All the colors that remind me of you

di Sian
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Indice ***
Capitolo 2: *** Rosso, Natale ***
Capitolo 3: *** Verde, Quadrifoglio ***
Capitolo 4: *** Giallo, Birra ***
Capitolo 5: *** Nero, Lutto ***
Capitolo 6: *** Rosa, Pelle ***



Capitolo 1
*** Indice ***


All the colors that remind me of you 

1. Rosso, Natale.

Il rosso. Trovava che stesse particolarmente bene sulle sue guance.

Introduzione: La sera di Natale: un momento speciale da passare insieme tra innamorati. Miwako Sato aspetta che sia Wataru Takagi a chiederle di passare la serata insieme. Avvolti in un'atmosfera natalizia, tra risate e imbarazzo.


Genere: Romantico, Fluff, Comico.

Rating: Giallo
Avvertenze: //
Link al capitolo:  Rosso, Natale


2. Verde, Quadrifoglio.

Il verde. La speranza di aver trovato un po’ di fortuna nella vita.

Introduzione: Wataru Takagi, quasi ventiquattrenne, viene trasferito alla polizia metropolitana di Tokyo. Lascia alle spalle la sua città natale e il suo passato, senza dimenticarsene: è il motivo per cui è diventato un poliziotto. Il primo incontro con Miwako Sato.

Genere: Introspettivo
Rating: Verde
Avvertenze: //
Link al capitolo
Verde, Quadrifoglio



3. Giallo, Birra.

Il giallo. L’allegria di certi momenti dimenticabili.

Introduzione: Alla festa del ventisettesimo compleanno di Wataru Takagi, il festeggiato si ritrova totalmente ubriaco, a tal punto di esclamare certe frasi "intime". Miwako Sato è sorpresa delle qualità del suo fidanzato da ubriaco, l'avrebbe fatto ubriacare più spesso. Ma per un gioco finito male sicuramente cambierà idea.

Genere: Sentimentale, Erotico, Comico
Rating: Arancione
Avvertenze: Lime
Link al capitolo: Giallo, Birra


4. Nero, Lutto.

Forse solo il silenzio avrebbe potuto rappresentare questo colore. Il nero.

Introduzione: Miwako Sato, ora ispettrice, si sente male di ritorno dalle indagini. Wataru Takagi accorre in suo soccorso. Miwako viene portata in ospedale; quando riapre gli occhi si trova di fianco Wataru con le lacrime agli occhi. Cos'è successo?

Genere: Dark, Introspettivo, Triste
Rating: Arancione
Avvertenze: Contenuti forti, Tematiche delicate
Link al capitolo: Nero, Lutto


5. Rosa, Pelle.

Il rosa. Il complice desiderio di aversi accanto, per sempre. 

Introduzione:
Il continuo della one shot "Giallo, Birra". Wataru Takagi si risveglia con un piccolo problemino. Miwako Sato lo aiuterà a risolverlo, insieme.

Genere: Erotico
Rating: Rosso
Avvertenzelemon, scene di sesso esplicite
Link al capitolo: Rosa, Pelle (versione completa, esterna alla raccolta)


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Capitolo 2
*** Rosso, Natale ***


All the colors that remind me of you


* Rosso  *
* Natale *

Il rosso. Trovava che stesse particolarmente bene sulle sue guance.

***

«Allora? Non ti ha ancora chiesto di passare insieme la notte di Natale?»

«No, ma non c’è fretta, Yumi...» Sorseggiò del caffè che entrambe avevano preso poco prima di incominciare la giornata lavorativa.

«Come non c’è fretta?! Se non te ne fossi accorta oggi è già la vigilia! Dovreste passare insieme questa notte, come fanno tutti i piccioncini di questo mondo.»

Sorrise alla risposta della sua migliore amica, senza però risponderle. Miwako Sato apprezzava davvero molto tutti i consigli che le dava, ma non era così semplice, né per lei né per lui.

«Aaah! Se fossi in te mi impegnerei di più in amore, Miwa-chan. Devi sfruttare l'occasione! Questa sera finite presto entrambi e non siete segnati nemmeno per reperibilità in caso di emergenze. Non capita spesso, soprattutto proprio la sera di Natale!»

«Cosa succede la sera di Natale?» Si girarono entrambe verso la voce maschile.


«Oh, Takagi-kun! Non mi avevi detto che dovevi chiedere qualcosa di importantissimo a Miwako?» Yumi lo squadrò per bene, sperando che capisse il suo segnale di farsi avanti. Lei stessa si considerava il cupido della coppia. A volte erano veramente impacciati; e non solo il timido Takagi, ma anche la sua migliore amica non era da meno! Si allontanò con ancora il caffè in mano. Sarà la volta buona?! Si sarebbe sicuramente fatta aggiornare da Miwako appena l’avrebbe vista il giorno dopo.


Non sarebbe mai riuscito a scappare da una trappola di Yumi. Wataru Takagi si dette dello stupido. Aveva pensato che stessero parlando di qualcosa di straordinario che succedeva solamente a Natale. E invece ora era costretto a parlarle da solo, non che gli dispiacesse! Ma non sapeva veramente cosa dirle, o meglio non sapeva cosa avrebbe voluto sentirsi dire. Sapeva solo di essersi perso totalmente nel suo viso.


«Ho per caso qualcosa in faccia?» Da come la stava fissando poteva anche essere così. Ma Miwako già sapeva qual era la ragione per cui era rimasto a scrutare ogni millimetro del suo viso.


«Eh?» Lasciò cadere il suo sguardo altrove per poterle rispondere. «No, no! È che il tuo viso... È...» È... Cosa? Maledizione!! Aveva un talento innato per mettersi in queste situazioni imbarazzanti, da cui non sapeva mai come uscire. Inevitabilmente era arrossito, e proprio in quel momento avrebbe voluto mantenere lo sguardo lontano dai suoi occhi, ma... Erano come dei magneti. Si ritrovò ancora una volta immerso nei suoi occhi ametista.


«Takagi-kun, non mentre siamo in servizio!» Miwako alzò le spalle, lanciandogli una sorta di frecciatina che avrebbe dovuto ricordargli la risposta che lui le aveva dato al bacio così tanto desiderato dopo averlo salvato da morte certa in Hokkaido.
Si voltò per raggiungere la sezione omicidi, terminando il suo caffè mattutino. Sorrise immaginando l’espressione che si era formata sul viso del ragazzo, inizialmente confusa per la sua reazione e poi sicuramente sorridente per la situazione creatasi. Era felice con lui. Sempre così gentile, e la sua timidezza lo rendeva ancora più carino.
Già. Non era per nulla semplice chiedergli di passare la notte di Natale insieme. Aveva deciso di trascorrere questo Natale al passo dell’uomo di cui si era innamorata. Non c’era nessuna fretta di correre. Era sicura che avrebbero passato la notte insieme, come già qualche altra notte. Ed era semplicemente capitato. Ed era stato semplicemente bellissimo, essere trasportati entrambi dalle stesse emozioni, un passo alla volta, insieme.

«H-Hai ragione!!» Raggiunsero i loro uffici per sbrigare le ultime faccende su alcuni casi da archiviare prima della fine dell’anno. D’altronde a nessuno dei due piaceva immischiare i sentimenti durante il lavoro, nonostante questo fosse già successo parecchie volte. 

***

«Dunque... Abbiamo finito per oggi!» Si erano avviati verso i parcheggi della centrale, camminando fianco a fianco.
La sera di Natale, eh. Doveva essere un momento speciale. Solo ora aveva realizzato di cosa stessero parlando Yumi e Sato quella mattina. Lei stava aspettando che gli chiedesse di passare la notte di Natale insieme. Ma con tutta la buona volontà che potesse avere, non sarebbe riuscito a chiederglielo direttamente.

«Ci vuole proprio un po’ di riposo ogni tanto, non sei d’accordo, Wataru-kun?» Gli sorrise. Raggiunsero il parcheggio e si avviò verso la sua macchina rossa fiammante.

«Decisamente! Siamo fortunati ad avere entrambi questa serata libera.» Raggiunse la macchina di Sato e la scortò fino al lato del passeggero, aprendole la portiera. «Guido io, se non ti dispiace.» Non era di certo la prima volta che guidava la macchina di lei, e anzi molto spesso era lei stessa che gliela faceva guidare, senza problemi.


«Fai pure.» Gli lanciò le chiavi in mano una volta salito in auto anche lui. Rivolse lo sguardo verso di lui mentre metteva in moto la macchina.
Sorrise, era ancora più carino quando cercava di prendere lui le decisioni. Era talmente raro un evento del genere, che non poteva farsi scappare l’occasione di insinuargli qualche dubbio su qualcosa che normalmente non avrebbe mai intrapreso.
«Quindi... Sei veramente sicuro di voler lasciare la tua auto qui al parcheggio della centrale?» Ridacchiò ricordandogli cosa potesse significare una scelta del genere: era una prova lampante di essere usciti insieme.


«N-non ci avevo pensato!» Era quasi pronto a spegnere il motore della macchina.
Ma non lo fece. Decise, per una volta, di assecondare ciò che avrebbe voluto fare, di lasciarsi andare, di non essere il solito timido ragazzo. Aveva già fatto dei progressi in pochissime mosse, non poteva rimangiarseli! E per una serata del genere passata insieme a Miwako Sato, sarebbe valsa la pena di essere messo sotto torchio da tutti i suoi colleghi. «Ma sai che ti dico...? In realtà questa sera non mi importa della mia macchina. E poi, lo sanno già tutti che saremmo usciti insieme.»


Caspita! Era proprio determinato a portarla da qualche parte, allora. Da non crederci che alla guida del veicolo si trovava lo stesso Wataru Takagi, il suo ragazzo estremamente impacciato e timido.
«D’accordo, cavaliere. Dove mi porti?» Erano ormai già in strada.

***

«Takagi-kun, aspettami qui fuori!» Sato entrò in un negozio, attirata da non si sa cosa. Ovviamente Takagi rispettò i suoi ordini, anche durante la notte di Natale, anche durante l’appuntamento che stava cercando di condurre; d’altronde lei era comunque più grande di lui ed era un suo superiore.
La osservò entrare con il suo bellissimo sorriso. Era sicuro di aver fatto la scelta giusta. Aveva parcheggiato la macchina abbastanza lontano, solamente per permettersi una passeggiata al suo fianco tra le vie commerciali, illuminate da stupende luci di Natale. Le tantissime luminarie natalizie appese sopra alle teste di chi passeggiava di lì erano a dir poco mozzafiato.
Era sicuro che alla loro vista, a Miwako sarebbero piaciute.

Non restò lì da solo per molto. Giusto il tempo per perdersi a contare quante luci erano appese in quella via. Se in un filo di luci c’erano ben 72 lampadine apparentemente non a LED, allora solo in quel pezzettino di via che poteva scrutare fino a perdersi all’orizzonte c’erano appese ben 1'872 lampadine. Che ipotizzando un consumo di 150 kwatt a fila di luci, al giorno consumano 3'900 kwatt. Che in tutto il periodo natalizio consumano 136'500 kwa- «Takagi-kun! Mi stai ascoltando?»

Mise a fuoco il viso di Miwako, che lo stava osservando con uno sguardo misto tra rimprovero e curiosità. «Ah! S-sì!» Si passò una mano tra i capelli. «Scusami... Mi ero perso... A contare le luci di Natale.»
Ancora doveva capire come funzionava questa stregoneria mentale che lo caratterizzava: riusciva sempre a rispondere con qualunque cosa nei momenti meno opportuni, mentre quando era necessaria una risposta, molto spesso non riusciva nemmeno a formularla nella sua testa.


La sua risposta suscitò una breve risata da parte di Sato. «E dunque quante luci ci sono?» Non che le interessasse veramente, ma ammirava il suo modo nel fare i calcoli matematici a mente in brevissimo tempo, anche di grandi numeri.
Lo osservò, ancora un po’ perso nel suo mondo. Troppo carino. Era pure riuscito a scompigliarsi tutti i capelli.
«Su ogni filo che vedi ci sono 72 lampadine, e poi... Ah! Scusami di nuovo, Sato-san. Non è di certo un argomento interessante di cui parlare.»
Incredibile, si era già scusato due volte in nemmeno quindici secondi! Si avvicinò a lui.
Forse non era un argomento interessante, ma era lui a rendere terribilmente interessante la serata.
Gli sorrise. «Wataru-kun... Abbassati un pochino verso di me e chiudi gli occhi.»


