Quel che resta di noi - Sequel Agāpi gia ton Olimpou

di MelaniaTs
(/viewuser.php?uid=1118829)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Helena ***
Capitolo 2: *** Il gold saint più debole ***
Capitolo 3: *** Sicilia mia bella Sicilia ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 - Shaka e Shiwa ***



Capitolo 1
*** Helena ***


Helena




PREMESSA: Sequel composto da one shot seguito di AGAPI GIA TON OLIMPOU. Tutti i personaggi hanno fatto un salto temporale di +3 per tutti quindi la guerra galattica inizierà il 1989 anziché il 1986. Gli eventi sono in ordine cronologico, l'arco narrtivo termina l'estate del 1990 (in contemporanea con Next dimension) PS ci sono pochi riferimenti a Saintia Sho che non abbiano intaccato la trama con il manga/Anime Originale; Quindi Saga non è MAI divetato Ares
ATTENZIONE: © delle Fanart prese in giro per il Web se le riconoscete come vostre basta che me lo facciate sapere e provvedo a inserire i credits
COPYRIGHT: Storia basata sulla saga del maestro © Masami Kuramada ©Saint Seiya; Tutti i diritti della serie sono del sensei, della Toei e della casa editrice Shueisha; Per le immagini © Michi Himeno © Shingo Araki;

 

"Mi chiamo Helena, anche se tutti qui in Grecia pensano io sia Tulip e basta. Seconda ancella di Aphrodite sono con la mia dea da quando avevo diciotto anni. Sembrano pochi se si pensa che no ventisei anni, a me sembra una vita, perché è ciò che ho dedicato ed amo rendere alla mia dea, che mi ama come fossi sua sorella. Io sono Helena e se vi va di sentirla questa è la mia storia..."

 

Grecia 26 agosto 1990 - Tempio di Zeus 

Tulip camminava per i corridoi del tempio di Zeus con ansia. Tutto era finito, la guerra contro Gea aveva chiuso tutti gli attriti che potevano esserci su in Olimpo. Aphrodite la sua dea era felice col suo amato e bellissimo marito, Saga di gemini l'heavenly warrior. Da quando lui era rientrato nella sua vita ella era ancora più bella, era raggiante come solo l'amore riusciva a rendere una donna. Felice con i suoi tre figli, i gemelli Eros e Anemone, in realtà il divino Anteros, e la piccola Harmonie. Ella era bella e felice più che mai, anche la loro  cara amica e sorella Giulia si era risvegliata dal male che la teneva prigioniera, non più succube di Gea, colei che si era rivelata essere la dea Bellona.

Era due giorni che ella era ritornata tra di loro e cercava di dedicarsi a tutto e tutti, di recuperare il tempo perso. Lei Helena poteva capirla, con la sua dea era stata la prima ancella che aveva conosciuto e sì, il bene che provava per Giulia era quasi lo stesso che provava per Aphrodite: amore allo stato puro.

Giulia, lo sapeva Tulip, voleva recuperare il rapporto con il marito, conoscere i suoi due figli che non erano più dei neonati, bensì due piccole pesti alle prime armi con le esperienze, i primi passi, le prime parole, il primo dentino... tutti momenti unici che stava perdendosi perché, come diceva Giulia, era stata talmente debole da consentire a Gea di soggiogare la sua mente. Ma sia lei, che la loro amata Aphrodite ed il divino Ares le dicevano che non era colpa sua cercando di consolarla. Non solo loro, ma tutti gli dei stessi non smettevano di ricordarle quanto la dea primigenia fosse stata forte e soprattutto non sola. Per sconfiggerla si erano dovuti alleare tutti loro dei Olimpi, quindi lei non aveva colpe. 

Ad andarlo a dire a Giulia che comunque cercava ancora un posto lì al tempio di Zeus. Lo aveva compreso l'amica che il tempo era trascorso inesorabile e che era stato il peggior nemico di tutte. Quindi correva Giulia in quei due giorni, dalla sua dea, dal marito, dai gemelli, dalla divina Athena a cui chiedeva scusa per averle mosso guerra, da Zeus ed Hera per aver abbandonato il loro figlio maggiore con due bambini da poco in fasce. 

Tutti le dicevano di stare tranquilla che presto tutto le sarebbe sembrato solo un brutto ricordo. E lei si rassegnava a ciò che erano stati gli eventi ed era stato il suo destino, cercando di recuperare i rapporti. 

Tuttavia Giulia non riusciva, il tempo era veramente stato poco in quel breve periodo dal suo ritorno e lei Tulip era insofferents, il cuore le si stringeva ed ogni volta che il suo sguardo incontrava la figura di Death Mask provava un tuffo al cuore. Rimpianto, senso di colpa e amore... non poteva permetterselo. Come non poteva più aspettare che la sua migliore amica trovasse del tempo per lei, per ritrovarsi nel tempo perso. 

L'alleato Gea le aveva fatto mettere da parte situazioni importanti che agli occhi divini potevano sembrare futili, ma non lo erano. Doveva partire ed andare via di lì.

"Cosa ti turba mia cara Tulip?" Chiese Hilda che in silenzio la osservava a sistemare in un vaso dei tulipani dai molteplici colori.

Tulip sollevò gli occhi verdi sulla regina di Asgard i e tornò indietro nel tempo, l'aveva subito accolta nel corteo di Aphrodite appena la sua dea aveva dato loro notizia. Era stata da lei che Rosa era andata a informarsi quando aveva deciso di farla divenire un'ancella.

Perché Helena anche veniva da Asgard e chi meglio di lei poteva raccontare di Hilda, del cuore che era bello al pari del suo aspetto fisico. Adesso comprendeva e tutto tornava agli occhi di Helena che era stata reclutata dal dea proprio tra le lande innevate. 

"Come siete arrivata fin qui?" Aveva chiesto all'epoca alla sua dea.

"Volevo conoscere il luogo dove cresce una persona a me cara." Le aveva risposto Rosa.

Adesso a distanza di tanti anni ella aveva compreso che Aphrodite si era riferita a Freya di Asgard, a quella sorella che non aveva mai abbracciato e non aveva mai potuto amare realmente. 

"Vieni con me! Entra nel mio corteo e vedrai che d'ora in poi il negozio di tua madre sarà sempre fornito di fiori freschi e bellissimi." 

Non aveva compreso Helena, il piccolo negozio floreale che gestiva sua madre era povero, molto. Ma era la sua passione ed ella non sapeva fare altro anche se in quelle terre gelide erano pochi i fiori che potesse trovare e vendere.

Rosa Diás le aveva promesso questo, un posto fiorito e del denaro fisso alla sua famiglia che potesse permettere ai suoi genitori di andare avanti. Poiché suo padre Gustaf si era ammalato gravemente un'entrata in poi era ben accetta, in fondo cosa aveva mai Helena lì ad Asgard se non la sua famiglia e aiutare la regina Hilda nelle preghiere ad Odino? Nulla, ella non aveva nulla e Rosa o Aphrodite come diceva di essere,  era così bella e dolce he non era riuscita a rifiutare il suo invito.

"Verrò con voi mia signora." Le aveva detto e da allora insieme ne avevano trascorse tante.

Entrambe avevano amato a loro modo un uomo forte e autoritario, arrogante nel caso di Helena. O almeno è così che lei aveva sempre visto il fratello di Viola sin dal loro primo incontro. Istintivamente dal primo giorno proprio, avvertendo l'arroganza e l'indisponenza dell'uomo aveva preso a comportarsi con lui con altezzosa superbia, se lo era rigirato nelle mani come meglio poteva e lo aveva anche sedotto. Indubbio dire che tra di loro non ci fosse attrazione, ce n'era e tanta. Ma per non soccombere lei, Helena si era subito messa sulla difesa, lo aveva sedotto ed usato a suo piacimento, si era presa tutto ciò che Death Mask le dava concedendogli il suo corpo. E non era stato nulla da poco dal momento che gli aveva concesso la sua verginità e con essa il suo cuore. Ovviamente lui ignorava questo sentimento che ella provava, Helena da quando lo aveva conosciuto aveva avuto altre priorità. Prima su tutte era la sua dea, poi dopo due mesi che aveva conosciuto il cancer aveva scoperto di essere incinta. 

Ecco quel bambino che aveva scoperto di portare in grembo era stata la sua priorità, una volta e poi la seconda... non terminava mai, ogni qual volta giaceva con Death Mask inesorabilmente ne usciva gravida. Tuttavia nonostante avesse compreso di essere incline a ciò era sempre stato più forte di lei, averlo e renderlo suo ogni qual volta il santo di Athena andava a trovare sua sorella Viola. 

Gelosia! Non pensava di provarla Helena ma era ciò che avveniva ogni qual volta, ad ogni compleanno di Viola egli passava a trovare sua sorella. Le ancelle aumentavano e lui le attirava su di sé come api col miele col suo carisma e con quell'ego smisurato che non lo abbandonavano mai. Così nonostante sapesse di che pasta lui fosse fatto,Tulip lo aveva cercato e ricercato ancora proprio per evitare che si gettasse nel letto delle altre o che addirittura loro lo accogliessero senza pudore o vergogna alcuna. 

Nellik, Stjern, Lilje e Syrin, (garofano, Stella, Giglio e Lillà. Stella  intesa come stella alpina, in norreno) (1) erano i figli nati dalla sua non relazione con Death Mask, nati a distanza di un anno Gli uno dagli altri. Li aveva affidati a sua madre durante i suoi pellegrinaggi con Aphrodite , prima era suo dovere pensare alla dea, poi venivano i suoi figli. Così onde evitare che le altre ancelle ne parlassero o si impicciassero dei suoi bambini era andata a partitore ad Asgard dove sua madre dopo le aveva tenuto i piccoli. Helena aveva così iniziato a passare il suo tempo tra Parigi, la Grecia e Asgard, l'importante era seguire due importanti richieste della sua dea. La prima era che passasse quanto più inosservata possibile, così a casa sua indossava sempre abiti scuri o da tappezzeria, legava i suoi luminosi capelli castani in una bassa coda semplice, e non si truccava mai. La seconda era che quando si trovava ad Asgard le facesse rapporto ogni quindici giorni su quello che le accadeva nel suo paese di origine, delle celebrazioni e delle principesse.

Ad Helena non era mai costato nulla di tutto ciò, forse ciò che le aveva fatto male era stato farsi passare per sorella maggiore agli occhi dei suoi figli. Aveva amato sua madre fino a quando un mese prima non era venuta a mancare, ma vedere i bambini piangere per lei l'aveva amareggiata. Non era stata in grado di essere una madre e neanche una sorella dal momento che erano mesi che non si faceva vedere nel paese d'origine. Se non fosse stata mandata ad Asgard da Aphrodite appena saputo  che Athena e Hilda erano andate in guerra, poteva dire di non aver neanche potuto salutare sua madre prima che perisse. 

Una malattia improvvisa se l'era portata via! Questo era ciò che aveva scritto alla dea Aphrodite quando era accaduto, le aveva scritto anche che la stessa malattia sembrava aver preso la regina Hilda e che fortunatamente il nuovo celebrante Andreas Rise stava aiutando il popolo regalando loro le cure necessarie.

«Non posso lasciare i bambini, ora come ora sono da soli, temo però di essermi ammalata io stessa. Non temere mia cara Rosa, sono di tempra dura e non mi farò distruggere da un'influenza. I bambini sono abbastanza autonomi e mi stanno aiutando, tuttavia volevo informarla che provvederò a rientrare quanto prima in Francia e che sto prendendo in considerazione la possibilità di portare i bambini con me. Così potrò servirla e non mancare ai miei obblighi..» 

Questi erano alcune delle righe che aveva scritto a Rosa pochi giorni prima della sua dipartita.

Helena non era morta per malattia però, bensì per mano di un uomo che era al comando di Andreas, un god warrior che si fingeva medico ma che al contrario faceva esperimenti fino a spremere le vite umane al limite. Lo aveva scoperto troppo tardi, lei Helena, perché non poteva farsi chiamare Tulip quando non era riuscita a vedere l'inganno in quell'uomo.

Sciocca che era stata a non comprendere, a mettere in pericolo i suoi fratelli e figli, a lasciarli soli... 

Ritornò alla realtà osservando Hilda in volto, ritrovarsela davanti le ricordava ciò  che era accaduto ad Asgard: la morte di sua madre, ritrovarsi Death Mask di fronte, far finta di non sapere chi fosse e trattarlo come un cliente, chiedergli di parlare ai bambini per dire loro di restare uniti, scoprire che era stato lui a donarle dei soldi per potersi curare... quello era stata la cosa più assurda, non era il Death Mask che conosceva lei. Ma alla fine lui aveva visto in lei la ragazza che aveva conosciuto on quegli anni? No, la risposta era quella, perché lei Helena non lo aveva mai fatto avvicinare a lei fino a quel punto tranne che negli ultimi giorni ad Asgard, quando lui ormai era già morto e per lei non era altro che un cliente. 

Sospirò. "Ho dei figli mia cara..." sollevò lo sguardo su Hilda e diede voce alle sue paure. "Erano al sicuro fino a quando non sono stata portata via da casa." Le raccontò 

Hilda la osservò pensierosa, era tanto ormai che conosceva Rosa e non le era mai sembrata una persona che obbligava le ragazze a lasciare le proprie famiglie per farle da seguito.

"Avevo capito che sei con lei da tanto." Disse con cautela la regina.

Tulip annuì. "Sì, ma mi divido tra casa qui e quella che avevo ad Asgard dove vivono I piccolo." Le spiegò allora. Hilda sentendo nominare il suo paese ne restò sorpresa e la guardò curiosa. Helena annuì decidendo di essere del tutto sincera con lei. "Questo aprile mia madre si era ammalata e li ho raggiunti poiché non potevo lasciare tutti soli in quella situazione." 

Hilda annuì seria, ma certo... "Andreas... Ha avvelenato anche me."  

"Non solo te mia cara Hilda, dopo essere giunta ad Asgard mia madre è venuta a mancare anche se ancora non ne avevo compreso il motivo. Io stessa sono stata colpita dalla malattia, pensavo però si trattasse di influenza." 

Hilda rimase basita a quella rivelazione. "Fortunatamente stai bene." Le disse sinceramente.

Lei scosse la testa. "Ero già in ancella di Aphrodite da sei anni, sono stata salvata in realtà. Dal rito e dal sangue divino nelle mie vene e dai gold saint si Athena." Continuò a raccontare. "Una sera venne a prendermi Fafner per conto di Andreas senza alcuna spiegazione. Non so come ma mi trovai imprigionata e solo allora capii di essere finita in trappola. Pisces e Cancer vennero in mio soccorso ma la mia esile vita  non ce la fece...” sussurrò la giovane.

Hilda annuì, sapeva dei danni inferti dallo Yggdrasil, danni che si erano ripercorsi anche su di lei. Ma non aveva mai saputo di altri e non si era mai chiesta cosa fosse accaduto. Che egoista che era stata.

“Ma sei riuscita a riprenderti giusto?” Chiese a Tulip, in fondo era lì accanto a lei.

