Dragonfly

di Lothiriel
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Una piccola scatolina in legno intagliato

Una piccola scatolina in legno intagliato. La aprì distrattamente, e il carillon iniziò lentamente a suonare, le note metalliche scandite faticosamente una ad una. Richiudendola di scatto, la posò sullo scaffale. Troppo tempo era passato, e non era più una bambina, ormai.

Fissando lo sguardo nelle fiamme del caminetto, si mise cupamente a riflettere su ciò che la aspettava, se fosse rimasta lì. Il matrimonio con un uomo odioso, che aveva almeno vent’anni più di lei, per poi passare il resto della vita rinchiusa nel suo castello ammuffito.

No, non era questo ciò che si addiceva a lei. Nelle sue vene scorreva il sangue degli Highlanders scozzesi, gente dall’animo impetuoso e guerriero. Avrebbe combattuto per la sua libertà.

Prendendo da sopra lo scrittoio un lume ad olio, uscì silenziosamente nel corridoio. Nessun rumore intorno, tutti stavano ancora dormendo. Dalle alte finestre filtrava un livido chiarore, la gelida luce che precede l’alba. Scese le scale rapidamente, dirigendosi verso gli alloggi della servitù. Una folata di vento la fece rabbrividire, e portò la mano al collo per chiudere il lembo della veste da notte. Qualcuno doveva aver lasciato i vetri accostati, forse la giovane cameriera che aveva preso servizio da appena un mese. Al mattino avrebbe certamente ricevuto i severi rimproveri della governante.

Trovò finalmente ciò che stava cercando, e si affrettò a ritornare di sopra, un informe fagotto stretto al petto. D’improvviso udì qualcosa, un tonfo sordo. Spense il lume, e rimase in ascolto. Di nuovo lo stesso rumore. Finalmente lo riconobbe, era il rumore di una persiana che sbatteva, da qualche parte nel palazzo. Risalì le scale a tentoni, e richiuse dietro di sé la porta della sua stanza.

Svolgendo l’involto che aveva con sé, ne trasse alcuni indumenti, un paio di pantaloni attillati e una camicia dalle maniche a sbuffo. Ridicolo come i domestici dovessero vestirsi a quel modo. Si infilò rapidamente gli abiti, e si avvicinò allo specchio. Dopotutto le stavano meglio di quelle gonne così ampie che era sempre obbligata a portare. E sicuramente erano più comodi.

Prese da un cassetto un paio di forbici, e con un movimento deciso raccolse i suoi lunghi capelli castani con una mano, tagliandoli di netto appena sopra le spalle. Gettò via le ciocche recise nel fuoco che ancora ardeva nel caminetto, e si legò i corti capelli alla maniera dei gentiluomini, calcandosi poi sulla testa un cappello di velluto verde.

Aprì con una chiave di ottone la pesante cassapanca che teneva ai piedi del suo letto, e togliendo il doppio fondo ne estrasse una spada nel suo fodero di cuoio, ed un corto pugnale da infilare alla cintura. Poi, smuovendo una pietra a fianco della libreria, aprì nel muro un passaggio che conduceva direttamente alle scuderie.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Giunta in prossimità dell’uscita dallo stretto cunicolo, Elizabeth si fermò, appoggiandosi alla parete fredda ed umida, e rima

Giunta in prossimità dell’uscita dallo stretto cunicolo, Elizabeth si fermò, appoggiandosi alla parete fredda ed umida, e rimase in ascolto. Poi sollevò cautamente la botola ed uscì all’esterno, avendo cura di ricoprire l’apertura con rami e foglie secche. Le prime luci dell’alba si facevano strada a fatica fra le nubi e la foschia notturna, che ancora indugiava tra i rami spogli degli alberi. Il freddo era pungente, e la costrinse a coprirsi con il pesante mantello che aveva preso con sé.

Le scuderie erano davanti a lei. Entrata, sciolse la fune che legava uno dei cavalli, e dopo averlo sellato salì sulle staffe con un’agilità che denotava una lunga abitudine. Poi partì al galoppo, dirigendosi verso le colline.

 

Verso mezzogiorno, una pioggia fine e fastidiosa iniziò a cadere, e quando gli alberi si diradarono lungo i fianchi dell’altura Elizabeth si tolse il cappello, ormai fradicio, e si coprì il capo con il cappuccio del mantello. Finalmente in cima, fermò il cavallo, e rimase qualche istante a guardarsi intorno, la vista che spaziava per parecchie miglia. La pioggia aveva infatti spazzato via le nebbie, e nella cortina argentea delle gocce che ormai si facevano più rade si distinguevano chiaramente le distese brulle della brughiera, che declinavano verso il basso, terminando poi bruscamente quando il terreno si tuffava ripido verso le bianche scogliere. Il mare, grigio sotto il cielo nuvoloso, era calmo, e la sua candida schiuma lambiva appena i bassi scogli.