Questa richiesta improvvisa gli causò un leggero pizzicore alle guance. Ma fece come le disse. Si sentì per prima cosa sistemare i capelli. Successivamente, tra gli schiamazzi generati nella via commerciale, udì distintamente il rumore di un sacchetto che veniva aperto.
Poi... Poi si sentì sfiorare ancora i capelli. Cosa stava combinando? Anche ad occhi chiusi riusciva a sentirsi in completo imbarazzo. Probabilmente ora era arrossito fino alla punta delle orecchie.
Ecco, proprio le orecchie. Sentì qualcosa di duro adagiarsi appena dietro ai lobi. Questo qualcosa poi toccò anche i capelli appena sistemati. «Fatto!» annunciò Sato.

Aprì gli occhi ancor prima di raddrizzarsi. Miwako stava sorridendo chiaramente soddisfatta. Si portò una mano alla testa, per tastare con curiosità cosa aveva addosso. L’oggetto misterioso era rimasto ben saldo anche quando si sollevò in piedi. Era adagiato alla nuca da orecchio a orecchio, ed aveva una struttura rigida, sopra cui erano incollate due molle che reggevano a loro volta una figura in panno morbido. Non poté non guardare la sua immagine riflessa nella vetrina del negozio in cui era entrata Sato.

Indossava... Un cerchietto rosso. Con la faccia di un elfo simpatico all’estremità delle due molle incollate alla struttura del cerchietto.

Se lo poteva anche aspettare da Miwako, proprio colei che già più volte si era divertita a fargli degli scherzi. Riportò lo sguardo verso di lei, che lo stava guardando con un espressione sorridente, quasi fiera del suo acquisto. «Allora ti piace il cerchietto?»
Eccola, gli chiedeva pure se gli era piaciuto, per farlo sentire ancora più confuso. Come se il suo sguardo compiaciuto non fosse già abbastanza. Doveva essere uno scherzo o un regalo? «Sato-san...!»


Era visibile che Takagi provasse un grande imbarazzo, Sato si mise a ridere. Era sicuramente riuscita nell’intento di fargli uno scherzo di Natale. Ed era troppo divertente vedere la sua faccia completamente rossa e in totale disappunto.
Lo vide allungare la mano verso la testa e sfilarsi il cerchietto.


Non aveva la minima intenzione di lasciarla vincere così, e nemmeno di camminare fino alla destinazione con un cerchietto così buffo.
Determinato si avvicinò allora al suo viso, ancora ridente. «Sono sicuro che questi elfi stiano meglio su di te.» Posizionò il cerchietto sulla testa di Miwako. Per sistemarglielo correttamente si era avvicinato molto a lei. Si era assicurato che l’oggetto fosse ben fermo dietro le orecchie.
Pensava di essere riuscito a rigirare la frittata dalla sua parte ma... Quel cerchietto era così simpatico! Lei era proprio carina anche con una cosa simile addosso. Non aveva nemmeno effettivamente finito di sistemarle il cerchietto per bene, ma non poteva procedere oltre, anche se avesse voluto. Le sue dita avevano sfiorato le orecchie di lei.
Si bloccò immediatamente, senza riuscire a dire nemmeno più una parola. E come se non fosse già imbarazzato abbastanza, il suo rossore crebbe ancora di più. Se avesse accettato di indossare il cerchietto senza tante storie, sicuramente non si starebbe facendo mille problemi per averle solamente sfiorato le orecchie. Era così abile nel mettersi in imbarazzo da solo...
Maledizione! Ovviamente si perse, ancora, nel suo viso che non aveva cessato di sorridere. E anzi, la sua risata provocava dei leggeri movimenti alle molle, gli elfi seguivano la sua risata.
Ed era forse la cosa più bella, vederla ridere di gusto.


Non avrebbe desiderato altro. Wataru si era perso ancora nei suoi occhi, nonostante avesse cercato di avere la meglio mettendole il cerchietto in testa per ripicca. «Non vorrei rovinare il tuo momento di vittoria...»
Aveva ancora un sacchettino in mano, e lo aprì appena si era assicurata che Takagi stesse seguendo ogni suo movimento. «Ma ne ho comprati due!» Rimosse il sacchettino, rivelando un secondo cerchietto, questa volta con due Babbi Natale attaccati sulle molle.


Non ci voleva credere. Si era tolto il cerchietto con gli elfi per metterlo in testa a Miwako, ma non era servito a nulla, perché in un modo o nell’altro lo avrebbe comunque dovuto indossare assieme a lei. La guardò: era ancora più soddisfatta di prima. Le piaceva proprio vederlo contrariato.
Avrebbe voluto far finta di rimanere impassibile alla vista del secondo cerchietto, ma non ne fu per nulla capace. Ne risultò che i suoi occhi erano confusi, le sue gote non ne volevano sapere di tornare normali, cercava di distogliere lo sguardo da lei e dal suo cerchietto, ma era una sfida a sé stesso. Lo sguardo rimbalzava da terra verso di lei.
Non sapeva veramente più cosa doveva esprimere.


L'espressione di Wataru era così buffa che Miwako scoppiò definitivamente in una fragorosa risata. Era così divertente vederlo totalmente perso e confuso.
Non si sarebbe mai dimenticata della volta in cui lo spaventò nei parcheggi della centrale. Era riuscita a farsi seguire da un Wataru preoccupatissimo, e appena lui aprì la portiera della macchina rossa, lo sorprese con un pupazzo a molla. Non si sarebbe mai dimenticata della sua faccia, inizialmente spaventata e poi veramente confusa su ciò che era successo. Quel ricordo non l’aiutò a smettere di ridere, anzi le provocò l’effetto contrario.


«S-Sato-san...!» Se fosse possibile morire davvero per l’imbarazzo, sarebbe già sepolto da un pezzo. Non poteva negare però che la sua risata era quasi contagiosa. Nonostante l’imbarazzo che stava provando in quel momento, era felice di vederla sorridente, di vedere gli elfi attaccati alle molle del cerchietto che indossava, muoversi traducendo visivamente la sua risata.


Alzò lo sguardo su Wataru, che era indeciso se ridere anche lui o essere ancora confuso. Gli porse, cercando di calmarsi dalle risate, il cerchietto con i Babbi Natale, invitando anche lui a indossarlo. Era titubante se prenderlo in mano, i suoi occhi sembravano chiederle: «Devo davvero indossarlo?». Gli prese una mano e glielo mise tra le dita. «Sì, per davvero.» Sato rispose alle domande che Takagi non era riuscito nemmeno a esternare, ma che gli si leggevano chiaramente in faccia.
Nonostante lo avesse spronato ad indossarlo, non sembrava ancora minimamente intenzionato a metterselo da solo. «Takagi-kun. Puoi scegliere tra tre opzioni.» Sato sfoderò uno dei suoi migliori sorrisi, proprio uno di quelli che sapeva avrebbe mandato in totale confusione il suo adorabile ragazzo. Poteva ora leggere la preoccupazione che si era impadronita dei suoi occhi.

«Uno. Indossare il cerchietto da solo e senza storie.» Lo vide iniziare a riflettere. Sperava forse che le opzioni seguenti fossero migliori? Lo avrebbe di certo accontentato.

«Due. Te lo metto io.» Era così divertente vederlo arrossire ricordandosi della scena vissuta pochi attimi prima, forse non era molto invitante la seconda opzione, se non voleva morire, ancora, dall’imbarazzo.

«Tre. Nessun cerchietto ma cammineremo tenendoci per mano.» Definitivamente questa opzione l’aveva completamente gettato nella più totale confusione.


Cosa doveva scegliere? Era chiaro che l’opzione migliore a quel punto era la prima. Anche se indossare il cerchietto non era per nulla il massimo. E inoltre le altre due opzioni avrebbero sicuramente scaturito un nuovo stato di imbarazzo.
Aveva quasi deciso di portarsi il cerchietto alla testa, escludendo così le altre opzioni, quando Sato gli si avvicinò terribilmente verso l’orecchio per sussurrargli: «Hai ancora cinque secondi per decidere.»

Cinque. Cosa?

Quattro. Si era avvicinata così tanto al suo orecchio... Le sue gote si tinsero ancora.

Tre. Inoltre lei sapeva benissimo che sussurrargli cosi vicino all’orecchio, gli avrebbe procurato il solletico.

Due. Diamine, le sue braccia erano completamente paralizzate. Non ne voleva sapere di reagire, non finché lei si sarebbe allontanata dal suo viso.

Uno. Doveva essere un totale fallimento. Cercare anche solo di avere quel briciolo di coraggio in più. Quello stesso coraggio che lo aveva portato a passeggiare con lei tra le luci di Natale.

Zero. Quello stesso coraggio che lo aveva ormai abbandonato alla sola vista del suo viso.

«Tempo scaduto!»

Maledizione, cinque secondi erano troppo pochi per prendere una decisione! Anche se aveva già deciso prima di indossarlo. Ma averla così vicino mentre gli sussurrava nell’orecchio provocò un semplice cortocircuito nella sua testa, non riuscendo più a muovere un singolo muscoletto. «Decido io quale delle tre opzioni.» Ottimo. Così facendo era stato catturato e messo al muro da lei.
Era abbastanza sicuro che non avrebbe scelto l’opzione uno. Quale avrebbe scelto tra la due e la tre? Non aveva proprio idea di cosa avesse in mente Miwako. Era sempre così enigmatica. I suoi sorrisi sempre così ambigui.
Wataru si considerava decisamente svantaggiato. Lei poteva sapere tutto di lui grazie alla sua abilità nel comunicare i propri pensieri solo con le espressioni del volto.


«Scelgo la... Uno.» Gli sorrise. Lo aveva già messo fin troppo alla prova. Nonostante le facesse molto piacere vederlo arrossire e non capire più niente ad ogni contatto, aveva deciso di dargli un attimo di tregua, per il momento. E nonostante avesse scelto l’opzione uno, Wataru era completamente stupito.
Veramente si aspettava che scegliesse una delle altre due opzioni? Non che le sarebbero dispiaciute, anzi. Avrebbe sicuramente potuto torturarlo ancora un pochino. E sicuramente camminare mano nella mano... Non sapeva nemmeno perché avesse proposto una cosa simile!
Lo prendeva in giro per il suo rossore, ma non che lei fosse da meno. Pensare anche solo di camminare per mano, sarebbe stato troppo anche per lei. Le guance di Miwako si tinsero di un leggero rosso.
Lo vide titubante, come se si aspettasse che quella scelta fosse una trappola. Indossò comunque il cerchietto con i Babbi Natale. Solo in quel momento Miwako si rese conto che stava fissando ogni angolo del viso di Wataru, a non molti centimetri di distanza.
Era rimasta intrappolata... tra i suoi occhi che chiedevano spiegazioni sulla sua scelta; tra le sue labbra che volevano anche loro pronunciare delle parole; tra le guance arrossate; tra il suo viso dannatamente adorabile.


In quel momento non stava capendo più nulla. Indossava anche lui il cerchietto abbinato a quello che indossava Miwako, quello che fino pochi attimi prima non voleva restare fermo continuando a molleggiare per la sua risata.
Notò che le guance di Miwako erano più rosee del solito. A cosa stava pensando mentre lo scrutava con uno dei suoi sguardi enigmatici? Che avesse scelto la uno per... evitare le altre due opzioni? Che stesse arrossendo per la situazione che lei stessa aveva creato?
In quel momento... non era il suo solito sguardo enigmatico. Riusciva a intuire i suoi pensieri. Poteva sfiorare il suo leggero imbarazzo nell’essergli così vicino. Poteva scrutare i suoi occhi osservare più parti del suo viso. Poteva constatare che si era totalmente persa a osservarlo. Poteva notare che il suo sguardo fermo si era sbriciolato, rivelando uno sguardo femminile, ancora più attraente di quello che aveva sempre addosso. Lo sguardo che riservava solamente a lui, quando si trovavano da soli.
Sì, perché in quel momento nonostante fossero in una via commerciale immersi nel chiasso natalizio, era come se fossero solamente loro due. Isolati da tutto il resto che li circondava. Tutta quella situazione gli stava facendo accelerare i battiti del cuore. Il solo pensiero di volerla baciare, bastò per sentirsi agitato.
Ma era lui a dover portare avanti questo appuntamento. Se lo era promesso. Dunque, avrebbe ripreso le redini. La guardò ancora, così bella quella sera. Così femminile. Così com’era quando erano soli. Così dannatamente attraente. Solo un pazzo avrebbe distolto gli occhi da lei.
Le si avvicinò ancora di più al viso, ormai distante una manciata di millimetri. Poteva sentire il suo respiro. Poteva sentire la calma che si era ripristinata tra loro.