Helena annuì. “Aphrodite percepì che la mia anima stava per sparire e mandò Yúlàn e Sakura a prelevarmi. Una volta in Francia ella giacque al mio fianco dopo aver curato la mia anima ed il mio corpo con essenza e oli di aloe. Lei e le mie sorella pregarono per me nelle successive ventiquattro ore fin quando non mi risvegliai.”  

Hilda sospirò, ecco come si era dunque salvata la sua cara amica Tulip. “Quindi sei di Asgard... aspetta! In uno dei paesi circostanti c’è un negozio di fiori sempre ben fornito.” Ammise Hilda che era a conoscenza di quel negozio, tutti lo erano poiché Asgard non era florida, ma quel negozio...

Helena annuì alla sua affermazione. “Sì, ad Asgard c’era il mio negozio di fiori. Purtroppo quando sono riuscita a tornare lì però era chiuso e dei miei bambini non vi era più traccia.” Raccontò la ragazza desolata intanto che si stringeva in un abbraccio, sentiva freddo anche se non c’era da tremare di nulla. 

“Erano spariti?” Chiese Hilda. “Ma i gold saint ci hanno protetti tutti.” 

Helena si tappò le orecchie scuotendo la testa, i capelli castani le cadevano in avanti coprendole il viso. “Forse non hanno fatto in tempo. Hilda sono stata ad Asgard sei giorni dopo quei fatti, Aphrodite non ha voluto che andassi via da sola poiché la preoccupavano le mie condizioni. Successivamente Zeus ha chiesto i nostri servigi come supporto ai gold saint resuscitati ed il tempo è trascorso. Aphrodite so che aveva inviato suo fratello Hermes alla ricerca dei miei piccoli...” 

“Ma di loro si sono perse totalmente le tracce.” Constatò Hilda amareggiata. Prese tra le sue le mani dell’amica e ne cercò lo sguardo. “Perdonami, è stata tutta colpa mia.” 

“Ma cosa stai dicendo?” Chiese Helena stupita. “È mia solo la colpa, sono una madre indegna.”

Hilda scosse la testa. “Mia è la colpa, ho permesso che Andreas si impossessasse di Asgard e peggio, quando Loki è stato sconfitto non ho fatto nulla per andare incontro al popolo.” Ammise lei in lacrime. “Tu non sei una madre indegna, sono io una pessima regina per voi.” 

Helena sgranò gli occhi, che colpe aveva mai lei. “Non dire assolutamente così Hilda, tu eri in fin di vita fino a poco tempo fa Aphrodite non ti ha aggiunta al suo corteo. Non hai colpe!” Le disse.

Hilda le carezzò i capelli castani portandoli tutti dietro le spalle. “Neanche tu allora ne hai. Stavi morendo e Aphrodite non poteva sapere cosa stesse accadendo ad Asgard.” 

Tulip sospirò abbracciando l’amica. “Sei una persona straordinaria Hilda e da quando ti conosco sei una vera amica.” Si confidò, ebbene sì lentamente la regina di Asgard le era diventata cara come le altre nove sorelle che aveva nel corteo, solo nessuna di loro tranne Aphrodite, Giulia, Viola e Yúlàn sapevano che...”Helena... puoi chiamarmi Helena.” Le rivelò allora.

“Helena! È un nome bellissimo e ti si addice proprio, spero di esserti stata di aiuto.” 

Ella annuì. “Parlarne mi ha aiutato molto Hilda, grazie.” Disse portando lo sguardo verso il pavimento. Partire e tornare ad Asgard nelle sue ricerche l’avrebbe però rincuorata ancora di più. Era tornata ad Asgard a inizio maggio, quando Aphrodite aveva liberato tutte dagli impegni con i gold saint. 

Ancora non li aveva trovati! 

“Tornerò ad Asgard di nuovo adesso che è tornata la pace.” Iniziò a raccontare Hilda. “Ti va di venire con me e Freya? Potremo cercare i bambini, magari con l’aiuto della guardia del palazzo.” Propose la regina.

Helena la guardò ed annuì, quella era la sua prossima destinazione quindi avrebbe accettato con piacere. “Quando partiamo?” Chiese la giovane.

“Freya e Death Mask partono già domattina, noi andiamo invece dopo aver salutato Aphrodite.” La informò Hilda.

Helena ingoiò un groppo. “Death Mask parte per Asgard?” Chiese 

Hilda annuì. “È stato proprio lui a proporsi come suo accompagnatore fino a quando Hyoga non la raggiunge.” 

Quindi forse non si sarebbero trovati, molto meglio. Dopo averlo visto sotto un’altra veste ad Asgard non era pronta ad avere rapporti ravvicinati con lui che non includessero il sesso. 

Con queste premesse nei giorni successivi  attese la partenza verso Asgard trepidante. Avevano salutato Rosa e le altre il pomeriggio successivo,  alla sera presero poi un aereo che le avrebbe portate in Norvegia e da lì sarebbero andate spedite verso Asgard.

Arrivarono la del giorno dopo nel regno di Hilda che  le presentò il primo ministro ed i cugini Frey e Freya che al momento la sostituivano al comando del regno; Lifya la celebrante era invece al picco delle preghiere.

“Tua sorella Freya non è qui?” Chiese Helena intanto che si addentravano nel palazzo. 

Doveva togliere il suo elegante vestito verde, sostituirlo con quello marrone e poi struccassi e legare i capelli, in pratica passare da Tulip l’ancella a Helena la fioraia. 

“Credo sia nelle sue stanze, oppure in biblioteca, è il suo luogo preferito.” Rispose Hilda svoltando in un corridoio invece che procedere per le stanze. 

Ella la seguì, chiedendosi se era vero oppure se Hyoga fosse giunto ed ora i due erano a scaldarsi in camera. 

Entrarono in una stanza circolare dove lungo le pareti si trovavano degli scaffali pieni di libri. Ancora prima di vederli Helena riconobbe la voce di Death che chiacchierava rilassato con la principessa di Asgard.

“Non direi io e i mocciosi non ci capiamo.” Diceva lui intanto che lei rideva.

“Fidati, sei molto bravo. Quando partirete? Sai già dove andrete?” Chiedeva Freya.

Death mask annuì alla principessa notando l’arrivo della regina di Asgard seguita a ruota da Tulip.

La sua aria rilassata subito si incrinò, sembrava disturbato dalla sua presenza, pensò Helena che una volta in biblioteca salutò la divina Eunomia. 

“Andremo in Sicilia, i miei nonni sono ancora vivi ed è anche un periodo dell’anno che sto sempre con loro.” Rispose Death Mask alla dea. “Vi dirò in questo periodo dell’anno ai campi c’è bisogno di mano d’opera, avremo tanto da fare.” 

Freya salutò sua sorella poi annuì al cancer. “La Sicilia deve essere bellissima e credo sia un ottima scelta. Vi farà bene andare fin lì, quando partite?” Chiese al santo di Athena.

Death guardò di sottecchi l’ancella dai capelli color cioccolato di Aphrodite poi fece spallucce. 

“Non ho nulla da fare qui, a meno che non si richiede la mia presenza potremmo andare via appena arriva il nostro amico Hyoga.” 

Freya lo raggiunse e gli sorrise. “Hyoga arriverà in nottata così da domani sarai libero di fare tutto ciò che vuoi.” 

Death annuì guardando poi le altre due donne. “Posso fare qualcosa per voi Lady Hilda o posso ritirarmi?” Chiese leggermente annoiato. 

Helena odiava quel suo modo di apportassi alle persone, avrebbe dovuto essere più umile invece continuava con la sua aria di superiorità.

Hilda scosse la testa. “Ho gia chi si prende cura di me, grazie Giovanni. Tulip tu hai bisogno?” Helena scosse la testa, da quando Death Mask si faceva chiamare col suo nome di battesimo dai conoscenti. Fosse stato per lei sarebbe potuto partire anche subito la sua presenza non faceva altro che urtarla.

“Perfetto.” Disse Death. “Passo a trovare le mie donzelle così da metterle a letto, chiamate se avete bisogno.” Disse inchinandosi alle regnanti di Asgard con un sorriso sghembo.  

Helena sollevò un sopracciglio? Donzelle? Era lì da meno di ventiquattro ore e già faceva il casca morto? 

“In realtà avrei bisogno di posare il mio bagaglio e riposare mia cara.” Disse Helena alla regina intanto che Death era per andare via. “Sai indicarmi la via per le stanze?”Chiese.

Freya poggiò una mano sul bicipite di Death con confidenza. “Puoi accompagnarla Giovanni? Sei di strada e sai dove si trovano le camere degli ospiti.” 

Lui fece una smorfia mentre sul viso di Helena apparve un sorriso apparentemente gentile. “Grazie divina Eunomia, gentilissima come sempre.” Disse facendo un leggero inchino e prendendo la sua borsa da viaggio. 

Death sbuffò e si incamminò verso le stanze, incurante del fatto di dover aiutare o meno la giovane ancella. 

“Non è così che ci si comporta al cospetto di una regina o una dea.” Disse Helena appena I due furono soli.

“Non sono un servitore e mi comporto come pare a me.” Rispose lui spavaldo mentre continuava ad andare. 

“Potresti fare uno sforzo...” disse lei, in fondo ne andava il buon nome di tutti. Poteva non comportarsi come un cafone a camminare a gambe aperte e scomposto solo per fare un dispetto a lei o alle regnanti di Asgard. 

“Adoro dare il meglio in cose di puro piacere tesoro.” Disse lui fermandosi davanti ad una porta. 

“Hilda ha detto terza stanza sulla destra.” Disse Tulip fermandosi. 

“Credo che ti possa andare bene anche la mia stanza per ciò che vuoi.” Rispose lui con aria sicura di se. 

“Sono stanca Death Mask...” Gli disse fiera, non lo aveva invitato nel suo letto e non voleva farlo. 

Lui aprì la porta e sempre nello stesso tono le indicò la camera. “Puoi prendere lo stesso la camera, io dormo altrove.” Disse dandole le spalle e incamminandosi lungo il corridoio. 

Ma dove stava andando con così tanta confidenza? Gli andò incontro afferrandolo per la cintola dei pantaloni, stava andando dalle due donzelle ovvio. 

“Perché ti fai chiamare Giovanni? Non lo dici mai a nessuno il tuo nome.” Non lo aveva mai detto nemmeno a lei, ne era a conoscenza solo perché Viola lo aveva ritenuto importante. 

“Non l’ho mai detto neanche a te Tulip.” Disse lui con sguardo tetro. 

Lei lo lasciò andare, quello sguardo gli fece paura ricordandole che non era un uomo normale, bensì un guerriero con l’attitudine all’omicidio. 

“Scusami, queste sono cose che non ci interessano.” Ammise lei facendo un passo indietro a sguardo basso per poi dirigersi verso la terza porta sulla destra.  

Nel momento stesso in cui abbassò la maniglia la giovane si sentì afferrare per i fianchi e venire spinta nella camera. 

“Se vuoi i miei servigi come sempre basta che lo chiedi... altrimenti me ne vado.” Sussurrò Death al suo orecchio.

Helena avvertì un tremito lungo il collo e che scendeva per la schiena fino ad arrivare al suo grembo. 

Non voleva, non voleva cedere anche se era più forte di lei. L’attrazione che scorreva tra loro era palpabile e lei non aveva più i suoi bambini, i loro bambini! 

Era stanca, nonostante avesse solo 24 anni si sentiva vecchia e senza più un’anima. Aveva perso i suoi figli e non era  stata in grado di proteggerli e dimostrare a sua madre di essere in grado di crescere un bambino e di prendersene cura, sua madre aveva avuto fiducia in lei e lei stessa doveva averne. Per tutto ciò che aveva fatto fino ad allora. Entrò in stanza spingendo Death Mask con se... si voleva un altro bambino dopodiché non si sarebbero più rivisti. 

 

—————————

 

(1) Questi fiori sono tutti legati ai sentimenti di Helena, il primo Nellik è il garofano, il significato del garofano rosso è la rabbia sentimento che prova e che vede in Death, Stejern sta per la Stella alpina che bel linguaggio dei fiori simboleggia il coraggio; il giglio simbolo di purezza; il lillà sempre simbolo di innocenza. 

Sono in pratica un maschio di circa 7 anni, una femmina di sei, poi femmina di 5 e maschio di 4 anni.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Il gold saint più debole ***


Il gold saint più debole




PREMESSA: Sequel composto da one shot seguito di AGAPI GIA TON OLIMPOU. Tutti i personaggi hanno fatto un salto temporale di +3 per tutti quindi la guerra galattica inizierà il 1989 anziché il 1986. Gli eventi sono in ordine cronologico, l'arco narrtivo termina l'estate del 1990 (in contemporanea con Next dimension) PS ci sono pochi riferimenti a Saintia Sho che non abbiano intaccato la trama con il manga/Anime Originale; Quindi Saga non è MAI divetato Ares
ATTENZIONE: © delle Fanart prese in giro per il Web se le riconoscete come vostre basta che me lo facciate sapere e provvedo a inserire i credits
COPYRIGHT: Storia basata sulla saga del maestro © Masami Kuramada ©Saint Seiya; Tutti i diritti della serie sono del sensei, della Toei e della casa editrice Shueisha; Per le immagini © Michi Himeno © Shingo Araki;

 

Andreas: debole, tra tutti i gold saint che conosco sei sicuramente il più debole. 

DM: Bastardo! Probabilmente è vero, questa Cloth mi ha anche abbandonato una volta. E continuo a chiamarmi santo.

Andreas: sei il peggiore 

(Soul of golf)

 

Le regnanti di Asgard sarebbero rientrate presto nel palazzo del Valhalla. La guerra si era conclusa e Hilda era ormai in salute, Aphrodite a quanto pareva non aveva bisogno della sua nuova ancella. Lui Giovanni, meglio conosciuto come  Death Mask, ex santo del cancro di Athena, si era subito fatto avanti per essere la scorta di Freya in quel viaggio. Aveva urgenza di tornare nelle gelide terre del nord, lì dove aveva recuperato un po' della sua umanità. Il ricordo era ancora vivido in lui, gli aveva permesso di redimersi agli occhi della sua armatura. Gli aveva consentito di scoprire un nuovo sentimento, appena accennato e sbocciato che non aveva avuto il tempo di maturare. Non era attrazione, quella Lui la provava con Tulip, dal primo giorno in cui aveva incrociato il suo sguardo sette anni prima. Desiderio che aveva sempre appagato tra le braccia dell'ancella castana, desiderio che a distanza di tanti anni ancora lo faceva sentire vivo, nonostante si disse saziato, nonostante di vivo non avrebbe dovuto avere più nulla. Era morto, nato e morto per mano degli dei più volte. Per mano di Abel, per mano di Hades, per mano di Odino, infine in via del tutto definitiva per mano di Zeus.

Ma se la meritava mai quella rinascita lui? Era il più inutile dei santi di Athena, lo riconosceva.  Nella sua vita di santo non era stato un martire, di sicuro era quello più propenso a peccare a cominciare dalla scia di omicidi che si era lasciato dietro. Tutti omicidi che non gli avevano riservato nessuno scrupolo, non gli era importato di uccidere donne, bambini e anziani se la causa ne valeva il sacrificio. Aveva ucciso per giustizia tante volte, bambini che a sei anni già avevano in mano una pistola, che avevano fatto  da corrieri della droga e che erano ormai smarriti. Non gli importava che fossero innocenti, lo aveva imparato sulla sua pelle, quando si vive in un determinato ambiente e ad una certa età si era consapevoli di ciò che si faceva. Lui era stato consapevole a sei anni di avere un cosmo ed essere destinato a diventare qualcosa di più, lui aveva deciso da solo di partire con Death Mask e raggiungerlo sull'Etna dove aveva iniziato ad addestrarsi. Lui, Giovanni, a sei anni già sapeva che sua madre era andata persa nelle mani di un porco che voleva abusare di lei.

