E fu la notte

di syssy5
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1: Il risveglio ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2: Il lupo ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3: Ricordi ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4: Gli Hoteli ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5: Osmi ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1: Il risveglio ***


E fu la notte

Capitolo 1: Il risveglio

Un rumore di passi lontani, ramoscelli spezzati sotto scarponi pesanti la destarono dal suo sonno. Lentamente aprì gli occhi; dapprima non capì dove si trovasse, l'oscurità la avvolgeva e le impediva di vedere qualsiasi cosa, poi distinse foglie morte e sprazzi di erba avvizzita su di una nera terra. Puntò le mani e con uno sforzo incredibile si tirò su. Era molto debole, tanto che dovette riposarsi qualche minuto seduta sui talloni prima di riuscire a mettersi in piedi. Barcollò, ma riuscì ad appoggiare un braccio a un albero prima di cadere, mentre tuffava le dita tra i capelli.
— Chi sono? — si chiese. Sbatté più volte le palpebre cercando di scacciare la foschia che le annebbiava i ricordi, ma fu inutile.
Un suono attirò la sua attenzione, gli stessi passi che l'avevano svegliata. Istintivamente si mosse nella direzione opposta da quella del rumore e prese ad allontanarsi, dapprima con prudenza, poi iniziò a correre. Una rinnovata energia la spingeva avanti, ma era soprattutto la paura a farla da padrone: se si fosse fermata le sarebbe accaduto qualcosa di terribile, ne era certa.
Corse finché la sua traiettoria fu interrotta da una strada. Vi sbucò all'improvviso e si fermò nel mezzo, guardando prima da una parte e poi dall'altra nella speranza – o forse temendo – di veder arrivare qualcuno. Quando il respiro le si fu calmato, decise di seguire quella via per tornare alla civiltà.

Aveva costeggiato quel serpente d'asfalto per diversi chilometri, prima che le luci lontane di una città le si parassero davanti. Doveva essere già notte fonda a giudicare dal cielo nero come la pece, una condizione che avrebbe spaventato chiunque, ma non lei; al contrario, sentiva di essere più al sicuro così che in pieno giorno. Per questo non ebbe timore ad avventurarsi per le strade vuote di una metropoli dormiente.
Sotto le luci dei lampioni vide anche com'era vestita: uno straccio lacero che una volta doveva essere stato di un bel colore candido, ma che ora era macchiato in più punti, mentre lembi di tessuto pendevano da diverse parti. Strappò con violenza tutto ciò che poté, per darsi un aspetto un po' più dignitoso, successivamente partì alla ricerca di una fontana dove potersi lavare via la terra di dosso.
Trovò un piccolo rubinetto da cui usciva acqua gelida a un paio di isolati di distanza; dopo un attimo di esitazione si fece coraggio e tuffò il viso sotto il getto, gemendo quando sentì il freddo scorrerle sotto la pelle in lunghi brividi che non accennavano a sparire. Si ravviò i corti capelli con le mani appena lavate per portare via quanta più terra poteva, poi passò a braccia e gambe, sfregando bene la pelle per riscaldarsi.
Nel silenzio notturno sarebbe stato impossibile non udire un qualsiasi suono, soprattutto per lei che aveva un udito più sviluppato di qualsiasi altro essere umano, ma l'uomo che le era giunto alle spalle aveva il passo più impercettibile che si sarebbe potuto trovare. Un terrore sordo si impossessò di lei quando percepì di non essere sola; non riusciva ancora a spiegarsi perché, ma non doveva farsi trovare da nessuno.
— Enari, sei proprio tu?
La ragazza si voltò con prudenza, voleva capire se quella persona rappresentasse un pericolo per lei o se poteva aiutarla. Quando le fu di fronte in tutta la sua altezza – anche se era minuta di corporatura – lo vide cadere in ginocchio meravigliato: era come sopraffatto da un peso troppo grande per lui, bocca e occhi spalancati e leggermente lucidi.
— Enari... — ripeté; sembrava che non avesse la forza di rialzarsi. Se ne stava lì, quasi fosse prostrato ai piedi della sua dea. — Credevo di averti persa. — aggiunse infine quando riuscì a capire nuovamente come si articolano le frasi.
— Chi sei? — chiese lei.
— Sono Kerkurot... — rispose attonito — Enari, non ti ricordi di me?
— Enari è il mio nome? — chiese ancora lei, ma non fece in tempo ad ascoltare la risposta, pronunciare il proprio appellativo aveva avuto un effetto soporifero su di lei. Cadde addormentata tra le braccia dell'uomo che, prontamente, era scattato in avanti per evitare che rovinasse a terra.
E fu la notte.



