This is us, again

di Nao Yoshikawa
(/viewuser.php?uid=994809)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Parte Prima ***
Capitolo 2: *** Parte seconda ***



Capitolo 1
*** Parte Prima ***


Dedico questa storia a Cress Morlet, che mi ha fatto avvicinare a Star Wars, alla Reylo e che ci regala splendide storie su questa coppia <3

This is us, again

 
Parte Prima
 
I funerali non piacevano a nessuno.
A Rey meno che ad altri, ma non aveva avuto altra scelta. Riguardava anche lei dopotutto ed era ancora incredula. Eppure non si era lasciata andare ad un pianto esasperato, aveva mantenuto un certo contegno mentre stringeva la mano di suo figlio. Perché in fondo Noa aveva solo quattordici anni e non voleva dargli ulteriori pene, era già abbastanza difficile il fatto che Luke, zio Luke, se ne fosse andato.
Cose che capitavano. Era oramai anziano e se n’era andato placidamente nel sonno, ma ciò non aveva reso più facile il dopo.
Rey se ne stava seduta e immobile in chiesa, ascoltando distrattamente la funzione funebre. Più di una volta si era ritrovata a guardare Leia, la vedova che adesso si ritrovava ad affrontare anche la morte del gemello, colei che era sempre stata una madre. E, accanto a quest’ultimo, vi era Ben.
Suo marito.
Ex marito, in verità.
Ben era in religioso silenzio, dignitoso anche nel suo dolore. I loro sguardi si erano incrociati più di una volta e Rey sapeva che sarebbe dovuta andare da lui, fargli le condoglianze, stare insieme, erano pur sempre una famiglia, dopotutto. Una famiglia spezzata a metà come tante, una coppia divorziata che cercava di non fare mancare nulla al figlio adolescente.
Ma non sempre era facile.
Se si riguardava indietro, Rey si domandava come fossero diventati estranei. Un tempo non lo avrebbe creduto possibile, eppure adesso erano lì, a guardarsi di soppiatto.
Ben, cosa ci è successo?
 
 
La prima volta che Rey aveva visto la loro nuova casa, era sicura che gli occhi le si fossero illuminati. Era solo un appartamento, piccolo e comodo, fatto su misura per una coppia appena sposata come loro.
«Ben, è semplicemente perfetto», sussurrò Rey, sfiorando le pareti che sarebbero state da riverniciare. Mancavano ancora i mobili, ma già nella mente aveva un’immagine ben precisa di come sarebbe stata.
«Davvero ti piace? Mi rendo conto che forse non è quello che volevi», parlò Ben, timido, guardandosi intorno. E Rey, sue moglie, l’osservò con sul viso il più luminoso dei sorrisi.
«Ma è perfetta! Questo è esattamente ciò che volevo. Una casa che ci siamo guadagnati con fatica ha un valore inestimabile per me. Allora vediamo… sto pensando… di che colore potrebbero essere le pareti?»
Ben osservò Rey, la sua espressione concentrata e il modo in cui camminava per l’appartamento.
Era così fortunato. Erano stati fortunati ad incontrarsi, a scuola per l’esattezza. La storia più vecchia del mondo, il ragazzino schivo e solitario e la ragazzina che per difenderlo dai bulli si era procurata un occhio nero e una sgridata dal preside. Provvidenziale quell’incontro, non solo per la salute di Ben, ma per la sua intera vita. Dall’età di dodici anni non si erano più lasciati, stesso liceo, stesso gruppo di amici.
Beh, gli amici di Rey in realtà, che erano poi divenuti anche suoi.
E poi si erano messi insieme, compiendo un passo l’uno nella direzione dell’altro, all’età di diciotto anni. Probabilmente si erano sempre amati. O almeno, Ben si era innamorato dalla prima volta in cui l’aveva vista, quando era un solo un ragazzino gracile.
Era stata una qualche strana forza, ad unirli?
«Perché mi guardi così?»
Rey interruppe il flusso dei suoi pensieri.
«Ti guardo sempre allo stesso modo, signora Solo.»
Lei arrossì, guardando la fede che portava all’anulare sinistro. Il loro era stato un matrimonio molto semplice e intimo, non avevano organizzato nulla con mesi d’anticipo. L’avevano fatto ed era stato bellissimo così.
«Dammi tregua, mi abituerò prima o poi. E così alla fine la salvatrice ha sposato il povero bambino indifeso», giocosa gli si avvicinò, poggiandogli le mani sul petto e sollevandosi sulle punte.
«Ti piacevo già da allora, ammettilo», Ben l’abbracciò e la baciò, respirando il suo profumo che avrebbe impregnato anche la loro casa, piccola, ma calda e accogliente.
«Certo che mi piacevi, ma non lo sapevo ancora», rispose lei, ascoltando il suono del suo cuore. «Ehi, Ben.»
«Mh?»
«C’è qualcosa che perde.»
Ben si staccò dall’abbraccio. Dannazione, il lavandino perdeva!
«Accidenti, ma perché? Siamo appena arrivati e già si è rotto qualcosa?»
Rey rise, passandogli davanti.
«Non ti disperare e lascia fare queste cose a chi se ne intende!»
 
Alla fine della funzione funebre, Rey e Noa si avvicinarono ai membri della famiglia Solo. Leia se ne stava seduta, rassegnata, asciugandosi gli occhi con un fazzoletto.
«Nonna. Papà», il ragazzino abbracciò prima l’uno e poi l’altro, ma Ben si permise di tenerlo stretto a sé un po’ di più.
«Ehi…» sussurrò affettuoso, guardando poi Rey a cui fece un cenno.
Un’estranea. Niente più di quello.
Faceva così male.
«Rey cara, grazie per essere venuta.»
«Non devi dirlo neanche, Leia», rispose lei stringendole una mano.
Ben tossì, si schiarì la voce, in evidente imbarazzo.
«Noa, hai fame?»
«Un po’», rispose il ragazzino che tanto somigliava a Ben, con quei capelli neri e i grandi occhi espressivi.
«Allora ti porto a prendere qualcosa. A tra poco», disse rivolgendosi a Rey, la quale gli concesse un sorriso di circostanza.
Faceva troppo male.
«Rey, ti va di prendere un po’ d’aria?» domandò gentilmente Leia.
 