Non aveva avuto scrupoli ad ucciderlo quando a nove anni era entrato nel pieno della sua investitura, aveva ucciso Don Mimí. Non se li era fatti uccidendo trafficanti, ricettatori e malavitosi, la sua stessa madre lo aveva ripudiato timorosa di lui. Ma lui Giovanni era andato avanti, per un bene più grande non importava quanti ci avrebbero rimesso la vita. 

Era stato così che si era perso Giovanni, godendo alla morte delle persone e lasciandole a vivere senza un vero trapasso nella quarta casa. Più grande era il peccato, più grande era la pena, diceva. Come quel bambino che in preda alla lussuria a soli dieci anni si prostituiva, o come chi senza scrupoli aveva dato della droga ai suoi coetanei. Questo perché non contava l'età, che ne sapeva Shiryu il dragone? Lui non ci era cresciuto, lui non aveva visto e vissuto, lui era stato beato. Viveva tra le rapide di Goro Ho, addestrandosi e lo sapeva anche Giovanni vivendo nella bambagia. Era sicuro Giovanni che Shiryu non sapesse e non immaginasse il degrado che si trovava in giro per il mondo, e la pulizia che si dovesse fare intorno ad esso. Non tutti avevano la fortuna di avere un sensei come Dohko, lui per esempio si era trovato come maestro uno spettro, quale Death Thol era stato, egoista ed egocentrico avrebbe detto. Sicuramente non lo aveva viziato e non gli aveva regalato nulla. No, assolutamente! Si era dovuto sudare il ruolo che aveva ottenuto. 

E nel momento stesso in cui era diventato santo del cancro, padrone delle animo eccolo che aveva iniziato la via della perdizione. Non era mai stato spaventato dal sangue che versava, non si era mai pentito di essersi concesso a delle donne. Era stato un ragazzino precoce, come precoce la sua crescita e la sua maturazione anche con le ragazza non aveva perso tempo Giovanni. A tredici anni era stato con la prima donna, lei aveva diciotto anni, non si era mai permesso Giovanni di intaccare la verginità di una giovane adolescente, questo no. Ma le donne le aveva conosciuto e fanculo i santi di Athena, se le era godute. Come si era goduto i fiaschi di vino che vizioso aveva sempre buttato giù ad ogni pranzo o quando festeggiava la conclusione di una missione. Qualcuno gli avrebbe dato dell'alcolizzato, lui la chiamava amore per il buon gusto. 

E si era perso Giovanni, non ricordava nemmeno più il suo nome se non fosse stato per i natali che doveva tornare a Catania, dalla nonna Lucia che aveva bisogno di lui, per raccogliere e arare  i campi, se non fosse stato per la buon anima del nonno Salvatore che aveva fin da subito preteso di non perdere il nipote in nome di un dio pagano che non riconosceva. O ancora per sua sorella, la bella Lucia, che sempre gli aveva chiesto di non dimenticarsi di lei. Lo aveva fatto in un gesto quando aveva seguito la dea Aphrodite, regalandogli una viola del pensiero legato ad un non ti scordar di me. La sua famiglia, nulla di più sacro che potesse esistere al mondo per Giovanni, era a loro che doveva la salvezza, a loro e a lei, Helena.

Helena che si era mostrare altruista e generosa, mettendo avanti a se stessa il bene per i fratelli, uscendo in strada a vender fiori per occuparsi di loro. Tutto nonostante ella fosse ammalata si era sacrificata per portare un piatto a tavola per i suoi fratelli. Era dolce Helena, di una bellezza limpida e pulita, semplice nei suoi gesti e nell'amore che concedeva ai suoi bambini. Si era innamorato di lei? Forse sì o forse no, il desiderio quel grande bastardo era emerso anche con lei. Ma più che desiderare di possederla lui aveva desiderato bearsi anche solo della sua parola e de suo sorriso. Con lei poteva essere paziente e dolce, non come quando c'era  Tulip, lei quella donna bastarda riusciva a rimescolarlo dentro a fargli perdere la ragione e far scorrere il sangue rapido nelle vene. Il desiderio prendeva il sopravvento con Tulip fino a quando non veniva soddisfatto e poi ancora dopo l'atto ne voleva ancora di piu. Lui con Tulip non ci parlava, ci scopava e lo sapeva. Ci scopava e ne restava intrappolato fino al loro nuovo incontro. Con Tulip non aveva mai realmente capito se gli avesse fatto un incanto afrodisiaco o meno, solo Helena era riuscito a scalfirlo dopo di lei. Aveva avuto altre donne ovvio, ma con ripugnanza, giusto per soddisfare un bisogno fisico che altro. Quella maledetta ancella di Aphrodite lo aveva legato a se impedendogli di desiderare altra donna, di poterla possedere come sapeva fare. Era sicuro di questo Giovanni perché quando arrivava allo stremo del desiderio lei si era sempre presentata alla quarta casa lì al santuario a dargli  ciò che lui cercava. Appagamento fisico! Come l'aveva conosciuta Tulip? Senza aspettarselo, ecco come! 

Era l'autnno del 1982, come sempre Giovanni si cercava degli spazi tra la sua vita di santo e quella di nipote devoto. Nonno Nino o Ninì come lo chiamava lui non stava proprio bene, Giovanni lo sapeva e lo sentiva, la sua anima stava per abbandonare il corpo e presto la morte sarebbe giunta. Era però autunno , ottobre era caldo, non si respirava e i manovali avevano abbandonato i loro terreni con la minaccia di Don Calogero sulla loro famiglia. Lucia stava diventando sempre più bella, aveva quasi sedici  anni e maledetti gli uomini la guardavano sempre lussuriosi. Le diceva Giovanni  di stare chiusa in casa, la nonna stessa si raccomandava che obbedisse, il suo urlo quando qualcuno la avvicinava o provava a toccarla gli arrivava fino in Grecia e ovunque egli si trovasse. Cazzo se era bella la sua Lucia. E cazzo! Aveva anche ucciso per lei, tutte le volte che uomini infidi, che si credevano grandi nell'essere quell'appellativo di maschi, provavano a prenderla e abusare di lei. In quanti ci avevano provato? Molti, in fondo come dicevano tutti a Catania era figlia di Rita, la donna contesa da tutti! L'aveva sposata don Mimí a Rita, e poi Don Totonno anche l'aveva voluta. Lei era stata di tutti perché era bella e ai signori di Catania una donna così bella faceva gola.

Lui aveva ucciso sia Mimí che Totonno dopo, fino a quando sua madre non lo aveva cacciato e rifiutato. Lui gli facevo schifo, aveva ucciso i suoi mariti, lui ero l'assassino mica i suoi marito che ricettavano denaro, prostituite e droga dando il comando di uccidere a destra e manca chi era loro d'intralcio? No! Era lui l'assassino, Giovanni il diavolo, così lo aveva chiamato quando don Calogero l'aveva chiesta in sposa.

Aveva subito voluto impedire quel matrimonio Giovanni, invocato disperato da Lucia, allora tredicenne, che non voleva andare con loro.

"A rovina di la nostra famiglia e ti tu soru si! Si  u diavolo pi persona. Te ni devi iri." (La rovina della nostra famiglia e di tua sorella sei! Sei il diavolo in persona. Te ne devi andare! NdA) Gli aveva detto accusandolo. 

Giovanni si era sentito trafiggere dalla sua stessa madre, lui che aveva sempre agito per conto della giustizia e della pietà adesso veniva accusato dalla sua stessa madre. Lui che non voleva ella fosse preda di un malfattore era così ripagato.

"Lucia non vuole venire con voi matri*. Lei mi ha chiamato." Affermò quindi il santo del cancro. 

"Io vado con Calogero, giuro diavolo di un uomo che ho portato in grembo che se mi fai morire anche questo vengo a cavarti gli occhi." Affermò allora la donna guardando spavalda sia lui che i suoceri. 

Giovanni avrebbe voluto urlare: Figlio, era suo figlio. Ma invece che pensare a lei l'aveva ignorata dandole le spalle e dedicandosi ai suoi avi e alla sorella. 

Poi a distanza di quattro anni, il luglio del 1982, era tornata a casa Rita. Ma Giovanni era già lì quando ella si era presentata alla casa paterna. Lui era lì a mietere il grano al posto del nonno, con i manovali che si defilavano. Ma  non faceva nulla, ci pensava lui per dieci e per venti di loro. Ignorò la presenza di Rita, faceva finta di non averla vista Giovanni e faticava di buona lena a raccogliere il grano a torso nudo e a detergersi dal sudore che più che abbatterlo lo galvanizzava. Quello era lavoro e lo sarebbe stato se non fosse diventato un santo di Athena. Sembrava assente ma ascoltava ciò che stavano dicendo in casa i nonni con sua madre, nonostante la distanza lui sentiva. 

"Porto Lucia con me, don Vincenzo Vitale la vuole come sposa." Disse ai suoceri. 

Appena sentì quell'affermazione Giovanni lasciò la falce e in pochi salti fu nella stanza che ospitava i nonni e la madre. Il volto sudato e abbronzato carico di ira. 

"Lei non viene via, lei non vuole fare la tua vita." Affermò entrando in stanza.

Rita era sbiancata e lo aveva affrontato. 

"Lei potrebbe fare la signora, il figlio di don Calogero, Vincenzo si è invaghito di lei. La signora le farà fare altro che contadina." 

"E lei non vuole fare la signora! Libera vuole essere." Intervenne il nonno con la sua autorità. Ninì non si era mai intromesso nelle scelte della nuora, dopo la morte di Salvatore che diritto aveva lui di decidere per lei. Ma adesso era diverso si trattava di Lucia, non più della vedova di suo figlio e doveva avere voce in capitolo.

"Ragione a questo diavolo date?" Chiese la donna inorridita. 

"Disse quella che mancò di rispetto ai nonni. Umili contadini che si guadagnano il pane sono, meglio del marito tuo di sicuro." Ci tenne a precisare Giovanni 

Il nonno poggiò una mano sulla spalla del nipote, non ce la faceva a discutere era stanco. "La tua bellezza fu la tua condanna, perché deve esserlo anche di Lucia? Che male fece lei?" Disse a quel punto Nino.

"Questo posto non le porterà nulla e non ci sarà sempre il diavolo a salvarle la pelle. Una brutta fine farà se resta qui, tutti lo sanno che stai morendo." Asserì malevola la donna. 

"Io non farò una brutta matri." Intervenne Lucia entrando nella stanza, dietro di lei vi erano tre donne. Una più diversa dell'altra, una più bella dell'altra.

Splendida in un semplice vestito bianco a fiori, una bellissima ragazza bionda, forse della stessa età di Lucia, la affiancava. 

"Non temete donna Rita, vostra figlia non sarà mai un frutto sacrificale per nessun uomo." Disse proprio la bionda con una voce calda e morbida. Giovanni ne era rimasto incantato ancora prima che parlasse, le curve armoniose del corpo, quei capelli biondi e lucenti nonostante fossero biondi, gli occhi azzurri e splendenti che ricordavano il mare di Sicilia e il viso senza alcuna imperfezione. Era l'incanto fatto persona.

"Chi è adesso quest'altra gente?" Chiese Rita.

Una giovane dai ricci capelli neri con riflessi viola si fece avanti indicando con una mano la bionda. "Lucia ha pregato che giungessimo in suo soccorso, timorosa di dover consegnare il suo fiore più bello ad un uomo che non amava. Aphrodite, dell'amore la dea, ha sentito la sua preghiera per questo siamo qui." 

"Quale sciocchezza pagana fu questa." Braitò Rita volgendo lo sguardo al figlio. "Fosti tu con le tue miscredenze a portare qui queste donnacce." 

Giovanni sollevò un sopracciglio per poi regalare alla madre un sorriso cinico. 

"Avete offeso la nostra signora Aphrodite dandole della donnaccia, donna Rita." Asserì la seconda ragazza, quella con i lunghi capelli castani che le arrivavano fino alla schiena. 

Giovanni prestò attenzione anche a lei definendola la meno bella del gruppo. Troppo comune, pensò fino a quando i suoi occhi non incrociarono quelli verdi di lei. Lo sguardo fiero lo fissava, si era accorta del suo che l'aveva osservata minuziosamente dalla cima dei capelli alla punta dei piedi. 

Quello sguardo verde ginepro gli inflisse un pugno allo stomaco e da lì giunse fino al cavallo dei suoi pantaloni. 

Si sentì soffocare e per nascondere l'imbarazzante rigonfiamento nei pantaloni si inginocchiò di fronte la donna bionda. 

"Così belle non ci stanno ad Atene, queste donne, ragazze direi, sono pezzi da cento e non le ho mai viste prima d'ora." Disse in siciliano alla madre e ai nonni, poi sollevando lo sguardo concluse in greco per le tre donne. 

"Benvenuta nella nostra umile casa Aphrodite."  

La bionda si chinò leggermente su di lui prendendogli il viso tra le mani e osservandolo sospettosa. "Sei un santo di Athena! Non siete obbligati a restare al santuario voi guerrieri di mia sorella?" Chiese ella.

"Siamo a riposo dopo aver vinto la guerra contro i titani divina Aphrodite." Rispose allora lui, anche il tocco di quella donna aveva qualcosa di ammaliante. 

Lei annuì e gli sorrise. "A differenza di ciò che dice vostra madre venerabile santo di Athena, non siamo donnacce. Ti pregherei quindi di tenere a bada le reazioni del tuo corpo dinnanzi le mie ancelle." Mi minacciò sempre col sorriso in volto. 

La fissai ed il mio sorriso spavaldo non mi abbandonò. Fanculo, ero il peggiore dei santi di Athena e non avrei mai nascosto le mie reazioni 

"Avete capito? Da domani Lucia verrà via con noi. Questo posto non fa per lei e per la purezza del suo animo, dite pure a don Vincenzo che vostra figlia è scomparsa donna Rita, d'ora in poi credetela pure morta, ella con voi ha chiuso." Annunciò intanto la ragazza con i capelli viola.

Giovanni seguì la scena di sottecchi: ancelle di Aphrodite, anche sua sorella lo sarebbe diventata? Era la prima volta che le sentiva.

"Voi non potete..." Stava dicendo Rita.

Ma quella dai capelli castani sembrava contraria alle sue parole e invece che parlare a differenza della mora andò verso Rita e la accompagnò alla porta. 

"È stato un piacere." La salutò chiudendosi la donna alle spalle. 

"Andremo subito via così da non arrecarvi disturbo." Annunciò, una volta che furono soli, la dea Aphrodite ai due anziani. 

"Portate Lucia via con voi?" Chiese la nonna Lucia.

"Credete che qui possa essere al sicuro? Se mi dite che sarà così potrà restare con voi." Chiese allora la bionda.

