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Una piccola scatolina in legno intagliato. La aprì distrattamente, e il carillon
iniziò lentamente a suonare, le note metalliche scandite
faticosamente una ad una. Richiudendola di scatto, la posò sullo scaffale. Troppo
tempo era passato, e non era più una bambina, ormai.
Fissando lo sguardo nelle fiamme
del caminetto, si mise cupamente a riflettere su ciò che la aspettava, se fosse rimasta lì. Il matrimonio con un
uomo odioso, che aveva almeno vent’anni più di lei,
per poi passare il resto della vita rinchiusa nel suo castello ammuffito.
No, non era questo ciò che si
addiceva a lei. Nelle sue vene scorreva il sangue degli Highlanders
scozzesi, gente dall’animo impetuoso e guerriero. Avrebbe combattuto per la sua
libertà.
Prendendo da sopra lo scrittoio un lume ad olio, uscì silenziosamente nel
corridoio. Nessun rumore intorno, tutti stavano ancora dormendo. Dalle alte
finestre filtrava un livido chiarore, la gelida luce che precede
l’alba. Scese le scale rapidamente, dirigendosi verso gli alloggi della servitù.
Una folata di vento la fece rabbrividire, e portò la mano al collo per chiudere
il lembo della veste da notte. Qualcuno doveva aver lasciato i vetri accostati,
forse la giovane cameriera che aveva preso servizio da appena un mese. Al
mattino avrebbe certamente ricevuto i severi rimproveri della governante.
Trovò finalmente ciò che stava
cercando, e si affrettò a ritornare di sopra, un informe fagotto stretto al
petto. D’improvviso udì qualcosa, un tonfo sordo. Spense il lume, e rimase in
ascolto. Di nuovo lo stesso rumore. Finalmente lo riconobbe, era il rumore di
una persiana che sbatteva, da qualche parte nel palazzo. Risalì le scale a tentoni, e richiuse dietro di sé la porta della sua
stanza.
Svolgendo l’involto che aveva con
sé, ne trasse alcuni indumenti, un paio di pantaloni attillati e una camicia
dalle maniche a sbuffo. Ridicolo come i domestici dovessero
vestirsi a quel modo. Si infilò rapidamente gli abiti,
e si avvicinò allo specchio. Dopotutto le stavano meglio di quelle gonne così
ampie che era sempre obbligata a portare. E
sicuramente erano più comodi.
Prese da un cassetto un paio di
forbici, e con un movimento deciso raccolse i suoi lunghi capelli castani con
una mano, tagliandoli di netto appena sopra le spalle. Gettò via le ciocche recise
nel fuoco che ancora ardeva nel caminetto, e si legò i corti capelli alla
maniera dei gentiluomini, calcandosi poi sulla testa un cappello di velluto
verde.
Aprì con una chiave di ottone la pesante cassapanca che teneva ai piedi del suo
letto, e togliendo il doppio fondo ne estrasse una spada nel suo fodero di
cuoio, ed un corto pugnale da infilare alla cintura. Poi, smuovendo una pietra
a fianco della libreria, aprì nel muro un passaggio che conduceva direttamente
alle scuderie.
Giunta in prossimità dell’uscita dallo stretto cunicolo, Elizabeth si
fermò, appoggiandosi alla parete fredda ed umida, e rima
Giunta in prossimità dell’uscita
dallo stretto cunicolo, Elizabeth si fermò, appoggiandosi alla parete fredda ed
umida, e rimase in ascolto. Poi sollevò cautamente la botola ed uscì
all’esterno, avendo cura di ricoprire l’apertura con rami e foglie secche. Le
prime luci dell’alba si facevano strada a fatica fra le nubi e la foschia
notturna, che ancora indugiava tra i rami spogli degli alberi. Il freddo era
pungente, e la costrinse a coprirsi con il pesante mantello che aveva preso con
sé.
Le scuderie erano davanti a lei.
Entrata, sciolse la fune che legava uno dei cavalli, e dopo averlo sellato salì
sulle staffe con un’agilità che denotava una lunga abitudine. Poi partì al
galoppo, dirigendosi verso le colline.
Verso mezzogiorno, una pioggia
fine e fastidiosa iniziò a cadere, e quando gli alberi si diradarono lungo i
fianchi dell’altura Elizabeth si tolse il cappello,
ormai fradicio, e si coprì il capo con il cappuccio del mantello. Finalmente in
cima, fermò il cavallo, e rimase qualche istante a guardarsi intorno, la vista
che spaziava per parecchie miglia. La pioggia aveva infatti
spazzato via le nebbie, e nella cortina argentea delle gocce che ormai si
facevano più rade si distinguevano chiaramente le distese brulle della
brughiera, che declinavano verso il basso, terminando poi bruscamente quando il
terreno si tuffava ripido verso le bianche scogliere. Il mare, grigio sotto il
cielo nuvoloso, era calmo, e la sua candida schiuma lambiva appena i bassi
scogli.
