Unpopular Love

di Atramentum
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Gli sfigati del liceo ***
Capitolo 2: *** L'oceano della memoria ***
Capitolo 3: *** L'estate sta finendo ***
Capitolo 4: *** Passeggiata pomeridiana ***
Capitolo 5: *** Riemergo dall'abisso ***



Capitolo 1
*** Gli sfigati del liceo ***


Gli sfigati del liceo

 

Delle braccia pronte ad accoglierti, un petto caldo con un cuore che batte forte per te, una voce dolce che ti sussurra all’orecchio: “Bentornato”.

Alessio non aveva mai preteso molto in diciassette anni di vita. Era un ragazzo come tanti, dai capelli e gli occhi castani, né bello né brutto, senza ambizioni. Una sola cosa desiderava.

Un amore che lo avrebbe fatto sentire speciale. Desiderava una ragazza.

 

Nonostante fosse relativamente presto e il sole stesse rischiarando con i suoi raggi tutto ciò che in un bel mattino si poteva ammirare con tranquillità, lui si sentiva fiacco come quando correva lungo il sentiero vicino casa e ciò che più bramava, dopo la doccia, era il letto, il vero migliore amico dell’uomo.

Il cortile della scuola era racchiuso dalle sue pareti, agli angoli crescevano delle piante che nessuno si prendeva la briga di curare e per terra, lungo il perimetro, erano state tracciate delle strisce bianche. Due porte con le rispettive reti segnavano l’inizio e la fine del campo da calcio.

Per quanto lo riguardava, era fuori da tutto quel trambusto che si era creato dietro alla palla, seduto per terra, schiena al muro, la voglia di guardare quella noiosa partita pari a zero.

“Fra, guardalo! È spocchiosissimo quel Leonardo”.

Alessio era intento a sorseggiare il caffè prelevato, poco prima, dalla macchinetta della scuola, quando Giò gli premette una mano sulla spalla destra invitandolo a guardare al centro del campo.

Guardò in quella direzione e, tra i corpi che si muovevano a destra e a manca per prendere il pallone, lo vide. Il più bello e atletico della scuola, il vip dei vip: Leonardo Russo.

Spiccava col suo metro e ottanta, i suoi muscoli, i capelli neri in disordine, gli occhi verdi concentrati sul pallone.

Leonardo era quanto di più lontano ci fosse da lui: un ragazzo esile, asociale, pessimo con le donne, ma sicuramente più bravo nello studio. Quel ragazzo era letteralmente il più desiderato del liceo, eppure, si ricordò Alessio, non era mai stato con una ragazza, o perlomeno così Leonardo aveva dichiarato.

Inizialmente, aveva pensato fosse una mossa per avvicinare quante più ragazze possibili. Quale ragazza avrebbe rifiutato di essere il suo primo bacio o la sua prima volta?

È furbo, incredibilmente furbo.

Sin da quando si era presentato a settembre, non aveva fatto nulla per catturare l’attenzione delle ragazze. Erano bastati il suo sorriso e tutto quel ben di Dio che aveva come corpo a farle letteralmente cadere ai suoi piedi.

Lo aveva notato nei suoi gesti: era una persona prevalentemente estroversa, con i suoi piccoli segreti – quando gli domandavano della sua vita sentimentale, si faceva sempre indietro –, parlava con chi gli rivolgeva la parola ed era anche educato. Non era stupido, o almeno credeva; non poteva non aver mai udito uno dei commenti sprezzanti di Giò, eppure non sembrava essergli ostile. Anzi, forse nemmeno gli importava di lui, ma non capiva ancora se ciò fosse dovuto al suo immenso ego o al suo carattere, probabilmente era la seconda opzione, ma gli piaceva pensare che fosse la prima.

In realtà, era stato Alessio a figurarselo come un nemico naturale. Non perché avesse successo, questo non gli importava, ma perché aveva successo ed era single come lui. In parole povere, gli faceva rabbia che uno che poteva avere ciò che lui si sarebbe sognato lo rifiutasse. Chissà perché poi.

Fu in quel momento che l’oggetto delle sue attenzioni segnò in porta, accompagnato dagli schiamazzi delle ragazze lì presenti.

“Guarda fra!”

Alessio intercettò subito il punto che Giovanni stava osservando: Laura, la cotta di sempre del suo migliore amico, che stava sbavando per quel bellimbusto.

Gli diede una pacca sulla spalla, prima di andarsene in classe, dove avrebbe potuto sorseggiare il suo caffè senza interruzioni, mentre Giò lanciava imprecazioni contro Leonardo.

Pensava che, lontano da Leonardo, i pensieri sarebbero evaporati nell’aria mattutina. Che errore.

 

La classe era un luogo tranquillo a quell’ora: tutti erano fuori a sbavare allegramente su Leonardo o a rodere vedendolo in azione, nessuno sarebbe rientrato prima della fine del modulo.

Bevve ciò che rimaneva del caffè con quella convinzione, godendosi i raggi solari che penetravano dalle finestre.

Si sforzò di non pensare a niente, di concentrarsi sul caffè e non su Russo. Per qualche motivo, pensava più a lui che alle ragazze. Nessuna fino a quel momento era riuscita a catturare la sua attenzione, eppure ciò non era servito a spegnere il desiderio che ardeva in lui. Aveva sempre invidiato l’amore che i suoi genitori nutrivano l’uno per l’altra e voleva emularli a tutti i costi. Nel suo futuro, voleva ci fosse una donna pronta a confortarlo, a farlo sorridere, a farlo piangere per poi fare la pace e l’amore.

 “Pensieroso, vedo”.

Sussultò non appena quella voce giunse alle sue orecchie. Leonardo Russo era in piedi sull’uscio della porta con un sorriso smagliante. Fu sorpreso di notare che era solo.

Si strinse a sé come se volesse proteggersi, anche se non capì esattamente da cosa. Fu un gesto istintivo, come quelli che faceva da piccolo quando aveva paura. Non che Leonardo gli facesse paura, solo che… era strano essere da solo con lui. Gli faceva paura la situazione.

Leonardo cambiò espressione quando lo vide quatto quatto. Il sorriso scomparve e lo guardò con sguardo severo.

“Scusa, io… penso di dover andare in bagno”, furono le parole di Alessio.

Si alzò con uno scatto fulmineo dal banco in cui, poco prima, si era seduto.

Aveva sempre visto Leonardo circondato da tante persone e non aveva mai avuto modo di parlare da solo con lui. Per qualche motivo, quella situazione lo metteva a disagio.

Lo oltrepassò in fretta e furia, quando si sentì afferrare per il braccio.

Lentamente, si voltò nella direzione dell’altro, fino a quando la sua visuale non fu piena di lui, di ogni sua caratteristica.

Lo guardò stupito. Non era mai stato così vicino a qualcuno prima di allora. Poteva scorgere delle lentiggini che non aveva mai notato in lui, così come il colore intenso dei suoi occhi. Era dannatamente bello.

Sentì le guance infiammarsi. A cosa stava pensando? Leonardo non solo era un ragazzo, ma era anche furbo. Non doveva cadere nella sua trappola.

Fu quando gli parve che anche sulle gote di Russo ci fosse del rossore, che si staccò dalla sua presa veementemente.

Prima di fuggire, lo guardò un’ultima volta: sembrava ferito e continuava a guardarsi la mano che poco prima lo aveva stretto.

Fu chiedendosi il perché di quel gesto, che se ne andò correndo verso l’esterno.

 

 

La luce lunare penetrava dalla finestra rischiarando la pelle abbronzata, gli occhi verde smeraldo, i capelli del colore dell’inchiostro di Leonardo. Il mare che si intravedeva dalla finestra cullava Alessio col rumore delle sue onde, mentre l’altro era intento a giocare con una ciocca dei suoi capelli.

Il cielo venne presto oscurato e un fulmine illuminò la stanza semivuota, che ospitava solo delle tavole da surf, un letto e due corpi aggrovigliati tra di loro.

“Ti va?” fece Leonardo, mostrando un sorriso irresistibile.

Il cuore di Alessio prese a battere a mille mentre lo guardava con occhi che sapeva essere vogliosi quanto i suoi.

Leo gli tolse il costume, così lentamente che più la stoffa sfregava in basso, più Alessio si eccitava.

“Non vale se sono il solo ad essere nudo”.

Prima di togliergli il costume, morse la parte superiore di esso, aumentando l’eccitazione dell’altro.

“Ale, ti voglio”.

Anche lui lo voleva.

Impiegarono poco tempo a prepararsi, tanto era il desiderio reciproco. Alessio era pronto per lui.

Sentì un dolore familiare, poi il piacere lo investì come un’onda. Il rumore del mare e l’odore di salsedine accompagnavano le spinte di Leo e i gemiti di entrambi, una melodia che Alessio amava.

Man mano che le spinte aumentavano, il suo desiderio cresceva sempre di più.

Voleva di più. Voleva tutto di lui.

Di più.

Di più.

Di…

 

Si svegliò di soprassalto, tutto sudato e eccitato come non lo era mai stato da che ne aveva memoria. Un’evidente erezione faceva bella mostra di sé. Un’erezione che aveva avuto sognando di fare sesso con Leonardo Russo.

Corse sotto la doccia e cercò di lavarsi via il sudore e i pensieri, ma gli ultimi non se ne andarono via, anzi, lo accompagnarono fino alla sua classe.

Era presto, il sole era coperto dalle nuvole e un fresco venticello scompigliava i capelli delle ragazze alle finestre, che furono prontamente chiuse.

“Hai visto Leonardo ieri? Che figo pazzesco!”

“Ha stracciato i nostri compagni praticamente da solo! Bello e pure bravo!”

I commenti delle ragazze gli facevano venire i brividi. Quella mattina aveva meditato circa il venire o meno a scuola, ma alla fine era giunto alla conclusione che Leonardo Russo era comunque meglio delle ciabatte della mamma piantate dritte in faccia.