Fu il nonno a scuotere la testa intanto che si scambiava un occhiata col nipote. Lui era un soldato nelle file di Athena, aveva una missione ben più importante, non era certamente correre in Sicilia ogni volta che Lucia chiamava. 

Fu la nonna però a parlare per tutti, ella sapeva, ella comprendeva che la vita di Nino era ormai agli sgoccioli, lei sapeva che anziana e sola con Lucia non avrebbe potuto proteggerla. 

"Se così sarà libera da ogni male non la tratteniamo qui con noi. Ma voi giovane Aphrodite restate qui, siate ospiti nella nostra umile dimora oggi e domani quando partirete sarete riposate." Offrì loro la donna. 

Aphrodite annuì e prendendo le mani tra sulle della donna sorrise. "Chiamatemi Rosa Matri Lucia." Disse allora. "Io e le mie ancelle, Kissos e Tulip accogliamo con piacere la vostra ospitalità."

Al che Giovanni si alzò, non aveva altro da dire e non c'era nulla che potesse fare, se non quello per cui era lì. 

Diede le spalle a tutte le donne e scambiandosi uno sguardo di intesa con il nonno uscì di nuovo nei campi a mietere il grano. 

Non tornò in casa per il pranzo, aveva un lavoro da svolgere. Dopo il grano era passato e raccogliere i frutti succosi dagli alberi di aranci e dai limoni. Era sporco e non stanco, i pensieri scorrevano veloci durante quella sua giornata. 

Faceva bene ad affidare sua sorella ad Aphrodite? Forse sì, le ancelle che fossero di Aphrodite o di Athena erano atte a dare piacere o fare da serve. Ma Aphrodite era stata chiara, non erano donnacce, quindi sua sorella Lucia sarebbe stata al sicuro. Era giunto alla conclusione mentre aggiungeva un'altra cassa di limoni sul furgone  che il giorno dopo sarebbe stato venduto. 

"Con questo raccolto dovrebbero stare bene tutto l'inverno." Si annunciò Viola con quella frase. 

"Se vendessero quello che non riescono più a coltivare starebbero bene per sempre. Basterebbe loro un piccolo angolo di terra per campare e per mangiare." Le rispose lui, non sarebbe potuto andare sempre a trovarli.

Lucia posò una mano tra le scapole umide del fratello. "Parlagli, ti ascoltano Giovanni e io da domani non ci sarò più." 

Lui cercò lo sguardo della sorella. "Se parti con lei non ci vedremo più, sono due dee così diverse." 

"Se ci ameremo sempre non accadrà Giovanni." Asserì lei porgendogli un mazzolino  di fiori viola e qualche ramoscello azzurro. "Sono viole  del pensiero, questo per ricordarti che sarai sempre nei miei pensieri." Disse la giovane al fratello. 

"Quello azzurro non mi sembra una viola." Le rispose, non voleva essere preda della malinconia e della tristezza. Aphrodite sarebbe stata per lei ciò che il santuario era stato per lui, la salvezza e la libertà.

"Quello è un non ti scordar di me." Ammise Lucia.

"Vuol dire che tu..."

"No Giovanni, vuol dire che qualsiasi cosa tu..." disse la sedicenne puntandogli il dito indice contro i pettorali sodi. "Non dovrai mai, mai scordarti di me Giovanni, che io sia Lucia oppure Viola l'ancella di Aphrodite." 

Le aveva sorriso il santo del cancro poi se l'era abbracciata con amore. "E chi si dimentica di te Lucia, io non potrei mai." 

"Torni ad Atene adesso?" Chiese lei in preda all'emozione.

Lui afferrò la maglia nera e se la tese sulle spalle incamminandosi. "Questa notte resto qui, così a qualsiasi ora tu andrai via Lucia io ci sarò per salutarti." Le aveva detto.

Una volta a casa era andato a lavarsi e poi aveva cenato con tutti, o nonni offrivano alla dea i frutti del loro raccolto orgogliosi, i due fratelli a quella visione avevano provato lo stesso sentimento. Quella era famiglia e Lucia stava per spiegare le sue ali verso un destino ormai già tracciato. 

La notte una volta a letto Giovanni aveva chiuso gli occhi senza però addormentarsi, un avambraccio copriva gli occhi. Non restò sorpreso nel sentire la porta aprirsi, non scostò il braccio per vedere chi era, sapeva che non si trattava di nessun familiare.

"Ti ho scelto santo del cancro, da oggi sei mio." Disse la voce della castana.

Un sorriso apparve sul viso coperto per metà di Giovanni. "Vuoi sedurmi?" Ancelle, erano tutte uguali. 

"Impossibile, sono vergine e non saprei da dove cominciare." Rispose ella lasciandolo sbalordito. "Ma tu saprai iniziarmi vero?" Gli disse sedendosi al suo fianco e portando una mano ben curata al suo sterno. 

La giovane ancella poteva sentirne il battito del cuore, non parlava e non rispondeva. Il sorriso era scomparso dal volto del ragazzo, lo aveva sorpreso con quell'affermazione. 

Ella tenne lo sguardo su di lui, aveva un fascino così particolare, il fisico era muscoloso ed asciutto e da quando aveva incrociato il suo sguardo quella mattina si era sentita legata a lui. Sarebbe stato il suo tributo d'amore per diventare definitivamente un'ancella di Aphrodite se egli avesse accettato.

Si scostò il braccio dal viso, Giovanni la fissò per poi sollevarsi contro la tastiera del letto. Allungò una mano e le scostò la camicia da notte così da scoprirle il seno non molto grande  ma decisamente eccitante. "Come ti chiami?" Le chiese.

 L'ancella deglutì aprendo la bocca carnosa ed invitante coperta da un velo di lucida labbra. "Tulip!" Sussurrò

Il nome di un fiore, come sua sorella che aveva scelto di chiamarsi Viola, come il suo fiore. Quello che lo avrebbe sempre tenuto legato a lei. Non gli aveva detto il suo vero nome Tulip, bensì un falso. 

Con uno scatto felino si portò verso di lei e le afferrò la nuca con la mano per poi avvicinare il viso al suo. "Death Mask, questo è il mio nome. Sappi che ci andrò piano solo la prima volta, poi si fa come so io." 

Così l'aveva posseduta la prima volta e quelle a venire, così era diventato suo. Appagato solo dal suo corpo e dalle sue curve non smisurate ma che a Giovanni piacevano. Così era stato chiuso in una trappola da cui non ne usciva facilmente. 

Partire ed anticipare il viaggio con Freya fu per lui una liberazione dalla sua presenza. Tulip era perfida e non si esponeva mai con lui, lo cercava e si prendeva il sesso che a entrambi piaceva, poi ogni volta lo lasciava uscire da lei. Dopo quattro anni dall'inizio della loro relazione infatti lei aveva preso le distanze, non gli aveva dato più tutta de stessa, al contrario da egoista si prendeva il piacere e gli ordinava poi di venire fuori da lei. 

Lo aveva incantato, non perché ne era innamorato, non perché avesse usato una qualche magia con lui. Quella ormai la riconosceva, lei Tulip la usava solo durante il sesso, quando non voleva che il suo seme la macchiasse e allora senza obbiettare si allontanava da lei. Sapeva però di certo Giovanni di essere schiavo del suo corpo e dei loro desideri, sapeva che appena gli avrebbe accennato sarebbe di nuovo caduto preda della sua femminilità e così non andava bene quello era un rapporto distruttivo e non era ciò che voleva Giovanni, non quando da santo di Athena diventava un guerriero di Zeus e c'era il rischio di trovarsela sempre davanti. Scappare cercando le missioni in quei mesi era stata l'unica via di uscita. Odiava quando lo guardava con ammonimento, quando il solo parlare con altre donne lei lo uccideva con quegli occhi color ginepro.  Gli rivoltava tutto dentro soprattutto perché lei era stata distaccata con lui. Quasi avesse la lebbra! Non era malato e sì era morto, che colpa ne aveva se gli dei non gli davano pace e ogni tre e due lo risvegliavano dal sonno eterno. 

Libertà, era ciò di cui aveva bisogno e lì ad Asgard senza dubbio l'avrebbe trovata, come avrebbe anche portato a termine la sua missione. 

"Vieni John ti porto alle tue stanze, credo Lifya ti stia già aspettando." Disse Freya riportando alla realtà il santo del cancro.

"Perfetto, tu sicura di non aver bisogno di me?" Chiese Giovanni. 

"Sicurissima John." Disse ella aprendo una porta che dava su una stanza molto confortevole, sulla panca avanti al letto Lifya lo aspettava imbarazzata.

"Ciao Death è... bello rivederti?" Lo salutò titubante. 

Grattandosi la fronte Giovanni annuì. "Ciao, scusa se ti ho disturbato in questo periodo." La salutò 

La celebrante intanto sbirciava alle sue spalle, divertito il santo si fece più avanti e si chinò su   di lei. "È in Grecia con la sua compagna e loro figlio."  

Le disse perfido, meglio disilluderla subito anche se in quei mesi le aveva chiesto un favore.

"L-la compagna?" Chiese Lifya 

Freya allora intervenne annuendo. "Sì, ricordi Marin? L'hai conosciuta quando è venuta a trovarmi mesi fa." Raccontò a Lifya.

Lei chinò il capo e sorrise amaramente. "S-sì la ricordo. Non mi sembrava pronta già al parto però." Cercò di intavolare un discorso, giusto per tacere che non si aspettava Aiolia avesse una relazione, figurarsi un bambino. Ma in fondo chi era lei per lui? Solo un'amica e niente altro. Quante volte durante la sua permanenza ad Asgard aveva negato che loro fossero una coppia intima. 

"Non aveva ancora terminato la gravidanza giusto? Ma sono stati attaccati da alcuni giganti e il piccolo Lyon è nato prematuro." Spiegò la principessa.

"M-mi dispiace... io..." Terminò la giovane intanto che delle voci vivaci giungevano fuori dalla porta. Un bambino di circa quattro anni stava entrando sgattaiolando verso Lifya, dietro di lui una bambina con un caschetto castano cercò di rincorrerlo. "Eccoli." Affermò la celebrante  rivolta a Death Mask. "Li ho trovati dove ci siamo conosciuti e li ho portati qui." 

"Tu sei il tipo che veniva alla bottega." Disse la voce di un bambino entrando in stanza e andando spedito da Giovanni.

Il cancer diede un occhiata ai bambini, erano tutti e quattro lì, anche la piccola con i codini, che dava la mano al fratello. 

"Sembra che stiate tutti bene." Disse al ragazzino.

"Abbiamo fatto come ci hai detto, ci siamo aiutati e siamo rimasti uniti." Affermò il grande entrando nella stanza. 

Giovanni si inginocchiò al ragazzino ed annuì. Doveva avere appena sette anni, come lui quando era diventato un santo. Lo guardò attentamente ricordando il suo incontro con Andreas Rise e la morte di Helena, come amareggiato l'aveva portata dai bambini. 

"Non te l'ho chiesto io, era un desiderio di tua sorella Helena e tu devi mantenerlo in sua memoria." Disse al ragazzino intanto che la bambina che aveva per mano lo guardava curiosa.

Lui guardò il cancer. "Lei non era mia sorella Helena, lei era mia madre!" Disse il bambino sfidandolo con i suoi intensi occhi blue. 

Giovanni rimase basito. Annuì e guardò il bambino, Helena aveva dei figli e non dei fratelli. "Nellik giusto?" Gli chiese a quel punto, il ragazzo annuì. "Se sapete dove stare domani potrei portarvi avete una zia o una nonna?" Disse al maggiore dei fratelli. "Anche loro come te sono... cioè Helena è..." Chiese a Nellik.

"Soprattutto loro, ho capito tutto quando era lei a farli nascere." Mi raccontò lasciando andare la sorella. 

Era basito e forse deluso dall'immagine che si era creato di Helena, ma non poteva farlo vedere. Non ai bambini. 

"Avete dove stare?" Chiese allora. 

"No signore che puzza di alcol." Intervenne la bambina col caschetto, lei doveva essere Lilje. 

"Ancora non ho bevuto oggi." Ammise l'uomo con un sorriso beffardo. 

"Veniamo con te? Ci porti a casa?" Chiese la piccola Syren.

"Stjern vuole Helena, quando torna?" Chiese il più piccolo. 

"Quando sarà tempo Stjern, abbi fiducia in lei." Lo rincuorò Lilje. "Nel frattempo andiamo con lui, Helena ci ha affidato all'uomo che puzza di alcol." 

Giovanni li osservò, lui cosa? Quei quattro ragazzini dovevano aver capito male.

"Ti lasciamo in buone mani allora Giovanni. Io vado dal primo consigliere e dai miei cugini. Questa sera rientra Hilda con Tulip e vorrei fosse tutto pronto." Si congedò Freya.

Lui sembrò un attimo vacillare. "Pensi che domani potrei tornare in Grecia?" Chiese il cancer ed ella annuì.

"Perfetto, buona giornata Freya." La salutò Giovanni.

Non voleva stare più tempo del necessario sotto lo stesso tetto con Tulip. E così fece, il giorno dopo con i quattro bambini di Helena lasciò Asgard, dopo ovviamente essere ricaduto di nuovo tra le brame di Tulip. Quella donna era una tentazione e lui...

Lui era troppo debole e insignificante per poterla rifiutare. Aveva avuto ragione Andreas, era inutile. A cosa poteva mai servire?

 

———

Il periodo in cui Lucia avrebbe dovuto aggiungersi alle ancelle doveva essere l’estate. Ma la mietitura del gran inizia da metà ottobre a fine novembre. È quindi un caso che mi sia trovata a far nascere Nellik a metà luglio (cancro) avevo pensato più al piccolo, Stjern come erede di Death. Ma mi atterrò a questo punto al primo figlio. Poi nel corso della storia ne capirete il motivo

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Sicilia mia bella Sicilia ***


 

Catania/Olimpo; Periodo settembre - dicembre 1991

 

Nellik, Stjern, Lilje e Syrin erano stati recuperati da Giovanni, o Death mask come lo conoscevano al santuario di Athena, dopo aver portato il corpo di Helena nella loro umile casa. 

Li aveva presi e aveva detto loro di scappare da lì e nascondersi per mettersi al sicuro. In qualche baita abbandonata fuori Asgard era l'ideale! Aveva detto al più grande, il ragazzino con gli occhi azzurri. All'epoca, quel lontano aprile lo aveva chiamato il maggiore e lui offeso aveva risposto freddo. "Mi chiamo Nellik."

"Uniti dovete stare, Helena ve lo chiede. Il suo ultimo pensiero è stato per voi, andate al sicuro, lontano da qui. Tieni tutti uniti Nellik, io manderò qualcuno a prendervi appena avremo sistemato tutto con i miei compagni." Lo aveva istruito.

Nellik aveva annuito con fare solenne. Poi aveva indicato le sue sorelle dicendogli i nomi e infine il bambino più piccolo, quello che cercava di farsi forza per non piangere. Ma che comunque frignava: voglio Helena, voglio Helena. Syrin era piccolo, se aveva quattro anni era anche tanto, al contrario delle sorelle aveva gli stessi occhi azzurri di Nellik, al pari di sua sorella Stjern, aveva invece gli stessi capelli castani di Helena. 