La più giovane le permise di farsi prendere sottobraccio, una volta uscite di chiesa, Leia era anziana, ma ancora in forma. Il cielo sopra le loro teste era sereno, il sole brillava e il profumo di fiori e di primavera era nell’aria.
«Dimmi, come sta Noa?» domandò ad un tratto Leia.
«Noa? Sta abbastanza bene. Certo, è un po’ scosso, era molto affezionato a Luke. Ma è forte, se la caverà.»
Lo sguardo di Rey si posò sulle figure di Ben e suo figlio, vicino ad un chioschetto, che prendevano da mangiare.
In un modo o nell’altro finiva sempre con il guardarlo, sempre.
«E come procedono le cose fra te e mio figlio?»
Leia era sempre stata molto discreta, anche quando avevano deciso di divorziare non si era mai intromessa, ma era evidente che avesse intuito qualcosa, quella donna capiva sempre tutto.
«Bene, credo. Ci vediamo il week-end, quando viene a prendere Noa. Sì, insomma… andiamo d’accordo.»
Ora Ben stava sorridendo da lontano rivolto a suo figlio.
Erano passati tre anni, eppure era ancora assurdo pensarci, forse Rey non lo aveva ancora metabolizzato, ci sarebbe mai riuscita?
«Ti vedi con qualcuno?»
Rey arrossì, trovando così innaturale la sola idea di immaginarsi accanto a qualcun altro.
«Mio Dio, no.»
«E cosa ci sarebbe di strano? Sei giovane, ti rifarai una vita, prima o poi.»
«Io credo di stare bene da sola», abbassò lo sguardo.
Non chiederglielo, non chiederglielo.
«E Ben si vede con qualcuna?»
Si odiò.
Certo, non erano affari suoi. Loro oramai non erano più niente.
«Oh, no. Dopotutto lo sai anche tu che Ben ti ama ancora.»
Sempre così, Leia. Diceva ciò che pensava e invecchiando la cosa era peggiorata.
Rey si fermò di scatto, rabbrividendo.
«Oh, Leia. Io non so se… non credo che…»
«Ascoltami, sono stata sposata per più di trent’anni e so quanto un matrimonio può essere difficile. E sai anche che non mi sono mai intromessa, ma se devo essere sincera penso che l’idea del divorzio sia stata troppo affrettata.»
Rey distolse lo sguardo.
Lo pensava anche lei.
Sì, quello doveva essere pentimento. Sapeva che se fosse tornata indietro, avrebbe agito diversamente. Forse lei e Ben erano stati impulsivi? Avevano rovinato tutto a causa dell’esasperazione? Rey non faceva altro che domandarselo, perché da quando avevano divorziato non faceva che avvertire un peso lì, sullo stomaco.
«Ma tu come… come fai a…?»
«Vedo come ti guarda e come tu guardi lui. Non avete mai smesso di amarvi, né potete stare divisi, l’ho capito da quando vi ho visti la prima volta. Ah, ma non dar retta alle chiacchiere di una vecchia signora.»
A Rey venne da sorridere. Possibile che Leia non avesse torto? Su di lei di certo non l’aveva, anche se non tanto facilmente lo ammetteva ad alta voce. Guardò ancora Ben parlare con Noa e fu colta da un moto strano, come di malinconia.
 
Rey non aveva mai visto Ben così agitato, il che era tutto un dire, lo conosceva praticamente da una vita. E poteva capirlo, ma a differenza sua non camminava avanti e indietro in preda ad una crisi nervosa.
«Allora, com’è? Positivo o negativo?» quella era la quinta volta che glielo domandava
«Ben, non lo so. Devi dargli tempo.»
«Tempo. Tempo! Ma soprattutto, perché mi agito tanto? Io sono un insegnante, sto con i ragazzini ogni giorno. Qual è il problema?» esasperato, le si sedette finalmente accanto.
«Perché con un figlio proprio è diverso, immagino», sbuffò Rey.
E così era successo, infine. Allargare la famiglia era nei loro piani, ma avevano creduto di avere più tempo, completamente presi dal lavoro com’erano. Rey aveva un’officina in cui lavorava con il suo migliore amico Finn, Ben invece aveva iniziato da poco a lavorare come insegnante di sostegno per ragazzi disabili, la casa poi era stata ristrutturata da poco.
Insomma, un figlio a breve non era nei piani. Rey si avvicinò, accarezzandogli i capelli e poi guardò il test di gravidanza che teneva in mano.
«Oh.»
«Che vuol dire “oh”?»
«Che è positivo», mormorò, portandosi una mano sul viso. «Che sono incinta. Ben, ti prego, adesso non bloccarti e dì qualcosa.»
Ma Ben sembrava già assente, con lo sguardo attonito. Era scattato qualcosa che lo aveva fatto andare in panico. Come avrebbe fatto?
Non ne sarebbe stato in grado, ne era certo, eppure al contempo non poté non provare un moto di felicità.
«Ben!»
All’ennesimo richiamo, l’aveva finalmente guardata.
«Io… amh… io…»
«Sono un po’ stordita. Non mi aspettavo accadesse così», Rey incrociò le gambe sul divano. «Che vuoi fare?»
Ben si disse che doveva trovare il modo di non farsi prendere dal panico. Rey contava su di lui e quella era la loro famiglia.
«Va bene, Rey, Voglio sorvolare sul fatto che ho un attacco di panico in corso, perché devi sapere che… che questo è a dir poco straordinario», sorrise, emozionato.
«Lo è, vero? Sono così confusa, ma come può una persona sentirsi spaventata e felice allo stesso tempo?»
«Non lo so. Non so niente, in questo momento. Ma che vuoi che importi? Avremo un bambino, noi!»
In un impeto di felicità, Ben la sollevò a tradimento, abbracciandola.
Eccome se era spaventato, quasi non riusciva a respirare. Però era anche magnifico e nonostante tutto voleva vivere quell’avventura appieno.
«Ben Solo! Ma ti sembra il modo? Guarda che sono delicata!» Rey rise, aggrappandosi a lui. Proprio non capiva i suoi dubbi. Ben sarebbe stato un padre perfetto, così com’era un marito perfetto. Lo sentì accarezzarla e poi baciarla come mai aveva fatto.
 
