Unpopular Love di Atramentum (/viewuser.php?uid=690411)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Gli sfigati del liceo ***
Capitolo 2: *** L'oceano della memoria ***
Capitolo 3: *** L'estate sta finendo ***
Capitolo 4: *** Passeggiata pomeridiana ***
Capitolo 5: *** Riemergo dall'abisso ***
Capitolo 1 *** Gli sfigati del liceo ***
Gli
sfigati del liceo
Delle
braccia pronte
ad
accoglierti, un petto caldo con un cuore che batte forte per te, una
voce dolce
che ti sussurra all’orecchio:
“Bentornato”.
Alessio
non aveva mai
preteso molto in diciassette anni di vita. Era un ragazzo come tanti,
dai
capelli e gli occhi castani, né bello né brutto,
senza ambizioni. Una sola cosa
desiderava.
Un
amore che lo
avrebbe fatto sentire speciale. Desiderava una ragazza.
Nonostante
fosse
relativamente presto e il sole stesse rischiarando con i suoi raggi
tutto ciò
che in un bel mattino si poteva ammirare con tranquillità,
lui si sentiva
fiacco come quando correva lungo il sentiero vicino casa e
ciò che più bramava,
dopo la doccia, era il letto, il vero migliore amico
dell’uomo.
Il
cortile della
scuola era racchiuso dalle sue pareti, agli angoli crescevano delle
piante che
nessuno si prendeva la briga di curare e per terra, lungo il perimetro,
erano
state tracciate delle strisce bianche. Due porte con le rispettive reti
segnavano l’inizio e la fine del campo da calcio.
Per
quanto lo riguardava,
era fuori da tutto quel trambusto che si era creato dietro alla palla,
seduto
per terra, schiena al muro, la voglia di guardare quella noiosa partita
pari a
zero.
“Fra,
guardalo! È
spocchiosissimo quel Leonardo”.
Alessio
era intento a
sorseggiare il caffè prelevato, poco prima, dalla
macchinetta della scuola,
quando Giò gli premette una mano sulla spalla destra
invitandolo a guardare al
centro del campo.
Guardò
in quella
direzione e, tra i corpi che si muovevano a destra e a manca per
prendere il
pallone, lo vide. Il più bello e atletico della scuola, il
vip dei vip:
Leonardo Russo.
Spiccava
col suo
metro e ottanta, i suoi muscoli, i capelli neri in disordine, gli occhi
verdi
concentrati sul pallone.
Leonardo
era quanto
di più lontano ci fosse da lui: un ragazzo esile, asociale,
pessimo con le
donne, ma sicuramente più bravo nello studio. Quel ragazzo
era letteralmente il
più desiderato del liceo, eppure, si ricordò
Alessio, non era mai stato con una
ragazza, o perlomeno così Leonardo aveva dichiarato.
Inizialmente,
aveva
pensato fosse una mossa per avvicinare quante più ragazze
possibili. Quale
ragazza avrebbe rifiutato di essere il suo primo bacio o la sua prima
volta?
È
furbo,
incredibilmente furbo.
Sin
da quando si era
presentato a settembre, non aveva fatto nulla per catturare
l’attenzione delle
ragazze. Erano bastati il suo sorriso e tutto quel ben di Dio che aveva
come
corpo a farle letteralmente cadere ai suoi piedi.
Lo
aveva notato nei
suoi gesti: era una persona prevalentemente estroversa, con i suoi
piccoli
segreti – quando gli domandavano della sua vita sentimentale,
si faceva sempre
indietro –, parlava con chi gli rivolgeva la parola ed era
anche educato. Non
era stupido, o almeno credeva; non poteva non aver mai udito uno dei
commenti
sprezzanti di Giò, eppure non sembrava essergli ostile.
Anzi, forse nemmeno gli
importava di lui, ma non capiva ancora se ciò fosse dovuto
al suo immenso ego o
al suo carattere, probabilmente era la seconda opzione, ma gli piaceva
pensare che
fosse la prima.
In
realtà, era stato
Alessio a figurarselo come un nemico naturale. Non perché
avesse successo,
questo non gli importava, ma perché aveva successo ed
era single come lui.
In parole povere, gli faceva rabbia che uno che poteva avere
ciò che lui si
sarebbe sognato lo rifiutasse. Chissà perché poi.
Fu
in quel momento
che l’oggetto delle sue attenzioni segnò in porta,
accompagnato dagli
schiamazzi delle ragazze lì presenti.
“Guarda
fra!”
Alessio
intercettò
subito il punto che Giovanni stava osservando: Laura, la cotta di
sempre del
suo migliore amico, che stava sbavando per quel bellimbusto.
Gli
diede una pacca
sulla spalla, prima di andarsene in classe, dove avrebbe potuto
sorseggiare il
suo caffè senza interruzioni, mentre Giò lanciava
imprecazioni contro Leonardo.
Pensava
che, lontano
da Leonardo, i pensieri sarebbero evaporati nell’aria
mattutina. Che errore.
La
classe era un
luogo tranquillo a quell’ora: tutti erano fuori a sbavare
allegramente su
Leonardo o a rodere vedendolo in azione, nessuno sarebbe rientrato
prima della
fine del modulo.
Bevve
ciò che
rimaneva del caffè con quella convinzione, godendosi i raggi
solari che
penetravano dalle finestre.
Si
sforzò di non
pensare a niente, di concentrarsi sul caffè e non su Russo.
Per qualche motivo,
pensava più a lui che alle ragazze. Nessuna fino a quel
momento era riuscita a
catturare la sua attenzione, eppure ciò non era servito a
spegnere il desiderio
che ardeva in lui. Aveva sempre invidiato l’amore che i suoi
genitori nutrivano
l’uno per l’altra e voleva emularli a tutti i
costi. Nel suo futuro, voleva ci
fosse una donna pronta a confortarlo, a farlo sorridere, a farlo
piangere per
poi fare la pace e l’amore.
“Pensieroso,
vedo”.
Sussultò
non appena quella
voce giunse alle sue orecchie. Leonardo Russo era in piedi
sull’uscio della
porta con un sorriso smagliante. Fu sorpreso di notare che era solo.
Si
strinse a sé come
se volesse proteggersi, anche se non capì esattamente da
cosa. Fu un gesto
istintivo, come quelli che faceva da piccolo quando aveva paura. Non
che
Leonardo gli facesse paura, solo che… era strano essere da
solo con lui. Gli
faceva paura la situazione.
Leonardo
cambiò
espressione quando lo vide quatto quatto. Il sorriso scomparve e lo
guardò con
sguardo severo.
“Scusa,
io… penso di
dover andare in bagno”, furono le parole di Alessio.
Si
alzò con uno
scatto fulmineo dal banco in cui, poco prima, si era seduto.
Aveva
sempre visto
Leonardo circondato da tante persone e non aveva mai avuto modo di
parlare da
solo con lui. Per qualche motivo, quella situazione lo metteva a
disagio.
Lo
oltrepassò in
fretta e furia, quando si sentì afferrare per il braccio.
Lentamente,
si voltò
nella direzione dell’altro, fino a quando la sua visuale non
fu piena di lui,
di ogni sua caratteristica.
Lo
guardò stupito.
Non era mai stato così vicino a qualcuno prima di allora.
Poteva scorgere delle
lentiggini che non aveva mai notato in lui, così come il
colore intenso dei
suoi occhi. Era dannatamente bello.
Sentì
le guance
infiammarsi. A cosa stava pensando? Leonardo non solo era un ragazzo,
ma era
anche furbo. Non doveva cadere nella sua trappola.
Fu
quando gli parve
che anche sulle gote di Russo ci fosse del rossore, che si
staccò dalla sua
presa veementemente.
Prima
di fuggire, lo
guardò un’ultima volta: sembrava ferito e
continuava a guardarsi la mano che
poco prima lo aveva stretto.
Fu
chiedendosi il
perché di quel gesto, che se ne andò correndo
verso l’esterno.
La
luce
lunare penetrava dalla finestra rischiarando la pelle abbronzata, gli
occhi
verde smeraldo, i capelli del colore dell’inchiostro di
Leonardo. Il mare che
si intravedeva dalla finestra cullava Alessio col rumore delle sue
onde, mentre
l’altro era intento a giocare con una ciocca dei suoi capelli.
Il
cielo
venne presto oscurato e un fulmine illuminò la stanza
semivuota, che ospitava
solo delle tavole da surf, un letto e due corpi aggrovigliati tra di
loro.
“Ti
va?”
fece Leonardo, mostrando un sorriso irresistibile.
Il
cuore
di Alessio prese a battere a mille mentre lo guardava con occhi che
sapeva
essere vogliosi quanto i suoi.
Leo
gli
tolse il costume, così lentamente che più la
stoffa sfregava in basso, più
Alessio si eccitava.
“Non
vale
se sono il solo ad essere nudo”.
Prima
di
togliergli il costume, morse la parte superiore di esso, aumentando
l’eccitazione dell’altro.
“Ale,
ti
voglio”.
Anche
lui
lo voleva.
Impiegarono
poco tempo a prepararsi, tanto era il desiderio reciproco. Alessio era
pronto
per lui.
Sentì
un
dolore familiare, poi il piacere lo investì come
un’onda. Il rumore del mare e
l’odore di salsedine accompagnavano le spinte di Leo e i
gemiti di entrambi,
una melodia che Alessio amava.
Man
mano
che le spinte aumentavano, il suo desiderio cresceva sempre di
più.
Voleva
di
più. Voleva tutto di lui.
Di
più.
Di
più.
Di…
Si
svegliò di
soprassalto, tutto sudato e eccitato come non lo era mai stato da che
ne aveva
memoria. Un’evidente erezione faceva bella mostra di
sé. Un’erezione che aveva
avuto sognando di fare sesso con Leonardo Russo.
Corse
sotto la doccia
e cercò di lavarsi via il sudore e i pensieri, ma gli ultimi
non se ne andarono
via, anzi, lo accompagnarono fino alla sua classe.
Era
presto, il sole
era coperto dalle nuvole e un fresco venticello scompigliava i capelli
delle
ragazze alle finestre, che furono prontamente chiuse.
“Hai
visto Leonardo
ieri? Che figo pazzesco!”
“Ha
stracciato i
nostri compagni praticamente da solo! Bello e pure bravo!”
I
commenti delle
ragazze gli facevano venire i brividi. Quella mattina aveva meditato
circa il
venire o meno a scuola, ma alla fine era giunto alla conclusione che
Leonardo
Russo era comunque meglio delle ciabatte della mamma piantate dritte in
faccia.