Una sola richiesta aveva fatto a Lifya prima che svanissero, dopo aver sconfitto Loki. Trovare i quattro fratelli e fare in modo che qualcuno si prendesse cura di loro. 

Dopo che era risorto e dopo essere stato liberato da ogni impegno dal divino Zeus, finalmente con l'aiuto e l'intercezione di Freya  di Asgard era giunto ad Asgard per assicurarsi che fossero tutti e quattro sani e salvi. Li aveva trovato, Lifya con l'aiuto di Frodi si era preso cura di loro in quei mesi. Era però tempo che i bambini lasciassero il palazzo del Valhalla. Aveva un impegno con loro, portarli al sicuro da qualche parente.

Alla fine scoprì che l'ultima parente in vita era stata  Helena e che ella non era loro sorella, ma la madre. 

Madre! Quando lo aveva sentito Giovanni ne era rimasto basito, la bella, dolce e semplice Helena era madre di quattro bambini. E il padre? Non lo aveva chiesto a Nellik, però gli aveva chiesto se fosse sicuro che non ci fosse più nessuno. 

Tutti avevano annuito e lui aveva deciso. Li avrebbe portati con se in Sicilia, dai nonni che potevano prendersi cura di loro intanto che gli trovava una nuova sistemazione. Quattro bambini erano comunque una responsabilità per nonna Lucia, lo erano quando doveva badare anche al nonno, ormai un vegetale nel suo letto.

Quella era però la soluzione, doveva scappare! Tulip stava arrivando e lui non poteva permettersi di restare sotto il suo stesso tetto neanche un minuto di troppo. Così dopo aver preparato i bagagli e giocato con i små blomster (fiorellini in svedese), come volevano essere chiamati i bambini, era andato ad accogliere Hilda e dirle che sarebbe partito all'arrivo del santo del cigno. 

Dopodiché... era di nuovo ricaduto nella trappola di Tulip. L'unica consolazione era stata che quella volta lei lo aveva accolto dentro di se fino alla fine. Era stato che non aveva atteso che lei andasse via dal suo letto, era stato lui a fare il primo passo. Si era sollevato, rivestito e lasciato la stanza, per raggiungere Lijie e Syren, i piccoli di Helena che gli avevano chiesto di dormire con lui. Alla fine li aveva trovati tutti svegli ad aspettarlo. In dosso avevano delle camice lunghe tutti e profumavano di pulito.

"Avete cenato? Vi siete lavati?" Chiese curioso.

"Abbiamo fatto tutto!" Rispose Nellik.

Giovanni si chiese se avessero anche pisciato. Ma si trattenne dal momento che erano bambini e forse non erano termini adeguati a loro. 

"Bagno?" Chiese 

"Mm..." 

"Siete stati al bagno?" Chiese precisamente.

"Sì si!" Rispose Stjern.

"Io non avevo la pipì." Affermò il piccolo.

"Questo non significa nulla. Falla uscire!" Ordinò Giovanni.

"Non la ho." Si corrucciò.

Il cancer si urtò, osservò gli altri indicando loro il letto. "A dormire."

I bambini obbedirono salendo sul grande lettone, nel farlo Syren fu trattenuto.

"Tranne te! Non andrai a letto fin quando non avrai fatto la pipì." Gli disse.

Il piccolo fece per piangere e le sorelle per parlare. Ma un'occhiata di death cambiò le loro intenzioni.

"Forse e la volta che non bagno il letto Syrin." Disse il maggiore dei quattro per poi rivolgersi alle sorelle. "A dormire voi, domattina dovremo svegliarci presto e un lungo viaggio ci attende." 

Giovanni annuì, almeno il grande aveva capito come funzionava. Non si sarebbe preoccupato per il viaggio se fosse stato da solo, avrebbe usato il cosmo. Ma poteva muoversi con dei bambini? Questo non lo sapeva e solo la mattina successiva avrebbe capito come muoversi, forse fare due viaggi consecutivi alla velocità della luce... stava di fatto che in quel momento il suo problema era un altro. Osservò Syrin e gli indicò la strada del bagno.

"La pipì!" 

 

 

Era la metà di settembre, il sole baciava caldo le gote dei quattro bambini che meravigliati si erano ritrovati in un luogo che era l'opposto di Asgard. Il clima caldo infatti li avrebbe accompagnati ancora per un po' lì nell'assolata Sicilia. I colori caldi di Catania circondavano i bambini che di colorato fino ad allora avevano visto solo i fiori del negozio di Helena. Non vi era colore ad Asgard era tutto bianco e spettrale, a differenza di quel posto magnifico dove il verde delle valli si confondeva con l'azzurro cristallino del mare. Dove l'allegria della gente ti entrava fin dentro l'anima con il loro vociare e dove si trovavano frutte e verdure succose e invitanti.

Death alla fine aveva optato per un viaggio in aereo, trasportare quattro bambini era impensabile,  separarli per portane uno o due per volta anche, inoltre l'aereo privato di Giānnis Diás era lì pronto per ogni esigenza e allora ne aveva approfittato.

Una volta a Catania aveva lasciato ai quattro bambini la libertà di correre per i vicoli catanesi. Poi quando il tramonto era ormai alle porte si era portato verso la casa dei nonni. 

Il terreno di loro proprietà ormai era poco, quattro anni prima, quando don Salvatore era stato colpito da un ictus, finalmente i nonni si erano lasciati convincere a vendere il terreno. Adesso il nonno era quasi un vegetale e la nonna doveva tirare avanti da sola. 

Era stato a trovarli i nonni Giovanni dopo il suo ultimo ritorno, quando aveva accompagnato Aiolos a Stromboli ne aveva approfittato. Era passato a trovare i nonni per dire loro che era tornato, che sapeva Lucia avesse detto loro della sua morte. Egli si dispiaceva di avere arrecato ai due anziani nonni tanto dolore, solo quando fu certo che avessero compreso cosa gli era accaduto aveva promesso loro che non li avrebbe fatti più soffrire.

"A novembre, se Zeus me lo concede verrò ad aiutarvi come gli altri anni." Aveva detto 

"Lascia stare! Con la pensione adesso posso chiamare un manovale per la nostra piccola raccolta. Ma tu Giovanni passaci a trovare, Lucia non viene quasi mai e sapevamo quando venne l'ultima volta che era qui per un brutta notizia." Disse la matri.

"Non so quando potrò venire matri." Disse allora lui.

"Non ti preoccupare. Io so essere paziente..."

E certo che lo era la sua matri, quante ne aveva viste e vissute. Un figlio morto in servizio e un altro scomparso durante la pesca in mare, un nipote che diventa un santo di Athena e una nuora che era diventata la zoccola di un capo mafioso. Infine il suo amato Salvatore adesso era relegato su un letto o su una sedia a rotelle, doveva essere imboccato e lavato, proprio come un bambino. 

Quanto avrebbe voluto aiutarli Giovanni. Ma non poteva fare promesse, non quando non sapeva che intenzioni aveva Zeus con loro. E se sarebbe tornato negli inferi, di nuovo morto come tutte le altre volte? Non poteva fare un tale torto alla nonna, non di nuovo, quindi ci doveva andare piano.

"Questa è la casa dove sono cresciuto." Disse ai quattro små blomster mentre bussava.

Dopo un po' una donna di circa sessantacinque anni dal viso reso rugoso dal sole e dalla salsedine, senza trucco, apparve al piccolo gruppo. 

"Giovanni! Figghiu miu beddu." Esultò la donna gettandosi nelle sue braccia.

"Matri!" La sollevò lui per abbracciarla. "Hai ricevuto il mio telegramma." 

La donna annuì. "Certo che si. Aspettavamo voi per cena, venite entrate." Disse spalancando la porta. "I picciriddu mi devi presentare." 

Lui annuì e lasciò entrare i bambini in casa, questi sempre più curiosi guardavano ovunque. Nellik e Stjern furono gli unici a restare al fianco suo, mentre Lijie e Syrin cominciarono a toccare e guardarsi intorno. Lijie compassionevole si diresse verso il nonno, gli carezzò la mano e gli sorrise. 

"Bedda!" Sussurrò il nonno. 

"Patri, matri, vi presento Nellik, Stjern, Lijie e Syrin. Sono i figli di una mia amica." 

L'anziana donna sorrise e prese i visi dei bambini circondandoli con le mani callose, diede un bacio a Stjern sulla fronte dicendole fosse bellissima e poi si avvicinò a Nellik facendo la stessa cosa. "Gli occhi tuoi ha!" Aveva detto la vecchia.

Giovanni aveva taciuto, anche lui aveva notato gli occhi azzurri di Nellik e Syren e ne aveva dedotto che somigliassero al padre. Osservano i quattro poteva dire che Lilje e Syrin avevano preso un po' di Helena, i capelli castani e gli occhi nel caso di Lilje. Nellik non somigliava per niente alla madre/sorella. Capelli scuri e occhi azzurri intensi, era sicuro Giovanni che fosse l'unico a somigliare in tutto e per tutto al padre. 

"Uguale a tia!" Sussurrò il nonno. 

Giovanni gli si avvicinò carezzandogli la spalla. "Non ho capito." Disse per poi rivolgersi ai bambini. "Da oggi starete qui, la nonna ha preparato del buon pesce se il mio olfatto non mi inganna. Domani parto e chiederò un permesso per venire a stare qui, voi mi raccomando fate i bravi." Li istruì.

"Non ti preoccupare, ci penso io." Disse Nellik andando poi a chiedere alla nonna come poteva aiutare.

Giovanni assentì verso la matri, erano tanto bambini, eppure erano educati e indipendenti. Sapevano dare una mano in casa, si erano presi cura del negozio e della sorella mentre era ammalata. Non avrebbero dato fastidio alcuno, solo portato un po' di gioia ad un vecchio ormai alla fine dei suoi giorni ed una anziana ormai sola. 

Così anche se a malincuore e dopo essersi sincerato che i bambini fossero al sicuro il giorno dopo Giovanni aveva fatto rientro al cospetto di Zeus.

Lo aveva informato su come era andato il viaggio, del fatto che Freya stesse bene e che fosse stata raggiunta da Hyoga del cigno. 

“Vorrei comunque che ti assicurassi sempre del fatto che stia bene e sia la sicuro Death Mask.” Gli disse il padre degli dei. 

“Lo farò divino Zeus! Io vi voglio chiedere però se è possibile chiedervi un permesso.” Chiese con una smorfia. Essere soggetto alle decisioni altrui gli stava stretto, prima con Saga al comando al santuario gli era stato tutto più facile, adesso invece era diverso. Zeus aveva tutti in pugno.

“Hai finalmente trovato qualcosa con cui occupare le tue giornate Death Mask!” Affermò il divino Zeus.

Giovanni sollevò il capo, ancora con quella storia? Lui era un guerriero e tale voleva restare, non aveva altro scopo nella vita è non poteva arrivare un dio alla veneranda età di ventisei anni a dirgli che doveva cambiare tutto.

“In realtà no signore. Ho però i miei nonni ancora in vita, solitamente in questo periodo dell’anno lì aiuto nella mietitura del grano, ci sono i miei bambini con loro. Ma anche loro sono ancora piccoli.” Disse omettendo di dire che i ragazzini non fossero suoi. Poteva effettivamente sfruttare l’accondiscendenza che Zeus lasciava ai genitori e neo genitori per poter tornare a casa. 

“I tuoi nonni sono ancora vivi?” Chiese scettico Shion intervenendo al posto di Zeus. Al suo fianco anche Dohko sollevò un sopracciglio altrettanto diffidente. 

“Che voi lo crediate o meno sommo Shion, sì! I miei nonni sono ancora vivi.” Rispose sicuro di se. 

“Sarei felice di conoscere i tuoi figli Death Mask.” Intervenne quindi Zeus con un sorriso. “Posso darti un permesso, è un motivo più che valido. Anche se vorrei accompagnarti, a differenza di Shion ti credo. Voglio però conoscere i tuoi figli e vedere come hanno reagito al tuo ritorno, caso mai spiego loro cosa è accaduto” 

“Loro... loro non sono un problema divino Zeus. Sono anche tranquilli in merito.” Rispose consapevole che le sue bugie sarebbero venute presto a galla.

“Lascia che sia io a decidere Death. Quando vuoi possiamo partire, prenderemo un jet, ovunque tu voglia andare.” Disse quindi Zeus. 

Giovanni ingoiò il groppo. “A Catania signore! Per me possiamo partire quando voi volete.” 

Gián annuì alzandosi. “Partiamo domattina quindi, così potremo rientrare per la sera.” Ordinò e per quanto Giovanni sentiva l’esigenza di partire di corsa verso la Sicilia ed avvertire i nonni, lo sguardo indagatore dei due anziani gold lo faceva desistere. 

Doveva solo sperare che i ragazzini parlassero poco o che lo assecondassero, bastava poco. Anche se in quel momento maledisse il fatto che sembrava Helena avesse insegnato loro più lingue, Nellik e Stjern erano bravi con il greco, il russo, l’inglese e il francese e l’italiano, Lilje e Syrin nonostante fossero piccoli erano bravi con il greco, il russo e il francese. In una maniera o nell’altra Giánnis Diás e i vecchi gold avrebbero avuto modo di comunicare con loro. 

La mattina dopo l’aereo partí verso la Sicilia alle prime luci dell’alba, alle nove erano già atterrati. Shion e Dohko avevano seguito Giannis che si era portato dietro il suo compagno. In quel momento Giovanni si era sentito tanto vecchio e tanto ‘candela’ come si diceva da quelle parti. 

La presenza dei quattro però non era contestabile così dopo aver preso un auto a noleggio il cancer si era prefissato di guidare lui stesso verso la casa che si trovava quasi ai piedi dell’Etna dove vivevano i nonni. 

Ci misero un po’, solo quando iniziarono a farsi vedere le prime piantagioni di grano e i frutteti il santo del cancro parlò. “Siamo quasi arrivati. Questo terreno è di alcuni cugini, i miei nonni vivono in una casa con poca terra, serve a loro solo per vivere di rendita.” Disse ai quattro mentre la macchina si insinuava in dei vicoli stretti e antichi. Superarono una chiesa e poi iniziarono una discesa, dopodiché in uno spiazzo di terra e sassi, dove non c’era asfalto Giovanni si fermò. 

Aprì la porta e chiese agli altri di seguirlo. Due case in pietra dalle quali uscivano vociare di donne erano poste una di fronte all’altra. Distaccata ce n’era  un’altra, Giovanni invitò tutti a salire le scale e intanto che la porta si avvicinava questa si aprì lasciando emergere Lilje che gli correva incontro sulle scale. 

“Sei venuto presto!” Urlò la piccola stringendosi alla sua gamba. 

“Piano! Tu cadi.” La riprese con una smorfia Giovanni. 

“Hai mantenuto la promessa.” Disse ancora lei aggrappandosi. 

Non c’era verso! Giovanni la prese in braccio e si voltò verso i suoi superiori. “Venite, scusate per l’irruenza dei bambini, sono tutti vivaci.” 

Disse salendo gli ultimi gradini due alla volta. 

“Syrin ha fatto di nuovo la pipì a letto!” Disse la bimba. 