Miwako era definitivamente arrossita. Inoltre non si aspettava di certo che, quando le loro labbra erano ormai quasi unite, Wataru la stringesse più vicino al suo corpo. Quel tocco l’aveva colta di sorpresa.
Le mani di Miwako si mossero di conseguenza verso il viso di lui. Voleva che anche lui sapesse che in quel momento non desiderava altro se non stargli il più accanto possibile.
Gli sfiorò gli zigomi, per poi scendere sulle guance. Ogni parte di lui era così accessibile. Forse... le loro labbra si distanziavano solamente di cinque millimetri. Chiuse gli occhi per fare spazio agli altri sensi.

L’udito; poteva ascoltare il chiasso della via commerciale, era ormai più come uno sfondo. Era rumoroso ma al tempo stesso silenzioso.
Silenzioso come le parole non dette tra loro. Quelle parole che nessuno dei due avrebbe saputo pronunciare. «Ti amo.» Quelle parole che avrebbero voluto sicuramente uscire; ma che non arrivarono, provocando solamente un gran rumore nelle sue orecchie. Era arrossita ancora, e quello che sentiva erano le pulsazioni che si facevano più insistenti, oltre al respiro di Wataru.

Il tatto; poteva toccare il viso di lui, facendo scivolare le sue dita lentamente, assicurandosi di esplorarlo tutto. Scendere verso le guance non le sarebbe bastato. Continuò, le dita accarezzarono i lobi delle orecchie, e ancora qualche dita scese verso il collo, fermandosi a metà strada.
L’aveva sentito, un movimento quasi impercettibile. La stringeva a sé ma per pochi millesimi di secondo aveva sentito decisamente mollare la presa. Come se preso alla sprovvista. Come se non si aspettasse che scendesse così in basso. O che semplicemente fosse uno dei suoi punti deboli.
Ma fu solo un attimo, poiché sentì la sua presa farsi ancora più decisa.

L’olfatto; poteva immergersi ormai tra il suo profumo. Quello stesso profumo che le mancava ogni mattina che si svegliava senza di lui. Quello stesso profumo che le mancava ogni sera che si addormentava senza di lui. Se solo...
Avvampò ancora di più ai suoi pensieri incompiuti. Sapeva benissimo cosa avrebbe voluto pensare. Era certa che anche lui desiderasse la stessa cosa. Però... Avrebbe aspettato per lui. Avrebbe aspettato che arrivasse da lui. Quella proposta a cui sicuramente avrebbe risposto «Sì!».

E poi nuovamente il tatto; poteva assaporare ora le sue labbra. Per la precisione, il suo labbro inferiore.
Era interessante esplorare anche ogni millimetro delle sue labbra, in quanto per la timidezza del ragazzo non capitava spesso di poterle assaporare in quel modo e nemmeno così a lungo. Poteva sentire il suo labbro superiore intrappolato tra quelle di Wataru: anche quella parte di lui era un libro aperto, poteva intuire i suoi pensieri anche ad occhi chiusi, solo comunicando attraverso quel bacio. Semplicemente lui non avrebbe voluto abbandonare quella sensazione piacevole.

Era un bacio diverso da quelli che si erano dati precedentemente. L’avrebbe definito forse più romantico, forse più passionale. Era un bacio che desiderava sapere qualcosa in più l’uno dell’altro. Era un bacio che descriveva quanto fossero uniti. Entrambi sapevano che nulla li avrebbe separati, che i loro desideri combaciavano.
Prese fiato lasciando libere le sue labbra per pochi millimetri, quasi le dispiaceva staccarsi per riprendere fiato. Le avrebbe riprese tra sé sicuramente a breve.

Aprì gli occhi, per poterlo osservare. In quel momento aveva ancora gli occhi chiusi, ma che non tardò a riaprire per poterla osservare da così vicino. Vide che anche lui si allontanò, forse più per riprendersi da un bacio del genere. Le sue guance erano bollenti ed era decisamente rosso in viso. Non sarebbe mai cambiato.
Ma se quella sarebbe stata la reazione ad averla accanto, lo avrebbe baciato allora altre mille volte, solo per vederlo così. Un misto tra imbarazzo e... voglia di averla ancora intrappolata tra le sue labbra.
Non poteva guardarsi in viso ma era certa che anche i suoi occhi suscitavano queste emozioni, quasi come se in quel momento si stessero guardando allo specchio.
Mosse le dita che erano rimaste ancora sul suo viso, a metà tra il collo e l’orecchio. Lentamente le fece scivolare verso il mento, passando il mignolo a sfiorargli le labbra, proprio quelle che erano nuovamente distanti pochi millimetri. Lo vide cambiare espressione, ancora più imbarazzata e rigida. No, decisamente non sarebbe mai cambiato.
Gli sorrise. Forse, poteva avvicinarsi ancora per catturare di nuovo le sue labbra. O farsele intrappolare tra le sue.


Nell'allontanarsi da lei per riprendere fiato, sentì una strana presa sopra alla sua testa. Ma non fece nemmeno in tempo a realizzare quale fosse la causa perché Miwako gli sfiorò le labbra con le dita, mandandolo decisamente in confusione. Poteva capire esattamente le emozioni che la trascinavano, proprio perché anche per lui era lo stesso. Si sarebbe avvicinato ancora, unendosi alle labbra di lei, in momenti che sembravano interminabili, perché forse lo erano anche per davvero, interminabili. Ogni secondo era da assaporare, ogni tocco era una scossa che gli faceva ricordare quanto la desiderasse, ogni suo sguardo parlava.
Nonostante ciò, la presa che sentiva provenire al di sopra della sua nuca non lo abbandonò per nulla. Takagi alzò gli occhi per individuare la causa di questa sensazione. Gli costò molto distrarsi dal suo viso. Ma non riusciva a muoversi ulteriormente: i due cerchietti si erano incastrati tra loro durante il bacio. Era impossibile muoversi senza tirare uno dei due cerchietti e rischiare di farsi male.
Di certo il respiro non era nemmeno ancora del tutto regolare. «S-Sato-san. Ci siamo incastrati.»


Sato dissolse lo sguardo dal viso di Takagi, per capire cosa intendesse dire. Alzò la vista e li vide: i due cerchietti erano legati insieme. Ma decise di approfittare di quella situazione. «Allora, vorrà dire che non ci possiamo più separare.»
Anziché provare anche solo a liberare uno dei due cerchietti, si avvicinò ancora alle sue labbra senza potergli permettere di formulare una risposta. Lo vide agitarsi ancora.
Sorrise mentre intrappolava il suo sorriso tra le labbra di Wataru, il quale si lasciò completamente trasportare dal movimento delle loro labbra, rispondendole così al bacio. Appoggiò entrambe le mani sul viso di lui, le dita poco più sopra delle orecchie, che accarezzavano gli zigomi.


Sì, Miwako l’avrebbe fatto impazzire. Come resistere all’attrazione che sentiva verso di lei? Non si sarebbe sicuramente tirato indietro. Sarebbe rimasto unito in un bacio con lei ancora a lungo.
Questo bacio fu ancora più passionale del precedente. Le loro labbra erano perfettamente in sintonia. Assaporare così ogni angolo delle sue labbra, si sentiva quasi stregato da lei.
Abbandonò la presa delle mani che fino a quel momento aveva tenuto strette sulla sua vita. Le sentì quasi muoversi da sole, quasi come se non sapesse cosa stesse facendo, quasi come se non fosse lui a comandarle. Le mani salirono verso la nuca di lei. Voleva percepire tutto, ogni millimetro.
Intrecciò le dita tra i corti capelli che le scendevano sul collo, dietro le orecchie.

Le labbra regalavano emozioni uniche. Erano difficili da abbandonare, quasi come dei magneti che si attraggono.
Wataru sentì le dita di Miwako muovere la struttura del cerchietto. Sembrava che lo volesse sfilare, ma era impossibile sfilarne solo uno senza far male a chi indossava l’altro che ora era ancora più attorcigliato.
Mosse anche lui le sue dita raggiungendo il finale del cerchietto, proprio dietro le orecchie di Miwako. Lo fece scivolare verso l’alto, staccandolo così dalla sua testa. Anche lui si sentì liberare dal fascio che era rimasto finora appoggiato.
Ora erano entrambi liberi dal cerchietto di Natale. Liberi di muoversi senza essere costretti.


Le labbra ancora unite, Miwako lasciò la presa sul cerchietto che gli aveva appena sfilato, intrecciato a quello che lui teneva in mano, quasi come se avesse voluto farlo cadere per terra per tornare a legarsi insieme, questa volta liberi di muoversi e liberi di scegliere di non separarsi più.
Gli sfiorò ancora il collo, proprio quel punto debole di Wataru. Infatti sentì le sue labbra farsi più rigide per qualche secondo, senza però staccarsi.
Decise di far scivolare le sue mani verso il colletto della sua camicia, sfiorandogli le clavicole, che, nonostante gli strati di tessuti indossati per resistere all’inverno, erano ben pronunciate. Più scendeva e più sentiva la reazione di lui tramite le sue labbra.
Non c’era bisogno di aprire gli occhi e guardarlo in viso. Era sicuramente arrossito, tremendamente imbarazzato e quasi sicuramente immobile, incapace di muovere qualsiasi muscolo. Anche le sue labbra non si muovevano più con così tanta scioltezza. Adorava questa parte di lui, ma decise, ancora una volta, di dargli tregua.
Si fermò all’altezza del secondo bottone della camicia. Aprì gli occhi e notò che i suoi erano già aperti e sgranati dall’imbarazzo, proprio come aveva immaginato. Allontanò le labbra e gli sorrise. Wataru teneva ancora in mano entrambi i cerchietti e probabilmente in quel momento un ramo gettato nel camino sarebbe stato più flessibile e decisamente più freddo di lui.
Forse aveva esagerato? Si era spinta troppo in là rispetto a ciò che Takagi avrebbe voluto? Notò che la stava osservando senza riuscire a dire nemmeno una parola. Si ricordò di avere le mani ancora appoggiate sul suo petto. Le riportò prontamente lungo i propri fianchi, indecisa su cosa dirgli.
Forse era stato troppo anche per lei? Eppure era stato un momento così speciale, così piacevole e così interminabile. Era certa che le stesse emozioni le aveva provate anche lui durante il bacio. Non riusciva a staccare lo sguardo dai suoi piccoli occhietti imbarazzati, nemmeno per battere le ciglia.


Dannazione, si rese conto di aver interrotto Miwako, irrigidendosi. Ma era impossibile non imbarazzarsi nemmeno un pochino a tutte quelle carezze. Doveva rimediare, non sopportava l’idea di non essere riuscito a lasciarsi andare, mentre lei lo avrebbe desiderato. Non sopportava l’idea che Miwako si era allontanata dalle sue labbra, e di aver ritirato le sue braccia velocemente appena si accorse che erano rimaste ancora appoggiate a lui. Quasi come se avesse il timore di aver sbagliato qualcosa. Ma lei non aveva sbagliato proprio nulla!
Si osservarono ancora un po’ nel più totale silenzio e prima che Wataru prese la parola sembrava fossero passati secondi interminabili. «Scusa, Sato-san. Avrei dovuto-»

«Lascia, ho esagerato io. Non hai nessuna colpa, non devi scusarti.» Si sentì interrompere da Miwako, che usò un tono che non ammetteva repliche, addolcendolo con uno dei suoi sorrisi.
Ma era convinto di dover rimediare alla situazione che aveva creato. Mosse la mano, quella libera dai cerchietti; perlomeno aveva ancora delle capacità motorie e non era del tutto pietrificato. Si avvicinò verso il braccio di lei e le sfiorò le dita. Determinato a volerle stare accanto, intrecciò le dita nelle sue, portandosi così di fianco a lei e non più di fronte.
La via addobbata dalle luminarie natalizie era ancora lunga, per permettere di stare insieme ancora un altro po’. «Andiamo, Miwa-chan?»


Camminarono tra le luci di Natale tenendosi per mano.
Nessuno dei due sembrava voler lasciare più la presa. Nessuno dei due interruppe il silenzio che si era creato. Nessuno dei due replicò alle dita che tra un passo e l’altro si cercavano tra di loro in carezze quasi millimetriche.
Si scambiarono soltanto uno sguardo, esattamente nello stesso momento.
Ed entrambi avevano le gote arrossate, certamente non per il freddo.
Anche i loro pensieri coincidevano.