La cosa bella del poter lavorare con il proprio migliore amico, era il fatto di poter parlare di tutto quando si poteva. Era una fortuna che Finn ci fosse, era il confidente numero uno di Rey.
«Allora, com’è andata al funerale? Tu e Ben vi siete almeno parlati?» domandò Finn tutto intento a controllare le ruote di un auto, i due si erano oramai fatti una nomina nel quartiere e la loro era un’officina molto conosciuta.
Rey si lasciò andare ad un profondo sospiro.
«Non molto, in realtà, ed è stato meglio così. Anche se dopo quasi tre anni, insomma..»
Era a dir poco assurdo che si comportassero in maniera così infantile e sciocca.
«Te lo dico io perché. Perché vi amate ancora, mi sembra abbastanza evidente la cosa», commentò Finn, facendo cadere a Rey la cassa con gli strumenti. Ci si metteva anche lui adesso? Perché tutti non facevano che ripeterle la stessa cosa?
«Anche se fosse non ha importanza. L’amore non basta.»
«Sì, d’accordo», sbuffò Finn. «Ma devi ammettere che è un peccato, noi quattro ci divertivamo insieme. E poi io e Poe abbiamo fatto da testimoni al vostro matrimonio e voi al nostro e…»
«Lo so, Finn. Me lo ricordo bene», raccolse la cassa degli strumenti, afflitta. Era consapevole di ciò che provava, in realtà era sicura che non avrebbe mai amato nessuno a parte Ben. Ma perché l’amore non poteva bastare? Perché doveva essere tutto così difficile?
«Io non credo che la vostra storia sia finita, anche se avete divorziato», disse Fin dopo un po’. Lui lo sapeva bene, era il migliore amico di Rey da una vita e visto che era stata lei a far mettere insieme lui e Poe, oramai anni prima, sentiva che non poteva starsene lì in disparte a guardare o a far finta di niente.
Non era finita? Davvero? Perché a Rey sembrava il contrario.
Però, ad esempio, la fede la conservava ancora gelosamente. Alle volte la indossava, ricordando il giorno del suo matrimonio e allora tratteneva a stento le lacrime.
Una stupida ragazzina innamorata, ecco cos’era rimasta.
Tra i vari strumenti poggiati sul tavolo in legno, vi era il telefono di Rey, il quale prese a squillare.
«Arrivo!» esclamò, afferrandolo senza nemmeno leggere il mittente. «Chi è?»
 
Una chiamata da scuola, quella era la prima volta. Noa era sempre stato un ragazzino giudizioso, un po’ timido come suo padre, ma anche fortemente impulsivo. Ma mai, mai una volta aveva creato problemi, per questo quando Rey aveva ricevuto una telefonata dal preside, era un po’ andata in panico. Giunta a scuola, aveva trovato Noa seduto a braccia conserte, con la borsa del ghiaccio poggiata alla fronte.
«Noa, ehi. Che cosa è successo?» domandò dolce, inginocchiandosi.
«Niente, non è successo niente», si agitò lui. «Giuro che non è importante.»
«Ma se il tuo preside mi ha chiamata, evidentemente deve essere importante», mentre parlava, arrivò una terza persona un po’ inaspettata.
Ben. Ben che aveva il fiato corto, doveva aver corso.
«Che succede?»
«B-Ben? Anche tu qui? Voglio dire, non pensavo avessero telefonato anche te.»
Ben si lisciò i capelli, nervoso, non immaginava ci fosse anche lei e lui odiava le cose improvvise.
«Io… sì… ho fatto più in fretta che ho potuto. Ma è successo qualcosa di grave?»
«Non è successo niente, non possiamo evitare?» Noa era arrossito per la vergogna e nessuno dei due intuì bene il perché. Ma per sfortuna del ragazzo, dovettero entrare tutti e tre nell’ufficio del preside. Il cosa fosse successo in realtà era abbastanza evidente, Noa doveva aver avuto una rissa con qualcuno, ma non poteva essere stato lui a cominciare, non era proprio da suo figlio. Ma la verità era ben altra ed era stato Noa a sferrare il primo colpo, a detta sua per difendersi da degli insulti, ma non era sceso molto nei dettagli. Alla fine Noa se l’era cavata con una nota di demerito essendo il primo richiamo, ma sia Ben che Rey sapevano che non poteva finire lì, che dovevano parlare entrambi con loro figlio, perché era evidente che nascondesse qualcosa.
«Allora…» esordì Ben, dopo che Rey gli ebbe lanciato un’occhiata. «Che ne dite di un gelato?»
Era un po’ come rimembrare i bei vecchi tempi andati, per tutti e tre. I momenti e i ricordi felici della loro famiglia erano tanti e semplici, come una passeggiata,  una vacanza, una serata a guardare un film.
Era stato bello.
 
Era chiaro che Noa avesse qualcosa che non andava. Non aveva minimamente toccato il suo gelato al cioccolato e pensare che era il suo gusto preferito. Si erano seduti tutti insieme su una panchina, in un posto tranquillo.
«So che siete qui perché volete parlarmi, questo non è cambiato,  non sapete fingere», sospirò Noa, guardando la sua coppetta.
Ben guardò Rey, non sapendo cosa dire  e lei allora gli diede una gomitata.
«Sì, Noa. Credo sia il caso di parlare di ciò che è successo. Ci hai raccontato che hai fatto a botte con un tuo compagno perché ti insultava, ma ti conosciamo, non saresti scattato da un momento all’altro per una cosa da nulla.»
Ben era sempre stato un genitore apprensivo, molto più di Rey, che almeno riusciva a nasconderlo. Essendo stato vittima di bullismo, non voleva che a suo figlio capitasse lo stesso. Noa sospirò, alzando lo sguardo.
«Mi hanno detto che sono gay. O per meglio dire, l’hanno detto con termini molto poco gentili, non mi va di ripeterlo. Lo fanno sempre e io mi sono arrabbiato e… ho colpito.»
Rey rilasciò l’aria che aveva fino a quel momento trattenuto. Poteva immaginare cosa suo figlio dovesse aver provato, dopotutto era amica di Finn,a  lui era capitato lo stesso da adolescenti.
«Ti hanno detto… oh, Noa. Avresti dovuto parlarcene subito.»
Suo figlio però distolse lo sguardo, in evidente difficoltà. Si innervosiva facilmente e altrettanto facilmente ne dava prova.
«C’è dell’altro?» tentò Ben. Aveva scorto nel suo sguardo qualcosa, un segreto. Noa, senza guardarli in viso, prese un respiro profondo.
«Come reagireste se vi dicessi che forse… hanno ragione?» domandò con un sussurro. Rey batté le palpebre un paio di volte, guardando poi Ben.
Entrambi in verità erano un po’ caduti dalle nuvole, ma per niente delusi, arrabbiati o sconvolti, non ce ne sarebbe stato motivo.
«Hanno ragione nel senso che ti piacciono i ragazzi anziché le ragazze?»
Rey si sorprese quando sentì il suo ex marito chiederglielo. L’insicurezza di Ben l’aveva sempre portato ad essere molto insicuro e paranoico, ciò era spesso stato motivo di discussioni, nonostante Rey non fosse poi troppo diversa. Semplicemente reagiva in modo diverso.
Noa fece un cenno con il capo.
«In realtà non lo so ancora bene... però so di non essere etero. Mi piacciono le ragazze, ma anche i ragazzi e quindi… non lo so, forse sono bisessuale? Questo è un problema?» quel punto Noa trovò il coraggio di guardargli negli occhi. Con sicurezza, Rey gli poggiò una mano su una spalla.
«E perché dovrebbe essere un problema? Avevi paura di una nostra reazione?»
Suo figlio strinse un pugno, nervoso.
Alle volte le ricordava così tanto Ben da lasciarla senza parole.
«Un po’. Ma non so perché, io non ero sicuro e… non posso credere di averlo detto», si portò una mano sul viso e allora fu di nuovo Ben a parlare.
«Va tutto bene, non c’è assolutamente nulla di cui vergognarsi. Sii quello che senti di essere, senza doverti giustificare o dare spiegazioni, perché l’importante è la tua felicità. A prescindere da con chi tu decida di stare.»
Nell’arco di poco, Ben era riuscito di nuovo a sorprendere Rey. Non se lo ricordava così risoluto. Era sempre stato così oppure lo stava vedendo sotto una luce diversa, proprio adesso che non era più suo?
Nel sentire quelle parole, Noa si rilassò appena. In fondo avrebbe dovuto sapere che i suoi genitori non si sarebbero mai infastiditi, ma l’ansia aveva avuto la meglio, come al solito.
«Oh… grazie… avevo così bisogno di parlarne!» tirò su con il naso e allora a Rey venne istintivo abbracciarlo. E mentre stringeva a se suo figlio, sollevò lo sguardo verso Ben, ringraziandolo silenziosamente.
 