“Ninì! Sei arrivato presto.” Arrancò matri arrivando anche lei fuori la porta.

“Abbiamo ospiti matri, entriamo in casa.” La salutò con affetto Giovanni, sapeva il cancer che agli occhi dei quattro uomini in quel momento poteva non apparire un uomo tutto di un pezzo. Non lo era, non poteva farci nulla, per lui la nonna era l’unica persona che gli era sempre stato accanto senza mai giudicarlo. Lo aveva visto nascere, crescere e soffrire, rivoltarsi al mondo e diventare santo di Athena. Lei era la sua vita e non poteva essere cinico, egoista e indifferente a tutto in sua presenza. 

“Ti ho portato degli amici matri.” Disse poi indicando Giánnis Diás. “Lui è il padre di Rosa, l’amica di Lucia, quello dietro invece è Shion, ti ricordi? Ti parlai di lui a dieci anni.” Spiegò.

La donna osservò il gruppo mantenendo lo sguardo su Giánnis. “Il padre di Aphrodite? Lucia con te sta?”  Chiese al giovane.

Giánnis sorpreso annuì. “Onorato di conoscervi donna Lucia, Giovanni ci ha parlato di voi e abbiamo pensato di venirvi a salutare.” Disse ripensando all’ancella di Rosa, la giovane Viola, sorella di Death Mask.

La donna chinò il capo rugoso, lasciando tra vedere sotto il fazzoletto che le copriva il capo i capelli sale e pepe. “Siete voi che avete fatto tornare Ninì tra noi?” Disse prendendo la mano di Giánnis e baciandola. “Grazie, di cuore. Giannino non è un virtuoso, ma un bravo ragazzo fu e siamo contenti di averlo rivisto e riabbracciato. Un genitore non deve vedere la morte di un figlio.... grazie.” 

In imbarazzo Giánnis lasciò scorrere lo sguardo da Death Mask ai gold saint che scossero la testa. 

Fu Giovanni a far allontanare la donna, carezzandole una spalla. “Lucia sta in missione per Aphrodite, non è qui con noi. I bambini dove sono?” Chiese indicando ai quattro uomini delle sedie in paglia dove potevano accomodarsi. 

“Nellik andò a raccogliere i limoni. Cosa buona fu, così possiamo far bere una limonata fresca ai vossignoria.” Disse la donna orgogliosa. “I limoni più buono abbiamo, ne volete portare un po’ dietro?” Chiese agli uomini. 

“Strije invece dopo aver lavato Syrin, gli ha voluto far lavare le lenzuola e farle prendere aria.” Intervenne Lilje. 

Giovanni la mise a terra e le diede un piccolo buffetto sulla testa. “Va a chiamarli e smettila di fare la spia.”

Shion e Dohko seguivano la scena stupiti intanto che Giánnis e Kyros se la ridevano. 

“Quanti sono?” Chiese il padre degli dei. 

Death fece una smorfia e andò a sedersi accanto la nonna. “Quattro, due maschi e due femmine.” Rispose nel tipico linguaggio del sud Italia. 

Giánnis annuì per poi guardare l’anziana donna. “Chiedo scusa se tengo lontano Giovanni dalla vostra casa. Ci stiamo organizzando e vedremo di farlo rientrare più volte possibile. Per ora resterà qui, poi appena si libera ci raggiungerà.” Concluse tornando al santo del cancro. “Fin quando mia figlia Miho non partorisce ho Milo a mia disposizione, dopo però ti chiedo di rientrare. Non posso pretendere che lui pensi a me invece che alle due gemelle.” 

Il cancer annuì. “Aspetto allora vostre notizie.” Rispose, non ringraziò, lui non era tipo e il padre degli dei nulla disse se non scostare la sedia e alzarsi. 

“È stato un piacere donna Lucia. Ahimè dobbiamo andare via, io e i miei amici dobbiamo essere a Lecce per ora di pranzo. È stato però un grande piacere conoscervi.” Disse con riverenza alla vecchia. 

“Aspettate! ‘O piccoriddu sta portando i limoni, va a chiamare Nellik, Giovanni.” Disse la donna comandando il nipote di essere servizievole.

Questi scocciati si alzò e andò alla porta. Perché diamine non li lasciava andare via? 

A malincuore quindi obbedì, corse nei campi e andò alla ricerca di Nellik che trovò appeso su un albero a mangiare un arancio.

“Che ci fai lì? Ti stiamo aspettando!” Gli urlò contro.

Il bambino nel vederlo appena giunto quasi si strozzò, lo sguardo da vacuo si illuminò di gioia. 

“Sei tornato! Hai mantenuto la promessa.” Disse scendendo dall’albero.

“Se se! Muoviti andiamo a portare questi limoni. Vedo che hai preso confidenza col posto.” Gli disse Giovanni prendendo la cesta coi limoni. 

“Mi piace qui, c’è il sole e il mare, i fiori e...” spiegò il bambino eccitato per poi fermarsi.

“E cosa?! Perché non continui.” Chiese il cancer.

Lui ci pensò su, poi rispose evasivo. “Ho trovato con chi parlare. Amici!” Disse correndo poi verso la casa felice. 

L’amico di sua madre aveva mantenuto la promessa. Era tornato! Non ci sperava, non dopo che al contrario Helena non era tornata, le sue ancelle quando erano andate a prendere la madre ad Asgard gli avevano detto che sarebbe tornata dopo che si ripremeva. Ma non avevano più visto Helena e allora la fede nelle promesse altrui era svanita. Eppure quell’uomo, quello che puzzava di alcol, come diceva Lilje, era tornato e sarebbe rimasto. 

Giovanni al contrario era scettico, chi erano questi amici di cui Nellik parlava? Era sicuro non ci fossero bambini nel raggio di chilometri e lui con i fratelli erano lì solo da ventiquattro ore. 

 

 

Asgard - ottobre 199o

Era passato quasi un mese da quando Helena aveva incontrato Giovanni lì ad Asgard. In tutto quel periodo si era data da fare a cercare i suoi bambini. Era stata al loro villaggio, nella casa materna e al negozio di fiori, proprio come si era premessa. Ma dei quattro bambini non c’era traccia.

Era stata una stupida, aveva tergiversato troppo in Grecia, anche se non era stata colpa sua. Restare accanto alla sua dea era stata la priorità dopo la sua ripresa. La minaccia di Gea era troppo grande e pensare di abbandonare tutte sapendo che dietro il caos c’era anche la loro amica Giulia.

Eppure adesso se ne pentiva, Hilda le aveva messo a disposizione le sue guardie in quella ricerca, dopo il loro villaggio si erano addentrati in quelli limitrofi. Ma nulla, dei quattro bambini non c’era traccia.

Ne pianse Helena, disperata tra le braccia dell’amica.

“E se Fafnir ha preso anche loro. Numi del cielo, quel mostro ha ucciso anche i miei figli!” Diceva disperata, perché quella era l’unica conclusione cui poteva giungere. Gli uomini di Loki avevano ucciso anche i suoi figli.

L’unico aiuto che aveva potuto darle Hilda era stato parlare con Sigmund il god warrior che gli era rimasto fedele e chiedere a lui se sapeva di bambini sacrificati allo Yggdrasil.

“Non lo so mia regina! Ho saputo solo dopo degli esperimenti di Fafnir, mi sembra che Lifya sapesse di villaggi sabotati e popoli sacrificati alla causa di Loki.” Aveva risposto lui.

Al che Hilda era andata a parlarne con la sua celebrante. “Una volta quando incontrammo Mu di Aries ci disse che in un villaggio ne era uscito salvo solo un bambino, ma perché si era nascosto. Fafnir usava chiunque per i suoi sacrifici, sia donne e bambini che anziani.” Confermò quindi la celebrante. “Perché è accaduto qualcosa?” Chiese

“Risultano scomparsi molti bambini dopo la guerra contro Loki. I figli di Helena sono tra questi.” 

Lifya osservò le due con amarezza. “Mi dispiace molto, purtroppo non sono riuscita ad aiutare tutti.” 

Helena scosse la testa. “Non devi dispiacerti, non sapevamo che razza di mostro fosse Fafnir, io sono viva solo perché Aphrodite si è assicurata che stessi bene.” E che i gold saint mi abbiano tirato fuori da quel finto ospedale, che avesse nelle vene il sangue della dea! Ma i suoi figli? Loro cosa avevano fatto di male? 

“Grazie mille Lifya.” La congedò Hilda per poi rivolgersi alla sua amica. “Mi dispiace Helena.” 

“Passerà...” sussultò lei. “... Deve! Non posso portarmi dietro questo dolore per gli anni a venire... saranno tanti... centinaia...” singhiozzò tra una frase e l’altra. Perché era un’ancella divina ed aveva deciso di seguire la sua dea per almeno mille anni, perché aveva fatto un voto e non poteva scioglierlo, anche se il dolore era grande e immenso e sapeva che non aveva prezzo. Avrebbe sempre dato con piacere la sua vita per quella dei suoi figli. Perché gli dei non avevano avuto pietà di lei.

“Io ti sarò vicina Helena, adesso e anche più avanti. Io e Aphrodite ti saremo vicine.” Le disse la regina di Asgard. 

Lei assentì e si lasciò andare al pianto. Non voleva soffrire! Ma non riusciva ad impedirselo, era una madre insegna! Aveva lasciato morire i suoi bambini ed ora... ora ne aveva un altro in grembo ne era sicura e non lo voleva. Come poteva avere un figlio quando era così indegna di crescerli bene? Sua madre ci era riuscita egregiamente con i suoi bambini, ma lei Helena era senza speranza! Non voleva avere figli, non poteva più guardare negli occhi Death Mask senza pensare a Nellik e Syrin, che del padre avevano ereditato gli occhi. Nellik, lui e suo padre erano due gocce d’acqua, se prima non aveva avuto il coraggio di dire a Giovanni dei figli, perché lui era un assassino e un uomo che non poteva permettersi dei legami. Adesso non lo avrebbe avuto ancora di più il coraggio di dirgli che anch’ella era un’assassina: aveva ucciso i loro figli.

 

 

Catania - 15 ottobre 1990

“Quindi io vado! Qualsiasi cosa matri hai dove scrivermi e dove telefonarmi.” Disse Giovanni mettendo un ultimo cambio nella sacca.

“Posso prendere la bambola che Strije non vuole?” Chiese Lilje

“Posso giocare a calcio con Nellik e Syrin?” Chiese l’altra 

“Posso dormire con il patri?” Chiese il più piccolo.

“Torni presto?” Chiese Nellik.

Giovanni sospirò guardando il più grande. In quei venti giorni lui e Nellik avevano fatto di tutto insieme, mietuto il grano, aratro i terreni, raccolto gli agrumi, giocato a calcio, insegnato a difendersi, parlato, insegnato a usare il cosmo che sicuramente il giovane aveva, imparato alcuni modi di dire siciliani, ancora addestramento. Parlavano e si allenavano, si era instaurato un bel rapporto e Giovanni aveva capito una cosa importante. Nellik gli aveva mentito, non aveva amici e non parlava con nessuno lì a casa.

Guardò i quattro per poi poggiare lo sguardo su Syrin. “Ricorda di fare la pipì prima di andare a dormire. Se lo fai sarai bravo e non te la fai sotto.” Gli disse senza rispondere alla sua richiesta.

“Tu puoi giocare a qualsiasi cosa, avrai tempo per fare la femmina e adesso sei ancora una bambina.” Disse a Strije. “Mentre tu puoi giocare anche con la sua bambola. Io tornerò appena possibile, salvo qualche problema.” Disse poi rivolto a Nellik.

“Prenditi cura di tutti, se mi cerchi tu stesso sai dove e come scrivermi.” Gli disse Giovanni. 

Si grattò il naso, cazzo! Si era affezionato a quei quattro mocciosi e non lo credeva possibile. La morte gli aveva fatto male, si era ammorbidito, era diventato una femminuccia e non andava bene. Fortunatamente a giorni Miho chiudeva i conti, quella era la sua scusa per prendere un po’ di tempo e spazio dai bambini. Doveva ritrovare se stesso. 

“Fate i bravi e non pesate sulla matri, vi ricordo che il nonno non sta bene.” Si assicurò mettendo la sacca in spalla.

I quattro annuirono, Lilje si lanciò tra le sue braccia e gli diede un bacio. 

“Torna presto pave*” lo salutò, Giovanni annuì e in imbarazzo uscì all’aria aperta. Doveva tornare alla sua vita è presto. 

 

- pave, si legge pav è padre in norvegese

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Capitolo 4 - Shaka e Shiwa ***


La morte non è la fine di tutto, è solo... una trasformazione.
Buddha a Shaka - SaintSeiya hades chapter 