Il rosso. Trovava che stesse particolarmente bene sulle sue guance.


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Capitolo 3
*** Verde, Quadrifoglio ***


All the colors that remind me of you


* Verde *
* Quadrifoglio *

Il verde. La speranza di aver trovato un po’ di fortuna nella vita.

***

Wataru Takagi aveva appena chiuso lo scatolone contenente i suoi effetti personali. La sua scrivania dell’ufficio omicidi della polizia di Niigata era vuota. Da quando aveva incominciato a lavorare nella polizia della sua città natale, da poco più di due anni, aveva accumulato alcuni oggetti ricordo nella scrivania.

Erano per la maggior parte disegni e statuine che gli aveva regalato suo nipote, Tatsuo Takagi, figlio di suo fratello maggiore, Junichi Takagi. Voleva molto bene a quel bambino. Avrebbe presto incominciato la prima elementare, d’altronde mancava meno di un mese al nuovo anno scolastico. Si assicurava, non appena poteva passare del tempo con lui, che crescesse in modo sano e soprattutto amato dai suoi genitori.

Non avrebbe mai perdonato quello scalmanato di suo fratello se gli avesse fatto passare un’infanzia come quella che era capitata a loro, per colpa dei loro genitori irresponsabili e assenti. Dunque aveva chiesto a suo nipote di riferirgli qualsiasi cosa che gli fosse sembrata strana. E ora che doveva trasferirsi in un’altra città lo aveva rassicurato che sarebbe tornato a salutarlo, anche solo per portarlo a vedere qualche partita di calcio insieme.

Prese lo scatolone pieno di ricordi che Tatsuo aveva creato con le sue manine, dedicati a Wataru-ojisan. Lo portò fuori dall’ufficio, pronto a viaggiare assieme agli altri scatoloni provenienti da casa sua, che erano già in macchina.

«Allora, Takagi-kun. Parti domani, giusto?» Un suo collega lo fermò appena fuori dall’edificio. Nonostante tutti quelli della polizia di Niigata lo avessero già salutato, alcuni di loro non volevano vedere un altro amico trasferirsi a Tokyo, motivo per cui cercavano un ultimo dialogo.

La partenza era inevitabile, Takagi aveva accettato il trasferimento alla polizia di Tokyo, dopo la proposta dei suoi superiori della polizia di Niigata. Sarebbero rimasti comunque amici, ma sapevano che la lontananza sarebbe stata difficile, nessuno lo avrebbe mai sostituito, né all’ufficio omicidi di Niigata né quando uscivano insieme per una serata tranquilla tra amici.

«Già. Partirò domattina presto. Vorrei arrivare prima di mezzogiorno nel nuovo appartamento. Ci sono ancora così tante cose che devo sbrigare!» Wataru appoggiò lo scatolone per terra, benché fosse leggero. Anche lui avrebbe voluto intrattenersi ancora un po’ con i colleghi con cui aveva frequentato l’accademia di polizia.

«So bene che hai la testa sulle spalle, ma non lasciarti trascinare dalla vita di Tokyo.» Intervenne un secondo collega dandogli una gomitata e facendogli l’occhiolino. Erano forse anche un pochino invidiosi del suo trasferimento in una città molto più grande.

Wataru rise. «Tranquillo. Sarò a Tokyo per lavoro, non di certo per andare a divertirmi tutte le sere.»

«L’ho sempre detto che qui alla polizia di Niigata sei sprecato.» Incrociò le braccia il primo collega squadrando il loro amico. Gli riconosceva grandi capacità.

«Concordo. Sei così ligio al lavoro che te lo sei proprio meritato il trasferimento alla polizia metropolitana di Tokyo!» Annuì il secondo sorridendogli. La maggior parte dei colleghi si era proposto per il trasferimento a Tokyo. La polizia della metropoli aveva richiesto ulteriori agenti in quanto la criminalità nella capitale era salita.

Ma il fortunato ad essere stato scelto per il trasferimento fu Takagi: il sovraintendente della polizia di Niigata credeva fermamente in uno dei suoi sottoposti più giovani. Era uno dei più abili nelle indagini, aveva del vero e proprio talento per quel lavoro. Ed era giusto spronarlo in un ambiente più gratificante. Soprattutto se aveva avuto da sempre l’obiettivo di far parte della polizia giapponese.

Wataru doveva essere soddisfatto di sé stesso: aveva raggiunto con successo la sua aspirazione, cresciuta dopo che aveva assistito più volte alle liti tra i suoi genitori. All’età di sette anni aveva avuto il coraggio di chiamare la polizia che era intervenuta per calmare suo padre, Noboru Takagi; in preda all’alcool aveva iniziato a picchiare sua madre, Kaede.

Se c’era una cosa che Wataru non avrebbe mai capito, erano proprio le motivazioni dei criminali. Non esisteva nessuna giustificazione che permetteva di fare del male ad un’altra persona, e questo l’aveva imparato a sue spese.

«Chissà quanto lavoro ci sarà da svolgere lì...» Il collega lo guardò comprensivo. Forse, era un bene che fosse stato scelto Takagi. Di sicuro nessun altro oltre a lui sarebbe stato in grado di gestire una grande mole di lavoro.

«Davvero! Nonostante Niigata sia una grande città, qui al nostro distretto è sempre tutto molto tranquillo.» Continuò l’altro collega.

«Non stancarti troppo»

«E ogni tanto scrivici qualcosa»

«Mancano pochi giorni al tuo ventiquattresimo compleanno...!»

«Ti farò i miei auguri il 6 Marzo, spero potrai rispondere al cellulare!»

«Certo! Vi farò sapere com’è vivere a Tokyo. E ci sentiremo sicuramente anche per il mio compleanno.» Wataru gli sorrise. Erano così apprensivi nei suoi confronti. Non aveva avuto nemmeno il tempo di ringraziarli per le belle parole che gli avevano rivolto; erano così frenetici che non gli avevano lasciato lo spazio per delle risposte, sicuramente non sapevano darsi un controllo a differenza sua.

«Ah, Takagi-kun! Non dimenticare di invitarci al tuo matrimonio.» Il primo collega gli passò un braccio dietro al collo.

«Infatti, sono sicuro che lì a Tokyo ci saranno tante ragazze interessanti.» Anche l’altro collega lo punzecchiò.

«Ma quale matrimonio?! Non sono fidanzato con nessuno!» E ci risiamo, lo stavano nuovamente prendendo in giro. Quante volte gli avevano già proposto di provare ad uscire con qualche ragazza solo per divertirsi un po’? Non sarebbe mai stato come loro. Non vedeva alcun divertimento a uscire con le ragazze solo per... No. Decisamente. E avrebbe continuato a rifiutare i loro inviti e frecciatine varie. Era un gioco pericoloso e ogni volta glielo rammentava. Non voleva che i suoi amici si trovassero in una situazione che non avrebbero saputo gestire a nemmeno ventiquattro anni.

Gli ricordava proprio la sua infanzia passata in totale assenza dei suoi genitori giovani e irresponsabili. Avevano giocato troppo appena finita la scuola superiore e il risultato ne era stato di sposarsi per convenienza e dover crescere tre figli senza volerlo. Ma alla loro età volere e dovere erano due cose ben distinte e chiaramente il divertimento veniva prima del dovere.

Così Wataru si era ritrovato per la maggior parte del tempo a dover badare a sé stesso sin da piccolo, in quanto suo fratello maggiore Junichi era libero di fare ciò che più voleva ogni giorno, e la responsabilità di doversi prendere cura di un membro della famiglia era completamente inesistente per lui.

Ma questo era un messaggio innato in Wataru. Oltre a prendersi cura di sé stesso, aveva imparato a cucinare all’età di cinque anni, solamente per sfamare la sua sorellina appena nata, Haruko Takagi.

Fortunatamente a prendersi cura della sorellina non era più completamente da solo. Kaede a quei tempi era rinsavita realizzando che era suo dovere prendersi cura delle creature che aveva messo al mondo. Ma Noboru, troppo egoista e geloso, non la pensava allo stesso modo: disprezzava le attenzioni che Kaede dava ai suoi figli, dopo anni di divertimento sfrenato, solo per una marmocchia a cui bisognava cambiare il pannolino; non sopportava che Kaede non si divertisse più con lui come quando non erano ancora genitori.

Wataru si ritrovava spesso a pensare a come sarebbe stata la sua vita se non avesse avuto il coraggio di chiamare la polizia che intervenne nella loro vita, separandoli dal padre. Da quel momento la sua famiglia era vissuta in due case diverse. Suo fratello maggiore Junichi, nonostante non avesse mai avuto un senso delle regole, capì che tutto ciò che finora era successo era sbagliato. Si propose dunque di tenere d’occhio suo padre sotto lo stesso tetto, mentre Wataru andò a vivere con sua sorella minore Haruko e sua madre Kaede.

Fu in quel periodo della sua vita che decise la professione che avrebbe svolto da grande. E ora il suo impegno per diventare un ottimo poliziotto lo aveva premiato raggiungendo la polizia metropolitana di Tokyo. Proseguì i saluti con i suoi amici di Niigata, pronto ad iniziare una nuova vita a Tokyo, per lasciarsi il suo passato alle spalle.

«Certo, certo...» Affermò Wataru poco convinto. Si liberò dalle prese dei suoi colleghi, riprendendo lo scatolone tra le mani. «Ci sentiamo, d’accordo?»

«D’accordo. Allora speriamo di sentire buone notizie da parte tua.» Ghignò il secondo collega salutandolo.

«Passatela bene, Takagi-kun!» Lo salutò anche il primo.


***

Aveva sistemato tutti gli scatoloni in casa e aveva già acquistato le prime cose necessarie. L’appartamento che aveva trovato in affitto non era male. Fortunatamente non era uno dei più piccoli, anzi, per una sola persona era quasi fin troppo grande.

Uscì per raggiungere la centrale della polizia metropolitana di Tokyo, per dare un’occhiata al luogo dove avrebbe lavorato dal giorno successivo. Era stato assegnato all'ufficio di investigazione, prima divisione, sezione omicidi. Avrebbe fatto parte della prima squadra investigativa.

Si presentò in centrale per conoscere il posto e i suoi colleghi. «Mi chiamo Wataru Takagi, ho quasi ventiquattro anni. Ho lavorato per la polizia di Niigata per più di un anno, facevo parte dell’ufficio omicidi. Farò del mio meglio qui a Tokyo!» Fece un breve inchino formale, a cui risposero anche i suoi nuovi colleghi, i quali si presentarono a loro volta. Quel pomeriggio erano in corso delle indagini: infatti non erano tutti presenti in centrale.

«Miwako Sato, vice ispettrice. Purtroppo l’ispettore Juzo Megure e il vice ispettore Ninzaburo Shiratori non possono essere qui oggi, stanno indagando su una scena di un crimine. Porgo i loro saluti. Per questo momento faccio le loro veci qui in ufficio» La donna gli porse la mano per stringerla augurandogli un buon lavoro assieme alla loro squadra investigativa.

Le strinse la mano. Nonostante fosse una donna e le sue mani erano più piccole rispetto le sue, aveva una forza che lo impressionò. Si ritrovò, per la prima volta nella sua vita, ad ammirare il viso di una ragazza. Aveva uno sguardo così fermo e deciso. I suoi occhi erano molto espressivi, oltre che estremamente graziosi. Aveva qualcosa in più rispetto a tutte le altre ragazze che aveva incontrato finora.

Lasciò la presa dalla sua mano. Si sentiva osservato dagli altri colleghi. Non avrebbe dovuto fissarla. Non la conosceva, e per quanto ne sapesse, nonostante non portasse nessun anello, poteva benissimo essere già impegnata. Dissolse lo sguardo dalla donna; forse studiare la disposizione dell’ufficio l’avrebbe aiutato a far scendere l’imbarazzo che era riuscito a creare da solo. L’aveva sempre pensato che sarebbe stato impacciato in una situazione del genere. E i suoi dubbi vennero confermati dal rossore che crebbe sulle sue guance.