La maternità aveva giovato a Rey, ma come era prevedibile l’aveva resa più stanca ed emotiva, anche se ciò era colpa degli ormoni. Per sua fortuna, Ben era piuttosto innamorato di Noa da prendersi cura di lui ogni volta che poteva, nonostante il lavoro che lo teneva impegnato la mattina e spesso il pomeriggio. Rey era in maternità, ma dentro casa, con un neonato c’erano tante cose da fare e il tutto era reso più difficile dalla mancanza di sonno.
«Se vuoi puoi farti una doccia, ci bado io  a lui», Ben teneva il bambino in braccio, dandogli dei colpetti dietro la schiena per fargli fare il ruttino.
«Sì… adesso vado», lei si massaggiò le tempie, guardandolo. «Ho l’impressione che lui preferisca te a me.»
«Questo non è vero, tu sei sua madre.»
«Ma quando è con te non piange. Che bambino ingrato» sospirò, alzandosi con la schiena dolorante. «Ehi Ben, stavo pensando… e se non fossi una brava madre?»
La sua era una domanda legittima. Cosa poteva saperne, di genitori non ne aveva avuti, aveva imparato a cavarsela da sola, i dubbi l’avevano attanagliata da quando aveva saputo di essere incinta. Adesso che aveva Noa, sentiva di amarlo profondamente, ma aveva comunque paura. E se non fosse stata in grado di dargli ciò di cui aveva bisogno?
«Non può succedere che tu non sia una brava madre. Sei forte. E coraggiosa, sai sempre prendere in mano la situazione. Non come me, io vado in panico per nulla, non è come avere a che fare con i miei alunni… è diverso. E poi… sì, poi, io dovrei diventare il suo esempio un giorno. Io, ti rendi conto? Non so come fare, lo sai che con mio padre non ho mai avuto un rapporto facile.»
Certo che lo sapeva, Rey sapeva ogni cosa e capiva anche che lei e suo marito condividevano le medesime paure, derivanti da esperienze diverse.
«A proposito di tuo padre, non credi che dovremmo fargli vedere il bambino? È venuto solo una volta a vederlo in ospedale e non vi siete neanche parlati.»
Ben divenne serio, serrò le labbra. Rey lo spronava sempre ad agire, lui nelle cose ci rimuginava troppo.
«Dobbiamo proprio?»
Nel momento in cui domandò questo, il bambino gli rigurgitò su una spalla.
«Questa ti va bene come risposta?» sussurrò Rey, sforzandosi di non  ridere.
«Rey, non ridere!» arrossì lui. «E meno male che sono il preferito!»
 
Dopo quella passeggiata, Rey e Ben erano tornati a casa. O per meglio dire, la casa di lei, non sarebbe stato corretto mandarlo via dopo ciò che era successo, e forse avevano bisogno di parlare civilmente, come non facevano da tempo. Noa, più sollevato e in pace con se stessa, andò in camera sua a studiare, lasciando i genitori al  piano di sotto. Rey si tolse il cappotto, un po’ a disagio. Non riusciva a credere che fossero divenuti due estranei, erano stati sposati e fidanzati per anni!
«Vuoi che ti prepari un caffè?» domandò, cercando di smorzare il silenzio.
«Mh? No, sto bene così», Ben alzò lo sguardo verso le scale. «Ma tu credi… credi che Noa stia bene? Voglio dire… a volte mi capita di pensare che la nostra separazione abbia influito.»
«Certo che ha influito. Immagino influisca su tutti», lei si sedette, invitandolo a raggiungerla. «Ad ogni modo, abbiamo tenuto la situazione sotto controllo, come sempre del resto.»
«È vero. Ed è un peccato che sia finita così, perché insieme noi formavamo una bella squadra», Ben sorrise con malinconia.
Erano davvero stati una bella squadra, sempre pronti a sostenersi e ad affrontare tutto insieme.
«È vero…» Rey distolse lo sguardo, ripensando alle parole di Leia. Ben l’amava ancora e dopotutto l’amava ancora anche lei.
Allora perché adesso si ritrovavano senza il coraggio di guardarsi in faccia?
«Tu stai… uscendo con qualcuno?» domandò Ben guardando dritto davanti a sé. Non avrebbe voluto chiederglielo, ma era stato istintivo.
«No… con nessuno.. . ci ho provato, ma non ho il tempo…» mentì, perché non era certo il tempo il problema. E quando Ben assunse un’espressione sollevata, Rey fece una smorfia. «Perché quell’espressione sollevata? Ti rende felice l’idea che non stia con nessuno?»
«N-No! Assolutamente no, è solo che di questi tempi una donna come te deve fare attenzione. Dopotutto abbiamo un figlio, non puoi certo portare a casa il primo che trovi.»
Rey arrossì di vergogna e rabbia. Come osava lui parlarle in quel modo? Con quale diritto poi?
«Una donna come me? Guarda che io so benissimo badare a me stessa. Piuttosto, perché non fai attenzione tu? Potresti portare a casa una donna inviperita con cattive intenzioni! Sei sempre stato un ingenuo», sbottò velenosa.
Non era mai un buon segno. Quando iniziavano così, finivano sempre con il litigare.
«Quindi è questo quello che pensi di me? Che io sia un ingenuo? Sono un uomo Rey, non ho bisogno di una baby-sitter.»
«…Non l’avrei mai detto…» sussurrò lei, ma lui lo udì comunque. Ben rise, sarcastico, per poi alzarsi.
Perché, perché si erano ridotti così?
Eppure si amavano, ma forse il loro amore non era abbastanza?
«Va bene, d’accordo. Forse adesso è meglio che vada, non voglio litigare. Ma tutto questo è assurdo. Siamo stati insieme un tempo», cercò il suo sguardo, lo cercò disperatamente senza però trovarlo.
Rey, cosa ci siamo fatti?
Lei però continuò a non guardarlo. Aveva paura di farlo.
«Appunto, siamo stati», sussurrò. E avvertì un dolore lancinante all’altezza del cuore. Una parte di sé le urlava di andargli dietro, stringerlo e dirgli che potevano amarsi ancora, che non avevano mai smesso, forse a parlare era la ragazzina innamorata di un tempo. Ma la se stessa adulta le imponeva di lasciarlo andare. E così accadde. Ben se ne andò, con gli occhi lucidi, ma senza versare una lacrima.
Di chi era la colpa? Sua, di lei, di entrambi?
Quindi era così che era destinata ad andare?