Cosa diamine gli era preso? Perché aveva pensato a lui? Perché in quei termini soprattutto?

Da quando Leonardo Russo era entrato nella sua vita, non aveva fatto altro che pensare a lui, che fosse invidioso o voglioso. Il fatto che fosse voglioso era una novità, probabilmente sorta dopo quell’episodio in classe. Eppure Leonardo non aveva fatto nulla se non fermarlo, perché diamine avrebbe dovuto eccitarsi? Per un maschio, poi!

Giovanni gli si sedette accanto, posando la cartella sotto al banco, nonostante fosse vietato dalle norme di sicurezza.

Lo guardò confuso, come se stesse osservando un volto nuovo.

“Fra, che ti succede?”

Nulla, aveva solo sognato di scoparsi il nemico numero uno di tutte le forme di vita maschili presenti in quella scuola.

“Ho solo avuto un incubo, niente di che”.

Giò non sembrava essersela bevuta, ciononostante non gli chiese più nulla.

“Oggi quello interroga in greco, ne sono sicuro! Ma se ti chiede la grammatica tu la sai?”

Francamente, la grammatica greca era l’ultimo dei suoi problemi. Il primo problema, invece, varcò la soglia della porta in quello stesso istante; i capelli neri arruffati attirarono l’attenzione delle ragazze.

“Ecco lo spocchioso”.

 

Trenta minuti dopo, durante le interrogazioni dei poveri malcapitati, Leonardo gli lanciava degli sguardi dal suo posto, fila centrale, secondo banco. Alessio, fila al lato della porta, ultimo banco, sentiva le gote arrossarsi sempre di più ad ogni suo sguardo. Forse era solo una sua impressione. Forse stava solo guardando il muro retrostante per cercare di combattere la noia.

In ogni caso, Alessio, che cavolo hai da arrossire?!

“Male, molto male. Un bel quattro oggi non ve lo toglie nessuno” fu il commento del professore dopo aver mandato a posto i ragazzi. “Dovete esercitarvi ancora. Dividetevi in gruppi, non mi interessa da quante persone, Rocci o GI alla mano e traducetemi questa versione”.

Ci fu un attimo di confusione dovuto allo spostamento delle sedie. Alessio sapeva perfettamente che sarebbe rimasto solo con Giovanni, come sempre. Dopotutto, era il suo unico amico in classe.

“Leonardo, vieni con noi!” fu Licia a parlare, dalla fila centrale.

Alessio si sforzò di non guardare nella sua direzione, fallendo miseramente. Quando i suoi occhi incontrarono quelli di Leonardo, l’idolo della classe sorrise e parlò a Licia, senza nemmeno guardarla in faccia: “Scusate, oggi vorrei stare un po’ con loro”.

Alessio e Giovanni sgranarono gli occhi, insieme al resto della classe, quando Leonardo puntò verso di loro.

Poggiò la sua sedia al contrario di fronte a loro, il banco a separarli, e allargò le gambe per potercisi sedere, gomiti appoggiati alla parte superiore dello schienale, sguardo puntato su Alessio.

“Allora, cominciamo?”

Giovanni sembrava incredulo e schifato al tempo stesso. Alessio invece era un fascio di nervi. Le immagini che la sua mente aveva proiettato quella notte nella sua testa si sovrapponevano alla realtà che lo circondava, rendendolo ancora più confuso. Combatteva contro un’emozione indesiderata, che solo Russo gli faceva provare.

“Fra, tutto bene?” Giò lo fece tornare coi piedi per terra.

Si rese presto conto che tutta la classe li stava fissando, come se stessero contemplando dei cagnolini che facevano amicizia con uno squalo. E che squalo, pensò Alessio.

“No! Sì! Cominciamo”.

I mormorii del resto della classe accompagnarono il suono prodotto dallo scorrere delle pagine del dizionario e quello della penna che lasciava segni indelebili sui fogli del quaderno.

Per un po’ fu tutto tranquillo, eccezion fatta per i battiti del cuore di Alessio, ma presto quell’apparente calma fu spezzata dalla voce di Leonardo.

“Allora ehm… Giuseppe…”

“Giovanni”.

“Sì, ecco, ho saputo che sei un ottimo traduttore. Sai, io mi sono trasferito quest’anno da uno scientifico, non me la cavo affatto bene col greco…”

“Vai dritto al punto” tagliò corto Giò, seccato come l’amico non l’aveva mai visto.

“Mi chiedevo: potresti darmi ripetizioni? Ovviamente ti pagherò”.

Giovanni fece cadere la penna sotto al banco. Alessio si abbassò per poterla raccogliere, non aspettandosi che anche Leonardo l’avrebbe fatto e che le loro mani si sarebbero sfiorate.

“Aia!”

Quando sbatté la testa contro al banco, una risata generale scoppiò in aula. Il prof zittì tutti prontamente.

“Tutto bene fra?”

“Sì fra” disse massaggiandosi la testa.

L’attenzione tornò tutta su Leonardo.

“Mi spiace, ma il pomeriggio quando non sono col gruppo di scacchi vado in palestra”.

Bugia, Alessio lo sapeva bene. Nemmeno sotto tortura Giò sarebbe andato in palestra.

“Però Alessio può darti una mano, non se la cava male”.

Sussultò. Ora l’attenzione della classe intera era rivolta a lui. Guardò per sbaglio gli occhi di Leonardo e subito capì: era anche lui a disagio.

Guardò Giò, disperato.

“E me lo dovrei accollare io per te?!”, voleva dirgli con gli occhi.

“Allora… mi darai tu ripetizioni?” lo sguardo di Russo era rivolto verso il basso.

Il professore si intromise, scostando appena il giornale che reggeva, prima che potesse rispondere: “Mi sembra un’ottima idea, però adesso parlate a bassa voce!”

Perfetto, ora ci si metteva pure il prof. Non gli era rimasta alcuna carta da giocare. Non sapeva nemmeno mentire spudoratamente, a differenza di Giovanni.

“Va bene. Se per te non è un problema, ci vediamo a casa tua dopo pranzo”.

“Senz’altro” si morse il labbro, scatenando le ragazze che buttarono giù dei sospiri.

 

L’oceano della memoria è vasto e ricco di scogli su cui le onde sbattono riversando su di essi la schiuma, destinata ad asciugarsi, a scomparire per sempre. Fuori dall’acqua, le forme di vita che risiedono in essa sono anch’esse destinate a morire. Eppure sono esistite, dei piccoli ricordi nell’abisso della memoria.

Leonardo chiuse a chiave la sua stanza, mentre il fastidioso rumore del campanello riecheggiava nella casa semideserta.

Lui era esistito.

 

Dopo l’iniziale imbarazzo, la lezione procedette senza intoppi per oltre un’ora. Ancora non era buio e Alessio aveva poca voglia di camminare fino a casa. E poi c’era un pensiero che lo tormentava. E non era Leonardo nudo, non doveva esserlo. Piuttosto, credeva fosse il momento perfetto per porgli la fatidica domanda. Un po’ lo imbarazzava, ma non poteva continuare così. Pensava che, toltosi quel sassolino dalla scarpa, forse non avrebbe più pensato a lui.

Russo tornò dalla cucina con in mano due bicchieri di aranciata. Quando si sedette, decise che era il momento.

“Leonardo, devo chiederti una cosa”.

L’altro lo guardò curioso.

Deglutì. “Tu sei il ragazzo più popolare che io abbia mai conosciuto. Tutte le ragazze ti adorano, eppure tu a quanto dici non sei mai stato fidanzato. Cosa ti trattiene?”

Sollevò lo sguardo su di lui, stupendosi. Leonardo, sempre solare e allegro, era cupo in viso. Sembrava che l’avesse ferito, forse aveva toccato un tasto dolente. Si sentì in dovere di rimediare.

“Aspetta, non voglio farmi gli affari tuoi, solo che… sono anni che desidero una ragazza, ma non sono mai piaciuto a nessuno, ho pensato che se nemmeno tu hai avuto relazioni nemmeno io… insomma, avrei avuto speranze, ecco…”

“È così che mi vedi?”

Lo sguardo di Leonardo lo spiazzò. Non aveva mai visto nessuno in quel modo prima d’ora se non Giò ogni volta che si sbucciava un ginocchio da bambino. Sembrava – era – sul punto di piangere.

“Vuoi una ragazza? Va’ fuori e cercatela, stando qua dentro non troverai nulla”.

L’aveva ferito. Non capì dove, non capì quanto, ma l’aveva spezzato. E anche lui si sentì triste.

“Scusami, io…”

“Non sto scherzando”, si alzò dalla sedia e gli diede le spalle. “Va’ fuori”.

 

L’oceano ci allontana,

trascinati dalle sue correnti

vaghiamo, nell’immensa distesa

in cerca di un appiglio

e magari l’uno dell’altro.

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Capitolo 2
*** L'oceano della memoria ***


L’oceano della memoria

 

 Vagava solo in una spiaggia deserta, le onde scandivano gli istanti al posto dell’orologio che in estate non portava.

Se avesse avuto una ragazza, l’avrebbe tenuta per mano sotto il manto stellato che lo sovrastava in quel momento, intrappolato nella gabbia della solitudine. Aveva sempre desiderato una relazione con il sesso opposto, un desiderio che gli riempiva la mente costantemente, logorandola. Chissà perché, poi. Forse aveva solo letto troppi romanzi o visto troppe coppie in giro. Perché lui non riusciva a trovare nessuno?

Una sagoma in lontananza attirò la sua attenzione. Era la prima volta che nella spiaggia della solitudine qualcuno si manifestava.

Non gli ci volle troppo tempo per riconoscere quel qualcuno.

Leonardo Russo.

Man mano che si avvicinava, Alessio poteva osservare ogni cosa di lui: i capelli scuri scompigliati dal vento, gli occhi dal colore intenso, il corpo muscoloso fasciato solo da un costume aderente.