Elizabeth aveva sempre amato quella visione, fin da bambina; il respiro del mare, così quieto e regolare, le infondeva un senso di pace, di riposo. Si riscosse, e spronando il cavallo proseguì il suo cammino. Londra ormai non era molto lontana.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Nella sera umida e nebbiosa Londra era avvolta in un’atmosfera alquanto tetra

Nella sera umida e nebbiosa Londra era avvolta in un’atmosfera alquanto tetra. Qualche carrozza passava di tanto in tanto, sobbalzando nelle buche e schizzando addosso ai passanti l’acqua sporca delle pozzanghere. Vicino al porto, un edificio mal illuminato portava l’insegna di una locanda, che cigolava in modo lugubre ad ogni soffio di vento. Entrando, una stanza dal soffitto basso in travi di legno, l’aria resa quasi irrespirabile per il fumo e l’odore di unto proveniente dalle cucine. Numerosi avventori erano seduti ai tavoli, alcuni giocando a dadi, altri davanti alle loro pinte di birra scura. Dal fondo della sala giungevano alcune voci irose, forse una lite fra marinai.

L’oste, udendo la porta aprirsi, si volse e rimase per qualche istante a fissare il nuovo venuto. Pareva giovanissimo, gli occhi grigi e penetranti e un qualcosa di indefinibile nei lineamenti del viso. Avvicinatosi, si rivolse all’oste con una voce che pareva più quella di un ragazzino, o di una donna: “C’è posto nella vostra stalla per il mio cavallo?”.

“Sissignore. Mando subito il mio aiutante. Jack!”, gridò rivolto verso un giovanotto dall’aria annoiata, “porta il cavallo di questo signore nella stalla, e legalo bene, mi raccomando”.

In quel momento un uomo seduto accanto al caminetto, e già piuttosto brillo, reclamò a gran voce dell’altra birra. “Perdoni, un momento solo e sono di nuovo da lei”, si scusò l’oste.

 

Elizabeth si guardò intorno. Poi, osservando incuriosita l’oste (un omone dai grandi baffi e pochi radi capelli sulla testa a uovo) aspettò che terminasse di servire il cliente.

“Vorrei cenare, e anche una stanza per dormire, se ne avete una libera”.

“Certamente, come vossignoria desidera. Potete sedervi a quel tavolo laggiù, intanto vi faccio preparare la cena”.

Mentre cenava, Elizabeth osservava divertita le persone che si trovavano nella sala, pensando che erano ben diversi dalla compagnia che si addiceva ad una dama del suo rango. O almeno questo era ciò che avrebbe detto suo padre. Per quello che la riguardava, questi sconosciuti erano molto più interessanti dei compassati e freddi nobiluomini che di tanto in tanto si recavano a rendere visita a suo padre o suo fratello. E soprattutto sapevano ridere. D’improvviso la colpì il pensiero che assai raramente aveva sentito il suono allegro delle risate, non si addiceva alle persone di classe elevata. Che sciocchezze, pensò.

Alzandosi per andare a dormire, urtò inavvertitamente contro un giovane marinaio che si era alzato in piedi per fare un brindisi con i suoi compagni. Si scusò, e ne ebbe in cambio un ampio sorriso. Poi il giovane, sempre sorridendo nei suoi occhi azzurri, le rispose: “Non fa nulla”, e la sua voce chiara aveva un inconfondibile accento scozzese.

Elizabeth seguì l’oste al piano di sopra, e questi dopo averle mostrato la stanza che le aveva preparato la salutò con il suo fare cerimonioso. Lei si buttò sul letto e mentre già si addormentava pensò che il mattino dopo avrebbe dovuto recarsi al porto, per trovare una nave su cui imbarcarsi.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Svegliandosi di buon ora, Elizabeth guardò dalla piccola finestra della stanza il cielo grigio di nuvole

Svegliandosi di buon ora, Elizabeth guardò dalla piccola finestra della stanza il cielo grigio di nuvole. Fuori non pioveva, ma soffiava un forte vento, e i passanti giù in strada procedevano a testa bassa ben avvolti nei loro mantelli.

Scese di sotto, pagò l’oste con le poche monete che aveva preso con sé nella bisaccia, e poi gli disse: “Ho intenzione di partire oggi stesso, e non posso portare con me il mio cavallo. Vorreste tenerlo e avere cura di lui?”. “Ma non posso accettare un simile regalo!”, protestò l’oste.

Elizabeth scosse il capo: “Ad ogni modo lo lascio nella vostra stalla, potete farne ciò che volete”. L’oste, profondendosi in inchini e ringraziamenti, augurò a “sua signoria” un buon viaggio. Elizabeth lo salutò con un cenno del capo e uscì.