Sono un paio di giorni che volevo pubblicare, lo faccio di volata di notte perchè devo lasciare questo link in un po' di posti. Ho progettato questa storia volutamente a capitoli corti in cui la protagonista ricorda tutto a poco a poco (o per lo meno questo è quello che volevo far intendere dall'inizio, a voi giudicare se io ci sia riuscita o meno). Ho alcune note da esplicarvi, ma preferisco farlo all'ultimo capitolo o vi rovinerei la lettura, vi anticipo solo che tutte le parole di mia invenzione sono scritte con la lettera maiusola e una l'ho creata apposta palindroma; per quanto riguarda la pronuncia, Enàri si pronuncia con l'accento sulla A e Kèrkurot con l'accento sulla E.
Terza classificata al contest ‘I titoli di Faber’ indetto da Marge86 e quarta classificata al contest ‘Het, slash, femslash…mi va bene tutto purché sia costruttivo’ indetto da Sere-channy, questa storia partecipa anche al contest ‘The darkest night - Fantasy Contest’ indetto da La sposa di Ade e al contest ‘Contest degli Ossimori [Multifandom&Originali]’ indetto da HigurashiShinko (presto inserirò i giudizi dei contest già valutati, come ho già detto sto pubblicando di volata).
I font utilizzati sono Highway to Heck (alternativo: Monotype Corsiva) per il titolo e Windsor Lt BT (alternativo: Cambria) per il testo.
Ho qualche altra storia da pubblicare e qualche altra quasi completa, ma non so ancora quando riuscirò a pubblicarle. Per il momento vi saluto, invitandovi come sempre a recensire. ^_^
syssy5

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Capitolo 2
*** Capitolo 2: Il lupo ***


E fu la notte

Capitolo 2: Il lupo

Dapprima non riuscì a capire cosa fosse successo, percepì solo calde coperte che l'avvolgevano e un dolce profumo di bucato fatto da poco, poi giunsero le voci. Non si azzardò ad aprire gli occhi, voleva fingersi ancora addormentata per poter ascoltare dato che, ne era certa, quelle voci stavano parlando di lei.
— Se ha perso l'Osmi per lei potrebbe non esserci più molto da fare... — Stava dicendo una voce di vecchia — ma forse è solo perduto da qualche parte dentro di lei. Finché non ricorderà chi è, l'Osmi non si ripresenterà.
— Cosa possiamo fare? — Questa era invece quella dell'uomo che aveva incontrato, Kerkurot le pareva si chiamasse — Finché perdurano le sette notti di Tokinelma sarà al sicuro, ma dopo?
Enari socchiuse gli occhi; voleva sbirciare ciò che stava accadendo, anche se i due stava parlando nella stanza accanto. Vide un vecchio mobilio color noce che non riconobbe, una cassettiera dove erano appoggiati diversi tomi e un grosso armadio che doveva essere stipato fino allo stremo a giudicare dalle ante non chiuse. Credeva che a occhi aperti potesse capire meglio la discussione, invece si rese conto di venire distratta da tutto ciò che vedeva e li richiuse.
— Dobbiamo farle ricordare chi è il prima possibile... — Come a chiarificare l'urgenza di quelle parole, il canto di una strana cornacchia annunciò l'arrivo dell'alba — La seconda notte è appena trascorsa. La affido a te, Kerkurot, fa in modo che ricordi, falle ritrovare il suo Osmi.
A quelle parole seguirono dei passi, poi la porta fu aperta e una lama di luce tagliò perpendicolarmente la sua figura, poteva percepirla su di sé anche se continuava a fingere di dormire. La porta fu richiusa e una sedia spostata vicino al suo capezzale.
— Enari, svegliati... è l'alba. Ricordi quanto ti piaceva l'alba?
Kerkurot allungò una mano e le scansò un paio di ciocche dal viso, indugiando sulla sua guancia in una dolce carezza. D'istinto Enari portò la sua mano a coprire quella di lui, impedendogli di muoverla.
— No. — rispose, poi aprì gli occhi — Non lo ricordo. Chi sono? — chiese poi.
— Sei la mia compagna, sei la mia sposa, sei la mia sola ragione di vita. Oh, Enari, credevo d'averti perduta.
— Cosa mi è successo?
— Gli Hoteli ti hanno presa. Sai cosa sei, vero? E sai anche cosa possono farti gli Hoteli, dico bene? — La sua apprensione era palpabile.
— No, non so chi sono, ma so che non devo farmi trovare da nessuno, soprattutto di notte. — si confidò. Ora iniziava a spiegarsi molte cose.
— Sei una Samrarmas, come me. Sei una donna – come io sono un uomo – solo di notte.
Come a farsi beffe di quelle parole, un raggio di sole entrò dalla finestra, creando giochi di luce sul viso dei due. Enari si voltò in quella direzione, da una parte intimorita, dall'altra eccitata.
— So cosa stai pensando, ora è giorno e hai ancora le stesse sembianze, ma c'è una spiegazione: nelle sette notti di Tokinelma possiamo tenere questo aspetto per tutta la giornata.
Dopo averlo fissato a lungo, Enari si convinse a fargli la domanda che tanto temeva — Cosa diventiamo di giorno?
— Siamo lupi. — Fu la risposta.
All'improvviso la consapevolezza la colse, per un solo breve istante, poi tornò l'incertezza del non sapere chi fosse. Kerkurot le pareva un uomo sincero, ma poteva fidarsi di quelle rivelazioni? Un cieco terrore la colse: se davvero tutto fosse stato vero doveva guardarsi bene dagli Hoteli. Quelli li ricordava, erano cacciatori e amavano cacciare creature rare, soprattutto i Samrarmas che erano i loro preferiti. Nella migliore delle ipotesi li squartavano quando erano nella loro forma animale per prenderne le pregiate pelli, nella peggiore... non voleva neanche pensarci. Scosse la testa per scacciare i brutti pensieri, il sole improvvisamente le parve non brillare più, l'oscurità la avvolse ancora una volta.
E fu la notte.