Cosa
diamine gli era
preso? Perché aveva pensato a lui? Perché in quei
termini soprattutto?
Da
quando Leonardo
Russo era entrato nella sua vita, non aveva fatto altro che pensare a
lui, che
fosse invidioso o voglioso. Il fatto che fosse voglioso era una
novità,
probabilmente sorta dopo quell’episodio in classe. Eppure
Leonardo non aveva
fatto nulla se non fermarlo, perché diamine avrebbe dovuto
eccitarsi? Per un
maschio, poi!
Giovanni
gli si
sedette accanto, posando la cartella sotto al banco, nonostante fosse
vietato
dalle norme di sicurezza.
Lo
guardò confuso,
come se stesse osservando un volto nuovo.
“Fra,
che ti
succede?”
Nulla,
aveva solo
sognato di scoparsi il nemico numero uno di tutte le forme di vita
maschili
presenti in quella scuola.
“Ho
solo avuto un
incubo, niente di che”.
Giò
non sembrava essersela
bevuta, ciononostante non gli chiese più nulla.
“Oggi
quello
interroga in greco, ne sono sicuro! Ma se ti chiede la grammatica tu la
sai?”
Francamente,
la
grammatica greca era l’ultimo dei suoi problemi. Il primo
problema, invece,
varcò la soglia della porta in quello stesso istante; i
capelli neri arruffati
attirarono l’attenzione delle ragazze.
“Ecco
lo spocchioso”.
Trenta
minuti dopo,
durante le interrogazioni dei poveri malcapitati, Leonardo gli lanciava
degli
sguardi dal suo posto, fila centrale, secondo banco. Alessio, fila al
lato
della porta, ultimo banco, sentiva le gote arrossarsi sempre di
più ad ogni suo
sguardo. Forse era solo una sua impressione. Forse stava solo guardando
il muro
retrostante per cercare di combattere la noia.
In
ogni
caso, Alessio, che cavolo hai da arrossire?!
“Male,
molto male. Un
bel quattro oggi non ve lo toglie nessuno” fu il commento del
professore dopo
aver mandato a posto i ragazzi. “Dovete esercitarvi ancora.
Dividetevi in
gruppi, non mi interessa da quante persone, Rocci o GI alla mano e
traducetemi
questa versione”.
Ci
fu un attimo di
confusione dovuto allo spostamento delle sedie. Alessio sapeva
perfettamente
che sarebbe rimasto solo con Giovanni, come sempre. Dopotutto, era il
suo unico
amico in classe.
“Leonardo,
vieni con
noi!” fu Licia a parlare, dalla fila centrale.
Alessio
si sforzò di
non guardare nella sua direzione, fallendo miseramente. Quando i suoi
occhi
incontrarono quelli di Leonardo, l’idolo della classe sorrise
e parlò a Licia,
senza nemmeno guardarla in faccia: “Scusate, oggi vorrei
stare un po’ con
loro”.
Alessio
e Giovanni
sgranarono gli occhi, insieme al resto della classe, quando Leonardo
puntò
verso di loro.
Poggiò
la sua sedia
al contrario di fronte a loro, il banco a separarli, e
allargò le gambe per
potercisi sedere, gomiti appoggiati alla parte superiore dello
schienale,
sguardo puntato su Alessio.
“Allora,
cominciamo?”
Giovanni
sembrava
incredulo e schifato al tempo stesso. Alessio invece era un fascio di
nervi. Le
immagini che la sua mente aveva proiettato quella notte nella sua testa
si
sovrapponevano alla realtà che lo circondava, rendendolo
ancora più confuso.
Combatteva contro un’emozione indesiderata, che solo Russo
gli faceva provare.
“Fra,
tutto bene?”
Giò lo fece tornare coi piedi per terra.
Si
rese presto conto
che tutta la classe li stava fissando, come se stessero contemplando
dei
cagnolini che facevano amicizia con uno squalo. E che squalo,
pensò Alessio.
“No!
Sì! Cominciamo”.
I
mormorii del resto
della classe accompagnarono il suono prodotto dallo scorrere delle
pagine del
dizionario e quello della penna che lasciava segni indelebili sui fogli
del
quaderno.
Per
un po’ fu tutto
tranquillo, eccezion fatta per i battiti del cuore di Alessio, ma
presto
quell’apparente calma fu spezzata dalla voce di Leonardo.
“Allora
ehm…
Giuseppe…”
“Giovanni”.
“Sì,
ecco, ho saputo
che sei un ottimo traduttore. Sai, io mi sono trasferito
quest’anno da uno
scientifico, non me la cavo affatto bene col
greco…”
“Vai
dritto al punto”
tagliò corto Giò, seccato come l’amico
non l’aveva mai visto.
“Mi
chiedevo:
potresti darmi ripetizioni? Ovviamente ti pagherò”.
Giovanni
fece cadere
la penna sotto al banco. Alessio si abbassò per poterla
raccogliere, non
aspettandosi che anche Leonardo l’avrebbe fatto e che le loro
mani si sarebbero
sfiorate.
“Aia!”
Quando
sbatté la
testa contro al banco, una risata generale scoppiò in aula.
Il prof zittì tutti
prontamente.
“Tutto
bene fra?”
“Sì
fra” disse
massaggiandosi la testa.
L’attenzione
tornò
tutta su Leonardo.
“Mi
spiace, ma il
pomeriggio quando non sono col gruppo di scacchi vado in
palestra”.
Bugia,
Alessio lo
sapeva bene. Nemmeno sotto tortura Giò sarebbe andato in
palestra.
“Però
Alessio può
darti una mano, non se la cava male”.
Sussultò.
Ora
l’attenzione della classe intera era rivolta a lui.
Guardò per sbaglio gli
occhi di Leonardo e subito capì: era anche lui a disagio.
Guardò
Giò,
disperato.
“E
me lo
dovrei accollare io per te?!”, voleva
dirgli con gli occhi.
“Allora…
mi darai tu ripetizioni?”
lo sguardo di Russo era rivolto verso il basso.
Il
professore si
intromise, scostando appena il giornale che reggeva, prima che potesse
rispondere: “Mi sembra un’ottima idea,
però adesso parlate a bassa voce!”
Perfetto,
ora ci si
metteva pure il prof. Non gli era rimasta alcuna carta da giocare. Non
sapeva
nemmeno mentire spudoratamente, a differenza di Giovanni.
“Va
bene. Se per te
non è un problema, ci vediamo a casa tua dopo
pranzo”.
“Senz’altro”
si morse
il labbro, scatenando le ragazze che buttarono giù dei
sospiri.
L’oceano
della
memoria è vasto e ricco di scogli su cui le onde sbattono
riversando su di essi
la schiuma, destinata ad asciugarsi, a scomparire per sempre. Fuori
dall’acqua,
le forme di vita che risiedono in essa sono anch’esse
destinate a morire.
Eppure sono esistite, dei piccoli ricordi nell’abisso della
memoria.
Leonardo
chiuse a
chiave la sua stanza, mentre il fastidioso rumore del campanello
riecheggiava
nella casa semideserta.
Lui
era esistito.
Dopo
l’iniziale
imbarazzo, la lezione procedette senza intoppi per oltre
un’ora. Ancora non era
buio e Alessio aveva poca voglia di camminare fino a casa. E poi
c’era un
pensiero che lo tormentava. E non era Leonardo nudo, non doveva
esserlo.
Piuttosto, credeva fosse il momento perfetto per porgli la fatidica
domanda. Un
po’ lo imbarazzava, ma non poteva continuare così.
Pensava che, toltosi quel
sassolino dalla scarpa, forse non avrebbe più pensato a lui.
Russo
tornò dalla
cucina con in mano due bicchieri di aranciata. Quando si sedette,
decise che
era il momento.
“Leonardo,
devo
chiederti una cosa”.
L’altro
lo guardò
curioso.
Deglutì.
“Tu sei il
ragazzo più popolare che io abbia mai conosciuto. Tutte le
ragazze ti adorano,
eppure tu a quanto dici non sei mai stato fidanzato. Cosa ti
trattiene?”
Sollevò
lo sguardo su
di lui, stupendosi. Leonardo, sempre solare e allegro, era cupo in
viso.
Sembrava che l’avesse ferito, forse aveva toccato un tasto
dolente. Si sentì in
dovere di rimediare.
“Aspetta,
non voglio
farmi gli affari tuoi, solo che… sono anni che desidero una
ragazza, ma non
sono mai piaciuto a nessuno, ho pensato che se nemmeno tu hai avuto
relazioni
nemmeno io… insomma, avrei avuto speranze,
ecco…”
“È
così che mi vedi?”
Lo
sguardo di
Leonardo lo spiazzò. Non aveva mai visto nessuno in quel
modo prima d’ora se
non Giò ogni volta che si sbucciava un ginocchio da bambino.
Sembrava – era
– sul punto di piangere.
“Vuoi
una ragazza? Va’ fuori e cercatela, stando qua dentro non
troverai
nulla”.
L’aveva
ferito. Non
capì dove, non capì quanto, ma l’aveva
spezzato. E anche lui si sentì triste.
“Scusami,
io…”
“Non
sto scherzando”,
si alzò dalla sedia e gli diede le spalle.
“Va’ fuori”.
L’oceano
ci allontana,
trascinati
dalle sue correnti
vaghiamo,
nell’immensa distesa
in
cerca
di un appiglio
e
magari
l’uno dell’altro.
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Capitolo 2 *** L'oceano della memoria ***
L’oceano
della memoria
Vagava
solo in una spiaggia deserta, le onde scandivano gli istanti al
posto dell’orologio che in estate non portava.
Se
avesse
avuto una ragazza, l’avrebbe tenuta per mano sotto il manto
stellato che lo
sovrastava in quel momento, intrappolato nella gabbia della solitudine.
Aveva
sempre desiderato una relazione con il sesso opposto, un desiderio che
gli
riempiva la mente costantemente, logorandola. Chissà
perché, poi. Forse aveva
solo letto troppi romanzi o visto troppe coppie in giro.
Perché lui non riusciva
a trovare nessuno?
Una
sagoma in lontananza attirò la sua attenzione. Era la prima
volta che nella
spiaggia della solitudine qualcuno si manifestava.
Non
gli
ci volle troppo tempo per riconoscere quel qualcuno.
Leonardo
Russo.
Man
mano
che si avvicinava, Alessio poteva osservare ogni cosa di lui: i capelli
scuri
scompigliati dal vento, gli occhi dal colore intenso, il corpo
muscoloso
fasciato solo da un costume aderente.