«Bene. L’ispettore Megure mi ha chiesto di presentarti l’agente Wataru Date. Sarai affiancato a lui nelle indagini. Ha molta esperienza alle spalle e sarà di certo un ottimo mentore.» Sato gli presentò un uomo molto forte. Teneva uno stuzzicadenti in bocca. Sembrava quasi un poliziotto teppista, proprio uno di quelli che solitamente torchiava fino all’ultima informazione ogni testimone e ogni criminale. Aveva da imparare molto da un tipo del genere. Incuteva timore al primo sguardo. Ed era sicuramente uno dei più forti presenti in quella stanza. Inoltre trovò buffo che condividessero lo stesso nome.

«Piacere. Sono entusiasta di avere un allievo. Spero che lavoreremo bene insieme!» Anche la sua voce era molto forte. Gli porse la mano. Ma non si aspettava di certo di essere letteralmente stritolato nella sua stretta di mano.

Avrebbe voluto restare impassibile ma il dolore era così forte che fu impossibile evitare di lamentarsi espressivamente con una smorfia di dolore. Date rise con gusto. «Qui bisogna mettere su un po’ più di muscoli!»

Il pomeriggio proseguì nella tranquillità delle scartoffie d’ufficio, in attesa del ritorno della squadra investigativa di Megure e Shiratori.

Nonostante Wataru fosse lì solamente per conoscere il luogo, e avrebbe potuto lasciare la centrale appena avrebbe voluto, sentiva il dovere di aiutare i colleghi ad inserire i dati nei gestionali. Soprattutto il suo mentore. Non sembrava cavarsela per nulla con il computer. Lo aiutò dettandogli le corrette informazioni da inserire in merito ad un caso di qualche settimana prima. Il suo collega digitava molto lentamente, forse per via delle dita grosse che riuscivano a schiacciare quattro tasti insieme.

Mentre Date finiva di inserire ciò che gli aveva dettato, Wataru notò che da quella scrivania aveva una vista perfetta su quella della vice ispettrice. Si perse a guardarla. Aveva sempre quello sguardo così severo. Stava scrivendo su un foglio, con molta concentrazione. Era così...

«Bella, vero?» Il suo mentore lo riportò alla realtà. Se n’era accorto che si era distratto. Chissà quanto tempo era passato da quando la stava osservando. Che figura! E non era nemmeno il primo giorno di lavoro pagato.

Ora che ci pensava, avrebbe pensato ad un’altra parola per descrivere quella ragazza. Non era semplicemente bella. Era così attraente. «Se te lo stessi chiedendo, non è fidanzata.»

«No che non me lo stavo chiedendo! Ed in ogni caso non la stavo nemmeno guardando.» Arrossì per la situazione in cui si era cacciato. La sua espressione tradiva completamente le sue parole.

Questo suscitò una risata da parte di Date. «Certo che sei coraggioso a provare con scarsi risultati a mentirmi in questo modo.» Aveva già capito di che pasta era fatto il nuovo arrivato. Avrebbe sicuramente lavorato con piacere assieme a lui.

Promise a sé stesso che durante il lavoro non avrebbe mai dovuto cedere ad alcuna tentazione. Forse avevano ragione i suoi amici di Niigata. A Tokyo avrebbe trovato per davvero una ragazza interessante. Ed era la prima volta che provava delle sensazioni così strane. Sarebbe riuscito a lavorare oggettivamente nella stessa sezione? Doveva imparare a convivere con quelle nuove emozioni che si facevano presenti ogni volta che i suoi occhi finivano per osservarla.


***


La maggior parte degli agenti aveva finito il proprio lavoro, uscendo così dalla centrale. Erano rimasti in pochi a terminare ancora qualche scartoffia. La vice ispettrice Sato aveva già finito, ma sarebbe rimasta in attesa del rientro dell’ispettore e del vice ispettore assieme alla loro squadra.

Date sembrava tirare per le lunghe l’ultima cartelletta da inserire nella gestione. Che lo stesse facendo apposta?

«Takagi-san. Sei ancora qui?» Sato si era avvicinata alla scrivania dove ormai stavano ancora lavorando solo loro.

Sussultò. Stava parlando con lui. Un momento, dov’era finita la sua voce? Non riusciva nemmeno a formulare una risposta nella sua testa.

Date rise. «Aveva intenzione di restare ad aiutarmi finché non avessi finito anch’io.» Si alzò dalla sedia, spegnendo il computer. «Abbiamo finito proprio ora.»

Cosa? Che significava? Ma se stavano ancora inserendo l’ultima informazione... Cosa stava cercando di fare il suo mentore?! Sì alzò anche lui, trovandosi di fronte a lui lo sguardo divertito della ragazza che lo stava chiaramente studiando.

«Guarda che non ti mangio mica. Sembra che hai perso la lingua!» Sato cercò di creare un ambiente più cordiale, forse era stata troppo fredda e le sarebbe dispiaciuto avere una brutta impressione sul nuovo arrivato.

«Ora che ci penso... Adesso andrò sicuramente a casa. Devo ancora sistemare tutto!» Fece per avviarsi verso il corridoio, per sbrogliarsi da quella situazione. Doveva ancora imparare a gestire tutte quelle sensazioni, di cui quella ragazza conosciuta a malapena da qualche ora del pomeriggio ne era la causa.

«Ti accompagno fino all’ingresso. Domani ti farò fare un giro della centrale, che ne pensi?» Date lo raggiunse. Almeno così non sarebbe rimasto in ufficio per il primo giorno di lavoro.

«Ah, ottima idea. Ti ringrazio.» Sì, forse era meglio. Doveva ancora imparare a gestire tutto quel groviglio di sensazioni che quella ragazza gli lasciava dentro di sé. E ci avrebbe dovuto convivere per lavorare insieme al meglio. Avvicinarsi piano piano al luogo di lavoro era una saggia decisione. Si avviarono verso il corridoio.

Si accorsero una volta in corridoio che anche Sato stava uscendo con loro. «Mi unisco a voi, se non vi dispiace. Un po’ d’aria fresca dopo questa giornata farà bene anche a me. Devo attendere il rientro dell’ispettore.»

Il trio scese all’ingresso principale della centrale. Era tutto così nuovo per Wataru, la città era immensa. Nonostante ci fossero palazzi ovunque, l’ingresso alla centrale di polizia era piuttosto verde. Poteva notare delle aiuole ben tenute.

«Avete notato che quell'aiuola è piena di...» si avvicinò per vedere meglio che tipo di piantina fosse. «Quadrifogli!»

«Ti piace la natura Takagi-kun?» Date si avvicinò anche lui per osservare tutti quei quadrifogli. Era ben strano trovarne così tanti in una sola aiuola, soprattutto considerando di essere in una metropoli.

«Beh, sì. La trovo interessante. Ogni essere vivente ha la propria storia da portare avanti.»

«Posso chiederti che cosa ti ha portato ad intraprendere questa carriera?» Date era curioso, Takagi sembrava un bravissimo ragazzo. Forse avrebbero potuto insegnarsi molte cose a vicenda. D’altronde lo aveva appena detto anche il suo nuovo collega. Ognuno aveva le proprie esperienze vissute. E gli esseri umani le avrebbero condivise.

Wataru fissò quei quadrifogli, nascondendo il suo passato. «In realtà, nulla di particolare.» Non ne aveva mai parlato con nessuno di tutto ciò che aveva passato. Nemmeno con i suoi colleghi di Niigata, che avevano infatti sempre frainteso le sue parole.

«Beh, sicuramente ci sarà stato un motivo. Non è un lavoro adatto a tutti.» Sato si aggiunse alla discussione raccogliendo un quadrifoglio. «Si dice che se una persona trova un quadrifoglio, questi gli porterà molta fortuna. Dunque, qualsiasi sia stata la tua motivazione... Sicuramente sei sulla strada giusta, Takagi-kun.» Gli porse quel quadrifoglio. Aveva capito che era un tipo timido e riservato. Sperava veramente che quei quadrifogli verdi gli potessero portare tanta fortuna.

Prese tra le mani il quadrifoglio che Sato aveva raccolto, abbozzandole un sorriso. Lo avrebbe sicuramente conservato, magari in uno dei suoi libri preferiti. Se solo avesse potuto dimenticare ciò che aveva passato. Sperava che quei quadrifogli verdi gli portassero per davvero tanta fortuna.


Il verde. La speranza di aver trovato un po’ di fortuna nella vita.


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Capitolo 4
*** Giallo, Birra ***


*Avvertimenti: Lemon*

All the colors that remind me of you

* Giallo 黄色 *
* Birra *

Il giallo. L’allegria di certi momenti indimenticabili.

***

«Buon ventisettesimo compleanno!» Alzarono i bicchieri di birra in un ennesimo brindisi.

Il festeggiato, Wataru Takagi, si era già pentito di aver organizzato una serata tra colleghi per festeggiare il suo compleanno. Ma era stato convinto, per non dire costretto, dalla migliore amica della sua fidanzata. La poliziotta della stradale, Yumi Miyamoto, l’aveva minacciato dicendogli che se non avesse offerto il primo giro di alcolici, allora avrebbe raccontato a tutti uno scoop su di lui e Miwako Sato, la sua fidanzata.

Non sapeva assolutamente di che scoop si potesse trattare, ma era meglio non rischiare. Chissà quale delle tante cose avrebbe potuto tirar fuori. D’altronde era già successo molte volte, Yumi riusciva sempre a ottenere informazioni in qualche modo. Quella spia del dipartimento della polizia stradale veniva a sapere anche i più focosi dettagli tra i due.
A volte dalla disperazione era Wataru a raccontarle tutto, altre volte invece era Miwako, esasperata dall’insistenza dell’ amica. Ma altre volte ancora sembrava che Yumi li stesse spiando. Non poteva sapere dettagli di cui solo loro due erano a conoscenza.

Era per quel motivo che Wataru si era ritrovato a festeggiare il suo ventisettesimo compleanno assieme ai suoi colleghi. Il primo brindisi, offerto da lui, era ormai passato da un pezzo. Ricordava la lucidità dei colleghi, che in quel momento era drasticamente assente, c’era chi urlava e chi invece non aveva la minima cognizione di dove si trovasse. Nonostante fosse il festeggiato, la maggior parte delle persone chiacchierava rumorosamente tra loro, animando la festa.
Lui invece si era limitato al secondo bicchiere di birra. Non era una persona che esagerava con l’alcool e questa sua preferenza era forse dettata dal fatto che già il secondo bicchiere aveva avuto degli effetti particolari su di lui, proprio perché non abituato. La vista era offuscata, i rumori leggermente ovattati, quella situazione l’aveva portato a credere che se si fosse alzato non avrebbe avuto molta stabilità nel camminare.
Non voleva spingersi più in là, non sapeva cosa potesse esserci al terzo bicchiere; solo i primi due avevano cambiato la sua prospettiva di vedere le cose, gli avevano annebbiato i pensieri, facendo emergere solamente quelli più istintivi, pensieri che non avrebbe mai rivelato apertamente.

Era invece rimasto sorpreso dalla quantità di alcool che la sua ragazza aveva già bevuto. Doveva essere sincero, non conosceva direttamente, fino a quel momento, quella parte di Miwako. Anzi, ne aveva sentito parlare solamente da Yumi. Apparentemente, le due amiche uscivano spesso per buttar giù qualche bicchiere e finivano la serata a raccontarsi dettagli interessanti.

Si ricordava benissimo di quella volta che Yumi, ormai un anno fa ancora prima di iniziare a frequentare Miwako, gli rivelò che, dopo un bicchiere di troppo, la sua migliore amica le aveva confidato che c’era qualcuno che le piaceva nella prima divisione della polizia metropolitana di Tokyo.
Quell’informazione al tempo lo aveva gettato nel panico più totale, senza rendersi conto che era proprio lui quel qualcuno.

Poteva osservare le gote della sua ragazza ormai tremendamente paonazze. Qualsiasi discorso intrapreso da chiunque era senza un senso compiuto.
Si perse ad osservare quei contorni del viso di Miwako che gli erano ormai familiari in ogni sua parte. Quella sera aveva indossato un abito tubino color pervinca, non eccessivamente scollato ma poteva soffermarsi su tutti i dettagli a lui conosciuti del suo corpo. In quel momento avrebbe voluto festeggiare un compleanno decisamente diverso. Solo loro due, in un’intesa di desideri; quando invece la ragazza si stava intrattenendo con Yumi e Naeko. Sembrava divertirsi, e questo era un sollievo. Vederla sorridente era una delle cose che più avrebbe voluto per lei.

Quella serata era un modo come un altro per dimenticare le giornate di lavoro, per divertirsi tra colleghi.