 

Al porto erano ormeggiate diverse navi, alcune in partenza, altre appena arrivate; erano per lo più navi mercantili, ma fra di esse spiccavano due o tre vascelli della Marina Britannica. Sulle banchine un andirivieni di marinai, mercanti, viaggiatori, soldati.

Elizabeth si fermò a parlare con un vecchio che sedeva sul molo fumando la pipa, e gli chiese se sapesse di qualche capitano in cerca di uomini per il suo equipaggio. Il vecchio rispose: “Prova a domandare laggiù, vedi quella nave che stanno finendo di caricare?”. “Grazie, buon uomo”, fece Elizabeth, e si avviò. Giunta alla nave indicatale dall’anziano signore, si guardò attorno per distinguere il comandante o un suo secondo.

“Cerchi qualcosa, ragazzino?”, le disse qualcuno dietro di lei. Si volse e vide un uomo dagli occhi scuri e severi, con i capelli brizzolati legati dietro il capo, e teneva in mano un cappello nero. “Cerco una nave su cui imbarcarmi”, rispose lei. “Davvero? E cosa sai fare, dimmi”; la sua voce aveva un timbro autorevole. “Posso imparare ciò che mi insegnerete”, ribatté lei guardandolo dritto negli occhi. “Bene, allora posso prenderti come mozzo. Qual è il tuo nome?”. “Robert Cotton, signore”, fece lei. “Io sono O’Brian, il capitano della Dragonfly. Sali a bordo, Cotton, ragazzo mio!”.

 

La nave salpò poco prima di mezzogiorno, ed Elizabeth si volse un attimo a guardare la costa che si allontanava. Poi riprese a pulire il ponte, chinando la testa. Lavorò tutto il giorno, e all’ora di cena era stanca morta. Il pasto non era certo dei migliori, ma la fame lo rendeva del tutto accettabile. D’un tratto, una voce allegra a fianco a lei esclamò: “Che coincidenza! Ci si rivede, dunque”. Alzando lo sguardo incontrò quello del giovane marinaio che aveva visto la sera prima nella locanda. “Piacere, il mio nome è Billy”, fece lui, con un caldo sorriso, tendendole la mano. Lei gliela strinse: “Io mi chiamo Robert”. “Bene bene”, fece lui, “ho idea che ci divertiremo. Il nostro capitano è un davvero un grand’uomo, e sa come governare la sua nave!”.

Elizabeth rise. Provava un’istintiva simpatia per quel giovane, e la divertiva il suo modo di fare. Inoltre le piaceva quel buffo accento scozzese. Gli augurò la buonanotte, e andò a coricarsi nella sua branda. L’indomani mattina avrebbe dovuto svegliarsi molto presto.

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


I marinai furono svegliati dai sordi rintocchi della campana

I marinai furono svegliati dai sordi rintocchi della campana. Uscendo sopracoperta, l’aria gelida e umida dava una sgradevole sensazione di disagio. Elizabeth seguì Sean, il vecchio marinaio che avrebbe dovuto insegnarle il mestiere. Lui le spiegò i nomi e le funzioni delle varie parti della nave, poi la spedì in cima alle sartie per imparare a governare le vele. Le corde erano impregnate dell’umidità salmastra, e le tagliavano mani e piedi. In cima, una visione maestosa della distesa infinita del mare, e la brezza nei capelli. Elizabeth sorrise appena, poi rivolse la sua attenzione a Sean, che le mostrava come tenere le funi.

Nel pomeriggio, in un breve momento di riposo, Billy venne a cercarla e si mise a chiacchierare allegramente. “Abbiamo fatto questa rotta molte altre volte. La nostra prima destinazione è Boston, dove scaricheremo le nostre merci: tè, sale, tessuti in lana, spezie. In cambio i mercanti locali ci consegneranno balle di cotone e pelli conciate. Poi ci dirigeremo verso il Sud America, per acquistare caffè, zucchero e tabacco, e infine tornare in Inghilterra. Sarà questa la parte più rischiosa del viaggio, perché molte navi pirate e corsare infestano le acque dei Caraibi, attendendo il passaggio di navi cariche di ricche mercanzie”.

Si interruppe un attimo, guardando verso prua. “Ecco, il capitano è uscito per il suo solito giro di perlustrazione”. Elizabeth si volse e vide O’Brian camminare lentamente scrutando l’orizzonte, e poi fermarsi per guardare con il suo cannocchiale. Poco dopo lo raggiunse un uomo dai capelli rossi, il viso pallido punteggiato di efelidi. Rivolse qualche parola al capitano, e questi si mise a ridere. Incredibile come il suo volto così severo potesse illuminarsi a quel modo. Il suo compagno dai capelli rossi si limitava a sorridere, un sorriso affascinante e discreto, perfettamente in accordo con il suo modo di fare.