Era di fronte a lui e sorrideva come se stesse guardando la cosa più preziosa dell’universo.

Alessio sorrise a sua volta, inondato da un calore che riscaldò la sua anima congelata in quel luogo solitario.

“Ale, voglio dirti una cosa”.

Non capiva perché, ma sapeva già cosa stava per dirgli.

Il sorriso di Leo però scomparve, insieme alle certezze di Alessio. Un vento freddo scacciò tutto il calore e la sua anima si congelò nuovamente in quell’istante, scandito da un’onda che si abbatté sugli scogli.

“Vuoi una ragazza? Va’ fuori e cercatela, stando qua dentro non troverai nulla”.

Il gelo lo fece piegare su se stesso, braccia strette al bacino, denti serrati.

Una sensazione familiare, che aveva provato al suo risveglio in ospedale dopo quell’estate di vuoto e, più intensamente, nel salotto di Leonardo quando lui gli aveva voltato le spalle.

 

Quel mattino si sentiva più stanco che mai. Aveva dormito, aveva sognato, eppure la stanchezza gli pesava sulle spalle come un macigno.

L’aula era gremita di studenti, le voci riecheggiavano tutte insieme nella stanza, risultando assordanti alle orecchie di Alessio.

Di Leonardo Russo neanche l’ombra. Era la prima volta che si assentava da quando si era trasferito in quella scuola. Tutti si stavano chiedendo dove fosse finito, cosa gli fosse successo, neanche fosse un attore che non si presentava a lavoro.

Giò si sedette accanto ad Alessio, lo sguardo apprensivo anticipò la sua domanda: “Cos’è successo con Leonardo?”

Non l’aveva nemmeno chiamato fra. Doveva avere un aspetto pietoso quella mattina. Era stanco, non riusciva nemmeno a mentire.

“Si è comportato come se l’avessi ferito quando gli ho chiesto perché non avesse una ragazza”.

Giò fu sorpreso. “Forse hai toccato un tasto che non avresti neanche dovuto sfiorare. Capita, non ti abbattere, gli passerà”.

Alessio sospirò, prima di incrociare le braccia per nascondersi la faccia. Si sentiva terribilmente in colpa, forse più di quanto avrebbe dovuto.

Aveva scoperto il punto debole dell’odioso Leonardo, allora perché non si sentiva affatto felice?

Chiuse gli occhi nella sua gabbia protettiva, piombando nell’oscurità, spezzata da due gemme verdi. Erano occhi, i suoi occhi.

 

La spiaggia, le stelle, l’odore di salsedine, il sapore della bocca di Leonardo. Tutto ciò che amava di più al mondo era lì ad avvolgerlo in un abbraccio che non avrebbe mai voluto sciogliere.

Contemplare ogni cosa di lui era diventato il suo passatempo preferito, insieme alle loro chiacchierate, le loro carezze, il sesso. Tutto ciò che sembrava riguardare il suo nuovo – e primo – partner esercitava su di lui un’attrazione pungente, che non aveva mai provato nei riguardi di altre persone, nemmeno delle cose.

Una volta si chiese se anche per lui fosse lo stesso, ma i suoi occhi verdi misero subito a tacere ogni dubbio.

Si trovavano in spiaggia, Leonardo steso completamente sulla sabbia, mentre Alessio teneva poggiato il capo sul suo petto. Quel momento lo avrebbe sicuramente impresso a fuoco nella sua mente, non aveva dubbi. Era uno dei più bei momenti della sua vita, che, si rese conto, era stata davvero vuota prima di lui.

“Cosa c’è, Ale?” la sua voce era accompagnata dal rumore delle onde, che si infrangevano sugli scogli.

“Vorrei stare così per sempre” gli sfuggì.

Leonardo in risposta ammiccò con lo sguardo. Se da un lato gli piaceva quel suo sorrisetto furbo, dall’altro lo imbarazzava quand’esso era rivolto a lui.

“Ne avremo di occasioni per stare così, ti ricordo che stiamo insieme”.

Alessio arrossì. “Scemo, non me lo dimentico mica”.

Leonardo volse il suo sguardo alle stelle, sognante, tanto da farlo diventare geloso di quegli stessi corpi celesti.

“E se così non dovesse essere, ci rimarrebbe sempre il ricordo”.

Il ricordo.

Il ricordo.

Il ricor…

 

“Fra! Alessio! Svegliati!”

La voce di Giovanni giunse alle sue orecchie prima che l’immagine di lui che piangeva arrivasse ai suoi occhi.

Ci volle un po’ prima che mettesse a fuoco tutti gli altri, radunati attorno al suo banco, visibilmente interessati a lui e a quello che stava facendo. Cercò di capire cosa stesse facendo per aver attirato tutta l’attenzione su di sé. Si sentì umido sulle guance, probabilmente stava piangendo, nel sonno, pensando ad eventi che non erano mai avvenuti.

Per giunta dedusse che avessero provato a svegliarlo più volte, osservando il volto sconvolto di Giò. Se sentì in colpa verso di lui.

“Fra, sto bene” cercò di rassicurarlo.

Gli altri se ne tornarono al loro posto, constatato che nulla di interessante fosse successo. Dopotutto loro non potevano sapere, a differenza di Giò, quel che era successo verso la fine di quell’estate. L’ospedale e gli svenimenti.

La professoressa di storia e filosofia lo squadrò nel tentativo di trovare in lui qualcosa che non andasse, ma prontamente rassicurò anche lei.

“Battaglia, ti consiglio di tornare a ca…”

“Prof, scusi il ritardo!”

 

Quella mattina non voleva proprio saperne di andare a scuola. L’oceano lo aveva inghiottito e ormai era troppo lontano dalla riva. Si chiese perché, allora, più tardi si trovasse di fronte alla porta della classe, cosa lo avesse ritrascinato a riva.

Conosceva benissimo la risposta, in realtà. Colui che era in grado di farlo sprofondare aveva anche il dono di farlo tornare a riva. Alessio Battaglia.

“Prof, scusi il ritardo!”

Ma ciò che ottenne non fu un’occhiata scocciata da parte di lei, bensì fugace, come se non le importasse un accidente di lui in quel momento, come se avesse altro a cui pensare.

Fu quando si rese conto di chi fosse quell’altro, che ora stava braccia conserte sul suo banco, che per poco non gli cedettero le gambe. Aveva pianto.

L’oceano lo inghiottì nuovamente.

 

Leonardo Russo era appena entrato, tutto trafelato, il respiro corto. La tracolla gli cadde dalla spalla e lui non fece nulla per riprendersela.

Il cuore iniziò a battergli a mille quando i loro occhi si incontrarono.

Fece per boccheggiare qualcosa, quando l’urlo di Russo squarciò il silenzio.

“ALESSIO!”

Corse come un fulmine nella sua direzione, noncurante delle occhiate lanciategli dai loro compagni. Gli prese inavvertitamente il viso tra le mani, avvicinando il proprio.

Aveva uno sguardo a dir poco terrorizzato, che non aveva mai visto a nessuno al di fuori degli attori delle soap che guardava sua madre. Dal canto suo, quella reazione lo aveva lasciato esterrefatto.

Leonardo incatenò gli occhi nocciola di Alessio ai suoi due smeraldi, in modo tale che non potesse più sfuggirgli.

Per un attimo, pensò che non avrebbe mai voluto sciogliere quel legame, ma sfortunatamente ci pensò Giovanni ad allontanarli, dando uno spintone a Russo.

“E tu non ti permettere di toccarlo!”, gridò, le lacrime agli occhi.

“Guerrini!” gridò la prof, ma fu ignorata.

Giò doveva averne piene le tasche di lui, perché subito dopo si sfogò, sotto lo sguardo implorante di Alessio, che gli chiedeva di smettere con gli occhi.

“Sono arcistufo di te! Arrivi qui con quell’aria da santarellino e pretendi che tutti cadano ai tuoi piedi, ma non noi! E smettila di tentare di abbindolare anche Alessio, a lui stai solo antipati…”

“LO SO!”, lo interruppe Leonardo, puntando gli occhi severi verso di lui. “Lo so, ma non chiedermi di smettere”.

Si avvicinò, sguardo deciso, pugni serrati. Tutti si sarebbero aspettati un pugno, delle cattive parole, imprecazioni, eppure quel che disse dopo fu d’impatto ben maggiore: “Non chiedermi di smettere di rinunciare all’uomo che amo”.

 

 

Silenzio. Dopo le parole di Leonardo, Giovanni udì solo un assordante, e per questo fastidioso, silenzio.

Ancora in stato di shock, si girò verso Alessio, ignorando le facce di tutti i presenti.

Il suo fra aveva ripreso a piangere.

 

 

Si rigirò nuovamente tra le coperte, come fosse in stato di agitazione; avrebbe anche potuto esserlo, eppure era calmo, aveva solo un po’ di adrenalina da scaricare.

Dopo la dichiarazione di Leonardo, la prof aveva perso definitivamente la pazienza e aveva mandato tutti a sedere. Dopo un modulo di pesante silenzio, tutti si erano radunati al banco di Leonardo, chiedendogli spiegazioni. La maggior parte di essi aveva creduto si fosse trattato di uno scherzo e non aveva esitato a chiederglielo, ma lui aveva risposto, con aria seria, che non era affatto così.

Dopo aver udito quella conversazione, Alessio aveva violentemente sbattuto le mani sul banco, attirando l’attenzione di tutti. Aveva deciso di seguire il consiglio della professoressa, così era andato in segreteria a chiamare sua madre, scortato da un preoccupato Giovanni.

Quella sera, l’amico lo aveva chiamato per chiedergli come stesse, lui aveva semplicemente risposto di esser stanco tanto da non potersi trattenere a lungo al telefono con lui.