Per prima cosa la scorsa volta mi sono dimenticata di dire che pubblicherò ogni 5 giorni, so che sono tanti, ma così riesco a gestire meglio tutto con la mia vita privata.
Qui compaiono i primi nomi inventati da me, in questa storia li troverete scritti tutti con la maiuscola anche se non sono nomi propri. La pronuncia per quanto riguarda Hotèli è con l'accento sulla E e l'H aspirata come in inglese, Òsmi si pronuncia con l'accento sulla O, mentre per Samràrmas è sulla A centrale (piccola curiosità su questa parola: l'ho creata apposta palindroma, indi per cui l'accento non poteva che cadere al centro). Credo anche di aver omesso i nomi dei protagonisti nel capitolo precedente, sono dunque Enàri, con l'accento sulla A e Kèrkurot, con l'accento sulla E.
Per il momento non ho nient'altro da aggiungere, quindi vi rimando a fra 5 giorni col terzo capitolo e vi saluto, invitandovi come sempre a recensire. ^_^
syssy5

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Capitolo 3
*** Capitolo 3: Ricordi ***


E fu la notte

Capitolo 3: Ricordi

Non si rese conto quanto tempo era passato, si era coperta il viso con le mani per non dover più guardare nulla ed era rimasta così. Kerkurot le aveva tenuto compagnia per un po', poi aveva creduto saggio lasciarla sola. Enari, però, non era certa di voler restare da sola – tuttavia non voleva stare nemmeno con quell'uomo – ed era rimasta per tutto il tempo a osservare l'interno delle sue palpebre.
Non ricordava il suo nome, ma conosceva bene la spietatezza degli Hoteli e sapere che era stata catturata ancora la angosciava. Non riusciva a soffermarsi né sul fatto di essere ancora viva, né del pericolo che correva se non avesse ritrovato quell'Osmi di cui Kerkurot e l'anziana stavano discutendo; voleva solo ricordare cos'era accaduto, ma temeva quel ricordo.
Vagò con la mente alla ricerca di qualcosa, qualsiasi cosa del suo passato. Vaghe immagini sfumate sfrecciavano davanti a lei, si condensavano in qualcosa di definito per troppo poco tempo, prima di sfumare via di nuovo. Ogni cosa sembrava avvolta da una luce oscura.
Tuttavia Enari percepì quell'oscurità come propria, come una parte del suo essere. Cercò di scacciare quel terribile pensiero, scuotendo la testa e aprì gli occhi: voleva vedere il sole illuminare la stanza e allontanare le sue paure.
Si tirò su a sedere, poi, lentamente, si alzò in piedi. Fece il giro della stanza e andò alla finestra per spalancarla; rimase qualche istante a osservare i caldi raggi colpire la sua pelle. Quello era un evento raro, riusciva a percepirlo anche se non aveva più memoria, e voleva contemplarlo il più a lungo possibile. Kerkurot la trovò così, affacciata sul davanzale intenta a guardarsi le braccia brillare di luce.
— Vuoi mangiare? — le chiese infine.