Elizabeth aveva
sempre amato quella visione, fin da bambina; il respiro del mare, così quieto e
regolare, le infondeva un senso di pace, di riposo. Si riscosse, e
spronando il cavallo proseguì il suo cammino. Londra ormai non era molto
lontana.
Nella sera umida e nebbiosa Londra era avvolta in un’atmosfera alquanto
tetra
Nella sera umida e nebbiosa
Londra era avvolta in un’atmosfera alquanto tetra. Qualche carrozza passava di
tanto in tanto, sobbalzando nelle buche e schizzando addosso ai passanti
l’acqua sporca delle pozzanghere. Vicino al porto, un
edificio mal illuminato portava l’insegna di una locanda, che cigolava in modo
lugubre ad ogni soffio di vento. Entrando, una stanza dal soffitto basso
in travi di legno, l’aria resa quasi irrespirabile per il fumo e l’odore di unto proveniente dalle cucine. Numerosi avventori erano
seduti ai tavoli, alcuni giocando a dadi, altri davanti alle loro pinte di
birra scura. Dal fondo della sala giungevano alcune voci irose, forse una lite
fra marinai.
L’oste, udendo la porta aprirsi,
si volse e rimase per qualche istante a fissare il nuovo venuto. Pareva
giovanissimo, gli occhi grigi e penetranti e un qualcosa di indefinibile
nei lineamenti del viso. Avvicinatosi, si rivolse all’oste con una voce che
pareva più quella di un ragazzino, o di una donna: “C’è posto nella vostra
stalla per il mio cavallo?”.
“Sissignore. Mando subito il mio
aiutante. Jack!”, gridò rivolto verso un giovanotto dall’aria annoiata, “porta
il cavallo di questo signore nella stalla, e legalo bene, mi raccomando”.
In quel momento un uomo seduto
accanto al caminetto, e già piuttosto brillo, reclamò a gran voce dell’altra
birra. “Perdoni, un momento solo e sono di nuovo da lei”, si scusò l’oste.
Elizabeth si guardò intorno. Poi,
osservando incuriosita l’oste (un omone dai grandi baffi e pochi radi capelli
sulla testa a uovo) aspettò che terminasse di servire
il cliente.
“Vorrei cenare, e anche una
stanza per dormire, se ne avete una libera”.
“Certamente, come vossignoria
desidera. Potete sedervi a quel tavolo laggiù, intanto vi
faccio preparare la cena”.
Mentre
cenava, Elizabeth osservava divertita le persone che si trovavano nella sala,
pensando che erano ben diversi dalla compagnia che si addiceva ad una dama del
suo rango. O almeno questo era ciò che avrebbe detto
suo padre. Per quello che la riguardava, questi sconosciuti erano molto più
interessanti dei compassati e freddi nobiluomini che di tanto in tanto si
recavano a rendere visita a suo padre o suo fratello. E soprattutto sapevano ridere. D’improvviso la colpì il
pensiero che assai raramente aveva sentito il suono allegro delle risate, non
si addiceva alle persone di classe elevata. Che
sciocchezze, pensò.
Alzandosi per andare a dormire,
urtò inavvertitamente contro un giovane marinaio che si era alzato in piedi per
fare un brindisi con i suoi compagni. Si scusò, e ne ebbe
in cambio un ampio sorriso. Poi il giovane, sempre sorridendo nei suoi occhi
azzurri, le rispose: “Non fa nulla”, e la sua voce chiara aveva un
inconfondibile accento scozzese.
Elizabeth seguì l’oste al piano
di sopra, e questi dopo averle mostrato la stanza che le aveva preparato la salutò con il suo fare cerimonioso. Lei si buttò sul letto e
mentre già si addormentava pensò che il mattino dopo avrebbe dovuto recarsi al
porto, per trovare una nave su cui imbarcarsi.
Svegliandosi di buon ora, Elizabeth guardò dalla piccola finestra della
stanza il cielo grigio di nuvole
Svegliandosi di
buon ora, Elizabeth guardò dalla piccola finestra della stanza il cielo
grigio di nuvole. Fuori non pioveva, ma soffiava un forte vento, e i passanti
giù in strada procedevano a testa bassa ben avvolti nei loro mantelli.
Scese di sotto, pagò l’oste con
le poche monete che aveva preso con sé nella bisaccia, e poi gli disse: “Ho
intenzione di partire oggi stesso, e non posso portare con me il mio cavallo. Vorreste
tenerlo e avere cura di lui?”. “Ma non posso accettare
un simile regalo!”, protestò l’oste.
Elizabeth scosse il capo: “Ad
ogni modo lo lascio nella vostra stalla, potete farne
ciò che volete”. L’oste, profondendosi in inchini e ringraziamenti, augurò a
“sua signoria” un buon viaggio. Elizabeth lo salutò con un cenno del capo e
uscì.