La verità era che si sentiva troppo in colpa nei riguardi di Giovanni, dopo tutto quello che gli aveva fatto passare quel giorno; non riusciva a sentire la sua voce senza che quei sensi di colpa affiorassero.

Si addormentò a fatica, niente affatto pronto per il giorno successivo.

Come avrebbe affrontato Giovanni? Come avrebbe guardato in faccia Leonardo? Quelle domande misero ancora più in disordine i suoi pensieri tanto che, la mattina seguente, come da qualche giorno a quella parte, arrivò in classe stanco.

Giovanni era assente, constatò un’ora dopo, non vedendo di lui nemmeno l’ombra. Più tardi l’avrebbe chiamato, promise a se stesso.

Ogni volta che lui mancava, Alessio si sentiva terribilmente solo, solo in mezzo ai lupi. Aveva sempre avuto difficoltà a socializzare e Giovanni era l’unico a saperlo e ad aver provato ad aiutarlo. Con lui si sentiva più sicuro, più protetto. Ma quel giorno, proprio quel giorno, sarebbe rimasto in balìa dei suoi predatori, che ora lo scrutavano alcune con risentimento o stizza, altri con curiosità.

A ricreazione, poté udire in corridoio le voci che accompagnavano i suoi passi, il suo nome e cognome pronunciati, talvolta associati a Leonardo Russo.

Nessuno gli chiese niente. Nemmeno Leonardo gli aveva parlato. Credeva che, forse, andando avanti di questo passo, tutti si sarebbero dimenticati della sua storia e avrebbero ricominciato ad ignorarlo. Anche Leonardo. In realtà, per un fugace attimo, volle che Leonardo non si dimenticasse di lui e di quella strana cotta che si era preso, ma scacciò subito quel pensiero.

Si trovava in bagno, dopo il suono dell’ultima campanella, un luogo che sapeva sarebbe stato deserto a quell’ora. Prima di tornare in classe, si sciacquò il viso cercando di lavare via tutto quel che c’era dentro e fuori la sua testa. Fece per avviarsi, quando una delle porte che davano accesso ai bagni venne spalancata e lui fu trascinato nel bagno da una mano forte.

Quando si rese conto di avere davanti proprio Leonardo Russo, il suo cuore perse un battito. Indietreggiò andando a sbattere contro la porta, che era stata nuovamente chiusa.

Aveva il volto e i capelli bagnati dall’acqua del rubinetto e le gote completamente arrossate. Doveva essere ridicolo.

Leonardo fortunatamente male interpretò quel suo gesto, come gli fece capire con le parole: “Tranquillo, non ho intenzione di fare nulla che vada contro la tua volontà. Non lo farei mai”.

Nonostante quel che aveva detto, gli si avvicinò pericolosamente. Il suo volto era nuovamente vicino; la vicinanza creò quella magia che ogni volta li trascinava in un altro mondo.

“Mi odii?” il tono con cui aveva pronunciato quelle parole sembrava amplificare la disperazione che Alessio leggeva nei suoi occhi. In quei giorni, aveva avuto modo di conoscere un Leonardo diverso, quantomeno da come appariva. Quella gabbia dorata che lo separava da lui sembrava esser stata distrutta da Leonardo stesso e la cosa gli faceva… piacere. In qualche modo, quel ragazzo lo aveva attratto a sé come fosse un bambino che di notte attirava le falene con una lampada luminosa, per imprigionarle nella sua rete sottile; solo che, a differenza delle falene, Alessio poteva pensare, ragionare, e i suoi chiassosi pensieri convenivano su una sola questione: a lui Leonardo non dispiaceva affatto. Era ancora confuso, data la rapidità con cui tutto era successo, e più di questo non era disposto ad ammettere, ma le cose stavano in quel modo, prima o poi avrebbe dovuto accettarlo.

“Non ti odio” scoprì una fermezza che sembrava non aver mai posseduto.

Leonardo sembrò esterrefatto: spalancò gli occhi e dischiuse appena le labbra, prima di sorridere, visibilmente rincuorato. Si prese una lunga pausa prima di parlare: “Scusami, davvero, non avrei voluto che le cose andassero così. Avrei voluto dirlo a te soltanto, quando fosse arrivato il momento”.

Alessio si morse il labbro, facendo sussultare Leonardo. Vista quella reazione, s’imbarazzò.

“Ormai il danno è fatto, dobbiamo convivere con le conseguenze”.

“Alessio”.

Nell’udire il suo nome pronunciato con tanta serietà, si raddrizzò, attento ad ogni sua mossa. Leonardo lo guardò severo, pronunciando quelle parole: “Credi che potremmo essere amici? So che tu desideri una ragazza ed io non voglio ostacolarti. Ma mi farebbe piacere essere qualcuno che conta per te, anche solo un amico”.

A quelle parole, Alessio ricordò ciò che era successo nel salotto di Leonardo. Ora tutto quadrava: Lonardo era innamorato di lui, per questo motivo aveva reagito in quel modo. I sensi di colpa piombarono su di lui come macigni.

“SCUSAMI! Non avevo idea dei tuoi sentimenti” iniziò, tutto trafelato, come se avesse corso, “Naturalmente potremo essere amici, se a te vado bene!”

Leonardo sfoggiò un sorriso che lo fece arrossire. “Mi va bene, più che bene”.

Si chiese se davvero gli andasse bene, andandosene da quel bagno verso la sua classe. Leonardo lo aveva seguito ed ora lo stava aspettando. Ripose tutto il materiale scolastico nella cartella ed uscì insieme a lui. Quando dovettero salutarsi, vide Leonardo avvicinarsi a lui. Chissà cosa si aspettava, in ogni caso ciò che Leonardo gli diede fu solo una pacca sulla spalla, prima di sparire dietro l’angolo.

 

 

Le correnti ci riavvicinano,

Anime sole che si ritrovano

Tra la schiuma di mare.

Eppure è ancora notte,

Troppo presto per riuscire a vederci.

O troppo tardi.

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Capitolo 3
*** L'estate sta finendo ***


L’estate sta finendo

 

Il salotto di casa era pieno di scartoffie e valigette che suo padre aveva accuratamente posizionato per poterci lavorare.

Leonardo odiava quando non staccava gli occhi dal pc, anche mentre lui o sua madre gli parlavano. Quei momenti erano comunque diventati molto rari, considerato che entrambi avevano perso le speranze.

Passò di lì velocemente, giusto il tempo di lanciargli una fugace occhiata, prima di chiudersi in camera sua. Prese in mano una fotografia e si gettò sul letto, i tiepidi raggi del sole che penetravano dalla finestra nemmeno lo sfioravano, dal momento che il letto si trovava in un angolo, circondato da due pareti, l’una vuota, l’altra, quella ove rivolgeva il capo nel letto, ospitava la finestra scavata nel lato sinistro della stanza, la zona opposta a quella in cui si trovava lui. Le pareti erano di un verde molto chiaro, il mobilio antico.

Una camera che non avrebbe mai voluto mostrare a nessuno, ma non per quelle ragioni. L’unica vera ragione la stava rigirando tra le mani.

Guardò la fotografia, pensieroso. Quando i suoi avevano scoperto della sua relazione – la prima e sola, per giunta – gli avevano fatto una bella lavata di capo, ma qualche giorno dopo tutto era tornato alla normalità, come se non fosse successo nulla.

In effetti, chi se lo sarebbe mai aspettato che si sarebbe potuto innamorare di lui.

 

 

 

“Ah, Leo!”

Le spinte di Leonardo erano veloci, chiassosi invece erano i suoi gemiti e le sue urla.

Alessio amava sentirlo dentro di sé; amava quel familiare dolore misto al piacere che le loro carni gli facevano provare ogni qual volta sfregavano le une con le altre.

Eppure ogni volta desiderava sempre di più, non soltanto fisicamente. Cosa, di preciso, non riusciva proprio a capirlo.

Alle volte, avrebbe voluto averlo tutto per sé, rinchiuderlo nella gabbia del suo cuore per non farlo uscire mai più. Ogni volta, tuttavia, si rendeva conto di quanto egoistico fosse quel desiderio. 

Vennero quasi insieme, Leo pochi secondi prima di lui.

Leonardo si accasciò accanto a lui e iniziò ad accarezzargli la nuca. Aveva appreso che era il tipo che coccolava, dopo il sesso; a lui, per fortuna, faceva piacere.

“Ale” sussurrò, assonnato.

“Dimmi”.

“L’estate” mormorò, in procinto di addormentarsi.

“Cosa?”

“L’estate sta finendo”.

 

 

 

“Accidenti, questo maldetto raffreddore proprio non ci voleva” mormorò Giò, il naso ancora avvolto nel fazzoletto.

La sera prima, al telefono, aveva scoperto che proprio un forte raffreddore era stata la causa della sua assenza da scuola, non la rabbia che aveva provato per tutto il giorno precedente. Dal canto suo, si era sentito rincuorato. Giovanni era una persona insostituibile, importante quasi al pari dei suoi genitori, non avrebbe voluto perderlo per niente al mondo.

In quel momento, fece il suo ingresso Leonardo Russo, che subito gli fece un cenno per salutarlo. Senza accorgersene nell’immediato, Alessio aveva sorriso. Si ridestò una volta notato lo sguardo disgustato di Giò.

“Quindi voi due ora siete amici?”

Si fece quatto quatto sulla sedia, come se si trovasse nel bel mezzo di uno scomodo interrogatorio. “Sì, in un certo senso…”

Giovanni si limitò a spostare lo sguardo su Leonardo, imitato ben presto da Alessio. Si era seduto al suo solito posto e subito era stato circondato dai suoi amici che, notò, erano diminuiti.

Fino ad ora si era preoccupato soltanto di se stesso, senza pensare alle conseguenze che le azioni di Leonardo avrebbero avuto su di lui e sulla sua popolarità. La cosa che più lo stupiva, era che sembrava non gli importasse nulla. Era sempre il solito, anzi, si azzardò a pensare fosse ancora più allegro di prima. Davvero gli importava così tanto di quella cotta? Soprattutto, era davvero una semplice cotta passeggera? La verità era che non sapeva nemmeno cosa sperare, ed era veramente stupito da se stesso perché addirittura sperava.

