mi accomodai, sprofondando tra gli strati del vestito e tra i morbidi cuscini. Dopo un sospiro mi permisi un lungo sopralluogo sulla folla. Adrien e Chloè si erano già immersi nella parte. Notai la ragazza civettare perfettamente con un tipo mai visto, ma molto carino. Il mio compagno invece era già immerso in una danza con una ragazza bellissima. Una stiletta di gelosia mi attraverso il cuore. Doveva proprio sorriderle così? E poi non mi sembrava che il valzer prevedesse quell’attaccamento l’uno al corpo dell’altra o sbaglio? Scossi la testa. Non era il momento di distrarsi con simili idiozie. C’era un motivo per il quale ero lì dovevo solo concentrarmi per trovarlo. Dopo circa mezz’ora avevo gli occhi stanchi per il mio scandagliare la folla alla ricerca di qualche indizio. Ero abbastanza certa che il nostro viaggio qui centrasse con Tikki, Plagg o chiunque fosse l'antenata di Chloè, ma a parte le poche informazioni che avevo sugli ultimi due di Tikki non c’era ombra. E anche se ci fosse stata, tra tutta quella gente era impossibile vederla. Stavo per abbandonarmi allo schienale in maniera poco signorile, con un sbuffò già sulle labbra quando una voce mi fece sobbalzare.
«Perdonatemi, voi non ballate?» mi voltai verso destra e vidi un bel ragazzo, vestito di tutto punto. Aveva i capelli blu e degli occhi azzurro ghiaccio veramente magnetici. Non sapendo bene come reagire, feci un sorriso di circostanza.
«Purtroppo mi sono distorta una caviglia durante una passeggiata.»
«Già, Parigi di questi tempi è davvero piovosa. Basta una pozza di fango per scivolare e farsi del male.» mi sorrise lo sconosciuto.
«Posso sperare in una passeggiata qui fuori con voi?» domandò poi.
«Emm… ecco...» non sapendo bene cosa rispondere feci vagare lo sguardo sulla folla, in cerca dei miei compagni per avere un’ispirazione, che arrivò non appena vidi Adrien praticamente appiccicato alla rossa con la quale stava ballando da quando eravamo arrivati. Cosa avevano da sussurrarsi tanto? Sentii la rabbia montare nel petto, ma nascosi tutto dietro un sorriso zuccheroso.
«Con molto piacere.» dissi infine prendendo la mano del ragazzo accanto a me. Poi mi ricordai della buone maniere e feci una leggera riverenza.
«Molto piacere Marinette Dupein-Cheng.» lo sconosciuto mi fece un sorriso davvero irresistibile.
«Avete un cognome davvero particolare.» altro sorriso da parte di entrambi.
«Voi invece siete…?» domandai, distogliendo lo sguardo, leggermente in imbarazzo.
«Pardon che maleducato!» esclamò. Fece una riverenza.
«Luka Couffaine. Ma per voi chiunque vogliate che io sia.» mi diede una leggero bacio sul palmo facendomi arrossire. Con un movimento e fluido e dolce allo stesso momento mi condusse verso una porta finestra che dava sul bellissimo cortile. Prima di varcarla mi lanciai un’occhiata alle spalle, ma non vidi nessuno né compagni né belle antenate. Fuori l’aria era fredda e frizzante. Notai che anche altra gente aveva avuto la stessa idea di Luka e stava passeggiando nella sera. Dopo poco ci fermammo in uno spazio un po’ appartato. Non eravamo completamente isolati, la luce veniva dalle finestre e si sentiva l’orchestra suonare.
«Bene, direi che qui non ci vede nessuno.» mi disse con un sorriso furbo sul viso. Lo guardai confusa, con le peggio idee che mi si stavano affollando in mente. Del tutto inaspettatamente Luka mi fece una riverenza.
«Mi concedete questo ballo?» aprii la bocca per obbiettare.
«Vi prego.» continuò lui. «So che la caviglia era una scusa per non dover ballare davanti a tutta quella gente. Dopotutto non avete zoppicato nemmeno un momento durante la passeggiata.» maledizione! Un po’ titubante presi la mano del ragazzo e senza nemmeno rendermene conto stavo ballando un valzer in maniera quasi impeccabile. Luka mi conduceva con naturalezza e ballare con lui risultava facile come respirare. Mi sciolsi tra le sue braccia,volteggiando nella notte del 1689. Per la prima volta non stavo pensando alla missione, ma mi stavo semplicemente godendo il momento. Solo le stelle mi furono testimoni, ma in quei pochi attimi nei quali ballai mi sentii finalmente felice.

