Slices of life

di Desma
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Wearing other's clothes ***
Capitolo 2: *** Holding hands ***
Capitolo 3: *** Washing other's hair ***
Capitolo 4: *** Falling asleep in other's lap ***
Capitolo 5: *** Cuddling in a fort of blankets ***
Capitolo 6: *** Sharing a bed (pt.1/4) ***
Capitolo 7: *** Head scratches (pt.2/4) ***
Capitolo 8: *** Sharing a dessert (pt.3/4) ***
Capitolo 9: *** Patching up wounds (pt.4/4) ***
Capitolo 10: *** Shoulder rubs ***
Capitolo 11: *** Reading a book together ***
Capitolo 12: *** Caring while ill ***
Capitolo 13: *** Taking a bath together ***



Capitolo 1
*** Wearing other's clothes ***


La pioggia battente gocciolava dal suo copricapo come un ruscello e i suoi vestiti erano zuppi, ma il samurai abituato a climi ben più ostili a malapena se ne accorgeva. Non si era nemmeno reso conto del riscaldamento all'interno del museo, dove era andato a fare un sopralluogo vestito da turista. 

Non amava travestirsi e ancora meno indossare gli abiti occidentali che Lupin sceglieva per lui, ma se si trattava di lavoro era disposto ad accettarlo. 

Ora però che i vestiti occidentali erano riposti in uno zaino e che Zantetsuke era tornata ad oscillare docilmente al suo fianco a ritmo dei suoi passi, Goemon Ishikawa XIII si sentiva decisamente più a suo agio. 

Lavorare con Lupin lo aveva portato ad apprendere capacità che il suo addestramento da samurai non avrebbe potuto insegnare, come tracciare la mappa del sistema di sorveglianza a circuito chiuso di un edificio soltanto guardando e memorizzando le telecamere all'interno, oppure identificare il tipo di sistema di allarme all'interno delle vetrine espositive. 

In quanto incarnazione vivente del concetto di tradizione, Goemon non avrebbe nemmeno potuto immaginare che un giorno sarebbe stato in grado di fare tutto ciò e quello era uno degli aspetti che prediligeva nel lavorare con il ladro gentiluomo. 

La pioggia non aveva smesso un attimo di cadere per tutto il percorso che dal museo conduceva al loro nascondiglio e quando Goemon ebbe aperto la porta dell'appartamento ai suoi piedi si formò una pozza d'acqua. 

Rimase in ascolto per qualche istante dei rumori della casa: durante tutto il suo addestramento, gli era stato insegnato a percepire la presenza di potenziali avversari ben prima che i suoi occhi potessero notarli.

Non che si aspettasse che qualcuno avesse trovato il loro nascondiglio, ultimo tra tutti Zenigata, che era il loro inseguitore più ostinato, ma era un'abitudine che gli aveva sempre fatto comodo in passato. 

Non percepì l'odore della colonia di Lupin e nemmeno quello delle sigarette di Jigen, che solitamente erano sufficienti ad annunciargli la presenza dei suoi soci, e nessun suono, oltre al ticchettio della pioggia sui vetri, gli arrivò alle orecchie. 

Le spalle gli si rilassarono, mentre la sua mente lo rassicurava che fosse l'unico presente nell'appartamento. 

Decise così di concedersi una doccia calda per togliersi di dosso l'umidità dell'esterno in attesa che i suoi colleghi terminassero le rispettive mansioni e lo raggiungessero al nascondiglio. 

Mentre faceva scorrere l'acqua dal moderno soffione, Goemon sospirò ripensando alle acque termali delle sorgenti tra i monti in cui si era immerso solo qualche settimana prima. La modernità non poteva certo offrire nulla di paragonabile alla sensazione di essere circondato dall'acqua sulfurea e dai vapori rigeneranti tra i paesaggi delle montagne giapponesi. 

Fu una doccia rapida, giusto il tempo necessario a lavarsi la pelle e i capelli, e il samurai uscì, avvolgendosi la vita con un asciugamano. Solo allora si accorse che uno degli asciugamani che erano stati appesi all'ingresso del bagno mancava all'appello e i suoi nervi si irrigidirono: qualcuno era entrato nell'appartamento. 

Afferrò la fedele Zantetsuke che aveva accomodato appena fuori dalla doccia e in punta di piedi uscì dal bagno a ispezionare la casa. 

Notò quasi subito che la porta della cucina era socchiusa e si diede dell'idiota per non averla controllata prima. 

Snudò la lama, che brillò fredda come un fulmine che preannuncia un temporale estivo, e si preparò all'attacco. 

Prese un lungo respiro ed aprì la porta della cucina con un calcio, pronto a ingaggiare la lotta, ma quello che vide lo lasciò di sale. 

Seduta al tavolo della cucina, intenta a leggere una rivista e a sorseggiare un thé caldo, c'era Fujiko. 

I due si fissarono per qualche istante nella sorpresa di quell'incontro inaspettato, ma poi Goemon si rese conto di indossare unicamente un asciugamano davanti a una donna e la mano libera dalla spada corse a sorreggere quell'unica stoffa. 

Fujiko notò il suo imbarazzo e ridacchiò: -Non ti devi vergognare!- lo esortò, tornando a bere il suo thé -Io di certo mi sto godendo la vista. 

A quelle parole il samurai sentì il viso e le orecchie andargli a fuoco e uscì di corsa fuori dalla cucina alla ricerca dei suoi vestiti, mentre la donna continuava a leggere come se niente fosse.

Qualche istante più tardi Goemon tornò in cucina, resosi presentabile con un cambio di kimono e hakama, ad affrontare Fujiko. 

La trovò dove l'aveva lasciata: -Cosa ci fai qui?- domandò. 

-Sono stata sorpresa dalla pioggia- spiegò la donna, girando una pagina della sua rivista con le dita lunghe e dalle unghie perfettamente curate -E dato il vostro nascondiglio era sulla strada ho pensato di darmi una rinfrescata. 

Goemon la squadrò da capo a piede per un istante, notando il turbante realizzato con l'asciugamano mancante che le avvolgeva i capelli e la vestaglia bianca che le copriva il corpo. 

A una seconda occhiata, però quella vestaglia gli sembrò molto familiare: -È un mio kimono quello?- chiese il samurai indicando il capo di abbigliamento in questione. 

-Questo dici?- disse Fujiko allargando i lembi della vestaglia e mostrando così qualche centimetro in più della generosa scollatura. 

Goemon si sentì di nuovo avvampare ma si costrinse a mantenere lo sguardo e a non dare la soddisfazione alla donna di vederlo cedere: -Sì- annuì alla fine. 

-È solo una cosuccia che ho preso in prestito- rispose la ladra, accomodando meglio le lunghe gambe affusolate sulla sedia così che il kimono coprisse giusto lo stretto necessario e le lasciasse in vista -Hai sempre avuto così buon gusto nel vestire! Non potevo certo prendere una delle camicie di Jigen, ti pare? 

-Che fine hanno fatto i tuoi vestiti?- la incalzò Goemon, sentendosi tuttavia lusingato dal commento sul suo buon gusto: tutti gli abiti che portava erano fatti su misura da una sarta che aveva confezionato vestiti per suo padre e andava fiero di ciò che indossava. 

Ovviamente non disse nulla di tutto ciò a Fujiko. 

-Non ti agitare- gli sorrise la ladra, provocando volutamente l'effetto opposto -Si stanno asciugando in salotto davanti al deumidificatore. Tra qualche minuto saranno pronti. 

Il samurai annuì leggermente con il capo, ma la sua assertività era solo apparente: anni di lavoro ed esperienza lo avevano reso diffidente davanti alla presenza di Fujiko e se quella donna si trovava nel loro nascondiglio non poteva essere stato solo per il sopraggiungere della pioggia. 

-A cosa stai puntando?- le domandò calmo.

-Mi sembra di sentire Jigen e, mio caro Goemon, ti assicuro che non è un complimento- Fujiko cercò di divagare, ma davanti alla determinazione del samurai, apparentemente impassibile di fronte al suo fascino, dovette vuotare il sacco -Pensavate davvero di imbarcarvi nel progetto del furto della collezione dei gioielli di Maria Luigia senza coinvolgermi?- sul suo viso si aprì un ampio sorriso malizioso -Lupin dovrà darmi delle spiegazioni per avermi estromessa dal piano e, naturalmente, voglio una fetta del bottino. 

Il samurai sorrise: -Insomma, la solita visita di cortesia. 

Quel commento lasciò Fujiko senza parole: -Era una battuta quella?- domandò spiazzata, ma il samurai era già sparito dalla cucina. 

Le arrivò alle orecchie la sua voce dalla stanza a fianco: -Fai in modo di farti trovare da Lupin con i tuoi vestiti addosso o si farà un'idea sbagliata e dei gioielli di Maria Luigia non vedremo un frammento né te, né io. 

Note dell'autrice: Ciao a tutt* e grazie per essere arrivat* in fondo a questo capitolo a tema Lupin III. Il progetto che ho in mente è quello di realizzare una raccolta di 20 oneshots in questo fandom basate su una lista di prompts per le otp. Premettendo che per il Fandom Lupin III non ho una vera e propria otp, ho deciso di realizzare la raccolta ricreando dei momenti di vita del gruppo che solitamente non vengono raccontati e facendo interagire sempre almeno due dei personaggi. 

Sperando di essere prolifica e all'altezza della situazione, così da offrire un lavoro di qualità, vi auguro buon tutto e a presto!

Desma

Ps. Il prossimo capitolo si intitolerà Holding hands, ci vediamo là!

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Capitolo 2
*** Holding hands ***


Lo specchio a figura intera nella camera d’albergo, che avevano preso come rifugio per quel colpo, restituiva all’uomo l’immagine di un cameriere con la barba insolitamente incolta e un cappello borsalino scuro calato sugli occhi.

Si aggiustò il cravattino sopra la camicia bianca e si chiuse i polsini della giacca nera con dei gemelli d’argento dalla linea semplice. Le scarpe ai suoi piedi erano state accuratamente lucidate e l’unica imperfezione del suo travestimento era il bozzo appena accennato all’altezza del petto, dove Jigen aveva riposto in una tasca interna il pacchetto di sigarette e l’accendino.

L’abitudine di nascondere la .357 Combact Magnum nei pantaloni sotto la giacca era talmente forte e consolidata che nessuno, nemmeno un combattente esperto, sarebbe stata in grado di individuarla.

Daisuke Jigen, che faceva dell’eleganza il proprio marchio di fabbrica, era abituato a vestirsi bene, ma quel completo a coda di rondine e il papillon lo facevano sentire davvero un pinguino.

Si diede un’ultima occhiata allo specchio e decise che per il ruolo di cameriere di un importante e sfarzoso evento mondano quel abbigliamento era più che sufficiente.

-Lupin sei pronto?- chiamò il pistolero accendendosi una sigaretta e avviandola con una boccata.

-Ci sono quasi- sentì il socio rispondere dall’altra stanza -Dammi ancora un istante.

-Che c’è?- lo schernì Jigen, lasciandosi cadere sulla poltrona -Non ti ricordi più come si fa il nodo al cravattino?

-Quale cravattino?- chiese Lupin affacciandosi alla porta della stanza e a Jigen, fumatore accanito, andò il fumo di traverso.

Nella stanza aveva fatto il suo ingresso una donna in un raffinato abito scuro tempestato di brillanti sulle cui spalle avevano attaccato la faccia da scimmia di Lupin.

-Ma che diavolo…?- esclamò il pistolero, gesticolando animatamente nell’impossibilità di trovare le parole per descrivere quella che ai suoi occhi era una strana chimera.

-Quante storie che fai!- sbuffò il ladro gentiluomo posizionandosi davanti allo specchio e aggiustandosi le protesi che simulavano i seni del suo personaggio -Come se non mi avessi mai visto nei panni di una signora!

Lupin ridacchiò al proprio doppio senso e fece un giro su se stesso per controllare il retro del suo travestimento: -Mi sembra che funzioni…- borbottò tra sé e sé.

-Vuoi spiegarmi?- lo incalzò Jigen, aspirando con forza la sua sigaretta fino a consumarla quasi del tutto.

-Ma come? Non te l’avevo detto?- ribattè Lupin e a Jigen si chiuse una vena all’altezza della tempia: quello era il tipico tono che il ladro utilizzava quando gli ometteva volontariamente qualche dettaglio del colpo per indurlo a fare cose che altrimenti non avrebbe fatto.

Inutile dire che Jigen odiava quel tono di voce come un cane odia che gli si pesti la coda.

-L’unico modo per aver accesso al rubino di Cupido- iniziò a spiegare Lupin mentre sceglieva una parrucca dall’armadio -È fare parte del galà della famiglia DeGorgette che si tiene una volta ogni cinque anni e che è dedicato alle coppie promesse in matrimonio.

-Questo me lo hai già detto- lo interruppe Jigen, spazientito -Ma perché ti sei vestito da donna?

-Ma perché noi abbiamo ricevuto un invito, sciocchino- gli rispose il ladro gentiluomo in falsetto, facendogli sventolare una busta di carta bordeaux sotto al naso.

-Invito?- esclamò sorpreso Jigen, afferrando la busta ed esaminando il contenuto mentre Lupin continuava a parlare.

-Ma naturalmente, mon ami! Ricorderai che i DeGorgette indicono questi galà allo scopo di dare la benedizione del rubino di Cupido alle coppie pronte all’altare e di guadagnarci anche una discreta sommetta dato il costo che ha ottenere quel pezzo di carta che hai tra le mani.

-Lo so benissimo- abbaiò Jigen, infilandosi istintivamente l’invito nella tasca della giacca -Ed è la ragione per cui mi sono vestito da pinguino: interpretare uno dei camerieri al servizio dei DeGorgette.

-Oh no!- Lupin scosse la testa, facendo oscillare i nuovi boccoli castani che gli cadevano sulle spalle -I DeGorgette scelgono con estrema cura il loro personale, non ti avrebbero mai fatto entrare, anche perché dispongono di uno scanner di sicurezza che oltrepassa le maschere, quindi l’opzione camerieri è completamente da scartare.

-E quindi entriamo come invitati?

-Esattamente!- il ladro gentiluomo sottolineò quell’espressione schioccando le dita -Hai di fronte a te Marie Luprette Troix, la tua fidanzata a cui hai chiesto la mano lo scorso dicembre alla notte di Natale.

Jigen lo osservò incredulo per qualche istante, cercando nel suo volto e nel linguaggio del corpo un segnale che gli rivelasse che l’amico lo stesse prendendo in giro o che fosse ammattito.

-Non ci sto- decretò infine -Vacci con qualcun altro, perché io non intendo interpretare il ruolo di qualcuno fidanzato con una brutta faccia da scimmia come la tua!

-Quanto sei villano!- lo rimproverò Lupin facendogli una smorfia -E comunque non c’è più tempo: il galà è solo tra un’ora e non ho nessun altro che possa accompagnarmi… Oppure vuoi che lo chieda a Fujiko e che sia lei a recuperare il rubino di Cupido?

Alla prospettiva del coinvolgimento di Fujiko la mente di Jigen si placò e il suo carattere, sebbene ancora parecchio irritato, divenne improvvisamente più malleabile.

Rimase così ad ascoltare la variazione del piano che Lupin aveva da esporgli, interrompendolo di tanto in tanto per farsi spiegare meglio qualche dettaglio, poi quand’ebbe finito, il pistolero acconsentì a partecipare, pur con una malcelata diffidenza.

Salirono infine in macchina e Jigen ebbe il tempo dell’attraversata, passata alla guida, per patteggiare internamente con il ruolo che avrebbe dovuto ricoprire e ripassare mentalmente le fasi del piano.

La villa dei DeGorgette era un’enorme edificio neoclassico nella cornice della rustica campagna provenzale e dall’ingresso si estendeva una fila di coppie in sfavillanti abiti da sera che mostravano il loro invito e si facevano annunciare.

Al loro turno, il paggio avvisò la sala dell’arrivo di monsieur Magnum e mademoiselle Troix. La padrona di casa, una donna robusta di mezza età con al collo una accecante collana di zaffiri, venne ad accoglierli, indicando dove si sarebbe svolta la cena, dove si sarebbero seduti e, dettaglio più interessante per i loro scopi, dove e quando si sarebbe tenuta la benedizione del rubino di Cupido.

Qualche minuto più tardi, in cui venne servito l’aperitivo, vennero fatti accomodare nella sala da pranzo, dove camerieri dalle divise inamidate e fiori rossi appuntati al petto servirono pietanze squisite da bagnare con vini pregiati.

-Visto che non è così male interpretare il ruolo del mio fidanzato?- gli sussurrò Lupin approfittando del fatto che il suo socio aveva la bocca impegnata a masticare -Io li tratto sempre bene i miei appuntamenti!

-Strozzati con il pollo e stai zitto- gli rispose seccamente il pistolero, deglutendo il boccone con un sorso di vino -Piuttosto, dobbiamo aspettare tutta la serata per poter prendere il rubino? Non sarebbe più comodo farlo ora che sono distratti?

-Non avere fretta, mio caro, il momento giusto arriverà! Nel frattempo godiamoci questa cena deliziosa. Mi passeresti la salsa?

A cena conclusa, gli ospiti vennero spostati nella sala da ballo, dove sotto candelabri di cristallo era stata predisposta una scalinata di legno con balaustra dorata in cima alla quale l’enorme e famigerato rubino di Cupido riluceva dei riflessi delle candele.

Monsieur DeGorgette prese parola: -Miei cari amici, spero che la cena sia stata di vostro gradimento e che i vostri palati siano stati appagati. Come sapete, ora giunge il momento tanto atteso della serata: la benedizione del vostro amore da parte del rubino di Cupido! Si dice che questo bellissimo rubino, unico al mondo per purezza e dimensioni, si sia formato dalle gocce di sangue scaturite dal dito di Cupido quando si punse con una delle sue stesse frecce, che danno l’innamoramento. In esso racchiude l’essenza stessa dell’amore romantico e le coppie che ne chiedono la benedizione prima del matrimonio avranno una vita coniugale felice e ricca di prole!

-Quanti figli vuoi, mio caro?- sussurrò Lupin all’orecchio del pistolero, ridacchiando.

-Falla finita!- lo ammonì Jigen con un ringhio.

-Ora le coppie verranno chiamate una ad una- continuò DeGorgette -E dovranno percorrere la scalinata mano nella mano, raggiungere il rubino e invocare la sua benevolenza, poi potranno ridiscendere e verranno accompagnati nella stanza accanto dove la festa continua.

Si iniziò a chiamare gli ospiti e Jigen osservò le varie coppiette emozionate salire la scalinata quasi di corsa e riversare il loro amore su una pietra fredda e sorda, buona solo a riempire la loro collezione di preziosi. Ogni tanto tra le coppie scattava un bacio appassionato davanti al rubino e Jigen era certo che non sarebbe stato in grado di trattenersi dall’estrarre la pistola se Lupin avesse anche solo provato ad avvicinarsi a lui più del necessario.

Vennero chiamati il signor Magnum e la sua incantevole dama la signorina Troix e Jigen si incamminò verso la scalinata ma qualcosa lo afferrò per il gomito: -Non dimentichi nulla, mon chére?- lo richiamò Lupin.

-Che cosa?- domandò Jigen, ma la mano tesa e inanellata del socio gli bastò a capire -Non fare il bambino!- lo rimproverò Lupin, percependo la sua ritrosia -Non vorrai che queste simpatiche persone si insospettiscano?

Jigen si diede una veloce occhiata intorno e tanto bastò a fargli notare che tutti gli occhi degli invitati (e della sicurezza!) erano puntati su di loro.

Alla fine dovette cedere e, commentando “Ma guarda te cosa mi tocca fare!”, prese la mano di Lupin nella sua, trascinandolo quasi di peso per la scalinata.

Quando furono in cima, su di un piedistallo ornato da un cuscino di seta bianca svettava il meraviglioso rubino e Jigen riusciva a intravedere la scintilla di bramosia che brillava dietro le pupille di Lupin.

Lo osservò allungare la mano sul rubino, come a volerne evocare la benedizione, mentre l’altra estraeva dalla scollatura un piccolo telecomando: -Sei pronto all’azione, Jigen?

-Non aspettavo altro.

Il buio scese d’improvviso nella sala, illuminata per brevi istanti dal fuoco delle bocche delle pistole, i cui boati facevano oscillare gli imponenti lampadari.

Finalmente Jigen aveva iniziato a divertirsi.

 

Nota dell’autrice: salve a tutt* e benvenut* alla fine del secondo capitolo della mia raccolta di oneshots tema Lupin III. Vorrei ringraziare di cuore Fujikofran per aver recensito il primo capitolo e aver inserito la storia tra le seguite! Spero che questo capitolo vi sia piaciuto e che vorrete lasciare un commento per farmi sapere cosa ne pensate. .

Questa volta come avete visto il pairing è stato il classico Lupin/Jigen ma con il prossimo capitolo voglio osare di più! Ci vediamo con la terza oneshot che si intitolerà Washing other’s hair.

A presto,

Desma

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Capitolo 3
*** Washing other's hair ***


Nel corridoio di cemento vuoto e ostile della prigione sotterranea i suoi passi rimbombavano di un’eco inquietante. Abituato com’era a lavorare all’aperto e sempre in movimento, Zenigata non si sentiva a proprio agio nel camminare in un tunnel sottoterra dove venivano rinchiusi e custoditi i peggiori criminali viventi, in attesa dell’attuazione della condanna definitiva.

Da qualche parte, dietro una delle porte blindate di spesso metallo, la sedia elettrica aspettava paziente il prossimo condannato su cui sfogare tutta la sua forza distruttiva.

C’era stato un tempo in cui i suoi sogni notturni (in quelle poche notti che dedicava al riposo) erano colmi dell’immagine di Arsene Lupin che si contorceva sotto le scariche elettriche, mentre lui lo osservava nella soddisfazione di averlo infine catturato, ma ormai, dopo tanti e lunghi anni di inseguimento, si era ritrovato a desiderare di sbatterlo in prigione e potergli fare visita con regolarità, per poi invitarlo a bere una volta che avesse scontato il suo debito con la giustizia.