Nota dell'autrice
La mia prima Reylo è una modernAU dai toni molto drammatici, idea che mi è arrivata completamente all'improvviso. L'avevo pensata come una OS, ma sarebbe venuta chilmetrica, quindi l'ho divisa in due parti. Scriverla è stata liberatoria e rilassante, nonostante i temi siano tutto fuorché leggeri. Spero che i personaggi siano IC (io e le mie fissazioni) e che questa prima parte vi sia piaciuta, l'ansia da prestazione c'è sempre in un nuovo fandom. Mi dispiace di aver iniziato con il funerale di Luke, il mio personaggio preferito, ma amo farmi del male da sola. Mi piaceva l'idea di dare un figlio a Rey e Ben, che ho chiamato Noa semplicemente perché volevo un nome di tre lettere, ho scelto quello che mi piaceva di più. Insomma, spero di aver fatto un buon lavoro.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Parte seconda ***


This is us, again
Parte seconda
 
 
La morte era quella cosa a cui non ci si preparava mai, pur sapendo che prima o poi arrivava per tutti. Così era stato per Ben, il quale non sapeva come fosse opportuno sentirsi: aveva perso suo padre dopo che quest’ultimo aveva lottato per mesi contro il cancro. Aveva creduto che quella potesse essere una buona occasione per riavvicinarsi, eppure le cose non erano andate come previste. Essere il figlio di Han Solo non era facile e adesso Ben si sentiva arrabbiato, in colpa, perché aveva creduto di avere tutto il tempo del mondo, si era illuso ed ora ecco che tutto gli scivolava dalle dita.
Suo figlio, sette anni appena, gli si era avvicinato in punta di piedi e allora lo aveva abbracciato.
Era sempre stato un bambino sensibile e molto attento ai sentimenti altrui.
Lo aveva abbracciato e Ben aveva ricambiato la stretta, lasciandosi andare alle lacrime, perché non avrebbe potuto trattenersi. Rey invece non si era avvicinata, se n’era rimasta in disparte a parlare con Leia e Luke.
«Sono preoccupata per Ben», ammise Leia guardando suo figlio struggersi.
«Ben se la caverà, andrà avanti, sa che non può lasciarsi abbattere», l’aveva subito tranquillizzata suo fratello. Rey sapeva che suo marito sarebbe andato avanti, ma era strano vederlo soffrire. Strano, spaventoso ed estraniante.
«Vado da lui…» bisbigliò, avvicinandosi e sorridendo in maniera dolce. «Noa, vai un attimo con nonna e lo zio Luke?»
Il bambino annuì, trascinandosi dietro il suo orsacchiotto. E Rey si sedette accanto a Ben, accarezzandogli piano una gamba, non era un lutto facile da affrontare, poteva immaginarlo.
«Ben, se stai male va bene. Se vuoi disperarti va bene, ma ti prego, non hai detto una parola.»
Suo marito si portò una mano sul viso arrossato, gli occhi bruciavano e la testa faceva così male.
«Non so cosa dire, Rey. Mi sento patetico. E sono arrabbiato, anche con me stesso. La verità è che non so farmi amare e prima o poi tutti finiscono con il lasciarmi.»
Lei si fece più vicina, accarezzandogli i capelli.
«Questo non è vero. E non è colpa tua, lo sai.»
Era davvero estraniante, orribile. Ben era forte, ma anche così fragile.
«Non posso pensare che un giorno io e Noa potremmo fare la stessa fine», confidò poi. Come figlio non era sempre stato perfetto, magari sarebbe potuto essere un buon padre? Avrebbe potuto evitare certi errori, certi atteggiamenti? Rey prese le sue mani tra le proprie, stringendole.
«Questo non accadrà, Ben Solo. Te lo garantisco. Lo so che adesso stai male, ma la supereremo insieme», glielo promise, guardandolo negli occhi. Ben sapeva che Rey non stava mentendo. Lei non mentiva mai, lei c’era sempre.
 
«Non posso credere che abbiate finito con il litigare.»
Rey si era aspettata un commento del genere da parte di Finn, ma aveva ragione, d’altronde nemmeno lei poteva crederci. Guardava la sua tazza di tè senza però toccarla, aveva la testa troppo piena di pensieri. Tutti non facevano altro che ripeterle che Ben l’amasse ancora e ormai ne era convinta anche lei. Di questo e di amarlo a sua volta, ma come poter tornare indietro? Ci avevano già provato una volta e avevano fallito, a che sarebbe servito riprovarci?
«Ci sarà un motivo se ci siamo lasciati», sospirò, ma Finn scosse il capo.
«Conservi ancora la fede, se non ti importasse l’avresti già gettata via. E poi anche Noa la pensa come me, voi dovreste tornare insieme.»
«Noa?» Rey sollevò lo sguardo verso Finn, seduto davanti a lei. «Te l’ha detto lui?»
«Amh… sì», ammise posando la tazza. «Ma non dire che te l’ho detto.»
Rey si scostò una ciocca di capelli dal viso. Era assolutamente normale che suo figlio sperasse in un loro eventuale ritorno insieme, ma non sarebbe stato giusto illuderlo  e poi deluderlo. Poe entrò in quel momento senza maglietta, dirigendosi verso il frigo per prendere dell’acqua.
«Poe, ma ti sembra il modo?» lo rimproverò Finn.
«Cosa? Sono fuori in giardino a curare le piante e fa un caldo atroce, tu te ne stai qui a spettegolare», sbuffò lui, per poi sorridere. «Scommetto che state parlando sempre dello stesso argomento: Ben Solo. Ah, l’amore…»
Rey si alzò, rossa in viso.
«Va bene, d’accordo. Adesso, se non vi dispiace, ho bisogno di usare il bagno e poi devo sbrigare delle commissioni. Con permesso.»
Finn e Poe non le dissero nulla, ma fu poi il secondo a parlare.
«Io credo che quei due abbiano bisogno di una mano.»
 