Era
di
fronte a lui e sorrideva come se stesse guardando la cosa
più preziosa dell’universo.
Alessio
sorrise a sua volta, inondato da un calore che riscaldò la
sua anima congelata
in quel luogo solitario.
“Ale,
voglio dirti una cosa”.
Non
capiva perché, ma sapeva già cosa stava per
dirgli.
Il
sorriso di Leo però scomparve, insieme alle certezze di
Alessio. Un vento
freddo scacciò tutto il calore e la sua anima si
congelò nuovamente in
quell’istante, scandito da un’onda che si
abbatté sugli scogli.
“Vuoi
una
ragazza? Va’ fuori e cercatela, stando qua dentro non
troverai nulla”.
Il
gelo
lo fece piegare su se stesso, braccia strette al bacino, denti serrati.
Una
sensazione familiare, che aveva provato al suo risveglio in ospedale
dopo
quell’estate di vuoto e, più intensamente, nel
salotto di Leonardo quando lui
gli aveva voltato le spalle.
Quel
mattino si
sentiva più stanco che mai. Aveva dormito, aveva sognato,
eppure la stanchezza
gli pesava sulle spalle come un macigno.
L’aula
era gremita di
studenti, le voci riecheggiavano tutte insieme nella stanza, risultando
assordanti alle orecchie di Alessio.
Di
Leonardo Russo
neanche l’ombra. Era la prima volta che si assentava da
quando si era
trasferito in quella scuola. Tutti si stavano chiedendo dove fosse
finito, cosa
gli fosse successo, neanche fosse un attore che non si presentava a
lavoro.
Giò
si sedette
accanto ad Alessio, lo sguardo apprensivo anticipò la sua
domanda: “Cos’è
successo con Leonardo?”
Non
l’aveva nemmeno
chiamato fra. Doveva avere un aspetto pietoso
quella mattina. Era
stanco, non riusciva nemmeno a mentire.
“Si
è comportato come
se l’avessi ferito quando gli ho chiesto perché
non avesse una ragazza”.
Giò
fu sorpreso.
“Forse hai toccato un tasto che non avresti neanche dovuto
sfiorare. Capita,
non ti abbattere, gli passerà”.
Alessio
sospirò,
prima di incrociare le braccia per nascondersi la faccia. Si sentiva
terribilmente in colpa, forse più di quanto avrebbe dovuto.
Aveva
scoperto il
punto debole dell’odioso Leonardo, allora perché
non si sentiva affatto felice?
Chiuse
gli occhi
nella sua gabbia protettiva, piombando
nell’oscurità, spezzata da due gemme
verdi. Erano occhi, i suoi occhi.
La
spiaggia, le stelle, l’odore di salsedine, il sapore della
bocca di Leonardo.
Tutto ciò che amava di più al mondo era
lì ad avvolgerlo in un abbraccio che
non avrebbe mai voluto sciogliere.
Contemplare
ogni cosa di lui era diventato il suo passatempo preferito, insieme
alle loro
chiacchierate, le loro carezze, il sesso. Tutto ciò che
sembrava riguardare il
suo nuovo – e primo – partner esercitava su di lui
un’attrazione pungente, che
non aveva mai provato nei riguardi di altre persone, nemmeno delle cose.
Una
volta
si chiese se anche per lui fosse lo stesso, ma i suoi occhi verdi
misero subito
a tacere ogni dubbio.
Si
trovavano in spiaggia, Leonardo steso completamente sulla sabbia,
mentre
Alessio teneva poggiato il capo sul suo petto. Quel momento lo avrebbe
sicuramente impresso a fuoco nella sua mente, non aveva dubbi. Era uno
dei più
bei momenti della sua vita, che, si rese conto, era stata davvero vuota
prima
di lui.
“Cosa
c’è, Ale?” la sua voce era accompagnata
dal rumore delle onde, che si
infrangevano sugli scogli.
“Vorrei
stare così per sempre” gli sfuggì.
Leonardo
in risposta ammiccò con lo sguardo. Se da un lato gli
piaceva quel suo
sorrisetto furbo, dall’altro lo imbarazzava
quand’esso era rivolto a lui.
“Ne
avremo di occasioni per stare così, ti ricordo che stiamo
insieme”.
Alessio
arrossì. “Scemo, non me lo dimentico
mica”.
Leonardo
volse il suo sguardo alle stelle, sognante, tanto da farlo diventare
geloso di
quegli stessi corpi celesti.
“E
se
così non dovesse essere, ci rimarrebbe sempre il
ricordo”.
Il
ricordo.
Il
ricordo.
Il
ricor…
“Fra!
Alessio!
Svegliati!”
La
voce di Giovanni
giunse alle sue orecchie prima che l’immagine di lui che
piangeva arrivasse ai
suoi occhi.
Ci
volle un po’ prima
che mettesse a fuoco tutti gli altri, radunati attorno al suo banco,
visibilmente interessati a lui e a quello che stava facendo.
Cercò di capire cosa
stesse facendo per aver attirato tutta l’attenzione
su di sé. Si sentì
umido sulle guance, probabilmente stava piangendo, nel sonno, pensando
ad
eventi che non erano mai avvenuti.
Per
giunta dedusse
che avessero provato a svegliarlo più volte, osservando il
volto sconvolto di
Giò. Se sentì in colpa verso di lui.
“Fra,
sto bene” cercò
di rassicurarlo.
Gli
altri se ne
tornarono al loro posto, constatato che nulla di interessante fosse
successo.
Dopotutto loro non potevano sapere, a differenza di Giò,
quel che era successo
verso la fine di quell’estate. L’ospedale e gli
svenimenti.
La
professoressa di
storia e filosofia lo squadrò nel tentativo di trovare in
lui qualcosa che non
andasse, ma prontamente rassicurò anche lei.
“Battaglia,
ti
consiglio di tornare a ca…”
“Prof,
scusi il
ritardo!”
Quella
mattina non
voleva proprio saperne di andare a scuola. L’oceano lo aveva
inghiottito e
ormai era troppo lontano dalla riva. Si chiese perché,
allora, più tardi si trovasse
di fronte alla porta della classe, cosa lo avesse ritrascinato a riva.
Conosceva
benissimo
la risposta, in realtà. Colui che era in grado di farlo
sprofondare aveva anche
il dono di farlo tornare a riva. Alessio Battaglia.
“Prof,
scusi il
ritardo!”
Ma
ciò che ottenne
non fu un’occhiata scocciata da parte di lei,
bensì fugace, come se non le
importasse un accidente di lui in quel momento, come se avesse altro a
cui
pensare.
Fu
quando si rese
conto di chi fosse quell’altro, che ora
stava braccia conserte sul suo
banco, che per poco non gli cedettero le gambe. Aveva pianto.
L’oceano
lo inghiottì
nuovamente.
Leonardo
Russo era appena
entrato, tutto trafelato, il respiro corto. La tracolla gli cadde dalla
spalla
e lui non fece nulla per riprendersela.
Il
cuore iniziò a
battergli a mille quando i loro occhi si incontrarono.
Fece
per boccheggiare
qualcosa, quando l’urlo di Russo squarciò il
silenzio.
“ALESSIO!”
Corse
come un fulmine
nella sua direzione, noncurante delle occhiate lanciategli dai loro
compagni.
Gli prese inavvertitamente il viso tra le mani, avvicinando il proprio.
Aveva
uno sguardo a
dir poco terrorizzato, che non aveva mai visto a nessuno al di fuori
degli
attori delle soap che guardava sua madre. Dal canto suo, quella
reazione lo
aveva lasciato esterrefatto.
Leonardo
incatenò gli
occhi nocciola di Alessio ai suoi due smeraldi, in modo tale che non
potesse
più sfuggirgli.
Per
un attimo, pensò
che non avrebbe mai voluto sciogliere quel legame, ma sfortunatamente
ci pensò
Giovanni ad allontanarli, dando uno spintone a Russo.
“E
tu non ti
permettere di toccarlo!”, gridò, le lacrime agli
occhi.
“Guerrini!”
gridò la prof,
ma fu ignorata.
Giò
doveva averne
piene le tasche di lui, perché subito dopo si
sfogò, sotto lo sguardo
implorante di Alessio, che gli chiedeva di smettere con gli occhi.
“Sono
arcistufo di
te! Arrivi qui con quell’aria da santarellino e pretendi che
tutti cadano ai
tuoi piedi, ma non noi! E smettila di tentare di abbindolare anche
Alessio, a
lui stai solo antipati…”
“LO
SO!”, lo
interruppe Leonardo, puntando gli occhi severi verso di lui.
“Lo so, ma non
chiedermi di smettere”.
Si
avvicinò, sguardo
deciso, pugni serrati. Tutti si sarebbero aspettati un pugno, delle
cattive
parole, imprecazioni, eppure quel che disse dopo fu d’impatto
ben maggiore:
“Non chiedermi di smettere di rinunciare all’uomo
che amo”.
Silenzio.
Dopo le
parole di Leonardo, Giovanni udì solo un assordante, e per
questo fastidioso,
silenzio.
Ancora
in stato di
shock, si girò verso Alessio, ignorando le facce di tutti i
presenti.
Il
suo fra aveva
ripreso a piangere.
Si
rigirò nuovamente
tra le coperte, come fosse in stato di agitazione; avrebbe anche potuto
esserlo, eppure era calmo, aveva solo un po’ di adrenalina da
scaricare.
Dopo
la dichiarazione
di Leonardo, la prof aveva perso definitivamente la pazienza e aveva
mandato
tutti a sedere. Dopo un modulo di pesante silenzio, tutti si erano
radunati al
banco di Leonardo, chiedendogli spiegazioni. La maggior parte di essi
aveva
creduto si fosse trattato di uno scherzo e non aveva esitato a
chiederglielo,
ma lui aveva risposto, con aria seria, che non era affatto
così.
Dopo
aver udito
quella conversazione, Alessio aveva violentemente sbattuto le mani sul
banco,
attirando l’attenzione di tutti. Aveva deciso di seguire il
consiglio della
professoressa, così era andato in segreteria a chiamare sua
madre, scortato da
un preoccupato Giovanni.
Quella
sera, l’amico
lo aveva chiamato per chiedergli come stesse, lui aveva semplicemente
risposto
di esser stanco tanto da non potersi trattenere a lungo al telefono con
lui.