Al porto erano ormeggiate diverse
navi, alcune in partenza, altre appena arrivate; erano per lo
più navi mercantili, ma fra di esse spiccavano due o tre vascelli della Marina
Britannica. Sulle banchine un andirivieni di marinai, mercanti, viaggiatori,
soldati.
Elizabeth si fermò a parlare con
un vecchio che sedeva sul molo fumando la pipa, e gli chiese se sapesse di qualche
capitano in cerca di uomini per il suo equipaggio. Il
vecchio rispose: “Prova a domandare laggiù, vedi quella nave che stanno finendo
di caricare?”. “Grazie, buon uomo”, fece Elizabeth, e si avviò. Giunta alla
nave indicatale dall’anziano signore, si guardò attorno per distinguere il
comandante o un suo secondo.
“Cerchi qualcosa, ragazzino?”, le
disse qualcuno dietro di lei. Si volse e vide un uomo dagli occhi scuri e
severi, con i capelli brizzolati legati dietro il capo, e teneva in mano un
cappello nero. “Cerco una nave su cui imbarcarmi”, rispose lei. “Davvero? E cosa sai fare, dimmi”; la sua voce aveva un timbro
autorevole. “Posso imparare ciò che mi insegnerete”,
ribatté lei guardandolo dritto negli occhi. “Bene, allora posso prenderti come
mozzo. Qual è il tuo nome?”. “RobertCotton, signore”, fece lei. “Io sono O’Brian,
il capitano della Dragonfly. Sali a bordo, Cotton, ragazzo mio!”.
La nave salpò poco prima di
mezzogiorno, ed Elizabeth si volse un attimo a guardare la costa che si
allontanava. Poi riprese a pulire il ponte, chinando la testa. Lavorò tutto il
giorno, e all’ora di cena era stanca morta. Il pasto
non era certo dei migliori, ma la fame lo rendeva del tutto accettabile. D’un tratto, una voce allegra a fianco a lei esclamò: “Che
coincidenza! Ci si rivede, dunque”. Alzando lo sguardo incontrò quello del
giovane marinaio che aveva visto la sera prima nella locanda. “Piacere, il mio
nome è Billy”, fece lui, con un caldo sorriso,
tendendole la mano. Lei gliela strinse: “Io mi chiamo Robert”.
“Bene bene”, fece lui, “ho
idea che ci divertiremo. Il nostro capitano è un davvero un grand’uomo,
e sa come governare la sua nave!”.
Elizabeth rise. Provava
un’istintiva simpatia per quel giovane, e la divertiva il suo modo di fare. Inoltre
le piaceva quel buffo accento scozzese. Gli augurò la buonanotte, e andò a
coricarsi nella sua branda. L’indomani mattina avrebbe dovuto svegliarsi molto
presto.
I marinai furono svegliati dai sordi rintocchi della campana
I marinai furono svegliati dai
sordi rintocchi della campana. Uscendo sopracoperta, l’aria gelida e umida dava
una sgradevole sensazione di disagio. Elizabeth seguì Sean, il vecchio marinaio
che avrebbe dovuto insegnarle il mestiere. Lui le spiegò i nomi e le funzioni
delle varie parti della nave, poi la spedì in cima alle sartie per imparare a
governare le vele. Le corde erano impregnate dell’umidità salmastra, e le
tagliavano mani e piedi. In cima, una visione maestosa della distesa infinita
del mare, e la brezza nei capelli. Elizabeth sorrise appena, poi rivolse la sua
attenzione a Sean, che le mostrava come tenere le funi.
Nel pomeriggio, in un breve
momento di riposo, Billy venne a cercarla e si mise a chiacchierare
allegramente. “Abbiamo fatto questa rotta molte altre volte. La nostra prima
destinazione è Boston, dove scaricheremo le nostre merci: tè, sale, tessuti in
lana, spezie. In cambio i mercanti locali ci consegneranno balle di cotone e
pelli conciate. Poi ci dirigeremo verso il Sud America, per acquistare caffè, zucchero
e tabacco, e infine tornare in Inghilterra. Sarà questa la parte più rischiosa
del viaggio, perché molte navi pirate e corsare infestano le acque dei Caraibi,
attendendo il passaggio di navi cariche di ricche mercanzie”.
Si interruppe un attimo,
guardando verso prua. “Ecco, il capitano è uscito per il suo solito giro di
perlustrazione”. Elizabeth si volse e vide O’Brian camminare lentamente
scrutando l’orizzonte, e poi fermarsi per guardare con il suo cannocchiale.
Poco dopo lo raggiunse un uomo dai capelli rossi, il viso pallido punteggiato
di efelidi. Rivolse qualche parola al capitano, e questi si mise a ridere.
