Haikyuu!! Never fall

di Le_FF_di_Max_Casagrande
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. La forza di un uragano ***
Capitolo 2: *** 2. Accuse ***



Capitolo 1
*** 1. La forza di un uragano ***


Capitolo 1: La forza di un uragano

 

Il suo arrivo nella scuola aveva certamente attirato l'attenzione di tutti gli studenti. L'anno scolastico era appena iniziato e il nuovo studente della prima sezione fu tutto fuorché invisibile all'opinione di tutti gli allievi. E con lui, anche la voce che gli aleggiava attorno come una coltre di nebbia scura pesante come il piombo.

«Ho sentito che è un rapinatore» diceva una ragazza in un gruppo.

«Dicono che abbia dato fuoco a un edificio abbandonato» bisbiglio uno studente al suo compagno di banco.

Il professor Takeda era stato convocato nell'ufficio del preside e, trattenendo il suo disappunto, era stato solo informato il ragazzo aveva sì sotto un'inchiesta ancora aperta, ma a nessun insegnante era stato detto quale fosse l'accusa. Di certo lui non era il tipo da farsi spaventare da semplici voci, per di più mosse e di certo create dai suoi ragazzi. Non era in una sua classe, quello studente nuovo, e a giudicare da come gliel'avevano descritto gli altri docenti non credeva l'avrebbe incontrato mai. Non si impegnava e in classe era disattento e non vedevano l'ora di rimetterlo in riga con qualche verifica. Lui aveva risposto col tono più pacato possibile che se si trovava nella prima sezione allora doveva aver ottenuto ottimi voti nel test d'ingresso. E di fatto aveva ottenuto il massimo dei voti, eccezion fatta per geografia.

Così Takeda, quel pomeriggio ancora libero dagli impegni che la scuola e il club gli avrebbero procurato più avanti nel tempo, raggiunse la palestra di pallavolo e salutò con un sorriso energico.

«IN RIGA!» tuonò solenne Ennoshita. Non erano in molti a essere arrivati, ma comunque scattarono verso l'entrata e salutarono il professore con un inchino.

«Non avete perso tempo» sorrise Takeda. «Hinata e Kageyama, mi sembrava strano non vedervi. Poi abbiamo Tsukishima, Nishinoya e Tanaka e il nostro nuovo capitano».

«Abbiamo anche dei visitatori, sono passati a salutare» ridacchiò Ukai accennando ai due giganti alle sue spalle.

Il professore scattò subito verso Asashi e Daichi, stringendogli la mano. «Che ci fate voi qui? Vi siete affezionati?».

«Volevamo solo dire due parole alla squadra e vedere quali membri porta il primo anno» disse Daichi.

«Non è ancora arrivato nessuno» disse Kageyama con tono freddo e distaccato, come a distruggere apposta tutte le speranze del professore.

«Non è ancora arrivato nessuno. Che c'è? Hai paura che qualcuno ti rubi il posto da alzatore?» chiocciò Hinata a debita distanza.

«Dov'è Hitoka?» chiese allora Asashi, sperando di evitare che i due cominciassero a litigare.

«Non lo so, non ha detto niente» borbottò Ennoshita.

«Scusate». La voce che interruppe il discorso era bassa e profonda come un tuono, ma comunque gentile e stranamente pacata. Aveva uno strano accento e strusciava le vocali. «È qui il club di pallavolo?».

«Certo, benv...». Le parole del professore si fermarono non appena lo vide e sgranò gli occhi come il resto della squadra. Il ragazzo che stava entrando era caucasico e aveva i capelli neri legati in uno chignon arruffato, il viso squadrato e gli occhi penetranti. Era alto, molto alto, e aveva un fisico ben piazzato e muscoloso. Indossava la tuta da ginnastica e si stava infilando le scarpe da ginnastica. Takeda era paralizzato: aveva riconosciuto in lui il nuovo studente.

«Mi chiamo Kei Ikeda, piacere di conoscervi» disse di nuovo inchinandosi. Anche con la schiena piegata era più alto di Hinata e Nishinoya.

«Benvenuto» gli sorrise Ukai, all'improvviso impacciato. A occhio e croce, era più grosso di Matsukawa. «Vuoi entrare nel club?».