Elizabeth chiese a Billy: “Chi è quell’uomo che sta parlando con il capitano?”

“E’ il dottore, un irlandese di nome Stephen O’Connell. E’ un grande amico del capitano, e tutto l’equipaggio nutre per lui grande rispetto e stima. Non solo è un uomo di scienza, ma è anche un nostro amico”.

Dopo qualche istante il dottore salutò il capitano e si diresse verso di loro. “Salve, dottore!”, fece Billy. Il dottore, con un sorriso, replicò: “Billy, quante volte devo dirti che puoi chiamarmi Stephen?”. Billy scrollò le spalle, sorridendo a sua volta. Poi disse: “Questo è Robert, il nostro nuovo mozzo”.

Il dottore fissò Elizabeth per qualche secondo, e lei si sentì quasi a disagio sotto quello sguardo così penetrante. Poi, con uno strano sorriso, le tese la mano: “Piacere di conoscerti, Robert”.

Poteva sbagliarsi, ma le era parso che il dottore avesse usato un tono di voce lievemente ironico. Con un cenno di saluto, O’Connell si allontanò, mentre Elizabeth e Billy ritornarono ciascuno alle sue mansioni.

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Il giorno dopo Elizabeth fu incaricata delle cucine, e dovette rassegnarsi a passare la giornata sottocoperta, a pelar patate

Il mattino dopo Elizabeth fu incaricata delle cucine, e dovette rassegnarsi a passare l’intera giornata sottocoperta, a pelar patate e lavare enormi pentole. Servita la cena, uscì sul ponte per respirare la quieta aria della sera. Il sole stava sprofondando lentamente nell’oceano, che pareva ora un telo di seta dorata appena increspato dal vento leggero. Si appoggiò al parapetto della nave e rimase immobile a fissare l’orizzonte.

Fu distolta dai suoi pensieri da un passo leggero che si avvicinava alle sue spalle. Il dottore andò a posare i gomiti sul parapetto proprio accanto ad Elizabeth, guardando il mare davanti a sé. “Anche a te piace ammirare il tramonto?”, le chiese senza voltarsi. “Sì”, rispose lei semplicemente.

Lui si volse a guardarla. “Non vuoi dirmi, ora, il tuo vero nome?”. Elizabeth fissò per un istante i suoi occhi azzurro cupo. Capì che il dottore aveva indovinato il suo segreto; ma, senza sapere perché, sentiva di potersi fidare di lui.

“Mi chiamo Elizabeth”, disse, con voce perfettamente calma. Un lieve sorriso sfiorò il volto del dottore. “E, se mi è concesso chiederlo, perché hai deciso di imbarcarti su questa nave?”

Lei sospirò appena. “Sono fuggita di casa per evitare di dover sposare un uomo che non amavo. Questo è l’ultimo posto in cui mio padre potrebbe venirmi a cercare; e poi ho sempre sognato, fin da bambina, di andare per mare”. Entrambi rimasero silenziosi per un po’, guardando gli ultimi raggi del sole morente. Poi Elizabeth parlò nuovamente: “Immagino che mi disprezzerete per la mia decisione”. La sua voce aveva preso un tono più aspro. “Certo non si addice ad una donna, non è così?”

Il dottore, guardandola negli occhi, le rispose con assoluta serietà: “No, non ti disprezzo. Provo anzi la più grande ammirazione per chiunque, uomo o donna, abbia il coraggio di scegliere la propria libertà”. Lei rimase in attesa. Dopo qualche istante il dottore proseguì: “Io stesso ho preferito l’esilio dal mio paese all’obbedienza ad un popolo straniero che lo governa senza alcun diritto”. Notò lo sguardo interrogativo di Elizabeth. “L’Irlanda è sotto il dominio della corona inglese; ma io non sento alcun dovere verso un re che non appartiene alla mia gente, e che si preoccupa solo delle ricchezze che la mia terra gli può dare”. Tacque per qualche minuto, poi, con una voce dalla quale non era riuscito a togliere una sfumatura di amarezza: “E così ho fatto di questa nave la mia casa. Qui sono in volontario esilio, ma libero dall’autorità inglese”.

“Ma il capitano”, chiese Elizabeth, “non è forse un inglese?”. Il dottore scosse la testa. “Anche lui è nato in Irlanda, nonostante abbia poi vissuto per tanti anni in Inghilterra. Ma ora la sua patria è qui fra le onde, e poco si interessa di questioni politiche. Lo conosco da parecchio tempo, ormai, ed è il migliore amico che io potessi desiderare”.