Incredibile come il suo volto così severo potesse illuminarsi a quel modo. Il
suo compagno dai capelli rossi si limitava a sorridere, un sorriso affascinante
e discreto, perfettamente in accordo con il suo modo di fare.
Elizabeth chiese a Billy: “Chi è
quell’uomo che sta parlando con il capitano?”
“E’ il dottore, un irlandese di
nome Stephen O’Connell. E’ un grande amico del capitano, e tutto l’equipaggio
nutre per lui grande rispetto e stima. Non solo è un uomo di scienza, ma è
anche un nostro amico”.
Dopo qualche istante il dottore
salutò il capitano e si diresse verso di loro. “Salve, dottore!”, fece Billy.
Il dottore, con un sorriso, replicò: “Billy, quante volte devo dirti che puoi
chiamarmi Stephen?”. Billy scrollò le spalle, sorridendo a sua volta. Poi
disse: “Questo è Robert, il nostro nuovo mozzo”.
Il dottore fissò Elizabeth per
qualche secondo, e lei si sentì quasi a disagio sotto quello sguardo così
penetrante. Poi, con uno strano sorriso, le tese la mano: “Piacere di
conoscerti, Robert”.
Poteva sbagliarsi, ma le era
parso che il dottore avesse usato un tono di voce lievemente ironico. Con un
cenno di saluto, O’Connell si allontanò, mentre Elizabeth e Billy ritornarono ciascuno
alle sue mansioni.
Il giorno dopo Elizabeth fu incaricata delle cucine, e dovette
rassegnarsi a passare la giornata sottocoperta, a pelar patate
Il mattino
dopo Elizabeth fu incaricata delle cucine, e dovette rassegnarsi a passare l’intera
giornata sottocoperta, a pelar patate e lavare enormi pentole. Servita la cena,
uscì sul ponte per respirare la quieta aria della sera. Il sole stava
sprofondando lentamente nell’oceano, che pareva ora un telo di seta dorata
appena increspato dal vento leggero. Si appoggiò al parapetto della nave e
rimase immobile a fissare l’orizzonte.
Fu
distolta dai suoi pensieri da un passo leggero che si avvicinava alle sue spalle.
Il dottore andò a posare i gomiti sul parapetto proprio accanto ad Elizabeth,
guardando il mare davanti a sé. “Anche a te piace ammirare il tramonto?”, le
chiese senza voltarsi. “Sì”, rispose lei semplicemente.
Lui
si volse a guardarla. “Non vuoi dirmi, ora, il tuo vero nome?”. Elizabeth fissò
per un istante i suoi occhi azzurro cupo. Capì che il dottore aveva indovinato
il suo segreto; ma, senza sapere perché, sentiva di potersi fidare di lui.
“Mi
chiamo Elizabeth”, disse, con voce perfettamente calma. Un lieve sorriso sfiorò
il volto del dottore. “E, se mi è concesso chiederlo, perché hai deciso di
imbarcarti su questa nave?”
Lei
sospirò appena. “Sono fuggita di casa per evitare di dover sposare un uomo che
non amavo. Questo è l’ultimo posto in cui mio padre potrebbe venirmi a cercare;
e poi ho sempre sognato, fin da bambina, di andare per mare”. Entrambi rimasero
silenziosi per un po’, guardando gli ultimi raggi del sole morente. Poi
Elizabeth parlò nuovamente: “Immagino che mi disprezzerete per la mia
decisione”. La sua voce aveva preso un tono più aspro. “Certo non si addice ad
una donna, non è così?”
Il
dottore, guardandola negli occhi, le rispose con assoluta serietà: “No, non ti
disprezzo. Provo anzi la più grande ammirazione per chiunque, uomo o donna,
abbia il coraggio di scegliere la propria libertà”. Lei rimase in attesa. Dopo
qualche istante il dottore proseguì: “Io stesso ho preferito l’esilio dal mio
paese all’obbedienza ad un popolo straniero che lo governa senza alcun diritto”.
Notò lo sguardo interrogativo di Elizabeth. “L’Irlanda è sotto il dominio della
corona inglese; ma io non sento alcun dovere verso un re che non appartiene
alla mia gente, e che si preoccupa solo delle ricchezze che la mia terra gli
può dare”. Tacque per qualche minuto, poi, con una voce dalla quale non era
riuscito a togliere una sfumatura di amarezza: “E così ho fatto di questa nave
la mia casa. Qui sono in volontario esilio, ma libero dall’autorità inglese”.
“Ma
il capitano”, chiese Elizabeth, “non è forse un inglese?”. Il dottore scosse la
testa. “Anche lui è nato in Irlanda, nonostante abbia poi vissuto per tanti
anni in Inghilterra. Ma ora la sua patria è qui fra le onde, e poco si
interessa di questioni politiche. Lo conosco da parecchio tempo, ormai, ed è il
migliore amico che io potessi desiderare”.