«Sì. Non so molto di pallavolo, non ho mai giocato, però sembra interessante».

«Quanto sei alto?» gli domandò Hinata quasi gridandoglielo in faccia.

«Un metro e novantasei» gli rispose lui con molto meno entusiasmo. «Prima giocavo a basket, ma non mi è mai piaciuto molto. Conosco le regole fondamentali, ma i ruoli e le rotazioni non le ho capite, anche se ho provato a leggerle su internet».

«Certo che sei bello allenato» ridacchiò Tanaka mentre una goccia di sudore passava inosservata lungo il lato della testa. Avrebbe tanto voluto trattarlo come uno studente normale, ma tutte le dicerie che aveva sentito quella mattina non avevano aiutato. A giudicare dai componenti della squadra, lui era l'unico ad averlo riconosciuto.

«Mi alleno nei pomeriggi. E mia madre è una dietologa, quindi non ho mai avuto questi problemi».

«Direi che abbiamo parlato abbastanza, hai visto altri studenti venire in questa direzione?».

«Solo una ragazza bassina e bionda, ma appena le ho chiesto se fosse di qua il club è scappata via».

«Hitoka» borbottò la squadra all'unisono con biasimo.

«Bene, direi che possiamo vedere quello che sai fare con una partitella di riscaldamento» propose il coach. «Tranquillo, mi assicurerò di fare squadre equilibrate» aggiunse con un sorriso malevolo.

E così, pochi secondi dopo, sul campo c'erano otto giocatori: da un lato del campo Kageyama, Nishinoya, Tsukishima e Asashi, dall'altro Ennoshita, Daichi, Hinata e Kei. I due ex-membri avevano accettato di buon grado di giocare, ma quando videro la disposizione decisa dall'allenatore si chiesero quale fosse il significato di quella strana formazione. Kei era stato messo in una squadra di soli attaccanti, mentre l'altra era molto più omogenea con difensori e anche un alzatore. Takeda si era messo a bordo campo per fare il guardalinee, continuandosi a chiedere come i ragazzi il come mai di quella partita, ma gli occhi continuavano a lanciare occhiate rapide a Kei, occhiate sospettose. Dopo la chiacchierata con gli altri professori sulla sua condizione, anche solo vederlo in una scuola gli metteva addosso una strana sensazione opprimente, simile a quella dei momenti difficili vissuti al torneo nazionale.

E Ukai fischiò l'inizio.

Kei andò in battuta e ne fece una dall'alto, senza saltare, che però finì subito fuori oltre il campo. «Scusate» si affrettò a dire.

«Don't mind! Pensa alla prossima» lo rassicurò Daichi.

“Proprio come pensavo, ha una forza mostruosa” pensò il coach Ukai mentre la palla veniva passata ad Asashi, adesso in battuta per l'altra squadra. Sebbene Kei avesse battuto usando movimenti minimi, la palla aveva quasi raggiunto la parete. “Questa partita serve per capire dove possiamo tirare fuori il meglio di lui: diventerà un muro impenetrabile come quello della Dateko insieme a Tsukishima? O magari sostituirà la forza schiacciante di Asashi?”.

Lui fece una battuta al salto che però venne fermata dalla rete, troppo bassa per passare solo toccando il nastro.

«Non preoccuparti, ti rifarai con la prossima!» gli sorrise Nishinoya mentre l'altra squadra roteava. Asashi ricambiò il sorriso e la palla venne passata a Ennoshita.

Un altro fischio e un'altra battuta che questa riuscì a passare. Nishinoya la difese con facilità e Kageyama la passò alle sue spalle a Tsukishima che schiacciò sopra il muro troppo lento di Hinata. Kei provò a intercettare con un bagher, ma fu troppo lento e la palla finì comunque a terra con uno SBAM.

«Scusate!» dissero i due all'unisono. «Non è colpa tua, avrei dovuto fermarla» continuò Hinata.

«Forse perché sei fuori allenamento. Come sempre» sbeffeggiò Tsukishima col suo solito ghigno.

Fu il turno di Kageyama a battere e di nuovo con una battuta al salto la palla viaggiò velocissima verso Kei.