Le lezioni proseguirono tranquillamente e Alessio fu addirittura interrogato in storia insieme a Leonardo, che dell’800 sapeva ben poco. Durante l’interrogazione alla cattedra, si erano scambiati diverse volte degli sguardi; Alessio era un po’ agitato, ma lo sguardo rassicurante di Leonardo era bastato a placare l’ansia. Non gli era mai successo, nemmeno Giò era mai stato in grado di calmarlo.

Nemmeno quando la professoressa segnò sul registro, accanto al nome di Leonardo, un quattro bello tondo lui aveva smesso di sorridere. Quella era la prima volta che loro due venivano interrogati insieme; si chiese se per Russo fosse stato un momento importante. Se per lui, Alessio, lo fosse stato.

A ricreazione, Leonardo gli si avvicinò, un po’ titubante. “Allora, domani abbiamo greco. Ci saresti oggi pomeriggio per delle lezioni?”

“Senz’altro” non si era reso immediatamente conto di aver risposto prontamente e senza esitazione.

Tutti in classe li stavano fissando, probabilmente figurandosi un tipo di lezione diverso da quello che era nei loro piani. Pensandoci, arrossì violentemente; per nascondere il rossore fu costretto a chinare il capo.

Ma Giò non se l’era bevuta. “Fra, sei imbarazzante”.

 

Leonardo gli aprì quasi subito, come se lo stesse aspettando dietro la porta. In casa, quella volta, c’erano i suoi genitori: una donna all’apparenza molto giovane che teneva legati da un lato i capelli ramati, un uomo dai folti capelli neri e gli occhiali, dallo sguardo severo. Leonardo aveva i colori del padre, ma lo sguardo vivace era quello della madre.

“Bentorn… uhm, benvenuto, Alessio” la voce della signora era squillante e sembrava entusiasta per qualche motivo. Si chiese se i suoi genitori sapessero della cotta del figlio per lui.

Il signor Russo lo salutò con un cenno, con fare scocciato, prima di tornare chino sul suo portatile,

“Scusami, non ricordavo che oggi fosse il loro giorno di riposo” fece Leonardo, imbarazzato.

Scoccò un’occhiata all’uomo che era completamente assorto dal suo pc; di riposo quella giornata doveva avere ben poco, per lui.

“Figurati, allora andiamo in camera tua?”

Dopo aver formulato quella domanda, arrossì. Aveva agito d’istinto, non considerando il fatto di avergli proposto di stare in una camera con un letto, per di più la sua camera. I sogni che continuava a fare non lo aiutavano a sminuire la tensione e l’imbarazzo.

Leonardo, più che imbarazzato, sembrava pensieroso. Attese lunghi attimi prima di una risposta: “Va bene, però fammi il favore di non toccare niente, sono… geloso delle mie cose”.

Quella richiesta sembrò davvero strana. Con questo pensiero s’incamminò per le scale verso una porta in legno, che venne prontamente aperta da Leonardo. Si era aspettato chissà quale arredamento, tantissimi poster e fotografie, invece era una stanza abbastanza anonima, dalle pareti spoglie, un armadio, una scrivania, un letto e il mobiletto accanto ad esso.

“Leonardo” disse, d’istinto, attirando su di sé l’attenzione dell’altro, “mi rendo conto di non conoscerti affatto”.

L’altro sorrise debolmente. “Lo so. Che ti aspettavi?”

Con lo sguardo ancora perso nella stanza semivuota, Alessio rispose: “Mia aspettavo avessi tante foto dei tuoi amici, tanti poster di band, magari qualche trofeo di calcio”.

Si sedettero sulle sedie poste di fronte alla scrivania, molto piccola perché non potessero stringersi.

“Beh, ho dei trofei sparsi per casa. Di band, non ne seguo nessuna, ascolto per lo più lirica”.

A quella dichiarazione, Alessio spalancò gli occhi. Leonardo Russo ascoltava musica lirica. Da non crederci.

“Wow, non ti facevo un tipo con quegli interessi. È davvero forte!”

Leonardo si grattò il retro della nuca con la mano sinistra, aveva l’aria compiaciuta.

“Io invece sono più un tipo da Queen”, confessò.

“Lo so”, mormorò l’altro, con un tono che pareva quasi nostalgico.

Lo guardò con fare interrogativo, al che Leonardo sembrò rendersi conto di quel che aveva detto.

“L’hai detto al tuo amico in classe”, fece, guardando da un’altra parte.

Non sembrava molto convinto delle sue parole, Alessio non lo era per niente. Giò amava il rap italiano, lui i Queen, perciò, non avendo gusti musicali in comune, parlavano davvero di rado di musica, se non mai.

Doveva essersi informato, dopotutto Alessio era il ragazzo che gli piaceva, era normale. Anche lui voleva sapere di più su Leonardo, lo aveva molto incuriosito.

“È presto, se vuoi possiamo parlare un po’”.

Lui gli sorrise. “Senz’altro”.

Scoprì che Leonardo era cresciuto in campagna, in compagnia di puledri e mucche. Per un amante della natura, la montagna ove suo zio faceva pascolare le pecore era il paradiso. Giocava spesso ad arrampicarsi sugli alberi, coglieva frutti, correva con i cani. Aveva persino cavalcato.

Alla morte di suo zio, che aveva vissuto con loro, si era trasferito in una piccola provincia dove suo padre aveva trovato lavoro. A seguito della promozione di suo padre, fu costretto a trasferirsi nuovamente, nella grande città in cui si trovavano adesso.

“E qui ho incontrato il mio primo amore”, disse a un tratto, sognante.

Alessio sussultò, aspettandosi che si ridichiarasse, ma ben presto quest’ipotesi – o speranza? – venne scartata.

“Il mare”.

Disse che l’ultima estate fu la più bella della sua vita, ma omise i dettagli. Alessio non glieli chiese, d’altronde meno parlava di quell’estate per lui nera, meglio era.

Scoprì inoltre che non seguiva il calcio, piuttosto amava giocarci.

A quel punto, iniziò a parlare di lui. Non perché si sentisse in dovere di farlo, fu anzi un gesto molto spontaneo.

Non aveva vissuto chissà quale vita: nato e cresciuto in quella città, il suo unico amico era stato Giovanni. Si interessava di badminton e di giardinaggio, occupazioni che qualsiasi altro avrebbe etichettato come da vecchi, eppure Leonardo non batté ciglio.

Quel pomeriggio lo trascorsero più parlando che studiando, ma Alessio ne fu comunque felice. Ogni volta che Leonardo apriva bocca, lui rimaneva incantato dalla sua voce, dal movimento delle sue labbra, dal suo modo di esporsi, da come i suoi occhi guizzavano da una parte all’altra, mossi dall’entusiasmo; quando essi si soffermavano su di lui, poi, sentiva le farfalle nello stomaco, una sensazione estranea, ma che non era poi così spiacevole.

Quando fu costretto ad andarsene, si sentì triste. Avrebbe voluto trascorrere più tempo in sua compagnia, sapere di più su di lui, avere tutto di lui.

Sull’uscio della porta, fu costretto da se stesso a scacciare quel pensiero, decisamente in linea con i suoi sogni, ma così poco con il suo atteggiamento degli ultimi mesi.

Si voltò verso Leonardo, la cui sagoma era contornata dalla luce del lampadario del corridoio. Ancora stava sorridendo, eppure percepì che anche lui non era felice. Lo vide estrarre qualcosa dalla tasca, riconobbe delle banconote.

“Non devi! Ora siamo amici, non accetterei mai soldi da un amico”, si affrettò a precisare. I suoi soldi, a quanto pare, erano l’unica cosa che non desiderava di lui.

Leonardo non insistette, ma si avvicinò, facendo aumentare le palpitazioni del suo cuore. Poteva di nuovo scorgere le sue bellissime lentiggini, costellazioni che brillavano nel cielo più bello che avesse mai visto.

“Almeno permettimi di ringraziarti”.

Gli accarezzò la guancia con la sua grande mano destra; carezze lente, ma che gli fecero venire i brividi. Si avvicinò ancora di più, tanto che per un folle attimo sperò che stesse per baciarlo sulla bocca, invece le sue labbra si posarono sulla guancia libera. Il primo bacio che gli diede lo face arrossire, ma fu al secondo bacio che la sua mente venne totalmente annebbiata. Un contatto così intimo non lo aveva mai avuto con nessuno, né tantomeno pensava sarebbe giunto così presto il momento anche per lui di averlo. Chiuse gli occhi e si godette i baci che seguirono il primo, sempre indirizzati alla sua guancia. Istintivamente, girò appena il capo per avvicinare le labbra di Leonardo alle sue, consentendogli finalmente di baciare il lobo della sua bocca. Finalmente avrebbe potuto assaggiarlo, finalmente…

“Leo, vieni a darmi una mano in cucina!”

Leonardo si staccò bruscamente, il volto in fiamme, quasi quanto doveva averlo lui. Si voltò verso il corridoio e fece in modo che la sua voce raggiungesse la madre in cucina: “Arrivo, ma’!”

Alessio, imbarazzato e confuso al tempo stesso, non perse tempo: “Allora ci vediamo a scuola, buona fortuna con il greco!”, fece, prima di scappare verso casa. Si voltò una sola volta, per guardare la sagoma di Leonardo che si allontanava sempre di più; non capiva, da quella distanza, che espressione avesse, ma non riuscì a non sperare in un sorriso.

 

Il giorno dopo Leonardo andò discretamente all’interrogazione di greco, cavandosela con un cinque e mezzo, sempre e comunque meglio dei tre e quattro che prendeva di solito.