Il
sole era ormai tramontato, e si stava facendo buio. Il dottore sorrise, e il
suo sguardo era di nuovo sereno. “Bene, mia giovane amica. Immagino che anche
tu ora vorrai andare a riposare. Non temere, il tuo segreto è al sicuro, ti
prometto che non ne parlerò con anima viva, se tu non vuoi”.
“Grazie”,
disse lei, sinceramente. “Buonanotte”, fece il dottore, salutandola con un cenno
del capo. E si allontanò lasciandola sola a ripensare a quell’inaspettata conversazione.
I giorni di navigazione si susseguivano più o meno uguali, ed Elizabeth
perse ben presto il conto
I
giorni di navigazione si susseguivano più o meno uguali, ed Elizabeth perse ben
presto il conto. Divideva il suo tempo fra le varie incombenze che le venivano
assegnate e i brevi momenti di pausa, che trascorreva ridendo e scherzando con
Billy. Erano ormai diventati grandi amici, e più di una volta Elizabeth era
stata sul punto di confidare a Billy il suo segreto. Ma qualcosa l’aveva sempre
trattenuta. Una specie di curioso imbarazzo, mescolato al timore di rovinare
quell’amicizia che, doveva ammetterlo, era diventata per lei talmente
importante da farle provare una fitta di dolore ogni volta che la sfiorava il
pensiero di poterla perdere.
Aveva
fatto conoscenza anche con gli altri marinai, che generalmente la trattavano
con la loro ruvida gentilezza, istruendo con pazienza la sua inesperienza. A
volte la sera anche lei si univa a loro, guardandoli giocare a dadi
sottocoperta, o ballare e cantare sul ponte al suono delle armoniche a bocca.
Il vecchio Sean le aveva perfino offerto la sua pipa, una volta, ma lei l’aveva
gentilmente rifiutata. Eppure questo gesto le aveva fatto molto piacere, perché
sentiva che gli altri membri dell’equipaggio la consideravano ormai come una di
loro.
Un
pomeriggio fu incaricata di portare il tè al capitano e al dottore, nelle loro
cabine. Bussando con discrezione alla porta di O’Brian, attese che questi le
rispondesse “Avanti!”, con il suo consueto tono di voce forte e autoritario.
Entrando vide che la sua cabina era piuttosto spartana ma confortevole; tutti
gli oggetti erano riposti con un ordine scrupoloso. Il capitano era chino su un
fascio di carte aperte sul tavolino: mappe dei fondali e delle coste americane,
illustrate con dovizia di particolari. Alzò appena il capo, e le fece cenno di
posare la tazza in un angolo. Lei obbedì, facendo attenzione a non rovinare le
carte. Fece per andarsene, ma il capitano la richiamò indietro. Fissandola per
un attimo con i suoi occhi scuri, le rivolse un benevolo sorriso: “Sono sicuro
che diventerai un bravo marinaio, Cotton”. “Grazie, signore”, rispose lei, con
un lieve inchino, e uscì.
Recandosi
poi nella cabina del dottore, rimase colpita dalla quantità di libri e oggetti
che affollavano il tavolino e una piccola mensola alla parete. In alcuni
vasetti di terracotta facevano bella mostra di sé mazzi di piume colorate,
ramoscelli di strane piante, coralli, conchiglie. Sul tavolino erano sparsi un
gran numero di fogli, pieni di disegni e di appunti. Il dottore, sorseggiando
il suo tè, guardava divertito la meraviglia che si dipingeva sul volto di
Elizabeth. Poi, ridendo, disse: “Ti piacerebbe dare un’occhiata al resto della
mia collezione?”. Lei annuì. O’Connell aprì una cassapanca di legno, in cui
conservava con cura pietre di varie forme e colori, piccoli fossili, un guscio
di tartaruga, alcuni semi di piante esotiche raccolti durante i suoi viaggi, e
una collezione di foglie e fiori secchi, incollati con pazienza su fogli di
carta, poi rilegati a formare un libro. Infine le mostrò i suoi disegni: piante
e animali del Nuovo Mondo, tratteggiati con pochi ma efficaci tratti di penna,
e a fianco alcune note scritte con la sua grafia minuta e aggraziata.
Più
tardi, raccontando a Billy le meraviglie che le aveva mostrato il dottore, non
poté trattenersi dall’esclamare: “Come mi piacerebbe poter vedere quei luoghi
che il dottore mi ha descritto!” Billy sorrise. “Anch’io ho sempre sognato di
conoscere i segreti delle piante e delle bestie, e di visitare terre lontane.