— Molto volentieri. — rispose. Fino a che lui non ne aveva parlato, non si era accorta di avere così tanta fame. Enari seguì l'uomo nell'altra stanza della casa, una cucina anonima arredata con pochi mobili essenziali, ma sentì qualcosa, una sorta di affinità con quell'ambiente.
— Era tua. — spiegò in replica a una domanda non formulata a parole.
Lei alzò gli occhi sul lampadario e poi si voltò a guardare l'ingresso: sì, lo ricordava. Aveva atteso spesso in quella stanza, osservando sempre in quella direzione, l'arrivo di qualcuno; ma di chi?
— Era mia... — ripeté come se quelle parole la aiutassero a non dimenticare più quel particolare. Cosa le era successo, perché i suoi ricordi se n'erano andati? Quanto voleva conoscere la risposta.
Al rumore di piatti e tazzine, si voltò: Kerkurot stava servendo del tè da una teiera che riconobbe all'istante. Corse a sedersi e aspettò di essere servita, prese la tazza tra le mani – subito imitata dall'altro – e un po' ci si scaldò le mani e un po' bevve.
Sperava di poter trovare un altro pezzo delle sue memorie, ma quella bevanda non le suscitò alcuna emozione e se ne dispiacque. Tornò quindi a osservare l'ingresso, spremendo le meningi alla ricerca di qualcosa, qualsiasi cosa.
— Questo tè è una specialità di Sina; scommetto che non ricordi neanche lei. — A quel pensiero, l'uomo sorrise alla tazza, rischiando di sputare ciò che stava bevendo.
— Chi è Sina? — chiese lei d'istinto, distogliendo lo sguardo per posarlo su di lui.
— È l'anziana saggia, il capo spirituale del nostro clan. — rispose sorseggiando di gusto: era palese che adorava quella bevanda.
Come ogni cosa, anche quel nome le era nuovo, tuttavia ripensò alla discussione che aveva origliato quella mattina – con molta probabilità Sina era colei che aveva sentito parlare insieme a Kerkurot. Doveva sapere, se era in un altro pericolo oltre a quello costante degli Hoteli doveva sapere.
— Kerkurot, c'è qualcosa che devi dirmi? Qualcosa di importante che devo sapere? — No... — replicò, ma la sua voce aveva uno strano tono tremulo, segno che non era sincero; che anche questo piccolo indizio fosse un altro ricordo?
— Non mentirmi. — Appoggiò la tazza e gli strinse una mano per fargli coraggio. Lui distolse lo sguardo, sospirò, non aveva il coraggio di dirle quanto grave fosse la situazione.
— Devi ritrovare il lupo che c'è in te... finché puoi rimanere umana anche di giorno non c'è problema, ma quando le sette notti di Tokinelma saranno trascorse, se non riavrai con te il tuo Osmi, ti dissolverai come polvere al vento. — disse infine l'uomo tutto d'un fiato, certo che, se si fosse fermato, non sarebbe stato in grado di continuare.
— Il mio... Osmi...? — chiese lei incerta, ma non poté sentire la risposta di Kerkurot. Tra i suoi ricordi era scattato una specie di interruttore e si ritrovò a ripercorrere le ultime ore, quelle che le avevano fatto perdere la memoria e che non ricordava, in una specie di stato di meditazione profonda.
E fu la notte.