La
verità era che si
sentiva troppo in colpa nei riguardi di Giovanni, dopo tutto quello che
gli
aveva fatto passare quel giorno; non riusciva a sentire la sua voce
senza che
quei sensi di colpa affiorassero.
Si
addormentò a
fatica, niente affatto pronto per il giorno successivo.
Come
avrebbe
affrontato Giovanni? Come avrebbe guardato in faccia Leonardo? Quelle
domande
misero ancora più in disordine i suoi pensieri tanto che, la
mattina seguente,
come da qualche giorno a quella parte, arrivò in classe
stanco.
Giovanni
era assente,
constatò un’ora dopo, non vedendo di lui nemmeno
l’ombra. Più tardi l’avrebbe
chiamato, promise a se stesso.
Ogni
volta che lui
mancava, Alessio si sentiva terribilmente solo, solo in mezzo ai lupi.
Aveva
sempre avuto difficoltà a socializzare e Giovanni era
l’unico a saperlo e ad
aver provato ad aiutarlo. Con lui si sentiva più sicuro,
più protetto. Ma quel
giorno, proprio quel giorno, sarebbe rimasto in
balìa dei suoi
predatori, che ora lo scrutavano alcune con risentimento o stizza,
altri con
curiosità.
A
ricreazione, poté
udire in corridoio le voci che accompagnavano i suoi passi, il suo nome
e
cognome pronunciati, talvolta associati a Leonardo Russo.
Nessuno
gli chiese
niente. Nemmeno Leonardo gli aveva parlato. Credeva che, forse, andando
avanti
di questo passo, tutti si sarebbero dimenticati della sua storia e
avrebbero
ricominciato ad ignorarlo. Anche Leonardo. In realtà, per un
fugace attimo,
volle che Leonardo non si dimenticasse di lui e di quella strana cotta
che si
era preso, ma scacciò subito quel pensiero.
Si
trovava in bagno,
dopo il suono dell’ultima campanella, un luogo che sapeva
sarebbe stato deserto
a quell’ora. Prima di tornare in classe, si
sciacquò il viso cercando di lavare
via tutto quel che c’era dentro e fuori la sua testa. Fece
per avviarsi, quando
una delle porte che davano accesso ai bagni venne spalancata e lui fu
trascinato nel bagno da una mano forte.
Quando
si rese conto
di avere davanti proprio Leonardo Russo, il suo cuore perse un battito.
Indietreggiò andando a sbattere contro la porta, che era
stata nuovamente chiusa.
Aveva
il volto e i
capelli bagnati dall’acqua del rubinetto e le gote
completamente arrossate.
Doveva essere ridicolo.
Leonardo
fortunatamente male interpretò quel suo gesto, come gli fece
capire con le
parole: “Tranquillo, non ho intenzione di fare nulla che vada
contro la tua
volontà. Non lo farei mai”.
Nonostante
quel che
aveva detto, gli si avvicinò pericolosamente. Il suo volto
era nuovamente
vicino; la vicinanza creò quella magia che ogni volta li
trascinava in un altro
mondo.
“Mi
odii?” il tono
con cui aveva pronunciato quelle parole sembrava amplificare la
disperazione
che Alessio leggeva nei suoi occhi. In quei giorni, aveva avuto modo di
conoscere un Leonardo diverso, quantomeno da come appariva. Quella
gabbia
dorata che lo separava da lui sembrava esser stata distrutta da
Leonardo stesso
e la cosa gli faceva… piacere. In qualche modo, quel ragazzo
lo aveva attratto
a sé come fosse un bambino che di notte attirava le falene
con una lampada
luminosa, per imprigionarle nella sua rete sottile; solo che, a
differenza
delle falene, Alessio poteva pensare, ragionare, e
i suoi chiassosi
pensieri convenivano su una sola questione: a lui Leonardo non
dispiaceva
affatto. Era ancora confuso, data la rapidità con cui tutto
era successo, e più
di questo non era disposto ad ammettere, ma le cose stavano in quel
modo, prima
o poi avrebbe dovuto accettarlo.
“Non
ti odio” scoprì
una fermezza che sembrava non aver mai posseduto.
Leonardo
sembrò
esterrefatto: spalancò gli occhi e dischiuse appena le
labbra, prima di
sorridere, visibilmente rincuorato. Si prese una lunga pausa prima di
parlare:
“Scusami, davvero, non avrei voluto che le cose andassero
così. Avrei voluto
dirlo a te soltanto, quando fosse arrivato il momento”.
Alessio
si morse il
labbro, facendo sussultare Leonardo. Vista quella reazione,
s’imbarazzò.
“Ormai
il danno è
fatto, dobbiamo convivere con le conseguenze”.
“Alessio”.
Nell’udire
il suo
nome pronunciato con tanta serietà, si raddrizzò,
attento ad ogni sua mossa.
Leonardo lo guardò severo, pronunciando quelle parole:
“Credi che potremmo
essere amici? So che tu desideri una ragazza ed io non voglio
ostacolarti. Ma
mi farebbe piacere essere qualcuno che conta per te, anche solo un
amico”.
A
quelle parole,
Alessio ricordò ciò che era successo nel salotto
di Leonardo. Ora tutto
quadrava: Lonardo era innamorato di lui, per questo motivo aveva
reagito in
quel modo. I sensi di colpa piombarono su di lui come macigni.
“SCUSAMI!
Non avevo
idea dei tuoi sentimenti” iniziò, tutto trafelato,
come se avesse corso,
“Naturalmente potremo essere amici, se a te vado
bene!”
Leonardo
sfoggiò un
sorriso che lo fece arrossire. “Mi va bene, più
che bene”.
Si
chiese se davvero
gli andasse bene, andandosene da quel bagno verso la sua classe.
Leonardo lo
aveva seguito ed ora lo stava aspettando. Ripose tutto il materiale
scolastico
nella cartella ed uscì insieme a lui. Quando dovettero
salutarsi, vide Leonardo
avvicinarsi a lui. Chissà cosa si aspettava, in ogni caso
ciò che Leonardo gli
diede fu solo una pacca sulla spalla, prima di sparire dietro
l’angolo.
Le
correnti ci riavvicinano,
Anime
sole che si ritrovano
Tra
la
schiuma di mare.
Eppure
è
ancora notte,
Troppo
presto per riuscire a vederci.
O
troppo
tardi.
|
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Capitolo 3 *** L'estate sta finendo ***
L’estate
sta finendo
Il
salotto di
casa era pieno di scartoffie e valigette
che suo padre aveva accuratamente posizionato per poterci lavorare.
Leonardo
odiava
quando non staccava gli occhi dal pc, anche mentre lui o sua madre gli
parlavano. Quei momenti erano comunque diventati molto rari,
considerato che
entrambi avevano perso le speranze.
Passò
di lì
velocemente, giusto il tempo di lanciargli una fugace occhiata, prima
di
chiudersi in camera sua. Prese in mano una fotografia e si
gettò sul letto, i
tiepidi raggi del sole che penetravano dalla finestra nemmeno lo
sfioravano,
dal momento che il letto si trovava in un angolo, circondato da due
pareti,
l’una vuota, l’altra, quella ove rivolgeva il capo
nel letto, ospitava la
finestra scavata nel lato sinistro della stanza, la zona opposta a
quella in
cui si trovava lui. Le pareti erano di un verde molto chiaro, il
mobilio
antico.
Una
camera che non
avrebbe mai voluto mostrare a nessuno, ma non per quelle ragioni.
L’unica vera
ragione la stava rigirando tra le mani.
Guardò
la fotografia,
pensieroso. Quando i suoi avevano scoperto della sua relazione
– la prima e
sola, per giunta – gli avevano fatto una bella lavata di
capo, ma qualche
giorno dopo tutto era tornato alla normalità, come se non
fosse successo nulla.
In
effetti, chi se lo
sarebbe mai aspettato che si sarebbe potuto innamorare di lui.
“Ah,
Leo!”
Le
spinte
di Leonardo erano veloci, chiassosi invece erano i suoi gemiti e le sue
urla.
Alessio
amava sentirlo dentro di sé; amava quel familiare dolore
misto al piacere che le
loro carni gli facevano provare ogni qual volta sfregavano le une con
le altre.
Eppure
ogni volta desiderava sempre di più, non soltanto
fisicamente. Cosa, di
preciso, non riusciva proprio a capirlo.
Alle
volte, avrebbe voluto averlo tutto per sé, rinchiuderlo
nella gabbia del suo
cuore per non farlo uscire mai più. Ogni volta, tuttavia, si
rendeva conto di
quanto egoistico fosse quel desiderio.
Vennero
quasi insieme, Leo pochi secondi prima di lui.
Leonardo
si accasciò accanto a lui e iniziò ad
accarezzargli la nuca. Aveva appreso che
era il tipo che coccolava, dopo il sesso; a lui, per fortuna, faceva
piacere.
“Ale”
sussurrò, assonnato.
“Dimmi”.
“L’estate”
mormorò, in procinto di addormentarsi.
“Cosa?”
“L’estate
sta finendo”.
“Accidenti,
questo
maldetto raffreddore proprio non ci voleva”
mormorò Giò, il naso ancora avvolto
nel fazzoletto.
La
sera prima, al
telefono, aveva scoperto che proprio un forte raffreddore era stata la
causa
della sua assenza da scuola, non la rabbia che aveva provato per tutto
il
giorno precedente. Dal canto suo, si era sentito rincuorato. Giovanni
era una
persona insostituibile, importante quasi al pari dei suoi genitori, non
avrebbe
voluto perderlo per niente al mondo.
In
quel momento, fece
il suo ingresso Leonardo Russo, che subito gli fece un cenno per
salutarlo.
Senza accorgersene nell’immediato, Alessio aveva sorriso. Si
ridestò una volta
notato lo sguardo disgustato di Giò.
“Quindi
voi due ora
siete amici?”
Si
fece quatto quatto
sulla sedia, come se si trovasse nel bel mezzo di uno scomodo
interrogatorio.
“Sì, in un certo senso…”
Giovanni
si limitò a
spostare lo sguardo su Leonardo, imitato ben presto da Alessio. Si era
seduto
al suo solito posto e subito era stato circondato dai suoi amici che,
notò,
erano diminuiti.
Fino
ad ora si era
preoccupato soltanto di se stesso, senza pensare alle conseguenze che
le azioni
di Leonardo avrebbero avuto su di lui e sulla sua
popolarità. La cosa che più
lo stupiva, era che sembrava non gli importasse nulla. Era sempre il
solito,
anzi, si azzardò a pensare fosse ancora più
allegro di prima. Davvero gli
importava così tanto di quella cotta? Soprattutto, era
davvero una semplice
cotta passeggera? La verità era che non sapeva nemmeno cosa
sperare, ed era
veramente stupito da se stesso perché addirittura sperava.