Miwako lo stava osservando da un po’, lasciando Yumi e Naeko chiacchierare animatamente sull'ultimo vestito della collezione di un noto stilista. Wataru era l’unico che aveva bevuto solo due bicchieri, ormai più di mezz’ora prima. Che non si stesse divertendo? Era la sua festa e doveva fare qualcosa per coinvolgerlo.
Si avvicinò, notando i suoi occhi completamente persi nel vuoto e le guance tinte del colore che tanto adorava vedere sul suo viso. Era talmente assorto nei suoi pensieri che non si accorse di Miwako che gli cinse le braccia attorno alla vita in uno stretto abbraccio.
«Takagi-kun.» Richiamò la sua attenzione assicurandosi che la stesse ascoltando. «Ti stai divertendo?»

«Sato!» Wataru fu colto di sorpresa, alzandosi dallo sgabello su cui era seduto, barcollando un po’. Questa sua instabilità non era un problema dal momento in cui Sato lo teneva tra le braccia, ma la birra aveva iniziato anche a offuscargli i sensi, perdendo la cognizione di dove si trovasse e riducendo il campo visivo solo su quello che gli si parava di fronte… e i pensieri erano ormai… «Sì, anche se...»

Miwako si appoggiò alla sua spalla, curiosa di ciò che aveva da dirle. Notò che non era molto stabile, e si strinse ancora di più nell’abbraccio. Eppure aveva bevuto solo due bicchieri, come poteva essere già in quello stato? «Anche se?»


«Avrei una tremenda voglia di farlo!» Takagi sciolse l’abbraccio, e la guardò in viso. Era diventata completamente bordeaux, e non per la birra bevuta sino a quel momento. Le si avvicinò alle labbra, voglioso di strapparle mille baci. Quella birra gli aveva donato una tale sicurezza, che sapeva benissimo sin dove si sarebbe voluto spingere quella sera.


Non l’aveva detto per davvero... Giusto? Non in pubblico. Non davanti a tutti i loro colleghi.
Sato pregò che nessuno l’avesse sentito e la vedesse inizialmente abbandonarsi inerme alle labbra di Wataru.
Avrebbe voluto scansarlo per l’immenso imbarazzo causato, ma Wataru era così determinato, la stringeva con forza, gli occhi velati dall’alcol, fissi su di lei. Difficilmente lo vedeva in quello stato, sembrava una persona così diversa, e se gli bastavano veramente solo un paio di bicchieri di birra per diventare così sciolto, desideroso e inibito di ogni timidezza… allora lo avrebbe fatto bere più spesso.
Quelle sue parole così sincere, rispecchiavano ciò che anche lei avrebbe voluto per quella sera. E se entrambi si desideravano, non potevano fare altro se non cedere alla tentazione e intrappolarsi in concatenati baci. D’altronde c’era così tanto casino in quel locale che nessuno avrebbe potuto sentirli, no? 

No... Non potevano. Non lì davanti a tutti. Doveva fermarlo.

Ma Wataru si bloccò all’istante, ancora prima che Miwako decidesse di interromperlo solamente al secondo bacio; nei suoi occhi poteva leggere che aveva realizzato qualcosa. Le sussurrò all’orecchio, provocandole solletico: «Vieni con me.»

Le prese la mano e la portò verso il corridoio che procedeva al bagno pubblico del locale. Incredibilmente aveva ancora la facoltà di camminare nonostante tutte quelle sensazioni causate dall'alcool. Ben presto, però, si ritrovò costretto a reggersi al muro con il braccio libero, altrimenti le vertigini lo avrebbero fatto finire sul pavimento. 

Tirò Miwako a sé, intrappolandone ancora le labbra tra le sue.
Finalmente da soli, senza nessuno attorno che potesse sentirli o vederli.
Era un susseguirsi di baci, sempre più profondi, sempre più passionali. Le loro lingue danzavano ormai senza volersi separare.

Wataru si trovò appoggiato completamente al muro, forse per cercare più sostegno o forse perché Miwako si era totalmente abbandonata a quella passione travolgente. Erano da soli, avrebbe potuto lasciarsi andare, avrebbe potuto far suo Wataru.
Nonostante avesse cominciato lui e nonostante fosse così determinato, Miwako stava prendendo l’iniziativa, viaggiando con le mani sulla camicia di lui e sbottonandogli i primi due bottoni.

A questo suo gesto ricevette la risposta di Wataru: le sue mani avevano raggiunto la coscia, sotto al tubino. Quella parte di vestito era ormai tutta spiegazzata, e non aveva nessuna intenzione di fermarsi dall'accarezzarle il suo corpo.
Più ogni tocco si faceva intimo, più i loro respiri si facevano irregolari, catturati da un'irrefrenabile voglia del corpo dell’altro. La camicia di Wataru era totalmente stropicciata e in disordine, ancora in parte incastrata dalla cintura all’interno dei pantaloni, quella stessa cintura che gli era diventata così scomoda: si sentiva costretto al suo interno.

Le pulsazioni si facevano sentire. La mano di Wataru poggiata su un seno di Miwako, la quale era ancora più vicina al corpo di lui bloccato contro al muro. E sentire il corpo di Miwako totalmente adagiato sul suo gli fece raggiungere il limite di attesa. Non poteva aspettare oltre, l’impulso era troppo forte, e non faceva altro che sentirlo sempre più costretto nei pantaloni.

«Mi-Miwako... I-io non posso più aspettare.» Lei si avvicinò ancora di più al corpo di Wataru, per sentire quanto fosse alto il suo desiderio. E non poteva di certo biasimarlo: per quanto le riguardava, tutti quei baci e quelle carezze su ogni parte del corpo non avevano fatto altro che eccitarla ancora di più.
Si sentiva totalmente catturata da Wataru.
Gli prese la cintura. In quel momento l’avrebbe strappata ben volentieri, assecondando ciò che il suo partner avrebbe voluto. Se ci pensava, ancora mancava una location del genere al loro repertorio, sarebbe stato un peccato non sfruttare il mutuo desiderio in quel luogo. Inoltre, quando mai le sarebbe potuto ricapitare di farsi trascinare in una situazione del genere proprio da Wataru?

Iniziò a sfilargli la cintura. Ancora qualche bacio per farlo totalmente impazzire di lei. Le mani di Wataru erano ormai arrivate a sfilarle quasi totalmente il vestito, le mutandine erano in completa vista.
Sentì allentarsi l’elastico, Wataru aveva raggiunto il limite: gliele avrebbe sfilate per farla sua, sperando che lei si sbrigasse a slacciargli quei maledetti pantaloni.


Ma Miwako si allontanò immediatamente dal corpo di Wataru, sistemandosi come si deve il vestito. «Rivestiti.» Gli ordinò.

Wataru non capiva, cos’era successo? Era stato tutto così sfocato, l’eccitazione l’aveva portato a non sentire e né vedere più nulla se non ciò che più desiderava da lei in quel momento.

Ma Sato si era già rimessa in ordine i vestiti, allontanandosi di qualche centimetro, sfumando così la passione che li aveva travolti fino a quel momento. Le aveva detto qualcosa di sbagliato? Eppure... Aveva sempre funzionato tra loro. No, decisamente non riusciva a capire.
In quei secondi si sentì crollare il mondo addosso, ricordandosi di ciò che più lo spaventava. Quella sensazione di frustrazione, di inadeguatezza. Gli aveva ricordato tutti quei pensieri negativi che era riuscito finalmente a mettere da parte. Un rimpiazzo, sì. Si sentiva completamente abbandonato, confuso, in balia dei suoi incubi più terribili.

Quando lo vide, non fece in tempo a darsi una sistemata. In corridoio si affacciò un loro collega, di ritorno dai servizi igienici. Il collega li squadrò entrambi. Che ci facevano da soli nel corridoio per il bagno? Lei così composta e bella come sempre, mentre Takagi aveva tutta la camicia stropicciata, il respiro irregolare e la protuberanza ancora evidente nei suoi pantaloni quasi slacciati.

Poteva immaginare cosa stesse succedendo. Poteva vedere l’espressione totalmente imbarazzata di Sato e la confusione sul volto di Takagi. Se Sato non lo avesse sentito tirare lo sciacquone, probabilmente li avrebbe colti in un momento intimo e imbarazzante.

Quel minuto in cui poi il loro collega si scusò per averli interrotti e tornò al salone sembrò infinito. Ora il batticuore era chiaramente causato dalla preoccupazione che qualcuno potesse averli visti mentre amoreggiavano.
Maledizione, si erano fatti travolgere dall’irrefrenabile voglia di uno dell’altro, senza badare al luogo in cui si trovavano. O meglio, ci avevano anche pensato a rifugiarsi in un luogo un po’ più appartato, ma non avevano messo in conto che in quel luogo potevano non essere da soli.
Passarono forse qualche paio di secondi, prima che Miwako rivolgesse di nuovo la parola a Wataru: «Sistemati... Andiamo a prendere un bicchiere d’acqua al bancone e poi torniamo con gli altri. Sei d’accordo?»

No! Certo che non era d’accordo. Avrebbe voluto continuare, ricominciando da dove si erano interrotti, ma ormai tutto ciò che c’era stato era svanito nel nulla. Anche le sue pulsazioni erano svanite, l’istinto di voler farla sua era calato drasticamente, lasciandolo in uno stato di totale amarezza.
A quanto pare, lei non lo desiderava più, motivo per cui Wataru si sentiva completamente perso. Non poté che accettare la proposta della sua ragazza e dopo essersi sistemato la camicia andarono a prendere un bicchiere d’acqua.

Quando si avvicinarono per prendere posto nuovamente al tavolo, all’improvviso tutti gli invitati smisero di chiacchierare; si ritrovarono gli occhi di tutti puntati addosso. Più precisamente su Wataru.

«Takagi! Non ti pensavo così diretto»

«Ma prima l’avete sentito tutti, vero?!»

«”Avrei una tremenda voglia di farlo!”» Yumi ripeté ciò che Takagi aveva esclamato.

«È una di quelle affermazioni di quando si organizzano certi giochi sconci.»

«Ora dobbiamo per forza iniziare almeno un giro alcolico di “Non ho mai”!»

«Ovviamente partecipano tutti, Takagi compreso. E anche tu Sato.»

«A meno che avete altri impegni, come per esempio limonare di là.»

«Le regole sono semplici. Ognuno di noi a turno confessa una cosa che non ha mai fatto. Tra i presenti, beve chi quella cosa l’ha fatta almeno una volta.»

Erano stati così veloci a imbandire il gioco e a far preparare della birra o, per i più impavidi degli altri alcolici nei bicchieri, che Wataru non poté rifiutarsi: altrimenti avrebbe dovuto pagare per tutti gli alcolici. Non credeva di avere abbastanza soldi nel portafoglio per permettersi di pagare tutto quell'alcool che era stato servito quel giorno. 

I colleghi erano molto presi da quel gioco, sapevano tutti che domande porre dopo ciò che avevano sentito, e dopo ciò che uno dei colleghi aveva visto tornando dalla toilet. Cominciarono il gioco.

«Non ho mai baciato Miwako Sato.»

Nessuno di loro aveva mai avuto un privilegio del genere. Nemmeno durante i migliori appostamenti con l’interessata. Era stato già tanto sfiorarle la mano camminando fianco a fianco.

Ma non per Wataru. Squadrò i suoi colleghi che attendevano con trepidazione il momento in cui avrebbe bevuto dal bicchiere di birra per confermargli che ormai per loro non c’era più nulla da fare.
Li osservò con un ghigno, prima di bere un sorso dal suo bicchiere. Non poteva dimenticare di certo tutto quello che gli avevano fatto passare in quei mesi. E questa era una delle cose da aggiungere, prendersi gioco di lui sembrava così facile per loro.
«Che infami.» Avrebbe voluto dirgli molte cose, ma in quel momento si limitò. Il gioco si faceva interessante, nonostante gli fosse toccato bere sin dal primo turno. Non era mai arrivato a superare il suo limite, nemmeno quando era un ragazzo.
Ma era cosciente che il suo limite fosse già stato superato con quel sorso della prima confessione. Fino a quel momento non aveva mai bevuto un terzo bicchiere.


Miwako rise alla vista di Wataru costretto ormai innegabilmente a bere. «Questa però era cattiva. Siete gelosi?» Appoggiò la testa sui palmi delle mani, le guance ancora lievemente arrossate per la situazione precedente. 