Settembre 1990 Tempio di Zeus - stanze di Shiwa e Shaka (un consiglio, ascoltare just for you 2 leggendolo) 
Era accaduto qualcosa, ancora non sapeva come definirlo Shaka. Le battaglie appena concluse, la fretta di far giungere in sincrono più di un momento ad un certo punto gli aveva offuscato la mente. 
Eppure... eppure qualcosa lo turbava, sapeva che c'era nel suo animo una certa inquietudine che non lo abbandonava. Doveva essergli sfuggito qualcosa perché ogni notte dalla disfatta di Gaia faceva sempre lo stesso identico sogno: la nascita di Vypasin, o meglio la rinascita di Hades. 
Aveva ovviamente accettato la decisione di Shiwa di crescere in terra il nuovo Hades, di ridargli vita e renderlo più umano. Per fargli comprendere che le guerre erano solo un effimero modo per compiere del male gratuito. Lui si era prefisso di fare da guida al nuovo Hades, gli avrebbe fatto a padre, insegnandogli ad amare e avere cura del mondo proprio come Athena. 
Supino nel suo giaciglio osservava la moglie dormire serena, sorrise. Avevano la capacità di restare sempre tranquilli perché le preghiere e la meditazione li avevano accompagnati nel loro cammino sin da piccoli. Anche lui solitamente dormiva sereno, il risveglio era però stato causato dal pianto in sogno di Vypasin, era nato. 
Il ricordo era ancora talmente vivido nella sua mente che ci tornò indietro senza alcun problema, nonostante era passato poco tempo dalla sua nascita. Era molto in sintonia con Vypasin e con Spica, nonostante non se lo aspettava cercava spesso i figli, lui e Shiwa avevano preso l'abitudine di tenerli anche durante la meditazione. Nonostante le bhikkhuni rimaste accanto a loro disapprovassero. 
Un attimo, le palpebre rilassate di Shiwa si mossero leggermente. Eppure le percepì Shaka, era bravo in questo, la osservò attentamente. Non aveva timore di averla svegliata, era certo che probabilmente era stato lui che tirandosi su a sedere aveva disturbato il suo sonno. Ma da qui ad averne timore no! Perché per loro non era neanche importante essere disturbati in sonno, avrebbe a entrambi dato più fastidio se avessero disturbato la loro meditazioni. Anche in questo però avevano ormai trovato un equilibrio, soprattutto perché adesso con due bambini era difficile averne uno. 
Gli occhi azzurri della sua sposa come premesso si aprirono sereni. Lo guardò e lui inerme attese che si riaddormentasse, invece ella si tirò su e lo osservò attentamente.
"Cosa turba il tuo sonno Shakamuni? Di nuovo quel sogno?" Gli chiese dolcemente. 
Lui annuì. "Di nuovo la nascita di Vypasin!" Ammise. "Sono sicuro che qualcosa mi sfugge Shiwa, qualcosa di importante." 
"Come ben sai nel momento del parto io ho avuto degli attimi senza vita." Disse lei mettendosi comoda sul letto e incrociando le ginocchia, quello era segno che non avrebbe dormito fino a quando non avesse risolto il problema del compagno. 
Lui sospirò e come Shiwa si mise nella posizione del loto osservandola. 
"Parla, raccontami di nuovo cosa accadde durante il parto." Lo incitò.
"È nata prima Spica, è venuta fuori tranquilla. Ho provato una sensazione che mai mi sarei aspettato di poter sentire. Ero emozionato, felice e orgoglioso, sentimenti che non dovrei provare." Si ammonì 
Lei annuì. "Ci insegnano a non peccare di superbia, ma ad amare sì Shakamuni. Il tuo era amore puro, se è peccato provarlo per un figlio allora anche io sono peccatrice. L'ho fatto! Ho amato i nostri figli e tanto ancora prima che nascessero." Ammise la giovane al consorte. 
"Non ti sei sentita in colpa? Cioè noi dovremo essere un esempio di virtù e invece..." 
"È virtù amare un figlio e accudirlo anziché abbandonarlo a se stesso?" Chiese lei annuendo. "Mi sono posta la stessa domanda quando ero in attesa dei gemelli, vedi Shaka fin quando loro erano delle entità astratte io sono riuscita a gestire la gravidanza come una semplice mutazione del corpo." Spiegò chiudendo gli occhi mentre tornava indietro a meno di qualche mese prima. "Pregavo, meditavo, adempivo ai miei compiti di bhikkuni con diligenza, pulendo casa e coltivando i campi. Non avevo distrazioni, anche una volta raggiunta Athena ho continuato a mantenere il mio ruolo sempre, nonostante non coltivassi più alcun giardino mi trovavo qualcosa di utile da fare." 
Il Virgo ascoltò la moglie con riverenza, non comprendeva dove ella volesse arrivare visto il modo irreprensibile in cui si era comportata, così assentendo col capo la invitò a continuare il suo discorso. 
Lei sospirò. "Eppure è giunto un momento in cui non ho più potuto ignorare l'istinto materno." Ammise infine mentre un sorriso appariva in volto alla dea degli inferi. "Ho cercato di ignorare lo sfarfallio che al sesto mese iniziava a farsi sentire nel mio ventre. Era una carezza lieve e piacevole, un solletico che sapevo in cuor mio mi dava gioia. La stessa gioia e lo stesso orgoglio che adesso tu stesso provi Shakamuni, sono in pratica diventata schiava del frutto del tuo seme. Al settimo mese infatti i nostri figli hanno iniziato a muoversi più vigorosi dentro di me, li sentivo vivi. Anche durante la meditazione, vuoi che fossero miei figli o figli di un gold saint, vuoi che Vypasin ormai ospitava lo spirito di Hades... ma io parlavo con loro durante le giornate a meditare." 
Così le ore diventavano giorni e i giorni settimane ed io fui consapevole di una cosa che fino ad ora mi era mancata." 
"L'amore verso i tuoi figli?" Chiese lui interrompendola. "La gioia materiale della maternità? Nell'ultimo periodo hai raggiunto la Grecia, quindi tua madre giusto?" 
Lei scosse la testa. "Ero in Grecia già da giugno, solo ultimamente mi ero congiunta con mia madre." Ammise. 
"Di cosa parlavate?" Chiese Shaka curioso intanto che il dubbio si insinuava anche nel suo cuore. Avrebbe potuto lui stesso vivere quelle emozioni e le sensazioni provate da Shiwa? 
"Parlavo di quanto tu mi avessi resa felice. Dicevo loro che peccavo, ma la gioia di portarli in grembo per me era grande. Un'occasione unica e rara." Spiegò lei. "Tu non immagini Shaka cosa mi hai donato col tuo gesto, non solo la luce!" 
"Ti ho dato due figli!" Concretizzò lui.
"Giusto! E per me Persefone dea dell'oltretomba è stato realmente un miracolo." Ammise sfiorandosi il ventre ormai piatto. "Non ho mai potuto avere figli prima di oggi."Disse alzando lo sguardo nel suo. "Il mio ruolo non me lo permette, non puoi dare la vita quando della morte sei la padrona, non puoi far vivere nulla negli inferi." Dichiarò infine al marito. 
Shaka la osservò chinando il capo e sfiorandole il ventre. "Lo hai detto ai bambini durante la gravidanza?" Chiese non togliendole la mano di dosso. 
Lei assentì, conosceva abbastanza bene Shakamuni da leggere un leggero timore nella sua voce. 
"Raccontami cosa ti ha tenuto sveglio, perché la nascita di Vypasin ti rende irrequieto." Chiese di nuovo 
Lui assentì poggiando la testa sulla spalla di lei. 
"Tu avevi perso i sensi, già nel momento stesso in cui Spica aveva lasciato la tua alcova sicura, avevi abbandonato la vita." Raccontò.
"Per questo non ricordo nulla del parto." Ammise 
"Ho lasciare che Ilizia si occupasse di Spica e quando è nato Vypasin sono stato avvolto dalla sua aurea divina. Il bambino urlava ma la luminosità della sua aurea attutiva le sue urla. Il tempo era poco!"
"Lo spirito di Ade si è staccato dal suo corpo per chiudere i sigilli." Dedusse Shiwa. Quello era l'unico modo affinché un flebile cosmo come quello di Ade, distrutto dalla recente battaglia, potesse rimediare agli errori compiuti. 
Shaka annuì volgendo lo sguardo alla moglie. 
"Mi ha parlato. Attraverso l'aura e la forma umana e sbiadita che aveva. Aveva i capelli neri, gli occhi azzurri ed era spoglio delle sue vesti. Ade era un uomo fragile. 
Ma nonostante ciò ebbe la forza di tendermi la mano, lo portai quindi ai campi Elisei. Curioso Ade mi aveva guardato insistente per poi chiedermi chi fossi. 
...Tu sei la persona designata a condurmi lungo il cammino?... mi aveva chiesto.
Non potevo obbiettare e assentii, al che ancora mi chiese se lo avrei aiutato poiché il suo cosmo era labile. 
Sapeva di essere debole e che la battaglia contro Athena lo aveva ridotto all'ombra di se stesso. Gli dissi che lo avrei aiutato, non solo in quel momento ma anche nell'avvenire se voleva. 
La sua risposta però mi lasciò basito. 
...Hai un animo così sacrificale e puro che..." Mi disse per poi dirmi che aveva compreso che ero oltre l'umano e trascendevo il divino. 
...Non sei né vivo ne morto. Cosa sei?... mi chiese. 
Glielo dissi: io sono un eroe di Zeus, da egli innalzato a semidio immortale. 
Sembrò bastargli la mia risposta perché tornammo a parlare della sigillo 
Non sono abbastanza potente per richiudere tutti i mostri e la madre terra, poi a seguire il sigillo!
Al che gli ricordai che ero lì per quel motivo, per aiutarlo. Che suo fratello Zeus aspettava noi per chiudere tutti i demoni nel tartaro. 
Sono qui per questo! Zeus attende un mio segnale
...Qualcuno dovrà aprire le porte dell'inferno per me! Mi disse ancora Hades specificandomi che non sarei tornato più indietro. 
Non lo temevo Shiwa! Ero stato designato da Athena quale guardiano delle porte internali. Quindi non temevo le sue parole e gli confermai che potevo aprire io le porte dell'inferno e di avere fiducia in me.  
Cercò un'altra volta di dissuadermi. Oltrepassare le porte dell'inferno ti legherà indissolubilmente al mio mondo
Non lo temo, gli risposi ancora, al che mi diede una risposta inaspettata. 
Mi ricorderò sempre di te, anche quando tornerò del tutto in me.
Stranamente gli avevo sorriso, dicendogli che cmq ci sarebbe voluto tempo. Realisticamente parlando doveva crescere e riprendere del tutto le sue forze, glielo dissi dandogli anche il nome. Lui parve pensarci sopra poi affermò che gli piaceva. 
Mi sorrise complice, come se avessimo stilato un patto Shiwa, mi esortò anche subito a compiere la nostra missione. Lo istruii e fronte a fronte, la posizione del loto e ad occhi chiusi espandemmo il nostro cosmo. Eravamo pronti per giungere alle porte della morte, ci portasti tu! 
Una volta lì Shiwa durante la chiusura delle porte e del sigillo ecco che io ho smarrito Hades." Concluse il racconto Shaka. "Da quel giorno non riesco più a trovarlo, cerco di farlo nelle mie giornate con Vipásyn, ma non riesco a trovare il dio degli inferi. Eppure lo sento che c'è." Ammise lasciando emergere le sue paure. "Sento che qualcosa mi sfugge." 
Shiwa lo osservò, sospirò rivedendo attimo per attimo le scene in cui suo marito si era confrontato con Hades poi gli pose un'ultima domanda. "Quando è stata l'ultima volta che lo hai sentito?" Gli chiese dolcemente.
"Quando il sigillo è stato chiuso insieme le porte della morte." Rispose lui sicuro. "Tu anche non lo percepisci?" Chiese poi.
"Io lo percepisco." Ammise lei. "Durante la meditazione o le preghiere e la notte. In pratica quando sono rilassata, conosco bene il cosmo di Ade e l'ho tenuto anche in ventre." 
"Perché io non riesco a sentirlo? Abbiamo fatto un patto io e lui, un patto dove tu non c'entri. Mi sarei preso cura di lui, sarei stato la sua guida standogli sempre accanto e lui anche ha promesso che mi avrebbe seguito." Chiese la vergine. "Il mio compito era mantenerlo sulla retta via, non fargli commettere gli errori del passato." 
"Mio caro non crogiolarti. Questo è un compito che mi sono presa io!" Lo rincuorò quindi l'araht. 
"Puoi anche essertelo preso tu Shiwa, ma chi ha giurato con lui stesso sono stato io." Ammise Shaka che non si era mai in tutta la sua vita sentito così inerme. "Avevamo giurato che saremo stati parte della vita l'uno dell'altro." 
Shiwa sussultò al suo fianco. Non rispose, al contrario si stese continuando a restare in silenzio. 
Shaka attese che proferisse la sua opinione, negativa o positiva che fosse. Ma ella taceva tenendo lo sguardo al soffitto.
Al che la vergine la raggiunse fissandola. "Adesso lo senti?" Chiese.
Lei scosse la testa fissandolo. "Non in questo momento. Sono rilassata quando avverto la sua aurea."
"Quindi è qui?! Ma non vuole me, rifiuta il nostro giuramento." Affermò Shaka.
Lei sospirò carezzandogli una guancia. "Da moglie secolare di Ade posso dirti una cosa Shaka. Lui non è come appare a voi, vero che con Athena si è sempre dato battaglia. Ma Ade è sempre stato tendenzialmente molto buono, testimonianza di ciò è la scelta evidente del suo ricettacolo. Mio marito ha sempre scelto la persona dall'animo più gentile per essere accolto nel mondo dei vivi." Gli rivelò. "Stanne pur certo che se Ade ha fatto una promessa la mantiene, anzi penso l'abbia già mantenuta." Affermò 
"Credi?" Chiese lui.
"Facciamo così, domani mediteremo separatamente. Io con lui e tu con Spica, così potrai goderti un po' la piccola. Io nel frattempo cercherò Ade in Vipásyn, va bene?" Propose.
Al che lui le sorrise e annuì carezzandole il viso. La osservò per un po' finalmente sereno e poi la baciò. "Shiwa..." lei mugugnò. "..puoi... ti va se stiamo insieme?" Chiese lui. 
Lei sussultò. "Chi me lo chiede?" 
Shaka sollevò il capo sbigottito. "Io... ci siamo solo io e te qui Shiwa. Se non vuoi posso comprenderlo, in fondo quando siamo stati insieme è stato per preservare la tua vita." Le disse allontanandosi leggermente da lei. 
Shiwa lo osservò dispiaciuta. Come una sciocca lo aveva offeso, cercò quindi di rilassarsi e sorrise al suo compagno. Era vero che in tanti anni solo al concepimento dei gemelli erano stati insieme, come anche vero era il fatto che per entrambi era stato un dovere. Ma Shaka era un uomo e in quel periodo vivendo lontano dal tempio e dai monaci, confrontandosi con le sue sorelle aveva compreso che gli uomini avevano le loro esigenze. "Quindi sei un uomo normale anche tu?" Cercò di prenderlo in giro.
Era così che si faceva no? 
Lui sollevò un sopracciglio e si avvicinò di nuovo a lei. "Le ragazze comuni lo avrebbero detto con molta più malizia." Affermò ricordando le ancelle del santuario di Athena o anche le mogli dei suoi amici. 
Lei arricciò la bocca risentita. "Scusami se non sono una ragazza comune." 
"Shiwa!" Disse lui baciandola. "Io non voglio tu sia una ragazza comune. Vorrei anzi che restassi sempre te stessa." Le dichiarò l'uomo. 
Lei assentì accucciandosi tra le sue braccia. Era rossa in viso, forse per la troppa audacia, o perché lui in qualche modo le aveva appena detto che ci teneva a lei. "Però sì Shaka, mi va di stare con te. Adesso e quando vorrai, non per dovere." Gli disse contro le spalle. 
Shaka annuì carezzandole la fronte con le labbra. Con la mano carezzò la sua schiena intanto che la trascinava sul davanti per spogliarla. Voleva sua moglie, sapeva trattenersi. Lo aveva fatto in quegli anni e avrebbe potuto farlo anche in quel momento. Eppure le cose dalla sua rinascita erano cambiate, aveva raggiunto un senso con la morte e adesso doveva ricominciare tutto. Era consapevole che con Shiwa al suo fianco però poteva farlo, non temeva l'inferno. Fremeva anzi dal desiderio di andare via da lì, in quei giorni il tempio di Zeus era carico di gente. Gente da cui lui si isolava, solo Mu rientrava nei suoi canoni di sopportazione. Questo perché come lui il suo amico non era un amante del caos e delle grandi folle.  
Strinse a se sua moglie che fiduciosa, come la prima volta, lo accolse nel suo corpo. Come la prima volta non si adagiò al suo fianco solo una volta, la amò in più di un'occasione fino a cedere alla stanchezza. Chiuse gli occhi e si rilassò tra le sue braccia, per quanto Ade fosse debole, doveva ricordare che lui stesso era realmente ancora debole, troppo. Per rimettersi doveva quindi ritrovare il suo equilibrio, partire e andare via.
"Potremo aver concepito un altro figlio..." sussurrò nel dormiveglia. 
Lei sorrise. "Impossibile, non si può." Rispose lei.
"Perché no? Vorrei poter vivere la tua gravidanza!" Rispose lui.
Shiwa sgranò gli occhi fissando quelli chiusi del marito. "Sono ascesa alla divinità. Non posso più lo sai, te l'ho detto prima." Rispose sollevandosi e rivestendosi. 
"Lo so... mi sarebbe però piaciuto!" Rispose lui amareggiato. 
Coprendosi Shiwa portò una mano alla bocca. "Cosa hai fatto? Perché lo hai fatto?" Chiese allora lei.
"Mi aveva detto che non temeva gli inferi! Mi aveva detto che sarebbe stato la mia guida. Che ci sarebbe stato sempre per me." 
"Come padre!" Affermò Shiwa. 
"Vipásyn non sarebbe stato in grado di reggermi."
"Hai accettato anche il tuo nome." 
"Mi è piaciuto poter scegliere il nome di mio figlio." 
"Lui non è tuo figlio! È mio figlio, mio e di Shaka!" 
"Sei egoista! Proprio come me." Affermò lui.
"Come te? Io non sono egoista, al contrario mi preoccupo sempre per il bene degli altri e quello dell'umanità sopra tutto." Lo accusò lei.
"Sei egoista! Vuoi tenere i nostri figli solo per te e non recarmi la tua stessa gioia. Come te non sono mai stato genitore Persefone, quindi perché vuoi negarmi qualcosa che adesso tu hai? Sei egoista."  Le spiegò lui.
"Questo è ciò che dici per lenire la tua coscienza? Ade hai preso mio marito al posto del bambino." Affermò ella.
"Lui si è offerto a me." 
"No."
"Ha detto che era la persona designata a condurmi sul mio cammino, ha detto che mi avrebbe aiutato a chiudere il sigillo, ha detto che mi sarebbe stato sempre al fianco tutte le volte che ne avrei avuto bisogno." 
"Come padre!" Affermò Shiwa.
"Non avendolo lui detto l'ho letta a modo mio."
"Ma..."
"Mi ha detto che non teme gli inferi, che non teme di restare recluso lì. Inoltre ha una peculiarità!" Disse Hades. Shiwa lo fissò, non voleva che lo dicesse poiché ne era già a conoscenza. "Lui si sacrifica per un bene superiore, è altruista, dal cuore gentile e indomito. La sua purezza di cuore, potrebbe avvicinarsi a quella del mio ultimo prescelto."  Disse alla donna. "Infine è lo sposo ed il padre che tu hai scelto di avere al tuo fianco." Concluse.
Shiwa iniziò a piangere. "Perché... perché non Vipásyn?" 
"Non c'è dono più grande dell'avermi reso genitore! Shaka mi ha fatto padrona del desiderio umano più grande ed io proteggerò con tutta me stessa il tesoro che mi ha concesso." Disse l'uomo ripetendo le parole che ella spesso aveva detto durante la gravidanza. "Potrei gioire anche io della gioia più grande Persefone? Tu mi hai convinto con le tue parole ahimè vere a prendere questa decisione. Un figlio... anzi due figli che non avrei mai potuto avere ." 
"Hai ingannato me e Shaka." Si battette ancora la donna. 
"Lui lo sa! Non lo aveva ancora capito, ma in cuor suo sa che è così, secondo te perché si poneva dei quesiti? Non si pone le domande per un capriccio, sa e poco fa ha anche compreso, come anche tu stessa ." Ci tenne a precisare.
"Chi era poco fa?" Chiese quindi ella.
"Quando?"
"Sai quando? Prima... quando abbiamo parlato." Chiese arrossendo.
"Il mio cosmo è ancora troppo debole. Non riesco e non voglio influire su di lui, questo non me lo perdonerebbe. Mi ha chiesto di fidarmi di lui e gli ho promesso di farlo, voglio quindi che anche lui si fidi di me. Non lo manipolerò mai!"  
"Cosa accadrà?" Chiese Shiwa 
"Sei ancora troppo umana Persefone. Ma non lo sei e anche lui non lo è! Avrebbe comunque avuto una trasformazione è diventato immortale quindi divino, solo il suo cosmo si fonderà col mio. Lui ha solo avuto la fortuna di avere me! Gli altri suoi amici comunque avranno un cosmo divino saranno divinità minori." 
"Sai cos'è?" Chiese lei.
"Lui mi ha spiegato quello che sa. Io ti ho detto quello che so accadrà, il loro cosmo muterà fino ad arrivare al divino, come quel ragazzo..." rivelò il dio.
"Quale ragazzo?" Chiese Shiwa.
"Il ragazzo che ogni volta si reincarna con Athena... il santo di pegaso. Trascende al divino, muore e quando ritorna Athena lui stesso fa ritorno tra i vivi." 
Shiwa restò in silenzio ripensando a Seiya di Pegasus, effettivamente ogni qual volta Athena ritornava in vita il santo anche la seguiva a ruota. Non aveva però mai immaginato ella che fosse la stessa identica persona, anche se la stessa Miho una volta aveva affermato che erano lo stesso santo.
Sospirò. "Saranno delle divinità minori." Affermò senza neanche chiedere una conferma che adesso le fu chiara. 
"Sì!" 
"Non avresti dovuto comunque prendere Shaka." Lo rimproverò Shiwa, lei voleva suo marito non Ade. Comprendeva di essere egoista e questo non si confaceva ad un buon asceta. Ma Shaka sarebbe cambiato. 
"Lo avrai almeno ancora per duecento anni. Ti ho detto che sono debole... anche adesso, ho esaurito tutta la mia forza." Disse il Dio.
Ella non rispose, perché sulla punta della lingua era pronta una risposta che non si sarebbe immaginata neanche di poter pensare. 'Che me ne importa.' Avrebbe voluto dirgli ma tacque intanto che si asciugava le lacrime che copiose presero a scendere. Non se le aspettava, eppure stava piangendo.
Non lo aveva fatto alla morte di Shaka, non si era mai lasciata scalfire ed ora piangeva. 
Avvertì una mano sfiorarle lentamene la nuca e sussultò. "Lasciami stare Ade." Sbottò.
"Sono io!" Le disse in risposta Shaka.
Shiwa si alzò seduta stante dal suo giaciglio. "Sei sveglio?" Chiede preoccupata.
"Non dormo mai del tutto Shiwa, ero nel dormiveglia." Rispose.
"E..."
"Ero molto rilassato..." rispose lasciando intendere il seguito. 
"Sai... sapevi..." provò a indagare lei.
"Dormiamo Shiwa, domattina ci aspetta un nuovo giorno e i bambini sicuramente ci sveglieranno ancora durante la notte." Rispose invece lui. 
Lei tacque, suo marito aveva chiuso l'argomento. 
"Solo una cosa..." disse avvicinandosi a lui che, al contrario, ancora non parlò. "Prima, quando mi hai chiesto... quando eravamo congiunti..."
"Ero io Shiwa, ti ho chiesto io di avere un rapporto. Perché io Shaka lo volevo. Nessuno può manipolare la mia mente, questo non lo permetto neanche a un Dio." Concluse quindi lui.
Lei assentì e per la prima volta nella sua vita cercò conforto nell'abbraccio del marito. Provò a dormire, ma il suo fu un sonno turbolento.