Le
lezioni
proseguirono tranquillamente e Alessio fu addirittura interrogato in
storia
insieme a Leonardo, che dell’800 sapeva ben poco. Durante
l’interrogazione alla
cattedra, si erano scambiati diverse volte degli sguardi; Alessio era
un po’
agitato, ma lo sguardo rassicurante di Leonardo era bastato a placare
l’ansia.
Non gli era mai successo, nemmeno Giò era mai stato in grado
di calmarlo.
Nemmeno
quando la
professoressa segnò sul registro, accanto al nome di
Leonardo, un quattro bello
tondo lui aveva smesso di sorridere. Quella era la prima volta che loro
due
venivano interrogati insieme; si chiese se per Russo fosse stato un
momento
importante. Se per lui, Alessio, lo fosse stato.
A
ricreazione,
Leonardo gli si avvicinò, un po’ titubante.
“Allora, domani abbiamo greco. Ci
saresti oggi pomeriggio per delle lezioni?”
“Senz’altro”
non si
era reso immediatamente conto di aver risposto prontamente e senza
esitazione.
Tutti
in classe li
stavano fissando, probabilmente figurandosi un tipo di lezione
diverso
da quello che era nei loro piani. Pensandoci, arrossì
violentemente; per
nascondere il rossore fu costretto a chinare il capo.
Ma
Giò non se l’era
bevuta. “Fra, sei imbarazzante”.
Leonardo
gli aprì
quasi subito, come se lo stesse aspettando dietro la porta. In casa,
quella
volta, c’erano i suoi genitori: una donna
all’apparenza molto giovane che
teneva legati da un lato i capelli ramati, un uomo dai folti capelli
neri e gli
occhiali, dallo sguardo severo. Leonardo aveva i colori del padre, ma
lo
sguardo vivace era quello della madre.
“Bentorn…
uhm,
benvenuto, Alessio” la voce della signora era squillante e
sembrava entusiasta
per qualche motivo. Si chiese se i suoi genitori sapessero della cotta
del
figlio per lui.
Il
signor Russo lo
salutò con un cenno, con fare scocciato, prima di tornare
chino sul suo
portatile,
“Scusami,
non
ricordavo che oggi fosse il loro giorno di riposo” fece
Leonardo, imbarazzato.
Scoccò
un’occhiata
all’uomo che era completamente assorto dal suo pc; di riposo
quella giornata
doveva avere ben poco, per lui.
“Figurati,
allora
andiamo in camera tua?”
Dopo
aver formulato
quella domanda, arrossì. Aveva agito d’istinto,
non considerando il fatto di
avergli proposto di stare in una camera con un letto, per di
più la sua camera.
I sogni che continuava a fare non lo aiutavano a sminuire la tensione e
l’imbarazzo.
Leonardo,
più che
imbarazzato, sembrava pensieroso. Attese lunghi attimi prima di una
risposta:
“Va bene, però fammi il favore di non toccare
niente, sono… geloso delle mie
cose”.
Quella
richiesta
sembrò davvero strana. Con questo pensiero
s’incamminò per le scale verso una
porta in legno, che venne prontamente aperta da Leonardo. Si era
aspettato
chissà quale arredamento, tantissimi poster e fotografie,
invece era una stanza
abbastanza anonima, dalle pareti spoglie, un armadio, una scrivania, un
letto e
il mobiletto accanto ad esso.
“Leonardo”
disse,
d’istinto, attirando su di sé
l’attenzione dell’altro, “mi rendo conto
di non
conoscerti affatto”.
L’altro
sorrise
debolmente. “Lo so. Che ti aspettavi?”
Con
lo sguardo ancora
perso nella stanza semivuota, Alessio rispose: “Mia aspettavo
avessi tante foto
dei tuoi amici, tanti poster di band, magari qualche trofeo di
calcio”.
Si
sedettero sulle
sedie poste di fronte alla scrivania, molto piccola perché
non potessero
stringersi.
“Beh,
ho dei trofei
sparsi per casa. Di band, non ne seguo nessuna, ascolto per lo
più lirica”.
A
quella
dichiarazione, Alessio spalancò gli occhi. Leonardo Russo
ascoltava musica
lirica. Da non crederci.
“Wow,
non ti facevo
un tipo con quegli interessi. È davvero forte!”
Leonardo
si grattò il
retro della nuca con la mano sinistra, aveva l’aria
compiaciuta.
“Io
invece sono più un
tipo da Queen”, confessò.
“Lo
so”, mormorò
l’altro, con un tono che pareva quasi nostalgico.
Lo
guardò con fare
interrogativo, al che Leonardo sembrò rendersi conto di quel
che aveva detto.
“L’hai
detto al tuo
amico in classe”, fece, guardando da un’altra parte.
Non
sembrava molto
convinto delle sue parole, Alessio non lo era per niente.
Giò amava il rap
italiano, lui i Queen, perciò, non avendo gusti musicali in
comune, parlavano
davvero di rado di musica, se non mai.
Doveva
essersi
informato, dopotutto Alessio era il ragazzo che gli piaceva, era
normale. Anche
lui voleva sapere di più su Leonardo, lo aveva molto
incuriosito.
“È
presto, se vuoi
possiamo parlare un po’”.
Lui
gli sorrise.
“Senz’altro”.
Scoprì
che Leonardo
era cresciuto in campagna, in compagnia di puledri e mucche. Per un
amante
della natura, la montagna ove suo zio faceva pascolare le pecore era il
paradiso. Giocava spesso ad arrampicarsi sugli alberi, coglieva frutti,
correva
con i cani. Aveva persino cavalcato.
Alla
morte di suo
zio, che aveva vissuto con loro, si era trasferito in una piccola
provincia
dove suo padre aveva trovato lavoro. A seguito della promozione di suo
padre,
fu costretto a trasferirsi nuovamente, nella grande città in
cui si trovavano
adesso.
“E
qui ho incontrato
il mio primo amore”, disse a un tratto, sognante.
Alessio
sussultò,
aspettandosi che si ridichiarasse, ma ben presto
quest’ipotesi – o speranza? –
venne scartata.
“Il
mare”.
Disse
che l’ultima
estate fu la più bella della sua vita, ma omise i dettagli.
Alessio non glieli
chiese, d’altronde meno parlava di quell’estate per
lui nera, meglio era.
Scoprì
inoltre che
non seguiva il calcio, piuttosto amava giocarci.
A
quel punto, iniziò
a parlare di lui. Non perché si sentisse in dovere di farlo,
fu anzi un gesto
molto spontaneo.
Non
aveva vissuto
chissà quale vita: nato e cresciuto in quella
città, il suo unico amico era
stato Giovanni. Si interessava di badminton e di giardinaggio,
occupazioni che
qualsiasi altro avrebbe etichettato come da vecchi, eppure Leonardo non
batté
ciglio.
Quel
pomeriggio lo
trascorsero più parlando che studiando, ma Alessio ne fu
comunque felice. Ogni
volta che Leonardo apriva bocca, lui rimaneva incantato dalla sua voce,
dal
movimento delle sue labbra, dal suo modo di esporsi, da come i suoi
occhi guizzavano
da una parte all’altra, mossi dall’entusiasmo;
quando essi si soffermavano su
di lui, poi, sentiva le farfalle nello stomaco, una sensazione
estranea, ma che
non era poi così spiacevole.
Quando
fu costretto
ad andarsene, si sentì triste. Avrebbe voluto trascorrere
più tempo in sua
compagnia, sapere di più su di lui, avere tutto di
lui.
Sull’uscio
della
porta, fu costretto da se stesso a scacciare quel pensiero, decisamente
in
linea con i suoi sogni, ma così poco con il suo
atteggiamento degli ultimi
mesi.
Si
voltò verso
Leonardo, la cui sagoma era contornata dalla luce del lampadario del
corridoio.
Ancora stava sorridendo, eppure percepì che anche lui non
era felice. Lo vide
estrarre qualcosa dalla tasca, riconobbe delle banconote.
“Non
devi! Ora siamo
amici, non accetterei mai soldi da un amico”, si
affrettò a precisare. I suoi
soldi, a quanto pare, erano l’unica cosa che non desiderava
di lui.
Leonardo
non
insistette, ma si avvicinò, facendo aumentare le
palpitazioni del suo cuore.
Poteva di nuovo scorgere le sue bellissime lentiggini, costellazioni
che
brillavano nel cielo più bello che avesse mai visto.
“Almeno
permettimi di
ringraziarti”.
Gli
accarezzò la
guancia con la sua grande mano destra; carezze lente, ma che gli fecero
venire
i brividi. Si avvicinò ancora di più, tanto che
per un folle attimo sperò che
stesse per baciarlo sulla bocca, invece le sue labbra si posarono sulla
guancia
libera. Il primo bacio che gli diede lo face arrossire, ma fu al
secondo bacio
che la sua mente venne totalmente annebbiata. Un contatto
così intimo non
lo aveva mai avuto con nessuno, né tantomeno pensava sarebbe
giunto così presto
il momento anche per lui di averlo. Chiuse gli occhi e si godette i
baci che
seguirono il primo, sempre indirizzati alla sua guancia.
Istintivamente, girò
appena il capo per avvicinare le labbra di Leonardo alle sue,
consentendogli
finalmente di baciare il lobo della sua bocca. Finalmente avrebbe
potuto
assaggiarlo, finalmente…
“Leo,
vieni a darmi
una mano in cucina!”
Leonardo
si staccò
bruscamente, il volto in fiamme, quasi quanto doveva averlo lui. Si
voltò verso
il corridoio e fece in modo che la sua voce raggiungesse la madre in
cucina:
“Arrivo, ma’!”
Alessio,
imbarazzato
e confuso al tempo stesso, non perse tempo: “Allora ci
vediamo a scuola, buona
fortuna con il greco!”, fece, prima di scappare verso casa.
Si voltò una sola
volta, per guardare la sagoma di Leonardo che si allontanava sempre di
più; non
capiva, da quella distanza, che espressione avesse, ma non
riuscì a non sperare
in un sorriso.
Il
giorno dopo
Leonardo andò discretamente all’interrogazione di
greco, cavandosela con un
cinque e mezzo, sempre e comunque meglio dei tre e quattro che prendeva
di
solito.