A Rey mancava Ben. Le mancava sempre in verità, ma da quando avevano discusso le mancava ancora di più. Avrebbe voluto chiamarlo, chiedergli scusa e poi? Poi cosa sarebbe successo? Non stavano insieme, non avevano bisogno di questo.
Pensava ciò mentre guidava, pensierosa. All’improvviso però l’auto fece un rumore strano e assai poco rassicurante. Poco dopo il motore parve morire all’’istante, lasciando Rey nel bel mezzo della strada.
«Accidenti! Un meccanico a cui si rompe l’auto, magnifico!» si lamentò, uscendo fuori e avvertendo un certo odore di pioggia. Bene, perfetto, non aveva nemmeno un ombrello. Si avvicinò al cofano dell’auto, aprendolo, per cercare di capire quale fosse il problema, ma non aveva i suoi attrezzi con sé, forse avrebbe dovuto telefonare a Finn?
E poi arrivò la pioggia. Piccole goccioline leggere che le ricadevano addosso, bagnandola.
«Oh, ti prego!» esclamò esasperata. «Può andare peggio di così?»
Quelle erano le ultime parole famose che mai nessuno avrebbe dovuto pronunciare. Dall’altro lato della strada si accostò un’altra auto di colore nero, a cui Rey non fece tanto caso, fin quando non ne uscì fuori Ben.
«Cosa stai combinando?» le domandò. Rey sollevò lo sguardo. E lo vide, bagnato di pioggia esattamente come lei. Ed ebbe come istinto quello di abbracciarlo.
 
Era un po’ di tempo che Rey era spenta e silenziosa. Non rideva più, né giocava con Noa, passava il suo tempo a dormire o semplicemente a guardare il soffitto. E Ben la capiva, la capiva perfettamente perché dopotutto quello era un dolore che stavano vivendo entrambi. Ci aveva pensato lui a preparare la cena per Noa, poi aveva sparecchiato, lasciando da parte un piatto per Rey, la quale non aveva intenzione di mangiare, ma a costo di imboccarla a forza doveva farla mangiare. Bussò alla porta della propria camera da letto e nonostante il silenzio, Ben entrò lo stesso.
Rey se ne stava distesa su un fianco, ma non stava dormendo.
«Rey, ti prego… qualcosa devi mangiare, stai perdendo le forze.»
Ma Rey non voleva mangiare, non voleva fare nulla. Si sentiva fortemente depressa e non capiva perché la vita con lei, con loro, avesse deciso di essere ad un tratto così crudele. Si strinse con una mano il ventre oramai vuoto da cui era stata strappata la vita. Lei e Ben avevano voluto un altro figlio ed era rimasta incinta subito, come la prima volta. Ma arrivata alla dodicesima settimana, più nulla.
Nessun battito. L’avevano perso e nessuno capiva il perché.
Erano cose che capitavano, certo, ma adesso era capitato a lei.
«Ben, vattene», voleva solo essere lasciata in pace. Ma Ben era paziente, Ben sopportava nonostante il dolore, Ben stringeva i denti, perché avrebbe fatto di tutto per farla stare meglio.
«Ti lascio il piatto sul comodino. Comunque credo che… sai no, dovremmo andare da uno psicologo… male non ci farebbe.»
A quelle parole Rey si voltò, guardandolo con gli occhi lucidi. Era ferita e arrabbiata, avvertiva un dolore così grande che non era certo potesse essere superabile.
«Io non voglio parlare con nessuno. Nessuno capisce, nessuno. Ho perso un figlio, posso avere il diritto di piangere la sua morte?»
Ben abbassò lo sguardo. E chi avrebbe pensato al suo di dolore? Anche lui aveva perso un figlio, dopotutto. Ma al suo di dolore non ci stava pensando, lo avrebbe sopportato per lei.
Anche se era difficile. Anche se adesso Rey sembrava guardarlo con odio.
«Sì che ne hai diritto. Ma Rey, era anche mio figlio e…» la voce si spezzò appena. «Almeno aiutami ad aiutarti.»
Rey si lasciò cadere di nuovo a letto e questa volta tirò su le coperte per coprirsi e lasciarsi andare alle lacrime. Lei, che aveva sempre reagito, adesso si sentiva debole e impotente, perché di fatto nessuno le avrebbe ridato ciò che aveva perso. Nemmeno Ben. E suo marito non insistette. Si sarebbe anche accontentato di soffrire in silenzio. E sopportare e far marcire quel dolore.
 
Noa aveva raggiunto casa di Finn e Poe e tutti e tre se ne stavano seduti aspettando chissà quale segno divino.
«Rey ci ammazza», sussurrò Finn, con sguardo attonito.
«Ma smettila, ci sarà grata invece», lo rimbeccò Poe, rivolgendosi poi a Noa. «Hai chiamato tuo padre, giusto?»
«Sì, l’ho fatto», annuì lui. «Gli ho detto di sbrigarsi a venire qui perché c’era un’emergenza, si saranno già incontrati a metà strada.»
Udirono poi lo scrociare della pioggia, una vera e propria tempesta.
«Ora è sicuro che Rey ci ammazza! Mi ammazza, anzi! Le ho manomesso la macchina, questa cosa non è legale né morale. E la colpa è tutta tua, Poe. Io che ti ho anche ascoltato!»
«Non la penserai allo stesso modo quando quei due torneranno insieme. Andiamo, la pioggia è romantica, abbi un po’ di fede!»
Noa sorrise, sollevando lo sguardo verso la finestra, intravedendo il cielo scuro.
Lui di fede ne aveva eccome.
 