Non desiderava la morte di Lupin più di quanto non desiderasse la propria e Koichi Zenigata era un uomo fortemente attaccato alla propria vita, votata alla cattura del ladro più scaltro e pericoloso del mondo.

Non la desiderava nemmeno per i complici di Lupin, che, al contrario, aveva imparato ad ammirare (segretamente) per la fedeltà al ladro gentiluomo e per le loro straordinarie capacità, ma oramai il giudice si era espresso e per Goemon Ishikawa, catturato in flagranza di reato, il destino era stato scritto nei cavi che alimentavano la sedia elettrica.

Aveva fatto del proprio meglio, questo Zenigata lo sapeva, nel cercare di usare la sua autorità nell’ICPO e la sua competenza per convincere il giudice Gaiman a ritirare la condanna e a lasciare che fosse la giustizia giapponese a farsi carico del caso del samurai. Il gruppo di ladri, però, era stato colto a mettere le mani sulla collezione d’arte del governatore dello stato e, date la loro pericolosità e la lista infinita di reati clamorosi di cui si erano macchiati, la vittima del furto voleva farsi fregio della condanna di almeno uno dei famosi criminali internazionali.

Così Goemon Ishikawa, catturato dopo essere stato ferito a un braccio dal fucile dello stesso governatore, era stato giudicato colpevole e condannato alla morte con rito abbreviato e rinchiuso in quella tetra prigione fino al giorno dell'esecuzione. 

L’unica cosa che l’ispettore dell’Interpol aveva potuto ottenere era stata la cura esclusiva del condannato e la custodia della sua arma, così da prevenire eventuali tentativi di evasione. Tentativi che non c’erano stati, né da parte del condannato, né da parte dei suoi complici, che sembravano essere svaniti nel nulla.

Zenigata si era scoperto ad ammirare la dignità e la compostezza del samurai davanti alla reclusione e alla condanna a morte e a provare un’incontenibile rabbia nei confronti di Lupin e Jigen, che sembravano essersi dimenticati del loro complice il cui orologio della vita stava per battere l’ultima ora.

L’ispettore si identificò alla guardia messa alla sorveglianza della cella del samurai e attese che gli venisse aperta la porta, poi entrò in un altro corridoio, in fondo al quale Goemon sedeva in meditazione dietro un muro di sbarre di metallo.

-Ti ho portato la cena- annunciò l’ispettore, senza però aspettarsi una risposta. In un angolo della cella vi erano i vassoi e i contenitori intatti dei pasti che aveva portato al samurai nei giorni precedenti e che lui non aveva nemmeno toccato -Da queste parti non è facile trovare del buon sushi- riprese -Ma ho fatto del mio meglio. Ho immaginato che non avresti voluto un hamburger come tuo ultimo pasto.

La parola ultimo gli uscì dalle labbra con l’amarezza di un veleno e ne sentì il sapore in bocca anche quando, aperta la guardiola, fece scivolare la confezione di sushi all’interno della cella.

Goemon non mosse un muscolo, anzi, sembrava proprio che non si fosse accorto nemmeno della sua presenza, ma Zenigata non era un ingenuo e sapeva molto bene che a quell’uomo silenzioso nulla sfuggiva, nemmeno mentre dormiva.

-Ho preso io in custodia la tua spada- continuò Zenigata -Ho ottenuto che venga riportata in Giappone dopo l’esecuzione. Sarò io stesso ad occuparmi del suo trasporto. Dove vuoi che la porti?

Attese qualche istante che il samurai gli rispondesse. Sperando ardentemente che il samurai gli rispondesse, ma dopo l’ennesimo interminabile silenzio, girò i tacchi e si diresse all’uscita, sconfitto.

-Zantetsuke è stata tramandata nella mia famiglia per generazioni- sentì dire alle sue spalle e si voltò di scatto verso il samurai con una nuova ondata di energia in corpo -Io non ho eredi, ma sono certo che al tempio dove mi hanno addestrato sapranno formare un nuovo samurai degno della sua lama. Portala lì, Zenigata. Zantetsuke non merita di essere lasciata ad arrugginire in un museo o in qualche archivio della polizia.

Il suo nome pronunciato dalla bocca di un condannato a morte ebbe l’effetto di scuoterlo e dovette fare appello a tutta la sua forza interiore per non mostrare sul viso le emozioni che lo  pervadevano in quel momento.

Annuì con il capo e attese che Goemon gli fornisse ulteriori indicazioni, ma ciò non accadde e alla fine fu lui a parlare: -So che non lo farai- esordì l’ispettore sorprendendosi del proprio tono di voce quasi paterno -Ma è mio dovere dirtelo: se mi dirai dove si nascondono Lupin e Jigen, potrò dichiarare la tua collaborazione al giudice e avere una base su cui lavorare per farti concedere il rimpatrio.

E salvarti dalla sedia elettrica, pensò, ma si tenne quelle parole per sé.

-Ti sei già risposto- furono le parole del samurai e Zenigata dovette accettarle, pur a malincuore. Si disse che era un’ingiustizia che un suo connazionale venisse condannato a morte in terra straniera, ma la verità era che Goemon era giovane e pieno di vita, nonostante i giorni di digiuno, e l’ispettore odiava che un uomo del calibro del samurai, seppure un criminale, venisse spento con quella brutalità nel fiore degli anni.

Non aveva neppure fiatato quando l’infermiere della prigione, un uomo rozzo e sadico, gli aveva estratto la pallottola dal braccio senza anestesia e gli aveva applicato il bendaggio alla bell’e meglio.

Zenigata aveva assistito personalmente a quell’operazione e si era dovuto mordere più volte la lingua per impedirsi di intervenire. In Giappone una crudeltà del genere non sarebbe stata tollerata.

-Hai un ultimo desiderio?- gli domandò infine l’ispettore.

-Arriva il giorno in cui ogni uomo deve affrontare la propria morte e fare i conti con la propria coscienza- disse il samurai, aprendo gli occhi e puntandoli direttamente in quelli grandi e tondi di Zenigata -Vorrei fronteggiare la mia con dignità, anche nell’aspetto.

L’ispettore annuì e disse che avrebbe predisposto personalmente il necessario per accontentarlo.

Uscì dal corridoio e fece ritorno dopo circa un’ora con una borsa tra le mani. Un comando elettrico fece scattare la porta della cella e Zenigata entrò: -Inutile che ti dica che le telecamere ci tengono d’occhio e che se cercherai di aggredirmi avrai addosso un centinaio di secondini nel tempo di un paio di minuti.

-Lo so molto bene- confermò il samurai e lasciò che l’ispettore riponesse le vecchie confezioni di cibo in un sacco della spazzatura e sistemasse la borsa in un angolo pulito della cella.

-Ti ho portato gli abiti con cui sei stato arrestato- spiegò l’ispettore aprendo la borsa e svuotandola del contenuto -Per ragioni di sicurezza dovrai cambiarti in mia presenza e se il braccio ti fa male, ti darò una mano. Ho portato il necessario per farti la barba e lavarti i capelli. Non ti darò in mano un rasoio, pertanto mi occuperò io di queste mansioni.

-Va bene- acconsentì il samurai -Ti ringrazio per la tua gentilezza.

-A un condannato a morte non si nega mai l’ultimo desiderio.

Si avvicinarono al lavello della cella e Zenigata gli dispose un piccolo asciugamano a protezione della divisa da carcerato che Goemon indossava, poi gli applicò la schiuma da barba e con attenzione iniziò a tagliare quella peluria scura che era cresciuta nei giorni in cella.

Goemon si arrese alle cure dell’ispettore senza fiatare né fare resistenza e un silenzio strano ma confortevole li avvolse. Zenigata per un attimo dimenticò di essere in una prigione e di essere davanti a uno dei criminali più pericolosi al mondo, ed ebbe la sensazione di trovarsi in compagnia di un vecchio amico, di quelli con cui non serve parlare per intendersi.

Quand’ebbe finito con la barba e il volto del samurai fu tornato liscio, gli fece cenno di girarsi e azionò l’acqua calda. Quando il getto ebbe raggiunto la temperatura idonea, Zenigata si arrotolò le maniche della camicia fino ai gomiti e spostò i capelli neri dell’uomo sotto l’acqua.

Li bagnò e li frizionò con cura con uno shampoo per pulirli dalla polvere e al sudiciume della cella, poi li risciacquò abbondantemente e li strizzò con delicatezza.

Usò l’asciugamano che aveva disposto sulla divisa da carcerato del samurai per sfregare i capelli ed asciugarli. Fu un’operazione piuttosto lunga, data l’umidità della stanza, e l’ispettore non faticava ad immaginare le guardie che li osservavano sui monitor ridere a crepapelle davanti a quello spettacolo, ma non se ne curò. Quegli uomini non erano in grado di capire il rispetto che un giapponese prova nei confronti di un valoroso avversario, soprattutto nel momento della sconfitta, e nulla sarebbe stato più disonorevole e irrispettoso del negare a Goemon Ishikawa la dignità che meritava di fronte al suo boia.

Conclusa quell’operazione, l’ispettore lasciò che Goemon indossasse i suoi abiti e non fu necessario il suo intervento.

Soddisfatto, Goemon ringraziò l’ispettore con un cenno del capo, che Zenigata ricambiò e i due si separarono, in attesa di ritrovarsi il giorno dopo nella stanza dell’esecuzione.

A una notte insonne seguì una mattina inquieta per l’ispettore Zenigata, sul cui viso si leggeva la disapprovazione per la condanna mentre veniva scortato nella sala dell’esecuzione.

Ad assistere all’ultimo atto della vita di Goemon Ishikawa vi erano il governatore, il giudice Gaiman, una mezza dozzina di ufficiali militari, un medico e, naturalmente, il boia.

Lo stomaco gli si attorcigliò quando vide il condannato venire condotto nella stanza e fatto sedere sulla sedia elettrica, mentre il giudice Gaiman leggeva da un foglio di carta la condanna che aveva emesso poco più di una settimana prima.

Gli occhi di Zenigata incrociarono quelli del samurai e non videro nemmeno l’ombra della paura, al contrario gli parve di vedere la fiamma dell’orgoglio e… dell’attesa?

Qualcosa dentro di lui lo mise in allarme e il suo istinto di poliziotto iniziò a fremere: il medico che stava esaminando lo stato di salute del samurai non aveva forse qualcosa di familiare? Quei lineamenti simili a quelli di una scimmia e le folte basette ai lati della mascella non somigliavano forse a quelli di qualcuno di sua conoscenza?

E non aveva forse già visto la barba nera e pettinata in avanti del boia, sui cui occhi era calato un cappello a nasconderne l’espressione?

Guardò di nuovo il samurai, che non aveva smesso per un istante di osservarlo, e vide che sul suo viso si era aperto un accenno appena percettibile di sorriso davanti alla sua realizzazione.

Zenigata capì e quando venne azionata la sedia elettrica e al posto della corrente venne emessa una spessa coltre di fumo che invase la stanza, iniziò a ridere di gusto.

 

Nota dell’autrice: Ciao a tutt* e benvenut* alla fine del terzo capitolo di questa raccolta. Grazie mille a Fujikofran per la sua recensione del capitolo precedente!

Devo ammettere che questa oneshot mi ha reso piuttosto emotiva nello scriverla e spero davvero che vi sia piaciuta. Non capita spesso di vedere Goemon e Zenigata interagire tra loro e ho immaginato che in una situazione come quella che ho descritto, l’ispettore avrebbe mostrato un lato quasi paterno. Cosa ne pensate? Credete che le cose sarebbero andate diversamente?

Fatemelo sapere, se vorrete, in una piccola recensione, che farà la gioia del mio cuore.

Il prossimo capitolo si intitolerà Falling asleep in other’s lap e non vedo l’ora di ritrovarvi lì!

A presto,

Desma

 

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Capitolo 4
*** Falling asleep in other's lap ***


La cena era stata semplicemente deliziosa, ma questo non la sorprendeva: dopo tanti anni di "collaborazione" (sicuramente più di quanti le piacesse ammettere) Lupin aveva imparato a conoscere i suoi gusti e il ristorante dove l'aveva portata rientrava appieno nei suoi standard.

Il cibo era stato raffinato e delicato e lo champagne aveva riempito le loro coppe con generosità, soprattutto quella di Lupin che era decisamente alticcio.

In un'altra circostanza Fujiko avrebbe trovato quella situazione una caduta di stile da parte del ladro, soprattutto perché Lupin tendeva ad allungare le mani quando beveva troppo, ma quella volta aveva assunto un comportamento pacato e persino malinconico.

Rientrati in albergo, Lupin aveva insistito per rimanere a chiacchierare nel salotto, cosa piuttosto insolita dato che dopo una cena l'uomo solitamente premeva perché andassero in camera da letto. Così erano rimasti nel salottino dell’anticamera e Fujiko si era ritrovata la testa di Lupin sul ventre mentre se ne stavano sul divano.

Giocò con i capelli dell'uomo mentre lui, in uno slancio di tenerezza la guardava come se fosse stata una stella cadente e lui un bambino che voleva acchiapparla con un retino per farfalle.

-Non ti capita mai?- le domandò ad un certo punto. 

-Che cosa? 

-Di immaginare come sarebbe stata la tua vita se le premesse fossero state diverse.

Fujiko rimase per un istante ad analizzare la domanda, cercando di capire cosa intendesse Lupin per "premesse", ma lui l'anticipò, vagamente indispettito per quel silenzio: -Ma sì, le premesse! Se fossi nata in una famiglia diversa, se non avessi avuto addosso certe aspettative, se avessi incontrato persone differenti... Insomma, le premesse! 

A quel punto la donna capì dove il ladro voleva andare a parare e, soprattutto, che quella domanda inizialmente rivolta a lei nascondeva in realtà ben altro. 

-No- rispose alla fine -Tu ci pensi? 

-Ogni tanto- ammise Lupin, chiudendo gli occhi per godersi le attenzioni che Fujiko stava dedicando ai suoi capelli -Insomma, diciamo che, come esercizio mentale, provo ad immaginarmi come sarebbe stata la mia vita con premesse diverse, appunto. Per esempio se fossi nato da una famiglia diversa e non portassi il nome Lupin, chi sarebbe stato Arsène? Che tipo di uomo sarei stato? Quali ambizioni avrei avuto e quali percorsi di vita mi sarei scelto  se non avessi avuto alle spalle una tradizione familiare così… importante?

-Sono un sacco di pensieri- ammise la donna, accarezzandogli il viso, quasi commossa dalla fragilità con cui le si stava presentando in quel momento.

-Non mi fraintendere- continuò il ladro -Sono fiero di quello che faccio e naturalmente sono consapevole di essere il migliore, ma se ad un tratto perdessi la memoria e tutto quello che sono oggi scomparisse dalla mia mente, cosa diventerei?

-Sicuramente rimarresti un gran donnaiolo!- scherzò Fujiko, strappando a quel insolito Lupin un sorriso.

-Probabilmente sì- ammise il ladro, prendendo la mano di Fujiko e baciandone delicatamente il palmo -Ma credo che cercherei di avventurarmi in una relazione stabile.

-Non ti ci vedrei proprio- commentò Fujiko, ritraendo la mano: la sola idea di un rapporto fisso le faceva venire l’orticaria.

Lupin annuì con il capo, per nulla offeso dalla reazione della donna: -Oh lo so bene, ma ricorda che quello sarebbe un altro Arsène. Sono convinto che quel Arsène avrebbe coltivato la passione per le auto da corsa e sarebbe diventato un pilota, avrebbe conosciuto una bella e dolce ragazza.

-E paziente- intervenne Fujiko -Stiamo sempre parlando di te.

-Come darti torto?- sorrise Lupin -Una donna bella, dolce e paziente, forse di nome Kasumi o Claire e si sarebbero sposati, avrebbero comprato una bella casa in campagna dove far scorrazzare i loro figli.

-Figli?- sobbalzò Fujiko, incredula. Qualcosa in Lupin non tornava: non era la prima volta che si comportava in modo insolito (a dirla tutta, per lui essere strano era la normalità), ma mai in quella maniera.

Fujiko era l’unica donna al mondo che poteva affermare di aver visto il ladro gentiluomo nei suoi momenti di maggiore vulnerabilità e intimità: non solo aveva conosciuto il Lupin ubriaco o scosso dal piacere, ma anche il Lupin triste e sconfitto, soprattutto nei primi anni, quando ancora non era diventato l’uomo sicuro e spavaldo che era ora. Tuttavia il Lupin malinconico era un’assoluta novità e Fujiko non era certa che le piacesse, ma soprattutto era intenzionata a capire da quale oscuro meandro della brillante mente del ladro fosse scaturito.

-...li avrebbe portati a pesca la domenica e a vedere le corse quando si fossero fatti abbastanza grandi per apprezzarle- Lupin nel frattempo non aveva smesso un momento di parlare e Fujiko, immersa nei suoi pensieri, aveva perso alcuni passaggi di quel monologo.

-Cherié- lo interruppe -Perché mi dici queste cose? Cosa sta succedendo nel tuo cuore che ti spinge a pensare a tutto questo? 

Lupin ammutolì e Fujiko seppe di aver colto nel segno. Attese con pazienza che l’uomo riordinasse i suoi pensieri e trovasse le parole più corrette per esprimerli, senza fargli pressione o mettergli fretta e alla fine la sua attesa venne ripagata.

-Oggi ho visto nascere un amore eterno- confessò il ladro -Oggi, nell’anniversario della morte di mio padre, un ragazzo e una ragazza si sono innamorati perdutamente l’uno dell’altra. Forse non lo sanno ancora, ma io ho visto subito che sarebbero stati insieme per sempre.

È successo un’ora prima del nostro appuntamento. Stava calando la sera e si era alzato un gran vento. Mi è passata davanti una ragazza con una cartella, di quelle in cui si trasportano i disegni, indossava un cappotto rosso e si stringeva intorno al collo una sciarpa, che però non era lunga abbastanza da avvolgerla per bene. Un colpo di vento più forte degli altri le ha fatto volare via la sciarpa e io ho fatto per prenderla al volo, ma qualcuno mi ha anticipato. Un ragazzo di circa la sua stessa età, alto e bello e le sorrideva mentre gliela restituiva. Lei lo ha ringraziato e ha ricambiato il sorriso, poi qualcosa è scattato tra di loro e nei loro occhi è stato come se avessero visto la luce per la prima volta.

Lui si è offerto di accompagnarla per un tratto di strada e si sono allontanati chiacchierando. Sono sicuro che loro non se ne siano resi conto, ma io l’ho capito ed era chiaro come il sole che si riflette sui tuoi bei capelli. Quei due erano destinati a stare assieme, a condividere una vita lunga e felice, anche se difficile certe volte, a svegliarsi ogni mattina l’uno accanto all’altra e a pianificare le vacanze assieme. 

È stato uno spettacolo commovente e anche pensarci adesso devo ammettere che mi si bagnano un po’ gli occhi. Né mio padre e né mio nonno sono morti nel loro letto accanto alla donna che amavano e questi due sconosciuti hanno appena iniziato la loro vita assieme.-

Fujiko si passò velocemente le dita sul viso per asciugarsi gli occhi, facendo in modo di non sbavare il trucco su cui aveva tanto lavorato prima di uscire, e tornò ad accarezzare il viso di Lupin.

-Cherié- sospirò il ladro -Lo so bene che non avrò un epilogo diverso da quello di mio nonno e di mio padre e mi sta bene, ma certe volte mi ritrovo a pensare a come sarebbe stata la mia vita e a come si potrebbe concludere, se le mie premesse fossero state differenti. Ma forse mi sto solo rammollendo con l’età e Jigen mi prenderebbe in giro se mi sentisse in questo momento.

Fujiko attese per un istante che aggiungesse altro e quando fu certa che non avesse più nulla da dire, rispose: -Forse hai ragione tu, Lupin. Forse stai invecchiando e più ti avvicini all’età in cui tuo padre è scomparso, più hai paura di fare la sua stessa fine. Oppure, semplicemente, la tua mente straordinaria, annoiata dai soliti schemi che dirigono la tua vita, cerca nuovi stimoli in qualcosa che non ha mai conosciuto, come la normalità di una vita ordinaria. In entrambi i casi, sono convinta che non si tratti di debolezza, ma di umanità. Per quanto tu sia incredibile, cherié, sei un essere umano e hai bisogno di ciò di cui tutti necessitano, ossia sicurezza e stabilità. Siamo ladri e queste due cose ci vengono negate per definizione nella loro forma tradizionale. Le cerchiamo nell’adrenalina e nell’emozione dei colpi che mettiamo a segno, ma essendo sensazioni effimere, non possiamo fare altro che cercarle ancora e ancora nella speranza che non ci creino assuefazione. 

Hai ragione ad aver paura che quello che è accaduto a tuo padre possa succedere anche a te, perché è un’eventualità verosimile, ed è giusto che tu ne abbia. Quella paura ti tiene vigile e ti dà la possibilità di cercare un’alternativa. Per questa ragione sono certa che non lascerai che succeda e che avrai una vita lunga e felice, alla fine. Lo so perché, a differenza di tuo padre e di tuo nonno, tu hai la capacità di creare relazioni al di fuori dell’interesse lavorativo e, anche se quei due zucconi di Jigen e Goemon non lo ammetterebbero mai, ti sei circondato di persone che ti stimano e ti vogliono bene.

Non temere una fine infelice, mio caro Lupin, perché sono certa che non è ciò che il destino ha in serbo per te.-

Un grugnito interruppe il filo dei suoi pensieri e Fujiko abbassò lo sguardo sul viso dell’uomo. Lupin, che fino a un attimo prima aveva parlato senza mostrare alcun segno di stanchezza, stava dormendo grandiosamente, addirittura russando.