Si
erano salutati,
visibilmente imbarazzati, ma nulla di più.
L’intera classe aveva notato quel
loro atteggiamento e i mormorii avevano presto preso il posto delle
solite
chiacchiere ad alta voce tra compagni.
Il
mattino seguente,
sabato, Giò era andato a trovarlo con un cesto di agrumi,
che ad Alessio
piacevano tanto. Erano seduti sul tappeto della sua stanza, intenti a
sbucciare
arance, quando Alessio sganciò la bomba, frutto di due notti
di ragionamento:
“Mi piace Leonardo”.
Giò
per poco non si
tagliò con il coltello. “Fra, sei
impazzito?!”
Lo
guardò serio,
sperando capisse la sua situazione. “Sì, sono
impazzito”.
Il
suo fra aveva
l’aria di uno che aveva appena pescato uno scarpone dalle
acque di un lago,
invece di un bellissimo esemplare da portare a tavola.
“Senti, oggettivamente
parlando, è un bel ragazzo, e potresti anche essere gay, non
ci sarebbe nulla
di male, ma quello ha proprio la puzza sotto il naso, non è
una persona degna di
fiducia”.
“Anche
io lo
pensavo”, iniziò a replicare, “ma ti
assicuro che conoscendolo è diverso da
come noi ce lo siamo figurato”.
“Ah
sì, e da quanto
lo conosci? Da questa settimana?”
“Giovanni”
quando lo
chiamava in quel modo qualcosa tra loro due non andava, “Non
mi è mai piaciuto
nessuno. Con nessuno ho mai avuto la chimica che ho con Leonardo,
nessuno mi ha
mai scombussolato tanto, sono fottutamente eccitato quando lo sogno. Ci
ho
riflettuto parecchio e sono giunto a questa conclusione: mi piace, non
posso
farci niente”.
Silenzio.
Giovanni
parlò dopo uno straziante, doloroso, silenzio:
“Hai ragione, non ti ho mai
visto così”.
Posò
l’arancia e il
coltello e per un attimo Alessio credette che stesse per andarsene,
invece si
avvicinò a lui e lo abbracciò. “Non mi
fido di quello, non voglio che ti spezzi
il cuore, ma se tu sei così deciso io non posso far altro
che sostenerti e
consolarti se andrà tutto male”.
Alessio
ricambiò
l’abbraccio, rincuorato. “Grazie fra”.
Non
ricordo più
quel
mare
blu
che
ci
sovrastava
con
le
sue onde,
il
tempo
che si fermava,
tra
noi
due sponde.
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Capitolo 4 *** Passeggiata pomeridiana ***
Passeggiata
pomeridiana
Due
notti
trascorse nell’insonnia
gli erano servite a fargli ammettere ciò che in
realtà aveva capito da tempo: a
lui Leonardo piaceva, molto.
La
prima notte si era
girato e rigirato nel letto, cercando di non pensare troppo a quello
che era
successo quel giorno. Purtroppo per lui, le immagini di loro due
sull’uscio
della porta si accavallavano nella sua mente, negandogli il riposo.
Aveva
riflettuto sulle sensazioni che aveva provato, sul piacere, sul
desiderio che
quel momento non finisse mai. Si era stretto il cuscino al petto quasi
fosse la
vergogna che provava. Con quelle sensazioni era andato a scuola, aveva
salutato
Leonardo e aveva evitato di parlare più del dovuto con
Giò. Dopo una giornata
di studio in cui era quasi riuscito a dimenticare, insieme alla sera
tornarono
i pensieri e con essi la consapevolezza di ciò che provava
per Leonardo. Aveva
letto troppi libri per non conoscere i sintomi
dell’innamoramento.
La
notte tra venerdì
e sabato lo accettò. Il giorno dopo fu Giò ad
accettarlo.
Sapeva
che sarebbe
stato difficile stare con uno popolare come lui, anche
perché erano entrambi
ragazzi e, francamente, non sapeva né voleva sapere cosa i
suoi genitori
avrebbero pensato di lui. Aveva paura di deluderli, ma non avrebbe per
questo
rinunciato a quel giovane sentimento, che avrebbe voluto coltivare
insieme
all’oggetto del suo interesse.
Lunedì
sembrava non
voler mai giungere, tanto era impaziente di vedere Leonardo. Quando
finalmente
l’alba di quel giorno gli annunciò che la sua
attesa era ormai giunta al
termine, Alessio si preparò in tutta fretta e fu addirittura
il primo ad
arrivare in classe. Ciò che non si sarebbe mai potuto
aspettare, era che Leonardo
sarebbe arrivato secondo. Quando i due incrociarono i loro sguardi,
arrossirono
lievemente, sorridendo.
“Buongiorno,
come
stai?” fu Leo il primo a parlare.
“Molto
bene!” sfuggì
ad Alessio, che a stento riusciva a contenere la sua
felicità nel vederlo.
Visto
che ancora non
c’era nessuno, Leonardo posò il suo zaino al suo
posto e poi si diresse verso
il banco di Alessio. Si sedette nello stesso posto in cui si era seduto
la
settimana precedente e nel medesimo modo. Appoggiò i gomiti
sulla parte
superiore dello schienale, prima di parlare.
“Ehm,
a proposito
dell’altra sera…”
“Leonardo!”
Carla, una
compagna di scuola più grande, fece capolino dalla porta
tutta entusiasta.
Peccato che il suo entusiasmo venne smorzato alla vista di loro due
soli e
vicini.
“Dimmi”
fece
Leonardo, con il solito sorriso di circostanza, tradito però
dal tono
leggermente infastidito.
L’altra
non perse
tempo, dopo aver gettato uno sguardo carico di rancore verso Alessio,
che
rispose guardandola male a sua volta. “Ti ricordo che oggi mi
avevi promesso di
passare al supermercato. Dobbiamo comprare del cibo per il festino di
Domenico”.
“Ah”
fece Leonardo,
che sembrò avere un’illuminazione, “mi
era passato di mente, grazie di avermelo
ricordato!”
Carla
sembrò seccata
udendo le sue parole, tuttavia ci mise un secondo a mascherare il suo
stato
d’animo con un sorriso.
“Figurati,
a dopo le
lezioni!”
Già,
Leonardo
rimaneva pur sempre il più desiderato della scuola.
Scommetteva che tutti
sperassero che la cotta per lui gli passasse in fretta. Di quel
festino, tra
l’altro, non sapeva proprio nulla. Appartenevano a due mondi
completamente
diversi.
“Alessio,
mi stai
ascoltando?”
Si
riscosse, un po’
triste.
“Scusami,
cosa stavi
dicendo?”
“Ti
stavo chiedendo
se volessi venire con noi questo pomeriggio”.
Quella
proposta lo
spiazzò.
“Ma…
perché?” gli
venne da boccheggiare, “Che c’entro io?”
Leonardo
si fece
serio in viso. Stava per dire qualcosa, quando Alessio lo
anticipò: “E poi è
evidente che lei voglia stare da sola con te, non vorrà
scocciatori”.
“Alessio”
anche il
tono dell’altro sembrava serio, “Non dimenticarti
che io sono innamorato di
te”.
La
campanella suonò e
tutti i loro compagni si riversarono in classe. Leonardo fece per
alzarsi, alla
vista di un Giovanni palesemente sospettoso, ma prima gli chiese se
intendesse
o meno uscire con loro.
Alessio,
ipnotizzato
dai suoi occhi, si lasciò abbindolare.
Dopo
pranzo, si fece
trovare sul luogo dell’appuntamento: una strada parecchio
affollata in centro
città, di fronte al più grande supermercato che
Alessio avesse mai visto.
Constatò, guardando l’orologio, di essere
parecchio in anticipo.
Mise
le mani in tasca
e si guardò intorno, studiando le persone che passeggiavano
da sole, in
compagnia di qualcuno, oppure con un cagnolino al guinzaglio. Persone
diverse
le une dalle altre, un arcobaleno di colori che si toccavano senza
fondersi;
chissà se erano innamorate come lo era lui, in preda a quel
dolce turbamento
che trascina chiunque nel suo uragano.
Era
ancora
pensieroso, quando si sentì chiamare da una voce femminile.
Carla era arrivata
e con lei il suo malumore.
“Cos’è,
sei impaziente
di vedere Leo?” disse scocciata, lisciandosi la gonna che
ricadeva candida fino
alle ginocchia.
Alessio,
polo color
borgogna e pantaloncini blu corti, si sentì improvvisamente
fuori posto. Quello
sarebbe dovuto essere l’appuntamento di Leonardo Russo ed una
bellissima
ragazza, lui non c’entrava niente. Carla ovviamente non fece
nulla per farlo
sentire a proprio agio, nemmeno quando, scocciata, discorse con lui del
tempo,
dei cani che passavano per strada, della roba da comprare.
Sembrò
non riuscire
più, ad un certo punto, a trattenere dentro tutto quello che
voleva dirgli,
così parlò: “Senti un po’,
non montarti la testa solo perché piaci a Leonardo
Russo, è evidente che la sua sia solo una cotta passeggera!
Se ti piace, vedi
di dimenticarlo, lo dico per te, potresti soffrirne”.
Sapeva
bene che
quelle parole fossero frutto della sua gelosia, che se anche fosse
stato
qualsiasi altra ragazza avrebbe sentito le stesse frasi. Eppure, non
poteva non
temere che ci fosse un fondo di verità e che Leonardo
potesse disinteressarsi a
lui con il tempo. Fece tutto il possibile per sorriderle come fosse
noncurante.
“Grazie
del consiglio,
lo terrò a mente, forse”.
Quelle
parole
sembrarono indignarla, ma non ebbe il tempo di rispondere che una voce
allegra
sopraggiunse alle sue spalle.
Leonardo,
maglietta
blu notte e pantaloncini neri, era più bello che mai.
Entrambi probabilmente erano
rimasti a fissarlo per un bel po’ di secondi, prima di
rispondere alla domanda
che aveva loro rivolto, ovvero cosa stessero facendo.
“Leo,
niente di che”
rispose Carla su di giri, prima di attaccarsi come una cozza al suo
braccio.
“Che
bella coppia!” sussurrò
un uomo alle spalle di Alessio, che in quel momento avrebbe voluto
sprofondare.