Ma dopo aver passato undici anni su questa nave, la cosa che desidero di più è
ritornare nella terra dove sono nato, su nelle Highlands. Una piccola casetta,
una moglie, dei bambini… E al mattino affacciarmi alla finestra, per vedere fra
la nebbia che si dirada il verde delle colline…”
Elizabeth
rimase per un attimo assorta. Le parole di Billy le avevano suscitato
un’improvvisa nostalgia per la Scozia, che pure aveva visto una sola volta. Una
visione di pace si presentò d’improvviso alla sua mente: un paesino sul fianco
di una collina, bambini che giocavano ridendo. E per un attimo aveva anche
immaginato… Si voltò di scatto, perché Billy non la vedesse arrossire. Cercando
di scacciare quel pensiero, salutò l’amico, e ritornò ai suoi compiti di mozzo.
Il susseguirsi di giornate limpide e leggermente ventose prometteva un
viaggio tranquillo e sicuro
Il
susseguirsi di giornate limpide e leggermente ventose prometteva
un viaggio tranquillo e sicuro. Ma d’improvviso il
tempo volse al brutto, e un vento maligno iniziò a scuotere le vele, portando
con sé minacciose nuvole cariche di pioggia. Un mattino, verso mezzogiorno, Billy alzò lo sguardo e osservando con occhio critico il
cielo, scosse la testa e mormorò: “Si sta avvicinando una burrasca”.
Infatti di lì a poco un forte temporale si abbatté su di
loro, con forti raffiche di vento che rischiavano di rompere le vele. Il capitano, ritto sul ponte nonostante le ondate che si
abbattevano contro i fianchi della nave, facendola oscillare paurosamente,
manteneva la sua consueta freddezza, dando ordini secchi e perentori. I
marinai si davano da fare per portare sottocoperta tutto ciò che il mare poteva
spazzare via, e il dottore lavorava insieme a tutti gli altri. Lottando per non cadere, Elizabeth aiutava un gruppo di marinai
intenti ad ammainare le pesanti vele, che per di più erano ora fradice di
pioggia. Scesa sul ponte, si affrettò a seguire l’ordine del capitano di
ritirarsi sottocoperta, ma un’ondata più forte la investì, facendole perdere
l’equilibrio e quasi trascinandola fuori bordo. Ma una mano ferma la afferrò e
la condusse a forza dentro al boccaporto.
Tossendo
violentemente per l’acqua che aveva inghiottito, udì la voce del dottore, che
ancora la teneva stretta per il braccio, ordinarle di seguirlo nella sua
cabina. O’Connell la fece
sedere, e le avvolse le spalle con una coperta. Elizabeth tremava ancora, sia
per il freddo che per la paura. Il dottore la obbligò a bere un sorso di
liquore, senza curarsi delle sue proteste. Riprendendosi un poco, lei si volse
a guardarlo: “Grazie per avermi salvato”, disse con voce ancora malferma. “Di
nulla”, replicò lui; e la spedì a dormire.
Risvegliandosi nel tardo pomeriggio,
Elizabeth rimase qualche istante ad ascoltare lo scricchiolio delle assi,
mentre la nave si inclinava ora da una parte, ora dall’altra.
Le parve che il beccheggio si fosse un poco ridotto, e si chiese se la tempesta
stesse ormai volgendo a termine.
Gli altri marinai erano ancora sottocoperta,
e Billy le venne incontro con un sorriso: “Tutto bene?”, le chiese. Lei annuì.
Billy
proseguì: “Sai, una volta è accaduta anche a me una cosa simile. Mio padre era un
ufficiale della Marina Britannica, e quando ero ancora un bambino a volte mi
prendeva con sé sulla sua nave. Un giorno ci imbattemmo
in una tempesta molto peggiore di quella che tu hai visto oggi. L’albero
maestro si spezzò, trascinando in mare molti fra i marinai, e pure io caddi fra
le onde. Sarei certamente annegato se uno dei marinai superstiti non si fosse
tuffato per salvarmi”.
Elizabeth
rabbrividì appena. Billy, guardandola, d’un tratto
rise. “Non fare quella faccia, è stato un sacco di tempo fa. Andiamo
verso le cucine, ormai dovrebbe essere quasi l’ora di cena”. E tirandola per un braccio la costrinse a seguirlo.
La
sera era già scesa quando Elizabeth uscì sul ponte. Il
vento soffiava ora calmo e regolare, gonfiando le vele che erano state
nuovamente spiegate, e spazzando via dal cielo le ultime nubi. Già alcuni
squarci di notte stellata si mostravano qua e là, ed Elizabeth rimase in
silenzio ad ammirare quei piccoli, gelidi lumi che affollavano silenziosi il
manto nero del cielo. Fino a notte inoltrata restò lì fuori, incurante nel
freddo, ripensando a tutto ciò che le era accaduto dal momento della sua fuga
di casa.
Il crepuscolo scendeva grigio e indistinto fra il mare e il cielo
nuvoloso
Il
crepuscolo scendeva grigio e indistinto fra il mare e il cielo nuvoloso. Sempre
più vicina, la luce del faro indicava l’imboccatura del porto; dietro,
nell’ombra più densa, si stendeva la città di Boston, punteggiata di luci alle
finestre delle case.