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Capitolo 13
*** Capitolo tredici ***


Capitolo tredici:
Avrei potuto andare avanti per ore. Ballare con Luka era completamente diverso da come accadeva invece al quartier generale, ergo villa Agrèste. Se nel XV secolo sembrava avessi preso lezioni fin da bambina nel 2019 ero soggetta a rimproveri e battute di scherno.
«Non capisco tutti questi vostri tentativi di sottrarvi al ballo. Danzate magnificamente.» mi disse il ragazzo una volta che concludemmo la nostra improvvisata. Mi sentii arrossire. Nemmeno Adrien mi aveva detto una cosa del genere. Era bello sentirsi apprezzati.
«La verità è che non mi piace ballare.» risposi con un sorriso.
«Già, a quanto pare preferisci sparire nel nulla.» si intromise una voce, che nonostante il tono furibondo mi fece salire un brivido piacevole sulla schiena. Luka si voltò, lasciandomi vedere la figura dietro di lui. Come già sospettavo c’era Adrien. Le braccia incrociate e lo sguardo arrabbiato. Possibile che non avessimo mai qualche settimana di pausa tra una sfuriata e l’altra? E poi cosa aveva lui da essere arrabbiato? Non era stato il primo a piantarmi in asso per ballare con qualche bella ragazza?
«Vi conoscete?» chiese Luka, parecchio confuso dall'entrata di Adrien, tra l'altro al limite della maleducazione.
«Sono suo fratello.» esordì il mio compagno. Cercai di ricordarmi se ne avessimo parlato prima di partire, ma ero certa che la copertura fosse un’altra e non c’entravano fratelli (molto belli oltretutto). Alzai gli occhi al cielo, sbuffando.
«Non è successo nulla, Adrien.»
«È successo che sei sparita senza dire niente a nessuno. Mi hai fatto preoccupare!»
«Così preoccupato da ballare appiccicato a qualche bella ragazza, pronto a sbirciare più a fondo nella loro scollatura? Non farmi ridere!» ero patetica, lo sapevo. Fare un’osservazione del genere non era un punto a mio favore. Stupida stupida stiletta di gelosia. Perchè continuava a pungere? L’occhiata truce di Adrien certamente non aiuto a farmi tornare tranquilla. Ero davvero stufa del suo modo di fare. Prima gentile, poi irritante, dopodiché si aveva in genere una litigata prodotta da lui il più delle volte. Infine tornava gentile. Era stanca di non sapere da che parte prenderlo ogni volta.
«Forza andiamo.» disse gelido e prendendomi per un polso. Piantare i piedi avrebbe attirato troppo l’attenzione perciò lo seguii, ma prima di allontanarmi troppo mi girai indietro, indirizzando un sorriso di scuse al povero Luka che era ancora un po’ confuso da tutto ciò che si era appena svolto sotto i suoi occhi. Lo salutai con una mano e mi lasciai trascinare da Adrien. Quando fummo sufficientemente lontani, mi liberai dalla sua presa.
«Puoi anche smettere di fingere ora.» sibilai. Lui mi guardò con gli occhi smeraldini che dardeggiavano.
«Sei tu che devi smetterla di fare come vuoi. Non puoi permetterti colpi di testa come questi nel passato, ti è chiaro? O devi rischiare la vita di nuovo per capirlo?» strinsi i pugni.
«Io non capisco...» protestai «… tu e Chloè potete andare in giro a ballare con chi volete e io non posso godere della compagnia di qualcuno?»
«Marinette sei sparita nel nulla! E poi, che diamine, siamo in missione!» Stavo per rispondere in una maniera un po’ piccante quando ebbi la stessa sensazione di qualche giorno fa nel vicolo. Un filo legato al mio cuore mi tirò prepotentemente verso l’enorme finestra vicino alla quale ci eravamo fermati, poco avanti c’era l’entrata per la sala da ballo. Mi voltai ignorando la lavata di capo che mi stava facendo Adrien. Mi chiesi se non fosse arrivata in quel momento, altrimenti non spiego come quegli occhi blu, che ora spiccavano come evidenziati, mi fossero scappati fino a quel momento. Tikki. Anche lei mi stava guardando, avvolta in bellissimo vestito smeraldo. Mi sorrise complice. Mi sorpresi di quella espressione, avevamo legato, ma non così tanto. Con un leggerissimo segno della mano mi fece segno di seguirla. Non me lo sarei fatto mai ripetere. Mi lanciai verso la porta, per paura di perderla in quel mare di colori e parrucche, lasciando Adrien con una frase sospesa a metà e la faccia che esprimeva stupore ed esasperazione insieme. All’interno del grande salone era come muoversi nella melassa. O almeno lo era per me. Dallo scintillio che vedevo dei capelli della mia antenata le si muoveva veloce e scivolava tra la gente in modo fluido ed elegante. Io cercavo di starle dietro e non perderla di vista e così facendo avevo pestato i piedi ad una decina di persone e dato gomitate nelle costole ad altrettante, il tutto mi lasciavo dietro parole poco carine sia da parte di alcuni gentiluomini e dame scandalizzate dai miei modi. Finalmente la vidi uscire e infilarsi in un corridoio che era subito a destra. Guadagnata l’uscita mi infilai alla cieca dove mi sembrava fosse andata. Il corridoio era buio e se non fosse stato per la grande illuminazione della sala da ballo in quel momento, con ogni probabilità, starei brancolando nella completa oscurità. Tikki era appoggiata al muro poco più avanti di me, con la mani dietro la schiena e uno sguardo furbo diretto a me.
«Ciao cara Coccinella.» il suo modo di guardarmi e il tono della sua voce, decisamente più maturo dall'altra volta mi indusse una spontanea fiducia nei suoi confronti.
«Ciao.» risposi con un sorriso a mia volta.