La donna emise un sospiro, ripensando a quello che stava dicendo e alla vulnerabilità a cui quella conversazione l’aveva condotta. L’indomani, quando Lupin si sarebbe svegliato, probabilmente i pensieri fatti riaffiorare dallo champagne sarebbero stati ricacciati nelle oscurità del suo inconscio e sarebbe tornato ad essere l’affascinante e spavaldo ladro gentiluomo di sempre. Tuttavia, Fujiko non poté fare a meno di percepire un senso di gratitudine per la fiducia che, seppur nell’incoscienza dell’alcool, Lupin le aveva dimostrato aprendole il suo cuore a quel modo.

L’aveva resa depositaria del contenuto del suo animo e lei ne sarebbe stata una custode, pronta ad affrontare di nuovo quella questione quando Lupin se la sarebbe sentita.

Sarebbe stata solo questione di attendere il momento giusto, ma non c’era fretta: per quella sera Fujiko avrebbe vegliato sul sonno di Lupin e qualunque cosa il domani avrebbe portato, lo avrebbero affrontato assieme.

 

Nota dell’autrice: Ciao a tutt* e bentrovat* alla fine del quarto capitolo della raccolta Slices of life! Grazie mille a Fujikofran che omaggia sempre i miei capitoli con una recensione ed è una gioia ritrovare le sue parole dopo la pubblicazione di un nuovo capitolo!

Mi rendo conto di aver schiacciato parecchio sul pedale della malinconia in questa one shot (e di essere probabilmente uscita dal personaggio di Lupin), perciò nella prossima, intitolata Cuddling under a fort of blankets cercherò di alleggerire i toni. Nel frattempo spero che vorrete farmi sapere cosa pensate di questo capitolo e che ci rivedremo presto.

Un abbraccio,

Desma

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Capitolo 5
*** Cuddling in a fort of blankets ***


La tormenta di neve era decisamente una grossa scocciatura. Lo aveva detto a Lupin che il cielo aveva un brutto colore e che il bollettino meteo riportava dati poco incoraggianti, ma no! Lui doveva a tutti costi trascinarli in mezzo alle montagne a cercare un reperto archeologico di inestimabile valore chiamato “il piede dello Yeti” che un tal professore aveva trovato cinquant’anni prima e che aveva smarrito nella neve dopo essere stato attaccato dai lupi!

Si strinse nel piumino più che poté, mentre i suoi piedi affondavano nella neve fresca e i fiocchi gelati gli intorpidivano i muscoli del volto.

-Etciù!- starnutì Fujiko che camminava a pochi passi dietro di lui, cercando di proteggersi dal vento e dalla neve -Dobbiamo trovare un riparo!- esclamò la donna, urlando per sovrastare il boato del vento.

-Lo so!- ribatté Jigen cercando con lo sguardo qualcosa che non fosse un sasso coperto di neve, o un albero coperto di neve, o neve coperta di altra neve: -Maledetta neve!- ringhiò il pistolero, calandosi di più il cappello sulle orecchie per proteggersi dal freddo. 

Di tutti i membri del gruppo, Fujiko era decisamente l’ultima persona con cui Jigen avrebbe voluto perdersi in una tormenta. Erano stati separati da Lupin e Goemon mentre attraversavano un ponte tibetano, che era stato spezzato dalla forza del vento, e lui, che aveva iniziato la traversata per primo, aveva dovuto afferrare la donna al volo per impedire che precipitasse nel vuoto. 

Sull’altra metà del ponte di corda, che ondeggiava pericolosamente sulla parete rocciosa, Lupin e Goemon stringevano saldamente i brandelli di fune, urlandogli che si sarebbero incontrati nel punto del ritrovamento del piede dello Yeti quando la tempesta sarebbe passata.

Si erano arrampicati sulla nuda roccia fino a raggiungere l’altra sponda del dirupo e avevano iniziato la camminata nella tormenta.

Ogni volta che un soffio di vento gli sputava in faccia un grumo di neve, Jigen ringhiava il nome di Lupin, pregustando il momento in cui lo avrebbe avuto di nuovo tra le mani e allora gli avrebbe fatto pentire di aver ignorato il bollettino meteo.

-Jigen!- lo chiamò Fujiko alle sue spalle e il pistolero si voltò a guardarla, ma il vento era così forte da fargli fischiare le orecchie e dovette chiedere alla donna di ripetere quello che gli aveva detto. 

-Guarda là!- urlò Fujiko, indicando un punto alla sua destra e Jigen orientò il suo sguardo in quella direzione. 

Dovette strizzare gli occhi e sforzare la vista per capire a cosa si riferisse, ma alla fine lo vide: nascosto tra le rocce e una macchia di alberi, un piccolo rifugio di legno faceva capolino tra i tronchi. 

-Andiamo lì!- gesticolò l'uomo e Fujiko annuì, facendo strada. 

Quando arrivarono alla casupola, Jigen le fece cenno di farlo passare ed estratta la .357 Magnum, controllò l'interno dalla finestra, resa opaca dalla polvere. 

Mise mano alla porta e spinse fino a farla ruotare sui suoi cardini abbastanza da poter guardare all'interno. 

-Per l'amor di Dio, Jigen! Sto gelando!- sbottò Fujiko, calciando la porta e infilandosi nel rifugio, mentre Jigen si massaggiava la sella del naso per la frustrazione e riponeva la Magnum nei pantaloni. 

Il rifugio era buio e polveroso, ma a parte un leggero odore di muffa e un vago sentore di umidità sembrava usufruibile e privo di animali. 

Nel frattempo Fujiko aveva messo mano a un gruppo di casse ammassate in un angolo alla ricerca di qualcosa di utile. 

-Guarda!- esclamò trionfante agitando un barattolo -È combustibile per accendere il fuoco e lì c'è un camino- disse indicando la parete alla sua destra -Pensi anche tu quello che penso io? 

-Speriamo che non sia intasato- sospirò il pistolero e accese la fiamma del suo zippo per esaminare la cappa. 

-Sembrerebbe di no- ammise Jigen -Proviamo ad accenderlo. 

Nel frattempo Fujiko aveva già assemblato una piccola piramide di pezzi di legno con estrema maestria e aveva sparso il combustibile. Jigen dovette ammettere di trovarsi sorpreso di fronte a quella inaspettata abilità e non poté fare a meno di sorridere quando il fuoco fece presa e un piacevole calore gli avvolse il viso. 

-Così va meglio!- esclamò soddisfatta Fujiko -E ora vediamo se riusciamo a trovare anche qualcosa da mangiare. 

Si misero a frugare nelle casse e nello spartano arredamento del rifugio e alla fine racimolarono un discreto bottino, fatto di carne in scatola, bottiglie d'acqua minerale e alcune coperte. 

-Come mai c'è tutta questa roba in un rifugio nel mezzo del nulla?- domandò Jigen aprendosi una delle scatolette di carne. 

-C'è un percorso escursionistico non molto lontano da qui- rispose Fujiko per poi prendere un lungo sorso da una bottiglia -Avevo detto a Lupin che potevamo sfruttare quello per poi cambiare direzione quando sarebbe stato necessario, ma lui è uno zuccone e non ha voluto sentire ragioni. Aveva paura che ci riconoscessero. Non mi ha dato retta nemmeno quando gli ho detto che il bollettino meteo dava brutto tempo! 

Per poco Jigen non si strozzò con il boccone a quelle parole: -Gliel'ho detto anche io!- esclamò, agitando la scatoletta di carne nella foga -Ma non ha nemmeno fatto finta di ascoltarmi. 

-E ora guarda in che situazione ci troviamo per colpa della sua testardaggine! 

Con un’occhiata i due intesero che non avrebbero lasciato che Lupin la facesse franca per tutti i disagi che gli stava facendo passare e si scambiarono un sorriso di complicità, poi lo sguardo di Jigen cadde sulla finestra, oltre la quale la tempesta continuava a infuriare e non accennava a volersi placare: -Speriamo che Lupin e Goemon siano stati altrettanto fortunati.

-Se riescono a trovare un passaggio per oltrepassare il crepaccio- commentò la donna -Il fumo del camino li guiderà da noi. Sono due ossi duri, vedrai che ci ritroveremo.

Il pistolero annuì e si lasciò cadere per terra, appoggiando la schiena e la testa su una parete: -Questa passeggiata nella bufera mi ha spossato- disse, frugando nella tasca del piumino -E quella dannata neve ha perfino bagnato le mie sigarette!

Scagliò con rabbia il pacchetto fradicio contro la parete opposta e si strinse nella giacca, borbottando qualcosa che Fujiko non comprese.

La donna sorrise nel vedere quell’uomo grande e grosso fare i capricci come un bambino e cercò nella propria giacca: -Tieni- disse, offrendogli il proprio pacchetto di sigarette -Non sono le tue Marlboro, ma sempre meglio di niente!

Jigen accettò il pacchetto e Fujiko lesse nei suoi occhi una critica inespressa davanti alle sue sigarette sottili e aromatizzate, ma alla fine il pistolero ne fece scivolare una fuori dal pacchetto, la mise in bocca e l’accese.

Fumarono in silenzio l’una accanto all’altro, osservando le fiamme del camino giocare nell’oscurità della cappa e buttando un ciocco di tanto in tanto quando il fuoco iniziava a indebolirsi.

-La legna non basterà per tutta la notte- osservò Jigen con lo stesso tono di voce piatto e distante con cui avrebbe commentato l’annuvolarsi del cielo dopo una giornata limpida.

-Abbiamo le coperte- ribatté a tono Fujiko -Dovremo farcele bastare.

La notte calò su di loro silenziosa e discreta come una madre che controlla i figli nel loro sonno e i due ladri, avvolti rispettivamente in una coperta, si addormentarono mentre il fuoco nel camino pian piano moriva.

Fu un rumore sordo, forse un cumulo di neve caduto dal ramo di un albero o il passaggio nei pressi del rifugio di un grosso animale, a destare Jigen e a metterlo in allerta.

La mano destra era scattata istintivamente alla rivoltella, ma dopo qualche istante di assoluto silenzio, il pistolero trasse un sospiro, ritenendo che si fosse trattato di un falso allarme.

La bocca del camino era diventata fredda e l’oscurità rendeva quasi impossibile distinguere l’ambiente attorno a lui, ma Jigen riusciva a capire esattamente dove si trovasse Fujiko, sia perché ricordava dove si fosse distesa, sia perché poteva udire i suoi denti battere per il freddo.

Si alzò in piedi, raccolse la propria coperta e, cercando di non far rumore, si avvicinò alla donna, dispiegando il telo sul suo corpo.

Poi tornò nel punto che aveva scelto per la notte e provò a riprendere sonno, ma dopo nemmeno cinque minuti sentì Fujiko alzarsi e raggiungerlo. Nel buio sentì il peso delle coperte che venivano accomodate su di lui e la donna distendersi al suo fianco e avvolgergli la schiena in un abbraccio.

-Che stai facendo?- le chiese, mentre i muscoli, allertati da quel contatto inaspettato, si irrigidivano.

-Nessuno più di me apprezza la galanteria- rispose la donna, la cui voce era un poco impastata dal sonno -Ma la tua è stupidità. Se non ti copri a dovere, morirai assiderato e poi toccherà a me spiegare a Lupin come il suo caro socio sia passato a miglior vita nel tentativo di comportarsi da cavaliere.

-Non c’è bisogno che mi stai addosso- protestò l’uomo, ma Fujiko lo zittì.

-Dormi e goditi un po’ di contatto umano, razza di orso che non sei altro! Probabilmente non ricordi nemmeno l’ultima volta che una donna ti ha abbracciato.

Jigen rimase in silenzio e Fujiko ne capì la ragione: -Come si chiama?

-Chi?- chiese il pistolero.

-Non fare il furbo con me. Come si chiama l’ultima donna che ti ha abbracciato così?

Fujiko dovette attendere qualche istante prima che l’uomo le desse una risposta, ma alla fine Jigen parlò: -Anna.

-È bella?

-Per me sì.

Qualche istante di silenzio, interrotto dal fruscio del vento tra le fronde degli alberi.

-La rivedrai?- chiese Fujiko.

-No, non credo.

-Parlami di lei.

Non era una domanda. Il tono che la donna aveva usato era inequivocabile, ma Jigen non lo percepì come invadente, piuttosto sinceramente interessato come quello che avrebbe usato una madre che chiede al figlio di raccontarle della sua giornata a scuola.

Alla fine cedette: -È la commessa di un negozio di alimentari vicino all'ultimo nascondiglio che Lupin e io abbiamo usato, quello per il colpo alla collezione Pratchett. Andavo da lei a fare la spesa e lei mi sorrideva ogni volta che mi vedeva. Ho sempre attribuito la cosa alla cortesia del commerciante, ma mi faceva piacere. Non credo avesse nemmeno 30 anni.

Una sera ero sceso al negozio per comprare le sigarette e un pivello con la calzamaglia in testa ha tentato di rapinare la cassa. Quando l’ha minacciata con un coltello, sono intervenuto e l’ho rimandato a casa con un braccio rotto e la coda tra le gambe. Anna era spaventata e tremava come una foglia. L’ho presa tra le braccia e l’ho rassicurata. Qualche minuto più tardi ci stavamo baciando. Mi ha accompagnato al suo appartamento e abbiamo fatto l’amore. Quando abbiamo finito, sembrava un’altra donna. Era radiosa e la paura di prima era completamente svanita. Abbiamo passato il resto della notte abbracciati al buio.

Jigen si interruppe e Fujiko stava per chiedergli se qualcosa non andasse, quando riprese a parlare: -La mattina dopo mi sono svegliato presto, mi sono rivestito e me ne sono andato senza dirle una parola o lasciarle un biglietto. Sono pessimo con gli addii.

Fujiko attese che Jigen aggiungesse altro, poi intervenne: -È una bella storia.

-È triste- ribatté l’uomo.

-Come tutte le belle storie.

Rimasero in silenzio per qualche istante, al punto che Jigen immaginò che Fujiko si fosse addormentata, ma poi la donna gli sussurrò: -Se vuoi puoi immaginare che sia lei, mentre ti abbraccio.

-È questo che fai con gli uomini?- le chiese il pistolero -Interpreti il ruolo delle amanti a cui si è detto addio?

-Qualche volta- ammise Fujiko -Altre volte sono la supereoina dei fumetti su cui si masturbavano da piccoli, altre ancora sono la padrona che non hanno mai osato avere. Dipende. Molto spesso, semplicemente, pensano a qualcun’altra e io per qualche tempo sono il volto, la voce e il corpo di quella persona che desiderano ma che non hanno. Sarei contenta se la mia presenza ti aiutasse a rievocare la tua Anna, anche se solo in un abbraccio.

Jigen scosse il capo ed emise uno sbuffo: -Con me non funziona così. Io non riesco a pensare a qualcun’altra mentre sono con una donna. Per me ora ci sei tu e nessun’altra.

Fujiko rimase di stucco, contenta che Jigen non vedesse la sua espressione esterrefatta, mentre si chiedeva se il pistolero avesse avuto l’intenzione o meno di dirle una cosa carina (fatto assolutamente nuovo), oppure se semplicemente stesse presentando un fatto a cui lei aveva aggiunto un significato più profondo.

Decise di rimandare quei pensieri a un secondo momento e di concentrarsi su quello che stava facendo, ovvero tenere al caldo il corpo di un uomo che, in un momento di stupida gentilezza, era stato disposto a patire il freddo perché lei smettesse di battere i denti.

 

Nota dell’autrice: Ciao a tutt* e benvenut* alla fine del quinto (di già? :D) capitolo della mia raccolta di one shot Slices of life! Ho completato il primo quarto di questa serie con una storia dedicata a un pairing che mi piace molto, ovvero Jigen e Fujiko. Ho sempre trovato il loro rapporto di odio e amore divertente e stimolante, anche se praticamente sempre giustificato con il comune obiettivo di aiutare Lupin. Ho pensato, dunque, di farli interagire solo tra di loro e dato che, come avrete capito, questa serie è dedicata alle manifestazioni di affetto (più o meno intenzionali), ho pensato che sarebbe stato interessante rompere le loro barriere fisiche e costringerli al contatto.

Che ne pensate? Dite che si sarebbero comportati diversamente in una situazione simile?

Fatemelo sapere in una recensione e io sarò più che felice di rispondervi! Come sempre, grazie infinite a Fujikofran che omaggia i miei capitoli con le sue recensioni!

Ci vediamo al prossimo capitolo, che sarà intitolato Sharing a bed.

A presto!

Desma

 

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Capitolo 6
*** Sharing a bed (pt.1/4) ***


Quando il giovane scienziato del dipartimento Ricerca e Sviluppo di una nota ditta che fabbricava armi, presso cui la divisione giapponese dell'ICPO faceva rifornimento, gli aveva mostrato quel nuovo modello di manette, Zenigata si era ritrovato a storcere il naso.

Un uomo della vecchia scuola come lui non poteva accogliere con entusiasmo una novità come quella, sebbene fosse stata creata appositamente per la cattura di Lupin. Anzi, per dirla nelle parole del giovane scienziato (Zenigata gli dava a malapena 30 anni), per massimizzare le probabilità di coercizione del target. 

L'ispettore emise un lungo sospiro al pensiero di quel ragazzo: era quella la direzione che il mondo stava imboccando? L'uso della tecnologia più moderna era sempre stato, in un modo o nell'altro, dirottato verso l'industria bellica, ma Zenigata non riusciva a vedere un futuro brillante per l'umanità in quel momento. 

Non con le premesse che il mondo della digitalizzazione e della tecnologia stava creando. 

Osservò il piccolo oggetto di metallo che gli era stato consegnato: era grande più o meno quanto il bottone di un cappotto, su un lato c'era un piccolo sportellino sigillato, in cui era stato inserito il materiale necessario al funzionamento di quelle "manette", dall'altro il pulsante di attivazione. 

Lo fece scorrere tra le dita, come una moneta in un gioco di prestigio, e ne valutò il peso e la consistenza della superficie. 

-Possibile che questo aggeggio possa davvero aiutarmi a catturare Lupin?- si chiese a voce alta, così concentrato sui propri pensieri da non notare che una signora, spaventata da quello strano individuo che parlava da solo, aveva allontanato il figlio e lo teneva stretto per una mano. 

L'ispettore osservò ancora per qualche istante il piccolo oggetto, poi il suo telefono cellulare ricevette una chiamata. 

-Pronto?- rispose. 

-Salve, sto parlando con l'ispettore Zenigata?- chiese la voce di un anziano signore dagli altoparlanti dell'apparecchio. 

-Sono io. Lei chi è? 

-Mi chiamo Tanaka e le telefono da Nagoya. Ho ricevuto un messaggio del famoso ladro Lupin III in cui mi avvisa che ruberà l'incasso del mio casinò domenica prossima alle 3 del mattino. Mi è stato detto che lei è il maggiore esperto in fatto di questo Lupin e avrei urgentemente bisogno della sua esperienza. 

-Non si preoccupi signor Tanaka!- esclamò con fervore l'uomo -Mi occuperò personalmente del caso! 

Si accordarono sul loro incontro, poi Zenigata chiuse la chiamata. Finalmente, pensò, avrò occasione di provare il nuovo giocattolo. 

*

Il viaggio in treno non lo aveva minimamente stancato, anzi, la sola idea di poter rivedere e rincorrere Lupin gli dava scariche di adrenalina degne di un paracadutista in volo. 

Aveva predisposto con cura i numerosi agenti in borghese per tutti i piani del casinò e per il giardino, li aveva istruiti nel meeting che aveva indetto qualche ora prima e aveva richiesto (e ottenuto) perfino dei cecchini sul tetto.

Ogni possibile via di fuga era stata messa sotto sorveglianza, ma il suo istinto, affinato da anni di esperienza, gli diceva che non era ancora abbastanza. Che Lupin era sicuramente già dentro al casinò e che di certo sarebbe stato in grado di uscirne nonostante i suoi sforzi. 

L'ispettore cercò il nuovo modello di manette nella tasca dell'impermeabile e lo rigirò tra le dita, concentrandosi sugli schermi del sistema di sorveglianza a circuito chiuso del casinò. 

Cercò Lupin in ogni volto che le decine di schermi gli presentavano, sia che fossero uomini, sia che fossero donne. Con Lupin non si può mai sapere. 

Quando l'allarme della violazione della cassaforte suonò, Zenigata non fu per nulla sorpreso di vedere che la telecamera puntata sulla cassaforte non mostrava l'immagine del portellone aperto. I trucchi, pensò Zenigata, in fondo sono sempre gli stessi. 

Come aveva immaginato, a nulla servirono tutti gli agenti che aveva addestrato e nemmeno i cecchini, Lupin e il suo complice Jigen erano riusciti a fare manbassa del contenuto della cassaforte e a darsi alla fuga con il bottino. 

L'ispettore provò un senso di dejavu durante l'inseguimento della 500 gialla per le strade di Nagoya, zigzagando tra le macchine in coda ai semafori, schivando ignari pedoni e sfrecciando su ponti e cavalcavia. 

L'inseguimento li portò sul molo del porto commerciale e Zenigata dovette più volte evitare all'ultimo container di merci che venivano sollevate dalle gru e caricate sulle navi cargo. 

Per un istante, nella confusione, Zenigata perse di vista la 500, ma questa ricompare da dietro un container e l'ispettore schiacciò a tavoletta sull'acceleratore per recuperare terreno. 

Tuttavia, mentre oltrepassava il container da cui era sbucata la 500, Zenigata vide con la coda dell'occhio una seconda macchina identica e allora capì. 

Fece un'inversione a U e diresse la volante verso la nave cargo su cui era stato disposto il container. Diede gas fino a quando fu sul punto di credere che il motore sarebbe esploso e si diede a un inseguimento disperato. 

Le gomme dei pneumatici stridettero sul cemento umido e qualcuno gli urlò contro, ma il cervello dell'ispettore era sintonizzato su un solo pensiero: inseguire Lupin. 