Gettata
finalmente l’ancora, dopo giorni e giorni di navigazione i marinai scesero
nuovamente a terra, diretti alla più vicina taverna per una cena calda e
qualche boccale di birra. Un’allegra confusione di voci li accolse all’entrata
dell’ampia sala, affollata di persone provenienti dalle diverse nazioni del
Vecchio Continente. Al centro, in piedi su una panca, un uomo dai baffi sottili
suonava il violino, mentre altri accompagnavano la musica battendo le mani.
Terminata la sua esibizione, si inchinò, ringraziando in un curioso misto di
inglese e portoghese, poi tornò a sedersi al suo tavolo. Intanto Elizabeth ed i
suoi compagni, dopo l’abbondante cena, rimasero seduti chi a sorseggiare un
bicchiere di vino, chi a fumare la pipa, chi a chiacchierare guardandosi
intorno con aria incuriosita. Elizabeth ascoltava con attenzione il dottore,
che stava raccontando a Billy di un suo viaggio nel Nord America, parecchi anni
prima.
Era
ormai passata la mezzanotte, quando i marinai tornarono a bordo della nave per
riposare un poco, prima che il sole sorgesse di nuovo.
Nell’aria
tiepida del mattino i marinai erano intenti a caricare e scaricare barili,
pesanti sacchi e casse piene di mercanzie. Mentre lavorava, Elizabeth si
volgeva di tanto in tanto a guardare la città ora piena di vita, e gli alberi
che dondolavano pigramente al vento le foglie verde chiaro.
Lasciato
il porto, la nave procedeva ora speditamente, le vele spiegate al vento che nel
cielo di un azzurro intenso portava con sé grandi nubi bianche e vaporose. Boston
era ormai lontana dietro di loro, e la linea della costa andava sfumandosi
sempre più nella distanza. Con abile mano il timoniere seguiva la rotta
indicatagli dal capitano, e intanto fischiettava un allegro motivetto.
Alcuni
fra i mozzi più giovani guardavano con una punta di nostalgia la terra che
avevano nuovamente lasciato, per affrontare un’altra lunga traversata in mare
aperto. I marinai anziani scuotevano il capo, ormai da lungo tempo abituati a
condividere la loro esistenza con i pesci ed i gabbiani; e li invitavano a
riprendere le loro incombenze.
Solo
il capitano e il dottore, appoggiati al parapetto di prua, fissavano l’immensa
distesa d’acqua che si stendeva di fronte a loro, come uno splendido deserto
color del cielo, increspato solo qua e là dalla spuma delle onde che venivano poi
ad infrangersi dolcemente contro lo scafo di legno.
Il viaggio era proseguito senza difficoltà, e dopo aver fatto scalo in
alcuni porti del Brasile, la nave aveva invertito la su
Il
viaggio era proseguito senza difficoltà, e dopo aver fatto scalo in alcuni
porti del Brasile, la nave aveva invertito la sua rotta per dirigersi verso
l’Inghilterra. Elizabeth ricordava ancora con entusiasmo le meraviglie appena
intraviste in quelle terre tropicali, ma in fondo al cuore iniziava a sentire
una vaga nostalgia del suo paese natale.
In un
luminoso mattino, mentre costeggiavano le isole Antille, Elizabeth e Billy stavano
pulendo il ponte, chiacchierando allegramente, quando Billy notò il capitano
O’Brian che osservava il mare con sguardo accigliato, e parlava a bassa voce
con il dottore accanto a lui. Billy sussurrò ad Elizabeth: “Temo ci sia
qualcosa che non va”. Elizabeth guardò nella direzione indicatale da Billy, a
pochi passi da loro, e vide O’Connell puntare il cannocchiale verso il mare
aperto, e scuotere la testa. Poi lo udì rispondere con tono di voce
preoccupato, ma Elizabeth non riuscì a capire cosa stesse dicendo: le parole
erano pronunciate rapidamente ed in una lingua a lei sconosciuta.
Tuttavia
poco dopo poté vedere lei stessa una nave che si avvicinava rapidamente a loro,
e alcuni marinai che si trovavano sulle sartie o di vedetta sull’albero maestro
iniziarono a gridare: “I pirati! I pirati!”. Sentendosi raggelare, Elizabeth si
volse verso il compagno, ma non notò nessuna emozione sul suo viso, anche se le
parve che i suoi lineamenti si fossero come irrigiditi.
Il
capitano non perse la calma, e organizzò le difese con la sua consueta abilità.
Sotto suo ordine, la Dragonfly virò bruscamente e spiegò tutte le vele per
allontanarsi il più in fretta possibile. Quando fu evidente che la nave pirata
li avrebbe in ogni modo raggiunti, i marinai si prepararono alla battaglia.