Chiedo venia, ieri ho mancato l'appuntamento e mi trovo costretta a pubblicare di volta ora di notte.
Qui l'unico nome che compare è quello di Sìna, che si pronuncia ovviamente con l'accento sulla I.
Stasera sono di poche parole, quindi vi saluto ricordandovi che il prossimo capitolo ci sarà sempre giovedì (non modificherò la mia scaletta) e vi invito, come sempre, a recensire. ^_^
syssy5

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Capitolo 4
*** Capitolo 4: Gli Hoteli ***


E fu la notte

Capitolo 4: Gli Hoteli

Le pareva di fluttuare, galleggiare senza peso nell'aria quasi fosse un fantasma. Era una sensazione stranissima che era certa di non aver mai provato. Ancor prima che potesse chiedersi cosa stesse accadendo tuttavia, la scena che si stava svolgendo sotto di lei attirò la sua attenzione.
Come li vide istintivamente rabbrividì; non poteva non riconoscerli, con la loro armatura arrugginita, il petto nudo e folte pellicce sulle spalle, che andavano a confondersi con capelli e barba folti. Era un gruppo molto esiguo di Hoteli, ne contò appena sei, ma la cosa più terrificante fu accorgersi di quale preda portavano con sé: era lei.
Vestita con lo stesso abito lacero che indossava in quel momento, di un bianco pallido e senza nessuno strappo, legata con pesanti catene e con le braccia dietro la schiena, procedeva a passo lento; sul suo volto non traspariva nessuna emozione, anche se la paura la stava uccidendo, Enari ne era certa. Ogni tanto qualche Hoteli le dava uno strattone per convincerla ad accelerare, col solo risultato di rallentare ancora di più quelle sottospecie di processione.
L'istante successivo non vide più nulla, né se stessa, né i suoi predatori; una forma indistinta fatta di luce prese ad avanzare da lontano, quando fu abbastanza vicino riuscì a riconoscerlo: era un lupo candido con un portamento infinitamente più elegante di qualsiasi altro essere vivente. Ma Enari lo riconobbe anche come un'altra cosa: era il suo Osmi.
Si trovava dentro la propria coscienza, mentre gli Hoteli la stavano conducendo verso la sua morte lei si era rifugiata in se stessa per congedarsi da questa vita e dalla sua anima di lupo. Si era ormai rassegnata, non aveva più la forza di combattere e la paura non la aiutava, fu l'Osmi a darle la soluzione parlandole senza aprire le fauci, riferendole quelle parole direttamente nella sua testa.
Vogliono me, se io non ci sono tu sei al sicuro.’ Aveva quella solita voce profonda e mascolina che Enari aveva imparato ad amare come la propria, che la aveva rassicurata in più occasioni e accompagnata in tutta la sua vita, ma ciò che stava dicendo in quel momento non aveva senso.
— Non posso lasciarti andare. — gli disse, abbracciandolo.
Non mi lascerai per sempre, solo finché non sarai libera.’ rispose lui ululando.
— Cosa intendi dire?
Quando pronuncerai il mio nome, io ti farò ricordare.’ A quelle parole, il lupo alzò il muso verso Enari che stava ancora fluttuando, quasi volesse ammiccare verso di lei. L'altra se stessa invece non capì cosa stesse guardando il suo Osmi. ‘Non sarà comunque facile,’ continuò riportando il suo sguardo su di lei, ‘ci vorrà un po' prima che capiscano che non ci sono più, sei disposta ad affrontare tutto da sola?
Enari annuì timidamente, la paura le aveva tolto la voce, ma non aveva altra scelta.
Il lupo ululò ancora, poi si dissolse in una pioggia di scintille; Enari fu catapultata fuori, mentre i suoi ricordi svanivano. Vide il suo corpo cadere a terra, preso a calci nel tentativo di risvegliarla, frustato, ma rimase inerte al suolo; poi vide un Hoteli caricarselo in spalla come un qualsiasi sacco di merce da trasportare e riprendere il cammino.