Quasi non si accorse che la macchina si era staccata dal suolo, mentre con uno slancio apriva la portiera e si gettava sul ponte della nave, che ormai si stava allontanando dal molo. 

Atterrò con un tonfo sul parapetto e si aggrappò giusto in tempo per impedirsi di cadere. Alle sue spalle, tra le urla del personale del porto, la sua macchina veniva inghiottita dai flutti. 

Facendosi luce con una torcia elettrica, l'ispettore andò alla ricerca di quello specifico container in cui aveva visto la 500 gialla di Lupin, facendo attenzione a non essere notato dall'equipaggio. Tuttavia, la ricerca su quella nave enorme e colma di container tutti uguali tra loro si protrasse per ore e il porto di Nagoya era sparito da un pezzo dall'orizzonte. 

Alla fine, proprio quando Zenigata stava iniziando ad accarezzare l'idea di aver preso un clamoroso granchio, la risata beota del ladro gentiluomo gli arrivò alle orecchie da dietro il metallo di un container. L'ispettore si lanciò su quel container e incollò l'orecchio sulla parete, in ascolto. 

Sentì i rumori di un apparecchio televisivo e di nuovo quell'insopportabile risata e allora non ebbe più dubbi.

Scalzò il chiavistello che chiudeva la porta del container e la spalancò: -Lupin!- chiamò a pieni polmoni -Ti ho trovato! 

All'interno dell'enorme scatola di metallo arredata come una camera d'albergo con letto matrimoniale, comodino con abat-jour, cassettiera con televisore a schermo piatto, frigorifero e bollitore elettrico, Lupin lo fissava con occhi sgranati dalla sorpresa, intento a mangiare dei ramen in scatola vestito solo con un paio di boxer a righe. In un angolo del container erano stati accumulati i sacchi pieni della refurtiva.

-Ti ho beccato, finalmente!- esultò Zenigata, fuori di sé dall'euforia. Estrasse dalla tasca il congegno dalle dimensioni di un bottone, lo innescò con il pulsante e lo scagliò in direzione del ladro. 

Lupin non ebbe nemmeno il tempo di dire "Ciao paparino" che un fascio di luce venne sprigionato dal congegno e le sue mani vennero avvolte in un fascio di energia bluastro. 

-Che diavoleria è questa?- esclamò il ladro sconcertato. Cercò di muovere le dita e di distanziare le mani, ma tutto quello che ottenne fu una scossa elettrica che lo percorse da capo a piede e lo fece saltare. 

Ci provò di nuovo, ma il risultato non cambiò, anzi ottenne solo di incrementare l'ilarità di Zenigata, che rideva a crepapelle. 

-Prova pure quanto vuoi- lo schernì l'ispettore, chiudendosi la porta alle spalle e avvicinandosi a lui -Tanto non ti servirà a liberarti. 

-Mi hai proprio preso, Paparino!- sorrise sornione Lupin, lasciando Zenigata interdetto.

-Che hai da ridere?- gli chiese brusco. 

-Oh, nulla!- ridacchiò il ladro -Ma perché non provi ad aprire la porta? 

Zenigata si voltò verso la parete di metallo alle sue spalle e iniziò a tirare la porta per la maniglia, ma quella non si mosse di un millimetro pur usando tutta la sua forza.

Spingere non cambiò il risultato e l'ispettore stava iniziando a innervosirsi.

-Prova invece a chiamare i rinforzi- gli suggerì Lupin, che intanto si era accomodato meglio sul letto ed era tornato a guardare la TV. 

Zenigata mise mano al cellulare, ma non aveva campo ed era un oggetto inutile. 

-Maledizione!- imprecò, suscitando una nuova risata da parte del ladro. 

-Mi spiace di averti rovinato il momento di gloria, Paparino, ma questo container si può aprire solo dall'esterno e Jigen mi sta aspettando al porto commerciale di San Diego per spartirci il bottino. Perché adesso non mi togli questi affari e ci mangiamo un bel piatto di ramen? Offro io! 

-Scordatelo!- abbaiò l'ispettore, lasciandosi cadere sul letto accanto al ladro. Era sfinito per lo sforzo e per lo sconforto. 

-Quando saremo arrivati a San Diego ti porterò alla prima stazione di polizia. Si tratta solo di posticipare l'inevitabile. 

-Se lo dici tu… - commentò vago Lupin, prendendo la confezione iniziata di ramen e iniziando a berne il contenuto rumorosamente. 

Zenigata lo osservò mangiare per qualche istante: -Quanto tempo hai impiegato per pianificare quest'ultimo colpo? 

-Vuoi una confessione?- chiese Lupin, aspirando uno spaghetto. 

-No, vorrei una sigaretta- rispose Zenigata e agli occhi del ladro, non abituato a vederlo così calmo, sembrò improvvisamente vecchio e stanco -E fare un po' di conversazione. Mi sembra di capire che prima di domani non avremo contatti con l'esterno. 

Lupin annuì: -Una settimana, circa- rispose -Ma i contatti al porto ce li ho da parecchio tempo e questo ha aiutato. 

-Capisco- rispose Zenigata, togliendosi il cappello e passandosi la grossa mano tra i capelli neri. 

Alla luce dell'abatjour Lupin vide brillare qualche filo argentato in quella massa di capelli accuratamente tagliati. 

-E tu invece che mi dici di queste, Zazà?- chiese, alzando le mani per mostrare le manette ultra moderne. 

Zenigata squadrò le mani le ladro, avvolte da un fascio di energia azzurrognola, che di tanto in tanto scoppiettava minacciosa. 

-È una diavoleria che mi hanno dato a lavoro- spiegò infine -L'hanno progettata apposta per te. Sono delle manette a riconoscimento del DNA. Hanno preso dei campioni dall'archivio, capelli mi sembra, e l'hanno tarato sulla tua brutta faccia. Se l'avessi lanciata contro un'altra persona non si sarebbe attivata. 

-Manette al DNA?- chiese Lupin sorpreso, osservando il congegno ai suoi polsi sotto una nuova luce -Non credevo che la polizia facesse ricorso a una cosa così subdola. Non víola qualche diritto umano? 

-Probabilmente sì e non vado fiero della piega che questo mondo sta prendendo. Ad ogni modo, te le toglierò quando sarai dietro alle sbarre, quindi cerca di collaborare. 

Zenigata si sdraiò sul letto con le mani incrociate dietro la testa e si coprì il volto con il cappello per proteggere gli occhi dalla luce. 

-Lo dici come se non mi conoscessi- ridacchiò Lupin, sentendosi più calmo nel vedere che l'ispettore, sua vecchia nemesi, gli rispondeva con un sorriso da sotto la tesa. 

Si sdraiò accanto a lui e si mise comodo: -Comunque- riprese il ladro -Se ci tenevi così tanto ad ammanettarmi al letto, bastava dirlo, Paparino. La prossima volta usa delle manette tradizionali, che mi piacciono di più.

-Taci, pervertito- lo ammoní l'ispettore, senza tuttavia riuscire a nascondere del tutto una risata. 

Funzionava così tra di loro: una continua provocazione l'uno dei confronti dell'altro, fatta di inseguimenti, colpi messi a segno, idee sempre nuove per raggiungere i propri scopi e, naturalmente, diatribe verbali. 

Faceva parte del gioco a cui aveva preso parte diversi anni fa e oramai aveva iniziato a coglierne gli aspetti ironici e divertenti. 

Si addormentarono cullati dalle onde dell'oceano pacifico, russando entrambi come delle segherie, ma senza infastidirsi tra loro. Almeno per il momento. 

La mattina dopo, Zenigata si svegliò con uno strano intorpidimento al braccio e al polso. Alzò lo sguardo verso la testiera del letto e vide di essere stato ammanettato ad essa con un paio di tradizionali manette di metallo, mentre di Lupin non c'era più traccia! 

-LUPIN!!- chiamò l'ispettore a pieni polmoni, invano, mentre oltre la porta aperta del container i gabbiani stridevano e il personale portuale si occupava dello scarico delle merci. 

Zenigata agitò il braccio nel tentativo di liberarsi e notò che sul comodino era stato lasciato un biglietto, accuratamente appoggiato sulla lampada affinché potesse leggerlo comodamente. 

"Dormivi così bene che mi dispiaceva svegliarti" c'era scritto "Andrà meglio la prossima volta! Fossi in te chiederei un rimborso per le manette ultra moderne: non è stato poi così difficile liberarmi. A presto Paparino!" 

Quand'ebbe finito di leggere il biglietto, sebbene fosse colmo di rabbia per la sconfitta e la beffa subite, Zenigata non poté fare a meno di trovare comica la situazione in cui si era ritrovato al suo risveglio. 

"Poco male" rifletté "Andrà meglio la prossima volta".

 

Note dell’autrice: Ciao a tutt* e grazie per aver letto il sesto capitolo della serie Slices of Life! Come sempre, un grosso abbraccio e un grosso grazie vanno a Fujikofran che ha recensito il capitolo precedente! Vorrei ringraziare anche Shadow506 per aver aggiunto la storia alle preferite!!!

Come avrete notato, il titolo di questo capitolo è segnato come “parte 1di 4”, infatti le prossime tre one shot faranno parte, assieme a questa, a una stessa successione di eventi consecutivi e legati tra loro. Spero che questa idea vi possa piacere e altrettanto per questo capitolo.

A presto,

Desma

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Capitolo 7
*** Head scratches (pt.2/4) ***


I numeri digitali correvano sullo schermo come tante formiche impazzite ed era l'anticipazione prima della decodifica della combinazione a scongiurare il mal di testa che lo scorrere frenetico di quei segni luminosi avrebbe potuto provocare. 

-Papà Zenigata certe volte fa proprio tenerezza- esclamò ad alta voce Lupin mentre, assieme al suo socio Jigen, attendeva che il loro congegno facesse il suo mestiere. 

-Che intendi dire?- domandò il pistolero, appoggiato con la schiena alla parete di metallo del caveau nell'attesa. Il cappello borsalino gli proiettata una lunga ombra scura sul viso sotto la luce al neon. 

-Sono anni che ci dà la caccia- spiegò il ladro -E ancora non ha capito che non basta mettere poliziotti e cecchini sulla mia strada per fermarmi. Alle volte penso che sarebbe meglio per lui se se ne andasse in pensione e passasse il suo tempo a dare da mangiare alle anatre al parco. 

-Non lo farebbe mai- commentò asciutto il pistolero -Ti inseguirà fino al suo ultimo respiro, per poi riprendere da capo all'inferno. 

Lupin rise: -Non si può certo dire che sia una persona noiosa! 

Un bip metallico annunciò il completamento dell'operazione e la serratura della cassaforte scattò. 

-Voici, mon cher ami!- annunciò il ladro con un inchino, mentre spalancava la pesante porta blindata della cassaforte, mostrandone il ricco contenuto. 

-Guarda un po'- esclamò Jigen rovistando tra le pile di banconote accuratamente riposte in blocchetti suddivisi per valuta -Tutto sommato questo casinò non è poi così prestigioso: ci sono delle cambiali tra il denaro. 

-Solo per i clienti più affezionati- spiegò Lupin, iniziando a riempire un grosso sacco con i blocchi di banconote -C'è crisi anche per i ricchi con il vizio del gioco. Lasciale pure qua, è improbabile che dopo la notizia del colpo sarà possibile riscuoterle. 

Si misero all'opera e, quando anche l'ultima banconota venne chiusa in un sacco, imboccarono il tunnel per il complicato impianto elettrico che avevano usato per entrare indisturbati.

Dopo una camminata dolcemente appesantita dal cospicuo bottino, i due riemersero dal sottosuolo, mentre nel casinò era scattato l'allarme antifurto. 

-Che bisogno c'era di attivarlo?- chiese Jigen accendendo la 500 e dando gas. 

-Ora comincia il divertimento- ridacchiò il ladro gentiluomo -Direzione: il porto! 

*

Guardando attraverso lo specchietto retrovisore, Jigen notò che la volante che un attimo prima lo stava inseguendo era scomparsa. 

-Strano- pensò ad alta voce il pistolero, rallentando l'auto entro i limiti di velocità, ma mantenendo comunque la massima attenzione -Di solito Zenigata non si arrende così facilmente. 

Fece fare alla macchina qualche giro a vuoto tra le strade della periferia e, quando fu certo di non essere seguito, diresse l'auto fuori dalla città in direzione dell'aeroporto. 

L'indomani avrebbe dovuto andare a prendere Lupin al porto commerciale di San Diego e il suo biglietto aereo faceva capolino dalla tasca della giacca. 

-Finalmente sei arrivato- lo accolse Goemon all'ingresso dell'aeroporto con un vago tono di rimprovero -Il volo parte tra mezz'ora.

-Ho dovuto accertarmi di non essere seguito- tagliò corto il pistolero -Hai già fatto il check in? 

Il samurai annuì con un cenno del capo e i due attraversarono l'ampio ambiente moderno di Chūbu-Centrair fino a raggiungere il loro gate, dove una cordiale signorina in divisa, dopo aver verificato documenti e titoli di viaggio, li accompagnò in prima classe, dove li attendevano i loro posti. 

Prima di congedarsi, la donna lanciò una lunga occhiata incuriosita al samurai, che rispose alzando, un sopracciglio. Accortasi di essere stata beccata a fissare l'uomo, la hostess fece un veloce inchino e svanì dietro la porta che separava la prima classe dal resto dell'aereo. 

-Te lo dico tutte le sante volte- commentò Jigen mentre si sedeva sulla comoda poltrona di ecopelle blu e si allacciata la cintura -Dovresti vestirti in abiti civili almeno quando viaggi. Il tuo abbigliamento è troppo vistoso e riconoscibile. 

-Non c'è niente che non va nel mio abbigliamento!- rispose il samurai con un'irritazione che inizialmente Jigen non capì, dato che Goemon era abituato ad essere osservato con insistenza per il suo modo di vestire, ma poi gli si accese una lampadina. 

-Sei nervoso perché la tua spada è stata impacchettata e messa nella stiva con un sigillo?- chiese allora e il silenzio imbronciato del samurai fu una risposta sufficiente. 

Aprí una piccola brochure che era stata riposta accanto al suo sedile a disposizione dei viaggiatori e ne scorse velocemente i caratteri: -Ma tu guarda!- esclamò con studiata sorpresa, quanto bastava per attirare l'attenzione dell'amico -Su questo aereo hanno una vasta selezione di sake. 

Goemon aprì una piccola breccia nella sua espressione dura e sbirciò con lo sguardo in direzione della brochure. 

-Prenderò il Junmai Daiginjo- dichiarò il samurai. 

Jigen annuì soddisfatto: -Ottima scelta. Io invece penso che prenderò del Knob Creek. 

Non appena l'aereo si fu stabilizzato e la spia delle cinture si fu spenta, una hostess passò a chiedere se desideravano bere qualcosa e i due uomini fecero la loro ordinazione. 

Brindarono al successo dell'ultimo colpo, sebbene Goemon non avesse potuto parteciparvi per via di alcune faccende che doveva sbrigare, e presto l'umore di quest'ultimo migliorò. 

Arrivò persino a ridere quando Jigen gli descrisse la faccia di Zenigata mentre li inseguiva. 

-Allora Lupin si è infilato dentro al container e abbiamo dovuto scaricare la macchina dai sacchi più in fretta della luce- stava raccontando il pistolero, mentre il samurai, rapito dal racconto, sorseggiava il suo raffinato sake, ma ad un tratto una scossa di dolore pungente  gli avvolse il viso. 

-Maledizione!- imprecò, portandosi una mano al lato della faccia. 

-Che succede?- chiese con apprensione Goemon -Che hai? 

Il pistolero si massaggiò la guancia nel tentativo di placare quelle scosse improvvise, ma invano: -Mi fa male un dente- spiegò alla fine -Mi era saltata un'otturazione qualche tempo fa e la carie che c'era sotto deve essersi estesa. Che male!- si lamentò. 

Chiamò una delle hostess e chiese di poter avere un antidolorifico, ma la donna scosse il capo e spiegò che il personale della compagnia di volo non era autorizzata a dare medicinali ai passeggeri. 

Jigen provò a insistere, cercando di farle capire a quale dolore atroce era sottoposto, ma la donna non aveva voluto sentire ragioni e gli aveva consigliato di farsi un pisolino, offrendosi di preparargli una camomilla e di portargli un cuscino e una coperta. 

Il pistolero aveva declinato l'offerta, chiedendo che il suo bicchiere gli venisse riempito di nuovo e l'hostess l'accontentò. 

-Non credo dovresti bere se ti fa male il dente- disse Goemon atono, ma Jigen non gli diede retta e svuotò anche il secondo bicchiere. 

-Se bevo abbastanza- spiegò appoggiando il bicchiere vuoto sul tavolino -Smetterò di sentire dolore.

Goemon scosse la testa: -Sciocchezze! Finirai solo per stare peggio e questo ti renderà inadatto a compiere il tuo lavoro. 

-Per tua informazione- ribatté stizzito il pistolero -Ho sempre portato a termine il mio lavoro, anche con del piombo in corpo! 

-Questo è vero- annuì Goemon -Ma quando hai il mal di denti diventi intrattabile e più lento a fare anche le cose più semplici. 

Jigen stava per rispondergli per le rime, ma all'ultimo si trattenne: riusciva a leggere fin troppo chiaramente negli occhi del samurai che, se gli avesse risposto a male parole, gli avrebbe dato implicitamente ragione.

Tornò dunque a preoccuparsi del proprio mal di denti, cercando di distrarre la mente dal dolore che gli infuocava la bocca e il viso. Ripercorse mentalmente i passaggi per smontare, pulire, lubrificare e rimontare la sua Magnum, chiamando ogni pezzo, che maneggiava nella sua immaginazione, con il suo nome. 

"Mirino… canna… asse del tamburo… molla di richiamo dell'estrattore… tamburo… estrattore… piastra di chiusura… guancetta…" 

Una nuova scossa di dolore gli strappò un gemito e le gambe si agitarono involontariamente in uno spasmo. 

-Maledetto dente!- sibilò - Maledetta compagnia aerea che non dà gli antidolorifici ai passeggeri in difficoltà!-

Provò allora a distrarsi guardando il cielo e le nuvole attraverso il finestrino, ma ormai la luce del giorno si era esaurita e tutto quello che riusciva a vedere era il proprio riflesso nell'oblò. 

Sul vetro del finestrino vide che alle sue spalle Goemon si stava rimboccando le maniche del kimono e si stava scrocchiando le dita. 

-Togli il cappello- ordinò il samurai. 

-Perché?- chiese il pistolero, voltandosi per fronteggiare l'uomo -Vuoi darmi una botta in testa per farmi dormire?- aggiunse poi, cercando di apparire disinvolto, ma riuscendo a celare ben poco del suo nervosismo. 

Anche senza la spada, Goemon Ishikawa era un combattente formidabile, dotato di una forza fisica straordinaria. In passato era già capitato che i due si fronteggiassero in una scazzottata e Jigen era sempre riuscito a restituire quello che aveva ricevuto, ma non era del tutto certo che il samurai, in virtù della loro amicizia, non si fosse trattenuto durante quei confronti. 

-Non ho intenzione di picchiarti- spiegò il samurai, vagamente irritato che il pistolero avesse messo in dubbio la bontà delle sue intenzioni -Tempo fa ho appreso una tecnica di digitopressione per attenuare il dolore dopo i combattimenti. Voglio provare ad applicarla su di te per renderti il mal di denti più sopportabile. E ora togliti il cappello. 

Ancora un po' riluttante, Jigen obbedì e rispose il cappello sulle proprie ginocchia mentre Goemon affondava le dita tra i suoi capelli, raggiungendo lo scalpo. 

Il pistolero si preparò ad accogliere delle sensazioni spiacevoli, se non addirittura dolorose, dato che la digitopressione richiedeva una certa dose di forza per riuscire a stimolare le terminazioni nervose sottocutanee. Invece il tocco di Goemon, sebbene deciso, risultò delicato e Jigen trovò quel trattamento quasi rilassante. 

-Se ci vedesse qualcuno in questo momento, potrebbe farsi un'idea sbagliata- disse il pistolero quasi sottovoce. 

-Ho quasi finito- lo rassicurò Goemon -Ma se preferisci tenerti il mal di denti…

-No, no- intervenne Jigen -Finisci il trattamento. 

Qualche istante più tardi, il samurai dichiarò la fine del suo operato e chiese al paziente come si sentisse. Jigen si esaminò con la lingua il punto in cui c'era il dente cariato, aspettandosi nuove fitte di dolore che, però, non arrivarono. 

-È passato!- esclamò trionfante. 

-Ovviamente- fu il commento di Goemon, che tornò a concentrarsi sul suo sake come se l'episodio del dente non fosse mai avvenuto. 

Trascorsero il resto del viaggio a chiacchierare finché il sonno non li colse e li accompagnò per le ore di volo mancanti. 

Atterrati a San Diego noleggiarono un'auto e partirono alla volta del porto commerciale. 

Il mal di denti era diventato un brutto ricordo dai contorni sfuocati.

 

Note dell’autrice: Ciao a tutt* e grazie per aver letto il settimo capitolo della serie Slices of Life! Scusate se ci ho messo tanto a pubblicare questo capitolo, ma ho avuto un periodo piuttosto intenso e non sono riuscita a risolverlo prima. Un grosso abbraccio a Fujikofran che ha recensito il capitolo precedente! 

Ci vediamo al prossimo capitolo, intitolato Sharing a dessert.

A presto,

Desma

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Capitolo 8
*** Sharing a dessert (pt.3/4) ***


Se avesse potuto farne a meno, Lupin non avrebbe mai cucinato un solo pasto nella sua vita, ma quella mattina si era alzato davvero di buon umore e aprendo gli occhi il suo primo pensiero era stato “Pancakes!”.

Nulla metteva allegria al ladro gentiluomo come un colpo ben riuscito e, dopo tutto, si trovavano negli Stati Uniti, pertanto fare una colazione a base di quelle squisite torte basse e spugnose sarebbe stato perfettamente in tema.