Si erano salutati, visibilmente imbarazzati, ma nulla di più. L’intera classe aveva notato quel loro atteggiamento e i mormorii avevano presto preso il posto delle solite chiacchiere ad alta voce tra compagni.

Il mattino seguente, sabato, Giò era andato a trovarlo con un cesto di agrumi, che ad Alessio piacevano tanto. Erano seduti sul tappeto della sua stanza, intenti a sbucciare arance, quando Alessio sganciò la bomba, frutto di due notti di ragionamento: “Mi piace Leonardo”.

Giò per poco non si tagliò con il coltello. “Fra, sei impazzito?!”

Lo guardò serio, sperando capisse la sua situazione. “Sì, sono impazzito”.

Il suo fra aveva l’aria di uno che aveva appena pescato uno scarpone dalle acque di un lago, invece di un bellissimo esemplare da portare a tavola. “Senti, oggettivamente parlando, è un bel ragazzo, e potresti anche essere gay, non ci sarebbe nulla di male, ma quello ha proprio la puzza sotto il naso, non è una persona degna di fiducia”.

“Anche io lo pensavo”, iniziò a replicare, “ma ti assicuro che conoscendolo è diverso da come noi ce lo siamo figurato”.

“Ah sì, e da quanto lo conosci? Da questa settimana?”

“Giovanni” quando lo chiamava in quel modo qualcosa tra loro due non andava, “Non mi è mai piaciuto nessuno. Con nessuno ho mai avuto la chimica che ho con Leonardo, nessuno mi ha mai scombussolato tanto, sono fottutamente eccitato quando lo sogno. Ci ho riflettuto parecchio e sono giunto a questa conclusione: mi piace, non posso farci niente”.

Silenzio. Giovanni parlò dopo uno straziante, doloroso, silenzio: “Hai ragione, non ti ho mai visto così”.

Posò l’arancia e il coltello e per un attimo Alessio credette che stesse per andarsene, invece si avvicinò a lui e lo abbracciò. “Non mi fido di quello, non voglio che ti spezzi il cuore, ma se tu sei così deciso io non posso far altro che sostenerti e consolarti se andrà tutto male”.

Alessio ricambiò l’abbraccio, rincuorato. “Grazie fra”.

 

 

 

Non ricordo più

quel mare blu

che ci sovrastava

con le sue onde,

il tempo che si fermava,

tra noi due sponde.

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Capitolo 4
*** Passeggiata pomeridiana ***


Passeggiata pomeridiana

 

 

Due notti trascorse nell’insonnia gli erano servite a fargli ammettere ciò che in realtà aveva capito da tempo: a lui Leonardo piaceva, molto.

La prima notte si era girato e rigirato nel letto, cercando di non pensare troppo a quello che era successo quel giorno. Purtroppo per lui, le immagini di loro due sull’uscio della porta si accavallavano nella sua mente, negandogli il riposo. Aveva riflettuto sulle sensazioni che aveva provato, sul piacere, sul desiderio che quel momento non finisse mai. Si era stretto il cuscino al petto quasi fosse la vergogna che provava. Con quelle sensazioni era andato a scuola, aveva salutato Leonardo e aveva evitato di parlare più del dovuto con Giò. Dopo una giornata di studio in cui era quasi riuscito a dimenticare, insieme alla sera tornarono i pensieri e con essi la consapevolezza di ciò che provava per Leonardo. Aveva letto troppi libri per non conoscere i sintomi dell’innamoramento.

La notte tra venerdì e sabato lo accettò. Il giorno dopo fu Giò ad accettarlo.

Sapeva che sarebbe stato difficile stare con uno popolare come lui, anche perché erano entrambi ragazzi e, francamente, non sapeva né voleva sapere cosa i suoi genitori avrebbero pensato di lui. Aveva paura di deluderli, ma non avrebbe per questo rinunciato a quel giovane sentimento, che avrebbe voluto coltivare insieme all’oggetto del suo interesse.

Lunedì sembrava non voler mai giungere, tanto era impaziente di vedere Leonardo. Quando finalmente l’alba di quel giorno gli annunciò che la sua attesa era ormai giunta al termine, Alessio si preparò in tutta fretta e fu addirittura il primo ad arrivare in classe. Ciò che non si sarebbe mai potuto aspettare, era che Leonardo sarebbe arrivato secondo. Quando i due incrociarono i loro sguardi, arrossirono lievemente, sorridendo.

“Buongiorno, come stai?” fu Leo il primo a parlare.

“Molto bene!” sfuggì ad Alessio, che a stento riusciva a contenere la sua felicità nel vederlo.

Visto che ancora non c’era nessuno, Leonardo posò il suo zaino al suo posto e poi si diresse verso il banco di Alessio. Si sedette nello stesso posto in cui si era seduto la settimana precedente e nel medesimo modo. Appoggiò i gomiti sulla parte superiore dello schienale, prima di parlare.

“Ehm, a proposito dell’altra sera…”

“Leonardo!” Carla, una compagna di scuola più grande, fece capolino dalla porta tutta entusiasta. Peccato che il suo entusiasmo venne smorzato alla vista di loro due soli e vicini.

“Dimmi” fece Leonardo, con il solito sorriso di circostanza, tradito però dal tono leggermente infastidito.

L’altra non perse tempo, dopo aver gettato uno sguardo carico di rancore verso Alessio, che rispose guardandola male a sua volta. “Ti ricordo che oggi mi avevi promesso di passare al supermercato. Dobbiamo comprare del cibo per il festino di Domenico”.

“Ah” fece Leonardo, che sembrò avere un’illuminazione, “mi era passato di mente, grazie di avermelo ricordato!”

Carla sembrò seccata udendo le sue parole, tuttavia ci mise un secondo a mascherare il suo stato d’animo con un sorriso.

“Figurati, a dopo le lezioni!”

Già, Leonardo rimaneva pur sempre il più desiderato della scuola. Scommetteva che tutti sperassero che la cotta per lui gli passasse in fretta. Di quel festino, tra l’altro, non sapeva proprio nulla. Appartenevano a due mondi completamente diversi.

“Alessio, mi stai ascoltando?”

Si riscosse, un po’ triste.

“Scusami, cosa stavi dicendo?”

“Ti stavo chiedendo se volessi venire con noi questo pomeriggio”.

Quella proposta lo spiazzò.

“Ma… perché?” gli venne da boccheggiare, “Che c’entro io?”

Leonardo si fece serio in viso. Stava per dire qualcosa, quando Alessio lo anticipò: “E poi è evidente che lei voglia stare da sola con te, non vorrà scocciatori”.

“Alessio” anche il tono dell’altro sembrava serio, “Non dimenticarti che io sono innamorato di te”.

La campanella suonò e tutti i loro compagni si riversarono in classe. Leonardo fece per alzarsi, alla vista di un Giovanni palesemente sospettoso, ma prima gli chiese se intendesse o meno uscire con loro.

Alessio, ipnotizzato dai suoi occhi, si lasciò abbindolare.

 

Dopo pranzo, si fece trovare sul luogo dell’appuntamento: una strada parecchio affollata in centro città, di fronte al più grande supermercato che Alessio avesse mai visto. Constatò, guardando l’orologio, di essere parecchio in anticipo.

Mise le mani in tasca e si guardò intorno, studiando le persone che passeggiavano da sole, in compagnia di qualcuno, oppure con un cagnolino al guinzaglio. Persone diverse le une dalle altre, un arcobaleno di colori che si toccavano senza fondersi; chissà se erano innamorate come lo era lui, in preda a quel dolce turbamento che trascina chiunque nel suo uragano.

Era ancora pensieroso, quando si sentì chiamare da una voce femminile. Carla era arrivata e con lei il suo malumore.

“Cos’è, sei impaziente di vedere Leo?” disse scocciata, lisciandosi la gonna che ricadeva candida fino alle ginocchia.

Alessio, polo color borgogna e pantaloncini blu corti, si sentì improvvisamente fuori posto. Quello sarebbe dovuto essere l’appuntamento di Leonardo Russo ed una bellissima ragazza, lui non c’entrava niente. Carla ovviamente non fece nulla per farlo sentire a proprio agio, nemmeno quando, scocciata, discorse con lui del tempo, dei cani che passavano per strada, della roba da comprare.

Sembrò non riuscire più, ad un certo punto, a trattenere dentro tutto quello che voleva dirgli, così parlò: “Senti un po’, non montarti la testa solo perché piaci a Leonardo Russo, è evidente che la sua sia solo una cotta passeggera! Se ti piace, vedi di dimenticarlo, lo dico per te, potresti soffrirne”.

Sapeva bene che quelle parole fossero frutto della sua gelosia, che se anche fosse stato qualsiasi altra ragazza avrebbe sentito le stesse frasi. Eppure, non poteva non temere che ci fosse un fondo di verità e che Leonardo potesse disinteressarsi a lui con il tempo. Fece tutto il possibile per sorriderle come fosse noncurante.

“Grazie del consiglio, lo terrò a mente, forse”.

Quelle parole sembrarono indignarla, ma non ebbe il tempo di rispondere che una voce allegra sopraggiunse alle sue spalle.

Leonardo, maglietta blu notte e pantaloncini neri, era più bello che mai. Entrambi probabilmente erano rimasti a fissarlo per un bel po’ di secondi, prima di rispondere alla domanda che aveva loro rivolto, ovvero cosa stessero facendo.

“Leo, niente di che” rispose Carla su di giri, prima di attaccarsi come una cozza al suo braccio.

“Che bella coppia!” sussurrò un uomo alle spalle di Alessio, che in quel momento avrebbe voluto sprofondare.

In effetti, sembravano proprio una coppietta uscita da un qualche film per adolescenti: lui affascinate, atletico, dal sorriso smagliate; lei minuta, carina, dai folti capelli castani e la pelle abbronzata e i grandi occhi azzurri. Erano bellissimi insieme; se fossero stati i personaggi di un lungometraggio avrebbe fatto il tifo per loro. Ma quella non era la fantasia di un qualche regista, ma una realtà in cui lui era innamorato di colui che, nonostante l’evidente disagio, non lasciava andare la ragazza che lo stava tenendo a braccetto.