“Dannazione, è alta...” pensò l'alzatore mentre il proiettile continuava imperterrito verso il ragazzo. Se si fosse spostato, allora il pallone sarebbe andato fuori e un altro punto per loro. Kei però vide a malapena la palla correre verso di lui, figuriamoci schivarlo. Venne colpito in piena fronte e il suono di uno schiaffo echeggiò per la palestra. Tutti sgranarono gli occhi su di lui mentre la palla tornava nel campo avversario, superava la rete e cadeva entro la linea dei tre.

«S... stai bene?» gli chiese Ennoshita preoccupato. Si avvicinò per valutare la ferita, ma niente era rimasto dall'urto proprio come non ci fosse mai stato.

«Questo... era punto, vero?» domandò Kei indicando il pallone che si era proprio allora fermato. «Non l'ho preso con le mani, ma è finito di là. Quindi è... punto?».

Tutti sorrisero per nascondere lo stupore di fronte tanta indifferenza. Sembrava davvero non essere stato colpito. «Ehm... stai bene?» gli chiese Ukai.

«Sì coach, tutto ok» rispose lui tranquillo. «Sta a noi battere?»

«Uhm... sì» borbottò l'allenatore, lasciando che i pensieri riprendessero e mettendosi il fischietto in bocca per evitare di pronunciarli.

Da lì i punti si alternarono, facendo cambiare subito le formazioni. Kei aveva schiacciato una volta, ma Tsukishima l'aveva fermato con parecchia semplicità. Al punto successivo aveva provato a murarlo, ma la palla era passata comunque con quello che Tanaka definì “uno di quei soliti pallonetti infami”.

Il punto che sarebbe stato ricordato fu quello precedente al giro completo: Tanaka era in battuta e se la sua squadra avesse perso allora Kei sarebbe tornato per la seconda a servire. “Ha uno sguardo strano” pensò Ukai, “e vedo che se n'è accorto anche Takeda. È come se stesse studiando gli avversari, non segue la palla ma i loro movimenti. Che nasconde quel ragazzino?”.

Battuta al salto presa da Ennoshita, che però non riuscì a controllarla a dovere visto che andò nel campo avversario.

«Chance ball!» gridò Nishinoya.

«Forse l'avrai capito, che non giocherai mai più» disse Tsukishima a Kei che ricambiò con uno sguardo confuso. «Insomma, magari rimarrai come riserva, ma dev'essere brutta la consapevolezza di non poter più combattere». Mentre Kageyama alzava la palla ad Asashi, il coach e il professore notarono qualcosa nello sguardo di Kei. Non era più puntato verso Tsukishima, ma piantato a terra e nero come come i suoi capelli. Tsuki non si era limitato a toccare un tasto dolente, l'aveva suonato del tutto. Mentre Asashi saltava di fronte a lui, Kei non ebbe alcuna minima reazione. «Ti conviene goderti questa partita, perché con ogni possibilità sarà l'ultima».

Quando Kei saltò poco dopo era di fronte ad Asashi. Aveva sovrastato il nastro con tutta la testa, ancora l'espressione marmorea sul viso, e tutto il braccio proteso in campo avverso proprio di fronte la palla. Il busto era abbastanza distante dalla rete per non toccarla ma la mano aperta si trovava proprio davanti la palla, non lasciando ad Asashi alternativa se non schiacciare con tutta la forza di un braccio che si stava ancora scaldando. Ci furono tre BAM ben distinti: il primo sulla schiacciata, il secondo sul muro e il terzo di quando il pallone sbatté contro il pavimento. Ritraendo il braccio per non toccare la rete nell'atterraggio, Kei tornò a terra e guardò Asashi. L'espressione aggressiva e cupa era scomparsa, lasciando uno strano velo di imperturbabilità. Aveva murato quella schiacciata con una sola mano e adesso si comportava come se non fosse successo niente.

A Ukai il fischietto cadde dalle labbra e Takeda ci impiegò alcuni abbondanti secondi per realizzare cos'aveva visto. Era rimasto ovviamente sorpreso dalla facilità con cui aveva murato una schiacciata tanto potente, ma l'allenatore aveva visto altro. “La mano... non si è mossa di un millimetro”; anche il pensiero del coach traballava. “Di solito le mani attutiscono il colpo o si muovono in avanti per aumentare la forza, ma lui a tenuto la mano ferma e ha aspettato che la palla gli andasse contro. Non dubitava che l'avrebbe fermata”.