Si era, dunque, alzato senza fare rumore, aveva preso gli ingredienti, preparato l’impasto e, una volta scaldata la padella, aveva dato inizio alla produzione.

Nel giro di pochi minuti la cucina si era riempita del favoloso profumo dei dolci appena fatti, che, uno dopo l’altro, erano stati impilati su un piatto in attesa di essere mangiati.

Per fare una sorpresa ai suoi soci, il ladro gentiluomo aveva persino apparecchiato la tavola per tre, disponendo appositamente per Goemon un paio di bacchette di legno.

Mentre la macchina del caffè aveva iniziato a ribollire, Lupin andò a chiamare gli altri due uomini e ricevette diversi improperi per averli svegliati a quell’ora della mattina, ma quando il profumo della colazione li ebbe raggiunti, le loro proteste cessarono e si sedettero a tavola.

-Dobbiamo fidarci?- chiese scettico Jigen, studiando i pancakes che Lupin gli stava porgendo su un piatto.

-Perché? Pensi che possa avvelenarvi?- domandò Lupin con irritazione malcelata da un tono forzatamente scherzoso.

-Tu non cucini mai- sentenziò Goemon, condividendo i sospetti di Jigen -Questo rende assai probabile che questi dolci siano immangiabili.

Lupin fece una smorfia, offeso da quelle insinuazioni: -Quanto siete ingrati voi due! Invece di ringraziarmi perché vi ho preparato la colazione, ve ne state lì a criticarmi! Per vostra informazione, sono un cuoco eccellente. Ho cucinato per moltissime donne e nessuna di loro si è mai lamentata!

-Forse perché, dopo aver mangiato quello che avevi cucinato tu, non è sopravvissuta abbastanza a lungo da poterlo fare- commentò Jigen con un ghigno.

-Oppure perché ti sei sempre fatto portare la cena a casa da un ristorante, spacciandola per tua- intervenne Goemon -Non ti ho mai visto nemmeno lavare un piatto.

Jigen ci rifletté per qualche istante e poi annuì: -In effetti nemmeno io, anzi, non ti ho mai visto entrare in una cucina se non per mangiare.

A quel punto Lupin sbottò: -Begli amici che siete! Vi prometto che quando avremo finito pulirò tutto da cima a fondo, ma almeno sarebbe carino se poteste assaggiare i miei pancakes e chiudere le vostre brutte boccacce.

I due uomini si scambiarono un’occhiata divertita e attaccarono i pancake, sotto lo sguardo attento di Lupin, pronto a cogliere la minima variazione di espressione e carpire il loro giudizio.

Dopo qualche istante di silenzio in cui i tre uomini si presero il tempo di assaggiare con la dovuta calma i dolci ancora fumanti (Goemon ci impiegò qualche secondo in più per la difficoltà di tagliare i pancakes con le bacchette), il giudizio finale venne espresso.

-Passabili- fu il commento di Jigen, che aggiunse dello sciroppo d’acero per insaporirli.

-Sono d’accordo- convenne Goemon -E comunque sono meglio i dorayaki.

-Ma se sono praticamente la stessa cosa!- esclamò Lupin, battendo le mani sul tavolo, indispettito dal rigido giudizio dei suoi compagni di avventure.

-I dorayaki sono ripieni- continuò Goemon senza fare una piega davanti alla reazione dell’amico -E la marmellata di fagioli azuki è decisamente più gustosa di questo sciroppo ipercalorico.

-E da quando ti preoccupi delle calorie?- ribatté il ladro gentiluomo al limite dell’esasperazione -Fai allenamenti estenuanti un giorno sì e l’altro pure e ti preoccupi se per una volta mangi un po’ di sciroppo d’acero?

-Il corpo è il tempio dell’anima- recitò il samurai -E come tale deve essere custodito. Introdurre un cibo così pieno di zuccheri nel proprio stomaco è come passeggiare per il Kondō con i sandali sporchi di fango.

Lupin rimase a fissare il samurai per qualche istante incredulo, cercando di capire se sotto la sua espressione apparentemente imperturbabile si celasse un intento canzonatorio.

-Io invece credo ci avrei messo meno burro- intervenne Jigen, che nel frattempo aveva continuato ad esaminare la sua porzione -Un po’ più di farina e una spolverata di cannella.

Lupin lanciò un’occhiata di fuoco al pistolero: -Sono tutti bravi a criticare- sibilò indispettito -Se pensi di poter fare dei pancakes migliori dei miei, allora perché non lo dimostri?

-Attento a quello che chiedi- lo ammonì il pistolero -Potresti restarci male!

-Prima devi battermi!- lo sfidò Lupin, gli occhi ardenti di determinazione.

-Molto bene, allora- rispose Jigen rimboccandosi le maniche e prendendo un grembiule da uno dei cassetti della cucina -Ma poi non dire che non ti avevo avvertito.

Il pistolero prese posto davanti ai fornelli e iniziò a trafficare sotto gli sguardi incuriositi degli altri due uomini. Quando Lupin tentò di sabotare la sua opera invertendo il barattolo dello zucchero con quello del sale, Jigen se ne accorse immediatamente e allontanò la mano molesta del ladro dal barattolo con una cucchiaiata secca sulle nocche.

Lupin si ritirò con la coda tra le gambe e attese al suo posto che Jigen finisse. 

Quando l’impasto color crema toccò la superficie calda della padella, un delizioso aroma di cannella e scorza di limone invase l’aria e Lupin dovette fare appello a tutto il suo autocontrollo per mascherare l’ipersalivazione che quel invitante profumino gli aveva provocato.

I pancakes di Jigen, una volta riposti con cura sul piatto di presentazione, risultavano tutti uguali sia per diametro che per spessore e perfettamente dorati su entrambi i lati, a differenza di quelli di Lupin che, invece, avevano dimensioni diverse (soprattutto i primi) e alcuni erano leggermente sbruciacchiati.

-Assaggia e piangi- lo sfidò il pistolero, porgendogli il piatto e una forchetta pulita.

Diede un piatto identico anche a Goemon, chiedendogli di giudicare obiettivamente.

Assunta un’espressione studiatamente diffidente, Lupin prese un boccone e lo portò alla bocca, ma quando il suo palato incontrò quel frammento soffice e fragrante, venne invaso da un’ondata di dolcezza avvolgente e bilanciata dal sapore speziato della cannella.

I pugni del ladro si strinsero attorno alle posate, mentre la sua mente cercava di comprendere se fosse più estasiato da quel singolo pezzetto di pancake o più irritato per la consapevolezza di aver subito una sconfitta schiacciante.

-I miei sono più casalinghi- dovette dire infine, dato che Jigen lo fissava con insistenza in attesa -C’è chi lo apprezza!- continuò in risposta all’espressione di sufficienza che aveva assunto il volto dell’amico.

Jigen fece spallucce, intuendo che Lupin non avrebbe mai ammesso la sconfitta, e si rivolse al samurai: -Tu cosa ne pensi, Goemon?

Il samurai si prese il suo tempo per gustare il dolce di Jigen, assaporarne il gusto e valutarne tutte le sfumature, poi, dopo un attimo di silenzio, sentenziò: -Non sono male, ma i dorayaki sono meglio.

A quel commento, Lupin dovette lanciarsi su Jigen per impedirgli di saltare al collo di Goemon e dare inizio a una rissa che di certo non sarebbe stata gradita al padrone di casa che gli affittava l’appartamento.

-Perché allora non ci fai vedere di cosa sei capace tu?- lo provocò il pistolero, cercando di liberarsi dalla presa di Lupin.

Il samurai accolse la sfida senza proferire verbo. Si alzò in piedi, si rimboccò le maniche del kimono legandole dietro alla schiena e uscì dalla stanza, lasciando Jigen e Lupin senza parole.

Tornò qualche istante più tardi con un barattolo pieno di gelatina rossastra: -Marmellata azuki, direttamente dal Giappone- annunciò con orgoglio, svitando il tappo del barattolo e avvicinandolo al naso per sentirne l’aroma.

-Tu viaggi con un barattolo di anko in valigia?- chiese Lupin esterrefatto, lasciando la presa su Jigen che sembrava essersi calmato davanti a quell’insolito spettacolo.

Il samurai finse di non cogliere lo scherno che si celava dietro quella domanda e attraversò la cucina senza aggiungere una parola, costringendo gli altri due a scansarsi al suo passaggio.

Preparò i dorayaki in religioso silenzio, eseguendo ogni passaggio con la solennità di un rito sotto lo sguardo ammirato dei soci.

Scelse dei piatti rettangolari per presentare la sua opera e li decorò con delle spatolate di marmellata, che risaltava scura sulla superficie chiara e lucida della ceramica.

-A voi- annunciò con solennità e rimase ad osservare i suoi amici prendere i piccoli dolci ripieni e addentarli.

Ne seguì un istante di silenzio, in cui il ladro e il pistolero si scambiarono un’occhiata carica di significato, sancendo un muto patto tra loro.

-Allora?- chiese Goemon impaziente, incrociando le braccia -Cosa ne dite?

-Niente di eccezionale- risposero all’unisono, ma non appena il samurai fece per estrarre la spada con un lampo di irritazione negli occhi iniziarono a declamare i pregi dei suoi dolci e a chiedere perdono per le loro parole sconsiderate.

Quando si furono tutti calmati e la pace venne ristabilita nella stanza, il trio rimase in contemplazione del caos che avevano creato in cucina: il lavandino traboccava piatti, scodelle, mestoli e padelle sporchi, la tavola era interamente occupata da decine di pancakes, ormai freddi, di tutte le dimensioni e i fornelli erano impiastricciati di impasto, sciroppo d'acero e marmellata.

Jigen allungò le braccia e stiracchiò la schiena con uno sbadiglio: -Ho delle faccende da sbrigare a Tokyo- annunciò -Vado a preparare la valigia e prenoto il primo biglietto per tornare in Giappone.

-Anche io sono impegnato- fece eco Goemon -Sono venuto con voi in California solo per poter raggiungere l’Arizona più comodamente: ho saputo che sul Grand Canyon sta in eremitaggio un grande maestro dell’arte della meditazione e ho intenzione di chiedergli di farmi fare un apprendistato.

Ciò detto i due uscirono dalla stanza, lasciando a Lupin, confuso ed esterrefatto, il compito di rassettarla.

A nulla valsero le sue proteste: ormai Jigen e Goemon se n’erano andati.

Non vedendo alternativa, Lupin infilò i guanti per i piatti e iniziò a raccogliere le stoviglie sporche, dopotutto aveva promesso che se ne sarebbe occupato.

 

Nota dell’autrice: Salve a tutt* e ben ritrovat* a quest’ultimo capitolo della serie Slices of Life! Vorrei ringraziare Fujikofran che incoraggia la mia scrittura con le sue recensioni a fine capitolo e Gella che ha inserito la raccolta tra le storie seguite! Thank you!

Dunque, oggi a Bake Off Japan per voi… Lupin III, Jigen Daisuke e Goemon Ishikawa XIII! Mi sono divertita molto a immaginare questo scenario e spero di avervi strappato un sorriso. Siamo quasi arrivati alla fine di questa mini raccolta nella raccolta e, dopo questa pausa un po’ lunga che mi sono presa, cercherò di essere più presente e di pubblicare con maggiore costanza. Il prossimo capitolo si intitolerà Patching up a wound, ci vediamo lì!

Grazie della vostra lettura e spero che vogliate farmi sapere cosa pensate del mio lavoro lasciando un piccolo commento nello spazio dedicato alle recensioni!

Alla prossima,

Desma

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Capitolo 9
*** Patching up wounds (pt.4/4) ***


Warning: questa one shot ha un rating arancione per la descrizione di atti di violenza 

Le era sempre piaciuto ridere, ma soprattutto le piaceva quando gli altri pensavano che la sua risata fosse suscitata da una loro battuta. E invece, molto più frequentemente, era dovuta al pensiero dell'ingenuità dei suoi interlocutori. 

Così era stato per Sosuke Watanabe, giovane medico in una clinica privata e ricco ereditiere della famiglia Watanabe, famosa per la fortuna accumulata per il brevetto, la produzione e la vendita di diverse attrezzature mediche. 

Fujiko camminava a braccetto con il giovane Watanabe, ascoltando con attenzione quello che aveva da dire e ridendo al momento opportuno. 

Insomma, l'ordinaria amministrazione di una ladra che sa sfruttare il suo fascino a proprio vantaggio. 

I lampioni lungo la riva pedonale del fiume Tama illuminavano praticamente a giorno la sera limpida e impreziosita dalle stelle, ma gli occhi di Watanabe erano solo per lei, unica stella che camminava per le strade di Tokyo. 

Fujiko era perfettamente consapevole delle attenzioni del medico e ogni sfumatura del suo atteggiamento era volta a convincerlo del suo interesse nei confronti delle sue parole e della sua persona. 

Atteggiamento nemmeno troppo forzato, dato che il giovane uomo, rispetto allo standard degli uomini avidi, egocentrici e pieni di boria con cui Fujiko aveva normalmente a che fare, era una compagnia piuttosto piacevole. 

Stava ridendo a un evento buffo che Watanabe aveva raccontato e che era successo nella sua clinica, quando la vista periferica della ladra colse qualcosa che la mise in allerta. 

Voltò la testa di scatto per vedere meglio quello che stava emergendo dal Tama e pochi istanti le bastarono per capire due cose: 1. Che la figura nera e allungata che si stava trascinando a fatica fuori dal letto del fiume era nient'altro che Daisuke Jigen; 2. Che i rantoli che produceva e la visibile fatica che gli richiedeva muoversi erano i segnali che era ferito e anche piuttosto gravemente. 

Senza pensarci due volte, Fujiko si lanciò nella discesa oltre il parapetto che definiva il confine della strada pedonale e poi giù verso il letto del fiume, ignorando il fango che le inzaccherava le prestigiose scarpe di Dior e i richiami di Watanabe. 

Quando ebbe raggiunto l'uomo, Fujiko notò le estese macchie di sangue che gli imporporavano gli abiti ed ebbe un tuffo al cuore. 

-Sosuke!- chiamò a gran voce -Vieni a darmi una mano! 

Mentre il medico la raggiungeva, Fujiko tirò il pistolero fuori dall'acqua e gli prese il viso tra le mani per capire se fosse ancora cosciente. 

Gli occhi di Jigen erano pesti e gonfi, ma uno era ancora abbastanza aperto da poter vedere il mondo e la sua iride scura agganciò quella castana di Fujiko. 

-Fu… ji… ko…- scandì a fatica il pistolero.

-Tranquillo, Jigen- lo rassicurò lei, rincuorata dal fatto che l'uomo fosse ancora abbastanza cosciente da riconoscerla -Mi occuperò io di te, è tutto finito. 

-No!- disse Jigen con maggiore foga, usando quello che rimaneva delle sue forze per afferrarle il braccio -Ta… na… ka! 

Negli occhi del pistolero, mentre pronunciava quel nome, la ladra lesse un miscuglio inquietante di emozioni, che comprendevano furia, odio e paura. 

Capì allora che, in qualunque brutta storia si fosse cacciato Jigen, non era ancora finita. 

 

*

Lo spostamento del corpo inerme di Jigen era stata una fatica degna di Ercole, soprattutto per via dell’insistenza di Watanabe nel volerlo portare in ospedale. Alla fine, dopo interminabili (e inutili) discussioni, il medico aveva acconsentito ad aiutarla a portare Jigen nella sua camera d’albergo e a prendersi cura di lui.

Gli ci erano volute quasi due ore e diversi asciugamani puliti per arginare le emorragie, ma al termine di un tempo che per Fujiko, costretta ad osservare senza poter fare poco o niente, era stato un’agonia, Watanabe aveva estratto due proiettili, chiuso cinque tagli da arma bianca e medicato un’infinità di contusioni. 

Per fortuna, aveva dichiarato il giovane medico, non sembravano esserci particolari danni agli organi interni, sebbene il paziente avesse perso molto sangue.

-Avrà sicuramente bisogno di una trasfusione- aveva commentato Watanabe, prendendo il polso debole, ma costante, e osservando il pallore quasi cadaverico della sua carnagione.

-B negativo.

-Come?- chiese il medico.

-Il suo gruppo sanguigno è B negativo- aveva risposto Fujiko, sul cui volto erano improvvisamente apparse delle piccole rughe sulla fronte e attorno agli occhi che Watanabe non aveva notato.

-Molto bene- sospirò Watanabe -Dato che per qualche ragione non si può portare quest’uomo in ospedale, farò qualche telefonata e mi farò portare il necessario per la trasfusione.

Il sorriso sul volto di Fujiko a quella notizia, pensò il medico, avrebbe potuto sciogliere anche il più imponente degli iceberg e si sentì quasi in imbarazzo: -Grazie Sosuke- rispose la donna -Sei un brav’uomo.

Assicuratasi che il pistolero fosse in buone mani, la donna uscì dalla stanza, adducendo la scusa di avere bisogno del bagno, e cercò il cellulare nella borsetta.

Trovatolo, digitò un numero di telefono e attese che la persona dall’altra parte rispondesse: -Chérie!- sentì chiamare dopo un paio di squilli a vuoto.

-Ciao Lupin!- cinguettò lei, sfoderando la sua voce da seduttrice -Come stai? Mi manchi tanto!

-Anche tu mi manchi, chérie!- rispose Lupin con trasporto.

-Dove sei, mio caro?

-In questo momento mi trovo a San Diego. Vuoi venire a farmi una visitina?

-Oh, magari, tesoro! Magari!- esclamò Fujiko, riuscendo a immaginare con facilità il sorriso rapito che il ladro doveva avere in quel momento sul volto -Sai, ti stavo pensando e mi sono chiesta: chissà se Lupin ha fatto qualche bel lavoro interessante di recente? Senza di te è una noia mortale! 

-Mia cara Fujiko, anche per me è lo stesso! Nemmeno io ho fatto granché ultimamente, giusto un colpetto qualche settimana fa a Nagoya, ma niente di che. 

-Cosa ci sei andato a fare a Nagoya?- lo incalzò Fujiko, nascondendo dietro il miele della sua voce l'impazienza che provava. 

-Io e Jigen abbiamo alleggerito le casse di un casinò, poi siamo venuti in California per rilassarci un po’, ma lui ha preferito tornare in Giappone dopo qualche giorno e ora sono solo soletto. Che casinò era? Il Tanaka. 

A quel nome la schiena di Fujiko venne percorsa da un brivido e la sua mente le restituì l’immagine del volto di Jigen, tumefatto e coperto di sangue, contratto nel tentativo di parlarle.

Chiuse le telefonata promettendo a Lupin che sarebbe andata a trovarlo a San Diego, ma la sua mente non registrò i calorosi saluti e i baci che l’uomo le aveva mandato attraverso la cornetta: il suo cervello, infatti, aveva iniziato a mettere insieme i pezzi e a creare collegamenti tra i fatti.

La conclusione era una soltanto: qualcuno avrebbe pagato per quello che era stato fatto a Jigen.

Si assicurò che Watanabe si occupasse del suo amico, poi andò nella sua stanza da letto e si sfilò l'abito griffato che aveva indossato per l'appuntamento della serata, sostituendolo con una tuta da combattimento nera. Le scarpe con il tacco vennero rimpiazzate con quelle tattiche e i capelli vennero raccolti in una pratica coda. 

Uscì con il casco sottobraccio e la pistola assicurata al suo fianco. 

Watanabe non fece domande e Fujiko gliene fu grata. 

*

La corsa in motocicletta da Tokyo a Nagoya fu veloce e frenetica, nella totale indifferenza nei confronti delle regole stradali, ma la donna non era nuova a questo tipo di guida e a nulla valsero gli inseguimenti di una volante della polizia. In un battito di ciglia, Fujiko era sparita alla vista. 

Arrivò nei pressi del casinò che era l'alba e si soffermò a studiare l'edificio: le luci al neon intermittenti, seducenti e multicolore come sirene silenziose, erano accese e invitavano la clientela ad entrare in quella bolgia senza orologi, dove le slot machine e i croupier lavorano 24/7.

Non aveva tempo di mescolarsi tra la folla dei clienti, doveva assolutamente trovare il proprietario. Parcheggiò la moto tra un gruppo di cespugli del giardino, dove avrebbe potuto prenderla senza farsi notare, e aggirò l'edificio. 

Dopo la rapina di Lupin, che aveva completamente svuotato le casse del casinò lasciando ad eventuali i altri ladri solo le briciole, la sorveglianza si era ridotta parecchio e Fujiko aveva potuto salire le scale anti incendio senza difficoltà. Sbirciando attraverso le finestre identificò degli uffici all'ultimo piano e, facendo leva sul telaio di una di esse con un coltello, entrò. 

La stanza era buia e vuota e la donna si mise in ascolto: se faceva attenzione riusciva a percepire i rumori e le risate delle sale da gioco ai piani inferiori, il tintinnio dei bicchieri e delle bottiglie al piano bar e qualcuno parlottare nella stanza a fianco. 

"Bingo!" pensò la donna e con passo felpato si appoggiò alla parete con l'orecchio schiacciato contro il muro. 

-Mi dispiace, illustre Mishimoto, mi perdoni!- stava piagnucolando un uomo, probabilmente al telefono dato che Fujiko non riuscì a percepire la presenza di altre persone nella stanza.

-Sì ho fatto uccidere uno dei ladri, il suo sicario di fiducia è stato molto in gamba!- continuò l'uomo che Fujiko ritenne essere Tanaka -No sono desolato, non ha detto dove si trovano i soldi… Ho usato le maniere forti, anche se non sono a mio agio con la tortura…. Se n'è occupato il suo giovane sicario. Non c'è traccia del secondo uomo… Li troveremo, signore, troveremo i suoi soldi. Sì, avrò buone notizie la prossima volta. Arrivederci. 

La telefonata venne conclusa e a Fujiko non servì un secondo segnale per intervenire. Uscì cautamente nel corridoio, assicurandosi che non ci fosse nessuno ad osservarla, e aprì la porta della stanza a fianco. 