Il sole era ormai tramontato, e si stava facendo buio. Il dottore sorrise, e il suo sguardo era di nuovo sereno. “Bene, mia giovane amica. Immagino che anche tu ora vorrai andare a riposare. Non temere, il tuo segreto è al sicuro, ti prometto che non ne parlerò con anima viva, se tu non vuoi”.

“Grazie”, disse lei, sinceramente. “Buonanotte”, fece il dottore, salutandola con un cenno del capo. E si allontanò lasciandola sola a ripensare a quell’inaspettata conversazione.

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


I giorni di navigazione si susseguivano più o meno uguali, ed Elizabeth perse ben presto il conto

I giorni di navigazione si susseguivano più o meno uguali, ed Elizabeth perse ben presto il conto. Divideva il suo tempo fra le varie incombenze che le venivano assegnate e i brevi momenti di pausa, che trascorreva ridendo e scherzando con Billy. Erano ormai diventati grandi amici, e più di una volta Elizabeth era stata sul punto di confidare a Billy il suo segreto. Ma qualcosa l’aveva sempre trattenuta. Una specie di curioso imbarazzo, mescolato al timore di rovinare quell’amicizia che, doveva ammetterlo, era diventata per lei talmente importante da farle provare una fitta di dolore ogni volta che la sfiorava il pensiero di poterla perdere.

Aveva fatto conoscenza anche con gli altri marinai, che generalmente la trattavano con la loro ruvida gentilezza, istruendo con pazienza la sua inesperienza. A volte la sera anche lei si univa a loro, guardandoli giocare a dadi sottocoperta, o ballare e cantare sul ponte al suono delle armoniche a bocca. Il vecchio Sean le aveva perfino offerto la sua pipa, una volta, ma lei l’aveva gentilmente rifiutata. Eppure questo gesto le aveva fatto molto piacere, perché sentiva che gli altri membri dell’equipaggio la consideravano ormai come una di loro.

 

Un pomeriggio fu incaricata di portare il tè al capitano e al dottore, nelle loro cabine. Bussando con discrezione alla porta di O’Brian, attese che questi le rispondesse “Avanti!”, con il suo consueto tono di voce forte e autoritario. Entrando vide che la sua cabina era piuttosto spartana ma confortevole; tutti gli oggetti erano riposti con un ordine scrupoloso. Il capitano era chino su un fascio di carte aperte sul tavolino: mappe dei fondali e delle coste americane, illustrate con dovizia di particolari. Alzò appena il capo, e le fece cenno di posare la tazza in un angolo. Lei obbedì, facendo attenzione a non rovinare le carte. Fece per andarsene, ma il capitano la richiamò indietro. Fissandola per un attimo con i suoi occhi scuri, le rivolse un benevolo sorriso: “Sono sicuro che diventerai un bravo marinaio, Cotton”. “Grazie, signore”, rispose lei, con un lieve inchino, e uscì.

Recandosi poi nella cabina del dottore, rimase colpita dalla quantità di libri e oggetti che affollavano il tavolino e una piccola mensola alla parete. In alcuni vasetti di terracotta facevano bella mostra di sé mazzi di piume colorate, ramoscelli di strane piante, coralli, conchiglie. Sul tavolino erano sparsi un gran numero di fogli, pieni di disegni e di appunti. Il dottore, sorseggiando il suo tè, guardava divertito la meraviglia che si dipingeva sul volto di Elizabeth. Poi, ridendo, disse: “Ti piacerebbe dare un’occhiata al resto della mia collezione?”. Lei annuì. O’Connell aprì una cassapanca di legno, in cui conservava con cura pietre di varie forme e colori, piccoli fossili, un guscio di tartaruga, alcuni semi di piante esotiche raccolti durante i suoi viaggi, e una collezione di foglie e fiori secchi, incollati con pazienza su fogli di carta, poi rilegati a formare un libro. Infine le mostrò i suoi disegni: piante e animali del Nuovo Mondo, tratteggiati con pochi ma efficaci tratti di penna, e a fianco alcune note scritte con la sua grafia minuta e aggraziata.

 

Più tardi, raccontando a Billy le meraviglie che le aveva mostrato il dottore, non poté trattenersi dall’esclamare: “Come mi piacerebbe poter vedere quei luoghi che il dottore mi ha descritto!” Billy sorrise. “Anch’io ho sempre sognato di conoscere i segreti delle piante e delle bestie, e di visitare terre lontane. Ma dopo aver passato undici anni su questa nave, la cosa che desidero di più è ritornare nella terra dove sono nato, su nelle Highlands. Una piccola casetta, una moglie, dei bambini… E al mattino affacciarmi alla finestra, per vedere fra la nebbia che si dirada il verde delle colline…”

Elizabeth rimase per un attimo assorta. Le parole di Billy le avevano suscitato un’improvvisa nostalgia per la Scozia, che pure aveva visto una sola volta. Una visione di pace si presentò d’improvviso alla sua mente: un paesino sul fianco di una collina, bambini che giocavano ridendo. E per un attimo aveva anche immaginato… Si voltò di scatto, perché Billy non la vedesse arrossire. Cercando di scacciare quel pensiero, salutò l’amico, e ritornò ai suoi compiti di mozzo.