Non era a conoscenza di quanto fossero gelosi di Takagi. Non era a conoscenza di quante volte i suoi colleghi l’avevano interrogato su determinate questioni. Ora sapevano anche su quale argomento procedere con i prossimi interrogatori a Takagi. «Affatto.» Bugia.

«Non dovreste mentire ad un vostro superiore.» Miwako li mise in riga con lo sguardo, che avrebbe incenerito persino una innocua formica che passava di lì.

«Sato, è tutto a posto. Sto aspettando la prossima domanda.» Wataru sapeva di essersi imbarcato in una situazione a senso unico e senza uscita. Ma non avrebbe mai creduto che l'alcool gli potesse dare una tale sicurezza. I primi effetti erano stati subito devastanti su di lui, aveva iniziato a non capire più nulla, non riusciva a concentrarsi sui discorsi degli altri e i suoi pensieri non erano più lineari. Per questo non aveva mai superato quella soglia, non sapeva cosa ci fosse dopo.
Ma si stupì di sé stesso: era ancora più sciolto, poteva finalmente esprimere ciò che pensava davvero con qualsiasi persona. Si sentiva diverso, carico per affrontare ogni problema che la vita gli avrebbe messo davanti, a cominciare dai suoi colleghi che gli erano stati una spina nel fianco per tutti quei mesi.

La vista appannata non era di certo più un problema. Il chiasso non gli permetteva inoltre di concentrarsi solo su qualcosa, ma grazie a questa poca concentrazione poteva ascoltare tutto ciò che veniva detto. Qualcuno gli mise dell’altra birra nel bicchiere.

«Vediamo... Non ho mai dormito con Sato-san.»

«A differenza di qualcuno qui presente.»

«Le voci corrono...»

«Guardatelo come è arrossito.»

«Però poi fate bere un po’ anche qualcun altro, sono in astinenza da quando abbiamo cominciato il gioco!»

Wataru sentì tutto, e sapeva di non poter rifiutarsi di bere nemmeno quella volta. Li guardò tutti quanti. Possibile che ce l’avessero davvero così tanto con lui?
«Quando mai ho organizzato questa festa con tutti voi.» Era irritato, nonostante sapesse che quel gioco fosse iniziato proprio a causa delle parole che aveva rivolto a Miwako e che tutti gli altri avevano accidentalmente sentito. Inoltre essere beccati in flagrante non favorì a lasciar correre la situazione.
Si sentiva una rabbia dentro, qualcosa che non aveva mai provato o che forse aveva sempre tenuto nascosto nel profondo del suo animo. Complice era il calore che provava in quel momento. La birra lo aveva scaldato a puntino, senza aggiungere che stava arrossendo ancora di più per tutte le scene che gli tornavano in mente ai ricordi a cui doveva testimoniare bevendo un sorso di birra.

«Ricordo che non è valido mentire.» Yumi sorrise a Takagi, poteva notare che fosse parecchio nervoso. Quel gioco era così imbarazzante, poverino.
Ripensò in quel momento all’affermazione di quel “non ho mai”: Takagi doveva essere un santo per dormire assieme a lei.
Bevve anche lei dal bicchiere, ricordandosi di quelle volte che dormì con Miwako. Tutte le gomitate ricevute durante il sonno, tutte quelle volte che si era svegliata perché sentiva una tale confusione quando invece era solamente il rumore delle coperte che Miwako muoveva con le gambe... Non era riuscita a riposare nemmeno una notte durante le gite scolastiche in cui avevano condiviso il letto come migliori amiche. Non che Miwako fosse riuscita a riposare nemmeno lei, visto che Yumi non stava zitta nemmeno nel sonno.

«Ma a chi interessa mentirvi? Stiamo insieme, è normale! Dunque potreste anche smetterla di tormentarmi.» Detto ciò Wataru finì in un unico sorso l’intero bicchiere di birra che gli era stato versato. 

Miwako rise guardandolo, anche lei un po’ brilla. C’era qualcosa in lui che solitamente non gli apparteneva. Non l’aveva mai visto esternare con così tanta semplicità dei sentimenti negativi. Poteva ben vedere la frustrazione che aveva provato in tutti quei mesi passati senza possibilità di rifiutarsi a raccontare ai colleghi ogni dettaglio della relazione che aveva con lei. Era interessante quel lato di Wataru. E sapere che si teneva sempre tutto dentro era ancora più mortificante.
Per quella sera avrebbe lasciato che si sfogasse, ma gli avrebbe fatto bene tutta quella birra? Il bicchiere di Takagi venne riempito nuovamente. Non ci pensò troppo, sembrava totalmente un’altra persona, e non gli avrebbe staccato gli occhi di dosso: era il suo ragazzo.
Quelle sue guance, normalmente rosse per l’imbarazzo, ora erano bordeaux per ciò che stava bevendo. Nonostante guardasse i colleghi, i suoi occhi erano velati e diversi, come se non li stesse guardando per davvero. Gli si leggeva in volto senza problemi, che tutto quell'alcool lo aveva confuso ancora di più di quanto lo avesse già confuso il primo brindisi di inizio festa.
Ma quello che più le piaceva di lui in quello stato di ubriachezza era la determinazione.

«Non ho mai fatto sesso con la viceispettrice Sato.»

Se l'aspettava che qualcuno tirasse in ballo il loro rapporto sessuale. D’altronde essendo stati visti, era facile intuire quanto fossero intimi. Wataru stava per bere, quasi orgogliosamente, dal bicchiere quando fu fermato da Miwako. «Non vi pare di stare esagerando? Non sono cose che vi dovrebbero interessare.»
Miwako si sentiva in fiamme per l’imbarazzo, i suoi colleghi erano troppo diretti, come se la loro intera vita alla centrale dovesse finire da un momento all’altro solo perché lei aveva fatto sesso con Wataru.

Quest’ultimo sorrise a Miwako prima di scolarsi nuovamente l’intero bicchiere di birra. Doveva fare sapere a tutti i suoi colleghi che Miwako era roba sua. Avrebbero dovuto smettere di guardarla in ogni momento, di essere gelosi di lui, di costringerlo a confessare della loro relazione.
«E ora dovreste smetterla di ronzarci in giro. Nonostante tutti i vostri tentativi di metterci i bastoni tra le ruote, io e Miwako stiamo insieme. E sì, come una qualsiasi coppia che funzioni facciamo anche sesso.»

Nessuno si sarebbe mai aspettato che Takagi pronunciasse davvero quelle parole ad alta voce. Sembrava veramente irritato, forse era arrivato il momento di cambiare argomento, prima che succedesse qualcosa di inaspettato. Forse avrebbero smesso anche di dargli fastidio, alla fine aveva ragione: Sato aveva scelto lui.
«Non ho mai copiato nei compiti in classe.» Decisero di lasciarli stare, alla fin fine avevano ottenuto quello che volevano. Ora sarebbe arrivato il prossimo divertimento: trovare qualsiasi cosa che tutti o quasi avessero fatto almeno una volta, per avere il pretesto per bere.

Sato era talmente assorta ad osservare Wataru, dopo ciò che aveva detto, che per prima si accorse che dopo l’ultimo bicchiere di birra che aveva bevuto, qualcosa in lui era cambiato.
Forse lo vide barcollare un po’ troppo, forse lo vide impallidire, forse lo vide ancora più confuso, e si accorse che tutto quel coraggio che aveva trovato per rispondere ai colleghi, era scomparso. Bastò un attimo. I riflessi di Miwako erano ancora lucidi nonostante avesse bevuto molto in precedenza. Tese le braccia verso di lui e lo sorresse poco prima che cadesse dallo sgabello, evitandogli così una brutta caduta a terra.
«Takagi-kun? Tutto bene?»

Mentre Miwako gli parlava, sentiva che gli teneva saldamente le spalle. Nonostante fosse tenuto ben fermo, tutto il mondo gli sembrava in movimento: girava tutto senza sosta. Miwako, che era ora davanti a lui, lo stava chiaramente fissando ma non stava ferma nemmeno un secondo. Pure il tavolone a cui tutti erano seduti per partecipare al gioco non era mai in un punto fisso. Lo vedeva spostarsi un po’ a destra, un po’ a sinistra, altre volte si confondeva con il soffitto.
La testa gli doleva molto.
Provò a risponderle di stare bene, per non preoccuparla, ma la voce era sparita totalmente. Forse non si ricordava nemmeno più come si faceva a parlare, e né si ricordava perché non ci riuscisse.

Non aveva per nulla una bella cera, tutto il suo fare disinvolto per il troppo alcool era completamente sparito. Sul suo viso c’era ora tanto dolore; quel momento in cui rimpiangi di aver bevuto troppo, quel momento in cui sei cosciente di star troppo male per fare qualsiasi cosa che non fosse...

Accidenti, lo prese ancora più saldamente, nonostante fosse piegato in due. «Scusateci, lo porto un attimo in bagno.» 


Il giallo. L’allegria di certi momenti dimenticabili.

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Capitolo 5
*** Nero, Lutto ***


*Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate*

All the colors that remind me of you

* Nero *
* Lutto *

Il nero. Forse solo il silenzio avrebbe potuto rappresentare questo colore.

***

«Sato-keibu! Si sente male?»

Non riusciva a capire cosa le stessero dicendo i suoi sottoposti. Sentiva tutto ovattato, ad eccezione del dolore che provava dentro di sé. Stringeva le braccia sul grembo dolorante. 

«Chiamo un'ambulanza!»

Si appoggiò ad una parete del corridoio per non cadere. Era appena rientrata alla centrale dopo aver condotto le indagini con la sua squadra investigativa. Non aveva fatto nessuno sforzo particolare, eppure era come se qualcuno la stesse stritolando dall’interno.

«Vado a cercare Takagi-san!»

«Dovrebbe essere nel suo ufficio della sezione rapimenti.»

I crampi non sembravano voler cessare, si sentiva sempre più debole.
Scivolò verso il pavimento: le gambe non la reggevano più. Ora sentiva il freddo delle piastrelle a contatto con la pelle. Nonostante quella temperatura le provocasse ancora più tremori, la aiutò a restare ancora vigile per qualche minuto. Giusto fino al momento in cui si poté accertare che la persona che amava più di chiunque al mondo era arrivata per stare al suo fianco.
Solo in quel momento la sua coscienza abbandonò il corpo sofferente in cui si trovava, lasciandosi cadere ormai a peso morto.


«Miwako!» Takagi si precipitò verso di lei, con il panico negli occhi.
Cosa le era successo? Era lì, a terra. I colleghi gli avevano riferito che si stringeva le braccia attorno al grembo. E quest'informazione non lo rassicurava per nulla.

Decise di starle il più vicino possibile. La alzò dal pavimento freddo. I corti capelli corvini le cadevano scompigliati sul viso, corrugato dal dolore.
Non riusciva a sopportare di vederla in quello stato. La sua Miwako Sato era coraggiosa, forte, impavida, sicura. Quell’espressione sul suo viso non le doveva appartenere. In quel momento si sentiva come se tutta la vita gli stesse scivolando dalle dita, incapace di potersi aggrappare ad essa.

Ma l’unico oggetto che poteva afferrare in quel momento era la barella su cui i paramedici avevano adagiato l’ispettrice della sezione omicidi. Era salito insieme al paramedico sull’ambulanza che correva verso il pronto soccorso dell’ospedale.

Takagi lo informò sulle condizioni della donna di cui solo lui era a conoscenza. Miwako gli aveva chiesto di non dire nulla a nessuno momentaneamente.

E poteva capirla. La quotidianità di entrambi era cambiata solamente da pochi mesi.
Non era più una relazione occasionale: ogni mattina si sarebbe svegliato assieme a lei e ogni sera si sarebbe addormentato assieme a lei. Condividevano ogni spazio. E lo avevano desiderato entrambi.

Il tempo era passato così in fretta da quel lieto giorno. Non si erano nemmeno ancora abituati ai nuovi ritmi, al non essere più nella stessa squadra investigativa, al dover indagare su casi separati.
Sembrava quasi tutto un sogno, una sua fantasia.

Invece era reale. Tutto ciò era reale, anche la porta della sala operatoria che in quel momento li divideva. Non le era stato abbastanza vicino da capire che c’era qualcosa che non andava.

Nell’ansia frenetica che in quel momento lo stava divorando, i suoi occhi incrociarono un’infermiera appena uscita dalla sala operatoria. Lo stava chiaramente cercando per parlargli.

«Buongiorno, lei è il marito di Miwako Sato. Giusto?»

***

Aprì gli occhi.