“Allora, vogliamo andare?” domandò Carla allegra, indicando il supermercato.

Con una voglia di camminare pari a zero e un atteggiamento che lo dimostrava pienamente, Alessio li seguì all’interno del negozio di alimentari, una volta entrati nel quale si divisero. Ovviamente, fu la ragazza a decidere per loro: lei e Leonardo al reparto bibite, Alessio al reparto snack. Prima di incamminarsi, vide il ragazzo che gli piaceva trascinato per un braccio; sussultò, quando Leonardo si voltò per guardarlo, ma la distanza non gli permise di decifrare quello sguardo. Con in cuore in gola, si avviò verso il reparto a lui assegnato, schiacciato ad ogni passo da mille pensieri che celavano ansie.

Perché Leonardo non aveva fatto nulla per scrollarsela di dosso? Cosa voleva comunicare con quello sguardo?

Fu quando ripensò a quel gesto che ricordò di avergli visto fare un lieve cenno con il capo verso il reparto dei surgelati.

Lasciò immediatamente le patatine che aveva preso e si diresse in quel luogo. Poco ci mancava che esplodesse dalla felicità, dopo aver visto Leonardo in piedi intento ad osservare i vari surgelati. Quando lo vide, il ragazzo dagli occhi verdi si illuminò in viso, invitandolo ad andare da lui.

Era incredibile come tutti i dubbi fossero stati scacciati da quel sorriso.

Quando gli fu vicino, constatò che il clima – per ovvie ragioni – non fosse dei più favorevoli per lui.

“Fa un po’ freddo” disse, notando che la sua voce era più squillante del solito.

Leonardo gli si avvicinò inavvertitamente e, per un attimo, credette di aver udito un: “ci speravo”, prima di essere avvolto da un suo braccio, che lo avvicinò a lui.

Il cuore prese a battergli violentemente e le gote iniziarono a bruciare. Per un attimo tutti i pensieri che poco prima avevano affollato la sua testa scomparvero e i rumori intorno a lui si placarono, lasciando che le sue orecchie udissero soltanto i battiti del cuore di Leonardo, altrettanto veloci. Chiuse gli occhi e si beò di quel momento che avrebbe voluto imprimere a fuoco nella sua mente, insieme ad ogni istante trascorso con lui. Era cotto a puntino.

“Leo!”

La voce squillante di Carla li fece sussultare, ma Leonardo, invece di lasciarlo andare, lo strinse ancora di più a sé.

“Ah, Carla! Io e Alessio stavamo pensando di prendere qualcosa dal banco dei surgelati da fare al forno quella sera, tanto siamo a casa sua, no?”

Carla sembrava fumante di rabbia, Alessio invece era imbarazzato come non mai. Anche altre persone si unirono allo sdegno che provava Carla, ma ad Alessio, forse perché quelle braccia gli infondevano parecchio coraggio, non importò più, ad un certo punto. Era lì, dove avrebbe voluto stare per sempre.

 

Usciti dal supermercato, Carla si incamminò furente verso casa che, stando a quel che diceva, non doveva essere molto lontana da quel punto.

Quando la sua sagoma sparì dietro l’angolo, Alessio si sentì più leggero, tanto che si stiracchiò come faceva sempre dopo un’intensa giornata di studio. Quando si ridestò, vide che Leonardo lo stava guardando divertito.

“Cosa c’è?”

“Niente, è solo che non ti si vede spesso così rilassato”.

Alessio sgranò gli occhi; Leonardo doveva averlo osservato molto durante l’anno scolastico per poter fare una constatazione del genere, il che lo rese felice.

“Vorresti conoscere il mio primo amore?” disse l’altro, improvvisamente.

Il mare.

“Volentieri”.

 

La massa d’acqua, ove il sole calante si rifletteva, si stagliava oltre la ringhiera che separava il marciapiede dalla spiaggia. Molte coppiette si stavano godendo il tramonto sulle panchine disseminate in punti strategici. Alessio e Leonardo invece preferirono scendere sulla spiaggia per poter calpestare la sabbia con i piedi nudi.

Leonardo e il mare: una delle più belle combinazioni che Alessio avesse mai avuto modo di vedere. Gli occhi verdi gli brillavano quando lui guardava l’acqua, quando toccava la sabbia, quando raccoglieva le conchiglie ridendo come un bambino. Sembrava nato per quell’habitat.

Bagnarono i piedi nella fredda acqua di maggio, rabbrividendo e sorridendo insieme. Non era mai stato così felice in vita sua.

“Vorresti vedere un posto?” disse Leonardo, titubante.

Alessio accolse quell’insolito invito e lo seguì fino ad un capanno smaltato di blu. Russo estrasse delle chiavi dalla tasca – Alessio sospettò che avesse programmato quella visita – e aprì la porta consentendogli l’accesso.

Era una stanza semivuota, che ospitava solo un letto e delle…

“…tavole da surf?” domandò, sorpreso dinnanzi quelle tre tavole colorate appoggiate al muro.

Leonardo ridacchiò. “Mio cugino, che abita oltreoceano, è un surfista. D’estate, ogni tanto, vengo a dormire nel suo capanno. È… rilassante”.

Ma Alessio aveva ascoltato ben poco. Tutta la stanza aveva catturato la sua attenzione, non perché fosse particolare, il motivo era che rassomigliava a quella del suo sogno.

“Alessio… forse è meglio uscire da qui”.

Il suddetto lo guardò dapprima stranito, poi tornò in sé, dicendosi che dovesse per forza essere una coincidenza.

“No, piuttosto, dimmi di più”.

Russo lo guardò preoccupato, prima di andare avanti. “Beh, lui è il figlio dell’altro mio zio, non quello che è morto. Abitava in questa città dapprima che venissi io. L’anno scorso, dal momento che si stava trasferendo in cerca di onde, mi lasciò tre tavole – alquanto inutili qui – e questo capanno. Qui ho trascorso delle serate… piacevoli”.

L’ultima affermazione non piacque molto ad Alessio, che subito si figurò Leonardo in compagnia di qualcun altro.

Doveva dirglielo. Doveva dichiararsi. Se non l’avesse fatto in quel momento, aveva il presentimento che non l’avrebbe mai più potuto fare.

“Leo”, sentendo il suo nome pronunciato in quel modo, l’altro ebbe una strana reazione.

Occhi negli occhi, verde smeraldo nel marrone della terra.

Stava per dirglielo, deciso come non mai, quando le sue labbra, dischiuse in previsione del discorso, vennero inondate da un calore ed una morbidezza che non conosceva. Fu un attimo fugace, nemmeno si era reso subito conto di quel che era successo, se non dopo che Leonardo, staccandosi, lo aveva guardato terrorizzato.

“Scusami, io… non volevo…” boccheggiò, facendo per andarsene, quando l’altro, realizzato quel che era successo, gli afferrò un braccio per tirarlo verso di sé, facendo incontrare nuovamente le loro labbra.

Dopo un attimo di esitazione, il bacio di Alessio lasciò spazio ad un altro ed un altro ancora, prima che fosse Leonardo a baciargli le labbra come se nella sua vita non avesse fatto altro. Anche Ale scoprì di essere piuttosto naturale, non impacciato come credeva sarebbe stato durante il suo primo bacio.

Il dolce contatto che aveva sempre desiderato senza che fosse associato ad un volto ora aveva quello di Leo.

I baci che seguirono furono sempre più roventi e carichi di passione; Leonardo iniziò presto ad esplorare la bocca di lui con la lingua, fino a quando non incontrò quella del compagno, che presto giocò con la sua.

Ale avvertì la coperta del letto sotto il sedere, mentre Leonardo si sedeva a cavalcioni su di lui, facendo sfiorare la stoffa dei loro pantaloni che copriva entrambe le erezioni.

Fu tutto così naturale… spontaneo… come se l’avesse già fatto.

 

I baci, le loro pelli che si sfioravano… il tocco di Leonardo. Tutto lo avvolgeva racchiudendolo in un mondo bellissimo.

 

Spalancò gli occhi.

 

Il capanno, l’odore di salsedine, il rumore delle onde misto ai loro gemiti.

 

“Ale, tutto bene?” disse affannato Leonardo, gli occhi lucidi, le labbra gonfie. Il suo sguardo divenne sempre più preoccupato, insieme alla vista di Alessio che si annebbiava.

“ALESSIO?!”

I bellissimi smeraldi di Leonardo furono l’ultima cosa che vide, prima di precipitare nell’abisso.

 

L’abisso mi richiama

Nel nero suo ventre,

Odo solo la tua voce

Che mi dice tutto e niente.

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Capitolo 5
*** Riemergo dall'abisso ***


Riemergo dall’abisso

 

 

“Piacere, mi chiamo Leonardo!”

La prima impressione che ebbe di lui non fu del tutto positiva: gli sembrava che fosse un sempliciotto, uno tutto sorrisi e niente sostanza. Alto, muscoloso, dai folti capelli neri, gli occhi di un verde intenso, tutto gli urlava che fosse popolare tra le ragazze; eppure, nonostante la grande quantità di ragazze lì presenti, era andato a presentarsi a lui, uno qualunque, una stellina nel firmamento.

“Piacere, Alessio…” la sua timidezza doveva averlo stuzzicato in qualche modo, poiché ciò che fece dopo fu allargare il suo sorriso.

Era pieno di gente al lido, tantissime erano le belle ragazze in bikini che lui avrebbe voluto conoscere, non che lo attraessero in qualche modo – non capiva il perché, ma nessuna le era mai interessata veramente –, piuttosto aveva fretta di iniziare una relazione, dal momento che la sua adolescenza stava finendo e ancora nessuna era entrata nella sua vita. Era una sorta di ossessione, guardando quel Leonardo parlare con tante ragazze non poteva non pensarci: avrebbe voluto essere come lui.