«Allora, avete avuto modo di pensare a quello che ci siamo dette?»
«Emm… riguardo alle buone maniere?» mi aveva portato davvero in un corridoio semi buio e se mi nascosto per parlare di bonton?
«Come? No di certo!» esclamò confusa. «Parlo del biglietto che vi ho lasciato nella casa del 1421!» ora ero io quella confusa. Di che biglietto parlava?
«A dire il vero sono stata io a lasciare un messaggio a voi. Questa è solo la seconda volta che ci incontriamo.» Tikki non sembrava molto colpita dal mio spaesamento. Mi guardò con apprensione e solo in quel momento notai quando fosse cambiata. Al nostro primo incontro aveva su per giù la mia età ora era una donna di vent’anni. Probabilmente era sposata e aveva già dei figli. Chissà chi era il marito.
«A quanto pare la nostra discussione non è ancora avvenuta.» si guardò intorno con aria circospetta e poi si infilò una mano nella scollatura.
«Questo non posso certo portarmelo dietro per sempre però.» detto questo mi porse una scatolina rossa, di forma ottagonale. Mi prese la mano e lì me lo mise per stringersi sopra la sua.
«Marinette questo oggetto è della massima importanza. Non devi darlo a nessuno e nessuno deve sapere che ce lo hai, capito?» si era avvicinata così tanto che sentii i suoi capelli solleticarmi la guancia e un intenso profumo di gelsomino. Annuii. Poi feci per aprirlo, ma lei mi fermò con una dolce fermezza.
«Non qui, non ora.» mi disse quando la guardai confusa. Con lentezza allora me lo infilai nella scollatura a mia volta. Giusto in tempo perché allora fui raggiunta da Adrien.
«Marinette, quando la smetterai di correre via come...» la voce gli venne meno quando capii che non solo non ero da sola, ma addirittura ero con una delle persone che stava cercando.
«Adrien.» salutò Tikki, priva di quella morbidezza che aveva usato per me.
«Mademoiselle Tikki.» rispose lui. Si fissarono in cagnesco per qualche istante quando un quarto personaggio si aggiunse alla conversazione.
«Tikki, quando la smetterai di correre via come...» si bloccò anche lui come aveva fatto Adrien e, mentre ero pervasa da una sensazione di dejà-vu, mi voltai insieme al mio compagno e ci trovammo davanti ad un ragazzo della stessa età della mia antenata, dai capelli neri e gli occhi verdi. Ne fui subito certa, quello era Plagg.

Angolo dell'autrice:
Ciao! A parte scusarmi per l'immenso ritardo nel caricare il capitolo, volevo ringraziare chi è arrivato fin qui. Con questo si conclude la prima parte della trilogia che spero vi sia piaciuta e vi induca a leggere la prossima parte. Ringrazio chi ha commentato in primis e poi tutti i lettori silenziosi.
Spero di vedervi presto,
Alla prossima,
Shora.

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