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


Il susseguirsi di giornate limpide e leggermente ventose prometteva un viaggio tranquillo e sicuro

Il susseguirsi di giornate limpide e leggermente ventose prometteva un viaggio tranquillo e sicuro. Ma d’improvviso il tempo volse al brutto, e un vento maligno iniziò a scuotere le vele, portando con sé minacciose nuvole cariche di pioggia. Un mattino, verso mezzogiorno, Billy alzò lo sguardo e osservando con occhio critico il cielo, scosse la testa e mormorò: “Si sta avvicinando una burrasca”.

Infatti di lì a poco un forte temporale si abbatté su di loro, con forti raffiche di vento che rischiavano di rompere le vele. Il capitano, ritto sul ponte nonostante le ondate che si abbattevano contro i fianchi della nave, facendola oscillare paurosamente, manteneva la sua consueta freddezza, dando ordini secchi e perentori. I marinai si davano da fare per portare sottocoperta tutto ciò che il mare poteva spazzare via, e il dottore lavorava insieme a tutti gli altri. Lottando per non cadere, Elizabeth aiutava un gruppo di marinai intenti ad ammainare le pesanti vele, che per di più erano ora fradice di pioggia. Scesa sul ponte, si affrettò a seguire l’ordine del capitano di ritirarsi sottocoperta, ma un’ondata più forte la investì, facendole perdere l’equilibrio e quasi trascinandola fuori bordo. Ma una mano ferma la afferrò e la condusse a forza dentro al boccaporto.

Tossendo violentemente per l’acqua che aveva inghiottito, udì la voce del dottore, che ancora la teneva stretta per il braccio, ordinarle di seguirlo nella sua cabina. O’Connell la fece sedere, e le avvolse le spalle con una coperta. Elizabeth tremava ancora, sia per il freddo che per la paura. Il dottore la obbligò a bere un sorso di liquore, senza curarsi delle sue proteste. Riprendendosi un poco, lei si volse a guardarlo: “Grazie per avermi salvato”, disse con voce ancora malferma. “Di nulla”, replicò lui; e la spedì a dormire.

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


Risvegliandosi nel tardo pomeriggio

Risvegliandosi nel tardo pomeriggio, Elizabeth rimase qualche istante ad ascoltare lo scricchiolio delle assi, mentre la nave si inclinava ora da una parte, ora dall’altra. Le parve che il beccheggio si fosse un poco ridotto, e si chiese se la tempesta stesse ormai volgendo a termine.

Gli altri marinai erano ancora sottocoperta, e Billy le venne incontro con un sorriso: Tutto bene?”, le chiese. Lei annuì.

Billy proseguì: “Sai, una volta è accaduta anche a me una cosa simile. Mio padre era un ufficiale della Marina Britannica, e quando ero ancora un bambino a volte mi prendeva con sé sulla sua nave. Un giorno ci imbattemmo in una tempesta molto peggiore di quella che tu hai visto oggi. L’albero maestro si spezzò, trascinando in mare molti fra i marinai, e pure io caddi fra le onde. Sarei certamente annegato se uno dei marinai superstiti non si fosse tuffato per salvarmi”.

Elizabeth rabbrividì appena. Billy, guardandola, d’un tratto rise. “Non fare quella faccia, è stato un sacco di tempo fa. Andiamo verso le cucine, ormai dovrebbe essere quasi l’ora di cena”. E tirandola per un braccio la costrinse a seguirlo.

 

La sera era già scesa quando Elizabeth uscì sul ponte. Il vento soffiava ora calmo e regolare, gonfiando le vele che erano state nuovamente spiegate, e spazzando via dal cielo le ultime nubi. Già alcuni squarci di notte stellata si mostravano qua e là, ed Elizabeth rimase in silenzio ad ammirare quei piccoli, gelidi lumi che affollavano silenziosi il manto nero del cielo. Fino a notte inoltrata restò lì fuori, incurante nel freddo, ripensando a tutto ciò che le era accaduto dal momento della sua fuga di casa.

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


Il crepuscolo scendeva grigio e indistinto fra il mare e il cielo nuvoloso

Il crepuscolo scendeva grigio e indistinto fra il mare e il cielo nuvoloso. Sempre più vicina, la luce del faro indicava l’imboccatura del porto; dietro, nell’ombra più densa, si stendeva la città di Boston, punteggiata di luci alle finestre delle case.