Il tramonto era vicino quando arrivarono al loro villaggio, nel cuore della foresta. Enari era semi-cosciente, sentiva ciò che le si chiedeva e a volte riusciva a rispondere, ma non era in grado di comprendere bene cosa stesse accadendo; era incatenata a un grosso albero, troppo debole per alzarsi in piedi, troppo sveglia per cadere ancora una volta nell'oblio da cui era recentemente evasa. Solo una cosa le fu chiara fin dal principio: stavano chiamando il suo Osmi. Finché il sole splendeva avrebbero potuto vedere il lupo, quando il tramonto sarebbe trascorso, la sua vita avrebbe avuto fine.
Altre frustate le aprirono squarci nel vestito e ferite che si rimarginavano in fretta, ma il dolore restava e la tagliava fin nel profondo; un Hoteli si avvicinò con un coltello e glielo puntò alla gola. Era così affilato che bastò appoggiarlo alla pelle e un rivolo di sangue scivolò giù lungo il collo, scomparendo tra l'incavo dei seni.
— Sei morta! — disse quello — Se il tuo Osmi ci degna della sua presenza forse potremmo risparmiarti la vita. — Era un ultimatum.
— Non so di cosa stiate parlando. — riuscì a dire lei, senza fiato per tutte le percosse subite.
— L'ha lasciato andare... ha lasciato andare il suo lupo, è praticamente già morta. — replicò un altro Hoteli, facendo segno di allontanarsi a quello col coltello. — Non ci serve più ormai, potete farne ciò che volete: liberarla o giocarci un po', a voi la scelta. Sguardi famelici si posarono su quel corpo minuto, pensieri osceni attraversarono le menti degli Hoteli, qualcuno si stava già avvicinando a lei pregustando il momento in cui il macabro passatempo avrebbe avuto inizio.
Nessuno però poté fare nulla, dato che una candida lupa, grossa due volte il normale, atterrò con un balzo vicino a Enari, liberandola dalle catene con un morso delle sue possenti fauci e caricandosela sulla groppa per portarla in salvo.
Gli Hoteli erano subito partiti alla carica, ma la lupa era più veloce di loro e in un lampo li aveva seminati. Il crepuscolo li avvolgeva mentre l'animale posava Enari a terra per sussurrarle nella testa.
Non ricorderai niente di questo, ti sveglierai e avrai qualche giorno per trovarmi. Trovami, Enari, quando saremo di nuovo insieme andrà tutto bene.
Di nuovo le parve di sentire quella luce oscura avvolgerla, le tenebre crescere dentro di sé e desiderò di smettere di guardare, ma non poteva: doveva sapere. La lupa riprese la sua corsa, allontanando gli Hoteli dal corpo che aveva abitato da sempre, per tenerla al sicuro. Enari invece vide se stessa cadere nuovamente nell'oblio.
E fu la notte.



Ennesimo ritardo, pubblico ancora una volta di volata alle 4 del mattino, sono di poche parole anche per questo (ho appena finito di sistemare ben due storie, abbiate pietà). Piccola precisazione: l'Osmi dentro al corpo è maschio, fuori dal corpo è femmina (essendo l'altra parte di Enari).
Non mi sembra che compaiano nuovi nomi, nel caso in cui io sia in errore, rimedierò nel capitolo finale.
Anticipandovi che ci saranno ben tre storie in arrivo (e una quarta in fase di scrittura), vi saluto e vi invito, come sempre, a recensire. ^_^
syssy5

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Capitolo 5
*** Capitolo 5: Osmi ***