Mentre Ennoshita gli faceva un sacco di complimenti per l'azione, Kei tornava in battuta palleggiando, allontanandosi sempre più dalla linea di fondo campo.

«Attenzione, Nishinoya, questa entrerà».

«Mi stai sottovalutando, Asashi» gli sorrise lui, già in posizione per ricevere. Ancora sovrappensiero, Ukai fischiò e fece cenno a Kei di battere.

«Non poter più combattere, eh?» sussurrò il ragazzo fermando la palla tra le mani. «Credi davvero che basti così poco per mettermi KO?».

Lanciò la palla in alto e in avanti e prese la rincorsa. Tutti sgranarono gli occhi per quel tentativo di battuta con salto tranne Nishinoya, troppo concentrato a seguire i movimenti e prevedere la traiettoria della palla. Il movimento che ne seguì fu abbastanza veloce da essere visto da pochi ma solo Ukai lo comprese del tutto. Quella battuta era più simile a una schiacciata ed era molto in alto, merito di certo dei possenti muscoli delle gambe. Non fu un semplice movimento di bicipite potenziato dalla spalla, ma contraendo il fiato Kei aveva chiuso tutti i muscoli e le articolazioni aperti con il salto: gomito, polso, dita, spalla, busto... persino le anche si erano sigillate per aumentare la spinta. Il suono che ne seguì non era un semplice schiaffo contro la palla, ma sembrava più simile al suono di uno sparo e lo stesso valse per quando la palla toccò terra seguita da un forte BUM.

La squadra si voltò per vedere dove potesse essere finito il pallone, ma non era alle loro spalle. Era rimasto a terra, squarciato a metà, esploso per l'eccessiva forza con cui era stato schiacciato al suolo.

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Capitolo 2
*** 2. Accuse ***


Bella maghi,
volevo solo dirvi che ho finito di leggere il manga (per necessità, visto che questa FF è ambientata dopo tali eventi). Nel caso non si fosse ancora capito: la storia è ambientata al secondo anno di Hinata e Kageyama, quindi se non avete letto il manga potreste incorrene in spoiler.
Buona lettura ^^

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Capitolo 2: Accuse

 

«Non credi che sia arrivato il momento di darti una calmata?!» gli chiese Ukai mentre veniva trascinato dal professor Takeda dentro la sala insegnanti. Non c'era nessuno, per sua fortuna. Il professore aveva smesso di essere calmo e pacato e sorridente non appena avevano imboccato il corridoio, cominciando invece a trascinarlo con una forza che di certo non si aspettava da lui.

«Hai visto quello che ho visto io? Il pallone è esploso!».

«Certo che l'ho visto, sarebbe stato difficile fare il contrario, ma mi spieghi che ti prende? Non è da te comportarti così».

«Come fai a essere così tranquillo?».

«È solo un ragazzo con molti muscoli e capace a usarli, quale dovrebbe essere il problema?».

«Quella palla è esplosa» sottolineò Takeda. «Mai, nella storia della pallavolo, un pallone era esploso in seguito a una battuta».

Ukai incrociò le braccia e alzò un sopracciglio, fissando il professore con uno sguardo di incomprensione. «Se fosse stato Yamaguchi ad avere una battuta così potente la tua reazione non sarebbe stata questa».

Per un brevissimo istante al professore venne in mente l'idea di mentire, dicendo che invece sarebbe proprio stata quella. Sapeva, tuttavia, che non era la verità. Probabilmente avrebbe spalancato occhi e bocca per lo stupore e avrebbe sorriso di fronte tanta forza, ma non si sarebbe ritirato in disparte con l'allenatore. Non avrebbe chiesto a Kei di ripresentarsi con la domanda ufficiale per iscriversi al club come scusa per mandarlo via e non avrebbe chiesto alla squadra di fare riscaldamento da sola fino a quando non fossero tornati. Dopo un respiro profondo, rispose.

«Il preside ha detto che quel ragazzo ha delle accuse legali molto gravi sulle spalle» spiegò. «Per chissà quale motivo, noi professori non possiamo saperle».

«Hai provato a chiedergliele?».