-Ho detto che non voglio essere disturbato!- abbaiò rabbioso Tanaka, ma l'uomo si ammutolì di colpo quando vide la canna della pistola puntata contro di lui da una donna di ineffabile bellezza, che gli faceva gesti con un dito di tacere. 

-Ora noi due faremo una chiacchierata e poi farai una telefonata per me. 

*

Izumo era stanco e in quanto tale era anche nervoso: aveva concluso un lavoro con successo, pur non riuscendo ad ottenere le informazioni che il capo desiderava, e tutto ciò che voleva era mangiare, trovare un po' di compagnia femminile a buon prezzo e andare a dormire. 

Era riuscito a malapena a consumare un pasto quando il suo cellulare di lavoro aveva iniziato a suonare e sullo schermo era apparso il nome del proprietario del casinò. Gli disse di volerlo premiare personalmente per l'ottimo lavoro svolto e a nulla era valso ripetergli di trasferire la cifra sul suo conto in banca: il vecchio Tanaka aveva voluto incontrarlo. 

In una circostanza diversa avrebbe diffidato da un simile invito, ma Tanaka era un uomo anziano e debole, sia di corpo che di spirito, spaventato persino dalla propria ombra e che si era indebitato con la criminalità organizzata nella speranza di mantenere aperto il suo casinò. 

Izumo ridacchiò al pensiero della faccia terrorizzata del vecchio quando l'aveva visto entrare nel suo ufficio, convinto che Mishimoto, il suo capo e creditore del signor Tanaka, l'avesse mandato per lui.

Arrivò davanti alla porta dell’ufficio e bussò.

-Avanti- chiamarono dall’altra parte della porta e Izumo entrò. La stanza era completamente al buio e a malapena riusciva a distinguere la sagoma dell’uomo nella poca luce che filtrava dalla finestra.

-Tanaka, ti hanno già tagliato la luce?- chiese il sicario con una punta di cattiveria nella voce, ma ebbe un sussulto quando sentì la porta chiudersi alle sue spalle.

Le luci si accesero e gli occhi del sicario impiegarono qualche istante per abituarsi alla nuova condizione di luce, ma quando le pupille gli si furono ristrette riuscì a distinguere più nitidamente l’anziano uomo alla scrivania.

Il suo corpo era accomodato sulla sedia dietro alla scrivania, ma la sua testa era innaturalmente reclinata all’indietro e sulla tempia destra scorreva un rivolo rosso, mentre il pavimento alla sua sinistra era inzaccherato di sangue e cervella.

Istintivamente Izumo girò i tacchi e fece per andarsene, ma la canna di una pistola puntata alla fronte lo costrinse a fermarsi. 

-Izumo Nakamura- la donna che impugnava la pistola era la creatura più affascinante su cui gli occhi del sicario si erano mai posati e sentire il suo nome venire pronunciato dalla voce soave di quell’angelo gli provocò un mix di emozioni contrastanti.

-Tu sei il sicario che Tanaka ha assoldato per torturare ed eliminare Jigen Daisuke- continuò quella donna meravigliosa e Izumo non fu certo se gli avesse posto una domanda o se avesse semplicemente annunciato un fatto.

-Chi vuole saperlo?- chiese alla fine il sicario, cercando di mostrarsi indifferente davanti alla bocca scura della pistola puntata su di lui.

-Mi chiamo Fujiko Mine e sarò l’ultimo volto che vedrai- rispose la donna e nei suoi profondi e sensuali occhi scuri Izumo vide una furia bruciante che diede conferma delle sue parole.

-Quanto sforzo per un avanzo di fogna come quel Jigen- commentò il sicario, indicando con il pollice il cadavere di Tanaka alle sue spalle -Mishimoto verrà a sapere di tutta questa storia, ti troverà e ucciderà prima te e poi il tuo caro Jigen.

Il disprezzo con cui il sicario aveva pronunciato quella parola le fece salire il sapore della bile alla gola e dovette trattenersi dallo svuotare il caricatore della pistola contro la sua testa.

No, non doveva permettergli di farle perdere la concentrazione.

Fujiko conosceva la fama di Mishimoto e sapeva che Izumo aveva ragione: se avesse commesso un passo falso, sarebbero stati perseguitati a vita dalla sanguinaria banda del boss e nulla di quello che aveva fatto sarebbe servito.

Doveva rimanere concentrata.

-Non ti preoccupare di questo- Fujiko sfoggiò il un sorriso ferino e Izumo sentì una goccia gelata scorrere lungo la linea della sua colonna vertebrale -Piuttosto, spiegami una cosa. Tanaka mi ha raccontato di come hai torturato Jigen e di come gli hai sparato, per poi gettarlo nel Tama come un sacco di immondizia. Quello che non capisco è come sia stato possibile che un pivello imberbe come te abbia potuto mettere nel sacco un pistolero esperto del calibro di Jigen.

La pistola era perfettamente immobile nella mano della donna e Izumo, che riusciva a prevedere con facilità che non sarebbe vissuto abbastanza da vedere il nuovo giorno, pensò che non ci sarebbe stato modo di cambiare il suo destino e decise di accontentarla: -Ho pagato una prostituta perché recitasse il ruolo della povera ragazza indifesa che chiedeva aiuto per salvare un’amica in difficoltà. Conoscendo la fama di Jigen, mi ha sorpreso che ci sia cascato tanto facilmente. Sentirlo grugnire come un maiale ogni volta che lo colpivo è stato un piacere impagabile.

Lo sta facendo di nuovo, pensò Fujiko, vuole provocarmi perché sa che morirà e spera di farmi distrarre per crearsi una via di fuga.

-Un maiale che non ti ha dato comunque quello che desideravi- ribatté Fujiko, il cui sorriso si era fatto più affilato.

-Gliene rendo atto- ammise Izumo -Ma sta invecchiando. Si è fatto lento. E morbido.

-Può darsi- concesse Fujiko, pensando a come il pistolero si fosse lasciato ingannare da quel pivello -Ma tu non avrai l’occasione di vederlo morire. 

Quelle parole lasciarono Izumo perplesso: -Jigen Daisuke è morto- disse -L'ho ucciso personalmente. 

-No- ribatté Fujiko in un sibilo che la fece assomigliare a un gatto infuriato -È sopravvissuto e questo ti dimostra l'abisso che vi separa: un vero professionista non avrebbe mai considerato eliminato un obiettivo senza essersene accertato personalmente, lasciando che la propria arroganza lo rendesse superficiale. Inoltre- continuò la donna, compiendo un arco attorno all'uomo fino a frapporsi tra lui e Tanaka -Se tu l'avessi ucciso davvero, non ti avrei lasciato tutti questi minuti di vita. 

Le bastò premere il grilletto una volta sola per centrare l'obiettivo e il corpo di Izumo Nakamura cadde senza vita sul pavimento, mentre il suo sangue si mescolava a quello del proprietario del casinò. 

Fuori dall'ufficio iniziò a crearsi del trambusto. Era ora di andare. 

Fujiko pose la pistola, che aveva maneggiato per tutto il tempo con i guanti, nella mano destra di Tanaka e fuggì dalla finestra, facendola scattare dietro si sé non appena fu fuori. 

Si lanciò nel giardino e svanì nella mattina appena sorta a cavallo della sua moto, mentre nel casinò qualcuno urlava a gran voce che si chiamasse un'ambulanza.

*

Vedere Jigen lucido e sveglio, sebbene avvolto di bende come una mummia, bastò a farle passare la stanchezza di quella notte.

-Non mi è piaciuto il modo in cui quel medico mi esaminava- le disse il pistolero, prendendo una sigaretta dal pacchetto che Fujiko, seduta sul letto accanto a lui, gli offriva -Ti eri messa d'accordo con lui per vendergli i miei organi? 

-Quali?- domandò la ladra, aspirando il fumo della sigaretta accesa e rilasciandolo con eleganza dalle labbra carnose -I polmoni o il fegato? 

Jigen sorrise e nel silenzio che si creò ascoltò la televisione accesa sul telegiornale. 

-Sono stati trovati, nelle prime ore del giorno- stava annunciando il giornalista -Due cadaveri nel casinò Tanaka di Nagoya. Uno di questi è il proprietario del casinò, mentre il secondo non è stato ancora identificato. Dalle prime indiscrezioni, sembrerebbe che il proprietario del casinò abbia sparato alla vittima, per poi rivolgere l'arma contro di sé per via di debiti di grosse somme di denaro, che stavano portando il casinò al fallimento. 

-Tu non ne sai niente, vero?- domandò Jigen, mentre il giornalista rimandava a ulteriori chiarimenti quando la polizia avrebbe potuto svolgere indagini più approfondite. 

Fujiko lanciò un'occhiata distratta al televisore per poi prendere il telecomando e spegnerla: -È perché dovrei?- rispose, spegnendo la sigaretta nel posacenere -Che vantaggio ne avrei tratto? 

Jigen parve riflettere sulle sue parole per qualche istante, per poi accettarle: -Beh, qualunque cosa sia successa- disse il pistolero  -Quel maledetto bastardo se l'è meritata. 

Buttò la sigaretta nel posacenere e si lasciò cadere sul cuscino emettendo un lungo sospiro, interrotto da un ringhio di dolore quando la schiena toccò il materasso. 

Fujiko lo studiò per qualche istante, tornando con la memoria al momento in cui aveva premuto il grilletto contro il sicario e il proprietario del casinò ogni volta che il suo sguardo incontrava un ematoma o una ferita. 

Il suo viso, sebbene gonfio e segnato dalle botte, aveva un aspetto calmo e rilassato e, dopo qualche minuto di silenzio, Fujiko ritenne che si fosse addormentato, così fece per alzarsi, ma il pistolero la trattenne afferrandola per un polso. 

La donna si bloccò, sorpresa dal tocco delicato e gentile che l'uomo le stava riservando, disegnando con il pollice dei piccoli cerchi sulla pelle del suo polso. 

-Grazie, Fujiko. 

Le sue parole furono poco più di un sussurro, ma alle orecchie della donna suonarono quasi come un grido e ne fu spiazzata. 

-Non devi ringraziarmi- rispose -Non saresti molto utile da morto. 

Jigen annuì con il capo e la lasciò andare, ma appena prima che Fujiko potesse uscire dalla camera esclamò: -Quel giovane medico con cui eri ieri sera ha lasciato un biglietto per te sul comò. Magari la mia "visita a sorpresa" non ha rovinato del tutto i tuoi piani. 

Fujiko guardò dove le veniva indicato e trovò un biglietto di spessa carta filigranata con impresso lo stemma della catena di alberghi. 

Watanabe vi aveva scritto sopra con un'elegante calligrafia: "Mi sono occupato del tuo amico come meglio ho potuto. È un uomo straordinariamente coriaceo e si riprenderà. Conoscerti è stata una delle esperienze più piacevoli e intense della mia vita, che porterò sempre con me (che mi piaccia o meno), ma so riconoscere quando vengo sconfitto e spero che quest'uomo misterioso sia in grado di darti ciò di cui hai bisogno. Stammi bene, Sosuke".

-Cattive notizie?- chiese Jigen, che la osservava leggere. 

-Niente da fare con il medico- ammise la ladra - Peccato, perché la sua famiglia è diventata milionaria con la produzione di presidi medici. 

-Ce ne saranno altri- commentò il pistolero, aggiustandosi a fatica sul materasso. 

-Senza dubbio. Ma ora riposati. Puoi stare qui tutto il tempo che ti serve. 

Lasciò la stanza affinché l'uomo potesse riposare, ma prima di chiudere la porta dietro di sé e andare a farsi una doccia, indugiò a guardare la figura del pistolero sul letto ancora per un istante.

 

 

Nota dell’autrice: Ciao a tutt* e grazie per aver letto questo capitolo di Slices of Life! Siamo arrivat* all’ultima parte, di quattro, di questa raccolta nella raccolta e abbiamo visto Fujiko all’opera. Cosa ne pensate? Come sempre, un grosso abbraccio va a Fujikofran che mi omaggia dei suoi commenti a fine capitolo e anche in quello scorso non si è fatta attendere. Grazie di cuore!

Ci vediamo con il prossimo capitolo che si intitolerà Shoulder rubs!

A presto,

Desma

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Capitolo 10
*** Shoulder rubs ***


Warning: questa one shot contiene spoilers importanti sul film La cospirazione dei Fuma (1987)

Andare al kabuki era sempre un'esperienza molto intensa per Goemon, non solo perché per lui non c'era una forma d'arte paragonabile al teatro per esprimere le sfumature delle emozioni dell'animo umano, ma anche perché in quelle rappresentazioni riusciva sempre a trovare qualcosa che lo riportasse ai tempi in cui sua madre gli raccontava le leggende e i miti tradizionali, spesso legati alla storia della loro famiglia. 

Ce n'erano alcune, in particolare, che lo commuovevano al punto da fargli versare qualche lacrima. Certe volte più di qualcuna.

Lo spettacolo a cui era andato ad assistere quella sera raccontava le avventure di Momotaro, il bambino pesca, e mentre gli attori dai volti dipinti e dai costumi sgargianti si muovevano sul palco, il samurai si ritrovò a pensare ai pomeriggi di primavera della sua infanzia più tenera, trascorsi ad ascoltare le favole della madre, mentre lei faceva il bucato o sgravana i piselli. 

Immerso nei suoi pensieri, Goemon non diede inizialmente importanza alla figura che la sua vista periferica aveva percepito e fu quando la donna gli si sedette a fianco e gli sorrise che lui ne registrò davvero la presenza. 

-È bello rivederti di persona, Goemon- gli sussurrò la donna all'orecchio per non disturbare gli altri spettatori. 

Quella voce ebbe il potere di fargli rizzare i peli delle braccia e il samurai le nascose prontamente sotto al kimono. 

-Murasaki?- chiese lui, riconoscendo nella donna al suo fianco i lineamenti della fanciulla che, diversi anni prima, aveva accompagnato all'altare. 

Lei gli sorrise di nuovo e il cuore del samurai accelerò nella realizzazione di avere davanti a sé la sua promessa sposa e che la ragazza appena uscita dal liceo che ricordava era divenuta una donna bella e radiosa. 

Lei si avvicinò di nuovo al suo orecchio: -Dopo lo spettacolo non scappare, vorrei parlarti. 

Lui annuì con il capo e tornò a rivolgere la sua concentrazione sul palcoscenico anche se ormai i suoi pensieri erano proiettati su altro. 

Ripensò al rapimento della ragazza da parte dei ninja del clan dei Fuma, all'interpretazione dei segni sul vaso della famiglia Suminawa e alla battaglia contro i Fuma nel complicato e pericoloso labirinto del tesoro dei Suminawa. 

La sua mente toccò persino il ricordo della loro separazione e della promessa di tornare quando i suoi allenamenti lo avrebbero reso degno di proteggerla, cosa che non era riuscito a fare quando era stata rapita. 

Sembrava che fossero stati eventi di un'altra vita, soprattutto perché, tempo dopo, Goemon era venuto a sapere che la famiglia Suminawa aveva combinato un altro matrimonio per la loro giovane ereditiera e da allora aveva smesso di pensare alla piccola Murasaki.

Non si era sentito particolarmente triste o arrabbiato alla notizia del matrimonio della sua promessa sposa, quanto piuttosto sorpreso e irritato che la famiglia Suminawa avesse preso una simile decisione senza comunicarglielo almeno con una lettera, ma come poteva biasimarli? Lui era introvabile e non poteva certo pretendere che una fanciulla giovane e ricca sprecasse gli anni migliori della sua vita ad aspettarlo. 

Era stato perfino contento per lei, che nei loro discorsi gli aveva confidato il desiderio di crearsi una famiglia e di ritrovarsi poi in vecchiaia circondata dall'amore di figli e nipoti. 

All'epoca persino lui si era lasciato sedurre da quella prospettiva, resa sicuramente più concreta dall'enorme fortuna che la ragazza avrebbe ereditato dalla sua famiglia, ma poi davanti alla comprensione e alla tenerezza che Murasaki gli aveva rivolto dopo che lui, nel delirio dei fumi allucinogeni, l'aveva ferita con la sua spada, il suo cuore aveva compreso di non poterle offrire altrettanto. E aveva dovuto andarsene. O meglio fuggire. 

La facilità con cui aveva smesso di pensare a lei gli aveva poi confermato di aver preso la scelta migliore per entrambi. Ora però che l'aveva al suo fianco il suo cuore non la smetteva di battere forte e la sua mente di mostrargli i momenti passati assieme, come flashback di uno di quegli assurdi film occidentali che ogni tanto Lupin guardava alla televisione. 

Cosa poteva mai volere Murasaki da un uomo che l'aveva abbandonata, negandole il futuro che lei desiderava per sé? 

Goemon provò a immaginare i sentimenti che dovevano celarsi dietro quella facciata sorridente ed educata. 

Immaginò il rancore che Murasaki doveva provare nei suoi confronti e la rabbia di essere stata ingannata da una persona di cui si fidava e per cui aveva provato dei sentimenti. 

Non provava vergogna per quello che aveva fatto ma era consapevole che, nonostante le sue azioni fossero state volte al bene di entrambi, non aveva agito in maniera corretta e rispettosa ed era pronto ad affrontare i giusti rimproveri che gli sarebbero stati rivolti. 

Lo spettacolo continuò e si concluse senza che lui, immerso nelle sue elucubrazioni, quasi se ne accorgesse e furono le luci accese del teatro a fine rappresentazione a riportarlo alla realtà. 

-Andiamo, Goemon?- lo invitò Murasaki e lui la seguì fuori dal teatro senza fiatare. 

Fuori l'aria era fredda e il fiato si condensava in dense nuvole di vapore che si disperdevano nell'oscurità della sera. 

Su di loro un cielo carico di spesse nuvole prometteva una nevicata come non se ne vedevano da anni. 

All'uscita Murasaki lo prese per mano e lo condusse attraverso il flusso di persone che uscivano dal teatro fino a quando non riuscirono a camminare senza urtare nessuno. 

-Hai fame?- gli chiese la ragazza, sul cui volto Goemon cercava sentimenti di odio dietro il sorriso dolce e gli occhi scuri -Io muoio di fame! Vieni, conosco un chiosco che fa degli okonomiyaki spettacolari! 

Il samurai si lasciò condurre nel dedalo di strade senza proferire verbo, cercando di capire in che modo la donna avrebbe affrontato l'argomento e l'attesa del rimprovero cominciò a renderlo impaziente. 

Che Murasaki volesse farsi beffe di lui e tenerlo sulle spine? Non sembrava un comportamento degno della ragazza spontanea che aveva conosciuto, ma il tempo cambia le persone e lui di certo non meritava di essere trattato con i guanti. 

Raggiunsero il chiosco e Murasaki comprò un okonomiyaki a testa, offrendone uno al samurai, che accettò educatamente. 

Lo prese a braccetto e insieme iniziarono a passeggiare per la città, mangiando la focaccia mentre camminavano. 

-Sono davvero contenta di averti ritrovato, Goemon- iniziò lei, masticando il suo okonomiyaki -Non avrei mai pensato di rivederti ancora, di certo non dopo il mio matrimonio. 

-Non ho avuto modo di farti le mie congratulazioni- intervenne il samurai -Felicitazioni. Spero che avrete una lunga vita felice assieme. 

-Ti ringrazio- sorrise la ragazza -Devo ammettere che sto molto bene con lui e, anche se non siamo proprio d'accordo su tutto, è una persona comprensiva e paziente. 

-Sono felice per te.

Camminarono in silenzio per qualche istante, ammirando le luci artificiali di bar e negozi lungo la via. 

Alla fine il samurai decise di prendere il toro per le corna e andare al punto: -Mi dispiace per come mi sono comportato con te. Da quando me ne sono andato non ti ho mai dato notizie e non ti biasimo se sei arrabbiata. 

A quelle parole lei sgranò i grossi occhi scuri e lo osservò con un'espressione stupita: -Arrabbiata?- chiese -Io non sono arrabbiata con te! Certo, non ero felice quando te ne sei andato per allenarti e nemmeno quando sei sparito per mesi e mesi senza farti più vedere né sentire, ma la vita è andata avanti. Come avrei potuto avere un matrimonio felice se fossi stata arrabbiata con te? 

Lui ascoltò in silenzio percependo l'onestà nella voce della ragazza, ma non si sentì comunque appagato da quella spiegazione. 

-Ma tu eri innamorata di me e io ti ho abbandonata, come puoi essere così gentile e serena con me? 

Lei sorrise e Goemon si sentì avvampare: -Non abbiamo mai usato quella parola quando stavamo insieme- disse Murasaki -Deve essere davvero passato molto tempo se riesci a pronunciarla con tanta disinvoltura. È vero, ero giovane e innamorata, ma alla fine le cose trovano sempre un modo per aggiustarsi e anche il mio cuore si è rimesso in sesto. Sapevo che non eri un uomo come gli altri ed era anche questo ad attrarmi, ma con il tempo ho capito di aver bisogno di qualcuno che avrei ritrovato a casa dopo il lavoro ogni giorno e con cui mi sarei risvegliata ogni mattina. E tu questo non avresti potuto garantirmelo. Quando l'ho capito, sono stata pronta ad accogliere mio marito nel mio cuore e ora, tornando indietro, rifarei ogni cosa. 

Il samurai annuì in silenzio e in cuor suo si sentì più sollevato: aveva voluto bene alla ragazza e sapere di non essere odiato da lei, seppure ne avesse avute tutte le ragioni, lo faceva sentire più leggero. 

-Come hai fatto a trovarmi?- chiese il samurai. 

-Al teatro? La ragazza che lavora alla biglietteria è una mia cara amica e ti ha riconosciuto dai miei racconti. Mi ha avvertito lei. Dopo tutto non ci sono più molti samurai in giro, non potevi essere che te. Non hai idea di quanto fossi emozionata al pensiero di rivederti! Sono felice! 