E fu la notte

Capitolo 5: Osmi

Torno in sé giusto in tempo per vedere Kerkurot accompagnare Sina alla porta. All'improvviso capì da cosa era dovuto quel senso di solitudine che non l'aveva mai abbandonata nelle ultime ore: aveva perso il suo Osmi.
Da qualche parte dentro se stessa sentì una lama lacerarle il costato, una ferita invisibile agli occhi, ma insopportabile per l'anima che non sarebbe mai guarita. Era solo una metà, la metà umana di Enari, le mancava la metà lupa, la sua parte primitiva e selvaggia, quella che agiva sempre d'istinto e che le dava coraggio; senza di lei era solo un guscio vuoto.
Mentre tentava di farsi coraggio colse altri stralci di conversazione: a quanto pareva, Kerkurot aveva chiesto consiglio a Sina quando era entrata in quel ricordo; con tutta probabilità, l'anziana l'aveva rincuorato e per questo se ne stava andando senza aspettare il suo risveglio.
Molte cose le furono chiare, già il fatto stesso di riuscire a cogliere tutte quelle piccole sfumature della voce di gente che si trova in un'altra stanza avrebbe dovuto dirgliela lunga sul fatto di non essere una ragazza come le altre. Ripensò anche a tutti i lividi che le avevano fatto gli Hoteli; si tastò braccia e gambe, si accarezzò il ventre, ma non ne trovò traccia, segno anche questo che aveva una capacità di guarigione superiore al normale. L'uomo la trovò così, sveglia intenta a controllare ogni singola parte del suo corpo; Enari alzò gli occhi su di lui, due iridi spalancate dalla paura e lucide dalla consapevolezza di non aver più con sé la sua parte più importante.
— Kerkurot, so cos'è successo. So anche perché ho questo senso di solitudine... alla fine tutti si sentono soli. — disse, riferendosi al sentimento che avrebbe provato qualsiasi altro Samrarmas che avesse fatto la sua stessa scelta — Ho perso lei, l’unica che sapesse chi sono, chi non sono e chi vorrei essere. —
— Cos'è successo? — chiese lui con una lentezza disarmante, temendo la risposta.
— Lei mi ha lasciata andare; ha detto che si sarebbe fatta trovare non appena sarei stata al sicuro, come posso trovarla?
Ma non era questa la risposta che Kerkurot voleva, lui si riferiva agli Hoteli.
— Enari, dimmi cos'è successo... dopo quello.
— Ero debole e non pienamente cosciente. — rispose ripensando al suo risveglio nel bosco, raccontare quella parte non le costava fatica — Loro volevano il mio Osmi, è per questo che l'ho lasciata andare; ci hanno messo un po' per capire che non c'era più — si interruppe, il dolore delle frustate e del coltello era ancora vivido davanti ai suoi occhi; Kerkurot la esortò a continuare e lei raccontò il resto, mentre il suo compagno rabbrividiva al suo fianco. — Una candida lupa mia ha salvata, sono certa fosse lei, il mio Osmi. Non credo l'abbiano catturata, lo sentirei se fosse così, ma ora che so cosa mi manca ne ho bisogno più che mai; aiutami a ritrovarla.
— Cos'altro ricordi? — chiese ancora lui, prendendole il viso tra le mani e desiderando che anche i suoi ricordi antecedenti gli Hoteli fossero tornati.
— Non molto, ma piano piano mi è sempre tutto più chiaro; ora so di potermi fidare di te, prima non ne ero così certa, ma la consapevolezza di non avere più il mio Osmi... — insisté — sono così terrorizzata...
— La speranza e il dolore sono due facce della stessa medaglia. Inizia a sperare, vedrai che la paura ti abbandonerà. — A queste parole, Kerkurot si chinò su lei per posare le labbra sulle sue. Fu un piccolo, casto bacio, ma per Enari ebbe la potenza di un fiume in piena, il vortice di un tornado e la scarica primordiale di un terremoto. I suoi ricordi tornarono tutti insieme, investendola, quasi volessero scaraventarla via; caldo e freddo si mischiavano insieme alle sue memorie appena tornate, mentre l'ululare di una lupa li riscosse: fuori dalla casa, un animale argentato li stava aspettando.
Enari corse in strada con le lacrime agli occhi, mano nella mano col suo sposo, per ricongiungersi al suo Osmi. Il sole era ancora alto nel cielo, la giornata non era ancora finita e lei sarebbe potuta diventare una lupa se l'avesse voluto. Abbracciò la sua metà per un breve istante, prima che questa scomparisse e riprendesse posto nel suo animo; l'attimo dopo, Enari ululava felice in forma di animale.
E fu la notte.



No, non mi ero dimenticata di finire la storia. In quanto partecipante a dei contest la storia era completa da tempo e non avevo nemmeno dimenticato di pubblicare il capitolo finale. Semplicemente avevo tolto (oscurato) la storia per permetterle di partecipare a concorsi letterari che non accettavano storie pubblicate in rete; sapevo di aver salvato l'html da qualche parte, stasera l'ho ritrovato e quindi l'intera storia è tornata on-line, con tanto di finale (inedito).
Non ho la più pallida idea se in questo capitolo appaiono nuovi personaggi, non lo ricordo in quanto sono passati molti anni dall'ultima volta che l'ho scritta/letta. Semmai dovessi trovarne farò un edit alla storia.
Se qualcuno è ancora interessato a conoscere la fine della storia, vi invito a recensire. Per tutti gli altri sappiate che questa mia assenza da EFP è dovuta, oltre che da fattori familiari/personali, soprattutto alla mia attività letteraria esterna al sito, per la precisione partecipazione a concorsi letterari (nazionali e internazionali) e stesura di diversi romanzi (uno pubblicato, due in fase di scrittura). Comunque non ho intenzione di sparire ancora a lungo, se non dovreste vedermi qui sicuramente mi troverete in libreria. Con questo vi saluto. ^_^
syssy5

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