La prontezza con cui Ukai gli fece quella domanda lo colse del tutto impreparato. «Come?».

«Sì, sai, “che tipo di accusa?” Oppure “Sei innocente, vero?”».

«Mi spieghi come potrei anche solo cominciare una conversazione per arrivare a queste domande?».

L'allenatore tirò un sorriso e gettò fuori l'aria in un sospiro, guardandolo dall'alto al basso con una mano sul fianco. Non aveva visto il professore così spaventato, ma non credeva sarebbe potuto succedere di nuovo. «Sei tu il professore» disse Ukai con ovvietà. «Sei tu quello che ha sempre trovato le parole giuste e questa è solo una domanda. Secondo me non ti metterà neanche in difficoltà».

 

Il professor Takeda aveva passato il resto del pomeriggio in sala insegnanti a sbrigare un sacco di faccende da professore con l'unico scopo di distrarsi mentre il coach Ukai era tornato al club per mandare avanti l'allenamento. Si vergognava di quell'attacco di panico avuto qualche ora prima che ormai gli sembrava appartenere a un'altra vita, a un'altra persona. Camminava pensieroso e guardingo, leggendo dal foglio di carta pieno di appunti che aveva in mano ogni volta che si trovava a un incrocio. La sua mente era però distante, pensosa su chissà quali parole avrebbe dovuto usare. Pensò che la cosa migliore sarebbe stata improvvisare come sempre.

La casa degli Ikeda aveva due piani e si trovava a pochi chilometri dalla scuola, ultimo edificio della via di fronte l'ultimo lampione prima che la strada continuasse tra gli alberi e il buio. C'era un piccolo fiume che passava sotto la strada e quella sera gli diede un senso di tranquillità.

Deglutì, poi percorse il vialetto e, arrivato sul portico, bussò alla porta.

«Vado io» gridò una voce giovane, molto più allegra di quella Kei, molto meno profonda. Ad aprire fu un giovane sulla decina d'anni, alto poco meno del professore; se avesse avuto il doppio dei muscoli, quaranta centimetri in più e i capelli neri un po' più lunghi sarebbe stato la copia spiccicata di Kei. «Buonasera».

«Ciao», gli sorrise, «sono il professor Takeda, insegno nella scuola di Kei. C'è tuo fratello?».

«Sì, un secondo che lo chiamo».

«Chi è Go?» domandò Kei arrivando nel corridoio di fronte l'entrata. Vestiva con una tuta grigia e aveva i capelli sciolti in parte celati dal cappuccio. «Professore, buonasera». Si mise quasi sull'attenti raggiungendo il pianerottolo.

Takeda si accorse subito che teneva nella mano destra una bottiglia di Jack Daniel's vuota per metà e quando Kei si accorse che il wiskey era il bersaglio dello sguardo dell'uomo subito la mise in mano al fratello minore. «Chi l'ha aperta?».

«Non io» risposero i due all'unisono. «Valla a mettere a posto, per favore, poi controlla la cena» continuò Kei rivolgendosi al fratello.

Il giovane Go annuì, fece un inchino al professore e disse «lieto di averla conosciuta» prima di andare via verso il fondo del corridoio, poi si chiuse la porta alle spalle. Ci furono un paio di secondi trascorsi con entrambi che fissarono la porta chiusa e Kei sapeva di non poter cambiare discorso. «Mio padre» borbottò alla fine, «le accuse nei miei confronti, mia madre in ospedale... cerchiamo di fargli bere il meno possibile, così abbiamo la certezza che non esca e vada nei locali senza che qualcuno lo fermi».

Il professore annuì e quella nuova informazione non fece altro che farlo sentire in colpa per il comportamento avuto nei suoi confronti quel pomeriggio. «Si chiama Go, giusto?».

«Go. Fa ridere perché gli piacciono i giochi come lo shoji e il go. Quindi è “Go che gioca a go”». [Kei sta facendo un gioco di parole dai molti significati. Il primo è “giocare a go all'indietro”. N.d.A.]

Il professore annuì e ridacchiò poi anche Kei fece altrettanto. «Professore, se ho fatto qualcosa di sbagliato, mi scuso».

«Cosa ti fa pensare di aver fatto qualcosa di sbagliato?».