In
effetti,
sembravano proprio una coppietta uscita da un qualche film per
adolescenti: lui
affascinate, atletico, dal sorriso smagliate; lei minuta, carina, dai
folti
capelli castani e la pelle abbronzata e i grandi occhi azzurri. Erano
bellissimi insieme; se fossero stati i personaggi di un lungometraggio
avrebbe
fatto il tifo per loro. Ma quella non era la fantasia di un qualche
regista, ma
una realtà in cui lui era innamorato di colui che,
nonostante l’evidente
disagio, non lasciava andare la ragazza che lo stava tenendo a
braccetto.
“Allora,
vogliamo
andare?” domandò Carla allegra, indicando il
supermercato.
Con
una voglia di
camminare pari a zero e un atteggiamento che lo dimostrava pienamente,
Alessio
li seguì all’interno del negozio di alimentari,
una volta entrati nel quale si
divisero. Ovviamente, fu la ragazza a decidere per loro: lei e Leonardo
al
reparto bibite, Alessio al reparto snack. Prima di
incamminarsi, vide il
ragazzo che gli piaceva trascinato per un braccio; sussultò,
quando Leonardo si
voltò per guardarlo, ma la distanza non gli permise di
decifrare quello
sguardo. Con in cuore in gola, si avviò verso il reparto a
lui assegnato,
schiacciato ad ogni passo da mille pensieri che celavano ansie.
Perché
Leonardo non
aveva fatto nulla per scrollarsela di dosso? Cosa voleva comunicare con
quello
sguardo?
Fu
quando ripensò a
quel gesto che ricordò di avergli visto fare un lieve cenno
con il capo verso
il reparto dei surgelati.
Lasciò
immediatamente
le patatine che aveva preso e si diresse in quel luogo. Poco ci mancava
che
esplodesse dalla felicità, dopo aver visto Leonardo in piedi
intento ad
osservare i vari surgelati. Quando lo vide, il ragazzo dagli occhi
verdi si
illuminò in viso, invitandolo ad andare da lui.
Era
incredibile come
tutti i dubbi fossero stati scacciati da quel sorriso.
Quando
gli fu vicino,
constatò che il clima – per ovvie ragioni
– non fosse dei più favorevoli per
lui.
“Fa
un po’ freddo”
disse, notando che la sua voce era più squillante del solito.
Leonardo
gli si
avvicinò inavvertitamente e, per un attimo, credette di aver
udito un: “ci
speravo”, prima di essere avvolto da un suo
braccio, che lo avvicinò a lui.
Il
cuore prese a
battergli violentemente e le gote iniziarono a bruciare. Per un attimo
tutti i
pensieri che poco prima avevano affollato la sua testa scomparvero e i
rumori
intorno a lui si placarono, lasciando che le sue orecchie udissero
soltanto i
battiti del cuore di Leonardo, altrettanto veloci. Chiuse gli occhi e
si beò di
quel momento che avrebbe voluto imprimere a fuoco nella sua mente,
insieme ad
ogni istante trascorso con lui. Era cotto a puntino.
“Leo!”
La
voce squillante di
Carla li fece sussultare, ma Leonardo, invece di lasciarlo andare, lo
strinse
ancora di più a sé.
“Ah,
Carla! Io e
Alessio stavamo pensando di prendere qualcosa dal banco dei surgelati
da fare
al forno quella sera, tanto siamo a casa sua, no?”
Carla
sembrava
fumante di rabbia, Alessio invece era imbarazzato come non mai. Anche
altre
persone si unirono allo sdegno che provava Carla, ma ad Alessio, forse
perché
quelle braccia gli infondevano parecchio coraggio, non
importò più, ad un certo
punto. Era lì, dove avrebbe voluto stare per sempre.
Usciti
dal
supermercato, Carla si incamminò furente verso casa che,
stando a quel che
diceva, non doveva essere molto lontana da quel punto.
Quando
la sua sagoma
sparì dietro l’angolo, Alessio si sentì
più leggero, tanto che si stiracchiò come
faceva sempre dopo un’intensa giornata di studio. Quando si
ridestò, vide che
Leonardo lo stava guardando divertito.
“Cosa
c’è?”
“Niente,
è solo che
non ti si vede spesso così rilassato”.
Alessio
sgranò gli
occhi; Leonardo doveva averlo osservato molto durante l’anno
scolastico per
poter fare una constatazione del genere, il che lo rese felice.
“Vorresti
conoscere
il mio primo amore?” disse l’altro, improvvisamente.
Il
mare.
“Volentieri”.
La
massa d’acqua, ove
il sole calante si rifletteva, si stagliava oltre la ringhiera che
separava il
marciapiede dalla spiaggia. Molte coppiette si stavano godendo il
tramonto
sulle panchine disseminate in punti strategici. Alessio e Leonardo
invece
preferirono scendere sulla spiaggia per poter calpestare la sabbia con
i piedi
nudi.
Leonardo
e il mare:
una delle più belle combinazioni che Alessio avesse mai
avuto modo di vedere.
Gli occhi verdi gli brillavano quando lui guardava l’acqua,
quando toccava la
sabbia, quando raccoglieva le conchiglie ridendo come un bambino.
Sembrava nato
per quell’habitat.
Bagnarono
i piedi
nella fredda acqua di maggio, rabbrividendo e sorridendo insieme. Non
era mai
stato così felice in vita sua.
“Vorresti
vedere un
posto?” disse Leonardo, titubante.
Alessio
accolse
quell’insolito invito e lo seguì fino ad un
capanno smaltato di blu. Russo
estrasse delle chiavi dalla tasca – Alessio
sospettò che avesse programmato
quella visita – e aprì la porta consentendogli
l’accesso.
Era
una stanza
semivuota, che ospitava solo un letto e delle…
“…tavole
da surf?”
domandò, sorpreso dinnanzi quelle tre tavole colorate
appoggiate al muro.
Leonardo
ridacchiò.
“Mio cugino, che abita oltreoceano, è un surfista.
D’estate, ogni tanto, vengo
a dormire nel suo capanno. È…
rilassante”.
Ma
Alessio aveva
ascoltato ben poco. Tutta la stanza aveva catturato la sua attenzione,
non
perché fosse particolare, il motivo era che rassomigliava a
quella del suo
sogno.
“Alessio…
forse è
meglio uscire da qui”.
Il
suddetto lo guardò
dapprima stranito, poi tornò in sé, dicendosi che
dovesse per forza essere una
coincidenza.
“No,
piuttosto, dimmi
di più”.
Russo
lo guardò
preoccupato, prima di andare avanti. “Beh, lui è
il figlio dell’altro mio zio,
non quello che è morto. Abitava in questa città
dapprima che venissi io. L’anno
scorso, dal momento che si stava trasferendo in cerca di onde, mi
lasciò tre
tavole – alquanto inutili qui – e questo capanno.
Qui ho trascorso delle
serate… piacevoli”.
L’ultima
affermazione
non piacque molto ad Alessio, che subito si figurò Leonardo
in compagnia di
qualcun altro.
Doveva
dirglielo.
Doveva dichiararsi. Se non l’avesse fatto in quel momento,
aveva il
presentimento che non l’avrebbe mai più potuto
fare.
“Leo”,
sentendo il
suo nome pronunciato in quel modo, l’altro ebbe una strana
reazione.
Occhi
negli occhi,
verde smeraldo nel marrone della terra.
Stava
per dirglielo,
deciso come non mai, quando le sue labbra, dischiuse in previsione del
discorso, vennero inondate da un calore ed una morbidezza che non
conosceva. Fu
un attimo fugace, nemmeno si era reso subito conto di quel che era
successo, se
non dopo che Leonardo, staccandosi, lo aveva guardato terrorizzato.
“Scusami,
io… non
volevo…” boccheggiò, facendo per
andarsene, quando l’altro, realizzato quel che
era successo, gli afferrò un braccio per tirarlo verso di
sé, facendo
incontrare nuovamente le loro labbra.
Dopo
un attimo di
esitazione, il bacio di Alessio lasciò spazio ad un altro ed
un altro ancora,
prima che fosse Leonardo a baciargli le labbra come se nella sua vita
non
avesse fatto altro. Anche Ale scoprì di essere piuttosto
naturale, non
impacciato come credeva sarebbe stato durante il suo primo bacio.
Il
dolce contatto che
aveva sempre desiderato senza che fosse associato ad un volto ora aveva
quello
di Leo.
I
baci che seguirono
furono sempre più roventi e carichi di passione; Leonardo
iniziò presto ad
esplorare la bocca di lui con
la lingua, fino a quando non incontrò quella del compagno,
che presto giocò con
la sua.
Ale
avvertì la
coperta del letto sotto il sedere, mentre Leonardo si sedeva a
cavalcioni su di
lui, facendo sfiorare la stoffa dei loro pantaloni che copriva entrambe
le
erezioni.
Fu
tutto così
naturale… spontaneo… come se
l’avesse già fatto.
I
baci,
le loro pelli che si sfioravano… il tocco di Leonardo. Tutto
lo avvolgeva
racchiudendolo in un mondo bellissimo.
Spalancò
gli occhi.
Il
capanno, l’odore di salsedine, il rumore delle onde misto ai
loro gemiti.
“Ale,
tutto bene?”
disse affannato Leonardo, gli occhi lucidi, le labbra gonfie. Il suo
sguardo
divenne sempre più preoccupato, insieme alla vista di
Alessio che si
annebbiava.
“ALESSIO?!”
I
bellissimi smeraldi
di Leonardo furono l’ultima cosa che vide, prima di
precipitare nell’abisso.
L’abisso
mi
richiama
Nel
nero
suo ventre,
Odo
solo
la tua voce
Che
mi
dice tutto e niente.
|
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Capitolo 5 *** Riemergo dall'abisso ***
Riemergo
dall’abisso
“Piacere,
mi chiamo Leonardo!”
La
prima
impressione che ebbe di lui non fu del tutto positiva: gli sembrava che
fosse
un sempliciotto, uno tutto sorrisi e niente sostanza. Alto, muscoloso,
dai
folti capelli neri, gli occhi di un verde intenso, tutto gli urlava che
fosse
popolare tra le ragazze; eppure, nonostante la grande
quantità di ragazze lì
presenti, era andato a presentarsi a lui, uno qualunque, una stellina
nel
firmamento.
“Piacere,
Alessio…” la sua timidezza doveva averlo
stuzzicato in qualche modo, poiché ciò
che fece dopo fu allargare il suo sorriso.
Era
pieno
di gente al lido, tantissime erano le belle ragazze in bikini che lui
avrebbe
voluto conoscere, non che lo attraessero in qualche modo –
non capiva il
perché, ma nessuna le era mai interessata veramente
–, piuttosto aveva fretta
di iniziare una relazione, dal momento che la sua adolescenza stava
finendo e
ancora nessuna era entrata nella sua vita. Era una sorta di ossessione,
guardando quel Leonardo parlare con tante ragazze non poteva non
pensarci:
avrebbe voluto essere come lui.