Rey non era riuscita ad abbracciarlo. Piuttosto se n’era rimasta immobile e a bocca aperta, lasciandosi bagnare, oramai doveva essere fradicia.
«Amh… io… mi si è… rotta l’auto», riuscì solo a balbettare, domandandosi come osasse Ben essere così bello anche sotto la pioggia.
«E  non sai cosa fare? Sei un meccanico!» le fece notare lui. Rey aggrottò la fronte.
«E infatti non ho bisogno del tuo aiuto. Vattene.»
«Non posso andarmene, oramai sono qui. Almeno lasciati aiutare», le si avvicinò, sfiorandole una spalla e provocandole un brivido che di certo non era dovuto al freddo. Rey si scostò, provata.
«Ben, ti prego. Io non mi controllo, non so cosa potrei fare», sospirò, con lo sguardo rivolto verso il cofano.
Ben però non si allontanò, anzi. Aveva bisogno di capire, altrimenti sarebbe impazzito. C’era una forte tensione tra loro.
«Perché dici questo? Ce l’hai ancora con me? Dimmi la verità? Mi odi, Rey?»
Mi odi, Rey?
Quella era la domanda più stupida che potesse fargli. No che non lo odiava e il problema era proprio questo. L’amava ancora.
Si voltò a guardarlo, furiosa.
«Ben Solo, tu sei un idiota! Ho la faccia di una che ti odia? No, ovviamente no! Questa è una condanna. Noi non stiamo più insieme, eppure guardaci! Se continuiamo a litigare, tanto valeva rimanere insieme!»
Era una fortuna che non ci fosse nessuno in strada, chiunque avrebbe pensato che fosse pazza. Ben non parlò, perché sapeva che Rey non aveva ancora finito. Quest’ultima infatti si portò le man sui fianchi.
«Io non ti sopporto più. Tormenti i miei sogni e i miei pensieri. E la fede! Non riesco a gettarla, è in un cassetto, vicino al mio letto. Questo è patetico, non è vero? Non è giusto! Non capisco come sia potuto succedere, come siamo diventati così? E perché non parli? Mi irriti così tanto…!»
Ben di fatto non parlò, fece una cosa migliore. La strinse a sé, come non faceva da anni, respirò il suo profumo misto a quello della pioggia. E lo amò, amò sfiorare la sua guancia con la punta del naso e le labbra, il suo corpo esile, la pelle attraverso i vestiti bagnati.
«Ben…?» sussurrò Rey, immobile tra le sue braccia. E il cuore, il suo e quello di Ben, battevano veloci allo stesso ritmo.
«Non ho mai smesso di amarti, Rey.»
Mai.
 
Ben aveva, come tutti, occhi per guardare. Vedeva come Rey fosse diversa, tanto per cominciare aveva preso ad uscire la sera. Non ogni sera, ma tre volte a settimana e ciò non era da lei.
Rey non era tipo da uscite, vestiti eleganti e ore piccole, eppure adesso eccola lì, mentre si passava un rossetto sulle labbra. E lui la guardava. Guardava e pensava che non era così ingenuo, che se si stava comportando in questo modo, era perché forse doveva esserci un altro.
No, non Rey. Lei non lo avrebbe mai tradito. D’accordo, le cose ultimamente tra di loro non andavano alla grande, Ben era stato molto preso dal suo lavoro, oramai era un insegnante a tutti gli effetti e turni di lavoro più lunghi, ma non poteva essere semplicemente questo. Anche se la sera tornava stanco, a volte di cattivo umore, Rey non poteva averlo tradito per così poco, e nemmeno per il fatto che parlassero poco o perché la loro vita sessuale andasse un po’ a rilento.
Era solo un periodo, oramai aveva imparato che di alti e di bassi ce n’erano in tutte le coppie.
«Rey, questo non è da te», commentò ad alta voce, pentendosene subito. Avrebbe preferito tacere, piuttosto che scatenare un litigio. Rey smise si guardarsi allo specchio per rivolgere a lui le attenzioni.
«Cosa? Mi sto solo truccando un po’, ogni tanto fa bene anche a me cambiare.»
Ben però non le credette nemmeno un istante. In cuor era sicuro, davvero tanto, che Rey gli nascondesse qualcosa. Se era stato tradito, voleva saperlo, meritava i saperlo.
«Rey, dimmi la verità. Per caso c’è un altro?»
Lei temporeggiò qualche istante prima di rispondere, avvertendo un profondo senso di nausea. Come poteva anche solo pensare Ben che ci fosse un altro? Non lo aveva mai tradito, né mai lo avrebbe fatto.
«Stai scherzando, spero! È questa la fiducia nei miei confronti? Non c’è nessun altro, Ben, che diamine!» sbottò nervosa, perché la situazione era già abbastanza difficile così. Era orribile la sensazione che si stessero perdendo inesorabilmente senza capire il perché. Forse l’amore era semplicemente finito senza che nemmeno se ne accorgessero, era possibile, l’amore finiva, ma non il loro.
Ben indietreggiò.
«Mi spiace, ma non posso non farmi delle domande, ti comporti in modo strano ultimamente.»
Rey gli fece segno di tacere, mentre respirava fino in fondo per non perdere il controllo.
«Vuoi sapere perché ultimamente esco spesso? Perché starti accanto è diventato pesante. Sei stanco, stressato, lo capisco bene, ma se c’è una cosa che non capisco è perché tu debba darmi per scontata.»
Quelle parole ferirono Ben. Lui non avrebbe mai dato Rey per scontata, ma come tutti era umano – un umano molto insicuro – e  forse aveva sbagliato in qualcosa, senza nemmeno rendersene conto?
«Io non ti do per scontata. Io faccio del mio meglio.»
«Lo so, Ben. Ma non mi dai alcuna sicurezza. Non mi pesa essere la colonna portante di questa famiglia, è solo che a volte avrei bisogno di essere rassicurata a mia volta. Sono tua moglie, non posso farti da madre e stare accanto a te per assicurarti ogni istante. Vorrei che ti facessi carico dei miei tormenti, ogni tanto», sospirò, abbassando lo sguardo. Lo sapeva, Ben non era cattivo, ma era una persona difficile con cui avere a che fare. Ciò però non l’era mai pesato, eppure adesso qualcosa sembrava essersi incrinato. Ben si sedette, non riuscendo a trovare qualcosa di sensato da dire.
Rey non aveva torto. Era lui quello “debole” della coppia, forse era addirittura un peso. In fondo era sempre stato un peso per tutti, perché con lei sarebbe dovuto essere diversa?
Sua moglie sperò tanto di sentirlo reagire, di sentirgli dire qualsiasi cosa, si sarebbe accontentata anche della sua rabbia, ma in cambio ottenne solo il silenzio. Afferrò la borsa. Anche se non amava uscire la sera, aveva bisogno di staccare da quella situazione che stava sfuggendo al suo controllo, tanto quanto quello di Ben.
«Ci vediamo dopo», mormorò con voce spezzata. Lui la lasciò andare e per qualche attimo si perse a pensare. Ai bei tempi andati, a quando tutto andava ancora bene.
 