Quando Leonardo si liberò, corse di nuovo da lui, che se ne stava in disparte ad osservarlo invidioso. Non appena arrivò, tutta l’attenzione di Alessio fu rivolta a lui.

“Questa è una buona occasione per farsi dei nuovi amici, che ne diresti di provare?”

“E se io non volessi?” fu la risposta che gli diede, irritato dal fatto che lui avesse capito le sue intenzioni.

L’altro si guardò intorno, prima di sparire tra la folla, ma Alessio non ebbe nemmeno il tempo di tirare un sospiro di sollievo che subito tornò con al seguito un ragazzo dalla pelle ambrata.

“Ciao, molto piacere, io sono Luca e questi sono Mattia, Daniel e Michele!” non si era nemmeno reso conto che ci fossero altri tre ragazzi.

 

Passò una settimana prima che facessero gruppo. Alessio si era, in qualche modo, trovato a proprio agio con Luca e gli altri; solo Leonardo lo metteva un po’ a disagio, sempre lì, tutto sorridente, a parlare di mucche e cavalli come fosse l’argomento più interessante al mondo. Nonostante il lieve disagio, aveva conversato molto con lui, forse più che con gli altri. Aveva scoperto dov’era cresciuto – ed ecco la spiegazione alle mucche e ai cavalli – la musica che ascoltava, il suo rapporto con i suoi genitori. Imparando a conoscerlo, aveva capito che non era affatto il ragazzo superficiale che si era figurato all’inizio; ebbe la conferma di ciò un giorno di pioggia, all’esterno del capanno del cugino di Leonardo, sotto la cui tettoia si erano rifugiati: Leonardo era scoppiato a piangere parlando del padre e della freddezza con cui trattava sia lui che sua madre; tra le lacrime, la promessa che non avrebbe mai trattato a quel modo le persone amate.

Qualcosa era cambiato, quel giorno.

 

Era luglio inoltrato, il sole splendeva, il mare chiamava. E Alessio aveva sognato di fare sesso con Leonardo. Lo aveva evitato un’intera giornata, vergognandosi del sogno sconcio che aveva fatto e con mille quesiti in testa.

Era sera, tutti se ne stavano andando, eccezion fatta per Alessio, che stava aspettando suo padre, e Leonardo, che aveva accampato come scusa il non voler lasciarlo solo mentre aspettava.

Alessio fece affondare le mani nelle tasche del costume e lo guardò di sfuggita, non sazio, dal momento che quel giorno non lo aveva guardato abbastanza. Quando formulò quel pensiero, divenne tutto rosso per la vergogna.

“Alessio, ti andrebbe di aspettare nel capanno? Sembri stanco e lì c’è un letto.”

La parola letto non aiutò Alessio, che però era troppo stanco per declinare l’invito.

Entrarono nel capanno e si sedettero entrambi sul letto, Alessio imbarazzato e stanco come non mai, Leonardo con il suo solito, allegro sorriso, che però si smorzò quando gli domandò: “Perché mi stai evitando?”

Alessio venne preso in contropiede. Non sapendo come rispondere, si limitò ad abbassare lo sguardo per non farsi vedere rosso da lui.

“Sai, tu mi piaci.”

Sobbalzò. Aveva sentito bene?

“Co…cosa?”

“E anche io…” gli sollevò il mento con la mano e i loro occhi si incontrarono, “ti piaccio.”

Era rosso in viso pure lui. Non si rese subito conto che la risposta a tutte quelle domande Leonardo gliel’aveva data.

Gli piaceva un ragazzo. Gli piaceva Leonardo.

Rimase in attesa, di cosa non lo seppe nemmeno lui. Fu un bacio ad arrivare, a fior di labbra, come fosse un sussurro al vento, un petalo che si posa al suolo. Rimasero abbastanza vicini guardandosi negli occhi, quando Leonardo gli prese la mano e la posizionò sul cavallo dei suoi pantaloni.

“Mi fai sempre questo effetto” gli sussurrò sulle labbra.

Tutti i dubbi svanirono quando Alessio, animato da un coraggio che non sapeva di possedere, lo baciò. Le loro lingue danzavano insieme mentre Leonardo guidava la mano dell’altro sotto i suoi pantaloni.

Il sole calò poco prima che venissero entrambi, l’uno con le mani sul membro dell’altro, le labbra che sussurravano versi osceni le une sulle altre.

 

Una settimana dopo, la loro prima volta. La prima per entrambi, aveva precisato Leonardo, che gli aveva altresì confessato di non aver mai provato lo stesso sentimento per qualcuno che non fosse lui.

 

“Allora, che ne dici di salire sulla mia macchina?” fu la proposta di Luca, tutto compiaciuto.

Leonardo aveva già fatto un giro, mentre Alessio non aveva ancora avuto l’onore.

Tutto contento, diede un bacio a fior di labbra al suo ragazzo, che gli sussurrò: “Ci vediamo più tardi.”

Più tardi.

Più tardi.

 

 

Il camion, il clacson, la strada, il sangue che gli impediva di vedere. L’ospedale, una voce familiare che urlava singhiozzando: “Fatemelo vedere!”. Il viavai di medici dalla sua stanza. Il soffitto bianco e le lacrime dei suoi genitori.

Quando aveva vissuto tutto questo?

Ah già, l’incidente. L’incidente che gli aveva tolto quell’estate meravigliosa, che gli aveva tolto Leonardo.

 

Quando riaprì gli occhi, la prima cosa che vide fu lo stesso soffitto bianco che aveva visto l’estate precedente. La prima voce che udì, invece, fu quella di suo padre: “Ti avevo detto di stare lontano da mio figlio!”

La testa gli girava a tal punto da non riuscire a capire a chi si stesse riferendo. Fu poi la seconda voce che udì a chiarirgli la situazione: “Non sarebbe dovuto succedere! Perché a lui!?”

“LEO!” scattò seduto incurante del mal di testa e subito si staccò la flebo.

Quando vide, al di là della porta aperta, Leonardo in lacrime, si alzò di scatto desiderando al più presto di essere vicino a lui per baciargliele, quando cadde per terra ancora intorpidito.

“Alessio!” l’urlo di sua madre richiamò i medici, che prontamente lo rimisero a letto.

Nella confusione, riuscì a vedere Leonardo scavalcare gli infermieri con la stessa velocità che lo contraddistingueva in campo, fino a quando non fu vicino a lui.

“Ale… come ti senti?”

Ancora intorpidito, ma felice che fosse lì con lui, gli rispose: “Bene, ora che sei qui”.

“Alessio, che ti è successo?” fu la domanda di suo padre, ancora troppo spaventato per stare in piedi senza che gli tremassero le gambe.

Gli vennero le lacrime agli occhi. “Papà, mamma, ora va tutto bene.”

“Signorino” un infermiere si rivolse a Leonardo: “non ha il permesso di stare qui, la prego di andarsene.”

Alessio lesse un NO negli occhi di Leo, ma lo fermò ancor prima che potesse esprimerlo a parole: “Va tutto bene, ci vediamo a scuola.”

L’altro gli lanciò uno sguardo preoccupato, prima di avviarsi verso la porta, lasciando dietro di sé un’amarezza che toccò Ale profondamente.

 

A casa, svelò ai genitori di aver recuperato la memoria di quell’estate. Sua madre era sul punto di piangere, mentre suo padre era sbalordito.

“Per quanto riguarda Leonardo” asserì, “lui è la persona che ho scelto di avere al mio fianco, come vi ho già detto l’estate scorsa. Vi prego di accettarlo.”

“Oh, Ale” fece sua madre, “ma noi lo abbiamo già accettato, l’anno scorso, quel che temevamo era che la sua presenza, dopo l’incidente, ti fosse nociva.”

“Nociva?”

Fu suo padre a chiarire la loro posizione: “Temevamo che avresti reagito come oggi, cioè perdendo i sensi, perciò gli ho chiesto, l’anno scorso, di starti lontano.”

Alessio appellò tutte le sue forze per non urlare loro contro, dopotutto erano solo preoccupati per lui.

“Ora non dovrà più succedere; se mi sforzo di ricordare non sento più nemmeno il mal di testa! Mi sento bene come non mai.”

 

Si era preso alcuni giorni di riposo per raccattare le idee, col supporto di Giovanni, cui aveva raccontato tutto. Si era reso presto conto di non avere nemmeno più il numero di telefono di Leonardo, probabilmente cancellato dai suoi genitori.

L’ultimo giorno di scuola, quando lo vide in classe, corse ad abbracciarlo con una velocità che non sapeva di possedere, sotto gli occhi di tutta la classe.

Fu quando le braccia forti di Leonardo lo avvolsero che il suo cuore prese a battere all’impazzata e, per un attimo, gli sembrò che fossero totalmente soli in quell’aula.

Quando Leo si staccò da lui gli prese la mano, sorprendendolo, e si rivolse a tutta la classe: “Ragazzi, ragazze, da oggi sono ufficialmente impegnato!”

“COSA STAI DICEN-” ma l’urlo imbarazzato di Alessio fu interrotto da uno scroscio di applausi.

Tutti i ragazzi, compreso Giovanni, stavano allegramente festeggiando la levata di torno del ragazzo più ambito della scuola. Qualche ragazza – forse veramente contenta per loro – si unì alla festa.

Tutto rosso in viso, Alessio guardò il suo ragazzo che gli faceva l’occhiolino: “Il nostro sarà un amore impopolare, preparati.”

Preso dalla foga del momento, Ale lo baciò, scatenando gli urletti di Maria, una loro compagna fujoshi.

“Ma insomma!” proruppe il prof di greco, tra applausi ancora più forti, “Non vi permetterò di fare bordello nella mia ora! NELLA MANIERA PIÙ ASSOLUTA!”

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