«Se lei è venuto direttamente a casa mia dopo le lezioni significa che è grave» ragionò lui.

«Già, in effetti è tardi, ma non voglio prenderti molto tempo. Posso entrare?».

«Certo, sì...». Kei prese da un'anta un paio di pantofole e le lasciò sopra il gradino. «Posso offrirle qualcosa? Un po' d'acqua?».

«No, grazie».

«Andiamo nella mia stanza, al piano di sopra». Salirono le strette scale ed entrarono nella prima porta a sinistra. Kei la fece scorrere, lasciò entrare il professore e se la chiuse alle spalle.

«Anche papà lavora?».

«Sì, è un organizzatore di eventi» spiegò il ragazzo, piantonato sulla porta dall'emozione. Imbarazzo, probabilmente, stimò Takeda. Il futòn era ripiegato in un angolo, un piccolo tavolino al centro della stanza, un armadio incassato nel muro e una libreria che occupava parte della parete destra, quella opposta al letto. Alcuni libri, non entrando tra gli scaffali, erano lasciati a terra a formare piccole pile.

«Questi non sono in giapponese» notò il professore.

«Mia madre», fece una pausa, «io sono nato in Italia, mi sono trasferito qui quando ero piccolo, ma parlo bene entrambe le lingue». Takeda annuì, poi fece qualche passo verso la finestra guadagnando tempo per capire da dove cominciare. Scusa, oggi mi ha spaventato quando hai distrutto un pallone con una battuta, per quanto fosse sincera, non gli piaceva affatto come frase d'apertura. Arrivato alla finestra, sul lato del cornicione, la sua attenzione venne attirata da delle ammaccature nel legno. Erano solchi simili a tagli ed erano di un imprevisto colore blu scuro. «Scusi professore, ma perché è qui?».

«Noi professori siamo stati avvisati del tuo arrivo solo ieri. Non capitano spesso questo genere di trasferimenti e mai con così tanta riservatezza. Non so neanche che genere di accuse ti riguardino né perché ti siano state affibbiate o se siano fondate o meno».

«Il mio avvocato mi ha detto di non parlarne» spiegò Kei, poco più di un borbottio.

«Perché è bravo. Io però non possiedo né microfoni né videocamere nascoste» allargò le braccia come per invitarlo a perquisirlo ma il ragazzo non si mosse. Si mosse il labbro e si sfregò i palmi con le dita delle mani, sembrava non ricordasse come si chiude un pugno «Di conseguenza, se tu mi facessi un cenno con la testa e mi dicessi quali sono le accuse a tuo carico non solo non sarebbe una confessione, ma se io provassi a farla valere come tale potresti accusarmi tu per diffamazione». Gli sorrise, un sorriso ironico e divertito, ma Kei rimase immobile, lo sguardo piantato al pavimento.

«Non voglio...» borbottò il ragazzo.

«Perché?».

«Lei fraintenderebbe».

«Sono un professore, il mio lavoro consisterebbe nel non farlo».

Kei si schiarì la voce. «Non mi crede nessuno». Aveva lo sguardo piantato verso il basso.

«Vorrei farlo io».

Il silenzio che ne seguì sembrò toccare entrambi con mani invisibili, poi Kei alzò gli occhi sul professore, mosse la testa e gli disse due parole con un tono troppo vuoto per farlo restare tranquillo, colpendolo come un pugno in pieno petto. Una lacrima gli scese da un occhio, ma il suo viso non si mosse. Non un singhiozzo sfuggì alle sue labbra. Il suo respiro rimase regolare e gli occhi sul professore. Takeda, dal canto suo, rimase immobile a fissarlo con volto inespressivo.

«Be'... senza dubbio non me l'aspettavo...» commentò il professore. Il sorriso che mostrò al ragazzo era il suo, quello di sempre, ennesima riprova che adesso andava tutto bene. Non c'era più niente di strano, solo un ragazzo che aveva bisogno di sentirsi dire che tutto sarebbe andato bene. Un suo studente che non voleva più restare da solo.

Questa volta non avrebbero perso.

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Sono sempre alla ricerca di beta-reader per le mie FF, quindi se vi va fatevi avanti :D
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Grazie per aver letto fino a qua, ci si legge \(^o^)/

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