Molti di loro avevano una spada, ed Elizabeth andò a prendere la sua; altri
recuperarono dalla stiva pistole e moschetti. Il dottore, passando di fianco ad
Elizabeth, le mise in mano una pistola: “Potresti averne bisogno”, le sussurrò.
I
pirati erano riusciti a salire a bordo della nave, e i marinai lottavano disperatamente
per ricacciarli in mare, guidati dal capitano che si muoveva fra i nemici con
agilità di soldato. Nella confusione Elizabeth si guardava intorno per cercare
Billy, ma non riusciva a vederlo. Uno dei pirati la colpì di striscio al
braccio con la spada; lei si girò di scatto e affondò la sua lama. Rabbrividì
un attimo nel vedere l’uomo che si accasciava a terra; poi la sua attenzione fu
rivolta altrove. Scorse il suo amico battersi contro due pirati, mentre un
altro, più lontano, fece fuoco con la sua pistola. Elizabeth lanciò un grido e
accorse a difendere Billy, che si appoggiava ora pesantemente al timone. Nella
sua camicia bianca si allargava una macchia di sangue.
Billy
non aveva ancora ripreso conoscenza, ma ogni tanto mormorava qualche parola nel
sonno. Nella semioscurità, Elizabeth scrutava ansiosamente il suo volto
pallido, e di tanto in tanto inumidiva il panno bagnato che poi tornava a
posare sulla fronte che scottava. Udì un passo leggero alle sue spalle, e la
voce bassa e confortante del dottore: “Dovresti andare a riposare”. Lei scosse
la testa, le labbra serrate. O’Connell le strinse il braccio, una presa decisa
ma gentile. “Se la caverà, te lo assicuro”. Elizabeth finalmente si volse a
guardarlo, ed un incerto sorriso sfiorò le sue labbra e i suoi occhi pieni di
lacrime.
La
nave procedeva ora speditamente verso l’Inghilterra. Nella notte carica di
stelle i marinai si erano riuniti sul ponte, cantando e ballando, e bevendo
insieme. Elizabeth sedeva in un angolo, accanto a Billy, guardando i volti
festosi dei suoi compagni. Ma il forte liquore che le avevano fatto bere le
annebbiava un poco la vista, e le rendeva pesanti le palpebre. Appoggiando la
testa sulla spalla di Billy, mentre già il sonno si impadroniva a poco a poco
di lei, sentì il calore rassicurante del suo maglione di lana contro il proprio
viso. Pensò che forse un giorno avrebbe potuto rivelare all’amico il suo
segreto, e chissà…
Il dottor Stephen risaliva la stretta stradina che conduceva al piccolo
villaggio
Il
dottor Stephen risaliva la stretta stradina che conduceva al piccolo villaggio.
Le verdi colline della Scozia si stendevano attorno a lui, ricordandogli quelle
della sua amata Irlanda. La stessa pace sembrava regnare sotto il cielo in cui
ampie nuvole grigie si rincorrevano nell’aria un poco fredda.
Giunto
all’altra estremità del villaggio, si fermò. Entrando nel giardino di una delle
graziose casette che si allineavano lungo il sentiero, scorse immediatamente
una giovane donna dai capelli raccolti attorno alla testa, che teneva per mano
una bambina dai riccioli color del miele. La bimba alzò gli occhi e gridò: “Mamma,
guarda, c’è lo zio Stephen!”, e gli corse incontro. Lui sorrise e la prese in
braccio: “Ciao Mary! Come sei diventata grande…”
La
giovane donna gli venne incontro, e lo salutò. “Sono felice di rivedervi.
Dunque il capitano vi ha concesso di trascorrere qualche giorno a terra?”. I
suoi occhi grigi scintillavano ridenti.
Il
dottore scherzò: “No, sono dovuto venire via di nascosto… D’altra parte, dopo
che due dei suoi migliori marinai hanno abbandonato l’equipaggio, è
comprensibile…”
Elizabeth
rise. Poi, volgendosi verso la casa, chiamò: “Billy, vieni fuori, abbiamo
visite”. Non appena vide il dottore, Billy lo salutò cordialmente e gli chiese
notizie degli altri marinai.
Mentre
il dottore iniziava il suo racconto, il sole stava lentamente volgendo verso le
cime delle colline ad ovest, e il vento si faceva via via più freddo. Ad un
certo punto Billy disse: “Entrate, potremo parlare più comodamente seduti
accanto al fuoco”.
Nella
stanza piccola ma accogliente, illuminata da una lampada accesa, un allegro
fuoco scoppiettava nel caminetto. Seduti al calore della fiamma, sorseggiando
una tazza di tè, i tre amici si immersero nei ricordi. La piccola Mary si
arrampicò sulle ginocchia di suo padre, per ascoltare meglio i meravigliosi
racconti dello “zio Stephen”. E rimasero a parlare fino a tarda notte, quando
Elizabeth prese dolcemente in braccio la sua bambina, che già dormiva, per
portarla di sopra.