Gettata finalmente l’ancora, dopo giorni e giorni di navigazione i marinai scesero nuovamente a terra, diretti alla più vicina taverna per una cena calda e qualche boccale di birra. Un’allegra confusione di voci li accolse all’entrata dell’ampia sala, affollata di persone provenienti dalle diverse nazioni del Vecchio Continente. Al centro, in piedi su una panca, un uomo dai baffi sottili suonava il violino, mentre altri accompagnavano la musica battendo le mani. Terminata la sua esibizione, si inchinò, ringraziando in un curioso misto di inglese e portoghese, poi tornò a sedersi al suo tavolo. Intanto Elizabeth ed i suoi compagni, dopo l’abbondante cena, rimasero seduti chi a sorseggiare un bicchiere di vino, chi a fumare la pipa, chi a chiacchierare guardandosi intorno con aria incuriosita. Elizabeth ascoltava con attenzione il dottore, che stava raccontando a Billy di un suo viaggio nel Nord America, parecchi anni prima.

Era ormai passata la mezzanotte, quando i marinai tornarono a bordo della nave per riposare un poco, prima che il sole sorgesse di nuovo.

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


Il mattino

Nell’aria tiepida del mattino i marinai erano intenti a caricare e scaricare barili, pesanti sacchi e casse piene di mercanzie. Mentre lavorava, Elizabeth si volgeva di tanto in tanto a guardare la città ora piena di vita, e gli alberi che dondolavano pigramente al vento le foglie verde chiaro.

 

Lasciato il porto, la nave procedeva ora speditamente, le vele spiegate al vento che nel cielo di un azzurro intenso portava con sé grandi nubi bianche e vaporose. Boston era ormai lontana dietro di loro, e la linea della costa andava sfumandosi sempre più nella distanza. Con abile mano il timoniere seguiva la rotta indicatagli dal capitano, e intanto fischiettava un allegro motivetto.

Alcuni fra i mozzi più giovani guardavano con una punta di nostalgia la terra che avevano nuovamente lasciato, per affrontare un’altra lunga traversata in mare aperto. I marinai anziani scuotevano il capo, ormai da lungo tempo abituati a condividere la loro esistenza con i pesci ed i gabbiani; e li invitavano a riprendere le loro incombenze.

Solo il capitano e il dottore, appoggiati al parapetto di prua, fissavano l’immensa distesa d’acqua che si stendeva di fronte a loro, come uno splendido deserto color del cielo, increspato solo qua e là dalla spuma delle onde che venivano poi ad infrangersi dolcemente contro lo scafo di legno.

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


Il viaggio era proseguito senza difficoltà, e dopo aver fatto scalo in alcuni porti del Brasile, la nave aveva invertito la su

Il viaggio era proseguito senza difficoltà, e dopo aver fatto scalo in alcuni porti del Brasile, la nave aveva invertito la sua rotta per dirigersi verso l’Inghilterra. Elizabeth ricordava ancora con entusiasmo le meraviglie appena intraviste in quelle terre tropicali, ma in fondo al cuore iniziava a sentire una vaga nostalgia del suo paese natale.

In un luminoso mattino, mentre costeggiavano le isole Antille, Elizabeth e Billy stavano pulendo il ponte, chiacchierando allegramente, quando Billy notò il capitano O’Brian che osservava il mare con sguardo accigliato, e parlava a bassa voce con il dottore accanto a lui. Billy sussurrò ad Elizabeth: “Temo ci sia qualcosa che non va”. Elizabeth guardò nella direzione indicatale da Billy, a pochi passi da loro, e vide O’Connell puntare il cannocchiale verso il mare aperto, e scuotere la testa. Poi lo udì rispondere con tono di voce preoccupato, ma Elizabeth non riuscì a capire cosa stesse dicendo: le parole erano pronunciate rapidamente ed in una lingua a lei sconosciuta.

Tuttavia poco dopo poté vedere lei stessa una nave che si avvicinava rapidamente a loro, e alcuni marinai che si trovavano sulle sartie o di vedetta sull’albero maestro iniziarono a gridare: “I pirati! I pirati!”. Sentendosi raggelare, Elizabeth si volse verso il compagno, ma non notò nessuna emozione sul suo viso, anche se le parve che i suoi lineamenti si fossero come irrigiditi.

 

Il capitano non perse la calma, e organizzò le difese con la sua consueta abilità. Sotto suo ordine, la Dragonfly virò bruscamente e spiegò tutte le vele per allontanarsi il più in fretta possibile. Quando fu evidente che la nave pirata li avrebbe in ogni modo raggiunti, i marinai si prepararono alla battaglia. Molti di loro avevano una spada, ed Elizabeth andò a prendere la sua; altri recuperarono dalla stiva pistole e moschetti. Il dottore, passando di fianco ad Elizabeth, le mise in mano una pistola: “Potresti averne bisogno”, le sussurrò.