Non ho mai smesso di amarti.
Rey le riconobbe, le sue braccia, il suo respiro, il tono tremulo della sua voce, le mani che la stringevano, la cercavano. Un’assurda malinconia mista ad eccitazione.
Ben, nemmeno io ho mai smesso di amarti.
Voleva dirlo, ma tremava, per il freddo e l’emozione.
«Ben, no… noi… noi…»
Noi ci siamo lasciati troppo in fretta, credendo che fosse la cosa più giusta. Ma non c’è giorno in cui io non mi penta di averti lasciato andare.
Per te è lo stesso, eh?
Ben le strinse i capelli con una mano. Nelle cose ci aveva sempre rimuginato un po’ troppo, insicuro, ansioso, apprensivo, esagerato. Ma qualche certezza l’aveva, come quella di aver sbagliato, come quella di volerla, ora, ieri e per sempre. Era sempre stato anche timido, ma quella volta non gli importò. La baciò, sentendo subito il sapore della pioggia, il suo sapore che amava e che non avrebbe mai dimenticato.
Rey gemette, gli si aggrappò addosso, maledicendolo, stringendolo a sé. Com’era successo? Ah, sì. Di comune accordo, in modo civile, avevano deciso di divorziare senza lotte né guerre, senza struggimenti e lacrime. Avevano creduto che l’amore fosse finito, perché era naturale che a volte accadesse, ma in verità nessuno dei due ci aveva mai creduto veramente.
«Perché… perché…?» ansimò Rey, a pochi centimetri dalle sue labbra. «Perché ci siamo fatti questo? Perché non riusciamo a stare separati?»
«Perché evidentemente è insieme che dobbiamo stare», sospirò sui suoi capelli, sentendola tremare per il freddo. «Rey, andiamo in auto, rischi di beccarti una polmonite.»
Lei però aveva sprofondato il viso sul suo petto, scuotendo il capo, non le importava di nient’altro oramai. Erano due adulti che in fondo erano sempre rimasti bambini, innamorati, insicuri.
«La fede», sussurrò ad un tratto Ben. «Anche io la conservo ancora.»
Quello era il simbolo che lo univa a Rey, un cerchio infinito e perfetto, non ne aveva avuto il coraggio. «Allora mi ami ancora, Rey?»
Lo amava sì. Lo amava così tanto da odiare visceralmente la sua essenza, il suo non riuscire a legarsi a nessun altro.
«Ti amo ancora. Ma io non so se… abbiamo sbagliato tutto. Non avremmo dovuto lasciarci. Forse non possiamo tornare indietro…?»
«Non dire così. Siamo ancora noi…Dimmi che vuoi provarci. Devi, perché in ogni caso non so se potrò lasciarti andare.»
Non lasciarmi andare.
Ma aveva paura, Rey. L’avevano entrambi, paura di soffrire, paura di non riuscire, di perdersi. Ma si erano persi già una volta, ritrovandosi. Non sarebbe servito accampare scusa, del tipo “E gli altri cosa diranno?”, perché era chiaro che tutti li rivolessero insieme, il loro amore sarebbe stato palese anche ad un estraneo.
Compì un sospiro profondo. Si erano sempre aiutati. E amati. E feriti, avevano sbagliato, sofferto insieme, il separarsi del tutto era stato solo l’ennesimo errore.
Eppure erano lì, di nuovo.
«Facciamolo», sussurrò, guardandolo negli occhi. «Però forse è meglio se Noa per adesso non ne sa nulla.»
Ben non le diede il tempo di aggiungere altro, perché l’afferrò tra le braccia, sollevandola. Voleva essere una persona migliore per lei e Rey voleva altrettanto, ciò non c’era stato bisogno di specificarlo.
«Ben! Ben, ma insomma!» esclamò, ridendo, di cuore come non le capitava da tempo.
Contro tutto e tutti, ma questa volta non commetteremo più gli errori che abbiamo commesso. Ben non la udiva, sembrava troppo felice, come se gli fosse stata restituita una vita nuova.
Come fosse tornato a respirare.
«Noa!» esclamò ad un tratto mettendola giù. «Sono abbastanza sicuro che ci sia il suo zampino in tutto ciò. E anche quello di Finn e Poe. Qualcosa mi dice che si sono messi d’accordo.»
Rey sollevò le sopracciglia: quei tre gliel’avrebbero pagata, ma magari un altro giorno.
«Ucciderò Finn per avermi manomessa l’auto. Ma immagino io debba essergli grata», chiuse gli occhi e li riaprì, rendendosi conto che aveva smesso di piovere. Ben le accarezzò la testa e – oramai fradicio – sollevò lo sguardo: all’orizzonte vi erano Finn, Pe e Noa che si stavano sbracciando.
«Ho portato i rinforzi! Cioè, io di auto non ne capisco nulla, quindi ho portato Finn!» esclamò tirandolo per un braccio.
«Poe, no! Tu vuoi farmi ammazzare!» si lamentò. Noa invece corse incontro ai suoi genitori, facendo un sorrisetto.
«Sono nei guai?»
Rey e Ben si guardarono, per poi sorridersi.
«No, non sei nei guai», lo rassicurò, accarezzandogli i capelli. «Ma qualcun altro sì. Finn, puoi venire qui solo un momento? Giuro che non ti faccio niente!»
Ben rise, poggiando una mano sulla spalla di Noa, mentre osservava Rey che inseguiva Finn sicuramente con cattive intenzioni.
E si domandò come avessero fatto fino a quel momento, per tre anni, senza nulla di tutto ciò.
Ma oramai non sarebbe più stata una domanda da porsi.



Nota dell'autrice
Ed ecco qui l'altra parte della storia, per alcuni versi più allegra, per alcuni versi non tanto. Ho voluto inserire dei flashback (uno particolarmente pesante dove Rey ha un aborto spontaneo), per raccontare alcuni episodi (non gli unici naturalmente) che hanno portato Rey e Ben a separarsi inevitabilmente. Il finale si può considerare semi-aperto [?] visto che alla fine decidono sì di tornare insieme, ma ho voluto lasciare all'immaginario ciò che viene dopo. Un ringraziamento speciale a Finn, Rey e Noa che con i loro casini sono riusciti a farli incontrare. Spero vi sia piaciuta :)

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3922391