Quando
Leonardo si liberò, corse di nuovo da lui, che se ne stava
in disparte ad
osservarlo invidioso. Non appena arrivò, tutta
l’attenzione di Alessio fu
rivolta a lui.
“Questa
è
una buona occasione per farsi dei nuovi amici, che ne diresti di
provare?”
“E
se io
non volessi?” fu la risposta che gli diede, irritato dal
fatto che lui avesse
capito le sue intenzioni.
L’altro
si guardò intorno, prima di sparire tra la folla, ma Alessio
non ebbe nemmeno
il tempo di tirare un sospiro di sollievo che subito tornò
con al seguito un
ragazzo dalla pelle ambrata.
“Ciao,
molto piacere, io sono Luca e questi sono Mattia, Daniel e
Michele!” non si era
nemmeno reso conto che ci fossero altri tre ragazzi.
Passò
una
settimana prima che facessero gruppo. Alessio si era, in qualche modo,
trovato
a proprio agio con Luca e gli altri; solo Leonardo lo metteva un
po’ a disagio,
sempre lì, tutto sorridente, a parlare di mucche e cavalli
come fosse
l’argomento più interessante al mondo. Nonostante
il lieve disagio, aveva conversato
molto con lui, forse più che con gli altri. Aveva scoperto
dov’era cresciuto –
ed ecco la spiegazione alle mucche e ai cavalli – la musica
che ascoltava, il
suo rapporto con i suoi genitori. Imparando a conoscerlo, aveva capito
che non
era affatto il ragazzo superficiale che si era figurato
all’inizio; ebbe la
conferma di ciò un giorno di pioggia, all’esterno
del capanno del cugino di
Leonardo, sotto la cui tettoia si erano rifugiati: Leonardo era
scoppiato a
piangere parlando del padre e della freddezza con cui trattava sia lui
che sua
madre; tra le lacrime, la promessa che non avrebbe mai trattato a quel
modo le
persone amate.
Qualcosa
era cambiato, quel giorno.
Era
luglio inoltrato, il sole splendeva, il mare chiamava. E Alessio aveva
sognato di
fare sesso con Leonardo. Lo aveva evitato un’intera giornata,
vergognandosi del
sogno sconcio che aveva fatto e con mille quesiti in testa.
Era
sera,
tutti se ne stavano andando, eccezion fatta per Alessio, che stava
aspettando
suo padre, e Leonardo, che aveva accampato come scusa il non voler
lasciarlo
solo mentre aspettava.
Alessio
fece affondare le mani nelle tasche del costume e lo guardò
di sfuggita, non
sazio, dal momento che quel giorno non lo aveva guardato abbastanza.
Quando
formulò quel pensiero, divenne tutto rosso per la vergogna.
“Alessio,
ti andrebbe di aspettare nel capanno? Sembri stanco e lì
c’è un letto.”
La
parola
letto
non aiutò Alessio, che però era
troppo stanco per declinare l’invito.
Entrarono
nel capanno e si sedettero entrambi sul letto, Alessio imbarazzato e
stanco
come non mai, Leonardo con il suo solito, allegro sorriso, che
però si smorzò
quando gli domandò: “Perché mi stai
evitando?”
Alessio
venne preso in contropiede. Non sapendo come rispondere, si
limitò ad abbassare
lo sguardo per non farsi vedere rosso da lui.
“Sai,
tu
mi piaci.”
Sobbalzò.
Aveva sentito bene?
“Co…cosa?”
“E
anche
io…” gli sollevò il mento con la mano e
i loro occhi si incontrarono, “ti
piaccio.”
Era
rosso
in viso pure lui. Non si rese subito conto che la risposta a tutte
quelle
domande Leonardo gliel’aveva data.
Gli
piaceva un ragazzo. Gli piaceva Leonardo.
Rimase
in
attesa, di cosa non lo seppe nemmeno lui. Fu un bacio ad arrivare, a
fior di
labbra, come fosse un sussurro al vento, un petalo che si posa al
suolo.
Rimasero abbastanza vicini guardandosi negli occhi, quando Leonardo gli
prese
la mano e la posizionò sul cavallo dei suoi pantaloni.
“Mi
fai
sempre questo effetto” gli sussurrò sulle labbra.
Tutti
i
dubbi svanirono quando Alessio, animato da un coraggio che non sapeva
di
possedere, lo baciò. Le loro lingue danzavano insieme mentre
Leonardo guidava
la mano dell’altro sotto i suoi pantaloni.
Il
sole
calò poco prima che venissero entrambi, l’uno con
le mani sul membro
dell’altro, le labbra che sussurravano versi osceni le une
sulle altre.
Una
settimana dopo, la loro prima volta. La prima per entrambi,
aveva precisato Leonardo, che
gli aveva altresì confessato di non aver mai provato lo
stesso sentimento per
qualcuno che non fosse lui.
“Allora,
che ne dici di salire sulla mia macchina?” fu la proposta di
Luca, tutto
compiaciuto.
Leonardo
aveva già fatto un giro, mentre Alessio non aveva ancora
avuto l’onore.
Tutto
contento, diede un bacio a fior di labbra al suo ragazzo, che gli
sussurrò: “Ci
vediamo più tardi.”
Più
tardi.
Più
tardi.
Il
camion, il
clacson, la strada, il sangue che gli impediva di vedere.
L’ospedale, una voce
familiare che urlava singhiozzando: “Fatemelo
vedere!”. Il viavai di medici
dalla sua stanza. Il soffitto bianco e
le lacrime dei suoi genitori.
Quando
aveva vissuto tutto questo?
Ah
già, l’incidente. L’incidente che gli
aveva tolto quell’estate meravigliosa,
che gli aveva tolto Leonardo.
Quando
riaprì gli occhi, la prima cosa che vide fu lo stesso
soffitto
bianco che aveva visto l’estate precedente. La prima voce che
udì, invece, fu
quella di suo padre: “Ti avevo detto di stare lontano da mio
figlio!”
La
testa gli girava a tal punto da non riuscire a capire a chi si
stesse riferendo. Fu poi la seconda voce che udì a
chiarirgli la situazione:
“Non sarebbe dovuto succedere! Perché a
lui!?”
“LEO!”
scattò seduto incurante del mal di testa e subito si
staccò la
flebo.
Quando
vide, al di là della porta aperta, Leonardo in lacrime, si
alzò
di scatto desiderando al più presto di essere vicino a lui
per baciargliele,
quando cadde per terra ancora intorpidito.
“Alessio!”
l’urlo di sua madre richiamò i medici, che
prontamente lo
rimisero a letto.
Nella
confusione, riuscì a vedere Leonardo scavalcare gli
infermieri
con la stessa velocità che lo contraddistingueva in campo,
fino a quando non fu
vicino a lui.
“Ale…
come ti senti?”
Ancora
intorpidito, ma felice che fosse lì con lui, gli rispose:
“Bene,
ora che sei qui”.
“Alessio,
che ti è successo?” fu la domanda di suo padre,
ancora troppo
spaventato per stare in piedi senza che gli tremassero le gambe.
Gli
vennero le lacrime agli occhi. “Papà, mamma, ora
va tutto bene.”
“Signorino”
un infermiere si rivolse a Leonardo: “non ha il permesso di
stare qui, la prego di andarsene.”
Alessio
lesse un NO
negli occhi di Leo, ma lo fermò ancor prima
che potesse esprimerlo a parole: “Va tutto bene, ci vediamo a
scuola.”
L’altro
gli lanciò uno sguardo preoccupato, prima di avviarsi verso
la
porta, lasciando dietro di sé un’amarezza che
toccò Ale profondamente.
A
casa, svelò ai genitori di aver recuperato la memoria di
quell’estate. Sua madre era sul punto di piangere, mentre suo
padre era
sbalordito.
“Per
quanto riguarda Leonardo” asserì, “lui
è la persona che ho scelto
di avere al mio fianco, come vi ho già detto
l’estate scorsa. Vi prego di
accettarlo.”
“Oh,
Ale” fece sua madre, “ma noi lo abbiamo
già accettato, l’anno
scorso, quel che temevamo era che la sua presenza, dopo
l’incidente, ti fosse
nociva.”
“Nociva?”
Fu
suo padre a chiarire la loro posizione: “Temevamo che avresti
reagito come oggi, cioè perdendo i sensi, perciò
gli ho chiesto, l’anno scorso,
di starti lontano.”
Alessio
appellò tutte le sue forze per non urlare loro contro,
dopotutto erano solo preoccupati per lui.
“Ora
non dovrà più succedere; se mi sforzo di
ricordare non sento più
nemmeno il mal di testa! Mi sento bene come non mai.”
Si
era preso alcuni giorni di riposo per raccattare le idee, col
supporto di Giovanni, cui aveva raccontato tutto. Si era reso presto
conto di
non avere nemmeno più il numero di telefono di Leonardo,
probabilmente cancellato
dai suoi genitori.
L’ultimo
giorno di scuola, quando lo vide in classe, corse ad
abbracciarlo con una velocità che non sapeva di possedere,
sotto gli occhi di
tutta la classe.
Fu
quando le braccia forti di Leonardo lo avvolsero che il suo cuore
prese a battere all’impazzata e, per un attimo, gli
sembrò che fossero
totalmente soli in quell’aula.
Quando
Leo si staccò da lui gli prese la mano, sorprendendolo, e si
rivolse a tutta la classe: “Ragazzi, ragazze, da oggi sono
ufficialmente
impegnato!”
“COSA
STAI DICEN-” ma l’urlo imbarazzato di Alessio fu
interrotto da
uno scroscio di applausi.
Tutti
i ragazzi, compreso Giovanni, stavano allegramente festeggiando
la levata di torno del ragazzo più ambito della scuola.
Qualche ragazza – forse
veramente contenta per loro – si unì alla festa.
Tutto
rosso in viso, Alessio guardò il suo ragazzo che gli faceva
l’occhiolino: “Il nostro sarà un amore
impopolare, preparati.”
Preso
dalla foga del momento, Ale lo baciò, scatenando gli urletti
di
Maria, una loro compagna fujoshi.
“Ma
insomma!” proruppe il prof di greco, tra applausi ancora
più forti,
“Non vi permetterò di fare bordello nella mia ora!
NELLA MANIERA PIÙ ASSOLUTA!”
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