 

I pirati erano riusciti a salire a bordo della nave, e i marinai lottavano disperatamente per ricacciarli in mare, guidati dal capitano che si muoveva fra i nemici con agilità di soldato. Nella confusione Elizabeth si guardava intorno per cercare Billy, ma non riusciva a vederlo. Uno dei pirati la colpì di striscio al braccio con la spada; lei si girò di scatto e affondò la sua lama. Rabbrividì un attimo nel vedere l’uomo che si accasciava a terra; poi la sua attenzione fu rivolta altrove. Scorse il suo amico battersi contro due pirati, mentre un altro, più lontano, fece fuoco con la sua pistola. Elizabeth lanciò un grido e accorse a difendere Billy, che si appoggiava ora pesantemente al timone. Nella sua camicia bianca si allargava una macchia di sangue.

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***


Billy non aveva ancora ripreso conoscenza,

Billy non aveva ancora ripreso conoscenza, ma ogni tanto mormorava qualche parola nel sonno. Nella semioscurità, Elizabeth scrutava ansiosamente il suo volto pallido, e di tanto in tanto inumidiva il panno bagnato che poi tornava a posare sulla fronte che scottava. Udì un passo leggero alle sue spalle, e la voce bassa e confortante del dottore: “Dovresti andare a riposare”. Lei scosse la testa, le labbra serrate. O’Connell le strinse il braccio, una presa decisa ma gentile. “Se la caverà, te lo assicuro”. Elizabeth finalmente si volse a guardarlo, ed un incerto sorriso sfiorò le sue labbra e i suoi occhi pieni di lacrime.

 

La nave procedeva ora speditamente verso l’Inghilterra. Nella notte carica di stelle i marinai si erano riuniti sul ponte, cantando e ballando, e bevendo insieme. Elizabeth sedeva in un angolo, accanto a Billy, guardando i volti festosi dei suoi compagni. Ma il forte liquore che le avevano fatto bere le annebbiava un poco la vista, e le rendeva pesanti le palpebre. Appoggiando la testa sulla spalla di Billy, mentre già il sonno si impadroniva a poco a poco di lei, sentì il calore rassicurante del suo maglione di lana contro il proprio viso. Pensò che forse un giorno avrebbe potuto rivelare all’amico il suo segreto, e chissà…

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Capitolo 14
*** Epilogo ***


Il dottor Stephen risaliva la stretta stradina che conduceva al piccolo villaggio

Il dottor Stephen risaliva la stretta stradina che conduceva al piccolo villaggio. Le verdi colline della Scozia si stendevano attorno a lui, ricordandogli quelle della sua amata Irlanda. La stessa pace sembrava regnare sotto il cielo in cui ampie nuvole grigie si rincorrevano nell’aria un poco fredda.

Giunto all’altra estremità del villaggio, si fermò. Entrando nel giardino di una delle graziose casette che si allineavano lungo il sentiero, scorse immediatamente una giovane donna dai capelli raccolti attorno alla testa, che teneva per mano una bambina dai riccioli color del miele. La bimba alzò gli occhi e gridò: “Mamma, guarda, c’è lo zio Stephen!”, e gli corse incontro. Lui sorrise e la prese in braccio: “Ciao Mary! Come sei diventata grande…”

La giovane donna gli venne incontro, e lo salutò. “Sono felice di rivedervi. Dunque il capitano vi ha concesso di trascorrere qualche giorno a terra?”. I suoi occhi grigi scintillavano ridenti.

Il dottore scherzò: “No, sono dovuto venire via di nascosto… D’altra parte, dopo che due dei suoi migliori marinai hanno abbandonato l’equipaggio, è comprensibile…”

Elizabeth rise. Poi, volgendosi verso la casa, chiamò: “Billy, vieni fuori, abbiamo visite”. Non appena vide il dottore, Billy lo salutò cordialmente e gli chiese notizie degli altri marinai.

Mentre il dottore iniziava il suo racconto, il sole stava lentamente volgendo verso le cime delle colline ad ovest, e il vento si faceva via via più freddo. Ad un certo punto Billy disse: “Entrate, potremo parlare più comodamente seduti accanto al fuoco”.

 

Nella stanza piccola ma accogliente, illuminata da una lampada accesa, un allegro fuoco scoppiettava nel caminetto. Seduti al calore della fiamma, sorseggiando una tazza di tè, i tre amici si immersero nei ricordi. La piccola Mary si arrampicò sulle ginocchia di suo padre, per ascoltare meglio i meravigliosi racconti dello “zio Stephen”. E rimasero a parlare fino a tarda notte, quando Elizabeth prese dolcemente in braccio la sua bambina, che già dormiva, per portarla di sopra.

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