Goemon non riuscì a trattenere un sorriso e per un attimo ebbe l'impressione di tornare indietro nel tempo a quando erano fidanzati e lei si divertiva a dirgli tenerezze per farlo arrossire. Anche se era diventata una donna fatta e finita, Murasaki non era poi tanto diversa dalla ragazza dolce ed esuberante che aveva conosciuto allora. 

-Ah, sono stanca- esclamò Murasaki -Sediamoci per un istante, ti va?

Trovarono una panchina libera qualche metro più in là e si accomodarono. Fu quando si piegarono per sedersi e il largo cappotto di Murasaki si aprì sul davanti che Goemon vide il rigonfiamento sull'addome della donna. 

-Murasaki, tu sei… 

-Incinta- concluse per lui la ragazza, accarezzando il ventre che fino a un attimo prima era stato abilmente nascosto dal cappotto -Hai visto quanto sono grossa? Questo bambino sarà delle dimensioni di un vitello! 

Murasaki rise e questa volta Goemon sentì una risata nuova, che non aveva mai udito uscire dalle labbra della sua ex fidanzata. Era la risata di una persona all'apice della sua felicità. 

-A quando la nascita?- chiese il samurai. 

-Dovrebbe nascere in febbraio, ma il medico dice che è pieno di vita e potrebbe anche decidere di venire al mondo un po' prima. È un maschio! 

-Sapete già come lo chiamerete? 

-Sì!- esclamò Murasaki, ammicandogli con  complicità -Si chiamerà Goemon. 

Il samurai elaborò quelle parole per un istante, cercando di capire se non avesse sentito male o se fosse una sorta di battuta, ma Murasaki continuò: -Ho pensato che sarebbe stato beneaugurante dare al bambino il nome di un uomo forte e coraggioso e anche mio marito è d'accordo. Inoltre trovo molto appropriato che il mio primo amore e quello più grande della mia vita si chiamino allo stesso modo.

Parlò senza guardarlo, accarezzandosi la pancia come immersa nei propri pensieri e Goemon pensò di non averla mai vista così bella. 

-Sono davvero contenta di averti rivisto, Goemon- ripeté Murasaki -Desideravo tanto di poterti parlare di nuovo e mostrarti la mia vita com'è ora. E tu? Sei felice? 

Quella domanda lo lasciò spiazzato: il cammino che aveva intrapreso nella sua vita era volto alla ricerca dell'illuminazione spirituale e non si era mai posto la questione se ciò coincidesse con la felicità. Aveva sempre dato per scontato che, una volta che il suo spirito si fosse elevato al punto di massima consapevolezza e liberato da ogni vincolo terreno, non avrebbe mai più avuto bisogno d'altro. Questo includeva anche, naturalmente, ogni sorta di sentimento umano, compresa la felicità. 

Tuttavia, guardando la gioia che illuminava il volto della donna al suo fianco, si domandò se avesse mai provato qualcosa di paragonabile. 

-Ahia!- si lamentò Murasaki, portandosi le mani alla schiena -Questa pancia mi distrugge la schiena! 

-Girati- le disse il samurai -Ti massaggio le spalle. 

Lei annuì e fece come le era stato detto, così l'uomo iniziò a manipolarle i muscoli attraverso lo spessore dei vestiti. 

Murasaki chiuse gli occhi e lasciò che il samurai lavorasse sulle sue tensioni. 

Qualche minuto più tardi, Murasaki annunciò di doversi congedare e i due si salutarono. La donna abbracciò il samurai, facendosi promettere che sarebbe venuto a trovarla, soprattutto quando il bambino sarebbe nato, e gli diede un biglietto con il suo numero di telefono e l'indirizzo di casa. 

La neve cominciò a fioccare mentre Murasaki si allontanava e Goemon la osservò sparire nella notte, circondata dalla luce e dai fiocchi di neve.

 

Note dell’autrice: Ciao a tutt* e benvenut* al decimo capitolo di Slices of Life! Siamo a metà del percorso!!

Grazie per essere arrivat* fino alla fine del capitolo! Ci vediamo al prossimo che si intitolerà Reading a book together.

A presto,

Desma

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Capitolo 11
*** Reading a book together ***


Rilassarsi in presenza di Lupin era una vera impresa. Quando non attuava un colpo o ne programmava uno, il ladro gentiluomo trovava sempre il modo di tenersi impegnato, meglio ancora se in maniera rumorosa.

Mentre il pistolero cercava di fare un riposino sul divano dopo un’estenuante nottata di lavoro, Lupin era impegnato ad armeggiare con un nuovo congegno che, a detta sua, una volta finito gli avrebbe permesso di controllare le telecamere di sorveglianza di qualunque edificio da remoto senza collegarsi a internet, cosa che avrebbe reso le loro mosse meno rintracciabili.

“Almeno non è con una donna” pensò Jigen, girandosi di lato e coprendosi le orecchie con le mani. Lupin non era esattamente un tipo discreto e quando portava nel loro nascondiglio una delle sue conquiste femminili, gli piaceva metterlo a disagio con effusioni e corteggiamenti in sua presenza, fino a quando il pistolero, esaurita la pazienza, non se ne andava di propria volontà.

Un preoccupante odore di fumo costrinse Jigen a riportare la sua attenzione sull’amico e lo vide armeggiare con la penna saldatrice. Lo tenne d’occhio per qualche istante, pronto a scattare per prendere l’estintore in caso di necessità. Non era la prima volta che il ladro gentiluomo provocava un incendio durante i suoi esperimenti.

-Ti ci vorrà ancora molto?- chiese Jigen con una punta di fastidio nella voce.

Lupin alzò lo sguardo dal tavolo e alzò le lenti oscuranti che usava per proteggersi gli occhi: -Non si mette fretta all’arte!- esclamò con tono solenne -Pensi che Michelangelo avrebbe dipinto la Cappella Sistina con tanta maestria se gli avessero messo fretta?

Il pistolero storse la bocca davanti a una simile spacconata. Cosa doveva fare un uomo per godersi un po’ di meritato riposo in quella casa?

Lupin riprese a lavorare e nuove scintille scaturirono dal tavolo; ormai Jigen, impensierito dal rischio di un incendio, si era svegliato del tutto e si stava annoiando.

Si alzò dal divano e si stiracchiò la schiena e le braccia, poi passeggiò per la stanza, curiosando fuori dalla finestra e aggirando il tavolo per tenere meglio d’occhio l’operato di Lupin.

Compiuto il giro del tavolo, si ritrovò davanti alla libreria e si mise a spulciare tra i titoli dei libri, più per noia che per reale interesse. Sugli scaffali c’erano diversi manuali, soprattutto di meccanica e di elettronica, qualche romanzo straniero e delle guide turistiche di alcune delle località in cui avevano compiuto dei colpi in passato. 

Erano tutti libri moderni e con le copertine colorate, anche se consunte, e per questo il vecchio volume con la rilegatura in cuoio e fibbie di bronzo risaltò così evidente al suo sguardo, come una zebra in una stalla. 

Passò le dita sul dorso, studiando la consistenza del cuoio levigato e inciso con decorazioni floreali a lamina d'oro. Il titolo era scritto con caratteri occidentali e il pistolero lesse Mémoires de la vie du gentleman et voleur Lupin

Incuriosito da quel titolo, Jigen sfilò il volume dalla sua sede con attenzione e iniziò a sfogliarlo, avendo cura di non spezzare o piegare le delicate pagine ingiallite dal tempo. 

Ogni riga era stata scritta a mano con una calligrafia complessa e raffinata, inclinata verso destra e molto fitta. Alcune delle pagine erano state persino illustrare con accurati disegni fatti a mano e inchiostrati e rappresentavano macchinari, gioielli e persino ritratti di favolose fanciulle. Non c'era bisogno di tradurre il titolo per comprendere che quel volume era il diario del nonno di Lupin. 

-Hey- chiamò il pistolero -Sapevi che questo era qui? 

Lupin spense la penna saldatrice e alzò le lenti: -Che cos'è?- chiese e quando Jigen gli mostrò il volume che aveva in mano gli si aprì un largo sorriso in volto -Il diario del nonno!- esclamò emozionato -Che nostalgia! 

Abbandonò per il momento il suo nuovo giocattolo e concentrò tutta la sua attenzione sul vecchio manoscritto: -Me l'aveva dato mio padre in persona dopo la morte del nonno. Mi ha detto "Studia questo, ragazzo, e forse diventerai un quarto dell'uomo che era tuo nonno". All'epoca non poteva immaginare che sarei diventato migliore di loro due messi assieme. 

Continuò a sfogliare il libro con gli occhi che gli brillavano come quelli di un bambino il giorno di Natale, soffermandosi di tanto in tanto sull'immagine di una delle invenzioni del nonno o di una delle sue fiamme. 

-Sono tutte molto belle- ridacchiò -Ma Fujiko è mille volte meglio! 

-Se lo dici tu- commentò aspro il pistolero, sollevato dal fatto che, almeno, Lupin aveva smesso di giocare all’aspirante piromane. 

-Ho studiato tutti i suoi colpi- raccontò il ladro -Da piccolo passavo le notti a leggere questo libro per ore e ore sotto le coperte, facendomi luce con una torcia elettrica. Sognavo il giorno in cui avrei iniziato la mia personale carriera di ladro, accumulando tesori persino più ricchi di quelli rubati da lui e vivendo avventure ancora più memorabili. 

L'istinto di autoconservazione di Jigen si attivò quando le sue narici percepirono di nuovo puzza di bruciato e questa volta era un odore intenso. Si voltò di scatto e vide che sulla scrivania alle sue spalle stava divampando un piccolo incendio provocato dalla penna saldatrice surriscaldata. 

Corse a prendere l'estintore, mentre Lupin correva a spegnere la saldatrice e ad allontanare dal fuoco tutto il materiale infiammabile che avrebbe potuto venire coinvolto nell'incendio. 

Jigen arrivò di corsa brandendo l'estintore e lo attivò in una nuvola di schiuma bianca che soffocò le fiamme e ricoprì interamente la scrivania, da cui aveva iniziato ad alzarsi un fumo nero. 

Tra le imprecazioni, le finestre della stanza vennero aperte per far cambiare l'aria e, recuperato il materiale per la pulizia, i due uomini si diedero da fare per ripristinare l'ordine. 

Mentre Lupin sistemava e puliva la scrivania, Jigen si occupò del pavimento, rimuovendo la schiuma e pulendo le assi del parquet con lo straccio.

Stava strizzando lo straccio nel secchio quando udì Lupin esclamare disperato: -Oh no! Il diario di mio nonno è bruciato!!! 

Il pistolero alzò lo sguardo sull'amico e lo vide tenere il mano il volume, di cui alcune delle preziose pagine erano bruciacchiate. 

-Ma com'è possibile?- chiese Jigen -Ce l'avevi in mano fino a un attimo fa! 

-Devo averlo tenuto troppo vicino alle fiamme prima che potessi spegnerle. Dannazione! 

Sfogliò il libro per verificare quante e quali pagine erano state danneggiate, cercando di valutare i danni e le perdite. 

Maneggiava il volume con agitazione sempre crescente, compiendo gesti nervosi e rapidi, e quando Jigen lo sentì ridere pensò che avesse perso il lume della ragione. 

-Quel vecchio ne sapeva davvero una più del diavolo!- esclamò tra le risate. 

-Stai bene, Lupin?- chiese Jigen preoccupato per la salute mentale dell'amico, ma quello gli rispose con un sorriso sornione e gli consegnò il libro 

-Osserva bene- disse il ladro -Non vedi nulla di strano? 

Jigen prese il volume e lo studiò nei punti che Lupin gli aveva indicato. Non gli ci volle molto per capire a cosa si riferisse l'amico: là dove le fiamme avevano lambito la pagina, l'inchiostro era svanito e al suo posto erano apparse nuove parole e nuovi disegni, prima invisibili. 

-Inchiostro simpatico?- chiese Jigen. 

-Esattamente, probabilmente succo di limone. L'intero volume deve essere pieno di messaggi segreti! Mio nonno era davvero un genio! 

Ciò detto, il ladro corse a cercare una candela e quando la trovò, infilò la mano nella tasca interna della giacca di Jigen, estraendone lo zippo. 

Accese la candela e iniziò a passare le pagine del diario accanto alla fiamma, rivelando le scritte nascoste.

Gli ci volle quasi un'ora buona per quell'operazione, ma alla fine passò in rassegna tutto il manoscritto.

-Fantastico!- lo sentì di tanto in tanto esclamare il pistolero, che nel frattempo se n'era tornato sul divano, nella speranza di poter finalmente schiacciare un pisolino -Incredibile! Buon sangue non mente! 

Nella mezz'ora di lettura che ne seguì, il pistolero non riuscì a chiudere occhio, disturbato dalle continue esclamazioni ammirate di Lupin davanti alla sua scoperta. 

-Jigen! Jigen!- lo chiamò Lupin, scuotendolo per un braccio -Devi assolutamente vedere quello che ho scoperto! 

-Quale colpa sto espiando per avere a che fare con te?- chiese il pistolero in un sospiro, sollevandosi dal divano e facendosi trascinare alla scrivania. 

-Io sono la benedizione dopo una vita di buona condotta- ammiccò il ladro, facendolo sedere alla scrivania, dove aveva predisposto una lampada con lente d'ingrandimento incorporata. 

-Osserva- continuò il ladro puntando il dito sulle pagine -Questi sono tesori su cui mio nonno aveva progettato di mettere le mani ma senza riuscirci per una ragione o per l’altra. Ci sono coordinate, descrizioni, progetti! Materiale che abbiamo sempre avuto tra le mani ma che non potevamo vedere! Nuovi tesori ci aspettano, nuove avventure sui passi di mio nonno! 

Jigen studiò per qualche minuto il volume, poi questo venne chiuso e ripreso da Lupin, che nell'entusiasmo della scoperta aveva iniziato a progettare ad alta voce i loro prossimi viaggi. 

-In primo luogo dovremo andare in Perù, scalando le Ande fino a incontrare i resti di questa città Incas dove è custodito un idolo fatto di oro e zaffiri che mio nonno descrive qui, poi scenderemo alla Terra del Fuoco, dove nel 1922 è affondata una nave da crociera piena zeppa dei gioielli dei ricchi villeggianti, e poi… 

Non fece in tempo a concludere la frase perché Jigen, esasperato dal suo ennesimo picco di energia, lo aveva accompagnato fuori dalla porta, chiudendola alle sue spalle con un tonfo secco.

-E poi raccontamelo dopo che avrò dormito!- concluse il pistolero a voce abbastanza alta da farsi sentire e ignorando le proteste dell’amico provenire da corridoio.

Si lasciò cadere sul divano, distese le gambe e incrociò le braccia dietro la testa, in attesa che Lupin si stancasse di dargli noia attraverso la porta e di poter finalmente dormire in santa pace.

Dopo qualche minuto, il ladro si arrese e andò alla ricerca di Goemon per illustrargli le nuove, favolose avventure che li attendevano.

Nel silenzio che era calato attorno a lui, Jigen si lasciò trasportare dal sonno tra le braccia di Morfeo. 



Note dell'autrice: Ciao a tutt* e benvenut* alla fine del l'undicesimo capitolo di Slices of Life. Questa volta abbiamo visto un momento di iperattività di Lupin, bilanciato dalla preoccupazione di Jigen ed è scoppiato un incendio. Insomma, un normale mercoledì pomeriggio! XD

Vorrei ringraziare Fujikofran per la costanza delle sue recensioni, che sono sempre una bellissima sorpresa, e tutt* coloro che passano a dare anche solo una sbirciata al mio lavoro. 

Ci vediamo con il capitolo 12 che si intitolerà Caring while ill. 

Un abbraccio! 

Desma

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Capitolo 12
*** Caring while ill ***


Il vapore si sollevava dalla superficie umida delle rocce attorno a lui creando densi banchi di nebbia nell’aria fredda dell’inverno.

Ad ogni respiro ne seguiva il flusso attraverso le narici, giù per la gola ed infine nel petto, dove si scaldava e da cui risaliva, uscendo dalla sua bocca e mescolandosi all’aria calda della sorgente termale.

Attorno a lui l’unico rumore che le sue orecchie percepivano era quello dello scrosciare allegro dell’acqua, che zampillava dalla cascata sotto cui si era messo in meditazione.

Goemon era immerso nel liquido caldo e sulfureo fino alla vita e lasciava che fosse la cascata, la cui acqua gli scorreva lungo le spalle e la schiena, a scaldargli la parte superiore del corpo.

“Nota ogni pensiero, senza giudicarlo, e lascialo andare” era stato il primo insegnamento ricevuto sul tema della meditazione e il samurai era fedele a quel precetto ogni volta vi si dedicava. 

Per aiutarsi ad entrare nello stato meditativo, solitamente, prestava attenzione alle sensazioni fisiche: al contatto del suo sedere sul pavimento, alla leggera pressione delle mani posate sulle ginocchia, alla ruvidezza del kimono sulla sua pelle.

Con gli anni e la pratica aveva scoperto che la sensazione dello scorrere dell’acqua sulla sua pelle nuda era quanto di meglio potesse esserci per allontanare qualunque pensiero indesiderato e aiutarlo a concentrarsi a fondo nella meditazione.

Le sue migliori sessioni, in particolare, erano state condotte proprio sotto quella cascatella. Certo, quando doveva allenarsi per rafforzare il suo fisico e prepararsi a uno scontro, l’acqua gelida e appesantita dalla caduta di una cascata di grosse dimensioni in mezzo ai monti era più indicata, ma quel giorno il samurai non cercava altro che la pace interiore e il rilassamento.

E cosa avrebbe potuto essere più rilassante di un viaggetto alle terme?

Era stato Lupin a suggerire un giorno di pausa dopo un lungo periodo di intenso lavoro e sia Goemon che Jigen avevano accolto la proposta con entusiasmo, ma con la differenza che il pistolero, da buon intenditore di alcolici, aveva preferito trascorrere il suo giorno libero in visita a una rinomata cantina del posto, lasciando agli altri due i bagni alle terme.

Lupin, dal canto suo, si era immediatamente messo alla ricerca di una massaggiatrice carina a cui affidare la tensione dei suoi muscoli e Goemon, trovatosi da solo, aveva deciso di fare pratica sotto il getto d’acqua calda.

Quel viaggio era capitato proprio nel momento migliore: diversi pensieri intrusivi invadevano la sua mente e il samurai era ansioso di liberarsene nella maniera più efficace che conosceva.

Ripensò alla propria tecnica con la spada e, sebbene fosse consapevole di non padroneggiarla perfettamente, non riusciva a non provare un bruciante senso di orgoglio per le sue capacità. Non era perfetto, ma era certo di essere il migliore e di possedere la spada più potente ed affilata sul globo.

Analizzò quel pensiero, riconoscendone la pericolosità: il guerriero arrogante che si fosse creduto superiore a tutti gli altri, avrebbe inevitabilmente incontrato la propria fine, sottovalutando il nemico e smettendo di cercare la perfezione.

Immaginò di trovarsi di fronte a un torrente e di affidare quel pensiero a una barchetta di carta. Osservò con la mente la barchetta scivolare sulla superficie dell’acqua e di svanire all’orizzonte.

A quel punto la sua mente gli mostrò la sua immagine riflessa in uno specchio ed egli la studiò. Vide i lunghi capelli lisci e corvini che incorniciavano il viso proporzionato e dai lineamenti eleganti, il naso dritto, gli zigomi alti, gli occhi a mandorla scuri e intensi, il mento virile. Scese con lo sguardo lungo il collo sottile, ma muscoloso, le spalle larghe ed atletiche, il petto solido e gonfio dei pettorali allenati da anni di fatica e disciplina.

L’addome, lungo cui scendevano braccia forti e affusolate, era piatto e delineato dalla forma della muscolatura addominale, che si alzava ed abbassava alla cadenza di ogni suo respiro.

Le gambe lunghe, toniche e robuste gli conferivano un’altezza che era rara tra i suoi connazionali e un’eleganza nel portamento che Lupin e Jigen non sarebbero mai stati in grado di padroneggiare.

In quell’immagine il samurai vide la sua vanità e l’analizzò: il guerriero che si concentrava su concetti effimeri come la gioventù e la bellezza perdeva di vista il proprio obiettivo, anteponendo il perseguimento di aspetti della sua persona che sono soggettivi e destinati a perire con il passare del tempo. Dedicare tempo ed energie ad aspetti così inconsistenti della propria vita significava sottrarli al cammino della perfezione.

Affidò quel pensiero ad un’altra barchetta e la osservò allontanarsi nella corrente.

Labbra carnose si aprirono in un sorriso sensuale davanti agli occhi della sua immaginazione e il samurai strinse istintivamente le mani a pugno.

Una vaporosa chioma castana scendeva lungo la voluttuosa linea di una schiena nuda, in fondo al quale si allargavano natiche tonde, sode e generose.

Gambe sottili ed eleganti si incrociarono davanti a lui, nascondendo quasi con pudore il centro di quel corpo meraviglioso. Un volto dolce e predatorio lo guardò con tenera bramosia, mostrandogli i seni morbidi e dalla forma perfetta. 

-Goemon- lo chiamò una voce attraverso le labbra rosse e di denti bianchi. Lo invocò una seconda volta nel gemito di un desiderio che brama la soddisfazione.

Il samurai riusciva quasi a sentire sotto i polpastrelli delle sue dita la consistenza e il calore di quelle carni bianche. Riusciva a immaginare quale sensazione avrebbe potuto provare passando la lingua lungo la linea della colonna vertebrale, affondando i denti nelle natiche rotonde ed esplorando la forma dei seni con i palmi e le dita.

Non fu facile uscire dal vortice di quel pensiero e studiarlo con distanziata obiettività, ma alla fine Goemon vi riuscì: la lussuria era un sentimento che non si addiceva alla condotta di un guerriero. Oltre ad essere una distrazione che con il tempo diveniva un desiderio inappagabile (e Lupin ne era la prova vivente), rischiava di creare coinvolgimenti che sarebbero stati incompatibili con lo stile di vita del guerriero, che si sarebbe ritrovato, presto o tardi, a compiere una scelta.