Al mattino Shaka e Shiwa invece di recarsi a meditare chiesero udienza con Zeus, che subito li accolse. Una volta che i due furono dinanzi al padre degli dei, presero a raccontare ad egli, ed al seguito che lì si trovava, ciò che avevano scoperto. Shakamuni più volte raccontò su richiesta di Zeus ed Hera, della nascita del bambino e le parole segno per segno che si erano detti lui e Hades in quell'attimo. 
Infine dopo essere stato per un po' soprappensiero Giánnis annuì e prese finalmente parola. 
"Gli hai detto che lo avresti guidato nella via giusta. Indubbiamente in quel momento hai colpito la sua fiducia, ha deciso di essere te per un buon motivo." Affermò il Dio. 
"Non sono un bambino." Ricordò Shaka.
Giánnis scosse la testa per poi continuare. "Hades è sempre stato una persona che volutamente si isolava, anche da noi. Ha visto che non temevi di dover affrontare il tuo destino, gli hai detto che tu eri pronto. Lui ha infine scelto una persona che non si lascia andare alle frivolezze della vita." Raccontò Zeus. "Si incarna ogni volta nella persona dall'animo più buono della terra perché tendenzialmente ha sempre fatto del bene..."
Shaka scosse la testa, come poteva dire ciò Zeus? Hades ogni duecento anni circa muoveva guerra ad Athena per il potere sulla terra. 
Fece per parlare ma Hera alzò la mano ad impedirglielo, prendendo invece ella stessa la parola. "Ha compreso Hades che anche tu hai questa caratteristica o virtù, come la si vuol chiamare, proprio come Shun di Andromeda. Inoltre ha compreso che tu volontariamente hai deciso di seguirlo in Ade. Tu e Hades avete molto più caratteristiche in comune di quanto credi, ha avuto modo di vederlo e di sentir parlare di te quando era in grembo di Shiwa. Penso che gli sia venuto naturale scegliere te nel momento unico in cui ha avuto la possibilità di farlo. Un bambino a differenza di una persona votata al bene e diverso, potrebbe mutare i suoi desideri nel corso degli anni e dei secoli e la scelta non era un ricettacolo, ma il suo nuovo corpo divino. Quindi doveva essere fatta nel giusto." Concluse
"Non comprendo." Disse ancora Shaka. "Voi lo state dipingendo come un Dio benevolo. Vi ricordo che ogni duecento anni circa lui cerca di debellare l'umanità facendo guerra ad Athena, volendo lui distruggere il mondo." Affermò, era stanco di sentire elogiare il Dio dell'oltretomba a favore dell'ultimo gesto che aveva commesso. 
"Vero! Come vero che le sue ragioni non dipendono dal volere di supremazia." Intervenne Dike che fino ad allora era stata in disparte. "Per quanto io abbia sempre appoggiato Athena nei secoli." Continuò. "Posso assicurarti che le ragioni di Hades sono sempre state giustificate, lui ha sempre voluto a modo suo rimediare all'egoismo dell'umanità. Semplicemente ha sempre voluto farlo nel modo sbagliato." Concluse.
Shaka scosse la testa intanto che Shiwa al suo fianco annuiva. 
"Ti sei prefissato di aiutarlo, per non fargli commettere sempre gli stessi sbaglia Shaka." Affermò Zeus alzandosi dal suo scranno. "Con molte probabilità mio fratello ha fatto una scelta ponderata. Tu saresti meno influenzabile di un giovane corpo, almeno da qui a duecentocinquanta anni, ma anche cinquecento forse, avrai memoria di ciò che è accaduto e quindi saprai cosa è giusto ho sbagliato." 
Shaka assentì. Non avrebbe mai permesso a nessuno di fargli dimenticare. "Devo quindi accettare questo mio destino?" 
Zeus annuì andandogli vicino e poggiandogli una mano sulla spalla in segno di conforto. "Non posso negare che le sue causali sono più che valide. Ho sempre avuto tanti figli e a modo mio ho potuto amarli e godermeli, sia nell'attuale vita terrena che nei tempi andati. Mio fratello al contrario di me invece non ha mai potuto conoscere il dono di essere padre, quindi perché no!?" Chiese al giovane. "Godetevi i vostri figli, perché che tu fossi stato o meno Hades, questa occasione non l'avrai più." Gli ricordò Zeus, in fondo era vero. In quanto Persefone,  da quando era ascesa, Shiwa non sarebbe più potuta diventare madre.
Al che Shaka annuì. "Comprendo... sapete vero che andremo via presto." Disse a tutte le divinità.
Giánnis sospirò, avrebbe voluto avere sua figlia ancora un po' lì con se. Ma era consapevole del fatto che sia lei che Shaka fremevano. 
"Credo che anche questo sia uno dei motivi per cui ti ha scelto." Affermò allargando le braccia e indicando il tempio, cercando di accogliere nel suo gesto tutti gli abitanti, le cacofonia di voci che giungeva ovunque e il caos generale che vi verteva. "Hades non ha mai amato tutto questo. Ne fuggiva sempre, solo due volte ha abbandonato il suo regno a cui è molto legato." Affermò 
Le sorelle del padre degli dei annuiscono intanto che Greta fissava sua figlia, una volta era stata quando aveva portato via con se la figlia adorata. 
"Quindi abbiamo il permesso di andare via divino Zeus?" Chiese conferma Shaka.
Giánnis annuì. "Da quando siete tornati vi ho sempre detto che non avevate grandi obblighi con me. Che dovevate finalmente darvi una ragione di vita e avere un'esistenza piena. Quindi si Shaka, potete andare e appunto se diventerai il nuovo Hades ti sciolgo anche dai tuoi doveri di heavenly warrior. Ritieniti comunque sempre libero di venire a trovarci e ti prego, resta sempre in contatto con i tuoi amici." Gli ricordò prima di congedarlo.
Shaka assentì nonostante non fosse mai stato molto legato ai suoi parigrado. Era, il loro, un rapporto che si era rafforzato durante quell'anno. Infatti con Mu poteva definirsi molto legato, come anche con Aldebaran, Milo e Aiolia, nonostante avessero delle opinioni discordanti e degli stili di vita diversi. 
"Lo farò! Appena anche Mu ritornerà a casa sono sicuro che manterremo i rapporti." Disse quindi al padre degli dei, che con un sorriso parve farsi bastare quella risposta.

Shaka e Shiwa col loro seguito di bhikkuni e discepoli restarono al tempio di Zeus fino alla prima settimana di settembre. Non furono tra i primi a lasciare la dimora del padre degli dei, Death Mask, Freya e Hilda, li avevano preceduti. Mu salutò l'amico con molta serenità dicendogli che presto anche lui sarebbe ripartito e lo avrebbe raggiunto, aspettava infatti solo che Diva fosse pronta a lasciare le sorelle che aveva ritrovato dopo tanti anni. Questo perché le tre moire, nonostante dovessero restare unite avevano deciso di riprendere le loro vite, quindi almeno Diva e Fryg sarebbero rientrate nelle rispettive case in Tibet e Siberia. 
Ma solo una volta sul fiume Gange Shaka e Shiwa finalmente si sentirono bene. Cullati dallo scrosciare delle foglie di sala e dalla tranquillità del posto i due ripresero la loro vita, fatta di poco, tra preghiere, meditazione e pace con i loro figli.
—————
Premessa mitologica: Hades è dipinto in saint Seiya come un Dio cattivo, al contrario non lo è. Nonostante sia il Dio dell'oltretomba può essere considerato infatti uno degli dei più buoni. 
Effettivamente non ha mai lasciato l'ade se non al rapimento di Proserpina e quando fu ferito.
È dipinto come una persona seria, che non si lascia andare a frenzoli, proprio come Shaka e anche Shun da lui scelto come ricettacolo, poiché l'essere umano più buono che ci sia. Da qui si evince che lo stesso Hades abbia un anima buona.

Da Wikipedia: Viene annoverato saltuariamente fra le Divinità olimpiche, nonostante questo sia contrario alla tradizione canonica; Ade è d'altra parte poco presente nella mitologia, nonostante sia uno degli dei più potenti, essendo essenzialmente legato ai racconti legati agli eroi: Orfeo, Teseo, Piritoo ed Eracle sono fra i pochi mortali ad averlo incontrato. Inoltre la tradizione lo vuole riluttante ad abbandonare il mondo dell'Aldilà: le uniche due eccezioni si ricordano per il rapimento di Persefone e per ricevere alcune cure dopo essere stato ferito da una freccia di Eracle.

 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3919525