Cos’era successo? L’unica cosa che si ricordava era il viso preoccupato di Wataru.

Dove si trovava? Era sdraiata su un letto con lenzuola bianche. Era tutto così silenzioso. Poteva osservare un tubicino che proveniva da una sacca piena di liquido. Si trovava apparentemente ricoverata in ospedale.

Ma... Per cosa esattamente? Perché Wataru aveva un’espressione così preoccupata mentre correva verso di lei? E perché correva? Seguì quel tubicino: era attaccato al suo braccio sinistro. Mentre nella mano destra sembrava stringere qualcosa.

Stava correndo verso di lei perché... era scivolata sul pavimento gelido del corridoio della centrale di polizia. Ed era caduta a terra perché...?

Cos’era successo? Girò la testa verso la direzione opposta, per esaminare quello che si trovava nella sua mano. Wataru era lì con lei, seduto accanto al letto dove stava riposando. Le stringeva la mano insistentemente. 

Cos’era successo? Gli occhi di Wataru erano lucidi. La stava osservando, da chissà quanto tempo. Sembrava voler comunicarle qualcosa. Lo guardò, aspettando che parlasse. Sembrava essere a conoscenza di qualcosa di importante, ma che non riuscisse a trovare quel tanto che bastava per poter dare una risposta ai suoi sguardi confusi e indagatori.

Sembrava molto scosso dalla situazione. Passarono forse svariati minuti in silenzio, a guardarsi negli occhi. Avrebbe voluto asciugare le lacrime che gli rigavano il viso, ma non poteva alzare le braccia. Il sinistro era collegato alla flebo, mentre il destro era tenuto forte da Wataru.


«Wataru-kun...? Cos’è successo?» Eccola, la domanda a cui non avrebbe mai voluto rispondere. Forse era meglio avvisare l’infermiera che Miwako si era svegliata, e far spiegare dal medico cosa le era successo.

Gli occhi di Miwako cercavano spiegazioni. No... Era lui che doveva farle sapere tutto. In quel momento era disorientata, confusa... Nonostante lui fosse in dovere di evitarle sin da subito ulteriori preoccupazioni. Ma non riusciva a fermarle, le lacrime.

La voce, anche se avesse avuto il coraggio di uscire, sarebbe stata poco più di un sussurro. Si rese conto che non riusciva a muovere un singolo muscolo. Anzi, l’unico movimento che non era bloccato gli permetteva di accarezzarle dolcemente la mano con il pollice. Forse sarebbe stato meglio che fosse stato lui a dirglielo. D’altronde il suo compito in quel momento era di starle il più accanto possibile, per aiutarla, per aiutarsi a vicenda.


Bastò lo sguardo di Wataru a farle capire ciò che era successo. Era pur sempre un'investigatrice e lui era sempre stato un libro aperto per lei. 

Quegli occhi pieni di lacrime erano rivolti verso il suo ventre.

La presa sulla sua mano si fece ancora più insistente, come a dirle che doveva essere forte, che lui era lì con lei e che mai l’avrebbe lasciata da sola. Il lento movimento del pollice che le sfiorava il dorso della mano le stava comunicando quanto l'amava, quanto desiderasse non separarsi mai da lei e quanto avrebbe voluto che crescesse...

Bastò quello sguardo per farle capire che era successo qualcosa... Al loro futuro figlio.

Ora che si soffermava a pensarci, non aveva sensibilità dal ventre in giù. Era stata anestetizzata localmente per poter garantire il successo dell’operazione d’urgenza.

E l’unica operazione possibile era... 

«Non c’è più?» Non voleva crederci. Ma era la sola spiegazione per cui si trovava in quel letto di ospedale. Glielo confermò il suo cenno del capo. La vita che stava crescendo dentro di lei si era spenta ancora prima di nascere. Forse per causa sua.


Fece ritorno con lo sguardo verso il viso di Miwako. In quel momento avrebbe voluto solamente stringerla a sé in un abbraccio, ma non voleva procurarle ulteriori dolori in seguito all’operazione.

Il suo viso si era rabbuiato. Il suo sguardo quasi assente. Poteva tastare la disperazione che la stava inghiottendo. Le strinse dolcemente ancora di più la mano. Si sentiva così inerme di fronte ad una disgrazia così grande.

Si ricordava ancora le parole esatte con cui Miwako gli aveva comunicato di essere incinta, quelle stesse parole che avevano dato inizio a momenti di pura gioia: «Non c’è più.»
Gli aveva assicurato quella volta che l’oggetto scomparso non era nessuna spilletta andata persa. I momenti passati con lei, a fantasticare sul fatto che stavano diventando genitori a tutti gli effetti ogni giorno che passava, erano stati così felici. Fino a quella mattina era stato il loro grande segreto, e tale sarebbe rimasto finché non fosse stato evidente, anche solo a qualche occhio indiscreto che si sarebbe poggiato sulla pancia di Sato che sarebbe cresciuta piano piano ospitando il frutto del loro amore.

Ma... tutta quella felicità era sfumata in pochi minuti. Quel figlio non sarebbe più arrivato. Ed era un dolore troppo grande da affrontare da soli. Per questo non avrebbe lasciato la presa sulla sua mano, per nessuna ragione al mondo. Quella stessa mano che si sentì tirare verso il viso di Miwako.

Si alzò per seguirne il movimento.


Le lacrime erano inevitabili. Forse avrebbe voluto nasconderle, motivo per cui si portò il braccio destro al viso, trascinando anche la mano di Wataru. Si coprì gli occhi con il braccio, tenendogli stretta la mano. Sentiva che si era appoggiato al bordo del letto per poter restare in equilibrio in quella posizione con il braccio teso verso di lei.

Forse non servivano parole. Forse il silenzio era l’unico suono che andava ascoltato. Il silenzio che la morte si trascinava sempre dietro. Il silenzio interrotto da qualche singhiozzo strozzato.


Forse solo il silenzio avrebbe potuto rappresentare questo colore. Il nero.

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Capitolo 6
*** Rosa, Pelle ***


Come da regolamento EFP, questo capitolo è esclusa dalla raccolta principale in quanto è una lettura vietata ai minori di 18 anni.
Potete leggere il capitolo integralmente cliccando qui 


All the colors that remind me of you

*Rosa 桃色
*Pelle*
 


Il rosa. Il complice desiderio di aversi accanto, per sempre. 

***
( Continuo di Giallo, Birra )


Miwako Sato non aveva messo in conto di doverlo riportare a casa, totalmente a peso morto. Wataru Takagi non riusciva a reggersi in piedi per il troppo alcool. Non l’aveva mai visto in tali condizioni, e mai l’avrebbe riportato ad ubriacarsi se questo era il rischio di fine serata, nonostante l’alcool l’avesse reso ancora più attraente del solito.
In quel momento, si stava dirigendo verso l’appartamento di Wataru. Si era fatta aiutare da Yumi a metterlo seduto in macchina: si era proprio demolito con l’ultimo bicchiere di birra alla sua festa di compleanno.

Era ormai sotto al condominio, e farsi quattro piani di scale con un uomo a peso morto era fuori discussione, nonostante fosse una donna forte e lo avesse precedentemente sollevato di peso e atterrato. Ripensandoci in quel momento di adrenalina sul lavoro le era sembrato leggerissimo, ma ora la situazione era totalmente diversa e Wataru non era poi così leggero.

Sperava solamente che l’ascensore in riparazione già scorsa settimane, fosse finalmente in funzione.
Sperare era troppo, vi era ancora il cartello guasto. Imboccò le scale. Ad una certa pensò anche che non sarebbe stata una cattiva idea dormire sulle scale del palazzo.

Una volta al pianerottolo, si accorse che le chiavi di scorta che teneva sempre nella borsetta le aveva dimenticate all’interno dello stesso appartamento la mattina scorsa. Frugò dunque nelle tasche dei pantaloni di Wataru, trovando il suo mazzo di chiavi.

Lo mise adagiato sul futon a riposare, togliendogli ciò che poteva essere d’impiccio nel sonno. Poggiò le scarpe vicino alla cassettiera, gli slacciò i primi due bottoni della camicia proseguendo a liberarlo da quella cintura che qualche ora prima lo aveva costretto all’interno. Gli tolse anche l’orologio da polso, poteva essere scomodo dormirci su. Lo coprì con le lenzuola. Sperava solamente che si riprendesse il più possibile da quella sbronza visto che il giorno successivo avrebbero avuto entrambi un turno serale in appostamento.

Lo guardò: il suo faccino era già un pochino meno tediato e sicuramente si sarebbe sentito meglio il mattino dopo.

Ma come poteva esserne sicura? Come poteva sapere che avrebbe dormito tranquillo quella notte?
Decise, nonostante fosse molto tardi, di effettuare una chiamata a sua madre dicendole che non avrebbe fatto in tempo a tornare quella notte. Conoscendola sarebbe rimasta sveglia finché non sarebbe tornata. Diamine non aveva più quindici anni...!
Sua madre sorprendentemente non chiese spiegazioni, ma usò solamente un tono deluso e rassegnato. Miwako sospirò chiudendo la chiamata: ultimamente sua madre le dava sui nervi, sempre a piagnucolare sul fatto che lei stessa non fosse una buona madre e non era giusto che fosse l’unica madre nel suo gruppo di donne con una figlia nubile.
Noiosa. Già, Miwako avrebbe preferito di gran lunga mille notti passate in compagnia di Wataru anziché a casa con sua madre. Ma raccontarle della sua relazione era fuori discussione, non le avrebbe dato pace nemmeno un secondo, probabilmente si sarebbe ritrovata addirittura il matrimonio già stabilito.

Wataru non si era mosso di un millimetro rispetto a come l’aveva poggiato sul materasso. Sorrise, sapeva che il mattino successivo l’avrebbe ritrovato ancora in quella posizione: la testa di lato, rivolta verso una spalla, e il corpo supino. Non sembrava per nulla una posizione comoda per riposare, eppure il viso di Wataru sembrava ora più rilassato, forse i dolori provocati dall’alcool stavano lentamente calando.
Si spogliò dall’abito tubino color pervinca che aveva indossato per la festa di compleanno del suo partner, quello stesso vestito che Wataru avrebbe sfilato senza pensarci due volte se un loro collega non li avesse interrotti nel corridoio di quel locale.
Sorrise: avrebbe sicuramente recuperato quel momento perso un altro giorno. Glielo doveva, al suo bellissimo uomo, a volte così tenero e altre volte decisamente elettrizzante. Si sentiva attratta dal suo corpo come se fosse un magnete. Era per davvero l’uomo della sua vita.

Si accoccolò tra le coperte, avvicinandosi al viso di Wataru e dandogli un amorevole bacio sulla fronte. Sarebbe rimasta accanto a lui per tutta la notte.
La stanchezza della giornata si fece sentire, e si abbandonò presto anche lei tra le braccia di Morfeo.

***

( Continuo di Enigma al Café Poirot )


Si sentiva ancora frastornato, aveva sicuramente riposato tranquillamente anche se quel sogno l’aveva destabilizzato per quel primo momento della mattina. 

Che ore erano? Quanto aveva dormito? E soprattutto era stata Miwako a riportarlo a casa? Cos’era successo alla festa? Più cercava di ricordarsi più gli aumentava il mal di testa. 

Notò appoggiato su una gruccia, il vestito che Miwako aveva indossato la sera precedente. Sorrise, le stava veramente bene addosso. 

Ma se quel vestito era ancora lì voleva dire che lei era ancora in casa. 

Realizzò infatti che poteva sentire il rumore dell’acqua della doccia. Questo voleva dire che l’avrebbe vista di prima mattina solamente con un asciugamano indosso. 

Forse... Forse era meglio alzarsi e dirigersi in cucina per preparare la colazione? Si accorse di avere una grande fame, d’altronde il suo stomaco era completamente vuoto. 

Sarebbe davvero sgattaiolato in cucina per evitare di ritrovarsi nella stessa stanza con la sua ragazza solamente con indosso un asciugamano? Non che ci fosse effettivamente qualche problema con una tale visione della sua ragazza. Aveva potuto osservare quasi ogni millimetro del suo corpo. Eppure quella mattina si sentiva totalmente in imbarazzo. 

Quel sogno non l’aveva aiutato, e peggio ancora non si ricordava nulla della serata appena passata. 

Si accorse solo in quel momento di un problema che gli si parò di fronte quella mattina.




...Il continuo è VM18...
Se sei maggiorenne puoi continuare la lettura qui: Rosa, Pelle

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