Il samurai prese atto di quella verità e depose la barca del suo pensiero alla corrente del fiume, lasciando che la trasportasse lontano. 

Mentre la guardava allontanarsi, Goemon sapeva che avrebbe dovuto tornare ad confrontarsi con quel pensiero. Non era la prima volta che la lussuria gli sussurrava all’orecchio le sue tentazioni sensuali e quella non sarebbe stata di certo l’ultima.

-Etciù!

Uno starnuto lo destò dal suo stato meditativo e un brivido gli percorse la schiena, nonostante il tepore dell’acqua termale.

Il samurai aprì gli occhi e vide che sulle braccia e sul petto esposti all’aria i peli si erano rizzati e gli era venuta la pelle d’oca.

Decise che era venuto il momento di porre fine a quella sessione e tornare al chiuso: pur essendo abituato a temperature assai meno ospitali, il samurai percepiva un gran freddo e il suo corpo era divenuto preda di brividi incontrollati.

Riemerse dall’acqua, affondando le mani e i piedi nella neve fresca che si era depositata sulle rocce, e si avvolse la vita con l’asciugamano, cercando di calmare gli spasmi da freddo.

Il percorso fino alla sua stanza venne a malapena registrato dalla sua memoria e in un tempo che non riusciva a definire si ritrovò nel proprio letto, avvolto dalle coperte e in preda ai brividi.

-Dannazione!- imprecò il samurai tra uno starnuto e l’altro. Com’era possibile che un semplice sbalzo termico potesse provocare a lui una reazione così forte e fastidiosa?

Lui che era stato addestrato a resistere sotto al sole torrido del deserto e ai venti gelati dei ghiacciai!

Per un attimo pensò che si trattasse della punizione divina per aver indugiato su pensieri sconci, ma decise di non soffermarsi su quel pensiero.

Chiuse gli occhi e provò a rilassarsi, ma proprio in quel momento sentì bussare alla porta e chiamare il suo nome.

Lo ignorò e aspettò che, chiunque fosse dall’altra parte della porta, si stancasse e rinunciasse. 

Tuttavia ciò non accadde e i rintocchi delle bussate erano così forti alle sue orecchie da fargli rimbombare il cervello.

-Avanti- rispose alla fine e, con suo enorme sollievo, i rimbombi cessarono.

-Goemon?- sentì chiamare Lupin -Ci sei? Non andiamo a cena?

Il samurai non aveva la forza di rispondere, ma riuscì a percepire nettamente la presenza del ladro nella stanza e gli si stava avvicinando.

-Stai bene?- gli domandò e, non ottenendo risposta, gli pose una mano sulla fronte, ritraendola in un lampo -Diamine se scotti, Goemon! Cosa cavolo hai combinato per ridurti in questo stato?

Di nuovo il samurai non rispose e Lupin sospirò: -Va bene, ho capito. Ci penso io a te, non ti preoccupare. Sei abbastanza al caldo o vuoi un’altra coperta?

Non ottenendo di nuovo una risposta coerente, Lupin prese dall’armadio un’altra coperta e la mise accanto al samurai, così che potesse prenderla se ne avesse avuto bisogno, poi uscì dalla stanza promettendo che avrebbe fatto presto ritorno.

Goemon non seppe quanto tempo passò, anche perché ad un certo punto si appisolò, ma quando Lupin arrivò lo sentì armeggiare con un sacchetto di plastica e delle confezioni che aveva iniziato a disporre sul comodino.

-Babbo Natale ti ha portato quello che hai chiesto, mio caro bambino- scherzò il ladro, aprendo una confezione di antipiretico e offrendogli un paio di compresse assieme a un bel bicchiere d’acqua.

-Tieni- gli disse, mettendogli in mano la medicina -Questo ti calmerà la febbre. Poi ti ho preso dei sandwich che devi sforzarti di mangiare, che non ti fa bene assumere delle medicine a stomaco vuoto.

Goemon obbedì senza protestare. Mandò giù le compresse con l’acqua e mangiò uno dei panini che gli veniva offerto. 

Dopo qualche minuto iniziò già a sentirsi meglio e Lupin ne fu compiaciuto. Prese una sedia e si accomodò accanto al letto, prendendo dalla borsa un thermos pieno di thé caldo e offrendone una tazza al suo paziente, che accettò di buon grado.

Sotto le cure dell’amico, il samurai iniziò a recuperare le forze e riprese la capacità della parola: -Grazie Lupin.

-Figurati- sorrise il ladro -Non potrei mai lasciare il mio samurai preferito in preda alla febbre. Si può sapere però come diamine hai fatto ad ammalarti? Di solito non hai problemi con il freddo.

Quella domanda riportò la mente di Goemon ai pensieri intrusivi di cui stava cercando di liberarsi e sentì le guance accaldarsi. E non per la febbre.

-C’entra una donna, non è vero?- sorrise sornione Lupin di fronte a quella reazione -Ah, come ti conosco, mio caro!- aggiunse poi, leggendo nel suo silenzio una risposta affermativa -Che problema c’è a cedere, una volta tanto, alle lusinghe della carne? Si è giovani e vivi solo una volta, caro il mio samurai.

Goemon si sentiva ancora la faccia scottare, ma la sua mente, addestrata ad avere una posizione molto ferma sull’argomento, era lucida: -Non mi aspetto che tu capisca- sospirò -Proveniamo da contesti molto diversi e non ti giudico per quello che fai, ma non puoi aspettarti che faccia altrettanto.

Lupin lo osservò per qualche istante, soppesando le sue parole e valutando il suo tono di voce: -Fa’ pure come ritieni più giusto, amico mio. Nel frattempo vedi di riprenderti, che ho in mente grandi progetti per il futuro!

Goemon annuì e si sdraiò, chiedendo di essere lasciato solo a riposare. Lupin lo accontentò, ricordandogli di prendere un altro paio di compresse tra quattro ore, e lo salutò augurandogli un buon riposo.

Mentre scivolava nell’oblio del sonno, il samurai rivide quella bocca maliziosa sorridergli beffarda e desiderosa e sperò di sognarla.

 

 

Note dell’autrice: Ciao a tutt* e benvenut* al dodicesimo capitolo della serie Slices of Life, che questa volta ha visto interagire Lupin e Goemon, che in undici capitoli non avevano ancora avuto un momento tutto per loro.

Grazie per aver letto il capitolo e se vorrete farmi sapere cosa ne pensate, sarò ben lieta di rispondervi.

Ci vediamo al prossimo capitolo, che si intitolerà Taking a bath together. Stay tuned!

A presto,

Desma

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Capitolo 13
*** Taking a bath together ***


Warning: questa one shot contiene riferimenti alla serie La donna chiamata Fujiko Mine

Lo stridio dei gabbiani faceva da sottofondo a una bellissima giornata di sole, la cui luce veniva filtrata dalle lenti scure dei suoi occhiali da sole.

Prese dal tavolino il bicchiere con il suo drink analcolico (non poteva certo bere in servizio) e ne fece tintinnare i cubetti di ghiaccio al suo interno prima di prenderne un sorso dalla cannuccia colorata.

Abbassò la montatura degli occhiali per lanciare una lunga occhiata sulla piscina davanti a lui, dove bambini in costume da bagno scorrazzavano e schizzavano acqua da tutte le parti, signore in minuscoli costumi da bagno prendevano il sole e leggevano riviste di gossip e uomini in boxer giocavano a racchettoni o chiacchieravano animatamente.

Dal canto suo, Oscar non aveva occhi che per lui, il suo ispettore, che seduto a un tavolino del bar sotto un ombrellone a righe, beveva una tazza di caffè bollente con 40° ti temperatura atmosferica e leggeva il giornale.

Oscar sapeva molto bene che in realtà la sua attenzione era concentrata sui movimenti all’interno della suite reale del resort, da cui si poteva vedere l’interno dalla sua posizione.

Avevano seguito i movimenti di Jotaro Maeda ininterrottamente per mesi e si stavano preparando a raccogliere le ultime prove per mandarlo in galera per associazione mafiosa, omicidio plurimo di primo grado, corruzione e concussione di cariche istituzionali, furto aggravato, ricettazione, spaccio di droga… Insomma, un curriculum vitae criminale di tutto rispetto e quella era stata una loro missione. 

A ripensarci, Oscar si rattristava un po' al pensiero che quel caso sarebbe stato chiuso a breve e che lui e il suo ispettore non avrebbero passato più giorni e notti insieme ininterrottamente a lavorarci. 

Osservava a distanza la figura forte e solida del suo superiore, avvolta in bermuda e camicia a fiori su suo suggerimento: avrebbe attirato troppe attenzioni su di sé se si fosse fatto vedere con la sua solita tenuta in un villaggio turistico. 

Vederlo uscire dalla stanza con gli abiti che aveva scelto per lui aveva scosso il corpo del tenente con ondate di emozione: l'azzurro della camicia esaltava meravigliosamente la pelle dell'ispettore abbronzata dal sole estivo e i bermuda mostravano centimetri e centimetri delle sue gambe lunghe e solide che altrimenti gli sarebbero state completamente nascoste. 

Oscar aveva dovuto tornare in sé alla svelta, dato che l'ispettore era una macchina da guerra e non poteva certo permettersi di perdere tempo in frivolezze come l'abbigliamento. 

A distanza, nella postazione dove la cimice che avevano piazzato nella suite di Maeda dava una migliore ricezione, Oscar ascoltava con attenzione quello che accadeva nella stanza e si concedeva il lusso di ammirare l'ispettore Zenigata in tutto il suo splendore.

Di tanto in tanto, quando una donna si avvicinava eccessivamente, per i suoi gusti, all’ispettore, il giovane tenente sentiva una scossa di ira attraversargli le braccia e le mani, fino a serrarle involontariamente in pugni così stretti da far impallidire le nocche delle dita.

Quando accadeva e Oscar se ne rendeva conto, si imponeva di rilassarsi e di concentrarsi sul lavoro: non poteva permettere che la sua gelosia mettesse a repentaglio il lavoro di mesi!

Dal canto suo Zenigata, concentrato come era sulla sua mansione, sembrava essere del tutto cieco alle occhiate maliziose e infuocate delle bagnanti intorno a lui e del suo stacanovismo Oscar era grato.

Lui, in quanto suo sottoposto, era nella privilegiata posizione di potergli stare a fianco durante il lavoro, che per Zenigata rappresentava praticamente tutta la sua giornata, e Oscar non avrebbe fatto nient’altro che lavorare fianco a fianco del suo ispettore nelle ore più buie della notte come in quelle più luminose del giorno.

Il tenente ammirava profondamente la determinazione e la passione che Zenigata riversava nel cercare prove, analizzare fatti, scoprire e scoperchiare torbidi misteri, inseguire e arrestare i criminali. Per lui Zenigata, suo maestro e protettore, era un modello irraggiungibile di vita, nonché, aveva scoperto con il passare degli anni, destinatario ignaro dei suoi sentimenti più dolci e al tempo stesso più furiosi.

C’erano notti in cui non riusciva a prendere sonno al solo pensiero di un suo commento sul suo modo di stilare rapporti o su un indizio ben analizzato. Nella sua testa le parole dell’ispettore, spesso poche e prive di enfasi, rimbombavano per ore ed ore fino a mutare e diventare ambigue dichiarazioni d’amore, messaggi in codice, timidezze inespresse.

Alla mattina, quando il sole sorgeva e si faceva il tempo di tornare al lavoro, la magia di quell’eco svaniva alla luce dell’alba come neve ai primi raggi della primavera e Oscar si rimproverava per la facilità con cui era caduto, di nuovo, nell’illusione di un sentimento ricambiato.

La verità agli occhi di Oscar era evidente e dolorosa: per quanto sapesse di essergli caro, come un pupillo o addirittura un figlio, l’ispettore non provava e non sarebbe mai stato in grado di provare sentimenti romantici nei suoi confronti. L’amore impetuoso e devoto del tenente sarebbe rimasto una nave in balia delle onde nella stolida attesa della luce di un faro che non si sarebbe mai accesa. 

Quella consapevolezza lo feriva come filo spinato e ad ogni battito le spine arrugginite scavano la carne del suo cuore.

Allo stesso tempo, però, per lui era un sollievo sapere che quel suo amore impetuoso e celato non avrebbe mai conosciuto alla luce del sole: con il tempo era riuscito a crearsi una propria dimensione interiore in cui riusciva a conciliare i suoi sentimenti con il lavoro senza che gli uni intaccassero l’altro. Sapeva che se avesse avuto anche solo il sospetto di essere ricambiato, quel fragile equilibrio sarebbe stato spezzato e avrebbe potuto dire addio alla sua carriera in polizia.

E lui aveva bisogno del suo lavoro, non solo perché era quello che sapeva fare meglio e ne traeva orgoglio, ma anche perché si trattava del solo mezzo per poter essere visibile agli occhi di Zenigata, per cui tutto ciò che stava al mondo veniva filtrato tra le maglie di ciò che era nelle competenze di un ispettore di polizia.

Tutto il resto scivolava via come aria in una rete e svaniva inosservato.

Oscar non avrebbe potuto sopravvivere all’idea di diventare invisibile agli occhi di Zenigata e, di conseguenza, doveva rimanere concentrato sul suo lavoro, farlo bene e stare al passo. Così come lui gli aveva insegnato.

Sentendosi osservato con insistenza, l’ispettore rivolse lo sguardo verso di lui e Oscar per un attimo si sentì colto in flagrante, ma Zenigata non parve attribuire al suo sguardo significati sentimentali, quanto piuttosto di tipo lavorativo e portò l’indice all’orecchio, come a voler chiedere se avesse sentito qualcosa di particolare, ma Osca scosse leggermente il capo in segno negativo e Zenigata tornò ad osservare l’interno della suite, fingendo di leggere il giornale.

Il tenente emise un lungo sospiro e tornò a sua volta a occuparsi della sua mansione. 

La giornata passò lenta e quando finalmente Zenigata si alzò dalla sua postazione, decretando la fine della giornata, Oscar fu felice di togliersi gli auricolari dalle orecchie e tornare a sentire il mondo esterno.

Secondo i loro accordi avrebbero confrontato i dati ottenuti durante la giornata a tarda notte, quando il personale del resort sarebbe stato dimezzato e i villeggianti sarebbero stati impegnati o a dormire o a fare festa nei locali del paese, pertanto avrebbe avuto tutto il tempo di riposarsi e farsi una nuotata in solitaria nella piscina.

Quando riemerse dalla sua stanza il buio era calato sul resort e la piscina era chiusa al pubblico, ma un ragazzo agile come lui non ebbe problemi a scavalcare la recinzione.

Infilò dapprima i piedi nell’acqua fredda e attese di adattarsi alla temperatura, poi si gettò e si immerse con tutta la testa.

In poche bracciate la sua mente era già più leggera e il suo corpo più rilassato. L’acqua era sempre stato il suo elemento, amava sentirsi immerso in quel liquido fresco e rinvigorente, mentre i suoi muscoli si gonfiavano e si flettevano nello sforzo.

Arrivò in fondo alla vasca, disegnò una capriola nell’acqua e riprese a nuotare. Mentre i suoi polmoni si svuotavano dell’aria, la sua testa si svuotava dai pensieri.

L’acqua scura scorreva sul suo volto e con essa l’immagine di Zenigata in bermuda, le bollicine che si formavano dalla sua bocca gli accarezzavano il collo e le spalle e la voce dell’ispettore smise di sussurrargli all’orecchio, le gambe si agitavano con ritmo perfetto e l’odore di caffè e sigaretta che Zenigata aveva addosso ogni mattina svanì dalle sue narici.

Un'altra capriola a fine vasca e un nuovo giro, mentre il suo corpo prendeva il ritmo. Fece diverse vasche, senza contarle, fino a che non raggiunse uno stato di quiete interiore e di stanchezza fisica. Si abbandonò alle acque a braccia e gambe aperte per osservare il cielo stellato, cercando di identificare qualche costellazione, ma inutilmente. Le luci del resort e dei locali nei paesi vicini era troppo forte per permettergli di vedere alcunché. 

Decise allora di farsi immergere di nuovo dall'oscurità, visto che le luci che avrebbe voluto vedere gli erano nascoste. Prese un lungo respiro e si lasciò sprofondare nella piscina. Tenne gli occhi aperti, ignorando il bruciore provocato dal cloro, per ammirare i giochi di luci e ombre che i flutti creavano sopra di lui. 

All'improvviso una grossa ombra scura comparve nel suo campo visivo e la quiete dell'acqua venne spezzata da un grosso tonfo. 

Oscar vide l'ombra avvicinarsi a lui, facendosi sempre più grossa e… familiare, poi si sentì afferrare per un braccio e sorreggere per il busto e le gambe. 

La stranezza di quella situazione lo trattenne dal reagire. Sembrava di vivere un'esperienza onirica e Oscar, capace di difendersi in qualunque momento, era curioso di scoprire cosa sarebbe successo. 

Venne sollevato fuori dal pelo dell'acqua, stretto nell'abbraccio (o nella morsa) di quell'ombra scura e la sentì parlare: - Oscar, stai bene? 

Il tenente sentì il proprio cuore fermarsi e per un attimo pensò di morire, credendo che non avrebbe più ripreso a battere, ma poi i suoi polmoni si riempirono d’aria e il battito continuò a farsi sentire nel suo petto. 

-Ispettore?- chiamò Oscar, quasi sottovoce per paura di spezzare quell'incantesimo insperato. Sentiva le mani del suo amato Zenigata sul suo corpo e la pelle, pur nella fredda aria della sera e nell’umidità della piscina, bruciava al suo tocco. Lo teneva come un marito sorregge la sposa sulla soglia di casa e Oscar era ebbro di quella sensazione. Sentiva la muscolatura del suo torace affiorare dal tessuto bagnato della sua camicia (si era gettato in acqua con tutti i vestiti addosso per andare da lui!) e avvicinando l’orecchio al suo petto percepiva i battiti forsennati del suo cuore da toro.

Il tenente, in una frazione di secondo, fece appello a tutta la sua lucidità per immagazzinare nella memoria quelle prodigiose sensazioni e custodirle per sempre nella loro rarità.

-Per la miseria, ragazzo!- esclamò Zenigata -Mi hai fatto prendere un colpo! Riesci a muoverti?

Oscar dovette annuire con il capo e la separazione dal corpo e dalle mani del suo ispettore fu un dolore che dovette incassare a denti stretti.

Camminarono nell’acqua fino alla scaletta ed uscirono dalla vasca, gocciolando e formando ampie pozze sulle piastrelle del bordo.

-Cosa ti è saltato in mente?- gli domandò rabbioso l’ispettore quando furono fuori. L’acqua gli incollava i vestiti addosso, disegnando le forme del suo corpo attraverso la fantasia a fiori della camicia, e ciò che permise ad Oscar di rimanere presente e concentrato era il tono furibondo della sua voce.

-Ti ho visto nuotare, per poi fermarti di botto e finire a fondo come un sasso!- continuò Zenigata -Pensavo ti fosse venuto un crampo o una congestione! Come ti viene in mente di metterti a nuotare a quest’ora?

Sentendo quella ramanzina, Oscar desiderò di sprofondare nella terra e svanire per non udire più le parole di rimprovero che il suo amato ispettore gli stava rivolgendo.

L’incanto di un attimo prima era andato in frantumi, sostituito dalla vergogna e dall’imbarazzo. Gli era stato concesso per un istante di sfiorare il cielo, ma ora doveva pagare ed espiare quel lusso.

-Sono mortificato, signore- riuscì a dire il ragazzo, incapace di sostenere lo sguardo infuocato del suo superiore -Avevo pensato di ingannare l’attesa del suo arrivo con una nuotata, non era mia intenzione farla preoccupare.

-Ci puoi scommettere che mi sono preoccupato!- ribatté Zenigata, un po’ più calmo di fronte alla contrizione del suo giovane tenente -Sei il mio uomo migliore e non posso permettermi di perderti.

Quelle parole attraversarono il cervello di Oscar come una freccia che fende l’aria e lo lasciarono spiazzato ad osservare l’ispettore mentre si strizzava la camicia e borbottava tra sé e sé.

Solo in quel momento realizzò davvero quanto era accaduto: l’ispettore, il suo ispettore, lo aveva creduto in difficoltà e si era gettato in acqua per salvarlo senza pensarci due volte.

Oscar conosceva molto bene lo spirito di sacrificio e l’incauto altruismo che Zenigata era capace di dimostrare nelle situazioni di emergenza, caratteristiche che ai suoi occhi lo elevavano al grado di un eroe quasi leggendario, ma mai e poi mai avrebbe potuto immaginare che un giorno le avrebbe rivolte alla sua persona.

Zenigata lo considerava “il migliore” e nelle sue orecchie quella parola rimbombava con la stessa forza di una campana suonata la notte di capodanno.

Stava di nuovo toccando il cielo e si domandò come avrebbe pagato quella nuova ondata di felicità, ma prima lui e il suo ispettore avevano un compito da svolgere e Oscar, offrendo a Zenigata l’asciugamano che si era portato, gli propose di discutere i dati della giornata davanti a una tazza di thè caldo.

Era tornato al fianco del suo eroe e, per il momento, null’altro aveva importanza.

 

Note dell’autrice: Ciao a tutt* e bentrovat* alla fine del capitolo n° 13 della raccolta Slices of Life!

Vorrei innanzitutto scusarmi per le lunghe tempistiche di pubblicazione, ma tra lavoro, feste e un trasloco in corso, in questo periodo la mia vita è particolarmente frenetica!

Ringrazio di cuore Fujikofran per le sue recensioni e fravi per seguire la mia storia e averla addirittura aggiunta alle sue preferite! Grazie di cuore!

Spero di riuscire a pubblicare presto, nel frattempo vi mando un abbraccio,

Desma

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